Storia dell'arte moderna
21/09/2016
Il metodo di lettura dell'arte moderna per questo corso nasce da un'intuizione di Carlo Del Bravo.
Nel corso del '900 si sono succedute due diverse visioni di questa particolare arte, divise spesso tra chi adottava quello 'analitico' un metodo che analizzava l'opera d'arte come commistione fredda di linee e colori, puro visibilismo, e quello 'iconografico e iconologico' che tende a 'sminuire' l'opera nella ricerca di valori nascosti.
Secondo Del Bravo bisogna saper leggere l'opera d'arte in una lingua figurata nella quale come equivalenti delle parole ci sono figure, vesti, oggetti che possono assumere valore simbolico, ma ciò che è davvero importante è la sintassi, che nella frase lega le parole, nell'opera d'arte gli sguardi, la mimica, le mani, gli atteggiamenti assumono questo stesso compito.
In questo 'discorso' si può celare il pensiero reale dell'artista al di là della commissione dell'opera.
I: introduzione allo studio dell'arte moderna e lineamenti di essa dal Quattrocento all'Ottocento.
Nel periodo dell'umanesimo viene a delinearsi in maniera ancora più forte il motivo per il quale l'arte era stata sempre basata sull'imitazione della natura, quella natura che era stata oggetto di rappresentazione e meraviglia già nelle culture preistoriche e che l'uomo aveva sempre copiato in maniera diretta; per la pittura aveva utilizzato la vista, per la scultura il tatto, per l'architettura le necessità di vita di un uomo, senza nessuna intermediazione personale.
L'arte è sempre stata la variabile della vita umana, l'espressione più fresca e immediata di un cambiamento.
Ma i cambiamenti rappresentati dall'arte, forti e sicuri, quanto hanno cambiato l'uomo moderno da un esponente dell'Umanesimo?
In queste immagini notiamo il cambiamento della visione della figura umana, un inglese, Lucian Freud, figlio del celebre Sigmur, rappresenta un uomo ed una donna accasciati su un sofà, mentre vicino troviamo la statua dello 'Schiavo Morente' di Michelangelo; entrambi considerano il tema dell'abbandono, ma mentre l'uomo moderno si trova solo nell'abbandono con se stesso, l'uomo del passato è abbandonato a qualcosa di altro, una luce alla quale mira.
Per Lucian la realtà è inerzia, e questo peso inerte, quasi buttato nell'angolo del divano è fisso, e l'arte non può che catturarlo, facendo proseguire la vita.
Freud stesso scrive 'Voglio che l'arte sia la carne, voglio che la pittura sia la persona e la persona si comporti come la carne'.
Il termine specifico che viene usato per carne è 'flash', che usualmente è attribuito a carne morta.
L'aver posto il sesso di entrambi nel centro esatto del quadro non è casuale, ma anzi, vuole che lo spettatore concentri li lo sguardo quasi a voler rendere ancora meglio la corporeità delle figure.
Visione diametralmente opposta è quella di Michelangelo, nel 1530 vede l'arte non come una prosecuzione del suo tempo, ma come unità fra corpo e anima, interiorità dell'uomo che la mette in movimento.
Il protagonista è assorto nel guardare qualcosa (la statua era concepita inizialmente per una nicchia, e quindi ancora più importante era lo sguardo del personaggio che si affacciava), l'icona che ci propone Michelangelo non è ferma, non è rigida, non è inerte, è un discorso armonico ed è la sua interiorità che imprime la forza corporea; questa forza vitalizza tutte le componenti della statua, i muscoli in tensione, i capelli, il sesso.
Vediamo la volontà di tenere unita la volontà e il corpo, Michelangelo non deprezza il corpo, ma lo esalta, attraverso l'anima, quella stessa anima che è colei che da forma alla materia ed al corpo (Platone, Cicerone).
La visione di Michelangelo così come tutto l'umanesimo, è influenzata da un passo del 'Libro dell'anima' di Aristotele (412°) che recita "L'anima è sostanza in quanto forma del corpo naturale che ha la sostanza in potenza.
La natura è potenza, la forma è ; εντελεγεία (ciò che è portato a compimento", e da altri passi di grandi scrittori classici come Cicerone, che nel 'De Oratoria' dice "il volto è lo specchio dell'anima, e gli occhi ne sono gli interpreti, le mani parlano da sé, la natura ha assegnato ad ogni emozione un gesto preciso, ogni gesto dell'uomo suona come le corde di una lira ad ogni emozione che prova"
Sarà nel 1919 che Mondrian sancirà l'ufficiale svincolo tra uomo e natura, nel quale finirà anche il contatto tra corpo ed anima.
Questa visione del corpo e dell'anima si unisce al pensiero cristiano nella lotta a svincolare l'anima dalle catene del corpo mortale, come leggiamo nel testo di Arsinio Ficino, per Lorenzo de' Medici 'Teologia Platonica sed Immortali Anima' che nel corso dei secoli avrà una centralità importantissima.
La natura è ciò che l'uomo ha imparato a conoscere attraverso le vie umanistiche, e per questo è esclusivamente bellezza.
La storia dell'arte moderna comincia nel 1401 quando viene allestito un concorso per la decorazione della Porta Nuova del battistero di Firenze, ovvero la porta che un tempo guardava verso quella della cattedrale di Santa Maria del Fiore, poi sostituita da dalla porta del Paradiso.
Venne nominata una giuria di trentaquattro giudici, e furono ammessi alla competizione sette orafi fiorentini e toscani. Essi erano: Filippo Brunelleschi, Lorenzo Ghiberti, Jacopo della Quercia, Francesco di Valdabrino, Simone da Colle, Niccolò di Luca Spinelli, Niccolò di Pietro Lamberti.
La scelta del tema, Abramo che senza indugi decide di sacrificare il suo unico figlio Isacco, è molto centrata sulla storia di Firenze di questo periodo; infatti la città si trovava in un periodo di crisi della decisione dei Visconti, duchi di Milano, di impadronirsi del capoluogo toscano dopo essersi alleati con le altre province del territorio non fiorentine come Pisa, Lucca e Livorno.
La formella doveva significare, agli occhi di Bonuccio Salutati, il consigliere umanista incaricato della scelta del tema, il volersi affidare alla Provvidenza, quella Fede che nel caso di Abramo salva Isacco, e che nel futuro di Firenze può portare alla pace.
Nell'umanesimo queste due diverse formelle c'è la visione dell'uomo, ma in entrambe manca la riduzione dell'uomo ad astrazione.
Genesi 22, 1-14
1 Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 2 Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». 3 Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. 4 Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. 5 Allora Abramo disse ai suoi servi: «Fermatevi qui con l'asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi». 6 Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme. 7 Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?». 8 Abramo rispose: «Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutt'e due insieme; 9 così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la legna. 10 Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. 11 Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 12 L'angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio». 13 Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. 14 Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede»
GHIBERTI
BRUNELLESCHI
L'altare è sullo stesso piano dei servitori, ma un monte si interpone facendolo apparire dietro e distante, la scena si sviluppa tutta su un piano orizzontale.
La lettura del testo del dipinto è immediata, va letta come un testo scritto, da sinistra verso destra.
Inoltre i servitori non partecipano in alcun modo alla scena.
Ghiberti è basato sul mondo naturale, non sulla crescita, sullo 'sta per', coglie l'azione nel suo divenire, nega l'intelletto come guida e si abbandona alla dolce continuità dell'andare mosso dagli agenti atmosferici circostanti.
L'altare si trova sopra rispetto ai servi, non oltre.
La lettura è da farsi dal basso verso l'alto.
I servitori non vedono, quello di sinistra si toglie uno spino dal piede (riprendendo il celebre modello classico dello Spinario), mentre quello di destra con una ciotola prende dell'acqua, al centro l'asino bruca.
I servitori sono la metafora dell'uomo comune distratto, che non vede e pensa solo al soddisfacimento di dolori fisici (male al piede, sete, fame).
Nella parte alta della formella Brunelleschi ha esaltato il gioco degli sguardi, quello tra l'angelo ed Abramo, e successivamente l'incontro della mano sul braccio, Abramo appare stupito.
Il Brunelleschi basa la sua opera sul 'videre' questo gioco di sguardi, ma mentre quello dei servitori è un guardare sommesso, quello di Abramo è 'perspicere', guardare attraverso.
Segue un passo importantissimo della 'Repubblica' di Platone, 'si servono di geometri, per vedere realmente le cose di se stessi', le idee in se per se, servono da modello per le costruzioni.
La conoscenza di Abramo è un la conoscenza oltre natura, mentre quella dei servitori è secondo natura, si conosce solo quello di cui si ha immediatamente bisogno.
* Nella lettera di Paolo ai Romani leggiamo
"Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace" e ancora nel passo 4,18
"Non infatti in virtù della legge fu data ad Abramo o alla sua discendenza la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede"
Con gli sguardi dei personaggi si crea una storia, l'incrocio forma un'intelaiatura che coincide perfettamente con il punto più alto di un triangolo equilatero, inscrivibile a sua volta in un cerchio (la forma geometrica che più rappresenta la perfezione di Dio).
22/09/2016
II. Ghiberti, Brunelleschi e Donatello.
Diogene Laerzio narra la vita e il pensiero dei filosofi – recuperato nell'Umanesimo come guida di questo pensiero.
L'arte è espressione viva e diretta del modo diverso di conoscere e di vedere le cose che l'umanità ha sviluppato nei secoli.
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Ghiberti esprime un pensiero che recupera il grande scetticismo antico, quello che ha alla base il filosofo greco Pirrone e che quindi pone tutte le cose sullo stesso piano e l'umanità aperta a tutto il divenire.
Viceversa vediamo come il Brunelleschi eviti questa semplificazione lineare del giudizio delle cose e applichi invece un ragionamento platonico sulla scala della conoscenza, con una distinzione tra ciò che è una concezione materiale e una concezione spirituale della vita.
Questo fa capire come l'Umanesimo sia una tendenza con cui si recupera, all'interno del pensiero cristiano, che è un pensiero rivelato, quel pensiero antico che attraverso l'osservazione della natura e la razionalizzazione di questa osservazione aveva capito i vari modi essenziali con cui l'uomo conosce e vede le cose, il mondo e l'interiorità.
Ecco quindi che, nell'Umanesimo, queste vie diverse, in questo caso due opposti (scettica e platonica), diventano le vie con cui l'uomo si pone di fronte al mistero cristiano ed entra e vive nel pensiero cristiano.
In entrambi c'è il rifiuto della riduzione dell'uomo a corpo, materia inerte o astrazione ideale: rimane sempre fondamentale l'uomo come essere della natura che quindi ha un corpo e un'anima che lo forma.
Fra i protagonisti dell'inizio, che parteciparono anche al concorso del 1401, ci sono 3 artisti che sviluppano 3 modi diversi di vedere il mondo; in questo seguiamo il saggio fondamentale di Del Bravo (Primo 400), che ha compreso come un uso diverso della prospettiva comporti un diverso modo di conoscere e vedere la natura rappresentata.
In base a questo contributo vedremo da un lato il Brunelleschi che, con la sua disposizione intellettiva prettamente platonica, vuole capire l'interno delle cose attraverso la geometria.
Accanto a lui anche Donatello arriverà a questo metodo intellettivo di guardare nel profondo, non più attraverso la geometria ma attraverso un disegno che si applica anche alla varietà, anche non bella, del mondo.
Brunelleschi distingue due modi di conoscere con gli occhi: * il "vedere" sensibile, che nella formella attribuisce alla figure degli accompagnatori e che corrisponde ad una sapienza che Paolo dice della carne e Platone dice relativa all'opinione, che si perde nella varietà del mondo. * l'altro modo di guardare, che attribuisce ad Abramo: il "guardare attraverso", "intus", attraverso quella mente che Brunelleschi rappresenta aperta e direttamente collegata agli occhi che vedono. Questo "perspicere", l'intellezione, corrisponde a ciò che il Manetti dice del Brunelleschi: un uomo che aveva buon'occhio mentale, cioè occhio intellettivo, che guardava le ragioni profonde delle cose.
E' quell'occhio che Brunelleschi si attribuisce identificandosi con Abramo e che gli permette di cogliere dentro a questa rappresentazione l'intus geometrico che porta la disposizione delle figure in una dimensione trascendente.
Regola attraverso la geometria perché, come dice Del bravo, segue un passo della Repubblica di Platone in cui parla dei geometri che, dice, " si servono di immagini per cercare di vedere quelle cose in sé che non si possono vedere se non con il pensiero attraverso la mente".
Le immagini geometriche che i geometri tracciano in terra non dipendono dall'osservazione naturale, ma dal loro guardare a quelle immagini katauton (idee in sé e per sé che sono in cielo) le quali servono da modello per queste immagini.
Ecco quindi che Brunelleschi fa in modo di lasciare intuire a chi guarda quest'immagine che ci sia a regolarla un triangolo equilatero al cui vertice coincide il punto di incontro tra uomo e Dio, punto di incontro che rappresenta il vertice della circonferenza di questo triangolo equilatero, ma è anche il punto centrale di una circonferenza più grande che comprende il tutto.
In questo modo, basandosi sul Timeo di Platone e sul pensiero del Salutati, fa in modo di ragionare sul significato trascendente del cerchio, che per il Timeo è immagine della creazione e di dio creatore, perché è l'immagine più perfetta, che non ha inizio e fine, e quindi è eterna.
Questo concetto viene interpretato dal Salutati dando al cerchio il senso della prima causa divina e alla retta, che collabora col cerchio, il senso dell'uomo che collabora con la verità divina.
Qui vediamo come il Brunelleschi ha fatto in modo di mettere le figure di Abramo e Isacco lungo le rette, perché essi collaborano e fanno in modo di porsi in asse e verso il centro della volontà divina che tutto circonda.
In questo modo, dice Platone che il modo in cui cerchio e retta entrano in proporzione rappresenta il più bello dei legami, quello che fa di due cose una cosa sola, perché equivale all'amicizia .
Qui vediamo come il Brunelleschi, attraverso questo gioco di rette e di circolarità, sancisca l'amicizia tra uomo e Dio senza rinunciare alla natura ma facendo in modo che l'uomo, attraverso questi segni geometrici, riscatti la natura della propria transitorietà e la veda come creazione della divinità.
Questo aspetto geometrico è anche la ragione per cui Brunelleschi, in un certo senso piccato per non essere stato l'unico vincitore del concorso, va a Roma a studiare l'architettura romana e, soprattutto, come dice il Manetti, biografo del Brunelleschi, "egli va a Roma per vedere nell'edifici se erano quadri o di quanti angoli, o tondi perfetti, o ovati o di che condizione", di nuovo per cogliere nell'architettura romana questo perfetto gioco di rette che formano quindi figure parallelepipedi, quadre o triangolari e di circolarità, e di cogliere in questo rapporto tra forme così diverse le proporzioni musicali, ovvero quelle proporzioni numeriche e quelle simmetrie numeriche che rappresentano appunto il segno dell'amicizia tra queste forme e quindi la bellezza e la perfezione.
Questo che stiamo dicendo a proposito del periodo romano si traduce poi una volta tornato a Firenze nelle grandi architetture, in una dimostrazione che egli fece su questo ragionamento "geometrico" per conoscere il mondo, e questo ragionamento venne fatto Brunelleschi attraverso due tavolette
La prima, fatta nel 1412, non ci è giunta, ma ci è giunta la descrizione molto precisa che ne fece il Manetti. Del bravo intende questa tavoletta come un discorso sulla conoscenza intellettiva.
La tavoletta presenta due elementi che vengono tenuti insieme dalle mani e dalle braccia di chi la osserva:
*la tavoletta, vicina al volto del figurino, presentava, dalla parte rivolta verso il volto la sua superficie grezza, verso l'esterno invece l'immagine del Battistero visto dalla Porta centrale di Santa Maria del Fiore, con dipinti sul fondo gli edifici della piazza di San Giovanni e, anziché il cielo, una lamina d'argento brunito che, dice il Manetti, andava vista quando rifletteva le nuvole portate in cielo dal vento.
La tavoletta veniva vista attraverso un piccolo foro, che obbligava ad una vista monoculare.
La figura osservava attraverso questo foro l'immagine, che era posta dalla parte opposta della tavola, riflessa in questo specchio che teneva con la mano di fronte a quella che teneva la tavoletta.
Del Bravo ha inteso come, in questi elementi che compongono l'intero meccanismo, si celino delle parole simboliche ben precise: la vista monoculare identifica l'occhio della mente, che punta sullo specchio, che secondo del bravo rappresenta la vanità. L'occhio mentale attraversa la vanità, l'apparenza delle cose, perché lo specchio non mostra la realtà ma la sua apparenza e punta quindi su un solido (il battistero), che è una geometria applicata.
Attraverso questo e quel meccanismo platonico (i geometri, attraverso le figure che disegnano, risalgono all'eidos katautoneis), ecco che il battistero rappresenta lo strumento per superare la trascorrenza di quelle nuvole portate dal tempo che si rispecchiano nella superficie brunita specchiante.
Se trasformiamo questo discorso e ne facciamo l'analisi logica, introducendo il ruolo che ha il braccio dell'uomo che tiene lo specchio, si arriva ad una conclusione interessante: il soggetto di quest'azione è l'occhio mentale, il verbo.
Se consideriamo il punto di vista filosofico vediamo come nella filosofia antica, poi anche nella tradizione medievale ed umanistica, lo specchio identifica il verbo vedere, perché secondo queste filosofie il vedere è la cosa determinata da un flusso di particelle che partono dagli oggetti e senza consumare la loro superficie entrano negli occhi in modo da portarvi intera la figura che stiamo osservando. E dicono che la prova di questo è nello specchio, che intercetta queste particelle e ferma, mostra questo movimento che noi recepiamo nell'occhio.
Se l'occhio è il soggetto, ed è l'occhio mentale, lo specchio indica il verbo vedere, l'oggetto diventa quindi il battistero e le nuvole che scorrono sul suo cielo, ma noi non abbiamo considerato il complemento di questo verbo e di questo soggetto, che è il braccio dell'uomo. Perché il braccio dell'uomo indica la sua volontà, il libero arbitrio, la libertà di trovare il punto unico in cui la fuga delle nuvole nel cielo e la fuga del solido architettonico entrano entrambi in comunione, in modo tale che riflettano l'immagine divina della natura e del solido geometrico e facciano sì che questa geometria, che articola tutto lo spazio naturale, diventi lo strumento per conoscere le cose in sé e per sé eterne .
Questo discorso è molto diverso da quello che fa Mondrian, che ha semplicemente posto un'idea geometrica astratta per esprimere la vita dell'uomo spirituale, con questo discorso invece la geometria diventa una struttura che regge la natura dandole la forma.
Questo discorso lo applica all'architettura ma anche alla pittura. La pittura del Brunelleschi ci permette di capire questo concetto perché è del Brunelleschi uno dei capolavori più grandi che abbiamo a Firenze: il disegno di un'opera che è una tarsia lignea e quindi è fatta poi da artigiani che sapevano lavorare questo legno e sapevano eseguire queste opere, però il disegno è del Brunelleschi. Si trova nella sagrestia delle messe del duomo di Firenze, Santa Maria del Fiore, alla quale Brunelleschi lavorò come architetto principale.
Qui vediamo la transitorietà, ovvero la casualità, l'occasionalità con cui questi libri sono stati riposti. Sono libroni da canto, liturgici, e i fogli svolazzano, le copertine si piegano e i laccioli si sospendono nell'aria.
Però Brunelleschi ha inserito quest'immagine di saltuarietà all'interno di una struttura altamente geometrica: questa struttura è quella che fa sì che questa immagine di accidentalità appartenga tuttavia ad un piano eterno.
Questo lo ha fatto per quei sacerdoti che nella sagrestia si preparano la messa e che, osservando queste immagini di causalità, possano capire come quelli non sono semplicemente libri o oggetti, ma sono i libri in sé che rappresentano la divinità del Cristo di cui sono narratori.
Spedale degli Innocenti, F. Brunelleschi, 1425
Questo processo mentale, intellettivo, di cogliere nell'occasionalità il seme dell'eternità è chiaramente espresso nelle sue grandiose architetture, con le quali Brunelleschi fa in modo di costruire all'interno di Firenze delle strutture che permettano alla città di vedersi in una prospettiva ideale trascendente.
In queste architetture, infatti, gioca sul continuo passaggio tra la muratura bianca o il cotto nella cupola e i segni precisi della pietra serena o, nella cupola, del marmo, e fa in modo che questi due elementi costruiscano sempre degli elementi retti nella parte bassa e circolare nella parte superiore. In questo modo egli crea degli ambienti in cui è l'uomo stesso che li percorre ad introdurne l'elemento dell'occasionale transitorietà, ma fa in modo che così l'uomo passi da questa visione transitoria alla visione sublime ed eccelsa di se stesso.
Questo lo fa attraverso 3 opere che parlano della nascita dell'uomo, della morte e della sua vita giorno per giorno.
La facciata a grande Loggia dello Spedale degli Innocenti aveva anche il compito di ribadire il senso della grande civiltà fiorentina e che come tale fu ammirata nei secoli successivi.
Brunelleschi ha dato a questa struttura il senso di una nobiltà e di un apertura verso la piazza alta, monumentale ma disponibilissima, infatti appare di nuovo presente il ragionamento per gradi (formella di Isacco), dove evidentemente la piazza con il suo viavai multi direzionale rappresenta l'immagine dell'occasionalità e della transitorietà, senza inizio né fine, senza meta ma in un continuo viavai. La struttura rappresenta un'apertura verso la piazza, come un grande porto che si apre per elevare l'uomo da quella transitorietà ad una maggiore solidità e stabilità.
La struttura è pensata proprio per avere una parte inferiore giocata sugli elementi retti e una parte superiore giocata interiormente sugli elementi curvi: quella transitorietà che è pensata come quella dei genitori o di chi si avvia in questo luogo per consegnare il bambino e separarsi da lui, incomincia a cogliere questa visione di colonne che invitano a salire di grado, di appropinquarsi ad un piano superiore e infine a entrare in questo piano che è interamente dominato da queste volte a vela e da questi archi perfettamente simmetrici.
Nel momento in cui si entra in questa struttura si cambia di stato rispetto a chi eravamo più n basso nella piazza: qui non c'è più la multi direzionalità ma la stabilità che è indicata dal fatto che ogni campata disegna, nella parte bassa, in perfetto cubo, perché l'altezza delle colonne è uguale all'intercolumnio e alla distanza tra la colonna e il muro.
Sopra questo si apre la metà di quel cubo, rappresentata dalle arcate e dalle volte a vela: chi entra, entra nella stabilità del cubo e con questa stabilità si apre alla circolarità e quindi alla perfezione del divino, questo processo si comprende anche perché il motto dell'ospedale è tratto dal Salmo che dice "i miei genitori mi hanno abbandonato, il signore invece mi ha raccolto" e che è uno dei passi della liturgia della messa nel giorno dei martiri innocenti, ossia i bambini che furono strappati alla vita e condotti, secondo il pensiero cristiano, direttamente in Paradiso.
Questo ci indica un passaggio tra l'essere figli della natura e del sangue ad essere figli di Dio. Questo pensiero di rinascita è espresso da Brunelleschi attraverso questo gioco di capitelli che, dal lato della piazza si staccano dalle colonne e dal lato dell'edificio in cui entrano i bambini si staccano da una valva di conchiglia che fa quasi da vaso che le separa dalla terra.
Ecco quindi rappresentato il passaggio da una vita legata al sangue della madre, come quella dell'albero che ha le radici nella terra, ad una vita nuova che non nega nulla della vita passata ma si fonda su questa valva di conchiglia che indica l'anima sullo spirito, su una nuova dimensione che è quella di chi è destinato a vivere raccolto dalla divinità.
Questi pensieri dell'elevazione dell'uomo dalla sua natura ad una dimensione più alta, che è quella di chi riconosce in sé il principio divino, il Brunelleschi la applica anche pensando alla morte e viene a questo proposito da considerare il capolavoro iniziato nel secondo decennio del secolo, che è la sagrestia di San Giovanni evangelista, ovvero la sagrestia vecchia nella chiesa medicea di San Lorenzo che in quegli anni Brunelleschi stesso stava cambiando di forma.
Sepolcro Giovanni de Medici, Andrea del Verrocchio,1469
Questa è una struttura veramente impressionante in cui tornano quei pensieri di collaborazione fra strutture rette e strutture circolari. Le strutture rette disegnano un perfetto parallelepipedo nella parte inferiore della struttura, quella praticata dall'uomo, e che è quella che ha un centro nell'immagine della morte, ovvero di quel sepolcro che è il sepolcro di Giovanni de' Medici, padre di Cosimo, che volle questa sepoltura al centro della Cappella.
Tutto il percorso interno ruota di nuovo attorno alla transitorietà, alla morte, e noi siamo aiutati a pensare questo dal fatto che le lesene presentano degli elementi fogliacei e naturali per indicare questo come una disposizione della natura.
Però in questo ruotare attorno alla morte siamo portati da Brunelleschi ad alzare lo sguardo e a vedere che questa rotazione della morte in verità non è altro che la proiezione delle grandi sfere che compongono la parte superiore e che ci conducono alla sfera ultima, la meravigliosa cupola a creste e vele, che parte tutta da un centro che è il circolo perfetto della divinità che si irradia e scende poi fino alla transitorietà dando ad essa il senso e riscattandola dall'essere puramente materiale.
Questo lo si capisce ulteriormente considerando che Brunelleschi pone tutta la città di Firenze e a tutto il suo comprensorio sotto quella cupola a cui cominciò a lavorare a partire dal 1418 e nella quale vediamo che anche avvicinandosi da lontano si nota questo gioco tra due materiali diversi che sono il cotto del tetto e il marmo della lanterna e dei raggi costoloni che da essa si irradiano, che rappresenta un centro di tutto ciò che intorno da esso è generato, di Firenze. E' un mezzo per risalire dalla transitorietà, che conduce al centro che porta all'eternità.
La scelta dei materiali utilizzati nella cupola di Santa Maria del Fiore rispondono a due diverse reattività di questi materiali alla luce: il cotto è soggetto a variare di colore e a non riflettere la luce, il marmo è costantemente irradiante luce e non cambia mai di colore.
In questo senso Brunelleschi ha voluto dare un'immagine a quello che è il nome della cattedrale, che in quel periodo venne cambiato da Santa Reparata a Santa Maria del Fiore, ovvero nella parte di terra l'immagine della Maria, la madre che è di terra che innalza il fiore e che è da quel fiore formata, attraverso questi raggi, come un principio materiale formato da un principio spirituale e che portano tutta la città a questo vertice che proprio per il nome di lanterna, esprime quel principio divino che è luce e che è proprio della figura di cristo secondo i vangeli.
Giovanni 1,1 "Egli è la vita, la luce degli uomini"
Brunelleschi nella lanterna sopra la cupola ha rappresentato la terra umana e di Maria, che si lascia formare da una luce creatrice, e ha fatto sì che attraverso queste immagini di terra tutta la città converga attraverso l'eternità a cui la pergamena sopra la lanterna rimanda.
(Oltre a questa sul manuale studiare Santo Spirito e San Lorenzo, Chiesa degli Angeli in Piazza Brunelleschi e Palagio di parte guelfa.).
Questo discorso sulla luce che domina la città attraverso quest'immagine di lanterna e domina tutto il comprensorio, è inteso anche da Donatello, che accompagna Brunelleschi a Roma e che vedremo nelle sue opere interpreta questo pensiero del Brunelleschi volto a cogliere le radici profonde dell'umanità, e con le sue figure lo traduce in termini più umani in un insieme di opere che dimostrano come attraverso questo incontro con la luce ognuno scopre la radice profonda di se stesso.
Gesù da Luca è detto "colui che sorge dall'alto" e che Giovanni dice "in lui era la luce e la vita, era la luce degli uomini e la luce splende nelle tenebre e le tenebre non la comprenderanno".
Questo lo vediamo espresso in due sculture cono cui Donatello avvia il suo percorso che sono il San Marco e il San Giorgio a Orsanmichele, due figure che si collocano, Marco Sul lato sud, Giorgio sul lato nord e che rivolgono gli sguardi, Marco da sud verso est e Giorgio da nord verso oves
La figura di Marco, presentato da Donatello mentre ha riletto nel libro quello che lui stesso, evangelista, aveva scritto su Gesù, è colto mentre leggeva ed evidentemente si è accorto di un'improvvisa presenza, perché ha schiacciato il libro aperto sul suo fianco, per non perdere il segno, ma ha diretto lo sguardo e la testa non verso il sud, dove guarda il petto, ma verso est, a intercettare col volto il raggio del sole e ad esprimere con questi occhi profondi tutta la pace e tutto l'abbandono a quella luce che lo sta cogliendo a mattina e che rappresenta per lui il raggiungimento della pienezza della sua identità e della sua persona.
Questa luce è in questo contesto la stessa luce della lanterna, ovvero colui che dà la vita e splende nelle tenebre e che è anche spiegato da Agostino nel commento al Vangelo di Giovanni come "ecco il giorno, ecco il Cristo, ecco sul far del giorno con la luce l'arrivo di Cristo".
Qui vediamo come Donatello ha espresso questo rapporto tra il libro in cui stava leggendo di quel Cristo e il farsi del Cristo presente davanti agli occhi, nella sua dimensione di luce, un grande pensiero pieno di poesia che anche Boccaccio, amico del Salutati aveva scritto nelle lettere famigliari, "che attraverso lo scambio di lettere con un amico io possa sempre vedere questo amico, averlo cioè di fronte agli occhi" "scrivendo ad un amico mi ha riportato d'innanzi il tuo volto, attraverso tante terre e tanti mari e mi ha restituito la tua presenza fino al tramonto, da questa mattina, quando ho preso in mano la penna"
Nella mattina in cui lui ha preso mano a leggere di quell'amico ecco che gli si fa innanzi l'amico e lo riempie di questa pienezza di sé che, diversamente, si esprime negli altri occhi che sono di Giorgio.
Quasi in contemporanea con il San Marco, San Giorgio viene eseguito per il lato a nord di Orsanmichele, dal quale si volge verso ovest, verso il luogo in cui la luce divina viene compresa dalle tenebre, ma quegli occhi squadrano le tenebre come a fare in modo che esse non comprendano quella luce, almeno per la città di Firenze a cui è posto come a difesa.
Nella bretellina, lo schiacciato che Donatello ha eseguito, Giorgio difende la città del bene, l'immagine della loggia degli innocenti un po' sintetizzata, dalla città del male che è quella grotta dove vediamo l'incapacità di dar forma alla pietra, opposta alla capacità di dar forma alla pietra che vediamo nella Loggia. Vediamo anche come Donatello ha inserito nella Loggia un particolare che evidentemente gli è caro e che è fortemente brunelleschiano, una porticina aperta un pavimento che è una perfetta scacchiera prospettica, che introduce dentro e poi attraverso un'altra porta ancora più dentro, a dare immagine di questo intus del bene, rispetto all'orrore del male che è nell'architettura che gli si oppone.
Donatello, Madonna Pazzi, 1425, Berlino
Con un'intensità che ci riporta all'occhio intellettivo del Brunelleschi e che ci ricorda quello che dice Platone quando parla del guardare qualcuno negli occhi si scorge il volto nell'occhio di chi sta di faccia, come in uno specchio
Qui vediamo che questi due personaggi guardano nella pupilla dell'altro l'immagine di se stesso, questo per Platone immagine non di un se stesso puramente sensibile, perché la pupilla rappresenta il punto centrale, la sostanza del vedere e quindi la virtù più alta del vedere che equivale alla virtù più alta dell'anima, ossia la sapienza e della conoscenza profonda di sé attraverso lo specchiarsi su un altro altrettanto profondo, "così si conosce se stessi nel modo migliore".
Donatello ha fatto in modo che il bambino, nel momento in cui conosce se stesso, e la madre conosce se stessa, con la manina prende il velo della madre e tende a strapparlo, a "svelare" l'identità profonda della madre e sta svelando a lui stesso la sua sostanza più importante.
Questi pensieri sono di radice brunelleschiana, però Donatello si distanzia da un Brunelleschi per il modo di intendere questo disegno intellettivo che scava nell'interiorità, perché egli supera il concetto puramente geometrico del Brunelleschi e quindi quella necessità che Brunelleschi pone come fondamentale di una struttura geometrica che conduca alla forma in sé.
Questo secondo del bravo indica un passaggio da Platone a Plotino, ossia ad un filoso strettamente platonico che però tende a identificare la divinità in un uno, il bene, il quale scende poi nella molteplicità del mondo, sia esso bello o brutto, geometrico o non geometrico.
Donatello, Crocifisso, 1406; Brunelleschi, Crocifisso, 1410-1415
Questa diversità si esprime fino dal 1410 in un dialogo che si instaura fra Donatello e Brunelleschi attorno alla figura di cristo e al crocifisso, perché, come dice il Vasari, Donatello avrebbe colpito questo crocefisso (ora conservato in Santa Croce) e vi avrebbe condotto Brunelleschi che, osservandolo, sarebbe stato zitto e se ne sarebbe andato. Tempo dopo i due si sarebbero rincontrati a mercato vecchio, e Brunelleschi invita Donatello, che aveva comprato un pacchetto di uova, ad andare nella sua bottega.
Gli mostra il suo crocifissi, fatto in risposta a quello di Donatello, dice il vasari che a Donatello cadde il pacchetto con le uova e proferì "A te ser Filippo è dato far Cristi, a me contadini"
L'aneddoto, probabilmente inventato, è interessante perché attraverso questi aneddoti inventati si vuole dare un senso letterario a certi concetti veridici: se cerchiamo su un dizionario i significati della parola contadino si scopre che il contadino è, nel momento umanistico, l'immagine dell'ultimo grado della società, colui che sta alla terra, che non vive nella civiltà degli scambi e della città. Allora capiamo che dietro a questo dialogo è in luce il confronto tra una visione dell'intellezione platonico geometrica del Brunelleschi e una invece che va oltre la geometria: quella di Brunelleschi presenta un cristo quasi come un principe, ha i capelli lunghi di chi non lavora, la carne bianca di chi non prende mai il sole, i muscoli allungati di chi non fa fatica, viceversa il Donatello è l'uomo che ha la pelle imbrunita dal contatto col sole, ha i muscoli forti di chi lavora la terra e i capelli corti che servono a chi fa lavori pesanti.
Le due immagini presentano ugualmente una potenza di struttura interna che ne regge la superficie che è propriamente intellettiva: seppur l'immagine è disarmonica vi è questa struttura intera che si adatta alla complessità in questo caso non geometrica ma dolente e affaticata, del cristo.
Questo è proprio il pensiero di Donatello, che esprime di Plotino un pensiero centrale: quello della discesa del bene nella complessità anche disomogenea e disarmonica del tutto. Lo fa attraverso due capolavori: un amore che si trova al Bargello e l'Annunciazione cavalcanti in Santa Croce.
Amore-Attis, Donatello, 1440, Museo del Bargello.
L'Amore del Bargello è una figurina bronzea, eseguita attorno agli anni '30, figurina che è caratterizzata da alcuni elementi che Del Bravo ha interpretato per dare un nome a questa figura di Amore.
Non può essere un angelo: ha una codina che è assolutamente incongrua con la figura angelica. Presenta sulla fronte un fiore, una rosellina, e presenta ai piedi dei calzari alati. I calzari alati e la rosellina Del Bravo li ha interpretati come i segni del padre e della madre di questa figurina alata, rimandano ad Afrodite ed Ermes. Unendo i nomi di Afrodite ed Ermes si giunge ad un "ermafrodito", è quindi un Amore, un demone, ermafrodito, qualcosa che non è propriamente implicito nella natura.
Donatello gli fa schiacciare con i calzari alati un serpe, immagine massima dell'insidia maligna (Genesi 3, 1 "il serpe è il più astuto di tutti gli animali"), e lo rappresenta nell'atto di suonare una piccola arpa, come quella che di solito suonano gli angeli. In questa immagine Donatello ha voluto rappresentare qualcosa che è contrario alla nostra immagine di perfezione, un Amore ermafrodito, ma che scaccia l'insidia e piuttosto si collega, attraverso la musica, alle note e all'armonia dell'universo da cui proviene.
Plotino, nelle Eneadi, dice da un lato che ciò che è contro natura è per il tutto conforme a natura, ovvero che anche ciò che a noi appare contro natura è per il tutto parte della natura stessa, perché ha presente l'armonia del tutto.
Questo demone è qualcosa che a noi appare contro natura ma che in verità è parte del tutto che l'ha creato. Egli un demone, ossia quello che Plotino, in base a quello che dice Platone, dice che è generato dall'anima dell'universo per dare ad esso pienezza. I demoni sono appunto queste figure che circolano nell'universo e che non sono i demoni del mondo cristiano ma sono i demoni che circolano per dare armonia al tutto.
Donatello è innamorato di queste figure di demoni e le dissemina, a partire dal '20, un po' in tutte le opere. Ce ne sono due in particolare in cui, sub-specie angeli, essi si lanciano in una danza sfrenata e felice.
Una è il pulpito esterno del duomo di Prato, iniziato con Michelozzo negli anni '30, che mostra questi demoni felici e danzanti che accompagnano un momento importante della città di Prato: il momento in cui il vescovo mostra alla città il cingolo che la Madonna avrebbe lasciato a Tommaso nel momento dell'assunzione.
Cantoria Santa Maria del Fiore, Donatello,1433
Donatello gioca su questo legame attraverso questi demoni, dell'uomo con il tutto di cui è figlio e a cui appartiene.
Lo stesso nell'altra danza che fa per la cantoria di Santa Maria del fiore, che ora è al museo dell'opera del Duomo: anche qui una lode della musica come l'elemento che unisce la parzialità dell'uomo alla totalità del tutto che la comprende.
Edicola dell'Annunciazione Cavalcanti, Donatello, Santa Maria del Fiore, 1435
Fra gli altri demoni ci sono i 6 che popolano la parte superiore di un altro capolavoro degli anni '30: l'edicola dell'Annunciazione per i Cavalcanti, che si trova nella navata destra della chiesa di Santa Croce.
Qui Donatello ha descritto questa discesa del principio del bene nella complessità del tutto per dal punto più basso ritornare alla sua origine. Donatello ha così creato un discorso di ragionamento filosofico pagano, appare in questo modo corona al discorso cristiano della entrata dello spirito divino nel corpo di Maria.
Qui dobbiamo sovrapporre quello che c'era ma che poi è scomparso, ma di cui si ha testimonianza nei disegni: una fiaccola che si trovava al centro fra i due angioletti che ora si guardano a vicenda.
E' l'immagine del bene, della luce, che discende attraverso questi demoni nella natura dei festoni che essi sorreggono, secondo la funzione che essi hanno di disperdere e diffondere il principio del bene nel mondo e da questo scende attraverso un segno preciso: le freccette.
Subito sotto a questa discesa del principio di bene si succedono nella cornice esterna delle immagini non armoniche, immagini di satiri che fanno da capitello, di lesene che presentano le squame di una biscia e le zampette feline, fino ad arrivare però alla base, da quale, nel punto più profondo, si alza una corona sostenuta da delle ali che si stanno librando per ricongiungersi al principio da cui tutto proviene.
Tramite Maria è espressa la discesa e la successiva risalita al principio tramite il figlio.
Questa apertura al tutto spiega come mai nella scultura di Donatello esiste una sperimentazione continua di materiali molto diversi: terracotta, marmo, pietra serena, legno, bronzo, vetro, a comprendere con la sua arte un po' tutto quello che in natura esiste, ma al tempo stesso ci da' l'immagine di una continua alternanza di suprema bellezza e di estrema bruttezza.
Profeta Abacuc, detto 'lo zuccone', Campanile di Giotto, Donatello, 1423
Nei due profeti centrali per il complesso dei profeti del campanile, quelli a lato nord, che fino al 1460 erano collocati nello spazio tra la cattedrale e il campanile, coglie delle immagini di un'umanità profondissima nello sguardo ma non nella bellezza: Abacuc, lo zuccone, che contrasta con l'immagine del David e anche con l'immagine di Maddalena, eseguita dopo il soggiorno a Rouen.
Ghiberti:L'ultimo artista del gruppo che ha partecipato, e poi vinto il concorso, è Ghiberti, che contrappone a questa visione trascendente dell'intellezione, quello che lui stesso dice: "l'intelletto genera ombre, la pratica cose".
Non segue il disegno intellettivo che come in Brunelleschi e Donatello scavi nelle interiorità per formare la forma, ma un disegno pratico e che esalta il valore della superficie che, come nella storia di Abramo e di Isacco, non serra le figure in un gioco di possenti simmetrie e proporzioni, ma le inserisca in una sorta di percorso, per dare il senso non tanto della trascendenza quanto della occasionale transitorietà.
Esalta forme verbali come "stare per", "oltre qualcosa", "prima di qualcosa", tutte cose che riguardano il transito.
Tutto questo corrisponde anche a un pensiero scettico che viene recuperato, fin dall'inizio del '400, basandosi sui grandi testi greci come quelli di Diogene Laerzio.
Una simile considerazione è propria di chi basa la propria conoscenza sui sensi e non sulla mente, i sensi che rispondono al variare delle occasioni.
Diogene Laerzio dice che per gli scettici tutto è opinione mutevole, quindi parla di impressioni sui sensi, ovvero di pressioni materiali e non mentali sulla sensibilità.
In questo modo una figura si vede ora in un modo, ora in un altro, proprio perché la conoscenza è conseguente al variare continuo delle cose e non cerca la loro origine ulteriore al variare.
Il disegno è pratico in questo senso proprio perché cerca la sua bellezza superficiale: nella figura di Isacco è una bellezza che non pare sorretta dalla struttura disegnativa che blocca, ferma, scandisce le parti del corpo, ma piuttosto è tutta sulla superficie e sulla sua immersione nella trascorrenza che della luce e dell'aria in cui si propone.
Ghiberti stesso nei commentari dice che questo concetto della superficie, della bellezza più tattile che intellettiva, l'ha presa da una figura di ermafrodito, come quello che si dice vide disseppellire a Roma, che secondo lui tante dolcezze presentava che solo il tatto trovava.
All'interno dell'intera porta si può capire come tutto viva dell'occasionalità della bellezza, a partire dalle cornicine, con il susseguirsi di immagini di profeti, e si capisce la ragione di questa morbidezza docile e pina che mostrano i rametti di edera, le foglioline e l'amore con cui descrive la vita animale che su queste foglie si sviluppa. Nelle mostre laterali della porta l'idea come di tavole su cui son stati appoggiati dei rami di fiori legati con un legaccio, a dimostrare che sono stati come raccolti, riuniti e deposti proprio in quel momento.
Nella seconda porta, con i pannelli che rappresentano le storie bibliche, prima destinata al nord ma poi posta al centro, si vede come egli usa la prospettiva ma non come struttura potente e geometricamente corretta che scandisce i piani, ma come qualcosa che si aggiusta, che asseconda la situazione. Questo lo si capisce dalla sproporzione che esiste tra gli archi e le piccole finestre, che è assolutamente poco architettonica ma molto poetica e molto sensibile.
In questa situazione le figure si abbandonano, nella narrazione, alla dolcezza del vivere nella luce che passa nel tempo che trascorre.