SBOBINATURE DI FISIOLOGIA I POLO A 2012/2013
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APPARATO CIRCOLATORIO ………p. 3 Lezioni da 1 a 10 e da 13 a 17
APPARATO RESPIRATORIO……….p.154 Lezioni 18-19 -21-22
APPARATO URINARIO…………….p.201 Lezioni 23-24-25-26
APPARATO DIGERENTE…………..p.253 Lezioni 11-12-20-27-28-29-30
Totale: 334 pagine
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APPARATO CIRCOLATORIO Lezione 1 Queste lezioni di fisiologia che affronteremo nei prossimi due semestri ci consentiranno di capire quali sono le condizioni di “normalità” nel nostro organismo, per poterle distinguere da quelle patologiche. Come funziona un organismo complesso come il nostro? Forse non si ha un‟idea neanche vaga di quante cellule servono per fare un uomo: se si prende un solo tipo di cellule, il globulo rosso, ne abbiamo 5000 miliardi/L, litri di sangue sono circa 6, quindi abbiamo circa 30000 miliardi solo di globuli rossi. Il diametro di un globulo rosso è al massimo di 7,5 µ e se decidessimo di mettere uno dietro l‟altro tutti i 30000 miliardi di globuli rossi riusciremmo a coprire più o meno i 2/3 della distanza che esiste tra terra e luna. Questa organizzazione di cellule obbedisce a delle regole banali: a ognuna di queste cellule bisogna fornire ciò di cui necessitò ed eliminare ciò che è tossico. Se tale cellule fosse isolata dal contesto in cui, in realtà, si trova, il problema non si porrebbe perché le sostanze in un ambiente più grande, acquoso, si scioglierebbero e penetrerebbero nella cellula passando dalla zona a concentrazione maggiore a quella a concentrazione minore. La realtà dei fatti però non è affatto questa, ossia la cellula non risulta essere isolata ma anzi inserita in un contesto di altre cellule in cui lo spazio tra una cellula e l‟altra è di certo molto limitato. Questo ambiente extracellulare è rappresentato da circa 12-13 L di acqua ricchi di ossigeno e metaboliti che le cellule in condizioni normali consumerebbero immediatamente, consentendo invece l‟accumulo di sostanze di rifiuto, tipo CO2 e urea, quindi in breve tempo si creerebbe un ambiente non idoneo alla sopravvivenza della cellula. La regola unica che vige in un sistema cellulare complesso è che le cellule sono vive fino a quando io garantisco ad esse l‟ossigeno e il glucosio tramite questi 12-13L di acqua; sappiamo infatti che un uomo medio che pesa 70 kg possiederà all‟incirca 45L di acqua in totale dei quali, i due terzi sono dentro la cellula, il restante terzo resta fuori dove le cellule vivono immerse. La sopravvivenza di un sistema complesso come il nostro è volto a garantire esclusivamente che dentro questi 12-13 L non venga mai meno ciò che serve e non si accumuli mai ciò che non serve. Questo concetto è stato espresso per la prima volta da Bernard con il termine di “omeostasi”, ossia mantenendo costante la composizione chimico fisica di questi 12-13 L di acqua risolvo il problema! Quindi se garantisco la condizione chimica per ossigeno e metaboliti, e fisica per tutto ciò che riguarda la temperatura ecc, garantisco la sopravvivenza delle cellule. Come avviene ciò? Se noi fossimo in un sistema sigillato, questo sarebbe difficile, ma il nostro sistema consente di comunicare col mondo esterno quindi esistono delle comunicazioni che consentono di far entrare ciò che “serve” ed eliminare ciò che “non serve”, e quindi un sistema cellulare complesso deve dotarsi almeno di tre strumenti di comunicazione: il primo consente di far entrare e uscire le sostanze volatili (app. respiratorio) e gli altri due sono invece a senso unico e consentono di far entrare o uscire sostanze non volatili (app. digerente e app. urinario). Utilizzando in sincrono questi tre sistemi posso far si che ciò che manca ad un dato momento, tipo l‟ossigeno, posso farlo entrare, o, se si accumula CO2, posso espellerla e alla fine questi 12-13 L riesco a mantenerli in condizioni stabili, garantisco l‟omeostasi. C‟è un però in tutto questo discorso: essendo fatti di cellule, è ovvio che questa distribuzione dei metaboliti deve avvenire in modo eguale in ogni singolo distretto, dal singolo pneumocita alle cellule delle ossa del piede. Per tale motivo ho bisogno di un sistema che consenta di inviare tutte le 3
sostanze in tutti i distretti senza che le cellule risentano della loro localizzazione, devo utilizzare un sistema circolatorio, un sistema che consente di far “circolare” i 12-13L di acqua in modo da non tenerli fermi, consentendo progressivamente il ricambio e l‟arrivo di nuove sostanze e garantendo il trasporto equo delle sostanze in tutti i punti più remoti del corpo. Quindi i 4 elementi principali per il funzionamento di un sistema cellulare complesso sono l‟app. respiratorio, l‟apparato digerente, l‟app. urinario e l‟ apparato circolatorio. Ciò risulta indispensabile per far funzionare un organismo complesso. Ma non basta! Tutto ciò consente all‟organismo di “vegetare”, ma non di procurarsi ciò di cui ha bisogno. Perché si possa procurare ciò che ci vuole per sopravvivere, abbiamo bisogno di altri apparati e sistemi: il sistema nervoso consente infatti di passare da un sistema vegetativo ad un sistema attivo che consente di interagire con l‟esterno. Ma come possiamo agire? Agiamo sfruttando i muscoli striati (app. locomotore). Un uomo che perde la funzionalità dei muscoli è un individuo che ragiona normalmente ma non può interagire con l‟esterno; il semplice atto del parlare prevede l‟utilizzo dei muscoli e dei sistemi di fonazione. In definitiva se fornisco ad un organismo un sistema nervoso, questi da solo non può consentire una vita normale, devo accompagnarlo necessariamente ad un apparato locomotore e ciò mi consente di passare da una vita vegetativa ad una di relazione. Fin quando noi vegetiamo il consumo metabolico delle cellule è costante nel tempo, ma quando aggiungiamo il SN il consumo non è più costante perché se il sistema nervoso è a riposo esso consumerà un certo quantitativo di glucosio, mentre se si trova in fase di intenso lavoro il suo consumo può arrivare fino a 130 volte in più rispetto alla normalità. Stesso discorso riguarda l‟apparato locomotore: nell‟atto della fuga, sia il cervello sia i muscoli delle gambe devono essere adeguatamente riforniti per compiere tale azione. Come possiamo regolare i livelli di glucosio nel sistema? Abbiamo il sistema endocrino che consente di regolare non solo i livelli di glucosio ma anche altri parametri che consentono di ottenere il massimo della prestazione: nello “spavento” si attivano sia il SN, sia i muscoli che portano alla retrazione, sia il sistema endocrino che aumenta la temperatura, favorisce la vasodilatazione, aumenta la glicemia, ecc ecc. Quindi non basta “poter” compiere un‟azione, ma nel momento in cui si richiede di compierla dobbiamo essere (metabolicamente) pronti a compierla e necessitiamo di questo apparato endocrino che regola le varie funzioni. La struttura grosso modo è questa, formata da questi sistemi e apparati. Il nostro organismo sfrutta molta energia per i suoi processi, e l‟unico modo per ottenere tale energia facilmente è ottenerla mediante il processo di ossidazione dei vari substrati, energia che, una volta ottenuta, viene trasformata per un 20% in ATP. Il metodo di certo è il più efficiente poichè consente di tirare fuori da una molecola di glucosio fino a 36 ATP mentre se non vi fosse l‟ossigeno ne potremmo ottenere solo 2. Il sistema di catabolismo ossidativo consente di ricollegarci al secondo principio della termodinamica: tanto più utilizziamo questi processi per ottenere ATP, energia, quanto più avremo un sistema entropico di accumulo dei cosiddetti ROS (specie radicaliche dell‟ossigeno), sostanze che inesorabilmente si ritrovano dai processi ossidativi e ovviamente vanno a danneggiare le cellule. Le cellule si difendono tramite meccanismi di difesa antiradicalici, sistemi che però non sono sempre adeguati, non consentono di difenderla nella sua totalità e a lungo andare tali radicali portano alla morte della cellula. L‟unica certezza della vita è la morte, non esistono sistemi eterni, inesorabilmente ogni singola cellula nel momento in cui nasce è proiettata verso la sua stessa morte. Ovviamente giocano diversi fattori, genetici, ambientali, abitudinari, ma a prescindere da tutto, ognuno di noi ha un limite massimo che in condizioni ideali può raggiungere gli 80-90 anni. Come possiamo evitare la morte? Non si può. Ognuno di noi non è altro che la manifestazione del nostro stesso corredo genetico, caratteri che possono o meno manifestarsi , geni ottenuti al 50% da madre e padre e se io volessi sopravvivere l‟unico modo reale è far sopravvivere i propri geni. La riproduzione ci consente di sopravvivere non tanto come persone fisiche ma consente di farci 4
sopravvivere trasmettendo i nostri geni, geni che si associano in ogni individuo in maniera unica (a meno di clonazione) ad altri geni consentendo la sopravvivenza genetica dell‟individuo. E allora l‟ultimo sistema che bisogna inserire nel quadro dell‟individuo in sé prevede non la sopravvivenza dello stesso, bensì la sopravvivenza della specie ed è l‟apparato riproduttivo. Quindi in definitiva: app. respiratorio, digerente, urinario e sistema circolatorio consentono la vita vegetativa (quella di cui parleremo in questo semestre). Sistema nervoso, app. locomotore, sistema endocrino e apparato riproduttivo consentono all‟individuo di avere una vita di relazione. Il termine fisiologia deriva da phusis logos (studio della natura) fu coniato da Aristotele per definire una categoria di persone vissute prima di lui e che normalmente si studiano al liceo, ossia, Anassimene, Anassimandro e Talete e furono i primi che tentarono di spiegare la natura non secondo un‟accezione religiosa, ma cercavano di spiegare la natura tramite i fenomeni naturali e, così come diceva Democrito, “le cause delle cose sono inerenti alle cose stesse” e quindi il compito del fisiologo è quello di dare una spiegazione ai fenomeni naturali osservandone la manifestazione. Ogni volta che in natura accade qualcosa non è solo la manifestazione di una causa che lo ha prodotto, ma è anche causa esso stesso di qualcos‟altro. Quindi davanti ad un fenomeno naturale, fisiologico o patologico che sia, quello che immediatamente dobbiamo chiederci è cosa lo ha prodotto e cosa andrà a produrre. Il compito della materia è quello di spiegare cosa accade ad un sistema (uomo) che una volta perturbato da cause esterne risponde con delle manifestazioni e dal rapporto causa-effetto cerco di risalire a quello che avviene nell‟effettivo all‟interno del sistema. Dopodiché una volta ottenute le informazioni che ci consentono di capire cosa avviene dentro il sistema, passo tali informazioni al clinico e lui, analizzando tali regole e osservando i sintomi, tenterà di risalire alle cause di quei sintomi. (Quindi due sistemi: 1, produco io stesso una perturbazione ad un sistema e ottengo un effetto, ciò che voglio è capire cosa succede nel sistema fisiologo. 2, ho le informazioni, le regole di funzionamento del sistema, le confronto con l‟effetto (alias i sintomi) e tento di risalire alla causa che li ha prodotti patologo) Quello che a noi serve ad oggi è capire il funzionamento del sistema chiuso, in modo tale da poter un domani attribuire a determinati sintomi, una causa.
APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO Ogni apparato sopracitato deve essere conosciuto almeno in linee approssimative (per quanto la medicina sia approssimazione) da ogni tipo di medico. L‟apparato cardiocircolatorio è ottenuto mediante la somma di tre strutture: sangue, vasi e cuore. Quindi un liquido che si muove all‟interno di condotti, spinto dall‟energia fornita da una pompa, ossia il cuore. Il cuore è composto da due pompe, ventricolo dx e ventricolo sx. Al cuore dx arrivano le vene cave e dal ventricolo dx esce un‟arteria diretta al polmone; poi nel polmone si ramifica, confluisce in vene e ritorna all‟atrio sx, passa nel ventricolo, il sangue viene inviato nell‟aorta, inizia il circolo generale dopodiché anche qui il sistema di capillari confluisce in vene man mano più grosse fino a ritornare nel cuore dx, chiudendo il circuito: la circolazione sanguigna è un circuito chiuso, all‟interno dei vasi il sangue si muove tramite le due pompe cardiache. Il sangue che arriverà ai polmoni tramite i capillari scambierà CO2 e O2 in senso inverso a quanto accade nei tessuti (l‟O2 nei polmoni viene preso, nei tessuti ceduto), ergo le uniche strutture che consentono gli
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scambi con l‟ambiente esterno ai vasi sono i capillari. La restante parte dei vasi ha pareti impermeabili. Se traccio una linea orizzontale vado a dividere una “piccola circolazione” quella polmonare, mentre l‟altra porzione prende il nome di “grande circolazione”; se traccio una linea verticale divido il sistema in altre due metà, alla “nostra” dx il sangue sarà ricco di ossigeno e povero di CO2 poiché è quella porzione di sistema che comprende il ritorno polmonare del sangue ossigenato, lo invia nei vari distretti dove avverranno gli scambi, si caricherà di CO2 e, stavolta alla “nostra” sx, ritornerà in forma deossigenata al cuore dx. Per tali ragioni, ossia per la pressione parziale di O2 e CO2 contenuta nei due tipi di sangue, è intuitivo comprendere come mai parte dx e sx del cuore non comunicano fra loro, la sx contiene sangue arterioso, la dx sangue venoso. Arterioso e venoso non indicano sangue contenuto in un‟arteria o in una vena, basti pensare alla piccola circolazione in cui questo sistema è invertito; quindi una vena non è un vaso che contiene sangue venoso, idem per l‟arteria. Allora la differenza tra arteria e vena è sostanzialmente la direzione del flusso: le arterie escono dal cuore (direzione centrifuga), le vene ritornano al cuore (direzione centripeta). Il collegamento fra loro è dato dai capillari. Nel 1600 un fisiologo scozzese di nome Harvey (???), intuì qualcosa che ad oggi risulta scontato: nella storia della medicina vi sono stati personaggi bravissimi ma sconosciuti o che al massimo, ci hanno lasciato in eredità qualche notizia. Mentre invece vi sono stati altri “medici” che hanno introdotto concetti (testualmente) “sbulunati”, uno dei quali è stato Galeno. Galeno, la Vanna Marchi della medicina di allora, era un greco romanizzato che si procurò molti trattati di medicina e scrisse, prendendo “ampio spunto” da questi, un suo trattato, reinterpretando ciò che originariamente era stato scritto. La cosa interessante è che tale opera ebbe un successo strepitoso, la medicina prese per oro colato quello che Galeno affermava: basti pensare che lui fece circolare l‟idea che l‟utero è un tessuto che cicatrizza spontaneamente, motivo per cui, quando si faceva il cesareo, l‟utero non veniva ricucito, quindi in pratica “il cesareo era monouso, un figghio, namatri”. Solo nella seconda metà del 1800, ben 150 anni fa, fu fatta la sutura uterina dopo cesareo e per la prima volta una donna sopravvisse. Un‟altra teoria, ovviamente errata, di Galeno era quella riguardante la circolazione nei vasi: all‟interno di questi, durante la sistole il sangue va verso la periferia, durante la diastole torna al cuore, nello stesso vaso. Tale idea fu portata avanti fino al 1600 (Galeno era del 300 d.C.), quando poi Harvey facendo un banale esperimento, sfatò la teoria di Galeno: se prendiamo due dita, le poggiamo su una vena e allarghiamo svuotando la vena, alzando il dito prossimale, la vena non si riempie, ripetendo l‟esperimento e alzando quello distale, la vena si riempie, ergo il flusso è unidirezionale non bidirezionale. Quindi evidentemente esistevano vasi sottilissimi che consentono di unire il circolo venoso a quello arterioso e ciò introduce anche il concetto di capillare; ciò definisce l‟architettura moderna del concetto di apparato cardiocircolatorio, sistema dove il sangue va verso la periferia tramite arterie e torna indietro tramite le vene, il tutto collegato da sottilissimi vasi 100 volte più sottili di un capello, poiché ricordiamo che i capillari hanno lo stesso diametro dei globuli rossi e ciò consente il passaggio di questi in fila indiana, in modo da consentire gli scambi dei gas. RICAPITOLIAMO: L‟apparato cardiocircolatorio consta di grande e piccola circolazione. Nella grande il sangue ossigenato, arterioso viene inviato ai tessuti per nutrirli e capta da essi sostanze di scarto che riporta al cuore dx (Sangue A: pO2 100, pCO2 40. Sangue V: pO2 40, pCO2 46 mmHg). Il sangue si muove nei vasi secondo un andamento laminare, nella maggior parte dei casi: tale affermazione è stata espressa per la prima volta da Leonardo Da Vinci per deviare il fiume Arno, motivo per cui lo studioso iniziò ad applicarsi sulla idrodinamica. Quello che osservò è che se un fluido si muove all‟interno di un circuito chiuso, se si misura in un qualunque punto del circuito una 6
certa portata (Q), in qualunque altro punto del circuito la portata sarà uguale (il professore parla di flusso, ma in realtà dovrebbe essere la portata poiché lui parla di “quantità di fluido nell‟unità di tempo” che è la definizione di portata). La sezione della singola arteria è di circa 2 cm, mentre invece quella del singolo capillare è di pochi micron, ma se consideriamo il rapporto tra la sezione dell‟arteria e la sezione complessiva dei capillari che provengono da quell‟arteria, la situazione cambia, la sezione complessiva è di gran lunga maggiore a quella della singola arteria. E allora Leonardo si chiese, se cambia la sezione, ma la portata no, cosa cambia anche? La velocità. (Q= S x v) Quindi tutte le volte che la sezione aumenta, la velocità delle particelle diminuisce, tutte le volte che la sezione diminuisce la velocità aumenta, la portata è costante. (continua a ripetere flusso) Ovviamente, riportando questo discorso alla struttura vascolare, la velocità è alta nelle arterie (sezione minore), bassa nei capillari (sezione maggiore) e ritorna alta nelle vene. A partire dal 1600 un membro di una famiglia di matematici e fisici vissuta in svizzera, la famiglia Bernoulli, si dedicò allo studio della dinamica dei fluidi e introduce un concetto interessante: quando un corpo si muove, in questo caso un fluido, fornisce un‟energia cinetica e, quando restringo la sezione, le particelle si muovono con velocità maggiore; se si muovono con velocità maggiore, hanno anche una energia cinetica maggiore, e questa energia in più da dove viene presa? Così come se allargo la sezione e la velocità diminuisce , la velocità che si rimuove dove va a finire? L‟energia totale posseduta dalle particelle è data dalla somma di una energia cinetica e una energia potenziale e ogni volta che diminuisco la sezione aumenta la cinetica e diminuisce la potenziale, viceversa, allargando il condotto diminuisce la cinetica e aumenta la potenziale. L‟energia cinetica si proietta verso il lume del vaso, mentre quella potenziale si proietta perpendicolarmente alla parete. La risultante è l‟energia totale, che si mantiene costante, secondo il principio di conservazione dell‟energia. Tramite un sistema di tubi andarono a valutare quale era l‟energia cinetica e quale quella potenziale data una tale sezione: la pressione, o energia potenziale, si misura ponendo dentro il vaso un tubo con del liquido (Hg ad esempio) e la pressione spingerà verso l‟alto tale liquido fino a raggiungere un valore X, quella sarà l‟energia potenziale. Per misurare l‟energia cinetica bisogna porre un tubo in direzione opposta al flusso. Cambiando il raggio una andrà ad aumentare l‟altra a diminuire ma la somma sarà la stessa, confermando il principio di conservazione dell‟energia. Due gravi patologie sono legate a questi fenomeni: aneurisma e stenosi. Il flusso è provvisto di due componenti energetiche, una verso la direzione del flusso e contemporaneamente una verso le pareti del vaso; immaginando che un vaso si dilata, aumenta la sezione, diminuisce la velocità ossia l‟energia cinetica e aumenta quella potenziale spingendo maggiormente sulle pareti, si realizza in tal modo un meccanismo autosostentativo che non si ferma e che condurrà a un peggioramento della situazione stessa (nella vena sarà varice, nell‟arteria sarà aneurisma). Questo meccanismo autosostentativo può solo peggiorare, poiché più si allarga la sezione, più la pressione aumenta, più spinge verso le pareti, più aumenta la sezione: non si può guarire da un aneurisma. Considerando il valore dell‟energia, in percentuale il 95% di questa sarà di tipo potenziale, il restante 5% è energia cinetica, quindi la stragrande maggioranza dell‟energia che il sangue possiede è energia pressoria laterale, motivo per cui quando si “misura la pressione” quella che andiamo ad avvertire è praticamente il 95% dell‟energia totale, un valore abbastanza attendibile. Quello che Bernoulli non prese in considerazione, ma si dovettero aspettare altri 200 anni, è il fatto che il fluido che si muove nel condotto è un fluido reale e non ideale, motivo per cui le considerazioni di Bernoulli valgono solo se si tiene conto di un fluido ideale, privo di attriti che 7
sappiamo che non esiste. Ogni fluido reale è soggetto ad attriti e allora cosa cambia rispetto al fluido ideale? Se non vi fosse attrito interno, ossia le particelle di fluido che urtano tra loro disperdono energia, se questo non esistesse, io avrei bisogno del cuore una sola volta nella vita, perché poi il sangue circolerebbe per sempre senza bisogno di ulteriori spinte. Essendoci attrito interno l‟energia progressivamente andrà sparendo e avremo bisogno del cuore per innescare una nuova energia; ciò che sostanzialmente cambia nel passaggio da liquido ideale a reale è che l‟attrito farà fermare il sistema, pian piano il flusso diminuisce la sua velocità e si ferma. Grazie a un tedesco e un francese, Hagen e Poiseuille, venne formulata una teoria riguardante proprio il flusso secondo cui c‟è bisogno di una pressione che fa muovere il fluido ma allo stesso tempo vi è una resistenza che si oppone al flusso, cioè un attrito e la risultante del rapporto tra pressione e resistenza è proprio il flusso. (F= P/R) Se la pressione aumenta il flusso aumenta, se aumenta la resistenza il flusso diminuisce. Hagen si concentro soprattutto sul concetto di pressione, mentre Poiseuille si concentrò sulla resistenza: Hagen, dunque, introduce il concetto secondo cui il flusso nel condotto non dipende dal valore assoluto della pressione ma dipende dalla differenza che c‟è tra la pressione di inizio e di fine in un ristretto intervallo del condotto stesso. Se prendiamo in esame due vasi con due intervalli diversi, nel primo misuriamo un valore di 100 mmHg all‟inizio e uno di 98 mmHg alla fine, differenza uguale a 2 mmHg; nel secondo intervallo abbiamo invece un valore di 10 mmHg all‟inizio e uno di 4 mmHg alla fine, differenza uguale a 6 mmHg, ben 3 volte in più del precedente. Quindi in definitiva nel secondo intervallo il flusso sarà maggiore, perché consideriamo la differenza di flusso che è maggiore e non teniamo conto del valore assoluto di pressione perché sennò dovremmo considerare per buono il primo intervallo dove la pressione a 100 mmHg è maggiore di quella a 10 mmHg. F= ΔP/R Se alle due estremità dell‟intervallo troviamo la stessa pressione, questo intervallo sarà zero e di conseguenza anche il flusso lo sarà. Per esservi flusso dobbiamo avere una differenza di pressione e in particolare andremo da un punto a pressione maggiore a uno a pressione minore. La pressione all‟inizio della grande circolazione è circa di 100 mmHg, alla fine è di circa 0 mmHg, il gradiente sarà 100. Se invece prendiamo la pressione a livello della piccola circolazione è 15 mmHg e alla fine è 0 mmHg, gradiente 15. In entrambi i casi il flusso (portata) è sempre di 5L al minuto; come è possibile? Ciò è possibile perché per filtrare 5L al minuto avremo bisogno di una determinata pressione che però ovviamente si ricollega alla resistenza, che sarà maggiore là dove la pressione applicata sarà maggiore e minore là dove la pressione applicata sarà minore: nella piccola circolazione avremo meno pressione perché vi sarà meno resistenza.
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Lezione 2
Emodinamica
Riprendendo il discorso affrontato in precedenza riguardo all‟emodinamica, si è detto che il sistema circolatorio essendo un sistema chiuso prevede il movimento di un fluido, il sangue, all‟interno di condotti, spinto da una pompa, il cuore, questo movimento avvenendo all‟interno di un circuito chiuso segue la Legge di Leonardo o Legge dell’Equivalenza delle Portate, la quale afferma che: in un sistema chiuso la portata rimane costante in tutti i punti del circuito; se in una zona del circuito la sezione dovesse aumentare la portata rimarrebbe costate poiché andrebbe a diminuire la velocità; se, invece, la sezione dovesse diminuire la portata rimarrebbe costante poiché aumenterebbe la velocita, quindi è costante la portata ma non la velocità del fluido.
Ragion per cui si comprende che è costante il flusso ma non la velocità delle particelle che possiedono una velocità inversamente proporzionale alla sezione del condotto; dunque nel momento in cui si ha un aumento della velocità, dovuto ad un restringimento della sezione del condotto, questo aumento delle velocità, secondo la legge formulata da Johannes Bernoulli II, in definitiva e una variazione di energia; una velocità maggiore o minore significa una energia maggiore o minore, è quindi chiaro che se una particella ha un aumento dell‟Energia Cineticaquesta energia in più la deve aver presa da qualche parte e viceversa se la particella rallenta questa diminuzione dell‟energia cinetica cioè questa energia in meno deve essere stata ceduta a qualcosa.
Alla luce di queste considerazioni Bernoulli introduce un concetto secondo il quale esiste una quantità totale di energia che la particella possiede, la maggior parte di questa energia si trova sottoforma di energia potenziale ed una piccola parte si trova, chiaramente, sottoforma di energia cinetica; se la particella è ferma essa è dotata solo di energia potenziale appena la particella si mette in movimento un po‟ di questa energia potenziale diventa energia cinetica, più è veloce la particella più diminuisce la quota di energia potenziale e più aumenta quella di energia cinetica fermo restando che la somma, secondo il Principio di Conservazione dell‟Energia, tende a mantenersi costante. Quando c‟è una variazione del raggio la particella cambia la sua velocità, cioè cambia la sua energia cinetica, se il raggio è diminuito la particella aumenta la sua energia cinetica a spese dell‟energia potenziale che si manifesta sottoforma di pressione laterale che la particella esercita contro le parteti, la velocità, invece, è una forza propulsiva che si manifesta come un vettore spinto in avanti; all‟aumentare dell‟una corrisponde una diminuzione dell‟altra, la somma tende a mantenersi costante.
Questo discorso è importante poiché è il principale meccanismo patogenetico di malattie vascolari come Aneurismi (parte arteriosa) e Varici (parte venosa). Se a livello di un vaso si ha un indebolimento della pressione la causa può essere: congenita in quanto esistono soggetti che nascono con pareti più deboli del normale per cui sono esposti ad un alto rischio di sviluppare aneurismi e varici; questo è molto frequente in maschi giovani che hanno delle debolezze costituzionali delle pareti di una particolare tipologia di vene, che sono le vene pampiniformi del 9
testicolo queste varici selettive a carico delle vene del testicolo vengono denominate nella letteratura medica Varicocele, in passato era semplice da diagnosticare, poiché a causa della leva obbligatoria tutti i soggetti di sesso maschile all‟età di 18 anni dovevano sottoporsi ad una visita medica che comprendeva obbligatoriamente una visita del testicolo e per questo si poteva subito cogliere la presenza del varicocele. Oggi non è più presente la leva obbligatoria per cui molti varicoceli non sono diagnosticati per tempo e lo saranno solo quando inizieranno a dare fastidi locali; il problema del varicocele è che quando le vene pampiniformi iniziano a diventare varicose, cioè iniziano a dilatarsi, il flusso ematico diminuisce per cui il sangue ristagna all‟interno del testicolo, esso trovandosi ad una temperatura di 37°C causa il riscaldamento del testicolo che smette di lavorare già a temperature superiori a 34°C per cui questi soggetti andranno incontro ad azoospermia, cioè non producono più SPZ, e se la situazione peggiora ulteriormente possono danneggiarsi le cellule del Leydig andando ad intaccare la produzione degli androgeni.
Il soggetto nella maggior parte dei casi non se ne accorge poiché confonde la fertilità con la potenza sessuale che sono, invece, due cose diverse poiché un maschio può essere potente ma non avere nemmeno una SPZ vivo, oppure può avere 7 miliardi di SPZ ma essere impotente; le due variabili sono indipendenti ma il maschio tende, di solito, a farle coincidere, per cui siccome dice: “me ne faccio 24 al giorno quindi sono anche fertile” per cui la coppia nel caso in cui la coppia non sia in grado di avere figli la causa è ascrivibile solo alla donna; di solito, invece, nelle coppie che non hanno figli il 48% delle volte il problema è ascrivibile alla donna, nel 37% delle volte la causa è l‟uomo, nel restante 15% il problema è di entrambi, cioè o entrambi hanno problemi oppure nessuno dei due ha problemi ma c‟è una incompatibilità di coppia ovvero i due assieme non potranno avere figli, ma con altri partner, invece, potranno averne, questa situazione è definita sterilità di coppia.
Ovviamente così come esistono patologie congenite della parete esistono patologie della parete acquisite, la più frequente è una sofferenza dei piccoli vasi, ossia una micro-angiopatia che colpisce, tra i tanti piccoli vasi, i vasavasorum che mantengono efficiente la componente dei vasi di medio e grossi calibro, se questi vasa-vasorum cominciano ad andare fuori uso ne risente tutto il metabolismo della parete che comincia ad indebolirsi non riuscendo più a resistere alla pressione del sangue e, di conseguenza, inizia a dilatarsi portando ad un rallentamento del flusso conseguentemente si ha un aumento della pressione laterale che va ad esercitare una pressione ancora maggiore sulla parete e si mette in moto un processo autosostentativo che porterà allo sfiancamento progressivo e se questo processo va a riguardare un‟arteria si può arrivare alla rottura dell‟aneurisma che provoca una emorragia interna violenta, e se si tratta di un grosso vaso il danno può essere molto grave.
Nelle donne è molto frequente il problema delle varici a livello degli arti inferiori anche in questo caso è presente una componente costituzionale per cui le donne che hanno familiari con varici sono più soggette a tale patologia rispetto alle donne che non presentato questa familiarità, in generale le donne sono più soggette degli uomini alle varici per una differenza di connettivi tra i due sessi ed è una delle differenze legate agli ormoni sessuali; quando la donna poi andrà in menopausa non ci saranno più questo tipo di differenze.
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Il discorso di Bernoulli era stato molto semplificato parlando di fluidi ideali, cioè eliminando il problema dell‟attrito poiché non si sapeva come affrontarlo; per cui il discorso di Bernoulli vale per i fluidi ideali i quali mantengono la stessa energia per tutto il tragitto, ma un liquido reale non possiede la stessa energia per tutto il tragitto poiché man mano che si allontana dalla pompa i fenomeni di attrito vanno smorzando l‟energia che possiede, pian piano questa energia venendo meno farà fermare il sangue; quindi si rendeva necessario prendere in considerazione anche l‟attrito interno ed Hagen in Germania e poi Poiseuille in Francia introducono il classico rapporto fra; Flusso, Pressione e Resistenza, in cui il flusso del sangue è favorito per cui è direttamente proporzionale alla pressione che c‟è, mentre è inversamente proporzionale alla resistenza che si oppone a questa spinta se la pressione è uguale alla resistenza non c‟è flusso, per esserci un flusso è necessaria una pressione superiore alla resistenza.
Hagen definì meglio il concetto di pressione, ma non lo fece in termini di pressione assoluta bensì in termini di differenza di pressione fra gli estremi del condotto. Se si conosce la differenza di pressione agli estremi del condotto si può comprendere qual è il flusso esistente, questo è l‟unico modo per quantificare in maniera pratica il gradiente di flusso che giustifica, quindi, gli spostamenti del sangue, e anche le quantità; quindi ciò che conta non è tanto la pressione in quanto tale, ciò che conta è solo la ΔP cioè la differenzadi pressione che esiste agli estremi del condotto.
Nella precedente lezione è stato fatto l‟esempio della grande circolazione in cui all‟inizio la pressione è circa 100 mmHg e alla fine è 0 mmHg e quindi abbiamo una ΔP di 100 mmHg, mentre nella piccola circolazione si trova una ΔP che non supera i 15 mmHg, cioè il rapporto è 1 a 7 e per essere necessaria una pressione 7 volte superiore, al fine di avere lo stesso flusso ematico, significa che ritroviamo una resistenza 7 volte superiore, ciò è anche comprensibile in quanto per un globulo rosso che esce dal ventricolo destro la strada più lunga che deve percorrere è arrivare al polmone e tornare, invece un globulo rosso che esce dal ventricolo sinistro deve percorrere una strada di gran lunga maggiore, per cui le dimensioni dei tragitti da percorrere, la resistenza longitudinale e l‟attrito, per l‟esattezza il tempo che ha a disposizione l‟attrito per smorzare l‟energia, richiedono pressioni 7 volte superiori poiché 7 volte superiore è la resistenza.
Resistenza Poiseuille fu colui che si dedicò a definire il concetto di resistenza, nei suoi esperimenti faceva scorrere dell‟acqua all‟interno di tubi di vetro al fine di vedere cosa creava un maggiore o minore resistenza e notò subito che non tutti i liquidi sono uguali, cioè se si fa muovere acqua essa si muove con una certa facilità, ma se, invece, si vuole far muovere miele si incontra una resistenza molto più elevata per cui il movimento è meno facilitato, dunque la prima variabile che egli identificò è rappresentata dalla viscosità del fluido che scorre all‟interno del condotto. Il concetto di viscosità è abbastanza complesso, all‟interno di questa trattazione sarà affrontato il discorso della Viscosità Assoluta. Il concetto di viscosità fu definito da Newton, il quale disse che un fluido si muove all‟interno di un condotto formando delle lamine, tante lamine parallele le une alle altre hanno velocità diverse la lamina vicina alla parete è in sostanza ferma le lamine via via più vicine al centro sono più veloci e la maggiore velocità si raggiunge, ovviamente, al centro del condotto, Newton studiando questo fenomeno introduce il concetto di viscosità in 11
maniera abbastanza semplice: la viscosità è la somma degli attriti che s‟incontrano nel punto in cui una lamina viene a contatto con l‟altra, quindi una lamina ha un certo spessore quindi è formata da tante particelle e lo stesso per quanto concerne la lamina vicina, tuttavia solo le particelle più esterne di una lamina urteranno contro le particelle più esterne della lamina adiacente solo loro saranno causa di attrito, le particelle al centro della lamina, invece, non urtando contro le particelle vicine non contribuiscono a generare attrito, che quindi è la somma di tutti i singoli attriti formati dalla superficie di contatto tra le lamine. Ogni liquido ha la sua viscosità ed è diverso da una altro, la viscosità è definita con la lettera greca “η” e questo parametro, dunque, è una caratteristica intrinseca di ogni fluido non è, però, un valore rigido poiché lo stesso fluido ha viscosità più alta o più bassa variando la sua temperatura; per esempio d‟estate l‟aria che entra nei polmoni ha una viscosità diversa da quella che possiede d‟inverno poiché c‟è una differenza di temperature per cui d‟inverno ha una viscosità maggiore d‟estate, invece, ha una viscosità minore. Gli altri parametri che creano resistenza sono le caratteristiche del circuito in cui il fluido scorre ed in particolare la variabile lunghezza del condotto, ovvero più strada si deve percorrere maggiore sarà l‟attrito, la seconda variabile è il raggio del condotto e più è piccolo più elevata è la resistenza. Queste sono 3 variabili: 2 dipendono dalla geometria del condotto (lunghezza e raggio) la terza non dipende dal condotto ma dipende dal fluido che scorre all‟interno del condotto e Poiseuille definì matematicamente la resistenza introducendo queste tre variabili. La resistenza è molto alta se è alta la viscosità del fluido ed allo stesso modo la resistenza è molto alta se è molto elevata la lunghezza del condotto, invece la resistenza è bassa se il raggio è molto grande se invece il raggio è piccolo la resistenza tende ad aumentare, successivamente alla formula introdusse dei parametri fissi: mise al numeratore il numero “8” ed al denominatore “π” e scoprì inoltre che il raggio è alla quarta potenza, per cui la formula per la resitenza è: R= 8η ⠂l / π ⠂r4 Molto importante in questa formula è il valore “r4”significa che se si ha un condotto di raggio di 1 cm esso offre una certa resistenza se questo raggio lo si fa diventare 2 cm la resistenza non diminuisce di due volte ma diminuisce di 16 volte, per cui sono sufficienti minime variazioni di raggio per creare notevolissime variazioni di resistenza, in sostanza se il raggio varia di un sedicesimo in più o in meno la resistenza raddoppia o si dimezza ragion per cui questo è il parametro che gioca di più sul fattore resistenziale, anche perché è chiaro che a livello dei vasi questi non si possono allungare o accorciare e il parametro viscosità non può variare in un breve lasso di tempo, ma quello che si può modificare facilmente è il raggio dei vasi mediante i muscoli lisci nella parete che permettono vasocostrizione e vasodilatazione sia dal lato arterioso che dal lato venoso. Ritornando al discorso sul fatto che per avere 5 L/min nel grande circolo è necessaria una pressione 7 volte superiore che per avere lo stesso flusso nel piccolo circolo ora, alla luce delle ultime considerazioni, si riesce a comprendere poiché la vera differenza tra le due circolazioni è la lunghezza, giacché la lunghezza media della grande circolazione è almeno 7 volte superiore alla lunghezza media della piccola circolazione è, quindi, chiaro che essendo minore la resistenza per motivi di lunghezza è anche minore la pressione. Se la formula della Resistenza la si sostituisce con i suoi equivalenti nella formula del Flusso, quest‟ultima diventa: F= ΔP ⠂π r4 / 8 ⠂η ⠂λ il cui il flusso è direttamente proporzionale alla ΔP ⠂π r4ed è inversamente proporzionale ad 8 ⠂η ⠂λ; per cui se si vuole un aumento di flusso o si aumenta il gradiente di pressione o si aumenta il raggio, invece se si vuole un aumento di flusso senza agire su questi due parametri si deve o diminuire la viscosità o diminuire la lunghezza ed in entrambi questi ultimi casi nel sistema circolatorio non è semplice agire. Se nella formula del flusso si sostituisce ΔPcon ΔV, cioè differenza di potenziale, e al posto di “η” inseriamo “ρ”, cioè resistività specifica del conduttore, si ottiene la Legge di Ohm, dunque si comprende che la legge di base è sempre la stessa poiché si tratta di particelle che si muovono all‟interno di un conduttore, è necessario da un lato un gradiente che spinge e che serve per vincere una resistenza che si oppone alla spinta, dall‟interazione tra chi spinge e chi si oppone alla spinta viene fuori il Flusso Reale, cioè realmente quante particelle al minuto si spostano da un 12
punto all‟altro, se si vuole aumentare il flusso si deve aumentare il gradiente oppure produrre una vasodilatazione oppure giocare sulle altra variabili. Questa formula del flusso ci permette di capire anche cosa sono le singole variabili, cioè se si vuole definire la viscosità, è sufficiente portarla al primo membro e spostare il flusso al secondo membro definendo, in questo modo cos‟è la viscosità; lo stesso procedimento si può applicare per tutte le altre variabili presenti nella formula permettendo di calcolare tutto ciò che succede all‟interno del sistema. Si consideri un semplice esempio durante l‟espirazione si ha l‟ingresso di aria all‟interno di condotti, ovvero i bronchi, se si cambia il raggio di questi bronchi per broncocostrizione o broncodilatazione si cambia la resistenza, quindi nel primo caso si avrà un aumento delle resistenze e di conseguenza una riduzione del flusso di aria e ciò è quello che succede nei soggetti che soffrono di asma bronchiale e quindi la terapia è somministrare un broncodilatatore. Hagen e Poiseuille fecero i loro esperimenti con tubi di vetro all‟interno dei quali facevano scorrere acqua e quindi la loro legge deriva da questi esperimenti; la circolazione umana non è uguale ai tubi di vetro ma ci sono delle differenze che è necessario tenere a mente: la prima è che il sangue presenta caratteristiche diverse rispetto all‟acqua, che viene definita Liquido Newtoniano il sangue, invece, è un Liquido Non Newtoniano; la differenza tra queste due categorie di liquidi è che i primi sono formati da acqua e da tutto ciò che nell‟acqua è possibile sciogliere cioè una soluzione perfetta, ma, se invece di mettere molecole solubili, si pongono in acqua delle particelle che in essa non possono essere disciolte quello che si ottiene è proprio un liquido Non Newtoniano poiché avrà dei comportamenti biofisici abbastanza diversi da quelli di un liquido newtoniano ed il sangue non è un liquido newtoniano poiché a parte le cellule come per esempio i globuli rossi che ovviamente non si sciolgono, anche nel plasma esistono delle particelle in sospensione, basti pensare a tutte le varie lipoproteine che in esso non si possono disciogliere, per cui chiaramente il sangue è un liquido non newtoniano. Quindi sorge spontanea una domanda: Che cosa comporta il fatto che anziché un liquido newtoniano nel sistema circolatorio si muove un liquido non newtoniano? Tutti gli esperimenti realizzati da Hagen e Poiseuille sono stati fatti con fluidi che si muovevano a bassa velocità poiché si muovevano con flusso laminare; ma se si aumenta la velocità del fluido oltre un valore critico, che è chiamato Numero di Reynolds, non si ha più il flusso laminare, ma si crea un movimento caotico delle particelle che iniziano a sbattere le une contro le altre per cui l‟attrito non è più solo delle particelle più esterne di una lamina con le particelle più estere dell‟altra, ma tutte le particelle si urtano, si crea, quindi, un enorme aumento dell‟attrito interno tutte le volte che si passa da quello che è chiamato moto laminare a quello che è chiamato moto turbolento; quindi ci si deve chiedere: quando si verifica una turbolenza nei nostri condotti che conseguenze si hanno? Come si modifica la legge di Hagen e Poiseuille? Inoltre, come è stato detto, gli esperimenti di Hagen e Poiseuille erano realizzati facendo scorrere acqua all‟interno di tubi di vetro, cioè all‟interno di pareti rigide, ma i condotti del nostro organismo, come i vasi sanguigni, non sono rigidi ma hanno una certa cedevolezza, se in un vaso rigido si va ad aumentare la pressione l‟unica cosa che può verificarsi è avere una spinta in avanti del liquido, ma sei il vaso è cedevole e si aumenta la pressione non è detto che ci sia una spinta in avanti ma può semplicemente cedere la parete e dilatarsi; per cui cosa comporta il fatto che le pareti reali anziché essere rigide sono dotate di una certa distensibilità (=compliance)? Per quanto concerne il moto laminare e quello turbolento la prima differenza che c‟è quando un fluido passa da un moto laminare ad uno turbolento è abbastanza semplice da cogliere, il moto laminare è praticamente silenzioso il turbolento è sempre associato alla produzione di un rumore, per cui è semplice accorgersi se un moto è laminare o è turbolento, e si ricordi che esistono due soli modi per produrre un suono in fisica il primo modo è fare vibrare qualcosa, ma esiste anche la possibilità di produrre dei suoni sfruttando il fenomeno della turbolenza ovvero si fa viaggiare l‟aria ad alta velocità, si supera la velocità critica, si passa da moto laminare a moto turbolento e quindi si crea un suono udibile; un esempio molto semplice ma efficace è l‟atto del fischiare, per farlo è necessario fare uscire l‟aria attraverso un piccolo foro con un piccolo raggio per cui la velocità aumenta arrivato ad un determinato valore di velocità si supera il Numero di Reynolds ed il flusso dell‟aria da laminare diventa turbolento producendo il fischio. Da medico ci si accorge che un paziente ha un attacco d‟asma appoggiando il fonendoscopio sulla 13
schiena e chiedendo a quest‟ultimo di respirare, se non si sente nulla vuol dire che l‟aria entra ed esce con moto laminare, ma appena si iniziano ad udire dei fischi collegati all‟entrata e all‟uscita dell‟aria ciò è indice che i bronchi sono al di sotto di un certo raggio, la velocità è al di sopra del numero di Reynolds quindi si è passati da moto laminare a moto turbolento. In realtà il moto laminare non è vero che non produce rumore ma nel punto in cui le due lamine sfregano l‟una con l‟altra un poco di suono si produce, ma la sua intensità è talmente bassa che è praticamente inudibile. Per esempio appoggiando un fonendoscopio sull‟arteria brachiale non si sente nulla poiché il sangue si muove di moto laminare, ma se con un bracciale si stringe il braccio si restringe il raggio dell‟arteria, aumenta la velocità, si supera il numero di Reynolds ed il moto diventa turbolento questo serve a cogliere il momento in cui compare il moto turbolento che indica che il raggio dell‟arteria è al di sotto del normale, quando si rilascia la pressione il raggio ritorna normale, i rumori non si sentono più e vuol dire che il flusso è tornato laminare, la comparsa e la scomparsa di questi rumori stanno ad indicare rispettivamente i valori massimo e minimo di pressione, questi vengono chiamati Rumori di Korotkoff,dal nome del fisiologo russo che per primo li ha descritti, e questo rappresenta un uso pratico che si fa della turbolenza. Nel sistema circolatorio umano non c‟è mai turbolenza per cui in condizioni fisiologiche non si sente nulla, soltanto a livello cardiaco ci possono essere delle piccole turbolenze quando si passa attraverso l‟ostio che separa l‟atrio dal ventricolo, o si passa attraverso l‟ostio che separa il ventricolo dall‟arteria, tuttavia in termini di quantità di suono prodotto sono insignificanti. Allo stesso modo non devono essere presenti né fischi né sibili a livello del sistema respiratorio. Che cosa comporta il fatto che il sangue sia un liquido non newtoniano a livello della circolazione fu studiato da due fisici svedesi: Farehouse e Linquist i quali osservarono un fenomeno curioso, ovvero che la viscosità del sangue dovrebbe essere un valore fisso e dovrebbe corrispondere, all‟incirca, a quello che si chiama Ematocrito, cioè al rapporto tra la parte cellulare del sangue e la parte liquida, che, all‟incirca, in un maschio adulto corrispondono: la porzione corpuscolata al 45% e la porzione liquida al 55%; questi valori in un uomo in normali condizioni non variano bruscamente ma si mantengono costanti, anche perché il turnover dei globuli rossi è molto lento in quanto essi si riproducono in 4 mesi per cui prima che cambia in maniera significativa il loro numero, infatti un centoventesimo di globuli rossi muore ogni giorno ed un centoventesimo nasce, è necessario che passi del tempo. Per cui in un liquido come il sangue che presenta una certa viscosità si osserva un fenomeno interessante, se si fa muovere questo liquido all‟interno dei vasi, siano essi grandi arterie, grandi vene o capillari per cui diametri che vanno da centimetri a micron (si ricordi che il diametro di un capillare è uguale a 7-8μm) si osserva che la viscosità del sangue non è costante ma ha un comportamento particolare, ovvero si comporta come se fosse molto viscoso nei grandi vasi, mentre si comporta come se la sua viscosità fosse inferiore nei piccoli vasi, nonostante ci sia sempre lo stesso rapporto plasma globuli. Per spiegare questo effetto è possibile compiere un esperimento per cui si prende il sangue ed artificialmente si riduce il numero di globuli rossi, cioè lo si rende meno viscoso, e lo si fa muovere all‟interno del circuito, si osserva che il comportamento si modifica in questo modo: ovvero il sangue ha meno problemi nei grandi vasi ma risulta sempre un poco più viscoso rispetto ai piccoli vasi in cui appare sempre meno visvoso, se alla fine si fa scorrere solo soluzione fisiologica, che è un liquido newtoniano, il comportamento diventa perfettamente uguale in tutto il circuito cioè nei grandi, nei mendi e nei piccoli vasi; per cui questa differenza di viscosità tra grandi e piccoli vasi non si nota più; se invece si fa scorrere del sangue vero, cioè un liquido non newtoniano, c‟è una viscosità apparente molto più alta della soluzione fisiologica nei grandi vasi ma, paradossalmente, più bassa della soluzione fisiologica nei piccoli vasi. Trovare una spiegazione a questo tipo di comportamento fu difficile, era semplice capire l‟alta viscosità all‟interno dei grandi vasi poiché si assiste al fenomeno dell‟Accumulo Assiale dei Globuli Rossi: cioè tutti i globuli rossi dei grandi vasi tendono a disporsi sulla lamina centrale, che dovrebbe essere quella a maggior velocità, ma questo 14
accumulo azzera il vantaggio di velocità creando un aumento della viscosità. Ma perché nei piccoli vasi fare scorrere il sangue produce una viscosità apparentemente più bassa di quella che si avrebbe facendo scorrere soluzione fisiologica? Questo concetto è molto più difficile da comprendere e Farehouse e Linquist fecero una serie di esperimenti e trovarono la spiegazione; se si considera un vaso di 30μm di diametro e vi si fa scorrere all‟interno acqua, che si muove per moto laminare, presentando un gran numero di lamine e si ricordi che, secondo quanto affermato da Newton, la viscosità è la somma degli attriti di tutte le lamine che ci sono e qua il numero di lamine è elevato, quindi ci sarà un determinato attrito; se, invece, in questo condotto si fa scorrere sangue i globuli rossi in esso presenti si affiancano e ne passano 3-4 alla volta, per cui il numero di lamine sarà nettamente inferiore quando all‟interno del vaso di 30μm scorre il sangue rispetto a quando vi scorre la soluzione fisiologica, poiché in quest‟ultimo caso il numero di lamine sarà di gran lunga superiore e per cui, per definizione Newtoniana, sarà superiore anche la viscosità, questo particolare comportamento del sangue tra i grandi ed i piccoli vasi è stato chiamato Effetto σ. Ora si consideri che il numero di grandi vasi all‟interno dell‟organismo è basso, invece, i piccoli vasi sono numerosissimi, questo è un vantaggio poiché, in fin dei conti, la resistenza che globalmente si crea è vantaggiosa dato che essendo molti di più i piccoli vasi dove è più bassa la viscosità apparente si risparmia resistenza, poiché in tutti i vasi dove la η è più bassa si avrà anche una resistenza più bassa, per cui il cuore deve produrre meno energia per vincere la resistenza complessiva del sistema al fine di fare scorrere il sangue; questo fenomeno in patologia ne spiega un altro, cioè quando un soggetto diventa anemico, ovvero presenta un numero inferiore di emazie, e quindi il comportamento del sangue si avvicina a quello dei liquidi newtoniani, presenta una viscosità più bassa nei grandi vasi ma comincia ad avere più alta viscosità nei piccoli vasi e questo spiega il motivo per cui tutti questi soggetti, col passare del tempo, tendono ad andare incontro ad una insufficienza ventricolare dovuta al fatto che il soggetto anemico, a causa della sua condizione, offre al cuore una maggiore resistenza, per cui si comprende come l‟effetto σ sia un trucco adoperato dalla natura per abbassare il lavoro che il cuore deve compiere per vincere la resistenza. La viscosità del sangue dovrebbe dipendere dall‟ematocrito e dovrebbe essere costante in tutto il circolo, ma in realtà non è così poiché nei grandi vasi la viscosità è superiore a quella della soluzione fisiologica, invece, è molto difficile da capire il motivo per cui nei piccoli vasi la viscosità che s‟incontra è più bassa rispetto a quella che s‟incontrerebbe se si facesse scorrere soluzione fisiologica, gli esperimenti che realizzarono Farehouse e Linquist dimostrarono che il fenomeno è legato alla presenza delle emazie che rappresentano un‟unità non frazionabile in lamine per cui il numero massimo di lamine che si ritrovano in un vaso di piccolo calibro dove scorre sangue è molto più bassi rispetto a quello che si riscontra nel momento in cui all‟interno del medesimo vaso scorre acqua dove le lamine sono sostanzialmente infinite, a questo punto giacché l‟attrito, per definizione Newtoniana, dipende solo dalla somma dei singoli attriti dovuti alla presenza di lamine, più lamine ci sono maggiore è l‟attrito, viceversa meno lamine ci sono minore sarà l‟attrito e sono proprio i globuli rossi ad abbassare il numero di lamine possibili e quindi la viscosità; se si aumenta il numero di globuli rossi, invece, si aumenta la viscosità e si perde il vantaggio dato dall‟effetto σ ed il cuore incontra una resistenza troppo alta e si corre il rischio che il soggetto possa andare in insufficienza ventricolare. È questo il motivo per cui nello sport è vietato l‟uso di qualsiasi tipo di sostanza che fa aumentare il numero dei globuli rossi, è chiaro che negli sport di resistenza un maggior numero di globuli rossi permette di ossigenare meglio i muscoli migliorando la prestazione e quindi è chiara la tentazione di aumentare il numero delle emazie o mediante la somministrazione di Eritropoietina, che ordina al midollo osseo di produrre eritrociti, oppure ogni decina di giorni ci si sottopone ad un piccolo prelievo di sangue, si leva il plasma e si conservano i globuli dopo circa 3 mesi si è in possesso di una pappa globulare che si può somministrare il giorno prima di una gara aumentando il numero di eritrociti circolanti. In condizioni fisiologiche è impossibile avere nell‟ematocrito più del 50% di globuli rossi se in un atleta si trovano percentuali superiori al 50% è chiaro che il soggetto si è sottoposto al doping ed il rischio di arresto cardiaco aumenta esponenzialmente. Le pareti dei vasi non sono rigide per cui sorge spontaneo chiedersi se è possibile applicare la legge di HagenPoiseuille, poiché in un condotto non rigido non è detto che l‟aumento di pressione si traduca in un movimento in 15
avanti del liquido ma può tradursi, anche, in una distensione della parete; per cui il fatto che le pareti siano dotate di una certa compliance cosa comporta sul piano emodinamico? Per poter rispondere a questa domanda è necessario fare una piccola digressione sul concetto di distensibilità, che è di due tipi: Irreversibile e Reversibile (=Elasticità); i vasi sanguigni sono una miscela di componenti non elastiche, cioè con deformabilità irreversibile, e componenti elastiche, cioè dotate di una certa deformabilità reversibile, per cui cercare di comprendere il comportamento dei vasi sanguigni reali non è semplice proprio perché sono una miscela di diversi componenti. Le proprietà meccaniche di qualunque tessuto biologico del corpo umano dipendono fondamentalmente da due strutture che sono delle proprietà specifiche ed esclusive del tessuto connettivo, che ha due componenti che sono responsabili di tutto il comportamento meccanico reversibile o irreversibile di qualunque tessuto del nostro organismo queste due componenti sono per la parte non elastica le fibre collagene e, invece, per la parte elastica le fibre elastiche; la presenza di questa dualità di fibre crea un mix di comportamenti anelastici frammisti a comportamenti elastici che è necessario analizzare in maniera attenta. I connettivi rappresentano una componente importante in qualunque organo o apparato che si va d analizzare; la caratteristica principale è banale ovvero le cellule che compongono i connettivi non sono a contatto le une con le altre, ma sono isolate e tra una cellula e l‟altra c‟è acqua ed in questa acqua si trovano sostanze; nella maggior parte dei casi nei tessuti non speciali si trovano due tipi di sostante: fibre di natura proteica cioè fibre elastiche e/o fibre collagene e poi si ritrovano dei gomitoli di natura glicidica, dei polisaccaridi in particolare, che sono chiamati Glucosamminoglicani o Mucopolisaccaridi (che si trovano a livello della matrice extracellulare) che hanno un ruolo fondamentale poiché conferiscono ai connettivi una importante caratteristica, cioè impediscono all‟acqua presente tra le cellule connettivali di seguire la forza di gravità, poiché questi gomitoli ne intrappolano una certa quantità, che è normalmente a disposizione per funzionare da solvente, chiaramente se i livelli di acqua salgono in maniera eccessiva questi gomitoli si saturano e l‟acqua non trattenuta si accumula nei punti di clivo è quello che si chiama in termine tecnico edema, per cui la parola edema si usa quando al quantità di acqua presente non è adeguatamente trattenuta dai mucopolisaccaridi presenti o perché è presenta troppa acqua o perché si ha una carenza di mucopolisaccaridi, qualunque sia la causa c‟è una sproporzione che causa un accumulo del liquido in eccesso; per cui ogni volta che l‟acqua può muoversi liberamente seguendo la forza di gravità allora vuol dire che non sono presenti mucopolisaccaridi, se invece non può muoversi liberamente vuol dire che sono presenti mucopolisaccaridi, segue lo stesso principio la differenza tra lacrima e saliva e o tra umore acque ed umore vitreo. Nel momento in cui si va ad analizzare la parete delle arterie, la tunica media è composta di connettivo in cui si ritrovano le cellule del connettivo, le fibre elastiche, le fibre collagene ed i mucopolisaccaridi e quindi il comportamento di un‟arteria è legato a queste componenti. Facciamo un esperimento si consideri un frammento di arteria, vi poniamo all‟interno del liquido, chiaramente la chiudiamo alle estremità, ed aumentiamo la pressione di questo liquido, quello che succede aumentando la pressione è che l‟arteria inizia a dilatarsi allora mediante un grafico mettiamo in relazione la pressione con il diametro del vaso e si nota che all‟inizio è sufficiente aumentare la pressione di poco affinché il vaso si dilati ma arrivati ad un certo valore di pressione la parete non si dilata più, dunque all‟inizio la parete è molto cedevole ma oltre un certo livello di pressione il comportamento diventa quello di un tubo di vetro, cioè non si lascia più distendere; per un‟arteria questo comportamento rigido si ha a partire da circa 200 mmHg, ciò significa che nel normale range fisiologico la parete si comporta come si fosse cedevole, cioè tutte le volte che la pressione aumenta il raggio aumenta; l‟aspetto interessante è che se la pressione diminuisce il raggio diminuisce, per cui questa cedevolezza è di tipo elastico dunque le fibre elastiche nella tunica media offrono un comportamento abbastanza lineare; se si esagera con l‟aumento di pressione l‟arteria si protegge diventando un vaso rigido, cioè vanno in tensione tutte le fibre collagene che determinano una rigidità di parete praticamente perfetta come se fosse un tubo di vetro. Si consideri che l‟arteria aorta di un ventenne diventa rigida a circa 200-250 mmHg e resiste fino a pressioni di 5000 mmHg, solo oltre tale valore cede ma tali valori di pressione non si avranno mai, i problemi si hanno se c‟è 16
stata una sofferenza dei vasa-vasorum che ha indebolito la parete che non è più in grado di mantenere efficienti le fibre collagene e quindi c‟è un indebolimento generale della parete che cede più facilmente. Esiste una patologia che colpisce i piccoli vasi e si tratta della microangiopatia e dato che colpisce i piccoli vasi colpisce i vasa-vasorum e per cui può degenerare in una macroangiopatia, è ciò si riscontra in una delle malattie oggi più diffuse ovvero nel diabete, infatti tutti i diabetici vanno incontro a questa macroangiopatia come conseguenza della microangiopatia e quindi significa che il diabete è la prima causa di ictus, di infarti del miocardio, di amputazione degli arti inferiori, di cecità e di danni renali; dunque una malattia così aspecifica alla fine mette fuori uso organi ed apparati poiché si danneggia il sistema comune a tutti ovvero il sistema circolatorio. Se si va a confrontare il comportamento del diametro di una vena in relazione alla pressione ci si rende conto che la vena cede subito e poi si stabilizza su valori molto più bassi, per cui la cedevolezza delle vene è molto superiore a quella delle arterie ma anche le vene dopo aver ceduto all‟inizio superato un certo valore di pressione ovviamente si irrigidiscono a circa 20-30 mmHg, sarebbero molto rari valori superiori a questi; quindi arterie e vene hanno dal punto di vista generale comportamenti sovrapponibili ma i valori numerici sono profondamente diversi, a grandi linee una vena è circa 10 volte più cedevole di un‟arteria e ciò si comprende tenendo a mente la costituzione della parte di arterie e vene, nel caso dell‟arteria il 50% della parete è formato dalla parete che è molto spessa, invece la parete delle vene è 4-5 volte meno spessa per cui la sua cedevolezza è ovviamente maggiore poiché ha sia meno fibre collagene che fibre elastiche, le uniche eccezioni sono rappresentate dalla arterie polmonari che pur essendo arterie hanno una cedevolezza molto inferiore rispetto alle arterie del grande circolo ed assomigliano molto di più ad una vena anche perché nel piccolo circolo ci sono pressioni molto più basse rispetto al grande circolo. Il fatto che le vene e le arterie abbiano questo comportamento come varia la legge di Hagen- Poiseuille? Per rispondere a questa domanda si deve introdurre la Legge di La Place che ci permette di comprendere molti fenomeni lontani tra loro.
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Lezione 3 Eravamo arrivati la volta scorsa a introdurre la legge di Laplace, partendo da un dato, il dato da cui siamo partiti la volta scorsa è : “i vasi non sono rigidi”, sono dotati di una certa distensibilità e in più questa distensibilità è in parte di natura elastica, cioè significa che se io prendo ad esempio la carotide comune di un vostro collega, chiudo le due estremità ed inietto acqua facendo aumentare la pressione all'interno della carotide e vado a misurarne il raggio e faccio una relazione tra la pressione e, ovviamente, il raggio, viene fuori un andamento più o meno di questo tipo, all‟inizio si lascia distendere, quindi basta aumentare la pressione che il vaso aumenta di diametro, quando però si arriva intorno ai 200 mmHg, essendo un arteria il valore è più o meno questo in condizioni ottimali, la parete diventa di “vetro”, assolutamente inestensibile, potete aumentare la pressione all‟interno da 200 fino a circa 5000 mmHg e il sistema non da segni di cedimento, naturalmente se la parete è sana. Il margine di distensibilità è all‟interno di un range di pressioni che è la pressione fisiologica. E‟ raro che in un uomo sano ci siano picchi pressori superiori a 200 mmHg. Questo si verifica più o meno in due circostanze fisiologiche, una collera, ci possono essere picchi pressori intorno a 200 mmHg, ma soprattutto il picco più alto si ottiene se fate una scemata molto di moda nel nord Europa, cioè vi fate la sauna, quindi al caldo per un periodo di tempo e quindi grande vasodilatazione, dopo di che uscite all‟aperto e vi gettate nell‟acqua fredda, grande vasocostrizione che crea un aumento di resistenza, e se aumenta la resistenza per avere lo stesso flusso deve aumentare la pressione, e quindi otterrete picchi pressori di 220-230 mmHg. Se vi chiedete quali sono le popolazioni europee con il maggior numero di ictus celebrali da rottura di aneurisma ora sapete quali sono, al primo posto ci sono gli scandinavi. Questo un modo meraviglioso di mettere sotto tensione delle pareti arteriose, e se c‟è ne qualcuna un poco danneggiata con un picco di questo tipo il vaso cede e ve ne andate in ictus emorragico. Il comportamento è quello di un sistema che cede, se io all‟interno del vaso faccio aumentare e diminuire la pressione, faccio oscillare la pressione, e vado a misurare il raggio, osservo che se io la pressione la faccio aumentare e diminuire all‟interno del vaso, il raggio si comporta esattamente nello stesso modo, cioè tutte le volte che la pressione aumenta il raggio aumenta, tutte le volte che la pressione diminuisce il raggio diminuisce. Questo vuol dire che la parete ha comportamento elastico, cioè se la pressione aumenta si lascia distendere ma quando la pressione torna a diminuire si ha una restituzione di energia potenziale elastica e quindi il vaso riesce a tornare al suo diametro iniziale. Il che significa che in condizioni fisiologiche, all‟interno di questo range di pressioni (sino a 200 mmHg), tutte le volte che la pressione aumenta il vaso arterioso tende a distendersi, tutte le volte che la pressione diminuisce il vaso riduce il suo raggio e si riporta al valore iniziale. Questa è la legge di Hooke, che regola il comportamento dei sistemi elastici. Legge di Hooke : cioè tanto maggiore è la tensione che voi applicate ad un corpo elastico, tanto maggiore l‟energia che questo accumula e che oi vi restituisce nel momento che la forza applicata tende a diminuire. In altre parole una parte della forza applicata viene trasformata in energia potenziale elastica e quando questa forza applicata viene meno viene restituita questa energia potenziale elastica. Non è un elasticità perfetta ma non esiste nessun corpo in natura che ha un elasticità perfetta, se io prendo una palla da golf e la lascio andare cade a terra e rimbalza, se avesse un elasticità perfetta tornerebbe esattamente all‟altezza da cui è partita, cioè verrebbe restituita il 100% dell‟energia e se 18
fosse così, se avesse un elasticità perfetta, avrei inventato il moto perpetuo, andrebbe per l‟eternità avanti e indietro, invece piano piano si smorza, perde una piccola quota di questa elasticità e quindi il livello successivo è sempre un po‟ più basso del livello precedente, e se è più basso del precedente quando arriva a terra arriva con meno forza e prima o dopo si ferma. Il fatto che i vasi abbiano un comportamento di questo tipo li mette nelle condizioni di rientrare nella legge di Laplace. La legge di Laplace è la legge che regola il comportamento dei corpi distensibili facendo entrare in gioco tre forze. Immaginate un palloncino di gomma, dentro questo palloncino c‟è dell‟aria, faccio aumentare la pressione dell‟aria, questa pressione comincia a distendere il palloncino e osservo che, ovviamente, la distensione del palloncino di gomma ne fa aumentare il raggio, perché aumenta la dimensione del palloncino di gomma, essendo una sfera abbiamo due raggi di uguale dimensione, se fosse ovale avremmo un raggio più lungo e uno più corto, ma essendo una sfera i raggi sono gli stessi. Ad un certo punto però vedo che si ferma, significa quindi che la parete in qualche modo sta producendo una forza che si sta opponendo alla pressione e questa forza che si oppone alla pressione, quando i due vettori sono uguali ma in direzione opposta, la palla si ferma e non aumenta più di dimensioni. Si è raggiunto un equilibrio, la forza che tende a dilatare è la pressione che ha l‟aria all‟interno del sistema, la forza che si oppone, quella sviluppata dalla parete è la “tensione” che la parete sviluppa e che si oppone alla pressione. Viene fuori una formula che ci dice che la pressione è uguale a due volte la tensione, si mette il numero due perché ci sono due raggi di curvatura, fratto il raggio. Legge di Laplace: P= 2T/r Questa è la classica equazione postulata da Laplace che introduce alcuni concetti di estremo interesse, per esempio, prendete un palloncino di gomma sgonfio e cominciate a soffiarci dentro, osserverete che all‟inizio gonfiare il palloncino è molto faticoso, poi man mano che il palloncino si gonfia diventa sempre più facile far entrare aria, e ora si capisce il perché. Se il raggio è molto piccolo, basta una piccola tensione per opporsi alla pressione, ma man mano che il raggio aumenta la tensione necessaria per fronteggiare la pressione deve diventare sempre più alta e quindi la resistenza che io incontrerò soffiando dentro il palloncino sarà ovviamente più bassa. Altro esempio, le fanciulle sono soggette ad un rischio abbastanza elevato di andare incontro a una malattia vascolare che prende il nome di varici, nel territorio degli arti inferiori e in particolare della grande vena safena. Varici significa vaso che si è dilatato, vena che si è dilatata, l‟abbiamo incontrata di quando abbiamo parlato di Bernoulli, la parete cede, si dilata, il flusso rallenta, aumenta la pressione laterale, spinge ancora di più, si dilata ancora di più, si mette in moto un problema auto-sostentativo, una vena come la safena ha una parete discreta, c‟è connettivo, ci sono fibre collagene, ci sono fibre elastiche di una certa consistenza, eppure questa vena normalmente cede già a 25-30 mmHg, comincia a sfiancarsi quando la pressione arriva a 25-30 mmHg. Nel corpo umano esistono i capillari, i capillari hanno una parete inesistente praticamente, è formata da una cellula endoteliale che si avvolge su se stessa a manicotto e basta, non c‟è altro, non ci sono fibre collagene, non ci sono fibre elastiche, c‟è un'unica cellula che funziona da parete del capillare. Eppure i capillari del corpo umano resistono tranquillamente a pressioni di 50-60 mmHg senza problemi, nel rene è normale che nei capillari glomerulari ci siano queste pressioni intorno ai 60-70 mmHg. Quindi perché una vena che ha una parete così ben strutturata cede già a 20 mmHg e il capillare che ha una parete praticamente inesistente formata da un'unica cellula riesce a resistere a 19
pressioni 4-5 volte più alte? Vi faccio un'altra domanda, la parete che tensione deve produrre per resistere a una certa pressione? La risposta è: dipende dal raggio. Se il raggio è molto grande come nella safena, mm, ci vuole una grande tensione per resistere a 20 mmHg, ma se il raggio è molto piccolo basta la pochissima tensione sviluppata da una cellula endoteliale che io resisto a pressioni molto più alte. Questo mi mette in relazione la tensione di parete necessaria per resistere ad una certa pressione al raggio, se il raggio è grande ci vuole una grande pressione della parete per resistere ad una X pressione, man mano che il raggio diminuisce quella stessa pressione può essere tranquillamente fronteggiata da una tensione molto più bassa. Calcolando che la differenza di raggio è 8 micron contro 20000 micron, questa è la differenza tra la safena e il capillare, vi rendete conto che su queste basi c‟è un enorme differenza in fatto di tensione tra i due sistemi. Ricordatevi che nei vasi sanguigni non c‟è bisogno di mettere il due perché i vasi sanguigni hanno un solo raggio di curvatura, cioè quello trasversale, quello longitudinale è praticamente infinito e quindi non conta e quindi di fatto hanno solo un raggio di curvatura. L‟unica differenza che c‟è tra la legge di Laplace applicata ad una sfera e la legge di Laplace applicata ad un condotto è che nella sfera ci sono due raggi di curvatura, nel condotto c‟è ne uno solo. Esempio: una donna sta per partorire, l‟utero comincia a contrarsi, l‟utero lo possiamo immaginare come una struttura sferica, comincia a contrarsi e dentro si produce una certa pressione, in basso c‟è un buco e la pressione dovrebbe spingere il frutto dell‟amore dall‟interno verso l‟esterno, supponiamo che la pressione è scarsa, le contrazioni uterine non sono sufficientemente valide e il bambino non esce. Cosa si può fare per aiutarlo? Una vecchia metodica molto semplice: vi fornite di un ago o di qualcosa che assomigli a una punta, e attraverso il canale cervicale bucate la membrana amniotica del feto. Esce il liquido amniotico, e se esce il liquido amniotico il raggio diminuisce, e se il raggio si riduce, la stessa tensione prodotta dall‟utero, essendo diminuito il raggio, produce un aumento di pressione. In questo modo la stessa tensione, la stessa forza, applicandosi ad un volume minore crea una pressione maggiore e il bambino riesce, forse, a muoversi. Poi se non ci riesce con le buone si ricorre al vecchio metodo, si taglia e viene tirato fuori dall‟alto. Altro esempio: se metto in mano alla vostra collega un piccolo uovo lei stringe la mano e lo schiaccia. Poi le do un uovo più grande e vedo che l‟uovo non si schiaccia più. La mano produce la stessa tensione, ma il raggio diventa sempre più grande, e quindi la stessa forza, man mano che il raggio diventa più grande produce una pressione più piccola e prima o dopo non ce la fa a rompere l‟uovo. Ancora: un grande vantaggio filogenetico dei maschi rispetto alle donne è che possono fare la pipì in piedi, l‟urina esce dalla vescica e man mano che esce dovrebbe perdere pressione, se perde pressione perde distanza, se perde distanza c‟è il rischio di bagnarsi le scarpe. Eppure questo non si verifica, perché man mano che esce l‟urina il raggio della vescica diminuisce, e quindi la forza prodotta dal muscolo detrusore applicata su un volume minore produce una pressione che si mantiene abbastanza elevata da proteggere le scarpe. Un paio di esempi clinicamente rilevanti: abbiamo un bronco da cui originano due bronchioli preterminali e alla fine ci sono due alveoli pieni d‟aria. Negli alveoli c‟è una certa pressione dovuta all‟aria che è più o meno uguale. Durante la respirazione il polmone si dilata e si restringe, 13-14 volte al minuto, immaginate che durante uno di questi movimenti l‟alveolo di destra assuma una grandezza di 160 micron e quello di sinistra di 159 micron di diametro. Se uno è più piccolo e l‟altro è più grande, a parità di tensione applicata, all‟interno la pressione sarà diversa. Nell‟alveolo più piccolo la pressione sarà di poco più elevata di quella che c‟è nell‟alveolo più grande. 20
Per la legge di Hagen-Poiseuille sappiamo che c‟è un flusso tutte le volte che c‟è un gradiente di pressione, siccome qua si è creato un gradiente di pressione l‟aria andrà dal punto a pressione maggiore al punto a pressione minore, cioè dall‟alveolo più piccolo all‟alveolo più grande. Morale della favola si svuota l‟alveolo più piccolo e l‟altro diventa ancora più grande, che sarà in comunicazione con qualche altro alveolo che se è poco poco più piccolo si svuoterà anche lui, e quindi se fosse così noi avremmo 100 milioni di alveoli all‟inizio ma dopo un poco di tempo inesorabilmente avremo un unico grande alveolo a destra e un unico grande alveolo a sinistra. Diminuendo il numero di alveoli diminuisce la superfice di scambio aria-sangue e al di sotto di 30 m2 si muore, è una condizione incompatibile con la vita si chiama atelettasia polmonare, svuotamento polmonare. E‟ inevitabile che durante la respirazione possa avere un alveolo più grande di quello immediatamente vicino, non si può impedire che ciò avvenga. Osserviamo la formula di Laplace, cosa bisogna ottenere perché l‟aria non si muova? Bisogna evitare che si crei un gradiente di pressione, e lo si può evitare facilmente ottenendo la neutralizzazione di questo rischio facendo un giochino abbastanza semplice, tutte le volte che il raggio aumenta, cioè aumenta il denominatore, se io faccio aumentare anche la tensione, cioè il numeratore, se aumentano contemporaneamente numeratore e denominatore, il rapporto non cambia, la pressione non varia. Basta inventare un trucco per far aumentare la tensione tutte le volte che il raggio aumenta e contemporaneamente farla diminuire tutte le volte che il raggio si riduce. In questo modo co-variano numeratore e denominatore e quindi il rapporto resta uguale. Questo si ottiene per esempio mettendo negli alveoli un certo numero di molecole di tensioattivo, dipalmitoilfosfatidilcolina, in arte surfactante, prodotto dagli pneumociti di 2° tipo. Questo dipalmitoilfosfatidilcolina essendo polare, perché la fosfatidilcolina è solubile in acqua, l‟acido palmitico, l‟acido grasso, non lo è, e si va a mettere nella superfice che separa aria-acqua con la parte idrofila verso l‟acqua e la arte idrofoba verso l‟aria. Il surfactante indebolisce la tensione superficiale, più ce ne, di queste molecole tensioattive, più si riduce la tensione superficiale. Il numero di molecole di tensioattivo è un numero fisso, c‟è ne una certa quantità, quando l‟alveolo si ingrandisce, queste 100 molecole, dico 100 solo per darvi un numero, si disperdono in una superficie maggiore. Quando l‟alveolo diventa più piccolo queste 100 molecole invece si concentrano su una superficie minore, quindi la loro capacità di abbassare la tensione superficiale peggiora quando l‟alveolo di ingrandisce, perché si disperdono su una superficie maggiore e migliora quando l‟alveolo diventa più piccolo perché si concentrano su una superficie minore. Quindi ogni volta che io inspiro, il raggio aumenta, aumenterà la tensione superficiale, ogni volta che io espiro, il raggio diminuisce, diminuirà la tensione superficiale, ma siccome c‟è una covarianza di numeratore e denominatore il rapporto non cambia, la pressione rimane costante e io non corro il rischio che si formi un unico grande alveolo. Il rischio reale ce l‟ha un solo tipo di individuo, quello che nasce senza surfactante, e chi è che nasce senza surfactante, quello che nasce prima della 32° settimana, perché le cellule che producono il tensioattivo polmonare maturano intorno alla 32° settimana, 7° mese di gestazione. Quindi se un bambino nasce prematuro e non è ancora operativa la cellula, pneumocita di 2° tipo, che produce il tensioattivo, nasce senza tensioattivo, il che significa rischio elevatissimo di atelettasia polmonare, che in questo caso non si chiama atelettasia ma si chiama malattia delle membrane ialine, che è la principale causa di morte dei prematuri. Si cerca quindi di far sopravvivere il bambino nato prematuro per qualche giorno, il tempo che maturano i pneumociti di 2° tipo, in quanto appena maturano cominciano a produrre tensioattivo. Quindi inizialmente si può dare del tensioattivo artificiale, nel tentativo di ridurre un po la tensione superficiale all‟interno degli alveoli e ovviamente lo si fa respirare a pressione 21
positiva in quanto il bambino con i piccoli muscoli che ha non ce la farebbe a respirare. Se si riesce a farlo sopravvivere per due, tre settimane, il tempo che maturano gli pneumociti di 2° tipo, poi se lo fa lui il tensioattivo. Nel campo della circolazione del sangue la legge di Laplace ha un importanza particolare in una situazione dove abbiamo un arteria che si biforca formando un ramo a destra e uno a sinistra. Il sangue segue sempre la via a minore resistenza, quindi il flusso sarà maggiore laddove è minore la resistenza, e la resistenza sarà minore nel raggio maggiore. La legge di Hagen-Poiseuille ci dice che la resistenza è inversamente proporzionale al raggio, se il raggio è grande la resistenza è piccola, se la resistenza è piccola il flusso è maggiore. Quindi in questo caso il sangue che arriva andrà maggiormente nel ramo con il raggio maggiore, e quindi di resistenza minore, ricordatevi che Flusso = Delta T / r. Quindi il raggio aumenta, la resistenza diminuisce, il flusso aumenta. Quindi la distribuzione non sarà uguale, se entra meno sangue ci sarà una minore pressione laterale, e se c‟è una minore pressione laterale si distenderà meno, nell‟altro, dove entra più sangue, ci sarà una maggiore pressione laterale, siccome il vaso è elastico, distensibile, questo peggiora la situazione, da un lato diventa ancora più piccolo e dall‟altro lato diventa ancora più grande, morale della favola il flusso continua a peggiore nel vaso a raggio minore e continua ad aumentare nel vaso a diametro maggiore. Ad un certo punto questo vaso, diventa così piccolo che il sangue per entrare dovrebbe avere una pressione così alta che in realtà nel corpo non si raggiunge mai, per cui pur essendo questo vaso anatomicamente aperto il flusso non c‟è, perché la resistenza è così elevata, la legge di Laplace prevede una pressione così elevata che quella pressione, in condizioni fisiologiche, non si raggiungerà mai. Si viene a creare quella che si chiama “chiusura critica del vaso”. Il vaso poi all‟autopsia risulterà aperto, anatomicamente è pervio, ma il suo raggio essendo diminuito troppo ha creato il bisogno di una tale pressione che in condizione fisiologiche non si raggiunge, il sangue preferisce seguire sempre la via a minore resistenza, tutta la zona irrorata dall‟altro vaso diventerà ischemica. Questo si verifica ad esempio nella circolazione celebrale tutte le volte che c‟è un improvviso abbassamento di pressione, contrariamente a quello che si pensa, la circolazione celebrale resiste molto bene agli aumenti di pressione, a meno che non ci sia un aneurisma, cioè un danno del vaso, ma se i vasi sono sani gli aumenti di pressioni sono ben tollerati. Non tollera invece l‟improvviso abbassamento di pressione, provate a immaginare questi due vasi, basta che nel diminuire della pressione uno diventi poco più piccolo che si mette in moto questa spirale perversa e il vaso più piccolo non verrà più perfuso, va in chiusura critica, andrà in ictus celebrale, quel soggetto avrà un pezzo di cervello morto per ischemia, per mancanza di sangue e quindi di ossigeno, pur essendo anatomicamente pervio il vaso che lo rifornisce. Che fare? Sbloccare una situazione di queste non è facile, la cosa peggiore che si può fare è dare un vasodilatatore, perché il vasodilatatore agisce meglio sui vasi sani, agisce meglio su tutti gli altri per cui fa scendere ancora di più la resistenza e accentuate il furto di sangue. L‟unica cosa sicura da non fare è questa, meglio non fare niente. In ogni caso il vero problema è come riaprire un vaso di questo, per riaprire un vaso di diametro così piccolo ci vorrebbe una tale pressione che normalmente non si raggiungerà mai, quindi questo è un vaso perso per sempre, bisogna sperare nei circoli collaterali che in qualche modo riescano a far arrivare qualcosa in quei territori dove il circolo è ostruito. Su questo la legge di Laplace è implacabile, non c‟è niente da fare, non c‟è modo di aggirare il problema. Ripeto: qual è la principale conseguenza della legge di Laplace applicata alla circolazione del sangue? E‟ quello che si chiama in termine tecnico “chiusura critica dei vasi”, è un fenomeno emodinamico che si verifica tutte le volte che per un motivo qualunque un ramo al momento di una 22
biforcazione diventa più piccolo dell‟altro, siccome sono vasi distensibili le variazioni di raggio sono possibili. Se uno diventa più piccolo dell‟altro offre una resistenza maggiore, se offre una resistenza maggiore avrà una perfusione minore, se ha una perfusione minore viene dilatato di meno e si mette in moto Bernoulli in tutto il suo splendore e questo raggio continua a stringersi. Ad un certo punto il raggio diventerà così piccolo che la pressione necessaria per riaprirlo non si raggiungerà mai, cioè è perso per sempre. L‟unico modo per intervenire in questi casi, non è sperare che ci sia un aumento di pressione tale da farlo riaprire, impossibile, l‟unico modo è infilare un catetere, gonfiare un palloncino, distendere artificialmente il vaso, far aumentare il raggio in maniera tale da far superare il valore critico e poi una volta che siete sicuri che il raggio abbia raggiunto una dimensione accettabile, infilarci dentro un reticolo di metallo a memoria di forma, in modo tale che si distende e impedisce che ritorni a chiudersi, in termine tecnico quello che si chiama uno stent, e in questo modo il vaso che aveva raggiunto la chiusura critica può essere nuovamente riaperto e ri-perfuso. Il tutto deve essere fatto in minuti a livello celebrale, si può aspettare una mezz‟oretta a livello cardiaco delle coronarie, ma a livello celebrale un ipossia non può durare molto tempo. Sono quelle che in termine tecnico sono chiamate Strokunit, cioè unità specializzate nell‟intervenire nello strok, cioè nell‟ictus celebrale. Devono intervenire a tempo di record. Gli stent si possono usare facilmente quando il problema è di tipo arterioso, in quanto il vaso va a restringersi e la corrente circolatorio non può portarlo via, al contrario delle vene dove non si possono usare altrettanto facilmente, in quanto non restano in sito. Questo è l‟unico approccio possibile. Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte, il 50% delle persone che muoiono, muore per malattie cardiovascolari, all‟interno delle malattie cardiovascolari al primo posto c‟è l‟infarto del miocardio e al secondo l‟ictus celebrale, con una differenza importante, nell‟infarto miocardico se non si muore la guarigione è buona, nell‟ictus non è così, se non si muore e non si è intervenuti in tempo è gravemente invalidante, quindi è particolarmente importante intervenire in tempo. La legge di Laplace correla la tensione di parete, la pressione esistente all‟interno ed il raggio. Ci dice una cosa molto semplice, tutte le volte che la pressione aumenta il raggio tende a dilatarsi però questa pressione carica di energia potenziale elastica la parete e dopo un po‟ la tensione essendo aumentata fa fermare l‟aumento del raggio e si raggiunge un nuovo equilibrio. Se la pressione dovesse diminuire l‟energia potenziale elastica viene restituita e il raggio va a diminuire. Quindi nelle arterie del corpo umano, le vene un po‟ meno, tutte le volte che la pressione aumenta il raggio aumenta, tutte le volte che la pressione diminuisce il raggio diminuisce. Tutto questo se la parete è sana, se i vasavasorum sono danneggiati ed il trofismo della parete è andato a farsi benedire, per esempio la componente elastica non è più efficiente c'è una sclerosi di parete e la parete non si comporta più come dovrebbe, è quella che si chiama arteriosclerosi, soprattutto dei piccoli e medi vasi arteriosi, nei grandi vasi prevale l'aterosclerosi. Sino adesso la legge di Laplace ci ha spiegato due cose sulla circolazione, perché una vena che ha una parete molto più robusta si sfianca molto più facilmente di un capillare che ha una parete molto meno robusta, perché la parete delle vena è la parete di un vaso migliaia di volte più grande, essendo un vaso migliaia di volte più grande di un capillare per resistere alla pressione ci vuole una tensione migliaia di volte più grande, nel piccolo capillare, grande come un globulo rosso, 7-8 micron,il piccolissimo raggio crea la necessità di una piccolissima tensione per resistere ad una certa pressione. Non esiste con facilità lo sfiancamento di un capillare, facilissimo trovare lo sfiancamento di una vena, tra safena nelle donne e plesso pampiniforme nei maschi avete l'imbarazzo della scelta. Il secondo punto importante è rappresentato dalla chiusura critica, il 23
concetto di chiusura critica è un concetto di grande importanza clinica, non è necessario che l'arteria si ostruisca anatomicamente perché si crei un ischemia a valle, voi potrete avere un' ischemia assolutamente sovrapponibile a quella da coagulo in vasi anatomicamente pervi, basta una caduta di pressione, che è la cosa che si deve temere di più, un vaso diventa un po' più piccolo dell'altro e si mette in moto questa spirale perversa che porta ad un raggio così piccolo che ci vorrebbe una pressione così grande che il sangue semplicemente non ci va, segue la via a minore resistenza rappresentata da un‟alternativa. Se non viene dilatato quel vaso non si apre più, sino a 20 anni fa, prima dell'uso degli stent era impensabile salvare una vita, o almeno salvarlo funzionalmente, ridurre i danni da ictus, oggi è pensabile fare una cosa del genere. Cuore Il cuore prosaicamente è una pompa, per essere precisi sono due pompe, cuore destro e cuore sinistro, indipendenti ma sincroni, che pompano sangue rispettivamente uno nel grande circolo, aorta e rami dell'aorta e l'altro nel piccolo circolo polmonare e rami derivati dall'arteria polmonare. Ognuna delle due circolazioni finisce nell'altra, quindi ciò che nasce nel ventricolo sinistro finisce nel cuore destro e ciò che nasce nel ventricolo destro finisce al cuore sinistro. Il cuore classicamente è formato da tre componenti, dall'esterno verso l'interno c'è un sacco sieroso che si chiama pericardio, un bello strato di tessuto muscolare il miocardio, e poi all'interno uno strato unicellulare di tipo endoteliale che si chiama endocardio, è identico all'endotelio che troviamo nelle vene o nelle arterie. L'endotelio nel cuore non riveste solo le camere cardiache, ma riveste anche i muscoli papillari e le valvole che troviamo all'interno del cuore, cioè in condizioni fisiologiche il sangue deve essere a contatto solo ed esclusivamente con cellule endoteliali, questo è importante perché le cellule endoteliali producono NO, monossido di azoto, ed è ciò che impedisce al sangue di coagulare sino a quando si trova all'interno del torrente circolatorio. Quindi fino a quando il sangue è dentro il circolo è a contatto con l'endotelio, l'endotelio produce NO e l'NO impedisce la coagulazione, appena io buco un‟arteria o una vena, il sangue esce, non è più a contatto con l'endotelio, non c'è più l'NO e si mette in moto la cascata che porta alla coagulazione del sangue. La presenza di endotelio, che si chiama endocardio all'interno del cuore, è indispensabile perché senza un endotelio efficiente, sano, funzionante il sangue coagulerebbe. In altre parole tutte le volte che una patologia altera l'endotelio, in quel punto dove l'endotelio è alterato si crea un "vullus" si crea un punto che favorisce la coagulazione intra-vasale. Il coagulo intra-vasale si chiama trombo, ed è il meccanismo alla base dell'aterosclerosi. Se sostituiamo una valvola cardiaca, ad esempio la mitrale, con una artificiale che non è rivestita da endotelio, abbiamo il problema della gestione della coagulazione del sangue, sono costretti a fare per tutta la vita farmaci anticoagulanti perché nel momento in cui il sangue viene a contatto con la valvola non trova la classica produzione di NO e quindi in quel punto il sangue tenderebbe a coagulare. Nel momento in cui io diminuisco la capacità di coagulazione del sangue questa persona è più vulnerabile, se ha un‟emorragia per un motivo qualunque non reagisce come un soggetto sano, i tempi di coagulazione sono rallentati e quindi la quantità di sangue che perde prima che si formi un coagulo valido ovviamente è maggiore. Anche togliersi un dente non si può improvvisare, e prima di togliersi il dente deve fare un periodo di trattamento per rimettere in moto un‟adeguata coagulazione, avere a portata di mano del fattore ottavo pronto da iniettare in caso di emergenza perché il rischio è serio. L'alternativa è quella di trapianto di mitrale da cadavere, in questo caso è una normale valvola rivestita normalmente, non c'è più il problema dell'NO, ma c'è il problema del rigetto, e quindi invece di fare i farmaci anticoagulanti deve farsi i farmaci antirigetto. Se pesate il cuore il 94-95 % del peso è miocardio, del 3-4% che resta l'1 % è il sacco pericardico, 24
l'1% è endocardio, l'altro è rappresentato dalle strutture connettivali fibrose che formano le valvole, che sono una struttura particolare ,ma anche loro rivestite ovviamente da endocardio. Il cuore è una pompa periodica, alterna periodi di contrazione dette sistoli a momenti di rilasciamento dette diastoli.Esiste una porzione atriale e una porzione ventricolare, in posizione ortostatica l'atrio è sopra e ovviamente il ventricolo è sotto, appoggiato sul muscolo diaframma con il ventricolo sinistro. Osserviamo contrazioni dell'atrio distinte e separate dalle contrazioni del ventricolo, la muscolatura dell'atrio è indipendente dalla muscolatura del ventricolo, esiste un setto fibroso non muscolare che separa nettamente la muscolatura atriale dalla muscolatura ventricolare, per cui gli atri si contraggono per i fatti propri e i ventricoli si contraggono per i fatti propri. Sono coordinati ,ma sono due sistoli distinte e separate. L'atrio si contrae e si rilascia, sistole e diastole, e il ventricolo si contrae e si rilascia, sistole e diastole. Esiste una sistole atriale e una sistole ventricolare, una diastole atriale e una diastole ventricolare. La contrazione del cuore avviene in tre tempi, immaginate che tutto sia rilasciato, si contrae l'atrio e il ventricolo è rilasciato, fase 1, poi si contrae il ventricolo e si rilascia l'atrio, fase 2, poi si rilascia il ventricolo e per un po' di tempo è tutto rilasciato, fase 3. Frequenza media 70 battiti al minuto, 70 cicli cardiaci al minuto, quindi un ciclo cardiaco dura poco meno di un secondo, diciamo che dura circa 0,8 secondi. La sistole dell'atrio dura pochissimo, di solito 0,15 secondi, la sistole ventricolare dura circa 0,25, poi segue una fase che dura metà di tutto il ciclo cardiaco, 0,4 secondi, in cui è rilasciata sia la muscolatura atriale sia quella ventricolare. Non c'è nessuna attività muscolare né a livello atriale né a livello ventricolare. Questa fase in cui tutto è rilasciato si chiama diastole senza aggettivo. Il lavoro delle cellule cardiache è un lavoro estremamente limitato nel tempo, la maggior parte del tempo stanno in condizione di riposo. Se la frequenza aumenta l‟entrata in azione risulta anticipata. Ricapitoliamo: l'attività del cuore è un attività a tre tempi in cui si susseguono tre eventi precisi, partendo dal cuore tutto rilasciato, cioè dal cuore in diastole, la prima cosa che si osserva è la contrazione della muscolatura atriale, detta sistole atriale, dura poco, a riposo 0,15 secondi, alla fine della sistole atriale subito ha inizio la sistole ventricolare, e mentre avviene la sistole ventricolare si rilascia l'atrio. Appena finisce la sistole atriale inizia quella ventricolare e si rilascia l'atrio. La sistole ventricolare dura 0,25 secondi,dopo di che finisce con il rilasciamento del ventricolo, l'atrio è già rilasciato e il rilasciamento del ventricolo, cioè la diastole ventricolare, fa si che tutto il cuore sia in diastole, cioè nessuna cellula muscolare cardiaca è attiva. Sta così per circa metà del ciclo cardiaco e si ricomincia un‟altra volta. Non ci sono eccezioni, se per caso questo ritmo dovesse alterarsi il sistema diventa incompatibile con la vita. E' fondamentale che vengano rispettate queste modalità di contrazione, sistole atriale, sistole ventricolare e diastole. Concetto numero due, esistono gli atri, esistono i ventricoli (sinistro e destro), all'atrio destro arrivano le vene cave, all'atrio sinistro arrivano le vene polmonari, dal ventricolo sinistro esce l'aorta, dal ventricolo destro esce l'arteria polmonare. A metà c'è un setto che separa gli atri dai ventricoli fornito di buco che permette al sangue di passare dall'atrio al ventricolo. In ogni metà del cuore ci sono tre buchi, in alto quello che permette alle vene di far arrivare sangue all'atrio, ostio veno-atriale, poi c'è l'ostio atrio-ventricolare che permette al sangue di passare dall'atrio al ventricolo e poi c'è quello ventricolo-arterioso che permette al sangue di uscire dal ventricolo e di entrare nella circolazione. 4 soltanto di questi 6 buchi sono dotati di valvole e cioè troviamo valvole a livello del passaggio atrio-ventricolo, troviamo valvole a livello ventricolo-arteria, non ci sono valvole nell'ostio che 25
separa le vene dall'atrio, esistono dei residui di una vecchia valvola ormai scomparsa. Una valvola è un dispositivo che permette il flusso solo in una direzione e quindi le valvole tra atri e ventricoli per esempio permettono al sangue di andare dall'atrio al ventricolo senza difficoltà, ma non di andare dal ventricolo all'atrio. Le valvole presenti tra ventricolo e arteria permettono il libero passaggio dal ventricolo all'arteria,ma impediscono al sangue di tornare indietro. Non ci sono valvole al livello veno-atriale quindi qui il sangue può andare sia dalla vena all'atrio,ma sia a marcia indietro dall'atrio alla vena. Da che cosa dipende l'apertura o la chiusura delle valvole cardiache? Le valvole cardiache sono fatte da lembi, di solito tre ,tranne per la mitrale.Se la pressione è più alta a monte e più bassa a valle la valvola si apre, se la pressione è più bassa a monte e più alta a valle la valvola si chiude. La valvola permette il passaggio da monte a valle, ma impedisce il reflusso da valle a monte. E questo vale sia per le valvole atrio-ventricolari,sia per quelle semilunari. L'apertura e la chiusura delle valvola è solo un problema di gradiente pressorio, le valvole atrio-ventricolari si aprono tutte le volte che la pressione dell'atrio supera anche di un solo mmHg la pressione del ventricolo, si crea una deltaP e la valvola si apre e resterà aperta fino a quando c'è un gradiente pressorio fra atrio e ventricolo. Non appena il gradiente pressorio sparisce,la valvola istantaneamente si chiude e impedisce che anche una sola goccia di sangue possa tornare indietro, cioè dal ventricolo verso l'atrio. Stessa cosa succede con le semilunari, si aprono tutte le volte che la pressione nel ventricolo è più alta di quella che c'è nell'arteria, aorta o polmonare, e quando si annulla il gradiente pressorio istantaneamente le valvole si chiudono. La chiusura e l'apertura delle valvole è un fenomeno passivo, non dipende da muscoli, è solo un fenomeno emodinamico, non è legato all'intervento di particolari strutture muscolari, per esempio i muscoli papillari presenti nei ventricoli, non hanno il ruolo di far aprire o chiudere le valvole, l'apertura e la chiusura sono esclusivamente passive. Esempio: immaginate di costruire una valvola cardiaca, che separi un ambiente di sopra, un atrio, da un ambiente di sotto, un ventricolo, è presente un buco di un certo diametro, allora prendo della reticella metallica e la metto sotto il buco (reticella bucherellata), dentro la reticella bucherellata metto una pallina di ping-pong, la pallina è poco più grande del buco. Se la pressione è più alta di sopra, la pallina viene allontanata e il sangue passa, ma appena la pressione è più alta di sotto, la pallina viene spinta verso l'alto, il buco si chiude e non torna indietro niente. I lembi valvolari si aprono tutte le volte che la pressione a monte è maggiore, i lembi valvolari si chiudono tutte le volte che la pressione a valle è maggiore o semplicemente sparisce il gradiente pressorio. I muscoli papillari servono per un‟altra cosa, quando la valvola si chiude ermeticamente, siccome nel ventricolo ci sono pressioni elevatissime, il rischio è che i lembi si ribaltino nell'atrio, i muscoli papillari tengono in tensione i lembi valvolari per evitare che si ribaltino, ma non hanno il compito di farli aprire o farli chiudere ,servono solo da impedire che l'alta pressione intraventricolare possa fare ribaltare i lembi valvolari all'interno dell'atrio creando un guaio mortale. Non hanno compiti attivi nè nel processo di apertura né in quello di chiusura, sono solo fattori di sicurezza sulla stabilità dei lembi valvolari in fase di chiusura, non c'è differenza tra meccanismo di chiusura e apertura delle atrio-ventricolari e meccanismo di apertura e chiusura delle semilunari. Ripeto: le valvole si aprono tutte le volte che la pressione a monte è maggiore di quella a valle, le valvole si chiudono tutte le volte che la pressione a valle è più alta di quella a monte. Come sono le valvole durante il ciclo cardiaco? Partiamo dal momento più semplice quando tutto è rilasciato, nel lato sinistro la pressione nelle vene polmonari è di 2-3 mmHg, la pressione nell'atrio è di 1-2 mmHg, la pressione del ventricolo và da 0-1 mmHg, la pressione nell'aorta è 70 mmHg. Dall'altro lato è più o meno la stessa cosa, 2-3 26
mmHg nelle vene cave, 1-2 mmHg nell'atrio destro, 0-1 mmHg nel ventricolo destro, nell'arteria polmonare la pressione è di circa 10 mmHg, più bassa di quella dell'aorta,ma sempre molto di più di quella che c'è nel ventricolo destro. Tra atrio e ventricolo è più alta la pressione nell'atrio, quindi durante la diastole la valvola atrioventricolare, sia mitrale che tricuspide sono aperte, perché è più alta a monte e più bassa a valle. Le semilunari invece no, sono chiuse. Durate la diastole, sia a destra che a sinistra, arriva il sangue, entra, c'è un flusso in entrata, trova la valvola aperta e il sangue non si ferma a riempire l'atrio,mavà direttamente a riempire anche i ventricoli, sia a destra che a sinistra. Durante la diastole sia atrio che ventricolo si comportano come se fossero un‟unica cavità perché l'ostio valvolare è aperto e quindi il sangue non si ferma nell'atrio, ma và a riempire i ventricoli, è la fase in cui il ventricolo si riempie di sangue. Alla fine della diastole si contrae l'atrio, la contrazione atriale fa aumentare la pressione atriale, non di molto, 3-4 mmHg, le valvole atrioventricolari aperte erano e aperte restano, le semilunari chiuse erano e chiuse restano. Durante la sistole dell'atrio questo piccolo aumento di pressione che si verifica nell'atrio si limita a far entrare un po' più di sangue nel ventricolo, ma già il grosso del sangue, il 90 % del sangue che riempie il ventricolo è già entrato, l'ultima quota, l'ultimo 10 % di sangue lo fa entrare la sistole dell'atrio. In altre parole ,la sistole dell'atrio ai fini emodinamici è inutile, il riempimento del ventricolo non dipende dalla sistole atriale, il riempimento del ventricolo è passivo, si riempie passivamente durante la fase di rilasciamento del cuore, quindi se per una malattia qualunque l'atrio non dovesse funzionare più, fibrillazione atriale, non succede nulla di grave.La sistole atriale non è critica ai fini del riempimento ventricolare, gli aggiunge quel 10 % finale. Finita la sistole dell'atrio c'è la sistole del ventricolo, la pressione parte da 0-1 mmHg e comincia a salire sia a destra che a sinistra, appena arriva a 4 mmHg si chiude sia la mitrale che la tricuspide, non si aprono in contemporanea le semilunari, in quanto la pressione nell'aorta è 70 mmHg e nella polmonare è 10 mmHg, prima che si aprano queste due, nel ventricolo a sinistra bisogna arrivare a 70 mmHg e a destra bisogna arrivare almeno a 11 mmHg, quindi all'inizio della sistole del ventricolo si verifica subito la chiusura delle valvole tricuspide e mitrale, ma non contemporaneamente l'apertura delle due semilunari, per avere l'apertura delle due semilunari la pressione deve aumentare decisamente di più, quindi c'è una fase all'inizio della sistole in cui si è chiusa l'atrioventricolare, non si è ancora aperta la semilunare e il ventricolo diventa una cavità chiusa, niente può uscire e niente può entrare, si chiama sistole iso-volumetrica, a volume costante. Poi la pressione supera, anche di un solo mmHg ,la pressione che c'è nell'aorta e nella polmonare e quindi si aprono le semilunari e il sangue comincia ad uscire, le atrioventricolari sono chiuse e quindi indietro non può tornare. Durante la sistole ventricolare si verificano in ordine cronologico due eventi, la chiusura delle atrioventricolari, mitrale e tricuspide, un po' dopo,ma non contemporaneamente, l'apertura delle semilunari aortica e polmonare. Nell'intervallo di tempo che c'è tra la chiusura di una e l'apertura dell'altra, il ventricolo è una cavità chiusa e l'unica cosa che si verifica è un aumento di pressione. La muscolatura che si contrae agisce sul volume di sangue in essa contenuto e fa aumentare la pressione, quando la pressione supera il valore che c'è nell'aorta anche solo di un mmHg, si crea il gradiente che permette alle valvole di aprirsi e si ha la cosa più importante del ciclo cardiaco, una certa quantità di sangue viene pompato a sinistra nell'aorta e a destra nella polmonare, è questo l'evento importante, la fase di eiezione ventricolare, quando un certo volume di sangue lascia il ventricolo per entrare rispettivamente nel grande e nel piccolo circolo. Durante la sistole nel ventricolo esce sangue, diminuisce il raggio, per la legge di Laplace la pressione continua ad aumentare, quindi all'inizio la pressione è 70 mmH e si apre la valvola 27
semilunare, ma man mano che il sangue esce e il raggio diventa più piccolo la P diventa maggiore e si arriva a quei 120-130 mmHg che è la pressione sistolica massima. Il fatto che la pressione aumenti durate la sistole da 70 sino a 130 non dipende dal fatto che il muscolo si contrae più forte, la contrazione muscolare è costante nel tempo, dipende semplicemente dal fatto che essendo diminuito il raggio la pressione aumenta. La stessa forza applicata su un volume minore produce una pressione maggiore.Quando finisce la sistole la pressione del ventricolo comincia a diminuire, appena diventa 119 mmHg e qua è ancora 120 mmHg la valvola semilunare si chiude immediatamente per evitare che il sangue se ne ritorni nel ventricolo. E' fondamentale che la chiusura delle semilunari avvenga immediatamente alla fine della sistole ventricolare. Ripeto ancora una volta: a cuore rilasciato ci sono 2-3-4 mmHg di mercurio nelle vene, massimo 12-3 mmHg nell'atrio, 0-1 mmHg nel ventricolo, quindi la pressione è più alta nelle vene, nell'atrio un po' di meno,nel ventricolo ancora meno. Il ventricolo a riposo ha una pressione molto più bassa dell'arteria, quindi mentre le due atrioventricolari sono aperte, le due semilunari sono chiuse. Si contrae l'atrio, la sistole dell'atrio fa aumentare di poco la pressione nell'atrio, la situazione delle valvole non cambia, le atrioventricolari che erano aperte rimangono aperte, le semilunari che erano chiuse rimangono chiuse. Un po' più di sangue passa dall'atrio al ventricolo, ma niente di importante, quello che è importante è la sistole del ventricolo, il vero momento di pompa del cuore, un uomo può fare a meno della sistole atriale, si muore istantaneamente se sparisce la sistole ventricolare, la fibrillazione atriale è compatibile con la vita, la fibrillazione ventricolare no. Appena il ventricolo comincia a contrarsi, la pressione aumenta, appena la pressione del ventricolo supera quella dell'atrio la prima cosa che succede è che si chiudono tricuspide e mitrale, continuando però a salire la pressione bisogna aspettare un po' prima che si aprono le due semilunari. Appena la pressione ventricolare supera la pressione dell'arteria la semilunare si apre e un certo volume di sangue viene pompato a destra nella polmonare e a sinistra nell'aorta, questo è lo scopo del cuore, la cosiddetta eiezione sistolica ventricolare, di solito a riposo è di 70-75 ml di sangue. Durante la fuoriuscita del sangue il volume del ventricolo diminuisce, se diminuisce il volume diminuisce il raggio, se diminuisce il raggio la pressione continua a salire, quindi la pressione durante la sistole ventricolare continua a salire per tutta la durata della sistole raggiungendo i valori massimi, a sinistra 120-130 mmHg, a destra 20 mmHg. Alla fine della sistole del ventricolo la pressione comincia a diminuire, appena la pressione ventricolare è anche di un solo mmHg più bassa di quella arteriosa la valvola semilunare immediatamente si chiude e quindi alla fine della sistole la prima cosa che succede è che si chiudono le semilunari. Quindi le semilunari si chiudono quando il ventricolo sinstro è a 119 mmH e il ventricolo destro è a 19 mmHg. Queste pressioni però sono comunque molto più alte di quelle presenti nell'atrio, dove abbiamo 3-4 mmHg, quindi all'inizio della diastole, cioè alla fine della sistole ventricolare, è vero che si chiudono subito le due semilunari, ma non subito si aprono le due atrioventricolari, bisogna aspettare che la pressione del ventricolo crolli al di sotto di 2-3 mmHg, quindi meno di quella che c'è nell'atrio,affinché le due valvole, mitrale e tricuspide si possano riaprire. Sia all'inizio della sistole, sia all'inizio della diastole c'è una breve fase con tutte le valvole chiuse. All'inizio della sistole si sono già chiuse le atrio ventricolari ,ma non si sono ancora aperte le semilunari, all'inizio della diastole si chiudono subito le semilunari, ma non subito si aprono le atrioventricolari e quindi all'inizio della diastole abbiamo una diastole iso-volumetrica, nulla può entrare, nulla può uscire, può solo diminuire la pressione. E si ricomincia un‟altra volta. Quindi regola "aurea": nel ciclo cardiaco fisiologico esistono momenti in cui tutte le 4 valvole sono chiuse, non esistono mai momenti in cui tutte e 4 le valvole sono aperte. Le valvole si aprono sempre a coppia, mentre la 28
coppia atrioventricolare è aperta,l'altra deve essere chiusa e viceversa, quando si apriranno le semilunari devono essere chiuse le atrioventricolari. Esiste, invece, una condizione in cui tutte le valvole sono chiuse, all'inizio della sistole , sistole iso-volumetrica, e all'inizio della diastole, diastole iso-volumetrica. Primo evento della sistole ventricolare=chiusura delle atrioventricolari, primo evento della diastole ventricolare=chiusura delle semilunari, quindi all'inizio della sistole del ventricolo si chiudono le atrioventricolari, all'inizio della diastole, o se preferite alla fine delle sistole del ventricolo, si chiudono le semilunari. I lembi valvolari quando si chiudono vibrano e vibrando fanno rumore, quindi appoggiando un fonendoscopio sento TumTum---TumTum, l'intervallo non è uguale, sento TumTum intervallo lungo TumTum intervallo più lungo. Il primo dei due è il rumore che fanno la mitrale e la tricuspide chiudendosi, il secondo rumore è quello che fanno le semilunari chiudendosi. Il primo intervallo dura quanto dura la sistole ventricolare, cioè 0,25, il secondo intervallo dura da 0,25 all'altro che è la durata di tutta la diastole ventricolare,se preferite intervallo sistolico tra il primo e il secondo, intervallo diastolico tra il secondo e il primo tono successivo perché è in diastole. Se vogliamo sapere quanto dura la sistole di un ventricolo di un paziente, basta misurare l'intervallo di tempo tra il primo e il secondo tono, la diastole comincia con il secondo tono e finisce con il primo tono successivo. E' importante che tra primo e secondo tono, intervallo sistolico, e poi fra secondo tono e primo tono successivo, intervallo diastolico, non si senta nulla, se si dovesse sentire qualcosa non è normale e questo qualcosa che si sente si chiama soffio.
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Lezione 4 Abbiamo introdotto l‟altra volta il ciclo meccanico del cuore elemento chiave per comprendere la fisiologia cardiovascolare, abbiamo fatto alcune precisazioni: il 94% del cuore è costituito da tessuto muscolare,miocardio, questo tessuto muscolare si divide in due parti abbastanza nettamente: una parte minoritaria costituisce la muscolatura dei due atri e una parte maggioritaria costituisce la muscolatura dei due ventricoli e le due muscolature sono indipendenti, o quasi. Questo significa che gli atri si contraggono e si rilasciano indipendentemente dalla contrazione e dal rilasciamento dei due ventricoli. In un uomo normale il ciclo meccanico del cuore è formato da 3 eventi: la contrazione o sistole atriale seguita dalla contrazione o sistole ventricolare e mentre avviene la sistole del ventricolo l‟atrio si rilascia, quindi va in diastole, e alla fine della sistole del ventricolo c‟è una lunga fase che dura circa metà del ciclo cardiaco in cui si rilascia il ventricolo e l‟atrio rimane ancora rilasciato, cioè c‟è una lunga fase diastolica in cui nessuna cellula cardiaca è in contrazione. Questa lunga fase diastolica ha una grande importanza perché permette al ventricolo di riempirsi di sangue in modo tale che alla sistole successiva abbia un contenuto che possa essere spremuto per poterlo eiettare all‟interno del torrente circolatorio. Le due metà del cuore pur essendo separate rigidamente, una metà contiene sangue arterioso (metà sinistra) e l‟altra sangue venoso (metà destra),ovviamente le due metà non possono comunicare perché si creerebbe quella che viene definita anastomosi arterovenosa cioè miscelazione di sangue arterioso con sangue venoso che non è fisiologica. Comunque pur essendo indipendenti le due metà del cuore sono sincrone. Infatti atrio destro e sinistro si contraggono in maniera sincrona e allo stesso modo ventricolo destro e sinistro si contraggono in maniera sincrona. In ciascuna delle due metà del cuore esistono 3 aperture:
La prima nell‟atrio permette alle vene di fare arrivare il sangue al cuore; La seconda mette in comunicazione l‟atrio con il ventricolo; La terza mette in comunicazione il ventricolo con l‟arteria.
Queste 3 aperture a destra e a sinistra sono dotate di valvole, non tutte e 6 perché le valvole che si trovavano nella filogenesi allo sbocco delle vene negli atri sono regredite, nei mammiferi sono ormai dei residui filogenetici. Dunque delle 3 aperture 2 sono fornite di valvole che garantiscono una uni direzionalità del flusso, quindi la presenza di una valvola tra atrio e ventricolo significa che il sangue può andare dall‟atrio al ventricolo ma non viceversa. Allo stesso modo il fatto che c‟è una valvola tra ventricolo e arteria(le semilunari) significa che il sangue può passare dal ventricolo all‟arteria ma ovviamente non può ritornare indietro nemmeno una goccia perché le valvole hanno una chiusura ermetica che non permette nemmeno a una goccia di poter ritornare a monte(useremo sempre l‟espressione a monte e a valle di una valvola per indicare la direzione fisiologica del flusso). Es. per la mitrale, a monte significa dalla parte dell‟atrio a valle dalla parte del ventricolo; la semilunare aortica a monte significa dal lato del ventricolo e a valle dal lato dell‟aorta. Questo significa che quando si contrae l‟atrio un po‟ di sangue può tornare indietro nelle vene, perché tra atrio e vene non ci sono valvole e quindi può esserci una bi direzionalità del flusso, le pressioni sono bassissime e se è basso il gradiente pressorio è basso pure il flusso quindi quello che ritorna indietro è insignificante, ma un po‟ di reflusso teoricamente è presente. 30
Le valvole cardiache sono formate da connettivo fibroso e sono rivestite da endotelio, in questo caso da endocardio. Il connettivo dà loro robustezza e l‟endocardio permette al sangue di non coagulare quando viene a contatto con i lembi valvolari. Una lesione dell‟endocardio che riveste le valvole, una patologia di questo endocardio, patologia spontanea o iatrogena, cioè causata dal medico, per esempio infilate un catetere nel cuore per fare una coronarografia o per impiatere dei pacemaker e la punta del catetere graffia la superficie valvolare, rovina la continuità dell‟endocardio lì si può creare un punto di aggregazione fibrinica e quindi un trombo. Fisiologicamente un trombo si verifica quando c‟è il contatto del sangue con una struttura che non è l‟endotelio, nel caso del cuore endocardio, quindi non c‟è NO(ossido di azoto) e coagula. All‟interno dei vasi anche in condizioni ottimali il sangue tende a coagulare se scorre troppo lentamente, anche se la parete dei vasi è sana e il sistema è perfettamente normale e quindi il sangue ha una normale coagulabilità, i vasi sono sani ma se il sangue scorre troppo lentamente questo favorisce la coagulazione intravasale e quindi la trombosi. I coaguli tendono a chiamarsi coaguli fuori dai vasi e trombi dentro i vasi. Un trombo può stare fermo o staccarsi e diventa un embolo solido. Esistono emboli di varia natura: solidi, liquidi, gassosi; un trombo è un embolo solido, una gocciolina di grasso è un embolo liquido che non si scioglie in acqua e una bolla d‟aria o di azoto, come succede nei sub che risalgono troppo velocemente, formano un embolo gassoso. Emboli liquidi sono l‟unica cosa da temere nelle fratture, si rompe l‟osso un po‟ di midollo giallo di natura lipidica viene a contatto con il torrente circolatorio e se una di queste gocce di grasso finisce in circolo diventa un embolo e se questo ostruisce un arteria significativa i danni possono essere mortali per una banale frattura. Uno dei punti deboli del sistema circolatorio è rappresentato dalla pianta dei piedi, qui ci sono veri e propri laghi venosi, il loro raggio è grande e la velocità del sangue è bassa e si possono formare dei coaguli, solo che il problema non si pone perché di solito sui piedi ci camminiamo e questa “pressione” ritmica che si ha sulla pianta del piede fa uscire il sangue ed evita che ci sia una stasi nella pianta del piede e previene il rischio. Quindi qual è il rischio per una persona tenuta a letto per 2-3 giorni per esempio dopo un intervento chirurgico? Che quando scenderà dal letto e mette il piede a terra in quei laghi si sono formati dei trombi e nel momento in cui si schiacciano si mobilizzano,diventano emboli, seguiranno il circolo, raggiungono le vene cave cuore destro e quindi l‟embolia si avrà a livello del piccolo circolo con embolia polmonare e morte per asfissia. La prima cosa da fare è la mobilizzazione di questi pazienti in quanto è un rischio reale post-operatorio e quindi se non si possono alzare bisogna far fare una fisioterapia alla pianta del piede per mobilizzare la pianta del piede e prevenire la formazione di trombi prima ed emboli dopo. Altro esempio, l‟atrio si contrae e si rilascia, ma se l‟atrio va in fibrillazione atriale praticamente resta fermo, se resta fermo, il diametro è grande, la velocità del flusso è bassa, si creano tutte le condizioni per favorire una coagulazione intra-atriale e si forma un coagulo dentro l‟atrio. In presenza di una fibrillazione atriale il rischio è reale, se questa viene curata subito non ci sono problemi ma nel caso in cui è ormai cronicizzata da qualche mese non si deve più curare perché se facciamo ripartire la contrazione dell‟atrio e si è formato un bel coagulo se è nell‟atrio destro embolia polmonare, se è nell‟atrio sinistro embolia sistemica. Tanto la sistole dell‟atrio non ha un grande ruolo quindi meglio non fare nulla che creare un danno. Ritorniamo alle valvole cardiache 3 su 4 sono a nido di rondine, triangolari, il triangolo è la forma ideale perché i 3 lembi formano un triangolo equilatero e funzionano bene, quella un po‟ più “scarsa” è la mitrale che ha 2 soli lembi. I lembi si devono aprire quando la pressione è più alta a 31
monte e più bassa a valle e tutti i lembi si devono poi chiudere ermeticamente, cioè devono combaciare perfettamente quando il gradiente di pressione si inverte cioè è più alto a valle e più basso a monte. Quindi quando abbiamo la diastole di tutto il cuore, noi abbiamo nelle vene pressioni bassissime 3-4 mmHg, 2-3 mmHg nell‟atrio, 1-2 mmHg nel ventricolo e nelle arterie 70mmHg nell‟aorta e 10mmHg nell‟arteria polmonare. Quindi è evidente che le due valvole sia a destra che a sinistra avranno condizioni diverse. Nelle valvole atroventricolari la pressione un po‟ più alta a monte un po‟ più bassa a valle quindi quando tutto è rilasciato queste sono aperte. Viceversa nelle due valvole semilunari la pressione è molto più bassa a monte e molto più alta a valle quindi sono chiuse. Quindi durante la diastole del cuore le valvole atrioventricolari mitrale e tricuspide sono aperte mentre le due semilunari aortica e polmonare sono chiuse. Successivamente scatta la sistole dell‟atrio e la pressione aumenta di 2-3mmHg arrivando a 5-7mmHg quindi non aumenta molto quindi la valvola atriventricolare rimane aperta e ci può essere un po‟ di reflusso di sangue verso le vene perché la pressione nell‟atrio diventa leggermente più alta e poiché nelle vene non ci sono valvole è possibile che avvenga. Mentre nel ventricolo non succede nulla in quanto la pressione resta sempre bassa e le valvole semilunari rimangono chiuse. Quindi sia durante la diastole, sia durante la sistole del solo atrio la situazione delle valvole resta invariata. Poiché le atrioventricolari sono aperte si ha che atrio e ventricolo sono un‟unica cavità e il sangue non si limita a riempire l‟atrio, ma trovando la valvola aperta va a riempire direttamente i ventricoli, mentre ovviamente le valvole semilunari sono chiuse. Quindi il riempimento dei ventricoli non permette il passaggio di sangue nell‟ arteria poiché la semilunare è chiusa, se queste valvola non fosse ermeticamente chiusa il sangue tornerebbe dall‟arteria al ventricolo, quindi è fondamentale che queste valvole siano ermeticamente chiuse proprio per evitare il reflusso di sangue. A questo punto inizia la sistole del ventricolo e inizia ad aumentare la pressione nel ventricolo e quando questa supera quella dell‟atrio a questo punto poiché la pressione a valle diventa più alta di quella a monte le valvole si chiudono. Quindi il primo evento della sistole ventricolare è la chiusura delle valvole atrioventricolare, tricuspide e mitrale. Questo evento è importante non solo per la chiusura delle valvole ma anche perché questo violento movimento dei lembi delle valvole che si chiudono che vengono portate dal basso verso l‟alto creano una vibrazione che produce un rumore che si può udire facilmente appoggiando un fonendo sul torace che si chiama: primo tono cardiaco. La valvola si chiude ma non avviene la contemporanea apertura delle semilunari perché quando la pressione nel ventricolo è 4-5mmHg è sufficiente a far chiudere le atrioventricolari ma non è sufficiente ad aprire la semilunare dove abbiamo una pressione di 70mmHg, e dovrebbe arrivare almeno a 71mmHg. Quindi c‟è una fase all‟inizio della sistole ventricolare dove le atrioventricolari sono già chiuse e le semilunari non sono ancora aperte quindi il ventricolo in questo momento è una cavità chiusa e nulla può entrare e nulla può uscire e il volume del ventricolo non si può modificare, ma continua a contrarsi ed essendo pieno di sangue ed essendo il sangue un liquido e quindi non comprimibile il volume non può variare poiché tutte le valvole sono chiuse e l‟unica cosa che succede è un aumento di pressione che però permettera prima o dopo di fare aprire le 2 valvole semilunari, a destra la polmonare e a sinistra l‟aortica. Una volta che si sono aperte il sangue comincia ad uscire dal ventricolo, e questo è il vero per cui esiste il cuore un certo volume di sangue viene pompato a destra nella polmonare e a sinistra nell‟aorta. Il cuore deve pompare un certo volume di sangue un certo numero di volte al minuto per garantire un flusso cioè una 32
circolazione all‟interno del sistema. Questa fase si chiama eiezione ventricolare permetterà ad un certo volume di sangue di uscire dal ventricolo verso le arterie, di solito esce poco più della metà del volume di sangue contenuto nel ventricolo, se per esempio ne contiene 150ml ne uscirà poco più della metà, attenzione durante la sistole il ventricolo non si svuota ma ne fa uscire circa una metà chiamata frazione di eiezione compresa tra il 50-55% a riposo in un soggetto sano. Quando finisce la sistole il ventricolo non è vuoto ma di quei 150ml ne sono rimasti circa 70ml quindi nel riempimento successivo non ne devono entrare 150ml ma soltanto la differenza che è uscita nella sistole precedente, dunque esiste un residuo post-sistolico,cioè una certa quantità di sangue dentro il ventricolo alla fine della sistole che è rimasta lì nella diastole successiva e a questo residuo postsistolico si aggiungerà nuovo sangue che arriva con le vene sia a destra che a sinistra. È importante questo residuo post-sistolico perché per il fatto che il ventricolo non si svuota completamente o per lo meno ne esce la metà, ci fa capire che l‟altra metà è una specie di riserva da utilizzare nei momenti di bisogno. Basta aumentare la forza con cui il ventricolo si contrae, per esempio se sto salendo le scale ed effettuo uno sforzo si nota come il residuo post-sistolico non è più il 50% ma scende al 40- 30 -20% cioè utilizzo una maggiore quantità di sangue che utilizzo per lo sforzo che devo compiere. Meno del 50% non è normale, cioè una persona che dopo la sistole ha fatto uscire meno del 50% non è un cuore normale, perché a riposo la frazione di eiezione normale deve essere del 50-55%. A riposo non c‟è bisogno del 55%, si può chiudere un occhio fino al 45% ma al di sotto del 45% è un cuore che non funziona. È fondamentale valutare la frazione di eiezione perché fornisce una misura dell‟efficienza della muscolatura ventricolare che rappresenta la cosa più importante che fa il cuore, spremere un certo volume di sangue verso le arterie. Quindi un soggetto che ha il fiatone dopo che fa 4 gradini o comunque una serie di segni che potrebbero essere compatibili con una sofferenza cardiaca, conviene fare una misurazione che si chiama “frazione di eiezione”. Questa si calcola misurando il volume totale massimo la diastole, che è di 150 ml, misurare il volume minimo durante la sistole, 70ml, fare la differenza e poi bisogna fare una proporzione: 150:100=70:x Questa è la frazione di eiezione. Il volume ventricolare si misura con l‟ecocardiografia (più o meno raffinata),cioè o semplice ecocardiografia o associata a doppler. L‟ecocardiografia è un uso su un particolare apparato che si chiama cuore della più generica forma di indagine che si chiama ecografia. L‟ecografia si può fare al cuore ma anche alla vescica, cistifellea ecc.. L‟ecografia sfrutta un fenomeno banale che è rappresentato dal fatto che quando un‟onda meccanica, come la voce, onda di compressione e rarefazione, viaggia e incontra un ostacolo, come una parete, una parte dell‟onda prosegue, ma una parte dell‟onda viene rimandata indietro. Una parte viene rifratta e prosegue e una parte viene riflessa cioè torna indietro. La parte che prosegue a sua volta se incontra un altro ostacolo di nuovo una parte viene rifratta e una parte viene riflessa, per cui se io emetto delle onde meccaniche avrò tante riflessioni di queste onde, tante eco che tornano indietro, per quanti ostacoli incontro, prima o dopo naturalmente questa onda si esaurirà, perderà la sua energia e a un certo punto non avrò più nulla. 33
Da cosa dipende la percentuale di onda rifratta e la percentuale di onda riflessa? Dipende essenzialmente dalla densità dell‟ostacolo, se l‟ostacolo è poco denso molta prosegue e poca torna indietro. Viceversa se l‟ostacolo è molto denso molta torna indietro e poca prosegue. Quindi il rapporto rifrazione-riflessione dipende molto dalla densità dell‟ostacolo. Facciamo un esperimento: prendo un pallone da calcio ed emetto la mia voce e vado a vedere se il pallone da calcio riesce e rimandare indietro una parte delle onde che io emetto, mi accorgo che non ce la fa, forse perché è troppo piccolo. Quindi prendo un pallone più grande e con questo riesco ad avere un eco cioè una parte delle onde che ho emesso torna all‟indietro. Dunque oltre alla densità ha un ruolo la dimensione, ma la dimensione rispetto alla lunghezza dell‟onda, e chiaro che se ho un‟onda in metri e un ostacolo in cm non succede niente, perché devo avere un ostacolo con una dimensione comparabile alla lunghezza d‟onda che io sto utilizzando. Se io sono alla ricerca di piccoli noduli tumorali della dimensione di mm, non posso di certo usare la voce umana, cioè onde di 1000Hz-2000Hz. Ragioniamo, 1000Hz vuol dire 1000 onde al secondo, in un secondo la mia voce che si propaga nell‟aria fa 340 m/s, se io emetto una frequenza di 1000Hz ogni onda sarà un millesimo di 340 metri cioè ogni onda sarà lunga 0,34 metri. Ecco perché il pallone di calcio è inutile ma dovrei usare delle onde più corte con frequenze più alte. Ma per poter vedere gli ostacoli di mm non posso usare frequenze di migliaia di Hz ma devo usare frequenze di milioni di Hz.
Un ecografo scarso: 3-4 MHz; un ecografo accettabile:9-10 MHz; un ecografo ad altissima risoluzione che è in grado di intercettare ostacoli di dimensioni piccolissime, lavoriamo sui:30-40MHz(si usano in oculistica).
Come si produce un‟onda di 30-40MHz? Cioè un‟oda di 1000Hz è più intuitiva, prendo un corpo e lo faccio vibrare 1000 volte al secondo, un diapason lo faccio vibrare. Ma come si fa a fare vibrare un corpo 40 milioni di volte o 20-30 milioni di volte al secondo? Naturalmente non a mano ma si usa un metodo infallibile, che è un metodo fisico chiamato piezoelettricità. Che cos‟è la piezoelettricità? La piezoelettricità è un fenomeno estremamente interessante, è una proprietà dei cristalli. I cristalli sono delle strutture molecolari particolari, in cui gli atomi che formano il cristallo mettono in comune l‟elettrone terminale della propria orbita in maniera tale che questo elettrone gira prima attorno ad un atomo e poi attorno all‟ altro. In questo modo si creano dei legami fra i vari atomi e si crea una struttura cristallina abbastanza stabile. Il problema è che gli atomi nell‟orbitale più esterno elettroni ne hanno 2, quindi 1 lo mettono in comune mentre l‟altro avanza e quindi in tutti i reticoli cristallini esiste una certa quantità di elettroni non legati in maniera forte alla struttura e questi elettroni sono facilmente spostabili. Come si possono spostare? Per esempio il modo più semplice per fare spostare questi elettroni è prendere il cristallo e schiacciarlo applicando una pressione per questo si chiama piezoelettricità, piezo=pressione. Se schiacciamo un cristallo di qualunque tipo ,come un brillante,cristallo di carbonio, gli elettroni liberi si mettono in movimento e si crea una corrente elettrica, quindi se applico sul cristallo una pressione che sale e scende cioè lo schiaccio e lo rilascio più volte e vado a vedere cosa succede vedo che si crea una corrente elettrica perfettamente in fase. Tutte le volte che la pressione aumenta gli elettroni si muovono in una certa direzione, tutte le volte che la pressione diminuisce gli elettroni si muovono 34
in direzione diversa. La cosa interessante è che questo fenomeno è biunivoco cioè se prendiamo un cristallo e lo facciamo attraversare da una corrente elettrica e questa corrente sale e scende (es. +5volt, -5volt, +5volt e così via) e andiamo a vedere come si comporta il cristallo, si nota che questa corrente elettrica fa modificare la dimensione del cristallo, gonfia quando il voltaggio sale (perché si spostano gli elettroni) e diminuisce di volume quando il voltaggio scende. Cioè alle variazioni di elettricità corrispondono delle variazioni di pressione, di dimensione del sistema. A questo punto se voglio un onda di un milione di Hz, prendo un cristallo di silice lo faccio attraversare da una corrente elettrica che sale e scende 10 milioni di volte al secondo, quindi il cristallo si contrae e si rilascia 10 milioni di volte al secondo e di conseguenza le particelle vicino a lui subiranno compressione e rarefazione 10 milioni di volte al secondo e si propagheranno in tutte le direzioni. (prende un cellulare in mano dice che con il telefono noi comunichiamo,quindi parlo e sento, all‟interno ci sono circuiti elettrici, quindi i miei suoni devono diventare segnali elettrici, quindi all‟interno del microfono vi è un cristallo di quarzo arriva la voce che sono onde meccaniche,compressione e rarefazione, il cristallo in fase alla frequenza della voce subirà variazioni di pressione e quindi genererà dei segnali elettrici. Ho convertito onde meccaniche in segnali elettrici. Dall‟altro lato c‟è l‟auricolare che deve fare esattamente il contrario, riceve segnali elettrici e deve produrre suoni, sarà presente un altro quarzo così arrivano segnali elettrici fanno vibrare il cristallo e genera dei suoni). Quindi come è fatto un ecografo? Un ecografo possiede un quarzo, un circuito elettrico che mi produce una certa corrente elettrica con una certa frequenza, che decido io, per es. 10milioni di Hz si genera questa corrente che va al quarzo che si contrae e si rilascia 10 milioni di volte e quindi genera degli ultrasuoni che si propagano. Quando raggiungono l‟ostacolo una certa quota di questi torna indietro e me ne accorgo mettendo un altro quarzo e quando raggiungono questo altro quarzo lo fanno vibrare, la vibrazione genera un segnale elettrico e quindi bisogna fare la differenza temporale di quando sono partiti e quando sono tornati divido per 2 e conoscendo la velocità e il tempo posso conoscere la distanza in cui si trova l‟ostacolo. È importante perché su questo si fonda tutta la moderna diagnostica: prendo il mio quarzo e una sonda che fa partire gli ultrasuoni, si appoggia al centro del torace e faccio partire gli ultrasuoni. Gli ultrasuoni incontreranno una serie di ostacoli come lo sterno, dietro c‟è la parete anteriore del cuore, quindi una serie di ostacoli non solo a distanze diverse ma anche a densità diverse, una cosa è l‟osso e una cosa è la parete del ventricolo. Allora faccio partire gli ultrasuoni e al primo ostacolo che incontra ritorna indietro il primo eco, e si nota un picco che esprime il primo ostacolo, dopo un po‟ ne arriva un altro dopo un altro ancora e così via. Si osserva come questi picchi non sono diversi solo per distanza della loro posizione sulle ascisse, ma anche per l‟ampiezza. Le ascisse mi dicono a che distanza è, e l‟ampiezza mi esprime la densità, più ampio è più ne sono tornate indietro maggiore è la quantità di riflessione che c‟è stata mentre più bassa è meno ne sono tornate indietro cioè minore è stata la quantità di rifrazione. Questo metodo inventato una trentina di anni fa è stato chiamato metodo A, a cui èseguito un altro metodo chiamato metodo B. Entrambi hanno un significato perché A significa ampiezza, perché la densità dell‟ostacolo viene codificata sottoforma di un ampiezza maggiore o minore.
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Dopo un po‟ di tempo entrò in vigore il metodo B che consiste nel fare partire gli ultrasuoni, questi tornano indietro però questa volta non li rappresento come un‟onda di una certa ampiezza, ma li rappresento sotto forma di un puntino più o meno luminoso. Quindi anziché vedere 3 picchi vedrò 3 puntini, il primo di media luminosità, il secondo poco luminoso e il terzo molto luminoso, ovviamente più è luminoso più è denso l‟ostacolo incontrato e quindi maggiore è la quota di riflessione. B in inglese sta per brightness (luminosità), quindi la codificazione della densità dell‟ostacolo non è più sottoforma di un‟ampiezza maggiore o minore di un‟onda riflessa, ma sottoforma di una maggiore o minore luminosità di un puntino. Perchè utilizzare il puntino? Perchè manca una variabile che col puntino luminoso possiamo rappresentare. Se faccio partire gli ultrasuoni, prima sbattono contro lo sterno, poi contro la parete del cuore. Dove sta la differenza tra sterno e parete del cuore? Lo sterno è fisso, la parete del cuore no.Quindi, in certi momenti essa rappresenterà un certo ostacolo, diverso da quello che era un momento prima o un momento dopo.Gli organi sottoposti a movimenti ciclici come li posso studiare? Ecco qui il perché di tale sistema che utilizza puntini luminosi. Questi puntini luminosi li faccio cadere su di un foglio di carta sensibile alla luce e poi questo foglio lo faccio scorrere, quindi nell‟istante successivo ci saranno altri puntini. Il puntino cuore si sposta, quindi nel tempo la parete anteriore del cuore e quella posteriore descriveranno delle strane forme che mi permetteranno di misurarmi il diametro minimo, durante la sistole, ed il diametro massimo, durante la distastole. Posso così facilmente calcolarmi i volumi sia diastolici che sistolici che ognuna delle cavità è in grado di accogliere durante il ciclo. Se non avessi il metodo che sfrutta la luminosità, la dimensione tempo, cioè come cambia la morfologia di questa immagine in funzione del tempo, non la potrei rappresentare. Posso misurare anche quanto si apre la mitrale, se si apre normalmente o meno. L‟ecocardiografia rappresenta un grandissimo ausilio per lo studio di una di queste funzioni. Allora converrebbe usare ecografi ad altissima frequenza? Dobbiamo considerare un problema, più alta è la frequenza meno strada fa il suono, quindi se utilizziamo una frequenza troppo alta studiamo solamente i primi 3-4 mm a partire dall‟ecografo e dopo non vedremmo più nulla. Se vogliamo,invece, studiare un ostacolo che si trova ad una distanza maggiore di 3-4 mm, dobbiamo abbassare la frequenza, così la dimensione minima dell‟ostacolo che possiamo studiare comincia a crescere, aumenta la minima distanza risolubile. Compromesso tra precisione, vale a dire alta frequenza e arrivo all‟ostacolo. Gioco tra due variabili: minima distanza risolubile, che richiede alte frequenze, altissima definizione, ma così facendo perdo in distanza, ostacoli oltre una certa distanza non vengono dunque colti. I ginecologi logicamente utilizzeranno frequenze basse, gli oculisti frequenze elevatissime, tutto dipende dalla dimensione di ciò che voglio esplorare. La regola è questa:più lontano devo arrivare, più sono costretto ad abbassare la frequenza, ma se abbasso la frequenza perdo in definizione, perdo il dettaglio, l‟ostacolo rilevabile è un ostacolo un po‟ più grossolano. Qual è una possibilità che grazie all‟ecografo possiamo utilizzare? Possiamo utilizzare un fenomeno interessante che si chiama effetto doppler. Esso è un fenomeno che ci permette di cogliere un altro aspetto dell‟ecografia, cioè quando un‟onda urta un ostacolo che in quell‟istante si sta muovendo, non è fermo, è in allontanamento o avvicinamento rispetto alla sorgente. Perchè è importante l‟effetto doppler? Se l‟ostacolo si muove, l‟onda che torna indietro non ha la stessa frequenza di quella che è partita, leggermente di più o leggermente di meno, dipende rispettivamente dal fatto che l‟ostacolo sia in avvicinamento o allontanamento. Inoltre, più veloce è l‟allontanamento o l‟avvicinamento, maggiore è la differenza di frequenza. Quindi, non solo mi accorgo che è in movimento, ma sulla base della variazione di frequenza posso anche dire la velocità con cui si sta allontanando o avvicinando. Se si allontana=perdo frequenza, se si avvicina=aumenta la frequenza e 36
la quantità in più o in meno è funzione della velocità. Una cosa che si muove velocemente e mi permette di sfruttare tale effetto sono i globuli rossi quando escono dal ventricolo e vengono pompati dentro l‟arteria ,vediamo infatti questo spruzzo di eritrociti che lasciano il ventricolo per entrare nell‟arteria, se seguo con gli ultrasuoni questi eritrociti che si muovono ovviamente, a seconda di come posiziono la sonda, ricordiamo che l‟aorta ha uno strano tragitto, sale verso destra, gira e poi scende da sinistra, per cui a seconda di come metto l‟ecografo posso far si che essi mi vengano addosso o vederli in allontanamento e a questo punto riceverò indietro un eco che avrà una frequenza leggermente diversa in base alla velocità. Se programmate, inoltre, le macchine moderne lo fanno di norma, possiamo anche inserire pseudocolori, per esempio tutte le volte che il sangue viene verso di voi, lo fate apparire di colore rosso, se in allontanamento possiamo farlo apparire di colore blu. Possiamo così visualmente renderci conto se c‟è un flusso verso di noi o in allontanamento. Facciamo un esperimento, supponiamo di voler sapere esattamente quando il suo ventricolo sinistro si contrae quanto sangue viene pompato nell‟arteria, cioè il volume di sangue pompato, posso fare due cose: o prendo il ventricolo durante la diastole, il volume complessivo, poi lo prendo durante la sistole, faccio la differenza e lo calcolo, oppure se io lo metto alla radice dell‟aorta, esattamente dove l‟aorta lascia il ventricolo sinistro, con l‟ecografia posso fare due cose: con l‟eco misuro il diametro dell‟aorta, con il doppler misuro la velocità con cui il sangue esce durante la sistole, 20 cm al secondo. Se misuro il diametro, posso misurare la sezione dell‟aorta, quindi conosco la base, conosco l‟altezza, basta moltiplicarli ed ottengo il volume sistolico,cioè quanto sangue è stato pompato nell‟arteria nell‟unità di tempo. Cos‟è l‟ecocardiografia? L‟ecografia applicata al cuore, che mi permette in primis di studiare i volumi cardiaci, che poiché variano durante la sistole e durante la diastole, io sono costretto ad utilizzare un metodo detto B, che mi permette di seguire le variazioni di posizione degli ostacoli in maniera tale da creare un‟immagine dinamica delle posizioni dei vari ostacoli. L‟inclinazione è il vero limite delle varie ecocardiografie, perché l‟inclinazione si stabilisce a mano, per cui vi è un margine di errore insito nel metodo. Non si è trovato ancora un modo per rendere tale approccio più oggettivo, meno diverso da soggetto a soggetto, prima variabile dunque è la mia mano, la seconda variabile è il cuore dei vari pazienti che sono diversi, unendo queste due variabili si ha un po‟ di imprecisione. L‟ecocardiogramma è un‟ecografia e l‟ecografia è in grado di sfruttare il fenomeno della riflessione delle onde meccaniche, uno dei problemi dell‟ecografia è il fatto che le onde meccaniche hanno un problema, viaggiano con una velocià che varia in base al mezzo in cui viaggia. 340 metri al secondo è la velocità di un suono nell‟aria, ma se la facessi viaggiare nell‟acqua il valore sarebbe più o meno 4 volte più alto e se la facessi viaggiare in un solido, per esempio un metallo, la velocità sarebbe più o meno 10 volte maggiore. Se vi chiedo, quanto è lunga un‟onda se il suono è a 1000 Hz? Un‟onda dura un millesimo di secondo, e quanto è lunga? In un millesimo di secondo se quel suono viaggia nell‟aria ha fatto 34 cm, se viaggia nell‟acqua 1,2 m, se viaggia in un metallo 3,30 m. E‟ la stessa onda che ha lunghezza diversa, per questo non si usa il parametro lunghezza d‟onda, perché non avrebbe senso, si preferisce usare il parametro Hz, frequenza, perché mi dà un valore che non cambia, ma quanta strada fa dipende se è gas, solido o liquido. Se io applico una sonda al vostro collega, ho un problema di partenza, il suono inizia nell‟aria e poi entra nel suo corpo che è fatto principalmente da acqua, già questo crea un problema, per evitare quest‟errore prendo un gel ricco di acqua, lo cospargo sul torace e poi immergo la sonda all‟interno di questo gel in maniera tale che già in partenza la propagazione sia acqua-acqua e creo un‟omogenietà. Bisogna essere sicuri che tutte le propagazioni vengano ad essere considerate come 37
in acqua, vale a dire con una velocità di propagazione a metà tra minima e massima che un‟onda meccanica può raggiungere. Tolte queste variabili di errore il metodo è piuttosto preciso e mi consente una serie di valutazioni. Facciamo un esempio: la vostra collega sta visitando un paziente che si sospetta abbia una parziale occlusione della carotide, prende la sonda, usa frequenze alte perché la distanza è circa 2 cm, la poggia sulla carotide e fa partire i suoi ultrasuoni, primo ostacolo la parete più vicina, secondo quella più lontana, se vi è un coagulo dentro o un trombo può fare due cose, con l‟eco misura quanto spazio è occupato dal coagulo e con l‟effetto doppler studia un altro fenomeno, siccome si è ristretto il lume, nel punto in cui il raggio è più basso, la velocità aumenta e tale effetto mi permette di sapere esattamente di quanto aumenta questa velocità, quindi se si creano o meno turbolenze. Oppure visita una ragazza che teme abbia le varici, poggia la sonda lungo il tragitto della safena ad esempio e vede se le valvole tengono o no, se lei prende la gamba della ragazza e la solleva il sangue dovrebbe tendere a muoversi centripedamente, se l‟abbassa il sangue dovrebbe andare dall‟alto verso il basso. Se io metto un eco e il sangue non torna indietro l‟effetto doppler mi dà zero, ma appena c‟è reflusso vi è movimento, vi è velocità e l‟effetto doppler lo segnala. Un vecchio metodo consisteva nel mettere due dita in corrispondenza della lacuna vasorum e chiudere con una pressione applicata con le due dita le vene, se le chiudiamo il sangue sale, ma non passa,quindi si accumula,a questo punto emerge se le valvole tengono o no, se tengono non può tornare indietro, vicersa ritorna e non vedrò mai la vena gonfia, manovra di TRENDELENBURG, mi permette di valutare facilmente lo stato di continenza della valvole venose nel territorio della grande safena, ormai non si utilizza più. L‟ecografia mi permette di poter analizzare il cuore ed avere una serie informazioni lungo il ciclo meccanico e durante il ciclo meccanico emerge un dato preciso che vi riassumo. Questa è la durata di un ciclo del cuore, 0,8 secondi a riposo: la sistole atriale dura 0.15, la sistole ventricolare 0.25, 0.40 la diastole di tutto. La metà del tempo il cuore lo spende con tutta la muscolatura rilasciata e anche quando lavora una cellula dell‟atrio lavora per 0.15 secondi su 0.8, mentre una cellula del ventricolo 0.25 su 0.8. A noi interessa a questo punto collocare l‟apertura e la chiusura della valvole ed il momento critico è la sistole del ventricolo. Le valvole che separano gli atri dai ventricoli, le atrioventricolari, si chiudono istantaneamente all‟inizio della sistole ventricolare, mentre le valvole semilunari si apriranno con un certo ritardo, quindi vi è una fase iniziale della sistole ventricolare a volume chiuso, a sistema chiuso, atrioventricolari chiuse, semilunari non ancora aperte, sistole isovolumetrica. Con l‟apertura successiva della valvola il sangue fuoriesce, alla fine della sistole avviene istantaneamente la chiusura delle semilunari, mentre un po‟ dopo avverrà l‟apertura delle atrioventricolari, per cui anche all‟inizio della diastole c‟è una fase in cui si sono chiuse le semilunari, ma non si sono aperte ancora le atrioventricolari, il ventricolo ancora una volta è una cavità chiusa. Quindi, sia all‟inizio della sistole che all‟inizio della diastole, esiste una fase detta isovolumetrica in cui il ventricolo è completamente chiuso ed il sangue non può nè entrane nè uscire, le uniche cose che posso avvenire sono variazioni di pressione dentro il ventricolo, durante la sistole è una pressione che và a salire, durante la diastole và a crollare, perché il muscolo si è rilasciato e non vi è più produzione di energia. Quando le valvole si chiudono si producono i toni cardiaci. Il primo tono cardiaco viene prodotto dalla chiusura delle atrioventricolari, il secondo dalla chiusura delle semilunari, rispettivamente all‟inizio della sistole e alla fine della sistole ventricolare o all‟ inizio della diastole (è la stessa cosa). I due suoni sono separati da un intervallo piuttosto breve e poi tra il secondo suono ed il primo successivo passerà, invece, un po‟ più di tempo. L‟intervallo tra primo e secondo è la durata della sistole ventricolare, l‟intervallo tra la fine del 38
secondo tono e l‟inizio del primo tono successivo è tutto il tempo necessario affinché parta una nuova sistole ventricolare, cioè il ventricolo è in diastole e quindi il primo intervallo (tra primo tono e secondo tono) si chiama sistolico e il secondo intervallo (tra secondo tono e primo tono del ciclo successivo) si chiama diastolico. Con l‟orecchio non si sente altro, con le apparecchiature particolari, fonocardiografi, è possibile sentire anche un terzo tono e quarto tono, il terzo è dovuto all‟apertura della valvola atrioventricolare che aprendosi fa passare velocemente il sangue, si crea un po‟ di turbolenza e questa crea un po‟ di rumore, il quarto tono invece, è dovuto alla sistole dell‟atrio che fa accelerare un po‟ il passaggio di sangue, un po‟ di turbolenza e anche qui un suono. Il primo tono è più forte, il secondo un po‟ meno. Fisiologicamente la regola è una: fra primo e secondo tono e tra secondo tono e primo successivo non si deve sentire nulla. Se si sente qualcosa questo rumore anomalo prende il nome di soffio, che si distingue in soffio sistolico e soffio diastolico, sistolico quando si sente tra primo e secondo tono, diastolico quando si sente tra secondo tono e primo successivo. Cosa esprimono i soffi? La maggior parte sono innocui, non esprimono patologie significative, una parte però è espressione di malattie della valvole cardiache, delle due atrioventricolari, mitrale o tricuspide, o di una delle due semilunari,polmonare o aortica. Cosa vuol dire patologia valvolare? La valvola deve fare due cose con chiarezza, aprirsi bene quando deve essere aperta e chiudersi bene quando deve essere chiusa. Esistono dunque due patologie valvolari una collegata ad una non corretta apertura, l‟altra collegata ad una non corretta chiusura. Quando non si apre tutta è chiaro che il sangue passa con difficoltà, ha a disposizione un orifizio di dimensioni inferiori a quelle fisiologiche, lume stenotico, questo tipo di patologia prende il nome di stenosi valvolare, la velocità, essendo il lume più piccolo, sarà maggiore, essendo la velocità maggiore si supera il numero di Reynolds, se si supera tale numero si crea una turbolenza e sento un soffio. Il secondo compito della valvola è chiudersi bene, ermeticamente, nemmeno una goccia di sangue deve refluire, se ciò non avviene ho reflusso, la patologia della valvola in questo caso prende il nome di insufficienza valvolare. Se torna indietro il sangue,il buco è piccolo,la velocità è alta,si supera il numero di Reynolds e quindi sento un soffio, un rumore collegato alla turbolenza quando questo sangue torna indietro attraverso la valvola imperfettamente chiusa. Quindi sono possibili due patologie valvolari: stenosi, una imperfetta apertura, o l‟ insufficienza, una imperfetta chiusura.Siccome vi sono 4 valvole esistono 8 malattie:stenosi mitralica,insufficienza mitralica,stenosi tricuspidale,insufficienza tricuspidale,stenosi aortica,insufficienza aortica,stenosi polmonare e insufficienza polmonare.Per essere precisi esiste una terza condizione chiamata steno-insufficienza,entrambe le patologie contemporaneamente. Come faccio a distinguerle e a sapere quale sia la valvola che ha generato il soffio? Sento un soffio, ma vi sono 8 possibilità.La diagnostica teorica è facile e la regola è semplice,sposto il fonendoscopio fino a trovare il punto in cui il soffio si sente più forte e siccome le 4 valvole non sono tutte nello stesso punto,a seconda di dove trovo il suono più forte è facile attribuire quel soffio ad una delle 4 valvole. Anatomia topografica:torace,sterno,il cuore è esattamente dietro allo sterno un po‟ inclinato a sinistra appoggiato sulla cupola diaframmatica,le 4 valvole giacciono tutte sullo stesso piano,quello che separa gli atri dai ventricolo,le atrioventricolari su questo piano hanno l‟apertura verso il basso,le semilunari hanno l‟apertura verso l‟alto perché sia aorta che polmonare vanno dal basso
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verso l‟alto e in più dal ventricolo sinistro l‟aorta fa uno strano giro e la polmonare lo fa esattamente al contrario per cui i punti che corrispondono alle 4 valvole sono abbastanza facili da trovare: -Secondo spazio intercostale,linea margino sternale destra=focolaio di auscultazione della semilunare aortica; -Secondo spazio intercostale,lineamarginosternale sinistra=semilunare polmonare;la polmonare nasce dal ventricolo destro,ma si sente a sinistra,l‟aorta,nasce dal ventricolo sinistro,ma si sente a destra; -Quarto spazio intercostale,lineamarginosternale destra=focolaio di auscultazione della tricuspide; -Quinto spazio intercostale,lineaemiclaveare detta anche mammaria=focolaio di auscultazione della mitrale; Se fate sdraiare un maschio a dorso nudo a livello di quest‟ultimo punto riuscite a vedere l‟itto del cuore,la punta del cuore,se è abbastanza magro,nelle donne, cadendo sulla mammella, vi è qualche problema sterico. Se, ad esempio, il soffio si sente meglio sul secondo focolaio dobbiamo capire se si tratta di stenosi o insufficienza e dobbiamo capire se siamo in sistole,tra primo e secondo tono, o in diastole,tra il secondo ed il primo successivo.Ragioniamo:in sistole la mitrale deve essere aperta o chiusa? Chiusa,se quando deve essere chiusa sento un soffio stiamo logicamente parlando di insufficienza mitralica;altro esempio:soffio sistolico su focolaio aortico,in sistole la valvola aortica deve essere aperta,se sento soffio=stenosi. La cosa più difficile rimane tuttavia sentire un soffio. Quindi,ricapitoliamo molti soffi non sono dovuti a danno valvolare, ma a fenomeni innocui quali ad esempio turbolenze che si creano per motivi banali, si chiamano soffi innocenti,diventano patologici quando esprimono un dannovalvolare. Nella steno-insufficienza sentiamo il soffio sia in sistole che in diastole sullo stesso focolaio.
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Lezione 5 Abbiamo già introdotto il ciclo meccanico del cuore e detto che, questo fenomeno periodico, in un adulto avente, in condizioni di riposo, una frequenza di circa 70 battiti al minuto, ha una durata in un singolo ciclo di poco meno di un secondo (0,8 sec). Questo ovviamente non è il ruolo standard nel momento in cui iniziamo a svolgere uno sforzo aerobico che prevede lunghe prestazioni nel tempo (maratona, ciclismo). Osserveremo infatti un abbassamento della frequenza cardiaca a riposo (un professionista di livello internazionale ha una frequenza cardiaca inferiore ai 40 battiti al minuto). Ad esempio, un ciclista del passato, Miguel Indurain, aveva, in piena attività, una frequenza di 32 battiti al minuto, ovvero un ciclo ogni due secondi. Non si trattava però di una caratteristica genetica in quanto, nel momento in cui ha smesso di svolgere la sua attività agonistica, la frequenza cardiaca è risalita e adesso, che fa il radiocronista sportivo, è di 70 battiti al minuto. Non era quindi una differenza legata a qualcosa di strutturale ma, era la sua frequenza cardiaca che si era adattata alla sua attività. L‟adattamento persiste fino allo svolgersi dell‟attività, nel momento in cui quest‟ultima cessa, viene meno anche l‟adattamento. Una delle cose che poi più avanti dovremo cercare di capire è quale sia il vantaggio per un ciclista o in generale per chi fa sforzi aerobici, di avere un abbassamento, un adattamento della frequenza cardiaca a riposo. Ricordiamoci che l‟allenamento è una forma particolare di adattamento ad una condizione che noi dobbiamo imporre al nostro organismo. Il punto da cui invece noi oggi dobbiamo partire è una domanda banale, facendo riferimento al fatto che, ogni 0,8 sec c‟è una sistole atriale, ovvero si eccita la muscolatura atriale, poi si ha una sistole ventricolare, quindi si eccita la muscolatura ventricolare, poi c‟è una fase di riposo (circa la metà di questi 0,8 sec) e poi si ricomincia. La domanda è: ma questi periodici fenomeni di contrazione e rilasciamento, sistoli e diastoli, chi li ordina, chi ha il compito di indurre questo periodico contrarsi e rilasciarsi della muscolatura cardiaca? Non è pensabile che abbiamo muscoli anarchici, ci deve essere una formula di controllo. Breve accenno alle cellule staminali Se noi ad esempio, prendiamo un embrione e andiamo a vedere in esso la nascita del cuore, è possibile notare che le prime cellule cardiache nascono prima della formazione del sistema nervoso, ma nonostante questo, esse sono già in grado ritmicamente di contrarsi e rilasciarsi. Recentemente, l‟anno scorso, è stato assegnato il Premio Nobel per la fisiologia e la medicina al giapponese Shinya Yamanaka, grande esperto di cellule staminali. Lui è riuscita a fare qualcosa che ha dell‟incredibile: ha preso una cellula staminale adulta da un individuo (prima ha fatto lo stesso esperimento sui topi), l‟ha fatta regredire fino allo stadio di cellula embrionale, e poi l‟ha fatta differenziare in un altro tipo cellulare, ad esempio una cellula cardiaca. La cosa che più lo sorprese fu che, nel momento in cui la cellula staminale si differenziò in cellula cardiaca, questa cominciò a battere,a contrarsi spontaneamente. Questa tecnica è di straordinaria importanza perché ha due vantaggi: nel passato, il problema dello studio delle cellule staminali nasceva dal fatto che le cellule staminali migliori sono quelle embrionali, per cui il problema etico derivava dalla necessità di doversi procurare questi embrioni.
Un embrione viene definito tale fino alla 12° settimana di gestazione per cui lo ottengo o mediante aborto spontaneo (ma di solito in questi casi, l‟embrione non è sano altrimenti non avremmo avuto l‟aborto spontaneo) o sfruttando gli embrioni surgelati ottenuti mediante tentativi di fecondazione assistita in cui, a fecondazione riuscita, disponendo già di altri 41
embrioni utilizzabili per altri eventuali tentativi, i genitori, soddisfatti di ciò che hanno ottenuto, non vogliono più quell‟embrione. Questi embrioni vengono tenuti sotto azoto liquido ( questi rallenta enormemente i processi degenerativi) e se ne hanno diverse centinaia di migliaia sparse per il mondo. Nonostante i genitori non li vogliano, di fatto sono una loro proprietà e sono destinati ad andare incontro a degenerazione nel giro di qualche centinaia di anni. Questo ha sollevato enormi problemi etici, ovvero se fosse il caso di utilizzare cellule umani provenienti da embrioni che erano stati “ripudiati” dai rispettivi genitori, per fare diversi esperimenti. Il secondo problema è dato dal fatto che, anche se io riesco ad ottenere questa cellula embrionale, nel momento in cui io la impianto in un altro individuo, non trattandosi di una cellula del suo corpo, si avrà una reazione di rigetto (come avviene nel caso dei trapianti). Questi due problemi, con il metodo di Yamanaka, sono stati risolti brillantemente; primo perché io prendo una cellula dello stesso individuo, per cui non avrò mai una reazione di rigetto, secondo perché faccio regredire questa cellula a livello embrionale e poi la faccio differenziare in quello che mi serve. In realtà però, non è poi così facile perché, fino a quando si tratta di farla regredire a livello embrionale non si hanno problemi, la difficoltà sta nel farla differenziare in quello di cui io necessito. Infatti, non conosciamo ancora abbastanza tutti i sistemi molecolari per guidare un processo di differenziazione; per cui alla fine, su mille tentativi, ne riesce uno, due allo stadio attuale. Inoltre, prima di mettere una cellula embrionale in un individuo, bisogna ricordare che sono anche le cellule da cui derivano tutti i tumori. Di conseguenza, se io impianto una cellula embrionale, posso riuscire a sanare ciò che era danneggiato ma posso anche incorrere nel riesco di far venire un tumore al paziente (un po‟ di sana prudenza bisogna sempre tenerla presente). In realtà la situazione è poi ancora più complicata perché la tecnica di Yamanaka, che sembra avere risolto dei problemi etici, può generarne altri. Fra questi, uno dei più interessanti e anche molto pericolosi, consiste nella possibilità di poter differenziare la cellula embrionale di un individuo in spermatozoo, così da poterlo utilizzare per determinare la gravidanza in una donna. Farò differenziare la cellula in un gamete e utilizzerò quest‟ultimo per ottenere della prole che, nel momento in cui facciamo il test di paternità, mi permetterà di identificare come padre proprio quell‟individuo. Tornando al nostro discorso: da cosa dipende l’automaticità del ritmo cardiaco? Sicuramente non dipende dal sistema nervoso in quanto il cuore embrionale inizia a battere prima che si sia differenziato il sistema nervoso. Inoltre, il cuore riceve fibre nervose attraverso i nervi cardiaci e il nervo vago, e se noi operiamo il taglio di questi nervi, osserviamo che il cuore continua a battere. Ciò sta a significare che il battito cardiaco non viene ordinato dall‟esterno attraverso le fibre nervose che il cuore riceve, per cui sarà lui stesso a determinare il battito, a disporre al suo interno di un qualche meccanismo in grado di produrre ritmicamente e periodicamente l‟eccitazione cardiaca.
Questa capacità di autogenerare il ritmo cardiaco, viene definita come dipendente dalla presenza di un induttore ritmico che prende il nome di pacemaker o segnapassi. Nel cuore avremo quindi una struttura in grado di operare questo effetto. Nelle pareti cardiache, soprattutto in quelle dell‟atrio, ci sono dei neuroni piccolini che sono in realtà il secondo neurone della via parasimpatica (cioè quando le fibre parasimpatiche dirette al cuore, raggiungono il cuore con il nervo vago, queste non vanno direttamente ad innervare le cellule
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muscolari cardiache, ma fanno sinapsi con questi piccoli neuroni, per cui si avranno dei gangli decentrati sulle pareti del cuore). Per cui, si era inizialmente pensato che i responsabili di questa autoeccitabilità del cuore fossero queste cellule nervose. In realtà non è così perché, come abbiamo già precedentemente detto, le cellule nervose si differenziano dopo rispetto alle cellule muscolari cardiache, che si contraggono prima che si siano differenziati i neuroni intramurali (sono soltanto dei regolatori del ritmo per cui, alcuni fungeranno da freno, altri da acceleratori, così che il ritmo possa diminuire o aumentare). Per cui la domanda non è relativa a ciò che regola questo ritmo ma a ciò che lo crea. La risposta ci è stata data da degli anatomici che, molti anni fa, scoprirono che le cellule muscolari del cuore non sono tutte uguali. La maggior parte delle cellule cardiache del miocardio, sono molto simili alle cellule muscolari rosse dei muscoli striati. L‟unica differenza è relativa alla lunghezza (maggiore in quelle muscolari striate), in quanto sono delle cellule molto piccoline e mononucleate perché, durante lo sviluppo embrionale, non avviene il processo di fusione mediante i mioblasti che invece caratterizza le cellule striate. Sono inoltre cellule piene di mioglobina che, dal momento che contiene ferro, mi conferisce il classico colore rosso alla cellula (nel caso dell‟eritrocita, la stessa colorazione sarà determinata dall‟emoglobina). Queste cellule rappresentano il 95-96 % delle cellule del muscolo cardiaco, tuttavia esiste un 3-4 % di cellule muscolari cardiache diverse: sono sempre cellule muscolari (derivano anch‟esse dai mioblasti cardiaci embrionali) ma sono caratterizzate da poca mioglobina per cui, non avranno il tipico colore rosso scuro tipico delle cellule muscolari cardiache, ma appariranno di colorazione pallida (sono facilmente riconoscibili). Inoltre, al loro interno hanno un apparato contrattile (miofibrille, sarcomeri) piuttosto carente e rudimentale e di conseguenza non avranno la stessa efficienza contrattile delle altre cellule. L‟aspetto però interessante, che le rende uniche nel loro genere, è data dal fatto che: se io prendo una cellula del normale muscolo cardiaco, quella rosso scura (detta cellula del miocardio comune), e la isoliamo in vitro, vedremo che questa cellula non si contrae; se invece, prendiamo una di queste cellule pallide e piuttosto rudimentale in termini contrattili, e la isoliamo in vitro, osserveremo che questa cellula si contrae ritmicamente. Ciò sta a significare che, questa proprietà di contrarsi ritmicamente in modo autonomo, senza segnali dall‟esterno (autoeccitabilità), non è una caratteristica di tutte le cellule muscolari cardiache (il 95-96 % di esse non la possiede), ma appartiene soltanto a questa particolare popolazione di cellule muscolari cardiache (4 %) che in anatomia è chiamata miocardio specifico. Le altre cellule, quelle del miocardio comune, possono essere eccitate ma, l‟eccitazione deve essere determinata dall‟esterno, in quanto da sole, spontaneamente, non sono in grado di autoeccitarsi. Il modello che quindi nasce spontaneo sarà dato da questo 3-4 % di cellule che non sono altro che il pacemaker dell‟altro 95 %, in quanto, eccitandosi autonomamente, “contagiano” e diffondono l‟eccitazione alle cellule del miocardio comune che quindi saranno costrette ad seguire il ritmo delle cellule del miocardio specifico.
Ecco perché, le cellule del miocardio specifico vengono anche definite cellule pacemaker, e sono le cellule in grado di fornire il ritmo a tutto il sistema. L‟eccitazione si propaga cellula dopo cellula e, partendo da quelle del miocardio specifico, ovviamente verranno poi coinvolte anche quelle del miocardio comune secondo dal legge del tutto o nulla: basta eccitare una qualunque cellula del miocardio specifico che, essendo le cellule a contatto fra di loro, inesorabilmente tutte le cellule dell‟atrio o del ventricolo verranno eccitate. In altre parole, se io considero i muscoli striati, io modulo la loro forza in base alle mie necessità mediante il reclutamento cellulare: se ho bisogno di poca forza recluto poche cellule, se ho bisogno via via di più forza, recluto più cellule.
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Questo meccanismo nel cuore non avviene per cui, o eccito tutte le cellule cardiache o nessuna; non posso quindi dosare la forza giocando sul numero e quindi sul fenomeno del reclutamento. La forza verrà reclutata in un altro modo in quanto, dal punto di vista funzionale il miocardio si comporta come se fosse un sincizio, ovvero un‟unica grande cellula: basta eccitarne una, non importa dove si trovi, che inesorabilmente l‟eccitazione si propaghi così che tutte le cellule siano eccitate. Le cellule del miocardio specifico (4 %-5% ovvero circa 300 gr di muscolo cardiaco) vengono anche definite come cellule P in quanto sono pallide, primitive e hanno funzione di pacemaker e soprattutto non sono cellule disseminate casualmente all‟interno del miocardio, ma vengono ad organizzarsi per formare gruppetti di cellule vicine le une alle altre, denominati come nodi o fasci, che si trovano in parte a livello atriale e in parte a livello ventricolare. Cellule del miocardio specifico a livello atriale Il primo gruppetto di cellule si trova nel punto in cui, a livello dell‟atrio destro, formatasi una insenatura, arrivano dall‟alto la vena cava superiore e dal basso la vena cava inferiore. Questo gruppo di cellule ha una forma a losanga, quindi allungata (un paio di millimetri di lunghezza) e prende il nome di nodo di Keith-Flack (dal nome degli scopritori) o nodo senoatriale (dato dalla posizione in cui si trova, in pieno atrio destro). Troviamo poi un secondo gruppo di cellule P, molto simile al precedente, che si trova nel punto di passaggio tra atrio e ventricolo destro, e che rappresenta l‟unico gruppo di cellule muscolari (a forma di pera capovolta, con la base a livello della zona atriale e l‟apice nella parte alta del setto interventricolare) che mette in comunicazione l‟atrio con il ventricolo (nelle scorse lezione è stato detto che le muscolature, atriale e ventricolare, sono distinte e separata). Esso prenderà il nome di nodo atrioventricolare (dato dalla posizione) o nodo di Tawara (dalla scopritore). A seguire, abbiamo dei fasci di cellule P, disposte una dietro l‟altra, che decorrono fra le cellule più scure del miocardio comune. A livello atriale avremo 3 fasci: - Uno a livello della faccia anteriore dell‟atrio destro e mette in comunicazione il nodo senoatriale con quello atrioventricolare (fascio internodale anteriore o di Wenckebach); - Un altro, simmetrico al precedente, sulla faccia posteriore dell‟atrio che svolge lo stesso ruolo di mettere in comunicazione i due nodi (fascio internodale posteriore o di Thorel); - Abbiamo poi un terzo fascio che invece, parte dal nodo senoatriale e si porta verso l‟atrio sinistro dove si sfiocca formando tanti rami all‟interno dell‟atrio (fascio interatriale o di Bachmann).
Cellule del miocardio specifico a livello ventricolare Al di sotto del nodo di Tawara , inizia un grosso fascio di fibre che si porta lungo tutto il setto interventricolare (dal lato del ventricolo destro) e che prende il nome di fascio di His. In prossimità dell‟apice del cuore, da questo fascio originano poi 3 rami terminali: due si portano verso il ventricolo sinistro (branca sinistra anteriore e posteriore del fascio di His) ed uno verso il ventricolo destro (branca destra del fascio di His). In caso di malattie del cuore, quando si parla di blocco di branca, sarà chiaro che il blocco riguarda uno di questi fasci, il quale impedisce che l‟impulso eccitatorio possa viaggiare liberamente all‟interno del sistema. 44
Questi fasci iniziano poi a ramificarsi e si portano fino alle cellule della muscolatura comune, ordinaria del cuore. In realtà, le cellule del miocardio specifico del ventricolo, non determinano un contatto diretto con quelle del miocardio comune in quanto, fra le une e le altre si interpone una cellula che ha caratteristiche intermedie fra le due: un po‟ più rossa delle cellule del miocardio specifico e un po‟ più pallida rispetto alle cellule del miocardio comune. Si tratta di cellule che fungono da cuscino, da interfaccia fra i due tipi cellulari e che prendono il nome dallo scopritore, per cui verranno chiamate rete terminale del Purkinjie. Rappresenta l‟ultimo passaggio fra le cellule del miocardio comune e quelle del miocardio specifico. Queste cellule però non sono in grado di autoritmicità in quanto si sono troppo specializzate perdendo questa capacità (quelle sempre autoritmiche sono quelle del miocardio specifico). Pacemaker fisiologico e artificiale A questo punto, ragionando sul fatto che le cellule del miocardio specifico sono TUTTE dotate di autoeccitabilità, bisogna definire quali di queste cellule “comandano” le altre. Facciamo allora una prova: cellula del nodo senoatriale in vitro: si eccita spontaneamente circa 100-120 volte al minuto; cellula del nodo atrioventricolare in vitro: si eccita spontaneamente 40-50 volte al minuto; cellula del fascio di His in vitro: si eccita spontaneamente 15-20 volte al minuto. Ciò vuol dire che, è vero che sono tutte cellule autoeccitabili, ma non sono tutte dotate della stessa frequenza spontanea di contrazione infatti, le cellule della parte terminale delle branche si eccitano addirittura ogni 15 secondi. Le cellule del nodo senoatriale sono in grado di eccitarsi in mezzo secondo mentre quelle del nodo atrioventricolare richiedono almeno un secondo. Il ritmo sarà quindi dato dalle cellule che per prime sono in grado di produrre una variazione di potenziale, cioè di diventare elettricamente positive, e quindi sarà una cellula del nodo senoatriale che fungerà da pacemaker fisiologico. Per cui, se in una qualsiasi patologia viene distrutto il nodo senoatriale, il cuore non si fermerà perché subentra il pacemaker inferiore che però a riposo non mi determinerà più 70-80 battiti al minuto ma 40-50. Se anche questo pacemaker risulta essere danneggiato, subentra il fascio di His, ma con una frequenza ancora più bassa, e se la frequenza ritmica è inferiore ai 50-60 battiti al minuto, una vita normale è impossibile perché la quantità di sangue pompata non è adeguata alle esigenze dell‟organismo. In questi casi si interviene con l‟introduzione di un pacemaker che 70-80 volte al minuto mi genera un impulso elettrico che alza la frequenza di depolarizzazione, riportando a livelli normale la quantità di battiti al minuto che il cuore è in grado di fare. Solitamente si tratta di due fili, un catodo e di un anodo che si introducono in vena, si portano fino all‟interno dell‟atrio destro, si spingono in maniera tale da giungere nella parte terminale dell‟atrio e vengono poi collegati ad una macchinetta che genera ritmicamente un impulso elettrico. La macchinetta viene posta sotto la cute, a livello del cavo ascellare, per cui l‟unico problema è quello di dover cambiare periodicamente la batterie. Fra i pacemaker di nuova generazione troviamo quelli che sono in grado di variare la loro frequenza in base all‟attività che si sta svolgendo: il nodo senoatriale in alcuni casi va fuori, in altri no, per cui, in certi momenti avrò ritmi normali in altri improvvisamente si abbassa. Il pacemaker è infatti in grado di misurare l‟elettrocardiogramma e, nel caso in cui il ritmo è normale non interviene, quando invece registra un abbassamento spontaneo di frequenza, entra in azione e, in qualche frazione di secondi, impedisce che l‟abbassamento di frequenza diventi un abbassamento pressione. I pacemaker ancora più sofisticati sono a passo variabile, ovvero posso modificare la velocità a seconda delle mie esigenze (avrò ad esempio bisogno di una frequenza maggiore quando devo salire le scale) grazie alla presenza di induttori magnetici. 45
Ricapitoliamo: il cuore è quasi interamente costituito da muscolo, e di questo muscolo il 95 % è dato da cellule eccitabili ma non autoeccitabili, mentre la restante parte da cellule P (pallide, primitive, pacemaker) che costituiscono i fasci e i nodi del miocardio specifico. Queste cellule sono tutte dotate di autoeccitabilità, ma non hanno la stessa frequenza per cui, quelle a frequenza maggiore diventeranno dominanti ed imporranno il loro ritmo a tutto il cuore. Normalmente, l‟eccitazione del cuore comincia nell‟atrio destro con l‟eccitazione del nodo senoatriale, si avrà l‟eccitazione in tutto l‟atrio (eccitazione atriale) e a seguire in tutto il ventricolo. Ovviamente, la parola eccitazione non deve essere confusa con la parola contrazione in quanto, il primo è un evento di natura elettrica, mentre il secondo di natura meccanica. Sono inoltre due eventi sfasati temporalmente: prima si ha l‟eccitazione elettrica, poi l‟eccitazione meccanica con un certo ritardo in quanto, la cellula deve prima diventare positiva, poi si ha la fuoriuscita del calcio dalle vescicole, questi deve legarsi alla troponina e a seguire avvengono altri eventi che richiedono tempo. In definitiva, tra il momento in cui la cellula diventa elettricamente positiva e il momento in cui poi la cellula comincia materialmente a contrarsi, si ha un ritardo temporale necessario affinché il calcio sia in grado di accoppiare l‟evento elettrico agli evento meccanico. In altre parole, nel momento in cui l‟atrio si eccita (in un rapporto causa-effetto rappresenta la causa), questi non si è ancora contratto e solo dopo qualche frazione di secondo io vedrò la contrazione (in un rapporto di causa-effetto rappresenta l‟effetto). I due eventi inoltre posso anche essere disaccoppiati ed è quello che viene fatto durante gli interventi chirurgici al cuore: questi infatti deve essere fermato così che si possa operare, e lo si fa semplicemente togliendo il calcio. Avremo quindi la cellula che si eccita e diventa elettricamente positiva (un perfetto ciclo elettrico) ma, non essendovi calcio dalle vescicole sarcoplasmatiche non uscirà nulla, e quindi non avverrà la contrazione (assenza di evento meccanico). Ovviamente dobbiamo collegare il paziente ad un cuore artificiale esterno che ne permetta la circolazione del sangue (circolazione extracorporea). Nel momento in cui poi dobbiamo rimettere in funzione il cuore, iniettiamo un sale di calcio (gluconato di calcio) nelle coronarie, questi comincia a diffondere e piano piano il cuore comincia a effettuare nuovamente degli eventi meccanici fino a quando la validità di queste sistoli non ritorna normale.A quel punto scollegheremo il paziente dalla macchina esterna e potrà riprendere a svolgere una vita normale. Il fenomeno chiave si chiama appunto accoppiamento elettro-meccanico e l‟accoppiatore è lo ione calcio (Ca2+): se è presente agli eventi elettrici fanno seguito quelli meccanici, se invece non è presente, avverranno gli eventi elettrici ma non quelli meccanici. Nel momento in cui si parla quindi di calcio-antagonisti, è facile capire che essi servono a disaccoppiare l‟evento elettrico da quello meccanico, rendendo quest‟ultimo meno forte. Ricordiamo inoltre che, le tre tipologie di cellule (striate, miocardiche e lisce) hanno una vera grande differenza importante, ovvero da dove queste si procurino il calcio: le cellule muscolari striate hanno tutto il calcio di cui necessitano già all‟interno della cellula, a livello del reticolo sarcoplasmatico; le cellule muscolari cardiache hanno la maggior parte del calcio contenuta all‟interno, ma una parte di calcio, necessario per il processo contrattile, lo devono far entrare dall‟esterno; le cellule muscolari lisce non possiedono al loro interno calcio per cui, tutto il calcio che serve devono farlo entrare dall‟esterno. Ciò sta a significare che, questa categoria di farmaci di cui abbiamo parlato, i calcio-antagonisti, impediscono al calcio di entrare e quindi: non avranno alcun effetto sulle cellule muscolari striate, a livello cardiaco avranno un effetto apprezzabile, ma quelle che ne risentiranno di più sono le cellule muscolari lisce, visto che tutto il calcio di cui necessitano proviene dall‟esterno. L‟uso che quindi se ne fa in farmacologia, non riguarda le cellule muscolari striate, ma quelle lisce, per cui saranno utilizzate per ridurre lo spasmo di una muscolatura liscia, per ridurre un 46
vasospasmo, ovvero la pressione arteriosa, per ridurre la forza di contrazione del cuore, in definitiva per agire su quei muscoli su cui questa presenza di calcio esterno è critica per lo sviluppo di forza contrattile. A questo punto, per capire come fa una cellula ad essere autoeccitabile, dobbiamo prima definire i caratteri delle cellule del miocardio comune. Cellule del miocardio comune Si tratta di cellule eccitabili esattamente come i neuroni o le cellule del bicipite e del tricipite, ma con una differenza: se noi prendiamo una cellula del bicipite o del tricipite (una cellula muscolare striata) e la stimoliamo, osserviamo, in un grafico avente in ascisse il tempo e in ordinate il voltaggio, un evento (disegna un grafico alla lavagna ma non ricordo come fosse!) in cui la cellula ( che solitamente si trova ad un valore di -70 millivolt) modifica il suo voltaggio. A questo punto il Prof. Perciavalle decide di soffermarsi sul concetto di eccitabilità Tutto dipende dalla membrana cellulare per cui, se io prendo una cellula della pelle di un qualsiasi individuo, quindi un cheratinocita o un globulo bianco, e gli introduco un elettrodo, nel momento in cui verifico quale sia la differenza di potenziale tra interno ed esterno, vedrò che tutte le cellule del corpo umano sono negative, alcune avranno un valore di -30 millivolt, altre di -50 millivolt, altre ancora di -70 millivolt, il che vuol dire che cambia la quantità ma non il segno che sarà sempre negativo. Se poi io perturbo, altero l‟ambiente in cui si trova il cheratinocita o il globulo bianco, ovviamente in modo compatibile con la sopravvivenza della cellula (senza determinarne la morte), vedrò che la cellula non subisce alcuna variazione, per cui negativa era e negativa rimane. Se invece, si tratta di un neurone o di una cellula muscolare striata, noterò che la perturbazione è in grado, se supera una certa intensità, di evocare un evento spettacolare: la cellula rapidamente diventa positiva (solitamente +20 millivolt) e tanto rapidamente ritorna negativa. Il tutto avviene nel giro di 2-3 millesimi di secondo. Se io ripeto la stimolazione, avverrà nuovamente lo stesso evento per cui, osserverò insignificanti variazioni di ambiente e insignificanti differenze di durata. Questo tipo di evento rientra quindi nella categoria del tutto o nulla: o non è presente o se è presente è uguale in ampiezza e in durata in tutti gli eventi (i cosiddetti potenziali di azione) che la cellula è in grado di fare. Se poi io prendo una cellula muscolare striata, vedo che essa si comporta proprio in questo modo e che, nel passaggio da negativa a positiva (depolarizzazione), al suo interno si verifica una violenta entrata di ioni sodio (Na+) che mi determina la scomparsa della negatività della cellula fino a diventare addirittura positiva. È quindi facile spiegare il fenomeno della depolarizzazione: si sono aperti dei canali per il sodio che si accumula nella cellula depolarizzandola. Nel momento in cui però la cellula diventa positiva, essa non più in grado di trattenere all‟interno lo ione potassio (K+) che rimaneva all‟interno della cellula soltanto perché questa era negativa; non appena però la cellula diventa positiva, questo ione positivo comincia a fuoriuscire spontaneamente, ed è proprio l‟uscita di questo ione a spiegarmi il fenomeno della ripolarizzazione. Quando tutto è finito (dopo 2-3 millesimi di secondo), il potenziale è tornato alla normalità, per cui si tratta di un fenomeno passivo in cui il sodio entra spontaneamente e il potassio esce spontaneamente (non intervengono le pompe). Tuttavia, terminano il tutto, in realtà nella cellula abbiamo molto sodio dentro e un po‟ troppo potassio fuori, per cui è a questo punto che intervengono le pompe che riequilibrano nuovamente il sistema, portando dentro il potassio che è uscito e fuori il sodio che è entrato. Questo processo richiede un tempo di 15-20 millesimi di secondo (durante questa fase se stimoliamo la cellula essa risponde in modo strano), ma dopo la cellula ritorna alle condizioni iniziali, ad un costo
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elevatissimo: un ATP per ogni 3 ioni sodio spostati dall‟interno all‟esterno e 2 ioni potassio spostati dall‟esterno all‟interno della cellula (rapporto stechiometrico 3:2). Cellule del miocardio comune Questo che abbiamo descritto è il comportamento di una cellula muscolare striata. Se adesso io prendo una cellula del miocardio comune, e ripeto lo stesso identico esperimento, ovvero stimolo la cellula così che questa possa generare il suo potenziale d‟azione, avviene più o meno lo stesso processo: la cellula si depolarizza velocemente, in un millesimo di secondo diventa positiva, sempre grazie all‟entrata del sodio. Apparentemente sembra quindi non esservi alcuna diversità rispetto al caso della cellula muscolare striata, vedremo infatti che il potassio comincia ad uscire dalla cellula così che questa possa ripolarizzarsi, quando però ad un certo punto, in prossimità dello zero, avviene un fenomeno curiosissimo: la ripolarizzazione si blocca e la cellula rimane depolarizzata per un tempo di 200250 millesimi di secondo. In poche parole, rispetto alle cellule muscolari striate, le cellule del miocardio hanno questa lunghissima fase di plateau in cui non si ha nulla, perché il potenziale è bloccato. Poi, finito questo periodo di 200-250 millesimi di secondo, la cellula torna rapidamente ad essere elettricamente negativa. La fase iniziale dipende sempre dal sodio, quella finale dal potassio, quello strano è invece il lungo periodo di plateau che rende unica la cellula muscolare cardiaca (non è presente nelle altre cellule del corpo umano). Il motivo per cui il potenziale si blocca è dato dal fatto che, durante la fuoriuscita del potassio, nelle cellule cardiache si mette in moto un altro fenomeno: una volta che la cellula è diventata positiva, si ha una spontanea entrata nella cellula di un altro ione, ovvero il cloro (Cl-). Questi è uno ione normalmente extracellulare che non entra nella cellula in quanto sono entrambi carichi negativamente (non si ha un gradiente elettrico che lo spinge ad entrare). Quando però, nella fase di depolarizzazione, la cellula diventa positiva, essendo il cloro negativo, questi tende ad entrare spontaneamente dentro la cellula (si è creato il gradiente che ne permette l‟ingresso nella cellula). Questa piccola entrata di cloro è importante perché apre dei canali particolari (canali L per il calcio), presenti sulla membrana, che permettono l‟entrata di ioni calcio (Ca2+). Inoltre, il calcio è 10 mila volte più concentrato all‟esterno che all‟interno della cellula per cui, anche se l‟interno è positivo e quindi il calcio teoricamente non dovrebbe entrare, la notevole differenza di concentrazione fa si che, l‟apertura di un solo buco (canale) ne determini il suo ingresso dentro la cellula. Durante il plateau avviene quindi un fenomeno molto interessante: esce potassio e contemporaneamente entra cloro, i due elettroni si annullano reciprocamente creando così questo potenziale stabile che dura una notevole quantità di tempo fino a quando, non si ha la chiusura dei canali per il calcio (la chiusura avviene in modo spontaneo, automatico, non dipende da cause esterne; è un fenomeno intrinseco nella struttura del canale). Nel momento in cui i canali si chiudono, non entra più calcio ma continua ad uscire il potassio, e la cellula ritornerà alla normalità. In definitiva, il plateau inizia quando comincia ad entrare il calcio, e finisce quando il calcio smette di entrare e rapidamente la cellula del miocardi comune tornerà alla normalità. L‟unica differenza fra una cellula e l‟altra è la durata del plateau: in alcune dura di più (300 millesimi di secondo) in altre dura di meno (solo 150 millesimi di secondo). Questo potenziale d’azione viene definito dagli americani rettangolare, in quanto si ha una salita veloce, un lungo plateau e poi una rapida discesa; al contrario, il classico potenziale d’azione delle cellule muscolari striate è di tipo triangolare, in cui si hanno solo due ioni, ovvero il sodio nella fase di depolarizzazione e il potassio in quella di ripolarizzazione.
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A questo punto, per poter parlare delle cellule autoeccitabili, il Prof. Perciavalle si sofferma prima affrontando un altro discorso Rifacendoci sempre all‟esempio del cheratinocita che io posso prendere da un qualsiasi individuo, ho già visto che questi non modifica la sua negatività. Questo succede grazie alla presenza di una membrana abbastanza caratteristica: se io prendo un pezzetto di membrana (un micron2) e vedo come è fatto, vedrò che in esso vi sono una cinquantina di canali attraverso cui può entrare il sodio e, sempre nello stesso micron quadro anche le pompe, i carrier che prendono il sodio entrato per portarlo all‟esterno. Solitamente queste pompe sono sufficienti a buttare tutto il sodio che è entrato attraverso 80 canali, per cui abbiamo più pompe di quelle di cui necessitiamo. Questo vuol dire che, in condizioni normali, tutto il sodio che entra viene buttato fuori per cui, la cellula negativa era e negativa resta. Nel caso invece di un neurone o di una cellula muscolare striata, analizzando sempre un micron2
della loro membrana, vedrò che anche in esse vi sono pompe sempre sufficienti fino ad 80 canali per il sodio, ma il numero dei canali per il sodio è almeno 10-20 volte superiore rispetto a quello delle altre cellule, per cui avremo almeno 500 canali. Questa enorme quantità di canali in teoria, dovrebbe rendere impossibile alla cellula di essere negativa ma, in realtà, di questi 500 canali (realmente sono molti di più, per comodità se ne considerano 500), 50 sono sempre aperti, gli altri 450 sono chiusi. Di conseguenza, si comporta come una cellula qualunque: ha 50 canali aperti, le pompe sono sufficienti per 80 canali, tutto il sodio che entra viene portato all‟esterno, e quindi la cellula negativa era e negativa rimane. Gli altri 450 canali presenti però posso aprirsi mediante diverse metodiche: mediante modificazione allosterica delle proteine canali (è quello più semplice e comune) per cui, essendo le pareti del canale fatte di proteine (rivolte dall‟esterno verso l‟interno), se io ne modifico la forma, il lume si restringe e lo ione non passa. In questo modo avremo una configurazione di tipo off, ma basta modificarla allostericamente per poter ottenere la configurazione on. In definitiva, come modificazione allosteriche delle proteine canali, che avvengo in milionesimi di secondo, permettono semplicemente di chiudere (restringere il lume) o aprire (allargare il lume) il canale. mediante la presenza di tappi, presenti all‟interno, all‟esterno o su entrambi i lati del canale, che possono aprire o chiudere il canale. Come determinare il cambiamento conformazionale di una proteina canale (uno non fisiologico, e due fisiologici) 1. (non rientra fra i metodi fisiologici) Prende come esempio il tessuto del maglione della maglietta: abbiamo la presenza di tanti microbuchi che si incrociano fra di loro, se io tendo il maglione (“sdillabro”) ovviamente i buchi si allargano per cui, anche se ancora si tratta di una configurazione chiusa, avendo allargato artificialmente i buchi, aumento il diametro e permetto al calcio di entrare. È quello che avviene negli edemi cellulari delle cellule eccitabili: la cellula è rigonfia, si distendono le strutture canale, e anche se in teoria non è cambiata la loro configurazione, il semplice fatto che si dilatino fa il modo che il diametro prima o dopo lasci passare gli ioni. 2. Primo metodo fisiologico: è di natura elettrica per cui, la cellula modifica la configurazione dei propri canali in funzione del voltaggio della membrana cioè, se la cellula è molto negativa tutti i canali sono off, man mano che la cellula si depolarizza (ovvero perde negatività), un numero via via crescente di canali cambia la sua configurazione da off ad on, ovvero si avrà un numero maggiore di canali aperti. 49
In termini tecnici, si dice che questi canali, sensibili alle variazioni di voltaggio, sonovoltaggio dipendenti, e la loro apertura o chiusura dipende esclusivamente dal livello di negatività di membrana. 3. Secondo metodo fisiologico: in questo caso per l‟apertura del canale utilizzo sostanze chimiche per cui, prendo una molecola, la faccio legare alla proteina canale (sul lato esterno o sul lato interno) e, una volta avvenuto il legame, la proteina canale cambia configurazione allosterica passando da canale chiuso a canale aperto. Non appena viene meno il legame con la sostanza chimica, il canale torna ad essere chiuso (configurazione off). Inoltre, se la molecola proviene dall‟esterno e si lega direttamente al canale, in termini tecnici abbiamo quelli che vengono definiti neurotrasmettitori ed avendo il canale la capacità di legarsi direttamente ad esso, viene definito di tipo ionotropo. Possiamo però avere un‟altra possibilità, ovvero quella in cui la sostanza chimica non si lega direttamente al canale ma ad un‟altra parte della molecola: mette in moto una serie di reazioni enzimatiche accoppiate ai sistemi chimici intracellulari, si produce il secondo messaggero, e sarà questi ad avere il compito di aprire dall‟interno il canale (in questo caso parleremo di effetto metabotropo). Ragioniamo un attimo: io prendo un neurone avente 50 canali aperti e 450 canali chiusi e ho pompe sufficienti per 80 canali (questo quando la cellula è a -70 millivolt). A questo punto, io stimolo il neurone con uno stimolatore elettrico avente un elettrodo positivo ed un negativo. Di questi due elettrodi, quello che è in grado di stimolarmi la cellula è l‟elettrodo negativo e non quello positivo perché questi è in grado di attirare a sé cariche negative (la cellula quindi in questo punto diventa sempre più negativa). Al contrario, a livello del catodo si accumuleranno le cariche positive e quindi, in questa zona, la cellula si depolarizzerà diventando meno negativa. In definitiva, le uniche stimolazioni che funzionano, cioè che sono in grado di eccitare la cellula, non sono quelle positive (anodiche) ma quelle negative (catodiche). A questo punto, nel punto in cui io ho appoggiato l‟elettrodo negativo, si accumuleranno cariche positive e il potenziale non sarà più di -70 millivolt ma di -60 millivolt. La conseguenza di questa variazione di potenziale è che alcuni dei canali voltaggio-dipendenti si aprono per cui, i canali aperti invece di essere 50 diventano 60 (440 ancora chiusi). Sapendo però che le pompe sono sufficienti fino ad 80 canali, non vedrò nessuna variazione per cui, avrò bisogno di una stimolazione un po‟ più intensa che mi permetta di aprire l‟81° canale: con la sua apertura si aprono a seguire anche gli altri canali, la cellula comincia a depolarizzarsi perdendo negatività e permettendo l‟apertura di altri canali, si mette in moto un processo autosostentativo (ciclo di Hodgkin) che mi creerà inarrestabilmente il potenziale d‟azione. Il confine è quindi rappresentato da questo 81° canale per cui, non basta depolarizzare la cellula, occorre che questa sia così intensa da aprire più canali di quelli che le pompe riescono a fronteggiare. Questo rappresenta il cosiddetto concetto di soglia(arrivare all‟81° canale) e rispetto ad esso possiamo distinguere due diversi tipi di stimoli: Stimolo sottoliminale: non è in grado di provocare l‟apertura dell‟81° canale (le pompe sono ancora in grado di gestire tutto il sodio che è entrato); Stimolo sopraliminale: è in grado di aprire l‟81° canale, sono sopra il limen e non posso più arrestare il fenomeno di depolarizzazione. Ciò significa che, fino a quando il sodio all‟interno della cellula è alla portata delle pompe, la cellula negativa era e negativa rimane, quando entra più sodio di quello che le pompe riescono a portare fuori si ha invece la depolarizzazione. 50
Cellule autoeccitabili (cellule pacemaker) Si tratta di classiche cellule eccitabili aventi ad esempio 500 canali per micron2 e di questi canali, 410 sono chiusi e 90 sono aperti e le pompe sono sempre sufficienti per 80 canali. Questo vuol dire che, questo tipo di cellule, non può restare ad un potenziale negativo standard perché, non appena lo portiamo a -70 millivolt, entra più sodio di quello che le pompe riescono a
buttare fuori e si depolarizza. In altre parole, se io introduco un elettrodo nella cellula per vedere cosa succede, noterò che parte da -70 e poi spontaneamente comincia a depolarizzarsi e poi, prima o dopo, costruisce un potenziale d‟azione perché, entra sempre più sodio di quello che le pompe riescono a buttare fuori per cui non avrò mai un -70 stabile nel tempo. La differenza che quindi avrò fra una cellula del nodo senoatriale e una del nodo atrioventricolare è che, nel primo caso i canali aperti saranno 90 e nel secondo caso invece 85 per cui, il sodio che entra nel nodo atrioventricolare entra più lentamente e necessiterò di più tempo perché scatti il potenziale d‟azione (in un minuto avrò meno potenziali d‟azione). La frequenza spontanea di queste cellule dipende solo da questa differenza fra entrata passiva ed estrusione attiva di sodio. Artificialmente possiamo ridurre il numero dei canali aperti da 90 a 85 così da abbassare la frequenza; al contrario se io porto il numero dei canali aperti da 90 a 95 la frequenza spontanea aumenta perché la velocità con cui raggiunge la soglia è maggiore. Questo vuol dire che quando io dico: L‟ortosimpatico accelera: vuol dire che la noradrenalina aumenta la frequenza spontanea di depolarizzazione (determina l‟apertura dei canali per il sodio); Il parasimpatico rallenta: vuol dire che l‟acetilcolina rallenta la frequenza spontanea di depolarizzazione (determina quindi la chiusura dei canali per il sodio). La regolazione spontanea inoltre è particolare: all‟inizio entra sodio, intorno al valore di -40 millivolt si aprono dei canali particolari per il calcio (canali T a bassa conduttanza) dove questi entra lentamente perché, essendo la cellula ancora negativa, il calcio entrerebbe troppo rapidamente al suo interno; quando supero il valore 0, si ha l‟apertura dei canali L ad alta conduttanza e così la depolarizzazione della cellula avviene in maniera completa. Si tratta di un meccanismo molto interessante perché, se io lascio la cellula a se stessa, inesorabilmente ogni X intervallo di tempo essa di eccita e, una volta determinata l‟eccitazione di UNA cellula, essendo il meccanismo inarrestabile ed essendo le cellule le une vicine alle altre, la cellula, che da negativa diventa positiva, attira verso di sé cariche positive e respinge cariche negative, cioè si creeranno dei punti di contatto, definiti efapsi (sinapsi elettriche da contatto), che mi permettono la depolarizzazione delle cellule vicine che a loro volta, diventate positive, mi permetteranno l‟inversione del voltaggio delle altre cellule con cui prendono contatto. Alla fine avremo l‟eccitazione di tutta la muscolatura atriale e poi, attraverso il nodo atrioventricolare di tutta la muscolatura ventricolare. Perché la cellula del miocardio comune deve possedere un potenziale d’azione così lungo? La risposta è data dal fatto che, quando le cellule eccitabili sono positive, ovvero sono in pieno potenziale d‟azione, non è possibile eccitarle nuovamente. Si tratta del fenomeno della refrattarietà assoluta per cui, durante questo evento, non è possibile che il cuore possa essere nuovamente eccitato. Solo dopo la fine della durata del potenziale d‟azione, ovvero 200-300 millesimi di secondo, io posso creare un altro potenziale d‟azione. Per rendere più chiaro il concetto, riporta l‟esempio dello scarico del gabinetto: se io premo il pulsante, la prima cosa che noto è la presenza di una soglia, superata la quale lo scarico parte; secondariamente, una volta che lo scarico parte, questi non può fare più di quello che sta facendo perché si trova in una condizione di refrattarietà assoluta. 51
Man mano che poi si ricarica, possiamo premere nuovamente, ma quello che ottengo è inferiore al
normale (si parlerà di refrattarietà relativa). Ricapitoliamo: nel cuore noi troviamo cellule autoeccitabili (cellule P, pallide, primitive, pacemaker) che costituiscono il sistema del miocardio specifico e che sono dotate di autoritmicità. Ognuna di queste cellule ha una sua autoritmicità e di regola, la massima frequenza spontanea è contenuta dalle cellule del nodo senoatriale e man mano che mi allontano da lì troveremo una frequenza spontanea di depolarizzazione via via decrescente. Anche a livello ventricolare troviamo cellule autoeccitabili, ma la loro frequenza spontanea è cosi bassa che non sono compatibili con una vita normale. Questo vuol dire che, un danno a livello del nodo senoatriale o atrioventricolare ci costringe ad intervenire con i pacemaker artificiali. La frequenza spontanea di queste cellule è regolabile attraverso l‟ortosimpatico (con la noradrenalina che apre più canali) che aumenta la frequenza cardiaca e il parasimpatico che diminuisce la frequenza cardiaca (con l‟acetilcolina che chiude i canali). Nel caso dell‟ortosimpatico parleremo quindi di tachicardia, mentre per il parasimpatico di brachicardia. Le quattro caratteristiche delle cellule cardiache 1. Sono tutte cellule eccitabili (sia quelle del miocardio specifico sia quelle del miocardio comune); 2. Alcune sono dotate di autoeccitabilità (ovvero le cellule del miocardio specifico); 3. La terza caratteristica è data dal fatto che, quando l‟eccitazione interessa una cellula, inesorabilmente, da quella cellula l‟eccitazione si propaga in tutte le cellule. Si parlerà quindi della capacità di propagazione delle cellule cardiache; 4. Infine, trattandosi di cellule muscolari, che quindi contraendosi producono una certa forza che mi permette di spingere il sangue all‟interno dei vasi. Avranno quindi una certa contrattilità. Queste quattro caratteristiche sono modulabili ed inoltre, in fisiologia per definirle si utilizzano dei termini di origine greca: 1. Eccitabilità → Batmotropismo (possibilità di rendere le cellule più o meno eccitabili con azione batmotropa positiva e negativa); 2. Autoeccitabilità →Cronotropismo (mi indica nell‟unità di tempo quante volte la cellula si eccita, avremo quindi sostanze ad azione cronotropa positiva come la noradrenalina, ed altre ad azione cronotropa negativa, come ad esempio l‟acetilcolina); 3. Propagazione →Dromotropismo (avremo farmaci ad azione dromotropa positiva ed altri ad azione dromotropa negativa); 4. Contrazione → Inotropismo cardiaco (il farmaco con effettore inotropo positivo più importante, tanto da rientra nei 50 farmaci definiti salva vita, si estrae dalla pianta denominata digitate); 5. Insieme ai quattro parametri classici già definiti, ne rientra un altro che ha determinato la nascita di diverse discussioni: il ventricolo sappiamo essere la pompa del ciclo, e la nostra capacità di essere individui dipende dal ventricolo che mediante la sistole mi permette l‟immissione nei vasi di circa il 50-55 % del sangue contenuto al suo interno; dopo di che si rilascia. È proprio in relazione alla fase di rilasciamento del ventricolo che sono sorte diverse discussioni in quanto, si è sempre pensato che questo processo avvenisse in modo
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del tutto passivo attraverso la fuoriuscita del sangue. Oggi si pensa che il fenomeno di distensione de ventricolo sia invece un processo attivo cioè, che sulla parete ventricolare, durante la sistole, vengono messe in tensione delle fibre elastiche che quindi, nella sistole si caricano di tensione elastica, ma quando poi la sistole finisce, queste fibre elastiche velocemente ridistendono le pareti del ventricolo. È importante che il processo di dilazione sia il più veloce possibile perché in questo modo io posso riempire il ventricolo molto più velocemente così da poter aumentare la frequenza cardiaca. In definitiva, si comincia a pensare che la fase di diastole ventricolare non sia un fenomeno passivo ma che sia legata alla restitutio elastica accumulata durante la fase di sistole. Questa capacità di rendere più efficiente la diastole prende il nome di lucitropismo(indica quanto è efficiente il momento della diastole ventricolare, ovvero quanto velocemente il ventricolo si dilata così da essere pronto ad accogliere sangue). Ricapitoliamo: oggi abbiamo introdotto il ciclo elettrico del cuore, lo continueremo la prossima volta, e discusso il fatto che alla base dei fenomeni meccanici ci sono eccitazioni elettriche degli atri e dei ventricoli. Queste eccitazioni elettriche non sono comandate dall‟esterno, ma dovute ad una popolazione di cellule cardiache in grado di autoeccitarsi e di funzionare da pacemaker per l‟intera macchina cardiaca. Si tratta delle cosiddette cellule del miocardio specifico, raggruppate in nodi e in fasci dei quali, uno ha ruolo più importante perché funziona normalmente da pacemaker primario e il secondo ha anch‟esso un ruolo altrettanto importante perché è l‟unico punto di contatto fra la muscolatura atriale e la muscolatura ventricolare. Se ad esempio io distruggessi il nodo atrioventricolare osserverei un fenomeno drammatico: l‟atrio si contrarrebbe 70 volte al minuto mentre il ventricolo soltanto 30 volte al minuto perché, non essendovi più il nodo atrioventricolare, il ventricolo si sceglie un suo pacemaker a 20-30 volte al minuto ed avremo quindi una completa dissociazione fra ciclo meccanico atriale a 70 battiti al minuto e ciclo meccanico ventricolare a 30 battiti al minuto. È uno dei casi in cui io devo intervenire con un pacemaker artificiale da posizionare direttamente a livello ventricolare. Tuttavia può succedere, in un qualsiasi momento, che una cellula del miocardio specifico ventricolare accelera un po‟ troppo la sua autoeccitazione e mi determina l‟insorgenza di un‟eccitazione anomala e fuori ritmo che mi fa avvenire una sistole del ventricolo assolutamente fuori fase: parleremo quindi di extrasistole (sistole al di fuori del normale ritmo ventricolare). Può essere interessata una qualsiasi cellula del miocardio specifico a livello atriale o ventricolare, per cui parleremo di extrasistole atriale e di extrasistole ventricolare e domani vedremo come è possibile riconoscere l‟una dall‟altra mediante lo studio dell‟elettrocardiogramma.
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Lezione 6 Vi avevo promesso un po‟ di immagini e vi faccio vedere un po‟ di immagini che non vi venga di vizio però. Ci tengo a farvi vedere un paio di cose, intanto vi avevo promesso un po‟ di immagini di ecocardiografia per darvi un‟idea di cosa dovete aspettarvi quando vedete un tracciato ecocardiografico e poi vi devo fare vedere dei grafici, dei correlati pressori che sono molto indicativi di quello che succede durante il ciclo meccanico del cuore. Questo è il cuore e questo è un correlato molto interessante che avrà ottanta anni ma che è stato colorato che vi fa vedere alcune variabili durante il ciclo meccanico del cuore registrando una serie di cose del cuore sinistro, dall‟alto in basso, vedete, la linea grigia è la pressione del sangue nell‟aorta, la linea blu è la pressione nel sangue nel ventricolo e la linea grigia un po‟ più in basso è la pressione del sangue a livello atriale. Ancora più in basso la linea rossa vi indica il volume del ventricolo sinistro e questi sono i toni cardiaci, primo tono e secondo tono. Viene indicato anche il terzo tono , ma non si sente , viene registrato, ma non si sente. Osservate cosa succede durante il ciclo cardiaco: all‟inizio il cuore è completamente rilassato e quindi osservate come c‟ è una pressione nell‟aorta molto alta, la minima 70/80 mmHg , la pressione nell‟atrio, vedete, è un po‟ più alta della pressione del ventricolo e come si vede la pressione di questo è più bassa dell‟arteria. La pressione dell‟atrio è più alta del ventricolo quindi le valvole atrio-ventricolari sono aperte, la pressione del ventricolo è più bassa dell‟aorta e quindi la semilunare è chiusa. Inizia la sistole e, come vedete, la pressione nel ventricolo aumenta bruscamente. Immediatamente supera quella dell‟atrio e la prima cosa che succede è che si chiudono le valvole atrioventricolari, però deve continuare a salire prima che si possano aprire le valvole semilunari. Durante questo intervallo di tempo, tutte e due le valvole sono chiuse, sia le atrio-ventricolari sia le semilunari, quindi il volume del ventricolo non si modifica, è la fase iniziale della sistole detta isovolumetrica. Quando poi si aprono le valvole che separano il ventricolo dall‟arteria, noi abbiamo la fuoriuscita del sangue e quindi il ventricolo diventa più piccolo perché una parte del sangue ovviamente lascia il ventricolo e il volume ventricolare tende a diminuire. Contemporaneamente osservate come la pressione del sangue continua a salire e raggiunge il suo valore massimo 120-130 mmHg ; l aumento di pressione del ventricolo dipende dalla legge di La Place : poiché il sangue esce, il raggio diminuisce e se il raggio diminuisce a parità di forza prodotta dalla parete, la pressione ovviamente aumenta e raggiungerà il suo valore massimo. Osservate come la linea blu è più alta anche se di poco della linea grigia, in questo caso la pressione a monte è più alta di quella a valle , quindi la valvola semilunare è aperta. Appena però finisce la sistole del ventricolo istantaneamente si chiude la valvola semilunare e il ventricolo torna a diventare una cavità chiusa dove nulla può entrare e nulla può uscire. L‟unica cosa che può succedere è un crollo della pressione, quando finalmente la linea blu , cioè la pressione del ventricolo scende sotto della pressione dell‟atrio, cioè la linea grigia, la valvola atrio-ventricolare si torna ad aprire e il ventricolo si inizia a riempire, cioè il volume del ventricolo torna ad aumentare. 54
Potete osservare anche una cosa interessante seguendo la linea rossa, quando il ventricolo si riempie, il grosso del sangue entra subito, cioè il riempimento ventricolare avviene non appena il ventricolo comincia a riempirsi, è velocissimo. Dopo questa rapida fase di riempimento, il ventricolo mantiene un volume praticamente costante. Quando arriva la sistole dell‟atrio si riempie un altro po‟, ma niente di particolare e poi si ricomincia un‟altra volta. In basso vedete il tracciato fonocardiografico che vi fa vedere come il primo tono è il rumore di chiusura delle valvole atrio-ventricolari, quindi inizio della sistole, un rumore protosistolico, mentre il secondo tono è il rumore di chiusura delle valvole semilunari, quindi è all‟inizio della diastole, un rumore protodiastolico. L‟intervallo tra il primo e il secondo tono equivale alla durata della sistole ventricolare, il cosiddetto intervallo sistolico. Qui viene rapportato anche un elettrocardiogramma di cui oggi cercheremo di parlare. Io in questo grafico che è lo stesso di quello di prima, ma senza colori perché era finita la carta colorata, vi ho affiancato quello che succede nel mezzo lato di sinistra rispetto a quello che succede nel mezzo lato di destra e si vede facilmente che quello che succede nel mezzo lato di sinistra è più o meno uguale a quello che succede al mezzo lato di destra, l‟unica differenza è la pressione nell‟arteria: la pressione nell‟aorta va da 70 a 130, la pressione nell‟arteria polmonare va da 10 a 20, ma per il resto vedete il comportamento dei due mezzi lati del cuore è praticamente sovrapponibile. Osservate soprattutto il comportamento del ventricolo destro e sinistro si comportano più o meno allo stesso modo : si svuotano più o meno simultaneamente, lo svuotamento è della stessa entità e il successivo riempimento avviene più o meno con la stessa velocità, la differenza è che c‟è una pressione endoventricolare sette volte più bassa a destra rispetto alle pressioni endoventricolare che osservate a sinistra. Tutto qui. In questa immagine vi faccio vedere il piano di clivaggio del cuore nel punto che separa gli atri dai ventricoli visto dall‟alto dove si vedono tutte e quattro le valvole. Nella figura in basso ci sono le due valvole atrio-ventricolari, quella di sinistra e quella di destra che si aprono quindi in questa direzione, e lì le due semilunari, quella aortica e quella polmonare che, invece si aprono al contrario, dal basso verso l‟alto. In questo caso questa è la polmonare, quella sopra è la semilunare aortica. Questo è il cuore visto dall‟alto di un individuo in piedi con la schiena da questo lato e con lo sterno nella parte alta della diapositiva. Queste sono le classiche immagini delle valvole cardiache a tre lembi, sono in tutto quattro ma a tre lembi sono tutte tranne la mitrale. In alto a sinistra ci fanno vedere come si dovrebbe comportare una valvola quando si apre e si chiude perfettamente e in basso cosa succede quando la valvola si sfascia e cioè stenosi valvolare e insufficienza valvolare. In questo caso quando si dovrebbe aprire non si apre completamente e quando si dovrebbe chiudere non si chiude ermeticamente, rimane un buco attraverso il quale ad alta velocità passerà il sangue e in entrambi i casi questo stretto raggio creerà questa alta velocità che supererà il numero di Rynold e provocherà una turbolenza, provocherà un rumore che si chiamerà soffio. Questa è un„ immagine di valvole artificiali, questa è una valvola particolare che ha una storia particolare. Queste valvole furono fabbricate in brasile e furono vendute in Europa a basso costo e 55
molti cardiochirurghi furono avvicinati dai rappresentati di questa ditta che gli consigliò di comprare queste valvole che li faceva risparmiare un sacco di soldi e in più i rappresentanti avrebbero dato a questi un sacco di soldi sottobanco in varie forme . Risultato? Furono fatti circa 500 interventi e dopo qualche tempo queste valvole iniziarono a staccarsi creando dei pezzi di valvole in circolo e alcuni pazienti morirono. Si trovò quindi la necessità di allertare tutto il sistema per richiamare alcuni pazienti che erano stati operati ma essendo cardiopatici già operati una volta, di questi pazienti richiamati 15 morirono sotto i ferri nel tentativo di sostituire questa valvola con una valvola più efficiente. Il tutto per qualche vacanza pagata, qualche escort aggiuntiva e qualche soldino in più. Alla fine morirono 22 persone e nessuno andò in carcere, l‟unico fece 3 gg e ovviamente fu rilasciato perché aveva problemi cardiaci . Queste sono le classiche immagini ecocardiografiche in alto e nello stesso istante il cuore anatomico come è, così potete confrontare la realtà cardiaca in basso con le realtà ecocardiache in alto che voi vedete in alto. Osservate come si vedono bene nell‟immagine ecocardiografica i due lembi della mitrale, siamo in fase in cui la mitrale è aperta e quindi i due lembi si vedono bene e potete misurare anche la distanza, cioè quanto spazio ha a disposizione il sangue per poter passare dall‟atrio al ventricolo. È una tecnica notevolissima che vi da la possibilità di analizzare molto bene. Questo è un altro: la testa del paziente è qua sotto e i piedi qui sopra , giusto? Qui si osserva la dimensione dell‟emilato sinistro del cuore con l‟atrio in basso e il ventricolo in alto, in questo caso la valvola è chiusa e si vede bene la linea di chiusura della superficie valvolare e si vede qui, se collegate l‟ecocardiogramma con un fenomeno doppler, se ci fosse stato un reflusso e la valvola fosse stata insufficiente si sarebbe visto un passaggio di sangue attraverso questo buco dal ventricolo verso l‟atrio. Chiaro? Questa è un‟altra immagine : mi interessa farvela vedere per ricordarvi che i due ventricoli anatomicamente sono molto diversi: la forma del ventricolo sinistro è la classica forma di cavità con la muscolatura disposta concentricamente, mentre il ventricolo destro non è così, è attaccato al ventricolo sinistro e in pratica la parete del ventricolo destro non ha un ruolo particolare: durante la sistole ventricolare, il ventricolo viene schiacciato non tanto dalla forza di contrazione della muscolatura della parete destra, quanto dal setto che contraendosi funziona da pistone che spinge il sangue dall‟interno verso l‟esterno, è una contrazione a mantice, mentre quella del ventricolo sinistro è concentrica che ovviamente è più facile da visualizzare. Qui si vedono bene i papillari, qui il setto e in questo caso vi trovate un soggetto che ha delle cavità abbastanza normali. Qui siamo nella zona di confine tra l‟atrio e il ventricolo e l‟ecografista riuscì a beccare bene i lembi valvolari della semilunare aortica e si vedono tutti e tre. Potete misurarli dimensionarli e se accoppiati al doppler se ci fosse un reflusso vedreste uscire durante la fase di diastole del ventricolo dall‟aorta indietro una certa quantità di sangue. Qui si vedono le semilunari chiuse e la tricuspide aperta e quindi siamo in diastole.
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Si vede molto bene il setto, i sistemi papillari sia a destra che a sinistra, questa è la mitrale , questa la tricuspide e si vede che siamo in una fase in cui sono chiuse sia l‟una che l‟altra e quindi siamo in sistole ventricolare. Ricordate che i muscoli papillari non hanno il ruolo né di fare aprire o chiudere le valvole, ma il loro compito, che si contraggono quando si contrae la muscolatura atrio-ventricolare, si contraggono durante la sistole, serve ad impedire che i lembi delle valvole atrioventricolari a causa della pressione si ribaltino nell‟atrio creando una marcia indietro del sangue dal ventricolo all‟aorta, mettono in tensione le superfici valvolari e quindi li impediscono di ribaltarsi in sede ventricoloatriale. In questa immagine vengono indicati i principali elementi che costituiscono il miocardio specifico e cioè il nodo seno-atriale, il nodo atrio-ventricolare, il fascio di His e poi la branca destra e le due destinate al ventricolo sinistro. Qui non si vedono i fasci internodali anteriore e posteriore e i fasci di Bach. Vengono indicati, vedete, le frequenze spontanee di queste cellule lasciate a se stesse e sono tutte autoritmiche con valori di frequenza decrescenti dall‟atrio verso il ventricolo. Questi sono i famosi potenziali d‟azione delle cellule cardiache . Come vi ho detto ieri le cellule del miocardio comune hanno questo classico potenziale d‟azione rettangolare, con un lungo platau, la cellula velocemente diventa positiva, sta per tornare negativa ma rimane bloccata per un certo periodo di tempo e poi velocemente si ripolarizza. Osservate come tutte le cellule del miocardio comune hanno questa caratteristica forma ma non hanno la stessa durata: alcune hanno un platau che dura di più altre che dura di meno. Osservate anche che le cellule del miocardio specifico hanno dei potenziali d‟azione che non hanno la classica forma di tipo platau, ma hanno la classica forma triangolare, non hanno il classico platau. Il potenziale d‟azione in giallo e il potenziale d‟azione in rosso , quella in giallo è della cellula del nodo del nodo seno-atriale e quella in rosso della cellula del nodo atrio ventricolare. Hanno forme diverse, non hanno il classico andamento rettangolare, salgono per entrata si sodio e calcio e scende per fuoriuscita. L‟unica differenza tra un altro potenziale d‟azione è che questo è molto lento, questo dura qualche centinaio di secondi , ma a parte la durata è di forma triangolare. Vedete lì è in verde la muscolatura comune dell‟atrio, in marrone la muscolatura comune del ventricolo, mentre con vari colori vengono indicati le varie cellule del miocardio specifico, in giallo il pacemaker primario, cioè il nodo senoatriale allo sbocco della vena cava superiore, nell‟insenatura tra questa e quella inferiore, e il nodo atrioventricolare in rosso sul margine destro del setto interatriale, poi questo fascetto di cellule che mette in comunicazione la muscolatura atriale con quella ventricolare e poi da qui nascono in viola le due branche destinate al ventricolo sinistro e poi la branca destinata al ventricolo destro. Parliamo di elettrocardiografia: Questa è la classica immagine di un elettrocardiogramma ambulatoriale, cioè il soggetto va dal medico, gli inseriscono un po‟ di elettrodi e gli fanno una registrazione elettrocardiografica. 57
Questo è quello che succede oggi. La prima volta che fu fatta era più o meno questa l‟attrezzatura che fu fatta da Einthoven. Questo fisiologo e medico olandese riuscì per la prima volta nel 1924 a registrare un tracciato elettrocardiogramma e per questo vinse il nobel per la fisiologia e la medicina ma, mise a disposizione per la pratica clinica uno strumento facile, non invasivo, che consente di registrare l‟attività elettrica del cuore e la registrazione avviene ponendo gli elettrodi sulla superficie cutanea e andando a vedere ciò che si registra. Cercherò di riassumere ciò che Enthoven vide. La metodica richiese molto tempo, bisognò aspettare gli anni ‟20 perché la tecnologia non aveva inventato ancora una cosa che aveva reso possibile tutto ciò e cioè la valvola termoionica, il diodo. Quando la tecnologia mise a disposizione questo diodo fu possibile tutto ciò. Un po‟ di biofisica e cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando. Einthoven partì da alcuni presupposti detti postulati di Einthoven:
il cuore durante la sua attività produce segnali di tipo elettrico: le cellule passano da negative a positive e poi nuovamente da positive a negative, si depolarizzano e poi si ripolarizzano. Il cuore si trova al centro del corpo che è una grande soluzione acquosa (45l di acqua in un uomo di 70 kg) e in questa soluzione acquosa si trovano disciolti degli ioni (sodio, potassio , cloro, ecc..). E‟ un buon conduttore. Quindi i segnali elettrici si propagano attraverso questo volume conduttore dal centro del corpo fino alla superficie cutanea. Quindi io ponendo degli elettrodi sulla superficie cutanea, posso registrare, per quanto smorzati, questi segnali elettrici generati dall‟attività ritmica del cuore; Il volume conduttore, che fa viaggiare in tutte le direzioni questi segnali elettrici, è omogeneo, questo è abbastanza azzardato. Dire che le caratteristiche di resistività elettrica dell‟osso, delle cartilagini, dei muscoli siano equivalenti è abbastanza azzardato, ma tutto sommato, per far funzionare il ragionamento, va bene; Il volume conduttore si può considerare di forma triangolare e questa forma la possiamo assimilare ad un triangolo equilatero che ha come vertici la spalla destra, la spalla sinistra e l‟inguine, cioè il tronco. Al centro del triangolo c‟è il cuore, cioè il generatore di questi segnali elettrici. Questo triangolo equilatero ha una buona disposizione bidimensional , ma una trascurabile disposizione tridimensionale, la dimensione antero-posteriore per Einthoven era trascurabile, quello che era importante era la base e l‟altezza. Qual è il principio di funzionamento di questo ragionamento? Se ho un triangolo equilatero, è possibile mettere degli elettrodi per esempio, immaginate che questo sia il triangolo che rappresenti l‟individuo al cui centro mettiamo il cuore e ho tre vertici, la spalla sinistra, quella destra e l‟inguine. Gli elettrodi di registrazione sono due, un anodo e un catodo, qui i vertici sono tre quindi è chiaro che bisogna fare almeno tre diverse registrazioni.
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La prima registrazione mettere l‟anodo sulla spassa destra, il catodo sulla spalla sinistra e chiudere il circuito, la seconda registrazione spalla destra e inguine e la terza registrazione spalla sinistra e inguine. Mettere un elettrodo sulla spalla non è abbastanza facile, ma provatelo a mettere all‟inguine, capite? Sono problemi tecnici con delle significative differenze di genere in cui era impraticabile questa cosa. Einthoven decise di modificare il triangolo facendo quella classica immagine che tutti conoscete dell‟uomo di Vitruvio disegnato da Leonardo , la classica posizione del soggetto con le braccia allargate in cui il triangolo diventava polso destro, polso sinistro e caviglia sinistra. Quindi dagli anni ‟20 in poi il triangolo non era più il tronco (spalla, spalla e inguine) , ma era diventato l‟intero corpo (polso destro, polso sinistro, caviglia sinistra) . Si sceglieva la caviglia sinistra perché il cuore è leggermente inclinato a sinistra e tutto sommato la caviglia sinistra andava abbastanza bene. L‟elettrodo era questa vasca con l‟acqua in una soluzione conduttrice, ci immergeva le due mani e il piede sinistro e ad ognuno era collegato un cavo elettrico che permetteva di chiudere il circuito e registrare ciò che si vedeva. Non veniva usato il piede destro nella sua versione definitiva. Cosa si vede??? Si vedono delle onde che salgono e scendono e queste sono state definite da Einthoven come lettere dell‟alfabeto a partire dalla P e quindi avremo P, Q, R, S, T. Queste sono rigorosamente in ordine alfabetico a partire dalla P. Non si parte dalla lettera A perché fino agli anni ‟30 del secolo scorso in geometria le linee rette venivano indicati a partire dalla lettera A , mentre i punti di una circonferenza venivano indicati dalla lettera P. Siccome secondo lui quelle non erano rette ma curve utilizzò la lettera P e non la A. Poi nel 1939 la società di geometria decise che questa era una cazzata e quindi da quel momento in poi anche sulla circonferenza i segmenti erano A, B, C, D… ma ormai quello gli aveva dato il nome ed erano stati battezzati per l‟eternità e rimarranno onda R, onda Q, ect. Anticamente dopo l‟onda T si riconosceva una piccola onda detta U, ma poi si misero d‟accordo che non ha importanza ed è stata ufficialmente abrogata. Che cosa sono queste onde? Esprimono quello che succede a livello cardiaco e negli anni ‟30 molte università studiarono quello che era la cosa più ovvia : mentre io osservo l‟onda P, nel cuore cosa sta succedendo? Cercarono di trovare un collegamento di causa ed effetto tra quello che succede a livello cardiaco e quello che si vede nel tracciato nello stesso momento.
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Per esempio l‟università di Catania fece degli studi interessanti e contribuì in maniera significativa, ci fu una santa alleanza tra il fisiologo Antonino Clementi, il clinico medico Condorelli e fecero degli studi sulla elettrocardiografia. Prendevano dei cani , inserivano nel cuore del cane gli elettrodi e poi registravano un diagramma di superficie quindi collegavano quello che registravano gli elettrodi attaccati nel cuore con quello che si vedeva in superficie in quello stesso istante e quindi furono in grado di poter costruire a spese dei cani quello che succedeva. Si ispirarono probabilmente a un proverbio cinese che fa parte del libro di medicina dell‟imperatore giallo che dice “lascia che il tuo medico operi sui cani se non vuoi essere il primo cane operato dal tuo medico”. Il meccanismo dimostrò che l‟onda P in quell‟istante si sta eccitando la muscolatura comune dei due atri, quando osservo le tre onde Q,R,S che vanno assieme e che costituiscono il complesso QRS , in quello stesso istante l‟eccitazione sta interessando la muscolatura comune del ventricolo destro e sinistro. Quindi l‟onda P eccitazione atriale , complesso QRS eccitazione ventricolare, del miocardio comune ventricolare. Mentre avviene QRS, quindi durante questa grande variazione di potenziale, si verifica la ripolarizzazione della muscolatura degli atri che è però un evento modesto che viene mascherato dall‟eccitazione della muscolatura ventricolare. Poi dopo un certo intervallo di tempo si osserva l‟onda T che si registra mentre la muscolatura ventricolare si sta ripolarizzando, cioè le cellule, che fino a quel momento erano in platau, stanno tornando da positive a negative. Dal punto di vista elettrico a livello cardiaco avvengono quattro eventi, ma se ne vedono solo 3 dal tracciato:
Depolarizzazione degli atri e si vede, Ripolarizzazione degli atri e non si vede, Depolarizzazione dei ventricoli e si vede , complesso QRS, E infine ripolarizzazione dei ventricoli e si vede perché è l‟onda T.
Quando si registra questo tracciato bisogna utilizzare delle calibrazioni e queste calibrazioni sono quelle che voi osservate disegnate lì o sulla carta millimetrata in cui è registrato l‟elettrocardiogramma: questi quadrettini rappresentano sull‟asse delle ascisse il tempo e sull‟asse delle ordinate il voltaggio. Un elettrocardiogramma non è altro che un tracciato che registra come va il voltaggio in funzione del tempo. Ogni quadrettino viene tarato in maniera tale che per quanto riguarda il tempo ogni quadrettino corrisponda a circa 40 millesimi di secondo, mentre il voltaggio, la sua ampiezza, corrisponde a 0,1 V o per essere più precisi a 0,1 millesimi di Volt. Quanto dura l‟onda P? Due quadrettini, circa 80 msec, il QRS dura 2 quadrettini quindi 80 msec, l‟onda T dura 4 quadrettini quindi 150-170 msec.
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Quando è ampia l‟onda T? Un paio di quadrettini, quanto è grande il QRS? 13-14 quadretti 1,3- 1,4 mV. Questa è la calibrazione in ogni parte del mondo. Ogni quadrettino sulla carta millimetrata è un millimetro per un millimetro. Einthoven questo tracciato lo faceva tre volte:
una volta metteva un elettrodo nel polso destro e uno nel sinistro, un‟altra volta nel polso destro e nella caviglia sinistra secondo il tipo di registrazione, e la terza volta tutto a sinistra, polso sinistro, caviglia sinistra.
Aveva tre diverse registrazioni che si chiamano I, II, III e sono le prime tre derivazioni che sono mai state fatte da un uomo. Naturalmente se io prendo la vostra collega e metto il catodo qui e l‟anodo qui e chiudo il circuito mi compaiono delle onde; se inverto anodo e catodo il tracciato è perfettamente uguale tranne che è capovolto: tutte le onde P, R, T si vedono verso l‟alto, Q ed S si vedono sotto e viceversa. Basta semplicemente invertire quale è il catodo e quale l‟anodo per cui Einthoven risolse il problema in maniera brillante: secondo lui questo era meglio quando l‟onda R era verso l‟alto e quindi metteva le tre registrazioni in modo tale che combaciassero i conti. Naturalmente non vuol dire nulla, ciò che conta non è questo ma il fatto che se P è verso l‟alto anche R e T devono esserlo e quindi Q ed S verso giù. Se invece Q ed S sono verso l‟alto P R T devono essere verso giù. Non ha importanza la specularità perché è data da un giochino di dove è il catodo e dove l‟anodo, ma è importante che si rispecchi questo tipo di polarità: P R T da un lato, Q e S dall‟altro. Questo è il primo approccio moderno all‟elettrocardiografia. Osservate in alto le prime tre derivazioni , vedete QRS verso l‟alto in tutte e tre, ma l‟ampiezza del QRS non è uguale in tutte e tre, se osservate ad occhio già si vede che nella II derivazione si vede meglio, nella prima così così ma nella III fa schifo, si vede appena, sono onde di piccolissima ampiezza. Perché l‟ampiezza è diversa? Einthoven fece una serie di esperimenti e scoprì che in tutti i soggetti osservò un fenomeno costante e cioè se lui misura quanti millimetri è grande il Q R S, misurandolo da dove inizia a dove finisce, otteneva un risultato curioso e cioè che in seconda derivazione misurava un valore che era esattamente uguale alla somma dell‟ampiezza degli altri due: II = I + III Tirò fuori una formula detta teorema di Einthoven. Questo è un fenomeno interessante, quindi l‟ampiezza non è casuale , ci deve essere una relazione fra queste. Tirò fuori un‟ipotesi: il cuore è leggermente orientato dall‟alto in basso, leggermente
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dall‟indietro in avanti e soprattutto da destra verso sinistra; inizia ad eccitarsi dal lato destro ma l‟ultimo pezzo si trova sul lato sinistro. Se rappresento questo vettore qui e vado a fare le perpendicolari sui tre lati del triangolo di Einthoven vengono fuori tre cose interessanti. Se io faccio la perpendicolare sul secondo lato dove si fa la seconda registrazione ho la massima ampiezza. Sugli altri due lati ottengo ampiezze minori e la somma di queste due è uguale a quella in seconda derivazione. Ma cosa vi ricorda questa formula? Se porto questo II al secondo membro cosa ottengo? I + III – II = 0 Questa è la formula che esprime il II principio di Kirckoff secondo il quale all‟interno di un sistema elettrico chiuso la somma algebrica dei potenziali è sempre 0. Cosa vuol dire? Immaginate di prendere una scatola da scarpe e mettere 50 palline bianche e 50 palline nere , chiudete in maniera tale che non si possono né aggiungere né togliere le palle dal sistema, il sistema è chiuso ed isolato. Dopo di che iniziate un‟operazione di “sguazzamento” della scatola, e può anche succedere che le 50 palline bianche finiscono da una parte e quelle nere dall‟altra , ma l‟unica cosa che non può cambiare mai è che la somma algebrica è sempre 0. Quindi, in un sistema chiuso può succedere che tutte le cariche positive escono da un lato e tutte quelle negative escono dall‟altro, ma in ogni caso quello che succede è che tutte le cariche, se in un sistema non vengono né aggiunte né tolte, hanno una somma algebrica uguale a 0. Questo è interessante perché ci permette di interpretare le derivazioni di Einthoven. Ad esempio, una persona molto alta ha un cuore posto più verticalmente, una persona bassa ha il cuore letteralmente appoggiato sul diaframma e quindi l‟asse elettrico del cuore è più orizzontale. Cosa cambia? Se avessi il cuore verticale, ovviamente la proiezione maggiore del cuore rimane sulla II derivazione, ma quella che cambia è il rapporto I e III lato, se è più orizzontale aumenta il diametro in I derivazione, mentre sparisce quasi quello in III derivazione: questo è un soggetto basso con l‟asse elettrico piuttosto orizzontale. Se registrate un tracciato come quello, disegnate un triangolo così e riportate quanti millimetri è il QRS in II, quante è in I e quanto in III: basta fare le perpendicolari per ottenere l‟asse elettrico del cuore. Fondamentalmente la misurazione dell‟asse elettrico è priva di significato perché dipende dalla struttura geometrica di ognuno di noi, ma attenzione, l‟asse elettrico che cambia in un adulto è inspiegabile in condizioni fisiologiche, non si può cambiare l‟altezza. Ad esempio, può essere data un‟ipertrofia del ventricolo destro, appoggiato al diaframma, che sta spingendo questo cuore verso l‟alto e l‟asse elettrico anziché essere verticale è orizzontale. Ora c‟è l‟ecocardiogramma e quindi possiamo misurare diametri e spessori, ma prima si faceva affidamento a questo pezzo di carta che rappresentava per un medico tutto quello che aveva per vedere il funzionamento del cuore. 62
Perché vi ho detto che bisogna aspettare la scoperta della valvola termoionica per potere mettere appunti questa metodica? Perché ci sono due problemi che bisogna sapere aspettare, problemi tecnici:
il primo è banale: l‟attività elettrica del cuore quando arriva in superficie arriva smorzata, attraversa i vari tessuti e quindi è un segnale di piccola ampiezza, bisogna amplificare questo segnale e quindi bisogna aspettare la valvola termoionica; Ma l‟aspetto più interessante è un altro, che rappresentò il vero problema: un elettrodo appoggiato sulla superficie cutanea è come un microfono messo in una stanza. Il compito del microfono è cogliere suoni , quello di un elettrodo è di cogliere segnali di natura elettrica. Se appoggio l‟elettrodo sul corpo del vostro collega, non registro solo l‟elettrocardiogramma ma registro anche tutti i tipi di segnali elettrici che produce, per esempio quando una cellula si contrae ogni cellula fa il suo bel potenziale d‟azione quindi, esistono tanti tipi di generatori elettrici che creerebbero una serie di disturbi e permetterebbero con difficoltà di identificare il tracciato dell‟elettrocardiogramma. Inoltre, c‟è un altro problema: se appoggio un elettrodo sul vostro collega non capto solo i segnali che produce lui ma funziona da antenna e prende tutti i segnali della stanza. Questo creerebbe un disturbo quindi, bisogna isolare l‟individuo dall‟ambiente e poi una volta che ho isolato l‟individuo, isolo il segnale prodotto dal cuore dal segnale prodotto dal muscolo striato e da tutti gli altri generatori dei segnali elettrici presenti nel corpo umano. Per fare ciò bisogna creare dei filtri che fanno passare un segnale si e certi no e soprattutto bisogna non farlo funzionare da antenna e quindi metterlo a terra, collegarlo con un elettrodo collegato a sua volta con una presa di terra. Se voi guardate una lunga presa elettrica nella parte centrale c‟è una presa di massa collegata ad un elettrodo in più visto che c‟è in più la caviglia destra. La caviglia destra viene usata come elettrodo di massa e viene usata come presa di massa: ciò evita che l‟uomo funzioni da antenna e che venga reso illeggibile il grafico da osservare. Le modificazioni che osservate: la classica modificazione di Einthoven, polso destro-polso sinistro (I derivazione), polso destro-caviglia sinistra (II derivazione) ed infine (III derivazione) polso sinistro-caviglia sinistra. In tutti e tre il QRS va verso l‟alto , gioco con catodo e anodo perché il QRS vada verso l‟alto. Cosa non dice l‟elettrocardiogramma? Siamo agli anni ‟30 più o meno, non mi dice quali sono le reali variazioni di potenziale, mi dice solo quando che c è una variazione di potenziale. Osservate , è la cosa più assurda. L‟assurdità è: il complesso QRS va verso l‟alto ed è una depolarizzazione, l‟onda T va verso l‟alto ma è una ripolarizzazione. Come è possibile che due eventi elettrici opposti, nel primo caso il ventricolo si depolarizza, nel secondo caso si ripolarizza, mi danno luogo a onde con la stessa polarità? Io mi aspetterei che se l‟onda di depolarizzazione va verso l‟alto, l‟onda opposta vada verso il basso e viceversa visto che sono di natura opposta. Cerchiamo di capire. Esperimento: prendo una striscia di tessuto muscolare cardiaco in vitro quando tutte le cellule sono a riposo, tutte negative, metto un elettrodo qui, uno qui e registro differenze di potenziale.
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In questo momento non registro nulla perché c‟è lo stesso potenziale, meno da un lato, meno dall‟altro quindi non c‟è nessuna differenza di potenziale, registro una linea isoelettrica, ossia nulla. A questo punto, eccito queste cellule e si realizza una differenza di potenziale, da un lato cellule di segno più, dall‟altro meno e vedo una variazione di potenziale. Quindi, se ho messo l‟anodo e il catodo vedo una variazione di potenziale verso l‟alto o il basso. A questo punto si propaga l‟eccitazione: sono diventate positive quelle centrali e sono tornate ad essere negative quelle di prima, in questo momento non si registra nulla perché abbiamo cellule meno in corrispondenza di un elettrodo e cellule meno in corrispondenza dell‟altro elettrodo. Il tracciato ritorna ad essere isoelettrico. L‟eccitazione arriva qua sotto e quindi ho nuovamente una differenza di potenziale ma stavolta, la differenza di potenziale è opposta (prima le cellule positive erano qui, quelle negative qui, adesso è il contrario) quindi avrò una variazione di potenziale di segno opposto. Mi aspetterei questo nel tracciato, il fatto che non avvenga significa che le cose non vanno così, e allora come vanno? Più o meno così: Tutto negativo, linea isopotenziale, eccito queste e quindi onde verso l‟alto. Tuttavia, mentre l‟onda viaggia, le prime cellule positive erano e positive rimangono, non tornano nuovamente ad essere negative, quindi si verifica una persistenza di positività e l‟onda rimane verso l‟alto fino a quando anche l‟ultima cellula diventa positiva. Quando ciò avviene, tra i due elettrodi non c„è più differenza di potenziale, positiva a sinistra e a destra e ricompare la linea isopotenziale. Adesso deve avvenire la ripolarizzazione. Se facessi partire la ripolarizzazione da qui avrei l‟inversione del gradiente e quindi un‟onda verso il basso, ma se io invece faccio tornare negative le ultime che si sono depolarizzate ottengo lo stesso fronte d‟onda con il positivo verso sinistra e il negativo verso destra. La depolarizzazione è andata in questo senso, ma la ripolarizzazione viaggia in senso diametralmente opposto e quindi vedrò nuovamente un‟onda positiva. In altre parole, nel cuore la prima parte che si eccita sarà l‟ultima che si ripolarizza o se preferite l‟ultima che si eccita sarà anche la prima a ripolarizzarsi. Qual è il vantaggio? Non è da poco, la prima parte del ventricolo che si eccita è il setto, subito sotto il nodo di Tawara, poi l‟apice e poi le pareti del ventricolo sino alla base sia del ventricolo destro che sinistro. Fino a quando le cellule sono in platau sono in refrattarietà assoluta quindi, le cellule del setto si sono eccitate, sono entrate in platau e il setto rimane in refrattarietà assoluta fino a quando tutto il cuore prima si è eccitato e poi tutto ripolarizzato. Questo significa che se mentre tutto questo avviene e dall‟alto dovesse arrivare un impulso anomalo, questi trova il sistema in refrattarietà che se ne frega altamente, lascia che avvenga prima tutta la depolarizzazione e poi tutta la ripolarizzazione. Questo vi spiega un fenomeno molto interessante: la durata dei potenziali d‟azione non è uguale, osservate come la durata del potenziale d‟azione, il platau nella prima zona che si eccita ha durata 64
maggiore, mentre nell‟ultima zona che si eccita ha durata minore. Quindi è vero che è la prima che si eccita ma è anche l‟ultima che si ripolarizza. Questo sistema garantisce che il cuore rimanga in refrattarietà fino a quando anche l‟ultima cellula ha completato sia il processo di depolarizzazione che ripolarizzazione; solo allora può accettare dall‟altro un nuovo stimolo. Questo meccanismo impedisce che possa avvenire la cosa più pericolosa a livello cardiaco: mentre una parte del cuore è eccitata, un‟altra potrebbe essere a riposo e cioè frammentare questa precisa organizzazione sincrona in tante attività asincrone dette fibrillazione ventricolare (si muore perché non essendoci più un‟eccitazione sincrona non c‟è più una contrazione sincrona e viene meno la funzione di pompa del ventricolo sinistro). Ve lo ripeto: Nel tracciato elettrocardiografico l‟onda P esprime l‟eccitazione della muscolatura atriale in verde, il QRS l‟eccitazione della muscolatura ventricolare ed infine l‟onda T esprime la ripolarizzazione della muscolatura ventricolare con una indiscutibile organizzazione spazio-ventricolare: le prime parti che si eccitano saranno anche le ultime a ripolarizzarsi e quindi, le ultime cellule che si sono depolarizzate saranno le prime a ripolarizzarsi. Osservate come sono sfasate l‟eccitazione delle cellule e come è sfasato in senso opposto la ripolarizzazione di queste cellule. Quella che vedete qui, quella del fascio di His è la prima ad eccitarsi, ma sarà anche l‟ultima a ripolarizzarsi. Come si può fare un tracciato elettrocardiografico? L‟onda P esprime l‟eccitazione delle cellule dell‟atrio, mentre il QRS esprime l‟eccitazione delle cellule del ventricolo, quindi le prime cellule dell‟atrio si depolarizzeranno, formeranno il loro famoso potenziale d‟azione rettangolare e si ripolarizzeranno mentre avviene il QRS e quindi non si vede; mentre le prime cellule del ventricolo cominceranno a depolarizzarsi all‟inizio dell‟onda Q , formeranno il loro potenziale d‟azione e si ripolarizzeranno ovviamente all‟interno dell‟onda T. Le prime si ripolarizzeranno per ultime e le ultime per prime. Chiaro? Alla fine ci sono questi due eventi fondamentali, il potenziale d‟azione delle cellule reali di forma rettangolare con una depolarizzazione e una ripolarizzazione e il potenziale d‟azione delle cellule ventricolare con la sua depolarizzazione e ripolarizzazione. Gli 80msec di variabilità del QRS rappresentano lo spazio di tempo nel quale le diverse cellule del ventricolo si eccitano, le prime si eccitano all‟inizio dell‟onda Q , le ultime alla fine dell‟onda S e l‟onda P rappresenta la dispersione temporale di ripolarizzazione. Ve lo ripeto ancora una volta, questa è la cosa che dovete memorizzare bene!!! “Gli americani la sistole dell‟atrio la chiamano presistole perché viene prima della vera sistole che è quella del ventricolo quindi la chiamano presistole. Siccome sono americani che è sinonimo di ignoranti sono convinti che Einthoven chiamò l‟onda P così perché era presistole. Ovviamente tutto questo discorso della geometria della circonferenza, non né hanno la più pallida idea” Il nostro tracciato elettrocardiografico viene registrato con coppie di elettrodi, un anodo e un catodo sui tre vertici del triangolo di Einthoven, il polso destro, il polso sinistro e la caviglia sinistra. La 65
caviglia desta serve solo per mettere a terra il soggetto, si usano dei colori e vedrete che l‟elettrodo che si trova in caviglia destra è di colore nero che sta ad indicare la messa a terra, il collegamento con la presa di terra. Il tracciato che compare è questo e questo a livello cardiografico permette di osservare alcune cose: cinque onde P, Q, R, S, T, tre da un lato e due dall‟altro, non è importante se sono sopra o sono sotto, l‟importante è se P è sopra R e T devono essere sopra e Q ed S sotto e viceversa. Osservate un‟altra cosa di cui vi ho ancora parlato: le onde non sono attaccate le une alle altre ma fra onda P e Q c‟è un tratto isoelettrico in cui non c‟è differenza di potenziale registrata e la stessa cosa succede tra la fine dell‟onda S e l‟inizio dell‟onda T, anche qui c‟è un tratto isoelettrico che non esprime il fatto che l‟elettrodo non registra differenze di potenziale. Che cosa sono questi due tratti isoelettrici? Il secondo è un vero tratto isoelettrico cioè le cellule del ventricolo si sono tutte depolarizzate, cioè sono tutte positive e non sono ancora ripolarizzate, tutto il ventricolo è positivo e gli elettrodi non registrano una differenza di potenziale, poi man mano che qualcuna inizierà a ripolarizzarsi si formerà un‟onda T, ma fino a quando sono tutte allo stesso potenziale la linea sarà così. Dura 2 quadrettini e mezzo quindi un centinaio di millesimi di secondo ma nulla di importante. Quella più interessante invece, è la prima, quella che si chiama intervallo PQ, cioè tra la fine dell‟onda P e l‟inizio dell‟onda Q. Anche questa è una linea isopotenziale ma, se metto degli elettrodi nel cuore, in questo momento non è vero che il cuore è tutto allo stesso potenziale, l‟atrio è tutto polarizzato, il ventricolo è depolarizzato e soprattutto esistono dei potenziali d‟azione che stanno viaggiando dal nodo di Tawara al fascio di His per far passare l‟eccitazione dall‟atrio al ventricolo. Quindi non è vero che c‟è una polarizzazione in atto, soltanto che le cellule eccitate è così piccola che il sistema non se né accorge quindi, mentre il tratto ST è una vera linea isopotenziale, il tratto RQ è una falsa linea isopotenziale, sembra che non stia accadendo niente ma in realtà c‟è un fronte d‟onda importante che sta trasportando l‟eccitazione dalla muscolatura atriale a quella ventricolare. Coinvolge poche cellule ma, sta attraversando e si sta propagando. In definitiva, nel tracciato non ci sono solo cinque onde ma anche due tratti isoelettrici, un tratto isoelettrico falso PQ, in cui l‟eccitazione sta passando dall‟atrio ai ventricoli lungo il Tawara e un fascio isoelettrico vero che è tra la fine di S e l‟inizio di T, dove tutto il ventricolo è depolarizzato e non ha iniziato la fase di ripolarizzazione. Questo evento è molto importante perché illustra un fenomeno di grande importante fisiologica perché rappresenta il fascio atrio-ventricolare o nodo di Tawara che mette in comunicazione la muscolatura atriale con quella ventricolare. Il nodo di Tawara ha delle particolarità: deve fare due cose importanti, le cellule hanno una caratteristica resistenza di membrana che permette loro di fare 2 cose importanti. La prima è che quando l‟eccitazione raggiunge le cellule di Tawara che cosa succede? Che l‟eccitazione si propaga cellula dopo cellula, quindi si perde un po‟ di tempo. Nel caso del nodo di Tawara l‟eccitazione si propaga cellula dopo cellula lentissimamente, si perde un‟enorme quantità di tempo, la propagazione in quel punto viene fortemente rallentata e questo è importante perché il nodo senoatriale si trova sopra e il nodo atrioventricolare si trova sotto, quindi l‟eccitazione raggiunge abbastanza velocemente il nodo atrioventricolare, lo raggiunge prima che si sia eccitato l‟atrio di sinistra.
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Quindi bisogna perdere quel tratto di tempo necessario in modo che sia l‟atrio di destra che di sinistra si eccitino in maniera sincrona per avere una sistole sincrona prima di mettere in moto il ventricolo: tutto questo permette al sistema di ottenere un buon rallentamento grazie a queste resistenze molto alte all‟interno del nodo di Tawara che rallentano la propagazione. Se questo non ci fosse il ventricolo si ecciterebbe prima dell‟eccitazione dell‟atrio e quindi si verrebbe a creare una perdita di sincronia tra l‟eccitazione atriale e quella ventricolare, si creerebbe la sindrome da preeccitazione ventricolare o malattia di Woolf, Parkinson e White. Chiaro? Quando poi viene eccitato il fascio di His posso guadagnare tempo, velocizzando l‟eccitazione. Mentre il nodo di Tawara ha un dromotropismo, cioè una velocità di propagazione lentissima, il fascio di His ha un dromotropismo elevatissimo, tanto il tempo che bisognava perdere è perduto e adesso si cerca di guadagnare un po‟ di tempo. La differenza tra il nodo di Tawara e il fascio di His è la velocità di propagazione, pochi centimetri al secondo nel nodo di Tawara , 2/3 m al sec nel fascio di His. Che cosa succede? Può succedere che alcuni individui nascono con un fascio atrio-ventricolare in più, oltre al Tawara né hanno uno in più o due in più e quindi trovate da qualche parte un fascio aggiuntivo, il più frequente si chiama fascio di Kent, ma ce né sono altri, e questo fascio aggiuntivo è un altro fascio che mette in comunicazione l‟atrio con il ventricolo. Questi fasci aggiuntivi non rallentano e quindi creano la famosa sindrome di Woolf Parkinson e White: il ventricolo si eccita troppo presto prima ancora che l‟atrio si sia eccitato bene e quindi la gittata cardiaca non è sufficiente come dovrebbe. In questi casi occorre un intervento di cardiochirurgia e si deve andare a bruciare il fascio e avere l‟unico fascio che serve per rallentare, ovvero quello di Tawara. Torniamo al tracciato elettrocardiografico L‟intervallo tra la fine di P e l‟inizio di Q è il tempo che si perde nel nodo di Tawara e questo permette di completare l‟eccitazione atriale prima di mettere in moto l‟eccitazione dei ventricoli, è un rallentamento fisiologico necessario e quindi quando andate a trovare il tracciato questo intervallo deve avere queste dimensioni: un paio di millimetri (70-80 msec). Se è di meno è pericoloso, la malattia di Woolf Parkinson e White è già presente al di sotto dei 40 msec. Questo è un punto importante in diagnostica. Naturalmente il tracciato così raccontato non ci dice quali sono le zone in cui la portata è maggiore o minore, vi dice solo che c‟è una differenza di potenziale. Di conseguenza, a partire dagli anni ‟30 si rese necessario modificare l‟elettrocardiografia per avere informazioni sui gradienti di flusso elettrico, per capire dove c‟era un potenziale maggiore e fu modificata l‟elettrocardiografia e si introdusse un concetto: non devo più misurare la differenza di potenziale tra un punto e un altro punto, faccio un‟operazione diversa. Qui metto il catodo, l‟altro elettrodo invece non lo metto sull‟altro vertice del triangolo di Einthoven ma faccio in modo che sia a potenziale 0, e quindi se il potenziale è maggiore avrò variazioni verso l‟alto , se è minore avrò 67
variazioni di potenziale verso giù. Non uso due elettrodi esploranti ma un unico elettrodo esplorante rispetto ad un elettrodo a potenziale costante 0. Quindi, mentre le derivazioni di Einthoven usano 2 elettrodi esploranti e quindi vengono detti bipolari, fu introdotta in elettrocardiografia questa nuova metodica che viene detta monopolare in cui l‟elettrodo esplorante è uno che viene confrontato con uno a potenziale 0. Chiaro? Questo mi fornisce un grande vantaggio perché mi permette di sapere se il potenziale va ad aumentare o a diminuire, mi permette di conoscere la realtà del sistema. È facile mettere l‟elettrodo esplorante, la cosa complicata è come mettere l‟elettrodo non esplorante? Lo metto prima nel lobo dell‟orecchio ma bastava che la resistenza della cute cambiasse per non avere più potenziale 0, dopo una serie di esperimenti Wilson disse che un elettrodo 0 si costruiva seguendo il teorema di Einthoven : I + III – II = 0 E‟ facile avere un elettrodo a potenziale 0: metto un elettrodo esplorante qui, qui metto un secondo elettrodo, metto un elettrodo qui e uno alla caviglia, li metto in corto circuito e nel punto del cortocircuito producono sempre e solo un potenziale 0 e si mettono a confronto con il primo. Vengono introdotte quelle che si chiamano derivazioni monopolari dagli arti . Furono poi modificate da Goldbergh che introdusse una modificazione del sistema e cioè per poter fare quelli di Wilson io avevo bisogno di mettere tre elettrodi per fare quello 0 , poi ne dovevo mettere un altro per fungere da elettrodo esplorante e cioè in ogni vertice del triangolo ci volevano 2 elettrodi, uno per fare l‟elettrodo 0 e uno per fare quello esplorante . Goldbergh disse che se io metto l‟elettrodo esplorante sul polso sinistro basta mettere in cortocircuito gli altri 2 vertici del triangolo per ottenere un buon elettrodo 0 e semplifico la procedura. Non si usano le registrazioni di Wilson ma quelle di Goldbergh che vengono chiamate amplificate di Goldbergh che sono una volta registrate aVR dal polso right, aVL dal polso left e aVF dal foot sinistro. Le tre derivazioni monopolari dagli arti rappresentano un grosso passo avanti perché per la prima volta si osserva che il QRS in alcune registrazioni anziché andare verso l‟alto va verso giù e viceversa. Stavolta la polarità è significativa, l‟elettrodo ci dice come stanno le cose. Osservate aVr e aVF sono perfettamente speculari: in aVR, P R T sono verso il basso, mentre in aVF, P,R ,T sono verso l‟alto, ovviamente se P,R,T sono verso l‟alto Q ed S sono verso il basso e viceversa. Finalmente compare qualcosa di diverso, nel caso delle derivazioni classiche di Einthoven era lui che li faceva andare tutti verso l‟alto perché gli piaceva, ma in questo caso avendo un solo elettrodo esplorante perché se lo metto nel piede destro il QRS va verso il basso e se lo metto nel piede sinistro il QRS va verso l‟alto? Se lo mettete nel polso sinistro succede tra poco e niente. Ritornando al triangolo di Einthoven:
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In questo vertice del triangolo (polso destro) il vettore se lo vede andare via, mentre il piede sinistro questo stesso vettore se lo vede venire addosso, mentre il polso sinistro non se lo vede né venire addosso né andare via, rimane ortogonale al sistema. Per cui, l‟interpretazione è: sono verso l‟alto tutte le onde derivate da un vettore che va verso l‟elettrodo esplorante, sono verso il basso tutte le onde derivate dal fronte d‟onda che si allontana dall‟elettrodo esplorante , se invece l‟onda non si allontana e non si avvicina come ad aVL ci sono delle variazioni di potenziali insignificanti che il sistema registra a stento. Guardando quindi aVR, aVF, aVL e sapendo che sono ai tre vertici di un triangolo avete un‟idea di come è organizzato questo vettore: la spalla destra se lo vede allontanare , il piede sinistro se lo vede venire addosso. A questo punto il sistema ha trovato l‟ultima variabile: se io anziché mettere un elettrodo a un metro dal cuore, polso destro, polso sinistro, caviglia, lo metto più vicino al cuore posso avere delle registrazioni più precise? Perché ovviamente più è lontano più il segnale si diluisce, perde di ampiezza. Vengono allora introdotte delle derivazioni monopolari sempre con un elettrodo 0 e un solo elettrodo esplorante in cui quest‟ultimo si pone sulla cassa toracica in modo che sia più vicino possibile al generatore elettrico, cioè al cuore. L‟ultimo tipo di derivazione che si usa in cardiografia è rappresentato dalle derivazioni precordiali, in cui cioè l‟elettrodo esplorante è posizionato il più vicino possibile al cuore. Questi sei punti da cui viene fatta la derivazione monopolare dagli atri, ovvero un solo elettrodo esplorante che viene spostato lungo l‟emilato sinistro del torace nei 6 punti di registrazione, è data da 6 punti fissi che sono le derivazioni precordiali:
V1: marginosternale destra cioè una linea immaginaria che costeggia il margine destro dello sterno, dovete scendere fino al 4° spazio intercostale (contate fino a 4 a partire dalla clavicola); V2: perfettamente simmetrico al V1 con la marginosternale sinistra; V3: non ha un punto di repere, si mette a metà strada tra V4 e V2; V4: si deve posizionare dove si metteva il fonendoscopio per la mitralica, 5° spazio intercostale emiclaveare o mammario, V5: nel 5° spazio in corrispondenza a una linea immaginaria originaria dall‟ascella che si chiama ascellare anteriore; V6: si parte dal 5° spazio intercostale e si colloca in corrispondenza alla linea ascellare media, una linea immaginaria che taglia a metà il cavo ascellare.
È come se avete il cuore fotografato da 6 angoli diversi e questo è il risultato: V2 il vettore cardiaco se lo vede allontanare quindi il QRS sarà verso il basso, mentre V4 e V5 se lo vedono avvicinare quindi QRS saranno verso l‟alto, osservate come si passa da un QRS negativo, cioè verso il basso di V1, a un QRS positivo, cioè verso l‟alto di V4 e V5. Normalmente quando vi fanno un tracciato ambulatoriale vi devono fare tutte e dodici le derivazioni, quindi 12 diversi tracciati e in questo ordine:
Quelli di Einthoven, ovvero i tracciati bipolari degli arti I, II e III; Quelli di Goldbergh, ovvero i tracciati amplificati dagli arti aVR, aVL, aVF; 69
I sei tracciati precordiali, da V1 a V6.
E vi devono dare o tutta la striscia o ve le incollano in un foglio, ma vi devono dare la visione differenziata del cuore grazie a metodiche o punti diversi, o dagli arti o precordiali. Questo è il classico tracciato ambulatoriale. Siamo al 1950, nel frattempo qualcosa è cambiato, lunedì lo aggiorneremo con due approcci che interessano il clinico: questo è un tracciato fatto ad un uomo a riposo nel lettino, esistono anomalie del cuore che a riposo non si vedono e si vedono quando il soggetto è sottosforzo. Quindi il più banale tracciato è l‟elettrocardiogramma da sforzo e si vede a quale carico ci sono certe anomalie. Ma il più grande tracciato è stato inventato da Holter e prende il suo nome e consiste nel registrare l‟elettrocardiogramma per 24 h consecutive, in modo tale da avere un tracciato mentre mangia, dorme, cammina…. Attaccate ai soggetti una macchinetta e gli date un diario e vedrete se le anomalie coincidono con particolari eventi.
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Lezione 7 Riprendiamo il discorso che avevamo cominciato sull'elettrocardiografia. Vi faccio rivedere un po' di immagini *cerca di far vedere le immagini* Il discorso che abbiamo iniziato la volta scorsa completa quella che è la fisiologia di base del cuore. Il discorso è: il cuore ha un'attività meccanica, ritmica (si alternano sistoli e diastoli) e alla base di questa attività meccanica c'è un'attività elettrica, e sono in rapporto di causa (il fenomeno elettrico) ed effetto (l'attività meccanica, le contrazioni ed i rilasciamenti della muscolatura cardiaca). Il ciclo meccanico del cuore è facile da studiare, oggi abbiamo uno strumento di indagine eccellente che è l'ecocardiografo che ci consente di vedere il cuore mentre le sue varie componenti si contraggono e rilassano, di vedere le valvole che si aprono e si chiudono, di vedere la dimensione di questi eventi quindi di poter misurare quantitativamente le variazioni cardiache. Dall'altro lato c'è la causa, ovvero i fenomeni elettrici cardiaci che, abbiamo detto, non vengono ordinati dall'esterno ma è il cuore stesso che è in grado di autogenerare quest'attività elettrica utilizzando una popolazione di cellule muscolari specializzate (il cosiddetto "miocardio specifico") dotato di una capacità che la stragrande maggioranza delle cellule cardiache non ha, quella dell'autoeccitazione (cioè cellule che lasciate a se stesse ritmicamente e periodicamente si eccitano generando un potenziale d'azione) che le porta da negative a positive (si depolarizzano). Questo evento, che interessa inizialmente le poche cellule autoeccitabili delle strutture specializzate, si propaga cellula dopo cellula a tutto il cuore coinvolgendo prima la muscolatura atriale (depolarizzazione degli atri) e poi quella ventricolare (depolarizzazione dei ventricoli); mentre avviene la depolarizzazione dei ventricoli gli atri si ripolarizzano (e quindi nel tracciato dell'ECG la grande depolarizzazione dei ventricoli maschera la ripolarizzazione degli atri) e infine abbiamo la ripolarizzazione ventricolare. E poi si ricomincia da capo.
Questa serie di eventi si può registrare dalla superficie cutanea (in maniera non invasiva, incruenta, quindi una tecnica estremamente facile da gestire) e questa metodica come voi sapete prende il nome di ElettroCardioGramma. La messa a punto ha consentito di avere a disposizione uno strumento in grado di permetterci di valutare la correttezza e l'efficacia dei processi di eccitazione, depolarizzazione e ripolarizzazione che avvengono al livello del miocardio; e questa serie di eventi porta a registrare e vi fa vedere un po' di eventi che si susseguono ritmicamente che vi permettono da medici di comprendere alcune patologie. Ovviamente non vi dico una cosa banale, penso che sia ovvio: l'elettrocardiogramma vi da informazioni su eventi di natura elettrica, chiaro? Ciò che non è elettrico nell'ECG non viene mostrato (come ad esempio una valvola che non si chiude bene o un muscolo che perde forza contrattile e se ne va in insufficienza ventricolare). Insomma voi avete a disposizione uno strumento che va bene per tutto ma uno strumento che va bene quando il problema è di natura elettrica, se è di natura meccanica è meglio se usate l'ecocardiografia che vi da tutta un'altra serie di informazioni che invece l'elettrocardiografia ovviamente non è in grado di fornire; quindi non esiste uno strumento in grado di darvi 71
informazioni assolute sul funzionamento del cuore, ma avete bisogno di una serie di approcci in funzione di ciò che volete cercare. E' chiaro che se voi cercate insufficienza ventricolare ve lo scordate con l'elettrocardiografia, se invece volete studiare la presenza o meno di una fibrillazione atriale o di turbe della conduzione è chiaro che esso è lo strumento ideale.
Allora, cominciamo a ragionarci e a continuare il discorso della volta scorsa. L'elettrocardiogramma è formato da cinque onde non consecutive che si susseguono con una certa regolarità. *trova un "volontario" per cercare un pennarello funzionante* Il tracciato elettrocardiografico vi dicevo nasce dai cosiddetti postulati di Einthoven, e cioè alcune frasi banali: - Il cuore genera segnali elettrici - Il cuore si trova immerso nel corpo umano che è un'enorme conduttore (essendo fatto da ioni in soluzione acquosa e quindi un conduttore di secondo tipo) E quindi questi segnali elettrici possono propagarsi dalla profondità dove nascono fino alla superficie cutanea: e quindi per quanto smorzati è possibile registrarli al livello superficiale. Che questo conduttore sia omogeneo [viene accolto come verità di fede - 0:23:33 non si capisce una cippa] o che questo conduttore abbia una insignificante dimensione anteroposteriore, che sia quindi rappresentabile come un triangolo equilatero è anche questo una postulazione abbastanza pittoresca, ma comunque. Grossomodo secondo la classica posizione dell'uomo di Vitruvio il triangolo equilatero ha per vertici il polso destro, il polso sinistro e la caviglia sinistra, avendo tre lati e essendo al centro il cuore io posso registrare l'attività elettrica del cuore utilizzando due elettrodi (un anodo ed un catodo). Ma siccome sono tre lati e due elettrodi sono costretto a fare tre diversi accoppiamenti: un primo accoppiamento si fa mettendo un elettrodo al polso destro ed un elettrodo al polso sinistro, il secondo accoppiamento lo faccio tra polso destro e caviglia sinistra, e infine il terzo me lo faccio tutto a sinistra, cioè caviglia e polso sinistri. E con molta fantasia, visto che utilizzo due elettrodi, tali misurazioni saranno chiamate Derivazioni Bipolari di Einthoven.
*mostra il tracciato dell'elettrocardiogramma*
La prima di queste onde, vedete, la cosiddetta onda P, si registra per una durata di circa 80 millisecondi e si è visto che mentre io dalla superficie cutanea registro l'onda P si ha in quel momento la depolarizzazione della muscolatura atriale (cioè il miocardio comune dell'atrio si sta depolarizzando - ovviamente prima l'atrio di destra visto che il pacemaker si trova a destra, e poi attraverso i fasci interatriali l'eccitazione raggiunge anche l'atrio di sinistra). Sottolineo che l'onda P indica l'intervallo di tempo che c'è tra il momento in cui si eccita la prima cellula dell'atrio e il momento in cui inizia ad eccitarsi l'ultima cellula dell'atrio stesso, quindi questa onda rappresenta una variazione di potenziale, nel senso che in quest'istante *riferendosi al disegno sulla lavagna* si 72
eccitano le prime cellule dell'atrio, mentre in quest'altro istante si eccita l'ultima cellula dell'atrio. Questo range temporale esprime la dispersione temporale tra le prime cellule che si eccitano nell'atrio (destro) e le ultime (situate nell'atrio sinistro). Ovviamente non viene indicata nell'onda P l'eccitazione del pacemaker (nodo senoatriale o nodo di Keith-Flack), dato che avviene prima, ma siccome sono poche il sistema di registrazione non se ne accorge - in pratica non si ha nessun segnale elettrico rilevabile in termini di elettrocardiogramma. Bisogna sottolineare che la ripolarizzazione delle cellule della muscolatura atriale avviene in pieno QRS, quindi non sarà visibile nel tracciato dell'elettrcardiografo. Dopo di che vedete che alla fine dell'onda P tutte le cellule dell'atrio saranno in plateau, e avendo lo stesso potenziale si registra questa linea isopotenziale che rappresenta il momento in cui il sistema non vede differenze di potenziale (tutte le cellule dell'atrio sono depolarizzate, e tutte con lo stesso valore di potenziale); tale tratto finisce dove inizia l'onda QRS, coincidente (ma non identificabile) con la ripolarizzazione atriale. Durante il periodo in cui è presente la linea isopotenziale tra l'onda P e la QRS avviene il passaggio dello stimolo elettrico fino al nodo di Tawara, ma siccome la quantità di cellule coinvolte è minima il sistema non registra niente: per questo in elettrocardiografia questa linea viene chiamata "linea isoelettrica falsa".
Vi dicevo anche la volta scorsa che il nodo di Tawara ha il compito di far perdere tempo, deve rallentare la propagazione del segnale per dare il tempo all'eccitazione di passare dall'atrio destro all'atrio sinistro e così i due atri vengono entrambi ad essere eccitati; solo dopo l'eccitazione passa al fascio di His e quindi invaderà la muscolatura ventricolare. Quindi il primo dei due grandi compiti del nodo di Tawara è quello di rallentare la propagazione ed è un grosso rallentatore, dato che lui è stato eccitato quando ancora l'atrio sinistro non è stato invaso, rallenta il segnale dando il tempo all'atrio sinistro di eccitarsi e solo dopo un bel po' passa l'eccitazione al fascio di His e dunque si ha l'invasione dei ventricoli. Tale invasione comincia in questo momento *indica l'onda QRS*, ricordatevi com'è fatto il cuore *lo disegna* : siamo al livello del del passaggio fra atrio e ventricolo, e al livello del setto che separa i due ventricoli e che permette al fascio di His di diffondere il segnale alla muscolatura ventricolare. Il fascio di His è piuttosto corto, si divide formando due branchie a sinistra ed una a destra, quindi il setto viene invaso sia da destra verso sinistra ma soprattutto il vettore maggiore è da sinistra verso destra, mentre l'asse elettrico del cuore è in direzione sinistra-destra. Questo significa che si vede un'onda opposta - l'onda Q - e poi solo dopo si vede un' onda R. L'onda Q esprime l'invasione del setto (vedete? In direzione opposta al vettore medio cardiaco) mentre l'onda R sarà l'invasione di tutte le restanti parti del ventricolo. L'ultima parte del cuore, la base del ventricolo sinistro, formerà l'onda S perché vedete che anche qui c'è un vettore anomalo (dal basso verso l'alto) mentre il vettore medio cardiaco è dall'alto verso il basso. Quindi la Q esprime l'invasione del setto, la S esprime l'invasione dell'ultima parte del cuore che si eccita. Questo vi spiega perché il QRS è polifasico: è formato in realtà da tre onde fuse assieme, perché durante l'invasione del ventricolo si ha l'invasione di tre vettori diversi nella direzione. Un vettore medio, l'onda R, che va dall'alto in basso e da destra verso sinistra, e due vettori anomali che sono 73
invece l'invasione del setto da sinistra a destra, l'onda Q, e l'invasione della base addirittura dal basso verso l'alto, l'onda S.
Allora vi viene fuori questo complesso di onde che dall'inizio alla fine dura 80 millisecondi e anche qui esprime la serie di cellule che si eccitano (le prime, quelle del setto, si eccitano più o meno all'inizio del QRS, e le ultime, quelle del setto, si ecciteranno ovviamente quando l'impulso arriverà alla base del ventricolo. In questi 80 millisecondi c'è la dispersione temporale di tutte le cellule muscolari ventricolari, le quali si ecciteranno andando in plateau; una volta in questo stato c'è la isoelettrica (vera, stavolta); e poi cominciano a ripolarizzarsi, le prime a farlo sono le ultime che si sono eccitate, al contrario le cellule del setto si ripolarizzeranno per ultime dato che sono state le prime ad eccitarsi. Questo fenomeno è curioso ma importantissimo dal punto di vista fisiologico (che le parti le quali si eccitano per prime si ripolarizzeranno per ultime e viceversa). inoltre il plateau non ha la stessa durata in tutte le cellule miocardiche ventricolari, dura di più nella zona settale, ha una durata intermedia nella zona apicale e dura soprattutto molto poco nella base del ventricolo, nell'ultima parte che si eccita (da qui ripartirà l'invasione del ventricolo). Quindi il ventricolo si invade in una direzione che è "setto-apice-base" e si ripolarizza in una direzione che è "base-apice-setto". Sono due vettori uguali e opposti, ed essendo tali si vedranno allo stesso modo nell'elettrocardiogramma (onda P e onda R hanno la stessa polarità, dunque lo stesso lato).
Come si registra? Il metodo classico è mettere un elettrodo sul polso destro, uno sul polso sinistro e registro. Poi ne metto uno sul polso destro, uno sulla caviglia sinistra e registro, ed infine li metto tutti a sinistra e registro. Einthoven voleva che QRS fosse sempre verso l'alto, per fare questo (per motivi estetici - perché gli piaceva) quando faccio la prima, polso destro e polso sinistro, occorre per forza che il polso destro sia positivo e il polso sinistro sia negativo, quando faccio la seconda mantengo il polso negativo e metto l'elettrodo positivo nel piede, quando infine faccio la terza mantengo il piede positivo e quindi il polso sarà negativo. Usando questo accorgimento P, R e T saranno verso l'alto e di conseguenza Q e S verso il basso. Questa è una convenzione, dato che basta invertire la polarità (ad esempio nella seconda derivazione) che avrò lo stesso tracciato però speculare. Ma di questo non mi frega niente, non mi interessa se QRS è verso su o verso giù, quello che è importante è un'altra cosa: se R è verso su (insieme a P e a T) Q ed S devono essere verso giù, in senso opposto; se invece R è verso giù Q ed S saranno verso su. Questo negli anno '30. Si vide poi che questo fenomeno in realtà aveva una grossa lacuna: non ci da informazioni sui veri fenomeni cardiaci, ovvero io posso misurare una differenza di potenziale sia perché questo diventa +5 e questo diventa +10, ma anche se questo diventa -10 e questo -20, è sempre una differenza di potenziale. Quello che non so è il segno, non so se è positivo o negativo, che cos'è questa variazione di potenziale? 74
I sistemi bipolari non ve lo dicono, riferiscono solo una differenza di potenziale. Ma la natura di questa differenza non ve la dicono, per poterla conoscere devo usare un trucco, abbastanza banale: prendo un elettrodo, lo metto su uno dei vertici del triangolo e poi lo confronto con un altro elettrodo sempre a potenziale zero. Quindi quello che vedo in un elettrodo viene confrontato con lo zero, in tal maniera riusciamo finalmente a conoscere la natura della differenza di potenziale. Nascono così le cosiddette "derivazioni monopolari". Esse hanno un unico elettrodo esplorante, che viene appoggiato di volta in volta sul polso destro, su quello sinistro e sulla caviglia sinistra, e quello che registra l'elettrodo esplorante viene confrontato con un altro elettrodo sempre a potenziale zero. Esso viene ottenuto mettendo in corto circuito gli altri due lati del triangolo: quindi se io registro in questo momento dal polso sinistro della vostra collega, basta mettere in corto polso destro e caviglia sinistra che ottengo l'elettrodo zero; poi quando passerò all'altro polso metterò in corto gli altri due ed infine quando registro dalla caviglia non devo far altro che mettere in corto gli elettrodi posti sui polsi. Si ottengono le cosiddette "derivazioni amplificate di Goldberg" (Av) seguite dalla lettera R (AvR) se si fanno sul polso destro, L se si fanno sul polso sinistro (AvL) e F se si fanno dalla caviglia sinistra (AvF). Queste derivazioni sono monopolari ma per la prima volta vedo che il QRS a volte è verso su e a volte è verso giù, in particolare dal polso destro, *si riferisce al disegno* se si considera il vertice sinistro del triangolo vedo il fronte d'onda allontanarsi, quindi vedrò un QRS negativo, se io mi metto qui (nel vertice in basso) me lo vedrò venire addosso e quindi vedrò un QRS positivo. Questo elettrodo (il destro) vede il potenziale che diminuisce, dato che il fronte d'onda si allontana, questo (il basso) lo vede aumentare dato che si vede arrivare addosso l'onda, il polso sinistro non vede un tubo, perché essendo perpendicolare al vettore non nota significative differenze di potenziale.
Per la prima volta disponiamo di uno strumento che è in grado di dirmi la natura delle variazioni di potenziale, dato che tutto ciò che è verso il basso significa un potenziale in allontanamento, un fronte d'onda che si allontana dall'elettrodo di registrazione, mentre tutto ciò che in aumento indica un fronte d'onda che viene verso l'elettrodo di registrazione. Le monopolari furono poi applicate direttamente alla registrazione dalla superficie del torace, cioè l'elettrodo viene messo il più vicino possibile al generatore dei segnali (il cuore) e is hanno le sei (V1,V2, V3, V4, V5 e V6) le cosiddette "monopolari precordiali". Esse hanno un elettrodo che si appoggia sul cuore e l'altro elettrodo è formato dai tre arti che in quel momento non servono, visto che stiamo registrando dal torace, e si mettono in corto circuito da soli, ottenendo così facilmente l'elettrodo zero (l'elettrodo di riferimento). I luoghi dove si pongono i sei elettrodi sono: quarto spazio intercostale marginosternale destro (V1), quarto spazio intercostale marginosternale sinistro (V2), V3 tra V2 e V4, quinto spazio intercostale emiclaveare o mammario sinistro (V4), quinto spazio intercostale sulla linea ascellare anteriore sinistra (V5) e quinto spazio intercostale sinistro sulla linea ascellare media (V6). 75
Se io prendo il vostro collega e lo taglio a metà in questo senso *parallelo al suolo* e guardo dall'alto il suo cuore io vedo il suo torace con davanti lo sterno e dietro la colonna vertebrale e il cuore che è orientato da destra a sinistra; se io vado a mettere gli elettrodi nelle varie posizioni vedo questo fronte d'onda da vari angoli: è chiaro che il V1 lo vede allontanarsi e il V4 lo vede venire addosso, e quindi in V1 il QRS sarà verso il basso mentre in V4 e in V5 sarà verso l'alto. Abbiamo anche qui ovviamente una classica disposizione che ci permette di capire chi si allontana e va verso il basso e chi va verso l'alto avvicinandosi. Alla fine ottengo dodici derivazioni: tre sono le bipolari di Einthoven, e le altre nove sono monopolari (tre dagli arti, sei precoridali). Vengono eseguite in quest'ordine, e nella striscietta dell'elettrocardiogramma devono seguire le varie derivazioni in quest'ordine di modo che si possano separare con tagli e confrontare formando il cosiddetto "tracciato ambulatoriale". In questi casi naturalmente si vedono le patologie presenti sempre, anche in quei dieci/quindici minuti in cui il soggetto si presta all'esame, se invece il soggetto ha crisi cardiache che in certi momenti ci sono e in certi momenti non ci sono non è detto che nel lasso di tempo della registrazione elettrocardiografica la macchina possa rintracciare tali anomalie. E' questo il vero limite dell'elettrocardiogramma ambulatoriale, perciò si è deciso di agire in due modi. Il primo è il seguente: si fa sdraiare il paziente sul lettino (es. la vostra collega), si fanno i soliti dodici tracciati e si ha l'elettrocardiogramma cosiddetto "di base", poi ella con gli elettrodi precordiali attaccati la mettete sulla cyclette e la fate pedalare ad un ritmo preciso (60 pedalate/minuto, quindi 1 pedalata/sec) e avete a disposizione una manopola in questa particolare cyclette (che si chiama cicloergometro) che vi permette di aumentare la resistenza che la pedalata impone, e di conseguenza la fatica. Nella pratica aumentate la resistenza di 30 watt ogni 3 minuti e vedete fino a quando lei riesce a tenere il ritmo di 60 pedalate/min. Il momento in cui non ce la fa più è la sua capacità massima di lavoro e naturalmente in questo momento andate a vedere come si comporta il cuore (cosa si osserva nell'ECG) sotto sforzo. Questa tecnica che si chiama "treadmill" permette facilmente di ottenere e di mettere in evidenza eventuali anomalie del ritmo di varia natura che si dovessero manifestare solo sotto sforzo e non in condizione di riposo.
Una seconda possibilità naturalmente, dato che molte anomalie del cuore non sono collegate al lavoro fisico (come nelle sindromi [elenca sindromi che non riesco a trascrivere, 0:47:47] nelle quali il cuore entra in crisi per colpa dell'apparato digerente, spesso per colpa dello stomaco ma a volte per colpa della cistifellea; oppure possono esserci delle crisi che avvengono solo durante il sonno), per poter segnalare delle anomalie posso disporre di uno strumento, che si chiama Holter (dal nome dell'inventore) che mi permette di registrare l'elettrocardiogramma per 24 ore di seguito. Questo elettrocardiogramma non è canonico, non è nessuno dei dodici di cui vi ho parlato prima. In pratica io prendo il vostro collega, gli metto due elettrodi sul torace (anodo e catodo) e gli faccio una bipolare precordiale e gli registro l'ECG (questa è una registrazione che di solito non viene utilizzata). Lui ha un registratore a nastro magnetico sul quale vengono registrati i cicli cardiaci (in 24 ore lui ne fa circa 100000) ed un diario nel quale scrive le attività compiute nel corso della giornata e la loro esatta collocazione temporale, e l'indomani li consegna, nastro e diario. Il nastro viene messo in un megacomputer il quale ad alta velocità lo legge e intercetta anomalie nel 76
tracciato, le quali vengono segnalate in termini orari e quindi poi si va a vedere se in quell'ora il soggetto stava facendo qualcosa di particolare e se c'è una certa costanza tra quell'evento che lui ha segnato nel diario e la comparsa di quelle anomalie che voi osservate nel tracciato.
Quali sono le anomalie più facilmente registrabili con un tracciato elettrocardiografico? Al primo posto tra i macchinari, l'elettrocardiografo consente di studiare le curve del ritmo, cioè della frequenza (di norma 70 battiti/min) e della regolarità del battito cardiaco. Un'eventuale irregolarità è quella che si chiama in medicina "aritmia" ovvero una perdita della regolarità del ritmo. Attenzione: esistono aritmie fisiologiche, che tutti voi potete in questo momento sperimentare su di voi. Prendete l'arteria radiale, appoggiate due dita (indice e medio, mai il pollice perché dato che contiene una grossa arteria finite per sentire il vostro, di polso), prendete il polso e inspirate profondamente, per poi rapidamente espirare. Questa si chiama "aritmia respiratoria o sinusale" ed è l'unica aritmia normale che c'è in un individuo. Anzi, se voi sentite il polso ad un paziente la prima cosa che dovete chiedergli di fare è questo, al fine di rintracciare accelerazione del battito in ispirazione e rallentamento dello stesso in espirazione. Se non lo sentite non è un buon segno, dato che un cuore fisiologico deve comportarsi così, deve presentare una classica aritmia respiratoria. Alla vostra età è vistosa questa artimia, a meno che non siate un po' emozionati e allora non si vede. Un indice clinico di efficienza cardiaca è proprio la variazione di frequenza fra inspirazione ed espirazione, variazione espressa in percentuale: più è alta, più efficienza ha il sistema cuorepolmoni.
Quali sono le principali turbe del ritmo? Il caso più frequente che vi capiterà di vedere è quello di avvicinarvi ad un soggetto, gli prendete il poso e sentite il caos, una totale aritmia. Questa è l'espressione di ciò che in clinica è chiamato "fibrillazione atriale": l'atrio smette di funzionare in maniera regolare, si eccita in maniera caotica, gli impulsi caoticamente passano dall'atrio al ventricolo e quindi anche la sistole ventricolare è caotica, irregolare. Se a questo punto gli fate un elettrocardiogramma, c'è nel tracciato il segno inconfondibile di una fibrillazione atriale ovvero la scomparsa dell'onda P, che è sostituita da una serie di zigzag dovuti al fatto che le cellule si eccitano ognuna per i fatti propri. La scomparsa di un' onda P associata all'assoluta aritmia al polso è il classico segno della aritmia collegata ad una fibrillazione atriale. Chiaro? Onestamente per sbagliare una diagnosi di fibrillazione atriale ce ne vuole, uno si deve applicare per riuscire a sbagliare dato che è la classica analisi "digitalizzata" ovvero con due dita. Invece un altro momento importante nella fisiopatologia del cuore è rappresentato dal nodo atrioventricolare. Esso è un punto chiave perché è un punto di passaggio tra l'atrio ed il ventricolo. Se io voglio che l'impulso dell'atrio metta in moto anche la muscolatura del ventricolo devo per forza farlo passare per questo punto, quindi un danno a questo livello è un altro momento critico per il funzionamento del sistema. All'inizio voi accorgete del cosiddetto "blocco atrio-ventricolare" perché una sua inefficienza blocca la propagazione dalla muscolatura atriale alla muscolatura ventricolare; il primo 77
momento di solito è una sofferenza che si manifesta in un modo abbastanza poco evidente, l'impulso ci mette più tempo del normale per passare. Ciò significa che si è allungato l'intervallo tra l'onda P e la QRS, normalmente esso non dovrebbe superare gli 80 ms ma se comincia a durare di più (a riposo, sul lettino) si comincia a parlare di blocco atrio-ventricolare "di primo tipo", ovvero semplice rallentamento. Qua si osserva un fenomeno molto curioso ma importante sul piano diagnostico: io facendo l'elettrocardiogramma ad un paziente registro prima un ritardo tra l'onda P e l'onda Q di un tot, successivamente il tempo passato aumenta, e poi ancora, fino a quando non si salta una sistole ventricolare. Questo curioso cresci-cresci-scompare si chiama "periodismo di LucianiWenckebach", segnale che si sta passando dal "blocco di primo tipo" al "blocco di secondo tipo". Il blocco di secondo tipo è un quadro peggiore. Si osserva un tracciato inconfondibile nel quale prima si osserva un'onda P seguita da un QRS, e poi un'onda P senza QRS, in pratica il QRS c'è una volta si ed una no (manco a dirlo si chiama blocco "due a uno"). Poi ci può essere il blocco "tre a uno", il blocco "quattro a uno" e così via, segno della degenerazione del sistema atrio-ventricolare sempre crescente. Successivamente si incorre nel "blocco di terzo tipo", in questo caso l'atrio batte per i fatti suoi (e si hanno 70 onde P/min) e il ventricolo batte per i fatti suoi (con 35/40 onde QRS al minuto), ognuno indipendente dall'altro. Queste sono le principali patologie in cui l'uso dell'elettrocardiografo è assolutamente indispensabile.
Quella dove non è invece così sempre chiaro, contrariamente a quello che la gente pensi, è l'infarto del miocardio, dove non sempre il tracciato elettrocardiografico è in grado di farvi cogliere segnali d'allarme (anzi, vi può illudere che non c'è niente di particolare e quello vi muore dopo essersi alzato dal lettino). Ci perdo due minuti. La parola "infarto" in medicina indica "un evento di morte cellulare collegata ad ischemia prolungata": non arriva sangue, non arriva ossigeno, questa mancanza di ossigeno dura troppo e le cellule, in mancanza di ossigeno, vanno in sofferenza e a poco a poco muoiono. Questa morte causata da prolungata assenza di ossigeno viene chiamata appunto infarto; e può colpire ogni organo (tant'è che dovete sempre aggiungere un aggettivo, ad esempio miocardico se è nel cuore, polmonare, intestinale, renale, retinico, cerebrale o ictus se è al livello del cervello), è il vostro compito specificare dato che ne incontrerete di tutti i tipi. Laddove non c'è la possibilità di circoli collaterali se si "antuppa" un'arteria è finita, si finisce ad infarto, se invece sono presenti circoli collaterali è più difficile che insorga un infarto (come ad esempio al livello di un muscolo striato o nella cute). Ricapitolando: l'infarto è una morte cellulare da prolungata ischemia. Che cosa succede se al livello del miocardio si ha ischemia? Cioè se un' arteria coronarica manda meno sangue del normale in seguito ad uno spasmo oppure a causa del fatto che s'è ostruita (grazie ad un coagulo, un embolo o una placca aterosclerotica).
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Quali sono i segni di ischemia miocardica? Essi nel tracciato elettrocardiografico sono caratterizzati da un unico e costante evento, ovvero l'onda P è normale, ma l'onda T è completamente invertita. Questo è un modo per rintracciare sul tracciato dell'ECG una sofferenza del miocardio dovuta a mancanza di ossigeno (anche se il motivo non è conoscibile con questi mezzi). Questo ovviamente se l'arteria interessata è medio-grande, quindi irrora una ampia superficie di tessuto miocardico; se al contrario interessa un piccolo vaso non ve ne potete accorgere nel tracciato.
Clinicamente parlando, invece, com'è che ci si accorge di un infarto? Questo interessa sia il medico sia il paziente. Il malato sente un violento, fortissimo dolore di solito dietro lo sterno (quindi in una regione retrosternale) che spesso ma non sempre si propaga al braccio sinistro, mentre a volte può anche arrivare alla nuca, e quindi essere scambiato per un dolore di tipo reumatico, o si può propagare all'epigastrio, e quindi essere confuso per un dolore di origine digestivo o addirittura gastrico. Questo dolore (molto violento, si ha la sensazione che qualcosa stringa il torace e il cuore) porta a sentirsi mancare il respiro, e ciò è quello che da il nome a tale dolore: mancanza di respiro in linguaggio medico è "angina". L'angina può sussistere in caso di infarto o in caso di problemi all'apparato respiratorio, per esempio per ostruzione della gola, e quella che ci interessa in questo caso è quella la cui causa è localizzata nel petto, quindi sarà "angina pectoris". Cosa succede a questo punto? Tutto dipende da quanto dura l'ischemia. Se dura meno di cinque/dieci minuti (immaginate: l'arteria va in spasmo, si ha dolore) le cellule cardiache non muoiono, passato questo periodo il dolore finisce. Si ha quindi un quadro "reversibile" (si ha la cosiddetta "restitutio ad integrum"), tutto torna alla normalità. Dato questo, per definizione l'angina pectoris è un quadro clinico benigno in cui al termine della crisi non residua danno cardiaco, non si hanno lesioni o morte cellulare. Se invece dura più di dieci minuti le cellule cominciano a soffrire, si hanno lesioni di natura cellulare e cominciano a morire, dando segni di necrosi. la lesione cellulare si nota nell'elettrocardiogramma sotto forma di scomparsa dell'onda S, per cui osservate un'onda R che quasi sempre si fonde con l'onda T invertita. I vecchi clinici in onore del clinico scozzese Pardy chiamavano quest'onda "onda coronarica di Pardee"; se si ha anche necrosi cellulare appare un terzo segno caratteristico, ovvero che l'onda Q diventa più profonda del normale (una maggiore ampiezza). Quindi in caso di infarto si hanno questi tre segnali sull'ECG ed il dolore non scompare dopo dieci minuti, contemporaneamente voi potete fare quella che si chiama "diagnosi ex adiuvantibus" (diagnosi classica in medicia che si compie qualora si hanno dei dubbi), in questo caso voi sapete che le coronarie sono dilatate fortemente dall'ossido di azoto NO - se io do alla vostra collega un donatore di NO (esempio la nitroglicerina, che viene assorbita subito al livello sublinguale) [a 1:13:45 cita il nome commerciale del farmaco a base di nitroglicerina più usato, ma non riesco a capirlo] osservate un caso curioso, ovvero che se si ha angina pectoris il dolore cessa subito. Dunque se il soggetto trae giovamento dal donatore di NO si può fare una diagnosi del tipo ex adiuvantibus, ovvero dalla presenza di giovamento o meno potete fare la diagnosi differenziale tra angina ed infarto (se ci passa è angina, se non ci passa è infarto. 79
L'infarto può portare a morte. Prima domanda: perché muore uno con l'infarto? In realtà la causa meno frequente è la causa più classica - infarto significa che un pezzo di parete del ventricolo muore, questo significa che quando il ventricolo si contrae lì si crea un punto a bassa resistenza che si può rompere a causa delle alte pressioni, e ciò porta direttamente alla morte. La causa più frequente invece è che la situazione che si è creata può alterare l'elettrofisiologia del ventricolo e fare perdere al ventricolo l'organizzazione tra eccitazione, contrazione e rilassamento, risultato le cellule si eccitano per i fatti loro dando la cosiddetta "fibrillazione ventricolare". Mentre la fibrillazione atriale è tollerata senza grossi problemi, quella ventricolare porta alla morte dato che viene alterato il flusso sanguigno. Al contempo, se nella rottura di cuore non si può intervenire, nella fibrillazione ventricolare invece si ha possibilità di intervento con una metodica chiamata "cardioversione" e che funziona più o meno così: prendete l'infartuato e lo ricoverate in una struttura particolare chiamata "unità coronarica" dove gli viene fatto in pratica l'ECG 24 ore su 24; appena se ne va in fibrillazione, la prima cosa che scompare è il QRS, diventa anche qua zeghettato. E non appena scompare il QRS la macchina che lo monitora fa scattare un allarme ed il medico di guardia ha a disposizione circa un minuto per fargli al cardioversione, cioè gli deve applicare due elettrodi sulla superficie toracica (lo avrete visto in tutti i telefilm, è il cosiddetto defibrillatore) e gli manda una scarica elettrica attraverso il cuore. lo scopo è quello di eccitare contemporaneamente tutte le cellule del cuore, facendo ciò si ripolarizzeranno contemporaneamente riprendendo il loro ritmo regolare. Il meccanismo funziona se viene fatto in uno/due minuti, ecco perché è fondamentale la tempestività dell'unità coronarica.
Se il paziente non muore viene controllato periodicamente tramite l'elettrocardiogramma, e nel tracciato si vede un graduale ritorno alla normalità: ricompare l'onda S, l'onda T torna ad essere nello stesso lato di R, l'unica cosa che non scompare mai per tutta la vita è la profondità maggiore dell'onda Q a testimonianza dell'evento infartuale. Tutto quello che vi ho detto fino ad adesso a cosa è finalizzato? Rappresenta l'ABC per fare un discorso un po' più interessante, infatti parlando delle caratteristiche motorie ed elettriche del cuore - i suoi movimenti e le cause degli stessi - si può parlare della circolazione sanguigna e della funzione di pompa del cuore, misurando parametri come la quantità di litri di sangue pompata nelle arterie nell'unità di tempo (nel caos del cuore, il minuto). Questa quantità a riposo è di 5 l/min e viene chiamata "gittata cardiaca" o "portata cardiaca", e dalla prossima lezione cominceremo ad analizzarla, e soprattutto indagheremo sulla fisiologia della sua regolazione (esempio: a riposo è di 5 l/min, ma in un atleta mentre svolge un esercizio fisico essa può aumentare fino a livelli di 45 l/min come in Pietro Mennea, il famoso maratoneta degli anni '70).
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Lezione 8 Il discorso che abbiamo chiuso ieri era un discorso di preparazione al vero argomento che inizieremo oggi, cioè la gittata cardiaca. Per gittata cardiaca si intende la capacità del cuore di funzionare da pompa periodica, cioè alterna movimenti in cui pulsando il sangue viene spinto, e momenti in cui il sangue non viene spinto. Questa pompa periodica garantisce che il sangue si muova all‟interno dei vasi, e che consenta in questo modo al sangue di prendere ossigeno dai polmoni e portarlo ai tessuti, di prendere CO2 dai tessuti e portarlo ai polmoni o di prendere i nutrienti dall‟intestino e portarli ai tessuti o prendere scorie dai tessuti e portarleai reni e cosi via. Collega, unisce e distribuisce, permette cioè che tutte le cellule del nostro corpo abbiano ciò che a loro serve ed eliminino, tramite questa corrente ciò che a loro non serve. Introduciamo quindi il concetto di portata o gittata cardiaca: quanto sangue pompa il cuore in un minuto. E siccome in realtà sono due pompe messe in parallelo, la gittata cardiaca è riferita o al ventricolo destro o al ventricolo sinistro (ciò che esce dal ventricolo dx diventa quello che poi entrerà nel ventricolo sx e viceversa). Quindi un classico errore che fate all‟esame è quello di definire la gittata cardiaca come la somma di ciò che viene pompato dai due ventricoli, e non è cosi, perché il circuito è chiuso, perciò quello che pompa uno è uguale a quello che pompa l‟altro (ventricolo). Quindi basta misurare la gittata cardiaca di uno e sarà uguale (più o meno) alla gittata cardiaca dell‟altro. *disegna il cuore collegato alla grande e alla piccola circolazione* Supponiamo di misurare una gittata cardiaca di5l/min cioè 5000 ml al minuto, se ne misuriamo successivamente 4999 ml al minuto ed 1 ml rimane intrappolato qua *indica il piccolo circolo*, non sembrerebbe esserci alcun problema, ma se si lascia passare tempo (dopo un'ora) questo 1 ml diventa 60 ml, e se arriva a passare un giorno si muore. La regola è che non può esserci differenza di gittata tra il ventricolo sx e il ventricolo dx, anche per un semplice discorso di tipo circuitistico: ciò che esce dal ventricolo dx è quello che gli è arrivato dal ventricolo sx, e ciò che esce dal ventricolo sx è ciò che entra nel ventricolo dx. Ci possono essere differenze per qualche decina di secondi o di portata, ma questa differenza viene compensata e dopo qualche sistole tendono a normalizzarsi raggiungendo lo stesso valore. Per gittata cardiacasi intende la quantità di sangue che uno dei due ventricoli immette nella sua arteria nell‟unità di tempo. Questa è la definizione canonica. La gittata cardiaca dipende solo da due variabili: 1) Quanto sangue viene pompato dal ventricolo in una sistole. Cioè quanto sangue riesce a fare uscire? Tale quantità prende il nome di gittata sistolica o gittatapulsatoria. 2) Quante sistoli fa in un minuto, cioè la frequenza cardica. In un uomo normale la gittata sistolica è di circa 70-75 ml (in ogni sistole escono 70-75 ml), la frequenza è più o meno 70 battiti al minuto e quindi, tramite il prodotto delle due variabili avremo circa 5 litri al minuto. Che cosa vuol dire una gittata cardiaca di 5l al minuto?? Considerando circa 80 grammi di sangue per kg corporeo, una ragazza di 50 kg avrà circa 4 litri di sangue mentre un ragazzo di 70 kg ne avrà circa 5 litri e mezzo. Alla nascita si arriva ad avere valori di 100 mg di sangue per kg corporeo, ma poi questa quantità va a calare fino a 80 circa. I maschi hanno un valore un po‟ più alto (82-3) mentre le ragazze più basso (74-5). Una delle classiche differenze uomo-donna è il sangue: la donna ha sia meno sangue che meno globuli rossi di un uomo. Quindi alla fine una donna è in grado di trasportare meno ossigeno rispetto a un maschio di pari età per via della dimensione corporea. Poi vedremo come questo potrebbe trarre in inganno, cioè pensare che la donna è meno adatta per un lavoro aerobico, cioè un lavoro che richiede ossigeno, ma non è cosi perché la donna invece è molto più efficiente del maschio. La vera differenza tra uomo e donna la fanno le fibre muscolari bianche caratterizzanti la forza esplosiva, in quanto un uomo ne possiede molte di più. 81
*fa esempi sui diversi parametri di classificazione tra uomo e donna in discipline tra cui il salto in alto e il sollevamento pesi* Tornando alla gittata cardiaca, facciamo un esempio: una persona possiede 5 litri di sangue ed ha una gittata cardiaca di 5l/min: cosa vuol dire? Cioè un suo globulo rosso ci mette un minuto a farsi tutto il giro, passando dal polmone, ai tessuti e ritornando ai polmoni. Se una persona vuole fare uno sforzo fisico deve aumentare la gittata cardiaca, quindi questi 5 litri non si muovono più alla velocità di un giro al minuto, ma in un minuto si fanno 2 giri, in maniera tale che ogni globulo prende l‟ossigeno 2 volte e lo porta 2 volte ai tessuti. Se c‟è bisogno di altro ossigeno si fa fare lo stesso giro non in 30 secondi ma in 20 secondi, cosi in un minuto prendi e cedi ben 3 molecole di ossigeno. La gittata cardiaca è un parametro dinamico che indica con quale velocità noi stiamo facendo muovere il sangue, perché il volume di sangue che noi possediamo è costante. Si tratta di saperlo mobilizzare, perché l‟unica cosa che possiamo fare è sfruttare questi 5-6 litri di sangue che possediamo e la pompa che ci permette di farlo è il sistema cuore. Se voi siete seduti le vostre esigenze metaboliche sono basse, quindi vanno bene 5 litri al minuto. Ma se ad esempio si fa una corsa si deve in qualche modo fare un‟attività fisica che richiede un aumento di consumo di ossigeno, e l‟unico strumento che abbiamo per rifornire i tessuti di ossigeno e nutrienti è il torrente circolatorio, ed il mobilizzatore è il cuore. Aumentare la gittata cardiaca significa sfruttare meglio il sangue che abbiamo. Se io fermo la circolazione del sangue di un individuo e vado a vedere dove si fermano questi 5 litri, poco più di mezzo litro si ferma nel piccolo circolo, ma 4.5 litri o più si fermano nel grande circolo. Quindi in termini volumetrici la maggior parte del sangue istante per istante sta circolando all‟interno del grande circolo. Allora, se la gittata cardiaca è il prodotto della gittata sistolica per la frequenza, come si fa a passare da 5 litri al minuto a 25 litri al minuto (ad esempio durante un‟attività)? Bisogna aumentare gittata sistolica e/o frequenza in maniera tale che il prodotto passi da 5 a 25 l/min (nota: un aumento del genere in un sedentario è normale). Queste variabili non possono variare all‟infinito, la frequenza cardiaca per esempio ha un valore massimo che è limitante, oltre il quale il cuore si contrae senza essersi riempito bene, alla fine si ha quindi un crollo di gittata con conseguente tachicardia parossistica, oltre i 200 battiti al minuto. La regola è più o meno che il valore di 200 battiti al minuto non si deve superare. La formula di Karvonendice che la frequenza massima di un individuo è “220 meno l‟età”. Allora la soglia limitante di un ventenne è 200 battiti al minuto, per un quarantenne sarà 180, ecc ecc. Ad esempio considerando la frequenza standard di 70bpm, un ventenne che arriva a 200 bpm avrà un aumento della frequenza del 150 %! Sulla frequenza si possono però usare dei trucchi, infatti ad esempio gli atleti che fanno sport di endurance hanno una frequenza a riposo molto più bassa del normale. I ciclisti hanno mediamente 40bpm, perché se io a riposo parto da 40 ed ho sempre un limite di 200, il range non sarà più 2 volte, ma fino a 5 volte l‟aumento di gittata cardiaca! Quindi abbassare la frequenza di base è un “trucco” per guadagnare in termini di gittata sistolica durante gli sforzi. E‟ chiaro che ci sono fenomeni adattativi a seguito di lunghi allenamenti. Durante una tachicardia parossistica il soggetto sviene, perché non avendo una buona gittata non avrà di conseguenza una buona ossigenazione ai tessuti. Per interrompere una crisi tachicardica parossistica bisogna applicare una delicata pressione sui globi oculari. Questa pressione sui globi oculari crea un notevole rallentamento della tachicardia. Si chiama riflesso oculocardiaco o riflesso di Aschner-Dagnini e rappresenta un magnifico strumento se non avete altro a disposizione per interrompere un attacco di tachicardia parossistica. Facciamo una parentesi sul termine “riflesso”. In Fisiologia per riflesso si intende un automatismo, indipendente dalla nostra volontà (come il riflesso della pupilla o del ginocchio colpito dal
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martelletto). Li possediamo dalla nascita (i cosiddetti riflessi innati) o li acquisiamo durante la vita (i riflessi condizionati, in numero molto maggiore). Torniamo al nostro discorso, quello più interessante non è il gioco sulla frequenza, ma quello sulla gittata sistolica. La gittata sistolica rappresenta una variabile molto interessante: il ventricolo si riempie in diastole e si contrae nella sistole successiva. Vi dicevo che quando il ventricolo si contrae, non esce tutto il sangue presente, cioè se durante la diastole sono entrati 140 ml di sangue, con la sistole successiva di questa quota (volume telediastolico, cioè volume del ventricolo a fine diastole) ne verranno utilizzati 50-55 %, la frazione di eiezione (circa 70-75 ml). Quindi di questi 140 ml di sangue, 70 escono e 70 restano li. Nella diastole successiva ne entrano altri 70, riportano a 140 ml e si va avanti cosi. E‟ chiaro quindi che un primo modo per aumentare la gittata sistolica è già semplicemente quello di aumentare la frazione di eiezione. Se anziché farne uscire un 50 % ne facessimo uscire un 60/65/70 % anziché fare uscire 70 ml ne faremo uscire 75/80/85 ml ecce cc aumenta la quota che esce, diminuisce quella che rimane nel ventricolo e aumento la frazione di eiezione. E cosa fa aumentare la frazione di eiezione? Basta aumentare la forza con cui viene “spremuto il ventricolo”, cioè l‟inotropismo cardiaco, un parametro che rappresenta la contrattilità, la forza che il muscolo cardiaco produce durante la sistole. Se aumenta la forza di contrazione del ventricolo, aumenta anche la frazione di eiezione. Naturalmente non basta questo, un altro ottimo metodo è anche fare riempire di più il ventricolo durante la diastole. Quindi ne entra di più in diastole, ne esce di più in sistole, aumenta la gittata sistolica. Se nel frattempo facciamo aumentare anche la frequenza, questo si traduce in un forte aumento della gittata cardiaca complessiva. Normalmente questo può arrivare anche a 150-160 ml, la frequenza può arrivare anche a 200, quindi 200 per 160 danno 32 litri al minuto, un aumento di 56 volte rispetto alla gittata cardiaca standard. Questo significa che in queste condizioni il globulo rosso per arrivare dai tessuti al polmone e tornare, visto che lo fa 6 volte al minuto ci deve mettere circa 10 secondi. Lo stesso eritrocita trasporta 6 volte più ossigeno dal polmone ai tessuti e 6 volte più CO2 dai tessuti al polmone. Non servono eritrociti in più, ma sono gli stessi usati meglio. Come si può misurare la gittata cardiaca? Il primo a misurarla nella maniera scientifica più corretta fu un fisiologo tedesco, Fick, che riuscì a fare una misurazione di estrema efficienza in maniera banale. Una persona a riposo ha una certa gittata cardiaca, che consuma circa 250 ml di O2 al minuto. Questo ossigeno che lui ha consumato deve corrispondere ad un determinato volume di sangue. Quindi prendo un po‟ di sangue da una delle sue arterie e da una delle sue vene e vado a misurare la differenza di ossigeno che c‟è tra sangue arterioso e venoso. E mi accorgo che in un uomo normale a riposo la differenza artero-venosa è di circa 50 ml per litro, quindi il sangue arterioso contiene 50 ml di O2 in più rispetto al sangue venoso. Allora se un litro di sangue porta 50 ml ed io ne ho consumati 250 ml, quanti litri ci sono voluti in un minuto per arrivare a 250 visto che ogni litro ne porta 50? 250 ml diviso 50 ml fa 5 litri al minuto. Così Fickriusci a misurare la gittata. Nel caso di un‟attività fisica in cui l‟ossigeno consumato passa da 250 ml a 1000 ml e la differenza artero-venosa è sempre 50 ml, invece di 5 l/min ce ne vorranno 20 l/m di gittata cardiaca per trasportare quei 1000 ml di ossigeno. Quindi il primo metodo che fu messo a punto un secolo fa per determinare la cosiddetta gittata cardiaca è il metodo di Fick che consiste nel misurare 3 cose: 1) qual è il consumo di ossigeno a riposo in un minuto 2) qual è il contenuto di O2 a riposo del sangue arterioso 3) qual è il contenuto di O2 a riposo del sangue venoso. Il vero problema è prendere il sangue venoso, perché il sangue arterioso (che esce dal ventricolo sx e va verso i tessuti), è uguale in tutte le arterie rami dell‟aorta. Il sangue venoso che proviene da un 83
tessuto che consuma poco ossigeno non è uguale al sangue che proviene dal cervello o da un muscolo striato che consumano molto ossigeno. La differenza artero-venosa è diversa tessuto per tessuto (cuore, cervello, muscoli eccecc) Ogni vena in funzione del tipo di tessuto che sta drenando, ha un contenuto di ossigeno diverso, quindi io per applicare il metodo di Fick non posso prendere la vena femorale, ma devo prendere la vena cava, cioè una vena media dove c‟è un valore medio. L‟ideale sarebbe l‟atrio dx che indica il consumo medio di O2 dell‟organismo. Un litro di sangue venoso contiene 50 ml di O2 meno di un litro di sangue arterioso. E‟ un metodo cruento, e non agevole, mentre oggi il metodo più semplice è l‟eco-doppler. Vi mettete all‟altezza dell‟aorta e l'eco vi dice la sezione dell‟aorta, il doppler vi dice la velocità, fate base per altezza ottenendo un volume e sapete esattamente in quella sistole quant‟è il volume. Oppure si può eseguire la sottrazione tra volume diastolico e sistolico, e quello in meno è la quantità che è uscita. Sono metodi incruenti e non invasivi che sono di gran lunga i più utilizzati al giorno d‟oggi. Quando parleremo di pressione arteriosa vedremo che essa oscillerà tra un valore massimo durante la sistole di 120-130 e un valore molto più basso durante la diastole tra i 60-80. Questa oscillazione sisto-diastolica vi permette di avere un valore che è la differenza tra la massima e la minima, e questa differenza, chiamata “pressione differenziale” è interessante perché empiricamente permette di calcolare la gittata sistolica. Quindi, in caso di assenza di ecodoppler ed elettrocardiografo, già solo con uno sfigmomanometro potremo calcolarci la gittata sistolica. Ad esempio registriamo due valori di 150 e 100 di pressione massima e minima oppure 120 e 70, la differenziale sarà 50. Basta moltiplicare questo valore per 1,5 che è un dato empirico, ed avremo 75 che corrisponde grossomodo alla gittata sistolica. A questo punto basta moltiplicare per la frequenza ed avremo la gittata cardiaca. I due valori di gittata sistolica e frequenza sono covariabili: se diminuisce la gittata sistolica a riposo, il soggetto a riposo è costretto ad aumentare la frequenza di base per arrivare ad un valore di gittata cardiaca minima (5l/min) che è il minimo per garantire le funzioni vitali a riposo. Alla fine queste due variabili (quanto ne esce in una sistole, e quante sistoli fa al minuto) sono correlate e l‟obiettivo finale sono i 5l/min minimi per sopravvivere. Esiste un farmaco, già conosciuto da centinaia di anni, che può aiutare ad aumentare la gittata, usato già ai tempi di Lucrezia Borgia come veleno. Infatti se si beve un infuso concentrato con questa sostanza si muore dopo poco tempo, ma la particolarità è che dopo un esame autoptico troviamo il cuore bloccato in sistole (diversamente da ciò che succede normalmente in cui al momento della morte il cuore è in diastole)! Questo farmaco, queste foglie sono di una pianta, la Digitalis Purpurea, che fu un grande ed usato veleno rinascimentale, finché un medico inglese capì che se diminuiva le dosi poteva crearne un farmaco. Qualunque farmaco ad alte dosi è un veleno e qualunque veleno a piccole dosi è un farmaco. Decise di curare quindi le insufficienze ventricolari con infusi di digitale purpurea, anche se in seguitovennero scoperte le sostanze attive nella pianta, i glucosidi, che quindi vengono usati come farmaci ottenendo gli stessi effetti. Ancora oggi, secondo l‟organizzazione mondiale della sanità la digitale rappresenta un farmaco salvavita, perché è uno dei pochi farmaci in grado di poter aumentare l‟inotropismo cardiaco. Il vantaggio di questo farmaco è che si può usare per anni, perché ha caratteristiche di tollerabilità e tossicità ottime per consentirne un uso prolungato. Se invece siamo in un pronto soccorso e si ha una crisi acuta, lì per lì invece di dargli la Digitale Purpurea gli si da dopamina per infusione endovenosa, anche se è un farmaco molto difficile da gestire per via delle quantità variabili da individuo a individuo. La dopamina è un farmaco salvavita nelle insufficienze ventricolari acute.
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Allora, ricapitolando, se prendiamo un atleta con 40bpm è chiaro che per arrivare a 100 bpm ogni sistole deve arrivare a 110 ml di sangue. Allora poiché ogni sistole ne fa uscire 120 ne partono 40 al minuto per arrivare alla gittata complessiva di 5l/min o 3,5 litri per metro quadro di superficie corporea. Come si ottiene un aumento della gittata sistolica aumentando la forza di contrazione del muscolo cardiaco? La muscolatura cardiaca non è come la striata, perché in quel caso la forza si dosa giocando sul numero di cellule attive: io ho 100 cellule, se voglio poca forza ne uso il 10 %, altrimenti posso aumentare a 20-30 % ecc. Nella muscolatura cardiaca non è così, le cellule sono o tutte eccitate o tutte a riposo, non è possibile avere percentuali variabili qui, perché sono una a contatto elettrico con l‟altra, una volta eccitata una inesorabilmente si eccitano tutte. Quindi, se tutte le cellule si eccitano si contraggono tutte allo stesso momento, e se tutte le cellule si contraggono allo stesso momento si produce una certa forza. E come si fa a farla aumentare o diminuire se il cuore è un muscolo unitario senza fenomeni di reclutamento? Si parla quindi di regolazione dell’inotropismo cardiaco. Esistono diversi modi, una mezza dozzina, su cui possiamo giocare per modificare la forza di contrazione del cuore, però i più interessanti sono intrinseci alla fisiologia del cuore. Esistono quindi anche dei meccanismi estrinseci al cuore, cioè posso ordinare al cuore dall‟esterno di avere più forza o meno forza, attraverso ormoni, o neurotrasmettitori. Ma a prescindere da questi meccanismi estrinseci, i meccanismi più importanti sono quelli intrinseci alla fisiologia cardiaca ed alla sua struttura. Per cui il cuore possiede dei suoi meccanismi di regolazione che automaticamente gli permettono di regolare l‟inotropismo. Questi furono scoperti 150 anni fa da un grande fisiologo inglese di Oxford, Starling. Starling, personaggio molto eclettico, tra le tante cose che studiò, studiò questo tipo di fenomeno tramite un particolare preparato che lui faceva su dei cani che utilizzava per queste prove. Dai cani toglieva il cuore con collegato tutto il piccolo circolo, tagliando solo vene cave e aorta, e lo metteva in vitro entro un recipiente. Lui collegava le vene cave ad un recipiente contenente soluzione fisiologica e quindi attraverso il cuore faceva circolare soluzione fisiologica perché contiene nutrienti e ossigeno in maniera tale che il tessuto restasse vitale, e poi dall‟altro lato dove c‟era l‟aorta metteva un altro recipiente con altra soluzione. Quindi lui poteva regolare con questo metodo molto cruento, quanto liquido faceva entrare nelle vene cave, la pressione delle vene cave, la gravità ecc. Giocava quindi sul fatto che se lui alzava o abbassava il recipiente col ramo arterioso, incontrava una resistenza ad uscire dal ventricolo maggiore o minore. Lui poteva quindi regolare le variabili più importanti del cuore, quanto liquido entra e quanto liquido esce sempre per gravità, in base alle resistenze che quindi il fluido circolante incontrava. Creò cosi il preparato cuore-polmone di Starling. In questo caso si ha quindi non un crollo attivo della pressione, ma un crollo passivo, in quanto dipende esclusivamente dalla forza di gravità. Cosa osservòStarling con questo preparato cuorepolmone? Che la forza di contrazione di questo cuore che lui studiava, aumentava se si verificavano due cose: 1) Aumentava tutte le volte che aumentava la quantità di liquido che faceva levare alle vene cave, il ritorno venoso. Quando lui sollevava il recipiente dal lato venoso, facendo quindi arrivare più liquido, lui osservava che più liquido arrivava, più alta era la forza di contrazione del ventricolo. C‟è una proporzionalità diretta: al crescere del ritorno venoso cresceva la forza di contrazione cardiaca. “Se arriva più sangue da smaltire, ci vuole più forza per smaltirlo”. 2) Anche se lui non modificava il ritorno venoso, la forza di contrazione aumentava tutte le volte che lui alzava il recipiente dal lato arterioso con l‟aorta. In questo modo il ventricolo quando si contrae incontra una resistenza maggiore per aprire la valvola semilunare aortica, quindi introduciamo una seconda proporzionalità diretta: la forza di 85
contrazione ventricolare, a parità di ritorno venoso, aumenta tutte le volte che aumenta l‟impedenza aortica, cioè la resistenza che il ventricolo incontra quando cerca di fare aprire la valvola semilunare (per aprirsi la valvola semilunare ha bisogno di almeno 1mmHg di pressione in più rispetto a quella che c‟è nelle arterie). Questo significa che se nell‟arteria ci sono 70mmhg basta arrivare a 71 per fare aprire la valvola, ma se abbiamo un valore arterioso di 130 e non si riesce ad arrivare a 131 mmhg la valvola non si apre, e se la valvola non si apre si muore. Quindi il ventricolo sinistro ha delle sue caratteristiche intrinseche che permettono di regolare la forza di contrazione del cuore. Questi due meccanismi vengono indicati con due nomi usati in clinica medica: 1) Meccanismo Pre-carico: considerando il ritorno venoso ovviamente si considera la diastole, in cui il cuore si riempie, quindi la quantità di sangue che viene ad entrare deve essere la stessa che esce. 2) Meccanismo Post-carico: un fenomeno che non avviene durante la diastole, ma avviene quando il ventricolo si contrae, perchè solo allora si accorge che c‟è bisogno di più pressione per far aprire la valvola semilunare. Infatti fino a quel momento durante la diastole non potrebbe sapere la pressione aortica, ma se ne accorge quando all‟aumentare dei mmhg (71,72,73) la valvola non si apre ed è costretto quindi ad aumentare la forza di contrazione se vuole espletare l‟azione di pompa per aprire la valvola. Questo meccanismo si chiama post-carico, perché avviene dopo che è iniziata la sistole. Le due principali regolazioni della funzione di inotropismo cardiaco, sono quindi un meccanismo di regolazione precarico e post-carico. Il meccanismo di regolazione in precarico è collegato al ritorno venoso, infatti maggiore è il ritorno venoso e maggiore sarà la forza di contrazione. Il meccanismo di regolazione in post-carico è collegato alla pressione, all‟impedenza aortica, infatti al crescere della pressione minima entro l‟aorta, cresce anche la forza di contrazione del cuore. Il primo di questi due meccanismi, quello in pre-carico, prende anche il nome di legge di Starlingolegge del Cuore. Questo fa capire un fenomeno di grande importanza clinica, perché se effettuo un trapianto di cuore devo tagliare tutti i nervi ecc, e questo è un cuore proveniente dall‟esterno, senza più nervi o altro, che riesce comunque anche sotto sforzo ad aumentare la gittata cardiaca, grazie a questi meccanismi intrinseci che abbiamo visto.
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Lezione 9 Abbiamo introdotto la volta scorsa la regolazione dell‟attività cardiaca e c‟eravamo soffermati sulla forza di contrazione del cuore, su come si regola l‟inotropismo cardiaco. Il cuore è formato da cellule collegate elettricamente le une alle altre per cui non è possibile che se ne contragga solo una parte, solo una percentuale, ma o tutte o nessuna, quindi o tutte le cellule dell‟atrio vanno in eccitazione, in sistole, o nessuna e la stessa cosa accade per il ventricolo. Ma come si può regolare la forza se non possiamo giocare sul numero delle cellule? Nei muscoli striati la forza si regola giocando sul numero delle cellule: se voglio poca forza uso meno cellule, se voglio più forza uso più cellule, se voglio tutta la forza che un muscolo può dare uso tutte le cellule che il muscolo possiede. Questo meccanismo detto di reclutamento mi permette di far entrare in gioco sempre più cellule man mano che ho bisogno di più forza. Nel caso del cuore questo non è possibile. Ma come è possibile regolare la forza di un sistema che obbedisce al principio del tutto o nulla cioè o tutte le cellule sono a riposo o in attività? Il sistema cuore ha centomila cicli al giorno per circa 70, 80, 90 anni quindi va incontro ad usura. La regolazione più importante non viene ordinata al cuore dall‟esterno attraverso ormoni o attraverso meccanismi di tipo nervoso ma è intrinseca al cuore stesso cioè il cuore ha delle caratteristiche strutturali che gli permettono di regolare la forza. Se io infatti prendo il cuore di una persona e lo trapianto in un‟altra persona questo cuore trapiantato, che ovviamente non è innervato, funziona in maniera tale da permettere ad un certo numero di trapiantati di partecipare alla maratona di New York. Il meccanismo più importante fu messo in luce da un grande fisiologo inglese di nome Ernest Starling che mise appunto un preparato cuore polmone che consisteva nell‟estrarre da un cane il suo cuore con il polmone collegato (il piccolo circolo integro) e poi a questo cuore, che lui faceva sopravvivere mandandogli una soluzione ossigenata e ricca di nutrienti, faceva variare il ritorno venoso (cioè la quantità di sangue che arriva al cuore) e l‟impedenza aortica (cioè la resistenza che incontra il cuore nel momento in cui deve far aprire la valvola semilunare aortica). Questo modello molto cruento, ma considerato come una delle cose più importanti che ha cambiato la storia della medicina, ha permesso a Starling di capire che tutte le volte che aumentava il ritorno venoso, cioè faceva arrivare più sangue all‟atrio, nella sistole successiva la forza con cui il ventricolo si contraeva aumentava. C‟era dunque una proporzionalità diretta tra ritorno venoso ed inotropismo cardiaco. Se noi infatti facciamo un grafico e mettiamo da un lato il ritorno venoso (cioè quanto sangue ritorna all‟atrio) e dall‟altro lato la gittata sistolica (cioè il volume di sangue che il ventricolo pompa in un colpo) vediamo che c‟è una proporzionalità diretta: al crescere del ritorno venoso cresce la quantità di sangue che esce dal ventricolo. Ovviamente se esce più sangue dal ventricolo ciò significa che il ventricolo si è contratto con una forza maggiore quindi per far uscire più sangue ci vuole un maggior inotropismo. Di conseguenza l‟inotropismo, cioè la forza che il ventricolo produce, è proporzionale alla quantità di sangue che ritorna al cuore. Se ad esempio al cuore arrivano 6.000 ml di sangue al minuto il ventricolo pomperà 6.000 ml al minuto poiché tutto quello che arriva viene smaltito. Se una persona però si mette a correre il ritorno venoso aumenta perché le gambe entrano in azione, i muscoli schiacciano le vene e le vene hanno le valvole che impediscono al sangue di tornare indietro ma gli permettono di andare solo verso il cuore facendo aumentare il ritorno venoso. Tutte le volte dunque che noi facciamo un esercizio isotonico con gli arti inferiori aumenta il ritorno venoso quindi anziché arrivare al cuore 6.000 ml di sangue al minuto ne arrivano 6.500 e se questo sangue non venisse totalmente smaltito, cioè se noi pompassimo solamente 6.000 ml, ci sarebbe mezzo litro di sangue al minuto che non verrebbe smaltito e ciò porterebbe alla morte. Ci deve essere una perfetta equivalenza tra quello che arriva e quello che esce, tutto quello che arriva deve essere smaltito. Deve esistere quindi un qualcosa che permette al muscolo cardiaco di produrre più forza tutte le volte che aumenta il ritorno venoso e questo è un meccanismo logico perché se cresce la quantità di sangue che torna al cuore deve crescere anche l‟effetto pompa cioè la capacità della pompa di smaltirlo. Ci può essere qualche singola sistole, qualche momento, in cui quello che arriva è un po‟ più di quello che esce ma è 87
chiaro che nell‟unità di tempo il sistema deve compensare e se questo non avviene si passa da una condizione di fisiologia a una condizione di patologia nota come insufficienza ventricolare. Perché aumentando il ritorno venoso aumenta la gittata sistolica cioè la forza di contrazione? Aumento del ritorno venoso vuole dire che durante la diastole nell‟atrio arriva più sangue ma durante la diastole il sangue non arriva solo all‟atrio perché le valvole atrio ventricolari sono aperte e quindi se c‟è un aumento di ritorno venoso c‟è anche un aumento di riempimento ventricolare. Ma perché se in diastole entra più sangue nella sistole successiva si produce più forza? Ci deve quindi essere una relazione tra la dilatazione ventricolare che si ha durante la diastole e la forza che poi questo stesso ventricolo produrrà nella sistole immediatamente successiva. Una maggiore dilatazione in diastole produce dunque una maggiore forza nella sistole successiva. Ai tempi di Starling (1914) però non si conosceva ancora nulla sulla contrazione muscolare. Oggi invece sappiamo che esistono i sarcomeri e che quindi le cellule che formano la parete del ventricolo sono cellule muscolari che contengono al loro interno le miofibrille formate da sarcomeri. Durante la diastole il ventricolo si dilata di più se aumenta il ritorno venoso mentre si dilata di meno se il ritorno venoso si riduce cioè la dilatazione ventricolare aumenta o diminuisce in funzione della quantità di sangue che torna verso il cuore. Questo vuol dire che durante la diastole le cellule che formano la parete verranno allungate di più o di meno in funzione della quantità di sangue che è tornata. Quindi che relazione c‟è tra la lunghezza che ha la cellula prima di contrarsi durante la diastole e la forza che questa cellula produrrà nella contrazione cioè nella sistole successiva? Ci deve essere evidentemente una relazione lineare, positiva, di proporzionalità diretta tra lunghezza della fibra prima di contrarsi e forza che il muscolo produce quando si contrae. Se ad esempio io taglio il tendine distale del bicipite brachiale, misuro la lunghezza di questo muscolo, metto uno stimolatore elettrico e faccio contrarre il muscolo alla massima forza possibile mi accorgo che anche nei muscoli striati c‟è una relazione lineare: più corto è il muscolo, meno forza produce; più lungo è il muscolo più forza produce. Questo comportamento dunque non vale solo per i muscoli cardiaci, per le cellule miocardiche, ma è un comportamento generale che riguarda tutte le strutture di tipo contrattile. La regola è molto semplice: in condizioni fisiologiche la lunghezza minima del bicipite, essendo un muscolo flessore, si raggiunge alla fine della flessione mentre la lunghezza massima si raggiunge all‟inizio della flessione. Al contrario nel tricipite, essendo un muscolo estensore, la lunghezza minima si raggiunge in estensione. Tutti i muscoli del corpo in funzione di quello che fanno variano la loro lunghezza ad esempio se sono flessori saranno più corti in flessione, se sono estensori saranno più corti in estensione, se sono abduttori saranno più corti in abduzione e cosi via. Questo significa che se si vuole produrre una certa forza dobbiamo tenere conto che il muscolo va progressivamente a ridurre la sua lunghezza. Dobbiamo tenere anche conto che il muscolo agisce su una leva e in questo caso su una leva di primo tipo. Ogni muscolo dunque, cuore compreso, produce una forza che cresce man mano che io allungo la lunghezza di questo muscolo prima di farlo contrarre. Se ad esempio prendo il bicipite rilassato, lo allungo, nel momento in cui questo si contrae produrrà una certa forza. Nel caso del cuore la lunghezza prima di contrarsi corrisponde a quanto è dilatato in diastole, la forza che produce corrisponde alla forza della sistole successiva. Perche i muscoli striati cambiano la loro forza al cambiare della lunghezza iniziale? A tale proposito ricordiamo come sono fatti i sarcomeri. I sarcomeri sono delle strutture alla base della contrazione muscolare. Sono caratterizzati dalle bande Z, dai miofilamenti sottili e dai miofilamenti spessi dai quali sporgono le teste della miosina. La contrazione muscolare non è altro che il legame tra la testa della miosina e la molecola di actina. La forza muscolare invece è data dal fatto che durante questa operazione di legame si idrolizza una molecola di ATP quindi ogni volta che la testa della miosina si lega all‟actina si idrolizza un‟ATP e si liberano 7.4 kcal per mole. La forza muscolare dunque non è nient‟altro che la somma di quante ATP si sono idrolizzate. Questo dipende semplicemente da quante teste della miosina si sono legate all‟actina cioè da quanti legami acto-miosinici si sono formati. Quindi più legami acto-miosinici ci sono, più molecole di ATP vengono idrolizzate, più forza si produce. Che cosa succede se io accorcio questo sarcomero prima di farlo contrarre? I filamenti sottili si urtano, i filamenti spessi vanno a sbattere contro le 88
bande Z e le teste della miosina che si trovano solo alle due estremità adesso si trovano in una situazione in cui non sono possibili i legami acto-miosinici. Se io accorciassi troppo questo sarcomero dunque ridurrei il numero di legami possibili e la stessa cosa accadrebbe se io lo allungassi troppo. Nel grafico tensione lunghezza infatti se io metto da un lato la lunghezza del sarcomero e dall‟altro lato la forza che il sarcomero produce si evidenzia che il numero ottimale di legami il sarcomero lo fa intorno ai 2,5 micron di lunghezza. Se io mi allontano da questa lunghezza ottimale, per eccesso o per difetto, il numero di legami possibili scende, scende anche il numero di molecole di ATP idrolizzate e di conseguenza diminuisce la forza prodotta. Per qualunque muscolo la condizione ideale è quella che prevede che la contrazione inizi quando la lunghezza del sarcomero è di 2,5 micron e quindi quando tutte le teste della miosina hanno a disposizione molecole di actina a cui andarsi a legare. Quando il ventricolo lavora in condizioni di riposo, cioè riceve un ritorno venoso minimo intorno ai 5 litri al minuto, la quantità di sangue che entra è talmente modesta che la lunghezza dei sarcomeri è molto al disotto dei valori ottimali (circa 1,6 micron). Al contrario se aumenta il ritorno venoso aumenta anche l‟allungamento delle cellule e di conseguenza i sarcomeri si avvicinano alla lunghezza ottimale. Se superiamo questa lunghezza però la forza anziché aumentare tenderebbe a diminuire ed quella che si chiama insufficienza ventricolare. Come faccio ad impedire che in condizioni fisiologiche il ventricolo superi la lunghezza ottimale? A questo ci pensa il pericardio fibroso, un sacco rigido che lascia che il cuore si dilati ma fino ad un certo punto infatti quando il cuore raggiunge la sua dilatazione ottimale cioè 2,5 micron per sarcomero il pericardio fibroso si irrigidisce ed impedisce che il ventricolo possa superare il valore critico. Alla base della cosiddetta regolazione che ha osservato Starling nel preparato cuore polmone e che in onore suo ancora oggi si chiama legge di Starling o legge del cuore c‟è la lunghezza del sarcomero e cioè il fatto che quando noi siamo in condizioni di riposo il riempimento ventricolare è cosi modesto che i sarcomeri a livello cardiaco sono al di sotto della loro lunghezza ottimale. Se il ritorno venoso invece aumenta i sarcomeri raggiungono la loro lunghezza ottimale, cresce la forza di contrazione e di conseguenza si ha una maggiore fuoriuscita di sangue. In condizioni fisiologiche la dilatazione del cuore è controllata dal pericardio che irrigidendosi impedisce un‟eccessiva dilatazione ma se questo processo avviene lentamente nei mesi il cuore si lascia dilatare e si hanno le cosiddette cardiomegalie le quali possono essere o conseguenze di patologie come la cardiomiopatia dilatativa o fisiologiche come l‟ingrandimento del cuore negli atleti. Ma il cuore degli atleti che si presenta più grande del normale può ritornare alle normali dimensioni dopo che la sua carriera finisce? Questo dipende da quando l‟individuo ha iniziato a praticare l‟attività sportiva o meglio se ha iniziato prima o dopo la pubertà. Se ha iniziato infatti prima della pubertà il suo cuore non ritorna più alle dimensioni normali, se ha iniziato dopo la pubertà si, se ha iniziato nel periodo peri puberale dipende perché la restitutio è solo parziale. Qual è l‟età corretta per iniziare a fare attività sportiva agonistica? Certamente non prima della pubertà. Questa modalità di regolazione che si chiama legge di Starling o legge del cuore ha anche un altro nome moderno ovvero meccanismo fisiopatologico o regolazione in pre-carico perché ciò che fa il ventricolo in sistole dipende dal carico di sangue che il ventricolo ha ricevuto in diastole. Questa relazione tra ciò che è accaduto prima in diastole e ciò che accadrà dopo in sistole è appunto nota come regolazione in pre-carico. Esiste poi una seconda regolazione nota come regolazione in postcarico in cui il meccanismo è di un altro tipo. In seguito ad esempio ad uno spavento il ritorno venoso non si modifica ma ciò che si modifica è invece la pressione arteriosa poiché aumenta sia la minima che la massima. La minima arriva a 90/100 mmHg anziché i soliti 70 mmHg e ciò significa che il ventricolo si contrae e deve produrre la forza necessaria per aprire la valvola e per aprire la valvola il ventricolo deve avere una pressione anche solo di un millimetro superiore rispetto a quella dell‟arteria. Se ad esempio nell‟arteria c‟è una pressione di 70 mmHg per aprire la valvola nel ventricolo deve esserci una pressione di almeno 71 mmHg ma se la pressione nell‟aorta è superiore a 70 mmHg naturalmente anche la pressione del ventricolo deve essere nettamente 89
superiore. Al crescere della pressione minima dell‟aorta deve crescere anche la forza di contrazione altrimenti la valvola non si apre, il sangue non esce e si muore. In questo caso durante la diastole non è successo nulla, il ritorno venoso non è cambiato, e il ventricolo fin quando non incomincia a contrarsi non ha idea di che pressione c‟è nell‟arteria ma lo scoprirà quando arriva a 70/71 mmHg e la valvola ancora non si apre. Questa forza dunque deve continuare a salire fin quando questa valvola non si apre e la gittata sistolica diventa possibile. In questo caso il meccanismo di regolazione non è legato a un qualcosa che è successo prima della sistole ma a un qualcosa che succede a sistole avviata, cioè nel momento in cui il ventricolo si sta contraendo. Questo meccanismo prende il nome di regolazione post-carico. Da che cosa dipende il meccanismo di post-carico? Il meccanismo di base dipende sempre dai sarcomeri. Secondo il modello di Huxley della contrazione muscolare la testa della miosina oscilla sul piano longitudinale e oscillando sul piano longitudinale come il pendolo di un orologio si lega all‟actina. Affinché questo legame sia possibile si devono verificare 2 condizioni: l‟actina deve essere libera perché se è coperta dalla tropomiosina la contrazione non può avvenire e per spostare la tropomiosina ci vuole la troponina che necessita dello ione calcio; la miosina deve legare una molecola di ATP. Se ci sono queste due condizioni il legame acto-miosinico è possibile e avviene l‟idrolisi dell‟ATP con conseguente liberazione di energia. Quando la testa della miosina oscilla questa oscilla una volta verso la banda Z e una volta verso il centro del sarcomero ma il legame tra actina e miosina può avvenire solo quando la miosina oscilla verso la banda Z. Quindi, una volta che la miosina oscilla verso la banda Z si lega all‟actina e spinta dall‟energia che si libera dall‟idrolisi dell‟ATP si porta dietro il filamento sottile il quale è legato alla banda Z. Quando la testa però arriva al centro del sarcomero il legame tra actina e miosina si interrompe e la testa torna indietro da sola per andarsi a legare ad un‟altra molecola di actina. Quando la testa della miosina torna indietro quante palline di actina salta? C‟è una relazione lineare tra quante volte la testa dovrà andare avanti e indietro per completare la contrazione muscolare e il carico da vincere: maggiore infatti è il carico da vincere, maggiore sarà il numero di volte in cui la testa dovrà andare avanti e indietro per riuscire a completare l‟accorciamento di un terzo del sarcomero. Il che significa che esiste una relazione lineare tra la forza prodotta e il carico da vincere. Se la testa va avanti e indietro 5 volte si idrolizzano 5 molecole di ATP, ma se la testa deve andare avanti e indietro 10 volte necessita di 10 molecole di ATP, quindi la forza cresce al crescere del carico da vincere. Questa relazione che si chiama equazione di Hill mi da una relazione lineare, positiva, tra il carico e la forza prodotta che ovviamente sono direttamente proporzionali. Man mano che aumenta il carico da vincere il muscolo produce una forza via via maggiore a spese però della velocità perché man mano che cresce il carico dovendo fare un maggior numero di viaggi ci metterà più tempo per completare la contrazione. Al crescere del carico da vincere la velocità diminuisce. Ad un certo punto se il carico è troppo alto la velocità diventa zero cioè si ha la contrazione isometrica. L‟equazione di Hill è l‟elemento chiave per comprendere la regolazione in post-carico. Nel caso della regolazione in post-carico il carico è rappresentato dalla resistenza che il sistema incontra per aprire la valvola semilunare aortica: più alta è la pressione nell‟arteria maggiore è lo sforzo che dovrà fare il sistema per riuscire ad aprire questa valvola. È chiaro quindi che al crescere dell‟impedenza aortica deve crescere la forza di contrazione del ventricolo. Se ad esempio in condizione di riposo ho una pressione di 120 con 70 in seguito ad un improvviso spavento avrò una pressione di 100 con 150. Il fatto che è aumentata la massima è la conseguenza del fatto che è aumentata la minima perché se la minima è passata da 70 a 100 è chiaro che la valvola si apre a 100 dopodiché comincia ad uscire il sangue e per la legge di La place la pressione continuerà a salire e dunque aumenterà anche la massima. Il fatto che ci deve interessare è quello che è aumentata la minima perché se aumenta la minima tutto si sposta in alto per mantenere una differenziale, una gittata pulsatoria e una certa quantità di sangue che esce. L‟iperteso non è quello che ha la massima alta ma è quello che ha la minima alta è chiaro poi che per vincere una minima cosi alta il cuore dovrà fare più fatica per controbattere. L‟ipertensione non è una malattia ma è una condizione che favorisce l‟instaurarsi di un danno patologico, è quella che si chiama un fattore di rischio. Se io 90
abbasso la pressione minima riduco il post carico, riduco il lavoro ventricolare e affatico meno il cuore. L‟iperteso non è un malato ma è un soggetto che è a rischio perché ha un cuore che è costretto a fare più fatica rispetto a quello di un altro. I meccanismi fondamentali di regolazione del cuore sono dunque due: il ritorno venoso e l‟impedenza aortica. Da un lato dunque deve fronteggiare il fatto che se arriva più sangue dalla periferia lo deve smaltire, dall‟altro lato deve fronteggiare l‟impedenza aortica. Il cuore degli atleti ad esempio è diverso rispetto a quello dei sollevatori di pesi o dei maratoneti. Il cuore comprende due componenti: il pieno e il vuoto, il pieno è il tessuto muscolare miocardico mentre il vuoto sono le camere cardiache ovvero atri e ventricoli. Nel maratoneta ciò che aumenta non è tanto lo spessore della parete ma il diametro delle cavità poiché dato che aumenta il ritorno venoso l‟adattamento è per accogliere più sangue. In un sollevatore di pesi invece ciò che aumenta non è la camera cardiaca ma lo spessore della parete perché ci vuole più forza per vincere l‟impedenza aortica maggiore. Visti da fuori questi due cuori sembrano uguali ma è l‟eco che ci evidenzia queste differenze. Un soggetto iperteso dunque a quale delle due condizioni andrà incontro con gli anni a quella da maratoneta o a quella da sollevatore? Naturalmente da sollevatore perché l‟iperteso non ha problemi di ritorno venoso ma il suo problema è l‟impedenza aortica quindi andrà incontro ad un ispessimento progressivo della parete cardiaca con una camera ventricolare che più o meno è sempre della stessa dimensione. Questa è la regolazione intrinseca del cuore e ciò significa che se io trapianto il cuore questa regolazione fa parte della sua struttura di base. Se a questo cuore trapiantato aumentiamo il ritorno venoso reagisce così, se va incontro ad una maggiore impedenza aortica è in grado di fronteggiare la situazione, non ha problemi, poiché questa è una proprietà delle cellule muscolari cardiache legata alla fisiologia dei sarcomeri, sia il diagramma tensione lunghezza sia l‟equazione di Hill. Su questo apparato intrinseco però si esercitano controlli dall‟esterno che possono modulare l‟attività di base. I quattro parametri: cronotropismo (frequenza), batmotropismo (eccitabilità), dromotropismo (velocità di conduzione atrioventricolare) e inotropismo (forza di contrazione) infatti possono essere modulati dall‟esterno. Basta cambiare ad esempio la temperatura del sangue, diminuendola (ipotermia) o aumentandola (ipertermia), per variare tutti e quattro questi parametri, in particolare il cronotropismo, la frequenza. Tutte le volte che il sangue è meno caldo infatti la frequenza diminuisce (bradicardia) al contrario tutte le volte che il sangue è più caldo del normale la frequenza cardiaca aumenta (tachicardia). Questa è una relazione lineare. In grosso modo la frequenza aumenta di 7 battiti al minuto ogni decimo di grado di aumento della temperatura centrale quindi se un soggetto passa da una temperatura di 36.7° (temperatura ottimale) a 37°, cioè vi è un aumento di tre decimi (3x7=21), la frequenza aumenterà di 21 battiti al minuto. Se un paziente dunque ha la febbre questo dovrà avere un aumento della frequenza cardiaca perché ci dovrà essere una proporzionalità tra il livello della febbre e il livello della frequenza cardiaca (se ad esempio ha 40° di febbre dovrà avere una forte tachicardia che giustifichi questa condizione). Se ad un forte aumento della temperatura non corrisponde un forte aumento della frequenza (39° con 70 battiti al minuto) siamo in presenza di una precisa malattia dove vengono prodotte delle tossine che inibiscono il pacemaker primario dunque nonostante la temperatura si alzi queste endotossine batteriche provocano quella che in clinica si chiama bradicardia relativa (rispetto alla sua temperatura il paziente dovrebbe avere una frequenza molto più alta). La bradicardia relativa è tipica di un‟infezione batterica nota come salmonella typhi, responsabile del tifo intestinale. Questi parametri possono essere influenzati facilmente giocando sugli elettroliti extracellulari. Fuori dalle cellule esistono degli elettroliti diversi rispetto a quelli intracellulari. All‟interno infatti domina il potassio e gli ioni negativi sono rappresentati principalmente da bicarbonati, fosfati e proteinati mentre all‟esterno lo ione negativo è il cloro e lo ione positivo è il sodio. Il potassio extracellulare è 40 volte meno del sodio (3-4 mEq/L per il potassio e 150-160 mEq/L per il sodio). Fuori dalle cellule invece c‟è moltissimo calcio mentre all‟interno il calcio è praticamente inesistente infatti il rapporto è per ogni calcio intracellulare ce ne sono da 10.000 a 100.000 fuori. Se noi cambiamo la composizione ionica del liquido extracellulare i due ioni più importanti 91
nell‟influenzare la forza di contrazione della macchina cuore sono il potassio e il calcio. Se aumenta il calcio extracellulare non ci sono problemi poiché cronotropo positivo, batmotropo positivo, dromotropo positivo e soprattutto la forza di contrazione aumenta. Se invece aumenta la concentrazione di potassio extracellulare questi parametri crollano dunque la frequenza, l‟eccitabilità, la velocità di conduzione atrioventricolare e soprattutto la forza di contrazione diminuiscono. Tutte le volte quindi che vi è una iperkaliemia questi effetti sono di tipo negativo, tutte le volte che vi è una ipokaliemia questi effetti invece sono di tipo positivo. Questo non vale solo per il cuore ma vale anche per i muscoli striati. Nei muscoli striati ad esempio una diminuzione del potassio extracellulare è una delle concause dei crampi, cioè un aumento di eccitabilità associato ad un aumento di contrattilità come espressione di una ipokaliemia del liquidi extracellulari. Il magnesio è invece l‟antagonista fisiologico del calcio: se il calcio eccita il magnesio inibisce. Sono due ioni bivalenti positivi che hanno effetto opposto: tutto ciò che fa il calcio in un senso lo fa esattamente in senso opposto il magnesio. Qual è il meccanismo extracardiaco più importante che ne regola la funzione? Il fatto che il cuore è innervato e riceve fibre nervose che modulano tutti e quattro i parametri. Quali sono questi nervi che vanno al cuore? Il cuore possiede fibre nervose sensitive che portano informazioni dal cuore verso il sistema nervoso centrale e fibre di tipo motorio che vanno invece dal sistema nervoso centrale verso il tessuto cardiaco. Queste fibre efferenti che dal sistema nervoso centrale si portano in direzione del cuore sono quelle che ci interessano. Queste fibre fanno parte del cosiddetto sistema vegetativo o sistema nervoso autonomo. Il sistema nervoso autonomo è formato da due parti che sono solitamente antagoniste: parasimpatico e ortosimpatico. Il sistema parasimpatico e il sistema ortosimpatico nascono da cellule specifiche che sono situate in porzioni differenti del sistema nervoso centrale. In particolare il sistema ortosimpatico nasce da piccole cellule localizzate nella parte laterale del corno anteriore, cioè nel corno antero-laterale, ma non di tutto il midollo spinale ma solo dei segmenti toracici e dei primi 2 o 3 segmenti lombari del midollo spinale, sia a destra che a sinistra. Quindi se noi prendiamo il midollo toraco-lombare, o meglio tutto il toracico e la parte più alta del lombare, nelle corna anteriori non troviamo solo i motoneuroni dei muscoli striati ma lateralmente troviamo anche queste piccole cellule che invece di controllare i muscoli striati controllano i muscoli lisci, le ghiandole e il cuore, la fisiologia cardiaca. Queste cellule, che si trovano nelle corna antero-laterali del midollo toraco-lombare da T1 a L2 avvolte anche fino ad L3, emettono assoni molto sottili ma dotati di guaina mielinica che appartengono, nella classificazione delle fibre nervose di Erlanger e Gasser, alle fibre di tipo B. In questa classificazione le fibre nervose vengono suddivise in A, B e C. Le fibre di tipo B sono le fibre pre-gangliari del sistema nervoso vegetativo sottili un micron di diametro ma dotate di guaina mielinica. Queste fibre bucano la guaina meningea, escono fuori dal nevrasse, raggiungono quelli che si chiamano gangli latero-vertebrali, situati vicino la colonna vertebrale, e vanno a fare sinapsi con le cellule gangliari. Saranno poi queste cellule gangliari a lasciare il ganglio e a raggiungere il cuore innervando il cuore stesso, il fegato, i vasi, ecc. Una delle caratteristiche del sistema nervoso vegetativo è data dal fatto che le cellule centrali non innervano direttamente gli organi ma la via che controlla gli organi è formata sempre da due cellule: la prima cellula è quella centrale che si limita a raggiungere il ganglio ma chi poi materialmente va ad innervare la periferia è la fibra post-gangliare, cioè quella che nasce dalle cellule situate all‟interno dei gangli, che emette questo sottile assone privo di guaina mielinica che va ad innervare tutti i vari organi cuore compreso. Di queste due cellule quindi la prima è dotata di guaina mielinica e prende il nome di ramo comunicante bianco poiché appare di colore bianco, la seconda invece è priva di guaina mielinica e prende il nome di ramo comunicante grigio poiché appare di colore grigio. Le cellule che hanno a che fare con il cuore si trovano solo nei primi tre segmenti, da T1 a T3, sia a destra che a sinistra. Nei primi tre segmenti del midollo toracico troviamo quindi cellule ortosimpatiche in grado di agire sul cuore, cellule di pertinenza cardiaca. I gangli a cui queste cellule si portano sono situati più in alto e sono il ganglio cervicale superiore, il ganglio cervicale medio e il ganglio cervicale inferiore che in realtà nella specie umana non esiste 92
poiché si fonde con il ganglio toracico superiore formando un unico ganglione. I rami comunicanti bianchi che nascono da T1 per esempio escono, entrano nel cervicale inferiore ma non fanno sinapsi, entrano nel cervicale medio per poi fare sinapsi con i gangli del cervicale superiore. I rami comunicanti bianchi che nascono da T2 invece entrano nel cervicale inferiore non fanno sinapsi ma fanno invece sinapsi con il ganglio cervicale medio. I rami comunicanti bianchi che nascono da T3 infine fanno sinapsi con il ganglio cervicale inferiore. Esistono quindi tre gruppi di fibre che nascono dal cervicale superiore, dal cervicale medio e dal cervicale inferiore che si portano verso il cuore. Quelle del cervicale superiore sono attivate da T1, quelle del cervicale medio attivate da T2, quelle del cervicale inferiore attivate da T3, ovviamente tre a destra e tre a sinistra. Il cuore quindi viene raggiunto da sei gruppi di fibre che costituiscono quelli che vengono chiamati nervi cardiaci: nervo cardiaco superiore, nervo cardiaco medio e nervo cardiaco inferiore di destra e nervo cardiaco superiore, nervo cardiaco medio e nervo cardiaco inferiore di sinistra. Queste fibre ortosimpatiche arrivano al cuore e fanno sinapsi sulle cellule muscolari sia del miocardio comune che del miocardio specifico. Il neurotrasmettitore liberato è la noradrenalina, sono quindi sinapsi noradrenergiche che troveranno sull‟altro lato della sinapsi un recettore di tipo metabotropico, cioè accoppiato con delle proteine G (quindi non un recettore ionotropico), che prende il nome di recettore beta 1. La sinapsi che l‟ortosimpatico fa sul cuore è dunque una sinapsi noradrenergica che usa come recettori post-sinaptici recettori metabotropici del tipo beta 1. Quando sentiremo parlare di farmaci beta bloccanti cominceremo a capire quali sono questi recettori beta che stiamo bloccando. Questa è una classica sinapsi di tipo eccitatorio quindi l‟ortosimpatico ha un effetto cronotropo positivo (aumenta la frequenza), batmotropo positivo (aumenta l‟eccitabilità), dromotropo positivo (aumenta la velocità di conduzione atrioventricolare) e soprattutto inotropo positivo (aumenta la forza di contrazione del cuore). L‟effetto sulla forza di contrazione del cuore è dovuto al fatto che aumenta la quantità di calcio che si libera all‟interno della cellula miocardica durante l‟eccitazione: se si libera più calcio si liberano più molecole di actina, se ci sono più molecole di actina libera si possono fare più legami actomiosinici e se si fanno più legami acto-miosinici si idrolizza più ATP e si produce più forza. Quindi la forza di contrazione aumenta perché è legata a questa maggiore liberazione intracellulare di calcio legata a sua volta a questa sinapsi noradrenergica che troviamo a livello cardiaco, sia sulle cellule del miocardio comune che su quelle del miocardio specifico. Ad esempio l‟effetto cronotropo positivo è dovuto all‟eccitazione delle cellule del nodo seno atriale, l‟effetto dromotropo positivo è dovuto all‟eccitazione delle cellule del nodo atrioventricolare o nodo di Tawara, mentre l‟eccitabilità quindi l‟effetto batmotropo è comune a tutte le cellule e soprattutto la forza di contrazione, l‟inotropismo, non riguarda solo le cellule del miocardio specifico ma soprattutto quelle del miocardio comune. Ricapitolando quindi diciamo che il cuore riceve fibre sia ortosimpatiche che parasimpatiche. Le fibre ortosimpatiche sono di origine esclusivamente spinale quindi non esistono fibre ortosimpatiche situate all‟interno della scatola cranica ma sono solo situate nel tratto di midollo che va da T1 a L2. Queste cellule situate nella parte antero-laterale di questa sezione di midollo spinale emettono un assone mielinizzato che buca le meningi, raggiunge i gangli cervicali e fa sinapsi con le cellule post-gangliari situate nel ganglio. Queste cellule pre-gangliari che fanno sinapsi con le cellule post-gangliari non liberano come neurotrasmettitore la noradrenalina ma l‟acetilcolina quindi questa è una sinapsi colinergica. Il recettore a cui si lega l‟acetilcolina è un recettore colinergico ma non è un recettore di tipo metabotropico ma un recettore ionotropico cioè il recettore fa parte del canale per il sodio. Se l‟acetilcolina non c‟è il canale è chiuso ma non appena due molecole di acetilcolina si legano ai due siti recettoriali di ogni canale questo si apre e il sodio può entrare all‟interno della cellula. Il sodio ovviamente è uno ione positivo e se entra all‟interno della cellula che è negativa la depolarizza e l‟effetto è naturalmente di tipo eccitatorio. In questo caso il recettore può essere aperto non solo utilizzando l‟acetilcolina ma utilizzando anche una sostanza che si trova in natura nei vegetali, in particolare nelle foglie del tabacco, che è un alcaloide che si chiama nicotina in grado di agire esattamente come l‟acetilcolina. Questi recettori infatti vengono 93
chiamati anche nicotinici proprio perche sono sensibili non solo all‟acetilcolina ma anche alla nicotina. Il recettore quindi ha la capacità di legare a se questo alcaloide, la nicotina, la quale non solo si lega al recettore ma agisce esattamente come l‟acetilcolina permettendo l‟apertura del canale. L‟unica differenza sta nel fatto che mentre l‟acetilcolina possiede un enzima che la distrugge velocemente, la colinesterasi, la nicotina viene distrutta molto più lentamente quindi il suo effetto non dura pochi secondi come l‟acetilcolina ma è molto più duraturo nel tempo. Questo stesso recettore può essere bloccato invece da un altro vegetale che possiede un alcaloide che si lega ai siti di legame non determinando l‟apertura del canale. Quando però arriva la vera acetilcolina trova il recettore occupato e non può agire. Questo alcaloide, noto come destrotubocurarina, che si estrae da una pianta sudamericana che è il curaro, viene utilizzato per bloccare i recettori nicotinici. Quindi come agonista recettoriale abbiamo la nicotina, come antagonista recettoriale esiste invece il curaro. Esiste anche una seconda famiglia di recettori per l‟acetilcolina che non usa recettori del tipo ionotropo ma usa recettori del tipo metabotropico che vengono quindi collegati al sistema del secondo messaggero (l‟apertura del canale in questo caso non avviene dall‟esterno ma avviene ad opera del secondo messaggero che apre il canale dall‟interno). In questo caso il recettore per l‟acetilcolina viene aperto anche da una sostanza contenuta in un fungo velenoso che si chiama amanita muscaria e per tale motivo questo recettore prende il nome di recettore muscarinico. Il veleno di questa pianta è in grado di agire come agonista recettoriale poiché si lega al recettore per l‟acetilcolina facendo aprire il canale per il sodio mentre l‟antagonista recettoriale è un alcaloide, l‟atropina, che si estrae da un‟altra pianta nota come atropa belladonna. L‟atropina quindi è il classico antagonista recettoriale dei recettori non ionotropici per l‟acetilcolina. Perché in alcune sinapsi mettiamo un recettore di tipo ionotropico e in altre sinapsi mettiamo recettori di tipo metabotropico? Questi sono due tipi di recettori molto diversi. I recettori ionotropi hanno tempi di azione velocissimi, agiscono in milionesimi di secondo, il tempo che si legano e già il canale si apre. Ovviamente non è cosi per i recettori metabotropi perché devono attivare il sistema per il secondo messaggero, devono attivare l‟enzima, l‟enzima deve catalizzare il substrato, il substrato deve diffondere nella cellula e quindi i tempi sono nettamente più lunghi. Il meccanismo di azione dei recettori ionotropi è dunque di una frazione di secondo mentre il meccanismo di azione dei recettori metabotropi è di qualche minuto. Quando io ho bisogno quindi di un qualcosa di rapido, veloce, che agisca con estrema velocità ho bisogno di un recettore ionotropo quando invece voglio un effetto che anche se è più lento duri nel tempo ho bisogno di un recettore di tipo metabotropico. Se ad esempio sul nodo di Tawara o sul nodo di Keith e Flack ci fosse un recettore di tipo ionotropico anziché metabotropico l‟effetto durerebbe pochissimi secondi e non riuscirebbe a modificare la frequenza, se l‟effetto dura invece qualche minuto (2-3 minuti) è chiaro che ottengo una variazione di frequenza che influenza la gittata cardiaca. Quindi se è più importante la velocità dell‟effetto si utilizza un recettore ionotropico, se è più importante la durata dell‟effetto si utilizza un recettore metabotropico. Nei muscoli striati ad esempio vi è una sinapsi che è la cosiddetta placca neuromuscolare. Anche qui c‟è come neurotrasmettitore l‟acetilcolina che però andrà a legarsi a recettori ionotropi. In questo caso infatti c‟è bisogno di velocità perché dal momento in cui parte l‟ordine al momento in cui il muscolo si contrae deve passare meno tempo possibile. Ogni volta che noi incontriamo una sinapsi la prima domanda che dobbiamo farci è qual è il neurotrasmettitore e a quale tipo di recettore si lega poiché a seconda del tipo di recettore noi capiamo qual è la dinamica cioè se sono sinapsi che devono lavorare alla massima velocità o se il loro effetto deve essere duraturo nel tempo. L‟acetilcolina quindi possiede sia recettori ionotropi (i nicotinici) che recettori metabotropici (i muscarinici). La noradrenalina invece possiede solo recettori di tipo metabotropici poiché necessita di un effetto duraturo nel tempo. Esistono in particolare vari tipi di recettori per la noradrenalina ma tutti però appartenenti alla famiglia dei metabotropi: alcuni si chiamano alfa (alfa1, alfa2), alcuni si chiamano beta (beta1, beta2, beta3). Il secondo grande controllore è il sistema parasimpatico. Il parasimpatico è la seconda parte del sistema nervoso vegetativo ed è caratterizzato anche lui da cellule situate all‟interno del sistema 94
nervoso centrale ma in posti completamente diversi rispetto all‟ortosimpatico. Questi neuroni sono situati in parte dentro la scatola cranica, tra mesencefalo, ponte e bulbo, nel cosiddetto tronco encefalico, e in parte sono situati nelle parti più basse del midollo spinale, nelle cosiddette regioni sacrali del midollo spinale. In anatomia si dice che l‟organizzazione del parasimpatico è di tipo cranio-sacrale, cioè una parte delle cellule sono situate all‟interno della scatola cranica e una parte delle cellule sono situate invece a livello spinale. Le cellule situate all‟interno della scatola cranica formano dei nuclei che cominciano nel mesencefalo con il nucleo di Edinger e Westphal e poi continuano scendendo con il nucleo muconasolacrimale, il salivatorio superiore, il salivatorio inferiore e soprattutto il nucleo motore dorsale del vago che comprende da solo la maggior parte delle cellule parasimpatiche situate a livello craniale. A livello sacrale, tra S1 ed S5, esiste una quota di cellule che controlla delle funzioni molto importanti ma molto differenti. Il sacrale infatti è responsabile di importanti meccanismi di base, basti pensare alla defecazione e alla minzione che sono di pertinenza parasimpatica, ma anche dell‟eccitazione sessuale e quindi dell‟aumento di volume nel maschio e nella femmina dei corpi cavernosi i quali si trovano a livello ipogastrico. Il compito del parasimpatico in quest‟ultimo caso è quello di aprire le arterie e chiudere le vene perché in questo caso il sangue arriva ma non può uscire determinando un aumento di volume dell‟organo che nel maschio prende il nome di erezione e nella donna in generale di eccitazione. Mentre però i corpi cavernosi maschili sono ben noti e anche vistosi, quelli femminili invece passano inosservati pur non essendo affatto inferiori. Il pene durante l‟erezione aumenta di dimensione. La vagina di una donna a riposo è non più lunga di 5-6 cm quindi ci deve essere una certa congruità tra contenente e contenuto e questo aumento di volume fa in modo che la vagina quasi triplichi la sua lunghezza durante l‟eccitazione per cui può accogliere tranquillamente un aumento di volume significativo ai fini riproduttivi. Questa congruità tra contenente e contenuto ha esattamente la stessa origine: l‟eccitazione del parasimpatico sacrale. Esistono quindi queste fibre che liberano acetilcolina. Com‟è fatto il parasimpatico? Il parasimpatico ricorda molto l‟ortosimpatico poiché ci vogliono sempre due neuroni per arrivare all‟organo bersaglio che in questo caso è il cuore. Il primo neurone è quello localizzato dentro il nucleo motore dorsale del vago anche noto come cardiopneumo gastrico (questo cardio già ci dice che una parte di queste cellule ha a che fare con il controllo del cuore). Queste sono delle grosse cellule che emettono un assone mielinico che si porta direttamente al cuore viaggiando nel nervo vago sia di destra che di sinistra. Ovviamente l‟assone che nasce dal nucleo motore dorsale di destra viaggia nel vago di destra, quello che nasce dal nucleo motore dorsale di sinistra viaggia nel vago di sinistra. Il vago è un grosso nervo (grande come il medio della nostra mano) che contiene circa un milione di fibre di cui una piccola parte, non più di 7.0008.000 fibre, hanno a che fare con il cuore. Queste fibre prima raggiungono il mediastino e si portano al cuore. Le fibre che provengono dal vago di destra raggiungono la metà destra del cuore, le fibre che provengono dal vago di sinistra raggiungono ovviamente la metà sinistra del cuore. Queste fibre però che raggiungono il cuore, a differenza dell‟ortosimpatico, non innervano tutto ma innervano selettivamente il miocardio specifico. Il miocardio comune quindi riceve fibre ortosimpatiche ma non riceve fibre parasimpatiche e in particolare le fibre del vago di destra, a livello del cuore, raggiungono il pacemaker primario cioè il nodo seno atriale mentre quelle del vago di sinistra raggiungono il nodo di Tawara cioè il nodo atrioventricolare. Le fibre parasimpatiche non innervano nient‟altro per cui essendo cosi specifica la loro azione non avranno effetti su tutti e quattro le funzioni ma in pratica viene influenzata solo la frequenza, perché viene innervato il pacemaker, e la conduzione atrioventricolare, perché viene innervato il nodo atrioventricolare. Non ci si sono dunque effetti significativi ne sull‟eccitabilità e visto che queste fibre non innervano il miocardio ventricolare non ci saranno neanche effetti significativi sulla forza di contrazione anzi indirettamente la forza di contrazione migliora leggermente, c‟è un effetto paradosso inotropo positivo, perché siccome rallenta la frequenza, la diastole dura di più e se dura di più la diastole si riempie un po‟ di più e dato che aumenta il riempimento, come dice la legge di Starling, aumenta la forza di contrazione. Questo è un effetto indiretto, un effetto paradosso, legato alla diminuzione di 95
frequenza. In realtà sul cuore orto e parasimpatico non è corretto dire che hanno effetti opposti o meglio hanno effetti opposti solo su frequenza e velocità di conduzione mentre sull‟eccitabilità e sulla forza di contrazione no perché il parasimpatico non influenza queste due funzioni dato che non innerva il miocardio comune. L‟effetto che noi osserviamo tramite il parasimpatico è però particolare. La fibra vagale che giunge nelle cellule miocardiche non fa direttamente sinapsi con queste cellule ma con una piccola cellula nervosa e sarà questa poi a fare sinapsi con le cellule del miocardio. Anche qui dunque ci sono due neuroni solo che il secondo neurone è già dentro l‟organo. Nello spessore della parete dell‟atrio infatti sono presenti dei plessi nervosi intramurali e quindi il primo neurone fa sinapsi su questo secondo neurone e sarà poi il secondo neurone a controllare il cuore. Il primo neurone, il neurone pre-sinaptico, utilizza come neurotrasmettitore l‟acetilcolina la quale si lega a recettori nicotinici (sinapsi veloce ed eccitatoria), mentre la seconda sinapsi utilizza sempre come neurotrasmettitore l‟acetilcolina ma il recettore a cui essa si lega non è ionotropo ma è il classico recettore muscarinico, di tipo metabotropico, che ha come effetto finale non l‟aumento del secondo messaggero ma la diminuzione del secondo messaggero quindi l‟effetto finale sarà di tipo negativo (fa diminuire la frequenza e la velocità di conduzione).
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Lezione 10 Apparte i meccanismi intrinseci, cioè precarico e postcarico, esistono dei meccanismi estrinseci e questi meccanismi sono nervosi. Il sistema di controllo consiste nel sistema nervoso vegetativo cioè orto e parasimpatico; l‟ortosimpatico è localizzato a livello toracolombare T1-L2, il parasimpatico ha invece una distribuzione craniosacrale; a livello craniale i gruppi di cellule parasimpatiche sono rappresentati dal mesencefalo ponte e bulbo (...e soprattutto dal grande nucleo motore dorsale del vago). A livello sacrale invece fra S1 e S5 ci sono cellule anch‟esse parasimpatiche. Quello che ci interessa è il controllo sul cuore quindi le ortosimpatiche che controllano il cuore sono fra T1 T2 e T3, le parasimpatiche che controllano il cuore sono solo localizzate nell‟ultimo tronco dorsale del vago, a localizzazione bulbare, quindi se voi avete il bulbo e poi comincia il nevrasse a livello cervicale, tra T1 e T3 si trovano le cellule ortosimpatiche di controllo sul cuore. Queste raggiungono i tre gangli cervicali, superiore medio e inferiore, fanno sinapsi e poi saranno i neuroni del sistema postgangliare a innervare il cuore, e i nervi, tre da destra e tre da sinistra innervano tutti il cuore dall‟atrio al ventricolo, miocardio comune e miocardio specifico. L‟ortosimpatico è formato da due neuroni, un primo pregangliare che fa sinapsi a livello del ganglio e poi c‟è il secondo neurone quello postgangliare che raggiunge la muscolatura cardiaca. Il pregangliare usa come neurotrasmettitore l‟Ach e come recettore per l‟Ach un recettore di tipo nicotinico collegato a un canale per il sodio, per cui se si libera Ach si ha canale pressorio e a livello della prima sinapsi c‟è un effetto veloce potentemente eccitatorio. A livello della seconda sinapsi si libera invece noradrenalina che agisce sul recettore postsinaptico del tipo beta1, anche questo legato a un canale per il sodio e anche questo con effetto eccitatorio ma più lento e molto più prolungato nel tempo perché il recettore non è di tipo ionotropo ma di tipo metabotropo. Il sistema invece di tipo parasimpatico differisce relativamente, c‟è il primo neurone che si fa tutta la strada fino al cuore, a livello cardiaco fa anche lui sinapsi colinergica sull‟interneurone che si trova nello spessore della parete cardiaca (anche questo Ach, di tipo nicotinico collegato al recettore per sodio) sul neurone invece postsinaptico troviamo ancora una volta Ach ma il recettore è di tipo muscarinico anche lui collegato a canale per il sodio ma con un effetto di tipo inibitorio. Il risultato finale è che su frequenza e velocità di conduzione atrioventricolare l‟effetto è opposto cioè l‟ortosimpatico eccita, il parasimpatico inibisce. Sull‟eccitabilità poco o niente, il parasimpatico di fatto non agisce sulla muscolatura comune e soprattutto sulla forza di contrazione non ha un effetto inibitorio. L‟ortosimpatico parte dalla zona T1 T2 T3 del midollo spinale, il parasimpatico si origina principalmente dalla parte craniale del nucleo motore dorsale del vago le fibre escono dal vago, viaggiano ed entrano nel mediastino il vago di destra per il nodo senoatriale, il vago di sinistra per il nodo atrioventricolare. Per cui se prendessi un cuore tagliando il vago di destra la frequenza aumenta (tolgo un freno), se taglio il vago di sinistra la frequenza diminuisce. Il vago di fatto è un inibitore, il simpatico sul cuore di fatto è un acceleratore. Ora queste non sono strutture anarchiche, sono mezzi per ottenere determinati risultati o tachicardia o brachicardia quindi la domanda è chi usa questi mezzi, chi è che controlla attraverso l‟orto e il parasimpatico l‟attività del cuore? Dobbiamo immaginare come l‟orto e parasimpatico come un freno e un acceleratore, se voglio che l‟attività cardiaca aumenti tolgo il freno e premo su acceleratore, se io voglio che rallenti premo il freno e tolgo l‟acceleratore; ma chi ha questo compito? Chi controlla queste due strutture? Bisogno fare un‟altra precisazione: le cellule del nucleo motore dorsale del vago sono abbastanza concentrate a livello del tronco e del bulbo, mentre le cellule ortosimpatiche sono sparpagliate fra T1 T2 e T3, una metà a destra e una a sinistra, queste cellule sono controllate da una piccola zona della formazione reticolare appartenente alla zona più bassa ventrale, vicino all‟oliva inferiore e queste cellule della formazione reticolare mandano fibre reticolo spinali che vanno a eccitare i neuroni ortosimpatici che controllano il cuore, per cui nel bulbo ci sono due gruppi di cellule, un gruppo sulla formazione reticolare e l‟altro sul nucleo motore dorsale del vago che situati vicini l‟un l‟altro due a destra e due a sinistra (vicini fra loro), uno (il nucleo motore dorsale del vago) se viene 97
eccitato rallenta con effetto inibitore, l‟altro (nella formazione reticolare) se viene eccitato, eccita l‟ortosimpatico e quindi a sua volta ottiene un effetto eccitatorio. Sono messi l‟uno affianco all‟altro, i vecchi fisiologi lo chiamavano “centro cardioacceleratore – centroinibitore” poiché uno ha un effetto tachicardizzante (la reticolare) e l‟altro bradicardizzante (n.m.d. vago) e quindi chi controlla questi due centri e, attraverso questi due centri, chi controlla l‟attività del cuore? Esistono sia controlli da parte di altre strutture del sistema nervoso centrale che attraverso questi centri controllano l‟attività del cuore: il caso più banale è rappresentato dalla reazione che si ha quando per esempio qualcuno nascosto dietro una porta vuole farci spaventare, e se io vado a misurare la frequenza cardiaca vedrò che è aumentata, ogni emozione violenta determina tachicardia; quindi vuol dire che un sistema di controllo su questi centri viene rappresentato da quella zona del nostro cervello che si occupa di emozioni. Tutte le volte che c‟è un‟attivazione del nostro coinvolgimento emotivo il primo segnale che compare sempre e comunque è un aumento di frequenza cardiaca, se vivete un esperienza e la vostra frequenza cardiaca non si modifica significa che emotivamente non conta niente. La misura diretta e banale del coinvolgimento emotivo è rappresentato dalla frequenza cardiaca; un altro segno è il diametro pupillare, un altro è la secrezione sudoripara delle mani che aumenta in tutte le condizioni di emozione, un altro è la secrezione salivare che sparisce ecc..; la secrezione sudoripara delle mani corrisponde a un aumento di sudore, il sudore contiene elettroliti, gli elettroliti sono dei conduttori sono dei conduttori elettrici quindi misurando la resistenza elettrica della pelle ci accorgiamo che diminuisce mano a mano che aumenta il coinvolgimento emotivo perché aumenta la conduzione. Questa caratteristica resistenza cutanea è uno dei segni per misurare il coinvolgimento emotivo di un individuo, come la macchina della verità, che misura la resistenza elettrica della cute: manda un voltaggio noto, misura l‟intensità di corrente in uscita e il rapporto si chiama resistenza (legge di Ohm); e questa che si chiama anche risposta galvanica della cute è un altro dei segni classici di coinvolgimento emotivo. Un esempio banale: a scopi pubblicitari si testa la reazione emotiva di un soggetto di fronte a vari spot per capire quale di questi abbia una risposta emotiva maggiore; cosicché il soggetto si siede, e attrezzato di elettrodi, si mandano i vari spot testando la resistenza galvanica ad esempio; quando si noterà, attraverso i vari soggetti, i vari campioni di cavie, lo spot che darà la risposta maggiore questo sarà chiaramente quello che andrà in onda, perché è quello che ha raggiunto meglio il target pubblicitario che si voleva conquistare. Quindi la resistenza elettrica della cute assieme alla frequenza cardiaca è uno dei parametri più banali da rilevare. Per inciso il nostro cervello produce due tipi di prodotti: uno è il pensiero, le cosiddette attività cognitive; un altro tipo di attività cerebrale è rappresentato dalle emozioni. Esiste una differenza fondamentale fra attività cognitive e attività emotive: le attività cognitive sono un‟attività solo mentale, sul piano fisico non succede nulla; le attività emotive non sono mai una cosa solo mentale, ogni volta che noi viviamo un emozione c‟è anche un coinvolgimento fisico con tutta una serie di segni fisici che sono sempre collegati alle attività di tipo emotivo. Per cui se le attività emotive dall‟esterno si colgono le attività cognitive per fortuna dall‟esterno non si colgono quindi quello che uno pensa per fortuna uno se lo tiene per se, questa è la grande discriminante fra cognizione ed emozione, questa dualità della risposta emotiva che non c‟è mai nell‟attività di tipo cognitiva, che è un attività puramente mentale senza nulla di fisico, rilevante da misurare, per fortuna. La domanda quindi è esiste nel coinvolgimento emotivo un variare della frequenza cardiaca, quindi la strutture che sono alla base delle emozioni devono agire sul nucleo motore dorsale del vago, sul centro cardioacceleratore o sul centro cardioinibitore. Sapete che le emozioni nascono da una zona della corteccia che si trova attorno al corpo calloso, la zona visibile dall‟esterno (occipitale, parietale, temporale, frontale) e quindi le relative aree corticali non hanno niente a che vedere con le emozioni, queste sono aree corticale collegate alla cognizione (memoria, attenzione, linguaggio ecc..). Per vedere la zona collegata alle emozioni dovrei tagliare a metà il corpo calloso, separare i due emisferi e guardando dall‟interno, attorno al corpo calloso, vedrei una striscia di corteccia, il 98
lobo limbico, la cosiddetta circonvoluzione pericallosale, ed è proprio la circonvoluzione pericallosale, il cosiddetto lobo limbico che si occupa di emozioni, quindi tra l‟altro la cognizione è affidata ad aree completamente diverse da quelle a cui è affidata l‟emozione. Sono proprio due strutture corticali completamente indipendenti, più arcaica e più antica quella delle emozioni più evoluta e moderna quella dei processi cognitivi, soprattutto quella dei processi cognitivi collegata al lobo frontale, che è quello che fa la differenza fra l‟uomo e tutti gli altri animali. Dal lobo limbico si dipartono due vie, una diretta e una indiretta, la diretta va direttamente, la indiretta si ferma per strada e raggiunge l‟ipotalamo, sarebbero il fornice e la stria terminale, queste due vie raggiungono l‟ipotalamo e a livello dell‟ipotalamo avviene il collegamento fra il corpo e le emozioni; le emozioni vengono vissute come qualcosa di psichico il corpo però viene attivato dall‟ipotalamo perché l‟ipotalamo lo fa in due modi, primo ricordatevi che l‟ipotalamo controlla l‟ipofisi e quindi attraverso l‟ipofisi e gli ormoni è in grado di modificare il corpo in maniera abbastanza evidente, e poi perché dall‟ipotalamo si dipartono delle vie verso la formazione reticolare in grado di agire su queste strutture troncoencefaliche tra cui anche i centri cardioinibitori e cardioacceleratori; poi contemporaneamente si crea una via di ritorno che parte dai corpi mammillari dell‟ipotalamo posteriore , il cosiddetto fascio di (Vick??), raggiunge il talamo anteriore e dal talamo anteriore poi si riporta in corteccia. Si chiude così un circuito che è stato descritto per la prima volta da un americano che si chiamava James Papez, (circuito di Papez), e questo grande circuito è il circuito che crea la doppia risposta presente nelle emozioni, sia quella fisica che quella psichica; un danno lungo le vie di questo circuito è responsabile di alterazioni della reattività emotiva in vari aspetti; però ricordatevi sempre questo collegamento tra attività psichica e mondo fisico rappresentato dall‟ipotalamo via umorale, vie nervose, attraverso ormoni e attraverso vie nervose, orto e parasimpatico, perché poi vedremo questo accoppiamento psiche – attività del soma, alla base di tutta una patologia che poi studierete, la cosiddetta medicina psicosomatica in cui non c‟è che l‟imbarazzo della scelta su cui discutere. Ricordo quindi la circonvoluzione pericallosale cioè il cosiddetto lobo limbico, poi da qui fornice terminale; la via indiretta coinvolge una struttura sottocorticale molto interessante per le emozioni che si chiama amigdala data la forma a mandorla, e il coinvolgimento dell‟amigdala ha un ruolo strategico per gestire le emozioni. Poi si raggiunge l‟ipotalamo, si mettono in moto le risposte e poi la via di ritorno. Questo è interessante perché le reazioni emotive possono essere messe in moto dalla corteccia (reazione di spavento) oppure le reazioni emotive posso essere messe in moto dalla periferia attraverso il sangue che arriva all‟ipotalamo e questo mette in moto le reazioni emotive, per esempio il sangue si raffredda e ho delle reazioni di tipo freddo caratterizzate anche dall‟associazione di reazioni emotive, aumenta la pressione osmotica, con reazioni di tipo sete che si caratterizza per determinate componenti emotive e così via, le due cose sono abbastanza dinamiche e poi l‟anno prossimo vedremo come si associano in maniera abbastanza fluida; l‟amigdala svolge un ruolo particolare perché ha un ruolo strategico nelle emozioni che è quello di interpretare le emozioni degli altri, quindi quando io guardo una persona nel guardare la persona io devo avere anche un‟informazione se per esempio è tranquilla, se è stanca e così via, perché sulla base delle sue condizioni emotive è meglio che ci si auto regoli, ad esempio se volete il modo peggiore per approcciare un cane è quello di avere paura, perché il cane lo percepisce che non siete tranquilli e avrà paura anche lui. Nella specie umana ha anche dei ruoli più complessi che nelle emozioni più grossolane entrano in gioco tutta una serie di attività complesse, basti pensare che quando io parlo in questo momento, quello che io vi comunico non dipende solo dalla mia voce e da quello che dico ma c‟è l‟espressione del viso, il timbro della voce, la gesticolazione, tutte queste cose fanno parte anche loro della comunicazione e il sistema amigdala mi permette di interpretare anche questa forma di comunicazione che non è altro secondaria, si chiama comunicazione non verbale, un esempio la vostra collega torna a casa e trova il suo amato che lo aspetta con una faccia nera, lei dice “ che è successo?” e lui “No!”; è chiaro che la comunicazione verbale dice una cosa quella non verbale ne dice un‟altra. In questo caso la quantità d‟informazioni che sta elaborando è legata ai due canali, questo vi fa capire che non è la stessa cosa se parlo con qualcuno parlandoci o per telefono, perché 99
per telefono si perdono tutta una serie di informazioni, figuratevi tramite SMS o email. Se chiudete gli occhi e io parlo, non avrete solo informazioni sul contenuto, ma capite se sono maschio o femmina, del nord del sud ecc. tutte informazioni che non stanno nel contenuto ma nella forma di quello che dico, quella che si chiama prosodia in linguaggio tecnico, e il linguaggio prosodico vedremo che è un linguaggio importante nei sistemi. L‟amigdala ha un ruolo strategico nella gestione del linguaggio prosodico, lo studieremo l‟anno prossimo. Quindi io mi arrabbio e se io mi arrabbio mi aumento la frequenza cardiaca, il meccanismo è abbastanza semplice: la corteccia stimola l‟ipotalamo e l‟ipotalamo mette in moto delle reazioni orto e parasimpatiche in questo caso l‟ortosimpatico viene rallentato perché è un acceleratore, il parasimpatico viene attivato perché è un freno e ovviamente l‟effetto finale sarà opposto se io mi arrabbio voglio una tachicardia, meno para e più ortosimpatico, se io mi tranquillizzo voglio bradicardia, più parasimpatico e meno ortosimpatico. Attenzione: i meccanismi più importanti di controllo nervoso su questi due centri, orto e parasimpatico, non sono quelli che dipendono da altre parti del sistema nervoso, ma sono dovuti a informazioni che provengono dall‟esterno del sistema nervoso, cioè esistono dei sensori fuori dal sistema nervoso che ci segnalano situazioni che si creano nel senso che noi non ce ne rendiamo conto, in maniera del tutto inconscia e queste informazioni che i sensori ci mandano vengono usate per regolare la frequenza cardiaca come tante altre cose. Il tutto avviene in maniera del tutto inconsapevole e soprattutto avviene in maniera del tutto automatica, cioè vogliamo o no, se siamo svegli o distratti, questo meccanismo regola istante per istante il nostro livello di attività del cuore, un esempio: il vostro collega si trova di fronte a un soggetto che ha un attacco di tachicardia parossistica, non avendo farmaci e niente come fa a fargli passare la tachicardia, può comprimere delicatamente (il globo oculare), questo fenomeno che prende il nome di riflesso di AschnerD‟Agnini permette rapidamente e in pochi secondi di abbassare la pressione, sempre che non porti lenti a contatto perché se no gli rovinate la cornea e di abbassargli la frequenza cardiaca. Cosa stiamo facendo? Stiamo agendo alla periferia, cioè fuori dal SNC e otteniamo una modificazione di frequenza cardiaca; evidentemente stiamo mettendo in moto dall‟esterno in questi due centri, in questo attiviamo il cardioinibitore e riduciamo l‟attività del cardioacceleratore perché rallentiamo la frequenza cardiaca, ci serve più vago e meno ortosimpatico e ovviamente lo stiamo facendo dall‟esterno, quindi esistono meccanismo periferici in grado di modulare la frequenza cardiaca. Ne esistono un 500 c.a. ma vi cito soltanto i più interessanti in piano clinico e cercherò di farvi capire soprattutto l‟importanza sul piano funzionale. (disegno alla lavagna col cuore e cervello) Il cuore riceve sangue attraverso le vene e poi lo manda via attraverso le arterie, quindi i due canali sono il ritorno venoso da una parte (ricordate la regolazione in precarico) e dall‟altro lato ovviamente la pressione arteriosa che è il risultato dell‟output che lui ha a livello delle arterie; esistono dei sensori di pressione sia dal lato arterioso che dal lato venoso, questi sensori sono situati in precisi posti del sistema, nel caso delle arterie sono situati alla biforcazione della carotide comune nel punto in cui inizia la carotide interna, quando la carotide comune si biforca, dietro l‟angolo della mandibola, e forma due arterie importanti, una destinata all‟interno della scatola cranica, la carotide interna che irrora quindi le strutture intracraniche e l‟altra destinata all‟esterno della scatola cranica che irrora le strutture extracraniche. Se voi andate a vedere come è fatta la carotide interna alla sua origine ha una leggera dilatazione, e se voi andata a fare un esame istologico della parete di questa zona, vedrete che nella parete, all‟incirca nella tunica media, arrivano delle fibre nervose che si sfioccano all‟interno proprio della tunica media della parete di questa zona dilatata, bulbo carotideo, sia a destra che a sinistra. Come funzionano? Funzionano come meccanocettori: se la pressione aumenta la parete viene dilatata, distesa e queste fibre vengono eccitate, quindi scaricano di più, maggior numero di potenziali d‟azione al secondo vengono mandati al SNC; se invece la pressione dovesse diminuire questa distensione meccanica che ne consegue diminuisce la frequenza di scarica di queste fibre. In pratica se voi fate un grafico, da un lato mettete pressione arteriosa dall‟altro la frequenza di scarica di queste fibre, la pressione media normalmente è di 70 - 80 mmHg, mettiamo 160 e 40, se voi vedete che c‟è un atteggiamento più o meno di questo tipo: la frequenza di scarico 100
aumenta linearmente con la pressione arteriosa e al di sotto di 40 mmHg i recettori carotidei cessano di scaricare, se è troppo bassa la pressione non c‟è deformazione e queste fibre nervose non generano più potenziale d‟azione, non scaricano più. Siccome però la pressione normalmente è in media attorno agli 80 mmHg questi hanno invece normalmente sempre una certa scarica di base, quindi se la pressione dovesse aumentare questa scarica di base va a incrementare, se la pressione dovesse diminuire, la scarica di base va a diminuire, sotto i 40 non scaricano più. Qualcosa del genere esiste anche nell‟arco dell‟aorta, dove anche qui nella tunica media dell‟arco esistono fibre nervose che anche loro vengono attivate dalla distensione meccanica della parete e quindi tutti gli aumenti di pressione nell‟arco dell‟aorta fanno scaricare; però c‟è una differenza rispetto a quelli che provengono dalla carotide perché questi scaricano solo se la pressione è più alta di 80 mmHg, se la pressione scende al di sotto di 80 mmHg non scaricano più. Mentre i recettori carotidei scaricano fino a 40 mmHg quindi in condizioni di normalità già scaricano, i recettori aortici in condizioni di normalità non scaricano, scaricano solo se la pressione diventa più alta del normale, l‟unica differenza fra questi due tipi di recettori, e siccome sono dei meccanocettori che di fatto vengono attivati tutte le volte che cambia la pressione arteriosa, vengono chiamati in termine tecnico barocettori (da baros in greco = pressione) per indicare il fatto che sono dei misuratori, dei sensori che segnalano la pressione arteriosa della biforcazione della carotide; ovviamente dove c‟è la biforcazione della carotide c‟è un‟insenatura, questa zona si chiama seno carotideo, ma in realtà stiamo parlando di recettori situati nello spessore della parete della tunica media dell‟arteria, e la stessa cosa lungo l‟arco dell‟aorta; sono dei misuratori di pressione che mandano l‟informazione al SNC; la comunicazione parte dal seno carotideo e viaggia in un nervo che si chiama nervo di Hering che fa parte del glossofaringeo, delle fibre sensitive che compongono il IX nervo cranico; mentre quelle che si dipartono dall‟arco dell‟aorta costituiscono il nervo di Cyon che invece fa parte del vago e che quindi viaggeranno frammiste alle tante fibre sensitive che costituiscono il nervo vago e raggiungeranno tutte e due il tronco dell‟encefalo. Le fibre sensitive del VII del IX e del X in realtà vanno a finire tutte nello stesso posto, cioè in un grande nucleo situato nella parte alta dorsale, sotto il cervelletto, una a desta e una a sinistra, nella parta più alta del bulbo, che si chiama nucleo del tratto solitario; questo è il punto di arrivo di tutte le informazioni sensitive che provengono dal corpo, però informazioni sensitive di origine viscerale, cioè che provengono da visceri, cuore, fegato, intestino, rene, non da recettori di origine somatica, quindi pelle, articolazioni ecc.. Il nucleo del tratto solitario è il punto in cui tutte le informazioni di natura viscerale convergono e all‟interno di questa grande struttura arriveranno informazioni su com‟è la situazione a livello cardiaco, respiratorio, intestinale, gastrico.. cioè tutte informazioni che non danno luogo a una informazione cosciente, che pur ignorandole formano un flusso continuo verso il nucleo del tratto solitario; dal nucleo del tratto solitario arrivano queste fibre, dal VII, IX e X, (non proprio dal facciale vero e proprio ma dall‟intermedio di Wirsberg, che è associato al facciale, perché il facciale è solo motorio, innerva i muscoli mimici, invece l‟intermedio contiene sia fibre in uscita di tipo parasimpatico che fibre in entrata di tipo sensitivo-viscerale) e queste vanno a finire tutte nel nucleo del tratto solitario, sia a destra che a sinistra; dal nucleo del tratto solitario partono delle fibre che raggiungono sia il cardio inibitorio che il cardio acceleratore, le due classiche strutture di controllo presenti nel tronco dell‟encefalo, e qual è la regola? Sarebbe che tutte le volte che la pressione aumenta, queste fibre scaricano di più, le cellule del tratto solitario sono più eccitate, fanno partire una scarica di impulsi che eccita il cardio inibitorio e inibisce il cardio acceleratore; quindi se la pressione dovesse essere troppo alta io rallento il cuore e questo rallentamento fa calare la pressione; se la pressione dovesse essere troppo bassa, significa un aumento di attività del cuore e questo aumento di attività fa aumentare di conseguenza la pressione. Agisce come un classico feedback inibitorio, se aumenta la pressione arteriosa inibisco e rallento la frequenza cardiaca, cardio inibizione; quindi si realizza in pratica un classico feedback che parte dalle arterie, raggiunge il SNC, lo eccita e mette in moto una risposta di tipo inibitorio, classico feedback negativo, all‟aumentare della pressione arteriosa, rallenta l‟attività del cuore; cosicché tutte le volte che ci troviamo di fronte a un soggetto con un abbassamento di pressione ovviamente prendendo il polso 101
si vedrà che, la pressione è bassa, ma la frequenza è molto alta perché questo meccanismo sta tentando di ristabilire l‟equilibro, così come se un soggetto ha una crisi ipertensiva, è vero che la pressione è alta, ma di conseguenza il sistema cercherà di compensare con un forte rallentamento. All‟abbassarsi della pressione arteriosa, aumenta il polso, frequenza, all‟aumentare della pressione il sistema tende invece verso la bradicardia. Questo meccanismo in fisiologia si chiama Riflesso barocettivo, perché è messo in moto dai barocettori aortici e carotidei, questo riflesso barocettivo è un grande riflesso che ha un compito molto importante, cioè quello di adattare la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca, con una proporzionalità inversa, tanto più alta è la pressione arteriosa tanto più viene rallentata la frequenza e viceversa, tanto più è bassa la pressione, tanto più si cerca svegliare la frequenza, tutto con un meccanismo inconscio, io non so neanche che esistano questo meccanismo. Quando parleremo di SNC e informazioni sensoriali, non confondete il concetto di informazione sensoriale col concetto di sensazione: l‟informazione sensoriale è qualunque sensazione arriva, sensazione è quella informazione di cui ci rendiamo conto, cioè che diventa cosciente, arrivano 100 informazioni, forse una ventina diventano coscienti, la altre arrivano, vengono usate, ma non ne abbiamo assoluta coscienza. Il riflesso barocettivo è un grande meccanismo ed è importante anche per questo: guardate un attimo dove si trovano questi barocettori, arco dell‟aorta e biforcazione della carotide; perché non la femorale o l‟arteria epatica e così via? Perché l‟arco dell‟aorta e biforcazione della carotide hanno in comune il fatto di trovarsi sopra il cuore, più in alto del cuore, quindi il ruolo che hanno questi barocettori diventa particolarmente importante in una condizione abbastanza prevedibile, ovvero quando si è sdraiati, in clinostatismo, la testa e il cuore sono sullo stesso piano, la perfusione cerebrale non è un problema (non esiste il fattore gravitazionale) ma non appena ci si alza la testa è più in alto quindi la pressione cerebrale dei vasi sopracardiaci dovrebbe abbassarsi, il fatto che i barocettori sono sopracardiaci ci annulla questo rischio, appena io mi alzo e la pressione tende a calare nell‟arco aortico e il seno carotideo, scatta il riflesso barocettivo, aumenta l‟attività del cuore e io faccio arrivare più sangue al tempo adeguato nel flusso cerebrale. Con l‟età ad esempio i riflessi barocettivi si fregano un po‟, dopo i 60 – 70 anni il soggetto accusa di solito sempre lo stesso sintomo, che alzandosi dal letto attraversa sempre qualche momento di giramenti di testa, dovuto al fatto che il meccanismo barocettivo non fa completamente il proprio dovere, mentre normalmente è di un efficienza spaventosa, potremmo cambiare sempre posizione e la perfusione cerebrale non subisce significativi cambiamenti. Per l‟uomo questo problema si pone in un certo modo ma pensiamo alla giraffa che abbassandosi per bere, porta la sua testa sotto il cuore con un dislivello di 4 metri c.a., se non ci fossero i barocettori berrebbe una volta sola! Questo riflesso barocettivo non esiste in molto animali quadrupedi dove le differenze di posizione della testa sono significative, per esempio i conigli non c‟è l‟hanno, quindi una cosa da non fare mai, giocando con un coniglio, è prenderlo per le orecchie e tenerlo in sospeso in verticale, perché la testa si pone più in alto rispetto al cuore e non avendo i barocettori sarebbe a rischio di ipossia cerebrale. Esiste un altro meccanismo in questa stessa zona, cioè arco dell‟aorta, biforcazione della carotide, completamento diverso; questo secondo meccanismo si fonda invece su delle strutture piccole, più piccole di una lenticchia, di forma rotondeggiante che al loro interno contengono delle cellule che ricevono una informazione sensitiva, queste cellule sono bagnante dal sangue, questa struttura è molto irrorata, e queste cellule sono in grado di misurare nel sangue, sangue arterioso, in questa struttura, quanto ossigeno c‟è pO2, quanta anidride carbonica pCO2 e in particolare il pH, la concentrazione idrogenionica del sangue, quindi queste strutture con in anatomia avete studiato e si chiamano glomi aortici e carotidei, e le cellule che si trovano al loro interno prendono il nome di cellule glomiche, tali cellule glomiche misurano O2, CO2 e pH, e attraverso una vera e proprio sinapsi queste cellule attivano le fibre nervose e le fibre nervose fanno partire una scarica di impulsi; se io vado a vedere questa scarica di impulsi a cosa è collegata, ovviamente questa scarica di impulsi non è collegata più alla pressione arteriosa ma è collegata principalmente alla pressione parziale di anidride carbonica. Tutte le volte che aumenta la pressione parziale di anidride carbonica 102
38, 39, 40, 41... la frequenza di scarica di queste fibre nervose di origine glomica aumenta, aumentando l‟anidride carbonica aumenta anche l‟acido carbonico, gli idrogenioni, si acidifica il sangue e quindi è collegata anche alla concentrazione idrogenionica, aumenta parallelamente se aumenta anche la concentrazione idrogenionica; man mano che diventa più acido, scaricano di più; e la terza variabile è rappresentata la pressione parziale d‟ossigeno, tutte le volte che diminuisce la pressione parziale di ossigeno, tutte le volte che diminuisce il pH (diventa più acido), o tutte le volte che aumenta la concentrazione di CO2 a livello dei glomi, questi scaricano di più, e mandano un informazione, manco a dirlo, tramite il nervo di Hering, tramite il nervo di Cyon (quindi glossofaringeo e vago) al nucleo del tratto solitario, tale nucleo viene eccitato e anche lui manda fibre sia al cardio acceleratore che cardio inibitore modificando la frequenza cardiaca; in questo caso, attenzione, la frequenza cardiaca viene modificata non in senso opposto, come facevano i barocettori, ma si verifica una accelerazione del cardio-acceleratore e una inibizione del cardioinibitore, cioè se l‟ossigeno diminuisce la frequenza aumenta, se la CO2 dovesse essere troppa, la frequenza aumenta, se il pH dovesse essere troppo acido la frequenza cardiaca aumenta. Tale riflesso, manco a dirlo, si chiama riflesso chemiocettivo, perché parte da questi chemiocettori, i glomi, che non sono nella parete dei vasi, ma sono proprio fuori dai vasi, all‟esterno, hanno proprio una loro arteria e vena e la zona carotidea o aortica è solo come topografia, perché si trovano in quella zona, ma a differenza dei barocettori che sono proprio nella parete, questi sono proprio esterni, non hanno niente a che vedere con la struttura; sono importantissimi perché, non tanto perché regolano la frequenza cardiaca, ma perché si capisce subito qual è la loro funzione più importante, se io ho poco ossigeno nel sangue oltre alla frequenza è quello di fare entrare più ossigeno quindi migliorare la respirazione, respirare più profondamente e fare entrare più aria; se ne deduce che il loro compito più importante non è tanto quello di agire sul circolo, ma di agire sulla respirazione, sono grandi regolatori della respirazione e in seconda battuta anche importanti regolatori della circolazione; esiste solo un momento della vita in cui la respirazione non ha importanza ma ha importanza solo la circolazione, cioè in pratica il periodo in cui non respiriamo, tutti i 9 mesi di vita intrauterina; durante la vita intrauterina noi non respiriamo, i polmoni sono pieni di acqua, l‟ossigeno ce lo manda la placenta e la CO2 viene eliminata attraverso la placenta e i polmoni non servono e fino al momento del parto non lavoreranno; i glomi nel bambino hanno un ruolo fondamentali al momento del parto. Ragionate su cosa succede al momento del parto: le dita della vostra collega siano le cellule muscolari dell‟utero, dentro c‟è il bambino, le arterie che portano sangue alla placenta attraversano la parete uterina, cosa succede ogni volta che c‟è una doglia? Vengono compresse le arterie uterine, quindi durate il parto, ogni volta che c‟è una contrazione uterina si verifica un‟ipossia nel bambino; e io medico come me ne accorgo? Ora si capisce: c‟è un ipossia, quindi cosa faranno i glomi? Aumentano la frequenza cardiaca del bambino, allora io ginecologo durante il parto, ho un apparecchio, il cardiotocografo, che mi correla le contrazione uterine della madre al battito cardiaco del bambino; cosa dovrebbe succedere se tutto è normale, ogni volta che io vedo una contrazione uterina nella madre, devo vedere un aumento di frequenza cardiaca nel bambino, proprio perché il bambino va in ipossia, i glomi se ne accorgono e inducono aumento di frequenza cardiaca, e naturalmente questo significa che tutto sta andando liscio (utero che si contrae, si produce un ipossia, il sistema se ne accorge, scatta il riflesso, il sistema nervoso reagisce come deve reagire con un aumento di frequenza, tachicardia). Se durante il parto, attraverso il cardiotocografo, con le contrazioni uterine la frequenza cardiaca non si modifica, significa che il sistema nervoso non sta più reagendo in condizioni fisiologiche e bisogna interrompere subito il parto spontaneo a agire subito per estrarre il bambino per evitare danni da ipossia irreversibili. Questo è un monitoraggio fondamentali durante il travaglio perché permette di prevenire le ipossie cerebrali neonatali, causa di danno irreversibile, con danni permanenti, quel che si chiama paralisi cerebrale infantile. Partorire a casa è folkloristico; da medici bisogna sempre partire dal presupposto che nel momento in cui si fa qualcosa tutto quello che può andare storto andrà storto, e quindi bisogno prevedere ogni possibile intervento per tutelare la salute della persona che vi sta davanti. Se tutto va liscio in teoria 103
il medico potrebbe non servire, dato che la natura ha già previsto tutto.. ma il ginecologo serve quando tutto non va liscio, e se tutto non va liscio e c‟è da fare un cesareo ed è chiaro che ci vuole sala operatoria, sangue, anestesista pronto e tutte quelle precauzioni che un parto a casa sarebbe impossibile da mettere in atto. Altro esempio in cui i glomi sono indispensabili: la vostra collega decide di fare l‟anestesista e addormenta un paziente, perché durante un operazione il chirurgo ha bisogno che il paziente non respiri, si deve bloccare la respirazione; quindi la vostra collega paralizza i muscoli respiratori e il paziente viene collegato a un respiratore artificiale, una macchina che ritmicamente pompa aria e poi toglie aria dai polmoni; lei deve regolare questo ritmo, e come si regola? Con la frequenza cardiaca. Perché se la respirazione è adeguata la frequenza è normale, se manda troppa aria, tende alla bradicardia, iperossia; se manda poca aria, tende invece all‟ipossia, tachicardia, e quindi lei regola la ventilazione automatica respiratoria basandosi sulla frequenza cardiaca; il chirurgo dal suo canto se ne accorge per un altro motivo, se respira troppo poco il sangue tende a diventare più scuro. Esistono due sensori dal lato arterioso, il primo sensore è rappresentato dai barocettori, il secondo sensore è rappresentato dai chemiocettori; il primo mette in moto un feedback negativo, al salire della pressione rallenta la frequenza; il secondo mette in moto un feedback diverso, al salire della pCO2 fa aumentare la frequenza, o se preferite al diminuire dell‟O2 fa aumentare la frequenza (e‟ più importante la CO2 che l‟O2). Un altro servomeccanismo si trova invece dal lato venoso: nel punto in cui le vene cave arrivano all‟atrio destro; in questa zona, sia nella parete delle vene cave, che nella parete atriale si trovano delle fibre nervose, che anche qui sono dei meccanocettori e anche questi si attivano con la dilatazione, quindi se aumenta il ritorno venoso queste si stimolano e scaricano di più; queste sono fibre che viaggiano col vago, perché siamo a livello cardiaco, e viaggiano solo col nervo vago, si chiamano recettori venoatriali, perché un parte si trova nelle vene cave, un‟altra direttamente nell‟atrio destro, e questi recettori venoatriali sono anche loro in definitiva dei barocettori, cioè misurano la pressione, solo che dal lato venoso la pressione è bassissima, quindi più che misurare pressione questi misurano il grado di dilatazione, sono dei volocettori, cioè dei misuratori di volume, misurano il volume del ritorno venoso; questi qui mandano anche loro informazioni tramite il vago al nucleo del tratto solitario, quest‟ultimo attiva o inibisce il cardio acceleratore o cardio inibitore, e qui ovviamente il meccanismo è abbastanza ovvio: se aumenta il ritorno venoso la frequenza cardiaca deve aumentare; è chiaro quindi che tutte le volte che questi barocettori segnalano un aumento del ritorno venoso, inducono una tachicardia, cioè attivano il centro cardioacceleratore e inibiscono il centro cardioinibitore; più sangue arriva, più attività cardiaca ci vuole perché questo sangue venga smaltito, è un‟equazione lineare positiva; in questo caso non è un feedback, non agisce all‟indietro, in questo caso è un feedforward, perché agisce in avanti, ed è un feedforward di tipo positivo, all‟aumentare del ritorno venoso aumenta l‟attività del cuore. Questo è interessante perché di fatto riduce molto il significato della regolazione in precarico; la regolazione in precarico (legge si Starling) dice che se aumenta il ritorno venoso si distende di più e si distende di più se gli date il tempo di farlo; ma se io aumento la frequenza aumento anche il numero di diastoli, si è vero che è arrivato più sangue ma si distribuisce in un maggior numero di diastoli, più o meno il riempimento resta lo stesso e di fatto in condizioni fisiologiche la vecchia legge di Starling non si vede molto facilmente; questo meccanismo di fatto la previene, certo se questo meccanismo non c‟è ci sarebbe in ogni caso la vecchia legge di Starling. Questo meccanismo, anche questo è un riflesso, prende il nome dal primo che lo descrisse, riflesso di Bainbridge, fisiologo inglese dell‟800. All‟aumento del ritorno venoso corrisponde una tachicardia. Volete fare una prova di questo riflesso? Allora misuratevi la frequenza cardiaca, inspirate profondamente, la frequenza aumenta; espirate profondamente, la frequenza rallenta; perché? Cosa c‟entra la respirazione con la frequenza cardiaca? La respirazione modifica il ritorno venoso; ragioniate, le vene cave dove si trovano? Nel mediastino, e la pressione nel mediastino dipende dal volume del torace, se il volume aumenta la pressione diminuisce; se il volume diminuisce la 104
pressione intramediastinica diminuisce in inspirazione e ovviamente aumenta in espirazione. Attenzione, se questo è il mediastino e qua c‟è la vena cava, la pressione che agisce, agisce dall‟esterno; durante le inspirazioni questa diminuisce e se diminuisce la pressione esterna il raggio aumenta, se il raggio aumenta il flusso aumenta, e quindi aumenta il ritorno venoso, se aumenta il ritorno venoso, tachicardia. Durante la espirazione, aumenta la pressione esterna, si riduce il raggio, diminuisce il flusso, diminuisce il ritorno venoso, bradicardia. Quindi la classica aritmia respiratoria sinusale, è la dimostrazione che esiste il riflesso di Bainbridge, basta un atto respiratorio più profondo per accentuare le variazioni di frequenza che si osservano tra inspirazione ed espirazione. Di questi riflessi ne esistono un elevato numero; vi ho elencato i più importanti, per esempio il famoso riflesso di Aschner-D‟Agnini, premo il globo oculare e in questo caso cosa sto facendo? Attivo i meccanocettori del globo oculare e questi meccanocettori mandano fibre attraverso il trigemino, l‟occhio ha un‟innervazione sensitiva visiva, ma tutto quello che non è visivo, dolore, tatto, viaggia col trigemino. In questo caso il trigemino raggiunge la reticolare pontina, la reticolare pontina si porta al nucleo del tratto solitario e da qui ovviamente viene messo in moto il cardioinibitore, aumentando la pressione del globo oculare rallenta la pressione. Questo è un effetto trigemino vagale, cioè la messa in moto è dovuta a fibre trigeminali e l‟effetto finale è dovuto al vago che è il cardio inibitore per eccellenza, colui che materialmente inibisce il cuore. Ricordatevi di questo riflesso trigemino vagale inibitorio sul cuore, perché apparte il riflesso di AschnerD‟Agnini , questo è molto importante tutte quelle volte che voi avete un problema di tipo trigeminale, per esempio, le meningi sono innervate dal trigemino, quando c‟è un‟infiammazione delle meningi, una meningite, il trigemino viene attivato e provoca bradicardia. Quindi voi state seguendo un caso di meningite, il soggetto è guarito, non ha più niente, ma ancora una frequenza bassa e finché non torna alla normalità non si può parlare di guarigione completa, continuando la terapia specifica. Questi riflessi si trovano dappertutto, anche nella pelle: i recettori per il caldo producono bradicardia e i recettori per il freddo producono tachicardia; i recettori per il caldo non solo producono bradicardia, ma rallentano anche la respirazione mentre i recettori per il freddo non solo determinano tachicardia ma aumentano la ventilazione polmonare, fanno respirare più profondamente e più velocemente con effetto combinato. Sapete chi sono i più potenti eccitatori sulla ventilazione polmonare? I recettori per il dolore: tornando all‟esempio di poco fa, c‟era il travaglio di parto e il bambino nasce e la prima cosa importante da fare per il bambino consiste nel primo atto respiratorio poiché non è più collegato alla madre, la placenta di è staccata, non arriva più ossigeno e se il bambino non si auto-organizza con una respirazione propria se ne va in ipossia con danni cerebrali irreversibili; cos‟è che lo aiuta a fare il primo atto respiratorio? Intanto i glomi, perché appena si stacca dalla madre non arriva più ossigeno e nel sangue l‟ossigeno diminuisce, il bambino se ne andrà in ipossia, e l‟ipossia attiva i glomi che attivano sia la circolazione ma soprattutto la respirazione, ma esistono anche altri modi: il bambino è stato nove mesi a 37° gradi, in una condizione termica costante, nel momento in cui esce ci saranno ad esempio 20° (17 gradi in meno), quindi vengono attivati i recettori che ovviamente hanno un effetto stimolante sia sulla respirazione che sulla circolazione; ma soprattutto vi dicevo che quelli più importanti sono quelli per il dolore, quindi anticamente quando nascevano i bambini, per esempio fra i cosacchi, li immergevano nel Don (4 gradi!) per stimolare il primo atto respiratorio e naturalmente era la bravura dell‟ostetrico in poche parole decidere quanto tempo doveva restare il bambino immerso nelle gelide acque. Una volta le ostetriche quando nasceva il bambino per favorire la respirazione, prendevano il bambino per i piedi sculacciandolo: la stimolazione dolorifica è quindi un potente stimolatore del primo atto respiratorio e soprattutto gli faceva capire che la vita che lo aspetta era quella! :) Ricapitoliamo: recettori arteriosi, chemiocettori, barocettori, recettori dal lato venoso. Fate attenzione: dal lato venoso nella parete dell‟atrio, non ci sono solo questi recettori, responsabili del riflesso di Bainbridge; si trovano anche delle cellule particolari che derivano dalla cresta neurale, le quali sono in grado di produrre ormoni di natura polipeptidica, anche se vengono chiamati al 105
singolare cose se fosse un unico ormone, ma in realtà è una famiglia che differiscono sulla base della sequenza primaria della catena polipeptidica e vengono chiamati Fattore Natriuetico Atriale (ANF), atriale perché lo produce l‟atrio, fattore perché fa qualche cosa, natriuetico perché determina un aumento della diuresi, fa urinare di più; questo dovrebbe significare che tutte le volte che c‟è un aumento di ritorno venoso, aumento del volume dei liquidi circolanti, viene favorita la diuresi, un tentativo per riportare il volume dei liquidi circolanti alla normalità. E‟ un meccanismo di regolazione che fa riferimento al volume dell‟atrio attraverso questo fattore natriuetico atriale ANF (è una famiglia, ne esistono 7 diversi tipi); e pare esattamente l‟opposto di un altro ormone, l‟aldosterone della corteccia surrenale che invece si oppone alla diuresi, cioè riduce la perdita urinaria di sodio a acqua, mentre il ANF favorisce la perdita urinaria di Na e H20, sarebbero due antagonisti come effetto finale. Ne esistono anche in altre parti: nell‟apparato digerente, al livello del cardias o del piloro o a livello della colecisti, esistono fibre nervose tutte innervato dal vago, le quali sono in grado di modificare la frequenza cardiaca, ed esistono dei soggetti che quando hanno uno spasmo del cardias o uno spasmo del piloro o della cistifellea possono avere delle modificazioni di frequenza cardiaca importanti, fino al punto di avere un abbassamento di frequenza e arrivare allo svenimento. Queste sono persone che poi vanno dal cardiologo perché hanno un problema di pressione ed è il cardiologo che deve capire che il cuore non c‟entra, non ha un problema cardiaco, ha un problema gastrointestinale; queste si chiamano sindromi gastrocardiache o colecistocardiache a secondo qual è il punto di partenza di questi riflessi. Ultimo concetto: questi meccanismi, barocettori, chemiocettori ecc.. li ho tutti chiamati col termine riflesso. Riflesso di Bainbridge, riflesso barocettivo, riflesso chemiocettivo, riflessi gastrocardiaci, colecistocardiache, riflesso di Aschner ecc.. Cosa vuol dire in fisiologia la parola riflesso: vuol dire fondamentalmente una azione che noi facciamo indipendentemente dalla volontà, cioè in maniera del tutto autonoma, senza intervento della nostra volontà; quindi il termine corretto non è quello di usare il sostantivo, il termine corretto dovrebbe essere il riflesso come aggettivo, cioè azione riflessa, un‟azione che può essere bradicardia, tachicardia ecc. Qual è il caso più comune, bruciarsi per esempio con una sigaretta accesa, e vedremo che immediatamente si allontana la mano, ed è ovvio il finalismo, interrompere il contatto tra lo stimolo e la superficie umana, a protezione dell‟integrità della proprio struttura somatica. Questo è noto più o meno da 5000 anni e forse di più. Se si osserva al rallentatore questo meccanismo osservate che quando avviene il movimento si chiudono le dita della mano, si flette l‟avambraccio sul braccio e si flette il braccio sul tronco; cioè si attivano i muscoli flessori della mano, del braccio e della spalla, cioè vengono attivati i flessori, ecco perché si chiama anche riflesso flessorio o nocicettivo, ma nocicettivo perché è attivato da stimoli doloriferi, ma viene chiamato anche flessorio. Questo è noto da sempre, ma il primo che ci ragionò in maniera moderna fu Cartesio, il quale fece un ragionamento un po‟ sballato ma globalmente intuì che c‟era qualcosa; cosa notò? Nella storia della medicina un contributo importantissimo lo hanno dato i medici militari: perché i medici militari da sempre hanno a che fare con giovani sani, in buone condizioni, che a causa di una precisa condizione, (freccia, pugnalata) subiscono un danno chiaramente identificabile, ovvero cosa è stato danneggiato è chiaramente identificabile, e quindi possono capire se c‟è una relazione su cosa è stato danneggiato e gli effetti che questo danneggiamento provoca. Cartesio cosa notò: che dalle descrizioni delle ferite descritte dai medici militari, questo evento, cioè il riflesso, spariva se si verificavano due cose: o se nel braccio erano stati danneggiati i nervi sensitivi, cioè non avvertivano più sensibilità e il riflesso non c‟era più, ma se la sensibilità c‟era il riflesso non c‟era più neanche se venivano danneggiati non quelli sensitivi ma quelli motori, cioè le fibre motorie destinate a fare muovere i muscoli, in questo caso i flessori. Allora lui fece un ragionamento: devono essere interessate sia fibre che vanno verso il SNC che fibre che tornano dal SNC, quindi in qualche modo io attivo in periferia e vedo un effetto in periferia, ma in realtà perché ci sia un effetto è stato coinvolto necessariamente il SNC, le fibre sensitive in risposta questo segnale il SNC ha fatto uscire un ordine che si traduce in una risposta, in una azione; cioè Cartesio disse che avviene la stessa cosa che succede quando noi mandiamo una luce su uno specchio, si 106
riflette e torna indietro, ecco perché inventò questo aggettivo, azione riflessa, perché in realtà un qualcosa che io vedo in periferia richiede obbligatoriamente un coinvolgimento del SNC, e per la prima volta fu capita la struttura di base che si trova alla base di qualunque tipo di azione riflessa; era un po‟ pittoresco il modo in cui lo descrisse (io attivo la sensibilità periferica, da qui attraverso i nervi che lui immaginava come dei tubi, salgono una serie di fluidi detti pneuma vitale che si portano verso i ventricoli cerebrali, così nei ventricoli arriva un po‟ più di questi fluidi, il fluido va in basso verso il terzo ventricolo, nel terzo ventricolo ci sono tanti buchi da cui escono i tubi dei nervi motori, e questi buchi vengono aperti e chiusi da una specie di “stuppagghiu” che è l‟ipofisi; apparte il modo pittoresco della descrizione la logica era giusta) questo è un meccanismo che coinvolgeva prima fibre afferenti, poi fibre efferenti che coinvolgeva il SNC, anche se l‟effetto che io osservo è un effetto del tutto periferico. Questo fu poi studiate nell‟800 soprattutto da un grande fisiologo inglese, Charles Sherrington, il quale dedicò tutta la sua vita a studiare i riflessi e identificò alla fine che alla base di ogni riflesso ci vogliono 5 cose: 1. Recettore in periferia, che si accorge di quello che sta succedendo, nel caso della sigaretta accesa i recettori sono quelli del dolore che vengono attivati dalla sigaretta accesa; 2. Fibra sensitiva, che porta l‟informazione dalla periferia, cioè le solite cellule a t situate nelle radici dorsali del midolli spinale; 3. Bisogna arrivare nel SNC, quindi nel SNC ci sono una o più cellule attivate da questa informazione che arriva; 4. Ci vuole poi una fibra efferente, che porta fuori l‟informazione; 5. Infine ci vuole chi la esegue, che sono in questo caso i muscoli flessori; nel caso del riflesso di Bainbridge è il cuore che esegue l‟azione riflessa. Quindi i 5 elementi che lui identificò sono: recettore, via afferente, centro, vi efferente e infine effettore, chi esegue l‟azione. Basta che uno solo di questi 5 sia fuori uso che il riflesso non c‟è più; si ha qual che si chiama in termina tecnico ariflessia, cioè perdita del riflesso. Quindi quando voi vi trovate di fronte al caso che avvicinate la sigaretta accesa e la mano non si muove, significa che uno di questi 5 elementi non funziona; il caso più banale è che io prima di avvicinare la sigaretta accesa ho infiltrato con dell‟anestetico locale; l‟anestetico locale mette fuori uso i recettori. Altro caso banale: poco fa vi ho fatto l‟esperimento d‟Aschner e D‟Agnini, premo e rallento la frequenza cardiaca; cosa succede? Attivo il trigemino che a sua volta attiva il cardio inibitore cioè il vago, il vago come agisce? Agisce perché libera acetilcolina, e l‟Ach agisce perché ci sono i recettori muscarinici inibitori, ora basta bloccare questi recettori, un po‟ di banale atropina e nonostante agisca sul riflesso non accade nulla, perché ho messo fuori uso l‟elemento 5, cioè l‟effettore non risponde più. Altro esempio: l‟oculista vi avvicina una luce e la pupilla si stringe, classico riflesso fotico; in questo caso i recettori sono i coni e i bastoncelli, la via afferente è il nervo ottico, il centro è il mesencefalo, la via efferente è nel III nervo cranico e l‟effettore è il muscolo costrittore della pupilla. Anche qui Ach, anche qui recettori di tipo muscarinico; quindi se io gli do due gocce di atropina, la pupilla resta ferma e non si stringe perché ho messo fuori uso l‟effettore; cosa deve temere il soggetto che ha fatto uso di atropina: deve tener conto della luce, perché mancando la reazione protettiva della costrizione della pupilla quando c‟è troppa luce, entra troppa luce nell‟occhio e si possono danneggiare i fotorecettori. Un altro classico: c‟è la rotula, non colpitela, scendete sotto e qui c‟è la parte distale del tendine distale del quadricipite e io gli do un colpo col martelletto; questo riflesso è del tutto involontario ma non è specifico del quadricipite, si può fare con qualunque altro muscolo, per esempio anche applicato al tendine d‟Achille del tricipite della sura. Questo riflesso si chiama miotattico, però assume il nome dell‟articolazione su cui agisce, in questo caso rotuleo, achilleo ecc. In questo caso i recettori sono i cosiddetti fusi neuromuscolari. Conclusione: Sherrington dimostrò che esistono i riflessi, ognuno di noi ne ha 250-300; e qual è la caratteristica di questi riflessi? Sono presenti da quando nasciamo a quando moriamo, cioè non si possono né acquisire né perdere, fanno parte della nostra strutture, sono uguali in tutti gli organismi 107
della stessa specie, non ci devono essere significative differenze: questo per il medico è importante, perché siccome voi dovete sapere cosa dovrebbe succedere normalmente, potete sfruttare i riflessi come test per misurare la funzionalità delle componenti del riflesso, ed è un comodo strumento d‟indagine; però attenzione, noi non possediamo solo questa categoria di riflessi, quelli cosiddetti innati, uguali in tutti gli individui e che quindi sono quelli che ci fanno reagire tutti allo stesso modo in base allo stesso stimolo; esistono qualche centinaio di migliaia di riflessi acquisiti, che non erano presenti alla nascita, e che noi abbiamo acquisito in base allo stile di vita che abbiamo fatto, cioè ognuno di noi ha i propri, in base alla vita che ha fatto, e tra l‟altro questi riflessi non solo si possono acquisire ma si possono anche perdere, se quelle condizioni ci sono, il riflesso c‟è, se quelle condizioni non ci sono più il riflesso non c‟è, e siccome il riflesso è legato a certe condizioni, è stato chiamato dal suo scopritore Ivan Pavlov, il riflesso condizionato; e il processo che ci permette di acquisire questi nuovi riflessi manco a dirlo si chiama condizionamento e il processo che ci permette di perdere questo riflesso si chiama decondizionamento. La differenza importante è che i riflessi innati ce li abbiamo uguali in tutti per tutta la vita, i riflessi condizionati no, ognuno ha i propri; esempio: metto una luce rossa, accendo la luce, e uso le vostre due colleghe al posto dei cani di Pavlov, ora tengo la luce accesa 5 minuti, spengo la luce, conto fino a 5 e dopo questi 5 secondo a una darò un cioccolatino e all‟altra una sberla. Lo ripeto ogni giorno e dopo qualche volta, non appena io accenderò la luce, una avrà già la saliva che cola mentre l‟altra, di fronte allo stesso stimolo, agisce con pupilla dilatata, tachicardia, ovvero la classica reazione da paura, sa che sta per arrivare qualcosa di negativo. Eppure lo stimolo è uguale, è diverso a cosa lo abbiamo associato, è diversa la condizione che loro hanno nel vivere questa esperienza, ecco perché sono interessanti questi riflessi condizionati, perché sono espressione del tipo di vita che uno ha trascorso. L‟anno prossimo avremo modo di parlare di questi concetti quando tratteremo anche delle malattie psicosomatiche, ovvero della base fisiologica di queste condizioni.
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Lezione 13 Il discorso che da oggi cominciamo riguarda la pressione arteriosa. Abbiamo introdotto l'attività del cuore ed abbiamo detto che il cuore immette sangue nell'arteria, l'aorta polmonare e che il volume di sangue immesso è variabile: la cosiddetta gittata cardiaca cambia da condizioni di riposo (circa 5L al minuto) fino a 5-6-7-8 volte di più in condizioni di attività. Questo sangue entra nell'arteria, ed entrando nell'arteria possiede una certa energia. Energia che ricordate, Bernoulli descrive come un'energia che in parte si manifesta come velocità d'avanzamento, quindi energia cinetica (½ mv^2) e la maggior parte (95%) rimane energia potenziale che si manifesta, all'interno del sistema, non come velocità, cioè spinta in avanti, ma come una forza che agisce perpendicolarmente contro la parete del vaso, quella che si chiama pressione idrostatica: se io rallento il flusso del sangue, ovviamente la quota “energia cinetica” diminuisce e se io continuo a rallentare il flusso fino a fermarlo, questa quota non c'è più e tutta l'energia posseduta dal sangue si manifesterà sotto forma di pressione idrostatica, cioè forza applicata perpendicolarmente sull'unità di superficie. In altre parole: io faccio un buco nella parete del vaso, e questa forza è quella che fa uscire il sangue con unacerta energia e lo porta ad una certa distanza. Come sapete, se il vaso è una vena, il sangue esce piano piano ad indicare che questa pressione idrostatica è minima nei vasi venosi, ma se il buco lo fate in un'arteria il sangue arriva a 1 metro e mezzo di distanza ad indicare che il livello di energia posseduto dal sistema è enormemente diverso. Se voi prendete la distribuzione dei vasi a partire dal cuore (in ordine: grandi arterie - medie arterie - piccole arterie – capillari - piccole vene - medie vene - grandi vene e così via a ruota) e andate a vedere l'energia che il sistema possiede, vedrete che va a decrescere man mano che ci si allontana, e quando si arriverà al cuore ormai questa pressione idrostatica sarà ridotta a 0. Però è interessante notare che all'inizio questa pressione è piuttosto elevata ed oscillante, poi si abbassa nelle medie arterie; sparisce l'oscillazione nelle piccole arterie e, da quel momento in poi, è un continuo calo fino a quando non si ritorna al cuore a 2-3mmHg. Qui ci vuole un'altra spinta affinché superi l'altro pezzo della circolazione. Quindi questa è la grande circolazione, la quale finisce a destra in corrispondenza dell'atrio destro, dove occorre la spinta del peritoneo per passare nel piccolo circolo; naturalmente nel piccolo circolo le pressioni sono più basse e quindi troverete un andamento che ricorda molto il precedente, tranne che le pressioni sono molto più basse (di solito 20-30mmHg massimo): di solito il rapporto è 7:1 tra le due circolazioni, il cosiddetto rapporto pressorio. Prima osservazione: nelle grandi e medie arterie la pressione del sangue non ha un valore fisso ma oscilla, equesta oscillazione fa in modo che la pressione abbia una valore più alto durante la sistole ventricolare ed uno più basso durante la diastole ventricolare; si parla infatti di pressione sistolica (o massima) e pressione diastolica (o minima). Questa oscillazione prosegue anche nelle medie arterie fino alle piccole arterie, che sono di 1mm circa. Qui, nel percorrere questo tragitto, la pressione perde questa oscillazione. Quindi entra oscillante, ma quando esce dalle piccole arterie perde questa oscillazione e si mantiene ad un valore costante in quanto non risente più del ciclo meccanico del cuore, quindi rimarrà a pressione piuttosto uniforme già nelle piccole arterie, soprattutto nei capillari, e continuerà a decrescere in maniera uniforme senza più queste escursioni sisto-diastoliche; nelle vene ovviamente non ci sono più queste escursioni e tende ad avere un andamento uniforme. Facciamo un esempio. Se io “azzicco” un coltello nella vostra collega è facile sapere se ho tagliato una vena o un'arteria: se ho tagliato una vena, il sangue esce non solo a bassa pressione ma in modo 109
continuo, se invece taglio un'arteria, esce con una pressione più alta ma con dei picchi di pressione per cui, durante la sistole arriva ad 1 metro e mezzo, e durante la diastole arriva a distanza minore. Nell'aorta si va da 60-70 fino a 130-140 durante la sistole, nella vena cava si va fino a 3-4mmHg. La pressione arteriosa è quella che misuriamo nelle grandi e medie arterie ed è caratterizzata da quest'alto valore, da un minimo di 60-70 ad un massimo di 120-140 e dal fatto che è oscillante, che questa pressione è ritmica ed è in fase con il ciclo meccanico del cuore. *DISEGNA ALLA LAVAGNA* Se io faccio un ingrandimento di questa oscillazione, questo è il tempo che passa e questa è la pressione: 50-100-150mmHg. Io vedo che durante la sistole la pressione è alta nell'arteria, poi appena la sistole finisce questa pressione comincia a diminuire fino ad un minimo di circa 70mmHg. L'incisione che vedete durante la registrazione della pressione arteriosa segnala l'istante in cui si chiudono le valvole semilunari che separano il ventricolo dall'arteria. Questo è il tipico andamento della pressione registrata di un uomo normale. L'organizzazione mondiale della sanità ha stabilito che il valore minimo della pressione dev'essere tra 60 e 80 circa: meno di 60 è troppo poco e più di 85 si parla di preipertensione. La pressione massima viene considerata tra 90 e 130: meno di 90 è troppo poco e più di 130 è considerata preipertensione. Questi sono i valori standard per una persona della vostra età. Alla nascita non è così: se prendete un bambino di un giorno e misurate la pressione, avrà valori molto più bassi: la sistolica non supera i 90mmHg, mentre la minima è intorno ai 50mmHg. Ci vuole tutto il primo anno di vita affinché la pressione arrivi a livelli accettabili, e solo ai 7-8 anni ci si avvicina ai valori normali di un adulto. E' proprio la pubertà che fa in modo che la pressione arteriosa diventi uguale a quella di un soggetto adulto. Ora, io prendo la pressione arteriosa del vostro collega: 70 con 120. Un valore abbastanza normale. 70 di minima con 120 di massima con una differenziale di 50mmHg. Vi dicevo la volta scorsa che la pressione differenziale è un metodo empirico che ci consente di calcolare la gittata sistolica: basta moltiplicare per 1,4-1,5 ed ottenete più o meno il volume in millilitri della singola eiezione sistolica: cioè moltiplicando, in questo caso, 50 per 1,5 otteniamo 75 e significa che durante la sistole si butta nell'arteria 75mL di sangue; nella donna si avvicina ai 70. Esempio: prendiamo un paziente, gli misuriamo la pressione e risulta 120 con 50. La massima è normale e la minima è strana; poi arriva un altro paziente e la minima è 70, la massima 180. La minima è normale e la massima è strana. Quindi poniamoci una domanda: il valore della pressione minima ed il valore della massima da che cosa dipendono? Sono espressioni di che cosa? Poniamo caso di avere un altro paziente che ha 120 con 180 quindi ha un problema in entrambi i casi e sta ad indicare che queste due variabili sono espressioni di qualcosa di differente. Prima domanda: la massima quando si misura? Si misura durante la sistole ventricolare, si chiama infatti massima o sistolica e quindi esprime in misura lineare la forza di contrazione del ventricolo sinistro. Quindi aumento o diminuzione della pressione massima sono indicativi di un aumento o diminuzione della forza di contrazione del ventricolo sinistro, o almeno questo è uno dei fattori. Il valore della minima quando si registra? Durante la diastole, cioè quando il ventricolo è a riposo e non può essere riconducibile alla forza di contrazione ventricolare. Quindi la minima che cosa esprime? Esprime, evidentemente, non la forza di contrazione del cuore ma le cosiddette resistenze periferiche. In pratica, bisogna ricordare la legge di Hagen–Poiseuille, dove il flusso è uguale alla pressione resistente. Quindi la pressione dipende dal flusso moltiplicato la resistenza, cioè quel che si oppone a questo flusso. Quindi la pressione massima (sistolica) esprime l'attività del cuore, cioè l'efficienza della pompa cardiaca; la pressione diastolica (la minima) esprime invece un'altra variabile: che resistenza il circolo oppone alla pompa cuore, cioè oppone al fatto che il cuore immette un certo volume di sangue nella arteria aorta. In altre parole nel soggetto che ha 120 con 50, il soggetto ha non un 110
problema cardiaco, ma il suo problema è che il sangue incontra meno resistenza del normale, ed incontrando meno resistenza la pressione diminuisce; se invece io dovessi avere un amento di resistenza avrei un aumento della pressione diastolica. Sulla base di quello che vi ho detto all'ultima lezione, se aumenta l'impedenza aortica, cioè la pressione diastolica, aumenta anche l'attività del cuore, ma il vero fattore scatenante è stato aumentare la minima, che ha costretto, a sua volta, l'aumento della massima per ottenere una gittata sistolica accettabile. Ricapitoliamo: Vi faccio vedere un esempio di errore che si fa spesso in questi casi. Naturalmente, se io voglio aumentare la pressione posso agire sul cuore aumentando la forza di contrazione del cuore, o posso agire sulla resistenza: basterà un vasocostrittore che aumenterà la pressione. Allora prendiamo un soggetto che ha 100 con 70. Un paziente che ha 100 con 70 avrà resistenza periferica normale. Il suo problema è il ventricolo che non ce la fa. Qual è il modo migliore per porre fine alla sua vita? E' dargli un vasocostrittore, perché se già il cuore non ce la faceva prima e gli diamo il vasocostrittore gli aumentate ancora di più la resistenza e fate prima a sparargli. E' fondamentale distinguere tra ciò che è legato alla forza di contrazione del cuore da ciò che invece riflette un problema di resistenze periferiche. E poi c'è un altra variabile. Non esiste solo la forza di contrazione e le resistenze periferiche, cioè la somma delle resistenze che, soprattutto le arteriole, offrono al defluire del sangue (ne parleremo a lungo), ma c'è una terza variabile da tenere presente. Ed è una variabile non da poco, cioè l'aorta. L'aorta ha una parete bella robusta, contiene molte fibre collagene ma anche fibre di natura elastica per cui, se io prendo l'aorta e aumento la pressione al suo interno, e vado a vedere il diametro dell'aorta all'aumentare della pressione, all'inizio l'aorta si dilata ma poi ad un certo punto, intorno ai 250mmHg, diventa come se fosse un vaso rigido cioè non si dilata più. Però all'inizio è elastica. L'elasticità della parete dell'aorta ha un ruolo fondamentale per definire i livelli di pressione minima e massima. Durante la sistole, io prendo un certo volume di sangue e lo inserisco dentro l'arteria: facciamo 70mL di sangue e li spingo dentro. Se la parete fosse rigida, questo sangue potrebbe andare solo in avanti e non potrebbe fare altro, ma poiché la parete non è rigida, essa si dilata e dilatandosi accumula energia potenziale elastica, cioè una parte dell'energia del sangue se la prende proprio la componente elastica della parete durante la sistole; quindi una parte dell'energia del cuore, che il sangue possedeva, viene ceduta alla componente della parete, per cui la pressione che il sangue eserciterà contro la parete è un po' meno di quella che dovrebbe essere, proprio perché una parte dell'energia che il sangue possiede è stata ceduta alla componente elastica della parete. Quando la sistole finisce, questa energia elastica viene restituita, e quindi la pressione minima è in realtà un pelo più bassa di quella che dovrebbe essere, perché oltre all'energia che il sangue possiede, la parete gli restituisce una parte dell'energia che aveva accumulato durante la sistole; l'elasticità della parete arteriosa funziona in maniera interessante: sottrae l'energia al sangue durante la sistole per ridargliela durante la diastole. In sistole la pressione massima risulta un po' meno alta di quella che dovrebbe essere, poiché viene sottratta energia, e nella diastole successiva è un po' più alta di quella che dovrebbe essere perché l'energia gli viene restituita. Tuttavia, con l'età, l'aorta perde elasticità e si viene a creare un effetto in cui non c'è più questo smorzamento, questa riduzione delle escursioni sisto-diastoliche, perché in sistole non si riesce più a sottrarre granché ed in diastole non si riesce più a restituire granché e quindi si accentua l'escursione sisto-diastolica, aumenta la pressione differenziale, espressione di un irrigidimento, di una sclerosi della parate aortica. Quindi il primo segno di perdita dell'elasticità della parte dell'aorta, soprattutto dell'arco dell'aorta, è rappresentata dall'aumentare di questa escursione sisto111
diastolica. Ricapitolando: rifacciamo la domanda che ho fatto all'inizio. Da che cosa dipende la pressione massima e da cosa la pressione minima? La massima dipende, quindi, dalla forza di contrazione del cuore e anche dall'elasticità dell'aorta; la minima dipende dalle resistenze periferiche e anche dall'elasticità dell'aorta; quindi l'elasticità aortica modifica sia la massima che la minima: perdendo elasticità si amplifica l'escursione, cioè la massima diventa più alta e la minima più bassa. Come si misura la pressione? Il metodo più semplice sarebbe quello di prendere la vostra collega, le mettete a nudo una arteria radiale e le “azziccate” un ago dentro la radiale; collegate l'ago ad una colonnina di mercurio e andate a vedere quanto si muove questa colonnina verso l'alto, naturalmente dovete rendere non coagulabile il sangue e stabilire di quanti millimetri si è mossa. Non si usano più questi metodi diretti, ma si usano metodi indiretti che si fondono su una tecnica messa a punto da un grande clinico italiano, Riva Rocci, che inventò un bracciale gonfiabile che si usa ancora oggi e che consiste nell'applicare dall'esterno una pressione che quando supererà la pressione che c'è dentro l'arteria, chiuderà l'arteria e non passerà più niente. Se io lo faccio in corrispondenza del braccio e prendo il polso, mi accorgo subito quando non passa più niente e sparisce il polso. Quindi gonfio il bracciale e quando non sento più niente a livello del polso significa che il passaggio del sangue è stato bloccato, cioè la pressione esterna è maggiore della pressione interna. A questo punto, non faccio altro che diminuire la pressione nel bracciale e nel momento in cui vedo ricomparire il polso periferico significa che, in quell'istante, la pressione interna ha superato quella esterna, quindi basta guardare la colonnina di mercurio o l'ago (il misuratore) per avere una facile misurazione della pressione sistolica. Più complicato è per la pressione diastolica che non si può misurare con questo metodo. Questo metodo è stato inventato tra la fine dell'800 e l'inizio del 900 per misurare facilmente la massima: metto una pressione esterna, si riduce piano piano la pressione sul bracciale, quando passa il sangue ricompare il polso; naturalmente se invece di farlo sul braccio lo faccio sulla radice della coscia e prendete la pedidia o la poplitea è la stessa cosa. Il metodo quindi è imperfetto perché non consente di misurare la minima. Per misurare la minima servì l'idea geniale di un russo, Korotkoff, che notò che se io appoggio il fonendoscopio su un'arteria non fa nessun rumore, perché il flusso è di tipo laminare, ma quando io stringo e chiudo completamente il flusso e poi riduco la pressione, all'inizio, quando il sangue passa appena appena, il flusso diventa in quell'istante di tipo turbolento. Quindi se io prendo la vostra collega, le metto un bracciale e sotto il bracciale inserisco un fonendoscopio, posso sentire questi rumori di Korotkoff: quando la pressione esterna è più alta della pressione interna non passa niente quindi non ci sono rumori, ma appena diminuisco la pressione sento comparire i rumori di Korotkoff ed in quell'istante abbiamo la pressione massima che coincide con la comparsa del polso; man mano che abbasso la pressione, ci sarà un certo momento in cui si passa da moto turbolento a moto laminare, in cui rumore non ce n'è più e nell'istante in cui i rumori scompaiono, quello è il valore della pressione diastolica o minima. Quindi l'introduzione della tecnica di Korotkoff, cioè utilizzare un fonendoscopio posto al di sotto del bracciale, ha consentito facilmente di avere non solo il valore della massima ma anche il valore della minima. Oggi ci sono i misuratori orientali che hanno un sensore che permette di registrare i rumori di Korotkoff e fanno tutto automaticamente e danno massima, minima e frequenza cardiaca con una certa approssimazione. Questo ha creato, soprattutto per il paziente, la possibilità di avere un apparecchietto che può utilizzare per monitorare da solo la propria pressione arteriosa ed in questo modo può segnalare al medico un eventuale anomalia da lui registrata. 112
Il migliore in assoluto rimane ancora il termometro a mercurio perché il più preciso, ma il mercurio ormai è vietato perchè dichiarato tossico e quindi ormai ci sono solo quelli aneroidi, alcuni dei quali sono abbastanza precisi però vanno tarati periodicamente e poi ci sono quelli orientali, elettronici, che sono estremamente più seri. Ovviamente ci sono alcune banali precauzioni da prendere. La prima precauzione da prendere quando misurate la pressione dovrebbe essere quella di prendere il soggetto e farlo sdraiare, o almeno essere sicuri che dove si trova il manicotto sia alla stessa altezza del cuore. Dev'essere sullo stesso livello gravitazionale perchè se più alto o più basso c'è un errore dovuto alla colonna gravitazionale. La seconda accortezza che dovete prendere è che, in teoria, dovreste misurare una volta a destra ed una a sinistra per escludere eventuali anomalie nell'arteria brachiale (anche se non lo fa nessuno di solito). Un'altra cosa banale che dovreste fare: io prendo la vostra collega, la faccio sdraiare, le metto il bracciale, misuro la pressione e poi sempre con il bracciale messo la faccio mettere in piedi: nel passaggio da clinostatismo a ortostatismo la pressione subisce delle modificazioni e possiamo facilmente verificare se c'è differenza tra i valori che abbiamo misurato in clinostatismo ed i valori che misuriamo in ortostatismo (anche questo non si fa ma si dovrebbe fare). Esiste poi,oggi, la possibilità di fare un'operazione che in analogia a quello che vi ho raccontato sull'ECG, si chiama Holter pressorio, cioè si può misurare la pressione arteriosa per 24 ore consecutive: vi mettono un bracciale collegato ad una macchinetta che ogni X minuti gonfia e misura la pressione (il sistema di misurazione è quello orientale) ed il sistema memorizza massima, minima e frequenza ogni 10 minuti circa. Dopo 24 ore, portate il profilo pressorio al vostro medico e si cerca di capire se ci sono attività particolari che influenzano verso su o verso giù i vostri livelli di pressione arteriosa. In questo modo si ha una buona capacità di analizzare il livello della pressione arteriosa. Esiste poi una specie di Holter notturno, che consiste nel fatto che durante il sonno si verificano minimo circa 4-5 episodi completi di sogno ogni notte. Se il contenuto è piacevole in senso lato, nei maschi compare erezione. Se viene un paziente che dice di essere diventato impotente, dobbiamo verificare se è impotenza di tipo organica o psicologica. Lo verifichiamo andando a vedere se di notte c'è stata erezione o meno, in quanto aumenta la pressione che viene segnalata mediante un sistema di tipo Holter che segnala, appunto, l'erezione. Se il tracciato è stato piatto tutta la notte non c'è stata erezione, quindi è un problema organico. Se c'è il picco notturno, abbiamo la certezza che i circuiti funzionano e non è un problema organico ma psicologico e l'approccio terapeutico dovrà essere in questa direzione. Facciamo un altro esempio. Io prendo la vostra collega, misuro la pressione in questo punto: 120 con 70. Ora prendo la vostra collega e le taglio le vene ai polsi. Man mano che perde sangue la pressione scende. Faccio perdere mezzo litro di sangue, vedo che la pressione è diminuita di almeno 10-15mmHg, blocco l'emorragia e mi accorgo che anche se non faccio trasfusione e non le do liquidi e nulla, la pressione arteriosa ritorna alla normalità, cioè si è attivato un meccanismo dentro l'organismo che ha riportato i valori di pressione verso la normalità. L'esperimento lo posso fare al contrario: prendo la vostra collega, inserisco una flebo e le inietto liquidi che le fanno aumentare la pressione e vedo che all'inizio la pressione aumenta, però dopo un poco ritorna alla normalità. Quindi, quali sono le conclusioni che noi possiamo trarre? Primo. Se la pressione dovesse diventare troppo alta o troppo bassa, abbiamo meccanismi che intervengono subito nel tentativo di riportarla nel range di normalità. Secondo. Perché è così importante che la pressione si mantenga in questo range di normalità?
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Per andare avanti introduciamo un altro concetto. La pressione oscilla tra un valore massimo ed uno minimo ma qual è la media della pressione che c'è all'interno del sistema? La sistole dura molto meno della diastole (il rapporto è 1:2 più o meno) quindi la pressione minima è presente per il doppio del tempo rispetto alla pressione massima e, di conseguenza, la media sarà più vicina alla minima che non alla massima. Si usa empiricamente un metodo diverso in America ed in Europa e cioè i seguenti: prendete la pressione minima e moltiplicate per 2, aggiungete la massima e fate la somma e dividete poi la somma per 3. Quindi: una massima + 2 minime diviso 3. Ammettiamo che io abbia 80 con 140. 80x2 (la minima moltiplicata per 2) = 160 + 140 (la massima) = 300 / 3= 100, che è la media. Quindi la media è molto più vicina alla minima che non alla massima. Gli americani prendono il valore della minima ed aggiungono 1/3 della differenziale (cioè della differenza tra massima e minima): la differenza è 140 - 80 = 60 ed 1/3 di 60 è 20; 80 (che è la minima) + 20 = 100. La pressione media in un uomo normale è fra 90 e 100 nell'aorta. A che cosa mi serve la pressione media? Tecnicamente parlando cos'è? E' la pressione che ci dovrebbe essere nell'aorta per avere lo stesso flusso di sangue, se il cuore anziché essere una pompa periodica fosse una pompa continua. Questa è la definizione di pressione media ma non mi interessa tanto. Che me ne faccio io della pressione media? Viene un paziente dalla vostra collega e dice: “a me succede una cosa strana, dopo un po' che cammino mi fa male la gamba destra”. E la vostra collega risponde: “potrebbe essere un problema circolatorio, cioè che la gamba destra riceve meno sangue e dopo un po' ha qualche problema, quello che si chiama complicatio intermittens, cioè certe volte si presenta questa difficoltà a camminare”. Come si fa a misurare il flusso di sangue nelle due gambe? Metti il bracciale alla radice della coscia e prendi la pressione, poi alla caviglia e si riprende la pressione. Si calcolano le medie, e poniamo caso che sopra è 91, sotto è 89 e c'è un gradiente di 2. Lo facciamo nell'altra gamba e c'è un gradiente di 4. Dal gradiente si può facilmente risalire al flusso, in quanto è direttamente proporzionale al gradiente di pressione, cioè alla differenza di pressione agli estremi del circuito. Quindi se io misuro la pressione a monte e a valle, la differenza di pressione è ciò che spinge il sangue: se da un lato è la metà rispetto all'altro lato, arriverà la metà del sangue rispetto all'altro lato. E' chiaro che avrà problemi da questo lato perchè ci arriva la metà di ossigeno, la metà del sangue. Ritorniamo al range di normalità. La pressione arteriosa viene mantenuta all'interno di un sistema di un range abbastanza ristretto perchè subito intervengono una serie di meccanismi che riportano subito la pressione alla normalità. Esistono almeno 3 tipi di meccanismi del genere, che vengono divisi abitualmente dagli angiologi in base a quando entrano in azione: a breve termine, a medio termine ed a lungo termine. A breve termine significa che io faccio diminuire la pressione alla vostra collega, interviene subito il meccanismo e, se tutto torna normale in pochi minuti finisce lì, ma se non torna tutto normale entro pochi minuti intervengono quelli a medio termine e, se neanche quelli a medio termine sono riusciti dopo qualche ora a riportare tutto alla normalità interverranno quelli a lungo a termine, che rappresenteranno l'ultimo tentativo che il sistema farà per riportare i valori di pressione nei range di normalità. Quali sono i meccanismi a breve termine che si utilizzano? Si utilizzaun meccanismo fisico e 2 meccanismi fisiologici. Il meccanismo fisico è un meccanismo banale studiato con la Licata, che è più o meno questo: i vasi arteriosi sono elastici, se dentro c'è una pressione il vaso si dilata fino a che la tensione che si oppone non genera un vettore che eguaglia il vettore pressione. Alla fine si raggiunge un equilibrio che mi dice che la pressione è in equilibro tra tensione e raggio (legge di 114
Laplace: esiste un equilibrio per ogni vaso tra pressione che tende a dilatarlo e tensione elastica che si oppone alla dilatazione). Quando questi due si equivalgono il raggio si blocca ad un certo valore. Cosa succede se la pressione dovesse aumentare? Il raggio aumenterebbe perchè raggiunge un nuovo equilibro. Ma se il raggio aumenta, secondo la legge di Hagen–Poiseuille(che dice che se aumenta il raggio diminuisce la resistenza), diminuisce la resistenza e quest'aumento di pressione viene annullato dalla diminuzione di resistenza. Questo perchè vi ricordo che la pressione è direttamente proporzionale alla resistenza. La resistenza è:
Basta aumentare il raggio per diminuire la resistenza e se diminuisce la resistenza lo fa anche la pressione. Questo meccanismo, analizziamolo al contrario: se la pressione dovesse diminuire, prevale la tensione, e dunque il raggio diminuisce e diminuendo aumenta la resistenza, che agisce compensando la caduta di pressione iniziale, ovvero con un aumento di pressione. Questo effetto si diceeffetto SR (Stretch Relaxation). E' un fenomeno fisico istantaneo. Cioè appena la pressione aumenta, il raggio aumenta e viceversa. C'è una continuità istantanea fra i due eventi che fa in modo che le oscillazioni di pressione vengano smorzate, e quindi se la pressione dovesse salire, in questo modo sale meno di quello che dovrebbe e viceversa. Ovviamente questo meccanismo non basta, infatti utilizziamo altri 2 meccanismi a breve termine. I barocettori aortici e carotidei che misurano proprio la pressione arteriosa, quindi tutte le volte che la pressione arteriosa è troppo alta rallentano l'attività del cuore e tutte le volte che invece la pressione è troppo bassa aumentano la gittata cardiaca; ma non fanno solo questo, in quanto sono anche in grado di agire (e poi lo vedremo a lungo) su vasocostrizione e vasodilatazione (se la pressione è troppo alta = vasodilatazione e viceversa). Quindi non agiscono solo sulla gittata cardiaca. Ve lo ripeto ancora una volta: la pressione dipende dal flusso e dalla resistenza. Modificando la gittata cardiaca modifico il flusso, mentre modificando il diametro dei vasi modifico la resistenza. La cosa migliore è agire su tutti e due modificando sia l'uno che l'altro: se la pressione è troppo bassa devo aumentare l'una e l'altra; se la pressione è troppo alta devo diminuire l'una e l'altra. E la stessa cosa con i chemiocettori: se registrano un'ipossia o ipercapnia, determinano un aumento di frequenza e pressione e se invece registrano iperossia o ipocapniafanno diminuire frequenza e pressione. Quindi sono meccanismi a rapido intervento ed in pochi secondi il sistema si compensa. Come ho detto l'altra volta, l'esempio caratteristico è: io faccio sdraiare la vostra collega, poi la faccio mettere in piedi. La testa diventa più alta del cuore, quindi nei vasi sopracardiaci c'è meno pressione, intervengono i barocettori e determinano vasocostrizione sottocardiaca che spinge il sangue a livello sopracardiaco (sono cose che ripeteremo). Però il meccanismo di gran lunga più importante non è nessuno di tutti questi. Se io procuro un'emorragia alla vostra collega, serve un meccanismo di gran lunga più potente, il più potente del corpo umano per la regolazione della pressione arteriosa, e coinvolge il rene. Rene e pressione arteriosa sono indissolubilmente legati e cercheremo di vedere, oggi, che cos'è e che ruolo ha il rene nella regolazione della pressione arteriosa. Se prendo la vostra collega e le procuro un'emorragia, avrà un abbassamento della pressione. Se entro 10-15 minuti la pressione non è tornata alla normalità interverrà il rene. Siamo passati a meccanismi a medio termine. Esso interviene entro 15 minuti e per almeno 2-3 ore è il protagonista assoluto nel tentativo di riportare alla normalità la pressione arteriosa e lo fa attraverso un grandissimo meccanismo che sarà l'oggetto di questa parte finale della lezione. 115
Il rene è formato da nefroni. I nefroni sono circa 1 milione e ricevono una piccola arteria che dà dei capillari che mandano via il sangue ad un'altra piccola arteria (quindi sono dei capillari tra due arterie, è una rete mirabile arteriosa). Qui dentro, in questo gomitolo di capillari, il sangue viene filtrato attraverso la parete dei capillari. Dall'altro lato si trova una membrana epiteliale monostratificata che riveste l'endotelio dei capillari, che poi si riflette su sé stessa delimitando una cavità che raccoglia questo filtrato formatosi a livello di questi capillari. Questa cavità è la capsula di Bowman e qui dentro si comincia a raccogliere un liquido, che poi diventerà urina, ma al momento è preurina. Essa cammina lungo questi tubuli monostratificati e si avvolge in una zona detta tubulo contorto prossimale, scende a formare l'ansa di Henle, sale nuovamente e dopo altri giri passa vicino l'arteriola afferente ed è questo il punto che c'interessa, in cui cioè le cellule della parete dell'arteriola vengono a contatto con le cellule epiteliali del tubulo distale: questa zona, che si trova vicino al glomerulo, ed è la zona di contatto tra tubulo distale e arteriola afferente, è unica per ogni nefrone e prende il nome di apparato iuxtaglomerulare (“vicino al glomerulo”, dal greco) ed è formato da 3 elementi: cellule muscolari lisce modificate della parete dell'arteriola; cellule epiteliali della parete del tubulo che prendono il nome di macula adherens (sono più scure del normale); e fra i due c'è un terzo tipo di cellule sparpagliate, le cellule del mesangio (di cui parleremo più avanti). La parte che ci interessa è la porzione di cellule che formano la parete dell'arteriola, che sono in grado di misurare la pressione arteriosa: se la pressione aumenta sono più schierate, se diminuisce sono meno deformate meccanicamente. La deformazione di queste cellule (che si chiamano cellule iuxtaglomerulari) è fondamentale, perchè hanno la proprietà di sintetizzare e mettere in circolo nel sangue un enzima proteolitico, un endopeptidasi, la renina. La sua concentrazione in circolo è inversamente correlata alla pressione arteriosa: *DISEGNA ALLA LAVAGNA* se qua mettete la pressione arteriosa a 50-100-150 e qua la concentrazione di renina, avrete una proporzionalità inversa. Immaginiamo di avere questa pressione normale ed avremo una certa quantità di renina in circolo; se la pressione dovesse aumentare, la produzione di renina diminuirebbe e viceversa. Quindi i tassi plasmatici di renina riflettono in maniera opposta la pressione in quel momento. Se la pressione nelle arteriole afferenti è più alta o più bassa del normale me ne accorgo subito perchè cambia in senso opposto la concentrazione plasmatica di renina. All'aumentare della pressione dell'arteriola afferente corrisponde una diminuzione della concentrazione plasmatica di renina. Il fegato produce una grande proteina, l'alfa 2 globulina, una grossa catena polipeptidica che presenta un pezzo finale formato da 10 AA (amminoacidi). L'enzima renina è in grado di rompere solo il legame tra il 10° e l'11° idrolizzando il legame e liberando il decapeptide. Questo decapeptide inattivo (non ha nessuna attività particolare) prende il nome di angiotensina I, il quale circola nel sangue e raggiunge vene cave, cuore destro, ventricolo destro, arterie polomonari, grande circolo fino ad arrivare al piccolo circolo ove, nei capillari del piccolo circolo, le cellule endoteliali dei capillari stessi possiedono un altro enzima proteolitico (endopeptidasi) chiamato ACE (Angiotensin Converting Enzyme). L'ACE o enzima convertente, prende questo decapeptide formatosi per azione della renina che ha rotto il legame tra AA 10 e AA 11 ed attacca il legame il legame tra AA 8 e AA 9, per cui, di fatto, dall'angiotensina I vengono staccati 2 AA: il 9° ed il 10° formando un optapeptide (8 amminoacidi), cioè l'angiotensina II, nonché la forma attiva in grado di agire. Quando studieremo il polmone, diremo che non ha solo funzione respiratoria, per esempio una funziona non respiratoria è proprio che dall'arteria polmonare entra angiotensina I e dalla vena polmonare esce angiotensina II grazie all'intervento dell'enzima ACE. L'angiotensina II ha due grandi funzioni. E' un grande vasocostrittore che agisce su tutte le arteriole: se c'è vasocostrizione si riduce il raggio, quindi aumenta la resistenza e di conseguenza la pressione. In sostanza, determina un potentissimo aumento di pressione. Per avere un'idea, un potentissimo
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vasocostrittore è la noradrenalina. L'angiotensina II è 30 volte più potente della noradrenalina, non tanto nell'intensità quanto nella durata, in quanto dura minuti e minuti e non pochi secondi. Allora, ricapitoliamo: Prendo la vostra collega, le procuro un'emorragia e la pressione diminuirà dappertutto, compresa nell'arteriola afferente, dove di conseguenza aumenta la produzione di renina. Questo comporta una maggiore quantità di angiotensina I che si staccherà dall'alfa 2 globulina (chiamata anche angiotensinogeno, perchè precursore dell'angiotensina I), di conseguenza aumenterà anche l'angiotensina II e quindi a questa bassa pressione corrisponderà una potente vasocostrizione che la compensa. Se invece, la collega dovesse avere una crisi di pressione troppo alta succede il contrario: la produzione di renina diminuisce, quindi meno angiotensina I e angiotensina II, meno vasocostrizione e la pressione diminuisce. Tutto questo meccanismo è completamente autogestito ed indipendente dal sistema nervoso. Il grado di pressione all'interno dell'arteriola afferente determina semplicemente il grado di produzione di renina, con misura inversamente proporzionale alla pressione. Questa è però anche una fonte di guai non da poco. Può diventare una causa di morte se questo sistema non funziona come si deve. Io prendo la vostra collega, la spingo in avanti, le faccio un taglio nella zona del muscolo quadrato dei lombi, ove dietro c'è il rene. Stringendo l'arteria renale, entra meno sangue e conseguente meno pressione. Questo fenomeno, ovviamente, le arteriole renali lo registrano come abbassamento di pressione e reagiscono con più renina e si mette in moto il meccanismo già descritto, perchè per il rene la pressione è aumentata dappertutto. Quindi ogni qualvolta troviamo ostruzione dell'arteria renale o dei vasi intraparenchimali, il rene reagisce con un'aumentata produzione di renina ed il risultato è quello che si chiama in Medicina, nefroangiosclerosi maligna. Per capirci, questi pazienti hanno pressione di minima 200 e massima 300 e non reagiscono a niente. L'unico modo per salvare la vita a queste persone è togliere i reni. Quindi, quando troviamo un valore di pressione troppo alta, dobbiamo sapere subito se siamo in condizione nefrogena o non renale. Qual è il compito dell'angiotensina? L'angiotensina II, l'optapeptide, è il più potente vasocostrittore che esiste a livello del corpo umano. Agisce in maniera complessa, perchè se questa è l'arteriola *DISEGNA ALLA LAVAGNA* e nella parete dell'arteriola c'è il muscolo liscio, il muscolo liscio dell'arteriola è innervato da fibre ortosimpatiche che liberano noradrenalina, che è un eccitatore e produce vasocostrizione agendo su recettori alfa 1. L'angiotensina fa due cose interessanti: agisce sulla cellulare muscolare liscia dell'arteriola con i suoi recettori A. Poi va ad agire anche sulla sinapsi che c'è tra ortosimpatico e cellula muscolare liscia rendendo l'effetto della noradrenalina più potente, e rallenta la distruzione della noradrenalina prolungandone l'attività. Quindi agisce sia con i suoi recettori come vasocostrittore sia rendendo più potente l'azione dell'altro vasocostrittore che è la noradrenalina. Fa anche un'altra cosa di enorme importanza clinica: l'angiotensina II va al rene, e nella parte superiore del rene si trova il surrene e l'angiotensina II raggiunge lo strato esterno della corteccia surrenale, il cosiddetto strato glomerulare, che è lo strato che produce mineralcorticoidi, tra cui l'aldosterone. Dunque l'angiotensina II stimola la produzione di aldosterone facendolo aumentare. L'aldosterone va al rene, a livello del quale determina un fenomeno complesso nella parte distale dei tubuli renali che consiste nel fare in modo che, con le urine, vadano perduti meno sodio e acqua quindi vadano trattenuti, e questo trattenere acqua aumenta il volume di liquidi nell'organismo determinando aumento della pressione.
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Quindi l'angiotensina II ha il compito di aumentare la pressione mediante due meccanismi: il primo meccanismo a rapido effetto èquello di essere un potente vasocostrittore; il secondo meccanismo è un po' più lento perchè agisce sull'aldosterone, quindi sul riassorbimento di sodio e acqua (nell'arco di un'ora circa). Il soggetto in esame, intanto urina di meno, e noteremo riduzione del volume delle urine, e ci sarà, eliminato con le urine, meno sodio del normale, ed ovviamente il riassorbimento di sodio avviene a spese della perdita potassio e idrogenioni (ogni 3 sodio = 2 potassio ed un idrogenione) quindi diminuisce la kaliemia (cioè il potassio circolante) e si va verso un'alcalosi metabolica a causa della perdita di idrogenioni. L'antagonista fisiologico dell'aldosterone è una famiglia di polipeptidi prodotta dall'atrio destro (i fattori natriuretrici atriali) che si verifica quando aumenta il volume dei liquidi circolanti, quindi aumenta il ritorno venoso e quest'aumento fa perdere sodio ed acqua con le urine e troveremo meno sodio e di conseguenza iperkaliemia ed acidosi metabolica. Ricapitoliamo: Il meccanismo di gran lunga più importante per la regolazione della pressione arteriosa è il sistema renina-angiotensina-aldosterone. Un sistema che inizia dal rene, che misura i livelli di pressione a livello dell'arteriola afferente facendo variare la produzione di renina. La renina è un enzima proteolitico che stacca un decapeptide dall'angiotensinogeno formando angiotensina I. Questa passa dal polmone ed a livello dei capillari del polmone diventa angiotensina II mediante l'enzima ACE che agisce idrolizzando il legame tra 8° e 9° AA. Questa angiotensina II agisce sia come vasocostrittore che come stimolatore surrenalico della liberazione di aldosterone. Quindi tutte le volte che io ho abbassamento di pressione avrò anche aumentata produzione di aldosterone, quindi contrazione della diuresi: si riduce la diuresi, si contrae la perdita di liquidi con le urine e questo lo ottengo recuperando sodio ed acquisto sodio a spese di potassio ed idrogenioni. Esiste la possibilità di modificare la diuresi senza modificare il potassio. Si tratta di una pompa accoppiata sodio-cloro. Porto dentro il sodio che è ione positivo e passivamente si porta dentro il cloro che è ione negativo ed insieme, che sono particelle osmoticamente attive si portano dietro l'acqua, quindi si recuperano sodio, cloro e acqua senza perdere potassio. Quando studieremo i diuretici, la prima grande classificazione sarà “potassio risparmiatori” e “potassio non risparmiatori” (che sono tollerati molto meno, perchè la diminuzione del potassio ha effetti molto seri sulla forza di contrazione e sull'eccitabilità delle cellule, soprattutto cardiache). Ricapitolando: Se i meccanismi a breve termine non riescono a riportare la pressione alla normalità, interviene il sistema renina-angiotensina-aldosterone, il quale prende origine dal cosiddetto apparato iuxtaglomerulare, ovvero quella parte anatomica del nefrone dove c'è contatto tra arteriola afferente e tubulo distale; questa zona ha una serie di funzioni, una delle quali è la sensibilità alla variazione di pressione. Dunque, se questa aumenta o diminuisce, agisce sulla produzione della renina, da non confondere con la rennina, enzima tipico delle pecore, per esempio, che fa precipitare il caseinogeno del latte ed è alla base della produzione del formaggio. Il compito della renina è, ripetiamo, idrolizzare il legame tra l'AA 10 e l'AA 11 dell'angiotensinogeno staccando il decapeptide che circolerà nel sangue. Quindi l'angiotensina è un ormone che non viene prodotto da nessuno, ma si forma in circolo, nel sangue, per una reazione che avviene direttamente nel sangue ed ha duplice azione: vasocostrittore e stimolatore dell'aldosterone. Se io prendo la vostra collega e tolgo i surreni, la vostra collega che tipo di problemi avrà? I surreni producono molti altri ormoni ma non sono indispensabili per la vita, tuttavia i mineralcorticoidi sono ormoni di straordinaria importanza in quanto, non appena io rimuovo la corteccia surrenale, avrà enorme diuresi e non tratterrà più nè sodio né acqua con le urine, collasserà ed in un paio di giorni perderà la vita. E' raro che una persona abbia la messa a fuori uso bilaterale. C'è una patologia rara chiamata Sindrome di Sheehan (credo, non è facile trovare il riscontro corretto 1:31:17) al cui paziente viene un ictus ed allo stesso tempo ostruzione ischemiche che colpisce 118
entrambi i surreni contemporaneamente, più frequenti sono le malattie croniche lente, che danneggiano la corteccia surrenale. La più famosa (anticamente era la tubercolosi che danneggiava terribilmente la corteccia surrenale) è il morbo di Addison, caratterizzata da questo soggetto che aveva la pressione cronicamente più bassa del normale e soprattutto l'aspetto abbronzato (lo vedremo l'anno prossimo), per un aumentata produzione di un ormone detto melanocita stimolante. Ricordatevi alcuni concetti che vorrei che oggi risultassero chiari. La pressione arteriosa dipende dall'attività del cuore e dalle resistenze periferiche. L'attività del cuore significa aumentare la gittata cardiaca, quindi cronoendotropismo cardiaco. Questo si ottiene attraverso l'ortosimpatico che è in grado di aumentare sia la frequenza (effetto cronotropo positivo) che la forza di contrazione, che l'eccitabilità ma a noi interessa l'inotropismo (la forza di contrazione). L'ortosimpatico lo fa attraverso la noradrenalina e la noradrenalina agisce sul cuore attraverso i recettori beta 1. Naturalmente, poi, si agisce anche sulle cellule muscolari lisce dei vasi, che possono essere eccitate sia dalla noradrenalina attraverso i recettori alfa 1 sia dall'angiotensina II attraverso i recettori A, ed entrambi eccitano la muscolatura liscia causando vasocostrizione. Nella contrazione della muscolatura liscia, a differenza della striata (che avviene grazie alla liberazione del calcio che è già dentro le vescicole del reticolo sarcoplasmatico), il calcio deve venire da fuori perchè non c'è un reticolo, per cui se impedisco al calcio di entrare il muscolo liscio non si contrae. Quindi, quali sono i farmaci per curare uno che ha la pressione troppo alta? I farmaci di base sono la famosa serie ABCD. A = ACE inibitori, perchè se io impedisco la trasformazione dell'angiotensina I in angiotensina II, in circolo ci sarà meno angiotensina II e la pressione diminuisce. B = beta bloccanti, che agiscono sul cuore bloccando i recettori beta con effetto cronotropo positivo che non c'è più e così anche l'effetto inotropo, quindi diminuisce la gittata cardiaca e la pressione arteriosa. C = calcio antagonista, che impedisce al calcio di entrare nella cellula muscolare liscia e quindi riduce la vasocostrizione, riducendo la resistenza e di conseguenza la pressione. D = diuretici, tutto ciò che fa perdere urina abbassa la pressione, qualunque tipo di diuretico fa diminuire il volume di liquidi e quindi la pressione. Quindi occorre scegliere uno o più di questi farmaci in base alla risposta del paziente, alla tolleranza individuale, ecc ecc. Ricordatevi sempre di non trascurare una cosa: quando studierete farmacologia, studierete i farmaci che sono studiati da farmacologi. Quando voi studiate i farmaci, la maggior parte di questi deriva dalle sperimentazioni cliniche su animali. I topi da laboratorio sono, geneticamente parlando, fotocopie tra loro. Quando poi passo dal topo all'uomo emerge la differenza genetica, quindi è ovvio che nel passare alla specie umana si passa da una unanimità di effetti ad una individualità di effetti che dovrete valutare in base al paziente. Riprendiamo il caso di un'emorragia alla vostra collega con tutti i meccanismi finora descritti, ma la pressione rimane comunque alterata. Cosa succede? Si ricorre all'ultima arma segreta, detta risposta ischemica centrale. Quando la pressione arteriosa rimane bassa per un lungo periodo di tempo, si verifica ovviamente anche un'ipossia centrale: una bassa pressione porta poco sangue, quindi poco ossigeno al cervello e si verifica ipossia nel tronco encefalico. Quest'ipossia determina un fenomeno paradosso nei neuroni che fanno parte del gruppo di cellule che controlla le cellule del midollo spinale ortosimpatico. Queste cellule, in ipossia, vengono iperattivate: più loro sono attive più si attiva l'ortosimpatico che è vasocostrittore. Quindi l'ultimo meccanismo che si attiva è questa risposta ischemica centrale, che se non basta non si può fare più nulla e si arriva alla morte.
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Lezione 14 Abbiamo detto che la pressione equivale alla forza esercitata dal sangue perpendicolarmente alla superficie dell'arteria. Questa forza non corrisponde alla forza totale, in quanto manca dell'energia cinetica; dal momento che l'energia cinetica equivale al 5%, possiamo trascurarla e possiamo considerare la pressione come tutta la forza che il sangue riceve dal cuore; esprime, quindi, l'energia che il cuore ha fornito al sangue per percorrere tutto il circuito e che permetterà a questo sangue di partire dal cuore per tornare al cuore (nell'altra sua metà). Lì ci sarà un'altra pompa che fornirà ulteriore energia per percorrere l'altra parte del tragitto. Se misuriamo la pressione dell'aorta, ci accorgiamo innanzitutto che è molto alta, stiamo parlando di una pressione media di 90mmHg, inoltre non è un valore fisso ma un valore che oscilla in sincronia con il ciclomeccanico del cuore. Tale pressione presenta un valore più alto durante la sistole e un valore più basso durante la diastole. Il concetto di pressione media non è un concetto algebrico, in quanto la pressione minima incide per la metà del tempo, quindi la pressione massima viene considerata incidere una volta e la pressione minima viene considerata due volte. La pressione arteriosa massima esprime principalmente la forza di contrazione del cuore, quindi un aumento o una diminuzione della pressione massima esprimono prevalentemente (ma NON esclusivamente) un aumento o una diminuzione dell'inotropismo cardiaco. La pressione minima, invece, che si misura quando il cuore è in diastole, esprime essenzialmente le resistenze periferiche; una variazione di pressione minima è da ricondursi principalmente a una modificazione delle resistenze globali che il circolo oppone al flusso di sangue. Un'altra variabile importante è data dall'elasticità dell'aorta che sottrae energia in sistole per ridarla in diastole: questo permette a un'aorta giovane e sana di rendere un po' più basso il valore della massima e un po' più alto il valore della minima; è chiaro che una perdita di elasticità della parete si traduce in un aumento della massima e una diminuzione della minima con conseguente aumento della pressione differenziale. POLSO BRACHIALE Prima di andare avanti, una domanda: se prendiamo il polso della collega e poggiamo il dito (NON IL POLLICE) sul processo stiloideo del radio, sentiremo una pulsazione (Polso radiale, da distinguere dal polso carotideo o dal polso pedidio) che si potrà sentire lì dove c'è un'arteria sufficientemente superficiale e sufficientemente “schiacciabile” da sentire la pulsazione. Cos'è che causa questa pulsazione? Cosa c'è alla base del polso che possiamo facilmente palpare? Si potrebbe intuitivamente pensare che la pulsazione del polso sia l'arrivo del sangue eiettato, cioé del sangue che esce, durante la sistole, dal ventricolo. In realtà non è così: la causa del polso non è l'arrivo di un volume di sangue nell'arteria che stiamo considerando ma è la conseguenza del fatto che, quando il sangue entra nell'aorta, questa viene dilatata; quindi avremo una parete che si dilata durante la sistole e restituisce l'energia elastica durante la diastole. La parete dell'arteria è elastica non solo a livello del primo tratto dell'aorta ma è elastica in ogni punto; quando, dunque, si verifica questo fenomeno, tale deformazione elastica non rimane lì ma si propaga come un'onda meccanica (onda elastica) lungo la parete ad altissima velocità; questa oscillazione della parete percorrerà tutto l'albero arterioso fino alle diramazioni più sottili. Quest'onda sfigmica viaggerà dalle arterie più grosse fino alla periferia, così quando appoggeremo il dito su un'arteria palpabile, potremo avvertire sotto le dita quest'onda meccanica 120
che sta viaggiando a velocità altissime (decine di metri al secondo, al contrario del sangue che viaggia circa a 20cm al secondo). Quando prendiamo il polso, quale variabile stiamo analizzando? • La frequenza, intanto, che ci dice quanto sia regolare il ritmo cardiaco; di solito il metodo prevede che vengano contate le pulsazioni per 15 secondi e poi venga moltiplicato il risultato per 4; • Forza della pulsazione: l'ampiezza della pulsazione esprime non solo la pressione arteriosa (cioé se c'è una espulsione sisto-diastolica a basso livello 70/100 o a più alto livello 100/150), ma ci dà anche un'idea dell'elasticità della parete; ovviamente se la parete non è elastica, la propagazione di quest'onda sfigmica viene compromessa. PARENTESI Una volta la misurazione del polso era uno strumento importantissimo per il medico. Nella medicina orientale, fino a circa sessant'anni fa, l'esame fisico del paziente era fondamentale per via della carenza degli strumenti diagnostici; così la maggior parte dei sintomi delle malattie si raccoglievano visitando il paziente. Oggi l'enorme aumento delle tecniche diagnostico-strumentali ha reso molto meno utilizzata la visita del paziente. Bisogna ricordare che è fondamentale, sia sul piano medico che su quello scientifico, avere un'idea della persona che si ha di fronte. La strumentale è “al supporto di”, “non al posto di”; è integrativa. Il paziente ha bisogno di avere fiducia nella persona che lo sta curando. Il dialogo è fondamentale. I cinesi avevano una struttura medica molto particolare, in cui era vietata la dissezione del cadavere. Le loro conoscenze di anatomia erano estremamente carenti. Loro si basavano su una medicina molto divertente che consisteva più o meno in questo: un medico veniva assunto da famiglie che lo pagavano fino a quando nessuno si fosse ammalato; non appena si ammalava qualcuno, il medico non veniva più pagato. Il compito del medico non era, quindi, di curare ma di PREVENIRE la malattia; nel momento in cui uno dei pazienti si ammalava, il medico aveva fallito nel suo ruolo. La cosa più strana in campo medico è aggettivare la parola “medicina”: medicina alternativa, medicina tradizionale. Medicina significa “curare”, ed è l'approccio a uno scopo preciso: uno sta male eio devo curarlo. In medicina tutto funziona, se non funziona non è medicina. Quello che conta non è “come” fate le cose ma se c'è un'azione medica in ciò che fate. Se alla vostra collega passa la cefalea ogni volta che le suono la tromba, questo è terapeutico (poi sta al farmacologo spiegare). Il primo aspetto importante è “funziona o non funziona?”. Nel medioevo il salmo 104: “Placebo Domini in terra vivorum” (Piacerò a Dio nella terra dei viventi): quando moriva qualcuno, tutta la notte alla veglia in chiesa veniva cantato il placebo. I ricchi pagavano qualcuno che cantasse il placebo, così lo stesso termine venne riferito a una finzione, a qualcosa di costruito, di non vero, fino al 1600, quando un medico Tedesco lo applicò in campo medico, facendo un'osservazione interessante: se in un numero di casi registro una patologia che non curo, noto che in un certo numero di individui la patologia scompare spontaneamente (quello che i vecchi medici chiamavano “Vis medicatrixnaturae”, la forza guaritrice della natura). Egli, invece, notò una cosa interessante: se ad alcuni pazienti dava uno pseudofarmaco, spacciandolo per un farmaco miracoloso ed efficientissimo, si accorse che la probabilità di guarigione aumentava in maniera consistente rispetto alla non cura. Il placebo, in realtà, cura; non è il farmaco che cura ma l'idea del farmaco; la parola placebo non significa “non curare” ma significa “agire su un qualcosa di psicologico che il soggetto attiva in quanto è convinto di essere curato”. Questo spiega il perché le medicine alternative riescono ad essere efficienti.
Il polso non è, quindi, l'arrivo del sangue nel punto palpato ma l'arrivo di un'onda che è partita dall'aorta e viaggia velocissima (il sangue che è partito dal ventricolo è ancora nell'aorta mentre l'onda sfigmica ha già raggiungo il punto palpato). 121
Se poggiamo un'asticella sul polso della collega, vedo che questa comincia a salire e scendere; se collego all'altra estremità dell'asticella una penna, questa mi disegnerebbe un tracciato che starebbe ad indicare il profilo del polso preso in considerazione. Andiamo a vedere come si modifica questo profilo passando da una grande arteria a un vaso più periferico: quest'onda cambia la sua morfologia per un fenomeno di Fourier, c'è un'integrazione delle onde di Fourier, per cui all'inizio (vicino all'aorta), l'onda sfigmica è abbastanza piatta con la solita incisione, man mano che mi allontano verso la periferia diventa più ampia e questa incisione diventa praticamente una seconda onda. E' una CLASSICA integrazione di Fourier (riferimento all‟immagine 47.6 pag 656 del Baldisserra). La pressione arteriosa deve essere mantenuta entro un range fisiologico: · La pressione minima deve essere compresa tra 70 e 85 mmHg; · La pressione massimo deve essere compresa tra 120 e 140 mmHg. Nei più giovani registreremo valori più bassi sia di P minima che di P massima. Con l‟età questi valori andranno al di fuori della norma, soprattutto per via della sclerosi dei vasi che fa perdere elasticità ai vasi stessi; avremo anche un aumento delle resistenze periferiche con aumenti della pressione massima e della minima. La scorsa volta dicevamo che la pressione viene mantenuta dai meccanismi omeostatici che scattano non appena i valori fuoriescono da questo range di normalità: esistono meccanismi a breve termine (SR, barocettori e chemocettori), importantissimi meccanismi a medio termine (reninaangiotensina-aldosterone) e meccanismi a lungo termine. REGOLAZIONE DELLA PRESSIONE La pressione è il rapporto tra il flusso e la resistenza: P=F x R · Il Flusso è la gittata cardiaca · La Resistenza è, invece, uguale a 8hl/pr4 L‟unica variabile utile è il raggio; tra l‟altro il raggio è enormemente utile perché è alla quarta potenza: per cui, se ho un vaso che ha raggio 2 e lo faccio diventare 1 (lo dimezzo), la resistenza non raddoppia ma aumenta di 16 volte, il che significa che basta cambiare il raggio di 1/16 perché la resistenza raddoppi o si dimezzi. E‟ uno strumento fantastico su cui agire. Per cui, quando parliamo di “calibro dei vasi”, parliamo soprattutto di arteriole, cioè vasi il cui diametro è inferiore a 1 mm. Le arteriole hanno una forte tunica muscolare liscia (con scarsa componente collagene), così sono il posto ideale dove andare ad agire con effetto vasomotorio. Immaginiamo il muscolo liscio a manicotto: quando si contrae, esso resta contratto per un periodo di tempo, dopo di che si rilascia. Aumentare la resistenza periferica significa semplicemente che, anziché far contrarre il muscolo una sola volta al minuto, lo faccio 2 vv al minuto, 3 vv al minuto ecc. Per cui il tempo in cui è ristretto è maggiore rispetto al tempo in cui è dilatato; non sarà una contrazione tonica ma una contrazione di tipo fasico, quindi la vasocostrizione e la vasodilatazione sono nell‟unità di tempo; più volte nell‟unità di tempo lo faccio contrarre, più tempo è stretto, così il raggio medio di quel flusso sarà minore e ne risentirà il flusso a valle. FENOMENO DI AUTOREGOLAZIONE SU BASE MIOGENA In alcuni vasi, addirittura, queste cellule hanno una proprietà peculiare: si rilasciano nel momento in cui aumento la pressione all‟interno ma, non appena vengono distese e stirate, si contraggono spontaneamente, con il risultato che, se io ho aumentato la P e subito dopo ho aumentato anche la R, il flusso non cambia (F=PxR), in quanto il flusso è il rapporto che c‟è tra pressione e resistenza. Se, invece, la pressione interna si dovesse ridurre e il raggio si rilascia, avremmo una diminuzione di P e di R, con un mantenimento costante del flusso. In alcune zone del corpo è importante che il 122
flusso non cambi, malgrado il variare delle pressioni; in quelle zone del corpo deve arrivare sempre la stessa quantità di sangue: stiamo parlando di rene (perché la filtrazione del sangue deve avvenire sempre, indipendentemente dai valori pressori) e cervello (750 ml/min). Noi utilizziamo questo metodo per garantirci un flusso costante. REGOLAZIONE DEL CALIBRO DEI VASI: COMPONENTE ORTOSIMPATICA Ma nella maggior parte dei casi il muscolo liscio viene fatto contrarre attraverso una sinapsi in cui viene rilasciato un neurotrasmettitore: la fibra è quasi sempre ortosimpatica e il neurotrasmettitore è sempre la noradrenalina. La Noradrenalina agisce sui recettori a1 metabotropici (quindi l‟effetto avrà una durata nel tempo) che sono eccitatori. Quindi quando vorrò una vasocostrizione dovrò agire sui neuroni ortosimpatici. L‟effetto è mediato da questi recettori noradrenergici del tipo a1. Quindi se ho un‟a bloccante, questa sinapsi non funziona più e questo vaso deve rilasciarsi. Fino adesso avete sempre considerato ortosimpatico e parasimpatico come dei meccanismi che agiscono in modi opposti: sul cuore ci sono sia orto che para, così come nell‟intestino o nella pupilla. Sui vasi non è così: il parasimpatico non c‟è quasi mai. Esiste solo ed esclusivamente, nella stragrande maggioranza, un‟innervazione ortosimpatica vasocostrittrice noradrenergica. Esiste anche un ortosimpatico che produce un altro neurotrasmettitore, con fibre colinergiche che utilizzano l‟acetilcolina come neurotrasmettitore. Ancora un altro tipo di innervazione ortosimpatica (che i vecchi fisiologi chiamavano NAA – non adrenergiche e non colinergiche) è quella del NO (monossido di Azoto) che agisce come neurotrasmettitore su questi vasi. Ma nella maggior parte dei casi c‟è un‟unica innervazione ortosimpatica noradrenergica, vasocostrittrice, con le dovute eccezioni, ad esempio i vasi che irrorano il tessuto genitale (corpi cavernosi dell‟uomo e della donna): questi vasi ricevono sia un‟innervazione ortosimpatica che una parasimpatica di origine sacrale. Il parasimpatico determina una forte vasodilatazione arteriosa e una forte vasocostrizione venosa, così che aumenta il sangue che arriva e diminuisce il sangue che lascia i corpi (aumento della quantità di sangue che rimane intrappolata all‟interno dei corpi cavernosi). Al contrario, l‟ortosimpatico determina una forte vasocostrizione arteriosa e una forte vasodilatazione venosa, con effetti opposti. Di solito, tuttavia, l‟ortosimpatico determina una vasocostrizione arteriosa e venosa. Questo fenomeno, cioè la possibilità di eccitare la muscolatura liscia, lo possiamo ottenere tramite questa fibra nervosa o tramite ormoni; uno l‟abbiamo già incontrato ieri, l‟angiotensina II, un altro potentissimo vasocostrittore è l‟adrenalina. Ricordiamo che, mentre la noradrenalina è un neurotrasmettitore, l‟adrenalina è un ormone. Viene, infatti, prodotto dai feocromociti della midollare del surrene (Se prendo la vostra collega e le faccio un prelievo di sangue, troverò sia adrenalina che noradrenalina. Se le tolgo i surreni mi accorgo che la concentrazione di noradrenalina non ne risente, mentre sparisce l‟adrenalina. Ergo, la noradrenalina viene anche prodotta PERI PERI nelle altre parti del corpo, mentre l‟adrenalina viene prodotta esclusivamente dalla midollare del surrene). CATECOLAMMINE
Il DOPA è il precursore delle catecolammine (catecolammine in quanto possiedono, nella loro struttura, l‟anello del catecolo). 123
1. La prima delle catecolammine si ottiene per decarbossilazione del DOPA ad opera della DOPA decarbossilasi; ottengo, così, la dopammina. 2. La seconda catecolammina si produce a partire dalladopammina, aggiungendo un ossidrile in posizione beta, grazie all‟enzima dopammina-beta-idrossilasi; l‟idrossilazione della dopammina produce la noradrenalina. 3. La terza catecolammina, l‟adrenalina, si produce per metilazione a livello dell‟azoto della noradrenalina, mediante l‟azione dell‟enzima feniletanolammina N-metiltransferasi, specifico della midollare del surrene, in quanto questo enzima è prodotto solo se c‟è una grande quantità di glucocorticoidi. Quindi le cellule muscolari lisce possono essere sensibili anche alla dopammina e all‟adrenalina;
DOPAMMINA ladopammina, ad esempio, quando arriva a livello dei vasi agisce su recettori D (D1 se la dopammina ha un effetto eccitatorio, D2 se ha un effetto inibitorio). Ma la dopammina, siccome ha una struttura molto simile, quando è più concentrata del normale, può legarsi anche ai recettori a eb adrenergici, dando effetti diversi; quando la dopammina agisce sui propri recettori D2 l‟effetto è di tipo vasodilatatore, con abbassamento delle resistenze periferiche. Sul cuore sono, invece, presenti i recettori di tipo D1 con aumento della forza del miocardio comune (non agisce sul miocardio specifico). Questo in medicina di urgenza è interessantissimo in quei quadri clinici che vengono chiamati “Sindromi da bassa portata”: un paziente che ha già una pressione minima alta e un cuore che non riesce a contrastare tali resistenze. L‟uso della dopammina è interessantissimo in quanto ha un doppio vantaggio, dal momento che da un lato mi aumenta la forza di contrazione del cuore, dall‟altro mi riduce le resistenze periferiche grazie all‟effetto vasodilatatore. In queste condizioni la somministrazione di dopammina è importantissima. Riepilogando: la dopamminaviene riconosciuta da recettori D2 nei vasi (azione vasodilatatrice) e da recettori D1 nel cuore con aumento dell‟inotropismo. Ma come gestiamo questo farmaco? Bisogna somministrarlo per infusione, goccia a goccia; mi accorgo che gliene sto dando troppa quando aumenta la frequenza cardiaca, in quanto la dopammina non dovrebbe agire sulla frequenza; questo significa che in quel momento la dopammina sta agendo su recettori non suoi, ovvero noradrenergici. ADRENALINA Poi c‟è l‟adrenalina che agisce sui vasi sia sugli a1 che su recettori di tipo b2; per cui l‟adrenalina è in grado di legare a sé sia i recettori a (azione vasocostrittrice) che sui recettori b (azione vasodilatatrice); viene spontaneo chiedersi “che razza di effetto sarebbe?”. In realtà l‟adrenalina ha maggiore affinità per i recettori b, per cui l‟effetto a è insignificante, mentre l‟effetto b è molto più efficiente. L‟adrenalina agisce anche sul cuore, come la noradrenalina (aumento di frequenza e di forza di contrazione. Per cui queste tre catecolammine hanno effetti diversi: ADRENALINA= effetto cronotropo positivo, effetto inotropo positivo, vasodilatazione. NORADRENALINA= effetto cronotropo positivo, effetto inotropo positivo, vasocostrizione. DOPAMMINA= nessun effetto cronotropo, effetto inotropo positivo, vasodilatazione. Quindi possiamo sfruttare queste diverse azioni, giocando su questi tre recettori (D, a1 e b2).
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ESEMPIO: Un soggetto presenta una pressione sistolica di 100 mmHg e una diastolica di 70 mmHg con una frequenza di 70 bpm. Cosa ci aspettiamo se iniettiamo adrenalina, noradrenalina o dopammina? ·Adrenalina: aumento della frequenza, aumento della massima e leggerissima diminuzione o mantenimento della minima (perché l'effetto sui recettori b è mascherato da un piccolo effetto sui recettori a); ·Noradrenalina: aumento della frequenza e aumento di minima e massima; · Dopammina: la frequenza non varia, la massima aumenta e la diminuzione della minima. L‟unico distretto in cui notiamo gli effetti diversi di adrenalina e noradrenalina è l‟apparato cardiocircolatorio, perché sono presenti recettori di tipo a oltre a quelli b; in tutti gli altri distretti sono, invece, presenti solo recettori beta. Ad esempio, la vostra collega va dall‟anestesista che le inietta un anestetico, carbocaina più noradrenalina. Perché mettono la noradrenalina? Perché la noradrenalina è un vasocostrittore, quindi lo scopo è che l‟anestetico locale resta lì più tempo possibile, data la riduzione del flusso; se non ci fosse la noradrenalina, il flusso porterebbe via immediatamente l‟anestetico locale. Quindi sfruttiamo questo effetto costrittore negli anestetici locali perché tutti questi (tranne la cocaina) hanno effetto vasodilatatore. Se non mettiamo la noradrenalina l‟effetto sarebbe brevissimo. La cocaina, invece, è il padre di tutti gli anestetici locali, potentissimo vasocostrittore; il segno distintivo degli sniffatori è, infatti, una lesione per necrosi ischemica del setto nasale. ALTRI MECCANISMI ORMONALI Ci sono anche altri ormoni che agiscono su questo apparato, ad esempio il glucagone che ha un effetto inotropo positivo puro; il glucagone non ha solo a che fare col metabolismo glucidico, ma ha anche un effetto inotropo positivo puro. Non è facile da utilizzare in campo medico, per via del suo effetto iperglicemizzante. Altro ormone con potentissimo effetto inotropo e cronotropo positivo è la triiodotironina (T3); il suo effetto è in parte diretto (perché agisce direttamente sulla muscolatura cardiaca), in parte indiretto (perché fa durare di più l'effetto vasocostrittore della noradrenalina). Nota: gli ormoni tiroidei non hanno alcun effetto diretto sui vasi. Come sarà, quindi, la pressione arteriosa di un ipertiroideo? La minima sarà normale e la massima sarà notevolmente aumentata. E' uno dei rari casi in cui troveremo una minima normale e una massima notevolmente aumentata. Una situazione del genere nel 99%è causata da un'iperproduzione di ormoni tiroidei. Perché abbiamo la necessità di mantenere la pressione entro questo range? Per creare le condizioni ottimali affinché avvengano gli scambi a livello dei capillari. Di questo se ne parlerà la prossima volta.
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Lezione 15
MICROCIRCOLAZIONE La microcircolazione è rappresentata da tutti quei vasi che hanno un diametro inferiore a quello delle arteriole, diciamo inferiore a 40-50 μm. I capillari hanno il diametro di un globulo rosso, ossia 7-8 μm, e quindi oltre ai capillari esistono dei vasi un po‟ più grandi dei capillari e un po‟ più piccoli delle arteriole, che sono presenti ma che non vengono rappresentati (dopo le arteriole vengono rappresentati i capillari). Il che significa che i vasi della microcircolazione sono più raffinati di ciò che si pensi. Vorrei iniziare cercando di illustrarvi la visione “classica” del meccanismo di base che sottende al funzionamento di questo circolo. La prima ipotesi su come funzioni un capillare risale a 130 anni fa, e la dobbiamo a Starling, il quale ebbe un‟intuizione geniale che gli permise di elaborare un modello sul funzionamento dei capillari utilizzato ancora oggi per cercare di spiegare il meccanismo. Starling notò che i capillari sono l‟unica parte della circolazione dove è presente una parete permeabile, attraverso cui le sostanze possono passare da dentro a fuori e viceversa. Nel resto della circolazione, invece, esiste uno strato di cellule endoteliali, che è quello a diretto contatto con il sangue, impedendogli di coagulare, seguito da membrana basale, connettivo (tunica media) e la tonaca avventizia. A livello dei capillari esiste solo endotelio, e quindi vi è la possibilità, per alcune molecole, di entrare e uscire, realizzando scambi fra torrente circolatorio e tessuti. Starling notò subito che, sebbene la parete permeabile, non tutte le molecole sono in grado di attraversare questa parete, e che, quindi, la parete si comporta come una membrana semipermeabile. Notò che, per passare questa parete, nella maggior parte dei capillari bisognava rispondere a due requisiti: Essere solubili in acqua; Avere un peso molecolare non superiore a 68000 Dalton (più o meno il peso molecolare dell‟emoglobina). Tutte le molecole più piccole dell‟emoglobina, quindi, possono entrare e uscire, mentre tutte quelle che pesano più di 68000 Dalton non passano. Naturalmente e indipendentemente dal loro peso molecolare non passano le molecole non solubili in acqua (acidi grassi, ormoni non idrosolubili e vitamine liposolubili).
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La maggior parte dei capillari possiede delle cellule endoteliali collegate fra loro da delle tight junction (giunzioni aderenti) e le molecole passano fra una cellula e l‟altra, non riuscendo a passare attraverso il corpo cellulare. Qui si crea questo “filtro” che permette il passaggio di molecole al di sotto di un certo peso molecolare. Considerando, ad esempio, il derma, i capillari sono strutturati in questo modo, con uno strato di cellule, unite da tight junctions molto serrate e la permeabilità si limita a quelle sostanze che riescono a passare a livello di tali giunzioni (come un “foro” che permette alle molecole di passare). Naturalmente, essendo “semipermeabili”, si crea un problema: nel sangue non vi sono solo molecole al di sotto di 68000 D, ma vi sono molecole, e ovviamente cellule, che pesano molto più di 68 kD. Nel plasma esiste una alta concentrazione di molecole che pesano molto più di 68 kD, le proteine plasmatiche; in un litro di sangue vi sono 70 gr di proteine, e le più piccole fra queste proteine, le albumine, sono più grandi di 68 kD. L‟intero pool di tali proteine, quindi, non attraversa la membrana capillare. A questo punto, si verifica un fenomeno interessante: quando un soluto non riesce a passare la divisione che lo separa da un‟altra soluzione, il soluto genera una pressione osmotica, attirando il solvente verso di sé. Nel capillare, quindi, esistono delle proteine non diffusibili, le proteine plasmatiche, che creano una forza osmotica, che richiama liquidi (solvente, e tutto ciò che è disciolto nello stesso al di sotto di 68 kD di peso) all‟interno del capillare. Questa forza si può misurare: per bloccare l‟ingresso di liquidi nel capillare secondo pressione osmotica bisogna applicare una pressione di circa 25mmHg, il che significa che tale pressione osmotica ha una forza di richiamo di 25 mmHg. Fatta eccezione per alcune zone, in cui la parete è diversa, si crea questa pressione, che essendo data da proteine viene detta “colloidosmotica” (dovuta ai colloidi), e “oncotica” nel linguaggio clinico. Starling affermò che nel capillare, compreso fra arteria e vena, si ha una pressione idrostatica (in direzione opposta all‟oncotica, dall‟interno verso l‟esterno) che tende a decrescere avanzando nel torrente circolatorio. Alla fine delle arteriole, e quindi all‟inizio dei capillari, la pressione è intorno ai 40mmHg, mentre alla fine dei capillari è intorno ai 12 mmHg. Si avrà, quindi, che all‟inizio dei capillari la forza idrostatica è maggiore della forza osmotica che richiama liquidi dall‟esterno verso l‟interno; si crea una differenza pressoria fra 40 e 25 mmHg, pari a circa 15 mmHg, che spinge liquidi dall‟interno verso l‟esterno del capillare (ovviamente esce solo ciò che può uscire, rispettando i requisiti precedentemente descritti). Procedendo nel capillare, il sangue perde liquidi, diretti verso il tessuto, sfruttando la differenza di potenziale fra pressione idrostatica e pressionecolloidosmotica riassorbente, con il prevalere della prima. Percorrendo il capillare, variano due fattori: 1. La pressione idrostatica tende a diminuire, quindi all‟inizio è molto alta, mentre successivamente diminuisce a causa del raggio molto piccolo del capillare che oppone una altissima resistenza. La diminuzione della pressione tende ad eliminare il gradiente pressorio fra pressione idrostatica e oncotica. 2. La continua fuoriuscita di liquidi fa concentrare sempre più le proteine, e quindi la pressione osmotica tende ad aumentare (da 25 a 28 circa).
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Di conseguenza, a circa metà del capillare, non solo non vi è più differenza fra pressione idrostatica e oncotica, ma la pressione idrostatica, diminuendo, diventa inferiore alla pressione oncotica, con prevalenza di liquidi in entrata nel capillare (gli stessi liquidi usciti dal capillare, misti ai liquidi tissutali). In questo modo, quindi, si ha una fase iniziale di filtrazione, seguita da una fase di assorbimento. L‟importante è che, tra fase di filtrazione e di assorbimento, i liquidi provenienti dal sangue si siano mischiati a quelli del tessuto, in modo tale che ciò che rientra non sia uguale a ciò che era uscito (ciò che esce dal capillare è ricco di nutrienti, mentre ciò che viene riassorbito è ricco in cataboliti prodotti dal tessuto). Il riassorbimento di liquidi, inoltre, tende a far riabbassare la pressione oncotica a 25mmHg. Teoricamente, il sistema dovrebbe essere organizzato in modo tale che tutto ciò che esce nella prima parte del capillare, rientri nella seconda parte, raggiungendo un equilibrio perfetto. Non si dovrebbe avere né permanenza di liquidi nei tessuti, né una loro privazione di liquidi da parte dei capillari, ma si dovrebbe mantenere costante il rapporto fra liquidi intravasali e liquidi interstiziali. Fuori dalle cellule endoteliali, nell‟interstizio fra queste, non vi sono proteine in grado di creare una pressione oncotica discriminante, e anche la pressione idrostatica dei liquidi interstiziali è trascurabile. I valori che contano sono i fattori interni al capillare (pressione idrostatica e oncotica). Se per un qualunque motivo, nel liquido interstiziale si accumulano proteine, la pressione oncotica dell‟interstizio si somma alla pressione idrostatica del capillare, spostando il liquido verso il tessuto. Se invece si ha una accumulo di liquidi tissutali, aumenta la pressione idrostatica, che si somma, invece, alla pressione oncotica intravasale, favorendo il riassorbimento di liquidi nel capillare. Questi fattori, però, non sono fisiologici, ma si verificano in condizioni patologiche. Ad esempio, ad una ragazza che, alla fine della giornata, sente le caviglie gonfie per accumulo di liquidi, viene consigliato di indossare delle calze elastiche a forte compressione, in modo da aumentare la pressione idrostatica esterna, riducendo la filtrazione e potenziando il riassorbimento capillare (cercando di ridurre il volume del liquido extracellulare).
Facendo dei semplici calcoli, la differenza pressoria fra pressione idrostatica e oncotica all‟inizio è pari a “40-25 = 15 mmHg”, mentre alla fine è pari a “25-12 = 13 mmHg”. Se vi fosse un perfetto equilibrio fra quello che esce e quello che entra nel capillare,(l‟equilibrio) dovrebbe essere risultante da un uguale gradiente pressorio in entrata e in uscita. In realtà, abbiamo ottenuto un gradiente di uscita leggermente più elevato del gradiente d‟entrata, il che significa che vi è un maggiore volume di liquido uscente rispetto a quello entrante.
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Se nell‟arco delle 24 h, escono 100 cc di liquido dai capillari e ne vengono riassorbiti 90 cc, ogni giorno si accumulerebbero 10 cc di liquido a livello interstiziale, determinando due problemi: il soffocamento dell‟attività cellulare e la contrazione dei liquidi circolanti. Ciò non si verifica perché, sebbene ciò che esce è leggermente superiore a ciò che viene riassorbito nel capillare, non si ha accumulo di liquidi interstiziali. L‟unica spiegazione è che tale liquido in eccesso sia andato da un‟altra parte. Da ciò è stato scoperto che, nella maggior parte dei tessuti, esiste un vaso a fondo cieco che raccoglie questa percentuale del 5-10% di liquido uscito dal capillare, ma non rientrante nellostesso. Si tratta del vaso linfatico. I liquidi, quindi, arrivano ai tessuti dal circolo sanguigna, ma vengono riassorbiti sia dal circolo sanguigno (90-95% riassorbito dal capillare sanguigno) che dal linfatico (5-10%, che va a costituire la linfa). Quindi la linfa è tutto ciò che è presente nel plasma e che riesce a passare la parete capillare. La differenza fra plasma e linfa, dunque, sarà la dimensione delle molecole circolanti nel liquido (sicuramente non saranno proteine plasmatiche, più grandi di 68 kD). I vasi linfatici sono formati in una maniera caratteristica. La parete di questi vasi è data da cellule endoteliali, abbastanza lunghe. Quando una cellula finisce e ne inizia un‟altra, non sono presenti fra queste delle tight junctions, come nei normali capillari, ma creano un curioso fenomeno di “sovrapposizione” per cui la cellula successiva si sovrappone leggermente alla precedente, e così via. Questo fenomeno ha una grande importanza funzionale, perché: Se all‟esterno aumenta la pressione del liquido (per accumulo), questo spinge le cellule endoteliali e si infiltra fra queste; Se il liquido si accumula nel vaso linfatico, la pressione comprime dall‟interno i lembi posti fra le cellule endoteliali, e quindi la linfa non può uscire. Questa proprietà, quindi, funge da “valvola” che permette ai liquidi di entrare, ma non di uscire. È un sistema unidirezionale, detto “linfjunction”, perché proprio dei vasi linfatici, e consente ai vasi linfatici di poter sempre assorbire liquido e di trattenerlo al suo interno, portandolo verso il centro. Durante il decorso del vaso, che nel frattempo si ingrandisce per confluenza di più vasi linfatici, saranno presenti delle valvole a nido di rondine che agevoleranno il flusso unidirezionale, impedendo al liquido di tornare indietro all‟interstizio. I vasi linfatici, durante il loro decorso, attraversano una struttura, formata da cellule linfocitarie, il linfonodo (o linfoghiandola), che ha lo scopo di aggiungere alla linfa elementi fino a quel momento assenti: Cellule, i linfociti; Anticorpi (prodotti dai linfociti b), in particolare una famiglia di proteine dette γglobuline (che essendo troppo grandi non possono provenire direttamente dal sangue). Fino alla prima stazione linfonodale, quindi, non vi sono né cellule, né proteine di grande peso molecolare. I linfociti si muoveranno in direzione centripeta (dalla periferia al centro). Ad esempio, dal polpastrello, si trovano le prime importanti stazioni linfonodali a livello del gomito, ma soprattutto nel cavo ascellare, dove è presente un‟enorme quantità di linfoghiandole. Il drenaggio a livello del tessuto, quindi, permette di arricchire la linfa iniziale, costituita da acqua e poco più, con cellule e sostanze più complesse. 129
I vasi linfatici si riuniscono a formare un grande vaso unico, il dotto toracico sinistro, e questo si pone sotto la clavicola sinistra, rilasciando il proprio contenuto nella vena succlavia sinistra. Per cui, alla fine, il liquido è stato prelevato dal sangue e viene restituito allo stesso, e quindi il bilancio finale non è modificato. Per prelevare solo linfociti, quindi, non si fa un prelievo di sangue, ma si fa un prelievo di linfa centrale, una “coltura pura” di linfociti e anticorpi. Ricapitolando Il capillare sanguigno è sede di scambio di liquidi secondo il tradizionale modello di Starling, che prevede una forza di natura idrostatica (che spinge il liquido ad uscire) e una forza di natura osmotica (che spinge il liquido a rientrare). I liquidi escono se la pressione idrostatica prevale su quella osmotica (forza filtrante), cioè all‟inizio del capillare; essi rientrano quando, invece, la pressione idrostatica è inferiore a quella osmotica (forza assorbente), cioè nella seconda parte del capillare. Rappresentando la pressione osmotica, questa si modifica poco (da 25mmHg ad un massimo di 2627), e quindi resta pressoché costante, rappresentabile come una retta. La pressione idrostatica, invece, va a decrescere da 40 a 12 mmHg circa, ed è quindi rappresentabile con una retta obliqua decrescente. Sovrapponendo le due rette, all‟inizio prevarrà la forza uscente dal capillare, mentre dopo, prevarrà la forza in riassorbimento. Il bilancio non è in pareggio, ma alla fine il 5% (anche il 10% in certi tessuti) di liquido uscito non rientra nel capillare, ma drenato dalla circolazione linfatica. I vasi linfatici non si trovano in tutti i tessuti, e il più importante fra quelli non drenati è il cervello, dove esiste una circolazione esclusivamente di tipo sanguigno. In realtà,al posto di vasi linfatici vi è il liquido cefalo-rachidiano, che fa le veci del circolo linfatico, con una serie di proprietà particolari.
Complicazioni del modello classico di Starling Sebbene questo sia il modello classico, vi sono una serie di complicazioni. - I capillari non sono tutti dati da uno strato di cellule endoteliali unite da tight junctions, unico punto di filtrazione, ma soltanto il 70-80% rispecchiano tale modello. Una buona quota di capillari, ad esempio, presenta dei veri e propri “fori”, delle fenestrature al posto delle tight junctions, attraverso cui passano molecole al di sopra di 68kD, e addirittura cellule in alcuni tipi di capillari. Esistono, quindi, tre tipi di capillari Quelli con fenestrature, i capillari fenestrati, in cui passano molecole più grandi di 68 kD (es: capillari presenti nei villi intestinali; Quelli senza fori, chiamati capillari a parete continua (modello di Starling); Quelli in grado di far passare cellule, i sinusoidi (es: nel midollo osseo, in cui le cellule ematiche prodotte devono poter attraversare la parete capillare per entrare in circolo. Altri esempi sono dati dalle linfoghiandole edalla milza, che rilasciano cellule linfonodali attraverso tali vasi) Questi tre tipi di capillari sono, quindi, molto diversi, e il modello di Starling si applica fondamentalmente alla struttura di tipo continuo del capillare. - Se vado a vedere quanti capillari sono presenti nel corpo umano, la quantità di capillari che noi possediamo è enorme, tanto grande che sarebbe impossibile un‟apertura di tutti contemporaneamente. Se fossero aperti tutti contemporaneamente, i 5-6 litri di sangue non 130
basterebbero, e si andrebbe in collasso, perché si disperderebbe il volume ematico in un letto vascolare troppo ampio per mantenere un livello di pressione compatibile con la vita. Quando si crea una condizione in cui vi sono troppi capillari aperti rispetto al volume di liquidi circolanti si parla di “shock”. Quindi lo shock è proprio una discrepanza fra letto vascolare e volume di liquido circolante. Può essere dovuto sia al letto vascolare, con troppi capillari aperti, sia al liquido circolante, che si è contratto (es: emorragia), creando comunque una sproporzione fra “contenente” e “contenuto”. In queste condizioni, il funzionamento dei capillari si “azzera”. Prima di approfondire questo secondo concetto, però, bisogna chiarire perché è così importante mantenere la pressione costante all‟interno di un “range” (“valore”) abbastanza rigido, che se turbato attiva una serie di meccanismi omeostatici. Dal grafico pressione idrostatica-pressione osmotica si capisce subito il problema: Se la pressione fosse troppo alta, la quantità di liquido che esce diventa troppo preponderante rispetto a quello riassorbito; Se la pressione fosse troppo bassa, la quantità di liquido che entra diventa insignificante, e il liquidi tissutale si ridurrebbe troppo. È chiaro, quindi, che se si vuole un equilibrio fra filtrazione e riassorbimento bisogna mantenere la pressione idrostatica a livelli proposti dal modello di Starling. L‟unico modo di mantenere questa pressione a livello capillare è che, a monte, la pressione non deve né aumentare, né diminuire troppo, in modo che a valle si garantisca un corretto funzionamento dei capillari. In entrata, nei capillari la pressione deve essere di 35-40 mmHg, mentre in uscita deve essere 10-12 mmHg. È fondamentale controllare tutto ciò che modifica la pressione prima, ma anche tutto ciò che modifica la pressione dopo (se si passa da 12 a 20 mmHg, il capillare non riassorbe più), controllando quindi i livelli pressori a monte e a valle del capillare per garantirne la funzionalità. In realtà, lo scambio di liquidi non è la forma di scambio più importante che avviene a livello capillare. Il capillare, infatti, può scambiare molecole con l‟esterno senza bisogno di spostare liquidi. Essendovi una tight junction, è come se ci fosse una continuità liquida fra interno ed esterno. Se si crea una differenza di concentrazione di un soluto fra interno ed esterno, per le leggi della fisica, il soluto passa (se può passare) da zone a concentrazione più alta a zone a concentrazione più bassa, senza passaggio si solvente. Si è visto, quindi, che il tipo di trasporto più importante non è quello descritto da Starling. Ad esempio, l‟ossigeno passa per diffusione da una zona a concentrazione più alta (pO2 = 100 mmHg) al tessuto (pO2 = 40 mmHg). La stessa cosa vale per la CO2, più presente nei tessuti che nel sangue, senza spostamenti di solvente ma secondo gradiente di concentrazione. I processi di diffusione, quindi, sono di gran lunga i più importanti, e sono stati sottovalutati ai tempi di Starling. Esistono anche processi di scambio liquido, sebbene non siano il primo modo per nutrire i tessuti. L‟importante è che vi sia un gradiente che regoli gli scambi far interno ed esterno. Vi sono, quindi, due metodi di scambio fra sangue e tessuti: Per diffusione Per filtrazione, facendo uscire una soluzione data da acqua e molecole in grado di attraversare la parete del “filtro”, dato dalle tight junctions. Un terzo metodo di trasporto compiuto dalle cellule endoteliali dei capillari continui è legato alla presenza di vacuoli. 131
I vacuoli presenti in queste cellule sono uno strumento di scambio tissutale e permettono fenomeni di pinocitosi, prelevando molecole all‟interno del vacuolo e di portarle all‟esterno in modo attivo. Consentono, quindi, scambi nei due sensi e selettivi, facendo muovere molecole indipendentemente dal gradiente di pressione. La pinocitosi, ovviamente, è un processo attivo, che richiede energia, a differenza degli altri due processi, passivi e secondo gradiente.
Alterazioni nel funzionamento capillare Oltre alla variazione della pressione idrostatica, a monte o a valle, il capillare può andare incontro a malfunzionamento per altri motivi. Un esempio è dato dalla diminuzione della pressione osmotica, dovuta ad una diminuzione delle proteine plasmatiche. Abbiamo 70 gr di proteine plasmatiche fra albumina e altre, e se queste cominciano a diminuire (60-50-40 gr), la pressione oncotica scenderà. Ovviamente, se la pressione idrostatica non cambia, ma diminuisce la pressione oncotica, prevale l‟uscita di liquidi rispetto all‟entrata, e il soggetto comincia a gonfiare. La diminuzione delle proteine circolanti si può avere per due motivi: Per ridotta produzione = problemi al fegati; Per eliminazione con le urine = problemi renali, in particolare al livello del filtraggio (albuminuria). Il risultato finale sarà una diminuzione del valore di 70 gr di proteine, con diminuzione della pressione oncotica e maggiore uscita di liquidi dai capillari rispetto alla forza di riassorbimento.
N.B: Glicosamminoglicani (GAG) I liquidi che escono vanno nel tessuto, costituito a sua volta da liquido. In istologia, i tessuti sono 4: epiteliale (senza spazio fra cellule), muscolare (come epiteliale), nervoso (come epiteliale) e connettivo (l‟unico tessuto con abbondante spazio intercellulare). Per tale motivo, i capillari si trovano immersi nel connettivo (mai nel parenchima di un organo, ma sempre nella sua capsula connettivale, in cui sarà presente un interstizio con liquido). Gli spazi intercellulari negli altri tessuti sono virtuali. È lo stroma degli organi la sede dei vasi sanguigni, degli scambi molecolari e cellulari, in cui è contenuto il 95% dei liquidi extracellulari del corpo umano. Se un liquido è contenuto in una cellula, sarà trattenuto dalla sua membrana plasmatica. Se, invece, in liquido si trova fra cellula e cellula deve essere presente qualcosa che possa resistere alla forza di gravità, evitando che i liquidi si dirigano verso il basso. Queste sostanze, una volta chiamate mucopolisaccaridi, oggi si chiamano glucosamminoglicani (GAG). Nella matrice extracellulare si trovano questi eteropolisaccaridi (dati da diversi tipi di glucidi), che possono trovarsi in diverse concentrazioni e che hanno lo scopo di trattenere l‟acqua. L‟acqua, che rimane all‟interno di questo “gomitoli” di gag è normale, senza particolari proprietà, e viene trattenuta da queste strutture per contrastare la forza di gravità. Se pongo 5 GAG, che intrappolano una certa quantità di acqua, è chiaro che se si continua ad aggiungere acqua, si supera la capacità dei gag e l‟acqua in più non viene più trattenuta, ma si accumula, ad esempio, nelle caviglie. Ecco casa si definisce con il termine “edema”, una condizione in cui la quantità di acqua presente supera la capacità dei mucopolisaccaridi presenti di trattenerla e bloccarla. 132
Il più famoso mucopolisaccaride è l‟acido ialuronico, in grado di mantenere grandi quantità di acqua. Ad esempio, in caso di una ferita come un ematoma, si ha un accumulo di sangue sottocutaneo che resta immobile, in quanto il sangue, costituito in prevalenza da acqua, viene trattenuto dai mucopolisaccaridi (come qualsiasi tipo di acqua). Per fare guarire la ferita si prescrive solitamente una pomata che faccia riassorbire il liquido. In base aquanto detto, si capisce subito da cosa sia costituita la pomata: essa contiene delle ialuronidasi, che riducono la quantità di acido ialuronico e permettono la dispersione del liquido, opportunamente drenato. Ricapitolando: Quando parliamo di scambi liquidi a livello tissutale teniamo presente il modello di Starling, che tiene conto di due forze: una pressione di natura idrostatica, filtrante, e una pressione osmotica, riassorbente. La pressione filtrante dipende fondamentalmente da due variabili: pressione arteriosa e pressione venosa, perché dal gradiente fra pressione in entrata e in uscita dal capillare dipende il quantitativo di sostanze scambiate con l‟esterno. La pressione oncotica dipende dalla quantità di proteine presenti in circolo. Quelle che contano sono solo le albumine, in quanto essendo le più numerose, sono le più influenti nel creare la pressione osmotica (dovuta non alla grandezza di una proteina, ma al numero di molecole). Tutto ciò che riduce, in circolo, la concentrazione plasmatica di albumine si traduce, ovviamente, in uno squilibrio con la forza filtrante che prevale sulla forza assorbente.
Vi sono due grandi eccezioni al discorso fatto finora. Esistono, infatti, due capillari con valori di pressione molto diversi da quelli che Starling aveva studiato nei vari tessuti. In quasi tutti i tessuti del corpo umano, all‟entrata c‟è una pressione di 35-40 mmHg, all‟uscita di 10-12 mmHg, con una pressione oncotica di 25 mmHg. - La prima grande eccezione è data dai capillari che formano il glomerulo renale. I capillari glomerulari hanno una pressione idrostatica molto diversa rispetto a quella degli altri capillari: all‟entrata la pressione è fra i 60-70 mmHg, e all‟uscita è intorno ai 40 mmHg, mentre la pressione osmotica è sempre di 25 mmHg. Ergo, si tratta di capillari in cui la pressione idrostatica è sempre più alta della pressione osmotica, e quindi in cui può avvenire una cosa sola: filtrazione, e sicuramente mai riassorbimento. Nel capillare glomerulare esistono valori di pressione molto più alti di qualunque altro capillare e quindi in questo capillare, essendo sempre più alta la pressione idrostatica dell‟osmotica, vi sarà sempre filtrazione verso la capsula del Bowmann, senza ritorno di liquidi (non vi è mai una pressione osmotica interna maggiore dell‟idrostatica). - La seconda eccezione, esattamente opposta, è rappresentata dai capillari alveolari. Nei capillari alveolari, la pressione oncotica è sempre di 25mmHg, ma la pressione idrostatica all‟inizio è pari a 10-12 mmHg e alla fine a 5-6 mmHg. L pressione idrostatica, quindi, è sempre più bassa della pressione colloidosmotica, e dunque nei capillari alveolari non si avrà uscita di liquidi. L‟unica cosa che può avvenire in questi capillari è uno scambio di gas, perché la pressione idrostatica, essendo quasi la metà della colloidosmotica, è lontanissima dalla possibilità di far passare liquido, almeno in condizioni fisiologiche. D‟altro canto, fuori dal capillare alveolare non vi è un interstizio tissutale, ma un alveolo, ossia aria. Se uscisse liquido, l‟alveolo si riempirebbe di acqua, con un effetto uguale all‟annegamento, con l‟acqua che entra nell‟alveolo dall‟interno anziché dall‟esterno. È il caso dell‟edema polmonare, naturalmente mortale, se non si intervene opportunamente. 133
Questo edema si ha tutte le volte che aumenta la pressione sanguigna a livello del piccolo circolo, e aumentando la pressione idrostatica senza aumento della colloidosmotica si ha un superamento di questa , con un “allagamento” degli alveoli dall‟interno e morte per asfissia. Senza disporre di farmaci, un metodo per rispondere ad un edema è il salasso, in quanto l‟uscita di liquidi fa diminuire la pressione arteriosa, che prima o dopo scende al di sotto della pressione oncotica, portando al riassorbimento dell‟edema. E come fate a fare un salasso? Non hai coltello e non hai niente per un‟emorragia. Si può fare un salasso senza tagliare? Si chiamano salassi bianchi (bianchi perché non c‟è sangue), e per fare un salasso bianco dovete avere a disposizione tre bracciali di Riva Rocci. Vi ricordate il bracciale di Riva Rocci? Un bracciale sulla coscia destra, più in alto possibile, un bracciale sulla coscia sinistra e il terzo dove volete. Importanti sono le due gambe, perché contengono il maggior volume di sangue periferico. Pompo e porto la pressione a 40mmHg, con il paziente sdraiato. Attenzione: una pressione di 40mmHg è troppo poca per le arterie, ma occlude le vene. Cosa succede quindi nella gamba? Il sangue entra, ma non può uscire. A poco a poco viene sottratto un certo volume di sangue che rimane intrappolato negli arti, perché non può tornare indietro (la pressione impedisce alle vene di poter riportare il sangue verso il centro), e in questo modo ½ litro, ¾ di litro di sangue viene decentrato rispetto al tronco. È qui che deve calare la pressione, e in questo modo posso avere un beneficio senza versare sangue, e senza rischiare. Se non avete fretta, e potete agire lentamente, esiste un altro modo per togliere sangue. Questo metodo si usava moltissimo fino a 70-80 anni fa: le sanguisughe. “HirudoMedicinalis”, allevate dai barbieri, che avevano delle bocce piene di questi vermi neri, ne prendevano 4-5, e li collocavano lungo un vaso. I suddetti vermicelli venivano pesati prima, poi dopo aver succhiato il sangue si tolgono, vengono ripesati e il peso in più è uguale al sangue tolto. Scientifico, eh? Come togliere le sanguisughe? Non si possono staccare, perché infilano i denti che, per non far coagulare il sangue, emettono una sostanza che, anche rimuovendo la sanguisuga, fa perdere sangue al paziente. Allora bisogna “convincere” la sanguisuga spontaneamente a staccarsi. Ci sono due modi: il primo è prendere una fiamma e avvicinarla alla sanguisuga, ed essa sentendo il troppo calore si scolla, il secondo è rappresentato dal mettere del sale nel punto di attacco della sanguisuga (il sale crea una situazione osmotica sgradita alla sanguisuga inducendola a rilasciare i denti). Due anni fa, nel 2011, sull‟England Journal of Medicine, un internista americano, Williamson, ha pubblicato un articolo in cui spiega che, da 5 anni, sta utilizzando nuovamente le sanguisughe per una serie di patologie. Ricapitoliamo: I capillari, secondo il modello di Starling, funzionano passivamente scambiando liquidi sulla base di gradienti di pressione. Due pressioni entrano in gioco, una filtrante, la pressione idrostatica, e una riassorbente, la pressionecolloidosmotica. Se diminuisce la pressione colloidosmotica, i liquidi escono e poi hanno difficoltà a rientrare. Quindi come si presenta un soggetto nefropatico che perde albumina dalle urine? Gonfia, perché ovviamente i liquidi escono ma, per un calo della pressione colloidosmotica la quantità dei liquidi che rientra è molto bassa, e quindi questi liquidi si accumulano nei tessuti. Naturalmente, capite che il liquido non si accumula all‟infinito, perché man mano che si accumula nel tessuto, la pressione interstiziale comincia a salire, fino ad essere talmente alta da opporsi alla pressione filtrante.
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Ciò succede a meno che non vi sia, nel tessuto, la capacità di filtrare liquidi all‟infinito, e questo può succedere in un punto del corpo in cui i liquidi si accumulano senza particolari problemi: il cavo peritoneale. Se si verifica una ridotta produzione di proteine plasmatiche (es: cirrosi epatica), uno dei sintomi è l‟accumulo di liquidi nel cavo peritoneale, l‟ascite, fino a 5-7 litri di liquido, finché l‟addome diventa talmente gonfio da creare una pressione idrostatica tale che si opponga al filtraggio. Come dicevano i vecchi clinici, il paziente assume un aspetto di addome “a rana” (in greco “batrachoi” = rana, e quindi addome “batraciano”). In teoria, non è un grosso problema, perché basta inserire un ago nel cavo peritoneale e velocemente viene drenato il liquido. Questa tecnica si chiama paracentesi, e si possono raccogliere 5-6 litri di filtrato che, naturalmente, si è accumulato nel corso di molto tempo. Non si conclude nulla, perché facendo la paracentesi si elimina la pressione idrostatica che si era opposta alla filtrazione e ricomincia l‟accumulo di liquidi, tornando all‟ascite di prima. Ergo, come dice la prima legge di chi fa medicina: “mai curare gli effetti; cercare sempre, laddove è possibile, di curare le cause”. In questo caso, bisogna far abbassare la pressione idrostatica senza far abbassare la pressione oncotica, associando flebo di albumine endovena (per far rialzare la pressione colloidosmotica), mannitolo, ecc. Nel caso della cirrosi epatica, l‟aumento di pressione idrostatica non è in tutto il corpo, ma si focalizza sul territorio della vena porta. La vena porta trasporta sangue al fegato. Siccome dentro il fegato si sono creati dei fenomeni cirrotici, si oppone maggioreresistenza al flusso; se c‟è resistenza al flusso, a monte aumenta la pressione. La vena porta ha origine da tre rami, vena gastrolienale, mesenterica superiore e mesenterica inferiore. A loro volta le vene hanno origine da un circolo capillare, che sarà interessato da un aumento di pressione in uscita (aumentando la filtrazione a discapito del riassorbimento). Questi capillari, a livello intestinale, riversano acqua nel peritoneo, e quindi causano ascite. Il fegato, attraversato dalla vena porta, drena verso la vena cava inferiore. Come si può ridurre la pressione? Ad esempio, si può fare un bypass, che mette in comunicazione la vena porta (prima dell‟ingresso nel fegato) e la vena cava inferiore. In questo modo, il sangue incontra meno resistenza e la pressione si abbassa. Questa tecnica chirurgica non cura il fegato, ma uno degli effetti più importanti, l‟ascite, e prende il nome di “fistola di Eck”. Ovviamente non si bypassa tutto il sangue diretto al fegato, ma solo una parte, altrimenti l‟organo morirebbe (mancando tutto ciò che viene metabolizzato dallo stesso, con morte entro 4 ore). La parte interessante di questo argomento è: se tutti i capillari fossero aperti, i 5-6 litri che possediamo sarebbero ampiamente insufficienti per riempirli tutti, e quindi si avrebbe un collasso della pressione, con dispersione del liquido in un letto troppo vasto e morte. Vi sono varie cause di shock, ma gli effetti finali sono gli stessi. Per esempio, in caso di reazione allergica al veleno di un‟ape, il corpo produce una sostanza detta istamina, che apre tutti i capillari contemporaneamente, causando shock anafilattico. Si ha un crollo della pressione al di sotto di valori fisiologici, portando a morte (se non si bloccano gli effetti dell‟istamina, che agisce sui proprio recettori H1). In questo caso, il farmaco salva-vita è il cortisone, il principale farmaco utilizzato, a dosi ingenti, che permette di neutralizzare rapidamente gli effetti dell‟istamina, riportando il letto vascolare a dimensioni compatibili con la vita. Per agevolare l‟azione del cortisone, si fa una rapida flebo per aumentare la massa di fluido circolante. Avendo moltissimi capillari, che però non possono essere tutti aperti, deve esistere un modo che permette di aprirli e chiuderli a seconda delle necessità.
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Non è pensabile che tale controllo sia dato dal sistema nervoso centrale, anche perché i capillari non sono innervati (l‟innervazione dell‟ortosimpatico si ferma alle arteriole). Deve esservi un sistema di altro tipo, che non può essere dato neanche dagli ormoni che, circolando nel sangue, vanno dappertutto, e quindi o li aprono tutti, o li chiudono tutti. Deve essere un sistema discrezionale, flessibile e modulare. Questo controllo fu intuito una quarantina di anni fa da un fisiologo americano di origine tedesca, PawelSwietach. [ATTENZIONE: NON SI CAPISCE UNA CIPPA DA COME LO PRONUNCIA PERCIAVALLE, HO CERCATO SU INTERNET PER UNA VENTINA DI MINUTI E QUESTO FISIOLOGO SEMBRA ESSERE L'UNICO CHE CALZI CON LA DESCRIZIONE DEL LAVORO DI CUI SOTTO: MA NON NE SONO SICURO AL 100% QUINDI NON PRENDETELO PER CERTO. L'HO MESSO SOLO PER AMORE DI COMPLETEZZA. - IL BLANDO] Fino ad ora avete studiato che l‟arteriola si dirama in un diverso numero di capillari, che poi si riuniscono a formare la vena. In questo modello, se il sangue arriva va dappertutto. Evidentemente non può essere così, perché altrimenti si muore. Allora, la prima cosa che osservò fu che la quantità di capillari aperti in un tessuto dipende dal lavoro svolto. Se il tessuto è a riposo, solo il 5% dei suoi capillari sarà aperto, perché il fabbisogno nutrizionale di un tessuto a riposo è minimo. Mano mano che il tessuto compie un lavoro (es: un muscolo), i capillari si apriranno aumentando la quantitàdi ossigeno e nutrienti per un aumento del fabbisogno. Evidentemente, il meccanismo di regolazione deve essere su base metabolica. Quali sono i segnali metabolici di un tessuto? Sono i soliti 4, associati alla curva di dissociazione dell‟emoglobina, cioè: Ipossia: carenza di ossigeno:; Ipercapnia: maggiore quantità di anidride carbonica; Acidosi metabolica: abbassamento del pH, perché l‟anidride viene convertita in acido carbonico; Aumento della temperatura locale, con produzione di calore. Secondo tale logica, tutte le volte che si hanno ipossia, ipercapnia, acidosi e ipertermia locale, i capillari si aprono, finché l‟ossigeno risale, la CO2 riscende, il pH torna alla normalità e la temperatura si abbassa. Come fanno i capillari ad aprirsi e chiudersi? La prima scoperta di questo studioso fu che i capillari, all‟inizio, possiedono un manicotto di cellule mioepiteliali, che funziona da sfintere. A riposo, nel 95% dei capillari di quel tessuto lo sfintere è chiuso, e quindi il sangue che arriva passa per il 5% dei vasi aperti, necessari per fare sopravvivere il tessuto. Quando nel tessuto si verificano ipossia, ipercapnia, acidosi e ipertermia locale (gli stessi segnali che, non a caso, facilitano il rilascio di ossigeno da parte dell‟emoglobina), lo sfintere si rilascia, e permette la perfusione del capillare. È un tipo di controllo locale, sulla base delle esigenze metaboliche locali. Il problema che ne segue è abbastanza intuitivo: quando si corre, ad esempio, la quantità di muscoli coinvolti è elevata, e la quantità di capillari che si aprono aumenta, fino a raggiungere valori importanti. Aprendo i capillari, la resistenza diminuisce per aumento del raggio, e quindi si abbassa la pressione. Quando la quantità di capillari aperti è piccola, la pressione arteriosa centrale non ne risente, ma appena questa quantità aumenta (es: l‟atleta che corre, usando una grossa percentuale di muscoli corporei) fa abbassare la pressione arteriosa centrale. 136
Fino a quel momento, il sistema nervoso centrale non era intervenuto nel processo (perché il controllo dei capillari, come già detto, è affidato alla periferia, non al sistema nervoso). Quando comincia ad essere intaccato il valore della pressione arteriosa centrale, deve intervenire il sistema nervoso centrale, e come può avvenire questo intervento? L‟unica cosa che può fare il sistema nervoso centrale è ordinare una vasocostrizione in tutti quei tessuti che, in quel momento, non sono indispensabile, in maniera tale da ridurre il flusso dove non serve, risparmiando ovviamente il tessuto muscolare (quello coinvolto nell‟attività). Qual è quello che non serve? Al primo posto c‟è l‟apparato digerente, che può digerire in un altro momento, e quindi tutto il tratto vascolare che va ad irrorare l‟apparato dall‟inizio alla fine viene portato in vasocostrizione, riducendo al minimo il flusso di sangue in questo tessuto (in modo tale da non far disperdere il sangue su un letto vascolare maggiore). Al secondo posto troviamo la pelle. Una persona ha circa 2 m2 di pelle, e quindi la quantità di sangue che si disperde in questo tessuto è notevole. Se si riduce l‟afflusso di sangue a livello superficiale, si riesce a guadagnare del sangue in più. Due tessuti che non possono essere alterati in relazione al loro apporto di sangue sono il cuore e il cervello, mentre su tutto il resto si può intervenire cercando di risparmiare flusso. Il sistema nervoso centrale, quindi, interviene solo da “ridistributore” di sangue quando la quantità di modificazione periferica intacca il livello della pressione arteriosa, rilevata dai soliti sensori che intervengono quando la periferia risulta molto attiva. Una cosa da evitare assolutamente è praticare attività fisica durante la digestione, in condizioni di termoregolazione (es: bagno a mare). Aprendo tutto il circolo capillare contemporaneamente si arriva ad un collasso. Non esistono solo gli sfinteri capillari. Per esempio, in molti tessuti esistono dei vasi che vanno direttamente dall‟arteriola alla venula, saltando il circolo capillare. Questi vasi si chiamano metaarteriole e sono aperte quando il tessuto è a riposo (che sarebbe irrorato inutilmente). Quando il tessuto entra in attività, si aprono i capillari, ma si chiudono le meta-arteriole, e quindi si obbliga il sangue ad attraversare il tessuto e a nutrirlo, lasciando la maggiore quantità di nutrienti e di ossigeno. Esistono, poi, altri segnali metabolici che entrano in funzione. Il più importante fra questi segnali è collegato al processo metabolico che converte 2 ADP in ATP e AMP. Che fine fa questo AMP? Nella maggior parte dei tessuti, l‟AMP perde anche l‟ultimo fosfato, diventando adenosina, un induttore del ciclo della citrullina, che porta alla formazione di NO, monossido di azoto. NO è il più potente vasodilatatore locale. Quindi, in condizioni di aumentata attività, aumenta il consumo di ATP, insieme alla produzione di adenosina ed NO, che essendo vasodilatatore contribuisce ad aumentare la perfusione di questo tessuto in attività. Ricapitolando: il meccanismo è estremamente intelligente: i tessuti autogestiscono il proprio flusso, sulla base delle proprie esigenze metaboliche. Se le esigenze metaboliche sono minime, è minimo anche il flusso: i capillari sono chiusi, la meta-arteriola è aperta, saltando buona parte della perfusione e lasciando il minimo necessario per il metabolismo basale del tessuto. Quando il tessuto entra in attività, la quantità di sangue che lo attraversa cresce proporzionalmente all‟impegno metabolico, e il segnale che ciò sta avvenendo è dato da ipossia, ipercapnia, acidosi e ipertermia. Se tutto ciò avviene in un tessuto abbastanza limitato, la pressione centrale non ne risente, e il sistema nervoso lascia che tutto avvenga senza intervenire. Quando la periferia inizia ad avere un‟eccessiva apertura contemporanea di capillari, ne risente la pressione centrale, facendo aumentare il rischio di una mancata perfusione cerebrale.
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In questo caso, scattano dei meccanismi che intervengono fondamentalmente togliendo sangue dove non serve, secondo una “graduatoria di tessuti inutili” in questa situazione, dove si collocano apparato digerente, cute (fino a quando non si entra in interferenza con la termoregolazione). Si arriva a togliere sangue ad altri distretti, come la milza (che va in costrizione, causando dolore al fianco sinistro) e il fegato. In condizioni gravi, si arriva a togliere sangue al rene, nel tentativo di mantenere la pressione più alta possibile. Quando tutto è finito, i capillari muscolari si richiudono e si riaprono quelli degli altri tessuti, secondo un meccanismo di compensazione. Quando questo meccanismo non funziona, si crea una sproporzione fra letto vascolare e massa circolante e si arriva allo shock. La causa dello shock può essere dovuta alla massa circolante (es: emorragia) e ad altri fattori, ma gli effetti saranno comunque crollo della pressione, ipossia cerebrale, coma e morte. Fate molta attenzione: il fattore tempo è molto importante. Anche riuscendo ad arrestare uno shock in 15 minuti, il cervello è rimasto in ipossia per troppo tempo, causando danni irreparabili. Bisogna tenere sempre in considerazione l‟organo più debole del sistema il tessuto nervoso, che sopporta meno le ipossie. Il cuore può stare anche 20 minuti senza ossigeno, ma il cervello no. Questo è uno dei motivi per cui, per esempio, sta diventando obbligatorio in molti luoghi pubblici mettere a disposizione un defibrillatore. In caso di arresto cardiaco, entro pochi minuti si può rimettere in moto il cuore.
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LEZIONE 16 Vorrei finire la circolazione. Riprendiamo il discorso della volta scorsa sulla microcircolazione. Il sangue lo abbiamo fatto uscire dal cuore, gli abbiamo fatto percorrere le arterie, lo abbiamo distribuito alla rete capillare (si allontana dal microfono e non si sente bene). Abbiamo introdotto un concetto importante: nessuno può vivere con tutti i capillari perfusi. Non è possibile che la massa che noi possediamo di 5-6 litri di sangue possa distribuirsi in un enorme letto capillare come quello che noi possediamo crollerebbe la pressione e shock, e la passa pressione non consentirebbe la perfusione cerebrale, ipossia cerebrale, coma più o meno prolungato e morte. Cosa c‟è dopo la rete capillare? I vasi iniziano a confluire in vasi via via più grandi che hanno il compito di riportare il sangue al cuore. I vasi, che hanno una direzione del flusso centripeta, quindi dalla periferia verso il centro si chiamano VENE. Quando prendo la vostra collega e la uccido e vado a vedere nel cadavere cosa c‟è di diverso fra arterie e vene si osserva una cosa interessante, le vene sono stracolme di sangue nel cadavere, le arterie praticamente sono vuote. Il sangue in un certo istante è per il 20% all‟interno di arterie, per il non più del 5% nei capillari e per il 75% è allocato in vene che sono la riserva di sangue dell‟organismo.I 3/4di tutto il sangue che possediamo in un certo istante si trova all‟interno di vene soprattutto della grande circolazione e in piccola parte vene della piccola circolazione. Le vene hanno il compito di riportare il sangue fuori e affinchè ci sia il flusso ci vuole un gradiente di pressione ∆P .Le vene cominciano dove finiscono i capillari. Quindi la pressione che c‟è all‟inizio dell‟albero venoso è la pressione che c‟è all‟uscita di 12 mmHg. Le vene vanno a finire nell‟atrio destro dove c‟è una pressione poco più di zero, uno. Quindi il gradiente di pressione che spinge questa colonna di sangue dal tessuto periferico al cuore ha un gradiente di pressione di 10 mmHg.Ricordo che per andare dal cuore ai capillari è partita con una pressione media di 90-95 nell‟aorta e quando arriva ad entrare nei capillari siamo a 40-45, quindi ci sono voluti 50 mmHg ed ha una decina di mmHg scarsi per tornare al cuore. Tecnicamente parlando, questo gradiente si chiama VIS a TERGO ,cioè una forza che spinge da dietro la colonna liquida ed è di 10 mmHg. Questa forza non è sufficiente, cioè: se il sangue dovesse tornare al cuore solo grazie a questa forza non ce la farebbe. Ci sono dunque altre forze. Queste due forze sono rappresentate da due forze principali: VIS A FRONTE non è una forza che spinge da dietro ma è una forza che “suca”dal davanti la colonna liquida, quindi è una forza aspirante. Attenzione nel ciclo cardiaco non c‟è un momento in cui in una delle camere cardiache la pressione diventa inferiore a zero, quindi la VIS a FRONTE non è dovuta al ciclo meccanico del cuore ma è il cuore che contribuisce a creare questa VIS A FRONTE. Questa forza che aspira la colonna liquida di sangue da cosa è rappresentata? Se io prendo la vostra collega e controllo la giugulare che è abbastanza visibile se vi dico di inspirare profondamente la giugulare non si vede, ma se vi dico di fare una lunga espirazione la giugulare tende a gonfiare e più dura la espirazione più la giugulare gonfia. Cosa vuol dire che la giugulare si gonfia?Che il sangue non riesce ad arrivare alla cava. Appena finisce la espirazione la giugulare si svuota. ERGO la VIS a FRONTE è rappresentata dal ciclo respiratorio. Durante la inspirazione la colonna di sangue che torna al cuore viene facilitata ,quindi il flusso aumenta; durante le espirazioni il flusso che torna al cuore viene fortemente rallentato fino 139
a bloccarsi (se la espirazione è forzata). Cosa c‟entra la respirazione con il ritorno venoso?Io vi ricordo che le vene cave e il cuore si trovano nel mediastino. Nel mediastino c‟è all‟esterno sia della cava superiore che della cava inferiore. Quindi questa vena ha una pressione interna del sangue e una pressione interna intramediastinica (e poi vedremo che è uguale a quella che c‟è nel cavo pelvico). Cosa succede? Quando inspiro diminuisce la pressione esterna che si esercita contro la vena quindi la pressione esterna inferiore determina la dilatazione della vena. Quindi ho una dilatazione venosa dovuta ad un abbassamento della pressione esterna intramediastinica che determina una minore resistenza e quindi un migliore flusso. Viceversa durante la espirazione il volume si riduce, la pressione aumenta, la vena viene schiacciata, il flusso si riduce.
Il riflesso di Benbridge è un riflesso collegato al ritorno venoso. Tutte le volte che c‟è il ritorno venoso le vene si dilatano ci sono dei recettori che producono tachicardia. La frequenza cardiaca cambia con il ciclo respiratorio, in inspirazione aumenta e durante l‟espirazione c‟è un momento di bradicardia: si chiama aritmia respiratoria. Siccome cambia il ritorno venoso, il riflesso viene attivato: durante la inspirazione arriva più sangue quindi si ha tachicardia e viene ridotto durante la espirazione, arriva meno sangue. Variando il ritorno venoso varia l‟estensione delle vene cave, vengono stimolati i meccanocettori e compare tachicardia. Riducendo il ritorno venoso , meno estensione, la frequenza cardiaca si riduce. In conclusione la seconda forza la cosiddetta VIS a FRONTE è rappresentata da un fenomeno di modificazione della pressione intramediasinica e si verifica tutte le volte che c‟è un ciclo respiratorio. Un aumento della pressione in espirazione e una riduzione della pressione intramediastinica in inspirazione. Questo si traduce in una maggiore o minore compressione della vena. In inspirazione aumenta, in espirazione il ritorno venoso si riduce fino a bloccarsi, basta fare una espiazione prolungata Se si fa una espirazione prolungata si blocca completamente la giugulare. Appena finite e inspirate vedete lo svuotamento della colonna di sangue che si è raccolto nella giugulare. Esiste una terza forza VIS a LATERE forza che agisce lungo tutto l‟albero venoso ed è rappresentato da 2 fenomeni che causano la VIS a LATERE. Il meno importante e piace ai chirurghi vascolari. Da cosa è rappresentata questa forza che agisce lateralmente? Vi dicevo la meno importante in molte zone del corpo le arterie e le vene decorrono vicine. Nella carotide si verifica durante il battito cardiaco un‟onda sfigmica e quindi ritmicamente la carotide viene dilatata (ma vale per tutte le altre arterie). Quando l‟arteria si dilata comprime la vena a fianco e quindi il ritmico dilatarsi con l‟arteria si traduce in un ritmico contrarsi della vena e questo ritmico contrarsi della vena negli arti inferiori aiuta il ritorno venoso. Perchè negli arti inferiori? Perchè gli arti inferiori hanno vene con valvole a nido di rondine, allora se c‟è una valvola il sangue indietro non può tornare. Se schiaccio una vena a questo punto il sangue può andare in una sola direzione centripeta. Quindi nel territorio della cava inferiore la presenza di questa ritmica pulsazione determina un ritmico schiacciamento di tutte le vene che stanno a contatto, determinando un continuo piccolo massaggio che spinge se le valvole funzionano il sangue verso il cuore. Questa non è la più importante! Quello che conta di più è un‟altra cosa. In anatomia avete studiato che la gran parte delle vene degli arti inferiori decorrono fra i muscoli quindi quando i muscoli si contraggono le vene vengono schiacciate e soprattutto quando la contrazione muscolare è di tipo isotonico cioè con accorciamenti dell‟allungamento del muscolo. Questo ritmico allungarsi e accorciarsi del muscolo schiaccia ritmicamente le vene, la vena schiacciata avendo le valvole il 140
sangue non può tornare indietro e ogni volta si viene a determinare una spinta in avanti e quindi la ritmica contrazione isotonica ( ovviamente una contrazione isometrica non serve perchè non determina schiacciamento) favorisce il ritorno venoso e rappresenta la vera vis a latere. Fisiologicamente sono importanti tutti e tre: vis a fronte, vis a tergo, vis latere. Se ne togliamo anche una sola delle tre il ritorno venoso peggiora fino a diventare incompatibile con la vita. Quindi il soldato sull‟attenti non può stare più di 7 minuti perchè immobile sull‟attenti per 7 minuti non ha vis a latere e inesorabilmente collasserà perchè diminuendo il ritorno venoso inesorabilmente diminuisce la perfusione cerebrale e prima o dopo “ casca „N terra”. La vis a latere è uno dei contributi essenziali. Quando sono immobile ,sull‟attenti, la pulsazione c‟è lo stesso ma non è sufficiente. Questo discorso vale solo per il territorio della vena cava inferiore. Nella cava superiore c‟è il fattore gravitazionale a livello venoso che rappresenta un problema e che cercheremo di vedere e di analizzare. Come si fa a sapere se le valvole funzionano? Per esempio le valvole della safena? Ovviamente oggi si può fare una ecografia della valvola. Il vecchio metodo è la manovra di Trenterburg ed è abbastanza efficiente. Se mettete due dita e schiacciate le vene in corrispondenza della lacuna vaso rum blocchiamo il ritorno venoso. Se blocchiamo il ritorno venoso ci sono 2 possibilità: o le valvole funzionano o le valvole non funzionano. Se la valvola funziona ve ne accorgete subito perchè piano piano la vena comincia a gonfiare perchè il sangue continua ad arrivare indietro non può tornare e le vene si gonfiano. Se le valvole non funzionano ve ne accorgete, nonostante abbiamo chiuso il vaso, la vena non si gonfia , la colonna trova le valvole che non funzionano il sangue se ne torna. Questo è un meccanismo importante coinvolto nella creazione della varice. (adesso inizia il discorso su sesso e genere). Ricapitoliamo: VIA A LATERE, VIS A FRONTE, VIS A TERGO, tutte e tre indispensabili. Si devono sommare per garantire il ritorno venoso. Quindi se la vostra collega ha un abbassamento di pressione per migliorarne il livello pressorio deve respirare profondamente migliorèrà il ritorno venoso, la gettata cardiaca e la pressione arteriosa e quindi la perfusione cerebrale. Una persona collassa a terra ed una manovra da fare è prendere le gambe e schiacciarle sull‟addome. Che influenza ha la pressione di gravità sul ritorno venoso? In termini di flusso non conta nulla la forza di gravità. Se sono in piedi e prendo questa altezza da terra per esempio 1 metro, la forza di gravità agisce sia su arterie che su vene aumenta in entrambe cioè non cambia la ∆P, essendo un circuito chiuso. La gravità se aumento il peso della colonna la parete tende ad essere dilatata. Cosa succede nelle vene situate sotto il cuore? Alla pressione costante del sangue bisogna aggiungere un tot di mmHg rappresentati dal peso della colonna liquida. Le vene sotto cardiache avranno pochi mm in più, le vene più in basso avranno una pressione di gran lunga più alta quindi verranno a subire una forza distensiva nettamente maggiore. Nelle vene situate sopra il cuore la pressione del sangue è bassissima intorno ai 5- 6 mmHg.Se vado però a vedere le vene della scatola cranica della vostra collega che è 40 cm sono più in alto del cuore, la colonna liquida esercita una pressione negativa di 9-10 mmHg (si sottrae sopra il cuore e si somma sotto il cuore). Quindi c‟è una pressione di 5 però si devono sottrarre 10 mmHg il risultato è che avrebbe una pressione negativa cioè la vena collasserebbe. Ecco perchè i seni venosi cerebrali sono incollato alla struttura per evitare il collasso dovuto alla bassa pressione in posizione ortostatica. Se non venissero incollati i vasi venosi alla parete ogni qual volta passiamo dalla posizione clinostatica alla posizione ortostatica le vene collasserebbero perchè la pressione che c‟è all‟interno crollerebbe, la forza distensiva non ci sarebbe più. L‟unico modo per salvaguardare il ritorno venoso al cervello incollare 141
i seni venosi. Quindi la forza di gravità non assume un valore interno di flusso perchè la forza di gravità si somma alle vene e alle arterie. Se la vostra collega si alza in piedi le vene situate in basso verranno stese. È importante la distensione che la vena subisce dovuta alla colonna di liquido. La distensione delle vene potrebbe essere sufficiente a rendere incontinente la valvola. Se la valvola diventa incontinente il pezzettino di colonna sotto la valvola crolla e dilata ulteriormente il pezzo di sotto facendo cedere un‟altra valvola venosa. Questo meccanismo patogenetico è alla base della creazione delle varici. Ciò che bisogna evitare a chi ha predisposizione alle varici è la posizione eretta immobile. A lungo andare le vene degli arti inferiori subiranno una forza trasversale che tende a dilatarle. Se la vena ha una parete più debole del normale il soggetto si troverà ad avere varici a 20-30 anni. E che ci fate?La prima cosa da fare se il soggetto deve essere messo nelle condizioni di non andare incontro a questo tipo di problema, quindi si riduca la posizione eretta e soprattutto meglio 10 Km in piano che non salire le scale che stressa le vene. La tecnica più usata anche se contestata è quella di creare una forza esterna che comprima la parete le famose calze elastiche. Se il soggetto si mette in piedi la forza esterna non può essere uguale in tutta la lunghezza della gamba ma le vene più stressate sono in basso e quelle meno stressate sono in alto. Quindi la calza deve avere una compressione decrescente dal basso verso l‟alto per creare una forza uguale e contraria a quella creata dalla colonna liquida, quindi deve essere personalizzata. Ricapitoliamo: le vene hanno alcune caratteristiche che le rendono particolari: 1. Pareti esili, 4-5 volte più sottili di quelle di una arteria. In una arteria se il lume è di 2 mm il lume è di 1 mm e il resto è tutta parete.Una vena di 2 mm il lume è di 1,60-1,70 e il resto è parete. Questa sottile parete rende più distendibile la parete. La capacità di resistere agli aumenti di pressione sulle vene è inesistente. Domanda: una vena di 2 mm cede ad una pressione interna di 15-20 mmHg, eppure ha una parete formata da fibre collagene elastiche e muscolare. Mentre il capillare diametro di 8 micron la cui parete è formata da cellula endoteliale, però resite a pressioni di 60-80 mmHg. Perchè una parete venosa di cui è più spessa cede a 20 mmHg e la parete del capillare cede a pressioni di 60-70 mmHg?Legge di La Place che dice che la pressione è uguale alla tensione sviluppata dalla parete fratto il raggio. Per resistere a 70 mmHg di pressione che tensione ci vuole? Dipende dal raggio perchè più piccolo è il raggio minore è la tensione necessaria per resistere alla pressione. Un vaso di 2000 micron di diametro avrà bisogno di una tensione enormemente superiore a quella di 7-8 micron di diametro, quindi è ovvio che questo riesce a resistere ed è ovvio anche che più la vena è grande più ci vorrebbero tensioni per resistere a pressioni che al di là di 10-15 mmHg alla fine non si riescono ad ottenere. Quindi la vena è svantaggiata dalla legge di La Place avendo un grande diametro ha bisogno di una grande tensione per poter resistere a tensioni di pochi mmHg. Il capillare questo problema non ce l‟ha. È talmente piccolo che basta una piccolissima tensione per resistere a ...( lascia in sospeso le parole). È quello che capita quando si prova a gonfiare un palloncino. La fatica maggiore la fate all‟inizio. Quindi concetto numero uni:pareti poco resistenti, concetto numero due accolgono un‟enorme quantità di sangue. I ¾ di tutto il sangue dell‟organismo si trova nelle vene, concetto numero tre: le forze ce spingono il movimento del sangue verso il cuore non è la sola VIS a TERGO ma anche la VIS a LATERE e la VIS A FRONTE.
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Le vene di medio e piccolo diametro tra 100 e 500 micron di diametro hanno nella loro parete cellule muscolari lisce come le arteriole. A cosa serve il muscolo liscio situato nella parete delle vene? Come viene gestito? Da chi viene gestita la muscolatura liscia?La muscolatura liscia è innervata dall‟ortosimpatico e l‟ortosimpatico non è solo vasocostrittore a livello arterioso ma anche a livello venoso, in generale. Ricordate i corpi cavernosi dove quando si dilatano le arterie si chiudono le vene e viceversa. Di solito arterie e vene vanno in cocontrazione. Se si contraggono le arterie si contraggono anche le vene. Se si rilasciano le vene anche le arteriole si rilasciano. A che scopo?Qual è lo scopo della venocostrizione? L‟arteriocostrizione ha come scopo principale quello di fare variare la pressoine arteriosa perchè cambia la resistenza e quindi la pressione arteriosa. Ogni volta che stringo l‟arteria aumenta la resistenza e aumenta la pressione. A livello venoso non è tanto la pressione che mi interessa ma mi interessa il fatto che la maggior parte del sangue è nelle vene che sono serbatoi di sangue. La contrazione della muscolatura venosa ha come scopo quello di spostare il sangue dalle vene verso il cuore e quindi aumentare la disponibilità del sangue nei processi di natura metabolica. Se la collega inizia a correre, si aprono i capillari quindi le arterie avrebbero un abbassamento di pressione allora scatta una vasocostrizione ma anche una venocostrizione. Il sangue viene spostato verso il territorio dove serve quindi è diventato serbatoio di sangue da mobilitare nei momenti di bisogno. Esistono due territori che sono la milza e il fegato che hanno una venocostrizione molto importante, associata alla componente connettivale, la milza e il fegato. Se la collega inizia a correre la milza inizia a contrarsi. Il volume tolto da un deposito per essere mobilizzato ai fini degli scambi respiratori. Nel fegato non c‟è solo contrazione venosa ma si contrae tutta la glissoniana, un po‟ di sangue viene mobilizzato. Ve ne accorgete della splenocostrizione cioè contrazione della milza perchè quando fate uno sforzo fisico si manifesta un dolore al fianco sinistro sottosforzo. In qualche persona fa male il fianco destro perchè ha l‟epatocostrizione cioè contrazione della glissoniana che schiacciando a livello epatico mobilita un certo volume di sangue. Ultimo concetto: Voglio parlarvi di tre distretti particolari.:uno è raprresentato dalle coronarie.Le coronarie sono un circuito, derivazione dei vasa vasorum che sono diventate arterie che4 servono a nutrire il parenchima cardiaco. Il cuore pesa 300 grammi e a riposo al minimo delle attività 70 battiti al minuto, riceve 300 mg di sangue al minuto. Quindi ogni 100 grammi di tessuto cardiaco ricevono 100 ml di sangue. Calcolando che a riposo tutta la gittata cardiaca è 5 ml al minuto. Il fatto che di questi 5 ml, 0,3 siano destinati alla macchina cuore dà l‟idea dell‟importanza di questa perfusione. 100 ml/min per 100 grammi di tessuto, a riposo. C‟è anche un‟altra caratteristica, il cuore, se prendo la circolazione coronarica della vostra collega faccio un prelievo di sangue dall‟arteria e un prelievo di sangue dalla vena prima che sia andato al tessuto e dopo che sia andato al tessuto vedo che nella vena coronarica ossigeno non c‟è ne più cioè il cuore estrae dal sangue che entra il 100% dell‟ossigeno cioè riesce a sfruttare fino all‟ultima molecola di O2 che attraversa si chiama massima differenza artero-venoso di O2. Quando la vostra collega comincia un‟attività fisica l‟attività del cuore aumenta e se aumenta l‟attività del cuore aumenta anche il rifornimento di ossigeno che il cuore deve ricevere. Sotto sforzo massimale il flusso coronarico passa da 100 ml/min a 300 ml/min con estrazione di O2 totale e con le vene coronariche non esce neanche una molecola di O2. Il cervello al max della sua attività consuma 50 ml/a00gr di tessuto. Il cuore a riposo riceve il doppio di sangue del cervello e sottosforzo ne riceve 6 volte. Quindi un enorme consumatore di O2. 143
Come è fatta la circolazione coronarica? Dall‟arteria coronarica di destra e di sinistra. Queste due non hanno uguale diametro, l‟arteria di destra è più grossa di quella di sinistra mentre io cuore di sinistra è più grosso del cuore di destra il che significa che l‟arteria coronarica di sinistra non è da sola in grado di irrorare tutto il cuore sinistro ma una parte del cuore sinistro viene irrorato dalla coronaria di destra. Quindi l‟arteria di sinistra irrora la parte superiore, laterale del ventricolo sinistro. Il settoche separa il ventricolo sinistro dal ventricolo destro sono irrorate da rami coronarici di destra. Questo spiega un fenomeno clinico. Io posso avere un infarto al ventricolo sinistro perchè si è occluso un ramo coronarico di destra (infarto settale o posteriore). Queste arterie si biforcano fanno rami via via decrescenti e la parte interessante è che le arterie coronarie arrivano sula superficie esterna del cuore fino a d un cero diametro, ad un cero punto quando questo diametro coronarico comincia a decrescere queste arterie ad angolo retto vanno da epicardio verso endocardio si approfondano nello spessore della muscolatura cardiaca e lasceranno rami che serviranno a nutrire le cellule cardiache. Si vengono a creare capillari epicardici, endocardici sub endocardici. I capillari formeranno le venule che percorrono da endocardio a epicardio. Si riuniranno a formare i grossi vasi coronarici che si trovano sulla superficie esterna del cuore. Con una piccola eccezione, c‟è una piccola quantità di venule 3-4% che invece di riunirsi a formare vene più grandi per formare vene coronariche, una piccola % sbocca nelle camere cardiache. Se voi tagliate il cuore e guardare il ventricolo dall‟interno o atrio vedrete sulla superficie interna tanti forellini microscopici che sono lo sbocco di queste venule che vanno direttamente a sboccare si chiamano venule del Tebesio. Qual è l‟aspetto interessante della circolazione coronarica? I vasi penetrano tra cellule e cellule dall‟epicardio verso endocardio. Cosa succede durante la sistole? Il flusso coronarico non è costante perchè i vasi vengono compressi e quindi osserveremo un fenomeno interessante misurando il flusso coronariche è max in diastole e si azzera in sistole isovolumetrica. Durante la sistole isotonica a destra un po‟ migliora (penso che dica questo) e a sinistra continua a fare schifo. Questo significa che la nutrizione del cuore avviene solo in diastole perchè durante la sistole il movimento del sangue è bloccato dal fatto che i vasi vengono schiacciati dalla contrazione della muscolatura che li circonda. Se la nutrizione avviene in diastole, quando la frequenza cardiaca aumenta a 120 battiti al minuto il numero maggiore di sistole avviene a spese della diastole che dura di meno. Allora io dico al cuore di lavorare di più ma lo nutro di meno. L‟unica possibilità è che durante la diastole che è vero che dura di meno ci sia una tale vasodilatazione che la quantità di sangue che penetra sia 3 volte superiore i famosi 300 ml/min. Deve esistere un meccanismo che fa scattare una potentissima coronarodilatazione in modo da triplicare sottosforzo il flusso di sangue all‟interno delle vene. In generale i tessuti soffrono di più un eccesso di CO2 piuttosto che un momentaneo ridursi della O2 tranne il cuore che è sensibile alla pressione parziale di O2. Per il cuore è importante non avere una carenza di ossigeno. In un muscolo striato se c‟è carena di O2 il muscolo attiva la glicolisi anaerobica si forma acido lattico e per 1 minuto tutto lavora poi insorge fatica e il muscolo si ferma. A livello cardiaco non ci può essere mai un momento in cui si viene a formare acido lattico. Non bisogna permettere che si crei un debito di ossigeno. La vasodilatazione deve essere immediata Tutto ciò dipende dal meccanismo miocinasico. Prendo due ADP, un ADP trasferisce il gruppo fosforico all‟altro e diventa un AMP e un ATP. Si forma NO che è un vasodilatatore. Se facciamo una coronografia alla collega e vedete il 144
letto coronarico, poi facciamo respirare aria povera di ossigeno e vedete che via via si vede la rete vascolare perfusa che al decrescere la con di O2 corrisponde un aumento nel letto capillare. Le arteriole delle coronarie sono innervate da ortosimpatico che è un vasocostrittore. In teoria se stimolo l‟ortosimpatico c‟è coronarocostrizione. In realtà non ottengo effetto solo sui vasi ma anche sul pacemaker, quindi aumenta l‟ipossia si libera NO.L‟effetto vasocostrittore viene mascherato ampiamente dall‟effetto NO che induce vasodilatazione. Alla fine vi è un effetto paradosso. Cosa succede se arriva meno ossigeno di quello necessario? Si viene a determinare a livello cardiaco una condizione ipossica che si manifesta con attivazione dei recettori del dolore. Si manifesta angina pectoris che è l‟espressione di una insufficiente quantità di O2 che arriva al cuore. Cio si verifica nei soggetti ipertiroidei che finiscono dal cardiologo per la cosiddetta ANGINA da discrepanza in cui si verifica una discrepanza tra ossigeno richiesto e ossigeno che i sistema riesce a fornire. Tutte le volte che c‟è una ridotta perfusione coronarica l‟intervento consiste nel fare produrre NO.Si usano i precursori che sono i nitriti e nitrati. La fortissima correlazione tra flusso coronarico e ciclo meccanico del cuore, il flusso coronarico è solo in diastole in sistole si arresta .Il 90 % del sangue arriva al ventricolo sinistro durante la diastole ergo tute le volte che aumenta la frequenza e si riduce la diastole il ventricolo dovrebbe andare in crisi perchè c‟è meno tempo per nutrirsi.
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Lezione 17 La circolazione cerebrale La circolazione cerebrale è una circolazione importante per le sue peculiarità emodinamiche. La prima cosa di cui bisogna tenere conto è un vecchio concetto che fu sviluppato un secolo fa da Monroe e da Kellie (da cui prende il nome di dottrina di Monroe-Kellie) e che parte da una banale osservazione. La scatola cranica è rigida; al suo interno contiene fondamentalmente tre compartimenti : -
un compartimento rappresentato dalle cellule, dal tessuto nervoso (le cellule del tessuto nervoso sono fatte da acqua) un compartimento rappresentato da quello che si chiama liquido cefalorachidiano (che è acqua) un compartimento rappresentato dal sangue che si trova in un certo istante a perfondere i vasi cerebrali (fatto da acqua)
Quindi abbiamo una scatola rigida che contiene liquidi che non si possono né comprimere né espandere. Qual è la conseguenza? Se uno dei tre compartimenti aumenta, è a spese di uno degli altri due (tranne nel bambino, prima della saldatura delle suture); la testa non può aumentare di volume, e quindi, se c‟è un edema cerebrale e il cervello gonfia, deve avvenire a spese del volume occupato dagli altri due spazi. Se c‟è un‟emorragia interna e quindi il volume del sangue aumenta, è chiaro che avviene a spese del volume degli altri due. Il concetto di dottrina di Monroe-Kellie è una componente fondamentale per i neurochirurghi, poiché spiega la sindrome da massa intracranica che è uno dei grandi momenti clinici diagnostici. Il secondo concetto, che deriva da questo, è che questi tre compartimenti liquidi non comunicano fra loro liberamente, ma gli scambi sono limitati. Il concetto che si usa in questi casi è quello di “barriera”. Fra sangue e tessuto nervoso le sostanze non possono muoversi liberamente per la presenza della barriera emato-encefalica, e anche tra liquor e tessuto nervoso avviene lo stesso per la presenza di una seconda barriera detta liquor-encefalica. Infine una terza barriera si trova tra il liquor e il sangue e prende il nome di barriera emato-liquorale. Queste tre barriere limitano il movimento di molte sostanze; basti pensare che a livello di barriera emato-encefalica gli amminoacidi la attraversano senza difficoltà mentre le ammine non passano. Ad esempio, nella malattia di Parkinson, dove manca la dopamina che è un‟ammina, non può essere data dopammina ma bisogna dare il precursore amminoacidico (diossifenilalanina), che essendo un amminoacido entra, viene decarbossilato, diventa un‟ammina e può svolgere la funzione. Tutte e tre queste barriere determinano la possibilità o meno di fare arrivare molecole al cervello. Studiando la farmacologia del sistema nervoso, è questo il vincolo principale: il farmaco arriva al cervello? Per esempio ci sono farmaci che non superano la barriera emato-encefalica ma superano quella emato-liquorale e dunque il farmaco può essere iniettato nel liquor, come il baclofene, farmaco impiegato nella spasticità e che va iniettato nel liquido cefalorachidiano da cui diffonde e 146
facilmente penetra nel tessuto nervoso; ma per accedere al liquor non vanno fatte comunque operazioni facili. Il concetto da cui bisogna partire è che la scatola è inespansibile, i liquidi sono incomprimibili, perciò se dentro la testa uno di questi tre volumi aumenta è a spese almeno di uno degli altri due. Solo nel bambino prima della saldatura delle suture si può avere un aumento di volume della testa. Questo fenomeno può essere molto pericoloso se avviene prima del parto poiché, aumentando il volume della testa, il bambino non passa più dal canale del parto. La circolazione cerebrale è formata da sangue che arriva all‟encefalo e al midollo spinale (che messi assieme sono appena un chilo e mezzo, di cui in particolare il midollo 50 grammi, l‟encefalo i restanti 1450 grammi); il problema non è tanto far arrivare il sangue al midollo spinale dato che sono presenti le arterie vertebrali e quindi non ci sono problemi. Il problema si presenta per la scatola cranica, dove all‟interno devono arrivare all‟incirca 50 ml di sangue per 100g di tessuto al minuto. Calcolando su un chilo e mezzo, un uomo deve avere a riposo una perfusione cerebrale di circa 750 ml al minuto. Dei 50 ml al minuto per 100 grammi, il 70% raggiunge la sostanza grigia e circa il 30% raggiunge la sostanza bianca. La sostanza grigia perciò è il vero consumatore di ciò che il sangue porta all‟interno della scatola cranica. La strada che viene utilizzata per fare arrivare il sangue al cervello è formata da due grandi sistemi: un sistema posteriore, costituito dalle ultime due arterie vertebrali che portano sangue al midollo spinale (l‟ultima arteria vertebrale, quella di C1 di destra e quella di C1 di sinistra, ventralmente si uniscono al davanti del gran forame occipitale, penetra all‟interno e forma una grossa arteria, l‟arteria basilare, che scorre lungo il clivus impari e mediana, emettendo rami che irrorano tutto quello che si trova nella fossa cranica posteriore, come ponte, bulbo, apparato vestibolare e soprattutto cervelletto. Quando finisce il clivus l‟arteria basilare del ponte si biforca in avanti formando due arterie che daranno luogo alle arterie cerebrali posteriori; posteriormente abbiamo quindi le due arterie vertebrali che si riuniscono a formare l‟arteria basilare e in avanti l‟arteria basilare di biforca formando le arterie cerebrali posteriori, una a destra e una a sinistra. Attraverso questa circolazione l‟encefalo riceve circa 250 ml di sangue al minuto su un totale di 750. Ciò significa che, di tutto il sangue che entra nella scatola cranica, un terzo, soprattutto quello che va ad irrorare gli organi in fossa cranica posteriore, arriva dalle arterie vertebrali; il resto arriva dalla carotide interna che ha un flusso di mezzo litro di sangue al minuto (2/3 dei 750ml che arrivano all‟encefalo). Essa nasce dalla carotide comune a livello dell‟angolo della mandibola e si biforca in due grandi rami principali entrando nella scatola cranica: arteria cerebrale media e arteria cerebrale anteriore. Quest‟ultima irrorerà principalmente la corteccia cerebrale, tranne la corteccia della zona più posteriore (il lobo occipitale ad esempio è irrorato dalla cerebrale posteriore) e la corteccia temporo-parietale, irrorata principalmente dall‟arteria cerebrale media. L‟arteria cerebrale media irrora quindi poca corteccia, ma tutte le strutture sottocorticali (talamo, capsula interna, ipotalamo, ecc). Esistono poi delle anastomosi tra cerebrale posteriore e cerebrale media che si chiamano comunicanti posteriori (in numero di due), ed un‟altra anastomosi tra cerebrale anteriore di destra e cerebrale anteriore di sinistra che prende il nome di comunicante anteriore (impari e mediana). Questo sistema fu descritto per la prima volta dal grande Willis, ed in suo onore ancora oggi viene chiamato poligono di Willis. Si trova appoggiato sullo sfenoide e rappresenta un grande sistema anastomotico tra circolazione carotidea (con la anteriore e la media) e circolazione vertebrale (con l‟arteria cerebrale posteriore). Ricapitolando l‟arteria cerebrale 147
posteriore irrora fondamentalmente la fossa cranica posteriore e la corteccia occipitale, quindi la corteccia visiva. Un‟ostruzione della cerebrale posteriore dà problemi visivi oltre che problemi cerebellari, vestibolari e delle solite strutture in fossa cranica posteriore. L‟arteria cerebrale anteriore e l‟arteria cerebrale media sono invece rami carotidei e rispettivamente irrorano molta corteccia e poca struttura sottocorticale, poca corteccia e molta struttura sottocorticale. A che servono le anastomosi? In teoria potrebbero rappresentare un sistema per far arrivare sangue se si ostruisce uno di questi vasi: se dovesse ostruirsi la cerebrale media, attraverso il sistema anastomotico si può fare arrivare sangue al territorio ischemico. In realtà non è così; se si ostruissero la carotide interna o la carotide comune, un intero emilato va in ischemia. Oppure, con più frequenza, troviamo casi in cui un embolo, un ictus colpisce uno di questi rami e causa un emiparesi. Contrariamente a quello che si pensa, il poligono di Willis non è in grado di sopperire ad un‟occlusione acuta di uno qualunque dei vasi cerebrali, e il tessuto muore, si ha quello che viene definito ictus, e il tessuto ha una sequela di guai, di complicanze che l‟individuo si porta dietro. Va sottolineato che non è in grado di fare niente se l‟occlusione è ACUTA. Il poligono di Willis è invece molto efficiente se l‟occlusione è LENTA. Può capitare di vedere un‟autopsia di un soggetto morto in un incidente stradale che aveva tutte e due le carotidi interne occluse ma che stava comunque bene. Nonostante avesse entrambe le carotidi interne otturate aveva una perfusione cerebrale normale perché essendo un fenomeno avvenuto lentamente, nei mesi, il sistema anastomotico del poligono era riuscito a compensare e quindi ci troviamo di fronte ad un soggetto apparentemente normale. Lavorando con l‟ecodoppler dei vasi sovraaortici possono scoprirsi delle carotidi quasi completamente ostruite in un soggetto apparentemente sano con performance neurologiche in range normali. Evidentemente essendo legato ad un inspessimento lento della parte interna del vaso (arterosclerosi), questo fenomeno lento ha dato il tempo al sistema di compensare e non ci sono particolari problemi. Quindi: -
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Il poligono di Willis è in grado di compensare in maniera efficiente fenomeni di occlusione lenti, ma non acuti. Il poligono di Willis cambia di persona in persona. Quello appena descritto è il poligono di Willis ideale, riscontrabile in una persona su sette. Quello che è presente più frequentemente di solito è una delle due comunicanti posteriori. Il poligono di Willis rappresenta il posto ideale per la formazione di aneurismi, soprattutto la zona di attacco della comunicante posteriore con la cerebrale media.
L‟aneurisma può essere congenita e la rottura avverrà a 15, 30 anni, a qualsiasi età; nel caso di aneurisma acquisita è raro che avvenga prima dei 50 anni perché si è formata nel tempo. L‟aspetto più importante della circolazione cerebrale è collegato ad un concetto banale: misurando il consumo di ossigeno del cervello di un individuo quando è a riposo e quando è spinto al massimo (come in un esame), esso ha delle variazioni insignificanti e si modifica di non più del 10% in più o in meno quando passa da una condizione di riposo ad una condizione di attività. Il massimo del consumo (parlando ugualmente si cifre poco significative) si raggiunge nel sonno durante la fase rem quando si sogna. In poche parole il cervello è una macchina che ha come velocità minima 90 e come massima 100. 148
Non ci sono quindi situazioni in cui il flusso cerebrale deve aumentare rispetto ad altre situazioni, ma è più o meno da mantenere costante perché non ci sono variazioni di esigenze metaboliche che giustifichino un aumento del consumo. Il requisito principale della circolazione cerebrale è un flusso costante (750ml). Con un grafico in cui va collocato flusso cerebrale e pressione arteriosa media nell‟aorta ((massima+minima )/3), se la pressione media si mantiene tra 60 e 160mmHg il flusso cerebrale non varia. Affinchè si modifichi il flusso cerebrale occorre un violento crollo di pressione al di sotto dei 50mmHg o un violento aumento al di sopra dei 180mmHg. Questo grande meccanismo di regolazione è però legato all‟età, poiché con l‟avanzare l‟efficienza del meccanismo peggiora. Naturalmente questo rappresenta un danno cerebrale, perché ogni variazione di pressione sfocia in una variazione di livelli cerebrali di ossigeno. Come si fa a mantenere costante il flusso cerebrale? Il flusso è il rapporto tra pressione e resistenza (legge di Hagen e Poiseuille), quindi se voglio mantenere costante il flusso, tutte le volte che aumenta il numeratore deve aumentare anche il denominatore e viceversa. Quindi il sistema cerebrale è organizzato in modo che ogni volta che a monte nelle arterie precerebrali esiste un aumento di pressione, a valle nelle arteriole intracerebrali si abbia una vasocostrizione: l‟aumento di pressione stira le cellule muscolari lisce e queste si contraggono; se invece la pressione diminuisce non esiste più lo stiramento e le cellule muscolari lisce si rilasciano. Questo meccanismo miogeno permette di avere un‟autoregolazione e permette al sistema di avere un‟eccellente omeostasi del flusso da 50mmHg a 170-180mmHg. Questo spiega un fenomeno interessante: visitando un paziente che ha avuto un infarto dove il miocardio viene leso in maniera importante e la pressione tende a diminuire, nonostante la pressione sia bassa si osserva un funzionamento cerebrale assolutamente normale, perché fino a quando la pressione media non si riduce notevolmente, non riscontriamo grandi variazioni di flusso cerebrale. Esiste un‟innervazione dei vasi cerebrali, ma non ha molta importanza. Il ruolo significativo nella regolazione del flusso ce l‟ha questo meccanismo miogeno. Il liquido cefalorachidiano Il liquido cefalorachidiano si trova nello spazio che separa la pia madre dall‟aracnoide (spazio subaracnoideo), mentre, nello spazio che c‟è tra aracnoide e dura madre c‟è una piccola quantità di plasma; inoltre l‟encefalo non è pieno ma presenta dei ventricoli riempiti anche questi di liquido cefalorachidiano, atto a riempire quindi i ventricoli cerebrali, sia i ventricoli laterali, sia il terzo e il quarto ventricolo, ed il liquido esterno è in comunicazione col liquido interno attraverso i classici forami di Luschka e di Magendie. E‟ un liquido che ricorda molto i liquidi extracellulari cioè con poche proteine, colore uguale a quello dell‟acqua, ha un peso specifico di poco superiore alla distillata e ha un compito fondamentale: il vecchio principio di Archimede. “ L‟encefalo, essendo immerso in un liquido, riceve una spinta dal basso verso l‟alto pari al peso del liquido spostato. “ La differenza di peso specifico tra le cellule del tessuto nervoso e il liquor fa in modo che l‟encefalo gravi sulla base cranica non più di 50-60 grammi, perché questo galleggiamento riduce il peso 149
esercitato su questa. Ovviamente, togliendo liquor, il galleggiamento diminuisce e la sensazione di peso, di trazione di cefalea che insorge è decisamente più marcata. Il liquor viene prodotto a livello encefalico e viene riassorbito principalmente a livello spinale. Esiste dunque una dinamica di questo liquido tra encefalo e midollo spinale. La maggior parte viene prodotto dentro la scatola cranica, a livello del gran forame occipitale esce e a livello del midollo spinale viene riassorbito. Notiamo quindi una dinamica che permette di mantenere costante il volume del liquido all‟interno dello spazio subaracnoideo. Esiste però una situazione molto grave in cui -consideranddoo il lobo flocculo nodulare nella parte posteroinferiore del cervelletto (definito in passato “tonsille cerebellari”)- se l‟individuo è preso dal contraccolpo o diminuisce troppo la pressione del liquor, il cervello scende e le tonsille vanno ad infilarsi nel gran forame occipitale, ostruendolo. Il risultato è che il liquor prodotto sopra non può più scendere e si blocca la circolazione cerebrospinale con il continuo aumento di pressione a monte. Perchè per la dottrina di Monro-Kellie, se il liquor continua ad aumentare crea un aumento gravissimo di pressione all‟interno, mortale. Ciò viene definito come ernie delle tonsille cerebellari, e di solito sono post operatorie o post traumatiche e vanno diagnosticate subito, poiché, bloccando la circolazione tra encefalo e midollo, nell‟encefalo il liquor aumenta la sua pressione e distrugge tutto. Qualsiasi aumento di massa liquida all‟interno della scatola cranica comporta un aumento di pressione che ha come prima manifestazione la cefalea. Riconoscerla in tempo è possibile grazie alla visibilità della circolazione retinica, per mezzo dell‟esame del foro dell‟occhio che richiede un apparecchio detto oftalmoscopio. L‟esame va eseguito poggiandolo sull‟occhio e dilatando (a volte non è necessario) la pupilla: per il controllo dell‟occhio sinistro il medico guarda con l‟occhio sinistro, per il controllo dell‟occhio destro il medico utilizza l‟occhio destro. Se c‟è un aumento di pressione endocranica, è reso difficile il ritorno venoso del sangue dall‟occhio, perché il sangue deve tornare alla scatola cranica prima di reimmettersi in circolo. Se la pressione è aumentata, il gradiente diminuisce ed il sangue ristagna. Noteremo quindi quella che si chiama pupilla da stasi, un edema, ed è urgente un ricovero di neurochirurgia. Gli americani usano l‟espressione “massa che occupa spazio”. A livello vascolare, il sistema può essere gravemente danneggiato anche dal diabete, ed è importante accorgersi di micro e macro angiopatie diabetiche che andrebbero ad intaccare vasi coronarici, vasi cerebrali, vasi renali, poiché si tratta di una malattia sistemica. (Il diabete è la prima causa di ictus, la prima causa di infarto del miocardio, la prima causa di insufficienza renale, la prima causa di cecità nei paesi ricchi, la prima causa di amputazione degli arti inferiori per problemi circolatori e così via). E‟ chiaro che è possibile monitorare la salute dei vasi in generale grazie ad un oftalmoscopio. Il liquido cefalorachidiano quindi ha caratteristiche particolari. Per prelevarlo bisogna ricordare che il midollo spinale, quindi a livello vertebrale, è piuttosto corto rispetto al canale vertebrale, infatti a partire da L1 non è più presente ed è da qui in poi che va eseguito il prelievo. Si tratta quindi della cosiddetta puntura lombare, eseguita tra un corpo vertebrale e l‟altro; occorre inoltre avvertire il paziente della possibile cefalea dovuta alla diminuzione del liquor che causerà un abbassamento della pressione e quindi della spinta di galleggiamento che farà pesare di più il cervello. Va poi analizzato il liquido, dove la presenza di cellule indica una possibile flogosi. Le proteine, in minime concentrazioni dell‟ordine di mg/l, sono da tenere sotto controllo, come la gammaglobuline che sono necessarie per fare diagnosi particolari poiché legate agli anticorpi. Infatti nel caso di 150
patologie, gli anticorpi prodotti sono presenti sia nel sangue che nel liquor; se l‟anticorpo trovato è presente nel liquor ma non nel sangue vuol dire che si è formato dentro il SNC, e ci si trova di fronte ad una reazione autoimmune contro il SNC. Se la malattia è infettiva, all‟interno del liquor sarà presente l‟agente patogeno e servirà per la diagnosi. Il fatto che esista il liquido cefalorachidiano spiega un‟ulteriore cosa: il tessuto nervoso è uno dei rari tessuti dove la circolazione del sangue non presenta vasi linfatici. Il ritorno venoso è garantito dai grandi seni venosi che permettono al sangue di tornare indietro seguendo la stessa strada: 1/3 va posteriormente verso le vene vertebrali, 2/3 vanno anteriormente verso il sistema giugulare che pomperà il sangue verso la cava superiore. Nell‟avventizia delle arterie cerebrali, inoltre, decorrono fibre nervose che usano i vasi per arrivare al cervello. Per esempio, l‟ortosimpatico, che penetra nel cervello per andare ad innervare strutture intracerebrali, si avvolge attorno alla carotide interna e ai suoi rami, come l‟oftalmica che arriverà all‟occhio, o ancora la cerebrale media, e manda quindi fibre che arriveranno fino all‟epifisi per modularne la produzione di ormoni. L‟avventizia dei vasi che portano al cervello è quindi anche una via nervosa, soprattutto di tipo ortosimpatico. Per concludere, il principale fattore di barriera è rappresentato dagli astrociti, perché nessun neurone è a diretto contatto con un capillare, ma vi si interpone sempre un astrocita. Per cui le sostanze per passare da capillare a neurone e viceversa, devono passare attraverso l‟astrocita. Nel caso invece del liquor è la cellula ependimale che funge da barriera, grazie anche alle caratteristiche delle cellule endoteliali dei vasi sanguigni.
La circolazione polmonare La circolazione polmonare si distingue dalle altre circolazioni, che sono in parallelo, poiché è l‟unico circuito montato in serie. Il sangue che passa dalla grande circolazione non può sottrarsi al passaggio nella circolazione polmonare e quindi , essendo un circuito chiuso e in serie, il flusso di sangue della grande circolazione è uguale al flusso di sangue nella piccola circolazione. Dal punto di vista anatomico, non esistono le arteriole, o meglio essendo poche e corte non rivestono un ruolo significativo, e il sangue va velocemente dall‟arteria di medio e grande diametro fino alla rete capillare, per poi passare a venule di un certo calibro e si torna su al cuore sinistro attraverso le vene polmonari. Di questo sistema conosciamo il flusso che è uguale a quello del grande circolo. Possiamo misurare facilmente la pressione che nell‟arteria polmonare raggiunge una massima di 20-25 mmHg e una minima inferiore a 10mmHg; la pressione media è quindi attorno ai 14-15 mmHg, contro i 90 mmHg della pressione media del grande circolo. Il flusso è uguale, ma nel piccolo circolo la pressione è 7 volte più bassa, e quindi per far muovere 5 litri di sangue, nel grande circolo ci vogliono 7 volte in più di pressione che non nel piccolo circolo. Se il flusso è uguale e la pressione è molto più bassa, significa che è molto più bassa anche la resistenza, in questo caso di 7 volte. Nella legge di Hagen e Poiseuille la resistenza tiene conto di viscosità, raggio e lunghezza, e quindi dal liquido e dalla geometria del condotto. Il liquido che passa nel piccolo circolo è lo stesso che è passato nel grande circolo, e quindi la viscosità non dovrebbe essere significativamente differente , 151
stessa cosa vale per il raggio. L‟unico parametro a cui fare affidamento è la lunghezza, e, facendo la media, si è visto che le distanze percorse sono 7 volte maggiori nella grande circolazione rispetto alla piccola circolazione. Se la lunghezza è 7 volte maggiore, è di conseguenza 7 volte maggiore la resistenza e quindi la pressione, ed il fenomeno inversa con una lunghezza 7 volte minore. L‟alveolo contiene aria e il capillare che lo bagna contiene sangue; la barriera è rappresentata da uno strato di cellule epiteliali che forma la parete dell‟alveolo e da un unico strato di cellule che forma la parete del vaso. Quindi abbiamo una cellula endoteliale dalla parte del sangue e una cellula alveolare, che prende il nome di pneumocita, dalla parte dell‟alveolo, e, ciò che deve entrare e deve uscire negli scambi deve superare queste due barriere. Una caratteristica del piccolo circolo è la bassissima pressione sanguigna nei capillari (in entrata 10-12 mmHg, in uscita 5 mmHg), la pressione colloidosmotica è sempre di 25 mmHg e di conseguenza la forza che richiama liquidi è molto superiore alla pressione idrostatica: in un capillare alveolare i liquidi non escono mai, anche perché, se uscissero riempirebbero l‟alveolo. Quindi il piccolo circolo ha capillari che permettono scambi di gas ma non la fuoriuscita di liquidi dal sangue all‟alveolo, impedendo l‟edema polmonare. Qual è il primo requisito del circolo polmonare? Supponendo di far pedalare un individuo su una cyclette e misurando la sua pressione arteriosa prima e durante lo sforzo, ci troviamo di fronte ad un aumento della pressione (minima e massima) e della gittata cardiaca in conseguenza a questo sforzo. Se aumenta la gittata cardiaca del ventricolo sinistro, aumenta anche quella del ventricolo destro, poiché il circuito è montato in serie. Se nel ventricolo sinistro si passa da 5 l/min a 15 l/min, nel ventricolo destro avviene la stessa cosa dato che aumenta in flusso. Nel grande circolo, se aumenta il flusso aumenta la pressione; nel piccolo circolo non possono aumentare entrambe. Occorre quindi un meccanismo di regolazione che lascia variare il flusso ma non la pressione, esattamente l‟opposto di ciò che avviene a livello cerebrale, dove può variare la pressione ma non il flusso. Si agisce dunque sulla resistenza, poiché aumentando il flusso per lasciare invariato il valore della pressione, occorre diminuire il parametro resistenza. Sapendo che la resistenza dipende da viscosità (immutata), lunghezza (immutata) e raggio, l‟unico parametro da variare è rappresentato proprio dal raggio. Ma, non esistendo arteriole, non è pensabile una vasodilatazione di queste nel polmone: si parla dunque non di raggio di un solo vaso, ma di quanti vasi sono perfusi in un certo istante. Se il sangue attraversa in parallelo 1000 o 10000 vasi, la sezione totale, il raggio totale, sarà maggiore e di conseguenza dalla somma complessiva diminuisce la resistenza e viene compensato l‟aumento di flusso. Per capire tale concetto di sezione complessiva, entra in gioco l‟ipotesi di West: poiché nel polmone la pressione è bassa, le zone ad essere irrorate saranno le più basse; le zone più alte saranno ventilate dall‟aria in arrivo ma non perfuse, l‟aria, così come arriva, torna indietro, e non potranno avvenire gli scambi capillari. La perfusione avviene nel momento in cui inizia ad aumentare di pochi mmHg la pressione, di conseguenza aumenta pure la sezione totale e la resistenza diminuisce: la pressione resta tuttavia immutata. I vantaggi quindi sono due: -
La pressione non aumenta C‟è un maggior numero di alveoli che può scambiare, perché perfusi 152
Più sforzo è compiuto, più aumenta la perfusione, più aumenta il numero di alveoli che partecipa agli scambi. Se lo sforzo diventa massimale, finiranno per essere coinvolti anche gli alveoli avitali.
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APPARATO RESPIRATORIO Lezione 18 Fisiologia dell’apparato respiratorio Parliamo di quella che impropriamente chiamiamo respirazione: la respirazione vera e propria è in realtà un evento meno complicato, che consiste nell‟uso dell‟ossigeno a livello cellulare. Questo ossigeno dobbiamo prenderlo dall‟esterno, lo dobbiamo fare arrivare fino alle cellule e finalmente potrà essere utilizzato da queste. Quindi quella che chiamiamo erroneamente respirazione, si compone in realtà di tre fasi o momenti: 1. Bisogna assumere l‟ossigeno e farlo arrivare al circolo sanguigno; 2. Trasportare l‟ossigeno dai polmoni ai tessuti in cui serve; 3. Respirazione cellulare: ovvero quella sera di eventi mitocondriali collegati alla cosiddetta catena respiratoria. Ci interessa la prima fase, che in fisiologia prende il nome di VENTILAZIONE polmonare. Bisogna prima fare delle premesse: l‟aria esterna è una miscela di gas, in particolare troviamo il 79% di azoto e il 21% di ossigeno, entrambi presenti in forma molecolare (N2 e O2). Troviamo poi naturalmente tracce di altri gas, quali CO2 e poi c‟è un gas variabile, cioè presente a diverse concentrazioni, che è il vapore acqueo. La concentrazione di questo gas dipende dall‟umidità dell‟aria. Quando introduciamo l‟aria, essa può anche essere priva di vapore acqueo, ma quando la buttiamo fuori ne è sempre satura (dice di O2, ma si sarà confuso!): questo significa che respirare rappresenta un modo per perdere acqua. Lo facciamo per 12 volte al minuto, quindi nelle 24h la respirazione ci costringe a perdere determinati volumi di acqua. Questa miscela di gas, una volta introdotta (per intero), deve essere messa a contatto con il sangue. Noi che siamo animali extramarini abbiamo sviluppato questo tipo di strategia, quindi portiamo l‟aria al sangue (i pesci, al contrario, fanno uscire il sangue). Quindi, a livello polmonare, avviene, passivamente (cioè per gradiente di concentrazione parziale), il passaggio di gas dall‟aria al sangue e viceversa; la possibilità di questi scambi si deve anche alla facilità con cui le membrane lasciano passare i gas. L‟ O2 è un gas che non passa tanto facilmente attraverso le membrane, mentre la CO2 le attraversa con estrema facilità; questo concetto si esprime in biofisica con il concetto di coefficiente di diffusione: il coefficiente di diffusione dell‟anidride carbonica è circa 40-50 volte migliore di quello dell O2, il che vuol dire che per far muovere l‟ O2 ci vuole un notevole gradiente di pressione parziale, perché la diffusibilità è scadente. Per far diffondere la CO2 basta un gradiente di pochi mmHg, perché ha un‟eccellente diffusibilità. Ingresso dell‟aria nei polmoni I due polmoni (dx e sx) sono costituiti principalmente da tubi che convogliano l‟aria, alla fine di questi tubi ci sono gli alveoli e collegati a questi c‟è la seconda componente dei polmoni, i vasi 154
sanguigni. C‟è una stretta correlazione tra alveoli e capillari alveolari: terminalmente abbiamo un centinaio di milioni di alveoli, ognuno dei quali ha uno o più capillari, per cui l‟aria contenuta nell‟alveolo può arrivare a grande vicinanza con il sangue capillare. Tutto il sistema inizia con due aperture, il naso e la bocca, che si collegano alla faringe, la quale funzionalmente serve sia per far muovere cibo e liquidi, che per l‟aria. All‟estremità inferiore la faringe si specializza e si apre interiormente in un tubo, destinato al passaggio esclusivo dell‟aria, ovvero la laringe, posteriormente invece si continua nell‟esofago, in cui procedono bolo e liquidi. Quindi dalla laringe in poi è una via esclusivamente respiratoria. Nel caso in cui dovesse giungere a questo livello una componente solida o liquida, non è considerato un evento fisiologico e scatta un meccanismo di espulsione che prende il nome di tosse. La laringe si continua poi nella trachea, la quale nel torace si biforca nei due bronchi dx e sx. Dopo 21-22 ordini di biforcazione arriviamo agli alveoli. La dimensione del bronco dipende dall‟ordine di biforcazione di appartenenza. In realtà è scorretto parlare di due aperture perché la bocca, dal punto di vista fisiologico, viene utilizzata nella respirazione solo in condizioni particolari e tra l‟altro non è nemmeno tanto efficiente da questo punto di vista: se un neonato ha un‟atresia delle coane, cioè ha le cavità nasali ostruite, non respira dalla bocca e non respira proprio per cui va in asfissia. Se in questo caso immergiamo il bambino in acqua, non c‟è rischio che introduca acqua attraverso la bocca proprio perché va subito in apnea, un vecchio residuo filogenetico di quello che si chiama diving reflex, e il meccanismo lo preserva per i primi due-tre mesi di vita da questo rischio, dopo di che acquisisce un metodo (sbagliato) per respirare, ovvero attraverso la bocca, e quindi annega se non viene tenuto. Il naso rappresenta quindi la via fisiologica per l‟ingresso dell‟aria. Il naso ha due funzioni principali, e altre accessorie: il naso è organizzato con una rete capillare superficiale in maniera tale che, quando inspiriamo, l‟aria passa attraverso le coane e viene riscaldata. Tale riscaldamento riduce la possibilità di uno shock termico nei polmoni (naturalmente le esigenze sono diverse, a seconda delle temperature cui si è sottoposti). La filogenesi ci fa comprendere, in relazione quindi a questo discorso, il perché le popolazioni equatoriali tendono ad avere un naso largo, mentre la selezione naturale ha favorito nei paesi freddi il naso piccolo e stretto, che maggiormente ostacola uno shock termico. Il secondo compito è rappresentato dal fatto che l‟aria è una miscela di gas, per cui lungo la superficie interna del naso esistono dei sensori in grado di segnalare al SNC l‟eventuale presenza di altre molecole volatili oltre O2 e N2. Queste molecole volatili vengono registrate da tre diversi livelli di sensori: Mucosa olfattiva che produce come effetto la sensazione di odore; Sensori per gli odori pungenti, acri, particolari perché mettono in funzione meccanismi di allarme importanti (localizzati in vicinanza della mucosa olfattiva ma distaccai da essa); Nel setto che separa tra loro le due narici c‟è una struttura che chiamiamo organo vomeronasale, che percepisce la presenza di sostanze volatili ma non produce una sensazione cosciente. Queste informazioni vengono utilizzate prevalentemente per motivi comportamentali, senza che noi ne abbiamo alcuna consapevolezza cosciente. Ad esempio, se tante donne fertili svolgono insieme una vita in un ambiente ridotto, nel tempo, i cicli mestruali di queste donne tendono a sincronizzarsi: si è scoperto che sono coinvolti cataboliti degli estrogeni, volatili, eliminati attraverso sudore ed espirazione; a loro volta assunti attraverso l‟inspirazione e captati da questi 155
sensori, determinano questo effetto di sincronizzazione (tali sostanze vengono comunemente indicate come feromoni). Altra funzione delle cavità nasali è quella di trattenere eventuali particelle solide (di dimensioni variabili) in sospensione nell‟aria, affinché non si depositino negli alveoli polmonari. Questa funzione è svolta grazie alla presenza di peli nel naso ma in realtà soprattutto grazie alla secrezione di un muco molto viscoso da parte dell‟epitelio (secernente ciliato), che intrappola le particelle. Con il movimento dal basso verso l‟alto delle ciglia questo muco con queste particelle viene man mano spinto verso l‟alto; grossolanamente nell‟arco delle 24h tutto il muco presente nell‟albero bronchiale viene buttato dalla laringe all‟esofago e poi neutralizzato dai succhi digestivi. Questo meccanismo prende il nome di clearance mucociliare, e la sua efficacia è pesantemente ridotta da fattori quali fumo di sigaretta, che rallentano il processo. L‟ultima difesa, la difesa macrofagica, è presente a livello dell‟alveolo, in cui possono arrivare particelle in sospensione talmente sottili che la clearance mucociliare non è riuscita a bloccare; in questo caso intervengono cellule del sangue, i monociti che dal torrente circolatorio penetrano nell‟alveolo fagocitando queste particelle. Qualunque meccanismo tenda a peggiorare la diapedesi monocitaria, rende impossibile neutralizzare queste sostanze, le lasciano agire sulle cellule, quindi crea un danno notevole. Se invece nella miscela vi sono gas estranei, la difesa in questo caso è di tipo chimico (è naturale che i monociti non possano fare niente): le cellule della parete, gli pneumociti, possiedono una particolare struttura molecolare, formata da varie componenti, che sono una famiglia di molecole che prendono il nome di citocromi p450, i quali aggrediscono queste molecole volatili presenti nell‟aria attuando una reazione redox: o le ossidano, o le riducono. Da questa reazione redox si ottiene generalmente, ma non sempre, una molecola solubile in acqua, che quindi si scioglie e può essere gestita come qualsiasi altra sostanza idrosolubile, ad esempio può essere filtrata dai reni. L‟aria contiente un 21% di O2 e un 79% di N2; ad una pressione di 760 mmHg (a livello del mare) avremo un certo numero di molecole (il 21% di questa pressione di 760 sarà O2), ma aumentanto l‟altitudine, ad esempio a 5500 m, la concentrazione di molecole, per litro di miscela gassosa, sarà praticamente la metà, anche se le percentuali si mantengono. INSPIRAZIONE ED ESPIRAZIONE Essendo l‟aria un fluido, segue la legge di Hagen-Poiseuille: perché ci sia un flusso di aria dall‟esterno verso l‟interno, bisogna creare un gradiente di pressione, senza il quale non si vince la resistenza e quindi l‟aria non entra. Dunque si deve creare una differenza di pressione tra l‟aria esterna e quella interna, che otteniamo facendo aumentare la pressione esterna rispetto a quella interna oppure diminuendo la pressione interna rispetto a quella esterna: il primo intervento è possibile in pochissimi casi, un esempio è la respirazione bocca a bocca o tramite l‟impiego di un pallone di Ambu, nel caso in cui il soggetto ha perso coscenza. Quindi il vero meccanismo fisiologico determina una diminuzione della pressione interna, che deve scendere al di sotto del valore di 760 mmHg, creando la Δp che ci serve per far muovere l‟aria. Questo discorso vale anche per la fuoriuscita dell‟aria: affinché possa avvenire bisogna aumentare la pressione interna rispetto a quella esterna.
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Quindi le due fasi della ventilazione, inspirazione ed espirazione, si basano su modificazioni di pressione dell‟aria contenuta all‟interno dei polmoni. I polmoni contengono 1,5 lt circa di aria: se la sua pressione è inferiore a quella esterna, l‟aria entra, se è maggiore, l‟aria esce. Secondo la legge di Boyle, in un gas a temperatura costante (considerato che siamo animali omeotermi), la pressione tende a mentenersi costante. Per diminuire la pressione dentro, permettendo l‟ingresso dell‟aria, semplicemente aumentiamo il volume e aumentando il volume la pressione diminuisce: erroneamente si crede che l‟aumento di dimesioni del torace è una conseguenza dell‟ingresso dell‟aria, ma in realtà ne rappresenta la causa. Per farla uscire dobbiamo ridurre il volume, cosicché aumenta la pressione rispetto a quella esterna, si crea il gradiente e quindi il flusso. Il volume di gas che spostiamo dipende dalla Δp: maggiore è la Δp, maggiore è il flusso di aria. Possiamo anche descrivere la nostra ventilazione definendola “a pressione negativa”, cioè l‟aria entra se ha una pressione negativa dentro rispetto all‟esterno. Tecnicamente dovrebbe essere fisicamente impossibile l‟espansione della gabbia toracica: essa è costituita, in avanti, lateralmente e dientro, da ossa, tessuto che per definizione non è soggetto a modificazioni immediate, cioé non si allunga. L‟unica porzione mobile è rappresentata inferiormente dal muscolo diaframma, il quale si contrae, sia abbassa e determina l‟aumento del diametro verticale del torace; ma il diametro antero-posteriore e quello trasversale aumentano anch‟esse, nonostante siano delimitati da ossa. Inoltre, facciamo ad essere certi che all‟espansione del torace che osserviamo dall‟esterno, corrisponde una sincrona espansione dei polmoni al suo interno? Non esistono dei muscoli a livello del parenchima che ne regolano il movimento. Bisogna considerare la presenza delle articolazioni costosternali e costovertebrali. Il primo movimento importante per variare il diametro trasverso è chiamato “a manico di secchio”, perché presenta due fulcri, l‟articolazione costosternale e la costovertebrale: durande la espirazione l‟arco si deve abbassare, durante la inspiazione, l‟arco si deve sollevare. Quindi l‟aumento del diametro trasversale si realizza facendo ruotare l‟arco costale secondo un classico movimento a manico di secchio. Il diametro antero-posteriore, invece, si estende durante la inspirazione perché le coste non hanno solo questo movimento di sollevamento, ma la parte posteriore, il margine vertebrale, tende a rimanere ferma mentre quella anteriore, il margine sternale, tende a sollevarsi (mentre nell‟espirazione tende ad abbassarsi). Questo movimento di sollevamento e abbassamento della parte anteriore rispetto a quella posteriore viene chiamato “a manico di pompa”. Parlando invee del diaframma, esso è costituito in realtà da due muscoli: l‟emidiaframma di dx e l‟emidiaframma di sx, che sono anche innervati dal nervo frenico di dx e da quello di sx. Ma lavorano in maniera sincrona, per sui li si considera un unico muscolo. La contrazione abbassa la parte centrale della cupola diaframmatica, nei maschi anche di 3-4cm, nelle donne nemmeno la metà, aumentanto il diametro verticale. Rappresenta quindi il primo grande muscolo inspiratorio. Il secondo muscolo importante per l‟inspirazione è quello che fa sollevare l‟arco costale, rappresentato da una famiglia di muscoli che vanno dalla costa superiore alla costa inferiore, ovvero i muscoli intercostali (12 a dx e 12 a sx), distribuiti su due fasce: uno strato esterno, con cellule 157
orientate dall‟alto in basso e da dietro in avanti ed uno strato esterno con un orientamento esattamente opposto. Lo strato esterno tende a sollevare l‟arco costale, mentre quello interno tende ad abbassarlo. Bisogna poi sollevare il margine anteriore delle coste, movimento eseguito da due gruppi di muscoli: dagli scaleni, che vanno dal dietro in avanti, dalla colonna cervicale alla prima costa, mentre il secondo muscolo è lo sternocledomastoideo, che dall‟alto in basso e dal dietro in avanti, si inserisce sullo sterno e sulla clavicola, quindi quando si contrae tira verso l‟alto lo sterno, permettendo il movimento a manico di pompa. Questi quattro gruppi muscolari, dunque, permettono l‟espansione del torace in tutte e tre le dimensioni, in condizioni normali.Nel caso in cui vogliamo fare delle inspirazioni particolarmente intense, cioè vogliamo forzare l‟inspirazione, agiscono anche tutti gli altri muscoli del torace (ad eccezione unicamente dei m. intercostali interni che sono esclusivamente espiratori); ma restano comunque muscoli accessori nella funzione respiratoria. L‟espirazione spontanea, invece, non avviene per contrazione di muscoli inspiratori, ma è un fenomeno assolutamente passivo; il parenchima polmonare, soprattutto fino alla 17°-18° biforcazione, nella parete dei bronchi, è costituito in grandi quantità da tessuto elastico. Durante l‟inspirazione, questa componente elastica si carica di energia potenziale elastica,e, non appena i muscoli inspiratori si rilassano, si genera una forza elastica che riporta il polmone al volume iniziale. Quindi l‟espirazione è un fenomeno passivo che sfrutta il ritorno elastico del parenchima polmonare. Naturalmente l‟efficienza di questa componente elastica diminuisce con l‟avanzare dell‟età, rendendo più difficoltoso per un anziano l‟atto espiratorio; l‟aria ristagna e si ha il cosiddetto enfisema polmonare. I muscoli espiratori sono accessori e intervengono solo nel caso di espirazioni forzate o di espirazioni violente e improvvise, cioé tosse e sternuto, meccanismi che impediscono l‟ingresso nelle via aeree di sostanze solide. Nella tosse la glottide è aperta, nello starnuto invece è chiusa. Anche la fonazione rientra nel meccanismo dell‟espirazione. Per poter parlare bisogna fare entrare aria nei polmoni, farla fuoriuscire a velocità controllata facendo vibrare le corde vocali. Anche se bisogna tener conto che la fonazione si può ottenere anche per turbolenza, come nel caso del bisbiglio. Per poter regolare il flusso di aria che fuoriesce durante la fonazione intervengono i muscoli espiratori, che sono: gli intercostali interni e la muscolatura della parete anteriore dell‟addome (retti e obliqui). Se durante l‟espirazione i muscoli addominali si contraggono, determinano un sollevamento progressivo del diaframma, che intanto si è rilassato, diminuendo il diametro verticale: in questo modo regoliamo la fuoriuscita dell‟aria contenuta nel parenchima polmonare. L‟insiprazione, essendo un processo attivo, è generalmente più veloce dell‟espirazione e difatti dura circa la metà del tempo.
Il muscolo diaframma è diverso nel maschio e nella femmina: come anche per gli altri muscoli, anche il diaframma è maggiormente sviluppato, più potente, nell‟uomo rispetto che nella donna. 158
Ciò comporta che nella donna, nella fase di inspirazione, il diaframma ha un ruolo accessorio, cioè è secondaria l‟espansione lungo l‟asse verticale, mentre è più importante l‟espansione negli assi trasversale ed antero-posteriore. L‟uomo invece inspira utilizzando quasi esclusivamente il diaframma, poiché la contrazione determina un‟espansione verticale tanto ampia da essere sufficiente per raggiungere l‟aumento di volume necessario per accogliere il volume di aria di cui abbiamo bisogno. Questa differenza non è presente nei bambini, ma compare con la pubertà, e nelle donne questa caratteristica così marcata scompare con la menopausa, quindi è legato agli ormoni sessuali. Quando invece nell‟uomo compare il testosterone, la ventilazione che da bambino era toracica come nella donna (per cui il diaframma non è di grande rilevanza), diventa appunto la tipica respirazione maschile, facilmente notabile in quanto, quando un uomo respira, il diaframma si abbassa, spostando i visceri addominali, il che determina un‟apparente respirazione “addominale”. Nella donna il fatto che non avvenga questa continua variazione di pressione sui visceri addominali diventa un vantaggio nel caso di una gravidanza. Ovviamente l‟inspirazione è un atto regolato dal sistema nervoso centrale. Spieghiamo ora invece come i movimenti del torace sono seguiti, in maniera sincrona, dai movimenti dei polmoni. Anatomicamente sono assolutamente indipendenti: esiste una separazione centrale, detta mediastino, e da un lato e dall‟altro vi sono i due polmoni, chiusi inferiormente dal diaframma, medialmente dalla parete del mediastino, forata per il passaggio del bronco corrispondente, di vene e arterie. I polmoni sono rivestiti da una sierosa, la pleura, che va a rivestire anche la superficie interna del torace senza soluzione di continuità: si viene a creare dunque una cavità sigillata, il cavo pleurico, formata da questo foglietto ripiegato su se stesso (porzione viscerale e parietale del foglietto). Tra i due foglietti è presente quindi uno spazio, contenente il liquido pleurico, che assume il ruolo chiave nel meccanismo di adesione: come tutti i liquidi, infatti, non è né comprimibile né espansibile, per cui ogni qual volta aumenta il volume del torace, quindi si espande la parete esterna, non può aumentare anche il cavo pleurico, perché questo liquido non può espandersi anch‟esso, e si sposta nella stessa direzione (verso fuori) anche il parenchima polmonare. Quindi a un‟espansione del torace deve necessariamente seguire un‟espansione del parenchima. Durante la inspirazione la pressione del liquido pleurico tende a negativizzarsi, al contrario nell‟espirazione, assume valori meno negativi: si tratta di un epifenomeno, una banale coincidenza, che non è causa dei fenomeni respiratori. Pneumotorace Se nel cavo pleurico si verifica una emorragia, entra sangue, ma è anch‟esso un liquido quindi mantiene sempre le sue caratteristiche. Se ad esempio vi è essudato ancora non succede nulla. Cioè affinché possa mantenersi il meccanismo, l‟importante è che nel cavo pleurico vi sia un liquido. Il problema insorge invece quando tra i due foglietti pleurici penetra aria, attraverso lesione del foglietto esterno (ad esempio in seguito ad una coltellata), oppure del foglietto interno per ragioni patologiche, per cui penetra aria proveniente dal broco. Questa condizione, in cui penetra aria nel cavo pleurico prende il nome di pneumotorace: l‟aria, a differenza dei liquidi, tende ad espandersi, determinando il collasso del polmone, che quindi si riduce notevolmente. Il torace continua regolarmente ad espandersi e restringersi ma il polmone sottostante non partecipa più al movimento. 159
Fino a quando il foro rimane, persiste tale condizione, per cui, come prima procedura, bisogna andare ad evitare che l‟aria continui a penetrare nel cavo pleurico, chiudendo la via di ingresso. Particolarmente pericolosa è una condizione definita di “pneumotorace a valvola”: durante la inspirazione penetra aria attraverso il foro, ma durante la espirazione il foro si ottura e l‟aria non ne esce, con il risultato che si ha una pressione crescente, che schiaccia progressivamente il parenchima, che può portare ad un rapido collasso e morte. Una volta che il foro è stato chiuso, l‟aria al suo interno verrà a poco a poco assorbita dalla circolazione e nel giro di alcune settimane il polmone tornerà ad espandersi, riprendendo le normali funzioni. Tubercolosi Fino al 1930 era molto diffusa una malattia, tuttora esistente anche se più rara, la tubercolosi. Essa si manifesta a livello del parenchima polmonare, che veniva eroso con formazione di buchi, anche di grosse dimensioni, detti caverne tubercolari. Queste caverne non guarivano in quanto non poteva verificarsi la cicatrizzazione, la quale a sua volta non poteva avvenire perché il parenchima era in continuo movimento. Un medico italiano, Carlo Forlanini, ideò una soluzione: determinando volontariamente uno pneumotorace, il polmone collassa e quindi sta fermo, e in quest‟arco di tempo le caverne formatesi nel parenchima possono cicatrizzare, e una volta cicatrizzate, si risolve lo pneumotorace cosicché l‟aria esca e il polmone riprende a funzionare. Il pneumotorace fu quindi per un periodo uno strumento per la terapia medica, fino a che non furono impiegati antibiotibi e chiemioterapici. Naturalmente la procedura poteva essere rischiosa, soprattutto nel caso in cui il soggetto aveva lesioni molto gravi provocate dalla tubercolosi, per cui mettendo in disfunzione un polmone mediante pneumotorace, non era certo che l‟atro polmone sarebbe stato nelle condizioni sufficienti a garantire la sopravivenza della persona. Tetraplegia C1-C3 I motoneuroni che vanno ad innervare i muscoli respiratori, sono quasi tutti compresi tra C3 e C4, ad esmpio il n. frenico è all‟altezza di C4 . Se si interrompe il midollo spinale a livello di C1-C2, vengono coinvolti tutti i nervi interessati nella respirazione, il paziente non è più in grado di respirare, e per farlo sopravvivere si ricorre al cosiddetto “polmone di acciaio”: il paziente viene chiuso in un cilindro da cui esce soltanto la testa, sigillato in modo che non possa fuoriuscire l‟aria, e all‟interno di questo cilindro avviene un‟alternanza continua di aumento e diminuzione della pressione dell‟aria. Amuentando la pressione dell‟aria nel cilindro, il torace viene compresso, diminuendo la pressione, il torace si espande. Quindi otteniamo un movimento del torace non modificando la pressione interna dell‟aria, bensì quella esterna. La resistenza che l‟aria incontra nel suo flusso dipende dalla viscosità, dalla lunghezza dei tubi, ma fondamentalmente dal diametro. I bronchi sono costituiti da muscolatura liscia e può verificarsi una broncocostrizione (parasimpatico) o una broncodilatazione (ortosimpatico): questo è un aspetto che si traduce in quadri patologici importantissimi, come l‟asma bronchiale, in cui si incontra molta difficoltà nel far entrare e soprattutto uscire l‟aria dai polmoni.
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Lezione 19 La scorsa lezione abbiamo introdotto la ventilazione polmonare, definendone gli aspetti più elementari, ovvero, il fatto che l‟aria entra, essendo un fluido, seguendo un gradiente di pressione, spostandosi da punti in cui la pressione è maggiore (fuori) a punti in cui la pressione è minore (dentro). Il gradiente si crea perché all‟interno viene diminuita la pressione dell‟aria contenuta nei polmoni. La diminuzione di questa pressione è legata alla legge di Boyle, poiché per ottenere questo minore livello di pressione, non facciamo altro che aumentare il volume. Quindi, l‟inspirazione consiste in un aumento del volume del torace (che viene accompagnato dall‟aumento del volume dei polmoni, grazie alla presenza delle pleure) con lo scopo di ottenere una diminuzione delle pressione dell‟aria contenuta all‟interno dei polmoni. Quando il polmone aumenta di volume, vengono distese le sue componenti elastiche e questa distensione accumula energia elastica. La espirazione, infatti, è, di solito, un fenomeno “passivo” che sfrutta il ritorno elastico del polmone. Quindi, i muscoli inspiratori sono quelli che devono fornire l‟energia non solo per l‟inspirazione, ma anche per l‟espirazione (proprio quella energia che viene accumulata dalle componenti elastiche e che permette l‟espirazione). È chiaro che se il polmone perde l‟elasticità, l‟espirazione passiva non può più avvenire. L‟aria è una miscela di gas che si muove. Tutto ciò che c‟è all‟interno della miscela si muove (il 21% di ossigeno, il 79% di azoto, e anche un altro ipotetico gas che può essere in essa presente. Non si può impedire che ciò avvenga. Si tratta del principio su cui si fonda la “camera a gas”, basta aggiungere un gas, e questo, insieme alle altre componenti, inesorabilmente, agirà). Andiamo a vedere alcuni aspetti interessanti di questo discorso. Primo concetto Se preleviamo dalla nostra collega un polmone e lo isoliamo, possiamo facilmente misurare la pressione dell‟aria e il volume che il polmone assume facendo diminuire la pressione. Possiamo fare un grafico in cui mettiamo sulle ascisse la pressione e sulle ordinate il volume. - Se faccio aumentare la pressione, aumenta il volume. - Se poi faccio diminuire la pressione, il volume diminuisce Si osserva un fenomeno particolare, in quanto la linea di andata è diversa da quella di ritorno. In fisica si usa l‟espressione di “isteresi” che sta a rappresentare un comportamento ciclico, in questo caso, del rapporto pressione/volume. In fisica, pressione x volume esprime un lavoro, e allora la spiegazione di questo grafico è che il lavoro che bisogna compiere per far entrare un certo volume d’aria è superiore rispetto al lavoro che bisogna compiere per far uscire lo stesso volume di aria. La spiegazione di questo fenomeno è legata al fatto che il polmone non è un corpo elastico perfetto, perché se lo fosse, accumulerebbe tutta l‟energia che gli viene fornita durante l‟inspirazione e la restituirebbe tutta. In realtà nel polmone ci sono delle parti NON elastiche che non restituiscono nessuna energia nel momento della espirazione. Quindi a livello del polmone abbiamo anche componenti ANELASTICHE che consumano energia senza restituire nulla. Quali sono queste componenti anelastiche del polmone? Nel polmone ci sono fibre collagene, e altre strutture non elastiche che non sono tanto significative. 161
La vera componente importante non elastica è una cosa completamente diversa che si può scoprire facendo un esperimento banale. Ad esempio, riempiamo il polmone completamente di aria e facciamo il rapporto pressione/volume. Se invece di mettere aria metto una soluzione fisiologica, all‟interno del polmone, l‟isteresi quasi si annulla. Perché? Le componenti del polmone rimangono sempre le stesse, allora vuol dire che queste non sono la causa della discrepanza inspiratoria ed espiratoria. Cosa ci può essere che sparisce nel momento in cui io sostituisco l‟aria con una soluzione fisiologica? Si tratta di un fenomeno che prende il nome di tensione superficiale dell’equilibrio endoalveolare. È importante in quanto su questo si fonda gran parte del lavoro respiratorio. Partiamo da un concetto banale: consideriamo l‟alveolo che si trova alla fine del bronchiolo posto in vicinanza del capillare sanguigno. Attraverso il capillare sanguigno possono avvenire gli scambi gassosi ma non possono uscire liquidi. Se non esce liquido, non esce niente di ciò che è contenuto nel liquido (sangue), ovvero glucosio, AA, vitamine, tutte le sostanze nutritizie che il sangue fa arrivare ai tessuti attraverso i capillari filtranti. Ma se questi non sono capillari filtranti, chi ha il compito di nutrire le cellule del polmone? Ovviamente non possono essere i capillari della piccola circolazione perché la pressione è troppo bassa, non è compatibile. La nutrizione del polmone allora è affidata alla grande circolazione. Esiste infatti un‟arteria, che nasce dall‟aorta, e che prende il nome di arteria bronchiale (dx e sx), questa arriva fino a livello del polmone e forma dei rami (caratterizzati da elevate pressioni) che si capillarizzano sul bronco, i liquidi escono, si forma un film liquido che va a bagnare completamente l‟interno del sistema, e, questo film liquido rappresenta il solvente in cui si vanno a sciogliere tutte le sostanze (glucosio, AA, ecc…) che sono destinate a nutrire sia le cellule del bronco che, soprattutto, le cellule dell‟alveolo che altrimenti non potrebbero essere nutrite. L‟interno del parenchima polmonare quindi è caratterizzato da questo film liquido molto sottile che riveste tutto l‟interno del polmone. Questo film liquido poi viene portato via dal capillare della piccola circolazione che essendo a bassa pressione assorbe facilmente. Quindi il film liquido: - Viene prodotto dai rami dell‟arteria bronchiale - Viene portato via dai capillari della piccola circolazione (arteria polmonare) N.B. La stessa cosa succede con il liquido pleurico. Abbiamo visto la volta scorsa che tra il foglietto viscerale e il foglietto parietale della pleura polmonare si trova questo liquido. La pleura parietale è irrorata dalla grande circolazione, mentre la pleura viscerale è irrorata dalla piccola circolazione. Quindi, è ovvio che il liquido viene prodotto dal sistema che irrora la pleura parietale e viene portato via da quello che invece irrora la pleura viscerale. In questo caso a noi interessa il film liquido che è contenuto all‟interno degli alveoli. È un liquido molto importante in quanto, se non ci fosse questo, gli pneumociti non potrebbero essere nutriti. Sarebbe impossibile, per noi, vivere se non ci fosse questo film liquido. Che cosa succede allora? Quando inspiro, devo aumentare la superficie dell‟alveolo e per fare ciò devo aumentare anche la superficie di questo film liquido. Se consideriamo questo processo per 100 milioni di alveoli, 162
possiamo notare che si tratta di un “lavoraccio” perché costa una grande quantità di energia aumentare la tensione superficiale del sistema. Abbiamo dei rimedi a questo enorme dispendio di energia: uno di questi è quello di abbassare la tensione superficiale. Tensione superficiale: se consideriamo un bicchiere d‟acqua, le molecole di acqua che sono dentro si attirano le une con le altre, invece, le molecole che stanno in superficie creano delle forze di legame orizzontali, le une con altre. Proprio la formazione di questi legami rappresenta la tensione superficiale. Se io riuscissi ad abbassare la tensione superficiale e quindi distendere questa superficie di film liquido, sarebbe più facile. Allora ci deve essere qualcosa che sia in grado di rompere questi legami che si formano tra una molecola e l‟altra nell‟interfaccia tra aria e liquido (acqua). Per interrompere queste forze di legame abbiamo bisogno di una molecola che si va a mettere in mezzo impendendo la formazione del legame. Questa molecola deve avere delle determinate proprietà: - Deve avere una parte solubile in acqua (idrosolubile) che si va a disporre dalla parte dell‟acqua - Deve avere anche una parte non solubile in acqua che si va ovviamente a disporre dalla parte in cui l‟acqua non è presente. Qualunque molecola che possieda queste proprietà si va a mettere in questa posizione, cioè nell‟interfaccia tra aria ed acqua (con la porzione idrofila rivolta verso la fase acquosa e la porzione idrofoba rivolta verso l‟aria). Le molecole che hanno queste caratteristiche (molecole polari) sono facili da formare. Basta prendere un grasso che presenta una porzione idrofoba e coniugare a questo qualcosa che è solubile in acqua. Così si ottengono queste molecole polari che sono in grado di ridurre la tensione superficiale nell‟interfaccia. Queste, per tale ragione, vengono chiamate anche “tensioattivi”. Tensioattivi: sostanze in grado di agire, in corrispondenza dell‟interfaccia, riducendo la tensione superficiale. Quindi se riduco la tensione superficiale quando inspiro, incontro meno resistenza e faccio meno fatica. (Primo vero grande vantaggio) Nel caso del polmone, queste molecole che hanno questa proprietà vengono sintetizzate dalle stesse cellule dell‟alveolo, gli pneumociti di II tipo, situate non direttamente a contatto con l‟aria ma in posti particolari dell‟alveolo. Queste cellule fabbricano queste molecole, al solito, coniugando un molecola idrofila con una idrofoba. In questo caso: - La parte idrofila è rappresentata dalla fosfatidilcolina - La parte idrofoba è rappresentata da due molecola di acido palmitico La molecola nel suo complesso prende il nome di “dipalmitato di fosfatidilcolina” (SURFACTANT). Questo si va a mettere nell‟interfaccia con la fosfatidilcolina, che è idrofila, verso l‟acqua e le due molecole di acido palmitico, idrofobe, verso l‟aria. Curiosità 163
Continuo ad aggiungere molecole di tensioattivo che si vanno a disporre nell‟interfaccia tra acqua e aria. Se io continuo ad aggiungere molecole di tensioattivo, prima o poi la superficie nell‟interfaccia si satura. Che cosa succede nel momento in cui saturo l‟interfaccia? Se continuo ad aggiungere molecole, una volta che si è saturato l‟interfaccia, le molecole in più come si comportano? Che fine fanno? Le molecole in più, se si supera la concentrazione che ha già saturato l‟interfaccia, si vanno a mettere nell‟acqua in modo particolare: con la parte idrofila verso il centro e la parte idrofoba verso la periferia. Si formano una sorta di “ricci” all‟interno della soluzione, con uno scheletro costituito da queste molecole di tensioattivo. Il risultato è che al centro di questo struttura non è presente acqua, che invece si trova tutta attorno. Si crea quindi un‟area senza acqua in cui, in teoria, potrebbero andarsi a collocare delle molecole non solubili in acqua. In fisica, questo tipo di molecola prende il nome di “micella” per capire cos‟è la micella si deve imparare quella che è la concentrazione micellare critica, in quanto se non si supera la concentrazione di saturazione dell‟interfaccia queste strutture non si formano. N.B. Quando faremo l‟apparato digerente vedremo come le micelle hanno un ruolo importante per quanto riguarda la digestione e l‟assorbimento delle molecole insolubili. Ricapitoliamo Il polmone, dentro i suoi 100 milioni di alveoli, presenta un film liquido (continuo) che deriva dalla circolazione bronchiale (grande circolazione, alta pressione), riveste l‟interno del polmone e viene riassorbito dalla circolazione alveolare (che fa parte della piccola circolazione, caratterizzata quindi da basse pressioni). Questo film liquido determina una tensione superficiale che si oppone alla dilatazione del polmone. Per ridurre questa tensione superficiale, questa forza che si oppone alla dilatazione, è presente il “tensioattivo polmonare”. Si tratta di una molecola polare, il dipalmitato di fosfatidilcolina. (se si vuole produrre un tensioattivo basta prendere dell‟olio (olio di semi, un grasso qualunque) e farlo bollire con nitrato sodico, ad esempio. In questo modo si ottiene palmitato di sodio. La presenza di sodio dà polarità al sistema e abbiamo formato quello che si chiama “sapone”. Se è una miscela di palmitato di sodio e palmitato di potassio prende il nome di “sapone di marsiglia”. Qualunque sapone funziona con questo principio. Si tratta di molecole polari che si vanno a porre sull‟interfaccia in cui sono presenti dei grassi, si ottiene l‟emulsione dei grassi che così vengono scisse in gocce finissime che possono essere spazzate via dall‟acqua più facilmente). Le cellule (pneumociti di II tipo) che producono il surfactant, il tensioattivo polmonare, maturano tardi durante la gestazione. Sono cellule che si differenziano, ovvero diventano operative, non prima della trentesima – trentaduesima settimana (quindi intorno al 7° mese di gravidanza). In questo periodo il bambino è già formato e in teoria potrebbe già essere vitale e quindi vivere al di fuori dell‟utero della madre. Distinguiamo tre periodi della gravidanza: 1. Periodo dell’embrione: dura circa 12 settimane, l‟embrione non ha ancora assunto una caratterizzazione 2. Periodo del feto: il feto ha già assunto una determinata caratterizzazione ma non è ancora in grado di vivere indipendentemente dalla madre 164
3. Periodo che va dalla trentaduesima settimana fino al momento del parto, in cui il bambino è vitale (potrebbe anche nascere prima della trentottesima settimana). Il momento critico è quello della trentaduesima settimana , il periodo in cui devono maturare gli pneumociti di II tipo. Al momento del parto, il neonato deve fare la prima dilatazione polmonare che deve vincere la tensione superficiale. È molto importante, per la prima dilatazione, la presenza del tensioattivo. Infatti l‟assenza di tensioattivo (malattia delle membrane ialine: data dal fatto che il polmone non ha ancora raggiunto la completa maturazione) non fa avvenire la dilatazione con una conseguente asfissia che è la prima causa di morte dei prematuri. Se invece il tensioattivo è presente, il muscolo riesce a distendere il parenchima polmonare e non ci sono particolari problemi di sopravvivenza. Come si interviene nel caso in cui in un bambino nasce con la malattia delle membrane ialine? Si utilizza un qualunque tensioattivo, sperando che la presenza di questo consenta di far vivere il bambino giusto il tempo (1 o 2 settimane)che basta per far maturare completamente gli pneumociti di II tipo. Se si riesce a superare questo momento critico, il sistema può maturare. Quindi esistono in commercio dei tensioattivi che si usano proprio in questi casi nella “ UTIN: unità di terapia intensiva neonatale” in cui questo rappresenta uno dei più grandi problemi. Nelle UTIN si tiene il bambino in una incubatrice a cui si fa respirare aria ricca di ossigeno. Però una cosa molto importante e che non dobbiamo dimenticare è che l‟ossigeno, se supera una certa concentrazione diventa TOSSICO per il Sistema Nervoso. Quindi l‟ossigeno non può essere né in carenza (altrimenti le cellule non potrebbero sopravvivere) ma neanche in eccesso in quanto è lesivo (mortale) nei confronti dei neuroni. Infatti una incubatrice con un‟alta pressione parziale di ossigeno ha come effetto possibile il danneggiamento irreversibile dei neuroni multipolari della retina. Quindi è importante non giocare con queste cose in quanto l‟ossigeno in grandi concentrazioni è un neurotossico, un neurotossico pesantissimo dal punto di vista degli effetti che provoca. Allora, il compito del tensioattivo è quello di abbassare la tensione superficiale del film liquido che riveste gli alveoli al fine di ridurre il lavoro che bisogna compiere per inspirare. Più tensioattivo c‟è, più si abbassa la tensione superficiale e meno lavoro bisogna compiere per far aumentare il volume del polmone. Ma non serve solo a questo. Il tensioattivo ha un ruolo ancora più importante che è quello dato dal fatto che quando, ad esempio, abbiamo due alveoli comunicanti fra loro, l‟aria li riempie entrambi. Questi due alveoli hanno un determinato raggio che non è costante in quanto, durante la inspirazione il raggio tende ad aumentare e durante la espirazione il raggio tende a diminuire. Quindi stiamo considerando due alveoli, in cui il raggio varia, che sono in comunicazione tra loro (perché attraverso il bronco, l‟aria, può passare facilmente si in uno che nell‟altro alveolo). Cosa ci dice la Legge di La Place? Ci dice che la pressione dell‟aria dipende dalla tensione sviluppata dalla parete, fratto il raggio (P = T/r). Quindi se durante la respirazione uno dei due alveoli ha un raggio di 99 micron e l‟altro di 98 micron, in quello con raggio più piccolo la pressione sarà maggiore. Se la pressione è più alta in uno dei due, si crea un gradiente di pressione e di conseguenza l‟aria si sposterà dalla zona a pressione più alta (alveolo più piccolo) alla zona a pressione più bassa (alveolo più grande). Questo vuol dire che gli alveoli più piccoli man mano si svuoteranno, gli altri diventeranno sempre più grandi e siccome gli alveoli sono in connessione, alla fine, ci ritroveremo 165
con un unico grande alveolo a destra e un unico grande alveolo a sinistra con dei risultati mortali, perché, avendo un unico grande alveolo si riduce la superficie di scambio aria/sangue. Questo fenomeno che porta allo svuotamento degli alveoli prende il nome di “atelettasia polmonare”. È impensabile pensare che tutti gli alveoli abbiano lo stesso raggio. Allora sfruttiamo un fenomeno interessante. Il numero di molecole di tensioattivo (dipalmitato di fosfatidilcolina) che mettiamo nell‟alveolo, più o meno, sono sempre le stesse. Consideriamo, ad esempio, un alveolo in cui sono presenti 100 molecole di tensioattivo: - Se l‟alveolo diventa sempre più grande, le molecole di tensioattivo si distanziano e la tensione superficiale aumenta in quanto il potere del tensioattivo peggiora. - Se invece l‟alveolo diventa più piccolo, le molecole si concentrano e la tensione superficiale ovviamente si riduce. Quindi la tensione superficiale non rimane costante, ma con questo “giochino” del tensioattivo che si disperde su una superficie maggiore e che si concentra su una superficie minore, abbiamo che ogni volta che il raggio diventa più piccolo, anche la tensione superficiale diventa più piccola, se invece il raggio diventa più grande, il tensioattivo si disperde su una superficie maggiore e di conseguenza anche la tensione superficiale aumenta. È chiaro dunque che se io faccio variare contemporaneamente il numeratore (T) e il denominatore (r), il rapporto non cambia, e la pressione rimane costante. La presenza del tensioattivo, quindi, impedisce che ci siano gradienti di pressione e di conseguenza impedisce che ci possa essere lo svuotamento che porta ad avere un unico grande alveolo a destra ed uno a sinistra. Ricordare: normalmente noi abbiamo una tale quantità di alveoli che la superficie di scambio aria/sangue è equivalente a quella di un appartamento di cinque vani (tra i 110 e i 120 ). Si muore quando questa superficie di scambio scende al di sotto dei 30 . Se io, considerando entrambi i polmoni, ho una superficie di scambio tra i 110 e i 120 , capisco che un polmone solo basta per sopravvivere, perché un unico polmone ha già una superficie che supera il valore critico che è di 30 . Quindi un uomo può sopravvivere anche con mezzo polmone, ma al di sotto dei 30 di superficie di scambio aria/sangue la quantità di ossigeno che entra e la quantità di anidride carbonica che esce è troppo bassa e non è più compatibile con la vita. Quindi un uomo può tranquillamente vivere senza un polmone e in quello che gli resta si può anche sopportare qualche lesione fino al 30 – 40%. Il tensioattivo polmonare, quindi, svolge DUE COMPITI: 1. In generale, abbassa la tensione superficiale e riduce il lavoro che bisogna compiere per inspirare 2. Modificando il valore della tensione superficiale in maniera lineare con il raggio (se il raggio aumenta la tensione aumenta, se il raggio diminuisce la tensione diminuisce) impedisce che cambi il loro rapporto. Se il rapporto non cambia la pressione rimane costante e non si crea nessun gradiente di pressione, di conseguenza non sopravviene nessun rischio di atelettasia polmonare.
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Secondo concetto Come si può misurare, ovvero come si fa ad avere informazioni quantitative sulla funzione ventilatoria di un uomo? La funzione ventilatoria si misura con un apparecchio che prende il nome di spirometro e l‟esame corrispondente prende il nome di spirometria. Lo spirometro consiste in un pallone pieno di aria che si collega ad un boccaglio che si mette in bocca al paziente. Quando egli inspira il volume del pallone si riduce, quando egli espira il volume del pallone aumenta. Se misuriamo queste variazioni di volume, durante l‟inspirazione e durante l‟espirazione, ottengo proprio quello che si chiama esame “spirometrico”. Quindi, la spirometria misura le variazioni di volume del polmone durante un normale atto respiratorio. Se ad esempio prendiamo la nostra collega e le facciamo fare l‟esame spirometrico, vedo che questa respira 10 – 12 volte al minuto e vedo anche che c‟è una variazione di volume, a riposo, di meno di mezzo litro. Quindi, fa entrare mezzo litro di aria durante l‟inspirazione e questo stesso mezzo litro lo fa uscire durante l‟espirazione successiva. Ovviamente durante l‟inspirazione il volume aumenta (di mezzo litro) e durante la espirazione il volume diminuisce. Se facciamo fare l‟esame spirometrico sotto sforzo, ad esempio su una cyclette, man mano vedo che gli atti respiratorio non sono più 10 – 12 al minuto ma cominciano ad essere di più. Aumenta anche la profondità dell‟atto respiratorio che non farà più entrare mezzo litro di aria ma ne farà entrare di più (dipende dall‟intensità del lavoro che il paziente compie). L‟aria che si fa entrare ed uscire respirando spontaneamente prende il nome, in fisiologia, di volume corrente. Il volume corrente rappresenta quindi il volume di aria che, in un singolo atto respiratorio, noi spontaneamente scambiamo con l‟esterno. Il volume minimo è a riposo (intorno a mezzo litro, dipende dalle dimensioni somatiche). Se prendiamo il soggetto che sta facendo la ventilazione a riposo e gli chiediamo di inspirare il massimo che può, mi accorgo che egli riesce a far entrare molto più di mezzo litro di aria volontariamente. Allo stesso modo volontariamente il soggetto può riuscire a buttare fuori più di mezzo litro di aria. In realtà con la volontà possiamo forzare questi volumi. Abbiamo quindi una riserva di aria che possiamo far entrare forzando la respirazione, ovvero abbiamo, oltre al volume corrente, un volume di riserva inspiratorio (che può arrivare fino a 3 litri) ed un volume di riserva espiratorio (che può arrivare più o meno ad un litro e mezzo). Se consideriamo tutto insieme, in un uomo normale, arriviamo intorno ai 5 litri. La somma dei tre parametri (volume corrente, volume di riserva inspiratorio e volume di riserva espiratorio) prende il nome, in fisiologia, di capacità vitale e rappresenta ciò che possiamo scambiare, in un singolo atto respiratorio, con l‟esterno. Si tratta dei tre volumi principali che dobbiamo ricordare. Se diciamo alla nostra collega di espirare, nel momento in cui lei finisce di espirare e non ce la fa più è bene sottolineare che i polmoni non si svuotano completamente di aria, bensì essi contengono sempre un certo volume di aria che non viene mai espulso all‟esterno. Quindi resterà sempre circa un litro e mezzo di aria che non esce mai dai polmoni (proprio perché i polmoni sono incollati, grazie alla presenza delle pleure polmonari, alla parete toracica e sono in qualche modo obbligati ad accogliere un certo volume di aria). Questo volume prende il nome di volume residuo.
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Se ai 5 litri della capacità vitale aggiungiamo questo litro e mezzo del volume residuo, otteniamo quella che si chiama capacità polmonare totale, che rappresenta tutta l‟aria che un polmone può contenere. Di questi 6 litri e mezzo – 7 litri che un polmone può contenere, almeno il 70% dovrà uscire (rappresenta la capacità vitale) mentre il resto dovrà rimanere all‟interno del polmone (il cosiddetto volume residuo). Cosa non ci dice la spirometria? La spirometria non ci dice un parametro che però per il medico è un fattore molto importante. La spirometria ci dice quanta aria entra, quanta aria esce ma non dice con quale velocità lo fa. La velocità di entrata e di uscita dell‟aria è fondamentale, perché se per inspirare impiego 1 secondo e per espirare ne impiego 2, sommati fanno 3 secondi. In un minuto lo possono ripetere un certo numero di volte (60/3 = 20 volte). Ma se io per inspirare ci metto 2 secondi e per espirare ce ne metto 3 e tutto il ciclo dura 5 secondi, in un minuto più di 12 – 13 atti respiratori non posso fare (60/5 = 12). Il fattore tempo, ovvero la velocità di entrata e di uscita dell‟aria è un fattore determinante. Se il processo è lento, nonostante i volumi siano buoni, è condizionata ugualmente la quantità di aria che io posso scambiare con l‟esterno. Allora è stato inventato un modo per introdurre questo parametro, il parametro velocità. Se prendiamo la nostra collega, le diciamo di inspirare più che può e successivamente le chiediamo di buttare fuori tutta l‟aria, quando finisce di espirare le dico subito di inspirare nuovamente e vado a misurare quanta aria riesce a far entrare. Ad esempio, consideriamo che sia riuscita a far entrare 5 litri d‟aria. Dopodiché vado a vedere quanta aria riesce a buttare fuori, dei cinque litri che ha precedentemente introdotto, in un secondo. Questo, in Europa, prende il nome di VEMS (volume espiratorio massimo in un secondo), in America si chiama FEV 1 (ventilazione espiratoria forzata in un secondo). In un uomo normale, se il polmone funziona normalmente, di tutta l‟aria che egli è riuscito a far entrare con una inspirazione forzata, in un secondo, ne deve uscire ALMENO l‟80%. Quindi se ne sono entrati 5 litri, in un secondo ne devono uscire almeno 4 litri (l‟80% di tutta l‟aria che è riuscito a far entrare). Se esce meno dell‟80% dell‟aria inspirata, viene considerato un caso patologico. Più cala la percentuale di aria emessa, più grave è considerato il deficit respiratorio. Quale potrebbe essere una causa di riduzione della FEV 1 (o VEMS)? Ad esempio durante la primavera, i soggetti che hanno reazioni allergiche sono soggetti a BRONCOSPASMO. Il broncospasmo è sinonimo di AUMENTO DELLA RESISTENZA. Se aumenta la resistenza di conseguenza viene rallentata sia l‟entrata dell‟aria, durante la inspirazione, che l‟uscita dell‟aria durante la espirazione. Maggiore è il broncospasmo, più la velocità di entrata ed uscita di aria diminuisce. Il soggetto che presenta questo fenomeno potrà fare meno atti respiratori al minuto. Il volume minuto di aria che può scambiare con l‟esterno viene notevolmente ridotto e quindi è un deficit che porta il soggetto a non avere le giuste concentrazioni di ossigeno. Ricapitolando 168
La spirometria è una tecnica che misura i volumi di aria che vengono scambiati in un singolo atto respiratorio. Se questi volumi sono scambiati spontaneamente prendono il nome di volumi correnti, se invece li scambio forzandoli volontariamente prendono il nome di volumi di riserva inspiratori ed espiratori. L‟insieme di tutti questi volumi rappresentano il volume totale di aria che è possibile scambiare con l‟esterno, la cosiddetta capacità vitale. Inoltre dobbiamo considerare la quota di aria che non esce mai dal polmone che prende il nome di volume residuo e che sommata alla capacità vitale va a formare la cosiddetta capacità polmonare totale. Come si misura la quantità di aria che non esce dal polmone (volume residuo)? Si usa una tecnica banale che prende il nome di “tecnica della diluizione”. Prendo l‟aria e aggiungo a questa una piccola quota di un gas che normalmente non è presente (ad esempio l‟elio). Se ad esempio inspiriamo 4 litri d‟aria, inizialmente l‟elio è diluito di 4 litri. Quando poi l‟aria verrà inspirata, l‟elio, entrando dentro, andrà a diluirsi con l‟aria che è contenuta all‟interno del polmone, quindi la quota di elio che uscirà durante l‟espirazione sarà ridotta. A questo punto basta fare una banale proporzione grazie alla quale è possibile ottenere la quota dell‟aria che è rimasta dentro. Se abbiamo un paziente che ha problemi respiratori, facciamo la spirometria e calcoliamo il volume di aria che entra ed esce, calcoliamo il volume residuo e ci facciamo un‟idea della velocità con cui il soggetto riesce ad utilizzare l‟aria. Ad esempio, se abbiamo il sospetto che sia un soggetto asmatico (presenza di broncospasmo), calcoliamo la FEV 1, somministriamo un farmaco broncodilatatore, dopodiché, se ripetendo il calcolo della FEV 1 dopo l‟uso del broncodilatatore vediamo che i volumi sono migliorati, chiaramente il problema del soggetto è il broncospasmo. Queste prove si fanno sempre combinate, prima senza far niente e poi subito dopo aver somministrato un qualunque farmaco in grado di broncodilatare. Di che tipo di farmaco stiamo parlando? Se consideriamo i bronchioli (diametro che arriva fino a 250 micron), questi presentano una muscolatura liscia che: - Viene eccitata dal parasimpatico attraverso l‟acetilcolina che agisce su recettori di tipo muscarinico - Viene inibita dall‟ortosimpatico attraverso la noradrenalina che agisce su recettori di tipo β2 (β1: eccitatori, β2: inibitori) Se voglio ottenere una bronco dilatazione, cosa devo fare? O blocco il parasimpatico o attivo l‟ortosimpatico. Giocando su questa dualità possiamo ottenere facilmente una diminuzione della resistenza che incontra l‟aria per entrare attraverso le vie respiratorie. Esempio: abbiamo un paziente che soffre di crisi di extrasistoli (cuore troppo eccitato). Sappiamo che l‟eccitabilità del cuore (batmotropismo) dipende dall‟ortosimpatico. Se gli do un β – bloccante, diminuisco l‟eccitabilità con effetto batmotropo negativo ed elimino l‟extrasistoli. Se però il paziente soffre di asma bronchiale, nel momento in cui somministriamo il β – bloccante questo va incontro a broncospasmo in quanto abbiamo tolto l‟ortosimpatico che dilata determinando la prevalenza dell‟azione del parasimpatico che invece agisce restringendo la parete dei bronchi. N.B. Importante chiedere al paziente se soffre di asma bronchiale. 169
Altro esempio: consideriamo la malattia di Alzheimer . Si cerca di rallentare il decorso di questa malattia pensando che una delle cause possa essere rappresentata dal fatto che, nel cervello di questi pazienti, non ci sia abbastanza acetilcolina. Allora una cosa che possiamo fare è aumentare l‟acetilcolina somministrando un farmaco che rallenta la distruzione dell‟ACh . C‟è un enzima, la colinesterasi che distrugge l‟ACh, quindi se gli somministro un anticolinesterasico, il neurotrasmettitore viene distrutto più lentamente, potendo permanere più a lungo a livello della fessura sinaptica. Allo stesso tempo però, l‟ACh dura di più anche a livello del cuore dove agirà in modo da diminuire la frequenza, e se i soggetti sono già bradicardici la frequenza diminuisce al punto da uccidere il paziente. Nel soggetto che soffre di asma ci sono due problemi: 1. Broncospasmo 2. Fenomeno dovuto ad un processo infiammatorio che fa gonfiare la parete con la conseguente restrizione del lume bronchiale. Sommato l‟effetto flogistico con l‟effetto broncospasmico il paziente soffoca. Ricordiamo che la resistenza dipende dal raggio alla quarta potenza (R = 8lη/π ), quindi un aumento del raggio determina un grande aumento della resistenza.
Se diciamo alla nostra collega di inspirare (DAL NASO) l‟aria deve accedere dalla laringe e, per accedere, l‟epiglottide deve essere aperta (chiusa normalmente per evitare il rischio che possano passare, a livello della laringe, solidi e liquidi). L‟unico rischio si ha quando decidiamo di inspirare mentre stiamo deglutendo. Nel caso in cui succede una cosa del genere e quindi abbiamo la presenza di qualcosa di solido o di liquido a livello della laringe, si va incontro al fenomeno di “soffocamento”. La valvola è caratterizzata da muscolatura striata innervata dalla componente motoria del X nervo cranico (nervo vago). Si tratta di un meccanismo del tutto automatico. L‟aria entra, si distribuisce nelle varie diramazioni. Ma l‟aria che entra fino a dove arriva? Non arriva direttamente fino all‟alveolo (che modifica molto poco il contenuto dell‟aria, quelli che lo modificano di più sono i bronchioli) bensì si ferma a livello dei bronchioli preterminali (diciannovesima, ventesima biforcazione). Quando arriva a questo punto, come fa ad arrivare poi fino all‟alveolo? In realtà da questo momento in poi avverranno solo scambi per diffusione tra l‟aria fresca che è arrivata fino al bronchiolo e l‟aria che è contenuta all‟interno dell‟alveolo. Cioè, l‟aria che è entrata ed è arrivata al bronchiolo, che è ricca di ossigeno diffonderà verso l‟alveolo in cui è presente aria povera di ossigeno, mentre l‟aria dell‟alveolo ricca di anidride carbonica diffonderà verso il bronchiolo. Alla fine di questa operazione, quindi, si sarà modificata anche la composizione dell‟aria alveolare. Attenzione! L‟aria alveolare non avrà mai la stessa composizione dell‟aria atmosferica perché ha troppa anidride carbonica e quindi troppo poco ossigeno. Per capirci: - Nell‟aria atmosferica a livello del mare, l‟ossigeno ha una pressione di 160 mmHg e l‟anidride carbonica è praticamente assente (1 – 2 mmHg). 170
Nell‟aria alveolare l‟ossigeno ha una pressione di 100 mmHg e l‟anidride carbonica è intorno ai 40 mmHg. Per cui, non dobbiamo confondere aria atmosferica con aria alveolare composizione diversa! Perché? Perché l‟aria atmosferica non arriva fino all‟alveolo ma solo fino al bronchiolo, e solo i processi di diffusione permettono a quest‟aria di arrivare a modificare la composizione dell‟aria alveolare. Il sangue quindi non viene a contatto con i valori dell‟aria atmosferica, ma con i valori dell‟aria contenuta all‟interno dell‟alveolo. -
Terzo concetto Se inspiriamo e facciamo entrare mezzo litro di aria, come si distribuisce nel nostro albero bronchiale questo mezzo litro di aria? L‟unica aria che ci interessa è quella che arriva agli alveoli (per diffusione), tutto il resto non ci interessa. Ad esempio, tutta l‟aria che si ferma ai bronchi (grandi, medi e piccoli) non può partecipare agli scambi respiratori. I bronchi rappresentano una zona in cui c‟è aria che però non partecipa agli scambi respiratori. Il sistema bronchiale accoglie circa 150 – 200 ml di aria. Quindi di quel mezzo litro di aria che noi inspiriamo, 150 – 200 ml di aria sono sprecati poiché si vanno a mettere nei bronchi (in cui non avvengono gli scambi respiratori gli scambi avvengono solo ed esclusivamente negli alveoli). In più gli scambi non avvengono in tutti gli alveoli, ma solo negli alveoli BASALI e non in quelli apicali, in quanto a livello di questi non arriva sangue. Quindi alla fine, di tutta quest‟aria che viene inspirata, sì e no 1/3 diventerà utile. Il resto sta messa in posti in cui anatomicamente non possono avere luogo gli scambi respiratori o a livello di alveoli (come quelli basali) in cui non arriva sangue (zone ventilate ma non perfuse). In fisiologia, questa quota di aria che non partecipa agli scambi respiratori prende il nome di “spazio morto” e inoltre, sempre in fisiologia distinguiamo: - Spazio morto anatomico: aria che si trova anatomicamente al di fuori degli alveoli (quindi aria che anatomicamente si trova nel posto sbagliato) - Spazio morto fisiologico: ovvero l‟aria si trova a livello di alveoli che non possono essere perfusi e che quindi non possono partecipare agli scambi respiratori. Quarto concetto La possibilità di quantificare sia lo spazio morto anatomico che lo spazio morto fisiologico è un‟altra variabile che dobbiamo saper gestire quando dobbiamo fare una visita ad un paziente. La cosa più importante che dobbiamo memorizzare è un concetto che fu scoperto nel 1946 da due svedesi, Von Euler e Liljestrand, che scoprirono un fenomeno curiosissimo (riflesso di Von Euler). Consideriamo un bronco che si continua in un alveolo e il capillare adiacente. Von Euler notò una cosa: se per un motivo qualunque si ostruisce il bronco (ad esempio un processo patologico o un corpo estraneo), nell‟alveolo non arriva più aria. Si verifica istantaneamente una vasocostrizione di tutti i vasi che arrivano in quel punto e di conseguenza in quel gruppo di alveoli, in cui non arriva aria, non arriverà nemmeno sangue. È come se il sistema dicesse “che mando a fare il sangue se non arriva aria?”. Si tratta di una sorta di sistema “a 171
risparmio” che fa in modo che quella zona del polmone venga ad essere, contemporaneamente, priva di sangue e priva di aria (né ventilata, né perfusa). Questo quadro patologico prende il nome, in medicina, di “sequestro polmonare”, ovvero, una certa zona, un gruppo di alveoli, risulta essere “sequestrato ed isolato” dal resto del sistema, non potendo partecipare in alcun modo alla funzione ventilatoria. La cosa straordinaria che inoltre osservò lo svedese, è che il fenomeno è BIUNIVOCO. Ovvero: se una malattia qualunque ostruisce un‟arteria o un ramo dell‟arteria polmonare e non arriva più sangue, scatta subito una bronco costrizione e in quel punto (in cui non arriva più sangue) non arriva neanche aria. Quindi il fenomeno fa in modo che devono verificarsi entrambe le situazioni, il sistema prevede che deve esserci sia ventilazione che perfusione. Se per un motivo qualunque non arriva l‟aria, non arriva nemmeno il sangue, e se per un motivo qualunque non arriva il sangue, non arriva nemmeno l‟aria il sequestro polmonare è obbligato e non si può fare nulla. La cosa “tragica” è che indietro non si può più tornare, cioè, una volta che in quel punto non arriva né aria e né sangue, non conosciamo metodi per far sì che tutto torni alla normalità, cioè un modo per far ritornare il sangue e l‟aria a ventilare quella determinata zona del polmone. È un processo che una volta che si instaura, esclude un pezzo del polmone. Quindi, una malattia del bronco, che lo occlude, o, una malattia del vaso, che lo ostruisce, ha una conseguenza tragica, perché causa questo “sequestro” di una porzione del parenchima polmonare che è, purtroppo, difficilissimo da affrontare sul piano medico. Una volta che si è stretto troppo il calibro del vaso o del tronco (o di entrambi), ci vorrebbero delle pressioni (secondo la legge di La Place) così elevate, per poter portare tutto alla normalità, che normalmente è impossibile raggiungere (quindi si tratta di vasi e bronchi che non svolgeranno mai più la loro funzione). Questi due fenomeni che prendono il nome di “Riflesso di Von Euler”, per quanto riguarda il rapporto tra ventilazione e perfusione, hanno come conseguenza che: - Se arriva l‟aria arriva anche il sangue - Se, per un motivo qualunque, non arriva l‟aria o non arriva il sangue, il sistema esclude l‟altro e quindi, se non arriva aria non arriva più sangue e se non arriva sangue non arriva più aria. La zona in cui si verifica questo fenomeno si compatta e si esclude “funzionalmente” dal resto del sistema.
Consideriamo di essere al pronto soccorso. Arriva un bambino che ha inalato attraverso il naso un corpo estraneo (che può essere un bottone o qualunque altra cosa di piccole dimensioni). Questo corpo estraneo, se non viene tolto immediatamente, va ad ostruire il bronco, il bronco ostruito attiva il meccanismo scoperto da Von Euler che quindi porterà anche ad una mancata perfusione di quella zona del polmone determinando, dunque, il sequestro polmonare di quell‟area.
Cosa avviene nell‟alveolo? Nell‟alveolo avvengono gli scambi gassosi con i capillari, cioè quei meccanismi che ci permetteno di vivere. Nell‟alveolo c‟è l‟aria, nel capillare c‟è il sangue. L‟aria alveolare contiene: - Una pressione parziale di ossigeno di circa 100 mmHg (a livello del mare) 172
- Una pressione parziale di anidride carbonica di circa 40 mmHg Arriva il sangue dall‟arteria polmonare che è VENOSO (a bassa pressione parziale di ossigeno (circa 40 mmHg) e ad alta pressione parziale di anidride carbonica (circa 46 mmHg)). Dati questi valori si crea un gradiente di pressione, tra l‟ossigeno contenuto nell‟aria alveolare (100 mmHg) e quello contenuto nel sangue del capillare (40 mmHg) , che spinge l‟ossigeno a dirigersi verso il capillare, e un gradiente di pressione di anidride carbonica (46 contro 40 mmHg) che spinge l‟anidride carbonica ad uscire dal sangue. Continuerà ad entrare ossigeno e continuerà ad uscire anidride carbonica dal sangue, fin quando questo non avrà gli stessi valori di pressione parziale di ossigeno e anidride carbonica dell‟alveolo. Quando il sangue passerà a livello della vena polmonare, l‟ossigeno sarà passato da 40 a 100 mmHg e l‟anidride carbonica sarà scesa da 46 a 40 mmHg. I valori di 40 mmHg di ossigeno e 46 mmHg di anidride carbonica, sono tipici del sangue venoso (arteria polmonari) mentre i valori di 100 mmHg di ossigeno e 40 mmHg di anidride carbonica sono tipici del sangue arterioso (vene polmonari). Si tratta di meccanismi di diffusioni passive e, come vediamo, la diffusione passiva dell‟anidride carbonica ha bisogno di un gradiente di circa 10 volte più basso rispetto a quello dell‟ossigeno. - Gradiente di pressione dell‟ossigeno: 100 – 40 = 60 mmHg - Gradiente di pressione dell‟anidride carbonica: 46 – 40 = 6 mmHg (esattamente 10 volte più basso). Perché si verifica ciò? Perche l‟anidride carbonica è caratterizzata dal fatto che ha un‟enorme facilità di diffondere attraverso le membrane cellulari, mentre l‟ossigeno incontra più difficoltà a diffondere (per questo motivo abbiamo bisogno di un gradiente maggiore). Se saliamo in alta montagna, man mano che saliamo, nell‟aria è presente una concentrazione di ossigeno sempre minore, e se c‟ è meno ossigeno nell‟aria, diminuisce anche la pressione parziale di ossigeno nell‟alveolo, di conseguenza diminuirà anche la pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso che rifletterà appunto la pressione parziale che c‟è fuori. Ad esempio, a 5500 metri il sangue arterioso presenta una pressione parziale di ossigeno che è esattamente la metà di quello che è presente in un soggetto che si trova a livello del mare. 5500 metri = confine importante - Al di sotto riusciamo a respirare senza particolari difficoltà - Al di sopra il soggetto comincia ad incontrare serie difficoltà per respirare Di solito, i problemi cominciano intorno ai 4000 – 4500 metri (soglia in cui molti individui non riescono più a respirare bene). C‟è anche gente che ha collassi già a questa altezza. Coloro che fanno gli scalatori stabiliscono un primo campo base proprio per vedere come se la cavano con la respirazione a quella determinata altezza. Superata una certa altezza, infatti, molti alpinisti hanno bisogno degli autorespiratori (come i subacquei). Poi ci sono quelli che scelgono proprio come sport quello di scalare montagne senza l‟ausilio di autorespiratori. Per quanto riguarda i subacquei, questi hanno due possibilità: 1. Trattenere il fiato per immergersi (apnea) 173
2.
Dotarsi di bombola ed erogatore in modo tale da poter respirare sottacqua (senza trattenere il fiato) Entrambi presentano determinati problemi. In apnea il record è superiore ai 130 metri di immersione (colui che ha fatto il record è calato sottacqua fino a 130 metri ed è risalito VIVO). Il record di profondità con autorespiratore invece è di 560 metri , ed è stato fatto, una decina di anni fa, per fare una pubblicità ad un orologio in grado di resistere sottacqua (a pressioni molto elevate sappiamo che sottacqua la pressione aumenta di 1 atm ogni 10 metri di profondità). A 560 metri di profondità è talmente complesso fare sopravvivere un individuo che, per farlo risalire, si ha bisogno di 10 giorni. Infatti per poter arrivare a 560 metri di profondità l‟individuo viene messo all‟interno di una campana di acciaio fornita di tutto, con un buco sul fondo. Giunto a 560 metri questo si munisce di attrezzatura, esce fuori, dà dimostrazione della resistenza dell‟orologio e rientra. Dopodiché, passati 10 giorni, ritorna in superficie.
Ossigeno e anidride carbonica L‟anidride carbonica, nell‟acqua del sangue, si scioglie, tutto sommato, in maniera accettabile. Quello che invece si scioglie difficilmente nell‟acqua è l‟ossigeno. La solubilità dell‟ossigeno in acqua è insignificante. Su 100 molecole di ossigeno, se aggiungiamo 1 litro di acqua, più o meno se ne scioglie 1 (molecola). Se noi dovessimo trasportare l‟ossigeno esclusivamente facendo affidamento all‟ossigeno che si scioglie in acqua, moriremmo asfissiati. Per poter trasportare l‟ossigeno, quindi, non devo fare affidamento sulla quota che si scioglie effettivamente nel sangue, ma devo fare affidamento sul fatto che noi abbiamo nel sangue una molecola (emoglobina) che lega a sé l‟ossigeno molecolare attraverso uno ione ferroso. In particolare questa molecola possiede 4 ioni ferrosi, quindi in tutto legherà e trasporterà 4 molecole di ossigeno. Se ad esempio prendiamo da un individuo 1 litro di sangue arterioso, in questo litro di sangue arterioso sono presenti circa 50 ml di ossigeno. Di questi 50 ml: - il 99% è legato al ferro dell‟emoglobina - l‟altro 1% è fisicamente disciolto nell‟acqua. Quando il sangue cede ossigeno ai tessuti, l‟ossigeno che viene ceduto è quello del plasma e nel momento in cui una molecola di ossigeno fuoriesce dal plasma, una molecola di ossigeno si stacca dall‟emoglobina e prende il posto di quella che è stata ceduta dal plasma. Quindi: - L‟ossigeno legato all‟emoglobina rappresenta una sorta di “riserva” - L‟ossigeno che invece è effettivamente disciolto nel plasma è quello che viene utilizzato per gli scambi a livello degli alveoli. L‟emoglobina è caratterizzata dalla famosa “curva di dissociazione dell‟emoglobina” grazie alla quale possiamo vedere che le quattro molecole di ossigeno non vengono cedute gradualmente, una alla volta, ma tendono ad essere cedute di colpo. O vengono trattenute tutte e quattro o vengono cedute tutte e quattro. Ciò dipende da alcuni fattori, soprattutto da quanto ossigeno è presente: - Se c‟è molto ossigeno, l‟emoglobina tende a trattenere le 4 molecole di ossigeno 174
- Se c‟è poco ossigeno, l‟emoglobina tende a rilasciarle Di solito, il valore di 30 mmHg è la soglia che deve essere raggiunta per liberare le 4 molecole di ossigeno. Quindi se ad esempio nel sangue ci sono 100 mmHg di ossigeno e fuori dal sangue ce ne sono 30 mmHg, tutto l‟ossigeno legato all‟emoglobina viene liberato. Ci sono alcune condizioni che facilitano la liberazione dell‟ossigeno: - Grandi concentrazioni di anidride carbonica - Alte temperature - pH particolarmente acido Questi fattori favoriscono il distacco dell‟ossigeno dall‟emoglobina. Viceversa, se abbiamo: - Una ipocapnia - Una ipotermia - Un‟alcalosi Rendono il distacco dell‟ossigeno dall‟emoglobina più difficoltoso. Nel sangue arterioso quasi tutti gli ioni ferrosi dell‟emoglobina sono legati alle molecole di ossigeno mentre nel sangue venoso molti ioni ferrosi non sono legati all‟ossigeno (piuttosto sono legati ad una molecola d‟acqua). L‟anidride carbonica, invece,in buona parte (20 -25%) è disciolta nel plasma e può essere trasportata in questo modo. Il grosso di tutta l‟anidride carbonica, però non viaggia nel sangue sottoforma di anidride carbonica, ma in un altro modo. L‟anidride carbonica si lega all‟acqua, si forma acido carbonico (grazie all‟azione dell‟anidrasi carbonica) che immediatamente si scinde in idrogenioni e ioni bicarbonato. Quindi, gran parte dell‟anidride carbonica (70 – 80%) viaggia nel sangue sottoforma di bicarbonato (una parte può anche legarsi a proteine circolanti, che possono essere la stessa emoglobina oppure altre proteine). Quindi i bicarbonati nel sangue non sono altro che l‟anidride carbonica nel sangue. Tutto ciò che fa aumentare in circolo l‟anidride carbonica, fa aumentare allo stesso tempo bicarbonati e idrogenioni. Tutto ciò che fa ridurre in circolo l‟anidride carbonica, fa ridurre contemporaneamente bicarbonati e idrogenioni (secondo la classica “equazione di Henderson Hasselbach”). In definitiva, i globuli rossi sono “sacchettini pieni di emoglobina”. L‟emoglobina permette il trasporto di ossigeno nel sangue. Abbiamo moltissima emoglobina: 1 litro di sangue, che pesa poco più di un kilo, contiene circa 150 – 160 gr di emoglobina (proteina quantitativamente più rappresentata in circolo). Questa ha un P.M. di 68 kDalton (ricordiamo che i capillari lasciano passare molecole fino a 68 kDa) e per questo motivo non può essere sciolta nel plasma, perché se fosse così, potrebbe diffondere attraverso la parete dei capillari.
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Per questa ragione l‟emoglobina è racchiusa all‟interno dei globuli rossi. Se il globulo rosso va incontro a lisi (emolisi) ce ne accorgiamo subito in quanto ritroviamo l‟emoglobina a livello delle urine EMOGLOBINURIA.
Ce ne andiamo con una domanda: che relazione c‟è tra ventilazione polmonare e numero di globuli rossi prodotti dal midollo rosso? Esiste una relazione tra emopoiesi e funzione ventilatoria?
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Lezione 21 Noi abbiamo introdotto la volta scorsa il concetto fondamentale di : in che modo avviene il meccanismo mediante il quale il sistema è in grado di fare entrare e uscire aria ed una parte di quest‟ aria non partecipa agli scambi respiratori e si chiama “ spazio morto “ . Una parte di questo spazio morto è formato da aria che non è negli alveoli e una parte è aria che si trova invece in alveoli non perfusi e quindi non funzionali . Da solo , in questi due spazi , determina una quota di aria che entra ed esce ma non partecipa agli scambi respiratori . Dobbiamo introdurre un altro concetto , l‟ altra volta abbiamo introdotto il concetto di “ isteresi polmonare “ , introducendo il fatto che se noi facciamo il grafico Pressione – Volume , vediamo che questo grafico darà una situazione diversa dal ritorno , identificando un „area che sta a dire che quando noi inspiriamo sprechiamo più energia . Cioè per fare entrare mezzo litro di aria ci vuole più energia che non per farla uscire . Ciò dipende dal fatto che nel polmone esistono non solo componenti elastiche , che quindi restituiscono l „ energia , ma anche componenti anelastiche e in particolare la componente più elevata è quella collegata al tensioattivo polmonare e alla tensione superficiale e dovendo vincere questa , che non è elastica , bisogna sprecare energia . L‟ energia sprecata giustifica l‟ isteresi polmonare : infatti se io metto il polmone sotto soluzione fisiologica , questa acqua si riduce drasticamente ad indicare che ci troviamo di fronte a una componente non elastica che , per fortuna , grazie al tensioattivo polmonare manteniamo bassa e quindi ci permettiamo , tutto sommato , di poter sprecare una quantità di energia . Se voi vi trovate di fronte a una malattia da distress respiratorio acuto , ADRS , è la sigla internazionale , il comportamento diventa uguale a quello del polmone pieno di soluzione fisiologica , cioè un sistema che non ha più la capacità di gestire il rapporto tra inspirazione ed espirazione e si muore . E‟ una delle cose più temibili che dal punto di vista medico potete trovare dopo un intervento chirurgico , dopo un trauma toracico . Se io prendo la vostra collega , le infilo un tubo nei polmoni e immetto aria dentro , aumento la pressione . Io vedo che il volume , aumentata la pressione , aumenta pure . Di quanto aumenta il volume ? dipende dalla distensibilità del sistema toraco –polmonare . Perché , se io prendo la vostra collega e le inietto aria , io vedo distendere sia il parenchima polmonare , sia la gabbia toracica . Quindi non è un problema solo del polmone , ma un problema di distensione toraco –polmonare . In fisiologia , per indicare questo concetto di distensibilità , si usa il termine inglese “ compliance “ , e la compliance toraco -polmonare è una delle variabili importanti per valutare un paziente con problemi respiratori . La compliance esprime il rapporto fra quanta varia il volume nel torace del polmone , quindi variazione del volume , se io faccio variare la pressione . Quindi , immaginate che io faccio aumentare la pressione di 1 mmHg , vado a vedere di quanto aumento il volume . E‟ ovvio che , se aumentando la pressione di 1 mmHg , il volume aumenta molto , il polmone , il sistema , è molto distensibile . Ha una grande compliance . Se aumentando di 1mmHg , aumenta poco , ovviamente ha una bassa compliance . E ovviamente , vi rendete conto , il reciproco della compliance , deltaT / delta V , non è altro che la elasticità polmonare , cioè la componente elastica del polmone . Quindi , se un polmone perde elasticità , cede facilmente , si lascia distendere . Il problema è quando deve , finita la fase inspiratoria , tornare indietro e mancando la componente elastica , il ritorno elastico è praticamente impossibile . In un adulto , noi abbiamo una notevole compliance , cioè se io prendo la vostra collega e le faccio aumentare la pressione di 1mmHg , io vedo che il volume toraco –polmonare aumenta di circa ¼ di litro . Se io alla vostra collega , le tolgo il polmone , e anziché misurare la compliance toraco –polmonare , misuro la compliance solo 177
del polmone , io vedo che il polmone ha una compliance di circa ½ litro per ogni mmHg di pressione . E la stessa cosa il torace . Messi assieme , si raddoppia la resistenza e si dimezza il volume . La compliance è il reciproco dell‟ elasticità , quindi come sarà la compliance toracopolmonare di un bambino appena nato ? il bambino appena nato avrà , ovviamente , una compliance molto inferiore a quella di un adulto , circa 10 volte inferiore , proprio perché , avendo un polmone molto elastico , si oppone , oppone resistenza . In un adulto , il polmone ha una compliance di ½ litro per mmHg , nel bambino appena nato è 10 volte più bassa . Tenete conto anche di un‟altra cosa : invecchiando , il polmone perderà elasticità , la compliance andrà aumentando e ovviamente l‟ elasticità del polmone , l‟ elastance polmonare , andrà a diminuire. E‟ importante che capiate questo concetto per una serie di problemi . La vostra collega ha un paziente , gli misura la compliance e si accorge che è inferiore . Cosa potrebbe essere ? Un problema di polmone , ma non è detto . Per esempio , se il soggetto ha un‟ alterazione delle articolazioni costo –sternali e/ o costo-vertebrali ( artrosi ) , è chiaro che il volume del torace aumenta con molte difficoltà e ciò porta a valori di compliance inferiori . Un trauma toracico , il classico incidente stradale , al momento di guarire si salda tutto , si saldano le costo sternali ed è chiaro che la compliance lascia molto a desiderare . Quindi , nel valutare qual è la colpa di un „ alterazione della compliance , ricordatevi che una parte può essere colpa del polmone , oppure del torace , oppure ancora di tutti e due . Ricordatevi quindi 3 cose , fondamentalmente : Cosa fa il polmone perdendo l‟elasticità ? perdendo l‟elasticità l‟effetto è abbastanza semplice . Il polmone elastico richiede molta energia però siccome una parte di questa viene immagazzinata , non ci sono problemi per espirare . Ma se io perdo l „elasticità , mi verrà facile inspirare perché non incontro resistenze , ma al momento di espirare , ovviamente incontro resistenze . E non essendoci ritorno elastico del polmone , sono costretto ad utilizzare l‟ espirazione attiva . Invece normalmente l‟espirazione non è un processo attivo .Questa condizione di perdita di elasticità del parenchima polmonare si chiama “ enfisema polmonare “ . Il termine enfisema si usa in generale in medicina per indicare che qualche pezzo del nostro corpo contiene troppa aria , quindi , per esempio , esiste anche l‟enfisema cutaneo . Ecco perché dovete aggiungere sempre l‟aggettivo che , nel nostro caso , è “polmonare “ , per dire che stiamo parlando del polmone e che il soggetto ha difficoltà al momento di espirare , quindi questo polmone conterrà più aria di un polmone normale . Questa condizione giustifica il termine di enfisema polmonare . Secondo voi che problemi ha un soggetto che ha un enfisema polmonare ? un soggetto con enfisema polmonare non ha problemi per far entrare aria , ha problemi per fare uscire l‟aria . E ciò rende difficile l „ eliminazione dell „anidride carbonica . L „entrata dell „ aria serve per far entrare ossigeno ma l‟ uscita dell‟ aria serve soprattutto per far uscire anidride carbonica. Quindi , questo soggetto ha difficoltà ad eliminare anidride carbonica e questo , naturalmente , sposta l „ equazione di Henderson – Hasselbalch . Quindi non eliminando CO2 , ricordatevi che l‟ anidride carbonica proviene dalle cellule , si unisce all‟ acqua e si forma l‟acido carbonico che subito si scinde in ioni idrogeno e soprattutto ioni bicarbonato e quindi viaggerà nel sangue sottoforma di bicarbonato ( 19 molecole su 20 ) . A livello polmonare , elimino la CO2 , quindi la reazione si sposta in questo senso ( da destra verso sinistra ) , e più CO2 elimino , più l‟equazione si sposterà verso sinistra e sarà una reazione chimica non spontanea , ci vuole l‟enzima anidrasi carbonica che catalizza nei due sensi a seconda se c‟è più 178
concentrazione di CO2 o bicarbonato . Se io non elimino CO2 cosa succede ? che la reazione si sposterà da sinistra a destra , con produzione di acido carbonico , quindi ioni idrogeno e bicarbonato . Quindi , questa reazione porterà ad un classico della patologia respiratoria che è l‟ acidosi respiratoria . Il soggetto avrà un aumento progressivo nel sangue di bicarbonati e di idrogenioni e questo aumento di idrogenioni acidificherà il sangue ed il pH comincerà a calare . Il soggetto va incontro a una serie di problemi che poi cercheremo di analizzare . Se io , invece , iperventilo , elimino troppa CO2 , la reazione si sposta , ovviamente , da destra a sinistra e nel sangue diminuiranno gli ioni idrogeno e ci troveremo di fronte a un quadro classico di alcalosi respiratoria . Questo è un quadro classico nei soggetti ansiosi che hanno una sindrome di tipo ossessivo e che temono sempre qualcosa e vivono in questo stato di iperventilazione e se ne vanno in alcalosi respiratoria . Naturalmente , esistono poi le acidosi metaboliche e le alcalosi metaboliche e l „ importante è che le sappiate distinguere in quanto la cura è completamente diversa . Quindi , al pronto soccorso , la vostra collega riceve un soggetto che ha un „ acidosi e deve sapere se è metabolica o respiratoria . Se è metabolica , classico quadro , vi è la formazione di corpi chetonici . Il diabetico che ha una crisi insulinica non riesce a far entrare glucosio nelle cellule , non produce ossalacetato e quindi si blocca il ciclo di Krebs e , se si blocca il ciclo di Krebs , l‟acetilCoA non può essere utilizzato e quest „ ultimo si accumula formando aceto-acetato e quindi poi i corpi chetonici . Questi , essendo degli acidi , fanno aumentare la produzione di ioni idrogeno e quindi il sistema cerca di compensarla tamponando ioni idrogeno con i bicarbonati , spostando la reazione verso sinistra . Un altro classico di acidosi metabolica è rappresentato da un esercizio muscolare aerobico prolungato con formazione di acido lattico nel sangue e quindi si formano grandi quantità di ioni idrogeno . ( Oppure ancora la vostra collega in un momento di delusione d‟amore , si cala un litro di acido solforico o di acido cloridrico e chiaramente se ne va in acidosi ) . Come si distingue un „acidosi metabolica da un „ acidosi respiratoria ? Quando fate la misurazione della acidità , non dovete misurare solo ioni idrogeno ma anche i bicarbonati . Tutte le volte che c‟è l‟aggettivo “ respiratorio “ , che si tratti di alcalosi o che si tratti di un „acidosi , gli ioni idrogeno e bicarbonato devono COVARIARE , o aumentano tutti e due o diminuiscono tutti e due . Quindi nelle acidosi aumenteranno sia gli ioni idrogeno che i bicarbonati , nelle alcalosi diminuiranno sia gli ioni idrogeno che i bicarbonati . Se , invece , l‟acidosi o alcalosi è di origine metabolica , succede il contrario e cioè tutte le volte che io produco idrogenioni , la aumentata quantità di idrogenioni , viene tamponata dai bicarbonati e quindi all „ aumento di questo , corrisponde una diminuzione dell „altro . Viceversa , in un quadro di alcalosi , alla diminuzione degli idrogenioni , corrisponde un aumento dei bicarbonati . Quindi , tutte le volte che voi , facendo un esame del sangue , vedrete che gli ioni idrogeno e bicarbonato sono in parallelo , o aumentano o diminuiscono entrambi , la causa è respiratoria . Invece , tutte le volte che aumentano , per esempio , gli ioni idrogeno e diminuiscono i bicarbonati , vuol dire che la causa è metabolica . E quindi dovete andare a capire che cosa potete fare . Facciamo l‟esempio dei corpi chetonici : il soggetto ha un „acidosi metabolica , gli ioni idrogeno aumentano , i bicarbonati diminuiscono e quindi è facile capire qual è la cura , basta dare bicarbonati . Ma se il soggetto ha un „acidosi respiratoria , aumentano sia gli ioni bicarbonati sia gli ioni idrogeno , quindi inutile dare bicarbonati , la reazione non si sposterebbe comunque !
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La regola è semplice : se variano ioni idrogeno e bicarbonato , la causa è respiratoria ; se invece l‟ uno diminuisce e l‟altro aumenta , la causa è metabolica , e può essere la cosa più disparata del mondo . Vi faccio un esempio : la vostra collega per sbaglio prende un diuretico che agisce sul tubulo renale . Su questo vi sono delle pompe sodio potassio . Se io comincio a giocare con queste pompe , se accelero la pompa , perdo idrogenioni ; se la rallento , la inibisco e trattengo idrogenioni . Nel primo caso , accelero l‟attività della pompa e me ne vado in alcalosi , nel secondo caso impedisco alla pompa di funzionare e me ne vado in acidosi di tipo metabolico . Ho fatto entrare in circolo ioni idrogeno che il sistema con i bicarbonati cercherà di neutralizzare . Quindi , all‟ aumentare degli ioni idrogeno , corrisponderà un diminuire dei bicarbonati . Viceversa , se la pompa è stata accelerata , al diminuire degli ioni idrogeno , corrisponderà , invece , un aumentare dei bicarbonati . Che gli faccio a uno con acidosi respiratoria ? In questi casi , l‟ unica strategia che possiamo fare è sfruttare l „ unico apparato , oltre al polmone , che permette di regolare l‟equilibrio acido base , cioè il pH del sangue , il rene . Dalla prossima volta , vedremo come il rene rappresenta un importante sistema di difesa quando il pH è in pericolo . La respirazione è regolabile . Così come l‟attività del cuore non è costante , anche la respirazione non è costante . La respirazione polmonare non è costante . A riposo , il cuore pompa 5 L / min di sangue e il polmone , a riposo , fa entrare circa 5 L/ min di aria . L‟ unica cosa che mi interessa è quando l „aria esce , quanto ossigeno ho lasciato dentro e quanta anidride carbonica si è portata fuori . Quello che ci interessa è la differenza tra la composizione dell‟aria in entrata e la composizione dell „aria in uscita , perché da questo dipende la mia capacità di ricevere ossigeno dall‟esterno e di gettare fuori l‟anidride carbonica . I due parametri, gittata cardiaca e ventilazione polmonare ,si assomigliano . Si ottengono entrambi con una moltiplicazione . La gittata cardiaca è quanto sangue pompa il cuore in una sistole moltiplicato il numero di sistoli . La ventilazione polmonare è quanta aria entra con un atto respiratorio moltiplicato il numero di atti respiratori al minuto . A riposo entra circa ½ litro ,( scarso ) , di aria e il numero di atti è di circa 10 -12 al minuto . Questo , nel caso della ventilazione polmonare si chiama Volume Minuto ed esprime quanta aria noi riusciamo a scambiare con il mondo esterno in un minuto . Normalmente , la quantità di aria che noi scambiamo dipende dal nostro fabbisogno di ossigeno . Quindi , se io prendo la vostra collega , la metto su una cyclette e la faccio pedalare e le misuro il volume minuto , mi accorgo che man mano che la vostra collega pedala , aumenta il consumo di ossigeno , aumenta la produzione di anidride carbonica e quindi deve aumentare per forza il volume di aria al minuto che lei scambia con il mondo esterno . In un soggetto adulto sano , si può passare da 5/ 6 L / min ad oltre 100 L di aria scambiata con l‟esterno , in un singolo minuto . Questa nostra capacità di regolare la profondità del respiro di un atto respiratorio e il numero di atti respiratori , cioè la frequenza respiratoria , è essenziale perché ci permette di adeguare la respirazione al fabbisogno dell „organismo . Al fabbisogno minimo corrisponde un volume minuto basso , al fabbisogno crescente corrisponde , invece , un volume minuto crescente . Come si regola la ventilazione polmonare ? Il parametro più importante è , ovviamente , rappresentato dai gas del sangue . Lo scopo della ventilazione polmonare è quella di fare entrare ossigeno e di buttare fuori anidride carbonica . Se tutto avviene in condizioni ottimali , nel sangue arterioso , io dovrei avere una pressione parziale di ossigeno ( pO2 ) di circa 100 mmHg e una pressione parziale di anidride carbonica ( pCO2 ) di circa 40 mmHg . Ora , se la vostra collega ha una ventilazione polmonare al di sotto del suo fabbisogno , nel suo sangue ci sarà via via più CO2 del normale . Se varia la CO2 , ovviamente , varia anche il 180
pH . Sono due parametri fra loro correlati . Quindi i due parametri che devono servire per regolare la ventilazione polmonare sono la pO2 e la pCO2 . La ventilazione polmonare deve aumentare quando c‟è o un „ ipossia , cioè un inferiore pO 2 o c‟è un „ ipercapnia , cioè una maggior pCO2 , oppure tutti e due contemporaneamente . Queste due variabili possono variare anche separatamente . Nell „ enfisema polmonare l‟ ossigeno è buono , il problema non sta nell „ ispirazione ma nell‟ espirazione . E‟ la CO 2 che altera il sistema . Oppure ancora , se la vostra collega decide di darsi all „alpinismo , man mano che sale di quota , respirerà aria povera di O2 , e quindi lei avrà un problema di O2 , mentre la CO2 , tutto sommato , sarà buona . Ma i tre segnali importanti sono : una diminuzione della pressione parziale di O 2 , un aumento della pressione parziale di CO2 e quindi un „ acidificazione del sangue arterioso . Del sangue venoso non ce ne frega niente , a noi interessa quanto ossigeno arriva ai tessuti , qual è il pH che arriva ai tessuti e non che va via dai tessuti ( sangue venoso ) . Alla base di questo sistema ci deve essere la mia capacità di adattare la respirazione a questi parametri chimici del sangue e per fare questo esistono i chemocettori . I chemocettori rappresentano dei sensori in grado di misurare queste variabili . Nel nostro organismo esistono chemocettori dentro il sistema nervoso centrale , chiamati , appunto , “ centrali “ , e chemocettori posti al di fuori chiamati “ periferici “ . Questi chemocettori sono in grado di informare i sistemi di controllo della respirazione e la nostra necessità di modificare la respirazione . Tutte le volte che viene registrata un „ ipossia , un „ipercapnia o un pH che sta acidificandosi la ventilazione tende ad aumentare ; tutte le volte che io sono in presenza di iperossia , o di ipocapnia , registrando un „alcalosi , la ventilazione deve diminuire . Facciamo un esempio : se io osservo la ventilazione spontanea della vostra collega , lei fa un atto respiratorio ogni 5/6 secondi . Se io dico alla vostra collega di fare un po‟ di iperventilazione , osservo che lei dopo di ciò , compirà un atto respiratorio con un certo ritardo , questo perché la ventilazione è un modo per ritardare la stimolazione di un nuovo atto respiratorio ( è quello che si fa prima di praticare l‟apnea ) . Invece l „ ipossia , l „ ipercapnia e l‟acidosi , che conseguono a ipoventilazione , una ridotta ventilazione , accelereranno il nuovo atto respiratorio . La nostra collega fa il chirurgo deve fare un intervento ad un paziente con ventilazione assistita , il paziente non respira spontaneamente e l „anestesista lo collega alla macchina con ventilazione . Ma come fa l „anestesista a sapere se la quantità di aria che gli manda è giusta o sbagliata ? come si regola ? si regola dosando nel sangue i tre parametri finchè non osserva che questi siano normali . Quindi i chemocettori sono sensori in grado di misurare pO2 e pCO2 e pH . Alcuni sono dentro il SNC , altri sono fuori dal SNC . Diciamo subito che se io prendo il vostro collega e gli tolgo i chemocettori periferici , lui non ha particolari problemi nella regolazione della ventilazione , ergo i chemocettori periferici non sono quelli più importanti . Sono , invece , critici , i chemocettori centrali e sono quelli a cui viene affidato il 90 % del lavoro per regolare la ventilazione polmonare . Questi ultimi sono delle cellule serotoninergiche che si trovano soprattutto nella zona ventrale del bulbo e che hanno un ruolo particolare nella ventilazione polmonare . I chemocettori periferici li abbiamo già incontrati e sono rappresentati dai “ glomi aortici e carotidei “ e sono in grado di misurare nel sangue i tre parametri ( pO2 , pCO2 e pH ) . La differenza principale tra chemocettori principali e periferici è una : tutti misurano pCO2 e pH , mentre solo i glomi , cioè solo i chemocettori periferici , sono in grado di misurare la pO2 . I chemocettori centrali non dispongono di meccanismi atti a misurare la pO2 . E quindi gli unici sensori di O2 che noi possediamo sono rappresentati dai glomi . Questi sono costituiti dalle cellule glomiche che sono cellule che derivano dalla cresta neurale , quindi parenti delle cellule dei gangli della catena del simpatico . C‟ è il capillare sanguigno e la fibra nervosa che deve portare l „ informazione 181
verso il SNC . Queste cellule possiedono dei curiosi canali di membrana per il K + . Questi canali sono collegati a una proteina che ha un cofattore che è uguale all „ eme della emoglobina , contiene un Fe ++ . Il Fe ++ quando e se lega ossigeno , vuol dire che il canale è aperto ; se invece , dovesse mancare l „ ossigeno , cioè nel sangue c‟è meno ossigeno , quindi arriva meno ossigeno ai glomi e il canale non si apre . Il risultato è che aumenta o diminuisce la fuoriuscita di ioni K+ , questo fa cambiare il potenziale della cellula che subisce una depolarizzazione ( maggiore o minore ) . Questa depolarizzazione fa entrare dall‟ esterno ioni Ca ++ che rompono le vescicole , le quali fanno partire il messaggio diretto al SNC . Minore è la quantità di ossigeno nel sangue , maggiore sarà il numero di potenziali di azione che si avranno . Al diminuire della pO2 , aumenta la frequenza di scarica delle fibre nervose , all‟ aumentare della pO2 , diminuisce la frequenza di scarica . Se tutte le molecole di emoglobina sono legate all „ O2 , con una saturazione del 100 % , io avrò una certa scarica . Fino al 60 % di saturazione , la scarica è buona , ma sotto il 60 % la frequenza di scarica si scatena . Questo sistema non c‟è a livello dei chemocettori centrali . Notiamo come i chemocettori periferici non siano dei sensori stratosferici , bisogna aspettare un abbassamento del 40 % di O2 , una signora ipossia . Invece , sia i chemocettori periferici , sia i chemocettori centrali sono sensibilissimi alla pCO2 : bastano minime variazioni , anche di 1mmHg , di pCO2 , che questi se ne accorgono e mandano l‟ informazione . Sono molto più efficienti, in questo caso , i chemocettori centrali . La cellula che funziona da sensore , è una cellula gliale , un astrocita collegato al capillare sanguigno ( barriera emato-encefalica ) . Quando nel sangue dovesse aumentare la presenza di anidride carbonica , questa anidride carbonica modifica subito la composizione del liquido cefalorachidiano e si ha , a livello del liquido cefalorachidiano , la produzione di anidride carbonica . Questa si lega all‟ acqua formando acido carbonico che si scinde in ioni idrogeno e bicarbonato ( è la stessa cosa che succede nel sangue ) . Ma nel sangue ci sono 70 grammi di proteine per litro che non ci sono nel liquor . Le proteine funzionano da tampone , nel liquor non essendoci i tamponi proteinati il pH varia subito ed è proprio il liquor il segnale che mette in moto nelle cellule gliali la variazione di potenziale che si traduce poi nell „attivazione della cellula nervosa . Quindi , l‟astrocita riceve il segnale H + , che a sua volta riflette un „ ipercapnia , dal liquor , ed è proprio l‟ astrocita che mette in moto la cellula serotoninergica che poi vedremo modificherà la respirazione . Ricapitoliamo : noi abbiamo i chemocettori centrali e i chemocettori periferici . Questi ultimi sono i glomi , aortici e carotidei, gli unici in grado di misurare le pO2 ; i chemocettori centrali invece percepiscono anche le minime variazioni di pCO2 . Il liquor non tampona bene e ogni volta che varia la CO2 , varia il pH . E siccome nel liquor le variazioni di pH si sentono subito , non ci sono i proteinati , e gli astrociti vengono messi in moto che a loro volta mettono in moto i neuroni che , a loro volta , mettono in moto dei meccanismi . Esistono anche altri sistemi di regolazione della respirazione ma ve ne parlo dopo . Uno ve ne interesserà da medici perché è un meccanismo di regolazione della respirazione tragico , in certe circostanze , che tutti voi conoscete , che si chiama “ tosse “ . La tosse è un meccanismo fisiologico di difesa che può diventare malattia , può diventare “ il “ problema delle malattie dell „apparato respiratorio . Per poter capire il concetto , io vi devo introdurre i meccanismi che controllano la respirazione . I muscoli della respirazione sono tutti striati ,( intercostali , diaframma , ecc ) , si contraggono solo se glielo ordina il SNC . Esistono i motoneuroni che hanno il compito di controllare un certo numero di cellule muscolari ( formando l‟ unità motrice ) . Noi abbiamo decine e decine di muscoli striati sia a destra sia a sinistra che devono cooperare per la creazione di un atto respiratorio . E‟ chiaro che i motoneuroni di destra e i motoneuroni di sinistra devono cooperare ed essere coordinati . ( Il professore fa uno schema del midollo spinale alla lavagna ) . Se questo è il midollo , dove ci sono i motoneuroni , per adesso parliamo solo di inspirazione , più in alto nel bulbo 182
e nel ponte ci saranno neuroni che hanno il compito di coordinare l‟attività di questi motoneuroni spinali . Sono cellule che appartengono alla formazione reticolare , quindi sistema reticolo-spinale , e che hanno il compito di eccitare in maniera simultanea tutto il gruppo dei muscoli inspiratori di destra e tutto il gruppo dei muscoli inspiratori di sinistra . Quindi , nel bulbo c‟è un coordinatore dell‟ inspirazione a destra che si chiama “centro inspiratorio bulbare “ e che coordina tutto l „ emilato destro , e un coordinatore a sinistra per coordinare tutto l‟emilato sinistro . Ovviamente , è chiaro che se io ho due cellule inspiratorie devono essere coordinate , non possono agire in maniera asincrona . Il coordinamento per queste cellule è rappresentato da un certo numero di cellule situate al confine tra ponte e bulbo nel “nucleus reticularis pontis caudalis “ , più vicino al bulbo . Questo nucleo ha il compito di coordinare sia il centro inspiratorio di destra che il centro inspiratorio di sinistra . In questo modo , pur essendo due , distinti e separati , centri inspiratori bulbari , in realtà , avendo un unico coordinatore , situato nella parte caudale del ponte la attività dei due emilati è sempre sincrona . Questo centro favorisce la inspirazione , cioè eccita le cellule del centro inspiratorio bulbare che , a loro volta , eccitano le cellule dei motoneuroni spinali che , a loro volta , eccitano i muscoli inspiratori . Questo centro , in fisiologia , viene chiamato “apneustico “ perché favorisce un‟ ispirazione . E‟ un centro pontino che coordina i due centri inspiratori . Come avviene la inspirazione fisiologica ? La vostra collega attiva il centro apneustico che attiva i due centri inspiratori che attivano i motoneuroni i quali , a loro volta , attivano i muscoli che fanno avvenire l „ inspirazione . Poi la vostra collega deve espirare . L‟ espirazione , abbiamo detto , è passiva . Quindi , perché avvenga , basta spegnere il centro apneustico . Se io non faccio scaricare più il centro apneustico , non sono più eccitati i due centri inspiratori bulbari , quindi i neuroni non scaricano più e i muscoli inspiratori si rilasciano e il ritorno elastico fa avvenire l‟espirazione . Ma chi ha il compito di spegnere il centro apneustico ? Un centro , situato sempre nel ponte ma più in alto , il “ centro pneumotassico “ inibisce il centro apneustico . Quindi quando entra in funzione il centro pneumotassico , non entra in funzione il centro apneustico , non sono più eccitati i centri inspiratori bulbari ed avviene la espirazione . La domanda è : chi attiva il centro pneumotassico ? ci sono diverse ipotesi . L‟ ipotesi classica , il modello di Ngai , dice che i neuroni reticolo -spinali del centro inspiratorio bulbare emettono una collaterale ricorrente che torna indietro e va ad eccitare il centro pneumotassico . Quindi , quando io inspiro non vengono eccitati solo i motoneuroni spinali ma anche il centro pneumotassico . Una volta che il centro pneumotassico è eccitato , spegne il centro apneustico e quindi l „ inspirazione non può durare più di un certo tempo , perché c‟è questo feedback che dopo un certo intervallo di tempo , è polisinaptico , determinerà il blocco della inspirazione . Una volta che l „ inspirazione non c‟ è più questi neuroni non scaricano più e se non scaricano più , non c‟è nemmeno l‟ eccitazione della collaterale ricorrente e quindi riprende il sopravvento il centro apneustico e parte l „ inspirazione successiva . Con questo meccanismo , si alternano con una certa regolarità , atti respiratori attivi , dovuti alla attivazione del centro apneustico e atti espiratori , dovuti al fatto che il centro apneustico è stato spento dalla attivazione del centro pnuemotassico . Naturalmente , è fondamentale mantenere integre tutte queste strutture . Un soggetto che ha una lesione al nevrasse al di sopra del ponte , o del mesencefalo , respira regolarmente ; ma se si ha una lesione che interrompe una di queste strutture si alterano le dinamiche respiratorie . In realtà le cose non sono come diceva Ngai ma un po‟ più complesse . Ricapitoliamo . L‟ alternanza regolare di atti respiratori ( inspiratori ed espiratori ) è dovuta al ritmico attivarsi e disattivarsi dei muscoli inspiratori. In condizioni fisiologiche sono importanti solo i muscoli inspiratori . Questi dipendono da una zona bulbare che si chiama “ centro inspiratorio bulbare “ che comanda tutti i motoneuroni che hanno a che fare con la inspirazione . Questi motoneuroni vengono attivati separatamente , la metà di destra dal 183
centro di inspiratorio di destra , la metà di sinistra dal centro inspiratorio di sinistra . Il coordinamento di questi muscoli è dato dal centro apneustico che si trova nella parte caudale del ponte . Tale centro favorisce l „atto inspiratorio e permette così ai due emilati di essere attivati in maniera esattamente sincrona , simmetrica , in modo tale che non ci sia mezzo lato che lavora di più e mezzo lato che lavora di meno . L‟attivazione del centro apneustico mette in moto i neuroni del centro inspiratorio bulbare i quali mandano anche una collaterale ricorrente che torna indietro e va in feedback ad eccitare, con un certo ritardo , il centro cosiddetto pneumotassico . I neuroni del centro pneumotassico proiettano sui neuroni del centro apneustico . Quindi , quando la inspirazione ha messo in moto questo circuito , si realizzerà con un certo ritardo , ma inesorabilmente , la fine dell‟ inspirazione e in questo modo avviene l‟espirazione passiva . Nel bulbo esiste però anche la presenza di un centro espiratorio bulbare che comanda a livello toracico e soprattutto lombare la muscolatura di tipo espiratorio .Il centro espiratorio normalmente non serve ma viene attivato quando è disattivato il centro apneustico , normalmente non funziona ma volendo io posso realizzare un „ espirazione volontaria e quindi devo disporre anche di un sistema di coordinamento per la muscolatura espiratoria . Glomi e chemocettori centrali hanno il compito di modulare quanto deve durare l‟ inspirazione e quante volte la devo ripetere in quel minuto . Queste sono le due variabili necessarie a cambiare la quantità , i litri di aria scambiati con l „ esterno . Il compito di tutta una serie di sensori , che noi cercheremo di analizzare , è proprio quello di andare a modulare il funzionamento del sistema in maniera tale da fare il numero minimo di atti respiratori a riposo e di aumentarli sotto attività . Quali sono gli stimoli che possono rendere il respiro più profondo e più frequente ? ( a parte O2 , CO2 e pH ) . La profondità e il numero di atti respiratori dipendono dalla temperatura del sangue : un raffreddamento determina un respiro più profondo e più frequente . Viceversa , un riscaldamento determina un respiro più profondo e meno frequente . Questo per esempio è utile alla nascita . Il bambino è stato per 9 mesi a 37 gradi , quando nasce , c‟è una temperatura diversa , ad esempio 25 gradi , e quindi un deltaT di 12 . Questa deltaT favorisce un respiro più profondo e una frequenza più alta . Anticamente , le ostetriche immergevano i bambini in acqua fredda proprio per favorire il primo atto respiratorio . ( Il professore fa un breve escursus sulle tradizioni dei vari Paesi a proposito della nascita di maschi e femmine e dei relativi rituali ) . Un „altra variabile interessante è la stimolazione dolorifica . E‟ un potente stimolatore della ventilazione polmonare e in particolare stimola la inspirazione . Infatti , le ostetriche praticavano anche degli schiaffi sui bambini attivando i nocicettori che favorivano il primo atto respiratorio . Se io prendo la vostra collega e le do una martellata sulla mano , entra subito in azione una reazione di tipo inspiratorio . Esistono poi recettori meccanici situati nelle articolazioni costosternali , nelle articolazioni costovertebrali e anche , per esempio meccanocettori , nelle grandi articolazioni come la spalla. La deformazione meccanica della grandi articolazioni , come la spalla , favorisce la inspirazione . Per esempio , una volta la respirazione artificiale si faceva facendo muovere le braccia ritmicamente e ciò determinava due cose : un „ espansione del torace con deformazione delle costo-sternali e anche dell‟articolazione della spalla , non era un gran che , ma aiutava in qualche modo il primo atto respiratorio . Esistono moltissimi altri recettori . Tutte queste informazioni afferenti agiscono su questi centri e modulano profondità e numero di atti respiratori che compiamo al minuto . La prima necessità di modificare la ventilazione polmonare è durante un esercizio fisico : al crescere dell‟esercizio fisico , cresce il numero di litri al minuto che noi introduciamo . Lo scopo è sempre quello : mantenere costanti nel sangue pO2 , pCO2 e pH .
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Se io prendo la vostra collega e la faccio pedalare , vado a misurare i litri al minuto , questi aumentano notevolmente . Ma se io nel sangue misuro per esempio la pO2 , praticamente è immodificata . Ultimo concetto : adattamenti respiratori . La quantità di ossigeno nell‟aria cambia con la quota . Se io vivo a 4000 m di quota , una percentuale di emoglobina non sarà satura al 100% con l‟ossigeno ma con l‟acqua . Il soggetto in qualche modo deve compensare . La compensazione è piuttosto lenta ed è quello di aumentare l‟emoglobina circolante , quindi i globuli rossi . Tale fenomeno si chiama “ poliglobulia ad alta quota “ . Man mano che il soggetto sale in quota , e vive in quota , almeno 4 -5 mesi , osserverete un aumento dei globuli rossi da 5 milioni a 6 – 6, 5 milioni per microlitro e contemporaneamente aumenta l „ emoglobina . Anziché avere 150 g di Hb per litro , ne avrà 160 , 170, 180 . E‟ vero quindi che solo il 90 % di Hb si satura ma siccome ne ha di più , alla fine quel 90 % corrisponde al 100 % di chi sta a livello del mare . E quindi la quantità di ossigeno che riesce a far arrivare ai tessuti , viene compensata in questo modo . La poliglobulia ad alta quota compare dopo un lungo soggiorno in alta quota . Se poi il soggetto torna a vivere al livello del mare , nel giro di qualche mese i suoi globuli rossi dovrebbero tornare al livello normale . Perché la poliglobulia ad alta quota non è una cosa buona ? Perché se aumentano i globuli rossi , aumenta la viscosità del sangue e se aumenta la viscosità , aumenta la resistenza . Se aumenta la resistenza , aumenta il lavoro cardiaco . Quindi per pompare 5 litri al minuto , il cuore dovrà fare molta più fatica a 5000 m che non a livello del mare . Avete ematocriti che anziché essere al 45 % , cominciano ad essere il 50 , 51 % e sono valori alti . Noi produciamo un ormone , l‟eritropoietina che stimola l‟eritropoiesi . Se io prendo la vostra collega e le inietto l‟eritropoietina che è un ormone polipeptidico e quindi si deve dare per forza per via parenterale , il numero di globuli rossi in circolo , nel giro di qualche giorno , comincia ad aumentare . E io come faccio a dire che quello è un aumento di globuli rossi neoformati ? i globuli rossi all„ inizio sono “ reticolociti “ e sono diversi da quelli adulti . Normalmente i reticolociti sono il 5% di tutti i globuli rossi , ma se aumenta questa percentuale , ciò vuol dire che c‟è neosintesi di globuli rossi . Tutti gli sportivi che fanno sport di resistenza , aerobici ,( ciclisti , maratoneti ) , hanno la tentazione di farsi l‟eritropoietina , perché avendo più globuli rossi del normale , riescono ad avere prestazioni più efficienti , superiori al normale . La controparte è che possono andare incontro ad un arresto cardiocircolatorio . Vediamo se ci siamo capiti . La vostra collega visita un paziente e gli trova 6 milioni di globuli rossi . Allora pensa che il paziente sia stato in alta quota , ma il paziente non lo è stato . Allora c‟è una sola spiegazione , significa che quel soggetto fa entrare meno ossigeno del normale . E‟ un classico caso da insufficienza respiratoria . Piano , piano è comparsa una poliglobulia . Ha problemi nel respirare e i sintomi sono facili da cogliere . Altri esempi di adattamento . Gli esempi di adattamento interessanti sono due . E sono potenzialmente mortali . Andare sott‟ acqua : ci sono due modi per farlo . Il primo modo , che è quello classico , istintivo che ognuno di noi ha : trattengo il fiato . Ciò significa , blocco gli scambi gassosi , blocco quanto ossigeno e quanta anidride carbonica ci sono nel sangue . Da quel momento in poi , l‟ ossigeno si continua a consumare , l‟ anidride carbonica si continua a produrre . Piano , piano andrò incontro ad un quadro di ipossia , di ipercapnia e di acidosi . Ovviamente , in queste condizioni , i chemocettori periferici verranno stimolati e il soggetto avrà l‟istinto disperato di respirare . Il problema è cercare di ritardare questo istinto . Qual è il problema del soggetto che scende in apnea ? Ovviamente , può barare usando dei trucchi . Non so se avete idea di qual è la massima durata di tempo di un uomo sott‟acqua trattenendo il fiato . Esistono dei trucchi come quello di respirare prima ossigeno puro per 185
un certo periodo di tempo e quindi ovviamente ci vuole più tempo per andare in ipossia , ( sott‟acqua ) . Se voi non avete questa fase di respirazione di O2 puro , ovviamente dovete fare la normale iperventilazione in aria . Il record attuale è di un serbo , ( nome non capito ) ,è stato 12 „ 40 “ , si è immerso in una piscina senza fare nessun movimento così da consumare meno O2 , e la temperatura dell „acqua è stata portata più vicino possibile a quella del corpo per ridurre lo stress termico e quindi consumare energia per la termoregolazione . In queste condizioni perfette , a pancia sotto e con la testa sott‟ acqua , il record è stato di 12‟ 40” . Nelle femmine , il record è di solo 8‟30” . E‟ una ragazza russa , ( nome non capito ) ,non proprio ragazza …Tutti questi atleti sono di minimo 40 anni proprio perché per adattare l‟organismo ci vogliono anni e anni di allenamento , il frutto di un‟operazione complessissima di allenamento . Questa ragazza , di classe ‟67 , detiene tutti i record di tutti i tipi possibili ed immaginabili sott‟acqua , ( macari assicutata do pisci ) . Un altro record che si può fare in apnea consiste nel trattenere fiato e anziché stare fermi , nuotare senza mai venire fuori dall‟ acqua . Se uno nuota consuma energia . Nei maschi siamo arrivati a 283 metri , nelle femmine solo 200 metri . Qual è il problema di fare un „ immersione in apnea ? è causa di morte e in Italia , ogni anno , vi è una dozzina di persone che muoiono per motivi di apnea , perché hanno sbagliato i calcoli . Quando io sono a livello del mare , la pressione dell‟aria è 760 mmHg . Quando io mi immergo , a 10 m di profondità , la pressione che si esercita sul mio corpo è il doppio . E ogni dieci metri che scendo la pressione aumenta di 1 atm . Tenete in conto la vostra collega che in questo momento ha i polmoni pieni di aria che occupa un certo volume . Se io mi immergo a 10 m di profondità , aumentando la pressione , il volume del polmone si riduce ( legge di Boyle ) . I polmoni sono appiccicati tramite le pleure al torace e questo spazio in meno da cosa è occupato ? viene occupato dal sangue . Cioè una maggiore quantità di sangue entra nella piccola circolazione e prende il posto lasciato dall‟aria . E quindi , man mano che la vostra collega scende , al ridursi del volume dell‟aria , del volume dei polmoni , si associa un „aumentata presenza di sangue che entra nella piccola circolazione . Questo vuol dire che durante la discesa il suo cuore destro deve far entrare molto più sangue nel piccolo circolo e quindi il suo cuore sinistro deve lavorare meno , perché il sangue non deve uscire dal piccolo circolo . Questa maggiore quantità di sangue compensa , sennò ci sarebbe una lacerazione del parenchima polmonare . Voi avete idea di qual è il record in apnea ? il record in apnea è di un gentile signore che è sceso a 121 metri trattenendo il fiato , senza uso di pesi e poi risale senza uso di niente ma solo con le sue forze e usando i piedi . Con questo giochino che si chiama “ assetto costante “ . il maschio è arrivato a 121 metri e la femmina a 101 metri . Esiste poi , ovviamente , la categoria dei “ scattiati “, che si chiama “no- limits” , usa un altro metodo . Il suddetto scattiato prende un peso e si immerge . Quando arriva sotto , apre un pallone e si fa tirare su , sale sparato . Attualmente il record no limits è di -280 metri . Cioè 28 volte aumentata la pressione rispetto alla pressione atmosferica . Attenzione , l‟aria non è solo nei polmoni ma anche nei seni paranasali , nell‟orecchio medio e quindi man mano che scende questo volume di aria occupa un volume inferiore creando dolore e una serie di problemi che si cercherà di compensare spingendo aria dentro l‟ orecchio medio , dentro i seni frontali con la manovra di Valsava che si chiama “manovra di compensazione“ . Per esempio , se non si facesse aumentare la pressione dell „ orecchio medio , il timpano si spaccherebbe dall‟esterno verso l‟interno . Sono soggetti questi ad altissimo rischio che si fanno il calcolo del tempo che ci vuole per scendere e salire . Quello che ha raggiunto il record di -280 è stato poi messo nella camera iperbarica e ora di mestiere fa l‟assicuratore . Quindi durante la discesa , la gittata destra deve essere maggiore della sinistra e durante la risalita la gittata sinistra deve svuotare il piccolo circolo . E tutto deve avvenire in perfetto sincronia .Però il metodo più usato per andare sott‟acqua , meno fisiologico , meno naturale 186
, meno istintivo è quello di usare bombole , quindi anziché trattenere il fiato e non respirare , io metto aria in una bombolo e respiro . E quindi respiro sott‟acqua . Il metodo più semplice è quello della maschera e tubo attraverso cui si respira aria prelevata direttamente da fuori . Quindi , se io scendo ad 1 m e allungo il tubo , ( R = 8 l η / π r4 ) , “ l” cresce , la resistenza aumenta anche oltre i 60 cm , la Resistenza è così elevata che nessuno di voi potrebbe respirare e morirebbe asfissiato . Quindi , non è possibile usare i tubi a 10 metri . Quando si scende a 10 metri di profondità , la pressione è il doppio , è 760 mmHg x 2 , se si respirasse aria dalla bombola a 760 mmHg ma l‟aria del polmone ha una pressione aumentata per la discesa , l‟aria andrebbe dal polmone alla bombola . Quindi è fondamentale che man mano che si avanza nella discesa la pressione che la bombola ha , deve essere uguale alla pressione che c‟è a quel livello di profondità . Quindi se io sono a 30 m , la pressione all „ interno della bombola deve essere almeno di 4 atm . Di solito , queste bombole sono fatte così : vi è aria a 200 atm e con un riduttore di pressione la porto a 10 -12 atm e poi ci metto un ulteriore riduttore di pressione che si chiama erogatore che mi permette di respirare l‟aria esattamente alla stessa pressione che c‟è a livello in cui io mi trovo . Quindi se io mi trovo a 30 m , 4 atm quindi da 10 -12 la devo portare a 4 atm , in maniera tale da non subire traumi . L‟erogatore mi consente di respirare a qualunque profondità . Con 200 atm , posso scendere fino a 2000 m . Poi , per inciso , ci sono mammiferi come il capodoglio decente che pesca a 1000 metri di profondità . Esso trattiene fiato e si immerge . Noi come mammiferi siamo scaffituti ! Un qualunque delfino riesce a trattenere il fiato 10 -11 volte più di un uomo . Cosa succede usando l‟autorespiratore? È un discorso complesso per cui lo riprendo domani. E‟ una fonte di inesauribili guai che è bene conoscere .
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Lezione 22
L‟altra volta abbiamo introdotto il caso dei soggetti che respirano ad alta pressione. Essi sono i soggetti che vanno sott‟acqua e non solo. I soggetti che vanno sott‟acqua e vogliono respirare , dovendo respirare aria compressa in bombole, devono riempire tali bombole e si immergono. Collegano un tubo alla bombola e respirano l‟aria contenuta in essa. Il problema è che ogni 10 metri di profondità, la pressione che si esercita sul soggetto aumenta di 1 Atm. Quindi se un soggetto si immerge di 10 metri, il volume del polmone si riduce della metà perché , ovviamente , secondo la Legge di Boyle, aumentando la P si riduce la V. Nel soggetto che usa le bombole, questo non succede e l‟aria che lui respira è via via fatta aumentare di pressione in modo tale che , quando arriva a 10 metri sotto il livello del mare, l‟aria non ha più la pressione di 1 Atm ma di 2 Atm e dunque l‟aria che entra nel polmone, avendo il blocco di pressione, è uguale alla pressione esterna e dunque il polmone non modifica il suo volume. Essendo raddoppiata la pressione ed essendoci cosi dentro la P uguale a quella che c‟è fuori, il volume del polmone non diminuisce. L‟aria che noi respiriamo è una miscela formata per il 21 % di O2 ; quindi vi è nella bombola un certo numero di molecole di O2. Se io scendo da 1 Atm a 2 Atm, la percentuale è sempre la stessa ma è raddoppiato il numero di particelle per unità di volume. Se io scendo a 3 Atm, è triplicato il numero di particelle. Lo stesso vale per l‟Azoto che sarà triplicato. Quindi mammano che io scendo, l‟aria che respiro contiene un numero di molecole di O2 che via via è crescente. Quindi a 10 metri l‟aria che respiro presenta il doppio di O2 del livello del mare. La percentuale di O2 è sempre la stessa ma , essendo aumentata la P, il numero di particelle per unità di volume ovviamente tende ad essere maggiore. Quindi questi soggetti, mammano che scendono, hanno 2 problemi: respirano aria contenente più O2 del normale rispetto al livello del mare e respirano aria contenente più N2 di quello che c‟è a livello del mare. Quindi vanno incontro ad una situazione collegata al fatto che respirano più O2 del normale e più N2 del normale. Cosa succede se io respiro più O2 e più N2 del normale? Bisogna ricordare la Legge di Henry. Essa dice che quando esercitiamo, mediante un gas, una pressione su un liquido, la quantità di gas che si scioglie nel liquido dipende da questa pressione. Più alta è la pressione che ha il gas, maggiore è la quantità di particelle di gas che si sciolgono nel liquido e questo spiega ovviamente un fenomeno banale: se noi osserviamo una bottiglia di Coca Cola chiusa, le bollicine non le vediamo. Appena togliamo il tappo, diminuisce la P . Quindi quella quantità di gas che prima era sciolta , perché la P era alta, essendo diminuita la P, passerà dallo stato liquido a quello gassoso e dunque la Coca Cola presenterà delle bollicine ( una volta aperto il tappo) che prima non presentava ( quando il tappo era chiuso). In altre parole, mammano che il sub scende in profondità, nel suo sangue si scioglie sempre più O2 e sempre più N2 , perché aumenta la P, secondo la Legge di Henry, che l‟O2 e l‟N2 esercitano sul solvente ( in questo caso il sangue).
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La Legge di Henry dice che la solubilità di un gas su un liquido non dipende solo dalla pressione ma , ad esempio, dipende anche dalla T. Così , per esempio , se la bottiglia di Coca Cola ( o Champagne se vogliamo essere più raffinati) la teniamo in frigo, trattiene meglio il gas rispetto quando è calda perché , quando apriamo la Coca Cola quando è calda, esce Coca Cola in tutte le direzioni. Sono 2 le variabili più importanti per relazionare la solubilità di un gas in un liquido. Quindi il sub è a livello del mare in questo momento e nel suo sangue si scioglie una certa quantità di N2 e una certa quantità O2; se egli dovesse scendere a 10 metri sotto il livello del mare, nel suo sangue si scioglie il doppio di N2 e il doppio di O2. Se dovesse scendere a 3 Atm ( 20 metri), il triplo di N2 e il triplo di O2. A 40 metri, si avrà il quadruplo di N2 e il quadruplo di O2. Questo crea 2 problemi: uno legato all‟N2 e uno legato all‟O2. Primo problema: legato all‟N2. L‟N2, a piccole concentrazioni, sciolto nel sangue ( come a livello del mare) , non produce effetti significativi. Esso è dunque un gas inerte che non produce alcun effetto. Se io però aumento l‟N2 nel sangue, quando arrivo ad una certa quantità di N2 che è il quadruplo circa rispetto a quello che c‟è normalmente nel sangue e dunque la quantità di particelle è il quadruplo del normale ( quindi sotto i 30 metri di profondità), questo N2 inizia ad avere effetti sul SNC e tali effetti sono vagamente simili a quelli dell‟alcol etilico. Compare così la sindrome di tipo “ Mbriacatura” che si chiama Narcosi da Azoto, la quale è pericolosissima in un soggetto. Infatti tale soggetto , in queste condizioni di vaga ebrezza, comincia a dare problemi per dimensione dello spazio, tempo e compie azioni che possono essere potenzialmente pericolose. Quindi teoricamente il muro da non valicare mai dovrebbe essere quello dei 30-40 metri , che è la profondità per la quale la concentrazione di N2 ,tutto sommato, non provoca particolari segni ( anche se già a 40 metri, soggetti sensibili all‟N2 possono presentare Narcosi da N2). [ Aneddoto del Prof: Il Prof fa immersione da molti anni ed egli ricorda un ragazzo che a 30 metri di profondità tolse maschera, boccaglio ed ebbe tutta una serie di successivi problemi.] L‟O2 funziona, quantitativamente parlando, come l‟N2. Più un soggetto scende, più O2 si scioglie nel sangue. L‟O2 però è più pericoloso perché esso produce nelle cellule ( non essendo un gas inerte) , durante i processi mitocondriali, perossidi e superossidi e cioè molecole citotossiche ( ROS). Più O2 c‟è, più ROS si producono , con il risultato che se io respiro aria compressa dove c‟è più di 4-5 volte O2 presente a livello del mare, esso diventa tossico per le cellule in generale ma , in particolare , diventa tossico per i neuroni. Ha una Neuro-tossicità elevatissima. Così, superati i 40 metri di profondità, quando respiro aria 5 volte più concentrata di quella che c‟è a livello del mare e cioè 5 volte più O2 e 5 volte più N2, mi espongo a 2 rischi. Il primo rischio è l‟ebrezza da N2 che , tutto sommato , è relativamente pericolosa ; il secondo rischio però è quello della Neuro-tossicità da O2 che invece è un evento irreversibile. Una volta effettuato il danno , infatti, esso è difficile che regredisca. Ciò spiega ad esempio alcune cose: un bambino nato prematuro con problemi respiratori, può essere messo in un‟incubatrice e , nel tentativo di farlo respirare di più , gli si fa respirare O2 puro. Attenzione: l‟O2 puro è il 100 % e cioè 5 volte di più di quello che respiriamo normalmente. Questo O2 puro può diventare talmente Cito-Neuro-Tossico che , per esempio , possono morire i Neuroni Gangliari della Retina ( danneggiando il nervo ottico) e il bambino diventa cieco. Un paio d‟ore in
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incubatrice porta a tale rischio che è il maggiore che noi ci troviamo di fronte , in quanto facciamo respirare ad un neonato O2 puro. Quindi esiste una regolamentazione internazionale , la quale impone che il soggetto che si immerge con una bombola ad aria compressa non può andare oltre i 40 metri. Infatti se non va oltre i 40 metri, il rischio della ebrezza da N2 è minimo e il rischio della Cito-Tossicità da O2 ( che è più grave) viene , tutto sommato, contenuto. Esistono persone che sono uscite da 500 metri di profondità ( 50 Atm), ma si usano tecniche molto particolari. Un tizio che è partito dalla superficie, è sceso e poi risalito , senza soluzione di continuità , ed è sceso a 378 metri di profondità: Ciò significa 39 Atm di P e cioè la concentrazione dei gas nel sangue è 39 volte superiore a quella del mare. Come si fa scendere oltre i 40 metri? E come si fa ad evitare aumento di concentrazione di 02 ed N2 ? L‟N2 lo posso togliere dalla miscela tutto sommato. Esso non è un gas utile e quindi , per esempio , posso approntare una miscela in cui levo completamente N2 e faccio ad esempio una miscela in cui , al posto dell‟N2 , metto He. L‟He è un gas inerte che non produce alcun effetto e quindi si può sciogliere nel sangue anche a 10-15 volte più del normale senza provocare gli effetti negativi che provoca l‟N2. Ovviamente non posso levare O2 ; dunque non posso non respirare O2. Ma se scendo a 80 metri , posso fare un‟operazione. Metto O2 , ma non scendo al 20 % , bensì al 10 %. Quindi io mi immergo con 2 bombole. Fino a 40 metri respiro aria compressa. Quando arrivo a 40 metri, cambio bombola e comincio a respirare aria dove O2 ce n‟è di meno. Essendocene di meno, la citotossicità viene contenuta. Se voglio superare gli 80 metri, devo portare una terza bombola in cui l‟O2 è il 5 %. Se voglio andare oltre i 150 metri, devo portare una 4° bombola in cui l‟O2 è al 2 % ( perché poi compresso 20 volte, il 2 % diventa 40 %). Quindi proviamo ad immaginare un sub che scende con 4 bombole, ognuna con una miscela diversa in funzione della profondità che vuole raggiungere. Quindi ci vogliono dei professionisti che hanno una buona conoscenza della gestione di questo tipo di situazione , senza la quale è impossibile pensare di scendere. Il tizio sceso a 378 metri aveva una bombola ( l‟ultima bombola) in cui l‟O2 aveva una concentrazione dello 0,05 %, poiché era talmente compressa , che già allo 0,05 gli da un tale numero di 02 di molecole che sfiorava la cito-tossicità. Come funzionano le bombole? Il sub prende aria dalla bombola ( inspira), ma quando l‟aria viene buttata via e va nell‟acqua e si formano delle bolle che salgono in superficie ( e quindi quando lui espira ) , ovviamente butta via anche O2 e quindi una delle cose che si è fatto è quella di creare respiratori a circuito chiuso, in cui si recupera ciò che viene espirato, si toglie così la CO2, si aggiunge O2 rispetto a quello che si è consumato e si fa respirare nuovamente il soggetto. Questo tipo di respiratori in italiano si dovrebbero chiamare Rirespiratori , mentre in inglese Rebreather e sono delle macchine ad altissima tecnologia , usate dai militari principalmente. Infatti una macchina del genere costa 200 mila euro medialmente e quindi non sono alla portata dello sportivo. I militari lo usano per non farsi scoprire che sono in profondità, altrimenti le bolle in superficie fanno notare la loro presenza. Mediante la circolazione a circuito chiuso non ci sono bolle e il soggetto continua 190
a respirare la propria aria. Ha un bombolino che aggiunge O2 mammano che si consuma e un sistema che toglie CO2 mammano che si produce. Esso è un sistema computerizzato che calcola profondità ecc. ecc. e gli permette di fare tutto ciò. [Una bombola da 15 litri a 200 Atm viene consumata in 1 h o 1.15 h. Un soggetto che sta sott‟acqua, può stare 5-6-7 ore. Gli serve un bombolino che gli aggiunge O2 man mano che esso si consuma. Un bombolino da 1 litro a 200 Atm sono 200 litri di O2. Ci vuole molto tempo per consumare 200 litri di O2.] Con questo sistema il soggetto può stare tutto il tempo che vuole. Però non si risolve un problema. Quando io scendo , durante la discesa, mammano che vado sempre più profondo, nel mio sangue si scioglie O2 con rischio di Cito-tossicità ed N2 con il rischio di Narcosi da N2. Sostituendo N2 con He, non ho più rischio di Narcosi da N2 ma l‟He si scioglie lo stesso nel sangue. L‟unico effetto collaterale dell‟He è un curioso effetto sulle corde vocali. L‟He produce una piccola edema delle corde vocali per cui , quando questo sub risale, esso per un paio d‟ore ha una voce come paperino ( xD). I problemi però vengono quando si deve risalire perché , nel momento in cui si deve risalire, la P comincia a diminuire e quindi , siccome diminuisce la P, per la Legge di Henry, il gas in soluzione da fase liquida torna in fase gassosa. Dunque durante la risalita sia 02 che N2 passeranno da sciolti nel sangue a formare invece delle bolle nel sangue. Quindi la risalita prevede inevitabilmente una diminuzione di P e questa diminuzione di P naturalmente prevede che tutti i gas che si sono sciolti nel sangue passino da una fase liquida alla fase gassosa. Per l‟O2 grossi problemi non ci sono perché se ne scioglie poco. Il problema è l‟N2 perché durante la risalita ( l‟N2 che rappresenta l‟80 % di tutto il gas contenuto) produce delle bolle inevitabilmente. Allora la strategia è salire lentamente ,in questi casi, in maniera tale che le bolle si formino molto lentamente e si da il tempo al sangue di passare dal polmone nel momento in cui queste bolle vengono formate , in maniera tale che la bolla va direttamente nell‟alveolo e mediante la respirazione vengono espirate bolle di azoto direttamente fuori nell‟acqua. Quindi la regola generale per il sub è che , durante la discesa , non ha molta importanza con quale velocità scende ; ma nel momento di risalire diventa fondamentale che la risalita avvenga ad una velocità che consente la formazione di bolle cosi lentamente da fare in modo che le bolle si formino nel Piccolo Circolo proprio quando il sangue passa vicino gli alveoli. Cosi queste bolle di gas vengono eliminate direttamente negli alveoli e non si pone alcun problema. Esistono vari metodi matematici per calcolare la velocità di risalita , ma il metodo empirico più semplice è banale e difficile da sbagliare. Oggi si usano computer che , durante la risalita, misurano con quale velocità il sub risale e così si può rallentare la risalita se si supera la velocità. Se la batteria si scarica, la regola è che se il sub espira, le sue bolle salgono e in questo modo bisogna risalire più lentamente delle bolle. Se saliamo più lentamente delle bolle che produciamo, non si pone alcun problema. La quantità di gas che si forma in circolo è talmente lenta da essere sicuri che il gas si formi nel Piccolo Circolo a livello degli alveoli e non ci sono così problemi di alcun tipo. In ogni caso una regola internazionale dice che , quando il sub ha completato la risalita, quando mancano 3 metri, si deve fermare e stare 3 minuti a 3 metri. Quelle piccole bolle rimanenti vengono cosi eliminate . Se si sale troppo velocemente, le bolle si formano in circolo e tali bolle andranno ad attrarre arterie di diametro comparato e quindi ci può essere un‟ostruzione ( embolia gassosa) in un‟arteria qualunque ( compresa la polmonare stessa). Quando queste grosse bolle incontrano un‟arteria più piccola di loro, la bolla ostruisce l‟arteria e il soggetto va in embolia gassosa. 191
Se un paziente ha embolia gassosa e si è però in un ospedale attrezzato di Camere Iperbariche ( che sono dei cilindri metallici) come il “Cannizzaro”, il problema si risolve. Il sub si chiude ermeticamente tutto, si corica nel lettino e dentro si fa aumentare la P dell‟aria come se lui stesse scendendo e si riporta il soggetto ad una pressione uguale a quella presente a 50 metri di profondità. In questo modo le bolle si tornano a sciogliere nel sangue. Dopo, dove le bolle si sono sciolte nel sangue, si fa risalire e cioè si riduce la P, rispettando stavolta le tabelle di decompressione e facendo risalire la pressione lentamente. In questo modo non c‟è più rischio di embolia. Passando così qualche ora nella camera di decompressione, si torna alla normalità. Se non c‟è una camera di decompressione, l‟unica cosa da fare è prendere il paziente e riportarlo giù. Lo si riporta cosi alla P che lui ha raggiunto come P massima, aspettiamo che si scioglie il gas in circolo e piano piano lo riportiamo su rispettando le tabelle di decompressione. Questo è un metodo ovviamente che funziona in maniera grossolana , ma funziona. Altrimenti i danni al cuore, cervello sono irreversibili. È necessario un pronto intervento in questi casi. Ricapitoliamo: un soggetto che si immerge con Autorespiratore , ha un problema collegato alla quantità di gas che si sciolgono nel sangue. Il problema è sia in discesa che in salita. In discesa perché , durante la discesa, questi gas che si sciolgono sono via via sempre di più ( N2, O2) e quindi ci possono essere effetti collegati all‟alta concentrazione di N2 ( soprattutto sotto forma di questa condizione di “ Simil Ubriacatura” che è piuttosto frequente) , ma principalmente quella da temere è la Neuro-tossicità da O2. Oltre i 40 metri è molto pericoloso utilizzare aria compressa perché comprimendo il 21 % di 02 per 5 volte, la quantità di 02 che va in circolo è elevatissima. Bisogna così iniziare ad usare miscele che contengono meno 02. Se voi andate a comprare un braccialetto o un orecchino di corallo, il corallo è stato preso a circa 90 metri sotto il livello del mare. Se un soggetto lo va a prendere a 90 metri e lavora 10 minuti, per risalire ci mette almeno 4 ore. La risalita deve essere talmente lenta che dobbiamo eliminare 9 volte l‟N2 nel sangue che deve passare dalla fase liquida a quella gassosa. Allora questi operai lavorano così: si fanno preparare una specie di poltrona e attorno ci sono varie bombole con varie miscele. Con una zavorra si fanno calare fino in fondo, cambiando bombole durante la discesa . Quando sono sul fondo lavorano.Poi si siedono su una poltrona e si fanno tirare su lentamente alla velocità programmata. Il tizio che è sceso con i suoi mezzi oltre i 300 metri è stato 5 minuti a 300 metri e ha compiuto 18 ore per risalire in superficie. Dopo i 40 metri di profondità, il buio è assoluto e quindi ci si ritrova in un ambiente freddo, oscuro . Molto spesso il soggetto , per sapere dove è su e dove è giù , si deve regolare con le proprie bolle e deve regolarsi cosi per sapere dove è la sua posizione. Il record ( senza conseguenze) di immersione è di 221 metri ; colui che fece 378 metri invece venne ricoverato. C‟è una profonda differenza tra Apnea e Autorespirazione. Un soggetto che è in apnea non respira e l‟aria la prende quando è ancora fuori e quindi a P atmosferica chiude la bocca e si immerge. Quel volume d‟aria sarà tutto quello che lui ha per tutto il tempo che sta sotto ; egli non respira. Ovviamene quel volume d‟aria cambierà , perché quest‟aria , con il passare del tempo , avrà sempre meno ossigeno e sempre più C02. Ma il volume , mammano che la pressione aumenta, occuperà meno spazio e cosi il gas tenderà ad occupare uno spazio minore. All‟aumentare della P, ogni gas tenderà a diminuire il proprio V. Lì non c‟è il rischio che si scioglie nel sangue più O2 e più N2, perché la quantità è quella. Il problema è respirare aria ad alta pressione e si scioglierà anche una quantità di gas maggiore proporzionale alla pressione a livello in cui siamo arrivati. Se noi respiriamo aria 5 volte 192
più compressa del normale e quindi 5 volte più O2 e N2, siamo ai limiti del rischio della Citotossicità di 02 e Narcosi da N2. Domanda da parte di Salvo Centamore : Uno che fa Apnea ha gli stessi rischi di chi fa Autorespirazione? No. Uno che fa Apnea deve fare i conti bene perché , se gli manca il fiato e deve risalire, ci lascia la pelle. Durante la risalita di un soggetto che è sceso in Apnea, mammano che scende ( partendo con il pieno di ossigeno) , consuma O2. Arriva in fondo e risalendo l‟O2 è al minimo, mentre la CO2 è al massimo. Durante la risalita, i Glomi (Chemiocettori centrali) stimolano che ci sia una respirazione e che ci siano le prime contrazioni diaframmatiche. È questo il momento pericoloso perché , se si fa un atto respiratorio quando si è ancora sott‟acqua, si muore. Nuovamente Salvo Centamore: Quindi non c‟è quel problema di bolle? Professore: No. Questo è un problema esclusivo di chi fa consumo di Autorespiratore. Non è un problema che riguarda i soggetti che vanno in apnea. I soggetti che vanno in apnea hanno altri tipi di problemi. Principalmente il rischio maggiore è la rottura del timpano, perché , scendendo velocemente e non compensando adeguatamente , si va incontro a quello che si chiama Barotrauma Timpanico. Esso è un danno irreversibile e il timpano rimane danneggiato per sempre. Anche se cicatrizza, non potrà più sopportare alte pressioni. Quindi quello che preme sapere è che la discesa in apnea è diversa da quella con Autorespiratore. Sono 2 modi diversi di andare sott‟acqua. La discesa in apnea non crea problemi di questo tipo; non c‟è rischio di gas sciolti di più e non c‟è rischio di decompressione. L‟unico problema che c‟è è che il soggetto deve gestire bene i tempi che ha a disposizione e stiamo parlando di soggetti che , immergendosi , fanno anche attività fisica e il cui volume di O2 è abbastanza accentuato. Il record mondiale in Assetto Costante è 121 metri; il soggetto ci ha messo 2 min e 30 tra discesa e risalita e la risalita la si può fare veloce visto che non c‟è problema della decompressione. Coloro che praticano i “No Limits” riempiono un pallone d‟aria e si fanno sparare verso l‟alto nel tentativo di risalire più velocemente possibile. C‟è solo il rischio di Barotraumi timpanici elevatissimi legati alla pressione. Ciò che si deve ricordare sono 3 malattie legate a chi fa uso di Autorespiratore: -
Cito-tossicità da O2, in particolare la Neuro-tossicità da O2 che , dopo i 40 metri , è inesorabile. - Narcosi da N2 : questa ubriacatura che porta l‟N2 dopo i 40 m. - L‟aspetto più rischioso è la risalita , ovvero l‟embolia gassosa e cioè il fatto che in una risalita troppo veloce si porta alla formazione in circolo di bolle . Queste bolle determinano occlusione delle arterie e se occludiamo le grosse arterie ci sono guai seri e condizioni di elevata gravità. - In realtà l‟embolia gassosa è un evento abbastanza raro. Oggi con i computer è difficile che un soggetto vada in embolia , a meno che non si sia rotto il sistema di galleggiamento e sia stato sparato involontariamente verso l‟alto. Esiste un altro tipo di patologia. Essa non è l‟ “ Embolia gassosa acuta”, ma quelle che si chiamano “ Micro-embolie Croniche”. Queste patologie colpiscono principalmente il soggetto 193
professionista ( difficile che colpiscono i principianti che sono ligi al dovere e rispettano ogni procedura). Alla fine dell‟immersione, non rispettando i tempi di procedura, si sono formate piccole bolle che non ostruiscono vasi significativi e non danno embolia circolatoria. Però queste piccole bolle di N2 si accumulano nei tessuti ricchi di grasso. Quindi ci sono dei tessuti dove si raccolgono con facilità queste micro-bolle di N2. Uno di questi è rappresentato dalle capsule articolari che sono particolarmente ricche di connettivo adiposo e fibroso. Così queste micro-bolle, accumulandosi nelle capsule, determinano con il passare del tempo una patologia cronica della capsula con reazione di infiammazione cronica e si hanno delle vere e proprie Artriti croniche del ginocchio, spalla e anca con effetti abbastanza seri sulla mobilità attiva e passiva delle grandi articolazioni. Il soggetto attribuisce tali problemi alla continua immersione in acqua (dalla mattina alla sera) e sottovaluta il fatto che , in realtà , non c‟entra affatto il freddo, l‟acqua e umidità ma che queste patologie invece sono conseguenti a questa Microembolia Cronica che danneggia le capsule. Un altro tessuto però ricco di grasso è la mielina e quindi un altro potenziale rischio di queste Micro-embolie è dato dal fatto che le micro-bolle si vanno a depositare nella sostanza bianca del S.N.C. Attualmente il Prof. Perciavalle sta facendo una ricerca ( per conto della OMS) sul danno della mielina in subacquei professionisti che hanno fatto migliaia di immersioni e che ovviamente hanno questo rischio professionale. Correlazione lineare: più sono le immersioni, più alta è la probabilità di trovare danni della mielina. I danni della mielina vengono studiati con una tecnica particolare che si chiama “ Fractional Microneedle” ed è abbastanza evidente il danno che c‟è in questi soggetti. Anche questa è una malattia professionale da diagnosticare per tempo per impedire a questi soggetti di aggravare. Stiamo parlando di persone che fanno migliaia di immersioni. [ Il Prof dice di aver fatto un paio di migliaia di immersioni ma la gente professionista ne ha fatte molte di più]. [Vi fu un tizio che ad Ognina si incaponì di catturare una cernia. Questa cernia era nascosta a 60 metri. Allora questo scese li sotto e la cernia non si poteva prendere. Stava finendo il tempo a disposizione perché si devono rispettare i tempi per la risalita. Il sub fece questo ragionamento : “ Uccido la cernia; sparo una risalita veloce ; mi faccio venire l‟embolia tanto sono ad Ognina e il Cannizzaro è vicino ; vado nella camera iperbarica e ho ottenuto la cernia”. Il risultato fu che morì nella strada per andare da Ognina al Cannizzaro. Arrivò al Cannizzaro morto , ma riuscì a pescare la cernia ( xD). ] [ Il prof dice che il posto più bello per fare immersioni nel Mediterraneo è l‟isola di Ustica, dove ci sono dei fondali stupendi. Racconta Perciavalle che ad Ustica, assieme ad un gruppo di ragazzi, vide arrivare una signora sessantenne dall‟aspetto tozzo, da tipica massaia. Ella era accompagnata da un ragazzo molto atletico che voleva farsi l‟immersione. Ambedue russi. Erano madre e figlio. Si scoprì che la madre era Colonnello delle Forze Speciali Subacquee della Russia. Si era fatta immersioni al Polo Nord, Polo Sud, aveva recuperato sommergibili. U figghiu era scarsu n‟confrontu. Lei invece aveva fatto 16000 immersioni in 30 anni. Di queste, almeno un centinaio oltre i 100 metri. Aveva salvato il Kursk, che era il sommergibile disperso nel Mare del Nord in cui morirono 100 marinai a più di 400 metri. Il prof dice che stava sott‟acqua come fosse un tricheco. Aveva dato una lezione di classe.]
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La Micro-embolia cronica è invece un problema da temere soprattutto per chi fa molte immersioni.
Adesso parliamo della ”Fisiologia Cardiocircolatoria Prenatale” , che è diversa dalla “ Fisiologia Cardiocircolatoria Postnatale”. Un soggetto normalmente ha il cuore sinistro, l‟aorta, i capillari della grande circolazione, cuore destro, arteria polmonare, i capillari della piccola circolazione e si ricomincia un‟altra volta. Nel polmone dell‟adulto avvengono gli scambi di O2 e CO2 . Ma durante la vita prenatale non è cosi ovviamente. Il feto infatti non respira ; i polmoni sono pieni di acqua e la funzione ventilatoria non c‟è. Il compito di fornire O2 e allontanare la CO2 spetta alla madre attraverso un‟interfaccia con il figlio che si chiama Placenta. Quindi il figlio durante la vita fetale esclude il polmone e invece mette in moto una circolazione che permette al sangue di entrare in estrema vicinanza con il sangue della madre a livello Placentare per poter effettuare gli scambi gassosi , ma anche nutrizionali. La placenta così sostituisce l‟apparato digerente perché tutti i nutrienti che devono arrivare al sangue del figlio non possono arrivare attraverso la via digerente , ma tramite la madre. La madre sostituisce anche la funzione renale. L‟urina del feto giunge un po‟ nel liquido amniotico, ma il grosso della filtrazione del sangue avviene a livello della Placenta. Quindi quali sono le differenze?
Il polmone non funziona. È inutile mandare sangue al polmone. Durante la vita fetale il flusso polmonare , cioè la circolazione polmonare , porta al polmone si e no un centesimo del sangue che c‟è in tutto il resto della vita. Una piccola quantità di sangue va al polmone solo per nutrirlo e mantenere in vita le strutture parenchimali polmonari. Come fa il sangue a non andare al polmone? Siccome gli alveoli sono pieni di acqua, questi schiacciano i capillari e questi ultimi presentano un‟elevata resistenza ( R=8η l / πR4). C‟è un‟alta resistenza. Il feto allora sfrutta 2 comunicazioni. Una comunicazione avviene direttamente tra atrio destro e atrio sinistro: Forame di Botallo. Siccome la P è più alta a destra che non a sinistra, il sangue andrà da destra a sinistra. Meno sangue entrerà nell‟arteria polmonare e più sangue si sposterà direttamente nell‟altra metà del cuore. Il secondo collegamento avviene direttamente tra Arteria polmonare e Aorta: Dotto Arterioso di Botallo. Anche qui succede la stessa cosa : è più alta la P nel lato dell‟Arteria polmonare e più bassa la P nel lato dell‟Aorta. Quindi tra Forame di Botallo e Dotto di Botallo, il 99 % del sangue, anziché andare al Polmone, salta la Piccola circolazione e torna direttamente alla Grande circolazione. Grossomodo , 2/3 attraverso il Forame torna alla grande circolazione e 1/3 attraverso il Dotto di Botallo. Naturalmente questo è il primo obiettivo da raggiungere. È inutile cioè andare al Polmone. Il secondo obiettivo da raggiungere è permettere di mettersi in collegamento attraverso la placenta con la madre e nasce allora un‟arteria dalla circolazione addominale che porta sangue alla placenta e poi dalla placenta nascono delle vene che riportano questo sangue direttamente alla Circolazione del figlio. In pratica immaginate la circolazione addominale di un adulto. Le arterie che si trovano sull‟addome ( Gastroduodenale, Mesenterica Superiore e Mesenterica Inferiore) durante la vita 195
fetale sono 4 , perché ce n‟è una in più che è quella che permette al feto di collegarsi con la madre ( Arteria Ombelicale) , la quale raggiunge la Placenta. A livello Placentare avvengono gli scambi e poi , attraverso la Vena placentare , il sistema riporta il sangue alla circolazione del bambino e quindi oltre le vene dell‟apparato addominale ( Gastroduodenale, Mesenterica Superiore e Mesenterica Inferiore) ce n‟è una in più che va a finire , assieme a quelle prima menzionate , a formare la Vena Porta e attraverso questa tale sangue , che proviene dalla madre, va al fegato e segue la normale via del sangue refluo dal resto dell‟intestino. Quindi l‟adulto rispetto al bambino ha una cosa in più e una in meno: nell‟adulto funziona il Piccolo Circolo che non funziona nel feto. Nell‟adulto invece non c‟è la Circolazione Placentare che è fondamentale nel feto ma che , al momento della nascita , con il distacco della placenta non ha più motivo di esistere. Alla nascita il taglio del cordone ombelicale è la prima cosa che si fa e il sangue può finalmente perfondere il Circolo Polmonare. Facciamo ora attenzione alle P parziali di O2 che non sono quelle di un adulto. L‟aorta porta ai tessuti sangue povero di O2 ( nel feto) dato che non è stato ossigenato. Quando arriverà alla placenta, il sangue arterioso è povero di O2 e verrà ossigenato a livello Placentare. Quindi la vena che proviene dalla placenta contiene più O2 del sangue contenuto nell‟arteria ovviamente che va alla placenta, perché l‟O2 lo prende a livello Placentare. Quindi arriva sangue scarso di O2 con l‟arteria ombelicale e viene riportato al feto , attraverso le vene ombelicali, sangue arricchito di O2. Questo sangue arricchito di O2 finisce al fegato e dal fegato finisce alla Vena Cava Inferiore. Quindi il feto ovviamente ha una Cava Inferiore e una Cava Superiore diretta al cuore destro. Il fegato , attraverso le arterie Sovraepatiche , manda sangue ricco di O2 alla Cava Inferiore ma questa non riceve solo questo sangue ma anche , dalle varie parti inferiori del corpo, sangue povero di O2. Quindi questo sangue venoso povero di O2 quando arriva qui, riceve un po‟ di O2 finalmente e da qui in su abbiamo finalmente sangue ricco di O2. Questo arriva all‟atrio destro e alla Cava Superiore che è poverissima di O2. Quindi la P parziale di O2 continua a scendere e questa P parziale di O2 rimarrà stabile nell‟arteria e in tutti i rami dell‟arteria successiva. Quindi attenzione: il punto della circolazione del bambino a più alta P parziale di O2 è rappresentata dalle Arterie Sovraepatiche prima che sbocchino nella Cava Inferiore ed è li che si ha la massima P parziale di O2. Infatti esso si va a miscelare con il sangue venoso vero che proviene dalle parti inferiori del corpo , per non parlare di quello proveniente dalla Cava Superiore. In ogni caso , nel feto , il sangue venoso è più ricco di O2 del sangue arterioso. Infatti il sangue arterioso nel feto in generale è prima della placenta ; quello venoso nel feto è dopo la placenta. Quindi è qui che mi aspetto di trovare più PO2 che non nel lato arterioso. Quando il bambino nasce, si verificano 2 eventi ovviamente. Il primo evento importante è il distacco dalla placenta. Il distacco dalla placenta crea un dramma perché improvvisamente il sangue del bambino non è più rifornito di O2 . Quindi nel bambino comincia a diminuire O2 e aumentare CO2 perché , essendo interrotto il collegamento madre-figlio e una volta staccata la placenta , ovviamente il collegamento madre-figlio non c‟è più e quindi la madre non ha più modo di fare arrivare O2 al figlio e togliere CO2 al figlio. Il bambino va cosi istantaneamente in Ipossia e Ipercapnia e contemporaneamente il bambino viene fuori dalla madre. Ci sono 2 modi per venire fuori dalla madre: un modo fisiologico e un modo non fisiologico. Il modo non fisiologico è il Parto Cesario. Il modo fisiologico è invece migliore perché , quando il bambino si va ad infilare nel canale cervicale e quindi si infila attraverso il Canale di Parto, questo è molto stretto. Quando il bambino si infila nel canale di Parto, c‟è un restringimento del torace e ciò svuota il polmone di tutti i liquidi contenuti a livello degli alveoli. Quindi quando il bambino esce e finalmente il 196
polmone si espande, in esso c‟è aria e non liquidi. Appena nel polmone c‟è aria, diminuisce la resistenza perché si dilatano i vasi polmonari, aumenta il raggio e diminuendo la resistenza , aumenta il flusso di sangue verso il polmone. Diminuisce la pressione all‟interno dell‟Arteria polmonare. La pressione nell‟Arteria polmonare durante tutta la vita fetale è stata più alta di quella dell‟Aorta ( 70-80mm/Hg) ( nell‟aorta 60/70 mm/Hg). In questo modo il sangue va dal Piccolo circolo al Grande circolo, essendoci il Forame che attraversa il Dotto Arterioso di Botallo. Appena si abbassa la P nel Piccolo Circolo a 10-15 mm/ Hg rispetto a 70 mm/Hg , il flusso si inverte. Stavolta è il sangue che va dalla Grande circolazione e cioè dal punto a P più alta verso il punto a P più bassa. Quindi appena il bambino nasce, si verificano 2 eventi: inversione di flusso nel Dotto Arterioso di Botallo, mentre nei due atrii , appena il bambino viene fuori , c‟è la stessa P sia nell‟atrio destro che nel sinistro. A quel punto anche se il buco c‟è, non c‟è più il gradiente pressorio ( potrebbe rimanere un buco per tutta la vita ma se non c‟è differenza di pressione tra atrio destro e sinistro, non c‟è flusso e non si verifica nulla): Molto spesso una persistenza del forame la troviamo in un‟ecografia ancora a 20-30 anni di vita che può essere causa di problemi di altro tipo, cefalee ed altre patologie che adesso non ci interessano ma non è causa di alcun tipo di problema Cardiocircolatorio. Quello che è importante invece è che si inverte il flusso nel Dotto Arterioso di Botallo. Per tutta la vita fetale, il sangue andava dall‟Arteria Polmonare all‟Aorta. Ma qui , appena si abbassa la pressione subito dopo la nascita, il flusso si inverte e andrà dall‟Aorta verso l‟Arteria Polmonare. Questo è importante perché nel Dotto, appena si inverte il flusso, noi abbiamo immediatamente la messa in opera di processi cicatriziali che nell‟arco di pochi giorni porteranno alla chiusura del Dotto Arterioso di Botallo. Quindi la causa scatenante della chiusura del Dotto Arterioso di Botallo, che è fisiologica e deve avvenire dopo la nascita, è rappresentata dall‟inversione del flusso. Appena il sangue non va più dalla Polmonare all‟Aorta, ma si inverte, e andrà dall‟Aorta alla Polmonare , perché è più bassa la P nella Polmonare come sarà per tutta la vita, questa inversione di flusso è la causa scatenante dell‟obliterazione che , nell‟arco di pochi giorni , porterà alla chiusura definitiva del Dotto Arterioso di Botallo. A volte in certe patologie del cuore, per esempio, potrebbe essere utile il Dotto Arterioso di Botallo. Per esempio esiste una malattia che si chiama “ Tetralogia di Fallot” in cui ci sono una serie di guai a livello cardiaco, il principale dei quali è rappresentato dal fatto che il sangue non riesce a passare dal ventricolo destro all‟Arteria Polmonare. C‟è un‟ostruzione che si chiama sperone di Wolff , ( n.b. forse è “ Wolff “ ) , che è una malformazione cardiaca congenita. Questo sperone impedisce al sangue di andare all‟Arteria Polmonare. Se il sangue non va all‟Arteria Polmonare, non viene ossigenato. Se non viene ossigenato, il bambino va in Ipossia. Però , fino a quando ci sarà il Dotto Arterioso di Botallo, il bambino riesce a compensare perché un po‟ di sangue nel Piccolo Circolo arriva attraverso il Dotto Arterioso di Botallo. Così il bambino comincia a presentare problemi non subito dopo la nascita, ma quando obliterà il Dotto Arterioso. Il bambino diventerà di colore blu, in quanto cianotico. Fino a quando non si chiude il Dotto Arterioso di Botallo, non si avranno sintomi clamorosi. Solo che , quando esso si chiude, non ossigeno sangue e andrà in cianosi e diventerà cianotico. Questi erano bambini destinati a morire fino a quando una fisiologa americana , Taussig , convinse un Cardiochirurgo Americano , Blalock, a fare un intervento che consiste nel fare un nuovo Dotto Arterioso di Botallo. In questo modo il bambino riusciva a sopravvivere. L‟ ” Intervento di Taussig e Blalock “ permetteva di salvare la vita a molti di questi bambini permettendo ad essi di sopravvivere fino all‟età di 8-9 anni, ovvero quando essi erano in grado di sopportare un intervento di cardiochirurgia. In essi si 197
levava lo sperone e si poteva migliorare la situazione cardiaca. Calcolate che il bambino ancora oggi , con una tale cardiochirurgia di altissimo livello , ha un alta probabilità di morte. Ne muore 1 su 3 sotto i ferri. Ancora oggi è un intervento ad altissimo rischio per il bambino. Ma se non si opera, muore lo stesso. Pensate che i moderni Ecografi permettono ad un bravo Ecografista di fare le diagnosi di Tetralogia di Fallot al sesto mese di gravidanza. Cosi , con un cuore insignificante, già un bravo ecografista riesce a dire al medico: Attenzione! C‟è qui un quadro che ricorda una Tetralogia e c‟è il rischio che alla nascita ci troviamo di fronte un bambino con una situazione di questo tipo. Ricapitoliamo: Circolazione fetale. Essa ruota attorno ad un concetto banale. Il bambino non respira per tutti 9 i mesi. Siccome non respira, non ha bisogno che il suo polmone riceva il piccolo circolo. Quindi tutta la circolazione del bambino viene modificata durante la vita fetale per By-Passare il polmone dal punto di vista Cardiocircolatorio , mentre invece occorre che il sangue venga fatto arrivare a una struttura che non ci sarà dopo la nascita, la placenta, che fa invece le veci del polmone. La placenta umana è di tipo Emocoriale e cioè le cellule del bambino pescano direttamente nel sangue della madre. Quindi ci sono solo 2 cellule che separano il sangue del figlio dal sangue della madre e quindi questo filtro permette buoni scambi sia di gas che di molecole solide perché tutti i nutrienti e cataboliti devono essere in grado di essere allontanati o fatti entrare a livello di questa circolazione placentare. Quando un bambino nasce, se tutto va liscio, la madre è autosufficiente e il parto avviene senza necessità che intervenga il medico , tranne per 2 cose che la legge impone: (ricordando che fino al parto egli è stato sigillato e non è mai venuto a contatto con microorganismi) Il fatto stesso che il bambino passi attraverso il canale cervicale; infatti la vagina è piena di batteri come qualunque altra parte del corpo e questo bambino , stricando lungo le pareti della vagina , viene a contatto per la prima volta con dei microorganismi che possono essere , nella stragrande maggioranza dei casi, innocui e che non creano particolari problemi. Ma la madre potrebbe avere nella vagina dei batteri in grado di essere lesivi, in particolare sono temibilissime le Flore Batteriche in grado di aggredire la congiuntiva e la cornea del bambino che , stricando e uscendo nel canale di parto, potrebbe avere infettata la propria superficie corneale dalla presenza di questa flora. La prima cosa che dovete fare e la legge ve lo impone è quella che si chiama “ Profilassi di Credè” e cioè un Collirio di Penicillina ad alta concentrazione che faccia fuori il più velocemente possibile i batteri che sono venuti a contatto con la superficie esterna dell‟occhio del bambino onde evitare patologie che possono portare a cecità già al momento di nascere per una banale infezione del bambino. La legge lo impone e dunque la prima cosa da fare è la “ Profilassi alla Credè”. Un tempo si faceva con il Nitrato di Argento; ora si usano antibiotici per fare ciò. La seconda cosa che il medico deve fare ed è ancora più importante , stavolta per la madre, è controllare che tutta la placenta sia uscita. Quindi dopo che il bambino è nato, il medico deve prendere la placenta, mettersela davanti e controllare che c‟è tutta. Se ne manca un pezzo ed è rimasto dentro, appiccicato all‟endometrio della madre, questo pezzettino di placenta può generare nella madre un cancro di altissima malignità noto come Corio-Epitelioma e il medico deve quindi assolutamente essere sicuro che tutta la placenta sia stata espulsa. Se è stata espulsa , va allora tutto bene ; altrimenti si deve tirare dalla madre il pezzo mancante perché se no il rischio del Corion-Epitelioma è altissimo. La presenza del medico è importante per il parto ( perché se il parto è eutocico , il medico non serve a nulla ; ma poichè la legge gli impone questi 2 passaggi , Profilassi alla Credè e immediatamente questo collirio, deve tutelare la cornea del 198
bambino e poi soprattutto verificare la completa espulsione placentare, altrimenti sono guai seri per la madre). Se si prende un libro di medicina di Igiene degli anni ‟40 e leggete “ Aspettativa di vita di una donna”, c‟era scritto 45 anni di vita. Oggi è di 89 anni. La differenza in sole 2 generazioni è la mortalità da parto che è stata estinta. La prima causa di morte per le donne nei millenni è stato il parto. Una delle cause più frequenti di morte nel passato erano le infezioni da ferri sporchi: al primo posto il tetano. La seconda causa di morte: quando la donna partorisce, l‟utero si contrae e il bambino esce. Quando il bambino è uscito, l‟utero deve rimanere contratto ; in questo modo vengono schiacciati i vasi uterini ed essendo contratto per un certo periodo di tempo, il sangue coagula . Infatti , se quest‟utero si rilascia, inizia un‟emorragia inarrestabile perché si è staccata la placenta e c‟è una superficie esposta della madre. La madre morirebbe di emorragia in pochi minuti. È fondamentale questa violenta contrazione uterina che duri per dare il tempo al sangue di coagulare e salvare la madre dal rischio di morte di emorragia post-parto. [Dopo aver incoraggiato le fanciulle a fare tanti figli, da studenti di medicina scoprite che ogni volta che studiamo un capitolo di medicina o studiate una malattia, vi l‟attruvate: esordio subdolo, sintomi ambigui, vaghe dolenze. L‟unica materia che gli studenti maschi studiano tranquilli è la Ginecologia ( xD), con grande serenità. L‟internato in Ginecologia è una delle branche non routinarie dove ci si trova di fronte le donne più disparate: quella che ha problemi oncologici, quella che ha problemi infettivi, quella che ha problemi endocrini, quella di 14 anni, quella di 90 anni, quella con problemi di fertilità, quella che ha un figlio, approcci chirurgici ecc. ecc. C‟è una grande diversificazione che non esiste più in nessun‟altra branca della medicina. In un pomeriggio di visita è difficile trovare 2 casi uguali. Durante la vita fetale, la circolazione del sangue presenta una caratteristica peculiare. Il sangue ricco di 02 è quello che proviene dal feto e attraverso le Vene epatiche raggiungerà la Cava Inferiore. Questo sangue ricco di O2 nella Cava Inferiore si miscela con sangue povero di 02 e già la PO2 diminuisce. Poi questo sangue , quando arriva nell‟atrio, si miscela con la Cava Superiore dove c‟è sangue povero di O2 e si miscela ancora di più. Ma questo O2 è l‟unico che c‟è una volta raggiunta l‟aorta e che gli altri apparati si devono prendere. Quando il bambino nasce , è fondamentale il primo atto respiratorio. Esso è drammatico poiché espandere una gabbia toracica mai espansa , con un po‟ di liquido rimasto ancora dentro e con dei muscoli poco strutturati , è non semplice. Ecco perché è importante il restringimento durante il canale di parto. Infatti questo restringimento aiuta perché da un lato svuota in parte il polmone, dall‟altro rende più facile il lavoro di espansione dei muscoli inspiratori. Il segnale è da parte dei chemiocettori , cioè il segnale che mette in moto il primo atto respiratorio è l‟ipossia. Il fatto che si stacca prima la placenta, nel sangue del bambino diminuisce l‟O2 e aumenta la CO2. Avete 3 minuti per fare avvenire il primo atto respiratorio. Qua vi giocate un bambino. Se il cervello ( ad altissimo metabolismo come quello di un bambino appena nato) rimane senza O2 per più di questo tempo, i danni cerebrali diventano irreversibili. Ci sono 2 rischi imprevedibili. Il primo può esserci prima dell‟uscita del bambino. Il bambino appena sta per avvenire il parto, cambia 199
posizione, si gira e si mette con la testa con il vertice verso il canale di parto. Il bambino si deve girare e si deve portare nella posizione fisiologica per la presentazione. Questo è il primo momento di rischio , perché , durante questa uscita , si potrebbe formare un nodo nel cordone ombelicale che può strozzare le arterie e le vene ombelicali e il bambino va immediatamente in ipossia perché non arriva più sangue e se si chiude la circolazione che connette il bambino alla madre. Il bambino va in ipossia. Ce ne accorgiamo perché i chemiocettori del bambino portano Tachicardia e faranno partire improvvisamente nel bambino un aumento del battito cardiaco fetale ingiustificato, non correlato alla contrazione della madre. Quando c‟è tachicardia non correlata alla contrazione, significa Ipossia del bambino ; fatelo uscire più velocemente possibile prima che i danni cerebrali siano diventati irreversibili. [ La mentalità del medico è sempre quella di partire dal presupposto che tutto quello che può andare storto , va storto e io devo essere in grado di fronteggiarlo. Se teoricamente è possibile che qualcosa andrà storto, lo sarà. È questo che il magistrato si aspetta da voi: se dovesse essere verificato qualcosa di storto, il magistrato domanderà: “ Scusi, ma non aveva previsto che questo poteva succedere? ” E li si passa da omicidio colposo a doloso! Si passa cosi dal “ senza carcere” al carcere. La medicina legale individua 3 responsabilità alla base della colpa - dolosità di un intervento medico: -
Negligenza : non avete fatto ciò che doveva essere fatto. Imprudenza: avete fatto una cosa che non era alla vostra portata ; non era il posto giusto e non c’erano le attrezzature giuste. Imperizia: avete fatto male una cosa.
Negligenza, Imprudenza, Imperizia = Dolo = Carcere. L’errore è previsto nella professione medica. La nostra non è una scienza esatta. Ma non deve essere risultato di negligenza, imprudenza, imperizia, ma soltanto di imprevedibilità. ]
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APPARATO URINARIO LEZIONE 23 IL RENE I reni sono due, uno a destra e uno a sinistra; si trovano nella parte alta e posteriore della cavità addominale, sono coperti in parte dall‟ultima costa e dietro c‟è il muscolo quadrato dei lombi. C‟è una sproporzione tra la grandezza dell‟organo e quella dei suoi vasi: l‟arteria renale è il doppio della carotide comune. Il rene gestisce una serie di funzioni:
la più semplice è eliminare sostanze non volatili presenti in circolo (che non possono essere liberate dall‟apparato respiratorio), a condizione che esse siano solubili in acqua (funzione di depurazione – allontanamento dal sangue di sostanze azotate); controllo della composizione chimico-fisica dei liquidi corporei (omeostasi dei liquidi: volume, concentrazione, composizione ionica, pH); ruolo endocrino: produce ormoni e in parte li completa; produce il precursore di un fattore ormonale, l‟eritropoietina. Essa si forma a partire da una macromolecola proteica per distacco; il fattore che ne provoca il distacco si chiama eritrogenina, che è in buona parte prodotta a livello renale. Quando nel rene si realizza una condizione di ipossia, esso reagisce aumentando la produzione di eritrogenina, che aumenta la produzione di eritropoietina, che aumenta il numero di globuli rossi (1/120 al giorno - la vita media di un globulo rosso è centoventi giorni); altri produttori di eritrogenina sono i glomi aortici e carotidei (misuratori di ossigeno, sensibili all‟ipossia): quando a livello glomico c‟è ipossia, essi mandano in circolo piccole quantità di eritrogenina che contribuiscono a creare la c.d. poliglobulia d‟alta quota. Il rene completa l‟attivazione di un importante ormone, la vitamina D, uno steroide; il precursore viene prodotto dalle cellule della pelle quando vengono esposte ai raggi ultravioletti della banda A (UVA); essi promuovono a livello cutaneo la sintesi di calciferolo. Tale precursore va al fegato che lega ad esso un gruppo OH (prima idrossilazione); in seguito va al rene che compie la seconda idrossilazione (idrossilazioni in posizione 1 e 25); si forma l‟ 1, 25 diidrossicolecalciferolo (forma attiva della vitamina). Questa vitamina è solubile nei lipidi; è importante perché a livello intestinale permette l‟assorbimento del calcio favorendo la sintesi del suo carrier. L‟assorbimento del calcio dipende dalla presenza o meno di vitamina D; se essa non c‟è, anche se negli alimenti c‟è il calcio, esso non viene assorbito, perché manca il carrier. La carenza di vitamina D determina carenza di calcio, la quale rallenta la sintesi della matrice ossea (idrossiapatite); si ha una grave alterazione dello sviluppo scheletrico, importante soprattutto nel bambino, dove tale sviluppo viene compromesso in maniera irreversibile. Il quadro clinico dell‟avitaminosi è il rachitismo, che presenta segni caratteristici utili per la diagnosi: tibia e perone non sono più articolati come un angolo piatto (gambe che deflettono verso l‟esterno o l‟interno: valgismo e varismo); presenza di un rigonfiamento in prossimità delle ossa del carpo (il polso non è più il punto più stretto dell‟avambraccio); la superficie delle coste non è più liscia e uniforme ma presenta grumi dovuti ad accumuli di calcio (costa a grano di 201
rosario). La causa dell‟avitaminosi è rappresentata dal fatto che spesso il neonato non viene esposto a sufficienza al sole (mancata esposizione ai raggi UVA) per paura di un raffreddamento; per la sintesi della vitamina D sarebbe sufficiente l‟esposizione di una ridotta porzione della superficie corporea alla luce solare, quale il viso. La vitamina D è un normale costituente del latte; la madre fornisce la vitamina D al proprio figlio attraverso il latte (sorgente di vitamina D); nel latte è normalmente presente una adeguata quantità di vitamina D, tranne nel latte scremato o parzialmente scremato (ecco perché viene aggiunta successivamente vitamina D al latte scremato). La vitamina D è una molecola non solubile in acqua, quindi, il rene non la può eliminare; pertanto, esiste anche un quadro clinico legato all‟eccesso di vitamina D (ipervitaminosi), che comporta un eccesso di calcio in circolo; questo determina, per esempio, un precoce saldamento della cartilagine di coniugazione (bassa statura). Tutto ciò spiega un fenomeno interessante: il perché esista l‟abbronzatura. Se vivo in un ambiente assolato (Equatore) produrrò tantissima vitamina D; nella pelle gli stessi UVA fanno produrre la melanina, che si interpone, limitando la penetrazione dei raggi ultravioletti, cosicché la produzione di vitamina si riduce. Esiste una relazione lineare tra latitudine e pigmentazione cutanea (soggetti più scuri vicino all‟Equatore perché più a rischio di ipervitaminosi D; al contrario, chi vive più a Nord deve essere più chiaro perché deve riuscire a produrre tutta la vitamina D necessaria). Bisogna ricordare che esistono due tipi di melanina: la eumelanina (che predomina nelle zone vicine all‟Equatore) e la feomelanina (dà il tipico colore rossastro). Un soggetto di gruppo etnico negroide che va a vivere a latitudini lontane dall‟Equatore deve assumere un supplemento di vitamina D. Il compito più importante del rene, nonostante la varietà di funzioni da esso gestite, è, però, l‟omeostasi dei liquidi corporei: volume, concentrazione, composizione chimica, pH. Questi sono i quattro parametri che il rene deve mantenere all‟interno di un range fisiologico attraverso una serie di meccanismi omeostatici. Un maschio adulto di 70 kg possiede quasi 50 l di acqua (70% circa); essi si trovano per 2/3 dentro le cellule (compartimento intracellulare), per 1/3 costituiscono il compartimento extracellulare; il confine tra ambiente intracellulare ed extracellulare è rappresentato dalla membrana cellulare; ciò che è extracellulare si trova per 2/3 a costituire il liquido interstiziale, per 1/3 a costituire i liquidi circolanti (il plasma, la linfa etc.); la separazione tra liquidi interstiziali e liquidi circolanti è rappresentata dalla parete capillare (che segna il confine tra torrente circolatorio e interstizio). Ricapitolando, su 45 l di acqua, 30 l sono acqua intracellulare (al massimo), 15 l (anche meno) sono acqua extracellulare (nelle donne meno dei maschi, perché esse hanno una maggiore quantità di tessuto adiposo, mentre il maschio ha una maggiore quantità di tessuto muscolare, ricco di acqua; 1/4 del peso di una donna normopeso è grasso, mentre il maschio non supera il 12%); di questi 15 l, 5 l sono liquidi circolanti, il resto rappresenta i liquidi interstiziali. I liquidi transcellulari, non sono né liquidi extracellulari né liquidi intracellulari; sono rappresentati, ad esempio, da tutti i secreti gastro-intestinali (vengono secreti all‟esterno pur restando all‟interno del corpo umano), dal liquido sinoviale, dal liquido pleurico, dal liquido cefalorachidiano, dall‟umore acqueo, dalla perilinfa, dall‟endolinfa etc. L‟uomo nell‟arco delle ventiquattro ore secerne litri di secreto nell‟intestino; se non ci fosse un riassorbimento quasi totale dell‟acqua si andrebbe incontro a morte per collasso cardiocircolatorio; questo è il destino dei soggetti che hanno contratto il colera – diarrea coleriforme- o può esserlo per i soggetti che presentano vomito protratto). La principale differenza tra liquidi intracellulari ed extracellulari è la composizione ionica; gli ioni che caratterizzano il liquido extracellulare sono il sodio (ione positivo) e il cloro (ione negativo); in 202
un liquido extracellulare esiste l‟equivalente di 9 g di cloruro di sodio per litro (soluzione fisiologica); ci sono circa 160 mEq di sodio e la stessa quantità di cloro; sono presenti in misura poco significativa potassio (3-4 mEq/l) e calcio e una certa quantità di bicarbonati e fosfati (dal distacco del fosfato dell‟ATP). Dentro le cellule gli ioni sono diversi: lo ione positivo è il potassio (160 mEq/l), quello negativo (oltre a piccole quantità di bicarbonati e fosfato) è uno ione particolare, rappresentato dalle proteine; esse sono sintetizzate dentro le cellule e alle loro estremità hanno un gruppo amminico e uno carbossilico; il gruppo ammino-terminale è in grado di legare a sé uno ione idrogeno e di far diventare l‟azoto positivo, mentre l‟idrogeno legato a COOH si può perdere e, quindi, un ossigeno può acquistare una carica negativa; il comportamento delle proteine è anfotero. Si comportano in un modo o nell‟altro in maniera relazionata al pH; in una soluzione basica la proteina tende a cedere ioni idrogeno e diventa negativa (anione), mentre in una soluzione acida la proteina tende ad acquistare ioni idrogeno e diventa positiva (catione). Le cellule viventi sono basiche (pH = 7.3-7.4), quindi, le proteine cellulari si comportano da anioni; fuori dalle cellule (interstizio) ci sono poche proteine (tranne nel torrente circolatorio – proteine plasmatiche). La coppia catione-anione che caratterizza l‟ambiente extracellulare è sodio/cloro, mentre la coppia che caratterizza l‟ambiente intracellulare è potassio/proteinati. Mentre il potassio, il sodio e il cloro sono ioni piccoli che possono attraversare facilmente la membrana cellulare, i proteinati sono macromolecole che non la attraversano (se sana); dall‟interno delle cellule lo ione positivo può uscire, quello negativo no (le cellule sono necessariamente negative; cambia solo quanto sono negative: da -20 mV negli strati superficiali della pelle a -90 mV nei grandi motoneuroni spinali). Se si prende un cheratinocita (a secondo dello strato da cui è preso il suo potenziale va da -20 a -50 mV nello strato basale) o un leucocita e si usa un elettrodo per far passare attraverso la cellula cariche elettriche o magnetiche, o si riscalda l‟ambiente in cui la cellula si trova, o si crea una deformazione meccanica della sua membrana, si nota che la negatività non cambia, se la perturbazione è compatibile con la vita della cellula; se si ripete questa operazione sulle cellule muscolari o sulle cellule nervose ci si accorge che la cellula in un millesimo di secondo diventa elettricamente positiva e in quello successivo torna elettricamente negativa. Mentre tutte le cellule dell‟organismo sono negative, questa proprietà di reagire alle perturbazioni e di invertire la polarità è posseduta solo da alcune cellule (i neuroni e le cellule muscolari) ed è chiamata eccitabilità; questa proprietà permette, per esempio, di distinguere i neuroni dagli astrociti (non sono eccitabili). Le cellule del corpo umano che possiedono questa caratteristica sono tre: tutte le cellule muscolari, i neuroni di qualsiasi tipo e molte cellule secernenti (soprattutto quelle a secrezione interna, che sono derivate dalla cresta neurale); se si prende una cellula secernente e si stimola, essa per un attimo diventa positiva e inizia a secernere (non lo fa mai quando è negativa). Questo stesso principio vale per la cellula muscolare che, per contrarsi deve prima diventare positiva, e per i neuroni che, per emettere un segnale nervoso, devono prima diventare positivi. La variazione da negativo a positivo nelle cellule eccitabili fa entrare in azione la cellula che prima era a riposo; per tale motivo il transiente (la variazione fasica di polarità) che si sviluppa viene chiamato potenziale d‟azione; se la cellula rimane negativa è in una condizione di riposo e la negatività è definita potenziale di riposo. Ricapitolando, gli ambienti intracellulari ed extracellulari differiscono fondamentalmente per la composizione ionica: all‟interno delle cellule sono presenti il potassio e i proteinati, all‟esterno il sodio e il cloro. Come si misura la dimensione (volume di liquidi) di questi due ambienti? Si usa il sistema della diluizione: la concentrazione di una soluzione è il rapporto che c‟è tra solvente e 203
soluto; si prende una quantità nota di soluto, la si aggiunge al solvente e dopo un po‟ si misura la concentrazione; conoscendo il soluto e conoscendo la concentrazione si può facilmente risalire al volume di solvente. In questi casi si usa come soluto un isotopo dell‟acqua, per esempio deuterio D2O; si mettono cento molecole per litro e se dopo un po‟ si trovano due molecole per litro, si deduce come ci vogliano cinquanta litri per creare questa concentrazione. Quindi, il volume complessivo è di cinquanta litri di acqua. Se voglio misurare solo quello intracellulare o solo quello extracellulare, basta mettere un isotopo radioattivo del potassio o uno radioattivo del sodio e poi andare a misurare la concentrazione; siccome si sa che il potassio si va a distribuire solo negli ambienti intracellulari, la concentrazione finale sarà quella degli ambienti intracellulari, mentre la concentrazione del sodio sarà quella degli ambienti extracellulari e permetterà di risalire al volume dei liquidi extracellulari. Se si aggiunge in circolo un soluto che non esce dalle pareti capillari e si va a misurare la sua concentrazione finale, si misura il volume dei liquidi circolanti. Il parametro successivo è una conseguenza di ciò: all‟interno c‟è una certa quantità di ioni positivi e negativi così come all‟esterno; la concentrazione ionica determina una condizione di osmolarità. Il solvente, cioè l‟acqua, tende sempre a passare, in presenza di membrane semipermeabili, dalla zona meno concentrata a quella più concentrata; il passaggio dell‟acqua avviene solo sulla base di questo fenomeno, chiamato osmolarità, che dipende solo dalla concentrazione e non dalla natura delle particelle. L‟osmolarità si misura in osmoli; un‟osmole è l‟osmolarità che si ha quando in un litro di soluzione si trovano un numero di particelle pari al numero di Avogadro (6 x 1023). Se si mette cloruro di sodio in acqua, esso, che fuori dall‟acqua è un‟unica particella, in acqua si dissocia in due particelle; quindi quello che conta è il numero di particelle (i sali in soluzione si dissociano e moltiplicano il numero di particelle osmoticamente attive). L‟osmolarità nel sangue è di 285 mOsm/l; un‟osmole è ovviamente 1000 milliosmoli. Se si sciolgono i 9 g di cloruro di sodio in un litro di acqua si ottiene tale valore di osmolarità che non è altro che il valore presente nei liquidi extracellulari. Nell‟acqua marina ci sono 22-23 g di sale; ecco perché quando una persona fa il bagno al mare e rimane in acqua per un po‟ di tempo, i polpastrelli raggrinziscono (c‟è un gradiente osmotico tra interno ed esterno che porta ad una fuoriuscita di acqua dalla zona a minore concentrazione a quella a maggiore concentrazione). Una cellula attorno ha la soluzione fisiologica; è fondamentale che anche dentro la cellula ci siano 285 mOsm/l, perché in questo modo l‟acqua della cellula non entra né esce. Se si facesse aumentare la concentrazione all‟esterno delle cellule, l‟acqua andrebbe dalle cellule verso l‟ambiente extracellulare (raggrinzimento cellulare); se si facesse diminuire la concentrazione all‟esterno, invece, l‟acqua entrerebbe nelle cellule e questo nel caso dei globuli rossi ne provocherebbe l‟emolisi osmotica (i globuli rossi scoppiano). Se questo succedesse a livello dei neuroni si avrebbe l‟edema cerebrale (nel cervello l‟acqua non si raccoglie fuori ma dentro i neuroni che gonfiano). La concentrazione intracellulare viene gestita dalla cellula, mentre quella extracellulare è gestita dal rene (se il rene non fa il suo dovere, si hanno liquidi extracellulari ipotonici o ipertonici rispetto alle cellule, che tendono o a gonfiarsi o a raggrinzire); la salute della cellula risiede nel controllo dell‟osmolarità extracellulare che è affidato esclusivamente al rene. Quindi, di questo ambiente il rene deve controllare il volume, la concentrazione, l‟osmolarità e il pH; inoltre, il rene da questo liquido deve eliminare le sostanze tossiche, che devono essere allontanate dall‟organismo, e le sostanze azotate presenti nel sangue: urea, acido urico, creatinina (azotemia). 204
ANATOMIA DEL RENE Il rene è un organo pari; se si seziona un rene a metà (taglio sagittale), si ottiene una sezione a forma di fagiolo con l‟ilo rivolto medialmente (verso aorta addominale) e il resto rivolto verso l‟esterno; se si osserva senza microscopio, si nota che all‟interno di questa struttura sono presenti da cinque a otto segmenti che dividono l‟interno del rene in piramidi (con base rivolta verso l‟esterno e l‟apice rivolto verso l‟ilo). Queste piramidi del Malpighi sono caratterizzati dal fatto che i vasi sanguigni le dividono a metà, una parte interna ed una esterna; la parte esterna presenta una serie di corpuscoli (di Malpighi) e per questo viene chiamata corticale, quella interna viene chiamata midollare; il confine tra esse sono i vasi sanguigni che decorrono orizzontalmente con una forma ad arco, i quali vengono chiamati arterie e vene arciformi. I corpuscoli sono circa un milione (150.000 per piramide) ed essi rappresentano i glomeruli renali (sistemi di vasi capillari che permette il funzionamento del rene). L‟arteria renale è un vaso corto e grosso che nasce dall‟aorta addominale e penetra nell‟ilo renale, dividendosi in tanti rami quante sono le piramidi; questi rami si portano al confine tra una piramide e l‟altra, cominciano a salire e quando arrivano al confine tra corticale e midollare danno origine sia a destra che a sinistra alle arterie arciformi, staccandosi ad angolo retto dall‟arteria posta tra le due piramidi o lobi (questi vasi che nascono dall‟arteria renale sono chiamati anche arterie interlobari, che formano a metà circa le arterie arciformi). Dalle arterie arciformi si formano verso l‟alto le arterie interlobulari che vanno nello spessore della corticale; lungo il loro decorso fuoriescono a destra e a sinistra delle arterie più piccole (arteriole afferenti al glomerulo) che sono collegate ai corpuscoli di Malpighi (glomeruli renali); di solito dopo il glomerulo c‟è l’arteria efferente dal glomerulo. Da questa si formano dei vasi capillari strani che si uniranno a formare delle venule, che si portano verso l‟asse dove decorre l‟arteria interlobulare formando una vena interlobulare; le vene interlobulari termineranno presso le vene arciformi, le quali confluiranno nella vene interlobari che formeranno la vena renale, che uscirà dall‟ilo renale e raggiungerà la vena cava inferiore. I capillari che formano il glomerulo vengono a contatto con una membrana epiteliale che si riflette su se stessa, formando un tubicino destinato a raccogliere il filtrato, prodotto da questa struttura, che poi diventerà urina (pre-urina); la caratteristica della struttura renale è il connubio tra una zona vascolare (glomerulo renale) e una zona epiteliale (tubuli renali); glomerulo e tubuli renali insieme danno il nefrone, l‟unità funzionale del rene. Questo tubulo, non appena nasce, si attorciglia al glomerulo (tubulo contorto prossimale), poi scende, formando una specie di forcina (ansa di Henle) e risale (tubulo distale), attorcigliandosi attorno al glomerulo (tubulo contorto distale), passando vicino all‟arteriola afferente; qui tra pareti dell‟arteria e pareti del tubulo distale si forma l‟apparato iuxtaglomerulare. Infine, il tubicino confluisce in un dotto collettore, che porterà dall‟alto in basso l‟urina che si è formata; essa raggiungerà l‟ilo dove ci sono i calici che la raccolgono, portandola all‟interno di un sistema di conduzione, che poi lascerà il rene tramite gli ureteri, i quali andranno verso la vescica; dalla vescica l‟urina uscirà dal corpo tramite l‟uretra. L‟urina uscita dalla pelvi renale non è più modificabile; qualsiasi modificazione chimico-fisica può avvenire solo finché l‟urina è nel dotto collettore. Il tubulo comincia con una zona dilatata in cui si raccoglie il filtrato (capsula di Bowman); il dotto collettore raccoglie urina da parecchi nefroni. Bisogna ricordare che c‟è l‟arteriola afferente, un primo sistema capillare (il glomerulo), l‟arteriola efferente che si porta via il sangue. Le cellule che formano il tubulo renale sono di natura epiteliale e devono essere nutrite; la loro nutrizione è affidata all‟arteriola efferente che forma dei normali 205
capillari (capillari peritubulari, che circondano il nefrone). Nel rene, pertanto, ci sono due capillari montati in serie: il glomerulo e il capillare peritubulare; fra essi l‟unione è data dall‟arteria efferente; questa è una rete mirabile arteriosa (i due capillari sono collegati da un‟arteria). Nel caso dell‟intestino e del fegato i due capillari sono collegati dalla vena porta (rete mirabile venosa). L‟arteria renale è una delle arterie più grosse del corpo umano (più grossa della carotide comune), che porta al rene una quantità enorme di sangue: 300 ml di sangue al minuto ogni 100 g di tessuto (1000-1200 ml di sangue al minuto verso i reni); 1/5 della gittata cardiaca (5 l ) va verso il rene (il cervello riceve solo 50 ml di sangue al minuto per 100 gr di tessuto). FUNZIONE DEL RENE Se asporto i reni ad un individuo facendo un‟incisione sul muscolo quadrato dei lombi, per circa dodici ore non succede niente; dopo dodici ore compaiono confusione, rallentamento motorio e dei riflessi, alito insostenibile, aumento dell‟azotemia; dopo circa quarantotto ore i valori di iperazotemia sono troppo elevati; dopo circa tre giorni il soggetto va in coma ed entro cinque giorni dalla nefrectomia bilaterale il soggetto muore, principalmente per iperazotemia. Un soggetto che ha i reni non funzionanti deve recarsi in ospedale ogni due giorni per sottoporsi all‟emodialisi (eliminazione di sostanze azotate in eccesso); ogni seduta di emodialisi dura delle ore, per cui ogni macchina da dialisi può coprire solo un certo numero di pazienti (circa 6). La soluzione per questi soggetti sarebbe il trapianto di rene; in Italia ci sono circa 7000 trapianti all‟anno, nonostante ci sia un numero quattro volte maggiore di soggetti in lista d‟attesa per il trapianto; il trapianto è possibile da vivente (ogni individuo ha due reni) o da cadavere. L‟arteria renale è un vaso ampio e breve (r è grande, l è piccolo – riferimento a formula della resistenza), quindi, è un‟arteria a bassissima resistenza; la pressione dell‟aorta addominale (90 mmHg) si mantiene quasi fino all‟arteriola afferente. La caduta di pressione è insignificante: nell‟arteriola afferente si trovano pressioni pari a 70 mmHg; questo permette di avere pressioni molto alte a livello dei glomeruli renali. A livello dei capillari si ha la pressione idrostatica che spinge l‟acqua ad uscire e quella osmotica delle proteine (25 mmHg) che si oppone; pressioni così alte creano esclusivamente processi di filtrazione. Il plasma viene filtrato e tutto quello che c‟è al suo interno passa nella capsula di Bowman; il 20% di tutto il plasma entrato nel glomerulo diventa filtrato; questo significa che se il flusso è di 1-1.2 l/min di sangue, 600 ml sono rappresentati da plasma e di questi il 20% supera la parete capillare e diventa filtrato glomerulare (120 ml/min); il resto (480 ml/min) prosegue verso l‟arteriola afferente. 120 ml/min. sono circa 200 l al giorno e se questi rimanessero lì, il soggetto urinerebbe 200 l al giorno; considerato che in tutto un individuo possiede 40 l di siero, morirebbe dopo qualche ora per disidratazione; un soggetto produce 1-2 l di urina al giorno, quindi, il 99% di questi 120 ml/min deve essere recuperato lungo i tubuli prima dell‟uscita dalla pelvi renale. Come fa il rene a riconoscere le molecole sintetizzate dall‟uomo (non naturali), ad es. farmaci? Il rene elimina qualunque sostanza con le urine, a patto che questa sia:
solubile in acqua; di dimensione inferiore a 68000 Dalton.
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Il rene a livello della capsula di Bowman filtra tutto quello che c‟è nel sangue (purché rispetti le due caratteristiche sopra citate) e lungo i tubuli recupera solo le sostanze che riconosce e che gli servono; tutto quello che non riconosce, lo elimina (non ha carrier per sostanze normalmente non presenti nel corpo umano). Il recupero effettuato dal rene non è solo qualitativamente selettivo ma anche quantitativamente (viene recuperato quello che serve nelle quantità in cui serve; l‟eccesso viene eliminato): ad esempio gli amminoacidi (presenti in quantità fisiologiche nel filtrato) vengono recuperati al 100% già prima dell‟ansa di Henle; ma se artificialmente viene fatto aumentare uno degli amminoacidi in circolo, lungo i tubuli viene recuperata solo la quantità che serve di quell‟amminoacido, il resto viene eliminato e sarà presente nelle urine (amminoaciduria). L‟esempio più caratteristico è rappresentato dal glucosio: nelle urine di nessun soggetto normale è presente glucosio (è importante e viene recuperato prima di aver superato il tubulo prossimale); se la glicemia è più alta del normale, il glucosio in più verrà perduto con le urine (compare glicosuria, segno tipico del diabete mellito). Inoltre, questo glucosio presente nelle urine è osmoticamente attivo e si porta dietro acqua, causando un aumento di volume delle urine (da cui la parola diabete che significa urinare molto). Nelle urine di un uomo normale non esiste perdita di vitamine (quelle idrosolubili dovrebbero trovarsi nelle urine ma non ci sono), a meno che non ci sia una introduzione di più vitamine del normale; non può esistere, dunque, un‟ipervitaminosi delle vitamine idrosolubili, perché l‟eccesso è eliminato con le urine, ma può esistere una ipervitaminosi delle vitamine non solubili in acqua. Il funzionamento del nefrone è un funzionamento a due tempi:
il primo tempo è bio-filtro: filtra tutto quello che c‟è nel sangue a patto che sia piccolo (peso molecolare inferiore a 68 kDa) e idrosolubile e lo fa entrare nella capsula di Bowman; il secondo tempo è il riassorbimento a livello dei tubuli: fa entrare tutto quello che gli serve e nella misura in cui gli serve; tutto quello che non gli serve diventerà urina.
Nelle urine non ci devono essere mai molecole che pesano più di 68 kDa (ad esempio le albumine), perché sarebbero indice di un danno al filtro glomerulare (glomerulonefrosi); un po‟ di albumine nelle urine si possono considerare accettabili negli ultimi 10-15 giorni di gravidanza prima del parto (l‟arteria uterina sottrae sangue all‟arteria renale). La presenza di albumine in fase precoce della gravidanza (3°-4° mese) deve preoccupare, soprattutto se associata all‟aumento della pressione arteriosa, perché sintomi della più grave patologia che può insorgere nella gravidanza, patologia dovuta a intossicazione della madre come conseguenza della gravidanza (eclampsia o gestosi); uno dei tipici segni della gestosi sono le crisi epilettiche nella madre. In questi casi spesso si deve interrompere la gravidanza. Ricapitolando, riguardo alla filtrazione bisogna ricordare che è un fenomeno passivo che avviene sfruttando la differenza tra pressione idrostatica e osmotica e che passano solo molecole solubili in acqua con peso molecolare inferiore ai 68 kDa; tutto quello che è passato, lungo i tubuli viene riassorbito se è riconosciuto ed è utile. Ciò che non è utile o che non è riconosciuto viene perduto con le urine; questo, però, accade negli animali meno evoluti. Nei mammiferi, uomo compreso, il tubulo renale non solo filtra, non solo recupera, ma elimina anche alcune molecole particolarmente tossiche, coniugate con dei marcatori da parte del fegato; il fegato usa principalmente due sostanze per fare ciò:
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una è quella che si usa per marcare la bilirubina (l‟acido glucuronico), che di per sé non è molto solubile e, quindi, non verrebbe eliminata con le urine; in questo modo viene eliminata senza difficoltà quando arriva al rene (nel frattempo è diventata urobilina, sostanza che dà il colore giallo paglierino alle urine); l‟altra è l‟acido ippurico, che marca un‟altra sostanza così da eliminarla facilmente.
Se entra l‟acido ippurico, il 20% viene filtrato, l‟80% prosegue; la sostanza tossica coniugata con questo acido tornerebbe in tal modo in circolo. Le cellule dei capillari peritubulari, invece, quando il sangue passa attraverso essi, riconoscono queste sostanze tossiche, le prelevano dal sangue e le immettono con un processo di secrezione attiva nelle urine; quindi, il nefrone nella filogenesi sa anche realizzare un processo di secrezione attiva per captare dal sangue sostanze tossiche e immetterle nelle urine. Dunque, lungo i tubuli non avvengono solo processi di riassorbimento ovvi, presenti in tutte le specie animali, ma, nelle specie più evolute, nel tubulo prossimale avvengono anche fenomeni di secrezione attiva di sostanze che non erano state sufficientemente filtrate. Come faccio a quantificare i fenomeni di filtrazione, riassorbimento e secrezione attiva in un soggetto? Esiste una metodica specifica chiamata clearance renale.
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Lezione 24 La filtrazione glomerulare risponde a due caratteristiche: la prima caratteristica è che la filtrazione glomerulare è un fenomeno passivo, non ci sono carrier, né cotrasportatori, avviene cioè secondo gradiente; la seconda caratteristica è che la filtrazione è un fenomeno aspecifico ( viene filtrato tutto quello che c‟è, l‟unico vincolo è che deve essere solubile in acqua per essere filtrato e non deve avere un peso molecolare superiore a 68000 Dalton ); se la sostanza è più piccola di 68000 Dalton e solubile in acqua verrà filtrata con la stessa concentrazione che c‟è nel plasma, per cui se per esempio nel plasma c‟è una concentrazione di 100 mg di glucosio / 100 ml, nel filtrato glomerulare ci saranno 100 mg di glucosio / 100 ml. Il filtrato glomerulare è del tutto simile al plasma, tranne che per le molecole con peso superiore a 68000 Dalton e non solubili in acqua. La filtrazione glomerulare, essendo un fenomeno passivo, è dovuta a tre forze. In un modello semplificato abbiamo il capillare, dove c‟è il sangue, e la capsula di Bowman dove si raccoglie la preurina; nel capillare c‟è sangue ad alta pressione che arriva con pressione di 6070mmHg e va via con una pressione che è ancora molto alta, di almeno 45mmHg, quindi c‟è una prima forza, la pressione idrostatica del sangue, che spinge i liquidi a uscire. A questa forza si oppongono altre due forze: la prima è la pressione colloido-osmotica delle proteine plasmatiche ( le proteine plasmatiche non possono uscire ed esercitano una forza di richiamo di circa 25mmHg ); un‟altra forza importante deriva dal fatto che il filtrato che si va raccogliendo all‟interno della capsula di Bowman ha una certa pressione che si esercita contro la filtrazione glomerulare. La filtrazione glomerulare è pertanto la risultante di tre forze, una che spinge e due che si oppongono alla spinta, la pressione idrostatica del sangue è l‟unica che spinge, è l‟unica che permette ai liquidi di uscire, mentre sia la pressione colloido-osmotica che la pressione intra-capsulare sono pressioni che si oppongono alla filtrazione. La pressione colloido-osmotica è 25mmHg, mentre la pressione intra-capsulare varia (aspetto interessante sul piano clinico): la preurina si raccoglie nella capsula di Bowman, arriva al collettore, all‟uretere, alla vescica, all‟uretra e poi viene buttata fuori, quindi la pressione che c‟è nella capsula di Bowman dipende da quanto tempo è passato dall‟ultima volta che abbiamo urinato, perché man mano che si accumula l‟urina, la pressione intra-capsulare aumenta ( se abbiamo appena urinato, la pressione è di 3-4 mmHg, insignificante, ma dopo un po‟ di tempo questa pressione comincia a diventare di 10-15mmHg). In ogni caso in un uomo normale la somma della pressione intra-capsulare più la pressione colloido-osmotica è sempre inferiore alla pressione idrostatica, quindi la filtrazione c‟è sempre, può essere di più o di meno a seconda di quant‟è la somma di questi due valori che si oppongono. Se ad esempio si blocca l‟uretere di dx a causa di un calcolo, il rene continua a produrre l‟urina, che però non passa, quindi a monte la pressione comincia ad aumentare e a un certo punto la pressione intra-capsulare diventerà così alta che finisce la filtrazione glomerulare; si ha il cosiddetto blocco renale, in quanto il rene da quel lato non funziona più, perché, essendo aumentata la pressione intracapsulare, si è azzerata la pressione utile di filtrazione e quindi non c‟è più filtrazione glomerulare (quel rene, pur essendo anatomicamente sano, non partecipa più alla filtrazione e funziona solo il rene controlaterale). Più grave è la situazione se il calcolo, anziché ostruire l‟uretere, ostruisce l‟uretra e quindi entrambi i reni non funzionano più, perché a monte aumenta la pressione simmetricamente nel rene di destra e di sinistra, aumenta la pressione intra-capsulare in tutti i nefroni, non si ha più filtrazione e compare la tipica sintomatologia del soggetto cui sono stati tolti i reni: aumenta l‟azotemia, poi si 209
ha il coma e la morte. L‟ostruzione a livello dell‟uretra è rara, nel maschio è più frequente perché l‟uretra attraversa la prostata; se questa s‟ingrossa, può schiacciare l‟uretra e causare problemi di filtrazione glomerulare in entrambi i reni. Ricapitolando, la filtrazione glomerulare è un fenomeno passivo che avviene per l‟interazione di tre forze: la pressione idrostatica del sangue, la pressione colloido-osmotica del sangue e la pressione idrostatica del liquido intra-capsulare. La pressione colloido-osmotica del sangue e la pressione idrostatica intra-capsulare si oppongono alla filtrazione, quindi la filtrazione ha un‟unica forza che la favorisce: la pressione idrostatica del sangue. Se si ha un aumento della pressione idrostatica per una crisi ipertensiva, si ha un aumento della filtrazione glomerulare e quindi un aumento di quantità di filtrato prodotto, perché è aumentato il gradiente pressorio che lo produce. Se ad esempio un paziente riferisce che da qualche giorno ha necessità di urinare di notte, si può sospettare che il sintomo sia causato da una crisi ipertensiva notturna (si ha un aumento di pressione, aumento di filtrazione e la vescica si riempie prima). Questo sintomo è abbastanza facile da cogliere perché dà una misura lineare del rapporto tra pressione arteriosa e filtrazione glomerulare. Come si misura in un uomo la filtrazione glomerulare? Sapere se un soggetto ha un filtrato glomerulare normale è un parametro importante per valutare l‟efficienza del sistema filtrante renale. Il primo parametro che si deve misurare in un paziente è la velocità di filtrazione glomerulare, che ci dice in un minuto quanti ml di filtrato vengono prodotti da tutti i nefroni. Il metodo più classico per misurare il filtrato glomerulare è la clearance (seguita da un aggettivo che indica quale organo è coinvolto, ad esempio clearance renale, epatica, salivare, sudoripara ecc.). Clearance letteralmente in inglese significa pulizia: si misura nel sangue la concentrazione di una sostanza e dopo un certo tempo si vede quanta di quella sostanza è stata eliminata con le urine (la sostanza eliminata con le urine è stata tolta al sangue, quindi se ce n‟è di più nelle urine, ce n‟è di meno nel sangue); questa operazione ha ripulito un certo volume di sangue dalla sostanza che conteneva, quindi per definizione la clearance è un volume di plasma depurato da una certa sostanza nell‟unità di tempo (un minuto); non si misura la sostanza ma si misura quanto plasma è stato depurato in un minuto, indipendentemente dalla concentrazione della sostanza. Esiste in natura una sostanza che non è presente nel corpo umano e che è un polimero del fruttosio: inulina, sostanza piccola con peso molecolare inferiore a 68000 Dalton, solubile in acqua. Se si inietta in circolo inulina, dopo un certo tempo l‟inulina comincia a comparire nelle urine (è iniziata l‟opera di eliminazione). L‟inulina è una sostanza estranea al corpo umano, quindi lungo i tubuli renali non viene né recuperata, né secreta, cioè viene filtrata e tutta l‟inulina, dopo essere passata attraverso i tubuli, si ritrova nelle urine. Per misurare la velocità di filtrazione glomerulare servono tre variabili: 1) concentrazione plasmatica di inulina (ad es. 1 mg/ml); 2) concentrazione urinaria di inulina (ad es. 60 mg/ml); 3) volume urinario prodotto in un minuto (di solito 2 ml/min.) Se l‟inulina nel sangue è 1 mg/ml, nelle urine ci sono 60 mg di inulina per ml di urina e sono stati prodotti 2ml di urina in un minuto, complessivamente sono stati eliminati 120mg di inulina (60 x 210
2); se il sangue conteneva 1 mg/ml di inulina, significa che 120 ml di plasma sono stati depurati di tutta l‟inulina che conteneva. La formula per calcolare la clearance è: C= Cu (conc. urinaria) x Vu (volume urinario) / Cp (conc. plasmatica) = = 60 x 2 / 1 = 120 ml/minuto (120 ml di plasma sono stati ripuliti completamente di tutta l‟inulina che conteneva) Questa è una misura fittizia perché non si può pensare che c‟è 1 ml di plasma che ha perso tutta l‟inulina e un altro ml di plasma in cui c‟è tutta l‟inulina, in realtà ne è stata tolta un po‟ per ogni ml di plasma, ma per comodità si misura un volume di plasma completamente depurato, altrimenti l‟unità di misura sarebbe difficile da comprendere. Ricapitolando, per clearance renale s‟intende un‟operazione di pulizia del sangue da una certa sostanza da parte del rene e per misurare questo parametro servono tre variabili: quanta sostanza c‟è nel plasma, quanta sostanza c‟è nelle urine e quanta urina è stata prodotta in un minuto. Misurare l‟urina prodotta in un minuto non è semplice, quindi si misura l‟urina prodotta in 24 ore, poi si divide per 24 e si ottiene il volume in un‟ora, poi si divide per 60 e si ottiene il volume prodotto in un minuto. L‟inulina è stata la prima sostanza usata per misurare la filtrazione glomerulare e i valori che si ottengono sono 120-125 ml/min. di plasma completamente depurato (nei maschi un po‟ di più, nelle donne un po‟ di meno). Se si ha una clearance di 120ml/min. e il sangue che passa dai reni è 1,2 L/min., significa che dai reni, togliendo le cellule, passano 600ml di plasma in un minuto, di cui il 20%, cioè 1/5, viene semplicemente filtrato, lascia il sangue e va nella capsula di Bowman; ogni minuto avviene questa operazione, quindi nell‟uomo si hanno circa 200 litri al giorno di filtrato glomerulare. La clearance dell‟inulina è stata per molti anni uno strumento di misurazione della velocità di filtrazione glomerulare, fino a quando si è scoperta un‟ altra sostanza al posto dell‟inulina (che ha lo svantaggio di dover essere iniettata, essendo una sostanza che non esiste nel corpo umano); la sostanza che si è scoperta è prodotta dall‟organismo (quindi non c‟è bisogno di introdurla dall‟esterno) e si comporta come l‟inulina, cioè una volta che è stata filtrata, lungo i tubuli non viene né secreta né riassorbita, quindi tutta quella che si ritrova nelle urine arriva dalla filtrazione glomerulare. Questa sostanza è un catabolita del creatinfosfato, da cui, una volta che perde il fosfato, resta la creatina, che a sua volta viene metabolizzata in creatinina, che è una sostanza azotata che viene eliminata con le urine. Se al posto dell‟inulina si misura nel sangue la creatinina, si ottengono più o meno gli stessi risultati ottenuti con l‟inulina, basta sapere quanta creatinina c‟è nel sangue; in un uomo normale ci sono circa 0,8 mg di creatinina per 100 ml di plasma. Ogni minuto i reni filtrano passivamente 120 ml di plasma in cui c‟è tutto quello che c‟è nel sangue; l‟unica differenza è che non ci sono le sostanze insolubili in acqua e non ci sono molecole di peso molecolare superiore a 68000 Dalton. L‟inulina percorre i tubuli senza essere né secreta né riassorbita e va a finire nelle urine, quindi, derivando dalla filtrazione, la sua clearance è misura della filtrazione glomerulare. Se viene iniettata un‟altra sostanza e se la sua clearance risulta ad esempio 70 anziché 120 ml/min., cioè se una sostanza ha una clearance inferiore a quella dell‟inulina, significa che una parte della sostanza viene recuperata e nelle urine ne va a finire di meno (nel caso di una sostanza con 211
clearance 70 ml/min., circa la metà è stata riassorbita, metà va nelle urine, quindi la sua clearance è circa la metà di quella di una sostanza che invece non viene recuperata nei tubuli renali ). Quindi la clearance dell‟inulina serve anche per confrontare le altre clearance e capire se una sostanza rimane inerte nei tubuli. Se la clearance di una sostanza risulta ad es. 350ml/min., significa che, poiché il filtrato è di 120ml/min., le molecole in più che si ritrovano nelle urine vi sono arrivate attraverso un processo di attiva secrezione tubulare. Tutte le clearance che risultano più alte di quella dell‟inulina indicano sostanze che non solo vengono filtrate, ma poi lungo i capillari peritubulari vanno incontro a un processo di secrezione attiva. Quindi la clearance dell‟inulina è un grande punto di riferimento. Esempio: clearance del glucosio; se la glicemia è di 100mg/100ml, nelle urine non c‟è glucosio, quindi concentrazione urinaria del glucosio = 0; 0 x 2ml/min. = 0 ; 0 / 100mg/100 ml = 0 ; la clearance del glucosio è uguale a zero, ciò significa che la sostanza viene filtrata, ma poi lungo i tubuli il 100% delle molecole è stato riassorbito, quindi nelle urine non c‟è neanche una molecola. Sono uguali a zero anche le clearance di parecchie sostanze: amminoacidi, vitamine idrosolubili, cioè tutte sostanze importanti che non si possono perdere con le urine e quindi lungo i tubuli renali vengono riassorbite al 100% (naturalmente fino a quando queste sostanze sono a concentrazioni fisiologiche, perché se sono più del normale una parte non viene recuperata e si avrà glicosuria, amminoaciduria ecc…) Ricapitolando, clearance significa volume di plasma totalmente depurato in un minuto (unità di misura del tempo), quindi la clearance non misura mg di sostanze. La clearance dell‟inulina è quella di gran lunga più comoda perché è una sostanza che non viene né recuperata né secreta ed è il punto di riferimento di qualunque altra clearance. Se una sostanza ha la stessa clearance dell‟inulina, vuol dire che non viene né recuperata né secreta; se ha una clearance inferiore a quella dell‟inulina, una parte viene recuperata (es. l‟urea ha una clearance di 65ml/min., quindi il 50% dell‟urea lungo i tubuli viene recuperata e solo la metà dell‟urea che è stata filtrata va a finire nelle urine); nel caso di sostanze a clearance uguale a zero, significa che le sostanze vengono filtrate, ma lungo i tubuli il 100% di queste sostanze viene recuperato; se invece la clearance di una sostanza è superiore a quella dell‟inulina, significa che non solo viene filtrata, ma le molecole che si trovano in più nelle urine derivano da un processo di attiva secrezione. [Il rene ha a livello dell‟ilo tre formazioni: l‟arteria renale che porta sangue arterioso al rene, la vena renale che porta via sangue venoso, e l‟uretere, che porta via l‟urina]. La clearance di una sostanza, l’acido paramminoippurico (PAI) è molto utile per il medico. Se si inietta endovena questa sostanza e si misura quanta ne esce dal rene, si vede che non esce neanche una molecola, cioè nella vena renale la concentrazione di acido paramminoippurico è zero; quindi se delle molecole che sono entrate nel rene non ne esce neanche una, significa che il 100% di queste molecole sono state eliminate con le urine; infatti nelle urine si trova un‟altissima quantità di questa sostanza. Se si inietta ad es. 1mg di paramminoippurato, nelle urine se ne trovano almeno 300mg/ml e, considerando che il volume urinario è di 2 ml/min., si ha una clearance di 600ml/min., di molto superiore a quella dell‟inulina. La clearance di questa sostanza significa che tutto il plasma che passa attraverso il rene è stato depurato, quindi questa clearance corrisponde al flusso di plasma attraverso il rene, cioè ci dice quanto plasma è passato dal rene in un minuto; quindi significa che in un minuto 600ml di plasma hanno attraversato i reni e sono stati completamente depurati del paramminoippurato che essi contenevano. 212
Il plasma è la parte liquida del sangue e basta aggiungere l‟ematocrito per ottenere dal flusso plasmatico renale il flusso di sangue attraverso i reni e quindi con la clearance del PAI si ha un modo semplice per misurare il flusso di sangue attraverso i reni (quanto sangue passa dai reni nell‟unità di tempo). Si hanno quindi due clearance importanti: inulina (oggi creatinina) e acido paramminoippurico; la creatinina dà una misura della filtrazione glomerulare e basta, mentre il PAI dà una misura di quanto sangue è passato attraverso i reni. Questi sono i due valori utili per valutare la funzionalità renale. Ad es. se in un paziente con scarsa funzionalità renale si fa una clearance della creatinina e si ottiene un valore molto basso (80 ml/min., anziché 120), ciò significa che il filtrato è inferiore al normale e questo può essere dovuto o a una glomerulonefrite (cioè i glomeruli non funzionano), oppure al fatto che arriva meno sangue ai reni ma i glomeruli sono funzionanti. Per saperlo, si deve fare la clearance del PAI e se la clearance della creatinina è bassa e quella del PAI è normale, significa che il sangue che passa dal rene è normale e il danno è nei glomeruli e si ha quindi un‟insufficienza renale (meno glomeruli funzionano, meno glomeruli filtrano, più si abbassa la clearance della creatinina). Se invece si è abbassato anche il flusso e la proporzione è uguale, è diminuita del 40% la clearance della creatinina ed è diminuito del 40% anche il flusso, significa che è un problema circolatorio (non arriva abbastanza sangue da filtrare), non è un problema di glomeruli che non funzionano. La clearance dell‟inulina, della creatinina e del PAI risalgono a 50 anni fa, oggi sono state sviluppate delle tecniche diverse per misurare il filtrato glomerulare, anche se quelle tradizionali sono le più semplici e le più affidabili; soprattutto sono state studiate tecniche per misurare la clearance senza più bisogno di raccogliere le urine, soltanto sulla base della concentrazione plasmatica di creatinina; da questa si può ricavare con una serie di formule la quantità di filtrazione glomerulare. La formula più usata è quella che prende il nome dalla clinica Meyo in Minnesota: formula di Meyo, che permette con una serie di calcoli matematici di ottenere una buona approssimazione della velocità di filtrazione glomerulare. Ricapitolando, le clearance sono tecniche che misurano le capacità depurative del plasma, che dipendono da qualche organo: rene, fegato, che sono gli organi più importanti per depurare; esistono clearance renali e clearance epatiche a seconda dell‟organo coinvolto nella pulizia da una certa sostanza del plasma. La clearance dà un valore fittizio che dice quanti ml di plasma sono stati completamente depurati (non è possibile che un ml di plasma sia completamente depurato e un altro ml sia ancora pieno di tutte le molecole, in realtà vengono tolte un po‟ di molecole da ogni ml, ma per comodità si simula una depurazione totale e si vede quanti ml sono stati depurati). La clearance dell‟inulina, poi della creatinina, ha il fine di valutare il filtrato glomerulare, precisamente la velocità di filtrazione glomerulare (quanto filtrato si fa in un minuto in tutti i nefroni del rene), il risultato è 120-130 ml/min., nei maschi poco più, nelle donne poco meno, poi dipende da altezza, peso, età; nell‟ anziano si hanno valori che vanno abbassandosi, a vent‟anni si ha un valore più alto (ottimale) che rimane costante fino ai quaranta e poi va abbassandosi. Questo valore ha un ruolo importante in farmacologia perché se si somministra un farmaco, la dose successiva si deve dare in base a quanto ne è rimasto nel sangue della dose precedente; nell‟anziano resta una quantità superiore della prima dose del farmaco per una serie di ragioni (minore funzionalità del fegato che metabolizza il farmaco più lentamente, minore funzionalità del rene che elimina il farmaco più lentamente). Quindi la posologia è diversa a secondo dell‟età: a vent‟anni si prende ad es. una pillola ogni otto ore, nell‟anziano con la stessa posologia si può andare incontro a overdose e quindi 213
a intossicazione, perché non è stata ancora smaltita la dose precedente. Quindi nella persona anziana una valutazione della funzionalità renale prima di una terapia farmacologica “pesante” è fondamentale per avere un‟idea di come il soggetto “gestisce” il farmaco, in che modo il suo rene è in grado di eliminare la sostanza. Sono valutazioni che permettono di personalizzare l‟approccio terapeutico a seconda della situazione e anche della variabilità genetica di ogni individuo, che condiziona la risposta al farmaco o agli “aggressori” (ad es. non tutti quelli che venivano a contatto con il bacillo di Koch sviluppavano la tubercolosi; non tutti quelli che vengono a contatto con l‟HIV sviluppano la malattia). Come diceva un vecchio medico dell‟800 le malattie sono formate da due eventi: disposizione ed esposizione; la disposizione è la genetica di ognuno di noi, l‟esposizione ci espone ai fattori scatenanti (batteri, virus ecc.), che provocano su individui diversi quadri clinici diversi. Il filtrato glomerulare è il risultato di un processo passivo che avviene 24 ore su 24 a livello dei glomeruli renali. In un individuo a riposo con gittata cardiaca di 5 L/min., il 20% viene mandato al rene e filtrato in un minuto; ciò significa che in 5 minuti viene filtrato tutto il sangue che passa dal rene e ogni 25 minuti viene filtrato tutto il plasma dell‟organismo, cioè 2 volte l‟ora e quindi una cinquantina di volte al giorno (il continuo filtrare ciò che arriva, con il risultato che il plasma viene completamente filtrato entro mezz‟ora, è un processo “enorme” sul piano quantitativo; se questo meccanismo non funziona, le sostanze si cominciano largamente ad accumulare creando una situazione estremamente grave, incompatibile con la vita). Ricapitolando per l‟ultima volta, il filtrato glomerulare si può misurare facilmente con la clearance della creatinina (prima inulina), una sostanza che viene filtrata senza problemi e che lungo i tubuli non viene né secreta né riassorbita, (cioè tutto quello che arriva nell‟urina deriva dalla filtrazione glomerulare); la clearance della creatinina ha un valore di 120-130 ml/min. Cosa avviene nei tubuli renali? Il metodo migliore per sapere cosa succede nei tubuli renali è un vecchio metodo che è stato messo a punto mezzo secolo fa e consiste nel fare con una microsiringa, in un nefrone, dei microprelievi di contenuto a varie distanze dal momento della filtrazione, cioè lungo il tubulo prossimale, poi lungo l‟ansa di Henle, poi lungo il tubulo distale fino al dotto collettore; se si fanno dei microprelievi, si può confrontare cosa è successo nel tratto immediatamente a monte, quindi per es. se in un tratto c‟è glucosio e nel tubulo ascendente non c‟è più glucosio, ciò significa che tutto il glucosio è stato riassorbito prima del tubulo ascendente; se faccio un microprelievo nell‟ansa di Henle e non c‟è glucosio, significa che tutto il glucosio è stato recuperato nel tubulo prossimale. Con questa tecnica della micropuntura è stato possibile analizzare, sostanza per sostanza, qualitativamente e quantitativamente, il ruolo di ogni parte del nefrone. E‟ emerso che il ruolo più importante è quello del tubulo contorto prossimale sul piano quantitativo: la filtrazione glomerulare è 120-130 ml/min., le urine sono 1-2 ml/min., di questi 120 ml/min. 118 sono stati recuperati per non perderli con le urine, quindi sono 200 L al giorno; le urine sono 1,5-2 L nelle 24 ore, quindi il 99% di quello che viene filtrato deve essere recuperato, ma non viene recuperato in misura proporzionalmente distribuita lungo tutto il nefrone: l‟80% di tutto quello che viene filtrato viene recuperato nel tubulo contorto prossimale (in grado di garantire da solo il recupero dell‟80% del filtrato glomerulare). A livello glomerulare partono 120 ml/min. e alla fine del tubulo contorto prossimale si è ridotta la presenza di preurina notevolmente, da 120 a 30 ml/min., perché l‟80% di tutto il filtrato è già stato recuperato. 214
Inoltre moltissime sostanze che non devono essere perdute con le urine (glucosio, amminoacidi, vitamine idrosolubili) vengono recuperate al 100% nel tubulo contorto prossimale, per cui all‟ansa di Henle non arriva una molecola di glucosio, né di amminoacidi, né di vitamine idrosolubili; quindi in termini di volume complessivo viene recuperato l‟80% , ma per certe sostanze particolarmente utili viene garantito il recupero al 100%. Queste operazioni di recupero sono dovute a carrier, cioè sono processi attivi con un costo energetico, che permette alle cellule epiteliali del tubulo contorto prossimale il recupero. Nel tubulo contorto prossimale c‟è un unico strato di cellule epiteliali, dall‟altro lato ci sono i capillari peritubulari che irrorano i tubuli; quindi le sostanze che sono state filtrate, una volta che vengono recuperate, vengono portate al torrente circolatorio (le sostanze sono state filtrate lasciando il sangue, hanno percorso un certo tratto del tubulo contorto prossimale e poi una volta recuperate dalle cellule tubulari vengono restituite al sangue per evitare che vadano perdute con le urine). Esistono vari tipi di carrier a seconda delle sostanze da recuperare, ma in primo luogo si deve recuperare l‟80% del volume, che è acqua (la preurina è acqua con soluti in essa disciolti). L‟unica sostanza che nel corpo umano non possiede carrier è l‟acqua (non esiste trasporto attivo dell‟acqua), che si muove esclusivamente per gradiente di tipo osmotico (cioè si sposta il soluto e a questo soluto per osmosi segue il solvente); quindi, se si vuole recuperare acqua per evitare che vada perduta con le urine, si deve recuperare una certa quantità di soluto (sodio e cloro sono i soluti di gran lunga più rappresentati), che viene seguito, passivamente per semplice gradiente osmotico, da un certo volume di acqua. Il meccanismo è abbastanza semplice: le cellule sono elettricamente negative, quindi, il sodio (che è positivo), che si trova all‟interno della preurina, non ha difficoltà ad entrare nella cellula tubulare; essendoci molto sodio fuori e poco sodio dentro, si creano un gradiente elettrico e un gradiente di concentrazione che ne favoriscono l‟entrata. Il problema è fare uscire il sodio dall‟altro lato della cellula contro gradiente elettrico, cioè da un ambiente negativo far uscire uno ione positivo, e contro gradiente di concentrazione (poco sodio dentro, molto sodio fuori). Il carrier, quindi, nei tubuli non si trova dal lato luminale ma dal lato opposto, dove il sodio deve lasciare la cellula per entrare nel torrente circolatorio; c‟è un costo energetico notevole (viene consumata 1 molecola di ATP ogni 3 sodi trasportati), però c‟è un vantaggio: siccome il carrier non è una pompa a scambio ionico (trasporta solo sodio e non c‟è antiporto) , una volta trasportato il sodio, si crea un disequilibrio elettrico e al sodio passivamente segue il cloro. La pompa per il sodio è una pompa elettrogenica che recupera due ioni, uno negativo e l‟altro positivo, creando il disequilibrio elettrico. Alla fine si spostano due soluti dal lume al sangue creando una differenza di concentrazione (più diluita la preurina, più concentrato il sangue) e l‟acqua per osmosi si sposterà da dove c‟è più acqua, cioè dal lume, a dove acqua ce n‟è di meno, sino a ricreare le condizioni di equilibrio. Quindi, con la pompa per il sodio si recuperano sodio, cloro e acqua; per il sodio serve ATP, mentre cloro e acqua si spostano passivamente, sfruttando un gradiente elettrico e un gradiente osmotico. Alla fine si recupera l‟80% di tutti gli elementi presenti; è un riassorbimento di tipo iso-osmotico, cioè alla fine del processo la concentrazione dei soluti nel sangue sarà uguale a quella che c‟è nel lume tubulare; quindi, se il filtrato aveva la normale concentrazione di 285 milliosmoli/litro, lungo tutto il tubulo prossimale rimane 285, solamente il volume diminuisce man mano che si recupera sodio, cloro e acqua, ma non cambia la concentrazione (l‟osmolarità del sistema rimane inalterata sino alla fine del tubulo contorto prossimale). 215
Ricapitolando, il tubulo contorto prossimale è la principale sede di riassorbimento, l‟80% di sodio, cloro e acqua viene qui recuperato mediante il carrier per il sodio, che è un carrier elettrogenico (il sodio viene seguito dal cloro, sodio e cloro vengono seguiti dall‟acqua); alla fine si recuperano sodio, cloro e acqua senza modificare la concentrazione, che rimane uguale nel sangue e nel tubulo contorto prossimale, diminuisce solo il volume: riassorbimento iso-osmotico (non si modifica l‟osmolarità del sistema). Nel tubulo contorto prossimale ci sono poi altri carrier che invece devono recuperare il glucosio, gli amminoacidi, le vitamine idrosolubili; anche questi hanno bisogno di ATP, quasi sempre si tratta di cotrasporti col sodio (molti di questi carrier insieme al glucosio trasportano il sodio; di solito ci sono quattro diversi tipi di carrier per gli amminoacidi a seconda se sono acidi, basici, aromatici). Alla fine del tubulo contorto prossimale il volume complessivo è diminuito dell‟80%, l‟osmolarità non si è modificata, il 100% di glucosio, amminoacidi, vitamine idrosolubili è stato recuperato. In un uomo normale la clearance di queste sostanze è zero e il recupero è già tutto garantito dal tubulo contorto prossimale. Siccome la natura ha previsto che il recupero avvenga a questo livello, nel resto dei tubuli non ci sono carrier per il glucosio, per gli amminoacidi; quindi, se una molecola di glucosio o di amminoacidi supera il tubulo contorto prossimale è destinata a finire nelle urine, non essendoci carrier. Tutte le molecole da recupero (glucosio, amminoacidi, vitamine) che dovessero superare il tubulo contorto prossimale, si ritrovano nelle urine. Questo spiega alcune cose riguardanti ad esempio il glucosio (la molecola più importante); lungo le pareti dei tubuli vi sono carrier per il glucosio che permettono di spostare il glucosio in cotrasporto col sodio dal lume al sangue. In un uomo normale c‟è un grammo di glucosio per litro o 5,2 millimoli/litro e questa concentrazione di glucosio trova abbastanza carrier nelle pareti per essere riassorbita al 100% prima che arrivi all‟ansa di Henle. Se, invece, aumenta la glicemia, qualche molecola potrebbe non essere intercettata dai carrier e arrivare all‟ansa di Henle (se ad es. la molecola di glucosio si trova proprio al centro del lume, lontana dalle pareti, non viene intercettata dal carrier). Nell‟uomo la svolta si osserva quando la glicemia passa da 100mg/100ml a 130-140 mg/100ml; intorno a quest‟ultimo valore (soglia renale del glucosio) comincia ad arrivare glucosio nelle urine, comincia a comparire la cosiddetta glicosuria; ciò significa che qualche molecola non è stata intercettata a livello del tubulo contorto prossimale e, quindi, viene perduta con le urine. Un uomo che ha glicemia di 120 mg/100ml è già diabetico, ma non ha glicosuria; quindi esiste una fase iniziale della malattia diabetica in cui il soggetto è iperglicemico, ma non ha glicosuria; la glicosuria comincia quando la glicemia arriva al valore critico che è la soglia renale del glucosio e si hanno urine “dolci come il miele”: diabete mellito (a differenza di altri tipi di diabete come ad es. il diabete insipido). Ricapitolando, molecole utili come glucosio, amminoacidi, vitamine idrosolubili sono caratterizzate dal fatto che nessuna di queste molecole in condizioni fisiologiche verrà perduta con le urine. Se la concentrazione di queste molecole è fisiologica, i carrier specifici, prima che le molecole arrivino all‟ansa di Henle, le recuperano tutte. Se una molecola riesce a superare il tubulo contorto prossimale, si ritroverà nelle urine, perché dopo non ci sono più carrier e quindi non può più essere recuperata. I carrier sono situati nelle cellule di parete e se le molecole sono poche, la cinetica di queste molecole le fa venire a contatto con le pareti e quindi con i carrier; ma se il numero di particelle aumenta anche nella preurina, qualcuna di queste molecole non viene a contatto con la parete, anche se il carrier è in grado di recuperarla, e si ritrova nelle urine. Una glicemia del 40% più alta del 216
normale, a digiuno, è in grado di permettere a qualche molecola di “sfuggire” ai carrier e, quindi, compare il vero segno del diabete (la parola diabete significa urinare molto). Poiché, il glucosio nelle urine è osmoticamente attivo, viene seguito da acqua e il volume delle urine aumenta, determinando anche un aumento della sete. Infatti, i quattro tipici segni della malattia diabetica conclamata sono: poliuria, polidipsia, astenia, dovuta al fatto che il glucosio non entra nelle cellule e, quindi, si ha anche aumento della fame, polifagia; però, fino a quando la glicemia non è arrivata a 140mg/100ml, il soggetto è diabetico ma non ha glicosuria e, dunque, non ha né sete né poliuria. Esiste una fase iniziale del diabete non glicosurica, quando ancora la glicemia è 120-130 mg/100ml; quindi, la diagnosi deve essere fatta prima che compaia glicosuria, per intervenire quando ancora non ci sono danni. Il 5% della popolazione italiana è diabetica, cioè su 60 milioni di abitanti 3 milioni sono diabetici, di cui 2 milioni e 900 diventano diabetici da adulti, dopo i 50 anni, mentre una piccola percentuale, non più di 100.000 diventano diabetici da giovani, il cosiddetto diabete giovanile o di tipo I. Dei 3 milioni di diabetici circa la metà non sa di essere diabetico perché non ha disturbi particolari, fino a quando il volume delle urine comincia a diventare eccessivo, cominciano i problemi circolatori ( la microangiopatia diabetica), ecc… Il diabete è la prima causa di cecità, di ictus, di infarto miocardico, di amputazioni, di insufficienza renale con conseguente necessità di dialisi e trapianto (si danneggia la circolazione renale, retinica, genitale, coronarica, degli arti inferiori ecc.). In fisiologia, quello che avviene nel tubulo contorto prossimale non viene considerato regolabile, cioè sono fenomeni che avvengono in maniera obbligata, quindi il recupero del sodio, acqua, glucosio, amminoacidi, vitamine avviene obbligatoriamente senza che sia possibile modularlo, ad es. con ormoni, in misura significativa: è quello che si chiama in fisiologia riassorbimento obbligatorio. Quello che succede dopo il tubulo prossimale è, invece, modulabile con ormoni e vari meccanismi. Ad es. se un soggetto produce un certo quantitativo di urine al giorno e gli si fanno bere 5 litri di acqua, si osserva che la produzione di urina aumenta (cioè si ha un aumento della diuresi); ciò significa che dall‟ansa di Henle in poi è rallentato il recupero. Viceversa, se a un soggetto non si dà da bere, il soggetto continua a perdere acqua con la respirazione, la traspirazione, il sangue comincia a concentrarsi e pian piano comincia a ridursi il volume di urina per risparmiare acqua; questo significa che dall‟ansa di Henle in poi entrano in gioco meccanismi di regolazione che permettono non più un riassorbimento obbligatorio, ma un riassorbimento facoltativo. Nel sangue esiste una forte presenza di bicarbonato, che rappresenta la nostra riserva tampone (alcalina) per eccellenza, che deriva dall‟acido carbonico. Nelle urine normalmente non ci sono bicarbonati (perché il rene non perde riserve così importanti), che vengono recuperati lungo i tubuli renali. L‟80% dei bicarbonati viene recuperato dal tubulo contorto prossimale attraverso un processo complicato, in quanto lo ione HCO3- non attraversa le membrane cellulari, quindi, non può entrare nelle cellule. Per recuperare i bicarbonati nel tubulo contorto prossimale avviene un processo complesso: la cellula fa uscire ioni H+ producendo H2CO3, che si scinde in ione bicarbonato e ione idrogeno; lo ione H+ viene portato all‟interno del lume, dove si unisce allo ione bicarbonato formando H2CO3 , che si scinde in anidride carbonica e acqua, questi attraversano facilmente la membrana e vanno a ricostituire la molecola di H2CO3 ,che permetterà di far uscire di nuovo un idrogenione; il bicarbonato va direttamente nel sangue perché è uno ione negativo, la cellula è negativa e, quindi, è più facile la sua fuoriuscita. 217
Sulla superficie esterna delle cellule tubulari si trova una proteina, l‟anidrasi carbonica, che permette che nel lume avvenga la produzione di acqua e anidride carbonica, a seguito della scissione dell‟acido carbonico, che si forma quando esce dalla cellula uno ione idrogeno. Lungo tutto il tubulo prossimale avviene questa operazione e alla fine del tubulo prossimale l‟80% dei bicarbonati viene recuperato; il pH non si è modificato. Ricapitolando, è il tubulo prossimale il più importante elemento della struttura nefronica, perché è lì che avviene il recupero di tutto ciò che deve essere recuperato. Alcune sostanze, molte delle quali sono farmaci, danneggiano i tubuli renali e creano quelle che si chiamano tubulopatie tossiche; siamo in grado di capire quale parte del tubulo è danneggiata in base al tipo di sostanza che viene recuperata o che si ritrova nelle urine (per es. se nelle urine non si trova glucosio, significa che il tubulo contorto prossimale funziona, mentre non funziona se nelle urine si trova glucosio). Dalla tipologia di ciò che compare nelle urine e non dovrebbe comparire nelle urine, si può identificare la sede del danno tubulare.
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Lezione 25 La scorsa volta abbiamo iniziato a parlare di nefroni. Abbiamo definito quali sono i fenomeni che accadono a livello del nefrone, tra glomerulo e tubulo e abbiamo visto che accadono tre cose, fondamentalmente: 1. a livello del glomerulo viene filtrato il plasma. E' una filtrazione passiva, non selettiva (l'unica selettività è data dalla dimensione (meno di 68000 Dalton) e dal fatto che devono essere solubili in acqua, ma per il resto il filtrato glomerulare è identico al plasma, deiprotenato, non ci sono proteine); 2. una volta che questo filtrato raggiunge i tubuli, scorre lungo i tubuli e lungo i tubuli iniziano fenomeni di riassorbimento (si usa il termine "riassorbimento" perché si tratta di riportare nel sangue quello che prima era nel sangue evitando che vada perduto con le urine). 3. Però lungo i tubuli non avremo solo fenomeni di riassorbimento ma anche fenomeni di attiva secrezione. Questi fenomeni di attiva secrezione permettono di eliminare le sostanze in misura maggiore di quello che la semplice filtrazione potrebbe consentire. Come si potrebbe misurare quello che viene eliminato con le urine mediante solo filtrazione? Si usano le cosiddette "clearance renali" e in particolare clearance di sostanze che vengono filtrate ma che lungo i tubuli non vengono né riassorbite né tantomeno secrete. Inizialmente si usava l'inulina, oggi si usa la creatinina. Se io vado a misurare la clearance della creatinina, trovo un valore che va da 120 a 130 ml al minuto. Quindi in un minuto 125 ml di plasma vengono completamente depurati da tutta la creatinina presente. Ovviamente questa creatinina che non c'è più nel plasma, la ritrovate nelle urine molto più concentrata. Vi dicevo che la clearance è di circa 120-130, tuttavia se il soggetto è più piccolo, i valori sono più bassi; se il soggetto è grande, i valori sono più alti; nelle donne sono più bassi che negli uomini, dunque per normalizzare questi valori, la clearance oggi viene espressa per m² di superficie corporea. E quindi calcolando che, per esempio, la vostra collega ha una superficie corporea tra 1.60 e 1.70 m², (c'è la "formula di DuBois e DuBois" che permette di calcolare, conoscendo peso e altezza, la superficie corporea in metri quadrati) più o meno la clearance viene 70 ml/m² al minuto. Ovviamente in base ai diversi valori di superficie corporea, si può calcolare per ogni singola persona. In ogni caso quello che a me interessa è che se io prendo un'altra sostanza e la sua clearance non è uguale a quella dell'inulina, cosa significa? Evidentemente se la clearance è minore di quella dell'inulina, significa che questa sostanza viene in parte recuperata all'interno dei tubuli; se il suo valore è invece superiore, vuol dire che oltre ad essere filtrata arriverà nelle urine anche attraverso processi di attiva secrezione. Vi ho fatto l'esempio dell'urea che ha una clearance che è esattamente la metà di quella dell'inulina e quindi significa che metà dell'urea lungo i tubuli viene recuperata. Ma l'urea non è una sostanza tossica che dovrebbe essere eliminata con le urine? Che senso ha recuperare una sostanza tossica? Cioè io prima la produco, poi riesco a buttarla fuori nella capsula di Bowmann e poi la recupero lungo i tubuli al 50%. Per il momento non vi do la risposta, ne parleremo più avanti quando vi tratterò l'ansa di Henle e introdurremo il concetto di "moltiplicazione e scambio in controcorrente". Le sostanze azotate principali sono tre. Nel sangue ammoniaca non ce n'è; il grosso dell'azoto proteico viene eliminato come urea. Poi c'è una quota di azoto che fa parte delle basi puriniche e pirimidiniche che viene eliminata prevalentemente sotto forma di acido urico. Infine c'è un terzo tipo di azoto, che è quello presente nella creatinina, che viene eliminato con le urine. Ora la situazione è questa: la clearance dell'inulina è 110, l'urea ha una clearance di 70 (cioè metà dell'urea viene recuperata), addirittura l'acido urico ha una clearance che non arriva nemmeno a 2025, cioè il 70 % di acido urico circa lungo i tubuli renali viene recuperato. In teoria sono tutte e tre 219
sostanze azotate e quindi da eliminare. Evidentemente il discorso è un po' più complicato di quello che sembra. Ci sono sostanze che hanno addirittura clearance uguale a zero: il glucosio è una di queste sostanze. Normalmente nelle urine non ce n'è e quindi, pur essendo filtrato, viene totalmente recuperato. Non ci sono amino acidi, vitamine idrosolubili e quindi significa che in questi casi i tubuli sono in grado di evitare che vada perduta anche una sola molecola di questi metaboliti importanti, a meno che la loro concentrazione non diventi eccessiva. In questo caso, l'eccesso rispetto ai valori fisiologici si ritrova nelle urine. Quindi ci sarà una aminoaciduria, una vitaminuria (B e C per esempio; la vitamina C non dimenticate che è un acido, abusando di vitamina C si acidifica il sangue quindi si crea un problema legato ad una presenza eccessiva di acido citrico; questo naturalmente porterà ad una serie di conseguenze. Ricordate che l'acido ascorbico è una molecola particolare, che ha un pK particolare per cui in condizioni fisiologiche si comporta da acido e porta idrogenione sia nel plasma che nelle urine. Esagerando con le quantità, l'acidificazione è uno dei fattori predisponenti per formare i calcoli lungo le vie urinarie con tutte le conseguenze del caso). Esistono invece sostanze che hanno una clearance superiore a quella dell'inulina. Per esempio, se io tratto la vostra collega con la penicillina, la penicillina va nel sangue e poi viene filtrata, essendo solubile in acqua, ma ricordate che la clearance della penicillina è intorno a 400; ciò significa che non solo viene filtrata ma anche attivamente secreta a livello dei tubuli renali proprio per allontanarla il più velocemente possibile dal sangue. Il record appartiene al paraaminoippurato (PAI) che ha una clearance elevatissima di quasi 600 ml al minuto e l'acido transippurico che ha come record il fatto che se misurate l'acido paraaminoippurico nel sangue arterioso, dopo che il sangue che è passato dal rene, di acido paraaminoippurico nel sangue non ne resta nemmeno una molecola. Ciò significa che tutto quello che c'era è stato eliminato, in parte per filtrazione (il 20%), la maggior parte per attiva secrezione (l'80%). E siccome il plasma è stato depurato, il valore di clearance del PAI coincide col flusso plasmatico renale. Quindi è un modo più semplice per misurare il flusso di sangue attraverso i due reni. Lungo i tubuli renali (divisi tradizionalmente in quattro parti: contorto prossimale, ansa di Henle, contorto distale e dotto collettore) avvengono assorbimento e secrezione. Questi fenomeni sono però diversi quantitativamente e qualitativamente nelle diverse parti del nefrone. Vi dicevo la scorsa volta che il più importante è il tubulo contorto prossimale, dove avviene per alcune sostanze il 100 % del recupero (glucosio, amino acidi, vitamine idrosolubili); se per caso scappa qualche molecola da questo tratto, siccome non è previsto, dopo di esso non ci sono altri carrier, e quindi quella molecola è destinata a finire nelle urine. Non c'è modo di recuperarla dopo il tubulo contorto prossimale. Altre sostanze invece vengono recuperate in percentuali diverse; in particolare sodio, cloro e acqua vengono recuperate all'80%. Quindi è vero che io all'inizio ho filtrato 120-130 ma già alla fine del tubulo contorto prossimale l'80% di questi 120-130, cioè 90-95 ml sono già stati recuperati tra sodio, cloro e acqua. E' un fenomeno abbastanza semplice: questo è il tubulo, qui c'è il sodio, qui c'è il cloro e qui c'è l'acqua, la cellula e il capillare sanguigno (vedi schema negli appunti). Il sodio è positivo, l'interno delle cellule è negativo quindi il sodio entra spontaneamente come in tutte le cellule. Dall'altro lato trova una pompa elettrogenica che fa uscire il sodio nel lume del capillare quindi nel sangue. Spostando una carica positiva si crea un gradiente di concentrazione e il cloro di solito si infiltra passivamente tra una cellula e l'altra e passa passivamente seguendo il gradiente elettrico. Per ogni carica positiva passa quindi una carica negativa per mantenere l'equilibrio elettrico del sistema. Alla fine ho fatto passare due particelle da questo lato a questo lato; due in meno da questo lato (la preurina è meno concentrata), due in più da questo lato (il 220
sangue è più concentrato). Si crea un gradiente osmotico e anche l'acqua passerà, in parte attraverso le cellule, ma soprattutto attraverso gli spazi intercellulari, passivamente per gradiente osmotico da un lato all'altro. Conclusione: con un'unica pompa, quella del Na⁺, recupero cloro, sodio e acqua fino a recuperare l'80% di tutto il sodio, di tutto il cloro, di tutta l'acqua che è stato filtrato a livello capsulare. In realtà ogni 40 ioni sodio che io trasporto, uno si comporta in maniera diversa. La quarantesima volta cioè, invece che essere una pompa elettrogenica funziona da pompa a scambio ionico e cioè il sodio entra e al posto del sodio esce un idrogenione. L'uscita dell'idrogenione mi serve per il recupero dei bicarbonati. L'idrogenione si va a legare col bicarbonato, si forma l'acido carbonico, l'acido carbonico si scinde in acqua e CO2 e io riassorbo acqua e CO2 facilmente e quindi evito che i bicarbonati vadano perduti con le urine. Quindi ogni 40 ioni sodio che entrano, 39 volte ciascuno ione viene seguito dal cloro, 1 volta non viene seguito dal cloro perché a uno ione positivo che entra corrisponde uno ione positivo che esce, non si crea il gradiente elettrico, però questo ione di idrogeno mi serve e ci vuole per forza una pompa per fare uscire l'idrogeno perché l'interno è negativo e lo ione idrogeno è positivo, quindi spontaneamente non lascerebbe un ambiente negativo. Se non ci fosse una pompa che lo fa uscire, esso non uscirebbe. Appena esce si lega al bicarbonato, c'è un pK favorevole e quindi si forma subito l'acido che si scinde. C'è un'anidrasi carbonica sulla superficie esterna delle cellule e quindi questo idrogenione si lega al bicarbonato, si forma l'acido carbonico che si scinde poi, grazie all'anidrasi carbonica, in acqua e CO2. Queste diffondono facilmente attraverso le membrane e quindi alla fine ho recuperato il bicarbonato. Appena entrata nella cellula si torna a unire acqua con il bicarbonato, si riforma acido carbonico, l'acido carbonico (H2CO3) si scinde in ioni idrogeno che escono e ioni bicarbonato che diffondono passivamente dall'altro lato. Dunque occorre una pompa elettrogenica per sodio, cloro e acqua e una pompa a scambio ionico, sodio e idrogeno, per permettere il recupero dei bicarbonati. Una volta che io ho tolto dalla preurina sodio, cloro, acqua e bicarbonati che cosa succede degli ioni che non ho recuperato? (Per esempio del potassio o del calcio). Questi non vengono recuperati attivamente. Certo è che se io tolgo sodio, cloro e acqua il volume del solvente, dell'acqua diminuisce quindi la concentrazione di potassio e calcio aumenta ovviamente rispetto al sangue dove invece era inizialmente ad una certa concentrazione. Nel sangue il potassio è a 4 mM, man mano che tolgo acqua questa concentrazione arriva a 5 mM. Appena si crea una differenza di concentrazione, il potassio da cellula a cellula diffonderà passivamente da dove è più concentrato (la preurina) a dove è meno concentrato (il sangue) e quindi in questo modo passivamente, semplicemente per gradiente chimico, lo recupero. La stessa cosa vale per il calcio, nel sangue di solito ce n'è 10 mg per 100 ml, se però è più concentrato e arriva a 11, appena c'è una differenza di concentrazione, il calcio diffonderà tra cellula e cellula e quindi con un'unica pompa importante ho recuperato una serie di sostanze che mi evitano di perdere con le urine, una serie di ioni di alto livello funzionale. In questo modo ho recuperato sodio, cloro, potassio, calcio, bicarbonati e acqua. Alla fine di tutto il processo, quando la preurina raggiunge la fine del tubulo contorto prossimale, non è più uguale a quella che c'era nella capsula di Bowman. Alcune cose sono sparite, (non c'è più glucosio, non ci sono più gli amino acidi, le vitamine idrosolubili), altre cose invece sono diminuite esclusivamente in quantità globale, cioè il volume complessivo di questa soluzione si è ridotto al 20% circa. Però non sono cambiate le concentrazioni di sodio, cloro, potassio, calcio. Quando finisce il tubulo contorto prossimale, e ci avviciniamo al confine tra corticale e midollare, la composizione chimica è diversa per alcune sostanze che non ci sono più (glucosio, vitamine etc) mentre il rapporto solvente/soluto è rimasto praticamente uguale e quindi era 285 milli osmoli per 221
litro all'inizio e rimane tale alla fine. La soluzione non ha modificato la propria concentrazione, è solo diminuita di volume, in più alcune sostanze non si trovano più. Quindi da questo momento le sostanze che rimangono in gioco sono solamente il sodio, il cloro, il potassio, il bicarbonato e lo ione calcio. Le altre sostanze, se a dosi fisiologiche, sono già state recuperate. Adesso ci troviamo di fronte alla cosiddetta ansa di Henle. L'ansa di Henle è una parte del tubulo dove avviene il ripiegamento del tubulo che torna indietro. Quindi se fino a quel momento era sceso dalla corticale verso la midollare, ad un certo punto forma un gomito e torna indietro. Questo gomito prende il nome di ansa di Henle. Osservate come è fatta la piramide renale. Questo è il confine, dove ci sono le arterie arciformi, tra corticale e midollare. L'ansa di Henle ce l'hanno tutti i nefroni. Però i nefroni posti nella parte alta della corticale hanno l'ansa di Henle tutta all'interno della corticale; l'80% delle anse di Henle si comporta così. Quelli invece vicini alla midollare hanno anse che si vanno a collocare all'interno della midollare della piramide renale. Non più del 15% di tutti i nefroni si comporta così e sono quelli che ci interessano di più. Questo 15% di nefroni, che sono detti per la vicinanza alla midollare "iuxta-midollari", rappresentano una particolarissima categoria di nefroni perché hanno un ruolo strategico nella fisiologia del sistema. Se io prendo il tubulo contorto prossimale e vado a misurare la concentrazione che è 285 milli osmoli per litro, mi accorgo che rimane 285, più o meno immodificata per tutta la lunghezza fino al tubulo contorto distale. Ma se vado a misurare la concentrazione qui, mi accorgo che non è così: dai 285 iniziali, appena entro nella midollare i valori tendono ad aumentare: 500 - 700 fino a quelli più lunghi, che arrivano quasi all'apice della piramide, dove troviamo valori che arrivano fino 1200 milli osmoli per litro, durante la discesa. Poi durante la salita, questi valori tornano a diminuire e quando il tubulo esce dalla midollare per tornare nella corticale la concentrazione è addirittura più bassa di quella che c'era inizialmente. Immaginate che questo sia un nefrone iuxta-midollare con l'ansa sotto. Durante la discesa si hanno valori che aumentano 400, 600, 800, 1000, 1200. Poi si torna a diminuire. Ma notate un fenomeno interessante: qui, sullo stesso livello in cui nella branca che scende il valore è di 600, da questo lato il valore è di 400. Sistematicamente da un lato abbiamo un valore 200 volte più piccolo rispetto all'altro. Quindi quando esce avrà un valore quasi di 100 (è entrata quasi a 300 ed esce ad un valore molto inferiore). Questo è un fenomeno interessante a cui dovete collegare un'altra variabile: se io faccio una serie di microprelievi non da dentro ma da fuori il tubulo, mi accorgo che i liquidi fuori il tubulo hanno esattamente la stessa concentrazione della branca discendente, cioè a questo livello anche l'esterno è a 400. Solo la parte ascendente ha una concentrazione di 200 milli osmoli inferiore. Sistematicamente l'anomalia è rappresentata dal fatto che durante la discesa, aumenta la concentrazione non solo dentro il tubulo ma anche quella dei liquidi situato attorno, cioè nell'interstizio fra tubulo e tubulo di quella che è la midollare del rene. Durante la risalita questi valori tendono a diminuire tranne che dentro il tubulo ascendente, i valori sono sempre di 200 milli osmoli più bassi rispetto a quello che c'è attorno a loro. Quindi la midollare è caratterizzata da un gradiente osmotico crescente. Si parte da 300 e poi via via si arriva a 1200 all'apice della piramide. Mentre nella corticale non è così: ci sono 285 milli osmoli dentro e 285 milli osmoli fuori, senza differenza di concentrazione fra interno dei tubuli e ambiente extratubulare. Quindi ricapitoliamo: l'ansa di Henle è una parte anatomica del nefrone dove il tubulo si ripiega su sé stesso e quindi rappresenta il collegamento tra tubulo contorto prossimale e tubulo contorto distale. Da un punto di vista funzionale non ha una grande importanza tranne per quel 15% di nefroni, i cosiddetti nefroni iuxta-midollari, le cui anse si approfondano nella midollare. Per cui se 222
l'ansa rimane nella corticale, la concentrazione di liquidi dentro e fuori non si modifica. Sono invece molto diverse le condizioni che si osservano quando l'ansa di Henle penetra nella midollare. Se io faccio dei microprelievi, mi accorgo che le pareti della branca discendente è come se non ci fossero, tant'è che c'è la stessa concentrazione dentro e fuori. Mentre se io confronto quello che c'è dentro e fuori nella branca ascendente, non è così: l'interno è molto più diluito, di almeno 200 milli osmoli, rispetto a quello che sta intorno. Quindi le pareti non devono lasciare passare l'acqua e i soluti, perché se lasciassero passare l'acqua e i soluti, non ci sarebbe differenza di concentrazione, immediatamente si avrebbe la stessa concentrazione dentro e fuori. Evidentemente le pareti della branca ascendente sono completamente impermeabili sia ai soluti, quindi alle particelle disciolte nell'acqua, che all'acqua stessa che non può ne entrare ne uscire. Quindi caratteristiche strutturali: le pareti della branca discendente sono liberamente permeabili ai soluti e al solvente. Le pareti della branca ascendente non sono permeabili né ai soluti né al solvente, perché se fossero permeabili non ci sarebbe la differenza di concentrazione: i soluti entrerebbero, l'acqua uscirebbe e si avrebbe esattamente la stessa concentrazione come nella branca discendente. Invece questa peculiarità della branca ascendente la rende unica nel suo genere. Come si è potuta creare questa situazione così curiosa? Da cosa dipende questa situazione? Dipende da un fenomeno che si chiama "moltiplicazione e scambio in controcorrente". E' frequente nel corpo umano che si verifichino fenomeni in controcorrente e ve lo spiego dopo avervi fatto qualche esempio: do alla vostra collega un termometro e le dico di misurarsi la temperatura. Lei lo mette in mano, ma non si può misurare la temperatura tenendolo in mano in quanto la temperatura è più bassa di quella del tronco e della testa. Noi qui abbiamo 37 gradi ma alle estremità (es: piedi) ci sono anche 20 gradi in meno. Se siamo animali omeotermi come è possibile che abbiamo una parte del corpo ad una temperatura anche di 10-15 gradi più bassa di quella che dovrebbe essere? Quando parliamo di termoregolazione ci riferiamo a testa e tronco, perché gli arti non vengono termoregolati. Come è possibile che ciò si verifichi? Questo è legato a un fenomeno anatomico: nelle braccia e nelle gambe, le arterie decorrono vicino alle vene. Le vene prendono sangue dalla mano (per esempio) e lo portano verso il centro. Le arterie prendono sangue dal centro, a 37 gradi, e lo portano verso la mano. Quando il sangue arriva nelle estremità c'è un piccolo volume e una grande superficie (questa è una delle caratteristiche delle estremità), quindi la temperatura si disperde facilmente. Quindi il sangue venoso che torna ha una temperatura inferiore, di quanto? Dipende dalla temperatura esterna: se fuori c'è una giornata calda avrà perso pochi gradi, se c'è molto più freddo ne avrà dispersi di più. Quindi troviamo un'arteria che decorre con una temperatura di 37 gradi vicino ad una vena a 33-34 gradi. E' ovvio che il calore passerà da dove ce n'è di più a dove ce n'è di meno. Quindi una parte del calore del sangue arterioso verrà ceduto al sangue che si trova nella vena e quindi ovviamente il sangue arterioso perde calore man mano che scende. Quindi avrà una temperatura inferiore prima ancora di arrivare nella mano, dove avverrà la dispersione, semplicemente perché ha ceduto calore alla vena, per gradiente termico. In questo modo io demoltiplico la temperatura del sangue mediante un meccanismo in controcorrente. Chi scende, cede a chi sale. Quindi man mano che scendo ne trovo sempre meno, man mano che salgo ne trovo di più. Meccanismo di demoltiplicazione in controcorrente. Ovviamente più lungo è il braccio, maggiore sarà la perdita di calore, quindi piedi più freddi (nell'esempio di prima). Sapete qual è un tipo esempio di un meccanismo di questo tipo? Nel maschio questa è la cosiddetta 223
termoregolazione del testicolo: il testicolo viene termoregolato in questo modo. Esso ha una peculiarità: funziona a bassa temperatura (non superiore ai 33-34 gradi e non deve scendere sotto i 28). Deve stare in un range di temperatura abbastanza ristretto. Se è a una temperatura inferiore a 28° o maggiore di 34° non funziona. Non produce spermatozoi e poi se le variazioni di temperatura sono ancora più marcate, anche la produzione di ormoni ne risente. Gli effetti sulla produzione di spermatozoi sono quasi istantanei, appena si esce da questo range, la spermatogenesi non avviene. Quindi come fa il maschio a termoregolare il testicolo? Anche qui troviamo arterie che vanno, le cosiddette arterie spermatiche, che viaggiano accanto alle vene che tornano dal testicolo, le vene spermatiche. Ovviamente l'arteria cede una parte del suo calore alla vena e il sangue venoso, siccome torna da un organo extra addominale, è un po' più freddo del sangue arterioso. Se però nel maschio la temperatura esterna comincia ad aumentare, diventa difficile cedere calore al sangue venoso. Si potrebbe creare il rischio che il testicolo diventi troppo caldo perché non cede abbastanza calore. E se non cede abbastanza calore, il riscaldamento del testicolo crea una serie di problemi. Allora che cosa succede? Si allontana il testicolo dal corpo. Ci sono delle strutture muscolari nell'uomo, sia attorno alla pelle della borsa scrotale, il cosiddetto tardos e un muscolo chiamato cremastere, che in questo caso si rilasciano, il testicolo si abbassa, il percorso si allunga e quindi il meccanismo di demoltiplicazione in controcorrente può avvenire nei testicoli. Se invece il maschio presenta febbre, il dartos si contrae, il muscolo cremastere tira verso l'alto, le distanze si accorciano e si evita che diventi troppo freddo. Quindi grazie a questa struttura muscolare, sia esterna (dartos) che interna (cremastere), si gestisce la lunghezza di scambio in controcorrente tra arterie spermatiche e vene spermatiche. La cosa più temibile per un uomo è che le vene si dilatino, cioè che si verifichi una varice delle vene del testicolo, perché aumentando il raggio diminuisce la velocità e rallentando la velocità, viene trattenuto sangue caldo nel testicolo. Aumenta pertanto la temperatura nel testicolo e cessa la spermatogenesi. Questo è quello che si chiama "varicocele", varice del plesso pampiniforme del testicolo. Una volta era semplice accorgersene perché i maschi avevano l'obbligo della visita militare a 18 anni e si poteva intervenire subito, un intervento chirurgico banale risolveva il problema. Mancando questo controllo, la diagnosi viene ritardata dato che non si tratta di un controllo di routine. I maschi poi tendono a confondere due concetti: quello di fertilità con quello potenza sessuale. Il primo termine si riferisce al numero di spermatozoi vivi, il secondo alla condizione di potenza o impotenza sessuale. Un uomo può possedere miliardi di spermatozoi in attività ed essere impotente e viceversa. Le due variabili sono indipendenti. Statisticamente, su 100 coppie che hanno difficoltà ad avere figli, nel 50% dei casi dipende dalla donna; nel 35% dei casi dipende dall'uomo; nel restante 15% dipende da entrambi. E' raro che il problema sia di entrambi, più frequentemente si tratta di incompatibilità di coppia. Quasi sempre è il liquido vaginale che non permette la sopravvivenza degli spermatozoi (per la presenza di anticorpi, condizioni di pH, sostanze tipo lisozimi etc etc). Quindi essi potrebbero essere compatibili con altri partner ma non lo sono tra di loro. In questi casi si interviene con l'inseminazione artificiale. Torniamo al nostro discorso: cosa succede nella mano? Chi scende cede a chi sale. L'arteria cede calore alla vena che sale quindi il calore tenderà a diminuire man mano che scendo, demoltiplico. Immaginate cosa accadrebbe se fosse la vena a cedere calore all'arteria. Essa diventerebbe ancora più calda, risale, una parte di questo calore torna indietro e quindi la mano anziché essere a 37 gradi diventa a 45. Anziché demoltiplicare il parametro temperatura, esso viene moltiplicato. E' sempre un meccanismo in controcorrente: se chi scende, cede a chi sale, la variabile viene demoltiplicata; se chi sale cede a chi scende, la variabile tende ad essere accentuata.
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Ora cosa succede nell'ansa di Henle? Lo avete visto: 400, 400, 400, 200, 400. L'anomalia sono questi 200 all'interno rispetto a 400. Evidentemente lungo la branca ascendente dell‟ansa di Henle, non c'è lo stesso rapporto solvente/soluto che c'è fuori; all'interno soluti ce n'è di meno per avere una concentrazione 200 milli osmoli più bassa. Quindi le pareti del tubulo ascendente, che sono impermeabili, dispongono di carrier, di trasportatori attivi che prendono il sodio e lo portano fuori, lo tolgono al lume dove ce n'è di meno e lo portano fuori fino a creare una differenza di concentrazione di 200 milli osmoli. Siccome la parete è impermeabile, questo sodio non può tornare indietro; né l'acqua può seguirlo. Può uscire solo il soluto. Questo significa che qui resterà meno soluto (cioè più diluito), ma qui i soluti aumenteranno e siccome la parete di quello discendente è come se non esistesse, questo si mette facilmente in equilibrio con la branca che scende. Ovviamente appena finisce il giro, si ricomincia di nuovo. Ecco perché si arriva anche a 1200 milli osmoli nelle parti più distali. Più è lungo il percorso, più viene moltiplicato il parametro, in questo caso l'osmolarità. Tutto questo discorso che stiamo facendo è finalizzato a non perdere acqua con le urine. Se io prendo la vostra collega e le faccio un dosaggio nel sangue dell'osmolarità, troverò un valore di 285 milli osmoli litro. Se vado a vedere l'osmolarità delle urine di una persona normale, minimo è 500-600. Le urine hanno una concentrazione maggiore del plasma, cioè nelle urine i soluti ci sono ma è presente meno acqua poiché è stata recuperata. Questo è giusto che sia così per fare risparmiare acqua all'organismo. Se facessimo l'esempio di un topo del deserto, che hanno le anse di Henle molto lunghe, lì sotto il valore non è 1200 ma si arriva tranquillamente a 2500. Come si recupera l'acqua? Non esiste un trasporto attivo dell'acqua, quindi come la recuperiamo? Non ci sono trasportatori attivi dell‟acqua. Il topo del deserto elimina urine ricche di soluti ma con pochissima acqua. Se io prendo la vostra collega e non la faccio bere, man mano che passano le ore, produrrà urine sempre più concentrate perché deve risparmiare acqua quanto più è possibile, essendo in carenza di acqua. Deve mettere in moto un meccanismo che continua a buttare fuori i soluti, ma deve risparmiare quanto più è possibile il solvente. Se invece le faccio bere 5 litri di acqua, produrrà urine a 250-300 milli osmoli per litro. Se cercate a casa esami delle urine dei vostri famigliari, noterete che non compare la voce concentrazione. La concentrazione si misura indirettamente per tradizione con un vecchio metodo che è la cosiddetta densitometria, che consiste nel misurare il peso specifico delle urine. Voi sapete che il peso specifico dell'acqua è 1000, quindi se ci fosse solo l'acqua sarebbe 1000. Se aggiungo solventi, il peso specifico aumenta. Normalmente le urine hanno un peso specifico tra 1030 e 1035. Se io elimino urine più concentrate, questo valore diventerà 1040-1045. Se io elimino urine più diluite scende a 1015-1020 in casi particolari. Quindi si considerano normali urine intorno a 1035 di peso specifico. Non troverete quindi l'osmolarità, bensì il peso specifico che è un modo indiretto di misurare la concentrazione. I valori normali quindi sono 1030-1035. Il plasma ha un valore specifico che è invece intorno a 1020, ecco perché le urine sono più concentrate del plasma, perché è stata recuperata acqua rispetto al plasma. Le urine sono sempre più concentrate del plasma tranne che in alcuni casi particolati dove possiamo trovare urine meno concentrate del plasma, cioè meno di 1020. Ci possono essere casi di urine a 1010-1015, casi gravissimi che cercheremo di analizzare. 1) cos'è l'ansa di Henle? E' il punto di contatto tra tubulo contorto prossimale e tubulo contorto distale. Ha la classica forma a forcina con una branca discendente, un ginocchio e la branca ascendente. La stragrande maggioranza dei nefroni ha l'ansa di Henle all'interno della corticale cioè non ci sono modificazioni significative di concentrazione tra dentro e fuori. Queste modificazioni 225
sono invece presenti nei nefroni, la cui ansa di Henle entra nella midollare. Più profondamente entra nella midollare, più si osservano variazioni della concentrazione interna ed esterna del tubulo. La regola è semplice: la parte discendente dell‟ansa di Henle ha una concentrazione via via crescente e la sua concentrazione a ogni livello è in perfetto equilibrio con l'esterno. Quindi se dentro c'è un valore di 500, anche fuori allo stesso livello avremo lo stesso valore. Se invece prendiamo in considerazione la branca ascendente, osserviamo che essa non è mai in equilibrio con l'esterno ma che rispetto ai valori che troviamo all'esterno, l'interno ha una concentrazione sempre di 200 milli osmoli più bassa. Questa inferiore concentrazione significa che tra interno ed esterno c'è una diversa concentrazione di soluti. Cioè dentro ci sono meno soluti che fuori. Quindi i soluti vengono buttati fuori, ma siccome la parete è impermeabile non possono rientrare. Né l'acqua li può seguire per osmosi. Quindi io devo essere in grado di creare questa curiosa situazione nella midollare del rene con una osmolarità via via crescente. E partendo dalle arterie arciformi, dal confine, dove l'osmolarità è meno di 300 milli osmoli, arriva ad avere valori anche 4 volte più alti a livello dell'apice della piramide. Tutto questo ha la scopo di permettere il recupero solo e selettivamente dell'acqua. In che modo? Cosa fa il tubulo distale? Sale, poi va a finire nel dotto collettore che scende. Quando la preurina esce addirittura è 100, più diluita del plasma. Quindi se tutto rimanesse com'è, io perderei un'enorme quantità di acqua con le urine. Invece devo eliminare urine con meno acqua del plasma. Quindi la concentrazione deve salire almeno a 500-600 in condizioni fisiologiche. Le pareti del dotto collettore (anche quelle del tubulo distale) sono impermeabili all'acqua e ai soluti. Però queste pareti possono presentare canali per l'acqua, le acquaporine solo se viene rilasciato un ormone particolare che permetta a queste cellule di esprimere le acquaporine. Le acquaporine sono buchi che permettono all'acqua di passare e quindi la permeabilità, che normalmente non esiste in questo dotto collettore, può essere fatta artificialmente aumentare in base alla produzione di questo ormone che si chiama arginina vasopressina, viene prodotto dal nucleo sopraottico dell'ipotalamno, viene liberato a livello della ipofisi posteriore (neuroipofisi), va in circolo. E' un octapeptide o nonapeptide (a seconda che venga considerata la cistina o la cisteina). Questo ormone arriva al tubulo distale e permette l'espressione delle acquaporine. Se fuori ho 700 e dentro ho 100, basta fare un buco che l'acqua per osmosi si sposterà dalla parte più diluita a quella più concentrata. Quindi in questo modo una parte dell'acqua viene recuperata e non va a finire nelle urine. Lo scopo di questo ormone è quindi quello di impedire la perdita di acqua con le urine. L'arginina vasopressina viene infatti chiamata in fisiologia ormone antidiuretico, proprio perché riduce la diuresi, il volume di urina. Quindi la possibilità di recuperare l'acqua è affidata alla preliminare creazione di una midollare iperosmotica, fino addirittura a 1200 milli osmoli per litro. Una volta che si è creata una midollare iperosmotica, basta fare un buco nella parete per fare esprimere le acquaporine e l'acqua passivamente per osmosi lascia il lume e passa. Quanta ne passa? Dipende dalla quantità di buchi: più se ne fanno, più acquaporine vengono espresse, più acqua viene recuperata e non va a finire nelle urine. La concentrazione delle urine quindi cresce al crescere dell'ormone antidiuretico prodotto. Quindi cos'è l'ormone antidiuretico? E' un piccolo polipeptide liberato dall'ipofisi posteriore, viene prodotto dai neuroni del nucleo sopraottico dell'ipotalamo. Questo ormone va nel sangue, viaggia, arriva al rene, raggiunge il tubulo distale e fa esprimere le acquaporine e permeabilizza una parete altrimenti impermeabile. Nel momento in cui viene permeabilizzata si creano dei buchi, che permettono all'acqua di uscire. Perchè l'acqua può uscire? Perchè dentro è molto diluita e fuori invece c'è una soluzione molto più concentrata. Quindi per semplice gradiente osmotico, essa lascerà la zone più diluita e passerà in quella più concentrata. La preurina che perde acqua diventa più concentrata, e invece la midollare, prendendo acqua, tenderà a diluirsi. Ecco perchè si chiama "antidiuretico”. 226
Allora supponiamo che la vostra collega non abbia una neuroipofisi funzionante. Cosa succede? Non produce più l'ormone antidiuretico. Quale sarà la sintomatologia? Urinerà 20-25 litri di urina al giorno perchè dall'ansa di Henle in poi non può più recuperare acqua e quindi tutta questa acqua presente nei tubuli, essendo le pareti impermeabili e rimanendo tali a causa della mancanza dell'ormone, tutta questa acqua verrà perduta con le urine. Ora immaginate un uomo di 70 kg che possiede 40-45 litri di acqua, che urina 20-25 litri di acqua al giorno: muore dopo qualche ora per collasso (bastano soli 4-5 L di acqua persi). Parleremo dunque di diabete insipido. Ricordate quindi che la parola "diabete" significa solo "urinare molto". Dovete aggiungere l'aggettivo per sapere di quale tipo di diabete si parla (insipido, bronzino, etc). Saranno tutti caratterizzati da poliuria ma differiranno per le cause che li provocano. Che differenza c'è tra poliuria e pollachiuria? Se si tratta di pollachiuria, il volume è normale ma frazionato in molte minzioni, se invece è poliuria si eliminano maggiori quantità di urina rispetto al normale. Quello che conta è qual è il volume finale delle urine per distinguere tra poliuria e pollachiuria. Quindi qual è il significato fisiologico del meccanismo in controcorrente? Creare una midollare iperosmotica e lo scopo è quello di creare un gradiente che permette poi di poter recuperare acqua. Facciamo un esempio, vediamo come funziona il meccanismo: questo è il nucleo sopraottico dell'ipotalamo, qua c'è il neurone, il suo assone lascia l'ipotalamo, se ne va nella neuroipofisi, qui ci sono i capillari sanguigni. Lungo l'assone, ci saranno granuli di ormone che viaggiano fino a raggiungere la neuroipofisi. L'ormone mentre si trova dentro la cellula lungo l'assone, è coniugato con una piccola proteina che si chiama neurofisina. Quindi viaggia nei flussi assoplasmatici associato alla neurofisina. Quando arriva al torrente circolatorio vengono messi entrambi nel circolo sanguigno. Questo raggiunge il rene e quindi il tubulo distale. Anche nel tubulo distale è in grado di agire ma manca il gradiente; il gradiente è invece presente nella midollare, un liquido molto diluito passa attraverso un ambiente esterno molto più concentrato. Quindi basta permeabilizzare la parete che l'acqua immediatamente esce e lascia il tubulo per essere recuperato. Quindi nelle urine acqua ne arriverà di meno. Il sito di attacco dell'ADH è proprio la parte intramidollare del dotto collettore. Da cosa dipende la produzione di ormone ADH? Ricordate che anche il nucleo sopraottico riceve sangue; il sangue è di norma a 285 milli osmoli per litro e quindi anche il liquido interstiziale che c'è tra i due è a 285 milli osmoli per litro. Se io bevo di meno, questo aumenta; se c'è meno acqua diventa per esempio 310. L'acqua esce dalla cellula per diffusione osmotica e la cellula tende a raggrinzirsi. Se la cellula tende a raggrinzirsi, i neuroni aumentano la loro scarica e aumenta la quantità di ADH liberata. Più aumenta la concentrazione extra cellulare nel nucleo sopraottico, più aumenta la scarica e quindi la quantità di ormone liberato. Meno acqua c'è, più ormone antidiuretico devo produrre. Se invece questa tende a diluirsi (esempio: 260), questa volta il flusso di acqua sarà in entrata nella cellula, rallenta la scarica, si produce meno ADH, recupero meno acqua e quindi questo eccesso di acqua verrà eliminato con le urine. Queste due condizioni classiche, che si chiamano in fisiologia "diuresi" e "antidiuresi" sono collegate a quanta acqua possiedo nell'organismo. Se ho poca acqua devo creare una condizione di antidiuresi, evitare di perdere acqua con le urine; se ho troppa acqua, devo creare una condizione di diuresi, cioè l'eccesso di acqua lo elimino con le urine. Lo strumento è il nucleo sopraottico che rappresenta l'osmocettore dell'organismo. Sulla base dell'osmolarità presente attorno ad esso, aumenta o diminuisce la produzione di ADH. Quindi se facciamo una correlazione tra l'osmolarità del plasma (280-290-300-310-320) e quanto 227
ADH viene prodotto (ormone antidiuretico nel sangue), vi accorgerete che al crescere dell'osmolarità, cresce la produzione di ADH. In condizioni normali c'è sempre una produzione di ormone antidiuretico che aumenta o diminuisce in funzione dell'osmolarità del sangue. La mancanza di ormone antidiuretico crea una gravissima sindrome che si chiama "diabete insipido", caratterizzata da enormi volumi urinari (decine di litri si perdono con le urine), in un soggetto che ha sempre sete. Appena perde un eccessiva quantità di acqua, se ne va in shock cardiocircolatorio. Supponiamo che io debba recuperare acqua, cioè aumenta la scarica perché è più elevata l'osmolarità e produco più ormone antidiuretico. Se produco più ormone, permeabilizzo di più e quindi più acqua lascia il tubulo verso l'interstizio. Il tubulo perde acqua, cioè aumenta la concentrazione; l'interstizio invece aumenta il suo contenuto di acqua. Quindi come posso recuperare acqua senza che si perda l'iperosmolarità midollare? Deve esserci un meccanismo che permetta subito di allontanare dalla midollare l'acqua che è stata recuperata, poiché se resta lì diluisce la midollare e l'osmolarità crolla e non posso più recuperare altra acqua. Allora ricordiamo che il glomerulo (solo in questi nefroni iuxtamidollari) emette un'arteriola efferente che non fa i normali capillari peritubulari ma fa uno strano capillare che scende e percorre la midollare affiancando in parallelo l'ansa di Henle. Questo strano capillare si chiama "vasum rectum falsum". Questi vasa recta portano subito via dalla midollare l'acqua recuperata in modo che la midollare mantenga stabile la sua concentrazione. Se non ci fossero i vasa recta l‟acqua resterebbe lì, si diluirebbe la midollare e dopo poco non potremmo più depurare nulla. Gli americani chiamano questo processo di allontamento di acqua che è stata recuperata, washing(?) (01:09:00), il lavaggio, il portarsi via quest'acqua dalla midollare. E' un fenomeno passivo. Ricordatevi che il sangue che esce dalla filtrazione è un po' più concentrato di quello che c'era prima, quindi quando arriva qua sotto ha un certo valore osmolare ed è dunque facile portarsi via l'acqua in eccesso. Per cui l'ansa di Henle da sola non funzionerebbe se non venisse affiancata dal vasum rectum. Questi devono lavorare in coppia: uno deve creare l'osmolarità, l'altro la deve mantenere portandosi via l'eccesso di solventi o di soluti che altrimenti altererebbe facilmente, velocemente la concentrazione della midollare. Esistono anche altra vasa recta ma per adesso non ci interessano. Per il momento ci interessa questo 15% dei nefroni che hanno questo strano vaso che segue proprio parallelamente il decorso dell'ansa di Henle e man mano che l'ansa di Henle crea l'osmolarità, lui la mantiene portandosi via o l'eccesso di soluti o l'eccesso di solvente. Mantiene costante la concentrazione interstiziale midollare. "Moltiplicazione e scambio in controcorrente" Moltiplicazione di che cosa? Dell'osmolarità, in maniera tale che siccome la branca ascendente cede soluti alla branca discendente, il parametro viene continuamente moltiplicato. E quindi questa maggiore quantità di soluti sia dentro il tubulo ma anche fuori, nell'interstizio, è il vero scopo di tutto questo processo, una midollare con una concentrazione che arriva ad essere 4 volte maggiore di quella che ha il sangue (ovvero l'osmolarità plasmatica). Tutto questo è finalizzato a poter recuperare solo acqua. Perché recuperare acqua è facile, basta recuperare sodio ed esso verrà seguito dall'acqua. Ma se io recupero solvente e soluto, non ho cambiato la concentrazione, ma il volume. Se io voglio cambiare solo la concentrazione devo poter recuperare solo il solvente, ma per recuperare solo il solvente come si fa se non esiste un trasporto attivo dell'acqua? L'acqua si può assorbire solo per osmolarità e allora l'unico modo è creare un gradiente osmotico. Dentro questo gradiente osmotico faccio passare un tubo impermeabile in cui c'è urina molto diluita. A questo punto basta impermeabilizzare le pareti che immediatamente l'acqua passerà dall'interno all'esterno seguendo un normale gradiente osmotico. 228
Per fare questo ci vuole il nucleo sopraottico dell'ipotalamo che è l'osmocettore del sistema. Quindi attenzione: se introduco con l'alimentazione cibi salati, dopo poco tempo proverò una sensazione di sete. Cosa è successo? E' entrato cloruro di sodio ma non acqua. Quindi l'osmolarità del plasma è aumentata. Chi se ne accorge? Chi ha il compito di segnalare questa situazione? L'ipotalamo. Il nucleo sopraottico misura l'osmolarità del sangue. Ciò mette subito in moto questo nucleo. Esso fa due cose: (osservate l'ipotalamo) l'ipotalamo da un lato può attivare l'ipofisi (asse ipotalamo-neuroipofisi), dall'altro, attraverso i nuclei mammillari, è in grado di attivare il fascio di Vicq d'Azyr, il fascio mammillo-talamico che raggiunge il nucleo anteriore del talamo. Questo si porta in una zona della corteccia cerebrale che si trova attorno al corpo calloso, sulla faccia interna dell'emisfero cerebrale, che si chiama "lobo limbico" o "circonvoluzione pericallosale" o (siccome qui anticamente arrivava l'olfatto) si chiama anche rinoencefalo(01:18:13). Questa è la zona della corteccia in cui si generano le emozioni. Quindi se il sangue della vostra collega è troppo concentrato, avrà una maggiore produzione di ADH e allo stesso tempo metterà in moto la sua corteccia, che le darà la sensazione forte di sete. In condizioni di iperconcentrazione plasmatica da un lato cerca di non perdere acqua con le urine, dall'altro lato cerca di attingere ad acqua dall'esterno. Vicino all'ipotalamo (un po' più avanti) c'è un nucleo che è l'unico del SNC in cui il glucosio entra dall'esterno solo se c'è l'insulina. Normalmente nel cervello non occorre l'insulina, il glucosio entra semplicemente per gradiente di concentrazione. In questo nucleo mediale dell'ipotalamo invece (vicino alla zona tuberoinfundibolare) il glucosio entra solo se è presente insulina. Quindi se la glicemia aumenta o diminuisce, in questo nucleo entra più o meno glucosio, se è presente insulina. Se la glicemia aumenta, questo nucleo riceve più glucosio e i suoi neuroni metteranno in moto, attraverso il circuito scoperto da Papez (dall‟americano James Papez), un meccanismo che ci darà la sensazione di sazietà. E quindi cessa la ricerca del cibo. Se invece la glicemia dovesse diminuire, l'ipotalamo mette in moto sempre il solito circuito e ne scaturirà la sensazione di fame. Qui vicino c'è quella parte dell'ipotalamo che misura la temperatura (caldo-freddo) e così via. D'altra parte questa stessa corteccia è in grado di influenzare l'ipotalamo, o direttamente (fornice) o indirettamente (stria terminale) e quindi esiste anche un controllo discendente. Allora io dico alla vostra collega di guardare la ragazza al suo fianco e di dire cosa sta pensando; le attività dette cognitive sono un processo solo mentale. Esistono processi psichici che non sono solo mentali (es. la sensazione di paura che dilata la pupilla, ci rende pallidi, aumenta la frequenza cardiaca, la sudorazione si accentua, la salivazione sparisce e così via). Si manifestano dunque con una serie di segni fisici per cui la differenza tra pensieri ed emozioni è questa: i pensieri sono solo ed esclusivamente dei fenomeni psichici (non si vedono dall'esterno) mentre le emozioni sono sempre un processo in cui si associano segni fisici e segni psichici. Se la vostra collega ha paura, la corteccia ha il compito di creare la sensazione; invece tramite il fornice e la stria terminale io metto in moto l'ipotalamo che si occupa di creare quelle modificazioni somatiche coerenti con la sensazione che io sto provando. Se la vostra collega ha paura registriamo tachicardia, aumento della pressione arteriosa, aumento della pressione differenziale, aumento l'eccitabilità, aumenta la glicemia. Tutte queste modificazioni sono logiche perché quando si prova paura ci si trova in una condizione di allarme che potrebbe presupporre una lotta o una fuga. L'organismo è pronto per “fight-or-flight” cioè una lotta o una fuga. Questo sistema adegua il corpo a quello che stiamo vivendo emotivamente. Fate attenzione perché su questo si fonda buona parte della medicina psichiatrica, cioè il concetto di medicina (in questo 229
caso fisiologia) psicosomatica. Qualcosa che non è più solo psiche ma che si traduce in modificazioni somatiche. Tant'è che possiamo misurare l'intensità delle emozioni: per esempio misurando l'aumento di frequenza cardiaca, il grado di sudorazione. Per esempio, se la vostra collega ha paura, le sudano le mani; il sudore è un ottimo conduttore elettrico per cui se io metto un elettrodo qua e un elettrodo qua e faccio passare una corrente elettrica, se lei non è spaventata la conduzione della corrente è negativa. Allora ho un alta resistenza elettrica. Appena lei si spaventa e produce un conduttore di secondo tipo come il sudore, improvvisamente la resistenza elettrica si abbassa. In questo modo io mi rendo conto che c'è un forte coinvolgimento emotivo (su questo si basa la macchina della verità). Ritorniamo al nostro discorso: qual è la condizione fisiologica che noi cerchiamo di gestire? Diuresi e antidiuresi, cioè il bilancio dell'acqua. L'acqua si perde in 4 modi: 1. si perde acqua ogni volta che respiriamo perché l'aria espirata è sempre satura di vapore acqueo; 2. e 3. si perde acqua attraverso la pelle, sia con la sudorazione (visibile) sia con la perspiratio insensibilis (non visibile). Se mettete la mano in una busta di plastica e la chiudete, dopo un po' l'interno della busta apparirà pieno di vapore acqueo perché evapora sempre acqua dalla superficie. Nella perspiratio insensibilis l'acqua evapora direttamente, non rimane bagnata la superficie; invece con la sudorazione, prima si bagna la superficie e poi il sudore evapora. In entrambi i casi perdo acqua. 4. il quarto modo di perdere acqua è con le urine. Di questi 4 modi, 3 sono incontrollabili (respirazione, sudorazione, perspiratio). Posso controllare solo l'acqua che perdo con le urine e per fare questo devo ricorrere a tutto il processo che abbiamo analizzato precedentemente (ansa di Henle, meccanismo in controcorrente, una midollare iperosmotica, l‟osmocettore ipotalamico, ormone antidiuretico etc). In questo modo posso regolare le perdite di acqua, accentuandole quando ho troppa acqua (plasma diluito), riducendole quando ho poca acqua (plasma più concentrato). Il segnale è l'osmolarità ipotalamica, misurata a livello del nucleo sopraottico che è l'osmocettore del sistema. L'effetto è più urine, meno voluminose ma più concentrate in antidiuresi o viceversa urine molto voluminose ma poco concentrate nella diuresi. Facciamo un esempio: io prendo il vostro collega, gli taglio la giugulare e faccio uscire un po' di sangue, gli faccio perdere il 10% della sua massa circolatoria. Lui a questo punto non può perdere acqua con le urine. Provocandogli un'emorragia lui perde solventi e soluti, il sangue che rimane non è né più concentrato né meno concentrato. Non c'è stata una variazione di osmolarità, c'è stata una variazione di volume. Quindi questo meccanismo non ha modo di intervenire. L'osmocettore ipotalamico nemmeno registra alcun cambiamento perché non c'è stata una variazione di osmolorarità. Perdendo sia il solvente che il soluto la concentrazione non cambia. Un'emorragia non vi fa cambiare la concentrazione del sangue che resta dentro, non nell'immediato, solo a lungo termine e poi vedremo perché. Io posso avere anche la necessità di organizzare l'antidiuresi in una situazione in cui non è cambiata l'osmolarità, è cambiato il volume dei liquidi circolanti; un'emorragia, una profusa sudorazione, vomito ripetuto, diarrea ripetuta fanno perdere liquidi, in cui c'è sia solvente che soluto, quindi in questi casi ho una grave compromissione del volume ma l'osmolarità non è detto che abbia subito delle modificazioni significative. Quindi questo meccanismo non va bene per intervenire in queste determinate situazioni che sono molto più frequenti sul piano clinico. Quindi come posso regolare la diuresi quando il problema non è di osmolarità ma di volume? E' 230
chiaro che in questo caso l'ormone ADH non serve. Se la vostra collega ha perso sangue, deve recuperare sia il solvente che il soluto, riducendo al minimo le perdite urinarie sia di solvente che di soluto. L'ormone antidiuretico non mi permette di recuperare il soluto, agisce solo sull'acqua quindi non mi crea una condizione utile. Allora su cosa posso fare affidamento? L'ormone per eccellenza che interviene in quelle condizioni in cui l'antidiuresi non è su base osmotica ma è su base volumetrica (è cambiata la volemia e non l'osmolarità plasmatica) è il principe degli steroidi ad azione nefrogena e cioè l'ormone aldosterone (che appartiene ai mineralcorticoidi). E' l'aldosterone il regolatore di tutte quelle condizioni in cui io devo modificare la diuresi, non perché si è modificata la concentrazione ma perché si è modificato il volume dei liquidi circolanti. Allora che cos'è l'aldosterone? E' uno steroide, 21 atomi di C, prodotto dalla parte esterna della corteccia surrenale (parte glomerulare, la più esterna di tutte). E' un ormone potentissimo. Pensate che se tolgo la corteccia surrenale alla vostra collega bilateralmente, lei perde i glucocorticoidi (tra tutti il cortisolo) e i mineralcorticoidi (soprattutto l'aldosterone). Per vivere bene, lei avrà bisogno di 20 mg al giorno di glucocorticoidi. Significa che la corteccia normalmente nelle 24h produce 20 mg di glucocorticoidi. Per vivere bene però ha bisogno solo di mezzo milligrammo al giorno di mineralcorticoidi. Ciò significa che essi sono 40 volte più potenti dei glucocorticoidi. Cosa fanno questi ormoni? Agiscono non solo sull'acqua (perché altrimenti non raggiungerebbero lo scopo) ma anche sul recupero di sodio. Il loro target è rappresentato da quella parte del nefrone di cui non abbiamo ancora parlato: il tubulo contorto distale, cioè quella porzione di tubulo renale che c'è tra l'ansa di Henle e il dotto collettore. Si trova nella corticale, quindi in un ambiente isosmotico attorno. E' lì che l'ormone aldosterone esercita la propria azione. Essendo uno steroide, non agisce sul recettore di membrana col sistema dei secondi messaggeri, è un ormone che entra all'interno della cellula, va nel nucleo e va a modificare l'espressione di geni. Questi ormoni hanno un compito preciso, a livello del tubulo distale devono potenziare quello che abbiamo già visto nel tubulo prossimale. Nel tubulo prossimale vengono recuperati il sodio, il cloro e l'acqua. Nel tubulo distale deve avvenire più o meno la stessa cosa, la differenza è mentre nel tubulo prossimale i carrier che permettono questo sono indipendenti dall'aldosterone, cioè non sono sensibili in maniera significativa all'azione dell'aldosterone, nel tubulo contorto distale tutti questi carrier sono invece linearmente dipendenti dalla concentrazione plasmatica di aldosterone. E quindi la quantità di sodio, cloro e acqua che si recupera è direttamente collegata alla disponibilità di aldosterone. Come funziona? Nel tubulo distale ascendente esistono fondamentalmente due modi per recuperare il sodio: uno è quello che abbiamo visto nel tubulo prossimale (il sodio entra, passa e viene seguito da cloro e acqua; quindi recupero tramite pompe elettrogeniche); esiste poi un altro sistema in cui il sodio viene scambiato con il potassio e l'idrogenione; per essere precisi, la pompa ogni volta che fa uscire tre ioni sodio porta all'interno del lume tubulare due ioni potassio e uno ione idrogeno. Questa pompa a scambio ionico nel tubulo prossimale non c'è, è tipica del tubulo contorto distale. Quindi esistono due tipologie di pompa che entrano in gioco a questo livello: una è quella elettrogenica, l'altra è un antiporto in cui il rapporto stechiometrico è 3 Na⁺ per 2 K⁺ e un H⁺, e che invece trovate distribuito lungo il tubulo distale. Qual è l'importanza di questo discorso? Se noi agissimo su quella uguale a quella presente nel tubulo contorto prossimale, (sodio, cloro e acqua), il potassio non è in gioco, esso seguirà passivamente per gradiente di concentrazione. Se invece avviene su pompa a scambio ionico, ogni volta che io perdo il sodio con le urine, nel sangue aumenta il potassio e aumenta anche l'acidità perché aumenta anche la concentrazione di idrogenioni. Quindi in base a quale di queste due forme di recupero viene attivata, e si possono attivare separatamente le une dalle altre attraverso farmaci detti diuretici (cioè farmaci che impediscono a queste pompe di funzionare aumentando la diuresi), sentiremo parlare di due diverse 231
famiglie di diuretici, non equivalenti: i diuretici potassio risparmiatori e i diuretici non potassio risparmiatori. Se io agisco sulle pompe a scambio ionico, non recupero il sodio e se non lo recupero, perdo potassio con le urine perché ogni tre Na⁺ in meno che entrano, ho due K⁺ in più che espello con le urine. Viceversa se agisco su quella a scambio ionico (sodio, cloro e acqua), il potassio non viene toccato, esso viene risparmiato. Quindi attenzione: se io misuro sodio e potassio alla vostra collega, lei in questo momento ha circa 150-160 milli equivalenti di Na⁺, 4 milli equivalenti di potassio. Se le do l'aldosterone, osservo un fenomeno interessante: poiché l'aldosterone agisce su entrambi i tipi di pompa, nel sangue avrò più sodio, ma siccome viene recuperato il sodio, lei con l'altra pompa perde due potassi quindi nel suo sangue avrò una ipernatremia associata a una ipocaliema e anche una certa alcalosi perché con le urine perderà anche idrogenioni. Se invece io le do uno dei due tipi di diuretici: se le do potassio risparmiatore, il sodio nel sangue tende a diminuire ma non tende a diminuire potassio. Mentre nell'altro caso, se do non risparmiatori perdo potassio con le urine, un effetto dei cosiddetti antialdosteroni, i spironolattoni. Allora ricapitoliamo: come si può regolare il volume dei liquidi circolanti (la volemia)? La volemia viene regolata attraverso un meccanismo che ha come strumento d‟azione l'aldosterone. Vediamo se avete capito: se privo la vostra collega dell'aldosterone, lei che problemi avrà? Muore di collasso grave cardiocircolatorio perché non potendo recuperare sodio, cloro e acqua, perderà volumi importanti con le urine e se ne andrà in shock cardiocircolatorio e dopo due-tre giorni va incontro a morte. Si tratta di sindromi gravi; gli ipoaldosteroidismi acuti, come ad esempio la Sindrome di Shin, sono mortali se non gli date questo mezzo milligrammo al giorno di aldosterone. Per fortuna si può dare tre volte e quindi non ci sono grossi problemi per farlo sopravvivere. L'aldosterone gestisce il recupero di sodio, cloro e acqua in modo isosmotico quindi non cambia l'osmolarità, cambia il volume. Quindi tutte le volte che ho un paziente con ipovolemia, che ha avuto cioè una profusa sudorazione, non perde solo acqua col sudore ma anche notevoli quantità di cloruro di sodio. Tra l'altro questa è una cosa che di estate si sottovaluta: sudando si perdono sodio e acqua, bevendo acqua si va inesorabilmente in iposmolarità perché si perdono solvente e soluto ma si introduce solo solvente. Quindi il sangue viene sempre più diluito. Non posso compensare una perdita di sodio e acqua solo con acqua, me ne andrei in iponatriemia velocemente. Spesso si sottovaluta il problema. Una decina di anni fa alla famosa maratona di Boston, 46 su 600 maratoneti finirono in ospedale proprio per questo motivo; l‟eccessiva sudorazione in una giornata caldo umida compensata solo da acqua causò un tale abbassamento della concentrazione di sodio nel sangue in una di loro che le provocò iponatriemia, entrò in coma e morì. Impropriamente si parla di intossicazione da acqua ma in realtà il problema non è l'acqua, ma l'iponatriemia acuta. Si va in coma quando si passa da 160 a 140 ed è facile in una situazione del genere. Allora dovrei bere acqua e sale. Basta prendere una delle bevande energetiche presenti in commercio (es: Gatorade), ma vi invito ad andare a guardare nell'etichetta la voce "osmolarità". Ci sarà scritto 380 (nella Coca Cola: 600). Ma quel è l'osmolarità fisiologica? 285 milli osmoli per litro. Quindi ragionate: la vostra collega introduce nell'intestino un liquido più concentrato dei tessuti attorno quindi non solo non assorbe acqua, ma addirittura una parte della sua acqua si deve spostare nell'intestino per diluire la soluzione introdotta in attesa che finalmente quest'acqua possa essere assorbita. Si verifica quello che si chiama "furto acuto di acqua". Quindi i liquidi per pronto intervento, per essere assorbiti immediatamente devono essere iposmotici rispetto al plasma (con valori quindi di 180-190-200). Al massimo possiamo diluire metà Gatorade con l‟acqua così la sua 232
osmolarità si riduce a 190, e immettiamo così nell‟intestino acqua in concentrazione minore. Perché a chi soffre di ipotensione si dà come integratori minerali magnesio e potassio? Risposta: il magnesio è uno ione positivo bivalente, esattamente come il Ca²⁺, ma ha un effetto esattamente opposto. Il calcio favorisce l'eccitabilità e la contrattilità. Invece il magnesio fa l'opposto quindi riduce eccitabilità e la contrattilità. Questo nel caso dello sportivo riduce i due rischi più importanti: collasso e crampi. I crampi sono favoriti anche dall‟ipopotassemia quindi dando anche potassio, si riduce ulteriormente questo secondo rischio. Finora non vi ho raccontato come funziona il meccanismo, vi ho solo detto che c'è un ormone che si chiama aldosterone che interviene nel tubulo distale per favorire le condizioni di antidiuresi tutte le volte che è diminuita la volemia, cioè tutte le volte che in circolo non è diminuito solo il solvente ma c'è una riduzione simultanea di solvente e soluto. Non è cambiata l'osmolarità se non in misura insignificante. Quindi la domanda per la prossima volta è: chi ha il compito di segnalare le variazioni di volume? Abbiamo detto che l'osmolarità la segnala l'ipotalamo (il nucleo sopraottico), ma le variazioni di volume, di volemia (cioè il sangue in circolo è meno di quello che dovrebbe essere) chi le segnala? E in che modo viene gestito questo meccanismo?
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LEZIONE 26 Ripasso sulla lezione precedente Il rene è in grado di controllare: - la concentrazione dei liquidi corporei, ovvero l‟osmolarità; - il volume dei liquidi corporei. Sono due parametri diversi che il rene controlla attraverso meccanismi differenti: l‟osmolarità attraverso i meccanismi dell‟ormone antidiuretico e il volume attraverso un insieme di ormoni, il più importante dei quali si chiama aldosterone, della famiglia dei mineralcorticoidi.
Controllo dell‟osmolarità Per il controllo dell‟osmolarità il problema più importante è creare una midollare iperosmotica, e la si crea attraverso un complesso meccanismo che si chiama di moltiplicazione a scambio controcorrente, che coinvolge le anse di Henle di un 15% circa di nefroni, i quali si trovano col glomerulo molto vicino alla midollare e quindi la loro ansa si può approfondare nella midollare. Le anse presentano un‟osmolarità ben diversa da quella del plasma (300 mOsM=milliOsMolilitro). Nell‟ansa di Henle man mano che si scende verso l‟apice della piramide renale si osserva un‟osmolarità crescente che può arrivare anche a superare i 1000 mOsM, di quattro volte la concentrazione a livello plasmatico. Nella branca ascendente dell‟ansa l‟osmolarità decresce, ma confrontando la branca ascendente con quella discendente a un certo livello si osserva una curiosa differenza: nella branca ascendente l‟osmolarità è sempre più bassa di circa 200 mOsM di quella che c‟è nella branca discendente. Questa osmolarità più bassa si trova solo nella branca ascendente dell‟ansa di Henle. Se, invece, confrontassimo branca discendente con il liquido all‟esterno dei tubuli ad ogni livello c‟è la stessa identica concentrazione dentro e fuori. Abbiamo quindi una branca discendente che ha delle pareti come se non ci fossero, perché interno ed esterno hanno gli stessi valori di concentrazione e una branca ascendente, dove essendoci una concentrazione molto più bassa, ha delle pareti che non fanno passare niente, sicuramente non l‟acqua, perché se questa potesse uscire, lo farebbe subito per gradiente osmotico. Il fatto che si mantiene un ambiente interno ipoconcentrato rispetto all‟esterno dimostra che l‟acqua non può passare. La branca ascendente, nella prima parte, presenta un epitelio piuttosto sottile in cui non ci sono molte pompe. Quella importante è la parte successiva, dove le cellule sono più spesse, ci sono molti carrier nella parete. La parete spessa della branca ascendente rappresenta la sede dei processi più interessanti: il liquido che c‟è all‟interno presenta un‟osmolarità inferiore rispetto quello esterno (800 rispetto a 1000, 600 rispetto a 800, 400 rispetto a 600). Questo significa che devono esistere dei carrier che spostano soluto dall‟interno verso l‟esterno senza essere seguito dall‟acqua, perché se fosse seguito dall‟acqua avrei un‟immediata identica concentrazione dentro e fuori.
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Esiste un complesso sistema di carrier che trasportano il Cl⁻ e il Na⁺; in particolare trasportano verso l‟esterno attivamente in cootrasporto 1 Na⁺ e 1 K⁺ e insieme a queste, che sono particelle positive, escono 2 Cl⁻. Con una pompa viene garantita l‟estrusione di 4 particelle: due cationi attivamente e 2 anioni (gli ioni cloro) passivamente perché quest‟ultimi elettricamente seguono il movimento dei cationi. Alla fine quando il liquido uscirà, avrà una concentrazione molto più bassa di quella che aveva quando è entrato. Poi ci sarà il collettore che scende nella midollare iperosmotica, ricca di soluti; quindi nel collettore ci sarà una preurina molto poco concentrata. Basta permeabilizzare la parete, esprimendo le acquaporine, tetrameri che fanno passare 1 molecola d‟acqua per ogni unità. Quindi ogni tetramero permette la fuoriuscita di 4 H₂O. In assenza di ormone antidiuretico ADH, l‟acqua rimane intrappolata all‟interno del dotto collettore e va perduta con le urine. Quindi eliminerei molta urina poco concentrata. Questo è quello che succede nel diabete insipido. Se produco l‟ormone arginina-vasopressina (antidiuretico)permeabilizzo e recupero una parte di acqua, fino a un massimo di osmolarità di 1200 mOsM. Oltre questo valore non c‟è più gradiente osmotico. L‟ansa di Henle è affiancata dal vasum rectum che si porterà via quello che è stato recuperato, in maniera tale da mantenere costante la composizione osmolare della midollare della piramide renale. Entrambi lavorano in coppia: -
L‟ansa di Henle crea l‟iperosmolarità; Il vasum rectum allontanando l‟eccesso di acqua o soluti di volta in volta mantiene costante questa iperosmolarità.
Quanto costa energeticamente il trasporto attivo degli ioni dall‟ansa di Henle verso l‟interstizio? I calcoli fatti dimostrano che se effettivamente l‟iperosmolarità fosse creata con queste pompe, il rene dovrebbe consumare molta più ATP di quella che in realtà consuma. Il rene ha un costo metabolico più basso di quello che teoricamente mi dovrei aspettare se tutta la quantità di soluti che si accumula nella midollare venisse spostata esclusivamente attraverso trasporto attivo ATPdipendente mediante pompe. Questo significa che una parte dei soluti che contribuiscono ad arrivare a 1200 mOsM all‟apice della piramide devono essere spostati nell‟interstizio passivamente, senza costo energetico. Quindi non è vero che l‟iperosmolarità midollare dipende esclusivamente da queste pompe perché se dipendesse solo da esse il costo energetico sarebbe il doppio di quello che in realtà non è. Quale potrebbe essere un soluto che faccio uscire passivamente e accumulo nella midollare senza costi energetici? Il soluto in questione, responsabile di circa la metà di tutta l‟iperosmolarità della midollare è l‟urea. L‟urea è una sostanza azotata, in teoria dovrebbe essere eliminata. Perché la recupero? Perché nel dotto collettore, quando arriva l‟ADH, la parete non si limita a far esprimere le acquaporine ma anche dei canali che mi permettono la fuoriuscita dell‟urea. Le pareti fino a questo 235
momento sono state impermeabili all‟urea e man mano ho tolto l‟acqua; quindi l‟urea si è andata via via concentrando. Nel sangue la sua concentrazione è circa 5 mmol/L. Quando tolgo acqua, l‟urea che rimane lì dentro comincia a concentrarsi. All‟inizio del dotto collettore l‟urea ha una concentrazione pari a 90/100 mM, si è concentrata almeno 20 volte di più. Nell‟interstizio urea c‟è né poca, quindi non appena rendo permeabile la parete questa passivamente lascia il lume verso l‟interstizio. Ciò significa che una parte dell‟urea non finisce nelle urine, ma si accumula nell‟interstizio aumentando l‟osmolarità senza costo energetico. L‟eccesso di urea lo prendono i vasa recta, riportandola nel sangue, il quale verrà ulteriormente filtrato, per cui questa urea ritornerà al rene (questo è quello che in fisiologia si chiama Retrodiffusione dell’urea ). Il grande vantaggio di avere l‟urea nell‟interstizio è quello di avere una molecola osmoticamente attiva che si accumula senza costo energetico. Quindi l‟osmolarità arriva a un max di 1200 mOsM, metà è dovuta a ioni Na⁺, Cl⁻ e K⁺ tramite le pompe, l‟altra metà sono molecole di urea che si sono accumulate senza bisogno di dispendio energetico . Il risultato è che, siccome la metà dell‟urea non finisce nelle urine, la sua clearance è esattamente la metà della clearance della creatinina. Per il controllo dell‟osmolarità alla base di tutto c‟è un nucleo sovra ottico, un osmocettore. Se non cambia l‟osmolarità (rapporto tra solvente e soluto), il meccanismo non scatta.
Controllo del volume dei liquidi circolanti Se tagliassi la giugulare uscirebbe sia solvente che soluto, e del sangue che rimane c‟è la stessa concentrazione di quello che ho perduto. Ho variazione di volume senza significative variazioni di osmolarità. La stessa cosa avviene durante la sudorazione, perdiamo Sali e acqua, come anche per una diarrea, vomito ripetuto. Se c‟è una variazione del volume dei liquidi circolanti abbiamo due sistemi nel nostro organismo per segnalare la variazione di Volume. Se tagliassi la giugulare con la perdita di un po‟ di sangue, la diminuzione di volume dei liquidi circolanti l‟avvertirò in due modi: -
riduzione del ritorno venoso perché diminuisce la massa circolante; riduzione della pressione arteriosa.
Quali sono i sensori della variazione della pressione arteriosa e del ritorno venoso? Per il ritorno venoso sono dei meccanocettori, situati nella vena cava ma soprattutto nell‟atrio destro. Se dovesse arrivare più sangue o meno sangue, le pareti della vena cava e dell‟atrio sono più o meno distese e questa maggiore o minore distensione della regione venoatriale, attiva un particolare tipo di cellule del tipo crista neurale, che producono un ormone polipeptidico di 23 236
aminoacidi, fattore natriuretico atriale. Questo si porta a livello del rene e gli ordina di perdere Na⁺, Cl⁻ e H₂O. In questo modo riduco il volume. Quindi questi recettori sono attivati da un aumento della volemia; il fattore natriuretico favorisce la natriuresi osmotica, cioè perdita del Na⁺ e di H₂O. In questo modo mi oppongo a un aumento della volemia. Se la volemia si riducesse, per esempio a causa di una emorragia, verrà prodotto meno fattore natriuretico atriale e ciò riduce la perdita renale di Sali e acqua con le urine.
I recettori che misurano la pressione arteriosa regolano la variazione di volume dei liquidi corporei. Il più importante fra questi è l‟apparato iuxtaglomerulare. Nel momento in cui taglio la giugulare e provoco una bella emorragia ho da un lato una riduzione del ritorno venoso (si produce meno fattore natriuretico atriale), dall‟altro lato si riduce la pressione arteriosa. L‟ipotensione arteriosa a livello dell‟apparato iuxtaglomerulare porta a una maggiore produzione di renina, quindi di angiotensina, quindi di aldosterone. Viene attivato il sistema renina-angiotensina-aldosterone. Fattore natriuretico atriale e aldosterone hanno effetti opposti. Il primo favorisce la diuresi e la perdita di soluti e solvente, mentre l‟aldosterone si oppone a questo, infatti è un ormone antidiuretico, perché riduce la perdita di sodio, cloro e acqua.
Tutte le volte che c‟è un aumento della volemia aumenta il fattore natriuretico atriale e diminuisce l‟aldosterone. Tutte le volte che c‟è un‟ipovolemia (che si traduce in ipotensione) abbiamo meno fattore natriuretico atriale ma una maggiore produzione di aldosterone. Il fattore natriuretico atriale è un polipeptide, l‟aldosterone è uno steroide. Sono entrambi ormoni, ma è come se vi dicessi che la Smart e la Ferrari sono entrambi macchine, hanno 4 ruote, un motore, ma in termini prestazionali non c‟è partita. Uno steroide è un Signor Ormone di quelli che modifica il funzionamento di un sistema per ore, perché agisce a livello del genoma della cellula bersaglio. I polipeptidi agiscono sui recettori di membrana, li solleticano per qualche minuto e poi l‟effetto tende a smorzarsi. Sono antagonisti sproporzionati in termini di potenza e di durata dell‟azione. L‟azione del fattore natriuretico atriale e dell‟aldosterone si esplica principalmente sul tubulo contorto distale, dove esistono pompe di due tipi che mi permettono di recuperare Na⁺, Cl⁻ e H₂O con un tipo di pompa oppure pompa a scambio ionico che ogni volta che recupera 3 Na⁺ fa perdere 2 K⁺ e 1 H⁺. I due tipi di pompa sono regolati rispettivamente dal fattore natriuretico atriale che li inibisce, quindi fa perdere Na⁺, Cl⁻ e H₂O con le urine e dall‟aldosterone che li potenzia e addirittura li fa esprimere aumentandone il numero di carrier, si determina quindi un potenziamento del recupero di Na⁺, Cl⁻ e H₂O.
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L‟apparato iuxtaglomerulare è formato da due componenti : - arteriola afferente al glomerulo; - il tubulo contorto distale che si avvicina all‟arteriola e se ne va. Per cui è formato in parte dalle cellule della parete dell‟arteriola afferente e in parte dalle cellule tubulari epiteliali del tubulo contorto distale. Le cellule della parete dell‟arteria presentano dei granuli -> si chiamano cellule iuxtaglomerulari. Le cellule del tubulo sono più scure rispetto alle altre cellule che formano la parete e costituiscono la macula densa. Ruolo della componente vascolare (dell‟arteriola cioè): tutte le volte che la pressione aumenta o diminuisce viene distesa di più o di meno la parete dell‟arteriola afferente e questa maggiore o minore distensione cambia la produzione di renina. C‟è una proporzionalità inversa, cioè tutte le volte che la pressione diminuisce, la produzione di renina aumenta, tutte le volte che la pressione aumenta la produzione di renina diminuisce. In un uomo normale esiste una produzione basale di renina che a seconda della pressione dell‟arteriola afferente può aumentare o diminuire. Ruolo della componente tubulare (macula densa): le cellule che formano la macula densa sono in grado di modulare la produzione di renina, non sulla base della pressione arteriosa ma sulla misurazione di quanto Na⁺ e K⁺ c‟è nella preurina che si trova nel tubulo distale. Il Na⁺ e K⁺ che si trova in questa zona è quello che rimane dopo aver attraversato tutto il nefrone. Nel sangue il Na⁺ ha una concentrazione di circa 150/160 mequivalenti/L mentre il K⁺ di soli 4. Tutte le volte che nell‟urina, che si trova a questo livello, cambia la concentrazione del Na⁺, ma soprattutto del K⁺ (sono molto sensibili alla variazione di K⁺), queste cellule modificano immediatamente la produzione di renina. Quindi la sua produzione non dipende solo dalla pressione dell‟arteriola afferente ma anche dalla composizione della preurina. Siccome la preurina deriva dal sangue per filtrazione, le concentrazioni del K⁺ nella preurina sono identiche a quelle del plasma. Riflette la concentrazione plasmatica di K⁺ (kaliemia). Tutte le volte che la macula densa registra troppo K⁺ o troppo poco K⁺, cioè cambia la sua concentrazione nel plasma e quindi nella preurina, cambia anche la produzione di renina. E in che modo cambia? Se ho troppo K⁺, per farlo diminuire aumento la kaliuria. L‟unico modo per perdere K⁺ con le urine è agire sulla pompa di scambio Na⁺/K⁺, cioè devo aumentare il recupero del Na⁺, perché ogni volta che aumento il recupero del sodio, in cambio perdo due K+ con la urine. Quindi tutte le volte che c‟è un‟iperkaliemia ho bisogno dell‟aldosterone che aumenta il recupero del Na⁺ e quindi fa perdere K⁺. C‟è una diretta proporzionalità tra produzione di renina e variazione di kaliemia: ad un aumento di K⁺ corrisponde un‟aumentata produzione di renina, quindi angiotensina, quindi aldosterone e ciò si esplica con un aumento del recupero del Na⁺ ma in cambio aumento la kaliuria. Viceversa, se ho un‟ipokaliemia, meno K⁺ in circolo ho bisogno di meno renina, quindi meno angiotensina, meno aldosterone, e quindi ci sarà meno riassorbimento di Na⁺ ma in compenso farò 238
perdere meno K⁺. In questo modo il poco K⁺ che c‟è, cerco di risparmiarlo per evitare di perderlo con le urine.
Le due variabili importanti del sistema renina-angiotensina sono: - Pressione nell‟arteriola afferente; - Composizione ionica, soprattutto in termini di K⁺, nel tubulo contorto distale. Quando varia anche una sola di queste due variabili (la pressione nell‟arteriola afferente o, a parità di pressione, la composizione elettrolitica del tubulo distale) immediatamente cambia la produzione di renina, di angiotensina, di aldosterone e quindi cambierà lo scambio ionico Na/K.
Se il ritorno venoso diminuisce, è diminuita la volemia quindi ci sarà più produzione di renina, più angiotensina, più aldosterone quindi recupero più Na⁺ ma perdo K⁺e H⁺, quindi il sangue sarà alcalino. È un‟alcalosi metabolica, dove al diminuire degli H⁺ corrisponde un aumento dei HCO₃⁻. Quando osservo un aumento della natriemia, ovvero del Na⁺ circolante, nel plasma diminuiranno sia gli ioni K⁺ che gli ioni H⁺. Viceversa ad una diminuzione del Na⁺circolante, aumenteranno sia i K⁺ sia gli H⁺.
Ricapitoliamo: la regolazione del volume dei liquidi circolanti è legata a una coppia di sistemi recettoriali che sono i recettori venoatriali, i quali regolano la produzione del fattore natriuretico atriale e il grande sistema renina-angiotensina-aldosterone che modula la produzione di mineralcorticoidi.
Il sistema che fa a capo al fattore natriuretico atriale interviene quando c‟è un eccesso di volume e pressione, devo favorire la diuresi, aumentare la perdita urinaria di Na⁺, Cl⁻ e H₂O; Quando c‟è una caduta di volume, di pressione arteriosa interviene il sistema reninaangiotensina-aldosterone e i mineralcorticoidi riducono drasticamente la perdita urinaria di Na⁺, Cl⁻ e H₂O. Se si riduce la perdita di Na⁺, aumenta quella di K⁺ e H⁺. Viceversa nelle condizioni opposte se aumenta la perdita di Na⁺, contemporaneamente si riduce la perdita di K⁺ e H⁺.
Le cellule del mesangio esprimono antigeni di superficie che ricordano cellule del tipo immunocompetenti (tipo linfociti Natural Killer). Esprimono questi particolari CD (classe di differenziazione) che ci fanno sospettare del fatto che più che intervenire nel processo di regolazione della produzione di renina sembrano destinate in un ruolo di difesa contro antigeni strani che dal sangue sono passati nell‟urina e quindi bisogna in qualche modo intervenire. Un volta si pensava che la macula densa non potesse comunicare con le cellule che producono renina e che lo facessero attraverso queste cellule.
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Funzioni del rene: 1) Elimina sostante tossiche; 2) Controlla il bilancio dell‟acqua e dei soluti: il bilancio dell‟acqua lo fa attraverso l‟ormone ADH (regolazione del volume dei liquidi corporei), il bilancio di acqua e soluti attraverso la coppia fattore natriuretico atriale e aldosterone (regolazione dell‟osmolarità plasmatica); 3) Controllo dell‟equilibrio acido-base, quindi del pH dei liquidi corporei. Omeostasi dell‟equilibrio acido-base Il pH del sangue è lievemente basico (7,4) e oscilla poco fra 7,35 e 7,39 nel sangue arterioso. Può leggermente abbassarsi nel sangue venoso. Se facessi un‟endovena di una soluzione acida, misuro il pH prima e dopo l‟infusione: questo non cambia per niente, al massimo un centesimo di unità di pH, da 7.39 può scendere a 7.38 ma ci vuole molto acido. Se invece di un acido iniettassi un alcale, mi dovrei aspettare un innalzamento del pH, invece, mi accorgo che questo grande spostamento non avviene. In chimica significa che devono esistere nel nostro organismo dei tamponi, in grado di annullare l‟effetto che un alcale o un acido avrebbe sul pH. Ne abbiamo diversi di tamponi circolanti nel sangue: Le proteine plasmatiche: si comportano da molecole anfotere. NH₂-Proteina-COOH C‟è un‟estremità amminoterminale e una carbossiterminale. Se il pH è lievemente alcalino (>7) l‟estremità C-terminale tende a perdere lo ione H⁺ e la proteina diventerà ione proteinato: NH₂-Proteina-COO⁻ + H⁺. Ogni 25 molecole proteiche, 24 hanno perduto lo ione H⁺. In questo caso le proteine si comportano da acido debole. Quindi in circolo ci sarà una parte dissociata (la maggior parte, rappresentata da ioni proteinati) e una parte indissociata (proteina con l‟H⁺). Quando in soluzione è presente un acido debole o una base debole sia nella forma indissociata che dissociata funziona da tampone. Pr-COOH Pr-COO⁻ + H⁺(Rapporto di 1 a 20) Siccome il rapporto tra parte dissociata e parte indissociata deve rimanere costante, tutte le volte che faccio variare uno dei due termini se il rapporto cambia (es: 1 a 20) l‟equilibrio della reazione si sposta in una direzione o nell‟altra nel tentativo di mantenere costante l‟equazione di Henderson-Hasselbach. Questo vale sia per le proteine circolanti sia per quelle non circolanti come per esempio la globina dell‟Hb chiusa nei globuli rossi. Anche questa proteina ha un gruppo COOH terminale, che funziona da sistema tampone. Il fattore limitante di questo sistema è che se il rapporto è di 20 a 1, se aggiungessi un H⁺ l‟equilibrio non si sposta subito. Perché si sposti, gli H⁺ dovrebbero essere 40, quindi la sensibilità di questo sistema è scarsissima.
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Radicali dell‟acido orto fosforico (H₃PO₄): l‟acido orto fosforico è quello che si stacca dall‟ATP tutte le volte che si trasforma in ADP + Pi. L‟acido che si stacca si scinde, perde un H⁺ e diventa H₂PO₄⁻. Anche questo si può scindere in H⁺ + HPO₄⁻⁻. Addirittura sto realizzando un doppio tampone. H₃PO₄ H⁺ + H₂PO₄⁻ H⁺ + HPO₄⁻⁻ Se aggiungessi ioni H⁺ la reazione si sposta verso la forma indissociata, ma siccome il rapporto è 14 a 1, se prima gli H⁺ da 14 non diventano 28 la reazione non si sposta. In termini di sensibilità anche questo tampone è scarso. Il tampone per eccellenza è bicarbonato/acido carbonico: HCO₃⁻/H₂CO₃ L‟acido carbonico si scinde in: H₂CO₃ H⁺ + HCO₃⁻. Ha un rapporto più o meno di 1 a 20. Prima che si sposti la reazione gli H⁺ devono diventare 40. Ma la forma indissociata ha un grande vantaggio. Esiste un enzima che si chiama anidrasi carbonica, che la può scindere in CO₂ e H₂O. Per cui basta mantenere costante la forma indissociata, che non appena aggiungo H⁺, immediatamente la reazione si sposta, proprio perché il secondo membro (quello indissociato) non si può accumulare in quanto viene eliminato dall‟anidrasi carbonica. Se invece avessi una diminuzione di H⁺ la reazione si sposta nell‟altro senso. Appena l‟H₂CO₃ diminuisce di una unità si fermerebbe la reazione, ma in realtà entra in azione l‟enzima anidrasi carbonica che ne fabbrica un altro e subito si scinde. È la presenza dell‟enzima che rende potentissimo e sensibilissimo il sistema tampone dei bicarbonati. In confronto tutti gli altri non hanno un‟efficienza paragonabile. L‟anidrasi carbonica agisce automaticamente in base a un rapporto che c‟è fra CO₂ e HCO₃⁻: l‟enzima è perfettamente bidirezionale, è in grado di catalizzare la reazione nei due sensi, e la direzione dice solo quale dei due lati della reazione è aumentata. Se è aumentata la CO₂ la sposta verso la forma indissociata, se è diminuita si rompe acido carbonico e diventa CO₂. È un meccanismo autogestito. Nella stragrande maggioranza dei casi l‟anidrasi carbonica è intracellulare, tranne nei tubuli renali, nel tubulo prossimale, dove è presente sulla superficie esterna delle cellule. Il grosso dell‟anidrasi carbonica si trova nel globulo rosso. I bicarbonati che abbiamo nel sangue sono tutti originati dalla CO₂ che si produce durante la respirazione mitocondriale. Questa grazie all‟enzima anidrasi carbonica viene unita all‟acqua, si forma H₂CO₃ e da questo, secondo il rapporto di 1 a 20, si ottiene 1 molecola indissociata e 19 che si dissociano in H⁺ e HCO₃⁻. Nel sangue avremo sia HCO₃⁻ sia H₂CO₃ in questo classico rapporto 1 a 20. Nel sangue c‟è pure un po‟ di CO₂ sciolta ed è proprio questa che decide se l‟acido si deve sintetizzare o si deve demolire. Se la CO₂ diminuisce, l‟acido carbonico viene degradato; se aumenta, l‟acido tende ad aumentare. Alla fine questo meccanismo mantiene costante nel sangue la CO₂. L‟anidride carbonica nella stragrande maggioranza dei casi viaggia sottoforma di HCO₃⁻ che ha un grande vantaggio: non solo faccio viaggiare la CO₂ ma in più mi procuro un potentissimo tampone che è in grado di tamponare il nostro equilibrio interno acido-base. Tutte le volte che nel sangue si dovessero formare sostanze acide, come acido lattico o corpi chetonici, questo aumento degli H⁺ viene subito tamponato dall‟intercettazione del HCO₃⁻ e si forma H₂CO₃, che non si può accumulare dato che l‟anidrasi carbonica lo scinde subito in H₂O e CO₂. La reazione può continuare a spostarsi da destra a sinistra senza nessun momento di crisi, l‟unico fattore limitante è il HCO₃⁻. Se finisce la sua concentrazione, questa reazione non si sposta più, perché ogni volta che voglio eliminare un H⁺ consumo un HCO₃⁻. Potrò continuare a tamponare fino a quando sono presenti gli ioni HCO₃⁻. Se si dovessero formare alcali, il sistema interviene subito liberando H⁺, e la loro liberazione fa abbassare il pH. 241
Da cosa dipende l‟efficienza del sistema acido carbonico/bicarbonato? L‟efficienza del sistema H₂CO₃/ HCO₃⁻ dipende dall‟anidrasi carbonica. Appena libero un H⁺, lo lego subito al HCO₃⁻, formando una molecola di H₂CO₃. Se la reazione si fermasse qua perché ci sia il secondo H⁺ tamponato la sua concentrazione dovrebbe aumentare di 20 volte e quindi tamponerei un H⁺ ogni 20. Ma in realtà appena faccio un nuovo acido carbonico, l‟enzima lo scinde subito in CO₂ e H₂O. Se arriva un nuovo H⁺ formerà un nuovo acido carbonico e quindi la sua efficienza è implacabile in termini molecolari. Se continuo ad aggiungere H⁺ si continua a formare CO₂. Dunque il requisito sostanziale del sistema è l‟eliminazione della CO₂. L‟efficienza del sistema tampone dipende quindi dall‟efficienza della respirazione. Se questa è efficiente la CO₂ viene facilmente eliminata e non si accumula nel sangue, quindi il sistema tampone dei HCO₃⁻ non ha particolari difficoltà. Se, invece, il polmone cominciasse a funzionare di meno, per esempio per un enfisema polmonare, una fibrosi, un‟insufficienza respiratoria, il soggetto avrebbe a disposizione meno O₂ in entrata ma non farebbe uscire tutta la CO₂ che si è prodotta. Se questa comincia ad aumentare nel sangue l‟enzima anidrasi carbonica viene fatto funzionare verso la sintesi dell‟acido carbonico, che immediatamente si scinde in H⁺ e HCO₃⁻. Si crea quella che si chiama acidosi respiratoria, acidificazione progressiva del sangue. Si tratta di un‟acidosi di origine respiratoria perché nel sangue ogni volta che aumenta uno ione H⁺ aumenta anche uno ione HCO₃⁻ (aumentano in parallelo). Se fosse un acidosi metabolica, ad esempio si è formato acido lattico che libera un H⁺, il quale viene tamponato dal HCO₃⁻, all‟aumentare di uno corrisponde la diminuzione dell‟altro che si consuma. Quindi se prendessi la vostra collega e la faccio pedalare fino a “morte”, nel sangue aumenta acido lattico, lei va incontro a un acidosi di tipo metabolico. La terapia per le acidosi metaboliche è basata sulla somministrazione di bicarbonati. In questo modo dando bicarbonati il sistema tampone funziona perché l‟apparato respiratorio funziona e quindi la CO₂ che si forma viene facilmente eliminata. L‟anidrasi carbonica rende più veloce la reazione, che avverrebbe ugualmente anche in assenza dell‟enzima. L‟enzima si limita a renderla più veloce. Immaginiamo che lo stomaco abbia prodotto molto acido cloridrico (HCl) e abbiamo un po‟ di acidità. Se prendessimo un po‟ di bicarbonato non appena entra lo ione HCO₃⁻ e viene a contatto con l‟H⁺ si forma acido carbonico che si scinde in CO₂ e H₂O. L‟effetto immediato sarà la produzione di gas e ha un solo modo per uscire dal tubo gastroenterico, ovvero dalla bocca. Qualcosa del genere succede in alcune fermentazioni, per esempio nella fermentazione alcolica il glucosio viene degradato: da un lato forma alcol etilico e dall‟altro anidride carbonica. Nell‟impasto della pizza il lievito serve a prendere il glucosio della farina che lo fermenta producendo CO₂, la quale fa gonfiare la pasta, creando micro bolle, e la fa lievitare. Per esempio nel babà possiamo vedere i buchi formati dalle bolle di CO₂ che si sono formate durante questo processo. L‟uomo ha scelto la fermentazione lattica. Cosa succede nell‟organismo se il polmone non funziona bene? Se il soggetto ha un‟insufficienza respiratoria, una fibrosi polmonare, ha un polmone in meno, come si difende l‟organismo dall‟acidità? Nel sangue si è formato acido lattico, corpi chetonici, quindi si sono liberati H⁺, la reazione dovrebbe andare verso la sintesi di acido carbonico, ma siccome non viene eliminata la CO₂ perché il polmone non funziona, la reazione in questo senso non ci va. Si accumulano H⁺ senza che possano essere tamponati. Accumulandosi idrogenioni, il pH incomincia inesorabilmente a diminuire. Compare un‟acidosi classica di tipo respiratoria, mal tollerata dal nostro organismo. 242
Compito del rene nell‟equilibrio acido-base Una prima azione l‟abbiamo già vista: a livello del tubulo prossimale, nella preurina arriva tutto ciò che si trova nel plasma. Quindi la prima cosa che deve fare il rene è impedire di perdere HCO₃⁻ con le urine perché ovviamente i bicarbonati sono il tampone per eccellenza. Lungo il tubulo prossimale recupero il 100% dei HCO₃⁻ esattamente come per il glucosio, aminoacidi e vitamine idrosolubili. Ma deve essere anche in grado di intervenire quando il polmone non ce la fa a garantirmi l‟omeostasi. In condizioni di acidosi respiratoria, cioè quando è aumentata la CO₂ e quindi la concentrazione di H⁺, cosa è in grado di fare il rene? Il rene è in grado di secernere attivamente H⁺ facendoli perdere con le urine, per cui se misuro il pH delle urine è 4/4,5, il che significa che gli H⁺ nelle urine sono 100 volte più concentrati rispetto al plasma. Nelle urine è andata a finire un enorme quantità di H⁺, per cui si possono definire sono una normale, fisiologica via di eliminazione degli idrogenioni nell‟ambito della regolazione dell‟omeostasi dell‟equilibrio acido-base. Come si fa questo tipo di operazione? Il tubulo contorto prossimale ha un ruolo strategico perché i HCO₃⁻ normalmente nell‟ansa di Henle non ce ne sono più. Se misurassi il pH della preurina rimane uguale a quello del plasma fino a tubulo distale. Fra il tubulo contorto distale e dotto collettore deve avvenire una forte estrusione attiva di H⁺ che vengono presi dal sangue e buttati nelle urine per giustificare il pH così acido di queste. Se il pH era 7,4 all‟inizio, man mano che arrivano H⁺ diminuisce (7 – 6 – 5), diventando sempre più acido. Più acido vuol dire che H⁺ ce ne sono di più rispetto al sangue, quindi l‟H⁺ da solo non andrà mai da dove ce n‟è di meno verso dove ce n‟è di più, contro gradiente di concentrazione. Ci vuole un trasportatore attivo. Ciò significa che tutte queste operazioni sono costosissime perché richiedono dei carrier che trasportano gli H⁺ contro gradiente di concentrazione dal sangue verso l‟urina. Lo ione H⁺ è un protone e come tutti i protoni attraversa la membrana cellulare senza nessuna difficoltà. Quindi si potrebbe creare un moto perpetuo: faccio uscire l‟H⁺ ma questo tenderebbe a rientrare, sia per la differenza di concentrazione sia per il fatto che l‟interno delle cellule tubulari è negativo. Il problema del rene non è l‟estrusione attiva degli ioni H⁺, ma non farli rientrare dopo averli fatti uscire. Siccome questi passano qualsiasi membrana cellulare in qualunque condizione, come si risolve questo problema? Faccio uscire lo ione H⁺ verso il lume, e qui lo vado a unire a una molecola che non può riattraversare le membrane cellulari. Questa molecola è l‟ammoniaca. Quindi ogni volta che butto fuori lo ione H⁺, insieme a questo faccio uscire una molecola di NH₃. L‟ammoniaca ha un pK pari a circa 10, quindi in un ambiente acido, come in questo caso, l‟NH₃ tende a legare uno ione H⁺ diventando ⁺NH₄ (ione ammonio). Questo ione non riesce ad attraversare nessuna membrana cellulare, rimane intrappolato nel lume e in questo modo perdo lo ione H⁺ ma anche NH₃, che essendo una molecola azotata è tossica per l‟organismo. 243
Il tubulo distale del nefrone utilizza come donatore di NH₃ due molecole: glutammina e asparagina. La glutammina ha un C in più rispetto all‟asparagina. Entrambi hanno come unico denominatore il fatto che una molecola di queste possiede due gruppi azotati: il normale N amminico dell‟aminoacido di partenza (acido glutammico o aspartico) e l‟N amidico (in posizione 5 o 4). Tutte le volte che incomincia ad acidificarsi troppo la preurina, il rene attiva un enzima che si chiama glutaminasi e questo scinde l‟N amidico che assieme all‟H⁺ va a finire nel lume. Il rapporto tra glutammina e asparagina è di 4 a 1. Se il polmone non funziona e il quadro dell‟acidosi incomincia a diventare importante, nella molecola non sfrutto solo l‟N amidico, ma vado a recuperare anche la seconda NH₃ togliendola alla classica posizione dell‟aminoacido. Con la prima operazione si era formato acido glutammico o aspartico, con la seconda ottengo la formazione dell‟α-chetoglutarato o dell‟acido ossalacetico. In caso di disperato bisogno, quando l‟acidità del sangue comincia a salire in maniera importante, dai due aminoacidi, glutammina e asparagina, tiro fuori 4 NH₃. Quindi ogni volta riesco a eliminare 4 H⁺. Però devo essere in grado di risintetizzare la glutammina e asparagina. Entrano in gioco le transaminasi che fanno entrare in gioco anche il fegato. I tubuli distali hanno il compito di secernere H⁺, fisiologicamente le urine sono sempre acide. In caso di mal funzionamento del polmone questo meccanismo diventa l‟unico che ci permette di eliminare idrogenioni. Quando la preurina arriva nel tubulo distale entrano in azione queste pompe che pompano H⁺ dal sangue verso il lume. Deve esserci in contemporanea il trasporto verso l‟esterno di NH₃, recuperata dall‟N amidico dell‟asparagina o della glutammina. I due meccanismi devono avvenire in due punti separati della cellula. Perché se lo ione ⁺NH₄ si formasse dentro la cellula non attraverserebbe più la membrana cellulare. E‟ necessario che i due ioni si incontrino fuori dalla cellula. Si uniscono immediatamente perché hanno un pK talmente sfavorevole che nessun H⁺ può rimanere separato dalla NH₃. L‟ammoniaca non esiste libera nel corpo umano: il pH è sempre minore di 10 quindi questa diventerà immediatamente ⁺NH₄. In condizioni fisiologiche si utilizza solo l‟N amidico di glutammina e asparagina, per cui alla fine della reazione la glutaammina diventa ac. glutammico e l‟asparagina diventa ac. aspartico. In condizioni disperate sfrutto anche l‟N aminico di glutammato e aspartato e alla fine otterrò ac. αchetoglutarico e ac. ossalacetico. Il fatto che nelle urine ci sia sempre la presenza di H⁺ eliminati, viene definito in medicina acidità titolabile, un modo di eliminazione di un acido che si può misurare. L‟altro modo per eliminare l‟acido è attraverso il respiro, sottoforma di CO₂ ma questa non si può misurare; si chiama acidità volatile.
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4) Il rene entra in gioco con la sua funzione endocrina: eritropoietina, attivazione della vitamina D. La maggior parte dell‟eritropoietina ha un‟attivazione di origine renale. È il rene che misura l‟O₂ e decide quanti globuli rossi devono essere prodotti, lentamente 1/120 al giorno.
Se i reni non funzionano cosa si può fare? Si procede con una emodialisi. Il principio di funzionamento è abbastanza semplice. Prendo il sangue del soggetto, lo faccio uscire fuori dal corpo e lo faccio entrare in un recipiente dove c‟è una membrana di plastica semipermeabile. Questa membrana ha le stesse caratteristiche di permeabilità del glomerulo, cioè fa passare tutto quello che ha peso molecolare inferiore a 68 kDa e che sia solubile in acqua. Supponiamo che questo soggetto abbia nel suo sangue troppo Na⁺ (180), voglio che il suo Na⁺ ritorni normale (150 meq/L). Dall‟altro lato devo mettere acqua dove sciolgo 120 di Na⁺; così questo può passare passivamente fino a quando ai due lati avrà la stessa concentrazione. Per ogni soluto devo prima misurare la concentrazione nel plasma, poi devo creare una soluzione artificiale e per ogni soluto devo mettere una concentrazione che all‟equilibrio permetterà al sangue di raggiungere la concentrazione voluta. Il rene artificiale consiste di queste lunghe membrane di celofan con spazi strettissimi e all‟interno di questi c‟è da un lato sangue e dall‟altro dialisato. I movimenti sono passivi, perché avvengono solo per gradiente di concentrazione e alla fine dell‟operazione devo essere sicuro di aver ottenuto i valori normali delle variabili (soluti) del sangue, che faccio rientrare nel paziente. Compito della macchina è mettere questo sangue a contatto con una grande superficie di scambio, per permettere all‟operazione di essere eseguita in poche ore e di avere alla fine la stessa concentrazione ai due lati della membrana. La preparazione della soluzione deve essere personalizzata. Dobbiamo prendere tutte le variabili più importanti (Na⁺, K⁺, Ca²⁺, Mg²⁺, fosfati, HCO₃⁻, acido urico, urea, creatinina, ecc), tutte quelle sostanze che nel sangue devono essere riportate all‟interno di un range di normalità e creare un dialisato che permette di ottenere a regime dal lato sangue la voluta concentrazione. Se non si dispone di una macchina cosa si può fare per aiutare un paziente che sta entrando in coma perché ha i reni fuori uso? Tutto il segreto sta nell‟avere a disposizione una membrana semipermeabile che separi il sangue da un dialisato. Facciamo un dosaggio grossolano dei suoi costituenti, prepariamo acqua a cui aggiungiamo i valori che volete ottenere per avere gli scambi. Questo liquido poi lo iniettiamo nel peritoneo, che si comporta esattamente come una membrana semipermeabile, perché tra il sangue che c‟è al di qua della sierosa e il liquido che c‟è nel cavo peritoneale si cominceranno a creare gradienti di flusso. La membrana che separa le due soluzioni non è artificiale e il liquido lo iniettiamo nel cavo peritoneale. Lo teniamo lì un paio d‟ore e poi lo togliamo. Nel momento in cui lo togliamo stiamo portando via un liquido e tutto quello che dal sangue è passato nel dialisato (urea, acido urico, ecc).
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Ricapitoliamo: il rene artificiale è una macchina in cui viene fatto circolare fuori dal corpo il sangue del soggetto. Lo prendiamo da un‟arteria, lo facciamo passare attraverso una macchina e poi rientrare in una vena. Mentre attraversa la macchina mettiamo il sangue a contatto con una membrana di celofan porosa semipermeabile che ha le stesse caratteristiche della membrana del glomerulo. Il dialisato viene costruito in funzione delle caratteristiche del sangue del soggetto che ha in quel momento, in modo tale da creare un gradiente che vi porti a regime un sangue che alla fine facciamo rientrare nel soggetto, tramite una pompa peristaltica. Lo stesso sangue lo facciamo uscire e rientrare diverse volte nell‟arco di queste ore, e lui piano piano cede l‟eccesso, si integra il difetto. Alla fine rifacciamo i dosaggi e sulla base di azotemia, kaliemia, ecc possiamo decidere se è il caso o meno di interrompere l‟emodialisi. Il rischio principale che si può osservare è che durante questo movimento, assicurato da una pompa peristaltica (c‟è una specie di rotella che ruota su sé stessa e schiaccia un tubicino; ruotando in continuazione questo tubicino schiacciato sposta unidirezionalmente il liquido in esso contenuto), i globuli rossi si rompano. È inesorabile un‟anemia emolitica. Ricordate che sono soggetti in cui il rene non funziona, quindi anche il sistema dell‟eritropoietina funziona male. Ci sono già pochi globuli rossi in circolo, quelli superstiti vengono rotti -> il paziente va incontro ad anemie importanti. Un secondo effetto importante è quello sul pH: controllare l‟equilibrio acido-base di questa macchina non è così facile, perché è un sistema imperfetto. Difficilmente si riesce a controllare in questi soggetti anche la mancanza della vitamina D. Questa stimola a livello intestinale il carrier dell‟assorbimento del Calcio. Se il rene non funziona, i soggetti non assorbono Ca e hanno ossa in condizioni gravi. Più anni sono di dialisi, più l‟osteoporosi da carente assorbimento intestinale diventa importante, inoltre se non si fanno bene i calcoli un po‟ di Ca si può perdere nel dialisato. La soluzione migliore è il trapianto. La Sicilia è la regione italiana con maggior numero di insufficienze renali ogni 100.000 abitanti, e quindi maggior numero di dialisati e quindi di soggetti in lista d‟attesa. Calcolando che la Sicilia è quella che ha il minor numero di donatori di organi, ci troviamo in un eccesso di domande e una assoluta carenza di offerte.
Circolazione renale 1,2 L su 5L al minuto di gittata cardiaca (20% a riposo della gittata cardiaca), 1/5 di tutto il sangue che il cuore pompa a riposo serve per passare dai reni. Ogni 5 minuti tutto il sangue del corpo passa dai reni. E di questo 1/5 che passa dai reni, 1/5 viene ultra filtrato: ogni 25 minuti tutto il sangue dell‟organismo è stato filtrato, pari quasi a 200 L di ultrafiltrato al giorno. La depurazione la facciamo una 50ina di volte al giorno. Se il rene non funziona più nell‟arco di due giorni il soggetto ha delle modificazioni incompatibili con la vita.
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Giunge al pronto soccorso un paziente che non urina. Le cause possono essere molteplici. Come si fa a stabilire se si tratta di un problema al rene o di un calcolo? Un rene che non funziona non ha la stessa gravità di un calcolo nell‟uretra. La diagnosi si fa con un dito: mettiamo il dito dietro la sinfisi pubica, dove c‟è la vescica. Se il rene non funziona non produce urina e la vescica è vuota. Se si è bloccato il passaggio nell‟uretra tramite un calcolo la vescica è piena. Bisogna vedere: la clearance dell‟urina -> com‟è la filtrazione; clearance del paraamminoippurato -> com‟è la circolazione del sangue attraverso i reni.
La circolazione renale è caratterizzata dal fatto che c‟è la rete mirabile arteriosa. Essa si costituisce tramite un‟arteriola afferente, un glomerulo renale, un‟altra arteriola e un altro capillare, che è il capillare peritubulare o nel 15% dei casi si tratta dei vasi recta. Quindi ci sono due capillari separati da un‟arteriola efferente. Poi si formano le venule interlobulari, arciformi, interlobari fino alla vena renale. La prima caratteristica della rete è che i vasi sanguigni sono corti, quindi non c‟è caduta di pressione, la quale rimane elevata fino al glomerulo, dove la pressione è quasi il doppio, sia in entrata che in uscita. Quindi la filtrazione avviene senza particolari difficoltà. La seconda caratteristica è la sua capacità di regolare il flusso: questo viene regolato in maniera tale che nonostante nell‟aorta la pressione possa aumentare o diminuire, il flusso renale nel giovane debba rimanere più o meno intorno 1,2 L al minuto. Al variare della pressione, fra 60/70 fino a 150 mmHg il flusso rimane stabile. Perché vari ci vogliono o grossi diminuzioni di pressione al di sotto di 60, o grossi aumenti superiori a 150 mmHg. Anche il cervello ha un flusso di questo tipo, che tende a mantenersi costante. Il Flusso dipende dal rapporto tra pressione e resistenza -> F=P/R, tutte le volte che aumenta la pressione deve aumentare anche la resistenza, se diminuisce la pressione deve diminuire anche la resistenza, in modo tale da mantenere costante il flusso. La Resistenza dipende da 8ηl/πr⁴: la viscosità del sangue e la lunghezza dei vasi rimangono costanti, ergo è un problema di raggio. Il che significa che ogni qualvolta la pressione aumenta si deve verificare una vasocostrizione, se la pressione diminuisce una vasodilatazione intravenale. Perché? Se la pressione aumenta c‟è una vasocostrizione, aumenta anche la resistenza e si mantiene costante il rapporto, cioè il flusso. Se c‟è un crollo della pressione si verifica contemporaneamente una vasodilatazione, cala anche la resistenza da vincere e quindi il flusso si mantiene costante. Questo si realizza perché le arteriole afferenti possiedono un tessuto muscolare liscio che ha delle caratteristiche particolari: se la pressione aumenta, la cellula muscolare liscia viene distesa, si eccita e si contrae. La contrattilità di queste cellule dipende dal loro grado di deformazione meccanica. All‟aumentare della pressione corrisponde una vasocostrizione, e quindi il raggio si riduce, la resistenza aumenta e il flusso si mantiene costante. Se c‟è una caduta di pressione la cellula muscolare si rilascia, aumenta il raggio, diminuisce la resistenza. Il sistema non modifica il flusso. 247
Esiste però una situazione particolare: le arteriole afferenti renali sono innervate da fibre ortosimpatiche non adrenergiche, vasocostrittrici. Il simpatico che innerva il rene non interviene, se non in casi di grave ipotensione arteriosa quando osservo una violenta vasocostrizione renale, e quindi il flusso di sangue crolla, non passano più 1,2 L di sangue ma molti di meno. Se provoco un‟emorragia e la pressione incomincia a crollare, si cerca di salvare la perfusione cerebrale. Nel tentativo di mantenere un minimo di pressione per il cervello l‟organismo è disposto a togliere sangue anche ai reni. Esiste un‟autoregolazione del flusso renale che non è equidistribuita. Nella piramide renale i glomeruli sono solo nella corticale, ma le anse in quelli iuxtaglomerulari si approfondano nella midollare; il sangue bagna sia la midollare che la corticale, anche se la maggior parte va in quest‟ultima, dove sono presenti le arteriole afferenti. Un po‟ di sangue va nella midollare con funzione nutritizia nei confronti delle cellule. Quindi l‟autoregolazione del flusso riguarda solo la corticale, la midollare tende ad avere un flusso che varia al variare della pressione aortica media. Nelle donne si può verificare un sequestro di sangue al rene da parte della circolazione uterina. L‟utero è così piccolo che la quantità di sangue che richiede è insignificante. Ma in gravidanza l‟utero può contenere 10 chili di “roba”, che richiedono sangue in parte tolto alla circolazione renale. Quindi nella donna incinta col passare dei mesi in gravidanza si può creare un conflitto tra gravidanza che va avanti e funzione renale che va a peggiorare. Normalmente ciò si risolve con un po‟ di sofferenza della membrana della capsula di Bowmann nelle ultime due settimane in cui la parete è troppo permeabile e nelle urine possono comparire anche albumine. Se succede proprio negli ultimi giorni di gravidanza, lo possiamo considerare innocuo sul piano funzionale. Esistono donne in cui la sofferenza renale ci può essere precocemente, intorno al 3°, 4°, 5° mese e in questo caso la sofferenza renale si traduce in una violenta ipertensione. Questa ipertensione si associa a una precoce albuminuria, un‟altra cosa che normalmente non dovrebbe esserci. Quindi in una donna incinta occorre tenere d‟occhio pressione arteriosa e albumina nella urine.
Minzione Mentre la produzione di urina è continua, da 1 a 2 mL al minuto, la sua escrezione è episodica, 2-3 volte al giorno. Periodicamente il volume accumulato deve essere eliminato all‟esterno attraverso un processo che si chiama minzione. Compito di raccogliere l‟urina spetta alla vescica, che riceve i due ureteri, quindi riceve continuamente urina da 1 a 2 mL al minuto e dopo un certo numero di ore, il tempo necessario per fra entrare 200 mL di urina, avviene lo svuotamento della vescica attraverso l‟uretra. Fino alla vescica l‟apparato urinario è “unisex”, non ci sono grandi differenze fra maschi e femmine. C‟è una differenza notevolissima dalla vescica in giù perché l‟uretra maschile è completamente diversa dall‟uretra femminile, quindi anche il meccanismo finirà per essere leggermente diverso.
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La vescica è una struttura la cui parete è assolutamente impermeabile all‟acqua; questo è un fattore determinante per il suo funzionamento. In molti altri sistemi non è così: per esempio la bile che si accumula nella cistifellea man mano che si forma e viene disidratata, una parte dell‟acqua se ne va, le feci si accumulano nella parte distale del colon, ma man mano l‟acqua in essi contenuta viene assorbita. Esiste una struttura muscolare liscia, che viene chiamata muscolo detrusore, il quale permette di schiacciare questa struttura. Il suo schiacciamento deve garantire una cosa: se la vescica si contrae devo essere sicuro che l‟urina vada in fuori, senza tornare indietro, perché non esiste una valvola nel punto di sbocco degli ureteri. Se aumento la pressione endovescicale e faccio contrarre il muscolo detrusore devo essere sicuro che l‟urina possa andare in una sola direzione, ovvero verso l‟uretra. Quando gli ureteri arrivano nella vescica, essi non entrano perpendicolarmente ma si inseriscono in maniera obliqua nello spessore della parete muscolare e poi sboccano. Quindi c‟è un tratto dell‟uretere che è circondato dal muscolo detrusore della vescica. Quindi quando il muscolo si contrae, schiaccia l‟orifizio vescicale dell‟uretere e impedisce che anche una sola goccia di urina possa tornare indietro. Dall‟altro lato esiste una coppia di sfinteri che chiudono l‟accesso all‟uretra, uno sfintere liscio interno e uno striato esterno, che devono essere in contrasto di fase con il detrusore. Quando questo è rilasciato lo sfintere si contrae, quando invece faccio contrarre il detrusore, devo rilasciare gli sfinteri. Il tutto viene regolato da fibre del sistema nervoso volontario (muscolo striato esterno) e da fibre parasimpatiche che originano dal parasimpatico sacrale e innervano la stragrande maggioranza del sistema (muscolo detrusore e lo sfintere interno). La minzione viene gestita in maniera di solito riflessa, automatica, sulla base dell‟aumento di pressione all‟interno della vescica. Nella parete ci sono dei meccanocettori: quando la quantità di urina che è entrata ha fatto raggiungere un certo livello di pressione, scatta il riflesso della minzione, cioè si contrae il detrusore, si rilasciano gli sfinteri e l‟urina viene spinta lungo l‟uretra verso l‟esterno. Questo meccanismo innato è quello che abbiamo al momento della nascita. Il bambino appena nato ha un meccanismo del tutto automatico, cioè ogni volta che la vescica raggiunge un certo grado di riempimento scatta il riflesso della minzione. Il bambino viene obbligato a imparare una cosa, che la minzione deve avvenire in contesti socialmente utili. Il controllo degli sfinteri diventa così una sfida determinante. I centri parasimpatici spinali che controllano la minzione possono essere inibiti dall‟alto, dalla corteccia cerebrale (esistono proprio delle vie cortico-spinali). Il riflesso della minzione si può ritardare ma fino a un certo punto. Quando la pressione supera un certo valore il riflesso scatta implacabile. Non è la stessa cosa per la defecazione: se ritardo troppo l‟acqua viene riassorbita, si abbassa la pressione e lo stimolo cessa; ci può essere un fenomeno che potrebbe favorire la stitichezza. Nelle donne l‟uretra è cortissima e sbocca nella parte anteriore del vestibolo vaginale. Nel maschio l‟uretra arriva all‟esterno solo dopo aver percorso tutta la struttura peniena, all‟inizio deve attraversare la ghiandola prostata. La differenza principale tra uretra femminile e maschile è che: l‟uretra femminile serve solo a questo, è un tubo per l‟urina, quella maschile è un tubo che serve in certi momenti per l‟urina, in altri per il liquido seminale. Ha un doppio utilizzo e a monte devono esistere due vie diverse, in certi momenti una via fa arrivare urina dalla vescica, in altri facciamo arrivare liquido seminale 249
dalle vescichette seminali, dopo aver attraversato la prostata. Per tutto il tempo in cui un maschio utilizza l‟uretra per far passare il liquido seminale blocca il passaggio dell‟urina. Successivamente ci vorrà un po‟ di tempo prima che si riapra il lato urina. Nella donna, essendo molto corta l‟uretra, la flora batterica che ospita il vestibolo della vagina può facilmente risalire verso la vescica. Quello che all‟inizio era una vaginite, facilmente può diventare una cistite. È quasi impossibile impedire a una flora batterica di poter risalire lungo l‟uretra, all‟interno della vescica, dato che è molto corta. La cistite ascendente, che va a infettare dal basso verso l‟alto è frequentissima nelle donne. E‟ altrettanto possibile che da una cistite a marcia indietro si possano infettare gli ureteri. Il maschio è protetto da questo punto di vista ma ha uno svantaggio notevole nel momento in cui dobbiamo mettere un catetere. Questo diventa il vero rischio di infezione ascendente nel maschio. Esiste una tecnica che si chiama cistogramma o cistografia che mi permette di misurare il rapporto pressione/volume della vescica. Andate a verificare che la pressione aumenta solo quando si raggiunge un certo volume. Se scatta troppo presto può comparire pollachiuria, minzione troppo frequente. Nel maschio il problema vero è rappresentato dalla prostata. Si trova sotto la vescica e circonda l‟uretra. Col passare degli anni si può verificare ipertrofia prostatica (oggi detto “tumore prostatito benigno”) che si traduce in uno schiacciamento dall‟esterno dell‟uretra, aumenta la resistenza e il soggetto ha difficoltà a svuotare la vescica. Questi soggetti hanno minzioni frequenti, di piccolo volume, il grosso dell‟urina rimane dentro; dopo un‟ora hanno la necessità di urinare perché questa vescica non essendosi svuotata del tutto si riempie velocemente. La pollachiuria è un segno caratteristico. Il problema è legato agli ormoni sessuali maschili. Una delle grandi differenze tra uomo e donna è che nella donna la fertilità cessa completamente in un certo periodo della vita. La donna è fertile per una trentina d‟anni, dai 13-14 anni quando compare la prima mestruazione fino ai 45-50 anni quando compare l‟ultima. Questo intervallo di tempo rappresenta la fertilità femminile. Nella donna poi spariscono sia gli ormoni sessuali, sia la produzione di gameti, ovociti. Il maschio per tutta la vita continua a produrre spermatozoi e ormoni sessuali maschili. A 90 anni produce androgeni in misura di circa il 30% più basso di quelli di un ventenne. Di solito un ventenne non dovrebbe avere non più del 10-15% di spermatozoi non efficienti, nel vecchietto di 80 anni questa percentuale aumenta al 50%, ma ha pur sempre un 50% di spermatozoi ancora in grado di fecondare. Quindi mentre nella donna questo cessare della fertilità ha portato al concetto di menopausa (“pausa della mestruazione”), nell‟uomo non esiste nulla di simile. La prostata è modulata nella sua funzione dagli ormoni sessuali maschili, il testosterone in particolare. Determinano il significato fisiologico della prostata. Il maschio produce un centinaio di milioni di spermatozoi alla volta. In tutta la vita produce da 3.000 a 4.000 miliardi di spermatozoi. La donna produce un gamete al mese, in tutta la vita ne produce 400. Il numero di spermatozoi nei maschi sta crollando drammaticamente. Ogni dieci anni c‟è una diminuzione del 20% rispetto al decennio precedente della produzione di spermatozoi. La fertilità 250
maschile si definisce non adeguata quando ci sono meno di 30 milioni di spermatozoi alla volta: sono troppo pochi per fecondare un solo gamete. Questo si è osservato a partire dagli anni ‟60. È l‟anno in cui sono entrati in commercio i primi omogeneizzati di carne, si usavano estrogeni per far crescere in fretta gli animali. Nelle banche del seme i donatori venivano presi tutti prima degli anni ‟60 per avere una concentrazione di spermatozoi adeguata per essere sicuri che il risultato fosse garantito.
Il compito della prostata è fondamentale. Quando un maschio produce spermatozoi questi si fermano nelle vie spermatiche, in attesa che “scatti il momento romantico”. La produzione di questi tende ad essere continua perché nonostante abbiano una vita media di 6 mesi, ogni giorno in un uomo che non ha rapporti sessuali, 1/180 di tutti i suoi spermatozoi viene eliminato, e 1/180 viene prodotto. Anche se non ha un rapporto sessuale il turnover ci deve essere per forza all‟interno delle vie spermatiche. Questi spermatozoi però non devono essere in grado di fecondare, fino a quando “non c‟è il momento romantico”. L‟acrosoma deve rimanere integro e il flagello non deve muoversi. Quando arriva il momento della fecondazione, gli spermatozoi attraversano la prostata che aggiunge due variabili importanti: una fosfatasi che ha un ruolo essenziale per la lisi dell‟acrosoma e il fruttosio che ha un ruolo essenziale per la motilità della coda dello spermatozoo. Quindi nello spermatozoo si verificano due modifiche importanti: diventa mobile, è stato capacitato, cioè in grado di penetrare l‟ovocita, però dall‟altro lato fino a quel momento poteva sopravvivere fino a 6 mesi, da quel momento in poi morirà nell‟arco di 4-5 giorni. Per fare ciò la prostata è controllata dal testosterone. C‟è una produzione di base che cambia durante l‟anno, o la giornata. A questa produzione di base di testosterone nei maschi c‟è un picco di produzione collegato all‟eccitazione sessuale. Col passare degli anni se un maschio riduce la sua attività sessuale gli rimane solo la produzione di base. Ne risente la prostata e va incontro a uno sviluppo adenomatoso, che schiacciando l‟uretra rende più difficile la minzione. Il nome che si dà oggi è di adenite prostatica benigna. “La prevenzione è di non smettere l‟attività sessuale”. La progressione dell‟ipertrofia prostatica è inversamente proporzionale ai picchi di testosterone che nel maschio ci sono in connessione all‟attività sessuale. I picchi di testosterone furono descritti per la prima volta da un medico della marina inglese nel 1700. Egli aveva notato un fenomeno che gli aveva raccontato il barbiere della nave. Quando la nave partiva dal porto i marinai si facevano la barba meno frequentemente di quando la nave tornava. E più si avvicinava al porto più frequentemente questi marinai si facevano radere la barba. Sapete che la crescita della barba è testosterone dipendente e quindi notò una certa correlazione tra questi due eventi. Fu la prima volta in cui venne descritto una relazione tra queste due variabili.
Attenzione: Il testosterone se fa bene per l‟adenoma prostatico, è la principale causa di cancro alla prostata. Il carcinoma prostatico è il cancro più frequente nel maschio. Nella stragrande maggioranza dei casi il carcinoma rimane confinato entro la capsula della ghiandola. In questo modo può succedere che qualcuno abbia un cancro alla prostata senza saperlo. Nell‟autopsia è 251
frequente riscontrare in soggetti completamente asintomatici, il reperto di un adenocarcinoma prostatico confinato all‟interno della capsula. (Uno degli effetti collaterali dell‟uso di testosterone in palestra è proprio questo). Se il carcinoma esce dalla capsula allora bisogna intervenire chirurgicamente; se si tagliano i nervi erigentes l‟erezione diventa impossibile. Vi trovate di fronte un soggetto che è stato reso impotente dalla chirurgia. In questi casi si può intervenire in maniera pittoresca; consiste nel prendere una specie di cilindro di plastica gonfiabile, in cui si può pompare acqua e si infila nel pene. Questo cilindro possiede due tubicini, in uno gli si fa entrare acqua dall‟altro si fa uscire il liquido. Si mette tutto sotto cute.
Il marker antigene prostatico è un esame del sangue, da fare dopo i 40 anni. Se questo antigene incomincia ad aumentare vuol dire che a livello prostatico è in atto un processo di trasformazione.
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APPARATO DIGERENTE Lezione 11 Nutrizione
Un organismo, come ben sappiamo, si compone di molecole che sono per i quasi ¾ acqua, circa 11-12 Kg di lipidi, 11-12 Kg di proteine, qualche centinaio di grammi di zuccheri, oltre un chilo di sali di calcio; tutte queste molecole formano le cellule e la matrice extracellulare che si riscontrano nell‟organismo umano. Le molecole elencate possiedono un‟emivita, ovvero dopo un certo periodo di tempo vanno incontro a processi di alterazione poiché non sono più in grado di esplicare la loro funzione e per tale ragione devono essere sostituite. L‟unico modo per introdurre i “pezzi di ricambio” necessari per il turnover delle molecole che costituiscono l‟organismo è, ovviamente, l‟alimentazione; se questa fosse alterata l‟intero sistema di rinnovamento di tali molecole, verrebbe a mancare.
Da queste considerazioni si comprende che il primo compito dell‟alimentazione è fornire le molecole necessarie per garantire la stabilità strutturale del nostro organismo, ma non è solo questo il compito dell‟alimentazione: essa è necessaria, anche, perché le nostre cellule per lavorare richiedono energia che deriva dalla degradazione di molecole introdotte con gli alimenti, per cui quello che s‟introduce con l‟alimentazione, non serve solo per garantire il mantenimento della continuità strutturale dell‟organismo, ma è anche il combustibile necessario per far funzionare il sistema.
Moltissime sono le molecole che sono introdotte a scopo plastico, cioè come “pezzi di ricambio” per le varie parti del nostro corpo, invece sono solo tre le molecole che possono essere usate a scopo energetico e sono: zuccheri, lipidi, proteine e poi esiste un quarto nutriente che è l‟alcol etilico. Queste sostanze sono introdotte dall‟esterno e, attraverso l‟apparato digerente, le molecole che le compongono sono degradate fino a diventare in grado di essere assorbite; una volta che il processo dell‟assorbimento ha avuto luogo, deve avvenire un processo di trasformazione il quale deve fare in modo che le molecole introdotte dall‟esterno siano modificate per diventare in grado di sostituire molecole non più funzionali, oppure devono diventare combustibile per le cellule al fine di produrre energia.
Ciò che si deve comprendere è cosa rende fisiologico il processo della nutrizione e cosa, invece, lo rende anomalo, cioè non in grado di garantire la funzione plastica e la funzione energetica al nostro organismo.
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A livello energetico quando l‟organismo umano ha la necessità di produrre energia, a livello cellulare si ha un unico modo per mettere a disposizione energia alle cellule, che è rappresentato da una molecola che prende il nome di ATP (Adenosi-Tri-Fosfato), la quale, normalmente, idrolizzando il legame tra secondo ed il terzo radicale dell‟acido fosforico (legame γ) libera 7,4 Kcal per moli, che rappresenta l‟energia normalmente adoperata dalle cellule per svolgere le loro attività. Quindi quando si parla di metabolismo energetico ci si riferisce fondamentalmente ai processi che portano alla produzione di ATP, in modo che le cellule abbiano sempre a disposizione la loro unica fonte di energia.
Un trucco che si potrebbe utilizzare, per avere sempre ATP a disposizione, sarebbe quello di riempirne le cellule in maniera tale che non venga mai a mancare, dato che è pronta per essere utilizzata; tuttavia l‟ATP è tossica, per cui non la si può accumulare all‟interno della cellula, poiché superata una certa concentrazione essa diventa in grado di danneggiare le strutture intracellulari, in particolari l‟apparato del Golgi, per tale ragione deve essere sintetizzata nel momento in cui serve.
Si può accumulare ADP ma non ATP che, invece, come abbiamo appena detto, si deve produrre quando serve, ovviamente partendo dall‟ADP, ma si deve produrre in una misura precisa poiché se se ne produce troppo poca l‟energia viene a mancare, se, viceversa, se ne produce troppa si accumula e può diventare tossica; per cui occorre avere una produzione quantitativamente precisa in maniera tale che tutte le molecole prodotte vengono utilizzate. Per questo per quanto riguarda l‟ATP da una parte non se ne può fare a meno, poiché è l‟unico modo per produrre energia, però dall‟altro lato se si esagera nella sua sintesi danneggia la cellula stessa, per cui la regola è che se ne produce tanto quanto ne serve nel momento in cui serve e non ci sono eccezioni.
Fondamentalmente per produrre ATP ci sono solo 2 modi in natura, uno è un metodo deficitario a livello quantitativo poiché produce pochissima ATP anche se abbastanza velocemente; per esempio si prenda in considerazione una molecola di glucosio, col metodo deficitario da essa si producono solo 2 ATP. Esiste, invece, un altro metodo molto più efficiente, usato negli animali superiori, che ha un rendimento decisamente migliore poiché da una molecola di glucosio si ottengono tra i 36 ed i 38 ATP per cui un rendimento tra le 15 e le 20 volte superiore.
La differenza essenziale tra questi due meccanismi è che il meccanismo a basso rendimento non richiede l‟utilizzo di ossigeno molecolare, viceversa quello ad alto rendimento è un meccanismo di tipo ossidativo e ciò comporta necessariamente l‟utilizzo dell‟ossigeno; tradotto in termini di fisiologia cellulare il meccanismo non richiedente ossigeno, che possiamo chiamare anaerobico, è un meccanismo che non risiede a livello mitocondriale, invece il meccanismo di tipo ossidativo, cioè aerobico, è obbligatoriamente localizzato a livello mitocondriale, poiché il mitocondrio è la sede della catena respiratoria.
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Riassumendo: se si vuole produrre ATP si deve utilizzare uno di questi due processi: aerobico o anaerobico; nella specie umana l‟utilizzo del procedimento anaerobico è insignificante a livello di rendimento ed infatti è riservato a determinate condizioni, per cui la maggior parte dell‟ATP prodotto deriva dai processi aerobici, cioè ossidativi.
Si deve comunque tenere a mente che i processi ossidativi, nonostante siano eccellenti per la produzione di ATP, hanno un grosso problema, ovvero, quando si usa l‟ossigeno molecolare nei processi ossidativi non si ottiene solo ATP, ma si ottengono anche i composti tossici dell‟ossigeno, ovvero i ROS, è la classica dimostrazione di cosa si intende per entalpia ed entropia, in questi processi l‟ATP è l‟entalpia, le sostante tossiche, invece, sono l‟entropia.
Come si fa a produrre ATP senza ossigeno molecolare?
L‟ATP come ben sappiamo è adenosina legata a tre radicali dell‟acido ortofosforico mediante legami ad alta energia, cioè se si idrolizzano liberano energia, ciò significa che per la creazione di questi legami si deve fornire energia al sistema che accumula questa energia e poi quando si scinde tale legame l‟energia accumulata al 70-80% la restituisce.
Normalmente quando si ha bisogno di energia, s‟idrolizza il legame tra il secondo ed il terzo fosfato; quando si deve produrre ATP è chiaro che si deve effettuare l‟operazione inversa, si deve inserire il fosfato e per farlo in assenza di O2 ci sono solo tre modi.
1) Il modo più semplice riguarda l‟ADP, che possiede anch‟essa un legame ad alta energia tra il primo ed il secondo fosfato, facendone reagire due tra di loro e spostando un fosfato da un ADP all‟altro uno diviene AMP e l‟altro diviene, invece, ATP. E‟ un semplice meccanismo di trasferimento del fosfato estremamente veloce ed infatti la reazione dura solo pochi milionesimi di secondo e richiede l‟enzima Miochinasi, che catalizza questa reazione detta “a dimezzamento”, poiché se si parte da 8 ADP si ottengono 4 ATP poi se ne ottengono altri 2 ed infine se ottiene 1 solo, per cui non si può andare molto lontano con questo sistema e si comprende, che una cellula che lavora alla massima intensità può produrre energia, sottoforma di ATP, per circa 3 secondi.
2) L‟altra alternativa è una reazione più o meno simile che sfrutta sempre il trasferimento del fosfato, solo che anziché usale l‟ADP usa una molecola simile che prende il nome di Creatin-Fosfato, in cui il fosfato, come si evince dal nome stesso, è legato alla creatina; in questa reazione si prende il fosfato, dalla CreatinFosfato, e lo si sposta in una molecola di ADP, per cui una molecola perde un fosfato e l‟altro lo acquisisce; 255
chi lo perde diventa Creatina e chi lo acquisisce diventa ATP l‟enzima in questo caso è la Creatin-Fosfo Chinasi (CPK). La reazione prosegue finché c‟è Creatin-Fosfato, ma nel momento in cui quest‟ultimo si esaurisce finisce la creazione di ATP; in una cellula che lavora alla sua massima intensità questo meccanismo può andare avanti al massimo per 7 secondi; per cui le due reazione fin ad ora analizzate possono durare assieme per una decina di secondi. Si evince che i meccanismi fino ad ora analizzati sono efficaci per svolgere azioni che non devono durare più di una decina di secondi come ad esempio uno scatto o un salto, cioè azioni che possono essere eseguite alla massima intensità senza aver bisogno di ossigeno e soprattutto utilizzando questi meccanismi che non producono sostante tossiche, infatti ciò che resta è la creatina che può essere o nuovamente fosforilata, e quindi ritorna a essere Creatin-Fosfato, oppure viene degradata a Creatinina ed eliminata con le urine.
Questi due meccanismi sono simili tra loro poiché non inquinano le cellule con sostanze che possono in qualche modo danneggiarle.
3) Nel momento in cui è necessario svolgere un‟attività massimale in assenza di ossigeno che dura più di una decina di secondi, si deve ricorrere ad un altro meccanismo, che è, invece, inquinante, e sfrutta un fenomeno molto conosciuto. Il Glucosio, come ben sappiamo, è composto da 6 atomi di carbonio, quando entra all‟interno della cellula la prima cosa che si deve fare per usarlo a scopo energetico è romperlo in due molecole a tre atomi di carbonio, che prendono il nome di Acido Piruvico, per cui durante la Glicolisi si formano due molecole di Acido Piruvico e soprattutto si formano due ATP; questo è l‟unico modo per produrre ATP dal glucosio che non necessità di ossigeno, poiché è un meccanismo che si svolge nel citosol e non nel mitocondrio ed è estremamente veloce. Tuttavia richiede una cosa molto importante, come ben sappiamo la formula del glucosio, è C6H12O6 mentre nella formula dell‟acido piruvico ci sono 3 carboni, 4 idrogeni e 3 ossigeni che moltiplicati per due, dato che si formano 2 molecole di Acido Piruvico, danno 6 carboni, 8 idrogeni e 6 ossigeni, per cui si comprende che durante questa reazione in qualche modo si devono tirare via 2 H per ogni molecola di Acido Piruvico altrimenti l‟ATP non si produce. Per poter levare l‟H esiste un accettore che prende il nome di NAD ossidato -il professore parla di NADP, ma dovrebbe essere NAD- il quale prende i due H (per cui sono necessari 2 NAD ossidati per portarsi via i 4 H) e ovviamente il NAD diventa ridotto.
Se è ancora necessaria ATP, è chiaro che si deve rompere un‟altra molecola di glucosio ed è necessario il NAD ossidato, tuttavia in questo momento si ha il NAD ridotto, per cui si devono liberare gli H dalle molecole di NAD per riportarli allo stato ossidato. Normalmente è una meccanismo abbastanza semplice, infatti, è sufficiente che ci sia l‟ossigeno, che prendendo due H si trasforma in una molecola di acqua, ma in questo caso l‟ossigeno non è presente, allora per riciclare la molecola di NAD, è necessario spostare questi H su un‟altra molecola, ovvero l‟acido piruvico che diventa Acido Lattico, motivo per cui all‟interno della cellula si accumula questo metabolita che modifica la situazione intracellulare poiché, man mano che la reazione di produzione di ATP prosegue, la cellula si riempie di Acido Lattico che si dissocia in Lattato.
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L‟operazione continua agevolmente per circa 50 secondi e non di più, poiché questo acido lattico continua ad accumularsi modificando il pH della cellula ed, arrivato ad un certo punto, costringe il sistema ad una serie di operazioni che modificano gli scambi di membrana tra sodio e potassio, che, per mantenere il potenziale di membrana scambiano 3 sodio per 2 potassio ed un idrogeno, quindi l‟accumulo di H altera lo scambio di membrana ed il suo potenziale ed insorge la fatica, che non è dovuta direttamente all‟acido lattico, ma è dovuta alle conseguenze del suo accumulo.
Quindi in un esercizio massimale in assenza di ossigeno il sistema può andare avanti al massimo per circa 60 secondi; per cui in un soggetto che sta svolgendo un‟attività massimale se si va a misurare la quantità di acido lattico nel sangue si osserva un fenomeno interessante, ovvero per i primi 7-8 secondi non è presente acido lattico poiché all‟inizio l‟organismo utilizza la reazione Miochinasica e della Creatin-Fosfato, dopodichè inizierà a comparire in circolo acido lattico soltanto quando si sono esauriti i meccanismi di trasferimento del fosfato (per cui nei primi 10 secondi circa di un esercizio massimale non vi è mai la produzione di acido lattico che, come abbiamo visto, inizia dopo); quindi in un esercizio massimale in primi 10 secondi sono alattacidi, l‟ultima parte, invece, è tutta lattacida.
Normalmente nel sangue sono presenti 1 mMol per litro di acido lattico, dopo un esercizio massimale sarà presente una quantità di acido lattico 15-16 volte superiore a quella presente a riposo, per cui si arriva a circa 18-19 mMol per litro di acido lattico. Passati questi 60 secondi sono stati esauriti tutti i processi che potevano essere usati per produrre energia in assenza di ossigeno per cui, da quel momento in poi, se il nostro organismo vuole produrre ATP si devono adoperare i meccanismi di tipo ossidativo che hanno luogo all‟interno del mitocondrio.
La capacità di usare meccanismi non ossidativi la possiedono praticamente tutte le cellule, quando una cellula come il neurone ha poco ossigeno è facile accorgersene poiché inizia a produrre acido lattico, per cui la presenza dell‟acido lattico indica una carenza di ossigeno che costringe le cellule a ricorrere a meccanismi non ossidativi; si può dire che la produzione di acido lattico è un “marker di ipossia”, per cui in una zona del cervello in cui c‟è stato un ictus ci sarà un alta produzione locale di acido lattico, lo stesso vale in un zona dell‟intestino in cui c‟è stato un infarto intestinale.
Nell‟organismo umano sono presenti delle cellule specializzate nell‟utilizzo dei processi non ossidativi e sono cellule in cui non sono presenti mitocondri, l‟esempio tipico è quella che nei muscoli striati prende il nome di Cellula Bianca o Pallida, mentre le Cellule Rosse, invece, sono ricche di mitocondri, il che significa che non sono adatte al lavoro anaerobico ma sono specializzate per il lavoro di tipo aerobico. Le Cellule Bianche, per esempio, sono ricche di Creatin-Fosfato che, invece, non è presente nelle Cellule Rosse a dimostrazione che la reazione che utilizza il Creatin-Fosfato è di tipo anaerobico.
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Da questo discorso si evince che se dopo un trauma muscolare si riscontra nel sangue la presenza di CPK (creatinfosfo chinasi) questa sta ad indicare che il trauma riguarda le cellule bianche, poiché, come abbiamo appena detto, sono queste ultime a contenere in maniera preponderate la CPK, per cui se si rompono si riverserà nel sangue una certa quantità di CPK, che normalmente deve essere presente in quantità insignificanti. Si può sfruttare anche un altro meccanismo: se si prende il muscolo palmare lungo in esso sono presenti sia cellule bianche che cellule rosse, ognuna ha i suoi sarcomeri e nelle cellule rosse la miosina è diversa rispetto a quella delle cellule bianche; infatti la miosina delle cellule rosse mette in moto delle contrazioni più lente e vigorose rispetto alla miosina delle cellule bianche, che mette in moto delle contrazioni velocissime. Le isoforme, dunque, permettono di sapere, quando si ritrova della miosina in circolo, se si sono danneggiate delle cellule rosse o delle cellule bianche, quindi sono espressione di un danno cellulare.
Se in un muscolo consideriamo una cellula bianca, questa si ritrova vicina da una parte una cellula rossa e dall‟altra un capillare sanguigno. Quando la cellula bianca produce l‟acido lattico una parte diffonde nella cellula rossa ed una parte diffonde nel torrente circolatorio; la parte che diffonde nella cellula rossa è, in realtà, utile poiché queste ultime sono in grado di usarlo come metabolita, infatti realizzano la reazione inversa che da acido lattico porta ad acido piruvico ed a glucosio e poi mettendo assieme più molecole di glucosio formano il glicogeno che rappresenta la molecola di deposito del glucosio; per cui l‟acido lattico quando arriva in una cellula (rossa) è un ottimo metabolita poiché può essere usato come sorgente per la gluconeogenesi, è sufficiente disporre gli enzimi della lattico deidrogenasi, che sono presenti oltre che nelle cellule rosse anche nel fegato, nel cervello e nel cuore; infatti quando il sangue ricco di acido lattico ritorna al cuore quest‟ultimo lo capta lo converte in glucosio e lo accumula sottoforma di glicogeno; inoltre gli enzimi lattico deidrogenasi che si ritrovano nel cuore sono diversi da quelli che si riscontrano nel muscolo scheletrico per cui in caso di infarto del miocardio la fuoriuscita di queste lattico deidrogenasi fa comprendere se c‟è stata la rottura del muscolo scheletrico o del muscolo cardiaco.
Ritornando al muscolo scheletrico è stato detto che le cellule bianche possono lavorare al massimo per 60 secondi, invece le cellule rosse possono lavorare senza limiti di tempo, e ciò vuol dire che i meccanismi aerobici non hanno fattori limitanti, possono essere usati dalla cellule per ore, ma ad una condizione: l‟intensità del lavoro che la cellula deve svolgere, cioè i meccanismi aerobici sono dei meccanismi lenti, vanno bene se la cellula deve svolgere un lavoro a bassa o media intensità, ma quando si deve svolgere un‟attività massimale e si deve produrre molta ATP i meccanismi aerobici non sono in grado di garantire l‟apporto energetico necessario, per cui il sistema si blocca e diviene necessario usare i meccanismi anaerobici che, però, dopo circa 60 secondi si bloccano. Quindi da un lato si hanno i meccanismi aerobici che producono ATP in grande quantità ma molto lentamente, per cui vanno bene quando la richiesta è medio-bassa, ma non vanno bene quando la richiesta di ATP è molto intensa poiché non riescono a produrne abbastanza velocemente; dall‟altro lato ci sono i meccanismi anaerobici che producono ATP molto velocemente, ma che entro 60 secondi si bloccano per cui vanno bene per le attività fisiche massimali che durano non più di 60 secondi.
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Adesso si prendano in analisi i meccanismi aerobici che presuppongono che la molecola dell‟acido piruvico venga convertita ad Acetil-CoA ed entri nel mitocondrio, ove può essere demolita in maniera completa lungo il Ciclo di Krebs al termine del quale da ognuna di queste molecole di Acetil-CoA si formano circa 16-18 molecole di ATP, che si devono moltiplicare per due poiché per ogni molecola di glucosio si formano due molecole di Piruvato e di conseguenza due molecole di Acetil-CoA; inoltre, com‟è stato detto sopra, da ogni molecola di glucosio si formano 2 ATP per cui la quantità finale di ATP per ogni molecola di glucosio sarà pari a circa 36-38 molecole. Questo è il primo punto importante: si brucia glucosio e si produce energia, ma non tutta questa energia diventa ATP, in realtà diventa ATP neanche il 20% di tutta l‟energia prodotta, circa l‟80% viene dispersa sottoforma di calore ma non diventa ATP e di fatto il calore è inutile poiché verrà disperso nell‟ambiente.
A livello termodinamico questo rispecchia pienamente il 2° principio: mentre tutto il lavoro è in grado di produrre calore non tutto il lavoro è in grado di produrre energia, in questo caso il rendimento si aggira attorno al 15-20%, l‟ideale è il Ciclo di Carnot in cui in una macchina ideale si arriva ad un rendimento pari a circa il 35%, il resto è energia che viene dispersa nell‟ambiente e che non ha nessun ruolo ai fini del funzionamento delle cellule poiché l‟unica cosa che serve per il loro funzionamento è l‟energia che viene inserita nel terzo legame della molecola di ATP. Perciò misurando la temperatura del nostro corpo, che si aggira attorno ai 37 °C, si comprende che questo calore deriva da ogni nostra cellula, poiché ogni volta che brucia qualcosa all‟interno del mitocondrio disperde l‟80% dell‟energia sottoforma di calore nell‟ambiente e solo il 20% di questa diventerà ATP; questo fenomeno prende il nome di Rendimento Termodinamico nel processo della Fosforilazione Ossidativa, cioè il rapporto tra quanto si ossida e quanto si fosforila è pari, come abbiamo detto, al 15-20%.
Come si misura l’energia prodotta?
In teoria si dovrebbe misurare in Joule, ma in realtà nella pratica comune l‟unità di misura dell‟energia prodotta è la caloria (indicata con la sigla cal), che corrisponde alla quantità di energia necessaria per aumentare di un 1 °C, (passare da 14 °C a 15 °C), la temperatura di 1g di acqua, tuttavia, dato che è una unità di misura troppo piccola si è preferito usare la Kcal cioè la quantità di energia necessaria per aumentare di 1 °C la temperatura di 1Kg di acqua (la kilocaloria si può indicare nei seguenti modi: Kcal oppure Cal). Come si è detto sopra in teoria si dovrebbe usare il Joule e di fatto 1 Kcal è uguale a 4,1868 KJoule, per cui è sufficiente moltiplicare per circa 4, partendo dalle kilocalorie, per ottenere i KJoule.
Esempio: mangiando 100 g di pasta si producono 350 Kcal, cioè si produce tanta energia che è in grado di aumentare di 1 °C la temperatura di 350 Litri di acqua, per cui si comprende che si sta considerando una notevolissima quantità di energia. Tuttavia questa energia non diventa tutta ATP, di queste 350 Kcal il 1520% sarà utile per la produzione di ATP tutto il resto sarà perduto nell‟ambiente sottoforma di calore.
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Adesso deve sorgere spontanea una domanda: questa percentuale, 20% e 80%, è fissa o è una percentuale regolabile? In teoria il Ciclo di Carnot dice che una macchina termina potrebbe arrivare ad un rendimento pari al 30-32% ed il nostro organismo è a circa il 20% per cui, in teoria, un margine di miglioramento del rendimento del sistema c‟è; ma quando, fisiologicamente, è utile regolare il rendimento termodinamico del sistema?
Esempio: si calcola quante calorie al giorno sono necessarie ad un uomo e gli si somministrano tutte più una quantità irrisoria come 17-18 Kcal; in un anno dovrebbe equivalere ad un aumento di peso pari a circa mezzo Kg, il che significa che il soggetto dovrebbe aumentare di mezzo Kg l‟anno per tutto il resto della sua vita, ma in realtà questo non succede poiché si assiste ad un fenomeno molto interessante: quando ci si nutre di più si ingrassa solo per qualche giorno poi il peso si stabilizza su un nuovo valore, allo stesso modo quando un soggetto si mette a diete perde peso all‟inizio poi questo si stabilizza e perdere peso diviene molto più difficile; evidentemente esistono dei meccanismi di compensazione che intervengono nelle condizioni di eccesso di nutrizione o di difetto di nutrizione.
S‟immagini un soggetto che mangi in eccesso, come ci si può difendere da questo eccesso nutrizionale senza ingrassare?
È sufficiente peggiorare il rendimento percentuale della reazione anziché 20% lo si fa scendere al 15%, ciò significa che invece di sfruttare quello che si mangia al 20% lo si sfrutta al 15% e si aumenta la quota che si disperde nell‟ambiente; se, invece, si ha un difetto nutrizionale si aumenta il rendimento percentuale delle reazioni arrivando, ad esempio, al 25%, cioè si sfrutta di più quello che si mangia poiché si cerca di compensare la carenza nutrizionale. In sostanza l‟organismo è in grado di modulare il rendimento termodinamico della fosforilazione ossidativa sia in caso di eccesso nutrizionale, abbassando il rendimento, sia in caso di difetto alzando il rendimento; ci sono soggetti che alla fine della seconda guerra mondiale sono usciti dai campi di concentramento che si nutrivano di una sola patata al giorno, il che significa che riuscivano a raggiungere un tale rendimento della fosforilazione ossidativa che sembravano essere delle macchine di Carnot.
Per modulare il rendimento termodinamico del sistema nel nostro organismo è presente una ghiandola; ovvero la Tiroide che produce degli ormoni, come la Triiodiotironina (T3), responsabili del Processo di Disaccoppiamento della Fosforilazione Ossidativa ed ora, alla luce delle ultime considerazioni, si può comprendere cosa vuol dire disaccoppiare, ovvero bruciare energia senza produrre ATP e se non si produce ATP l‟energia diventa calore; quindi in ipertiroidismo un soggetto produce molto calore ma con un rendimento termodinamico più basso del normale e quindi per produrre l‟ATP necessaria ai suoi fabbisogni metabolici è costretto a mangiare più del normale; viceversa il soggetto ipotiroideo è un soggetto ipotermico poiché una quota maggiore di energia se ne va verso la fosforilazione ossidativa producendo ATP.
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Esempio: un soggetto decide di mettersi a dieta e si reca dal dietologo il quale gli consiglia di assumere meno calorie rispetto a quelle normalmente necessarie, che equivalgono a 2200 Kcal al giorno, e gli dice di assumerne 2000 in modo tale che le restanti 200 l‟organismo le prenda dai lipidi di deposito bruciandoli; per cui il soggetto perderà massa grassa per circa 25g al giorno e in circa una settimana il soggetto dovrebbe perdere 170g e di conseguenza in un mese dovrebbe perdere circa 700-800g. Si ricordi che all‟inizio di una dieta quando si perdono grandi quantità di peso ad esempio 4-5Kg quella persa è acqua non è massa grassa per cui non si può definire dimagrimento, e la perdita di massa grassa non si misura con la bilancia ma si misura col metro andando a vedere la diminuzione, ad esempio, della plica cutanea del braccio.
All‟inizio di una dieta si vede la diminuzione del peso anche per via della perdita di acqua, tuttavia col passare del tempo la perdita di peso si fa sempre inferiore fino a che si arresta. Quello che è successo che si è attivata la tiroide cioè a causa di un ridotto apporto nutrizionale ha rallentato la produzione di ormoni tiroidei, non è più presente il disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa e viene accoppiata meglio l‟energia all‟ATP e si riduce la calorigenesi (quindi meno energia è dispersa sottoforma di calore maggiore sarà l‟utilizzo dell‟energia fornita alle cellule, motivo per cui si riduce il dimagrimento); una conseguenza collaterale di questo ragionamento è che non conviene fare diete durante l‟inverno poiché aumenta la sensazione di freddo.
La fosforilazione ossidativa è un processo flessibile che si può pilotare in funzione di due variabili, la prima è l‟apporto calorico: per uno studente, per esempio, l‟apporto calorico giornaliero corrisponde a 2200 Kcal al giorno, invece per uno scaricatore di porto corrisponde a 3000 Kcal al giorno e si nota anche che, per esempio, uno scaricatore di porto in brasile necessita di 2500 Kcal al giorno, allora deve sorgere spontanea una domanda come è possibile che due soggetti che svolgano i medesimi compiti necessitino di differenti quantità di energia giornaliera? La risposta è abbastanza semplice ovvero i soggetti avendo differenti abitudini alimentari sfruttano in maniera diversa l‟energia contenuta negli alimenti; per i nostri standard nutrizionali sono necessarie 3000 Kcal per produrre l‟ATP necessaria ad uno scaricatore di porto, in un ambiente dove si mangia meno la quantità di calorie può essere ridotta a spese, ovviamente, della calori genesi (il rendimento aumenta e diminuisce la dispersione di calore); in altre parole non è un caso che i paesi poveri del mondo stiano lungo la fascia equatoriale del pianeta, poiché riducendo al minimo la calorigenesi riescono ad aumentare il rendimento della fosforilazione ossidativa senza grossi problemi, ma la medesima cosa non è possibile per i soggetti che abitano nelle zone fredde del pianeta, poiché diminuendo la calorigenesi oltre certi valori la sopravvivenza diventa impossibile, infatti per uno scaricatore di porto di Stoccolma l‟apporto calorico giornaliero equivale a 4400 Kcal, poiché lavorando in condizioni ambientali molto fredde necessita di molto calore per non andare in ipotermia.
Ricapitolando: il nostro organismo produce energia principalmente attraverso processi ossidativi, quindi mitocondriali, questi processi ossidativi producono energia che si misura in Calorie, questa energia, però, non è tutta utilizzabile cioè non la si può convertire tutta in ATP, la percentuale di rendimento si aggira attorno al 15-20% e la ragione di tutto questo è rappresentata dalla quantità di calorie che si introducono con la dieta: in presenza di molte calorie il nostro organismo si può permettere di abbassare il rendimento percentuale, ma, invece, in presenza di poche calorie si è costretti ad aumentare il rendimento e per fare questo l‟organismo 261
dispone di un ormone specifico che è la Triiodiotironina; tutte le volte che si vuole migliorare il rendimento si abbassa la quantità di T3 (ingrasso/mantenimento durante la dieta), viceversa quando si vuole ridurre la percentuale di ATP prodotta si aumenta la secrezione di T3 (dimagrimento). Si ricordi un‟altra cosa, la tiroide è la più lenta ghiandola di tutto l‟organismo, prima che si modifichi la produzione di ormoni tiroidei sono necessarie settimane, basti pensare che l‟ormone tiroideo ha un‟emivita di una settimana, cioè è talmente lenta nella sua azione che dal momento in cui si inizia a mangiare di meno al momento in cui si inizia a modificare il rendimento termodinamico del sistema sono necessarie almeno 5-6 settimane.
Bisogna considerare anche il fatto che la tiroide modifica la produzione di ormoni, e quindi il rendimento termodinamico del sistema, in base alla temperatura, per cui se ci si trova per lunghi periodi di tempo a vivere in ambienti molto freddi, ma lo stesso discorso vale, ovviamente ribaltato, per gli ambienti molto caldi, la necessità di produrre più o meno calore va a modificare il comportamento della tiroide, che produrrà sempre più o meno ormoni nel tentativo di regolare la calorigenesi e consentire di mantenere una buona termoregolazione. Questo fenomeno ha luogo quando si va verso l‟inverno o verso l‟estate: man mano che si avvicina l‟inverno la tiroide aumenta la sua attività per permettere all‟organismo di fronteggiare, con una migliore calorigenesi, questa condizione ambientale, poi man mano che si va verso l‟estate ha luogo il meccanismo inverso, poiché la necessità della calorigenesi diminuisce e con essa la produzione di ormoni tiroidei, questo fenomeno è detto Acclimatazione.
I processi ossidativi si configurano come qualcosa che bruciando substrati dento il mitocondrio producono energia: ovviamente si consumano questi substrati, si consuma ossigeno, si producono cataboliti soprattutto anidride carbonica e acqua e si producono anche i ROS; questa è l‟equazione di base che vale per ogni mitocondrio, quello che si deve ricordare è che ossidando substrati si produce energia che in parte minoritaria sarà utile ed in parte maggioritaria è inutilizzata.
Quali sono questi substrati usati dai processi ossidativi?
È sufficiente un piccolo esperimento si prenda 1 g di zucchero e lo si bruci, in questo modo si producono poco meno di 4 Kcal, se si esegue la stessa operazione, ma con 1g di grassi il rendimento è di 9 Kcal per cui risulta evidente che il combustibile migliore che si utilizza a livello cellulare è rappresentato dai grassi; infatti a causa del fatto che si devono fabbricare delle riserve di substrati da bruciare nei momenti di necessità(si ricordi che gli animali vivevano periodi in cui si nutrono e periodi in cui non si nutrono), la filogenesi ha selezionato meccanismi metabolici che nel momento in cui si mangia più del necessario si mette da parte sottoforma di scorte l‟eccesso, da usare nei periodi in cui l‟apporto nutrizionale è ridotto; adesso si comprende che mettendo da parte 1g di zucchero si mettono da parte 4 Kcal, invece mettendo da parte 1g di trigliceridi si mettono da parte 9 Kcal infatti con 10-12 Kg di trigliceridi di deposito, che è la quantità normale che si riscontra in un soggetto adulto, si hanno più di 100 mila calorie di riserva che si possono usare nei momenti di necessità, per accumulare una simile quantità di calorie con le proteine o con gli zuccheri 262
sarebbe stato necessario metterne da parte 30 Kg, tant‟è che un uomo adulto possiede 10-12 Kg di lipidi e circa 400g di carboidrati.
Così come le proteine non sono un combustibile e il loro compito è quello di essere struttura dell‟organismo umano; il problema delle proteine sta nel fatto che (parola che non capisco: 1h.32m.47s) non ce n‟è, soprattutto le proteine globose hanno una emivita molto breve infatti dopo poche ore vengono alterate e quindi diviene necessario prendere nuovi AA e sostituire i vecchi per riformare una molecola proteica in grado di lavorare, quindi non si può sfruttare molto come riserva energetica.
Che cosa se ne fa dei vecchi AA l’organismo?
Dai vecchi AA viene tolto il gruppo azotato, mendiate il processo della desaminazione, e lo scheletro desaminato viene bruciato e quindi anziché eliminarlo intatto lo si sfrutta. Se per esempio si somministrano 50g di proteine l‟organismo brucerà 50g di proteine, ma non di quelle che sono state somministrate bensì di vecchie proteine che sono state sostituite con i nuovi AA che sono stati introdotti, per cui c‟è un ricambio funzionale e allora le proteine non sono un combustibile fisiologico, in quanto i combustibili fisiologici sono due: lipidi e carboidrati che possono essere ossidati mediante la B-Ossidazione e mediante la Glicolisi Aerobica; questi sono i due grandi meccanismi ossidativi che permettono al nostro organismo di produrre energia (rispettivamente 9 e 4 Kcal per grammo).
Tuttavia mentre tutte le cellule possono vivere tranquillamente bruciando solo zuccheri nessuna cellula può vivere bruciando solo lipidi nonostante questi siano indispensabili; è fondamentale per una cellula, al fine di poter sfruttare i grassi, un minimo apporto di zuccheri, il motivo è dovuto ad una reazione anaplerotica senza la quale il sistema mitocondriale si blocca, infatti il ciclo di Krebs inizia con una molecola che è l‟Ossalacetato, senza quest‟ultimo l‟Acetil-CoA (che proviene dalla B-ossidazione) non può essere metabolizzato all‟interno del ciclo; l‟ossalacetato si produce solo a partire dal glucosio se non è presente glucosio non lo si può produrre, si blocca il ciclo di Krebs gli Acetil-CoA rimangono nel citosol e tendono ad unirsi a due a due tra di loro formando l‟Acetoacetil-CoA, da cui si ottengono poi i Corpi Chetonici; per cui ogni volta che una cellula è in carenza di glucosio reagisce producendo Corpi Chetonici, questo è quello che succede nel soggetto diabetico nel quale, mancando l‟insulina, non può entrare il glucosio all‟interno delle cellule.
A causa della produzione dei corpi chetonici, che sono sostanze acide, si ha un‟acidosi metabolica che nel diabetico non è altro che la classica Cheto-Acidosi. Quella appena descritta è una regola essenziale che ha una sola eccezione ovvero il cervello in cui il glucosio entra all‟interno dei neuroni senza bisogno d‟insulina secondo gradiente di concentrazione; per cui in questo caso il problema del cervello è un altro e cioè che possiede la barriera ematoencefalica che impedisce ad alcune sostanze di passare ed una di queste sostanze è rappresentata dai grassi, per cui il neurone di per sé potrebbe realizzare la B-Ossidazione, poiché ha tutte le 263
strutture necessarie, il problema, dunque, sta nel fatto che non gli arrivano gli acidi grassi, cioè il substrato iniziatore.
Se ad un soggetto non si danno zuccheri con l‟alimentazione ma si danno esclusivamente grassi, dopo un certo periodo di tempo il soggetto presenterà una progressiva diminuzione delle concentrazioni di carboidrati, per cui l‟organismo fa partire un ordine di priorità in cui tutto lo zucchero presente nell‟organismo deve essere indirizzato al cervello poiché è l‟unico che non può utilizzare nessun altro substrato energetico e quindi si mettono in moto una serie di processi ormonali che costringono tutti gli altri tessuti a ridurre al minimo il consumo di zuccheri, giusto quanto basta per non andare in chetonemia, obbligandoli ad usare i grassi. E si tenga presente che a 4 Kcal per grammo per un totale di 400g di carboidrati contenuti nel nostro organismo in condizione di necessità questi finiscono in un giorno per cui il poco che c‟è va al cervello gli atri tessuti utilizzano altri espedienti, ovvero gli acidi grassi.
Dunque il nostro organismo necessità degli zuccheri, dei grassi, delle proteine ed anche, ovviamente, di acqua che non ha scopo energetico ma ciò non toglie che ne siano necessari 2-3 Litri al giorno, sono necessari anche sali di calcio, ferro, rame, zinco ed altro e a tutti questi elementi sono necessarie una serie di sostanze che non servono per produrre energia ma senza le quali non è possibile la sopravvivenza, ovvero le Vitamine che sono necessarie per tutta una serie di reazioni e per cui nella dieta oltre ai substrati come zuccheri, lipidi e proteine devono essere presenti tali sostanze senza le quali vengono a mancare molte reazioni fondamentali per la vita.
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Lezione 12 Nutrizione (2) E‟ stato detto che ognuno di noi deve introdurre alimenti sia a scopo plastico, cioè le molecole di ricambio delle varie parti del nostro corpo, sia a scopo energetico, cioè le molecole che possono essere ossidate per produrre energia. Ci siamo concentrati su tali effetti energetici, identificando due grandi alimenti in grado di produrre energia: glicidi e lipidi. I lipidi offrono moltissima energia, circa 9 kcal/gr, ossia se si prende in una stanza con temperatura media di 20°C un litro di acqua, per portarla ad ebollizione sarebbe necessario 1kcal per ogni grado di aumento, quindi fino a 100° ci sarebbero 80 kcal, basterebbe bruciare 9 grammi di grasso per produrre l‟energia necessaria a far bollire l‟acqua (9 gr x 9 kcal=81 kcal). Un pasticcino normale a base di crema è fatto per il 50 per cento da grassi e ha una componente energetica pari a quella di un grosso piatto di pasta; in un piatto di pasta, la parte ricca di energia non è la pasta di per sé, ma l‟olio della salsa, i grassi del formaggio che rappresentano il salto quantitativo che fa decollare l‟apporto energetico. Fine riassunto della scorsa lezione. Di quante calorie ha bisogno al giorno un individuo? L‟uomo ha bisogno di due diversi tipi di calorie, da un lato ha bisogno di un apporto calorico minimo, necessario per sopravvivere, meno di questo non potrebbe neppure vegetare. Quindi nonostante io possa prendere un soggetto e non fargli fare nessun tipo di sforzo, lo faccio addirittura coricare in modo che non effettui nessun tipo di attività, regolo la temperatura dell‟ambiente in modo da evitare sbalzi termici, insomma predispongo tutte le condizioni necessarie affinché il soggetto sia rilassato e tranquillo, nonostante ciò cervello, cuore e muscoli, che presentano sempre un tono di base, consumeranno energia. Nelle 24h avremo un consumo di base, il Metabolismo Basale, a cui assoceremo eventualmente attività extra, quali il camminare ad esempio, il cosiddetto Metabolismo di Attività, che comportano certamente un maggiore dispendio energetico e quindi avremo la necessità di assumere più alimenti. Come si calcola il metabolismo basale? Ci sono due metodi: 1) Calorimetria Diretta. Si prende il soggetto lo si fa coricare su un lettino, inserisco il lettino in un cilindro sigillato in modo che il calore emanato dal corpo non si disperda e sulle pareti del cilindro si mette ghiaccio; il ghiaccio col calore scioglie e si sa anche quanto calore ci vuole per sciogliere 1kg di ghiaccio, cioè il calore di fusione, 580 kcal/kg. Ora, aspettando un‟ora, verifico quanto ghiaccio si è sciolto: sapendo quanto ghiaccio si è sciolto so quanto calore è stato necessario per scioglierlo e moltiplico il tutto per 24 (il meccanismo viene effettuato per un‟ora, per sapere in un giorno basta moltiplicare per 24) e ottengo la misurazione del suo metabolismo basale. L‟importante è che il soggetto non faccia nulla, restare immobile, non essere impegnato nella digestione, non avere in corso processi mentali particolarmente complessi, non avere caldo o freddo, etc… il valore che ottengo è più o meno 3,5 kcal/kg al minuto, questo è il metabolismo basale medio di una persona. Tale valore è il minimo indispensabile per sopravvivere e si deve rapportare ai chili di peso del soggetto (3,5 x 50 in un soggetto che pesa 50 kg ad esempio). Nelle 24h, dunque, una donna avrà bisogno all‟incirca di 1000 Cal, mentre un uomo (20% in più di peso), con una massa muscolare maggiore della donna, avrà bisogno di 1200-1300 Cal a parità di peso e di altezza. Metabolismo basale: 3,5 x kg x 24h.
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Tale valore, 3,5 in fisiologia prende il nome di Met e corrisponde all‟unità di misura del dispendio energetico, ossia un Met è la condizione di base. Ovviamente iniziando una qualunque attività il dispendio aumenterà diventando 2 Met, 3 Met e così via molitiplicando poi 3,5 x 2 o x 3 ecc… 2) l‟altro metodo è la Calorimetria Indiretta. Io non misuro direttamente le calorie prodotte ma ci arrivo considerando che l‟energia nel nostro organismo si produce soprattutto grazie a processi ossidativi e questi consumano ossigeno, ovviamente, quindi un modo, ad esempio, è quello di considerare e misurare il consumo di ossigeno. So ad esempio che i nostri processi cellulari consumano 1L di ossigeno per produrre 5 kcal di energia, quindi posso prendere il soggetto, lo metto a riposo, gli inserisco un boccaglio e verifico quanto ossigeno consuma in un‟unità di tempo definita e alla fine devo soltanto moltiplicare per 5 poiché ogni litro di ossigeno corrisponde a 5 kcal; questo è ovviamente un metodo molto più semplice e facile rispetto al primo. Chiaramente 1L di ossigeno per 5kcal è una media poiché poi per ossidare gli zuccheri, e i grassi il consumo non è uguale, ma fondamentalmente si approssima a 5. Praticando una qualunque attività, ci potrebbe occorrere sapere in quanto tempo brucio un “tot” di calorie e anche qui posso usare la calorimetria indiretta sempre inserendo il boccaglio e valutando il consumo di ossigeno durante l‟attività. A questa misurazione possiamo associare quello che è definito “l’equivalente calorico dell’ossigeno”. Cos‟è? Ci chiediamo, è possibile sapere anche cosa il soggetto brucia durante un‟attività? Quanti grassi e quanti zuccheri? Certo. Per saperlo bisogna misurare sia il consumo di ossigeno ma anche la CO 2 prodotta e poi fare il rapporto tra CO2 e ossigeno consumato: se prendo un soggetto e lo nutro per tre giorni solo con carboidrati, faccio tale rapporto, vedo che il soggetto produce tanti litri di CO 2 quanti quelli di ossigeno consumato, ergo il rapporto è uguale a 1 L. Se invece nutro il soggetto con grassi, faccio tale rapporto, vedo che il rapporto è di non più di 0,7 L. Quindi con questo equivalente calorico dell‟ossigeno posso sapere a cosa corrisponde un rapporto pari a 0,8 che è un rapporto piuttosto basso indice del fatto che consuma prevalentemente lipidi e anche un po‟ di glucidi, con un rapporto 0,95 consuma quasi solo zuccheri. Prendendo un soggetto e facendogli fare un lavoro di media intensità (pedalare su una cyclette) valuto che nei primi dieci minuti egli avrà un equivalente calorico pari a 1, cioè nella parte iniziale della prestazione si stanno consumando solo zuccheri; passato un quarto d‟ora vedo che pian piano tale valore inizia a scendere e dopo circa mezzora diventa 0,7 , ossia gli zuccheri non vengono più bruciati durante l‟attività, si preferisce conservarli per il cervello e si iniziano a bruciare i grassi. (Attenzione! Cal con “C” corrisponde ad una kcal ed insieme corrispondono a 1000 cal con “c”) Quindi: una ragazza di cosa ha bisogno in termini di fabbisogni calorici? Il suo metabolismo basale è 1000 Cal al giorno, il suo metabolismo di attività fa arrivare, ad esempio, il valore a 1200 Cal, quindi abbiamo bisogno di darle 1200 Cal al giorno, non di meno e non di più. Sotto quale forma? Potremmo dare queste 1200 Cal solo come zuccheri oppure tutte come grassi, in teoria. Il modo migliore non è questo, ma è quello che garantisce la migliore qualità dei nostri meccanismi omeostatici. Il metodo in assoluto migliore, riconosciuto anche dagli istituti americani è la “dieta mediterranea”, ma in cosa consiste? Le 1200 Cal al giorno che deve assumere la ragazza devono essere composte almeno dalla metà, 55% da zuccheri che da soli devono dunque essere più della metà dell‟apporto calorico della dieta, poi il restante 45% deve essere diviso tra proteine e grassi; gli americani hanno dovuto “accettare” questo metodo poiché la loro dieta era composta da meno del 40% di zuccheri, dal 40% di proteine ed, infine, dal 20% di grassi. Proprio su queste proteine si è discusso tanto: si tende a considerare le proteine come un elemento “sempre” sano, e che quindi nella dieta doveva essere presente in grandi quantità. In realtà non è così: zuccheri e grassi nella loro struttura sono formati da carbonio, ossigeno e idrogeno mentre le proteine hanno in 266
più l‟azoto il quale richiede al fisico un grosso lavoro per essere eliminato sia da parte del fegato che del rene, dunque un grande carico proteico va a ripercuotersi sia sul fegato che sul rene. Negli anni „30 fino agli anni „60 l‟idea preponderante era che le proteine fossero indispensabili per creare le masse muscolari, mentre in realtà non hanno un ruolo significativo e ciò fu verificato grazie anche all‟esperimento di un allenatore russo: l‟atleta aveva una dieta iperproteica, cioè il 50% delle sue calorie erano prese dalle proteine (12 tuorli d‟uovo + 5 litri di latte intero + 1kg di carne al giorno); quando però questi atleti andavano in pensione tendevano ad avere problemi sia epatici che renali, quindi i medici sportivi segnalarono a questo allenatore la necessità di rivedere questa “dieta”. Inoltre l‟organizzazione mondiale della sanità dice che le proteine nella dieta devono essere comprese fra 1 e 1,5 grammi al giorno per kg di peso (un uomo di 70 kg mangerà dai 70 grammi ai 110 grammi al giorno), range considerato come “range ottimale”. Le uniche persone sane che possono prendere fino a 2 gr/die/ kg sono le donne gravide e le donne che allattano. Questi atleti russi arrivavano a prendere fino a 5-7 grammi al giorno per kg. Allora l‟allenatore divise gli atleti in due gruppi: ad uno continuò a far fare la sua solita dieta, mentre all‟altra metà diede 2 gr/die/kg di proteine per verificare poi la prestazione la quale risultò identica sia per il primo che per il secondo gruppo, ma la qualità della salute dei soggetti migliorò decisamente (azotemia più bassa, era contenuta anche la funzionalità renale), motivo per cui la dieta iperproteica fondamentalmente risultava inutile e dannosa. Quindi nella ragazza di prima che pesa in media 50 kg, l‟apporto proteico moltiplicato per 1,5 risulterà circa 75gr al giorno, moltiplicato ulteriormente per 4 kcal/gr (che è il valore energetico fornito dalle proteine) significa che le proteine possono portare non più di 200 kcal su 1200, ossia 1/6. Tutto sommato si può anche aumentare la quota di carboidrati fino al 60%, non toccare le proteine e giocare eventualmente coi grassi. Questa è la dieta mediterranea, non vi sono eccezioni per nessuno; l‟unica eccezione può essere rappresentata da un atelta che subito prima di una gara può affrontare una dieta particolare, ma fondamentalmente atleta o sedentario che sia ogni individuo dovrebbe osservare senza notevoli variazioni le indicazioni fornite dalla dieta mediterranea. Fornire le calorie adeguate ad un soggetto è estremamente importante ma è altrettanto importante non eccedere poiché in tal caso si incorre in un problema che ad oggi ha un‟elevata incidenza sociale: l‟origine di tale problema ha le sue radici nel medioevo, quando molte persone decidevano di darsi alla vita monacale. I monaci si dividono in monaci cenobiti (nei conventi) e i monaci eremiti (isolati). Il cenobita ha una qualità dell‟apporto alimentare decisamente migliore di quello dell‟eremita, il quale, non avrà le stesse probabilità di avere a disposizione lo stesso cibo del cenobita e fin dall‟inizio viene descritto un fenomeno interessante, che i monaci eremiti vivevano di più dei cenobiti, nonostante le loro condizioni. Le stesse cose furono descritte anche per i monaci buddisti, indù etc..motivo per cui non dipendeva da fattori ambientali o genetici, ma dipendeva evidentemente dall‟apporto alimentare. Nel 1936 l‟americano Mc Coyde fece una serie di esperimenti con topi e cani i quali venivano divisi in due gruppi, uno veniva lasciato libero di mangiare quello che voleva quando voleva, l‟altro invece veniva tenuto a dieta, mantenendo per quest‟ultimo lo stesso peso corporeo; la cosa importante è che entrambi mangiavano lo stesso cibo, dunque la differenza stava soltanto nella quantità di alimenti assunti. Un ratto albino in media vive 24 mesi, a questi ratti venne applicato l‟esperimento sopra descritto (32 ratti in totale, in due gruppi da 16) e si osservò che nel gruppo che era stato messo a dieta, ai 24 mesi arrivarono 14/16, mentre in quelli lasciati mangiare “ad libitum” solo 7/16 arrivarono ai 24 mesi. Questo è un dato alimentare importantissimo, ossia un eccesso alimentare causa un accorciamento della durata media della vita. Alla base di tutti i meccanismi che hanno a che vedere con questo fenomeno, vi sono una serie di geni, il “sistema delle sirtuine”, che consente di difendere l‟organismo dai ROS che si creano quando non si mangia in maniera spropositata (mangiare è un meccanismo che implica una serie di processi ossidativi e degradativi che inevitabilmente portano alla comparsa dei ROS). Questi geni, 267
che si attivano se l‟individuo non mangia troppo, sono presenti in tutti gli organismi e nei mammiferi sono le sirtuine, ma genericamente sono chiamati SIR un acronimo che sta per regolatori silenti dell‟informazione; queste sirtuine cosa fanno? Vanno letteralmente a spegnere interi pezzi di genoma, ordinandogli di non lavorare e in tal modo si riduce l‟attività della cellula al minimo indispensabile e così il poco apporto calorico del soggetto consente la sopravvivenza della cellula e dell‟individuo (si riducono al minimo i consumi, riducendoli allo stretto indispensabile per sopravvivere). La logica usata dalle case cosmetiche che “aggiungono” sirtuine alle creme per il viso è quella di ridurre i processi ossidativi delle cellule in modo tale che tali cellule risultino più sane e donino un aspetto più giovane. Quindi in definitiva è preferibile non mangiare in maniera estremamente esagerata. Dopo la quantità, parliamo della qualità di ciò che si dovrebbe mangiare: quali zuccheri? Quali proteine? Quali grassi? Lo zucchero per eccellenza è il glucosio e questo quando è ingerito è immediatamente trasportato ed utilizzato poiché risulta essere uno degli alimenti glicidici più semplici, più facilmente assorbibili e velocemente utilizzabili. La regola dice che si dovrebbe assumere 1gr di glucosio per chilo di peso, il cosiddetto “carico di glucosio”. Se do ad un soggetto un tot di glucosio e dopo gli faccio delle analisi noterò che il glucosio viene sia rapidamente assorbito che rapidamente ceduto alle cellule (la glicemia si abbassa rapidamente, ricordiamo che valori normali di glicemia a digiuno stanno sui 100mg/100ml). Se lo stesso esperimento lo faccio non con il glucosio ma con il saccarosio, disaccaride che non può essere assorbito in tale forma ma deve essere prima scisso nei due monosaccaridi, poi trasformato in glucosio e infine assorbito, noterò che il comportamento è diverso, sale il quantitativo di saccarosio e rimane più tempo in circolo. Ancora, se do amido (quindi pasta), che è un polisaccaride, osserverò che il tempo di permanenza, e di digestione dell‟amido è certamente molto più lungo dei precedenti, poiché l‟amido deve essere digerito con meccanismi più complessi. Il comportamento del glucosio è definito come il valore base a cui gli altri fanno riferimento e tale concetto viene indicato col nome di “indice glicemico”. Ogni alimento di tipo glicidico ha un suo indice glicemico, ossia un valore numerico che si rapporta a quello del glucosio, che è 1; il valore più alto che si può ottenere e per l‟appunto quello del glucosio, tutti gli altri sono inferiori, ossia richiedono manipolazioni durante la digestione che rallentano la disponibilità per i tessuti. Conseguenza? Il picco di glicemia è il responsabile della stimolazione delle cellule beta del pancreas, ossia quelle produttrici dell‟insulina, l‟insulina che produciamo non dipende dalla quantità totale di zuccheri che entra ma solo dal picco glicemico (che ricordiamo è assoluto col glucosio e va via via scemando con zuccheri più complessi), quindi l‟insulina prodotta con 50 gr di glucosio sarà maggiore di quella prodotta con 50 gr di saccarosio o di quella prodotta con 50 gr di amido, dunque stessa quantità di zuccheri ma diverse quantità di insulina prodotta, e quindi nelle diete è importante evitare gli zuccheri semplici, preferendo quelli più complessi a molto più basso indice glicemico, poiché non fa “sforzare” le cellule beta del pancreas, ritardando il loro esaurimento che inevitabilmente in tarda età porta a diabete, con tutte le patologie associatevi quali infarto, ictus, insufficienza renale, cecità, amputazione degli arti inferiori. Quindi regola numero 1 in una dieta i glicidi devono essere complessi (pane, pasta, riso) ed evitare quelli semplici rappresentati soprattutto dal saccarosio (dolci e dolciumi vari). Le proteine, composte da una ventina di AA che per i 2/3 sono fabbricabili anche dal nostro corpo stesso, mentre per 1/3 li dobbiamo introdurre dall‟esterno, quelli definiti aa essenziali (fenilalanina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, treonina, triptofano, valina). Le proteine che contengono tutti questi AA essenziali sono tutte quelle animali, al primo posto vi sono le proteine di latte umano e uova, poi vi sono le proteine dei pesci, infine vi sono i vegetali, che, però, sono tutte proteine carenti di almeno un paio di AA essenziali. 268
I vegetariani che non mangiano né carni ne derivati animali, quello che si definisce vegano e si nutre solo di vegetali, come fa? Le proteine che introduce sono sempre carenti di AA essenziali e dovrebbe essere talmente bravo a conoscere gli alimenti che mangia che innescherebbe il cosiddetto “meccanismo della turnazione”, ossia alternando una serie di alimenti durante la settimana dovrebbe tentare di sopperire a queste carenze; in realtà ad oggi questo problema è stato in parte risolto grazie alla scoperta delle proteine della soia, la quale contiene tutti gli AA essenziali, anche se il contenuto di metionina è molto basso, quindi è stata fatta una operazione, è stata modificata geneticamente la soia che contiene un buon quantitativo di metionina risultando così in grado di sopperire ai fabbisogni dell‟organismo. Quindi la soia modificata geneticamente sarà certamente completa dal punto di vista nutrizionale, ma da altri punti di vista non è un alimento ottimale, mentre la soia naturale è di certo più sicura dell‟altra ma più carente di metionina. Ancora, i vegani potrebbero associare alle proteine della soia quelle del glutine. Il glutine rappresenta una miscela di proteine contenute in tutti i cereali (e che causano la celiachia negli intolleranti) che possono essere estratte da questi ultimi; si tratta, dunque, di un prodotto modificato, estratto, che prende il nome di Seitan, il quale, comprende tutti gli AA essenziali tranne due fondamentali, la treonina e la valina. La conclusione è che il vegano deve avere una conoscenza assoluta di ciò che mangia altrimenti inevitabilmente rischia di andare in carenza, a meno che non accetti di mangiare soia geneticamente modificata. Regola numero 2, mangiare proteine animali e del pesce preferenzialmente ed, eventualmente, anche proteine vegetali che però devono contenere in toto dai 10 ai 30 mg al giorno per kg di peso corporeo di AA essenziali. I grassi invece rappresentano un‟eccezione: nel nostro organismo abbiamo grassi a catena chiusa e grassi a catena aperta; i primi sono tutti derivati del colesterolo, che fabbrichiamo senza difficoltà e che non necessitano di assunzione esogena. Il problema fondamentale non riguarda questi, bensì quelli a catena aperta, gli acidi grassi, che si dividono in due categorie: saturi, che produciamo anche noi, ed insaturi che dobbiamo assumere con la dieta e rappresentano i cosiddetti acidi grassi essenziali i quali, non sono prodotti né dall‟uomo né da nessun altro animale! Quindi i grassi animali non servono nella dieta poiché sono solo ricchi di acidi grassi saturi (burro) e fondamentalmente non contribuiscono al fabbisogno nutrizionale. Gli acidi grassi insaturi comprendono, ad esempio, i derivati dell‟acido linoleico, i cosiddetti Ω-3 (fabbisogno settimanale di 30 mg) e Ω-6 inseriti al primo posto nella classifica, che si trovano nei pesci e nei cibi vegetali. Uno dei più importanti acidi grassi insaturi che si trova nei cibi vegetali è l‟acido oleico nell‟olio di oliva, il quale non solo è insaturo ma inoltre, a differenza degli altri acidi grassi che sono sensibili all‟aumento di temperatura e a 400-450° si spezzano formando aldeidi (ovviamente dannosissime per noi), questo non si spezza e si può riscaldare anche fino a temperatura elevatissime senza problemi e inoltre ciò consente di poter riutilizzare lo stesso olio per altre fritture, ad esempio. Curiosamente, invece, nella nostra cultura succede l‟opposto, cioè l‟olio di oliva è messo a crudo nell‟insalata, e l‟olio di semi viene usato in fritture, mentre in teoria l‟ottimale dovrebbe essere l‟opposto. Quindi regola numero 3, per i grassi meglio mangiare pesci e acidi grassi di origine vegetale. Il soggetto che vuole “mettersi a dieta”, come può sapere come impostare tale dieta? Bisogna conoscere la percentuale di grasso che l‟individuo possiede: un maschio adulto normopeso possiede circa 12-13% del peso sottoforma di grasso, una donna normopeso possiede almeno il 25% di peso sottoforma di grasso, differenza data da una serie di fattori comprendenti ormoni, il sesso, etc.. Tale grasso si distribuisce in modo diverso, nelle donne fertili (periodo di tempo compreso fra menarca e menopausa) gli estrogeni agiscono sui grassi in modo caratteristico, cioè questi grassi si vanno a posizionare soprattutto nel sottocutaneo, mentre nei maschi solo una parte si localizza nel sottocutaneo mentre il resto si deposita fra le anse intestinali, nella cavità addominale; per tale motivo quando una donna ingrassa aumenta lo spessore del suo pannicolo adiposo sottocutaneo, 269
mentre quando ingrassa un uomo aumenta sia il pannicolo sia l‟addome perché cresce dall‟interno, cresce proprio il pannicolo adiposo addominale che si manifesta alla fine con la cosiddetta “panza” presente solo negli uomini, anche se, nella donna in menopausa che non produce più estrogeni, si avrà anche in lei l‟accumulo di grasso periviscerale, la “panza”. Il pannicolo adiposo sottocutaneo è composto da cellule adipocitarie che rappresentano il sistema di riserva energetica da utilizzare al bisogno. Gli adipociti che ognuno di noi possiede sono in numero fisso dalla pubertà in poi, circa 70 miliardi, che variano di dimensione, ossia se si è magri saranno più piccole, se si è più grossi saranno più grandi. L‟obesità dell‟adulto risulta quindi ipertrofica poiché non è legata all‟aumento del numero di cellule adipocitarie ma solo ad un aumento delle dimensioni di quelli già esistenti; il processo che causa questo aumento sappiamo essere la lipogenesi, un meccanismo che è fondamentalmente legato all‟azione dell‟insulina, la quale quindi non solo consente di sfruttare il glucosio ingerito ma favorisce anche la trasformazione di questo glucosio in eccesso in grassi di deposito. Però ciò si verifica dalla pubertà in poi, prima della pubertà non avviene questo; nei bambini che mangiano molto (e male) l‟insulina non si limita a far ingrossare gli adipociti già presenti ma consente anche la proliferazione di questi stessi adipociti, quindi, fino alla pubertà l‟obesità non è ipertrofica, ma iperplastica cioè legata ad un aumento di numero delle cellule adipocitarie e soprattutto è un meccanismo irreversibile, ossia una volta che queste cellule aumentano poi resteranno così per sempre. Nelle donne si hanno, poi, degli adipociti diversi nella cintura toracica e in corrispondenza della cintura pelvica che non solo sono sensibili all‟insulina ma sono sensibili anche agli estrogeni, motivo per cui queste due zone quando arriva la pubertà iniziano ad ingrandirsi. Qual è la conseguenza di obesità ipertrofica? Nel maschio l‟adipocita contiene un enzima che ha un ruolo importante nel trasformare il testosterone in estrogeni, l‟aromatasi; questo enzima è presente anche nella donna: gli androgeni prodotti dall‟ovaio vengono convertiti in loco in estrogeni. Nei primi cicli mestruali una ragazza potrebbe avere un‟attività aromatasica ancora non eccellente e quindi produce androgeni ma non riesce a trasformarli in estrogeni e i segni caratteristici di questa situazione, sia nel maschio, dove risulta più normale, che nella femmina , sono l‟acne e l‟irsutismo. L‟acne è un processo d‟iperproduzione di sebo da parte della ghiandola sebacea che porta alla sua ostruzione, proliferazione batterica al suo interno e suppurazione della ghiandola con la comparsa del brufolo. Tutte le volte che c‟è acne, che sia maschio o femmina, c‟è un eccesso di androgeni. Nel maschio l‟aromatasi è presente solo negli adipociti per cui una piccola quota di androgeni, quando passa dal tessuto adiposo è convertita in estrogeni; normalmente vi sono 70 miliardi di adipociti e la quantità convertita è modesta, ma se già un bambino inizia a soffrire da piccolo di obesità (con tutto quello che si correla in termini di aumento degli adipociti), l‟attività aromatasica aumenta di più volte, la quantità di androgeni convertiti sarà di più: durante la pubertà la quantità di androgeni che andranno ad agire sullo sviluppo sarà certamente minore mentre agiranno un po‟ più del normale gli estrogeni. Il bambino diventa così un ragazzo rotondetto, coi genitali piccolini, con pochi peli, con un aspetto roseo, etc che manifesterà dunque questa patologia nota come “sindrome adiposo genitale”. Piccola digressione: “Vi racconto un episodio bellissimo, che mi è successo al terzo anno di medicina; al terzo anno noi avevamo la microbiologia e il mio professore di microbiologia era „n figghiu ri bona matri che trattava gli studenti in maniera indecente, basti pensare che noi dovevamo fare esami in giacca camicia e cravatta a luglio e iddo si presentava in mutande e camice..pe‟ capire il personaggio. Fa esami un mio collega che aveva la sindrome adiposo genitale, roseo senza un pelo, intelligentissimo, cu st‟aspetto sferico e un poco liscio. Quello lo guarda e ci fa “io sono convinto che tu con una donna nun c‟ha statu mai, avanti ri a verità si veggine”, iddu mutu, “avanti dimmi 270
la verità tu sei vergine”, chiddu non batte ciglio, finalmente si decide a fargli l‟esame, 30 e lode, si pigghia u libretto, firma, arriva aravanti a porta, si gira e fa “in merito alla domanda che mi ha posto all‟inizio dell‟esame, può avere esauriente risposta da sua sorella”. Nu autri c‟ama ffari esami ninniemu tutti giustamente, abbiamo rinunciato all‟appello ma l‟abbiamo portato in trionfo, gli abbiamo offerto la cena, ha vendicato tutti…bellissimo. Chiddu accuminciau a fari vuci “come si permette”…lo abbiamo baciato ecc.” Nella donna c‟è un ulteriore problema, normalmente gli adipociti hanno a disposizione un capillare a testa e, finché sono 70 miliardi non ci sono problemi, ma se io li faccio proliferare, verranno fuori altri adipociti, ma non aumenterà il numero dei capillari; esistono infatti degli adipociti quiescenti che vengono differenziati dall‟insulina e diventano adipociti a tutti gli effetti. Nel momento in cui, quindi, aumenta il numero di tali cellule verranno nutrite dai capillari già esistenti, ma tutte queste cellule non avranno la stessa disponibilità di nutrienti, la cellula più vicina al capillare sarà la più nutrita, mentre quella più lontana lo sarà di meno. Quello che ci si aspetta è che le cellule più lontane possono andare incontro ad un processo di atrofia, un processo che non risulterà uniforme ma si avrà una situazione lacunare che prende il nome di “buccia d‟arancia”. I bambini obesi sono un serio problema nei paesi industrializzati poiché sono bambini che non solo sono obesi ma lo sono perché ingerisono zuccheri semplici che abbiamo classificato come dannosi (merendine, nutella ecc), quindi è necessario creare una cultura vera e propria nel non “addubbare u picciriddu” ma invece tenerlo a stecchetto. Quindi un individuo che vuole dimagrire dovrà ovviamente assumere un quantitativo di calorie inferiore al suo fabbisogno giornaliero, in modo tale che le calorie mancanti le procurerà bruciando i grassi di deposito che porteranno al progressivo dimagrimento. Come so però quanti grassi possiede l‟individuo? Ci sono diversi metodi: 1) consiste nel misurare in un punto preciso, ossia la parte posteriore del terzo medio del braccio, lo spessore della piega cutanea. Per avere una prova più precisa si può prendere anche la misurazione dello spessore della plica cutanea sita nella fossa iliaca (maschio) o il cuscinetto peritrocanterico (donna). 2utilizzo di una macchinetta che consente di conoscere esattamente la percentuale di grasso corporea; il funzionamento prevede la caratteristica secondo cui un adipocita è un pessimo conduttore di energia elettrica, quindi maggiore è la concentrazione di grassi nel corpo maggiore sarà l‟impedenza (resistenza). Si posiziona un elettrodo sulla mano, l‟altro sul piede e si invia una corrente elettrica che passerà attraverso il corpo e, se io conosco l‟intensità della corrente e il voltaggio che impongo io stesso, posso ottenere il valore della resistenza (V=R x i - R=V/i) che, più sarà alta, maggiore sarà la percentuale di grasso presente in quel corpo. La macchinetta è tarata inserendo alcune informazioni, sul sesso, sull‟altezza, sul peso e sull‟età e la macchinetta ci darà la differenza tra il peso che il soggetto possiede e il peso dei grassi misurati, quindi la massa magra: se si ottiene, ad esempio, una percentuale di grassi concentrata del 6% sarà il valore da aggiungere alla base fisiologica del 10% per i maschi e del 15% per le femmine. Un fattore da tenere presente durante queste misurazioni è la struttura ossea poiché con ossa piccola la massa grassa incide di più durante la misurazione, mentre con ossa larghe incide di meno. Una volta stabilita la quantità di grasso da perdere durante la dieta, devo considerare che nelle prime settimane di dieta quello che si perde è fondamentalmente acqua, mentre ciò che si deve perdere sono “mm di tessuto” ossia grassi, quindi dando una dieta di 1000 Cal ad una ragazza che ha un fabbisogno giornaliero di 1200 Cal dopo alcuni giorni ella inizierà ad avvertire la fame, quindi, non potendo ridurre ulteriormente le calorie, vado ad agire sul consumo (attività fisica) in modo tale che bruciando grassi con tale attività si può portare la dieta anche a 1100 Cal così da farle mangiare qualcosa in più ed eliminare la sensazione di fame. L‟attività fisica che si attua non porta sostanzialmente ad una modifica del peso, poiché si va a sostituire il tessuto adiposo col tessuto muscolare. La perdita di peso si attua velocemente durante le
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prime settimane tra perdita di acqua e pochi grassi, dopodiché interviene la tiroide che rallenta il dimagrimento.
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Lezione 20 APPARATO DIGERENTE Abbiamo già introdotto il concetto di alimentazione, di nutrizione. Ogni molecola del nostro corpo è il prodotto di quello che abbiamo introdotto dall‟esterno e più o meno abbiamo utilizzato per sostituire, aggiustare, modificare le parti del nostro corpo. Inoltre, una parte di quello che introduciamo dall‟esterno, anziché a scopo plastico serve a procurare energia. Quindi c‟è una seconda necessità : quella di far entrare dall‟esterno sorgenti energetiche. Molecole a scopo plastico e molecole a scopo energetico sono presenti in quello che noi chiamiamo alimento e per consentirne l‟entrata noi abbiamo un lungo tubo (di diversi metri) con due aperture: una permette l‟entrata, l‟altra permette l‟uscita di quello che non è stato gradito dal sistema oppure il sistema ha deciso di eliminare in maniera indipendente da ciò che abbiamo assunto. L‟apparato digerente rappresenta l‟interfaccia fra noi e il mondo esterno: le sostanze di cui abbiamo bisogno sono il mondo esterno e il tubo rappresenta il modo per permettere a queste sostanze di passare dal mondo esterno all‟interno del nostro organismo. Si tratta di sostanza liquide o solide mentre per i gas c‟è l‟apparato respiratorio. Io vi darò i concetti principali, poi voi fate i dettagli. Qual è lo scopo dell’apparato digerente? Le sostanze estranee che penetrano nel nostro organismo sono destinate ad essere gestite dal sistema di difesa come potenziali pericoli. Qualsiasi sostanza estranea che penetra nel nostro organismo viene considerata un antigene. Se nell‟organismo penetra una qualunque proteina, o glicoproteina, o lipoproteina ecc., queste verranno immediatamente considerate come estranei (cioè antigeni) e contro di essi verranno attivati dei meccanismi di difesa. Quindi il primo compito dell’apparato digerente è fare in modo che queste sostanze non vengano considerate antigeni e l’unico modo per fare ciò è quello di demolirle da strutture complesse a strutture estremamente semplici (quindi se sono polisaccaridiin monosaccaridi; se sono proteine in aminoacidi; se sono trigliceridi in monogliceridi) e queste forme semplici perdono capacità antigeniche e possono essere portati all‟interno senza particolare difficoltà. Nessun polipeptide che abbia dimensioni superiori a 3 aminoacidi è in grado di essere assorbito , anche perché scatenerebbe immediatamente una reazione antigenica e quindi diventerebbe per l‟organismo un potenziale nemico da combattere. Quindi : prima di assorbire, devo demolire da molecole complesse a molecole semplici. Questo processo di demolizione in parte meccanico e in parte chimico prende il nome di digestione. L‟insieme dei due processi di digestione e di assorbimento deve avvenire all‟interno dell‟apparato digerente. Il 90% dei fenomeni importanti avviene a livello dell‟intestino tenue , tutto il resto ha un ruolo accessorio. Un uomo può vivere senza lo stomaco o senza il colon, ma non può vivere senza l‟intestino tenue, fondamentale per i processi di assorbimento. Tutto comincia quando decidiamo di mangiare qualcosa. Noi mangiamo per due motivi: 1. Per fame. Questo motivo è biologico ed è collegato alla diminuzione di glicemia. Tutte le volte che nel sangue diminuisce la glicemia, noi abbiamo una minore concentrazione di glucosio in circolo. Fondamentalmente a noi interessano due sensori che misurano il glucosio circolante: 1. Uno è il sistema nervoso, in particolare l‟ipotalamo: se c‟è molto o poco glucosio viene attivata una rete di neuroni che alla fine determina la sensazione di fame o di sazietà. Se la glicemia è bassa sensazione di fame Se la glicemia è alta sensazione di sazietà 2. Altri sistemi importanti sono fuori dal sistema nervoso. In particolare ricordiamo che il glucosio penetra all‟interno delle cellule del nostro corpo tramite l‟insulina e uno dei 273
target preferiti del glucosio, grazie all‟insulina, è rappresentato dalle cellule del tessuto adiposo : gli adipociti. Gli adipociti hanno un compito preciso : tutto il glucosio non utilizzato, in eccesso rispetto a quello necessario per produrre energia, viene avviato ad una trasformazione che farà in modo che nella cellula aumentino i depositi per i momenti di necessità, questi depositi sono rappresentati principalmente dai trigliceridi. Gli adipociti sono quindi dei misuratori eccellenti di glicemia e non solo di glicemia , ma anche di aminoacidemia, misurano anche i NEFA. Ogni volta che mangiamo poco : diminuiscono in circolo gli aminoacidi e il glucosio mentre aumentano i NEFA (cioè diminuisce la presenza di trigliceridi e aumentano invece i NEFA). Questo si verifica in caso di diminuito apporto nutrizionale o, a parità di apporto nutrizionale, in caso di aumentato consumo (per es. in caso di attività fisica- c‟è un bilancio tra entrate e uscite). Quando gli adipociti registrano una glicemia elevata producono un ormone : la leptina , che va in circolo e a livello ipotalamico induce una sensazione di sazietà. Più leptina c‟è in circolo meno mangiamo (leptos in greco vuol dire sottile). Esistono anche altri ormoni di questo tipo, come per esempio la grelina che viene prodotta quando diminuisce la glicemia e quindi induce la sensazione di fame. C‟è un equilibrio tra gli ormoni periferici ( leptina e grelina) e i meccanismi centrali che di fatto mettono in moto i comportamenti di “ricerca del cibo” o di “rifiuto del cibo”. 2.Quelli appena descritti sono dei meccanismi biologici, ma noi non mangiamo solo per fame, mangiamo anche per appetito. Nonostante non ci siano motivazioni strettamente caloriche, che possano giustificare l‟ingestione di cibo, ingeriamo comunque qualcosa che ci piace. In questo caso preferiamo valorizzare altri aspetti dell‟alimento , quindi lo mangiamo non per quello che ci apporta sul piano calorico per ma per il piacere che ci procura sul piano puramente psicologico. (Questo è un discorso che approfondiremo l‟anno prossimo, parlando del binomio anoressia-bulimia). Per il momento ci atteniamo ad un sistema che è nato per farci cercare il cibo quando i nutrienti diminuiscono e che invece ci fa cessare la ricerca del cibo quando i nutrienti aumentano. Un tempo ovviamente i supermercati non erano previsti e quindi c‟erano periodi in cui si mangiava più facilmente e altri in cui si mangiava più difficilmente. Questa forte irregolarità nell‟assunzione del cibo ha reso necessaria la realizzazione di meccanismi ormonali che devono entrare in gioco quando si devono affrontare lunghi periodi in cui non c‟è cibo oppure quando per lunghi periodi, l‟apporto alimentare è superiore al fabbisogno energetico del soggetto. Entrano in gioco almeno una dozzina di ormoni che devono cooperare in questo complesso meccanismo con lo scopo principale di : mettere da parte nel momento dell‟abbondanza , per poi utilizzare nel momento del bisogno. Esistono ormoni per l‟abbondanza, prima tra tutti l‟insulina… ecc ecc. Nel momento in cui si decide di mangiare, tutto comincia col portare il cibo alla bocca e nel momento in cui il cibo entra in bocca, viene a contatto con una serie di recettori che ci permettono di analizzarlo. Alcuni recettori sono generici : di quel cibo possiamo facilmente apprezzare la temperatura, la consistenza… ;altri recettori invece analizzano nello specifico la consistenza chimica del cibo. Entrano in gioco: - Dei recettori capaci di recepire delle molecole solubili in acqua presenti nell‟alimento; - Dei recettori capaci di recepire le molecole volatili presenti nell‟alimento. Le molecole solubili in acqua presenti nell’alimento, si sciolgono nell‟acqua presente all‟interno della bocca e vengono a contatto con i recettori gustativi Mentre le sostanze volatili dall‟interno risalgono dalle coane e vengono a contatto con i recettori olfattivi. La somma di questi due elementi ci permette di apprezzare il sapore del cibo che stiamo mangiando. Il sapore di un cibo è l‟insieme di tre informazioni : 274
1. Informazione gustativa 2. Informazione olfattiva 3. E poi abbiamo un‟informazione aspecifica (consistenza, temperatura, ecc.) Tenete presente inoltre che prima di mettere in bocca il cibo, l‟abbiamo visto, quindi abbiamo anche una prima fase in cui vediamo il cibo. In caso di raffreddore la capacità di apprezzare il sapore del cibo peggiora perché viene meno la componente olfattiva. I sapori sono fondamentalmente collegati a questi recettori linguali gustativi che sono 5 tipi (distribuiti in vari modi nella lingua) e che ci permettono di apprezzare i 5 sapori fondamentali che poi nei vari cibi si mescolano tra di loro ; per cui dalla quantità con cui incide l‟uno o l‟altro di questi 5 elementi derivano le differenze di sapore (aggiungendo poi la componente olfattiva e le componenti aspecifiche). Una delle prime coppie che noi apprezziamo è dolce /amaro, un‟altra coppia di sapori che noi apprezziamo è salato/acido e infine esiste una nuova categoria, introdotta dai giapponesi, e che prende il nome di umami ,che corrisponde praticamente al glutammato e che è il sapore tipico della carne. Miscelando queste cinque cose (dolce, amaro, salato,acido e umami) riusciamo a ricostruire il sapore di un alimento che stiamo mangiando, poi aggiungiamo l‟olfatto, aggiungiamo che prima l‟abbiamo visto e alla fine mettiamo insieme due cose fondamentali : - Da un lato ciò che stiamo apprezzando - E dall‟altro il fatto che abbiamo una memoria di ciò che in precedenza abbiamo mangiato Quindi possiamo fare un paragone tra l‟evento che stiamo vivendo con il nostro bagaglio di informazioni gustative, olfattive e quindi di sapori che ognuno di noi possiede. La prima cosa che facciamo quando introduciamo il cibo in bocca è triturarlo. La triturazione è un evento meccanico che viene affidato ai denti. Il compito dei denti è quello di frantumare il cibo e questa frantumazione ha diversi compiti, il più banale è quello di passare da pezzi più grossi a pezzi più piccoli. Quindi la frantumazione del cibo avviene ad opera della cosiddetta masticazione. La masticazione è un processo legato a muscoli specializzati che si trovano ad agire sull‟unica articolazione mobile della testa : l’articolazione temporo-mandibolare e che quindi permettono alla mandibola di muoversi rispetto alla mascella. Questi movimenti possono essere : - Sul piano verticale cioè di flesso – estensione - Sul piano orizzontale cioè di triturazione Generalmente : - i movimenti sul piano verticale servono per afferrare; - mentre i movimenti sul piano orizzontale servono per triturare. Inoltre : - I movimenti sul piano verticale favoriscono l‟azione dei denti anteriori (cioè degli incisivi) - I movimenti sul piano orizzontale favoriscono l‟azione dei denti posteriori (cioè dei molari che hanno proprio una base quasi piatta su cui possono andare ad operare la triturazione) Ognuno di noi dovrebbe avere 32 denti. In realtà nella prima dentizione, che si sviluppa dopo la nascita, sono previsti 20 denti , che verranno poi sostituiti, ed entro la pubertà in teoria la dentizione dovrebbe essere quella definitiva. Anche se il terzo molare può anche ritardare anni o non comparire mai. La masticazione ha anche altri compiti perché modificando continuamente la posizione statica del boccone, del bolo, ne permette il contatto con il secreto che c‟è all‟interno del cavo orale e quindi 275
permette il mescolamento tra ciò che proviene dall‟esterno (il bolo alimentare) e la saliva che invece è prodotta all‟interno del sistema. La masticazione avviene grazie a muscoli specializzati. Il più potente muscolo che agisce sul piano verticale è il massetere che è “antagonizzato” dagli pterigoidei; questa coppia di muscoli permette i movimenti sul piano verticale. Tutti i muscoli che partecipano alla masticazione sono innervati dal V nervo cranico , che nella terza branca (cioè quella mandibolare) possiede anche una componente motoria (mentre nelle altre due branche abbiamo solo una componente sensitiva). Quindi tutta la masticazione è affidata alla branca motoria del trigemino. Ovviamente il trigemino è bilaterale , la muscolatura di sinistra è affidata al ramo mandibolare del trigemino di sinistra ( e la stessa cosa a dx) e quindi si possono ammalare separatamente. Per cui potete avere un soggetto che da un lato mastica e dall‟altro no, perché si è compromesso il trigemino di un lato. Non è detto che le malattie si verifichino simmetricamente, anzi tecnicamente è meno probabile. La masticazione è avviata volontariamente ma poi è mantenuta automaticamente. C‟è un centro tra ponte e bulbo che mantiene l’automaticità della masticazione : basta pensare a quando mettete in bocca una gomma americana, continuate a masticarla senza neanche pensarci e senza nessuna attività volontaria, l‟operazione viene mantenuta dalla presenza di uno stimolo meccanico nel cavo orale e lo stimolo meccanico continua a indurre il processo della masticazione. La masticazione potrebbe andare avanti per ore, l‟unico evento che non deve avvenire è che il bolo vada posteriormente all‟istmo delle fauci. Se per un istante perdete il controllo e il bolo va dietro all’istmo delle fauci, scatta un riflesso che è inarrestabile e che induce la deglutizione. Quindi il bolo passa verso l‟esofago e poi verso lo stomaco. Le deglutizione è affidata al muscolo striato presente nella faringe e nel terzo superiore dell‟esofago, innervato dalla componente motoria del vago ( motoria striata quindi stiamo parlando dell‟ambiguo), mentre per il resto dell‟esofago costituito da muscolatura liscia non interviene più l‟ambiguo ma il nervo motore dorsale del vago (cioè fibre parasimpatiche). Quindi l‟inizio del processo della deglutizione può essere anche volontario, ma una volta avviato, viene mantenuto automaticamente attraverso il processo della muscolatura liscia esofagea. L‟esofago è lungo circa 40 centimetri e per percorrerlo tutto, con dei movimenti di tipo peristaltico, il bolo alimentare ci mette circa mezzo minuto, 20- 25 secondi, e non è influenzato dalla forza di gravità. Quindi se inghiottiamo qualcosa o siamo seduti, o coricati, o in piedi, la progressione dalla cavità orale verso l‟esofago avviene in maniera del tutto indifferente, non viene modificata in alcun modo ( i romani mangiavano sdraiati o gli astronauti non hanno proprio la forza di gravità). La masticazione deve consentire il mescolamento di ciò che abbiamo mangiato con la saliva, secreto che si trova nel cavo orale. La saliva è un liquido costituito per il 99,5% da acqua, che viene prodotto ( circa 1 litro – 1 litro e mezzo al giorno) da ghiandole specializzate che si trovano annesse alla cavità orale. Distinguiamo tre ghiandole cosiddette “macro” e un migliaio di ghiandole cosiddette “micro”. Le tre ghiandole macro sono : - Parotide - Sottomandibolare - Sottolinguale La parotide è situata a livello della mandibola, per cui se la parotide si ingrossa spinge il lobo dell‟orecchio verso l‟alto ed è quello che succede nella parotite epidemica (e siccome il lobo viene spostato verso l‟alto viene chiamata anche “orecchioni”) La parotide è attraversata per tutta la sua lunghezza dal nervo faciale, per cui i chirurghi che devono operare a tale livello hanno un elevatissimo rischio di danneggiare il faciale e quindi provocare al soggetto una paresi. La ghiandola sottomandibolare è più piccola della parotide ed è situata alla base della mandibola. Poi sotto la lingua ci sono le sottolinguali. 276
Il 75% della saliva viene prodotto dalle ghiandole sottomandibolari (che da sole producono circa i ¾ del contenuto totale di saliva). La parotide produce circa il 20% della saliva prodotta, la sottolinguale non più del 5% e il resto (circa il 4-5%) viene prodotto da un migliaio di ghiandole salivari sparse tra lingua, mucosa orale ecc, non organizzate in vere e proprie ghiandole che contribuiscono però in maniera relativamente modesta. Le ghiandole che producono saliva sono caratterizzata da due tipi di cellule: - Da un lato ci sono le cellule specializzate per produrre il muco, la componente mucosa della saliva e cioè mucopolisaccaridi. - Dall‟altro lato ci sono cellule più chiare che invece devono produrre la parte sierosa della saliva (cioè acqua, Sali, elettroliti …) Quali sono le sostanze che costituiscono la saliva? La saliva è costituita da: 1. Una serie di ENZIMI: Il primo enzima che incontriamo è l‟ alfa amilasi che digerisce i legami alfa-1,4- glucosidici dell‟amido. Tuttavia lo fa male: lo fa solo se l‟amido è crudo e impiega anche molto tempo per farlo, di solito non c‟è tutto questo tempo a disposizione a livello del cavo orale, per cui di fatto il suo ruolo è relativamente modesto. Esistono anche altri enzimi : lipasi salivare, fosfatasi acida… tutti enzimi che hanno un ruolo modesto. 2. Le sostanze più importanti non sono gli enzimi digestivi, che invece hanno un ruolo piuttosto modesto, ma sono invece fondamentali le SOSTANZE CON AZIONE BATTERICIDA. Nessuno di noi mangia cibo sterile ed è normale la presenza di una flora batterica all‟interno di ciò che mangiamo, a maggior ragione se il cibo che ingeriamo è crudo ( la verdura, la frutta..). Questi batteri nella maggior parte dei casi sono innocui ma possono anche essere pericolosi e quindi questo rappresenta un primo meccanismo di difesa che ci permette di eliminarli. Noi produciamo diversi tipi di sostanze in grado di poter agire contro i microbi introdotti dall‟esterno : lisozima, IgA ecc ecc. Esiste quindi un sistema di barriera che dovrebbe proteggerci da questi microrganismi. Se io in questo momento prendessi un millilitro della saliva della vostra collega ci troverei : 5-6 milioni di cellule di sfaldamento della mucosa (che presentano un elevato turnover) e mezzo miliardo di batteri di varia natura. Questo ci fa capire che poi quando inghiottiamo, la deglutizione porterà allo stomaco non solo il cibo ma anche numerosissimi microrganismi più o meno graditi che devono essere neutralizzati. Lo stomaco è il grande filtro che ci permette di eliminare la stragrande maggioranza di questi microrganismi che penetrano insieme al cibo. 3. SOSTANZE AD AZIONE RIPARATIVA , quindi per esempio, l‟immagine dell‟animale ferito che si lecca la saliva, ha un valore fisiologico importante perché leccare la ferita significa mettere a contatto con la ferita sia sostanze battericide che sostanze cicatrizzanti (basti pensare alle “orfanine” di cui parleremo l‟anno prossimo). Quindi : nelle 24 ore noi produciamo circa 1 – 1,5 L di saliva. Questa saliva viene prodotta sempre, anche quando siamo a digiuno, il cavo orale non è mai completamente asciutto. Tuttavia appena si introduce qualcosa nel cavo orale immediatamente scatta la produzione di saliva, non è importante cosa si introduce, anche una pietra, un qualsiasi stimolo di natura meccanica è in grado di stimolare la secrezione di saliva. Per cui le ghiandole salivari hanno una secrezione di base (sempre presente) e poi hanno una secrezione che può essere incrementata durante l‟arrivo del cibo. Le ghiandole salivari sono innervate dal parasimpatico:
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La parotide è innervata principalmente dal glossofaringeo (quindi attraverso il ganglio ottico, fibre parasimpatiche eccito secretorie arrivano alla parotide) Mentre le altre due (sottomandibolare e sottolinguale) sono innervate nel nervo intermedio di Wrisberg, cioè attraverso il settimo . Anche qui : l‟acetilcolina, i recettori di tipo muscarinico e quindi anche qui un effetto eccitosecretorio . Ogni volta che attivate il parasimpatico, si ottiene un‟ attivazione della secrezione. Qui arrivano anche fibre ortosimpatiche noradrenergiche dal ganglio cervicale superiore, che va ad innervare tutte le ghiandole salivari. L‟ortosimpatico ha una funzione curiosa perché : se vengono attivate le fibre dell‟ortosimpatico inizialmente nelle ghiandole salivari si ha una vasocostrizione quindi arriva meno sangue –> e quindi la secrezione salivare si riduce. Tuttavia questo è un effetto temporaneo, bastano pochi minuti e si osserva che la stimolazione ortosimpatica , superata questa fase iniziale , diventa eccito- secretoria. Compare quindi una secrezione, abbastanza fluida, poco ricca di sostanze, abbastanza diversa da quella indotta dal parasimpatico e quindi alla fine sia il parasimpatico che l‟ortosimpatico provocano un‟attivazione della secrezione. L‟ortosimpatico provoca un blocco della secrezione solo per un breve periodo di tempo e questo spiega perché quando si è spaventati uno dei segni evidenti è la bocca asciutta. (Quando si ha paura si hanno due forme di secrezione paradosse : la bocca asciutta e le mani sudate, cioè la secrezione sudoripara delle mani viene attivata mentre la secrezione salivare viene bloccata) Come avviene la secrezione salivare? La secrezione salivare viene messa in moto da riflessi, sono degli automatismi. Questi automatismi sono rappresentati da un riflesso innato : tutte le volte che un oggetto entra in bocca scatena la secrezione salivare, non è importante che questo abbia un sapore, la sola presenza meccanica dell‟oggetto scatena la secrezione salivare. Ci sono quindi dei meccanocettori situati nel cavo orale che raggiungono il tronco dell‟encefalo e a livello del tronco encefalico mettono in moto il glossofaringeo e l‟intermedio di Wrisberg e quindi mettono in moto parotide, sottomandibolare e sottolinguale. Tuttavia la maggior parte delle secrezioni non avviene con questo meccanismo. La maggior parte delle secrezioni obbedisce a dei meccanismi del tipo “condizionamento pavloviano”. Produciamo saliva già solo alla vista di qualcosa che ci piace, anche senza il contatto con i recettori della bocca. Quindi quando poi il soggetto mette in bocca quel cibo, trova già la secrezione avviata. Quando noi nasciamo l‟unico modo di scatenare la secrezione salivare è mettere qualcosa in bocca, qualsiasi cosa si mette davanti al bambino, egli rimane indifferente. Con il passare del tempo il bambino associa la vista del cibo, l‟orario, un rumore, tutta una serie di elementi che gli fanno capire che di lì a poco riceverà il cibo. Queste condizioni permettono di creare questi riflessi condizionati. Quindi la secrezione salivare che troviamo in bocca prima dell‟arrivo del cibo, rappresenta una classica forma di condizionamento. Ricordiamo però che la condizione è che dopo la vista, il cibo venga mangiato. Se si vede il cibo e non lo si mangia, le prime volte si può avere secrezione salivare, dopo di che non si ha più. I riflessi condizionati nascono quando ci sono le condizioni, ma poi spariscono quando queste condizioni non ci sono più. Infatti così come noi possiamo essere condizionati, possiamo anche essere “decondizionati” nel momento in cui viene meno quell‟associazione tra stimolo e risposta. Ricapitolando : per esempio, la vostra collega è abituata a mangiare all‟una, già verso le dodici meno un quarto comincia a fare le prime secrezioni salivari – anche questo è un 278
riflesso condizionato. Esistono poi una serie di segnali, come l‟odore che viene dalla cucina, che già attivano abbondantemente la secrezione salivare. Una volta che si mangia il primo boccone viene attivata un tipo di secrezione che non è più quella condizionata ma quella data dai riflessi innati. Vengono attivati i n. glossofaringeo e intermedio di Wriserbg e di conseguenza viene attivata la secrezione salivare. A cosa serve la saliva? -
Umidifica il cibo, ed essendo presenti i mucopolisaccaridi, l‟umidificazione ha il compito di lubrificare il bolo e ciò favorisce la deglutizione, permettendo al bolo di scendere senza particolare difficoltà Azione battericida Contiene una serie di enzimi che agiscono sugli alimenti Azione cicatrizzante Ma oltre al compito alimentare, il compito più importante della saliva è quello di umidificare il cavo orale per permettere la fonazione. Parlare in assenza di saliva è impossibile. Quando si ha paura, e la gola si secca, si ha una difficoltà meccanica nel parlare, dovuta al fatto che è difficile fare vibrare le corde vocali non umide. Ecco perché abbiamo una secrezione salivare anche a digiuno e abbiamo bisogno del cavo orale umidificato. ( Se un paziente con un tumore che si trova nella parte laterale del collo viene trattato con radioterapia, i raggi oltre che colpire il tumore, colpiscono anche le ghiandole salivari. Quindi il soggetto guarisce dal tumore ma si ritrova senza secrezione salivare con difficoltà fonatorie notevoli. Quando deve parlare deve sempre bere un sorso d‟acqua, e appena l‟acqua viene deglutita non può più parlare)
Riassumendo, i ruoli fondamentali della saliva sono: 1. Umidifica il cibo 2. Contiene sostanze che mescolandosi con il cibo hanno azione battericida, digestiva ecc ecc 3. Permette la fonazione La saliva deve avere una composizione particolare. Una delle cose da ricordare è che la saliva deve avere un contenuto particolare di ioni calcio. La presenza di ioni calcio nella saliva ha un ruolo strategico perché questo impedisce la formazione di un gradiente di concentrazione con lo smalto che riveste denti, perché altrimenti il calcio passerebbe dal dente alla saliva e quindi noi eroderemmo i nostri denti. Mantenendo alta la concentrazione di calcio salivare manteniamo una buona stabilità nella struttura di rivestimento dei denti. Il vero apparato digerente comincia con lo stomaco. Ovviamente tra la bocca e lo stomaco c‟è l‟esofago. Esofago L‟esofago è lungo circa 40 cm, decorre quasi tutto all‟interno del mediastino, solo la parte finale buca il diaframma ed entra nella cavità addominale. La pressione intramediastinica agisce sulle pareti dell‟esofago. Mettendo una sonda all‟interno dell‟esofago posso misurare la pressione che c‟è all’interno dell’esofago , che è uguale alla pressione che c‟è in quel momento nel mediastino e la pressione che c‟è nel mediastino è sempre uguale alla pressione che c‟è tra le due pleure (pleura parietale e pleura viscerale). Quando abbiamo parlato di respirazione, vi ho detto che all‟interno del cavo pleurico vi sono delle oscillazioni di pressione, le pressioni intrapleuriche si possono misurare : - O facendo un buco tra le due pleure ma c‟è il rischio di pneumotorace 279
- Oppure si fa indirettamente misurando la pressione all‟interno dell‟esofago Il terzo superiore dell‟esofago è striato mentre i 2/3 inferiori sono formati da muscolatura liscia . In basso comunica con lo stomaco con un sistema sfinteriale che prende il nome di sfintere esofageo inferiore, classicamente parte di quello che si chiama cardias. Il cardias deve fungere da valvola: cioè deve permettere al bolo di passare dall‟esofago allo stomaco ma non deve consentire al contenuto dello stomaco di tornare indietro, quindi deve impedire il reflusso gastroesofageo. Questo è importante perché il pH della saliva è 7,4, tranne in certi momenti in cui diventa un po‟ più acido, lo stomaco produce invece un acido forte, l‟acido cloridrico, e quindi è molto acido. Le pareti dell‟esofago sono state programmate per venire a contatto con soluzioni neutre ma se dovesse tornare indietro il chimo fortemente acido (pH 2 – 1,5) dallo stomaco, l‟erosione sarebbe immediata e quindi il danno del terzo inferiore dell‟esofago sarebbe inevitabile. Quindi una frequente patologia che capita di vedere è la cosiddetta esofagite da reflusso, cioè un‟infiammazione del terzo inferiore dell‟esofago dovuta al fatto che il cardias non si chiude ermeticamente e quindi una parte del chimo acido torna indietro e danneggia le pareti dell‟esofago. Questo può creare una serie di reazioni a cascata : perché possono avvenire anche delle reazioni di tipo riparativo, di tipo cicatriziale che possono irrigidire, far venire meno la capacità motoria delle pareti. ( Se si ingerisce un acido forte come la candeggina, le lesioni esofagee sono micidiali, in questi casi si arriva al punto che l‟esofago non è più in grado di funzionare, si creano retrazioni cicatriziali e allora si può sostituire l‟esofago con un pezzo di intestino tenue. Si cerca di salvare il cardias per avere una valvola che ancora funzioni. Tutta la motilità è affidata al vago perché una volta danneggiato invece impedisce sia il processo della deglutizione, sia il coordinamento dell‟apertura dello sfintere esofageo inferiore e quindi impedisce al bolo di entrare nello stomaco.) Stomaco Nello stomaco normalmente c‟è solo una bolla d‟aria. Quindi immaginate la parete anteriore dello stomaco che è incollata alla parete posteriore. Non c‟è niente, al massimo c‟è una bolla d‟aria nel fondo, accanto al cardias. Quando entra il bolo, questo sacchettino viene disteso e si comincia a creare uno spazio che viene progressivamente occupato dai vari bocconi che andiamo a inghiottire. Questa progressiva dilatazione può portare lo stomaco ad accogliere anche un paio di litri di contenuto. Quindi a digiuno lo stomaco è praticamente vuoto, di solito c‟è solo una bolla d‟aria e l‟interno è rivestito da muco (che ricorda il muco salivare). Si tratta di un muco viscoso, ricco di mucopolisaccaridi. A digiuno la secrezione gastrica non esiste, esiste solo una secrezione basale di muco. La secrezione gastrica viene avviata dall‟arrivo del bolo alimentare e inizia quando il cibo è ancora in bocca. Ovviamente quando il cibo raggiunge lo stomaco la secrezione è massima e fino a quando rimane all‟interno avremo una grande secrezione gastrica ma appena lo stomaco si svuota la secrezione gastrica deve cessare completamente e non deve esserci più alcuna produzione di tutti i vari secreti (tranne il muco). Quindi devono esserci meccanismi che avviano la secrezione gastrica, meccanismi che la amplificano durante la fase gastrica dei processi digestivi ma anche meccanismi che la interrompono completamente quando il contenuto lascia lo stomaco e passa nell‟intestino. (Quindi se in questo momento la vostra collega fosse a digiuno e la facessi vomitare, non verrebbe fuori niente solo un po‟ di muco biancastro). Anche l‟acidità dello stomaco è inesistente a digiuno. Il pH è intorno a 7 a diguno. Nello stomaco ci sono le classiche ghiandole gastriche . Le ghiandole gastriche possiedono tre tipi di cellule: - Cellule del colletto , poste in alto verso il lume , sono quelle che producono il muco; poi all‟interno ci sono: - Cellule delomorfe ( più chiare) che producono l‟acido cloridrico 280
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Cellule adelomorfe (più scure) che producono l‟unico enzima prodotto a livello gastrico : la pepsina
Le cellule più chiare , le cellule delomorfe, dette anche cellule “ossintiche” sono delle cellule specializzate nella produzione di acido cloridrico. In realtà sappiamo che l‟acido cloridrico è un acido forte, quindi in acqua esso si dissocia completamente in H+ e Cl-. Essendo un acido forte non resta neanche una molecola indissociata. Quindi in realtà le cellule dello stomaco producono separatamente ioni idrogeno e ioni cloro, che vengono secreti in maniera distinta e separata. Per cui, non c‟è mai l‟HCl unito, ma sin dall‟inizio gli ioni vengono prodotti separatamente. La produzione di acido cloridrico riflette un discorso che abbiamo sviluppato ieri: si parte dall‟anidride carbonica e dall‟acqua, il sangue, come vi dicevo, contiene bicarbonati e lo stomaco prende CO2 e H2O produce H2CO3 che si scinde in H+ e HCO3 -. Gli H+ finiscono nel lume mentre i bicarbonati vanno nel sangue e al posto di questo ione negativo bicarbonato entra lo ione negativo cloro. In questo modo è come se avessimo introdotto HCl. Tuttavia, si verifica un fenomeno interessante, man mano che le cellule producono H+ e li immettono nel lume , quindi man mano che l‟interno dello stomaco diventa più acido, il sangue che va via dallo stomaco , cioè il sangue della vena gastrica, conterrà sempre più bicarbonati (cioè diventa via via più alcalino). Ovviamente all‟acidificazione del lume corrisponderà l‟alcalinizzazione del sangue. Quindi durante tutta la produzione del succo gastrico, il sangue venoso, refluo dallo stomaco diventa via via sempre più alcalino. Questi bicarbonati sono utili perché poi verranno intercettati dal pancreas e dal fegato per essere immessi nel duodeno, in modo che quando gli ioni idrogeno lasciano lo stomaco ed entrano nel duodeno trovano questi bicarbonati che li tamponano e termina l‟acidità, in modo che il pH nel duodeno ritorni normale per non danneggiare le pareti dell‟intestino tenue. Quindi si verifica un fenomeno di estremo interesse da un punto di vista strutturale : si producono due tipi di ioni, lo ione idrogeno e lo ione bicarbonato. Gli ioni idrogeno vengono utilizzati subito, immessi nello stomaco e ne acidizzano il contenuto; gli ioni bicarbonato immessi nel sangue (si parla di “marea alcalina” per indicare l‟incremento di bicarbonati nel sangue venoso gastrico) e poi saranno utili perché verranno intercettati dal pancreas e dal fegato che li immetteranno nel succo pancreatico e nella bile e arrivando al duodeno, questa quantità enorme di bicarbonati potrà neutralizzare il chimo acido che dallo stomaco passa nel duodeno. A cosa serve l’acido cloridrico? E‟ pericoloso perché è un acido forte, uno degli acidi più forti esistenti in natura. Eppure noi lo introduciamo con il rischio che questo possa danneggiare le nostre cellule. Basta che un po‟ di questo acido finisca nell‟esofago o nel duodeno per provocare un‟ ulcera peptica (a livello dell‟esofago) o un‟ulcera pelvica (a livello del duodeno). Se si producesse acido cloridrico a digiuno si arriverebbe a un pH pari a 1, noi ovviamente produciamo HCl quando lo stomaco è pieno di cibo quindi parte di questa acidità viene tamponata. Di solito non si scende sotto pH =2. L‟acidità dello stomaco ha 3 compiti fondamentali : 1. AZIONE ANTIMICROBICA : appena nello stomaco arrivano batteri, funghi, virus, protozoi provenienti dai cibi ingeriti, questa fortissima acidità rende praticamente impossibile la sopravvivenza della quasi totalità dei microrganismi. Quindi l‟effetto antimicrobico esercitato dalla barriera acido-gastrica è il primo vero grande compito. Possiamo mangiare cibo infetto ma se l‟acidità gastrica è buona non ci sono grossi problemi. ( Per esempio : nelle nostre parti è endemico un batterio presente nelle pecore e quindi nel latte di pecora. Il latte di pecora contiene un batterio che provoca una malattia nota come “febbre di Malta”. Il batterio si chiama “brucella melitensis”. La febbre di Malta si contagia prendendo latte di pecora o derivati. Il principale derivato che produce questo 281
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problema è la ricotta di pecora. Mangiando un po‟ di ricotta infetta durante i pasti, la probabilità di ammalarsi è minima. Il problema è quando la ricotta infetta viene mangiata fuori dai pasti, perché a digiuno lo stomaco non ha secrezione gastrica. Quindi a digiuno, il batterio non troverà un pH 2 a neutralizzarlo e si ha così l‟infezione. Non è il microrganismo che ci fa ammalare ma quando questo penetra nello stomaco : Se penetra in presenza di una buona secrezione acida, non ci sono problemi; Se penetra a digiuno , quando non c‟è una secrezione gastrica attivata, il rischio è elevatissimo. Mancando la barriera protettiva si ha la malattia. Quando Bruce sostenne che il batterio che aveva scoperto era il responsabile della febbre di Malta non venne creduto e per dimostrare che diceva una sciocchezza un suo avversario prese una coltura di brucelle e la bevve. Siccome stavano pranzando, non gli venne nulla. Bruce gli chiese di farlo a digiuno, ma per fortuna questo non lo fece. Si capì allora che la difesa esercitata dall‟acido cloridrico è di fondamentale importanza).
2. Noi abbiamo un disperato bisogno nell‟organismo di ferro ( per l‟emoglobina, la mioglobina, la catena respiratoria ecc ecc), tuttavia il ferro è indispensabile solo in forma bivalente. Nel cibo il ferro si trova in forma trivalente e questa non viene neanche assorbita a livello intestinale. Per poter passare dal ferro allo stato trivalente al ferro allo stato bivalente ci vuole una riduzione e per ridurre è necessario un acido forte. Quindi la presenza della barriera acida a livello gastrico permette la conversione dello ione ferrico a ione ferroso , e quindi permette l’assorbimento del ferro nella forma utile. Perdendo la capacità di produrre acido cloridrico si avrebbe anemia sideropenica (cioè anemia da mancanza di ferro in cui : la quantità di ferro circolante è minore del normale, i globuli rossi sono più piccoli del normale, la quantità di emoglobina è al di sotto del normale, e quando da 15-16 grammi per 100mL si scende sotto ai 10 grammi per 100 mL già si può fare diagnosi di anemia. Ovviamente per la riduzione del ferro ci vuole un acido forte,un acido debole , come per esempio l‟acido acetico, non è in grado di ridurre il ferro. 3. Il terzo compito importante è quello di attivare l‟unico enzima prodotto dallo stomaco. Lo stomaco produce un enzima che digerisce le proteine , un‟endopeptidasi che si chiama “pepsina” . Tuttavia, siccome viene prodotta all‟interno delle cellule ed essendo in grado di digerire le proteine, appena prodotta digerirebbe la cellula. Quindi gli enzimi che digeriscono le proteine non possono essere prodotti nella loro forma attiva perché altrimenti distruggerebbero la cellula stessa che li ha prodotti; questi devono essere prodotti in forma inattiva , per cui la pepsina viene prodotta dalle cellule adelomorfe ( da quelle più scure) in forma inattiva sotto forma di pepsinogeno. Per cui : la cellula produce pepsinogeno e una volta che questo si trova fuori dalla cellula incontra l‟acido cloridrico e quest‟ultimo trasforma il pepsinogeno (inattivo) in pepsina (attiva). Lo stesso avviene per gli enzimi del succo pancreatico : la tripsina è prodotta in forma di tripsinogeno, la chimo tripsina in forma di chimotripsinogeno, l‟elastasi in forma di proelastasi, le carbossichinasi in forma di pro carbossichinasi ecc ecc. Le cellule delomorfe, oltre a produrre acido cloridrico, producono anche : il fattore intrinseco di Castle che viene ad essere co-sintetizzato insieme all‟acido cloridrico. Il fattore intrinseco di Castle ha grande importanza biologica perché consente di poter assorbire la vitamina B12. La vit. B12 è fondamentale per l‟eritropoiesi e viene assorbita a livello dell‟intestino, però quando passa dallo stomaco, se non viene coniugata con il fattore intrinseco di Castle, la vitamina quando poi arriverà nell‟intestino non potrà essere assorbita. Poi insieme al fattore di Castle viene assorbita nell‟intestino va al fegato e qui viene immagazzinata legata al fattore di Castle. Quando poi
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servirà la vit. B12 viene staccata dal fattore di Castle e la vitamina andrà dove serve. Ma per tutto il tempo deve essere legata al fattore intrinseco di Castle. Se non si produce il fattore intrinseco di Castle anemia perniciosa. Si tratta di un‟anemia molto particolare : il soggetto presenta pochissimi globuli rossi (anziché cinque milioni un milione), però questi globuli rossi sono più grandi del normale. E‟ un‟anemia megalobastica cioè con delle cellule più grandi del normale per cui i globuli rossi anziché avere un diametro di 7-8 micron , hanno un diametro di 9-10 micron. La mancanza di ferro invece dà un‟anemia microcitica cioè i globuli rossi sono più piccoli del normale. I soggetti con anemia perniciosa trasportano malissimo l‟ossigeno e quindi andranno incontro principalmente a problemi di tipo neurologico perché il sistema nervoso, piano piano,carente di ossigeno manifestava dei danni soprattutto ai fasci di sostanza bianca del midollo spinale. Compariva una sofferenza cronica e i fasci andavano in degenerazione, il quadro clinico era gravissimo (paralisi, perdita della sensibilità) e poi morivano. Nel secolo scorso un tedesco fece un ragionamento “illogico” che però curiosamente portò a risolvere il problema. Egli pensò : la malattia è caratterizzata da grandi globuli rossi che ricordano i globuli rossi prodotti durante la vita fetale ( che sono più grandi del normale), durante la vita fetale i globuli rossi vengono prodotti dal fegato, da ciò pensò che il problema stava proprio a livello del fegato. Per cui disse a questi pazienti che dovevano mangiare fegato. All‟inizio gli dava fegato cotto e non succedeva niente, ma appena cominciò a dargli fegato crudo questi guarivano. Ora sappiamo che ciò era dovuto al fatto che il fegato contiene la vit. B12 già accoppiata al fattore intrinseco di Castle (se invece si riscalda il fegato, si denatura il fattore di Castle). Questo ragionamento del tutto illogico portò comunque alla cura dei pazienti. 15 anni dopo Castle scoprì il suo famoso fattore e riuscì a dimostrare il reale motivo per cui si aveva la guarigione. Quindi : lo stomaco è il responsabile delle principali due forme di anemia acquisita e tra l‟altro legate più o meno alla stessa cellula, cioè alla cellula delomorfa perché questa cellula produce l‟acido cloridrico che consente di assorbire il ferro e allo stesso tempo produce il fattore intrinseco di Castle che consente di assorbire la vitamina B12. Se l‟acido cloridrico non c‟è non si assorbe ferro anemia sideropenica Se non c‟è il fattore intrinseco di Castle non si assorbe più vitamina B12 anemia perniciosa Ricordate che quando si incontra un soggetto anemico e il problema è la mancanza di ferro, ci sono solo due possibilità : 1) o ha un problema del genere e non assorbe il ferro; 2) oppure da qualche parte perde sangue (emorragia interna). Ricordiamo che la semivita di un globulo rosso è di 120 giorni, quindi molto lenta, ciò vuol dire che una perdita interna può provocare anemia. Già le emorroidi possono essere una causa. Ma anche ulcere, polipi dell‟apparato digerente . Di solito questa è una malattia più grave nelle donne perché la donna, per il ciclo mestruale, ha un emorragia che il maschio non ha. Ricapitolando: la cellula delomorfa produce : - acido cloridrico, lo produce solo durante i pasti . L‟acido cloridrico presenta 3 compiti principali ( antimicrobica, sul ferro e di attivazione enzimatica) - fattore intrinseco di Castle, che permette l‟assorbimento della vit. B12 Sulle vitamine ci sono molti luoghi comuni, uno dei tanti è che le vitamine sono presenti principalmente nei cibi di origine vegetale (frutta e verdura). In realtà non è esattamente così. La vitamina B12 non esiste né nella frutta né nella verdura. La vitamina B12 si trova quasi esclusivamente nei tessuti animali. Per cui il vero vegetariano ha problemi quando si tratta di vitamina B12. La pepsina è un enzima proteolitico, è un‟endopeptidasi quindi frammenta la catena polipetidica dall‟interno. In pratica aggredisce un solo legame, cioè quando nella catena è presente un 283
amminoacido aromatico. Tutte le volte che c‟è un aa aromatico, la pepsina, rompe il legame e quindi idrolizza il legame tra l‟aa aromatico e l‟aa a cui è legato. Quindi da un'unica catena si vengono a formare tanti frammenti che corrispondono al numero di aa aromatici presenti. Quindi per esempio, se la vostra collega mangia collagene, siccome il collagene non contiene aa aromatici, la pepsina non può agire. Si frammentano quindi le catene polipeptidiche in frammenti più corti detti peptoni e questa frammentazione è utile perché i veri enzimi digestivi sono quelli che staccano l‟ultimo aa della catena e rompono il legame tra l‟ultimo e il penultimo o dal lato del –COOH (carbossi peptidasi) o dal lato di –NH2 (amino peptidasi). Se io ho una catena sola con due estremità ci metto un certo tempo, frammentandola riducono il tempo di azione, se la divino in 10 riduco di 10 volte il tempo necessario per questi enzimi per idrolizzare tutti i legami presenti. Gli enzimi che agiscono dall‟interno sono endopeptidasi (pepsina, tripsina…) mentre la carbossi peptidasi e la amino peptidasi sono delle esopeptidasi cioè che attaccano la proteina dall‟ultimo aminoacido, partendo o dall‟estremità carbossiterminale o dall‟estremità amino terminale (lo stomaco non produce questi ultimi enzimi e quindi si limita a fare una frammentazione). Lo stomaco produce anche una lipasi , c‟era una lipasi anche nella saliva, per cui nello stomaco troviamo delle lipasi di origine salivari e alcune vengono prodotte dalla stesse cellule dello stomaco. E‟ una quantità di lipasi veramente modesta però è importante perché comincia a staccare qualche acido grasso dai trigliceridi e ciò è importante perché serve per un miglior funzionamento del duodeno. Ricapitolando : c‟è l‟HCl, c‟è il fattore intrinseco di Castle, c‟è la pepsina, c‟è una lipasi (con modeste funzioni) e c‟è sempre il muco (produzione di muco costante nello stomaco). Quindi la cosa più importante che deve fare lo stomaco è ricevere il bolo alimentare, mescolarlo con questo succo e questo succo deve : - ammazzare i batteri - ridurre il ferro da ferrico a ferroso - cominciare a fare un minimo di digestione delle proteine, tramite l‟attivazione di alcuni enzimi - acidificare fortemente tutto quello che c‟è nello stomaco Alla fine il bolo, che è abbastanza solido quando entra nello stomaco, diventa una “pappetta” fortemente acida che viene chiamata “chimo”. Quindi dallo stomaco entra cibo (bolo) e dal lato pilorico esce “chimo”. La chimificazione del cibo è proprio il ruolo chiave dello stomaco. Nello stomaco non avvengono significativi processi di assorbimento. Per esempio, se ho sete e bevo acqua, questa può essere assorbita a livello del cavo orale ma quando arriva nello stomaco non può essere più assorbita, potrà essere assorbita solo una volta che esce dal piloro e arriva all‟intestino. Quindi anche se si dovessero liberare aa, monosacarridi, acidi grassi, la parete dello stomaco non assorbe nulla. A livello gastrico viene immediatamente assorbita una sola sostanza : l‟etanolo. L‟alcol etilico viene assorbito immediatamente a livello gastrico, va direttamente nel sangue venoso gastrico, quindi va direttamente in circolo, non ha bisogno di aspettare di giungere a livello del duodeno. Inoltre a differenza delle normali sostanze alimentare, anche qualche farmaco può essere assorbito a livello gastrico. Il tempo che intercorre tra “quando il farmaco viene ingerito” e “quando il farmaco comincia ad agire” dipende dal livello in cui viene assorbito : se viene assorbito a livello gastrico farà subito effetto, se deve essere assorbito nel duodeno o nel digiuno ci vuole almeno un‟ora; questo perché la fase gastrica dura almeno un‟ora, tuttavia più grassi ci sono nella dieta più lento è il processo di svuotamento che avviene nello stomaco, le proteine prevedono una durante intermedia, per gli zuccheri la fase gastrica è la più veloce. Un pasto con cibi grassi prevede una fase gastrica molto più lunga – anche 4 ore. Lo svuotamento dello stomaco avviene a fiotti, cioè: si contrae lo stomaco e un po‟ di chimo liquido passa attraverso il piloro, poi si rilascia, poi si contrae nuovamente ed esce un altro po‟, si 284
rilascia e così via …piano piano tutto il contenuto gastrico si riversa nel duodeno. Appena lo stomaco si è svuotato , cioè tutto il contenuto gastrico si è riversato nel duodeno, deve cessare la secrezione gastrica, deve rimanere solo la secrezione di muco. Devono esserci meccanismi potenti che permettono questa cessazione, perché l‟acido cloridrico a digiuno, non tamponato dal cibo, potrebbe erodere le pareti gastriche e danneggiare irreversibilmente le pareti gastriche. Noi possiamo tollerare l‟acidità data dall‟acido cloridrico solo in presenza del cibo che riesce a tamponare parte di questa acidità. La prossima volta dovremo rispondere alle seguenti domande: - Quali sono i meccanismi neuro-umorali che fanno iniziare la secrezione gastrica? - Quali sono i meccanismi neuro- umorali che amplificano la secrezione gastrica? - Quali sono i meccanismi neuro-umorali che la fanno cessare quando si è svuotato completamente lo stomaco? Perché questi meccanismi sono ciò che vi consente da medici di manipolare la secrezione gastrica, quelli su cui potete agire con i farmaci per potere determinare la manipolazione di un fenomeno che in qualche modo risulta alterato
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Lezione 27
Riprendiamo la nostra discussione sulla secrezione gastrica. Voi sapete che lo stomaco rappresenta un contenitore del cibo ingerito che ha il compito di trasformare questo cibo, più o meno solido, in una “pappetta” semiliquida, molto fluida, che si chiama chimo. Questo processo, che appunto prende il nome di chimificazione del cibo, rappresenta il compito fondamentale della fase gastrica del processo digestivo. A digiuno lo stomaco contiene solo una bolla d‟aria che si trova nella parte alta, nel fondo, a sinistra, e se fate una radiografia dell‟addome proprio sotto il diaframma si vede questa bolla d‟aria caratteristica, che rappresenta proprio il fondo e ci permette di localizzarlo. Dentro ha questa classica forma a rilievi, quella che in “culinaria” si chiama “trippa”, e che rappresenta un‟altra delle caratteristiche distintive della mucosa gastrica. Questa serie di rilievi che contengono lo sbocco delle ghiandole gastriche, e che permettono quindi a queste ghiandole di far arrivare all‟interno del lume gastrico il prodotto della loro secrezione, quello che poi diventerà il succo gastrico, che nell‟arco delle 24h può anche superare il litro di volume. In un uomo normale, tra colazione, pranzo, merenda e cena si produce abbondantemente più di un litro di succo gastrico; se poi ci mettete nello stomaco quello che avete mangiato e soprattutto quello che avete bevuto, il volume dello stomaco può aumentare notevolmente. Tant‟è che una tecnica, che si usa per coloro i quali vogliono perdere peso, consiste nell‟impedire allo stomaco di distendersi: si chiama bendaggio gastrico. Lo stomaco non si distende e il contenuto che può accogliere si riduce drasticamente e quindi si è costretti a mangiare meno perché lo stomaco non accoglie più niente e ciò vi costringe a ridurre i volumi di ciò che ingerite. Naturalmente il bendaggio gastrico agisce sul contenuto, non agisce sulla frequenza! Quindi se mangiate 125 volte al giorno non si risolve niente. La volta scorsa vi dicevo che la secrezione gastrica non esiste a digiuno. In un soggetto lontano dai pasti, lo stomaco non solo è vuoto ma non c‟è secreto, non c‟è succo. Dentro lo stomaco esiste solo il muco che lubrifica le superfici interne e le pieghe della mucosa, non c‟è presenza di succo. Se misurate il pH nelle fasi non digestive si vede che c‟è neutralità, non si ha praticamente nulla. La secrezione comincia quando noi stiamo per cominciare a mangiare, prima ancora che praticamente mangiamo. Raggiunge il suo massimo quando il cibo entra nello stomaco e poi cessa, piano piano, man mano che il cibo lascia lo stomaco e arriva al duodeno. Quindi quando lo stomaco ha finito di fare quello che deve fare, ha chimificato tutto quello che doveva chimificare, e ha passato ormai il chimo all‟intestino tenue, non c‟è più bisogno di secrezione gastrica e quindi la secrezione gastrica viene fatta cessare. Quindi esistono meccanismi che avviano la secrezione gastrica, ci sono meccanismi che la amplificano, soprattutto quando c‟è il cibo nello stomaco, e infine ci sono meccanismi che la fanno cessare quando il chimo (ormai non è più cibo) lascia lo stomaco per il duodeno. Tradizionalmente, i vecchi fisiologi distinguevano tutto quello che succede nello stomaco in 3 fasi: 286
1) Quando io sto per sedermi a tavola, o anche prima di sedermi; basta l‟idea del cibo, l‟odore del cibo, la vista, sono di solito sufficienti per cominciare ad avviare sia la secrezione salivare e anche in parallelo la secrezione gastrica. Siccome questo dipende da fenomeni che hanno luogo nella testa, fisicamente il cibo non è ancora entrato, sono input sensoriali che arrivano al SNC, questa fase è tradizionalmente chiamata fase cefalica della secrezione gastrica. 2) Poi ingeriamo il cibo, arriva allo stomaco, e quindi si amplifica la produzione di succo gastrico, e si ha quella che è tradizionalmente chiamata fase gastrica. Proprio c‟è la presenza del cibo nello stomaco. 3) Infine, la secrezione gastrica viene fatta cessare quando il chimo lascia lo stomaco per il duodeno, e questa fase è tradizionalmente chiamata fase duodenale o fase intestinale, che ha fondamentalmente il compito di spegnere la secrezione gastrica. Quindi: -fase cefalica, su base nervosa prevalentemente; -fase gastrica, in parte su base nervosa ma soprattutto su base ormonale; -e infine la fase duodenale, ormai il chimo ha lasciato lo stomaco e bisogna spegnere lo stomaco, anche qui in parte dovuta a meccanismi nervosi ma soprattutto è dovuta ad ormoni, che entrano in gioco per spegnere definitivamente la secrezione gastrica. Oggi cercheremo di analizzare queste tre fasi e soprattutto i meccanismi che ne sono alla base, e che sono i meccanismi che permettono di poter sfruttare in termine farmacologico per poter intervenire sulle dispepsie e su situazioni in cui questo processo di volta in volta è alterato e quindi bisogna mettere ordine. Al solito, la secrezione gastrica fisiologica è una secrezione eutettica (eterogenea), una secrezione gastrica “sfasciatizza” è distettica; e quindi nelle dispepsie, anomalie nella secrezione gastrica, strumenti di azione sono questi interventi molecolari che permettono di giocarci sopra. Le ghiandole gastriche sono diverse nelle diverse parti dello stomaco; le ghiandole del fondo sono un po‟ diverse dalle ghiandole del corpo, che sono ancora diverse dalle ghiandole dell‟antro pilorico. Vi ricordo che il fondo è la parte situata subito dopo il cardias, dove c‟è la famosa bolla d‟aria. Il fondo contiene delle ghiandole relativamente meno sofisticate di quelle che si trovano nel corpo, dove troviamo ghiandole con cellule di vario tipo che fanno cose diverse. E infine nel fondo troviamo queste ghiandole, più o meno uguali a quelle del corpo, ma anche lì si cominciano ad osservare delle piccole differenze. [Descrive un‟immagine] In alto si osserva il dotto escretore della ghiandola, quindi il lume gastrico è il alto, quindi questa ghiandola deve produrre un liquido che poi verrà riversato dal basso verso l‟alto, e le varie cellule che vedete disegnate sulla parete e che hanno vari nomi (cellule mucose, cellule parietali, cellule principali, cellule D, cellule G, ma ce ne sono anche altre), aggiungono al succo gastrico questo o quel componente oppure producono cose che non devono andare al succo gastrico, come gli ormoni. Le cellule che producono ormoni non sono cellule a secrezione esocrina, 287
cioè destinate ad andare fuori, gli ormoni sono destinati ad andare nel sangue, quindi non sono destinati a raggiungere il lume gastrico, non fanno parte delle normali componenti del succo gastrico. Inoltre devono andare in senso opposto, anziché andare verso l‟alto devono andare verso il basso per portarsi ai capillari sanguigni e continuare nelle vene gastriche, per poter poi andare in circolo e fare quello che devono fare. Le cellule delle ghiandole sono cellule di vario tipo. Cellula D e cellula G sono cellule che producono ormoni, quindi sono cellule che producono molecole che non troverete nel succo gastrico, che non fanno parte del succo gastrico, ma come tutti gli ormoni li troverete nel sangue refluo dallo stomaco; quindi se fate un prelievo di sangue dalla vena gastrica ovviamente troverete i due ormoni prodotti dalle cellule G e dalle cellule D. Le cellule G producono la gastrina, un ormone che eccita la secrezione gastrica e le cellule D producono la somatostatina, che invece spegne la secrezione gastrica. Hanno effetti opposti sulla secrezione gastrica. La gastrina promuove, facilita, stimola la produzione del succo gastrico; la somatostatina spegne la secrezione gastrica e spegne anche la secrezione di gastrina. La produzione di somatostatina la incontreremo un po‟ lungo tutto l‟apparato digerente; ci sono cellule che producono somatostatina sparpagliate lungo tutto l‟apparato digerente, e lungo tutto l‟apparato digerente ogni volta che si incontra somatostatina si ha inibizione di tutto quello che succede: secrezione, peristalsi, assorbimento. La somatostatina è un grandissimo inibitore a livello di tutto l‟apparato gastroenterico. Il suo nome, somatostatina, veniva dal fatto che in realtà questa molecola fu scoperta da tutt‟altra parte. Questa molecola, la prima volta che fu scoperta, fu scoperta nell‟ipotalamo, dove veniva liberata nel sangue e il sangue dall‟ipotalamo si portava all‟ipofisi, la famosa circolazione ipotalamo-ipofisaria, e nell‟adenoipofisi spegneva la produzione di ormone della crescita, chiamato anche ormone somatotropo e questa lo spegne, per cui venne chiamata somatostatina, ormone che spegne, blocca la produzione di ormone della crescita. Poi si scoprì, casualmente, che questo stesso identico ormone, con la stessa sequenza molecolare, oltre ad essere prodotto dentro al SNC, nell‟ipotalamo, viene prodotto anche lungo tutto l‟apparato digerente: viene prodotto dalle cellule D, ce ne sono anche nelle isole di Langherans, e hanno un ruolo fondamentalmente inibitorio,, tutto quello che può essere inibito lo inibisce. È un grande inibitore. Le altre cellule invece, oltre a queste qua (che dovete ricordare), sono le cellule enterocromoaffini, che si trovano anche loro nelle ghiandole gastriche. Le cellule enterocromoaffini sono delle cellule che sono in grado di captare e decarbossilare i precursori delle ammine, e quindi in questo caso sono produttori di una molecola che si chiama istamina. L‟istamina è una ammina, lo dice il nome, che ha un ruolo locale, cioè non va nel succo gastrico, rimane lì e funziona da neurotrasmettitore locale. Ricordate che esiste un sistema nervoso locale nell‟apparato digerente, i plessi di Meissner e Auerbach, e all‟interno di queste reti nervose questa istamina ha un ruolo importante perché è l‟istamina il principale stimolatore della produzione del succo gastrico, e in particolare dell‟ HCl. Quindi, per esempio, il fatto che l‟istamina è il principale stimolatore di produzione dell‟acido cloridrico, nelle dispepsie, cioè quando voi avete una produzione eccessiva di HCl (avete acidità), 288
l‟uso di farmaci che bloccano i recettori per l‟istamina, soprattutto i recettori del tipo H2, quindi gli anti-H2 recettori, sono i farmaci per eccellenza che si usano per le iperacidità gastriche. [Parla dei farmaci, ho saltato. Minuto 21.24] L‟istamina è coinvolta in molte funzioni: ad esempio nelle allergie. I farmaci antiistaminici devono mirare non ai recettori H2 come quelli dello stomaco, ma a quelli H1. Quando l‟istamina attacca l‟apparato vestibolare, provoca un effetto penosissimo ufficialmente noto come cinetosi (mal di macchina, mal di mare..). Queste cinetosi sono collegate alla liberazione di istamina. [Farmaci contro cinetosi: Farmaci anti H1]. I recettori H2 sono solo nello stomaco. Le altre cellule, cioè le cellule principali, le cellule parietali e le cellule del colletto dette anche cellule mucose, sono cellule che invece producono componenti del succo gastrico, cioè i componenti che si trovano nel succo gastrico. Le cellule parietali e le cellule principali, tra l‟altro, si distinguono anche per un altro motivo: le cellule principali sono quelle che producono gli enzimi, che sono di natura peptidica; contengono dei granuli al loro interno e quindi le immagini dei vecchi preparati istologici mostravano cellule poco chiare. Invece le cellule parietali producono acido, producono il fattore di Castle, e queste cellule invece nei vecchi preparati istologici apparivano molto più chiare e con un citoplasma molto più facile da delineare. Venivano chiamate anche rispettivamente adelomorfe e delomorfe. (Delos: chiaro, nitido in greco) In queste ghiandole si trovano diverse categorie di cellule che fondamentalmente sono di tre tipi: 1) Cellule che producono ormoni, le cellule G e quelle D; 2) Cellule che producono l‟istamina, neurotrasmettitore; Né l‟ormone né l‟istamina finiscono nel succo gastrico. L‟istamina rimane nei circuiti locali nervosi e l‟ormone si riversa nel sangue, si trova nelle vene gastriche. 3) Le altre cellule, adelomorfe, delomorfe e del colletto, producono invece le varie componenti del succo gastrico. Solo quelle più in alto, le cellule del colletto, sono quelle che producono qualcosa anche a digiuno: un po‟ di muco viene prodotto anche a digiuno. Tutte le altre a digiuno non fanno niente. Lontano dai pasti nessuna di queste cellule funziona: non viene prodotto acido, non viene prodotto il fattore di Castle, non viene prodotta pepsina, non viene prodotta istamina, non viene prodotto niente. L‟unica che produce qualcosa è la cellula mucosa che produce un po‟ di muco. (Se si vomita a digiuno esce solo un po‟ di muco bianco).
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Quando ci si siede a tavola, scattano riflessi condizionati che fanno iniziare la fase cefalica della secrezione gastrica. Tutto ciò che si produce, saliva e secrezione gastrica, è legato al fatto che la vista, l‟udito, tutti questi meccanismi, sono in grado di attivare una popolazione di cellule situate nel nucleo motore dorsale del vago, cellule parasimpatiche, e queste cellule parasimpatiche mandano fibre colinergiche allo stomaco, sia lungo il vago di destra che di sinistra. I due vaghi scendono, attraversano il mediastino, raggiungono la cupola diaframmatica, la attraversano, appena superano la cupola diaframmatica le prime fibre che lasciano il vago sono i rami gastrici del nervo vago; le fibre subito sotto il diaframma, a contatto con lo stomaco a sinistra, a destra fra stomaco e diaframma si interpone il fegato e impedisce allo stomaco di venire a contatto con il diaframma. Il nervo vago raggiunge lo stomaco e libera, ovviamente, acetilcolina. L‟acetilcolina a livello gastrico si lega a dei recettori di membrana che, ovviamente, sono recettori di tipo muscarinico, cioè gli stessi tipi di recettori incontrati nel polmone, nel cuore. Anche in questo caso, come nella muscolatura liscia dei bronchi, la acetilcolina ha un ruolo eccitatorio. Quindi l‟attivazione del parasimpatico vagale, del nucleo motore dorsale del vago, ha come effetto quello di attivare la secrezione gastrica, promuovere la secrezione gastrica. Di fatto, attiva tutta questa serie di cellule: attiva quindi la secrezione gastrica e anche la secrezione degli ormoni che lo stomaco produce e anche la secrezione del neurotrasmettitore locale, l‟istamina, che localmente ha il compito di modulare la secrezione gastrica. Differenza tra una ghiandola del corpo e una ghiandola del fondo: la presenza di cellule parietali che nel fondo sono molto poche, mentre il grosso delle cellule parietali, che producono HCl, si trovano localizzate a livello del corpo. [Immagini] Qui ci sono le due cellule che producono ormoni: la cellula D (Somatostatina) e la cellula G (gastrina). Gli ormoni rilasciati vanno al sangue; il processo è più complicato di quello che sembra: la produzione in fase cefalica fa eccitare il nervo vago, si libera acetilcolina, questa agisce su recettori di tipo muscarinico, si promuove la secrezione di gastrina e questa deve attivare la secrezione gastrica. La gastrina non agisce localmente ma va nel sangue, raggiunge la vena gastrica, attraversa la vena porta, si porta alla cava inferiore e si porta al cuore destro, da qui va al polmone, poi al cuore sinistro, entra nell‟aorta, discende nell‟aorta addominale, poi deve entrare nell‟arteria gastrica e qui può agire sullo stomaco. Su 100 molecole prodotte, dopo tutto questo giro, ne arrivano a destinazione ed agiscono circa il 10%! Metteranno in moto le cellule enterocromoaffini che producono istamina e sarà poi l‟istamina che promuoverà sia la produzione di HCl che, ovviamente, la produzione degli enzimi, pepsina e lipasi gastrica. La stessa cosa la somatostatina: la somatostatina non è un ormone locale, deve fare tutto il giro prima che possa influenzare localmente la produzione gastrica. Monitoraggio della secrezione gastrica: guardo nel sangue i livelli di gastrina. [immagini] La cellula che produce HCl è controllata, in alto, dall‟istamina, che ha recettori di tipo H2 a sinistra; al centro dall‟aceticolina con il suo recettore muscarinico; e a destra la gastrina, che agisce su uno strano recettore. In realtà non esiste un recettore per la gastrina. È come se si è fatta
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prestare un recettore per un altro ormone, che si chiama colecistochinina, e agisce sul recettore per la colecistochininadi tipo (non si capisce). La gastrina agisce su uno dei tanti recettori su cui agirà un altro ormone. Questi tre eventi, istamina, acetilcolina e gastrina, hanno il compito di eccitare, promuovere la produzione di acido cloridrico. *E‟ in realtà una pompa protonica, esce H+ e il Cl- lo segue perché H è positivo. In realtà H e Cl escono separatamente. Poi HCl essendo un acido forte non ci sarà mai la forma indissociata. Tutte queste funzioni possono essere antagonizzate: - la gastrina può essere antagonizzata dalla somatostatina - l‟aceticolina può essere antagonizzata dagli antagonisti dei recettori muscarinici (basti pensare all‟atropina) - l‟istamina può essere antagonizzata dai bloccanti dei recettori H2 per l‟istamina. Quindi questo è un processo ben modulato, si può facilmente controllare sul piano farmacologico. [Immagine] Indica cellule parietali e principali, che producono HCl e muco. HCl danneggierebbe la mucosa gastrica se non ci fosse il muco. Perforerebbe lo stomaco. Il compito di proteggere la parete è affidato al muco, questo strato di muco per cui in realtà l‟acido non viene mai a contatto con le cellule della parete gastrica; fra le cellule e l‟acido si interpone questo strato di muco che impedisce all‟acido, che ha un pH micidiale, di danneggiare la parete gastrica. (Lo ripete altre 200 volte. Nello stesso identico modo. L‟ho saltato.) Se si crea un buco, che può essere fatto dal batterio Helicobacter pylori, si interrompe lo strato continuo di muco perché non potrebbe altrimenti vivere nell‟ambiente acido. L‟Helicobacter produce ammoniaca e la butta intorno a sé e l‟ammoniaca lega a se gli H+ e questi non possono più agire sul batterio. Si crea uno strato protettivo formato da ioni NH4+ che lo circondano completamente e che consente al batterio di non essere in un ambiente a pH 2 ma di essere in un ambiente a pH molto più alto e quindi compatibile con la sua sopravvivenza. Solo che se questo batterio si trova vicino alla parete questa zona è priva di muco. Quindi HCl in questa zona priva di muco può attaccare la parete e creare un danno: l‟ulcera gastrica. Alla base dell‟ulcera gastrica c‟è quindi un‟infezione causata da questo batterio, Helicobacter Phylori. Ci sono stati decenni in cui si era convinti che fosse una malattia psicosomatica, cioè che alla base ci fossero stress e roba del genere. Anche la terapia era psicologica, e se non funzionava l‟unica terapia che esisteva era quella chirurgica. Oggi la terapia è semplicemente antibiotica: terapia batteriostatica. L‟Helicobacter, siccome lega H+, coinvolge il sistema tampone: il soggetto che lo ha espira un‟aria più libera di CO2 del normale; la diagnosi è fatta misurando nell‟ espirato il contenuto CO2 (breathe test, test del respiro). [Slide] qui vediamo ciò che favorisce e ciò che inibisce la produzione di succo gastrico.
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Nella fase cefalica: la vista del cibo, il pensiero del cibo, ecc. Metto in moto il nervo vago, il meccanismo è fondamentalmente di tipo nervoso. Nella fase gastrica: il cibo arriva allo stomaco. Inizia la produzione di gastrina, responsabile del grosso della produzione di succo gastrico. Inizia la fase intestinale: partono ormoni dall‟intestino, si fanno tutto il giro e inibiscono la secrezione. Ora vedete che si può interferire con tutte queste fasi. Per esempio la fase cefalica e la fase gastrica possono essere bloccate completamente, semplicemente da uno squalene; una bella attivazione ortosimpatica, spegne tutte cose: la noradrenalina è il peggior nemico di tutte le funzioni gastrointestinali. (L‟emozione fa sparire già da subito la saliva). La fase gastrica può essere inibita da tutta una serie di contenuti del cibo, per esempio viene modulata notevolmente dalla presenza di grassi nel cibo. Ciò che mangio contiene vari nutrienti: i protidi ed i glicidi non creano grossi problemi, i problemi li creano i lipidi. Più lipidi metto nello stomaco, più rallenta la fase gastrica. (A parità di calorie). Quindi la fase gastrica ha una durata direttamente proporzionale al contenuto di acidi grassi. Altro concetto: la produzione di gastrina è dovuta all‟aceticolina, ma anche a fenomeni locali. Per esempio un potente stimolatore della gastrina è rappresentato dai frammenti proteici, quelli che si chiamano peptoni. I frammenti proteici sono grandi stimolatori della cellula G, e quindi favoriscono la secrezione di gastrina. Quindi: Protidi-> aumentano il release di gastrina. Acidi grassi -> inibiscono la produzione del succo gastrico. Un altro fattore importante è il grado di distensione dello stomaco; se distendo lo stomaco di più o di meno, lo stretching attiva dei recettori (dei meccanocettori) dei plessi di Meissner e Auerbach che favoriscono la secrezione gastrica. Per cui mangiare voluminoso rispetto a cibo piccolo favorisce la secrezione gastrica. (Es: vegetali, cibo voluminoso a basso contenuto calorico: da sensazione di pienezza per il rilascio di gastrina). Meccanismi di tipo nervoso: il parasimpatico diretto allo stomaco è solo il vago, non c‟è praticamente altro. Mentre l‟ortosimpatico diretto allo stomaco viene dal ganglio celiaco fondamentalmente e quindi dai rami postgangliali gastrici, che vanno da destra e da sinistra allo stomaco. Questo permette di determinare un blocco di tutte le funzioni gastriche. Ricordate ORTOSIMPATICO spenge, PARASIMPATICO favorisce la secrezione gastrica. I due sistemi locali, plesso di Meissner e Auerbach, una volta detti metasimpatico, per mettono di gestire tutte queste funzioni. Su questa coppia agisce una serie di controlli inibitori e eccitatori e controlli locali. Esistono tre livelli della modulazione della secrezione: riflessi locali, brevi e lunghi.
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Fra stomaco e intestino, fra Meissner e Auerbach, fra sottomucoso e mienterico, ci sono più neuroni di tutto il midollo spinale. Questi plessi dello stomaco valgono anche per tutto l‟intestino, il funzionamento è lo stesso. Circuiti locali: importanti anche per determinare la peristalsi. Lo stomaco ha due tipi di movimento: 1) destinato a compiti di rimescolamento del contenuto. Si ottiene con delle contrazioni ad anello che durano qualche secondo e poi si rilasciano. L‟anello si sposta in varie parti dello stomaco e si favorisce il rimescolamento del contenuto e si favorisce il contatto fra ciò che ho mangiato e il succo gastrico, fra substrati e enzimi. 2) Più importante il movimento che deve permettere lo svuotamento dello stomaco, deve permettere al chimo di passare dallo stomaco al duodeno. Il movimento è chiamato peristaltico e questo termine indica un movimento in cui la direzione va sempre in una direzione: in senso orale aborale, dall‟alto in basso, dallo stomaco al duodeno. (In realtà la parola peristalsi significava che non era un circuito diastaltico, cioè per muoversi non ha bisogno del SNC, il SNC è solo modulatore, se si interrompono i collegamenti i movimenti ci sono perché ci sono i plessi locali. Esattamente come il battito cardiaco) Quindi: Contrazione ad anello e poi si rilascia: per il rimescolamento. Contrazione ad anello che si propaga in senso oraleaborale: peristalsi. Il movimento (stiamo parlando di muscolo liscio) è generato non dal SNC, ma da cellule muscolari lisce che funzionano da pacemaker, hanno il compito di eccitarsi e far partire eccitazioni che cellula dopo cellula si propagano in tutte le direzioni. Il fatto che poi diventino organizzate e si propaghino solo in senso orale aborale, è perché intervengono i plessi nervosi. Il compito dei plessi nervosi quindi non è quello di creare l‟eccitazione ma di organizzarla, in maniera tale che la propagazione avvenga sempre in un‟unica direzione, orale aborale. Quindi non importa se siamo in piedi o sdraiati, la progressione è sempre in senso orale aborale, non dipende dalla forza di gravità e da nessun altro evento se non l‟organizzazione dei plessi intramurali. Nello stomaco troveremo queste cellule pacemaker, chiamate cellule interstiziali di Cajal, hanno il compito periodicamente di generare queste eccitazioni. Nello stomaco si trovano nel fondo, quindi fanno partire queste eccitazioni che dal fondo si propagano verso il corpo e poi verso l‟antro e favoriscono quindi la progressione verso l‟antro pilorico. Invece nell‟intestino non basta un solo pacemaker, quindi ce ne sono diversi, più o meno 1 ogni metro e mezzo. Nel colon i movimenti peristaltici sono strani, detti movimenti di massa (poi li vedremo). Che succede se tolgo lo stomaco? Non succede granché. La tecnica di rimozione è detta gastrectomia secondo Billroth o tecnica di Billroth seconda o gastrodigiunostomia. È il classico intervento per il cancro allo stomaco. Di solito si lascia intatto il piloro e il pezzo iniziale del fondo e si collegano al digiuno. Si chiude a fondo cieco il duodeno che non si tocca perché qui sboccano i dotti di fegato e pancreas. Il soggetto quando mangia invia quindi il cibo che arriva direttamente al digiuno. Questi soggetti devono mangiare in modo particolare: poco (volume ridotto del cibo), cibi 293
fluidi (non c‟è la fase di chimificazione del cibo), e frequentemente. Problemi: non assorbono la vitamina B12 (non hanno il fattore intrinseco), non assorbono il ferro (non riescono a convertire il Fe+++ in Fe++), ma soprattutto il cibo va direttamente nella zona di assorbimento. Lo stomaco, eccetto l‟alcol non assorbe nulla. Man mano che il chimo entra nel duodeno si verificano fenomeni di assorbimento, quindi il fenomeno di assorbimento è un fenomeno bello lento e dista un certo periodo di tempo dall‟assunzione del cibo. In queste persone avviene immediatamente, quindi ci possono essere fenomeni legati all‟assorbimento; per esempio l‟assorbimento del glucosio può essere così veloce e rapido che andando subito in circolo molto glucosio, si produce in risposta molta insulina e come effetto paradosso ci può essere un‟ipoglicemia da iperinsulinemia e questi svengono (Dumping syndrome). Sono soggetti che non hanno comunque problemi di sopravvivenza, assorbono vitamina B12 e ferro dall‟esterno. Quali sono gli eventi importanti che avvengono nello stomaco? In ordine di importanza: 1) Acido cloridrico, gli eventi più importanti li dobbiamo a questo acido forte. Consente: - di sterilizzare il cibo, ha un effetto battericida che abbassa notevolmente le possibilità di infezione contro quasi tutti i microrganismi. - riduce lo ione ferrico a ione ferroso. Nel cibo non esiste ione ferroso, ma solo ione ferrico che noi non assorbiamo. È necessario un acido forte per avere ferro ferroso. - consente anche l‟assorbimento del Ca++. - attiva l‟enzima pepsina, prodotto come pepsinogeno (forma inattiva) e viene attivano solo nel lume gastrico, fuori dalle cellule così l‟enzima proteolitico attivano non può danneggiare la cellula. La pepsina è un endopeptidasi, agisce su amminoacidi aromatici, spezzetta la catena in peptoni. È importante perché se frammento una catena in più catene più piccole, anziché avere un solo gruppo COOH- terminale / NH2-terminale, ne ho di più e quindi le esopeptidasi possono agire più velocemente. - permette la produzione del fattore di Castle, che protegge la vitamina B12 fino al momento dell‟assorbimento (che è successivo). Vitamina B12 essenziale per la sintesi dell‟eme. 2) Lipasi gastrica: agisce sui trigliceridi, e stacca dal glicerolo uno o due acidi grassi. Se ne stacca uno solo rimane un digliceride, se ne stacca due su tre rimane un monogliceride. Di solito stacca l‟acido grasso di sopra e di sotto, quasi mai quello centrale, quindi di solito restano i 2monogliceridi. Questi acidi grassi liberi sono importanti perché entreranno nel duodeno e permetteranno di attivare sia la secrezione di bile che di succo pancreatico. Inoltre gli acidi grassi che si liberano ad opera della lipasi riflettono quanto grasso c‟è nel cibo che mangiamo. Più se ne liberano, più rallenta la fase gastrica. 3) Muco: glicosamminoglicani, creano un‟area viscosa ricca di acqua che si interpone tra la parete e il chimo acido, come una protezione. 294
Cosa NON deve succedere: che il chimo acido torni indietro nell‟esofago. Il cardias possiede uno sfintere, lo sfintere esofageo inferiore, che deve fare in modo che si apra quando io deglutisco ma subito dopo si deve chiudere così che le contrazioni dello stomaco, che ne fanno aumentare la pressione, non spingano indietro il chimo nell‟esofago. Questo perché la mucosa dell‟esofago non è protetta da muco come la mucosa dello stomaco, quindi non è in grado di resistere alla presenza dell‟acido e si ha un‟infiammazione chiamata esofagite da reflusso, fino addirittura ad avere una reazione cicatriziale della parte inferiore dell‟esofago, quello che si chiama esofago di Barrett, l‟esofago perde capacità contrattile e il processo della deglutizione va a farsi benedire. Quindi lo sfintere esofageo inferiore si deve aprire ogni volta che deglutisco e deve restare chiuso per tutto il resto del tempo. Un altro guaio può essere che quando si deve aprire non si apre e non si riesce ad inghiottire. Questo evento è detto acalasia. Paradossalmente sono i liquidi ad essere ingeriti più difficilmente rispetto a boli solidi. Quindi devono essere implicati i recettori correlati alla distensione della parete. Se si toglie lo sfintere, si permette la nutrizione. Ma ovviamente ciò che scende liberamente, sale altrettanto liberamente. Si sceglie il male minore. Esiste poi la secrezione gastrica nel bambino appena nato. La secrezione gastrica nel bambino appena nato è diversa, fondamentalmente perché è diverso ciò che mangia. Il bambino appena nato mangia latte, latte e latte. Quindi il sistema digestivo deve essere orientato sul digerire le componenti del latte. Il latte è un alimento completo: contiene tutti i nutrienti di cui si ha bisogno. L‟unica carenza nel latte materno è il ferro, c‟è un po‟ meno ferro del necessario per l‟emopoiesi del bambino. Quindi se il bambino dopo il terzo mese continua a prendere solo latte ci può essere un problema, visto che la vita media dei globuli rossi è di 120 giorni. Quindi c‟è bisogno al 3° mese di integrare altre cose oltre il latte materno (come latte addizionato con il ferro) per non far insorgere una leggera anemia sideropenica. La componente più importante da digerire del latte è rappresentata da una componente proteica, è la tipica proteina del latte: il caseinogeno, la proteina da cui deriva il formaggio. Il caseinogeno non è aggredibile dai normali enzimi che digeriscono le proteine (pepsina, tripsina…). Per poterlo attaccare bisogna fare un‟operazione molecolare in cui il caseinogeno reagisce son ioni Ca++: così il caseinogeno precipita, da solubile diventa insolubile, e questo precipitato può essere facilmente attaccato dagli enzimi proteolitici, sia dalle endopeptidasi che dalle esopeptidasi. Quindi l‟operazione fondamentale da fare è fare precipitare il caseinogeno sotto forma di paracaseinato di calcio, forma aggredibile da parte degli enzimi per assumere i singoli amminoacidi. Questa operazione richiede un enzima particolare che si chiama rennina. (Nelle pecore si chiama caglio e si trova nella mucosa gastrica). Una volta eliminato il paracaseinato di calcio, il latte contiene ancora proteine: albumine, lattoalbumine e lattoglobuline quindi ci sono ancora proteine da sfruttare. Se si riscalda e si mette a contatto con il calcio e ci sono precipitato di albumine e globuline che è la ricotta. 295
Lo stomaco si svuota e il chimo, a fiotti, va al duodeno. Lo svuotamento dello stomaco è caratteristico: l‟antro si contrae, il chimo (liquido) è spruzzato a fiotti di 10-15 ml dall‟antro nella prima parte del duodeno attraverso la valvola pilorica. È un processo lento, avviene piano piano. Nel tenue si deve verificare il grosso della digestione e soprattutto, dopo la digestione, i fenomeni di assorbimento; le sostanze dal lume intestinale, dall‟esterno, devono passare all‟interno, a livello del torrente circolatorio per poter essere utilizzata. Perché ciò si realizzi, la parte iniziale dell‟intestino tenue, il duodeno, circa 30 cm, riceve due importantissimi condotti che riversano nel duodeno il prodotto della secrezione epatica, cioè la bile, e il prodotto della secrezione pancreatica, cioè il succo pancreatico. Questi due succhi digestivi permetteranno di realizzare, completare il processo della digestione senza il quale non potrà avvenire il processo dell‟assorbimento. Il grosso dei processi digestivi non avviene nel duodeno ma nel digiuno, 2-3 metri di intestino. Poi i fenomeni di assorbimento avranno luogo in parte nel digiuno in parte nell‟ileo, ultima parte del tenue. Infine si entrerà nel colon, ormai i processi digestivi si sono completati mentre i processi di assorbimento sono quasi completati; l‟unica cosa che non è stata assorbita nel tenue è l‟acqua, assorbita nel crasso. “L‟intestino tenue mangia, l‟intestino crasso beve”. Tutta l‟acqua secreta nel lume intestinale (attraverso le varie secrezioni) sarà riassorbita al 95% nel colon. Se il colon non la assorbe si perde con le feci e si ha la diarrea.
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Lezione 28
Oggi cominciamo a discutere di un argomento formidabile, rappresentato da due delle tre grandi funzioni dell‟intestino: digestione ed assorbimento. La terza funzione, la vedrete più avanti, sono gli aspetti motori dell‟ asse intestinale. L‟intestino, detto anche frattaglie, rappresenta il 90% di lunghezza del tubo gastro-enterico, se togliete stomaco ed esofago, entrambi messi assieme non arrivano nemmeno ad 1m, il resto è rappresentato dall‟intestino: 4/5 è l‟intestino tenue, ha il diametro del vostro pollice, il resto è l‟intestino crasso che ha un diametro di circa 3 volte più grande rispetto al tenue. Tutto quello che andremo ad analizzare sono le funzioni digestive e soprattutto l‟assorbimento di questi prodotti della digestione; queste hanno luogo a livello intestinale. Abbiamo visto come fino ad ora tra bocca, esofago e stomaco di digestione ce ne sia stata poca e di assorbimento non ce n‟è stato completamente (tranne per l‟alcool). È chiaro che il grosso di questi fenomeni deve avere luogo a livello intestinale, in particolar modo nell‟intestino tenue. Il problema dell‟assorbimento è collegato al problema della digestione ( io posso assorbire delle molecole solo se queste sono state ridotte, in termini di dimensioni e di complessità molecolare). Qualunque molecola che abbia un minimo di complessità molecolare, in particolare se sono di natura glucidica o proteica, agisce nel nostro organismo da antigene,quindi noi correremo il rischio di introdurre molecole che inducono reazioni ad antigene in corpo, quindi anziché essere utili danno problemi su problemi. Io devo smontare le molecole che introduco con il cibo in elementi semplici, talmente semplici da impedire la risposta immunitaria e da essere assorbite così come sono. Questo processo di smontaggio delle molecole complesse in molecole più semplici è la digestione, un processo essenzialmente chimico, che principalmente avviene nell‟intestino tenue. È già cominciato qualche cosa nella bocca dove c‟è la saliva che contiene un‟amilasi per digerire gli amidi e una lipasi per incominciare a digerire i lipidi, ma sono di scarsa importanza. Anche lo stomaco contiene una lipasi, ma soprattutto contiene pepsinogeno (in forma attiva pepsina), anche qui la digestione risulta essere parziale, si frammentano le catene polipeptiche ma non avviene nient‟ altro. Noi dobbiamo digerire fondamentalmente quattro cose, che sono i quattro costituenti fondamentali della dieta:
Polisaccaridi; fino a ridurli in trigliceridi. Proteine; che dobbiamo ridurre a singoli amminoacidi o al massimo di- e tripeptidi (non più di tanto). Trigliceridi; per usufruirne li dobbiamo portare ad acidi grassi, al massimo possiamo lasciare un acido grasso legato al glicerolo (monogliceride). Acidi nucleici; sono un altro costituente della dieta, sia il DNA che l‟RNA. Quindi anche queste cellule devono essere digerite fino proprio a smontare prima i nucleotidi e poi smontare i nucleotidi nei loro singoli (liberare il pentoso, le basi, ecc..).
Tutto questo richiede una formidabile azione enzimatica che viene ovviamente garantita principalmente a livello dell‟intestino. Fino allo stomaco gli enzimi che abbiamo visto in funzioni non erano molti, quindi il grosso dell‟azione enzimatica avverrà sul chimo che lascia lo stomaco. Su questo chimo dovrò operare una digestione dei polisaccaridi, delle proteine, dei trigliceridi e anche di altre forme di lipidi più complesse, infine degli acidi nucleici in essi compresi. In più questo chimo presenta un altro problema che non è di natura digestiva, ma di natura protettiva, cioè questo chimo è troppo acido per la mucosa del duodeno, del digiuno che non sono in grado di desistere a questi pH così forti, creati dall‟acido cloridrico gastrico. Quindi un altro dei problemi è quello di andare a tamponare questa acidità del chimo che proviene dallo stomaco, per riportarlo da valori vicino a 1,5-2 a valori della neutralità che sono 7-7,4. Questo processo di neutralizzazione non è 297
una digestione, ma è un‟azione indispensabile per proteggere. Se questa azione protettiva non ha luogo l‟azione del chimo acido ha la capacità di erodere velocemente la mucosa dell‟intestino, in particolare la prima zona che incontra che è il duodeno e avere quelle che si chiamano ulcere duodenali (delle lesioni di parete, dovute al fatto che queste zone non sono adatte a sopportare, esattamente come quelle dell‟esofago, il chimo acido proveniente dallo stomaco. Dimensioni dell‟intestino tenue: Qualche decina di cm sono rappresentate dal duodeno, con la classica forma a C, che come vedete all‟inizio è la parte più breve dell‟intestino 30-40 cm. L‟arrivo dello stomaco attiva, nel duodeno una serie di processi. Poi abbiamo una lunghissima parte, che nel cadavere è sempre vuota, ed è per questo che i vecchi anatomici chiamarono digiuno, è 5-6m di lunghezza. Infine gli ultimi 2-3 m sono rappresentati da una parte diversa, detta ileo, dove si trovano delle strane strutture di tipo linfatico, le placche del Peyer. L‟intestino tenue finisce in basso a destra e va a confluire nell‟intestino crasso, che è più largo rispetto al tenue. Dal crasso sporge un‟estroflessione vermiforme ( più piccola del mignolo della nostra mano) che è detta appendice vermiforme, che quando si infiamma da appendice diventa ovviamente appendicite. Ha così inizio il crasso che, partendo dalla fossa iliaca destra, salirà, si porta subito sotto il fegato, poi passa al davanti dello stomaco, trasverso, poi ha una fase discendente (colon discendente), e poi in basso si formerà la parte terminale a forma di sigma (a forma di S) che lo metterà in collegamento con l‟ampolla rettale e il sistema è terminato. Una delle caratteristiche dell‟intestino tenue è che al suo interno sono presenti delle pieghe, ogni piega a sua volta presenta delle estroflessioni dette villi intestinali, che sono rivestiti da cellule, queste cellule sono gli enterociti. Gli enterociti che rivesto i villi intestinali hanno come caratteristica il fatto che anche la loro membrana cellulare presenta una serie di estroflessioni, i microvilli, con lo scopo di aumentare la superficie di contatto tra la mucosa e il contenuto, il chimo, che si trova nel lume (in una persona adulta normale questa superficie è intorno ai 300 m2). All‟interno dei villi si trova l‟arteria del villo, la vena, il vaso linfatico (vaso chilifero), e si trova anche una particolare ripiegatura di tipo muscolare liscio, detta muscolaris mucosae, la quale è in grado di far contrarre e rilasciare il villo in maniera tale da far allontanare il sangue venoso e in particolar modo la linfa verso la circolazione generale. Più avanti vedremo che la muscolaris mucosae ha un ruolo importante nella fisiologia dell‟assorbimento intestinale. La stragrande maggioranza delle cose che devono essere assorbite vengono assorbite nel digiuno, quindi il digiuno è la struttura fondamentale per l‟assorbimento. Ci sono però alcune eccezioni: la prima è il Ferro che viene assorbito subito nel duodeno (appena il chimo lascia lo stomaco ed arriva nel duondeno il ferro viene subito assorbito); altra eccezione sono la vitamina B12 e i Sali biliari che invece vengono assorbiti nell‟ultima parte dell‟intestino tenue, cioè dall‟ileo (poco prima della valvola ileocecale). Adesso cominciamo a descrivere le funzioni enzimatiche che avvengono nell‟intestino. Fino ad ora abbiamo parlato di saliva e stomaco, quindi dell‟amilasi salivare per la prima digestione, del pepsinogeno e della lipasi gastrica per la seconda digestione. Come potete ben vedere il grosso degli enzimi che noi troviamo nell‟apparato digerente viene prodotto dal pancreas. Il pancreas produce enzimi in grado di digerire: zuccheri, grassi, proteine e acidi nucleici (DNA e RNA). Tutti i costituenti della vita vengono aggrediti da questi formidabili enzimi pancreatici, sono delle famiglie di enzimi in grado di aggredire tutti i substrati alimentari che noi possediamo. Abbiamo un‟amilasi pancreatica, di gran lunga più potente dell‟amilasi salivare, l‟amilasi salivare digerisce poco amido, e lo digerisce solo se cotto, quella pancreatica digerisce ogni tip glucosio, a volte li rompe tutti a volte, invece, ne rompe uno si e uno no e alla fine di questa operazione si formano delle maltodestrine oppure delle singole molecole di glucosio. L‟amilasi pancreatica è di gran lunga l‟enzima più importante della digestione dei carboidrati, l‟amido è il carboidrato più importante della nostra dieta, l‟amido è il 90% di tutti i carboidrati che noi ingeriamo quotidianamente con gli alimenti (pane, pasta, riso), è il carboidrato di riferimento di tutti questi alimenti. A parte questo noi introduciamo pochi altri zuccheri: il lattante come unico 298
zucchero introduce il lattosio, infatti segue una dieta a base di latte; nell‟adulto l‟unico altro zucchero che introduciamo è quello che mettiamo nel caffè, il saccarosio. Oltre a questi zuccheri gli altri, come ad esempio i monosaccaridi, sono praticamente assenti. Quindi nella nostra dieta sono presenti alcuni disaccaridi, lattosio e saccarosio, e poi è presente soprattutto l‟amido che è un grande polisaccaride. L‟amido è l‟unico polisaccaride che noi siamo in grado di digerire, tutti gli altri polisaccaridi noi non lo digeriamo. Ad esempio un polisaccaride molto simile all‟amido è la cellulosa, che è fatta da sole molecole di glucosio e noi non disponiamo dell‟enzima cellulasi e quindi non siamo in grado di digerirla. La cellulosa è il principale polisaccaride dei vegetali, così come negli animali il principale polisaccaride è l‟amido, o meglio la versione animale dell‟amido che è il glicogeno. Nei vegetali, a parte i cereali che contengono amido, è contenuto soprattutto cellulosa. Esistono dei microrganismi che contengono la cellulasi, l‟enzima che digerisce questo polisaccaride. Gli erbivori ospitano nel loro intestino questi microrganismi, per cui questa simbiosi tra animale e microrganismo permette all‟animale di digerire la cellulosa e quindi di assorbirne i prodotti della degradazione (ad esempio le tarme presentano questi microrganismi). Il pancreas produce solo l‟ -amilasi, non è produttore di enzimi di altro tipo per gli zuccheri; per digerire il lattosio o il saccarosio gli enzimi vengono prodotti dalla mucosa enterica, cioè da cellule che si trovavano già nell‟ intestino tenue, quindi la mucosa enterica produce sia una lattasi, sia una saccarasi in grado di aggredire rispettivamente il lattosio e il saccarosio. Producono molti altri enzimi per gli zuccheri come la trealasi, la isomaltasi, la maltasi che sono i veri digeritori di zuccheri un po‟ più semplici, ma il vero polisaccaride, l‟amido, viene digerito solo dall‟ pancreatica. È Importante fare attenzione alla lattasi, poiché il latte è l‟unico alimento per un neonato, e quindi il lattosio è l‟unico zucchero che ingerisce. Quindi è importante per il neonato digerire il lattosio e i monosaccaridi che se ne ottengono. La produzione di questo enzima è collegata alla dieta, quando mangiamo latte produciamo l‟enzima, quando cresciamo e smettiamo di prendere il latte l‟enzima tende a non essere più prodotto. Si può andare incontro ad intolleranza da lattosio perché questo non viene digerito, si va incontro a problemi di varia natura (soprattutto diarroici). Occorre rieducare la proprio mucosa a risintetizzare, bisogna nuovamente indurre la sintesi dell‟enzima, bisogna quindi introdurre piccole quantità di latte tutti i giorni, così da riabituare l‟organismo a produrre la lattasi. Il pancreas è soprattutto importante per digerire le proteine, produce i più importanti enzimi per questo tipo di digestione, come la tripsina e la chimotripsina, i principali enzimi proteolitici che agiscono come endopeptidasi, mentre, come dice il nome stesso, la carbossi-peptidadi A e la carbossi-peptidasi B sono,invece, esopeptidasi, cioè enzimi che staccano l‟ultimo amminoacidi dalla catena dove c‟è il gruppo COH2, anche questi sono prodotti a livello pancreatico. Il pancreas poi produce un particolare enzima, l‟elastasi, che è l‟unico enzima in grado di digerire l‟elastina che introduciamo ogni volta che mangiamo tessuto animale. Uno dei problemi degli enzimi che digeriscono le proteine è rappresentato dal fatto che non li possiamo produrre come enzimi attivi, poiché se noi li producessimo come enzimi attivi questi andrebbero a degradare la cellula stessa che le sintetizza. Quindi si devono produrre come enzimi inattivi: la tripsina viene prodotta come tripsinogeno, la chimotripsina come chimotripsinogeno, la elastasi come proelastasi, le due carbossi-peptidasi A e B come procarbossi-peptidasi A e B. Quindi sono enzimi che non funzionano; il pancreas li butta fuori, li fa passare nell‟intestino, l‟intestino produce un enzima suo. Questo enzima che l‟intestino produce per digerire le proteine si chiama enteropeptidasi (entero perché è prodotto all‟interno, a livello della mucosa enterica). Quando il precursore della tripsina, il tripepsinogeno, entra nell‟intestino viene a contatto con questo enzima, ed è proprio questo enzima che aggredisce il precursore, il tripsinogeno, e lo fa diventare tripsina attiva. Siccome questo enzima si trova solo nel lume intestinale, fino a quando il tripsinogeno è dentro il pancreas ovviamente è al sicuro, se non esce non entra a contatto con la enteropeptidasi e non può fare nulla. Quindi la enteropeptidasi serve solo a questo, ha come unico compito di attivare la tripsina. Una volta che la tripsina è attivata, la tripsina stessa attiva sia se stessa, cioè altri tripsinogeni inattivi e tutti gli altri precursori che digeriscono proteine (proelastasi, procarbossi-peptidasi, chimotripsinogeno). È 299
fondamentale questa attivazione del tripsinogeno in tripsina extrapancreatica perché ovviamente avrei problemi. Durante un intervento chirurgico all‟addome, nella parte alta dell‟addome, un chirurgo può indurre un reflusso di succo enterico all‟interno del pancres, cioè nel pancreas entra enteropeptidasi. Ciò comporta che la tripsina viene attivata non al di fuori del pancreas, ma dentro il parenchima pancreatico, e una volta che questa è attivata va ad attivare tutti gli altri enzimi proteolitici che si trovano all‟interno del pancreas, inizia un autodigestione del pancreas acuta, velocissima, poche ore e il soggetto è in addome acuto, questa situazione grave si chiama necrosi acuta del pancreas o pancreatite acuta che deve essere subito fronteggiata, poiché questi enzimi vanno a distruggere il parenchima, man mano che questo viene distrutto poi vengono raggiunti anche i vasi sanguiferi, quindi questi enzimi vanno a finire nel sangue. La tripsina piuttosto che rimanere localizzata nel pancreas si distribuisce in tutto l‟organismo assieme a tutti gli altri enzimi pancreatici e questi sono problemi gravissimi e bisogna immediatamente intervenire per bloccare questa autodigestione del pancreas, poiché senza pancreas non si può vivere. Nel pancreas vengono prodotti i principali enzimi della digestione, quindi se io non produco pancreas non digerisco gli amidi, le proteine, i lipidi e gli acidi nucleici. È possibile accorgersene subito perché le feci di questi soggetti presenteranno amido non digerito, proteine non digerite o lipidi non digeriti (amilorrea, creatorrea, steanorrea) sono tutte espressioni di una insufficienza di produzione d‟enzimi da parte del pancreas. Il pancreas poi produce una serie di enzimi per la digestione dei lipidi, soprattutto la lipasi pancreatica e la prolipasi pancreatica, la prolipasi serve a proteggere la lipasi dalla tripsina. Gli enzimi sono proteine e nel momento in cui la tripsina vede una proteina la digerisce, allora la prolipasi impedisce alla tripsina di digerirsi la lipasi, quindi la lipasi può rimanere funzionante e può quindi adempiere il suo compito, digerire i lipidi. Esiste poi una colesteroloesterasi e una fosfolipasi A2 enzimi importanti per la digestione dei lipidi. Infine il pancreas digerisce due importanti enzimi per la digestione degli acidi nucleici, la dessossiribonucleasi per il DNA e la ribonucleasi per l‟RNA, questi devono scindere gli acidi nucleici in nucleotidi, poi ci saranno altri enzimi prodotti dalla mucosa enterica che romperanno i nucleotidi liberando la base purinica dallo zucchero, dal pentoso, e quindi ci permetteranno di avere separatamente il pentoso, cioè il ribosio o il desossiribosio, e poi a parte la base purinica o pirimidinica che verranno assorbiti per i fatti loro. La mucosa enterica produce degli altri enzimi, uno l‟abbiamo già incontrato ed è l‟enteropeptidasi, gli enzimi che digeriscono gli zuccheri, alcuni amminopeptidasi, alcuni carbossipeptidasi che permettono di completare la digestione. Ma come vedete tutti gli enzimi digestivi vengono prodotti dal pancreas, senza pancreas non si digeriscono le proteine, gli zuccheri, i lipidi e nemmeno gli acidi nucleici, c‟è poco da fare non sarebbe compatibile con la vita un danno del pancreas. Il pancreas utilizzerà due condotti per mandare il succo pancreatico nel duodeno, uno più sottile detto di Santorini che si porta a quella che si chiama papilla minor, situata più dorsalmente, mentre il condotto più importante è il dotto di wirsung, il dotto pancreatico principale, che insieme al dotto coledoco, si porta alla papilla major, che in termine tecnico si chiama papilla vater. Il succo pancreatico contiene enzimi proteolitici, glicolitici, lipolitici, gli enzimi che digeriscono gli acidi nucleici ma anche una formidabile quantità di ioni bicarbonati, perché il problema non è solo quello di digerire ma deve tamponare la fortissima acidità che proviene dallo stomaco. Sia il dotto coledoco che il dotto pancreatico sono chiusi dagli sfinteri, e anche l‟ampolla del vater è chiusa da uno sfintere. Quindi è impedito che esca qualsiasi cosa sia dall‟uno che dall‟altro. Quindi in condizioni normali, in un soggetto a digiuno, dal pancreas non esce niente verso l‟intestino, anche perché non ci sarebbe un substrato su cui gli enzimi potrebbero andare ad agire, sarebbe pericoloso avere questi enzimi nell‟intestino, poiché potrebbero attivarsi e potrebbero mangiarsi la parete dell‟intestino, quindi a digiuno non devono esserci enzimi pancreatici nel lume duodenale. Il succo pancreatico contiene due tipi di sostanza: da un lato gli enzimi che servono per digerire, e dall‟altro i bicarbonati che servono, invece, per tamponare. Sono due cose diverse che vengono regolate separatamente, per cui io posso stimolare, principalmente, la produzione degli enzimi oppure quella degli ioni bicarbonati, oppure quella di entrambe le sostanze. Un fattore importante è 300
la velocità di produzione del succo pancreatico; se la produzione del succo pancreatico è lenta, questo sarà ricco d‟enzimi e povero di ioni bicarbonati, se invece il pancreas è stimolato a lavorare più velocemente il contenuto di enzimi si impoverisce, aumenta nettamente quello dei bicarbonati. La quantità relativa di queste due componenti tende a riflettere la velocità di sintesi del flusso. La produzione del succo pancreatico dipende sia da ormoni che da meccanismi di natura nervosa, cioè il parasimpatico ( così come il parasimpatico mi faceva produrre il succo salivare, quello gastrico, mi fa produrre anche quello pancreatico), in particolare insieme all‟acetil colina agendo su recettori muscarinici stimola la produzione del succo pancreatico (esattamente come a livello gastrico), in realtà stimola soprattutto la produzione degli enzimi, meno la produzione dei bicarbonati. Esiste poi a livello del duodeno la presenza di cellule specializzate, che si chiamano cellule I e cellule S, queste producono ormoni. Le cellule I producono un ormone che si chiama colecistochinina, è molto simile alla gastrina (agiscono sugli stessi recettori), e già dal nome possiamo capire che non agisce solo sul pancreas, ma ovviamente agisce anche sulla colecisti e in particolare la fa contrarre, quindi il termine colecistochinina indica una capacità di mettere in moto la cinetica della cistifellea. Anticamente si pensava che ci fosse un ormone diverso per il pancreas e lo avevano chiamato pancreozimina, perché stimolava gli ormoni del pancreas, poi si accorsero che questi non sono due ormoni diversi, ma è lo stesso ormone che, quando agisce sul pancreas viene chiamato pancreozimina, invece, quando agisce sulla colecisti viene chiamato colecistochinina. Questo ormone viene prodotto dalla cellule I della mucosa del duodeno, e viene prodotto in misura direttamente proporzionale al contenuto di acidi grassi liberi nel succo che proviene dallo stomaco (chimo). Quindi nello stomaco più grassi liberi ci sono più è elevata la produzione di colecistochinina da parte delle cellule I della mucosa duodenale. Altro stimolo abbastanza potente è rappresentato da frammenti proteici. È importante ricordare che lo stomaco produce sia la tripsina che frammenta le proteine, sia la lipasi che stacca gli acidi grassi, quindi produce acidi grassi liberi. La colecistochinina va al pancreas e determina la produzione di un succo ricco di enzimi, i principali enzimi sono quelli proteolitici e quelli lipolitici. Essendo un ormone questo se ne va nel sangue, se ne va nella vena coledocico-pancreatica, se ne va nella cava inferiore…poi raggiunge l‟arteria pancreatica per poter andare a stimolare la secrezione pancreatica. L‟altro ormone viene prodotto dalle cellule S della mucosa duodenale, il termine S dipende dal fatto che questo ormone è stato chiamato secretina (è il primo ormone scoperto nell‟uomo). Questa secretina va al pancreas e stimola la secrezione del succo pancreatico, ma soprattutto non un succo pancreatico ricco di enzimi, ma ricco di bicarbonati, quindi fa produrre l‟altra componente del succo pancreatico, situazione inversa rispetto alla pancreozimina. La secretina è un eccito-secretore, Bayliss chiamò questa molecola ormone (dal greco ormao che vuol dire “io eccito, io stimolo”). Ricapitoliamo: le cellule I producono la colecistochinina, le cellule S producono la secretina. Le cellule I producono colecistochinina quando dallo stomaco arriva chimo ricco di acidi grassi liberi e frammenti proteici, lo scopo è quello di fare produrre al pancreas un succo ricco di enzimi e non di bicarbonati. Le cellule S, invece, vengono esclusivamente attivate dal pH del chimo che proviene dallo stomaco, più il chimo è acido più secretina viene prodotta, quindi il succo pancreatico che viene prodotto in questo contesto sarà ricco di bicarbonati e non di enzimi. Il meccanismo principale di regolazione della secrezione pancreatica è di tipo ormonale e i due ormoni che entrano in gioco sono di natura polipeptidica, colecistochinina e secretina. Queste si trovano nel duodeno e vengono attivate dall‟arrivo del succo gastrico, questi ormoni non vengono prodotti fino a quando non ha inizio lo svuotamento dello stomaco, quindi nel duodeno non c‟è niente, non ci sono questi ormoni, il pancreas non produce niente, e non c‟è il rischio di avere succo pancreatico in un lume vuoto che va ad aggredire le delicatissime pareti della mucosa duodenale. Questi sono due ormoni ad effetto combinato, non solo agiscono sul pancreas ma anche nella produzione della bile. La colecistochinina fa contrarre la cistifellea, la secretina agisce direttamente sul fegato e fa produrre proprio la bile, aumenta la sintesi di bile proprio a livello degli epatociti. La cistifellea contiene bile già fatta, si tratta solo di farla uscire da questo serbatoio tramite le contrazioni indotte dalla 301
colecistochinina per essere immessa nel duodeno, questo ormone e tutte le sostanze che permettono la contrazione della cistifellea (es.farmaci), in termini tecnici in fisiologia viene chiamata colagogo (in greco colè vuol dire bile), invece l‟ormone, le sostanze, i farmaci che stimolano il fegato a produrre più bile (parliamo di secrezione e non di escrezione come nel primo caso), vengono chiamati in fisiologia e quindi in medicina coleretici. Colagoghi se agiscono sulla cistifellea, quindi la bile è già fatta si tratta solo di farla uscire, coleretici se agiscano sul fegato per andare proprio a sintetizzare la bile. In generale tutti i grassi sono colagoghi, mentre i coleretici sono una categoria particolare di sostanze, per esempio gli estratti che si ottengono dalla corteccia di un albero cinese, che per questo motivo viene chiamato albero della china, che sono alla base di tutti quei prodotti conosciuti come amari, i digestivi. Digestione e assorbimento degli zuccheri. Le molecole complesse vengono frammentate in molecole più semplici, ci sono vari enzimi che le digeriscono, quello che ci interessa è che l‟amido deve essere portato a disaccaride, e poi questi vengono aggrediti a vari livelli, e poi le varie molecole entrano. L‟entrata del glucosio che è la molecosa che ci interessa di più è un‟entrata attiva che è legata al trasporto del Na (cotrasporto sodio-glucosio), è un trasportatore di membrana che si chiama SLGT1, che porta il glucosio dal lume intestinale all‟interno della cellula. Poi attraverso un altro trasportatore che si chiama GLUT2 uscirà dall‟altro lato, dalla cellula andrà a finire nel sangue, quindi lo zucchero che è stato assorbito a livello intestinale è andato a finire in circolo. Il fruttosio ha un suo trasportatore distinto e separato da quello del glucosio, in questo caso non è accoppiato al Na, e si chiama GLUT5. Fruttosio da un lato, glucosio e galattosio dall‟altro lato in cotrasporto con il Na, vengono trasportati attivamente all‟interno della cellula e poi vengono immessi in circolo per mezzo di GLUT2. Una volta che vanno nel sangue quasi tutte queste molecole verranno isomerizzate e alla fine diventano tutte glucosio. Quindi ciò che ci interessa è la conversioni di tutti questi monosaccaridi nell‟unico monosaccaride che ci interessa, il glucosio. Avremmo quindi una glicemia, un tasso plasmatico del glucosio che riflette queste diverse forme. Per le proteine, l‟abbiamo già visto, esistono sia delle endopeptidasi che attaccano la molecola dall‟interno, rompono i legami e formano dei frammenti, poi arrivano le esopeptidasi e le carbossipeptidasi che agiscono dall‟esterno e staccano a uno a uno gli amminoacidi o ammino terminali o carbossil terminali. Alla fine questi devono essere assorbiti, l‟assorbimento avviene principalmente sottoforma di amminoacidi, quindi i singoli amminoacidi si avvicinano alla cellula enterica e in cotrasporto con il Na vengono portati all‟interno della cellula, e poi diffondono nel sangue, nel capillare sanguigno che c‟è nel villo. Nelle cellule enteriche però sono in grado di assorbire anche di- e tripeptidi (oltre i tripeptidi non possono essere digeriti perché funzionano da antigene), non solo singoli amminoacidi, in questo caso però non vengono trasportati insieme al sodio, ma ci vuole un trasportatore diverso che li porta in cotrasporto con il cloro. Esiste anche, in teoria, la possibilità di fare entrare proteine intere. Ovviamente queste proteine intere vengono fatte entrare per endocitosi, si forma una vescicola endocitosica, e questa vescicola trasporta all‟interno del soggetto. In circolo quindi vediamo proteine intere, catene di polipetidiche non digerite. Questo non si verifica nell‟uomo, con l‟eccezioni dei primi giorni di vita postnatale, la prima settimana di vita, dopo questa capacità viene perduta piuttosto rapidamente. È importante che il bambino appena nato digerisca proteine intere e non frammentate, perché il bambino per nove mesi è stato isolato dal mondo e quindi non ha anticorpi, non ha difese immunitarie. Quando viene al mondo verrà subito a contatto con batteri e con virus, questo è inevitabile e la madre passa al figlio i propri anticorpi. Gli anticorpi sono proteine complesse se venissero digeriti verrebbero distrutti, quindi è fondamentale che il bambino possa assorbire questi anticorpi, che sono delle Igg, e così prende la difesa immunitaria della madre (immunizzazione passiva). Così come noi ci facciamo il siero antitetanico, cioè introduciamo anticorpi contro il tetano, in questo caso la madre passa tutti i tipi di anticorpi al figlio. Questo passaggio la madre lo fa attraverso il latte, quindi il latte della madre nei primi sette giorni non è latte, cioè non ha le caratteristiche del latte definitivo, ma è un concentrato degli anticorpi della madre (ha un colore giallastro). Il bambino attraverso 302
questo secreto, che ribadiamo non è latte, prende dalla madre tutti gli anticorpi e si immunizza passivamente, in maniera tale da permettere al bambino di crearsi una momentanea difesa immunitaria. Dopo la prima settimana di vita postnatale il latte cambia colore, diventa più bianco e avrà i normali caratteri del latte e il bambino avrà perduto la capacità di assorbire proteine intere, e da quel momento in poi avrà il tipico comportamento della barriera adulta, cioè la frammentazione delle proteine. Questo ci fa capire l‟importanza dell‟allattamento al seno, perché se viene a mancare il bambino non avrà questa immunizzazione passiva, e quindi il bambino si trova in una situazione di svantaggio immunitario che è una situazione abbastanza delicata, il bambino sarà immunoscoperto per i suoi primi 5-6 mesi di vita. Non sapendo quali sono le cellule mie, non devo fare anticorpi, e quali sono non mie, devo fare anticorpi, noi possediamo un patrimonio di cellule linfatiche, divise in glomi, in grado di produrre un miliardo di anticorpi diversi. Nei primi sei mesi di vita queste cellule si trovano nel nostro organismo, tutte le molecole che incontrano vengono considerate mie, e quindi l‟anticorpo, o meglio il linfocita in grado di produrre l‟anticorpo contro quella molecola che io considero mia viene distrutto. Dopo questi sei mesi tutte le molecole con cui non sono venuto a contatto, in questi sei mesi, vengono considerate non self, e quindi da quel momento in poi tutti i glomi sopravvissuti appena entrano in contatto con una molecola nella quale loro sono in grado di fare anticorpi metteranno in moto la difesa immunitaria. Quindi nei primi sei mesi il bambino non può fare anticorpi perché deve crearsi quella che si chiama memoria immunitaria, deve imparare a distinguere tra il self e il non self, e deve soprattutto fare fuori i glomi che produrrebbero anticorpi. Questa però è solo una teoria perché in pratica non è così. Per esempio le cellule linfatiche di un individuo non vengono mai a contatto, fisiologicamente, con certi tessuti del suo corpo. Per esempio non vengono a contatto con gli antigeni situati nel sistema nervoso centrale perché è protetto dalla barriera e quindi, se questa barriera si rompe, il cervello viene a contatto con i linfociti, viene considerato antigene, produco anticorpi ed ho quella che si chiama malattia autoimmune (es. sclerosi multipla). La stessa cosa avviene in un'altra barriera presente nella tiroide, le nostre cellule linfatiche non entrano a contatto con la tiroide, ma se un‟infiammazione, detta tiroidite , rompe la barriera si verifica quella situazione conosciuta come tiroidite autoimmune (detta di hashimoto). Un‟altra barriera è a livello del testicolo, i linfociti non entrano mai a contatto ne con le cellule di sertoli ne con le cellule di leyding. Ma se un trauma rompe la barriera si può creare una malattia autoimmune nei confronti delle cellule di sertoli e di quelle del leyding (orchite autoimmune). Molto più complicata è la digestione dei grassi, richiede la presenza di un enzima. I grassi per eccellenza detti trigliceridi presentano una molecola detta glicerolo che si va a legare a tre diversi acidi grassi. Quindi ciascun gruppo alcolico del glicerolo è esterificato da un diverso acido grasso. La stragrande maggioranza dei grassi che ognuno di noi possiede sono trigliceridi, questi non si possono assorbire come trigliceridi ma devono essere digeriti. La digestione dei trigliceridi richiede il distacco di almeno due dei tre acidi grassi legati al glicerolo. Questa digestione viene effettuata da un enzima che abbiamo già incontrato ed è la lipasi. Se ne produce una a livello salivare, una a livello gastrico e una a livello pancreatico, quest‟ultima è la vera lipasi per eccellenza. La lipasi attacca i trigliceridi e li scinde in monogliceridi (un acido grasso attaccato al glicerolo e due acidi grassi liberi). In questo modo io posso assorbire sia i monogliceridi che i due acidi grassi liberi. Il problema è che i trigliceridi non sono solubili in acqua come tutti gli altri grassi, quindi quando io ingerisco un cibo che contiene dei trigliceridi, in questa pappetta liquida che esce dallo stomaco ed entra nel duodeno, cioè nel chimo che è a base di acqua ci saranno poi delle gocce (come quando sciogliete dell‟olio nell‟acqua) che sono assolutamente insolubili. L‟enzima attacca le goccioline di olio solo dall‟esterno, cioè sulla superficie. Se io ho dei goccioloni l‟attività dell‟enzima è lentissima, ci vorranno giorni affinché avvenga la digestione. Quindi anziché avere poche e grosse gocce, posso frammentarle in tante piccole gocce facendo aumentare così la superficie e aumentando il rapporto enzima substrato, in questo modo la digestione avviene in qualche ora. Il meccanismo che ci permette di frammentare le gocce in gocce più piccole è detto emulsionamento. 303
Questo particolare meccanismo è collegato a delle particolari molecole dette tensioattivi. Per poter emulsionare un grasso bisogna abbassare la tensione superficiale, e per far si che questa avvenga è necessaria la presenza dei tensioattivi. Il tensioattivo è una molecola particolare che deve avere una precisa caratteristica chimica, cioè una parte della molecola deve essere idrofila, e l‟altra parte della molecola deve essere idrofoba; in maniera tale che quando viene messa in una zona in cui c‟è acqua e olio, la parte idrofila si metterà verso l‟acqua, quella idrofoba verso l‟olio e si va a mettere proprio tra la superficie di contatto tra l‟uno e l‟altro, riducendo così la tensione superficiale. Quindi funziona da tensioattivo qualunque molecola costituita da una porzione idrofoba e una idrofila. Di queste molecole ne abbiamo già incontrata una, il tensioattivo polmonare il surfactante, che è un tipico tensioattivo con un polo idrofilo costituito da fosfatidilcolina, e un polo idrofobo costituito da due acidi grassi. Affinchè la lipasi pancreatica possa digerire velocemente i grassi, è necessario che i trigliceridi vengano prima emulsionati da un tensioattivo. Ed è proprio il fegato a produrre questi tensioattivi, in particolare il fegato produce come tensioattivi i Sali biliari. I Sali biliari, quindi, sono dei prodotti del fegato che hanno il compito di emulsionare i grassi contenuti nella dieta. Questi quando vengono prodotti sono presenti 1g ogni 100 ml di bile, ma dopo che sono stati un po‟ di tempo nella colecisti sono 6 volte più concentrati. Altro aspetto molto importante è che la bile non contiene nessun enzima, quindi il compito della bile non è quello di digerire, il compito della bile è quello di aiutare a digerire gli enzimi non fatti da lei (enzimi enterici ed enzimi pancreatici). I costituenti che ci interessano sono i Sali biliari e i bicarbonati, perché anche la bile entra in gioco per tamponare l‟acidità del chimo che proviene dallo stomaco. nella fisiologia della digestione la bile serve a fare due cose: aiuta la lipasi pancreatica a digerire i grassi e tampona il chimo acido proveniente dallo stomaco insieme ai bicarbonati pancreatici. I principali Sali biliari: si comincia sempre dal colesterolo, stiamo parlando di cellule epatiche cioè citocromo b450, da qui si comincia per sintetizzare i Sali biliari. Avviene questa trasformazione che dal colesterolo, si ottiene questo suo derivato che è l‟acido folico. Il colesterolo e il suo derivato, l‟acido folico, non sono solubili in acqua. Per far si che questa diventi una molecola polare bisogna unirla ad un amminoacido che può essere o la taurina o la glicina. Quindi quando io unisco un grasso, cioè un derivato del colesterolo, con un amminoacido che sono solubili in acqua, ottengo una molecola polare e di conseguenza ottengo quello che si chiama acido glicocolico (se AA è la glicina) o taurocolico (se AA è la taurina), ci può anche essere l‟acido chenodesossicolico (tauro- o glicochenodesossicolico a seconda dell‟AA con cui si lega). L‟importante è che se io non aggiungo questo AA la molecola non diventa polare, poi questi acidi perderanno subito lo ione H, e questo poi verrà preso o dal Na, o dal K e quindi si formano dei Sali (taurocolato di sodio, taurocolato di potassio, glicocolato di sodio o glicolato di potassio). La bile li manda nell‟intestino attraverso la secrezione, e il loro compito è quello di emulsionare i grassi contenuti nel chimo che proviene dallo stomaco. Inoltre hanno un altro interessante aspetto, infatti, sono dei potenti agenti antimicrobici, in particolare ammazzano i batteri gram positivi. I batteri gram positivi sono i principali responsabili delle infezioni sovra diaframmatiche ( secondo i vecchi medici tutte le infezioni sovra diaframmatiche erano dovute a batteri gram positive, quelle sottodiaframmatiche dipendevano dai gram negativi). Questi sono dei potenti antimicrobici, soprattutto hanno un‟azione batteriostatica (non uccidono il batterio ma gli impediscono di riprodursi). Se proviamo a mettere in un bicchiere d‟acqua dell‟olio, vediamo che questo si dispone in superficie ed è ben separato dall‟acqua, non appena aggiungiamo una molecola polare, cioè con un polo idrofilo e uno idrofobo, quel film liquido che prima era distinto e separato adesso si frammenta in tante micro goccioline. Ognuna di queste micro goccioline che è circondata da queste molecole polari, cioè dai Sali biliari, vengono chiamate micelle. Questa operazione, la macellazione, è ciò che otteniamo aggiungendo i Sali biliari al chimo che proviene al lume dello stomaco. A questo punto queste piccole gocce verranno attaccate dalla lipasi, e la lipasi adesso le potrà facilmente digerire. La lipasi prenderà il trigliceride e staccherà due dei tre acidi grassi, così avremmo monoglicerolo e due acidi grassi liberi. Gli acidi grassi rimangono dentro la micella poiché non sono solubili in acqua, e quindi all‟interno della micella ci saranno tutte quelle molecole che non sono solubili. Tutto ciò che non si può sciogliere in acqua trova all‟interno della micella 304
habitat ideale. Quando la micella si avvicina alle cellule della mucosa enterica, da questa escono acidi grassi, monogliceridi e derivati del colesterolo e penetrano nella cellula, e quasi tutti andranno a formare strutture lipoproteiche, dette chilomicroni, che lasceranno la cellula per il vaso linfatico. Soltanto gli acidi grassi a catena corta non entreranno a far parte del chilomicrone, ed andranno direttamente nel torrente circolatorio, quindi anziché nel vaso linfatico vanno direttamente nel sangue. Questo è importante perché significa che la maggior parte dei grassi che noi assorbiamo non passa dal fegato, perché il sangue va alla vena porta, ma la linfa non andrà nella vena porta, quindi non passerà dal fegato. Tra l‟altro la linfa cambia aspetto, quando sono a digiuno la linfa contenuta nei villi intestinali ha il colore dell‟acqua, è assolutamente incolore, durante l‟assorbimento intestinale man mano che ci vanno a finire queste particelle di grasso, diventa come il latte; quindi quando siamo a digiuno si chiama linfa, quando invece siamo in fase di assorbimento ed assume quest‟aspetto opaco si chiama chilo. Quindi i chilomicroni sono le particelle che vanno a formare il chilo. Ricapitoliamo: la digestione dei lipidi avviene per opera di enzimi pancreatici, in particolare per opera della lipasi. La più importante digestione dei lipidi è quella dei trigliceridi, poiché sono i più rappresentati nella dieta. La digestione dei trigliceridi richiede però un tempo enorme, ma per accelerare questa operazione bisogna aumentare il rapporto enzima substrato, per fare ciò è necessario aumentare la superficie di contatto. Per far si che avvenga questo è necessario frammentare i lipidi da poche grosse gocce in tante piccole gocce (il volume resta sempre lo stesso ma la superficie aumenta). Questa operazione si chiama emulsionamento e avviene grazie a sostanze polari, i tensioattivi, i quali si vanno a mettere nell‟interfaccia fra la fase liquida e la fase lipidica e si crea una frammentazione di questa fase lipidica in tante micro gocce che circondate da questo scheletro di acidi grassi, e così di formano le micelle. Queste rappresentano un ambiente all‟interno senza acqua dove si possono andare a collocare tutti le sostanze che non si sciolgono in acqua. Queste molecole idrofobe andandosi a collocare al centro della micella si avvicinano alla cellula enterica, non appena arrivano vicino alla cellula enterica le micelle si disperdono, escono queste molecole (monogliceridi, acidi grassi liberi ecc..) ed entrano nella cellula enterica. Una volta entrati in queste cellule la maggior parte forma i chilomicroni (sono le lipoproteine a più bassa densità) e raggiungono direttamente il vaso linfatico, da li raggiungeranno il dotto toracico sinistro, la vena succlavia, la cava superiore. Le uniche forme lipidiche che vanno al fegato sono gli acidi grassi a catena corta che invece vengono immessi direttamente nel sangue. A parte un anellino nella parte finale dell‟ileo verranno assorbiti anche i Sali biliari. I Sali biliari vengono quasi tutti riciclati, quindi prima di finire nell‟intestino tenue, questi Sali biliari che sono stati utilizzati vengono recuperati e costituiscono una circolazione che attraverso il sangue, attraverso la vena porta torna nuovamente al fegato. Il 95% dei Sali biliari viene recuperato, su 20 molecole che il fegato ha messo nella bile, 19 vengono riclicate, quindi solo una ogni 20 viene perduta con e feci. Naturalmente questo recupero attraverso il sangue porta alle cellule del fegato Sali biliari, e rappresenta un importante feedback negativo, perché se io assorbo molti Sali biliari viene inibita la produzione di questi stessi, se invece ne assorbo pochi la produzione di Sali biliari verrà stimolata. Ultimo concetto tornando agli ormoni che abbiamo visto precedentemente; la colecistochinina e la secretina. La secretina agisce sul fegato facendo sintetizzare la bile, invece la colesticochinina agisce sulla cistifellea sulla escrezione della bile. La colecistochinina è un colagogo, la secretina è un coleretico. La colecistochinina viene prodotta dalle cellule I, la secreti invece dalle cellule S. la colecistochinina riflette quanti acidi grassi ci sono nella dieta, la secretina riflette più che altro quanti bicarbonati devono essere prodotti dal fegato e dalla bile (riflette l‟acidità della dieta).
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Lezione 29 Ripetiamo brevemente quello che abbiamo fatto la volta scorsa. La gran parte dei fenomeni digestivi avviene nel digiuno, in generale quasi tutti i fenomeni digestivi avvengono nel tenue e nel digiuno e anche i fenomeni di assorbimenti avvengono nel digiuno; ciò che viene assorbito fuori dal digiuno è relativamente poco. Lo stomaco assorbe un po‟ di H2O e anche ammine come la caffeina , la teobromina, addirittura anche la mucosa orale assorbe delle molecole ad esempio assorbe proteine senza digerirle; voi sapete che nella saliva non abbiamo enzimi proteolitici c‟è la ptialina, c‟è una lipasi ma non ci sono proteasi quindi possiamo prendere una soluzione di insulina, metterla sotto la lingua e vediamo che piano piano l‟insulina NON digerita verrà assorbita ma LENTAMENTE. Per cui diciamo è poco utilizzata. Altre molecole possono essere assorbite per via sublinguale in modo da non essere alterate per esempio molti farmaci possono essere somministrati per via sublinguale: i famosi NITRITI usati nell‟angina pectoris, abbiamo le compresse di nitrina che si mettono sotto la lingua e non bisogna inghiottirla altrimenti l‟acido cloridico la distruggerebbe! BISOGNA TENERLE SOTTO LA LINGUA PER EVITARE L‟ALTERAZIONE DELLA MOLECOLA! Il vero assorbimento intestinale avviene nel duodeno , le eccezioni sono poche e oggi parleremo di alcune di queste eccezioni in quanto alcune di queste sono importanti dal punto di vista clinico . Iniziamo a parlare di ferro . Il ferro è un elemento indispensabile, pensiamo all‟emoglobina, alla mioglobina, a tutta una serie di cofattori e di molecole che contengono ferro per poter essere funzionali. Il ferro lo dobbiamo assumere dall‟esterno , dagli alimenti; quindi è fondamentale che in quello che mangiamo siano presenti alcuni alimenti ricchi di ferro ad esempio il cacao . Teniamo presente che negli alimenti che noi mangiamo il ferro si trova in due modi; 1- se mangiamo una bistecca il ferro presente nella carne è il tipico ferro presente nalla mioglobina , quindi è ferro contenuto nell‟eme (complessato nell‟anello tetrapirrolico dell‟eme). 2- se mangiamo vegetali il ferro non è complessato con l‟eme , quindi ferro NON complessato. Quindi nel nostro intestino dobbiamo distinguere come avviene avviene l‟assorbimento del ferro complessato con l‟eme e come avviene l‟assorbimento del ferro non complessato con l‟eme. Cibi vegetali ricchi di ferro non eme , cibi animali ricchi di ferro contenuto nell‟eme. Consideriamo che un uomo in totale possiede 3-4 g di ferro, tra questi 3-4 g sono contenuti nell‟emoglobina , poi altro ferro sarà contenuto nella mioglobina ecc ecc . Il ferro quando arriva nell‟intestino deve essere assorbito, l‟assorbimento del ferro è diverso a seconda se il ferro è eme o se il ferro è non eme. Queste due modalità di assorbimento del ferro avvengono sull‟orletto a spazzola degli enterociti del duodeno. Quindi il ferro viene assorbito quasi ed esclusivamente a livello del duodeno; cioè appena il chimo che contiene ferro esce dallo stomaco nei primi 30 cm di intestino tenue viene assorbito subito il ferro. Il ferro viene assorbito principalmente attraverso due grandi trasportatori : il ferro eme viene assorbito attraverso un trasportatore di membrana: EME CARRIER PROTREINA 1 ,che consente di portare il ferro all‟interno dell‟enterocita; il ferro non eme viene assorbito solo se in forma divalente (fe++)ione ferroso. L‟acido cloridrico (HCl) dello stomaco ha pensato a ridurre molto ferro da ferrico (fe+++) a ione ferroso (fe++), ma quello che non è stato ridotto (considerando che non abbiamo più HCL nel duodeno), deve essere ridotto da un‟altra sostanza e questa sarà la vitamina C o acido ascorbico. Quindi l‟acido ascorbico continua a ridurre il ferro , quindi riducendo il ferro da trivalente a bivalente permette di far entrare il ferro nell‟enterocita. Poi il ferro uscirà 306
dalla cellula attraverso dei particolari carrier che lo immetteranno nel torrente circolatorio. Il problema del ferro lo riscontriamo durante la sua permanenza all‟interno della cellula , perche‟ in qualunque cellula vivente il ferro è TOSSICO, cioè non appena il ferro penetra in una cellula scatena immediatamente una reazione che porta alla formazione di ROS di radicali tossici dell‟ossigeno ,soprattutto superossidi e perossidi che voi sapete sono citolesivi gia a basse concentrazioni. Quindi la cellula ha un problema; deve assorbire il ferro ma può essere danneggiata da questo , quindi come si fa a far entrare il ferro e poi a immetterlo nel torrente circolatorio senza danneggiare la cellula? In altre parole come si può impedire al ferro di generare ROS? Abbiamo una molecola con una struttura sferica forata in cui il ferro si va ad inserire, una sorta di “trappola per il fe”. Quindi il ferro si inserisce in questa molecola e in questo modo , il ferro intrappolato all‟interno di questa struttura proteica non è libero nel citoplasma , non può dare luogo alla formazione di ROS . Osserviamo nell‟immagine questa molecola che è la FERRITINA , all‟interno della ferritina abbiamo ioni ferrosi che vengono intrappolati . Per cui quando la cellula intestinale deve assorbire il fe, prima sintetizza questa ferritina , questa trappola poi inizia l‟assorbimento del fe. Quindi non troviamo ferro libero nel citoplasma cioè la reazione di Fenton che porta alla formazione di composti tossici dell‟ossigeno non può avvenire e quindi non abbiamo danno cellulare! Poi il ferro viene immesso nel torrente circolatorio della vena porta e qui (nella vena porta) troviamo una molecola trasportatrice la TRANSFERRINA questa lega a se 2 ferri e questa li trasporta verso gli organi bersaglio. Quando la trasferrina diferrica arriva all‟organo bersaglio , la transferrina viene immagazzinata all‟interno della cellula bersaglio, si lega ad un recettore di membrana entra dentro la cellula , qui libera il ferro e la transferrina senza ferro viene riimmessa nel torrente circolatorio per essere utilizzata per il trasporto di un altro ferro. Questo lo chiamiamo ciclo della transferrina ed è fondamentale perché è l‟unico modo che ha una cellula per ricevere ferro! Ad esempio se questa cellula è una cellula del midollo osseo questo ferro sarà utilizzato per sintetizzare globuli rossi. La transferrina con il ferro la chiameremo transferrina , la transferrina senza ferro la chiameremo apotrasferrina. Ovviamente se facciamo il rapporto tra transferrina e apotransferrina possiamo avere un‟idea dell‟efficenza del trasporto del ferro. Il ferro è presente negli alimenti ma non viene assorbito facilmente , di solito quando noi mangiamo ferro un terzo del ferro che mangiamo lo perdiamo, cioè più del 60% del ferro che ingeriamo così come entra dall‟orifizio superiore esce dall‟orifizio inferiore. Esistono dei fattori limitanti che riducono notevolmente l‟assorbimento intestinale del ferro , il più importanti di questi fattori è rappresentato dalla difficoltà a ridurre da ione ferrico a ione ferroso ad esempio la carenza di acidità a livello intestinale, un secondo fattore limitante è rappresentato dai carrier di membrana cioè un‟alterazione alla membrana ad esempio la produzione di anticorpi che vanno contro questi carrier di membrana le cosidette “intolleranze intestinali ”, un altro fattore limitante lo ritroviamo se c‟è difficoltà a sintetizzare la ferritina (la trappola per il ferro). Quindi se c‟è difficoltà a produrre ferritina il ferro che entra nella cellula attiva la produzione di ROS . In ogni caso un soggetto che ha poco ferro a disposizione o perché non lo mangia o perché non lo assorbe o perché non lo trasporta , andrà ad alterare ad esempio la funzione del midollo osseo e quindi ne risente l‟eritropoiesi. Il primo effetto dato da carenza di ferro è dato da un‟alterata eritropoiesi quindi nel soggetto avremo meno globuli rossi , non solo avrà meno globuli rossi ma questi saranno un po‟ più piccoli del normale. Solitamente un globulo rosso ha un diametro trasverso di 7 -8 micron , invece questi globuli più piccoli hanno dimensioni di 2-3 micron . Possiamo quindi osservare nelle analisi in cui la dimensione del globulo rosso è data dalla voce “valore globulare” che nella norma è 1 in questo caso sarà inferiore ad 1(microciti) , quando è superiore di 1 avremo macrociti. Nel caso in cui manca il ferro questo valore sarà o.8-0.9 . 307
Parleremo di anemia microcitica (…31:00) a seconda se il globulo rosso avrà dimensioni inferiori al valore standard che è 7-8 micron. Quando sentirete parlare di anemia dovuta a mancanza di ferro : anemia sideropenia la prima cosa che dovete escludere , prima di pensare a problemi di assorbimento di questo tipo, è che il soggetto perda sangue quindi che sia un‟emorragia in corso , ad esempio le emorragia intestinale (il paziente non se ne rende conto). L‟emorragia intestinale non viene colta facilmente in quanto questo sangue viene digerito con tutte le altre sostanze. Quindi il paziente potrebbe perdere ogni giorno un po‟ di sangue senza rendersene conto , soprattutto sono le piccole emorragie quelle non vistose che piano piano anemizzano il soggetto . Ancora abbiamo perdite di sangue più semplici da visualizzare come le perdite di sangue attraverso il plesso emorroidale, la rottura di una vena emorroidale produce una emorragia che è visibile , dato che si trova alla fine del canale ed è un sangue questo che non può essere digerito. Nelle donne si verifica un fenomeno un po‟ diverso ad esempio nelle ragazzine abbiamo già una difficoltà ad assorbire il ferro, e di solito quando arrivano le prime mestruazioni si aggiunge alla difficoltà di assorbimento anche una perdita che fino a quel momento non c‟era stata. Quindi sommando un‟entrata carente ad un‟uscita improvvisamente aumentata si possono avere anemie soprattutto nei primi anni dopo il menarca, queste anemie nei primi dell‟800 venivano dette clorosi . Abbiamo altri due elementi importanti da studiare, partiamo dal rame. Il rame è importante perché funge da cofattore per certi enzimi dei quali non possiamo fare a meno. Quindi se non introduciamo abbastanza rame questi enzimi non possono essere sintetizzati e quindi le reazioni catalizzate da questi enzimi non possono avere luogo. Tra gli enzimi che hanno come cofattore il rame troviamo: la dopamina beta idrossilasi, il citocromo c ossidasi, la superossido dismutasi fondamentale perché ci difende da superossidi, ossidi e perossidi , dai ROS. Sono tutti enzimi che se non vengono costruiti perché manca il rame, avremo dei danni nell‟organismo notevoli. Abbiamo malattie genetiche in cui mancano degli elementi. La più importante di queste malattie genetiche , in cui manca il rame , la più grave in termini clinici detta malattia di Wilson , in questa patologia il soggetto non assorbe rame. Il fabbisogno giornaliero di rame che gli USA raccomandano è di 1mg (al giorno). Ovviamente per le donne incinte e che allattano il fabbisogno di rame sarà maggiore. E‟ interessante vedere in quali alimenti si trova il rame. Il cacao è ricco di rame ( anche di ferro), i crostacei in particolare le aragoste. Questi sono i principali nutrienti contenenti rame ma oltre questi abbiamo la frutta secca pinoli, mandorle, noci. Ma al primo posto abbiamo il fegato perché il rame viene conservato nel fegato! Osserviamo che per 100g di fegato di vitello abbiamo una quantità di rame che basta per 11 giorni! L‟assorbimento di rame richiede due momenti. Il primo momento è l‟assorbimento intestinale questo avviene grazie a trasportatori di membrana che prendono il rame extracellulare e lo portano dentro l‟enterocita . Questi trasportatori prendono il nome di copper trasporter 1 , questo fa entrare il rame dentro la cellula, ricordiamo che il rame è positivo e l‟interno della cellula è negativo, quindi già il rame tende ad entrare, ma la membrana non lo farebbe passare, quindi se non ci fosse il trasportatore non entrerebbe. Poi all‟interno viene processato nell‟apparato di Golgi attraverso la Atox1, e questa proteina consente al rame di mettersi in contatto con un enzima . Questo enzima prende il nome di copper trasporter ATPasi 1 , sigla ATP7A, permette al rame di uscire nel sangue, cioè il rame che è entrato dal lato luminare grazie a questo enzima può uscire dal lato del sangue. Ricordiamo che noi stiamo parlando di sangue destinato al fegato , un sangue che entra nella vena porta. Una volta che il rame entra nel sangue raggiungerà l‟epatocita, raggiungerà il fegato e lo stesso trasportatore lo fa entrare nella cellula, ma nell‟epatocita trova una novità : l‟epatocita sintetizza un‟importante proteina enzimatica che prende il nome di CERULOPLASMINA. Questa è quella che immagazzinerà dentro la cellula e poi nel sangue il 308
rame. Di solito una molecola di cerulo plasmina lega a se 8 atomi di rame e li trasporta nei vari tessuti. In pratica nel sangue i 3/4 di rame saranno legati alla ceruloplasmina, poi una parte legato all‟albumina, poi legato alle globuline. Il grosso del rame lo trasporta questa cerulo plasmina! La cerulo plasmina è un enzima, una proteina quindi abbiamo un gene che la codifica , una mutazione di questo gene se fa venire meno la cerulo plasmina genere il morbo di WILSON . In questa patologia il rame non può essere immagazzinato, non può essere trasportato e anche se abbiamo introdotto rame con l‟alimentazione non possiamo farlo arrivare ai tessuti! Il problema non è tanto ingere il rame, quando trasportarlo e farlo arrivare ai tessuti! Nella malattia di Wilson abbiamo dei segni abbastanza facili da cogliere. Partiamo dal presupposto che se osserviamo un soggetto sano possiamo osservare nell‟occhio la netta differenza tra la sclera e l‟iride, in questi soggetti si osserva un fenomeno interessante; al confine tra sclera e iride abbiamo una struttura circolare che appare più spessa del normale e prende il nome di “anello di Kayser-Fleischer” . Questo anello è un sintomo patognomonico del morbo di wilson . Basta guardare gli occhi per vedere se è presente la patologia. Il terzo elemento di cui parleremo è il calcio. Il calcio inanzitutto non è un metallo e tra l‟altro nel calcio nel nostro corpo ne abbiamo più di un chilo. Basta pensare alle ossa che essenzialmente sono formate da calcio. In un uomo di 70 kg consideriamo 1300g di calcio . Naturalmente abbiamo un fabbisogno di calcio che è dell‟ ordine del grammo al giorno, di nuovo vediamo che nelle donne incinte abbiamo un fabbisogno maggiore . Un grammo al giorno di calcio è ottimale. Con il passare dell‟età il fabbisogno di calcio deve essere aumentato , nelle persone ultra50enni ,ultra55enni abbiamo un fabbisogno di 1,5 g al giorno perche‟ con l‟eta‟diminuiscono nel maschio e spariscono nella donna gli ormoni sessuali , questo fenomeno compromette la capacità dell‟osso di trattenere calcio. Questa tendenza dell‟osso a perdere calcio , in carenza o assenza di ormoni sessuali (consideriamo la donna in meno pausa), o un uomo anziano (in cui la perdita di ormoni è più lieve) è fisiologia. Se perdiamo l‟1% di calcio osseo all‟anno, viene considerata una perdita fisiologia questo fenomeno prende il nome di osteopenia . Se a 60 anni ho una certa matrice ossea e se faccio un confronto dopo dieci anni e ho perso il 10% è normale, perché questa perdita di calcio non comprette la resistenza meccanica dell‟osso . Se superiamo l‟1% l‟anno non è più fisiologico, accettiamo anche la perdita dell‟1,5% come perdita di calcio . Dal 2% in poi è patologico e parleremo di osteoporosi. L‟osteopenia è una perdita fisiologia del calcio nella matrice ossea, l‟osteoporosi una perdita patologia del calcio nella matrice ossea; quindi nell‟arco di 10 anni anni la matrice perde il 15% di calcio! In 20 anni quasi la metà dell‟osso , quindi è chiaro che la fragilità dell „osso diventa preoccupante! Teniamo presente che una donna va in menopausa mediamente tra i 45/50 anni , oggi l‟aspettativa di vita di una donna è di 90 anni quindi è destinata a stare senza estrogeni per 40 anni! Già perdere l‟1% di Ca all‟anno significa che a 90 anni la donna avrà quasi la metà della matrice ossea, ma perdere il 2% di Ca all‟anno significa che questa dopo 20-25 anni avrà fratture ossee legate alla perdita della matrice. Il punto più debole in una donna in osteoporosi è il collo chirurgico del femore, dato che il femore deve sostenere il peso del corpo, il collo chirurgico del femore si spessa con il peso del corpo, la vecchietta si alza in piedi e il femore si rompe, ovviamente cade atterra . Quindi cade perché si è rotta il femore cioè la rottura è stata la CAUSA della caduta. Naturalmente ci saranno fratture importanti perché così come l‟osso si rompe facilmente guarisce male! Consideriamo una 75 enne che si trova allettata e quindi altre complicazioni: piaghe da decubito, broncopolmoniti ecc ecc.. cioè improvvisamente la qualità della vita di queste donne precipita. L‟osso deve essere duro ma non deve essere fragile . Se l‟osso fosse fatto solo di idrossiapatite cioè di questi fosfati di calcio, sarebbe duro ma avrebbe i problemi di un piatto di porcellana: duro ma fragile! L‟unico modo per ottenere un osso non fragile è utilizzare il 309
collagene , ma viceversa se io avessi nell‟osso solo il collagene l‟osso sarebbe “gommoso” non sarebbe duro. Nell‟osso invece troviamo entrambi i costituenti, creo un sistema in cui l‟impalcatura di base è fatta da collagene e poi deposito sul collagene i Sali di calcio. Così ottengo una struttura dura ma con una buona resistenza meccanica (non fragile). Un danno osseo che riguarda la componente minerale : ad esempio l‟osteoporosi , invece un danno al collagene parleremo di osteomalacia. Tra l‟altro l‟osso deve essere leggero, cioè devo mettere meno materiale possibile nell‟osso. In fisiologia si usa un trucco che sfrutta una legge fisica che si chiama piezoelettricità. Cos‟è la piezoelettricità? Quando uno dei cristalli piezoelettrici viene deformato meccanicamente si crea una differenza di potenziale, se noi prendiamo un avambraccio e metto due elettrodi e misuro la differenza di potenziale e cosa vedo? Non succede nulla. Ma appena cominciamo a deformare meccanicamente l‟ulna, ad esempio lungo l‟asse longitudinale o lungo l‟asse trasversale, osservo che compare la differenza di potenziale! E se andiamo a vedere quali sono i campi elettrici che si generano vediamo che se applico una deformazione longitudinale la disposizione dei campi elettrici è ..(51:25), se applico una forza ruotante la disposizione delle linee di forza sarà in un altro senso. Questo è interessante perché la deposizione del collagene avviene solo con le linee di forza, quindi cosa succede? Quando si è depositato il collagene nell‟osso , e ricordiamo che il collagene deve dare resistenza all‟osso, e la resistenza mi serve dove ci sono le forze applicate. Come faccio a sapere dove sono le forze applicate? Me le indica proprio la piezoelettricità! E ricordiamoci che la deposizione dei Sali minerali avviene solo attorno al collagene, quindi anche i Sali minerali si andranno a depositare dove si applicano le linee di forza!!!E le linee di forza cambiano in base ai movimenti, quindi questo sistema non può essere statico ma deve essere dinamico, perché cambia in base al tipo di utilizzo dello scheletro. Allora all‟interno di questo sistema io posiziono delle cellula che perennemente si “mangiano” la matrice! E ne depositano una nuova, e ovviamente se nel frattempo è cambiato il sistema delle linee di forza , vengono depositati Sali minerali e collagene su altre linee di forza ecco perché l‟osso è un tessuto vivo, dinamico! È COSTITUITO DA UN SISTEMA DI CELLULE CHE NE DEGRADANO LA MATRICE GLI OSTEOCLASTI E UN SISTEMA DI CELLULE CHE DEPOSITANO QUELLA NUOVA GLI OSTEOBLASTI. Questo vale per tutti i connettivi , poiché il collagene non lo troviamo solo nell „osso , ma in tutti i connettivi il collagene si va a deporre LUNGO LE LINEE DI FORZA! ESEMPIO se voglio fare un intervento chirurgico sul viso di un paziente, per la rimozione di una cisti . Taglio e la prima cosa che devo vedere è come sono disposte le fibre collagene in questa zona. È chiaro che se le fibre collagene sono disposte in verticale io il taglio devo farlo in verticale , se le fibre sono verticali e faccio il taglio trasversale, danneggio irreversibilmente quel tessuto, creo un danno permanente e la cicatrice potrà avvenire solamente per seconda (...54.28). Se un individuo sorride avrà linee di forza che si applicano in una direzione e linee di forza che si applicano in un‟altra direzione. Quindi le linee di forza cambiano in funzione delle parti del corpo! Le più delicate sono nel viso che cambiano a seconda dell‟espressione!Se lavoro sul seno ovviamente le cose cambiano perché qui la forza che agisce è quella di gravità. Oggi più del 60% della vita di una donna sarà senza ormoni sessuali. Cosa può fare una donna a 20 anni per avere delle ossa più solide ad 80 anni? Potrebbe aumentare l‟apporto di calcio con la dieta in maniera tale che questo possa poi essere trasferito alle ossa così da avere ossa più ricche di calcio così che quando arriverà alla menopausa, anzicchè partire da un osso che contiene 10 ne contiene 20 , in maniera tale che perdendo l‟1% all‟anno di calcio avrà ridotto il danno. La menopausa di oggi non è uguale alla menopausa di 50 anni fa! 50 anni fa la donna a 60 anni era considerata con la vecchia. Oggi non è così, non coincide con la vecchiaia. Anzi la vita sessuale di una donna in menopausa è profondamente mutata, considerando 310
che non ha più il rischio di rimanere incinta. L‟incorporazione del calcio nelle ossa di una donna prima della menopausa, non avviene allo stesso modo per tutti i 30 anni della vita fertile, in pratica in una donna normale l‟80% del calcio che verrà depositato nelle sue ossa entra nei primi 10 anni. Quindi se una ragazza ha avuto il menarca a 14 anni , grossomodo la maggior parte della sua matrice ossea si farà entro i 24 anni. È fondamentale dunque il calcio che lei introduce dai 14 ai 24, dopo i 24 fino ai 30/35 ancora introduce un po‟ di calcio ma non più del 10/15% poi dai 30 anni in poi il calcio che entra serve solo per il rinnovo del calcio cioè il calcio nuovo entra e si sostituisce al vecchio (quello buttato fuori con le urine). Di fatto la donna in menopausa che assume il calcio via orale, da un punto di vista medico non ha alcuna utilità! È da giovani che bisogna arricchirsi di calcio! Entro i 24-25 anni , questa è l‟età critica! Dove si trova il calcio? Regola sacra : latte e derivati del latte! Questi sono i principali fornitori di calcio per l‟organismo! La madre che allatta il figlio, attraverso il latte da al figlio tutto il calcio che gli serve. Tra l‟altro se la madre non assume abbastanza calcio il latte che lei da al bambino conterrà il calcio non capsulato ; cioè se lei non assume calcio con l‟alimentazione toglie calcio a se stessa per darlo al bambino. Paradossalmente uno dei punti da cui viene tolto questo calcio sono i denti. Quindi una carenza di calcio alimentare durante l‟allattamento potrebbe compromettere i denti della mamma e potrebbe arrivare a compromettere soprattutto lo smalto. I cibi che contengono più calcio sono: formaggi perché ovviamente se consideriamo che il latte già possiede grandi quantità di calcio e da questo togliamo l‟acqua otteniamo i formaggi, infatti formaggi più stagionati saranno sempre più ricchi di calcio perché avranno sempre meno acqua ; ad esempio se il fabbisogno di un uomo è di 1 g al giorno di Ca e questo mangia 100 g di parmigiano vediamo che in 100 g di parmigiano avremo il quantitativo per 24 h per questo individuo. Ma se invece noi introduciamo il Ca con il latte vedremo che ci vorrà un litro di latte per ottenere 1 g di Ca. Altri alimenti che contengono calcio saranno: frutta secca, crostacei come l‟aragosta, le ostriche, l‟uovo. Insomma verdure, frutta non hanno un contenuto significativo di calcio. Lo svantaggio del formaggio è il colesterolo! Teniamo conto che nelle verdure il calcio è quasi sempre unito all‟acido ossalico . Ricordate che tutto quello che è unito all‟acido ossalico non viene assorbito nell‟intestino! Quindi nelle verdure già è poco in più è unito all‟acido ossalico e quindi non viene assorbito. Fate attenzione nelle verdure spesso anche il ferro è unito all‟ossalato, ad esempio consideriamo gli spinaci in questi il ferro è ossalato, quindi negli spinaci alti contenuti di ossalati. Invece un buon ferro , quindi ferro non ossalato è contenuto nelle lenticchie. Il calcio come viene assorbito? Il calcio viene assorbito a livello intestinale in parte nel duodeno in parte nel digiuno, viene assorbito attivamente grazie a dei trasportatori che lo devono far uscire dalla cellula, poiche‟ l‟entrata del calcio non è attiva l‟entrata del calcio nella cellula è del tutto passiva ed è passiva per due motivi; il calcio è positivo e l‟interno della cellula è negativo, e il calcio è molto più concentrato fuori dalla cellula rispetto all‟interno. Il problema del calcio non è entrare nell‟enterocita ma uscire dall‟altro lato perché ovviamente per andare nel sangue deve andare contro gradiente elettrico e contro gradiente di concentrazione , ci vuole un trasporto attivo mediante una pompa che ha un antiporto per il sodio e questa pompa viene sintetizzata dagli enterociti solo in presenza di vitamina D . La vitamina D è importante perche inanzitutto induce gli enterociti a sintetizzare questo trasportatore attivo dal lato basale della cellula enterocitaria, che è fondamentale per fare uscire il calcio verso il torrente circolatorio ; inoltre la vitamina D (l‟1,25 diidrossicolecalciferolo), è anche la responsabile della sintesi di una proteina intracellulare detta calbindina che è in grado di legare a se il calcio man mano che entra, ed è importante che nel citosol delle cellule non rimanga calcio libero poiché questo è induttore di tutta una serie di reazioni, quindi bisogna tenere la concentrazione libera intracellulare quanto più bassa possibile! E l‟unico modo 311
per mantenere bassa la concentrazione di calcio libero è legarlo alla calbindina Questo processo dipende in due modi dalla vitamina D, inanzitutto perché la vitamina D induce la sintesi della calbindina e in secondo luogo perché la vitamina D induce la sintesi della pompa che sul versante basale che estrude attivamente il calcio nel torrente circolatorio. L‟avitaminosi D si traduce nella incapacità di assorbire calcio! Ricordatevi che questo meccanismo consente di avere nel sangue poco calcio. Noi conteniamo in tutto l‟organismo circa 1 kg di calcio ma nel sangue poco, cioè in un litro di sangue troviamo non più di 100 milligrammi di calcio, calcolando che abbiamo 5-6 litri di sangue. Il calcio quindi fondamentalmente è nelle ossa, le ossa sono il magazzino del calcio, un po‟ circola questo calcio ma mezzo grammo, quindi una decina di milligrammi per 100 ml questa è la calcemia (10 mg per 100ml di sangue ) questa è la calcemia. Calcemia: quantità di calcio che noi possediamo nel sangue. Nel sangue, nel siero precisamente il calcio (nella parte liquida del sangue) il calcio è in equilibrio con i fosfati. Quindi avremo un equilibrio tra la concentrazione di ione calcio e la concentrazione di ione fosfato. Il fosfato ha il problema ad entrare nella cellula perché è negativo e l‟interno della cellula è negativo, quindi il trasportatore per il fosfato lo dobbiamo trovare nel lato luminare e non dal lato basale! Anche qui avremo il cotrasporto con il sodio. Esce facilmente dalla cellula perché è negativo e l‟interno della cellula è negativo, quindi diffonde facilmente. Bisogna tenere presente che nel sangue è presente calcio e fosfato , la loro quantità nel sangue è la massima quantità che può essere sciolta fisicamente nel sangue! Cioè il sangue è una soluzione satura di fosfato di calcio, cioè ioni calcio e ioni fosfato, satura cioè più di questo non ne troviamo cioè se io aggiungo fosfati o calcio essendo una soluzione satura, se aggiungo fosfati precipita il calcio , se aggiungo calcio precipitano i fosfati perché il prodotto di solubilità deve rimanere costante (legge di Henry). Tutto quello che fa aumentare nel sangue il calcio, fa diminuire nel sangue i fosfati per la legge del prodotto di solubilità e tutto quello che nel sangue fa diminuire il calcio fa aumentare i fosfati , sempre per la legge del prodotto di solubilità. Il prodotto tende a mantenersi costante . Nel sangue ci sono circa 10 milligrammi di calcio e 20 milligrammi di fosfati questa è la calcemia fisiologica e la fosfatemia fisiologica. Noi abbiamo una grande via di entrata che è l‟apparato digerente che fa entrare calcio e fosfati , e una grande via di uscita che è il rene attraverso il rene noi possiamo perdere sia calcio che fosfato, calciuria e fosfaturia , un po‟ di calcio lo perdiamo sempre e un po‟ di fosfato lo perdiamo sempre! In un uomo normale quindi ci dovrebbe essere un equilibrio tra il calcio che entra e il calcio che perdiamo, così‟ come tra il fosfato che entra e il fosfato che perdiamo con le urine. Ricordatevi che noi dobbiamo essere in grado di controllare la situazione perché non abbiamo un apporto di calcio e fosfati costante con l‟alimentazione; il meccanismo è semplice : tutte le volte che nel sangue il calcio tende a diminuire (c‟è meno calcio del normale), e sappiamo che il calcio svolge tantissime funzioni dalla contrazione muscolare, funzionamento sinapsi, coaugulazione del sangue ecc ecc e poi serve abbiamo detto alla matrice ossea. Quindi entra in gioco in tantissime funzioni, tutte importanti. Se nel sangue il calcio diminuisce tutte queste funzioni possono risentirne, e allora cosa succede nell‟organismo? La calcemia tende a diminuire e in parallelo mi aumenterà la fosfatemia, come ci difendiamo da una condizione di ipocalcemia? Al di sotto di 7mg (cioè più del 30% del valore fisiologico), cominceremo ad avere problemi nella sopravvivenza! Soprattutto un‟eccessiva eccitabilità neuromuscolare, cioè le placche neuromuscolari diventano troppo eccitabili , i muscoli si contraggono e non si rilasciano più! Stiamo parlando di TETANIA in particolare TETANIA DA IPOCALCEMIA e se questa colpisce i muscoli respiratori si muore asfissiati! IPOCALCEMIA MARCATA : CAUSA DI MORTE. Come ci difendiamo? 1- cerchiamo di aumentare l‟assorbimento intestinale 2- cerchiamo di ridurre le perdite urinarie di Ca 3- prendiamo il calcio 312
dalle ossa, quindi la matrice ossea verrà smontata nel tentativo di liberare in circolo ioni calcio. Quindi a livello osseo gli osteoclasti (rompono la matrice ossea), sugli osteoblasti (sintetizzano la matrice ossea). Queste 3 azioni: aumentare l‟assorbimento intestinale, ridurre le perdite urinarie di Ca, aumentare l‟attività osteoclastica vengono ad essere indotte mediante la liberazione in circolo di un ormone che ha il compito di far avvenire tutti e 3 questi eventi. Questo ormone lo produciamo tutte le volte che il calcio in circolo è poco e l‟obiettivo di questo ormone è quello di far aumentare la calcemia. Questo ormone viene prodotto da alcune piccole ghiandole ospitate dalla tiroide dette PARATIROIDI, e l‟ormone è detto PARATIROIDEO O PARATORMONE. È un ormone di natura polipeptidica che viene liberato dalle cellule paratiroidi in misura inversamente proporzionale alla calcemia. Man mano che la calcemia sale noi liberiamo meno paratormone , man mano che la calcemia scende liberiamo più paratormone. Quindi questo ormone attiva gli osteoclasti, favorisce la demolizione della matrice ossea questo ormone riduce la perdita urinaria di calcio, cioè aumenta il recupero tubulare di calcio, quindi nelle urine ci sarà meno calcio quindi nelle urine ci saranno più fosfati , la calcenuria diminuisce e aumenta la fosfaturia e infine a livello intestinale favorisce l‟assorbimento intestinale di Ca potenziando tutti i meccanismi di assorbimento. Se invece abbiamo troppo calcio nel sangue , calcemia aumentata, affrontiamo la situazione all‟opposto cioè: riduciamo l‟assorbimento intestinale del calcio, aumentiamo l‟escrezione urinaria di calcio (calciuria aumentata), a livello dell‟osso riduciamo l‟attività osteoclastica e aumentiamo l‟attività osteoblastica perchè togliamo calcio dal sangue per andarlo a depositare come idrossiapatite. Questa attivià è svolta da un altro ormone anch‟esso di natura polipeptidica però prodotto dalla stessa Tiroide , dalle cellule parafollicolari della tiroide; questo ormone è la CALCITONINA ed ha l‟effetto opposto rispetto al paratormone. Interviene quando il Ca eccessivo e deve essere un ormone ipocalcemizzante. La calcitonina viene utilizzata in medicina tutte le volte che vogliamo migliorare la sintesi dell‟osso , dato che stimola la sintesi, il deposito cioè stimola l‟osteoblasto. Se io ho una donna con l‟osteoporosi potrebbe essere istintivo somministrarle calcitonina per favorire la mineralizzazione.. ma abbiamo due problemi! PRIMO: la calcitonina non è un “grande “ ormone, un grande ormone è l‟estrogeno! SECONDO: è un ormone polipeptidico e non possiamo somministrarlo per bocca, al contrario degli steroidi che possono essere somministrati via orale infatti vengono assorbiti senza problemi. Tutti gli ormoni peptidici non possiamo darli per bocca perché verrebbero digeriti dagli enzimi proteolitici intestinali, ad esempio l‟insulina viene somministrata tramite puntura. Anche la calcitonina dovrebbe essere somministrata per puntura. Non è una grande soluzione la calcitonina! Gli estrogeni sarebbero la soluzione ideale per una donna in meno pausa , ma oggi si sono delle perplessità perché c‟è il fatto che questi sono la principale causa del carcinoma mammario, e anche la principale causa del carcinoma della portio uterina. Una donna che entra in menopausa non producendo più estrogeni non ha più questo rischio, ma se andiamo a somministrare estrogeni esogenamente potrebbero mettere a rischio questa. Queste cure estrogeni , fitoestrogeni hanno fatto insorgere queste perplessità, anche perché consideriamo che il carcinoma mammario è il primo nella donna e il secondo è proprio quello all‟utero. L‟epidemiologia ancora non ci da delle risposte sicure, ancora queste cure sono in corso da poco 10-11 anni e sappiamo che il carcinoma è lento e non abbiamo ancora i dati. Quindi cosa faccio con una donna che presenta osteoporosi? Voglio evitare l‟utilizzo di estrogeni, voglio evitare la calcitonina che faccio? Utilizziamo la piezoelettricità! Cosa deposita ? Linee di forza! Quindi dobbiamo caricare meccanicamente l‟osso cioè ATTIVITà FISICA , L‟OSSO DEVE ESSERE CARICATO DEVE ESSERE STIMOLATO , LA DONNA DEVE FARE ATTIVITà FINISICA!!!! Attività fisica sugli arti inferiori, sugli arti superiori perché più viene meccanicamente stimolato 313
l‟osso più si favorisce il deposito prima del collagene e poi della matrice mineralizzata. Quindi la donna anziana peggiora perché a parte la perdita dell‟ormone progressivamente farà sempre meno attività fisica! Quindi l‟attività fisica che la vecchietta faceva giornalmente venendo progressivamente meno favorisce l‟osteoporosi! L‟attività fisica bisogna farla da subito, bisogna prevenire! La prevenzione ci aiuta in tutte le malattie ! Il discorso del calcio è attinente alla donna e anche all‟uomo, nell‟uomo parliamo di osteopenia e inrari casi ad osteoporosi ; anche nel maschio avremo testosterone e androgeni e se anche lui riduce l‟attività fisica anche avremo il fattore di rischio. Non bisogna sottovalutare il ruolo del carico gravitazionale! Quando cominciarono i ruoli spaziali e gli astronauti cominciarono a stare in orbita anche 1 o 2 settimane tornavano con un impoverimento della matrice ossea, con un‟osteoporosi già visibile! Perché mancando la gravità non c‟era carico sull‟osso . Infatti oggi gli astronauti portano in viaggio le cyclette e questi devono fare un certo numero di ore al giorno di attività! Per mantenere sotto carico meccanico l‟osso! Oggi tutto questo non è da sottovalutare, noi ormai siamo una popolazione che invecchia. Considerate un Paese del terzo mondo, qui avremo un ultra sessantenne ogni 5 under 18. Invece in Italia abbiamo un ultrasessantenne ogni under 18. In Italia il tasso di natalità è bassissimo e questo vale per tutti i Paesi industrializzati. Ultimo concetto nell‟intestino , lo svizzero Peier , osservo‟ sotto la mucosa dell‟intestino, soprattutto dell‟ileo degli anelli di tessuto linfatico che gli ricordavano le linfoghiandole solo che le linfoghiandole le troviamo nell‟intestino ,questi invece li troviamo proprio nello spessore dell‟intestino, ne abbiamo una trentina di queste “placche del peier” . Peier le descrisse come ghiandole , linfoghiandole ovviamente, in una famosa pubblicazione in latino nel 1677. Che cosa sono queste placche del peier? Allora l‟intestino è un confine tra il mondo interno e il mondo esterno, è quindi una potenziale sorgente di aggressione batterica, virale ecc ecc microrganismi che potrebbero attraverso questa barriera (app digerente) penetrare attraverso l‟organismo. Quindi è fondamentale che la superficie intestinale abbia dei sistemi di difesa che ci permettano di fronteggiare la penetrazione di eventuali microrganismi patogeni e infatti ad esempio HCl inizia ad aggredire e ad uccide i microrganismi, e poi le placche del peier che hanno un ruolo soprattutto immunitario. Queste contengono all‟interno linfociti e nell‟intestino, nel lume potrebbero esserci dei batteri, che cercano di penetrare. Ma sulla mucosa esistono queste cellule particolari che vengono dette cellule M che hanno il compito di intercettare questi antigeni e infatti li fagocitano , espongono sulla loro superficie le molecole gli antigeni, queste molecole poi vengono cedute a delle cellule che si trovano sotto la mucosa e queste vengono dette cellule dendritiche , queste una volta che vengono attivate dall‟antigene, legano a se l‟antigene, si portano ai linfociti CD4+ che si trovano nelle placche del peier e questi linfociti cominciano a produrre anticorpi contro lo specifico antigene . Una classe di difesa di cellule umorali e questi anticorpi vengono liberati nel lume intestinale dove vanno ad agire eliminando l‟antigene prima che possa entrare, sono i famosi anticorpi barriera, gli anticorpi IgA . Le IgA non esistono solo qui ma li troviamo anche a livello dell‟albero bronchiale, dove abbiamo insomma un‟interfaccia tra ambiente interno e ambiente esterno. Inoltre queste cellule dendritiche attraverso la milza lasciano il villo, raggiungono le linfoghiandole mesenteriche, e a livello delle ghiandole mesenteriche attivano le cellule linfatiche mesenteriche in maniera tale che se per caso qualcuno di questi antigeni dovesse entrare in circolo , non appena questo giungerà nella prima linfoghiandola la cosiddetta linfoghiandola sentinella, troverà questa già attiva e quindi il tempo che intercorre tra l‟arrivo dell „ antigene e la risposta immunitaria è breve. Le placche del peier hanno questo compito , ma quando passiamo da immunofisiologia ad immunopatologia, si possono creare delle risposte in cui gli anticorpi che si producono in risposta anzicchè andare a distruggere l‟antigene, potrebbero danneggiare le cellule 314
della mucosa stessa e quindi creare delle risposte locali , danno locale legato alla produzione abnorme di anticorpi, una sensibilizzazione; questo è quello che succede per esempio in alcune malattie dell‟app digerente in cui il danno è dato non tanto dalla malattia ma da una eccessiva STIMOLAZIONE delle placche del peier con eccessiva produzione di anticorpi. Ad esempio il tifo ( salmonella).Le placche del Peier sono un sistema di difesa contro la presenza di microrganismi patogeni che noi attiviamo soprattutto a livello dell‟ileo , la parte terminale dell‟intestino tenue. A questo livello la presenza di antigeni viene segnalata da queste cellule M presenti nella mucosa, le cellule M attivano le cellule dendritiche, queste raggiungono sia subito i linfociti CD4+ delle placche che attraverso la linfa le linfoghiandole satelliti che daranno una reazione immunitaria che a livello di membrana si traduce nella produzione locale di immunoglobuline di superficie IgA, che sono quelle che rappresentano le immunoglobuline di barriera. Quindi se facciamo delle analisi del sangue ad un soggetto ed andiamo a vedere che tipi di anticorpi andiamo a trovare nel sangue, ovviamente avrà IgG, IgM e le IgA che però non sono circolanti, anzi la quantità di IgA in circolo è poca rispetto a quella che troviamo nelle barriere ( bronchi, app digerente..). Ricapitoliamo : arriva un antigene nemico produciamo anticorpi, il 20% dei nostri linfociti servono a questo, alcuni si chiamano linfociti B . Esistono vari tipo di anticorpi alcuni buoni ad esempio il globulo bianco e altri meno ad esempio l‟IgE che è responsabile dell‟allergia ( produzione di istamina, rinite allergica ecc..),danno insomma degli effetti collaterali . Altri anticorpi sono le IgG e le IgM, prima noi produciamo le IgM e dopo iniziamo a produrre IgG. Ad esempio se voglio sapere se il paziente è entrato a contatto con ilo virus della rosolia cosa faccio? Ad esempio se questo è una donna e vuole affrontare una gravidanza e vuole ovviamente accertarsi di aver già contratto la rosolia per evitare di poterla contrarre in gravidanza . Facciamo un prelievo di sangue e andiamo a ricercare gli anticorpi della rosolia se ci sono lei ha gia avuto un contatto con il virus se non ci sono non è mai entrata a contatto con il virus e non solo se per caso troviamo in circolo IgM vuol dire che è venuta a contatto con il virus da poco! Se invece troviamo IgG vuol dire che il contatto è avvenuto da parecchio tempo. Quindi facendo il dosaggio di questi anticorpi abbiamo anche una dinamica temporale del processo infiammatorio, se abbiamo IgM il fenomeno è acuto se ci sono IgG il fenomeno è avvenuto da più tempo. Consideriamo il fenomeno dell‟allergia , cosa si potrebbe fare per combattere l‟allergene? Si potrebbe fare la vaccinazione contro l‟allergene, cioè se noi iniettiamo al soggetto allergico piccole quantità dell „allergene, il soggetto inizia a produrre le IgG , inizialmente produceva solo IgE , dopo inizia a produrre IgG e siccome le IgG vengono prodotte più velocemente delle IgE allora quando ci sarà un successivo incontro tra l‟anticorpo e l‟antigene il soggetto produrrà le IgG più velocemente delle IgE e quindi non ci saranno i sintomi dell‟allergia quindi questa tecnica della vaccinazione contro l‟allergene, consente sostituendo l‟anticorpo consente di ridurre gli effetti collaterali. Abbiamo accennato ai movimenti intestinali e poi passiamo al colon. Come è organizzata la parete dell‟intestino? Dall‟esterno verso l‟interno: strato muscolare longitudinale, lo strato muscolare circolare e la mucosa fra il longitudinale e il circolare abbiamo un primo plesso nervoso che è detto mioenterico , mentre tra lo strato circolare e la mucosa abbiamo un altro plesso nervoso plesso sottomucoso. Il rapporto è che il plesso che si trova tra i due strati muscolari ( il mioenterico), contiene almeno quattro volte più cellule del plesso che si trova a livello sottomucoso . Quindi il plesso mio enterico è molto più grande del plesso sottomucoso! Quattro miliardi nel primo e neanche un miliardo nel secondo! Questo ci fa capire due cose: primo esiste muscolatura liscia longitudinale , esiste una muscolatura liscia trasversale, e poi esiste una piccola struttura muscolare trasversale che permette l‟accorciamento e l‟allungamento dei villi la “muscularis mucosae”. Questa muscolatura liscia in qualche modo viene coordinata dalla presenza 315
di neuroni di plessi nervosi all‟interno dell‟intestino che hanno appunto il compito di coordinare il movimento di questi; la contrazione di questi . Le cellule muscolari lisce che voi trovate nell‟intestino sono cellule che ricordano un po‟ quelle del cuore, sono cellule del tipo unitario cioè l‟eccitazione cellula dopo cellula si propaga a tutte le altre e soprattutto ogni tanto qualcuna di queste cellule funziona da pacemaker cioè si eccita spontaneamente e fa partire delle eccitazioni che si propagano cellula dopo cellula . In realtà queste eccitazioni che si propagano cellula dopo cellula non sono in grado di attivare dei veri e propri movimenti organizzati ma affinchè questo fenomeno elettrico si TRASFORMI IN FENOMENO MOTORIO ORGANIZZATO ,(cioè funzionale dal punto di vista fisiologico) devono intervenire i plessi nervosi situati all‟interno del sistema. Il tipico movimento che ci interessa si chiama movimento peristaltico è un movimento inconfondibile in cui in corrispondenza del contenuto intestinale si osserva a volte una contrazione a volte un rilasciamento della muscolatura circolare, l‟anello a monte si restringe, l‟anello in corrispondenza del punto si rilascia; quindi occorre creare questo coordinamento che da un lato genera una contrazione a monte in senso orale e dall‟altro lato in senso ab orale deve creare un rilasciamento. Questo è un tipo di coordinamento che è gestito localmente da questo circuito nervoso che ha come punto di partenza queste fibre nervose che si trovano nella mucosa; queste fibre nervose sono meccanocettori che si accorgono se il lume intestinale viene disteso, quando il lume intestinale viene disteso questi meccanocettori fanno partire un segnale e questo segnale raggiunge il plesso mioenterico e a livello di questo plesso viene ridotto a monte il fenomeno della contrazione e a valle del punto stimolato viene indotto il fenomeno del rilasciamento ; per fare questo esistono degli interneuroni colinergici che utilizzano come neurotrasmettitore l‟acetilcolina ma questi interneuroni non liberano solo acetilcolina ma, liberano anche altri neurotrasmettitori. Se il neurotrasmettitore liberato è la sostanza P , questi interneuroni sono eccitatori e quindi entrano in gioco nel creare la contrazione se invece contengono NO , peptide attivo vasointestinale o ATP fungono da inibitori , intervengono nel determinare la vasodilatazione a valle . Come avviene il movimento peristaltico? La progressione del cibo dilata, la dilatazione attiva i recettori meccanici, i recettori meccanici fanno partire questi riflessi, questi riflessi sono organizzati in modo tale che la rete nervosa garantisca sempre una contrazione a monte e un rilasciamento a valle questo coinvolge una serie di neurotrasmettitori: per l‟eccitazione abbiamo l‟intervento della sostanza P e per l‟inibizione richiedono NO , polipeptide vaso attivo intestinale , ATP. La farmacologia di queste molecole ci permetterà di intervenire su questi meccanismi peristaltici o quando ci sarà un eccesso di peristalsi o quando ci sarà un rallentamento eccessivo. Se io prendo un pezzo di intestino lo taglio e lo monto al contrario , la peristalsi va al contrario! Ho messo al contrario tutta la rete! Questa tecnica chirurgica veniva eseguita prima per curare l‟anoressia , dato che il soggetto anoressico mangia poco e niente con questa tecnica rallento molto l‟avanzamento, l‟assorbimento è maggiore; se invece operiamo un obeso lo priviamo di un pezzo di intestino diminuendo la superficie di assorbimento si riduce la quantità di nutrienti assorbiti a parità di quello che mangia. Il crasso, la parte che a noi interessa di più è la parte finale, termina con il retto e poi abbiamo due sfinteri uno striato esterno uno liscio interno. Tutto inizia quando l‟ileo si va ad inserire nel colon ascendente , ricordiamo la presenza dell‟ appendice vermiforme ; tutti i fenomeni digestivi finiscono qui e anche i fenomeni di assorbimento più importanti finiscono in corrispondenza dell‟ileo. Nel colon di fatto non ci sono fenomeni di digestione significativi, e i fenomeni di assorbimento si limitano ad assorbire elettroliti e H2O questo sarà quello che recupereremo nel colon. “Il tenue mangia , il colon beve”. Il compito del colon è quello di recuperare H2O . Tutti gli enterociti lungo il colon sono caratterizzati dalla presenza di trasporto attivo e permettono di 316
riassorbire il 90% di tutta l‟H20 che entra nel colon e ovviamente possiamo capire anche un‟altra cosa, il contenuto del colon ha una consistenza che non è uguale nelle diverse parti del colon. All‟inizio è molto fluido, c‟è molta H20, poi man mano che io mi muovo essendo riassorbita l‟H2O la consistenza il contenuto sarà sempre più solida, questo è importante sul piano clinico perché? Se si dovesse formare un tumore che occlude il lume , se il tumore si forma nel colon ascendente , siccome il contenuto è molto liquido anche un grosso tumore non ostacola il passaggio del liquido perché essendo liquido riesce a passare anche in presenza di un grosso tumore resta quindi asintomatico anche in fasi molto avanzate! Se invece il tumore colpisce la parte finale colon discendente e sigma ostacola molto più facilmente la progressione del contenuto, perché qui il contenuto è consistente, quindi il paziente si allarma abbiamo qui dei sintomi che possono essere colti molto più precocemente. Per fortuna i tumori più frequenti del colo sono quelli della parte finale, e quindi quelli del colon ascendente sono più rari. Sono tumori duri, pesanti con gravi conseguenze responsabili di una grande fetta delle morti per tumore in entrambi i sessi. Una delle caratteristiche principali del colon è che normalmente abitato da una flora batterica. Abbiamo tantissimi batteri presenti fisiologicamente , questi batteri sono presenti anche in altre parti dell‟apparato digerente, ma la forte acidità gastrica ne limita il contenuto qualche migliaio può sopravvivere nello stomaco ma la vera grande concentrazione di batteri sta nel colon. Si calcola che ne abbiamo miliardi di miliardi! Cioè abbiamo più batteri nel colon che cellule in tutto il corpo! Fanno parte di almeno 500 specie diverse, i più comuni enterococchi (enterococcus faecalis) , clostridi, lactobacilli, ecc . Ma come sopravvivono questi batteri? Questi batteri si nutrono di quello che non abbiamo assorbito a livello intestinale, quindi a livello intestinale ciò che è rimasto per esempio di natura glicidica che non è stato assorbito, viene utilizzato dai batteri e questi lo usano per produrre nutrienti! Essenzialmente i batteri saranno produttori di acidi grassi a catena corta, inoltre oltre ad utilizzare come sorgente il residuo di alimenti che non utilizziamo, questi batteri hanno una seconda fonte importante di nutrienti e cioè lungo tutto l‟apparato digerente noi abbiamo una grossa quantità di cellule che muoiono ad esempio le cellule della mucosa che vengono sfaldate e sostituite e sostituite da nuove cellule della mucosa , queste cellule morte sfaldate sono cellule fonte di nutrimento per i batteri. Avere questi batteri è utile. E perché? Primo : siccome sono dei produttori di acidi grassi a corta catena , questi acidi grassi sono importanti perché permettono di regolare in maniera fisiologica il rinnovamento delle cellule della mucosa, cioè il rinnovamento delle cellule della mucosa avviene regolarmente in presenza di acidi grassi a catena corta , tutto il turn over sia quantitativo ma anche il differenziamento fisiologico delle cellule dallo strato germinativo sono controllati in questo modo. Dalla distruzione di queste sostanze alimentari questi producono delle sostanze che non abbiamo bisogno di introdurre con la dieta ad esempio la biotina, l‟acido folico che sono vitamine importanti le producono questi batteri. Se quindi un soggetto prende antibiotici per un motivo qualunque , alcuni antibiotici uccideranno i batteri e quindi potrebbe andare incontro ad avitaminosi da biotina e folati. Ma il compito più importante di questi batteri è che sono in grado di neutralizzare alcune sostanze presenti tra i residui alimentari del colon ; una di queste sostanze è rappresentata dalle ammine eterocicliche . I batteri della flora intestinale distruggono queste ammine, queste ammine le troviamo nell‟intestino tutte le volte che mangiamo un cibo ad alta temperatura proteico, queste ammine nell‟intestino soprattutto nel colon inducono una degenerazione maligna delle cellule del colon e quindi sono delle molecole cancerogene! La flora batterica neutralizzando le ammine mantiene basso il rischio di trasformazione canceromatosa dell‟epitelio del colon!soprattutto della parte terminale del colon che è quello più a rischio! L‟ideale sarebbe ridurre l‟apporto di queste sostanze. La flora batterica comunque catabolizza in maniera 317
ottimale le ammine , ci protegge dal carcinoma. Se per un motivo qualunque noi danneggiamo la flora ad esempio con l‟uso di antibiotici. Ovviamente ci sono antibiotici che non vengono assorbiti dall‟intestino e quindi uccidono i batteri della flora intestinale! Perché non venendo assorbiti rimangono nell‟intestino, se rimangono nell‟intestino uccidono la flora intestinale! Quando dobbiamo utilizzare proprio questi antibiotici? Prima di un intervento chirurgico! Per evitare che questi batteri vanno in mezzo al peritoneo , perché se il chirurgo incide l‟intestino e questi batteri escono fuori si potrebbe avere peritonite. Allora il chirurgo prima dell‟intervento somministra per bocca questi antibiotici per ripulire la flora intestinale! Ovviamente finito l‟intervento ci ritroviamo con una flora batterica sterminata! Allora l‟unico rimedio sarà introdurre batteri! I fermenti lattici, lo yogurt! Questo tipo di apporto alimentare è importante ma è importante introdurlo lontano dai pasti! Perché è acido e con l‟acidità continuerebbe a sterminare batteri! I batteri contenuti nello yogurt e nei fermenti lattici possono superare il filtro gastrico e ricostituire la flora batterica! Tra la flora batterica troviamo qualche ospite un po‟ più pericoloso. Il più pericoloso, quello da temere è un micete detto : candida albicans . La candida albicans è un fungo normalmente ospite nell‟intestino è che viene mangiato dagli altri batteri, quindi normalmente non crea danni all‟intestino, abbiamo un equilibrio in questo sistema in cui la proliferazione della candida viene tenuta sotto controllo dai lactobacilli. I lactobacilli sono eliminatori di candida. Ma il problema lo riscontriamo nelle donne, alla fine dell‟apparato digerente abbiamo l‟ano, e nelle donne l‟ano è vicinissimo alla vagina, per cui la candida normale ospite del colon facilmente nella donna può infettare la vagina, quindi diventare una presenza nella flora batterica vaginale. La donna si difende da questo rischio cosi come si difende l‟intestino con un batterio che produce acido lattico; qui è detto bacillo di Doderlein questo produce acido lattico e mantiene la vagina ad una acidità bassa 3.5 e a questa acidità la candida non sopravvive. Ma se la donna inizia a lavarsi con saponi profumati , i profumi sono a base di alcool e l‟alcool uccide i batteri, quindi se nella vagina uccide il bacillo di doderlein non è più protetta dalla candida, ucciso questo bacillo il pH INIZIA A SALIRE e la candida comincia a proliferare dando luogo ad un‟infiammazione della vagina caratterizzata da perdite bianche “leucorrea” che danno il nome alla stessa candida. (Il mio vecchio professore di ginecologia consigliava l‟uso topico di yogurt per creare un ambiente acido). Maggiore è la concentrazione del bacillo di doderlein migliore è la difesa contro la candida! Bisogna usare come saponi vaginali saponi neutri o acidi, se usa saponi alcalini fa alzare il pH E QUINDI CANDIDA! Le feci le ritroviamo come prodotto finale. Noi normalmente quando mangiamo, attiviamo un meccanismo che in via riflessa mette in modo il processo della defecazione . La defecazione avviene due –tre volte al giorno di solito dopo i pasti. Naturalmente la defecazione ha un ritardo di 24h ciò che mangio lo ritroverò nelle feci di 24 ore dopo . Da cosa sono costituite le feci? Solo una minima parte sono residui alimentari , non più del 30%; il grosso delle feci sono rappresentati da cellule di sfaldamento di tutto l‟epitelio dell‟intestino, ma soprattutto almeno la metà delle feci sono batteri, flora intestinale che viene eliminata. La composizione delle feci è data da: cellule intestinali, batteri e residui non digeriti e non assorbiti. Il principale residuo non assorbito è rappresentato dalla cellulosa, ad esempio nei vegetariani nutrendosi di verdure il volume delle feci aumenta oppure nei soggetti che hanno fatto uso di antibiotici le feci diminuiscono perchè si riduce la componente batterica. Le feci non si devono trovare nella ampolla del vater, questa ampolla deve essere sempre vuota , quindi le feci arrivano al sigma e si fermano li . L‟ampolla è sempre vuota in condizioni fisiologiche perché? Perché se ci fossero feci, e considerando che le feci contengono batteri, cellule, residui alimentari cioè sostanze nutritizie quindi i batteri dall‟esterno penetrando attraverso il forame anale e non possiamo impedire che questo avvenga. Questi batteri entrando dall‟ano si 318
alimenterebbero trovando le feci nell‟ampolla del vater, questa zona vuota ci protegge da una facile invasione da parte dei batteri. Per cui come funziona il meccanismo? L‟ampolla è sempre vuota , quando la peristalsi farà entrare materiale fecale nell‟ampolla , immediatamente scatta il riflesso della defecazione perché l‟ampolla deve ritornare vuota! La defecazione si fonda su un riflesso meccanico che consiste nel distendere l‟ampolla del vater , tutte le volte che viene distesa viene svuotata. Tutto questo avviene due tre volte al giorno . Il meccanismo è estremamente raffinato. Tutto comincia con lo svuotamento gastrico , appena lo stomaco comincia a svuotarsi il tubo del tenue comincia a riempirsi di questo chimo, appena il tubo del tenue comincia a distendersi siamo dunque nel duodeno, scatta un riflesso vago vagale, e questo riflesso apre la valvola ileocecale. Quindi appena da sopra, nel tenue entra materiale sotto si apre la valvola ileo cecale per permettere che questo materiale entri facendo uscire vero il colon ovviamente materiale contenuto nell‟intestino si chiama riflesso gastrocolico. L‟arrivo di materiale nel colon determina un aumento di pressione all‟interno del colon e questo aumento di pressione produce un curioso fenomeno peristaltico del colon, detto movimento di massa è un curioso movimento peristaltico in quanto non osserviamo una contrazione ad anello ma che tutto il colon ascendente si contrae!! Per questo è detto di massa perché si muove un intero pezzo di colon, dopo si contrae il trasverso, dopo il discendente e quindi il contenuto viene spinto in avanti fino all‟ampolla rettale. Ogni volta che noi mangiamo scatta il riflesso gastrocolico , si riempie il colon , il colon fa avviare il movimento di massa , il movimento di massa produce il riempimento dell‟ampolla rettale e scatta il riflesso della defecazione! MOVIMENTO DI MASSA : la peristalsi del colon che precede la defecazione, perché se il contenuto fecale non si sposta nell‟ampolla il riflesso della defecazione non può avere luogo. Durante il sonno questo riflesso non è attivo. Il riflesso della defecazione è mediato dal parasimpatico sacrale alla base di tutto abbiamo i meccanocettori dell‟ampolla rettale che registrano la distenzione dell‟ampolla e ogni volta che la pressione dell‟ampolla rettale aumenta si attiva il riflesso. Qual è il modo più banale per attivare la defecazione? Pompare H2O nell‟ampolla rettale! Clistere ad esempio! Infatti il clistere pompando acqua nell‟ampolla attiva i meccanocettori di parete che attivano l‟attivazione della mucosa liscia e il parasimpatico sacrale fa rilasciare lo sfintere interno. Lo sfintere esterno che è muscolatura striata dipende da motoneuroni afferenti al midollo sacrale. Il vecchio metodo per indurre la defecazione era il clistere, e se oltre l‟acqua aggiungiamo anche un emulsione in olio favoriamo maggiormente la fuoriuscita delle feci. È FONDAMENTALE RICORDARE CHE BISOGNA RIASSORBIRE H20, normalmente con le feci non perdiamo più di 100g-150g di H20 al giorno, calcolando che sono litri secreti dall‟intestino, quindi è fondamentale riassorbire acqua! Se questa azione di recupero non avviene abbiamo la diarrea cioè abbiamo una grande perdita di acqua con le feci semplicemente perché non è stata recuperata l‟acqua e una diarrea profusa porta a morte; basti pensare al colera. Una qualunque patologia che blocca il riassorbimento di H20 e di sodio,a livello del colon induce ovviamente ad una grossa perdita di H20. La parte finale soprattutto il sigma tende a riassorbire acqua , se un soggetto ha lo stimolo per defecare ma non defeca, una parte di questa H20 viene riassorbita, la pressione torna a diminuire e lo stimolo passa questo per esempio è un fenomeno di abitudine che può portare alla stitichezza abituale che è abbastanza abituale nelle donne soprattutto quelle che hanno un tono muscolare inferiore a quello dell‟uomo, ma la possiamo trovare in un qualunque soggetto! Cosa possiamo fare per stimolare la defecazione? Il clistere l‟abbiamo gia‟ detto , possiamo anche usare farmaci che potenziano la compressione muscolare e quindi a livello degli eccito motori delle parti finali del colon il più potente è un estratto vegetale di una pianta che si chiama “gialappa” , oppure possiamo usare magnesio (molecola omoliticamente attiva che il colon 319
non assorbe ) trattiene H20 cioè agisce in maniera osmotica , cioè una parte dell‟H20 non può essere recuperata perché queste particelle se la trattengono a livello del lume.
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Lezione 30 Oggi parliamo del fegato. (Mostra un‟immagine di un fegato in bronzo etrusco, compiacendosi di quanto sia ben fatto). Il fegato, di tutti gli organi del corpo umano, è il secondo in volume e peso, preceduto solo dalla pelle. Il nome in italiano deriva da iecur ficatum, una ricetta latina (fegato ai fichi. Si tratta di un‟erronea traduzione medievale). (Storiella su l‟interpretazione antica del fegato: era considerato sede di emozioni, specie del coraggio. Da qui l‟espressione “Avere fegato”). Il fegato è una struttura di forma vagamente triangolare, subito sotto il diaframma, allocata principalmente nella parte destra della parte alta della cavità addominale e completamente coperto dalle coste, quindi impalpabile dall‟esterno in condizioni normali. Se il fegato si sente, se si riesce a palparlo, significa che è ingrossato. Il fegato solitamente NON deve essere abitualmente palpabile. Quindi, quando in una cartella clinica, in sede di un esame obiettivo dell‟addome, leggete “fegato palpabile”, è equivalente a fegato ingrossato, così come la milza, che non dovrebbe essere palpabile (si trova abitualmente sotto le coste a sinistra). Quindi normalmente nell‟esame obiettivo dovrebbero essere “organi ipocondriaci non palpabili”.Questa è la versione “sana”. Quindi, se uno dei due è palpabile, uno dei due è ingrossato, e abbiamo o una splenomegalia (milza) o un‟epatomegalia (fegato). Classicamente il fegato veniva diviso in lobi, i 4 lobi classici del fegato: Destro, sinistro caudato e quadrato. In realtà, questa classificazione non viene più usata perché i chirurghi preferiscono una classificazione che tenga conto dei rami vascolari all‟interno del fegato, che divide grossolanamente il fegato in otto segmenti ognuno dei quali ha un ramo portale che arterioso di riferimento. Qui vediamo (mostra immagine) il fegato suddiviso nei quattro lobi, e vediamo anche gli otto segmenti della classificazione di Couinaud. (Quando sturiete chirurgia del fegato, userete questa classificazione) È un organo molto friabile, per cui per esempio, se apro l‟addome della vostra collega (…) posso dissociare con le mani il fegato e allontanare gli otto segmenti l‟uno dall‟altro perché disperdo i confini vascolari. Il rischio infatti è sempre quello di tagliare un‟arteria e creare una forte emorragia, ma in questo modo si possono separare gli otto segmenti l‟uno dall‟altro e avere una buona riduzione del rischio di un‟emorragia interna. Questo (mostra immagine) è lo sviluppo embrionale del fegato. Il fegato si forma durante la vita embrionale molto presto, già alla fine del primo mese di gestazione si vede l‟abbozzo embrionale, che si forma come diverticolo dall‟intestino primitivo, detto “diverticolo epatico” da cui deriva poi il fegato. Questa (mostra immagine) è la circolazione del fegato. La circolazione venosa del fegato è caratteristica perché il fegato raccoglie tutto il sangue refluo dall‟intestino. In pratica, tutti gli organi che sono all‟interno della cavità addominale, con qualche eccezione, come i reni e l‟apparato urogenitale, ma tutto il resto in pratica è tributario del fegato, cioè le vene che lasciano stomaco, pancreas, milza, tenue e crasso portano il sangue non direttamente alla cava inferiore, ma lo portano al fegato, e questo grosso caso che raccoglie tutti gli efflussi venosi di tutti gli organi endoaddominali (classicamente vengono definite tre le radici di questo vaso: la gastrolienale, la mesenterica superiore e la mesenterica inferiore) detto vena porta, trasporterà tutto il sangue venoso refluo dall‟intestino al fegato. Poi il fegato, attraverso alle cosiddette vene sopraepatiche a sua volta manderà sangue venoso alla cava inferiore e quindi alla circolazione sistemica. Questa circolazione quindi prevede che,ad esempio, il crasso, riceva sangue arterioso dalle arterie mesenteriche, faccia un primo capillare, poi ci sono i vasi venosi che vanno al fegato, e nel fegato c‟è un secondo capillare.
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Quindi trovate due capillari: uno dentro all‟intestino, e uno dentro il fegato (capillare intestinale e sinusoide epatico) separati da una vena (la vena porta). È quello che in termine tecnico si chiama “rete mirabile venosa”, perché abbiamo due capillari consecutivi separati da una vena. Vi ricordo che nel surrene avevamo visto una “rete mirabile arteriosa”, dove avevamo due capillari separati da un‟arteriola efferense che separava capillare glomerulare dal capillare tubulare, e il flusso è notevole perché avete presente che passa una quantità notevole di sangue: in un uomo di 70 chili, passa più di un litro di sangue al minuto. La velocità e la pressione sono relativamente basse (La pressione all‟interno della vena porta non supera mai i 10 mmHg. Come si misura la pressione all‟interno della vena porta? Ricordatevi che la vena porta ha un capillare all‟inizio e uno alla fine. Come ci entrate? È impossibile senza bucarla (Ha un capillare prima e uno dopo). Si misura indirettamente misurando la pressione a monte e quella a valle. Ci potreste anche entrare in maniera cruenta, un buco nella vena porta, ma è ovviamente sconsigliabile. La vena porta ha sangue venoso, povero di ossigeno, non è in grado di fornire ossigeno al fegato, e quindi il fegato ha bisogno di ricevere un altro apporto di sangue arterioso, quindi oltre alla vena porta il fegato riceve un‟arteria, che è l‟arteria epatica. L‟arteria epatica trasporta al fegato circa un quarto del sangue rispetto alla vena porta, quindi su 1,2 L di sangue al minuto che arriva al fegato, 200 ml li porta l‟arteria epatica e 1L la vena porta. Naturalmente l‟arteria epatica è un‟arteria e la pressione è quella di un‟arteria, molto alta, 80-90 mmHG contro i circa 10 mmHg della vena porta. Dentro il fegato, sia l‟arteria epatica che la vena porta si ramificano, e alla fine si formeranno due piccoli rami che confluiranno nel cosiddetto “sinusoide epatico”. Quindi il sinusoide epatico è formato dalla confluenza, a livello del parenchima epatico, di una vena e di un‟arteria. Queste due formano un unico vaso, di tipo capillare, il sinusoide epatico. Naturalmente nella vena la pressione è molto bassa, rispetto all‟arteria, dove ci sono pressione 6-7 volte più alte che nella vena. Quindi è importante che la parte terminale del ramo dell‟arteria epatica abbia una sorta di sfintere che riduca la pressione, per avere più o meno la stessa pressione sia dal lato arteria epatica sia dal lato vena porta. Il sangue scorre dalla periferia verso il centro di queste strutture che trovate a costituire il fegato, ossia i lobuli epatici. Queste sono strutture di tipo anatomico che ruotano attorno a questa strutture periferica che si chiama spazio porto-biliare, chiamato così perché contiene tre cose: i rami dell‟arteria epatica, i rami della vena porta e un ramo dell‟albero biliare. Quindi, all‟interno di questi sinusoidi epatici il sangue va dalla periferia verso il centro, al contrario della bile, che si muove dal centro verso la periferia. Il sangue, muovendosi dalla periferia verso il centro, lascerà ovviamente nutrienti e ossigeno alle cellule del parenchima e porterà via da queste cellule i prodotti dell‟anabolismo. Questo sangue poi arriverà al centro del lobulo dove ci sarà la vena centro-lobulare , poi la vena centro-lobulare confluirà con altre vene centro-lobulari e si viene a formare il sistema venoso refluo del fegato che si chiamano vene sovra-epatiche che confluiranno nella vena cava inferiore. Classicamente, da uno di questi spazi porto-biliari possiamo mandare sangue a tre diversi lobuli epatici. 322
L‟idea del lobulo è superata, oggi si preferisce parlare di “unità funzionale del fegato”. Ne sono state proposte diverse: Abbiamo l‟unità acino-epatico e un‟altra chiamata epatocrito . La differenza sta nel fatto che nello spazio porto-biliare abbiamo la vena centro-lobulare: Il sangue contiene una certa quantità d‟ossigeno. Le cellule più lontane dal sinusoide epatico saranno anche più lontane dall‟ossigeno, quindi ci saranno cellule situate immediatamente vicino al sinusoide, cellule a distanza intermedia e cellule più lontane, dette anche zona 1, 2 e 3 I processi metabolici che richiedono molto ossigeno possono avvenire solo nella zona 1, ed è chiaro che i processi anaerobi che non richiedono ossigeno avverranno nella zona 3, mentre nella 2 ci sono processi intermedi a consumo di ossigeno relativamente basso. È altrettanto facile capire che se ho un danno e arriva meno ossigeno, la morte cellulare avverrà dalla periferia verso il centro: prima moriranno le più lontane poi le più vicine. L‟area di morte assume la forma di anelli concentrici (In anatomia patologica viene detta “a coccarda”, ad anelli concentrici ischemici con gli anelli più esterni più danneggiati). Le tipiche quattro cellule del fegato: 1) Epatociti: 90% del totale. Orletto a spazzola molto sviluppato. Non sono direttamente a contatto con i sinusoidi epatici, ma fra epatociti e capillari c‟è uno spazio detto di Disse, dove si raccoglie la linfa. 2) Le cellule stellate: occupano naturalmente gli spazi di Disse. 3) Poi ci sono i capillari, e la parete dei capillari è fatta da endotelio: Cellule endoteliali. Sono cellule distanti tra loro : ci sono veri e propri buchi, che fanno passare anche cellule. 4) Dentro il capillare troviamo i monociti, il cui numero corrisponde al 5% dei globuli bianchi totali. Rappresentano quindi delle cellule di difesa. Quando sono nel fegato, vengono chiamati “cellule del Kupffer”, pur essendo normali monociti. (Ridice tutto sulle tipologie delle cellule in funzione di un‟immagine, descrivendo un sinusoide. Fa osservare che:) “Osservate che qui c‟è un‟altra fila di cellule epatiche che è a contatto con un altro sinusoide (“un altro” rispetto a quello del centro dell‟immagine) Tra queste file vedete che uno spazio dove si raccoglie la bile. Quindi, la bile prodotta dagli epatociti non va dal lato sangue, ma dall‟altro lato della cellula epatica, andando dal centro allo spazio porto-biliare. Quindi all‟inizio, quando la bile viene prodotta, non esistono dei capillari biliari, c‟è solo uno spazio tra una fila di cellule epatiche e l‟altra, che non ha pareti proprie. È lì che inizialmente si raccoglie inizialmente la bile. I primi contenitori della bile li troveremo nello spazio porto-biliare, dove cominciano a comparire i primi dotti biliari. Ma solo dall‟acino in poi (non sicuro di “acino” 30:11) comincerete a trovare una vera e propria rete. Ricordate: se uccidiamo un fegato a una persona, la circolazione si ferma, e vedremo che il 10-15% del sangue che aveva è proprio dentro il fegato, circa un litro. I 2/3 di questo litro sono intrappolati nei sinusoidi epatici. Quindi il fegato è anche un grosso contenitore di sangue, ne contiene circa un litro. In caso di emorragie acute, che causa una ipovolemia, il fegato si rimpicciolirà (epatocostrizione) per “spremere” questo sangue parcheggiato, e fornirlo al sistema. Se invece si ha un‟ipervolemia, il fegato si dilaterà e accoglierà il sangue in più. Quindi il fegato partecipa al controllo della volemia con questo trucco. Il trucco fondamentale è rappresentato dalla membrana connettivale che circonda il fegato, e poi lo divide al suo interno. Ricordate: Questa membrana si chiama “membrana di Glisson”. Questa 323
membrana contiene cellule muscolari lisce, per cui si deve immaginare il fegato come una spugna, e dentro i buchi della spugna c‟è il parenchima epatico. La spugna è invece lo stroma, che è costituito da questo tessuto connettivo con cellule muscolari lisce. Queste cellule muscolari lisce possono, contraendosi, “spremere” letteralmente il fegato (succede una cosa simile anche con la milza: essa ha un connettivo che si chiama perisplenio, che forma dei setti al suo interno e se abbiamo un‟emorragia acuta la milza può aiutare a mettere sangue in circolo con una splenio-costrizione). Un‟epato-costrizione (o una splenio-costrizione) possono verificarsi durante uno sforzo acuto (come quando ci si mette a correre), che mette il sistema in debito di ossigeno. Nel tentativo di avere un po‟ di sangue, si spreme il fegato e la milza: questi eventi sono avvertiti dal soggetto come “dolore al fianco sinistro”(splenio-costrizione) e “dolore al fianco destro” (Un‟epato-costrizione), che sono espressioni del tentativo di fare uscire da questi depositi un po‟ di sangue. Un‟altra cosa da ricordare è che di tutta la linfa che noi possediamo nel nostro corpo circa la metà la fa il fegato: il fegato produce linfa attraverso questo rapporto tra sinusoide epatico e spazio di Disse, la linfa si raccoglie negli spazi di Disse, e mentre il sangue viaggia dalla periferia verso il centro, la linfa viaggerà al contrario, dal centro verso la periferia, si raccoglierà negli spazi porto-biliari, si cominceranno a formare dei veri e propri rami di una circolazione linfatica intra-epatica, che porterà a regolamentare l‟omeostasi. La metà di tutta la vostra linfa proviene quindi da lì. Tutti gli altri organi del vostro corpo sintetizzano l‟altro 50%. Qui si vede (si riferisce a un‟immagine) la funzione più blanda (lui dice “scunchiuruta”) del fegato: la funzione di produrre bile. Come si fa a capire qual è la funzione più importante del fegato? Provando a toglierlo letteralmente da un soggetto (“scippannulu dalla vostra collega”) e vado a vedere che succede: normalmente sta bene per 3 ore, apparentemente, poi va incontro a sudore, ipotensione, ipereccitabilità, in coma dopo altre 3-4 ore, e poi va incontro a morte entro 12 ore. La morte interviene per “ipoglicemia acuta”, cioè la causa di morte è un improvviso abbassamento del glucosio in circolo, e quindi non ne arriva in quantità adeguate al cervello, che è glucosio-dipendente, e quindi più avanza l‟ ipoglicemia, più il cervello entra in crisi, poi in coma e poi muore. Non è difficile far sopravvivere una persona in queste condizioni: basta somministrare glucosio tramite flebo. E il soggetto morirà non più dopo 12 ore (per ipoglicemia), ma dopo 24, per la vera causa di morte delle malattie del fegato: una progressiva comparsa di un coma collegato a una progressiva intossicazione dell‟organismo da sostanze azotate. Questo, detto tecnicamente “coma epatico”, è la vera causa di morte nelle condizioni in cui il fegato non lavora più. Quindi, nei casi in cui il fegato non funziona all‟improvviso come “epatiti fulminanti”, infezione virale in cui all‟improvviso mette fuori uso tutti gli epatociti in poche ore. Questo equivale a dire che il fegato “l‟avete tolto”.(Ci fu un caso interessante a Catania, 10 anni fa, di una ragazza di 21 anni, già madre, che si fece fare un piercing all‟ombelico da gente non autorizzata, gli venne un‟epatite acuta fulminante,ed entrò in coma in 5 ore. Fu portata a Palermo, dove gli trapiantarono il primo fegato che trovarono. Ovviamente, non compatibile. Ma almeno fu salvata. Fu quindi operata di nuovo quando trovarono un fegato compatibile. Questo fatto costò al sistema sanitario nazionale 1,2 Milioni di euro. Una volta esisteva anche una forma di epatite fulminante virale trasmessa dalle zanzare, e si chiamava “febbre gialla” (perché il fegato andava, per l‟appunto, fuori uso, e diventavano “itterici”). Le persone colpite morivano repentinamente, poiché non c‟era (e non c‟è tutt‟oggi, trapianto di fegato a parte) niente da fare) o, più frequentemente, più lentamente.
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Quindi è questa la funzione più importante del nostro fegato: se si limitasse a non produrre bile, il paziente al massimo non potrebbe “mangiare sasizza” (digerire i grassi). Noi produciamo quasi un litro di bile al giorno, in misura proporzionale a quanti grassi ci sono nella dieta. La bile è fondamentalmente costituita da tre grandi componenti: Sali biliari, pigmenti biliari (bilirubina) e i bicarbonati (tamponano il chimo acido, che se no corroderebbe le pareti dell‟intestino). Bile in greco si dice “cole”, e quindi il “colesterolo” fu scoperto all‟interno della bile, e il suo nome sta a indicare “sterolo della bile”. Contiene anche altri composti, ma mentre i Sali hanno un ruolo attivo nella digestione degli acidi grassi, la bilirubina è un rifiuto, il modo con cui noi eliminiamo i cataboliti dell‟eme, derivanti dalla distruzione dei globuli rossi, da cui, una volta fatto il loro ciclo, prendiamo l‟eme, buttiamo la globina, prendiamo il ferro quando possiamo e ci resta l‟anello tetrapirrolico della bilirubina, che è poco solubile in acqua, e nel fegato diventerà solubile. Questo processo di solubilizzazione della bilirubina viene fatto coniugando la bilirubina con due molecole di acido glucuronico. Quindi l‟epatocita prende dal sangue la bilirubina non coniugata e la deve trasformare in bilirubina coniugata. La bilirubina non coniugata non è passata dal fegato, ma proviene dall‟emolisi, mentre la bilirubina con acido glucuronico è una bilirubina che è stata glucuronata. Quindi, quando voi nel sangue vedete aumentata la bilirubina, la prima cosa da chiedersi è “quale bilirubina è aumentata? La pre-epatica (non coniugata) o la post-epatica (coniugata)?” Si fa una reazione per distinguere (detta di Vandenberg) e a seconda se reagisce subito o dopo un altro passaggio (nel primo caso diretta, indiretta nel secondo) potremmo sapere se è coniugata o non coniugata. La “diretta” è la coniugata, la “indiretta” quella non-coniugata. Se aumenta quella non coniugata, è espressione di emolisi, se aumenta quella coniugata c‟è qualcosa che non va nel fegato, e quindi questa bile che era stata coniugata e doveva finire nella bile va nel sangue (“il lato sbagliato”). Quindi deve essere successo qualcosa, come anche un banale calcolo alla vie biliare. La bilirubina verrà attaccata dalla flora batterica e trasformata in altre sostanze, come l‟urobilina, che viene riassorbita e va al rene e poi nelle urine, e saranno responsabili del colore delle urine, mentre quella che non viene riassorbita (stercobilina) è responsabile del colore delle feci. Ecco perché vengono detti “pigmenti biliari”: l‟urobilina colora le urine e la stercobilina le feci. Quindi, se abbiamo un calcolo che ostruisce completamente la colecisti, le urine saranno ipocromoche e le feci saranno acromiche, poiché, se non arrivano i pigmenti, non si colorano (era usato come metodo diagnostico per i calcoli ai dotti biliari. Poteva essere intraduttale(calcolo vero e proprio) o extraduttale (es. tumore alla testa del pancreas che preme sul dotto). Abbiamo detto che il primo evento che abbiamo se togliamo il fegato da una persona è il crollo della glicemia. Quindi il fegato entra nel metabolismo dei carboidrati, e grazie a 3 processi: 1) Gluconeogenesi. Costruisce il glucosio da strutture non glicidiche (acido lattico, scheletro degli amminoacidi). 2) Glicogenosintesi. È in grado di polimerizzare il glucosio prodotto in glicogeno, ed è in grado di accumularlo negli epatociti. I 2/3 del glicogeno sistemico è nei muscoli, ma il restante 1/3 del totale (350 gr)è nel fegato. 3) Glicogenolisi. Il glicogeno epatico è l‟unico glicogeno che, depolimerizzato, può andare nel sangue per alzare la glicemia, mentre quello dei muscoli rimane al proprio posto, intrappolato, e non può contribuire all‟omeostasi glicemica. Quindi la glicogenolisi interviene in tutte le condizioni che portano a una diminuzione della glicemia, e quindi agli ormoni glucagone e alle catecolammine, e viceversa, nelle condizioni di eccesso di glucosio nel sangue interviene l‟insulina, che stimola la produzione di nuovo glicogeno. 325
Se io tolgo il fegato a un soggetto non avrà più i 150 gr di glucosio che vi erano, quindi se cala la glicemia non ha come ripristinarla. In 5-6 litri di sangue ci sono 5-6 gr di glucosio (uno per litro), e quindi normalmente la riserva epatica di glicogeno ci permette di fronteggiare una eventuale ipoglicemia. Se ciò non avviene, si va in coma. Il fegato fa altro: è sede di conversione dei monosaccaridi che assorbiamo (fruttosio, galattosio) in glucosio, che è l‟unico che viene mandato in circolo. La seconda funzione importante del fegato riguarda le proteine: tutte le proteine del sangue le fabbrica il fegato, tranne la γglobuline (prodotte dai linfociti). Tra esse: albunina, α1,α2,β1,β2 globuline, tutte i fattori della coagulazione, come fibrinogeno e protombrina, (anche l‟angiotensinogeno, precursore dell‟angiotensina, è una β2 globulina prodotta dal fegato). Se prendiamo il siero di soggetto e lo rendiamo basico, le proteine si comportano da acidi. Se le metto in un gel, e metto un polo positivo da un lato e negativo dall‟altro, se metto il positivo a sinistra, le proteina verranno attirate da destra verso sinistra, più veloci saranno le proteine più piccole, più lente quelle più pesanti, e si vedranno delle bande che rappresentano la dimensione delle molecole: le più piccole saranno le albumine, le più grandi le γglobuline. Se questo gel lo faccio attraversare dalla luce, ci saranno delle zone più o meno dense. L‟esame si chiama “protidogramma”. Normalmente, ci devono essere 60-70 grammi di proteine (nota: 1grammo di glucosio e dai 60 ai 70 di proteine), e i 2/3 di questi 60-70 grammi devono essere albumine. Queste svolgono molte funzioni: responsabili della pressione osmotica che permette gli scambi capillari (le proteine normalmente non escono dai capillari sanguigni, richiamando acqua con una forza di 25 mmHg, quindi se queste proteine dovessero mancare o diminuire, sarebbe più difficile sarà far rientrare l‟acqua nei vasi, creando edemi, cioè zone in cui l‟acqua è fuori dai vasi). Quindi se troviamo meno proteine, è diminuita la pressione osmotica, e quindi ci troviamo davanti a un problema di fegato. Se mancano solo le albumine, allora è probabile un problema al rene (albinuria). Quindi il protidogramma da importanti informazioni. La seconda funzione delle albumine è che sono dei trasportatori: ciò che non è solubile in acqua, può essere trasportato così, legato alle albumine, che lo trasportano da un lato all‟altro: Ci saranno proteine che trasportano ormoni steroidei, vitamine liposolubili etc.. Abbiamo incontrato proteine che trasportano il ferro, rame e tutto ciò che non si scioglie nel sangue. Nel sangue, oltre esserci 1gr di glucosio e 60-70g di proteine, ci sono circa 12 grammi di grassi, che non sono solubili. Vengono trasportati da proteine prodotte dal fegato, che circondano i lipidi, formando le lipoproteine, che vengono divise in base alla loro densità in HDL (altà densità), intermedia (IDL), bassà densità (LDL) e densità molto bassa (VLDL), cambia solo il rapporto tra proteine e grassi (se prevalgono le proteine sono più dense, viceversa se i lipidi). Le HDL hanno un‟altra efficienza nel trasporto rispetto alle lipoproteine a bassa densità. Il colesterolo è prodotto dall‟organismo. Il fegato è il principale produttore. Il fegato produce anche i fattori della coagulazione del sangue: i chirurghi odiano operare al fegato perché i soggetti perché coagulano male, in quanto i fattori della coagulazione vengono prodotti da esso, e il venir meno a questi fattori porta a forti emorragie. 326
Le classiche vie che portano alle coagulazioni sono il “taglio” che mette il sangue non più a contatto con la parete dei vasi, e si attiva la coagulazione, che porta a formare un tappo che blocca l‟emorragia. Se però se si altera la parete, anche senza taglio, abbiamo un endotelio che non produce NO, e quindi abbiamo una coagulazione intravasale, con formazione di coaguli intravasali o trombi, non fisiologici, anzi, abbiamo dei fattori anti-coagulanti, il più importante prodotto proprio dal fegato che sia chiama eparina, che interviene in questi casi. Fra le funzioni del fegato c‟è quello di distruggere gli ormoni dopo che hanno fatto il loro lavoro, come l‟insulina, steroidi sessuali e surrenalici. L‟insulina, importante, è prodotto dal pancreas, dalle cellule del Langherans. Ma il pancreas manda sangue al fegato con dei rami della vena porta, e quindi tutta l‟insulina prodotta passa del fegato. Il sangue che passa dal fegato attraverso la vena porta ha quindi un‟altissima concentrazione di insulina, e quindi gli epatociti hanno pochi recettori per l‟insulina. La metà dell‟insulina che passa dal fegato viene distrutta, mentre la restante passerà nel sangue, dove è diluita dal torrente sanguigno, e giungerà in misura molto ridotta rispetto a quella che passa dal fegato negli altri tessuti. Questo crea un problema quando si deve prescrivere l‟insulina da dare a un diabetico: In teoria si dovrebbe mettere nella vena porta, ma questa è chiusa sia a monte che a valle, quindi si fa la sottocutanea. Ma, se la dose di insulina va bene per tutti i tessuti, non va bene per il fegato, che ne dovrebbe ricevere molto di più, ma se ne mettiamo in dosi alte (fisiologiche per il fegato) romperà l‟equilibrio delle cellule di tutti gli altri tessuti. Quindi è un fatto molto importante di cui tener conto. Non stupisce quindi che nelle malattie del fegato appaiono problemi di natura sessuale, come ginecomastia e impotenza, poiché alterando il metabolismo degli ormoni sessuali si crea un effetto a cascata. Ora passiamo al grande ruolo del fegato: l‟eliminazione dell‟azoto proteico. Gli amminoacidi contengono azoto che si deve eliminare. Lo facciamo sotto forma di urea (se lo facessimo sotto forma di ammoniaca ci vorrebbe molta più acqua), prodotta tramite l‟ureogenesi. L‟urea contiene due atomi di azoto. Questa molecola, abbastanza solubile, andrà al rene dove sarà eliminata (anche se il 50% lo recupera allo scopo di far aumentare la pressione osmotica nella midollare). Il ciclo dell‟arginina è quello che porta alla produzione di urea e coinvolge i mitocondri delle cellule epatiche. Questa è una delle grandi funzioni. Se il fegato non funziona, l‟azoto non viene eliminato, e compare un danno dato dall‟azoto che è la vera causa di morte nei soggetti con insufficienza epatica. Il fegato utilizza non solo l‟ureogenesi, ma anche la transaminazione, spostando un gruppo amminico, e trasformando un chetoacido in un aminoacido e un aminoacido in un chetoacido. Questi enzimi sono le “transaminasi”. Le più importanti del fegato solo la transaminasi glutamicoossalacetica detta “aspartato-ammino transferasi” (in sigla GOT o AST) e la glutammato-piruvato transaminasi (GPT) o “alanina-amino transferasi”(ALT). Una si trova nei mitocondri, l‟altra nel citosol. Nel sangue non ce ne dovrebbero essere, se non per lesione di qualche epatocita. (Valori accettati: AST 13 a 41 unità per litro nei maschi, nelle donne da 5 a 31, ALT 9 a 63 nei maschi e da 5 a 36 nelle donne).Se se ne trova di più, significa che si saranno rotte delle cellule epatiche. Quindi la misura di queste transaminasi indica la quantità di cellule epatiche che si sono rotte (Anche il cuore contiene delle transaminasi, ma sono diverse, quindi con una buona analisi si può riconoscere la loro origine).
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Un altro importante enzima epatico è la gamma-Gt, una gamma-glutamil-transpeptidasi, è un altro enzima che trasferisce una molecola a un‟alanina. (Spesso l‟accettore è un aminoacido, ma non sempre). Dall‟unione però si libera una molecola d‟ammoniaca. La molecola di partenza è la 5glutamil-peptidasi, e questa molecola fa coniugare le altre due. È importante perché è un altro di quelli enzimi che, quando si rompe una cellula, si ritrova nel sangue, e vi può dare una misura del grado di rottura cellulare. In un uomo normale la misura dovrebbe essere inferiore a 50 unità per litro, nelle donne meno di 35. Altre funzioni: il fegato è un deposito di molecole non solubili in acqua (vitamine liposolubili, ferro, rame). Ecco perché il fegato animale ha un grande fattore nutrizionale. Altra funzione: produce e distrugge Globuli rossi. La produzione sussiste solo durante la vita fetale, l‟emocaterasi per tutta la vita. L‟emopoiesi avviene grazie agli epatociti, mentre l‟emocateresi grazie alle cellule del Kupffer. Noi abbiamo due tipi di emocateresi: epatica e splenica (aggiunge in seguito che anche il midollo osseo ha un suo ruolo). Il fegato distrugge i GR invecchiati (120 giorni di vita circa) che passano nei sinusoidi epatici. Anche nella milza avviene la stessa cosa, ci sono delle cellule simili a quelle del fegato, ma distruggono anche i GR anomali (es: emoglobina fetale/anomala). Per esempio, durante la vita fetale, abbiamo i GR fetali, più grandi dei normali, e contengono emoglobina diversa rispetto a quella adulta, ci sono due catene gamma al posto delle beta. Se non si riesce a fabbricare le catene beta, da adulto si sarà costretti a produrre le gamma, e quindi potremmo avere GR con emoglobina fetale (talassemia). Se ne accorge la milza, che li distrugge subito. Quindi durano al massimo una settimana (il tempo di passare dalla milza), e i soggetti saranno anemici, perché l‟emolisi è importante. Questi soggetti hanno due problemi: meno globuli rossi e più bilirubina prodotta, data dall‟emolisi, quindi saranno itterici (“giallini” (cit.)). Questo problema è grave, in quanto alte dose di bilirubina non vanno bene per il funzionamento di molti organi. È una malattia genetica recessiva: non c‟è niente da fare. I GR che contengono emoglobina fetali sono poco ospitali per il plasmodio della malaria. Quindi, in passato, gli eterozigoti (forma “minor”), che avevano nel sangue una piccola quantità di questi GR, erano protetti dalla malaria. Quindi questa malattia era caratteristica delle zone ricche delle zanzare, veicoli del plasmodio. In sicilia era tipica di Lentini, ma in generale di ovunque ci sia un fiume o un lago. Tutto il mediterraneo è caratterizzato da questa malattia, tanto che i greci chiamavano i mediterranei “Thalas” (o “Talas”. O un omofono…). Poi si è scoperto che c‟è in Brasile e nel sud-est asiatico, dove i fiumi con le zanzare abbondano. La malaria, tuttavia, è stata combattuta, e quindi in europa non c‟è più, ma è rimasta la popolazione eterozigote. In Sicilia la percentuale della popolazione eterozigote è il 5%. Quindi la probabilità che due persone portatrici si sposino è altissima, e questo aumenta il rischio di omozigosi (50% delle coppie eterozigotiche avranno un figlio eterozigote, 25% sano e 25% malato). Il problema è che sono malattie incurabili, (è genetica). Dovremmo togliere la milza ai bambini appena nati. Ma questa è gente che dovrà fare trasfusioni: rischi di virus, malattie trasmissibile etc. Queste malattie si possono evitare, e la tecnica consiste nel: se si vuole far nascere un figlio da due portatori, non ci possiamo affidare a metodi naturali, ma prendiamo 5-6 ovociti, li fecondo, aspetto che si formino embrioni a 8 cellule e vado a vedere poi se è sano, malato o portatore. Se è sano, lo 328
trapianterò nella donna, e la discendenza di questa donna sarà sana. Ma in Italia questo non si può fare. Si deve fare all‟estero. Tutte le malattie di questo tipo erano debellabili, e sarebbero scomparse, ma ciò non è possibile per la legge. Altro esempio in proposito: sono infetto dal virus dell‟HIV, e voglio fare un figlio con una donna sana. Il liquido seminale contiene sempre globuli bianchi, e questi, in un soggetto sieropositivo, contengono sempre il virus. Ergo, il maschio trasferisce sempre globuli bianchi infetti alla donna. Poiché questi sono normali costituenti del liquido seminale, come si fa? Si dovrebbe fare una fecondazione in vitro: prendo il liquido seminale, levo i globuli bianchi, e a quel punto posso fecondare con gli spermatozoi all‟interno. Il bambino e la madre sono al sicuro. Questo è vietato dalla legge, in quanto questo sistema può essere usato solo dalle coppie “sterili”. Ricapitoliamo: il fegato nella vita fetale produce GR, tranne negli ultimi due mesi, dalla 28 settimana, poi il compito passa al midollo osseo. Quando un bambino nasce, e il fegato ha smesso due mesi prima di fare GR, e poi li ha cominciati a fare il midollo osseo, e un globulo rosso vive 120 giorni, circa la metà dei suoi GR sono ancora di origine epatica e contengono emoglobina fetale, mentre l‟altra metà sono di origine midollare dove c‟è emoglobina adulta. Entro altri due mesi, dei vecchi GR fetali non sarà rimasto più niente. Il fegato produce ormoni, in particolare due, una volta chiamate somatomedine, poiché, come sapete, l‟ipofisi anteriore produce 7 ormoni diverse, ma la maggior parte delle cellule produce l‟ormone della crescita o somatotropo, un ormone polipeptidico (200 aa). Si pensava che questo ormone fosse fattore di crescita scheletrico, ma anche i visceri interni, un po‟ tutto, tranne il cervello e l‟occhio, che non hanno recettori per esso. Ma poi si notò che in vivo questa teoria funzionava (se iniettato a un paziente, questo “cresce”), mentre se in vitro, ad esempio su un pezzetto di cuore, no, in quanto non cresceva. Spiegazione? Evidentemente l‟azione non è diretta, ma l‟ormone mette in moto “qualche altra cosa”. Questa fu chiamata “somatomedina”, perché “media” l‟azione del somatotropo. Furono chiamati somatomedina 1 e 2, e si scoprì che le fa il fegato. Quindi: l‟ipofisi produce l‟ormone somatotropo, questo va al fegato, e ordina la produzione di somatomedina, che vanno in giro a fare quello che pensavamo facesse l‟ormone somatotropo, in particolare la somatomedina 1. Le somatomedine, ormoni polipeptidici, hanno un effetto che ricorda l‟insulina, e per questo sono state chiamate “insuline-like growth factor”, “fattori di crescita insulino-simili”, o IGF, e la somatomedina 1 è stata chamata IGF1, la somatomedina 2 è stata chiamata IGF2. Si è visto che la IGF1 la produciamo per tutta la vita, la IGF2 viene prodotta principalmente durante la vita fetale. Se faccio un esame al sangue a un adulto, non trovo IG2, mentre a un bambino appena nato ne dovrei trovare.
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In realtà, l‟ormone della crescita ha un effetto che non passa per le somatomedine, ossia va nelle cellule dei tessuti (soprattutto muscoli, fegato e adiposo) e ordina alle cellule di non obbedire all‟insulina. È un fenomeno interessante, perché l‟ormone della crescita, di per se, ha un‟azione anti-insulina, mentre le somatomedine hanno un‟azione insulino-simile, ma ciò ha una logica molto importante che ci difende dalla fame, quando dobbiamo risparmiare glucosio per il cervello, che sa usare acidi grassi ma non gli arrivano per la barriera emato-encefalica. Le IGF erano state collegate a fattori di crescita, proliferazione cellulare, ma una ricercatrice italiana ha scoperto che entrano in gioco nel consolidamento della memoria, ossia dalla memoria da breve a lungo termine, un fenomeno plastico. Questo lo fa in particolare l‟IGF2. Quindi non è vero che è assente nell‟adulto, ma sta nel cervello, e non può uscire per la barriera emato-encefalica. Qui, la IGF2 agisce in sinergia con l‟acido lattico. L‟acido lattico, grazie a questa sinergia con l‟IGF2, consente di aumentare l‟efficienza dei processi di memorizzazione. Un‟altra delle funzioni del fegato, vitale, è la funzione de-tossificante, che elimina sostanze tossiche. Basti pensare ai farmaci, che vengono distrutti dal fegato, o delle sostanze tossiche dei batteri che abbiamo nell‟intestino, che vengono assorbite, e verranno distrutte dal fegato. Distruggere una sostanza, fondamentalmente, significa renderla solubile in acqua, in modo che possa essere eliminata dai reni. Quindi lo scopo non è renderla meno tossica, ma più solubile. I meccanismi sono 4: 1) Ossidazione 2) Riduzione 3)Coniugazione (es: acido glucuronico) 4) Idrolisi (Si utilizza il citocromo P450 nelle ossido-riduzioni, o meglio, “i” citocromi. Ce ne sono ben 18 famiglie, anche se il fegato non contiene tutte le forme). Questo ci permette di eliminare quasi tutte le sostanze tossiche che abbiamo in circolo. Se il fegato non funziona, si muore. Non esiste una macchina che lo possa sostituire, a differenza del rene, per cui abbiamo la dialisi. Al limite si può mettere il fegato di un maiale. Il primo trapianto di fegato fu fatto da un clinico americano (Thomas E. Starzl) che fece vari tentativi dal ‟63 al ‟67, anno in cui ebbe il primo trapianto con successo, con cui il paziente visse un anno. Il fegato pesa 1,5 Kg. Se si toglie il 60%del fegato da un soggetto, non succede niente. Gode di ottima salute. La struttura del fegato è talmente ridondante che ne abbiamo più del dovuto. Noi abbiamo problemi se ci asportano più del 60%. Nelle malattie del fegato, fino a quando abbiamo il 40% degli epatociti, non si ha alcun sintomo. Quindi non bisogna confondere due concetti: il concetto “insufficienza della funzione epatica” (più dei 2/3 delle cellule epatiche non funzionanti, 330
quindi il fegato non riesce a svolgere i compiti dovuti), e il concetto si “lesione della cellula epatica”, con la quale entrano in circolo i contenuti delle cellule, in quanto possiamo avere valori altissimi delle transaminasi, ad esempio, ma nessuna insufficienza epatica. Non bisogna mai confondere i segni. Un soggetto con cirrosi epatica terminale/comatosa, ha le transaminasi a livelli normali (Le cellule muoiono senza subire la lisi). Il valore delle transaminasi indica solo il numero di cellule che si stanno rompendo, ma non se il fegato è funzionante o meno. I veri indici della funzionalità del fegato sono le proteine che produce: albumina, globuline, ma ancora più sensibile alla funzionalità epatica è la coagulazione del sangue, in quanto tutti i fattori sono prodotti dal fegato. “Appena il fegato comincia a funzionare meno bene del normale, tutti i test di funzionalità coagulatoria ovviamente si può” (Nota: Credo intendesse dire “si possono misurare, e quindi essere usati come indicatori diagnostici della funzionalità epatica”. La frase che ha letteralmente detto è tuttavia quella tra virgolette) Sono sue cose diverse. Esempio: Mi sono mangiato le cozze, e ho preso un‟epatite virale. Ho le transaminasi alle stelle, ma siccome mi muore il 15% delle cellule, a un protidogramma risulta tutto normale. Non confondere lesione cellulare con funzionamento epatico. Le cellule che si rompono fanno “solo spettacolo”. In un alcolizzato, l‟alcol uccide le cellule senza romperle, diventerà cirrotico, ma le transaminasi sono buone. Sappiate cosa cercare per ricercare la funzionalità epatica. Non di certo le transaminasi. Ma i fattori di coagulazione del sangue. Gabriele: (Domanda poco udibile) Perciavalle: Il diabetico coagula bene. Il problema del diabetico è che ha i vasi danneggiati, ha microangiopatia, la sua emostasi è fisiologica. Si è alterata la parete. Ultimo concetto: rigenerazione epatica. (Spiega il mito di Prometeo, l‟uomo incatenato a una montagna con un‟aquila di metallo che gli mangiava il fegato ogni giorno, il quale ricresceva ogni notte) Il fegato non cresce in una notte, ma cresce. Una delle straordinarie capacità del fegato è la sua capacità rigenerativa, le cellule del fegato, che normalmente non si riproducono, in casi particolari riacquistano capacità mitotica. Quindi se leviamo metà fegato da un soggetto, e l‟altra metà è sana, dopo qualche settimana il fegato è di nuovo integro. In animali da esperimento è stato fatto anche 20 volte, e quelli ricostruivano imperterriti la parte mancante, e non in maniera brutale: i lobuli, l‟architettura, gli spazi porto-biliari…tutto il parenchima ricostruito in maniera funzionale. Tant‟è che oggi che questo rende possibile il trapianto di fegato da vivente a vivente. Il padre dona mezzo fegato al figlio, tanto se lo ricostruisce. Questa straordinaria capacità rigenerativa è la più interessante. L‟epatite virale che uccide cellule, ne può uccidere fino al 60%, possiamo avere transaminasi alte, ma questo si ricostruisce, non succede niente, tranne nella prima settimana di vita, dove la bilirubina supera la barriera emato-encefalica, penetra nel cervello, e può dare danni gravi. (Fa un discorso 331
incomprensibile, ma il succo è che se la bilirubina entra nel cervello durante la prima settimana di vita si diventa, parola sua, “spastici” 1:47:22) Mentre l‟iperbulinemia è innocua per tutta la vita, solo durante la prima settimana di vita da danni irreversibili. Quali sono le cellule che permettono la rigenerazione? Ce ne sono 4 tipi. Quelle che mettono in moto questo meccanismo sono le stellate, che troviamo nello spazio di Disse, nello spazio che separa epatociti dalla sinusoide. In questo spazio ci sono le cellule del Kupffer, il 15% scarso delle cellule totali del fegato, normalmente quiescenti e appena visibili, non appena tolgo il fegato, si mettono in moto, e fanno un‟azione di tipo endocrino, che ripara tutto il fegato, non solo ricrea quindi il parenchima epatico, ma vengono ricreati i vasi sanguigni…l‟intera natura presente del sistema viene rigenerata. L‟unico requisito è che le cellule superstiti, epatociti e stellate, presenti siano almeno il 30% del parenchima totale e che siano in ottima salute. Si richiede che ci siano queste due caratteristiche. Il principale responsabile della rigenerazione epatica è detto “fattore di crescita epatico”, il primo a entrare in gioco, ed è quello che metterà in moto tutta un‟altra serie di fattori di crescita, che porteranno alla riparazione del sistema. È una glicoproteina, ed è il principale protagonista della rigenerazione. Se asportiamo metà del fegato, entro pochi minuti vediamo che le cellule stellate si differenziano e producono il fattore di crescita epatico, che farà produrre tutta una serie di operazioni, e nell‟arco di meno di 18 ore si osserva replicazione degli epatociti. Bastano minuti al sistema per accorgersi del danno e in un‟ora mette in moto i meccanismi che trovano soprattutto nel fattore della produzione di crescita, il più precoce, che metterà a sua volta in moto fattori di crescita che devono agire sulla rete vascolare, rete biliare… bisogna ricreare un sistema funzionante, una rete organica, non è una proliferazione “abbasta”, deve essere una proliferazione organizzata. Dopo già 18-19 ore ho proliferazione degli epatociti. In due settimane si rigenera tutto, se la parte restante è sana. Perché se non è sana, ci sono problemi, perché la riparazione non è più una riparazione funzionale, la parte mancante viene sostituita da tessuto di tipo fibroso, non funzionante, e questa caotica riproduzione produrrà un fegato non funzionante, nei casi meno gravi, dove prevale la componente fibrosa, si dirà “Fibrosi epatica”, in quelli più gravi, dove prevale quella caotica, “cirrosi epatica”. In entrambi questi casi è fallito il processo ripartivo, il pezzo mancante non è stato sostituito da un pezzo funzionante, ma è stato sostituito da un tessuto che non funziona. Oggi, quando devo fare un trapianto di fegato, e ho un cadavere da cui posso prelevare il fegato, ne trapianto mezzo. Con un fegato salvo due persone, perché tanto so che mezzo fegato basta. Quel mezzo fegato, se in buone condizioni, permetterà a ciascuna delle due persone a cui l‟ho trapiantato di ricostruire senza dare problemi la parte mancante. L‟importante è che sia un fegato sano, devo averlo preso prima che i processi degenerativi cominciassero. Valore nutrizionale del fegato. Il fegato è un formidabile fattore nutrizionale perché contiene di tutto: ferro, rame, vitamine liposolubili, tutto sommato a basso contenuto calorico, 100g producono meno di 150 calorie, quanto 40 grammi di pasta, contiene acidi grassi insaturi e polinsaturi, vitamine, Sali minerali. Soprattutto 332
il fegato bovino e il fegato suino sono molto utilizzati in cucina. (Da la ricetta del fegato alle cipolle). Non sottovalutate mai che qualunque situazione succeda prima o dopo ne risente il fegato. Alcune sono abbastanza prevedibili (infezioni virali), altre meno. Altra regola, sacra, è: tutto ciò che mangiamo non viene utilizzato dall‟organismo se prima non passa dal fegato. La logica della circolazione portale è questa: tutto ciò che entra, attraverso l‟intestino, prima di andare ai tessuti, viene esaminato, modificato, elaborato, e solo dopo che il fegato ha analizzato ed eliminato ciò che non va, i nutrienti vanno distribuiti. Ciò avverrà anche in vita fetale: ciò che arriva dalla madre passa al fegato, non va direttamente ai tessuti, perché la circolazione placentare è un ramo della vena porta, quindi il fegato “non si fida” nemmeno della madre. Quello che tutta la madre mangia il figlio prima se lo analizza, e poi lo manda ai tessuti. Ricordatevi, 3 importanti anastomosi tra circolazione portale e circolazione cavale, cioè sangue che se ne va alla vena cava, senza passare dal fegato. 1) Plesso emorroidale. I 2/3 del sistema emorroidale mandano il sangue alla circolazione portale, ma 1/3 anziché mandare sangue al fegato lo manda direttamente alla cava inferiore, per cui qui c‟è una possibilità che qualcosa che venga assorbito vada direttamente alla cava inferiore senza passare dal fegato. Questo spiega un concetto banale: perché alcuni farmaci si danno per supposta. Perché se va per via orale, andrà al fegato, che lo eliminerà, mentre per via anale una parte non va alla vena porta e salta il fegato. 2) Un‟altra anastomosi si ha a livello cardiale, nel punto in cui si trova l‟entrato dello stomaco nell‟esofago, c‟è una circolazione venosa che in parte è tributaria della gastro-lienale, che va nella porta, ma in parte è tributaria della cava superiore, attraverso le vene esofagee. Quindi anche qui c‟è un‟anastomosi interessante. 3) Una terza anastomosi rappresentata dai recessi della circolazione ombelicale, che mette in comunicazione la circolazione profonda con quella cutanea: la profonda è tributaria della porta, la cutanea della cava inferiore. Perché vi sto dicendo questo? Nelle malattie di fegato, dove c‟è una caotica strutturazione del fegato, il flusso di sangue verso il fegato avviene sempre più difficilmente, cioè si incontra resistenza, e allora il sangue, non potendo passare, cerca una via alternativa. Quali sono le vie alternative? Il plesso emorroidari, il plesso esofageo inferiore e la circolazione ombelicale. Quando voi visiterete questi pazienti, ci sono 3 cose che troverete sempre: emorroidi più o meno sviluppate, varici esofagee, poiché c‟è una dilatazione del plesso esofageo,(pericoloso, in quanto se si inghiotte qualcosa di ruvido si possono lacerare le varici, il che crea un‟emorragia interna) e una varice di questi vasi che fuoriescono dall‟ombelico che ha un‟immagine caratteristica: vedete queste grosse varici che si dipartono dall‟ombelico che i vecchi medici del ‟700 chiamavano “la testa della medusa”, o “caput medusae”, che era il terzo tipico segno della cirrosi epatica. Le più pericolose sono quelle esofagee, in quanto danno un‟anemia subdola e difficile da cogliere. (Qualcuno fa una domanda, forse Roberto. Credo chieda una cosa come “Ma il fegato è l‟unico a rigenerarsi?”) Perciavalle: Ci sono molti altri organi che lo fanno, ma nel fegato è spettacolare la rigenerazione, perché rigenera l‟impalcatura, non la singola cellula. 333
Un altro domanda: “Perché il fegato ha questa proprietà?” Perciavalle: E picchì mu stai spiannu a mia? Menu mali ca è accussì. (Traduzione: Perché lo stai chiedendo a me? Meno male che è così) (risposta messa nel caso ve lo stesse chiedendo…)
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