RELAZIONE DI CONSULENZA TECNICA Premessa
Ricevuto l'incarico l'11 febbraio 2000, questo consulente tecnico iniziava gli accertamenti presso già nella settimana successiva. Il quesito si incentra su una serie di esponenti di ricerca connessi, in vario modo, al "Noto Servizio (o perchè indicati come appartenenti ad esso dai documenti, o da alcuni testi, o perchè indirettamente collegati alla vicenda, in quanto persone in contatto con singoli esponenti del Ns, o in forme ancora più mediate). La ricerca ha dato risultati alterni, per cui su alcuni soggetti è stata reperita ampia documentazione, mentre su altri ci si è dovuti accontentare di rari frammenti e su altri ancora non è emerso alcunchè: ma questo è quanto normalmente accade in qualsiasi ricerca di questo tipo, così come sempre si presenta il consueto problema di vagliare l'attendibilità delle informazioni contenute nei documenti. La difficoltà specifica presentata dal presente quesito è stata, piuttosto, un'altra: capire quali azioni siano riferibili al "Noto Servizio" e quali, invece, siano state il frutto di iniziativa personale del soggetto di cui il documento parla o di altre organizzazioni cui, pure, lo stesso soggetto può essere appartenuto.
Infatti, solo una piccola parte dei documenti reperiti e qui commentati, fanno esplicito riferimento al "Noto Servizio"; nella maggior parte dei casi non è contenuto alcun cenno ad esso -neppure indiretto- e possiamo solo presupporre che l'azione di cui si narra sia riferibile al servizio parallelo, solo sulla base dell'appartenenza ad esso dell'attore in questione. E, talvolta, la stessa appartenenza dell'attore al "servizio" non è neppure del tutto certa, quantomeno all'epoca del fatto in esame. Ovviamente, una parte dei dubbi possono trovare uno scioglimento solo grazie a successive attività di riscontro compiute dalla Pg, in altri casi un contributo potrà venire da ulteriori approfondimenti archivistici, in altri, ancora, dal confronto con altra documentazione già nota e dalla connessione logica degli elementi man mano appurati. Tuttavia il contributo di maggior rilievo che questo ctu può cercare di fornire alle indagini è la ricostruzione del contesto storico generale nel quale si svolse l'azione del "Noto Servizio". Questo consente, da un lato di orientare meglio la ricerca dei riscontri, dall'altro di comprendere le motivazioni
dei singoli attori -compreso lo stesso Ns- fornendo un
quadro di riferimento che permetta di verificare la logicità delle ipotesi investigative man mano emergenti. La seguente relazione si basa, pertanto sul confronto dei documenti rinvenuti presso l'archivio della Dcpp in questa occasione con: a) i documenti precedentemente acquisiti sia presso l'archivio della Dcpp che presso quelli del Sismi, della GdF, dell'Isrmo, delle Questure di Milano e Roma ecc. b) l'agenda di Adalberto Titta c) le risultanze delle indagini di Pg contenute nel rapporto del Ros dei Cc del 10 settembre 2002, da cui traiamo la citazione dei verbali.
Una precisazione: dai verbali delle dichiarazioni di alcuni testi (Ristuccia verbale s.i. 8 ottobre 1998; Pedroni verbale s.i. 31 maggio 2000; Mannucci Benincasa verbale s.i. 20 aprile 2001) emerge che il nome della struttura in questione sarebbe stato "Anello" (o, per lo meno, così l' avrebbe indicata Titta); sembra che tale denominazione indicasse il ruolo di cerniera fra gerarchie politiche civili e gerarchie militari nella lotta al Comunismo o forse l'elemento di congiunzione fra i servizi segreti postbellici e quelli riformati. Tutto questo corrisponde molto bene sia alle teorie sulla guerra rivoluzionaria e sulla controinsorgenza che, fra gli anni cinquanta e la metà dei settanta, erano dottrina ufficiale della Nato (sul punto rinviamo ai primi due capitoli della prima
relazione di questo ctu all'Ag
milanese), sia a quanto sappiamo circa la composizione sociale e la funzione del Noto Servizio e, dunque, è del tutto plausibile che tale fosse la denominazione dell'organismo, o, quantomeno, che con tale nome essa fosse conosciuta dai suoi componenti. Non è, però, detto che tale denominazione fosse conosciuta da altri apparati di sicurezza come lo Uaarr, nei cui documenti non compare mai la dizione "Anello" ma quella di "Noto Servizio". E neppure presso altri archivi (da quello della Guardia di Finanza a quello del Pci, da quelli dei Sios d'arma a quello del Sismi) questo ctu ha mai reperito alcun documento in cui comparisse l'espressione "Anello". La cosa è perfettamente spiegabile: l'uso della parola "Noto" nel linguaggio di polizia è generica e sta ad indicare qualcosa (o qualcuno) che sia stato oggetto di precedente corrispondenza. Inoltre, tale abitudine, offre l'opportunità di non usare un nome proprio che -per una ragione o per l'altra- si preferisce lasciare sottinteso fra chi scrive e chi
legge. E possiamo ben immaginare le molte ragioni per cui si preferisse sottacere un nome come quello di "Anello". Dunque, "Noto Servizio" come nome generico di oggetto di corrispondenza nel linguaggio burocratico-formale, ma anche come soprannome nell'argot poliziesco di quegli anni. Ed in questa seconda versione -come vedremo- esso trapelò anche fuori dalle stanze del Viminale, diventando argomento di allusive comunicazioni in alcuni ambienti del sistema politico. Anche per questo motivo preferiamo continuare ad usare prevalentemente l'espressione "Noto Servizio" in luogo di "Anello". C'è poi una seconda ragione che ci induce a tale preferenza: stando alle stesse indicazioni fornite da qualche teste (Pedroni verbale s. i. 21 gennaio 2000), la denominazione di Anello sarebbe stata assunta a seguito di una ristrutturazione, a quanto pare, avvenuta fra metà anni sessanta e primissimi anni settanta; per il periodo precedente non sappiamo quale fosse il nome e nemmeno se tale nome proprio esistesse. Al contrario, il nome "Noto Servizio" si presta bene ad indicare sia il periodo precedente che quello successivo. Infine, l'espressione "Noto Servizio" richiama alla nostra memoria sia il "Noto Piano paramilitare" del "gruppo di Torino" -che in qualche modo si connetteva alle attività "coperte" di Ordine Nuovo"-,
sia il coevo
"Piano Noto" varato dalla Confindustria, in funzione anti-centrosinistra, nel 1964 (su entrambi i punti si veda p. 17 della 5° relazione di questo Ctu a codesta Ag): con ogni probabilità si tratta solo di coincidenze prive di interesse dovute, appunto, all'uso burocratico dell'aggettivo "Noto", e non varrebbe la pena di farci alcuna particolare considerazione se entrambi i "noti piani" non avessero luogo nello stesso periodo compreso fra la seconda metà del 1963 e la prima del 1964, epoca nella quale
avrebbe avuto inizio anche la ristrutturazione del servizio parallelo. Resta l'elevata probabilità di coincidenze casuali, ma non appare eccessivo qualche approfondimento in merito. Allo scopo di rendere più "leggibile" i testi relativi alle lotte interne alla Dc milanese -che costituiscono una parte rilevante della massa documentaria qui analizzata- ci è parso opportuno completare la presente relazione con una appendice riguardante la genesi e le caratteristiche delle diverse correnti democristiane a livello nazionale.
1) Qualche considerazione preliminare sulla natura e le funzioni del "Noto Servizio". Dall'inizio della ricerca sul Noto Servizio -risalente al rinvenimento della nota del 4 aprile 1972- questo ctu si è posto costantemente una domanda: a quale esigenza rispondeva un ulteriore servizio segreto, per di più clandestino, in un paese che non ha mai difettato di apparati di informazione e sicurezza? In Italia, sin dai primi anni cinquanta, opera una mezza dozzina di servizi di informazione e sicurezza o strutture assimilabili ad essi (Sifar-Sid, Uvs-Uaarr, Sios esercito, Sios marina, Sios Areonautica, Ufficio I della GdF, Uspa-Ucsi) e tutti in gara fra loro nella lotta anticomunista, per cui non si comprende quale esigenza ci fosse di crearne un ennesimo. Una prima ipotesi spingeva ad identificare tale struttura con la rete americana in Italia -dunque, il Noto Servizio come articolazione di controllo degli americani sul nostro paese e sui suoi stessi apparati informativi-. Ma tale supposizione crollava alla prima verifica logica: la
nota del 4 aprile 1972 parla di un organismo finanziato dal ministero della Difesa italiano e questo esclude in radice l'ipotesi che si trattasse della rete Cia in Italia (per quanto si possa immaginare che i nostri apparati potessero essere subalterni a quelli americani -e spesso tale subordinazione è stata troppo enfatizzata- non è pensabile che giungessero a pagare la rete di controllo degli americani). Inoltre, troppi elementi, come la presenza di un personaggio come Otimski, il possesso da parte degli aderenti al servizio di un tesserino della Presidenza del Consiglio o del servizio militare, mal si conciliavano con questa idea; infine, i nomi dei collaboratori della Cia, del Cic e degli altri organismi americani, in Italia, emersi nelle inchieste di questi anni (da Carlo Di Gilio a Giovanni Bandoli, da Carlo Rocchi a Sergio Minetto ecc.) non coincidono con i nomi conosciuti del Noto Servizio, anche se uno di essi Carlo Rocchi- non appare molto distante da esso. Una seconda congettura era la seguente: considerata la presenza di numerosi ex appartenenti ai servizi segreti della Rsi, il Noto Servizio era stato costituito per poter accogliere questi imbarazzanti collaboratori senza doverli immettere nelle strutture ufficiali. Ma tale ipotesi durava ancor meno della precedente: i quadri della polizia politica erano pressochè identici a quelli dell'Ovra e, già dai primissimi anni, l'Esercito riassorbì in massa quanti avevano servito la Rsi, riconoscendo anzianità e progressione di carriera (salvo una modesta degradazione) e questo in tutti i suoi settori, servizio informativo incluso. E, dunque, l' esigenza di tenere appartati gli uomini del servizio della Rsi semplicemente non passò per la testa a nessuno. Ugualmente debole appariva una terza congettura: che il Noto servizio altro non fosse che l' agenzia per i "dirty job ", messa su per non far
sporcare i servizi ufficiali: considerata la storia dei nostri servizi segreti non sembra che tale motivazione possa essere ritenuta attendibile. E, dunque, la domanda restava senza risposta. Ma una riflessione durata quasi quattro anni ha gradualmente condotto questo ctu a maturare una ipotesi diversa e più articolata, che si cercherà di descrivere succintamente in queste considerazioni preliminari. Il punto di partenza è stata l'idea che la costituzione di questo ulteriore organismo rispondesse ad esigenze particolari che non trovavano risposta adeguata negli apparati esistenti. Tale domanda inevasa selezionava una specifica funzione che, a sua volta, induceva a creare l'organo che la assicurasse. Allo scopo di comprendere la particolarità della natura e dei compiti del Noto Servizio, risultava particolarmente utile la riflessione sulla formazione degli apparati di intelligence e sulla loro tipologia. Storicamente, i servizi di informazione e sicurezza sorgono come evoluzione di tre attività di raccolta di notizie: 1) lo spionaggio militare (ovviamente svolto da apparati composti e diretti da militari) 2) la polizia politica (effettuata da organismi composti e diretti da funzionari e agenti di polizia) 3) la raccolta di informazioni di interesse economico (svolta sia da organizzazioni di tipo statale, che da agenzie private composte e dirette da civili) Lo spionaggio militare ha sempre avuto una connaturata proiezione verso l'estero, a tutela della sicurezza dei confini nazionali, anche se, ovviamente, ha ben presto sviluppato una sua dimensione interna, man
mano che emergeva la necessità di contrastare analoghe attività avversarie. Di qui il confine non sempre certo -ed i conseguenti inevitabili attritifra controspionaggio militare ed attività di polizia politica che, per parte sua, ha una evidente vocazione interna, ma, ovviamente, non può trascurare del tutto l'estero, dove possono trovare rifugio ricercati o possono aver sede sostenitori dell'eversione interna. Meno frequente è il terzo tipo di raccolta informativa, quella di interesse economico. Solitamente questo tipo di attività determina la nascita di apparati autonomi da quelli statali in ambienti di mare con forti attività commerciali ed assicurative. Infatti, esempi di questo genere li troviamo, sin dal XV secolo, presso le repubbliche marinare di Venezia o Genova e l'Inghilterra, dove i lloyd, assicurando i carichi marittimi, avevano bisogno vitale di sapere se una rotta era sicura o infestata di pirati, se il tale porto fosse utilizzabile o
in quarantena per una
epidemia, o se quell'altro porto fosse caduto in mani nemiche, se fosse possibile rifornirsi in quel paese o vi fosse in corso una carestia ecc. Tutto questo induceva ad una raccolta informativa di ampio spettro, particolarmente ricca e differenziata: i dati di interesse sociale, economico o sanitario non risultavano meno interessanti di quelli strettamente militari o politici. L'intelligence inglese è l'erede più diretta di questa tradizione che si contraddistingue sia per la grande varietà del materiale informativo trattato, sia per l'utilizzazione costante ed organica di commercianti ed imprenditori; si badi: non agenti del servizio coperti da una qualche fittizia attività commerciale, ma veri operatori economici interessati a collaborare con il servizio informativo, proprio in ragione dello sviluppo
dei propri affari, così come è logico in una attività informativa fortemente connotata in senso economico. Per il tramite degli inglesi, questa trazione è giunta all' intelligence degli Stati Uniti, e più tardi, di Israele. I paesi dell'Europa continentale (e in primo luogo Francia e Germania) hanno invece sviluppato maggiormente le altre due tradizioni informative: quella militare e quella di polizia. Ovviamente, mentre il primo tipo di attività privilegia i dati di interesse militare e la terza quelli di rilevanza economica, la dimensione più propriamente politica è tradizionalmente più osservata dai servizi del secondo tipo, quelli di polizia. Ma, ovviamente, la polizia politica ha un suo modo di porsi il problema: innanzitutto essa è scarsamente adatta ad operare su scenari esteri, per i quali, come abbiamo detto, essa ha solo un interesse marginale e residuale; in secondo luogo, la polizia -al pari dell'esercito- è un apparato statale, come tale nettamente separato dalla società civile: per quanto un funzionario di polizia possa avere una sua personale sensibilità politica, resta comunque condizionato dalla formazione ricevuta, dai meccanismi attraverso cui è stato selezionato e, soprattutto, dal funzionamento complessivo di una organizzazione il cui principale compito di istituto resta il controllo sociale. Un organismo del genere, ovviamente, non è il più adatto nel caso in cui si cerchi di mobilitare, a fianco delle attività di intelligence , rilevanti settori di società civile. Ciò è possibile, e comunque con sforzi notevoli, in contesti di guerra, quando l'intera società è mobilitata contro un nemico comune (si pensi al caso di Israele o all'Inghilterra durante la II guerra mondiale), ma è assai più arduo in tempi di pace. In ogni caso, non è la polizia l'organismo con maggiori probabilità di successo in questo senso. Nelle
società di tipo totalitario -come l'Italia fascista, la Germania nazista o la Russia staliniana- questo compito venne affidato al partito unico ed alle sue milizie fiancheggiatrici. Il problema si pose in modo particolarmente ostico al governo degli Usa, nel 1942, quando, alla guerra in atto con i giapponesi, si aggiunsero le attività di sabotaggio degli agenti tedeschi nel porto di New York. Sino a quel momento, gli Usa non avevano avuto un vero e proprio servizio segreto, salvo apparati informativi assai sommari delle tre armi (comunque assorbiti dallo scontro con i giapponesi), nè avevano avuto una vera e propria polizia politica. Da qualche tempo, è vero, era stata costituita l'Fbi, ma essa, sino a quel punto, si era applicata essenzialmente nella lotta al gangsterismo e non aveva ancora sviluppato l'intervento poilitico che, invece, la caratterizzerà a partire dagli anni cinquanta, durante il maccartismo. In ogni caso, nel 1942 l'Fbi risultava poco idonea ai compiti che si prospettavano. Ad esempio, se la ristretta comunità giapponese residente sulla costa occidentale non rappresentava un grosso problema, perchè rapidamente rinchiusa nei campi di raccolta, questa soluzione non si presentava agevole nei confronti della vasta comunità italo-americana che, pur essendo in larga parte leale nei confronti del paese di residenza, avrebbe potuto ospitare diversi elementi sensibili al richiamo della madre patria; considerazioni analoghe -pur se in modo più modesto- potevano esser fatte per la comunità irlandese nella quale scarseggiavano le simpatie per l'Inghilterra. La società americana, da sempre particolarmente aperta, non ha mai conosciuto un controllo di polizia capillare e diffuso come quello che sarebbe stato necessario a fronteggiare una situazione del genere. Di qui la scelta di cercare alleati all'interno della società civile,
senza andare troppo per il sottile e badando più a quel che avrebbero potuto offrire che alla fedina penale. Ma, se si aspira alla collaborazione dei capi della malavita organizzata, non è opportuno inviare a trattare con loro i funzionari dello stesso corpo di polizia che li ha arrestati. Un canale del genere può andar bene per la raccolta di confidenti, ma è del tutto inadatto
se si vuole ottenere la partecipazione attiva di intere
organizzaizoni criminali: nessun capo gangsters accetterebbe di intavolare una trattativa di questo tipo con un organismo di polizia, non foss'altro che per evitare pericolosi equivoci con i propri colleghi. E, invece, occorreva trovare qualcuno che si incaricasse di mettere in condizioni di non nuocere i sabotatori tedeschi a New York, altri che si occupassero di fornire un adeguato supporto propagandistico, altri ancora che effettuassero l' analisi dei dati più diversi, economici, sociali, culturali e, a questo fine occorreva attingere dalla società civile tutte le competenze e le abilità che essa poteva offrire: dal malavitoso del porto di New York all'uomo d'affari di Los Angeles, dall'intellettuale di Boston al maestro venerabile della loggia di Baltimora. Inoltre, già nel 1942, iniziava a prospettarsi l'intervento americano nella guerra in corso in Europa dove le caratteristiche del conflitto esigevano forme innovative di organizzazione militare, in particolare nel settore informativo. Ad esempio, per suscitare, sostenere e organizzare un movimento di resistenza in un paese occupato dai nemici, non basta rifornirlo di armi e denaro: si tratta di un compito nel quale la dimensione politica ha una importanza pari -se non superiore- a quella militare, per cui occorre avere quadri addestrati non solo ad effettuare aviolanci o un efficiente servizio di radiotrasmissioni, ma anche a sapersi
muovere fra le diverse componenti politiche della resistenza, a saper mediare fra esse, trovare nuovi alleati, magari sin nelle fila avversarie. Da questo insieme di problemi sorse l'esigenza di un organismo di intelligence che lavorasse all'estero come all'interno, avesse una spiccata caratterizzazione politica, fosse capace di utilizzare al massimo le risorse della società civile e di trattare i materiali informativi più diversi. La soluzione venne trovata nella costituzione dell'Oss (Office of Strategic Service ) che fondeva alcuni elementi della tradizione inglese dell'intelligence
(come la raccolta informativa di ampio spettro e
l'utilizzo di personale civile anche in posizione dirigente) con alcune innovazioni (come la prevalente impostazione politica e una accentuata duttilità che consentiva di usare il servizio tanto all'estero che all'interno): significativamente, il servizio ebbe come suo capo un civile come l'avvocato William Donovan attorniato da un gruppo dirigente di civili (avvocati, docenti universitari, intellettuali della Ivy League, imprenditori, diversi esponenti della potente Massoneria americana). La spinta ideologica della "guerra antinazista" favorì il successo dell'Oss che potette giovarsi della collaborazione anche di intellettuali di sinistra come Herbert Marcuse o Paul Sweezy. La formula ebbe successo e l'Oss svolse egregiamente il suo compito sullo scenario europeo, diventando, in patria, un organismo efficiente ed abbastanza potente: quel che indusse il presiente Truman -anche su istigazione dell'Fbi che non gradiva assolutamente l'idea di avere un simile concorrente anche in tempo di pace- a sciogliere l'Oss all'indomani della guerra, sostituendolo con un organismo assai più gracile, il Cig. Ma il sopraggiungere della guerra fredda fornì al capo del Cig un ottimo argomento per riproporre la questione e, nella primavera
del 1947, venne istituita la Central Intelligence Agency, che diveniva operativa il 26 luglio successivo. La Cia riprense e perfezionò la formula su cui era basata l'Oss: infatti, se l'Oss, per intuibili ragioni connesse alla contingenza di guerra, era strettamente collegata ai comandi militari, la Cia venne sganciata del tutto dai militari e posta direttamente alle dipendenze del Presidente -a sottolineare la sua vocazione eminentemente politica. Inoltre, se l'Oss era un gruppo a carattere sperimentale, la Cia si mosse immediatamente come una organizzazione vasta, dotata di personale a buon livello di professionalità (veterani dell'Oss, ma anche operatori prelevati dai preesistenti organismi di intelligence) e largamente dotata di mezzi. Tutto questo, però non significò l'abbandono del modello basato sulla raccolta informativa di ampio spettro e sulla caratterizzazione civile del servizio e del suo gruppo dirigente, anzi entrambe le caratteristiche vennero accentuate ed, in particolare il ruolo dei civili venne definitivamente istituzionalizzato, in particolare sviluppando una rete di organiche relazioni con le grandi corporations chiamate a collaborare direttamente con l'agenzia. Nasceva, in questo modo, il prototipo dell'uomo d'affari americano all'estero dietro cui si nascondeva il locale capostazione della Cia: l' "Amerikano" del noto film di Costa Gavras. Cogliamo l'occasione per una precisazione: in Italia distinguiamo fra un servizio militare (il Sismi) ed uno cd civile (il Sisde) che, peraltro, è composto da appartenenti ai vari corpi di polizia, per cui "civile" sta per "non militare", invece, nel caso del "modello Cia" per "civili" occorre intendere persone non appartenenti tanto all'esercito quanto alla polizia. Alla nascita della Cia -come qualche anno addietro per quella dell'Oss, dettero un notevole contributo gli inglesi, ma in brevissimo tempo il
nuovo organismo si affrancò anche da quel padrinato, affermandosi a livello internazionale come un modello integralmente nuovo di servizio di informazione e sicurezza. La novità del "modello Cia" era in funzione delle particolarità del nuovo conflitto che proponeva un avversario ideologico che vestiva i panni di una agguerrita potenza politico-militare, ma anche di un movimento politico ideologico molto più diffuso e massiccio di quanto non fosse mai stato quello nazista e fascista. D'altra parte, l'impossibilità di sfociare in un tradizionale conflitto aperto, a dominante militare, indirizzava le tensioni verso forme coperte di conflitto che, ovviamente, esaltavano al massimo il ruolo dei servizi di informazione e sicurezza. E così, l 'Oss, prima, e la Cia, dopo, operarono sia per costruire una propria rete permanente in Europa (ovviamente nei paesi vinti ciò risultava più semplice ) sia per consolidare i rapporti con gli organismi di intelligence dei paesi che, si immaginava, sarebbero stati alleati (e che, in effetti, confluirono pochi anni dopo nella Nato). In questo quadro, la Cia cercò di esportare, dove possibile, il proprio modello: un servizio prevalentemente civile, a forte vocazione politica, messo direttamente alle dipendenze del capo del governo e legato preferenzialmente al mondo imprenditoriale. In questo tentativo c'era -con ogni probabilità- anche il retropensiero di dar vita a servizi alleati più penetrabili da parte della stessa Cia, ma questo è l'aspetto secondario del fenomeno e cogliere soltanto esso sarebbe riduttivo e fuorviante. La Cia cercava, innanzitutto, di creare una serie di interlocutori omogenei a sè stessa, in grado di effettuare quelle operazioni politiche che si ritenevano necessarie e che gli altri tipi di organismi di intelligence apparivano meno in grado di assicurare.
Operazioni del genere vennero effettuate con successo in diversi paesi, alcuni dei quali giunsero ad adottare persino il nome, ma il caso più riuscito
fu
sicuramente
quello
della
Organizzazione
Gehlen,
successivamente diventata uno dei tre servizi della Repubblica Federale Tedesca, il Bnd. Anche in Germania esistevano ottime tradizioni di servizi di informazione tanto nell'esercito quanto nella polizia, sul cui orientamento anticomunista non è lecito nutrire alcun dubbio, e, dunque,
si
sarebbe
potuto
benissimo
pensare
di
riversare
l'Organizzazione Gehlen in uno dei due (più sensatamente in quello militare). Invece, la Cia esercitò le pressioni più insistenti sul governo tedesco, perchè l'organizzazione venisse accolta in quanto tale, diventando il terzo servizio informativo tedesco, cosa che, in effetti, accadde nel 1956. Va detto che l'originario gruppo dell'Organizzazione era composto da militari, a cominciare dallo stesso Gehlen, il che costituisce una relativa eccezione al modello Cia, ma questa eccezione (peraltro parziale, dato che, dal 1945 in poi, si trattò di ex militari, totalmente sganciati dall'amministrazione dell'esercito) si spiega con la particolarissima situazione, nella quale l'ex generale nazista offriva un servizio informativo già pronto, con una rete immediatamente attivabile oltre cortina, per cui risultava più conveniente adattare il modello originario a quella offerta di partenza. Peraltro, l'Organizzazione Gehlen, nonostante fosse composta
da ex militari, si adeguò perfettamente al nuovo
modello di servizio informativo a prevalente vocazione politica: vennero stabiliti rapporti privilegiati con l'organizzazione degli imprenditori tedeschi e con le maggiori imprese del paese e tanto
la raccolta
informativa che le operazioni di tipo politico prevalsero nettamente su quelle di tipo militare. Il Bnd, in questo senso, rappresentò il fiore all'occhiello della Cia di cui, in qualche misura, svolse una sorta di funzione vicaria in Europa (come ricordò Moro nel suo memoriale). La nascita del Noto Servizio (o comunque si chiamasse al suo sorgere) trova spiegazione in questo contesto. Testi e documenti si descrivono abbastanza concordemente un servizio che avrebbe avuto queste caratteristiche: - composizione prevalentemente civile con frequente presenza di impenditori (Battaini, Lorisi, Boate, Fulchignoni, Titta, Pavia) - vocazione eminentemente politica confermata da azioni a carattere squisitamente politico (penetrazione del Psi, interventi in casi quali Kappler, Moro, Cirillo, progetti di rapimenti di esponenti politici ) - dipendenza diretta dalla Presidenza del Consiglio (anche se con aspetti controversi, come il finanziamento proveninente dal Ministero della Difesa, forse per il tramite del servizio militare). Come si vede, caratteri largamente analoghi a quelli del modello cui abbiamo fatto riferimento. Anche nel caso italiano, all'origine ci sarebbe stato un primo embrione militare -il gruppo degli ex Sim legati a Roattama, abbiamo visto che questo dato non è di per sè una eccezione tale da intaccare il modello, si direbbe, anzi, una ripetizione del modello nella sua variante tedesca. La vera differenza fra il caso italiano e quello tedesco, sta invece nell'esito: in Italia, il Noto Servizio non diventò mai il "terzo" servizio ufficiale dello Stato, anzi, in questo senso, si trattò di un tentativo abortito.
I dati del problema -correttamente impostato- si riassumono in questi termini: si tentò di dar vita al "terzo servizio" statale, a composizione civile e carattere politico, ma l'operazione non è riuscì e, forse, produsse un homunculus sfuggito di mano agli incauti dottor Faustus che avevano cercato di dargli vita. La documentazione disponibile, come già detto e come ripeteremo ancora, è assai frammentaria e non permette se non una ricostruzione assai lacunosa della storia del servizio, ma alcuni elementi sono talmente ricorrenti da poter consentire la formazione di un giudizio parziale. Innanzitutto la questione del numero: - la nota del 4 aprile 1972 parla di "164 elementi di cui una cinquantina abitano in Alta Italia" - il teste Michele Ristuccia, nelle intercettazioni, parla prima di cinquanta membri (conversazione n° 960) poi di novanta (conversazione n° 963) Come si vede, ci sono consistenti oscillazioni, forse determinate da ricordi errati o forse da riferimenti ad epoche diverse, ma l'impressione è che esse possano dipendere anche da un basso tasso di formalizzazione, per cui l'appartenenza al servizio era stabilita essenzialmente da quello che decidevano, sul momento, i suoi dirigenti (Titta e Battaini ). L'impressione di questa scarsa formalizzazione è data anche da altri elementi. Lo stesso Titta avrebbe definito il suo servizio come "nè carne nè pesce " "operativo ma non riconosciuto " (Ristuccia, verbale s. i. 8 ottobre 1998). Anche il teste Giovanni Pedroni (verbale s. i. del 31 maggio 2000) descrive il servizio come sicuramente conosciuto da un ambito istituzionale
abbastanza
riconosciuto formalmente.
vasto,
tacitamente
approvato,
ma
non
In effetti, non esiste alcun atto -per quanto a conoscenza di questo ctunè di tipo legislativo nè di tipo amministrativo che possa essere indicato, per quanto indirettamente, come fonte di una qualche legittimazione. La stessa storia del servizio segnala frequentisssime discontinuità e rotture: -la nota del 4 aprile 1972 fa risalire la nascita al 1944 ad opera di Roatta, ma accenna a trasformazioni nel tempo, per cui si comprende che, nel 1972, non vi era quasi più traccia del gruppo fondatore, mentre nel servizio sarebbe entrata una robusta quota di ex Rsi - Ristuccia (verbale 2 febbraio 1999) parla di un primo gruppo organizzato da Titta in un'epoca imprecisata, che sarebbe divenuto l'Anello -con l'adesione di personaggi quali Fulchignoni, Battaini ecc.-, solo "dopo lo scandalo Sifar ", cioè, presumibilmente, fra il 1966 ed il 1968. In entrambe le strutture, peraltro, avrebbe avuto un ruolo fondatore "il vecchio", cioè nell'ufficiale israeliano, proveniente dai paesi dell'Est che potrebbe anche identificarsi nell'Otimski della nota 4 aprile 1972 - Pedroni (verbale 21 gennaio 2000) colloca la vicenda dell'Anello negli anni settanta, e mostra di non avere notizie per il periodo precedente. La documentazione sin qui raccolta, permette di approfondire il periodo della gestazione del servizio ed i suoi probabili addentellati con l'Ail (sul punto si vedano le rell. 12, 14, 18 di questo ctu a codesta Ag), così come il folto gruppo di note riconducibili a Grisolia consente di indagare la vicenda fra la fine degli anni sessanta e la fine dei settanta, ma per tutto il periodo compreso fra la fine degli anni quaranta e la metà dei sessanta, disponiamo solo di pochi frammenti che non ci mettono in
condizione di ricostruire la storia dell'organizzazione in quel lasso di tempo. Tuttavia, l'insieme dei dati acquisiti è sufficiente a farci capire che, nella seconda metà degli anni sessanta, avvenne una ristrutturazione del servizio che segnò anche una rottura di continuità, il tutto senza alcun atto formale. Infine, l'elevata informalità di questa sorta di "servizio segreto di fatto" è ribadita dalla delicata questione del tesserino. Ristuccia (verbale 23 marzo 1999) dichiara: << ... i componenti dell'Anello avevano in dotazione un tesserino sulla base del quale era dovuta a loro cooperazione ed immunità da responsabilità penali, in cui avrebbero potuto incorrere per motivi di servizio. Preciso che non so se tutti i membri dell'Anello avevano questo tesserino, ma il Titta certamente lo aveva ed io l'ho portuto personalmente (vedere). Ricordo che aveva l'intestazione della Presidente del Consiglio.>>
In altra occasione (verbale 18 aprile 2000) Ristuccia ha aggiunto: << ... questa fu una conquista del Titta, che alla fine degli anni settanta, dopo la vicenda Kappler e prima della vicenda Cirillo, ottenne da Andreotti il rilascio di un certo numero di tesserini di colore rosso che attestavano l'appartenenza dei possessori ad un servizio segreto... Sono stato detentore del tesserino e mi dopererò per rilasciarlo e fornirlo per gli accertamenti che sarà possibile fare.>>
Dai verbali non si comprende esattamente se i tesserini in questione fossero quelli normalmente in uso per gli appartenenti al servizio militare o altro tipo di tesserini, magari appositamente creati alla bisogna; peraltro, va detto che, nonostante queste assicurazioni, Ristuccia non ha mai consegnato il suo tesserino. Questo potrebbe indurre a qualche dubbio sulla veridicità del suo racconto, almeno relativamente a questo aspetto, se ciò non richiamasse alla nostra memoria quanto emerse nell'istruttoria del dott. Carlo Alemi -relativa al caso Cirillo- a proposito di particolari tesserini, che attestavano l'appartenenza dei possessori ad un servizio di informazione e sicurezza, grazie ai quali sia di Titta che del braccio destro di Raffaele Cutolo, Vincenzo Casillo, potevano entrare a piacimento nel carcere di Ascoli. Come si vede, pur non emergendo riscontri certi, vi sono elementi che sembrano avvalorare, quantomeno indiziariamente, il racconto del teste, segnalando, nel contempo, la forte precarietà dell'espediente del tesserino per dare una qualche copertura ai membri dell'organizzazione: un rimedio adottato, sembrerebbe, in epoca piuttosto recente e in modo del tutto informale ( "un certo numero" di tesserini -forse inferiore a quello dei componenti dell'organizzazione- sarebbero stati concessi e senza che ad essi corrispondesse una qualche lista o qualsiasi altra forma di censimento degli appartenenti all'Anello). Concludendo, su questo punto, tutto lascia intendere che la struttura fosse caratterizzata da una discreta fluidità organizzativa: come abbiamo appena avuto modo di dire, l'Anello era un "servizio segreto di fatto" e questo, probabilmente ha determinato momenti di discontinuità organizzativa e, in alcune fasi, una certa labilità dei suoi confini, a causa
del sovrapporsi di diverse gruppi rispecchianti le diverse ondate: l'originaria cricca roattiana del Sim sfociata nell'Ail, poi la probabile influenza dei polacchi di Anders, quindi i resti dei servizi della Rsi, forse parzialmente
coincidente
con
il
gruppo
degli
amici
di
Titta,
successivamente il gruppo degli imprenditori (Fulchignoni, Battaini ecc.) e, forse, altri ancora. I documenti a disposizione ci suggeriscono almeno due momenti di rottura: - quello a metà anni sessanta, a seguito del quale avrebbe assunto il nome di "Anello" - e quello collocabile fra il 1974 ed il 1976, a seguito della strage di Piazza della Loggia e del secondo arresto di Fumagalli, che -stando alla nota del 10 settembre 1974 (All. 688 alla 9° rel. a codesta Ag)- avrebbe innescato una rottura fra l'ala moderata e l'ala più legata alla destra eversiva. In altra sede (rel. 15° a codesta Ag) abbiamo avuto modo di esaminare i non pochi punti di contatto fra il "Noto servizio" e la vicenda del cd "Sid Parallelo", sino ad ipotizzare una struttura articolata in più livelli: a) il primo coincidente con i Nds incentrati essenzialmente intorno alla struttura coperta di On b) il secondo (cd Organizzazione X) composto di due parti: la prima militare, innervata nelle strutture coperte dell'Alleanza atlantica, la seconda di civili da identificarsi nel "Noto servizio". Data questa fluidità e il frequente intrecciarsi di diversi soggetti organizzati, l'elemento di continuità più visibile, per ricostruire le vicende, ci sembra quello di alcuni dirigenti che, come Titta o Battaini, hanno segnato tutta la parabola che va dalla ristrutturazione della
seconda metà degli anni settanta in poi, sopravvivendo alla crisi della metà anni settanta. Si pone, a questo punto, il problema di capire perchè il tentativo di costituzione del "terzo servizio" segreto italiano sia naufragato, a differenza del contemporaneo caso tedesco e quali conseguenze abbia comportato tale fallimento. Un primo elemento che ha giocato sicuramente a sfavore della formalizzazione del servizio "di tipo nuovo" è da ricercarsi nella forma di governo prevista dalla nostra Costituzione. In Germania la decisione di trasformare l'Organizzazione Gehlen nel Bnd venne assunta dal cancelliere Adenauer che aveva i poteri per farlo. La figura del nostro Presidente del Consiglio, come si sa, ha poteri ben più limitati, soprattutto nei confronti dei singoli ministri che, per l'art. 95 della Costituzione, sono responsabili individualmente degli atti dei loro dicasteri. Inoltre, il Presidente del Consiglio -a differenza del Cancelliere tedesco- non può sostituire un ministro di imperio ed anche un eventuale rimpasto deve essere votato dalla maggioranza del Consiglio dei Ministri. Tutto questo ha determinato quella forma di governo che la dottrina ha definito "governo di coalizione (Guarino) che, ovviamente, implica una limitazione del ruolo del Presidente del Consiglio che va oltre la stessa lettera della Costituzione. E, pertanto, la capacità del Capo del Governo di condizionare i singoli dicasteri e, di conseguenza, gli apparati da essi dipendenti, risulta conseguentemente
di ridotta
efficacia. E questo fu ancor più vero nel primo quindicennio di vita repubblicana, quando la Presidenza del Consiglio non disponeva neppure di una propria sede e di un proprio apparato distinti da quelli del Ministero dell'Interno.
Questo fattore acquista peso in relazione ad un'altra delle ragioni del fallimento: le resistenze dei servizi esistenti (soprattutto Sifar-Sid e Uaarr) al riconoscimento di un terzo incomodo e, comunque, ad una riforma che comportasse una maggiore dipendenza dal potere politico. Su questa strada, gli apparati trovavano, il più delle volte, il consenso dei rispettivi ministri - ovviamente poco interessati a vedere ridotto il potere del proprio dicastero- e tutto ciò non trovava un adeguato contrappeso nella Presidenza del Consiglio per le ragioni di cui dicevamo. In terzo luogo occorre considerare la particolare condizione del sistema politico italiano. Come scrive Gehlen nelle sue memorie, il cancelliere Adenauer assunse la decisione di istituire il Bnd
solo dopo aver
informato l'opposizione socialdemocratica ed averne ottenuto il consenso ("Servizio segreto -le memorie del generale Reinhard Gehlen" Mondadori, Milano 1971, pp. 165-7). Infatti, per quanto la Spd non avesse ancora celebrato il suo congresso di Bad Godesberg -che segnerà l'abbandono anche formale del marxismo- essa aveva già fatto la sua scelta di campo occidentale sin dal 1945 e, dunque, non aveva nulla da ridire su un servizio informativo rivolto contro l'Est (anche se, più tardi, non impedì al Bnd di Gehlen di attuare più di una operazione contro la stessa opposizione socialdemocratica). Tale condizione di accordo era semplicemente impensabile in Italia, dove il ruolo di maggior partito dell'opposizione era svolto dal Pci. E, infatti, i due tentativi (risalenti al 1951 ed al 1962) di approvare l'istituzione di una Difesa Civile -che avrebbe potuto aprire, in qualche modo, la strada all'istituzione del "terzo servizio"- andarono incontro ad un accanito ostruzionismo dell'opposizione di sinistra. Infatti, l'Italia sarà l'ultimo paese a dotarsi di
una struttura per la Protezione Civile -nel 1977- proprio a causa di questa antica diffidenza verso il tema. Ovviamente, l'opposizione, da sola, non avrebbe avuto la forza di bloccare definitivamente il progetto. Ma la decisa e tenace opposizione della sinistra, a qualsiasi tentativo in questo senso, diventò un'arma micidiale nelle mani delle correnti interne agli stessi partiti di governo, che avevano motivo di opporsi al progetto per motivi propri. E qui siamo al quarto motivo del fallimento: l'accentuato frazionismo dei partiti di governo -ed in primo luogo della Dc, come avremo modo di dettagliare più avanti- accentuava quelle dinamiche di dispersione del potere decisionale e simmetrica diffusione del potere di veto che una ormai classica analisi individua come caratteristiche del sistema politico italiano (Pizzorno 1971). Dispersione del potere decisionale e diffuso potere di veto che, naturalmente, rappresentano le condizioni ambientali meno favorevoli per un progetto del genere: il modello Cia è, infatti, congeniale a sistemi politici che abbiano al proprio centro un forte "nucleo cesareo" (A. Pizzorno "Il sistema pluralistico di rappresentanza " in S. Berger "L'organizzazione degli interessi nell'Europa Occidentale " il Mulino, Bologna 1983, pp. 398-9.) ma si concilia assai male con sistemi contrassegnati da prevalenti tendenze centrifughe che riducono quel nucleo ad un'area ristretta e precaria. Sin qui le ragioni relative alle sfavorevoli condizioni ambientali, ma è ragionevole supporre che il fallimento sia stato determinato anche da limiti soggettivi dei personaggi che si sono alternati alla guida del tentativo: lo stesso Roatta -che, peraltro, si sarebbe limitato a "passare il testimone" senza avere una parte dirigente nel servizio in epoca successiva alla sua fuga in Spagna- non aveva certo nè la statura, nè il
prestigio, nè la professionalità di Reinhard Gehlen e, d'altra parte, il suo gruppo
di
pretoriani
non
era
lontanamente
paragonabile
all'efficientissima rete informativa dell' "Armata dell'est". E' dunque probabile che gli stessi americani abbiano sostenuto in modo assai meno convinto il progetto italiano rispetto a quanto, invece, avevano fatto nel caso tedesco. Alla luce di queste considerazioni, il fallimento del tentativo appare logico e, in qualche misura, iscritto nell'ordine delle cose, al di là della consapevolezza che potessero averne i protagonisti del tempo. Questo, tuttavia, non toglie che una organizzazione paraistituzionale sia effettivamente esistita, abbia operato illegalmente e che tutto questo abbia prodotto una serie di conseguenze di non poco momento. Ma, su questo, avremo modo di tornare nelle conclusioni.
2) Alberto Grisolia ed il Noto Servizio. Sia la nota del 4 aprile 1972, che le rimanenti veline sul Noto Servizio rinvenute nell'archivio della Dcpp, provengono da Alberto Grisolia, la fonte "Giornalista" della Squadra 54. Anche gran parte delle note confidenziali sulla Dc milanese, che esamineremo più avanti, sono da attribuire allo stesso Grisolia. Dunque, non è inopportuna una riflessione sul personaggio e sul modo in cui possa aver saputo quello che riferisce sul Noto Servizio. Come è consueto nel caso dei confidenti, su Grisolia esiste uno smilzo fascicolo presso l'archivio della Questura ambrosiana ed altrettanto scarna documentazione presso la Dcpp. Poche le notizie che è possibile
ricavarvi: gironalista del "Corriere della Sera" sino al 1971, ebbe poi altri incarichi giornalistici di minor conto. Iscritto al Psdi, aderì (1959) al Muis e, con esso, passò al Psi nel 1960. Stando ad uno dei documenti del cd "registro fonti" (All. 51 Rel 7), esisteva una fonte con il nome di copertura di "Giornalista" a Milano sin dal 1961. Per la verità, a fianco al criptonimo non compare l'anagrafico, ma sull'identità della fonte "Giornalista" non ci sembra che ci siano molti dubbi. Infatti, stando alle consuetuni dello Uaarr, può accadere che una stessa fonte possa avere nomi di copertura diversi nell'arco della sua collaborazione, ma è decisamente meno probabile che lo stesso pseudonimo possa indicare due diversi fiduciari. E se era possibile -ma raro- che uno stesso nome di copertura indicasse due fonti diverse ma in città diverse (e, infatti, nello stesso documento compare un'altra fonte "Giornalista" a Genova, nello stesso periodo), questo, non accadeva per due fonti della stessa città, anche in tempi diversi. E la ragione si comprende: il nome di copertura, normalmente, era scelto dall'agente manipolatore che, ovviamente, evitava di dare uno stesso nome a due fiduciari diversi per evitare confusioni possibili, anche a distanza di tempo, fra documenti provenienti da collaboratori diversi. Ma, l'agente manipolatore agiva il più delle volte in ambito locale e, ovviamente, non conosceva gli elementi delle altre squadre con i relativi criptonimi, ragion per cui, poteva esserci l'uso di uno stesso nome di copertura usato in due squadre, nello stesso tempo. Dunque, salvo un particolarissimo caso fortuito, possiamo concludere tranquillamente che il "Giornalista" dell'elenco del 1961 sia Grisolia. Qualche altra notizia la si ricava dai testi ascoltati dal Ros: sia Ristuccia (verbale 9 dicembre 1998) che Pedroni (verbale 31 maggio 2000)
sostengono che Titta conosceva Grisolia ma ne diffidava, ritenendolo pericoloso e, forse, un agente del Kgb o di altro servizio d'oltrecortina. Trattandosi
di
una
circostanza
riferita
da
due
testi,
uno
indipendentemente dall'altro, possiamo accettare come un dato abbastanza sicuro che Titta dicesse certe cose sul conto di Grisolia. Non sappiamo, però, su cosa Titta fondasse questo suo sospetto (più in là avanzeremo una ipotesi). Peraltro, il fatto che "Giornalista" fosse una fonte dello Uaarr, non impedisce che ciò sia possibile: non si tratterebbe del primo caso di agente doppio o triplo. Ma, in mancanza di altri elementi, questa non appare che una mera supposizione. Innanzitutto, se è vero che è possibile il caso degli agenti doppi, è anche vero che tali casi sono meno diffusi di quanto il cinema possa far pensare: ovviamente ogni servizio sorveglia -anche solo periodicamente- le sue fonti, proprio allo scopo di identificare i doppiogiochisti, e, per questo, occorre essere molto bravi per evitare di essere smascherati. Sin qui non sono emersi documenti (nè presso l'archivio della Dcpp nè presso quello della Questura romana, nè presso quello della GdF o del Sismi) che segnalino un pur semplice sospetto di questo tipo. Può
darsi
che
Grisolia
fosse
particolarmente
bravo
e
Titta
particolarmente intuitivo (o a conoscenza di cose che noi, invece, ignoriamo), ma questo totale silenzio dei documenti non incoraggia le ricerche in questa direzione. Tuttavia, egli ci appare al centro di un groviglio di rapporti non sempre chiari: - fonte di Alduzzi, era in buoni rapporti anche con i Cc ed era molto amico del suo collega Giorgio Zicari, a sua volta collaboratore dei Cc,
- amico di diversi esponenti della destra Dc (da De Carolis a Gino Colombo), disponeva di ottime entrature nella sinistra di Base e di Forze Nuove - in relazioni non occasionali con i maggiori esponenti del Noto Servizio e zone limitrofe (da Titta a Padre Zucca), era, però, anche amico di Aniasi: abbastanza da avvertirlo del progetto di rapimento architettato dal Noto Servizio e da consegnarli una copia del suo rapporto del 4 aprile 1972. Fra le sue frequentazioni sembra annoverasse anche quella di Luciano Menegatti sul quale, pure, questo ctu ebbe modo di avanzare il dubbio che si trattasse di un agente dei servizi dell'est. E, dobbiamo aggiungere, resta ancora oggi non spiegato il perchè la nota del 4 aprile 1972 si trovasse nel fascicolo "Dario" -nome di copertura di Menegatti- dove, appunto, era raccolta la produzione dell'improvvisato giornalista romagnolo. Il fitto intreccio di conoscenze è facilmente spiegabile con la professione di Grisolia: un giornalista deve avere fonti e relazioni amichevoli negli ambienti più disparati per fare il proprio lavoro, ma, proprio per questo, il mestiere di giornalista è la migliore copertura per gli agenti dei servizi segreti e per le loro fonti. Una spiegazione intermedia, potrebbe essere che, nel complesso giro di rapporti di Grisolia vi fosse anche qualche confidente dei russi (o di altro servizio informativo orientale) con il quale, più o meno consapevolmente, egli scambiava notizie. Il punto più delicato, per il nostro lavoro, però, è capire da dove Grisolia abbia attinto le sue notizie sul Noto Servizio. A distanza di quattro anni dal ritrovamento della Nota del 4 aprile 1972, oggi possiamo dire che la maggior parte delle notizie contenute in quel
fittissimo rapporto, è stata puntualmente riscontrata. Anche molte altre informative, direttamente o indirettamente riconducibili alla fonte "Giornalista"
hanno
ricevuto
conferma
e,
bisogna
ammettere,
spessissimo si trattava di notizie molto riservate e di livello elevato. Dunque, delle due l'una: o Grisolia disponeva di una rete di ottime fonti -che non si capisce come compensava- o riferiva su cose di cui aveva conoscenza diretta. Prendiamo in considerazione la prima ipotesi: come dicevamo, ogni buon giornalista è prima di tutto un mercante di informazioni, per cui è normale che intrattenga il maggior numero possibile di relazioni per cavare tutte le informazioni possibili, per poi scambiarne una parte, in modo da essere al centro dei flussi informativi. Ma Grisolia disponeva di troppe notizie e, fra le più riservate: dall'esistenza e l'operato del Noto servizio, alla nuova sede di quella particolare loggia milanese, dalla vita interna alla Dc a quella del Psi e nei più riposti segreti dell'una e dell'altro, dalla Camera di Commercio
alla Fiera Campionaria, ecc.
Tutto questo presuppone una vasta rete di informatori tutti molto ben inseriti e una simile rete costa molto: le fonti gratuite (o compensabili con utilità diverse dal denaro) sono molto infrequenti e raramente offrono merce di particolare pregio. Nè a spiegare quantità e qualità delle informazioni raccolte, potrebbe bastare il semplice scambio delle notizie. Dunque, non si capisce come Grisolia abbia potuto permettersi una rete di informatori così costosa. La deduzione più semplice è che avesse a disposizione le risorse di qualche servizio informativo come lo stesso Uaarr del quale era informatore. In effetti, nello Uaarr non mancavano agenti capi-rete che avevano a disposizione sub agenti pagati, dallo stesso servizio, per il loro tramite: è il caso di Lino Ronga. E
neppure mancavano altri collaboratori che avevano a disposizione una propria struttura informativa finanziata in altro modo: è il caso di "Aristo", alias Armando Mortilla, che dirigeva l'agenzia Fiel-Notizie Latine, verosimilmente finanziata dai servizi segreti spagnoli per il tramite dei sindacati falangisti. Ma nulla, nè nel registro fonti dello Uaarr nè nella carte della Questura milanese, autorizza a pensare che Grisolia fosse un capo-rete dello Uaarr. Potrebbe esserlo stato di un altro servizio, magari straniero (e qui torna il sospetto sui ruoi rapporti con il Kgb), ma, anche qui le carte tacciono e non offrono il benchè minimo appiglio. Secondo Ristuccia, quello che Grisolia riferiva del Noto Servizio non poteva averlo appreso che da Titta. il che sarebbe plausibile, se non fosse in contraddizione con i sospetti di collaborazione con i servizi russi che lo stesso Titta avrebbe nutrito nei confronti del giornalista. Possiamo credere che Titta coltivasse i rapporti con Grisolia, pur sospettandolo agente nemico, per ricavarne notizie, e possiamo anche accettare senza problemi che fra i due ci fosse uno scambio. Quel che appare del tutto incredibile è che Titta parlasse ad un agente informativo nemico, non solo dell'esistenza di un servizio clandestino come il suo, ma dei nomi degli altri componenti, delle azioni svolte e persino di quelle future: neanche il servizio segreto del "paese dei campanelli" potrebbe funzionare in questo modo. La seconda ipotesi è assai più semplice e lineare: che Grisolia abbia fatto parte, almeno per qualche tempo, del Noto Servizio e che, dunque, abbia riferito in parte notizie di cui aveva conoscenza diretta e, in parte, notizie a loro volta raccolte dal Noto Servizio. A suggerire questa ipotesi sono queste considerazioni:
a) Grisolia riferiva in tempo reale e su cose (come il rapimento di Aniasi, l'appartenenza al servizio di Fumagalli e, soprattutto, Nardi, gli attentati a Costantini o Capanna, la fuga di Borghese ecc;) che, si immagina, fossero nascoste con la massima cura dagli uomini del Noto Servizio. Dunque: o Grisolia disponeva di una talpa inserita nei massimi livelli di esso, o la talpa era lui stesso. b) Titta, effettivamente, deve avergli detto delle cose, ma solo perchè ne aveva la più completa fiducia e ciò era necessario a compiere determinate operazioni. In altri temini, perché appartenevano alla stessa organizzazione. Questo non è in contraddizione con i sospetti di Titta sulla appartenenza di Grisolia ai servizi dell'est, in quanto ci si potrebbe riferire ad epoche diverse: in un primo momento, Grisolia può essere appartenuto al Noto Servizio, in un secondo tempo, anche a seguito di alcune fughe di notizie (e sul punto torneremo), Titta può aver iniziarto a nutrire su Grisolia i sospetti di cui ci dicono i testi. A questo proposito, notiamo che, stando alle loro dichiarazioni, sia Ristuccia che Pedroni avrebbe conosciuto Titta solo a metà anni settanta e, dunque, i discorsi su Grisolia non possono essere precedenti a quell'epoca. c) Nella nota 4 aprile 1972 si legge: << Alcuni anni addietro, una decina grosso modo, il comando del servizio, che allora era ancora tenuto da Otimski, impartì ordini perchè il servizio fosse messo in condizioni di aiutare il Partito Socialista. L'aiuto doveva consistere in una diretta azione per consentire al Psi di disporsi su posizioni di netto anticomunismo. Fu
in quel periodo che il Battaini ed il Lorisi -e altri che non conoscoentrarono nel Partito Socialista. >>
Una decina di anni prima: cioè fra gli ultimissimi anni cinquanta ed i primi sessanta: esattamente il periodo in cui Grisolia passava -con il Muis- dal Psdi al Psi: una coincidenza che merita d'essere notata. d) Grisolia appare ben impiantato nell'ambiente del Noto Servizio, quel che non appare logico se egli fosse stato sospettato di lavorare per i sovietici. Per scambiare notizie con un agente avversario, basta una sola persona, non è affatto necessario che altri dell'organizzazione coltivino la sua frequentazione. Troppo poco, come si vede, per asserire con certezza che Grisolia sia stato membro del Noto Servizio, ma abbastanza per sospettarlo. Ancor meno risolto -allo stato delle conoscenze- è un altro punto: quale è la logica con la quale Grisolia si muoveva? Più in dettaglio: a) perchè Grisolia scrisse la nota del 4 aprile 1972? b) perchè ne consegnò una copia ad Aldo Aniasi? c) perchè avvertì Aniasi del tentativo di rapimento in suo danno? Apparentemente, il primo quesito potrebbe risposta più ovvia:
essere risolto dalla
perchè era un confidente. Ma Grisolia era un
fiduciario dello Uaarr dal 1960, ed , allora, come mai sentì il bisogno di parlare di un tema così scottante solo dopo 11 anni? Una spiegazione potrebbe essere che prima non ne era a conoscenza e, un suggerimento in questo senso, viene da un particolare: nel 1972 Grisolia aveva partecipato ad un viaggio in Israele dove, forse, avrebbe scoperto di un
certo Otimski e del suo servizio parallelo in Italia. Ma si tratta di una ipotesi di ben scarso pregio. Ammesso che Grisolia possa aver appreso dell'esistenza del servizio durante la sua sosta in Israele (e da chi? dallo stesso Otimski?), dove ha saputo della sede di via Statuto, del negozio di fotocopie di via Larga, del deposito d'armi presso la caserma dei Cc di via Moscova ecc: c'è troppo zafferano per essere un piatto cucinato a Tel Aviv. In secondo luogo, il documento presenta un'altro aspetto decisamente insolito: è troppo lungo e contiene troppe notizie e questo è contro la logica mercantile di un confidente, che tende a centellinare le proprie informazioni per tirare sul prezzo e far durare al massimo la propria collaborazione. Chiunque abbia consuetudine con questo tipo di documenti, sa che la "nota confidenziale-tipo, è di una cartella ben spaziata e solo in casi eccezionalissimi supera le due, mentre in questo caso ci troviamo di fronte a quasi quattro fittissime cartelle dense di notizie esplosive (la permanenza in Italia di Borghese, i progetti di rapimento di Aniasi, Capanna, Granelli ecc., oltre alla notizia principale dell'esistenza di un servizio segreto parallelo). Con una tale serie di informazioni, un confidente-tipo va avanti per almeno due mesi, guardandosi bene dal bruciarle tutte in un solo rapporto. Un documento simile può spiegarsi o come la risposta ad una perentoria richiesta di informazioni da parte del centro, o con l'esigenza dell'informatore di "far presto" e dire quel che sa nel minor tempo possibile, magari per timore che il ritardo possa esporlo a gravi pericoli. A complicare ulteriormente le cose si aggiunge lo stranissimo comportamento di Grisolia che consegnava una copia dello scottante rapporto anche ad Aniasi, non si capisce bene a quale titolo e a che
scopo. C'è, anzi, un particolare che merita d'essere indicato: la copia consegnata al sindaco di Milano è scritta con una macchina da scrivere diversa da quella che ha battuto il testo trovato nella cartella "Dario" e, nella quale, riconosciamo l' inconfondibile impostazione grafica del brigatiere Galli. Nella copia data ad Aniasi compare in più una frase dello spazio di un rigo esatto, come se, chi la ritrascrisse, avesse saltato quel rigo senza accorgersene; inoltre, l'iniziale della parola "Dugoni" è battuta due volte, come se l'autore, avendo battuto per errore la "G", fosse tornato indietro e avesse poi ribattututo la "D", con il risultato finale che si può leggere tanto "Dugoni" quanto "Gugoni" e, nella copia ufficiale -quella battuta da Galli- leggiamo "Gugoni". Dunque, risulta pienamente confermata la versione di Aniasi che asserisce di aver ricevuto personalmente da Grisolia una copia (si tratta, infatti, dell'originale) della sua nota. Un comportamento decisamente insolito per un confidente. La terza domanda (perchè Grisolia avvisò Aniasi del tentativo di rapimento in suo danno?) trova più facilmente una risposta: il giornalista era amico del sindaco e si preoccupò di avvisarlo, forse, anche perchè i rapitori intendevano giovarsi della sua complicità per attuare il piano; pertanto, Grisolia, combattuto fra la ripugnanza per la collaborazione richiesta ed il timore di rappresaglia in caso di rifiuto, sceglieva di avvisare la vittima in modo da far fallire il piano: plausibile. Peraltro, questa spiegazione segnala, una volta di più, la possibile appartenenza di Grisolia al Noto Servizio. Ma, se scrupoli di carattere morale, forse, lo indussero ad avvisare Aniasi, questa spiegazione non è per nulla soddisfacente nel caso della
nota del 4 aprile 1972, tanto più ove si consideri la sospetta partecipazione di Grisolia al Noto Servizio. Nelle conclusioni abbozzeremo una ipotesi in proposito.
3) Adalberto Titta Titta è certamente il personaggio centrale di tutta la vicenda o, per lo meno, così fanno pensare testi e documenti. Eppure la sua posizione nel servizio non appare sempre quella più importante: i documenti fanno pensare che Battaini gli fosse sovraordinato. Sembrerebbe, piuttosto, che la sua posizione fosse quella di una sorta di "direttore operativo", responsabile dell'attuazione concreta di linee politiche stabilite da altri. e, tuttavia,pur se con una discreta autonomia decisionale La lettura della sua agenda è utilissima per comprendere alcuni aspetti della sua psicologia. Metodicissimo, Titta, con la sua grafia minuta e regolare, annota tutto tutto: gli indirizzi telefonici abituali dei fornitori, tutti i dati personali, i numeri di tutti i documenti, il numero di serie del binocolo Zeiss e persino il proprio albero genealogico. La lettura diretta di qualche rigo chiarirà le idee meglio di ogni altra cosa: << Titta Adalberto, fu francesco Paolo e Saibene Dolores, nato a Milano il 28-6-1921, alle ore 12 in via Mac Mahon 120. Battezzato il 31- 7 nella parrocchia di Villapizzone, padrino e madrina i coniugi Catarsi Umberto e Cameri Erminia.>>
Nè è da pensare che tanto pignola annotazione rispondesse ad una comprensibile
esigenza di raccogliere da qualche parte tutti i dati
personali, anche quelli di scarsa utilità pratica, ma che può far piacere raccogliere per semplici ragioni affettive: Titta annota tutto, non solo di quel che lo riguarda personalmente, ma anche di quello che riguarda i parenti, gli amici, i conoscenti: << B. dott. P. nato a Lecce il 31-1-1945 di Giacomo (siculo- medico) e di R. Maria (leccese) laureatosi a Milano il 22-7-69, esentato dal servizio di leva medico chirurgo plastico estetico - otorino laringoiatra moglie cecoslovacca, dottoressa (medicina interna) fa parte del gruppo che fa capo al dott. Micheli presso l'ospedale San Giuseppe. figli: 1 femmina 2 maschi appassionato di volo, anni fa fece parte del Club di Cavanago d'Adda -abitazione via Buonarroti 42 (piano rialzato) 4696008 -ospedale San Giuseppe - via San Vittore 12 fratello B. dott. V. Medico nato a Castroreale (Messina) il 27-9-1953 abitazione via Crescenzago 28
C. G. R. dottor ingegnere elettronico 1-1-1939 abitazione... Moglie... figli...
85991
Ufficio.... soci e collaboratori ingegn. M.E. (socio) signora M. L. maritata F. e signorina C. M. (collaboratrici) casa di campagna.... -parenti: sorella della moglie A.M. coniugata con S.V.; sorella della moglie D. maritata con D.L. G.; fratello della moglie C.; fratello della moglie U. Figlio unico del defunto C. R. e di R. C. nato a Monteforte (Verona) l' 1-1-39. Votazione di Laurea 92/100. Laurea conseguita nel novembre 1965 all'età di quasi 27 anni. Servizio militare non prestato perchè non tenuto essendo capo famiglia con madre a carico. Patente di giuda categoria D. Lingue parlate...>>
Risparmiano a chi ci legge altri esempi del genere. Ovviamente, si può pensare che si possa trattare di affiliati al Noto Servizio, per cui può essere utile sapere, di un proprio collaboratore che patente di guida abbia o che lingue parli, ma quale utilità può avere annotare il voto di laurea o il fatto che la persona in questione si sia laureata "quasi a 27 anni"? In realtà, queste annotazioni ci fanno capire che Titta accumulava tutti i dati che era possibile avere a prescidere dalla loro possibile utilità, seguendo la logica del "Buono a sapersi". Per Titta schedare non era una delle mansioni del suo lavoro, ma una pratica feticista che soddisfa la pulsione di avere in proprio potere la persona schedata attraverso il suo "scalpo informativo". Tutto questo denuncia qualche aspetto maniacale che, tuttavia, non ci impedisce di inviare, nella nostra qualità di consulente tecnico, un grato pensiero per la ricca messe di dati offerti al nostro studio.
Queste annotazioni, peraltro, ci consentono anche una breve notazione che ci conferma, una volta di più, la grande dimestichezza fra Titta e Grisolia: nella sua nota dell'8 maggio del 1979, il confidente sostiene che Titta, nei suoi diari,
indica Fulchignoni come "il siculo", la stessa
espressione che leggiamo, nel brano appena citato, a proposito
del
padre del dott. P. E dunque, ben immaginiamo quale perdita abbia rappresentato, per la presente inchiesta, il mancato ritrovamento delle sue agende. Così come ci piacerebbe leggere le due mezze pagine che risultano troncate di netto (si vedano le due pagine che iniziano, l'una con "Gallo Angelo (classe 1917)", l'altra con "Macciò Leo fu Ugo". Fra le persone annotate riconosciamo (segniamo con l'asterisco * le persone indicate nelle note di Grisolia come vicine al Noto Servizio o personalmente prossime a Titta): - Aldo Aniasi (il che conferma l'interesse per il personaggio ed i sospetti sulla responsabilità di Titta nell'attentato a Trezzano sul Naviglio, nel luglio del 1979) - Sigfrido Battaini (*) - Pietro Bellinvìa - Giuseppe Cabassi (*) - Corinaldesi Coanzito
- Febo Conti - Gino Colombo - Massimo De Carolis (*) - Padre Eligio Gelmini - Piero Bassetti - Giorgio Pisanò (*) - Franco Servello - Letterio Meli - Mario Monzali (*) - Gaetano Morazzoni - Luciana Piras (*) - Giovanni Pedroni - Luigi Fortunati (*) - Felice Fulchignoni (*)
- Fondazione Keimer - Boris De Raquellwitz - Ulisse Mazzolini - Padre Enrico Zucca (*) Come si vede, è presente quasi tutto il mileu descritto da Grisolia che, evidentemente conosceva dall'interno la rete di relazioni fra i diversi soggetti. Nella sua ricchissima agenda Titta annota anche di essere << Esperto infortunistica stradale (giugno 1974) -Albo consulenti tecnici del giudice: Tribunale civile e penale di Milano dal 20-10-74 n 5250 (per estensione della già esistente iscrizione come geometra). >>
Quello degli attentati coperti da incidenti stradali simulati è un tema ricorrente nelle note di Grisolia (Di Pol, Dugoni, Mommsen ecc.) e, peraltro, il teste Volturno Morani (verbale 2 maggio 2001) sostiene che: << il Titta mi diceva che il metodo migliore per uccidere una persona era l'incidente stradale.>>
e, dunque, possiamo ben credere che la qualifica di esperto in infortunistica stradale non fosse usurpata.
Interessante anche l'annotazione "Nardi Aero Service" e ci chiediamo se si tratti di una struttura dell'azienda di famiglia di Gianni Nardi, un altro personaggio indicato da Grisolia come appartenente al Noto Servizio. Fra le osservazioni particolari, ci sembra che molta attenzione meriti la pagina dell'agenda dedicata alla cognata Luciana Piras. L'agenda di Titta è ordinata, più che alfabeticamente, con criterio tematico, per cui sotto il nome di una persona vengono raggruppate una serie di informazioni sul suo settore lavorativo, le sue relazioni amicali o politiche, parenti, ecc. Nel caso dell Piras , oltre che alcuni indirizzi Sip, troviamo anche diversi nomi di ufficiali o di funzionari di compagnie telefoniche: <<
Genio
Militare
Esercito
(colonnello
Gilberti,
maresciallo
Tessore)... Questura (maresciallo Alilla)... Prefettura (maresciallo Conte)... Telefoni Internazionali di Stato (Madonìa Cesare)... Ravasi Gianluigi - Centrale Sip di San Babila... Tenente Colonnello Antonello Liguori (capo centro trasmissioni"...>>
Sarebbe interessante capire il perchè di questa bizzarra concentrazione di indirizzi sotto l'esponente nominativo della Piras. Un'ultima questione: Ristuccia sostiene che tutto quanto sa sull' Anello sarebbe frutto delle confidenze fattegli da Titta in vista di un suo possibile reclutamento al servizio che, poi, non si sarebbe concretizzato. Inoltre, come abbiamo già detto, ritinene che Anche Grisolia non può aver appreso che dalla stessa fonte le notizie riferite allo Uaarr e ciò,
nonostante la sua sospetta appartenenza ai servizi orientali. Anche Pedroni e Mannucci Benincasa sostengono di aver appreso dell'Anello, senza averne mai fatto parte, dal noto geometra (Pedroni dice di essere stato una sorta di "ufficiale medico" del servizio, per estensione del suo ruolo di medico curante dello stesso Titta). Altri testi (Gangemi, Piras ed altri minori) sostengono che Titta si vantasse di far parte dei "servizi segreti" -senza precisare quale in particolare- e senza che vi fosse alcun motivo apparente per farlo. Insomma Titta era un chiacchierone incapace di custodire un segreto. Ma è una descrizione credibile? Si rifletta su un particolare: Titta è rimasto un perfetto sconosciuto sino alla vicenda Cutolo-Cirillo ed il suo nome non compare mai in nessun testo della controinformazione, in nessun articolo stampa o in alcun processo per eversione, neppure come semplice "persona informata dei fatti" o come personaggio del tutto marginale. Persino nella nota sulla "All'insegna della trama nera", compare il nome di Battaini ma non il suo. Se fosse stato il "boccaperta" che i vari testi ci descrivono, gli sarebbe stato possibile passare così inosservato? In realtà, sembra che i testi non siano del tutto disinteressati nel proporci questa immagine. Un esempio chiarirà meglio il punto. Michele Ristuccia è sicuramente il teste che ha contribuito con la maggior copia di informazioni, tutte, a suo dire, apprese da Titta, ma in tre occasioni cade in contraddizione: 1-
<< Titta mi disse di essersi occupato anche del sequesto Dozier...>>
(verbale s. i. Ristuccia dell'8 ottobre 1998). Ma Dozier fu rapito il 17 dicembre 1981, quando Titta era morto già da 19 giorni e, dunque, non
poteva nè essersi occupato di un caso che doveva ancora avvenire nè, tantomeno averne parlato con Ristuccia. 2- << Lui (Titta) mi parlava anche di... un albergatore di Rimini morto in un incidente stradale insieme alla consorte e che egli riteneva molto strano...>> (verbale 8 ottobre 1998) L'albergatore di Rimini è stato successivamente identificato dallo stesso Ristuccia (verbale del 12 gennaio 1999) in Coanzito Corinaldesi (presente nell'agenda di Titta) che, però, morì in un incidente stradale occorsogli il 26 settembre 1983 e, dunque, Titta, che era già morto da quasi due anni, non può aver fatto cenno ad alcun dubbio in proposito. 3- << l'On. Andreotti, secondo quanto mi ha raccontato il Titta, fece intervenire l'Anello a beneficio del governo Craxi. Ricordo che il Titta mi disse di aver ricevuto l'incarico di far sparire tutto il fascicolo processuale pendente, credo presso la Procura di Roma, relativo al Ministro Martelli, implicato in un traffico di titoli di stato americani falsi e di armi...>> (verbale del 23 marzo 1999) Il governo Craxi si formò nel luglio del 1983; Martelli divenne vice Presidente del Consiglio nel 1989, e poi, ministro solo nel 1989; il traffico di titoli di stato falsi cui ci si riferisce è il cd "caso Kollbruner" che risale agli ultimi anni ottanta. Tutti dati di molto successivi alla morte di Titta. In realtà, Ristuccia ricorre a Titta per spiegare in quale modo sia a conoscenza dell'esistenza dell'Anello e delle sue attività, semplicemente per mascherare la sua appartenenza al Noto servizio. Infatti, lo stesso Ristuccia ammette che:
a) Titta aveva parlato di lui con il Presidente della Fiera di Milano, Gino Colombo, come di un appartenente al servizio (verbale del 9 dicembre 1998) b) di essere stato uno dei possessori dei tesserini distribuiti da Titta agli appartenenti al servizio (verbali 23 marzo 1999 e 18 aprile 2000) Inoltre, in alcune delle intercettazioni telefoniche cui è stato sottoposto, Ristuccia sottintende la sua appartenenza al Servizio. Le stesse ragioni possono aver motivato Pedroni ad ingigantire le confidenze di Tittta per minimizzare parallelamente il proprio rapporto con il servizio. E considerazioni analoghe possono essere fatte per gli altri testi, pur se in misura via via decrescente. E, dunque, l'immagine di un Titta che parla di certi argomenti durante una semplice conversazione fra amici, magari allo scopo di farsi bello, non persuade neanche un po'.
4) Le operazioni del Noto Servizio in generale. Nel primo paragrafo abbiamo avuto modo di accennare alle caratteristiche del Noto Servizio come servizio di "tipo nuovo", ispirato al modello Cia. Qui ci sembra utile qualche considerazione introduttiva
a proposito del modus agendi del servizio e di alcune sue caratteristiche particolari. Un primo dato da osservare è una rilevante differenza fra il modello Cia ed il Noto Servizio : mentre la Cia è istituzionalmente un servizio pensato per operare fuori dei confini nazionali (anche se, nella prassi, questo non esclude affatto che la Cia vada oltre le sue competenze ed operi anche all'interno -ed analoghe considerazioni potrebbero farsi per il Bnd-), il Noto Servizio -almeno per quel che ne sappiamo attraverso documenti e testimonianze- ebbe una sua proiezione esclusivamente interna. Forse questo è stato dovuto alla presenza in Italia del maggior partito comunista dell'Occidente che rappresentava già un impegno abbastanza oneroso o, forse, ciò era indesiderato da americani e tedeschi che riservavano a sè stessi l'arena internazionale o, forse ancora, fu la mancata formalizzazione ad impedire al Noto Servizio di "crescere" ed affrontare l'impegno oltre confine, o, infine, fu il concorso di tutte queste circostanze e di altre a determinare questo esito. D'altra parte, se l'organizzazione Gehlen già aveva una ottima rete di agenti nell'Europa orientale, il primitivo gruppo dei pretoriani di Roatta aveva un insediamento esclusivamente nazionale e questo può aver influito nel determinare la vocazione successiva di quello che diverrà il Noto Servizio. Un secondo elemento abbastanza costante è lo stretto intreccio fra operazioni politiche ed operazioni finanziarie. Più avanti entreremo nel dettaglio, qui ci limitiamo a segnalare un ulteriore elemento di somiglianza con il modello Cia. Infatti, nel caso americano, tale intreccio non è dato solo dal reclutamento preferenziale di dirigenti e quadri nel mondo imprenditoriale, ma anche dalla stessa "filosofia" fondativa
dell'Agenzia che vede la tutela degli interessi commerciali americani nel mondo uno scopo non meno rilevante della lotta anticomunista. Come avremo modo di dimostrare fra breve, questa indicazione ha avuto una sua particolare applicazione nel caso italiano. Nel nostro caso, più che la tutela degli interessi commerciali italiani all'estero (terreno sul quale il Noto Servizio ben poco avrebbe potuto fare, dato quanto abbiamo appena detto sulla sua vocazione esclusivamente interna), l'uso del servizio è stato finalizzato, piuttosto alle lotte di potere fra i diversi gruppi finanziari. Una parte di queste azioni possono essere spiegate con l'esigenza di trovare fonti di finanziamento per l'organizzazione o per sue particolari operazioni, un'altra parte può trovare spiegazione in personali operazioni di arricchimento di singoli elementi del servizio, ma, in altri casi, sembra che il servizio sia intervenuto, in quanto tale, in appoggio ad un determinato gruppo contro un altro, contribuendo, così, alla formazione degli equilibri di potere del sistema. Qui si pone un problema sin qui quasi del tutto inesplorato: l'eventuale rapporto fra il Noto Servizio e strutture della Confindustria. In altre occasioni (rell. 3, 6, 12, 23) questo ctu aveva avuto modo di accennare all'esistenza di un servizio di informazioni della Confindustria ( si veda la nota confidenziale del 18 aprile 1967 All. 27 alla rel. 6) denominato "Centro Informazioni Sociali" e per il quale avrebbe lavorato anche il noto estremista di destra Giorgio Torchia. Il rigoroso silenzio degli archivi in materia (il Cis, pur essendo citato nella nota appena ricordata, non è cartellinato nel catalogo elettronico della Dcpp, tanto per fare un esempio) ha permesso di fare solo scarse acquisizioni in materia, fra esse ricordiamo:
a- l'abitudine dei soci della Confindustria alla riservatezza, spinta sino al limite del costume cospirativo (ad es. l'uso -in particolare a Torino- di prendere i verbali delle sedute dell'associazione, indicando gli intervenuti non con il proprio nome ma con un numero convenzionale) b- l'esistenza, presso l'Associazione Industriali di Vicenza, di un "ufficio speciale" (e del tutto riservato) che gestiva fondi diretti alla lotta anticomunista, che finanziava il Msi e le organizzazioni dell'estrema destra e promuoveva anche iniziative
assai simili all'operazione
"manifesti cinesi" organizzata da D'Amato con la collaborazione di Delle Chiaie (rel. 6). c- l'esistenza di una attività informativa, presso l'Associazione Industriali di Torino ( nota da fonte fiduciaria del 14 ottobre 1969 -All. 69 rel 12-) che riferiva di un particolare piano di ordine pubblico predisposto sembra con la collaborazione del gen. Aloja, antico nume tutelare dell'Istituto Pollio- sul modello di quello adottato dalla giunta militare argentina presieduta dal gen. Ongania. D'altro canto, sono noti i rapporti intrattenuti dal colonnello Rocca, responsabile dell'ufficio Rei del Sifar, con il
mondo industriale in
generale e, in particolare, con la Confindustria. Ed è altrettanto noto il ruolo di Rocca quale finanziatore (si veda la rel. 3) dell'Istituto Pollio e del suo convegno di Parco dei principi (cui presenzierà anche Pisanò). Ricordiamo, peraltro, l'appunto che ha dato origine alla rel. 35 (Catalupi) che indica Rocca in stretto rapporto con Tom Ponzi (altro elemento del Noto Servizio). Note frammentarie e lacunose, come si vede, ma sufficienti a far sorgere il sospetto di un rapporto non occasionale fra il Noto Servizio e strutture collaterali della Confindustria.
E, forse, questa contiguità potrebbe spiegare una terza caratteristica del servizio: il suo carattere territorialmente molto concentrato in Lombardia. Le note ci descrivono il servizio come la risultante di due gruppi: uno, maggiore, attestato in Alta Italia coordinato da Battaini e l'altro, sembrerebbe meno consistente, romano diretto da Fulchignoni e Fortunati. I due gruppi avrebbero avuto una certa autonomia l'uno dall'altro, pur essendo coordinati in qualche modo fra loro. Delle azioni del gruppo romano conosciamo solo i finanziamenti Sifar al Psi -per il tramite di Fulchignoni- che avrebbero alimentato la corrente autonomista (e, più in particolare Corona, Pieraccini, Mariotti). La gran parte di quanto seppiamo nell'operato del Noto Servizio riguarda essenzialmente il suo nucleo settentrionale, peraltro, in gran parte concentrato a Milano. Probabilmente la nostra ottica è deformata dalla presenza di Grisolia nel gruppo milanese e dall'assenza di altri informatori in altri gruppi locali (o, forse, essi c'erano, ma noi non ne siamo a conoscenza), ma è probabile che, al di là di ciò, questo corrisponda all'effettiva realtà del servizio che, proprio per la sua informalità ed embrionalità, sembra aver trovato il suo terreno d'azione privilegiato nella capitale lombarda. Ovviamente, la rilevanza politica, sociale ed economica della Lombardia e del suo capoluogo, sono un dato troppo noto perchè se ne debba dire, ma, nel nostro caso ciò è particolarmente vero, perchè Milano fu il principale campo di battaglia nella "guerra politica" a cavallo fra i sessanta ed i settanta: non ci sembra un caso che, delle sei stragi avvenute in quel periodo, la metà sia avvenuta in Lombardia. Per quel che riguarda il nostro discorso, tale rilevanza di Milano e della Lombardia trova speciale rilievo per quel che attiene al Psi, nel quale,
controllare la federazione milanese era condizione necessaria per ottenere la segreteria regionale lombarda, condizione, a sua volta, indispensabile per conquistare il partito in sede nazionale. Infatti, nel 1972, la Lombardia rappresentava per il Psi il 20,6% dell'elettorato ed il 13,9% degli iscritti
(cfr. Aavv. "Il Partito Socialista - struttura ed
organizzazione" Marsilio ed. Venezia 1975), mentre la seconda regione, per iscritti, era la Sicilia con l'11,2% che, però, rappresentava solo il 6,7% degli elettori ed aveva la metà dei parlamentari (8 fra deputati e senatori, contro i 15 della Lombardia). Tale era meno sbilanciato nel caso della Dc (che raccoglieva circa il 17,3% dei suoi voti in Lombardia) ed ancor più per il Pci (che vi rastrellava circa il 15% del proprio elettorato). Stando alla nota del 4 aprile 1972, il Noto Servizio ebbe nel Psi -e segnatamente nel Psi milanese- uno dei suoi principali terreni di intervento. Per quanto riguarda la Dc milanese, i documenti reperiti in questa occasione ci offrono un ricco materiale informativo su cui riflettere.
5) La Dc milanese nei primi anni settanta
La Dc milanese presentava un quadro correntizio per più versi particolare rispetto a quello nazionale, infatti, se uno dei due gruppi egemoni era quello doroteo -come a livello nazionale-, l'altro gruppo particolarmente forte era la sinistra di Base guidata dall'on . Marcora che aveva potuto giovarsi, sin dagli anni cinquanta, della benevola presenza
dell'Eni e che qui raccoglieva percentuali assai superiori a quelle della media nazionale. Tradizionalmente deboli erano invece i seguaci dell'on. Moro e quelli dell'on. Fanfani, così come quelli del gruppo di Forze Nuove guidato dall'on. Vittorino Colombo. Questi tre gruppi, peraltro, facevano quasi regolarmente blocco con la Base che, in questo modo, controllava stabilmente le segreterie provinciale e regionale. Del segretario provinciale, l'avv. Camillo Ferrari, abbiamo un vivido ritratto nella nota confidenziale del 30 novembre 1971: << L’avvocato Camillo Ferrari di Alfredo e di Bertarelli Carlotta, nato a Novate Milanese il 29/10/1929, coniugato con prole, residente a Milano in via Caboto 3, laureato in giurisprudenza alla locale Università Cattolica, libero professionista con ufficio in questa via B. Zenale 3, è della corrente di Base, dal 1968 è segretario provinciale della Dc . Egli è un tipico prodotto della burocrazia dei partiti. Di famiglia appartenente alla media borghesia, è entrato da circa dieci anni fa, nella Dc e si è unito al gruppo Marcora (corrente base). Di modesta intelligenza politica e di scarsa personalità, l’avv. Ferrari è sempre rimasto nell’orbita di Marcora. Prima come membro della direzione provinciale, quando Marcora era segretario, poi come segretario a sua volta dalla primavera del 1968 . Nel 1956 ebbe il primo incarico pubblico: fu nominato presidente della centrale del latte in sostituzione del doroteo avv. Nino Mollica, che apparteneva alla corrente di Salvini-Morazzoni-Carenini. Come
presidente della Centrale non ha dato cattiva prova: il bilancio è in pareggio e non sono segnalati casi di clientelismo. Quando nell’aprile 1968 Marcora si presentò candidato nel collegio di Vimercate, la corrente di Base voleva portare alla segreteria provinciale l’attuale assessore regionale alla Sanità, Rivolta. Ma Marcora gli preferì Ferrari perché più manovrabile. Per il suo futuro politico si dice che nel 1973 otterrà da Marcora un collegio senatoriale: forse quello di Lodi, se fallirà l’operazione di portarlo alla presidenza della Cassa di Risparmio. E’ avido di denaro e nella DC si dice che non lasci cadere alcun affare. >> (All. 2)
Punto di forza dei dorotei (Egidio Carenini, Gino Colombo, Gaetano Morazzoni, Tommaso Salvini) era, invece, il comitato cittadino milanese del quale era segretario Gino Colombo (che Ristuccia ci dipinge particolarmente vicino a padre Zucca e ad Adalberto Titta). La situazione iniziava a squilibrarsi verso la fine del 1969, innanzitutto con la spaccatura della corrente dorotea che si ripercuoteva anche a Milano dove Carenini si schierava con Rumor e Piccoli, mentre Colombo, Morazzoni e Salvini passavano con il gruppo AndreottiColombo. A questo si aggiungevano le disavventure di Carenini seguite alla conclusione del caso Montedison, che portava alla destituzione dell'ing. Piergiorgio Cavallo (il maggior finanziatore di Carenini e attraverso questo- della corrente Rumor-Piccoli e del quotidiano del partito "Il Popolo"). Ovviamente, questo determinava un marcato indebolimento delle posizioni dell'on. Carenini, sia nella corrente che nel partito (Nota 19 giugno 1970 All. 1).
A
perturbare
ulteriormente
gli
equilibri
dell'organigramma
democristiano locale, giungeva, nel giugno del 1970, l'elezione del segretario cittadino, avv. Gino Colombo alla Presidenza del'Assemblea regionale lombarda, il che poneva il problema della incompatibilità con il suo incarico di segretario cittadino della Dc milanese. Come suo successore, Colombo meditava di far eleggere il suo amico di corrente Gaetano Morazzoni, ma, analoga aspirazione manifestava anche
l'avv. Massimo De Carolis (altro personaggio descritto da
Ristuccia come assai vicino a Zucca), appartenente alla stessa corrente (Nota 12 gennaio 1971 All. 1). La successione, pertanto, non si profilava affatto semplice, anche per il clima non certo idilliaco in cui essa doveva aver luogo: in piena campagna elettorale, l'agenzia "Nuova Aiga (30 aprile 1970 All. 1) dava la notizia che l'avv. Gino Colombo era, occultamente, il vero proprietario del settimanale scandalistico "Abc", all'epoca una delle testate più spinte dal punto di vista pornografico e fra le testate più impegnate nella campagna divorzista, il che non era esattamente il miglior viatico per un candidato che si rivolgeva all'elettorato cattolico; nè la situazione migliorò a seguito della querela sporta dall' avv. Colombo contro la "Nuova Aiga" (nota conf. 5 maggio 1970 All. 1). Considerate le posizioni politiche dell'agenzia, non si fa fatica ad immaginare che il grazioso omaggio all'avv. Colombo proveniva dagli stessi ambienti Dc. Nè, d'altra parte le acque erano agitate solo nelle aree dorotee: anche nella "Base" si fronteggiavano il vecchio leader Giovanni Marcora e l' "emergente" Andrea Borruso, sostenuto da Comunione e Liberazione),
ed il tasso di litigiosità, induceva ad un rinvio del congresso locale (Nota 5 marzo 1971 All. 1) in attesa del quale, Colombo restava in carica. Prendeva quota, in questo quadro, la candidatura di Sangalli (anche egli andreottiano, ma in posizione autonoma, a causa del suo legame con la Coldiretti) alla segreteria cittadina, come espressione di un composito cartello anti Colombo-Morazzoni (Nota 2 aprile 1971 All. 1) Il congresso si teneva poi effettivamente fra il 24 ed il 25 aprile 1971, terminando con una sostanziale tenuta delle correnti di sinistra, nonostante le forti tensioni interne (All. 26 aprile 1971 All. 1). Ma la tregua postcongressuale durava solo pochi mesi, dato il sopraggiungere dell'elezione del Presidente della Repubblica, che produceva un subitaneo inasprimento delle tensioni fra le correnti Dc: a livello nazionale le destre del partito (dorotei rumoriani ed andreottiani, fanfaniani, centristi e "pontieri" tavianei) puntavano sull'elezione del sen. Fanfani (ed, in subordine, su quella di Rumor, Taviani o Leone), mentre le sinistre (Morotei, Forze Nuove e Base) operavano a favore della candidatura dell'on Moro. Fanfani, peraltro, poteva giovarsi anche del sostanzioso appoggio del neo presidente della Montedison, Eugenio Cefis. Stando alle indiscrezioni raccolte dai confidenti dello Uaarr (Nota 21 dicembre 1971 All. 1), Rumor, parlando con un giornalista di "Panorama", sarebbe giunto a sostenere che, una eventuale elezione di Moro, avrebbe portato la Dc sulle soglie di una scissione. Tali divisioni si ripercuotevano inevitabilmente sul partito milanese, dove i dorotei delle varie tendenze si ritrovavano sulle posizioni nazionali, favorevoli a Fanfani, mentre la sinistra di Base si spaccava fra Marcora -che favorevole a Fanfani, essendosi avvicinato al segretario del
partito, on. Forlani- e la maggioranza della corrente che, invece, restava con l'on. Granelli filo-morotea (Nota 21 dicembre 1971 All.1). Altra benzina sul fuoco provvedeva a spargerla De Carolis che partecipava a Bologna ad una manifestazione con Edgardo Sogno, attirandosi le ire di buona parte del partito (ibidem). Riferisce l'informatore della "squadra 54" (Nota 15 ottobre 1971, All. 2): <
probabilmente,
anche
i
fanfaniani,
in
passato
tradizionali alleati delle correnti di Base e di Forze Nuove. Capo dei fanfaniani milanesi è l’assessore comunale Salvatore Cannarella. >>
In realtà, la ricomposizione degli equilibri appariva assai meno scontata di quanto questa nota faccia pensare, perchè essa presupponeva una accorta spartizione delle tre cariche principali (segreteria regionale, provinciale e cittadina) fra le varie correnti e fra i diversi gruppi interni a ciascuna di esse: se, infatti, gli equilibri generali, sino a quel momento, si erano retti sul tacito accordo fra basisti di Marcora e dorotei, la frammentazione di entrambe le correnti e l'emergere di ulteriori contrasti all'interno dei singoli tronconi in cui esse andavano suddividendosi, faceva si che quella vecchia intesa non fosse più sufficiente e che, nei varchi aperti da tale situazione, si infilassero i gruppi minori restati, sino a quel punto, ai margini del partito:
<< La prossima primavera porterà interessanti novità all’interno della DC milanese. Il partito dovrà infatti provvedere alla nomina del nuovo segretario regionale (ora l’incarico è affidato al dott. Mazzotta della corrente di Base) e alla convocazione dei congressi per la nomina del segretario cittadino (ora è l’avv. Colombo, doroteo) e del segretario provinciale (ora è l’avv. Ferrari, basista). Le ultime informazioni danno per sicure le riconferme di Colombo e di Ferrari, mentre sarebbe altrettanto certa la sostituzione del dott. Mazzotta. Se i basisti riusciranno a conservare quella poltrona l’affideranno al dott. Cartotto, ex dirigente del movimento giovanile e amico del sen. Marcora. Ma gli uomini di Forze Nuove, a Milano guidati dall’on. Vittorino Colombo, insistono per avere assegnata una delle tre segreterie, e precisamente quella regionale. Tutto potrebbe invece essere messo in discussione se il contrasto esistente all’interno della corrente di base tra il sen. Marcora e il vice sindaco di Milano, dott. Borruso, dovesse sfociare in una vera e propria frattura della corrente. Secondo i dorotei la scissione sarebbe inevitabile; gli uomini di Forze Nuove, invece, ritengono che all’ultimo momento sarà possibile mettere una pezza. (Nota 29 ottobre 1971) All. 2
Le elezioni anticipate, ovviamente, inducevano nuovi motivi di attrito a causa della formazione delle liste. In particolare la corrente di Base subì una ulteriore divaricazione fra i tre gruppi che la componevano (Marcora, Granelli e Borruso). In particolare, Marcora avrebbe cercato di sostenere le candidature dei suoi più stretti collaboratori (Nadir Tedeschi, Roberto Mazzotta e Ferrari) ai danni dei suoi concorrenti di gruppo.
Problemi analoghi si registravano nel gruppo andreottiano guidato dall'on.Sangalli, dove aspiravano ad un buon piazzamento -in concorrenza fra loro- anche il capogruppo in consiglio comunale, Massimo De Carolis, e l'amministratrore delegato della MM Salvini (che di De Carolis aveva chiesto da poco l'espulsione per la sua partecipazione all'iniziativa con Sogno). De Carolis, stando alle notizie confidenziali, avrebbe goduto dell'appoggio della Montedison, essendosi particolarmente legato al presidente Eugenio Cefis. Contemporaneamente
l'on.
Carenini
(corrente
Rumor-Piccoli),
sentendosi poco sicuro nella circoscrizione milanese, cercava di ottenere un collegio sicuro in Veneto, ma si scontrava con la decisa opposizione tanto del segretario del partito Forlani, quanto dell'on. Andreotti (Nota 29 febbraio 1972 All. 1). Altri problemi insorgevano con le Acli che, dal tradizionale collateralismo con la Dc, passavano in una posizione molto spinta di sinistra. In particolare a Milano (dove più forti apparivano gli orientamenti di sinistra ispirati dall'ex presidente Livio Labor) si giungeva a manifesti firmati congiuntamente da Pci, Psiup e Acli, fortemente polemici verso la Dc nella quale, ovviamente, si innescavano reazioni particolarmente dure nei confronti dell'associazione dei lavoratori cristiani (Lettera del Questore di Milano dell'11 marzo 1972, prot. 05142/UP, All. 1). Superate le elezioni politiche (che vedevano rieletti tutti i capicorrente già presenti in Parlamento con l'aggiunta, per la prima volta, di Roberto Mazzotta), l'avv. Colombo dava seguito al suo proposito di dimettersi dalla segreteria cittadina della Dc milanese, per far eleggere al suo posto Gaetano Morazzoni (nota 23 giugno 1972) ma il progetto subiva nuove
complicazioni per l'evolversi della situazione politica nazionale. Infatti, la formazione del nuovo governo, dopo le elezioni politiche del 7 maggio, portava al "siluramento" dell'ex presidente del Consiglio Colombo che, in qualche modo, ne attribuiva la responsabilità al suo socio di corrente Andreotti; ne seguiva l'ennesima scissione della corrente fra Andreottiani e Colombei, che si rifletteva puntualmente a Milano, dove il gruppo di Colombo e Salvini passava con Colombo, mentre Sangalli e Morazzoni restavano con Andreotti (Nota 28 luglio 1972 All. 1) e questo rimescolamento delle carte metteva in pericolo il controllo della segreteria cittadina da parte della corrente indebolita dalla scissione. Dietro la rottura fra Colombo e Morazzoni, per la verità, non sembrano esserci stati solo motivi di ordine strettamente politico, ma un intreccio fra essi ed altri di natura più privata, in questa sede non rilevanti (Nota 6 ottobre 1972, All. 1). In ogni caso, Morazzoni, forse per demarcare la sua posizione politica da quella del suo ex mentore, si poneva a capo di uno schieramento -minoritario, ma non del tutto irrilevante- favorevole a rompere l'alleanza con i socialisti al comune e tornare ad una formula centrista. Contro la manovra di Morazzoni, Colombo trovava solidarietà in diversi esponenti della destra della corrente, fra cui il capogruppo comunale De Carolis (Nota 13 ottobre 1972 All. 1), il che lo induceva a ripresentare la sua candidatura a segretario cittadino. La situazione dell'arcipelago doroteo, pertanto, appariva la seguente: <<...In realtà sotto la sigla dei dorotei si riuniscono ora una serie di frazioni. Da destra: la pattuglia dell'on. Carenini al quale si è
affiancato il capo del gruppo consiliare a Palazzo Marino avv. Massimo De Carolis. Carenini è molto legato, in sede nazionale, agli onorevoli Bisaglia e Moro. De Carolis è uomo di Cefis e di alcuni grandi editori tra i quali Mazzocchi e Rusconi. Poi viene il gruppetto degli amici dell'on. Andreotti, guidato dal Deputato Carlo Sangalli e dal dott. Gaetano Morazzoni, presidente della società per gli aereoporti, più a sinistra, infine, il gruppo degli amici dell'on. Valsecchi , dell'ex presidente Colombo e in genere, di tutto il settore tradizionalista dei dorotei, che fa capo l'avv.Antonio Salvini, consigliere delegato della società per la Metropolitana . Al di sopra di tutti si è posto il segretario Colombo, che gode, a Roma, della incondizionata fiducia di Rumor e di Piccoli. (Nota 21 novembre 1972. All. 1) >>
La "lite in famiglia", in ogni caso, non pregiudicava il successo del blocco di centro destra (composto dalle diverse tribù dorotee, oltre che dai fanfaniani di Cannarella), che, nei precongressi sezionali, vedevano aumentare di oltre il 10% i loro suffragi rispetto al precedente congresso, ad evidente danno del contrapposto cartello delle sinistre (composto dai basisti di Marcora, da quelli dissidenti di Borruso, dai forzanovisti di Vittorino Colombo e dai morotei di Pierantonio Berté) che vedeva rapidamente sfumare il 47% conquistato nella precedente assise (Nota del 10 novembre 1972 All. 1. Le sinistre, pertanto, si ritiravano in attesa di tempi migliori che, peraltro, si speravano assai prossimi. Infatti, il prossimo congresso nazionale -fissato per la primavera del 1973- offriva una occasione ideale
di rivincita che si sperava di fatr precedere dalla caduta del governo di centro-destra presieduto da Andreotti: Il senatore Marcora ha incaricato Grampa di comunicare, con molta discrezione, ai dirigenti milanesi della sinistra Dc che il governo Andreotti sarà costretto alle dimissioni dopo la conferenza economica nazionale promossa della Dc e che avrà luogo a Perugia nelle prossime settimane. Secondo Marcora, il gruppo Rumor-Piccoli avrebbe deciso di far cadere Andreotti sul terreno della politica economica per agevolare l'eliminazione del partito liberale dalla coalizione di Governo. (Nota 17 novembre 1972. All. 1)
Dello stesso tenore appare anche una nota successiva di pochi giorni:
<< Da persone vicine al Ministro Valsecchi si apprende, che nella Democrazia Cristiana è in corso una dura lotta interna . Le correnti di sinistra del partito stesso stanno lavorando, perché il governo Andreotti, cada al più presto. >> (Nota 26 novembre 1972. All. 1)
Tornando alle vidende interne ai dorotei, lo scontro "in famiglia" fra Colombo e Morazzoni vedeva soccombere nettamente il secondo, con circa 2.000 voti di preferenza contro i 6.000 andati al primo (Nota 17 novembre 1972 All. 1). e, conseguentemente, l'avv. Colombo vinceva il congresso cittadino, ottenendo la riconferma come segretario.
Tuttavia, il congresso non restava privo di conseguenze: gli andreottiani di Morazzoni e Sangalli, vistisi penalizzati anche nella attribuzione degli incarichi minori, reagivano negando il loro voto per la conferma dell'avv. Colombo alla segreteria cittadina; in questo modo la rottura fra i dorotei milanesi veniva ufficializzata e, parallelamente, prendeva corpo l'idea di una maggioranza trasversale fra il gruppo dei dorotei di Colombo e quello dei Basisti di Marcora, sciogliendo così i cartelli iniziali (Nota 1 dicembre 1972 All. 1). Dunque, l'avv. Colombo raccoglieva la sfida lanciatagli da Morazzoni aprendo una "campagna acquisti" fra i suoi seguaci. Lo scontro si spostava poi su un altro terreno: la presidenza della Scocietà aeroportuale, la Sea -al momento detenuta da Morazzoni- della quale Colombo cercava di ottenere il controllo. Il neo andreottiano, per non avere troppe difficoltà con il sindacato, aveva accettato di far entrare nel CdA un comunista, il dott. Giuseppe Stante, che rappresentava il Pci anche nel CdA della Banca popolare di Milano. Su questo punto iniziava una serrata campagna delle correnti di destra della Dc per ottenere le dimissioni di Morazzoni. L'episodio merita un cenno in più, relativamente alla campagna scatenata da De Carolis con la sua agenzia (e ripresa dal settimanale "Lo Specchio" -Nota 15 dicembre 1972 All. 1-), per quanto veniamo a sapere sulla singolare figura del dott. Stante: <<...Il medesimo, sembra che abbia organizzato e che tuttora continui,
il
gioco
d’azzardo,
nella
predetta
sede
sportiva,
affidandone la realizzazione ad un suo uomo di fiducia, Franco Nucci, regista cinematografico alla deriva, in passato legato ad
attività informative del noto ex-funzionario di Polizia dott. Walter Beneforti. >> (Nota 5 dicembre 1972. All. 1)
Peraltro, appena conclusosi il congresso cittadino, la partita si riapriva per il sopraggiungere del congresso nazionale, previsto per la primavera del 1973 (dopo qualche rinvio, si terrà a fine giugno a Roma) che, ovviamente, spingeva ad una nuova conta, complicata, per di più, dalla "campagna acquisti" aperta dalle correnti nazionali. In particolare, Moro e Rumor, nel tentativo di rafforzare le proprie posizioni a Milano, cercavano di acquisire alle rispettive correnti il gruppo "libero"
più
consistente sul mercato milanese: quello di Andrea Borruso (Nota 16 gennaio 1973). Si profilava, così un nuovo "rimescolamento di carte": l'avv. Colombo restava alla testa dei dorotei rumoriani, mentre Morazzoni e Sangalli che attraevano nella propria orbita anche la corrente della "Coldiretti"attendevano segnali dal centro nazionale della corrente andreottiana per decidere se presentare una propria mozione; la Base registrava il definitivo scisma di Borruso, mentre De Carolis manteneva il riserbo sulle proprie intenzioni (Nota 30 gennaio 1973 All. 1). La
crescente
entropia
delle
correnti
democristiane
produceva
fisiologicamente la ricerca di ulteriori spazi di potere esterni al partito per poter trovare un punto di equilibrio fra le crescenti pretese di ogni gruppo interno. Questa ricerca (ne fu sintomo anche la vagheggiata rottura con i socialisti al Comune di cui si è appena detto) portava inevitabilmente a collidere pesantemente con il principale alleato, il Psi che, per parte sua, attraversava un'analoga fase di entropia interna. Il terreno di scontro
immediato fu quello delle banche. Craxi, a nome del Psi milanese, fece sapere che, qualora la Dc avesse proceduto a sottrarre al Psi la Banca del Monte (presidente ne era Tommaso Pesce, fedelissimo di Craxi) questo avrebbe provocato l'immediato ritiro dei socialisti dalle maggioranze di comune, provincia e regione (Nota 2 febbraio 1973 All. 1). Ma il tentativo Dc di eliminare i socialisti dalle banche milanesi proseguì ugualmente, per prendere decisamente corpo sul finire di marzo, quando il segretario nazionale Forlani ed il Presidente del Consiglio Andreotti dichiararono di non ritenere più validi i precedenti accordi e prospettarono un organigramma che dava qualcosa in più a socialdemocratici e liberali, ma eliminava del tutto la presenza socialista dal mondo bancario milanese (Nota 30 marzo 1973 All. 1) A fine aprile si concludeva il congresso provinciale della Dc, che, attribuiva nuovamente la maggioranza relativa alla Base (pur se con un calo,provocato dalla scissione di Borruso, pari al 3-4%), mentre subivano una secca flessione i morotei ed incassava un discreto successo la corrente rumoriana guidata dall'on. Carenini (Nota 20 aprile 1973). Il quadro, di per sè non limpidissimo, diveniva ancor più fosco a causa del sopraggiungere di un primo scandalo, acceso da una denuncia dell'avvocato socialista Enrico Sbisà che aveva denunciato per alcune malversazioni il consigliere delegato della MM Antonio Salvini, esponente andreottiano. In realtà si trattava di ben piccola cosa (un viaggio in Giappone -ufficialmente per motivi di studio- di una delegazione di amministratori guidati da Salvini, per un importo di 10 milioni e una distrazione di alcune centiniaia di migliaia di lire a favore dell'agenzia stampa dello stesso Salvini), ma tanto bastava al dott. Caizzi (che gli informatori del maresciallo Alduzzi ci descrivono come assai
vicino al Pri) per emettere avviso di reato ed avviare una inchiesta che porterà a capi di imputazione più consistenti circa un anno dopo (Nota 29 marzo 1974). Lo scandalo giungeva opportuno per alimentare gli attacchi alla giunta comunale da parte delle opposizioni di Pri, Pli e Pci, mentre il Psi si trovava costretto a far quadrato con la Dc ( e dunque "mollare" Sbisà), sia per evitare una crisi della giunta Aniasi, sia per non abbandonare i membri socialisti del CdA della MM (Nota 22 giugno 1973). Nel frattempo la caduta del governo Andreotti ed il ritorno alla coalizione di centrosinistra capovolgeva nuovamente la situazione: si socialisti rientravano in gioco e, parallelamente, ripendevano fiato le cortrenti della sinistra Dc, mentre Andreotti ed i suoi dovevano affrontare un difficile periodo di emarginazione, e ciò si rifletteva nuovamente a Milano dove, con l'approssimarsi del nuovo congresso provinciale (previsto
per la fine del febbraio del 1974) appariva
imminente la sostituzione del segretario avv. Ferrari che, per conto della Sinistra di Base aveva retto l'incarico sin dal 1968 (Nota 19 febbraio 1974 All. 1): << La Dc si prepara al congresso provinciale di fine febbraio. Secondo anticipazioni molto attendibili, l’operazione di alleanza quasi generale promossa dall’avv. Colombo, sta dando buoni risultati. Domenica scorsa, la coalizione dorotea si è spaccata in due tronconi, così come l’avv. Colombo desiderava. Egli ha eliminato l’ala andreottiana, che è capitanata dall’on. Carlo Sangalli; dal presidente della SEA dott. Gaetano Morazzoni e dall’on. Egidio Carenini.
Questo gruppetto che non arriverà al 10% dei voti costituirà anche ufficialmente l’ala destra dello schieramento politico democristiano a Milano. A sinistra sarà esclusa dalla maggioranza l’ala di “Forze Nuove” guidata dagli on.li Vittorino Colombo e Marzotto. La coalizione comprenderà il gruppo Rumor, quello di Moro, di Fanfani e della sinistra di Base guidata dal sen. Marcora. Segretario provinciale sarà il basista Frigerio.>> (Nota 29 gennaio 1974 All. 2)
Il congresso terminava sancendo l'alleanza fra il gruppo doroteo (la nota 1° marzo 1974 All. 1 riporta erratamente "moroteo" per un evidente refuso) dell'avv. Colombo e quello basista di Marcora, cui si aggiungevano i fanfaniani. In realtà, l'alleanza fra Colombo e Marcora era solo l'ufficializzazione di una antica e tacita entente cordiale su cui si erano retti gli equilibri del partito per circa un decennio. All'opposizione restavano Forze Nuove e andreottiani: << La nomina del dott. Frigerio a segretario provinciale della Dc, in sostituzione dell’avv. Ferrari ha chiuso una battaglia che durava ormai da un anno e che doveva segnare l’inizio del declino del predominio del senatore Marcora in Lombardia. Il dott. Frigerio appartiene alla corrente di Base, come l’avv. Ferrari, ma fa parte del gruppo del dott. Cartotto, che ormai ha assunto il controllo di almeno la metà della corrente di Base in provincia di Milano . L’affermazione di Cartotto si deve anche all’alleanza che egli ha stabilito con il capo della corrente moderata avv. Gino Colombo.
La suddivisione degli incarichi, al riguardo, è sintomatica: la segreteria politica al basista Frigerio, la segreteria amministrativa al doroteo Bruschi. I vice segretari, Morazzoni andreottiano, Tedeschi Forze Nuove, non avranno praticamente alcun potere, ma la loro presenza in seno alla segreteria servirà per dire che l’accordo è unitario.>> (Nota 12 marzo 1974 All. 2)
L'intesa a livello provinciale poneva contestualmente il problema della segreteria cittadina, dove, sin dal 1970, l'avv. Gino Colombo manteneva l'incarico in regime di eterna prorogatio essendo falliti, come abbiamo visto, tutti i tentativi di una successione a lui gradita: << Il segretario cittadino della Dc milanese avv. Gino Colombo lascerà il suo incarico dopo le ferie estive. La decisione è ormai ufficiale, anche se ancora resta molto incerta la successione. Secondo notizie di buona fonte in occasione del recente consiglio nazionale l’avv. Colombo ha discusso il problema con il segretario Fanfani. Il gruppo doroteo di Milano dispone di scarsi elementi rappresentativi anche se è la seconda corrente del partito a Milano e in Lombardia. Le stesse fonti affermano che la candidatura più probabile è quella del fanfaniano avv. La Russa, che attualmente riveste la carica di vice segretario cittadino. Il La Russa, per quanto fanfaniano, è persona molto gradita all’avv. Colombo. Questi, portando avanti la candidatura dell’avv. La Russa, intende ottenere in sede romana il consenso e l’appoggio del sen. Fanfani, che da tempo cerca una posizione di prestigio a Milano, ma che fino ad ora non era mai
riuscito ad ottenerla. I fanfaniai, a Milano, infatti, raccolgono poco più del 10% dei voti tra gli iscritti al partito.>> (Nota 23 luglio 1974 All. 2)
Ma i problemi della Dc milanese non si esaurivano nel moto perpetuo degli organigrammi e delle correnti: il referendum del 12 maggio 1974 aveva segnato una secca sconfitta per la Dc a livello nazionale - con il 59,1% dei No all'abrogazione del divorzio-. A Milano le cose erano andate anche peggio:
alle politiche di due anni prima, i partiti
antidivorzisti (Dc e Msi) avevano ottenuto 1.034.792 voti, ma al referendum i Si erano stati solo 798.806, pari al 32,26%. Anche le amministrative parziali svoltesi in Lombardia fra il 1973 ed il 1974 avevano fatto registrare numerosi segnali d'allarme con il passaggio della maggior parte dei comuni interessati a giunte di sinistra. Per la primavera del
1975 era previsto il turno generale di
amministrative, nel quale si sarebbero rinnovati tanto i consigli delle regioni a statuto ordinario -fra cui, appunto, la Lombardia- quanto i consigli comunali e provinciali più importanti della regione, a cominciare da Milano e i pronostici apparivano scarsamente favorevoli alla Dc, anche perchè il Psi aveva manifestato chiaramente la sua intenzione di preferire, ove possibile, dar vita a giunte di sinistra con il Pci, piuttosto che tornare al centro sinistra con la Dc. Ciò non di meno, il gruppo dirigente della Dc lombarda -forse convinto che la flessione sarebbe stata contenuta e, alla fine, tale da non determinare un ribaltamento della maggioranza- affrontò le elezioni ripiegata sui propri problemi interni e poco attenta a recuperare il terreno perso nella pubblica opinione. In particolare, preoccupava i dirigenti dc milanesi
l'eccessiva popolarità dell'avv. Massimo De Carolis che, praticamente isolato nel partito, godeva di un notevole seguito elettorale personale per la sue iniziative in chiave anticomunista. Per questa ragione, le varie correnti si accordarono per evitare che De Carolis risultasse primo degli eletti in modo da non rieleggerlo capogruppo comunale. A soccorrere il pericolante leader della Maggioranza Silenziosa giungeva l'attentato delle Brigate Rosse: << Il ferimento dell’avv. De Carolis ha rimesso in discussione tutta le strategia della campagna elettorale democristiana. Quasi tutti gli ambienti della Dc milanese, soprattutto il gruppo doroteo dell’avv. Colombo e del dott. Morazzoni, erano ben decisi ad appoggiare altri candidati tra i quali l’ex-basista e vice sindaco di Milano dott. Andrea Borruso, per evitare che De Carolis risultasse primo degli eletti a Palazzo Marino. Gli avvenimenti di ieri creeranno forse un fatto nuovo. Costringeranno, cioè, tutta la Dc milanese a fare quadrato attorno a De Carolis, che potrebbe diventare, contro la volontà di tutti, la bandiera della Dc milanese. A cosi poche ore di distanza, ogni previsione, tuttavia è prematura.>> (Nota 16 maggio 1975. All. 1)
Come è noto, l'avv. De Carolis otterrà un notevole successo personale che gli spianerà la strada - in occasione delle elezioni politiche dell'anno seguente- del Parlamento. Al contrario le cose andranno assai male per la Dc che perderà sia la giunta comunale che quella provinciale (così come perderà le regioni Piemonte, Marche e Lazio, oltre ai comuni di
Torino, Roma, Genova, Venezia e Napoli): la più grave sconfitta subita dalla Dc dalla Liberazione sino al 1983. In questo esito così pesante, un ruolo notevole sarà giocato dai numerosi episodi di corruzione e malversazione emersi in quegli anni e proprio la Dc milanese fu particolarmente investita da tale ondata.
6) Gli scandali Cipes e Coi-Casa.
Già nel febbraio del 1972, l'informatore della "squadra 54" segnalava << Per il momento si è potuto apprendere, soltanto, che la DC ha già deciso di appoggiare in forma massiccia l’onorevole Franco Verga presidente del Centro Orientamento Immigrati, che nel 1968 fu eletto con 34 mila voti di preferenza. L'onorevole Verga ha dichiarato d'aver firmato oltre trecento milioni di cambiali e che una sua eventuale caduta alle elezioni metterebbero in moto un movimento negativo che lo porterebbero al fallimento.>> (Nota 11 febbraio 1972. All. 1)
Infatti, l'onorevole Verga, della sinistra di Base, nell'ambito delle sue iniziative a favore degli immigrati meridionali -che costituivano la parte prevalente della sua clientela elettorale- aveva dato vita a due consorzi per l'acquisto di abitazioni in cooperativa (Coi-Casa e Coi-Domus); ma, ben presto, i fondi così raccolti, erano serviti per altri scopi (campagne elettorali, mantenimento dell'apparato di corrente ecc.), di qui le preoccupazioni dell'onorevole per una sua mancata rielezione che,
inevitabilmente, avrebbe portato allo scoperto gli ammanchi. L'on Verga venne rieletto nelle elezioni del 7 maggio 1972, ma, sfortunatamente per lui, ciò non bastò a sanare la difficile situazione e, infatti, un anno e mezzo dopo, l'informatore del maresciallo Alduzzi tornava a riferire: << Negli ambienti della Democrazia Cristiana milanese, sta creando viva apprensione la situazione finanziaria del Centro Orientamento Immigrati fondato alcuni anni addietro e presieduto dall’ on. Franco Verga. Negli ultimi mesi la posizione contabile del Centro si è fatta ulteriormente pesante e viene confermato che i debiti ascendono a non meno di settecento milioni. Per la maggior parte si tratta di cambiali e di assegni che l'on.Verga ed i suoi collaboratori hanno speso a piene mani. In massima parte si tratta di assegni di favore che il Verga si è fatto consegnare da amministratori e presidenti di cooperative edilizie, alle quali aveva promesso aree a buon prezzo e prestiti dalla Cassa di Risparmio. L'on. Verga due anni addietro aveva creato due consorzi edilizi: il Coi-Casa. ed il Coi-Domus che hanno assolto, appunto, alla funzione di specchietto per le allodole, nei confronti di cooperative e di imprese di costruzione. Il mese scorso, nella speranza di evitare uno scandalo, che scoppierà presto o tardi, il segretario cittadino della Dc, avv. Gino Colombo, aveva incaricato il dott. Pietro Bruschi, persona molto esperta, in questioni cooperativistiche ed amministrative, di assumere la presidenza del Coi e di liquidare tutte le pendenze dell'on. Verga, il quale aveva denunciato debiti per circa, 150 milioni di lire. Il dott. Bruschi voleva rilevare le posizioni delle cooperative edilizie ed affidare le
costruzioni ad un complesso costituito due anni fa dal dott. Cartotto, esponente della Corrente di Base, e che funziona molto bene. Si tratta del Consorzio Cepis. Ma la verifica dei creditori ha portato alla scoperta che i debiti superano i 700 milioni di lire. Donde la decisione del Bruschi e del Colombo di abbandonare l' on. Verga al suo destino.Il dott. Bruschi ha già rassegnato le dimissioni da presidente del Coi.>> (Nota 7 dicembre 1973. All. 1)
In realtà, il consorzio presieduto dal Cartotto (che si chiamava Cipes e non Cepis) non navigava affatto in acque migliori di quelle del Coi-Casa ed, anzi, rappresentava una gatta ancor peggiore da pelare.Il Cipes era stato promosso qualche anno addietro da una cordata base-dorotei (l'antica intesa Colombo-Marcora) e, per le stesse ragioni che avevano prodotto il dissesto del Coi-Casa, si trovava in una situazione ancor più critica: << Neppure i risultati elettorali, negativi anche nei piccoli centri della provincia di Milano, e la formazione del Governo, hanno distratto un gruppo di dirigenti della DC milanese e romana, che stanno discutendo il salvataggio del Consorzio edilizio Cipes, che le correnti di Base e dorotea avevano costituito nel 1970 e che ora si trova sull’orlo del fallimento mancando una quindicina di miliardi per completare il programma di lavoro che era stato predisposto. Presidente è attualmente il dott. Dal Miglio ma fino a pochi mesi fa la carica era tenuta dal basista Enzo Cartotto entrambi molto legati al senatore Marcora. Le trattative vengono condotte prevalentemente dal vicepresidente della Cassa di Risparmio, avv. Camillo Ferrari il
quale tende ad eliminare il gruppo dei dorotei che fanno parte del Cipes, sia pure in minoranza, e che è guidata dal segretario cittadino, avv. Gino Colombo. Pare che i soldi siano stati reperiti presso una banca tedesca controllata dai sindacati cattolici, ma adesso la situazione diventa pesante in quanto non riescono ancora a trovare un accordo sul nome della persona che gestirà la somma e sui modi di spenderla. I dorotei vorrebbero che fosse completato rapidamente il programma edilizio, i basisti, invece, sono più favorevoli a cercare il modo di mettere in moto alcune operazioni speculative, guadagnare del denaro e poi completare le case. Intanto continuano le proteste dei circa 3.000 soci che hanno versato anticipi anche di parecchi milioni e che ancora non hanno avuto la casa. Si teme che qualcuno di essi presenti un esposto alla Procura della Repubblica. Se ciò accadesse, dicono i Dc, lo scandalo sarebbe di dimensioni nazionali e parecchi degli attuali esponenti della Dc milanese finirebbero sul banco degli imputati per bancarotta.>> (Nota 22 novembre 1974.
All. 1)
La situazione peggiorava rapidamente: << La vita interna della D.C. milanese è stata caratterizzata nella scorsa settimana da una serie de febbrili incontri a tutti i livelli per trovare una soluzione ai gravi problemi di natura finanziaria che attanagliano i due massimi settori finanziari della Dc milanese e lombarda: il Cipes ed il Coi-Casa In entrambi i casi, la situazione di cassa è notevolmente pesante (non meno di quattro o cinque miliardi
di disavanzo), mentre oltre tremila soci, che hanno anticipato il denaro, attendono d’ essere immessi nelle case che sono state loro promesse. Purtroppo, in entrambi, i casi, notevoli somme - non meno di tre miliardi - sono stati sottratti per interessi di partito, di corrente o di gruppetti ed ora non si sa come uscirne. La corrente democristiana più compromessa in questa vicenda è quella di Base che proprio a Milano fa capo all’attuale ministro dell’Agricoltura, sen. Marcora. Ma, sia pure parzialmente nello scandalo che potrà travolgere da un momento all’altro il Cipes è coinvolta anche la corrente dorotea. Anzi in prima persona, compare il capo dei dorotei lombardi, il presidente della giunta regionale, avv. Gino Colombo. Secondo notizie di buona fonte, dei tre miliardi scomparsi, due sarebbero andati alla corrente di Base e circa uno ai dorotei. Da che parte è stato prelevato tanto denaro? … Dalle cooperative, circa una ventina, che avevano affidato al Cipes l’incarico di realizzare i loro programmi di edificazione. Le stesse fonti informano che le cooperative danneggiate non potranno in alcun modo rifarsi. Soprattutto perché di queste operazioni è scomparsa ogni traccia e le cooperative non potranno mai provare d’ aver anticipato quei tre miliardi al Cipes e ai dirigenti della Dc milanese. I presidenti della varie cooperative proprio nei giorni scorsi sono stati ricevuti dall’ ex vice-prefetto La Neve, persona molto legata agli ambienti Dc, ed è stato convenuto che tutti i bilanci delle cooperative danneggiate saranno “truccati” allo scopo di evitare le giuste proteste dei soci delle medesime. La truffa resterà un segreto tra i beneficiari ed i presidenti delle cooperative.
Tutto questo maneggio non è sfuggito all’altro gruppo cooperativo della Dc lombarda nel settore dell’edilizia popolare: si tratta del CoiCasa e del Coi-Domus, che ha a sua volta raccolto un disavanzo che supera il miliardo e mezzo di lire. Presidente dei due consorzi è il basista on. Verga il quale ha chiesto l’intervento del partito per evitare il fallimento e un ennesimo scandalo. Nei giorni scorsi tutta la complicata matassa è finita nelle mani di un gruppo di tre professionisti: un certo dott. Rocco, commercialista e persona di fiducia del sen. Marcora; un certo dott. Corno di Lissone, commercialista e persona di fiducia dell’avv. Colombo e l’avv. Massimo De Carolis, vicesegretario cittadino della Dc. I tre stanno studiando di affidare ad una grande impresa di costruzione forse la Farsura, l’incarico di completare i piani di fabbricazione del Cipes, del Coi-Domus e del Coi-Casa, allo scopo di risolvere tutto il problema del rapporto con i soci che cominciano a inviare petizioni ed a minacciare la pubblicazione di articoli sui giornali di sinistra. I tre professionisti invece con l’appoggio della Cassa di Risparmio che si è già detta disponibile – risolverebbero i problemi di ordine finanziario che si aggirano attorno ai venti miliardi. Le riunioni continuano e dovrebbero concludersi prima di Natale. In caso contrario, assisteremo ad uno dei più grossi scandali che mai si siano verificati a Milano, e per la Dc sarebbe un gravissimo colpo. >> (Nota 17 dicembre 1974. All. 1)
Né la situazione trovava sbocco nei tentativi che si susseguivano l'uno all'altro, senza alcun esito concreto:
<< La vicenda politica e finanziaria del consorzio Cipes e della finanziaria Cefin è ancora più che mai al centro di una serie di riunioni svoltesi nei giorni scorsi a Milano nella sede della Cefin, in piazza Diaz, e negli uffici dei notabili della Dc. Le ultime notizie,
risalgono alla
sera di giovedì, danno per
probabile il passaggio di tutte le attività a un gruppo romanosiciliano guidato dal dott. Bozan (o Bazzan ), figlio dell’ex-presidente del Banco di Sicilia processato e condannato per lo scandalo dei “ Gronchi rosa”, il quale attualmente è proprietario di una finanziaria. Egli
è appoggiato da Fanfani ed è persona di fiducia del
sottosegretario Lima. Le stesse notizie dicono che al tavolo delle trattative si sia seduto, come protettore degli ex-amministratori del Cipes, l’ ex-ministro Ripamonti, il quale, in questo momento, ha assunto a Milano la funzione di anti-Marcora. In altre parole sia il Cipes, che la Cefin, che ruotavano nell’ orbita della corrente di Base, si spostano sotto il controllo dei fanfaniani, i quali sperano, a Milano, di rompere il gruppo basista, o meglio di mettere in minoranza all’ interno di esso l’ attuale ministro dell’ Agricoltura. Le trattative continuano, ma le ultime mosse sono state rinviate a quando Marcora tornerà a Milano per le ferie di Natale.>> (Nota 20 dicembre 1974. All. 1)
Il protrarsi della sofferenza finanziaria dei due consorzi portava inevitabilmente la questione in sede giudiziaria, sia per l'iniziativa di alcuni soci truffati, sia perchè la compattezza del fronte degli amministratori iniziava a cedere e si manifestavano le prime defezioni:
<< …2°)-negli ambienti della sinistra D.C. si annunciano a breve scadenza gravi rivelazioni sul caso del Cipes. Uno dei consiglieri d’amministrazione della Finanziaria Cefin, collegata al Cipes, l’avv. Roberto Valenza avrebbe annunziato ad un gruppo di amici d’essere pronto
a
depositare
in
Procura
della
Repubblica
tutta
la
documentazione sulla truffaldina attività del Cipes e delle società collegate, tra le quali appunto la Cefin. Egli avrebbe chiesto udienza al giudice Turone, al quale è legato da vecchia amicizia. La bomba potrebbe scoppiare prima delle elezioni del 15 giugno. Una decisione è stata rinviata a un nuovo colloquio tra l’avv. Valenza, che è di obbedienza fanfaniana, e l’avv. Gino Colombo;…>>
(Nota 13
maggio 1975. All. 1)
Ad intorbidare ulteriormente le già poco limpide acque, provvedeva anche il gruppo collegato a De Carolis, cui non sembrava vero di poter regolare qualche conto con gli antichi nemici della sinistra di Base e del guppo di Gino Colombo: << Negli ambienti democristiani milanesi viene confermata la notizia pubblicata la scorsa settimana dall’agenzia giornalistica Anipe, che è diretta dal dott. Michele Ricci Darcangelo e che è sovvenzionata dal capo della corrente più estrema della destra democristiana, avv. Massimo De Carolis. Secondo tale agenzia venerdi scorso sarebbero venuti alle mani per motivi strettamente legati alla divisione del potere all’interno della corrente dorotea lombarda, il segretario
cittadino della Dc avv. Gino Colombo, il vice-segretario provinciale dott. Gaetano Morazzoni e l’on. Carlo Sangalli. Il primo contro il secondo e il terzo. Al termine della colluttazione, avvenuta alla sede della Dc di via Camminadella, l’on., Sangalli avrebbe avuto la peggio e sarebbe stato ricoverato per alcune ore in una clinica cittadina. Lo scontro tra l’avv. Colombo e il dott. Morazzoni sarebbe poi continuato nella sede della Dc in via Nirone e ad esso avrebbe partecipato anche il vice-presidente della Cassa di Risparmio avv. Camillo Ferrari, il quale avrebbe preso le difese del Morazzoni. L’avv. Colombo avrebbe minacciato entrambi con una pistola. La notizia -vera perché confermata anche dall’avv. Colombo- mette in luce lo stato di tensione che esiste in seno alla Dc milanese. Ieri è giunto da Roma allo scopo di tentare alcuni accomodamenti anche il redattore capo del “Popolo”, dott. Pellegrini (che alloggia al Continental), il quale è molto legato all’on. De Mita. Il problema di fondo resta quello dei rapporti tra il partito (correnti di sinistra e il gruppo Colombo) con il gruppo De Carolis. Alcuni vorrebbero che De Carolis fosse addirittura espulso dal partito. Intanto è stato deciso di non riconfermare De Carolis capo del gruppo consigliare a Palazzo Marino. L’incarico andrà al dott. Borruso del gruppo “Comunione e Liberazione”. >> (Nota 27 giugno 1975. All. 1)
" Lo stato di tensione che esiste in seno alla Dc...": come dire che nella notte di San Valentino "erano tutti molto nervosi"...
Ed è in questo clima che nascono tanto l'uso scandalistico della vicenda da parte di De Carolis, quanto il progetto degli altri di defenestrarlo. Progetto che, come abbiamo detto, avrà limitato esito anche a causa della sagace iniziativa brigatista. Un
gruppo
dirigente
così
dilaniato,
naturalmente,
non
era
minimamente in grado di far fronte alle falle che andavano aprendosi una dietro l'altra: in luglio l'ex direttore generale del Cipes, Marcello Campanini -da tempo in rotta con la Dc, di cui non aveva rinnovato la tessera- manifestava la volontà di diffendersi rivelando quanto a sua conoscenza: <<…Il Campanini, a quanto è dato di sapere vorrebbe pubblicare a puntate tutti i documenti riguardanti la gestione del Cipes e in modo particolare quelli attinenti i finanziamenti concessi a molti uomini politici democristiani e non democristiani di Milano e della Lombardia. Secondo anticipazioni di buona fonte sul numero che sarà spedito ai giornali nella giornata di oggi l’Anipe accuserà il capo del gruppo consiliare della Dc in regione, il basista Guzzetti di Como di aver prelevato come sovvenzione – non meglio indicata – la somma di £ 5.000.000 dalle casse del Cipes. Secondo l'Anipe, il Guzzetti, tramite il centro Kennedy di Como, avrebbe collocato nell'orbita del Cipes alcune cooperative edilizie di Como, i cui soci sono stati, a loro volta, truffati. Tra qualche giorno l'Anipe pubblicherà anche la notizia che il segretario priovinciale del Psi, Luigi Vertemati, riceveva un assegno mensile di 1 milione per agevolare il rilascio delle licenze
edilizie al Cipes nei comuni controllati dai socialisti>> (Nota 15 luglio 1975. All. 1)
Parallelamente a queste vicende, precipitava la situazione del CoiCasa: in giugno erano arrivati i primi mandati di cattura per i dirigenti amministrativi del consorzio; il 3 luglio si costituiva il presidente della cooperativa, Sergio Bettarello che, appena giunto a San Vittore, iniziava a deporre accusando l'on. Verga di essere il vero responsabile della situazione e fornendo molti documentati particolari a sostegno della sua tesi. In particolare, Bettarello accusò il deputato democristiano di aver illecitamente intascato il 5% delle vendite immobiliari del consorzio. Il 25 luglio il parlamentare riceveva un avviso di re ato per truffa ai danni dello Stato, bancarotta fraudolenta e associazione a delinquere. Verga tentava di difendersi con una mossa disperata: pubblicava -sul Corriere della Sera del 28 luglio- una lettera al neo segretario della Dc Zaccagnini, chiedendogli di intervenire per ripianare il disavanzo del Coi Nord, ma la lettera resterà senza alcuna risposta: << Contemporaneamente offre le sue dimissioni da deputato ma, ancora, non viene ascoltato. Forse qualcuno si ricorda di quando, non molto tempo prima, arrivò a tentare di vendere il proprio seggio al primo dei non eletti nella sia circoscrizione. O forse qualcuno ritiene che si sia bruciato troppo. >> (Quotidiano dei Lavoratori 29 agosto 1975, p. 2).
Alle sei del mattino del 28 agosto 1975, l'on Verga veniva trovato annegato in una fontana, sormontata dalla statua di S. Antonio,
all'angolo fra via Farini e via Ferrari. Ai piedi della statua veniva rinvenuta una lettera nella quale Verga chiedeva scusa per il suo gesto, esprimendo la speranza che esso potesse, in qualche modo, giovare alle 106 famiglie che rischiavano di perdere la casa per il dissesto dei Coi Nord. Nella lettera di precisava che la decisione suicida era maturata nel giorno in cui cadeva il novantottesimo anniversario della morte di Santa Teresa del Bambin Gesù. In mano, il deputato aveva un rosario, in tasca, accanto alle foto dei genitori, una immagine della stessa Santa Teresa ed un'altra corona del rosario. Una veloce istruttoria concluse che si era trattato effettivamente di suicidio, ma senza nascondere diversi dubbi. E di dubbi, in verità, non ne mancano neppure a distanza di ventisette anni: suicidarsi tenendo forzatamente la testa nell'acqua non è cosa che appare nè facile nè probabile. In secondo luogo, l'on Verga era un convinto cattolico: possiamo agevolmente riconoscere che non mancano esempi di cattolici, anche ferventi, che si siano tolti la vita, ma, per quanto nessuno può dire cosa passi per la mente di un uomo in quei frangenti, la scelta della fontana sormontata da una statua di S. Antonio, la precisazione, nella lettera, che la decisione di uccidersi era stata presa nell'anniversario della morte di Santa Teresa del Bambin Gesù -come se si trattasse di una buona azione- e tutto quell'apparato di santini e rosari, a far da scenografia ad un atto così violentemente contrario alla morale cattolica, lascia il sentore di una grottesca messa in scena. In ogni caso, la scomparsa di Verga non giovava affatto a calmare la situazione in casa Dc:
<< Tutte le correnti della Democrazia Cristiana milanese si sono trovate d’accordo di decidere l’espulsione dal partito del dottor Michele Ricci D’Arcangelo direttore responsabile dell’Agenzia giornalistica Anipe, che conduce ormai da parecchi mesi un’accesa campagna propagandistica contro i maggiori esponenti del partito. La decisione va messa in relazione soprattutto agli articoli pubblicati contro la Dc milanese dopo la morte dell’on. Verga e dopo lo scandalo Cipes. Si aggrava intanto anche la posizione del geom. Marcello Campanini che faceva parte del Cipes con funzioni di direttore generale e che non è più iscritto alla Dc, ormai da due anni. Il Campanini, da qualche mese, è subentrato all’avv. De Carolis, quale amministratore e proprietario di due società del gruppo Cipes, la Ciert e la Panconsulting dichiarate fallite alla vigilia dell’estate. Secondo buone fonti, la Dc si sarebbe mobilitata per rendere impossibile ogni salvezza del Campanini, contro il quale viene sollecitato in Procura l’emissione di un mandato di cattura per bancarotta fraudolenta. Il Campanini, dal canto suo, si prepara a pubblicare tutta una serie di documenti riguardanti i rapporti finanziari tra alcuni esponenti della Dc milanese e il Cipes.>> (Nota 9 settembre 1975. All. 1)
La feroce lotta fra le diverse correnti democristiane, peraltro, cresceva di giorno in giorno, coinvolgendo ulteriori esponenti: << ….Dc – Il fatto più saliente è costituito da una pesante presa di posizione contro Bassetti da parte degli ambienti ufficiali di Roma.
Un esponente del gruppo dirigente, persona molto vicina all’on. Andreotti ha chiesto, tramite un ufficio del Ministero della Difesa, che siano posti sotto controllo cinque o sei telefoni dei vari uffici di Piero Bassetti. Fino ad oggi il dirigente della Sip interpellato ha risposto che la richiesta non può essere accettata, perché troppo pericolosa. Il fatto dà comunque la misura della lotta che è in corso tra Bassetti e gli ambienti ufficiali della Dc.>> (Nota 14 ottobre 1975. All. 1)
Anche la nuova segreteria provinciale, in carica da meno di un anno, veniva assorbita dalla bufera: << Da fonte confidenziale si è appreso che la posizione dell’attuale segretario provinciale della Dc Gianstefano Frigerio, si sarebbe fatta, in questi ultimi tempi molto precaria. Ciò è dipeso in primo luogo all’amicizia che lo legava ad Ezio Cartotto ed a Adriano Dal miglio, ambedue basisti come il Frigerio, coinvolti nel noto scandalo Cipes. Si dice che grazie all’apporto determinante dei due soprannominati, il Frigerio sarebbe stato eletto, a suo tempo, segretario provinciale della Dc, con il segreto proposito di creare all’interno dello stesso gruppo di base, una frattura che determinasse, nel volgere di poco tempo, la fine di quella sudditanza nei confronti del Senatore Giovanni Marcora, capo riconosciuto ed indiscusso leader della stessa corrente. La bancarotta del Cipes, di cui il Cartotto ne aveva fondato le basi (1972) e quindi ne aveva assunto la presidenza fino al marzo 1974,
succeduto, poi, nella carica, fino al fallimento completo, dal Dal miglio, mandava completamente in frantumi i piani prestabiliti, piani che consistevano nel creare attraverso il Cipes e con speculazioni edilizie, quella indipendenza economica dall’ingerenza, sempre meno sopportata dallo stesso Marcora. A quanto afferma sempre la stessa fonte, il Marcora, approfittando del momento propizio faceva chiedere al Frigerio, tramite l’avvocato Camillo Ferrari, vice presidente della Cassa di Risparmio, di sconfessare pubblicamente l’operato del Cartotto e del Dal miglio, invitando gli stessi, con il ben noto comunicato stampa, emesso dalla segreteria provinciale alla vigilia della campagna elettorale, a non più rappresentare la Dc in pubblico e nel contempo ammoniva il medesimo (Frigerio), sempre tramite il Ferrari, che il Marcora non era più disposto a tenere piedi in più staffe. Al Frigerio, in questi ultimi tempi, vengono rivolte, fra l’altro, molte critiche, da parte dei suoi amici e avversari, in politica. Soprattutto lo accusano di non essere stato capace di assolvere al suo mandato, in qualità di segretario provinciale, di non essersi interessato attivamente nella propaganda elettorale prima delle elezioni e dopo i risultati di essi, di aver lasciato ad altri l’incarico di assolvere delicati problemi durante le trattative con gli altri partiti. L’accusa più demolitrice gli viene fatta dai suoi ex amici Cartotto e Dal miglio, con la raccolta, a quanto si dice, di una pesante documentazione su grosse operazioni economiche da questi gestite a Milano e provincia. La documentazione di cui sopra verte sui seguenti fatti:
Si dice che ad accelerare la caduta del Frigerio, uno dei più accaniti accusatori sarebbe il consigliere comunale Ilario Bianco, il quale preposto da Roma, alla tutela degli interessi del partito, avrebbe in questi giorni raccolto le prove della cessione gratuita al Frigerio, avvenuta a suo tempo, da parte del Cipes, di ben cinque lussuosi appartamenti e, intestati, poi, a nome dei suoi familiari. Si sostiene anche che con la caduta del Frigerio, lombarda,
vorrebbe
dimostrare
la Democrazia Cristiana
all’opinione
pubblica,
ma,
soprattutto alla segreteria nazionale, che ha ultimamente concesso a Bianco Ilario, la somma di un miliardo e trecento milioni di lire per tamponare le falle del Cipes, che il partito della Dc
ha ormai
definitivamente imboccato la strada della moralità e dell’onore.>> (Nota 24 ottobre 1975. All. 1)
Per la verità, Gianstefano Frigerio sopravviverà a quella tempesta ed avrà modo di far riudire il suo nome molti anni più tardi, in occasione delle inchieste su "Tangentopoli"; ma, per tornare al Cipes, è interessante leggere la nota confidenziale del
25 novembre 1975, che, forse,
rappresenta il punto più rilevante dell'intera vicenda: << Un'altra notizia e venuta a muovere le acque della dirigenza DC milanese, già così agitate. Secondo notizie di buona fonte, al Palazzo di Giustizia si afferma che una parte delle somme dei riscatti, depositate dalla banda Liggio presso la fallita "Banco di Milano", sarebbero passati dalle mani di alcuni esponenti del gruppo "Cipes". La notizia però merita una certa conferma.
Comunque il meccanismo sarebbe il seguente: il denaro proveniente dai riscatti, dalle mani dei cassieri delle Bande, sarebbe stato portato ad una persona di fiducia di Padre Zucca e del direttore del "Banco ", dott. De Luca. Si tratterebbe di un architetto milanese, Giovan Battista Arzuffi, originario di Bergamo e di famiglia molto facoltosa, ma avviato ad una vita molto dispendiosa a causa dell'uso prolungato di stupefacenti. Molto amico di Padre Zucca e del dott. De Luca, egli avrebbe assolto a questa funzione, mettendo a disposizione anche i suoi uffici di Corso Porta Nuova, a pochi passi dal Convento dell'Angelicum. Con lui avrebbe operato uno dei dirigenti del Cipes, quel Campanini, che sulla Agenzia "Anipe", aveva iniziato la pubblicazione di un "libro bianco", poi interrotta pare per interventi altolocati. Si parla addirittura del Cardinale Colombo, o di un suo portavoce. Se la notizia troverà conferma, le vicende del Cipes assumerebbero una nuova tinta ancora più fosca. Sino ad ora non si sa chi abbia portato queste notizie al Palazzo di Giustizia, ma è certo che i carabinieri ne sono stati informati dettagliatamente ed il loro Comando sembra voler chiedere la collaborazione della Guardia di Finanza per indagare sopratutto sull'Arzuffi e sui suoi conti in banca.>> (Nota 25 novembre 1975. All. 1)
La nota è assai cauta sottolineando che la notizia è da confermare; pertanto conviene assumerla come un interessante indizio; giova, però, ricordare questi elementi già emersi in precedenza: a- la compromissione del Mar di Fumagalli nel sequesto Cannavale
b- l'asserita appartenenza di Fumagalli al Noto Servizio c- i documentati rapporti fra Fumagalli e Luciano Leggio (sul punto si veda l'11° relazione di questo ctu a codesta Ag) d- la contiguità di altri elementi indicati come appartenenti al Noto Servizio e il noto contrabbandiere Cichellero in vicende quali lo scandalo Ambrosio, la vicenda dei falsi danni di guerra ecc. (su questo si veda, oltre che l'11°, anche la 2° rell. pp. 15 e segg.) e- le note relazioni fra Cichellero e Leggio (sul si veda tanto l'11° quanto la rel 28-34-40 pp. 141-51). Nonostante questa ondata di scandali, la Dc riusciva a superare la crisi di consensi e, in occasione delle politiche del giugno 1976, a fermare l'emorragia elettorale (pur se a costo di ridurre allo stremo tutte le altre forze politiche di centro e di destra) così da mantenere ancora la maggioranza relativa. Il risultato venne vissuto dalla Dc come un eccezionale successo (e, in chiave difensiva, esso effettivamente lo era) dovuto alla nuova segreteria Zaccagnini. Iniziava, in questo modo, il ciclo della leadership di sinistra che terminerà solo a fine anni ottanta e che segnò la fine dell'instabilità del gruppo dirigente Dc. Anche a Milano, superata il 1976, la bufera andò via via placandosi ma, mentre a livello nazionale, la stabilizzazione faceva pendere il piatto di sinistra della bilancia, a Milano le cose andarono più favorevolmente alle componenti moderate del partito: <<
Negli
ambienti
politici
milanesi,
ha
suscitato
notevole
impressione e in certo senso stupore il largo spazio dato da molta stampa al successo dei moderati al congresso cittadino della Dc. Anche nella Dc si registra il medesimo stato d’animo. I moderati
infatti sono sempre stati in maggioranza nella direzione e nel comitato cittadino della Dc milanese e il congresso di domenica scorsa non ha fatto altro che confermare quanto già era accaduto negli ultimi vent’ anni. Eventualmente il fatto nuovo è costituito dal successo personale di Massimo De Carolis. Ma anche questo è un episodio che dovrebbe essere ridimensionato. Il successo di De Carolis è essenzialmente giornalistico e pubblicitario. Gli eletti della corrente di De Carolis non sono stati in numero maggiore di quelli di Gino Colombo (tanto per fare un esempio) con la differenza che essi, in massima parte, sono figure di terzo e di quarto ordine, controllate da un consigliere dell’ Ospedale Fatebenefratelli, il dott. Gallinoni, il quale guida una sorta di ”banda di affamati ” che sono alla ricerca di un piccolo spazio di potere e di qualche incarico mediamente retribuito. Se De Carolis non riuscirà a dar loro un pezzetto di sottogoverno ( e a Milano è difficile perché il comune e la provincia sono in mano al Pci e al Psi e la regione è controllata dalla sinistra di Base), il gruppo di De Carolis potrebbe anche sciogliersi come le nevi di primavera. Non è poi detto che De Carolis riesca a portare il suo uomo , cioè Gallinoni o il numero due dr. Craveri, alla segreteria cittadina, anzi, sono in molti a giurare che ciò non avverrà. Già nei giorni scorsi, prima del congresso si diceva che Vittorio Colombo, Andrea Borruso e Gino Colombo stessero tessendo un nuovo accordo per spaccare il cartello dei moderati e rinforzare il gruppo centrista. In altre parole Gino Colombo e i suoi amici si unirebbero a “Forze Nuove ” a “Comunione e Liberazione“ e agli ex basisti dell’on. Mazzotta per formare un grosso gruppo di potere capace di controllare le due
segreterie:
quella
cittadina
e
quella
provinciale,
lasciando
all’opposizione De Carolis sulla destra e Marcora sulla sinistra. La decisione, già presa in linea di massima, non è stata ancora resa ufficiale per due motivi: prima di tutto perché si vuole attendere il congresso provinciale in programma per l’inizio di dicembre. Secondo perché Gino Colombo sta cercando di portare con sé altri notabili moderati (Carenini, Morazzoni, Sangalli e Cannarella). Costoro rappresentano circa la metà del gruppo moderato.
Se
l’operazione di sganciamento pensata da Gino Colombo dovesse riuscire, De Carolis resterebbe solo e la sua posizione, anche di fronte all’opinione pubblica, crollerebbe nel volgere di qualche mese. >> (Nota 23 novembre 1976. All. 2)
In effetti,De Carolis, per quanto isolato, non crollò in pochi mesi: ancora alle politiche del 1979, giunse secondo con ben 86.219 preferenze, ma il suo gruppo ebbe sempre un peso congressuale molto più limitato e, quando nel 1981 il suo nome comparve negli elenchi della P2, la sua carriera politica si interruppe, perchè la Dc non lo presentò più in lista. Privo di un suo supporto organizzato, non gli restò che ripiegare sul Parlamento europeo, sino al 1984, per poi uscire di scena sino a metà anni novanta. La morte di Giovanni Marcora, nei primissimi anni ottanta, rimosse, in qualche modo, il problema della sua ingombrante presenza nella Base che proseguì ad avere un notevole peso nella Dc lombarda, ma con una diversa leadership (Granelli, Rognoni, Mazzotta). I "moderati" ebbero alterne vicende, ma, nel complesso, restarono una componente di tutto rilievo nel partito milanese, ben più influente di quanto gli stessi settori non fossero a livello nazionale: Sangalli, grazie al
bacino elettorale della Coldiretti, continuò ad essere eletto per tutti gli anni ottanta, altrettanto accadde a Gianni Rivera - il pupillo di Padre Eligio Gelmini- e ad Andrea Borruso; andò, invece, male a Carenini la cui comparsa negli elenchi della P2 comportò l'esclusione dalle liste, e a Gaetano Morazzoni che eletto nel 1979 (con 25.523 preferenze) venne bocciato nelle successive. Contemporaneamente iniziò l'ascesa del gruppo di Comunione e Liberazione che -dopo essere stato rappresentato da Andrea Borrusoriuscì ad eleggere il suo leader Roberto Formigoni nel 1987 (con 133.613 preferenze, primo eletto, quel che si ripeté anche nel 1992). La vicenda giudiziaria del Coi-Casa perse ogni rilievo dopo la morte dell'on. Verga; il caso Cises trovò una sua composizione anche grazie all'intervento di costruttori edili vicini alla Dc. Di quella Tangentopoli ante litteram - che abbiamo appena rievocatonon restò neppure il ricordo.
7) Padre Enrico Zucca. Già da quanto siamo andati dicendo sin qui, emerge la figura di particolare rilievo di Padre Zucca, messa in risalto anche dalle dichiarazioni di diversi testimoni: << ... debbo fare un inciso, padre Zucca era in condizione di convocare sia Forlani che Andreotti senza che questi avessero a protestare. Ciò era dovuto ad un fatto per voi difficilmente
percepibile: padre Zucca era l'uomo in grado di orientare l'enorme ed influente bacino elettorale lombardo della Dc. Gino Colombo e Massimo De Carolis erano stati creati politicamente da padre Zucca. All'Angelicum si riuniva l'intelligenza e la finanza lombarda, da Eugenio Scalfari ad Indro Montanelli, da Panunzio a Cuccia. Anche il gran maestro De Bernardo, benchè lo Zucca fosse già defunto, , riunì la prima Loggia dello scisma all'Angelicum.>> (verbale s.i. rese da M. Ristuccia 23/03/1999)
<<....l'avvocato Gino Colombo che divenne segretario generale della Fiera di Milano... venne sponsorizzato per l'incarico in Fiera proprio da padre Zucca, benchè osteggiato dal segretario generale Michele Guido Franci...>> (verbale s.i. rese da M. Ristuccia 9/12/1998)
<<
(Padre Zucca) ...era una figura molto simpatica ed eravamo
diventati molto amici. Ricordo che aveva addentellati in tutta Italia ed un notevole ascendente su alti personaggi della vita politica ed economica del paese.>> (verbale s.i. rese daG. Pedroni 5/4/2000)
<< ... Ritengo che sia stato padre Zucca a sostenere la carriera politica di Rivera...>> (verbale s.i. rese daL. Pizzinelli 21/1/2000)
<< ... Ricordo che all'epoca Padre Zucca era un personaggio dell'ambiente milanese piuttosto influente, bastava una sua
raccomandazione per risolvere le problematiche legate all'attività della Promoter Art.>> (verbale s.i. rese da M. Giancaterina 22/3/2002)
Forse è un po' eccessivo pensare che Padre Zucca fosse "in grado di orientare l'enorme ed influente bacino elettorale lombardo della Dc ": in fondo, nella Dc lombarda prevalevano gli uomini della Base che era la corrente meno influenzata dal pur autorevole francescano. E, d'altra parte, se appare largamente credibile che Gino Colombo e Massimo De Carolis fossero stati "politicamente inventati" dallo stesso sacerdote, è anche vero che li abbiamo visti duramente impegnati l'uno contro l'altro, il che fa capire che il controllo dell'intraprendente frate fosse venuto meno su almeno uno dei sue. Dunque, è possibile che qualcuna delle valutazioni qui riportate risenta di una enfasi eccessiva, ma è fuori discussione che Padre Zucca fosse un personaggio molto influente e dotato di contatti di altissimo livello, come dimostra -ad esempio- la vicenda della Fondazione Balzan, che lo vede trattare disinvoltamente con i capi di Stato di Italia e Confederazione Elvetica. E' noto che la chiesta di Sant'Angelo, in via Moscova, era il punto di riferimento dell'alta borghesia milanese sulla quale padre Zucca esercitava un notevole ascendente. E, infatti, da Ambrosio a Cabassi, i finanzieri in contatto con il frate erano assai numerosi. Inoltre, egli era abbastanza potente anche negli ambienti ecclesiastici, anche ben al di là del suo Ordine e della sua Diocesi. Probabilmente, tale vasta e riconosciuta influenza era dovuta anche ad innegabili doti personali: qualche testimone (come la Meneghelli) ne
parla come di "un trafficone" ed il giudizio, come si vedrà, non appare infondato, ma è ragionevole supporre che, quel che a taluni appare come trafficoneria, ad altri può sembrare capacità organizzativa, dinamismo, intraprendenza. E non c' è dubbio che il francescano fosse molto intraprendente. Così come è evidente che l'estesissima rete di contatti fosse, in qualche modo, il prodotto di sè stessa: per un abile public relations man -quale era in sommo grado lo Zucca- ogni contatto è la premessa per un successivo legame e il loro insieme costituisce l'ottimo biglietto da visita per avviarne uno ulteriore. Sotto questo aspetto, la vicenda del religioso milanese costituisce un esempio da manuale di sociologia delle relazioni. Essa appare tanto più significativca e sorprendente se messa in relazione alla difficile situazione nella quale il frate minore deve essersi trovato nel 1946, all'indomani della vicenda del trafugamento della salma di Mussolini, che lo aveva portato a San Vittore. Fra i documenti reperiti in questa occasione, ve ne è uno che descrive con blanda benevolenza tale suo coinvolgimento, la lettera del Prefetto di Milano del 29 novembre 1946: << Lo Zucca, sul cui conto non esistevano, fino alla conclusione delle indagini che portarono all’arresto dei trafugatori della salma di Mussolini, durante la sedicente Repubblica sociale non esercitò, a quanto risulta, alcuna attività a favore dei nazi-fascisti, ma aiutò invece le forze della resistenza, offrendo rifugio ed aiuto ad alcuni patrioti in pericolo. Durante il periodo insurrezionale il predetto, apparentemente, mosso da sentimenti di carità cristiana, avrebbe offerto asilo ad
elementi
fascisti
particolarmente
compromessi
ed
inseguito,
quantunque fosse cessato ogni pericolo per i suoi protetti, continuò a permettere nel convento di S.Angelo convegni di neo-fascisti che, pertanto, furono visti frequentare assiduamente il convento stesso.>> ( Lettera del Prefetto di Milano alla Div. S.I.S. - sez. 1° C.P.C. del 29 novembre 1946, n°036176/PS. All. 24)
In realtà, durante la Rsi, l'effervescente francescano fu ascoltato consigliere di diversi importanti gerarchi, quanto poi al suo ruolo nelle vicende del clandestinismo fascista dell'immediato dopoguerra, diversi documenti già trovati e commentati (si veda in particolare l'All. 253 della rel. 12 e gli All. 301-302 e 544 della rel. 14). Sia il suo ruolo nel periodo della Rsi che quello successivo, nelle vicende del clandestinismo fascista, lasciano intendere rapporti del religioso con i servizi della Rsi, forse non una appartenenza piena e diretta, ma sicuramente contiguità e collaborazione. A proposito della sua detenzione a San Vittore, la nota 8 maggio 1979, riferisce che condivise la cella con Adalberto Titta, conosciuto in quella occasione, mentre un testimone (Ristuccia) sostiene che si trattava di celle confinanti. Gli accertamenti del Ros non sono approdati a nulla di risolutivo, non avendo reperito alcun documento che dimostrasse che i due fossero stati reclusi nella stessa cella, forse anche a causa della distruzione di una parte dei registri relativi al transito dei detenuti. La questione non appare determinante, perchè non è affatto necessario che i due abbiano condiviso la stessa cella per conoscersi a San Vittore, sarebbe stato sufficiente che fossero rinchiusi nello stesso braccio. D'altra parte, stante la quasi perfetta coincidenza temporale del periodo di
detenzione dei due e l'accertato passaggio di entrambi da San Vittore, appare abbastanza probabile che ciò possa essere accaduto, considerata anche la comune natura politica dei reati loro ascritti e l'uso delle nostre carceri di raggruppare i detenuti per aree omogenee. E pertanto, la deposizione di Ristuccia -che riferisce di aver appreso il particolare dallo stesso Titta- appare come un riscontro sufficiente al documento dell'8 luglio 1979. In ogni caso,questo, pur confermando gli antichi rapporti fra padre Zucca e Adalberto Titta, non risolve il problema della appartenenza o meno del religioso al Noto Servizio. In verità, nessuno dei documenti sin qui emersi, parla del frate come di un membro del servizio, pur segnalando la sua appartenenza al medesimo giro di persone. Il testimone Ristuccia tende a escludere l'appartenenza di Zucca al Noto Servizio (tanto si ricava dalla trascrizione della conversazione telefonica n. 964 intercettata il giorno 21 settembre 2001 -p. 9 della scheda relativa a padre Zucca del citato rapporto del Ros), ma dobbiamo anche dire che, in più di una occasione, Ristuccia dà l'impressione di essere reticente o di minimizzare volutamente alcuni aspetti delle vicende riferite. Il punto non è risolto, anche perchè poco sappiamo dei livelli di formalizzazione del Noto servizio, se vi fosse un elenco preciso di appartenenti o si trattasse di una struttura relativamente fluida, se l'adesione fosse sanzionata in qualche modo, se e quali obblighi disciplinari comportasse, che tipo di struttura gerarchica vi fosse ecc., pertanto, non possiamo neanche sapere chi fossero gli appartenenti ad esso, salvo per quelli esplicitamente indicati come tali o dai documenti o dalle informazioni rese dai testimoni. Dunque, nel caso di padre Zucca
dobbiamo resistrare questa assenza di indicazioni dirette. Tuttavia, non mancano molti indizi che vanno in questo senso: a- padre Zucca e diversi altri frati dell'Angelicum (come padre Eligio Gelmini) risultano nell'agenda di Titta b- lo stesso religioso appare centrale nella rete di rapporti del servizio stesso: è in contatto diretto con diversi suoi membri o sospetti tali, da Titta a Ponzi, da Pisanò a Conti, da Battaini a Giancaterina e spesso è proprio lui a presentare l'uno all'altro c- in molte operazioni direttamente o indirettamente ascrivibili al Noto servizio o ai suoi uomini, la presenza dell'instancabile frate è sistematica (e svilupperemo meglio il punto fra poco, a proposito di alcune di tali azioni) d- è sempre egli ad apparire come elemento di raccordo fra l'ambiente ruotante intorno al Noto Servizio ed gli esponenti politici nazionali di maggior rilievo come Andreotti o Forlani. Forse l'irrequieto frate non faceva parte formalmente del Noto Servizio, ma sicuramente non ne ignorava nè l'esistenza, nè l'operato di cui spesso appare come l'ispiratore, se non il dirigente occulto. D'altra parte, abbiamo visto che anche per i servizi della Rsi non esiste una prova di una sua organica appartenenza, ma molti elementi conclusivi che dimostrano una stabile collaborazione. Probabilmente il punto sarà chiarito meglio dall'illustrazione di alcune vicende particolari. A proposito di Padre Zucca ci sembrano di interesse anche alcuni documenti riguardanti l'annosa vicenda della Fondazione Balzan e del relativo processo:
<< Nei giorni scorsi presso il Convento dei frati di piazza S. Angelo sono avvenuti ripetuti incontri tra alcuni rappresentanti del presidente Andreotti e il padre Enrico Zucca. Tema: le sistemazioni di tutte le pendenze della Fondazione Balzan. Le trattative sembrano a un buon punto. Intanto il Giornale di Montanelli ha iniziato la pubblicazione di articoli a favore della Fondazione Balzan e di padre Zucca. Somma richiesta e ottenuta per tali articoli : 300 milioni di lire.>> (Nota del 15 febbraio 1977- All. 25)
<> (Nota 22 febbraio 1977 - All. 25-).
8)Il caso Montedison e gli uomini del Noto Servizio.
Come si sa, la nazionalizzazione dell'energia elettrica costituì una delle richieste pregiudiziali del Psi per avviare l'alleanza di centro sinistra. Ovviamente, questo trovava la più fiera opposizione delle cinque società private che gestivano il settore (la Sade, la Edison, la Sip, la Generale e la Sme) e che costituirono la principale lobby anti-centrosinistra. Le società elettriche emettevano titoli azionari che erano di gran lunga i preferiti dai piccoli risparmiatori e se ne comprende facilmente il motivo: agendo in regime di monopolio nelle rispettive aree territoriali, ed operando in un settore in espansione, esse non conoscevano incertezze di mercato, potendo godere di una clientela flessibile solo al rialzo. Dunque, esse potevano distribuire dividendi cospicui e sicuri: di fatto, il titolo elettrico univa gli alti rendimenti tipici dei titoli di borsa, alle sicurezze caratteristiche del titolo obbligazionario. Tutto questo dava alle società elettriche una immagine di particolare solidità, comprensibilmente apprezzata dai piccoli risparmiatori che, come si sa, preferiscono l'impegno stabile e garantito, al gioco in borsa. Dunque, l'investimento nei titoli elettrici rappresentò il punto di convergenza di centinaia di migliaia di commercianti, impiegati di livello medio e medio alto, professionisti, piccoli imprenditori, in definitiva, di buona parte dei ceti medi che vennero sensibilizzati contro l'apertura a sinistra: gran parte del rilevante successo elettorale del Pli, nel 1963, fu dovuto alla confluenza dei piccoli azionisti delle società elettriche, spaventati per quella nazionalizzazione che metteva a rischio quella rendita consistente e sicura. Occorre considerare che quella rendita non aveva solo un valore economico, ma -per molti- anche simbolico: come osservano Eugenio
Scalfari e Giuseppe Turani, il titolo Edison rappresentò per anni una fonte di prestigio per migliaia di "ragiunatt " milanesi, il segno tangibile di una avvenuta promozione sociale. I titoli elettrici avevano funzionato da redistributori sociali della ricchezza, per cui, una parte del ceto medio veniva associata (pur se in misura ben limitata) alla divisione della ricchezza prodotta negli anni del boom economico e, pertanto, resa in qualche modo solidare agli interessi della grande borghesia industriale e finanziaria. Quando la nazionalizzazione avvenne, si decise di versare gli indennizzi non direttamente ai singoli azionisti, ma alle vecchie società, calcolando che esse avrebbero investito quella grande massa di denaro in altri settori industriali quali quello chimico, il tessile, l'alimentare, cosa che effettivamente avvenne, anche se in misura più ridotta e con esiti molto inferiori alle aspettative. La Sade, quasi immediatamente, utilizzò il denaro dell'indennizzo statale per fondersi con la Montecatini -diretta da Carlo Faina- che, pur disponendo di una consolidata tradizione industriale nel settore chimico e di un importante portafoglio di brevetti industriali, si trovava in un momento di grande bisogno di liquidità. La fusione, peraltro, non risolse che in misura limitata i problemi della Montecatini che, nel 1966, approdò ad un'ulteriore fusione con un'altra delle società del vecchio cartello degli elettrici, la Edison diretta da Giorgio Valerio. La società che ne derivò, la Montedison, divenne la prima società per azioni del paese con un capitale sociale pari a 709 miliardi ed un fatturato di circa 1.200 miliardi del tempo (rispettivamente da rivalutare a 7 e 12 miliardi di Euro).
Gli oltre 200.000 azionisti della Edison e i 200.000 della Montecatini, facevano della nuova società quella con il maggior numero di azionisti, ma anche quella con il capitale sociale più polverizzato, ciò che consentiva al pacchetto dei grandi azionisti (il patto di sindacato che riuniva Mediobanca-Fidia, Fiat-Ifi-Sai, Pirelli, Italpi, Iri, Bastogi e Sviluppo) di governare possedendo il 13,11% del capitale speciale Montedison. Per la sua particolare composizione, che vedeva rappresentati nel sindacato tutti i principali gruppi del capitale finanziario privato (con la partecipazione significativa del maggior ente a Ppss), la Montedison assumeva anche un'altra funzione: quella di camera di compensazione del sistema economico o, se si preferisce l'espressione giornalistica del tempo, di "salotto buono della borghesia italiana". Anche questa seconda fusione non dette i frutti sperati: rivalità fra gli uomini della Edison e quelli della Montecatini impedirono una vera fusione delle due strutture operative, la diarchia al vertice fra Faina e Valerio (risoltasi, alla fine, a favore del secondo) compromise l'immagine stessa del gruppo sin dal suo sorgere, consistenti errori di politica industriale falcidiarono gli utili e moltiplicarono le perdite. Per cui, nel 1968 il gruppo appariva in serie difficoltà e, dell'originaria dote degli indennizzi per la nazionalizzazione, era rimasto ben poco; pertanto, si rendeva necessaria una iniezione di capitale fresco per sostenere il titolo in borsa e, possibilmente avviarne la ripresa. Pertanto, il governo e la Banca d'Italia, chiesero all'Eni, il secondo ente di
capitale pubblico, di intervenire. L'Eni, (di cui erano presidente
Egenio Cefis e vice presidente Raffaele Girotti, suo antico sodale) attraversava un momento di buona disponibilità e, per di più, dopo gli
"anni eroici" di Mattei, era andata via via "normalizzando" le proprie relazioni con le maggiori compagnie petrolifere internazionali e, parallelamente, subendo un processo di "finanziarizzazione" crescente. In secondo luogo, occorre considerare che la Montedison aveva una spiccata vocazione per la chimica che la portava, soprattutto sul terreno della raffinazione petrolifera e della chimica fine, a rappresentare il maggior concorrente interno dell'Eni. In molte occasioni, la concorrenza fra i due gruppi si era concretizzata in un pesante gioco di lobbing verso il Parlamento e le forze politiche, il più delle volte con esiti sfavorevoli all'Eni che, dipendendo dal capitale pubblico, aveva bisogno di una azione positiva del Parlamento, mentre a Valerio bastava l'inerzia del legislatore, quel che è più facile e, soprattutto, meno costoso da ottenere. Pertanto, l'invito ad intervenire per acquistare un pacchetto di azioni Montedison, giunse più che gradito ad Eugenio Cefis che, in questo modo, aveva tanto la possibilità di accentuare ulteriormente la vocazione finanziaria del gruppo, quanto avvedere alla "camera di compensazione" del grande capitale italiano e, meglio ancora, mettere piede in casa del suo maggiore concorrente interno. Ma, soprattutto, l'occasione si presentò propizia per iniziare a progettare -ovviamente in gran segretola "scalata" del gruppo. In effetti, ultimata l'operazione di sostegno al titolo Montedison in borsa, Cefis riuscì ad imporre l'ingresso del suo ente nel sindacato della società. Il piano di Cefis, sostanzialmente, era il seguente: - aumentare la quota Eni sino a conquistare una posizione dominante nel sindacato
- obbligare l'Iri ad allinearsi alla propria posizione, tramite le adeguate pressioni politiche sul Ministero delle Ppss - logorare il presidente Valerio (sia attraverso gli uomini piazzati all'interno della società, a cominciare da Raffaele Girotti, sia facendogli il vuoto intorno nel sindacato) in modo da indurlo alle dimissioni - quindi, giungere ad una "presidenza di transizione" che spianasse la strada alla sua candidatura alla presidenza - imporre Girotti come suo successore, in modo da poter continuare a controllare l'Eni per il suo tramite. Tutto questo avrebbe consentito a Cefis di eliminare la concorrenza nel settore chimico fra Eni e Montedison, che sarebbero divenute, nei fatti un unico blocco dominante nel settore, ma, soprattutto, la manovra avrebbe posto Cefis a capo della maggiore concentrazione finanziaria del paese che, per di più, poteva giovarsi dell'afflusso di capitale pubblico attraverso l'aumento di dotazione che periodicamente l'eni riusciva ad ottenere in ragione del suo peso politico. In una parola, Cefis sarebbe divenuto di gran lunga l'uomo più potente del sistema economico italiano e, di riflesso, uno dei più potenti del sistema politico, dove già poteva contare sulla alleanza di esponenti di primissimo piano come il senatore Fanfani che, proprio in quei mesi, lo stesso Cefis stava cercando di portare al Quirinale. Nel frattempo, le incertezze del titolo mettevano a repentaglio il dividendo annuale, cosa gravissima per le centinaia di migliaia di piccoli azionisti che videro, in tutto questo, una conferma delle più funeste previsioni
seguite
Conseguentemente,
alla quello
nazionalizzazione che,
sino
ad
dell'energia allora,
era
elettrica. stato
un
tranquillissimo "parco buoi" (secondo la garbata espressione degli
operatori di borsa), iniziò ad entrare in una fase di intensa agitazione. Sino a quel punto, erano esistite tre sole associazioni di risparmiatori e piccoli azionisti (l' Associazione Nazionale Risparmiatori e Azionisti di Gino Racchini di Belvedere, la Associazione Piemontese Risparmiatori dell'on. Giuseppe Alpino e la Adicor di Luigi Madia) che, sino a quel punto, avevano contato ben poco. Con il sopraggiungere della crisi della Montedison, si assistette ad una proliferazione improvvisa e tumultuosa di associazioni similari, che mostravano un atteggiamento assai meno remissivo delle loro antenate, ricordiamo, fra gli altri, l'Oci di Luigi Gaddi, il Gaim di Carlo Monzino, il gruppo di Ernesto Kustermann, l'Associazione Difesa Azionisti di Gianvittorio Figari, il gruppo riunito intorno alla rivista "Quattrosoldi" diretta da Massimo De Carolis. E proprio l'Ada è la più interessante ai fini della nostra ricerca, infatti, dietro Gianvittorio Figari -un distinto signore che aveva già fatto parte del Consiglio di Amministrazione della Edison- operavano altri due personaggi meno noti e blasonati, ma assai più operativi: Fulvio Bellini e Giorgio
Pisanò
che
costituivano
il
vero
gruppo
dirigente
dell'associazione. Dopo poco, nel 1970, Pisanò sentì il bisogno di disfarsi dell'ingombro di Figari e dette vita ad una sua associazione denominata in un primo momento Adam, e, subito dipo, Udam (Unione Difesa Azionisti Montedison) che divenne la più importante e numerosa, anche grazie all'uso del settimanale "Il Candido". Il fenomeno "piccoli azionisti" esplose in occasione della Assemblea annuale degli azionisti svoltasi il 19 marzo 1969: un tempestoso happening nel quale accadde di tutto fra il generale sbigottimento degli uomini del sindacato pietrificati al tavolo della presidenza. Non si trattava solo della riscossa dei piccoli azionisti che, pur detenendo oltre
l'85% del capitale sociale, non avevano contato letteralmente nulla sino al quel punto, si trattava anche di un più esteso fenomeno politico: la radicalizzazione a destra di consistenti strati dei ceti medi, in un movimento di tipo poujadista. E il fenomeno diventerà apprezzabile anche sul piano elettorale nelle regionali del 1970, quando gran parte di quegli stessi azionisti che avevano decretato il successo del Pli sette anni prima, si spostarono massicciamente verso il Msi. In un primo momento, tutte le associazioni si schierarono con il Presidente Valerio contro Cefis, in nome della difesa del capitale privato dalle aggressioni di quello pubblico, e Pisanò condivise di buon grado questo atteggiamento. Anzi, come era nel carattere del sanguigno giornalista romagnolo, il tutto era condito anche con pesanti attacchi personali a Cefis: << Non è in questa sede, comunque, che interessano i suoi trascorsi di giovane ufficiale durante la seconda guerra mondiale e di capo partigiano in Valdossola ( a proposito quand'è che renderà la sua preziosa testimonianza su quanto accadde la tragica mattina del 12 ottobre 1944, al Sasso di Finero, e sulla lunga agonia di Alfredo Di Dio?)>> (rip. in E. SCALFARI G. TURANI "Razza padrona " Feltrinelli, Milano 1974 p. 207
dove non è difficile leggere in controluce il messaggio che l'ex agente dei servizi speciali di Salò inviava all'ex capitano del Sim -sezione Calderinia proposito di uno degli episodi più scabrosi e meno chiari della Resistenza. Infatti, Alfredo Di Dio, capo della formazione partigiana di cui Cefis era il vice, agonizzò a lungo dopo essere stato ferito in una
retata nazi fascista, senza che il capitano Cefis, che pura era nei dintorni, gli portasse aiuto. Il giovane ufficiale si giustificò più tardi adducendo l'impossibilità ad operare in quel senso, ma altri manifestarono dubbi in proposito, sostenendo che le ragioni di quell'atteggiamento erano da ricercarsi, piuttosto nella sparizione di un cospicuo bottino di guerra (gli stipendi di una divisione tedesca di cui i partigiani di Di Dio erano riusciti ad impossessarsi). Vecchie storie di tempo di guerra, forse basate sul nulla, ma che Pisanò riteneva di dover riesumare nel colmo della battaglia per il dominio sulla Montedison. Peraltro, già a partire dall'estate dello stesso anno, il gruppo di Pisanò iniziò lentamente a mutare rotta: mentre iniziavano a coparire violenti attacchi a Valerio, le consuete filippiche contro l'Eni andavano, via via, diventando giaculatorie rituali e scontate, prive di ogni reale mordente. Era accaduto che Cefis si era accorto di non poter ignorere il fenomeno associativo del piccoli azionisti ed aveva adeguato il proprio piano alle nuove condizioni del campo di battaglia. In particolare, il direttore delle pubbliche relazioni dell'Eni, Franco Briatico, aveva "agganciato Pisanò e gli aveva fornito i mezzi finanziari per sostenere il giornale ed avviare la più massiccia raccolta di deleghe fra i piccoli azionisti. Figari e Bellini, dopo la scissione operata da Pisanò, sostennero che il direttore del "Candido" aveva ricevuto 125 milioni dall'Eni per saltare il fosso, l'interessato oppose la più indignata delle smentite e la più ovvia delle querele e Franco Briatico sostenne che la cifra era esagerata e che, al massimo, si era trattato di 50 milioni (SCALFARI TURANI cit. pp. 208-9). Un passo falso del presidente Valerio (una sua intervista sbagliata al "Wall Street Journal ") accelerò i tempi portando, nell'aprile del 1970, alle sue dimissioni ed all'elezione, quale nuovo presidente, del Sen. Cesare
Merzagora proposto da Cefis ed entuasiasticamente sostenuto da Pisanò, il quale, peraltro, venne adeguatamente compensato: nella stessa Assemblea annuale che acclamava il senatore Merzagora, venne eletto un nuovo Consiglio di Amministrazione che, per la prima volta, accoglieva nel suo seno due rappresentanti dei piccoli azionisti, uno dei quali apparteneva all'associazione di Pisanò. Stando a quanto affermano Scalfari e Turani (p. 218) questo risultato fu possibile anche perchè l'Eni aveva preventivamente trasferito all'Udam di Pisanò un cospicuo pacchetto azionario, in modo da farla diventare l'associazione di maggior peso. Qualche tempo dopo, anche De Carolis ricevve il suo premio entrando nel collegio dei sindaci revisori della società. Merzagora, in verità, era stato scelto esplicitamente come "presidente di transizione" verso più stabili assetti societari, e la sua permanenza a Foro Buonaparte difficilmente avrebbe superato un primo mandato, ciononostante, egli intendeva lasciare un segno del suo passaggio. L'occasione si presentò l'11 maggio 1970, quando Valerio, passando le consegne al suo successore, gli trasmise anche il pacchetto della "contabilità nera": circa 17 miliardi fra conti correnti e libretti, dai quali erano tratte le tangenti per gli uomini politici. Il sen. Merzagora ne fu indignato e sorpreso (e la sorpresa ci sorprende) e decise di investire della questione l'Esecutivo del Consiglio di Amministrazione i cui componenti, distinti uomini di mondo, ne furono ancora più sorpresi e imbarazzati, essendo vissuti, sino a quel giorno, in una spensierata ignoranza che tale avrebbe voluto restare. Le
rivelazioni
del
neo
presidente
determinavano
la
"perdita
dell'innocenza" degli organi societari, cosicchè quella disinvolta prassi di
pubbliche relazioni iniziava ad esser risaputa -e ufficialmente- da troppe persone. Come si sa, un segreto è tale se conosciuto da due persone, diventa un mezzo segreto se le persone son tre ed una cosa riservata se esse diventano quattro, ma, da quattro in su,il suo passaggio al Telegiornale è solo questione di tempo. Il sen. Cesare Merzagora si aspettava che la sua coraggiosa denuncia all'Esecutivo fosse assunta come il segno tangibile del suo passaggio: una svolta moralizzatrice, primo passo per il risanamento nella trasparenza. Ma il segno lasciato in così breve tempo, non produsse particolari ondate di entusiasmo nella società, quanto, semmai, una gelida irritazione a stento dissimulata e qualche ringhio trattenuto. Constatato ciò, nel dicembre del 1970, egli decise di anticipare la fine del suo mandato (peraltro già previsto come transitorio verso più stabili assetti societari) e scrisse una lettera ai consiglieri di amministrazione, nella quale -dopo aver detto del suo malessere facendo cenno alla vicenda dei "fondi neri"- annunciava le sue dimissioni. La lettera veniva pubblicata dal "Corriere della Sera" pochi giorni dopo, provocando il vespaio di polemiche che è facile immaginare (ne sortì anche una Commissione Parlamentare di inchiesta): un chiasso che finì per varcare anche la soglia del Palazzo di Giustizia. E, infatti, nel volgere di qualche mese, la questione approdò ad un fascicolo della Procura della Repubblica dando il via ad una delle più lunghe e complesse indagini giudiziarie dell'Italia repubblicana. L'occasione fu data dalla scoperta occasionale di una truffa su forniture militari operate da una società presieduta da tale Aldo Scialotti (che abbiamo già incontrato in occasione della rel. 43). Si trattava di 1.200
stazioni ricetrasmittenti per carri armati che, vendute per nuove, erano invece residui della guerra di Corea rattoppati alla meglio. Scialotti riparò in Brasile, ma l'inchiesta appurò i suoi rapporti con il vecchio presidente della Edison, Valerio e, soprattutto, che le sue società facevano parte della rete delle false società di Valerio per occultare la sua contabilità nera. Emerse una valanga di conti coperti intestati ai diversi uomini politici: l'uomo di Valerio per le "pubbliche relazioni", Giampietro Cavalli -di cui abbiamo già trovato cenno a proposito dei suoi stretti rapporti con l'on. Carenini- aveva dispensato denaro a tutti i partiti del centrodestra ed è interessante scorrere l'elenco delle varie operazioni: - "Assolombarda - versamento a Malagodi per elezioni siciliane" (Pli) - "Avanzo elezioni siciliane" - "A Confindustria per onorevole Michelini" (Msi) - "Estate 1960 - Operazione Ippocampo" - "Sconto effetti a favore della Democrazia Cristiana, contatti con on. Pucci e on. Micheli" - "Anticipazioni alla Dc... contatti con on. Carenini" Interessanti anche l'elenco delle intestazioni dei "libretti neri" della Montedison: quello per Malagodi si chiamava "Fagiano" e poi "Ostrica", "Trota", "Dalia", "Filiberto", "Floreale" ecc. , ce ne è anche uno che si chiama "Zucca" e che attrae la nostra curiosità. Tornando alle vicende della Montedison, il grande gesto del senatore Merzagora si risolse -al di là delle sue intenzioni- in un ulteriore impulso alla scalata di Cefis, che, però, non era ancora pronto per il passaggio. Infatti, come abbiamo detto, un punto essenziale della sua strategia era la nomina di Girotti alla presidenza dell'Eni. Ma, il 23 novembre 1970,
durante un incontro fra i partiti della maggioranza di governo, il segretario del Psi Mancini aveva posto il veto su questa soluzione, rivendicando quel posto per il proprio partito. La mossa del leader socialista non giungeva assolutamente inattesa, anzi da molte settimane era noto il suo orientamento in materia, ma questa formalizzazione rischiava di bloccare l'intera operazione. Occorreva, dunque, rimuovere preventivamente questo ostacolo per poter condurre a buon fine la scalata alla Montedison. In questo contesto prendeva corpo la campagna del "Candido" contro Mancini sulle malversazioni all'Anas di cui diremo fra breve. Pisanò, dal canto suo, dovette fare i conti con un incidente di percorso: il 23 febbraio 1971 veniva tratto in arresto a seguito di una denuncia per estorsione presentata dal produttore cinematografico Dino De Laurentis. Pisanò si difese dicendo che si trattava di una ritorsione calunniosa dietro la quale c'era Mancini; comunque, la sua detenzione durò poche settimane, superate le quali, potette riprendere con rinnovato vigore la sua campagna contro Mancini, non fece, però, in tempo a partecipare all'Assemblea annuale della Montedison che, d'altra parte, fu assai tranquilla dato che la protesta delle associazioni dei piccoli azionisti era ormai rientrata. Il 22 aprile 1971, Cefis veniva eletto presidente della Montedison e, pochi giorni dopo, Girotti veniva nominato presidente dell'Eni: la sua linea aveva totalmente trionfato sulle resistenze manciniane. Ma, proprio quando la scalata era definitivamente andata in porto e l'intero progetto era stato coronato da successo, le cose iniziarono ad andare in modo assi diverso del previsto.
In primo luogo, Girotti, contro ogni aspettativa, iniziò a chiedere che il Presidente fosse poco più che il portavoce del sindacato (nel quale l'Eni era magna pars ), mentre Cefis immaginava il pacchetto Eni come una sua personale dotazione e, dunque, il sindacato come una sua appendice. Il conflitto, prima sordo e dissimulato, ebbe una prima manifestazione nel colpo di mano che, nel gennaio del 1972, portava ad una fulminea scalata della Snia Viscosa da parte della Montedison. Si pose in modo assai più vivace qualche mese dopo, quando Cefis tentò la stessa mossa nella Bastogi ma, questa volta, trovando l'opposizione più dura dell'Eni e dei suoi alleati. Dunque, tutta la strategia tendente ad eliminare la concorrenza fra Eni e Montedison sul terreno della chimica, ed a varare un unico blocco finanziario pubblico-privato, naufragava rapidamente. In questo imprevisto esito ebbero certamente peso considerazioni di ordine personale (Girotti era probabilmente stanco del ruolo di eterno secondo e cercava una sua affermazione personale), ma è realistico supporre che esse siano state la componente meno rilevante. Più determinanti appaiono altri ordini di motivi. Innanzitutto, la concorrenza fra Eni e Montedison era nei fatti: sia sul terreno della chimica fine che sulla raffinazione e distribuzione dei prodotti
petroliferi,
immaginare
una
spartizione
perfettamente
equilibrata era poco più che una esercitazione teorica. In secondo luogo, al di là della volontà dei rispettivi presidenti, sia l'una che l'altra società avevano propri apparati e consigli di amministrazione che resistevano all'idea di una perdita della propria autonomia e traevano alimento proprio dalla riproposizione dei motivi di concorrenza fra i due enti.
In terzo luogo, Cefis aveva spalle sufficientemente larghe per potersi permettere di scegliere i propri referenti politici, Girotti assai meno, e, d'altra parte, se a Cefis bastava avere l'accordo nel sindacato per governare la Montedison, Girotti non poteva dimenticare che il suo mandato dipendeva dalla volontà delle forze politiche di governo fra le quali contava già convinti nemici fra i socialisti che avevano visto frustrate le proprie aspirazioni. Per cui Girotti cercò propri referenti politici trovandoli in Forlani ed, occasionalmente, in Andreotti che strumentalmente appoggiava le ragioni dell'ente pubblico per poter combattere Cefis. Contemporaneamente, nel settore della chimica -ed in particolare della raffinazione- sorgeva un nuovo concorrente: la Società Italiana Resine (Sir) di Nin,o Rovelli che poteva subito contare sull'amicizia e l'appoggio di politici di prima grandezza come Andreotti, Mancini e Leone, in una parola, nello schieramento più ostile a Cefis. Non è qui il caso di seguire ulteriormente le vicende della Montedison che ci interessano solo nella misura in cui si evidenzi un rapporto fra esse e gli uomini dell'ambiente del Noto Servizio. E' invece utile passare all'esame di un'altra vicenda che si è intrecciata con quella della Montedison e che registra anche essa la presenza di uomini legati all'Anello.
9) Scandalo Anas ed intercettazioni telefoniche. Il 12 novembre 1970, Pisanò pubblicava sul "Candido" un articolo contro il segretario del Psi Mancini, accusandolo genericamente di illeciti
arricchimenti.
Nella
settimana
successiva,
il
giornale
tornava
sull'argomento pubblicando anche il testo di un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Roma nel quale si accusava il noto uomo politico calabrese di malversazioni operate nel periodo in cui era stato ministro dei Lavori Pubblici. Iniziava, in questo modo, una violenta campagna che il giornale condurrà contro i leader socialista per quasi due anni, sino al XXIX congresso del Psi che ne sancirà la sconfitta della quale Pisanò potrà ben vantarsi, essendo stato uno dei suoi principali artefici. Al momento, alcuni -come il direttore dell' "Espresso" Scalfariavanzarono l'ipotesi che la campagna contro Mancini fosse stata commissionata da Cefis come ritorsione per quanto accaduto a proposito della vicenda Eni-Montedison, ma, in realtà, di motivi ispiratori ve ne potevano essere anche altri: a- il leader socialista calabrese era stato determinante, nella primavera del 1969, nel rompere la maggioranza con i socialdemocratici e favorire una nuova maggioranza con le componenti di sinistra del partito (De Martino, Giolitti, Lombardi), a seguito della quale, si determinava la nuova scissione socialdemocratica del 4 luglio di quell'anno. b- lo stesso Mancini si era fatto portatore di una linea, definita degli "equilibri più avanzati" che postulava la formazione di un governo a due Dc-Psi che, ovviamente, avrebbe goduto di una opposizione assai benevola del Pci, primo passo verso una piena associazione di quel partito alla maggioranza. c- il segretario del Psi aveva mostrato un atteggiamento molto aperto verso l'estrema sinistra -e verso Lotta Continua in particolare-, spesso scavalcando,in questo, lo stesso Pci
d- altrettanta apertura aveva dimostrato verso la campagna a favore del divorzio condotta dai radicali (primo firmatario della legge in questione era il socialista Fortuna) facendo del Psi la punta di diamante dello schieramento laico D'altra parte, tanto dinamismo politico si accoppiava ad una gestione assai spregiudicata delle posizioni istituzionali conquistate, non disdegnando di ricorrere a forme sistematiche di clientelismo, per cui il partito,
uscito
ridimensionato
dalla
scissione
socialdemocratica,
mostrava una elevata potenzialità espansiva sia sul fianco sinistro che su quello destro. Tutto questo, come è facile immaginare, faceva del Psi di Mancini l'elemento più dinamico per una svolta a sinistra e, dunque, il nemico più pericoloso da battere. Ottenere la caduta della segreteria Mancini significava, quantomeno, ricondurre il Psi ad una prassi più tranquilla ridimensionandone il protagonismo e smorzandone le ambizioni. Tutto questo non esclude affatto la prima ragione (l'eventuale intervento di Cefis) ma vi si somma armonizzandosi perfettamente. La campagna di Pisanò riceveva un forte impulso nell'aprile-maggio del 1971, quando un certo sign. Pontedera si rivolse alla Guardia di finanza, per denunciare le malversazioni nella attribuzione delle aste e gare d'appalto operate dal direttore dell'Anas ingegner Chiatante. L'ente dipendeva
dal
Ministero
dei
Llpp
e
gli
episodi
dununciati
appartenevano al periodo in cui Mancini ne era ministro. Per la verità, il signor Pontedera non si recò personalmente a sporgere la denuncia: Pontedera era solo la firma di una lettera che accompagnava un primo blocco di nastri registrati dai quali si deduceva quanto accadeva nella stanza dell'Ingegner Chiatante. Fu subito chiaro che si
trattava di intercettazioni operate illegalmente (più tardi si coprirà che essere erano state fatte nascondendo una "cimice" nella scrivania dell'ingegnere e nascondendola con un tassello di legno perfettamente incastrato e dello stesso colore del mobile: una tecnica che, per il tempo, presupponeva un elevato livello di professionalità), ma tanto bastò alla GdF per avviare una indagine i cui esiti finirono, man mano sul tavolo del direttore del "Candido" ad alimentare la campagna contro Mancini accusato di stare dietro le spalle di Chiatante. La durissima campagna del "Candido" determinava l'ovvia reazione legale dell'esonente socialista, ma, soprattutto, la sua reazione politica: Mancini sollevò la questione del come fossero state fatte le intercettazioni sostenendo che, in realtà, il signor Pontedera non esisteva affatto, ma era solo un modo per mascherare le intercettazioni abusive condotte dagli apparati di sicurezza (Sid, Uaarr, ufficio I della GdF, ecc.). In appoggio alla denuncia del segretario del Psi intervennero subito l' "Avanti" (organo dello stesso partito) e l' "Espresso", settimanale di orientamento radical-socialista, in quel momento simpatizzante della linea degli "equilibri più avanzati". Il 20 febbraio 1972, l' "Espresso" pubblicava un articolo nel quale dununciava il crescente fenomeno delle intercettazioni abusive (condotte non solo dai vari apparati di sicurezza in concorrenza fra loro, ma anche da agenzie di privati), sostenendo che di esso si erano scoperti vittime il direttore generale dell'Iri Leopoldo Medugno, il presidente della Montedison Eugenio Cefis, il presidente dell'Iri Giuseppe Petrilli, il presidente dell'Eni Raffaele Girotti e persino il Preocuratore Generale di Roma Carmelo Spagnuolo, corredando il tutto con le dichiarazioni di Francesco Greco, il tecnico che aveva effettuato gli interventi di bonifica
in molti di questi casi. Ovviamente, questo determinava l'apertura di un fascicolo processuale da parte della Procura romana, affidato al dott. Luciano Infelisi. Il caso subiva, pertanto una prima biforcazione: da un lato il caso Anas, dall'altro quello delle intercettazioni telefoniche che si imperniava su due distinti procedimenti, quello citato del dott. Infelisi e quello seguito alla querela per calunnia a mezzo stampa presentata dal Comandante Generale della Guardia di Finanza contro l' "Espresso" e l' "Avanti!". Dopo parecchi mesi, un tal Nicola Di Pietrantonio, rivelava che l'ing. Pontedera esisteva veramente, ma, in realtà, si chiamava Giorgio Fabbri ed era un avvocato sanmarinesa di scarso successo. Fabbri, per qualche tempo, aveva gestito un albergo peraltro economicamente assai dissestato, per cui i dipendenti, regolarmente non pagati, erano graduialmente via. Era rimasto sul posto -nella speranza di recuperare i crediti di lavoro maturati- il solo barista, Di Pietrantonio, che diventava in breve il confidente del suo principale, dal quale apprendeva di un suo credito per quasi 400 milioni nei confronti dell'ingegner Chiatante che, però, non voleva saperne di saldare il conto. Dato che la natura di tale credito non era perfettamente legale, nasceva l'idea di documentare le attività illegali di Chiatante
-di cui Fabbri era perfettamente a
conoscenza per la sua prededente frequentazione dell'ufficio- per poterlo ricattare: di qui le intercettazioni. Chiatante, però, non aveva ceduto al ricatto, sicuro del fatto che Fabbri avrebbe avuto da perdere, dovendo ammettere la sua partecipazione a diversi episodi illeciti, pertanto al fabbri non restava che mandare ad esecuzione la minaccia. L'idea di ricorrere ad un apocrifo e di rivolgersi alla GdF era stata del Di Pietrantonio, sempre nella speranza che potesse venirne qualcosa anche
per lui. Ma le speranze del barista erano destinate a restare deluse ed il suo credito (pari a 12 milioni del tempo) resterà inevaso, quel che, a sua volta, aveva provocato la sua decisione di denunciare Fabbri in una intervista al "Messaggero", pur consapevole dei rischi penali che ne derivavano ("... il carcere lo conosco, ci sono già stato e mi fa meno paura che a lui"). Contemporaneamente,l'inchiesta del dott. Infelisi giungeva ad un risultato, identificando un primo imputato -per le intercettazioni abusive- in Marcello Micozzi, un tecnico della Sip-Teti, il quale, per difendersi, tirerà in causa un suo complice, il tecnico elettronico Bruno Mattioli, che a sua volta, aveva lavorato per l'investigatore Tom Ponzi e, in altri momenti, per l'ex commissario della squadra mobile milanese Walter Beneforti, al momento titolare di una agenzia investigativa in società con Carlo Rocchi (torneremo sul punto nella rel. 41). Micozzi, nella sua deposizione, calcava decisamente la mano su Tom Ponzi che finiva nell'inchiesta (fra l'altro, verrà disposto per rogatoria il sequestro del suo archivio-deposito di Lugano). Il noto investigatore, per difendersi, tirava pesantemente in ballo il commissario Beneforti ed il Questore di Como Mario Nardone (già leggendario commissario capo della Criminalpol ambrosiana) ed un loro anonimo collaboratore, forse ficuciario dello Uaarr, tale avvocato Giorgio Fabbri, nome che, sul momento, non suscitò alcun interesse negli inquirenti ma che, evidentemente, aveva il valore di un segnale a qualcuno. Fabbri, interrogato nell'ambito dell'inchiesta Anas, dopo una debole resistenza, ammetteva di essere Pontedera, ma negò di essere chi aveva
messo il microfono nella scrivania di Chiatante, cosa che, invece, fu satta da Bruno Mattioli, il tecnico elettronico legato a Ponzi. Mattioli, a sua volta, ammetteva di aver piazzato microspie, per conto di Beneforti, negli studi di Giorgio Valerio, Eugenio Cefis, Raffaele Girotti, Cesare Merzagora, Attilio Monti e Nino Rovelli. Nell'inchiesta veniva risucchiato anche un alto funzionario dello Uaarr, il dott. Sampaoli Pignochi, vecchio sodale di Beneforti nella "cordata triestina" di De Nozza ed unico esponente del Viminale incitato a Parco dei Principi. Il dott. Sampaoli risultò abituale frequentatore di Fabbri e del suo socio Ranno presso il loro albergo. Pertanto, da un lato, l'inchiesta Anas e quella sulle intercettazioni finivano per saldarsi in un unico circuito, dall'altro, producevano, come in un frattale, sempre nuovi sdoppiamenti, allargando all'infinito lo spettro di indagine. Infatti, da un lato parve che Ponzi operasse per conto di Cefin in danno dei suoi rivali, dall'altro, la presenza di Beneforti, Nardone e Sampaoli Pignochi portava desisamente a puntare verso lo Uaarr. Quel che causo qualche brutto quarto d'ora per il dott. D'Amato, all'epoca responsabile formale dell'ufficio: probabilmente, se l'Ag del tempo fosse stata a giorno delle feroci rivalità fra la cordata dei "tambroniani" (i triestini di De Nozza, Beneforti, Sampaoli Pignochi ecc.) e quella "tavianea" del dott. D'Amato, avrebbe tratto conclusioni meno lineari. E' interessante leggere quanto scrive una fonte non limpidissima, ma sicuramente bene informata, come Francesco Pazienza nel suo libro: << ... anche Federico Umberto D'Amato contava parecchi nemici. Era stato tirato in ballo numerose volte per questioni relative a presunti rapporti con l'estrema destra. Ma tutto si era rivelato un boato
scandalistico. Una sola volta, mi confessò, si era dovuto impegnare a fondo per non farsi fregare. Fu agli inizi degli anni settanta. Era scoppiato uno di quegli pseudo-scandali che ciclicamente in Italia vengono creati e gonfiati... Si trattava di presunte intercettazioni telefoniche non autorizzate che coinvolgevano come primo attore un antesignano delle agenzie italiane ed il suo capo che, da allora, divenne "lo spione", il detective privato per antonomasia, Tom Ponzi. D'Amato era sospettato di essere l'anima nera che reggeva i fili dell'operazione. L'indagine era stata promossa da un sostituto procuratore della Repubblica di Roma, ansioso -secondo D'Amatodi mettersi in luce e che portava un nome che sarebbe diventato famoso, Domenico Sica... L' "Edgard Hoover" italiano era convinto che l'indagine fosse stata aperta dal giovane e ambizioso magistrato solo per fini di autopromozione, insomma per vedere il suo nome sui giornali. D'Amato cominciò a far controllare Sica, passo dopo passo, dai suoi uomini, fino a che non trovò quella che a suo dire era la chiave di volta di tutta la vicenda. Sempre a detta di D'Amato, quella faccenda non aveva nulla a che vedere con le violazioni del codice penale, ma semplicemente confermava la vecchia regola: cherchez la femme . Anzi les femmes . O, ancor meglio, les jeunes femmes . Troppo astuto per farlo rimarcare direttamente al diretto interessato, D'Amato preferì rivolgersi a E.C., uomo potentissimo di quei tempi, "presidente" di una megaconclomerata chimica. D'Amato scelse un "messaggero" che non gli poteva dire di no e al quale, al tempo stesso, Sica non poteva non dare ascolto. Insomma i consigli che D'Amato, attraverso "il presidente", aveva trasmesso a Sica non
potevano essere ignorati dal magistrato proprio per l'autorevolezza, il peso e l'importanza della terza persona da cui provenivano.>> (F. PAZIENZA "Il disubbidiente" Longanesi ed. 1999, p. 140-1 )
Il passo lascia perplessi sia per alcune inesattezze (l'inchiesta, come abbiamo visto, non fu avviata da Sica ma da Infelisi), per il superficiale tono di sufficienza (lo scandalo non si sgonfiò affatto, perchè le intercettazioni abusive risultarono vere) e per l'oscura allusione alle jeunes femmes , terreno sul quale non intendiamo seguire Pazienza, ma contiene un elemento che, se confermato, è di sicuro interesse: che il dott. D'Amato, per una volta ingiustamente sospettato, per far valere le sue ragioni si sarebbe rivolto ad E.C., trasparente acronimo di Eugenio Cefis che alcuni indicavano come il committente di Tom Ponzi. Le inchieste proseguirono disintegrandosi fra piste sempre più numerose prevalentemente approdate alla prescrizione dei reati.
10) Armi e petrolio. Sul finire del 1971, funzionari della Farnesina segnalarono alla Presidenza del Consiglio l'interesse del governo libico ad acquistare armi dall'Italia, l'occasione sarebbe stata propizia per sviluppare l'importexport con quel paese. Ricevuto un segnale di disponibilità, una delegazione libica giungeva a Roma il 17 dicembre di quell'anno e, dopo un giro di visite nelle principali ditte produttrici d'armi (Oto Melara, Snia Viscosa, Agusta e Fiat), essi fornirono la lista dei prodotti di loro interesse.
La lista includeva tanto armi prodotte dalle aziende italiane su propri brevetti, quanto armi prodotte su licenza americana per vendere le quali, ovviamente, era necessario ottenere prima il nulla osta statunitense. Il problema nasceva per l'indisponibilità dei libici a trattare separatamente le due partite. Da una parte, l'autorizzazione americana appariva non sontata e, comunque, non immediata, per l'aggravarsi della difficile situazione mediorientale (che, in effetti, sfocerà nel conflitto del Kippur una ventina di mesi dopo) e che, ovviamente, spingeva gli Usa, alleati di Israele, a non facilitare la vendita di armi ad un paese arabo. Dall'altra, l'affare si presentava assai allettante soprattutto per la contropartita offerta dai libici in materia petrolifera: si era in un momento di decisa ascesa del prezzo del petrolio e tutto lasciava intendere che le cose sarebbero ulteriormente precipitate (cosa che, puntualmente,
avvenne
all'indomani
della
guerra
del
Kippur,
provocando la prima crisi energetica del mondo occidentale), per cui, disporre di una fonte di approvigionamento agevolato appariva come una preziosa occasione da non perdere. Stretto fra la Scilla americana e la Cariddi petrolifera, il governo Andreotti cercava di prender tempo, mentre i libici premevano per concludere la transazione il più rapidamente possibile. Nello stesso tempo, l'Italia cercava di ammorbidire la poisizione americana acquistando lì altri sistemi d'arma in cambio della sospirata autorizzazione, quel che, però, faceva ascendere il costo dell'operazione a valori che riassorbivano ampiamente i vantaggi dell'operazione commerciale con i libici. Infatti, l'acquisto del materiale americano comportava una spesa di 45 miliadi, contro i 25,5 dell'affare con i libici,
inoltre, gli americani erano comunque esitanti e l'autorizzazione appariva ancora in pericolo. Ma intorno all'affare, ormai, si era costituita una robusta serie di interessi che premevano perchè esso fosse concluso e subito: Oto Melara, Snia Viscosa ed Agusta premesano per vendere le loro armi, l'Eni premeva per poter concludere l'acquisto di petrolio dalla Libia (che, nel frattempo, era crescuito a 50 milioni di barili) e sia gli uni che gli altri mostravano una netta propensione ad associare all'affare anche quei politici, militari e funzionari ministeriali che avessero saputo portarlo a buon fine. Pecorelli, qualche anno dopo, pubblicò un servizio su Op nel quale parlava di un "costo di intermediazione" di 3 centesimi di dollaro per barile di petrolio, oltre all'analogo riconoscimento per la vendita delle armi. Come si vede, una tangente molto cospicua (pari a diverse decine di milioni di attuali euro) che minacciava di mandare a gambe per aria anche gli equilibri di potere interni al sistema politico in generale, ed alla Dc in particolare. Forse sulla base di questa considerazione, il Ministro degli Esteri Moro (nel marzo del 1972) avanzava una proposta diversiva, allo scopo di prender tempo e cercare, nel frattempo, di far fallire l'affare. Per un attimo la manovra di Moro sembrò poter avere successo, anche a causa dell'interesse manifestato per essa dal presidente dell'Eni Girotti, che pensava, in questo modo, di svincolare la sua trattativa dal ginepraio delle autorizzazioni americane, ma tutto rientò in brevissimo tempo. Nel frattempo veniva inviato a Tripoli, in veste di mediatore, il capo del Sios, gen. Roberto Jucci (notoriamente parente del Presidente del Consiglio Andreotti ed in ottimi rapporti con i dirigenti dell'intelligence
libica). Questa circostanza originerà -nel 1977- la campagna del settimanale di Pecorelli "Op" contro l'alto ufficiale che, sentendosi leso nell'onore,
risponderà
dando
querela
al
giornalista
che
verrà
condannato, ma questo aspetto della vicenda ha scarso rilievo ai nostri fini. La trattativa riprese ed, anzi, una nuova missione dei libici in Italia (iniziata il 18 maggio del 1972) concretizzava una nuova e più ampia ordinazione di armi, compresi alcuni sommergibili che, tuttavia, gli accordi in sede Nato ritenevano "incedibili" ai fini della sicurezza dell'Alleanza nel Mediterraneo. Si giungeva, così, a sbloccare la situazione e, allo scopo di concludere in fretta il negoziato, pur di rispettare i tempi di consegna dei carri armati richiesti, si giunse a prendere quelli in dotazione alla divisione "Centauro", revisionarli, riverniciarli con le insiegne del committente e consegnarli alla Libia, provvedendo, più tardi, a sostituirli con i nuovi pezzi originariamente destinati all'acquirente. Ovviamente, questi maneggi non passarono inosservati dai servizi di informazione di Israele che si approssimava alla guerra del Kippur. Su tutto questo iniziava ad indagare l'ufficio "D" del Sid, diretto dal gen. Gianadelio Maletti (di cui era ben nota la sensibilità verso le ragioni di Israele): nell'aprile del 1972 il capitano Labruna avviava una prima operazione (denominata "Juri") che avrà termine un po' più di un mese dopo. In agosto lo stesso ufficiale varava una seconda operazione informativa sul medesimo soggetto (operazione "Occhio") che durava alcune altre settimane. Non è qui il caso di seguire ulteriormente la vicenda nei suoi dettagli e, soprattutto, nei suoi sviluppi che porteranno, anni più tardi, ad un'altro
clamoroso caso, qui ci limitiamo a segnalare i molti aspetti giuridicamente e politicamente scabrosi dell'operazione (il mancato rispetto degli accordi militari con l'Alleanza, il sospetto giro di tangenti, la disinvolta utilizzazione della dotazione d'arma di una divisione, ecc.) che consigliavano, ovviamente, la massima discrezione. Ed, in effetti, la cvicenda rimase sconosciuta agli italiani sino alla primavera del 1977, quando il settimanale "Op" iniziò a pubblicare una serie di articoli sul caso. Ci sembra interessante rileggere un brano di quella inchiesta riguardante il momento più delicato, quello del tentativo di Moro di ridimensionare il pacchetto di armi offerto alla Libia: << ... Abbiamo già riferito della visita a Roma di Mr. Karl, inviato dal Pentagono per porre l'ultimatum di cui s'è detto (o i Tow e i Lance o niente armi alla Libia). Al termine del soggiorno romano, tra mister Karl e le autorità italiane responsabili non fu sottoscritto alcun accordo. Evidentemente i fuunzionari italiani.... erano stati turbati dal linguaggio troppo duro ed esplicito del plenipotenziario americano. Dopo qualche settimana, però, arrivano altre novità non certo esaltanti per i responsabili del nostro governo. A sottolineare che l'Eni, il petrolio (e i 3 centesimi al barile) hanno esercitato un ruolo cardine sullo svolgimento dell'intera vicenda, è proprio l'ente di Raffaele Girotti che viene sollecitato opportunamente il 6 marzo 1972. Il "noto servizio" gli fa pervenire un rapporto riservato per ricordare che le autorità libiche considerano la trattativa del petrolio tutt'ora in corso, strettamente legata alla fornitura delle armi
richieste qualche tempo prima all'Italia. E' lecito supporre che l'eni, Girotti in particolare, abbiano fatto di nuovo valere le loro ragioni presso tanto bendisposti padrini politici. O viceversa. Non bastasse lo svegliarino
fatto arrivare alle autorità italiane
attraverso l'Eni di Girotti, ecco che a metà marzo 1972, scende di nuovo in campo l'ambasciatore Gastone Belcredi. In un telegramma dalal sua sede di Tripoli, Sua Eccellenza riporta le vibrate proteste delle autorità libiche per l'atteggiamento temporeggiatore tenuto dagli italiani. Gheddafi non ha tempo da perdere, o tutto e subito o niente più petrolio. E' a questo punto che sulla scena compare il cavallo di razza.Del resto, di fronte a sollecitazioni a tenaglia che stringono in una morsa i responsabili del governo (le industrie belliche, i funzionari della Farnesina, gli emissari della Difesa, l'Eni) Aldo Moro é, suo malgrado, costretto a muovbere uno zigomo. Il leader storico della dc ha sentito l' odore di zolfo dell'intera vicenda, vorrebbe farla naufragare, ma non può farlo direttamente. Così decide di offrire alal Libia un "pacchettino" di armi, vale a dire quelle munizioni, qui cannoni 105/14 della Oto Melara e quelle scicchezze di esclusiva produzione italiana, non sottoposte al beneplacito Usa. L'iniziativa di Moro, nella quale lui stesso non contava, mirava solo a prender tempo. Insomma il presidente Moro, allora ministro degli Esteri, voleva solo vedere quale sarebbe stato l'atteggiamento di ciascuno dei membtri del Governo in quella intricata, vicenda. Presi a mezzo tra le lusinghe petrolifere e tangenti militari, quanti di loro sarebbero rimasti fedeli al giuramento atlantico?
Le cose a Palazzo Chigi stanno a questo punto, Moro ha appena esposto la sua carta moschicida, quando il presidente dell'Eni Girotti, opportunamente valutato l'appunto del "noto servizio", chiede di essere ricevuto dal presidente del Consiglio Andreotti. Da questa visita dipenderà lo sviluppo degli eventi.>> ( rip. in Franca MANGIAVACCA "Il memoriale Pecorelli" International. E.I.L.E.S.,
Roma 1996, pp. 353-4)
<< Il 15 febbraio... chiudevamo la seconda puntata della "Jucci story" sulla trappola tesa da Moro a metà marzo 1972 quando, per smascherare i promotori dell'operazione invisa dagli americani, il ministro degli Esteri suggerì ai membri del governo ed ai funzionari della Pubblica amministrazione di aggirare l'ostacolo rappresentato dal Pentagono, offrendo a Gheddafi un "pacchettino" autarchico di cannoni e munizioni residui della II guerra mondiale. Proprio per sventare il pericolo di questa autoriduzione il "noto servizio" metteva sale alla coda di Girotti: se vuoi il petrolio libico (quello delle tangenti ai politici) datti da fare per la fornitura integrale. Come è noto il presidente dell'eni rispose alla sollecitazione e chiese di potere essere ricevuto A Palazzo Chigi dal solito Andreotti. >> (ibidem p. 355)
I due passi si prestano a diverse considerazioni: a- Pecorelli usa per tre volte l'espressione Noto Servizio e sempre fra virgolette, a significare che non si tratta dell'allusione generica ad uno
dei vari servizi di informazione, ma della locuzione per indicare un preciso organismo diverso da quello effettivamente noti. Diversamente, o sarebbe comparsa la sigla del servizio in questione o l'espressione non sarebbe stata virgolettata. Dunque, Pecorelli voleva parlare di una determinata
organizzazione
cui
era
riferita
quella
particolare
espressione. Appare del tutto improbabile una coincidenza per cui egli volesse riferirsi ad altro da quello che noi conosciamo con quella stessa espressione. E' da notare che, al momento in cui Pecorelli scriveva, non era affatto noto l'appunto di Grisolia del 4 aprile 1972, mentre era noto il documento "all'insegna della trama nera", che ha moltissimi punti di contatto con l'inchiesta di Pecorelli, ma nel quale non compare mai l'espressione "Noto Servizio". Dunque Percorelli sapeva dell'esistenza del "Noto Servizio" e l'uso di quella particolare espressione lascia pensare che la notizia gli sia giunta dalle stanze dello Uaarr. b- Pecorelli usa una espressione del tutto incomprensibile a qualsiasi lettore, salvo che alle pochissime persone in grado di cogliere l'allusione; dunque sta lanciando un messaggio a qualcuno in grado di intendere. Può darsi che tale messaggio rispondesse ad una delle consuete operazioni del giornalista, uso a servirsi di un linguaggio allusivo ed indiretto per ottenere particolari vantaggi per al sua testata, ma può anche darsi il caso che egli fosse il tramite di una operazione concordata con altri. In ogni caso, l'uso dell'espressione non è casuale e risponde a scopi che nulla hanno a che fare con l'informazione. c- Se le notizie riportate da Pecorelli sono vere (e bisogna dare atto che, nella maggior parte dei casi, gli scoop del direttore di "Op" hanno
trovato conferma, anche se a distanza di alcuni anni), dobbiamo dedurre che il Noto Servizio fosse, appunto, noto ai dirigenti dell'Eni, diversamente non si capisce per quale ragione Girotti avrebbe dovuto mostrarsi così influenzabile dai suoi pareri. E doveva esserlo anche a pezzi del sistema politico: quello cui si indirizzava il messaggio di Pecorelli, ma anche quelli che, per il tramite di Girotti, ricevvero l'avvertimento e vi si adeguarono. Dunque, l'esistenza di tale organismo doveva essere una conoscenza diffusa fra i vertici tanto del sistema politico quanto di quello economico. d- considerando che tanto l'inchiesta di Pecorelli, quanto il documento "All'insegna della trama nera" parlano delle stesse operazioni e degli stessi soggetti, se ne deduce che quando, nel novembre del 1972, nelle varie redazioni e segreterie politichegiunse quel testo anonimo ma assai circostanziato, diversi destinatari immaginarono senza difficoltà che ci si stesse riferendo al Noto Servizio e che ad esso si fosse riferito anche Forlani nel suo comizio spezzino. e- In definitiva, se ne ricava che già da quell'epoca, la conoscenza dell'esistenza e delle operazioni del Noto Servizio costituivano materia di guerra -ovviamente coperta- all'interno del sistema politico
11) Alcune considerazioni di sintesi. Nel secondo paragrafo di questa relazione, ci siamo posti il problema della logica del comportamento di Grisolia e, conseguentemente, della reale natura del documento del 4 aprile 1972. Ci sembra ora opportuno riassumere brevemente il quadro delle principali emergenze di quanto siamo andati dicendo sin qui, anche alla luce di quanto abbiamo scritto in altre relazioni a codesta Ag: - 16-17 dicembre 1969: note del Sid sull'Aginter Presse, che accusano della strage anarchici e Avanguardia Nazionale, e, per il suo tramite, tendono a coinvolgere nell'Affaire lo Uaarr - 21 dicembre 1969: Delle Chiaie fugge - 28 dicembre 1969: missiva del Sid che segnala rapporti fra Federico Umberto d'Amato e la sedicente contessaFejerdi Budai De Chiode Zorana Romana, già segnalata, il 25 novembre precedente, dal Controspionaggio. - gennaio 1970: Avanguardia Nazionale viene ufficialmente ricostituita, in modo da evitare l'accusa di "associazione segreta" - inverno-primavera 1970: un gruppo del Collettivo Politico Giuridico di Roma svolge l'inchiesta che verrà pubblicata sotto il titolo "La strage di Stato". Il libro,insieme a molte rilevanti acquisizioni, riprende la tesi della colpevolezza di Delle Chiaie -con il relativo corollario dello Uaarr-.
Alla formazione di questa convinzione non è stato estraneo il Sid che, in modo coperto, ha fatto filtrare informazioni e documenti in questo senso - 10 febbraio- 5 marzo 1970: mentre la Commissione Parlamentare di Inchiesta sui fatti del Luglio 1964 si avvia alla conclusione dei suoi lavori, "Paese Sera" pubblica una serie di articoli di Ruggero Zangrandi sul caso Sifar, che riportando molti documenti dello Uaarr e dello stesso Sifar, che non possono provenire che da uno dei sue servizi. - 5 marzo 1970: intervista di Serafino Di Luia al giornalista Zicari del Corriere della Sera (più tardi identificato come collaboratore del servizio militare) nella quale si sostiene -per la prima volta da destra- che Michele Merlino non è un anarchico, ma un camerata, fatto infiltrare fra gli anarchici dalla " persona che lo ha plagiato (e che) è la stessa che fece affiggere il primo manifesto cinese in Italia" (evidente allusione a Federico Umberto D'Amato). Una nota interna allo Uaarr dello stesso giorno, registra la furibonda reazione dell'ufficio 20 marzo 1970: Il Questore di Bolzano fa sapere allo Uaarr che i fratelli Bruno e Serafino Di Luia sono disposti a fare rivelazioni "interessanti" sugli attentati di Milano e Roma. 10 aprile 1970: Russomanno si incontra con i fratelli Di Luia 22-23 aprile 1970:
con il primo colloquio Zicari-Fumagalli, inizia
l'operazione dei Cc che porterà alla prima istruttoria sul Mar aprile 1970: Valerio si dimette dalla presidenza della Montedison ed al suo posto viene eletto Merzagora: la scalata di Cefis entra nella sua fase finale. Appoggio dell'associazione di Pisanò a Cefis 13 giugno 1970: esce "La strage di Stato"
19 novembre 1970: con un articolo intitolato "Si scrive leader si legge lader" Pisanò inizia, sul Candido , una violenta campagna contro il segretario del psi Mancini per le aste truccate dell'Anas 23 novembre: Mancini pone il veto socialista alla nomina di Girotti all'Eni 8 dicembre 1970: tentato colpo di Stato di Junio Valerio Borghese 15 dicembre 1970: fine dei lavori della commissione di inchiesta sul caso Sifar. 15 dicembre 1970: dimissioni di Merzagora dalla Presidenza della Montedison; pochi giorni dopo il "Corriere delal Sera" pubblica la sua lettera agli amministratori in cui si parla dei fondi neri. 23 febbraio: arresto di Pisanò. 17 marzo 1971: Paese Sera rivela il tentativo di colpo di stato di Borghese dell'8 dicembre precedente aprile: l' "ingegner Pontedera" manda alla Guardia di Finanza i nastri delle intercettazioni abusive a Chiatante; il Candido è il primo giornale a pubblicarne il testo. 13 aprile 1971: Padova, il giudice Stiz fa arrestare Freda e Ventura. 22 aprile 1971: Cefis presidente della Montedison; poco dopo, Girotti presidente dell'Eni. 17 dicembre 1971: arrivo in Italia della delegazione libica per trattare l'acquisto di armi; gennaio 1972: si forma il governo monocolore Andreotti che non ottiene la fiducia delle Camere provocando lo scioglimento del Parlamento. primi mesi 1972: inchiesta del commissario Calabresi sul traffico d'armi febbraio 1972: con il colpo di mano di Cefis sulla Snia Viscosa, inizia il conflitto Cefis-Girotti
20 febbraio 1972: l' Espresso, inizia la campagna sulle intercettazioni telefoniche 24 febbraio 1972: Aurisina, scoperta del Nasco. 1 marzo: Moro propone il "pacchetto nazionale" per la richiesta dei libici 4 marzo 1972: arresto di Rauti per Piazza Fontana. 6 marzo: appunto del Noto servizio a Girotti. 4 aprile 1972: relazione di Grisolia sul "Noto Servizio" 16 aprile 1972: inizia l' "Operazione Juri" primavera
1972:
Federico
Umberto
D'Amato
diventa
-anche
formalmente- capo dell'ufficio Affari Riservati. 17 maggio 1972: assassinio del commissario Luigi Calabresi; 18 maggio: nuova delegazione di libici in Italia ed allargamento del pacchetto di richieste agosto 1972: Labruna avvia l' "Operazione Occhio" 6 settembre: arresto di Nardi per l'assassinio di Calabresi 5 novembre 1972: discorso di Forlani a La Spezia metà novembre 1972: documento anonimo "All'insegna della trama nera" novembre 1972: esplode lo scandalo dei "fondi neri" della Montedison marzo 1973: scoppia lo scandalo delle intercettazioni telefoniche che investe Tom Ponzi; arrestato Walter Beneforti.
Riassumendo: 1) fra il 1969 ed il 1974, le tradizionali rivalità di corpo fra Sid e Uaarr, sfociavano in un violentissimo conflitto fra i rispettivi gruppi
dirigenti,
nel
accusandolo
quale di
ciascuno
colpe
cercava
gravissime
(dal
di
eliminare
concorso
in
l'avversario strage
al
favoreggiamento dello spionaggio sovietico). Il conflitto si produceva anche all'interno del Sid attraverso la contrapposizione fra il capo del servizio Vito Miceli ed il capo dell'Ufficio D Gianadelio Maletti. 2) Nello stesso tempo, aveva luogo la scalata di Cefis alla Montedison duramente contrastata dal segretario socialista Mancini. Uomini legati al Noto Servizio (Pisanò, De Carolis) appoggiavano Cefis nella sua scalata 3) Contemporaneamente, una campagna di inedita virulenza investiva il segretario del Psi, Giacomo Mancini per le aste truccate dell'Anas. La campagna era codotta dal "Candido" di Giorgio Pisanò (di cui abbiamo appena ricordato l'appartenenza al noto Servizo) e le intercettazioni risultano effettuate da persone in qualche modo legate a Tom Ponzi (altro personaggio indicato come componente del Noto Servizio) 4)
Simmetricamente,
prendeva
quota
lo
"scandalo
delle
intercettazioni telefoniche" che, invece, colpiva l'investigatore privato Tom Ponzi insieme a uomini già appartenuti alla "cordata dei triestini", come Walter Beneforti. 5) In questo quadro ha luogo l'operazione armi-petrolio con la Libia, nella quale, pure, compare il Noto Servizio attraverso l'appunto recapitato a Girotti. Abbiamo, quindi, un primo quadro che ci indica la presenza di uomini del noto servizio in tutte tre le principali vicende politico-finanziarioscandalistiche
del
momento
negoziati con la Libia).
(Montedison,
Anas-Intercettazioni
e
Non appare una singolare coincidenza che la nota di Grisolia compaia proprio nel bel mezzo di queste vicende? Ed è solo un caso che essa preceda di soli 12 giorni l'operazione "Juri" di Labruna? Ed è sempre una coincidenza la contiguità temporale fra l'operazione "Occhio" e il documento "All'insegna della Trama Nera"? Può darsi, ma si tratta di una bella serie di coincidenze. Conviene ricordare la posizione particolarmente difficile di Federico Umberto D'Amato che, come si sa, non ebbe mai fra i suoi referenti privilegiati l'on. Andreotti, che, nel frattempo, era diventato Presidente del Consiglio. Per di più, i suoi avversari del servizio militare (in quel momento,"i nemici a lui più fieri") sembravano, invece, godere di ben migliore accoglienza presso di lui. Mutatis mutandis , si riproduceva la situazione che, una dozzina d'anni prima, l'aveva visto contrapposto all'on Tambroni, prima come suo ministro, poi come Presidente del Consiglio. E, come dodici anni prima, D'Amato si trovava, per ragioni assai diverse, a condividere con uomini di appartenenze ben distanti e, talora, opposte o concorrenti, la speranza di una rovinosa caduta del governo in carica e, soprattutto, del suo capo. In questo contesto, poteva risultar utile mettere per un momento da parte antiche inimicizie (come quella che certamente opponeva il capo dello Uaarr all'allora segretario socialista), per cercare, se non alleanze, quantomeno convergenze obiettive. Ma, superare consolidate avversioni può non essere facile e, soprattutto, molto ardua può risultare la conquista della necessaria fiducia da parte di un interlocutore che avrebbe ottime ragioni per temere un raggiro. Non dimentichiamo che per qualche momento era parso che dietro il misterioso Pontedera vi
fosse lo Uaarr e, dunque, D'Amato, quel che non agevolava certo un avvicinamento del leader socialista. In questi casi, può risultare più pagante una tattica diversa, come quella di far giungere determinate notizie a chi di interesse, attraverso un canale che goda della sua fiducia. Per scendere nel concreto: Mancini poteva risultare mal disposto verso il capo dello Uaarr, mentre Aniasi era uno dei principali esponenti della sua corrente nel Psi e, dunque, un ottimo tramite. E così, le iniziative di Grisolia (avvisare Aniasi del tentativo di sequestro a suo danno e consegnargli il testo della sua informativa) possono spiegarsi in un modo che va oltre le ragioni di un semplice atto di amicizia: che egli abbia eseguito precisi ordini dello Uaarr. La prima azione poteva corrispondere anche all'esigenza di permettere a Grisolia di conquistare totalmente la fiducia di Aniasi, in modo da preparare il terreno alla seconda e più rilevante parte dell'operazione: coinvolgere Aniasi nell'operazione contro il Noto Servizio che, indirettamente, colpiva anche Andreotti. Infatti, è facile supporre che una persona, che ha da poco ricevuto notizia di un complotto ai suoi danni da parte di un gruppo clandestino, sia portata ad attivarsi contro quel gruppo e a fidarsi di chi l'ha avvertito. Di qui il calcolo (non sappiamo se riuscito) che Aniasi si sarebbe attivato presso Mancini. Può darsi che questa resti solo un'ipotesi priva di riscontri (peraltro difficili da trovare quasi trenta anni dopo i fatti e con ben pochi possibili testi ancora in vita), ma le coincidenze che abbiamo richiamato all'inizio di questo ragionamento ci incoraggiano su questa strada.
Infatti, la nota di Grosolia precede di pochi giorni l'avvio dell' "Operazione Juri" e il nesso fra le due cose sarà reso trasparente dalla lettera anononima "All'insegna della trama nera" che citava tanto Jucci (protagonista dell'affaire armi-petrolio), quanto Battaini (dominus del Noto Servizio a Milano) per connetterli entrambi alla stessa cordata facente capo ad Andreotti. E' da notare che questo testo, da un lato anticipa quanto rivelerà nel 1977 l'agenzia "Op", dall'altro contiene diversi punti di contatto con la nota del 4 aprile precedente (il nome di Battaini, il ruolo dei Carabinieri in relazione alla destra milanese, ecc.) ed anticipa un altro dato delle future note di Grisolia (il reclutamento di Nardi): troppi punti di contatto per poter pensare a delle semplici coincidenze. Per inciso, notiamo qui che l'ipotesi dal Ristuccia -peraltro suggerita da un "si dice" nell'ambiente del Noto servizio, ma priva di alcun supporto concreto- secondo la quale il documento sia da attribuire al defunto senatore Giorgio Pisanò, non appare minimamente credibile
per i
seguenti motivi: a) dati i ripetuti punti di contatto fra questo documento e quello del 4 aprile 1972, dovremmo immaginare una intesa fra Pisanò e Grisolia che, invece, nulla ci autorizza a supporre b) il testo "all'insegna della trama nera" in tutto il suo svolgimento, dà per scontato che gli autori degli attentati dinamitardi appartengano all'estrema destra e che operino con esplosivo di provenienza militare e che, in questa attività, avrebbero goduto della copertura dei Carabinieri: quel che il senatore Pisanò non avrebbe mai sostenuto
c) nè si capisce quale vantagggio sarebbe venuto allo stesso Pisanò dal rendere pubblica l'esistenza del Noto Servizio al quale, stando sia ai documenti, sia a quanto dice lo stesso Ristuccia, apparteneva. Dunque, è molto più razionale ipotizzare che il documento "All'insegna della trama nera" costituisca la seconda parte di un'azione iniziata con la nota del 4 aprile precedente e che entrambi siano da attribuire alla stessa mano (o alle stesse mani). Conseguentemente, anche la contemporaneita fra questa operazione dello Uaarr e quella dell'Ufficio D del Sid appare, più che come una coincidenza, come la confluenza fra due attori diversi e, probabilmente non alleati fra loro, ma convergenti verso lo stesso obbiettivo: abbattere l'on Andreotti e la sua cordata politico-militare. E' tutt'ora convinzione comune che, nel dualismo fra Miceli e Maletti, il primo avesse come suo referente politico Aldo Moro, ed il secondo Giulio Andreotti. Per la verità, l'on. Andreotti ha sempre rigettato questa affiliazione di Maletti e Labruna, incontrando, però molto scetticismo. Occorre dire che, nella maggior parte dei casi, l'appartenenza di un alto ufficiale -in particolare dei servizi- ad una determinata cordata politica, si basa su convinzioni diffuse, derivanti, il più delle volte o dalla constatazione del politico che ha effettuato o propiziato la nomina più importante dell'ufficiale, o sull'osservazione del comportamento di entrambi e sulle relative convergenze. In effetti, è
probabile che rapporti preferenziali fra l'esponente
democristiano ed il generale del Sid siano esistiti in epoca precedente, e taluni possono interpretare l'azione del duo Maletti-Labruna sul golpe Borghese come un modo per controllare l'inchiesta, assicurando che essa non sarebbe andata oltre il "far volare gli stracci" e tenendone fuori
determinati uomini politici; ma riesce assai difficile catalogare come "azione amichevole" le due operazioni ("Juri" e "Occhio") messe in atto dall'ufficio del generale Maletti nel 1972. D'altra parte, Maletti non ha avuto solo relazioni con Andreotti, ma è stato anche l'ottimo amico dell'on. Mancini, da cui verrà aspramente difeso nel 1975. Inoltre, la stessa opinione diffusa che vuole Maletti come uomo di Andreotti, lo dipinge anche come leader della componente filo-israeliana del nostro servizio, contrapposta all'ala filo-araba di Miceli e, in effetti, l' "Operazione Juri" riguarda proprio il caso del riarmo di un paese arabo fra i più ostili ad Israele, quel che, appunto, doveva essere inviso in massimo grado alla componente filo-israeliana. Se questo, poi, possa aver comportato la rottura di precedenti solidarietà interne, non deve meravigliare: non è l'unico caso in cui le solidarietà internazionali abbiano prevalso su quelle nazionali. L'azione dell'Ufficio D inizia pochi giorni dopo la nota di Grisolia e si conclude qualche settimana prima del documento "All'insegna della trama nera" che collega la trattativa con la Libia al Noto Servizio: è tutto solo un caso? Difficile crederlo. Questo, tuttavia, non implica necessariamente che vi fosse un accordo esplicito fra D'Amato e Maletti in funzione antiandreottiana. E' ben più probabile che si sia trattato di una tacita intesa, o, anche, che non vi fosse alcuna particolare intesa, ma che uno dei due, conosciuta l'azione dell'altro, abbia colto l'occasione per inserirsi nel gioco e sfruttare essa a proprio vantaggio. Le soluzioni possono essere diverse: tutte più credibili di una pura e semplice coincidenza. Ed è comprensibile quale possa essere stata la reazione del Noto Servizio nel leggere sui giornali il documento "All'insegna della trama
nera" (fra gli altri, lo pubblicò il "Borghese", pur se stampando solo l'iniziale dei nomi ): è evidente che questo avrà fatto pensare a qualche fuga di notizie dall'interno ( il nome di Battaini, sino a quel punto non era ancora venuto fuori e resterà del tutto sconosciuto per molti anni ancora). E, forse, i sospetti che Titta ha manifestato su Grisolia vengono proprio da quella occasione, interpretata come un colpo proveniente non da alcune stanze del Viminale, ma dai servizi sovietici in Italia.
12) Padre Enrico Zucca, il Noto Servizio ed il caso Moro. Forse, il capitolo più interessante delle deposizioni di Ristuccia è quello relativo al caso Moro ed all'intervento in esso del Noto Servizio. Conviene quindi riportare per intero alcuni dei pezzi più importanti: << Ricordo che il Titta mi accennò, già durante il sequestro Moro e me lo confermò poi successivamente, che erano stati contattati per adoperarsi per la liberazione di Moro, così come per il sequestro Cirillo. Mi disse addirittura di aver avuto contatti con appartenenti alle Brigate Rosse e che questi avevano espresso sfiducia verso l'Arma dei Carabinieri e la Dc. Mi disse che gli uomini delle Br con cui erano entrati in contatto, non erano riusciti a trovare gli interlocutori adatti e non si fidavano delle Istituzioni. Titta sosteneva di aver parlato di ciò
con Cossiga e con
l'Onorevole Andreotti, ma che quest'ultimo con valutazioni
negative sull'eventualità del rilascio dell'ostaggio bloccando (sic) così le attività che intendeva intraprendere. Ricordo che lo stesso giorno in cui si seppe che nel lago della Duchessa doveva trovarsi il cadavere di Moro, il Titta mi disse in tempo reale che si trattava di una "bufala". Ciò ovviamente mi disse prima che ci fosse la smentita... Ricordo che era aprile e che c'era la Fiera aperta. Ricordo molto bene questo particolare perchè quando i media dettero la notizia, il segretario generale della Fiera era indeciso sul fatto di sospenderla o meno proclamando il lutto. Io allora telefonai al Titta che venne subito a trovarmi dicendomi di riferire al Franci (il segretario generale) che era una bufala.... faccio altresì presente... che il Titta disse di essersi occupato anche del sequesto Dozier.>> (verbale s. i. Ristuccia dell'8 ottobre 1998)
<< ... Si io venni informato da Titta che il Presidente della Dc correva seri rischi di sequestro. Sequestro durante il quale Titta mi disse di essere a conoscenza del luogo dove Moro era detenuto, lo aveva detto anche ai senatori Andreotti e Cossiga. Il Titta mi disse durante il sequestro che Moro era detenuto in via Gradoli e, come ebbi occasione di accennarvi, lo seppe direttamente dalle Brigate Rosse. Non so dirvi come entrò in contatto con le Br, ma lui mi disse di essere stato fortemente ostacolato sul caso Moro, proprio dal potere politico dal quale dipendeva.... in particolare alla richiesta di poter intervenire su via Gradoli il Titta ricevette un secco diniego da Andreotti che gli fece capire che non era auspicabile una soluzione
positiva del processo, la frase che ricordo distintamente è "Moro vivo non serve più a nessuno">> (verbale s. i. Ristuccia del 9 dicembre 1998)
<< Ero a conoscenza dell'iniziativa di Zucca. Non fu un'attività autonoma, ma realizzata dopo che Titta gli aveva riferito che le Br erano disponibili a rilasciare l'ostaggio in cambio di una somma di denaro. Io non posso garantirvi che il denaro ci fosse veramente perchè la fondazione Balzan mi è sempre apparsa come un grosso raggiro, mentre il premio era una cosa seria. Ribadisco che non sono in grado di dire chi furono i brigatisti che avvicinarono il Titta. Nè se lo fecero direttamente. Posso solo dire che Titta mi disse che era stato provocato un contatto con le Br e che queste non volevano condurre la trattativa con organi di polizia ufficiali o esponenti politici. In merito alle mancate risposte di Andreotti, vi ricordo che non le diede neanche a voce al Titta, facendogli ben intendere che Moro vivo non interessava. >> (verbale s. i. Ristuccia del 18 aprile 2000)
Anche su questo delicatissimo punto, la testimonianza di Ristuccia è di grande rilievo e schiude scenari sin qui insospettati o, al massimo, sommariamente intuiti. Si tratta, però, di un contributo assai complesso che assomma cose direttamente conosciute dal teste a cose sapute di seconda e, talvolta, di terza mano.
Quel che Ristuccia sa sulla vicenda deriverebbe dal racconto che glie ne avrebbe fatto Titta che, a sua volta, in parte avrebbe riferito episodi vissuti personalmente, in parte cose apprese da terzi. Ovviamente, ad ogni passaggio occorre tener presente la possibilità di distorsioni casuali o volute, di altrettanto accidentali o calcolate reticenze, di errori di comprensione o di ricordo. Non sarà, dunque inutile isolare ogni singola informazione, collocandola in una griglia costruita sulla base del grado di vicinanza alla fonte primaria. Otterremo, così, questi gruppi di dati: A) Notizie conosciute personalmente da Ristuccia : 1A- lo stesso giorno in cui si seppe che nel lago della Duchessa doveva trovarsi il cadavere di Moro, il Titta mi disse in tempo reale che si trattava di una "bufala" 2A- venni informato da Titta che il Presidente della Dc correva seri rischi di sequestro. 3A- Ero a conoscenza dell'iniziativa di Zucca. Non fu un'attività autonoma, ma realizzata dopo che Titta gli aveva riferito che le Br erano disponibili a rilasciare l'ostaggio in cambio di una somma di denaro. B) Notizie apprese da Titta conosciute personalmente dallo stesso Titta 1B- Titta mi accennò che erano stati contattati per adoperarsi per la liberazione di Moro 2B- Titta mi disse successivamente che erano stati contattati per la liberazione di Cirillo
3B- Titta mi disse di essersi occupato anche del caso Dozier 4B- Mi disse addirittura di aver avuto contatti con appartenenti alle Brigate Rosse 5B- Mi disse che i brigatisti contattati avevano espresso sfiducia verso l'Arma dei Carabinieri e la Dc. 6B- Mi disse che gli uomini delle Br con cui erano entrati in contatto, non erano riusciti a trovare gli interlocutori adatti e non si fidavano delle Istituzioni. 7B- Titta sosteneva di aver parlato di ciò
con Cossiga e con l'Onorevole
Andreotti 8B- Titta riferì ad Andreotti e Cossiga il luogo dove era tenuto prigioniero Moro 9B-Titta mi disse che, alla richiesta di poter intervenire su via Gradoli, ricevette un secco diniego da Andreotti 10B-Andreotti gli fece capire che "Moro vivo non serve più a nessuno" 11B- Titta mi disse che era stato provocato un contatto con le Br C) Notizie apprese da Titta e che questi avrebbe appreso da altri 1-CTitta mi disse di sapere che Moro era detenuto in via Gradoli e di averlo saputo direttamente dalle Brigate Rosse. D- Notizie di cui Ristuccia ammette di avere una conoscenza limitata o difettosa: 1D-Non so dirvi come Titta entrò in contatto con le Br, 2D- Io non posso garantirvi che il denaro per la liberazione di Moro ci fosse veramente perchè la fondazione Balzan mi è sempre apparsa come un grosso raggiro
3D- non sono in grado di dire chi furono i brigatisti che avvicinarono il Titta. 4D- non sono in grado di dire se i brigatisti abbiano avvicinato direttamente Titta. Prima di passare in rassegna ogni singola affermazione, ci sembra di dover affrontare due problemi preliminari: a) chi ha trovato chi? E' Titta che ha trovato le Br o queste che hanno trovato Titta? b) con chi ha parlato Titta, con i capi delle Br (per intenderci: con Moretti o un suo rappresentante) o con dei dissidenti? Ristuccia, dome abbiamo visto, dichiara di non sapere nè come Titta sarebbe giunto alle Br (o queste a quello) nè chi fossero i brigatisti con cui avvenne il contatto. Tuttavia, per quanto attiene al primo punto, il senso delle dichiarazioni di Ristuccia va nel senso da Titta alle Br ("fu provocato un contatto con le Br "). D'altra parte, considerato che Titta, all'epoca, era un emerito sconosciuto, non si comprende nè come nè perchè le Br lo avrebbero dovuto cercare, a meno che una precisa indicazione in questo senso non sia venuta personalmente da Aldo Moro che, alla ricerca di un canale efficace di comunicazione con il governo, avrebbe indicato un nome del quale avrebbe potuto avere memoria quantomeno dai tempi del negoziato con i libici. Si tratta di una soluzione possibilissima, ma, ripetiamo, le dichiarazioni di Ristuccia sembrano andare in ssenso opposto.
Ma, se accettiamo l'idea che sia stato Titta a raggiungere le Br, dobbiamo ricordare che, sino ad oggi, non si sa di alcun organismo statale che sia riuscito, nell'immediatezza del rapimento del Presidente della Dc, a rintracciare dirigenti delle Br, tanto per arrestarli, quanto per avviare una qualche trattativa. Quantomeno, questa è la tesi ufficiale sostenuta, ancor oggi, da ciascuno degli apparati di polizia ed informativi. E' interessante notare che quanto non sarebbe riuscito a Polizia, Carabinieri, servizio militare ecc; riuscì, invece, al Noto Servizio. Abbiamo già esposto il dubbio che l'Anello disponesse di uno o più infiltrati nella colonna milanese delle Br. Ad avvalorare questa ipotesi c'è anche un particolare: se davvero Titta ha preso contatto con dissidenti delle Br, difficilmente questo può essere avvenuto per caso: è segno che già sapeva della loro posizione critica, cosa che può essergli stata riferita solo da un informatore interno al gruppo. Più avanti svolgeremo qualche considerazione sul possibile significato dell'espressione "fu provocato un contatto ", ora affrontiamo l'altro problema. Ristuccia dice di non sapere chi fossero gli interlocutori di Titta, ma tutto il suo racconto propende fortemente per l'ipotesi che si trattasse di dissidenti e non dell'ala, per così dire, ufficiale dell'organizzazione. Si tratta di una ipotesi possibile, ma che non ci persuade affatto, per questa serie di motivi: a) gli unici dissensi interni alle Br durante il caso Moro, di cui si sa, sono quelli fra la Direzione strategica e il duo Morucci-Faranda che, però, si sarebbe manifestato solo verso la metà di aprile, mentre il contatto di Titta sembrerebbe precedente. Inoltre, Morucci e Faranda
facevano parte della colonna romana e non di quella milanese: un problema in più per Titta che operava principalmente a Milano. b) fallita la trattativa, che fine hanno fatto questi dissidenti? Sono stati fra i primi pentiti, come Peci? Improbabile: il fenomeno del pentitismo fu gestito quasi totalmente dai carabinieri di Dalla Chiesa ed abbiamo visto che questi "dissidenti" avrebbero dichiarato a Titta di non fidarsi dei carabinieri. In secondo luogo, il fenomeno del pentitismo si manifesta un po' più in là nel tempo. c) i "dissidenti" avrebbero dovuto sapere dove era tenuto Moro, ma, a conoscere questo dato, nell'organizzazione, erano pochissimi. d) se il contatto con le Br "fu provocato", si immagina, attraverso qualche segnale, è chiaro che tale segnale era rivolto alle Br in quanto tali e non ad una eventuale fascia dissidente della quale, peraltro, nessuno sapeva nulla (salvo l'ipotesi appena esposta dell'infiltrato). Ma, allora, come mai a prendere contatto sarebbero stati i dissidenti e non i morettiani? e) come avrebbero fatto i "dissidenti" ad appurare l' effettiva qualità di chi li avvicinava? f) se di "dissidenti" si è trattato, come mei nessun pentito o dissociato delle Br ha rievocato quel precedente? Non mancano, nel racconto di Ristuccia, singoli elementi a parziale convalida della tesi dei "dissidenti" (ne parlereno nel corso dell'esame delle singole affermazioni), ma, come si vede, gli elementi di dubbio prevalgono. Le stesse considerazioni sin qui svolte diventano argomenti a favore della tesi che il contatto possa essere avvenuto con gli esponenti
"ufficiali" delle Br, più avanti vedremo per quali ragioni la tesi dei "dissidenti" possa essere preferita da Ristuccia. Veniamo ora all'esame dei singoli punti. 1A- Lago della Duchessa : Titta aveva detto, prima della smentita delle Br, che la notizia era falsa e Ristuccia,
in
poche
ore
ebbe
la
conferma
della
giustezza
dell'informazione dai noti sviluppi della vicenda. Dunque -se il ricordo del teste è esatto- Titta conosceva in anticipo l'esito della vicenda e ciò, escludendo che egli avesse facoltà divinatorie, non può significare altro che egli possa averlo saputo: a) dal Sismi o altro organismo similare, che, pur avendo correttamente valutato l'infondatezza della notizia, stava al gioco per ragioni da chiarirsi b) dagli stessi autori del falso comunicato c) da un infiltrato del Noto Servizio nelle Br d) da un interlocutore delle Br prontamente sentito, non appena appresa la notizia del comunicato. Tanto nel caso dell'infiltrato quanto in quello dell'interlocutore, doveva trattarsi di persona inserita ad un livello abbastanza alto per sapere in tempo
abbastanza
breve
che
il
comunicato
non
apparteneva
all'organizzazione. 2A- Conoscenza anticipata del sequestro. Sempre
stando
alle
informazioni
date
da
Ristuccia,
valgono
considerazioni analoghe al punto precedente: Titta può aver saputo della notizia in uno di questi modi:
a) dal Sismi: è noto che sin dal 16 febbraio, un detenuto nel carcere di Matera -tal Senatore- aveva informato il centro Cs di zona del progetto di rapimento ai danni del presidente della Dc. Il Sismi, si era poi giustificato dicendo che, data la situazione di confusione seguita alla riforma del servizio, l'informativa era giunta solo il 16 marzo -troppo tardi- alla direzione del servizio. Potrebbe, invece, essere accaduto che la notizia fosse giunta in tempo ed era stata oggetto di discussioni, attraverso le quali sarebbe filtrata sino al contiguo ambiente del Noto Servizio. Resta da capire, a questo punto, perchè, tanto il Sismi, quanto il Noto Servizio non abbiano saputo o voluto impedire il sequestro b) da un ulteriore servizio informativo italiano o straniero presumibilmente occidentale-: valgono le considerazioni appena svolte c) da un infiltrato del Noto servizio nelle Br che, successivamente, sarebbe stato lo strumento attraverso il quale entrare in contatto con le Br. Nel qual caso, c'è da capire quale uso abbia fatto dell'informazione il Noto Servizio (Ha avvisato il servizio militare? L'autorità politica di riferimento? I servizi americani? Ha tenuto tutto per sé?)
3A- L' iniziativa di Zucca. Ristuccia può aver appreso il fatto direttamente da Zucca, quanto da Titta (fa poca differenza), mentre non si ha ragione di ritetenere che possa averlo appreso da altri: in ogni caso, si è trattato di una notizia conosciuta di prima mano ed in tempo reale.
E' fuori discussione che effettivamente padre Zucca avrebbe raccolto una forte cifra di denaro per trattare con le Br: la notizia venne data dall'"Espresso" già il 26 maggio 1978 -sia pure facendo cenno ad un brigatista presentatosi al confessionale di Padre Zucca e senza alcun cenno a Titta- precisando che era stata raccolta la più che rispettabile cifra di 50 miliardi. Successivamente essa veniva confermata dalla nota nr. xx/909 del 21 settembre 1978 del centro Sisde di Milano e dalla nota nr. 3/3854 del 2 febbraio 1979 diretta allo stesso centro. Ma, se l'esistenza del tentativo è fuori discussione, meno scontata appare la descrizione del suo svolgimento. Innanzitutto, lascia fortemente perplessi il fatto che le Br fossero disponibili a concludere l'operazione per denaro, così come Titta avrebbe fatto intendere ai suoi sodali. Una simile soluzione avrebbe svuotato di ogni significato politico il rapimento e, peraltro,se davvero le Br erano disposte a liberare Moro per del denaro, avrebbero potuto rivolgersi alla famiglia che (per quanto 50 miliardi del tempo
fossero una cifra di tutto rispetto), non avrebbe
avuto difficoltà a reperire la cifra fra amici ed estimatori, o rivolgendosi alla Santa Sede. Questo avrebbe in radice eliminato il problema della trattativa con lo Stato. Soprattutto, se le Br erano davvero interessate a chiudere il sequestro per denaro, non si capisce perchè poi abbiano mutato parere ed abbiano deciso di uccidere l'ostaggio. Forse 50 miliardi erano pochi? O forse il denaro era solo una voce "aggiuntiva" e la trattativa è naufragata su altro? C'é, però, da considerare la variante dei "dissidenti": i 50 miliardi erano diretti a loro in cambio della rivelazione del posto in cui era tenuto Moro, in modo da farlo liberare, poi la cosa sarebbe andata a male
perchè gli organi di polizia -o forse le autorità politiche competenti, come Ristuccia afferma- non erano interessate alla cosa. Questo è un elemento a favore della tesi dei "dissidenti". Però, questo presuppone che questi eventuali dissidenti sapessero dove effettivamente Moro era detenuto, cosa possibile ma molto improbabile. In secondo luogo, non si capisce come mai il tentativo non sia stato fatto sul versante della famiglia (che, invece, sembra essere stata tenuta all'oscuro di tutto). Infine, il Noto Servizio avrebbe avuto diversi altri modi per gestire la notizia sia per costringere chi di dovere ad intervenire, sia per tentare una sortita che liberasse Moro (avrebbero avuto problemi Titta o Tom Ponzi, a reclutare una squadra di personale addestrato ai massimi livelli professionali, per tentare una irruzione?). Ma, soprattutto, non si capisce per quale motivo il Noto Servizio e circonvicini, avessero tanto interesse a salvare il presidente della Dc, da mettersi in contrasto con le autorità politiche di riferimento. Moro era stato il massimo artefice di quel ciclo politico di apertura al Pci, contro il quale Zucca, Battaini, Titta, De Carolis e gli altri si erano costantemente battuti, prima appoggiando le correnti di destra della Dc e poi varando l'operazione Ppi (almeno stando alle dichiarazioni formali), per quale motivo avrebbero dovuto sentire così acutamente la mancanza del celebre politico pugliese? Nè pare che l'ambiente fosse quello più ricettivo a scrupoli di ordine umanitario... Dunque, la somma è stata raccolta ed il tentativo è stato fatto, ma la motivazione, è forse stata diversa: non era sulla vita di Moro, probabilmente, che si stava trattando, ma su altro. Torneremo più avanti sul punto.
1B- Titta mi accennò che erano stati contattati per adoperarsi per la liberazione di Moro Notizia inverificabile anche per la sua genericità: chi contattò il Noto Servizio per il caso Moro? Autorità politiche? La Cia? Il Sismi? La famiglia per qualche tramite? La Dc? 2B- Titta e il caso Cirillo Cosa vera e già abbastanza nota, cui il racconto di Ristuccia non aggiunge nulla di nuovo. 3B- Titta e il caso Dozier Di questo abbiamo già fatto cenno. 4B- Titta ed i contatti con appartenenti alle Brigate Rosse. E' questo il punto più importante e delicato di tutte le dichiarazioni di Ristuccia. Sin qui le Br hanno sempre smentito di aver avuto altri contatti oltre quelli indirettamente tessuti, per il tramite di alcuni esponenti dell'Autonomia romana (Pace e Piperno), con il Psi. Altrettanto le massime autorità istituzionali del tempo (dall'ex Presidente del Consiglio Andreotti all'ex ministro dell'Interno Cossiga) hanno
sistematicamente
smentito
-sia
in
sede
giudiziaria,
che
parlamentare o giornalistica- che vi siano stati, per quanto a loro conoscenza, contatti con le Br diversi da quelli citati. Se, invece, emergesse che tali contatti vi furono e che a gestirli non fu neppure uno degli apparati ufficiali, o la Dc o qualche organismo umanitario, ma un servizio segreto occulto e manifestamente illegale, questo fornirebbe una chiave di lettura completamente diversa dell'accaduto e sarebbe assai difficilmente spiegabile da chi, sinora, ha sostenuto la tesi opposta. In particolare, risulterebbe assai imbarazzante, tanto per le Br quanto per gli uomini delle istituzioni, ammettere il tacito accordo nel negarlo. Si tratterebbe di una solidarietà difficile da ammettere che richiama alla nostra mente questo passaggio del discorso di Curcio in ricordo del suo amico Mauro Rostagno: << Perchè ci sono tante storie di questo paese che vengono taciute e non potranno essere chiarite per una sorta di sortilegio: come Piazza Fontana, come Calabresi, che sono andate in certi modi e che per ventura della vita nessuno può più dire come sono realmente andate, sorta di complicità tra noi e i poteri che impediscono ai poteri e a noi di dire cosa è veramente successo>>
E, dunque, occorre in primo luogo verificare se vi siano riscontri al discorso di Ristuccia. In primo luogo, ci sembra il caso di richiamare un documento già usato nella relazione riassuntiva delle risultanze sul Noto Servizio, che questo ctu consegnò a codesta Ag in data 31 ottobre 2000. Si tratta della conclusione dell'appunto del 24 maggio 1979:
<<... Il viaggio del geom. Titta a Napoli è da mettere in relazione anche alle continue indagini sulla vicenda Moro. Egli si è incontrato con quel dott. Lupo (di cui alla segnalazione dell’8 corrente) che fa parte del gruppo dirigente Nato. Va a questo proposito ricordato che dieci mesi addietro – credo nel luglio 1978 – il citato Titta ebbe a riferire ad un gruppo ristretto di collaboratori milanesi (e la notizia fu tempestivamente trasmessa) che secondo le indagini condotte dal suo gruppo, l’on. Moro era stato tenuto prigioniero in un locale dell’Ambasciata Cecoslovacca a Roma. La notizia viene ora confermata da una pubblicazione che ha visto la luce negli Stati Uniti e che è stata, sia pure senza molta evidenza, riportata da alcuni giornali italiani. La fonte americana è vicina alla Cia e al “Servizio Informazioni”. Si spera, entro breve tempo di conoscere maggiori particolari.>> (Nota 24 maggio 1979. All. 32)
Dunque, effettivamente Titta avrebbe lavorato sul caso Moro, il teste Ristuccia
non
nell'archivio
poteva
della
sapere
Dcpp.
Per
dell'esistenza quanto
di
riguarda
questo il
appunto
riferimento
all'ambasciata cecoslocavva, si tratta di un antico depistaggio comparso sul primo numero di "Op" e -come abbiamo avuto modo di commentare nella rel. 43- probabilmente originato da Enzo Salcioli. Per quanto riguarda il dott. Lupo, come è noto a codesta Ag, gli accertamenti di Pg non sono riusciti ad identificarlo. La documentazione acquisita in questa occasione ci segnala che anche la questura partenopea, a suo tempo, non riuscì a identificare il personaggio:
<< Infatti, il dott. Lupo tra i dirigenti e tutto il personale, operante negli ambienti Nato di questa città, è sconosciuto – come lo sono i fratelli Titta nell’ambito locale del partito in oggetto indicato.>> (Lettera del Questore di Napoli del 1° maggio 1980 n. 1980 Digos, cat. A.4. All. 32)
Dobbiamo, però, dire che in data 12 febbraio 1976 (All. 31, documento già citato) la stessa Questura di Napoli, segnalando l'inaugurazione della sede del Ppi, fra i dirigenti di quel partito indicava anche un tal Epifanio Lupo. Sempre nella stessa area, segnaliamo anche -ma con
scarsa
convinzione- il Nunzio Demetrio Lupo candidato a Roma nelle liste del Nuovo Partito Popolare di Foligni. Ma ci chiediamo, a questo punto, se abbia davvero senso cercare un qualche signor Lupo che corrisponda a quello della informativa del 24 maggio 1979. Innanzitutto, non riusciamo a capire cosa significhi l'espressione "che fa parte del gruppo dirigente Nato ": la Nato ha suoi precisi organi, che non hanno sede a Napoli e che hanno una composizione non segreta. A Napoli, avevano sede, nei tardi anni settanta, il Cincsouth (comando Nato per lo scacchiere meridionale dell'Alleanza) e il Cincusnaveur (comando delle forze navali statunitensi in Europa, cui faceva riferimento anche la 6° flotta normalmente all'ancora in quel porto), successivamente i due comandi vennero assimilati. A Bagnoli c'era (e c'è) una importante base di telecomunicazioni tanto per la marina italiana, quanto per quella statunitense. Ma si tratta di comandi militari che non hanno un "gruppo dirigente" composto anche
da civili. Ovviamente, fra i militari presenti vi abbondano quelli appartenenti ai servizi di informazione e sicurezza (non solo della Cia, ma anche del servizio informativo della Us Navy). Pertanto, appare più probabile che Titta si sia incontrato con qualche ufficiale della base, verosimilmente appartenente a qualche apparato di sicurezza: infatti, non si capisce quale interesse avrebbe potuto avere un qualsiasi comandante militare della base, alle indagini sul caso Moro. E' altrettanto probabile che non si trattasse di un ufficiale italiano -nel qual caso non si capisce perchè Titta avrebbe dovuto riferire a lui, piuttosto che al Cs di Milano o alla direzione del Sismi, del Sisde o di qualsiasi altro apparato di informazione che, ovviamente, non ha la sua sede centrale a Napoli ma a Roma-. Dunque un ufficiale, residente a Napoli o Bagnoli, appartenente ad un servizio di informazioni, probabilmente non italiano. Ma, in questo caso, Lupo potrebbe essere benissimo un nome di copertura, e perciò non avrebbe, appunto, alcun senso cercare un signore con questo cognome anagrafico. Questa circostanza richiama alla nostra mente un antico verbale di interrogatorio di Roberto Sandalo: << Azzolini ebbe a confidare a Donat Cattin e Solimano che Moro, avendo percepito la non disponibilità dello Stato a trattare con le Br, aveva cominciato a tenere una linea di collaborazione, sperando che fossero le Br a decidere la non esecuzione della condanna a morte. Lo stesso Azzolini, a proposito della collaborazione di Moro, confidò a Donat Cattin e a Solimano che Moro aveva parlato di presunte complicità di non meglio identificati organi dello Stato in alcuni fatti verificatisi negli anni precedenti. Moro avrebbe parlato di alcuni
scandali, della strage di Piazza Fontana, fornendo notizie più dettagliate sui collegamenti tra la Cia ed alcuni personaggi del mondo politico ed economico italiano. Moro parlò anche di un ufficiale americano della Nato, abitante a Bagnoli, del quale Azzolini diede elementi per la sua identificazione, parlò di una macchina sportiva decappottabile in uso all'ufficiale e di altri elementi per la sua identificazione, giungendo alla decisione di eliminarlo. Ciò sarebbe dovuto avvenire nell'ottobre del 1978. Senonché il timore di rappresaglia da parte della Cia nei confronti dei militanti di Pl a seguito dell'uccisione del predetto ufficiale, indusse l'esecutivo di Pl a recedere da tale progetto. >> (Interrogatorio di R. Sandalo del 10 dicembre 1980 nel carcere di Piacenza. G.I.F. Imposimato, cart. VI, contro Piperno. Corte d'Assise di Roma. )
Il passo merita qualche riflessione: si fa cenno a cose che Moro avrebbe detto che solo parzialmente possono trovare riscontro nel suo memoriale. Ad esempio, non trova collocazione quella allusione alla "complicità di organi dello Stato in alcuni fatti verificatisi negli anni precedenti" (anche se si tratta di un riferimento troppo generico), invece, in tutto il memoriale si accenna a contatti fra gli americani (per la verità della Cia si parla assai poco) ed esponenti del mondo politico, ma non di rapporti fra la Cia ed esponenti del mondo economico. Ancor più "nuovo", rispetto al memoriale, appare il riferimento a quell'ufficiale americano abitante a Bagnoli. Che Moro fosse al corrente della presenza e del particolare ruolo di un ufficiale americano di stanza a Bagnoli è possibilissimo, soprattutto se si trattava di un ufficiale di grado elevato e/o impegnato in operazioni di particolare rilievo; ma che conoscesse
anche che tipo di auto usasse appare meno convincente. Ci sembra più probabile che Moro possa aver dato qualche indicazione sull'ufficiale (o anche, più semplicemente, sulla struttura da lui diretta) e che a ciò abbia fatto seguito una qualche investigazione delle Br, magari seguendo l'ufficiale. E' da capire, invece, perchè le Br avessero deciso di uccidere quell'ufficiale e perchè tale progetto sembrasse così urgente da contravvenire ad ogni regola della clandestinità rivolgendosi ad un'altra organizzazione per commissionarne l'assassinio. Notiamo, per inciso, che si trattaterebbe dell'unico caso in cui le Br avrebbero fatto ricorso ad una prassi del genere. Per concludere il discorso relativo ai riscontri alle dichiarazioni di Ristuccia, ci sembra che un indizio -per quanto indiretto- possa essere costituito dalla presenza di Titta nel caso Cirillo: perchè il servizio militare decise di associarlo alla strana e maleodorante trattativa? Il Sismi non aveva certamente bisogno di Titta per andare a cercare Raffaele Cutolo nel carcere di Ascoli e, dunque, non si vede quale fosse il ruolo di un personaggio che, presentato come membro del servizio, di fatto non lo era. Una prima ipotesi è che, per il tramite del Ppi o di personaggi come Gangemi, Titta potesse godere di una qualche particolare entratura presso gli ambienti cutoliani. La seconda è che Titta poteva vantare qualche precedente di trattativa con le Br; in altri termini, che si trattasse della prosecuzione di un discorso già iniziato e -forseinterrotto. La terza è che Titta fosse utile in entrambe le direzioni.
5B- La sfiducia dei brigatisti verso l'Arma dei Carabinieri e la Dc.
Sembrerebbe di capire che i brigatisti avrebbero avuto altri contatti con Dc e carabinieri e ne siano restati delusi. In ogni caso, il particolare incuriosisce anche per un altro aspetto: a quanto pare, Titta riscuoteva, invece, l'apprezzamento dei suoi interlocutori, e qui resta da capire come abbia fatto Titta (che apparentemente non era altro che un geometra in perenne affanno economico) presentarsi alle Br. Gli avrà detto di rappresentare un servizio segreto clandestino? E, in questo caso, come avrà fatto a dimostrare di non essere un mitomane, un giornalista in cerca di scoop, un truffatore che fortuitamente era riuscito ad individuare un rappresentante delle Br? Quali prove avrà fornito dell'esistenza del suo servizio? O, forse, si è presentato a nome del Sismi? Ma, in questo caso, o il Sismi era d'accordo, o Titta si esponeva in ogni momento al rischio che il Sismi, raggiunte in qualche modo le Br, lo smentisse. Quel che sarebbe stato più che imbarazzante, considerata la scarsa tolleranza dei terroristi.
7B- Titta sosteneva di aver parlato di ciò con Cossiga e con l'Onorevole Andreotti Ovviamente, di questo non abbiamo alcun riscontro.
8B- Titta riferì ad Andreotti e Cossiga il luogo dove era tenuto prigioniero Moro
Idem come sopra. 9B-Titta disse che, alla richiesta di poter intervenire su via Gradoli, ricevette un secco diniego da Andreotti Idem 10B-Andreotti gli fece capire che "Moro vivo non serve più a nessuno" Idem, salvo il fatto che abbiamo troppa considerazione per l'on. Andreotti per pensare che possa aver fatto una simile sciocchezza comportandosi così rozzamente. Pur prendendo per buona l'idea che Andreotti operasse deliberatamente per un esito luttuoso della vicenda, sarebbe stato più plausibile se avesse cercato di sostituire Titta con altri intermediari di cui si fidava maggiormente, o se avesse fatto fallire la trattativa adducendo ragioni politiche. Tutto, ma non una ammissione così pericolosa, per quanto non verbalizzata. 11B- Titta mi disse che era stato provocato un contatto con le Br Frase oscura ma interessante. Dunque, questo conferma sarebbe stato Titta ad avvicinare le Br e non il contrario. E' interessante l'espressione "era stato provocato un contatto": appunto, dato che, immaginiamo, in circostanze del genere non sia possibile presentarsi al proprio interlocutore dicendo "Adalberto Titta, direttore operativo dell'Anello, piacere. Sono qui per quella faccenda riguardante l'on. Moro". Dunque è credibile che Titta si sia fatto precedere da qualche segno inequivocabile
che garantisse la sua qualità di effettivo tramite con il sistema politico e, nello stesso tempo, un segnale che inducesse le Br a raccogliere l'invito evitando atteggiamenti troppo indisponibili. Dunque, l'espressione "era stato provocato un contatto" fa pensare ad una operazione consistente nell'emettere un segnale comprensibile solo dal destinatario, il quale, a sua volta, risponde con un altro segnale di disponibilità, a seguito del quale l'incontro può avvenire. C'è un episodio che presenta aspetti convergenti con questa dinamica. Beninteso: si tratta solo di una suggestione, poco più di un vago sospetto, ma non privo di qualche sostegno: la sera del 18 marzo 1978 (a meno di sessanta ore di distanza dal rapimento di Moro) venivano uccisi i due giovani Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, del Centro Sociale Leoncavallo.
Tinelli, abitava esattamente di fronte alla principale base
milanese delle Br -in via Montenevoso- che verrà scoperta in ottobre, peraltro, in modo tutt'altro che chiaro. Pochi giorni dopo, le Br emisero il comunicato n° 2: un documento insolito, infatti le Br non hanno mai fatto (nè prima nè dopo) comunicati per commemorare caduti che non appartenessero alla propria organizzazione, mentre in questo caso il testo si conclude con la frase "Onore ai compagni Lorenzo Jannucci e Fausto Tinelli assassinati dai sicari del regime." Si badi che, al momento (e, per la verità, ancora oggi), l'ipotesi di un omicidio politico -data per scontata dal comunicato Br- non era affatto l'unica nè quella ritenuta più probabile; infatti, i due giovani erano impegnati, insieme agli altri militanti del Leoncavallo, nella stesura di un libro bianco sulla diffusione dell'eroina a Milano e, i più, pensarono che la ragione dell'omicidio fosse da ricercare in questa direzione.
Sorge il dubbio che l'attentato ai due giovani potrebbe essere stato un messaggio diretto alle Br, per far comprendere che qualcuno sapeva dove fossero le basi dell'organizzazione ed era disposto a ricorrere a forme
di
controterrorismo
sul
modello
dell'
"AAA"
(Alleanza
Anticomunista Argentina). Sul punto rinviamo alla relazione di perizia di questo stesso Ctu ad dott. D'Ambruoso nell'ambito del processo riguardante il duplice omicidio "Tinelli-Iannucci".
1-C Titta mi disse di sapere che Moro era detenuto in via Gradoli e di averlo saputo direttamente dalle Brigate Rosse. Nulla, nelle ripetute inchieste sul caso, autorizza a credere che Moro sia stato mai tenuto in via Gradoli, anzi diversi elementi (l'appartamento non era attrezzato per la bisogna, la sua ubicazione era assolutamente quanto di meno adatto ecc.) portano ad escludere questa eventualità. D'altra parte, se effettivamente gli interlocutori di Titta gli parlarono di via Gradoli (ovviamente prima della scoperta del covo) questo vuol dire che: a) gli interlocutori in questione non erano le Br ma alcuni loro dissidenti (infatti, non avrebbe avuto senso che un dirigente delle Br, ad es. Moretti, dicesse dove era detenuto Moro, neppure nel caso di un esito positivo della trattativa, per l'ovvia ragione che rivelare il luogo significava esporsi ad un immediato bliz) b) che si trattava, probabilmente, degli stessi che, qualche tempo dopo, (visto che nessuno si decideva ad intervenire), decidevano di lasciare
aperto il rubinetto della doccia, in modo da far accorrere i pompieri e far scoprire il covo. Questo è il secondo punto a conferma della tesi dei "dissidenti". Come si sa, la scoperta di via Gradoli resta uno dei punti più oscuri di tutto il caso Moro, quanto detto da Ristuccia introdurrebbe un ulteriore elemento di complicazione della vicenda: qualcuno, già da prima del 18 aprile, cercava di attirare l'attenzione su via Gradoli. Dobbiamo pensare che tutto questo abbia qualcosa a che fare con una celebre seduta spiritica? Può darsi. Allo stato delle conoscenze non è possibile dare una risposta a questi interrogativi. Di conseguenza, sembrano opportuni ulteriori approfondimenti.
13) Qualche riflessione conclusiva sul Caso Moro ed il Noto Servizio. Ci sembra, a questo punto, di poter dire che Ristuccia porta nuovi elementi di conoscenza sul caso Moro e di notevole importanza, ma che il suo racconto abbia notevoli zone oscure, ambigue o inesatte che vanno chiarite e rettificate. In particolare, la nostra critica si è incentrata sulle motivazioni reali del tentativo di Titta e Zucca. Per orientarci è opportuno risolvere un problema preliminare: di cosa parlò Moro ai suoi carcerieri. In merito, noi disponiano solo di tre tipi di documenti: a- il memoriale di Montenevoso trovato il 1° ottobre 1978 b- il memoriale di via Montenevoso rinvenuto nell'ottobre del 1990
c- le lettere inviate da Moro nel periodo della prigionia. Come è noto, non è affatto sicuro che il testo del cd memoriale (cioé la trascrizione delle risposte che Moro ha fornito alle domande dei suoi carcerieri) sia completo -anzi, vi sono fondati motivi per sospettare che, dopo le prime due rate del ritrovamento, possa essercene una terza), nè si può essere sicuri che i testi scritti esauriscano tutto quello che Moro ha detto alle Br: infatti, nessuno ci garantisce che ogni singola dichiarazione dello statista sia stata verbalizzata ed è, anzi, ragionevole supporre che, come in tutti i processi di questo mondo, regolari o no, una parte delle sue dichiarazioni sia avvenuta -per così dire- fuori verbale. Ad esempio, dalle dichiarazioni di Azzolini, riportate da sandalo nella deposizione che abbiamo citato poco prima, si deduce che Moro possa aver detto anche altro. Tuttavia, sin quando qualcuno degli uomini che custodirono Moro nella sua prigionia non ci dirà qualcosa in proposito, noi non possiamo sapere nulla di queste eventuali dichiarazioni. Conviene, dunque, centrare l'esame sui documenti a nostra disposizione. Innanzitutto, conviene rileggere alcune parti del memoriale in cui Moro parla della strategia antiguerriglia della Nato (citiamo dall'edizione curata da F.M. Biscione "Il memoriale di Aldo Moro rinvenuto in via Montenevoso a Milano" Coletti ed. Roma 1993): << Fin quando, essendo Ministro degli Esteri, avevo un minimo di conoscenza della organizzazione militare alleata, nessuna particolare enfasi era posta sull'attività antiguerriglia che la Nato avrebbe potuto, in certe ciscostanze, dispiegare. Ciò non vuol dire che non sia stato previsto un addestramento alla guerriglia da condurre contro eventuali forze avversarie occupanti ed alla controguerriglia in
difesa delle forze nazionali. La sensazione di questo tipo di armamento ed impiego leggero si ha già agevolmente nelle riviste (cui assistono anche addetti militari di altri paesi). La domanda, cui si risponde, tende a prospettare una evoluzione della Nato che tenderebbe a volgersi verso una strategia antiguerriglia. Ovviamente ciò sarebbe dovuto venire in evidenza con l'acuirsi del fenomeno. Però, conoscendo un poco i tempi e i modo di consultazione, pianificazione, attuazione di eventuali misure militari, si può escludere che un enorme organismo come la Nato abbia potuto mettere a punto in un tempo così limitato efficaci organismi a tale scopo e per giunta eccedenti le finalità dell'alleanza che implica grandi organismi operativi. Con ciò non si intende escludere che talune cose abbiano potuto cominciare ad essere apprestate in più appropriate sedi. E ciò vedo possibile non nei complicati meccanismi Nato, bensì nella forma di collaborazione intereuropea che può svolgersi in forma libera, semplice,
efficace,
selettiva.
Dico,
appunto,
collaborazione
intergovernativa e non intercomunitaria, pensando alla Svizzera che ha fatto qualcosa, essendo neutrale e perciò fuori della Comunità. Mentre nella Comunità, per la sua forma di neutralità non istituzionale, ha fatto qualcosa in questo campo l'Irlanda. Circa l'ultimo quesito sono convinto che tutto in Europa, in campo militare, è a guida americana, mentre può immaginarsi una certa presenza tedesca, quasi per delega, nel settore dei Servizi segreti. >> (p.90)
All'epoca del secondo rinvenimento in via Montenevoso, quasi tutti colsero questo passaggio come una allusione a Gladio, ma, in realtà, Moro parla di diverse cose: a- di una struttura per la guerrigli antinvasione b- di una struttura per la controguerriglia c- delle misure antiterrorismo l'allusione alla struttura italiana di Stay behind si può cogliere nel primo punto ( guerriglia da dispiegare in caso di invasione del paese) ma Gladio non ha mai avuto compiti di contgroguerriglia o antiterrorismo e non è mai sfilata in rivista, come Moro dice nel suo memoriale. Dal testo di Moro, desumiamo che le Brigate Rosse -convinte che la presenza di formazioni armatiste come la Raf, l'Eta, l'Ira e le stesse Br, avessero una rilevanza strategica maggiore di quello che in effetti non fosse- chiedevano a Moro se vi fosse una svolta strategica nella Nato in questo senso e quali misure antiguerriglia comportasse, evidentemente allo scopo di acquisire informazioni utili a proteggere l'organizzazione da quelle misure. Moro -ed oggi sappiamo che la risposta era corrispondente al vero- replicava dicendo che la sede per tali decisioni non era la Nato, struttura estremamente formalizzata dal funzionamento troppo complicato e lento, ma la collaborazione intereuropea che, invece aveva carattere altamente informale: il cenno era al Club di Berna (cui, appunto, aderiva anche la Svizzera) ed al "Gruppo di Trevi". Basti leggere i verbali delle riunioni di questi organismi per verificare l'esattezza delle informazioni di Moro (sul punto si veda la terza relazione di perizia di questo stesso ctu all'Ag milanese). In questo contesto, il discorso principale riguarda, dunque, le attività di
controinsorgenza (competenza che, dicevamo, non è propria di Gladio che, al contrario, aveva compiti di insorgenza in caso di invasione -sulla rilevante differenza fra i due concetti, si veda la rel. 15 a codesta Ag) che, ovviamente, vedono al primo posto la polizia ed i servizi di informazione con competenze interne. Il riferimento alle misure di controguerriglia interna (percepibili osservando le sfilate militari di cui Moro dice) è probabilmente a corpi specializzati come il Tuscania, il Comsubin o il Col Moschin. Il riferimento ad attività antiguerriglia, come abbiamo appena detto, al club di Berna ed al Gruppi di Trevi, ma potrebbe riguardare anche altre attività di intelligence . E' da notare, in questo contesto, la disponibilità di Moro a parlare di argomenti abbastanza delicati, rivelando anche particolari coperti da ovvia riservatezza. Ma è da notare anche il carattere non sempre esplicito di tali rivelazioni. Lo stile ostico e sfuggente di Moro è cosa troppo nota perchè se ne debba dire in questa sede, ed è probabile che alla chiarezza non abbia giovato neppure la trascrizione dal nastro registrato operata dai brigatisti: non sembra che il testo sia stato poi rivisto da Moro, per cui è possibile che, in alcuni brani, la trascrizione possa essere stata monca, infedele o inesatta. E c'è da considerare anche lo stato d'animo di chi rispondeva a quelle domande, che non doveva essere dei più sereni: tutte ragioni facilmente intuibili, ma questo non migliora la nostra capacità di decifrare sempre in modo esatto il senso delle affermazioni contenute nel memoriale. Ad esempio, poco chiaro è il passaggio relativo al caso Giannettini:
<< ... Mi ha fatto molta impressione il cd caso Giannettini, la rivelazione improvvisa ed inusitata per la forma dell'intervista del nome del collaboratore fascista del Sid, che, collegata con presumibili insistenze dell'on. Mancini e con la difesa strenua fatta dal parlamentrare socialista del generale Maletti, insistentemente accusato al processo di Catanzaro, dà al caso il significato, invece che di un primo atto liberatorio fatto dall'on. Andreotti di ogni inquinamento del Sid, di una probabile risposta a qualcosa di precedente, di un elemento di un intreccio certo più complicato, che occupa ora i giudici di Catanzaro e di Milano. >> (pp. 48-9)
Difficile dire a cosa volesse alludere Moro con quel riferimento a "qualcosa di precedente ecc.". Così come è difficile comprendere l'insistenza di Moro sul terma della Germania e dei suoi servizi di sicurezza: vi torna più volte, sia per dire che i servizi di sicurezza tedeschi avevano, per l'Europa, una sorta di delega dagli americani, sia per lamentare possibili pressioni "americane e tedesche" contro la trattativa per la sua liberazione. E' possibile che la trascrizione sia stata troppo sintetica ed abbia eliminato elementi necessari alla comprensione del discorso, ma, torniamo a dire, questo non risolve i nostri problemi. Fatta quuesta premessa sulle difficoltà di interpretazione del testo, elenchiamo qui di seguito gli elementi del memoriale che possano riguardare, per quanto indirettamente, il Noto Servizio: a- cenno al discorso di Forlani a La Spezia (p. 53) -lo stesso di cui al documento "All'insegna della trama nera"-
b- accenno all'ipotesi di unificazione di tutti i servizi in uno o al mantenimento di un sistema plurimo dei servizi di informazione e sicurezza (p. 56) c- il rapido accenno al caso Kappler (p. 95) d- i ripetuti accenni all'on. De Carolis (p. 74, 79, 82, lettera all'on. Dell'Andro del 29 aprile 1978) A proposito del caso Kappler, ricordiamo che nel memoriale compare un brevissimo cenno non particolarmente significativo, ma nel rapporto del Ros del 10 settembre 2002, si fa riferimento ad un articolo dell'"Europeo" -precedente alla scoperta del primo memoriale in via Montenevoso- nel quale si sostiene che Moro avrebbe parlato con i brigatisti del caso Kappler. La coincidenza fra le due cose farebbe pensare che: a- Moro abbia parlato del caso Kappler in modo ben più diffuso di quello che si ricava dal memoriale (diversamente non avrebbe avuto senso dire che "Moro ha parlato alle Br del caso Kappler") b- che si sia trattato di "dichiarazioni fuori verbale" o riportare in modo estremamente succinto nella trascrizione c- che il giornalista aveva una fonte molto vicina alle Br o molto vicina a Titta. Dunque, non c'è la prova che Moro abbia parlato alle Br del Noto Servizio, ma che, in diverse occasioni, ci è andato assai vicino. In secondo luogo, abbiamo già detto che, nel caso siano state le Br a trovare Titta -e non il contrario- questo molto probabilmente significa che l'indicazione possa essere stata fornita dallo stesso Moro. Infine, se il contatto è avvenuto fra Titta e le Br ufficiali, appare improbabile che
della cosa non sia stato detto nulla a Moro, quantomeno per valutare l'attendibilità dell'interlocutore. Come si vede ci sono più elementi per pensare che il Noto Servizio possa essere stato uno degli argomenti di conversazione fra Moro ed i ospiti. D'altra parte, è acclarato che Moro toccò diversi argomenti assai delicati nelle sue risposte, inoltre è nota la questione della sparizione delle borse di documenti che il leader democristiano aveva con sè al momento del rapimento e ci sono elementi per pensare che, tramite un intermediario ancora non identificato, Moro abbia fatto giungere alle Br anche documenti che erano nel suo studio di via Savoia e che è facile immaginare come documenti di rilevante importanza e riservatezza. Dunque, al di là della vita del politico pugliese, esisteva un altro problema di non poco momento: sapere quali di segreti le Br erano venute a conoscenza e che uso avrebbero potuto farne. Quello dell'esistenza del Noto Servizio era uno di questi possibili segreti. La Commissione Stragi, prima di concludere i suoi lavori, era approdata ad una conclusione: che di trattative, forse, non ve ne era stata una sola, ma due, la prima sulla vita dell'ostaggio, la seconda sulle sue rivelazioni e documenti. Tale ipotesi sorgeva dopo una lunga serie di audizioni, in buona parte deidicata alle circostanze assolutamente non limpide della scoperta del covo di via Montenevoso, nell'ottobre del 1978 e dalla riflessione su alcuni aspetti mai spiegati del comportamento delle Br. Infatti, per tutto la durata della prigionia di Moro, le Br proclamarono ripetutamente la propria intenzione di rendere pubblici i risultati dell'interrogatorio del loro prigioniero, ma, dopo la tragica conclusione della vicenda, di quell'impegno non si fece più cenno e nulla
venne reso pubblico. Quello che emerse -il memoriale di Montenevosofu la conseguenza di una irruzione dei Carabinieri, non una decisione autonoma delle Br che, anzi, tacquero scrupolosamente di fronte alle polemiche sulla completezza del testo, pur sapendo che ne esisteva un'altra parte, quella che emergerà 12 anni dopo. Non solo: le Br asserirono di aver distrutto sia i nastri degli interrogatori, sia i documenti presi allo statista al momento del rapimento. A giustificazione di tale incredibile comportamento, le Br addussero sempre il fatto di non aver compreso l'importanza delle rivelazioni di Moro, per cui, sembrandogli che non vi fosse nulla di rilevante, avrebbero deciso di non rendere pubblico il materiale. Ma, se anche la direzione brigatista fosse stata tanto sprovveduta da non comprendere il peso politico delle affermazioni di Moro, qualche sospetto in questo senso avrebbe potuto sorgere in seguito alle polemiche sulla completezza del materiale, o negli anni a seguire, man mano che il caso Moro diventava uno dei punti di scontro ricorrente fra le diverse forze politiche, invece il silenzio dei brigatisti durò ininterrotto anche dopo la scoperta della seconda stesura del memoriale, quella più completa. Strano comportamento, che diventa stranissimo ove si consideri che, se anche Moro si fosse limitato a raccontare la favola del gatto con gli stivali, non ci sarebbe stato giornale, in Italia come in Francia, Germania o Inghilterra, che non fosse disposto a sborsare cifre molto rilevanti per venire in possesso di quel materiale: ebbene, come mai una organizzazione terroristica in permanente ricerca di denaro ha buttato via l'occasione di un guadagno così facile e lauto? Ma la falsità delle dichiarazioni dei brigatisti, in materia, è così evidente da non meritare alcun commento.
E, dunque, la tesi della doppia trattativa appare come una deduzione assolutamente logica. Ci chiediamo, appunto, se non si sia trattato dello strano negoziato con Titta e Zucca che, sembra assai più plausibile vedere impegnati a riscattare nastri e documenti che non la vita di un ostaggio che era un loro dichiarato avversario. E questo spiegherebbe anche molti punti poco chiari delle deposizioni di Ristuccia che siamo andati via via segnalando: a- la trattativa aveva per oggetto il denaro non perchè riguardasse la vita di Moro -e dunque il valore politico dell'azione- ma i nastri e i documenti, dunque, un aspetto secondario -come dire uno scarto di lavorazione- della vicenda, su cui le Br potevano ben trattare per denaro b- la trattativa non si è conclusa con la liberazione di Moro, perchè non era questo in discussione e non perchè essa sarebbe stata impedita dall' "autorità politica", sia che si tratti di Andreotti che di Cossiga c- e questo risolve anche il problema dell'assoluta implausibilità del comportamento attribuito all'on. Andreotti d- ovviamente la trattativa non è avvenuta con gli evanescenti e misteriosi "dissidenti" che non avrebbero avuto alcun potere sulla documentazione di Moro, così come avrebbero avuto ben scarse probabilità di sapere il luogo di prigionia. Quella dei "dissidenti" ci appare solo come una mediocre trovata per rendere plausibile l'idea di una trattativa per denaro che le Br, in quanto tali, non avrebbero mai accettato. e- in questo senso va anche lo strano riferimento a via Gradoli che ci sembra solo una pennellata di colore per dare un po' di smalto al tutto. Ovviamente, parlare di una trattativa per liberare un uomo che rischia di essere ucciso ha ben altra nobiltà che un volgare mercanteggiamento
su nastri e documenti. Se poi l'ostaggio è finito male e la trattativa apparentemente- è fallita, tanto meglio: non ci sono spiegazioni da dare. Spiegazioni che, invece, diventano necessarie se parliamo di documenti, lì dove non è affatto detto che la trattativa sia fallita.
14) Padre Enrico Zucca ed il Ppi. Già nel giugno del giugno 1975, subito dopo le elezioni regionali che avevano segnato una catastrofica sconfitta per la Dc, le fonti della squadra 54 segnalavano l'irrequietezza negli ambienti democristiani milanesi: << Negli ambienti della Democrazia Cristiana milanese si dice che nei prossimi giorni sarà a Milano l’on. Andreotti per incontrare un gruppetto di personaggi, anche non iscritti alla D.C., a lui particolarmente fedeli. Questo gruppetto vorrebbe creare una nuova organizzazione al lato della D.C., capace, in caso di elezioni anticipate, politiche, di affrontare anche l’eventualità di una lista separata della D.C. Si avranno tra qualche giorno maggiori particolari.>> (Nota 24 giugno 1975. All. 1)
La notizia era rafforzata da una nuova informazione confidenziale del 18 luglio successivo (All. 695 della rel. 9):
<< In alcuni ambienti della dc milanese si sta sviluppando un movimento favorevole alla costituzione di un secondo partito cattolico. il centro di tale attività è stato posto nell'ufficio del dott. Massimo Grassi alla Torre Velasca, il quale dice di essere stato incaricato di svolgere tale azione dal ministro Andreotti. La prima di una serie di riunioni è avvenuta la scorsa settimana, presenti una trentina di personaggi, nessuno di grande spicco politico o professionale. Tra essi vi sono elementi democristiani che hanno fatto parte del gruppo del Servizio Informazioni, diretto in Italia Settentrionale da Sigfrido Battaini. Il dott. Grassi, nella breve relazione introduttiva, ha detto che al nuovo partito (che dovrebbe chiamarsi "Movimento Democratico Popolare") aderirebbero, tra gli altri, il gruppo di "Comunione e Liberazione" guidato da vice sindaco Andrea Borruso.>>
La notizia provocava la consueta richiesta di chiarimenti alla locale Questura che rispondeva: << In riferimento alla ministeriale su indicata con allegato un appunto, si comunica che da accertamenti esperiti nulla è emerso tuttora in merito alla ventilata costituzione di un secondo partito cattolico. …Fonte qualificata esclude categoricamente che nel predetto studio si siano tenute riunioni per la formazione di nuovi raggruppamenti, salvo, dopo le elezioni del 15 giugno scorso, qualche riunione di corrente per analizzare i risultati elettorali.
In ogni caso, la stessa fonte smentisce anche la eventuale adesione del gruppo di “ Comunione e Liberazione “ >> (Lettera del Questore di Milano
all'Isp. Gen. per l'Azione contro il Terrorismo del 3
ottobre 1975 prot. 01129/A3-A/UP div. 1° All. 36)
Come si vede, manca il liturgico "situazione attentamente seguita", ma il rituale è quello di sempre. Qualche notizia meno tranquillizzante giungeva da Napoli: << Di seguito alla lettera di egual numero ed oggetto dell’1 ottobre 1975, si comunica che domenica, 15 corrente, sarà inaugurata la sede del Nuovo Partito Popolare, sita in questo Corso Umberto I n.217, in un appartamento di 6 vani, alla cui cerimonia è prevista la partecipazione dei dirigenti nazionali dr. Epifanio Lupo, dr. Antonio Loche e rag. Francesco Nigri .>> (Lettera del Questore di Napoli all'Isp. Gen. per l'Azione contro il Terrorismo del 12 febbraio 1976 prot. 10440.A.3A/UP All. 31)
Stando alle deposizioni dei testi fu Forlani a presentare Volturno Morani -il fondatore del Ppi- a Zucca (verbale s.i. Ristuccia del 23 marzo 1999) che, a sua volta, metteva in contatto l'avv. Francesco Gangemi con Titta (verbale s.i. Gangemi 26 luglio 2000) per dar vita alla sezione milanese del Ppi. Nel frattempo Morani cercava costituendo partito:
oltreoceano i fondi necessari al suo
<< La stessa fonte riferisce che i fondi necessari per tale rilancio sarebbero forniti al Morani dell’Ambasciata Americana in Italia. Per la Calabria responsabile regionale verrebbe nominato l’avv. Gangemi Francesco di Antonio e di Pirrello Maria nato a Reggio Calabria il 10/6/1930, ivi residente in via S. Lucia al Parco 9, libero professionista. Nel 1970 egli costituì un “Comitato per Reggio Capoluogo” cui subentrò il nuovo “Comitato d’Azione” capeggiato da un noto Senatore Ciccio Franco. Il Gangemi fino all’ottobre 1971 militò nella Democrazia Cristiana, data in cui passò al MSI. Nel 1973 rientrava nelle file della DC e nell’ottobre del 1977 aderiva al Partito Popolare. A suo carico figurano vari precedenti penali per emissione di assegno a vuoto.>> (Lettera del Questore di Reggio Calabria all'Isp. Gen. per l'Azione contro il Terrorismo del 6 gennaio 1977 Cat. A4 dv. Gab. All. All. 32)
Per inciso, notiamo che non era il solo Gangemi ad avere un certificato penale non immacolato, anche un altro dirigente del Ppi, Gino Alfieri, vantava i suoi precedenti: <
_
Con decreto del 30/6/1964 del pretore di Milano condannato a £
2.000 multa per emissione di assegno a vuoto – Pena sospesa e non menzione. _
Con sentenza del 26/6/1966 del Pretore di Milano condannato a
£ 5.000 ammenda per guida di autovettura senza patente (art. 80 Codice della Strada). _
Con sentenza del Tribunale di Milano del 30/1/1970 condannato
per oltraggio a P.U. Reato estinto per amnistia. Per quanto di competenza il predetto risulta di cattiva condotta morale e civile e sembra fosse implicato in Milano in traffico di stupefacenti.>> (Lettera del Questore di Parma alla Direzione Generale di Ps Servizio di sicurezza del 6 aprile 1977 A.3A./1977 All. 32)
In realtà, il Ppi non riuscì a mettere insieme più di una raccogliticcia pattuglia di avventurieri politici senza particolare seguito e con ben scarse prospettive di crescita; ciò nonostante il piccolo partito, grazie agli appoggi di Padre Zucca e degli uomini del Noto Servizio, decideva di presentare sue liste alle elezioni politiche previste per il 3 giugno 1979: <
segnalazione dell’8 corrente) con il quale collabora anche il fratello, geom.
Giuliano
Titta,
che
è
titolare
di
un’azienda
di
impermeabilizzazioni. Insieme al Giuliano Titta, opera un apolide di origine ungherese, certo ing. Kelleman, del quale ci potremmo occupare più avanti. Del gruppo fa parte anche un tale dott. Giancaterino Capodacqua di origine abruzzese, fino a qualche mese addietro esponente della D.C. romana. Il dott. Capodacqua, che ha lo studio in corso di Porta Vittoria n. 46, fa frequenti viaggi in Svizzera per raccogliere il denaro necessario alla campagna elettorale. Su una Banca di Lugano è stato costituito un fondo per il P.P.I., da alcuni industriali americani. Altri membri del “gruppo” ristretto, sono l’ing. Ristuccia della Fiera Campionaria Internazionale milanese e il francescano padre Enrico Zucca.>> (Nota del 18 maggio 1979. All. 32)
Altre note ci segnalano Titta attivo su tutto il territorio nazionale alo scopo di trovare adesioni e denaro per il Ppi: << Di seguito a precedente segnalazione (18 corr,) l’azione del “Partito Popolare Italiano” è proseguita nei giorni scorsi anche se in misura molto limitata in quanto non sarebbero ancora giunti dalla Svizzera (cioè dall’America via Svizzera) gli attesi finanziamenti. In ogni caso, il già noto geom. Adalberto Titta si è recato, nei giorni scorsi, a Napoli per incontrare un certo dott. Macciò, fino a qualche
mese addietro, esponente della locale dirigenza DC e persona un tempo molto vicina al sen. Gava. Il Macciò, ieri, è arrivato a Milano e ha tenuto una riunione presso il ristorante Friulano. Al simposio hanno partecipato tutti i dirigenti milanesi dei quali si è già dato notizia, con l’aggiunta di alcuni inviati dei Movimenti locali e autonomistici del Piemonte e del Trentino. Si tratterebbe di gruppetti che non hanno voluto aderire alla grande alleanze, tra gruppi etnici e autonomi, proposta dal Partito Radicale. Ieri c’è stata, su una radio privata un’intervista dell’avv. Pagani a Torino, il quale ha illustrato le finalità del “Partito Popolare Italiano”. Più che una reincarnazione del Partito dell’on. Sturzo, il “P.P.I.” attuale, vuole essere una piattaforma di riserva per tutti quei democristiani e quegli elettori DC che non vogliono alleanze più o meno palesi con l’estrema sinistra. Se la DC manterrà gli impegni che va assumendo con gli elettori e se la linea Fanfani prevarrà dopo il 3 giugno, i dirigenti del “P.P.I” sono anche disposti a ritornare in seno alla DC; ma se la linea Zaccagnini-Bodrato-Galloni avrà il sopravvento e si giungerà a un’intesa, anche non palese, con i comunisti, il “P.P.I.” diventerà, nel domani, il partito dei cattolici anticomunisti. ... La fonte americana è vicina alla CIA e al “Servizio Informazioni”. Si spera, entro breve tempo di conoscere maggiori particolari.>> (Nota 24 maggio 1979. All. 32)
Alle politiche del 3 giugno, il Ppi riuscirà a presentare sue liste (in nessun caso complete) in quattro circoscrizioni con questi risultati:
Torino-Novara-Vercelli
1.654 voti
Milano-Pavia
1.166
"
Napoli-Caserta
2.013
"
Benevento-Salerno-Avellino
1.766 "
Due movimenti analoghi si presentavano a Roma (Nuovo Partito Popolare di Mario Foligni 2.112 voti) ed in Calabria (Partito popolare calabrese 2.937 voti). Pochi giorni dopo questa Caporetto elettorale, il segretario del Ppi Volturno Morani accompagnava padre Enrico Zucca presso una banca di Lugano, per cambiare alcuni assegni emessi su una banca canadese, ma i titoli risultarono abilmente falsificati. Sulla vicenda riproduciamo due note della squadra 54: << Si precisa quanto segue: 1.
gli assegni per £ 1.200.000.000 trasferiti in Svizzera dal noto
Padre Enrico Zucca erano dei travellers cheques emessi da una banca canadese; 2.
la sede di Lugano della Banca Svizzera.U.B.S. ha accertato che si
tratta di titoli abilmente falsificati; 3.
la questione è stata riferita alla Polizia svizzera che ha aperto
un’inchiesta. Anche la Polizia canadese si sta occupando della questione; 4.
in Italia le indagini sono condotte dai Carabinieri di Monza;
5.
il Padre Zucca dichiara di essere all’oscuro del traffico e di
conoscere da pochi mesi il dott. Mottola di Avellino, che gli ha consegnato gli assegni; 6.
il dott. Mottola è risultato irreperibile e le indagini si sono
spostate su altri due esponenti del “Partito Popolare Italiano” residenti a Milano: un certo conte Mauro Giancaterina Capodacqua, nato ad Avezzano (L’Aquila) il 16 luglio 1948, di cui non si conosce il domicilio e che è reperibile presso lo studio di un certo dott. Proc. Pagani in Corso di Porta Vittoria, 46 – Milano. L’altro esponente del “P.P.I.” è lo stesso dott. Pagani. I due hanno creato una società per la vendita di quadri e per l’organizzazione di mostre, che si chiama “Promoter Arts”, ora però è già alle prese con fotografi e creditori vari per fatture non pagate. Il Capodacqua è perseguito per avere emesso un assegno di lire 2.000.000 su un c/c chiuso presso la filiale di via Larga (Milano) della Cassa di Risparmio; 7.
la persona che ha accompagnato Padre Zucca in Svizzera, è un
dirigente della Società di Trasporti “Danzas”. >> (Nota 3 luglio 1979. All 24)
<< ... è stato possibile raccogliere nuove notizie su quel Morani, che nella scorsa estate si recò in Svizzera con il defunto Padre Enrico Zucca e tentò di far cambiare da una banca di Lugano un gruppo di assegni falsi emessi su una banca canadese. Il Morani, in quella occasione disse al Padre Zucca che col denaro ricavato avrebbe sovvenzionato l'Angelicum di Milano e il Partito Popolare, allora appena creato dallo stesso Morani ed altre persone,
tra le quali il noto dott. Mauro Giancaterina Capodacqua e l'altrettanto noto geom. Giuliano Titta. A carico del Morani sono in corso indagini in Svizzera, e, della questione si sono occupati a suo tempo anche i carabinieri. Il Morani che ha di nome, Volturno, da parecchi mesi non torna più a Milano, abita a Napoli in piazzetta Matilde Serao. A Milano, tramite il predetto Giuliano Titta, egli aveva preso in affitto alcuni locali nello stabile di via Vitruvio 4, di proprietà della signora Graziella Genovese, abitante in luogo e aveva pagato alcuni mesi di affitto anticipato. Dopo una strana e breve attività l'ufficio, che avrebbe dovuto ospitare un centro culturale non meglio indicato, è sempre rimasto chiuso, e, soltanto di recente si è fatta viva, appunto a nome del Morani , una certa dottoressa Ferrari, della quale non si conosce altro dato. La proprietaria dello stabile predetta.... ha il timore che in quell'ufficio esistessero documenti che riguardano le attività poco chiare del Morani e del fantomatico Partito Popolare e di altro.>> (Nota 19 ottobre 1979. All. 32).
Prima di proseguire, segnaliamo quello che, a nostro avviso, è probabilmente un errore: il geom. Giuliano Titta, probabilmente sta in luogo del geom. Adalberto Titta che
in una nota contemporanea è
indicato come una sorta di segretario amministrativo del Ppi: << Per la raccolta dei finanziamenti, il Morani fu coadiuvato dal perito industriale Adalberto Titta, nato a Milano il 28.6.1921, qui
residente in via Mussi n. 16, il quale, pare, facesse da tramite tra finanziatori e partito.>> (Nota 24 settembre 1979. All. 24)
Ricordiamo che Padre Zucca, già da tempo gravemente ammalato, morì il 15 luglio 1979, quasi un mese dopo la sua visita a Lugano: attivo sino all'ultimo, come si vede. E doveva avere una motivazione ben forte se, in condizioni di salute assai precarie, si sottoponeva ad un viaggio per quanto breve- per accompagnare il Morani presso la banca luganese. Ma non è l'unico aspetto strano della vicenda. Dice del Ppi il testimone Michele Ristuccia: << Il partito popolare nacque su pressione americana e, poi, per qualche motivo non si sviluppò. Voglio dire che qualcosa non fece più affluire i finanziamenti che avrebbero dovito sostenerne la crescita e che erano destinati anche al Titta. I retroscena di questa operazione sono conosciuti da Volturno Morani, professore napoletano che fu messo in contatto con Titta da Padre Zucca, su telefonata di Arnaldo Forlani, anche lui legato a Padre Zucca>> (verbale s.i. Ristuccia del 23 marzo 1999).
In effetti, di retroscena debbono essercene stati, e vorremmo tanto conoscerli, ma anche la versione di Ristuccia non convince molto: a) alle politiche del 3 giugno, Volturno Morani, nella sua città, mise insieme poco più di 800 preferenze (meno di quelle che servivano, a Napoli, per essere eletti consiglieri comunali) ed a Milano ne ottenne appena 13, dunque era un emerito Carneade: possibile che gli
"americani" non avessero personaggi di maggior spessore cui affidare l'operazione? b) "gli americani" è un'indicazione un po' generica: quali americani? Il Dipartimento di Stato? La Cia? Qualche lobby particolare? Il partito Repubblicano? La Massoneria? In effetti, stando alle informative dello Uaarr, qualche quattrinello da oltreoceano sembra essere venuto al Morani, ma sembra si trattasse di alcuni privati (industriali) e su sollecitazione dello stesso Morani che aveva trovato qualche contatto statunitense. Ma, in questo caso, l'iniziativa non è partita dagli "americani", ma dall'Italia c) per quale ragione, poi, Forlani avrebbe dovuto segnalare a Zucca uno scissionista del suo partito? Forse, per avere uno spauracchio da agitare, nel suo partito, per frenare l'apertura al Pci? Ma della scissione di Morani e della sua armata Brancaleone non si accorse nessuno! Quale deterrenza avrebbe potuto esercitare, su un pachiderma delle dimensioni della Dc, un gruppetto di poche decine di desperados senza mezzi? d) le informative della stessa squadra 54 fanno pensare, piuttosto, che dietro l'operazione ci sia stato, almeno per un certo periodo, l'on. Andreotti che, però, dal 1976 era il presidente del Consiglio del governo sostenuto dal Pci, ed allora, a cosa erano servite le riunioni a Torre Velasca nel giugno del 1975? Forse, ancora a quell'epoca, l'on Andreotti pensava di fermare l'apertura al Pci? Improbabile. O forse la minaccia di una scissione sulla destra serviva ad aumentare il suo potere contrattuale per non restare fuori al momento degli accordi con il Pci? Torniamo a dire che il gruppo era troppo esiguo per poter sortire effetti politici di qualsiasi genere.
e) abbiamo già detto di ritenere eccessivo che padre Zucca orientasse "il bacino elettorale lombardo della Dc", però non ci sembra credibile che l'influenza del dinamico frate si riducesse a 1.166 voti fra Milano e Pavia, pur considerando la defezione di De Carolis. Così come appare poco probabile che lo stesso padre Zucca (che, come vedremo, solo un anno prima, era riuscito a raccogliere 50 miliardi per liberare Moro) non fosse in grado di procurare un minimo di denaro al Ppi per consentirgli di fare una decorosa campagna elettorale, quantomeno in Lombardia. f) quando un partito riesce a presentarsi in sole 4 circoscrizioni e con liste incomplete e, per di più, fatte di illustri sconosciuti, non riuscendo neppure a reclutare un consigliere comunale, un sindacalista o un intellettuale di qualche fama quantomeno locale ecc. vuol dire che il partito non esiste neppure come abbozzo e le sue possibilità di successo sono pari a zero. Infatti il Ppi mise insieme meno di 7.000 voti a livello nazionale. Ed allora, come mai un personaggio navigato come padre Zucca, si imbarcava in una avventura così sconclusionata? E come mai vi si impegnavano personaggi di spicco del Noto Servizio come Titta ed, almeno in un primo momento, Battaini? E' possibile che si sia trattato di un abbaglio collettivo? Persone abituate a trattare con leaders nazionali e a praticare la politica ai suoi livelli più riposti e sofisticati, non possono essere state così ingenue da scommettere su una banda di disperati come quella del Ppi. Per di più, tutto finisce con un tentativo di truffa basato su assegni falsi. Ce ne è abbastanza per capire che il partito, la lotta anticomunista, la polemica contro la Dc ecc. erano solo dei pretesti per coprire tutt'altro genere di operazione. Mutatis mutandis , qualcosa di analogo
all'esperienza del coevo e similare Nuovo Partito Popolare di Mario Foligni, la cui funzione fu essenzialmente quella di coprire l'operazione con i libici.
15) De Carolis. Leggiamo nella nota del 9 luglio 1974 (All. 26): << Negli ambienti democristiani milanesi si afferma che al centro di un clamoroso giro di dollari proveniente dai Paesi Arabi e che sarebbero offerti sul mercato italiano all’interesse del 7.50%, ci sarebbe l’avv. De Carolis, capogruppo DC a Palazzo Marino, legale dell’editore Rusconi, esponente un tempo della Maggioranza Silenziosa e consigliere del presidente della Montedison.>>
La nota non ha particolari sviluppi, per cui non siamo in grado nè di stabilirne la fondatezza, nè, tantomeno, di capire la provenienza del flusso di denaro "arabo", notiamo, tuttavia, che l'episodio seguirebbe di qualche anno la vicenda dello scambio armi-petrolio con la Libia e, duncuque, coltiviamo il dubbio che esso -se vero- possa essere uno sviluppo di quella direttrice d'affari che, inaugurata nel 1971-72, proseguì per tutti gli anni settanta e per buona parte degli ottanta. Qualche approfondimento non appare superfluo, anche perchè, in caso affermativo, questo ci indurrebbe a considerare sotto altra luce la questione del traffico con la Libia, aggiungendo altri indizi all'ipotesi -
che è facile leggere in controluce nelle allusioni pecorelliane- di un collegamento organico fra esso e il Noto Servizio. Di qualche interesse è anche la nota del 17 settembre successivo (All. 26): << Il segretario cittadino del Psi, Martelli, della corrente autonomista, è stato incaricato dall’on. Craxi e dal segretario provinciale Vertemati a (sic) svolgere una inchiesta sui rapporti esistiti fino a qualche mese fa, fra Edgardo Sogno ed il capo del gruppo Dc a Palazzo Marino De Carolis. I due ebbero tra l’autunno e la primavera numerosi incontri nello studio dell’avv. De Carolis in via Monte di Pietà 15, ma non è ancora stato possibile ottenere testimonianze dirette e circostanziate. De Carolis costretto dalla massiccia presenza neo-fascista a lasciare la Maggioranza
Silenziosa,
si
era
accostato
notevolmente
al
raggruppamento di Sogno e i due furono visti più volte a pranzo insieme al ristorante Biffi-Scala. Anche i suoi compagni di gruppo non ne sanno molto. L’avv. Colombo, segretario cittadino ed il dott. Morazzoni, vice segretario provinciale della Dc, avevano più volte messo in guardia il De Carolis , ma questi aveva continuato lungo la sua strada. Martelli ha tuttavia dichiarato di essere in possesso di alcuni elementi che potrebbero provare la partecipazione del De Carolis alle trame del Sogno. Il Psi, tuttavia, non vuole sparare a salve e ha imposto al suo segretario cittadino una tattica molto cauta.
Secondo persone molto vicine al segretario Vertemati, da De Carolis passavano sicuramente i contatti tra Sogno e l’avv. Nencioni. Ma tutti avrebbero avuto a disposizione alcune alte protezioni in seno alla Montedison. Il Psi appena avrà completato l’inchiesta , trasmetterà i documenti al giudice di Torino e non li farà pubblicare dall’Avanti. Soltanto in occasione della campagna elettorale del prossimo maggio li renderà pubblici. >> (All. 26)
Per quanto abbiamo avuto modo di appurare, non sembra che il Psi milanese abbia mai fatto giungere al giudice torinese (immaginiamo che il riferimento sia al dott. Luciano Violante) il dossier in questione, nè di esso abbiamo trovato tracce nell'Avanti!, sarebbe pertanto utile chiedere qualche ragguaglio in merito all'on. Martelli. Quanto asserito nel testo quadra perfettamente con quanto abbiamo precedentemente riferito sullo scontro in seno al consiglio comunale milanese che vedeva De Carolis agire come punta di diamante dell'operazione tendente ad estromettere i socialisti dalla maggioranza, pertanto è del tutto plausibile che il Psi ricambiasse con qualche attenzione supplementare nei confronti dell'esponente della destra Dc. E' interessante notare anche come tornino sia il tema dei rapporti fra De Carolis e Sogno (a quanto pare ben oltre un semplice rapporto di consultazione politica), sia quello del ruolo della Montedison di Cefis anche per il tramite del senatore missino Gastone Nencioni. Sui rapporti non occasionali fra De Carolis e gli ambienti dell'estrema destra più oltranzista si intrattiene anche una velina del 21 ottobre 1975 (All. 26):
<< Attendibile fonte fiduciaria segnala che in alcuni ambienti milanesi
si
avrebbe
in
animo
di
ricostruire,
sotto
altra
denominazione, un nuovo gruppo, ispirato alla “ Maggioranza Silenziosa “ . Promotori di questa iniziativa sarebbero i liberali capeggiati dall’ on. Giomo – che vuolsi sia legato al noto Ballan Marco – appoggiati e finanziati dai consiglieri comunali DC Bossi Giuseppino e De Carolis Massimo. Questo sarebbe il motivo che sta alla base della richiesta della manifestazione tenutasi domenica scorsa per il tribunale Sacharov; altre richieste dovrebbero seguire a breve scadenza. Gli aderenti verrebbero reclutati, tra gli altri, nelle file dei giovani del Msi-Dn ed ex Avanguardia Nazionale, i quali ultimi, da qualche tempo, non mettono in atto in atto azioni violente per evidenziare una decisa volontà di osservare la legalità. Personale di questo Ufficio ha accertato che in corso Venezia n2, ex sede della “ Maggioranza Silenziosa “ ed ora di “ Contropinione “, si è riunito un gruppo di noti ex “avanguardisti “, quali Merico Cristina, Langella Amedeo, Cavallini Gilberto, Stornaiuolo Giovanni ed altri, col consenso del consigliere comunale del Msi Staiti, che ha disponibilità dei locali e che è tra i più accesi fautori della “ nuova “ maggioranza silenziosa. Viene riferito che lo stesso consigliere De Carolis, con aderenti ad “Alleanza Cattolica “, si è incontrato giorni fa con Miki Tusa ed Amedeo Langella, persone di fiducia dello Staiti, per stilare un piano d’azione comune.
Si è appreso che, ai primi di ottobre dell’anno 1973, allorché le sinistre accusarono De Carolis di aperte simpatie per la destra, costui avrebbe pagato il noto Buonocore perché diffondesse, come in effetti avvenne, manifesti a firma della “ Maggioranza Silenziosa “, il cui contenuto era palesemente accusatorio nei confronti del De Carolis, tacciato di opportunismo politico per lucro personale.>> All. 26
Anche in questo caso, troviamo abbondanti conferme di quanto emerso in altre occasioni: segnatamente, quanto riferito dalle fonti della sq. 54 e della Questura milanese (primo fra tutti, Giorgio Muggiani) sulla riaggregazione della estrema destra milanese intorno al rilancio della "Maggioranza Silenziosa" (si veda in proposito la rell. 28/34/40 a codesta Ag). Sulla stessa direzione si inserisce anche un'altra nota confidenziale del 15 ottobre 1976: << L’on. Massimo De Carolis avrà domani, sabato, un primo incontro allargato per la costituzione della nuova associazione “Democrazia Nuova“ che dovrebbe raccogliere esponenti non filocomunisti o addirittura anticomunisti di tutti i partiti democratici. Nei giorni scorsi De Carolis ha avuto colloqui con i liberali avv. Guido Sasso e sen. Arturo Robba, con il socialdemocratico on. Rizzi e con il socialista Antonio Natali presidente della Mm, nonché con il repubblicano on. Bucalossi. Tutti in linea di massima si sono detti favorevoli con l’iniziativa di De Carolis ma nessuno, ancora, si è sentito di mettere una firma sotto un preciso e impegnativo documento.
Più importanti sono i colloqui che De Carolis ha avuto con il sen. Nencioni. In un certo senso la ventilata scissione del Msi ha fatto risalire ai numerosi incontri svoltisi negli ultimi sei mesi tra De Carolis e Nencioni, promossi da Cefis, grande amico di entambi. La Montedison finanzierebbe il nuovo partito. Su questa politica della Montedison sono d’accordo in molti, soprattutto vari democristiani i quali sono certi che il nuovo partito si porrà alla nuova destra, ma sarà strettamente controllato e potrà fornire alla Dc - per i giochi parlamentari – ciò che l’ Msi non ha mai voluto e potuto fornire se non in determinate situazioni, come l’ elezione di Leone . De Carolis ha confidato ad un amico che secondo lui il nuovo partito potrebbe essere oltre che un serbatoio di voti per la Dc, anche la prima struttura dell’eventuale secondo partito cattolico, che nascerebbe se la Dc dovesse attuare il compromesso storico a livello parlamentare e governativo.>> ( All. 26)
Documento per più versi interessante: a) troviamo ulteriore conferma del ruolo di cerniera (ma l'espressione è forse troppo riduttiva) svolto da Cefis fra destra Dc e settori del Msi b) alcuni elementi lumeggiano meglio il senso dell'operazione "secondo
partito
cattolico"
(o
comunque
si
voglia
chiamare
l'aggregazione che si cercava di far sorgere nello spazio intermedio fra Msi e Dc): un po' gruppo di pressione contro l'apertura al Pci, un po' formazione ausiliaria della Dc nei giochi parlamentari, un po' "area controllata" per assorbire i voti eventualmente persi dalla Dc sul suo fianco destro a causa dell'apertura al Pci, così da poter essere riportati alla base in un secondo momento. Quel che richiama alla notra mente un
aforisma di Artur Schnitzler: "Alcuni uomini politici intorbidano le acque, altri pescano nel torbido. I più abili intorbidano le acque per poter pescare nel torbido ". Con ogni probabilità, anche il Ppi di Morani ed il Npp di Foligni pescavano nel torbido di queste acque e più con scopi di lucro che con veri e propri scopi politici, però è interessante notare che il primo agisce a stretto contatto con il milieu milanese del Noto Servizio, mentre il secondo opera nel campo degli affari petroliferi con la Libia che aveva già visto attivamente coinvolto lo stesso Noto Servizio. c) più stimolante ancora è leggere, fra quanti si consultano con De Carolis per il progetto di Democrazia Nuova, il nome di Antonio Natali che, oltre che essere il presidente della Mm, era il "padre nobile" della corrente autonomista milanese cui facevano riferimento Bettino Craxi e Claudio Martelli, cioè le stesse persone che abbiamo visto impegnate afd indagare sui rapporti fra De Carolis e Sogno. Ma forse le due cose non sono del tutto in contrasto fra loro. Nel libro di Maurizio Blondet sulla "Maggioranza Silenziosa" (ed. Area, Milano 1987) leggiamo: << Luciano Buonocore ricorda che una sera, durante una riunione dei promotori a casa dell'ing. Nodari, questi gli fede il nome "di un giovane socialista autonomista" che avrebbe voluto dare la sua adesione alla manifestazione annunciata: il nome era quello di Bettino Craxi.>> (p. 45)
E' evidente che il riferimento è alla manifestazione del 1971. Dunque, nel
1971
Craxi
avrebbe
medidato
di
aderire
alla
costituenda
Maggioranza Silenziosa (quel che non avverrà solo per il tifiuto opposto da Buonocore), poi nel 1974 avrebbe ordinato a Martelli di indagare su
uno degli esponenti di essa, De Carolis, a proposito dei suoi rapporti con Sogno (meditando di portare il tutto all'attenzione della magistratura torinese), poi, nel 1976 il patriarca della corrente autonomista Natali si sarebbe incontrato con De Carolis per valutare una comune operazione politica, infine, nel 1983, la rivista teorica del Psi -ormai tutto craxianoospitava nelle sue pagine un intervento di Edgardo Sogno sulle riforme istituzionali. Come spiegare questo andamento discontinuo nei rapporti fra socialisti autonomisti e De Carolis? Che vi sia stato un acceso contrasto fra De Carolis ed i socialisti milanesi fra il 1971 ed il 1974 è certo e ne troviamo infinite conferme nella documentazione raccolta, ma, considerando anche gli altri elementi emersi, il dubbio è che vi sia stata, sì, una lite, ma che si possa esser trattato di una lite in famiglia che, come si sa, sono le peggiori.
16 Felice Fulchignoni.
Felice Fulchignoni (che Grisolia indica quale principale esponente del gruppo romano del Noto Servizio) è già stato oggetto di esame da parte di questo ctu (si vedano le rell. 9 e 24). Nella presente ricerca sono emersi ulteriori elementi di documentazione che, pertanto, ci limiteremo a riportare in alcuni cenni che integrano quanto già detto. Iniziamo da una nota del 7 febbraio 1968 (All. 28):
<< Molto scalpore hanno prodotto, negli ambienti politici e giornalistici romani, le rivelazioni circa i collegamenti intercorsi tra il Sifar e la “Documentazione Italiana“, un gruppo editoriale facente capo all’ex direttore della Agenzia “Italia “, dott. Anness , un tempo filo fanfaniano, poi filo moroteo ed ora socialista, collegato al dott. Fulchignoni, editore dell’agenzia Adn-Kronos. La “Documentazione Italiana “, fra le cui edizioni c’è anche un “Archivio di documentazione politica“, un costoso schedario che viene inviato in omaggio a molti giornalisti del centro-sinistra in cambio dei loro servigi, ha sede negli stessi uffici della Adn-Kronos che vengono dal Fulchignoni utilizzati per le operazioni commerciali di varia natura , in Europa e in America, nelle quali si vorrebbe addirittura vedere lo zampino della Cia. L’unica cosa certa è che Fulchignoni, come Dino Gentili, è un procuratore d’affari molto amico dei maggiori esponenti della destra socialista. Attraverso Annessi, egli è anche legato al dott. Freato, collaboratore finanziario del Presidente del Consiglio. >> (All. 28)
Sin qui troviamo conferme tanto del ruolo di finanziatore della corrente autonomista del Psi di Fulchignoni, quanto dei suoi sospetti rapprti con i servizi segreti americani, tuttavia è interessante notare la contiguità di Fulchignoni e del suo collaboratore Annesi agli ambienti morotei per il tramite di Sereno Freato. Qualche particolare in più lo apprendiamo da un seguito: << Si afferma che il produttore cinematografico Felice Fulchignoni, proprietario dell’agenzia di stampa socialista “Adn-Kronos” sarebbe
venuto a trovarsi in difficoltà economiche, in seguito ad errate iniziative finanziarie, tanto che sarebbe stato costretto, per sottrarsi ai creditori, a trasferirsi temporaneamente in Svizzera, dove si sarebbe sottoposto ad un intervento chirurgico. Per fare fronte ai diversi impegni avrebbe chiesto e, a quanto si dice, ottenuto dal Psi una sovvenzione di 80 milioni di lire, sovvenzione che gli sarebbe stata accordata per impedirgli di fare talune minacciate rivelazioni politiche : al riguardo sarebbero corse voci , secondo le quali nella sua abitazione sarebbero avvenuti incontri tra esponenti del Psi ed i generali De Lorenzo ed Allavena al tempo del noto processo. Si parlerebbe anche di un interesse del Fulchignoni , nella sua qualità di direttore della Fulco–film, nella produzione di cortometraggi di carattere militare che sarebbero stati commissionati dal gen. Gaspari.>> (All. 28)
Dell'ambiguo atteggiamento della Direzione socialista dice anche una nota successiva, del 14 luglio 1970: << Negli ambienti politici milanesi è giunta notizia da Roma che il noto uomo d’affari F. Fulchignoni, di Roma, interessato in molteplici attività commerciali e speculative, già implicato nell’affare Sifar ed amico di moltissime personalità politiche è stato coinvolto in un grosso crack il cui ammontare si aggirerebbe sul mezzo miliardo. Il Fulchignoni ha sparso la voce di essere ricoverato in una clinica svizzera di Ginevra, ma in effetti si trova da oltre una settimana a Montecarlo.
In quest’ultima località mesi orsono ha investito alcune centinaia di milioni in beni immobili. Il Fulchignoni, prima di lasciare l’Italia ha depositato presso un avvocato romano- di cui non è stato possibile conoscere il nome – una memoria nella quale sono raccontate tutte le vicende finanziarie politiche delle quali si è occupato per eminenti uomini politici. Copia di detto memoriale è stato inviato dal Fulchignoni agli on.li Carenini della Dc, Cariglia del Psu e Mancini e Pieraccini del Psi, avvertendoli che se non sarà aiutato per evitare un fallimento totale , renderà di pubblico dominio il documento. All’on. Mancini, il Fulchignoni ha scritto quale segretario del Psi – dato che si afferma che non ha mai avuto rapporti di affari, facendo riferimento ai rapporti dello scrivente con il defunto ministro del Lavoro Brodolini e sulla relazione che lo stesso ministro aveva con la di lui moglie. Detta relazione, secondo il Fulchignoni era da lui sopportata per essere appoggiato in particolari affari. >> ( All. 28)
Nota che trova la sua logica conclusione in quella seguente del 29 luglio 1970: << La segreteria del Psi ha deciso di intervenire a favore di Fulchignoni, addossandosi larga parte dei suoi debiti ed evitandogli un clamoroso fallimento. Nel frattempo, il Fulchignoni ha fatto ritorno dalla Svizzera dove si era in un primo tempo rifugiato e si trova nuovamente a Roma. I dirigenti del Psi hanno provveduto ad aprire una pratica presso i competenti uffici allo scopo di trasformare l’Adn-Kronos (la loro
agenzia ufficiosa già di proprietà del Fulchignoni) in agenzia di interesse nazionale, sul tipo dell’Ansa e dell’Italia: una volta perfezionata la pratica, l’Adn-Kronos verrebbe ad usufruire di tutte le facilitazioni riservata dallo Stato all’Ansa e all’Italia, incassando tra l’altro ( compresi gli arretrati ) diverse centinaia di milioni in contanti.>> (All. 28)
Bari 30 novembre 2002
il consulente
tecnico
APPENDICE L'articolazione in correnti della Dc sino alla prima metà degli anni settanta. Allo scopo di rendere più comprensibile il complesso gioco delle correnti nella Dc milanese, ci sembra opportuno premettere una breve descrizione della dialettica fra le diverse componenti a livello nazionale. Inizialmente, il partito non aveva vere e proprie correnti organizzate, ma solo aggregazioni "di opinione" quali il "centro degasperiano" (di cui facevano parte anche Guido Gonella, Giulio Andreotti, Enrico Mattei e
guidato, appunto, da Alcide De Gasperi, Emilio Taviani, Luigi Gui, Mariano Rumor ) che controllava tanto la guida del Governo quanto la segreteria del partito, la dissidenza di destra "liberista" che faceva riferimento a don Luigi Sturzo (violentemente contrario alle iniziative economiche pubbliche ed in particolare all' Eni di Mattei), una "sinistra" guidata da Giovanni Gronchi, e la sinistra di "Cronache Sociali" ( Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Benigno Zaccagnini, Giovanni Galloni, Achille Ardigò). La corrente dossettiana si scioglieva nel luglio del 1951 a seguito dell'accordo di Fanfani con De Gasperi e, nel novembre successivo nasceva "Iniziativa Democratica" composta dalla maggioranza degli ex dossettiani (Fanfani, Zaccagnini, Moro, La Pira, Galloni, Ardigò) e da alcuni ex degasperiani (Taviani, Rumor, Salizzoni, Gui). Contemporaneamente, i sindacalisti della Cisl si costituivano in mozione autonoma con il nome di "Rinnovamento" (Giulio Pastore, Carlo Donat Cattin). Al IV Congresso (Roma 21-26 novembre 1952) la mozione unitaria di De Gasperi e Iniziativa Democratica otteneva una larghissima maggioranza dalla quale restava fuori solo Rinnovamento. Nel settembre del 1953, il presidente dell'Eni Mattei promuoveva la costituzione di una nuova corrente "La Base" che si collocava a metà strada fra Iniziativa Democratica e Rinnovamento. Di essa facevano parte ex dossetiani come Galloni, ex esponenti della Resistenza come Giovanni Marcora (Mattei era il presidente della Fivl), e giovani come Giuseppe Chiarante, Lucio Magri, Franco Boiardi,
Luigi Granelli e
Camillo Ripamonti in Lombardia, Vladimiro Dorigo a Venezia, Nicola Pistelli a Firenze, Fioerentino Sullo, Ciriaco De Mita e Gerardo Bianco in
Campania, Riccardo Misasi in Calabria. La sinistra di "Base" fu, forse, la prima vera corrente organizzata della Dc, avvalendosi dei cospicui finanziamenti assicurati da Mattei. Al V congresso della Dc (Napoli, il 26-29 giugno 1954) si presentava questa articolazione di correnti: il "gruppone di centro (De Gasperi, Iniziativa Democratica, sinistra di Base), che stravinceva il congresso eleggendo segretario del partito Amintore Fanfani, una opposizione di sinistra rappresentata dalla corrente dei sindacalisti ed
destra una
nuova corrente - denominata "Primavera"- formata poco prima dall'ex delfino di De Gasperi, Giulio Andreotti. La morte di De Gasperi portava gradualmente ad "esplodere" la vasta ma disomogenea alleanza di centro all'interno della quale iniziano a differenziarsi nettamente il gruppo degli ex degasperiani puri (Mario Scelba, Franco Restivo, Oscar Luigi Scalfaro, Giovanni Elkan, Giorgio Lucifredi), quello di Iniziativa Democratica (Amintore Fanfani, Aldo Moro, Mariano Rumor, Paolo Emilio Taviani), quello della Base (Enrico Mattei, Giovanni Marcora, Giovanni Galloni, Fiorentino Sullo, Ciriaco De Mita, Nicola Pistelli). All'esterno restavano il gruppo di Andreotti sulla destra e quello dei sindacalisti sulla sinistra, mentre la "sinistra" di Gronchi si collocava a metà strada fra Iniziativa Democratica ed i sindacalisti. Una posizione personale era rappresentata dal leader sardo Antonio Segni, che, collocato su posizioni ideologiche di destra, diventava il nume tutelare della parte di Iniziativa Democratica più critica verso Fanfani. Il congresso successivo (Trento 14-18 ottobre 1956) era stravinto da Fanfani che era rieletto segretario del partito.
I metodi personalistici di Fanfani, e la sua apertura alle correnti di sinistra (Base e Rinnovamento) sul tema del dialogo con i socialisti, provocavano primi dissensi nella sua corrente che, nel marzo del 1959, sfociavano nella "congiura di Santa Dorotea": la maggioranza della corrente (Moro, Rumor, Colombo, Taviani, con l'appoggio di Segni), riunitasi segretamente presso il convento delle suore di Santa Dorotea, metteva in minoranza Fanfani votandogli la sfiducia quale segretario designando
Moro quale suo successore. La corrente si scindeva: la
maggioranza manteneva la sigla di Iniziativa Democratica (ma d'ora in poi, saranno più noti come "dorotei"), mentre il gruppo di Fanfani recuperava la vecchia sigla di Cronache Sociali. Con il VII congresso - ottobre 1959- le componenti -ormai non più gruppi d'opinione, ma vere e proprie correnti organizzate- si presentavano divise in due schieramenti: Fanfani alleato alla Base ed a Rinnovamento da un lato, dall'altro i dorotei, primavera ed ex degasperiani (Scelba), con questi esiti: Nuove Cronache 497.517
voti
(30,95%), Base 179.593 (11,17%), Rinnovamento 91.556 (5,69%) (per un totale di 769.656 voti per il blocco fanfaniano), Dorotei 533.697 voti (33,20%), Primavera 211.812 (13,17%), centristi
92.161 (5,73%), (per
837.770 voti al blocco antifanfaniano). Queste congresso ebbe una serie di conseguenze durevoli sul partito, che andarono ben al di là, della momentanea sconfitta di Fanfani. Innanzitutto, il sistema elettorale prescelto esaltò al massimo il peso delle capacità organizzative di ciascuna corrente, determinando, in questo modo, la cristallizzazione dei rapporti di forze fra
esse: ad
esempio risultava evidente che l'eredità della corrente degasperiana era passata non alla corrente dei centristi (che si rivelava come una
aggregazione di notabili con ben scarso seguito), ma al giovane Andreotti che poteva contare su un massiccio seguito organizzato in Lazio, così come, a sinistra era netta la prevalenza della corrente di Base largamente sostenuta dai foindi dell'Eni- rispetto a quella dei sindacalisti di Rinnovamento che occupavano una posizione nettamente marginale. Ma, soprattutto, emergeva la grande corrente dorotea forte del suo 33% (destinato a salire negli anni seguenti, soprattutto a spese dei fanfaniani), che rappresenterà per il decennio successivo lo stabile gruppìo dirigente della Dc. Per tutti gli anni sessanta, infatti, nessuna aggregazione maggioritaria sarà possibile nella Dc prescindendo dai dorotei, che controlleranno stabilmente la segreteria del partito e, salvo le
brevi
parentesi dei governi Fanfani e Leone, anche la Presidenza del Consiglio. Sostanzialmente, la corrente dorotea rappresenterà, negli anni sessanta, quel che aveva rappresentato la corrente degasperana
nel decennio
1945-54, ma mentre la corrente degasperiana era una aggregazione d'opinione riunita intorno ad un leader carismatico, i dorotei erano un gruppo ferreamente organizzato nel quale nessuno dei leader prevaleva sugli altri. Il tentativo di Fanfani di sostituire la leadership degasperiana con una nuova conduzione carismatica -la propria, ovviamente- risultava così battuto, ma la crisi del governo Tambroni (luglio 1960), dopo solo un anno, produceva una "resurrezione" politica di Fanfani che tornava alla guida del governo. E' da notare che nella caduta di Tambroni influiva anche il fatto che egli non disponesse di una sua corrente organizzata, ma era solo un notabile con una ristretta base regionale che solo la difficoltà del quadro politico e la protezione del Presidente della Repubblica, Gronchi, aveva
inattesamente proiettato al vertice del governo. Questa debolezza si era pienamente manifestata nel momento cruciale della crisi, quando Tambroni si era ritrovato ben poche solidarietà in seno al Consiglio Nazionale. E forse proprio la crisi della segreteria Fanfani, prima, e del governo Tambroni, dopo, consacravano definitivamente il ruolo delle correnti nel partito, ammonendo che nè un segretario del partito nè un Presidente del Consiglio avevano la possibilità di durare a lungo senza un
solido
insediamento
correntizio
proprio
ed
una
adeguato
schieramento di alleanze. L'VIII congresso (Napoli, gennaio 1962) -che
ebbe al centro del suo
dibattito l'apertura al Psi- si concluse con una mozione unitaria di Moro e Fanfani, nella quale confluirono quasi tutte le altre correnti, ad eccezione della vecchia opposizione centrista di Scelba, Gonella, Pella, Restivo e Scalfaro che non raggiungeva il 20%. L'apparente unanimità, tuttavia, celava
forti differenziazioni nel
gruppo di maggioranza e le diversità emersero nei momenti difficili che scandirono
l'avvio
del
centro-sinistra.
I
centristi
si
sfaldarono
rapidamente sia per le pressioni della gerarchia ecclesiastica -ormai favorevole all'apertura ai socialisti- sia grazie a qualche pressione scandalistica operata dal Sifar nei confronti del loro leader. Le correnti Dc -ancora formalmente unite dalla stessa mozione - si presentavano, a metà degli anni sessanta, così articolate: a) a sinistra la Base e Forze Nuove (la vecchia corrente di Rinnovamento) b) in posizione mediana, Cronache sociali (Fanfani, Forlani, Darida, Arnaud) che, però, subiva l'evoluzione del suo leader carismatico su posizioni man mano meno "progressiste" del passato
c) al centro dello schieramento, il "gruppone" doroteo nel quale erano confluiti anche Andreotti ed alcuni vecchi centristi. Ma la grande aggregazione dorotea ospitava nel suo seno orientamenti diversi: I) Moro -che nel frattempo aveva lasciato la segreteria del partito a Rumor per diventare Presidente del Consiglio- si collocava sul versante di sinistra della corrente II) Taviani, Rumor, Colombo, Piccoli, Bisaglia e Gava occupano lo spazio centrale III) Andreotti e gli ex centristi si collocavano a destra. Le diversità si manifestano parzialmente al IX congresso (Roma, 12-16 settembre 1964) proponendo questo spettro congressuale: doro-morotei
48%
Cronache Sociali
21%
Scelbiani
11%
Base e Forze Nuove 20%. Veniva confermato segretario Rumor. Il congresso successivo vedeva una aggregazione di tutte le correnti "moderate" (dorotei-morotei, fanfaniani, scelbiani e andreottiani) che ottenevano insieme il 64%, mentre, a sinistra il cartello Base-Forze Nuove raggiungeva il 24%
ed in posizione mediana i "pontieri" di
Taviani (che si era staccato dai dorotei perchè in concorrenza con Rumor) attestati al 12%. Le politiche del 1968 (che segnavano un parziale recupero della Dc, ma tutto a spese delle destre, mentre il Pci ed i Psiup registravano una fortissima avanzata a spese del Psi-Psdi unificati) aprivano il declino del centro sinistra e, di conseguenza, rilanciano le dinamiche centrifughe nella Dc.
L'XI congresso (Roma, 27 giugno-1° luglio 1969) registrava fedelmente il progressivo divaricarsi della maggioranza congressuale precedente: la mozione unitaria si scioglieva e dal "gruppone" si staccava Moro che si collocava accanto alle sinistre di Base e Forze Nuove. Pertanto, lo spettro congressuale risultava il seguente (le correnti sono elencate in ordine di collocazione da destra verso sinistra): a) centristi (Scelba, Scalfaro, Restivo, Elkan) 2,9% b) Cronache Sociali (Fanfani, Forlani) 15,9% c) dorotei (Rumor, Piccoli, Andreotti, Colombo, Bisaglia, Gava) 38,3% d) pontieri (Taviani) 9,5% e) morotei (Moro, Belci, Zaccagnini) 12,7% f) Nuova Sinistra (Sullo) 2,6% g) Base-Forze Nuove (Galloni, Granelli, Donat Cattin, De Mita, Marcora, Misasi) 18,3%. Veniva eletto segretario Flaminio Piccoli, mentre Rumor ha assunto la Presidenza del Consiglio. Entrambe le posizioni erano, dunque, occupate da dorotei, ma si tratterà dell'ultimo effimero successo della corrente. Infatti, Piccoli veniva eletto come segretario di minoranza (85 voti contro 87 astensioni) e di lì a poco dovrà passare il testimone al delfino di Fanfani, Arnaldo Forlani, inoltre, le difficoltà del quadro politico avviavano una ulteriore rottura del correntone. Il sostanziale insuccesso del centro sinistra (il numero di parlamentari era diminuito di molto poco, ma l'operazione politica di "sfondamento a sinistra" era clamorosamente fallita) lasciava aperte tre opzioni: a) proseguire nella formula ridimensionando
molte
delle
imperniata su Dc e socialisti, ma aspettative
iniziali
e
semplicemente a "durare" senza grandi progetti ed ambizioni
puntando
b) mantenere la formula di centro sinistra, ma come premessa per un ulteriore allargamento di essa, consociando il Pci in tempi non immediati, ma neppure lontanissimi, puntando sull'evoluzione di quel partito in senso democratico-occidentale c) chiudere l'esperienza di centro sinistra e tornare ad una formula di tipo centrista. La prima soluzione -sostanzialmente fatta propria dalle correnti moderate della Dc- si scontrava con la crisi socialista, con l'effervescenza politica e sociale del paese e con l'incalzare dell'opposizione comunista rinvigorita dal successo elettorale. La seconda soluzione -cautamente e velatamente caldeggiata dalle sinistre di Base e Forze Nuove- doveva fare i conti con la persistente opposizione dei "poteri forti" (mondo imprenditoriale, consistenti settori della gerarchia ecclesistica e, soprattutto, alleati atlantici) ad ogni apertura al Pci e con i tempi della revisione ideologica dei comunisti, in corso, ma ancora ben lontano da esiti tali da rendere immediatamente praticabile l'allargamento della maggioranza a sinistra. La terza soluzione, apparentemente non avanzata da nessuno, oltre che dagli ex centristi di Scelba, Restivo e Scalfaro, iniziava a serpeggiare tacitamente anche in altre correnti: già nel 1966, di fronte alla seconda crisi del governo Moro, Fanfani, aveva lanciato un monito, avvertendo che la scelta di centro sinistra "non era irreversibile" (lasciando, quindi, intendere la disponibilità a tornare alla vecchia alleanza con i liberali). Poi anche fra i dorotei iniziava a manifestarsi qualche segnale in questo senso. In realtà la soluzione neo-centrista doveva fare i conti con due difficoltà molto forti: il clima sociale del paese e l'estrema debolezza numerica in
Parlamento (appena una dozzina di voti di scarto contando anche i deputati della destra socialista che, il 4 luglio del 1969, si erano staccati dal partito per ridar vita al vecchio Psdi). Un governo simile avrebbe avuto bisogno di affrontare la piazza con grande vigore repressivo, ma la sua debolezza parlamentare avrebbe posto le premesse per una riedizione ancor più catastrofica dell'esperimento Tambroni. Anche l'ipotesi di un aiuto sottobanco delle destre missine e monarchiche non avrebbe risolto il problema: la manciata di voti così raccattata avrebbe avuto un costo politico altissimo, perchè le sinistre Dc difficilmente avrebbero accettato l'operazione ed, in definitiva, questo avrebbe significato ripercorrere esattamente la parabola di Tambroni. In effetti, per rendere realistica una simile svolta politica avrebbe richiesto una di queste condizioni: a) nuove elezioni, che, grazie ad una impennata del voto "d'ordine" infliggessero alle sinistre un duro colpo e guadagnare un confortevole margine parlamentare (così come era accaduto il Francia all'indomani del maggio, con le elezioni del giugno 1968, trionfali per De Gaulle) b) procedere ad una riforma della Costituzione in senso presidenziale, in modo da staccare l'esecutivo dal controllo parlamentare ed assicurarne la stabilità anche con margini numerici assai ridotti. Ovviamente, sia l'una che l'altra misura richiedevano eventi di peso sufficiente a invertire le tendenze dell'elettorato, costruire un consenso adeguato nell'opinione pubblica, costringere le sinistre ad accettare l'evoluzione del quadro politico-istituzionale. In effetti, segnali di questo tipo si iniziavano a cogliere nella Dc già nei primi mesi del 1969: un gruppo di esponenti di secondo piano della corrente fanfaniana (Bartolo Ciccardini, Celso De Stefanis) e dorotea
(Giuseppe Zamberletti) formava un gruppo trasversale denominato "Europa '70" che si dichiarava apertamente a favore del ritorno al centrismo e della riforma presidenziale dell'ordinamento costituzionale. Inoltre, lo stesso Fanfani, in più di una occasione, lasciava intendere la sua simpatia per il modello costituzionale francese, mentre singoli esponenti dorotei (in sintonia con il segretario socialdemocratico Ferri) lanciavano l'ipotesi di una riforma elettorale in senso maggioritario. Gli eventi del 1969 agirono da elemento precipitatore della crisi, accentuando ancora le dinamiche centrifughe nel gruppo dirigente Dc: il profilarsi di una stagione di intensa conflittualità sociale accentuò la contrapposizione fra i settori riformisti e quelli che reclamavano una risposta
autoritaria
alla
crisi,
in
scondo
luogo,
la
scissione
socialdemocratica faceva venire allo scopero i fautori del ritorno al centrismo. Si formava, così, un asse fra i dorotei del Presidente del Consiglio Rumor ed i socialdemocratici del Presidente della Repubblica Saragat (in cui confluivano anche i fanfaniani, i centristi ed il Pri) che puntava dichiaratamente a nuove elezioni per propiziare la svolta neo centrista. Le dinamiche correntizie della Dc erano ulteriormente complicate
dall'emergere
di
solidarietà
trasversali
come
quella
generazionale che si manifestò a San Ginesio, nel settembre del 1969, dove si incontrano leader di varie correnti (essenzialmente basisti e fanfaniani) accomunati dall'esigenza di affrancarsi dalla tutela dei rispettivi leader. Si trattava dei leader della "terza generazione" democristiana che -analogalmente a quanto fatto nei primi anni cinquanta
dagli
esponenti
della
seconda-
reclamavano
un
avvicendamento generazionale che ridimensionasse il potere dei cinquanta-sessantenni (Moro, Fanfani, Rumor, Piccoli) a favore dei
quarantenni (Forlani, De Mita, Bianco). Nasceva, così, un patto - detto, appunto, di San Ginesio- che poneva le premesse per il cambio di maggioranza nel partito ed il rovesciamento della segreteria di Piccoli. Poche settimane dopo, la grande corrente dorotea che si scindeva fra i sostenitori di Rumor, Piccoli e Bisaglia (cui si aggiungeva, poco dopo, Taviani) e quelli di Andreotti e Colombo. Pertanto, il cartello di San Ginesio (fanfaniani e basisti) aiutato dai dorotei dissidenti di Andreotti e Colombo, riusciva ad imporre, durante il Consiglio Nazionale del 6 novembre 1969, le dimissioni di Piccoli e l'elezione all'unanimità di Forlani quale segretario del partito. Aveva così termine il lungo periodo di egemonia dorotea sulla Dc e, come quindici anni prima -dopo la scomparsa di De Gasperi- questo apriva una fase di intensa instabilità nel gruppo dirigente del partito. Ma, in questa sede, non ci interessa spingerci oltre. Quel che ci preme è forografare la situazione
a cavallo fra i sessanta ed i settanta per
comprendere i riflessi di tutto questo sulla Dc milanese. Dopo la scissione socialdemocratica, veniva trovato un momentaneo punto di mediazione nella formazione del monocolore Rumor, ma la crisi si riapriva nel febbraio del 1970 per approdare alla formazione del terzo governo Rumor che torna alla formula di centro sinistra organico (Dc, Psi, Psdi, Pri). Nel frattempo, le correnti di destra più irrequiete della Dc cercavano uno sbocco alla crisi anche in una possibile scissione che (anche assorbendo monarchici e transfughi missini e liberali) desse vita ad un partito cattolico di destra, utile a ricostruire la diga anticomunista minacciata dall'aperturismo della maggioranza Dc. Infatti,
i neo
centristi, il gruppo di Zamberletti e Ciccardini e singoli esponenti dorotei
come Greggi non mancavano di lanciare messaggi in questo senso. Sull' altro versante, a sinistra, si manifestava la defezione delle Acli, che nel convegno di Vallombrosa (estate 1970) avevano posto termine al collateralismo con la Dc, e molte eminentissime fronti si imperlarono di sudore leggendo sulla stampa la minacciosa previsione di Donat Cattin: "non passeranno più di cinque anni che tutti i progressisti saranno da una parte e tutti i conservatori dall'altra ". Ma la maggioranza del gruppo dirigente Dc sapeva bene di non potersi permettere il lusso di una scissione, tanto sulla destra quanto sulla sinistra, perchè questa avrebbe il partito in due tronconi ciascuno incapace di riproporre l'egemonia cattolica sul sistema politico. La scissione avrebbe messo in forse la stessa permanenza della Dc al governo se non sotto forma di alleanza di uno dei due tronconi con altri partiti, ma in ogni caso a prezzo di riunciare alla netta egemonia sulla coalizione che la dc esercitava ininterrottamente dal 1947. La scissione avrebbe significato la fine della centralità democristiana e, dunque, la conflittualità interna doveva essere mantenuta entro la cornice dell'unità del partito, badando a non perdere alcuna componente. Alla fine, l'operazione di contenimento riuscirà: a parte le trascurabili perdite dei gruppi di Agostino Greggi sulla destra (qualche decina di migliaia di voti nella sola circoscrizione di Roma) e di Livio Labor sulla sinistra (poco più di 100.000 voti in tutta Italia), la Dc resterà unita, ma questo comporterà il prezzo di una prolungata instabilità nel gruppo dirigente. Infatti, la scissione avrebbe comportato forti rischi per l'egemonia Dc sul sistema politico, ma anche un processo di omogeneizzazione nei due tronconi risultati dalla rottura. La persistenza dell'unità, vice versa, manteneva la situazione di forte disomogeneità e,
per di più, faceva crescere la temperatura interna perchè la conquista delle posizione di comando nel partito diventava l'unico modo di affrontare la crisi e, in definitiva, diventava ragione di sopravvivenza per ciascun singolo gruppo. Ovviamente, questo incoraggiava i passaggi opportunistici da una corrente all'altra, la tendenza a dar vita a gruppi locali autonomi, il continuo farsi e disfarsi di alleanze, magari nell'ambito di uno stesso congresso, con la conseguenza di introdurre sempre nuovi motivi di divisione ed instabilità del gruppo dirigente. L'elezione del Presidente della Repubblica, sul finire del 1971, rese evidente lo stato di sofferenza del partito sottoposto alle tendenze divaricanti delle correnti: il candidato ufficiale, Fanfani, andò incontro ad una ccente sconfitta perchè le sinistre del suo partito gli negarono i propri voti per ben sedici scrutini di seguito. La soluzione veniva trovata alla ventitreesima votazione, con l'appoggio determinante del Msi al nuovo candidato Dc, l'on Giovanni Leone il che comportò l'immediata caduta del governo di centro sinistra cui seguì la costituzione di un governo monocolore guidato da Andreotti, esplicitamente rivolto ad ottenere lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni nelle quali ci si riprometteva di ottenere un sufficiente margine per una maggioranza centrista. L'esito si rivelò, tuttevia, diverso dalle aspettative: il Psi resse confermando praticamente intatta la sua rappresentanza parlamentare, mentre il Pci otteneva una nuova -anche se più ridotta- affermazione che compensava parzialmente la perdita di un milione di voti di sinistra (Psiup, Manifesto, Mpl) restati senza rappresentanza per non aver ottenuto alcun quoziente pieno. Veniva ugualmente costituito un governo centrista presieduto sempre da Andreotti e composto da Dc, Pli,
Psdi con l'appoggio esterno di Pri e Svp. Ma i margini di maggioranza risultavano estremamente risicati, in particolare al Senato dove il governo ottenne la fiducia per soli tre voti. L'operazione politica appariva, dunque, assai precaria e fragile sin dai suoi inizi; inoltre, nell'autunno i rinnovi contrattuali delle principali categorie dell'industria e di alcune importanti categorie dei servizi, offriva una occasione agli avversari della formula centrista (dai comunisti ai socialisti alle sinistre Dc che trovano un naturale terreno di convergenza nella Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil) una occasione favorevolissima per battere il governo. A marzo era chiaro che il naufragio del tentativo neo centrista. L'occasione veniva offerta a fine maggio dal Pri che, cogliendo il pretesto del disaccordo sulla legge per la televisione, dichiarava esautrita la funzione del governo Andreotti e ritirava la fiducia. Già a gennaio, però, era stato convocato il XII congresso del partito per il mese di giugno. In primavera i congressi di sezione avevano già delineato il quadro che si cristallizzerà nell'assise nazionale del partito: a) Andreotti-Colombo 16,5% b) dorotei e centristi (Rumor, Piccoli, Taviani, Bisaglia) 34,2% c) fanfaniani 19,8% d) morotei 8,7% e) sinistra di Base 10,8% f) Forze Nuove 10%. Come si vede le sinistre- che si opponevano dichiaratamente alla prosecuzione del governo Andreotti raccoglievano circa il 30%,
e a
questo gruppo occorreva aggiungere quello di Fanfani, che rovesciando le sue precedenti posizioni, manifestava disponibilità a riprendere
l'accordo con i socialisti. In questo modo, gli oppositori di Andreotti raggiungevano poco più del 49%. Sul fonte opposto, ovviamente, si collocava il gruppo di Andreotti e Colombo. Determinante diveniva l'atteggiamento del "correntone" di Rumor, Piccoli, Taviani e Bisaglia. Alla viglilia del congresso, Fanfani convocava a Palazzo Giustiniani, una riunione dei capi corrente, nella quale si presentava con un accordo già fatto con Moro, l'adesione di Rumor chiudeva i giochi congressuali segnando il definitivo tramonto dell'esperimento neo centrista. L'accordo prevedeva l'elezione di Fanfani alla segreteria del partito, e un nuovo governo di centro sinistra presieduto da Rumor, che così riscuoteva il premio della propria scelta. Moro si accontentava della presidenza del Consiglio Nazionale per Zaccagnini, del ministero degli esteri per sè, oltre che del successo politico di aver imposto la propria linea al partito, pur contando sulla corrente più piccola. Andreotti e Forlani venivano, invece, invitati a farsi da parte nella considerazione che la Dc è un partito la cui storia "è ricca di quaresime e resurrezioni ", come ebbe a dire un raggiante Fanfani dal podio di neo eletto. Ma anche la segreteria Fanfani fallirà nel tentativo di dare una nuova guida stabile alla Dc: in meno di due anni, Fanfani verrà costretto alle dimissioni e la situazione tornerà magmatica. La fine dei consolidati assetti di potere del decennio doroteo, comportò l'apertura di un periodo assai prolungato di instabilità dei gruppi dirigenti Dc sia a livello nazionale che locale. Questa fase si protrarrà per un periodo anche più lungo di quello che aveva portato dalla ledership degasperiana all'egemonia dorotea, infatti, essa durerà per sette anni fra il 1969 ed il 1976- sino all'avvento della egemonia della sinistra del
partito espressa prima dalla segreteria Zaccagnini (1976-1980) e -dopo l' interludio di segreteria di Flaminio Piccoli (1980-1983)- successivamente dalla segreteria De Mita (1983-1989). L'instabilità nella direzione del partito (che pertaltro si incrocerà con analoghe dinamiche anche negli altri partiti di centro sinistra) si espresse in queste forme: a) tendenza alla estrema frammentazione delle correnti b) accentuato carattere personalistico delle fazioni c) frequentissimi mutamenti di alleanze fra i diversi gruppi d) forte mobilità dei singoli quadri intermedi fra le diverse correnti e) tendenza a dar vita ad "aggregazioni a scavalco" (ad es. una corrente di destra ed una di sinistra alleate contro una di centro). Tutto ciò comportò diverse conseguenze, quali: a) la prevalenza delle valutazioni tattiche su quelle di ordine strategico b) la maggiore attenzione ai problemi interni del partito rispetto a quelli generali c) la tendenza a spostare l'asse principale della dialettica "amico-nemico" nell'ambito intrapartitico rispetto a quello infrapartitico (per cui una corrente rivale dello stesso partito rappresenta il nemico principale, anche rispetto ad altri partiti, magari ideologicamente contrapposti) d) la conseguente tendenza a dar vita a cordate trasversali fra correnti di partiti diversi contrapposte ad analoghe cordate trasversali e) la prevalenza dell'efficienza organizzativa dei singoli gruppi sulla capacità di elaborazione politica f) la conseguente centralità del problema dell'accesso alle risorse g) il ricorso a forme anomale di lotta interna, come il ricorso a scandali contro correnti rivali.
Ovviamente, si trattò di dinamiche largamente interdipendenti fra loro, per cui: - l'esigenza di potenziare la propria organizzazione ed il proprio peso congressuale, induceva ad uno sforzo finanziario straordinario, per "acquistare" gruppi o singoli, per finanziare le campagne elettorali, per sostenere le sezioni, agenzie o associazioni legate alla propria corrente ecc. Ma, tutto questo imponeva l'assoluto bisogno di trovare nuove fonti di finanziamenti, anche di natura illegale. Ovviamente, questo offiva alle correnti rivali il destro di uno scandalo. - la continua instabilità degli equilibri di potere interni,
portava
inevitabilmente a centrare l'attenzione sulle vicende interne al partito a scapito di quella per i problemi di inetresse generale. Naturalmente, questo induceva, dopo qualche tempo, ad una riduzione dei consensi e, parallelamente, alla perdita di posizioni istituzionali (in Parlamento, negli enti locali, nei sindacati, nella stampa, nelle cooperative o nel mondo bancario ecc.). A sua volta, ciò produceva una riduzione delle risorse da ripartire fra i diversi gruppi del partito, con la conseguenza di aumentare il tasso di conflittualità interna e, dunque, attivare un circolo vizioso per cui alla riduzione di influenza corrispondeva un aumento di conflittualità interna, quindi maggiore instabilità e questo poneva le premesse per una nuova sconfitta - l'esigenza di adottare la massima flessibilità tattica -per allearsi con una corrente ideologicamente agli antipodi, o per concludere una alleanza trasversale con la corrente di un altro partito, pur di battere il nemico interno più prossimo- comportava necessariamente una minore attenzione ai contenuti politici delle varie intese, sino al limite del puro accordo di potere privo del pur minimo scopo politico. Ma questo,
ovviamente, comporta alleanze più fragili perchè destinate ad essere rimesse in discussione non appena ad uno dei contraenti si offra l'occasione di una intesa più vantaggiosa. D'altro canto, a lungo andare, questo comporta l'azzeramento delle capacità di elaborazione politica dei vari gruppi e, di conseguenza, una simmetrica diminuzione di essi di produrre egemonia sul partito. E' da notare che alcune di queste tendenze resteranno anche dopo la fine del periodo di instabilità: ci sono comportamenti che, una volta entrati in uso, è assai difficile far recedere anche dopo che siano cessate le cause che li avevano attivati. Il caso della Dc milanese si presenta, in questo senso, come assolutamente esemplare.