Dispensa di immunologia Riassunti del libro
“
Abbas
–
Immunologia
”
Dispensa di immunologia 6.2.1 6.2.2
Processamento per la presentazione MHC II Processamento per la presentazione MHC I
Capitolo 1. Proprietà delle risposte immunitarie, p.2 1.1 Immunità innata e adattativa, p.2 1.2 Tipologie di risposta adattativa, p.3 1.3 Elementi comuni delle risposte adattative, p.3 1.4 Componenti cellulari della risposta adattativa, p.3 1.5 Riassunto delle risposte immunitarie ai microbi, p.4
6.3 Significato della presentazione in complessi, p.29 6.4 Presentazione di antigeni lipidici delle molecole CD1, p.29
Capitolo 7. Recettori antigenici e molecole accessorie dei linfociti T, p.29
Capitolo 2. Immunità innata, p.5
7.1
αβ-TCR per antigeni MHC-associati, p.30
2.1 Caratteristiche generali, p.5
7.1.1
Ruolo del TCR nel riconoscimento dell’antigene
2.1.1 Re cettori per PAM P
, p.7 2.2 Componenti dell’immunità innata 2.2.1 2.2.2 2.2.3 2.2.4
Barriere epiteliali Fagociti e risposte infiammat orie Cellul e NK Proteine circolanti
Capitolo 3. Cellule e tessuti del sistema immunitario adattativo, p.12 3.1 Cellule del sistema immunitario adattativo, p.12 3.1.1 Linfociti 3.1.2 APC
3.2
Anatomia e funzioni dei tessuti linfoidi, p.14
3.2.1 3.2.2 3.2.3 3.2.4 3.2.5 3.2.6
Midollo osse Timo Linfonod i e sistema linfatico Milza Sistema immunitario cutaneo Sistema immunitario mucosale
3.3 Vie e meccanismi di homing e ricircolo linfocitario, p.16 3.3.1 3.3.2 3.3.3 3.3.4
Homing dal sangue ai linfonodi dei linfociti T Migrazione ai siti infiammat ori Migrazione delle cellule della memoia Homing dei linfociti B
Capitolo 4. Anticorpi ed antigeni, p.17 4.1 Produzione e distribuzione degli anticorpi, p.17 4.2 Struttura molecolare, p.18 4.2.1 4.2.2
lesso TCR, p.31 Proteine CD3 e ζ del comp
7.2.1 7.2.2
Struttura Funzione
7.3 Recettori antigenici dei linfociti, γδ p.31 7.4 Recettori antigenici delle cellule NK-T, p.32 7.5 Corecettori e recettori costimolanti nelle cellule T, p.32 7.5.1 CD4 e CD8: Corecettori coinvolti nell’attiv azione delle cellule T MHC- ristrette 7.5.2 Recettori costimolanti ed inibitori della f amiglia CD28 7.5.3 CD2 e la famiglia SLAM di recettor i costim olanti 7.5.4 Altre molecole accesso rie dei li nfociti T
Capitolo 8. Sviluppo linfocitario, p.34 8.1
Riarrangiamento dei geni recettoriali, p.35
8.1.1 8.1.2 8.1.3
Organizza zione dei loci per le IG Organizza zione dei loci per TCR Ricombinazione V(D)J
8.2 8.3
Sviluppo dei linfociti B, p.37 Maturazione dei linfociti T, p.39
8.3.1 R uolo del timo 8.3.2 Stadi di maturazio ne linfocitaria 8.3.3 Processi di selezione 8.3.4 8.3.5
LinfocitiNK-T T γδ Cellule
Capitolo 9. Attivazione dei linfociti T, p.41 9.1 9.2 9.3 9.4 9.5
Attivazione dei linfociti CD4, p.41 Attivazione dei linfociti CD8, p.41 Molecole costimolatorie, p.41 Trasduzione del segnale, p.42 Attenuazione della risposta, p.45
Interazione con l’antigene Riconoscimento dell’antigene
Capitolo 5. Complesso maggiore di istocompatibilità, p.21 5.1
Scoperta dell’MHC , p.21
5.1.1 5.1.2
Scoperta nel topo Scoperta nell’uomo
5.2
Struttura delle molecole MHC, p.22
5.2.1 5.2.2
Molecole MHC di classe I Molecole MHC di classe II
5.3 Legame con il peptide, p.23 5.4 Organizzazione genomica ed espressione dell’MHC, p.23
Capitolo 6. Processamento dell’antigene e presentazione ai linfociti T, p.24 6.1
7.2
APC, p.25
6.1.1 6.1.2
Presentazione ai linf ociti T naive Presentazio ne ai linfociti T differenziati
6.2
Biologia del processamento antigenico, p.26
Capitolo 10. Attivazione delle cellule B e produzione di anticorpi, p.45 10.1 Caratteristiche generali della risposta umorale, p.45 10.2 Riconoscimento dell’antigene e attivazione antigene-indotta, p.46 10.2.1 Trasduzione del segnale 10.2.2 Ruolo dei recettori CR2/CD21 come corecettor i per le cellule B 10.2.3 Risposte funzionali dei linfociti B agli antigeni
10.3
Risposte anticorpali helper-dipendenti ad
antigeni proteici, p.48 10.3.1 Sequenza degli eventi nelle
risposte anticorpali T- dipendenti 10.3.2 Attivazione degli helper 10.3.3 Presentazione dell’ant igene dalle cellule B e migrazione 10.3.4 Effetto aptene-carrier 10.3.5 Attivazione delle cellule B helper-dipenden te 10.3.6 Reazione del centro ger minativo 10.3.7 Switching dell’isoti po delle catene pe santi 10.3.8 Maturazion e dell’affinità 10.3.9 Differenziazio ne dei linfoc iti B in plas macellule secernenti anticorpi 10.3.10 Generazione di cellule della memoria e risposte umo rali
1
secondarie
15.5
Immunità ai virus, p.76
10.4 Risposte anticorpali ad antigeni Tindipendenti, p.53 10.5 Feedback anticorpale: regolazione della risposta umorale, p.54
15.5.1 15.5.2 15.5.3
Immunità innata ai virus Immunità adattativa ai virus Evasione immunitaria dei virus
15.6 Immunità ai parassiti, p.77
Capitolo 11. Tolleranza immunologica, p.54
15.6.1 15.6.2
11.1Caratteristiche generali e meccanismi della tolleranza, p.54 11.2 Tolleranza dei linfociti T, p.55
Capitolo 16. Immunologia dei trapianti, p.77
11.2.1 11.2.2
16.1.1 Riconoscimento degli alloantigeni. 16.1.2 Attivazione dei linfociti alloreat tivi
Tolleranz a centrale nei linfociti T Tolleranz a periferica nei linfociti T
11.3 Tolleranza dei linfociti B, p.57 11.3.1 11.3.2
Tolleranza centrale nei linfociti B Tolleranza periferica nei linfociti B
11.4 Tolleranza indotta da antigeni proteici estranei, p.58 11.5Omeostasi del sistema immunitario: terminazione delle normali risposte immuni, p.58
Immunità innata ai parassiti Immunità adattativa ai parassiti
16.1Risposta al trapianto allogenico, p.77 16.2 Meccanismi effettori del rigetto, p.78 16.3 Prevenzione e trattamento del rigetto da allotrapianto, p.79 16.3.1 Ridurre l'immonogenicità. 16.3.2 Immunosoppressione 16.3.3 Induzione di tolleranza .
2
16.4 Trapianti, p.80
Capitolo 17. Immunità e tumori, p.80 17.1 Antigeni tumorali, p.81 17.2 Risposta immunitaria, p.82
Capitolo 12. Citochine, p.59 12.1 Recettori, p.59 12.2 Citochine che regolano l'immunità innata, p.60 12.3 Citochine che mediano la risposta adattativa, p.61 12.4 Citochine che stimolano l'ematopoiesi, p.63
17.2.1 Risposta innata 17.2.2 Risposta specifica.
Capitolo 13. Meccanismi effettori dell'immunità cellulomediata, p.63
18.1 18.2 18.3
13.1 Tipi di reazioni cellulo-mediate, p.63 13.2 Linfociti CD4 effettori, p.64 13.2.1 Risposte immunitarie mediate da th1 13.2.2 Risposte immunitarie mediate dai linfociti Th2
13.3.Risposte mediate dai linficiti effettori:CTL, p.65 13.4 Linfociti T della memoria, p.66
14.1 Caratteristiche generali dell’immunità umorale, p.66 14.2 Neutralizzazione di microbi e tossine, p.67 14.3 Opsonizzazione anticorpo-mediata e fagocitosi, p.67 Fagociti e recettori Fc Citotossici tà cellul omediata anticorpo dipendente
14.4
Il sistema del complemento, p.68
14.4.1 14.4.2 14.4.3 14.4.4 14.4.5
Vie di attivazione del com plemento Recettori per proteine del complemento Regolazione de ll’attivazione del com plemento Funzioni del complemento Evasione del complemento
14.5 Funzione degli anticorpi in siti anatomici specifici, p.72 14.5.1 14.5.2
Immunità mucosale Immunità neonatale
Capitolo 15. Immunità ai microbi, p.73 15.1
Caratteristiche generali, p.73
15.2
Immunità ai batteri extracellulari, p.73
15.3
Immunità ai batteri intracellulari, p.74
15.2.1 Immunità innata ai batteri extracellulari 15.2.2 Immunità adatt ativa ai batteri extracellular i 15.2.3 Effetti dannosi delle risposte immunitarie 15.2.4 Evasione immunit aria dei bat teri extr acellulari 15.3.1 Immunità innata ai batteri intracellulari 15.3.2 Immunità adattativa ai batteri intracellul ari 15.3.3 Evasione imm unitaria dei batteri intracellulari
15.4
Immunità ai funghi, p.75
15.4.1
Immunità inna ta ed adattativa ai funghi
Capitolo 18. Malattie causate dalle risposte immunitarie: ipersensibilità ed autoimmunità, p.84 Patologie causate da anticorpi, p.85 Patologie causate da linfociti T, p.85 Patogenesi dell’autoimmunità , p.86
Capitolo 19. Ipersensibilità immediata, p.87 CD8
Capitolo 14. Meccanismi effettori dell’immunità umorale, p.66
14.3.1 14.3.2
17.3 Elusione delle risposte immunitarie, p.83 17.4 Immunoterapia dei tumori, p.83
19.1 Produzione di IgE, p.88 19.2 Legame delle IgE a mastociti e basofili, p.89 19.3 Ruolo di mastociti, basofili ed eosinofili, p.89 19.3.1
Mediatori derivati dai mastociti
19.4 19.5 19.6
Reazioni dell’ipersensibilità immediata , p.91 Suscettibilità genetica, p.92 Patologie allergiche nell’uomo , p.92
Capitolo 20. Immunodeficienze congenite ed acquisite, p.93 20.1
Immunodeficienze congenite, p.93
20.1.1 D ifetti dell’immunità innata 20.1.2 Immunodeficienze gravi combinate 20.1.3 Deficienze anticorpali: difetti nello sviluppo e nell’attivazione dei linfociti B 20.1.4 Difetti nell’attivazi one e nella funzione dei lin fociti T 20.1.5 Disordini multisistemici con immunodeficienza: atassia telangectasia
Appendice. Schema delle citochine, p.97 A.1 A.2 A.3
Risposta innata, p.97 Risposta adattativa, p.100 Citochine ematopoietiche, p.101
Capitolo 1. Proprietà delle rispost e i mmuni tarie 1.1 Immunità innata e adattativa
Le cellule e le molecole responsabili dell’immunità costituiscono il sistema immunitario e la loro risposta collettiva e coor dinata all’int roduzione di sostanze estranee è detta risposta immunitaria. Una definizione più precisa di risposta immunitaria è reazione a componenti microbiche così come a m acromolec ole (proteine/polisaccaridi) e piccole molecole che vengono riconosciute come estranee, senza tener conto delle conseguenze fisiopatologiche di tale reazione. L’immunità innata fornisce la prima lineadi difesa contro i microbi. Questi meccanismi reagiscono solamente ai microbi e rispondono essenzialmente nello stesso modo alle infezioni ripetute. I principali componenti dell’immunità innata sono:
1.
Barrierefisiche
e chimiche
2. Cellule fagocitiche, cioè neutrofili e macrofagi, e natural killer 3. Proteine plasmatiche, tra le quali quelle del complemento 4. Citochine, che regolano e coordinano molte delle attività delle cellule dell’immunità innata Esistono risposte immunitarie che sono stimolate invece dall’esposizione ad agenti infettivi e che aumentano in grandezza ed efficacia ad ogni successiva esposizione: si tratta dell’ immunità acquisita/adattativa. L’immunità acquisita è in grado di riconoscere un grande numero di sostanze microbiche e non, e la capacità di riconoscimento è talmente alta da giustificare il titolo di immunità specifica. I principali agenti dell’immunità acquisita sono i linfociti e i loro prodotti di secr ezione, come gli anticorpi. Le sostanze estranee in grado di indurre risposte immunitarie specifiche sono de tte antigeni . Evoluzione immunitario
del
sistema
I meccanismi specializzati di difesa che costituiscono la risposta adattativa sono esclusivi dei vertebrati.
• Diverse cellule degli invertebrati rispondono ai microbi circondandoli e distruggendoli; queste cellule ricordano i fagociti e, a seconda della specie, sono state chiamate fagociti ameboidi, emociti, coelomociti o leucociti del sangue. •
Gli invertebrati non contengono linfociti antigene-specifici e non producono immunoglob- uline o proteine del complemento: contengono tuttavia molecole solubili che legano e lisano i microbi.
• I fagociti in alcuni invertebrati possono secernere citochine che somiglia no a quelle derivanti dai macrofagi nei vertebrati. • Tutti gli organismi pluricellulari esprimono i toll-like receptor, responsabili dell’avvio delle reazioni di difesa
• Gli invertebrati sono in grado di riconoscere trapianti di tessuto estraneo, attività che nei vertebrati è dipendente dalla risposta immunitaria adattativa. Negli invertebrati queste reazioni sono mediate da cellule di tipo fagocitico che però non sono in grado di generare una memoria per il tes- suto trapiantato. Queste evidenze indicano che anche gli invertebrati sono in grado di esprimere molecole (forse precursori del MHC) per distinguere il self dal non self. antigenici riarrangiati sosvolta nell’evoluzione immunitaria La conpiù la comparsa di recettori maticamente , evento che accade con sii ha pesci evoluti. Buona parte dei componenti del sistema immunitario adattativo sembra essere apparsa in un tempo breve e in maniera coordinata nei ver tebrati dotati di mandibola. Dal momento della comparsa degli antigeni generati per ricombinazione genica il sistema immunitario si è evoluto costantemente : si passa da un singolo tipo di anticorpo nei pesci fino agli otto dei mammiferi.
2
1.2
Tipologie di risposta adattativa
Immunità umorale L’immunità umorale è mediata da molecole presenti dette anticorpi, prodotte da cellule dette linfociti B. L’immunità umorale
nel sangue e nelle secr ezioni è la princ ipale difesa contr o microbi extracellulari e le loro tossine in quanto gli anticorpi secreti possono legare e assistere nell’elim inazione di queste molecole tossiche. Gli anticorpi di loro sono specializzati e differenti tipi di anticorpi possono attivare diversi meccanismi. Immunità cellulo-mediata L’immunità cellulo-mediata è legata ai linfociti T . Microbi intracellulari che sopravvivono e proliferano all’interno di fagociti o altre cellule sono inaccessibili per gli anticorpi:
per queste infezioni la difesa è legata all’immunità cellulo mediata che ne promuove la distruzione. Immunizzazione
L’immunità protettiva nei confronti di un microbo può essere indotta dalla rispos-
specifici. L’immunità indotta dall’ esposizione ta dell’ospite o dal trasferimento di anticorpi/linfociti diretta all’antigene è detta immunità attiva in quanto l’individuo immunizzato gioca un ruolo attivo; l’inoculazione di anticorpi/linfociti specifici crea invece un tipo di immunità che non pr evede l’esposizione dell’immunizzato all’antigene: si parla di immunità passiva. Un esempio di immunità passiva naturale è il trasferimento di anticorpi materni al feto. In ambito clinico l’immunità ad un microbo viene sempre misurata in maniera indiretta, cercando la prese nza dei prodotti dell’immunità o amministrando derivati purificati del microbo e misurando la reazione indotta.
1.3
Elementi comuni delle risposte adattative
• Specificità e diversità . Le risposte sono specifiche per i diversi antigeni; le parti degli antigeni che vengono specificamente riconosciute dai singoli linfociti sono dette determinanti od epitopi. I singoli linfociti esprimono sulle loro membrane recettori che sono in grado di riconoscere le sottili differenze tra gli antigeni. Il numero totale di epitopi riconoscibili, detto repertorio linfocitario , è enorme: si stima tra 10 7 e 109 . • Memoria. L’esposizione ad un antigene migliora la capacità di risposta del sistema: le risposte alle infezioni successive sono solitamente più rapide, ampie e spesso qualitativamente diverse dalla risposta primaria. La memoria immunologica è in parte dov uta all’espansione dei cloni linfocitari specifici per quell’antigene e in parte alla produzione delle cellule della memoria. • Espansione clonale. I linfociti proliferano molto dopo esposizione ad un antigene. Il termine espansione clonale indica che la crescita è limitata alle cellule che esprimono recettori per l’antigene.
• Specializzazione . Immunità umoral e e cellulo-mediata sono stimolate da classi microbiche diverse (o diverse fasi dell’infezione). • Contrazione ed omeostasi . Tutte le risposte immunitarie devono svanire nel tempo, facendo ritornare il sistema immunitario allo stato basale, cioè alla sua condizione di omeostasi. La riduzione/contrazione della reazione è dovuta soprattutto al fatto che le risposte innescate dagli antigeni distruggono gli antigeni stessi, el iminando dunque lo stimolo. • Non reattività al self. I linfociti non reagiscono a molecole self grazie alla proprietà della tolleranza. La tolleranza viene mantenuta eliminando i linfociti autoreattivi: riduzioni di questa capacità sono alla base de lle malattie autoimm uni.
1.4
Componenti cellulari della risposta adattativa
Le cellule principali del sistema immunitario sono i linfociti, le APC e le cellule effettrici. sono cellule che riconoscono gli antigeni estranei e mediano quindi l’immunità innata e I linfociti quella umorale. Esistono diverse popolazioni linfocitarie che differiscono nel modo in cui riconoscono il non-self: • Linfociti B. Questi linfociti sono gli unici in grado di produrre anticorpi . Riconoscono gli antigeni extracellulari e si differenziano in plasm acellule sec er nenti gli anticorpi: mediano dunque l’immunità umorale.
3
• Linfociti T. Questi linfociti mediano la risposta cellulo-mediata in quanto riconoscono antigeni intracellulari e si attivano per distruggere microbi e cellule infettate. I linfociti T non pr oducono anticorpi e hanno una specificità ristretta per gli antigeni: riconoscono solo antigeni peptidici attaccati a proteine codificate dall’MHC. I linfociti T consistono di popolazioni funzionalmente distinte , tra le quali quelle codificate meglio sono le cellule T-Helpere le cellule T-Citotossiche.
Le cellule T -Helper in risposta ad un’infezione secernono citochine che servono a stimolar e la proliferazione e la differenziazione delle cellule T stesse e l’attivazione di altre cellule tra cui cellule B, macrofagi ed altri leucociti. – I linfociti T citotossici agiscono uccidendo le cellule che producono antigeni non-self.
–
L’avvio e lo sviluppo dell’immunità adattativa richiede il sequestro e la presentazione degli antigeni ai linfociti da parte delle APC. Le APC più specializz ate sono le cellule dendritiche, che catturano gli
antigeni trasportano in arrivoeddall’ambiente lo risposta agli organi linfoidi per pre senta rlo ai linfociti T naive (vergini aspecifici) peresterno iniziaree la immunitaria. L’attivazione dei linfociti da parte degli antigeni porta all’att ivazione di vari meccanismi. L’eliminazione dell’antigene richiede spesso la partecipazione di cellule dette effettrici in quanto mediatrici dell’effetto finale della risposta immunitaria. Linfociti T attivati, fagociti mononucleati e altri leucociti funzionano da cellule effettrici in differenti risposte immunitarie.
1.5
Riassunto delle risposte immunitarie ai microbi
L’immunità innata blocca l’ingresso di microbi e ne limita l’espansione qualora riuscissero a passare. I princip ali tratti a risc hio sono la cute, il tratto GI e quello respiratorio: sono tutti ricoperti di epitelio continuo che fornisce una barriera efficace. Se il microbo sfonda la barrie ra trova i macrofagi che esprimono sulle loro membrane recettori che legano e fagocitano il microbo o attivano altre cellule. I macrofagi attivati producono ROS e enzimi lisosomiali per distruggere il microbo, ma secernono anche citochine che promuovono il reclutamento di altri leucociti. Le citochine sono responsabili di molti aspetti delle reazioni immunitarie e sono quindi molecole messaggere. L’accumulo locale di leucociti e la loro attivazione per distruggere i microbi è parte di ciò che causa l’infiammazione. La risposta innata ad alcuni virus consiste nella pr oduzione di citochine antivirali dette interferoni e nell’attivazione di cellule NK. I microbi che resistono a questo primo intervento possono entrare nel sangue dove vengono riconosciuti dalle proteine circolanti dell’immunità innata: tra di esse le più importanti sono quelle facenti parte del sistema del complemento . Il complemento può essere attivato direttamente dai microbi (via alternativa) con il risultato dello stimolo infiammatorio e della fagocitosi del patogeno, oppure può essere attivato dagli anticorpi (via classica). Risposta precoce dell’immunità innata
Risposta adattativa
La risposta adattativa ruota intorno a tre strategie:
1. Anticorpi. Gli anticorpi secreti legano i microbi extracellulari, bloccandone la capacità infettiva e promuovendone la distruzione. 2. Fagociti. I fagociti digeriscono e uccidono i microbi e le cellule T -Helper li favoriscono in questo. 3. Linfociti T -Citotossici. I linfociti T -Citotossici uccidono le cellule infette inaccessibili agli anticorpi. L’immunità adattativa produce un grande numero di linfociti durante la maturazione e, a seguito di stimolo antigenico, seleziona i più utili per combattere il microbo: questo aumenta l’e fficacia del sistema. Il numero di linfociti naive per ogni antigene è basso (uno per milione) e la quantità di antigene è spesso anch’essa limitata: esistono meccanismi specializzati nel catturare e concentrare microbi nella giusta posizione per una stimolazione ottimale. Le cellule dendritiche sono le APC che portano gli antigeni ai linfociti naive C D 4+ e C D 8+ e quindi fanno iniziare la risposta adattativa. Queste cellule catturano i microbi, ne digeriscono le prote ine in peptidi e li esprimono sulla loro superficie in associazione a molecole MHC: si dirigono poi ai linfonodi dove stazionano. I linfociti specifici per un gran numero di antigeni esistono già prima dell’esposizione e, quando entra l’antigene, questo seleziona e attiva cellule specifiche: questa è la base dell’ ipotesi della selezione
4
clonale. L’attivazione dei linfociti
T -Naive richiede il riconoscimento del complesso antigene-MHC delle cellule dendritiche: questo passaggio garantisce specificità all’immunità e non autoreattività. I linfociti C D 4+ attivati proliferano e si differenziano i cellule effettrici le cui funzioni sono mediate dalle citochine secrete. Una delle prime azioni è la secrezione di interleuchina-2 (IL-2), un fattore di crescita che agisce sui linfociti antigene-attivati e ne stimola l’espansione clonale. Queste cellule effettrici lasciano l’organo linfoidedove sono state generate e migrano ai siti di infezione e infiammazione. Ai siti di infiammazione le cellule effettrici compiono vari atti: alcune secer nono interferon-γ, un potente attivatore macrofagico. Altri CD4+ attivati secernono citochine che stimolano la produzione di IgE e attivano gli eosinofili, cioè leucociti in grado di uccidere parassiti troppo grandi per essere fagocitati. I linfociti C D 8+ attivati proliferano e differenziano in linfociti T -Citotossici che uccidono le cellule infette nel citoplasma. I linfociti B attivati proliferano e si differenziano in cellule che secernono diverse classi di anticorpi diverse funzioni. La risposta dei linfociti B agli antigeni proteici richiede segnali di attivazione con dai linfociti T C D 4+ Helper . Parte della progenie dei cloni di cellule B si differenzia in plasmacellule che producono anticorpi; gli antigeni polisaccaridici e lipidici stimolano soprattutto la produzione di IgM, mentre quelli proteici, grazie all’interazione delle cellule helper, inducono la produ zione di IgG, IgA ed IgE. La risposta umorale agisce su vari fronti. Gli anticorpi si legano ai microbi impedendo lor o di infettare cellule sane. Le IgG avvolgono i microbi e li destinano alla fagocitosi, in quanto i fagociti (neutrofili e macrofili) riconoscono le code delle IgG. IgG e IgM attivano il complemento lungo la via classica, e il complemento promuove la fagocitosi e la distruzione dei microbi. Le IgG sono trasportate attivamente attraverso la placenta e proteggono i neonati fino alla maturazione del sistema. La maggior parte degli anticorpi ha emivita intorno alle tre settimane, anche se le cellule della memoria vivono per
anni.
Capitolo 2. Immunità innat a L’immunità innata è il meccanismo filogeneticamente più antico di difesa dai microbi e si è evoluta con essi per difendere tutti i microorganismi pluricellulari. I ruoli di questo tipo di immunità sono fondamentalmente due:
1. Iniziare le risposte ai microbi che prevengono, controllano ed eliminano le infezioni. Que sto ruolo è fondamentale in quanto se viene eliminata l’immunità innata e mantenuta la sola adattativa l’organismo risulta comunque molto più suscettibile alle infezioni. 2. Stimolare le risposte adattative e influenzarne meccanismi ed efficacia. Alcune componenti dell’immunità innata sono sempre funzionanti, anche prima dell’infezione: queste componenti sono le barrierefornite dalle superfici epiteliali della cute, del tratto GI e di quello respiratorio. Altre componenti sono inattive ma pro nte a risp ondere rapid ame nte ai microbi: queste includono i fagociti e il sistema del complemento .
2.1 Caratteristiche generali • L’immunità innata riconosce strutture caratteristiche dei microbi patogeni e per questo non presenti sulle cellu le dei mammiferi: il numero di caratteristiche riconoscibili è limitato. Le sostanze microbiche che stimolano l’immunità vengono definite PAMPs, acronimo di Pathogen Associated Molecular Patterns, mentre i recettori che le legano sono definiti pattern recognition receptors. Tra i PAMPs principali si includono: –
Acidi nucleici esclusivamente non-self, tra
cui ds-RNA o con sequenze non-self, tra cui
sequenze non metilate di CpG DNA. – Proteine che iniziano con N-for milmetionina –
LPS, acidi teicoici e oligosaccaridi ricchi in mannosio
Grazie alla specificità per strutture microbiche l’immunità innata non potrà mai reagire contro il self; per contrasto l’immunità adattativa non reagisce cont ro il self solamente perchè i linfociti autoreattivi vengono eliminati: per questo motivo l’immunità adattativa è alla base delle malattie
5
autoimmuni mentre quella innata non presenta questo
pr oblema.
• L’immunità innata riconosce strutture microbiche fondamentali alla sopravvivenza del patogeno, in modo da evitare che questo possa disfars ene per evitare il controllo imm unitario. •
I recettori per i PAMPs includono sia molecole associate alla cellula sulle membrane cellular i che proteine solubili nel sangue e nei fluidi extracellulari. In generale l’attivazione di questi recettori produce una trasduzione del segnale che attiva funzioni infiammatorie e antimicrobiche oppur e facilita l’assorbimento del microbo all’interno delle cellule.
•
I recettori per i PAMPs sono codificati da DNA non riarrangiato somaticamente , quindi il numer o di combinazioni possibili è basso: sono ricon oscibili circa 1000 patter n molecolari. L’immunità adattativa, sfruttando un riarrangiamento somatico dei geni, è invece in grado di riconoscer e almeno 107 pattern molecolari diversi. In sostanza dunque l’immunità innata riconosce classi di microbi, mentre quella adattativa riconosce antigeni diversi dei diversi microbi e per fino antigeni diversi dello stesso microbo.
• L’immunità innata riconosce anche le cellule host danneggiateo stressate in quanto queste esprimono molecole normalmente rare nelle cellule sane. Tra queste molecole vanno inserite le HSP (Heat Shock Protein), alcune molecole simil MHC-1 e alcuni fosfolipidi di membrana. In questo modo l’immunità innata può contribuire all’eliminazione di cellule infette anche se i prodotti micr obici non sono esposti in super ficie. 2.1.1 Recettori per PAMP
La classe più importante, anche se non l’unica, di recettori PAMPs è quella dei TLRs. Toll-Like receptors Toll è un gene identificato inizialmente nella Drosophila la cui prote ina media risposte antimicrobic he. Esistono undici diversi TLR nell’uomo , chiamati TLR1-11, e tutti con- tengono un dominio TIR (Toll/Il-1 receptor) nel lato citoplasmatico che è fondamentale per la tras- duzione del segnale. Le più importa nti clas si di cellule che esprimono i TLR sono i macrofagi, le cellule dendritiche, i neutrofili, le cellule delle mucose epiteliali e le cellule endoteliali. I TLR si trovano sulle membrane cellulari in genere, sia membrane plasmatiche che intracellulari: possono dun que ri- conoscere infezioni in varie posizioni. I TLR 3,7,8 e 9 si collocano sul RE e sulle membrane nucleico dove riconoscono le tipologie di acidol’ infezione riconosciuteendosomiali non sono esclusive microbiche, acidi ma la nucleici posizioneesogeni; lo è: questi TLR riconoscono dunque non sulla base del pr odotto ma su quella della sua collocazione cellulare. L’attivazione di un TLR in genere attiva diversi pathway di segnalazione che terminano nell’attivazione di vari fattori di trascrizione. La segnalazione inizia con il legame ligando-recettore che porta alla dimerizzazione dei TLR e il reclutamento di prote ine adat- tatrici contenenti un secondo dominio TIR; questo reclutamento facilita quello di varie protein kinasi che fosforilano diversi fattori di trascrizione, tra i quali i più importanti sono: • κB e AP-1, che stimolano di adesione endoteliale.
la produzione di citochine infiammatorie, chemochine e molecole
• IRF-3 e IRF-7 che stimolano l’espressione dei geni dell’interferone α/β .
Le lectine tipo C sono molecole C a++ -dipendenti che legano carboidrati e che sono espresse principalmente su macrofagi, cellule dendritiche ed altri leucociti. Queste molecole riconoscono strutture di carboidrati non presenti sulle cellule di mammifero: tra di esse quella più nota è il recettore per il mannosio. Lectine tipo C
Recettori scavenger Molecole ossi- date all’interno delle cellule.
con la caratteristica comune di mediare l’uptake di lipoproteine
Recettori per N-formil-met/leu/phe Questi recettori riconoscono piccoli peptidi contenenti resid ui di N-formilmetionile che sono caratteristici delle proteine batteriche (ma anche delle proteine sintetiz- zate nel mitocondrio). Questi recettori sono espressi su neutrofili (FPR) e macrofagi (FPRL1): in entram- bi i casi consentono ai fagociti di riconoscere e rispondere alle prot eine batte riche. Il
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funzionamento di questi recettori è quello di un recettore associato a proteina G: si attiva la via del fosfatidilinositolo e si promuovono riarrangiamenti del citoscheletr o. NLRs Sono una famiglia di molecole citoplasmatiche che fungono da sensori intracellulari di infezione batterica. Molte NLRs riconoscono il peptidoglic ano comunem ente presente nelle pareti batteriche; a seguito del riconoscimento si ha il reclutamento della protein kinasi RICK che inizia la cascata che termina con l’attivazione dei fattori di trascrizione κB e AP-1 (gli stessi dei TLR, quindi produzione di citochine e altri mediatori). Proteine CARD Il dominio CARD (Caspase Activation and Recruitment Domain) è contenuto in re- cettori citoplasmatici che legano RNA virale e che attivano cascate segnalatorie che terminano con l’attivazione dei fattori di trascrizione IRF-3 e κB che stimolano l’espressione di interferoni antivirali di tipo I.
2.2 Componenti dell’immunità innata
Le principali cellule effettrici dell’immunità innata sono neutrofili, fagociti mononucleati e cellule NK. Alcune di queste cellule, soprattutto macrofagi e NK, secernono citochine in grado di L’infiammazione è la reazione cellulare attivare i fagociti e stimolare l’infiammazione. dell’immunità innata e consiste nel reclutamento di leucociti e nell’uscita dai vasi di molte proteine Le plasmatiche verso il sito di infezione. L’infiammazione può anche danneggiare tessuti normali. proteine circolanti legate all’immunità innata sono invece quelle del complemento e altre che riconoscono strutture microbiche, come le lectine leganti il mannosio. 2.2.1
Barriereepiteliali
Le tre principali sedi di contatto con l’ambiente esterno sono la cute, il tratto GI e quello respiratorio. Tutte e tre sono protette da un epitelio continuo : se questa continuità viene persa la suscettibilità alle infezioni aumenta. Gli epiteli, come alcuni leucociti, producono peptidi anti microbici, soprattutto dine.
defensine e catelici-
Le defensine sono piccoli peptidi caratterizzati da tre ponti disolfuro; esistono tre famiglie di defensine (α, β e φ) distinte sulla base della posizione dei ponti. Gran di prod uttrici di defensine α sono le cellule del Paneth nell’intestino, questo per limitare il numero di microbi nel lume. Alcune defensine sono prodotte in modo costitutivo ma la loro secrezione può essere stimolata da citochine o prodotti microbici. In altre cellule le defensine sono invece prodotte solo in risposta ad uno stimolo. L’azio ne protettiva delle defensine include sia tossicità diretta per i microbi che attivazione delle cellule Defensine
coinvolte nelle risposte infiammatorie.
Le catelicidine sono espresse dai neutrofili e dai vari epiteli. Un precur sore di 18kD viene trascritto e digerito proteoliticamente in due peptidi, entrambi protettivi. Il frammento C- ter minale, detto LL -37, ha to ssicità diretta per molti organismi e attiva diverse risposte leucocitarie, oltre alla capacità di legare e neutralizzare LPS. L’altro frammento potrebbe anch’esso avere attività antimicrobiche ma il suo ruolo è meno chiar o. Gli epiteli delle barriere e le cavità sierose contengono certi tipi di linfociti, tra i quali i linfociti T intraepiteliali e il tipo B-1 delle cellule B che riconoscono e rispondono ai microbi comunemente incontrati. Alcune popolazioni dei linfociti T e B hanno bassa diversità perchè c’è poca ricombinazione genica: q ueste riconoscono strutture comunemente espresse dalle specie microbiche, in pratic a riCatelicidine
conoscono i PAMPs. I linfociti T-intraepiteliali sono presenti nell’epidermide della cute e negli epiteli delle mucose: queste cellule hanno ruolo immunitario in quanto secernono citochine, a ttivano i fagociti e uccidono le cellule infette. La cavità peritoneale contiene invece la popolazione B-1 dei linfociti B, i cui recettori antigenici sono immunoglobuline; molte cellule B-1 producono anticorpi specifici verso antigeni polisaccaridici e lipidici, tipo LPS. Individui normali hanno infatti anticorpi verso questi batteri, spesso presenti nell’intestino, senza avere alcun segno di infezione: questi anticorpi sono detti anticorpi naturali e sono in gran parte prodotti dalle cellule B-1. Una terza popolazione di cellule presente sotto molti ep iteli è quella dei mastociti che rispondono alle infezioni secernendo citochine e
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mediatori lipidici dell’infiammazione. 2.2.2
Fagociti e risposte infiammatorie
I fagociti, cioè neutrofili e macrofagi, sono cellule il cui ruolo primario è identificare, ingerire e distruggere i microbi. La loro risposta funzionale consiste in una serie di step: 1. Reclutamento al sito di infezione 2. Riconoscimento 3. Ingestione 4. Distruzione In aggiunta a questo i fagociti produc ono citochine che svolgono importanti ruoli nelle risposte innate ed adattative e nella riparazione dei tessuti. I neutrofili, detti anche leucociti polimorfonucleati, sono la popolazione più abbondante dei globuli bianchi circolanti. Si tratta di cellule sferiche con diametro 12 −15µm il cui nucleo si presenta segmentato in tre/cinque lobuli. Il citoplasma contiene due tipi di granuli; il tipo più abbon dante è pieno di enzimi quali lisozima, collagenasi ed elastasi: questo granulo si colora molto poco e infatti i neutrofili appaiono con citoplasma chiaro. Il resto dei granuli è formato da lisosomi contenenti enzimi microbicidi tra i quali defensine e catelicidine. I neutrofili vengono prodotti nel midollo osseo e srcinano dalla stessa linea dei fagociti mononucleati. Un uomo adulto produce più di 1011 neutrofili al giorno, ciascuno dei quali circola nel sangue per circa sei ore. Se un neutrofilo circolant e non viene reclutato entro queste sei ore va incontro ad apoptosi e viene fagocitato dai macrofagi residenti in milza e fegato. Neutrofili
Queste cellule srcinano nel midollo osseo, circolano nel sangue e infine mat- urano e diventano attive nei vari tessuti. La prim a cell ula che ent ra nel sangue periferico dopo aver lasciato il midollo è indifferenziata e prende il nome di monocita. Una volta entrati nei tessuti i monoc- iti maturano e diventano macrofagi, che assumono diverse forme dopo Fagociti mononucleati
l’attivazione dacellule parte di stimoli esterni quali i microbi. fonder e tra I macrofagi si possono loro a formare giganti mult in- ucleate. La nomenclatura dei attivati macrofagi varia a seconda del tessuto per indicarne la posizione: nel SNC si parla di cellule della microglia, nel fegato di cellule del Kupffer, nel polmone di macrofagi alveolari e nell’osso di osteoclasti. Le cellule di tipo macrofagico sono le più antiche filogeneticam ente nel mediar e l’immunità innata: sono presenti ad esempio nella Drosophila e anche nelle piante. I macrofagi rispon- dono alle infezioni rapidamente quanto i neutrofili ma hanno un emivita molto più lunga, grazie anche al fatto che a differenza di questi ultimi possono dividersi al sito infiammatorio. Per questo motivo i macrofagi sono le cellulle effettrici dominanti dopo uno o due giorni dall’infezione.
Le cellule dendritiche presentano lunghe proiezioni membranose e capacità fagocitiche e sono largamente distribuite nei tessuti linfoidi, nelle mucose e nel parenchi ma degli organi. Que ste cellule derivano da precursori nel midollo osseo e la maggior parte è legata alla linea dei fagociti mononucleati. Le cellule dendrit iche esprimono recettori PAMPs e rispondono secernendo citochine. Cellule dendritiche
Reclutamento dei leucociti ai siti di infezione Neutrofili e monociti vengono reclutati per legame con molecole di adesione sulle cellule endoteliali e per chemotassi. Il reclutamento è un
processo a più step, ciascuno dei quali orchestrato da diverse molecole.
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In risposta a microbi e citochine le cellule endoteliali delle venule postcapillari aumentano l’espressione superficiale di protei ne chia mate selectine. I fattori di stimolo più importanti sono il TNF e l’interleuchina1 (entrambi citochine). Due tipi di selectine sono espressi: la selectina P, che è già pronta in granuli e viene distribuita rapidamente, e la selectina E , che viene sintetizzata in risposta agli stimoli e viene resa disponibile entro un paio d’ore. Una terza selectina, chiamata selectina L, viene espressa sui linfociti e altri leucociti e media invece il direzionamento dei linfociti T naive verso i linfonodi. I leucociti esprimono i ligandi per le selectine sulle punte dei microvilli. Il legame selectina-ligando è a bassa affinità e pre senta gra nde rapidità di distacco grazie alla spinta del sangue: il risultato è che i leucociti non si bloccano ma iniziano a rotolare sulla super ficie endoteliale rallentando la loro corsa. Rolling
Le chemochine sono piccole citochine secrete dai macr ofagi tissutali, dalle cellule en- doteliali e da altre tipologie cellulari in risposta a TNF e IL-1. La loro funzione principale è stimo- lare la chemotassi . Le chemochine prodotte al sito di infezione vengono trasportate sulla faccia luminale delle venule postcapillari dove si accumulano in alte concentrazioni. In questa sede le chemochine legano specifici recettori espressi sulla superficie dei leucociti rotolanti. I leucociti es- primono una famiglia di molecole di adesione dette integrine che normalmente sono in uno stato di bassa affinità. L’attivazione dei recettori per le chemochine produce due effetti: l’aumento del- l’affinità delle integrine per i loro ligandi e il loro accumulo superficiale in modo da aumentar e l’e fficacia del legame del leucocita alla superficie endoteliale.
Attivazione
Adesione Le citochine (TNF e IL-1) oltre all’attivazione delle integrine aumentano l’esp ressione endoteliale dei loro ligandi, in particolare VCAM-1 (Vascular Cell Adhesion Molecule, il ligando dell’integrina VLA-4) e ICAM-1 (Intercellular Cell Adhesion Molecule, il ligando per le integrine LFA-1 e Mac1). Il risultato finale è che i leucociti si attaccano saldamente all’endotelio, riorganizzano il loro citoscheletro e si allontanano dalla superficie endoteliale. TrasmigrazioneLe chemochine stimolano
i leucociti adesi a migrare attraverso gli spazi endoteliali lungo il gradiente chimico; altre proteine, tra cui CD31, giocano un ruolo in questo passaggio. I leucociti presumibilmente producono enzimi che li aiutano nell’attraversa re la barriera.
L’accumulo di leucociti nei tessuti è uno dei componenti fondamentali dell’infiammazione. Il pr ocesso di trasmigrazione è basato sull’esp ressione di varie moleole di adesione e varie chemochine; ad esempio la migrazione dei neutrofili si basa sul legame LFA-1/ICAM-1 e sui recettori per le chemochine CXCR1 CXCR2, entrambi leganti CXCL8 mentre i monociti utilizzano il legame VLA-4/VCAM-1 e il recetetore CCR2 legante CCL2. La progressione temporale di espressione di questi elementi garanti sce che
vengano prima reclutati i neutrofili (ore/giorni) e poi i monociti (gior ni/settimane). Fagocitosi dei microbi La fagocitosi è un processo attivo di inglobamento di grandi particelle (diametro oltre i 0.5µm). L’uccisione dei microbi avviene all’interno delle vescicole formate per fagocitosi, in modo da proteggere il fagocita dai processi po tenzialmente dannosi. Il primo passo nella fagocitosi è il riconoscimento del microbo. Neutrofili e macrofagi riconoscono
solo cellule non self perchè esprimono recettori specifici per i microbi, recettor i tra i quali si contano quelli per i PAMPs, le lectine tipo C e gli scavenger. Un secondo gruppo di recettori riconosce pr oteine dell’host che ricoprono i microbi: queste proteine sono dette opsonine e comprendono anticorpi, pr oteine del complemento e lectine. Il processo che porta alla cope rtura del microbo con opsonine è detto opsonizzazione. Uno dei metodi più efficaci di opsonizzare i microbi è ricoprirli di anticorpi; queste molecole hanno da un lato una regione che lega l’antigene e dall’alt ro una regione, detta regione Fc, che interagisce con le cellule effettrici del sistema immunitario. I fagociti esprimono recettori ad alta affinità (Fcγ RI) per gli anticorpi IgG: poichè gli anticorpi sono prodotti della difesa adattativa, si ha qui un caso particolare in cui l’immunità adattativa attiva quella innata. Quando un microbo o una particella lega un recettore sul fagocita la membrana plasmatica si redistribuisce e si estende intorno al microbo per poi chiudersi attorno ad esso formando una vescicola detta fagosoma . Il fagosoma viene portato all’interno della cellula dove si svolgerà l’uccisione del microbo da un lato e la prese ntazione ai linfociti T dall’altro. 10 Uccisione dei microbi fagocitati La fusione del fagosoma con i lisosomi crea un fagolisosoma dove si concentrano quasi tutti i meccanismi microbicidi. I principali meccanismi sono:
• Produzione di enzimi proteolitici nel fagolisosoma. Tra i più i mpo rtanti nei neutrofili è l’elastasi, una serina proteasi. Un secondo enzima importante è la catepsina G: topi KO mostrano incapacità di uccidere i batteri se mancano queste molecole. • Conversione dell’ossigeno molecolare in ROS che distruggono i microbi. Il principale enzima coinvolto è l’ossidasi fagocitica , un enzima indotto da molti stimoli tra cui interferone e segnali dai TLRs. Questo enzima converte l’ossigeno in radicali liberi con NADPH come cofattore nel pr ocesso chiamato burst respiratorio . L’ossidasi agisce inoltre come pompa protonica generando un gradiente elettrochimico tra le membrane del vacuolo: questo crea il pH necessario per attivare elastasi e catepsina G. La malattia granulomatosa cronica è il risultato di una deficienza ereditat a di uno dei componenti del sistema dell’ossidasi.
• Oltre ai ROS vengono prodotti intermedi reattivi dell’azoto, in particolare ossido nitric o (NO) grazie all’azione della ossido nitrico sintasi inducibile (iNOS). Nel fagolisosoma NO si combina con perossido o superossido di idrogeno per produrre molecole altamente reattive in grado di uccider e i microbi. Una forte attivazione di neutrofili e macrofagi può danneggiare i tessuti normali dell’ospite per rilascio degli enzimi lisosomiali, di ROS e di NO: se questi prodotti entrano nell’ambiente extracellular e diventano estremamente pericolosi. Funzioni accessorie dei macrofagi attivati Oltre all’uccisione fisica dei microbi i macrofagi attivati servono molte altre funzioni di difesa. In aggiunta al TNF e all’IL1 già citate i macrofagi pr oducono IL-12 che stimola le cellule NK e le T a produrre interferone gamma. Alte concentrazioni di LPS in-
ducono patologia sistemica caratterizzata da coagulazione disseminata, collasso vascolare e anor malità metaboliche: tutti risultati di alti livelli di citochine secrete dai macrofagi attivati. I macrofagi attivati producono infine fattori di crescita per fibroblasti e cellule endoteliali per aiutare il rimodellamento tissutale che segue le infezioni o i danni in generale. 2.2.3
Cellule NK
Le cellule NK fanno parte di una linea di cellule legata ai linfociti e riconoscono le cellule infette o stressate rispondendo con uccisione diretta o con la secrezione di citochine infiammatorie. Queste cellule costituiscono fino al 20% delle cellule mononucleate di sangue e milza e sono rare negli altri tessuti linfoidi. Oltre all’uccisione diretta queste sono una grande fonte di interferone gammache attiva i macrofagi per far uccider loro i microbi ingeriti. Le cellule NK sono derivate da precursori midollari e appaiono come grandi linfociti pieni di granuli citoplasmatici; queste cellule non sono linfociti T o B e non subiscono riarrangiamento somatico: usano recettori codificati nel DNA germinale.
NK è regolata dal bilancio tra i segnali in arrivo dai recettori attivanti e da quelli inibenti. In generale i segnali attivanti devono essere bloccati da quelli inibitori per evitare l’attivazione della NK e l’attacco a cellule normali. Molti dei recettori sulle cellule NK riconoscono Attivazione L’attivazione delle cellule
molecole MHC-1; queste molecole espongono vari peptidi tra cui quelli derivanti dai microbi per il riconoscimento da parte dei linfociti T C D 8+ (le cellule NK usano però recettori di tipo diverso dai linfociti T per il riconoscimento). I recettori attivanti rilevano un vasto gruppo di molecole espresse da cellule stress ate, infette o trasformate. Uno dei recettori più studiati è NKG2D che lega una famiglia di proteine simil MHC che si trovano nelle cellule infettate da virus e in quelle tumorali. Un altro tipo di recettore, CD16, lega le porzioni Fc di alcune classi di IgG e pertanto porta la cellula NK ad uccidere cellule ricoperte di anticorpi (opsonizzate). Quando la segnalazione ha inizio si attivano cascate kinasi-dipendenti che port ano all’avvio dell’attività citotossica verso le cellule portanti il ligando e alla produzione di citochine. I recettori inibitori si legano a molecole MHC-1 normalmente espresse nelle cellule sane. L’avvio di questi pathway porta all’attivazione di fosfatasi che competono con le kinasi stimolate dalle vie attivanti: in questo modo le cellule sane sono protette dall’uccisione NK-mediata. Il più vast o gruppo di recettori inibitori è quello dei KIRs (Killer cell Immunoglobulin-like Receptor) che legano appunto molecole MHC. Un secondo importante recettore è CD94/NKG2A che lega una molecola MHC detta HLA-E. Lo sviluppo e le attività delle NK sono stimolate anche da citochine, in particolare IL-15 e IL-12 prodo tte dai macrofagi sono fattori di crescita per queste cellule. Citotossicità Il meccanismo di uccisione delle NK è pratica me nte lo stesso dei linfociti T -Citotossici. Quando vengono attivate si ha esocitosi di proteine nelle vicinanze delle cellule bersaglio; una pr oteina, detta perforina, facilita l’ingresso delle altre, dette granzimi, all’interno del citoplasma della cellula. I granzimi sono enzimi in grado di iniziare l’ apoptosi nella cellula bersaglio. Le cellule NK possono uccidere cellule infette prima c he i linfociti T -Citotossici specifici diventino completament e attivi, quindi nei primi giorni di infezione. Durante le prime fasi infettive le NK vengono stimolate dalle citochine dell’immunità innata, quali IL-12 e IL-15, inoltre l’interferone da esse secreto attiva i macrofagi per la digestione dei microbi. 2.2.4
Proteine circolanti
Sistema del complemento
Il sistema del complemento consiste in parecchie proteine plasm atic he che ven gono attivate dai microbi e il cui ruolo è distruggere il patogeno e generare infiammazione. Il riconoscimento avviene secondo tre vie: classica, alternativa e lectina dipendente. La via classica sfrutta una proteina, detta C1, che riconosce gli anticorpi IgM, IgG1 e IgG3 legati alla super ficie di un microbo. La via alternativa, filogeneticamente più antica ma scoperta dopo, è innescata dal riconoscimento diretto delle strutture microbiche ed è dunque parte dell’immunità innata. La via lectino-dipendente è innescata da una proteina detta MBL (Mannose-BindingProtein) che riconosce i residui di questo zucchero: una volta avvenuto il riconoscimento si porta ad attivare una delle proteine della via classica in assenza di anticorpi grazie ad una serina proteasi associata. Il riconoscimento risulta nel reclutamento sequenziale di altre proteine in complessi di proteasi. La prote ina cent rale del complemento, C3, viene spezzata e il suo segmento maggiore, C3b, viene depositato sul microbo riconosciuto: questo serve da opsonina per promuovere la fagocitosi. Il segmento minore, C3a, viene rilasciato e promuove l’infiammazione agendo da chemoattrattore per i neutrofili. C3b lega altre proteine del complemento per formare una proteasi che spezza la prote ina C5 in C5a e C5b. C5a stimola l’afflusso di neutrofili al sito di infezione mentre C5b inizia la formazione di un complesso delle proteine C6, C7, C8 e C9 che vengono assemblate in un poro di membranache causa la lisi della cellula bersaglio.
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Molte delle proteine che riconoscono i microbi fanno parte della famiglia delle pentr assine, all’interno della quale si include la proteina C reattiva (CRP), l’amiloide P serico (SAP) e la pentra ssi-na PTX3. Le concentrazioni plasmatiche di CRP sono molto basse negli individui sani ma possono au men tare di mille volte durante le infezioni: questo aumento è dovuto all’azione stimolante di IL-6 ed IL-1 sul fegato. In generale la sintesi delle pentrassine è aumentata da queste interleuchine e si parla di reattivi di fase acuta. Sia CRP che SAP si legano a diverse specie differenti di batteri e funghi. CRP è un opsonina e può anc he atti vare il complemento lungo la via classica. Pentrassine
Collectine e ficoline Le collectine sono una famiglia di proteine all’interno della quale tre riconoscono patter n molecolari nel sistema im munitario innato: si tratta di MBL, SP-A ed SP-D. MBL è un opsonina che attiva il complemento lungo la via della lectina oltre che media una fagocitosi diretta. Le pr oteine surfactanti A e D si trovano negli alveoli del polmone e agiscono anch’esse come opsonine per facilitare
la fagocitosi da parte dei macrofagi alveolari. Le ficoline sono proteine plasmatiche simili alle collectine ma con la differenza che non possiedono un dominio lectina tipo C (calcio dipendente).
Capitolo 3. Cellule e tessuti del sistema immunitario adattativo Le cellule del sistema immunitario adattativo sono normalmente presenti come cellule circolanti nel sangue e nella linfa, come aggregati negli organi linfoidi e come cellule sparse pra ticam ente in ogni tessuto. Le caratteristiche salienti di questo sistema sono • Presenza di tessuti specializzati, detti organi linfoidi periferici, che concentrano gli antigeni in ingresso. Gli antigeni vengono trasportati qui dalle APC per il riconosci mento da parte dei linfociti. • I linfociti naive migrano attraverso gli organi linfoidi periferici dove riconoscono gli antigeni e iniziano le risposte immunitarie. Linfociti effettori e della memoria si sviluppano dalla pr ogenie dei linfociti naive stimolati in questo modo.
• Linfociti effettori e della memoria circolano nel sangue verso i siti di ingresso antigenico dove vengono efficacemente trattenuti.
3.1
Cellule del sistema immunitario adattativo
3.1.1 Linfociti
I linfociti sono le uniche cellule in grado di riconoscere e distinguere i vari determinanti antigenici e sono per questo le uniche responsabil i della specificità e della memoria del sistema. A dimostrazione del ruolo linfocitario: • Si può ottenere immunità protettiva per trasferimento da individui immuni a individui suscettibili di linfociti e loro derivati.
• Alcune immunodeficienze, sia congenite che acquisite, sono associate a riduzione linfocitaria. • La stimolazione in vitro dei linfociti produce reazioni simili a quelle in vivo. • I recettori specifici per gli antigeni sono prodotti dai linfociti e da nessun’altra cellula.
I linfociti consistono di diverse famiglie differenti in funzionalità e in prodo tti proteici, tuttavia molto simili dal punto di vista mor fologico. I linfociti B, le cellule che producono anticorpi, sono così chiamati perchè negli uccelli maturano nella borsa di Fabrizio. Nei mammiferi i primi stadi di maturazione di queste cellule si svolgono invece nel midollo osseo. I linfociti T sono così chiamati per via dei loro precu rsori che srcinano nel midollo ma migrano e maturano nel timo. I linfociti B e T consistono poi di sottogruppi con funzioni e caratteristiche fenotipiche distinte. I maggiori gruppi dei B sono le cellule B follicolari, le cellule B e i linfociti marginalie le cellule B-1; per i linfociti T i maggiori sottogruppi sono i linfociti T-Helper T-Citotossici cui recentemente si sono aggiunti i linfociti T C D 4+ regolatori. I linfociti B e T hanno recettori antigenici distribui ti in modo clonale, esistono cioè molti cloni di queste cellule con diverse specificità. I geni che codificano i recettori sono formati per ricombinazione
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di segmenti di DNA durante la maturazione: essendo questo un evento in parte random il numero di combinazioni generabile è nell’ordine dei milioni. Alcuni sottogruppi, ad esempio le cellule B-1, sono limitati nell’uso dei loro segmenti di DNA e quindi il loro repertorio è molto limitato. Le proteine di membrana espresse dalle varie popolazioni linfocitarie possono essere usate per distinguere le varie classi. Ad esempio molti linfociti T -Helper presentano la molecola CD4 mentre molti dei T -Citotossici presenta la molecola CD8. La nomenclatura dei markers linfocitari usa il numero CD, dove CD sta per Clusterdi Dif ferenziazione. Classe Linfociti T αβ C D 4+ helper C D 8+ citotox
Regolatori Linfociti T γ δ Linfociti B Cellule NK Cellule NK-T
Funzione
Recettor e/specificità
Markers
Attivazione macr ofagi Differenziazione linfociti B Uccisione diretta di cellule infette e tumorali
TCR αβ
C D 3+ , C D 4+ , C D 8−
Complessi peptide-MHCII TCR αβ Complessi peptide-MHCI
C D 3+ , C D 4− , C D 8+
Regolazione/tolleranza Helper e citotossica Produzione Ig Citotossicità dir etta Regolazione
TCR αβ TCR αβ
13 C D 3+ , C D 4+ , C D 25 + C D 3+ , altri CD variabili Recettori Fc, MHCII, CD19 C D 16 + C D 16 + , C D 3+
Ig
Rec. attivanti e inibitori TCR αβ per lipidi-CD1
I linfociti, come ogni cellula del sangue dopo la nascita, Sviluppo e attivazione dei linfociti srcinano da cellule staminali nel midollo osseo. Tutte le popolazioni vanno poi incontro ad una complessa maturazione durante la quale esprimono i recettori antigenici e acquisiscono le giuste caratteristiche morfofunzionali. I linfociti B maturano in parte nel midollo osseo, entrano in circolo, popolano gli organi linfoidi periferici e completano li la loro maturazione. I linfociti T maturano completamente nel timo ed entrano poi in circolo per popolare anch’essi gli organi linfoidi periferici. Le cellule B e T mature sono dette linfociti naive. A seguito di attivazione antigenica, i linfociti vanno poi incontro a successive modifiche fenotipiche e funzionali. L’attivazione dei linfociti è composta di una serie di step della quale il primo è la sintesi di nuove protei ne, tra le quali recettori per le citochine e citochine, passo richiesto per i cambiamenti successivi. Le cellule naive vanno incontro a proliferazione in un processo detto espansione clonale: il numero di cellule T specifiche può aume ntare di 5·10 5 mentre quello di cellule B di 5·10 3 .
In associazione all’espan - sione clonale si ha anche il differenziamento in cellule effettrici, la cui funzione è eliminare l’antigene. Alcuni linfociti stimolati si differenziano in cellule della memoria, la cui funzione è invece mediare la risposta secondaria a esposizioni successive allo stesso antigene. Le caratteristiche fondamentali delle varie fasi linfocitarie sono: I linfociti naive sono linfociti T o B maturi che non hanno mai incontrato un antigene: questa condizione può durare al massimo tre mesi prima di attivare l’apoptosi. Questi linfociti sono difficili da riconoscere morfologicamente ma in generale sono abbastanza piccoli. Il loro ciclo cellulare è bloccato in fase G0 e si sbloccherà solo a seguito di stimolazione. La sopravvivenza dei linfociti naive dipende dall’attività dei recettori antigenici, pr obabilmente stimolati da auto antigeni, e dalle citochine. Probabilmente i naive riconoscono debolmente vari antigeni self in modo da garantirsi una sopravvivenz a a livello basale . Le citochine sono fondamentali e i naive esprimono recettori in modo costituitivo: fondamentale è in particola r e IL-7 e il fattore attivante le cellule B (BAFF).
• Linfociti naive .
•
Linfociti effettori . A seguito di attivazione i linfociti naive diventano più grandi, proliferano e prendono il nome di linfoblasti . Alcune di queste cellule differenziano poi in linfociti effettori, tra i quali si inseriscono i linfociti T -Helper, i linfociti T -Citotossici e le +
cellule B secernenti a nticorpi . Le cellule helper, solitamente C D4 , esprimono in superficie molecole come CD40L e secernono citochine che interagiscono con macrofagi e linfociti B. Sia le cellule effettrici C D 4+ che le C D 8+ prese ntano prote ine che ne indicano la recente attivazione , tra cui CD25 e molecole MHC-II. Dato importante è che la maggior parte dei linfociti T effettori ha vita breve e non si rinnova. Molte delle cellule B secernenti anticorpi sono riconoscibili morfologicamente come plasmacellule: si tratta di cellule con citoplasma ricco e con un RE sviluppato. Si stima che in queste cellule metà dell’RNA messaggero sia dedicato agli anticorpi.
e 21
• Cellule della memoria. Le cellule della memoria possono sopravvivere per anni dopo l’elimi- nazione dell’antigene e possono essere identificate dalla loro espressione di proteine superficiali. I linfociti B della memoria esprimono certe classi di Ig di membrana, tipo IgG, IgE o IgA , mentre le cellule B naive esprimono solo IgM e IgD . Inoltre nell’uomo la maggior parte dei linfociti T naive esprime un’isoforma della proteina superficiale CD45 di 200kD mentre le cellule della memoria la esprimono di 180kD in quanto soggetta a splicing. Le cellule della memoria sono eter ogenee; alcune, dette cellule T della memoria centr ali, migrano preferenzialmente nei linfonodi, altre, dette cellule della memoria effettrici, circola no nel sangue o risiedono nelle mucose. 3.1.2
APC
Una APC è una cellula che presenta gli antigeni ai linfociti T . Le principali APC sono le cellule dendritiche. Un tipo specializzato di APC, detto cellula dendritica follicolare, presenta gli antigeni ai linfociti B durante fasi partic olari delle risposte umorali. Le APC collegano le risposte innate alle risposte adattative, e fanno parte dunque di entrambi i sistemi.
Le cellule dendritiche derivano da precursori midollari e si trovano in molti or gani, dove catturano gli antigeni estranei e li trasportano agli organi linfoidi periferici. Le cellule dendritiche prese ntano diversi recettori superficiali, tr a i quali i TLR, che riconoscono i PAMPs e trasducono segnali di attivazione intracellulari. Una volta attivate queste cellule diventano mobili e migrano ai tessuti linfodi periferici, dove presentano l’antigene ai linfociti T. Cellule dendritiche
Fagociti mononucleati I macrofagi contenenti microbi ne presentano gli antigeni alle cellule T differenziate effettrici, le quali attivano poi i macrofagi per uccidere i microbi stessi. Questo processo è il più imp ortante meccanismo di immunità cellulo mediata nei confronti dei microbi intracellulari. La funzione dei fagociti mononucleati è la fagocitosi e la produzione delle citochine che reclutano e
attivano altre cellule nell’ambi to della risposta innata; in ambito adattati vo i macrofagi hanno ruolo nella digestione ad esempio dei patogeni opsonizzati.
Cellule dendritiche follicolari Le FDC sono presenti nei follicoli linfatici di linfonodi, milza e tessuti linfoidi delle mucose e non sono derivate da precursori midollari. Le FDC intrappolano gli antigeni in complesso con gli anticorpi o i prodotti del complemento e li presen tano per il riconoscimento da parte dei linfociti B.
3.2
Anatomia e funzioni dei tessuti linfoidi
Nei mammiferi adulti i tessuti linfoidi primari, cioè generativi, sono il midollo osseo e il timo; i tessuti linfoidi secondari sono invece i linfonodi, la milza, il sistema immunitario cutaneo e quello delle mucose . Aggregati poco definiti di linfociti si trovano poi nel connettivo e in quasi ogni altr o organo ad eccezione del SNC. 3.2.1
Midolloosseo
Il midollo osseo è l’unica sede di ematopoiesi nell’adulto; gravi danni a questo tessuto o forte richiesta di nuove cellule ematiche causano il reclutamento di milza e fegato come sede di ematopoiesi extramidollar e.
Tutte le cellule ematiche srcinano da una comune cellula staminale ematopoietica, che si differenzia poi lungo particolari linee. Le cellule staminali mancano dei marker delle cellule differenziate, ed esprimono invece due proteine dette CD34 e Sca-1 (Stem Cell Antigen -1). La pr oliferazione e la maturazione dei vari prec ursori cellula ri nel midollo sono stimolate dalle citochine. Le citochine ematopoietiche vengono prodotte dalle cellule stromali e dai macrofagidel midollo, creando così un ambiente locale ematopoietico. 3.2.2
T imo
Il timo è la sede di maturazione delle cellule T e ha parenchima diviso in corticale e midollare. La
14
corticale appare come una densa regione fatta di linfociti T, mentre la midollareè meno densamente popolata. I linfociti nel timo, detti anche timociti, sono linfociti T a vari stadi di maturazione; in generale le cellule più immature sono verso la corticale, e le più pronte sono verso la midollar e. 3.2.3
Linfonodie sistema linfatico
Il fluido interstiziale riassorbito, la linfa, scorre lungo i vasi linfatici i quali drenano nei seni sottocapsulari dei linfonodi. I vasi linfatici efferenti dei vari linfonodi si congiungono poi per terminare nel dotto toracico che scarica la linfa nella vena cava superiore, riconsegnando al flusso ematico. Il volume di linfa prodotta al giorno è circa due litri. Le cellule dendri tiche catturano gli antigeni microbici ed entrano nei vasi linfatici (altri antigeni entrano invece in forma libera); i linfonodi agiscono da filtro e sondano la linfa: tutti gli antigeni e le citochi ne infiammatori e raggiungono dunque questi tessuti. Giunte nei linfonodi, le cellule dendritiche presentano gli antigeni ai linfociti T naive per iniziare le risposte immunitarie adattative. 15 Ogni linfonodo è avvolto da una capsula fibrosa perforata da parec chi vasi linfatici in arrivo, che svuotano la loro linfa nel seno sottocapsulare. Oltre il seno la corteccia esterna presenta aggregati di cellule detti follicoli, alcuni dei quali contenenti un’a rea centrale detta centro germinativo. I follicoli privi di centro germinale sono detti primari, quelli dotati sono detti secondari. I follicoli sono zone costituite da linfociti B; i follicoli primari contengono principalm ente linfociti B naive, quindi maturi, mentre i centri germinali sono sedi di sviluppo che appaiono in seguito a stimolazione antigenica . I linfociti T sono collocati principalmente in profondità, nei cordoni paracorticali. Il 70% di questi è C D 4+ mentre i C D 8+ sono più rari anche se le proporzioni posso no va riare molto durante le infezioni. La segregazione anatomica delle diverse tipologie di linfociti è dipendente da citochine. I linfociti T e B naive vengono consegnati al nodo attravers o un’arteria, in particolare entrano nel tessuto attraver so vasi specializzati detti venule ad endotelio alto. I linfociti T naive esprimono il recettore CCR7 Le cellule dendritiche che lega le chemochine CCL19e CCL21prodotte nelle regioni delle cellule . T esprimono anch’esse CCR7 e per questo migrano nella stessa regione delle cellule T. I linfociti B naive esprimono invece il recettore CXCR5 che riconosce la chemochina CXCL13 , prodotta esclusivamente nei follicoli. La segregazione anatomica garantisce che ogni popolazione sia in contatto con la corretta APC: cellule dendritiche per i T, FDC per i B. A seguito di stimolazione antigenica i linfociti B e T perdono i loro confini anatomici e diventano liberi di migrare recipr ocamente. 3.2.4
Milza
La milza, organo di 150g nell’adulto, appare suddivisa in polpa bian ca e polp a rossa. Le regioni ricche in linfociti dell’organo sono la polpa biancae si prese ntano organizzate intorno ad un’arteriola centrale. L’arteria centrale è circondata da un manicotto di linfociti, quasi tutti T, che for ma la guaina linfoide periarteriolare. Numerosi piccoli rami dell’arterio la centrale passano attraverso le guaine e drenano in un seno vascolare detto seno marginale. Oltre il seno marginale esiste una regione distinta, detta zona marginale, che forma il limite della polpa bianca ed è costituita da linfociti B e macrofagi specializzati. La segregazione dei linfociti T nelle guaine e dei B nei follicoli e nelle zone marginali è un processo dipe nden te da citoc hine e chemochine come nel caso dei linfonodi: CXCR5/CXCL13 per i B, CCR7/CCL19-CCL21 per i T . La milza è anche un importante organo per la filtrazione del sangue. Rami arteriolari dell’arteria splenica terminano in una vasta rete di sinusoidi al cui interno sono presenti molti eritrociti, macr ofagi e cellule dendritiche oltre a linfociti e plasmacellule: è questa la polpa rossa. La polpa rossa purifica il sangue dai microbi e dai globuli rossi danneggiati. La milza è la principale sede di digestione dei microbi opsonizzati: individui che ne sono privi sono quindi particolarmente suscettibili a infezioni da preumococco e meningococco, batteri per i quali l’opsonizzazione è la principale via di eliminazione. 3.2.5 Sistema immunitario cutaneo Le principali popolazioni cellulari dell’epide rmide sono cheratinociti, melanociti, cellule del Langer hans epidermiche e cellule T intraepiteliali. Le cellule del Langerhanssono le cellule dendritiche immature del sistema immunitario cut aneo: formano una sorta di rete continua capace di catturare
antigeni. Quando queste cellule incontrano un antigene diventano mobili, iniziano ad esprimere il recettore CCR7 e seguono le chemochine fino ad arrivare ai linfonodi.
3.2.6
Sistema immunitario mucosale
Nella mucosa del tratto GI i linfociti sono reperibili in tre regioni principali: lo strato epiteliale, nella lamina propria come elementi sparsio nella lamina propria in gruppi organizzaticome le placche del Peyer. La maggior parte di quelli epiteliali è di tipo T, quasi tutti C D 8+ . La lamina propria intestinale contiene una popolazione mista di cellule che include linfociti T per la maggior parte C D 4+ con fenotipo di cellula attiva; esist e anche un grande numero di linfociti B attivati e pla sma cellule, ma anche macrofagi, cellule dendritiche, eosinofili e mastociti. In aggiunta ai linfociti sparsi esistono q ueste regioni organizzate tra le quali le più importanti sono le placche del Peyer. Le regioni centrali di questi follicoli sono ricche in cellule B e spesso contengono centri germinali; le placche del Peyer presentano inoltre alcune cellule T C D 4+ . Follicoli simili alle placc he sono freque nti nell’appendice e in buona parte dei tratti GI e respiratori. Le tonsille faringee sono infine follicoli linfoidi analoghi alle plac che. 16 3.3
Vie e meccanismi di homing e ricircolo linfocitario
I linfociti naive si muovono dalla circolazione ai linfonodi e viceversa per parecchi e v olte, finc hè n on incontrano l’antigene che sono in grado di riconoscere. Questo ricircolo linfocitario permette al piccolo numero di linfociti naive di cercare il loro specifico antigene attraverso il corpo. Alcuni linfociti attivati migreranno poi verso particolari tessuti, come ad esempio la pelle o l’intestino: questo pr ocesso di migrazione selettiva è detto homing. I meccanismi di migrazione linfocitaria sono simili a quelli di migrazione degli altri leucociti ai siti infiammatori. Le molecole di adesione espre sse sui linfociti sono spesso dette rec ettori homing e i loro ligandi espressi dalle cellule endotel iali sono detti adressine. Le chemochine coinvolte nel traf fico linfocitario sono prodotte in maniera costituiva dagli organi linfat ici secondari e in maniera inducibile ai siti di infezione. Il meccanismo di homing è estremamente efficente, e il flusso netto di linfociti attraverso i linfonodi è pari a 25 · 109 unità giornaliere. Un’infiammazione periferica è in grado di generare un significativo calo nell’afflusso linfocitario ai linfonodi e un contemporaneo aumento di quello ai siti infiammatori: questo meccanismo transiente coinvolge gli interferoni alfa e beta. 3.3.1
Homing dal sangue ai linfonodi dei linfociti T
I linfociti T naive migrano nello stroma dei linfonodi attraverso venule postcapil lari modificate dette ad endotelio alto, le quali esprimono molecole di adesione e chemochine particolari. La sequenza di eventi è sempre la stessa per qualsiasi passaggio, in partic olar e: 1. Il rolling è in questo caso mediato dalla selectina-L che lega una adressina (PNAd, Peripheral Node Addressin) sul’endotelio delle venule ad endotelio alto. 2. L’adesione stabile è mediata dalle integrine LFA-1 e VLA-4 . 3. L’a ffinità delle integrine è aumentata dalle chemochine CCL19 e CCL21, delle quali in partic olar e la prima è costitutivamente espressa dalle venule ad endotelio alto. Per entrambe queste molecole il recettore è CCR7. Le cellule naive andate incontro ad homin g ma che non hanno incontrato l’antigene ritornano al flusso sanguigno in un processo dipendente da un chemoattrattore detto sfingosina 1-fosfato (S1P); questa molecola è concentrata nel sangue e nei linfonodi rispetto ai tessuti. S1P lega un recettore (S1P1) accoppiato a proteina G specifico e i segnali che si generano stimolano il movimento delle cellule T naive lungo il gradiente S1P, quindi al di fuori del pare nchima nodale. I linfociti T naive circolanti esprimono poco il recettore per S1P in quanto essendo la molecola concentrata nel sangue si ha internalizzazione del recettore. Quando un naive entra nel linfonodo servono poi ore per ripristinare il recettore e quindi si ha tempo di interagire con le APC. A seguito dell’attivazione il linfocita riduce l’e spressione di S1P1 e rimane nel linfonodo per alcuni giorni, il tempo di differenziarsi; a differenziazione avvenuta S1P1 torna ad essere espresso e la cellula lascia il linfonodo in direzione dei tessuti periferici. La migrazione delle cellule T naive nella milza è meno regolata, e il trasferimento è guidato da fattori passivi piuttosto che dal coinvolgimento di selectine, integrine o chemochine. Pur essendo una migrazione meno efficiente, il numero di linfociti di passagg io per la milza è enorme: almeno metà del
totale attraversa l’o rgano ogni gior no. 3.3.2
ai siti infiammatori Migrazione
Un aspetto fondamentale della differenziazione dei naive in effettori è il cambiamento dei recettori per le chemochine e delle molecole di adesione: questo ne cambia il comportamento migratorio. L’esp ressione delle molecole coinvolte nell’homing delle cellule naive cala subito dopo l’attivazione antigenica: le cellule effettrici in questo modo non sono più costrette a stare nel linfonodo. L’uscita dal nodo è guidata anche dalla via di S1P e del suo recettore S1P1. Le cellule effettrici esprimono molecole di adesione e recettori per chemochine che legano molecole tipicamente presenti sulle cellule endotel iali ai siti infiammatori. Alcune cellule ef fettrici hanno propensione per tessuti particolari, e la selettività è acquisita nel processo di differenziazione. In questo modo il sistema adattativo dirige cellule specializzate alle loro sedi preferenziali in modo da gestire infezioni di tipo partic olare . Ad esempio le cellule effettrici della pelle esprimono il ligando CLA-1 per la selectina E, e i recettori CCR4 e CCR10 per le chemochine CCL17 e CCL27, tutte molecole tipiche della cute infiammata. 3.3.3
Migrazione delle cellule della memoria
Sono state definite due tipologie di cellule della memoria: centrali ed effettrici. Le cellule centrali tipicamente migrano agli organi linfoidi secondari mentre le effettrici ai tessuti periferici. In generale le cellule dirette ai tessuti periferici rispondon o a stimolazione antigenica con una rapida pr oduzione di citochine mentre quelle dirette ai tessuti linfoidi secondari tendono a proliferare di più e a fornir e funzioni di supporto alle cellule B.
3.3.4
Homing dei linfociti B
I linfociti B immaturi abbandonano il midollo e entrano nella milza dove maturano come cellule B follicolari o cellule B marginali. Quando le cellule B follicolari maturano queste migrano nel la polpa bia nca in risposta ad una chemochina, CXCL13, che lega il recettore CXCR5 e alle chemochine CCL19 e il la è i che legano recettore Quando linfociti maturazione completa nella polpa bianca B CCL21 naive rientrano in circolo e si CCR7. dirigono ai linfonodi. L’homing dei B naive ai linfonodi coinvolge molecole già viste: la selectina-L, CCR7, LFA1 (che lega PNAd), CCL19, CCL21 e ICAM-1. In aggiunta i naive esprimono il recettore CXCR4 che lega la chemochina CXCL12. Una volta entrati nello stroma degli organi linfoidi secondari i linfociti B migrano nei follicoli grazie alla chemochina CXCL13 (ma nel caso delle placche del Peyer la molecola è CXCR5).
Capitolo 4. Anticorpi ed antigeni Gli anticorpi sono proteine circolanti prodotte nei vertebrati in risposta all’esposizione a struttur e estranee. Queste molecole possono esistere in due for me: • legate alla mem brana dei linfociti B con funzione di recettori • secrete in circolo dove agiscono neutralizzando tossine e prevenendo l’ingresso di agenti patogeni Assieme al complesso maggiore di istocompatibilità e ai recettori per l’antigene dei linfociti T, costituiscono le tre classi di molecole coinvolte nel riconoscimento dell’antigene. Le funzioni effettrici anticorpo mediate mirano all’eliminazione dell’antigene mediante processi diversi tra i quali l’opsonizzazione, la citotossicità diretta, l’attivazione del complemento e l’ipersensibilità immediata che attiva i mastociti.
4.1
Produzione e distribuzione degli anticorpi
Le uniche cellule in grado di pro dur re gli anticorpi sono i linfociti B in seguito ad esposizione con l’antigene. Le prime fasi avvengono principalmente negli organi linfoidi, soprattutto milza e tessuti linfoidi associati a mucose, anche se plasm acellule di lunga durata si ritrovano nel midollo osseo. Una volta attivati i linfociti B diventano plasmacellule in grado di secernere anticorpi e tali cellule riescono
17
a persistere per lungo tempo. Un uomo adulto produce ogni giorno circa 2-3 g di anticorpi che tuttavia hanno una emivita molto breve, pari a circa tre settimane. Almeno i due terzi di questi anticorpi fanno parte della classe delle IgA. Gli anticorpi una volta prodotti spesso si attaccano a cellule effettrici del sistema immunitario quali cellule NK, fagociti mononucleati e mastociti.
4.2
Struttura molecolare
Prima di passare alla struttura vera e propria è opportuno fare una parentesi sugli anticorpi monoclonali: questi sono stati essenziali per comprendere la struttura di tutti gli anticorpi. Visto che ogni linfocita B produce anticorpi con un’unica specificità, e purtroppo questi hanno emivita molto br eve, per studiare la struttura degli anticorpi sono s tati creati linfociti B immortali detti “ibridomi”. Queste cellule sono state ottenute mediante fusione di linfociti B con cellule di mieloma multiplo, tumor e monoclonale delle plasmacellule. Gli anticorpi prodotti da tali cellule sono detti “anticorpi monoclonali”. Per osservare la struttura di un anticorpo di uno specifico antigene, si immunizza un ratto con tale antigene e se ne isolano i linfociti B prodotti, utilizzati poi per la creazione dell ibridoma. Ogni ibridoma darà poi srcine a progenie di ibridomi specifici per tali antigene. Per confermarne la specificità si effettuano saggi immunologici con l’antigene in questione. Questa scoperta degli ibridomi è stata utilizzata in molte applicazioni e tra le più comuni ricordiamo: • classificazione dei linfociti in base al fenotipo espresso mediante legame con anticorpi specifici. • immunodiagnosi di molte malattie sistemiche mediante riconoscimento antigeni
in circolo di determinati
• diagnosi di tumori • terapia ad esempio di artriti reumatoide o tumore alla mammella • evidenziare presenza terminata cellula.
di citochine mediante valutazione se l’anticorpo stimola o inibisce una de-
Essendo gli anticorpi monoclonali proteine estranee al nostro organismo, questi creavano un certo grado di resistenza. Sono stati creati i cosiddetti anticorpi umanizzati mediante inserimento genetico del segmento che codifica per i siti di legami specifici dell antigene all’interno del segmento di DNA che codifica l’impalcatura dell’anticorpo. L’anticorpo ha cosi sembianze “umane” ma sito di legame specifico. Le immunoglobuline appartengono alla famiglia delle gammaglobuline(gamma per la velocita elettroforetica e globuline per la solubilità). Tutti gli anticorpi condividono la stessa struttura di base e differiscono solo nel sito di legame antigenico in cui vi è elevatissima variabilità. Una molecola anticorpale ha una struttura simmetrica composta da due catene leggere e due pesanti. Queste
catene sono costituite dai cosiddetti domini Ig costituiti da una serie di circa 110 amminoacidi dis posti a “sandwich”. Ogni dominio è costituito da due β foglietti costituiti da 5 nastri polipeptidici uniti da α eliche e ponti di solfuro. Molte prote ine nel nostro organismo che mediano processi di riconoscimento sfruttano i domini Ig e tali proteine vengono classificate come appartenenti alla super famig lia delle immunoglobuline.
18
Sia le catene pesanti che quelle leggere posseggono una regione variabileV amino terminale e una regione costante C carbossiterminale. Nelle catene pesanti la regione V è composta da un dominio Ig e la regione C da tre domini Ig. Nelle catene leggere sia la V che la C da un dominio Ig. Le estr emita C delle catene pesanti sono legate coval entemente tra di loro nella regione CH2 tra due cisteine vicino alla regione “hinge” o cerniera. Queste regioni C sono quelle che tengono ancorate le Ig ai linfociti B e sono le responsabili della maggior parte delle interazioni con le cellule effettrici. Le interazioni con le cellule effettrici (es linfociti citotossici) sono ristrette a queste regioni che non hanno niente a che far e con il riconoscimento dell’antigene, evento legato alle regioni V. Le regioni C delle catene leggere sono legate alle regioni C delle catene pesanti ma non i nteragis cono né all’ancoraggio né alle interazioni con altre cellule. Se si tratta un Ig con la papaina questa viene tagliata a livello della cerniera e si formano tre pezzi separati: due pezzi identici detti Fab sono costit uiti ciascuno da una catena leggera legata a una catena pesante; tali segmenti hanno mantenuto la capacità di legare l’antigene. Il terzo pezzo detto Fc è costuito da due segmenti identici di catena pesante Ch2 e Ch3 legati da ponti di solfuro; tale segmento non ha capacita di legare antigeni.
Ogni anticorpo ha due catene leggere e due pesanti che vanno a delimitare due siti di legame per due antigeni. La maggior parte delle differenze tra due anticorpi risiede in tre piccoli Regioni variabili V
segmenti delle due regioni variabili: questi tre segmenti detti regioni ipervariabilisono situati nelle anse che connettono i β foglietti adiacenti nel dominio Ig e hanno una lunghezza di circa 10 amminoacidi. Le tre regioni ipervariabili dette CDR1, CDR2, CDR3, della catena pesante si associano a quelle della catena leggera per formare quella struttura tridimensionale che costituisce il sito di legame per l’antigene. Le sequenza adiacenti a tali regioni sono altamente conservate e mantengono la forma dei domini Ig pressochè identica nei diversi anticorpi.
Gli anticorpi sono divisi in classi e sottoclassi in base alle differenze nella struttura presenti nelle regioni costanti delle catene pe santi. Le diverse classi anticorporali, dette isotipi, sono IgA, IgE, IgM, IgG e IgD. IgA e IgG sono ulteriormente divise in IgA 1 e 2 e IgG 1, 2, 3 e 4. Le catene pesanti di uno stessi isotipo hanno la medesima sequenza amminoacidica e tali catene vengono nominate con la lettere greca corrispondente al loro isotipo (α, ε, γ , µ, δ ). Isotipi diversi svolgono funzioni diverse, infatti abbiamo visto essere le regioni C delle catene pesanti a determinar e Regioni costanti C
il tipo di interazione e quindi di risposta delle cellule effettrici. Gli anticorpi sono capaci nonostante la loro forma a Y di legare antigeni situati a 180 gradi tra loro grazie alla loro flessibilità dovuta a due fattori:
• capacità dei domini Vh (v delle catene pesanti) di ruotare attorno al corrispondente dominio Ch • flessibilità della regione cerniera tra Ch1 e Ch2 Esistono due tipi di catene leggere, una κ e una λ. Ciascun anticorpo è omogeneo per le due catene, ovvero non contiene mai una catena κ e una λ ma sempre due catene dello stesso tipo. Nell’uomo il 60% delle Ig è formato da catene κ. In pazienti con tumori delle cellule B ovviamente questo rapporto varia e dunque si usa questo dato per valutare la prese nza di eventuali neoplasie. Abbiamo detto che le catene pesanti sono costitui te da tre dom ini Ig, e che gli anticorpi esistono in forma secreta o in forma di membrana; la sequenza amminoacidica C terminale dell’ultimo dominio Ig delle catene pesanti è quella che determina se un anticorpo s arà di secrezione o di membrana. La porzione carbossiterminale è idrofila, negli anticorpi di membrana in aggiunta vi è una regione transmembrana idrofobica seguita da una regione intracellulare carica positvamente che la ancora alla membrana. Le IgG e IgE secrete sono semplici monomeri ovvero due catene leggere e due pesanti. Le IgD non esistono in for ma secreta, mentre le IgA sono spesso dimeri (4e4)e IgM sono o pentameri o esameri dotate di un peptide addizionale detto catena j deputato a stabili zzare il complesso. 4.2.1
Interazione con l’antigene
Un antigene è una qualsiasi mole cola che possa legarsi a un anticorpo o a un linfocita T. Gli anticorpi possono lega rsi praticam ente a qualsiasi tipo di molecola mentre i linfociti principalmente a peptid i, i linfociti e questi sono definiti immunogeni. Ad tuttavia solo determinati antigeni riescono ad attivare esempio perchè si attivi un linfocita B serve che sia una macromolecola, composti di piccole dimensioni possono si legarvisi ma non attivarlo; è neccessario che questi piccoli antigeni definiti apteni siano
19
accompagnati da un a macromolecola definita carrier. Il complesso aptene-carrier è molto pi u grande della regione di legame dell’anticorpo di conseguenza l’anticorpo si lega solo a una regione definita determinante o epitopo. Se un antigene presenta piu determinanti identici contemporaneamente è detto polivalente. Se i determinanti sono ben separati più anticorpi identici potranno legarsi allo stesso antigene senza influenzarsi, se gli epitopi sono molto vicini ecco che compare un grado di interferenza. I determinanti costituiti dalla semplice sequenza amminoacidica sono detto determinanti lineari, quelli invece costituiti da una struttura tridimensionale sono detti determinanti conformazionali e sono dovuti alla disposizione spaziale e non lineare degli amminoacidi. Modificazioni quali glicosilazione ecc possono, alterando la struttura prote ica, creare nuovi e pitopi detti determinanti neo-antigenici. Il riconoscimento dell’antigene da parte dell’aticorpo è costituito da legami non covalenti reversibili quali forze di van der Waals e interazioni idrofobiche. La forza di tale legame tra Ig e il suo antigene è detta affinità ed è espressa da una costante di dissociazione Kd: minore è la K e maggiore è la affinità. Un siero umano contiene una miscela di anticorpi per lo stesso antigene con affinità differenti. Antigeni polivalenti posseggono piu siti di legame e la forza di legame sarà differente da quella di un singolo legame: tale forza complessiva è detta avidità. In questo m odo un Ig con bas sa affinità può comunque avere una grande avidità. Un antigene polivalente si associa con gli anticor pi e, a una determinata concentrazione detta zona di equivalenza, vanno a formare una rete detta immunocomplesso. Aumentando le concentrazioni di antigene o anticorpo tali immunocomplessi si rompono in complessi più piccoli a causa della competitività.
4.2.2
Riconoscimento dell’antigene
Gli anticorpi riconoscono una ampia varietà di antigeni e la loro efficienza è possibile grazie alle proprietà delle loro regioni V: • Specificità : Gli anticorpi sono estremamen te specifici essendo in grado di distinguere minime differenze nella struttura chimica degli Ag, addirittura la variazione di un singolo residuo am-
minoacidico. Tuttavia alcuni possono legarsi anche a un Ag normalmente non correlati a causa della cosiddetta cross-reattività, tale fenomeno può essere la cause dell’inso rgenza di malattie immunitarie.
• Diversificazione: Un individuo è in grado di generare un numero enorme di anticorpi differenti e l’insieme complessivo dei diversi isotipi è detto repertorio anticorpale. • Maturazione dell’affinità: In seguito a stimolazione dall’antigene i linfociti B sono in grado di produrre anticorpi con maggiore affinità di quelli che erano già in circolo per lo stesso antigene. Abbiamo detto che è la porzione Fc a determinare la funzione effettrice. Tuttavia si è visto che i sistemi effettori sono attivati dalla porzione Fc solo se l’anticorpo è contempor aneamente legato nella porzio ne Fab, inoltre per attivare i recettori Fc (FcR) delle cellule effettrici servono almeno due molecole anticorporali legate a “ponte”per ciascuna cellula. Nelle cellule B sono normalmente espressi le IgM e IgD, queste una volta legato l’antigene possono andare incontro a una modificazione della Fc detta switching isotopico che fa variare la regione C ma non la V, quindi varia l’effetto ma non il ligando.
20
Capitolo 5. Complesso maggiore di istocompatibilità Il sistema umorale combatte gli antigeni extracellulari in due modi: ne blocca l’azione e ne pr omuove l’eliminazione. Nel caso di antigeni extracellulari abbiamo visto che il testimone passa ai linfociti T che tuttavia necessitano di recettori esposti sulle cellule bersaglio che presentino l’antigene ai propri recettori.Questa funzione è svolta dal complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Vi sono due p rincipal i prodotti genici dell’MHC :le molecole MHC di classe I che presentano gli Ag ai linfociti citotossici e le molecole
5.1 5.1.1
di classe 2 che li presentano ai linfociti helper.
Scoperta
dell’MHC
Scoperta nel topo
Alcuni geni sono rappresentati da una unica sequenza di DNA identica in tutta la popolazione e tali sono geni non-polimorfici e in genere sono presenti in modo omozigote su entrambi i cromosomi; altri geni esistono in forme alternative , ciascuna variante è detta allele, e vengono chiamati geni polimorfici . Individui detti imbred sono omozigoti di ogni locus genico e in ogni ceppo di tali individui ogni topo è geneticamente identico a un ogni altro: questi organismi si ottengono tramite ripetuti incroci tra individui consanguinei. Trapianti cutanei all interno di un stesso ceppo imbred venivano accettati, mentre tr a ceppi venivano rifiutati. I geni responsabili di tale rigetto sono detti geni di istocompatibilità ; mediante trapianti tra ceppi che dif ferivano un un solo locus è stato possibile identificare quello responsabile del rigetto ed è stato chiamato locus maggiore di istocompatibilità : esso era legato a un gene sul cromosoma 17 che codificava l’ antigene 2 quindi venne chiamato H2. Successivamente si è visto che tale regione conteneva diversi geni correlati con la istocompatibilità, venne quindi ribattezzata complesso maggiore di istocompatibilità.
Qual è il ruolo dell’MHC? I trapianti cutanei non sono qualcosa di naturale, quindi il vero ruolo del complesso rimase un mistero per molto tempo dopo la sua scoperta. Ceppi allogenici per MHC avevano grosse differenze nella capacità di sintesi di anticorpi specifici: i geni rilevanti in tali differenze, chiamati geni della risposta immunitaria Ir, furono anche essi mappati all’inte rno del MHC, chiarendone definitivamente il ruolo biologico. 5.1.2
Scoperta nell’uomo
Le molecole umane del MHC sono chiamate antigeni leucocitari umani (HLA) corrispondono alle H2 del topo. Sieri di pazie nti conte nenti antic orpi contro antigeni espressi da indiv idui allogenici sono detto alloantisieri, gli anticorpi alloanticorpi e gli antigeni alloantigeni. Questi antigeni sono i nostri HLA .I primi tre geni definiti sono HLA-A, HLA-B , HLA-C: questi sono identificati come geni MHC di classe I e sono gli omologhi dell’ H2 del topo responsabili del rigetto nel trapianto(non-self). I geni Ir del topo responsabili della produzione di anticorpi, nell’uomo corrispondono ai geni MHC di classe II e sono HLA-DR, HLA-DP, HLA- DQ. Nell’uomo il cromosoma che contiene tutto 6.
il complesso maggiore di istocompatibilità è il
cromosoma
In generale le proprietà dei geni dell’MHC possono ria ssumersi in: • Codifica di due gruppi di prote ine (I e II) strutturalmente distinte ma omologhe • Sono i geni con il più alto grad o di polimorfismo dell’intero genoma: per HLA-B esistono almeno 250 alleli differenti • Sono geni espressi in codominanza in modo da massimizzare il numero di molecole MHC sintetizzabili
21
Il set di alleli MHC di un individuo è definito aplotipo. 5.2
Struttura delle molecole MHC
Tutte le molecole Mhc hanno in comune determinate caratteristiche:
• Sono tutte formate da una tasca extracellulare per legare il peptide e da una coppia di domini Ig ancorati alla cellula. • La tasca è costituita da doppie α eliche poggiate su un pavimento costituito da otto regioni variabil i sono situate all’interno di questa tasca.
β foglietti. Le
• I domini Ig sono non-polimorfici e sono i reponsabili delle interazioni e legame con i linfociti T.
22 5.2.1
Molecole MHC di classe I
Queste molecole sono espresse su tutte le cellule nucleate .Sono costituite da due catene polipeptidiche legate non covalentemente, una catena α codificata da MHC e una β non codificata da MHC detta β microglobulina . La catena α è per due terzi extracell ulare mentre la parte carbossiter minale è all’interno della cellula. La parte ester na è costiuita da tre segmenti α1, α2 e α3. I segmenti ammino terminali α1 e α2 sono i siti in cui vi sono le regioni polimorfe e vanno a contribuire nella for mazione della tasca. La regione α3 è conservata identica e contiene un’ansa per il legame con i CD8. La catena β non contribuisce né alla tasca né all’ansa di ancoraggio: essa è legata non covalentemente con la regione α3. Affinche il complesso di classe I possa essere esposto sulla supe rfic ie necessita che sia in tal modo assemblato e che inoltre sia legato ad un peptide antigenico.
5.2.2
Molecole MHC di classe II
del sistema immunitario. Le molecole di classe II Queste molecole sono espresse solo dalle cellule sono formate da due catene, anche esse una α e una β , entrambe codificat e da geni MHC polimor fi. Queste molecole sono perfettamente simmetriche: tasca e pavimento sono for mati per metà dal segmento α1 e per metà dal segmento β 1 ed è su tali regioni che abbiamo i residui polimorfi . Le catene α2 e β 2 sono costanti e un’ansa di β 2 funge da legame con i linfociti CD4. Questi due segmenti continuano poi al livello citoplasmatico con una coda idr ofila.
23
5.3
Legame con il peptide
Tutte le prote ine immunogenic he danno srcine a peptidi che si legano alle MHC. Ogni molecola di MHC può legare peptidi diversi in tempi diversi. Le molecole MHC legano peptidi diversi, tuttavia il linfocita T può riconoscere solo uno dei peptidi legati: la specificità dunque non risiede nella molecola di MHC ma nel recettore dei linfociti T. I peptidi che si legano alla stessa MHC hanno caratteristiche strutturali comuni e residui amminoacidici molto simili. Il legame tra peptide e MHC è un legame che si dissocia molto lentamente così da dare il tempo ai linfociti specifici di arrivare nel sito di legame e riconoscere l’antigene. Le molecole MHC non distinguono tra self e non quindi espongono entr ambi, sta ai linfociti T riconoscere i self. Gli antigeni proteici vengono tagliati all’interno delle cellule che presentano l’antigene ed esposti dalle MHC. Le MHC nel pavimento della tasca presentano delle “nicchie” nelle quali specifici residui amminoacidici dell’antigene possono infilarsi: sono i cosiddetti residui àncora , generalmente uno o due per peptide.T ra peptide e MHC si instaura un legam e non covalente. Il passo succe ssivo è l’inter azione con il linfocita T: la parte del peptide e sposta deve essere riconosciuta dei recettori per l’antigene dei linfocitiT specifici. I recettori dei linfociti non riconoscono soltanto l’antigene ma anche i residui polimorfi delle α eliche stesse delle MHC. Grazie all’elevato polimorfismo delle MHC abbiamo la possibilità di riconoscere e legare moltissimi antigeni microbici riducendo la possibilità che questi pos sano sfuggire al sistema immunitario.
5.4
Organizzazione genomica ed espressione
dell’MHC.
L’MHC è localizzato sul braccio corto del cromosoma 6 e la β 2-microglobulina sul cromosoma 15. I geni per HLA-A, B e C quindi di classe I sono più telomerici mentre quelli di classe II sono più ceentromerici nel locus HLA. Correlati ai locus di classe II vi sono i geni che codificano per svariate proteine coinvolte nella presentazione dell’antigene: • TAP: eterodimero che trasporta peptidi dal citosol al RE dove verranno associate alle MHC I
• Proteasoma : degrada le pro tein e a p eptidi. • HLA-DM coinvolto nel legame tra petpide e MHC II • Geni che codificano per prote ine del complemento e tre citochine complessivamente chiamati MHC di classe III.
• Geni a tipo classe I situati tra HLA-A e HLA-C che codificano proteine espresse in associazione alla β 2- microglobulina chiamate molecole di classe IB,fra cui HLA-G importante nel riconoscimento da parte delle NK.
Lo straordinario polimorfismo delle molecole MHC si è generato per conversione genica e non per intere sequenze geniche con altre mutazioni puntiformi, ovvero mediante sostituzione di pr ovenienti da geni vicini senza però reciproca ricombinazione. Abbiamo detto che le molecole di classe I sono espresse costitutivamente su quasi tutte le cellule nucleate, i loro effettori, ovvero i linfociti CD8 che hanno lo scopo di uccidere le cellule infettate, devono essere in grado infatti di uccidere qualsiasi cellula infettata, quindi le molecole di classe I presentano microbi intracellulari. Le molecole di classe II invece sono espresse solo su cellule dendritiche, linfociti B e macrofagi. Le molecole di classe II forniscono un sistema per presentar e peptidi deriva ti da micror - ganismi extracellulari ai linfociti C D 4+ helper che hanno il compito di attivare i linfociti B a produrr e anticorpi e i macrofagi a e liminare i microbi extracellulari fagocitati. L’espressione di queste molecole di MHC è aumentata in prese nza di citochine: • IFNα
IFNγ , IFNβ
,TNF e LT prodotti prec ocemente durante la risposta innata vanno ad
l’espressione aumentar MHC di classe I. Questo è uno dei meccanismi con immunità einnata stimola delle la specifica.
il quale la
• Le molecole di classe II sono stimolate principalmente da IFNγ prodotte da cellule NK e linfociti attivati,è dunque una amplificazione dell’immunità innata stessa.
Le citochin e vanno ad aumentare la espressione delle MHC andando a stimolare la velocità di CIITA trascrizione mediante fattori di trascrizione. Diversi di questi sono assemblati nella proteina che agisce soprattutt o sulle MHC II. Alterazioni di tali fattori di trascrizione sono la base di alcune malattie immunitarie tra cui la sindrome del linfocita nudo.
Capitolo 6. Processamento dell’antigene e presentazione ai linfociti T Le caratteristiche più importanti del riconoscimen to antigenico da parte dei linfociti T sono: • Riconoscimento (quasi) esclusivo di strutture peptidiche. I linfociti B sono invece in grado di riconoscere peptidi, proteine, acidi nucleici, polisaccaridi, lipidi e piccole molecole.
• Riconoscimento di specifiche sequenze peptidiche. I linfociti B riconoscono invece struttur e molecolari tridimensionali; i linfociti T sono quindi in grado di discriminare tra antigeni diversi anche per un solo aminoacido. • Totale dipendenza dalle APC . I linfociti T riconoscono solamente i peptidi presentati sulle mole cole MHC espresse dalle APC. • Totale dipendenza dall’MHC. Questa proprietà è alla base della cosiddetta restrizione al self MHC . La restrizione all’MHC deriva dalla maturazione dei linfociti nel timo; in questa fase i lin- fociti che esprimono recettori per MHC vengono fatti sopravvivere, quelli che non riconoscono queste molecole vengono invece eliminati. Questo dimostra come le molecole MHC siano parte integrante dei ligandi dei linfociti T. Fondamentale è poi la reattività a molecole MHC non self: questo processo è alla base del rigetto dei trapianti. • I linfociti C D 4+ riconoscono MHC II, i linfociti C D 8+ riconoscono MHC I. La ragione è che CD4 lega direttamente la classe due del MHC, mentre CD8 lega la classe I. • I C D 4+ legano soprattutto proteine extracellulari internalizzate dalle APC, mentre i C D 8+ legano soprattutto proteine endogene. La ragione di questa differenza sta nel pathway seguito dalle APC per
presentare questi due tipi di antigeni.
Esiste inoltre un sistema di presentazione antigenico accessorio che è specializzato per gli antigeni lipidici. La molecola CD1 (simil MHCI nonpolimorfica) viene espressa su molte APC ed epiteli e ha il compito di presentare i lipidi a una popolazione di cellule T stranamente non MHC-ristretta.
24
6.1
APC
Tutte le funzioni dei linfociti T dipendono dalle loro interazioni con altre cellule. In generale la risposta antigene specifica di queste cellule richiede la partecipazione delle APC che catturano, trasformano e presentano l’antigene. Le APC svolgono due importanti lavori nell’attivazione delle cellule T: • Convertono antigeni proteici in peptidi e li presentano associa ti come complessi MHC. La conver sione prente il nome di processing.
• Alcune APC forniscono stimoli accessori per i linfociti T: questi costimolanti sono richiesti per una piena risposta dei linfociti, specialmente i C D 4+ naive.
La funzione di presentazione è stimolata dall’esposizione a prodotti microbici. Le cellule dendritiche e i macrofagi esprimono TLR che rispondono ai microbi aumentando l’espressione dell’MHC e dei costimolanti e attivando le APC che producono citochine. In aggiunta le cellule dendritiche e i macr ofagi attivati esprimono recettori per chemochine che ne causano la migrazione ai siti di infezione. Per indurre una risposta dei linfociti T ad un antigene proteico per via sperimentale è necessario somministrare anche sostanze chiamate adiuvanti . Gli adiuvanti possono essere prodotti microbici o sostanze che ne mimano le caratteristiche. Differenti tipologie cellulari agiscono da APC per attivare i linfociti T naive. Le cellule dendritiche sono le più efficaci nell’attivare i naive C D 4+ e C D 8+ . I macrofagi presentano antigeni ai C D 4+ già differenziati (effettori) mentre i linfociti B presentano gli antigeni ai linfociti T helper durante le risposte umorali. Cellule dendritiche, macr ofagi e linfociti B esprimono sia MHC II che costimolanti e possono dunque attivare i linfociti T C D 4+ : sono pertanto definite APC professionali. 6.1.1
Presentazione ai linfociti T naive
Le cellule dendritiche sono presenti in quasi tutti i tessuti e si identificano per le proiezioni membranose. Tutte queste cellule probabilmente nascono da precursori midollari e quasi tutte sono legate alla linea dei fagociti mononucleati. Il prototipo di cellula dendritica epiteliale è la cellula di Langerhans dell’epidermide: queste cellule occupano fino al 25% della superficie dell’epidermide pur essendo l’% del totale. Normalmente queste cellule sono in condizione di riposo; in risposta all’incontro di un componente micr obico queste cellule maturano mentre migrano ai linfonodi diventando efficaci APC. Le cellule dendritiche m ature risiedono nella zona T del linfonodo, dove presentano gli antigeni ai linfociti T. Le risposte dei C D4+ iniziano nei tessuti linfoidi periferici, dove gli antigeni vengono trasportati dopo essere stati catturati. Le APC immature esprimono recettori di membrana che legano i microbi: grazie a questi riescono a catturare e processare l’antigene. Le cellule dendritiche attivate perdono la loro aderenza per gli epiteli e iniziano ad esprimere il recettore per chemochine CCR7: questo le farà guidare verso la zona T del linfonodo (era lo stesso recettore che guidava i linfociti T naive verso la regione corretta). Il legame con l’antigene converte le cellule dendritiche da cellule la cui funzione è catturare a cellule la cui funzione è presentare gli antigeni: le cellule dendritiche attivate esprimono alti livelli di molecole MHC II. Le cellule dendritiche sono le migliori APC per via di alcune loro caratteristiche: • Sono strategicamente posizionate lungo le più com uni vie di ingresso di patog eni. • Esprimono recettor i utili a legare i microbi. • Migrano di preferenza nelle stesse regioni di linfonodo all’interno delle quali circolano i linfociti T naive. • Esprimono ad alti livelli i costimolanti.
Gli antigeni possono arrivare al linfonodo anche in soluzione nel pla sma : una volt a a destinazi one verranno processati dai macrofagi e dalle cellule dendritiche residenti. Il processo di accumulo degli antigeni è pote nziato da due acc orgim enti anato mici. Il primo è rappresentato dalle collezioni di tessuto linfoide secondario che caratterizzano le superfici mucosali dei tratti GI e respiratorio; le collezioni di tessuto definite in modo più chiaro sono le placc he del Peyer dell’intestino e le tonsille faringee. Il secondo accorgimento è il costante controllo del sangue da parte della milza, all’interno della quale r isiedono APC apposite.
25
Le cellule dendritiche possono ingerire cellule infette o tumorali e presentare gli antigeni di queste cellule ai linfociti T C D8+ . Le cellule dendr itiche hanno la speciale abilità di ingerire queste cellule e di presentar ne gli antigeni su molecole MHCI: questa via è diversa dalla solita (normalmente le sostanze fagocitate finiscono su MHCII e riconosciute dai CD8+ ) e prende il nome di cross-presentazione . 6.1.2
Presentazione ai linfociti T differenziati
Nell’immunità cellulomediata i macrofagi prese ntano gli antigeni delle cellule fagocitate ai linfociti T differenziati, i quali attivano i macrofagi per uccidere i microbi. I monociti circolanti sono in grado di migrare ai siti di infezione dove differenziano in macrofagi per fagocitare e distruggere i microbi. Le cellule C D 4+ amplificano le attività microbicide. Quasi tutti i macrofagi esprimono MHC II a bassi livelli insieme ai costimolanti: questi livelli vengono aumentati dall’interferone gamma. Nelle risposte umorali i linfociti B internalizzano gli antigeni proteici solubili e li pre senta no ai linfociti T helper: quest a funzione è necessaria per la produzione di anticorpi dipendente dagli Helper. Tutte le cellule nucleate possono presentare peptidi (derivanti da antigeni proteici citosolici)associati a MHCI e attivare così i linfociti T C D 8+ : tutte le cellule nucleate esprimono infatti MHC I. Per il sistema immunitario è fondamentale infatti la possibilità di riconoscere antigeni citosolici contenuti all’interno di qualsiasi tipo di cellula. Le cellule endote liali vascolari esprimono inoltre MHC II e possono presenta re anti geni alle cellule T in aderenza alle par eti.
6.2
Biologia del processamento antigenico
Le vie di processament o e presen tazione non sfruttano alcun organe llo cellulare esclusivo: le vie di presentazione , sia MHCI che MHCII, sono dunque adattamenti di funzioni cellulari di base. Gli antigeni proteici presenti nelle vescicole acide delle APC generano peptidi MHCII-associati mentr e gli antigeni citosolic i generano peptidi MHCI-associati. Questa segregazione delle vie è dovuta alla completa separazione nella biosintesi delle molecole MHCI e MHCII. 6.2.1
Processamento per la presentazione MHC II
La generazione dei peptidi per MHCII a partire da antigeni endocitati prevede proteolit- ica di queste molecole in una serie di step ben definita.
la degradazione
• Endocitosi delle proteine extracellulari nelle vescicole dell’APC Cellule dendritiche e macrofagi esprimono un’ampia gamma di recettori superficiali per riconoscer e strutture microbiche; in aggiunta i macrofagi esprimono anche recettori per la porzione Fc degli anticorpi e recettori per la prote ina C3b del complemento. A seguito dell’internalizzazione gli antigeni proteici si trovano localizzati in vescicole intracellulari dette endosomi. Gli endosomi sono vescicole a pH acido che contengono enzimi proteolitici .
• Processamento delle proteine all’int erno di endosomi e lisosomi
26
La degradazione delle proteine nelle vescicole è mediata dalle proteasi contenute, le quali lavorano ottimamente al basso pH di queste strutture. Molti enzimi diff erenti partecipano alla degradazione: le più abbondanti proteasi sono catepsine, enzimi ad ampio spett ro d’azione. Raramente proteine citoplasmatiche e di membrana possono entrare in questa via: di solito si tratta di digestioni enzimatiche dei componenti citoplasmatici, cioè si tratta di autofagia. In questi casi particolari le proteine vengono intrappolate in vescicole derivanti dal RE chiamate autofagosomi , vescicole fuse poi con i lisosomi. • Biosintesi e trasporto di MHCII agli endosomi
Le molecole MHC II vengono sintetizzate nel RE e trasportate agli endosomi in associazione ad una proteina detta catena invariante (Ii ) che occupa le sedi di legame con il peptide. Le catene α e β delle molecole MHC II vengono sintetizzate in maniera coordinata e si associano tra loro nel RE. I dimeri nascenti sono strutturalmente instabili e il loro folding viene assistito dalle chaperonine . La catena invariante si associa ai dimeri sempre all’interno del RE; questa molecola si trova in una posizione tale da impedire alle nuove molecole di legare antigeni eventualmente presenti nel RE. La catena invariante promuove inoltre il folding corretto e dirige le molecole neoformate verso gli endosomi e i lisosomi. Le molecole di MHC II vengono a questo punto secrete dal Golgi all’interno di vescicole dirette agli endosomi: queste si fonderanno poi insieme con il risultato che le molecole a questo punto si troveranno nella stessa vescicola che contiene i peptidi generati dalla proteolisi. La fusione delle vescicole porta alla formazione di quello che prende il nome di compartimento di classe MHCII o MIIC: questa struttura contiene tutto quello che serve per l’associazione peptide-MHC; i contenuti precisi del MIIC sono dunque
1. Enzimi pr oteolitici 2. Molecole MHCII 3. Catena invariante Ii 4. Peptidi di derivazione antigenica 5. Molecola HLA-DM • Associazione dei peptidi alle molecole MHC II All’inte rno del MIIC la catena Ii viene dissociata grazie all’azione di enzimi proteolitici e della molecola HLA-DM: vengono così scoperti i siti di legame e i peptidi si legano. L’eliminazione della catena invariante lascia una catena di 24 aminoacidi associata all’MHC: questa prende il nome di CLIP ed è ancora in grado di bloccare il legame con i pepti di. La molecola HLA-DM si occupa di eliminare CLIP; questa molecola è codificata all’interno del MHC ed è simile alle molecole di classe due ma ha molte differ enze: non è polimorfica, non associa la catena invariante e non viene espressa sulla super ficie cellulare. In breve HLA-MD è uno scambiatore di peptidi: rimuove clip e facilita la sua sostituzione con il peptide digerito. Le molecole di MHCII presentano una sede aperta di legame peptidico, per questo grandi peptidi o anche proteine intere possono legarsi e venire poi tagliate alla lunghezza giusta per il riconoscimento: il risultato è che normalmente vengono create catene lunghe dai dieci ai trenta aminoacidi.
• Espressione dei comple ssi sulla super ficie
Le molecole di MHC II vengono stabilizzate dal legame con il peptide, e questi complessi vengono indirizzati alla superficie per il riconoscimento: in questo modo solo le MHC II correttamente assemblate possono essere poste all’este rno. Alla fine di questa serie di step la cellula presenta moltissimi complessi sulla sua superficie, la maggior parte dei quali presenta proteine self normali: non esiste infatti un meccanismo di riconoscimento del self dal non self in questo ambito. Come è possibile dunque che i linfociti vengano attivati da cellule che mostrano soprattut to molecole self? Questo è possibile perc hè i linfociti sono estremamente sensibili: bastano pochissimi riconoscimenti dei complessi giusti, anche meno di cento, per generare una risposta specifica ; cento complessi rappresentano meno dello 0,1% di tutti i complessi espressi. Come è possibile però che i linfociti non reagiscano contro le molecole self presenta te? Questa seco nda proprietà è dovuta al fatto che i linfociti in grado di riconoscere molecole self non esistono nor malmente: vengono eliminati durante la fase di maturazione nel timo.
27
6.2.2
Processamento per la presentazione MHC I
28
I pep tidi associa ti a MHCI sono prodotti per degradazione di proteine citosoliche: trasportati nel RE e assemblati alle molecole MHCI nascenti.
vengono poi
• Fonti di antigeni citosolici
Gli antigeni estranei possono essere prodotti virali o di altri microbi intracellulari. Nelle cellule tumorali molti geni possono produrre proteine antigeniche che vengono ricono sciute da CTL MHC I ristr etti. • Degradazione proteolitica delle proteine citosoliche
Il meccanismo principale di degradazione è la prote olisi ad opera del proteasoma. Il proteasoma è un complesso enzimati co multiprotei co che si trova nel citoplasma della maggior parte delle cellule. Esistono varie forme di pro tea som a, uno sem plice da sett e sub unit à e 700kD e uno più grande, da 1500kD, probabilmente il più importa nte per questi scopi. Due subunità catalitiche presenti in molti dei proteasomi da 1500kD sono codificate nel MHC e prendono il nome di LMP2 e LMP7. Il pr oteasoma ha funzione housekeeping in quanto degrada le prote ine danneggiate, non correttame nte foldate o ormai inutili: tutte questi bersagli di degradazione vengono marcati dall’ ubiquitina. L’inter ferone gamma aumenta la trascrizione e la sintesi di LMP2 e LMP7, aumentando dunque l’attività del pr oteasoma: in questo modo aumenta l’e fficacia della presentazione antigenica. Il fatto che questa via di presenta zio ne sfrutti il proteasoma è un esempio dell’adattamento a funzioni immunit arie di struttur e già esistenti. In aggiunta al metodo del proteasoma esistono antige ni proteici che appare nte me nte non richiedono questo enzima e nemmeno ubiquitinazione: probabilmente esistono altre vie non meglio definite che sfruttano direttamente il RE. • Trasportodei peptidi dal citosol al RE Due geni all’interno del MHC codificano proteine che mediano il trasporto ATP dipendente di composti a basso peso molecolare attraverso lemembrane cellulari. Questi geni in particolar e codificano per due catene di un eterodimero detto trasportatore associato al processing dell’antigene (TAP). La pr oteina TAP si trova sulla membranadel RE dove media il trasporto dei peptidi: l’optimum si ha per il trasporto di catene lunghe da sei a trenta aminoacidi, perfette per il legame con l’MHC. Sul lato luminale del RE, TAP è legata in maniera non covalente alle neomolecole MHCI da una proteina linker detta tapasina: le molecole di MHC sono dunque nella posizione migliore per ricevere i peptidi.
• Assemblaggio dei complessi nel RE La sintesi e l’assemblaggio delle molecole MHC I sono processi multistep che richiedono il legame con il peptide. Le catene α e β 2 vengono sintetizzate nel RE e il folding corretto viene garantito da varie chaperonine. All’inte rno del reticolo i dimeri scar ichi rimangono attaccati a TAP grazie alla tapasina; a seguito dell’ingresso di un peptide attraverso TAP si ha il taglio di questo a una dimensione corr etta da parte di una aminopeptidasi detta ERAP (Endoplasmic Reticulum Amino Peptidase). Il peptide a questo punto lega la molecola MHCI e il complesso viene rilasciato dalla tapasina, esce dal RE e viene trasportato sulla superficie cellulare. In assenza di peptide i dimeri sono instabili e non possono esser e
trasportati fuori dal RE: vanno probabilmente incontro a
degradazione in situ.
• Espressione superficiale dei complessi
I complessi in uscita dal RE vengono mobilitati sul la m embrana grazie all’ esocitosi di vescicole. Una volta posti nella sede definitiva i complessi vengono riconosciuti dai linfociti C D 8+ . 6.3
Significato della presentazione in complessi
Le vie di presentazione di classe I e II esplorano le proteine disponibili per la presentazione ai linfociti T; la maggior parte di queste proteine sono self: quelle estranee sono relativamente rare. I linfociti esaminano tutte le molecole presentate in cerca di quelle esterne per rispondervi attivamente. Le molecole di MHC controllano sia lo spazio extracellu lare che quello citosolico, in quanto i microbi possono risiede re in entrambe le sedi. presentazione delle proteine vescicolari o citosoliche da parte dell’MHC II o I rispettivamente La Gli antigeni extradetermina quale sottogruppo delle cellule T risponderà a quei determinati antigeni. cellulari seguono solitamente il pathw ay dell’MHC II e attivano quindi i linfociti T C D 4+ : queste cellule funzionano come aiutanti per stimolare i meccanismi effettori, quali anticorpi e fagociti. Gli antigeni intracellulari invece sono inaccessibili ad anticorpi e fagociti e stimolano una via diversa: vengono caricati su MHC I e stimolano i linfociti T C D 8+ , la cui funzione è uccidere la cellula che li ha attivati. Questa via garantisce che qualsiasi cellula, poichè MHC I viene espresso in ogni cellula nucleata, possa impedire la diffusione di microbi facendosi eliminare dal sistema immunitario. La specificità dei linfociti T è essenziale alle loro funzioni, in gran parte mediate da interazioni dirette tra cellule o da citochine a breve raggio. Le APC non solo presentano gli antigeni ai linfociti T ma sono anche il bersaglio delle loro funzioni effettrici: ad esempio i macrofagi presentano l’antigene ai C D4+ i quali li attivano consentendo loro di distruggere il microbo. Le molecole di MHC determinano l’immunogenicità di un antigene in due modi:
• Immunodominanza . Gli epitopi di proteine com plesse che generano una risposta più forte nelle cellule T sono i peptidi generati dalla proteolisi nelle APC e che legano più avidamente le molecole di MHC. In un individuo esposto a un antigene proteico multideterminante la maggior parte delle cellule T sarà specifica verso uno o due sequenze aminoac idiche dette epitopi immunodominanti. • Responsività immunitaria geneticamente controllata. L’espressione di partic olari alleli MHC II in I geni della risposta un individuo ne determina la capacità di rispondere a particolari antigeni. immunitaria che controllano le risposte anticorpali sono infatti parte dell’MHC II e determinano la capacità di risposta in quanto cambia la capacità di legare i diversi peptidi antigenici.
6.4
Presentazione di antigeni lipidici delle molecole CD1
Rare popolazioni di linfociti T, detti cellule NK-T , sono in grado di riconoscere antigeni lipidici e glicolipidici. Questi linfociti hanno parecchie proprietà strane, ad esempio marker caratteristici sia delle cellule T che delle NK, e poca diversità nei loro recettori per gli antigeni. Le cellule NK-T riconoscono lipidi e glicolipidi presentati sulla molecola simil MHCI detta CD1. Esistono molte varianti di questa molecola, ma seguono tutte la stessa via di prese ntazione . Le molecole neosintetizzate caricano lipidi cellulari e li porta no sulla supe rficie c ellulare; da qui i complessi CD1lipide vanno incontro ad endocitosi in endosomi e lisosomi: le molecole CD1 acquisiscono dunque lipidi antigenici durante il riciclo e li presentano senza appa rente processam ento. Le cellule NK-T svolgerebbero un ruolo in partic olare nella difesa dai micobatteri.
Capitolo 7. Recettori anti genici e molecole accessorie dei lin fociti T I linfociti T hanno una doppia specificità: per i residui di MHC e per l’antigene. Il recettore che riconosce questi complessi MHC-antigene prende il nome di TCR (T -Cell Receptor) ed è distribuito in maniera clonale, cioè cloni di cellule T con diverse specif icità avranno diversi TCR. Le cascate biochimiche di segnalazione iniziate dal TCR non sono da esso trasdotte: questo compito viene svolto dalle proteine invarianti CD3 e ζ , che insieme al recettore formano il cosiddetto complesso TCR. La
29
segnalazione è dunque legata a elementi es tremamente variabil i (il TCR) e a elementi costanti. Le cellule T esprimono altri recettori di membrana che non riconoscono l’antigene ma che contribuiscono alla risposta: in generale si parla di molecole accessorie. Il ruolo fisiologico è per alcune di facilitare la segnalazione del complesso TCR, per altre di fornire secondi segnali che attivano completamente le cellule. Altre molecole accessorie anc ora servono a stabilizzare il legame con le APC , in modo da garantire il tempo necessario alla trasduzione del segnale.
30
7.1
αβ -TCR per antigeni MHC-associati
Il recettore antigenico sia dei linfociti C D 4+ che dei C D 8+ è un eterodimero costituito da una catena α e una β tra loro unite da un ponte disolfuro. Entrambe le catene sono costituite da un dominio simil-Ig N terminale variabile, uno simil Ig costante, un dominio transmembrana e una piccola regione citoplasmatica; la porzione extracellulare è dunque simile alla porzione legante l’antigene di un anticorpo, con una regione variabile e una costante sulla catena leggera e una variabile e una costante sulla catena pesante. Le regioni variabili V delle catene del TCR contengono piccole frazioni sulle quali la grande variabilità è concentrata: si parla di CDR, o Complementarity Determing Regions. Tre CDR sulla catena α sono giustapposte a tre regioni simili sulla catena β a formare la parte del recettore che riconosce i complessi peptide-MHC. La regione variabile della catena β contiene poi una quarta regione ipervariabileche è il sito di legame per i cosiddetti superantigeni. Ogni catena del TCR è codificata da più segmenti genici che subiscono riarrangiamento somatico durante la maturazione dei linfociti. In entrambe le catene la terza regione ipervariabile è composta da sequenze codificate dai segmenti genici V e J (catena α) o dai segmenti V,D, J (catena β ). Le regioni costanti C di entrambe le catene formano cerniere che contengono i residui di cisteina per i ponti disolfuro. I TCR e gli anticorpi sono strutturalmente simili, ma vi sono delle profonde differenze. I TCR non esistono in froma secreta e non hanno funzioni effettrici da soli, inoltre non subiscono variazioni nella regione C e non hanno maturazione della loro affinità.
7.1.1
Ruolo del TCR nel riconoscimento dell’antigene
Il riconoscimento è mediato dalle regioni determinanti la complementarietà, o CDR, formate da entrambe le catene del TCR. Queste catene formano un singolo recettore eterodimerico responsabile sia della specificità per il peptide che per l’MHC. Il sito di legame per l’antigene è formato dalle sei CDR sulle due catene che formano un’inte r faccia molto simile a quella degli anticorpi. Il contatto tra il TCR e il complesso peptide-MHC è limitato a uno o due aminoacidi: le cellule T riconos cono dunque i loro substrati sulla base di differenze minime. L’affinità del TCR per i complessi è bassa, molto più di quella della maggior parte degli anticorpi. Questa bassa affinità è proba bilme nte la ragione per cui sono necessarie le molecole di adesione per avere una risposta biologica. Il TCR e le sue molecole accessorie sul linfocita T si muovono in maniera coordinata ai loro ligandi sulle membrane delle APC per creare una struttura sopramolecolare detta sinapsi immunologica.
31
7.2
Proteine CD3 e ζ del complesso TCR
Le prote ine CD3 e ζ trasducono il segnale che porta all’attivazione del linfocita dietro stimolo del TCR. La molecola CD3 è in realtà un insieme di tre proteine designate γ, δ e ε. Le tre proteine CD3 e la ζ sono sempre ugualiin tutte le cellule T: non hanno infatti ruolo nel riconoscimento ma solo nella trasduzione del segnale. 7.2.1
Struttura
Le tre proteine CD3 sono omologhe tra loro, e le regioni extracellulari di tutte contengono un singolo dominio simil-Ig: quest e tre proteine sono dunque membri della superfamiglia delle Ig. I domini citoplasmatici variano da 44 a 81 aminoacidi di lunghezza e ciascuno contiene una copia di una sequenza conservata detta ITAM (Immunoreceptor Tyrosine-based Activation Motif) che gioca un ruolo fondamentale nella segnalazione da parte del complesso. La catena ζ ha una piccola regione extracellulare, una transmembrana e una lunga regione citoplasma tica con tentente tre ITAM. L’espressione del complesso TCR richiede la sintesi di tutti i suoi componenti. Nei linfociti T maturi infatti l’intero complesso viene prodotto nel RE e trasportato sulla membrana.
7.2.2
Funzione
Il primo evento intrace llulare a seguito del riconoscimento antigenico è la fosforilazione dei residui di tirosina contenuti nei domini ITAM di CD3 e ζ da parte di kinasi quali Lck o Fyn. Lck si associa alle code tirosin citoplasmatiche , Fyn a CD3.dalla create per di CD4, che e CD8 Le fosfotirosine sitidell’espr di attacco viene reclutata catena ζ e così porterà alladiventano variazione essione una kinasi, ZAP-70 genica delle cellule T.
7.3
Recettori antigenici dei linfociti γδ
Il γδ TCR è un secondo tipo di eterodimero espresso in un piccolo set di linfociti T αβ-negativi; questo recettore è comunque associato alle proteine CD3 e ζ . La maggioranza delle cellule con questo recettor e
non esprimono CD4 o CD8. Le cellule che esprimono questo recettore sono linearmente distinte da quelle che esprimono il più comune αβTCR: in totale meno del 5% dei linfociti esprime questa struttura. Queste cellule, insieme alle cellule NK-T, i linfociti B di tipo B-1 e le cellule MZ B, potrebbero rappresentare un importante collegamento tra l’immunità innata e quella adattativa. Le cellule con recettore γδ non riconoscono gli antigeni peptidici MHC-associati e non sono MHC ristrette; alcune riconoscono piccole molecole fosforilate o lipidi comuni nei batteri, altre riconoscono proteine che non richiedono processame nto o collaborazione delle APC. Il ruolo di queste cellule è comunque poco definito in quanto topi deficitari non si mostrano particolarmente immunodeficienti o maggiorme nte suscettibil i alle infezioni batteri che .
7.4
Recettori antigenici delle cellule NK-T
Una piccola popolazione di linfociti T esprime i markers tipici delle cellule NK: si tratta delle cellule NK-T. Le catene alfa del TCR di queste cellule hanno una diversità limitata e sono caratterizzate da un riarrangiamento caratterist ico nell’uomo; queste cellule fanno ancora una volta da ponte tra l’immunit à innata e quella adattativa. Tutte i TCR delle cellule NK-T riconoscono lipidi legati alle molecole simil-MHCI CD1. Queste cellule producono rapidame nte citochine quali IL-4 e IFN-γ a seguito della stimolazione.
7.5
Corecettori e recettori costimolanti nelle cellule T
I corecettori sono una categoria di prot eine di membrana che amplificano il segnale di TCR; queste strutture legano le molecole di MHC . I costimolanti conducono anch’essi dei segnali che attivano le cellule T, ma riconoscono molecole sulle APC che non sono parte del complesso MHC-peptide . 7.5.1
CD4 e CD8: Corecettori coinvolti nell’attivazione delle cellule T MHC- ristrette
Le cellule T αβ mature esprimono CD4 o CD8, ma mai entrambi. Queste strutture interagiscono con entrambe le classi di MHC quando i TCR della cellula riconoscono i complessi MHC-peptide dell’APC. La funzione principale è nella trasduzione del segnale al momento del riconoscimento, ma possono anche aumentare l’efficacia del legame tra cellula T ed APC. Nel pool dei linfociti maturi circa il 65% esprime CD4 e il 35% CD8. Struttura Entrambi i corecettori sono glicoproteine transmembrana facenti parte della super famiglia Ig. CD4 viene espresso come monomero e presenta quattro domini simil-Ig extracellulari, una regione I due domini simil-Ig amino terminali del CD4 transmembrana e una coda basica citoplasmatica. legano il dominio β 2 non polimorfico dell’MHCII. Le molecole CD8 esistono quasi sempre sotto forma di eterodimeri di due catene dette CD8α e
CD8β. Entrambe presentano un singolo dominio Ig extracellulare, una regione transmembrana e la coda citoplasmatica basica. Il dominio Ig di CD8 lega il dominio α2 non polimorfico delle molecole di MHCI.
Funzione La separazione delle risposte molecole di legare solamente una classe di
dei linfociti C D 4+ e C D 8+ è dovuta alla capacità di queste MHC e non l’altra.
32
• CD4 è in grado di legare MHCII e viene espresso sui linfociti i cui TCR riconoscono i complessi peptidici di questo tipo. Quasi tutti i linfociti C D 4+ sono cellule di supporto che pr oducono citochine. • CD8 è in grado di legare le molecole MHCI. Quasi tutti i linfociti C D 8+ sono linfociti citotossici il cui ruolo è sradicare le infezioni intracellulari. Esistono linfociti C D 4+ con funzioni citotossiche ma sono comunque MHCII ristr etti.
CD4 e CD8 parte cipa no ai primi eventi segnalatori dopo il riconoscimento del complesso MHC-peptide. Queste funzioni sono mediate da una tirosin chinasi specifica dei linfociti T che prende il nome di Lck: questo enzima è associato in modo non covalente alle code sia del CD4 che del CD8. Quando un linfocita riconosce il complesso MHC l’interazione di CD4/8 con l’MHC porta il corecettore e la sua Lck nelle vicinanze del CTR; Lck a questo punto fosforila i domini ITAM delle proteine CD3 e ζ e da il via alla segnalazione. 7.5.2
Recettori costimolanti ed inibitori della famiglia CD28
CD28 è una proteina che trasduce il segnale in associazione ai segnali in arrivo dal complesso TCR per attivare le cellule T naive. I linfociti T naive in generale necessitano di due segnali extracellulari distinti per proliferare e differenziare; il primo deriva dal legame dell’antigene al recettore e garantisce la specificità della risposta. Il secondo segnale viene fornito da molecole che vengono definite in generale costimolatori. I costimolatori meglio definiti per i linfociti T sono chiamati B7-1 (CD80) e B7-2 (CD86) e sono espressi sulle cellule dendritiche, sui macrofagi e sui linfociti B; queste molecole hanno specifici recettori sul linfocita. Il primo recettore per B7 scoperto fu la molecola CD28, espressa su quasi tutti i C D 4+ e su metà dei C D 8+ . Il legarsi delle molecole B7 delle APC a CD28 fornisce al linfocita il segnale per esprimere proteine anti apoptosi, per prod urre fattori di crescita e citochine e per pr omuovere proliferazione e differenziazione.
Un secondo recettore per molecole B7 venne successivamente scoperto e chiamato CTLA-4; questa struttura è omologa a CD28 e viene espressa sui linfociti recentemente attivati: la sua funzione è inibire l’attivazione controbilanciando i segnali in arrivo dal complesso TCR e da CD28. Molte altre struttur e sono state scoperte in grado di legare le molecole B7 e sono equamente divise tra vie di attivazione e vie di ter minazione.
7.5.3
CD2 e la famigliaSLAM di recettori costimolanti
Un’importante famiglia di proteine che gioca un ruolo nell’attivazione delle cellule T ed NK è un gruppo di protei ne strutturalme nte legate ad un rec etto re dett o CD2. Questo recettore contiene due domini Ig extracellulari, una regione di membrana e una lunga coda citoplasmatica. Nell’uomo il principale ligando è la molecola LFA-3 (Leukocyte Function-associated Antigen 3) che è espressa in molte cellule ematopoietiche e non. CD2 è esempio di molecola accessoria che funziona sia come una molecola di adesione che come trasduttore del segnale. Un sottogruppo distinto di protine CD2 è detto SLAM (Signaling L ymphocytic Activation Molecule).Le SLAM sono proteine integrali di membrana con due domini Ig extracellulari e una coda citoplas-
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matica che contiene un dominio detto ITSM (Immunoreceptor Tyrosin-based Switch Motif); il dominio si lega ad un adattatore detto SAP (SLAM Associated Protein) che contiene un dominio SH2 in grado di fare da ponte tra SLAM e Fyn, una chinasi. Un importante membro della famiglia SLAM è 2B4, mutazioni in questa molecola possono seriamente danneggiare il sistema immunitario. 7.5.4
Altre molecole accessorie dei linfociti T
CD44 è una glicoprotei na espressa
in varie cellule, tra cui linfociti T maturi, timociti, cellule B, granulociti, macrofagi, eritrociti e fibroblasti. Questa molecola lega lo ialuronato e questa proprietà è responsabile della detenzione dei linfociti T nei siti extravascolari di infezione. Le cellule C D 4+ attivate esprimono una proteina della famiglia del TNF detta CD40L, che lega CD40 dei linfociti B e di altre cellule e le attiva. CD40L è quindi un importante mediatore delle funzioni helper di questi linfociti. I linfociti attivati esprimono anche il FAS ligand; l’attivazione di FAS da parte di FASL porta all’apoptosied è importante per eliminare le cellule T iperstimolate.
Capitolo 8. Sviluppo linfocitario e riarrangiamento ed espressione dei geni dei recettori antigenici La maturazione consiste in una serie di eventi che avvengono negli organi linfoidi generativio prima ri: 1.
Orientamentoverso linfociti T o B. A parti re da cell ule staminali dette HSC (Hematopoietic Stem Cells) nel midollo osseo e nel fegato fetale si ha la maturazione a CLP (progenitore linfoide comune) che poi a seconda degli stimoli ricevuti dai recettori di membrana si differenzierà in linfocita B o T. I linfociti T terminano la loro maturazione all’inte rno del timo.
2.
Riarrangiamentodei geni per il recettore. Elemento c hiave del la maturazione linfocitaria che avviene nei linfociti B immaturi nel midollo osseo e nei linfociti T immaturi nel timo. A partir e da un numero modesto di geni grazie a tagli, ricongiungimenti ed aggiunte si genera un numer o elevatissimo di esoni differenti che codificano per il recettore, tutto questo prima dell’incont ro con l’antigene.
3. Selezione dei linfociti “utili” ed eliminazione di quelli pericolosi. Le cellule che non esprimono un recettore o pre-recettore corret to muoiono per apoptosi; quelle che sono in grado di legare con bassa avi dità gli MHC vengono portate avanti nella maturazione dalla selezione positiva; quelle che legano con elevata avidità antigeni self vengono eliminate dalla selezione negativa fenomeno detto delezione clonale; Possono anche andare incontro a un successivo riarrangiamento del recettore detto editing recettoriale.
4. Proliferazione. 5. Differenziazione in sottogruppi (CD4, CD8, etc).
Orientamento verso le linee B e T L’orientamento dipende dalle istruzioni ricevute dalla super ficie della cellula seguite dall’induzione di specifici fattori trascrizionali. Lo stadio precoce dello sviluppo
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è caratterizzato dalla proliferaz ione stimolata soprattutto dall’IL-7prodotta dalle cellule stromali di midollo e timo. Mutazioni nel recettore per questa citochina portano a d immunodeficien ze quali le SCID.
8.1
Riarrangiamentodei geni recettoriali
I geni che codificano per il recettore per l ’antigene sono generati per riarrangiamento di regioni diverse del gene che codifica per la regione variabile(V) con segmenti di geni della diversità (D) e quelli della ricongiunzione(J).Tale processo è detto ricombinazione V(D)J. 8.1.1
Organizzazionedei loci per le IG
Esistono tre loci genici separati su cromosomi diversi che codificano per le tre catene delle IG (pesante, λ, κ). Ciascun locus contiene una regione costante (C) che codifica la parte C delle catene e una regione V che codifica la parte variabile composta da copie multiple di segmenti V e J, nel locus per la catena pesante sono presenti anche segmenti D. Nell’uomo nei segmenti o geni V al 5’ di ognuno vi è una sequenza L che codifica per un peptide leader che caratterizza tutte le proteine neo-sintetizzate e svolge un ruolo essenziale nell’ indirizzamento versol’ER. Nel 3’ della regione V cioè tra i geni V e quelli C vi sono segmenti J e nei loci per le catene pesanti vi sono anche dei segmenti D. La regione C della catena pesante è costituita da circa 9 geni C, solo 3 o 4 bastano per codificare l’intera regione C della catena pesante e altri 2 per la regione carbossi-terminale di membrana. Nel locus per le catene leggere vi è un unico esone C che basta da solo a codificare l’intera regione C della catena leggera. Nelle catene leggere il dominio V è codificato dai segmenti V e J mentre quelle pesanti da V(D)J.
8.1.2
Organizzazionedei loci per TCR
L’o rganizzazione è molto simile a quella per le Ig. I geni che codificano per le catene α, β e γ sono su cromosomi separati, mentre quello per la catena δ è contenuto in quello per la catena α. La struttura di questi è uguale a quella detta prima: regione V con segmenti V, J e D solo nelle catene β e δ e una regione C con 2 geni nelle catene β, γ e uno solo nelle altre due. Ciascun gene V è precedut o in 5’ da una sequenza L che codifica per il peptide leader. 8.1.3
Ricombinazione V(D)J
La ricombinazione V(D)J dà srcine alla specificità e variabilità del recettore e consiste nell’unione di segmenti V, D(se presente) e J presi a caso. Siccome i segmenti scelti si trovano lontani sul cr omosoma devono essere effettuate rotture e riallacciamenti. Durante la ricombinazione sono aggiunti o rimossi nucleotidi che aumentano enormemente la variabilità dell’ esone V(D)J. Il risultante esone V(D)J codificherà la regione variabile, in associazione con le regione C che sono invece costanti.T ale
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ricombinazione è effettuata da un complesso detto ricombinasi.
Il complesso della ricombinasi riconosce specifiche sequenze dette RSS situate nel 3’ del segmento V e 5’ del segmento J; tali sequenze s ono costituite da una sequenza altamente conservata di 7 nucleotidi detta eptamero distaccata da una sequenza spaziatrice d 12 o 23 nucleotidi da una seconda sequenza conservata di 9 nucleotidi detta nonamero. Un enzima specifico una volta avvicinati i due eptameri (uno adiacente a V e uno adiacente a J) taglia l’elica tra il segmento V e J e il rispettivo eptamer o, successivamente segue l’unione dei due segmenti codificanti e l’eliminazione del frammento contentente le RSS sotto forma di anello. In alcuni casi gli eptameri sono situati entrambi a des tra sia di V che di J in tal caso è necessaria una inversione del Dna intermedio e le RSS tagliate non vengono eliminate ma rimangono nel cromosoma. La ricombinazione tra due segmenti si verifica solo uno è fiancheggiato da uno spaziatore di 12 e l ’alt ro di 23: è la cosiddetta regola 12/23 .
Il processo di ricombinazione V(D)J si può riassu mere in quattro eventi fondamentali: 1. sinapsi: i due segmenti codificanti e le RSS adiacenti vengono in contatto tra loro grazie alla formazione di un anello sul cr omosoma. 2. taglio: rottura del doppio filamento di Dna. 3. codifica e processazione: le estremità tagliate vengono modificate mediante aggiunta o rimozione di nucleotidi. 4. unione:le estremità codificanti vengono unite in un processo detto NHEJ (Non Homolgous End Joining).
In tali processi svolgono un ruolo centrale due proteine dette Rag-1 e Rag-2 che formano il complesso ricombinasi V(D)J . Rag-1 e Rag-2 mantengono uniti i segmenti genici durnte la ricombinazione e poi
36
Rag-1 riconosce le sequenze tra l’eptamero e la sequenza codificante e le taglia. Il taglio viene effettuato solo su una delle eliche e l’estremità tagliata si lega all’altra formando una struttura a forcina detta hairpin. L’altra estremità da srcine a una terminazione blunt ancora legata alle RSS e non pr ocessata. Le due hairpin chiuse, una del V e l’altra di J si trovano a essere una di fronte all’altra e vengono a essere modificate con aggiunta di nucleotidi. I geni per Rag sono attivi solo nei linfociti immaturi, in fase pr oliferativa o matura sono silenti prop rio per minimizzare il rischio di rotture inapropriate del Dna. Le hairpin vengono aperte e modificate da un enzima detto Artemis, attivato da Dna-Pk(protein chinasi DNA dipendenti) a sua volta attivato dalle due proteine Ku70 e Ku80 che svolgono un ruolo chiave nel riparo della rottura.
dei linfociti B e T è dovuta soprat tutt o al riarrangiamento dei geni per il recettore (IG e TCR). Questa diversificazione è dovuta a una diversità combinatoriadovuta semplicemente a lle diverse combinazioni possibili tra i diversi segmenti Generazione della diversità linfocitaria L’enorme diversificazione
J
V data dalla aggiunta e rimozione di nucleotidi dai segmenti V, D e a una diversità e ,J D. eQuest’ultima è mediatagiunzionale da diversi meccanismi:
• primo meccanismo è la rimozione di nucleotidi dalla sequenza germinale alle estremità del gene a opera di una endonucleasi.
• un secondo è la aggiunta di nuove sequenze nucleotidiche alle giunzioni scisse da Artemis. Se la scissione è asimmetrica i nucleotidi aggiunti devono essere complementari a quelli del tratto parallelo e tali nucleotidi sono detti nucleotidi P. • ultimo meccanismo di diversità giunzionale è la aggiunta casuale di un massimo di 20 nucleotidi non codificati da alcuno stampo detti nucleotidi N mediata da un’enzima chiamato TdT.
La massima diversificazione si ha nella regione CDR3 delle Ig e TCR che si forma nei siti di ricombinaz ione V(D)J. Proprio per la sua elevata s pecificità la sequenza dei nucleotidi contenuta in questa regione funziona come marcatore clonale specifico: in questo modo nei tumori linfocitari si può stabilire quale clone è la causa. 8.2
Sviluppo dei linfociti B
Durante la maturazione, le cellule della linea linfocitaria B passano at traverso stadi distinti caratter izzati da markers specifici e Ig caratteristiche. Il precusore più precoce destinato a diventare linfocita B è detto linfocita pro-B ; queste cellule non producono alcuna Ig e possono esse re distinte per l’esp ressione di molecole di superficie quali CD19 e CD10. Le prote ine Rag sono espresse per la prima volta a questo stadio e la prima ricombinazione nei geni delle Ig ha luogo nel locus della catena pesante . I passi di questa prima ricombinazione sono:
1. Avvicinamento di un segmento D e un segmento J con eliminazione del DNA interposto
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2. Aggiunta di un gene V 5’ all’unità DJ appena creata: tutto i segmenti V e D interposti vengono eliminati
3. Aggiunta di nucleotidi d a parte di TdT 4. Trascrizione di VDJ (se l’aggiunta di nucleotidi ha generato una sequenza pr oduttiva) Se il riarrangiamento della catena pesante ha successo la cellula smette di essere chiamata linfocita pro-B e pas sa alla fase di linfocita pre-B . I linfociti pre-B sono cellule B in sviluppo che esprimono la prote ina Igµ ma che devono ancora riarrangiare il locus per la catena leggera. La catena pesante µ è infatti associata con le prote ine λ5e VpreB dette surrogati delle catene leggere . L’insieme di catena pesante, cate ne legge re surrogate e protei ne trasduttri ci dett e Igα e Igβ formano quello che pr ende il nome di recettore pre-B . Nelle cellule con riarrangiamenti in frame del locus IgH è il pre-BCR a fornire i segnali di transizione da fase pro-B a fase pre-B. I segnali in arrivo da questo recettore sono responsabili dell’espansione in termini numerici di questa popolazione linfocitaria. Numerose molecole segnalatrici sono necessarie sia al BCR che al pre-BCR per superare il checkpoint. Una tiro sin c hina si detta Btk (Bruton’s tyrosine kinase) è attivata a valle di questi recettori ed è necessaria per la sopravvivenza e la maturazione della cellula oltre la fase di linfocita pre-B. Mutazioni nel gene Btk portano alla patologia detta agammaglobulinemia X-linked. Il complesso pre-BCR regola i successivi riarrangiamenti dei geni Ig in due modi. In primo luogo se una proteina µ viene prodotta da un locus ricombinato in un cromosoma il pre-BCR blocca la ricombinazione sull’altro cromosoma omologo. Se il primo arrangiam ento non è invece produttivo viene consentita la ricombinazione V(D)J sull’omologo. Grazie a questa attività in ogni clone solo un allele è espresso mentre l’altro è in configurazione germinale e non è utilizzato: ci si riferisce a questo pr ocesso con il termine di esclusione allelica. Il secondo sistema in cui il pre-BCR regola la ricombinazione è lo stimolo al riarrangiamentodel gene per la catena leggera. Nel successivo stadio di maturazione si ha il riarrangiamento dei geni delle catene leggere che pr oducono le rispettive proteine: queste vanno ad associarsi alla catena pesante µ formando l’IgM completa . La cellula a questo punto esprime IgM e viene detta cellula B immatura. La produzione di una catena leggera κ inibisce il riarrangiamento del locus per la catena λ e viceversa: le Ig hanno dunque sempre la stessa catena leggera grazie a questo processo detto di esclusione dell’isotipo della catena leggera.
Sottogruppi diversi di linfociti B sviluppano a partire da progenitori diversi. Le HSC derivate dal fegato fetale sono precursori delle cellule B tipo B-1; le HSC derivate dal midollo danno invece srcine
alla m aggior parte dei linfociti B. Questo secondo gruppo di cellule passa rapidam ente attraverso due stadi che lo orienta verso lo sviluppo o di cellule B della zona marginale o di cellule B follicolari . La linfocti δ : presentano maggior sia parte B maturi di membrana. tipo follicolare e coesprime simultanea le catene pesanti µ e diverse IgDdeiche IgM nella formaè di L’espressione delle due catene dunque pesanti è dovuta a splicing alternativo dello stesso mRNA. La coespressione di IgD ed IgM si accompagna all’acquisizione di competenza funzionale e abilità di ricircolo: a questo punto si parla dun que di linfocita B maturo. I linfociti B maturi naive sono capaci di rispondere agli antigeni e sono destinati a morire in pochi mesi se non incontrano l’antigene per il quale hanno grande affinità. Selezione dei linfociti B maturi
La selezione nei linfociti T maturi è molto ben definita e pr ecisa,
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mentr e nell’ambito dei linfociti B è un processo molto meno rigido. Le cellule B immature che riconoscono antigeni self con troppa avidità vengono indotte a cambiare la loro specificità tramite il processo di editing recettoriale. In questo processo si ha riattivazione dei geni Rag, con una seconda ricombinazione dei geni della catena leggera: normalmente viene modificata la catena leggera κ e questo altera la specificità del recettore. Se l’editing fallisce si ha selezione negativa, un processo responsabile almeno in parte del mantenimento della tolleranza dei linfociti B; il riconoscimento dell’antigene in questo caso p orta a morte apoptoti ca. Quando la transizione a linfocita B maturo I gD + I gM + è completata, il riconoscimento dell’antigene non porta più ad apoptosi o a editing ma a proliferazione e differenziazione.
Molte delle cellule B-1 esprimono la molecola CD5 che può essere usata come m arker; nell’adulto grandi quantità di queste cellule si trovano nel peritoneo e nelle mucose. Questi linfociti secernono spontaneamente IgM che spesso reagiscono con polisac caridi Linfociti B-1 e linfociti della zona marginale
questi anticorpi sono detti anticorpi naturali in quanto prodotti senza immunizzazione, anche eselipidi: si sospetta che sia la flora intestina le ad indurne la pr oduzione. I linfociti della zona marginale si trovano nella milza e rispondono ad antigeni polisaccaridici generan do anticorpi naturali. Il marker per queste cellule è CD21.
8.3 Maturazione dei linfociti T 8.3.1 Ruolo del timo
Il timo è il più impo rtante sito di maturazione dei linfociti T e a dimostrazione di questo: 1. Se viene rimosso il timo in un topo neonato questo non sviluppa linfociti T maturi 2.
L’assenza congenita di timo, come nella sindrome di DiGeorge, porta a un ridotto numero di linfociti T in circolo e nei tessuti linfoidi e a pesanti carenze di risposte mediate da questo tipo di cellula
Il timo involve spontaneamente con l’avanzare dell’età, ma poichè i linfociti T della memoria hanno una vita anche di oltre vent’anni il bisogno di nuovi linfociti T diminuisce negli anziani. I linfociti T in fase di sviluppo nel timo sono detti timociti e non esprimono TCR e nemmeno CD4 o CD8. Nella corteccia timica queste cellule esprimono per la prima volta il+TCR (αβ+ o γδ ) e per quelle che esprimono il tipo αβ inizia anche la maturazione verso il sottogruppo C D 4 o C D 8 . L’ambiente del timo fornisce gli stimoli necessari per la proliferazione e la maturazione dei timociti; molti di questi stimoli arrivano direttamente dalle cellule del timo, cioè cellule epiteliali, macrofagi o cellule dendritiche. La migrazione dei timociti in questo tipo di ambiente garantisce interazioni fisiche con le altre cellule, passagg io necessario per la maturazion e. Due tipologie di molecole pr odotte dall e cellule timic he non linfoidi sono importanti per la maturazione: • Le molecole MHC di classe I e II espresse su cellule epiteliali e dendritiche. Le interazioni tra i timociti in maturazione e queste molecole sono essenziali per la selezione del repertorio linfocitario.
• Citochine e chemochine secrete dalle cellule stromali. La più importante è IL-7, inoltre le chemochine CCL19e CCL21, legandosi al recettore CCR7, guidano i timociti nell’attraversamento del timo.
8.3.2
Stadi di maturazione linfocitaria
midollo, contengono timociti corticali più immaturi, giunti in Iconfigurazione di recente dalCD3 i geniCD4 per o ilCD8: TCRqueste terminale e quindi non esprimono TCR, o catene ζ e nemmeno cellule vengono dette timociti doppio negativi o cellule pro-T . Come nel caso dei linfociti pro-B, le prote ine Rag vengono espresse per la prima volta in questa fase: il riarrangiamento dei geni porta alla transizione verso la fase pre-T e il seguente sviluppo del linfocita αβ. Il riarrangiamento, se svolto con successo, porta alla traduzione di una catena beta funzionante che viene espressa sulla super ficie della cellula in associazione con una proteina invariante detta pre-Tα. L’insieme di catena beta, catena invariante pre-T α, proteine CD3 e proteina ζ pren de il nome di complesso pre-TCR. I segnali dal pr e-
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TCR mediano la sopravvivenza dei timociti e la loro espansione proliferativa; i segnali mediano inoltr e l’inizio della ricombinazione del locus per la catena alfa e guidano la transizione da fase doppio negativa a fase doppio positiva. I segnali del pre-TCR inibiscono inoltre ulteriori riarrangiamenti della catena β limitando l’accessibilità della cromatina. Nello stadio successivo di maturazione i timociti esprimono sia CD4 che CD8 e sono dunque detti timociti doppio positivi. Questi timociti esprimono inoltre il recettore per chemochine CCR7 e quindi migrano verso la midollare del timo. A questa fase la cellula esprime l’eterodimero completo αβ del TCR. In caso di incapacità di riarrangiare la catena α del TCR il timocita muore per apoptosi. Importante, il riarrangiamento del gene per la catena alfa causa la delezione del locus δ : questa cellula non potrà quindi mai più diven tare un linfocita γδ . In virtù della neo acquisita capacità di rispondere agli antigeni, i timociti doppio positivi subiscono selezione positiva o negativa: le cellule che subiscono il pr ocesso maturano in linfociti C D 4+ o C D 8+ , quindi diventano timociti singolo positivi. I timociti singolo positivi entrano nella midolla re e lasciano infine il timo per andare a popolare i tessuti linfoidi periferici.
40 8.3.3
Processi di selezione
Il repertorio linfocitario immaturo non seleziona to consiste di linfociti T i cui recettori possono riconoscere qualsiasi antigene peptidico presentato su una molecola MHC qualsiasi. In ogni individuo gli unici linfociti T utili sono quelli specifici per i peptidi no n-self presentati dalle molecole MHC self; par allelamente, i linfociti T che riconoscono antigeni self con troppa avidità sono potenzialmente pericolosi perchè posson o inne sca re p rocessi autoi mm uni. Quando i timociti doppio positivi esprimono per la prima volta il TCR questo incontra peptidi self presenta ti su mole cole MHC delle cellule timiche epiteliali. La selezione positiva è il proc esso per cui i timociti i cui TCR riconoscono blandamente questi peptidi e le molecole MHC associate vengono stimolati a sopravvivere. La selezione negativa è invece il proc esso in cui i timociti i cui TCR riconoscono troppo avidamente i peptidi self o le molecole MHC vengono eliminati per prevenir e reazioni contr o l’organismo stesso. Selezione positiva Se il TCR di un timocita riconosce le molecole MHC I associate al peptide e allo stesso tempo il CD8 interagisce con l’MHC, questo riceve segnali che ne evitano la morte e pr omuovono il proseguime nto della maturazione. Per procedere il linfocita doppio posi tivo può continuare ad esprime re CD8 e il TCR ma può smetter e di esprimere CD4; il risultato è un linfocita T C D 8+ MHC I +
ristretto. Un processo totalmente analogo avviene per pro dur re un linfoci ta C D 4 MHC II ristr etto. Durante la transizione da doppio positivo a singolo positivo gli helper diventano C D 4+ C D 8− mentre i − + citotossici C D 4 C D 8 .
La conseguenza di un riconosciment o troppo avido è lo scatenarsi dell’apoptosi: questo processo elimina i linfociti T autoreattivi e garantisce la tolleranza al self. La tolleranza indotta nei timociti dal riconoscimento degli antigeni self nel timo è detta tolleranza centrale, per differenziarla dalla tolleranza periferica indotta nei linfociti già maturati. La selezione negativa può avvenire sia nella fase doppio negativa che nella fase singolo positiva. Nella midollare, le cellule epiteliali del timo esprimono una proteina nucleare detta AIRE che induce l’espressione di pare cchi geni tessuto-specifici in modo da rendere questi peptidi disponibili per la pr esentazione. Selezione negativa
8.3.4
Linfociti T γ δ
Questo tipo di linfociti ha una linea di sviluppo totalmente a parte: una esclude l’altra. La diversità del repertorio di queste cellule è limitata perchè vengono usati solo pochi dei segmenti V, D e J disponibili: questi linfociti servono infatti a difendersi da un numero limitato di microbi il cui incontro è molto frequente alle barrie re epiteliali. 8.3.5
Cellule NK-T
Le cellule NK-T esprimono TCR αβ non MHC ristretto ma CD1 ristretto: riconosc ono infatti antigeni lipidici legati a questa molecola.
Capitolo 9. Attivazione dei linfociti T I linfociti T maturi che non hanno mai incontrato l’antigene si concentrano negli organi linfoidi secondari dove hanno la possibilità di riconoscere antigeni presentati dalle MHC di cellule dentritiche mature e quindi di attivarsi. Una volta attivate seguono i processi di espansione e la differenziazione in cellule effettrici o della memoria. Sia i linfociti T naive che le cellule dentritiche mature sono attratti nelle aree T per azione di chemochine che interagi scono con i recettori CCR7. Una volta avvenuto l’incontro, il riconoscimento dell’antigene presentato dalle MHC e l’interazione tra le proteine B7 espr esse dalla cellula dendritica e il corecettore CD28 determinano l’attivazione dei linfociti T. Una volta attivato il linfocita inizia a secernere IL-2 (interleuchina 2), una citochina autocrina che avvia l’espansione clonale. Alcuni linfociti T lasciano gli organi linfoidi ed entrano in circolo, altri rimangono lì per aiutar e i linfociti B a differenziarsi in plasmacellule. Le risposte T terminano principalmente per apoptosi dei linfociti
9.1
T attivati dovuta alla eliminazione dell’antigene che li depriva dello stimolo di sopravvivenza.
Attivazione dei linfociti CD4
L’attivazione presuppo ne che antigene e linfociti naive si trovino nello stesso tessuto linfoide. L’antigene raggiunge i linfonodi mediante drenaggio linfatico oppure raggiunge la milza attraverso il cir colo ematico. L’antigene si sposta trasp ortato dalle cellule dendritiche e viene presentato in associazione alle molecole MHC di classe II per l’attivazione dei CD4. Per l’attivazione dei linfociti CD4 sono necessari due segnali: riconoscimento dell’antigene associato a MHC e molecole costimolatorie B7-1 e B7-2. Per la proliferazione è necessaria inoltre la autosecrezione di IL-2; affinchè vi sia secrezione di Il-2 e parallela espressione del suo recettore è prima necessario che il linfocita abbia riconosciuto l’antigene. In questo modo abbiamo pr oliferazione delle sole cellule specifiche e necessarie, proliferazione che coinvolge dunque un unico clone cellular e e definita espansione clonale. Con l’eliminazione degli antigeni la maggior parte dei T attivati muor e riportando il numero di linfociti a condizioni basa li.
9.2
Attivazione dei linfociti CD8
Affinchè vi sia attivazione questa volta serve che l’antigene sia presentato da molecole MHC di classe I. I linfociti T CD8 hanno il compito di eliminare cellule infettate. Le risposte da questo gruppo di linfociti sono sollecitate da peptidi microbici presenti nel citosol delle cellule infette: questo pone un pr oblema perchè gli antigeni riconosciuti possono essere prodotti anche all’inte rno di una cellula che non è una APC professionale; le cellule dendritiche hanno però la speciale capacità di catturare e ingerire le cellule infette o tumorali e di presentar ne gli antigeni ai CD8 naive in un processo detto cross-presentazione . L’attivazione dei CD8 è facilitata dall’azione dei CD4: nel caso di una forte risposta innata quest’ulti - ma è superflua ma diventa indispensabile per risposte a infezioni latenti,tumori ecc. I linfociti T helper producono citoc hine che stimolano la differenziazione dei CD4, inoltre esprimono la proteina CD40L che viene riconosciuta dal recettore CD40 sulle APC: questo ne aumenta l’e fficacia nello stimolare la differenziazione dei CD8. Alla pari dei CD4, anche i CD8 vanno incontro ad espansione clonale tuttavia in modo molto più massiccio: si passa da un linfocita specifico ogni 106 linfociti a uno ogni dieci. In seguito all’espansione si ha la differenziazione in cellule effettrici CTL caratter izzate dalla presenza di granuli citoplasmatici legati alla membrana contenenti proteine citolitiche quali la perforina e granzimi. Inoltre sono in grado di produrre citochine tra cui IFN-γ e TNF. Due fattori di trascrizione sono richiesti per questa nuova espressione genica: T-Bete Eom.
9.3
Molecole costimolatorie
La differenziazione e proliferazione dei linfociti T naive richiedono molecole costimolatorie espresse dalle APC: in assenza di costimolazione, anche in caso di incontro con l’antigene, i linfociti T muoiono per apoptosi in quanto incapaci di rispondere. La molecola meglio caratterizzata sui linfociti T è il recettore di membrana CD28che lega le glicoproteine costimolatorie B7-1 e B7-2 espresse sulle APC; B7-2 è espressa costitutivamente mentre B7-1 solo in cellule attivate. Prodotti microbici che legano il TLR e citochine, soprattutto IFN-γ , aumentano l’espressione delle B7, così come l’interazione CD40L:CD40. Le cellule dendritiche sono quelle che presentano la maggior espressione di queste glicoproteine e
41
quindi rappresentano le cellule più potenti nell’attiva re i linfociti T naive. Molti adiuvanti hanno come funzione lo stimolare l’espressione di molecole costimolatorie sulle APC. L’assenza di molecole costimolatorie sulle APC contribuisce alla tolleranza verso gli antigeni self, poichè ogni APC presenta anti geni self ai linfociti T è proprio la mancanza di molecole costimolatorie che assicura che le cellule T non si attivino in associazione alla selezione negativa durante la fase di maturazione. I linfociti T effettori e della memoria sono meno dipendenti dalla costimolazione di B7 e sono quindi in grado di rispondere ad APC in tessuti non linfoidi in cui non sono espresse le B7. Il controllo delle funzioni delle cellule T effettrici è effettuato da linfociti T regolatori deputati a inibire le funzioni effettrici. Il meccanismo di azione pro attivatorio dell’interazione CD28:B7 è compreso in modo parziale. I segnali prodotti aumentano la produzione di citochine, specialmente l’autocrina IL-2, inoltre si ha l’aumentata espressione della proteina anti apoptotica Bcl-x. Oltre alle molecole attivatrici CD28 esistono anche molecole costimolatorie inibitrici sempre appartenenti alla famiglia delle CD28, primo esempio la CTLA-4. Questa lega sempre molecole B7 tuttavia funge da regolatore negativo nel la attivazione. Altra molecola inibitoria è PD-1 che lega molecole appartenenti alla famiglia delle B7 chiamate B7-DC e B7-H1 andando a regolare negativamente l’attivazione del linfocita. Ultimo recettore costimolator e è chiamato ICOS e lega il ligando di ICOS con particolare rilevanza nell’attivare funzioni effettrici quali la produzione di IL-10 e IL-4. L’attivazione di CD28 è cruciale per dare inizio alla risposta dei linfociti CD4 mentre quella di ICOS per le cellule T effettrici. Si ipotizza che CTLA-4 inibisca rispote acute negli organi linfoidi mentre PD-1 quelle croniche e quelle in tessuti non linfoidi.
9.4
Trasduzione del segnale
La trasduzione del segnale in cellule naive attiva geni normalmente silenti i cui prodotti sono responsabili della risposta e delle funzioni del linfocita attivato. Prima abbiamo visto come citochine e molecole costimolatorie fossero un punto chiave nell’espansione clonale e nella differenziazione: l’attivazione del TCR è responsabile invece della specificità.
Il TCR non possiede attività enzimatica intrinseca formando il complesso del TCR che possiede, ITAM: la fosforilazione di questi domini dà inizio di via di trasduzione parallele che confluiscono vie sono principalmente tre: • la via della calcineurina che attiva NFAT • la via della PKC che attiva NF-κB
e si trova associato al complesso CD3 nel versante citoplasmatico, strutture alla trasduzione del segnale. Si assiste nell’attivazione di determinati fattori di
e alla catena ζ dette domini all’attivazione trascrizione;le
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• la via delle MAP chinasi che attivano AP-1
Queste tre vie sono a loro volta attivate mediante specifiche tirosin chinasi che mediano TCR e gli enzimi sopr a citati.
il segnale tra
Tirosin chinasi Una volta formato il complesso MHC una tirosin chinasi chiamata Lck associata a
del TCR quando il recettore si lega all’antigene e CD4 e CD8 si sposta vicino alle sequenze ITAM del complesso CD3 e della catena ζ attivandosi e fosforilando le tirosine in esse contenute. Queste tir osine fosforlate fungono da ancoraggio per un’altra tirosin chinasi chiamata ZAP -70 che una volta legatasi viene anche essa fosforilata da Lck attivandosi e andando a fosforilare numerosi su bstrati che fungono da proteine adattatrici di altre molecole coinvolte nella trasduzione del segnale. Altro gruppo di chinasi importanti sono le PI-3 chinasi attivate dalla costimolazione di CD28: questi enzimi catalizzano la generazione di fosfatidil inositolo tre fosfato (PIP3 ) a partire dal PIP2 di membrana. Le attività delle chinasi citate sono regolate da specifiche tirosine fosfatasi reclutate dal complesso TCR e chiamate SHP-1 e SHP-2che inibiscono la trasduzione del segnale e un’altra è la SHIP. Formazione della sinapsi immunologica La regione di contatto tra il linfocita T e la sua APC pr ende il nome di sinapsi immunologica. Le molecole che vengono subito spostate verso il centro di questa struttura sono il complesso TCR, i corecettori CD4 o CD8, i recettori per i costimolatori (CD28) e vari enzimi associati. La segnalazione viene avviata all’interno di questa struttura sovramolecolar e. Reclutamento e attivazione delle proteine adattatrici ZAP-70 si porta a fosforilare parecc hie pr oteine adattatrici in grado di legarsi a molecole segnalatorie. Le prote ine adattatrici prese ntano domini ricurrenti di tipo SH2 o SH3 che consentono loro di formare cluster di enzimi in tempi rapidi. Un evento chiave dell’attivazione del linfocita T è la fosforilazione da parte di ZAP-70 della proteina adattatrice LAT, la quale è in grado di legarsi direttamente alla fosfolipasi Cγ 1; la fosfolipasi è una molecola fondamentale che recluta altre pr oteine tra le quali SLP-76e Grb-2.
Via della MAP chinasi La via Ras è iniziata a seguito del legame del TCR e porta all’attivazione di ERK, membro fondamentale della famiglia delle MAP kinasi che porta alla mobilitazione di diversi fattori di trascrizione. Ras nella sua forma inattiva è legato ad una molecola di GDP che, quando viene sostituita da una di GTP, è responsabile dell’attivazione. L’attivazione di Ras coinvolge le proteine LAT e Grb-2, in quanto la catena di eventi è la seguente:
1. Fosforilazione di LAT da parte di ZAP-70 2. Reclutamento di Grb-2 su LAT 3. Reclutamento del fattore Sos da parte di Grb-2/LA T 4. Scambio di GTP per GDP su Ras grazie alla catalisi di Sos 5. Attivazione delle MAP kinasi Esistono tre MAP kinasi principali nei linfociti T, delle quali il prototipo è ERK. L’attivazione di ERK lo porta a traslocare nel nucleo e a fosforilare una proteina detta Elk, la quale stimola la trascrizione di Fos, un componente del fattore di trascrizione AP-1. In parallelo all’attivazione lungo la via Ras si ha il reclutamento di una piccola proteina detta Vav, la quale scambia GTP per GDP su una proteina detta Rac. Rac in forma attiva inizia una cascata segnalatoria parallela che termina nell’attivazione della MAP kinasi JNK che si porta a fosforilare c-Jun, il secondo membro del fattore di trascrizione AP-1.
43
44
Segnali calcio e fosfolipasi dipendenti La fosfolipasi Cγ 1 è un enzima citosolico reclutato da LAT fosforilata e fosforilato da ZAP-70 e altre chinasi. La fosfolipasi fosforilata si porta ad idrolizzare il fosfolipide di membrana PIP2 producendo così IP3 e DAG . Il ruolo fisiologico di IP3 è l’ aumento del calcio citoplasmatico per apertura di canali nel reticolo endoplasmatico; questa fuoriuscita dal reticolo attiva i canali CRAC che facilitano l’arrivo di altro calcio dal reparto extracellulare (difetti nel gene che codifica Orai, componente del canale CRAC, sono alla base di alcune rare immunodeficienze umane). Il calcio citoplas matico agisce da molec ola segnalatoria legandosi a varie calmoduline delle quali una fondamentale è la calcineurina. Il DAG attiva invece l’enzima PKC che è coinvolto nell’attivazione e nella traslocazione nucleare di NF-κB.
I fattori di trascrizione che sono attivati nei linfociti T a seguito del riconoscimento antigenico sembrano critici per quasi tutte le risposte di queste cellule e sono: Attivazione dei fattori di trascrizione
NFAT Questo fattore è richiesto per l’espressione di IL-2, IL-4, e TNF . Questo fattore è pre sente in for ma inattiva serina-fosforilata nei linfociti T a riposo. La sua attivazione è legata alla calcineurina, che defosforila la molecola e ne svela la sequenza di localizzazione nuclear e. AP-1 Questo fattore in realtà quella formata dalle subunità
è una famiglia di molecole leganti DNA. La molecola meglio compr esa è c-Jun e Fos. AP-1 sembra essere un punto di convergenza di
parecchie vie segnalatorie attivate dal riconoscimento antigenico.
è essenziale per la sintesi di parecchie citochin e. Nei linfociti a riposo la molecola è presente in complesso con inibitori specifici (IκB) che ne bloccano l’ingresso nel nucleo; i segnali del TCR causano l ’ubiquitinazione degli inibitori, quindi la loro degradazione e quindi il ripristino della capacità del fattore di entrare nel nucleo. NF-κ B Questo fattore
9.5
Attenuazione della risposta
I meccanismi inibitori sono mediati da varie strategie quali il reclutamento delle fosfatasi SHP-1, l’attivazione dei recettori inibitori di famiglia CD28 e il reclutamento di proteine dette E3 ubiquitin ligasi che degradano certe molecole.
Il prototip o del recettore inibitorio è CTLA-4, di cui però si sa poco del meccanismo di azione. Normalmente questa molecola è sequestrata in vescicole intracellulari che vengono rapidamente mobilitate con la formazione della sinapsi immunologica. Nella sinapsi CTLA-4 potre bbe competere con CD28 per legare le molecole B7 o reclutare fosfatasi che bloccano l’attivazione dei domini Recettori inibitori
ITAM. L’altro recettore inibitorio di interesse è
PD-1, indotto in linfociti B, T e monociti a seguito dell’attivazione. PD-1 ha due ligandi, PD-L1 e PD-L2 , omologhi ai B7 ed espressi su cellule dendritiche attivate, monociti e altre cellule. Il recettore contiene sul lato citoplasmatico dei domini ITIM che contribuiscono al reclutamento delle fosfatasi SHP-1e SHP-2 che attenuano il segnale.
Capitolo 10. Attivazione delle cellule B e produzione di anticorpi 10.1 Caratteristiche generali della risposta morale • Il processo di attivazione delle cellule B è sequenziale. I linfociti B maturi e in grado di risponder e agli antigeni si sviluppano da precursori midollari prima di incontrare l’antigene e popolano poi i tissuti linfoidi periferici, sede della futura interazione antigenica. Gli antigeni legano le IgM e IgD di membrana sui linfociti naive e li attivano; l’attivazione può avvenire sia in dipendenza che in indipendenza dai linfociti T. L’attivazione può portare a proliferazione , cioè all’espansione del clone antigene specifico, e a differenziazione, cioè alla generazione di plasm acellule e cellule della memoria. Alcune cellule B attivate iniziano a produrre anticorpi diversi da IgM e IgD in un fenomeno detto switching (switching dell’isotipo della catena pesante). I linfociti in grado di prod urre anti corpi con la più alta affinità per l’antigene vengono inoltre preferenzialmente espansi: si parla di maturazione dell’affinità. Un singolo linfocita può, in sette giorni, dare srcine a quattromila plasmacellule che producono oltre 1012 anticorpi al gior no.
• Le risposte anticorpali agli antigeni proteici richiedono i linfociti T helper C D 4+ che riconoscono gli antigeni e hanno ruolo fondamentale nell’attivazione dei B. Per questo motivo le prote ine sono classificate come antigeni timo dipendenti. • Le risposte anticorpali agli antigeni multivalenti, con epitopi polisaccaridici e lipidici, non richiedono i linfociti helper. Per questo motivo gli antigeni polisaccaridici e lipidici sono definiti timo indipen- denti. • I linfociti attivati differenziano in plasmacellule , alcune delle quali continuano a produrre anticorpi per anni, e in cellule della memoria. Le risposte umorali srcinano agli organi linfoidi al midollo osseo dove si stabiliscono per periferici, ma alcune plasmacellule migrano da questi anni producendo bassi livelli di anticorpi che forniscono protezione immediata per i microbi da essi riconosciuti. • Lo switching degli isotipi e la maturazione dell’affinità sono tipici delle risposte T -dipendenti agli antigeni proteici. Lo switching è stimolato direttament e dai segnali in arrivo dalle cellule T, tra i quali la molecola CD40L e varie citochine. La maturazione riguarda la generazione di mutazioni somatiche ad alta frequenzain geni Ig V riarrangiati e la consequente selezione delle cellule B con grande affinità per l’antigene srcinale. La natura della risposta umorale varia inoltre in funzione del distretto anatomico: ad esempio i tessuti linfoidi mucosali sono adattati a produrr e
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grandi quantità di IgA. • Le risposte anticorpali primarie e secondarie differiscono quantitativamente e qualitativamente. Le risposte primarie derivano dall’attivazione di cellule B naive, le secondarie dalla stimolazione di cloni espansi delle cellule della memoria; per questo motivo le risposte secondarie sono più rapide e legate a quantità maggiori di anticorpi. In aggiunta a questo sia lo switching che la maturazione aumentano con ripetute esposizioni allo stesso antigene. • Set differenti di linfociti rispondono preferenzialmente a diverse tipologie di antigene. Le cellule B follicolari degli organi linfoidi periferici preferiscono gli antigeni proteici; le cellule della zona marginale della milza riconoscono antigeni multivalenti.
10.2 Riconoscimento dell’antigene e attivazione antigeneindotta
I linfociti circolano attraverso i follicoli degli organi linfoidi periferici in cerca del loro antigene. L’in - gresso nei follicoli è guidato dalla chemochina CXCL13 prodotta dalle cellule dendritiche follicolari e da quelle stromali; questa molecola si lega al recettore CXCR5 e attrae i linfociti nella giusta sede. La sopravvivenza dei linfociti follicolari dipende dai segnali in arrivo dal B cell receptor (BCR) ma anche da quelli mediati da un a citochina dett a BAFF (appartenente alla famiglia del TNF); BAFF e il ligando correlato, APRIL , possono attiva re altri due recettori, TACI e BCMA, che hanno ruolo nelle fasi più t ardi ve della maturazione. Gli antigeni entrano negli organi linfoidi tramite le APC o in forma solubile e attivano i linfociti grazie all’interazione con il BCR. Questo recettore ha due ruoli nell a fase di attivazione: 1. L’accumulo di recettori antigene-indotto rende possibile la segnalazione biochimica 2. Il recettore lega e internalizza l’antigene per processarlo in peptidi per la prese ntaz ione ai linfociti T helper
10.2.1
Trasduzione del segnale
I recettori dei linfociti B naive, cioè IgM e IgD, hanno code citoplasmatiche troppo corte per trasdurre il segnale, il compito viene infatti svolto da altre due molecole dette Igα e Igβ. Queste molecole sono tra loro legate da ponti disolfuro e sono associate in modo non covalente alla membrana; sono anche richieste per l’espressione superficiale delle molecole Ig e insieme ad esse formano il complesso recettoriale delle cellule B (complesso BCR). Igα e Igβ sono dunque analoghe a CD3 e ζ per i linfociti T. I domini citoplasmatici di queste due molecole contengono i motivi ITAM già visti per le cellule T e sono anche blandamente associati a tirosin chinasi della famiglia Src.
Il cross-linking delle Ig di membrana porta le chinasi citoplasmatiche ad avvicinarsi e questo le attiva
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facendo loro fosforilare i domini ITAM. La fosforilazione di ITAM fornisce un sito di attacco per i domini SH2 della tirosin chinasi Syk, l’equivalente nelle cellule B di ZAP-70 dei linfociti T. Syk attivata va a fosforilare dei residui di tirosina su una proteina adattatrice detta SLP-65 facilitando il reclutamento su questa di altri domini SH2 di vari enzimi. Le principali molecole che interagiscono con SLP-65 sono:
1. Il fattore SOS viene reclutato da SLP-65 e catalizza la sostituzione di GDP in GTP sulla proteina RAS e sulla proteina RAC . Queste proteine in forma GTP-legata attivano la via della chinasi JNKMAP.
2. Una fosfolipasi, PLCγ 2, viene attivata quando si lega a SLP-65 e viene fosforilata da Syk e Btk. Questo enzima si porta a dem olire il fosfatidilinositolo di membrana (PIP2) generando inositolo 3-fosfato e diacilglicerolo . L’inositolo mobilita il calcio, il DAG in presenza di calcio attiva la prote in ch inasi C che fosforila varie altre pr oteine. 3. La protein chinasi C fosforila una proteina detta CARMA1 contentente un dominio CARD che ne media le interazioni con le altre proteine. Le attività di CARMA1 culminano infine con l’attivazione del complesso IKK (IκB chinasi); il complesso è critico per l’attivazione di NF-κB in quanto è in grado di fosforilare IκBα , un inibitore di NF-κB, e destinarlo al proteaso ma: in questo modo NF-κB è libero di entrare nel nucleo. 4. Questa serie di cascate porta all’attivazione di fattori di trascrizione che inducono l’espressione di geni i cui prodotti sono richiesti per le risposte delle cellule B. Queste vie di segnalazione funzionano con qualsiasi recettore Ig, in quanto tutti si associano ad Igα e Igβ per poter trasdurre il segnale. 10.2.2
Ruolo dei recettori CR2/CD21 come corecettori per le cellule B
I linfociti B esprimono un recettore per la proteina del complemento C3d che prende il nome di CR2 o CD21. Il complesso C3d+antigene o quello C3d+antigene+anticorpo lega il linfocita in modo che l’Ig riconosca l’antigene e CR2 riconosca la prote ina del complemento. CR2 è espresso sotto forma di complesso con altre due proteine, CD19 e CD81: questo complesso viene spesso chiamato complesso corecettoriale delle cellule B perc hè lega C3d allo stesso momento in cui BCR lega l’antigene. Il legame di C3d al corecettore porta CD19 in prossimità delle chinasi associate al BCR e la coda di CD19 diventa in questo modo fosforilata; la fosforilazione risulta nel reclutamento della chinasi Lyn , che può amplificare il segnale di BCR fosforilando direttamente i domini ITAM. CD19 fosforilata attiva anche altre vie di segnalazione, tra le quali una legata a P I P3 , che aumentano ulteriormente i path way a pert i dalle Ig. Il risultato netto è un grande stimolo della risposta della cellula B stimolata.
10.2.3
Risposte funzionali dei linfociti B agli antigeni
Il riconoscimento dell’antigene stimola l’ingresso delle cellule nella
fase G1 del ciclo cellulare, uscendo
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così dalla precedente fase G0. La sopravvivenza delle cellule B viene migliorata grazie all’induzione di vari geni anti apoptotici. I linfociti B attivati mostrano un’ aumentata espressione di molecole MHCII e di costimolanti (B7-2 prima e B7-1 dopo, ed è questa la ragione per cui sono in grado di attivare i linfociti helper). L’espressione dei recettori per le citochine derivanti dai linfociti T viene anch’essa aumentata in modo da rendere le cellule B recettive, inoltre cambia anche l’espressione dei recettori per le chemochine in modo da permettere la mobilitazione. L’importanza del BCR nelle risposte è diversa a seconda dell’antigene. Gli antigeni multivalenti hanno di solito parecchi epitopi uguali s ulla stessa molecola e sono quindi in grado di stimolare in modo efficace il linfocita. Gli antigeni peptidici sono invece spesso dotati di un solo epitopo e quindi non sono in grado di stimolare il linfocita: in questo caso il BCR si limita ad internalizzare l’antigene per presentarlo al linfocita helper, il quale poi si occuperà di attivare la cellula B. 10.3
Risposte anticorpali helper-dipendenti ad antigeni proteici
Le prime fasi delle risposte helper -dipendenti avvengono ai bordi delle zone T e dei follicoli primari e risultano nella proliferazione delle cellule B, nella secrezione di anticorpi iniziale e in un limitato switching. Le fasi più tardive avvengono invece nei centri germinativi all’interno dei follicoli linfoidi e risultano nella maturazione dell’affinità, nella generazione di cellule della memoria e nello switching più evidente. 10.3.1 Sequenza degli eventi nelle risposte anticorpali T-dipendenti
1. Assunzione dell’antigene dalle cellule dendritiche e presentazione ai linfociti T helper. 2. Attivazione degli helper e espressione di CD40L e citochine. 3. Migrazione degli helper verso il follicolo grazie alle chemochine. 4. Attivazione delle cellule B da antigeni solubili o prese ntat i dalle cellule den dritiche. 5. Processamento e presentazione dell’antigene delle cellule B e migrazione verso la zona T grazie ai recettori per chemochine. 6. Interaz ione tra cellule B e T e attivazione delle prime grazie a CD40L e citochine. 7. Inizio dello switching e della secrezione di Ig. 8. Migrazione delle cellule B attive verso il follicolo, formazione di centri germinali nel follicolo. Nei centri germinali si ha marcato switching, mutazioni somatiche, maturazione dell’affinità e generazione delle cellule della memoria.
9. Generazione di pla sma cellule a lun ga vita che migreranno poi nel midollo osseo. 10.3.2 Attivazione degli helper
Le cellule che per prime riconoscono l’antigene sono le cellule dendritiche, che lo processan o e lo caricano sulle molecole MHCII per farlo riconoscere ai linfociti C D 4+ naive. Le cellule dendritiche sono inoltre stimolate a produrre B7-1 e B7-2 che forniranno secondi segnali per l’attivazione degli helper . I linfociti attivati dalle cellule dendritiche sono indotti a proliferare, esprimere CD40L e secer ner e varie citochine. Queste cellule modificano inoltre il loro set di recettori per chemochine, aumentando l’espressione di CXCR5 e diminuendo quella di CCR7; in questo modo la cellula segue il gradiende di concentrazione di CXCL13, prodotto dalle cellule dendritiche follicolari, che la porta nel follicolo. 10.3.3 Presentazionedell’antigene dalle cellule B e migrazione
Il BCR è un recettore ad alta affinità in grado di internalizzare efficacemente l’antigene per endocitosi rendendolo disponibile al processamen to e al caricamento sull’MHCII. Sono molti i segnali secondari che permettono ad un linfocit a B di rispondere ad antigeni proteici dannosi e non a quelli innocui: 1. L’aiuto dagli helper viene fornito solo da linfociti T che hanno risposto a cellule dendritiche che esprimono B7; l’espressione di B7 è a sua volta indotta dal coinvolgimento del TCR che riconosce strutture non-self.
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2. I linfociti B perce piscono diretta mente i patogeni grazie alla presenza di uno o più TLR, tra i quali TLR4, TLR5 e TLR9. I linfociti B antigene attivati downregolano l’espressione di CXCR5 e aumentano l’espressione di CCR7: questo comportamento, opposto a quello dei linfociti T C D 4+ , li attira verso l’interfaccia T -B del linfonodo. In una qualsiasi risposta umorale le cellule B specifiche per l’antigene che ha iniziato la risposta vengono attivate preferenzialmente ; esistono varie ragioni per giustificare questo fatto:
1. Solo i linfociti B le cui molecole Ig legano l’antigene possono ricevere i segnali di attivazione. 2. I linfociti B sono in grado di presentare il loro antigene a concentrazioni anche 106 volte minori rispetto all’antigene che non riconoscono in quanto l’internalizzazione via BCR è estr emamente efficiente.
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3. I linfociti B nei coniugati cellula T -cellula B sono esposti ai segnali portati da CD40L e da alte concentrazioni di citochine T -derivate, in parte per via della formazione delle sinapsi immunologiche. 10.3.4 Effetto aptene-carrier
Gli
apteni, come il dinitrofenolo, sono piccole molecole che possono legare anticorpi specifici ma non sono immunogeni da soli. Se un aptene si lega ad una proteina carrieril loro complesso diventa però immunogeno. Tre sono le caratteristiche importanti delle risposte anticorpali verso questi complessi:
1. Sono necessarie sia cellule B specifiche per l’aptene che per il carrier . 2. Per avere risposta carrier e aptene devono essere fisicamente associati, la somministrazione separata non fornisce reazione.
3. L’interazione è MHCII ristretta, cioè gli helper collaborano solo con i linfociti B che esprimono queste molecole che vengono riconosc iute come self dai T. I linfociti aptene-specifici legano l’antigene attraverso il determinante dell’aptene, lo internalizzano e presentano i peptidi derivati dalla proteina carrie r ai linfociti T carrier -specifici: i due linfociti cooperanti riconoscono dunque due epit opi diversi dello stesso antigene. L’effetto carrier -aptene è alla base dello sviluppo dei vaccini coniugati. 10.3.5 Attivazione delle cellule B helper-dipendente
I linfociti helper attivati esprimono una molecola detta CD40L, il cui recettore è CD40, espresso sui linfociti B che presentano l’antigene: l’interazione tra i due è alla base dell’attivazione. CD40 è un membro della famiglia dei recettori TNF; CD40L è una proteina trimerica. CD40 è espresso in modo costituivo dalle cellule B mentre il suo ligando viene espresso dagli helper solo dopo che questi sono stati attivati. Il legame tra ligando e recettore induce alterazioni conformazionali dei trimeri di CD40 e questo causa l’associazione di una proteina citosolica detta TRAF; TRAF inizia una cascata enzimatica che porta all’attivazione e alla traslocazione nucleare dei fattori di trascrizione, tra i quali NF-κB e AP-1. L’induzione dei fattori di trascrizione CD40-dipendente è cruciale per la formazione dei centri germinativi e anche per l’espressione di un gene codificante la deaminasi attivazione-indotta (AID), un enzima critico per lo switching e le mutazioni somatiche. Questo sistema di risposta cellular e contatto-mediata è il meccanismo generale di attivazione di cellule bers aglio da parte degli helper e non è dunque unico per la produzione di anticorpi. Il virus di Epstein-Barr (EBV) infetta i linfociti B e ne induce proliferazione che può portare a linfoma. coda citoplasmatica una proteina trasformante del virus, LMP1, si associa alle stesse molecole La TRAF attivate da CD40 ediin questo modo stimola la proliferazione dei linfociti.
I linfociti helper attivati secernono citochine che agiscono insieme a CD40L per stimolare la pr oliferazione e la produzione di anticorpi di diversi isotipi. Le citochine servono per due scopi principali i n ambito di risposte anticorpali: 1. Aumentano la proliferazione e la differenziazione delle cellule B
2. Promuovono lo switching verso differenti isotipi delle catene pesanti Il riconoscimento dell’antigene nei linfociti B aumenta l’espressione dei recettori per le citochine, molecole presenti ad alte conce ntrazioni nelle sedi di contatto con il linfocita helper. Le citochine helper -derivate, soprattutto IL-2, IL-4 e IL-21, potenziano proliferazione e differenziazione dei linfociti B, allo stesso modo delle citochine BAFF e APRIL della famiglia del TNF. La citochina IL-6, prodotta da macr ofagi, linfociti T e altre cellule, è invece un fattore di crescita per cellule B già differenziate e secer nenti anticorpi. L’attivazione contribuisce all’iniziale formazione di foci extrafollicolari di cellule B attivate che possono andare incontro a differenziazione e switching dell’isotipo. Ognuno dei foci formati contiene qualche centinaio di pla sma bla sti e plasmace llule, i cui anticorpi prodotti possono contribuire a for mare immunocomplessi che hanno un ruolo nell’iniziare la reazione di formazione del centro ger minale.
50 10.3.6 Reazione del centro germinativo
L’iniziale risposta agli antigeni dei linfociti B si ha nella zona tra i follicoli linfoidi e le zone T; dopo quattro-sette giorni dall’esposizione alcuni dei linfociti B attivati migrano in profondità del follicolo e
iniziano a proliferare rapidamente, formando il centro germinativo. All’inte rno del centro germinativo la zona scura contiene cellule B rapidissime a proliferare: in cinque gior ni un singolo linfocita può generare cinquemila cellule figlie. Ogni centro germinativo contiene cellule derivate da un unico clone o al massimo da un paio. La progenie, formata da cellule più piccole , va incontro a differenziazione e selezione nella zona chiaradel centr o.
L’architettura dei
follicoli linfoidi e dei centri germinativi dipende dalla presenza delle cellule denLe FDC si trovano solo nei follicoli ed esprimono recettori per il complemento (CR1, CR2 e CR3) e per Fc ma non esprimono molecole MHCII. Le lunghe code citoplasmatiche di queste cellule formano un’impalcatura attorno alla quale si forma il centro germinativo. Le cellule B pr oliferanti dritiche follicolari.
si posiz iona no nella zona scura del centro, che presenta poche FDC, mentre la progenie si distribuisce nelle zone più esterne. La formazione del centro germinativo è impedita in soggetti con difetti nello sviluppo dei linfociti T o con mutazioni in CD40 o CD40L; questo fenomeno è dovuto al fatto che il centro viene costruito solo a partire da cellule B attivate, e l’interazione CD40:CD40L è fondamentale nelle prime fasi dell’attivazione. 10.3.7
Switching dell’isotipo delle catene pesanti
In risposta a CD40 e alle citochine, alcune delle cellule figlie dei linfociti B attivati (che esprimono solo IgD ed IgM) vanno incontro a switching, portando alla produzione di altre catene pesanti quali γ, α, ε. In soggetti KO per CD40 si nota come lo switching sia deficitario e le risposte anticorpali siano dominate da anticorpi IgM. Le citochine hanno ruolo essenziale nello switching di partic olari isotipi. IL-4 è il princ ipale agente inducente la produ zione di IgE, mentre la produzione di IgG2 nel topo è dipendente dall’interferoneγ secreto da linfociti T e cellule NK.
Il principale meccanismo grazie al quale CD40 induce lo switching è lo stimolo alla trascrizione del gene AID . Il gene AID viene dunque trascritto dietro stimolo di CD40, sono però le varie citochine il target dello switching a indurre i fattori di trascrizione che identificano quale catena pesante sarà mediato da AID. Lo switching in risposta a diverse tipologie di microbo è regolato dal tipo di cellula helper che viene attivata dai microbi stessi, ad esempio:
• Batteri con capsule ricche in polisaccaridi stimolano la produzione di IgM i quali poi favoriscono il complemento, la fagocitosi e l’opsonizzazione. • Gli antigeni polisaccaridici, che non necessitano
l’aiuto degli helper, stimolano IgM.
• Molti virus e batteri stimolan o la produzione di IgG, che bloccano l’ingresso dei patogeni nella cellula e ne facilitano la fagocitosi. Virus e batteri attivan o gli helper del sottogruppo TH 1 che producono inter ferone γ, il princ ipale induttore di switching a catena γ nelle cellule B. • I parassiti elmi ntici generano risposte di tipo principalm ente IgE, anticorpi che partecipano all’uccisione eosinofilo-mediata dei patogeni. Gli anticorpi IgE sono anche alla base delle reazioni allergiche. Gli elminti attivano gli helper del sottogruppo TH 2 i quali producono IL-4, induttore di switching verso la catena pesante ε.
principale
In aggiunta a questo meccanismo, anche la sede anatomica influenza lo switching. I linfociti B delle mucose producono soprattutto IgA, l’anticorpo più efficace nell’essere trasportato attraverso gli epiteli; lo switch è stimolato dal transforming growth factor β (TGF-β ) prodotto da parecchie cellule nelle mucose. Il recettore TACI (substrato sia per APRIL che per BAFF) ha anch’esso un ruolo critico nello switch verso IgA. Il principale meccanism o molecolare di switching è un processo detto ricombinazione switch in cui il segmento genico riarrangiato VDJ di una cellula B si ricombina con un gene della regione C a valle mentre il DNA in mezzo viene eliminato. Questi eventi ricombinatori coinvolgono sequenze nucleotidiche dette regioni switch poste negli introni J-C alle estremità 5’ di ogni locus CH ; queste regioni sono lunghe 1-10kb, contengono numerose ripetizioni di GC e si trovano a monte di ogni gene codificante catene pesanti ad eccezione del gene δ . A monte di ogni regione di switch c’è un piccolo esone detto esone I (per iniziatore della trascrizione) preceduto da un promotore. CD40 e le citochine stimolano lo switching rendendo più accessibile il DNA di una specifica regione C e inducendo poi la trascrizione attraverso l’esone I, la regione di switch e l’esone CH . Questi trascritti, detti trascritti germinali, non codificano proteine ma hanno un ruolo fond amentale nello switch. La trascrizione germinale è accompagnata dall’accessibilità di un particolare gene C a rotture e
riparazioni del DNA; come risultato l’esone riarrangiato VDJ giusto a monte della regione di switch µ si accoppia con la regione C a valle trascri zionalmente attiva. L’enzima chiave richiesto per lo switching è la deaminasi attivazione-indotta (AID). AID è una DNA deaminasi che converte la citosina in uracile all’interno di template di DNA a singolo filamento. La trascrizione produce sempre una piccola bolla di DNA a singolo filamento mentre il complesso della polimerasi scorre lungo il filamento codificante; dato che il DNA nella bolla è a singolo filamento ecco che può subire l’azione di AID. Un enzima detto uracil N-glicosilasi rimuove a questo punto i residui di uracile creati da AID generando siti abasici che vengono eliminati dall’ endonucleasi Ape1. I buc hi
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su entrambi i filamenti contribuiscono alle rotture sia alla regione Sµ che al locus a valle coinvolto nello switching di quel particolare isotipo. L’esistenza di rotture nelle due regioni di switch causa la delezione del DNA interposto e l’unione delle due giunzioni da parte dei sistemi di riparazione di questo tipo di danno. 10.3.8
Maturazionedell’affinità
Il processo di maturazione dell’affinità genera anticorpi con crescente capacità di legare gli antigeni e quindi di neutralizzare i microbi. I linfociti helper e le interazioni CD40:CD40L sono richieste per procedere e quindi la maturazione avviene solo in risposta ad antigeni proteici T-dipendenti. Nella zona scuraproliferativa dei centri germinativi i geni IgV vanno incontro a mutazioni puntifor- mi ad un tasso di una ogni 103 coppie di geni, cioè da mille a diecimila volte più freque ntemente del normale: questo significa che ci sarà una mutazione nelle regioni V in media ogni divisione cellulare. mutazioni continuano nella progenie, quindi ogni clone di cellula B può accumular e Le nel gene parecc hie mutazioni nella sua vita anche al centro germinativo. I meccanismi di mutazione somatica sono poco conosciuti. Si sa che il DNA Ig VDJ diventa altamente mutabile probabilmente a seguito di legame con fattori mutageni. Non si sa se i centri germinativi forniscano segnali contatto-mediati o citochine per stimolare le mutazioni ma si sa che l’enzima AID è fondamentale. I residui di uracile creati da AID possono essere con vertiti a residui di timina o possono essere eliminati dalla glicosilasi, in ogni caso favorendo la mutazione. In sostanza si crede che le ripetute esposizioni all’antigene generino parecchie mutazioni, di cui la maggior parte inutili mentre alcune effettivamente portano a d un anticorpo più efficace: il passo successivo è dunque la selezione delle cellule che pr oducono gli anticorpi migliori. Le cellule dendritiche follicolari dei centri germinativi presentano gli antigeni, e le cellule B che sono in grado di legarli con alta affinità vengono selezionate per la sopravvivenza. La prima fase di risposta all’antigene è la produ zione di anticorpi, alcuni dei quali formano complessi con l’antigene e attivano il complemento. Le FDC hanno recettori per la porzione Fc dell’anticorpo e per i prod otti di attivazione del complemento; questi recettori legano e presentano gli antigeni complessati con anticorpi o pr odotti del complemento. Nel frattempo i linfociti B dei centri germinativi che hanno subito le mutazioni migrano verso la zona ricca di FDC: queste cellule moriranno di apoptosi se non verranno salvate dal riconoscimento dell’antigene. In questo modo le cellule che riconoscono in maniera specifica l’antigene mostrato sulle FDC sono selezionate per vivere. L’aumento della produzione di anticorpi va di pari passo con l’eliminazione dell’antigene che sarà sempre più raro sulle FDC: si ha dunque necessità di linfociti B sempre più specifici per la sopravvivenza perchè dovranno avere un’affinità sempre più alta per legare i poc hi antig eni ri ma sti. Le mutazioni somatiche avvengono nella zona scura basale del centro germinativo nei centr oblasti che contengono l’enzima AID; terminata la mutazione le cellule migrano verso la zona chiara apicale dove vengono selezionate dalle FDC e possono anda re incontro ad un ulteriore switc hing . Le cellule escono infine dal centro germinativo e diventano cellule della memoria o pla sma cellule ad alti ssim a affinità. 10.3.9
Differenziazione dei linfociti B in plasmacellule secernenti anticorpi
La sintesi degli anticorpi, come la proliferazione dei linfociti B, è stimolata da segnali mediati da CD40 e dalle citochine. Molte citochine, tra le quali IL2, IL4 e IL6, sono state individuate come stimolatr ici di questo pr ocesso. All’inte rno degli organi linfoidi le plasma cellule si trovano soprattutt o in sede extrafollicolare, come la polpa rossa della milza o la midollare del linfonodo. Le plasmacellule sono linfociti B differenziati in maniera terminale e destinate alla sola produzione di anticorpi. Lo sviluppo di queste cellule dipende all’induzione di un fattore di trascrizione detto BLIMP-1. Esistono due tipologie di plasmacellula. Le plasmacellule a vita brevevengono ritrovate negli organi linfoidi secondari e nei tessuti non linfoidi periferici.al Amidollo seguitoosseo delladove reazione centro germinale plasmacellule capacità di del mantenute la prendono dirigersi vengono grazie alcune al recettore BCMA , e ottengono queste cellule il nome di plasmacellule a vita lunga. Tipicamente dop o due o tre settimane dall’infezione da parte di un antigene T -dipendente il midollo diventa una sede chiave di produzione di anticorpi. Le plasmacellule midollari continuano a secernere antibodi per mesi o anni dopo la scomparsa dell’antigene per fornir e protezion e immediata in caso di nuovo incontro; quasi la metà degli anticorpi circolanti di un adulto è prod otto da plasmacellule a vita lunga. Gli anticorpi secreti entrano nella circolazione e nelle secr ezioni delle mucose ma le cellule che li hanno prodotti non sono circolanti.
52
Le molecole Ig secrete e di membrana differiscono per via della loro regione carbossi terminale. Ad esempio nelle IgM secrete il dominio Cµ 4 è seguito da una coda contenente aminoacidi polari. Nelle IgM di membrana invece lo stesso dominio è seguito da una sequenza più corta e idrofobica transmembrana e da una coda citoplasmatica di tre aminoacidi. La transizione da Ig di membrana a secreta riflette una variazione nel processing dell’RNA messaggero per la catena pesante. Il trascritto primario di tutte le cellule B produtt rici di IgM contiene infatti VDJ, i quattro esoni C µ per i domini costanti e due esoni per i domini citoplasmatici e transmembrana. Il processing dell’RNA determina se gli esoni transmembrana e citoplasmati co saranno o meno inclusi nell’mRNA finale. In sostanza tutti i linfociti B possono sintetizzare anticorpi sia di membrana che di secrezione; con il procedere della differ enziazione la quantità di anticorpi di secrezione tende però ad aumentare. I segnali che regolano il processo dello splicing alternativo non sono conosciuti. Nota: la forma secretoria della catena pesante δ è raramente espressa, infatti le IgD sono tipicamente proteine di membrana. 53 10.3.10
Generazione di cellule della memoria e risposte umorali secondarie
Alcuni dei linfociti B attivati acquisiscono l’abilità di sopravvivere per lunghi periodi appar entemente senza stimolazione antigenica: sono le cellule della memoria. Alcune di queste cellule possono rimanere negli organi linfoidi mentre altre ricircolano tra la milza ed i linfonodi. Le cellule della memoria tipicamen te portano recettori ant igenici ad alta affinità e molecole Ig di isotipi switch con più frequenza dei linfociti naive. Molte delle caratteristiche delle risposte umorali s econdarie riflettono la precedente attivazione dei linfociti B da parte degli helper C D 4+ . Lo switching delle catene pesanti è tipico delle risposte secondarie in quanto indotto dai linfociti helper e dalle loro citochine. La maturazione dell’a ffinità è anch’essa secondaria all’attivazione T -dipendente dei linfociti B. Per neutralizzare molti microbi e le loro tossine sono richiesti anticorpi ad alta af finità; un vaccino effettivo contro tali microorganismi deve dunque indurr e maturazione dell’affinità e produ zione di cellule della memoria: entrambi questi processi avverranno solo in caso di attivazione degli helper. Nel caso di infezioni batteriche in cui l’antigene bersaglio è un polisaccaride (incapace di stimolare i linfociti T), si sfrutta il sistema aptene-carrier coniugati.
10.4
e si parla di vaccini
Risposte anticorpali ad antigeni T-indipendenti
Gli anticorpi prodotti in questo tipo di risposte hanno generalmente bassa affinità e sono soprattutto IgM con un limitato switch verso alcuni sottotipi di IgG. I più importa nti antigeni TI sono polisaccaridi, glicolipidi ed acidi nucleici, tutti in grado di indurre produzione specifica di anticorpi in animali privi di linfociti T. Tutti questi antigeni non possono essere processati sulle molecole MHC e quindi essere riconosciuti dagli helper. La maggior parte degli antigeni TI è polivalente , e questo induc e cross-l inking massimal e del complesso BCR sui linfociti B, portando ad attivazione senza aiuto degli helper. In aggiunta molti polisaccaridi attivano il complemento seguendo la via alternativa, generando C3d che lega l’antigene e aumenta l’attivazione dei linfociti B. Le risposte delle cellule B dipendono infine dai segnali in arrivo dai recettori della famiglia BAFF che rispondono a fattori di crescita prodotti dalle cellule dendritiche, dai macrofagi e dai TLR. Le risposte agli antigeni TI sono diverse a seconda del sito anatomico; possono avere inizio nella milza, nel midollo, nel peritoneo o nelle mucose. I macrofagi in associazione alla milza sono particola r mente efficienti nell’intrappola re polisaccaridi. Le cellule B della zona margin ale sono un sottogr uppo delle cellule B che risponde soprattutto ai polisac caridi produce ndo IgM. Un’altra linea di cellule B che risponde bene agli antigeni TI è quella delle cellule B B-1, in gran parte derivat e dalle cellule staminali del fegato fetale e sono esposte all’antigene principalmente nel peritoneo e nelle mucose. Il senso pratico degli antigeni TI è che molti polisaccaridi parietali dei batteri vi appartengono; individui con deficienze congenite o acquisite dell’immunità umorale sono infatti molto suscettibili ad infezioni di batteri capsulati, quali Pneumococcus, Meningococcus e Haemophilus. In aggiunta gli antigeni TI contribuiscono alla generazione degli anticorpi naturali, normalmente presenti in circolo e apparentemente indotti senza esposizione ai patogeni. La maggior parte degli anticorpi naturali ha bassa affinit à ed è prodotta dalle cellule B di tipo B-1 del perito neo stimolate dai batteri del tratto GI. Alcuni antigeni TI inducono isotipi diversi da IgM. Nell’uomo l’anticorpo principale indotto dal polisac caride di capsula del pneumococco è IgG2. In assenza di cellule T, BAFF e APRIL possono
indurre nelle cellule di srcine mieloide (cellule dendritiche, macrofagi) la sintesi di AID per dar luogo allo switch. Nonostante l’incapacità di attivare gli helper, molti vaccini polisaccaridici producono immunità pr otettiva di lunga durata. Risposte secondarie rapide e ampie tipiche della memoria si sviluppano per esposizione secondaria a questi antigeni. Il fenomeno della memoria IgM è stato dimostrato e in topi e uomo è possibile evidenziare le cellule B della memoria per antigeni TI; nell’uomo queste cellule esprimono alti livelli di CD27 e IgM o IgD.
10.5 Feedback anticorpale: regolazione della risposta umorale da parte dei recettori Fc
Gli anticorpi secreti inibiscono la continua attivazione delle cellule B formando complessi antigeneanticorpo che si legano in simultanea ai recettori antigenici ed ai recettori Fc sui linfociti B antigene anticorpale, cioè della downr egolazione spiegazione fenomeno specifici: questa è dila anticorpi di feedback da del secrete. Gli anticorpi IgG inibiscono i linfociti for della produzione parte delle IgG mando appunto complessi che si legano ad un recettore per la forzione Fc della molecola chiamato recettore Fcγ II (Fcγ RIIB o CD32). Il dominio citoplasmatico del recettore contiene un dominio a sei amminoacidi condiviso con altri recettori di questo tiipo che mediano segnali negativi; per analogia con gli ITAM questo dominio viene chiamato ITIM (Immunoreceptor Tyrosin-based Inhibition Motif). Quando il recettore viene stimolato il dominio ITIM viene fosforilato formando un sito di attacco per l’inositolo 5-fosfatasi SHIP; SHIP idrolizza un fosfato su PIP3 e in questo modo termina la risposta del sia con il recettor e linfocita all’antigene. Il complesso antigene anticorpo interagisce simultaneamente antigenico che con quello per la porzione Fc, portand o la fosfatasi inibitoria vicina al recettore antigenico da bloccare. L’importanza dell’inibizione attraverso Fcγ RIIB è dimostrata nei topi KO per questo gene. Un polimorfisfmo in questo gene è stato collegato al lupus eritematoso sistemico nell’uomo. I linfociti B esprimono un altro recetto re inibitorio detto CD22, una lectina che lega acido sialico. Il ligando naturale non è conosciuto e non si sa come si attivi ma si sa che topi KO mostrano una enor me
attivazione dei linfociti B. Il lato citoplasmatico della molecola contiene un ITIM che da fosforilato lega la tirosin fosfatasi SHP-1; questa fosfatasi si porta a rim uovere un fosfato sui domin i ITAM e quindi blocca il segnale del BCR.
Capitolo 11. Tolleranza immunologi ca La tolleranza immunologica è definita come la mancanza di risposta ad un antigene indotta dalla precedente esposizione a quello stesso antigene. Quando un linfocita incontra un antigene pu ò essere attivato, e quindi dare risposta immunitaria, o disattivarsi /morire dando luogo alla tolleranza. Gli antigeni in grado di dare tolleranza vengono chiamati tollerogeni per distinguerli dagli immunogeni. La tolleranza verso i propri a ntigeni, o self tolleranza, è infine una proprietà fondamentale del sistema immunitario. La tolleranza immunitaria è fondamentale per diverse ragioni:
• Gli individui normali tollerano i loro antigeni perchè i linfociti autoreattivi vengono uccisi, inattivati o cambiano la loro specificità.
• Antigeni estranei possono essere somministrati ducendo tolleranza in linfociti specifici.
in modo da inibire le risposte immunitarie in-
• L’induzione della tolleranza immunologica può essere sfruttata per prevenire risposte immunitarie dannose.
11.1
un approccio terapeutico nel
Caratteristiche generali e meccanismi della tolleranza
• La tolleranza risulta dal riconoscimento degli antigeni da parte di linfociti specifici. I prim i studi sul tema dimostrarono che si può indurre tolleranza facendo riconoscere gli antigeni durante la vita Ad esempio se un topo adulto A riceve un trapianto di pelle da un topo B fetale o neonatale. geneticamente diverso si avrà reazione immunitaria per via del mancato riconoscimento dell’MHC; se invece il topo A riceve cellule del sangue di B durante la vita fetale non si ha rigetto (il feto è immunodeficiente) e un piccolo numero di soggetti sopravvive normalmente come chimera, accettando innesti anche da adulto.
54
• L’auto tolleranza può essere indotta in linfociti self-reattivi immaturi nei siti linfoidi centrali (tolleranza centrale) o in linfociti maturi in siti periferici (tolleranza periferica ). La tolleran- za centrale assicura che il repertorio di linfociti maturi non riconosca gli antigeni self pr esenti negli organi linfoidi primari tuttavia non può contare nella mancata risposta ad antigeni espr essi solamente in perife ria: questo tipo di tolleranza è mantenuta da meccanismi periferici. • La tolleranz a centrale si ha perchè tutti i linfociti in maturazione passano in una fase in cui incontrano antigeni che portano alla morte cellulare o all’espressione di nuovi recettori o a variazioni nelle funzionalità. I soli antigeni nel timo e nel midollo sono antigeni self in quanto quelli estranei sono trasportati agli organi linfoidi periferici: i linfociti in sviluppo incontrano solo antigeni self ad alte concentrazioni. Questa interazione ha dunque vari possibili esiti:
per apoptosi, detta delezione clonale dei recettori, detto editing recettoriale – Differenziazione di alcune cellule CD4+ in cellule T regolatorie che migrano in periferia per prevenire le reazioni al self. – Morte
55
– Cambio
• La tolleranza periferica si ha quando il linfocita maturo che riconosce il self diventa incapace di riconoscere tale antigene, o quando viene indotto all’apoptosi o ne viene ridotta l’emivita. La tolleranza periferica come detto serve a garantire la non risposta ad antigeni non presenti negli organi linfoidi prim ari.
• Alcuni antigeni self possono essere tota lmene ignorati dal sistema immunitario, così che i linfociti incontrano l’antigene ma non vi rispondono e rimangono dunque circolanti e funzionali. Non si sa nulla di questo meccanismo.
11.2 Tolleranzadei linfociti T
La tolleranza dei linfociti helper è un modo efficace per prevenire risposte immunitarie agli antigeni proteici: molte terapie per indurre tolleranza ai tessuti trap iantati hanno c ome bersaglio queste cellule. Molto poco è invece noto della tolleranza nei linfociti citotossici. 11.2.1
Tolleranza centrale nei linfociti T
Durante la maturazione nel timo molte delle cellule T che riconoscono gli antigeni con troppa avidità vengono eliminate grazie al processo di selezione negativa (capitolo 8). I due fattori principali che determinano la selezione negativa dei timociti autoreattivi sono la concentrazione dell’ant igene nel timo e l’af finità dei TCR del timocita per tali antigeni. Gli antigeni self vengono processati e presentati sulle molecole MHC dalle APC del timo; questi antigeni includono molte proteine circolanti o associate alle cellule. Alcune p roteine inizialmente credute espresse solo nei tessuti periferici sono invece pr esenti nelle cellule epiteliali timiche sotto controllo del gene regolatore autoimmune (AIRE). La pr oteina AIRE funziona come fattore di trascrizione per promuovere l’espressione di antigeni selezionati nel timo. Il processo di selezione interessa sia le cellule MHCI ristrette che quelle MHCII ristrette ed è dunque importante sia per le popolazioni CD4+ che CD8+ . L’importanza della selezione negativa è evidente nelle patologie autoimmuni che si sviluppano a seguito di fallimenti di tale pr ocesso: • La sindrome autoimmune poliendocrina raccoglie una serie di malattie causate da mutazioni gene AIRE ed è caratter izzata da danni anticorpo e linfocita-mediati a organi endocrini multipli.
nel
• Topi con mutazioni nella chinasi TCR-associata ZAP-70 sviluppano artriti e altre manifestazioni di autoimmunità. La ragione è che la mutazione diminuisce il segnale TCR-indotto quanto basta per interferire con la selezione negativa facendo scappare linfociti autor eattivi. Alcuni dei linfociti T CD4+ che riconoscono gli antigeni self nel timo non vengono eliminati ma differenziano invece in cellule regolatrici che lasciano il timo e inibiscono risposte ai tessuti self in periferia. Difetti nella proteina AIRE non sembrano prevenire lo sviluppo di queste cellule: questo suggerisce che i requisiti per il loro sviluppo siano diversi, anche se quel che determina la scelta tra morte e destino regolativo resta sconosciuto.
11.2.2
Tolleranza periferica nei linfociti T
I meccanismi di tolleranza periferica sono responsabili per la mancata reazione ad antigeni self tessuto specifici che non sono abbondanti nel timo. La tolleranza è dovuta ad anergia, delezione o soppressione delle cellule T, ma non è noto se su ogni cellula agisca uno solo di questi metodi o tutti insieme.
56
Anergia indottada riconoscimento di antigeni self L’esposizione di cellule CD4+ ad un antigene senza costimolazione o immunità innata può rendere tali cellule incapaci di rispondere. La piena
attivazione delle cellule T richiede il segnale dal TCR e il riconoscimento dei costimolatori, principalmente B7-1 e B7-2, da parte di CD28. Una segnalazione prolungata del solo TCR può portare ad anergia: questa situazione è plausibile per gli antigeni self che non generano immunità innata o forte costimolazione. Evidenze sperimental i dell’anergia:
• Cellule CD4+ esposte in vitro a complessi sintetici MHC+peptide in assenza di costimolanti rimangono disponibili ma non sono in grado di rispondere all’antigene. L’anergia può essere evitata per aggiunta di APC attivate in coltura o se i recettori per i costimolanti vengono attiva ti con gli anticorpi. • L’ane rgia può essere ottenuta somministrando antigeni non self in maniera da farli riconoscer e evitando costimolazione o infiammazione. Un metodo è trasferire linfociti T con TCR specifico per un Se l’antigene è amministrato per via antigene conosciuto in un topo normale da un topo transgenico. sottocutanea con adiuvanti i linfociti antigene specifici proliferano nei linfonodi di zona, diventano le cellule B. Se l’antigene viene effettori, migrano nei follicoli linfoidi e interagiscono con somministrato in forma acquosa senza adiuvanti i linfociti mostrano una abilità ridotta di proliferare, differenziare e migrare. • Un antigene, come una glicoproteina virale, può essere espressa nei tessuti di un topo transgenico. Se il topo esprimente l’antigene viene incrociato con un topo normale che esprime il TCR antigene specifico come transgene, molti linfociti T incontreranno l’antigene self. Queste cellule diventano anergiche e perdon o la capacità di rispondere all’antigene virale. Presumibilmente anche qui si tratta di livelli inadeguati di costimolazione. • Un antigene proteico può anche essere espresso come self antigene sistemico, associato alle cellule o secreto in topi transgenici. Se un linfocita incontra que sti antigeni perde la sua capacità di rispondervi.
L’ane rgia è il risultato di alterazioni biochimiche o genetiche che riducono la capacità del linfocita di rispondere. Sono numerose le alterazi oni biochimiche ritenut e necessarie per mantenere questo stato
di mancata risposta: 1. Le cellule anergiche mostrano un blocco nella trasduzione del segnale del TCR. Non si sa a cosa sia dovuto, a volte sembra legato a una sottoespressione del TCR, a volte al reclutamento di molecole inibitorie quali le fosfatasi. 2. Gli antigeni self potre bbero attivare ubiquitina-ligasi cellulari che potrebbero ubiquitinare le pr oteine TCR associate portandole a degradazione: il risultato è ancora una volta una riduzione del segnale del TCR.
3. Quando il linfocita riconosce l’antigene self potre bbe attiva re i recettori inibitori della famiglia di CD28, le cui funzioni sono di terminare la risposta. I due recettori il cui ruolo nella tolleranza self è meglio descritto sono CTLA-4 e PD-1 . In particolare CTLA-4 compete con CD28 per i costimolanti B7 escludendolo dalla sinapsi immunitaria, inoltre porta dive rsi segnali inibitori che bloccano quelli che attivano il TCR. PD-1 riconosce invece due ligandi espressi sulle APC e su altre cellule e questo riconoscimento porta all’inattivazione del linfocita T.
Le cellule dendritiche residenti nei tessuti linfoidi e non possono presentare gli antigeni self ai linfociti T per mantenere la tolleranza: le cellule dendritiche mature presentano infatti pochissimi costimolatori. Le cellule dendritiche attivate sono dunque le principali APC per scatenare la risposta dei linfociti T, mentre quelle a riposo potrebbero avere ruolo
tollerogenico.
Soppressione dei linfociti autoreattivi da parte delle cellule T regolatrici
La maggior parte delle
cellule T regolatrici esprimono alti livelli di recettore per IL-2 e CD25 ma non altri markers di attivazione. Queste cellule sono generate principalmente per riconoscimento del self nel timo, ma si sviluppano occasionalmente anche in periferia. La genesi e la sopravvivenza di queste cellule è dipendente dalle citochine TGF-β e IL-2 e dalla costimolazione B7:CD28. Un fattore di trascrizione chiamato FoxP3 è critico per lo sviluppo e la funzionalità della maggior parte di queste cellule. Le cellule T regolatrici riconoscono gli antigeni self e da essi sono generate. Un meccanismo di controllo delle risposte immunitarie di queste cellule è la secrezione della citochina immunosoppr essiva IL-10, che inibisce la funzione di macrofagi e cellule dendritiche. Altri esperimenti indicano che queste cellule lavorano per contatto diretto con le APC o con i linfociti rispondenti, ma non si sa come eseguono la soppressione.
I linfociti T che riconoscono il self senza infiammazione o che sono ripetutamente stimolati muoiono per apoptosi: questo tipo di morte è stata chiamata morte cellulare attivazione-indotta. La morte apoptotica può avvenire secondo due vie bioch imich e: via recettoriale e via mitocondriale(Pinton). Delezione dei linfociti T per apoptosi
• I linfociti T che riconoscono il self senza costimolazione o senza una risposta innata ad accompagnarli possono attivare la proteina pro-apoptotica Bim , imboccando così la via mitocondriale per l’apoptosi. Nelle normali risposte linfocitarie i segnali del TCR stimolano l’espressione di proteine anti apoptotiche della famiglia di Bcl-2 che promuovono la sopravvivenza e la pr oliferazione della cellula. Bim può esse re attivata dal riconoscimento del self in assenza di costimolazione o fattori di
crescita e attiva a sua volta proteine ef fettrici che fanno scattare la morte pr ogrammata. In assenza di forte stimolazione infatti non ci sono fattori di crescita e gli effetti di Bim non sono bilanciati dalle proteine anti apo ptotiche . • Il ripetuto stimolo ai linfociti determina l’espressione dei recettori di morte e dei loro ligandi, e l’attivazione di tali recettori porta a morte apoptotica. Nelle cellule CD4+ il recettore di morte fondamentale è Fas, il cui ligando è FasL . A seguito di molte attivazioni FasL viene espresso sulla o di quelle adiacenti. superficie cellulare e si va a legare a Fas sulla superficie della cellula stessa L’interazione Fas:FasL attiva la cascata delle caspasi che porta a morte la cellula. Mutazioni in Fas o FasL portano a malattie autoimmuni simili al lupus.
11.3 11.3.1
Tolleranzadei linfociti B Tolleranza centrale nei linfociti B
I linfociti B immaturi che riconoscono gli antigeni self nel midollo osseo con alta affinità possono cambiarela loro specificità o essere eliminati. Se il linfocita riconosce antigeni presenti ad alte dosi e specialmente se multivalenti, reagisce attivando i geni RAG1 e RAG2 ed esprime una nuova catena leggera dell’Ig, ottenendo così una diversa specificità. Questo processo è detto editing recettoriale (capitolo 8) ed è fondamentale nell’elimina re l’autoreattività: se questa via fallisce il linfocita viene eliminato. Un riconoscimento più blando degli antigeni self porta invece ad anergia piuttosto che a morte.
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11.3.2
Tolleranza periferica nei linfociti B
I linfociti B maturi che riconoscono il self in perifer ia in assenza di helper possono essere resi inof fensivi o portati a morte per apoptosi. L’incontro con l’antigene self riduce la sopravvivenza del linfocita e ne promuove la porte lungo la via mitocondriale. I linfociti che incontrano il self in peri feria m ostrano minor capacità di migrare nei follicoli: probabilmente il riconoscimento cronico dell’antigene porta alla sottoespressione del recettore CXCR5 per chemochine che normalmente porta i linfociti B nei follicoli. Le cellule escluse dai follicoli non ricevono i segnali sufficienti per sopravvivere e muoiono. Le cellule B anergiche che incontrano una cellula helper antigene specifica possono poi andare incontro a morte grazie al FasL dei linfociti T che attiva il recettore Fas. Si sospetta che molte malat tie causate da anticorpi contro il self siano legate a fallimenti della toller anza dei linfociti B, ma non se ne sa molto. Individui normali non producono autoanticorpi patogenici ad alta affinità contro antigeni self, e questo potrebbe essere legato alla delezione o alla tolleranza degli helper anche in prese nza di linfociti B funzionanti. In questi casi difetti nel mantenimento della tolleranza T posson o risultare nella prod uzione di autoanticorpi.
11.4
Tolleranza indotta da antigeni proteici estranei
Antigeni estranei possono essere somministrati in modo da indurre tolleranza piuttosto che risposta immunitaria. In generale gli antigeni consegnati per via sottocutanea o intradermica con adiuvanti favoriscono l’immunità; dosi massicce di antigene per via sistemica senza adiuvanti tendono invece ad indurre tolleranza. La ragione è che gli adiuvanti stimolano la risposta innata e l’espressione dei costimolatori sulle APC. La somministrazione orale di un antigene proteico spesso porta a soppressione delle risposte immunitarie umorali e cellulomediate verso l’antigene: si parla di tolleranza orale. Questo fenomeno potrebbe essere necessario per evitare risposte immuni agli antigeni del cibo o ai batte ri commensali dell’intesti no. Diverse dosi di antigeni per via orale posso no indurre anergia o indurre cellule producenti citochine che inibiscono le risposte.
11.5 Omeostasi del sistema immunitario: terminazione delle normali risposte immuni L’attivazione e la morte dei linfociti sono aspetti importanti per mantenerne costante il numero durante la vita nonostante la produzi one continua di nuove cellule. Le risposte immunitarie agli antigeni estranei sono autolimitanti e si affievoliscono durante l’eliminazione degli antigeni facendo tornare il sistema allo stato basale di attività. A seguito della fase di eliminazione vi è una fase di contrazione in cui la maggior parte delle cel lule che hanno risposto all’antigene vengono perdute; questa fase è dovuta soprattutto alla morte per apoptosi dei linfociti attivati. Gli antigeni, i costimolatori e le citochine prodotte nelle risposte immun itarie prevengono l’apoptosi del linfocita soprattutto stimolando l’espressione di proteine anti-apoptotiche (soprattutto quelle della famiglia di Bcl-2). Quando viene eliminato l’antigene vengono dunque a mancanare i necessari stimoli alla sopravvivenza e si scatena l’apoptosi , che è principalm ente il risultato dell’attivazione di sensori di morte come Bim e della riduzione di prote ine per la sopravvivenza quali Bcl-2 e Bcl-x. A seguito del ritorno alla normalità l’unico segno di una risposta precedente è la persiste nza di cellule della memoria quiescenti ma dalla lunga vita media. Gli antigeni hanno anche la capacità di scatenare meccanismi attivi per terminare la risposta immunitaria; due di questi meccanismi sono stati già visti come legati alla tolleranza periferica dei linfociti T. Le cellule T attive esprimono CTLA-4, il quale interagisce con le molecole B7 per inibire la continua proliferazione linfocitaria; CTLA-4 appare dopo tre o quattro giorni dall’attivazione e può dun que avere ruolo nel declino della risposta linfocitaria. Altri recettori inibitori, ad esempio PD-1, possono servire a funzioni analoghe. Le cellule T attivate possono inoltre esprimere recettori di morte come Fas o ligandi per questi recettori, così che le interazioni possano p ortare ad apoptosi. Le risposte dei linfociti B sono inoltre attivamente controllate poichè gli anticorpi IgG prodotti dalle cellule B formano complessi con gli antigeni che si legano ai recettori Fc sul linfocita inibendolo: si tratta del processo di feedback degli anticorpi ( capitolo 10) Un altro meccanismo di regolazione per le risposte immunitarie adattative prende il nome di ipotesi vari e network. Quest’idea è basata sul fatto che i recettori antigenici sui linfociti sono estremamente che ognuno ha diversa s pecificità basata su sequenze diverse di aminoacidi. Queste sequenze uniche
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formano determinanti detti idiotipi che possono essere riconosciuti da altri linfociti come complementari, o anti idiotipici: in altre parole i linfociti sono in grado di rispondere ai recettori di altri linfociti. Secondo questa ipotesi dunque le varie interazioni tra idiotipi e anti-idiotipi portano ad un sistema di stato stazionario che caratterizza l’omeostasi. Non si sa con certezza se questa cosa accada sul serio.
Capitolo 12. Citochine Le citochine sono proteine prodotte dalle cellule dell'immunità sia innata che specifica in risposta ad antigeni.Uno specifico antigene(es intra o extracellulare)stimola la produzione di citochine specifiche che attivano precise risposte difensive. Le citochine nella fase di attivazione stimolano proliferazione e differenziazione,mentre nella fase effettrice attivano le cellule deputate all'eliminazione del microrganismo. Alcune inoltre stimolano il processo di ematopoiesi.Nonostante tra loro abbiamo moltissime differenze condividono alcune proprietà biologiche. La loro secrezione è un evento di breve durata e generalmente autolimitante. Non vengono immagazzinate ma prodotte exnovo ogni volta mediante nuova sintesi o meccanismi di modifiche post-trascrizionali. Le loro attività sono pleiotropiche,ovvero una citochina agisce su diversi tipi cellulari e ridondanti ,ovvero lo stesso effetto può essere indotto da diverse citochine. Le citochine possono influenzare la sintesi e le attvità di altre citochine agendo in sinergia o in antagonismo. Le loro azioni possono essere locali o sistemiche a seconda che la secrezione sia autocrina ,paracrina o endocrina. Svolgono le loro azioni legandosi a specifici recettori sulla cellula bersaglio con elevata affinità così che una bassa espressione di recettori sia sufficiente.I livelli di espressione dei recettori possono variare in risposta a segnali esterni. Nel caso dei linfociti ad esempio è il riconoscimento dell'antigene ad aumentarne l'espressività. La risposta cellulare in seguito a legame con citochine consiste generalmente in modificazioni dell'espressione genica spesso attivando geni silenti,inoltre specifiche citochine dette chemochine inducono modificazioni di affinità di specifici recettori senza interagire con la trascrizione.La risposta cellulare a citochine è fortemente controllata da meccanismi a feedback -negativo come fosfatasi,molecole che bloccano chinasi,inibizione dell'interazione dei fattori di trascrizione e attivazione di recettori inattivi che competono con le citochine. Classificazione: Citochine che regolano l'immunità innata: prodotte soprattutto dai macrofagi in risposta ad agenti infettivi che si legano ai
virale ecc).Queste sulledello cellule endoteliali leucociti e attivare la risposta adattativa eTLR(LPS,Rna mediano l'infiammazione. Sonoagiscono responsabili shock settico.eTNF,IFNL-1 richiamare e IL-12 le principali. γ,Iper Citochine che regolano l'immunità adattativa:sono prodotte soprattutto dai linfociti T e stimolano crescita e
differenziamento delle diverse popolazioni linfocitarie e l'attivazione delle cellule effettrici. Responsabili del danno tissutale e infiammazione granulomatosa. IFN-γ,IL-2,IL-4 e IL-5 le principali. Citochine che stimolano l'emopoiesi: prodotte da cellule stromali del midollo osseo e leucociti e stimolano crescita e
differenziazione dei leucociti immaturi. 12.1 Recettori
Tutti i recettori per le citochine sono composti da una o più proteine transmembrana contenenti un dominio extracellulare per il legame con la citochina e uno intracellulare per l'attivazione del segnale responsabile della ridondanza delle citochine.I recettori sono classificati mediante omologia strutturale: -Recettori di tipo 1:definiti anche dell'emopoietina legano citochine di tipo 1 ovvero che si ripiegani in quattro catene ad α elica.Questi recettori attivano la via del Jack-STAT. -Recettori delle IFN.di tipi 2:condividono mole analogie con quelli di tipo 1 ma cambiano le citochine leganti. Importante la famiglia -Recettori della famiglia di IL-1: condividono una sequenza citoplasmatica detta TIR. -Recettori per il TNF: -Recettori a sette domini transmembrana:sono accoppiati a proteine G.
-Recettori per la superfaglia delle Ig.
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12.2 Citochine che regolano l'immunità innata. -TNF(fattore di necrosi tumorale):
La principale sorgente è costituita dai fagociti mononucleati attivati.Lo stimolo più efficace è il legame ai TLR di componenti microbiche.L' IFN-γ prodotto dai linfociti T e Nk potenzia la produzione di TNF.Questo viene prodotto come proteina non glicosilata associata alla membrana e poi in seguito a scissione mediata a TACE viene secreto sotto forma di tronco di piramide .Esistono 2 recettori per TNF ,TNFR1 e TNFR2,l'1è espresso su quasi tutti i tipi cellulari,il 2 solo sulle cellule del sistema immunitario.Il legame ligando recettore provoca l'associazione citoplasmatica del recettore con le proteine TRAF che inducono l'attivazione del fattore NF-κB e AP-1 che codificano per una serie di proteine coinvolte nella risposta infiammatoria e nell'azione antiapoptotica.Infatti l'interazione di TNF può anche scatenare apoptosi se legata al recet tore poiché è presente a livello citoplasmatico un cosiddetto dominio di morte che porta all'apoptosi.I suoi prodotti genici sono in competizione con quelli di Ap-1. Il ruolo biologico di TNF è quello di indurre il reclutamento di neutrofili e monociti nel sito di infezione.Esso stimola le cellule endoteliali a esprimere molecole di adesione,le più imporanti sono le selettine e i ligandi per le integrine linfocitarie.Inoltre stimola queste cellule e i macrofagi alla produzione di chemochine che aumentano l'affinità delle integrine per i ligandi endoteliali. Nelle reazioni infiammatorie il TNF svolge un ruolo centrale tanto che quelle dannose per l'ospite come quelle autoimmuni possono essere minimizzate con anticorpi anti TNF. Se secreto in grandi quantità è in grado di entrare in circolo e scatenare numerose reazioni: -A livello ipotalamico sviluppa l'insorgenza della febbre stimolandolo a secernere prostaglandine -A livello epatico stimola la sintesi di proteine della fase acuta quali fibrinogeno e proteina amieloide. A concentrazioni elevate -A livello muscolare e adiposo causa un deperimento fisico detto cachesia andando a inibire l'appetito. -Può causare trombosi vascolare inibendo i fattori anticoagulanti e promuovendo la sintesi del fattore tissutale.Questa sua capacità di causare necrosi tissutale è proprio quella che gli ha dato il nome. Il cosiddetto shock settico caratterizato da collasso cardiocircolatorio,coagulazione intravascolare e alterazioni metaboliche è proprio dovuto in caso di sepsi gravi da una abnorme produzione di TNF. Alla famiglia dei TNF appartengono altri ligandi implicati in processi di attivazine cellulare come Fas,CD40,BAFF , APRIL e RANK. -Interleuchina 1: Ha moltissime cose in comune a TNF,i principali produttori sono i fagociti mononucleati e in aggiunta anche neutrofili e cellule endoteliali.Le attività biologiche sono pressochè identiche se non che IL-1 non è in grado di indurre apoptosi e a livello sistemico da sola non riesce a scatenare shock settico.Il recettore è invece differente ed è rappresentato dei recettori di tipo IL-1.Esitono due forme secrete di IL-1,α e β,quest'ultima necessita dell'enzima ICE per essere generata.L'interazione con il recettore fa associare una proteina adattarice al dominio TIR che poi andrà ad attivare i fattori di trascrizione AP-1 e NF-κB.Esiste un antagonista naturale alla IL-1 prodotto dai fagociti detto IL-1 ra utilizzato nella terapia soprattutto dell'artrite reumatoide giovanile. -Chemochine: Sono le citochine responsabili del direzionamento dei linfociti e della migrazione dal circolo ai tessuti.Alcune sono prodotte in risposta a una infezione e richiamano i linfociti nel focolaio,altre sono espresse costituitivamente e regolano il normale traffico leucocitario.Esistono 50 chemochine raggrupate in 4 famiglie:CC,CXC,C,CX3C.CC e CXC sono prodotte dai linfociti e cellule tissutali principalmente in risposta a citochine infiammatorie quali TNF e IL-1 o attraverso l'attivazione di TLR.I recettori per le chemochine sono costituiti da 7 domini transmembrana associati a una proteina G. Le chemochine coinvolte alla risposta infiammatoria sono prodotte da linfociti T e vanno ad aumentare l'affinità delle integrine linfocitarie per i lignadi endoteliali.TNF e IL-1 stimolano la produzione sia delle chemochine che dei ligandi per le integrine. Le chemochine regolano anche il normale processo di migrazione celllulare agli organi linfoidi.Essenziale ad esempio per l'incontro APC linfocita.Molte infezioni virali codificano recettori per chemochine che le sequestrano e che quindi rappresentano un valido meccanismo di elusione del sistema immunitario.Es herpes virus,citomegalovirus ecc.Inoltre cellule atipiche possono esprimere il cosiddetto recettore D6 che tuttavia è un falso recettore poiché non invia alcun segnale
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intracellulre.
-Interleuchina 12: Principale mediatore delle risposte innate a microrganismi intracellulari.Svoge inoltre un ruolo fondamentale in quelle cellulo mediate favorendo la produzione di IFN-γ da parte di NK e linfociti T e promuove il differenziamento dei CD4 a th1 che producono IFN-γ.Essa appartiene a una famiglia di 5 citochine le quali collaborano con lei ,da ricordare IL-23 per i Th 17. Le principali sorgenti di IL-12 sono i fagociti mononucleati e le APC attivate.La sua sintesi è indotta dall'attivazione di TLR e da infezioni intracellulari,alternativamente dal legame con CD40L espresso dai linfociti T CD4 o con IFNγ.Il recettore per IL-12 appartiene ai recettori di tipo 1 quindi attiva la via Jack STAT principalmente STAT4. Il-12 induce cellule Nk e linfociti T a produrre IFN-γ che andrà ad attivare nei macrofagi meccanismi battericidi.IL-12 assieme a IFN-γ induce il differenziamento in Th1 dei CD4 le quali a loro vola producono IFN- γ.IL-12 potenzia inoltre l'attività citotossica dei CTL. Risulta evidente come questa citochina rappresenti un importante punto di collegamento tra immunità innata ed adattativa stimolandole entrambe. -Interferoni di tipo 1. Gli IFN 1 (NB IFN- γ non vi
appartiene)sono una grande famiglia che mediano le fasi precoci della risposta innata a infezioni virali.Sono codificati da geni sul cromosoma 9.Il recettore per gli IFN1 appartiene ai recettori di tipo 2 associati a Jack1 e Tyk 2 che attivano STAT1 e STAT 2che attivano IRF9 che causa la trascrizione di geni detti ISRE.Esistono tuttavia altre vie di trasduzione.La produzione di IFN è scatenata dal riconoscimento di Rna virale da parte di TLR associate alle membrane endosomiali e RIG-1 e MDA a livello citoplasmatico e attivano IRF che ne induce l'espressione. Gli IFN vanno a inibire la replicazione virale mediante trascrizione di enzimi che degradano l'Rna virale,inoltre potenziano l'espressione di molecole MHC di classe 1 .Stimolano inoltre la sintesi di recettori per IL-12 potenziando la differenziazione in Th1 e ne promuovono il sequestro nei linfonodi.IFN inibisce infine la proliferazione di molte cellule tra le quali i linfociti. Interleuchina10:
linfocti regolatori e Rappresenta uno dei principali inibitori delleairisposte dell'ospite.Viene prodotta principalmente .Il suo recettore appartiene recettori di classe 2.Agisce sui macrofagi attivatidai bloccandone le attività macrofagi attivati
in modo da riportare il sistema immunitario allo stato di quiescienza.Lo fa inibendo la produzione di IL-12 e inibendo l'espressione delle molecole MHC 2 e costimolatorie. Interleuchina 6:
Prodotta dai fagociti mononucleati è coinvolta nell'immunità sia specifica che innata.Viene prodotta principalmente in risposta a TNF e IL-1 e con essi si rende responsabile dell'artrite reumatoide.Stimola la produzione di proteine dlla fase acuta dal fegato e la differenziazione dei neutrofili.Stimola la crescita dei linfociti B e la proliferazione delle plasmacellule neoplastiche.Per questa proprietà è molto utile nella produzione di ibridomi. Riassumendo TNF e IL-1 e chemochine agiscono nelle infezioni extracellulari sull'endotelio e sui linfociti per facilitare migrazione,Il-12 e IFN-γ in quelle intracellulari attivando i macrofagi ela produzione di IFN-γ.
12.3 Citochine che mediano la risposta adattativa.
Nella fase di attivazione dell risposta immunitaria specifica le citochine stimolano la proliferazione e differenziazione dei linfociti attivati dagli antigeni.La produzione di citochine è la risposta principale dei linfociti T dopo aver riconosciuto l'antigene. Interleuchina 2:
Importante fattore di crescita,sopravvivenza e differenziazione dei linfociti T.Agisce principalmente sulle cellule che la producono o su quelle vicine.L'espressione del suo anticorpo è stimolata dal processo di attivazione dei linfociti naive mediato dal riconoscimento dell'antigene.Nel caso dei linfociti regolatori essi esprimo costantemente i recettori per IL-
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2.Quest'ultima è indispensabile per la loro sopravvivenza e quindi anche per la salvaguardia delle risposte immunitarie contro antigeni self controllate da questi ultimi.Negli altri linfociti IL-2 stimola proliferazione e sopravvivenza inducendo la sintesi della proteina anti-apoptotica Bcl-2 e promuovendone l'entrata nel ciclo cellulare.Ugualmente nelle Nk dove ne stimola anche l'attività citotossica generando le cosiddette cellule killer attivate da linfochine.Induce infine proliferazione e sintesi di anticorpi nei linfocit B. Interleuchina 4.
Viene principalmente prodotta dai linfociti Th2 ed è la principale citochina responsabile dello scambio isotopico verso le IgE nei linfociti B. Le IgE sono i principali effettori verso elminti o artropodi,infezioni verso le quali si attivano Th2.Le IgE sono inoltre responsabili delle allergie(ipersensibilità immediata).IL-4 induce lo sviluppo dei CD4 verso i Th2 e ne induce la proliferazione inibendo invece lo sviluppo dei Th1.IL-4 assieme a IL-13 costituisce l'attivazione alternativa dei macrofagi.Si ipotizza inoltre stimoli la peristalsi Interleuchina 13.
Questa è associata alla IL-4 ed è prodotta sempre dai Th2 nelle infezioni da elminti e artropodi.Essa promuove la fibrosi nelle fasi di riparazione nei processi infiammatori cronici,stimola la produzione di muco e induce lo scambio di classe verso IgE nei linfociti B. Contribuisce dunque significatamente nella patogenesi dell'asma cronico. Interleuchina 5
Citochina di tipo 1 prodotta anch'essa dai Th2 ha come principale azione la stimolazione alla proliferarzione e differenziazione degli eosinofili. Interferone γ.
Rappresenta la principale citochina per l'attivazione dei macrofagi e svolge importanti funzioni sia nella immunità innata che cellulo-mediata contro i microrganismi intracellulari.La sua azione principale è quella di attivare le cellule effettrici,non rappresenta lui stesso una citochina antivirale.Viene prodotta dalle cellule Nk,CD8 e CD4th1 di cui ne rappresenta la principale funzione.Le cellule Nk la producono nell'ambito della risposta innata in seguiti a molecole attivatrici presenti su cellule danneggiate o infettate oppure in risposta a IL-12.Nella risposta adattativa è prodotta dai linfociti T in risposta al ricoscimento dell 'antigene e potenziata da IL-12.Il recettore appartiene ai recettori di tipo 2. Una volta prodotto IFN γ attiva i macrofagi a uccidere i microrganismi fagocitati assieme al legame CD40L- CD40.IFN γ promuove inoltre la differenziazione dei linfociti T naive verso i Th1 attraverso l'attivazione del fattore di trascrizione T-bet e
IL-12. inibisce quella dverso Th2.Questa promozione è effettuata anche mediante stimolazione dei fagociti a produrre Verso i linfociti B IFN γ promuove lo scambio isotopico verso determinate sottoclassi di IgG come le IgG2 e inibisce quello verso sottoclassi IL-4 dipendenti come le IgE.Le IgG indotte da IFN γ si legano ai recettori per Fcγ espressi sui fagociti e attivano il complemento.IFNγ stimola infine le APC nell'espansione delle MHC di classe 1, e 2 e di molecole costimolatorie.Complessivamente dunque promuove le reazioni infiammatorie in cui l'azione macrofagica è prevalente e inibisce quelle in cui prevale l'azione eosinofila.
TGF-β:fattore di crescita trasformante.
Assieme a IL-10 è il secondo importante inibitore del sistema immunitario.Possiede tuttavia anche capacità proinfiammatorie.Viene prodotto da linfociti T stimolati dall'antigene (in particolare da una sottopopolazione detta Th3o regolazivi)e macrofagi attivati.Viene sintetizzato come precursore poi attivati proteoliticamente.Il suo recettore è costituito da 2 proteine ALK5 e TGF-βR2 che trasducono il segnale attraverso una serina/treonina chinasi che attiva dei fattori detti Smad .TGF-β inibisce la proliferazione e differenziazione dei linfociti T e l'attivazione dei macrofagi.In questo modo svolge l'importante ruolo di attenuare e terminare le risposte immunitarie e infiammatorie.Può bloccare la differenziazione in th1 e th2 promuovendo inoltre quella verso th17 che sono linfociti porinfiammatori.Agendo sui linfociti B promuove lo scambio isotopico verso le IgA che sono quelle coinvolte nelle risposte immunitarie a livello delle mucose.Regola infine il processo di riparo del danno tissutale mediante stimolazione nei macrofagi e fibroblasi alla sintesi di collagene.Per tutte queste sue capacità possiede capacità sia oncogeniche che antitumorali. Altre citochine:
prodotta dai linfociti T mostra omologia con TNF e interviene nella regolazione dell'infiammazione acuta attivando cellule endoteliali e neutrofili fungendo da ponte tra l'infiammazione e l'attivazione dei linfociti T.Tuttia questa non è rilevabile in circolo e non è dunque in grado di indurre danni a livello sistemico come invece fa TNF.LT è necessaria per lo sviluppo degli organi linfoidi. BAFF e APRIL appartengono alla famiglia di TNF e sono strettamente correlati con la sopravvivenza dei linfociti B Lt
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IL-17 è prodotta da
i linfociti Th17 e comprende 6 citochine con proprietà di difensa nella infezioni batteriche ma anche in grado di promuovere gravi danni tissutali durante reazioni di ipersensitività. Riassumendo microrganismi intracellulari stimolano i Th1 a produrre IFN γ che attiva i macrofagi all'eliminazione dei batteri intracellulari e stimola la produzione di anticorpi.Tutto amplificato da IL-12. Microrganismi extracellulare pluricellulari stimolano i Th2 a produrre IL-4 e IL-5 stimolando la produzione di IgE.
12.4 Citochine che stimolano l'ematopoiesi. Siccome durante le risposte immunitarie vi è il comsumo di leucociti in periferia,è necessario che vi sia una temporanea nuova produzione di leucociti a livello centrale.Temporanea perchè deve solo riportare il numero a valori normali.Questa stimolazione è svolta da determinate citochine chiamate CSF(colony stimulating factors) 63 Ligando c-Kit:
Le cellule staminali esrimono un recettore codificato dal proto-oncocene c-Kit.La citochina che interagisce con tale recettore è prodotta principalmente dalle cellule stromali del midollo GM-CSF,M-CSF,G-CSF
G-CSF:Appartiene al gruppo dei fattori di crescita, che hanno il compito di indurre differenziazione delle cellule staminali totipotenti, determinando anche l'attivazione dei corrispondenti elementi maturi. Tutti i fattori di crescita inoltre sinergizzano le azioni di molte altre citochine, come IL-1, IL-4, IL-5, IL-6. Viene prodotto da linfociti T, fibroblasti, cellule endoteliali,monociti e, come dimostrato recentemente, dai linfociti B. Le sue principali funzioni si possono così riassumere: a- attività sui precursori dei granulociti neutrofili; b- attivazione dei neutrofili e loro attività fagocitaria; c- stimolazione dell'ADCC (nei neutrofili). GM-CSF:E E' il fattore stimo lante le co lonie macrofagiche-granulocitar ie.Prodotto pr prevalentemente da linfo cit i T attivati, fibr brobl blast i, cellule endot elia li e linfocit i B, è in grado di st imo lare la pr produzione sia di granulocit i che d i macrofagi, nonchè la loro attività. Eccone di seguit o le pr principa pali funzioni: a- pr proliferazio ne delle co lonie granulocit iche e macrofagiche; bb- incremento dell'attività di neutrofili, eosinofili, ba baso fili e macro fagi; dc-- satziimoonelaszuiollnaelidneelal'AmDegCaCc(acroioncvitaicraieecseulllulalepr peroffdeuttzriiocin)e. di pi piastrine; e- azione sulle cellu le del Langerhans( in quanto cellu le pr processant i l'ant igene a livello cut aneo. Vengono utilizzate per il recupero delle funzionalità midollari in pazienti sottoposti a chemio o trapianto di midollo. Eritropoietina(Epo)
Promuove la produzione di globuli rossi ed è prodotta dal rene in seguito a ipossia.
Capitolo 13. Meccanismi effettori dell'immunità cellulo-mediata. La risposta cellulo-mediata è la funzione effetttrice dei linfociti T e serve come meccanismo di difesa contro i microrganismi che sopravvivono all 'interno delle cellule.Tale risposta viene attivata dal riconoscimento degli antigeni espressi sulla superficie delle cellule infettate da parte dei linfociti T .Molte reazioni mediate dai linfociti T sono importanti anche nel rigetto da trapianto e malattie autoimmuni. La risposta consiste nello sviluppo di Linfociti T effettori a partire da linfociti T naive negli organi linfoidi secondari e successiva migrazione di questi nel focolaio di infiammazione .Qui avviene l'attivazione di questi linfociti T effettori che porta all'eliminazione del microrganismo o della cellula infettata. 13.1 Tipi di reazioni cellulo-mediate
La risposta cellulo-mediata verso microrganismi fagocitati e collocati nei fagosomi è mediata dai linfociti CD4 Th1.Avendo molti microrganismi sviluppato la capacità di sopravvivere all'interno dei fagociti è resa necessaria questa cooperazione con i TH1 che rappresenta un punto di communicazione tra immunità innata ed ascuisita. La risposta verso microrganismi che invece sopravvivono nel citosol (soprattutto virus) è mediata dai linfociti CD8 detti CTL che vanno ad uccidere l'intera cellula infettata.
La reazione verso gli elminti è mediata dai linfociti CD4 Th2.Alcune risposte intracellulari innate sono date dalle cellule Nk. L'attivazione macrofagica e la risposta infiammatoria mediata dai linfociti T possono provocare un danno tissutale,reazione detta ipersensibilità di tipo ritardato o DTH e rappresenta il principale meccanismo di danno tissutale in malattie autoimmuni. 13.2 Linfociti CD4 effettori.
Esistono distinte popolazioni di linfociti TCD4 che si distinguoni sia per il tipo di citochine prodotte che per le funzioni effettrici. Sottopopolazion i T h1 e TH 2.
Le sottopopolazioni meglio definite sono le Th1 e Th2:I FN-γ contraddistignue i TH1 mentre IL-4 e IL-5 i TH2.Queste citochine determinano le funzioni effettrici delle due sottopopolazioni ,inoltre partecipano attivamente al loro sviluppo ed espansione.Queste citochine fanno si che la risposta sia polarizzata verso una sola delle due sottopopolazioni favorendone lo sviluppo e attivazione della propria e inibendo quello dell'altra. Entrambe le popolazioni srcinano da precursori comuni e sono proprio queste citochine a rappresentare lo stimolo che determina in quale popolazione si differenzieranno: -Th1:la differenziazione a Th1 è stimolata dalla presenza di batteri intracellulari.Queste infezioni vanno attivare le risposte immunitarie innate e la consequente produzione di citochine comeIL-12 ,IL 18 e interferoni di tipo 1.Il principale segnale determinante è il riconoscimento dell'antigene associato a IL-12 e IFN- γ. Alcuni microrganismi legano i TLR macrofagici e attivano direttamente la secrezione di queste citochine. Altri stimolano le Nk a produrre I FN-γ che poi stimola i macrofagi a produrre IL12. I linfociti possono ulteriormente potenziare la produzione di citochine da parte dei macrofagi e attivare risposte supplementari mediante l'interazione CD40-CD40.Il fine ultimo delle cellule TH1 è quello di attivare i macrofagi all'eliminazione del microrganismo mediante secrezione di IFN-γ e legame CD40l-CD40. Il riconoscimento dell'antigene(quindi stimolo del complesso TCR=tcr+CD28) e la contemporanea stimolazione di IFN- γ attiva il fattore di trascrizioneSTAT1 che ativa il fattore T-bet che induce la produzione di IFN- γ.La stimolazione con IL-2 indispensabile per innescare la risposta attiva il fattore STAT4 che anch' esso andrà a indurre T-bet e quindi la produzione di IFN-γ. -Th2:la differenziazione avviene in risposta ad elminti.Il fattore scatenante è IL-4 che attiva STAT6 che assieme al segnale inviato dal TCR in seguito al ricoscimento dell'antigene mi va ad attivare il fattore di trascrizione GATA-3 quale attiva l'esspressione di geni per IL-4,IL-5,IL13,inoltre rende la differenziazione unidirezionale andando a inibire la sintesi della catena per il recettore di IL-12.Le prime molecole di IL-4 necessarie per dare via all'attivazione si presume siano secrete dal linfocita a partire dalla loro iniziale attivazione e se poi l'antigene stimolante persiste la concentrazione di IL-4 aumenta e innesca il processo di differenziazione.Quindi alte concentrazioni di antigene anche senza adiuvanti riescono a portare la differenziazione verso Th2.
Sottopopolazion e Th 17:
Recentemente identificata la sottopopolazione Th17 è distinta dalle due sopracitate tant'è che le citochine prodotte da Th1 e Th2 vanno a inibire la differenziazione in Th17.Questa popolazione produce IL-17,IL22.Si differenziano a partire dagli stessi progenitori di TH1e2 in seguito a stimolazione dell'antigene e in presenza di TGF-β,IL-6 e IL-1.Si è ipotizzato che IL-6 sia prodotta precocemente dal tessuto danneggiato che sia da sola sufficiente ad innescare la differenziazione mediata dai fattori di trascrizioneRORγt e STAT3.La citochina IL-23 favorisce il mantenimento e la sopravvivenza dei TH17 e dunque in mancanza di T regolatori si instaura una risposta infiammatoria la cui durata dipende da Il-6 e Il-23.Lo scopo principale dei Th17 è di proteggere contro infezioni batteriche extracellulari e fungine.Si è scoperto essere la causa dellasclerosi multipla(anche se proprio il Prof Zamboni a Ferrara avrebbe confutato tale ipotesi trovandovi la cura) in cui ondate di Th17 danneggiavano la mielina cerebrale. 13.2.1 Risposte immunitarie mediate da th1
La principale funzione dei Th1 è la difesa mediata contro microrganismi intracellulari.L' IFN-γ prodotto attiva le attività microbicidiche dei fagociti e stimola inoltre la produzione di IgG opsonizzanti che fissano il complemento e facilitano la fagocitosi.I linfociti T esprimono dei recettori per chemochine e molecole di adesione che ne indirizzano l'azione.Inizialmente i macrofagi durante la reazione infiammatoria secernono TNF e IL-1 che stimolano le cellule endoteliali nel focolaio di infezione a esprimere selectine e liganti per integrine in grado di riconoscere i recettori di homing espressi sui linfociti T. Durante la maturazione i Th1 acqistano capacità di esprimere i recettori per E e P selettina,inoltre solo i Th1 esprimono recettori per le chemochine CXCR3 e CXCR5 che assicurano loro la corretta migrazione verso il
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focolaio infettivo. Una volta migrati e attivati dall'antigene loro stessi producono grandi quantita di citochine e chemochine per facilitare il complessivo processo di migrazione.Il passaggio dal circolo al focolaio è indipendente dalla specificità per l'antigene e assicura la massima possibilità di avere linfociti “utili”.I linfociti che riconoscono l'antigene ricevono segnai che aumentano l'affinità per le integrine soprattutto VLA-4 e VLA-5 rimanendo trattenuti in sede extravascolare mentre gli altri ritornano in circolo.In sede i linfociti Th1 attivano i macrofagi per mezzo sia di segnali provenienti dall'interazione con IFN-γ sia dall'interazione CD40L-CD40(CD40L è espresso solo dopo l'attivazione).L' IFN-γ attiva STAT-1 e IRF-1 metre CD40 attiva i fattori AP-1 e NK-κB.Questi fattori di trascrizione vanno ad attivare enzimi che creano intermedi reattivi dell'ossigeno come ossido di azoto ed enzimi lisosomiali che uccidono i microrganismi.Tali intermedi tuttavia creano un certo danno tissutale che viene però riparato mediante rimozione delle componenti danneggiate,formazione di nuovi capillari e sintesi di collagene.Tutti effettuati dai macrofagi attivati.I macrofagi attivati innescano inoltre un processo infiammatorio mediante secrezione di TNF e IL-1,chemochine e mediatori lipidici finalizzato a richiamare neutrofili e monociti. DTH:il danno tissutale e l'infiammazione causati dai Th1 e macrofagi attivati sono i segni caratteristici delle cosiddette reazioni di ipersensibilità di tipo ritardato o DTH. Queste appartengono
alle malattie infiammatorie immuno-mediate.Una volta attivato il sistema cellulo -mediato nel caso lo stesso antigene si ripresenti detto richiamo questo stimolerà la risposta immunitaria in modo massiccio e andrà a provocare appunto una reazione DTH.La caratteristica risposta DTH evolve nell'arco di 24-48 ore.Dopo 4 ore dal contatto con l'antigene i neutrofili si raccolgono attorno alle venule post-capillare;dopo 2 ore anche linfociti T e macrofagi.Le cellule endoteliali diventano permeabili alle macromolecole plasmatiche. L'accumulo di fibrina e linfociti T a livello extravascolare determina un rigonfiamento della zona e successivo indurimento evidenti a circa 18 ore dal richiamo e raggiungono la massima entità nelle 24-48 ore successive. La rezione DTH è utilizzata per diagnosticare eventuali infezioni pregresse a determinati antigeni.Nel caso si sfruttino antigeni ubiquitari è normale la reazione DTH e dunque una sua assenza evidenzia un deficit immunologico noto come anergia.Nel caso in cui i macrofagi attivati non riescano comunque a eliminare i microrganismi fagocitati in quel caso può instaurarsi una reazione DTH cronica causando oltre al danno tissutale anche deposito di tessuto connettivo(fibrosi)come ad esempio nella tubercolosi;si aggiunge la formazione di noduli di tessuto infiammatorio formato dai macrofagi che circondano l'antigene detti granulomi.
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13.2.2 Risposte immunitarie mediate dai linfociti Th2.
La risposta immunitaria mediata dai Th2 ha la principale funzione di promuovere la produzione di IgE e attivare le risposte immunitari mediate da mastociti e eosinofili nei confronti di infezioni elmintiche.Gli elminti sono troppo grandi per essere fagocitiati e troppo resistenti per i comuni microbicidi.I Th2 secernono Il-4 e Il13 che stimolano la produzione di IgE che opsonizzano il parassita e interagiscono con i recettori Fc ε dei mastociti che possono degranulare i loro contenuti:ammine vasoattive,TNF,e mediatori lipidici tutti in grado di produrre infiammazione. IL-5 la quale va ad attivare direttamente gli eosinofili in contatto con l'elmina che iniziano a Isecernere Th2 producono inoltre proteina basica maggiore e proteina cationica maggiore è in grado di intaccare i robusti elminti. Il-13 e IL-4 sono anche in grado di attivare i macrofagi M2 mediante la “attivazione alternativa”(quindi non la “classica”mediante IFN-γ che attiva i macrofagi M1)a esprimere i recettori per il mannosio ed enzimi che promuovono la sintesi di collagene,fibrosi e citochine antiinfiammatorie. Questi contribuiscono alla formazione dei granulomi e al rimodellamento dl tessuto danneggiato.IL-13 pare stimoli anch ela produzione di muco mentre IL-4 la peristalsi intestinale. L'homing selettivo dei Th2 è mediato da particolari recettori per chemochine CCR3,4 e 8 che legano particolari citochine espresse nei focolai di infezione da elminti o nel corso di allergie. Le risposte di tipo TH2 sono infatti la principale causa di allergia.
13.3.Risposte mediate dai linficiti CD8 e ffettori:CTL
I CTL CD8 sono linfociti T effettori che eliminano le cellule infettate da microrganismi intracellulari.La modalità di sviluppo è simile ai CD4:vi è stimolazione dei CD8 naive con l'antigene nel linfonodo,si assiste a una proliferazione,differenziazio e migrazione nel sito di infezione alla ricerca delle cellule infettate e successiva uccisione di quest'ultime. L'uccisione di una cellula è antigene -specifica e contatto-dipendente.I CTL uccidono solo le cellule che presentano associato a Mhc di classe 1 l'antigene che ne ha indotto la differenziazione nel linfonodo.Affinchè vi sia la liberazione dei granuli citotossici i CTL devono legarsi alla cellula bersaglio.I punti di ancoraggio sono il legame TCR antigene-Mhc,il legame del cofattore CD8 e l'adesina LFA-1 che si lega a ICAM-1 espresso sul bersaglio.Questi legami vanno a definire la cosiddetta sinapsi immunologica che rappresenta un punto di contatto tre le due membrane.Il legame LFA-1 e ICAM-1 va a costituire uno spazio isolato in questo anello di contatto nel quale si possono identificare due regioni:la regione di trasduzione del segnale e quella del dominio secretorio.I CTL esprimono anche recettori KIR tipici delle NK che riconoscono MHC di classe 1 anche in assenza di peptide e inviano segnali inibitori alle CTL in modo da salvaguardare cellule non infettate e gli stessi CTL.I CTL esprimono inoltre il recettore NKG2D che riconosce molecole MHC modificate magari da tumori o dall'infezione. Entro pochi minuti dal riconoscimento la cellula bersaglio va incontro ad alterazioni che la porteranno nell'arco di 2-6 ore
alla morte.Nel frattempo le CTL si distacca dal bersaglio.Il CTL trasmette il cosiddetto colpo letale costituito dal rilascio di granuli contenenti vari enzimi tra cui granzimiA,BeC,perforina,serglicina,granulisina,catepsina B. La perforina e la granulisina associate ai granzimi e alla serglicina perforano la membrana e distruggono le proteine.La catepsina B impedisce l'autodegradazione. Un secondo meccanismo di uccisione sfrutta il legame tra FasL espresso dai CTL attivati e il suo recettore espresso da vari tipi cellulari attivando una caspasi che induce apoptosi cellulare e degradazione del Dna con conseguente eliminazione della potenziale sorgente infettante. 13.4 Linfociti T della memoria
Le risposte immunitarie portano alla produzione di linfociti T della memoria a partire da intermedi sia di CD4 che di CD8.Possono derivare da Th1 o Th2 gia differenziati o meno e da CD8.I linfociti T della memoria si possono dividere in due popolazioni: Linfociti T di memoria centrali:che
esprimono CCR7 e L-selettina e ch quindi migrano nei linfonodi dove non svolgono particolari funzioni effettrici ma piuttosto in caso di riincontro dell'antigene danno via a una decisa proliferazione che darà srcine a una numerosa progenie effettrice. Linfociti T di memoria effettrici:questi non esrpimo né CCR7 né L selettina e dunque continuano a tessuti periferici e una volta riattivati secernono IFNγ senza però proliferare attivamente.
migrare attraverso i
La rispota vera e propria dunque è attuata da queste ma dipende direttamente dal grado di proliferazione attuato a monte da quelli centrali. Le cellule della memoria possono permanere per anni e questo mantenimento dipende da citochine costitutivamente presenti nei tessuti.La principale è IL-7 necessaria anche per il mantenimento dei linfociti naive.Per i linfociti di memoria Cd8 pare sia richiesta anche IL-15.Queste citochine assicurano un basso ma costante livello proliferativo indipendente dal riconscimento antigene-MHC.
Capitolo 14. Meccanis mi eff ettori d ell’immuni tà umorale L’immunità umorale è mediata dagli anticorpi di secrezione nel suo ruolo di difesa da microbi extr a- cellulari e tossine microbiche. I tipi di organismi che vengono combattuti con questo tipo difesa sono batteri extracellulari, funghi di e occasionalmente parassiti intracellulari obbligati momento al di fuori della cellula. di esposizione
14.1
nel
Caratteristiche generali dell’immunità umorale
Le funzioni principali degli anticorpi sono la neutralizzazione e l’eliminazione di microbi infettivi e tossine microbiche. Le caratteristiche principali di questi meccanismi sono: 1. Gli anticorpi sono prodotti dai linfociti B e dalle plasmacellule negli organi linfoidi e nel midollo, ma la loro azione si svolge a siti distanti da q uelli di produzione. Gli anticorpi sono inoltre at- tivamente trasportati attraverso la plac enta nella circolazione del feto in sviluppo. Per contrasto nell’immunità cellulomediata i linfociti T non sono trasportati nelle secrezioni delle mucose e non sono in grado di varcare la barriera placen tar e. 2. Gli anticorpi possono derivare sia da plasmacellule a lunga vita che a breve a seguito dell’atti- vazione di linfociti B naive o della memoria. La prima esposizione all’antigene porta all’attivazione dei linfociti B naive e alla loro differenziazione in plasmacellule o cellule della memoria. Una suc- cessiva esposizione porta all’attivaz ione delle cellule della memoria e a una più ampia e rapida risposta anticorpale. Le pla smac ellule der ivate prima nelle risp oste immunitarie mentre swtich dell’is di solito e con tendono a migrare nel hanno e abreve la otipo metà midollovita persistere perquelle anni;più in tardive un individuo sa no almeno delle IgG circolanti sono dovute alla produzione da parte di queste cellule a lunga vita midoll ari. 3. Molte delle funzioni effettrici degli anticorpi sono mediate dalle regioni costanti delle catene pe- santi; diverse catene possono av ere diverse funzioni effettrici. Il sistema umorale è specializzato in modo tale che diversi microbi o antigeni stimolino lo switch da parte dei
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I principali stimoli allo switch sono le linfociti verso il tipo di Ig migliore per combatterli. citochine derivate dagli helper insieme a CD40L; diversi tipi di microbi stimolano la differ enziazione degli helper in diversi sottogruppi, ad esem pioT H 1oT H 2, che producono citochine diverse e inducono switch diversi, esempi:
(a) I virus e molti batteri stimolano le risposte T H 1con produzione di I gG che legano fa gociti, natural killer e attivano il compleme nto. (b) I parassit i elm int ici stim ola no risposte T H 2con produzione di Ig E che legano e attivano mast ociti e basofili le cui citochine attivano gli eosinofili, particolarmente ef ficaci nell’ eliminar e questi pat oge ni. 4. Anche se molte delle funzioni effettric i sono mediate dalle regioni scatenate dal legame dell’antig ene alle regioni variab ili.
14.2
costanti, tutte sono
Neutralizzazione di microbi e tossine
Gli anticorpi contro microbi e tossine bloccano il legame di questi a recettori cellulari in modo da neu- tralizzarne l’infettivi tà. Molti microbi entrano nella cellula ospite legando particolari molecole di super - ficie a proteine o lipidi di membrana; gli anticorpi che legano queste strutture microbiche inter feriscono con la loro capacità di interagire con i recettori cellulari e posson o dun que prevenire l’infezione a causa dell’ingombro sterico. In alcuni casi b astano pochissime molecole di anticorpo per ave re variazioni conformazionali nelle molecole del pato geno che inte ragi scono con la cellula: si può ave re dunque un effetto allosterico dovuto agli anticorpi. Molte tossine microbiche mediano inoltre i loro effetti patolog i- ci sempre legando sp ecifici recettori cellulari: gli anticorpi anti-tossine blocca no sterica me nte queste interazioni e impediscono alla tossina di danneggiare l’ospite . La neutral izzazione anticorp o mediata di microbi e tossine richiede solamente le regioni leganti l’anti gene dell’antic orpo, quindi può e ssere mediata da qualsiasi isotipo circolante o nelle secr ezioni mucosali. La maggior part e degli anticorpi neutralizzan ti nel sangue è di tipo IgG, mentre nelle muc ose la maggior parte è IgA. Gli anticorpi più ef ficaci nell’atto della neutralizzazione sono quelli a più alta af finità, quelli cioè risultanti dal processo di maturazione . 14.3 Opsonizzazione anticorpo -mediata e fagocitosi Le IgG ricoprono, cioè opsonizzano, i microbi e ne promuovono la fagocitosi legandosi ai recettori Fc dei fagociti. I fagociti mononucleati e i neutr ofili ingeriscono i microbi come preludio all’uccisio ne e degradazione; queste cellule espr imono di loro una varietà di TLR che legano direttamente i microbi, anche in assenza di anticorpi, fornendo uno dei meccanismi d ell’immunità di attivazione del complemento C3b innata. I microbi possono essere opsonizzati anche dal prodotto e fagocitati grazie al recetto re per que sta mol eco la pres ente sui leucociti. Il proc esso di copertura del microbo è detto opsonizzazione e le sostanze in grado di farlo, tra le quali gli anticorpi e le prote ine del complemento, sono dette opsonine. 14.3.1 Fagociti e recettori Fc
Recettori Fc per diversi isotipi delle catene pesanti degli anticorpi sono espressi su molte popolazioni leucocitarie; di questi recettori i più importanti nella fagocitosi delle particelle opsonizzate sono quelli per le catene pesanti delle IgG, detti recettoriF cγ. Esistono tre recetto riF cγcon diverse affinità per le varie sottoclassi di IgG. Il principale recettoreF cγè dettoF cγRIe lega fortemente ne ll’uomo sia IgG1 che IgG3.F cγRIè composto da una catena alfa contenente la regione che lega Fc in associazione con un omodimero di una proteina segnalatrice detta catenaF cRγ, omologa alla catenaζdel
TCR. Le sottoclassi di IgG che legano in modo più efficace i recettori sono le opsonine più efficienti per promuovere la fagocitosi: IgG1 ed IgG3.F cγRIlega gli anticorpi leg ati agli antigeni in modo più efficace rispetto agli anticorpi liberi. Inoltre l’attivazione del recettore richiede che questo si raggruppi nel piano della membrana, qualcosa che può succedere solo se l’attivazione è mediata da un antigene legato ad IgG. Il legame del recettore Fc sul fagocita con l’antigene
opsonizzato porta alla fagocitosi della particella e alla sua internalizzazione in un fagosoma che si porta a fondersi con il lisosoma generando un fagolisosoma. Il legame di particelle opsonizzate al recettore attiva i fagociti grazie al segnale trasdotto dalla catena F cR γ; questa catena
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contiene dei domini ITAM sul suoi lato citoplasmatico. L’accumulo dei recet - tori dovuto all’antigene opsonizzato porta all’attivazione di una chinasi che fosforila il dominio ITAM contribuendo al reclutamento e all’attivazione del la tirosin chinasi Syk e la conseguente apertura di vie di segnalazione. L’induzione del segnale delF cγRIfa scattare la produ
zione di diverse molecole microbicide. 1. Inizia la produzione dell’ossidasi fagocitica che catalizza la produzione di ROS citotossici per i microbi fagocitati. 2. Inizia la secrezione di enzimi idrolitici e ROS all’esterno del fagocita in modo da poter uccidere microbi extracellulari
troppo grandi per la fagocitosi L’espressione diF cγRIsui macrofagi è stim olata dall’interferon-γ. Gli isotipi anticorp ali che meglio legano i recettoriF cγsono prodotti dallo s witching indotto dallo stesso inteferone, inoltre questotimola s direttamente le attivita microbicid e
dei fagociti.
68
Il recettoreF cγRI I Bè un recettore inibit orio (→10.5) già visto nel co ntesto dei segnali inibitori per i linfociti B; si trova espresso in molte altre cellule immunitarie e presenta anch’esso un dominio ITIM. Nei fagociti la sua attivazione va ad attenuare la segnalazione da parte dei recettori attivanti tra i quali ancheF cγRI. Un trattamento em pirico ma utile per molte malattie autoimmuni è la somministrazione intravenosa di IgG che inducono l’espressione nei fagociti diF cγRI I Be quindi la consegn a di segnali inibitori che mitigano l’infiammazione.
14.3.2 Citotossicità cellulomediata anticorpo dipendente
Le cellule NK e altri leucociti legano le cellule opsonizzate con i recettori Fc e le distruggono nel processo di citotossicità cellulo mediata anticorpo dipendente (ADCC). Le NK usano il loro recettore per Fc, cioè F cγRI I I, per legare le cellule opsonizzate: questo è un recettore in grado di legare solo i complessi e mai l’anticorpo monomerico. L’attivazione del recettore porta le NK a sintetizzare e secernere citochinequali l’interferon-γoltre che a scaricare i contenuti dei loro granuli che mediano l’uccisione delle cellule bersaglio.
Eliminazione degli elminti anticorpo mediataI parassiti elmintic i (vermi) sono troppo grossi per essere fagocitati e resistono ai prodotti microbicidi di neutrofili e macrofagi ma possono essere uccisi da una proteina estremamente basica (detta proteina basica principale) contenuta nei granuli degli eosinofili. Le IgG e le IgA che ricoprono gli elminti po ssono legarsi ai recettori Fc degli eosinofili causan- done la degranulazione e il rilascio della proteina. In aggiunta le IgE riconoscono gli antigeni superficiali degli elminti e possono dar vita alla degranulazione locale dei mastociti le cui chemochine e citochine possono attrarre gli eosinofli nella sede di infezione.
14.4
Il sistema del complemento
Il sistema del complemento è costituito da proteine sieriche e di membrana che interagiscono tra l’oro e con altre molecole
immunitarie in modo regolato per generare prodotti la cui funzione è eliminare i microbi; le proteine del complemento sono in generale proteine plasmatiche normalmente inattive. Le principali caratteristiche di questo sistema sono: 1. L’attivazione del complemento richiede la proteolisi sequenziale di vari enzimi per generare nuovi complessi con
attività proteolitica. Le proteine che acquisiscono attività catalitica a seguito di azione di una proteasi sono dette zimogeni. 2. I prodotti dell’attivazione del complemento sono covalentemente attaccati alle superfici dei microbi o agli anticorpi a
loro volta legati a microbi o ad antigeni. La piena attivazione e le funzioni biologiche del complemento sono limitate alle superfici microbiche o ai siti dove gli anticorpi le gano gli antigeni enon capitano mai nel sangue. 3. L’attivazione del complemento è inibita da proteine regolatrici presenti normalmente sulle cellule dell’ospite ma assenti
su quelle microbiche. proteine minimizzano i danni derivanti dal compl emento all’host e allo permettono l’attivazione Queste del sistema a danno dei microbi.
stesso tempo
14.4.1 Vie di attivazione del complemento
Esistono tre vie di attivazione del complemento: quella classica mediata da certi isotipi di anticorpi, quella alternativa3 mediata direttamente dai microbi e quella della lectina attivata dall’riconoscimento di residui di mannosio. Le vie di
attivazione convergono nello spezzare la proteina più abbondante del complemento, C3. La via alternativa e della lettina
sono meccanismi effettori dell’immunità innata mentre quella classica è un componente fondamentale della risposta u morale
adattativa. L’evento centrale nell’attivazione del complemento è la proteolisi di C3 a generare prodotti biologi- camente attivi e il seguente legame covalente di uno di questi, C3b, alle superfici microbiche o all’an- ticorpo legato all’antigene. L’enzima C3 convertasi spezza C3 nei due frammenti C3a e C3b, mentre l’enzima C5 convertasi fa lo stesso con C5; i fram menti sono nominati “a” per il più piccolo e “b” per il più grande. C3b diviene covalentemente legato al microbo o all’anticorpo nella sede di attivazione del comple - mento. Tutte le funzioni
biologiche del complemento dipendono dalla rottura proteolitica di C3. Le vie di attivazione differiscono nel modo in cui C3b viene prodotto, ma seguono una sequenza comune a partire dalla rottura di C5. La via alternativaQuesta via risulta nella proteolisi di C3 e nel legame stabile di C3b alle sup erfici microbiche senza intervento di un anticorpo. La proteina C3 contiene un legame tioestere reattivo se- polto sotto un ampio dominio detto domino tioestere. Quando C3 viene spezzata, C3b subisce modifiche conformazionali che espongono il legame tioest ere.
Normalmente nel plasma C3 viene continuamente spezzata a bassi regimi per generare C3b nel processo detto di “tickover”. Una piccola quantità di C3b può dunque legarsi alle superfici cellulari attraverso il legame tioestere che reagisce con gruppi am- minici o polisaccaridici di proteine o polisaccaridi. Sequesti legami non si formano C3b rimane in fase fluida e il legame tioestere viene velocemente idrolizzato rendendo la proteina inattiva: l’attivazione del complemento non
può procedere. Quando C3b subisce le modifiche conformazionali espone anche un sito di legame per una proteina plasmatica detta fattore B. Il fattore B legato viene a sua volta spezzato da una serina proteasi plasmat- ica detta fattore D: questo genera un frammento Ba e un frammento Bb che rimane attaccato a C3b. Il complesso C3bBb è al C3 convertasi della via alternativa: spezza più molecole di C3 che generano C3b che rimane attaccato alla cellula e C3ache viene invece rilasciato. Se il complesso C3bBb viene formato su cellule di mammifero viene rapidamente degradato grazie a diverse proteine; la mancanza di queste proteine sui microbi consente l’attivazione della convertasi. In aggiunta un’altra proteina della via
alternativa, la properdina, può legarsi e stabilizzare il complesso e questo è favorito sulle cellule microbiche: la properdina è l’unico regolatore positivo conosciuto per il complemento.
Alcune delle molecole di C3b generate in questo modo si legano alla convertasi stessa con formazione di un complesso che contiene un misto di una molecola di Bb e due di C3b: questo è la C5 convertasi della via alternativa che spezza C5 iniziando gli ultimi step del’attivazione del complemento.
La via classica La via classica è in iziata dal legame della proteina del complemento C1 ai dominiC H 2 delle IgG o aiC H 3delle IgM che hanno legato un antigene. Nell’uomo le IgG più efficaci in questo amboto sono IgG1 ed IgG3. La proteina C1 è un complesso composto da C1q, C1r e C1s; C1q lega l’anticorpo mentre le altre due subunità sono proteasi. La subunità C1q lega in modo specifico le regioni Fc delle catene pesantiµe di alcuneγ. Ogni regione Fc de lla Ig haun
singolo sito di legame per C1q e ogni C1q deve legare almeno due catene pesanti per essere attivata: questo spiega perchè il complemento si attiva solo per anticopi legati ad antigeni e non per quelli liberi. La struttura pentamerica delle IgM può legare due molecole C1q alla volta e questa è una delle ragioni per cui questo anticorpo è più efficare nel legare il complemento rispetto ad IgG. C1r e C1s sono serina proteasi. L’attivazione di C1q porta all’attivazione enzimatica di C1r che spez- za e attiva C1s. La forma attiva di C1s spezza la proteina successiva della cascata, C4, generando C4a e C4b. C4 è omologa a C3 e C4b ha un legame tioestere interno simile a C3b che è in grado di legare complessi antigene-anticorpo: questo garantisce che l’attivazione proceda solo in caso controllato. La proteina successiva, C2, poi compl essa con C4b legata alla cellula e viene spezzata da una molecola C1s vicina in un frammento C2a solubile e uno C2b che rimane associato a C4b. Il complesso risul- tante C4b2b è la C3 convertasi della via classica. Il legame di questo complesso a C3 è mediato dal frammento C4b mentre la proteolisi è catalizzata da C2b. La rottura di C3 risulta nella rimozione del frammento C3a mentre C3b può formare legami covalenti con le superfici cellulari o con l’anticorpo dove il complemento è stato attivat o. Quando C3b è stato depositato questo può legare il fattore B e generare altra C3 convertasi lungo la via alternativa; l’effetto finale è l’amplificazione e centinaia o migliaia di C3b finiscono con il depositarsi.
Alcune delle molecole di C3b generate lungo la via classica si legano alla convertasi e formano il complesso C4b2b3b che funziona da C5 convertasi classica. Esiste una insolita via anticorpo indipendente della via classica nelle infezioni da pneumococco. I macrofagi splenici marginali esprimono una lectina di superficie detta SIGN-R1 che lega polisaccaridi pneumococcici e C1q; il legame del batterio o del polisaccaride alla lectina attiva la via classica e promuove la copertura del pneumococco con C3b.
69
La via della lectina La via della lectina è ativata in assenza di anticorpi dal legame di polisaccaridi microbici a lectine circolanti, come la lectina plasmatica legante mannosio (MBL) o le ficoline. Queste lectine solubili sono membri di una
famiglia di collectine e strutturalmente somigliano a C1q. MBL lega il mannosio insieme a serina proteasi MBL associate (MASP) come MASP-1, MASP-2 e MASP-3. Queste proteasi formano complessitetramerici simili a quelli formati da C1r e C1s e MASP-2 si porta a spezzare C4 e C2. Gli eventi seguenti sono identici a quelli della via classica. enerate nelle varie vie da il via agli ultimi passi dell’attivazion e del complemento che culminano nella formazione del complesso di attacco alla mem- brana (MAC). La convertasi genera un frammento C5a che viene rilasciato e uno C5b che rimane at- taccato alle proteine del complemento depositate sulla superficie cellulare. Le rimanenti proteine della cascate del complemento (C6, C7 e C8) sono strutturalmente correlate e non hanno attività enzimatica. Passi successivi dell’attivazioneLa C5 convertasi g
C5b mantiene transientemente una conformazione in grado di legare C6 e C7. La componente C7 del risultante complesso C5b,6,7 è idrofobica e si inserisce nel doppio strato fosfolipidico della membrana dove diventa un recettore ad alta affinità per C8. C8 è un trimero composto da tre diverse catene, una delle quali lega il complesso C5b,6,7 e forma un
eterodimero con la seconda catena; la terza si inserisce invece nel doppio strato fosfolipidico. Il complesso così creato, C5b-8 ha limitata capacità di lisare le cellule. La formazione del MAC è ottenuta dal legame di C9 al complesso. C9 è una proteina del siero che polimerizza al sito dove è legato il complesso C5b-8 e forma pori nelle membrane plasmatiche; questi pori permettono il passaggio di acqua e ioni e quindi la rottura delle cellule sulle quali MAC è depositato. 14.4.2 Recettori per proteine del complemento
Il recettore complemento di tipo 1 (CR1 o CD35), funziona principalmente per promuovere la fagocitosi delle particelle coperte da C3b o C4b. Questo recettore ad alta affinità per C3b e C4b è espresso soprattutto sulle cellule del sangue ma
anche sulle cellule dendritiche follicolari. I fagociti usano questo recettore per fagocitare le particelle opsonizzate. Il legame ligando-recettore trasduce inoltre segnali che attivano i meccanismi microbicidi del fagocita, soprattutto se anche il recettore Fcγè simultaneamente attivato. La funzione di CR1 negli eritrociti è invece di catturare gli immunocomplessi per consegnarli a milza e fegato dove vengono rimossi dai fagociti. Il recettore complemento di tipo 2 (CR2 o CD21) stimola le risposte immunitarie umorali migliorando l’attivazione dei linfociti B e promuovendo la ritenzione dei complessi antigene-anticorpo nei centri germinativi. CR2 si trova nei linfociti B e nelle cellule dendritiche follicolari. Il recettore lega i prodotti di degradazione di C3b, cioè C3d, C3dg e iC3b, che vengono generati dalla proteolisi mediata dal fattore I. Nei linfociti il recettore è espresso come parte di un complesso trimolecolare che include anche CD9 e TAPA-1; questo complesso consegna segnali al linfocita che ne migliorano la risposta all’antigene. Nell’uomo questo recettore è il bersaglio del virus di Epstein-Barr, causa della mononucleosi infettiva come anche di molti tumori maligni. Il recettore complemento di tipo tre (Mac-1, CR3) è un integrina con funzione recettoriale per il frammento iC3b. Mac-1 è espresso su neutrofili, fagociti e mastociti e sulle cellule NK. Il recettore consiste in una catena alfa legata non covalentemente ad una beta. Mac- 1 sui neutrofili e sui monociti promuove la fagocitosi dei microbi opsonizzati con iC3b, inoltre lega la molecola ICAM-1 promuovendo l’adesione stabile dei leucociti all’endotelio anche senza attivazione del complemento: questo porta a reclutamento leucocitario ai siti di infezione e danno tissutale. Il recettore complemento di tipo quattro (CR4) è un’altra integrina con la stessa catena beta di Mac -1 ma diversa catena alfa. Le funzioni sono simili a quelle di Mac-1. Il recettore del complemento della famiglia delle immunoglobuline (CRIg) è espresso sui macrofagi del fegato, cioè sulle cellule del Kupffer. Si tratta di un recettore che lega i frammenti C3b e iC3b ed è fondamentale per la clearance dei batteri opsonizzati e di altri patogeni ematici. SIGN-R1 è una lectina dei macrofagi marginali che riconosce polisaccaridi derivanti da preumococ- chi e lega anche C1q: è fondamentale nella clearance di questo tipo di batteri. 14.4.3 Regolazione dell’attivazione del complemento
La regolazione del complemento è mediata da parecchie proteine circolanti e di membrana di cui molte appartengono alla famiglia RCA (Regulators of Complement Activity) e sono codificate da geni omologh i collocati adiacenti nel genoma. La regolazione del complemento è necessaria per due motivi:
70
1. Il sistema si attiva spontaneamente in maniera blanda, ma se lasciato continuare potrebbe dan- neggiare cellule e tessuti nor mali. 2.
è necessario controllarlo perchè la Quando il sistema viene attivato opportunamente degradazione delle varie proteine potrebbe farle di f fonde re verso le cellule vicine e danneggiarle.
Molti meccanismi di controllo sono tesi a impedire la formazione o l’attività della C3 convertasi ne lle prime fasi di attivazione, o analogamente della C5 convertasi o infine del MAC. L’attività proteolitica di C1r e C1s è inibita da una proteina detta C1 inibitore (C1 INH), una Se C1q lega un anticorpo e serina protea si che mim a i normali substrati di questi enzimi. comincia l’atti- vazione, C1 INH diventa bersaglio della attività enzimatica: l’inibitor e viene spezzato e diviene legato covalentemente alle proteine del complemento, con il risultato che il complessoC1r 2 −C1s 2 si dissocia da C1q e la via classica viene inibita . Una patologia autosomica dominante, l’edema angioneurotico ereditario, è dovuto a una carenza di fluido nella di C1 INH. Le manifestazioni cliniche comprendono accumuli intermittenti acuti cute e nelle mucose che ca usano dolori addominali, vomito, diarrea e ostruzione delle vie aeree. In questi pazi enti i livelli pla sma tici di C1 INH sono ridotti a meno del 30% del normale: l’attivazione di C1 non è controllata e nemmeno il complemento in generale. e L’assemblaggio delle C3 e C5 convertasi è inibito da proteine regolatrici che legano C3b C4b sulle super fici cellulari. Se C3b si lega alla super ficie di una cellula normale di mammifero viene legato da parecchie proteine, tra cui MCP (Membrane Cofactor Protein), il recettore complemento tipo 1 (CR1), DAF (Decay Accelerating Factor) e fattore H. C4b in maniera simile viene legato da DAF, CR1, da C4BP (C4 Bingind Protein). Tutte quest e proteine inibiscono per via competitiva il legame de gli altri componenti del complesso convertasi, bloccando ulteriori progressi nella cascata di attivazione. Ovviamente queste proteine sono espresse nelle cell ule di mammifero ma non in quelle batteriche. DAF è una proteina di membrana legata a lipidi espressa su cellule endoteliali ed eritrociti. La al fallimento nella sua caren za dell’enzime richiesto a formare i legami proteina-lipide porta La patologia è espressione ed è alla base della patologia detta emoglobinuria parossistica notturna. caratterizzata da episodi ricorrenti di emolisi intravascolare, almeno in parte legati all’attivazione incontrollata del complem ento a danno dei globuli rossi: si ha così anemia emolitica cronica e trombosi venos a. C3b associato alle cellule viene degradato per via prote olitic a dal fatto re I, una serina proteasi plas- matica attiva solo in presenza di altre proteine regolatrici. MCP, il fattore H, C4BP e CR1 sono tutti cofattori per la degradazione mediata da fattore I di C3b e C4b. L’azione di questo fattore pr oduc e i frammenti C3b, C3dg e iC3b che non attivano il complemento ma sono comunque riconosciuti d ai recettori su fagociti e linfociti B. La formazione del MAC è inibita dalla proteina CD59 che funzio na incorporando in se stessa il MAC in fase di assemblaggio subito dopo l’inserzione del complesso C5b-8, in pratica inibisce l’aggiunta di C9. L’assemblaggio di MAC è inibito inoltre da proteine plasmatiche quali la pro tein a S che lega il complesso C5b,6,7 impedendone l’inserim ento nella mem b rana. 14.4.4 Funzioni del complemento
il complemento è stato attivato diventano ricoperti Opsonizzazione e fa gocitosiI microbi s ui quali da C3b, iC3b o C4b e fagocitati dal legame di queste proteine a recettori specifici su macrofagi e neutrofi li. C3b e C4b legano CR1 mentre iC3b lega Mac-1 e CR-4. Preso singolarmente CR1 non è suf ficient e a indurre fagocitosi , ma lo diventa se gli stessi microbi sono coperti da IgG che simultaneamente attivano i recettori F cγ. La fagocitosi C3b e iC3b dipendente è un meccanismo fondamentale di difesa sia per l’imm unità innata che per l’adatt ativa. Esempio di questa via è la difesa contro pneumococc hi e meningococchi. Questi batteri vengono legati dagl i anticorpi IgM i quali attivano la via classica d el complemento causando la clearance dei patogeni nella milza: questo è anche il motivo per cui i soggett i privi di milza sono più a rischio in queste infezioni. Stimolazione delle risposte infiammat orieI frammenti C5a,
C4a e C3a inducono risposte
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infi- ammatorie acute attivando mastociti e neutr ofili. Tutti e tre questi peptidi legano i mastociti causan- done degranulazione e rilascio di mediatori vasoattivi quali l’istamina; questi peptidi sono anche detti anafi latossine perchè scatenano risposte caratteristiche dell’anafilassi. Nei neutro fili C5a stimola in- oltre la motilità, l’adesione alle cellule endoteliali e (ad alte dosi) il burst ROS; questa molecola potrebbe inoltre agire direttamente respiratorio con pr oduzion e di sull’endotelio e indurre un aumento di per mea bilità e l’espressione della selectina P che promuo ve il legame dei neutr ofili. Gli effetti pr oin- fiammatori di C5a, C4a e C3a sono mediati da recettori spec ifici tra i quali il più stud iato è quel lo per C5a . Que sto rec etto re è di tipo accoppiato a proteina G e viene espresso su moltissime tipol ogie cellulari.
Citolisi complemento-mediataLa citolisi è media ta da MAC. La maggior parte dei patogeni ha sviluppato spesse pareti o capsule per impedire l’accesso a MAC alle loro membrane, per questo in realtà il sistema protegge ver so pochissimi tipi di batteri, tra i quali le Neisseri e.
ai comp lessi antigene anticorpo le proteine del Altre funzioni del complementoLegandosi comple- mento ne promuovono solubilizzazione e clearance fagocitar ia. Piccole quantità di questi complessi si formano frequentemente in circolo e se lasciate accumulare rischiano di portare a reazioni infia m ma- torie e danni tissutali. La formazione di questi immunocomplessi richiede interazioni tra le porzioni Fc di molecole Ig vicine: il complemento evita questo grazie all’ing ombro sterico delle sue componenti. La proteina C3d generata da C3 lega CR2 sui linfociti B facilitandone l’attivazio ne e l’avvio delle risposte immunitarie umorali. C3d viene generata quando il complemento è attivato da un antigen e o da un complesso antigene-an ticorpo. I linfociti B possono legare l’antigene grazie alle loro Ig ma possono lega re anche C3d grazie a CR2, pot enziando in tal mo do la segnalazione. 14.4.5 Evasione del complemento
I meccanismi di evasione sfruttati dai microbi possono essere divisi in 1. Reclutamento delle p roteine regol atrici dell ’host. Molti
tre categorie:
patogeni esprimono a cid i sialici che
reclutano il fattore inibendo cosìdalle la via (il mentre fattore H separa C3bevol da Bb). Alcunidi pato geni sottragg onoHacido sialico cellalternativa ule dell’ host altr i han no uto metodi prod uzio ne a utonom i. 2. Produzione di prot eine specifiche che mimano quelle regolatrici umane.E.Coliproduce una pro teina che lega C1q e impedisce il legame con C1r e C1s.S.Aureusproduce la proteina SCIN che inibisce la C3 converta si. 3. Inibizione dell’infiammazione complemento
14.5
-mediata grazie a prodotti di geni microbici.
Funzione degli anticorpi in siti anatomici specifici
14.5.1 Immunità mucosale
IgA è la più importante classe di anticorpi in questo ambito. I tratti GI e respiratorio sono le più import anti sedi di ingresso di microb i. Nelle secre zion i m ucosali le IgA legano i m icro bi e le tossine nel lume e le neutral izzano impedendone l’ingresso. Il sistema immunitario mucosale è una collezione di linfociti e altre cellule organizzato in strutture anatomich e distinte sotto gli epiteli dei tratti GI e respiratorio. Si stima che un adulto produca due grammi di IgA al giorno, cioè il 70% del totale. Lo switch all’isotipo IgA è stimolato da citochine della famiglia del TNF tra le quali BAFF. La r agione dell’abbondanza di IgA nelle mucose è che lo switch avviene in modo più efficiente in questi tessuti mucosali, inoltre i plasmablasti IgA hanno particolare pro pens ione per la la mina propr ia intestinale. Le IgA secrete sono trasportate attraverso le cellule epiteliali grazie a un recettore Fc IgA specifico detto recettore poli -Ig. Questo recettore è sintetizzato dalle cellule epiteliali delle
72
mucose ed espresso sulle superfici basali e laterali . Quando l’IgA si lega al recettore questo viene end ocitato e trasportato attivamente dall’ altra part e dove viene po i spezzato per v ia prote olitica e si ha il rilascio dell’IgA in asso - ciazione ad un residuo del recettore detto componente secretorio. Questo recettore funziona soprattutto per le IgA ma è capace di trasportar e anche le IgM e questo ne giustifica il nome.
14.5.2 Immunità neonatale
I neonati non hanno la capacità di rispondere ai microbi per parecchi mesi dopo la nascita e la loro principale linea di difesa è l’immunità passiva dov uta agli anticorpi materni. Le IgG materne sono trasportate dalla placenta mentre un mix di IgA ed IgG viene trasportat o nel latte. Le IgA ed IgG ingerite possono neutralizzar e i patogeni che tentano di colonizzare i visceri, e le stesse sonomadre. poi trasportate in circolo; in sostanza un neonato contiene essenzialmente le stesseIgG IgG della Il trasport o delle IgG attraver so la placenta è mediat o da un recettore detto recettore Fc neona- tal e, unico in quanto assomiglia all e molecole MHCI. Nel periodo postn alate il recettore funziona nel proteggere gli anticorpi plasmatici dal catabolismo; si lega alle IgG circolanti, prom uove l’en docitosi dei com plessi e in questo mod o prot egge l’anticor po inter nalizzat o dalla degradazione intr acellulare, r iciclandolo poi di nuovo in cir colo.
Capitolo 15. 15.1
Immunità ai microbi
Caratteristiche generali
1. La difesa contro i microbi è mediata sia dall’immu nità innata che dall’i mmunità adattativa. Il sistema innato fornisce la prim a linea di difesa mentre quello adattat ivo fornisce una risposta alle risposte più sostenuta e vigorosa. Molti microbi hanno evoluto sistemi per sfuggire innate. Le risposte adattative sono generalmente più potenti per varie ragioni, tra le quali l’espansione del pool antigene-specifico dei linfociti e la specializzazione. 2. Il sistema immunitario risponde a microbi diversi in modo distinto massimi z- zare l’ef ficaci a.
e specializzato per
3. La sopravvivenza e la patogen icità del microbo nell’ospite sono influenzate in modo critico dalla capacità del patogeno di sfuggire o resistere al sistema im munitario. 4. In molte infezioni il danno tissutale dell’ho st più che dal mic robo in se.
15.2
e la patologia possono essere causate dalla risposta
Immunità ai batteri extracellulari
I batteri extracellulari sono in grado di replicare al di fuori della cellula ospite. La patologia è causata da due meccanismi principali: 1. Induzione dell’infiam mazione. Questo è causano infezioni suppurative nell’uomo.
il
meccanism o per cui molti cocchi piogeni
2. Produzione di tossine. Le tossine possono essere endotossine, cioè compone nti delle pareti del batterio, o esotossine, cioè prodotti di secrezione attiva.
15.2.1
Immunità innata ai batteri e xt racellulari
I principali mecca nismi sono l’attivazione del complem ento, la fagocitosi e la risposta infiamm atoria. Il peptidoglicano dei batteri Gram+ attiva la via alternativ a del complem ento promuove ndo la formazion e della C3 convertasi. Il LPS attiva anch’esso la via alternativa in assenza di anticorpi. I batteri che esp - rimono mannosio sulla loro
73
superficie possono legare la lectina attivando il complemento lungo ques ta via. Uno dei risultati dell’attivazione del comp lemento è l’opsonizzazione dei batteri, inoltre l’assemblag - gio del MAC è in grado di uccidere direttamente batteri quali le Neisserie. I prodotti del com plemento sono inoltre poten ti pro -infiammat ori che causano il reclutamento e l’attivazione dei leucociti. I fagociti usano vari recettori, tra cui q uelli per il mannosio e i TLR, per riconoscere i batteri e sfruttano quelli Fc e per il complem ento per legare cellule opsonizzate. In aggiunta i f agociti secernono citochine, che inducono filtrazione leucocitaria ai siti di infezione, quindi infiamm azione. I danni tissutali sono il lato patologico di questo comportamento, inoltre le citochine sono anche responsabili delle manifestazioni sistemiche, tra le quali febbre e sintesi di proteine di fase acuta. 15.2.2
Immunità adattativa ai batteri extracellular i
74 L’imm unità Le umorale è anticorpali la rispostasono protettiva batteri della extracellulari e alle loroe tossine. risposte dirette principale contro gli ai antigeni parete o direttament alle tossine che possono essere polisaccaridiche o proteiche. Le tossine polisaccaridiche sono proto tipi di antigeni tim o indipen- denti, e una funzione principale dell’immunità umorale è la difesa contro batteri la cui parete è ricca di polisaccaridi. I meccanismi principali sono neutralizzazione, opsonizzazione, fagocitosi e attivazione del complem ento. La neutrali zzazione è mediata da IgG ed IgA, l’opsoniz zazione da IgG e l’attiv azione del complemento da IgM ed IgG. Gli anti geni prot eici attivano inoltre i linfociti T helper che producono citoc hine per stimolare la sintesi di antic orpi, l’infiammaz ione e l’atti vità fagocitica. 15.2.3
Effetti dannosi delle risposte immunitarie
I principali ef fetti collaterali delle risposte a batteri extracellulari sono l’infiammazione e lo shock settico. Le reazioni infiammatorie, dovute agli stessi meccani smi che sradicano l’infezione, sono normalmente controllate e autolimitanti. Lo shock settico è la conseg uenza di infezioni disseminate da parte di batteri Gram- (e qualche Gram+) ed è caratterizzato da collasso cardiocircolatorio e coagulazione intravascolare disseminata. La fase precoce è causata dalle citochine macrofa giche prodotte soprattutto in rispos ta all’LPS; TNF è la princ ipale citoc hina mediatri ce dello shock, ma anche IFN -γe IL -12 hanno ruol o. Alcune tossine batterische stimolano tutti i linfociti T in un individuo che esprimono una particolare famiglia genica di recettori: sono i superanti geni. La loro importanza sta nel fatto che possono a ttivare m oltis simi linfoc iti, c on c onseg uente iperproduzione di ci tochi ne e shock. Una complicazione tardiva della risposta umorale può essere la generazione di anticorpi patogeni. La febbre reum atica è la sequela di un’infezione faringea da parte di alcuni streptococchiβ -emolitici; l’in - fezione porta alla produzione di anticorpi contro una proteina della parete batterica ma alcuni di questi cross-reagiscono con proteine del sarcolemma cardiaco con conseguente endocardite . La glomerulone- frit e strepto coccica è l a sequela anch’essa di infezioni con streptococchiβ -emolitici in cui gli a nticorpi formano complessi che si vanno a depositare nel rene causando la nefrite. 15.2.4
Evasione immunitaria de i batteri extracellul ari
Il principale mecca nismo di evasione dell’imm unità umorale è la antigeni superficiali. Esem pio è il principale antigene dei pili di escherichia: la pilina. I geni che la codificano subiscono pesante di uno di questi organismi può produrre più di un milione di
variazione genetica degli batteri tipo gonococco ed conversione e la progenie varianti che garantiscono
l’evasione all’attacco degli anticorpi - pilinaalla . Altre vie di evasione sono l’inibizio ne dell’attivazion e del comp lemento o la anti resistenza fagocitosi.
15.3
Immunità ai batteri intracellulari
I batteri intracellulari facoltativi possono necessaria l’immunità cellulo -mediata.
sopravvivere e anche replicare nei
fagociti:
è
15.3.1 Immunità innata ai batteri intracellulari
Questa risposta è mediata soprattutto da fagociti e natural killer. I fagociti, prima neutrofili e poi macr ofagi, ingeriscono e cerca no di distru ggere ques ti m icrobi che però resistono al loro interno. I batteri intracellulari attivano le NK in ducendo l’espressione di molecole NK attivanti o stimolando le cellule dendritiche e i macrofagi a produrre IL-12. Le cellule NK producono IFN -γche a sua volta attiv a i macrofagi e promuo ve l’uccisione dei batteri fagocitati. Le cellule NK forniscono una prima linea di difesa, ma solitamente questa immunità fallisce nello sradicare queste infezioni. 15.3.2
Immunità adattativa ai batteri intracellu lari
L’immunità cellulo -mediata consiste di due tipi di reazione:
75 1. Attivazione dei macrofag i grazie ai segnali dei linfociti T quali CD40L o IFN- γ 2. Lisi delle cellule infette da parte dei linfociti citotossici Sia le celluleC D4 + che leC D8 + rispondono agli antigeni proteici dei microbi fagocitati che sono presen- tati come peptidi sulle mol ecole MHCII o I. Le celluleC D4 + differenziano in effettoriT H 1dietro stimolo di IL- 12 prodotta dai macrofag i e dalle cellule dendritiche. I linfoci ti T esprimono CD40L e secer nono IFN- γe questi due stimoli attivano i macrofagi per produrre varie sostanze microbici de. L’interferon e stimola inoltre la produzione di isotipi anticorpali che attivano il complemento e opsonizzano i batteri per aiutarne la fagocitosi. I batteri fagocitati stimolano i linfocitiC D8 + se gli antigeni passano dal fagosom a al citosol o se il batterio scappa dal fagosom a. Nel citoplasma i mecca nismi microbicid i del fagocita sono inutili e l’infezione va estirpata uccidendo la cellula. L’attivazione macrofagica si ha in risposta a microbi intracellulari che possono anc he causare danno tissutale. Il danno può essere il risultato di ipersensibilità ritardata. I batteri intracellulari si sono evo- luti per resistere all’uccisione, e persistono spesso per lunghi periodi causando stimolazione antigenica cron ica dei linfoc iti e attivazione dei macr ofagi che possono risultare nella formaz ione di granulom i. La formazio ne di granulom i, principale segno istologico per alcune patologie, serve a evitare la diffusione dei microbi ma è anche causa di pesanti disfunzioni tissutali. Le differenze individuali nei pattern di risposta linfocitaria ai microbi intracellulari sono determi- nanti importanti per la progressione e l’esito della malattia: esemp io è la lebbra. Esistono due forme di lebbra, lepromato sa o tubercoloide. Nella forma lepromatosa i pazie nti hanno alti titoli di anticor - pi specifi ci ma debo li risposte cellu lom ediate; l’esi to evidente è la formazione di lesioni distruttive di cute e tessuti annessi. I pazienti con lebbra tubercolo sa hanno invec e forte immunità cellulomedia ta e pochi anti corpi: si sviluppano danni ai nervi periferici ma la distruzione tissutale è molto minore. La differenza tra le due patologie è il mod o in cui l’organism o risponde. 15.3.3
Evasione immunitaria dei batteri intracellulari
I meccanism i includono l’inibizione della fusione del fagolisosom a o la fuga nel citosol. La resistenza al- l’eliminazione per fagocitosi è la ragione per la quale questi batteri tendono a causare infezioni croniche che durano anni.
15.4
Immunità ai funghi
Sono diversi i funghi che infettano l’uomo e possono vivere sia in ambiente extracellulare che dentro i fagociti: le risposte sono dunque spesso combinazioni di quelle per batteri intra ed extracellulari. La differenza è che si sa poch issimo dell’attività antifungina delle varie sostanze.
15.4.1
Immunità innata ed adattativa ai funghi
I principali mediatori dell’immunità innata ai funghi sono neutrofili e macrofa gi. I neutrofili probabil- mente libera no sostanze antifu ngine com e i ROS e fagocita no i funghi. L’immunità cellulomediata è il meccanismo principale di protezione per queste in fezioni.
15.5 15.5.1
Immunità ai virus Immunità innata ai virus
I principali meccanismi sono l’inbizione dell’infezione grazie agli interferoni di tipo I e l’uccisione diretta delle cellule infette grazie alle NK. Sono molti i mecca nismi biochimi ci che portano alla sintesi degli IFN, ad esempio il riconoscimento di genomi esogeni grazie ai TLR o l’attivazione di chinasi citoplasmatiche. La funzione dell’interferone di tipo I è l’inbizione della replicazione virale sia in cellule infette che sane attivando uno stato antivirale. Una molecola chiave indotta dall’interferone è PKR, una chinasi che deve legare dsRNA per essere attivata, un tipo di acido nucleico presente nelle sole cellule infette. L’attivazione di PKR blocca la sintesi prot eica e causa quindi la morte della cellula. Le cellule NK riescono invece a riconoscere le cellule infette e ad ucciderle prima che l’immunità adattativa si scateni. 15.5.2
Immunità adattativa ai virus
Gli anticorpi bloccano il legame del virus ai recettori cellulari e i linfociti T citotossici uccidono le cellule infette. Gli anticorpi sono efficaci solo durante la fase extracellulare della vita virale, cioè prima dell’infezione o nel passaggio da cellula a cellula. Gli anticorpi di isotipo IgA sono importanti per questa risposta nell’ambito delle mucose. Ruoli aggiuntivi degli anticorpi sono l’opsonizzazione pro -fagocitosi e l’attivazione del complemento. L’impo rtanza dell’immunità umorale è evidente in quanto la resistenza ad un vi rus è spesso speci- fica per quel tipo sierologico di virus: ad esemp io esporsi al virus dell’influenza di un certo tipo non immunizza per gli altri. Quando il virus entra in una cellula diventa irraggiungibile per l’anticorpo: i vaccini dunque possono prevenire un’infezione ma mai curarne una già in atto. L’eliminazione di virus intracellulari è mediata dai linfociti citotossici che uccidono la cellula infetta. Quasi tutti i linfociti citotossici sonoC D8 + che risconoscono antigeni citosolici in associ azione a MHCI. Se la cellula che presenta l’antig ene non è una APC professio nista può esser e fa gocita ta da una di q ueste per attivare meglio i linfocitiC D8 + naive : si parla di cross-primi ng o cross-pre sentazione. La piena differenziazione a linfocit i citotossici richiede l’immu nità innata o le citochine prodotte dagli helper o i costimola tori sulle cellule infette. Le risposte immu nitarie alle infezioni virali possono produrre danni per azione dei linfociti citotossici o per altre vie. Una conseq uenza di alcune infezioni a lungo termine, tipo epatite B, è la formazio ne di immu nocom plessi che si depositano nei vasi e portano a vasculite sistemica. 15.5.3
Evasione immunitaria dei virus
1. Alterazioni degli antigeni per non essere più bersa glio immunitario.
Gli antigeni più alterati
sono le glicoproteine superficiali e icon meccanismi più frequenti sono mutazioni puntiformi o riassortimento dell ’RN A nei virus tale genoma. 2. Inibizione della presentazione antigenica su MHCI. In questo modo i linfocitiC D8 + non riconoscono più la cellula infettata, ma c’è da dire che le NK sono forteme nte stimolate da cellule che non presentano queste molecole. 3. Produzio ne di molecol e che inibis cono la ris posta immunitari a. Alcuni virus (ad
esem pio
76
poxv irus) producon o prote ine legan ti citochine che funz ionan o da anta gonis ti com petitivi. Altri virus pro- ducono molecole simil MHCI che competono per la presentaz ione, altri molecole che inibiscono l’attivazione dei macrofa gi. 4. Blocco delle risposte citotossiche i n infezioni croniche. Alcuni virus potrebbero aver imparato a sfruttare i normali meccanismi di regolazione immunitaria e ad attivarli a piacimento. 5. Infezione e uccisione/inattivazione delle cellule immunocompetenti.
15.6 Immunità ai parassiti Molti
parassiti hanno cicli
vitali comples si, parte dei
quali non avvengon o nell’uomo .
L’infezione si ha di solito per morsi di ospiti intermediari o per condivisione di un particolare habitat. Molte delle infezioni da parassita sono croniche per via della debole imm unità innata e dell’abilità del parassita di evadere le risposte.
15.6.1
Immunità innata ai parassiti
Quasi tutti questi organism i evadono la risposta innata perchè sono ben adattati al resistere ai mec- canismi di difesa. Il mecca nismo principale è la fagocitosi, e i fagociti tentano anche la secrezione di sostanze microbic ide per l’uccisione di parassiti troppo grossi per l’ingestione. Molti elminti hanno spesse corazze che li rendono resistenti ad atta cchi esterni.
15.6.2
Immunità adattativa ai parassiti
I parassiti sono molto diversi tra loro, così come le risposte che scatenano. La principale difesa contro i protozoi che sopravvivono all’interno dei macrofag i è l’imm unità cellulom ediata, in par ticolare l’atti - vazione macrofagica tramite citochine derivate dalle celluleT H 1. La difesa dalle infezioni elmintiche è invece mediata dall’attivazione delle celluleT H 2che porta no alla pr od uz ione di IgE e all’a ttivaz ione degli eosinofi li.
Capitolo 16. Immunologia dei trapianti Per trapianto si intende il trasferimento di cellule,tessuti oppure organi da un individuo detto donatore a uno detto ricevente.Il fallimento di tale trasferimento è detto rigetto,è stato dimostrato che questo è causato da una risposta immunitaria specifica. trapianto autologo : trapianto da un individuo allo stesso individuo(quindi cambiando singenico: tra due individui geneticamente identici. allogenico : tra due individui della stessa specie ma geneticamente differenti. xenogenico: tra individui di specie differenti.
solo la sede)
Le molecole riconosciute come estranee nel trapianto allogenico sono dette alloantigeni,quelle in quelli xenogenici xenoantigeni.
I linfociti e anticorpi che reagiscono contro tali molecole sono detti alloreattivi e xenoreattivi. Lo studio del rigetto ai trapianti ha portato a importanti scoperte sia per aiutare la riuscita di molti interventi che nella comprensione del funzionamento del sistema immunitario
16.1Risposta al trapianto allogenico. 16.1.1 Riconoscimento degli alloantigeni.
Le molecole MHC sono le responsabili della maggior parte delle reazioni di rigetto.Esse vengono presentate per il riconoscimento ai linfociti T in due modi differenti: -nel modo diretto:ovvero esposte sulle APC del donatore e riconosciute dai linfociti T del ricevente. -nel modo indiretto:ovvero vengono processate come normali proteine antigeniche dalle APC del ricevente ed espresse dalle
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MHC del donatore come semplicissimi peptiti e riconosciute dai linfociti T del ricevente. Riconoscimento diretto.
Il riconoscimento diretto è il risultato della cross-reattività dei linfociti T verso MHC allogenici.Il risultato è che invece di riconoscere un complesso MHC self-antigene non self riconosce un MHCnon self- antigene self.Questo è dovuto al fatto che durante lo sviluppo nel timo la selezione positiva e successivamente la negativa selezionano linfociti T capaci di legare le MHC self con bassa affinità ed eliminano quelle che le legano con affinità elevata o che non le legano.Tuttavia questo processo non garantisce l'eliminazione di linfociti T che possono legare MHC estranee(le chiameremo allogeniche).Si viene a creare un repertorio maturo con intrinseca bassa affinità per MHC self ma al contempo include linfociti T capaci di legare MHC allogenici con alta affinità. Abbiamo visto che i sistemi di tolleranza inattivano o eliminano i linfociti T che rispondono a MHC self legate a peptidi self. L'obbiettivo è riconoscere MHC self con peptidi non self specifici..Essendo tale riconoscimento dovuto a interazioni allosteriche o tra singoli amminoacdi è possibile che linfociti T riconoscano MHC allogenici legati a peptidi self scambiandoli per MHC self legati a peptidi estranei specifici. Questo perchè o l'MHC allogenico da solo mima la struttura di MHCself-antigene estraneo(in questo l'antigene serve soloantigene da stabilizzatore),o l'interoIn complesso MHC allogenico-antigene self ha co mplessivamente stessacaso struttura di MHC-selfestraneo specifico. questo caso vista l'enormità degli antigeni presentabili,una singola cellula allogenica,la qualche esprime circa 10^5 MHC potrà esprimere 10^5 antigeni differenti e quindi essere riconosciuta da 10^5 cloni differenti di linfociti T. Riconoscimento indiretto
Le molecole MHC essendo comunque proteine possono venir processate ed espresse dalle APC del ricevente come se si trattasse di semplicissimi antigeni microbici legati a MHC2.Per il fenomeno della cross-presentazione possono venire anche presentate da MHC1 ai CD8.In questo caso sono le intere cellule del donatore a venire fagocitate da APC professionali e poi viene presentato un antigene processato. 16.1.2 Attivazione dei linfociti alloreattivi
Abbiamo visto come sia la via diretta che indiretta vadano ad attivare i linfociti T alloreattivi.Il punto fondamentale sappiamo essere l'esistenza di APC che presentino questi antigeni allogenici.Una volta attivati i i linfociti alloreattivi migrano nel sito di trapianto e ne causano il rigetto.Il contributo maggiore lo danno i linfociti CD4 che differenziati in cellule effettrici secernono citochine che danneggiano il trapianto con una reazione simile a quella di DTH. I linfociti CD8 attivati dalla via diretta da APC del donatore esprimenti MHC1 si differenziano in CTL che eliminano le cellule che esprimono MHC allogenici di classe 1; mentre quelli attivati dalla via indiretta sono ristretti per MHC self quindi non possono eliminare le cellule estranee ma solo cellule dell'ospite che esprimo antigeni del donatore. Queste risposte vengono studiate in vitro mediante la MLR(reazione linfocitaria mista).Tale processo è usato come processo predittivo nel rigetto in un trapianto e si basa sull'incontro delle popolazioni linfocitarie dei due individui e nell'osservazione se si assiste o meno a proliferazione. La produzione di alloanticorpi è molto limitata e consiste nella azione dei linfociti B la quale mima l'azione delle APC presentando frammenti di MHC allogenico ai linfociti T helper attivandoli a produrre anticorpi contro dagli antigeni. Particolarmente interessante è la mancanza di rigetto del feto da parte di madri incinte.Il feto esprime molecole MHC paterne e come tali vengono riconosciute come allogenici per la madre,Tuttavia non accade alcun rigetto.Le ipotesi sono multiple ma le più accreditate sono 2: -le cellule trofoblastiche,ovvero quelle nella zona di comunicazione placenta-madre sono prive di MHC e nel caso le esprimessero sono comunque prive di molecole costimolatorie. -la decidua potrebbe essere un sito immunologicamente privilegiato in cui cellule deciduali inibiscono le funzioni di macrofagi e linfociti secernendo TGF-β. É inoltre provato che nel feto le risposte immunitarie dipendono dai livelli di triptofano e si è formulata l'ipotesi che bassi livelli di triptofano nella placenta le inibiscano.
16.2 Meccanismi effettori del rigetto Il rigetto da trapianto è classificato in base alle caratteristiche istopatologiche e cinetiche in iperacuto,acuto accelerato,acuto e cronico. Rigetto iperacuto:è caratterizzato dall'occlusione trombotica dei vasi del trapianto e inizia entro pochi minuti dalla formazione dell'anastomosi.Il tutto è mediato da anticorpi preesistenti nel ricevente che si legano all'endotelio del trapianto attivando il complemento il quale provoca trombosi vascolare e danno tissutale.Si ha l'esposizione di proteine della
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membrana basale che attivano le piastrine e innescano il meccanismo di adesione e aggregazione piastrinica.Nei primi giorni il rigetto è mediato da alloanticorpi IgM diretti principalmente verso gli antigeni della famiglia ABO presenti sulla superficie dei globuli rossi e delle cellule endoteliali.In questo caso si assistito a un trapianto tra due soggetti appartenenti a gruppi sanguigni differenti.Oggigiorno questo problema è superato e il rigetto iperacuto è mediato più che altro da alloanticorpi IgG diretti contro alloantigeni come MHC.Questi si sono formati in seguito a precedenti trasfusioni ,trapianti o gravidanze multiple ovvero ogni contatto con cellule contenenti MHC diversi dai propri. Rigetto acuto:Il rigetto acuto è un processo di danno sia vascolare che parenchimale mediato sia da anticorpi che da linfociti T e inizia dopo circa una settimana dal trapianto.In questo caso gli anticorpi non sono preesistenti bensì vengono sviluppati dalla risposta immunitaria umorale ed è per questo che il tempo di risposta è più lento.Il quadro istologico è caratterizzato da necrosi transmurale e infiammazione acuta dei vasi del trapianto senza tuttavia il verificarsi di trombosi come nel caso del rigetto iperacuto.Sia linfociti CD4 che CD8 contribiscono al rigetto acuto:i CD8 nella lisi delle cellule endoteliali e i CD4 nella infiammazione e e nelle reazioni DHT. Rigetto cronico e vasculopatia:i trapianti che sopravvivono più di 6 mesi sviluppano una lenta occlusione arteriosa risultato di una proliferazione delle cellule muscolari lisce.Queste modificazioni prendono il nome di vasculopatie del trapianto. Questa proliferazione è dovuta a una serie di interazioni tra citochine e fattori di crescita prodotti macrofagi e cellule endoteliali stimolati da linfociti T alloreattivi.Con il progredire della ischemia il parenchina viene sostituito da tessuto fibroso ;questo processo fibrotico vieneanche chiamato rigetto cronico.
16.3 Prevenzione e trattamento del rigetto da allotrapianto. Fisiologicamente se il ricevente di un trapianto ha un sistema immunitario funzionante il trapianto va in contro a qualche forma di rigetto.Alcune strategie usate nella pratica per prevenire tale rigetto consistono nell'induzione di momentanee immunosoppressioni. Attualmente uno degli obbietti principali in trapiantologia è quello di indurre uno stato di tolleranza specifiche senza bisogno di immunosoppressioni.Prima abbiamo visto quali potevano essere le cause del rigetto,conoscendole è dunque possibile attuare una forma di prevenzione per ridurre l'immunogenicità dell allotrapianto. 16.3.1 Ridurre l'immonogenicità.
Alcuni test vengono effettuati per verificare la compatibilità donatore-ricevente: -tipizzazione del gruppo sanguingo ABO.Questo test è effettuato per prevenire l'insorgenza di rigetto iperacuto dato da IgM. -Tipizzazione tissutale:tipizzazione HLA:ridurre al minimo le differenze alleliche HLA espresse dalle cellule del donatore e ricevente.Solo la tipizzazione HLA-A,B e DR sono importanti. -Screening per la presenza di anticorpi preformati:viene mischiato il siero del ricevente con quello di diversi donatori e si valuta la PRA,ovvero la percentuale di anticorpo reattivo che è la percentuale di cellule del donatore contro le quali il paziente reagisce. -Crossmatching:è il test sopracitato specifico tuttavia solo tra un donatore e il ricevente.La negatività a tale test è essenziale per il trapianto. 16.3.2 Immunosoppressione
Il principio base su cui si basa questa tecnica è quello di inibire o uccidere il linfociti T momentaneamente. -L'uso di farmaci immunosoppressori è il metodo più usato e tra i più comuni sono da ricordare ciclosporina e FK-506 entrambi importanti inibitori della calcineurina. La calcineurina è essenziale per la trasmissione del segnale di IL-2 e altre citochine.Bloccando la calcineurina si va a inibire attivazione e proliferazione dei linfociti T. -Altri inibitori della proliferazione vanno ad agire su mTor e la prima scoperta è stata la rapamicina. -Un altro metodo è quelli di utilizzare tossine che uccidono i linfociti T in proliferazione e il primo usato è l'aziatropina ma
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vista la sua tossicità il più comunemente usato è il MMF. -Sono stati creati anche anticorpi che uccidono o inibiscono i linfociti T ad esempio OKT3 si lega al CD3 oppure un'altro riconosce e blocca la subunità CD25. -Ultima via è quella di bloccare le vie costimolatorie dei linfociti T ad esempio con CTLA-4 solubile o con bloccanti di CD28. In associazione ai farmaci T bloccanti sono regolarmente usati farmaci antinfiammatori tra cui i potenti sono i corticosteroidi,i quali agiscono bloccando la sintesi e la secrezione di citochine soprattutto TNF e IL-1. Ovviamente l'immunosoppressione prolungata richiesta per una sopravvivenza a lungo termine d un trapianto aumenterà molto la suscettibilità a infezioni virali e quindi a tumori virali.Per questa ragione a soggetti trapiantati vengono somministrate terapie antivirali come profilassi.In soggetti trapiantati,i linfomi a cellule B e a cellule della cute sono i più frequenti. 16.3.3 Induzione di tolleranza.
L'induzione di tolleranza costituisce un enorme vantaggio spetto ri all'immunosoppressione in quanto diminuisce la suscettibilità a infezioni e anche di evoluzione di rigetto cronico. Essa consiste nell'induzione di anergia periferica e delezione di cellule T alloreattive.Sono in corso inoltre studi per la creazione di linfociti T regolatori specifici per gli alloantigeni del trapianto.
16.4 Trapianti Il trapianto xenogeno rappresenterebbe un importantissimo serbatoio vista la scarsità di donatori di trapianti. Tuttavia uno dei principali ostacoli per l'utilizzo di tali trapianti proviene dalla presentza di anticorpi naturali che mediano il rigetto iperacuto indirizzati verso determinanti carboidratici espressi sulle cellule di specie non concordanti.Per l'uomo ad esempio un trapianto di organi di scimpanzè risulterebbe poco immunogenico tuttavia l'ostacolo qui è rappresentato dalle grosse diversità anatomiche.La miglior compatibilità anatomica si ha con il maiale che risulta cosi l'animale prediletto per gli xenotrapianti.Nel caso di xenotrapianti si osserva lo stesso rigetto iperacuto che si osserva negli allotrapianti. Un particolare tipoABO.Questi di trapiantoantigeni è quelloABO della sono trasfusione questocompresi caso bisogna fare particolarmente attenzione alla compatibilità presentisanguigna.In su tutte le cellule i globuli rossi.Una trasfusione di sangue non compatibile provoca lisidei globuli rossi estranei checomporta comparsa di reazionitrasfusionali che possono essere letali per il paziente.Un'esempio è la presenza di emoglobina libera che causa grossi danni renali. Di particolare rilevanza infine il trapianto di midollo osseo in quanto l'unico che possa essere effettuato in vivo.Esso consiste nel trapianto di cellule staminali pluripotenti attraverso inoculo di cellule raccolte per aspirazione dal midollo osseo. Questo trapianto è particolarmente utile per correggere deficit del sistema ematopoietico o immunitario;oppure per correggere deficit o anomalie ereditarie in enzimi o proteine. Prima di effettuare tale trapianto è necessario sopprimere il più possibile le difese immunitarie dell'ospite.Di particolare rischio è l'insorgenza del cosiddetto GVHD che consiste nella reazione dei linfociti T maturi contenuti nell'inoculo contro gli alloantigeni del paziente.Si presenta in quanto il paziente essendo immunocompromesso non è in grado di rigettare tali cellule che dunque possono svolgere questa azione di distruzione.Si può assistere a una GVHD acuta caratterizzata dalla morte di cellule epiteliali epatiche ,di cute e del tratto gastrointestinale che può essere letale;oppure di GVHD cronica in cui si ha fibrosi e atrofia di questi stessi organi senza apparente morte cellulare che comunque nella forma più grave può anche essa essere fatale.Per questo motivo si cerca di eliminare ogni forma di linfociti T maturi dall'inoculo. Questa reazione distruttiva è tuttavia utilizzata anche nella cura di neoplasie del midollo osseo(leucemie) e di tumori solidi disseminati sfruttando questi linfociti T estranei per uccidere le cellule proliferanti anomale.I riceventi di trapianto di midollo osseo sono spesso accompagnati da immunodeficeza clinica probabilmente dovuta alle tecniche preparatorie al trapianto.
Capitolo 17. Immunità e tumori. I tumori maligni rappresentano un problema prioritario per la salute della popolazione poiché rappresentano uno dei principali fattori di morte.Essi sono dovuti alla proliferazione incontrollata di determinate cellule trasformate.Le risposte immunitarie svolgono la cosiddetta immunosorveglianza che consiste nel riconoscimento ed eliminazione delle cellule trasformate mediante riconoscimento di specifici antigeni segnale da esse espressi.Tuttavia queste cellule hanno specifiche capacità di eludere il sistema immunitario ed è tale caratteristica a rendere possibile l'insorgenza di tumori.
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Dunque abbiamo detto che le cellule tumorali esprimono antigeni riconosciuti come estranei dall'ospite,proprio questo è alla base della immunogenicità dei tumori.Tuttavia le risposte imunitarie spesso non riescono a eradicare il tumore.Le ragioni di questo fallimento sono multiple: -Essendo le cellule tumorali derivati di cellule“normali” dell'ospite esse possono esprimere pochi antigeni riconosciuti come non-self e quindi passare inosservate. -La rapidità di crescita delle cellule tumorali è spesso superiore a quella di eliminazione del sistema immunitario. -Molti tumori hanno messo a punto sistemi di elusione delle risposte immunitarie. Sono stati effettuati studi che hanno reso possibile l'attivazione del sistema immunitario contro un determinato tumore per via esogena.
17.1 Antigeni tumorali. Nei tumori umani sono stati ritrovati antigeni riconosciuti sia dai linfociti T che dai B.L'identificazione antigeni è essenziale sviluppo diespressi vaccini costitutivamente e anticorpi. Gli antigeni espressidisolo dalle tumorali cellule tumorali sonoper dettiloTSA,quelli da tutte le cellule sono detti TAA e nei tumori si vede una espressione sregolata di codesti. Gli antigeni tumorali possono derivare da molti processi differenti e causare tumori differenti. Prodotti di geni mutati Alcuni antigeni tumorali sono il risultato di una mutazione di geni normali che vanno quindi a esprimere proteine oncogeniche. Possono essere il risultato di mutazioni a carico di proto-oncogeni o geni oncosoppressori come le proteine Ras,p53,BcrAbl.Tali proteine se alterate non riescono più a controllare il ciclo cellulare e vengono processate ed esposte associate a MHC1 oppure l'intera cellula può essere fagocitata ed gli antigeni esposti d MHC2. Gli antigeni tumorali possono essere il risultato anche di mutazioni casuali a carico di geni non implicati nel controllo del ciclo cellulare.Le dimostrazioni sono state che cellule trattate con cancerogeni identici sviluppavano tumori diversi esprimenti antigeni diversi. Vuol dire che il cancerogeno va a modificare casualmente geni.Le proteine risultanti vengono sintetizzate nel citosol e presentate mediante molecole MHC di classe 1 alle CTL. Antigeni sviluppati in seguito a trapianto di tumori indotti da cancerogeni sono detti TSTA.In seguito a somministrazione di tali cellule in topi che avevano gia sviluppato quel tumore e che era stato espiantao,si assisteva alla mancata comparsa nuovamente di tumore. Ugualmente se si impiantavano i linfociti TCD8 derivati da un topo portatore di tumore in un altro portatore dello stesso,si assisteva all'annientamento del tumore. Questa è la prima dimostrazione dell'esistenza dell'immunità anti tumorale,oltre che un utile strumento per la lotta ai tumori mediante creazione di cloni CD8 specifici. Proteine cellulari espresse in modo anomalo. Alcuni antigeni tumorali sono proteine normali,normalmente espresse a bassi livelli o addirittura non espresse che in cellule tumorali sono invece espresse in modo anomalo.Ricordiamoci sempre che non sono queste proteine a indurre il tumore o rappresentarne meccanismo effettivo,sono solo un risultato di mutazioni che hanno portato poi alla trasformazione t umorale e che vengono utilizzate dal sistema immunitario come segnali di neoplasia. Dunque una di queste proteine normalmente espressa a bassi livelli è la tirosinasi.Cloni di linfociti T ottenuti da pazienti con melanoma riconoscono peptidi derivati dalla tirosinasi. Il fatto che tali linfociti rispondano a un antigene self senza venire eliminato dalla selezione negativa o esserne indotto tollerante è dato dal fatto che tale antigene in condizioni fisiologiche è espresso talmente poco e talmente poche cellule da non essere nemeno riconosciuta dal sistema immunitario e da non indurre tolleranza. Altre proteine espresse dalle cellule tumorali sono risultato di geni normamente silenti,che però nelle cellule tumorali vengono attivati senza comunque modificazioni della sequenza.Quindi sono proteine appartenenti al patrimonio di cellule normali. Antigeni prodotti da virus oncogeni. I prodotti dei virus oncogeni si comportano da antigeni ed evocano risposte immunitarie.In quetso caso molte delle proteine che fungono da antigene svolgono anche un ruolo cruciale nella immortalizzazione della cellula.Molti virus sono implicati nello sviluppo di una serie di tumori nell'uomo. Es Epstein -Bar o Papiloma virus.Le proteine antigeniche codificate dal Dna virale vengono processate e presentate da Mhc di classe1.L'immunosorveglianza agisce in questo caso uccidendo le cellule infettate. Epstein-Barr virus:virus che appartiene alla famiglia degli herpes virus e che infetta i linfociti B causandone una incontrollata replicazione.é trasmesso tramite saliva ed è ubiquitario nella popolazione mondiale.Esistono due tipi di
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inbfezione:litica e latente.La prima è caratterizzata dalla lisi della cellula infettata mentre la seconda no.Molti antigeni espressi dal Dna virale sono rilevati dal sistema immunitario.Vi sono 6 antigeni nucleari detti EBNA,due espressi sulla membrana detti LMP,e altri espressi all'interno della cellula detti VCA.Alcuni di questi sono cruciali per la immortalizzazione delle celulle colpite.L'infezione da EBV è uno dei fattori eziologici nello sviluppo di tumori maligni come ad esempio il linfoma di Burkit. In soggetti giovani e sani si sviluppa la mononucleosi infettiva che poi rimrrà latente per tutta la vita. Sono state stabilizzate in vitro linee cellulari di CTL in grado di lisare cellule infettate da EBV.La mutazione alla base del linfoma di Burkitt è la traslocazione del gene MYC al locus per le Ig portandone a una produzione e trascrizione sregolata.Tuttavia in alcuni casi è sufficiente la semplice trascrizione del genoma virale senza ulteriori traslocazione per l'insorgenza del tumore. Ovviamente deficit immunitari come malaria o HIV costituiscono un importante legame tra l'infezione da EBV e l'insorgenza di tumore. Antigeni oncofetali. 82
Gli antigeni sono proteine altamente espresse cellule fetali in via di assentimaligna poi nei vengano tessuti adulti.Si ritiene che i oncofetali geni corrispondenti vengano repressi durantedalle lo sviluppo ma durante la sviluppo trasformazione riattivati.Tali antigeni sono infatti espressi in cellule neoplastiche.C'è da puntualizzare che essi sono anche normalmente presenti in alcuni tessuti adulti. I due antigeni meglio caratterizzati sono CEA eAFP.CEA fa parte della famiglie delle Ig ed è espressa sulla membtana cellulare in molti carcinomi di colon,pancreas,stomaco e mammella.AFP è una proteina solubile normalmente non presente nel siero che invece è presente in tumori epatici o gastrici. Antigeni costituiti da glicoproteine o glicolipidi alterati. La maggior parte dei tumori esprime livelli elevati di glicoproteine o glicolipidi anomali.Queste forme alterate costituiscono importanti fattori neoplastici essendo essenziali per invasione e metastasi neoplastica.Anticorpi monoclali utilizzati in terapia ha come bersaglio proprio tali antigeni.Tra i principali glicolipidi alterati vi sono GM2,GD2,GD3.Tra le glicoproteine abbiamo le mucine alterate in cui le catene laterali sono modificate a casua della modificazione degli enzimi che le sintetizzano. Antigeni di differenziazione tissutale. Molecole normalmente presenti sulle cellule di srcine che permangono anche nelle cellule differenziate.
17.2 Risposta immunitaria 17.2.1Risposta innata
tro è stato dimostrato che queste sono in Cellule NK:sebbene il loro ruolo in vivo non sia stato ancora ben chiarito in vi grado di uccidere molti tipi di cellule tumorali,in particolare quelle cellule che non presentano MHC 1 sulla loro superficie e quindi mancano del segnale inibitorio su NK.Inoltre molte cellule tumorali esprimono altri segnali attivatori delle NK come MICA,MICB, eULB i quali vengono riconosciuti dal recettore attivatorio NKG2D espresso sulle NK.L'azione delle NK è fortemente potenziata in presenza di citochine come IL-2 e IL-12. Macrofagi:in vitro i macrofagi sono in grado di uccidere numerose cellule tumorali nello stesso modo in cui uccidono i microrganismi patogeni.La loro attivazione è mediata da IFNγ.Essi producono inoltre TNF che abbiamo visto
promuovere l'uccisione di cellule tumorali mediante trombosi dei vasi che le irrorano. 17.2.2 Risposta specifica.
Linfociti T:il principale meccanismo dell'immunità anti-tumorale è l'uccisione delle cellule tumorali da parte dei linfociti T CD8 CTL.Questi uccidono le cellule potenzialmente dannose che esprimono i peptidi mutati sulle MHC1.Poichè la maggior parte delle cellule maligne sono cellule normali,queste non esprimono le molecole costimolatorie necessarie all'attivazione dei linfociti T quindi necessitano di molecole presentanti tali antigeni come leAPC che svolgono la cosiddetta crosspresentazione.Tale processo o la stimolazione dei CD4 sono indispensabili per l'attivazione,Linee di APC specifiche vengono coltivate in vitro a partire da soggettti affetti da tumore per essere utilizzate come vaccini.I linfociti CD4 svolgono un ruolo soprattutto nella produzione di citochine quali TNF e IFN- γ che aumentano l'espressione di MHC1 e altre che mediano il corretto sviluppo dei CD8.
Anticorpi:Gli anticorpi possono uccidere le cellule maligne mediante attivazione del complemento oppure tramite citotossicità cellulare attivando NK e macrofagi contenenti recettori per Fc.In vivo i risultati sono comunque ancora scarsi.
17.3 Elusione delle risposte immunitarie. Nei tumori maligni vi sono diversi meccanismi che consentono alle cellule tumorali di eludere le risposte immunitarie(tumor escape).Viene a crearsi una pressione selettiva nei confronti di tali cellule detta tumor editing,la quale promuove lo sviluppo di varianti con ridotta immunogenicità.I meccanismi attuati per eludele l'immunità sono molteplici: -Gli antigeni tumorali possono indurre tolleranza immunologica o perchè sono antigeni self già incontrati che hanno solo variato frequenza di espressione o perchè tali cellule tumorali riescono a presentarli in forma tollerogenica. -I linfociti T regolatori ,i quali aumentano in caso di tumore,vanno a inibire l'attività dei linfociti T tumore-specifici. -Antigeni riconosciuti come tumore-specifici dai linfociti T ,in seguito a mutazioni avvenute nelle numerosissime mitosi ,cessano di essere espressi.Si può inoltre assistere a diminuita espressione di MHC,microglobulina e componenti dell'apparato di presentazione dell'antigene. -Mancata espressione di molecole costimolatorie necessarie per attivazione di CD8 e CD4.Vengono a essere indispensabili le APC che però spesso hanno capacità captative ridotte. -Cellule tumorali possono sopprimere le risposte tumore-specifiche ad esempio mediante secrezione di TGF-β che abbiamo visto inibire proliferazione e attivazione di macrofagi e linfociti.Alcuni tumori esprmono inoltre il ligando Fas(FasL) che riconosce il dominio di morte Fas presente sui linfociti e ne induce l'apoptosi.
17.4 Immunoterapia dei tumori Nella lotta contro i tumori attualmente le principali terapie utilizzate consistono nel blocco delle cellule in corso di divisione cellulare.Ovviamente tale processo non distingue cellule tumorali da cellule sane ed è quindi particolarmente invasivo e dannoso.Un metodo molto più specifico e efficace consiste nel riuscire a indirizzare le risposte immunitarie verso le cellule tumorali.Questo processo è ottenuto mediante due principali principi:stimolare le risposte immunitarie dell'ospite oppure immunizzare l'ospite passivamente con anticorpi e linfociti T. Prendiamo in considerazione la prima strada;andiamo a vedere i diversi processi che si possono intraprendere: -immunizzazione con cellule o antigeni tumorali:Per aiutare il lavoro dei linfociti T si possono somministrare cellule tumorali uccise o antigeni tumorali quindi entrambi innocui a livello proliferativo per aumentare le risposte immunitarie.Ultimamente si procede anche alla somministrazione di APC co ltivate in vitro con l'antigene tumore-specifico che rendono la presentazione ancor più efficace.Altra tecnica innovativa è la somministrazione di vaccini a Dna,ovvero plasmidi contenenti Dna complementare a quello virale oncogeno che codifica quindi per gli stessi antigeni tumorali senza pero stimolare proliferazione e immortalizzazione. Tuttavia tali vaccini sono particolarmente utili nella prevenzione dei tumori, ma ancora spesso incapaci di stimolare una risposta immunitaria abbastanza potente da eradicare il tumore gia espanso. -potenziamento dell'immunità anti-tumorale con citochine e costimolanti:vista la difficoltà di attivazione dei linfociti T durante il tumore si procede alla stimolazione dei linfociti tumore- specifici mediante fornitura di citochine sia per infusione diretta che indirettamente mediante trasfettazione di geni codificanti citochine nelle cellule tumorali per indirizzare gli e ffetti del sistema immunitario.L'altro meccanismo è quello di trasfettare i geni codificanti le molecole costimolatorie mancanti ,necessarie all'attivazione dei linfociti T. Le citochine maggiormente utilizzate sono IL-2eIL-12(stimola CTL e NK),IFN-γ,TNF e soprattutto GM-CSF. -blocco dei circuiti inibitori:bloccando soprattutto CTLA-4 che normalmente inibisce le risposte immunitarie,tuttavia si osservano spesso sviluppi di risposte autoimmuni poiché CTLA-4 è coinvolto nel mantenimento alla tolleranza al self -stimolazione aspecifica del sistema immunitario:somministrazione soprattutto topica di sostanze infiammatorie o agenti che funzionano come attivatori poloclonali dei linfociti. Molti batteri svolgono bene questo ruolo in particolare il bacillo BCG.Anche anticorpi verso CD3 sono in grado di attivare ottimamente i linfociti T. Il secondo meccanismo consiste nel somministrare direttamente linfociti T o anticorpi al paziente attuando una cosiddetta
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immunoterapia passiva. -Terapia cellulare adottiva:trasferimento di leucociti tumore-specifici in pazienti affetti da tumori.Le cellule trasferite vengono ottenute a partire da cellule del paziente principalmente provenienti da due fonti: leucociti circolanti detti LAK coltivati ad alte concentrazioni di IL-2 e reimpiantati oppure leucociti provenienti dall'infiltrato infiammatorio detti TIL. -Effetto Graft versus leukemia(GVF):in pazienti affetti da leucemia vengono impiantati leucociti provenienti da un donatore che siano alloreattivi nei confronti delle molecole MHC del ricevente quindi anche delle cellule tumorali. -Terapia con anticorpi tumore-specifici:Gli anticorpi monoclonali possono eliminare le cellule tumorali con gli stessi meccanismi usati per eliminare i microrganismi,quindi opsonizzazione,attivazione del complemento,fagocitosi e inoltre possono anche lisare direttamente la cellula tumorale.Tuttavia essendo tali anticorpi derivati da ibridomi di topo spesso si assisteva alla formazione di anticorpi anti-anticorpo.Si superava tale problema con l'uso di anticorpi umanizzati.Gli anticorpi vengono spesso accoppiati a molecole tossiche o farmaci anti-tumorali per promuovere il rilascio specifico di questi in corrispondenza delledalle cellule tumorali. Tali prendono il nome di Immunotossine.Queste iniettate via una sistemica vengono endocitate cellule tumorali e lecomplessi tossine vengono liberate. Tuttavia affinchè tale processo funzioniper serve elevatissima specificità degli anticorpi e si rischia l'attacco delle tossine contro cellule normali. Inoltre possono insorgere anticorpi anti-tossine che le eliminano prima dell'azione oppure che l'intera immunotossina venga fagocitata da fagociti presentanti il recettore Fc appropriato. Specifici anticorpi sono stati creati contro specifici idiotipi delle cellule B senza pero grandi risultati.Altri contro i fattori VEGFche mediano la formazione di nuovi vasi che alimentino i tumori. Paradossalmente il sistema immunitario oltre a rappresentare un importante sistema di lotta contro i tumori ne rappresenta anche una importante fonte.Molti tumori nascono infatti a seguito di processi infiammatori cronici ,angiogenesi e rimodellamento tissutale mediati proprio dall'immunità innata.
Capitolo 18. Malattie causate dalle risposte immunitarie: ipersensibilità ed autoimmunità Le risposte immunitarie possono essere patologiche a causa
di parec chie e diverse
anor malità.
1. Autoimmunità.
Le reazioni immunitarie contro le cellule dello
stesso organismo sono
dette autoimmuni.
2.
Reazioni contro i microbi. Le risposte contro gli antigeni microbici possono causare La formazione di malattia se eccessive o se l’infezione è insolitamente persistente. immunocomplessi può portare ad accumulo nei tessuti e scatenare infiammazione, così come le risposte dei linfociti T ai microbi persistenti . Raramente un anticorpo o una cellula T può cross-reagire con i tessuti dell’host.
3.
Reazioni contro antigeni ambientali . Il 20% della popolazione risponde in modo Le reazioni contro tali sostanze possono normale a sostanze innocue dell’ambiente. essere causate sia dall’ipersensibilità immediata che da quella ritardata.
Il problema nelle patologie di ipersensibilità è l’attivazione
incontrollata ed
inappropriatadelgli
stessi meccanismi normalmente utilizzati nelle infezion i; poichè gli stimoli per queste risposte aberranti sono spesso difficili o impossibili da eliminare, le patologie di questo tipo sono tipicamente croniche. Le patologie da ipersensibilità si dividono fondamentalmente in quattro categorie a seconda della loro causa: Ipersensibilità Tipo I (Immediata)
Tipo II Tipo III Tipo IV
Causa IgE Anticorpi Immunocomplessi Linfociti T
Molte delle patologi e da ipersensibilità sono mediate dai TH 1: i linfociti T causano direttamente
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l’infi- ammazione o stimolano la produzione di anticorpi che danneggiano i tessuti e quindi li infiammano. Per contrasto le reazioni allergiche (ipersensibilità immediata) sono prototipi di patologie TH 2 mediate nelle quali il linfocita T stimola la produ zione di anticorpi di tipo IgE.
18.1
Patologie causate da anticorpi
Le patologie mediate dagli anticorpi possono essere dovute sia all’atto delle Ig di legarsi a quel che riconoscono sia alla formazione e deposito di complessi antigene-ant icorpo. Nelle patologie dovute al legame degli anticorpi agli antigeni tissutali sono tre i meccanismi pato - genici:
1. Gli anticorpi possono opsonizzare le cellule attivando i fagociti per la loro distruzione: questo è il principale meccanismo nell’anemia emolitica autoimmune e nella trombocitopeni a porpora autoimm une .
2.
3.
Gli anticorpi possono reclutare neutrofili e macrofagi i quali legano Ig o prote ine del comple- mento con i loro recettori e con i loro prodotti mediano infia mmazione acuta e danno tissutale: questo è il principale meccanismo nella glomerulonefrite anticorpo med iata . Gli anticorpi possono legarsi a normali recettori cellulari interferendone con la e causando malattia senza infiammazione o danno tissutale: questo è il principale meccanismo dell’ipertiroidismo o malattia di Graves . funzionalità
Nelle patologie dovute alla formazione e al deposito di complessi si nota che il quadro riflette il sito di formazione del complesso e non l’antigene: queste patologie sono dunque spesso sistemiche e non presenta no particolare specificità tissutale o d’organo. I complessi antigene-anticorpo sono di malattia solo pr odotti costantemente durante le normali risposte immunitarie, diventano causa quando sono prodotti in quantità eccessive, non vengono eliminati e si accumulano nei tessuti. I capillari renali sono tra i siti più com uni di deposito degli immunocomplessi per via della loro funzione di filtrazione. Il deposito sulle pareti dei vasi porta ad infiam mazione mediata sia dal complemento che dalle varie cellule che riconoscono il frammento Fc; molte malattie immunologiche sistemiche hanno questo aspetto alla base, il prototipo è il lupus erimatoso sistemico. Le manifestazioni cliniche di questa patologia includono glomerulonefrite ed artrite che sono da attribuire alla formazione di immunocomplessi tra DNA self o nucleoproteine e anticorpi specifici.
18.2
Patologie causate da linfociti T
I linfociti T danneggiano i tessuti tramite l’ipersensibilità ritardata o tramite l’uccisione cellulare dir etta. Le reazioni di ipersensibilità sono stimolate sia dai C D 4+ sottogruppo TH 1 che dai C D 8+ in quanto entrambi secernono citochine che attivano i macrofagi (IFN-γ ) e inducono infiammazione (TNF). In alcune patologie T -mediate i linfociti T C D 8+ citotossici uccidono le cellule bersaglio che presentano antigeni MHC1-associati. Malattie causate da ipersensibilità Nelle reazioni di ipersensibilità il danno tissutale deriva dai prodo tti dei macrofagi attivati, quali enzimi lisosomiali, ROS, NO e citochine infiamm atorie. Reazioni croniche di questo tipo spesso producono fibrosi per via della secrezione di citochine e di fattori di
crescita. Molte patologie autoimmuni organo specifiche sono causa te da reazioni di ipersensibilità indotte dai linfociti T autoreattivi, tra le più importa nti:
1. Il diabete mellito di tipo 1 è dovuto alla presenza di linfociti e macrofagi intorno alle isole del Langerhans i quali distruggono le cellule β prod uttrici di insulina. 2. La sclerosi multipla è dovuta all’azione di linfociti T C D 4+ sotto gruppo TH 1/TH 17 che reagiscono ad antigeni self della mielina nel SNC. 3.
L’artrite
reumatoide
è probabilm ente 1 legata a linfociti T che riconoscono il collagene delle
cartilagini.
Le risposte immunitarie cellulomediate possono portare a danno tissutale al sito di infezione: è il caso della tubercolosi, in cui le risposte dei linfociti T e dei macrofagi risultano in fibrosi e infiammazione
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del pare nchima polm onare con conseguente perdita di funzionalità. Malattie causate da linfociti T citotossici I linfociti citotossici possono danneggiare i tessuti uccidendo cellule infette il cui virus non avrebbe ef fetti citopatici. Alcuni virus danneggiano direttamente le cellule infette e vengono definiti citopatici, altri sono innocui all’ospite e vengono definiti non citopatici. I linfociti non possono ricono scere a priori la categoria cui appartiene un virus e quindi uccidono anche le cellule infettate da patogeni non citopatici. Alcune forme di epatite nell’uomo sono dovute a
questo tipo di meccanismo.
18.3
Patogenesi dell’autoimmunità
Gli eventi chiave nello sviluppo di una risposta autoimmune sono: 1. Riconoscimento dell’antigene self da parte dei linfociti autor eattivi 2. Attivazione, proliferazione e differenziazione in cellule effettrici 3. Danno tissutale da parte delle cellule effettrici e dei loro pr odotti L’autoimmunità è un evento comune: dal 2 al 5% della popolazione ne soffre. Le caratteristiche più importanti di questo fenomeno sono:
• L’autoimmunità è il risultato del malfunzionamento o del blocco dei meccanismi normalmente responsabili della tolleranza nei linfociti B, T o entrambi. L’attenzione si focalizza soprattutto sui linfociti T per due motivi: sono regolatori fondamentali di tutte le risposte immunitarie alle prote ine, inoltre sono dipendenti dall’MHC nella loro funzionalità, e questo complesso è legato a parec chie patologie genetiche. • I fattori principlai che contribuiscono allo sviluppo dell’aut oimmunità sono la suscettibilità genetica e gli eventi scatenanti ambientali, quali le infezioni. • Le patologie autoimmuni possono essere sia sistemiche che organo specifiche. • I meccanismi effettori delle patologie autoimmuni sono v ari: immunoc omplessi, autoanticorpi, linfociti T autoreattivi sono i principali. • Le reazioni autoimmuni verso un antigene che danneggiano i tessuti possono risultare nell’alter azione degli antigeni di quel tessuto e quindi nell’attivazione di altri linfociti: è il fenomeno della diffusione dell’epitopo. Questo meccanismo spiega come mai le malattie autoimmuni siano spesso croniche e progr essive . Suscettibilità genetica all’autoimmunità Le malattie autoimmuni hanno forte componente genetica; il diabete mellito di tipo 1 ad e sempio ha concordanza 50% nei gemelli monozigotici e 5/6% in quelli dizigotici. La maggior parte di queste patologie è poligenica e affligge individui che ereditano più polimorfismi genetici. Il primo gene assoc iato alla patologia ad essere identificato nel diabete è un gene MHC II, il che conferma come la malattia sia causata dai linfociti MHC II ristretti C D 4+ . Tra i geni associati all’autoimmunità le associazioni più forti sono in quelli che mappano nell’MHC, in particola r e quelli di classe II. Lo studio dei geni HLA in pazienti affetti da varie patologie mostra che alcuni alleli sono in essi più frequenti che nella popolazione normale. L’associazione più forte è tra la spondilolite anchilosante e l’allele B27 dell’HLA di classe I.
Malattia
Allele HLA
Rischio relativo
Artrite reumatoide
DR4
4
Diabete mellito insulino dipendente
DR3 DR4 DR3/DR4 DR2 DR2/DR3 DR4 B27
5 5-6 25 4 5 14 90-100
Sclerosi multipla Lupus eritematoso sistemico Pemphigus vulgaris [???] Spondilolite anchilosante
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Le caratteristiche principali dell’associazione patologia-HLA sono: • L’associazione di una patologia all’HLA può essere identifica ta m appan do un loc us, ma l’associazione reale potrebbe esserci con alleli linked a quello mappat o e ereditati insieme. Ad esempio un soggetto con un particolare allele HLA-DR potreb be avere una maggior probabilità di ereditar e un particolare allele HLA-DQ: si tratta degli effetti del linkage disequilibrium . • In molte patologie autoimmuni le molecole di HLA associate a malattia diff eriscono da quelle sane nelle sedi di legame al peptide: questo conferma il concetto che le molecole MHC influenzano l’autoimmunità controllando la selezione e l’attivazione dei linfociti T.
• Sequenze associate a patologia di HLA sono riscontrabili in individui sani: l’espressione di un certo gene HLA non è dunque mai causa da sola di malattia, ma è solo uno dei tanti fattori.
Non sono solo i geni MHC a determinare la suscettibilità genetica all’autoimmunità, ne esistono infatti moltissimi altri esempi: • Topi KO per CTLA-4, il recettore inibitorio dei linfociti T per B7, sviluppano autoimmunità fatali con distruzione di cuore, pancreas ed altri organi. CTLA-4 normalmente induce e mantiene l’anergia dei linfociti T agli antigeni self, se questa funzione viene compromessa si ha la patologia.
• Mutazioni nel gene AIRE portano nell’uomo alla sindrome autoimmune poliendocrina, caratterizzata da distruzione di parec chi organi endoc rini. AIRE è richiesta per la presentazione di proteine tessuto -specifiche sulle cellule epiteliali del timo, quindi per la selezione negativa dei linfociti T autor eattivi. • Topi mancanti di IL-2 (o del recettore) sviluppano splenomegalia, linfadenopatia, anemia emolitica autoimmune e autoanticorpi anti DNA perc hè mancan o di cellule T regolatrici: queste cellule necessitano di questa citochina per sopravvivere e funzionare.
•
Carenze genetiche di parec chie proteine autoimmuni simili al lupus.
del
complemento sono associate a patologie
• Topi con mutazioni omozigoti ai geni per Fas o FasL hanno fornito la prova che la mancanza di apoptosi porta a malattie autoimmuni. Ruolo delle infezioni Nei pazie nti lo scatenars i delle malattie autoimmuni è spesso associato o pr e- ceduto da infezioni. Nella maggior parte dei casi i microorganismi infettanti non sono presenti nelle infezioni o in generale quando si scatena l’autoimmunità: non sono dunque responsabili dir ettamente e la patologia è solamente il risultato delle risposte immunitarie scatenate o disturbate dal patogeno. I principali meccanismi di promozione autoimmune delle infezioni sono:
1.
Induzione di risposte innate locali che richiamano leucociti e attivano le APC: queste secernono citochine attivanti i linfociti T. L’infezione finisce dunque per scatenare l’attivazione di linfociti T non specifici per il pat oge no infettant e.
2. I microbi infettanti possono contenere antigeni crossreattivi, cioè simili agli antigeni self: il patogeno mima dunque antigeni dell’host. Esempio di questa strategia è la febbre reumatica derivante dalle infezioni da streptococco: si formano anti corpi anti streptococco che reagiscono anche a pr oteine del miocardio. 3. I microbi possono attivare i TLR delle cellule dendritiche, portando a produzione di citochine, o i linfociti B autoreattivi, portando alla formazione di autoanticorpi.
Altri fattori Alterazioninascosti: anatomiche, a sono causa di ischemie possono self normalmente le infezioni, lo sperma. Gliesporre antigeni esempi prote ine intra ocula rio otraumi, ormoni possono inoltr e avere un qualche ruolo: molte malattie autoimmuni mostrano un’incidenza maggiore nelle donne, anche se non si sa esattamente il motivo.
Capitolo 19. Ipersensibili tà immediata Alcune malattie umane sono causate da risposte immunitarie ad antigeni ambientali che portano alla
87
differenziazione C D 4+ TH 2 e alla produzione di anticorpi IgE specifici per questi antigeni che vanno a legarsi ai recettori Fc di mastociti e basofili; l’attivazione di queste cellule causa un rapido rilascio di vari mediatori che causano collettivamente aumento della permeabilità vascolare, vasodilatazione, broncocostrizione e contrazione della muscolatura liscia viscerale: tutti questi ef fetti vanno sotto il nome di ipersensibilità immediata. In ambito clinico queste reazioni sono comunemente dette allergiche. Le allergie sono le più comuni alterazioni del sistema immunitario e affliggono intorno al 20% della popolazione. Tutte le reazioni di ipersensibilità immediata condividono caratteristich e c omuni: • Il principale evento è l’attivazione delle cellule TH 2 con produzione di anticorpi IgE. • La sequenza di eventi tipica di queste reazioni è: – Esposizione all’antigene
88
dei TH 2 e dei linfociti B antigene specifici di IgE – Legame delle IgE ai recettori Fc di mastociti e basofili (sensibilizzazione) – Attivazione dei mastociti per successiva esposizione allo stesso antigene – Rilascio dei mediatori e manifestazione patologica – Attivazione – Produzione
• Esiste una forte predisposizione genetica per lo sviluppo di aller gie. • Gli antigeni che scatenano l’ipersensibilità, detti allergeni, sono proteine ambientali o molecole comuni. • Le citochine prodotte dai TH 2 sono responsabili di molte caratteristiche diata.
dell’ipersensibilità imme-
• Le manifestazioni cliniche e patologiche consistono in reazioni vascolari e muscolari che si sviluppano rapida me nte (reazione immediata) e nell’infiammazione (reazione tardiva). Mediatori differenti sono responsabili delle diverse componenti di reazione immediata e tardiva. • Le reazioni si manifestano in modi diversi, tra i quali le allergie della cute e delle mucose, le allergie alimentari, l’asma e l’anafilassi sistemica. Nella forma sistemica più estrema, l’anafilassi, i mediatori derivati dai mastociti possono restringere le vie aeree al punto di portare a morte per asfissia.
19.1
Produzione di IgE
Le IgE sono le immunoglobuline più efficaci nel legare i recettori Fc dei mastociti e nell’attivarli. Negli individui allergici la produ zione di IgE in risposta ad allergeni ambientali è alta, mentre in quelli nor mali di solito vengono prodotte IgM ed IgG. Natura degli allergeni Gli antigeni che stimolano
le risposte di ipersensibilità immediata sono pr oteine o molecole legate a proteine alle quali l’individuo allergico è cronicamente esposto. Due sono le caratteristiche importanti degli aller geni: • Esposizione cronica • Non stimolano la risposta immunitaria innata, la quale promuoverebbe l’attivazione macr ofagica con secrezione di IL-12 che induce lo sviluppo di risposta TH 1. +
L’attivazione cronica o ripetuta dei linfociti T in assenza di immunità innata porta le cellule C D 4 verso la via TH 2 in quanto i linfociti stessi producono IL-4, la più importante citochina nell’induzione di TH 2. Le reazioni di ipersensibilità immediata sono dipendenti dai linfociti T, pertanto gli antigeni T-indipendenti (ad esempio i polis acca ridi) , non possono scatena rle a men o che non si associno a prot eine sfruttando l’ ef fetto aptene-carrier . L’esposizione ripetuta ad un particola re antigene è necessaria per lo sviluppo di una reazione aller gica in quanto lo switch ad IgE e la sensibilizzazione dei mastociti deve verificarsi per pote r ave re questo tipo di risposta. L’esempio più evidente è quello della puntura d’ape; le prote ine del veleno dell’insetto
non danno problemi al primo incontro in quanto l’individuo non ha ancora IgE specifiche: una risposta può invece instaurar si agli incontri successivi, e anche una sola puntura può a questo punto portar e ad anafilassi fatale.
Le cellule dendritiche epiteliali catturano gli allergeni trasportandoli ai linfonodi dove vengono presentati ai linfociti T naive che differenziano in cellule T effettrici del sottogruppo TH 2. Le cellule TH 2 differenziate promuovono lo switch ad IgE soprattutto tramite la secrezione di IL-4 ed IL13. Queste cellule sono coinvolte anche in altri aspetti della risposta immediata; l’IL-5 secreta attiva gli eosinofili mentre IL-13 oltre allo switch stimola le cellule epiteliali (ad esempio delle vie aeree) a produrr e più muc o. Oltre a stimolare la produ zione di IgE, le cellule TH 2 contribuiscono all’infiammazione della reazione tardiva: vengono infatti accumulate ai siti di infezione in risposta alle chemochine in quanto esprimono i recettori CCR4 e CCR3. Attivazione dei TH2
89 Attivazione dei linfociti B e switch I linfociti B specifici per gli allergeni vengono attivati dalle cellule TH 2 sotto l’influenza di CD40L e di altre citochine, soprat tutto IL-4: si ha a questo punto anche lo switch all’isotipo IgE (quindi catena pesante ε). Le IgE allergene-specifiche prodotte dai linfociti B entrano in circolo e si legano ai recettori Fc dei mastociti tissutali che diventano così sensibili e pr onti a reagire ad un secondo incontro con l’antigene.
19.2
Legame delle IgE a mastociti e basofili
Mastociti e basofili esprimon o un recettore Fc ad alta affinità specifico per le catene pesanti ε: il recettore Fcε RI. Le IgE funzionano come recettori antigenici sulla superficie delle cellule dell’ipersen sibilità immediata: questa funzione è mediata dal legame dell’anticorpo al recettore FcεRI. I mastociti tissutali in tutti gli individui sono normalmente ricoperti di IgE legate al recettore, ma negli individui allergici molte di queste Ig sono specifiche per uno o alcuni antigeni : l’esposizione a questi antigeni è dunque in grado di fare un cross-link sui recettori e attivare la cellula. Ogni recettore FcεRI è composto d a una catena α che media il legame con l’IgE e da una catena β e due catene γ che mediano la segnalazione . La catena beta contiene un singolo ITAM, mentre le due catene gamma, om ologhe alla catena ζ del TCR, ne contengono uno a testa. La fosforilazione di una tirosina sui domini ITAM delle tre catene del recettore inizia la segnalazione richiest a per l’attivazione mastociti. dei del recettore FcεRI è stimolata dalle IgE in un meccanismo che amplifica dunque questo L’espressione tipo di reazioni.
19.3
Ruolo di mastociti, basofili ed eosinofili
Mastociti, basofili ed eosinofili sono le cellule effettrici dell’ipersensibilità immediata e delle patologie allergiche. Tutti e tre i tipi di cellula contengono granuli i cui contenuti sono i mediatori principali di queste reazioni e tutti sono in grado di produrre mediatori lipidici e citochine che inducono infiammazione. Proprietàdi mastociti e basofili Nor mal me nte i mastociti maturi non si trovano in circolo in
quanto i progenitori migrano nei tessuti periferici come cellule im mature e differenziano in situ. Esistono due principali sottogruppi di mastociti che differiscono per collocazione anatomica, contenuto dei granuli ed attività. Nei roditori un sottogruppo si trova nella mucosa del tratto GI; queste cellule hanno poca istamina nei granuli e molto coindrotin solfato. Lo sviluppo di questi mastociti mucosali dipende in vivo dalla citochina IL-3 prod otta dai linfociti T. La controparte umana di questi mastociti mucosali di solito si identifica per la presenza di triptasi nei granuli ma assenza di altre pr oteasi neutre. Un secondo sottogruppo di mastociti si trova nel polmone e nella sierosa delle cavità corporee e viene definito gruppo dei mastociti tissutali. Il maggior proteoglicano nei loro granuli è l’eparina,
e produ cono inoltre molta istami na. Questi mast ociti tissuta li mo strano pochissima dipendenza dai linfociti T. Nell’uom o il sottogruppo si identifica per la presenza di pare cchie proteasi neutre nei granuli: triptasi, chimasi, proteasi simil catepsina-G e carbossipeptidasi. La suddivisione in sottogruppi è alla base di differenze funzionali. I mastociti mucosali sono presumibilmente coinvolti nelle reazioni di ipersensibilità immediata che coinvolgono le vie aeree e altre mucose, mentre quelli tissutali sono coinvolti nelle reazioni cutanee. I basofili maturi circolano nel sangue e costituiscono meno dell’1% dei globuli bian chi totali. Norm almente non sono prese nti nei tessuti ma possono essere richiamati nelle se di di infiammazione.
I basofili sono capaci di sintetizzare molti dei mediatori prodotti dai mastociti e, come questi, esprimono il recettore FcεRI per legare le IgE e quindi possono essere attivati nello stesso modo. L’esposizione all’antigene in un soggetto allergico è in grado di realizzare un cross-link tra un numero sufficiente di IgE e attivare il mastocita; negli individui non aller gici le IgE associate al mastocita sono specifiche per molti antigeni diversi e quindi un singolo antigene difficilmente riuscira ad attivare la cellula. L’attivazione del mastocita ha tre effetti biologici: Attivazione dei mastociti
1. Secrezione dei contenuti dei granuli per esocitosi 2. Sintesi e secrezione di mediatori lipidici 3. Sintesi e secrezione di citochine 90 tirosin chinasi Lyn è associata in modo costituitivo alla catena beta del FcεRI. Quando il recettor e La subisce cross-link la chinasi si porta a fosforilare i domini ITAM delle catene beta e gamma: questo attira la tirosin chinasi Syk ai domini d ella catena gamma e la rende attiva. Syk attiva è responsabile della fosforilazione e dell’attivazione di molte delle proteine della cascata di segnalazione. Una pr oteina adat tatrice esseziale attivata da Syk è LAT (Linker for activation of T cells). Uno degli enzimi reclutati da LAT è l’isoforma gamma della fosfolipasi C (PLCγ ) che catalizza la rottura di P I P2 a dare I P 3 e DAG. I P 3 causa l’aumento del calcio citoplasmatico mentre DAG attiva la protein chinasi .CUna seconda proteina ad attatrice fondamentale che viene fosforilata da Fyn è la proteina Gab2: questa si porta ad attivare la fosfoinositide-3 chinasi che porta anch’essa all’attivazione di PKC. La fusione dei granuli dei mastociti alla membrana plasmatica è mediata da membri della famiglia proteica SNARE. La formazione di complessi SNARE è regolata da molte molecole accessorie tra le quali le guanosin-fosfatasi Rab3 e le chinasi e fosfatasi Rab-associate. Nei mastociti a riposo quest i enzimi l’ attivazione di PKC blocca le funzioni inibiscono la fusione dei granuli alla membrana plasmatica; regolatorie e per mette la fusione. La sintesi di mediatori lipidici è controllata dall’attivazione della fosfolipasi A 2 da parte di due segnali: il calcio citoplasmatico e la fosforilazione da parte di ERK. ERK a sua volta è attivata come conseguenza della cascata iniziata dai domini ITAM del recettore. Una volta attivata, la fosfolipasi idrolizza i fosfolipidi di membrana per rilasciare s ubstrati che saranno convertiti a mediatori da vari enzimi. Il prin cip ale substrato è l’ acido arachidonico, convertito a vari mediatori da cicloossigenasi e lipoossigenasi. La produzione di citochine nei mastociti è il risultato della trascrizione dei geni corrispondenti. Il reclutamento e l’attivazione di parec chie molecole adattatrici e chinasi in risposta ai segnali recettoriali porta alla traslocazione nucleare del fattore nucleare dei linfociti T attivati (NFAT) e del fattore nucleareκ B, oltre all’attivazione della proteina AP-1. Questi fattori di trascrizione stimolano la trascrizione di diverse citochine: IL-4 , IL-5 , IL-6 , IL-13 e TNF, ma non IL-2. L’attivazione dei mastociti è regolata da parecchi recettori inibitori che contengono domini ITIM. Uno di questi recettori inibitori è Fcγ RIIb che si aggrega a FcεRI e viene anch’esso fosforilato da L yn: questo porta al reclutamento della fosfatasi SHIP che inibisce la normale segnalazione. I mastociti possono essere attivat i direttamente anche da altre sostanze biologiche in modo indipendente da FcεRI. Alcuni mastociti e basofili rispondono ad esemp io a chem ochine derivanti da fagoc iti mononucleati, ad esempio MIP-1 α, e a chemochine T -derivate. Alcuni elementi del complemento, soprattutto C5a, stimolano inolt re la degranulazione dei mastociti tramite recettori appositi. Molti neuropeptidi, tra i quali la sostanza P e la somatostatina, inducono infine rilascio di istamina da parte dei mastociti. L’attivazione di queste cellule non è un fenomeno tutto o nulla ma pre senta diver si gradi c he corrispondono a presentazioni cliniche variabili.
19.3.1
Mediatori derivati dai mastociti
I mediatori si possono dividere in mediatori preformati(ammine biogene e macromolecole dei granuli) e mediatori neosintetizzati (mediatori lipidici e citochine). Nei mastociti umani il principale mediatore di questa famiglia è l’istamina . L’istamina agisce legandosi a recettori sulle cellule bersaglio; differenti tipi cellulari esprimono recettori diversi (H1, H2, H3) riconoscibili per la loro risposta farmacologica. Le azioni legate all’istamina sono Ammine biogene
di
breve durataperchè questa viene rimossa da un sistema di trasporto ammina-specifico . L’istamina inizia una serie di eventi intracellulari come la rottura di P I P2 a I P3 e DAG. Il legame di questa ammina alle cellule dell’endotelio ne causa contrazione con conseguente aumento degli spazi endoteliali, aumento della permeabilità vascolaree fuoriuscita di plasma verso i tessuti. L’istamina stimola inoltre le cellule endoteliali a sintetizzare miorilassanti e vasodilatatori quali la prostacic lina o l’ossido nitrico e quindi causa vasodilatazione . L’istamina infine causa costriz ione della mus colatura liscia intestinale e bronchiale. La broncocostrizione nell’asma è però più prolu ngata degli effetti dell’istamina, suggerendo che altri mediatori siano importanti in alcune forme di ipersensibi lità immediata.
Le serine proteasi neutre, tra le quali triptasi e chimasi [?], dei granuli dei mastociti e contribuiscono ai danni tissutali. La triptasi in partic olare si sa essere presente esclusivamente nei mastociti e il suo ritrovamento è segno di attivazione di queste cellule. In vitro questo enzima spezza il fibrinogeno ed attiva la collagenasi. Enzimi granulari e p roteoglicani
sono i costituenti più abbondanti
I proteoglicani, tra i quali eparina e condroitin solfato, sono altri importanti contenuti dei granuli. Queste molecole sono contenute in associazione agli altri enzimi: i vari mediatori sono rilasciati dai prote oglicani a diverse velocità e quindi queste molecole controllano la cinetica delle reazioni di ipersens ibilità immediata. Mediatori lipidici Il più importante mediatore derivato dall’acido arachidonico lungo la via delle cicloossigenasi è la prostaglandinaD 2 : questa molecola agisce come vasod ilatatore e br oncocostrittor e
ma prom uove anche la chemotassi e l’accumulo dei neutrofili ai siti infiammatori. La sintesi di questa prostagla ndina può essere e vitata bloc cando la cicloossigenasi con aspirina o altri FANS. I più importanti mediatori derivati dall’acido arachidonico lungo la via delle lipoossigenasi sono i leucotrieni, in partic olare LT C 4 e i suoi prodotti di degradazione LT D 4 e LT E 4 . Queste molecole legano recettori specifici sulle cellule muscolari lisce e causano una broncocostrizione pr olungata. Un terzo tipo di mediatore lipidico prodotto nei mastociti è il fattore attivante le piastrine (PAF) che ha effetti di broncocostrizione diretta: le sue azioni biologiche sono però limitate perchè viene degradato per via enzimatica. Citochine Le citochine prodotte dai mastociti e dai basofili sono TNF , IL-1 , IL-4 , IL-5 , IL-6 , IL-13 MIP-1α e MIP-1β. Queste molecole sono responsabili soprattutto della fase tardiva della reazione.
Il NTF attiva l’espressione endoteliale di molecole di adesione e, insieme alle chemochine, giustifica l’infiltrazione di neutrofili e monociti. Gli eosinofili sono abbondanti negli infiltrati infiammatori della fase tardiva e contribu iscono a molti processi patologici. Le citochine prodotte dai linfociti TH 2 promuovono l’attivazione di queste cellule e il loro reclutamento: in partic olare IL-5 è un forte attivatore e migliora la capacità degli eosinofili di rilasciare i loro granuli. Gli eosinofili legano le cellule endoteliali che esprimono la selectina-E e il ligando per l’integrina VLA-4. Il reclutamento ai siti infiammatori dipende inoltre dalla chemochina CCL11prodotta dalle cellule epiteliali che si lega al recettore CCR3 . I contenuti dei granuli degli eosinofili contengono idrolasi specifiche così come proteine particolarmente tossiche agli elminti, tra le quali la proteina basica principale. Gli eosinofili attivati pr oducono inoltre mediatori lipidici tra i quali PAF, prostagla ndine e leucotrieni. 19.4
Reazioni dell’ipersensibilità immediata
Reazione immediata Quando un individuo sensibile subisce
un’iniezione intradermica dell’antigene
per il quale ha prodotto IgE, il sito di ingresso diventa immediatamente rosso per via dei vasi sanguigni dilatati e si gonfia a causa dell’uscita di plasma dalle venule. Il gonfiore prende il nome di pomfo [che cazzo centimetriarrossamento. ola pomfo interesseare un’a rea diundiversi di pardel è?] e può di diametro. Successivamente i vasi ai margini si dilatano La reazione pomfoide producono caratteristico completa appare in cinque o dieci minuti e tipicamente svanisce in meno di un’ora. Questa reazione è dipendente da IgE e mastociti: i mastociti dell’area del pomfo hanno infatti rilasciato i loro mediatori preformati, qu indi hanno svuotato i granuli. Un mediatore fondamentale è l’istamina, che lega i recettori sulle cellule endoteliali venulari facendo loro sintetizzare prostaglandine, ossido nitrico e PAF che causano vasodilatazione e fuoriuscita di pla sma.
91
La reazione immediata è seguita dopo alcune ore da quella tardiva che consiste nell’accumulo di leucociti, cioè neutrofili, eosinofili, basofili e cellule TH 2. L’infiammazione raggiunge il picco in 24 ore e poi declina. I mastociti produconi citochine, tra le quali il TNF, che possono stimolar e l’espressione di molecole endoteliali di adesione leucocitaria, tra le quali la selectina-E e ICAM-1. Questa fase della reazione può avvenire anche senza evidenza di una reazione immediata, ad esempio nell’asma. Reazione tardiva
19.5
Suscettibilità genetica
La sintesi abnorme di IgE è spesso familiare con una chiara trasmissione autosomica dominante, anche se il patte rn complet o di ereditarietà è comunque multigenico. Uno dei loci interessati si tr ova sul cromosoma 5q, vicino al cluster genico che codifica per parec chie citochine. Polimorfism i nel gene che codifica IL-13 sono associati fortemente all’asma. La tendenza a produrre IgE contro alcuni antigeni, ad esempio alcuni pollini, può inoltre essere legata a particolari alleli di MHC di classe II. Alcuni geni i cui prodotti regolano la risposta immunitaria innata sono associati ad allergia ed asma: tra essi CD14, un componente per il recettore di LPS, e Tim-1, probabilmente coinvolto nell’influenzare la differenziazione degli helper. Forti risposte immunitarie innate stimolano lo sviluppo di TH 1, quindi se vengono diminuite si favorisce TH 2 e l’ipersensibilità. 19.6
Patologie allergiche nell’uomo
Le più comuni form e di patologie allergiche sono la rinite allergica(febbre da fieno), l’ asma bronchiale, l’eczema e le allergie alimentari. Le caratteristiche cliniche e patologiche dipendono dal sito anatomico di reazione: antigeni inalati causano rinite o asma, antigeni ingeriti causano vomito o diarr ea, antigeni iniettati causano effetti sistemici. L’anafilassi è caratterizzata da edema in molti tessuti e crollo della pr essione sanguigna a causa della vasodil atazione. Gli allergeni attivano i mastociti in molti tessuti, e i mediatori guadagnano così accesso al letto vascolare. Il calo del tono vascolare e la fuga di pla sma risulta no in cun crollo pressorio che porta a shock anafilattico spesso fatale. Gli effetti cardiovascolari sono accompagna ti da costriz ione delle vie aeree, edema laringeo, ipermotilità intestinale e orticaria. Il trattamento d’elezione è l’epinefrina sistemica, che contrasta gli effetto broncocostritt ori e vasodilatatori. Anafilassi sistemica
è una patologia infiammatoria causata da ripetute ipersensibilità immediate e tardive nel polmone. Circa il 70% dei casi è dovuto all’ipersensibilità immediata IgE mediata mentr e il 30% ha altre caus e a volte scatenate da stimoli non immunitari. Gli eventi patofisiologici dell’asma sono legati alle citochine prodot te da mastociti ed eosinofili che costringono le vie aeree. La terapia ha al momento due bersagli: l’infiammazione e il rilassamento della muscolatura liscia dei br onchi. Asma bronchiale L’asma
Allergie alimentari Le manifestazioni cliniche comprendono iper peris talsi, ipersecrezione
intestinale, vomito e diarrea, a volte orticaria e anafilassi sistemica. tipi di cibo, ma tra i più com uni ci sono arachidi e molluschi. Allergie cutanee Le due manifestazioni evidenti sono orticaria una reazione pomfoide acuta, può persistere per ore.
di fluido Le allergie sono associate a molti
ed eczema. L’orticaria, essenzialmente
In immunologia clinica spesso si prova a limitare l’instaurarsi di reazioni allergiche con trattamenti che riducono la quantità di IgE nel soggetto. Un approccio, la desensibilizzazione, prevede la ripetuta esposizione a limitate quantità di antigene per via sottocutanea: il risultato empirico è l’aumento del titolo di IgG e la diminuzione del titolo di IgE. Questo tipo di approccio è usato per la prevenzione di reazioni anafil attiche acute (ad esempio veleni) o per poter somministrare farmaci vitali (ad esempio pennicillina).
92
Capitolo 20. Immunodeficienze congeni te ed acquisite Le immunodeficienze si dividono in due grandi categorie. Le immunodeficienze congenite o primitive sono il risultato di difetti genetici e conferiscono un’aumentata sensibilità alle infezioni; queste patologie si manifestano precocemente ma occasionalmente danno manifestazione clinica in età più avanzata. Le immunodeficienze secondarie o acquisite si sviluppano a seguito di malnutrizione, cancro, uso di farmaci immunosoppressivi o infezioni delle cellule del sistema immunitario (da HIV in primis). Le caratteristiche generali delle immunodeficienze sono: • Aumento della sensibilità alle infezioni. Difetti nell’immunità umorale espongono a rischio di infezioni batteriche, mentre difetti in quella cellulo mediata espongono a rischio di infezioni virali o da parte di batt eri intracellulari. • Aumento del rischio di cancro.
Molte delle neoplasie che insorgono in queste condizioni sono
dovute a virus oncogeni, ad esempio il virus di Epstein-Barr . • Le immunodeficienze possono insorgere sia per difetti nella maturazione/attivazione che per difetti nei meccanismi effettori di immunità innata o adattativa.
20.1
dei linfociti
Immunodeficienze congenite
In diverse immunodeficienze l’anormalità principale può trovarsi indiversi componenti del sistema immunitario innato, o a diversi stadi della maturazione dei linfociti, o nelle risposte dei linfociti maturi alla stimolazi one antigenica. • Le anormalità ereditarie dell’immunità innata affligono di solito i fagociti o il complemento. • Le anomalie dello sviluppo linfocitario possono derivare da mutazioni degli enzimi fondamentali.
nei geni codificanti alcuni
• Le anormalità nello sviluppo e nella funzione dei linfociti B sfociano in carente produzione di anticorpi e suscettibilità ai batte ri extrace llulari. Queste patolog ie sono identificate tramite (non tutti i criteri valgono per ogni patologia): – bassi titoli di Ig nel sier o – assenza di risposta alla vaccinazione – ridotto numero
di linfociti B in circolo o nei tessuti linfoidi, assenza di plasmacellule
• Le anormalità nella maturazione e nella funzione dei linfociti T portano a imm unità cellul o-m ediat a carente e aumento del rischio di infezioni intracellulari. Queste patologie sono identificate tramite: – Ridotto numero
di linfociti T nel sangue periferico
– Poca risposta proliferativa ad attivatori policlonali – Mancanza 20.1.1
di risposte di ipersensibilità di tipo ritardato (IV) a antigeni micr obici
Difetti dell’immunità innata
I disordini congeniti dei fagociti e del sistema del complemento sfociano in infezioni ricorrenti, in par ticolare da batteri Neisseriae, e spesso contribuiscono al rischio di patologie autoimmuni, soprattutto lupus eritematoso sistemico . Malattia granulomatosa cronica La malattia granulomatosa cronica
è una malattia rara [1 : 10 6 ] della quale i due terzi dei casi presenta uno schema di ereditarietà di tipo X-linked recessivo . La patologia è causata da mutazioni nei componenti del complesso enzimatico dell’ ossidasi fagocitica . La forma più comune è causata da una mutazione codificante la subunità alfa del citocromo b558 : questa mutazione porta a difetti nella produzione di superossidi, cioè i ROS responsabili dell’attività microbicida del fagocita. La mancanza di superossidi rende i fagociti incapaci di uccidere i microbi fagocitati: si hanno infezioni ricorrenti di funghi e batt eri a partire dalla prima inf anz ia. Le infezioni non vengono controllate dai fagociti e quindi stimolano risposte immunitarie cellulomediate croniche
93
che portano a formazione di granulomidi macrofagi attivati. La patologia è spesso fatale anche se vengono adottate forti terapie antibiotiche. L’inter ferone gammastimola la trascrizione del gene phox91 e di altri componenti del complesso dell’ossidasi: se la produzione viene ripristinata ad un valore di circa il 10% del normale si ha già un grande miglioramento nella resistenza alle infezioni; l’inter ferone gamma è la terapia di elezione per questo tipo di patologia. Deficienze nell’adesione leucocitaria La sindrome da deficit di adesione leucocitaria di tipo 1 è una patologia autosomica recessiva caratter izzata da frequenti infezioni batteriche e fungine e carenza nella guarigione delle ferite. In questi pazienti le funzioni leucocitarie dipendenti dall’adesione sono anormali. La base molecolare è l’assenza o la carente espressione delle integrine β 2 , tra le quali LFA-1 e Mac-1; queste proteine partecipano all’adesione dei leucociti alle altre cellule, soprattutto cellule endoteliali ed APC. La sindrome da deficit di adesione leucocitaria di tipo 2 è clinicamente simile alla pr ecedente
difetto nelle integrine. LAD-2 risulta invece dall’assenza di SLEX, un ligando necessario ma si ha con per non il legame le selectine E e P dell’endotelio. Sindromedi Chédiak-Higashi La sindrome di CH è una patologia autosomica recessiva caratterizzata da ricorrenti infezioni di batteri piogeni, parziale albinismo oculocutaneo e infiltrazioni in vari organi di linfociti non neoplastici. Neurtrofili, monociti e linfociti dei pazienti affetti contengono lisosomi giganti. La malattia è causata da mutazioni nel gene che codifica la proteina LYST che gestisce il
traffico lisosomiale: la fusione fagosoma lisosoma diventa difettosa (da cui le ricorrenti infezioni), non si forma il melanosoma nei melanociti (da cui l’albinismo) e si formano anormalità lisosomiali nelle cellule nervose. I lisosomi giganti si formano durante la maturazione dai precursori mieloidi: queste cellule possono prese ntare care nze negli enzimi lisosomiali microbicidi ma anche difetti nella chemotassi e nella fagocitosi. Le cellule NK mostrano ridotta funzionalità, probabilmente a causa delle anor malità nei granuli citoplasmatici che contengono gli enzimi per la loro citotossicità. Difetti ereditari nei pathwaydel TLR e della segnalazionedi NF-κB Alcune immunodeficienze sono causate da difetti nelle vie di segnalazione a valle dei TLR. Mutazioni nell’ inibitore dellaκB chinasi γ , detto anche NEMO , contribuiscono alla condizione X-linked recessiva detta displasia ectodermica anidrotica con immunodeficienza (zumpapà zumpapà). NEMO è fondamentale per l’attivazione di
NF-κB, se viene compromesso la differenziazione delle strutture di derivazione ectodermica è anor male e le funzioni immunitarie ne escono danneggiate. Questi pazienti soffr ono di infezioni da parte di batteri piogeni capsulati, così come di patogen i intracellulari. 20.1.2
Immunodeficienze gravi combinate
I disordini che colpiscono sia l’immunità cellulomediata che quella umorale sono detti immunodeficienze gravi combinate o SCID (Severe Combined ImmunoDeficiencie s). Qu este patologie sono caratteri zzate da carenze di linfociti T e B o solo dei linfociti T: nel secondo caso il danno all’immunità umorale si ha per via dei linfociti T helper malfunzionanti . I bambini mala ti di SCID normalmente hanno infezioni entro il primo anno di vita e muoiono se non trattati. Difetti nei recettori per le citochine: X-linked Circa il 50% dei casi di SCID è X-linkede dovuto a mutazioni nel gene codificante la catena γ comune condivisa dai recettori per le interleuchine IL-2, IL4, IL-7, IL-9 e IL-15. Queste condizioni sono caratterizzate da problemi alla maturazione dei linfociti T e delle NK senza cali nel numero dei linfociti B: il problema all’immunità umorale è dunque legato solamente agli helper. La patologia è dovuta all’incapacità della citochina IL-7 di stimolare la crescita dei timociti immaturi, e all’incapacità della citochina IL-15di far proliferar e le cellule NK. Difetti nei recettori per le citochine: autosomiche Alcuni pazienti con un quadro patologico uguale alle SCID X-linked mostrano ereditarietà autosomica recessiva. Le mutazioni si hanno a carico della catena α del recettore per IL-7. Difetti nel riciclo delle purine Circa il 50% dei casi di SCID mostra eredità autosomica recessiva , e (ADA), che ha ruolo nel riciclo molti di questi casi sono legati a difetti nell’enzima adenosina deaminasi delle purine. L’enzima catalizza la deaminazione dell’adenosina a 2’-deossiadenosina e dell’inosina a 2’-deossiadenosina. Il difetto porta all’accumulodi deossiadenosina e dei suoi precursori che hanno
94
molti effetti tossici, tra i quali l’inibizione della sintesi di DNA. I linfociti in fase di sviluppo sono meno efficienti delle altre cellule nel degradare dATP a 2-deossiadenosina e quindi sono particolarmente sensibili alla carenza di ADA. Una forma più rara di SCID è dovuta alla carenza di un altro enzima, la purina nucleoside fosforilasi (PNP), anch’esso coinvolto nel catabolismo delle purine. PNP catalizza la conversione dell’inosina in ipoxantina e della guanosina a guanina: il difetto porta ad accumulo di deossiguanosina e deossiguanina con effetti tossici sui linfociti immaturi, soprattutto i T . Difetti nella ricombinazione V(D)J Mutazioni nei geni RAG1, RAG2 o ARTEMIS rappresentano la causa di un gran numero di forme autosomiche recessive di SCID. Mutazioni ipomorfiche in questi geni portan o a condizioni di ristretta generazione di linfociti B e T, immunodeficienze e autoimmunità, come nella sindrome di Omenn. Difetti nel checkpoint pre-TCR Rare forme
di SCID sono state collegate a mutazioni nei geni codif-
icanti CD45 e le catene δ o ε di CD3. Un’altra forma rara è causata dalla mutazione del gene Orai1 , componente dei canali CRAC . L’attivazione dei recettori per l’antigene, così come dei recettori pr eantigenici porta all’attivazione dell’isoformaγ della fosfolipasiC (PLCγ )e al rilascio I P3 dipendente di calcio dal RE e dai mitocondri. Il rilascio di calcio è compensato dai canali CRAC che facilitano il flusso di calcio dal pool extracellulare e questo processo è cruciale per l’attivazione linfocitaria. Difetti nello sviluppo del timo: sindrome di DiGeorge Il difetto congenito si mostra come ipoplasia o agenesi del timo e porta a difetti nella maturazionedei linfociti T, ad assenza delle ghiandole paratiroidi(quindi anormale omeostasidel calcio e tetania) e sviluppo anomalo di volto e grandi vasi. La patologia è causata da una delezione nel cromosoma 22q11.2. L’immunodeficienza può essere spiegata a causa della delezione del gene TBX1 che mappa in quella regione. In questa sindr ome i linfociti T nel sangue periferico sono assenti o molto ridotti e le cellule non rispondono agli attivatori policlonali. L’immunodeficienza può essere corretta con trapianto di timo fetale o di midollo osseo
ma normalmente non è necessaria perchè la funzionalità immunitaria tende a migliorare con gli anni. Le ragioni del miglioramento spontaneo possono essere la prese nza di tessuto timico ectopico o l’esistenza di una sede extratimica di maturazione linfocitaria ancora non scoperta. 20.1.3
Deficienze
anticorpali:
difetti
nello sviluppo
e nell’attivazione
dei
linfociti
B
Agammaglobulinemia X-linked La patologia
è caratterizzata dall’assenza di gammaglobuline nel sangue ed è tra le immunodeficienze congenite più comuni. Il difetto è il fallimento dei linfociti B di maturare oltre lo stadio di cellula pre-B a causa di mutazioni nel gene codificante la tirosin chinasi di Bruton(Btk). Btk è coinvolta nella trasduzione del segnale dal pre-BCR, segnale richiesto per la sopravvivenza e la differenziazione delle cellule pre-B. I pazie nti affetti nor malm ente hanno Ig sieriche basse o assenti, pochi linfociti B nel sangue periferico e nei tessuti linfoidi, mancano di centri germinativi nei linfonodi e di plasm acellule nei tessuti. Le complicazioni infettive dell’agammaglobulinemia x-linked sono molto ridotte dalle iniezioni periodiche di preparati di gamma globuline: questi prepara ti contengono anticorpi preformati contro patogeni comuni e quindi forniscono un’e fficace immunità passiva. Agammaglobulinemie autosomiche Forme autosomiche recessive di agammaglobul inemia sono state descritte. I geni mutanti comprendono il gene µ della catena pesante delle IgM, il gene Igα che codifica un componente segnalatorio sia del pre-BCR che del BCR, e il gene BLNK che codifica una
proteina a datt atri ce important e. Deficienze selettive di isotipi di Ig
La più comune è la deficienza selettiva di IgA [1 : 700] che è
inoltre la più comune immunodeficienza primaria conosciuta. Le caratteristiche cliniche sono variabili. Molti pazie nti sono norm ali, altri hanno infezioni occasionali e diarrea, altri hanno gravi infezioni con danno permanente ad intestino e vie aeree. Il difetto in questi pazienti è il blocco nella differenziazione delle cellule B a plasmacellule secernenti IgA. I geni delle cat ene pesanti alfa e l’espressione delle IgA di membrana sono normali. In una piccola porzione di pazie nti le mutazioni sono state individuate in TACI, uno dei tre tipi di recettore per le citochine BAFF ed APRIL. Le deficienze selettive delle sottoclassi di IgG sono patologie in cui il titolo delle IgG è normale ma le concentrazioni di una o più sottoclassi sono sotto la norma. La deficienza delle IgG3 è la più
95
comune negli adulti, delle IgG2 nei bambini. Alcuni individui pr esentano infezioni batteriche ricorrenti ma la maggior parte non ha problemi clinici. Difetti nella differenziazione: immunodeficienze variabili comuni Le immunodeficienze variabili comuni sono un gruppo eterogeneo di disordini definito dalla riduzione dei livelli di Ig nel siero: la diagnosi viene fatta per esclusione. Linfociti T maturi sono presenti in questi pazienti ma le plasm acellule mancano e questo suggerisce un blocco nella dif ferenziazione. Una piccola porzione di pazienti affetti condivide una delezione del gene ICOS , mentre una causa più comune è la prese nza di mutazioni in TACI.
Sindromi iper-IgM La sindrome iper-IgM X-Linked è un raro disordine associato con il difetto dello switch verso gli isotipi IgA ed IgG; questi isotipi sono dunque carenti nel sangue e si ha
compensazione da parte delle IgM. Il difetto è causato da mutazioni nel gene che codifica CD40L: le forme mutate non stimolano i linfociti B a subire lo switch. I pazienti affe tti mostrano anche difetti nell’immunità cellulo mediata e un’eno rme sensibilità alle infezioni da parte del fungo Pneumocystis jiroveci. Rari casi di sindrome iper -IgM mostrano ereditarietà autosomica dominante. In questi casi il difetto può essere in CD40 o in AID , l’enzima coinvolto nello switching della catena pesante. 20.1.4 Difetti nell’attivazione e nella funzione dei linfociti T Difetti nell’esp ressione di MHC II: sindrome del linfocita nudo La sindrome del linfocita nudo è un gruppo di patologie autosomiche recessive in cui i pazienti espri mono ba ssi livelli (o non esprimono affatto) HLA-DP, HLA-DQ o HLA-DR su linfociti B, macrofagi e cellule dendritiche. L’espressione delle molecole di MHC I è normale. Nella maggior parte dei casi le sindromi sono dovute a mutazioni nei geni che codificano proteine regolanti la trascrizione dell’MHC II. Ad esempio mutazioni nel fattore RFX5 o in CIITA portano a ridotta espress ione di MHC II e quindi all’ impossibilità di attivare i linfociti C D 4+ . La mancata presentazione dell’antigene può portare a problemi nella selezione positiva nel timo o a difetti nell’attivazione delle cellule in periferia. La patologia appare entroil primo annodi vita ed è tipicamente fatale se non trattata con trapianto di midollo osseo . Difetti nell’esp ressione di MHC I
Sono state descritte anche deficienze autosomiche recessive di
MHC I associate a riduzione di funzionalità e numero di linfociti T C D8+ . In alcuni casi la patologia è dovuta a mtuazioni nei geni codificanti le subunità TAP-1 e TAP2 del complesso TAP responsabile del traffico di peptidi dal citosol al RE. I pazienti privi di TAP mostrano poche molecole MHC I e soffr ono soprattutto di infezioni del tratto respiratorio ma non di infezioni virali, dato discordante considerato che la principale funzione dei linfociti citotossici è la difesa dai virus. Difetti nella trasduzione del TCR Esempi comprendono la limitata e spressione o funzionalità del complesso TCR a causa di mutazioni nei geni CD3 ε e γ, oppure la segnalazione difettosa a cau sa di mutazioni nel gene ZAP-70 o ancora la mancata espressione dei recettori IL-2. I pazienti af fetti possono avere deficienze soprattutto nella funzione delle cellule T o avere immunodeficienze miste T e B. W iskott-Aldrich La sindrome di Wiskott-Aldrich è una patologia X-linked caratterizzata da eczema, trombocitopenia e aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche. Alcune delle anor malità possono esse re ricondotte a difetti nell’attivazione dei linfociti T. Nelle fasi iniziali della malattia il numero di linfociti è normale e il principale difetto è l’incapacità di produrre anticorpi verso antigeni T indipendenti. L’avanzare dell’età porta a una riduzione del numero di linfociti e ad un’immunodeficienza
Sindromedi
più grave. Il gene difettoso codifica la proteina WASP che interagisce con pare cchie altre pr oteine, incluse quelle adattatrici a valle del recettore antigenico. Sindrome linfoproliferativa X-linked La sindrome linfoproliferativa X-linked è un disordine legato all’incapacità di eliminare il virus di Epstein-Barre porta a mononucleosi fulminante e a sviluppo di tumori ai linfociti B e ipogammaglobulinemia associata. Nell’80% dei casi il problema è dovuto ad una mutazione nel gene che codifica la proteina SAP, che lega una famiglia di prote ine
96
super ficiali coinvolta nell’attivazione di NK e linfociti B e T (tra le quali la molecola SLAM). SAP collega le pr oteine SLAM e 2B4 alla kinasi FynT: se manca si ha attenuazione del processo di attivazione. Nel restante 20% dei casi il difetto risiede invece nel gene che codifica XIAP: il risultato è un aumento del processo apoptotico dei linfociti T e delle cellule NK-T che porta a una evidente riduzione del numero di queste cellule nel paziente.
La famiglia delle sindromi di linfoistiocitosi emofagocit- ica sono caratterizzate da attivazione incontrollata di linfociti citotossici e macrofagi in cui la secr ezione granulare da parte dei C D 8+ e delle NK è difettosa. Una caratteristica tardiva ma sorprendente è l’ingestione dei globuli rossi da parte dei macrofagi attivati (emofagocitosi). Mutazioni nei geni RAB27A e MUNC13-14 sono alla base della compromissione della fusione dei granuli con la membrana plasmatica e contribuiscono a varie forme di queste patologie. Sindromi dellalinfoistiocitosi emofagocitica
20.1.5
Disordini multisistemici con immunodeficienza: atassia telangectasia
L’atassia telangectasia è una patologia autosomica recessiva caratterizzata da anomalie nella deam- bulazione (atassia), malforma zioni vascolari (telangecta sie), deficin neurologici, aumentata incidenz a tumorale e immunodeficienza. I più comuni difetti umorali sono carenze di IgA ed IgG2. I difetti nei linfociti T sono associati ad ipoplasia del timo. I pazie nti subiscono infezioni batteric he alle vie aer ee superiori ed inferiori, fenomeni autoimmuni multipli e neoplasie sempre più frequenti con l’avanzare dell’età. Il gene responsabile della malattia si trova sul cromosoma 11 e codifica la proteina ATM che è in grado di attivare i checkpoint del ciclo cellulare e l’apoptosi in risposta a rotture del doppio filamento del DNA.
Appendice. Schema delle citochine A.1
Risposta innata
• TNF - Tumor Necrosis Factor – Fonti principali: fagociti attivati,
NK e mastociti.
– Struttura e recettore: inizialmente proteina di membrana, un peptide che forma omotrimeri riconosciuti dai recettori
poi tagliata per via proteolitica in TNF-RI e TNF-RII. – Meccanismo d’azione: reclutamento di fattori TRAF che attivano i fattori di trascrizione NF-κB e AP-1; occasionalmente attivazione delle caspasi e apoptosi. – Attività biologiche: ∗ ∗
Stimolazione delle cellu le endoteliali a esprimere molecole di adesione Stimolazione delle cellule endoteliali e dei macrofagi a secernere chem ochine per la migrazione leucocitaria
97
∗
Stimolazione delle attività microbicide di macrofagi e neutrofili
– Attività collaterali: ∗
∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗
Induzione della febbre per via ipotalamica grazie ad aumento della sintesi delle pr ostaglandine
Aumento della produzione epatica di prote ine della fase acuta Distruzione di cellule muscolari e adipose Inibizione della contrattili tà miocardica e del tono vascolar e Trombosi intravascolare per perdità delle proprietà anticoagulanti dell’endotelio Profondi disturbi metabolici con crollo della glicemia a livelli letali Shock settico
• Interleuchina 1
98
– Fonti principali: fagociti attivati,
NK e mastociti.
– Struttura e recettore: due forme, IL-1α e IL-1β , Il precursore della for ma alfa come precursori. dopo pr oteolisi. – Meccanismo d’azione: reclutamento tamento di IRAK1,4 e di TRAF-6 che
con funzioni identiche ed entrambe secrete è attivo, quello della forma beta lo diventa
di MyD88 ai domini TIR del recettore che porta al recluin vari passaggi attiva no NF-κB.
– Attività biologiche: ∗
Stimolazione delle cellule endoteliali a esprimere molecole di adesione
– Attività collaterali: ∗ ∗ ∗
•
Induzione della febbre Aumento della produzione epatica di prote ine della fase acuta Produzione di neutrofili e piastrine nel midollo direttamente o attraverso lo stimolo alla produ zione di IL-6
Chemochine
– Fonti principali: leucociti, cellule endoteliali, epiteliali
e fibroblasti. Stimolo da TNF e IL-1.
– Struttura e recettore: le due famiglie più importanti sono le chemochine CC (residui di cisteina consecutivi) e le chemochine CXC (residui di cisteina con un residuo interposto). I recet- tori sono di tipo accoppiato a preoteina G: esistono dieci diversi recettori per le CC (CCR1-10) e sei per le CXC (CXCR1-6). – Meccanismo d’azione: attivazione di citoscheletro e l’a ffinità delle integrine.
vari enzimi cellulari che mediano le configurazioni del
– Attività biologiche: ∗ ∗ ∗ ∗
Reclutamento delle cellule immunitarie ai siti di infezione Regolazione del traffico linfocitario e leucocitario attraverso gli organi linfoidi periferici Promozione di angiogenesi e della guarigione del le ferite (soprattutto CXC) Sviluppo di vari organi non linfatici
• Interleuchina 12 – Fonti principali: cellule dendritiche attivate – Struttura e recettore: recettori di tipo I.
e macr ofagi
Eterodimero delle subunità
– Meccanismo d’azione: Il recettore segnala attraverso portano a d a ttiva re i fattori di trascrizione STAT.
p35 e p40, recettore della famiglia dei
la via Jak-ST AT, cioè le chinasi Jak si
– Attività biologiche: ∗ ∗
Stimolazione della produzione di IFN-γ da parte delle cellule NK e dei linfociti T Promozione della differenziazione dei C D 4+ helper al sottogruppo TH 1 che produce l’IFN-γ
∗
Miglioramento delle funzioni citotossiche delle NK attive e dei linfociti C D 8+
– Nota: IL-12 è prodo tta da cellule dell’immunità innata adattativa, quindi svolge ruolo di ponte tra i due sistemi.
• Interferonidi
ma attiva anche cellule dell’immunità
tipo I
– Fonti principali: cellule dendritiche
e fagociti. Stimolo da acidi nucleici virali.
– Struttura e recettore: gli IFN-I includono IFN- α , IFN- β , IFN-ε, IFN-κ e IFN-ω , tutti codificati da geni sul cromosoma 9. Tutti gli IFN-I si legano ad un recettore della famiglia dei recettori di tipo II composto da d ue sub unità: IFNAR1 e IFNAR2. – Meccanismo d’azione: gli IFN-I stimolano la via Jak-ST AT per indurre la trascrizione geni. Lo stesso recettore stimola anche la via delle MAP kinasi e delle PI-3 kinasi.
di vari 99
– Attività biologiche: ∗
∗ ∗ ∗ ∗
Inibizione della replicazione virale (effetto paracrino, con induzione dello stato antivirale nelle cellule vicine) Aumento dell’espressione di molecole MHC I Stimolo allo sviluppo di cellule TH 1
Sequestro dei linfociti nei linfonodi Inibizione generica della proliferazione di molti tipi di cellula
• Interleuchina 10 e linfociti T regolatori e recettore: citochina dimerica che lega recettori di tipo II associati alle kinasi Jak1
– Fonti principali: macrofagi attiva ti – Struttura e Jak2.
– Meccanismo d’azione: Attivazione della
via Jak-ST AT.
– Attività biologiche: ∗ ∗
Inibizione della produzione di IL-12 da parte di macrofagi attivati e cellule dendritiche Inibizione dell’espressione di costimolatori e di molecole MHC II su macrofagi e cellule
dendritiche – Nota: citochina inibitoria,
•
in coppia con il TGF.
Altre citochine dell’immunità innata
– IL-6, prodotta da fagociti, cellule endoteliali e fibroblasti, stimola la sintesi delle proteine di fase acuta e la produzione di neutrofili. Ha ruolo anche nell’immunità adattativa poichè stimola la crescita dei linfociti B. – IL-15, prodotta soprattutto per linfociti T e cellule NK.
dai fagociti, è un importante fattore di crescita e sopravvivenza
– IL-18, strutturalmente legata a IL-1, stimola promuovendone il differenziamen to a TH 1. – IL-23
la produzione di IFN-γ da parte dei linfociti
e IL-27 fanno da ponte tra le due immunità.
A.2
Risposta adattativa
100
• Interleuchina 2 – Fonti principali: linfociti C D 4+ – Struttura e recettore: recettore indotto da attivazione linfociti T regolatori. – Meccanismo d’azione:
in naive ed effettori, sempre presente in
via Jak-ST AT
– Attività biologiche: ∗
Sopravvivenza e funzionalità delle cellule T regolatrici Stimolo alla sopravvivenza, proliferazione e differenziazione dei linfociti T attivati dall’anti gene
∗
Promozione alla proliferazione e differenziazione delle cellule NK
∗
• Interleuchina 4 – Fonti principali: linfociti T C D 4+ attivati – Meccanismo d’azione:
e mastociti
via Jak-ST AT
– Attività biologiche: ∗ ∗ ∗ ∗
Stimolo allo switching verso l’isotipo IgE Stimolo allo sviluppo di cellule TH 2 a partire da C D 4+ naive
Fattore di crescita per cellule TH 2 differ enziate Inibizione dello sviluppo di cellule TH 1 e TH 17
• Interleuchina 5
– Fonti principali: cellule TH 2 e mastociti – Meccanismo d’azione:
via Jak-ST AT
– Attività biologiche: ∗ ∗
•
Attivazione degli eosinofili Stimolo alla crescita e alla dif ferenziazione degli eosinofili
Interleuchina 13
– Fonti principali: soprattutto – Meccanismo d’azione:
C D 4+ TH 2 ma anche C D 8+
e NK-T durante le aller gie
via Jak-ST AT
– Attività biologiche: ∗ ∗
Promozione della fibrosi nella riparazione tissutale degli stati infiammatori cr onici Stimolo alla produzione di muco nel polmone
∗ ∗
Stimolo allo switching a IgE Promozione dell’infiammazione per espressione di molecole di adesione endoteliale e citochine
• Interferoneγ NK, linfociti TH 1 e C D 8+ . Stimolo di IL-12 o diretto dai microbi. via Jak-ST AT
– Fonti principali: cellule – Meccanismo d’azione: – Attività biologiche: ∗
Attivazione dei macrofagi per l’uccisione dei microbi fagocitati (ins ieme a CD40L) Promozione della diff erenziazione a TH 1
∗
Inibizione della differenziazione a TH 2
∗
∗ ∗ ∗
101
Promozione dello switch a certi isotipi IgG Inibizione dello switch a IgE Stimolo dell’espressione di molecole MHC I e MHC II
• TGF-β – Fonti principali: linfociti T antigene-stimolati, fagociti LPS-attivati. – Attività biologiche: ∗
∗
∗ ∗
•
Inibizione della proliferazione e delle funzioni effettrici dei linfociti T e dell’attivazione dei macr ofagi. Regolazione della differenziazione verso alcuni sottogruppi di linfociti T e blocco dello sviluppo sia di TH 1 che di TH 2. Stimolazione della produzione di anticorpi IgA tramite switching. Regolazione della riparazione tissutale
Altre citochine – Linfotossina: praticament e
fa le funzioni del TNF.
– IL-17: promuove il danno tissutale nelle patologie da ipersensibilità. stimolo ai macrofagi a pr odurre IL-1 e TNF e altre chemochine. – IL-21
A.3
I ruoli fisiologici sono
gli effetti sono di solito sinergistici con altre citochine e non hanno grande ruolo d a soli.
Citochine ematopoietiche
• Stem Cell
Factor
– Prodotto dalle cellule stromali del midollo, probabilmente serve a rendere le cellule staminali attive nel ricevere altri stimoli: non promuove la formazione di colonie da solo.
• Interleuchina 7 – Secreta dalle cellule stromali di molti tessuti, stimola la sopravvivenza e l’espansione dei precursori immaturi delle linee B e T. La mutazione dei geni correlati porta alla patologia dell’immunodeficienza grave combinata X-Linked (SCID X-linked)
• Interleuchina 3 – Secreta dai linfociti C D 4+ agisce sui progenitori midollari promuovendone l’espansione differenziazione in tutti i tipi di cellula.
e la