Titolo del libro: Gli archivi tra passato e presente Autore del libro: Isabella Zanni Rosiello
GLI ARCHIVI TRA PASSATO E PRESENTE Il tema del riassunto è la documentazione archivis9ca prodo:a in Italia negli ul9mi decenni del 900 e in questo inizio secolo, è segnata da alcuni tra@ dis9n9vi. E' da ricordare la crescente molteplicità dei sogge@ produ:ori, pubblici e priva9, oltre che l’affievolirsi di una ne:a dis9nzione tra sfera statale e non statale, e il ricorso sempre più frequente a tecnologie informa9che nel porre in essere e nell’u9lizzare i documen9 d’archivio. Importante è anche la fine del monopolio statale riguardo la conservazione-‐trasmissione della memoria documentaria, la cessazione della separazione tra beni archivis9ci e gli altri beni culturali.
La nascita degli is?tu? archivis?ci La documentazione archivis9ca prodo:a in Italia negli ul9mi decenni del 900 e in questo inizio secolo, è segnata da alcuni tra@ dis9n9vi. Tra ques9 è da ricordare la crescente molteplicità dei sogge@ produ:ori, pubblici e priva9, l’affievolirsi di una ne:a dis9nzione tra sfera statale e non statale, il ricorso sempre più frequente a tecnologie informa9che nel porre in essere e nell’u9lizzare i documen9 d’archivio, la fine del monopolio statale riguardo la conservazione-‐trasmissione della memoria documentaria, la cessazione della separazione tra beni archivis9ci e gli altri beni culturali (defini9vamente sancita dal codice dei beni culturali e del paesaggio entrato in vigore nel 2004). È tra gli ul9mi decenni del 700 e la prima metà dell’800 che si formano i primi embrionali arche9pi di is9tu9 archivis9ci quali oggi li intendiamo. Gli archivi erano sta9 considera9 sopra:u:o memoria auto documentazione a disposizione di chi li aveva prodo@, usa9 o non usa9, a seconda delle finalità, degli scopi, delle esigenze che via via si presentavano.. produzione, conservazione ed uso erano sta9 aspe@ tra loro stre:amente collega9 all’interno del processo scri:ura-‐ redazione e circolazione della documentazione archivis9ca. A cavallo dei secoli XVIII-‐XIX inizia a delinearsi una ro:ura tra produzione, uso (prevalentemente pra9co-‐amministra9vo) e conservazione di materiale archivis9co. Con la formazione di luoghi-‐is9tu9 di conservazione dis9n9 da sedi-‐uffici di produzione, si tende ad a:ribuire alla documentazione che viene concentrata un significato più ampio: non solo memoria per la preparazione di pra9che poli9co-‐amministra9ve, ma anche memoria fonte, per chi, estraneo al processo di produzione poteva avere interesse a conoscerla ed u9lizzarla. Incomincia inoltre in questo periodo a circolare l’idea di una trasformazione, almeno tendenziale, dell’uso degli archivi. Il principio della pubblicità di contro al principio della segretezza, sino ad allora dominante, era stato proclamato in Francia nel 1794 dalla Convenzione nazionale. Oggi il materiale conservato negli archivi di stato, gli archivi degli en9 locali e priva9 dichiara9 di par9colare interesse storico sono liberamente consultabili, ma rimangono limitazioni ed eccezioni. Solo nel 1974, quando fu is9tuito il Ministero per i beni culturali ed ambientali, il se:ore degli
archivi passò a questo ministero (ma è rimasta a quello dell’interno la competenza di concedere la consultabilità di documen9 non liberamente consultabili). Nell’immediato periodo post unitario furono is9tui9, sopra:u:o in alcune ci:à ex capitali di stato, apposi9 is9tu9 conserva9vi. Nel corso degli ul9mi decenni dell’800 e sopra:u:o nel 900, la rete diventò via via più fi:a, fino a prevedere un archivio centrale dello stato, un archivio di stato in ogni capoluogo di provincia, un congruo numero di sezioni di archivio all’interno di territori provinciali.
L'organizzazione del materiale archivis?co Il materiale archivis9co raccolto negli archivi di Stato, ma anche quello che è fuori di essi, non è, nella maggior parte dei casi,organizzato per materie, intendendo il termine nell’accezione di argomen9 tema9ci, che corrispondano ai potenziali interessi, peraltro sempre rinnovabili, di chi lo usa come fonte storica. Esso è organizzato per is9tuzioni, intendendo il termine in un’accezione estensiva. Chi fa ricerche d’archivio deve sforzarsi di tradurre la domanda storiografica in domanda archivis9ca, di incanalare cioè l’argomento-‐ogge:o della propria indagine entro le maglie e gli intrecci del re9colato archivis9co. Ogni complesso documentario ha una sua storia. È una storia che non di rado rimane nascosta. Cercare di scoprire le varie tappe del percorso, spesso accidentato, che ha cara:erizzato nel corso del tempo ogni complesso documentario che si prende in esame, non è sempre possibile. A volte le tracce mancano del tu:o, a volte sono scarse e lacunose, a volte sono state cancellate o ripetutamente corre:e. Chi u9lizza documentazione archivis9ca isola dei documen9 dallo “statuto”, dall’universo dell’uso cui appartengono, per inserirli in uno diverso, quasi costruendo per così dire nuovi documen9. Si tra:a di un’operazione tecnica che fa parte della pra9ca storiografica. In generale chi produce documentazione archivis9ca, lo fa per memoria propria e non per memoria altrui, per uno o per pochi e non per mol9, per i contemporanei e non per i posteri. La documentazione archivis9ca, de:o in altri termini, è quasi sempre prodo:a per finalità pra9coopera9ve, giuridiche, amministra9ve, connesse all’esercizio di specifiche e concrete a@vità.
Definizione di documentazione pra?co-‐amministra?vo e storico-‐culturale Nella documentazione archivis9ca, nel momento stesso in cui è posta in essere, ritroviamo due significa9, quello pra9co-‐amministra9vo e quello storico-‐culturale. Is9tuto produ:ore e materiale archivis9co non sono perfe:amente sovrapponibili. La documentazione archivis9ca spesso segue forme e modalità non analoghe a quelle che cara:erizzano le a@vità dei sogge@-‐is9tu9 che la producono o la raccolgono. Il materiale archivis9co è si da porre in confronto con i sogge@-‐is9tuzioni che lo producono, ma dal confronto emergono parallelismi, divaricazioni, concordanze come discordanze coincidenze come sfasature. Il materiale archivis9co porta segni e tracce dei modi specifici con cui è stato organizzato, prima e dopo la sua consacrazione is9tuzionale a memoria storica da trasme:ere al futuro. Il complesso archivis9co è cos9tuito da documentazione appartenente a più sogge@
produ:ori, in quanto vi è stata richiamata per estrazione da altri archivi in cui vi era inserita, o vi è confluita per aggregazioni, aggiunte, riunificazione di carte smembrate dagli originari contes9 di sedimentazione. La documentazione non ha uno o più sogge@-‐is9tu9 che possono definirsi sempre e in tu:a sicurezza i suoi specifici produ:ori. Fino a poco tempo fa la documentazione posta in essere o acquisita da vari sogge@ produ:ori che abbiano svolto determinate a@vità, è stata sopra:u:o scri:a o non scri:a (carte geografiche, mappe, disegni…), nonché a par9re dalla seconda metà del secolo scorso, anche di 9po mul9mediale (fotografie, registrazioni sonore, filma9…). Al di la della differenziata 9pologie di forme, di contenuto, e di contes9 che l’hanno cara:erizzata, essa è stata per secoli prodo:a su suppor9 cartacei. Ma ora, con sempre maggiore frequenza, uffici e appara9 dello stato, di en9 locali, pubblici e priva9, di aziende, is9tuzioni di vario genere, documentano i propri affari non solo su suppor9 ora ricorda9. Le tecniche di produzione e organizzazione di materiale archivis9co, in quanto memoria-‐autodocumentazione, stanno cambiando e stanno cambiando anche i modi delle sue possibili u9lizzazioni in quanto memoriafonte. Porzioni ancora limitate di documentazione, rispe:o a quella complessivamente posta in essere, vengono oggi prodo:e in ambito digitale. Le problema9che che le connotano sono so:o mol9 aspe@ diverse da quelle che hanno interessato gli archivi del passato. I documen9 presen9 nel mondo digitale hanno infa@ specifiche cara:eris9che: non sono stabili come quelle che appartengono al mondo cartaceo, sono anzi dinamici, con possibilità di modificarle a ritmo con9nuo; sono dunque fluidi, facilmente manipolabili e spesso non consentono di poter evidenziare e mantenere nel tempo le tracce delle modifiche o dei cambiamen9 subi9. Sono fragili, sogge@ cioè a una rapida obsolescenza di hardwere e sokwere con conseguente possibile cancellazione o perdita degli stessi documen9. Senza dubbio dunque, avere a che fare con fon9 in movimento implica dover affrontare mol9 nuovi problemi.
I criteri di custodia-‐trasmissione di documentazione Even9 accidentali e calamitosi, come pure concrete pra9che conserva9ve, hanno segnato, ovviamente in modo diverso, la custodia-‐trasmissione di documentazione prodo:a nell’arco dei secoli in varie par9 del territorio italiano. Ma, al di là di queste diversità, la pra9ca conserva9va, quando venne perseguita, è stata in generale finalizzata, sino alla fine del 700sopra:u:o a esigenze giuridiche, pra9co-‐opera9ve, poli9che. Queste sono state talvolta concomitan9, tal’altra parallele o con alterna preminenza dell’una o dell’altra. Gli a@ notarili sono tra i più an9chi documen9 oggi possedu9 da is9tu9 archivis9ci Si pensi all’importanza e la funzione, in epoca medievale, della figura del notaio e del rapporto tra notariato e forme di governo. L’importanza che viene riconosciuta alla documentazione scri:a, l’opportunità che non venga manomessa, falsificata, smarrita e l’uso cui è des9nata, portano già in età medievale a predisporre una “macchina” conserva9va. È il caso ad esempio della Camera actorum del comune di Bologna, che svolse dalla metà del XIII fino alla fine del XVI secolo la funzione di una sorta di archivio centrale in cui venivano raccolte carte prodo:e da varie magistrature ci:adine. Volendo usare termini moderni, si può dire che la trascrizione, la duplicazione, la raccolta di documen9, concentrazione in apposi9 luoghi, segretezza, pubblicità (sia pure del tu:o limitata e parziale) dei documen9, fanno parte della tradizione archivis9ca di età medievale. Nell’età successiva, grosso modo quella compresa tra i secoli
XVI-‐XVII e fine del secolo XVIII, i modi conserva9vi furono si ispira9 alla tradizione precedente, ma accentuarono anche il cara:ere strumentale e l’uso poli9co degli archivi. Non a caso si parla per quei periodi di bella diploma9ca. Una guerra del genere fu ad esempio quella comba:uta da Ludovico Antonio Muratori, quando a Modena ricopriva l’incarico di archivista-‐bibliotecario presso gli estensi; basandosi su carte d’archivio intendeva sostenere le loro rivendicazioni circa il possesso delle valli di Comacchio. Gli archivi, sopra:u:o se ritenu9 importan9 per aspe@ di poli9ca, interna ed estera, erano dunque per chi li possedeva non tanto un tesoro, come era accaduto in età medievale, quanto un segreto da tenere nascosto per svelarlo, se necessario al momento opportuno.
Gli interven? conserva?vi compiu? lungo il XVIII secolo L’uso finalizzato a esigenze poli9co amministra9ve è il criterio conservatore che a:raversa i modi conserva9vi di gran parte della documentazione archivis9ca tra Sei-‐Se:ecento. Gli interven9 conserva9vi compiu9 lungo il 700 miravano a fare degli archivi degli strumen9 u9li al potere. Ma non tu@ i documen9 che li cos9tuivano furono considera9 tali; par9 di essi furono ritenu9 “di poco moment” quasi “inu9li”, ”superflui”. una volta separa9 dagli altri, ogge:o di interven9 conserva9vi più o meno soddisfacen9, potevano essere semplicemente accantona9 (e più tardi recupera9 come memoria) o bolla9 come non meritevoli di dignità conserva9va (e così ci è rimesta memoria della loro esistenza e della loro distruzione nello stesso tempo). Per esempio, per il regno di Sardegna si può disporre di una certa quan9tà di disposizioni norma9ve su interven9 del genere, ma non si sa se abbiano avuto completa a:uazione; le istruzioni date all’archivista di corte da Carlo Emanuele III, quando divenne re di Sardegna, sulla necessità di separare carte u9li da quelle superflue; il criterio orienta9vo cui l’archivista doveva a:enersi era che negli archivi di corte si con9nuassero a conservare documen9 che hanno principalmente riflesso al governo poli9co e che riguardano gli interessi della corona o che possono servire di lume per il maneggio degli affari di stato. Si sa anche quali opinioni si avevano sullo spurgo nell’apparato poli9co-‐burocra9co: c’era chi si dichiarava favorevole “purché sia fa:o da persone intelligen9”, chi invece era contrario “gli scri@ di qualsiasi patrimonio vadano gelosamente custodi9 e conserva9 benché abbiano l’apparenza di inu9lità, non potendosi a prima vista dal più do:o ed esperto uomo prevedere di quale uso e vantaggio possano essere in futuro per la difesa del patrimonio cui a:engono”. L’is9tuzione a Firenze del 1778 di un pubblico archivio diploma9co in cui raccogliere an9chi documen9 manoscri@, appartenen9 a magistrature centrali e periferiche…perché essi importan9 lumi possono apportare non solo a pubblici e priva9 diri@ ma anche all’erudizione e alla storia, come si legge nel moto proprio del 1778, che è il provvedimento con cui fu is9tuito. L’is9tuzione del diploma9co segna una data importante nella storia degli archivi italiani; delle due finalità previste dal provvedimento leopoldino fu la seconda a prevalere. Esso è quindi da considerare il primo luogo-‐is9tuto in cui viene concentrata, e per usi culturali, della documentazione an9ca.
La documentazione dell'era Napoleonica Quali che fossero le finalità che si volevano raggiungere, si con9nuò durante l’età napoleonica a riunire, raccogliere e concentrare carte e fondi di uffici e organi statali e di corporazioni religiose soppresse. Concentrazioni di carte proseguirono, anzi furono intensificate dopo la caduta del regime napoleonico. An9ca e nuova documentazione finirono per trovarsi vicine, accatastate alla rinfusa nei medesimi locali; ciò sembrava a:enuare quella fra:ura che si era verificata nella pra9ca conserva9va sul finire del 700. Le masse documentarie consegnate dal passato non erano più u9li per la concreta ges9one delle a@vità di governo; era finito il tempo in cui agli archivi si ricorreva nel caso di bella diploma9ca, di difesa di secolari privilegi scri@ o consuetudinari, di tra:azione di pra9che e affari per i quali era necessario ricercare preceden9 remo9 e lontani. Ma quei polverosi e ingombran9 ammassi di pergamene, di carte, di codici, di scri:ure,per usare termini allora in uso, nascondevano un loro intrinseco significato. Ad altri materiali non documentari ritenu9 esemplari del bello fu a:ribuita la funzione di decoro e ornamento dello stato. Erano i monumen9, le an9chità di vario 9po, le belle ar9, per la cui salvaguardia e tutela veniva approntato in quel medesimo periodo un ordinato norma9vo par9colarmente fi:o e par9colareggiato. Ma i materiali documentari forma9 da scri:ure e memorie erano, in quanto accumulo e sedimentazione di conoscenze e di sapere pra9co, segno evidente e concreto di quello che il potere,nelle sue varie forme e 9pologie, era stato nel passato: appartenevano a una tradizione da cui ci si voleva dis9nguere ma non separare. Esse comunque, aspirassero o meno a soddisfare esigenze dell’erudizione, della storia, dell’amministrazione pubblica e dei par9colari interessi, miravano con maggiore o minore consapevolezza, a seconda dei casi, a raccogliere materiali che, non più u9lizzabili come memoria autodocumentazione potevano rivelarsi u9li come memoria-‐fonte dell’immagine che il potere voleva tramandare di se stesso alla posterità. Era un’immagine che cercava le proprie basi negli an9chi monumen9 del passato, ma che nello stesso tempo intendeva riproporsi e riprodursi in quelli del presente. Fu sopra:u:o tramite gli ordini e le classificazioni previs9 per il materiale che si andava concentrando nei luoghi-‐is9tu9 deputa9 alla sua conservazione che si cercò di fissare i tra@ cara:erizzan9 la fisionomia di tale immagine. Essi rinviano a definizioni-‐interpretazioni più generali della coppia conce:uale passato/presente (o an9co moderno)e alle sue possibilità applica9ve nei confron9 del materiale archivis9co.
Parametri classificatori di documentazione archivis?ca Ripar9zioni e funzioni dell’organizzazione statale elaborate dal coevo pensiero giuridico-‐ poli9co vennero assunte, con qualche ada:amento, come parametri classificatori di documentazione archivis9ca del presente come del passato. Così accadde per esempio per quella documentazione concentrata presso gli archivi di Palermo. Il materiale archivis9co fu dis9nto in 3 classi: la diploma9ca (comprendeva le carte dei reali ministeri e della luogotenenza generale, a@nen9 alle storie e al diri:o pubblico in Sicilia, anche per le materie ecclesias9che e di regio patronato, nonché alla guerra e alla marina), la giudiziaria (riguardava tu@ gli a@ e processi delle an9che e moderne giurisdizioni), l’amministra9va (si riferiva a tu:e le carte tanto dell’amministrazione civile, quanto della finanziaria ed in
generale tu:e le carte che riguardavano l’economia pubblica). Tale ripar9zione-‐ classificazione, averla ado:ata come parametro classificatorio generale della pra9ca conserva9va serviva peraltro a dare un significato poli9co-‐culturale a:uale al concentramento e ai modi di trasmissione della memoria documentaria consegnata dal passato, di cui si aveva la presunzione di poter fissare, sia pure a grandi linee la storia dello stato, del diri:o pubblico e della poli9ca o diploma9ca. Appartenente a un passato da collocare in una dimensione lontana, rispe:o al presente, fu ritenuto invece il materiale concentrato a par9re dal 1817 presso il veneziano archivio de’ Frari. An9ca fu considerata tu:a la documentazione appartenente al periodo precedente alla caduta della repubblica, moderna quella a essa successiva. Non furono ado:a9 provvedimen9 norma9vi che stabilissero una 9pologia classificatoria mutuata da divisioni di potere o ar9colazioni di funzioni proprie dell’organizzazione statale o:ocentesca so:o la quale collocare tu@ i fondi, appartenessero essi a periodi lontani o vicini. I ce9 di governo che posero mano a concentrazioni di carte, intendevano riappropriarsi del passato documentario proprio in quanto passato da non confondere con il presente. La documentazione del passato dimostrava nella sua visibile e nascosta ricchezza qualita9va e quan9ta9va quanto era stata grande; la tradizione poli9ca e culturale della serenissima era una tradizione che si voleva conservare nella sua originaria sedimentazione in quanto unica, irripe9bile, gloriosa, e in quanto tale e cioè opposta al presente, poteva servire a riaffermare e trasme:ere l’immagine di un potere che per secoli aveva cercato di mantenere il più possibile inta:a una sua inconfondibile fisionomia. All’insegna della con9nuità più che dell’opposizione passato/ presente an9co/moderno, a una certa enfa9zzazione anzi del presente e del moderno, sembrano ispirarsi i modi conserva9vi ado:a9 per il materiale conserva9vo presso l’archivio di Milano. Documentazione appartenente a secoli preceden9 e quella prodo:a lungo il periodo napoleonico fu considerata come un grande, unico complesso; fu rimaneggiata, rimescolata, riordinata senza tener conto degli uffici o magistrature di appartenenza e più in generale dei rispe@vi contes9 di produzione. La documentazione appartenente a secoli preceden9 all’800 fu si considerata an9ca e quella del periodo successivo moderna, ma essa cos9tuiva come due tomi di uno stesso libro dedicato al sapere documentario. La dis9nzione cronologica veniva a:enuata dagli analoghi criteri di classificazione ado:a9 per le carte dell’uno e dell’altro periodo.
Il metodo Peroniano La do:rina e la pra9ca archivis9ca daranno, a distanza di tempo un giudizio del tu:o nega9vo, sui modi conserva9vi ado:a9 a Milano nei secoli XVIII-‐XIX. Si tra:a del cosidde:o metodo peroniano, dal nome del suo massimo realizzatore, Luca Peroni; ma non dimen9chiamo che chi lo elaborò e lo mise in pra9ca rispondeva a delle esigenze di governo: i ce9 di governo aspiravano infa@ a rimodellare il passato in funzione del presente e l’an9co in funzione del moderno, riappropriandosi così di una tradizione documentaria che, se riproposta con forza, poteva trasme:ere l’immagine gloriosa al futuro. Ad altri criteri furono ispira9 i modi applica9 alla documentazione archivis9ca, che concentrata presso il palazzo degli Uffizi, cos9tuì il primo nucleo dell’archivio fioren9no. Fu considerata sopra:u:o memoria-‐fonte e quindi appartenente al passato, ma dal momento che ogni scri:ura appena uscita dalla penna dell’uomo acquista valore di storico documento, tu:a la produzione
archivis9ca è storia e in quanto tale passato. Il proge:o di sistemazione del materiale archivis9co concentrato nell’archivio fioren9no, ideato e pra9cato da due archivis9 dell’epoca, Francesco Bonaini e Cesare Guas9, mirava a dare, almeno ad alcuni fondi, il posto che loro assegnavano, la materia e il tempo, li volle cioè mantenere nella fisionomia loro propria rispe:ando quanto era derivato dalla diversità delle materie, dalla diversità delle forme governa9ve, delle magistrature, dalla successione delle dinas9e e dei temi. Non fu pertanto ritenuto pra9cabile ricorrere a ripar9zioni o dis9nzioni mutuate dall’organizzazione di stru:ure e appara9 dello stato o:ocentesco; si prestò così molta a:enzione alla storia e alla cronologia. Lo stato unitario, nel raccogliere la memoria consegnatagli dagli an9chi sta9 non poté non tener conto delle scelte poli9che e culturali compiute nella prima metà dell’800 rela9vamente alle concentrazione di carte in determina9 luoghi-‐is9tu9 e all’organizzazione archivis9ca che esse avevano ricevuto.
Il controllo dello stato sulla documentazione archivis?ca Il ceto dirigente della destra storica mise a punto un proge:o in base al quale veniva affidato allo stato l’amministrazione degli is9tu9 deputa9 alla conservazione di memoria scri:a e, più in generale, il controllo sulla trasmissione di documentazione archivis9ca. Riconoscersi come nazione significava, per lo stato unitario, indagare sulla propria storia, esaltare il proprio passato, recuperare le proprie tradizioni. Lo stato unitario non fu una creazione ar9ficiale, improvvisa, fu una necessità di lunga mano apparecchiata. La documentazione archivis9ca poteva offrire una delle possibilità per verificare quanto lunga e complessa e tortuosa fosse stata quella preparazione. Prodo:a da forme di organizzazione statale, tanto diverse e differenziate era segno evidente dei par9colari ordinamen9 is9tuzionali, che avevano a:raversato, e per lungo tempo, il territorio italiano. Lo stato finalmente unitario non voleva negare queste par9colarità, ma collocarle nel passato; così il patrimonio documentario è formato da memorie che appartengono alla religione della patria e che in quanto tali devono essere ogge:o di culto. L’a@vità conserva9va svolta da is9tu9 archivis9ci oltre che circoscri:a, fino a un certo periodo, a determinate zone territoriali, è stata altresì per lungo tempo dire:a più a documentazione del passato che a quella del presente. Al nesso conce:uale passato/presente hanno fa:o rinvio, come già era accaduto per i proge@ conserva9vi abbozza9 e almeno in parte realizza9 nella prima metà dell’800, quelli vara9 dalla seconda metà de secolo in poi. Passata è stata grosso modo considerata la documentazione prodo:a o raccolta da varie forme di governo proprie ai vari ordinamen9 is9tuzionali preceden9 allo stato unitario; appartenente al presente, le carte che via via prodo:e da uffici-‐organi statali, più non occorrono ai bisogni ordinari del servizio.
La roJura del nesso produzione-‐conservazione-‐uso nella seconda metà del XIX secolo La ro:ura del nesso produzione-‐conservazione-‐uso di documentazione delineatasi in vario modo, nella prima metà dell’800, si approfondì dopo l’unità, quando fu data più stabile fisionomia agli archivi di stato, legi@ma9 come i principali luoghi-‐is9tu9 cui era affidata la
conservazione di documentazione considerata memoria storica. Si accentuò la dis9nzione fra modi di conservazione-‐trasmissione esercita9 da is9tu9 archivis9ci e modi di conservazione-‐ trasmissione messi in a:o da uffici-‐organi produ:ori di carte. Gli uni sono sta9 tendenzialmente impronta9 al conce:o di u9lità via via riconosciuto alla documentazione in quanto memoria-‐fonte, gli altri al conce:o di u9lità in essi insito in quanto memoria-‐ autodocumentazione. Lo stato post unitario nello scegliere gli appara9 is9tuzionali cui affidare la conservazione trasmissione della memoria archivis9ca, si è preoccupato più del retaggio documentario del passato che degli archivi che si venivano producendo. Così l’a@vità conserva9va di carte considerate come memoria autodocumentazione è grosso modo andata di pari passo con le esigenze pra9co-‐amministra9ve proprie di chi ha operato all’interno dei vari appara9 burocra9ci. Ques9 sono sta9 segna9 lungo l’800 e in modo più accentuato lungo il 900 da tempi diversi rispe:o a quelli che avevano cara:erizzato nel passato i rispe@vi contes9 storico is9tuzionali. Un cancelliere, un segretario, un funzionario adde:o alla redazione di documen9 scri@ poteva avere bisogno, fino al 6-‐700, per svolgere determinate pra9che o per tra:are determina9 negozi, di documentazione appartenente a decenni o secoli preceden9; si riconosceva così un perdurante u9lità pra9ca alla stessa e quindi implicitamente o esplicitamente si avver9va la necessità di conservarla per un lungo periodo. Un impiegato di un ufficio pubblico dell’800 e ancor più del 900, non ha avuto bisogno per impostare pra9che o tra:are affari, di documentazione prodo:a in un passato più o meno remoto, e quindi non ha avver9to l’esigenza di conservarla oltre un breve periodo.
Strategie di conservazione e trasmissione della documentazione Nel disegno conserva9vo predisposto dal primo ceto dirigente dell’Italia unita, e successivamente sostanzialmente confermato, vennero delineate le maglie di una 9pologia classificatorio-‐organizza9va entro la quale inserire la documentazione raccolta negli is9tu9 conserva9vi. I documen9 di dicasteri centrali e governi cessa9 dovevano essere dispos9 separatamente secondo l’ordine storico degli affari ,ma ripar99 in 3 sezioni, cioè degli a@ giudiziari,notarili, amministra9vi, si legge nel regio decreto del 27 maggio 1875. una dis9nzione similare era già stata proposta per la documentazione dell’archivio di Palermo;.con ciò si cercava di annullare o per lo meno di ridurre la distanza tra passato e presente, di riappropriarsi del primo, dei complessi documentari da esso tramanda9, inserendoli entro una 9pologia che rafforzasse l’immagine di uno stato, la cui memoria documentaria, prossima e remota, rifle:esse a grandi linee la sua a:uale organizzazione. Il disegno conserva9vo delineato nel 1875 e confermato nel 1902 è stato parzialmente modificato nel 1911. il provvedimento emanato in tale anno ha confermato la precedente 9pologia classificatorio organizza9va, ma aggiunto che essa deve essere applicata alle carte che sarebbero state accolte negli is9tu9 archivis9ci dopo l’emanazione del provvedimento stesso e non a quelle che già si trovavano. Il regolamento del 1911 non è stato formalmente abrogato dalla legge del 1939 e neppure dal successivo d.p.r del 1963, ma quanto previsto da quel regolamento riguardo l’organizzazione-‐classificazione di documentazione memoria fonte è stato via via pressoché disa:eso e svuotato di significato. Il metodo storico da seguire nell’ordine da dare ai complessi documentari, su cui la do:rina archivis9ca a par9re dalla seconda del metà dell’800 si era par9colarmente soffermata, è andato sempre più
imponendosi sia in ambito culturale-‐archivis9co, sia in ambito poli9co-‐is9tuzionale. Del resto l’organizzazione dello stato del primo e del secondo dopoguerra rifle:e la sua sempre più complessa e ar9colata stru:ura; il conce:o della divisione dei poteri non è più considerato il tra:o cara:erizzante della sua fisionomia. Le funzioni svolte dallo stato sono diventate più numerose e diversificate; nello stesso tempo l’immagine che il potere poli9co vorrebbe dare di se, è diventata così differenziata e ar9colata che quella che si rintraccia nella corrispondente memoria documentaria non può più essere delineata secondo moduli o:ocenteschi; resistenze locali rispe:o a condizionamen9 centrali appaiono eviden9 sopra:u:o in opere miran9 a descrivere il complessivo materiale archivis9co appartenente agli is9tu9 conserva9vi; appaiono invece sempre più sfumate in opere riguardan9 in modo specifico singoli is9tu9.
La relazione sugli archivi di stato italiani del 1883 Nel 1883 fu pubblicata una relazione sugli archivi di stato italiani; tale offre informazioni sulla realtà documentaria degli archivi allora esisten9; usa una terminologia tu:’altro che univoca, si usano a volte con significato analogo, a volte diverso, i termini sezione, divisione, dipar9mento, serie, classe categoria, collezione. La varietà dei termini usa9 non deve meravigliare. C ’è comunque nella relazione la volontà di trovare parametri classificatori che consentano di descrivere sia le generali organizzazioni-‐stru:ure del materiale raccolto presso singoli is9tu9, sia le ar9colazioni specifiche in essa presen9. Ma questa presenza ha dovuto fare i con9 con la varietà delle 9pologie documentarie proprie ai par9colari ordinamen9 is9tuzionali dell’Italia pre unitaria, nonché con i rela9vi proge@ conserva9vi abbozza9 o realizza9 in precedenza; la complessiva realtà documentaria sembrava sfuggire al primo tenta9vo che veniva fa:o mirante a incasellarla entro schemi tendenzialmente uniformi. La Relazione lasciava in sostanza aperto il problema sul disegno conserva9vo che, proposto a livello norma9vo, era da realizzare a livello concreto sia in ambito locale che nazionale. In ambito locale un disegno conserva9vo che col tempo si sarebbe imposto su altri, sia pure con modificazioni de:ate dalla specificità delle singole realtà documentarie e dai diversi modi di trasmissione che le avevano interessate, era già stato peraltro delineato. È quello che, proposto ed a:uato da Francesco Bonaini per l’archivio di Firenze, successivamente ado:ato da altri archivi toscani,aveva trovato la sua più compiuta realizzazione nell’archivio di Lucca.
Salvatore Bongi: L’ordinamento delle carte degli archivi italiani, Manuale storico-‐ archivis?co Nel 1883 erano usci9 3 dei 4 volumi di un’opera che il passare del tempo non riuscirà a rendere irrimediabilmente datata; essa sarà infa@ con9nuamente e ancora oggi riproposta come una delle opere più riuscite e importan9 dell’archivis9ca italiana. L’aveva reda:a un archivis9ca della scuola fioren9na, Salvatore Bongi. Ques9 si trovò a operare su un materiale non eccessivamente vasto nelle sue dimensioni quan9ta9ve, prodo:o da magistrature e
uffici di lunga durata e dall’a@vità sufficientemente lineare, per gran parte ben conservato nella sua sedimentazione originaria. La realtà documentaria lucchese era pertanto la più ada:a come campo in cui sperimentare concretamente i generali criteri archivis9ci elabora9 negli anni preceden9 nell’ambito della soprintendenza toscana. L’organizzaizone-‐divisione data da Bongi alla documentazione lucchese era fondata su un conce:o storico razionale secondo il quale come soleva ripetere Francesco Bonaini, ai singoli complessi documentari si da al posto che loro assegnano la materia e il tempo. Bongi, al termine della prefazione al primo volume della sua opera, afferma che gli era riuscito di gravissimo inconveniente la mancanza di modelli approva9. Non poteva prevedere che proprio quello da lui seguito sarebbe diventato un costante punto di riferimento per gli archivis9 delle future generazioni. Si tra:ava però di un modello non facilmente esportabile; l’eredità documentaria della repubblica lucchese era, nel panorama archivis9co italiano, un caso abbastanza eccezionale. Quella di altre ci:à rinviava ad altre tradizioni conserva9ve, oltre che a più complesse vicende storico is9tuzionali. Così altrove, ivi compresa Firenze che del Bongi può essere considerata la patria puta9va non si pensò di ripetere l’opera da lui intrapresa. Ebbe invece, ma non immediata, fortuna il metodo con cui l’aveva affronatato. I seguaci e gli es9matori di quello che a livello di do:rina e di pra9ca è stato chiamato metodo storico, diventavano col tempo sempre più numerosi. Quando nel 1910 fu pubblicata l’opera dal 9tolo “L’ordinamento delle carte degli archivi italiani, Manuale storico-‐archivis9co”, si vide che buon numero di archivi avevano seguito, sulle orme della tradizione toscana, par9zioni storicocronologiche. L’opera è di impostazione e fa:ura diverse da quella pubblicata nel 1883, non è un prodo:o di burocra9 per poli9ci, ma di archivis9 per archivis9 (di qui il termine manuale); ma esso come osservava nella prefazione Pasquale Villari, che l’aveva patrocinato, poteva essere assai u9le anche agli studiosi in genere. Il manuale intendeva fornire un panorama complessivo sulla distribuzione e l’ordinamento della documentazione conservata presso gli is9tu9 archivis9ci a@vi in quel periodo. Il criterio di fondo cui si è fa:o ricorso è da ricondurre grosso modo entro due parametri classificatorio-‐organizza9vi. Uno basato su dis9nzioni cronologiche scandite in modo differenziato a seconda delle vicende storico is9tuzionali che avevano interessato singole realtà documentarie; l’altro basato sulla ripar9zione per sezioni, indicate dalla norma9va allora in vigore. In nessuno dei due parametri classificatori entro i quali sono sta9 fa@ rientrare 18 dei 19 is9tu9 di cui si occupa il manuale, poteva essere collocato l’archivio di Milano. L’organizzazione che presentava quasi tu:a la documentazione del periodo preunitario cos9tuiva un caso del tu:o par9colare. Questa organizzazione, connessa a quella massiccia a@vità di ristru:urazione e rimaneggiamento cui era stata so:oposta la documentazione dell’archivio milanese tra gli ul9mi decenni del 700 e i primi dell’800, aveva portato a un risultato che ora veniva considerato la massima confusine che sia mai stata verificata in materia archivis9ca (ma proprio in quel periodo si andava delineando all’interno dell’is9tuto milanese un mutamento di fondo del lavoro dell’archivio). Le sezioni in cui tale documentazione risultava ripar9ta non avevano pertanto niente in comune, se non il nome, con quelle che venivano chiamate, nella medesima opera, e 4 divisioni 9piche degli archivi di stato italiani.
Gli Archivi di Stato italiano, 1944 Al manuale del 1910 si richiama in modo evidente l’opera che, col 9tolo di archivi di stato
italiano, è stata pubblicata nel 1944, si tra:a dei 19 is9tu9 presen9 nel manuale, di 4 archivi di recente formazione (Trento, Trieste, Bolzano, Zara), 0 ex archivi provinciali del mezzogiorno, passa9 nel 1932 all’amministrazione dello stato. Per i 19 archivi indica9 nel manuale, l’opera del 1944 ripete le ripar9zioni organizza9vo-‐classificatorie per periodi storico cronologici e per sezioni in esso segui9; la documentazione dei 4 archivi di recente formazione è ripar9ta secondo l’organizzazione per sezioni prevista dalla norma9va; analoga organizzazione viene eseguita per gli ex archivi provinciali.
La guida generale degli archivi di Stato, 1981 Di tu:’altro genere è il panorama che dal 1981 viene fotografato nella Guida generale degli archivi di Stato. Il numero degli is9tu9 di cui è descri:o l’insieme dei rela9vi complessi documentari, è di gran lunga superiore a quello presente nelle opere sinora ricordate, dal momento che vi è un is9tuto archivis9co in ogni capoluogo di provincia, oltre che sezioni di archivi di fa:o dipenden9 dai rispe@vi archivi dei capoluoghi. Il metodo storico secondo il quale l’ordine da dare e con cui descrivere la documentazione appartenente ai vari uffici e organi deve rispe:are il modo in cui essa è stata prodo:a e organizzata nel tempo come memoria-‐autodocumentazione degli stessi, è il criterio archivis9co di base acce:ato dalla teoria e sostanzialmente seguito nella pra9ca. Le par9zioni ado:ate nella Guida generale per gli insieme dei complessi documen9 appartenen9 agli archivi di stato, sono state, fa:a eccezione dell’archivio centrale dello stato, sostanzialmente due. L’una u9lizzata per gli archivi statali, basata sulle cadenze periodizzan9 della grande storia, l’altra u9lizzata sopra:u:o per archivi non statali, ma anche per quelli comunque non periodizzabili che rinvia a ripar9zioni sistema9che ed empiriche in quanto collegate a fa@ archivis9ci o a situazioni storiche o a peculiarità is9tuzionali. Seguendo le tradizionali periodizzazioni della grande storia cui va subordinata la piccola storia delle vicende e traversie delle carte, il momento forma9vo dello stato unitario è stato considerato la discriminante periodizzate tra passato e presente, tra an9co e moderno e contemporaneo. La documentazione a esso precedente è stata a sua volta suddivisa in 3 periodi indica9 con le denominazioni di an9chi regimi, periodo napoleonico, restaurazione. Le ripar9zioni seguite nella guida sono anch’esse, come altre che compaiono nelle opere di cara:ere generale che l’hanno preceduta, un modo di organizzazione-‐trasmissione o di montaggio della memoria fonte. L’operato degli is9tu9 archivis9ci statali e degli archivis9 che l’hanno programmato e, almeno in parte reso possibile, ha notevolmente condizionato le strategie sulla trasmissione della memoria documentaria.
La riforma del ?tolo V della Cos?tuzione, 2001 Per circa un secolo e mezzo lo stato, con i suoi appara9 organizza9vi, il personale professionalmente qualificato su cui poteva contare, le norme di tutela via via in vigore, ha dominato incontrastato sulla scena archivis9ca. Ma dagli ul9mi decenni del 900 il quadro è cambiato (e con9nuerà probabilmente a cambiare). Il monopolio statale ha ceduto il passo a
un diffuso e ar9colato pluralismo is9tuzionale. Si è verificato infa@ negli ani 70: l’entrata in vigore dell’Ente-‐Regione e successivamente un ampio trasferimento di funzioni dallo Stato alle regioni sopra:u:o a seguito della Riforma del 9tolo V della cos9tuzione portata a termine nel 2001; un ampliarsi delle aree di autonomina dei comuni e delle province e l’emanazione da parte delle regioni di una serie di provvedimen9 legisla9vi riguardan9 i beni culturali in genere, tra cui quelli archivis9ci; un accresciuto interesse degli en9 locali, di en9 pubblici o associazioni private per il recupero della propria rispe@va memoria e da parte della storiografia il manifestarsi di una crescente esigenza di u9lizzare documentazione altra da quella di per9nenza statale; la caduta di ne:e dis9nzioni tra la sfera pubblica e la sfera privata, ecc. La memoria non statale che era stata a lungo sacrificata a vantaggio di quella statale ha finito col prendersi la rivincita.
Le lacune della documentazione legale dallo stato unitario a oggi I risulta9 della conservazione legale e reale che è stata pra9cata dalla formazione dello stato unitario a oggi sono sufficientemente visibili a chi u9lizza come memoria-‐fonte questo o quel 9po di documentazione. Meno appariscen9, almeno a prima vista, appaiono le lacune, le dispersioni, le mancanza, i vuo9 da cui è segnata. Si può tra:are di vuo9 accidentali, a:ribuibili a calamità naturali e non, o intenzionalmente volu9; risalgono a tempi lontani o a noi vicini. Per mol9 secoli è stata a:ribuita alla documentazione archivis9ca una pressoché esclusiva u9lità di memoria-‐autodocumentazione da parte di chi la produceva e deteneva. Al di la di even9 calamitosi, fortui9 o par9colari come guerre, la conservazione di documentazione era stata finalizzata all’uso che di essa veniva fa:o per la tra:azione di pra9che di governo (poli9che, amministra9ve, giuridiche). Fu solo fra la fine del 700 e i primi dell’800 che si incominciò a riconoscere che essa poteva avere anche un’u9lità come memoria-‐fonte. L’esigenza di conservazione documentazione per la storia e non solo per l’amministrazione andò di pari passo con la formazione di alcuni is9tu9 archivis9ci antena9 di quelli a:uali. L’accezione di memoria storica non è stata in passato, e non è ora, a:ribuita alla totalità della documentazione. In tu@ i provvedimen9 norma9vi che riguardano il se:ore degli archivi, emana9 dal secondo decennio postunitario a oggi, è prevista, accanto a un’a@vità conserva9va di documentazione cui è a:ribuibile un’u9lità storico-‐culturale, un’a@vità distru@va di par9 di essa, cui questo termine conce:o non è applicato. Muteranno nel corso del tempo i modi e le forme tramite i quali parte di documentazioni sono state distru:e; si introdurranno corre@vi, si modificheranno i criteri, le scelte i metodi cui ricorrere per stabilire l’u9lità o l’inu9lità delle carte. Ma che la distruzione legale faccia parte della conservazione è, al di la della sconcertante contraddizione tra i due termini, elemento costante nella norma e nella pra9ca archivis9ca italiana e non. Ma che la documentazione archivis9ca non possa essere conservata nella totalità della sua produzione, sopra:u:o quella del secolo appena passato che ha visto crescere notevolmente le sue dimensioni quan9ta9ve, è esigenza avver9ta non solo in Italia, ma pressoché in tu@ i paesi. In Italia il primo provvedimento di cara:ere generale riguardante il se:ore degli archivi, emanato nel 1875, prevedeva che potesse venire distru:a sia la documentazione già raccolta presso is9tu9 archivis9ci, sia documentazione detenuta da uffici organi produ:ori.
Gli is?tu? archivis?ci del xx sec. La possibilità che is9tu9 archivis9ci distruggessero documentazione in essi già raccolta si è a:enuata nel corso del 900. La norma9va ha con9nuato a prevederla, ma solo per casi eccezionali. Di fa:o, e anche oggi, scar9 di documen9 che sono presso archivi di Stato vengono effe:ua9, dopo controlli di organi centrali, sopra:u:o se lo stato di conservazione materiale degli stessi è così irrimediabilmente compromesso da renderne davvero inu9le la rela9va conservazione. A par9re dai primi anni del 900 le operazioni di scarto sono state in generale effe:uate prima che la documentazione fosse raccolta in is9tu9 conserva9vi. L’esigenza di selezionare, prima che vengano per così dire consacrate all’eternità, carte ritenute inu9li come memoria fonte, è stata avver9ta, a livello norma9vo, sin dai primi anni del 900, quando la produzione archivis9ca ha comunicato a crescere a ritmo più intenso che nei periodi preceden9. Dopo l’entrata in vigore della legge archivis9ca del 1963, il controllo almeno sul piano norma9vo, non è stato più episodico; l’a@vità distru@va non è stata più separata da quella conserva9va. Il parametro generale cui ha fa:o finora riferimento l’azione distru@va è da individuare nella tendenza a voler operare senza danno della storia e dell’amministrazione, o de:o in altri termini, senza danno alla documentazione in quanto memoria auto documentazione e memoria fonte. Il danno all’amministrazione non è stato mai, o quasi mai rilevato. L’uso come memoria auto documentazione di materiale archivis9co prodo:o o acquisito da uffici, organi, en9, ecc., statali, centrali, periferici, è limitato ormai da tempo al breve periodo. Il concreto esercizio delle funzioni loro assegnate li porta a u9lizzare solo una parte quan9ta9vamente circoscri:a della complessiva documentazione che hanno a disposizione. Tenere inu9lizzate nella loro integrità masse cartacee sparse in varie sedi, significa per quan9 operano al loro interno, arrendersi inermi di fronte al pericolo che minaccia di paralizzarli. Essi sono porta9 per lo più a pensare che conservare, anziché distruggere, procuri danno all’amministrazione, cioè ai modi tramite i quali le diverse stru:ure organizza9ve si ar9colano e si auto conservano. Così qualsiasi intervento, tanto meglio se avallato da esper9, da archivis9, che li liberi dalle masse documentarie che in quanto appartenen9 a un passato anche prossimo è altra cosa dal presente con cui devono fare i con9, è visto come liberatorio. Poco importa per chi le ha accumulate, se la liberazione passa per la conservazione che spe:a ad altri di decidere, o per la distruzione. Il danno alla storia, è stato di tanto in tanto rilevato, sia che si tra@ di distruzioni clandes9ne e anonime, operate sopra:u:o in passato, sia che si tra@ di distruzioni legali, sanzionate, ieri come oggi, in ossequio alla norma, dai crismi burocra9ci di rito. Per tentare di definirlo nelle sue dimensioni,occorre fare alcune osservazioni preliminari.
Tesi massimaliste della documentazione Se si ri9ene che qualsiasi documento prodo:o come memoria auto documentazione possa essere usato come memoria fonte (e in via di principio non si può sostenere il contrario), se si è convin9 che maggiore quan9tà di documen9-‐fonte implica di per sé maggiore accumulo
di informazioni e di conoscenze o garanzie di più esaurien9 e complete indagini storiche, allora qualsiasi volontaria e premeditata distruzione di documen9 procura danno alla storia. E il danno no può che essere secco, enorme, dramma9co. Conservare tu:o, non distruggere nulla, è la filosofia di quelle tesi che nell’ambito della le:eratura do:rinaria, sono state definite di 9po massimalista. Hanno avuto in passato poco credito e scarsa fortuna; oggi sono pressoché desuete. La norma9va che da oltre un secolo disciplina il se:ore archivis9co non le ha mai accolte; gli archivis9 sono sta9 costre@ ad amme:ere più o meno di malavoglia la loro ina:uabilità; gli storici ne avvertono la sugges9one, ma non le hanno mai, sopra:u:o con la documentazione del 900, apertamente difese.
Tesi possibiliste della documentazione Gli storici del resto nelle scelte conserva9ve distru@ve, che segnano la memoria storica, non hanno mai avuto, ne hanno un ruolo da protagoniste ; se invece si ri9ene che le tesi massimaliste siano in teoria condivisibili e sugges9ve, ma di fa:o impra9cabili se non altro per la difficoltà di spazi e/o di disponibilità finanziarie, che da sempre hanno connotato la vita degli archivis9; si ri9ene che distruggere parte della documentazione sembra essere l’unica alterna9va possibile all’impossibilità di conservarla nella sua totalità, allora le distruzioni legali procurano si danno alla storia, ma si tra:a di un danno calcolato, forse necessario. Distruggere con cautela, con moderazione e prudenza è quanto hanno sostenuto le tesi possibiliste. Sono queste ad aver condizionato, o per o meno influenzato, l’operato distru@vo di parte della memoria documentaria. Si tenga comunque presente che in ambito digitale l’a@vità conserva9va ha altri significa9: conservare vuol dire infa@ trasformare, far migrare cioè le informazioni da una generazione tecnologica a quella successiva. Conservare vuol dire, tra:andosi di documentazione immateriale, cercare di mantenere nel tempo la capacità di riprodurre e di leggere i documen9 che sono sta9 prodo@ e trasmessi. E poiché ciò implica risorse finanziarie enormi e professionalità di alto livello viene fa:o, quando lo sia fa, per una quan9tà molto limitata di documen9. Da qualche tempo anche in Italia si è andata diffondendo l’idea che gli archivis9 debbono essere presen9 nei processi di formazione della documentazione per poter fa@vamente collaborare ai rela9vi sistemi di ges9one e per indicare , già in fase di formazione della stessa, i criteri per la sua corre:a selezione. Cercare di a:enuare la separazione tra il momento in cui gli archivi si vanno formando presso i rispe@vi sogge@ produ:ori e il momento in cui essi sono presi in considerazione dagli archivis9-‐conservatori non può che essere visto con favore. Tale separatezza non ha favorito, spesso anzi ha penalizzato il trapasso di documentazione archivis9ca dall’area di uso pra9co, per il quale è stata e con9nua a essere prodo:a, dall’area di uso storico-‐culturale per il quale deve essere conservata.
Gli archivis? e gli archivi informa?ci Gli archivis9 sono consapevoli che, sopra:u:o nei confron9 di archivi prodo@ con strumen9 e tecnologie informa9che, è necessario non rimanere estranei alla loro produzione, se si
vuole mantenere nel tempo la possibilità di reperirli e u9lizzarli. Come si è già de:o agli archivis9 interessa infa@ con9nuare preservare, anche all’interno di sistemi informa9vi dell’era digitale, i contes9 di appartenenza dei documen9, nonché i nessi che li connotano e li a:raversano. Ma allora nel partecipare o nel collaborare alla selezione della documentazione da trasme:ere ai posteri non si può dare prioritaria importanza all’ esigenza di chi l’ha prodo:a, spingendo in secondo piano o addiri:ura sullo sfondo, l’importanza che essa può avere come fonte storica. Dimen9care che la documentazione archivis9ca è anche memoria-‐fonte, significa voler cancellare, senza costruirne altre, una lunga e consolidata tradizione di do:rinari e di pra9ca archivis9ca che, per secoli, ha avuto con la storia, intesa nelle sue molte accezioni, rappor9 magari travaglia9, ma sempre fecondi. L’orientamento di massa nello scegliere le carte da conservare e quelle da eliminare doveva essere, affermava non mol9 anni dopo il consiglio per gli archivi, questo: si può procedere all’annullamento degli a@ soltanto quando di essi rimane traccia in altri da conservarsi. Fino alla metà del’800 spurghi, segregazioni, scar9, avevano sopra:u:o colpito la documentazione del passato; ora che nel passato è stata collocata pressoché tu:a la documentazione appartenente a periodi preceden9 all’Unità d’Italia, in quanto tes9monianza della sua lunga e travagliata storia, è sopra:u:o quella recente e contemporanea a essere interessata da possibili scar9 e distruzioni. Scartare o distruggere dei documen9 significa selezionare all’interno di singoli complessi documentari le par9 che non sono da conservare in rapporto ad altre che lo sono.
Studi doJrinari e disposizioni norma?ve sulle pra?che conserva?ve Studi do:rinari e disposizioni norma9ve si sono sforza9 di stabilire criteri di cara:ere generale, cui fare riferimento quando si procede a operazioni concrete. Talvolta gli orientamen9 hanno finito per essere meramente tautologici (si può scartare ciò che è inu9le conservare); talaltra hanno cercato di fornire indicazioni di massima ada:e alla 9pologia di non poca documentazione contemporanea segnata da superfetazioni e ridondanze di vario genere (duplica9, copie, documen9 ripe99vi, documen9 di cara:ere preparatorio le cui informazioni sono riportate in altri, ecc). ma si è anche provveduto a enucleare 9pologie documentarie specifiche a singoli complessi documentari o a complessi documentari similari. Sono inserite nei massimari di scarto, una sorta di elenchi di massima, indica9vi e non tassa9vi, di carte da eliminare a scadenze prefissate; alcuni contengono indicazioni, sempre di massima, riguardan9 documen9 classifica9 ab origne, che sono quindi in ogni caso da conservare. Massimari di scarto hanno incominciato a circolare nei primi decenni del 900. in base alla norma9va vigente sono a:ualmente elabora9 da commissioni centrali formate da archivis9 e da rappresentan9 dei ministeri interessa9; ad altri organi, compos9 da archivis9 e storici, devono preven9vamente esaminarli, prima che siano resi esecu9vi. Nel distruggere una documentazione c’è da tenere presente che il termine-‐conce:o di u9lità storica non è mai definibile una volta per tu:e; il suo significato muta col mutare delle teorie, degli indirizzi, degli approcci, dei metodi che cara:erizzano sia separatamente, sia congiuntamente, la pra9ca archivis9ca e quella storiografica. Il passare del tempo può perme:ere di valutare meglio come selezionare i documen9 d’archivio. In alcuni paesi sono state create tra uffici produ:ori di documentazione e is9tu9 conserva9vi, stru:ure
intermedie.
La reperibilità del mateiale archivis?co Da sempre è stata avver9ta l’esigenza che il materiale archivis9co, in quanto memoria interna di chi lo de9ene, abbia un asse:o, un’organizzazione, un ordine, che consentono di reperirlo con una certa facilità. Ma essa è stata soddisfa:a, e di rado completamente, con strumen9 di tempo in tempo diversi. Fino al XV secolo circa il materiale archivis9co messo in essere o raccolto dai vari sogge@ produ:ori fu in generale di limitate proporzioni quan9ta9ve. Era, in linea di massima, conservato senza un ordine preciso, secondo successioni cronologiche, per 9pologie ( documen9 affini o similari per contenuto o forma), per nomina9vi dei 9tolari pro tempore di singoli organi e uffici. I documen9, sciol9 o raccol9 in volume erano spesso contraddis9n9 da par9colari segnature: segno croce, le:ere alfabe9che singole, raddoppiate o in vario modo combinate, numeri romani, arabi, disegni di animali, di sogge:o fantas9co. Collocato per lo più in sacchi scrigni, casse armadi, poteva, senza eccessiva difficoltà essere ritrovato e u9lizzato dalle persone, di solito notai che vi erano adde:e. Furono reda@ sopra:u:o inventari, cosidde@ di consegna; si tra:ava di elenchi, a volte sinte9ci, a volte abbastanza descri@vi, di documentazione che, in base a specifiche disposizioni norma9ve veniva conservata a determina9 luoghi uffici o passata da chi cessava una carica pubblica a chi vi subentrava. Tali inventari servivano sopra:u:o per verifiche, riscontri, controlli sulla consistenza quan9ta9va del materiale documentario. Essi però potevano anche servire per reperire all’occorrenza documen9 che si aveva necessità di consultare. L’esigenza di realizzare strumen9 specificatamente compila9 per questo fine, incominciò a delinearsi nel XV secolo, ma si manifestò sopra:u:o nei secoli XVI-‐XVIII. Il materiale archivis9co che si andava producendo presentava, in connessione alle complesse e ar9colate stru:ure dell’organizzazione is9tuzionale e amministra9va del tempo, 9pologie più diversificate e dimensioni quan9ta9ve più rilevan9 rispe:o a quanto si era verificato in passato.
Sedimentazione e organizzazione della documentazione del xx sec. La sedimentazione-‐organizzazione della documentazione prodo:a da sogge@ produ:ori poli9co-‐amministra9vi mutò quasi ovunque abbastanza radicalmente in modo irreversibile nei primi anni dell’800, in connessione ai mutamen9 is9tuzionali, giuridici e di prassi amministra9va verificatasi in quegli anni in quasi tu:e le par9 del territorio italiano. Essa fu in generale condizionata da quadri classificatori preven9vamente fissa9 e indica9 nei 9tolari, ar9cola9 a loro volta in categorie, classi o 9toli. Alla 9pologia classificatoria dei 9tolari facevano riferimento i registri di protocollo, in cui veniva spesso anali9camente descri:o, secondo un ordine progressivo numerico e cronologico, il contenuto dei documen9 spedi9 e ricevu9, con a fianco la categoria, la classe o il 9tolo di appartenenza, nonché i rela9vi provvedimen9 ado:a9. Il protocollo, di solito annuale, quasi sempre corredato da indici e rubriche nomina9ve, è stato a par9re dai primi anni dell’800, uno strumento
sostanzialmente funzionale, sia per a:estare l’esistenza, oltre che la sequenza cronologica, dei documen9 ricevu9 e spedi9 (e quindi la rilevanza giuridica degli stessi), sia per ritrovare quelli u9li come memoria-‐autodocumentazione. In ques9 ul9mi tempi i processi di informa9zzazione che hanno inves9to le amministrazioni statali e non statali ado:a9 nella produzione e ges9one dei propri archivi hanno messo defini9vamente in crisi uno strumento che, per quasi due secoli, aveva cara:erizzato la loro organizzazione. Il protocollo informa9co che recen9 provvedimen9 legisla9vi hanno reso obbligatorio nelle amministrazioni pubbliche, poco ha a che fare, al di la del termine, con quello del passato,e non solo perché non è cartaceo. Esso infa@ è parte di un ben più ampio sistema informa9vo che nel controllare i documen9 nel momento della loro formazione, nel seguire l’iter nonché i rela9vi procedimen9 amministra9vi, nel regolare e ges9re i flussi documentali e garan9re le loro connessioni, dovrebbe, oltre che con9nuare a garan9re determinate a:estazioni giuridiche, migliorare, se riuscirà ad applicarlo corre:amente a livello opera9vo, l’organizzazione della documentazione cui fa riferimento, facilitandone l’accesso e i conseguenza l’uso. Agli inizi dell’800 nello stesso periodo in cui furono avanza9 i primi proge@ sulla creazione di luoghi-‐is9tu9 deputa9 a raccogliere la documentazione di scarsa o nessuna u9lità da parte di chi l’aveva fino ad allora conservata, incominciò a circolare il principio della pubblicità degli archivi, cioè del loro libero uso a parte dei ci:adini.
Gli archivi moderno-‐contemporanei Gli archivi moderno-‐contemporanei non sono sta9 fino a tempi recen9 ogge:o di par9colare a:enzione da parte della do:rina e della pra9ca archivis9ca. Messi in secondo piano nella realizzazione dei proge@ conserva9vi via via elabora9 dalla formazione dello stato unitario, diserta9 dalle tendenze storiografiche che hanno a lungo trascurato le fon9 del periodo postunitario, sono sta9 per lungo tempo più che altro ogge:o di mera custodia. Solo dalla metà circa del secolo XX, si è verificata un’inversione di tendenza. Il grande sviluppo avuto a par9re dalla metà degli anni 60 del 900 dell’archivio centrale dello stato e l’estendersi degli interessi storiografici al 900, hanno contribuito ad inserire gli archivi moderno-‐ contemporanei nella problema9ca pra9co-‐do:rinaria, che aveva sino ad allora sperimentato i propri metodi pressoché esclusivamente su archivi an9chi.
Gli strumen? inventariali della ricerca archivis?ca Un nodo di fondo con cui si è dovuto più volte incontrare e scontrare chi si occupa di archivi è quali sono gli strumen9 più ada@ per far conoscere e usare come memoria-‐fonte documentazione prodo:a e organizzata per altri scopi. È un nodo in cui si intrecciano non poche problema9che ricorren9 nella do:rina e nella pra9ca archivis9ca. Ne ricordo alcune: quali siano i modi che nel visualizzare i materiali che, a differenza di altri non sono sta9 prodo@ per essere visibili, consentano di avvicinarsi, senza procedere a tentoni e senza smarrirsi, alle più o meno complesse realtà documentarie del passato e del presente nascoste dentro gli archivi; quali siano gli strumen9 che, al contrario di quelli reda@, per uso
interno e per poche persone, possono meglio soddisfare esigenze storico-‐culturali proprie di chi opera all’esterno; quali siano le priorità da seguire nel compilare strumen9 di mediazione tra la documentazione e chi vuole conoscerla; se è preferibile dare prima quadri sinte9ci e generali di tu@ i fondi che si conservano e poi passare a inventari più esaus9vi e specifici o anche a descrizioni anali9che di par9colari documen9, o seguire il cammino inverso; se accontentarsi di strumen9 provvisori e in fieri che facciano conoscere, sia pure in modo approssima9vo, le complessive realtà archivis9che o puntare su strumen9 precisi e rigorosi, pressoché defini9vi che possano essere reda@ solo dopo un a:ento studio delle carte e dell’is9tuzione che le ha prodo:e. In breve: quali, come e per chi sono da proge:are e realizzare gli strumen9 inventariali. Il concreto lavoro d’archivio è connesso al sapere do:rinario e pra9co-‐opera9vo di chi lo svolge, ai diversi approcci e interessi delle varie tendenze storiografiche nei confron9 delle fon9 scri:e, ai più vas9 contes9 poli9ci, culturali e sociali, che hanno contribuito a modificare il ruolo degli is9tu9 conserva9vi, il pubblico che frequenta e le domande che ad essi vengono rivolte. Lungo la seconda metà dell’800 tu@ gli is9tu9 archivis9ci, nel prendersi cura della memoria documentaria in essi concentrata, tennero sopra:u:o presen9 le esigenze, d’uso delle tendenze di ricerca connesse all’erudizione storica del tempo. Il lavoro d’archivio fu infa@ notevolmente influenzato dalla predilezione nutrita per l’an9chità e il medioevo, dalle deputazioni e società di storia di patria; queste, veri e propri centri di aggregazione culturale, cos9tuivano in quel periodo la principale stru:ura organizza9va degli studi storici; fu il proge:o di fondo della storiografia erudita e del lavoro archivis9co. Cri9che anche severe sulla scelta di questo proge:o e sulle realizzazioni conseguite sono state in seguito avanzate sia dalla le:eratura storiografica sia da quella archivis9ca. Quest’ul9ma ha messo in rilievo come la mancanza o l’accantonamento di autonomi programmi di lavoro e la collaborazione prestata a quelli sostenu9 da altre is9tuzioni culturali abbiano portato a pra9che inventariali quasi sempre frammentarie, tese a privilegiare porzioni limitate, nonché 9pologicamente e cronologicamente circoscri:e, della documentazione conservata presso i singoli is9tu9. In generale nella seconda metà dell’800 il lavoro d’archivio fu notevolmente condizionato da modi tramite i quali si erano nel passato accumula9 i complessi documentari, che cos9tuivano la peculiare fisionomia documentaria dei singoli is9tu9.
La memoria documentaria dopo l’Unità d’Italia : il metodo storico Il lavoro d’archivio fu nel primo periodo post-‐unitario non privo di incertezze, esitante tra un passivo a:accamento ai modi di trasmissione e d’uso segui9 nel passato e a@vi, ma confusi, interven9 opera9vi connessi alle esigenze del presente. In generale esso fu comunque in sintonia con gli interessi del pubblico che li frequentava: un pubblico numericamente molto limitato e sostanzialmente omogeneo, per l’appassionato culto delle an9che memorie locali, a chi era responsabile della loro conservazione. Nel periodo della grande espansione storico-‐ filologica, gli is9tu9 archivis9ci erano notevolmente integra9 nell’ambito dell’organizzazione degli studi storici locali e nazionali. L’edizioni di fon9 documentarie, nonostante la parzialità delle scelte e i non sempre rigorosi criteri filologici ado:a9 nel trascriverle e, più in generale, l’a@vità che ha conosciuto dignità di stampa, cos9tuiscono la parte più durevole della pra9ca archivista collegata all’erudizione o:o-‐novecentesca. Gli stre@ rappor9 che si erano crea9 nella seconda metà dell’800 tra is9tu9 archivis9ci e is9tuzioni storiche sopra:u:o locali, che
avevano portato un po’ ovunque a compiere determina9 lavori d’archivio e a predisporre par9colari strumen9 d’uso, si allentarono a par9re dal secondo decennio del 900. una volta cessata l’egemonia della cultura storica influenzata dal pensiero posi9vista e diffusasi in quella influenzata dall’idealismo, notevolmente ridimensionate le funzioni delle deputazioni e società di storia patria riguardo all’organizzazione di studi storici, confinato a un circuito del tu:o municipalis9co, il culto delle memorie locali, l’a@vità degli archivi di stato si ripiegò su se stesa. Il ripiegamento durò grosso modo fino al secondo dopoguerra.L’a@vità svolta dai singoli is9tu9 nei confron9 della rispe@va memoria documentaria cercò di confrontarsi non tanto, come era avvenuto lungo la prima metà dell’800, con le par9colari tradizioni archivis9co conserva9ve, ereditate dai rispe@vi sta9 preunitari, quanto con la più ampia circolazione di idee e di informazioni presentate in campo nazionale e internazionale. Incominciarono ad accorciarsi le distanze prima esisten9 tra i vari is9tu9 sui criteri cui ispirarsi e sui modi da seguire nei lavori di riordinamento e di inventariazione. Il metodo storico al di la delle interpretazioni cui ha dato luogo e delle diverse applicazioni che ha conosciuto, è diventato il principio cardine della do:rina e della pra9ca archivis9ca.
Il ruolo dell’archivista Il ruolo dell’archivista come mediatore tra la documentazione e chi vuole usarla è diventato più sfacce:ato; l’archivista è ancora oggi un rassicurate punto di riferimento per chi, nel compiere ricerche d’archivio, necessita di consigli e suggerimen9 su come reperire la documentazione che lo interessa, ma non può più essere il tramite privilegiato per avvicinarla. La mediazione deve avvenire sopra:u:o tramite strumen9 inventariali di vario 9po; essi sono da proge:are e realizzare secondi criteri e modi u9lizzabili dai non adde@ ai lavori, da parte di un pubblico molto più differenziato rispe:o a quello che nei decenni trascorsi era solito rivolgersi agli archivi. Redigere strumen9 inventariali ispira9 al metodo storico, che tengano quindi conto del rapporto/sfasatura tra sogge:o-‐is9tuto produ:ore e modi in cui è stata organizzata e trasmessa nel tempo la rela9va memoria documentaria, è quanto si richiede a chi è o vuole diventare archivista di tu:o rispe:o. La documentazione sino ad oggi raccolta in is9tu9 conserva9vi non solo è fornita di strumen9 inventariali di 9po diverso in quanto reda@ in tempi, modi e criteri di versi, ma è per alcune par9 ancora sprovvista di qualsiasi strumento d’accesso, che non sia la mediazione in prima persona dell’archivista. Solo da poco tempo si è diffusa tra gli adde@ ai lavori la consapevolezza che è meglio denunciare difficoltà e limi9 della situazione che si trovano ad amministrare, piu:osto che minimizzarli, chiudendosi in una difesa corpora9va che sdegnosamente rifiu9 qualsiasi cri9ca che provenga dall’esterno. Per quanto riguarda gli archivi statali è stata sopra:u:o un’inizia9va promossa dall’amministrazione centrale negli anni 1966-‐69 che ha contribuito a modificare radicate mentalità tendente a tenere nascoste inerzie passività nei confron9 di questa o quella parte di documentazione. La guida generale-‐ di cui il primo volume è uscito nel 1981-‐ è bastata su una scelta culturale coraggiosa. Sono sta9 esclusi infa@ lavori preven9vi e anali9ci di riordinamen9 e inventariazioni, del cui risultato, da9 i mezzi e le forze su cui poteva contare, avrebbero finito col fruire gli studiosi non di questa ma delle future generazioni. Si è invece proge:ato che la guida doveva nascere da una ricognizione completa e corre:a dello stato di cose esistente e servire, oltre che da mezzo di prima informazione per il ricercatore, anche da denuncia di una situazione di disagio che gli
archivi dividono in Italia con tu:e le altre categorie di beni culturali. La guida generale è pertanto uno strumento di conoscenza sulla documentazione conservata nei singoli is9tu9 archivis9ci e sulle più o meno agevoli possibilità di compiervi ricerche in base agli strumen9 inventariali esisten9; ma essa è anche una sorta di libro bianco sulle carenze e sui limi9 delle scelte compiute almeno fino agli anni 80 del 900.