0 - v). Da ciò il contrasto tra àgxaioç on:ouoaioç atooioç e TÉÀEwç yÉÀmoç TQ6n:mov EQ'YJf.tOç. Si spiegano così Ef.lOlYE EywyE rispetto a Ef.lOl €ycb da "'Ef.lOLYE *€y&yE, in cui la penultima lunga non poteva che essere circonflessa (3). (l) Sui problemi dell'accento greco v. E. Schwyzer, GG I 371 s.; J. Vendryes, Traité d'accentuation grecque, 1945; M. Lejeune, Phonétique
106
hist. du mycemen et du grec ancien, 1972, 293-300; Kurytowicz, Accentuation2 , 106-161; Garde, L'accent, 93 s., 144-8; Allen, Vox graeca, 1968, 106 s.; Kiparsky, A propos de l'histoire de l'accentuation grecque, Langages 8, 1967, 73-93. Vedere anche sopra 2.2. e Bailey, Lg. 45, 1969, 644 s.; Mouraviev, CQ 22, 1972, 113-120 (: nuova regola per la sede dell'accento); Allen, Accent and Rhythm, 1973, 230 s.; Sommerstein, Sound pattern of Ancient Greek, 1973, 122-179; Voyles, Ancient Greek accentuation, Glotta 52, 1974, 65-91. -Un elemento dinamico coesistente con un predominante accento musicale è assunto da Sealey, GR 10, 1963, 11-25; Szemerényi, Syncope 280 s.; Allen, TPS 1966, 107-148, in: To honor R. Jakobson I, 1967, 46-62; contra Newton, Phoenix 23, 1969, 359-371. Bubenik (IF 84, 1980, 90-106) assume per il Prato-Greco e il Miceneo un accento espiratorio, seguito da un accento musicale - certamente impossibile. - (2) In favore: Hirt, IG V, 1929, 50; Schwyzer, GG I ·379; contra: Kurytowicz, Accent 2 147 s.; IG 49 s., 105; Mél. Benveniste, 1975, 327; Miller, Glotta 54, 1976, 15 s. - (3) Vendryes, MSL 13, 1906, 218 s. (: ammette la priorità di Hirt, IF 16, 1905, 88; cf. IG V 55 s.); Schwyzer, GG I 381; contra: Kurytowicz, Mél. Benveniste 328 s.; Miller, op. cit., 19 s. (: non limitata all'attico).
2.8. Il latino ha completamente abbandonato l'antico sistema, ma tra l'accento trisillabico di epoca storica e l'accento libero della preistoria si è verificato un ulteriore mutamento di accento. L'accento libero ie. venne sostituito dopo la metà del I millennio a.C. da un accento dinamico fisso sulla prima sillaba, che produsse l'indebolimento, quando non la caduta (sincope) delle vocali brevi nelle sillabe successive alla prima; donde facii5 ma con/icii5 con/ectus; regi5 ma surgi5 pergi5; semis ma se(mz)stertius, e cosl via, v. IV.l.l2 . Nelle iscrizioni databili intorno al 500 non si vede ancora alcuna traccia di questi processi. Il secondo cambiamento di accento si verificò verosimilmente nel corso del III sec. a.C. e non è ancora compiuto ai tempi di Plauto; parole proceleusmatiche vengono ancora accentate sulla prima sillaba, p. es. /acilia . Sull'accento latino cf. M. Leumann, Lat. Laut- und Formenlehre \ 1977, 235-254; Kurytowicz, Accentuation 2 381-389 (anche su quello romanzo); Galton, v. 2.2., in particolare 291 s.; Lepscky, ASNP 31, 1962, 199-246; Kurytowicz, IG 2, 190 s.; Allen, JL 5, 1969, 193 s.; Mignot, Mél. Benveniste, 1975, 419-426; Pulgram, Latin-Romance Phonology: Prosodics and
107
Metrics, Miinchen 1975; The accent in Spoken Latin, Fs. Baldinger, 1979, 139-144. Sul vecchio dibattito circa il fatto se l'accento classico fosse musicale o dinamico, v. (contrario all'accento musicale) W.S. Allen On quantity and quantitative verse (In honour of D. Jones, 1964, 3-15) 4; Vox Latina, 1965, 85 s.
2.9. Fin qui ci siamo occupati solo dell'accento di parola, e per di più come se ogni parola avesse un proprio accento. Naturalmente questo non è del tutto esatto. Vi sono infatti in ogni lingua delle parole che per la loro minore significazione non possiedono un accento proprio ma si appoggiano su altre parole con cui formano un'unità accentuale. Queste clitiche (l) possono attaccarsi alla parola che precede (enclitiche) o a quella che segue (proclitiche). Fanno parte delle enclitiche, p. es., le congiunzioni lat. ereditate dall'ie. que, ve, ma anche pronomi come quelli indefiniti quis, 'tLç, o gr. !!E !!01J !!OL rispetto a quelli non enclitici, enfatici, È!!É È!!OU È!!o(. Proclitiche erano le cosiddette preposizioni, che per questo prendevano in greco l'accento grave, che indica, come dicevamo, l'assenza di tono; la forma accentata originaria compare in quella che si suole designare erroneamente - anastrofe, p. es. :rtÉQL EVL ano. Anche un sintagma come Mòç dç ao'tu ha un solo accento (Garde, L'accent 93). È interessante notare che in scr. il verbo, privo di accento nella principale, è accentato invece nella subordinata; e a ciò si deve collegare l'accento in genere fortemente regressivo del verbo greco (2). A parte tali particolari, nulla sappiamo dell'accentazione dei sintagmi e delle frasi nelle antiche lingue ie., e di conseguenza neanche nello stesso indeuropeo. È comunque verosimile che le frasi interrogative possedessero l'intonazione ascendente che è consueta nella generalità delle lingue (3). (l) Sui problemi delle clitiche v. Zwicky, Phonologica, 1976, 29-39; Jeffers & Zwicky, The evolution of clitics, ICHL 4, 1980, 221-231; Berendsen & Zonneveld, Properties of clitics, FoL 18, 1984, 3-21; ma anche Jucquois, Muséon 83, 1970, 533-540; e per lo slavo: R. Jakobson, Les· enclitiques slaves, 1933, ristamp. in SW II, 1971, 16-22. - (2) Sull'accento del verbo composto v. inoltre Kurytowicz, L'accentuation du verbe composé, BSL 59, 1964, 1-10. Sulla correlazione tra i termini tonoaccento-intonazione e sillaba-parola-sintagma, cf. H . Pilch, Cahiers de
108
linguistique théorique et appliquée 3, 1966, 131-6. Sull'accento lat. davanti alle enclitiche v. R.W. Tucker, TAPA 96, 1965, 449-61. - Sull'enclisi nel greco v. Barrett, Euripides' Hippolytos (Oxford 1964), App. 2, 424-427; Allen, Accent and Rhythm, 1973, 240 s.; Sommerstein, Sound Pattern, 1973, 159-166. - (3) Cf. ora Strunk, Typische Merkmale von Fragesatzen und die aind. "Pluti", Monaco 1983.
b) Alternanze voealiehe: l'apofonia 3. Scambi di consonanti e/o vocali all'interno di uno stesso morfema si verificano nelle lingue più disparate. Esempi di ambedue i tipi sono già stati dati in precedenza (1.2 .). Qui intendiamo occuparci più in dettaglio di un tipo particolare di alternanza vocalica. In latino è evidente che gli allomorfi fae-, fee-, fie- (2.8.) sono tra loro connessi, per la precisione in modo tale che fae- rappresenta la situazione originaria, da cui poi sono sorti, in una data epoca e in determinate circostanze, fee- e fie-. Sappiamo anche che quest'epoca non è anteriore al 500 a.C. (circa). In casi del genere ci troviamo quindi di fronte ad un'alternanza vocalica latina, che è sorta nel corso della storia linguistica del latino. Si danno però anche alternanze vocaliche che provatamente non si sono sviluppate nel corso della storia linguistica del latino. Che tegi5 - toga - fegula rappresentino varianti di un morfema di base teg-, è evidente, come è pure evidente che l'alternanza elo/e non è un fatto che si possa spiegare all'interno della storia del latino. Inspiegabile è pure l'alternanza tra deiki5 (class. dico, ma alat. DEICERENT) e dik- in dtetus. Ora, corrispondenze a simili alternanze possono essere individuate in greco, dove esse sono addirittura sviluppate in maniera assai più ricca. Al tipo e/o/e corrisponde p. es. nm:éga - E'Ùnén:oga Jta'ti]Q, al tipo detk-ldik-, cioè ei/i, l'alternanza di À.E(nw- EÀLJtov, cui spesso in greco si aggiunge anche oi, p. es. ÀOLJt6ç. Precise corrispondenze si riscontrano anche in germanico: e/o/e p. es. in got. bairanlbar/berum "portare/portai/portammo", et!ot/i p. es . in steigan/staig/stigum "salire/salii! salimmo". Alternanze vocaliche di questo tipo si verificano anche nelle altre lingue ie. Dal momento che il loro schema fondamentale mostra pre109
cise corrispondenze nelle diverse lingue, e che d'altra parte non trovano spiegazioni all'interno della storia delle singole lingue, devono per forza essere ereditate dalla lingua-base. Esse si presentano sia nei morfemi lessicali, le c.d. radici, sia nei morfemi grammaticali, i diversi suffissi. Questo tipo di alternanza vocalica ie. viene chiamata dai tempi di J. Grimm apofonia (ted. Ab/aut; il termine italiano, come quello fr. apophonie, è un calco con materiale greco dal termine tedesco) (1). (l) Per i problemi fondamentali v. Brugmann, Grundriss 2 I, 1897, 482505; KVG, 1904, 138-150; Meillet, Introduction 153-168; Hirt, IG II,
1921; Schwyzer, GG I 353-364; Kurytowicz, Apophonie; IG 199-338; Szemerényi, in: CTL 9, 1972, 138-143; Leumann 2 29-41.
1111111!11
3.1. Il nostro primo compito sarà semplicemente quello di stabilire la consistenza delle alternanze vocaliche descrivendole. Se nella serie elo/e consideriamo la vocale e come il punto di partenza, come il grado normale, possiamo indicare o come la sua variante qualitativa o grado apofonico di timbro o, ed e come il grado allungato. Il tipo ez/oi presenta quindi il grado normale e il grado di timbro o. Nella serie ez/oili il grado i può essere considerato, da un punto di vista meramente descrittivo, come sorto in seguito a «trasformazione» di ei mediante eliminazione o perdita della e. Possiamo quindi chiamare questo grado col nome di grado zero (o grado ridotto, scritto anche 0; nella terminologia tedesca anche Schwundstufe). Nella serie e/o/e il grado zero si presenterà proprio come zero, cf. n:b:-of-tat "io volo": È-m:-Of-t.YJV "volavo". Rispetto a questo grado, il grado normale può essere indicato anche come grado pieno. Per finire, accanto ad e esiste pure la variante qualitativa o, in modo che lo schema fondamentale delle alternanze vocaliche comprende cinque gradi: quello normale (N), quello normale di timbro o (No), quello zero (0 ), quello allungato (A) e quello allungato di timbro o (Ao). Tutti e cinque questi gradi sono presenti nel seguente esempio tratto dal greco: N
No
:n:a-TÉQ-a
EÙ:n:U-TOQ-a
:n:a-TQ-6ç
A
Ao
:n:a-Tt\Q
EÙ:n:U-TWQ
Naturalmente, non tutti i gradi sono attestati per ogni radice, come mostrano questi esempi:
llO
No
1tÉtOflUL exro( <*oéxro)
ltOtÉOflUL oxoL "ricoveri"
sedeo
rego n eco decet pater
Ao
A
N
1tù)t00f.laL eùroxéro
È1tt6f:LT]V eoxov roxro( <*o(-ox-ro) nidus sedes solium sedare (se < ''sodiom) (< ni-zd-os <-sd-) regula rogus re x noce6 doce6 patris vic-tr-Ix
vic-tor
Molto spesso capita di trovare attestati i soli gradi N/No/0, p . es .: Àe(nro
ÀÉ-ÀOL1t-(l Àom-6ç
E-ÀL1t-OV
oppure ~ì.ul'tov
con È protetica da ie. ~' leudh- (cf. airl. liudan < -:'leudh- "crescere"), cioè *leudh-
*loudh-
luid<~' ludh-et
"andò", got.
*ludh- .
Come in questi casi dopo la caduta della e del grado normale il secondo elemento dei dittonghi ez~ eu si presenta al grado zero come i, u, cosl anche nelle sequenze en em er el il secondo elemento che rimane al grado zero diventa una sonante 1:f '?! f, p. es.:
r
1ìÉQXOf.1aL "vedo" 1tÉv1'toç "dolore" lteLOOf.laL (< 1teV1't-o-)
/ìé1ìOQX
E-1ìQOX-OV e-nal't-ov naoxro
(da 1'drk-), (da *pQ.th-), (da *pQ.th-sk-6).
Dal punto di vista strutturale, particolare importanza riveste l'osservazione che le sonanti sillabiche in tutti gli esempi in cui le si rileva rappresentano il grado zero.
111
Il cambiamento del timbro vocalico viene chiamato anche apofonia qualitativa, mentre il mutamento della quantità (grado zero o grado allungato) costituisce l'apofonia quantz'tativa. Le serie apofoniche fin qui presentate si basano su di una forma base monosillabica, in cui e è la vocale di base. La maggior parte delle radici ie. sono proprio di questo tipo. Capita però che la vocale di base possa essere anche a od o, e perfino ii e i5. Nel caso di e a o parliamo di serie apofoniche a vocale breve, in quello di ii e i5 di serie apofoniche a vocale lunga. Va inoltre ricordato che non si danno solo radici monosillabiche, ma ve ne sono anche di bisillabiche. In base a ciò distingueremo :
l. Radici monosillabiche: a) a vocale breve b) a vocale lunga II. Radici bisillabiche. 3.2. Serie apofoniche monosillabiche a vocale breve. La maggior parte delle radici di questo tipo contengono, come abbiamo già osservato, e come vocale di base. Se indichiamo con C una consonante, le radici possibili e attestate saranno di tipo CeC, CeCC, CCeC e CCeCC. Avendo già dato in precedenza esempi validi per la maggior parte di questi tipi, aggiungeremo qui solo pochi esempi per i tipi che non sono ancora stati illustrati. N
''kel-
No
0
A
''kolya, in:
cl am
celare
scr. mrga-
scr. margi "pulisce"
lit. sirdis gr. XUQOLU
gr. xfig
"celare"
lat. occulo (< *kelo) airl. celim "celo"
got. halja aat. hella "inferno"
aat. helan "celare" <'melg- "levare, mungere" gr. èq.tÉì..yw lat. mulge6 ted. melken (< molgey6)
*kerd-
"cuore"
got. hairt6
112
lat. cor(d-)
*men-
N
No
"pensare" scr. manas "mente, =gr. ftÉVoç
lat. moneo me mini (
scr. manyate gr. ftUL VOftCI.L (
Le serie apofoniche monosillabiche a vocale breve acquistarono un valore del tutto particolare all'interno del germanico . Esse costituiscono il fondamento e l'intelaiatura di cinque delle sette classi dei verbi cosiddetti forti, che sopravvivono con tenacia quasi inaudita fin nel tedesco odierno. Esse corrispondono fondamentalmente ai tipi di cui abbiamo testé dato dei saggi.
I.
ie. CeiC !CoiC-!CiC-,
ie. *steigh-:
got. steigan aat. stigan ted. steigen
II.
ie. CeuC-/CouC-/CuC-,
ie. *gheud-:
got. giutan aat. giozan ted. gie.Ben
staig steig (stieg)
gaut goz go.B
germ. OC-/CaiC-/Cicstigum stigum stiegen
stigans gistigan gestiegen.
germ. CeuC!CauC-/CuCgutum guzzum gossen
gutans gigozzan gegossen.
N.B . le. eu passa in generale a iu in got., a io in aat. davanti ad a, e, o di una sillaba successiva, altrimenti a iu. III. Dopo la vocale di base vi è una nasale o liquida nante, cioè, indicando con R una nasale o liquida, ie. CeRC-/CoRC-/C~C-, ie. *bhergh-:
IV.
got. bairgan aat. bergan ted. bergen
barg barg barg
+
una conso-
germ. CeRC-/CaRC-/CuRC-. baurgum burgum (bargen)
baurgans giborgan geborgen.
La radice è come in III, ma senza consonante finale. 113
germ. CeR-!CaR-!CuR-!CeR-
ie. CeR-!CoR-!C~-!GR-,
i e. '' bher-:
got. bairan aat. beran ted. (ge)biiren
baurans giboran geboren
be rum barum -baren
bar bar -bar
N .B. Qui la sonante sillabica si presenta in posizione antevocalica (v. IV .5 .4.), ma la continuazione nel germanico è la stessa di quella in posizione anteconsonantica della III classe. La precedente alternanza nel perfetto, corrispondente a quella delle classi I-III, è mantenuta nei soli preterito-presenti got. man-munum e skal-skulum, aingl. man-munon e aat. scal-sculum; altrove il grado zero è sostituito da quello allungato. Cf. su ciò Fourquet, Festgabe L.L. Hammerich, 1962, 64; Polomé, Proceedings of the 9th Congress, 1964, 872.
V. La struttura della radice è la stessa della IV classe, solo che dopo la vocale di base compare un' occlusiva od una spirante (indicate qui con T) . ie. CeT-! CoT-,
germ . CeT-! CaT-
got. saihwan aat. sehan ted. sehen
sahw sah sa h
sehwum sahum sahen
saihwans gisehan gesehen.
Addendum. Nelle radici con -we- -re- ecc. la caduta di e al grado zero porta a -uecc. Cf.: '''swep- "dormire": anord. svefn "sonno", ;'swop-: lit. sapnas, '''sup-:
-r-
gr. unvoç;
~'prek- "chiedere" : got. /raihnan, '''prok-: lat. procus "pretendente",
,.,Prk-sk-8: scr. prcchati. Cf. inoltre Levin, A reclassification of the OE strong verbs, Language 40, 1964, 156-161; Motsch, Zum Ablaut der Verben in der Fri.ihperiode germanischer Sprachen, Studia Grammatica VI, 1967, 119-144; Hinderling, Studien zu den starken Verbalabstrakta des Germanischen, 1967, 10 s.; Boggs, Orbis 15, 1967, 501-504; Campanile, La classificazione dei verbi forti in gotico, SSL 10, 1970, 174-183; J. Anderson, Ablaut in ... the OE
114
strong verb, IF 75, 1971, 166-197; Barnes & Esau, Germanic strong verb, Lingua 31, 1973, 1-34; F. van der Rhee, Vokalalternanzen im germ. starken Verbum, ABaG 5, 1973, 11-31. 3.3. od o.
Un numero ristretto di radici presenta come vocale di base a
*ag- "spingere": *ak- "acuto":
N
No
gr. ayw gr. axçoç lat. acies
gr. oyj.toç "solco" gr. oxçtç "cima" lat. ocris "monte"
0
A
Ao
lat. amb-ag-es
ay-wy-n
lat. acer
Se la vocale di base è o, non può naturalmente aver luogo apofonia qualitativa, come per ''od- "odorare" : lat. odi5r, gr.
o~w
-
gr. Où-wlì-a
Secondo Kurytowicz, Apophonie 185 s., IG 251 s., non esisteva nessuna apofonia alo: un nuovo ai poté esser(: rifatto solo su i secondo ai: i. 3.4. Serie apofoniche monosillabiche a vocale lunga. In un certo numero di radici troviamo le vocali lunghe a e o che fungono da vocali di base della serie apofonica. Che esse vadano considerate vocali di base e non gradi allungati di vocali brevi viene mostrato, oltre che dalla mancanza di forme con la vocale breve, dalle seguenti relazioni strutturali. Dove le serie a vocale breve presentano il grado zero, p . es. col suffisso -to- dell'aggettivo verbale, si presenta uno sva. Inoltre i verbi in -mi da queste radici mostrano una stretta corrispondenza coi verbi in -mi dalle radici a vocale breve, presentando, come questi ultimi (cf. gr. dr.tt l. sg.: Lf.tEV l. p l.), al singolare il grado normale, cioè a e o, e al plurale, invece, sva, cioè il grado zero, come negli aggettivi verbali. P. es. l. sg. o(-ow-[.tt: l. pl. ùl-oo!!Ev, agg. verb. oo-1:6ç. Si deve inoltre aggiungere, dal punto di vista strutturale, la circostanza che nelle radici a vocale lunga la radice termina sempre còn la vocale lunga (do-), mentre ciò è escluso che avvenga nelle radici a vocale breve; la vocale di base deve esservi se~pre seguita da almeno una consonante. E naturalmente impossibile attendersi un grado allungato nelle ra-
115
dici a vocale lunga. Quand'anche ve ne fosse stata un tempo qualche traccia, non siamo più assolutamente in grado oggi di riconoscerla. Le radici a vocale lunga meglio attestate sono ,., dhe- "porre", '"sta" stare", '''do- "dare". Le alternanze che possiamo stabilire sono: 0
No
'tL--!tE-tJ.EV, factus
-!tw-t.t6ç "mucchio"
scr. hi-ta-
got. doms "giudizio" aingl. don "to do"
<'sta- gr. t-ma-tJ.L, lat. stare scr. stha-
mèl-1:6ç, sta-tus scr. sthi-ta-
lit. stuomuo, stuomas "crescita"
''do-
oi-oo-tJ.EV, da-tus
N
*dhe- gr. 'ti-\ht-tJ.L, lat. fed got. ga-de-ps "fatto" scr. da-dha-mi
gr. oi-OW-tJ.L, lat. donum scr. da-da-mi
Nel grado zero vediamo quindi in gr. E, a od o, in scr. (e in generale in ario) i, in lat., e in tutte le altre lingue ie., sempre a. Fu proprio la contrapposizione di i ario ed a delle altre lingue ie. che indusse ad ipotizzare uno sva (v. IV .l. l l.); successivamente questa vocale indistinta si sarebbe conguagliata in greco alla relativa vocale di base, e perciò si ha {l-E - secondo 1h]- ecc. Teoricamente sarebbe anche possibile, naturalmente, che il solo greco conservasse un'originaria molteplicità sostituita nelle altre lingue da un timbro vocalico unico. In proposito v. anche Vl.4.7.2 . Sulle relazioni apofoniche in sanscrito (: i in un minor numero di casi, e ala) v. Tischler, in: In memory ofJ.A. Kerns, 1981,311-323.
Addendum. Secondo parecchi studiosi, in determinate lingue all'interno di parola sva va perduto, cf. scr. dubitar-, gr. {}vy
116
3.5. Serie apofoniche bisillabiche. Che accanto ai fondamenti monosillabici delle alternanze apofoniche in indeuropeo esistessero anche unità maggiori, bisillabiche, è provato nel modo più evidente dal scr. lvi troviamo la norma morfologica per cui l'infinito viene formato sulla radice al grado normale mediante l'aggiunta del suffisso -tum - l'ace. di un tema in -tu- corrispondente al supino del lat. -, e sempre dal grado normale si ottengono i nomina agentis in -tar-, · mentre l'aggettivo verbale in -ta- (= lat. -tus) o l'astratto in -ti- richiedono il grado zero della radice. Anche all'indicativo presente troviamo spesso il grado normale. Per esempio:
bhar- "portare" han- "uccidere" gam- "andare" fru-
"udire"
pres.
in f.
-ta-
-ti-
bharati han ti gamati (cong. aor.) (sp:oti)
bhar-tum han-tum gan-tum
bhpaha-taga-ta-
bhpiha-tiga-ti-
sro-tum
sru-ta-
sru-ti-.
I nomina agentis da queste radici, inoltre, sono: bhar-tar-, han-tar-, gan-tar-, fra-tar . Una situazione completamente diversa si trova in un altro gruppo di verbi, nonostante che il presente possa sembrare identico. Per esempio: presente
}arare janati sanati pavare bhavati
inf.
-tar-
-ta-
-ti-
jani-tos sani-tum pavi-tum bhavi-tum
jari-tarjani-tarsani-tarpavi-tarbhavi-tar-
gur-taja-tasa-tapu-tabhu-ta-
gur-tija-tisa-tipu-tibhu-ti-.
"canta"
"genera" "acquisisce" "pulisce" "è"
In questo gruppo, quindi, la forma al grado normale è bisillabica e nella seconda sillaba compare sempre una i. Per questo motivo i grammatici indiani, e dopo di essi spesso anche i loro successori occidentali, parlano di radici senza i (an-it) e con i (sa-t/ > set). Evidentemente connessa con questa differenza è pure l'altra diversità riscontrabile, cioè il fatto che in questo gruppo al grado zero compaiono ur, a ed u - rispetto a [, a ed u delle radici ani{ - e di questi 117
suoni abbiamo già visto che ur ed a rappresentano in scr. le sonanti lunghe ie. (f, ij) (v. IV.5.3.) . Che scr. i in questi casi non rappresenti i dell'ie. è evidente, giacché altrimenti non potrebbe scomparire. Deve dunque rappresentare lo sva ie. Conformemente a questa ricostruzione, il grado normale delle radici se{ presuppone un tipo CeRa-, ed il grado zero un tipo CR-. Dal momento che il grado zero di Cer- è CR-, non è difficile c;ncludere che in rappresenta la combin~zione di -?3- + a. Anche le forme di presente janati pavate bhavati devono naturalmente contenere '''gen 1 -, -:'pewa-, -:'bhewa-, dal che consegue che sva scompare davanti ad una vocale che lo segua. È inoltre chiaro che u in puta- bhuta- rappresenta la combinazione del grado zero pu- bhudi pew- bhew- con uno sva, e che quindi u = ua, ed esempi come nayati "conduce", nayi-tum nt-ta- nt-ti- o bhayate "teme", bht-ta- mostrano che in casi del genere anche t = ia. Per un certo numero di sonanti lunghe (ij tfz f e di t u, è dunque palese uno sviluppo secondario a seguito di .una fusione di sonanti brevi o i u con sva. E dal momento che a ·sua volta lo sva nei casi trasparenti è il grado zero di una vocale di base lunga (v. sopra, 3.4.), siamo indotti a pensare che il punto di partenza delle alternanze apofoniche in questione sia costituito da «basi» bisillabiche come -:'bhewa- -:'pewa- -:'gene-, nel cui grado zero talvolta è la sola vocale lunga che diventa sva - si ha allora -:'bhewa- ''pewa- -:'gena" ecc. -, talvolta invece ambedue le vocali si presentano al grado zero - ed allora si ha ,.,bhu- '''pu- ''gijecc. Quale sia la vocale lunga che dovremo supporre nella base non possiamo ricavarlo dal scr., poiché in esso a e o sono tutte confluite in a: avremo bisogno, per questo, della testimonianza delle altre lingue, in particolare di quelle classiche. Radici confrontabili con quelle se{ del scr. esistono naturalmente anche nelle altre linguè. È infatti chiaro che gr. yEvÉ'tWQ, lat. genitor - rispetto a, p. es., lat. fer-tor = scr. bhar-tar- - non debbono la propria E od i che segue la «radice» gen- ad un'aggiunta arbitraria, ed inoltre a sfavore di una radice monosillabica -:'gen- depone anche il fatto che in tale caso l'aggettivo verbale dovrebbe essere -:'gentus, mentre di fatto esso è (g)natus, che corrisponde con precisione a scr. ;ata- e con quest'ultimo deriva da ie. ~'gijtos. lnoltr~ svariati altri esempi saranno discussi più in là.
f
Cf-
J)
118
Fin qui si è visto che il tipo di radice bisillabica -:'CeRa- si presenta con le forme ;'CeRa- e C~-, p. es. ie. ;,gwera- e ;,gwf_ in scr. }aritar- e gur-ta-. In ie. ;:gwera- si ha il grado normale della prima sillaba e grado zero della seconda, quindi N 10 2 ; a sua volta .;,gwf- è di tipo 0 10 2 . La vocale al grado normale della seconda sillaba può venire determinata solo ave sia attestata una forma in cui questa sia al grado normale; allora però sarà al grado zero la prima sillaba, in modo che avremo 0 1N2 . Una forma di questo tipo compare in gr. yv~owç "legittimo di nascita", per cui gr. yEvÉ'tWQ, lat. genitar (da ;'genatar) e scr. ;Imitar- presentano, con la loro vocale E, a ed i, il grado zero di e. Le alternanze fondamentali di ;'gene-, che di per sé non è mai attestato con grado normale in entrambe le sillabe, sono quindi N 10 2 -:'gena-, 0 1N2 -:'gne- e 0 10 2 ;'gij-. Ad esse possono inoltre venirsi ad aggiungere le forme con cambiamento di timbro No 10 2 e 0 1No2, cioè, in questo caso, -:'gana- e -:'gna-, nonché i gradi allungati (solo nella prima sillaba) ·:'gena" e ''gana-; occorre poi tener presente che sva scompare davanti a vocale, per cui possono sorgere delle forme come '''gen- '''gon- ''gen-. La lista che segue dovrebbe illustrare quanto abbiamo osservato. a) ;'gene- "generare, nascere": N10 2 : scr. jani-tar-, gr. yEvÉ-'tWQ, lat. geni-tar; scr. jan-as, gr. yÉv-oç, lat. ge'n-us; No 10 2 : gr. y6v-oç, scr. jan-a-; gr. yt-yov-a, scr. jajan-a; 0 1N2 : gr. yv~-OLoç; 01No2 : gr. yvw-1:6ç "parente", got. kna-dai (dat. sg. femm.) "genere"; 0102 scr. jii-ta-, lat. (g)nii-tus, got. (airjJa-)kunds "nato (dalla terra)". b) ;'p ele- "riempire, essere pieno": N102 : scr. parz-man-i (loc.) "in abbondanza", parz-1Jas- "sovrabbondanza!'; got. /t'tu, aingl. fela "molto", airl. il; gr. noì-..-uç (?); cf. IV.5.4.; lat. ple-nus, gr. E-rtÀ.'Y]-w; scr. pur-1Ja, lit. pìl-nas, got. fulls; scr. pur-u- "molto" (v. IV.4.3.). 119
c) ·:'gweye- "vivere": N 10 2 : gr. (3d-Of.laL (fut.); No 10 2 : av. gay-a- "vita", serbo goj "pace"; 0 1N2 : av. jya-tu- "vita", gr. ~f]v; 0 1No2 : gr. ~w-6ç "vivo"; gr. È-(3(w-v, (3u'D-vm; 0102 : ie. ''gwt-wos (v. IV.7 .5.2.) . d) ''gheya- "sbadigliare": No 10 2 : aat. gei-non; 0 1N 2 lat. hia-re, asl. zijati; 010 2 : lat. ht-sco . . e) ''gw ero- "inghiottire": N 10 2 : gr. (3aQa1'tQov, arcad. ~ÉQEitQOV (ambedue da -:'gwera-, v. Szemerényi, Syncope 215); arm. ker (tema in -o- kero-) "nutrimento"; No102: gr. (3oQ-6ç, lat. var-are; gr. E-(3Qw-v, (3L-(3Q
''yij-tr-6s. 120
(g)
N 10 2 : lit. dntis, aat. anut; 0 10 2: gr. vi)ooa, ari o att-; il paradigma prevedeva quindi nom. ''ana-tz, gen. -:'ij-tiyas. A tutt'oggi non esistono presentazioni puramente descrittive dell'apofonia. Sempre utile è la prima opera di de Saussure, il famoso Mémoire sur le système primitif des voyelles dans les langues indoeuropéennes, 1878, rist . in Recueil des publications scientifiques de F.d.S., 1922. Per la più recente bibliografia, in partic. sull'origine dell'apofonia, v. VI.1-4.
3.6. Nel sistema grammaticale ie., l'apofonia svolge una funzione che non va sopravvalutata. Nel sistema verbale, p. es., il grado normale è per lo più associato al presente, quello zero all'aoristo, il timbro o al perfetto (À.E(mo - EÀ.ll'WV - À.ÉÀ.mna). Una altrettanto stretta connessione con determinati gradi apofonici è mostrata in upo stadio iniziale da alcune formazioni nominali. Anche all'interno della flessione determinati gradi apofonici mostrano spesso e volentieri uno scambio; troviamo così che in molti verbi a· grado normale è limitato al singolare, mentre duale e plurale presentano il grado zero. Poiché simili alternanze sono spesso associate ad alternanze prosodiche (alternanze d'accento), possiamo dire che l'apofonia è ridondante, cioè che, p. es., nell'aggettivo verbale -:'klu-t6s (gr. xÀ.u-t6ç, lat. inclutus) è -t6- «il solo portatore della funzione semantica>~; dal momento però che già in ie. era frequente una accentazione identica con gradi apofonici diversi, che, cioè, non vi era un'alternanza regolata meccanicamente, questa affermazione ha valore solo in modo . relativo. Sulla ridondanza dell'apofonia]. Kurytowicz, Phonologie der Gegenwart, 1967, 160 s.
3.7 . Alternanze vocaliche sono presenti anche al di fuori del sistema dell'apofonia, cf. Brugmann, KVG 145 (: ace. melme, cf. Szemerényi, Festschrift H. Gipper, 1985, § 9); Leumann 2 41 (: contrazione, p. es. dat. sg. -ai da -o + ei, nom. pl. -os da -o + es). Su casi 121
come '''wzro-: '''wtro-, v. Szemerényi, Syncope 329; Kortlandt, Slavic accentuation, 1975, 76 s.; Leumann 2 41.
c) Alternanze consonantiche 4. Parallelamente alle alternanze vocaliche esistono anche determinate alternanze consonantiche, le quali tuttavia, al contrario dell'apofonia, non rivestono alcun significato funzionale. 4.1. 5 mobile. Un certo numero di radici si presenta nelle diverse lingue ie., talvolta perfino all'interno di una stessa lingua, sia con sia senza una s iniziale; parliamo in questi casi di s mobile. Per esempio: ''teg- "coprire": gr. cÉyoç, 'tÉY'YJ "tetto, casa", lat. tego tectum teges toga, airl. tech "casa", anord. pekja "coprire", pak "tetto", aat. decchen dah; ma: 1 'steg- "coprire": scr. sthagayati "cela", gr.
122
Sbornik, Univ. Briinn, 1966, A. 14, pp. 13-25; Makajev, Struktura slova vie. i germanskix jazykax, Mosca 1970, 217 s., accettato da Kuryìowicz, VJ 1971 (3), 125 s.- Per 2): F. Edgerton, lE s movable, Lg. 34, 1958, 445-453. - Cf. inoltre: Schwyzer, GG I 334; Benveniste, Origines 164 s.; E. Frankel, IF 59, 1949, 295 s.; H. Wanner, Wortpaare vom Typus recken-strecken, in: Sprachleben der Schweiz - Festschrift R. Hotzenkèicherle, 1963, 133-140; Schindler, Sprache 15, 1969, 159, come pure Hoenigswald, Lg. 28, 1952, 182-185. - V. anche J. Gleasure, Ériu 24, 1973, 190 s. (:dalla lingua dei bambini?).
4.2. In principio di parola, soprattutto in presenza di gruppi twsw- è dato osservare un'alternanza di w: zero. Essa è assai estesa nel pronome "tu" e nel riflessivo. '~twe "te (ace.)": scr. tva(m), gr. OE, arm. khe-z (kh- da tw-); '"te: lat. re, aingl. pe(c), aat. dih, t ed. dich, asl. tr ~'swe "sé": scr. svayam "se stesso", gr. (F)É; '"se: lat. se, got. sik, asl. Sf?. Allo stesso modo, nel numerale "sei" vediamO alternare: '"sweks: gr. (F)Es, cimr. chwech, avest. xsvas, e ''seks: lat. sex, got. saihs. Anche per y troviamo un'alternanza sy-: s- in scr. syutas "cucito", lit. siuti "cucire", asl. siti (da "'syu-): scr. sutram "filo", lat. suo. E anche py-: (s)p- in gr. muw "io sputo" (da pyu-): lat. spuo. A ciò si aggiunge ghy-: gh- in scr. hyas "ieri": lat. hes-ternus heri, ted. mod.
gestern (1). (l) Un prefisso w- è postulato da Miller (Lingua 37, 1975, 40) per casi come (w)esu, (w)ersen-, (w)es-, (v)ar~ati, (v)rdh-. - Un esempio di alternanza d-!fJ- si trova in dakru/akru "lacrima", cf. Hamp, Studies G.S. Lane, Chapel Hill 1967, 146 s.; Makajev, op. cit., 270 s.- Per un'alternanza k-10 v. VI.4.4.2.
4.3. In fine di morfema, più raramente al principio, si osservano scambi tra diverse serie occlusive. Per esempio: "'po- "bere": scr. pati "beve", pa-tram = lat. poculum (entrambi da ·:'potlom), potus, ma pres. raddoppiato scr. pibati = lat. bibit = airl. ibid, tutti da ~'pibeti; 123
i
4.4. In qualche caso un'occlusiva iniziale sembra alternare con zero. Gli esempi di maggiore interesse sono: *kost- "osso": asl. kost'f, lat. costa "costola" rispetto a 7 'ost- "osso": gr. òm:Éov, lat. os(sis), scr. asthi; '~kag - "capra": asl. koza, aingl. hecen "capretto", medio basso ted. hoken (entrambi da 7' hokina-) rispetto a '~ag-: scr. aja- "capro", lit. oiys "id." (da '''agiyos). N.B. V. VI.4.4.2 . per tentativi di spiegazione.
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4.5. In fine di parola, le sonanti cadono, in alcune lingue indeuropee, quando seguano una vocale lunga (1). Nel nom. sg. m. e f. dei temi in -r- troviamo in ario pita mata, lit. m6té, asl. mati rispetto a gr. 1-liJ•YJQ, lat. mater. Stessa cosa nei temi in -n-: scr. asma "pietra", lit. akmuo, e perfino lat. (hom)i5 rispetto a gr. axw.ov, o scr. S(u)va "cane", lit. suo, airl. eu (da '''kwo) risp. a gr. xuwv (2). Nel caso di -u in fine di parola troviamo dei doppioni perfino all'interno del scr.: d(u)vau o d(u)va "2" risp. a horn. Mw, asl. duva. È verosimile che tale caduta dipendesse dal sandhi, cioè che essa si verificasse davanti a certe consonanti iniziali della parola successiva. Si tratterebbe quindi di varianti già presenti in ie., di cui ogni lingua avrebbe generalizzato un tipo determinato. In parecchie lingue ie. e certamente già in indeuropeo sembra riscontrabile una tendenza contraria al diffusissimo rafforzamento finale (p. es. tedesco Kind = [kint]), cf. lat. sub da ''' (s)up, ie. '''tod da '''to-t(o) (3). Se più consonanti si trovavano in posizione finale, una o più consonanti sparivano per assimilazione, cf. '''mater da -~'maters (v. VI.2.7.1.). Là dove si ebbe restituzione dell'insieme di più consonanti il gruppo difficile poté consolidarsi a mezzo di una vocale di appoggio (sva), cf. scr. asthi "osso" da -~'asth attraverso '''asth-J (4), e cf. ancora VII.3.2 . e 4.1. Nell'uscita vocalica sono possibili alternanze fra lunga e breve (p. es. welwe "o" ), il che ha certo il suo punto di partenza nell'abbreviamento di una lunga originaria in sandhi davanti a vocale iniziale (5).
(l) G.S. Lane, KZ 81, 1968, 198-202, avanza l'ipotesi che tale caduta si verificasse in origine solo davanti a sonante iniziale. - (2) V. Szemerényi, SMEA 20, 1980, 220 s. - (3) Szemerényi, TPS 1973, 55-74, malgrado Normier, KZ 91, 1978, 207 . - (4) Szemerényi, SMEA 20, 224 s. - (5) Szemerényi, The IE particle kwe, Fs. Gipper, 1984, § 9; e cf. sopra, 3.7. Per il sandhi in genere, v. ora '~H. Andersen & J. Gvozdanovié (edd.), Sandhi phenomena in the languages of Europe, Berlin 1985.
d) Struttura dei morfemi 5 . I morfemi fondamentali, muniti di un pieno significato, p re-
125
sentano per lo più rispetto ai morfemi grammaticali anche una più piena consistenza formale. Un'indagine sulla struttura di tali morfemi mostra che essi si mantengono entro determinati limiti. I tipi fondamentali, le cosiddette forme canoniche, possono spesso venir ricon~ dotte ad una formalizzazione assai semplice. Così, la forma canonica nel cinese è il monosillabo, nelle lingue semitiche la radice triconsonantica. Indicando con C le consonanti e con V le vocali, in tedesco sarebbe possibile attribuire ai morfemi fondamentali possibili le seguenti forme canoniche: V, VC, CV, VCC, CCV, CVC, VCCC, CCCV, CCVC, ecc. Cf. Hockett, Course 284 s.; Pilch, Phonemtheorie I 3 16 s.
5 .l. Il fatto che tutte le parole della lingua greca potessero venir ricondotte ad un certo numero di radici monosillabiche era stato riconosciuto già dal grammatico alessandrino Filosseno (l sec. a.C.). Questa dottrina del monosillabismo delle radici sopravvive ancora nell'età moderna, e si ritrova p. es . in Adelung e in W . von Humboldt (Arens 2 151, 217). Applicata all'indeuropeo e rielaborata in maniera più precisa, la ritroviamo in A. Schleicher (1821-1868), che fissa le seguenti forme canoniche: V,CV,VC,CVC,CCV,VCC,CCVC,CVCC,CCVCC. A. Schleicher, Kompendium der vergl. Grammatik der idg. Sprachen, 1876\ 332.
Se rivolgiamo la nostra attenzione alla differenza, che abbiamo avuto modo di osservare trattando l'apofonia, tra radici mono- e bisillabiche, possiamo stabilire le seguenti forme canoniche (e sta per e, a od o) (1):
126
bisillabiche
monosillabiche ve *edcvc *m edccvc ''tremcvcc ''serpccvcc *dhreughcccvc *strepcccvcc *spreigcv ''doccv *dra-
"mangiare" "misurare" "tremare" "strisciare" "ingannare" "strepitare" "abbondare"
CeCe cecec
''p ele''temag-
"riempire" "tagliare"
"dare" "correre"
Nelle radici monosillabiche in cui sono possibili gruppi consonantici è possibile stabilire una formula di struttura estremamente semplice. Contrassegnando con T le occlusive, con R -le sonanti (m n l r nonché i u in qualità di componenti di un dittongo), e con S la spirante s, otteniamo la formula generale: (S) (T) (R) e (R) (T /S)
che comprende le possibilità eT, TeT, TReT, TReS, TeRT, TeRS ecc.; e SeT, SeS, SReT, SReS, SeRT, ecc. Se si disponessero i fonemi nell'ordine T /S, R, V, in base al crescere della sonorità, potremmo addirittura dire, in modo ancora più semplice, che i fonemi sono ordinati intorno alla vocale in ordine di sonorità decrescente. Sono quindi possibili klep ma non lkep; sret ma non rset; kers ma non kesr, e così via. Uno '"'pster- per "starnutire" potrebbe dunque venire ammesso solo in quanto onomatopeico, e perciò divergente dalla struttura normale; di fatto, comunque, si dà solo -:'pter- o ''ster(:n:n:Xgvu!-lm, sternuo). Il gruppo iniziale sT(R)e è frequentissimo, p. es. ~'ster-, ~'spek-, ·:'skeid- e ''splei-, skrei- ecc. Al contrario, il gruppo TTe- è rarissimo (m:cg6v), e così pure TSe- (2). Un morfema contiene al massimo cinque consonanti. (l) Sulla struttura delle sillabe, v. Saussure, Cours 70-95; Scholes, Linguistics 36, 1968, 55-77; v. anche più avanti, punto 7. - (2) Ma può essere che in una fase anteriore questi tipi fossero più frequenti, v. Gunnarsson, NTS 24, 1971, 80.
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5.2. All'interno di questa formula strutturale è inoltre possibile stabilire altre limitazioni ancora riguardo alle occlusive (l). Sono impossibili:
Sono possibili:
l) 2) 3) 4) 5) 6)
M-MA M-T MA-M MA-MA T-M T-T
bedhdekbheidbheidhpedpet-
l) 2) 3)
M-M MA-T T-MA
(bed-) (bhet-) (tebh-)(2)
La combinazione 3) è però possibile dopo s-: '''steigh- "salire"
N.B. l) La sequenza M-M è presente in scr. gad-ati "parla", ma la radice è limitata al scr. (3). 2) Non sono consentite identiche occlusive (tipo, p. es. -:'pep-), mentre in ·:'ses- "giacere" (itt. ses-, scr. sas-) sono attestate due identiche spiranti. Oltre a ciò, dopo la vocale radicale non possono trovarsi né due sonanti né due occlusive; sono quindi impossibili -:'teurk- o -:'tekt-. Là dove nondimeno sembra presentarsi una simile sequenza, tra le due sonanti o consonanti passerà la frontiera tra due morfemi; lat. munus da '~'moinos non è formato su di una radice '~'moin-, bensì su '''mai-l mei-, cf. scr. mayate "scambia", mediante il suffisso -nos (cf. /enus, facinus). (l) Meillet, Introduction 173 s.; A. Cuny, Revue de Phonétique 2, 1912, 128 s., Recherches sur le vocalisme, le consonantisme, et la formation des racines en nostratique, ancetre de l'indo-européen et du chamitosémitique, 1943, 113-159. Fu Grassmann che per primo osservò l'esclusione di M-M, KZ 12, 1863, 115 . Cf. inoltre Borgstrom, Word 10, 1954, 278 s.; Stanley, Lg. 43, 1968, 432 s.; Chomsky-Halle, The sound pattern of English, 1968, 386; Bechert, Linguistische Berichte 2, 1969, 28-46; e più avanti, VI.5.5. - (2) V. l'osservazione di Saussure, citata da Meillet, MSL 18, 1912, 60 s.; e Benveniste, Origines 171'; e cf. ora Miller, Linguistics 178, 1976, 58 s.; JIES 5, 1977, 31-40.- (3) Cf. Thieme, KZ 86, 1972, 80 (: onomatopea?).
128
5.3. La limitazione strutturale del più semplice tipo di morfema a VC o CV non è completamente soddisfacente. Si presentano infatti in grande quantità morfemi di tipo CV. È però vero che essi appartengono tutti ad una categoria particolare: sono infatti particelle (de, ghe, kwe) e temi pronominali (to- "questo", me "io", kwi- "chi"). È possibile addirittura V, cf. il tema pronominale e- "questo". 5.4. Determinativi radicali. Confrontando got. giutan "versare" con lat. fundo /udz risaliamo ad un ie. '''gheud-. Questa radice non va però separata da ~'gheu- "versare" presente in gr. XÉW (da XÉFW) xu't6ç, scr. hu-, pres. ju-ho-tt' "versa, liba". Questo significa che -:'gheudall'interno dell'ie. è stato formato a partire da un più semplice '"gheu-, e per la precisione mediante un suffisso che non presenta (più) alcun significato chiaramente riconoscibile. T ali elementi formativi sono chiamati, a partire da Curtius, determinativi radicali. Capita spesso che più radici vengano derivate mediante diversi determinativi radicali a partire dalla medesima radice semplice. Così gr. EÀ.:rto!-1-m, horn. eÉÀ.:rto!-1-m, EÀ.:rt(ç "sperare, speranza" rimandano ad una radice '''welp-. Accanto a questi troviamo EÀ.b0!-1-at , Eéì.6o!A-m "augurare, bramare di vedere", Eéì.6wg "augurio, desiderio", che provengono da una radice '''weld-. Che ~'welp- e '''weld- debbano essere tra loro connesse, che cioè siano derivazioni di una radice comune più semplice '"wel-, è ovvio, e viene confermato da lit. vil-iuos "spero", vil-tìs "speranza", e inoltre dal lat. velle. Talvolta capita che la radice più semplice non sia attestata (o non lo sia con certezza), ma venga resa necessaria dall'esistenza di diverse formazioni parallele. Così, attraverso scr. dra-tt' "corre, si affretta", gr. àno-6L-6ga-axw, aor. àné6gav, è attestato '''dra- "correre". Scr. dram-att' "corre", gr. aor. e6ga!A-OV provengono da ~' drem- . Scr. dravati "corre" e molti nomi di fiumi europei come Dravos "Drava", gallico Druentia (fr. Drouance) rimandano a -:'dreu-. È palese che '~' dra- -:'drem- ;'dreu-, che hanno tutte alla base il medesimo significato, non possono essere indipendenti tra loro, e che quindi devono tutte essere derivate da una radice fondamentale ,.,dr-, '"der-, benché una tale radice non sia (più) reperibile in quanto tale. La presenza, una accanto all'altra, di radici come ''' trem- in gr. 'tQÉ!!W, lat. tremo, *trep- in lat. trepidus, asl. trepetu "tremare, fremere", '''tres-rters- in 129
scr. trasatt' "trema", gr. 'tQÉW, horn. aor. e'tgcooav, lat. terreo, rimanda ad una radice fondamentale '~'tr-/'~'ter-, che è conservata solo in scr. tarala- "tremante, palpitante". Gr. !!ÉÀ.:n:w "io canto", itt. mald"recitare, far voto", germ. meldan "annunziare", lat. promulgare, russo molvit' "dire", av. mrav- = scr. brav- "dire" rimandano a '~' melp-, *meldh-, ''' melg-, 1'melw-/'''mleu- e queste richiedono una radice originaria '''mel- "annunziare solennemente", che probabilmente è ancora conservata in gr. !!ÉÀ.oç "canto" ed itt. mallai- "approvare" . Cf. Szemerényi, Emerita 22, 1954, 159-174 (su *mel-).
5 .5. Determinativi radicali possono essere ipotizzati anche sulla base di determinate strutture radicali che altrimenti contravverrebbero alle limitazioni che abbiamo constatato essere valide per le radici semplici. Troviamo cosl accanto alle forme già viste dra-1drem-1dreu" correre", una forma 1' dreb- in aingl. treppan "avanzare" (da ,.,trapjan), ted. trippeln, Treppe, lit. drebù "tremo" . Se questa fosse una radice semplice, avrebbe una struttura «impossibile», perché conterrebbe la sequenza M-M. Che essa sia una forma derivata, che contenga cioè un determinativo radicale, può venire in questo caso provato anche dall'esistenza delle altre varianti. A partire da esempi di questo tipo, possiamo considerare eventuali strutture morfemiche irregolari come una prova già di per sé sufficiente a dimostrare la presenza di determinativi radicali. La radice '"kerdh- "fila, gregge" è «impossibile», poiché contiene la sequenza T-MA, e dovremo pertanto rifarci a '''ker-dh- (cf. Schmitt-Brandt 20) . L'opera più significativa in questo campo rimane P. Persson, Beitrage zur idg. Wortforschung I-II, 1912. V. ora anche Kronasser, Etymologie, 1965, 420 s.; Kurytowicz, IG 222; Makajev, VJ 1969 (1), 3-21; Struktura slova vie. i germanskix jazykax, 1970, 182 s.
e) Variazioni combinatorie nei legamenti tra mor/emi 6. Alla frontiera tra un morfema e un altro si verificano determinati mutamenti fonetici che per solito non possono aver luogo all'interno di un morfema, dal momento che determinati gruppi consonantici non vi sono presenti. 130
6.1. Davanti ad una T iniziante un morfema, una M finale del morfema precedente si assimila, e passa a T. Questa situazione è particolarmente frequente davanti a suffissi inizianti con t. Per esempio, la radice '~yeug- "unire", unita al suffisso -to- dell'aggettivo verbale dà scr. yuk-ta-, gr. ~Evx-1:6ç. Viceversa, T o s sorda davanti a M successiva diventa sonora. Esempi di ciò si trovano anche all'interno di uno stesso morfema, benché anche in tale caso il gruppo di fonemi venga reso possibile solo dalla preposizione di un morfema: scr. upabda- "calpestio, strepito" da -pda- proveniente da padyate "cade, precipita", av. frabda- "parte anteriore del piede", da pad- "piede", ie. "~'nt"zdos "nido" (IV.6.2.) da -:'nt"-sd-os "sede", cf. lat. sedere. N.B. In scr. dopo una ~ cerebrale (IV.6.), una t(h) diverita anch'essa una cerebrale, p. es. l'aggettivo verbale di pzj- "pestare, macinare" (da pz5-, cf. lat. pt"nsere, pz"stor) suona pzj(a- da pzj + ta. Palatali indeuropee, che in scr. compaiono come f j, incontrandosi con t danno il gruppo ~(, cf. scr. a~( ii "otto" rispetto a iran. asta, rii~(t" "regna" da i< reg-tz". 6.2. La legge dt" Bartholomae. La successione di MA + T dà come esito nella maggior parte delle lingue, conformemente a quanto abbiamo appena esposto, T + T. Così gh + t dà il gruppo kt in gr. ÀÉXtQOV "letto", che è formato dalla radice "~'legh- "giacere" presente in À.Éxoç "letto", conservata anche in ted. lz"egen, aat. lz"ggen, got. hgan. Lo stesso gruppo compare in lat. lectus. Diversamente da tutto questo il sanscrito, e più in generale l' ario, mostra di mantenere in questi casi la sonorità, che viene addirittura trasmessa all'originaria T, ed in indiano viene mantenuta anche l'aspirazione che passa alla fine del gruppo risultante. Il gruppo originario MA+ T passa dunque a M +MA. Per esempio: scr. labh- "prendere": agg. verbale labdha- da labh + ta; scr. budh- "destare": agg. verb. buddha "il destato" da budh-ta-; scr. dah- "bruciare" (palatalizzato da dagh-, v. IV.7.4.7. e 7.5.3.): agg. verb. dagdha-. Se il suono originario non era, come nell'ultimo esempio, una (la-
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bio)velare, bensì una palatale (v. IV.7.4.6.), da jh-t sorge dapprim:a i.dh, e successivamente (v. sopra 6.1.) #h cerebralizzato, in cui t scompare con allungamento della vocale precedente. Per esempio lih- "leccare", agg. · verb. lùfha- da ie. ~'lighto-; sah- "sopraffare", agg. verb. saqha-. E così pure con desinenze verbali in t, p. es. *leh-ti "egli lecca" ha dato leqhi. Questo mutamento venne descritto per la prima volta da Chr. Bartholomae, Arische Forschungen l, 1882, 3 s.; KZ 27, 1885, 206 s., e da lui prende il nome di legge di Bartholomae sulle aspirate. V. anche VI.7.1.45.
Originariamente si pensò che la legge valesse per tutto l'indeuropeo. In tale caso gli esempi sopra riportati dalle lingue classiche sarebbero secondari. Al di fuori dell' ario non si danno però esempi convincenti, per cui la legge va limitata all' ario. È in ogni caso attiva in avestico. Cf. augda (scritto aogJda) "disse" da ;'augh-ta, e perfino augi.a "dicesti" da ;'augh-sa, che passò a ''augzha, poi a ;'augi.ha (cf. IV.6.), e infine, con perdita dell'aspirazione, a augi.a; a scr. duhitar"figlia" corrisponde av. dugdar- (scritto dugJdar-) da ''dugh-tar-. Questa legge viene ancor oggi considerata indeuropea da J. Kurytowicz, Etudes 51 (cf. anche Apophonie 379 s.), Proceedings of the 9th Congress, 1964, 13; IG 339; BPTJ 31, 1973, 8; Cuny, RPhon 2, 1912, 126 s.; BSL 32, 1931, 43 s.; Puhvel, Bartholomae's law in Hittite, KZ 86, 1972, 111-115; Hamp, ZCP 37, 1980, 169. - V. inoltre Pisani, Geolinguistica e indeuropeo, 1940, 346 s.; Mey, NTS 26, 1972, 81-89; Vennemann, Essays Penzl, 1979, 557-584.- Sulla evidenza offerta dai dati del germanico v. Bennett, Lg. 42, 1967, 733-737.
6.3. Esiti particolari si ritrovano là dove una dentale finale di un morfema entra in contatto con una dentale che inizia un altro morfema. La sequenza -tt- (anche da -d-t-) si produce prevalentemente negli aggettivi verbali, per via del loro suffisso -to-, ma è spesso presente anche negli astratti verbali in -ti- e -tu-. Cf.: ie. ;'weid- "vedere" - -:'wid-to- "visto, conosciuto": scr. vitta-, av. vista-, gr. èi-(F)LO'Wç "sconosciuto", lat. vtsus (in luogo di -:'vissus
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secondo vzdt), airl. /ess "scita" (ntr. pl. da *witta metafonizzato, cf. /t'ss "il sapere" da ''wid-tu-s), got. un-wiss "incerto", aingl. wt'ss, aat. gi-wiss "certo"; serbo-ci:. vestu "chiaro", modificato secondo vede "so" da ''vtstu; ie. '''sed- "sedere" - ''sed-to-: scr. satta-, av. hasta-, lat. -sessus, airl. sess "sede", anord. aingl. sess "sede"; cf. in proposito anche asl. sesti, lit. sesti ((sedere". (
Vediamo dunque che -tt- passò a -ss- ad occidente (italico, celt., germ.), a -st- al centro e ad oriente (gr., balt., si., iran.), mentre al contrario all'estremità orientale (scr.) esso compare come -tt-. Per conciliare questi esiti così diversi, già dai primi studi si ipotizzò (l) che nel gruppo ie. -tt- si fosse anzitutto prodotta un'affricazione, e quindi -ft-, da cui per dissimilazione sarebbero sorte da una parte (ad occidente) -ts- e poi -ss-, da un'altra (centro e oriente) -st-, mentre in scr. s di tst sarebbe caduta, allo stesso modo delle composizioni storicamente note come uttha- da ut-stha- (cioè ud-stha-) "alzarsi", ecc. Questa ipotesi ha ricevuto nuovi supporti da parte dell'ittito, in cui, p. es., ets-teni "voi mangiate" (scritto ezzattenz) presenta lo sviluppo ie. ipotizzato per ''ed-t-. In contrapposizione a ciò, vi è chi più di recente ha ritenuto superfluo lo stadio ft ed ha ipotizzato (2) che in seguito a «risoluzione dissimilatoria delle geminate» da -tt- sarebbero sorti direttamente ave -ts- (> -ss-), ave -st-. Ciò è possibile solo a patta·· di porre gli esiti particolari di -tt- in epoca non più unitaria, ed attribuirli agli sviluppi delle singole lingue. Infatti, av. histaiti "sta" da ie. ''si-strispetto a vista- da ie. ''wid-to dimostra che -tt- non era ancora passato a -st- quando s divenne s dopo i (ed u r k, v. IV.6.). Per questo motivo è impossibile anche l'ipotesi (3) che -tt- fosse già in ie. passato a -st- o (4) a -ss-. Che -tt- scr. non rappresenti la conservazione dello stato originario viene dimostrato dal fatto che per -ddh- esistono ancora tracce, anche in scr., di una continuazione come -zdh- (palesemente attraverso -dzdh-) . Così gli imperativi dehi "da"', dhehi "poni" sono sorti da ''dazdhi -:'dhazdhi, il che viene comprovato non solo da edhi "sii" proveniente da ''az-dhi (da as-dht), bensì direttamente da av. dazdi "da'" (5).
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Il gruppo -ddh-, se sorto da -dh-t, rappresenta solo un caso particolare della legge di Bartholomae. Anche qui le altre lingue non presentano alcunché di comparabile. Cf. lat. iussus da 1'yudh-to-s attraverso '"yuttos con perdita dell'apirazione. (l) A. Meillet, Dialectes 57-61; R.G. Kent, The sounds of Latin, 1945\ 117 s.; W. Porzig, Gliederung 76-8; A. Schmitt, KZ 72, 1955, 234-5; G.Y. Shevelov, Prehistory 182-4; Strunk, MSS 25, 1969, 113-129; Leumann 2 197. - (2) E. Schwyzer, KZ 61, 1934, 234, 248; L. Hammerich, PBB (Tiibingen) 77, 1955, 172 s.- (3) Johansson, IF 14, 1903, 310 s.; Meid, IF 69, 1965, 226 s., 236 (respinto da Makajev, Struktura slova, 1970, 187); Hamp, Ériu 24, 1973, 162; Sihler, IF 84, 1980, 163 s. - {4) L. Heller, Word 12, 1956, 7.- (5) J. Wackernagel, Ai. Gr. I, 1957, 177 s., con le aggiunte di Debrunner. Contro, di recente, Tedesco, Lg. 44, 1968, l s.; v. però su azda Szemerényi, Sprache 12, 1967, 203 s.
Sembra dunque provato che i gruppi di dentali -tt- e -ddh- in ie. subirono un'affricazione, ed i gruppi cosl risultanti -tst- -dzdh- vennero poi nelle singole lingue, parzialmente forse ancora durante la convivenza in gruppi regionali intermedi, dissimilati in -ts- o -st-, ma in scr. in massima parte restituiti all'aspètto originario -tt- e -ddh-. 6.4. La legge di Siebs. In modo particolarmente evidente in germanico, ma anche in altre lingue, è possibile osservare variazioni in principio di parola tra Media e s + Tenue o MA e s + T(A). Per esempio germ . '''dautna- (moland. doom) e ''stauma- (ingl. steam) "vapore", ma t. briezen = spriezen "spuntare" ecc. Da simili corrispondenze · Siebs ha tratto la conseguenza che in ie. una M iniziale passava a T, una MA a T(A) se davanti ad essa compariva una s (prefissale). Il giovane ricercatore russo prematuramente scomparso Illic-Svityc formulerà più precisamente la legge: in principio di parola s + k e s + g passarono ovunque a sk-, mentre s + gh compare in scr. come skh, in gr. come ox, e come sk- nelle altre lingue. ' Cf. Th. Siebs (1862-1941), Anlautstudien, KZ 37, 1901, 277-324; V. M. Illic-Svityc (1934-1966), Voprosy Jazykoznanija 1961 (4), 93~98; H. Andersen, Fs. C.S. Stang, 1970, 18 s. Difende la legge di Siebs anche J. Kurytowicz, Études 53 s., Apophonie 378, avvalendosene per trarre este-
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se conseguenze. V. più avanti VI.7.1.4. A. Cuny, Revue des études anciennes 38, 1936, 73. ipotizza parimenti il passaggio di s + bh a sph-.
j) Struttura sillabica 7. Tra fonema e parola poniamo solitamente un'unità intermedia, la sillab11. In lingue monosillabiche, come p. es. il cinese, tale concetto è superfluo, dal momento che sillaba e parola vi coincidono. In tutti gli altri tipi di lingue, però, e quindi anche nelle lingue indeuropee e nell'indeuropeo stesso, la sillaba è un'unità superiore naturale. Purtroppo fino ad oggi non disponiamo di una definizione della sillaba generalmente accettata. È fin qui tuttavia chiaro che la sillaba contiene un nucleo sillabico, solitamente una vocale od una sonante, e che quest'ultimo è preceduto e seguito da determinati elementi, le c.d. consonanti. In una parola monosillabica, come p . es. ted. Stadt, cioè /stati, la frontiera sillabica, all'inizio e alla fine, cioè l'inizio della sillaba e la fine della sillaba, è univoca. In una parola polisillabica (p. es. ted. stadtisch), la frontiera non è sempre individuabile con precisione facendo ricorso ad apparecchiature sperimentali, benché Malmberg abbia trovato nei «sonogrammi» un appiglio per la delimitazione delle sillabe. Ciò che conta però è che, mentre il nucleo sillabico è foneticamente distinguibile, la frontiera sillabica, come appare anche dalla trattazione di Kloster Jensen, è determinabile con sicurezza solo fonologicamente . Tale determinazione dipende dalla possibilità di combinazione dei fonemi all'inizio e alla fine di una sillaba che si osservano valere per la lingua di cui ci si occupa, nonché dai suoi fattori prosodici. Per la storia della lingua, ma anche per le esigenze della metrica, riveste inoltre importanza la distinzione tra sillabe aperte e sillabe chiuse. Aperta è una sillaba che termina con il nucleo sillabico, chiusa una che termina per una consonante. Le sillabe aperte che contengono un nucleo sillabico breve assumono nella metrica quantitativa il valore di sillabe brevi, mentre le sillabe aperte con vocale lunga assumono il valore di lunghe, e cosl pure le sillabe chiuse con nucleo sillabico breve, quando quest'ultimo sia seguito anche da una sola consonante. 135
N.B. Sillaba e morfema non vanno confusi. Essi possono coincidere, ma non necessariamente; per lo più, anzi, ciò non avviene. Il morfema ie. ~' bhezdh- può dare, con l'aggiunta di un altro morfema, la parola '''bheidho, che è composta dalle sillabe '"bhei-dho. Sul problema della sillaba v. O. von Essen, Allgemeine und angewandte Phonetik, 1966<, 126-136, sulla frontiera sillabica 131 s. V. inoltre i lavori di Kurytowicz, Contribution à la théorie de la syllabe, Esquisses 193-220 (dapprima 1948) e B. Hala, La syllabe, sa nature, son origine et ses transformations, Orbis 10, 1961, 69-143 . Cf. anche B. Malmberg, The phonetic basis for syllable division, Studia Linguistica 9, 1956, 80-87 (e 15, 1961, 1-9); M. Kloster Jensen, Die Silbe in der Phonetik und Phonemik, Phonetica 9, 1963, 17-38; Pilch, Phonemtheorie I 17 s.; P. Delattre, Studia Linguistica 18, 1965, 13; Pilch, Phonetica 14, 1966, 238; Lebrun, ivi 1-15; K.J. Kohler, Is the syllable a phonological universal?, JL 2, 1966, 207-8; I. Kunert, Zur theorie der Silbe, Dankesgabe an E. Koschmieder, 1967, 82-95; R.J. Scholes, Syllable segmentation and identification in American English, Linguistics 36, 1968, 55-77; E.C. Fudge, Syllables, JL 5, 1969, 253-286 (contrario alle idee di Kohler); G. Brown, JL 6, 1969, 1-17; Pulgram, Syllable, word, nexus, cursus, 1970, 48 s.; Knimsky, The functional conception of the syllable, Linguistics 70, 1971, 45-56; Awedyk, A contribution to the theory of the syllable, Bull. Fonolog. 12, 1971, 49-56; Vennemann, The theory of syllabic phonology, LBer 18, 1972, 1-18; Hooper, The syllable in phonological theory, Lg. 48, 1972, 525-540; Allen, Accent & Rhythm, 1973, 27 s.; Pulgram, Latin-Romance phonology, 1975, 72 s.; Danielsen, The problem of the syllable, Sprachwiss. 4, 1979, 13-23; Awedyk, The syllable revisited, LPosn 23, 1980, 21-26; Kiparsky, Remarks on the metrica! structure of syllable, in: Phonologica IV, 1981, 245-256; 1'G.N. Clements & S.]. Keyser, CV phonology - A generative theory of the syllable, 1983.
7.1. Come per tutte le lingue, anche per l'ie. possiamo descrivere la struttura sillabica presentando le possibili combinazioni dv fonemi prima e dopo il nucleo sillabico. Se l'inizio della sillaba coincide con l'inizio di parola, troviamo le combinazioni che abbiamo già considerato a proposito della struttura dei morfemi (sopra, 5.1.); lo stesso vale per la fine di sillaba coincidente con la fine di parola. Quando invece l'inizio e/o la fine di una sillaba si trovano all'interno di una parola, la situazione muta. Benché all'inizio di parola siano possibili i 136
gruppi kt- gr-, le parole -:'aktos (da ''' ag-tos) e i•agros non vengono divise in i•a-ktos e -:'a-gros, bensì in i•ak-tos ed i•ag-ros; più in generale, quando due nuclei sillabici siano separati da due consonanti, la frontiera sillabica cade tra le consonanti; quando le consonanti che si frappongono tra due nuclei sillabici siano tre, la frontiera sillabica cade generalmente dopo la prima. 7.2 .l. In proposito si evidenziano però alcune particolari trasformazioni della sillaba, specificamente caratteristiche dell'indeuropeo, qualora l'ultimo elemento di un gruppo consonantico sia una sonante, e quindi in gruppi come dy, dw, pty, ptr ecc. Il primo a riconoscerle fu E. Sievers (1850-1932), e più recentemente F. Edgerton (1885-1963) le ha studiate e codificate con precisione, così che possiamo parlare della legge di Sievers-Edgerton . Sulla base di certi fatti germanici e vedici, Sievers è giunto a stabilire che in queste lingue, e verosimilmente già in ie., si osservava uno scambio tra y e w preceduti da una sillaba breve ed i e u (più precisamente iy e uw) preceduti da una sillaba lunga. Lo stesso suffisso compare così come -ja- in got. harjis "esercito", e come -zja- in hairdeis (da -dijis) "pastore"; allo stesso modo, nel verbo, -ja- presente in satjzp "mette" alterna con -ija- in sokezp "cerca" da *sokijzp od in sandezp "manda" da *sandijip. La sillaba lunga precedente non deve necessariamente far parte della stessa parola, ma può sorgere a causa di una pausa precedente o a causa della sillaba finale di una parola precedente. Difatti in vedico si trovano alternanze al principio di parola del tipo dyausl diyaus "cielo diurno", syiimlsiyiim "possa io essere", alle quali corrisponde evidentemente l'alternanza latina di dies/Iuppiter, Iovem, in cui le ultime due forme mostrano y- da '''dy-. La legge di Sievers trovò poi un completamento ad opera di Edgerton, in due eccellenti articoli, assumendo l'aspetto di un suggestivo sistema, che non comprende solo y, w, ma anche n m l r, cioè i suoni che abbiamo indicato col nome di sonanti. Come si è già visto (IV.4. e 5.), nasali e liquide possono assumere un valore non solo consonantico ma anche vocalico, e nell'ultima funzione possono perfino comparire davanti a vocali. Questi fonemi hanno dunque tre allofoni, p. es. r compare come r e [, e quest'ultima ha due varianti: ere e erV . In questa stessa ottica, le vocali i, u e le semivocali y, w 137
funzionano come se fossero gli allofoni le une delle altre; dal punto di vista funzionale troviamo, in modo corrispondente al comportamento di r testé descritto, y!t!iy e w/u/uw. Indicando ora una sonante con y/i/iy, un'eventuale seconda sonante con w/u/uw, un'occlusiva o s con T, due occlusive o s + occlusiva con KT, una vocale breve con a, una lunga con a e infine una pausa con l , secondo Edgerton per l'indeuropeo si avranno le seguenti variazioni: una sonante (l) due sonanti (2) (3) (4)
aTya aywa ayuT, ayu l aTyuT, aTyu
ma aTiya, KTiya, » ayuwa
l
(5) aTyuwa (6) yuwa (o iwa?).
l Tiya
aTiyuT, aTiyu l KTiyuT, KTiyu l ITiyuT, l Tiyu l » aTiwa, KTiwa, l Tiwa »
Ciò sta a significare che, se la sonante y segue T, p. es. dy, dopo una vocale breve potremo trovare solo dy, mentre, dopo una vocale lunga (o due consonanti od una consonante immediatamente successiva a una pausa), dy è inammissibile, e dà luogo automaticamente a diy; avremo così '~'edyo ma *ediyo, ''gdiyo e l '~'diyo . Lo stesso vale per dw: '''edwo ma ''' eduwo, ''gduwo e l *duwo . In presenza di due sonanti, p. es. r ed y, dopo vocale breve troviamo, p . es. '~aryo, ma dopo vocale lunga è possibile solo '~ariyo . Se il gruppo r + y è seguito da una consonante, è impossibile p. es. ''aryd, al cui posto compare automaticamente '~'arid. Se queste due sonanti seguono una consonante, avremo, nel casO che la vocale precedente sia breve, p. es. ·~adrid, ma dopo una vocale lunga '''adrid, e così pure -:'ptrid (e non ''ptrid) dopo due consonanti. Cf. Sievers, PBB 5, 1877, 129 s.; Wackernagel, Ai. Gr. I 197 s.; Edgerton, Language 10, 1934, 235-265, e (versione migliorata) 19, 1943, 83124 (p. 108 s. ricapitolazione delle sue regole); su ciò anche 38, 1962, 352-9, in cui ammette, con la franchezza che lo caratterizza, (353) «my phonetic rules are not fully alive even in the Rigveda, stillless are they in any other of the IE languages», ma sostiene che la situazione esistente nel Rigveda, confinante con la regolarità, indurrebbe a pensare che «the phonemic law was stili operating at a time not extremely long before the
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beginning of the RV hymnal composition». V. anche Kurytowicz, Apophonie 171 s., 340 s., 348 s.; Nagy, Greek dialects and the transformation of an IE process, Harvard U.P. 1970; Sihler, Lg. 45, 1969, 248273; 47, 1971, 53-78; Vennemann ivi 104 s.; Seebold, Das System der idg. Halbvokale, Heidelberg 1972; Kiparsky, Metrics and morphophonemics in the RV, in: Brahme (ed.), Contributions to Generative Phonology, Austin 1972, 171-200; Horowitz, Sievers' law and the evidence of the RV, L'Aia 1974 (11-38: «historique»); Migron, Vedic trimeter verse and the Sievers-Edgerton law, IIJ 18, 1976, 179-193 .
7.2 .2. È possibile anche statisticamente evidenziare la regolarità esistente nel corpus vedico. La desinenza di dat.-abl. pl. -bhyas si presenta 120 volte come -bhiyas, due sole volte però dopo vocale breve. Nel primo manda/a il pronome "tu" dopo i..ma pausa od una vocale lunga compare 105 volte come tuvam e solo 11 volte come tvam, mentre dopo sillaba breve tuvam non si presenta mai contro 13 attestazioni di tvam. Esempi dell'alternanza ben noti anche da altre lingue sono i già accennati diyaus/ dyaus, siyam/syam (cf. ala t. siem); cf. inoltre ,., kwi5n/''' kuwi5n "cane" (Suva/ fva, gr. xuwv), '~ dwi51 ~'duwi5 "due" (cf. horn. Mw ma 6<.06cxa da 6pw-), ~'gwna/gwfja "donna" (scr. gna, beat. ~ava) (1). (l) Vedi Kuryìowicz, Apophonie 172; IG 217 nota; Sihler, Lg. 47, 1971, 69-73; Seebold, System 155-165, 301-306; Horowitz 62.
7.2.3. Edgerton riteneva che una prova definitiva della sua tesi fosse costituita dal fatto che anche l'inverso della legge di Sievers («the converse of Sievers' law») si verificava nel caso in cui sequele iy uv fossero sorte in seguito a combinazione di morfemi. Da suvar1Ja- "oro" ("dai-bei-colori") sarebbe così sorta la variante svar7Ja-, da antar-iyat antaryat, da anu-vartita anvartita, dal momento che anche il tipo iy uw sarebbe stato impossibile dopo vocale breve e semplice consonante, in qualunque modo fosse sorta la sequela (1). (l) Cf. Horowitz 39-48.
7.2 .4. Sottoponendo a verifica queste tesi, lo studioso norvegese F.O. Lindeman ha scoperto che l) l'inverso della legge di Sievers, se 139
mai è giusto considerarlo tale, costituisce un fatto abbastanza recente e limitato all'India, e non è attribuibile all'ie.; 2) le variazioni al principio di parola si verificano solo in parole monosillabiche, mentre nei polisillabi la sequela consonante più sonante al principio di parola è invariabile; cf. le parole ie. ben accertate '''swekuros "suocero", ~'swe sor "sorella", ~'swadu - "dolce", '''dhwer- "porta", ~'treyes "tre" ecc. che non alternano mai con forme inizianti per ''suw-, -:'dhuw-, -:'treecc. È però comunque vero che gr. cpaguì; e lat. frumen "laringe, fauci", arm. erbuc "petto" (da ~' bruc) rimandano ad un'alternanza ie. -l'bhrug-: bhrug-; e lo stesso è vero da lat. saliva, asl. slina "sputo", aingl. slim "slime" derivati da '"slei-/'''slei-; cf. anche ~'gwniif'gwna, v. o o sopra 7.2.2. (1). (l) V. Lindeman, La loi de Sievers et le début du mot en ie., NTS 20, 1965, 38-108.
7.2 .5. Anche se molto vi è da rettificare nelle formule troppo precise di Edgerton, a lui rimane il merito di avere esteso la legge di Sievers alle altre sonanti (1). Il fatto che parole di forma più lunga presentino maggior riluttanza alla variazione, generalizzino cioè una forma sola, va sempre tenuto presente ma è anche comprensibile. Degno di nota è pure il fatto che le formule «aprioristiche» di Edgerton sulle due sonanti concordino in modo rilevante con quelle empiriche di Meillet (lntroduction 134 s.) (2). (l) Contra Edgerton anche Borgstrom, NTS 15, 1949, 152; Sihler, Lg. 45, 1969, 248-273; in suo favore, Lehmann, PIE Phonology 10 s.; Fs. Kuiper, 1969, 39-45. La validità della legge prima della nostra redazione del Rigveda è considerata da Atkins, JAOS 88, 1969, 679-709. - (2) È interessante come si vada vieppiù rafforzando l'impressione che non si tratti di una legge fonetica, ma che il fenomeno sia limitato a determinate parole e categorie morfologiche (v. Horowitz 60 s.; Migron).
7.3. Un tratto interessante della struttura sillabica in indeuropeo è che all'interno delle parole non capita mai di trovare consonanti lunghe (le c.d. doppie o geminate), benché alla frontiera tra due morfemi ne siano sorte abbastanza frequentemente (almeno per quanto riguarda -tt- e -ss-). Anche nelle lingue ie. più antiche le 140
consonanti lunghe sono qualcosa di insolito: esse sono caratteristiche di nomi ipocoristici o di parole espressive, tra cui spesso parole del linguaggio infantile (c.d. «Lallworter») . Per via della struttura sillabica dovrà restare in dubbio se sia lecito, in base alla concordanza tra itt. attas "padre", gr. an a ecc., ricostruire un ie. ~'atta («Lallwort» .' m . 1e . ... ;l) g1a Sulla geminazione espressiva, v. Kurytowicz, BSL 62, 1968, 1-8, e IG 2, 1968, 342 s.
VI.
PREISTORIA DEL SISTEMA FONOLOGICO INDEUROPEO
Nei capitoli che precedono abbiamo tentato di ricostruire il sistema fonologico dell'indeuropeo quale appariva più o meno poco prima della fine della fase linguistica unitaria. Questa situazione ie. può a questo punto venire analizzata basandosi sui metodi della ricostruzione interna (v. III.!), in modo da riuscire a risalire, riguardo a certi punti importanti, ad uno stato ancora anteriore, il proto-indeuropeo («U rindogermanisch»).
Origine dei gradi apofonici l. Grado zero. Nel considerare le alternanze apofoniche è chiaro innanzitutto che la scomparsa della vocale di base è in relazione con la posizione dell'accento. Scr. as-mi "io sono": s-anti "essi sono" da ie. '"és-mi: ~'s-énti (cf. dor. ~fA.(: ÈvT(, got. im: sind, asl. esmf: sptu) può essere evidentemente spiegato solo ammettendo che la radice ~'es- al plurale, dove l'accento si trasferisce sulla terminazione (cf. inoltre l. pl. s-mas, 2. pl. s-tha), abbia, proprio per questo motivo, perduto la vocale, e sia passata a s; l'unica possibilità è in ogni caso che si sia giunti a s- partendo da es- ma non ad es- da s-. Questo fatto è importante, perché i grammatici indiani nella loro teoria dell'apofonia sono partiti dal grado zero, considerato la forma-base dalla quale gli altri due gradi sarebbero derivati attraverso aggiunte successive di a, e quindi: grado fondamentale dif- "mostrare", gu1Ja (''qualità secondaria") des-, da ;'d-a-is e vrddhi ("accrescimento") dazs- da '"d-a-a-t's-. Come forma base può ess~re assunto solo il grado normale, il gu1Ja degli Indiani, anche se in qualche caso isolato è
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possibile che un nuovo grado normale sia stato costltUlto a partire da un grado zero sulla base delle alternanze esistenti (v. più avanti, 5.6.).
Identica connessione tra grado zero e spostamento dell'accento è evidenziata dal verbo '''ei- "andare": l. sg. ~' éi-mi: l. pl. ~' i-més, 3. pl. ~'y-énti (cf. scr. emi imas yantt). Nelle formazioni nominali questa connessione compare in gr. :n:c;n:Éga :n:atÉQEç rispetto a :n:atg6ç :n:atg&v; negli aggettivi verbali con suffisso accentato -t6 -, p. es. '~gwhen- "battere, uccidere": ~'gwh1J-t6- (scr . han-ti "uccide": hata"ucciso"), '~kfeu- "udire": ~'kfu-t6- "famoso" (scr. sruta-, gr. XÀ.lJtOç), ecc. In tutti questi casi sembra che lo spostamento dell'accento sulla fine della parola abbia come effetto la caduta della vocale radicale. Si danno tuttavia anche casi in cui le medesime conseguenze sono provocate dalla ritrazione dell'accento sul primo elemento di una composizione. La parola '~genu "ginocchio" p. es. (lat. genu, itt. genu), che presenta il grado normale, compare invece come ~'gnu in scr. pra1'fiu- "dalle gambe storte", av. fra -snu- "dalle ginocchia piegate in avanti", gr. :n:g6x.vu (da :n:g6yvu) "prono" (lett. "con le ginocchia in avanti"). Tale indebolimento era naturalmente esteso anche alle vocali lunghe. Possiamo attenderci che, conformemente alla differenza nella quantità, mentre le vocali brevi scomparivano del tutto, le vocali lunghe, per lo meno in un primo momento, siano divenute vocali brevi. A ciò corrisponde il fatto che il grado zero delle vocali lunghe è costituito dallo sva, cioè dalla vocale breve e indistinta («Murmelvokal»). Si può quindi concludere che il grado zero, la caduta della vocale di base, si sia verificato in posizione non accentata, per lo più prima, ma anche dopo l'accento. Dal momento che indebolimenti e scomparse di suoni sono noti solo per lingue ad accento prevalentemente espiratorio, si ipotizza un accento prevalentemente dinamico per il periodo della storia linguistica preindeuropea in cui ebbe origine il grado zero. Cf. Hirt, Der idg. Ablaut, 1900, 20 s.; IG II 9 s., 192 s.; Kuryìowicz, Études 77 s. ; Apophonie 97 s.; Lehmann, PIE Phonology 111; T. Bur-
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row, The Sanskrit language, 1955, 110. L'asserzione che «le ton est lié à l'alternance, il ne la provoque pas» (Benveniste, Origines 52) suona strano se si pensi a quali modificazioni del vocalismo sono state indotte dall'accento del francese o da quello del tedesco. A favore della teoria indiana di recente ancora Rundgren, Festschrift Pagliaro 3, 1969, 186 s. - Per la priorità del grado normale v. per primo L. Geiger, Ursprung und Entwicklung der menschlichen Sprache, I, 1868, 164 s.
Addendum l . Una via completamente diversa viene seguita da C.H. Borgstri::im, il quale (Thoughts about IE Vowel Gradation, NTS 15, 1949, 13 7187) ipotizza per il proto-indeuropeo uno stadio in cui vi erano solo sillabe~ aperte e l'unica «vocale» a: in tale sistema una regola meccanica avrebbe indotto a scomparire una vocale ogni due a partire dalla penultima. Così la 3. sg. 1' hasa-ta avrebbe originato un ~' hasta, poi '''est, 3. pl. ,·,hasa-nata '''hsanta, poi '''sent, e da ciò sarebbero sorti -:'estzlsenti. Già la l. e 2. pl. ''smes ''ste sono però inconciliabili con la regola: ,·,hasa-ma avrebbe condotto a '''es-m, '''hasa-masa a '''sems-. Altrettanto misterioso in siffatta t~oria rimarrebbe il tipo scr. dveUi da '~dweik-ti. L'errore fondamentale è l'assunzione di uno stadio con sole sillabe aperte, v. più avanti. Cf. inoltre la versione successiva di Borgstri::im in Word 10, 1954, 275-287, in partic. 282, e Tonkawa and IE vowel gradation, NTS 17, 1956, 119-128. Addendum 2 . Anche i ed u possono scomparire per sincope, cf. il mio libro Syncope e più avanti VI.7.2.2 .5.
2. Grado allungato. Questo grado apofonico può essere osservato anzitutto in parecchie formazioni di nominativo di temi in consonante, e per di più non solo nella classe dell'animato (masch. femm.), ma anche in quella dell'inanimato (neutro); cf. :7ta't~Q, :n:oq.t~v, (dor.) :n:cbç, ma anche ntr. xijg "cuore" (tema 1'kerd). Ad esse si aggiungono certe formazioni di aoristo e di perfetto (lat. veholvext, venio/vent), e certe formazioni nominali il cui caratt~re di derivati è reso riconoscibile proprio per mezzo del grado allungato, p. es. aat. swagur "figlio · del suocero, cognato", da '''swekuros, che è una derivazione per mezzo del grado allungato, cioè la formazione vrddhi, da *swekuros . In 145
alcune lingue il grado allungato viene impiegato anche in derivazioni verbali, cf. lat. celare da ~' celere (conservato in oc-culere). 2.1. Nella questione relativa all'origine del grado allungato, Cl s1 è per lungo tempo attenuti alla spiegazione fornita da Streitberg, secondo la quale la scomparsa di una vocale, qualora avesse portato alla perdita di una sillaba, avrebbe causato l'allungamento della vocale della sillaba accentata precedente. Secondo tale ipotesi da -:'patéro sorse il nominativo '~pater, mentre l'accusativo '''patérom divenne ~'patérn;z senza allungamento dal momento che non si era prodotta la perdita di alcuna sillaba. Allo stesso modo sarebbe sorto ~' dyeus da '''dyéwos, ~'gwous "mucca" da ,·,gw6wos, -:'pes da ~'pédos, '''reks da '''régos ecc. W. Streitberg, TAPA 24, 1893, 29-49; IF 3, 1893, 305-416; Hirt, Der idg. Ablaut, 1900, 175 s.; IG II 37 s.; Kurytowicz, Études 92 s., 160 s., 234 s. ; Lehmann, PIE Phonology 111; Borgstrèim, NTS 15, 1949, 138; Word 10, 1954, 280; di recente Purczinsky, Word 26, 1974, 386-394.
2.2 . Presto però venne sollevata da parte di M. Bloomfield l'obiezione che secondo questa teoria in origine non vi sarebbe potuto essere alcun monosillabo. Inoltre, se il grado allungato in alcuni verbi atematici viene spiegato sulla scorta del fatto che in origine essi erano «tematici» (p. es. scr. ta~(i "fabbrica" da '''tekseti), allora dovremmo aspettarcelo, come obiettò Persson, per tutti, il che però non avviene, cf. scr. bharti "porta", va~( i "vuole", ecc. E se, tra i nomi, '''kerd "cuore" deve derivare da ~'kerede, allora anche da '" deyewos dovrebbe discendere un ,., deiwos e non ;, deiwos "dio", che è la forma effettivamente attestata. Cf. M. Bloomfield, TAPA 26, 1895, 5 s.; Wackernagel, Ai. Gr. I 68; M. van Blankenstein, Untersuchungen zu den langen Vokalen in der eReihe, 1911; P. Persson, Beitrage zur idg. Wortforschung I-II, 1912, 625 s.; M. Leumann, KSchr. 360, 367; ed ora Kortlandt, Slavic accentuation, 1975, 84-86.
2.3 . Dal momento che così sembrava svanire la possibilità di una spiegazione fonetica del grado allungato, molti studiosi si rifecero ad 146
una spiegazione di tipo non fonetico: il grado allungato sarebbe stato di natura fonosimbolica o espressivo-ritmica. Così si esprimeva p. es. Loewe: «
2.4. Una spiegazione completamente nuova, benché nella sostanza coincidente con la teoria antico-indiana dal gu1Ja, è fornita ora da Kurytowicz. Il grado allungato sarebbe in linea di massima di natura non fonetica bensì morfologica. Così il nominativo dei temi in cons. viene spiegato nel modo seguente: l'uscita -er, che rappresenta l'originario nominativo adesinenziale e sopravvivrà poi come vocativo, divenne ambiguo dal momento che -er tautosillabico era stato abbreviato in -er, mentre con le consonanti non sonantiche -eT rimaneva conservato; secondo questo rapporto allora -er venne successivamente rideterminato con la trasformazione in -er. Per gli altri gradi allungati (vrddhi in formazioni nominali come '~swekuros, aoristi in -s come rexz text) si tratta di modificazioni secondo il rapporto di base ei/i in cui i veniva concepito come la base ed ei come il derivato, con la conseguenze creazione, su di una base e, di un derivato e. Cf.]. Kurytowicz, Apophonie 142-165, e, sulla diffusione del gr. allungato, 264 s.; Categories 198, 209 s.; IG 2, 298 s. V. anche Nagy (cf. sopra V.7.2.1. s. fin.) e cf. Szemerényi, Kratylos 14, 1972, 165.
2.5.
Che questa spiegazione, per quanto ingegnosa, non sia tuttavia soddisfacente e non offra una reale soluzione, non è dovuto solo alla sua concezione eccessivamente matematica, ma anche al fatto che essa fa sorgere, mediante procedimenti analogici, nuovi fonemi e rapporti la cui presenza nella lingua non è ancora attestata. E tuttavia è un fatto che i processi analogici si muovono solo all'interno del già esistente, proprio dal momento che essi si volgono nella direzio-
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ne indicata da modelli disponibili. Anche ammesso che alcune formazioni vrddhi fossero spiegabili in questo modo, sarebbero comunque sorte solo quando già erano presenti modelli per esse, vale a dire quando già esisteva il grado allungato. Lo stesso vale per l'allungamento al nominativo, a proposito del quale vi è inoltre da rilevare che un neutro come xfjg resterebbe senza spiegazione. Né minori difficoltà presenta la corrente psicologistica. Allungamento consonantico (fr. éppouvantable) e allungamento vocalico (ted. schéiaéibig) sono fenomeni noti dal linguaggio affettivo, mentre è ignoto che essi debbano diventare mezzi di uso generale nel linguaggio normale. Assai curiosa è l'idea (Schmitt-Brandt 15 s.) che '''dyeus, ''kwen (sic!) "cane", -:'Hner "uomo" derivino per metatesi (e allungamento!) da
'' deiws ;, keun '" Hanr.
2 .6. · Una soluzione realmente soddisfacente può essere trovata solo a patto di riuscire a ricondurre i fondamenti della formazione del grado allungato a differenze spiegabili foneticamente. Il lavoro di analisi preliminare è stato effettuato da M. Leumann. In un brillante articolo Leumann ha dimostrato che le formazioni vrddhi (tipo '''swekuros "relativo al '''swekuros") sono riconducibili a poarole monosillabiche il cui nominativo presentava il grado allungato. Un buon esempio è scr. nart "donna" formato sul masch. na(r) "uomo"; allo stesso modo un aggettivo vrddhi '''neros "relativo all'uomo" sarebbe stato formato da ''ner "u;mo". La quest1one di fondo, tuttavia, relativa a come sia sorto il grado allungato del nominativo stesso, non ha però con lui trovato risposta. M. Leumann, Vokaldehnung, Dehnstufe und Vrddhi, IF 61, 1952, 1-16, rist. in KSchr. 360-371. Nell'ultima frase Leumann fa presente che il grado allungato nel nom. sing. dei monosillabi sarebbe confrontabile con l'allungamento di u ad u citato a p. 362; su ciò cf. più avanti, 2.7.4. Sulla vrddhi v. inoltre Kurytowicz, IG 308 s.; Problèmes 19 s., 175 s.; Campanile, InL l, 1974, 52 s.; Darms, Schwiiher und Schwager ... Die Vrddhi-Ableitung im Germanischen, Monaco 1978; e (negativo) Hamp, ZCP 36, 1979, 8.
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2.7.1. La spiegazione del grado allungato deve dunque prendere le mosse dall'allungamento del nom. sg. masch. e femm. di determinati temi. Esso ha luogo con costante regolarità nei temi in nasale e in liquida nonché in quelli in -s-, p. es. '''ghiyom "inverno" (gr. XLWV lat. hiems), '''k(u)won "cane" (gr. xuwv), ~'ghn;zon "uomo" (lat. homo, got. guma), ~'méiter '''bhrater '''swesor, ~'(a)usos "aurora" (scr. u~as, eol. ailwç, lat. auror-a), comparativi come '"meg-yos "maggiore", '''sen-yos "più vecchio" (lat. maior, senior). Al contrario, i temi in vocale e in occlusiva hanno un nominativo in -s senza allungamento, p. es. '''ekwos "cavallo", ~'owis "pecora", ~'siinus "figlio", ~'nokwts "notte". Dal punto di vista funzionale è evidente che un tempo tutti i temi riferiti ad esseri animati dovevano essere caratterizzati da -s, come è stato fatto osservare anche da Martinet. Se i temi che abbiamo ricordato non presentano -s, bensì un allungamento, ne consegue che tale allungamento è un allungamento di compenso, cioè che le uscite del nominativo regolari -ers -ens -ems (ovvero -ors ecc.) sono divenute -er -en -em (ovvero -or -on -om) (1) . Analogamente, anche nei temi in -s- ci fu un cambiamento da -es-s ed -os-s a -es ed -os, il che induce a ritenere che anche nei temi in liquida e nasale l'evoluzione di -ers in -er passò attraverso una fase -err, in modo che la sequela vocale breve + consonante lunga venne trasformata in una sequela vocale lunga + consonante breve. Un bel parallelo è fornito dall'umbro /rateer = /rater "fratres" da /rater(e)s. (l) Quando avanzai questa soluzione, al principio del 1957 (v. Trends 12 s., 21), non mi era ancora noto che già nel XIX sec. essa era stata scoperta più volte. Così Schleicher, Benfey e Curtius hanno ricondotto -ar a -ars (v. Pedersen, Discovery of language 270; Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. III 203). Nel nostro secolo questa nozione si è più volte imposta a partire dal 1957, cf. Szemerényi, op. cit.; Andrejev, VJ 1957 (2) , 8 (: '"paters); Vaillant, BSL 56/2, 1961, 191 (-ers?), e cf. ancora Winter, Vocative, 1969, 208 s.; Szemerényi, SMEA 20, 1980, 222 s.
2. 7.2. Questa spiegazione vale anche per i temi in dentale, nei quali, da un punto di vista descrittivo, si osservano sia l'allungamento sia -s. È infatti evidente che anche qui p. es. '''pod-s "piede" diede dapprima '"pQss in seguito a normale assimilazione, il quale poi, se149
condo quanto detto sopra, doveva diventare '''pos. Allo stesso modo il nom. di i'nepot- "nipote" è nepos. 2 .7.3. Delle ulteriori forme di nominativo che presentano questo fenomeno, conviene soffermarsi brevemente solo sui participi presenti in -nt-. La desinenza era originariamente -ont-s, che, as~imilata in -onss, conobbe peraltro la stessa evoluzione di -ons dei temi in -n-, vale a dire passò a -on. Questa desinenza è conservata solo in greco (cpégwv) (1), mentre nelle altre lingue si restituì -onts (o sim.), dal momento che -on avrebbe condotto alla creazione di omonimi. Così ;,/eron avrebbe dato in lat. '"/ero (cf. homo), 1' bharan in ario avrebbe dato 1'bhara, 1'bheron in got. avrebbe dato ;,baira, tutte forme identiche alla L sg. del pres. indicativo. (l) Ma forse anche nel baltico orientale (cf. Maziulis, Balttt ir kittt ie. kalbtt santykiai, Vilna 1970, 244 s.) e nell'antico persiano tunuva.
2.7.4. Dal momento che in precedenza si è fatto cenno all'allungamento di u in u, occorre ricordare anche che ie. 7'mus "topo" è sorto nel modo sopradescritto da i'mus-s; l'allungamento non ha nulla a che vedere con il fatto di essere monosillabico (l). Allo stesso modo da i'nas- "naso" il nominativo era 1'nas (2). (l) Così Specht, KZ 59, 1932, 280 s. - (2) Ma ora cf. Burrow, Shwa,
1979, 67; Szemerényi, Gedenkschrift Kronasser, 1982, 233 (non però Thieme, Studia Tovar, 1984, 369 s.).
2.7.5 . Che di per sé l'allungamento non abbia nulla a che vedere con la desinenza -s, ma sia piuttosto connesso con le consonanti geminate può venire provato dalla antica parola per "cuore". Trattandosi di un neutro, non poteva naturalmente avere né -s né allungamento. E tuttavia il nom. in greco è xijg, che si è soliti considerare la continuazione di ie. '" kerd. Che ciò sia impossibile appare provato dalla forma stessa, giacché ie. ;, kerd si sarebbe dovuto abbreviare in '''kerd da cui sarebbe potuto sorgere solo gr. *xEg. La forma greca presuppone dunque un ie. '"ker che per parte sua sorse per assimilazione dal grado normale * kerd, così come anche in latino ,., kord diede dapprima "~'korr e solo successivamente cor. Cf. inoltre VII.3.3.2. 150
2.7.6. A questo punto appare chiaro anche perché "primavera" in lat. e anord. è da ricondursi ad una forma '''wer (lat. ver, anord. var), mentre gr. (F)Eag rimanda a i'wesr Quest'ultima forma era naturalmente in origine giustificata solo davanti a parola iniziante per consonante, mentre davanti a vocale essa era pronunciata '''wesr. Da questa sorse però '''werr (allo stesso modo in cui da -ers sorgeva -err) che poi comparve come '''wer. 2. 7. 7. Una forma di sandhi prevocalico si cela anche dietro alla desinenza di locativo -ei dei temi in -i-. Originariamente questo caso terminava per . -ey-i, ma davanti a parola iniziante per vocale sorse la variante -eyy che venne poi trasformata in -ei e con questa forma generalizzata; per analogia con i temi in -i- sorse poi anche -eu per i temi in -u- al posto della desinenza originaria -ew-i, ovvero -ou al posto di -ow-i, v. VII.5 .3. 2.8. Fondandosi sull'allungamento al nominativo sorto in questo modo vennero poi create, come abbiamo visto, formazioni vrddhi che -presentano lo stesso fenomeno. Oltre a quella già citata '''neri ''ner-1/'~ner-o-s (?), ricordiamo qui il caso parallelo di ''gwen "donna" (ace. '~'gwen-rr;), il cui derivato ,·,gwen-i- è presente in got. qens (= kw-) accanto a qino da -:,gw en-on. Accanto alla forma solo ipotizzata '~ner-o-s possiamo porre quella effettivamente attestata i'sem-o-s o '~'som-o-s "uno, stesso, identico", in av. hama-, asl. samu "ipse, solus, unus", che è alla base anche di aingl. som "unione, assemblea", da cui è ulteriormente derivato aingl. seman "riconciliare"; tutti risalgono in ultima istanza al nom. -:'sem o i'som del numerale ''' sem- "uno". Le ultime formazioni aingl. che abbiamo citato mostrano inoltre in qual modo le formazioni col grado allungato potessero penetrare anche nella formazione verbale. In questo modo sorse il tipo ,., bhoreyo da '~ bhor/''' bhor-rr:, mentre ,., bhoreyo rimase collegato con '' bhoros; dal femminile di tipo ;,bhor-a formato su '''bhor (o sull'agg. '''bhor-o-s) venne formato ,., bhorayo. Il primo accenno a questa spiegazione in Szemerényi, Trends 12 s., 21. Cf. inoltre Martinet, Le genre féminin en indo-européen, BSL 52, 1957, 83-95; A functional view of language, 1962, 149-152; La Linguistique 8 (1), 1972, 12 s.; ed infine anche Winter, Vocative.
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Addendum l. Un'ulteriore domanda è quella se anche il grado allungato degli aoristi in -s- vada parimenti spiegato alla luce della nostra teoria. Che la trasposizione della lunghezza non si verificasse solo in fine di parola appare, tra l'altro, dai numerali ~'wzkn;zt- "20", ~'trzkomt- "30", ,.,kw etwrkomt- "40" ecc., nei quali -zk- -rk- sono sorti da -zkk- -rkk(questi oultimi da -i-dk- -r-dk-). Allora an~he una formazione aori~tale '~bher-s-m potrebbe essere diventata ~'bherm, e successivamente, con restituzi;ne di s, ~'bhersm. Nella seconda eoterza persona sg. potrebbe essere sufficiente an~he l'ipotesi di un esito da fine di parola: '''bher-s-s > '''bher, '''bher-s-t > '''bher, che poi sarebbero stati trasformati in '''bher-s(s) '''bher-s-t. - Di idea completamente diversa Kurytowicz, Categories 111, e Kortlandt, Slavic accentuation, 1975, 22.
Addendum 2 . Perfetti come ed- ag- od- da ,., ed- "mangiare", ,., ag- "condurre", ~'od- "odorare" non sono propriamente connessi col problema del grado allungato, dal momento che essi sono contratti da e + e ecc. Rivestirono però con tutta verisimiglianza un ruolo nella diffusione del grado allungato in posizione interna di parola, p. es. in ,·,gwem(lat. venz, got. qemum) ecc. V . più avanti, IX.4.3.b-c. 2.9. Dal momento che il grado allungato non rappresenta che una modificazione in determinati ambienti del grado normale, può essere stato originato in qualunque momento. Non è perciò possibile stabilire per esso una cronologia relativa rispetto al grado zero . Il processo deve comunque avere occupato un lungo periodo, soprattutto per quanto riguarda il dispiegarsi delle diverse formazioni vrddhi nominali e verbali. 3. Timbro o. In un certo numero di casi, o addirittura in intere categorie morfologiche, sembra chiaro che anche la variazione di timbro sia connessa con l'accento. Ai primitivi nm:rJQ, àv{]g, cpg{]v si contrappongono i composti EÙJta'LWQ, ùuoci.vwg, acpgwv; accanto al tipo ùo1:{]Q abbiamo Mnwg, accanto a noq.t.{]v il tipo ùa(f.t.wv; alterna in -s- yÉvoç corrisponde il composto EÙyEvÉç; dalverboì-..dnw sonoderivatisial' agg. ÀoLn6çsiail perf. ÀÉÀmna, da cpÉQW l'astratto cpoga, ecc. 152
3.1. In tutti questi casi vi è una é tonica della parola-base che si contrappone ad. o atona di quella derivata. Hirt ha da ciò tratto la conclusione che o risultava da e «quando questo riceveva il 'controtono' ('Gegenton'), vale a dire sostanzialmente nella composizione o in caso di spostamenti di accento». Dal momento che l'accento prevalentemente dinamico che avrebbe originato il grado zero non avrebbe potuto causare anche un mutamento qualitativo di e (ed a) in o, si ritenne che il timbro o fosse dovuto ad un effetto più recente del tono musicale basso. H. Hirt, Der idg. Ablaut 156; IG II 172 s.; H . Giintert, Zur o-Abtonung in den idg. Sprachen, IF 37, 1916, 1-87; Kurytowicz, Études 97 s.; Lehmann, PIE Phonology 110. 3.2. Nei suoi lavori più recenti, Kurytowicz ha richiamato l'attenzione su due punti importanti. l) Dal momento che il rapporto esistente tra grado zero e sede dell'accento è ancora in grande misura evidente, ci si dovrebbe aspettare che il timbro o, se effettivamente sorto in un'epoca posteriore a quella in cui sorse il grado zero, dovrebbe essere ancor più trasparente nella propria connessione con l'accento. Il che però non avviene. Accanto agli esempi sopra riportati favorevoli a tale connessione, se ne potrebbero individuare parecchi altri che sembrerebbero andare contro tale interpretazione. Cf., con o tonica: cp6Qoc; cpwQ atòwç ~wc; y6vu ecc. Ed è parimenti evidente che la variazione del timbro, quand'anche fosse stata realmente condizionata un tempo dall'accento, già nello stesso indeuropeo era divenuta un mezzo con funzioni esclusivamente morfologiche. 2) È un dato di fatto provato dall'esperienza che l'accento può sl provocare indebolimenti e caduta di vocali, ma non mutamenti nel timbro; questi sarebbero condizionati dal contesto, come p. es. in e del russo passata ad o davanti a consonante forte - ma soltanto quando sia tonica. Da queste riflessioni conseguirebbe, innanzitutto, che il periodo in cui ebbe origine il mutamento nel timbro non seguì ma precedette quello del grado zero . Per quanto riguarda le condizioni del mutamento, egli propone di scorgerle in uno sviluppo fonetico delle fasi antiche dell'indeuropeo («Friihindogermanisch») . Nell'indebolirsi
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delle sequele originarie eR oR, dove R sta per r l m n, sorsero dapprima ,R oR, che poi confluirono in a-R. Attraverso questo procedimento capitava che p. es. al perf. un sing. ~'wert- fosse contrapposto ad un '''w 0 rt- (e non ~'wert) del plurale. La ultrabreve o venne però sentita come connessa con il fonema o e così sorse '''wort- al posto del sing. '''wert-. Allo stesso modo nei nomi radicali il rapporto originario ~'wert-/'''wert- in seguito al confluire di quest'ultimo con ''' w0 rtdiventò ''' wort-l"w 0 rt-, poi '''wort-/'''wrt- . In questo modo otteniamo un punto di partenza per il grado -~ sia nelle formazioni nominali che in quelle verbali. Cf. Kurytowicz, Apophonie 36-96; Categories 52. - V. anche Hilmarsson, On qualitative apophony in IE, NTS 31, 1977, 173-203 .
3.3. Questa spiegazione di nuovo tipo ad opera di Kurytowicz venne duramente attaccata dal suo compatriota W. Manczak, principalmente a causa dell'ipotesi che forme al grado normale dovessero venire influenzate analogicamente da forme di grado ridotto. Altrettanto difficoltosa e priva di fondamento sarebbe l'ipotesi di una confluenza di er e 0 r che avrebbe dovuto dare il via a tutto il processo. Manczak propone due leggi fonetiche per spiegare l'alterazione di timbro: a) e tonica e pretonica diventerebbe o davanti a vocali posteriori (a/olu); · b) successivamente e post-tonica sarebbe divenuta o davanti a sonante. Esempi per b): ÀÉYOf!eV ma Myne; nm:rw nm:Égeç ma èmén:wg èma'tOQeç; ÒOTllQ ma ÒÙYCOJQ; JtOLf!fjV cpgfjv ma (b<.f!OJV acpgwv. Per a): il perfetto originario '''dedérka "ho visto" divenne ~'ded6rka (gr. ÒÉÒogxa con accento innovato), secondo cui anche la 3. sg. passò a ~'ded6rke; nei nomi tematici il tipo ossitono nom. '''bhert-é-s modificò per primo il gen. che da '''bhertésyo divenne '''bhert6syo, secondo cui poi venne generalizzata -o-, che fu anche estesa ad altri tipi, ma ~'wérgom "lavoro", ~'sénos "vecchio" conservarono la propria -e-. W. Manczak, Origine de l'apophonie e/o en indo-européen, Lingua 9, 1960, 277-287. Manczak ammette di non riuscire a spiegare tutto, ma
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pur sempre più dei suoi predecessori, e rifacendosi a sviluppi che sono storicamente attestati. Cf. anche Fs. Szemerényi, 1980, 529-535.
3.4. Benché le diverse opinioni differiscano grandemente tra loro, possiamo considerare acquisiti alcuni punti fermi. a) L'accento come causa deve considerarsi eliminato. b) È possibile che nell'apofonia qualitativa diversi processi abbiano condotto allo stato definitivo. Un ruolo decisivo deve comunque essere stato rivestito dal contesto fonetico. È infatti difficile non riconoscere l'azione della nasale nel mutamento all'impf. di '''(e)bherem in ·:'ebherom, o nell'ace. tematico di -e-m in -o-m. E più in generale sembra accertato il ruolo delle sonanti negli esiti post-tonici (èhtf!WV òù:rtwg). A ciò va probabilmente aggiunto anche l'effetto di una labiale precedente, come in '~'pos "piede", ,., n epos "nipote", '~' kw etwores "4" ecc. Parecchio lavoro è comunque ancora necessario per identificare i diversi fattori che concorrono al mutamento di timbro. c) È poco verosimile che una metafonia di questo tipo abbia potuto colpire le vocali lunghe; esse sono troppo stabili per questo. Ciò sta, a significare che l'apofonia in o divenne operante prima del periodo del grado allungato, il che vuol dire, p. es., che non vi fu passaggio da er a or bensì da -ers a -ors che successivamente diede -or. Per il resto è priva di fondamento l'ipotesi che il mutamento di timbro si sia prodotto dopo il periodo in cui sorse il grado zero. Una teoria di tipo affatto nuovo viene proposta da Schmitt-Brandt 124 s. Sulla teoria, qui non considerata, di Pulleyblank, v. Szemerényi, New Look 83 s. Cf. inoltre Rundgren, Studi Pagliara 3, 1969, 186 s.; nonché Kravcuk, in: Tipologija 12-20, che ipotizza un'armonia vocalica; e Dressler, in: Ramat (ed.), Problemi della ricostruzione in linguistica, 1977, 108-112.
La teoria delle laringali 4. Nel suo Mémoire (p. 127), il giovane de Saussure ha sostenuto la tesi che la vocale di ogni radice fosse e; la vocale radicale avrebbe però potuto essere seguita anche da un «coefficient sonantique» (i u r l m n) che al grado zero diventava il nucleo sillabico: ,.,detk -
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~'kleu-
;'derk- -:'bhendh- diventano al grado zero '''dik- ;'klu- ;'drk;'bhndh-. Dei coefficienti sonantici facevano però parte anche A oed
O, ~he potevano presentarsi solo al grado zero, rispettivamente come e come o; al grado normale essi sarebbero stati preceduti dalla vocale radicale comune e, e le sequele e + A, e + O avrebbero dato ie. a e 8. Invano si cercherà una vera e propria dimostrazione. Non è tuttavia difficile vedere come de Saussure sia pervenuto a questo assunto. Come abbiamo visto (V.3 .l.), la grande maggioranza delle radici contiene la vocale e, ed è certamente assai allettante l'idea di fare di questa circostanza obiettiva una regola valida in generale. Considerevolmente più azzardata è l'asserzione che le vocali lunghe siano propriamente costituite dalla medesima e con l'aggiunta di elementi modificatori che vennero contratti. Infatti di per sé radici come '"sta-, -l'dhe-, ~'do- non prestano spunto alcuno ad un'analisi siffatta. Saussure poté p€rò (p. 137) fare riferimento al parallelismo di scr. as-mi "io sono": s-mds "siamo", gr. (dor.) d -ru "vado": t-[-teç "andiamo" e cpaf-tL "dico": cpa-[-tÉç "diciamo". Come per as- ed EL- al singolare compare il grado normale della radice, e al plurale il grado zero, così anche per "dire" cpa- sarà il grado normale e cpa- il grado zero. Per dirla dal punto di vista opposto: come in "andare" il grado normale d- «deriva» per così dire dal grado zero i - per via di una e preposta, così anche cpa- sarà derivato da cpa- preponendo ad esso una e, vale a dire cpa- sarebbe propriamente phea- (o pheA-). a
F. de Saussure, Mémoire, qui citato con la numerazione di pagine del Recueil.
4.1. Questa idea rivoluzionaria, che in un sol colpo riduceva il sistema vocalico dell'ie. alla sola vocale e, capitò nel momento peggiore possibile. Veniva infatti a scontrarsi con un'altra rivoluzione che negli anni immediatamente precedenti la comparsa del libro aveva trasformato in modo altrettanto radicale la concezione del vocalismo indeuropeo: l'opinione secondo la quale l'indeuropeo non possedeva solo tre vocali come il sanscrito, bensì cinque come il greco, stava affermandosi proprio in quel periodo. Non fa dunque meraviglia che questa nuova teoria, risultato di un duro lavoro, venisse
156
all'istante abbandonata. A ciò si aggmngeva il fatto che il sistema non era del tutto soddisfacente. Una palese mancanza era costituita dal fatto che, se le vocali lunghe vanno considerate esito di contrazioni, vi sarà allora bisogno di tre coefficienti, dal momento che le vocali lunghe sono per l'appunto tre. Per la verità, Saussure si era accorto che l'interpretazione di ota-/on'X- come '''stea-lfia- (ovvero '''steA-IstA-) doveva significare che anche fh]-/ftE- doveva essere interpretato come ,., dhee-1 dhe- (Mémoire 133), ma si era lasciato distogliere da tale conclusione dal fatto che non riusciva a trovare una differenza tra e ed ii (135), per cui entrambe si sarebbero dovute ricondurre a e + A. Questa enigmatica conclusione erronea venne corretta già l'anno successivo dal danese H. Moller, che assunse tre coefficienti sonantici, in modo che e = e + E, ii = e + A, = e + O. Egli fece anche osservare che l'idea di Saussure che a ed' o fossero sempre il grado zero di eA ed eO era illogica ed insostenibile, dal momento che dal punto di vista strutturale una forma come 1'agi5 andava giudicata allo stesso modo di '''edmi, e doveva presentare quindi, al pari di questa, il grado normale. Il passo successivo sarà quello di attribuire a questi coefficienti (cui più tardi Moller diede il nome di laringali, per influsso della sua ipotesi di parentela semito-indeuropea) la proprietà di influenzare anche il timbro di una vocale successiva e non solo quello di una vocale precedente. Una radice '''ag- non va dunque considerata come Ag(Saussure), bensì come Aeg-, in cui la laringale stessa scomparve dopo avere mutato il timbro della vocale di base. Indicando le laringali, come è oggi consuetudine pressoché generale, con H 1 H 2 H 3 , risulteranno le seguenti corrispondenze per il vocalismo indeuropeo:
o
all'inizio di parola davanti a consonante
e-=H1e-, e =eHb
a-=H2e-, ii=eH2,
o-=H3 e-
i5=eH3.
Esempi: '''ed- "mangiare" = 1'H 1ed-, '"ag- "condurre" '"H2eg-, 1'od1 "odorare" = 'H3ed-, '''dhe- "porre" = '"dheH 1-, '''sta- "stare" = 1 'steHr, 1'di5- "dare" = -:'deHT. Da queste riflessioni consegue anche che lo fva (primum) (v. 157
V.3.4.) non rappresenta altro che la manifestazione sillabica, vocalica, della laringale, di cui è quindi l'allofono interconsonantico: ~'sta t6s è '''stH2 t6s, ~'dat6s è '~'dH3 t6s e così via. Vi è inoltre la conseguenza, come riconobbe H . Pedersen, allievo di Mi::iller, che le sonanti sillabiche lunghe (IV.5.3., V.3.5.) rappresentano la fusione di sonanti sillabiche con laringali non sillabiche: t ii f if! ij sono iH uH rH fH mH nH. o o
T
Elementi bibliografici in H. Hendriksen, Untersuchungen iiber die Bedeutung des Hetitischen fiir die Laryngaltheorie, 1941, 3 s., in partic. 3 1; Szemerényi, Structuralism 4 s., New Look 68 s.; Polomé in: Evidence 11. Una precisa storia del periodo iniziale della teoria delle laringali (18781935) si trova oggi nella trattazione di O. Szemerényi, La théorie des laryngales de Saussure à Kurytowicz et à Benveniste - Essai de réévaluation, BSL 68, 1973, 1-25.
4.2. Per quasi mezzo secolo la teoria delle laringali venne considerata una stravaganza da dilettanti. La situazione cambiò col 1927, quando l'ittito «fornì la testimonianza» da lungo tempo mancante. Abbiamo visto che le laringali si evidenziano solo mediante determinati effetti, ma in nessuna lingua sono conservate in quanto tali. È possibile ricostruire per parole come "è", "davanti" o "osso" un protoindeuropeo '~H 1 esti '~'H2 enti '~H3 est-, ma nelle lingue ie. vi sono solo riflessi di '~'esti '~'anti 1'ost- (gr. Èo,;(, àv,;(, òo,;-Éov), senza la benché minima traccia della supposta laringale. Una vera sorpresa fu quindi l'annuncio, dato nel 1927 dal giovane studioso polacco Jerzy Kurytowicz, che anche in ittito H 1 era andata perduta ma H 2 e H 3 , al contrario, vi sopravvivevano come una spirante h. Le forme protoie. testé accennate compaiono in itt. come eszi (= es-tsi con affricazione di tt), hanza "davanti" (=hant-sa, cf. hantezzis "primo": lat. anterior), hastai "osso". A ciò si aggiungevano inoltre dei confronti che mostravano la sopravvivenza di determinate laringali anche all'interno di parola; cf. pahs- "proteggere": asl. pas-ti "pascolare", lat. pasco. Con ciò parve definitivamente comprovata l'esattezza della teoria delle laringali . .Come capita spesso, tuttavia, il nuovo materiale non ha solo risolto vecchi problemi ma ne ha contemporaneamente posto 158
di nuovi. Vi erano infatti anche dei casi in cui a una a ie. corrispondeva anche in itt. a senza h precedente né susseguente; cf. gr. à:n:6 o ò:n:(: itt. appa "dietro, dopo", tayezzi "ruba": asl. tat'f "ladro". Kurytowicz ritenne di potersi sottrarre a ciò postulando un' H 4 che sarebbe stata presente in casi del genere ed avrebbe avuto lo stesso effetto di H2> avrebbe cioè mutato il timbro di e in a, ma al contrario di H 2 sarebbe scomparsa anche in itt. Cf. Kurytowicz, d indo-européen et h hittite, Symbolae in honorem J. Rozwadowski l, 1927, 95-104; Les effets du d en indo-iranien, Prace Filologiczne 11, 1927, 201-43, ed il lavoro riassuntivo Etudes 27-76.
4.3. Nonostante queste difficoltà, ci si accontentò in generale di tre laringali, come fece p. es. Benveniste nelle sue Origines (in particolare 147 s.), o lo studioso fiammingo W. Couvreur, che determinò anche foneticamente le laringali: H 1 sarebbe stata un'occlusiva glottidale (ali/ semitico, attacco vocalico forte del tedesco), H 2 una spirante laringale sorda, H 3 una sonora. La scuola americana invece pose, con Sapir, 4 laringali, due delle quali, le spiranti (dorso-)velari x e y, compaiono come h in ittito, mentre le altre due, entrambe occlusive glottidali, sarebbero scomparse anche in questa lingua. In contrapposizione a queste correnti, il caposcuola danese H . Pedersen cercò di cavarsela con due laringali - definite dalle corrispondenze eH 1 = e e eH2 = a - considerando i5 esclusivamente come variante qualitativa apofonica. Cf. W. Couvreur, De Hettitische H, 1937; per la concezione americana: E.H. Sturtevant, The Indo-Hittite Laryngeals, 1942, e Lehmann, PIE Phonology (particolarmente chiare p. 98, 104 s.); H. Pedersen, Hittitisch und die anderen indoeuropaischen Sprachen, 1938, 179-90; H. Hendriksen, op. cit. (v. 4.1.); Messing, Selected studies in IE phonology, HSCP 56-57, 1947, 161-232.
4.4 .1. Una fase completamente nuova nella teoria delle laringali si aprl negli anni '50 con l'introduzione dell'analisi componenziale. Partendo dall'osservazione che i5 originaria, non sorta cioè per apofonia qualitativa, alterna assai di frequente con ow davanti a vocale (p. es. '~do- "dare": scr. davane inf.), Martinet trae la conclusione che
159
w deve venire considerata una «promanazione» di o. Ciò vuol dire che o non viene sufficientemente definita dalla formula e + H 3 , e · che H 3 doveva aver contenuto l'elemento w, vale a dire che uno dei tratti distintivi di H 3 era l'articolazione labiovelare. Se indichiamo ora con A una laringale caratterizzata da una posizione arretrata della lingua (p. es. ciò che fino ad ora indicavamo con H 2 ), la laringale labializzata H 3 andrà indicata con Aw; queste due laringali avevano tra loro lo stesso rapporto che intercorreva tra k e kw. Ora, ie. '"pibeti "beve", presente raddoppiato della radice '''po- (lat. potus), cioè '''peH3 -, mostra che nella forma originaria, '''pi-pH3 -eti, p si era trasformata nella sonora b per influsso di H 3 . Ciò può solo significare che questa H 3 doveva avere come tratto distintivo la sonorità; dove infatti la sonorità non è distintiva ma è meramente fonetica (p . es. di solito in n), assimilazioni di questo genere non hanno luogo (p. es. russo okn6 "finestra" non passa a ogno) (1). Però, se esisteva una H 3 con sonorità come tratto distintivo, ne consegue che, in base ai principi generali della fonologia, doveva esistere anche la sua compagna, cioè una sorda corrispondente a H 3 , tale che i due suoni si comportassero nei confronti l'uno dell'altro come gw e kw. Dal momento tuttavia che vi sono anche motivi per ritenere che in certi casi H 2 era sorda, e in modo distintivo - p. es. nel presente raddoppiato della radice '''stii- (=''' steHr), '''sti-stHreti dà scr. tiJ[hati, cioè tH2 diventa la tenue aspirata th -, si deve conseguentemente ammettere che esisteva anche una sonora corrispondente a H 2 . Servendosi in modo conseguente di questi principi, Martinet pervenne allora, in uno studio successivo, ad un sistema di 10 laringali (2 ):
senza labializzazione
con labializzazione
velar i
faringali
glottidali
glottide aperta
x
1:
h
sonorità glottide chiusa
y
E
glottide aperta sonorità
xw
Qw
Yw
Ew
(l) Cf. Lindeman, Einfiihrung in di e Laryngaltheorie, Berlin 1970, 83; .
160
Winter, Oind. mahi... , Studies Beeler, L'Aia 1980, 487 s.; Colarusso, in: In memory of J.A. Kerns, 1981, 525; Bammesberger, Studien zur Laryngaltheorie, 1984, 128 s. - (2) Cf. A. Martinet, Non-apophonic o in IE, Word 9, 1953, 253-67 (accolto in Économie 212-234); Phonologie et laryngales, Phonetica l, 1957, 7-30 (pressoché identico alla relazione in Proceedings of the 8th Congress, 1957, 36-53). Di ulteriori possibilità, in particolare l'assunzione di serie palatalizzate, hanno approfittato W. Diver e J. Puhvel; quest'ultimo ammette 8 laringali. V. la relazione critica di E. Polomé, in: Evidence 33-44. Similmente anche Adrados, Las laringales indoeuropeas, 1961, seguito da J. Gonzalez Fernandez, El perfetto latino en /-ui!, Sevilla 1974; A. Bernabé, Las raices con dos laringales, RSEL 5, 1975, 345-381. V. inoltre Lindeman, op. cit.; A.R. Keiler, A phonological study of the IE laryngeals, L'Aia 1970.
4.4.2. Si è voluto spesso in precedenza cercare una spiegazione ad alternanze del tipo '~'kost-/'~'ost "osso" (v. V.4.4.) facendo ricorso ad ipotetici prefissi (1). Negli ultimi tempi si cerca di spiegarle come risultanti da un irrigidimento di una forma in sandhi, pensando che in caso di incontro di una laringale finale con una laringale iniziale quest'ultima dovesse passare ad un'occlusiva velare (2); inversamente si è però anche pensato che l'indebolimento di una velare iniziale potesse aver dato una spirante (3). Proprio per kostt sembra però provata un'origine tarda (4). (l) R. Meringer, Beitrage zur Geschichte der idg. Deklination, 1892, 2554; poi Meillet ripetutamente, p. es. MSL 8, 1893, 291; 23, 1929, 259; anche Ernout-Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, 1959\ s.v. aper; Pisani, Miscellanea Galbiati III, 1951, 31-33.- (2) Martinet, BSL 51, 1956, 56; Lindeman, Studia Linguistica 17, 1965, 91-94; Einfi.ihrung in die Laryngaltheorie, 1970, 84 s. Contrari: Collinge, Lingua 8, 1959, 231; Polomé, in: Evidence 40.- (3) Schmitt-Brandt 106 s.- (4) Mel'nicuk, Etimologija (1966), 1968, 234 s.
4.5. Un ulteriore gradito sviluppo degli anni '50 è costituito dal fatto che la linguistica russa dopo una paralisi durata molti anni poté nuovamente riprendere il proprio corso, ed anche studiosi sovietici divennero attivi in questo campo. L'opera più significativa ci viene dal georgiano Gamkrelidze, che ipotizza per il protoindeuropeo tre spiranti faringali, le quali tuttavia, dopo aver modificato il timbro 161
della vocale di base e/o averla allungata, sarebbero già in indeuropeo ricadute nella unica spirante faringale sonora H, in modo che in tale epoca sarebbero esistite le sequele eH aH oH e He Ha Ho . Cf. Th. V. Gamkrelidze, L'ittito e la teoria delle laringali (in russo), Tiflis 1960; breve sunto: Le lingue anatoliche e la ricostruzione del sistema delle laringali ie. (in russo), in: Problemy sravnitel'noj grammatiki ie. jazykov, Mosca 1964, 46-50. - Altri studiosi russi sono ancor più conservatori. A. S. Mel'nicuk, Voprosy Jazykoznanija 1960 (3 ), 3-16, ammette due laringali: una spirante ed una occlusiva; due laringali non definite con maggior precisione sono ammesse anche da V.V. Ivanov, da ultimo in Obsceindojevropejskaja, praslavjanskaja i anatolijskaja jazykovyje sistemy, Mosca 1965, 11-18 con ulteriori indicazioni; v. anche G.S. Klyckov, Voprosy Jazykoznanija 1963 (5), 3-14, in partic. 12 s., e l'opinione assai scettica di E. Makajev, La teoria delle laringali e questioni della linguistica ie. (russo, in Trudy Instituta Jazykoznanija AN Gruzinskoj SSR 2, 1957, 55-71), il quale dubita perfino delle stesse laringali (o della loro dimostrabilità?).
4.6. Non possiamo qui passare sotto silenzio il fatto che la teoria delle laringali non riscuote unanimità di consensi. Oppositori di maggiore spicco sono: in Germania l'ittitologo H. Kronasser, scomparso in seguito a un incidente stradale, e in Italia il comparatista torinese G . Bonfante. In questi due paesi è possibile inoltre riscontrare una diffusa ritrosia, che solo in questi ultimi anni è in via di progressivo e lento superamento. Un atteggiamento negativo mantiene anche lo studioso americano W .F. Wyatt Jr. Cf. H. Kronasser, Vergl. Laut- und Formenlehre des Hethitischen, 1956, 79-96, 243-246; Etymologie der heth. Sprache I l, 1962, 94-100; G. Bonfante, dapprima Emerita 4, 1936, 161 s., nuovamente in Paideia 12, 1957, 22-8, AGI 48, 1963, 57-60; W.F. Wyatt Jr., Structural linguistics and the laryngeal theory, Language 40, 1964, 138-152.
Va però anche osservato che negli ultimi tempi anche in Germania e in Italia un numero crescente di studiosi si è convertito alla teoria delle laringali, p. es . Mayrhofer, Strunk, Scardigli, ed altri. Cf. M. Mayrhofer, Sprache 10, 1965, 175 s.; K. Strunk, Glotta 43, 1966, 208 s.; P.G. Scardigli, Osservazioni sulla teoria delle laringali, Atti e me-
162
mone dell'Accademia Toscana La Colombaria 22, 1957, 75-116 (una consonante laringale, diverse vocali).
4.7 . Qual è dunque la collocazione dello sva rispetto alla teoria delle laringali? Nella concezione di Saussure, far corrispondere "~'di5-l ;'dd- con '''de0-i'"d0-, ovvero, con simboli moderni, '~'deH3 -l~
tare l'ipotesi che la laringale abbia potuto assumere una funzione sillabica anche se la si determina come una spirante. (l) Kurytowicz, Études 121 s.; K. Ammer, Sprache 2, 1952, 212; Lehmann, PIE Phonology 106 s. e 92 s.; Martinet, Phonetica l, 1957, 28; Gamkrelidze (v. 4.5.) 87 ovvero 47.- (2) T. Burrow, «Shwa» in Sanskrit, TPS 1949, 22-61, in partic. 48, 59 ovvero 38, 50; The Sanskrit Language, 1955, 88, 104 s. - (3) Kurytowicz, p. es. in Apophonie 170, anche 109 14 ; Gamkrelidze, op. cit., 88; cf. inoltre W. Belardi, Ricerche Linguistiche 4, 1958, 189 s. - Sul grado zero di vocali lunghe v. anche Kurytowicz, Mélanges L. Renou, 1968, 433 s.; Burrow, Studies Kuiper, 1969, 251 s.; The problem of Shwa in Sanskrit, Oxford 1979 (cf. Szemerényi, Kratylos 28, 1984, 67-77); Tischler, In memory of ].A. Kerns, 1981, 311-323.
4.7.2. Tra i problemi connessi con lo sva vi è anche la questione su quanti suoni fva vadano ipotizzati. Come abbiamo visto (IV.l.ll.), tutte le lingue ie. accennano ad uno fva, mentre il greco sembra continuarne tre. Per la triade che si è soliti citare ad esempio, 'frH6ç, otm6ç, òot6ç, è naturalmente difficile sottrarsi all'idea che queste forme fossero o potessero essere influenzate dal rispettivo grado normale fu]- ota- òw-. Si possono tuttavia addurre anche degli esempi nei quali non è possibile ipotizzare influssi del genere dal momento che mancano i rispettivi gradi normali, p. es. avqwç "vento" rispetto a 1'ana- (da '''anJ-), in cimr. anadl, airl. anal "fiato" e scr. ani-ti "respira" . Se si ammettono tre laringali, la situazione del greco viene chiarita assai facilmente: le tre vocali a e o continuano il terzetto H 1 H 2 H 3 nella loro funzione sillabica (1). Se le laringali che si ammettono sono di meno, la molteplicità degli esiti greci non può riflettere una situazione originaria. Di fatto è però impossibile che la molteplicità degli esiti greci continui una molteplicità originaria. Vi sono infatti parecchi casi in cui un solo grado zero a corrisponda a tutte e tre le vocali lunghe, cf. xf]wç "mancanza": xauç, yì..&ooa: yì..aooa "lingua". Dobbiamo quindi trarre la conclusione (2) che l'indebolimento di tutte le vocali lunghe avvenne originariamente in modo unitario, come già Brugmann e Hirt avevano pensato; le poche divergenze riscontrabili in greco vanno considerate innovazioni analogiche.
164
(l) Kurytowicz, Études 44; Lehmann, PIE Phonology 92 s.; Cowgill, in: Evidence 153 s.; Winter, ivi 201; Forssman, Untersuchungen zur Sprache Pindars, 1966, 145 s.; Beekes, Laryngeals, 1969; '~Francis, Greek disyllabic roots, Yale Diss. 1970. - (2) Hendriksen, Untersuchungen (v. 4.1.), 92 s.; Kurytowicz, Apophonie 201 s.; IG 252; BSL 72, 1977, 6972; Problèmes 180 s.; Bazell, CFS 31, 1978, 37 s.; Bammesberger, KZ 95, 1982, 290; Lindeman, The triple representation of Schwa in Greek, Oslo 1982, 36-57; Bammesberger, Studien zur Laryngaltheorie, 1984, 6265; Szemerényi, Kratylos 28, 1984, 56.
Addendum. In un certo numero di casi, in greco e in armeno, e davanti a ranche in ittito (v. sopra IV.4.), appare una vocale, cui nelle altre lingue corrisponde zero. Questo fenomeno è noto come protesi o prostesi. Giacché tutte le vocali (brevi) possono apparire come protesi - cf. p. es. Ù[.tÉÀyw: lat. mulgeo - con il sopraggiungere delle laringali si è fatto ricorso ad esse anche per spiegare la protesi; le vocali protetiche sono state cioè considerate le regolari continuazioni di più an tiche laringali. Cf. p. es. àv~g, ovo[.ta da H 2 ner-, H 3 nom-, ecc. La difficoltà risiede però nel fatto che accanto alle forme con protesi ne appaiono pure alcune senza vocale protetica, cf. Ù[.taÀMvw: ~Àaòa g6ç; Ò[.tclXW: fA.OlX6ç, ecc. Ora, questa variazione accenna con sicurezza a un'alternanza condizionata dal ~andhi. Ciò significa che sonanti iniziali - a seconda dell'uscita di parola precedente - dovevano apparire come vocali o come consonanti. Una forma di base melg- doveva quindi alternare con tt,zelg-, dunque fA.EÀy- con ÙfA.EÀy-, ecc. Naturalmente davanti a una r iniziale l'anteposizione di una vocale è generale, ed è verosimile che vi fossero altri motivi ancora per una protesi. Su queste questioni v. Austin, The prothetic vowel in Greek, Lg. 17, 1941, 83-92; Messing, Selected studies, HSCP 56-57, 1947, 161-232, in partic. 190 s.; Szemerényi, Syncope 110 s., 152, ecc.; Hovdhaugen, NTS 22, 1968, 115-132; Beekes, Laryngeals 18-126; Makajev, Struktura slava, 1970, 148, 175; Wyatt, The Greek prothetic vowel, 1972; Kurytowicz, BSL 72, 1977, 72; Problèmes 1977, 179-190; Mayrhofer, Fs. Neumann, 1982, 185-191; Lindeman, Triple representation, 1982, 57-68.
165
4.8. Come si vede, la teoria delle laringali non può ancora dirsi completamente messa a punto. Assai interessante al riguardo è il fatto che Kurytowicz, al quale propriamente si deve la riscoperta e la conferma della vecchia teoria delle laringali, hei suoi ultimi lavori tendesse a operare sempre meno con le laringali, che considerava di scarso momento per l'indeuropeo e la sua preistoria: un comportamento che si trova in netta antitesi con quello della maggioranza dei suoi discepoli, che tendono a moltiplicare a dismisura le laringali ed a trovare in esse la soluzione ultima di ogni problema. Una presa di posizione critica verrà meglio presentata più avanti in connessione con l'intero sistema vocalico.
Struttura dei morfemi
5 . Una prima analisi, meramente descrittiva, dei morfemi ie. permette di scorgere una grande variabilità nella struttura. Accanto a radici bisillabiche terminanti per vocale lunga (TERA-) o per vocale lunga + consonante (TERAC-), nella stragrande maggioranza dei casi se ne trovano di monosillabiche, che a loro volta possono variare dalla forma più complessa con cinque consonanti ('''splend-) a quella più semplice con due o addirittura una sola ('''bher-, '''ed-) (v. V.5.1.). In parecchi casi, però, è riconoscibile la presenza di determinativi radicali, che dimostrano che spesso formazioni più complesse sono derivate secondariamente da formazioni più semplici, p. es . 1'melp- o 1 'welp- risp. da '''mel- e 1'wel- (v. V.5.3. ). Anche prescindendo da questi casi, ricondotti alla forma ridotta separando da essi i determinativi radicali, è comunque facile stabilire empiricamente che la maggior parte delle radici monosillabiche contiene solo due consonanti con una vocale fondamentale e in mezzo . Questa struttura CeC rivela di essere rappresentata ancor più estesamente ove si preponga una laringale alle radici inizianti per vocale, in modo che, p. es., '''ed- "mangiare" venga considerato come '''H 1ed-, o '"ag- "condurre" come H 2 eg-.
5 .l. Questo dato di fatto era stato già da Moller enfatizzato al punto che a suo avviso le radici biconsonantiche (tipo bh-r, g-n) 166
avrebbero rappresentato lo strato più arcaico. Ma solo con le osservazioni di É. Benveniste, nell'ormai famoso capitolo delle Origines sulla struttura delle radici ie., si doveva pervenire ad una teoria valida in generale. In base ad essa ogni radice è monosillabica e «trtlittera» (trtùtère), consta cioè di tre fonemi, di cui quello mediano è sempre la vocale e, mentre il primo e il terzo sono consonanti qualunque (comprese le laringali), che soggiacciono però alle limitazioni che abbiamo già visto (v. V.5.2.). E per spiegare le radici che ciononostante in ie. presentavano una forma più lunga, Benveniste opera una distinzione tra suffissi e ampliamenti (fr. «élargissements»). Il suffisso ha la struttura alternante eC/ C, mentre l'ampliamento consta di una sola consonante; entrambi sostituiscono gli elementi genericamente denominati determinativi radicali. Le due leggi fondamentali dell'ampliamento radicale sono: l) ogni radice può dare, con l'aggiunta di un suffisso, due «temi»: o la radice è tonica e conserva la propria vocale, nel qual caso il suffisso si presenta senza vocale, oppure la radice perde la propria vocale e sarà il suffisso a presentarsi con la propria vocale (tonica) : la radice ''' pet- "volare" origina così, coll'aggiunta del suffisso er, le forme (I) ''' pét-r- (scr. pdtra-) e (Il) 1'pt-ér- (gr. :rt't:EQ6v); 2) ad una radice ampliata mediante un suffisso può ancora aggiungersi un ampliamento, o dopo il tema I o, come infisso, prima del suffisso del tema II; quindi ''' yeu-g-s- o -:'yu-n-eg- (I -:'yeu-g-: II -:'yw-eg-) . Ulteriori ampliamenti o suffissi producono sempre temi nominali. Cf. H . Moller, Semitisch und Indogermanisch I, 1907, p. XIV; É. Benveniste, Origines, 1935, 147-173: Esquisse d'une théorie de la racine. Secondo p. 153 ''per-k-s- è impossibile, potendosi dare solo '''pr-ek-s-; ma, come si è appena mostrato, '' yeug-s- è attestato! Per la concezione di Saussure v. Recueil 9-10 e in partic. 172 -173. V. ora anche Taillardat, La théorie benvenistienne de la racine, in: É. Benveniste aujourd'hui II, Paris 1984, 175-182.
5.2 . Questa teoria della radice, assai seducente per via della sua semplicità, venne dapprincipio accolta con entusiasmo. Negli ultimi anni però si è scontrata con un crescente scetticismo. Essa infatti, così come ogni altra teoria della radice, deve rispettare due condizio-
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ni: deve andare d'accordo a) con la lunghezza empiricamente accertata per le radici, b) con la struttura delle radici che empiricamente si può stabilire. a) Anzitutto, per quanto riguarda la lunghezza delle radici, è notorio che questa teoria contraddice dati che sono sotto gli occhi di tutti, dal momento che vi sono non soltanto radici più lunghe come '"lezkw- "lasciare" («quadrilittera»), '''snezgwh- "nevicare" («quinquelittera») ecc., ma anche radici più brevi, come p. es. ~'es- "essere" («bilittera»). Le obiezioni si appuntano oggi quasi esclusivamente sull' assunto che tutte le radici più lunghe possano venire ricondotte alla norma. Di fatto le forme più brevi che si dovrebbero presupporre, come p . es. -;'snei- e, come unità ultima, '"sen- per '"snezgwh-, nella maggior parte dei casi non esistono affatto. Cf. T.H. Maurer, Unity of the IE ablaut system: the disyllabic roots, Language 23, 1947, 1-22, in partic. 22; K. Ammer, Studien zur idg. Wurzelstruktur, Sprache 2, 1952, 193-214; Kurytowicz, Apophonie 106 s.; Schmitt-Brandt 8 s., in partic. 12; Chr. S. Stang, To honor R. Jakobson 3, 1967, 1890 s.; Kurytowicz, IG 199 s.
Queste obiezioni non sono tuttavia pertinenti dal punto di vista del sistema: la teoria non può essere falsificata in questo modo (v. Il.5 .), dal momento che non vi è contraddizione interna nell'ipotesi che le forme radicali più lunghe debbano venir ricondotte a forme più brevi, ancorché ciò implichi una grande quantità di omofoni. Una contraddizione interna sussiste invece là dove si ammette che accanto alle forme radicali dovevano esistere anche suffissi con aspetto eC. Donde saranno state prese, infatti, queste forme, se nel materiale che costituiva le radici, vale a dire le parole, si davano solo forme di struttura CeC? Cf. Szemerényi, Proceedings of the 7th Congress (1952), 1956, 481 s., 523 s.
5.3. Si può inoltre provare che non tutte le radici ie. di struttura eC risalgono ad una forma originaria -;, HeC: in altre parole non vi erano solo suffissi ma anche radici di struttura eC (v. più avanti, 6.9.).
168
Non è inoltre lecito trascurare il fatto che numerose radici palesemente arcaiche - particelle deittiche, temi pronominali - mostrano una struttura CV. b) L'ipotesi che tutte le radici contenessero la vocale di base e è un postulato che viene contraddetto dai dati di fatto, dal momento che esistono radici come ''' nas- "naso", '''kas- "grigio", '~'sal- "sale", '~ghans- "oca" e così via (v. più avanti, 6.4.).
5 .4. Al contrario, la contrapposizione di radici bisillabiche e monosillabiche non è primaria. Lo dimostra già di per sé il frequente alternarsi di radici ani{ e se{.
5.5. Riassumendo si può quindi dire che la radice t'e. era monosillabica ma di struttura multiforme; vi erano i tipi VC, CVC, TRVT, TVRT, Ce Ca ecc., e perfino elementi più arcaici del tipo CV; cf. anche Makajev, Struktura slava, 1970, 166 s., 181. Del tipo VC fanno anche parte, in generale, i determinativi radicali, che quindi non presentano mai la forma CV (così A. Cuny, Recherches sur le vocalisme, le consonantisme, et la formation des racines en nostratique, ancetre de l'indo-européen et du chamito-sémitique, 1943, 162), ma anzi solitamente VC (così Cuny, Revue de phonétique 2, 1912, 105). Sulle limitazioni alla struttura delle occlusive delle radici ie. (sopra, V.5.2.), v. di recente anche W.L. Magnusson, Complementary distributions among the root patterns of Proto-IE, Linguistics 34, 1967, 17-25 . Indagini statistiche sulla frequenza delle diverse consonanti sono state intraprese da G. Jucquois : La structure des racines en i.-e. envisagée d'un point de vue statistique, in: Recherches linguistiques en Belgique, ed. Y. Lebrun, 1966, 57-68 .
5.6. Apofonia secondaria. Alternanze del tipo '~'ters-/;'tres- (p. es. lat. terreo: gr. E-"CQta-aav), solitamente chiamate col nome di «apofonia oscillante» (Schwebeablaut), risalgono in generale a forme base bisillabiche del tipo '~'ter-es-, che a seconda della posizione dell'accento, hanno dato '''tér-s- ovvero '''tr-és-. In qualche caso (p. es. con R mediana) possono essersi verificate delle metatesi, vale a dire che '~'terp- può essere diventato direttamente '~trep- . In altri casi nuovi gradi apofonici normali sono stati formati su gradi ridotti sorti rego169
larmente; in tal modo 1'deiwo- "il celeste = Dio" è stato formato ex novo su ~' diw-, grado zero di 1' dyeu- "cielo", è così pure ,., gheimo(slavo zima "inverno") è stato rifatto su 1'ghim- da 1'ghyem- (lat. hiem-s). Cf. Maurer, l. cit.; Kurytowicz, Apophonie 130 s., 151; Schiitz, Kratylos 11, 1967, 175-7; R. Anttila, Proto-IE Schwebeablaut, Yale Dissertation 1966, ora pubbl.: Berkeley 1969; troppo oltre si spinge Schmitt-Brandt 22 s. - V. ora anche Darms, Die Vrddhi-Ableitung im Germanischen, 1978, 367-443.
Origine e consistenza del vocalismo ie. 6.1. Sotto l'impressione dell'arcaicità del sanscrito, i fondatori dell'indeuropeistica e i loro immediati successori pensavano che il sistema triangolare del sanscrito i-a-u rappresentasse la situazione originaria. Nel 1864 G. Curtius fece osservare che in parecchi casi tutte le lingue europee contrapponevano una e ad a del sanscrito; cf. gr. 6éxa, lat. decem, got. tazhun, lit. desimt rispetto a scr. dasa. Suppose però che su questo punto le lingue europee avessero operato in blocco una innovazione, suddividendo così a originaria in e ed a. Fu solo nel 1871 che Arthur Amelung approdò all'idea che la e europea rappresentasse, rispetto ad a del scr., il suono originario, ma questa tesi prevalse solo più tardi, col famoso articolo di Brugmann del 1876. L'originarietà di e (europea) anche all'interno dell'antico indiano divenne poi palese con la scoperta della legge della palatalizzazione aria (v. IV.7.4.7.). Con ciò era provato che il sistema vocalico dell'ie. non assomigliava a quello del sanscrito, ma presentava tutti e cinque gli elementi del normale triangolo vocalico, sia brevi sia lunghi, cui si aggiungeva inoltre lo sva: u
e
a
o
6
a Cf. A. Amelung, Die Bildung der Tempusstamme durch Vokalsteigerung im Deutschen, 1871; K. Brugmann, Zur Geschichte der stammabstufen-
170
den Declinationen, Curtius' Studien 9, 1876, 361 s., in partic. 367 s., 380 s. Per ulteriore bibliografia, anche su ciò che segue, v. Szemerényi, Substratum 3 s.; New Look 67 s.
6.2. Si era appena giunti a stabilire questo sistema vocali co quando apparve, nel 1878, il Mémoire di de Saussure, col quale, in un sol colpo, di tutte queste vocali alcune (per la precisione e a o) venivano ricondotte alla vocale di base e, e le altre erano considerate varianti sillabiche di determinati coefficienti consonantici (a, o, z~ u risp . da A, O, y, w), e le sonanti sillabiche ([ l rtf ':! e le loro compagne) venivano anch'esse incluse in quest'ultimo gruppo; v. sopra, 4. Questo sistema, modificato in misura tutt'altro che irrilevante ad opera di Moller, sopravvisse tuttavia solo ai margini della linguistica comparativa. In Germania fu rigettato in toto, e nella stessa Francia A. Meillet, allievo di Saussure, si limitò a trattare in modo cursorio l'argomento nella sua autorevole Introduction (p. 98 s., 105 s. e 154 s. della 8' ed.): le vocali a, e, o e le rispettive lunghe venivano conservate come «voyelles proprement dites», mentre ad i ed u con le nasali e liquide sillabiche nonché allo sva veniva attribuita una posizione intermedia tra le vocali «propriamente dette» e le consonanti, dal momento che costituivano una categoria a sé tra le sonanti. Con la scoperta delle corrispondenze ittite alle laringali ie. il sistema di Saussure-Moller parve essersi conquistato una posizione inattaccabile, ed ancor oggi la maggior parte degli studiosi lo difendono. 6.3. Per giudicare questo sistema è necessario porsi le seguenti domande: l) In che misura l'ipotesi di una sola vocale corrisponde ai dati offerti dalla ricostruzione? 2) Questo sistema può essere considerato realistico da un punto di vista generale (p. es. tipologicamente)?
6.4. La posizione del fonema a. Un ruolo decisivo nel ridurre il vocalismo ie. alla sola vocale e è rivestito dall'osservazione che, mentre le vocali e e sua variante qualitativa o hanno una funzione estremamente importante in ogni ambito della morfologia, la vocale a non viene praticamente mai usata per
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tali scopi. A c1o si aggiunge il fatto che a- iniziale ed a possono venire sostituite semplicemente risp. da H2 e- e eH2 . Per quanto riguarda l'uso funzionale delle vocali, l'importanza dell'alternanza e/o non è altro, naturalmente, che il rovescio della relativa assenza di funzione per a: fu proprio perché l'alternanza e/o veniva sfruttata per ogni possibile funzione che a perse terreno. Oltretutto essa non era poi del tutto priva di funzioni: ora essa partecipava all'apofonia (alo acc~nto a e/o), ora veniva sfruttata a scopi semantici per indicare diverse «debolezze» (p. es. ,., kaikos "cieco", '~ laiwos "sinistro" ecc.). Cf. F. del Saussure, Adjectifs indo-européens du type caecus "aveugle", Festschrift fiir V. Thomsen, 1912, 202 s. = Recueil595 s.
Per quanto concerne l'eliminazione di a con l'aiuto di una !aringale, anche qui non è che con ciò si trovi una soluzione per tutto: anche in questo modo non è possibile far scomparire del tutto a interna. Si è per la verità cercato di spiegare diversi casi del tipo CaT ipotizzando un tipo CH2 eT, e di ricondurre CaiT a CeH2 zT. In un considerevole numero di casi (1), però, questa scappatoia rimane non solo infondata (cioè inventata solo allo scopo di assecondare la tesi), ma anche priva di credibilità: non serve a nulla sforzarsi di ricondurre '"kas- "grigio", ~'nas- "naso", ;'sal- "sale" ecc. a ~'kH2 es-, '"nH2 es-, '"sH2 el-, se le stesse forme che con ciò si vengono a presupporre (tema l) ~'keH2 s- '"'neH2 s- *seH2 l- non meritano alcuna fiducia. Nel caso di '~'bhardha è difficile prendere sul serio una forma '"bhH2 erdh-. (l) Cf. le liste di Kurytowicz, Apophonie 187-195; Wyatt, IE /a/, Philadelphia 1970 (cf. Szemerényi, Lg. 48, 1972, 165-171); Bomhard, Orbis 25, 1976, 210-212.
N.B. Se dovesse aver ragione H .M. Hoenigswald con la sua idea (Language 28, 1952, 182-5) che laringali precedute da s non diano luogo a colorazione della vocale ('~'sH2 en- dà sen-ex e non *san-), allora ~'sH2 el- per '~'sal- sarebbe contraddetto anche da questo fatto. 6.5. La posizione del fonema o. Altrettanto poco ci sentiremo quindi invogliati nel caso di o a to-
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gliere di .mezzo solo a causa di questa teoria tutti gli esempi in cui esso compare (p. es. ''' bhosos "nudo", '''ghostis "straniero", '''koksa "coscia" ecc.). N.B. Non privo di interesse è il fatto che negli ultimi tempi Kurytowicz (Apophonie 106 10 , 392-3) riconosca o come vocale anteriore al periodo dell'apofonia. 6.6. La posizione dei fonemi i ed u. L'esistenza di tali suoni in ie. è fuor di discussione per i laringalisti, salvo il fatto che li si considera allofoni delle consonanti y e w. Questa tesi è insostenibile anche dal punto di vista fonetico, dal momento che i u e y w sono suoni fondamentalmente diversi, rispettivamente vocalici e spiranti (cf. 6.12.). Ma la teoria delle laringali sostiene anche che i u sarebbero sempre indebolimenti di et' eu o ye we, il che equivale a dire che prima del periodo in cui ebbe origine il grado zero non vi sarebbe dovuta essere alcuna i o u. Non si capisce però in che modo forme come quella, decisamente tonica, del pronome interrogativo '"kwis -:,kwid abbiano dovuto subire un indebolimento. È chiaro che i fonemi i u dovevano esistere anche prima del periodo degli indebolimenti, anche se molti casi si saranno venuti ad aggiungere più tardi in seguito agli indebolimenti stessi. Cf. Kurytowicz, l. cit., e, circa la posizione fonematica di i u, il mio New Look, 82.
6.7. Ricapitolando, possiamo dire che il sistema pentavocali co dell'ie. quale risulta dalla ricostruzione resta acquisito e non si lascia . ridurre ad una sistema monovocalico. Altrettanto aperta è la questione se tutte le vocali lunghe vadano ricondotte alla combinazione di una vocale breve con una laringale. Vedremo ben presto (6.9. a) che la testimonianza dell'ittito va contro tale ipotesi. 6.8. La tesi della teoria delle laringali, che vi dovesse essere una sola vocale, va respinta anche per motivi generali. Non si è infatti fino ad oggi trovata alcuna lingua che possedesse una sola vocale: il 173
preteso parallelo caucasico si rivela ad un esame più accurato un'illusione. Si dovrebbe invece accettare l'assioma che l'indeuropeo non può avere avuto particolarità che non si presentano in alcuna lingua della terra. Cf. Szemerényi, New Look 71 s.; Kurytowicz, IG 206; Leroy, Hommage Buyssens, 1970, 125-132; Makajev, Struktura, 1970, 146; Balle, Foundations of Language 6, 1970, 95-103; Kumaxov, VJ 1973 (6), 54-67, 1978 (6), 138-139; Pulleyblank, The analysis of vowel systems, AL (Hafn) 14, 1973, 39-62; Dressler, in: Ramat (ed.), Problemi della ricostruzione in linguistica, 1977, 108-112; D.M. Job, Probleme eines typologischen Vergleichs iberokaukasischer und idg-er Phonemsysteme im Kaukasus, Bern 1977, 52-57; Crothers, in: Greenberg (ed.), Universals of human language II, Phonology, Stanford 1978, 108 s.; Hagège & Haudricourt, La phonologie panchronique, Paris 1978, 23; Jakobson & Waugh, The sound shape of language, 1979, 110, 125; Gamkrelidze, In memory of ].A. Kerns, 1981, 595 s. -Per l'abkhazo v. ora anche B.G. Mewitt, Abkhaz, Amsterdam 1979, 259 (: due vocali), e la recensione della recente opera di Kumaxov (1981) in VJ 1984 (2), 137 s.
La teoria delle laringali e l'ittito. In generale ~i guarda all'ittito come al testimone principale a favore della giustezza della teoria delle laringali. Da una parte ciò ha valore in linea di principio, ma l'ittito porta anche una testimonianza decisamente negativa su diversi aspetti della teoria corrente: a) In un certo numero di casi l'ittito presenta vocale + h là dove le altre lingue hanno una vocale lunga, p . es. 6.9.
itt. pahsnewahmehur
"proteggere" "rinnovare" "tempo"
: lat. piisd5, scr. pii- "proteggere" lat. noviire : got. mel "tempo", lat. me-tior
In tali casi quindi l'ittito prova che le vocali lunghe delle altre lingue sono derivate da vocale breve + h. Vi sono però anche parecchi casi in cui alla vocale lunga non fa riscontro alcuna h ittita, p . es. pashassaais, !uv. assa miii-, miyari
174
"sorbire" "focolare" "bocca"
"crescere, maturare"
: : : :
lat. pi5-tiire lat. iira, o. aasas (nom . pl.) lat. i5s lat. mii-turus
In tutti questi casi ci si dovrebbe attendere una h in ittito. La sua assenza prova che vi erano anche vocali lunghe che non risalgono a vocale + h, quindi vocali lunghe originarie. b) Nella forma più corrente della teoria delle laringali si ammettono tre laringali, di cui H 2 e H 3 sarebbero state conservate in ittito. Con ciò si accordano hanthassahapin!uv. ha w i-
itt.
"lato anteriore" "focolare" "ricco"
"ariete"
lat. ante ara (v. sopra) op-ulentus : lat. avis. :
: lat. : lat.
Vi sono però anche dei confronti in cui l'ittito non contrappone haad a- od o- delle altre lingue, p. es. itt.
azs aku(wa)appa
"bocca" "bere"
"dietro, dopo"
: lat. os : lat. aqua : gr. èm6 o òm-
Con tre laringali è assolutamente impossibile spiegare casi del genere. Si potrebbe allora - espressamente per casi simili - ipotizzare una quarta laringale, che, come H 2 , abbia il timbro a, ma scompaia, ed una quinta che, come H 3 , dia il timbro o ma scompaia. Neppure questo sarebbe però sufficiente, dal momento che si danno anche casi in cui h compare anche dopo e e non può quindi essere H 1 . Per esempio mehur "tempo" (v. sopra); a tale scopo dovremmo ipotizzare una sesta laringale. È evidente che questi tentativi di conciliare h ittita con la teoria delle laringali finiscono per portare in un vicolo cieco. Dovremo !imitarci ad accettare che una laringale possa venire ipotizzata non a seconda dei diversi timbri vocalici ma solo là dove essa sia presente anche in ittito (l). Un itt. es- "essere" o ed- "mangiare" attesterà dunque un ie. *es- -~'ed- senza laringale, e un itt. henkan "destino, peste" un ie. -~'Henk- con laringale. Da queste constatazioni consegue anche che l) si deve ammettere una sola laringale, 2) l'ie. possedeva anche radici del tipo eC e più in generale VC (2) .
175
(l) Cf. anche Burrow, The problem of shwa in Sanskrit, 1979, VI, 19, 25, 31.- (2) V. anche Schindler, Sprache 15, 1969, 148 nota 32; Beekes, Laryngeals 90 s.; Bammesberger, Generai Linguistics 23, 1984, 165 s.
6.10. La natura della faringale. L'indeuropeo ha posseduto, accanto alle semplici occlusive, anche delle occlusive aspirate, p. es. la serie bh dh gh. Noi sappiamo però che, secondo la formulazione di R. Jakobson, «lingue che possiedano le coppie sonora-sorda, aspirata-non aspirata possiedono anche il fonema !hl». Da ciò sembra conseguire che la faringale che abbiamo testé dedotto non fosse altro che h, quindi la consueta spirante faringale. Cf. Szemerényi, New Look 88 s.; Allen, Vox Graeca 51.
6.11. Un'ulteriore possibilità di determinare il sistema vocalico proto-ie. si avrebbe se si potesse provare che un'altra famiglia linguistica era imparentata con l'indeuropeo. Cosl, V.M. Illic-Svityc sostiene che l'ie. sarebbe imparentato con l'uralo-altaico, e dal momento che in quest'ultimo è provata l'esistenza delle vocali e-a-o, egli trae la conclusione che le medesime vocali fossero presenti in protoindeuropeo. V.M. Illic-Svityc, L'origine delle serie gutturali ie. alla luce della comparazione esterna (in russo), in: Problemy sravnitel'noj grammatiki ie. jazykov, Mosca 1964, 22-26, in partic. 26. Dal momento che egli assume che l'ie. possedesse una sola vocale, pensa ad una riduzione della tripartizione originaria. V. inoltre più avanti, VI.7.2.3.1.
6.12. Con ciò risultano, per il proto-ie., le vocali i-e-a-o-u e t-e-ache si sono conservate fin in epoca ie., e in parecchie lingue addirittura in piena epoca storica. Il sistema delle vocali lunghe venne arricchito da nessi vocale + h, che sono conservati solo in itt. mentre altrove sono ricaduti con le rispettive vocali lunghe, e inoltre dalla creazione del grado allungato. Nel sistema delle vocali brevi la frequenza delle vocali i u venne ulteriormente elevata a causa del fatto che, nel periodo in cui sorse il grado zero, i dittonghi ey ay oy ew aw ow si ridussero a i u; il grado
o-u,
176
zero delle radici con vocale lunga fece entrare nel sistema lo sva. Il modo di procedere della riduzione da ey > i sembra facile sulla carta, ma nella realtà è di difficile comprensione, e comunque non può essere consistito nella semplice caduta della vocale e. H. Sweet (TPS 1880-1, 158) ipotizzò per questo motivo gli sviluppi ey > t > i e ew > ow > ii > u, mentre H. Moller (Englische Studien 3, 1880, 151 nota) poneva ey > e> i e ew > o > u; simili idee ora in Schmitt-Brandt 22 s.
Un ulteriore arricchimento del sistema vocalico si ebbe nel periodo in cui sorse il grado zero con la comparsa delle nasali e liquide sillabiche; queste vocali brevi si trasformarono, in unione con la laringale h (e verosimilmente anche altri fonemi, cf. sopra, 2.8. Addendum l), in posizione anteconsonantica, nelle lunghe corrispondenti. Nello stesso periodo venne avviato anche il collegamento funzionale di y e i, w e u, che in precedenza non avevano nulla a che fare tra loro ed anche successivamente rimasero fonemi distinti (1). In una sequela ie. ywnkos si può trovare '''yunkos, -:'yuw11kos, e teoricamente perfino '''iwnkos. o (l) V . Straka, ZPhon 17, 1964, 314-316; Delattre, SL 18, 1965, 14; Voyles, Lg. 44, 1969, 721; Mel'cuk, Linguistics 109, 1973, 35-60; Ladefoged, Preliminaries to linguistic phonetics, Chicago 2 1973, 81.
6.13. N on si è fin qui fatto cenno ai dittonghi, che sono stati in precedenza (IV.2.) trattati estesamente. Il motivo risiede nel fatto che i dittonghi dell'indeuropeo non erano mono/onematià bensì difonematià. Essi consistevano in una sequela tautosillabica di una vocale, che costituiva il nucleo sillabico, e di un secondo elemento, che poteva essere o una delle vocali i u prive di valore sillabico (ei eu ecc.) o una semivocale, y o w; quale delle due possibilità fosse stata realizzata in indeuropeo ovvero nelle diverse fasi dell'indeuropeo non siamo in grado di stabilire. I dittonghi non trovano dunque posto nell'inventario dei fonemi. Dal punto di vista pratico, ciononostante, una trattazione separata dei dittonghi è giustificata dal fatto che i nessi dei dittonghi presentano spesso un'evoluzione non prevedibile con precisione a partire dalle loro singole componenti.
177
Sul problema generale della valutazione mono- o di-fonematica, v. Trubetzkoy, Grundziige der Phonologie, 1939, 50 s.; Martinet, Un ou deux phonèmes?, Acta Linguistica l, 1939, 14-24, rist. con un'importante integrazione in La linguistique synchronique, 1965, 109-123; Futaky, Phonetica 16, 1967, 14-24; Vennemann, ibid. 18, 1968, 65-76; Pilch, Phonemtheorie I, 19682 , 87 s., 117. - Sul problema in ie. v. Lehmann, PIE Phonology 11 s. (con argomentazioni insufficienti) e più di recente, in senso tradizionale, Glusak, in: Tipologija 21 s.; Allen, Studies L.R. Palmer, 1976, 9-16.
6.14. Una questione controversa è quella se l'indeuropeo, e già il protoindeuropeo, possedesse dittonghi lunghi. Le radici un tempo stabilite come '''pi5y- "bere", "'dhey- "allattare" sono divenute, per la teoria delle laringali, '''peH3 y-, '~dheH 1 y-, ma nessuna di queste radici ha mai avuto una laringale (cf. itt. pas- "sorbire", luv. titaimi"allievo"), cosl che probabilmente anche su questa questione dovremo ritornare in parte alle vecchie concezioni. Sui dittonghi lunghi v. Kurytowicz, Apophonie 257 s.; Lindeman, NTS 22, 1968, 99-114; Glusak, l. cit.; Allen, l. cit.; Bernabé, ArchL N.S. 7, 1976, 161-190.
6.15. Le cosiddette nasali e liquide sillabiche antevocaliche (v. IV .5 .4.) possono in parte derivare dal generalizzarsi di determinate alternanze secondo la legge di Sievers (v. V.7 .2.1. ). Possono però anche, in parte, risalire al trasferimentor analogico, in posizione antevocalica, di determinati esiti anteconsonantici (cioè sorti davanti ad una laringale). Cosl ,·,gw{H-e- poté dare in gr. "'Baf...-'1']-, e dal momento che questa nuova forma viveva accanto a quella antica Bf...'l']-, anche su di un antico f!V'I']- poté essere formato un nuovo f!aV'I']-. Così Kurytowicz, Apophonie 180, 218 s., 394 s.; IG 207, 222. N.B. Un'interpretazione acuta ed originale dello sviluppo complessivo del sistema vocalico ie. si trova nel libro di R. Schmitt-Brandt; v. in proposito Kurytowicz, BSL 63(2), 1969, 41-49.
Consistenza ed evoluzione del consonantismo ie. 178
7. Tra i problemi del sistema consonantico viene oggi discussa con vivacità soprattutto la questione di quanti modi di articolazione esistessero; sulle gutturali è praticamente calato il silenzio. Naturalmente anche le «laringali» dovrebbero trovar posto qui, ma ce ne siamo già occupati a proposito del vocalismo. 7 .l. Le serie occlusive. Anzitutto, per quanto riguarda il numero dei modi di articolazione, solo l'antico indiano presenta quattro serie distinte in un sistema sincronico. Solo tre di queste hanno però corrispondenze ben evidenti in più lingue, mentre la quarta (TA) poggia solo su confronti isolati (v. IV.7.). Viene perciò fatto di chiederci se il quarto tipo vada ascritto anche all'indeuropeo, e in caso contrario come vada interpretato il sistema.
7 .l. l. Dobbiamo anzitutto prendere atto del fatto che la ricerca più recente è ritornata alla concezione che voleva che le medie aspirate note dal sanscrito fossero presenti anche in antico armeno: i segni trascritti solitamente con b dg j j non rappresentavano occlusive sonore sorte dalle MA ie., bensì proprio le MA ie. conservate immutate. Cf. i lavori, elaborati indipendentemente l'uno dall'altro, di Vogt, NTS 18, 1958, 143-161, e di Benveniste, BSL 54, 1959, 46-56. Per primo fu in realtà Pedersen, KZ 39, 1904, 336-7 che presentò questa concezione (cf. Meillet, Dialectes2 , Avant-propos 13), ma nel 1951 (Die gemeinie. und die vorie. Verschhilllaute 15) egli stesso se ne distaccò; cf. Szemerényi, CTL 9, 1972, 133.
7.1.2. Anche se Pedersen dovesse aver ragione, l'attribuzione del tratto di sonorità a questa problematica serie indeuropea non verrebbe per questo messa in discussione. Se però dovesse essere esistita solo questa serie oltre a quelle delle occlusive sorde e di quelle sonore, viene fatto di porsi la domanda: quale tipo di articolazione sonora si celava dietro a questa serie? Sembra infatti empiricamente acquisito che sonore aspirate possano presentarsi solo là dove siano presenti anche sorde aspirate, mentre queste ultime possono presentarsi anche isolate. 179
Si vedano le indicazioni di Szemerényi, New Look 88; in seguito anche G . Lakoff, Studies presented to R. Jakobson, 1968, 168-169; Allen, Stu: dies J. Greenberg II, 1976, 237-247.
7 .1.3. In base a ciò sembra dunque che sia impossibile postulare per l'indeuropeo tre serie del tipo t-d-dh. La soluzione più semplice sarebbe quella di ammettere che nella serie aspirata la sonorità non fosse pertinente, così che i suoni verrebbero ad essere confrontabili anche con le enfatiche delle lingue semitiche (l). Per via della rarità delle medie aspirate nelle lingue del mondo vi è chi preferirebbe piuttosto ammettere delle spiranti sonore (2). Andrebbe comunque senz' altro rigettata l'ipotesi di spiranti sorde (3); infatti i suoni sono sonori in quasi tutte le lingue ie. (l) Hammerich, PBB (Tiibingen) 77, 1955, 6 s.; To honor Roman Jakobson, 1967, 844; Gamkrelidze, ibid. 709; Kurytowicz, Proceedings of the 9th Congress, 1964, 13; Ivanov, Obsceind. 41 s.; Illic-Svityc, Etimologija 1966, 1968, 308, 353. V. anche Szemerényi, New Look 89 nota 76. - (2) Walde, KZ 34, 1897, 461; e più recentemente Knobloch, Atti del IV Convegno internazionale di linguisti, Milano 1965, 153 . - (3) Favorevole ripetutamente Prokosch, da ultimo in A comparative Germanic Grammar, 1939, 39 s.; contrari Hammerich, 11. cit.; Galton, JEGPh 53, 1954, 589 s.
7.1.4. L'eliminazione delle Tenui Aspirate, che deve essere considerata il vero motivo della problematicità delle MA, ebbe inizio con la scoperta di de Saussure, nel 1891, che determinati esempi di th andavano ricondotti a t + faringale (1). Così scr. P[thu- "ampio" sarebbe sorto da ie. ~'pftH-u-, ti~(hami "sto" da '''(s)ti-stH-e/o-. Questa valutazione venne estesa da Kurytowicz a tutte le TA; contemporaneamente egli ascrisse la loro origine al periodo indo-iranico; infatti la legge di Bartholomae (v. sopra, V.6.2.) presuppone una situazione in cui le «MA» non erano sonore in modo distintivo, perché altrimenti da, p. es ., bh + t, sarebbe potuto sorgere solo pht ovvero pth. L'origine delle TA limitate all'aria sarebbe fonologicamente da attribuire al ricadere di bh dh gh dopo s- iniziale - che davano foneticamente sph- sth- skh- (legge di Siebs, v. V.6.4.) - con gli esiti di p t k dopo determinate laringali (2). 180
(l) Saussure, Recueil 603. - (2) Kurytowicz, Études 46-54; Apophonie 375-82; II. Fachtagung fi.ir idg. und allgem. Sprachwiss., 1962, 107 s.; Proceedings of the 9th Congress, 1964, 13; Lehmann, PIE Phonology 80-84; Kuryìowicz, Problèmes 197-205.
7 .1.5. Contro a ciò si può stabilire che la legge di Bartholomae non è in grado di farci sapere nulla circa la natura delle MA - e di conseguenza circa l'assenza di TA - in ie.; è infatti palese che si trattò di un'innovazione aria, che veniva a rendersi necessaria per evitare l'insorgere di omofoni (p. es. '''augh-ta e '''aug-ta avrebbero altrimenti dato entrambi '''aukta). Né più difendibile appare la legge di Siebs. Il passaggio da sbh- a sph- non solo è inventato di sana pianta, ma è pure in contraddizione con il mantenimento del gruppo -zdh- all'interno di parola e, giusta la testimonianza di av. zdz "sii" da ie. '''s-dhi, anche in principio di parola. Kurytowicz si accorge di questa contraddizione (Apophonie 378-379), ma non se ne cura.
7 .1.6. Con ciò si evince che tutti e due gli appigli necessari per spiegare fonologicamente l'origine delle TA sono illusori. Questo sta a significare che le TA non possono essere negate per l'ie., anche se esse non compaiono troppo spesso e la loro distribuzione presenta delle lacune. 7.1.7. Al giorno d'oggi si ammette spesso che le TA constino di una T + laringale mentre le MA, benché anch'esse in qualche caso constino di M + laringale, sarebbero comunque per lo più semplici occlusive sonore aspirate. Dal momento che, secondo quanto abbiamo ricavato, la «laringale» era la spirante laringale h, è pure evidente che le TA e MA originariamente rappresentavano i nessi T + h e M + h, che in indeuropeo assunsero un valore monofonematico. Cf. Kammenhuber, MSS .24, 1968, 76; Hamp, JAOS 90, 1970, 228 s.; Villar Liébana, Las sordas aspiradas, RSEL l, 1971, 129-160; Kuryìowicz, CTL 11, 1973, 68. Vedi anche sopra IV.8.1., e Job, op. cit. (sopra 6.8.), 94-105; Mayrhofer, Nach hundert Jahren, 1981, 17.
181
7.1.8. All'interno del sistema delle occlusive ie., b assume una posizione particolare: in principio di parola sembra non esistere, molto verosimilmente, affatto, mentre all'interno presenta una frequenza normale. Pedersen ha fatto osservare che l'assenza di b- sarebbe strana, mentre in parecchie lingue p- è andata perduta. Da ciò egli trasse la conclusione che b d g ie. siano sorte da più antiche p t k, che p t k ie. lo siano da b dg , e bh dh gh ie. da ph th kh; ph th kh ie. sarebbero nessi di T + laringale sorti secondariamente. H. Pedersen, Die gemeinie. und die vorie. Verschhililaute, 1951, 10 s.; Ivanov, Obsceind. 41. -Il sistema originario con p/ bl ph si armonizzerebbe bene con dati di fatto tipologici, v. Szemerényi, New Look 88. A sfavore di ciò sembra tuttavia un altro dato di fatto, che p, là dove scompare in principio di parola, anche all'interno non rimane indisturbata, il che tuttavia non sarebbe il caso in ie.
7.2. Le serie gutturali. Le tre serie che abbiamo ricostruite per l'indeuropeo (IV.7.4.) non sono purtroppo tenute cosl distinte come potremmo augurarci. 7.2 .l. l. Le labiovelari sono individuabili, secondo l'opinione generale, solo nelle lingue kentum; nelle lingue satem dovrebbero essere ricadute con le semplici velati. Sulla base di questa ipotesi si è cercato, con una certa frequenza, di negare in toto le labiovelari per le lingue satem e di considerarle una innovazione di quelle kentum (1). Tale opinione tuttavia non è solo inverosimile dal punto di vista fonetico e fonologico, ma viene anche contraddetta positivamente dal fatto che anche nelle lingue satem le labiovelari hanno lasciato evidenti tracce di sé (2). (l) Johannes Schmidt, KZ 25, 1881, 134; J6zsef Schmidt, Tentativo di soluzione del problema delle gutturali ie. (in ungherese), Budapest 1912, 54; H . Reichelt, Die Labiovelare, IF 40, 1922, 40-81; Kurytowicz, Études I, 1-26, Apophonie 356-375, 401, Problèmes 190-197; contra: Bernabé Pajares, Estudio fonologico de las guturales ie., Em 39, 1971, 63-107, in partic. 77-81; Miller, Pure velars and palatals in IE, Linguistics 178, 1976, 47-64. - (2) V. sopra, IV.7.7., e inoltre Vaillant, Gram. comp. I 171 s.; Pisani, Sprache 12, 1967, 227-8.
182
7.2 .1.2 . Benché le labiovelari per il periodo ie. vadano considerate fonemi unitari (v. IV.7.7.), esse saranno sorte dai gruppi kw, gw, ghw; a ciò accenna il fatto che accanto ad un grado normale kw e spesso c'è un grado zero ku. Cf. Szemerényi, Syncope 401, come pure Hirt, IG I, 228 s.; E.H. Sturtevant - A. Hahn, Comparative grammar of the Hittite language I, 1951, 38. 55; Hamp, BSL 50, 1955, 45 s.; BBCS 16, 1956, 282 s.
7.2.2 .1. Le sibilanti che si sono sviluppate nelle lingue satem dalle palatali ie. sono comunque sorte da occlusive. Questa palatalizzazione non è tuttavia completa anche nelle linguç satem; in un certo numero di casi anche nelle lingue satem compare una occlusiva velare in luogo dell'attesa spirante. Troviamo così scr. fvafura- "patrigno", lit. sesuras ma asl. svekru; scr. pafu "bestiame" (cf. lat. pecu), ma alit. pekus; scr. asma "pietra" (cf. ax~wv), ma lit. akmuo, asl. kamy; scr. fru- "udire", asl. sluti "chiamare" (cf. xMw), ma lit. klausyti "udire". Questa «satemizzazione» incompleta è particolarmente caratteristica del territorio baltico e/o slavo, in minor misura dell'albanese ed a stento rintracciabile per armeno ed ario. Comunque, accanto a scr. ruk-lruc- "chiaro, luminoso" (cf. lat. luceo, asl. lucl) capita pure di trovare scr. rufant- "chiaro, risplendente". Cf. Brugmann, Grundrill2 I 545 s.; H. Skold, Beitrage zur allgemeinen und vergleichenden Sprachwissenschaft I, 1931, 56-79; Bernabé Pajares, op. cit., 96 s. -Per l'albanese v. Olberg, Studi V. Pisani, 1969, 683-690.
7.2.2.2. Per spiegare questi fatti si è dapprima fatto ricorso all'ipotesi di imprestiti da lingue kentum confinanti (1) . Ciò potrebbe forse venire anche accettato per (determinati) casi balto-slavi e albanesi - nonostante che anche qui sarebbero necessarie parecchie ipotesi inverosimili (p. es. non si dà in germ. alcuna forma ~'ahm "pietra" che sarebbe necessaria per spiegare illit. akmuo) - ma certamente non per casi come scr. rufant- (2). A ben vedere, però, il problema appare insuperabile (ma si po183
trebbe addirittura dire: ha ragione di esistere) solo se le palatali vengono considerate una serie incontrovertibilmente acquisita per tutto il territorio ie. e quindi trascendente per il linguista storico, un punto di vista che sono in pochi oggi a sostenere (3). La maggior parte dei ricercatori si vedono piuttosto indotti a trarre la conseguenza che le p alatali siano sorte secondariamente da precedenti velari, press' a poco come le spiranti ed affricate romanze (p. es. fr. cent, it. cento ecc.) da velati latine (cent da kentum). Dal momento che secondo tale ipotesi l'evoluzione della palatalizzazione è legata a determinate condizioni - in primo luogo ad un suono e, i o y successivo -, anche la sopravvivenza di forme non palatalizzate rientrerà in quello che dovremo aspettarci in linea di principio (4) . Anche rifacendosi ad una ipotesi siffatta sarebbe possibile considerare la palatalizzazione stessa come un fenomeno panindeuropeo ed ascrivere all'indeuropeo tre serie gutturali (come sopra, IV.7.4.3.). Ciò vorrebbe però dire che le lingue kentum avrebbero in seguito perduto di nuovo questa palatalizzazione («tipo risanato» dell'Ascoli). Sarebbe già più semplice considerare la palatalizzazione, cioè la satemizzazione, come un tratto caratteristico delle lingue satemi per essa si dovrebbe poi ritenere o che si sia compiuta autonomamente in tutte le lingue satem (5) o che si sia diffusa da un centro in diverse direzioni e in misura decrescente col crescere della distanza (6), nel quale caso il focolaio dell'innovazione andrà visto piuttosto nell'iranico (7) o nell'aria (8) che non nello slavo (9). (l) Brugmann, Grundrill2 I 547.- (2) V. Kiparsky, Die gemeinslavischen
Lehnworter aus dem Germanischen, 1934, 101 s. - (3) Kurytowicz, Apophonie 357 s., 375; V. V. Ivanov, Problema jazykov kentum i satem, VJ 1958 (4), 12-23. - (4) Le condizioni della palatalizzazione (anche nei gruppi kwe, kle, kre ecc.) in V. Georgiev, Introduzione 33; cf. Hirt, IG I 226 s. Sulle forme non palatalizzate Georgiev 32. - (5) Georgiev, op. cit., 46; Abajev, Skifo-jevropejskije izoglossy, 1965, 140 s.; Campanile, SSL 5, 1965, 37-55.- (6) Porzig, Gliederung 75-76.- (7) Pisani, AGI 46, 1961, 16; Ricerche slavistiche 15, 1969, 11. - (8) Porzig, op. cit., 76; W.P. Schmid, Alteuropa und der Osten im Spiegel der Sprachgeschichte, Innsbruck 1966, 9 s.; ma la delabializzazione delle labiovelari non può aver avuto luogo (p. 12) prima dell'assibilazione delle palatali. - (9) Senn, KZ 71, 1954, 175; Devoto, Origini indeuropee 345 . 398. - Cf. ora anche
184
Gamkrelidze-Ivanov, 1982, 203-213.
VJ
1980 (5), 10-20, (6) 13-22; Shields, KZ 95,
7.2.2.3. Per determinare l'epoca del mutamento delle palatali in sibilanti sono importanti le parole arie, verosimilmente protoindiane, disperse nei testi ittiti. Esse mostrano infatti che sia la palatalizzazione aria (v. IV.7.4J.) sia lo stesso passaggio di e ie. ad a si erano già completati nel 1500 a.C.; p. es., l'ie. i'penkwe "5" si presenta come panza, cf. scr. panca. Dal momento che la palatalizzazione aria presuppone anche la delabializzazione c;lelle labiovelari ie., l'inizio del processo andrà probabilmente ascritto ad un periodo anteriore al 2000 a.C. L'intero processo della prima palatalizzazione, che mutò le palatali «ie.» in sibilanti, andrà collocato non meno di 500 anni prima. Ciò finirebbe anche per fissare nella Russia meridionale il luogo della satemizzazione. Su diversi particolari, anche contrari ad una datazione bassa della satemizzazione, v. Szemerényi, Structuralism 13; cf. anche (la datazione anteriore di) Georgiev, op. cit., 30, 36. Datazione insostenibilmente bassa in Gusmani, Studi Pagliara 2, 1969, 327 s.
7.2.2.4. Quanto all'evoluzione in sé, essa potrebbe aver avuto luogo attraverso le tappe intermedie k > ky > ty > t's' (1). Scr. vas-mi "voglio") va!f{i "vuole" presuppongono '''vat's'-mi e i'vat's'-ti, mentre vak!fi "vuoi" è dissimilato da '''vat's'-si (t's' > k~). Che l'ario abbia raggiunto lo stadio t's' ancora in Europa sembra provato dal fatto che le parole finniche kah-deksan "8", yh-deksan "9" contengono una forma di "dieci" (deksan) che riflette un protoario i'det's'an (con e ancora conservata!). (l) Pedersen, Aspirationen i Irsk, 1897, 193; Barié, Indoeuropski palatali (Glas Srpske K. Akademije 124, 1927, 1-57, sunto in ted. 58-72), 58 s. Lo stadio intermedio t' d' recentemente ipotizzato a più riprese è insostenibile per l'ario.
7.2 .2 .5. Le p alatali anteconsonantiche dovranno la propria origine, almeno in parte, ad una vocale palatale andata perduta. Così '''ok'ti5 può essere stato sincopato da i'okiti5. 185
Cf. Szemerényi, Syncope 399 s., e sopra VI.l. fine.
7.2.2.6. Tradizionalmente si è soliti pensare che l'aria abbia conosciuto una comune palatalizzazione delle palatali ie., con divergenze solo nella ricostruzione degli stadi attraversati poco prima dell'epoca storica (t ' o t 's' ecc.). Di recente, però, sulla scia di Morgenstierne vi è anche chi sostiene l'opinione che le lingue ka/iri o Nuristanz (l) parlate sul Pamir divergano nel trattamento delle palatali ie. e debbano così rappresentare un terzo ramo a sé dell'aria (2). È difficile però che un gruppo di dialetti noto solo a partire dal XIX sec. e che riconosciutamente presenta profonde commistioni di indiano e di iranico possa venire considerato un testimone affidabile per una differenza che deve risalire a quattro o cinquemila anni fa e si basa propriamente solo su pochi esempi con una c (= ts) nient' affatto chiara. La correttezza di questa opinione è non da ultimo confermata anche dal fatto che secondo una nuova visione (3) nelle lingue Nuristani «si [possono] vedere gli ultimi resti di lingue paleoindoarie, che si sono separate precocemente, in età prevedica, dalla gran massa dei dialetti antico indiani e hanno conservato un po' di caratteristiche arcaiche». Infatti anche secondo questa visione non vi è fondamento alcuno per l'ipotesi di una terza ramificazione dell'aria (4). (l) Vedi Strand, Notes on the Nuristani and Dardic languages, JAOS 93,
1973, 297-305. - (2) Morgenstierne (a più riprese dal 1926, p. es.) NTS 13, 1945, 225 s.; Encyclopaedia of Islam II, 1965, 138 s.; cf. Redard, CTL 6, 1970, 141. - (3) Buddruss, Zur Stellung der Nuristan-Sprachen, MSS 36, 1977, 19-38.- (4) Cf. l'impressionante valorizzazione dei fatti in Campanile (ed.), Nuovi materiali per la ricerca indoeuropeistica, Pisa 1981, 36-40, come pure Mayrhofer, Lassen sich Vorstufen cles Uriranischen nachweisen? (Anzeiger Akademie Wien, 120, 1983, 249-255), 252255.
7.2 .3. Se dunque la satemizzazione, cioè la palatalizzazione, sorta in determinate circostanze, di velati originarie, era ristretta ad una parte del territorio dell'indeuropeo, possiamo ricostruire come originarie solo due serie, quella velare e quella labiovelare (1). Ogni altro accoppiamento di due serie gutturali - p . es. palatali e labiovelari o 186
palatali e velati- va considerato assolutamente privo di fondamento. È però ben possibile che anche il sistema a due serie risalga ad uno stato originario con una sola serie. Secondo alcuni la triade k'/ k/kw sarebbe stata differenziata a seconda della vocale successiva partendo da un'unica serie velare (2); è certo, però, che in questo modo non è possibile spiegare l'origine delle labiovelari. È invece possibile che le labiovelari siano sorte dai gruppi kw gw ghw, v. sopra, 7.2 .1.2. Ciò significherebbe, tuttavia, che in un periodo anteriore esisteva una sola serie velare. (l) Hirt, IG I 227; Bonfante, Word l, 1945, 141 s.; Lehmann, PIE Phonology 8. 100 s.; Georgiev, Introduzione 29; Burlakova, Preistoria delle gutturali slave, VSJ 6, 1962, 46-65; Bernabé Pajares, op. cit. - (2) Pedersen, Aspirationen i Irsk, 1897, 192; Ribezzo, Per la genesi delle tre serie gutturali indoeuropee, RIGI 6, 1922, 225-41; 7, 1923, 41-62; cf. anche AGI 22 -3, 1929, 131-151; E. Hermann, Herkunft unserer Fragefi.irworter, 1943, 16 s.; Specht, Ursprung 316 s.; Otrybski, Lingua Posnaniensis 9, 1963, 11 s.; Illic-Svityc, L'origine delle serie gutturali ie., in: Problemy sravnitel'noj grammatiki ie. jazykov, 1964, 22-26 (confronto con l'uralo altaico, v. sopra, VI.6.11.) .
Ricapitolazione 8. Sulla base delle dimostrazioni degli ultimi due capitoli si viene a delineare un'immagine del sistema fonologico dell'indeuropeo poco prima della fine del periodo unitario che potrebbe considerarsi sostanzialmente acquisita e che aveva l'aspetto seguente (l):
;:J
e
o
a
y
m l
u
T
u
e
w n
r
h
l}
lp
ti
ljl
1
r
6
a p t
(k' k kw
ph
b
th
d
k'h kh kwh
g' g gw
bh dh g'h ?) gh gwh
Nel sistema consonantico spicca la relativa povertà di spiranti ri187
spetto ad un sistema di occlusive abbondantemente rappresentato. Il rapporto tra le vocali (11) e l'inventario totale (11:35 = 31%) si colloca su valori intermedi; cf. 38% del finnico con 8 vocali su 21 fonemi e 8% del bella coola, una lingua indiana del Canada, che su un totale di 36 fonemi ha solo 3 vocali (2). (l) Cf. Szemerényi, New Look 90 s.; Hjelmslev, Le langage, 1966, 49. _
(2) New Look 85 s. - Per sviluppi più recenti cf. Bomhard, In memory of J.A. Kerns I, 1981, 351 s., in partic. 354 s., 370.
Addendum: Il sottosistema delle occlusive nell'indeuropeo. Come abbiamo visto, sulla base del sistema antico indiano si postulò per l'indeuropeo dapprima un sistema quadrimembre: t-d, thdh. Ora, poiché th è attestato in modo niente affatto esteso (7 .1.) e può essere persino interpretato come una successione di t + !aringale (7.1.4.), esso fu eliminato, sì che risultò un sistema trimembre t-d-dh, contro cui stanno nuove obiezioni d'ordine tipo logico (7 .1.2.); a ciò si è aggiunto anche il fatto che in un simile sistema non erano ben comprensibili né la rarità di b (7.1.8.), né le interdizioni nei confronti di determinate strutture di morfemi (V .5 .2.). Ora, dall'inizio degli anni '70, Gamkrelidze e lvanov in Unione Sovietica, Hopper negli Stati Uniti, hanno elaborato indipendentemente una soluzione affatto nuova. Le aporie connesse col sistema trimembre cui si è fatto cenno possono essere a loro avviso eliminate nel modo seguente: quelle che fino ad ora abbiamo considerato Medie devono essere sostituite con occlusive eiettive o glottidalizzate, e in luogo di t-dh devono essere posti t(h)-d(h) (con variazione libera del carattere aspirato) ovvero (secondo Hopper) t-d. Si ha un suono glottidalizzato quando, in aggiunta a un'occlusione nel canale boccale (a livello delle labbra, dei denti ecc.), si stabilisce un'occlusione anche nella glottide; le due occlusioni vengono rilasciate simultaneamente o a breve distanza l'una dall'altra, col che si origina un caratteristico schiocco o scricchiolio. Il sistema fin qui stabilito come
d
t
dh 188
viene così sostituito da t'
t
t'
t(h)
ovvero
dh
d
Le nuove visioni hanno già trovato - proprio nel senso dell'alternanza paradigmatica di Kuhn - molti aderenti (1), mentre il loro rifiuto è ancora piuttosto limitato (2). Io non vorrei anticipare il futuro e perciò mi limiterò a sottolineare due punti: l. La distribuzione geolinguistica non è molto favorevole all'ipotesi di eiettive nell'indeuropeo, giacché esse si trovano nel Caucaso, in Africa e in America - tutte regioni in cui certamente gli lndeuropei non sono mai risieduti. 2. Le eiettive sono per loro natura suoni sordi, addirittura suoni fortemente sordi. Come esse abbiano potuto diventare delle sonore, è e resta per il momento un enigma. (l) Gamkrelidze-Ivanov, Sprachtypologie und die Rekonstruktion der gemein-idg. Verschli.isse, Phonetica 27, 1973, 150-156; Gamkrelidze, On the correlation of stops and fricatives in a phonological system, Lingua 35, 1975, 231-261; Linguistic typology and IE reconstruction, Studies Greenberg II, 1976, 399-406; Hierarchical relationships of dominance, Fs. Szemerényi, 1979, 283-290; Gamkrelidze-Ivanov, Drevnjaja Perednjaja Azija i ie. problema, VDI 1980 (3), 3-27; Rekonstrukcija sistemy smycnyx obsce-ie. jazyka, VJ 1980 (4), 21-35; Gamkrelidze, Linguistic typology and language univ~rsals, In memory of J.A. Kerns, 1981, 571-609; Hopper, Glottalized and murmured occlusives in IE, Glossa 7/2, 1973, 141-166; The typology of the PIE segmental inventory, JIES 5, 1977, 41-53; «Decem» and «taihun» languages, In memory of J.A. Kerns, 1981, 133-142; Areal typology and the Early IE Consonant system, in: Polomé (ed.), The Indo-Europeans in the 4th and 3rd millennia, Ann Arbor 1982, 121-139; Miller, Implications of an IE root structure constraint, JIES 5, 1977, 31-40; Normier, Idg-er Konsonantismus, germanische Lautverschiebung, und Vernersches Gesetz, KZ 91, 1977, 171-218; Kortla.ndt, PIE obstruents, IF 83, 1978, 107 -118; Melikisvili, Struktura kornja, VJ 1980 (4), 60-70; Gercenberg, Voprosy ... prosodiki, Leningrado 1981, 120 s., 157 s.; Bomhard, IE and Afroasiatic, In memory of J.A. Kerns, 1981, 354-474 (p. 469 earlier papers); Colarusso, Typological par-
189
allels between PIE and the NW Caucasian languages, ivi 475 -557, in partic. 546, 550 s. - (2) Back, Die Rekonstruktion des idg. Verschlusslautsystems, KZ 93, 1979, 179-195; Haider, Der Fehlschluss der Typologie, in: Philologie und Sprachwissenschaft, Innsbruck 1983, 79-92; G.M. Green, Against reconstructing glottalized stops, in: Stump, G.T. (ed.), Papers in Historical Linguistics, Ohio State, 1983, 50-55; I.M. D'jakonov, VDI 1982 (3), 4-9.
VII.
MORFOLOGIA I
Nome e aggettivo 1.1. La sola vera differenza tra nome e aggettivo in indeuropeo risiede nel fatto che l'aggettivo può presentare forme diverse a seconda del genere, il che per il nome non si verifica se non in via eccezionale ed assai più limitata (lat. equus: equa). Per il resto la flessione dei due gruppi è identica. 1.2. Il genere è una particolarità del nome, a seconda della quale determinate parole riferite al nome (aggettivi ed alcuni pronomi) assumono forme diverse; presenta certe connessioni col genere naturale (p. es. "padre" e "figlio" sono maschili, "madre" e "figlia" sono femminili), ma quest'ultimo non è decisivo. Ciò risulta già chiaro per il fatto che in indeuropeo vi erano tre generi che sono ancora conservati in quasi tutte le più antiche attestazioni delle lingue ie. (scr., gr., lat., celt., germ., sl.). Più tardi parecchie lingue hanno perso uno dei generi, per lo più il neutro; i neutri originari sono stati allora ripartiti tra maschile e femminile. Questo fatto si è verificato in lituano e, attestato ancor prima, nelle lingue romanze. In ittito, lingua che è attestata molto anticamente, compaiono invece solo un genere comune (per il masch. e il femm.) ed un neutro (1). Un'ulteriore perdita condusse ad un solo (cioè a nessun) genere, come in inglese o in persiano e, già dalle prime attestazioni, in armeno. Il sistema ie. dei tre generi deve però essere sorto da un sistema a due classi (2). A ciò accenna già di per sé il solo fatto che nelle classi di flessione arcaiche il masch. e il femm. non si differenziano nella flessione, mentre presentano un comune stacco nei confronti del 191
neutro; cf. p. es. Jtà't{jQ , [.t{j't'YJQ. Sarebbe però errato ritenere che la nascita del femminile fosse un procedimento non ancora completato in indeuropeo; è palese che il femminile era stato pienamente sviluppato anche nelle cosiddette lingue marginali (3). Alla domanda circa il modo in cui si sia pervenuti al sistema a due classi del paleoindeuropeo Meillet risponde (2) osservando che per certi concetti esistono due diverse espressioni, la cui differenza sta in modo evidente nell'essere animati (masch. o femm.) e inanimati (n.); cf. lat. ignis - gr. nug, lat. aqua - gr. Mwg (tutt'e due presenti in go t.: ah va - wato). La questione ulteriore, in qual modo il femminile si sia formato a partire dalla classe dell'animato, è tornata ad essere di recente al centro di un acceso dibattito, nel corso del quale si può osservare prevalente una tendenza al ritorno alle vecchie concezioni secondo le quali l'evoluzione generale di -a- ed -t- come indici del femminile sarebbe partita dai pronomi (p. es. '''sa e '''st); a loro volta però questi ultimi sarebbero rifatti su certi nomi che per caso avevano una di queste terminazioni. (p. es. ,·,gwena "donna") (4). (l) La perdita del femminile viene propugnata da Pedersen, Hittitisch 13 s.; Kurytowicz, 8th Congress, 1957, 235; Categories 211. 217; importante è l'osservazione di Goetze, RHA 66, 1960, 49 s. - (2) Meillet, LHLG I 199-229, II 24-28; BSL 32, 1931, l s.- (3) Watkins, in AIED 40; Kammenhuber, MSS 24, 1968, 76 s. - (4) Martinet, BSL 52, 1957, 83-95; Lehmann, Language 34, 1958, 179-202; Brosman, JIES 10, 1983, 253272. - Altri lavori sul problema del genere: Hirt, IG 3, 320-347; G. Royen, Die nominalen Klassifikationssysteme in den Sprachen der Erde, 1929; Fodor, The origin of grammatica! gender, Lingua 8, 1959, 1-41, 186-214; Martinet, A. functional view of language, 1962, 15 s., 149-152; Kurytowicz, Categories 207 -226; H. Brinkmann, Zum grammatischen Geschlecht im Deutschen, in: Studien zur Geschichte der deutschen Sprache und Literatur I, 1965, 357-399; Hoffmann-Szantyr, Lateinische Grammatik II, 1965, 5 s.; Balazs, Gli interrogativi slavi e l'origine del genere nell'indeuropeo, AION-L 7, 1966, 5-20; Wienold, Genus und Semantik, 1967; F. Villar, Origen de la flexion nominai ie., Madrid 1974, 332 s.; Greenberg, How does a language acquire gender markers?, in: Universals of Human Language (ed. J. Greenberg) III, 1978, 47-82; Neu, Zum Genus hethitischer r-Stamme, Fs. Ivanescu = Linguistica (Ia?i) 2829, 1983, 125-130; Aksenov, Motivazione extralinguistica della categoria
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del genere, VJ 1984 (1 ), 14-25. - La perdita del genere viene esaminata da Priestly, On "drift" in IE gender systems, JIES 11, 1984, 339-363. 1.3. I numeri grammaticali in indeuropeo erano tre: singolare, plurale e duale. Quest'ultimo è ancora conservato in parecchie lingue agli inizi delle attestazioni, p. es. in scr., gr., airl., asl., lit., ma presto o tardi va perduto. Al giorno d'oggi sono poche le lingue ie. in cui il duale sia conservato (p. es. in lit.); la prima in cui esso è scomparso è l'ittito. 1.4 .l. Il sistema dei casi delle diverse lingue ie. è assai diverso quanto ad estensione. P. es ., il greco classico ha solo 5 casi, il latino 6, il paleoslavo 7, il sanscrito 8. Ora, in linea di principio sarebbe anche possibile che il numero minore di casi conservi lo stato più antico e quello più elevato di determinate lingue rappresenti un'in- · novazione (1) . Che però sia vero l'opposto è dimostrato dal fatto che anche le lingue col minor numero di casi presentano in uno stadio anteriore un numero più elevato di casi o, qualora ciò non avvenga, conservano per lo meno tracce di un sistema precedente più ricco. Così, il greco in epoca micenea possiede ancora uno strumentale a sé stante, di cui tracce permangono ancora in Omero. Il latino ha un locativo per certi nomi; l' osco ha ancora nel proprio sistema dei casi un locativo in piena regola. Se dunque il sincretismo di casi precedentemente tenuti distinti (l) in tutte le lingue ie. è un dato di fatto storico, dobbiamo trame la conclusione che l'indeuropeo ha avuto (perlomeno) otto casi, un sistema che si è conservato nel modo migliore nelle lingue satem, mentre nelle lingue kentum esso ha subito pesanti perdite (2). (l) Cf. Szemerényi, Methodology 19-20; successivamente anche Savcenko, Lingua Posnaniensis 12-13, 1968, 29-30; e recentemente A. Agud, Historia y teoria de los casos, Madrid 1980, 233 s., 326 s.; Serbat, Cas et fonctions, 1981, 75 s., 130 s. Su una fase antichissima (IV millennio a.C.) v. Lehmann, in: Polomé (ed.), The IEs, 1982, 140-155 - (2) Cf. H. Jacobsohn, Kasusflexion und Gliederung der idg. Sprachen, Fs. Wackernagel, 1923, 204-216; Risch, Fs. Seiler, 1980, 259 s.; Szemerényi, 7. Fachtagung, 1985 (§ I A).
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1.4.2. Il sistema, conservato nel modo migliore nell'antico indiano, possiede i seguenti casi: l. 2. 3. 4.
5. 6. 7. 8.
Nominativo Vocativo Accusativo Genitivo Ablativo Dativo Locativo Strumentale
Solo nel singolare tutti ed otto i casi sono differenziati dal punto di vista formale ed anche qui solo in un gruppo, nella declinazione dei temi in -o- . In tutte le altre classi di declinazione l'ablativo è identico al genitivo nel singolare; nel duale e nel plurale invece esso è dappertutto identico al dativo. Il vocativo è distinto dal nominativo solo al singolare, ma anche qui non in tutte le declinazioni; al duale e al plurale essi sono identici. Da ciò consegue che al plurale vi sono solo sei forme differenti tra loro; al duale addirittura solo quattro. Nei neutri non vengono mai differenziati tra loro nom., voc. e ace. dello stesso numero. Su un <
1.4.3 . I diversi casi vengono differenziati anzitutto da desinenze, le quali vengono ad aggiungersi al tema, la parte della parola che è portatrice del significato e - se si eccettuano determinate alternanze apofoniche - invariabile; così, p . es ., nel nom. pl. :rt66eç troviamo giustapposti il tema no6- e la desinenza casuale -eç. Nel caso di temi terminanti per vocale un'eventuale desinenza casuale iniziante per vocale subiva una contrazione già in indeuropeo; così l'uscita del da t. sing. dei temi in -o- era ,., -ai, contratto da -o- più la desinenza casuale '" -ei, cui si contrappone l'uscita dellocativo *-o i, costituita da -o- più la desinenza casuale ~'-i.
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Un confronto delle diverse lingue ie. dà le seguenti desinenze casuali:
No m. Voc. Ace. Gen. Ab l. Dat. Lo c. Str.
Sing.
Pl.
*-s, *-0
*-es *-es ''-ns/''-IJS ''-om/*-om ''-bh(y)os, *-mos
*-0 *-m/''-IJI *-es/* -os/* -s *-es/*-os/''-s; *-ed/''-od ''-ei '' -i ''-e/"-o, ''-bhi/*-mi
*-bh(y)os, *-mos ''-su '' -bhis/''-mis, *-ois
Du.
l
•-e, •-II'-i
*-ous? *-Cis? ''-bhyo, '' -mo *-bhyo, ''-mo *-ou ''-bhyo, *-mo
Per il neutro valgono regole particolari al nom., voc. e ace. Al sg. compare solitamente il nudo tema, ad eccezione dei temi in -o-, in cui si aggiunge "~'-m; al pl. la desin~nza è "~'-a o "~'-a, cioè probabilmente una laringale (risp. "~'-oh e '"-h); al duale la desinenza sembra essere -i (-t?). Sulle desinenze dei casi in generale v. Hirt, IG 3, 39 s.; WackernagelDeqrunner, Ai. Gr. III 28 s.; Schwyzer, GG I 547 s. Un audace tentativo di determinare la preistoria in Kurytowicz, Categories, 179 s., in partic. 196 s.; cf. inoltre Ivanov, Hettskij jazyk, 1963, 113 s., 129-140; Erhart, Zur ie. Nominalilexion, Sbornik Brno 16, 1967, 7-26; Savcenko (v. sopra 1.4.1.), 21-36. Un importante lavoro sulla flessione ie. è: C.-]. N. Bailey, Inflectional pattern of IE nouns, Honolulu 1970; sulle desinenze casuali 17-94. Cf. anche Fairbanks, JIES 5, 1977, 101-131; Brixhe, Mélanges Laroche, 1979, 71 s.; Szemerényi, 7. Fachtagung, 1985 (§ I A); Villar, o.c. (sopra, 1.2.); Dativo y locativo, 1981.
1.4.4. In generale, nel tema si verificavano originariamente alternanze apofoniche. Il grado normale trovava posto in linea di principio al nom., voc., ace., loc. sg., nom., voc., ace. pl. (casi forti), ma il nom. sg. dei temi dell'animato presentava spesso il grado allungato; negli altri casi compare di regola il grado zero (casi deboli) (1). Per esempio "~'d6nt-m "il dente (ace.)" ' ma '''dnt-6s "del dente" ' '''d6nt-es o o 1 denti", '~'d?Jt-su "nei denti". Là dove venivano a crearsi pesanti gruppi consonantici per via del grado zero (o meglio, dove si sareb((o
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bero venuti a creare), la vocale non cadde affatto o venne ben presto restituita. Difficilmente, p. es., per 1'ped- "piede" sarà stato a lungo in uso un genitivo '~'pd-6s (cioè 1'bd6s) . (l) Kuryìowicz, Categories 194 con nota 12, 200 s.
Addendum. L'accento nella flessione nominale. L'accento nella flessione nominale non ha trovato grande considerazione prima del nostro secolo (1). Un'importante acquisizione giunse nel 1926, quando Pedersen poté distinguere due classi di flessione e di accento: quella hysterodinamica (nom. - ..:: gen. - - ..:, Jta't~Q: nmg6ç) e quella proterodinamica (nom . ..: - : gen. - ..: - ); in seguito la distinzione fu ulteriormente perfezionata da Kuiper (2). Dall'inizio degli anni Cinquanta fu poi Kurytowicz che si occupò in modo speciale dei problemi dell'accento (3), ma importanti sono pure i lavori di Kiparsky e Halle (4), nonché quelli di Garde (5) . Dal 1973 la «Scuola di Erlangen» si è espressa ripetutamente su tale questione. Essa ha classificato i diversi tipi di accento con la massima precisione, ed ha introdotto un'impressionante «terminologia che si basa su spunti di K. Hoffmann» (6). Vengono distinti 5 tipi che vengono contrassegnati coi termini statico e cinetico a seconda che l'accento sia fisso o mobile; essi suonano quindi, con nomi bimembri, come segue:
I
aerostatici proterocinetici an/icinetià hysteroànetià mesostatzà
II III IV V
(costantemente accentato il principio) (accentati principio/ suffisso) (accentati principio/fine) (accentata sempre l'ultima sillaba) (accentata la sillaba suffissale)
Questa nomenclatura a doppio binario è stata unificata da Rix a vantaggio di un secondo elemento sempre -dinamico (7). (l) Cf. però Hirt, IG V, 1929, 214-284 (219: tre tipi di accento!); Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. III, 1930, 14-28. - (2) Vedi Pedersen, La cinquième déclinaison latine, Kopenhagen 1926, 24; Kuiper, Notes on Vedic noun-inflexion, Amsterdam 1942, 2 s., 30, 36. Cf. anche il suo
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discepolo, Beekes, KZ 86, 1972, 30-36; Glotta 51, 1973, 228-245. - (3) Cf. L'accentuation des langues ie., 1952, 2 1958, e, «summa» del lavoro di una vita, IG, Prima parte (1-197), in partic. 26 s., 115 s. - (4) V. sopra, V.2.4.(1). - (5) Garde, Le paradigme accentuel oxyton .. ., RES 49, 1973, 159-171; e soprattutto Histoire de l'accentuation slave 1-2, Paris 1976, in partic. 318 s. - (6) V. Eichner, MSS 31, 1973, 91; Schindler, BSL 70, 1975, 3 nota 2.; 5. Fachtagung, 1975, 262 s.; Oettinger, KZ 94, 1980, 46. - (7) Rix, Hist. Gram. des Griechischen, 1976, 123.
1.4.5. Le desinenze casuali ed i principi che ne regolavano l'apposizione dopo il tema (comprese le variazioni di accento e di grado apofonico) valevano originariamente per tutte le classi flessive, vale a dire vi era una sola declinazione. Già in indeuropeo, però, determinate desinenze casuali si fusero con una vocale finale di tema e questa contrazione diede alla flessione di tali classi una propria impronta particolare. Questa dissoluzione dell'originaria declinazione unitaria in una quantità di classi di declinazione più o meno differenti diventerà poi ancora più marcata all'interno delle singole lingue. 1.4.6. Per quanto siamo in grado di stabilire, in fine di tema potevano trovarsi tutte le consonanti; vi erano quindi temi in -p-1-t-1 -k-, temi in -s- e in -m-1-n-1-l-1-r, e cosl via. Tra le vocali, invece, solo i, u, o ed z, u, a potevano presentarsi in fine di tema, ma non a (ed e è compresa con o in un'unica classe, cosiddetta tematica o in -e-1-o-); è anche possibile che la laringale h fosse presente in alcuni dei temi in vocale lunga, cosl che questi andrebbero propriamente definiti come temi in -ih-, -uh- ed -ah- (o piuttosto -oh-) . 1.4. 7. Solo pochi dei nomi ie. possono essere descritti come nomi radicali (1). La grande maggioranza era derivata per mezzo di diversi suffissi dalle radici semplici o da forme già complesse. Lo studio delle regole molteplici e complesse che vengono a tale scopo impiegate («Wortbildungslehre») costituisce una parte importante della tnorfologia (2). (l) V. Schindler, Das Wurzelnomen im Arischen und Griechischen, Wurzburg 1972. - (2) Per le lingue ie. più importanti esistono eccellenti trattazioni di questo argomento; cosl per il scr. Wackernagel-Debrunner,
197
Ai. Gr. II 1-2; per il greco Schwyzer, GG I 415-544; Risch, Wortbildung der homerischen Sprache 2 , 1974; per il latino Leumann, Lateinische Laut- und Formenlehre 2 , 1977, 257-403; per il germanico F. Kluge, Nominale Stammbildungslehre der altgerm. Dialekte \ 1926; C.T. Carr, Nominai compounds in Germanic, 1939; H. Krahe-W. Meid, Germanische Sprachwissenschaft III: Wortbildungslehre, 1967; W. Henzen, Deutsche Wortbildung 3 , 1965 . Cf. ora anche Benveniste, Fondements syntaxiques de la composition nominale, BSL 62, 1968, 15-31; Lehmann, PIE compounds in relation to other PIE syntactic patterns, AL 12, 1970, 1-20.
1.4.8. In questa sede è chiaro che non è possibile trattare a fondo ogni classe tematica e tipo di declinazione. Ci limiteremo qui ad evidenziare le classi principali a proposito delle quali si potranno illustrare sia i dati di fatto sia le metodologie.
A. T emi in occlusiva 2 . Il semplice accostamento dei paradigmi in lingue diverse è per lo più sufficiente a dimostrare l'identità originaria e la consistenza arcaica. Così, p. es., nel caso del tema in dentale '''ped-l1'pod"piede". 2.1.
scr.
gr.
lat.
ie.
Sing. Nom. Ace. Gen. Ab l. Da t. Loc. Str.
p ad pad-am pad-as pad-as pad-é pad-i pad-a
nouç (mi:Jç) n60-a no6-6ç
p es ped-em ped-is
''p es ''péd-rp ''ped-és/-6s
ped-1 p ed-e
*ped-éi ''ped-i ''ped-é
Plur. No m. Ace. Gen. Abl.-Dat. Lo c. Str.
pad-as pad-as pad-am pad-bhyas pat-su pad-bhis
n66-Eç n66-aç no6-oov
ped-es ped-es ped-um ped-i-bus
*péd-es ''péd-1,1s ''ped-6m *ped-bh(y)os ''ped-su *ped-bhis
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no6-( pod-e
no( o)-o( pop-phi
La differenza di timbro apofonico esistente tra nouç e pes si spiega per mezzo dell'alternanza all'interno del paradigma (p. es. nom. ~'pos: gen. ~'ped-6s) o tra semplice e composto (p. es. '''pes: '''su-pos "dai piedi buoni") con successiva generalizzazione di un solo timbro (1) . - Il grado allungato al nom. sg. va spiegato con una forma assimilata ~'pess da '''ped-s (v. VI.2 .7.2.); in scr. la dentale venne restituita e '''pats diede pat, conformemente alle regole di sandhi che consentono una sola consonante in fine di parola. -L'ace. sg. doveva avere la desinenza ~'-m (come provano le corrispondenze -am: -a: -em), cioè la desinenza o,., -m che dopo consonante e in fine di parola dovette diventare sillabica; allo stesso modo è possibile ricostruire come *-':}S la desinenza dell'ace. pl., che sarà discesa, con assimilazione, da ~' ms, cioè ~'-m + '''-s pluralizzante (2). La corrispondenza germanica, p. es. aingl. /o t "foot", mostra il generalizzarsi del grado allungato che spetterebbe propriamente al solo nom. sg. Il got. /otus mostra addirittura la creazione di un tema in -u- a partire dalla desinenza di ace. -u(n) ereditaria, proveniente da ie. '''-1?;1, pl. -uns da '''-':}S. - La desinenza di gen. sg. è -os in gr., e apparentemente '''-es in lat. (donde -is); -os non sarebbe altro che la variazione di timbro apofonico di -es (3). È tuttavia degno di nota il fatto che al no m. p l. compaia sempre solo '~' -es, e mai ''' -os. - Il dittongo nel dat. sg. è oggi certamente determinabile come '~'-et'; cf. osco paterez' "patr1", gr. L':HfELCJlLÀ.oç "caro a Zeus" ed ora anche mie. tu.ka.te.re po.me.ne ecc., vale a dire 1'hJyatÉQEL noq.tÉVEL. - Lo str. sg. sembra risalire a ~'-e/'~-o o '~' -e/'" -o; il timbro vocalico è ora confermato dal mie. e.re.pa.te = ÈÀ.EcpavtE. - Il gen. pl. ha in scr. la desinenza -am, in gr. -&v, che accennano a ie. ~'-om. Ciò è conciliabile con le forme della maggior parte delle lingue, ma difficilmente con lo sl. -u, che, come pure la desinenza ant. irlandese, deve risalire a ~'-om. La terminazione originaria sarà allora stata '"-om - una semplice forma aggettivale (cf. eruz's /zlz'us) - che, unita a temi in vocale, e quindi con -a- od -o-, si contrasse a dare ,., -om, la quale poi venne estesa anche ad altri temi in numerose lingue (4). - Illoc. pl. ha la desinenza ~'-su nelle lingue satem, ma il greco rimanda a '~ -si; è chiaro che in gr. ''' -su sarà stato rifatto su influsso del singolare ~'-i (5) . -Il dat.-abl. e lo str. pl. sono entrambi caratterizzati da bh che venne ampliato in modo diverso ed originariamente era certamente una posposizione '"bhi (cf. ted. bez). 199
In germ. e in baltoslavo al suo posto compare una desinenza caratterizzata da m (6). (l) Cf. Schmitt-Brandt 125. Ad ogni modo '''-s del nominativo è presa dai pronomi (v. Kurytowicz, Categories 211), e ciò quasi dovunque, v. sopra VI.2.7.1. Cf. inoltre Y.M. Biese, Some notes on the origin of the IE nom. sing., Helsinki 1950; Fillmore, in: Universals in linguistic theory, edd. Bach & Harms, 1968, 13 . - (2) V. Brandenstein, Studien zur idg. Grundsprache, 1952, 10. - (3) Sull'alternanza v. Kurytowicz, Apophonie 76, Categories 196 15 • Il tentativo di stabilire un'originaria differenza tra un gen. in ''-os e un abl. in '"-ots (Benveniste, BSL 50, 1955, .32), è naufragato (v. Lazzeroni, Studi e saggi linguistici 2, 1962, 12 s.; Ivanov, Obsè':eind. 35 s.), benché il gen. debba essere sorto da un abl., v. Kurytowicz, Categories 194. 202 . Anche l'ipotesi, più volte ribadita, a partire da v. Wijk, dell'originaria identità di gen. e nom. (p. es. Lehmann, Language 34, 1958, 192; H . Ammann, Nachgelassene Schriften, 1961, 56 s.) è difficilmente valida, v. v. Velten, BSL 33, 1932, 218; Jespersen, Language 383. - (4) Meillet, MSL 22, 1922, 258 ('"-om); Stang, Vergl. Grammatik der baltischen Sprachen, 1966, 185 e'-om). Per l'ipotesi aggettivale: Petersen, Amer. J. Philol. 46, 1925, 159; Martinet, Word 9, 1953, 258 23; Kortlandt, Lingua 45, 1978, 281-300. - (5) L'ipotesi che il loc. sia tardo-ie., e quindi non-ie., dal momento che ad occidente non si è mai sviluppato (Toporov, Lokativ v slavjanskix jazykax, 1961, 275 s.), o che addirittura sia sorto all'interno di singole lingue (Ambrosini, Annali della Scuola Normale di Pisa 29, 1960, 85), è insostenibile (così anche Savè':enko, Lingua Posnaniensis 12-13, 1968, 29 s.); lo stesso vale per l'ipotesi che illoc. abbia avuto zero come desinenza: in casi simili si ha a che fare con la perdita di -i, v. Ferrell, To honor R. Jakobson l, 1967, 656. - (6) K.H. Schmidt, Dativ und Instrumental im Plural, Glotta 41, 1963, 1-10. Sul carattere «awerbiale» di questo caso, v. Meillet, Introduction, 298 s.; Pedersen, Hittitisch 30 s.; Kurytowicz, Études I 167 s., Categories 201; sul gr. -
2.2.1. Le alternanze apofoniche e gli spostamenti dell'accento che ad esse erano connessi possono venire meglio osservate nei temi in -nt-. La paròla per "dente" presenta i seguenti paradigmi: 200
scr.
gr.
lat.
Sing. Nom. Ace. Gen. Ab!. Dat. Lo c. Str.
da n d-ant-am d-at-as d-at-as d-at-é d-at-i d-ad
66Wv 61ì6v1:a 61ì6v1:oç
dens dentem dentis
Òlì6V"tL
denti dente
Plur. Nom. Ace. Gen. Abl.-Dat. Lo c. Str.
d-ant-as d-at-as d-at-ilm d-ad-bhyas d-at-su d-ad-bhis
61ì6v1:Eç 666v1:aç Òlì6V"tùJV
dentes dentes dent(i)um dentibus
go t. ''tunpus tunpu
tu np bau
tunpuns tunpiwe
ÒÙOÙOL
li t. dantls danti danties dafiCiui dantyjè dantiml dafitys dantls d antu dantlms dantysè
Nell'alternanza antico indiana d-ant-ld-at- (davanti ad occlusive sonore d-ad-), -a- è il grado zero di -an-, e rappresenta quindi l'esito regolare di '''-'l- cui in ogni caso corrisponde esattamente anche -unin got. tunfJUs, ma probabilmente anche -en- in lat. dent- (v. IV.5.1.); -an- è il relativo grado normale, che corrisponde ad -on- in gr. òùovT-, -an- in lit. dant-, ma anche in aat. zan(d) (donde ted. Zahn), asass. tand, aingl. top (oggi tooth, da '~' tanp-), tutte forme che rappresentano ie. '~'-on-. È chiaro che le forme '~dont- e '~'dnt- alternavano originariamente nel paradigma. La ripartizione delle f~rme è ancora ben conservata in scr., mentre nelle altre lingue venne generalizzata una sola forma apofonica; una eccezione è costituita dal greco, in cui accanto al tema òùovT- (in cui o- è una vocale c. d. protetica) veniva originariamente usata anche la forma al grado allungato òùwv per il nominativo, che però successivamente venne anch'essa sostituita da òùouç da òùovT-ç (l); su '"-on da '~'-onts v. VI.2.7.3. Il paradigma ie. era quindi (2): Sing. *don, *d6nt-f!Z, ''d1Jt-6s, ''d!Jt-éz~ ''d!Jt-i, *d!Jt-é Plur. ·''d6nt-es, ··'d1Jt-1JS (''d6nt-tJs?), *d1Jt-6m (-om), ''d!Jt-bh-, ''d!Jt-su.
Questo tema consonantico subl delle trasformazioni in alcune lingue. Sulla base delle forme dell'ace. tunpu (sg.), tunpuns (pl.), la
201
parola divenne in gotico un tema in -u-; sulla base degli accusativi dantf dantìs diventò in lituano un tema in -i-, ed anche il latino dell'età classica ha normalmente un tema in -i-, cf. dentium e il più arcaico dentum in Varrone. Altrettanto ben conservato in sanscrito è anche il cambiamento dell'accento: grado normale (timbro o) in posizione accentata, grado zero in concomitanza con lo spostamento dell'accento sulla desinenza. (l) Cf. Szemerényi, Syncope 80 s. - Il grado zero è ancora attestato anche in greco: l'avverbio Ma!; è una forma modificata da òùaaa', l'antica forma di locativo òMam da -:'dnt-si, v. Kratylos 17, 1974, 88 - (2) Sull'etimologia v. Szemerényi, 7. Fachtagung, 1985, fine .
2.2.2 . La stessa flessione era originariamente in uso per i participi formati con -nt-, e tale uso è ancora vivo in scr. Così il participio di as- "essere", s-ant- "essente", si declina nel modo seguente (al masch.): sg. san, santam, satas, saté, sati, sata pl. santas, satas, satifm, sadbhyas, satsu, sadbhis. Il paradigma ie. ~'san, '''s6nt-rt:, '''stjt-6s ecc. venne uniformato in horn. Mw Mvw Mvwç Mvn ecc. a vantaggio del timbro o, ma alcuni dialetti hanno ancora conservato direttamente o indirettamente altri gradi apofonici; i lat. absens praesens hanno generalizzato, in -sens, -sentis, il grado zero -Stjt-. Dietro al lat. iens, euntem, euntis ecc. si cela un originario paradigma ~'yon, '''y6nt-tt;z, ~'Ytjt-6s, che portò dapprima a lat. ~'io, i'zòntem, "''ientis ecc.; più tardi il nom. '~io venne sostituito da iens, ed euntem, ottenuto modificando i'zòntem leggermente, divenne con eunt- la norma per il resto del paradigma (cf. IX.6.1.1.). 2.2.3. Modificazioni più profonde ebbero luogo per il nome radicale ~'pont- "via" . Il paradigma originario era: Sing. ''pon, ·''p6nt-11J, ·''p1Jt-6s, ''P!Jl-éi, ''P!Jt-f, ''p!Jt-e
Pl. ·''pont-es, ''p6nl-IJS (''p!Jt-?), ''PIJl-6m, .,,P!Jt-bh-, ''p!jt-su, .,,P!Jt-bhf-
In slavo -:'p6nt-tt;z divenne i'pontz, che aveva l'aspetto di un tema in 202
-i- e finì così per servire da fondamento per il tema in -t'- '''ponti- con gradazione apofonica -o- generalizzata (russo put', serbo put ecc.); in apruss . sopravvive invece, con pt'ntt's, il grado zero '''P?J!- generalizzato. I due gradi apofonici diedero in greco due nomi, entrambi ampliati a diventare temi in -o-: :n:6vwç "mare" e mil::oç "via, sentiero". Il lat. pons, ereditato come tema in consonante, fu trasferito nei temi in -t'-, come d'altra parte quasi tutti gli altri temi in -nt-. Scr. panthas, ace. pantham, gen. path-as e av. panta, ace. pantp.m, gen. pafti5 ecc. sono stati modificati rispetto alle forme ereditate *pi5n, ~'pont??;l, '~'p?J!Os, ecc., nel modo seguente: dapprima il nom. *p a e l'ace. -:'pantam vennero conguagliati divenendo ~'panta ~'pan tam . A questo punto sorsero anche, per analogia con i temi in -n(-a: -anam : -anas), le forme panthanam, panthanas, av. pantanam, pantano. La TA th va probabilmente ascritta a influsso di rath"viaggiare". Lo str. pl. ~'padbhz's, conservato ancora nell'av . .padabtf, venne abbandonato in scr. per via della sua omonimia con "piede" e sostituito da un tema anteconsonantico patht'- . Cf. sul significato Benveniste, Word 10, 1954, 256 s. Sull'alternanza dei temi anche Kurytowicz, Apophonie 377; Kuiper, Indo-Iranian Journal l, 1957, 91 s. Il nom. spesso ipotizzato '"ponteH-s con due gradi normali è impossibile; v. Szemerényi, Akten der 5. Fachtagung 1975, 334 s.; diversamente Mayrhofer, Festschrift G . Neumann, 1982, 178, ma cf. Bammesberger, Studien zur Laryngaltheorie, 1984, 137 s.
B. Temi in nasale e in liquida
È degno di nota il fatto che sia dato trovare ben pochi temi in e in -l-, mentre temi in -n - e in -r- sono presenti in modo massiccio. Per tutti il nom. sg. dell'animato presenta il grado allungato (v. VI.2.7.1.), in ario con perdita della consonante finale, cui può nuovamente subentrare -s (kJas: xftwv ), e così pure in greco. 3.
-m-
3 .l. Per i temi in nasale animati possiamo confrontare tra loro scr. raja "re", gr. O.'X!!LùV "incudine", lit. akmuo "pietra", got. guma " uomo " , l at. homo. 203
scr. Sing. No m. Voc. Ace. Gen. Da t. Lo c. Str.
raja rajan rajanam rajfias rajfie rajan(i) rajfia
Plur. Nom. Ace. Gen. Dat. Lo c. Str.
rajanas rajfias rajfiam rajabhyas rajasu rajabhis
gr.
lit.
got.
lat.
lilqo~wv
akmu6 akmenie akmeni akmefis akmeniui akmenyjè akmeniu
guma guman gumins gumin
homo homo hominem hominis ho mini homine homine
gumans gumans gumane gumam
homines homines hominum hominibus
lilqwv c'bqwva èbqwvoç /btf.IOVL
aXf.IOVEç aXf.!OVaç UXf.!OVWV aXf.IOOL
akmenys akmenis akmençi akmenlms akmenysè akmenimls
Anche qui la distribuzione dei casi forti e deboli è propriamente conservata solo in scr. In gr. ha avuto luogo un conguaglio a vantaggio del grado normale (èbqwvoç secondo èbqwva ecc., oppure rroq.tÉvoç secondo l'tOLf.tÉVa da rroq.t{jv "pastore"), o del grado allungato (àyxwv, -wva, -wvoç "gomito"); resti del grado zero compaiono in àgvoç da àg{jv "agnello", xuvoç accanto a xuwv "cane" (1), pindarico cpgao( (da ~' -?JSZ') accanto a cpgÉvEç. Relitti di grado zero di questo tipo si trovano anche in germanico, cf. got. gen. pl. auhs-n-e, dat. pl. auhsum (da '''uhs-un-miz da '"-?J-mis), che divergono dal tipo generale gum-an-e gumam (-am da -an-mis) ma concordano assai bene col scr. uk~a "bue", parola imparentata dalle origini, i cui casi corrispondenti suonano uk~-~J-iim uk~-a-bhis (da ~'-?J-bh-) . In latino l'alternanza apofonica è stata scompigliata dall'indebolimento o dalla caduta delle vocali brevi successive alla prima sillaba; in lit. (e slavo) essa si è ridotta allo scambio -on-1-en- . Tale scambio nel timbro vocalico compare anche in germ., cf. got. guman gumins da ie. ~'-on - 1?! ~'-en-os, e risale sicuramente alla lingua-base. Si può così pervenire alla ricostruzione seguente della flessione in ie. (2):
No m. Ace. Gen. Lo c.
204
Sin g.
Plur.
''-6n *-en-rp *-(e)n-os *-en-1.
*-en-es *-(e)n-gs *-n-om, -n-6m *-1).-SU.
È possibile che in ie. accanto a '~-i5n vi fosse al nom. sg. anche 1'-en, e che, secondo '~-on già in ie. fossero stati formati in ace. ;, -on-m e un noni. pl. '~-on-es. Vi sono inoltre indizi circa l'esistenza (nei ~o nosillabi?) anche di un gen. sg. in '~-en-s 1'-em-s, con grado zero del suffisso 1'-os e grado normale della part'e precedente; cf. av. xvJng "del sole", dJng "della casa", da ie. '''swen-s, '''dem-s. Quest'ultima forma sarà presente anche in '~doms-potis "signore della casa" (leggermente modificato in gr. 6w:rc6't'Y]ç) (3). Sul loc. sg. v. sopra, 2.1.(5). (l) Sulla trasformazione in lat. canis, v. Szemerényi, Studi V. Pisani,
1969, 979-984. - (2) Kurytowicz, Apophonie 62 s.; Szemerényi, Numerals 158 s.; Benediktsson, On the inflection of the n-stems in IndoEuropean, NTS 22, 1968, 7-31.- (3) Szemerényi, Syncope 374 s. e 410; SMEA 20, 1980, 220 s.
3.2. Ad illustrare i temi in nasale dell'inanimato si presta la parola per "nome"; in ogni numero il nom., voc. e ace. vengono rappresentati da un'unica forma. scr.
lat.
go t.
Sing. Nom . Gen. Dat . Lo c. Str.
nlima nlimnas nlimne nam(a)ni nlimnli
nomen nominis nomini nomine nomine
namo namins
Plur. Nom . Gen. Da t. Lo c. Str.
nlimli(ni) nlimnlim nlimabhyas nlimasu nlimabhis
nomina nominum nomini bus
namna namne namnam
nominibus
namin
asl. im~
imene imeni imene imenlml imena imenìl imenlmìl imenlxìl imeny
La desinenza del no m. sing. risale a 1' -1J, che ha dato regolarmente nama ni5men (e gr. ovo~-ta); in asl. si sarebbe dovuto avere (im)'t (v. IV.5.4.), ma il tema imen-, presente in tutto il paradigma (1), venne introdotto anche nel nom., dove divenne naturalmente imr; tuttora poco chiaro è il got. namo, che sembra essere stato trasformato in (4). -Al nom. pl. la qualche modo dall'atteso -~'namu (da -un < ''' -n) o 205
maggior parte delle lingue presenta la continuazione di ie. ~' -a, p. es. lat. nomina ecc. Solo l'ario diverge da questo tipo di formazione. In indiano si trovano sia nama sia namani; ad essi corrispondono in avestico -an (p. es. namym) e -ani (p. es. afimanz "versi"), e forse anche -a (2). Sembra evidente che -a sia l'esito normale in ario di '~ -an (cf. VI.2 .7.3.), mentre -ani rappresenta la stessa forma con la vocale di sostegno -i; ambedue si saranno sviluppate a partire da ie. '"-i5n, per la precisione in modo che in sandhi anteconsonantico sorse -a, in sandhi antevocalico -an (3). (l) Sulle diversità nella sillaba radicale v. Szemerényi, Syncope 243 s. (2) V. Kuiper, Shortening of final vowels in the RV, 1955, 13 s.- (3) Il confronto spesso avanzato con got. hairti5na "cuori" sulla base di un ie. '"-i5n- (così anche Kuiper 16. 36) ha il conforto, dal punto di vista strutturale, di scr. catvari "quattro" (nom. pl. n.). La desinenza '"-i5n deve essere sorta da 1'-on-h, dove solo h era la marca di plurale. Cf. inoltre Kurytowicz, Gedenkschrift W. Brandenstein, 1968, 86. - (4) V. Polomé, RBPh 45, 1968, 821.
3.3. I temi in liquida - perlopiù temi in -r- - hanno fondamentalmente la stessa flessione dei temi in nasale. Cf.
Sing. Nom. Ace. Gen. Da t . Lo c. Str. Plur.
Nom . Ace. Gen. Da t. Lo c. Str.
scr.
horn.
lat.
asl.
ma t a mataram matur ma tre matari matra
!lfJl;'l']g
mater matrem matris matri ma tre ma tre
m ati ma t eri matere ma t eri mat eri materlj9
mataras matfs matfl).am matrbhyas matHu maqbhis
!l'l']'tÉQEç
ma tres matres matrum matribus
mat eri ma t eri materu materlmu mater'lxu materlmi
!l'l']'tÉQU ll1'JTQ6ç
!l'l']'tÉQL
!l'l']'tÉQaç !l'l']'tQÙJV
!l'l']'tQOOL
matribus
Anche qui in ie. le alternanze apofoniche erano:
206
No m. Ace. Gen. Loc.
Sing.
Phir.
*-er *-er-rp *-r-os *-er-i
*-er-es *-r-Qs *-r-om/-om *-r-su
Questa ripartizione è tuttavia mantenuta nel solo scr. e parzialmente in gr., altrove essa è stata uniformata in misura piuttosto estesa; cf. p. es. il tema unico mater- in asl. -Una formazione casuale notevole e fin qui non ancora chiarita in modo soddisfacente si trova nel gen. sg. scr., che è certamente sorto da '~'-rs come av. -aras = rs, cui corrisponde anche anord. -ur da -urs (a~ord. fp'Dur da '~'patrs),o anche se da ciò non ci aspetteremmo un esito -ur; la formazione ooriginaria deve comunque essere stata '''-r-os (1). - L'ace. pl. matfs si contrappone ad un masch . pitfn; ambedue sono innovati, al posto di '~'ma tras -:'pitras (da ,., -1}5) originari, per analogia con i temi in -i- e in -u-; la situazione arcaica è conservata ancora in usr-as "aurore", e così pure l'originario gen. sg. nell'omofono usr-as e in nar-as "dell'uomo" (v. 3.3_1.). -Anche il gen. pl. ma!f7Jam, pi!f7Jam è innovato in luogo di -:'pitram -:'matram (cf. f!'YJ'tQ&v), e la formazione arcaica è ancora attestata in naram "degli uomini" , svasram "delle sorelle". - In asl. al nom. sg. *mat'er è divenuto mati con caduta di -r finale ed innalzamento di e; cf. anche lit. m6te (oggi per lo più m6teris) "donna". L'ace. sg. ha -t da -im da '~-'?}, pl. -i da -ins da '''-1JS. Al dat. loc. str. pl. le desinenze vengono posposte al tema con l'aggiunta di -'f-, allo stesso modo in cui anche il lat. patribus presenta una -i- davanti a -bus; in ambedue le lingue la -i- è stata assunta a partire dai temi in
-i-
o
(l) V. Bammesberger, JIES 11, 1983, 105 s.
3.3.1. Tra i temi in -r- di genere animato merita di essere segnalato '''ner- "uomo", che in gr. compare come àvt::g- con vocale protetica. 'In greco è piuttosto ben conservata nello stato primitivo anche l'alternanza apofonica. Le forme om eriche àvi]g-àvÉga-àv6g6ç-àv6g(àvÉgEç-av6gaç-àv6gwv-àv6gam continuano il paradigma regolare *nerrnér-m/'~'nr-6s/'~'nr-i/-:'nér-esFnr-ns/'~'nr-i5m/'~'nr-su da cui disceno o o o o' 00
207
dono in vedico naram (ace. sg.), naras (gen. sg.), nare (dat. sg.), naras (nom. pl.), naram (gen. pl.); il gruppo consonantico -v6g- del greco si basa sull'esito fonetico di nr > ndr, che è noto anche altrove (p. es. fiammingo Hendrzk da Henrik), e àvg- in luogo di ''' &Qriceveva la nasale caratteristica, allo stesso modo in cui anche l'indiano nar- restituisce la nasale. Il tema '''ner- soprawive anche in territorio italico: l'osco ha il nom. sg. niir "princeps" da '~ner e il gen. pl. nerum, l'umbro ha il dat. pl. nerus "principibus" e l'ace. pl. ner/; il nome Nero è parola dialettale formata sullo stesso tema ("il virile"). 3.3.2. Un neutro arcaico è conservato nell'omerico xf]g "cuore". Esso continua un ie. ~'ker, che proviene da ~'kerd con assimilazione e successivo allungamento (VI.2.7.5.); è conservato anche nell'itt. ker, scritto SÀ-ir e kir. Le forme che dovremmo aspettarci per il gen. e il dat., ''' krd-6s e '"krd-i sono state soppiantate da horn. (xf]goç,) xf]gt, ma soprawivono, sia pure con una modifica all'iniziale (V.4.3.), in scr. hrd-as e hrd-i (2). Al nom. ci aspetteremmo in scr. '''ha (da '~har), ma dal momento che in tale guisa la forma sarebbe stata irriconoscibile, vennero restaurate per maggiore chiarezza sia -r- finale sia, addirittura, il suono finale -d; una forma *hard richiedeva, date le leggi che regolano l'uscita delle parole scr., una vocale e fu cosl che sorse hardi. L'ie. ker è conservato anche nell'apruss. szr(an), seyr, e il tono acuto della lunghezza soprawive ancora nell'intonazione acuta del lit. sirdìs, sìrdf' (1). Il lat. cor, cordis presenterà il grado apofonico di timbro o, cf. il caso opposto di pes: nwç. In parecchie lingue l'antico nome radicale è stato soppiantato da un derivato; cf. xag6(a (da '~krd-iya), airl. cride (da '"krdiyom), asl. srud'fce (da ~'krd-iko-), e, con ampliamento in nasale, got. hairto, gen. hairtins, aat. herza, herzin (2) .
(l) Cf. Szemerényi, KZ 75, 1958, 179'; SMEA 3, 1967, 66 nota 74; Stang, Vergl. Gram. der balt. Sprachen, 1966, 158 (poco chiaro a proposito di -d). - (2) V. di recente Szemerényi, ker.
3.4. 208
In un gruppo di cosiddetti eterocliti di genere neutro travia-
mo un'unione di temi in -r- e temi in -n-; il tema in -r- compare solo nel nom.-acc. del singolare. Ne fanno parte lat. /emurl/emt'nt's "femore" e t'ecur/t'oànerz's "fegato" (uniformato da un precedente *t'ecorl"t'eànz's, con una trasformazione di t'eànorz's in t'oànerz's), scr. yakrtlyaknas "fegato" . A quest'ultima forma corrisponde il gr. ~nag l ~nm:oç, cosl che -m:oç del gen. deve esser fatto risalire a ;'-ntos. Identico tipo di formazione troviamo in Mwg Mm:oç "acqua< cui corrisponde in umbro nom. utur, loc. une da ud-n-i, in got. nom. wato da ;'wodor, gen. watins da ;,woden(o)s (cf. asass. watar, aat. wazzar); l'ittito ha ben conservato wadar, gen. wedenas, ma ha anche esteso, in modo particolarmente ampio, questo tipo di declinazione che iÌwece sopravvive nelle altre lingue solo con pochi relitti. L'ampliamento con -t- (''' -JJ-t-os) che si evidenzia in ~nm:oç, Matoç ecc. si verifica in greco anche per altri gruppi. P . es., il mero tema in -n- del lat. nomen nominis è in greco trasformato nel tema in -tovo!-1-a, òv6!lm:oç (da '''-mn-tos), il che costituisce di sicuro un'innovazione del greco (1). o (l) Su questi temi in -t- secondari, v. il lavoro della mia discepola J. Forster, The history of t-stems in Greek, Univ. of London thesis, 1967, in partic. 116 s., 133 s., 241 s.- Su iecur cf. inoltre Szemerényi, KZ 73, 1956, 191, e in particolare Akten der 5. Fachtagung, 1975, 332 s.
C. Temi in -s4.1. La flessione dei temi in -s-, in grande maggioranza neutri, è ben conservata in parecchie lingue. Cf. ;, genos "genere", ,.,nebhos "nube" :
Sing. Nom. Gen. Dat. Lo c. Str.
scr.
horn.
lat.
asl.
janas janas-as janas-e janas-i janas-a
yÉvoç yÉveoç
genus generis generi genere genere
nebo "cielo" nebese nebes i nebese nebeslml
yÉvE'L
209
Plur. Nom. Gen. Da t. Lo c. Str.
scr.
horn.
lat.
asl.
janamsi janas-am jano-bhyas janas-su jano-bhis
yÉvEa
genera generum generibus
nebesa nebesu nebeslmu nebeslxu nebesy
YEVÉWV yÉVEOOL
generibus
La ricostruzione dà
Nom. Gen. Lo c.
Sing.
Plur.
''genos, '''nebhos ''genes-os, ''nebhes-os ''genes-i, ''nebhes-i
''genes-a, ''nebhes-a ''genes-om, *nebhes-om ''genes-su, ''nebhes-su.
L'apofonia qualitativa tra il nom.-acc. sg. e tutti gli altri casi è particolarmente evidente in gr. e asl., ma anche in latino è tutt'altro che irriconoscibile. In got. -es- è penetrato anche nel nom. a seguito di un livellamento analogico: riqiz, riqizis "oscurità" (1). Al nom. pl. la forma ie. '''genes-a che abbiamo ricostruito si accorda solo con gr., lat. e asl., ma non col scr. In scr. janamsi occorre anzitutto lasciare da parte la nasalizzazione, che costituisce un'innovazione prodottasi per analogia con i temi in -nt- (2); la forma rimanente, ~'(jan)asi, si confronta con la desinenza -as che sopravvive in avestico. Il rapporto intercorrente tra queste due desinenze è lo stesso che vi è tra scr. -ani ed av. -an nei temi in -n- (v. sopra, 3.2.), cioè la terminazione era -as, probabilmente sorta da ~, -os, ie. ~'-os-h (3 ). (l) Sull'alternanza -es-1-os- v. Kurytowicz, Apophonie 67 s. - (2) Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. III 288.- (3) V. Kuiper, l. cit. (sopra, 3.2.), ma non ''' -iisH. Per l'apofonia v. Schindler, 5. Fachtagung, 1975, 259267.
4.2. Accanto ai neutri esistono gruppi minori di temi in -s- appartenenti al genere animato e terminanti in -os, p. es. gr. _at6wç, auwç, i]wç, ewç; lat. honos, flos . La loro flessione è identica a quella dei neutri, solo che per essi, in quanto animati, il nom. e l'ace. (nonché il voc.) sono formalmente differenziati. Il grado allungato del nom. sg. è sorto da 7'-os-s (v. VI.2.7.1.). In gr. è stato generalizzato il 210
timbro apofonico o, in contrappos1z10ne ai nomi neutri, p. es. ace. sg. at6& da "~'-os-n;z, gen. sg. at6ouç da "~'-os-os, dat. sg. at6oi: da "~'-os i; solo sporadicamente è possibile ritrovare il timbro e in qualche forma isolata. In lat. si è in generale esteso non solo il timbro o, ma anche il grado allungato del nominativo, l'unica eccezione è arbos (Verg. Georg. II 66): arbOris; a ciò si aggiunge, inoltre, la rapida penetrazione nel nom. sg. di r sorta da s in posizione intervocalica, cosl che honoslhonorem venne sostituito da honor!honorem. Inoltre a partire da Plauto -or venne abbreviato in misura crescente in -or, la qual cosa portò al rapporto -or/-orem, cioè al ribaltamento della situazione ie. Sui comparativi in 1'-yos e sui participi attivi del perfetto v. Szemerényi, The Mycenaean and historical Greek comparative, Studia Mycenaea, Briinn 1968, 25-36; The perfect participle active in Mycenaean and IE, SMEA 2, 1967, 7-26; e più avanti, 8.4., IX.6.1.2.
D. Temi in -i-, -u- e in dittongo
5. I temi in -i- e in -u- si flettono- soprattutto in scr. - secondo due modelli, che possiamo distinguere come tipo I e tipo II (l) o come flessione chiusa e flessione aperta (2). (l) Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. III 138. - (2) Kurytowicz, Études 138, Apophonie 132, Categories 220.
5.1. Il tipo I può venire illustrato da scr. agnis "fuoco" = lat. ignis, gr. noÀ.Lç, asl. gostt "ospite", go t. qens "donna", e da scr. biihus "braccio" = gr. nfixuç, lat. manus, got. sunus "figlio" = asl. synu. a) Sing. Nom. Voc. Ace. Gen. Da t. Loc. Str.
scr.
gr.
lat.
go t.
asl.
agnis agne agnim agnes agnaye agnli(u) (agninli)
n6ì.Lç n6ì.L JtOÌ..LV n6ì..Ewç JtOÌ..EL JtOÌ..rJL
ignis
qens
ignem ignis igni
qen qenais
gostl gosti gostl gosti gosti gosti gostiml
qenai
211
Plur. Nom. Ace. Gen. Dat. Loc. Str.
b)
scr.
gr.
lat.
go t.
asl.
agnayas agnin agniniim agnibhyas
'tQEtç 'tQLVç 'tQLÙlV
ignes ignis ignium ignibus
qeneis qenins qene qenim
agni~u
't QLOL
gostlje gosti gostlj gostimu gostlxu gostlmi
agnibhis
ignibus
scr.
gr.
lat.
got.
asl.
Sing. Nom . Voc. Ace. Gen. Da t. Lo c. Str.
bahus baho bahum bahos bah ave baha(u) (bah unii)
niixuç niixu niixuv m'txwç 1t1lXEL
manus
sunus sunau sunu sunaus
synu synu synu synu synovi synu synuml
Plur. No m. Ace. Gen. Da t. Lo c. Str.
bahavas bah un bahiiniim bahubhyas
1t~XEEç
bahu~u
1t~XEOL
bahubhis
manum maniis manui
sunau
n~xwç
1t~XEUJV
ma nus maniis manuum manibus manibus
sunjus sununs suniw e sunum
synove syny synovu synumu synuxu synumi
Da questi paradigmi balza all'occhio come i tem1 m -i- e quelli in -u- presentino un notevole accordo nel tipo I. Al nom. e ace. sg. la vocale del tema -i- e -u- appare ampliata colla marca del caso, che è risp. '"-s e '''-m: ~'-is '''-im, '''-us ~'-um; in lat., vuoi per evoluzione fonetica, vuoi per analogia con i temi in consonante, ~'-im è diventato -em, in asl. è passato a -z, e così pure ~'-um è passato a -u, mentre in go t. ~' -im è passato a 0, ma ~' -um a -u. - Il voc. termina in '"-e i '''-ou, quest'ultima terminazione in modo particolarmente chiaro in got. sunau e lit. sunau, mentre ~'-ei è conservato in TI6oEL(-òawv) "o signore" = scr. pare; il nudo tema -i -u in gr. e parzialmente in got. ha subito l'influsso del nom. (1) . - Per il gen. sg. è dimostrata la presenza di un dittongo, cioè risp. '"-eis o ~'-ois (su noÀEwç ~. 5.3., su ignis, 5.2.), e ~'-ous (su n{JxEOç v. 5.3.). -Il dat. sg. terminava, giusta la testimonianza del scr., in '"-eyei (vale a dire la terminazione ~'-ei aggiunta al grado normale della vocale -i- del tema) e, nei temi in -u-, in -~'-owei (richiesto dalle forme asl.) o ~'-ewei (gr.), il che mostra 212
la medesima struttura di ~' -eyei. Il lat., l'asl. (e illit.) accennano per i temi in -i- ad ~' -ei, che è chiaramente sorto da ~' -eyei (= ~' -ei raddoppiato) per aplologia; nei temi in -u- '''-owei ha dato regolarmente in lat. -uwt, -ut. - Il loc. sg. aveva, come provato dal scr., rispettivamente un dittongo lungo e una vocale lunga. Per i temi in -i- la terminazione si può determinare, tramite il gr., come ~,-e, che è conciliabile con la vocale -i- del tema solo a patto di ricondurla a ~' -ei; con ~'-ei concorda anche il got. Nei temi in -u- asl. (e lit.) e germanico occidentale (aingl. e asass .) concordano nel rimandare a -ou, che potrebbe essere alla base anche di got. -au, benché quest'ultimo possa eventualmente risalire, con protonord. -iu, a '''-eu (2). - Il nom. pl. terminava in a) ~'-ey-es, ovvero b) '''-ew-es o c) ~'-ow-es. Da a) sorsero, previa caduta di -y- intervocalica, lat. -es, che sostituì anche nei temi in consonante -es ereditario, e gr. -es, che in ion.-att. è scritto -Elç; 7'-eyes ha dato got. -ijis > -ts (scritto -eis), mentre asl. -'ije, da -iyes, ha assunto -i- dagli altri casi al plurale. A b) rimandano il gr. e il got. (-jus da '''-iwis da ~'-ewes), mentre c) è richiesto dall'asl. e forse da un dialetto lit. (3) e dall' aingl. - L'ace. p l. aveva le desinenze '~'-i-ns '''-u-ns la cui struttura non ha bisogno di chiarimenti. Il gen. pl. terminava risp. in ''' -i-(y)om, '''-om e '~'-u-(w)om, '~'-om; quest'ultimo venne anche modificato in '''-ew-om, '''-om o '''-ow-om, *-om . - I rimanenti casi del plurale aggiungevano le desinenze che conosciamo al tema in -i- o -u-. Sulla base di queste constatazioni possiamo stabilire per l'ie. i seguenti paradigmi: Plur.
Sing.
Da t.
·k-is ''-ei *-im '' -eis/ -ois *-eyei
Lo c.
~·r-ei
Nom . Voc. Ace. Gen.
*-us *-ou
''-eyes
. . -um
''-ins ''-iyom ''-i-bh'"-isu
~
'' -ous/ -eus '' -oweil-ewei ''-ou/-eu
'' -owes/ -ewes -uns ''-uwom '''-u-bh''-usu
~·(
(l) Kurytowicz, Categories 198 s. : -ei, -ou innovati da -i -u. Cf. anche Watkins, Trivium l, 1966, 113 s.; Winter, Vocative 210 s. - (2) V. Vl.2.7 .7.- (3) Stang, Vgl. Gram. 216.
213
5.2.
Il tipo II (l) si differenzia per il fatto che la vocale del tema,
-i- o -u-, non presenta variazioni apofoniche, ma compare «immutata» prima delle desinenze, diventando, naturalmente, y o w davanti a vocale. Tale tipo è conservato nel modo migliore in scr., ma relitti se ne trovano anche in av., gr. e perfino in germ. Secondo questo tipo si declinano, in vedico, 4 temi in -i- (ari"straniero" (2), avi- "pecora", pati- "marito", sakhi- "amico") e 7 temi in -u- (p. es. kratu- "intelletto", madhu- "miele", pasu"bestiame" ecc.):
Nom. Voc. Ace. Gen. Da t. Lo c. Str.
Sing.
Plur.
aris, kratus are (2) arim, kratum aryas, avyas, krarvas, pasvas patye, krarve, pasve kratau patya, krarva, madhva, pasva
aryas aryas, pasvas, av. pasv6 av. pasv\'ffi
kratubhis
Questo tipo è visibile in gr. O(F)lç "pecora", gen. sg. ot6ç, gen. p l. otwv, nom. pl. oiEç da '''awis, ~'awyas, ~'awyom, 7'awyes. Ad esso si aggiungono y6vu, youv6ç, yoiiva, youvwv; Mgu, 6oug6ç, 6oug(, 6oiiga, 6ougwy in Omero ("ginocchio" e "lancia"), da '''ganu, ~'ganwas, '~ganwa , '''ganwom ecc. Lat. avis avrà avuto la stessa flessione, p. es. gen. sg. avis da 7'awyas (come alis nom. sg. da ~'alyas accanto al consueto alius); ciò avrà contribuito anche all'estensione della desinenza di gen. -is nei temi in -i- . Le parole germ. per "mento" (ted. Kinn) e "uomo" (ted. Mann) devono a questa flessione il loro aspetto. Il primo è in got. kinnus, in cui -nn- è sorto da -nw- presente nel gen. sg. '~kenwas, nel dat. sg. '''kenwei ecc. da ie. ~'genus, ~'genw-as (cf. yÉvuç), ed il secondo è anch'esso derivato da una trasformazione di '''manus, 7'manwas, cf. got. gen. sg. mans, dat. sg. mann, n0m. pl. mans. (l) Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. III 138; Hock, JAOS 94, 1974, 89 s. - (2) Thieme, Der Fremdling im Rgveda, 1938; Szemerényi, Kinship terminology, 1978, 125 s.
214
5.3. N eli' accingersi a ricostruire la preistoria di questi due tipi di declinazione va anzitutto stabilito che oggi sotto l'influsso dell'alternanza et/i, eulu si è soliti ritenere che il suffisso fosse -1'-ei- -~'-eu-, ovvero -1, -tei- ,., -teu- ecc. (l). Dal momento però che oggi siamo tornati a riconoscere i ed u come membri a pieno titolo del sistema vocalico ie., non vi è alcun motivo di ritenere che nel tipo II '''owi-s/ -l'owy-os il tema sia mai stato -l'owei-; la parola deve essere stata da sempre '~'owis, come pure "bestiame" deve sempre essere stato ''peku(s), e non '~'pekeus. Dovremo anzi chiederci se non sia possibile addirittura che anche i tipi I '" -is/'' -eis, '~'-usi'~' -ous non si basino su -ie -u- come vocali di partenza, vale a dire, se -ei- e -ou- non vi siano sorti secondariamente. A questo proposito è importante la .constatazione del fatto che nel tipo II i nominativi -isl-us sono sempre preceduti da una consonante, mentre nel tipo I vi sono almeno due consonanti (p. es. ignis), o vi erano un tempo (p. es. scr. mati- "pensiero" da '~'m1j-ti- da -l'menti-), o vi è una sillaba pesante con vocale lunga (p. es. -J'bhaghus "braccio"); infatti ciò induce a pensare che la differenza ''-yos/'''-eis, ''-wos/'~'-ous sia connessa con questo fatto. Elaborando questa idea si ricaveranno due tipi originari: II
I Sing. Nom. Ace. Gen. Dat.
''pot-i-s ''pot-i-m *pot-i-os *pot-i-ei
*kret-u-s *kret-u-m ''kret-u-os ''kret-u-ei
''men-ti-s ''men-ti-m ''men-ti-os *men-ti-ei
''bhagh-u-s ''bhagh-u-m ''bhagh-u-os ''bhagh-u-ei
Plur. No m. Ace. Gen.
''pot-i-es *pot-i-ns *pot-i-om
*kret-u-es *kret-u-ns ''kret-u-om
*men-ti-es *men-ti-ns *men-ti-om
*bhagh-u-es *bhagh-u-ns ''bhagh-u-om
Da I discenderanno naturalmente, mediante il semplice passaggio di ·"-i-os a '''-yos ecc., i tipi II delle prime epoche storiche. La costituzione sillabica delle fasi antiche dell'ie. («Fruhindogermanisch») non consentiva però un'analoga evoluzione per II: '~'men-ti-os non poteva dare ''' mentyos ma solo '''mentiyos, e '"bhagh-u-os solo '''bhaghuwos. Se a queste forme in epoca storica vediamo corrispondere -l'm1Jleis e -J'bhaghous, dobbiamo concludere che '"mentiyos deve essere passato 215
a '~mentéyos e, dopo l'entrata in vigore delle leggi del grado zero, a '''m(e)ntéy(o)s, cioè '''m1Jtéis, e allo stesso modo '~'bhaghuwos avrà dato '~'bhaghow(o)s, cioè '~'bhaghous (2). Con questa ipotesi è anche possibile spiegare perché nei temi in -i- compaia ei e in quelli in -u- ou. «Conformi alla fonetica» sarebbero stati in principio gen. '~'-eis/'''-ous, dat. '''-eyeil''-owei, nom. pl. '''-eyesl*-owes. L'accostamento dei due paradigmi, strutturalmente identici, condusse però a conguagli analogici, così che sorsero anche '~ -eis/'< -eus e ,., -ous/'~' -ois, ,., -eyez/i' -ewei, '~ -eyes/i' -ewes. Nelloc. sg., ''-ey-i e '''-ow-i diedero -ei e -ou (v. sopra, VI.2.7.7 .), e più tardi anche -eil-eu. - La desinenza greca del gen. (rri)x)wç è rifatta su -oç da -Euç; (rr6À)Ewç è sorto da (rr6À)rJoç, che a sua volta era rifatto da (rr6À)wç secondo illoc. rr6Àl]-L. (l) Cf. Meillet, Introduction8 253, 261, 273-4.- (2) Un po' diversamente Kiparsky, Lg. 49, 1973, 817-8. Addendum. Il tipo greco in -euç (p. es. ~amÀeuç "re") è una innovazione del gr. arcaico a partire da materiale ie. e quindi né un tipo ereditato dall'ie. né attinto all'ambiente mediterraneo; cf. Szemerényi, Gedenkschrift Kretschmer II, 1957, 159 s.; Atti e memorie dello Congresso di Miceneologia, 1968, 720 s.; SMEA 6, 1968, 7-13; Kratylos 18, 1974, 43-53 (sull'opera di Perpillou).
5.4. Condizioni particolari determinarono un paradigma caratteristico per '''reh-i- "possesso, cosa" e per '''nah-u-, "natante, nave". Queste parole seguirono il tipo II, e così sorsero Sing. Nom. Ace. Gen. Dat.
''reh-i-s '''reh-i-m ''reh-y-os ''reh-y-ei
''nah-u-s *nah-u-m ''nah-w-os *nah-w-ei
Plur. *reh-y-es ''reh-i-ns 1 'reh-y-om ''reh-i-bh(y)os
''nah-w-es *nah-u-ns *nah-w-om *nah-u-bh(y)os
In vedico troviamo ancora i paradigmi rayis/rayas e naus/navas, sorti secondo la normale evoluzione fonetica dopo la caduta di h (davanti a consonante con allungamento della vocale precedente). Al secondo nome corrisponde anche horn. vrruç, VlJ(F)6<;, att. vauç,
216
vewç, che in lat. è diventato un tema in -i- (1). le. '''rehisl"rehyos ha dato in lat. res (2) . (l) Szemerényi, Lat. res and the IE long-diphthong stem nouns, KZ 73, 1956, 185 s. - (2) Id., ibid. 167 s.; v. anche Schindler, Sprache 19, 1973, 148 s.
5.5. Veri e propri temi in dittongo sono i termini importanti per "lucé diurna, cielo, dio del cielo", '''dyeu- e per "vacca", '~gwou-. La flessione, complicata, si evince da un semplice confronto dei paradigmi: a) Nom. Voc. Ace. Gen. Da t. Lo c. Str.
scr.
gr.
lat.
dyaus (dyaus) dyam divas dive divf!dyavi diva
zeuç Zeù Ziiv
diiis (l) lii(piter) diem lovis Iovl love Iove
~L(F)6 ç
~L(f)ei-qnì.o ç ~L( F) L
Il nom. sg. scr. dyaus rimanda a un ie. ~'dyeus col grado allungato, mentre il voc. aveva il grado normale: '''dyeu ha dato Zeii e lat. Iu(dy- > y- e eu > ou), che era sempre unito a pater (cf. Zeii n:a't'eg), dal che sorse IUpiter (con allungamento espressivo Iuppiter). Le maggiori particolarità si riscontrano nell'ace.: dyam = Zijv = diem (abbreviato da diem) rimandano a un ie. ~'dyem/-:'diyem (v. V.7.2 .2.). I casi deboli sono formati dal grado zero di ,., dyeu-, cioè ~' diw-: gen. ~'diw-os, dat. ~'diwcei. Al loc. troviamo sia il grado normale sia il grado zero: scr. dyav-i e div-i. Il grado normale è alla base di lat. Iove (da '''dyewi), Iovz (da ~'dyew-ei), secondo cui vennero formati anche Iovis e Iovem, mentre l'ace. diem ha prodotto da una parte un nom. dies e Dies-piter, dall'altra i casi obliqui diei die ecc., col che il termine originariamente unitario finì per essere diviso in due paradigmi. L'ipotesi che il nom. sg. fosse formato per mezzo di allungamento e -s, fosse cioè ~'dyeus, mentre l'ace., originariamente ~'dyeum, si sarebbe allungato in '''dyeum secondo il nom. perdendo il secondo ele217
mento del dittongo, contraddice i principi strutturali della flessione ie. (2). Occorrerà piuttosto considerare originari ·:'dyeus/'''dyeum (3); l'ace. sarà divenuto allora '''dyem mediante assorbimento di u ed allungamento di compenso, e da ciò la lunga si sarà trasferita in ario anche al nom.
= l'altro ieri".(2) Così ancora Lindeman, NTS 21, 1967, 133 s.; Lane, KZ 81, 1968, 200 s.- (3) Szemerényi, KZ 73, 1956, 186 s.; ammesso da Stang, Symbolae Kurytowicz, 1965, 292 s., e da Kurytowicz, IG 220; con un falso sviluppo da Schindler, Sprache 19, 1973, 154. (l) Nell'espressione nu-dius tertius "ora è il terzo giorno
b) Sin g.
Plur.
scr.
gr.
Nom. Ace. Gen. Da t. Loc. Str.
gaus gam gas gave gavi gava
~ouç
No m. Ace. Gen. Lo c.
gavas gas gavam
~O(F)Eç ~wç (dorico)
go~u
~ouo(
~wv
lat. (dorico)
~O(f)Oç ~O(f)L
~OÒJV
umbro
bos bovem bovis bovi bove bove
bum
bue
boves boves boum
buf buo
Anche qui l'accordo di scr. gam = ~&v = u. bum, gas = ~wç = buf (per il suono iniziale cf. IV.7.5.2 .) prova per l'ace. risp. sg. e pl. le forme ~'gwom e ,·,gwo(n)s, e anche tali due forme saranno sorte da '~gwoum e ,·,gwouns, v. sopra, (3 ); secondo queste è stato rifatto, per lo meno in ario, un nom. '"gwous da '"gwous. Il gen. è '"gwowos in quelle lingue in cui il nom. è rimasto ,·,gwous, ma ~'gwous in quelle (arie) in cui quest'ultimo è diventato 1'gwous. Possiamo quindi ricostruire, per questi nomi, i seguenti paradigmi 1e.: Sing. Nom. Voc. Ace. Gen. Lo c.
218
*dyeus *dyeu *dyem *diw6s *dyéwi
Plur. *gwous ''gwou ''gwom ''gwow6s '''gwowi
''gwom ''gwous *gwowi
*gwos *gwowom *gwousu
E. Temi in -e-l -o- («tematici»)
6. Così vengono chiamati quei temi che presentano all'uscita una vocale caratteristica, che nella maggior parte dei casi è o ma in qualche caso anche e, e che perciò vengono anche chiamati temi in -o o, per la precisione, temi. in -e-l -o- (l). Per ricostruirne la flessione, il materiale, che si può osservare nella parola per "lupo" e, per i neutri, in quella per "giogo", si presenta sostanzialmente come segue: scr.
gr.
lat.
lit.
asl.
got.
Sg. N. Voc. Ace. Gen. Ab!. Da t. Loc. Str.
vrkas vrka vrkam vrkasya vrkad vrkaya vrke vrka, -eQ.a
Mxoç Mxe Mxov ÀUXOLO
lupus lupe lupum lupi lupo( d) lupo(i) domi
vilkas vilke vilkf!
vllku vl! ce vl!ku
wulfs wulf wulf wulfis
vilko vilkui vilke vilku
vllka vllku vlke vllkoml
Du. N. G.-L. D.-Ab.
vrka vrkayos vrkabhyam
)..lJXCù Mxouv
vilku vilkam
vllka vllku vllkoma
P!. N. Ace. G. D.-Ab!. L. I.
vrkas vrkan(s) vrkaQ.am vrkebhyas
ÀUXOL ì:uxouç Mxoov
lupi lupos luporum
Ì:UXOLOL ì.uxOLç
lupis lupis
vllci vllky vllku vllkomu vlicexu vllky
wulfos wulfans wulfe wulfam
vrke~u
vilkai vilkus vilk11 vilkams vilkuose vilkais
Sg. N. Du. N. P!. N.
yugam yuge yuga(ni)
~uy6v
iugum
igo i(d)ze iga
juk
6.1.
vrkais
Mxun (otXOl)
~uyw ~uya
iuga
wulfa? wulfa
juka
Questi temi erano o maschili o neutri, col nom. sg. risp. in
-os e -om; femminili in -os sembrano un'innovazione delle ·lingue classiche, e neutri in -os (-us) una del latino (2). Sarà bene anzitutto
occuparsi delle forme maschili. 6.2.
Il nom. e l'ace. sg. presentano ovunque le desinenze -os e 219
-om ovvero 1 nspett1v1 esltl, p. es. -us -um in lat. classico. Il voc. presenta invece -e come vocale caratteristica: a causa di ciò in asl. si viene a produrre una differenza tra vl'fce con palatalizzazione e il nom. vl'fku. - È questa la sola classe di declinazione nominale in cui si ha modo di osservare una differenziazione formale al singolare tra gen. e ab l. In latino arcaico l'ab l. presenta la terminazione -od (-d cade intorno al 200 a.C.) e ad esso sarà identico scr. -ad; il gen. balto-slavo sembra rimandare, con lit. -o, slavo -a, a '''-ad, la cui -aappare tuttora inspiegabile (3). La desinenza -od è comunque esito della contrazione della vocale tematica o più una terminazione ,., -ed, che sopravvive forse nello str. itt. in -ed e sicuramente in ablativi pronominali come lat. med, scr. mad, e che è certamente stata alla base della desinenza nominale (4). Il gen. sembra a prima vista presentare formazioni assai disparate. Così scr. -asya e gr. arcaico -olo (con l'arm. -oy) rimandano a '''-osyo. La desinenza got. -is risale a ie. ~'-esa, e quelle di altri dialetti germ. anche ad ~' - oso, che trova corrispondenza nel gen. pronominale asl. cesa "di chi (ntr.)?" e forse anche nel gen.· apruss. deiwas "di Dio" (~'-oso) (5). Il gen. lat. in -t fu per lungo tempo considerato identico a quello in -t del celtico (ogam. maqi "del figlio", airl. maicc), ma le forme falische in -osio (Kaisiosio "Caesii" ecc.) ed i nuovi genitivi epigrafici Popliosio Valesiosio da Satricum (cf. Lapis Satricanus, L'Aia 1980) provano che anche il latino possedeva un tempo le forme in '''-osyo (6); anche -t protoirl. può risalire ad ~'-esyo. ltt. -as sembra a tutta prima indicare che i temi in -o avessero originariamente le stesse desinenze dei temi atematici, privi di vocale tematica, e quindi '''-os (7). Il gen. ittito geroglifico in -asi e il tema aggettivale (cf. lat. ertlis) in -asi-, luvio -assi- (8) stanno invece a dimostrare, piuttosto, che '~-osyo ereditario deve essere diventato ~'-asi in seguito ad apocope della vocale finale, e con tale forma venne poi anche ulteriormente declinato (agg. -asi-); itt. -as può stare ad indicare un'ulteriore apocope. Dal momento che '''-osyo ('''-esyo) sembra essere stato presente in un numero così elevato di lingue, forse anche il germ. -esa sarà sorto da '~ -esyo mediante dissimilazione (9) e non andrà dunque considerato un'altra desinenza. Se questa desinenza ~'-osyo debba venire ulteriormente analizzata come ~' - os-yo, con ~'-os che sarebbe la desinenza che conosciamo dai temi consonantici e ''' -yo il pronome relativo (indifferenziato?) (10), è 220
per il momento una questione ancora dibattuta; v. anche VIII.3.2. Priva di fondamento è invece l'asserzione che la molteplicità delle formazioni genitivali debba indurre a credere che l'ie. non possedesse alcun genitivo (11). - Per il dat. sg. è univoca la ricostruzione di una desinenza ,., -oi, frutto di contrazione di -o + ~.-e i, mentre la desinenza di locativo ,., -ei o ,., -o i è formata dalla vocale tema tic a e od o + "~• -i. - Lo str. sg. presentava, giusta la testimonianza di lit. vilku, una ~·-o, che è alla base anche di aat. wol/u; il got. wul/a, come pure il pronominale pamma "a questo", risalirà, secondo mostra hvammeh "ad ognuno", ad 1' -e. Entrambe le terminazioni presentano l' allungamento della vocale tema ti ca el o, vale a dire la sua contrazione con una desinenza 1'-e/'"-o (o con la laringale ,··-h?) (12). 6.3. Al neutro il nom.-acc.-voc., al contrario di tutte le altre classi di declinazione, non è caratterizzato dal nudo tema bensì dalla desinenza ,., -o m. 6.4. Al duale è univoca la ricostruzione come ~'-o della desinenza di nom.-acc.-voc. masch., che è quindi caratterizzata, come nei temi in -i- e in -u- ( 1'-z 1'-ii.), dall'allungamento della vocale del tema. Dal momento che presso i temi consonantici la desinenza era ~.-e (p. es. :n:a,;tg-E), sembra che l'allungamento derivi da contrazione con questa '''-e, e che quindi 1'-o, 1'-z, 1'-u siano sorti da -o- + '''-e, -i- + ''' -e, -u- + ~·-e (13). -Al neutro l'uscita era in ~·-oi, cioè -o + '''-z (14). Gen. e loc. presentano una desinenza solo in scr. e in asl., con asl. (vl'fk)u da 1'-ous che rappresenta la terminazione originaria rispetto a scr. (vrk)ayos da ~. -oyous; -ay- deriva dal numerale "due" e dai pronomi. Lit. pusiau "rotto a metà" (''in due metà" da pùsé "metà" ) e dviejau "in due, in coppia" accennano ad una forma di locativo pri'ta di -s; l'avestico sembra addirittura distinguere il locativo zastayo ('"-ou ) dal gen. vzraya (''' -os). Possiamo forse così porre loc. "~•-ou, gen. '''-os. (15). -Per str., dat. e abl. si impiega una forma che discende da ~. -bhyo(m) risp. ~'-m o. 6.5. Al plurale il no m. dei nomi maschili termina, in ario e in gotico, in ~'-os, col che si accorda anche l'osco-umbro, -non riportato in tabe~a (p . es. o. Nuvlanus "Nolani", u. prinuvatus "ministri"); a 221
ciò si aggiunge, inoltre, il voc. airl. in -u (p. es. /iru "uomini!") da ~'-as, che continua l'antico nom., mentre per il nom. si è adottata una forma innovata in ~'-oi (p. es. /ir da '''wiroi "uomini") . La medesima innovazione è presentata da un certo numero di altre lingue, tra cui gr., lat., baltico e slavo, cf. gr. Mxm, lat. lupi, asl. vlzci (c da k davanti a i da oz), lit. vilkai. L'innovazione si è diffusa a partire dai pronomi e si impose attraverso gli aggettivi; è interessante il fatto che in asco-umbro furono i pronomi a soccombere alla pressione esercitata dai gruppi nominali e ad assumere essi stessi '''-as, p. es. o. pus "qui". Naturalmente la terminazione nominale ~' -as è derivata dalla vocale tematica o più la desinenza ~'-es. - Per l'ace. il got. e il gr. parlano a favore di una desinenza '''-ons; gr. -ovç è sorto da un -ovç che è pure attestato . Al contrario scr., lit. (16) e forse anche lat. rimandano a ~'-ans. La forma originaria deve essere stata ~'-o-ns; da essa però si dovrebbe avere ,., -an (VI.2 .7.l.). Si può così pensare che la forma ~'-ans sia costituita da ~'-an, esito normale secondo le leggi fonetiche, + s ripresa dai temi consonantici ('''-ns); in molte lingue '''-ans è stato nuovamente abbreviato in '''-ons o ;emplificato in '''-as. - La desinenza del gen. p l. era ~'-am, che è conservata ancora in gr. e lit.; abbreviata in ~'-o m compare anche in latino arcaico e in qualche caso perfino in quello classico (deum ecc.), ma in generale fu sostituita da -arum per analogia con i temi in -a-. In scr. troviamo agli inizi ancora -am in devafi jcmma "genere degli dei", ma altrimenti questa terminazione venne sostituita da -anam, qui penetrata dai temi in -n-. Un problema tuttora irrisolto è rappresentato da got. -e (17), che deve essere sorto in seguito a qualche analogia. - Per il dat.-abl. il scr. adopera -bhyas, cui corrisponde lat. -bus nelle altre declinazioni, quindi ,., -bhyos e .;, -bhos. A questo suffisso contenente -bh- (18) corrisponde in germ. e balto-slavo un suffisso con -m-, probabilmente '''-mos, benché alit. presenti -mus donde proviene, previa sincope, mod. -ms (19). - Il loc. davanti al suffisso ~'-su non presenta la vocale tematica -o-, bensì il dittongo -oi- (ripreso dai pronomi), e la desinenza era quindi '''-oisu; da essa è sorto scr. -e~u, sl. -exu (davanti al quale k viene palatalizzata in c, donde vlzcexu) e gr. -mhl, che è ancora conservato in miceneo (20) . Lat. (lup)'is era in precedenza ~'-ois, sorto perlomeno in parte da '''-oisu in seguito ad apocope. Anche lit. -uose è ottenuto da * -oisu mediante rifacimenti 222
(19). - Lo str. di questa classe aveva una terminazione assolutamente isolata ~'-ois, visibile in scr. e lit. (19) e sicuramente alla base anche di asl. -y; oggi questa desinenza è venuta alla luce anche in miceneo. È possibile che lat. -Ts risalga in parte a questa funzione (23) . 6.6. Al neutro compare al nom.-acc.-voc. una desinenza -a m scr., asl., got., ma -a in gr.; il lat. ha -a, che però deve essere fatto risalire a '''-ii; v. sopra, 1.4.3 . La regola, presente in attico, scr. e airan. (gathico), ittito e forse nel britannico (22), secondo la quale il verbo retto da un soggetto ntr. pl. va al sg., è connessa con l'originaria funzione collettiva di queste forme (21). 6.7 . Possiamo quindi ricostruire nel modo seguente la declinazione dei temi in -o-:
a
No m. Voc. Ace. Gen. Ab!. Dat. Lo c. Str.
Sing.
Plur.
Du.
*-os, 1'-om *-e, ''-om 1 '-om, *-om *-es(y)o/'''-os(y)o *-od ''-oi *-eil''-oi *-e/"-5
*-os, *-li '''-os, ''-li ''-ons, ''-li
"'-6, *-oi
·k _Qm
*-bh(y)os, ·k-mos *-bh(y)os, *-mos ''-oisu ''-ois
*-6, *-oi ~. . -6, *-oi *-os ,.,_bhyo(m), ''-mo ''-bhyo(m), *-mo '''-OU
*-bhyo(m), ''-mo
(l) Sull'alternanza e/o v. Kurytowicz, Apophonie 74 s.; Schmitt-Brandt 128; Kurytowicz, IG 2, 1968, 271 s.; dìfficilmente esatto sulla -e del vocativo Winter, Vocative 219. - (2) V, per il momento Szemerényi, Syncope 319 s. - (3) Szemerényi, Kratylos 2, 1957, 101 s.; Stang, Vgl. Gram. 181 (inverosimile) . - (4) Szemerényi, KZ 73, 1955, 68; sulla contrazione di -o-ed Kurytowicz, Études 154 s.; Apophonie 75 s.; e recentemente Starke, in: Festschrift G. Neumann, 1982, 416 s. - (5) Szemerényi, Kratylos 2, 1957, 102 s.; Stang, Vgl. Gram. 181.- (6) Pisani, Rheinisches Museum 98, 1956, 315 -24; Storia della lingua latina I l, 1962, 82; è però impossibile la derivazione di un *lupeyye da ''lupoyyo, dobbiamo invece partire dai temi in -io-, nei quali *-iosyo > ''-ioyyo > *-1y(y)o dando poi -1- come noto, i temi in -io- formano, fino a Lucrezio, il geo. in -1 e non in -i1 - che venne poi trasferito ai temi in -o (invece di -ez). Il confronto tra lat. -1 e le formazioni avverbiali scr. in -1 (come sostiene
223
ancora Rundgren, Eranos 58, 1960, 51 s., e di nuovo recentemente J. Gil, Emerita 36, 1968, 25 s.) è stato dimostrato essere impossibile ad opera di A. Bloch, KZ 76, 1960, 182 s. Che 1'-osyo dovesse dare in lat. '"-orio (Bonfante, AGI 51, 1966, 8) è da lunga pezza contraddetto dall'esistenza di eius cuius. - (7) Borgstr0m, NTS 7, 1934, 121-8; Kurytowicz, Etudes 146 s., 155, 260; Berg, NTS 18, 1958, 224. - (8) Mittelberger, Kratylos 11, 1967, 99-106; Georgiev, RHA 81, 1967, 157-165. Cf. anche Neumann, Sprache 16, 1969, 61-2 . - (9) Szemerényi, Kratylos 2, 1957, 102 . - (10) Watkins, Celtica 6, 1962, 16, 28; Poultney, Lg. 43, 1968, 871-2, 877, 880; G. Schmidt, IF 82, 1979, 70-73; Lehmann, In memory of J.A. Kerns, 1981, 179-188.- (11) Watkins, in: AIED 38 . - (12) Kurytowicz, Categories 196. - (13) Specht, Ursprung 311; con laringali: Erhart, Die ie. Dualendung -i5(u) und die Zahlworter, Sbornlk Brno 1965/ A-13, 11-32. - (14) Szemerényi, Developrrient 220. - (15) Benveniste, BSL 34, 1933, 26; Anttila (v. sopra, VI. 5.6.) 59-60; Risch, SMEA l, 1966, 56-8. K. Hoffmann (Aufsatze II, 1976, 56F) postula -Hou-, non -ou-.- (16) Stang, Vgl. Gram. 186; diversamente Schmalstieg, Lingua 16, 1966, 377 s. - (17) Più di recente W. Morgenroth, PBB (Halle) 87, 1965, 328-36; Lehmann, Papers in honor of L. Dostert, 1967, 108-111; Kurytowicz, Gedenkschrift W. Brandenstein, 1968, 87 8 • - (18) K.H. Schmidt, Dativ und Instr. im Plural, Glotta 41, 1963, 1-10. - (19) Stang, Vgl. Gram. 185 s. - (20) Szemerényi, Development 222 s.; Lazzeroni, SSL 8, 1968, 173-197. - (21) V. Lehmann, Language 34, 1958, 179 s.; Kurytowicz, Categories 205 s. - (22) V. Hamp, Studia Celtica X-XI, 1977, 58 s. """'" (23) Su questi casi v. Szemerényi, 7. Fachtagung, 1985 .
F. Temi in
-a- e in -t-
7 .l . La declinazione dei temi in -a- può essere illustrata mediante i paradigmi delle seguenti parole: scr. sena "esercito", gr. 'frEa "dea", lat. dea "dea", asl. noga "piede", lit. galvà "capo", go t. giba "dono".
Sg. Nom. Voc. Ace. Gen. Da t. Lo c. Str.
224
scr.
gr.
lat.
asl.
li t.
go t.
sena sene senam senayas senayai senayam sen(ay)a
frEa frEa frEaV \}Eiiç frEiiL
dea dea dea m dea e dea e
noga no go nog9 nogy no(d)ze no(d)ze nogojç>
galvà galva galv ~t galvos galvai galvoje galva
giba giba giba gibos giba i
(Abl. )dea
Du.
ser.
gr.
Nom. sene G-1. senayos D-A. senabhyam
{}eét
Plur. Nom. Ace. Gen. D-A. Lo c. Str.
senas senas senanam senabhyas senasu senabhis
lat.
-&wi:v {}wi:v {}w(
{}eétç -&e( ét)wv {}wi:ç anijapi
dea e deas dea rum deTs (deabus)
asl.
lit.
no(d)ze nogu nogama
galvi
nogy nogy nogu nogamu nogaxu nogami
galvos galvas galv ~t galvoms galvose galvomis
go t.
galvo m gibos gibos gibo gibom
Il nom. sg. presenta il nudo tema in -ii, che in parecchie lingue è abbreviata. - L'ace. sg. esce, coll'aggiunta del suffisso, in -ii-m. - Il voc. sg. è originariamente distinto dal nom., cf. horn. VU[.I.
nom., in scr. la forma è stata rifatta sul modello dei pronomi e dei temi in -1- (6); illit. aveva -iin, che concorda con slavo -p(pronominale -ajp) (5). Al duale per scr. -e si è a lungo continuato a ricostruire ie. *-ai; il miceneo ha dimostrato che la desinenza era ~'-ai (7). Questa stessa forma è evidentemente alla base anche del gen.-loc. senayos (ie. ~'-ay aus), mentre nagu è stato rifatto sui maschili. Il nom. pl. ha '''-iis da -ii- + ~'-es, mentre l'accusativo, da -ii- + ~'-ns avrebbe dovuto dare propriamente '''-iin(s), ma noi lo incontriamo solo o come '''-iis o come '"-ans . - Il gen. era originariamente '"-om da -ii- + '''-am, conservato in lit. e got., abbreviato in ~'-am in asl. Lat. -iirum e horn. -awv, ambedue da '''-iisom, presentano la desinenza pronominale; in queste lingue anche lo stesso nom. pl. è stato modificato in -ai sulla scorta di -ai pronominale dei nomi masch. Scr. -iiniim è ripreso, come avviene anche per i nomi maschili, dalle forme dei temi in -n-. - Il dat. e l'abl. presentano le desinenze che già conosciamo, e il loc. termina in ~'-ii-su. - Lo strum. pl. è oggi rappresentato da mie. -pi, da intendersi forse come -q>(ç identico a scr. -bhis (8). (l) Ahrens, KZ 3, 1854, 86 s.; Collitz, BB 29, 1905, 81 -114; in tempi più recenti ancora Georgiev, Symbolae Kurytowicz, 1965, 81, 83; Watkins, Trivium l, 1967, 119 nota 37. - (2) Lehmann, Language 34, 1958, 191 (con una notevole contraddizione tra testo e nota 21); Winter, Vocative· 218 s. V. di recente Hock, Intern. Journal of Dravid. Studies 4, 1975, 29-43. - (3) Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. III 119 s.; Kurytowicz, Categories 219. - (4) Schmalstieg, The Slavic and East European Journal 12, 1968, 44 s.; sul nom.-acc. pl. anche Word 21, 1966, 238 s. - (5) Stang, Vgl. Gram. 199. - (6) Kurytowicz, Categories 219 s. - (7) Szemerényi, Development 217 s. - (8) Sulla flessione greca nel suo complesso v. ora Morpurgo-Davies, TPS 1968, 12 s.
7.2. In linea di principio i nomi con tema in -ii- sono femminili, ma in parecchie lingue si trovano anche dei nomi maschili facenti parte di questa classe. La loro flessione è di solito la stessa, ma in gr. i maschili vennero differenziati, nella maggior parte dei dialetti, al nom: e gen. sg.: nom. -aç, gen. -ao, e questo, come oggi siamo in grado di sapere, già da epoca micenea. 226
Szemerényi, Atti e memorie dello Congresso di miceneologia, 1968, 720; Risch, BSL 69, 1974, 109-119; Méndez Dosuna, Glotta 60, 1982, 65-79; Masson, VII. Mykenolog. Colloquium (1981), 1983, 256. Sui nom. horn. in -ta-, Hooker, Glotta 45, 1968, 14 s.; Gil, Emerita 37, 1969, 372 s.
7.3. Strettamente connessa con i temi in -a- è un'altra classe nominale, in linea di principio anch'essa femminile, che in vedico è ancora rappresentata da due sottoclassi; possiamo illustrarle serven"lupa" (l). doci dei paradigmi di dev'i "dea" e di vrkts o
No m. devi Voc. devi Ace. devlm
Gen. Da t. Lo c.
Str.
devyas devyai devyam devya
vrk1s vfki vrkyàm vrkyàs vrkye vrkl vrkya
Plurale
Duale
Sfng. devi
vrkya
devls
vrkyàs
devyos devlbhyam devyos devlbhyam
vrkyòs vrktbhyam vrkyòs vrktbhyam
devinam devlbhyas devlsu devlbhis
vrklnam vrktbhyas vrkl~u
vrktbhis
Il tipo vrkt- è limitato ad t accentata e mostra una flessione consonantica, c~n t che compare davanti alle desinenze inizianti per consonante, mentre davanti a quelle inizianti per vocale t viene svolta in iy, anche se ciò non risalta con chiarezza nella grafia (vrkyàm invece di vrkiyam ecc.) (2). L'attribuzione al periodo ie. di qu~sta flessione vien~ resa sicura dalla sola equivalenza vrkts = anord. ylgr (da germ. '~'wulgiz), benché comunque svariate altr~ tracce siano rimaste in altre lingue (3). La flessione ie. '~wlkwfs, '''wlkwiy-m, ''wlkwiy-os, ''wlkwiy-ei ecc. è dunque molto arcai;a, benché' in q~anto tale essa sia o conservata solo in scr. vedico e abbia ben presto finito per confluire nella classe di dev'i- (4) . Il tipo dev'i-, al contrario, è conservato in diverse lingue. Ben rappresentato è in gotico, p . es. mawi "fanciulla" (da '''magw-t, con mozione di genere rispetto a magus "ragazzo"), ace. mauja, gen. mauji5s, dat. maujai ecc. (come giba, 7.1.); /rifondi "amica", femminile derivato da /rijond-s "amico", formazioni propriamente participiali (con ie. *-nt- e '~' -nt~t) dal verbo /rtji5n "amare". Lit. martì "nuora", ace. marCi(l, gen. marcios, da ''' -t'i, '''tyam, '~ - tyas appartiene allo stesso tipo, 227
come pure i participi femminili, p. es. duodanti "dante", gen. duodancios ecc.; parimenti in slavo si osserva asl. nespfti "portante", ace. nespftp ecc. Dove questo tipo è riconoscibile nel modo migliore è però in greco, nei temi in alfa impura, p. es. !!Oiloa, !!Oiloav, !!OUO'Y)ç, !!Ouon, che risale a -;'montyèi, ''-tyèim, ''-tyas, -:'-tyai. Il tipo devt- è dunque a ben vedere un tipo in -a-, in cui però y precede sempre -a-, e il cui nom. sing. non si presenta come ~'-ya bensì come ~'-t, risp . in gr. ~'-ya. All'ace. sg. compare -tm in scr., ma '''-yam nella maggior parte delle altre lingue; ad eccezione del gr., in cui troviamo '~-yèin. Sembra abbastanza sicuro (5) che l'ace. terminasse originariamente in '''-zym, che è divenuto in gr. -La, poi -Lav ed ha trasformato anche il nom. in -La, mentre altrove penetrava -ya o -t-. L'antica flessione era quindi: nom. ~'-t, ace. ''' -zym, gen. '''-yas, dat. ~'-yai ecc., cui corrispondeva, nel tipo vrktla flessione '~-t(s), '''-zy-m, o o ,., -iy-os, '~ -zy-ei ecc. Da più parti si sostiene, nel tentativo di chiarire il tipo devt (6), che un gruppo suffissale ~' -y-eH2 avrebbe dato nei casi obliqui ~' -ya-, ma il grado zero, cioè '~-i-H2 , '''-t, al nom. sg. Dal momento però che non si dà alcun motivo per l'esistenza di un grado zero - nei temi in -a- il nom. sg. terminava infatti in -a - sarebbe da preferirsi l'ipotesi che un originario nominativo in ,., -zyeh si sia contratto in ~' -th, il che troverebbe un convincente parallelo nella desinenza ~'-t del duale proveniente da ~'-i-e (v. sopra, 6.4.). Occorre tuttavia rilevare che è chiaro come col passare del tempo un'originaria flessione aperta in -i- (sopra, 5.) si sia venuta sempre più a 'trovare· sotto l'influsso dei temi in -a-. Ciò consiglia di ammettere che il tipo originario fosse formato con ~'-i-h (7) e si flettesse come i temi in consonante: '~-ih-s, '~-ih-m, '''-zh-os, '''-ih-ei, ecc., tipo '''wlkwts. Successivamente, per influss~ dei temi in -a-, questa fl~ssion~ sarà stata trasformata in ~'-zh, '''-zh-m, ~'-ih-as, ~'-ih-ai, e in epoca ancora più tarda, probabilmente già i~ periodo post-unitario, nelle lingue settentrionali essa sarà stata ulteriormente modificata in ~'-t, ~'-yam, ~'-yas, '~-yai (8). 0
(l) Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. III 163 s. - (2) lvi 170 s. - (3) Lohmann, Genus und Sexus, 1932, 63 s., 68, 79. Per il celtico v. Szemerényi, KZ 88, 1974, 279 s., ZCP 36, 1979, 297; per l'iranico Mayrhofer, Hommages M. Leroy, 1980, 130-152 . - (4) Thumb-Hauschild, Hand-
228
buch des Sanskrit I 2, 1959, 62 s. - (5) Brugmann, Grundrill2 II 2, 124. - (6) P. es. Martinet, BSL 52, 1957, 87. - (7) Lehmann, Language 34, 1958, 184u, 191. Difficilmente sostenibile appare però il significato «collettivo» di questa formazione (ivi 188 s.), v. Kurytowicz, Apophonie 132 (collettivi e astratti). Su -t- v. anche ivi 129, Accentuation2 31 s., Categories 199, 220 s. - (8) Cf. Szemerényi, Syncope 305 1, 3092 (ivi anche sul preteso -ii-1-wa-); di recenteJoffe, Lingua Posnan. 17, 197.3, 9-19. G. Aggettivo e suoi gradi 8.1. Il tratto principale che caratterizza l'aggettivo, nei confronti del nome, è il suo variare in corrispondenza dei generi, la cosiddetta facoltà mozionale («Motionsfahigkeit»). La maggior parte degli aggettivi possono segnalare nella propria forma i tre generi (1). I temi in -o- hanno il nom. in -os al masch. e in -om al ntr.; il femm. ha per lo più -a ma può anche avere, specialmente in scr., -'i. Per esempio: ie. '~'newos, *newom, '''newa "nuovo" in: scr. navas, navam, nava; gr. VÉ.(f)Oç, VÉ(F)OV, VÉ(f)O.; lat. novos, novom, nova; asl. novu, nova,
nova. Tutti gli altri temi hanno una forma particolare per il neutro, mentre il femminile o è identico al masch. oppure, qualora sia diverso, è formato con -'i-1-ya- (non -a-); p. es .: ie. *swadus, '~'swadu, *swadw-'i "dolce": scr. svadus, svadu, svadv'i; gr. ~Mç, ~M, ~ÒEi:a (da -Epya, rifatto da '< -dwz secondo ~btpoç ecc.); ie. *bheront-'i "portante" (femm.): scr. bharant-'i, gr. cpÉ.gouoa (da *-ontja), got. bairandez' (ampliato in modo da diventare un tema in -n-), airl. birit "scrofa" (da -nri). Negli aggettivi latini corrisponodenti il femm. in -'i è trasformato in -is, che a volte diventa l'unica forma ('''swadus e '~'swadwis sopravvivono come suauis), a volte ricade in un secondo tempo col masch. in seguito a sincope ('"/erentis > /erens); la recente ipotesi (2), secondo la quale -is sarebbe un suffisso addizionale -i -, che non sarebbe sorto da quello femminile -'i, o che il tipo ferens non abbia mai posseduto una i, è contraddetta, tra l'altro, da /ertilis (da '~'/ertr-'i "portatrice") e
neptis (3). (l) Brugmann, Grundrill2 II 2, 105 s.- (2) Specht, KZ 65, 1938, 201 s.;
229
Burrow, TPS 1949, 31; Benveniste, Festschrift F. Sommer, 1955, 3; W. Kastner, Die griech. Adjektive zweier Endungen auf -os, 1967, 16. - (3) Szemerényi, Studi linguistici in onore di V. Pisani, 1969, 987 s.; Studies L.R. Palmer, 1976, 401 s.; v. anche Stang, NTS 17, 1956, 142; Watkins, in: AIED 40.
8.2. Una particolarità di determinati aggettivi in composizione è stata per la prima volta osservata dall'indologo olandese W. Caland. Secondo la «legge di Caland», gli aggettivi in -ro- (-no- ecc.) sostituiscono con -i- questo suffisso quando si trovano a far parte di un composto in qualità di primo membro; cf. scr. dabhzti "nocivo, ingannatore", da '~dabhi-iti- "dall'andamento dannoso" - dabhra-; H ti-pad- "dai bianchi piedi" da '~'fviti-pad-, cf. fvitra- "chiaro"; av. tiyra "acuto": tiii-arfti- (da '~tigi-) "dalla lancia aguzza"; gr. xu6g6ç "famoso": xu6t-aVELQa "dotato di uomini famosi" ecc. Questo scambio, interessante dal punto di vista sincronico, dipende dal fatto che (l) all'epoca in cui vennero formati siffatti composti, gli aggettivi che troviamo al primo membro esistevano solo in forma munita di -i-; successivamente essi vennero ampliati in -ro- (e sim.) e in -i-ro- cadde per sincope la -i-, così che non si ebbe più la contrapposizione -i-: -iro-, bensì quella -i-: -ro-. (l) Szemerényì, Syncope 395-8. Cf. Kurytowicz, Categories 232; Chantraine, Festschrift Pokorny, 1967, 21 s.
8.3. Chi si rifacesse al latino od al tedesco, 'penserebbe naturale che l'aggettivo debba avere due gradi oltre al positivo, cioè un comparativo ed un superlativo. Le lingue ie. presentano invece più tipi di formazioni, al punto che viene da chiedersi come apparisse il sistema in cui esse si inquadravano. Anzitutto, però, vanno descritti i fatti. 8.4. Un comparativo formato col suffisso '~-yes-1'~'-yos è presente in aria, latino e celtico; cf. scr. san-yas- "più vecchio" = lav senior= airl. siniu, tutti da ie. '''sen-yos-/'~'sen-yos-, da '~'seno- "vecchio" che troviamo in senex ecc. (v. IV.4.2.) . Identico suffisso si cela dietro ad asl. (ntr.) bolje "più grande" da '~'-yos; '~'-yes- è contenuto nel comparativo lit. saldesnis "più dolce" da '~-yes-nis (1), una formazione ampliata in -n- come il comparativo germanico, p. es. got. bat-iz-in230
"migliore", mentre l'antico comparativo privo di ampliamento in nasale viene impiegato in lit. per il comparativo avverbiale (p . es. geriaus "meglio") e, declinato, per il superlativo, p. es. geriaus-ias "il migliore" (da ~, ger-e-yos); il suffisso ie. * -yos- sarebbe irriconoscibile, se mancasse l'appoggio di altre lingue, nelle forme abbreviate gr. ~EÀ:t:Cw (ace. sg. m. f. e nom.-acc. pl. ntr.) e ~EÀ.t(ouç (nom.-acc. pl. m. f.) da ~'-yos-m e ~'-yos-a risp. ~'-yos-es (2). La flessione ;riginaria del comparativo sfruttava appieno le possibilità apofoniche del suffisso '''-yes-1''-yos-; solo '''-yes- non è attestato . La ripartizione nelle fasi tarde dell'ie. si presenta più o meno come quella dei temi in -n-, vedi (2) 27, (3) 229, ma anche (4) 70: Plur.
Sing. Nom. Ace. Gen. Loc.
m. f. ''-yos *-yos-Ip *-yes-os *-yes-i
n . *-yos *-yos
m . f. '' -yos-es *-yoS-l}S
n. *-yos(a)h
"
In uno stadio precedente è perfino possibile che nei casi deboli si trovasse il grado zero ~'-is- (p. es. gen. sg. ~'-is-os, pl. ~'-is-om); il suo uso al nom.-acc. sg. ntr. è in ogni caso garantito dall'esistenza di un avverbio in -is in latino (magis rispetto a maius da '''mag-yos) e in germ. (got. mais "più" da '~'ma-is, mins "meno" da ~'minn-is ecc.), e che la forma debole del suffisso fosse ~' -is- è provato anche da germ. -h.-in, slavo -zs- (da '~ - is-y-), nonché dal suffisso di superlativo ie. ~'-t's-to (v. 8.5.), cf. (3) 228 s. La flessione completa di '''-yos- è conservata solo in lat. e in ario . In celt. la flessione è perduta, e il comparativo (e superlativo) indeclinato può essere usato solo predicativamente, p. es. "egli è più vecchio". In germ. e gr. la flessione che si presenta è in -n- (got. batizin- come gr. ~EÀ.twv-) e da ciò si è tratta la conseguenza che già in ie. vi fosse una formazione ampliata '~-is-on; il miceneo mostra però che l'esito greco è tardo e non può perciò aver nulla a che fare con la consimile innovazione del germ., la quale ha invece probabilmente influenzato illituano, v. (2) 27 s. L'alternarsi di ~'-yos- e '"-iyos-, rilevabile soprattutto in scr. e in gr. (scr. san-yas- "più vecchio", svad-iyas- "più dolce", gr. ~d~wv "più 231
grande" da -gy-, ma Yjù(wv "più dolce"), va palesemente attribuita alla legge di Sievers (V. 7.2 .l.), v. (2) 31. Nuove formazioni sono invece il tipo germ. in -i5zan-, p. es. got. /ri5di5zan "più saggio", che si forma solo da temi in -a- (ie. ,., -o-), nonché il tipo slavo in -eji, p. es. asl. noveji "più nuovo". La spiegazione che se ne dà è che essi sarebbero derivati o influenzati da avverbi (got. -i5-, slavo -e-) (3) 233 . (l) Stang, Vgl. Gram. 260, 267 s. - (2) Szemerényi, Comparative. - (3) Kurytowicz, Categories 227 s. - (4) Id., Apophonie 70.
8.5. Un superlativo formato col suffisso '''-isto- compare in gr. in aria (ndv-tj{ha - "il più nuovo") e germ. (got. bat-ista"il migliore" [ingl. "best"]); '"-isto- sembra essere composto da ~'-is-, grado zero del suffisso di comparativo, più il suffisso ~' -to-, v. 8.8. (~ÉÀ"t-wmç),
Tracce di -isto- si trovano forse anche nel celtico, v. Szemerényi, Kinship terminology, 1978, 128-129, ma non in latino; su ioviste v. Szemerényi, Studies L.R. Palmer, 1976, 408.
8.6. Mentre ~' -yes- e '''-isto- hanno le stesse funzioni in tutte le lingue in cui compaiono, vi formano cioè il comparativo e il superlativo, vi sono due altri gruppi di formazioni che in alcune lingue vengono impiegate come veri e propri gradi di comparazione, ma oltre a ciò possono venire usate anche - in altre lingue esclusivamente - con diverse funzioni. In aria -tara- e -tama- vengono usati in concorrenza con -yas- e -istha-, p . es. tavas-tara- "più forte", puru-tama "moltissimo". A quest~ forme corrispondono, in greco, -'tEQoç e -1:awç, quest'ultima palesemente rifatta da -m[!oç secondo i numerali ordinali, nei quali è parimenti dato di osservare l'espandersi di -awç ai danni di -a[!oç (l).
Davanti a questi suffissi, in gr. la vocale tematica degli aggettivi in si allunga in w, qualora con essa si fosse venuta a creare una sequela di quattro vocali brevi; si usa quindi oo
232
considerare :n:g6,;egoç e àvùnegoç come i modelli da cui sarebbe fuoriuscita w. I suffissi soggiacenti: ie. ~'-tero- e * -tmo- non si presentano solo in unione con aggettivi, ma anche con a~erbi; cf. ~'ud "su", vedico ut-tara- "superiore, più alto, più tardo", ut-tama- "il superiore, il più alto, l'ultimo" e gr. UO'tEQOç uo,;awç; lat. ex-terus, ex-timus; in-terus, in-timus. Qui anche è possibile osservare che la maggior parte degli avverbi presentano una forma del suffisso più vicina a quella originaria, per la precisione -ero- risp. -mo- (5); p. es. ~'upo - '''upero- '~upmo-/~'upmo- in scr. upa - upara: - upama-, lat. s-ub - s-uperus s-ur:zmus, gr. 1J:n:6- UJtEQOç- u:n:moç (da UJtaf,lO-); ~'ndher- ·:'ndhero- '''ndhmo- in scr. adhah- adhara- - adhama-, lat. i~/erus - i~/imus. An~he in germ. sono p;esenti ambedue le formazioni, cf. got. hindar "posteriore" - hindum-ists "ultimo" da '~'-ter-1'''-tmo- e uf- u/ar auhuma da '''upo - *uper- '~'upmo- (6); l'opinione largamente diffusa che le formazioni in -uma- sian; comparative è errata (5). Anche in celtico troviamo ora -tamo-, p. es. nel gallico Ver-tamo-corz, nome di una tribù dell'Alta Italia, "l'esercito più alto" (vertamo- da '''upertn;zo-), ora -amo-, p. es. in celtiberico veramos "supremus" (da "~'uper n;zo-); un rifacimento di '~'-tero- sarà anche alla base dell'equativo airl., cf. déinithir "altrettanto veloce quanto" (·da '''deinitri-?) (7). Una variante particolare si trova nel superlativo delle lingue italiche e celtiche. In essa funzione non s'impiega né l'antico "~'-isto- (8), né l'eventuale '''-(t)amo-, bensì un innovato -samo- ovvero -t'samo-. Tale forma è particolarmente evidente in celtico; cf. gall. 0-ùì;w
Dal momento che l'uso di 1' -isamo- è ristretto alle lingue italiche e celtiche, mentre 1' -isto-, presente a sud-est (India e Grecia) ed a nord-ovest (territorio germanico), doveva un tempo essere presente, in base ai principi della geografia linguistica, anche nel territorio intermedio, e quindi in tutto l'ie., appare chiaro che *-t'samo- deve aver soppiantato un più antico 1' -isto- . La forma innovata '<-isamo-, o più precisamente 1' -i-soma-, trova una corrispondenza nel tipo germanico che si può osservare, p. es., in got. lustu-sama "desiderato", aat. lust-sam "amabile, piacevole". Dal punto di vista semantico siffatte formazioni corrispondevano al tipo ingl. godlike, ladylike, ecc., e come forme enfatiche entrarono in concorrenza con il vecchio superlativo, riuscendo alla fine a sostituirvisi ·(11) . (l) Kurytowicz, Categories 238. - (2) Saussure, Recueil 465; cf. Schwyzer, GG I 239; Szemerényi, Syncope 272 s. - (3) Kurytowicz, Categories 234. - (4) Schwyzer, GG I 535. - (5) Szemerényi, Auhuma 3 s., malgrado A. Trutmann, Studien zum Adjektiv im Gotischen, Berlin 1972, 44 s. - (6) Szemerényi, cit., 25 . - (7) Meid, Zum Aequativ der Keltischen Sprachen, Festschrift Pokorny, 1967, 223-242; ma v. anche Campanile, Studi V. Pisani, 1969, 195; Charles-Edwards, Eriu 22, 1971, 188-189. (8) È improbabile che lat. iuxta ne sia una testimonianza. - (9) Bartonek, K problematice latinského superlativu na -issimus, Listy Filologické 78, 1955, 1-8 (9-10 sunto in francese). - (10) Skutsch, Vollmollers Romanische Jahresberichte 7, 1905, I 49. - (11) Szemerényi, Studies L. R. Palmer, 1976, 407-418.
8.7. Da questo insieme di fatti emerge che l'ie., o le sue tarde fasi («Spiitindogermanisch» ), possedeva comunque un sistema di gradi dell'aggettivo, al cui interno '<-yes- e '''-isto- venivano impiegati per formare rispettivamente .il comparativo e il superlativo nel senso abituale di questi termini. Accanto ad essi tuttavia esisteva un gruppo di formazioni in '<-(t)ero e '<-(t)mo-; contrariamente ai gruppi aggettivali, questo gruppo comprende~a soprattutto avverbi e ''' -(t)ero - non presentava ancora traccia di uso comparativo; ma '~' - (t)mo-, usato come elativo, deve essersi avvicinato notevolmente al s~perlativo, cf. summus e (vir) clarissimus. Quanto al suffisso 1' -tero-, sulla base di coppie come exterus interus, dexter - sinister, ùel;vteg6ç - àQLO'tEQ6ç, ~1-lÉ'tEQoç - il~-tÉ'tEQoç
234
ecc. si è per lungo tempo accettata l'ipotesi che esso venisse usato per la contrapposizione di concetti antitetici (1) . Contro questa ipotesi, Benveniste ha sostenuto l'idea (2) che la contrapposizione non avesse luogo tra due forme in 1' -tero- ma tra una forma in "' -tero- ed un'altra al grado positivo; le coppie contrastanti erano quindi OE!;L6ç - àgwtEQ6ç, oxm6ç - 0El;ltEQ6ç, o il~-t6ç - iJ~-tétEQo ç . Anche un sostantivo come lat. matertera non starebbe in contrapposizione con mater come «la presque mère», bensl con amita come la «vera» zia, da cui si tiene distinta quella «materna»; allo stesso modo nomi di animali arii come scr. afva-tara "mulo" (npers. astar) o npers. kabotar "colomba" (da '''kapauta-tara-) non vanno intesi come dei comparativi, come "quasi cavallo" ecc., bensì come il mulo "del genere del cavallo", differenziato rispetto all'asino ecc. In tal modo si viene ad ascrivere a "'-tero- un «valore di differenziatore», una «funzione separativa»; esso «qualifie surtout d es notions de caractère spatial (positions dans l'espace et dans le temps)» (p. 121). Il suffisso '~-yes- è stato dapprima considerato un aggettivo verbale che «serviva ad intensificare un concetto verbale», ma, al contrario di "'-tero- «senza particolare riguardo nei confronti di un altro» (l). Secondo Benveniste le formazioni in * -yes- designano «une qualité intrinsèque» «nel suo aspetto maggiormente visibile», sono aggettivi «de sens dimensionnel»: '''mag-no- è «positivement grand» e "'magyes- «mesurablement grand» (121-124). Parallelamente a questa differenza semantica, tra le due forme dovrebbe intercorrere una differenza sintattica (140 s.), che può essere illustrata da lat. maior me e maior quam ego. La costruzione casuale sarebbe stata quella consueta con '"-yes-, con il caso che fungeva da equativo: luce clarior significherebbe propriamente «clair camme le jour», melle dulcius «dolce come il miele»; la costruzione con la particella, che sarebbe stata quella consueta con ,., -tero-, avrebbe avuto una funzione disgiuntiva, in quanto esprimente una scelta tra due alternative: plus mihi dedit quam tibi (3 ). Questa elegante ipotesi esercita un'indubbia attrattiva, in modo particolare dal momento che riesce a ripartire organicamente tre particolarità - forma, funzione e costruzione - entro due gruppi distinti. Essa però fa torto ai dati di fatto . Le espressioni melle dulcius, luce clarius non significano semplicemente "dolce come", "chiaro come"
235
- esistono altre espressioni anche per questo significato -, bensl proprio "più dolce di", "più chiaro di" (4). Il legame di '''-tero- con la costruzione con la particella è ipotizzato solo per amore di simmetria; di fatto -'tEQO- si trova costruito anche con il gen., p . es . (t:n::nm) A.wx6'tEQOL XL6voç, e -(wv anche con i], p. es. :n:MovEç a6m ~è :n:É
8.8. Resta il fatto che '''-yes- e *-tero-, pur presentando identiche costruzioni in ario e in greco, dovevano un tempo esprimere senz'altro qualcosa di diverso, appunto perché formalmente diversi; è pure certo che l'uso di '''-tero- per esprimere il comparativo è un'innovazione di queste lingue e non risale all'ie., mentre l'uso di ~'-yes- per il comparativo e quello di ~'-t'sto- per il superlativo deve essere ascritto all'ie. In uno stadio precedente le cose si saranno presentate in modo alquanto diverso. Si è cosl recentemente avanzata da più parti la supposizione che *-yes- non fosse originariamente un aggettivo tomparativo bensl un nome intensivo che, usato predicativamente, si sarebbe ben presto aggettivizzato e, formando una coppia con il positivo, avrebbe finito per assumere un significato elativo e successivamente comparativo (1) . Ciò fornirebbe anche una buona spiegazione del superlativo. Qualora infatti ~'-yes- fosse stato aggettivale fin dagli inizi, sarebbe impossibile giungere a spiegare in qual modo ~' -isto- sia approdato alla forma e funzione che noi conosciamo. L'ipotesi che 236
'~'to- (2) si scontra col fatto che ci attenderemmo il comp. '~'-yi5s e '"so, quindi *-yi5sso(s), mentre l'ipotesi che si abbia qui a che fare con l'avverbio in -is (cf. magis) e il .,, -to- degli ordinali (3) lascia questa formazione senza la minima spiegazione. Da un nome in -is-, invece, possiamo ottenere, col consueto suffisso '"-to- (cf. lat. cenatus, barbatus) una formazione (4) che chiarisce definitivamente il valore fondamentalmente elativo del superlativo. Riguardo a '''-tero- va anzitutto osservato che accanto ad esso sta '~'-ero-. La -t- è stata spiegata come consonante di legamento, che originariamente subentrava solo in presenza di sonanti, come il suffisso -t- nei nomi radicali (p. es. scr. kr-t- "facitore"), usata però in seguito al semplice scopo di prevenire fati (come «Hiatustilger»); sarebbero quindi giustificati (scr.) ni-t-ara- vi-t-ara-, da cui -tara- si sarebbe esteso anche a ka-tara (gr. rt6-tcgoç) ecc. (5) . D'altra parte si è pure pensato che '''-ero-1;'-tero- siano stati tematizzati a partire da neutri in -er-1-ter- (6): rtg6n::goç verrebbe da '~'pro-ter "parte anteriore", scr. antara- "l'interno" da '~'antar "parte interna", ie. '~'en ter (lat. inter), e perfino scr. afvatara- "mulo" da '~'afva-tar "l'equino". Dal momento però che queste formazioni hanno sicuramente preso le mosse dagli avverbi di luogo, sembra evidente che '~'up-er "sopra", '~'en-er "dentro" ecc. siano composti con '"er- "terra" (gr. ega, got. air/Ja ecc.); ie. '~'ant- "lato anteriore, viso" (lat. ante) avrà dato '"ant-er-a (lat. anterior) ed è possibile che da qui '"-tero- si sia esteso a '''pos-tero- ecc. (7). Il suffisso -m-, presente nelle forme '''-mo- '''-mo- '~'-tmo- (lat. summus da '~'s-up-mo-s; in/imus da '~'ndh-mo-s = scr. oadham~-; postumus), è fortemente radicato nel siste~a i~. come controparte elativa di '"-ero-/'~' -tero-. Se esso sia identico al suffisso degli ordinali cui è simile nell'aspetto (8) e da questo discenda in ultima istanza (9) è questione tuttora controversa (9).
*-isto- sia sorto dal comparativo '"-is- e dal dimostrativo
(l) Fris, Archfv Orientalnf 21, 1953, 101-113; Erhart, ivi 24, 1956, 432 s.; Berg (v. 8.7.) 225 s.; Kurytowicz, Categories 227 s. - (2) P. es. Aitzetmi.iller, Sprache 3, 1957, 132. - (3) Schwyzer, GG I 537. - (4) Così anche Fris, op. cit., 109, che rimanda a lat. iustus, come pure (?) Kurytowicz, Categories 230; cf. anche Benveniste, op . cit., 161 s., e il mio
237
Numerals 91. - (5) Kurytowicz, Categories 235 s. - (6) Burrow, The Sanskrit language, 1955, 147, 149. - (7) Szemerényi, 7th Congress (1952), 1956, 483. - (8) Id., Numerals 86 s. - (9) Kurytowicz, Categories 236 s.
8.9.
Suppletivismo
La particolarità, osservabile in alcuni aggettivi tedeschi o latini, che si suoi designare con il termine ampio di suppletivismo (l) e che consiste nella presenza ai vari gradi di un aggettivo di diverse forme non tutte derivate dalla medesima radice (ted. gut- besser- best, lat. bonus - meltòr - optimus) è palesemente diffusa in modo ancor più esteso nei più antichi stadi delle lingue ie. Dal momento che da tale particolarità sono affetti soprattutto concetti di valore come "grandepiccolo", "buono-cattivo", "molto-poco" e via dicendo, e che essa tende sempre a ripresentarsi anche là dove sono intervenuti conguagli analogici, risulta impossibile la ricostruzione di espressioni indeuropee comuni per tali concetti. Cf. p . es. il modo di esprimere "buono": scr. vasu-, gr. àya\t6ç, lat. bonus, germ. ''' gooaz ecc. In queste condizioni è interessante il fatto che per l'ie. possano venire ricostruiti, come primi membri di composti, ~'su- "buono" e '"dus"cattivo": cf. scr. su-/ duh gr. eù-/ ouo-, airl. su-/ du-, germ. Su(gambrz)l tuz-, asl. su(dravu) l duid't (''pioggia" da *dus-dyus "cielo cattivo") (2). (l) Osthoff, Vom Suppletivwesen der idg. Sprachen, 1899; Jaberg, Suppletività, in: Raccolta in onore di G.D. Serra, 1959, 27-38; Manczak, La nature du supplétivisme, Linguistics 28, 1967, 82-9; Sprache 15, 1969, 8-13; di recente Strunk, Ùberlegungen zur Defektivitat und Suppletion im Griechischen und Indogermanischen, Glotta 55, 1977, 2-34, in partic. 10 s. - (2) Cf. Fris, AO 21 , 1953, 175-8; Schlerath, Some remarks on I.-I. *dus- and *su- , Cama Or. Inst. Golden Jubilee Vol., Bombay 1969, 113-120; Mayrhofer, KAEW III 478 s.; Szemerényi, Kinship terminology, 1978, 46; Klein, Sprache 28, 1982, 24.
VIII.
MORFOLOGIA II
Pronome e numerale l. Benché in linea di principio la flessione del pronome non diverga da quella del nome e dell'aggettivo, si danno tuttavia alcune particolarità che fanno risaltare il pronome rispetto ai nomi. a) Vengono impiegati temi diversi per forme che, secondo il nostro modo di vedere, costituiscono un paradigma saldamente stabilito. Cosl il nom. del pronome personale "io" è ~'ego e sim., ma l'ace. suona ~'me; il nom. sg. animato del dimostrativo principale è ''so/~'sii, ma tutti gli altri casi vengono formati su di un tema ~'to-. b) Non sempre i pronomi fanno uso delle desinenze casuali dei nomi. Talora non fanno addirittura uso di terminazioni casuali, talaltra ne usano di ignote alla flessione nominale. Tra il tema e la desinenza compaiono inoltre di frequente determinati elementi intrusivi. Cf. p. es. '''me '~t(w)e "me, te" rispetto a ·:'ekwo-m "il cavallo" (ace.) e scr. ta-sm-ai "a questo", invece di ~'tiii o '''tiiya. c) I pronomi vengono assai spesso rafforzati mediante diverse particelle deittiche, come nella serie francese ce - celui- celui-ci. Cf. p. es. lat. ego-met nos-met. d) I pronomi personali non conoscono una differenziazione secondo il genere. I pronomi dimostrativi e interrogativi distinguono i generi, ma alcuni non tengono distinti maschile e femminile. I pronomi che distinguono il genere sono assai prossimi ai nomi nella flessione e verranno qui trattati prima di quelli che non distinguono i generi, cioè i pronomi personali.
239
l
,l
A. Pronomi dimostrativi 2. Dal momento che i pronomi dimostrativi contengono un'indicazione riferita al parlante, vi sono diversi gradi di distanziazione e di conseguenza una quantità di dimostrativi. Il sistema più completo presente nelle lingue ie. è per l'appunto quadrimembre: l) Deissi rispetto all"'io" (qui da me, questo che è vicino a me), 2) Deissi rispetto al "tu" (lì da te), 3) Deissi rispetto a "quello (là)", 4) Deissi rispetto a "codesto" (là in opposizione a qui e lì) (l) . Più frequente è il sistema tripartito del latino con hic-iste-ille cui comunque viene ad aggiungersi il pronome neutrale is. I dimostrativi più importanti, per lo meno quelli rappresentati nel modo più ricco, sono gli antecedenti dei ted. der e er, ie. '"so/.:'sai'"'tod e '"is/'''t/~'t'd. (l) Brugmann, Die Demonstrativa der idg. Sprachen, 1904; Grundrill2 II 2, 302 s.; Wackernagel, Vorlesungen iiber Syntax II, 2 1928, 103 (: hic, iste, ille, to-); Frei, Systèmes déictiques, AL 4, 1944, 111-129; Mendoza, La organizaci6n de las deixis, RSEL 6, 1976, 89-111; Biraud, L'évolution des systèmes démonstratifs en grec ancien, Document 8 (Univ. Nice), 1983, 2-28. In generale: J. Lyons, Introduction to theoreticallinguistics, 1968, 275 s.; R. Harweg, Pronomina und Textkonstitution, 1968; Fillmore, Santa Cruz Lectures on Deixis, Indiana Univ. Ling. Club, 1975 .
2.1. Il dimostrativo meglio attestato impiegava, come si è già detto, i temi '''so- e ~'to-. Per stabilirne il paradigma rivestono la massima importanza scr. (a), asl. (b), lit. (c), got. (d), gr. (dorico) (e). Plur.
Sing.
a)
M.
No m. Ace. Gen. Ab l. Da t. Lo c. Str.
sa t ad tam t ad tasya tasmad tasmai tasmin tena
240
N.
Duale
F.
M.
N.
F.
M.
sa tam tasyas tasyas tasyai tasyam taya
te t an tesa m
ta (ni) ta(ni)
tas tas tasam t~bhyas t~bhyas tasu t~bhis
ta(u) ta(u)
t~bhyas t~bhyas
tesu
t~bhis (tais)
N.
F.
te te te te tayos t~bhyam tayos t~bhyam
Sing.
b) M. N.
A. G. D. L. I.
Plur.
N.
tu t o tu t o t o go tomu tomi temi
F.
M.
ta tç t o i<;: toji toji tojç
ti ty
Sing.
N.
Duale
F.
t a ty t a ty texu temu texu temi
ta ta
N.
F.
M.
N . sa
pata
so
p ai po pans p o pize paim
pis pamma
pizos pizai
c)
M.
N.
F. pos pos pizo
e) M. N. 6 t6 t6v t6 toii tWL
Plur.
F.
M.
F.
tas
ta
t~
t~
ti e tuos
tèis tas
ti}
ti}
tfems tuosè tals
t6ms tosè tomìs
to tos t ai tam tamè tojè tuomì t~
Sin g.
N.
A. p an a pata p o
F.
te te te te toju tema toju tema
Plur.
d) M.
G. D.
M.
Sing.
Plur.
F.
M.
D. N.
a t o( t a tav touç t a taç twv taL toi:ç
F. taC taç tav tai:ç
t cb t cb toi:v t oi:v
Senza la testimonianza del scr. sarebbe assai difficile riconoscere la situazione. Il scr. tasmai mostra invece che, in got. pamma, -mm- è esito di assimilazione da '~'-sm-, che è testimoniato anche dall'umbro esmei "huic", pus me "cui" e apruss. stesmu "a quello". Allo stesso modo tasya tasyas ecc. dimostrano che in questo caso vi era un gruppo '''-sy- che ricompare in horn. wi:o; a ciò si aggiungono, confermandolo, lat. eius cuius da '''esyo(s) '''kwesyo(s). La differenza tra t'e{am e tasam ecc. al plurale è effettivamente scomparsa in asl. e got., ma che fosse originaria ('''toisom, ''tasom) è provato da gr. Tav, in precedenza Tawv, lat. (is)tarum da '~'tasom; è possibile che il pronome gr. Toi:oç sia stato formato sul gen. pl. ereditario w(wv da '''toisom, che è comunque presupposto da asl. e germ. (cf. il gen. pl. aggettivale go t. blindaize -at'zo). Non tutti i casi consentono una ricostruzione sicura; sostanzialmente però il paradigma che segue dovrebbe rispecchiare con una certa precisione la situazione delle fasi tarde dell'ie. unitario:
241
M.
N.
''t od No m. ''so Ace. ''t o m ''tod ''tosyo Gen. ''tosmod Ab l. ''tosm6i Dat. *tosmi(n) Lo c.
Duale
Plur.
Sin g.
F.
M.
''sa ''t a m ''tosyas ''tosyas *tosyai
'''ta ''t o i ''t6n(s) ''t a *tois6m ''toibh(y)os ''toisu
N.
F.
M.
N.
F.
~·(tas
*to ''t6
''t o i ''t o i
'''toi ''t o i
''ta(n)s ''tasom ''tabh(y)os *tasu
La situazione di suppletivismo esistente in 1'so-/'''to- può difficilmente essere ricondotta, mediante leggi fonetiche ie. (p. es. 1'to-t6 > '"tt6 e poi tt > ss), ad un tema comune (l); questa duplicità proseguirà piuttosto un'originaria divisione tra animati e inanimati (cf. ungherese ki "chi?", mi "che cosa?"). Al contrario il ntr. '''tod rappresenterà un precedente '''tot, cioè una forma '''to-t(o) raddoppiata per motivi di enfasi. - Sul gen. *tosyo v. più avanti, 3.2. - Quanto alle forme in -sm- è interessante rilevare che accanto a queste forme «pronominali» in diverse lingue si presentano anche forme usate in modo sostantivato senza -sm- (2), p. es. anche tad accanto a tasmad, ecc. È probabile perciò che -sm- servisse all'enfasi, e che quindi sia o il tema pronominale per "lo stesso" (3) o piuttosto il numerale più tardo '"sem- "uno". Le «desinenze» originarie erano dunque dat. '''-sm-ei (cf. u. esmez), abl. ~'-sm-ed, che poi su influsso dei temi in e/o furono trasformate in 1' -smoi 1'-smod, mentre illoc. rimase ~'-sm i(n). Nelle forme femminili dat. 1'tosyai, abl. '''tosyiis si potrebbe pensare, allo stesso modo, a «desinenze» femminili '''-sm-yai, ~'-sm-yiis, ammettendo, cioè, la semplificazione di ,., -smy- in ~' -sy- - nonostante la legge di Edgerton (3 ). - Al nom.-acc. pl. tutte le forme sono identiche a quelle nominali, con la sola divergenza di 1' toi che presenta i come marca del plurale, che poi sembra presentarsi anch'e nei casi obliqui del maschile (e del neutro), ancorché per ~'toisom possa essere preferibile una diversa interpretazione, v. più avanti. - Il gen. pl. femm. '"tasom, come pure quello maschile '"toisom, sembra contenere una terminazione ~'-som davanti alla quale si presenterebbe il tema femminile. Potrebbe darsi che 1'tiisom costituisca un'innovazione sopraggiunta allo scopo di evitare il poco chiaro '"tom (da ~'tii om); punto di partenza dell'innovazione sarebbe stato illoc. pl. '''tiisu 242
che, interpretato come ~'tas-su, avrebbe portato con sé ~'tas-om, secondo cui anche sul nom. pl. maschile ~'toi 'Sarebbe sorto un gen. pl. *toi-som (4); v. anche più avanti, 3.2. (l) Così Heller, Word 12, 1956, 7 s.; cf. anche Hirt, IF 2, 1893, 131: nom. sz da ''t(e)-st. - (2) Dal, Ein archaischer Zug der germ. Pronominalflexion, NTS 9, 1938, 186-218.- (3) Lane, On the formation of the IE demonstrative, Language 37, 1961, 469-475 (in partic. 471); Villar, RSEL 2, 1972, 331-375; G . Schmidt, IF 82, 1979, 73 (: tosyiis dopo tosyo). (4) Hermann, Der Diphthong -oi- im Stamm der geschlechtigen Fiirworter und die Genetivendung -som, Festschrift Wackernagel, 1923, 217-9. Inversamente Laroche (RHA 76, 1966, 41) cerca di spiegare tiisom come formato dal nom. pl. tiis più -om, il che va contro i principi della formazione dei casi ie.
2.2. Attestato con altrettanta ampiezza, benché non altrettanto ben conservato nel dettaglio è il pronome anaforico i- . Il nom. sg. m. e ntr. sono ben testimoniati come ~'is '"id da lat. is id, got. is t't-a (ntr. scr. zd-am); lo stesso si può dire per l'ace., ricostruito come '''t'm ('''id) grazie a alat. t'm (anche em), got. in-a, scr. im-am. La declinazione in -i- è evidente anche per il nom.-acc. pl. masch. nel got. eis (da ~'ey-es come gasteis da '''ghostey-es), t'ns. Negli altri casi appare un tema alternativo '"e-. Un confronto tra lat. ez'us e scr. asya (masch . e ntr.) rimanda a gen. sg. (m. e n.) ie. '''esyo; il dat. sg. (masch. e ntr.) era, come si evince da umbro esmez' e scr. asmai, ie. '''esmei (m . e n.), più tardi ~'esmoi (3), e forme consimili in -sm- sono testimoniate anche per l'abl. e loc. sg. (m. e n.) da scr. asmad e asmin, mentre è sicuro che nelle corrispondenti forme del femm. si trovi un elemento -sy(cf. '''to-sm-oi: ~'to-sy-ai ecc.). Per uno strano «caso» che si verifica ripetutamente sul territorio ie., il gen. pl. (masch . e ntr.) scr. e~am trova un'esatta corrispondenza nell'asco eisun-k, provenendo ambedue da un ie. '"eisom (cf. ~'toisom), con cui si accorda anche got. ize (da ~'isom), con la consueta modificazione del tema (cf. pize), nonché asl. ixu. È anche possibile determinare il loc. e il dat.-abl. _pl. come *ei-su (scr. esu, asl. ixu) e ~'ei-bh-(y)os (scr. ebhyas, alat. zbus). Giacché fino a questo punto sono apparsi solo i temi '''i-, '"e- e *ei-, il latinista avrà ragione di chiedersi in qual modo il tema lat. eo-1ea- si inserisca in questo sistema. La risposta che si suole dare è 243
che questi temi sarebbero stati «tematizzati» da ~'ei-/'~i- (l); in nessun altro pronome, però, capita di incontrare una tematizzazione del genere, che va di conseguenza rifiutata. Ora, un confronto con l'osco-umbro mostra che in origine eo-1ea- era limitato all'ace. sg. masch. e femm. nonché al nom.-acc. pl.; il gotico mostra, inoltre, che di questi casi in principio solo l'ace. sg. femm. e il nom.-acc. pl. femm. e ntr. venivano formati con questo tema, e l'ario prova che la forma originaria del nom. sg. femm. = nom.-acc. pl. ntr. era ~'t, con cui erano connessi anche l'ace. sg. femm. '"'tmF'iy'?! e il nom.-acc. pl. femm. ~'iyas e 1'iya(n)s. Sappiamo però che nelle lingue classiche e in germ. -t del nom.-acc. pl. ntr. dei temi in -i- venne generalmente trasformata in ,·'-i-a (cf. scr. trt: gr. 'tQLa, lat. tria, got. prija), e in base a ciò il nom.-acc. pl. ntr. dovette diventare ~'ia. Le forme con iantevocalica ('~ia, '~ias) vennero modificate secondo la e- iniziale di eius ecc., in modo da dare ea ecc. e furono queste forme con '~ea che diedero il via alla creazione di forme «tematiche» come eum, eorum e così via (2). Sulla base di ciò poss1amo porre la seguente flessione ie. per il pronome anaforico: Sing. M. Nom. Ace. Gen. Ab!. Da t. Loc.
N.
*is *id *im *id ''esyo ''esmod ''esmoi (3) *esmi(n)
Plur.
F. ''1 *iyrp ,·,esyas ''esyas ''esyai
M.
N.
F.
,.'1
*iyas ''iya(n)s
*eyes *ins *1 *eisom *eibh(y)os *eisu
(l) Krahe, Idg. Sprw. II 45. V. anche Otr,ebski, Die lat. Demonstrativpronomina, Sprache 12, 1966, 16 s.; J. Molfna Yébenes, Los pronombres latinos, Emerita 34, 1966, 87 s. - (2) V. per il momento Thes. Linguae Lat. s.v. is. - (3) Nota bene celtiberico (di Botorrita) dat. somui (linea 7), loc. somei (linea 8).
B. Interrogativo e relativo 3 .l. 244
L'interrogativo, che fungeva anche da indefinito ed era in
tale caso enclitico (1), è attestato in tutte le lingue ie.; il tema ~,kwi aveva la medesima flessione dell'anaforico '"i-. Il tema in -i- è evidente nel modo più chiaro al nom. sg. masch. femm. e ntr., p. es. lat. quis quid, itt. kwis kwid, gr. "t(ç "t(, e all'ace. sg. masch. e femm. lat. quèm, itt. kwin, gr. "t(v-a; ad essi si aggiunge av. (;t "mediante il quale" (str.) =: lat. quz "come" (ie. ,·,kwt), nom. pl. masch. lat. ques (Pacuvio) = av. cayas(-ca) (ie. ,·,kweyes?), nom. pl. ntr. av. cl(-ca) = lat. quia, conservato solo come congiunzione, ma ancora interrogativo in quia-nam "perché poi?", e dat .-abl. pl. quibus. Accanto ad esso compare anche un tema in e/o, ma a dire il vero esclusivamente in certi casi. Così il gen. sg. masch. ntr. è scr. kasya = av. kahya e cahya, horn. 'tÉo, attico wù, lat. cuius (arcaico quoius), got. hwis, aat. hwes, asl. cesa, cioè ie. ,•,kwesyo (2) . Il dat. sg. masch. ntr. è scr. kasmai = av. kahmai e cahmai, cioè ie. ~,kwesmi5i (da -mei?) ecc. Questo tema ,·,kwe- risp. ,·,kwo- è penetrato anche in altri casi che un tempo erano di pertinenza del tema ,·,kwi-; cf. scr. kas "chi", kam "chi (ace.)", ma ancora in vedico anche kis "chi", na-kis "nessuno"; kad "che cosa", ma ie. ,·,kwid sopravvive ancora nella particella scr. cid "persino, comunque". Sfruttando tutte le fonti disponibili ricaviamo così il seguente paradigma: Plur.
Sin g.
N.
M.F. Nom.
Ace. Gen.
Da t. Lo c. Str.
''kwid ''kwis *kwim ''kwid ''kwesyo ''kwesmoi ''kwesmi
M.F.
N.
''kweyes ''kwins ''kweisom ''kweibh(y)os '''kweisu
''k"l
(l) Sulla domanda se l'indefinito sia sorto dall'interrogativo o viceversa, come pure se la questione stessa abbia un senso, v. le indicazioni su Glotta 35, 1956, 99\ su cui poi anche Nehring, Sprachzeichen und Sprechakte, 1963, 204 s.; Monteil, La phrase relative en grec ancien, 1963, 129; Hofmann-Szantyr 457. Sugli indefiniti anche N. Danielsen, Zeitschrift fiir deutsche Sprache 24, 1968, 92-117, in partic. 109 s. - (2) Szemerényi, Glotta 35, 1956, 197 s. Sui temi v. inoltre Vaillant, BSL 37, 1936, 103 s.; Tedesco, Language 21, 1943, 133.
245
3.2. È interessante in questo paradigma il fatto che il vocalismo in -e- del tema al gen. sg. ecc. concordi con quello dell'anaforico '~'zs (gen. sg. ''' esyo) ma si trovi in contrapposizione con il vocalismo -odi '~ tosyo. Il vocalismo e rende conto della presenza della palatalizzazione di kw- in c- nelle principali lingue satem. Parallelamente vi erano però anche forme avverbiali con ku- che conservavano la velare e probabilmente secondo ''' tosyo sorse analogicamente anche ,·,kwosyo; queste due circostanze spiegano perché in av. accanto all'atteso ca-lci- sia presente anche ka-, e perché quest'ultimo abbia addirittura soppiantato quasi ogni traccia della forma palatalizzata in scr. In asl. il doppione ko-lci- venne sfruttato per esprimere l'opposizione animato/inanimato: ku-to "chi", C'fto "che cosa". Ancora più interessante è naturalmente il fatto che nella flessione del tema in -i- '~'kwi- al gen. e in parecchi altri casi subentri un tema .,,kwe-lkwo-, che in seguito sarà impiegato anche in derivati come ,•,kwoti "quanto" (scr. katz~ lat. quot), ,·,kwoteros "quale dei due" (scr. kataras, gr. :rt6'tegoç). Ovviamente sarebbe anche qui possibile limitarsi a prendere atto che dal tema dell'interrogativo (ma da quale?) erano possibili diversi ampliamenti, che giunsero perfino a riunirsi in un unico paradigma. Ci si può però anche domandare, come già per lat. eo-1ea- se il tema in elo non sia sorto secondariamente. Per far questo è però anzitutto necessario considerare più da vicino il gen. pronominale in -syo . Si ammette solitamente che il gen. pronominale in -syo sia stato ampliato da un originario gen. in -es/-os, che cioè in '~'tosyo fosse solo '~tos che in principio svolgeva la funzione di gen. sg. L'elemento ''' -yo viene identificato in modi diversi: esso sarebbe, p . es. , identico al «suffisso di appartenenza» '"-yo (l) od al relativo '~'yo- (2). Ma allora, come dovremo giudicare la parte rimanente '~'kwes-, '''es- che sarebbe già di per sé un gen. sg.? La domanda va posta correttamente in questi termini: come possono '~'kwes- e '~' es- rappresentare i genitivi di '"kwis e ·:'is? Ora, dal momento che il gen. sg. di questi temi in -i- era ,·,kweis '" eis, consegue necessariamente che le forme ampliate '"kweis-yo -:'eis-yo saranno state dissimilate in '~ kwesyo '''esyo. Analogamente il dat. sg. doveva essere in origine '"kweyei-sm-ei, che per aplologia sarà divenuto ,.,kw eismei e poi, per dissimilazione, ,., kwesmei. Il gen. pl. ,·,kweisom si presenta ampliato con -om rispetto all'originario
246
,·,kweisyo, con 1'kweisyom dissimilato in ,·,kweisom. La direzione della dissimilazione fu certamente determinata al plurale dal nom. pl. 1'kwey-es; la nuova forma 1'kweisom sarà responsabile della variante in *-so del gen. sg. (asl. cesa, got. hwis da 1'hwesa) (3) . Il nuovo tema 1'kwe_;-:'kwo-, 1'e-/''o-, sorto così per via esclusivamente fonetica in dc:terminati casi, venne poi introdotto anche in casi in cui originariamente doveva trovarsi i, p . es. ace. sg. ~,kwom accanto a, o invece di, *kwim; in quest'operazione sarà servito di modello il dimostrativo to-, tema già da principio in -o-. (l) Brugmann, Grundrill2 II 2, 121; Knobloch, Sprache 2, 1950, 143 (: -s
è ergativo !). - (2) A partire da Schleicher, v. Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. III 96; più recentemente Watkins, Celtica 6, 1962, W, 282 • Non si può che definire curiosa l'ipotesi che un gen. sia sorto dalla composizione di due temi pronominali (e + syo, to + syo) (Specht, Ursprung 363 s.). - (3) Brugmann, op. cit., 161, 361.
3.3. Come si è già detto, l'interrogativo viene usato in tutte le lingue ie. anche come indefinito. In alcune però esso viene impiegato oltre che in questa funzione anche come relativo, e ciò vuoi senza alcuna differenziazione formale (itt.), vuoi con qualche differenza (lat. : qua- invece di quis); del gruppo che si serve di ,·,kwi-/''kwo- per il relativo fanno dunque parte l'anatolico, il tocarico, l'italico, e più tardi anche il celtico e il germanico. Un altro gruppo, comprendente ario, greco, frigio e slavo, si serve di ~'yos, .'''yéi, ~'yod come relativo (l): scr. yas, yéi, yad; gr. oç, f\. o; frigio wç, slavo i-ie. Da siffatta situazione emergono diversi problemi. Innanzitutto, per quanto riguarda l'origine di questi relativi, è evidente che ~' kw i- è identico all'interrogativo-indefinito testé trattato. Ci si deve tuttavia chiedere come si sia sviluppato il pronome relativo a partire da tali fondamenti; secondo alcuni esso deve essere sorto dall'indefinito (2), ma è probabile che anche l'interrogativo abbia svolto un ruolo in questo processo, cf. pecuniam quis nancitor, habeto, originariamente «qualcuno ottiene del denaro? Che l'abbia» e fa' come ordina, da «come ordina? Fa' (così)» (3). Per ~'yos è invece sicura l'origine da un dimostrativo, per la precisione dell'anaforico '"i- (4), il che presenta delle somiglianze col relativo ted. der. Il secondo problema riguarda il luogo e il tempo: in ie. erano già
247
1
1
1
l
presenti ambedue i relativi? se sì, come si ripartivano? Dal momento che nessuna lingua ie. si serve contemporaneamente dei due pronomi per 1l relativo la prima domanda può mirare solo a stabilire se in tutte le lingue ie. accanto al relativo non siano presenti anche tracce di un uso relativo dell'altro pronome. È vero, così, che in ittito o in tocarico non esiste '''yo -, ma itt . ya "e", toc. A yo "e" sono stati derivati da un relativo '''yo- (5); ciò non è in alcun modo cogente, dal momento che ci si potrebbe semplicemente rifare ad un dimostrativo "così", e lo stesso discorso può venire applicato a got. jabai "se" e simili. Non è quindi possibile sostenere le tesi che l'ie. avrebbe posseduto '''yo- come relativo (6) oppure che ,·,kwi- sarebbe stato usato come relativo generalizzante e '''yo- come relativo definito (7). Al contrario, il valore panindeuropeo di i,kwi- come relativo sembra essere provato dal fatto che è panindeuropeo ,., kw e "e", che è derivato da questo tema e originariamente aveva il valore di un avverbio di modo significante "come" ('''pater ·:'maNrkwe "il padre come la madre") (8). L'uso relativo di '~kwi- non è quindi un'innovazione dell'ittito ecc. (9), bensì un tratto arcaico di queste lingue, rispetto al quale il relativo i'yos rappresenta una innovazione delle lingue satem e del greco (10) . (l) Gonda, The original character of the IE relative pronoun yo-, Lingua 4, 1954, 1-41; Old Indian, Wiesbaden 1971, 138-141; Benveniste, BSL 53, 1958, 49; Seiler, Relativsatz, Attribut und Apposition, 1960 (cf. Kratylos 12, 1968, 41-52). - (2) P. es. A. Hahn, TAPA 95, 1964, 115; JAOS 85, 1965, 49 9 ; Haudry, BSL 68, 1973, 147 s., in partic. 165 s. - (3) Hofmann-Szantyr 555. Sul relativo latino v. ora G. Serbat, in: E. Benveniste aujourd'hui I, Paris 1984, 177-185.- (4) Brugmann, Grundrill2 II 2, 347; Ivanov, VJ 1958 (5), 41; Monteil, op. cit. (sopra, 3.1.), 12 s.; Hahn, JAOS 85, 1965, 49. - (5) Ivanov, l. cit.; Watkins, Celtica 6, 1962, 16. Itt. ya viene giustamente confrontato con got. ja-h da Neumann, IF 67, 1962, 200; Rosenkranz, AION-L 7, 1966, 172. - (6) Brugmann, op. cit., II 2, 347; Hofmann-Szantyr 555 . - (7) Sturtevant, Curme Volume, 1930, 141149; Hahn, TAPA 95, 1964, 113 s.; cf. Monteil, op. cit., 16. - (8) V. Szemerényi, Syntax, meaning and origin of the IE particle ,•,kwe, in: Festschrift Helmut Gipper, 1984 ..- (9) Kammenhuber, KZ 77, 1961, 45 ; MSS 24, 1968, 88 . - (10) Cf. in proposito Porzig, Gliederung 173, 191, 198; Kammenhuber, op. cit., 41; Lehmann, In memory of ].A. Kerns, 1981, 187 (: un relativo '''yo- non esisteva in ie.).
248
C. Pronomi personali 4. Al contrario dei pronomi fin qui trattati i veri e propri pronomi personali non conoscono distinzione di genere; il pronome di terza persona, che è «dotato di genere», non è naturalmente un pronome personale, bensì un anaforico. Esiste anche un riflessivo, la cui flessione è identica a quella del pronome di seconda persona singolare. Vi è inoltre una serie di pronomi possessivi. 4.1. Daremo innanzitutto la flessione dei pronomi personali nelle lingue più significative: a) "io", b) "tu"; tra parentesi le forme enclitiche. a)
v ed.
Sg.N. ah am Ace. mam (ma) mama (me) G. Ab!.
asl.
gr.
azu EYOJ mene (mç) Ef.tÉ (~tE) E[.tElO (f.tEU) me ne
m ad mahya(m) (me) mayi maya
mlne (mi) mlne munojq
E[.tOL (f.tOL)
P!. N. vayam Ace. asm~n (nas) G. asm~kam (nas)
my (ny) nasu (ny) nasu
llf.tEtç/U[.t[.tEç
D. L. Str.
Ab l.
D. L. Str.
l'J~téaç/<'i~tf.tE
llf.tÉùJV
ala t.
go t.
itt.
ego med mel, mis
ik mik meina
ug amug amel
m1s
amedats amug amug
med mihl
wes weis n6s uns(is) antsas (nas) nos nostri, unsara antsel -rum antsedats uns(is) antsas (nas) antsas
l'J~tiv/ii~t~tL(v)
nobis no bis
ty tebe (tç) te be
ou OÉ (oE) OELO (oEU)
pu tu puk t ed tu!, tls peina
tsig tug twel
tebe (ti) tebe tobojq
oo(
t ed tibl
twedats tug tug
asmad asm-~, -~bhya(m) namu (ny) nasu asm-e, -asu narni asm~-bhis
b) Sg.N. tvam Ace. tvam (tva) G. tava (te) Ab l.
D. L. Str.
tv ad tubhya(m) (te) tve, tvayi tva, tvaya
(ooL)
pus
249
ved. Pl. N. yuyam Ace. yu~m~n (vas)
G.
yu~m~kam (vas)
Ab l.
yusmad '
D.
.
yu~m-e,
-abhya_(m) -asu
L.
yu~m-e,
Str.
yu~ma-bhis
asl.
gr.
ala t.
got.
itt.
vy
U!-tELç/U!-1!-IEç 1!~-tÉaç/ìl~-t~-tE
vos vos
jus
vasti (vy) vasti
U!-tÉWV
vostri, -rum
izwara
su m es sumas (-smas) sumel
vamti (vy)
1!~-tiv/ìl~-t~-tL(v)
vasti v ami
vobTs vobTs
IZWIS
izwis
sumedats sumas (-smas) sumas
4.2. A prima vista sembra di riuscire a scorgere solo una grande varietà di forme. Ad un esame più ravvicinato la distanza tra le diverse lingue si fa meno marcata ed anche la struttura finisce per rivelarsi in modo più netto. Nom. sg.: per la l. persona si ricava 1'egi5 (le lingue classiche) e i•eg(h)om; per la 2. pers. '''tiiP'tu; in ario da esso si è formato tuv-am (tvam è spesso bisillabico in vedico), poi tvam monosillabico, con l'aggiunta di una particella -am, probabilmente separata da ah-am e presente anche nelle altre persone (1). Il Nom. pl. è formato da un altro tema; per la l. pers. si ricava wei, donde è sorto in scr. vayam con -am, e in got. e itt. i•wey-es, con la marca del nom. pl. dei nomi, che ha successivamente dato got. weis (cf. preis), aat. wir, itt. wes (con caduta di y e contrazione); per la 2. persona troviamo '"yus in got. jus, av. yiH e yui-;;m, con quest'ultima forma che dimostra come scr. yuyam sia stato ottenuto modificando ·~
250
med ted non hanno nulla a che fare coll'ablativo; un raddoppiamento, frequente nei pronomi personali, diede ~'te-te, donde, in seguito ad apocope, si ebbe ~'tet in poi t ed, e secondo questo anche med (lb). Al pl. scr. asman yu~man e gr. i]~éaç/O.~~E, iJ~éaç/u~~E sono strettamente connessi. L'av. ahma "noi (ace.)" mostra che le forme scr. sono sorte secondariamente con l'aggiunta della desinenza dell'ace. pl. tratto da '''asma ;'yu~ma, forme identiche a quelle eoliche O.~~E u~~E. Il fatto che le forme enclitiche dell'aria siano nas vas, che sono palesemente alla base anche di lat. nos vos, asl. nasu/ny, vasul vy, itt. nas e got. uns (da ;'?JS), ci induce a concludere che le forme arie e gr. devono essere sorte da 1'nsme '~usme, in cui ns e us sono il grado zero di '~nos '~wos; l'itt. sum~s è una modificazi~ne metatetica di *usme(s) (2), scr. yu~m- deve la sua y- al nom.; got. izwis è da '~ uswes.
Gen . Per la l. sg., 1'mene è testimoniato da asl. (e lit.: man[!s), av. (mana), cimr. (3); scr. mama è sicuramente esito di una assimilazione a partire da questa forma, mentre itt. amel potrebbe essere una forma dissimilata da ;'amen(e). Il gr. È~Eio è da '~emesyo con la desinenza pronominale. Il lat. mez può essere esito della stessa forma, oppure il gen. del pronome possessivo meus, e lo stesso vale anche per tut, nostrz vestrz e nostrum vestrum. Per la 2. sg., '~ tewe o -:'tewo è la forma attestata in aria e (modificata secondo il dat.) in asl., come pure in celtico (3 ). Il gr. odo è da '''twesyo. - Accanto a queste forme con accento proprio stanno le forme enclìtiche '''mei/'''moi, ''' t(w)eil'~t(w)oi, che svolgono anche funzione dativale e sono presenti in aria, gr. (dat.), asl. (dat.), alat. (mzs t"is, ampliati con -s). Le forme got. meina peina sono di solito considerate forme del possessivo, ma è più probabile che rappresentino l'incrocio di 1'mei e '''mene. Al plur., scr. asmakam yu~makam sono chiaramente i neutri dei possessivi, e lo stesso si può dire anche per le forme lat. e germ. Il gr. -Éwv è invece ampliato in maniera analoga ai nomi e asl. nasu vasu da ;'nosom '~wosom sono genitivi di ''' nos ;'wos. Abl. La formazione aria in -ad trova ora un preciso pendant non solo in lat. med ted, ma anche in itt. amed- twed- antsed- sumed- che sono stati tutti ampliati con -ats di origine nominale (4). Le forme plurali in lat. sono state sostituite. Dat. Le forme semplici del sg. in scr. , gr. e asl. sono già state
251
trattate parlando del gen.; quelle del pl. scr. asme yu!fme appartengono, evidentemente, allo stesso tipo: ~'"':!smei -:'usmei. Una formazione affatto diversa è quella presente in scr. mahya(m) tubhya(m) asmabhya (m) yu:jmabhya (m), la cui m è subentrata secondariamente per analogia di -am, cf. av. maibya taibya ahmaibya yiiJmaibya (xsmaibya). Tale formazione è palesemente identica a quella che troviamo in asl. tebe (sebe) e lat . tibt (sibl), che però presentano un rifacimento secondo il dativo nominale da -bhi, che in scr. si presenta ampliato con -a (da ''' -a?) (5). Le forme ie. erano ~' mebhi '''tebhi. Le forme lat. mihi e scr. mahyam, che paiono concordare nel presentare h, sono entrambe dissimilate in epoca tarda da ie. m-bh-; asl. m'fne sostituisce ;'mebe secondo il gen. mene. Le forme lat. nobts vobts (come pure asl. namu vamu) sono tarde innovazioni sulla base dei «temi» no- va- che si potevano astrarre da nos vas. Got. mis pus sembrano aver tratto la propria -s da uns izwis. Loc. Il scr. tvayi è da ~'twoi, presente in tve, rideterminato con una seconda terminazione -i di locativo; lo stesso vale per mayi. Al plurale ci si aspetterebbe ~'asmi -:'yu!jmi, che sono di fatto presenti in 0.~-t~-tt U!!!!L; in scr. asme si è sicuramente posto rimedio all'omofonia di '''asmi "in noi" con asmi-n "in questo" (-n è secondario); asme yu!fme sono certamente da ~'asmayi '''yu:jmayi (6) . Str. L'antico strumentale è presente in scr. tva, semplicemente formato da tu + a; questo tipo è presente anche al p l.: asma yu!jma vengono confermati in parte da yu:jma-datta- "dato da voi" ecc., in parte dalla testimonianza dell'iranico. L'innovazione tvaya maya si è prodotta sulla scia dei temi in -a- (7), e lo stesso procedimento vale a spiegare anche asl. munojp tobojp(8). (l) V. Sommer, IF 30, 1912, 398 s.; Normier, KZ 91, 1978, 210; Hamp, BBCS 29, 1980, 84. - (la) Szemerényi, BSOAS 27, 1964, 160. Melchert, MSS 42, 1983, 151-165. - (lb) Szemerényi, TPS 1973, 55-74. - (2) Schwyzer, GG I 601; Benveniste, Hittite et indo-européen, 1962, 76. (3) Thurneysen, Grammar of Old Irish, 1946, 281. - (4) Szemerényi, KZ 73, 1955, 59 s. , 67. - (5) Insler, IF 71, 1967, 232 nota 15. V. anche Poultney, Lg. 43, 1968, 877, 880.- (6) Insler, cit. nota 16.- (7) lvi, 231. - (8) Vaillant, Gram. comp. II 449 s.
4.3 . Sulla base dell'analisi che precede possiamo quindi ricostrui-
252
re coslla situazione dei paradigmi nei loro aspetti essenziali: No m. Ace. Gen. Ab l. Da t.
''eg(h)om, ego *(e)me, me, mem *mene, encl. mei/moi *me d ''mei/moi, mebhi
*tu, tu ''twe/ te, twe/ te, twem/ tem ''tewe/tewo, end. t(w)eilt(w)oi ''twed ''t(w)ei/t(w)oi, tebhi
Nom. Ace. Gen. Ab l. Da t.
*wei, J}smés *nes/ nos, nes/ nos, J}Sffie '' nosom/nosom *nsed/ nsmed o o *IJsmei
''' yiis, usmés (uswes?) ''wes/wos, wes/ wos, usme, uswes *wosom/ wosom *(used?)/ usmed ''usmei
4.4. A questo punto possiamo addentrarci ulteriormente nella ricerca della spiegazione di questi paradigmi (1) . a) Il rapporto esistente tra '~' ego/'~'eg(h)om e ''' em-l m- degli altri casi viene in generale considerato la manifestazione di un arcaismo originario; v. Kurytowicz, Categories 183. In tal modo, però, risulterebbe inspiegabile il fatto che la desinenza verbale di l. persona sg. non sia '~'eg-. Non si può fare a meno di dedurre che se la desinenza verbale è -mi ciò sta a significare che all'epoca in cui essa venne formata non esisteva '''eg(h)o, ma solo m (2) . Portatore di significato al nom. non è dunque '~'eg(h), bensì '~' -om; ''' eg(h) è una particella che si prefiggeva al pronome '~em. La forma originaria è dunque '~' eg(h)om, conservata in ario e alla base anche del germanico . La forma '''ego, presente soprattutto nelle lingue classiche, è secondaria, probabilmente innovata secondo -om/ -o del verbo (3). b) All'ace. sg. sembra presentarsi una desinenza -e, in ,., me da ,.,emé, *twé da '''tu-é (4). Le forme '''me ''' t(w)e che troviamo accanto a queste ultime sarebbero varianti enfatiche con allungamento della vocale (5), e '~mem '''t(w)em conterrebbero la consueta desinenza di ace. -m (v. 4.2.) . Orbene, una -e come desinenza di accusativo sarebbe strana, mentre accusativi ben formati sarebbero '''m-em '~'tw-em. È quindi necessario ammettere che le forme di ace. contrassegnate da -em potessero perdere la nasale (6) con conseguente allungamento della vocale; un incrocio di, p. es., '~'me e '''mem avrà dato 1'mem. Allo stesso modo l'ace. pl. *nsme sarà sorto da '~' nsmen, e quest'ultimo da '~'?Jsmens, v. VI.2.7.1. o o
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c) Un caso di suppletivismo sembra presente nella l. pl., e addirittura in modo duplice: il nom. ~'wei si contrappone ad un «obliquo» '''':fS (ampliato '~':!sme), e ambedue contrastano con '~eg(h)oml''em- del sg. Per la differenza ~'eg(h)om: ~'wei viene perfino offerta una spiegazione razionalistica: «nos signifie 'mo i et d' autres', et non plusieurs 'moi'» (7), «noi non è 'io ed io', bensì io e tu, e voi può essere tu e egli» (8). In contrapposizione a questo punto di vista, si è di recente sottolineato, a ragione, che i plurali pronominali sono veri e propri plurali, che "noi" comprende, tra l'altro, "io", e che questo legame della l. sg. e l. pl. viene espresso in molte lingue anche formalmente (9); cf. lit. mes, asl. my, arm. mekh ecc. Ora, è opinione comune che lat. nos non sia propriamente al suo posto al nom., dove sarebbe giustificato solo '''wei. Dal momento però che tutte le forme oblique sono formate a partire dal tema ~'nos, si tratta chiaramente di una conclusione erronea: ~'wei è una forma sostitutiva, e non qualcosa di originario. D'altra parte lo stesso greco è sufficiente a dimostrare che anche '''':!smes era altrettanto giustificato al nominativo, evidentemente come variante enfatica di ~'nos, e poiché l'enfasi veniva ottenuta spesso e volentieri per mezzo del raddoppiamento, ,·,':!smés sembra essere semplicemente ~'tt;tsmés (10), cioè '~mes-més con indebolimento in '''tt;ts della parte non accentata; per '~ns da '~'ms cf. la desinenza -ns dell'ace. pl. Prova del nom. '~mes per l; l. pl. è anche il fatto che o la desinenza verbale suona proprio così; '~'mes è naturalmente il plurale regolare, ~'(e)m-es, di '''em- "io". Ciò pone fine alla questione, lungamente e vivacemente dibattuta, se ci si debba rifare a '~'ns-me o a '''ns-sme e se -sm- in ~'ns-sme abbia a che fare con -sm- pres~nte in '''tos~ei ecc. (11), il che ;ndrebbe già escluso per il semplice fatto che -sm- nei dimostrativi è presente solo al sing., mentre nei pronomi personali si dà, viceversa, solo al plur.; né tantomeno può qui essere questione di un'analisi '~'~J-s-me "quello più lui più me = noi" (12). L'influsso della l. pl. '''':!s-mes sulla 2. pl. spiega perché troviamo gr. Uj.tj.teç, scr. yu~ma-; a rigore dovremmo infatti attenderci '~'us-wes da '~wes-wés, che di fatto è presente in got. izwis. Il nominativo della l. e della 2. p l. era quindi originariamente '~'mes '~'wes, ovvero ~'mos ~'wos, cui si aggiunse~;o in seguito '''':!s-mes ~'us-wes (ovvero '''us-mes); secondo '~'IJS anche ·~
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in '~nos. Da '~'nos è sorto anche il duale '''no (scr. na, gr. vw) per retroformazione, cf. la declinazione tematica pl. -os: duale -o. Il carattere secondario e non pronominale di '~'wei può essere evinto anche dal fatto che il suo nucleo ·~
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secondo i temi in e/o, sono infatti presenti m gr. q.wç o6ç. Il gen. '~ mene è evidentemente un'innovazione, per la precisione di origine ablativale: 1'(e)m-ene "da me" "de moi" (come lat. superne "dall'alto", got. utana "da fuori"), abbreviata in 1'mene (20). Da un incrocio di 1'mene e '''mei enclitico è risultato "'meine in got. meina. Dal gen. "'tu-6s non è sorto solo 1'tw6s, ma anche, come nei temi nominali in -u-, '''towos; e da ciò poi anche i possessivi lat. tuus e '~tewos, con apofonia secondaria, in gr. tE(F)6ç; da cui anche, con «retroformazione», il gen. 1'tewo o '~tewe (21). /) L'abl. è formato con '''-ed, come si può inferire dalle forme: 1 'twed va diviso in '~ tu-ed; ''' ed è una posposizione che sopravvive ancora in asl. otu "via da" (22) . (l) Per i problemi generali vorrei accennare tra le opere più recenti alle seguenti: Schwyzer, GG I 599 s. (eccellente panoramica e bibliografia); H.F. Rosenfeld, Zeitschrift fur Mundartforschung 23, 1955, 99 s.; Forschungen und Fortschritte 29, 1955, 150-6 (soprattutto sul germ.); Szemerényi, Hittite pronominal inflection, KZ 73, 1955, 57-80; G. Liebert, Die ieur. Personalpronomina und die Laryngaltheorie, 1957, in partic. 55 s. (troppo esteso l'uso delle laringali); Savcenko, Das Problem der Entstehung der Verbalendungen im Idg., Lingua Posnaniensis 8, 1960, 44 s.; Nehring, Sprachzeichen und Sprechakte, 1963, 111-121; C. Ha uri, Zur Vorgeschichte des Ausgangs -Ena, 1963; KZ 78, 1963, 115-125; Myrkin, Tipologia del pronome personale e problemi della sua ricostruzione in ie. (in russo), VJ 1964(5), 78-86; Origine dei pronomi personali germ. dal punto di vista della geografia linguistica (in russo), VJ 1966(6), 71-75; Erhart, Die ieur. Dualendung -o(u) und die Zahlworter, Sbornik Brno, 1965/A-13 11 -33; Cowgill, in: Evidence, 1965, 169-170; Majtinskaja, Sull'origine di parole pronominali in lingue di tipo diverso (in russo), VJ 1966(1), 15-25, nonché Sulla tipologia del legame genetico dei pronomi personali e dimostrativi (in russo), VJ 1968(3 ), 31-40; Brandenstein, Festschrift Pokorny, 1967, 17-19; Erhart, Studien zur ie. Morphologie, Brno 1970, 34-67, 151-161; Leumann 2 1977, 461 s.; G. Schmidt, Stammbildung und Flexion der idg. Personalpronomina, Wiesbaden 1978; inoltre: Houwink Ten Cate, RHA 79, 1967, 123-132; Josephson, ivi 133-154; Friedrich, Festschrift Eilers, 1967, 72-3 (tutti e tre in partic. sui problemi itt.). La distinzione fra pronomi inclusivi ed esclusivi (v. p. es. Bloomfield, Language 255-257) non ha alcun significato nell'ie., ma ha forse rivestito un ruolo in età preistorica, cf. A. Moreschini Quattordio, L'in-
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elusivo e l'esclusivo, SSL 10, 1971, 119-137; Ivanov, Glagol20 s.; Gamkrelidze-Ivanov, IANOLJ 60, 1982 , 30; e per altre famiglie linguistiche Hymes, Studies Traeger, 1972, 100-121; Jacobsen Jr., PCLS Parasession 16, 1980, 204-230.- (2) Così Myrkin 79; Savcenko 49.- (3)]. Schmidt, KZ 36, 1900, 405 s. (411: eghom astratto neutro!); cf. anche Majtinskaja (1968) 33 s. -Sul balt. ei v. Stang, Vgl. Gram. 247 . - (4) Non è certo possibile derivare '~ twé da '~t-wé (Cowgill) e non da '~tu-e. - (5) Schwyzer 600. - (6) V. · su questa ipotesi Meillet, Introduction 173. - (7) Meillet 333 . - (8) Hirt, IG 3, 21. Cf. anche Prokosch 282: «A real plural of 'I' cannot exist, of course - there is no 'I plus I plus I'». - (9) Isacenko, V] 1961 (1), 41; Myrkin 78. - (10) Myrkin 80; cf. Prokosch 282 s. - (11) Schwyzer 601 (-sm- = to-sm-) , contro la quale ipotesi Lane, Language 37, 1961, 47P; Erhart 14. - Benveniste, Hittite et indo-européen, 1962 , 76, ipotizza una -m- pluralizzante, v. in proposito Szemerényi, KZ 73, 70. - (12) Liebert 101. - (13) Scr. vam e asl. ve provano che a in scr. avam non risale a '''~JH- (Erhart, Cowgill), ma è invece una particella preposta; per questo anche germ. unk- non è riconducibile a ,.,IJHW-. (14) Cf. Brugmann, Grundrili2 II 2, 380, 455; cf. Liebert 94 s. - (15) Vaillant, Gram. comp. II 543; in precedenza già Pedersen, Symbolae Danielsson, 1932, 264 s.; Hittitisch 75 s. - (16) Cf. anche Brugmann 380: '"yu- è i+ we "egli e voi"; Liebert 104: '"yu- = i+ u "io più tu" e ~'wi- "noi" = u + i "tu più io". - (17) '''wes non va quindi accostato, con '~te-we, ad av. ava- ecc. (Brugmann 381 s.). - (18) Brugmann 820 s.; Pokorny 287. Inutile Hamp, PCLS Parasession 16, 1980, 147-149. - (19) Schwyzer II 189, e (contro la n. 3) soprattutto Havers, Untersuchungen zur Kasussyntax der idg. Sprachen, 1911, 62 s. - (20) Ad ogni modo ne non è connesso con nos (Brugmann 382), e neppure è sorto da '''meme (Schwyzer I 601; secondo Cowgill con suffisso -me da '''me-me) . - (21) Sicuramente non da '~t(w)e(t)we, Schwyzer 601 o con un suffisso -we da '"te, Cowgill, l. cit. Sui genitivi, v. ora anche G. Schmidt, KZ 82 , 1969, 227-250.- (22) Szemerényi, KZ 73, 1955 , 59 s., 67 s.
4.5. Dai pronomi personali vennero formati anche dei possessivi (1). Le forme primitive sembrano essere state ~'(e)mos '"twos ~''!smos ''usmos (-sw- ), p. es. in gr. È[.t6ç, o6ç, Of.l.[.l.Oç, Uf.A.f.A.Oç; av. ma- "meus", ihoa- "tuus" (2), scr. tva- "tuus". Accanto a ''twos vi era anche ''tewos/''towos (v. sopra, 4.4.e), p. es. gr. 'tE(F)6ç. L'enclitica ''mez/'''moi è alla base di lat. meus, asl. mof{, come pure di got. meina- ecc. (v. sopra, 4.4.e), mentre in scr. i classici madtya-, tvadtya ecc. erano far257
mati a partire dagli ablativi mad tvad ecc., che fungevano da tema dei pronomi personali, ed ancora in periodo vedico i possessivi mamaka- asmaka- yu!fmaka- lo erano a partire dal genitivo dei pronomi personali. In parecchie lingue sono presenti al plurale anche forme ottenute col suffisso contrappositivo '''-(t)ero-; cf. gr. ~f.tÉ'tEgoç Uf.tÉ'tEgoç, alat. noster voster, got. unsara- izwara-. (l) Cf. Brugmann, Grundrili2 II 2, 403 s.; Schwyzer, GG I 608. Sui possessivi germ. v. ora anche T. Frings-E. Linke, Festschrift F. Maurer, 1963, 91-117. - (2) La forma av. ahma- "noster" addotta da Schwyzer (seguendo Brugmann?) non esiste.
4.6. Accanto ai pronomi personali vi è anche un riflessivo, che soprawive in lat. selsuzlsibz, gr. E/o'Ù/ot, ecc. Non ha un nom., ma degli altri casi è possibile ricostruire, p. es., un ace. ''' s(w)e e un dat. ~'s(w)oi e '''sebhi, forme cioè che corrispondono a quelle della 2. sg. Non è un caso, dal momento che tali forme sono state formate sull'anaforico '''se secondo il modello di ~'t(w)e ecc. (1). Il possessivo riflessivo, che soprawive in lat. suus e gr. É(f)6ç, oç (da '''sewos, '''swos), aveva la particolarità di poter essere riferito a tutte le persone, così come ancor oggi, p. es., in russo, invece di dire «io vado a casa mia», «tu vai a casa tua» ecc. , si dice «io vado a casa sua», «tu vai a casa sua» ecc. Questa particolarità si spiega con l'ordinamento sociale della grande famiglia: rispetto a qualunque oggetto esterno suscettibile di possesso (all'opposto dei «miei piedi» ecc.) non si dava evidentemente alcuna proprietà personale, tutto apparteneva alla grande famiglia. Essa si chiamava '''swei:'swo- "genere" (da '''su- "nascere") e la forma aggettivale '''swo-s significa "appartenente al genere = proprio" (2). (l) Benveniste, BSL 50, 1955, 36; Szemerényi, Syncope 314 s.- (2) Szemerényi, ivi e 334 s., e, un po' differentemente, Kinship terminology, 1978, 42 s.
D. I numerali
5. I numerali ie. avevano un sistema abbondantemente sviluppato di cardinali e ordinali, in cui era applicato con coerenza il sistema
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decimale; l'ipotesi, avanzata a più riprese, di influssi di un sistema duodecimale, va rigettata. Accanto a questi numerali è possibile ricostruire anche una (minore) consistenza di moltiplicativi. Una bibliografia quasi completa (fin verso il 1960) si trova nel mio Numerals. Ricordo inoltre: Gonda, Observations on ordinai numbers, Festschrift P. S. van Ronkel, 1950, 135-45; A. Suprun, Slavjanskije cislitel'nyje, Minsk 1969; Risch, Das idg. Wort fur 100, IF 67, 1962, 129-141; Benveniste, Hittite et indo-européen, 1962, 78-87; Kurytowicz, Categories 236 s.; Watkins, On the syntax of the ordinai, Lochlann 3, 1965, 287-297; K. Hoffmann, Zu den altiranischen Bruchzahlen, KZ 79, 1965, 247-254; Erhart (sopra, 4.4.); Henning, In memoriam P. Kahle, 1968, 144; A.S.C. Ross (ed.), lE Numerals, Berlin 1985.
5 .1. Riguardo ai numerali è già divenuta proverbiale la concordanza tra le lingue ie. più diverse nell'espressione di 1-10, delle decine e di cento - spesso fin nei minimi dettagli. Di essi numerali, 1-4 e 100 erano declinati, mentre gli altri erano indeclinabili. Partiremo qui dalle forme ie. ricostruibili. 5.2. "~•oinos "1", declinato come un aggettivo tematico: alat. otnos, class. unus, got. ains, airl. oin, apruss. ains, gr. oì.vi] "l'uno sui dadi". "Uno" veniva in questo caso considerato come "unico, solo", cf. gr. oÌ(f)Oç "unico", il cui corrispondente esatto e 1ran. aiva"uno"; un'altra variante è '''otkos in scr. eka "uno". Al contrario, "uno" nel senso di riunione, di unità, è espresso da '''sem-: gr. dç ev f-tla da '~'sem-s '~'sem "~•smiya; '~sems è la forma innovata da un più antico "~•sem (v. sopra, VI.2.7.1.); a ciò rimandano anche lat. sem-el, semper "continuamente" (cf. l'espressione equivalente ted. "in einem fort"), simplex, got. simle "una volta, per l'addietro" . "~•duwo;;'dwo masch., '~ duwotF'dwoi femm. ntr. "due" (1): scr. d(u)va, d(u)ve; gr. Mw, più tardi solo Mo; lat. duo; got. twai; asl. duva, duve; lit. dù masch., dvì femm. Sull'alternare di duw-ldw- v. sopra, V.7.2.2.; la varietà dw- è stata fissata in got. twai, ted. mod. zwei ecc., e arm. erku, che a prima vista suona strano, e in cui solo ku (con k da dw) continua l'antico dwo (2). Sulla flessione, v. sopra,
VII.6.4. 259
'~treyes
m., 1't(r)isres f., '''trz n. "tre" (3): scr. trayas, tisras, trz; airl. tri, f. teoir (4); altrove solo due forme: gr. 'tQEtç 'tQ(a; lat. tres, tria; got. preis, prija; asl. tr'ije, ntr. tri. La flessione era: nom. "~•treyes, ace. '~trins, gen. '~triyom, loc. 1'trisu, ecc. (v. sopra, VII.5 .1. ), donde p. es. lat. tres, trzs, trium. 1 'kwetwores m., *kwetesres f., 1'kwetwi5r n. "quattro": scr. catvaras, catasras, catvari; airl. ceth(a)ir, f. cethéoir (4); altrimenti solo due forme: 'tÉnagEç, -ga; asl. cetyre m., cetyri n. f., o addirittura una sola: lat. quattuor, got. fidwi5r . In alcune lingue la -o- originariamente giustificata solo al ntr. (da -orh, v. VII.3.2 .) (5) è stata trasferita anche al maschile, cf. scr. catvaras, got. fidwi5r da '''/edwores (6) e sicuramente un tempo anche in protoslavo, come mostra la lunga y da u, invece di u (7) . Il paradigma era nom. ·~
260
Cowgill, Language 33, 1957, 341-5 (: come l'ario, anche il celtico richiede solo '"tisres, '"kwetesres, non -sor-); sull'origine dell'elemento -sr- v. Szemerényi, Syncope 313 1, 335; Kratylos 11, 1967, 206 s., in partic. 220 s.; Kinship terminology, 1978, 39 s.; Normier, IF 85, 1981, 47 (erroneo) . - (5) Szemerényi, Numerals 15 (su cui anche Meillet, BSL 29/2 , 1929, 171) e per il scr. -i 13 3 nota 64. La forma aria ''ca tv a che ci si aspetterebbe da ie. ''kwetwor sembra essere attestata in Ashkun éata (Morgenstierne, NTS 15, 1949, 203). Erroneamente circa ,o/kwetwor- SchmittBrandt 24 nota. - (6) Cf. Krahe, IF 66, 1961, 36 s.; ma -o- non è ie. (7) Vaillant, Gram. Comp. II 628; diversamente Schmalstieg, AION-L 4, 1962, 59 s. - (8) Szemerényi, Syncope 288; SMEA l, 1966, 34; su 't-/rtdel gr. e/- del germ., ivi 40. Sull'etimologia, Erhart 23 s. - (9) Szemerényi, SMEA l, 1966, 40 s. Per l'etimologia v. Polomé, Festschrift Kuiper, 1969, 99-101; Crevatin, InLi 4, 1978, 7-11, ma cf. anche Mayrhofer, Mél. Renou, 1968, 513; Windekens, IF 87, 1983, 8 s.- (10) Szemerényi, Numerals 107 s.: secondo pentu invece di '"pence; non '''penkwti ie. (a favore di quest'ultimo ancora Hoffmann, KZ 79, 1966, 253).- (11) Sulle forme slave da 6 a 10 v. Szemerényi, Numerals, 109 s. - (12) lvi 78 s.; cf. anche Nehring, Sprache 8, 1962, 129 s.; Stang, Vgl. Gram. 279. La speculazione di Erhart (p. 26: Hwe-ks = 2 X 3) è inaccettabile. - (13) Szemerényi, Numerals 35, 109 s. Sullo slavo orientale anche Liewehr, · Zeitschrift fiir Slawistik 12, 1967, 726. - (14) Su k palatale Szemerényi, Syncope 399 s.; sull'etimologia Erhart 25; Olzscha, op. cit., 152. - (15) Sul greco: Syncope 107-118 (non ie. '"enwn !); KZ 88, 1974, 25 s.- (16) Szemerényi, Numerals 68 s.; Olzscha, op. cit., 146 s.
5.3. Per le decine è possibile ricostruire per l'ie. dei composti (cosiddetti dvigu), il cui primo membro è la forma tematica delle unità, mentre il secondo è *(d)komt, una variante apofonica di '"dekJ?!t "10", con allungamento della vocale finale del primo membro a causa del gruppo iniziale del secondo (1). Le forme ie. erano:
'wzkmt
7
-:'septmk~:nt, o
-:'trzkomt ''kwetwrkomt -:'penkwekomt, -:'s(w)ekskomt, -:'oktoko'mt, -:'new~kom/ o
L'evoluzione di r, m, n in ra ma na ha dato in latino la caratteristica «vocale di lega~e~to;> a, con la sola eccezione di 80; quadraginta, 7 septu(m)aginta, nonaginta hanno finito per modificare anche 'quinque- 7'sex- in quinquaginta sexaginta. In greco, al contrario, da 60 in
261
su si è generalizzata la «vocale di legamento» di :n:Ev't~XOV'ta; ~'1:gt:xov1:- è stato modificato, secondo '''l:E'tfQCixon-, in l:QL-a-xon-, e "40" è stato successivamente modificato in l:Enago:xov't- . La desinenza -ii risp . -a fu introdotta come vocale d'appoggio per evitare la riduzione di -komt a -kon (2). Per "20", un primitivo ~' wzkomt- è diventato ben presto ~'wzkn;t secondo ~'dekn;t e per via del significato gli è derivato un adeguamento formale ai duali: ''' wzkn;tt ha dato in gr. occidentale, beotico, tessalico p(xan (con -i abbreviata come la vocale finale di M o), e nei dialetti greci orientali, con adattamento a -xov1:- e con una poco chiara vocale protetica, È(f)Ixom, dxom; in latino ~'vtcentz è divenuto, con assimilazione della vocale mediana, '''vzcintt, e con estensione della g sorta da k dopo f 1f: ij, vzgintt (3). Non è necessario in questa sede passare in esame nel dettaglio le formazioni di tutte le altre lingue, compito che viene già assolto dal mio Numerals. Di un certo interesse potrebbe tuttavia essere considerata l'evoluzione che riscontriamo in germanico, e per questo vi faremo un breve accenno (4) . Il sistema ie. sopravvive ancora in 7090, p. es. in got. sibuntehund, ahtautehund, niuntehund. Questi continuano gli antichi '''sept?f:komt, ·:' oktokomt, -:'newijkomt, dai quali erano anzitutto sorti ~'se/tunhand, ''' ahtohand, ~'newunhand, e prima di essi vi erano ancora nella serie '~/imfehand e '~sehskand; questa originaria terminazione -hand venne più tardi modificata in -hund secondo "20" e "100", anche nelle decine da 30 a 90. Tra queste decine, "60" si staccava da tutte le altre e venne modificata, secondo "50", in '"sehsehund. La pressione di 50-60 portò allora ad avere '''se/tunehund; dal momento però che per 50-60 (e 80) il principio della formazione era inconfondibilmente unità + -(e)hund e "7" già suonava '"se/un, ~'se/tunehund passò a ~'sefuntehund, '''se$untehund. La metatesi condusse in tàl modo ad una formazione che da un punto di vista sincronico poteva essere concepita solo come sette + -tehund, e quindi alla serie del gotico ahtau-tehund - niun-tehund - taihuntehund. In germanico occidentale, invece, la precedente serie ~'se/tunh und- ~'ahtohund- '''ne(w)unhund divenne, per influsso di "80", '''se$untohund- ahtohund- niuntohund, donde, previa caduta della terminazione «superflua», sorse in aat. 262
sibunzo - ahtozo - niunzo e, a partire dal IX sec., per influsso di 20-60, sibunzug - ahtozug - niunzug. (l) Szemerényi, Numerals 5 s., 115 s.; v. anche sopra, VI.2.8. Addendum l.- (2) Numerals 133 s. - (3) Su ''wi- v. Numerals 131, 134; Risch, IF 67, 1962, 134; Lejeune, Revue de Philologie 36, 1962, 276; Erhart 27 s. - (4) Per esteso in Numerals 27-44; diversamente G. Schmidt, Zum Problem der germanischen Dekadenbildungen, KZ 84, 1970, 98-136 (118 s.: '~sibun-tehund > ''sibun-tehund); Liihr, Die Dekaden ... im Germanischen, MSS 36, 1977, 59-71 (69: in sibun-te-hund, te = lat. de!); G . Darms, Schwaher und Schwager ... Vrddhi Ableitung im Germanischen, Miinchen 1978, 34-48 (-tehund vrddhi!) .
5.4. Per "cento" le lingue ie. rimandano concordemente ad un neutro '~'kmt6m: lat. centum, got. hund, airl. cet (vale a dire Jied), gr. e-xm6v (probabilmente come ted. "ein-hundert" o ingl. "one hundred"), scr. fatam, av. satam, lit. fimtas (1), asl. suto, tac. kant(e). Che ''kmt6m sia sorto da ''' dkmtom , sia cioè formato su '''dekmt "10" è al di sopra di ogni ragion~vole dubbio. Il problema è solo o il seguente: come è stato formato? Dal momento che tutte le decine sono formate da <
263
5.5 . Per le centinaia non esiste una designazione comune ie. In scr., p. es., "300" può essere espresso in tre modi differenti (1): a) "100" come sostantivo, quindi trz fata,(nz) (gavam) «tre centinaia (di bovini, gen.)»; b) con i due numerali si costituisce un composto bahuvrlhi dal significato di "assommante a tante centinaia": trifatas ... fankavas "300 raggi"; c) il composto diventa un nome collettivo, per la precisione o neutro in -a- o femm. in -T-, p. es. trifatam pafiinam "trecento di bestiame". La prima possibilità è ignota alle lingue classiche (p. es. un lat. tria ;'centa) (2), ma frequente invece in gotico: prija hunda. Delle altre possibilità, b) è la regola in latino (trecentl) e, con un ampliamento in -io-, in gr. (t(Hax6mOL); in alat. era però in uso anche c): argenti sescentum et mille (Lucilius 1053). Anche per mille non vi è un'espressione ie. comune. Pur sempre degno di nota è il fatto che aria e greco, e forse anche il latino, abbiano coniato una denominazione comune: un ie. '''gheslo- è alla base di scr. sa-hasra-m (sa- da 1'S1?f- "uno", cf. gr. dç), airan. hazahra(npers. hazar), gr. XÉÀ.À.LOL XLÀ.LOL, ed è possibile (3) che lat. mute risalga a '~'mz(hz)lz da 1'(s)mz '''helz, in cui '''helz da i'gheslz era un astratto in -T-, v. sopra, punto c) . Del pari interessante è il fatto che germanico e baltoslavo possiedano una espressione comune: got. piisundi e asl. tysrsti (anche tyspsti) rimandano a '"tiis1Jtl (forse una formazione participiale: "abbondante, grande"?), con la parola slava che sarà stata certamente presa a prestito dal germanico; lit. tiikstantis è modificato da '~' tiisant- (4). (l) Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. III 390 s. - (2) V. però Szemer~nyi, Syncope 287. - (3) Szemerényi, Archivum Linguisticum 6, 1954, 38 s. e ora Hamp, Glotta 46, 1969, 274 s.- (4) Vaillant, Gram. comp. II 647 s., ma cf. Stang, Vgl. Gram. 282.
5.6 . I numerali ordinali erano in origine semplici forme tematizzate in -o- dei corrispondenti cardinali, in cui la sillaba precedente tale vocale compariva al grado zero (l); cf. scr. saptama- = alat. septumus, ambedue da ie. '''sept1?f-O-s, lat. nonus da '''novenos e così via. Questo principio venne in seguito oscurato dal fatto che nel rapporto '''dek'?!t: '~'dek1?ft-o-s, in seguito alla caduta della -t finale di "10", si evinse dalla coppia così sorta i' dekJ?;l: -1, dekf{;ltos il nuovo suf264
fisso -to-, che per via dell'importanza di "10" prese a propagarsi e si estese anzitutto a "5", e dilla "4" e a "6", da "4" a "3" e cosl pure verso l'alto a "20" ecc. Le condizioni primitive possono essere riassunte nella seguente tabella (2): proto-ie.
1e.
fasi tarde e post-unitarie
*triy-o''kwtur-o'''pl}kw-0''(s) uks-o''septrp.-o''oktuw-o''newv-o*dekrp.t-o*wikrp.t-o''trikrp.t-o-
''tri-yo*kwtur-(i)yo''penkw -to-
''tri-to-, *tri-tiyo*kwetur-to-, ''kw etwr-to''penkw-to''sweks-to*septrp.-o*oktuw-o-, ''oktow-o''newv-o*dekrp.-to-, *dekrp.-o''wikrp.tto-, ''wikrp.tt-rp.o*trikrp.tto-, '''trikrp.tt-rp.o-
'' dekq1-to''wikrp.t-to''trikrp.t-to-
Un ie. ,•,kwtur-(i)yo-, con grado zero di tutte e due le vocali di ~,kwet wor- è presente in scr. turiya-; '''wtkt?ftto- in beot. plxaa-t:oç e in dxootoç, modificato secondo il cardinale dxom, mentre l'ampliamento in ~'-mo- è attestato in lat. vzcenss-imus, scr. viinsat-i-t-ama-. In latino la sit~azione antica dei numerali da 7 a 9 si è conservata a lungo, estendendosi addirittura al 10; in greco, invece, 9 finl ben presto per soccombere alla pressione esercitata da 10, e invece di ~'(e)neW1JOS sorse ~'enewfJtOs, da cui si ebbe '''EvEpatoç e successivamente, previa sincope, EV(F)atoç (3). In germanico questo processo si spinse ancora più in là: ,., -t6- ie. venne esteso anche a 7-9, in modo che l'intera serie 3-10 presenta questo suffisso (dopo spiranti), ovvero ù sorta da esso (dopo n l'occlusiva d): pridja, ''fi'durda, /t'm/ta, saihsta, -:'sibunda, ahtuda, niunda, taihunda. Un posto a sé occupa in ogni lingua il numerale "primo", e, per lo meno inizialmente, anche "secondo". Per quest'ultimo si era soliti usare originariamente "l'altro" (got. anpar; lat. alter, più tardi sostituito da secundus "il seguente"), e per il primo un aggettivo significante press'a poco "l'anteriore", "il più avanzato" e reso nella maggior parte delle lingue con ~'pfwo-, ~'pfmo- (da ~'pro "davanti"); cf. da 265
una parte scr. purva- "prior" e purvya-, asl. pruvu e forse gr. ngùn:oç, dor. ngéimç da *prawo-to-s (4), e dall'altra lit. pìrmas, aingl. /orma da '~/urmo-, mentre got. /ruma è stato rifatto secondo i «superlativi» in -uma; lat. przmus è sorto, secondo mostra peligna prismu, da ~'przsa mos, cioè da ~'pri-isamos, il superlativo di prior, v. sopra (VII.8.6.) e qui (5). (l) Benveniste, Noms d'agent et noms d'action, 1948, 144 s.; Szemerényi, Numerals 67 s.; Kurytowicz, Categories 236 s.; Cowgill, in: IE and IE-s (ed. G. Cardona ecc.), 1970, 117 s.- (2) Szemerényi, Numerals 92 . - (3) Id., Syncope 115 s.; KZ 88, 1974, 25 s.; Rix, MSS 27, 1970, 101.(4) Cowgill, op. cit., 123; Bammesberger, Studien zur Laryngaltheorie, 1984, 60 s. - (5) Szemerényi, Studi V. Pisani, 1969, 98 s.; Studies L.R. Palmer, 1976, 416 nota 84.
5.7. Avverbi moltiplicativi, in numero limitato, erano parimenti formati già in epoca ie. (1). Di età sicuramente indeuropea sono '''dwis e ~'tris, che si presentano in parecchie lingue: scr. dvi~ trz!;, av. bis 8ris, gr. ()(ç 'tQ(ç, lat. bis ter (in Plauto ancora terr), aisl. tvis-var "due volte" e pris-var "tre volte", aat. zwiro (-ror, -n) e driror. A ciò si aggiunge ie. ~' kw etrus "quattro volte" - formato allo stesso modo di '~dwi-s ~'tri-s, dunque sorto da *kwetwr-s- in av. caerus, scr. catu& (da -ur-s) e lat. quater (2). Per "una volta" non è possibile individuare un'espressione ie. comune, e probabilmente si ebbero continue innovazioni; cf. scr. sakrt, gr. ana!; (tutti e due con '"stt,z- "uno" più una parola significante "colpo"), lat. semel ecc. (l ) Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. III 423 s. - (2) Quando un antico '"quatrus venne sincopato in 1'quatrs e diede poi '"quaters, anche *tris lo seguì e diede '"ters attraverso '"trs.
IX. MORFOLOGIA III
Verbo l. I sistemi verbali delle diverse lingue ie. divergono tra loro in misura non indifferente. Alcune lingue mostrano un sistema estremamente complesso, altre della maggiore semplicità, circostanza questa che causa notevoli difficoltà al comparatista. Così il verbo greco presenta un sistema articolato nel modo seguente: diatesi: 3 (attivo, medio e, nell'aor. e nel fut., passivo) modi: 4 (ind., cong., ott., impv.) tempi: 7 (pres., impf., fut., aor., perf., pperf., fut. perf.). A loro volta, le forme temporali hanno ancora tre numeri, dei quali il sg. e il pl. hanno tre persone, il duale soltanto due. A queste forme personali, che costituiscono il verbo finito, si aggiungono ancora forme del verbo infinito, i diversi infinitivi e participi. Il sistema del verbo sanscrito, nella sua fase più antica, quella vedica, si articola in modo assai simile: diatesi: 3 (attivo, medio, passivo) modi: 4 o (coll'ingiuntivo) 5 tempi: 7 (pres., impf., aor., perf., pperf., fut., condizionale). Di contro troviamo in gotico: diatesi: 2 (att. e pass.) modi: 3 (ind., impv., cong.) tempi: 2 (pres. e perf.) e similmente in lituano: diatesi: l modi: 3 (ind., impv., ott.)
267
tempi: 4 (pres., pret., fut., impf.). In epoca più antica l'ittito mostra un sistema «minimale»: diatesi: 2 (att. e mediopass.) modi: 2 (ind., impv.) tempi: 2 (pres., pret.). Ancor più di quanto non sia per il nome, si pone qui, per il verbo, la questione di cosa si possa, e si debba, riguardare come appartenente al sistema ie. Potremo senz' altro assumere come indeuropeo il sistema «massimale» dell'aria e del greco, donde tutti gli altri sarebbero sorti per via di un progressivo impoverimento? Ovvero è il sistema massimale uno sviluppo particolare di una parte delimitata dell'Indeuropa, che altrove non ha avuto luogo? Sarebbe dunque il sistema «minimale» quello da riconoscere come indeuropeo o tardoindeuropeo? Che quest'ultima opinione non colga nel segno risulta da numerose osservazioni che, come per il nome, dimostrano la presenza di resti d'un sistema in precedenza più ricco. Così l'ario e il greco distinguono un perfetto e un aoristo, ma non così il latino, il germanico, il celtico e così via. Pure, almeno su questo punto, deve tenersi per probante la testimonianza del gruppo sudorientale, poiché il latino riunisce nel suo perfetto l'antico perfetto e l'antico aoristo, ciò che è particolarmente chiaro per l'aoristo sigmatico, e così fa il celtico; lo slavo ha ancora un aoristo, che sostanzialmente conserva il materiale dell'aoristo antico. Contro ai quattro modi del greco, il latino ne ha solo tre: ind., impv., cong. Ciò depone a sfavore del carattere ie. dell'ottativo? No, poiché alcuni dei verbi più importanti utilizzano ancora l'antico ottativo: sim e velim sono forme del genere. Né meno certa è l'esistenza antica del congiuntivo: lat. ero, benché sia un futuro, una volta era un congiuntivo, ciò che è provato senza dubbi dalla sua corrispondenza con il cong. greco e ario. Lo status ittito va dunque riguardato come un impoverimento. In base a tali osservazioni riconosceremo in via preliminare per il verbo ie. le categorie seguenti: 2 diatesi: attivo e medio; 4 modi: ind., cong., ott., impv.; 3-6 tempi: pres., aor., perf.; inoltre forse fut., impf., pperf.
268
Per quel che attiene ai tempi, i sistemi del pres. e dell'aor. sono strettamente connessi, laddove il perfetto è più isolato e occupa una posizione particolare. Per esprimere questi rapporti eterogenei vengono utilizzati mezzi diversi. La differenza fra À.ouEl "lava" e À.ounm "si lava", che è dire la differenza fra le diatesi, è portata unicamente dalle desinenze personali. In À.ouElç - À.OÙY]lç - ì...ouOlç - À.oiiE la desinenza dell'ultima forma basta a distinguerla dalle precedenti, e a caratterizzarla come imperativo. Di contro nelle altre tre forme la desinenza è la stessa, ed esse si distinguono per l'elemento che compare tra il tema ì...ou- e la desinenza -ç, il quale le caratterizza come ind., cong., risp. ott. Nella coppia ì...ouElç À.ouoElç -o- è del tutto sufficiente a produrre la distinzione temporale fra presente e futuro. In generale, al tema temporale (T) segue la connotazione del modo (M) e poi la desinenza personale (D) collegata o con una vocale cosiddetta tematica (V) o senza l'intervento di essa: in base a ciò parliamo di flessione !ematica e di flessione non-tematica (o atematica). Tutto ciò può essere formalizzato nel modo seguente: fless . tematica T+M+V+D
fless . atematica T+M+D
Nell'incl. M è, normalmente, = zero, sì che la formula si riduce semplicemente a T + (V) + D. Conformemente a questa struttura, i problemi del verbo saranno trattati nel modo seguente: A. Desinenze personali e vocale tematica, diatesi, B. Formazioni modali, C. Temi temporali: l. Tema del presente, 2. Tema dell'aoristo e del futuro, 3. Tema del perfetto, 4. Aumento, polimorfismo, suppletivismo, sistema, aspetto, D. Sintesi: paradigmi con annotazioni, E. Verbo infinito, F. Preistoria.
269
Come opere utili per un maggior approfondimento possono citarsi: Brugmann, Grundrili2 II 3; Meillet, Introduction 195 s.; Hirt, IG 4, 83 s.; Pedersen, Hittitisch, 1938, 79 s.; Savcenko, Le più antiche categorie grammaticali del verbo ie. (in russo), VJ 1954 (4), 111-120; Ambrosini, Concordanze nella struttura formale delle categorie verbali indo-europee, SSL 2, 1962, 33-97; Kurytowicz, Categories (quasi tutto il libro tratta del verbo); Adrados, Verbo (cf. Cardona, Language 41, 1965, 104-114); Ivanov, Obsceind. 55 s. ; Watkins, Verb; K. Hoffmann, MSS 28, 1970, 1941. L'intero ambito ie. è preso in considerazione anche in Schwyzer, GG I 639 s. (per il greco arcaico anche Chantraine, Grammaire homérique I, 1948\ 282 s.); Leumann2 505 s.; sono pure interessanti, quandanche, in generale, privi di riferimenti bibliografici, Vaillant, Gram. comp. III (Le verbe); Stang, Vgl. Gram. 308 s. V. inoltre Rix, Das Keltische Verbalsystem ... , in: Indogermanisch und Keltisch (ed. K.H. Schmidt) , Wiesbaden 1977, 132-158.
A. Desinenze personali, vocale tematica, diatesi 2. La maggior parte delle lingue ie. utilizzano desinenze personali distinte per l'attivo e per il medio, e all'interno di tali diatesi per il presente e per i preteriti, e altre ancora per il perfetto o per l'imperativo. Le desinenze si distinguono naturalmente anche secondo il numero e la persona: 3 per le 3 persone del singolare (1-3) e 3 per le 3 persone del plurale (4-6) sono la regola, ma in ie. si aggiungevano ancora 3 forme per le 3 persone del duale (7-9). Il sistema nel suo complesso può essere analizzato nel modo seguente: a) Desinenze attive del sistema di presente-aoristo; b) Desinenze mediali del sistema di presente-aoristo; c) Desinenze del perfetto; d) Il sistema anatolico; e) Desinenze dell'imperativo. Le desinenze utilizzate nel presente e nell'aoristo dell'indicativo vengono usate anche nei modi veri e propri, cioè a dire nel cong. e nell'ott.; solo l'impv. ha desinenze proprie. 2.1. Desinenze attive nel sistema di presente-aoristo. In linea di massima queste desinenze sono testimoniate in doppia forma nelle persone 1-3 e 6: una variante ha una i finale, e sono le 270
desinenze primarie (DP), l'altra no, e sono le desinenze secondarie (DS), p. es. -mil-m, -sil-s ecc. Come già si è detto sopra, le DP vengono usate nel r,res., le DS nell'aoristo, ma non solo in queste forme; coslle DS vengono usate anche nell'ott. Queste desinenze possono essere unite al tema o direttamente o a mezzo di una vocale tematica (v. sopra): in base a ciò si distinguono formazioni atematiche e !ematiche; p. es. '''es-ti "è", ma '''bher-e-ti "porta" . Ambedue i tipi di formazione utilizzano, con l'eccezione della l. sg., le medesime desinenze.
2.1.1. Le desinenze primarie sono cosl rappresentate nelle lingue più importanti ai fini della ricostruzione:
l. 2.
3. 4. 5.
6. 7.
8. 9.
v ed.
av.
itt.
mi si ti mas(i) tha(na) n ti vas thas tas
mi si ti m ahi {}a n ti v ahi
mi si tsi weni teni n t si
gr.
ala t .
go t.
asl.
lit.
!J.L
m
m
ml si
SI
OL
tL !J.EVI!J.Eç tE VtL
mus tis nt
t OV
*tas
t/j:J m
p nd (6)s ts
tOV
tl mu te n ti ve ta te, ta
mi ti me te va ta
Le desinenze secondarie suonano: l. 2.
3. 4. 5.
6. 7.
8. 9.
m s
m
ma ta(na) n[t] va tam tam
ma ta n, at va
n
v
m
0
(n)
0
0 0
ç
0
t;> m
wen te n ir
!J.EV/!J.Eç tE v[t) tOV tav
d mus tis nt
m(a)
p n(a) u, wa ts
mu te n ve ta te, ta
? ?
0 me te va ta
Dalla testimonianza univoca di ano, itt. e gr. deve innanzi tutto evincersi che nell'ie. erano usate le seguenti desinenze: 271
l.
2. 3. 6.
DP
DS
''-mi ''-si ,, -ti *-nti
*-m *-s ~'(-t
''(-nt
E anche se le altre lingue non condurrebbero a questo stesso risultato, nondimeno esse conoscono attestazioni delle desinenze sopra ricostruite. Così, è vero che nel latino classico esiste per la 3. sg. solo la desinenza -t, ma in latino arcaico, dalle iscrizioni più antiche fino all'inizio della letteratura, troviamo una distinzione fra FECED, KAPIAD, SIED (quelli che saranno jecit, capiat, siet = sit) e IOVESAT (= iurat), che si spiega col fatto che -t finale originaria è diventata dapprima -d, mentre -ti è rimasta sorda anche dopo la caduta dell'i finale; all'inizio della letteratura, poi, la coppia -ti-d è stata semplificata a favore di -t (1). Non diversamente il gotico -p (p. es. bairip "egli porta") suppone una vocale finale- che può essere determinata come i grazie alle lingue arcaiche - perché una -t finale è scomparsa, cf. wili "vuole" contro wileip "volete" da '"welzt (= lat. velz't, ambedue originariamente forme ottativali) e '~' welzte (= lat. velztis). Tali conclusioni sono, in modo diverso, confermate dall'antico irlandese, la cui testimonianza non è stata sopra addotta. Qui infatti la 3. sg. e la 3. pl. di ber- "portare" suonano berid lb'er'ìù l e beraz't /b'erid'l nella forma semplice, la cosiddetta assoluta, ma as-beir lb 'er' l "dice" (''porta fuori": '~'eks-bher-) e as-berat /b'eradl nella composizione, nella cosiddetta forma congiunta. La palatalizzazione della consonante finale nelle forme assolute e l'i in berid (esito per metafonia di e) accennano a una più antica uscita in -ti, quindi a ,., bhereti e '~' bheronti, mentre -beir e -berat a forme senza -i, cioè '" bheret e ,., bheront (la).
Meno univoca è la preistoria delle altre desinenze personali. Nella l. pl. l'iranico, in parte il scr., e l'antico irlandese (2), accennano a una DP -mesi (o -masi?), di contro a -mes il dorico, a -mos il lat.; -mes, che appare in aat., non può risalire a un ie. -mes(z) (3). Nel greco orientale appare una variante a nasale -f.tEV, cui è prossimo l'itt. -weni (con -i primario). La DS è distinta sicuramente dalla DP solo in aria e in itt., però non concordemente. Si porrà certamente, come 272
DP originaria, -mes, che nell'aria e nell'antico irlandese è stata ampliata in -mes-i, cui corrisponde come DS -me(m) con una variante -me, o -me, cf. VIII.4.4.b. Condizioni simili troviamo nella l. duale, solo che qui la DP -wes/ -wos ha il sostegno anche del got. -os (per contrazione da -o-wos o -owos), e la DS suonava -we/-we (4). Nella 2. pl. la DP accenna a -te(s), la DS a -te; l'aria -th- è un'innovazione (4) e la vocale era in ogni caso breve (5). Per la 2. du. è notevole la coincidenza fra aria e gotico, poiché nel got. -ts saranno state certo dissimilate le due spiranti ~' -ps (da ,., -tes). Eppure non è possibile ricostruire una forma ie. per la 2. e 3. du., anche se la DS della 3. du. era certo -ta(m) (6). (l) Szemerényi, Marked - unmarked ... , TPS 1973, 55-74. - (la) Su ciò Meid, Die idg. Grundlagen der altirischen abs. und konj. Verbalflexion, 1963; per il nostro problema decisivo Kurytowicz, Categories 132. Cf. pure Rix, Festschrift Pokorny, 1967, 265-275; Campanile, AION-L 8, 1968, 41 s. Singolare Watkins, Eriu 21, 1969, l s. (6: IE -ti «a mirage»!). Sulla coniugazione assoluta l congiunta v. di recente anche Cowgill, Eriu 26, 1975, 27-32; Kortlandt, ivi 30, 1979, 35-53; McCone, ivi 1-34, in partic. 24 s.; 33, 1982, 1-29; P. Sims-Williams, TPS 1984, 138-201. - (2) Meid 57 s.- (3) Bech, Studia Neophilologica 34, 1962, 195 s.; Polomé, RBPhH 45, 1968, 821; Hollifield, Sprache 26, 1980, 149 s. (?). - (4) Kurytowicz, Categories 152; Bammesberger, PBB (Tiib .) 105, 1983, 169176; Studien zur Laryngaltheorie, 1984, 99-102. - (5) Antico irlandese beirthe non può essere ricondotto a '"bheretes (cosi p. es. Meid 58 s.), che sarebbe un unicum, né trova appoggio alcuno nell'aat. -mes, vd. (3). - (6) Kurytowicz, Categories 153-6.
2 .1.2. Le desinenze testé trattate possono essere indicate come desinenze in -mi, giacché compaiono in modo particolarmente chiaro nella flessione atematica (cosiddetta flessione in -mt). Esiste però anche la cosiddetta flessione in -o, o tematica, che almeno nella l. sg. diverge dalla flessione in -mi, in quanto qui la DP è -o: cf. gr. !pÉQW, lat. /ero, got. baira, antico irlandese (ass.) biru e (cong.) -biur da '~beru, av. gath. spasya "specio" (nell'avestico e nel scr. si ha -ami, per contaminazione con -mi), lit. nesù "io porto" (l); v. anche 2.6. (4).
273
Fuori dalla l. sg., la flessione tematica mostra le medesime desinenze di quella atematica, sicuramente nelle DS, e in modo altamente verisimile anche nelle DP, benché per alcune di queste ultime recentemente si siano avanzate anche opinioni diverse, che si fondano su di un modesto novero di lingue e riguardano principalmente la 2. sg. Nella 2. sg. illituano ha nella flessione tematica la desinenza -ì (p. es. nesì "tu porti"), che, secondo mostra la forma riflessiva -ies(z), dev'esssere ricondotta a un '''-ei(sz). Ora questa desinenza -ei può essere confrontata con gr. - Elç: un originario -ei sarebbe stato ampliato in -ei-s, e su di questo sarebbe stata fatta una nuova 3. sg. in -ei. Ancora, l'airl. (cong.) -bir può risalire a un '''bherei, sicché tutte e tre le lingue mostrerebbero -ei e non -esi. Infine la 3. sg. lit. veda "egli conduce", come airl. (cong.) -feid, appare risalire a un ie. ~'wed he-t, il che è possibile anche per il gr. -EL (-t sarebbe caduto). Con ciò si darebbero per la flessione tematica nel sg. le desinenze ~'-o, *-ei, *-e-t, tutte diverse dalle DP atematiche (la). Una concezione leggermente diversa è quella secondo cui la 3. sg. -El viene analizzata come -e + 0 + i, dove e è la vocale tematica, i il contrassegno della DP e, in tal modo, la desinenza stessa è zero (2); questa analisi sarebbe applicabile financo all'itt. -ai (p. es . da-i "egli prende") (3). Altri riterrebbero preferibile confrontare la 3. sg. -El all'itt. -ah-i, mentre la desinenza lit. -ì è ricondotta a un -ei e deve far riconoscere con gr. -H-ç una desinenza, che era più antica di -e-si (4). Infine si è anche pensato (5) che gr. -El potrebbe rispondere al scr. -e dei mediali say-e "giace", bruv-e "dice" - secondo cui poi -Hç secondo il modello dell'impf. E
tuttavia incerto se si abbia da incomodare una legge fonetica speciale (9) , e non si abbia piuttosto da pensare a un processo analogico (10); quest'ultima possibilità appare pure confortata da sviluppi quali soggiacciono nella 2. sg. ÒLÒoiç, 3. sg. ÒLÒoi, che sono partite da '~didosi, la quale forma divenne "'ÒLÒWL e poi *6L6wLç e, con abbreviazione, 6L6mç (11) . Manca dunque qualsiasi base per accogliere l'idea che la flessione tematica si differenziasse da quella atematica anche fuori della l. sg. Per il pl. e il duale è universalmente riconosciuta l'identità dei due tipi di formazione. Come ulteriore punto su cui i due sistemi s' accordano è da sottolineare ancora quello costituito dalla 3. p l., che mostra una vocale prima di -nti non solo nei verbi tematici, ma di frequente anche in quelli atematici, cf. '''s-enti "sono". (l ) Sulla cosiddetta flessione semi-tematica (ted. halbthematisch) v. Vendryes, IF 26, 1909, 134 s.; Meillet, MSL 17, 1911, 197 s.; BSL 32, 1931, 197 s.; Bonfante, ivi 33, 1932, 111 s., in partic. 124; 34, 1933, 133-139; Elfenbein, Ric. Ling. 2, 1951, 180 s. Essa è respinta da parecchi studiosi, cf. Vaillant, BSL 38, 1937, 89 s.; Szemerényi, Syncope, 1964, 189 s.; v. inoltre Leumann2 , 1977, 519, 567 s. - (la) Meillet, RC 28, 1907, 369373, da ultimo Introduction 227 s., v. la discussione in Meid, op. cit., 19 s. Lo seguono Pedersen, Hittitisch 87 s., 93 s.; Watkins, Origins 140 n. 16; Eriu 21, 1969, 6; Verb 121 s.; Adrados, II. Fachtagung fi.ir idg. und allg. Sprachwissenschaft, 1962, 149; non del tutto deciso Stang, Vgl. Gram., 407s. Cf. inoltre Risch, Symbolae Kurytowicz, 1965, 235-242; Negri, Acme 27, 1974, 359-379; Kortlandt, Eriu 30, 1979, 36-38; Lingua 44, 1979, 67; JIES 11, 1984, 312; Ivanov, Glagol 56 s. - (2) Watkins, Origins 103, senza dire come si concilia questa interpretazione con quella della 2. sg.; cf. anche Kurytowicz, Categories 153, 156; v. anche Jacobi, Composition und Nebensatz, 1897, 61 s.; S. Levin, The IE and Semitic languages, Albany, N.Y. 1971, 379 s.; Hilmarsson, NTS 31, 1977, 195 s. - (3) Pedersen, Hittitisch 88, 93; Watkins, Origins 103; Evangelisti, Acme 18, 1965, 3 (: come innovazione gr.-itt. in Asia Minore !); Untermann, Gedenkschrift Brandenstein, 1968, 166 e n. 3; Negri, op. cit., 370.- (4) Hirt, IG 4, 151; Vaillant, BSL 37, 1936, 112; 40, 1939, 17 s., 30; Gram. comp. III.9, 20. - (5) Birwé, Griech.-arische Sprachbeziehungen im Verbalsystem, 1955, 10-11. - (6) Meid, op. cit. , 56; Campanile, cit., 59s., nonostante Watkins, Ériu 21, 1969, 5.- (7) V. ora Kazlauskas, Lietuviq kalbos istorine gramatika, 1968, 293 s., 299; cf. anche Schmal-
275
stieg, Lingua 10, 1961, 369-74.- (8) Poldauf, ZEPhon 9, 1956, 160; Kiparsky, Glotta 44, 1967, 112; Kurytowicz, in: Phonologie der Gegenwart, 1967, 166. - (9) La soluzione di Kiparsky: -esi, -eti sono diventati in un primo tempo -eis, -eit, era già stata presa in considerazione da Schulze, v. Schwyzer, GG I 842 ad 661. - (10) Kurytowicz, op. cit., e ora in: Directions 77. - (11) Diversamente Schwyzer I 687; cf. anche Strunk, Glotta 39, 1960, 114-123; Negri, op. cit., 372.
2.2.1. Desinenze medialz' nel sistema di presente-aoristo. Nelle forme temporali in cui appaiono le desinenze attive ora con- . siderate, sono attestate nel medio le seguenti desinenze. Innanzi tutto le desinenze primarie:
l. 2. 3.
4. 5. 6. 7. 8. 9.
ved.
av.
itt.
gr.
go t.
e se te, e (l) ma h e dhve n te vah e athe ithe ate ite (la)
e se te m ade dve nte
ha(ha)ri ta(ti) ta(ri) wasta(ri) duma(ri) nta(ri)
!J.aL GOL tOL !J.E-fra (o)-frE VtOL
da za da n da n da nda
(o)itov (o)itov ite
Le desinenze secondarie sono: l. 2. 3.
4. 5. 6. 7. 8. 9.
276
i thas ta m ahi dhvam nta vahi atham itham atam itam
sa ta m adi ùw;;,m nta vadi
ha(ha)t(i) tat(i) tat(i) wastat durna t ntat(i)
!J.CiV ao tO !J.E-fra (o)-frE Vt O (o)frov
at;, m it;;,m
(o)itav
Subito è da notare un'importante coincidenza, ossia il fatto che nelle DP l. 2. 3. 6. ario e greco accennano a un dittongo in -i. Tale dittongo, sulla base delle forme presentate da pressoché tutti i dialetti greci, fu per lungo tempo ricostruito come '''-ai. All'inizio degli anni Cinquanta il grecista spagnolo M.S. Ruipérez ha attirato l'attenzione sul fatto che tale ricostruzione né chiarisce i dati dell' arcadocipriota (2. sg. -aoL, 3. -TOL, 6. -V'WL), né è ben comprensibile a livello di ie., dove sono certe le DS '''-so '''-to 1'-nto; la sua perentoria conclusione, che le DP l. 2. 3. 6. debbano essere ricostruite come '~-ai, -~'-sai, '''-toi, *-ntoi, fu appena un anno dopo provata come esatta attraverso i testi micenei testé decifrati (lb). È possibile, ma non sicuro, che il gr. -!J.m in luogo di '~-m debba la sua m all'influsso della desinenza attiva -m(t). Non c'è dubbio che, delle DS, 2 . 3. 6. siano da stabilire come -~'-so 1'-to '''-nto; scr. -thas è «preso» dalle desinenze del perfetto (v. più avanti, 7.1.3.), l'antico ''' -so è conservato non solo nell'iranico, ma anche nella desinenza d'imperativo 2. sg. -sva, che è stata rifatta da -sa secondo la 2. pl. -dhva. Nella l. sg. il contrasto fra ario -i e gr. ·!J.O.V è apparentemente irriducibile. L'ario -i, in verità, potrebbe essere il grado zero della DP -e (ie. -ai : -t), ma ciò non si accorderebbe né con le altre DS, né con la desinenza di ottativo -a (p. es. scr. zs-zy-a "io possiederei"); di contro questa -a non solo quadrerebbe con la DP -ai, spiegando la DS -i con un rifacimento secondario su questo -ai, ma consentirebbe anche di stabilire un legame con gr. -!J.O.V : posto a confronto con -!J.m, -!J.O.V ha comunque un -v secondario (che potrebbe essere o la l. sg. -v dell'attivo, ovvero la nasale finale, molto diffusa, v. sopra VIII.4.4.b) e ·!J.a o, senza m, -a, potrebbe essersi abbreviato in posizione finale (quindi > -a) e aver dato, con i primario, '''-a-i, cioè -ai (2). La DP della l. pl. in ario era madhai, che va comunque con gr. !J.E'I'l-a, anche qui sulla base di un ie. -:'medha o '''medha, su cui, con i primario, fu fatto l'ario madhai da '''medha-i; la DS aria madhi è palesemente formata analogicamente su questa. La 2. pl., soprattutto sulla base di dhva(m) e di ( a)'l'l-E, deve essere ricostruita nella forma -:'dhwe, su cui fu fatta nell'ado la DP 1'dhwai e la DS fu trasformata in '''dhwam (4). Abbiamo quindi, sulla base dell'aria e del greco, le seguenti desinenze (3) :
277
l.
2. 3. 4. 5. 6.
DP
DS
*-ai/*-mai '' -soi '' -toi '' -medha( -a?) ''-dhwe *-ntoi
'''-ai"' -ma }', -so ''-to *-medha(-a?) *-dhwe *-nto.
Questo quadro può, con l'ausilio delle altre lingue, essere in parte modificato, in parte confermato. In itt., la l. sg. -ha rende preferibile sostituire la ricostruzione ~.-ii con '''-ha; ~·-ha e ~· -hai sono sufficienti a render conto dell'ado, per il gr. -~..tav si potrebbe forse assumere un'inversione di ~·-ha in '''-ah (3a). La 2. sg. -ta va chiaramente col scr. -thiis; v. più avanti, 7.1.3. La 2. pl. -duma da -duwa è rifatta da ~·dhwe, secondo le altre desinenze uscenti in -a. Del massimo interesse è la l. pl. -wasta che, se difforme dal ~. -medha ricostruito, trova in compenso in horn. - ~..tw{}a una corrispondenza pressoché perfetta; forse conformemente alle desinenze attive anche nel medio vanno postulate una DP ~'-mes-dha e una DS ~'- me-dha (4), sebbene non sia chiaro perché nell'ado, e soprattutto nell'iranico, la DP sia andata perduta. Dal germanico vengono piuttosto conferme che non modifiche. Le desinenze passive gotiche rispondono evidentemente alle desinenze ie. in -ail-oi, e non a supposte, ma altrimenti sconosciute, desinenze in -o (5). Esse suonano nel presente come segue (haz"tan "chiamare"): l. haitada 2. haitaza 3. haitada
4. haitanda 5. haitanda 6. haitanda.
È chiaro che 2. 3. e 6. con -za, -da, -nda corrispondono alle desinenze ie. '''-soz; '''-toi, '~-ntoi. Ciò che sorprende è invece il fatto che il pl. utilizzi in tutte e tre le persone la medesima forma, e che la l. sg. sia identica alla 3. sg. Che quest'ultimo fatto rappresenti un'innovazione del gotico, è mostrato dall'aisl. heite "io mi chiamo.,, che risale ad '~haitai, con la desinenza della l. sg. nota dall'ado. È pure chiaro che l'identità delle tre persone del plurale è secondaria, ma non certo in seguito al semplice trasferimento della 3. pl. alla l. e 2. pl. (6) . Piut-
278
tosto la terminazione ereditaria della l. p l. ,., -omedha o, nella forma richiesta dall' ario, ,., -omedhai, deve aver dato in un primo tempo '~-amida, che successivamente subì sincope e divenne -anda, evidentemente al fine di ridurre la lunghezza della forma, e per accordarla alle altre persone (7). Fu a questo punto che si poté rimpiazzare anche la l. sg. con la 3. sg., soprattutto perché lo sviluppo foneticamente atteso di -ai in -a dava luogo a una forma con lo stesso aspetto della l. sg. dell'attivo. Nella 2. pl. la terminazione 1'-edhwe divenne dapprima '''-edu, per sviluppo fonetico, poi per via analogica '''-eda, '''-ada e infine, per conguaglio con la 4. e la 6., -anda. La 2. p l. 1' -dhwe è presente anche nel celtico: antico irlandese -id nei deponenti non si deve ad assunzione in tale funzione della terminazione attiva (ie. 1' -ete), ma rappresenta il regolare sviluppo della terminazione ie. (8); cf. airl. ardd "alto" da 1'ardwo- (: lat. arduus). (l) Cf. 7.1.3.(1); G . Schmidt, KZ 85, 1972, 256 s. - (la) K.T. Schmidt, 5 . Fachtagung, 1975, 289 (: 3. du . pres. med. toc. B tas-aitiir "rassomigliare" da -a-itai ~ ario -a-itai); v. anche Hollifield, KZ 92, 1979, 225, ma anche (contra) v. Windekens, Le tokharien II 2, 1982, 277 s. - (lb) Ruipérez, Emerita 20, 1952, 8 s. (ipotizza però -. i, non come faccio io -ai per la l. sg.) e ora Minos 9, 1968, 156-160 (contra Neu, IF 73 , 1969, 347-354); v. anche Szemerényi, 1° Congresso di micenologia, 1968, 717 e n. 10. Per l'origine del gr. -am ecc. v. Kurytowicz, Categories 59. La vecchia dottrina (-tai, non -toz) è di nuovo sostenuta da Cowgill, AIED 1966, 80 s.; Wyatt, SMEA 13, 1971, 120; ma cf. (contra) Watkins, Verb 130. - (2) Cf. Kurytowicz, op . cit., 60; e ora Cowgill, Festschrift Kuiper, 1969, 24-31. Watkins, Verb 138 s., crede che -i della l. sg. sia identico a -i della 3. sg. aor. pass.! Diversamente Schmalstieg, FoL 12, 1980, 360 (: 1'bheroi forma nominale). - (3) V. anche Petersen, Language 12, 1936, 157-174, in partic. 167; Erhart, Die gr. Personalendung - ~l']V, Sbornik Brno 14, 1965, 21-28. Ulteriori ricostruzioni indeuropee (in parte del tutto infondate) in Neu (2) 131, 139, 154 s.; Kortlandt, Ériu 32, 1981, 16; IF 86, 1982, 123.-136. - (3a) V. Kortlandt, IF 86, 1982, 130; G . Schmidt, Festschrift G . Neumann, 1982, 345 s. - (4) Pedersen, Hittitisch 102; v. ora anche Lazzeroni, SSL 7, 1967, 56. V. inoltre Watkins, Verb 128 s. (1. 2. pl. = att.!); Wyatt, lE / a/ , 19'70, 43 s. (: -mahi da -medha con -a > -i) . Su - ~w{]a/-wasta v. Seebold, KZ 85, 1972, 194; Negri, Acme 27, 1974, 378 s. - (5) Postulato da Meillet, BSL 23, 1922, 68; Petersen, op. cit., 162 s.; Kurytowicz, Apophonie 353; Sav-
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cenko, Lingua Posnaniensis 12-13, 1968, 28 n. 23. E impossibile -da da IE -to, come propone Watkins, Verb 213 . Per -ai recentemente ancora Guxman, Schicksal cles idg. Mediums in den germ. Sprachen, Trudy Instituta Jazykoznanija 9, 1959, 52-91, in partic. 80; Lindeman, NTS 21, 1967, 137 s. - (6) Così p. es. Krause, Handbuch des Gotischen, 1953, 247. - (7) Cf. su ciò anche van Helten, IF 14, 1903, 88- contra Brugmann, IF 39, 1920, 47; Lindeman, op. cit., 1383 . Su -anda vedi anche Li.ihr, MSS 37, 1978, 113 s. (-omedhai, -edhwot); G. Schmidt, KZ 90, 1976, 263 s.; Festschrift Neumann, 1982, 3{6. Sull' -a- in uscita di tema nel gotico v. Kurytowicz, BPTJ 28, 1970, 24 s. (: da -o mediale!); Watkins, Verb 213; Kortlandt, IF 86, 1982, 131 s. - (8) Così già Brugmann, Grundrill2 II 3, 651 (nonostante Schwyzer I 6711; Watkins, in AIED 40) . Così ora anche Kortlandt, Ériu 32, 1981, 18; Cowgill, Ériu 34, 1983, 80. La desinenza ie. non è -dhum (così Petersen, op. cit., 165; Savcenko, BPTJ 20, 1961, 115). Toc. B. (pret. 2. pl.) -t è forse da -dhu, grado zero da dhwe, cf. Pedersen, Zur toch. Sprachgeschichte, 1944, 6 s.; v. Windekens, Le tokharien II 2, 1982, 292 s.
Addendum. Il lat. -minz è tradizionalmente confrontato con l'inf. horn. in -~-tEVm e col masch. p l. (!) del participio in -menos: si tratta di due ipotesi che, dal punto di vista della sintassi, suscitano molti dubbi. Sarebbe invece logico· connettere -minz con la desinenza ie. che si è assodata. Il che è possibile, se si prendono le mosse da una forma con ampliamento 1'-dhwe-noi (rifatta secondo le DP da una particella 1'-ne, cf. ved. -thana, -tana accanto a -tha, -ta), divenuta '''-b(e)nez' e "'-mnez', e infine con anaptissi -minz. Un po' diversamente Hendriksen, Archfv Orientalnf 17, 1949, 313. Di nuovo parte da -mnos Watkins, Verb 177. 2.2.2. Desinenze con r. Le desinenze del tipo -tol-toi, di cui abbiamo testé trattato, in certe lingue e in un determinato ambito di funzioni contrastano con desinenze caratterizzate da un elemento r. È certamente il latino che · testimonia nel modo migliore questo fatto, che è tuttavia caratteristico anche dell'italico, del venetico, del celtico, dell'ittito, del tocario e del frigio (l) . Una semplice r appare ad occidente come forma di passivoimpersonale nell'antico irlandese (berair "è portato"), cimrico (cerir 280
"è amato", dywedir "on dit") (la), umbro (jerar "feratur", ier "itum sit"?), osco (lou/ir "libet" = "vel"), e ad oriente nell'ittito (haltsiyari da haltsiii- "gridare"). Lo stesso elemento appare come forma personale nell'itt. (es-ari "siede") e forse nel venetico (tolar "porta", *didor "dà"?) (2). Nell'aria si hanno desinenze con r solo nella 3. pl., p. es. duhre "mungono"' sere = av. soire "giacciono" (3) . Meglio conosciute sono le desinenze con r che si presentano in unione con le desinenze di cui già si è detto, e vengono usate nei verbi mediali e/o passivi (4): lat. l. 2. 3.
4. 5. 6.
-(o)r -re/ -ris -tur -mur -mini -ntur
ou.
-ter
-nter
airl. -ur -ther -thir -mir -the -tir
frigio
-tor
itt.
toc. A/B
-ha(ha)ri -tati, -tari -ta(ri) -wasta-ri, -ti -duma(ri) -nta(ri)
-mar/mar -tar/tar -tar/tar -mtiir/mtiir -ciir/tar -ntiir/ntiir
È particolarmente chiaro . nell'itt. e nel toc. che ongmariamente le desinenze con r erano usate solo nelle DP. In queste lingue esse vengono usate in tutte le persone, quandanche nell'ittito solo facoltativamente, mentre nel latino e nell'antico irlandese r venne a mancare già in origine per le 2. persone: lat. -re continua l'ie. ~'-so, airl. -tber proviene verisimilmente da '"-thes con un ampliamento in r successivo, ma in ambedue le tradizioni la 2. pl. è senza r. Nella l. sg. itt. e toc. divergono ampiamente, il che impone di considerare le loro forme come creazioni tarde e indipendenti. Di contro in queste persone latino e antico irlandese concordano a tal segno che -or e -mor devono sicuramente considerarsi un'innovazione comune, tanto più che -m or in ambedue le lingue è stato certamente rifatto dall'ereditario ~'mod(a), variante apofonica di '''medha. Risulta quindi che le forme con r erano in origine circoscritte alle desinenze primarie, e per la precisione alle 3. persone. Le forme antiche erano per il latino -tori -ntor, per l'ittito -tori/ -n tori, per l'antico irlandese (desinenze congiunte -etharf-etar) -tro/-ntro (5). V. anche IX.7.1.3. (l) Sulle desinenze con r in generale v. la ricca bibliografia in Porzig, Gliederung 83, con la breve trattazione in 84 s.; inoltre: Pisani, Uxor, in:
281
Miscellanea Galbiati III, 1951, 1-3 8; Leumann, Morphologische N euerungen im aind. Verbalsystem, 1952; H . Hartmann, Das Passiv, 1954; Calbioli, Studi grammaticali, 1962, 56 s. (storia della ricerca); K.B. Schmidt, Prateritum und Medio-Passiv, Sprache 9, 1963, 14-20; Venetisbhe Medialformen, IF 68, 1963, 160-9; Zum altirischen Passiv, ibidem 257-75 (contra Pokorny, IF 70, 1966, 316-21); Neu (l) e (2); Campanile: SSL 8, 1968, 64 s.; Watkins, Verb 174 s.; H . Jankuhn, Die passive Bedeutung medialer Formen ..., Gottingen 1969, 30 s.; Lane, in: IE and IEs, 1970, 77 s.; Cowgill, ivi 142; Ériu 34, 1983, 73-111, in partic. 75 s.; Gonda, Old Indian, 1971, 107. - (la) Sull'origine v. Martinet, Word 11, 1955, 130 s.; K.H. Schmidt, IF 68, 1963, 270 s. (: nome); Meid, in: Indogermanisch und Keltisch, 1977, 118-119 (: forma verbale, cf. -r di 3. pl. di perfetto); Schmalstieg, FoL 12, 1980, 360 s. - (2) V. PellegriniProsdocimi, La lingua venetica II, 1967, 122 s. (dove ancora si legge kvidor), 175; Lejeune, Latomus 25, 1966, 405 s. - (3) V. in particolare Leumann, op. cit., 11 s.; Narten, Festschrift Kuiper, 1969, 9. - (4) L'armeno non è qui trattato, giacché le sue desinenze con r non hanno connessione con le nostre, v. Pedersen, Hittitisch 104 s., '
Desinenze del perfetto. In origine il perfetto presentava desinenze speciali. Queste sono ancora ben conservate nell'aria e nel greco, in parte anche nell'antico irlandese, laddove esse non sono più palesi nel latino e nel paleoslavo. Tali desinenze possono dedursi nel modo più semplice dal paradigma del verbo per "sapere": 2.3 .
l. 2. 3.
4. 5. 6.
7. 8. 9.
282
scr.
gr.
go t .
vid-a vit-tha vid-a vid-mii vid-ii vid-ur vid-vii vid-iithur vid-iitur
poiù-a
wait waist w ait wit-um wit-up wit-un wit-u wit-uts
poio-fta p
Secondo la testimonianza del scr. e del gr., le desinenze l.- 3. possono essere determinate come ~'-a, ;, -tha, ,., -e; per la 4. si ha ;, -me e per la 7. ~'-we. Per quel che riguarda le altre persone, l'unica ricostruzione certa è per la 6. ,., -r o ~, gr. -am da -avu e got. -un da -1}t testimoniano la penetrazione di forme più comuni. V. pure oltre, 4.3.a e 7.1.3 . Queste desinenze sono alla base anche delle forme latine che, come risulta dalle iscrizioni più arcaiche, nel sg. suonavano -ai -tai -eit, chiaramente varianti delle forme di cui s'è detto ampliate a mezzo di un i primario. Importante è la desinenza di 3. pl. lat. -ere, che risale a ~'-ero (cf. 2. sg. pass . -re da ~'-so), e, con toc. B -arei-are, itt. -ir (p. es. es-ir "erano") e scr. -ur, prova per la 3. pl. una forma ie. "~'-r/-;'-ro.
-r;
Sulle desinenze v. Belardi, Ricerche Linguistiche l, 1950, 98 s.; Rosenfeld, Zeitschrift fiir Phonetik 8, 1955, 377 s. (sulla 2. sg. nel germ.; v. anche Bech, Studia Neophil. 41, 1969, 75-92; Meid, Das germanische Praeteritum, Innsbruck 1971, 12 s.; Barnes, Studia Neophilologica 47, 1975, 275-284); Watkins, Origins 102; Polomé, Proceedings of the 9th Congress (1962), 1964, 873 s.; Cardona, Language 41, 1965, 108 s.; Neu, Die Bedeutung des Hethitischen fiir die Rekonstruktion des friihidg. Verbalsystems, IF 72, 1968, 221 s.; Watkins, Verh 51; Eichner, 5. Fachtagung, 1971, 86; Dunkel, AJPh 98, 1977, 141-149; Cowgill, in: Hethitisch und Indogermanisch, 1979, 25-39. - La 2. sg. viene determinata come -sta da Bonfante, Language 17, 1941, 205 s.; Cowgill, in: Evidence 172 s.; Risch, 5. Fachtagung, 1975, 258; ancora come-ta da Kurytowicz, IG 2, 341. - Sul latino v. ora Bader, Le système des désinences de 3. personne du pluriel du perfectum latin, BSL 62, 1968, 87-105; Untermann, Zwei Bemerkungen zur la.t. Perfektflexion, Gedenkschrift W . Brandenstein, 1968, 165-171.
2.4. Il sistema anatolico. Quanto si è fin qui visto del sistema desinenziale ittito non rappresenta che una parte dell'intero edificio. Accanto alla coniugazione in -mi, caratterizzata dalle desinenze di cui si è detto, esiste anche la cosiddetta coniugazione in -hi. I due sistemi desinenziali si differenziano nell'attivo solo nelle tre persone sg. del pres. e del pret., come pure nella 3. sg. dell'impv. , nel medio solo nella 3. sg. di questi tempi e modi. Non sarà inutile presentare qui le desinenze nel loro complesso (1) :
283
presente coniugazione m-mz in -hi l. 2. 3. 4. 5. 6.
mi SI
t si weni teni ntsi
(ah)hi ti wem teni n t si
attivo preterito coniugazione in -mi in -hi (n)un s, t(a) t, ta wen te n 1r
h un s, ta, sta s, ta, sta wen ten 1r
imperativo coniugazione in -mi in -hi (a)llu 0,
i, t tu
0,
i
u weni ten n tu
medio-passivo presente coniugazione in -mi in -hi l. 2. 3.
ha(ha)ri, ha tati, tari, ta ta(ri) wasta( -tilri) duma(ri) nta(ri)
4. 5. 6.
ha(ha)ri ta(ti) a(ri) wasta(ti) duma nta(ri)
preterito coniugazione in -mi in -hi ha(ha)t(i) tat(i), ta tat(i), t a wastat dumat ntat(i)
ha(ha)t(i) at (i), tat at (i) dumat ntat(i)
imperativo coniugazione in -mi
in -hi
ha(ha)ru hut(i) taru
aru dumat(i) ntaru
È importante il fatto che, mentre p. es. nel gr. l'appartenenza al tipo flessivo in -mi comporta una flessione atematica, e l'appartenenza al tipo flessivo in -o una flessione tematica, nell'ittito ambedue le flessioni sono compatibili con temi verbali con uscita in consonante e con uscita in vocale; p. es. es-mi "sono", ija-mi "faccio", ar-hi "arrivo", da-hi "prendo". Ancora più importante per gli indeuropeisti è il fatto che al sistema a due coniugazioni dell'ittito si oppone nelle altre lingue anatoliche antiche un sistema totalmente diverso. Le desinenze caratteristiche suonano così nelluvio (2): p re s. l. 2. 3. 5. 6.
284
mi,wi
attivo pret.
ti
ha s ta
n ti
nta
SI
impv.
medio-passivo p re s. impv.
allu 0
tu tan n tu
(ta)ri duwar(i) ntari
(ta)ru ntaru
Com'è evidente, illuvio non ha corrispondenti per la coniugazione in -hi dell'itt. (3); di contro la l. sg. nella cosiddetta coniugazione in -mi (3. sg. -tz) presenta una doppia forma: con -mi e con -ui, p. es. aw-i-mi "vengo" (4), aw-i-si "vieni", aw-i-ti "viene", i perfetti corrispondenti dunque di gr. df!L, d (da '''ei-si), dm, ma tiyanesui "io turo"; hapusui "riparo". Appare chiaro che -ui altro non è che un ampliamento con -i primario di -u, che continuerà ie. 1' -8 (5); avremmo così tracce di ambedue le coniugazioni ie. (-mil-o) nel luvio, laddove nell'itt. è conservata, di queste, solo la coniugazione in -mi. Di contro il luvio - e così le altre lingue anatoliche - presenta nel pret. una desinenza di l. sg. in -ha, che nell'itt. ricorre in tale funzione solo nella forma -hun (incrocio di -ha con -un), ed è peraltro chiaramente presente nella d es. -h i (incrocio di -ha con -i primario) . La coniugazione in -hi dunque non è ereditaria, ma è un'innovazione ittita, che esclude anche le altre lingue anatoliche (6) . (l) Friedrich, Heth. Elementarbuch I, 196()2, 77; Pedersen, Hittitisch 79 s.; Sturtevant-Hahn, A comp. grammar of the Hittite language, 1951, 139 s.; Kronasser, Etymologie, 1965, 369; Kammenhuber, MSS 24, 1968, 73 s. - (2) Friedrich, op. cit., 191; Morpurgo Davies, KZ 94, 1980, 96108. - (3) Così Laroche, v. Puhvel, in: AIED 243; cf. Morpurgo-Davies, in: Festschrift Szemerényi, 1979, 577-610. - (4) -mi è originario, v. Kronasser, Etymologie 86, 377'. - (5) Szemerényi, BSOAS 27, 1964, 159. La desinenza viene solitamente accostata all' itt. -u-n (1. sg. del pret.!), con cui andrebbero anche licio (miliaco) -u, lidio -u, toc . occ. -w-a e lat. -u-z, v. Benveniste, HIE 18; Watkins, Origins 105; Gusmani, AION-L 6, 1965, 80 s.; Ivanov, in: Slavjanskoje Jazykoznanije, 1968, 226; Neu, in: E. Benveniste aujourd'hui II, 1984, 102 . Ma toc. w è da spiegarsi in modo diverso (Winter, KZ 79, 1966, 206-9) e pure lat. -u- non è una desinenza personale. - (6) Più ampiamente su ciò sotto, 7.1.3. Sull'origine della coniugazione in -hiv. Rosenkranz, Jb. Kleinas. Forsch. 2, 1953, 339-349; G. Schmidt, KZ 85, 1972, 261; Beekes, IF 76, 1972, 72 -76; Eichner, in: 5. Fachtagung, 1975, 85 s.; Risch, ivi 247 s.; Neu (2) 125 s.; Studies Palmer, 1976, 239-254; Bader, RHA 33, 1977, 5-29; Cowgill, in: Hethitisch und Indogermanisch, 1979, 25-39; Jasanoff, ivi 79-90; Kurytowicz, ivi 143-146; Tischler, in: Gedenkschrift H. Kronasser, 1982, 235249, in partic. 249 .
285
2.5. Le desinenze dell'imperativo (l). a) L'imperativo semplice. Per la 2. sg. dell'attivo dei verbi tematici è usato il tema, cioè la radice con la vocale tematica, p. es. lat. age = gr. aye; per quella dei verbi atematici o il puro tema, p. es. lat. t da ~'ei, ovvero il tema ampliato a mezzo di una particella al grado normale (p. es. lit. ei-k "va") o al grado zero (gr. ì:-{h = scr. i-hi, gr. p(o{h "sappi" = scr. vid-dhi). Nella 2. pl. è usato in ambedue i tipi flessivi l'indicativo non aumentato con desinenze secondarie, cioè a dire il cosiddetto ingiuntivo (v. 3 .1.5.). Cf.
286
atem. *-0, *-dhi *-t(+u) *-te *-ent( +u)
medio-passivo tem. *-e *-et(+u) *-ete *-ont( +u)
*-so *-to *-dhwe *-nto
b) L'imperativo futuro (3).
Accanto all' «imperativo semplice» vi sono nel scr., gr. e latino delle formazioni che possiamo designare come imperativo futuro. La loro caratteristica principale è la terminazione tod, che in tal forma è ancora conservata in latino arcaico, ma dal 200 a.C. appare come -ti5, cosl come in gr. fin dall'inizio della tradizione; nel scr. risponde naturalmente -tad. È inoltre interessante il fatto che la medesima forma sia usata per più persone, cf. lat. agito 2. 3. sg., scr. gacchatad "tu andrai/egli andrà (impv.)". Il scr. mostra addirittura che la stessa forma era usata anche per la 2. p l.; ma essa non era usata per la 3. pl., ·talché è inesatta l'opinione, largamente diffusa, per cui tale forma in -tad sarebbe stata usata per tutte le persone di tutti i numeri. Questa constatazione d'ordine negativo trova una conferma nel fatto che nelle lingue classiche esiste per la 3. pl. una forma a sé, cf. gr. <:pEQ6vtw, lat. /erunti5. Per l'ie. abbiamo dunque i seguenti paradigmi:
2. 3.
5. 6.
atematico
tematico
''estod *estod ''estod ''sentod
*bheretod *bheretod *bheretod *bherontod
Le lingue classiche mostrano significative limitazioni a quest'ampio uso di ,.,bheretod. Nel lat. la 2. pl. è stata rideterminata a mezzo di -te, dunque ·~
esempi come il plautino tu epistulam hanc a me accipe atque illi datò (Pseudolus 647): prendi ora- dai poi (5). Per quel che attiene alla parte della forma che precede tod, è stato a lungo sostenuto che es bhere ecc. erano ancora testimoni dell'uso originario della medesima forma per tutte le persone e tutti i numeri (6). Il fondamento di tale opinione viene già a mancare in seguito al fatto, testé riconosciuto, che per la 3. p l. era appunto usata una forma diversa; e la sua insostenibilità è dimostrata anche dal fatto che l'ablativo tod presuppone uno stadio in cui persone e numeri erano già da tempo compiutamente sviluppati. Giacché è ora chiaro che la 2. sg. '''bheretod è sorta dalla 2. sg. '"bhere più tod, dobbiamo accettare la stessa origine anche per le altre persone. Con ciò risulta allora che 2. 3. 5. 6.
1
'bheretod ''bheretod *bheretod *bherontod
sono sorti da
''bhere-tod *bheret-tod *bherete-tod ''bheront-tod:
cioè le 2. persone dalle forme dell'imperativo semplice, le 3. persone dalle forme dell'ingiuntivo. La riduzione della 3. pl. '"bheront-tod a '"bherontod è chiara, come pure l'abbreviazione aplologica dalla 2. pl. '"bheretetod a '"bheretod. L'identità così sorta fra la 2. sg. e la 2. pl. avrà contribuito alla semplificazione anche della 3. sg. ,., bherettod in ,., bheretod (7). (l) Cf. Brugmann, Grundrill2 II 3, 563 s.; Schwyzer, GG I 797 s.; Win-
ter, Vocative 221 s. - (2) Cf. Watkins, Verb 32 s.; Lindeman, BSL 71, 1976, 113-121; Bammesberger, JIES 10, 1982, 45. - (2a) V. Watkins, Verb 52 s., 193; Hollifield, EC 20, 1983, 96 n. 4; diversamente Shields, in: Hethitica V, Louvain 1983, 124. - (2b) Brugmann, IF 39, 1920, 56. Naturalmente la forma non è da confrontare né col gr. (attivo)
288
(4) V. ora anche Risch, Museum Helveticum 21, 1964, 8 s. - (5) V. anche Strunk, IF 73, 1969, 285 s. - (6) Ancor oggi Watkins, Verb 121; K. Hoffmann, MSS 28, 1970, 37. - (7) Secondo Markey, SL 26, 1972, 46 s., -tod è connesso con got. 3. sg. impv. (baira)-dau. V. anche Cowgill, 5. Fachtagung 65.
2.6. Vocale !ematica e apofonia. Come abbiamo visto, le desinenze verbali vengono unite con o senza la cosiddetta vocale tematica al relativo tema verbale o temporale. La vocale tematica è e o o, quest'ultima avanti a nasale (m, ma anche n) e a w; è chiaro che, in origine, la vocale tematica doveva essere ovunque e, che subì una «metafonia» in o, conformemente alle leggi fonetiche, solo avanti a labiale o nasale (1) . I paradigmi che seguono (pres. ind. att.) rendono evidente la ripartizione di e e di o: gr.
go t .
asl.
li t.
baira bairis bairip bai ram bairip ba iran d bairos bairats
berq be resi beretìi beremìi berete berqtìi bereve bereta berete, -ta
vedu vedi veda veda me veda te veda vedava vedata veda
l.
q>ÉQOl
2.
q>ÉQELç
3. 4. 5. 6. 7.
q>ÉQEL q>ÉQEtE
8.
qJÉQEtOV
9.
qJÉQEtOV
q>ÉQO~EV
qJÉQOVtL
Il paradigma gotico con a (da o), o e i (da e) risponde con una eccezione alla distribuzione di elo nel paradigma greco, che trova conferma pure nell'antico irlandese e nel latino (quaeso quaesumus, legunt), benché in generale gli sviluppi fonetici abbiano pressoché interamente obliterato l'alternanza. Di contro, nel baltico e nello slavo vediamo un conguaglio condizionato morfologicamente e non foneticamente: nellit. a (da o) ha soppiantàto e, nello slavo e è divenuto predominante, con l'eccezione di 1.6., ma nell'aoristo e nell'imperfetto è conservata la vecchia distribuzione. Per quel che attiene all'origine della vocale tematica, è stato sostenuto tanto il punto di vista per cui essa sarebbe stata una parte del tema (2), quanto pure quello opposto, cioè che essa sarebbe stata un «elemento di formazione» (3). Secondo la prima opinione, sarebbe
289
possibile far dipendere la presenza o l'assenza della vocale tematica da altri fattori fonetici o prosodici noti, mentre per la seconda l' elemento di formazione dovrebbe propriamente apparire in tutte le persone, giacché esso avrebbe caratterizzato il tema, e non le singole persone. Da questo punto di vista diviene altamente inverosimile l'idea di un tipo semitematico, che singoli studiosi hanno ipotizzato; che lat. /ero /ers /ert /erimus /ertis /erunt debba continuare un tipo ie. *bhero ·:'bhersi -:'bherti 1'bheromos -:'bherte(s) 1'bheronti (4) rimane indim~strato e inconciliabile con la teoria dell'accento verbale (sg. _ tema, p l. - desinenza) ; v. anche sopra, 2 .1.2 .(l). Nei verbi atematici è normale- nel singolare il grado normale della radice, nel duale e nel plurale il grado zero, e in relazione a ciò nel singolare l'accento insiste sulla vocale della radice, negli altri numeri sulla desinenza; cf. '~ éimi "vado": '~i-més "andiamo" . Il fatto che la vocale tematica compare in tutte le persone di tutti i numeri dei verbi tematici dovrebbe di per sé fissare l'accento sulla vocale stessa, il che comporterebbe che la sillaba radicale dovrebbe presentarsi col grado zero. Ciò accade però solo in un ristretto novero di casi, che forse non hanno titolo a essere ascritti ad antichità ie. Nella maggioranza dei casi troviamo nella sillaba radicale la vocale tonica e al grado normale, p . es. "~< bhéro, "~• bhéromos, "~•bhéronti. Il che significa che questo tipo ha sublto una notevole azione di conguaglio. È stato assunto che la vocale tematica si sarebbe fissata primamente negli aoristi forti a grado zero (p . es. "~•luk-6-m, "~' luk-é-s, '~ luk-é-t), e che da questi sarebbe stata portata nel presente e nell'impf. (5) ovvero che il tipo ossitono del presente (con l'accento nel sg. sulla ~ocale tematica) avrebbe conguagliato un paradigma alternante del tipo TJ~..T6ml -ésl -ét : TfT-emél -tél -ént in un paradigma con vocale tematica fissata del tipo TfT-6m l-ésl-étl -6mel -éte/ -6nt, fornendo così il modello per il tipo TéRT-om/ -es/ -et ecc. in luogo del più antico e regolare TéRT-eml -s/-t ecc. (6). Se non proprio così, la vocale tematica dev'essere comunque sorta con modalità assai simili. Certo è però che in epoca ie. o tardo-ie. essa si era già fissata con la forma !ilternante individuata al principio di questo paragrafo. Le singole lingue non hanno fissato con modalità diverse una situazione ancora fluida, ma hanno trasformato con l'andar del tempo secondo le proprie regole Una situazione che avevano ereditato già consolidata.
290
(l) V. sopra VI.3.4.b). Cf. ancora Couvreur, Mélanges Boisacq I, 1937, 207 (in origine solo o; le forme con e, cioè 2.3.5., sono secondarie e tarde); Poldauf, ZfPhon 9, 1956, 165 (o avanti a labiali); Kurytowicz, Apophonie 72; Watkins, Verb 64, 70, 106, 108; Jasanoff, Stative 47 s.; Hilmarsson, NTS 31, 1977, 193-198; Ivanov, Glagol56 s. - (2) Fick, BB l, 1877, l s.; Hirt, IG 2, 167; 4, 159 s.- (3) P. es. Meillet, Introduction 174; Specht, Ursprung 103 s., 245 s., 309 s. (: pronome e/o); Knobloch, La voyelle thématique e/o serait-elle un indice d'objet indo-européen?, Lingua 3, 1953, 407-20, respinto da Kurytowicz, Apophonie 74 n. 47; Kortlandt, JIES 11, 1984, 310 s. - (4) Szemerényi, Syncope 189 s., 195 s. Su ciò ancora Elfenbein, RL 2, 1951, 180 s., e recentemente Stang, Vgl. Gram. 319; Schmalstieg, La linguistique 8/1, 1972, 123-136 (favorevoli); Vaillant, BSL 38, 1957, 97 s.; Gram. comp. III 365 s., 438; Cowgill, Language 31, 1963, 263; Kurytowicz, Categories 79 s. (contrari) . Cf. ancora W.P. Schmid, Studien zum baltischen und idg. Verbum, 1963, 97, 101; Nagy 1970, 20-26, 31; Strunk, KZ 83, 1970, 220 s. - (5) Kurytowicz, Apophonie 72. - (6) Kurytowicz, Categories 116 s. Cf. ancora Adrados, Verbo 601 s.; Risch, Symbolae Kurytowicz, 1965, 239; SchmittBrandt 128 s.; e di nuovo Kurytowicz, IG 2, 271 s.; Kerns-Schwartz, Lg. 44, 1969, 717-9; M. Garda Teijeiro, Los presentes ie. con infijo nasa!, Salamanca 1970, 99 s.
Addendum. Sulla base di certe forme mediali a grado normale (p. es. scr. faye = gr. xEifWL "giaccio" ecc.) e di alcune forme attive, presenti quasi esclusivamente in ario, a grado allungato (scr. taJ(i "fabbrica (col legno)", da takJ-); Narten ipotizza ora (Festschrift Kuiper, 1969, 9 s.) che nell'ie. accanto ai tipi di cui si è detto esistesse anche un presente radicale in cui l'accento cadeva sempre sulla radice («proterodynamisch»); cf. da ,.,steu- "proclamare solennemente": att. l. sg. ''' stéu-mi, l. pl. ''' stéu-mes, med. l. sg. ''' stéw-ai, l. pl. '~'stéu-medha (1). (l) V. già Brugmann, KVG, 1904, § 638, § 647; Meillet, MSL 13, 1905,
110-115; e di recente Insler, MSS 30, 1972, 55-64; Lg. 48, 1972, 557 s.; Lindeman, NTS 26, 1972, 65-79; G. Schmidt, KZ 85, 1972, 264; Beekes, KZ 87, 1973, 86 s.; Tichy, Glotta 54, 1976, 71-84.
2.7. Diatesi (1). Per mezzo delle desinenze personali furono nettamente distinte due diatesi: l'attivo e il medio. Si dava talora che un medio fosse
291
appaiato con un attivo, p. es. gr. À.ouw "lavo": À.oUOf.tm "mi lavo" . Talaltra invece non era possibile l'attivo di un tema verbale, ma solo il medio (media tantum), cosl p. es. ie. ~'sekwetoi "segue", cui risalgono scr. sacare, gr. btETm, lat. sequitur, airl. sechithir. Né, com'è naturale, era possibile un medio per ogni attivo (activa tantum) , p. es. àno{}v(JoxEL "muore". Cercare di afferrare il contenuto delle due diatesi è impresa della massima difficoltà. Sarebbe naturalmente possibile rinunciarvi, e limitarsi a una determinazione puramente formale della distinzione fra attivo e medio ma, a lungo andare, una limitazione siffatta sarebbe certamente insopportabile. Va aggiunto che l'attivo pone meno problemi che non il medio. Giacché il medio è usato in prevalenza per l'espressione di funzioni del corpo come sedere, giacere, saltare ecc. (gr. ~o-rm , xEi:Tm, aÀÀ.E-rm) e in modo particolare nei verba a/fectuum come aver paura, vergognarsi, rallegrarsi ecc. (gr. cpo~ÉOf.lm, alùéof.taL, ~6o~-tm), si poteva scorgerne la funzione centrale proprio in quest'ultimo ambito : «Nel medio si esprime il fatto che il soggetto accompagnava l'azione . (intesa nel senso più ampio) con un certo umore, con un'emozione» (2); ma siffatta definizione resta insoddisfacente per i verbi indicanti funzioni del corpo, di cui si è detto sopra. Piuttosto, par possibile consentire con Brugmann, quand'egli afferma che i media (tantum) per lo più «contrassegnavano azioni, processi o stati che hanno come teatro essenzialmente il soggetto e la sua sfera, in cui il soggetto è coinvolto totalmente ed esclusivamente, e sim.» (3), da cui ben poco si discosta pure la definizione di Benveniste, che vorrebbe cogliere con esattezza l'opposizione del medio nei confronti dell'attivo: «Dans l'actif, les verbes dénotent un procès qui s' accomplit à partir du su jet et hors de lui. Dans le moyen, qui est la diathèse à définir par opposition, le verbe indique un procès dont le sujet est le siège; le sujet est intérieur au procès» (4); cf. anche la definizione secondo cui il medio indica «that a process is taking place with regard to, or is affecting, happening to, a person or a thing» (5) . In relazione a quanto detto, il medio potrebbe essere definito come il subiettivo (6), definizione cui ben s'accorderebbe la denominazione della grammatica sanscrita, atmane-padam "forma della parola in riferimento alla persona stessa" . Il confine fra attivo e medio non è netto. Accade talora che non vi 292
sia differenza di significato fra le due diatesi (o:rtÉQXW = o:rtÉQXOfWL "mi affretto"), o che dal punto di vista semantico il criterio per cui si è scelta l'una o l'altra diatesi ci risulti incomprensibile: tlfl( "sono" è attivo, ma EOOflat "sarò" è medio (6a). È particolarmente frequente trovare un perfetto attivo accanto a un medium tantum (negli altri tempi); p. es. y(yvof.tm: yéyova "divento", 6égxof.tm: 6é6ogxa "vedo"; lat. revertor: perf. revertt; scr. vdrte: vavdrta "divento", muyate: mamar~a "dimentica". Ciò avrà naturalmente il suo fondamento nel fatto che il perfetto in origine denotava soltanto stati, ma non processi o azioni, v. sotto 7.3. Il carattere subiettivo del medio, già rilevato in precedenza, si appalesa bene in coppie come gr. %Et, scr. yajati "sacrifica" (del sacerdote) in contrasto con gr. fhJE'tat, scr. yajate "sacrifica" (del committente del sacrificio, o di colui che offre da sé). A questo tipo sono collegati il medio riflessivo, p. es. 'tQÉ:rtOf.tat "mi volto", il medio reciproco, p. es. f.lél.xw'frm "combattere", e il medio intensivo o dinamico, p. es. :n:oÀ.t'tEUW "sono cittadino": :n:oÀ.t'tEUOflat "sono attivo come cittadino" (7). Dal punto di vista formale per l'indeuropeo può essere accertata soltanto la distinzione fra due diatesi. Poiché la diatesi non-attiva, nelle fasi più antiche del sanscrito e del greco, è, quandanche non esclusivamente, tuttavia in prevalenza mediale, è consuetudine, e così si è fatto anche qui sopra, stabilire come seconda diatesi ascritta al sistema ie. il medio. Il passivo, la cui presenza non è del tutto da negarsi anche all'inizio della storia linguistica del sanscrito e del greco, è allora considerato come uno sviluppo secondario dal medio, e in particolare dall'uso riflessivo (8). Quest'opinione oggi appare difficilmente comprensibile. Infatti da pressoché un quarto di secolo la grammatica trasformazionale di Chomsky è quasi riconosciuta a un dipresso come la nuova grammatica e la trasformazione passiva (9) è stata indicata a buon diritto come il prototipo delle relazioni trasformazionali (10). Non fa meraviglia che Kurytowicz si sia visto costretto a dichiarare gerarchicamente di rango superiore l'opposizione trasformazionale di attivo: passivo al contrasto puramente semantico di attivo : medio. Se all'inizio della tradizione del sanscrito lo status antico par essere rappresentato da bharati: bharate (att.: med.), pure ciò è falso, giacché l'opposizione basilare attivo: passivo è rappresentata 293
da bhara#: bhoate, dove la neoformazione bhoate ha assunto la funzione fondamentale del passivo, mentre bharate è stato limitato alla funzione secondaria, intransitiva e mediale (lOa). Anche nel gr. la funzione passiva dell'antica flessione in -'WL è stata innovata, almeno nell'aoristo (e nel futuro): l'antica forma è stata confinata alla funzione secondaria (medio), sebbene anche qui coesistano ancora ambedue le funzioni, cf. 'tq.ti)ao~m, "stimerò/sarò onorato" (11). Questa interpretazione dei fatti sembra contraddetta daUe seguenti circostanze: nd passivo assai frequentemente non viene. espresso l'agente, il passivo viene usato preferibilmente là dove l'agente è sconosciuto, e il passivo perlopiù appare nella 3. persona (12). Ma la spiegazione è assai semplice (13). La costruzione passiva a tre membri del tipo discipulus laudatur a magistro è una trasformazione di magister discipulum laudat, e come tale si differenzia dalla costruzione attiva soltanto per quel che attiene alla sua funzione «espressiva», non nella sua funzione «simbolica», rappresentativa, e quindi altro non è che una variante stilistica della costruzione attiva. Di contro, la costruzione passiva a due membri in cui l'agente è soppresso può essere usata anche quando l'agente è di fatto sconosciuto o solo non deve essere nominato, in situazioni dunque per cui nell'ie. non esisteva nessuna diretta corrispondenza attiva, giacché certo non esistevano frasi impersonali. Il tipo a due membri discipulus laudatur è dunque necessario, e come tale ricorre statisticamente con maggior frequenza del tipo a tre membri, che è solo una variante stilistica, e perciò è meno importante ( 14) .
Addendum. Negli ultimi anni, sulla base di caratteristiche formali e semantiche, è stata postulata un'ulteriore diatesi, lo stativo, che tuttavia fin qui sarà testimoniato solo (o principalmente) nella 3. pers ., all'incirca confrontabile con scr. bruve "viene chiamato" (stativo) ma brute "chiama per sé" (15) . Rix pensa ~he la distinzione sia dimostrabile anche nella 2. sg. e ricostruisce i seguenti sistemi paralleli (16): Medio Stativo
2. -so 2. -tha
3. -to
6. -nto
3.
6. -ro
-o
Tutto ciò è però per il momento ancora assai incerto, e il dissenso va dal dubbio (17) al netto rifiuto (18) . .
294
(l) Introduzione alla problematica e ulteriore bibliografia in Schwyzer, GG II 222 s.; Hofmann-Szantyr 287 s. (291 bibliografia!). Più recentemente S. Szlifersztejnowa, Kategoria strony, Wroctaw 1969 (Storia della diatesi dall'antichità al presente); C. Garda Gual, El sistema diatetico en el verbo griego, Madrid 1970; G. Calboli, La linguistica moderna e il latino - I casi, Bologna 1972, 196 s.; Harweg, Zur Definition von Aktiv und Passiv, Linguistics 97, 1973, 46-71; Szemerényi, Studies A.A. Hill III, 1978, 277 s.; Meid, InLi 4, 1978, 39; Strunk, Zum idg. Medium, Fs. Seiler, 1980, 321-337; Flobert, Benveniste et le problème de la diathèse, in: E. Benveniste aujourd'hui II, Paris 1984, 51 -61; Perel'muter, Medio e riflessivo IE (in russo), VJ 1984 (1), 3-13. - (2) O. Hoffmann, BB 25, 1899, 178 (citato con approvazione da Schwyzer 22Y). - (3) Brugmann, Grundrill2 II 3, 685. - (4) Benveniste, Actif et moyen dans le verbe, I ed. 1950, ora ristampato nei suoi Problèmes de linguistique générale, 1966, 168-75 (citaz. p. 174) . - (5) Gonda, Reflections on the IE medium, Lingua 9, 1960, 30-67 (citaz. p. 66) e 175-93. - (6) Bechert, Kratylos 10, 1967, 170; cf. ancora Hermodsson, Reflexive und intransitive Verba im alteren Westgermanischen, 1952, 28 s. ; Guxman, v. sopra 2.2.1.(5); K.H. Schmidt, ZDMG 116, 1966, 18 s.; Rosén, Lingua 17, 1967, 324 s.; Savcenko, Kategorija mediuma v ie. jazyke, Biuletyn Polskiego Towarzystwa Jçzykoznawczego 20, 1961, 99-119. - (6a) Sul problema della fluttuazione v. Jameson IIJ 21, 1979, 149-169.- (7) Cf. Schwyzer II 229 s.; Burrow, The Sanskrit language, 1955, 293 s.; Thumb-Hauschild I 2, 185 s. Sulla classificazione del medio v. Neu (2) 92 s.; Garda Gual, op. cit., 21 s. - (8) Schwyzer II 224, 236, 238 (!); su ciò cf. inoltre specialmente E. Wistrand, Ùber das Passivum, 1941, 5 s.: lo sviluppo dal medio al passivo sarebbe quasi una legge di natura. V. ancora Hendriksen, The active and the passive, 1948; Gonda, Remarks on the Sanskrit passive, 1951; Hermodsson, op. cit., 19-25; H. Hartmann, Das Passiv, 1954, 8, 13 s. (passivo tardo e non generalizzato); '''Zsilka, Das Passiv in Homers Heldengesangen, Acta Antigua Acad. Hungar. 12, 1964, 277-310. Sulla derivazione del passivo v. anche Neu (2) l s., 5; Jankuhn, Die passive Bedeutung medialer Formen, Gi::ittingen 1969; Schmalstieg, FoL 12, 1980, 358 s. (dal medio); Statha-Halikas, PCLS 13, 1977, 578-589 (dall'impersonale); G. Schmidt, Em 46, 1978, 383 s., in partic. 409 (da costruzioni coll'infinito!). Secondo il Pulgram (lE passive paradigm, Forum linguisticum 2/2, 1979, 95-106) il passivo sarebbe un universale linguistico.- (9) Chomsky, Syntactic Structures, 1957, 42 s., 112; Aspects of the theory of syntax, 1965, 103 s. Cf. Lyons, Introduction to. theoretical linguistics, 1968, 257 s., 261 s., 373; J. Svartvik, On voice in the English verb, 1966,
295
l s., 164; Brekle, Linguistics 49, 1969, 84; ma v. anche Langacker, Lg. 58, 1982, 22. - (10) A. Bach, An introduction to transformational grammar, 1966, 62 s. - (lOa) L'uso passivo del tipo bharate non si trova solo in vedico (vedi Delbriick, Altindische Syntax, 1888, rist. 1976, 263 s.), ma anche in avestico (vedi Reichelt, Awestisches Elementarbuch, 1909 rist. 1967, 298). - (11) Kurytowicz, Categories 72-85; già nell'artico!~ pubblicato nel 1929 «Le genre verbal en indo-iranien» (Rocznik Orientalistyczny 6, 199-209) K. ha sostenuto che l'uso intransitivo-passivo del medio sarebbe più antico di quello reciproco o riflessivo e Marguliès già nel 1924 ha ritenuto il medio derivato dal passivo (v. Die Verba reflexiva in den slavischen Sprachen), opinione che viene definita completamente errata ancora in Hofmann-Szantyr 287. V. anche Marguliès, KZ 58, 1931, 116, 120 e Flobert, Déponent et passif en italique et en celtique, Annales de Bretagne 74, 1968, 567-604, in partic. 600 s.; Les verbes déponents des origines à Charlemagne, Paris 1975. - (12) Vedi Schwyzer, Zum personlichen Agens beim Passiv, besonders im Griechischen, 1943; GG II 238 s.; Rysiewicz, Studia j~zykoznawcze, 1956, 323-331; K.H. Schmidt, Zum Agens beim Passiv, IF 68, 1963, 1-12, 269, 274-5; Le Bourdellès, Un point de syntaxe dialectale italique: l'objet direct du passif impersonnel, Latomus 24, 1965, 481-494. Cf. anche H. Ammann, «Das Passivum als Leideform» e «Probleme der verbalen Diathese» in: Nachgelassene Schriften zur vgl. und allg. Sprachwissenschaft, 1961, 95111. - (13) Kurytowicz, Categories 72 s. - (14) V. ancora L. Schauwecker, Genera verbi im Deutschen, Muttersprache 78, 1968, 366-70; H. Jankuhn, Die passive Bedeutung medialer Formen untersucht an der Sprache Homers, 1969 (contro l'idea che il passivo risalga ad antichità ie.).- Secondo Koller (Glotta 37, 1958, 31) la grammatica greca ha•scoperto per prima il contrasto attivo-passivo. - La tesi di Chomsky è almeno per il tedesco messa in dubbio da J. David, Mélanges J. Fourquet, 1969, 61-74. - (15) V. Oettinger, Der idg. Stativ, MSS 34, 1976, 109149; Eichner, 5. Fachtagung, 1975, 99; Rix, in: Indogermanisch und Keltisch, 1977, 135 s. Il lavoro di Jasanoff (Stative) tratta principalmente i verbi in e. - (16) Rix, op. cit., 136, 145 s.- (17) Cowgill, in: Hethitisch un'd Indogermanisch, 1979, 28 n. 9. - (18) Neu, Studies Palmer, 1976, 253, n. 57 .
B. Formazioni modali 3.1. Dei quattro modi (v. sopra 1.) soltanto tre sono marcati a mezzo di speciali contrassegni mo dali o desinenze personali. L'indi-
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cativo è propriamente il modo non-marcato, contrapposto agli altri tre marcati; è dunque, al massimo, caratterizzato dai contrassegni temporali e dalla vocale tematica. Solo alla 2. sg. dell'imperativo fa eccezione: essa è di norma rappresentata dal puro tema. V. la rassegna di Calboli, I modi del verbo greco e latino 1903-1966, Lustrum 11, 1966, 173-349; 13, 1969, 405-511; Sintassi latina e linguistica moderna, Lingua e stile 3, 1968, 307-317.
3.1.1. Il congiuntivo (l) si distacca in modo chiaro dagli altri modi e sta specialmente in opposizione con l'indicativo: quando questo è atematico, il congiuntivo ne è il partner tematico, e quando l'indicativo è tematico, il congiuntivo è caratterizzato dalla «vocale di congiunzione» e/ o. Così il cong. dell'incl. atematico ''' et'mzPeistPeiti "vado, vai, va" è '~ey-0/''ey- e-s(t)/-:'ey-e-t(t) ecc., ma rispetto a '~bherol -:'bhereszPbhereti il cong. è ~'bhero/-:'bheres(t)l-:'bheret(t) ecc.; è chiaro che in quest'ultima serie e rappresenta e + e, e di converso i5 quella o + o, che è dire la vocale tematica (dell'incl.) più il contrassegno del congiuntivo. V. ancora sotto 7.2. Il congiuntivo tematico dei verbi atematici appare chiaramente in certe forme gr., come p . es. L0!-1-EV "andiamo" (cong.) vs. ind. L!-1-EV; altrettanto nel cong. dei verbi tematici, p. es.
297
Col tema del congiuntivo si hanno generalmente le DS, cf. alat. kapiad "capiat", gr. arcadico EX'Yl (da -e-t), tess. itÉÀr]; in ionico-attico le terminazioni originarie -r]ç -'Yl sono state rifatte in -nç -n secondo · l'ind. In scr. si rileva però una commistione di DS e DP, ovvero una scelta palesemente libera fra le due classi desinenziali. l..e desinenze personali sono: l. -a, -ani
2. -s, -si 3. -t, -ti
4. -ma 5. -tha 6. -n( t)
7. -va 8. -thas 9. -tas,
cioè sono usate solo DP nelle l. sg., 2. 3. duale, 2. pl.; solo DS nelle l. du. pl., 3. pl.; una libera variazione è consentita fra -si e -snella 2. sg., e fra -ti e -t nella 3. sg.; nella l. sg. -a, come già si è detto; rappresenta la desinenza primaria ( = gr. -w, lat. -o), la variante -ani mostra quest'ultima ampliata a mezzo della particella -ni, o addirittura -a-na rifatta per influsso di i primario (!) a dare -a-ni. Nel medio invece sono usate quasi esclusivamente le DP in -e, o loro varianti in -ai, solo nella 3. pl. è ammessa anche la DS. Cf. bharasz!bharas, bharatzlbharat; da i- "andare": l. ay-a(nz), 2. ay-a-s(i), 3. ay-a-t(z); da as"essere": l. as-ani, 2. as-a-s(z), 3. as-a-t(z), 5. as-a-tha, 6. as-a-n e cosl via (2a). A un'analisi puntuale di siffatte varianti (3), par dunque emergere il fatto che le DS erano quelle originarie e le DP sono andate sempre più guadagnando spazio, verisimilmente in connessione con un progressivo accostamento del cong. all'incl. dal punto di vista del contenuto. Storicamente una concezione siffatta appare più fondata che non la supposizione che questa variazione assai circoscritta - propriamente appare solo nelle 2. 3. sg. - sia da ricondurre a una distinzione di carattere contenutistico (4), o all'esistenza, in epoca anteriore, di due «tempi», cong. pres. e impf. (5). (l) Cf. Schwyzer II 790 s.; Leumann2 573 s.; Hahn, Subjunctive 59; D.
Lightfoot, Natura! logic and the Greek moods, l'Aia 1975; Scherer, 4. Fachtagung, 1973, 99-106. - (la) Così anche nel celtico, v. Marstrander, SO 37, 1962, 147 s. (: airl. gaibid/gaba'id).- (2) Renou, BSL 33, 1932, 15 s.; Kurytowicz, Apophonie 28; Categories 139.- (2a) V. Renou, BSL 33, 1932, 5 s.; Kurytowicz, RO 3, 1927, 173 s.- (3) Gonda, Moods 110 s.-
298
(4) K. Hoffmann, Injunktiv 268\ 276. - (5) Kurytowicz, Categories 139. V. anche Watkins, Verb 133; Beekes, IIJ 23, 1981, 21-27.
Addendum. l. Alcuni studiosi contestano l'esistenza di un congiuntivo nel sistema ie. (p. es. Pedersen, Tocharisch 191 s.; Lane, Language 35, 1959, 157). Poiché però il congiuntivo a vocale breve dei verbi atematici è attestato in ario, gr., lat. e celtico (v. Kurytowicz, Categories 113 s.), non può esservi dubbio sulla sua esistenza già nella fase ie. ( l). Addendum. 2. L'opinione qui esposta in ordine al cambio e/o, e/o troverebbe consenzienti la maggior parte degli studiosi, ma non manca chi considera almeno il cambio e/o come secondario, che si sarebbe prodotto in luogo del contrassegno e che un tempo sarebbe stato l'unico valido; così per primo O. Schrader, Curtius' Studien 10, 1878, 306, e dopo di lui Brugmann in: MU 3, 1880, 30 s.; in epoca più recente p. es. Hirt, IG 4, 296; Pedersen, Tocharisch 192; Watkins in AIED 42 s. (2). (l) Cosl anche K. Hoffmann, Das Kategoriesystem des idg. Verbums
(1970), v. ora Aufsatze zur Indoiranistik, 1976, 538. - (2) Sul congiuntivo del verbo essere v. IX.5.1.
3.1.2 . L'ottativo nei verbi atematici presenta una formazione inconfondibile: suffisso -ye- nel sg., -z- negli altri numeri, apposti al grado zero del tema; a questo complesso si aggiungono poi le DS (1) . Questa formazione è ricostruibile nel modo migliore per ~'es "essere" (v. anche 5.1.d.): l. *s-ye-m
2. *s-ye-s 3. *s-ye-t
4. *s-Ime 5. *s-I-te 6. *s-iy-ent.
Questo paradigma è forse conservato nel modo più chiaro nel latino arcaico: siem, sies, siet, szmus, sztis, sient; appare un po' modificato con '~es- restituito, ma caduta di s intervocalica- nel gr. ELTJV, -"Y]ç, -T], df!ev (da *es-T-m-), dee, dev. Nel scr. -ya- è stato esteso all'intero paradigma: syam, syas, syat, syama, syata, syur. Di contro il gotico mostra generalizzazione del grado z"ero -z- in (wiljau) wilez"s, wili, 299
wileima, wileip, wileina "voglio" ecc. da ~'wel-t-; parimenti anche nel latino: velim, velt:s ecc. Nei verbi tematici prima delle DS compare un elemento -oi-, che appare costituito dalla vocale tematica col timbro o e dal grado zero del suffisso atematico yelt (2). La formazione può essere ricostruita sulla base del gr., got. e scr.: gr.
got.
scr.
ie.
l.
cpÉQOLf.i.L
2. 3. 4. 5. 6.
cpÉQOLç
bairau bairais bairai bairaima
bhareyam bhares bharet bharema bhareta bhareyur
''bheroy-Ip *bheroi-s *bheroi-t ''bheroi-me *bheroi-te *bheroy-Q.t
cpÉQOL cpÉQOLf.i.EV cpÉQOLtE
bairai~
cpÉQOLEV
bairaina
Le forme 2.-5 . sono di testimonianza unanime; in l. e 6. nel gr. sarebbe atteso ~'
(l) Schwyzer, GG I 793; Leumann 324; Stang, VgL. Gram. 421 s.; Vaillant, Gram. comp . III 29 s. - (2) Kurytowicz, Categories 141-2. - (2a) V. Bammesberger, Studien zur Laryngaltheorie, 1984, 115 s. - (2b) Ma oi e ye vengono ambedue dedotti dal Meillet, BSL 32, 1931, 199, da un originario -oye-. Watkins, Verb 226, 230, pensa che il tipo ottativale gam-ema confermi questa ipotesi, ma il tipo è una innovazione tarda, v. Insler·, Sprache 211, 1975, 6-12, e cf. Kurytowicz, Problèmes 98; Bammesberger, IIJ 24, 1982, 283-287. - (3) Kurytowicz, Categories 142. - (3a) V. Hilmarsson, NTS 31, 1977, 198 s. - (4) Schmid, IF 68, 1963, 60 s.; Stang, op. cit., 439; v. ora anche Watkins, Verb 230 s. (ma contra Kurytowicz, Problèmes 98); Ivanov, Glagol 193 s.; Bammesberger, IIJ 24, 1982, 283-287.
3.1.3 . Un congiuntivo in ii appare in latino, antico irlandese (l) e tocario. Al lat. feram /eriis /erat rispondono nell' airl. bera berae beraid, ambedue da '''bher-ii-m, '''-ii-s(t), 1'-ii-t(z) ecc., e nel toc. (A) -am, -at, -ar ecc., p. es. kalkam "eam" (2) . Per lungo tempo il congiuntivo in ii fu riguardato alla stregua di un preterito usato con senso modale, cf. lat. eram, amii-bii-s (3 ). Ma poi Trubetzkoy ha attirato l'attenzione sul fatto che nel latino tutti i congiuntivi ie. sono divenuti dei futuri (eris, ages), e tutti i congiuntivi lat., per quanto almeno se ne può stabilire l'origine, continuano degli ottativi ie. Da ciò discendeva che anche il congiuntivo in ii rappresenta un originario ottativo; nell'ie. nei verbi atematici si sarebbe avuto l' ott. in -ye-1-z-, in quelli tema ti ci un ott. in -o i- o in -ii-, difficilmente compresenti nella medesima lingua (4). Dopo un quarto di secolo Benveniste ha ripreso quest'idea e intrapreso il tentativo di stabilire un legame con altre formazioni con ii, in ispecie con forme preteritali quali lat. eriis -biis, facendo, per la precisione, derivare le formazioni preteritali dall'ottativo, che sarebbe originario, e di cui altresì esistono esempi, cf. ingl. he would get up early = he used to ... (5).
D'altronde si è con ragione accennato al fatto che non si possono tenere separate né le formazioni in -ii- dell'italico e del celtico da quelle del balto-slavo, né la formazione latina in -e- di imperfetto (e piuccheperfetto) del congiuntivo (es-s-e-s, /uis-s-e-s) dalle formazioni in -e- sempre del balto-slavo; se allora tutte le forme del congiuntivo latino fossero antichi ottativi, questo dovrebbe accadere anche per le 301
formazioni in -e-: ma ottativi in -e- non risultano in nessuna lingua. Ne deriva quindi che le formazioni in -ii- ed -e- del latino (e quelle in -ii- del celtico), che sono da equiparare alle formazioni in -ii- ed -e- del balto-slavo, erano un tempo, come queste, preteritali (6). Nella formulazione di Kurytowicz: il congiuntivo, precedentemente ottativo, lat. in -ii- risale a un aoristo, che in balto-slavo è ben attestato· l'uso congiuntivale è il residuo modale di questo antico aoristo, il cui elemento caratterizzante, ii o e risp., deriva da antiche radici set e sopravvive anche nell'aoristo greco in -'Y]V (7). Ma se la vocale lunga ha origine presso le radici se~' allora può essere comparsa anche nel presente e in generale nel tema verbale: questo è provato dal tocario, dove, come nell'italico e nel celtico, tanto congiuntivo in -ii- e preterito in -ii- quanto presente in -ii- esistono l'uno accanto all'altro nello stesso sistema; lat. seciis (pres. ind.) e tegiis (pres. cong.) sono originariamente la medesima formazione e lo stesso vale per -biim, l'antico preterito ('''bhwii-m) del verbo "essere" (8). In questo modo, risulta per il latino il quadro seguente. Il congiuntivo ie. (e/o ed e/o) è passato a futuro. Ancor prima di questo mutamento si crearono però sulle formazioni in -s- congiuntivi tematici, che fornirono la base per il cong. impf. e pperf. Il nuovo cong. pres. fu costruito in parte dagli ottativi ie., in parte dalle formazioni in -ii- impiegate con valore modale (9). Per un ottativo ie. in -ii- non si può addurre nessuna prova. (l) Giusto un secolo fa Thurneysen (BB 8, 1884, 269-288) ha confrontato il congiuntivo in ii dell'antico irlandese con il congiuntivo in ii latino. Questa antica equazione è stata recentemente respinta da Rix (in: Indogermanisch und Keltisch, 132-158, in partic. 151 s.) e il congiuntivo in ii dell'antico irlandese, insieme alla formazione corrispondente del britannico, è stato ricondotto a un desiderativo ie. in -ase- (
302
Festschrift Kretschmer, 1926, 267-74. - (5) Benveniste, Prétérit et optatif en indo-européen, BSL 47, 1951, 11-20; accettato da Watkins, Origins 118 s. .(cf. 151), AIED 41. Sull'uso dell'ottativo per l'espressione di un atto ripetuto v. Pisani, IF 50, 1932, 21 s.; K. Hoffmann, Prateritaler Optativ im Altiranischen, Aufsatze, 1976, 605-619; Lazard, La catégorie de l'éventuel, Mélanges Benveniste, 1975, 347-358; Szemerényi, Kratylos 28, 1984, 76. - (6) Safarewicz, Eos 46, 1954, 102-5 (aoristo in -a>pperf.>impf.; pret. sovente l'espressione dell'irrealtà). - (7) Kurytowicz, Apophonie 35, 131 con la nota 35; Categories 115, 137, 140 s. Cf. anche Vaillant, RES 29, 1952, 120; Hahn, Subjunctive, 1953, 34-51; Stang, Vgl. Gram. 374 s.; Rundgrén, Sprache 12, 1967, 138 s. - (8) V. l'importante lavoro di G.S. Lane, Tocharian evidence and the Trubetzkoy-Benveniste hypothesis, Language 38, 1962, 245-53, ora ristampato in: Studies in honor of G.S. Lane, 1967, 61-75 (ma il cong., alla nota 27, viene a torto contestato all'ie.); v. ancora 82 s., e cf. Thomas, Revue de Philologie 82, 1956, 212; Ambrosini, Studi e saggi linguistici 2, 1962, 37 s., 60 s.; K.H. Schmidt, Studia celtica l, 1966, 25; Negri, Acme 37/2, 1984, 31-39; Lazzeroni, SSL 24, 1984, 171-186. - (9) Per l'uso irreale (Plautus, Mi!. 1371: si honeste censeam te /acere posse, suadeam) le lingue romanze offrono buoni paralleli, cf. fr. si j'avais /aim (v. Lausberg, Romanische Sprachwissenschaft III/2, 1962, 194 s.); per il desiderio e l'esortazione, p. es. eamus, i perfetti usati in senso imperativale del russo: poslt; pojexalt' "andiamo, partiamo", natali "incominciamo", v. Gvozdev, Sovremennyj russkij literaturnyj jazyk I, 1958, 310.
3.1.4.
L'imperativo con le sue due forme, impv. pres. e impv.
fu t., è stato già trattato sopra, 2.5. 3.1.5. L'ingiuntivo (1), che si è già più volte menzionato (v. sopra 2.5.a), è oggetto di accese discussioni. D'abitudine vengono designate con questo nome le forme senza aumento dell'incl. impf. o aoristo del scr. e dell'aria, quando vengono impiegate con valore modale. Questo significa che l'ingiuntivo da un punto di vista formale non è una formazione a sé stante, poiché le forme del passato possono apparire in quanto tali anche senza aumento, vale a dire che anche senza aumento non necessariamente sono determinabili come ingiuntivi in senso proprio. A causa di questa mancanza di chiarezza di forma e di contenuto l'ingiuntivo è stato più volte ricusato (la), 303
ma recentemente è stato rimesso in vigore da parecchi studiosi (2) e K. Hoffmann lo ha da ultimo esaminato approfonditamente in una monografia (3) . ' Nelle altre lingue ie. non esiste nessuna corrispondenza a questo modo; certo, si deve anche tenere presente che rispetto a questo problema solo il greco potrebbe aggiungere qualcosa, poiché solo qui l'aumento (e l'impf.) si sono conservati in misura rilevante. Se nella 2 . pl. dell'impv. pres. viene impiegata una forma in -te, eguale alla forma senza aumento della 2. pl. impf. (in ario e greco), possiamo al più parlare di un «ingiuntivo» dell'ie., ma non del greco, poiché in greco l'impv. ha acquisito una posizione del tutto autonoma e la forma senza aumento, se poi davvero funge come tale, può essel.'e solo un impf. Contro l'opinione che l'ingiuntivo costituisca una categoria grammaticale come l'ind., il cong. ecc. (4) non si potrà mai sottolineare abbastanza che nel sistema indiano esso non costituisce una categoria a sé stante (5); al massimo, si possono raggruppare sotto questo nome determinati impieghi delle antiche forme senza aumento di passato. Uno degli impieghi meglio noti dell'ingiuntivo in scr. è la sua utilizzazione con ma nelle frasi proibitive (6). Come A. Hahn ha riconosciuto (7), quest'uso riposa sul valore modale, proibitivo della particella; l'ingiuntivo viene però usato non perché qualcosa debba essere «menzionato» (8), ma perché a differenza dell'imperativo usato per il comando la proibizione è in sé espressa dalla particella ma sola, cosicché per il verbo basta il modo zero, cioè appunto l'ingiuntivo (9). Confrontabile è il proibitivo ittito con le e l'ind. (non l'impv.!), p. es. le t'stamasti "non ascoltare" rispetto al comando t'stamas "ascolta!" o l'accadico la taqabbi "non dire" con il pres., dunque un "tu non dici" enfatizzato (l O); allora scr. ma ti~( has "non rimanere" potrebbe aver conservato un'antica forma di presente: "non stai ( = rimani) tu!". Siccome però locuzioni proibitive sono espresse anche con forme di passato - così nella più antica locuzione accadica a taqbi "non dire!" (lO) - l'ingiuntivo può aver conservato anche un'originaria forma di passato. Particolarmente importante in questo contesto è la proprietà dell'ingiuntivo di poter rilevare e sostituire ogni altro modo. Cf. p. es. dal Rigveda: 304
a) X 80, l b) I 42, 7 c) VI 40, 4 d) II 33, 14
dadati... cara t kr!Ju ... vidas Si!JaVa(s) ... dhat parivt:fyas ... parigat
"(Agni) dà ... attraversa", "fa' ... crea",
"tu devi ascoltare ... egli deve mettere", "deve risparmiarci... deve evitarci" .
Come Kiparsky ha scorto, si tratta in simili casi della «Konjunktionsreduktion», da lui per primo osservata: alcuni contrassegni verbali possono essere rimpiazzati da forme neutrali, quando siano già stati indicati una volta con precisione, e la forma neutrale è appunto l'ingiuntivo (11) . Dal punto di vista descrittivo ciò significava in origine che, in una serie di forme del pres. ind., -ti.. . -ti... -ti poteva passare a -ti... -t ... -t, nel caso di forme dell'impv. -tu ... -tu ... -tu poteva passare a -tu ... -t... -t e così via: attraverso questo passaggio si formava una forma residua che consentiva le più diverse utilizzazioni. L'importante è qui che quest'uso, dopo quello nelle frasi proibitive con ma, configura il secondo grande gruppo di ingiuntivi, mentre il terzo è determinato sul piano dei fatti - attraverso il contenuto mitico o rituale (12). Non si può perciò riconoscere l'ingiuntivo come modo a sé stante per l'ie., né tanto meno per singole lingue (13) . Già nell'ie. tardo l' «ing.» costituiva un relitto risalente a un periodo in cui la forma *bheret sussisteva come variante indeterminata accanto a quella più determinata '~bhereti. Relitti sono anche forme di impv. come scr. bharat-u bharant-u ecc., v. sopra, 2.5. (14) . (l) Il termine fu coniato da Brugmann, MU 3, 1880, 2; cf. anche Herbig, IF 6, 1896, 247. :.. . (la) In modo particolarmente energico da A. Hahn, Subjunctive and Optative, 1953, 38 s., 44 s. (:«fantastic concept ... should be definitely discarded»); cf. anche Benveniste, BSL 51/2, 1956, 26.- (2) Kurytowicz, Rocznik Orientalistyczny 3, 1927, 164-179; Renou, Les formes dites d'injonctif, Étrennes Benveniste, 1928, 63 -80; Burrow, The Sanskrit language, 1955, 298; Gonda, Moods 33 s.; Thomas, Revue de Philologie 82, 1956, 216 s.; Revue des études anciennes 63, 1961, 91 s.; Watkins, Celtica 6, 1962, 45 s.; Origins 111 s.; Meid, Die idg. Grundlagen der air. abs. und konj. Verbalflexion, 1963, 89 s.; Kurytowicz, Categories 145, 152; v. anche Campanile, AION-L 8, 1968, 41 s.; Meid, Scottish Studies 12, 1968, 53 s.; Thomas, Zum Problem des Prohibitivs
305
im Idg-en, Festschrift H. Patzer, 1975, 307-323; Ivanov, Glagol 34 s. _ (3) K. Hoffmann, Der Inj. im Veda, 1967; MSS 28, 1970, 32 s.; cf. ora
anche Kurytowicz, Problèmes 107 s. - (4) Hoffmann 35; Gonda, Old Indian, 1971, 103 s., in partic. 105 (: «old and inherited formations»); Lazzeroni, SSL 17, 1977, 20 s. (: le forme micenee ed americhe senza aumento sono degli ingiuntivi); ivi 20, 1980, 29 s. - (5) Cf. C. D. Buck Comparative grammar of Greek and Latin, 1933, 238: «one must guarcl against supposing that this is a distinct formai category, coordinate with the other moods». - (6) V. Gonda, Moods 44 s., 197 s.; Id., The aspectual functions of the Rgvedic present and aorist, 1962, 184 s.; Moorhouse, Studies in the Greek negative, 1959, 12 s.; Rundgren, Erneuerung des Verbalaspekts im Semitischen, 1963, 92 s.; Kurytowicz, Categories 146 s.; Hoffmann 43 s. Questo è l'unico uso menzionato da Meillet, Introduction 247 . Sul discusso rapporto con le costruzioni proibitive delle lingue classiche v. Hofmann-Szantyr 337, 456. - (7) Hahn 41 s., 54 s.; Lg. 29, 1953, 252 s. - (8) Hoffmann 104. - (9) P. Kiparsky, Tense and mood in IE syntax (Foundations of Language 4, 1968, 30-57) 48; contra, Thomas, Hist. Pras. oder Konjunktionsreduktion, Wiesbaden 1974, 21 s., 62; Lazzeroni, op. cit., 12 (: ingiuntivo non sempre in 2. o ulteriore sede).- (10) In modo un po' diverso Rundgren 96.- (11) Kiparsky 34 s. - (12) Kiparsky 37. - (13) Watkins, Verb 45 (: «nicht eine idg. Kategorie, sondern eine indo-iranische»). - (14) V. ora anche Lazzeroni, op. cit., 28 s. Sulle opinioni di Wright, The so-called injunctive, BSOAS 33, 1970, 184-199, v. Gonda, op. cit., 103 n. 6.
C. Temi temporali 4. Tutte le lingue ie. presentano nell'indicativo, ma il più delle volte anche negli altri modi, diverse formazioni che designamo abitualmente come tempi. Cosl in latino si distinguono 6 tempi nell'indicativo, 4 nel congiuntivo; nell'imperativo solo 2, ma in memento(te) sopravvive ancora una forma di perfetto. In latino tutti i tempi ricadono in due grandi suddivisioni: l' actio in/ecta e l'a etio per/eeta, delle quali abitualmente l'ultima, ma molto spesso anche la prima sono contrassegnate da particolari caratteristiche; cf. ama-: ama-v-, pungo: pupugz ecc. Sulla base di questi criteri formali possiamo distinguere come minimo tre temi temporali, dai quali possono essere formati ulteriori tempi dell'indicativo ed anche forme modali.
306
l. Formazioni di presente
4.1. Le lingue ie. offrono un cospicuo numero di formazioni di presente (1), che però nella maggior parte dei casi si possono inquadrare chiaramente solo da un punto di vista formale. Possono essere coniugate atematicamente o tematicamente e impiegare o solo una . diatesi (activa tantum, media tantum) o entrambe. Possono utilizzare la radice senza ulteriore aggiunta o derivare con formanti nuovi temi di presente da un tema verbale (deverbativi) o nominale (denominativt), p. es. lat. deverb. spec-io e denom. custod-ia (2); a queste, furono aggiunte più recentemente ancora le derivazioni delocutive, cioè le derivazioni da locuzioni, come p. es. salutare da saliitem dico ecc. (3). Questa diversità d'origine dei verbi non gioca nessun ruolo nel loro uso. (l) Cf. Brugmann, Grundrill2 II 3, 86 s.; Meillet, Introduction 195; Meillet-Vendryès 173 s.; Leumann2 521 s.; Schwyzer, GG I 672 s. - (2) Schwyzer 717 s., 722 s. - (3) Debrunner, Festschrift Vasmer, 1956, 116 s.; Benveniste, Festschrift Spitzer, 1958, 57-63; Rey-Debove, Les verbes délocutifs, TLL 13/1, 1975, 245-251 («dénominatifs», non «délocutifs»); Brekle, Sprachwissenschaft l, 1976, 357-378; Szemerényi, sam ... , InLi 4, 1978, 171 (su iurare), 182 n. 78; Darms, Problèmes de la formation délocutive, MH 37, 1980, 201-211; Mignot, BSL 76, 1982, 327-344 (sul salutare); M-E. Conte, in: E. Benveniste aujourd'hui I, Paris 1984, 65-67.
I tipi fondamentali di formazione di presente sono quelli che seguono.
a) Formazioni radicali.
4.1.1. Le formazioni radicali possono anche valere come temi di presente, e precisamente l) atematici, 2) tematici. Esempi per l): ~'es-mi "io sono": scr. asmi, gr. ELfA.(, got. t'm ecc.; *ei-mt' "vado": scr. emi, gr. dfA.L, lat. zmus da "~'ei-mos ecc.; *kez'- "giacere": gr. 'XEl-f,taL, itt. 3. sg. ki-ta(-rt), scr. se-te; ''es- "sedere": gr. ~o-'tm, scr. as-te, itt. 3. sg. es-a(-n). 307
Naturalmente, la radice può anche essere bisillabica (sopra, V.3.5 .), e allora appare nel tema del presente in genere ,·,ceC.:J-, cf. scr. vami-ti "vomita", ani-ti "respira"; mentre questo tipo all'attivo non sopravvive altrove - cf. la trasformazione tematica di ''' wema- in (f)Èf!ÉW e lat. vomi5 - al medio è ancora rappresentato in greco, cfr. EQ
Addendum. In alcuni casi sembra comparire il vocalismo o, cf. got. mala, lit. malù "macino"; da questo si è dedotta l'esistenza di presenti ie. tematici e perfino atematici con vocalismo o, v. Meillet, MSL 19, 1916, 181-192; Introduction 203; Hiersche, IF 68, 1963, 149-159; Beekes, Laryngeals 131, ma anche 28 s., 40 s., 58 s.; Jasanoff, in: Hethitisch und Idg.isch, 1979, 84 s. Non si può tuttavia non rilevare che in parecchi dei casi di questo genere accanto al 308
vocalismo o ne appaiono anche altri (cf. airl. melim, asl. meljp) e in particolare che nella maggior parte vi è una labiale precedente o seguente; v. Szemerényi, SMEA l, 1966, 45 s., in particolare nota 74. Meid, Prateritum 65 s., pensa che presenti con grado o siano trasformati da perfetti con grado o; cf. la spiegazione data da Vaillant per asl. bojati, v. IX.4.3.(c) (18). b) Formazioni raddoppiate (1).
4.1.2. Il contrassegno principale di questo tipo di formazioni consiste nella ripetizione della radice, ripetizione che può essere totale o simbolica. Nel caso del raddoppiamento totale viene ripetuta l'intera radice - p. es. scr. dar-dar-ti "fa scoppiare, spacca", gr. f!aQf!a(gw "luccicare" da 1'mar-mar-yo, n:ogqn'Jgw "mi muovo violentemente" da cpug-cpug (dissimilato), asl. glagolati "parlare" da ,.,galgal-; talora viene introdotta una i: scr. 3. sg. bhar-z-bhar-ti, 3. pl. bhar-i-bhr-ati "portare continuamente", dove l'alternarsi di z e i è evidentemente determinato da fattori ritmici (la). Nel caso del raddoppiamento simbolico, invece, viene ripetuta solo una parte della radice; cf. per le diverse possibilità: scr. var-vart-(t)i "gira", de-dis"mostrare" da 1'dei-dik-, ro-ruc-ana- "lucente" da '''leu-luk-. La ·forma più frequente di raddoppiamento simbolico consiste nella ripetizione del suono iniziale. Solo questa forma di raddoppiamento sembra essere stata grammaticalizzata nell'ie. e viene qui designata come raddoppiamento tout-court. Il raddoppiamento consiste abitualmente nel fatto che avanti alla radice appare la consonante iniziale con una i (2): scr. bi-bhar"portare", lat. gi-gn-o. Come nel secondo esempio, nel caso di più consonanti all'inizio generalmente viene ripetuta solo la prima: gr. àn:o-ùL-ÙQa-oxw "corro via". Ma nel caso di iniziale s + consonante sembra che originariamente sia stato ripetuto l'intero gruppo, il che portò tuttavia nella maggior parte delle lingue a dissimilazioni; cfr. ;'sta-, raddoppiato -;'sti-st-, lat. sisto, gr. Ì:Ol:èif!L (da -;' si-st-), scr. però tzj(h- (2a). Nel caso di inizio vocalico cf. gr. t-aì..ì..w "mando": scr. iy-ar-ti "mette in movimento"; molto spesso si trova però il cosiddetto raddoppiamento attico, dove sono ripetute la vocale e la prima consonante, cf. àg-ag-(oxw "congiungo", scr. ar-ar-ti "si muove" (3).
309
Originariamente, alla ripetizione era certo in genere connessa anche dal punto di vista semantico la sfumatura della ripetizione o dell'intensità. Ma nelle lingue storiche questo avviene solo per il raddoppiamento (quasi) totale, come negli intensivi scr., mentre per il raddoppiamento grammaticale questa sfumatura di significato non si rileva (4). Le formazioni raddoppiate · di presente possono anch'esse essere atematiche o tematiche. Cf. per la prima classe '''dhi-dhe-mi "pongo": gr. -r;b'hu.u, lat. credo da ~'kret-dhidho (5); '''di-do-mi "do": gr. ò(ÒWfA.l, vestino didet "dat", e certo anche lat. reddo da *re(d)dido (2); ~'sti-sta-mi "colloco": gr. l
bibit, airl. ibid (v. sopra, Vl.4.4.1.); '''si-zd-o "collocare, sedere": lat. szdo, scr. stdati, gr. tsw; '''si-s-o "gettare, seminare": lat. sera, forse itt. sissa- (6). (l) Sul raddoppiamento in generale: Brugmann, Grundrill2 II 3, 20 s.; Pisani, Sul raddoppiamento indoeuropeo, Rendiconti Accad. Lincei VI/ 2, 1926, 321-37; Hirt, IG 4, 1928, 6-15; Meillet, Introduction 179-82; Schwyzer I 646 s.; Ambrosini, Ricerche ittite, ASNP 28, 1959, 285-292; N . v. Brock, Les thèmes verbaux à redoublement du hittite et le verbe i-e., RHA 75, 1964, 119-165; Kronasser, Etymologie, 1966, 569; L. Herlands Hornstein, Studies J.A. Kerns, 1970, 59-64; Dressler, KZ 85, 1971, 14 s.; Heller, Word 22, 1973, 303-309. - (la) B~ekes, The disyllabic reduplication of skt. intensives, MSS 40, 1981, 19-25 (: da radici con gruppo iniziale HC-), ma cf. anche itt. takk(u)-takkuwa. - (2) Originario vocalismo i per alcuni presenti è supposto da Leumann, Morphol. Neuerungen (sopra, 2.2.2.) 27, 44 s., v. già Brugmann, op. cit., 104. Che l'ie. abbia posseduto solo '~didomi è contestato da Schwyzer I 648; Emeneau, Language 34, 1958, 409 s.; Cowgill, ibid. 40, 1964, 3462 ' ; Insler, IF 73, 1968, 648 • Tuttavia, il raddoppiamento in i si deve essere fissato già nell'ie. per i presenti; quello in e venne limitato all'aoristo (Kurytowicz, Categories 119) e al perfetto. Ma un originario raddoppiamento sembra
310
provato da jagat 'mondo' (più tardi pres. jigatz), v. Narten, in: India Maior - Congrat. vol. Gonda, 1972, 161-166; e Bech, Idg. Verbalmorphologie, 1972, 52, 63. - (2a) V. Meillet, Sur des formes à redoublement, Mél. Havet, 1909, 263-278; Brugmann, IF 31, 1913, 89-94. - (3) La spiegazione laringalistica del raddoppiamento attico ('' hle-hloudh- > ÈÀ.YJÀ.oufr-) fu proposta per primo da Kurytowicz, Études 31-33 (ancora valido per Chantraine, SMEA 3, 1967, 26), ma è ora accantonata a favore di una spiegazione puramente interna al greco ('' le-loudh-e > ÈÀ.ÉÀ.ov'1tE > ÈÀ.-ijÀ.ov'1tE per allungamento in composizione!), Apophonie 269 s.; Metrik und Sprachgeschichte, 1975, 19; cf. Cowgill in: Evidence 153. Sulla vocale prostetica v. Hovdhaugen, NTS 22, 1968, 115 s., 128. È chiaro che il raddoppiamento attico nel presente ha preso le mosse da casi di raddoppiamento totale. Un parallelo interessante è fornito dall'anatolico, cf. in luvio 3. sg. pres. el-elhaiti ma 3. sg. impv. elhadu, v. Watkins, 5. Fachtagung, 1975, 372. Inoltre v. ancora Szemerényi, Minos 12, 1972, 307 s., e qui IX.4.3.b.- (4) Vendryes, MSL 20, 1916, 117 s. ha attribuito ai presenti raddoppiati un «aspect déterminé», v. Schwyzer I 690, .anche per la supposizione di un valore causativo (recentemente Kronasser, op. cit., 571-2): gli esempi a sostegno di quest'ultima ipotesi non sono sufficienti. Brock 147 s. ritorna a un significato iterativo. - (5) Szemerényi, Archivum Linguisticum 4, 1952, 49; Serbat, Revue de Philologie 42, 1968, 86. Airl. iad- "chiudere" rappresenta ie. ''epi-dhidhe-, v. Hamp, Ériu 24, 1973, 163. Per un germanico ''dedo- v. Luhr, Das Germanische ... [v. sopra, 4.1.1.(3)], 1984, 39 s.- (6) Laroche, BSL 58, 1963, 75.
c) Formazioni in nasale.
4.1.3. La maggior parte delle lingue ie. conosce una formazione in cui una nasale, in origine esclusivamente «infissa» nella radice, più tardi anche suffissa, serve a formare un presente dal tema verbale. I tipi più antichi sono conservati nel modo migliore in sanscrito e per valutare i tipi esistenti nelle altre lingue dobbiamo orientarci secondo le situazioni mostrate dal scr. (l). I grammatici indiani hanno assegnato a ciascuna delle tre formazioni in nasale una classe nel loro sistema a dieci classi delle formazioni di presente. La 7. classe viene illustrata con la formazione di presente della radice yuj- "congiungere", che presenta apofonia: 311
1. yunézj-mi, 2. yunak-~i, 3. yunak-ti - 4. yun;-mas, 5. yunk-tha, 6. yufzj-éznti. Cf. pure bhid- "fendere": 3. bhinat-ti- 6. bhind-anti; chid" recidere": 3. chinat-ti - 6. chind-anti. In tutti questi casi appare che nella radice a grado zero (yuj-, bhidecc.) sia stato infisso l'elemento na (2) (yu-na1·-, bhi-na-d), che fuori del singolare passa a n (yu-fz1·-, bhi-n-d-); il tema di presente che ne risulta viene flesso atematicamente. Analoghe condizioni si possono osservare per la 5. classe scr.: fru- "sentire": 3 . frnoti- 4. frnumézs, 6. frnuvéznti; e per la 9.: o. o. o.
krt- "comprare": 3. krt?Jati- 4. krt?Jtmézs, 6. krt?Jéznti. Dobbiamo a de Saussure il riconoscimento che frni5- è sorto da frunello stesso modo di bhinad- da bhid-, vale a direo in quanto da S[-?Jau-. Un po' più complicata è la situazione nel caso della 9. classe, ma anche qui egli è sostenitore dell'interpretazione per cui il rapporto tra punami "purifico" e pavate "purifica", pii.ta "puro" (risp . da '"pew(J)-etoi e '''puJ-to-, v. sopra, V.3.5.) andrebbe spiegato con punasorto da pu-na-J-, in cui a-J era passato ad a. Le tre modalità di formazione corrono quindi del tutto parallele; trasposto nell'indeuropeo otteniamo: ;'yeug-;;'yug;'yuneg-
,., kleu-/;'klu;,kfneu-
'''pewJ-/;'puJ;'puneJ-
Di queste tre formazioni (2a), in greco solo una s1 è conservata intatta, cioè il tipo della 9. classe scr. Cf.: l. 6a!!VU!!L, 3. 6a!!VUCJL- 4. 6a!!VÒ:!-LEV, 5. 6a!!VÒ:'CE; in Omero (con a>'Y]) 6a!!V'YJ!!L, 6a!!V'YJOL. Il tipo della 5. classe scr. è stato in parte rimodellato: l. 6ELXVU!-LL 2. 6c(xvuç 3. 6dxvum
l. 6ELXV'Ìl!-LEV 2. 6dxv'll-cE 3. 6ELXVU<ìat;
l'apofonia vu/v'll è stata rifatta da neulnu- secondo va/va. Fuori dell'aria, il tipo della 7. classe scr. non è conservato con certezza in nessun'altra tradizione (3).
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Accanto a questi tre modi di formazione atematici esistono anche le corrispondenti forme tematiche. Scr. bhinatti passa in pali al tematico bhindati e in lat. si conosce solo /indo. Al scr. yunakti corrisponde lat. iungit, all' atem. rinakti "(ri)lascia" lat. linquit. Sovente già in ario è presto in uso solo la formazione tematica, cfr. scr. siiicati, av. hincaiti "versa" e invece scr. tem. vindati, av. atem. vinasti (da -ad-tz) "trova". Il passaggio alla flessione tematica è certamente partito dalla 3. pl. in -onti, che poteva anche essere vista come tematica, e in alcuni casi forse già in epoca ie., cf. lat. rumpi5 = scr. lumpami "rompo" (3a). Le porzioni finali chiaramente caratterizzate -na- e -neu-, nelle quali solo n o ne costituiva originariamente l'elemento formante, vennero sempre più utilizzate come suffissi unitari (4),-p. es. in lat. asper-na-rz, conster-na-rz (5), scr. badh-na-ti "lega" e rispettivamente lat. sternuo, gr. !;Euyv'D~-tL (6). Anche i tematizzati -n (a)-o- e -n w-o- si sono diffusi. Cf. gr. tCvw "pagare" da ~'nvpw; a -n(a)-o- giunsero inoltre -no- e -?JO- suffissali, p. es. in gr. lh]yavw "affilo" (6a). In tutte le lingue ie. le formazioni con infisso nasale (7), originariamente atematiche, vennero gradualmente sostituite da formazioni in nasale (spesso suffissate) tematiche. (l) Cf. Schwyzer I 690 s.; Specht, Ursprung 283 s.; Kronasser, Die Nasalprasentia und Kretschmers objective Konjugation im Idg., 1960; Puhvel, Laryngeals and the IE verb, 1960, 14 s.; Erhart, Bemerkungen zum Nasalinfix im Slavischen, Sbornik Brno A/12, 1964, 59 s.; Ivanov, Obsceind. 175 s.; Kronasser, Etymologie, 1966, 432 s.; Strunk, Nasalprasentien und Aoriste, 1967; Otkupscikov, Iz istorii ie. slovoobrazovanija, 1967, 96-106 (tutte le formazioni in -n- sono denominative); Lindeman, Bemerkungen zu den germ. Nasalverben, NTS 22, 1968, 83-90; M. Garda Teijeiro, Los presentes ie. con infijo nasal y su evolucion, Salamanca 1970; Strunk, InLi 5, 1980, 85-102; Réflexions sur l'infixe nasal, in: E. Benveniste aujourd'hui II, Paris 1984, 151-160. -Sull'origine dell'infissazione v. R. Ultan, Infixes and their origins, in: Seiler (ed.), Linguistic workshop III, 1975, 157-205 . - (2) le. ne/ n viene supposto da Saussure, Recueil 224; Specht, KZ 59, 1932, 82; Cowgill, Language 39, 1963, 252. A favore del semplice n sono invece Hirt, Der idg. Ablaut, 1900, 46, 138 s.; IG 4, 1928, 198 s.; Benveniste, Origines 159 s.; Strunk, op . cit., 26; InLi 5, 1980, 85-102. Benveniste ipotizza che la nasale venga infissa nel suo "thème II" , cioè non in ''yug- , bensì in ''' yweg-; contrario Cowgill, l.
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cit. - (2a) Sulla 7. classe v. Strunk, KZ 83, 1970, 216-226 (cf. Szemerényi, Gn 44, 1972, 507); IF 78, 1975, 51-74; contra: Lazzeroni, SSL 20, 1980, 47.- Sull'S. classe (tanott) v. Strunk, Nasalprasentien 72 s.; contrc. Beekes, Laryngeals 279. - (3) Sull'ittito v. N. van Brock, Thèmes verbaux à nasale infixée en hittite, RHA 70, 1962, 31-36; Kronasser, Etymologie 432 s.; Lindeman, BSL 71, 1976, 114 s.; Viredaz, ivi, 165-173; Hart, ArchL 8, 1977, 133-141; Oettinger, Stammbildung des hethitischen Verbums, Nurnberg 1979, 135-141 ; Strunk, in: Hethitisch und Idg., 1979, 237-256 (itt. hunek- ~ scr. yunaj-). - (3a) Così Strunk, Nasalprasentien 32 s. - (4) Kurytowicz, Categories 107 s. - (5) Contro l'idea di Meillet (p. es. Mél. Vendryes, 1952, 275-285; Introduction 217), che nell'ie. esistesse solo -na-, le recenti ricerche hanno dimostrato che esistevano anche presenti in -ne-, -no-, v. Cowgill, op. cit., 251; Strunk, op. cit., 53 s. ; Beekes, Laryngeals 250 s.; fuori strada Stang, Vgl. Gram. 323; contra: Campanile, SCO 32, 1982, 285-289; Bammesberger, Studien zur Laryngaltheorie, 1984, 20-26, 87_-90. Da parte di Sandoz (BSL 69, 1974, 55-61) viene assunto perfino un tipo -nei-l-m·-. - (6) L'ipotesi che -nusia sorto da nAw (p. es. Martinet, Puhvel, v. anche Garda Teijeiro, op. cit., 84) mi sembra infondata; contra anche Cowgill, Lg. 39, 1963, 253; Strunk, Nasalprasentien 112 . - (6a) Su -ano- v. Kurytowicz, Apophonie 173; Watkins, 5. Fachtagung 377 s.- (7) Gli infissi nasali erano originariamente suffissi nasali; di una radice '~yeu- esisteva un ampliamento ~'yeu-n- ed entrambi potevano essere ampliati con un determinativo -eg-: le forme '~yéu-eg- e '~yeu-n-ég- produssero rispettivamente '''yeug- e ''' yunég-. Cf. Brugmann, Grundrill2 II 3, 274; Schwyzer, GG I 691; Kurytowicz, Categories 106; Watkins, Verb 24 .
d) Formazioni in -sk-. 4.1.4. Un suffisso -sk-, ben caratterizzato, è pan-ie. (l) . In molte lingue è ancora produttivo, in alcune invece è conservato solo in tracce. Questa formazione è attestata solo tematicamente e presenta la radice al grado zero (2), cf.: '"prk-sk-o "chiedo" : scr. prcchiimi, lat. pasco (da '''porkSko), airl. arco, oaat. /orscon "cercare" (dal nome /orsca); '"gwtt;t-sk-o "vado": scr. gacchami, gr. ~aaxw. Altri gradi apofonici saranno stati introdotti sicuramente per analogia da altre forme, cf. : 314
''gno-sk-o "conosco": lat. (g) nasco, gr. (epirot.) yv<.Ooxw, apers. xsnas-atiy "noscat" . Parimenti, in origine dev'essere stato applicabile solo un modo di formazione; una formazione come gr. yL-yv<.O-oxw, con raddoppiamento e -sk-, dev'essere il frutto d'una contaminazione tra ~'y(-yvw-f.u e yv<.O-oxw (3).
Formalmente, -sk- rappresenterà piuttosto l'unione di due suffissi, quindi s + k (4), che non una parola a sé stante, p.· es. toc. A ske"sforzarsi" (5). Semanticamente, le diverse lingue presentano sviluppi assai eterogenei. La funzione incoativa, che in latino è divenuta cosl significativa, nelle altre lingue si riconosce a stento: di certo, si è estesa secondariamente da casi in cui il tema lasciava facilmente pensare a una sfumatura incoativa, come in cresco. In ittito, dove la formazione è molto produttiva, si può constatare un significato iterativo-durativo-distributivo, cf. walliskitsi "loda ripetutamente", atskantsi "mangiano (per tutta la notte)" (6) . Interessante è che in tocario (B) -sk- sviluppa solitamente un significato causativo: rittaskau "collego"; ci sono però ancora resti d'un significato iterativo o durativo (7). È di conseguenza verosimile che tutte le sfumature documentate più tardi siano sorte da un significato di base iterativodurativo (8), che sembra sopravvivere nell'uso omerico (9). (l) L'unica eccezione è il baltico, ma il suffisso -st- lì comunemente usato è forse uno sviluppo di -sk-, v. Leumann, IF 58, 1942, 128 s.; Hamp, PCLS 9, 1973, 173 s. - Su -sk- in generale cf. Schwyzer, GG I 706 s.; Couvreur, Les dérivés verbaux en -ske/ o- du hittite et du tokharien, Revue des études ie. l , 1938, 89-101; Ruipérez, Aspectos y tiempos del verbo griego antiguo, 1954, 130 s.; Hiersche, Sprache 6, 1960, 33 -8; Kurytowicz, Categories 106 s.; Szemerényi, Syncope 5, 67 s.; Risc4, Symbolaè Kurytowicz, 1965, 239 s.; Ivanov, Obsceind. 139 s.; Kronasser, Etymologie, 1966, 575 s.; A. Giacalone Ramat, AGI 52, 1968, 105-23 ; Watkins, Verb 56 s., 70s., 111; Mignot, Les verbes dénominatifs latins, 1969, 145 s.; Berrettoni, Considerazioni sui verbi latini in -sco, SSL 11, 1971, 89-169; Rix, Hist. Gramm. des Griech., ~~76, 213; Leum~nn2 535 s.; Ivanov, Glagol 205 s. - (2) Szemerényi, Syncope 5 ; R. Schmitt, IndoIranian Journal 8, 1965, 275 s. ; Kronasser 581 s. In ittito la flessione è tematica, ma secondo la classe in -mi, v. Pedersen, Hittitisch 82. - (3)
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Leumann, Morphol. Neuerungen (v. sopra, 2.2.2 .) 45; Leumann2 537; R. Schmitt, op. cit., 279 s. Cf. inoltre Schwyzer 710; Forssman, MSS 23, 1968, 14-20. - (4) Ivanov, l. cit.; Glagol 207-211 (toc. B. pask-: A pasecc.); cf. Kronasser 581. - (5) Schwyzer 707 1; Georgiev (KZ 97, 1984, 233-5): '"skei-. - (6) Kronasser 575 e, particolarmente chiaro, Friedrich, Heth. Elementarbuch I, 196Q2, 140 s.; v. ora anche Dressler, Studien zur verbalen Pluralitat, 1968, 159-236. Von Soden (Fs. Otten, 1973, 311319) è incline ad ammettere che si sia qui in presenza di un influsso dell'accadico mediato dalle scuole scribali, cf. l'iterativo in -tan-. - (7) Krause, Westtoch. Gram. I, 1952, 82 s. - (8) Kurytowicz, Categories 107; Ramat (iterativo-intensivo); Couvreur, meno esattamente, causativointensivo. «Ruck- oder aktweise vor sich gehende Iteration» è stata supposta dal Porzig (IF 45, 1927, 152-67), mentre il Meillet (Introduction 221) ha attribuito alla formazione un «aspect déterminé» (204:) «indiquant un procès dont le terme est envisagé». Cf. ora anche Leumann2 536 s. - (9) V. Wathelet, Études de linguistique homérique, AC 42, 1973, 379-405 (: visibilmente un tratto arcaico, assunto e ulteriormente sviluppato in ionico dall'Asia Minore); Rix, Hist. Gramm. des Griechischen, 1976, 229; S.E. Kimball, A Homeric note, Glotta 58, 1980, 44-46.
e) Formazioni in -yo-.
4.1.5. Senza dubbio, il suffisso di presente più significativo e produttivo dell'indeuropeo tardo è -yo-, che serviva per la formazione di presenti tanto deverbativi quanto anche denominativi; la fles sione era tematica, ma in ittito, come per i verbi in -sk-, secondo la classe in -mi (1). In ie. la formazione era chiara, nelle differenti lingue singole si è oscurata a causa della perdita di -y- fra vocali o dei mutamenti dopo consonante; lat. monei5, gr. ooxÉw presentavano in uscita originariamente -eyi5, le sequele -gy- -dy- e rispettivamente -ky-ty- davano in gr. -~- e rispettivamente -00-/-n-, cf. a~Of!aL "venero" (: &ywç "sacro"), ÈQ(~w "contendo", cpuì-..éwow "sorveglio", À.(ooof!m "imploro" (: ÈQLO- , cpuÀ.ax- , ÀL't- ). Attraverso tarde contrazioni le situazioni originarie sono, in latino, diventate quasi irriconoscibili: lat. donas "tu doni" deriva da '''donayesz~ mones "avverti" da '''moneyesi ecc. Nella derivazione verbale -yo- può essere impiegato per formare 316
da una radice verbale un tema di presente o per costruire da un verbo un vero e proprio deverbativo. Così, dalla radice ''' spek"guardare" il presente non viene formato come ~' spek-mi o ''' spek-o, ma come '''spekyo: lat. specio, con-spicio, scr. pasyiimi; gr. oxémo!J.m è sorto per metatesi. Di contro, cpof3Éo!J.m "sfuggire, temere" sta accanto a un semplice cpéf3o!J.m "sfuggo". Nell'ambito dei deverbativi, in particolare due tipi sono ampiamente diffusi: la 3. sg. termina in -ii-ye-ti ed -eye-ti risp. , la seconda forma con timbro o nella radice, se la vocale di base è e; il significato è iterativo-intensivo o causativo: cf. lat. domare = aat. zamon, ie. ''' domiiyo (2), e moneo da ~'moneyo "rammentare" che si rifà alla radice '''men- "ricordarsi" in meminz. Accanto a queste ci sono pure formazioni al grado allungato con e come gr. À.'Yjxaw "danzo": lettone lekiiju "io saltello", gr. :rt'Yj6aw "io saltello", lat. celare "nascondere" rispetto a ,., kelo in acculo, sedare "calmare" rispetto a sedeo "siedo", ma anche con o come 'tQw:rraw "volgere di qua e di là", :rrw"tao!J.m "svolazzare" ; esistono infine forme a grado zero come aat. boron "forare", gr. ocpgLyaw "son gonfio". Formazioni a grado allungato si presentano anche nel gruppo in -eye-, cf. gr. :rrwÀ.Éo!J.m "versar" : :rrÉÀ.O!J.aL, scr. sviipayati "fa addormentare": svap- "addormentarsi", aat. fuoren "far muovere, guidare": faran. Denominativi possono essere formati con -yo- da tutte le categorie di temi; cf. scr. namas- "venerazione": namas-yati "venera", satru"nemico": satru-yati "tratta come un nemico", itt. laman- "nome": lamniya- "designare, denominare" = OVO!J.a: òvo!J.a(vw = got. namo; namnjan. Nel caso dei temi in -o- il verbo esce in -e-yo: 6wgov "dono" : 6wgÉo!J.m "donare", :rr6À.E!J.Oç "guerra" : :rroÀ.E!J.ÉW "combattere" . L'uscita -iiyo, che in origine naturalmente apparteneva solo ai temi in -ii- -p. es. scr. Prtanii "lotta": P[taniiyati "egli lotta", gr. tL!J.aW "onoro", lat. ciirii-re, russo rabota "lavoro": rabotaju "io lavoro" - si è estesa ad altri temi: in latino può formare verbi da tutti i temi (cf. gener-iire, laud-iire ecc.), ma in sostituzione di -eyo presso i temi in -o- il suo uso risale, come sembra, all'ie. tardo, cf. lat. donare da donum, gr. u:rrvaw in horn. U:rtVWOV'taç da iJ:rrvoç (3 ). Questo modo di vedere le cose (4), in particolare per quanto concerne i deverbativi, non è accettato universalmente. Così, in prece317
denza i tipi *moneyo ·~domiiyo sono stati considerati denominativi (5) e queste formazioni con vocalismo -o- suggeriscono in ogni caso derivazione da nomi:
persone appare ovunque -i-, che risale a t o ei, e apparentemente non a -eye-1-eyo-. A questo tipo corrisponde in baltico il tipo lituano con infin. in -tti, ma pres. (rimodellato) in -o, p. es. prasyti "pregare", pres. prasau, prasa'i, praso, prasome, prasote, praso . In contrapposizione a questo tipo iterativo-causativo esiste però in balto-slavo un altro gruppo, che dal punto di vista semantico si può designare come stativo, formalmente caratterizzato dal fatto che, accanto al presente con j/i - questa volta formato così non solo nello slavo, ma anche nel lituano (-i- e non -o-) - l'infinito esce in -eti e questa -e- compare anche nel preterito; cf. asl. mzneti "credere", pomzneti "ricordarsi"' lit. mineti "ricordarsi, menzionare" con i presenti mznjp mini-si -tu ecc. e rispettivamente miniù minì mìni mìnime mìnite mìni e con i preteriti mzne (asl. 3. sg. aor.) e rispettivamente mine-jo (3. sg. pret.). Questo gruppo è ovviamente in relazione con certe formazioni del germanico e del latino (11). In germanico, la 3. classe dei verbi deboli mostra innanzi tutto sorprendenti corrispondenze lessicali con il latino; cf. got. haban "avere", pahan "tacere", ana-silan "ammutolire" con i corrispondenti lat. habere (12), tacere, silere. Oltre a questo, la corrispondenza della flessione aat. nel presente (habem -es -et -emes -et -ent) con quella del latino difficilmente può essere ascritta al caso. Un attento esame del materiale (13) induce a concludere che il protogermanico possedeva la flessione di presente ~'-yo, ''-eyis, -:'-eyip, ''-yam, -:'-eyip, -:'-yanp, che nelle singole lingue è stata diversamente sviluppata e conguagliata; in got. p. es. '~-eyi- è passato attraverso uno stadio ~'-ei- ad -ai- = a (2. habais, 3. 5. habaijJ), mentre le forme con semplice -y-, evidentemente attraverso la contrazione di -aya- in -a-, sono passate a l. haba, 4. habam, 6. haband. A questa potrebbe poi corrispondere anche la flessione di lat. habere se le forme con -e- sono sorte da '~-eye-!
gr. cpo~Éw ecc.; con trasformazione della flessione del presente in balto-slavo dove passa a asl. 1·p, -isi ecc., inf. -iti. b) Verbi stativi, tipo lat. tacere: pres. tacei5 taces ecc., got. paha -ais ecc. In balto-slavo inf. in -eti, ma presente come per a) (anche in baltico!). c) «Denominativi», tipo lat. albei5 "biancheggiare": albei5 albes ecc., got. lezkan "piacere"; in balto-slavo inf. in -eti, pres. sl. in -ejp, -ejesi ecc. Non solo però la configurazione del tema, ma anche la flessione e in particolare la configurazione del suffisso, che finora abbiamo solo sfiorato, sono differenti. Si deve innanzi tutto osservare che anche quando il suffisso si presenta nella forma più semplice, -ye-1-yo-, secondo la legge di Sievers (sopra, V.7.2.1.) la struttura della radice si scinde negli allomorfi -ye- e -iye-. Dal punto di vista del formante, ie. -:'spek-yi5 "osservo" e '''sag-iyi5 "scovo" sono perciò identici. Le 2. sg. '~'spekyesi e '~'sagiyesi danno poi in lat. specis (cf. alis alid da '~'a lyos '''alyod) e sagzs (t contratto da iye); al lat. capis da '''kap-ye-si corrisponde aat. hevis contro al ricostituito got. hafjis, mentre lat. sagzs corrisponde esattamente (14) al ·got. si5keis "cerchi" (da '~sokiyisz) . L'inverso della legge di Sievers (sopra, V.7.2.3.) spiega come ie. '''logheyi5 "collocare" sia passato a got. lagja, o "~'noseyi5 a nasja (15). Si è sovente formulata l'ipotesi che accanto al suffisso «rigido» -ye-1-yo- esistesse anche un suffisso con alternanza apofonica -yo-1-ie rispettivamente -yo-1-t-. Il sostegno principale a questa ipotesi è fornito dal balto-slavo, dove, come abbiamo visto, gli iterativocausativi accanto all'inf. in -iti presentano in sl. le terminazioni di presente )p, -i-si, -i-tu e i verbi stativi accanto all'inf. in -eti mostrano in sl. le stesse terminazioni di presente, in balt. (li t.) 1'o-l -i-. Che il tipo iterativo-causativo, che dall'indiano e dal greco a oriente fino a germanico, celtico e italico a occidente presenta ovunque lo stesso aspetto ('''moneyi5), debba costituire in balto-slavo un fenomeno dialettale ie., è impossibile; deve trattarsi di una trasformazione postunitaria, avvenuta in seguito alla sostituzione di -eye- con -ei- (16). Per quanto concerne i verbi stativi, non abbiamo nel loro caso nessuna argomentazione generale pro o contro; anche l'analisi sopra riferita per il germanico non è l'unica possibile. Così, si è supposto fra 320
l'altro che got. -ai- debba proseguire un ie. -ai- (17), o che il paradigma ie. atematico (!) si fondasse nel sg. su -ei- accentato, negli altri numeri su -ai- atono, con il che e, ei (donde sl. t), i (da -ai- del plurale con caduta di a) e y (3 . pl. -ay-énti dava -y-éntt) vengono tutti spiegati (18), non però la struttura del paradigma. Ancor meno verosimile è stato il tentativo di introdurre, sul modello della !aringale labiovelare, anche una laringale palatalizzata (sopra, VI.4.4.1.), per cui eHY s.arebbe passato a e, HY in determinate circostanze a i e rispettivamente y (19) . Più illuminante è la recentissima spiegazione che assume come punto di partenza la divergenza rispetto alla quantità fra sl. e lit. : poiché sl. i e lit. i possono essere equiparati solo in uscita, si formula l'ipotesi che l'intera flessione del presente sia stata edificata sulle forme lit. mìni = sl. m'fni(tu), che rappresentano dal canto loro la 3. sg. del perfetto (desinenza -e + -i di presente); con questo, viene pure motivato il significato stativo e stabilita una connessione fra -i- ed -e- attraverso l'aoristo (cf. gr. -'Y]-V) (20) . Per quanto concerne, infine, l'origine di questa formazione, si può innanzi tutto constatare, dal punto di vista meramente formale, che il suffisso -yo- sarà sorto almeno in parte dalla tematizzazione di temi in -i- . Il tema '''poti- "signore" è divenuto attraverso la tematizzazione un verbo: '''potyetoi "possedere" (da "essere signore di") sopravvive in lat. potitur, scr. patyate (21). Non è però da escludere che nel corso della diffusione della formazione abbiano giocato anche fenomeni composizionali, e precisamente tanto con ~'ei- "andare" (22) quanto, in particolare nel caso dei fattitivi, con '''yo- "fare", per il quale si può rimandare a itt. iyami "faccio" (23). (l) Cf Brugmann, Grundrill2 II 3, 178 s.; Meillet, Introduction 217-20; Schwyzer I 712-37; Ivanov, Obsceind. 181-4; Bammesberger, Deverbative jan-Verba des Altenglischen, Diss. Miinchen 1965; Stang, VgL Gram. 354 s.; Vaillant, Gram. comp. III 261 s.; Kronasser, Etymologie 467; Mignot, Les verbes dénominatifs latins, 1969, 17 s., 81 s., 245 s. - (2) Cf. Benveniste, BSL 51, 1965, 15 s. - (3) Szemerényi, SMEA 3, 1967, 78. - (4) V. in particolare Schwyzer, L cit. - (5) Brugmann II 3, 162, 245 (-eyo da temi in -i-!); cf Specht, Ursprung 329. - (6) Vaillant, BSL 38, 1937, 98. - (7) Cf. Kurytowicz, Apophonie 86 s., Categories 84 s., 105. Inoltre Rundgren, Orientalia Suecana 12, 1964, 104 s.; Sprache 12, 1967, 133 s. - (8) Così p. es. Schwyzer I 729; cf. anche Stang, op. cit., 330;
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Polomé, Orbis 15, 1966, 197-8; Lindeman, NTS 22, 1968, 88; Watkins TPS 1971, 91. - (9) Per il gr., provvisoriamente Cowgill in: AIED 81 s.; Wyatt, TAPA 101, 1971, 606 s.; per il germ. Wissman, Nomina postverbalia I, 1932, 199 s.; Cowgill, Language 35, 1959, 1-15; per il balto-slavo Vaillant III 365 s. - (10) V. Kronasser, Etymologie 422 s. Illegittimo è il _tentativo di Pedersen, Hittitisch 126. - (11) Cf. H. Wagner, Zur Herkunft der e-Verba in den idg. Sprachen, Diss. Ziirich 1950; id., Zeitschrift fiir celtische Philologie 25, 1956, 161-73; Schmalstieg, The Slavic stative verbs in -i-, International Journal of Slavic Linguistics and Poetics 1-2, 1959, 177-83; W.H. Bennett, The parent suffix in Germanic weak verbs of class III, Language 38, 1962, 135-41; Cowgill, Language 39, 1963, 264 s.; W .P. Schmid, Studien zum baltischen und idg. Verbum, 1963, in partic. 83, 94 s.; Kurytowicz, Categories 76-84; Stepanova, Distribuzione geografica nelle lingue ie. dei verbi in -e- (in russo), VJ 1965(4), 110-18; K.H. Schmidt, Ériu 20, 1966, 202 -7; Sravnitel'naja grammatika germanskix jazykov IV (= SGGJ), 1966, 385 s.; Polomé, Festschrift Pokorny, 1967, 83-92; Perel'muter, VJ 1969(5), 15 s.; Jasanoff, Stative and Middle, 1978, 56 s., 94 s. - (12) Got. haban risale a '~kape- ed è imparentato con lat . capzi5, non con habere; morfologicamente però rappresentano entrambi lo stesso tipo . - ( 13) Wagner (1950) 4, 49 s.; SGGJ 389. Cf. anche Sehrt, Festgabe Frings, 1956, 6; Krahe, IF 66, 1961, 37-9; Watkins, TPS 1971, 51-93; Hock, Fs. Kahane, 1973, 333; Gunnarsson, NTS 27, 1973, 42 s.; Jasanoff, Lg. 49, 1973, 866 s.; Dishington, Lg. 52, 1976, 851-865 (ma v. anche Hollifield, Sprache 26, 1980, 50); Feuillet, BSL 76, 1982, 219 s. - (14) Niedermann, Mélanges de Saussure, 1908, 43-57; Graur, BSL 40, 1939, 127-50; Pariente, Emerita 14, 1946, 1-81. - (15) J.W. Marchand, Language 32, 1956, 285 -7. (16) Cf. provvisoriamente Kuryìowicz, Categories 84; v. anche Vaillant III 438-9; Cowgill (1963) ~63. - (17) Bennett, op. cit.; contrario SGGJ 387 . - (18) W.P. Schmid, op. cit. - (19) Diver, Palatal quality and vocalic length in IE, Word 15, 1959, 110-22; Cowgill (1963) 264 s. (riguardo a Puhvel) . - Un'alternanza -ey-1-yo- è supposta da Schmalstieg. (20) Kurytowicz, Categories 81, 83; Watkins, Verb 222; Jasanoff, Stative and Middle, 1978, 94 s.- (21) Szemerényi, Syncope 378.- (22) Hirt, IG 4, 226. - (23) Vaillant, BSL 38, 1937, 98; Schwyzer I 7W; Georgiev, Proceedings of the 9th Congress (1962), 1964, 741; Schmitt-Brandt 129.
f) A ltre formazioni. 4.1.6. 322
Oltre a questi tipi principali di formazioni del presente si
danno anche gruppi minori che venivano formati per mezzo di suffissi meno produttivi (1). Tra le occlusive sono le dentali che vengono usate in modo relativamente frequente per siffatte formazioni; cf. lat. pecto plecto flecto necto con t (2); salto (cf. salsus da '''sald-tos) cudo tendo con d (3); gr. :n:A.~{}w "divento pieno", :n:uitEtm "imputridisce" con dh (4) . La spirante s viene usata come formante di presente in itt. ars-tsi "scorre" = scr. ar~ati "scorre"; scr. fro-~-ati "ode": fru-, gr. aùl;avw : lat. augeo, àA.Él;w "proteggo": aor. àA.-aA.x-Eiv e così via (5) . Nella maggior parte di questi suffissi meno produttivi la funzione può difficilmente essere determinata; in ciò essi si avvicinano ai determinativi radicali di cui ci siamo occupati sopra (V.5 .4.). (l) In generale v. Brugmann, Grundrill2 II 3, 336 s., 362 s.; Schwyzer, GG I 701-6. - (2) Cf. Vaillant, BSL 56, 1961, 15-20; Peruzzi, Rivista di Filologia ed Istruzione Classica 40, 1962, 394-408.- (3) Per d sono state incomodate delle laringali da Rosén, Lingua 10, 1961, 199 s., mentre Thibau (Rapports entre le latin et le grec, 1964, 7) la considera un «rafforzamento» di y dopo l o n - ipotesi ambedue poco plausibili. - (4) Benveniste, Origines 188 s.; cf. 189: «-dh- exprime l'état, spécialement l'état achevé». - (5) Schwyzer 706; Kronasser, Etymologie 394 s.; secondo Gonda, Four studies in the language of the Veda, 1959, Cap. II, -sdovrebbe aver formato anche dei causativi. V. anche Adrados, IF 86, 1982, 96-122.
2. Aoristo e futuro 4.2d . Per il tema dell'aoristo ci sono due possibilità di formazione marcatamente separate: derivazione dalla radice verbale per mezzo di -s- (tipo sigmatico) oppure senza -s- (tipo asigmatico). Nell'ultimo tipo troviamo un'ulteriore suddivisione: le desinenze (DS) si aggiungono al tema dell'aoristo con oppure senza una vocale t ematica (l).
a) T ema di aoristo atematico asigmatico, rappresentato nel modo migliore nel greco e nell'ado; cf. gr. E-yvw-v "conobbi" , scr. a-da-m "diedi" (2). 323
Che questo tipo mostrasse originariamente il grado normale nel sg. dell'attivo, il grado zero negli altri numeri e in tutto il medio, risulta dalla flessione di certe radici a vocale lunga nel greco, cf. E--&rj-xa "io posi": E-1tE-!!EV, E-òw-xa "io diedi": E-ÒO-!!EV, horn. E-'Y)-xa "io gettai, spedii": l. p l. -É-É!!EV, e le corrispondenti forme mediali È-1tÉ-!!'YJV, è-M-~-t'Y)V, E-VTO. Questa alternanza è già in O mero limitata ai verbi appena nominati e forse a horn. E-~'Y)-V: ~6.-'t'Y)V e in generale viene sostituita da una opposizione fra attivo e medio, cf. E
b) Tema di aoristo tematico asigmatico: si differenzia dal tipo precedente per il fatto che fra il tema verbale e la desinenza è visibile la vocale tematica; per lo più il tema verbale si presenta al grado zero. Questo tipo viene usato nel vedico in quasi 60 verbi ed è perfino più diffuso (in 120 verbi!) nel greco (4). Cf. scr. a-vid-a-m "io trovai", a-cchid-a-t "egli tagliò", a-v-çj-a-n "diressero"; gr. dòov (E-flÒ-o-v) "io vidi", E
viamo ugualmente questo tipo, p. es. nel celtico, cf. airl. lod "andai", luid "andò" da '''ludh-om, ~· tudh-et, da comparare col gr. r]ì..:u-frov, ~ì-..u-frE (5). In queste circostanze è sorprendente che sia possibile trovare così poche corrispondenze di parole che si estendano per parecchie lingue; si è addirittura giunti alla conclusione che un'origine in epoca ie. può rivendicarsi al massimo per l'aoristo '''wt'd-o-m "ho trovato, scorto" (scr. e gr., v. sopra) (6) e forse (7) anche per '''ludh-o-m "andai" (greco e airl., v. sopra). Ciononostante è fuor di dubbio che questo tipo risalga al periodo tardo-ie. È però interessante che questo modo di formazione, che comunque si estingue dovunque abbastanza presto, all'inizio possedesse ancora una certa forza di espansione in ario e greco, dal momento che vi si trasferirono verbi del primo tipo e, talvolta, proprio gli stessi verbi. Così il scr. 3. pl. adrsan, cui si confrontava il greco e6ga%ov, ha portato all'assunzione di un ie. 3. pl. '~e-drk-ont del nostro tipo (8). Ma all'inizio della tradizione indiana c'è un aoristo atematico: l. sg. ddrfam, l. pl. ddarfma, ed è al di sopra di ogni dubbio che (a)drsan è proprio la relativa forma al grado zero, cf. sopra akaram: akran ecc. (9) . Formano un sottogruppo di questo tipo gli aoristi raddoppiati e per lo più (sempre in gr.) tematici, che sono frequenti, soprattutto in greco arcaico e nel scr. (10); cf. :rtEC-frw "convincere'": :rtEm-freiv, cpev"uccidere": E:rtECj)VE, %ÉÀO!J,aL "gridare": È%É%ÀELO, xaCgw "gioire": %EXUQOV't0 ecc. In alcuni verbi questi aoristi hanno un significato causativo, p. es. eì-..a'freto "dimenticava": È%-À.ÉÀa-frov "(gli) fecero dimenticare", Àayxavw "avere in sorte, ricevere": ÀEÀaxwm "(affinché essi mi) · rendano partecipe". Con suono iniziale vocalico appare il raddoppiamento attico, p. es. àg-ag-ei:v "congiungere". Gli aoristi raddoppiati del scr. sono in linea di principio sempre causativi, p. es.: a-vt-vrdh-at "fece crescere". Uno esempio isolato, che sicuramente risale ad epoca ie., è la bella corrispondenza scr. avocam "io dissi" = gr. E(f)EL:rtov, dall'ie. i'e-wewkw-om da '''wekw- "dire, parlare"; in greco -weukw- venne dissimila. to in -weikw- .
c) Tema d'aoristo sigmatico. Questo tipo era il modo di formazione più produttivo nel tardoindeuropeo. Fu unificato in parecchie lingue
325
già nella loro preistoria in un sistema unitario con il perfetto - come p. es. nel celtico e latino - ma è rimasto autonomo in aria, greco e slavo. Il tipo è atematico, cioè le desinenze secondarie si aggiungono direttamente al tema di aoristo ottenuto con -s- (lOa); cf. p. es. il gr. EòELl;a "io mostrai" da ~'e-deik-s-1'{! contro doov da ;'e-wtd-o-m. Questo tema mostrava un'apofonia nella sillaba radicale, e in ciò le principali testimonianze divergono. Il scr. ha il grado allungato all'attivo, e al medio il grado zero o, nelle radici in i o u, quello normale; al congiuntivo domina, tanto all'attivo quanto al medio, il grado normale. Per es. da nz- "condurre" il sg. att. fa l. a-nai-!j-am, 2 .-3. a-nai-!j (per a-nai-p e a-nai-!j-t), nel medio l. a-ne-!j-i, 2. a-ne-!fthas, 3. a-ne-!f-ta, all'att . cong. ne-!j-iini, nq-as(t), nq-at(t), ma da rudh- "ostacolare" le forme corrispondenti sono nella l. sg. a-raut-sam, a-rut-s-z; rot-s-ani. In greco invece il tema verbale ha di solito lo stesso grado del presente, cf. OELXVlJf!L: EOELl;a, yga
- in base alla sua diffusione - all'epoca indeuropea ( 17), sebbene forse essa sia la più tarda tra le formazioni aoristali ie. (18) . Sulla sua origine c'è una sola ipotesi plausibile, cioè che essa sia il preterito di un presente in s (19); la concezione secondo la quale essa sarebbe stata una specie di coniugazione oggettiva, in cui s sarebbe un elemento pronominale (20), non ha nulla dalla sua; e lo stesso vale per la congettura secondo la quale -s- sarebbe originariamente la finale di 3. sg. o un ampliamento di origine nominale, quindi ''' prek-s" asking (occurred) " (21).
Addendum. L'aoristo passivo aria 3. sg. in -i- tipo (a)jani - ha di recente provocato diverse spiegazioni. Secondo lnsler (IF 73, 1968, 312-346; Lg . 48, 1972, 562) si è sviluppato da una 3. sg. mediale in -o (come '''key-o); Watkins (Origins 103; Verb 52, 138) pensa che si tratti del tema + la particella i; Kortlandt (IF 86, 1982, 127) vi scorge un tema neutro in -i-. Sulla funzione di questo aoristo v. Migron, FoL 8, 1975, 271-310. (l) Per l'introduzione e per ulteriore bibliografia, v. Schwyzer, GG I 739 s.; Thumb-Hauschild I 2, 296 s.; Chantraine, Morph. 161 s.; Kurytowicz, Categories 109. - (2) Cf. L. Gil, Sobre la historia del aoristo atematico griego, Emerita 32, 1964, 163-83; per l'apofonia Kurytowicz, Categories 119 s. - (2a) Contro il punto di vista di K. Hoffmann (Fs. Kuiper, 1969, 7, accolto da Rix, Hist. Gramm. des Griechischen, 1976, 214), v. Francis, Glotta 52, 1974, 26; Bammesberger, GL 21, 1982, 233 s.; JIES 10, 1982, 47 s. - (3) Cf. Schwyzer 745, ma anche Pariente, Emerita 31, 1963, 79; Strunk, Nasalprasentien und Aoriste, 1967, 89; Hettrich, MSS 35, 1976, 47-61; Peters, Sprache 23, 1977, 329. - (4) Vedi MacDonell, Vedic Grammar, 1910, 371; Schwyzer 746 s. - (5) Spesso si accetta che la 2. sg. del preterito dei verbi forti in germ. occidentale - p. es. aat. zugz; nami- si rifaccia alla 2. sg. di un aoristo tem. ie., ma ora essa viene di nuovo ricondotta all'ottativo del perfetto da Polomé, Proceedings of the 9th Congress (1962) , 1964, 879; e ad un'innovazione analogica secondo il presente da Bech (v. sopra IX.2.3.) e Bammesberger, Anglia 100, 1982, 416; Studien zur Laryngaltheorie, 1984, 96 s.; sullo slavo vedi Vaillant III 45 s. - (6) Thurneysen, IF 4, 1894, 84; KZ 63, 1936, 1161; Schwyzer 7462 • - (7) Cardona secondo Anttila, PIE Schwebeablaut, 1966, 35 . - (8) Vedi Schwyzer 747 e da ultimo ancora Frisk, GEW I
327
368. - (9) Strunk, op . cit., 97; cf. Narten, Sprache 14, 1968, 113 s., in partic. 117; Lazzeroni, SSL 18, 1978, 129 s.; 20, 1980, 34 (: il tema dell'aoristo tematico è costruito sulla 3. pl. atematica -ont) . - (10) Schwyzer 748; Thumb-Hauschild 300 s.; e inoltre (302) sulle forme atematiche del scr. - (lOa) Poiché Watkins (Verb 44 s.) pensa che -s-nt a grado O non sia attestato in tutte le lingue che possiedono un aoristo sigmatico, sia consentito qui rimandare al venetico, dove donasan "donarono'~ certamente risale a -sr!J. - (11) Vedi Schwyzer 751 e recentemente Kurytowicz, Apophonie 159 s., 272 s.; W. P. Schmid, IF 68, 1963, 226. Wagner, Zeitschr. fi.ir celt. Phil. 30, 1967, 4 vorrebbe considerare ie. anche gradi allungati celtici come siiss- in saz'g,id "cerca". - (12) Watkins, Origins 18 s., in partic. 41, 49 s. (contrario Wagner, l. cit.); Meid, Sprache 12, 1966, 105; .Otkupscikov, op . cit. (sopra, 4.1.3.), 47 s. Poiché vesu non è attestato nella letteratura asl. (v. Watkins 35 s., 41), si veda Kolln, Scando-Slavica 7, 1961, 265 s., che lo dimostra a partire dal serbo-si. eccl. Vedi ora anche Mathiassen, Scando-Slavica 15, 1969, 201-214. ( 13) Re doveva dare al grado zero R c~, cioè R Cf. Meillet, Introduction 160; Kurytowicz, Apophonie 1709, Ù5, 205. (14) Schwyzer 682 e (erroneamente) 708; Gil, Emerita 32, 1964, 169, 176.- (15) Risch, Homer. Wortbildungslehre, 1937, 209, ha dato una spiegazione simile per EO~l']ç (: da -:'e-sgwes-s); ma v. anche Barton, Glotta 60, 1982, 31. - (15a) V. Lewis-Pedersen, A concise compar. Celtic grammar, 1937 (ristamp. 1961), 8; e sullo sviluppo fonetico anche Hamp, JIES l, 1973, 221. (15b) V. Lindeman, Sprache 18, 1972, 44-48, e cf. van Windekens, Le Tokharien II 2, 1982, 158. - (16) Cf. Thumb-Hauschild 306. Per l'eliminazione del grado allungato nel gr., v. Kurytowicz, Apophonie 272 s., e per la formazione del paradigma in -s-, Risch, Festschrift Vasmer, 1956, 424-31, su cui inoltre Lejeune, Parola del Passato 98, 1964, 326, sul miceneo qejameno. - (17) Del tutto impossibile è la tesi di Otkupscikov, op. cit., 49, che l'aor. sigmatico si sia formato solo nelle singole lingue; in latino p . es. dopo la dissoluzione dell'unità italica (!); cf. anche Watkins 101 s. - (18) Così Meillet, Mélanges Saussure, 1908, 79 s., cf. Schwyzer 749 2 e Kurytowicz, Categories 109. - (19) P. es. Schwyzer 749 2 ; Kurytowicz, Apophonie 33, Categories 104\ 110; Ivanov, Obsceind. 173 s. - (20) Kretschmer, Objektive Konjugation im Idg., 1947, 11 s.; Kronasser, Nasalprasentia (sopra, 4.1.3.), 21.- (21) Watkins, op. cit., 97 s., 99, 105 s. - Sui problemi dell'aoristo indiano e ie. v. anche Narten, Die sigmatischen Aoriste im Veda, Wiesbaden 1964; T.J. Jelizarenkova, Aorist v Rigvede, Mosca 1960; Gonda, Old Indian, 1971, 97 s. 0
-
328
4.2.2. Una forma di futuro non è attestata in tutte le lingue ie. Così l'ittito e il germanico non hanno alcuna specifica forma per il futuro. Altre hanno formazioni che sicuramente rappresentano innovazioni abbastanza tarde, p. es. il futuro in b- del latino (1). Infine c'è un gruppo di lingue che mostrano un modo di formare il futuro così simile, o addirittura identico, che appare giustificato chiedersi se in ciò non abbiano mantenuto una formazione di futuro ie. (la). I futuri in questione sono: l) il futuro greco in -aw -aELç -aEL ecc., cioè un tempo con flessione tematica e formato con un suffisso -s-; accanto ad esso sta il cosiddetto futuro dorico con -aÉw. P. es. n:mù~:u-a-w "io educherò", in regioni doriche n:mù~:uaÉw (o -a(w); 2) il tipo latino /axi5, p. es . Plaut. Truc. 643: ego /axi5 (= /aciam) dica!; 3) il tipo antico irlandese formato, con l'aggiunta di -s- al tema verbale, da sei soli verbi (2), p. es. seiss "siederà" da '"sed-s-ti, reiss "egli correrà" da '"ret-s-ti (con la radice del latino rota); 4) il futuro ario con suffisso -sy-, p. es. scr. da-sy-a-mi "io darò"; 5) il futuro baltico (3), p. es. lit. duo-siu "io darò", 2. sg. duo-si, l. pl. duo-si-me, 2. pl. duo-si-te, 3. sg./pl. duo-s; 6) il futuro airl. con e, tipo génaid "ferirà" viene confrontato col desiderativo scr. (4): génaid viene ricondotto in primo luogo a -:'gignati (pres. gonaid "ferisce") e questo, insieme col scr. jighamsati "egli vuole ferire", all'ie. '''gwhi-gwhij-seti (5), protoirl. ''gignaseti. A prescindere da questo tipo, che è limitato di fatto a verbi terminanti in sonante, normalmente viene mantenuto il raddoppiamento, cf. gigis "pregherà" da -l'gi-ged-s-ti, ie. '''gwhigwhedh-s-ti (v. IV.7.5.3.). Con ciò si hanno anzitutto 3 tipi di futuro in -s-: a) Il futuro latino /axi5 è chiaro nella sua struttura: poiché accanto al futuro /axi5 esiste un /axim congiuntivale (5a), abbiamo a che fare con lo stesso rapporto che intercorre fra ero - sim, ie. '"esi5 - "~'syem (v. sopra, 3.1.1.-2.), cioè/axi5 era originariamente un congiuntivo dell'aoristo /ak-s-; non importa che in latino l'antico tema di aoristo sopravviva solo in queste formazioni modali - una circostanza · che 329
talvolta viene utilizzata come obiezione (6) - poiché il tema aoristale fak-s- è attestato nel vicino venetico nella forma di indicativo faxs-ffo (7). Con questo tipo di futuro derivante da un congiuntivo aoristo si accorda il tipo airl. seiss (v. sopra al punto 3), nonché (8) il normale futuro greco in -s- (v. sopra al punto 1). Dal punto di vista formale, contro questa interpretazione non di rado si obietta (9) che il tema del futuro è sovente assai diverso dal tema dell'aoristo, specialmente in greco, cf. l\rr:a'l'tov - ndoo[tm "soffrire", ~À:u'l'tov - ÈÀ.EUOO[tm "venire", l\oxov - l:sw "(man)tenere". Ma con ciò si trascura il fatto che - come ben appare ancora in scr. - un verbo poteva avere parecchie formazioni aoristiche e che il congiuntivo in -s- presentava il grado normale, come accade anche per ndoo[tm da '
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ie- dell'aria (15); si dovrebbe perciò abbandonare perfino la corri-
spondenza tanto convincente scr. dasya(mz) = lit. duosiu (16). Tuttavia questo è del tutto insostenibile: le due flessioni divergono l'una dall'altra allo stesso modo di lit. mìni: scr. manyate "pensa" e la divergenza in entrambi i casi si è prodotta secondariamente dalla parte del baltico (17). Dobbiamo perciò ritenere che l' ario e il baltico, e in uno stadio arcaico probabilmente anche il balto-slavo, possedessero una comune formazione di futuro con formante tematico -syo-, la cui origine andrà ricercata nella zona aria. c) Il terzo tipo di futuro, come abbiamo visto, sarebbe limitato all'aria e airl. e la sua struttura sarebbe: raddoppiamento + radice (al grado normale o zero) + s + vocale tematica (17) + desinenza. L'usuale confronto dell'airl. génaid col scr. jighamsati in base a un ie. '~'gwhi-gwhij-seti è reso dubbio dal fatto che -a- airl. non può essere separata dalla -a- congiuntivale, cf. da ernaid "accorda" cong. 3. sg. -era - fu t. ebra ('''pera- - '~'pipra-) che deve però basarsi su una estensione della -a- da radici set (18). La formazione aria è comunque chiaramente una formazione in -s- con significato desiderativo. In base a ciò possiamo riconoscere: l) futuri in -s-, che continuano congiuntivi di aoristi in -s-, limitati a gr., lat., celtico, 2) futuri in -sy-, probabilmente sorti in ario e. diffusi non oltre il territorio satem (11), 3) desiderativi in -s-, limitati all'aria. Per quanto riguarda il rapporto reciproco tra queste formazioni, i futuri con -s- appaiono come congiuntivi aoristi trasparenti tanto per la forma quanto per la funzione, mentre è difficile unificare le formazioni in -sy- con l'aoristo in -s-. Solo formalmente potrebbe esservi alla base un presente in -s- (v. sopra, 4.1.6.), del quale -so- sarebbe il congiuntivo o la forma tematizzata, -syo- un ampliamento e lo stesso futuro dorico potrebbe essere considerato un ampliamento di altro tipo (-se-yo-); inoltre l'aoristo in -s- ne sarebbe la forma preteritale (19) . Considerando però i chiari nessi delle formazioni occidentali con il congiuntivo dell'aoristo in -s-, dovremo per essi attenerci a 331
questa interpretazione, mentre le formazioni orientali in -sy- avranno un altro e indipendente punto di partenza nel desiderativo (20) . Se a questo proposito la -y- di -sy- sia connessa con -:'ei "andare" (21) è una questione che non può essere risolta. (l) Sul problema del futuro lat. in -b- e airl. in -/- v. di recente Quinn, Ériu 29, 1978, 13-25; Hollifield, KZ 92, 1979, 229 s.; Bammesberger, BBCS 28, 1979, 395-398. - (la) Cf. Schwyzer, GG I 779 s.; 1'G. d'Elia, Origine e sviluppo del futuro nell'lE, Lecce 1942; Thumb-Hauschild 325 s.; Strunk, IF 73, 1969, 298 s.; Rix, Indogermanisch und Keltisch, 1977, 140. - (2) Thurneysen, GOl 410; K.H. Schmidt, Studia Celtica l, 1966, 19-26. - (3) Stang, Vgl. Gram. 397 s. - (4) Thurneysen, GOl 404, 414; Puhvel, Language 29, 1953, 454-6; Kurytowicz, Apophonie 254; Emeneau, Language 34, 1958, 410; Cowgill, ibid. 39, 1963, 262; K.H. Schmidt, Studia Celtica l, 1966, 21. Per l'origine delle formazioni desiderative arie v. Leumann, Morph. Neuerungen (sopra, 2.2.2.), 45-7; Thumb-Hauschild 352 s.; ed ora Insler, IF 73, 1968, 57-66. - (5) Invece non trovano confronti lessicali né paralleli Leumann, op. cit., 45; Thumb-Hauschild 351, 353 . - (5a) In errore riguardo a/axim J. St. John, KZ 88, 1974, 147-153, ma anche Xodorkovskaja, Ziva Antika 25, 1976, 31-37. - (6) Thomas, Latomus 15, 1956, 11; Revue de Philologie 82, 1956, 207 s. (ma v. 210 s.!); cf. anche Watkins, in: AIED 41. - (7) Leumann2 573 s., 621 s.; Hahn, Subjunctive 61; Cowgill, l. cit., 263 . (8) Hahn, l. cit., n. 115; Pariente, Emerita 31, 1963, 59 s.; 33, 1965, 23 s. - (9) Schwyzer 787; Householder, Language 30, 1954, 398; W .P. Schmid, Studien (sopra, 4.1.5.), 43 nota 163; K.H. Schmidt, l. cit., 23.(10) Schwyzer II 309 s.; Kurytowicz, Categories 140. - (11) Porzig, Gliederung 88, e da ultimo anche Savcenko, Lingua Posnaniensis 12-13, 1968, 34-5. Le nuove forme di futuro del gallico con -syo- (p. es. bissiet "egli colpirà") possono, come dice K.H. Schmidt (in: Le lingue ie. di frammentaria attestazione, Pisa 1983, 78), indurre a resuscitare la vecchia tesi del carattere ie. comune di questa formazione. A favore anche Hollifield, IF 86, 1981, 161-189, ed EC 20, 1983, 91-99. - (12) Vaillant, Gram. comp. III 104. - (13) Aitzetmiiller, Gedenkschrift W . Brandenstein, 1968, 11-6. - ( 14) Sulla diffusione dei Balti a sud-e_st fino alla linea Desna-Sejm e sugli influssi iranici v. V.N. Toporov-O.N. Trubacev, Lingvisticeskij analfz gidronimov verxnego Podneprov'ja, 1962 (in partic. 231 e carta 2 con la suddivisione geografica); M. Gimbutas, Ancient Baltic. Lands, International Journal of Slavic Linguistics and Poetics 6, 1963, 69-102; Pauls, River names in the Pripet Basin, Names 12, 1964, 185-96;
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Filin, VJ 1967 (3 ), 28-41; inoltre ora sulla zona a sud di Pripet e Desna O.N. Trubacev, Nazvanija rek pravobereznoj Ukrainy, Mosca 1968, spec. 5-14 (resoconto della ricerca) e 269-89 (valorizzazione dei diversi elementi linguistici, con cartine) . Non così Arumaa, Baltes et iraniens, Studi Pisani, 1969, 73-90. V. aqche Sulimirski, Neighbours of the Baltic tribes, Acta Baltico-Slavica 5, 1968, 1-17. - (15) W.P. Schmid, Studien 55 s.; Stang 397; particolarmente dettagliato Kazlauskas, Lietuvip kalbos istoriné gramatika, 1968, 365 s. V. anche Watkins, Verb 216; Jasanoff, Stative, 1978, 106, e la discussione in Klein, Lg. 60, 1984, 136. - (16) W .P. Schmid 78 . - (17) V. sopra 4.1.5.(11) e Cowgill, l. cit., 264. Che anche la 3. sg. atem. dell'airl. (gigis "pregherà" da ~'gi-ged-s-ti) sia secondaria, appare chiaro da -lili "seguirà" da '''li-li-s-e-t (Thurneysen, GOl 414). (18) Cf. Watkins, Origins 161. - (19) Schwyzer 787; Kurytowicz, Apophonie 33 nota e 34; cf. W.P. Schmid 43 s.; Poultney, Lg. 43, 1968, 873, 878-9. Ora Kurytowicz, Categories 115, parte di nuovo dall'aoristo in -s-. - (20) H. Smith, Journal Asiatique 240, 1952, 169-183, in partic. 182, è partito da un -s-ti atematico, che appare variamente modificato come -s-i-ti in proto-pracrito, come -s-ya-ti in aria, come -siu in baltico, come -o-E-tm in protogreco. Ma il proto-pracrito non era diverso dall'aria, vedi Berger, MSS 4, 1954, 25; Alsdorf, Studies W.N. Brown, 1962, 4. (21) Per esempio Hirt, IG 4, 176; cf. Hahn, op.cit., 71 nota.
3. Per/etto
4.3. Un perfetto messo in chiara evidenza nel sistema si trova solo in ario e gr. Ma quando si siano esaminate le particolarità di questa formazione, si può facilmente riconoscere come l'antico perfetto si sia mantenuto quasi intatto nel germanico e, con qualche rimescolamento, in airl., mentre in lat. il perfetto e l'aoristo sono stati riuniti a formare un nuovo perfetto (1) . Come abbiamo già visto il perfetto ha delle desinenze personali caratteristiche. Esse vengono aggiunte senza vocale di collegamento al tema del perfetto, che mostra il timbro apofonico -o- nel singolare attivo delle radici verbali che hanno la -e- come vocale di base, altrimenti ha ovunque il grado zero; cf. da y(yvof-tm "sorgo, nasco", horn. 3. sg. yÉ-yov-E "è nato": 3. duale (Èx)yE-ya-'tTJV dove ya rappresenta il grado zero g':f. Queste forme mostrano allo stesso tempo un'ulteriore caratteristica del perfetto, il raddoppiamento. 333
a) Le desinenze personali del singolare erano (v. sopra, 2.3.) -a -tha -e. La ricostruzione della terminazione di 3. sg. come -e poggia non solo sul greco, ma anche sul celtico, poiché il contrasto dell'airl. l. sg. gad: 3. sg. gaid rimanda a ie. -a: -e (2); comunque il greco e il celtico vanno contro l'affermazione (3) secondo cui la 3. sg. e con ciò tutto il sg. avrebbe avuto il timbro -a. La 2 . sg. è particolarmente soggetta a innovazioni. In greco l'antica terminazione è mantenuta già all'inizio dell'attestazione solo per il verbo oioa (oiafl-a da ~'woid tha), generalmente essa è sostituita da -aç come si può vedere anche in airl.; è invece mantenuta in lat. -(s)tt e got. -t, esito dopo spiranti, p. es. gaft "desti". In origine il perfetto aveva solo desinenze «attive». Ciò si vede già nel fatto che molti verbi medi nel perfetto si flettono solo all'attivo; cf. y(yvof!m: yÉyova , f!a(vof!m: f!Éf!YJVa "infurio". Più tardi, sotto l'influsso della forma-base mediale, anche il perfetto assunse una forma media e si formarono YEYÉVYJf!aL accanto a e invece di yÉyova, :rrÉ:7tEtaf!m " (con)fido" invece dell'antico :rrÉ:rrmfl-a da :rrE(fl-of!m, ecc. (4); nel scr. all'attivo tu-tod-a (da tudati "urta", lat. tu-n-d-o), unica forma (3. sg.) della letteratura vedica, si aggiunse più tardi il medio tu-tud-e. Le terminazioni latine possono essere considerate (v. sopra, 2.3.) delle varianti delle terminazioni «attive» provviste di -i-, il segno dell'hic et nunc (5). Ciò che qui fa difficoltà è il fatto che la forma radicale di perfetti come de-d-t, cioè il loro grado zero, non si accorda in alcun modo con le forme attive del perfetto, d'altro canto il grado normale di forme come vtdt fiigt (da ,·,wozd- -:'bhoug-) ecc. non si adatta alle terminazioni medie; è dunque possibile che anche in latino sia stato formato, in aggiunta al perfetto attivo, un perfetto medio. La forma testé menzionata ,·,woidai sta alla base anche dell'unico chiaro avanzo in slavo, vede "io so" (6); non è comunque accettabile ricondurre il paradigma costruito atematicamente su ved- (l. vede, 2. vesi, 3 . vestu, ecc.) a un perfetto in -e- woid-e-m (7), in cui -e- non potrebbe mancare. b) Nelle fasi tarde dell'ie. il raddoppiamento, nella forma simbolica (v. sopra, 4.1.2.), era divenuto un mezzo puramente grammaticale. In radici inizianti per consonante la consonante iniziale, e in caso di s+ T l'intero gruppo, veniva ripetuto prima della radice; cf. il greco 334
ÙÉ-Ùogx-a "ho visto", got. stai-staut "urtail-ò" ecc. (7a) . In diverse lingue la vocale del raddoppiamento si assimilò in epoca storica o già nella preistoria alla vocale radicale; cf. p. es . lat. momordz spopondz poposct pupugz cucurrz, che in alat. iniziavano ancora con mem- speppep- pep- cee-, o airl. citala "udii" da ·:'kuklowa, ie. '"keklow-a, scr. bubudhe "ero sveglio" da ie. ~'bhe-bhudh- (7a). Da ie. ~' bheu " diventare" ci sarebbe da aspettarsi, in base a un ie. 3. sg. ;, bhebhow-e, 3. pl. ,.,bhe-bhuw-r, innanzi tutto un scr. '''babhava risp. '''babhii.vur; l'ultima è anche la forma normale, ma la prima fu trasformata, secondo la regola generale, in ,.,bubhava e questa infine fu trasposta in babhii.va, così come anche ~'su-sav-a "partorl" divenne ;'sasii.va. Invece, in avestico, la 3. pl. fu mantenuta come babuvar (scritto babvaréJ) e la 3. sg. come bubava (scritto bvava) (8). In alcuni casi la vocale del raddoppiamento in ario e greco (?) è allungata, p. es. scr. dadhara da dhar- "tenere": l'allungamento è probabilmente di origine ritmica (9). Nelle radici che cominciano per vocale ha luogo l'allungamento della vocale, p. es. lat. edz, odz, got. uz-on "espirare" (ie. ~' an-, cf. lat. animus), aisl. ol "crebbi/-e", ok "condussi/-e" (ie. ~'al-, '''ag-, cf. lat. alo, ago); essa sarà derivata da una contrazione della vocale del raddoppiamento e con le vocali iniziali a, e, o con esito a, e, o (10). Al lat. edz e (forse) odz corrispondono in greco eùrJùa e Mwùa. Alla base di questo raddoppiamento attico stanno le forme corrispondenti a quelle latine ,·,~oa "'cÌ>Ùa che in diversi contesti erano esposte a forti · · · (p. es. 2 . sg. ''l]Oua ~ ' .<~. ' .<~. "rwstl·" ; 2 . p l . "lJO'tE '' ' vanaz10m = l]Oua = l]O'tE "foste" e così via) e perciò furono rideterminate morfologicamente, così come * Èa1:6ç da ~' ed-to-s fu rideterminato in ÈÙ-w1:6ç "commestibile" . Da forme monosillabiche, come quelle appena nominate oppure aQrJQa o'J...w'J...a onwna ogwga, la regola è stata estesa poi anche a quelle bisillabiche: da '''akowa ~'egora ''enoka (da àxouw, ÈyE(Qw, ÈvEx- "portare") sorsero dunque ~'ak-akowa ·:'eg-egora ·:'enenoka, attico àx~xoa, Èy-g-~yoga, Èv~voxa (11). A dispetto dell'identica denominazione, il «raddoppiamento» attico nel perfetto è dunque fondamentalmente diverso dal raddoppiamento del presente o aoristo, v. sopra, 4.1.2. (3). Là dove esiste il perfetto, il raddoppiamento è la regola generale nelle lingue storiche. Come eccezione, per la verità unica, del tardo
335
ie. o innovazione comune, deve essere considerato il perfetto ~'woida "io so" che da '"wewoida per assimilazione portò a ''' wowoida e poi, a causa della sua frequenza, alla semplificazione ~'woida, v. sopra, 2.3.; una traccia dell'antico raddoppiamento sussiste ancora nel participio ~'weid-wos, il cui vocalismo può essere spiegato solo a partire da '~'we-wid-, poiché un '"weid- originario avrebbe dovuto dare la forma al grado zero '" wid-wos ( 12). Naturalmente nelle singole lingue sono nati in un secondo tempo altri casi e perfino intere classi di perfetti senza raddoppiamento. Così i perfetti raddoppiati in lat. persero il loro raddoppiamento nei composti - p. es. alat. tetulz, ma contulz ecc. - e le forme abbreviate poterono infiltrarsi anche in forme semplici, p. es. il classico tulz. In greco l'abbreviazione di una vocale lunga davanti al gruppo RT («legge di Osthoff») portò a forme senza raddoppiamento, in particolare nello ionico, cf. però anche ogyuw "braccio" da '''wg(o)yuw (13) . Anche il scr. ha da segnalare sporadiche perdite, in particolare forme finite di una mezza dozzina di radici e tre participi, cf. tak~ur "essi fecero", daf-vas"omaggiante" (14) . Nel germanico ha avuto luogo un sistematico abbandono del raddoppiamento: abolito nelle prime 6 classi dei verbi forti, esso esiste ormai solo nella settima, ma anche qui propriamente solo nel gotico, nelle altre lingue germaniche è completamente scomparso, lasciando solo alcuni resti; cf. comunque il got. saiso "seminai" = aisl. sera, got. haihait = aingl. heht ecc. (15). La spiega~ zione nel dettaglio della eliminazione del raddoppiamento (v. anche al punto c) è difficile (15a) e comunque non può essere attinta alla teoria secondo la quale il raddoppiamento sarebbe stato usato in ie. solo quando la vocale radicale non aveva possibilità di timbro apofonico o (16); contro di essa vale già il tipo got. lailot con raddoppiamento e timbro apofonico o (pres. letan "lasciare"), ma anche i perfetti it alici '~'feked, -:'foked, ·yejeked, -:'fefoked ( 17), tutti da /acio, ecc.
c) La sillaba radicale mostra, dove è possibile, il timbro apofonico
o al sing. (att.), altrimenti il grado zero. Un bell'esempio di ciò è il paradigma ie. '''wozd-a, '''woid-tha, '''wozd-e, ma pl. '''wid-me ecc., e il principio è chiaro specialmente in greco arcaico, germanico e celtico, cf. gr. Àd:rtw: ÀéÀot:rta "lasciare", got. niman:nam ecc., airl. gegon 336
"ho ferito". È probabile che in slavo alcuni presenti con vocalismo o, p.es. asl. bojati Sf "temere", si rifacciano a perfetti ie. (18) . Vi sono però anche alcune divergenze da questa regola generale. Nel scr., dove il contrasto fra raddoppiamento con timbro e .e vocalismo radicale con timbro o è dimostrato dalla legge delle palatizzazioni (kar- "fare": perf. ca-kar-a), troviamo che in radici che finiscono con una consonante, la 3. sg. ved. mostra la radice con la vocale a a fronte di a nella l. sg. (19); cf. l. ca-kar-a: 3. ca-kar-a, l. ja-gam-a: 3. ja-gam-a "andai/-ò", l. bi-bhay-a: 3. bi-bhay-a "temetti/ -e". In un primo tempo si è pensato di poter spiegare questa differenza con l'aiuto della cosiddetta legge di Brugmann (: o ie. diveniva in sillaba aperta a ario, v. sopra IV. l.); così la 3. sg. ja-gam-a sarebbe derivata regolarmente dall'ie. '~gwe-gwo-me. Ciò avrebbe naturalmente come conseguenza che là l. sg. jagama non potrebbe essere ricondotta a 1'gwegwoma, ma la forma 1'gwegwema proposta come soluzione (19a) non trova sostegno in alcun luogo e perfino nell'aria è in conflitto con la legge delle palatalizzazioni. Soccorso è stato fornito dalle laringali: la legge di Brugmann sarebbe ·giusta, poiché la differenza fra l. e 3. sg. dipenderebbe dal fatto che le forme erano 1'gwe-gwomHa risp. ,·,gwe-gwom-e, e solo nell'ultima ci sarebbe stata una o in sillaba aperta (20). Ma in questo modo non possono ancora essere chiarite le radici se(: se la l. sg. jajana (~ causativo janayatz) ha per questo motivo a, poiché la radice è 1'janH, anche la 3. sg. da '''jajanH-a dovrebbe dare in scr. '''jajana e non la forma realmente attestata jaj(ina. Questa differenza prova definitivamente che la lunghezza della 3. sg., più tardi facoltativa anche nella L sg., non è foneticamente fondata. Essa fu forse introdotta nel grado con o secondo corrispondenze morfologiche come quelle riscontrabili al grado zero scr. tud "urtare": sad "sedere", con la conseguenza che al grado normale taud: sad veniva trasformato in taud: sad (21), ma resta ancora inesplicabile perché le due persone, che avevano la stessa struttura, · venissero trattate diversamente (22). Forme al grado allungato compaiono anche in altre lingue, ma non limitate ad un'unica persona. Una forma simile è presente in greco in yÉywvE "egli è percettibile" da '''gen- "riconoscere" e forse in Etw-fra "sono abituato": e-frwv "secondo la sua abitudine" (23). Molto più significativo è però il ruolo del grado allungato nel siste337
ma del perfetto delle altre lingue europee, in particolare di quelle occidentali. Qui occorre anzitutto ricordare i perfetti latini che presentano sempre il grado allungato: clepit "rubò", edz, emz, (co)epi, /regz, legz, sedz, venz, scabz, fodz, odz. I perfetti delle radici che cominciano per vocale sono comunque ereditari: edz risale, con gr. eÙ-'Y]Ù-a (v. sopra al punto b) e got. /ret "mangiai", a un ie. ~'ed- e probabilmente ad esso appartiene anche il pres. asl. emt "io mangio", cosl come il lat. odz con il gr. 06-wù-a e illit. uodi.iu "odoro" ('''odyo) rimandano a ie. '~'od- (24). Formalmente edz e odz possono essere ricondotti a ie. '''H 1 e-H 1 d-ai e 1'H3 e-H3 d-ai (25) ma, a prescindere completamente dalla laringale priva di fondamento in ~'ed- (v. sopra, VI.6.9.), anche il medio sarebbe infondato nel sistema di questi verbi e i chiari rapporti esterni dovrebbero essere abbandonati; è da preferirsi l'antica spiegazione da '''e-ed- o '~e-od- (26) . Le formazioni latine trovano immediate corrispondenze nel germ. anche con radici che iniziano per consonante; cf. clepit /regimus sedimus venimus con il got. hlefum brekum setum qemum. Contro questi evidenti confronti viene spesso obiettato che in germ. il grado allungato si presenta solo al pl., al sg. invece sarebbe stato consueto il grado normale con timbro o ie., cf. hla/ brak sat qam. Contro ciò, si è fatto giustamente notare che et in got. /ret e set in aat. gi-saaz (catechismo di Weissenburg) mostravano, in accordo con il latino, il grado allungato anche al sg., cosicché nella 5• classe il grado o fu introdotto solo analogicamente (27) . Poiché nel tipo di flessione scr. 3. sasada l 4. sedima, la l. pl. è sicuramente sorta dalla forma ie. '''se-sd-, che ha regolarmente il grado zero, si è indotti a ricondurre il tipo ,., sed- con suono iniziale consonantico a un esito del genere del suono ie., cioè a '~se-zd-> -~'sed-, benché le condizioni non siano chiare (28).
d) Il perfetto designava originariamente uno stato nel presente risultante da un'azione passata; cf. ie. *woida "ho trovato ed ora ho, so" (28a), lat. (g)novz "ho conosciuto ed ora so", gr. tÉ-&v'Y]XE "è morto", EO't'YJXE "ha preso il posto ed ora sta" . Ciò spiega anche i preterito-presenti germanici. Presto però il perfetto venne usato non solo intransitivamente ma anche transitivamente per una azione i cui 338
effetti perduravano sul soggetto: f...ayxavw "ricevo in sorte" f...éf...oyxa "ho ricevuto in sorte, sono in possesso", naturalmente anche in trasformazioni passive: yoiiva f...éf...uv·taL "le ginocchia sono sciolte, indebolite". Solo dopo Omero il perfetto designa un'azione perdurante nell'oggetto fino al presente (per/etto risultativo): 6éùwxE "egli ha dato", tEtlf.tl'JXE "ha onorato". Questo perfetto si sviluppa poi (nel III sec. a.C.) in un tempo narrativo: :n:É
formazione del perfetto nell'ie., Ricerche Linguistiche l, 1950, 93-131; K.H. Schmidt, Das Perfekt in idg. Sprachen, Glotta 42, 1964, 1-18; K. Hoffmann, MSS 28, 1970, 39-41. - (2) Thurneysen, GOl 433. - (3) Pisani, KZ 60, 1933, 221 s.; Belardi, op. cit., 101; Neu, IF 72, 1968, 225. - (4) Chantraine, Histoire du parfait grec, 1927, 21 s. - (5) V. anche Bader (sopra, 2.3 .) 97 nota 36. - (6) Vaillant, Le parfait ie. en baltoslave, BSL 57, 1962, 52-6; id., Gram. comp. III 76, 448.- (7) Aitzetmi.iller, Slawistische Studien zum 5. Kongress, 1963, 209 s. - (7a) Leumann, Festschrift Kuiper, 1968, 54. Sulla differenza nel raddoppiamento di :n:Én:tY]xa: emmxa v. Gunnarsson, NTS 24, 1971, 81, e (contra) Kury339
towicz, BSL 68, 1973, 95. - (8) Un po' diversamente Brugmann, op. cit., 25, 441, 454; Benveniste, Symbolae Kurytowicz, 1965, 25 s.; Strunk, KZ 86, 1972, 21-27; Bammesberger, GL 21, 1982, 23 1-235. - (9) Schwyzer 648; cf. anche Kurytowicz, Apophonie 342 s.; Benveniste, l. cit.; Lindeman, NTS 23, 1969, 20; ma v. anche Kurytowicz, IG 312 s.- (10) Con le laringali opera Benveniste, Archivum Linguisticum l, 194 9, 17. - (11) Wackernagel, Kleine Schriften 901. Diversamente Schwyzer 766, in partic. nota 8; Kurytowicz, v. sopra, 4.1.2. (3) . V. ora anche Beekes, Laryngeals, 113 s.; Ruijgh, Mél. Chantraine, 1972, 211 s.; Szemerényi, Minos 12, 1972, 309 s.; Kurytowicz, Metrik und Sprachgeschichte, 1975, 20; Schmeja, Studies Palmer, 1976, 353 s.; Lindeman, The triple representation of Schwa in Greek, 1982, 59. - (Ila) Su questo problema, assai controverso, v. adesso ancora K. Hoffmann, Aufsiitze 539; Bader, BSL 64, 1970, 57-100; Meid, Das germ. Praet., 1971, 53 s., 68 s., 78; Kammenhuber, KZ 94, 1980, 36. - (12) Szemerényi, The PPA in Mycenaean and IE, SMEA 2, 1967, 25. - (13) V. sopra, VI.2.7.5 . e Syncope 209, 229 s. - (14) MacDonell, Vedic Grammar, 1910, 353; WackernagelDebrunner, Ai. Gr. II 2, 1954, 910; cf. anche Thumb-Hauschild I 2, 277; Leumann, l. cit. - (15) Cf. Prokosch 176 s.; Hirt, Urgerm. Gram. II, 1932, 142 s.; SGGJ, sopra, 4.1.5 . (11) , 248 s., come anche Kurytowicz, Apophonie 312 nota.- (15a) Kurytowicz, BPTJ 10, 1950, 29-31; Bech, Das germ. reduplizierte Priiteritum, 1969; Meid, Das germ. Praet., 1971, 53; Hofler, FoL 4, 1971, 110-120; Kurytowicz, Metrik und Sprachgeschichte, 1975, 155 s. - (16) Cf. Meillet, Introduction 206; Kurytowicz, Categories 70 s.; Bader, op. cit., 98; ma anche Belardi, op. cit., 95; Brock, RHA 75, 1964, 149 s.- (17) Lejeune, Festschrift Sommer, 1955, 145-153. - (18) Vaillant, BSL 57, 1962, 53; id., Gram. comp. III 77. Sul mutamento apofonico v. sopra, VI.3., e Kurytowicz, Categories 70. (19) Cf. MacDonell, op. cit. , 353 s., 356. - (19a) Per la prima volta sicuramente da Saussure, Mémoire, 1878, 72 s., 194 s. Un sistema più complicato (e singolare) con e nella 3. pl., o nella 2. 3. sg., e grado 0 nella l. sg. è supposto da G. Schmidt, KZ 85, 1972, 249 s., 254 s., 263 s. - (20) Così dapprima Kurytowicz, Prace filologiczne 11, 1927, 206 s., e ultimamente ancora Mayrhofer, Sanskrit-Grammatik, 1965 2 , 18; Sprache 10, 1965, 178; Insler, IF 73, 1969, 332.- (21) Vedi Kurytowicz, BSL 45, 1949, 57-60; Apophonie 321 s., 332 (causativi) e in partic. 337. Questa concezione è sostenuta da Pisani già dagli anni trenta, cf. Rendiconti Lincei VI/X, 1934, 401-3; AGI 34, 1942, 21; Pisani-Pokorny, Allgem. und vergl. Sprachwissenschaft, 1953, 48. - (22) Cf: anche Belardi, op. cit., 95 s.; Thumb-Hauschild I 2, 278. Cf. anche Kurytowicz, IG 288. -
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(23) Cf. Schwyzer I 770, 7034.- (24) Vaillant, ll. cit. Diversamente Kurytowicz, Apophonie 306 s. - (25) Benveniste, Archivum Linguisticum l, 1949, 16 s. Cf. anche Cowgill, Language 30, 1960, 491 s., come pure Makajev, Linguistics 10, 1964, 42 nota; Polomé, Proceedings of the 9th Congress (1962), 1964, 873; Lindeman, IF 72, 1968, 275 s.; NTS 22, 1968, 76; Bader, BSL 63, 1969, 160 s. - (26) Per esempio Leumann2 589 s. - (27) Fourquet, Festgabe Hammerich, 1962, 61-8; Makajev, op. cit., 41 nonostante Polomé, l. cit. - (28) Kurytowicz, Categories 71. Sui perfetti celtici con grado allungato v. Meid, in: Indogermanisch u. Keltisch, 1977, 124 s. L'ittito conosce un'apofonia aie (p. es. sak-lsek- "sapere") che viene confrontata dalla Kammenhuber, KZ 94, 1980, 36, con quella germanica in a/e. - (28a) Così anche Oertel, KZ 63, 1936, 260 s.; Schwyzer-Debrunner, GG II, 1950, 263; Seebold, Sprache 19, 1973, 2038, 158-179, in partic. 176. Diversamente- da wid- "scorgersi" - Leumann, Morphologische Neuerungen im ai. Verbalsystem, 1952, 77; K. Hoffmann, Aufsatze 539; Meid, InLi 4, 1978, 33; Cowgill, in: Hethitisch und Indogermanisch, 1979, 36. - (29) Cf. Wackernagel, Vorlesungen i.iber Syntax I, 19502, 166 s.; Schwyzer I 768, II 263 s., 286 s.; HofmannSzantyr 317 s.; MacDonell, A Vedic grammar for students, 1955, 341 s.; sul perfetto greco: McKay, The use of the Ancient Greek perfect down to the 2nd c. A.D., Bulletin of the Institute of Classica! Studies 12, 1965, 1-21; sul perfetto risultativo: Keil, Glotta 41, 1963, 29-41; Meid, Praeteritum, 1971, 41; Kurytowicz, BPTJ 29, 1972, 24-28. Su perfetto e rapporto coi possessivi, Lohmann, KZ 64, 1937, 42-61; Vendryes, Mél. van Ginneken, 1937, 85 s.; Benveniste, BSL 48, 1952, 52-62; Allen, Language 40, 1964, 3.37-343. Il perfetto caratterizzava in origine stati d'animo e non uno stato risultativo, secondo Perel'muter, VJ 1967 (1), 92-102 (coincide con Schwyzer II 263!).- (30) Gri.inenthal, KZ 63, 1933, 135140, in partic. 136; Kurytowicz, Apophonie 29, Categories 25 s., 56 s. (30a) Su questi problemi v. Meid, Praeteritum, 1971, 34 s.; Berrettoni, L'uso del perfetto nel greco omerico, SSL 12, 1972, 25-170 (conclusione 150) . - (31) Bibliografia in Lindeman, IF 71, 1967, 280 nota 11; NTS 22, 1968, 67; Wagner, TPS 1969, 218 s.; Watkins, Verb 151; Meid, Praeteritum, 1971, 81, 131; Wyatt, Lg. 48, 1972, 691; Parlangèli, RIL 106, 1972, 234-241; J. Gonzalez Fernandez, El perfecto latino en 1-ut/, Sevilla 1974; Bammesberger, Lg. 50, 1974, 689 s.; Markey, JIES 7, 1979, 65-75; Kratylos 27, 1983, 134-136. Assai improbabile Schmitt-Brandt 123. - (32) Cf. Kronasser, Archiv Orientalni 25, 1957, 518 s.; Pisani, Kratylos 3, 1958, 19; Lazzeroni, Annali della Scuola Normale di Pisa 29, 1960, 120 s. (tutti favorevoli ad un collegamento - tramite imprestito? -
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con il preterito anatolico in -ha); Markey, IF 85, 1981, 279-297. Sul perfetto aspirato del greco v. ora Christol, BSL 67, 1973, 69 s. - (33) Recenti tentativi: Watkins, Ériu 19, 1962, 45; Kurytowicz, Categories 126 s.; Polomé, op. cit., 878; Hiersche, Zeitschrift fiir deutsche Philologie 87, 1968, 391-404 (su Wisniewski, Hammerich, Bech); Knapp, Festschrift Hofler, 1968, 301-314; Ball, TPS 1968, 162-188; Meid, Praeteritum 107117; Bech, Idg. Verbalmorphologie, 1972, 68 s.; Migacev, VJ 1972(4), 80-89; G. Schmidt, KZ 90, 1977, 262-270; Birkhan, Das Zipfsche Gesetz, Wien (Acad.), 1979, 55-80; Pohl, in: Fs. H. Vernay, 1979, 354-358; Hollifield, Sprache 26, 1980, 1.50, 160 s.; Kortlandt, IF 86, 1982, 128; Feuillet, BSL 76, 1982, 216-217; Li.ihr, in: Das Germanische ... [v. sopra, 4.1.1. (3)], 1984, 41-51.- Per la storia della ricerca v. Tops, The origin of the Germanic dental preterit: a criticai research history since 1912 (Cornell Univ., 1972).
4. Aumento, polimor/ismo, suppletivismo, sistema, aspetto. 4.4.1. Nella parte sud-orientale del territorio indeuropeo troviamo caratterizzati da un tratto supplementare non solo l'aoristo, ma anche certe formazioni dal tema del presente e da quello del perfetto, che, come l'aoristo, non aggiungono le desinenze primarie. Questo elemento, chiamato aumento, ci è ben noto soprattutto dal greco e dall'aria, dove anche le formazioni dal tema del presente e del perfetto caratterizzate dall'aumento, rispettivamente l'imperfetto e il piuccheper/etto, si vedono chiaramente attribuite un posto a sé all'interno del sistema. a) L'aumento (l) delle forme verbali con iniziale consonantica è e-,
(aumento sillabico). Con iniziale vocalica questa e- si contrae con la vocale iniziale già in epoca ie. (la), e da ciò nascono le lunghe corrispondenti al suono iniziale (aumento temporale), quindi e+e=e, e+ o= o, e+a=a. Cf. il gr. E-cpEQE-ç = scr. a-bhara-s "portasti", ie. '''ebheres; gr. ~a = scr. asam "ero", ie. '''esn; da ''' e-es-rr;; gr. Ò.yEç (attico ~yEç) = scr. ajas "conducesti", ie. ~'ages da ,·,e-ag-e-s. Al di fuori del gr. e dell'aria si trovano resti dell'uso dell'aumento in frigio: EÙaEç "statuit" (cf. itt. dais "egli pose"), e in modo particolarmente interessante nell'armeno (2): l'aumento è mantenuto nella
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J: sg. dell'aoristo, ma solo quando un verbo iniziante per consonante senza di esso sarebbe monosillabico, cfr. l. beri, 2. berer, 3. eber da '~ebheret, oppure l. lkhi, 2. lkher, 3. elikh "lasciò" da ~' elikwet = gr. Ef.,LJtE.
Questa regola è una conseguenza della nota tendenza a non lasciar cadere il corpo della parola sotto un certo minimo di estensione ed è osservata fra l'altro anche in greco: tralasciare l'aumento non è permesso quando con ciò si avrebbe una breve monosillabica; m:fj yvw sono concesse, ma solo EX'ta EOXE non *x"ta *oxE (3 ). Nelle prime attestazioni del greco e dell'aria, tutte in poesia, l'uso dell'aumento è facoltativo; al contrario il suo uso è obbligatorio fin dall'inizio nelle attestazioni in prosa. Da ciò e dalla diffusione geografica si trae abitualmente la conclusione che l'aumento all'interno dell'ie. fu un'innovazione di una zona limitata che non si era ancora affatto consolidata (4). In linea di principio, la sua assenza in altre lingue potrebbe naturalmente essere stata «causata da una perdita successiva» (5); sarebbe comunque ben accolta la dimostrazione che sia possibile allargare l'antica regione dell'aumento, come quando di recente se ne è postulata per lo slavo l'esistenza in passato sulla base di certe particolarità dell'accento dell'aoristo (6). Anche in ittito si era preteso di rinvenire una traccia dell'aumento (6a) . I documenti micenei, per i quali l'aumento è ignoto tranne che per una sola forma (7), da una parte sembrano parlare a favore di un suo uso facoltativo, ma dall'altra ci pongono di fronte a un dilemma, poiché l'aumento temporale attestato in epoca storica presuppone una contrazione premicenea di e+e in e (8). D 'altro canto per l'uso e il nonuso dell'aumento è stata data recentemente una spiegazione linguistica: le forme con aumento sarebbero diverse da quelle senza aumento dal punto di vista funzionale, per la precisione nel modo seguente: la funzione dell'indicativo con aumento sarebbe quella di «narrare» e la funzione dell'ingiuntivo senza aumento sarebbe quella di «menzionare» (9) . Che l'aumento originariamente fos se una parola a sé stante, probabilmente un avverbio, risulta fra l'altro anche dal fatto che esso ha l'accento e con ciò il verbo viene trattato come un'enclitica; il suo significato era all'incirca "veramente" (10), oppure "prima, un tempo" (11), oppure locale "là" (lla); non era comunque una parti343
cella connettiva della frase (12). Accanto alla e- appare come aumento sillabico, in particolare prima di sonanti, anche e-, cf. scr. ayunak ayukta da yuj- "aggiogare", arù:tak da ric- "liberare", gr. ~- pdù'l'] "sapeva" da poiùa (12a). Si potrebbe in tali casi postulare una laringale iniziale (13), ma i casi sono pochi e si può piuttosto rinviare alla sillaba di raddoppiamento con e/e o ad alternanze come ne/ne, pro/ pro (14). La tendenza generale in epoca storica è quella di abbandonare l'aumento. Tanto più meritevole di nota è il fatto che esso vive ancora oggi in due punti del suo territorio passato: in greco e yaghnobi, ultimo arrivato della lingua iraniano-orientale dei sogdiani: cf. gr. mod. ecpuya "io fuggii" e yaghnobi akunim "feci", asdvim "andai". b) L'aumento contraddistingue l'indicativo dei tempi passati, cioè l'aoristo, l'imperfetto e il piuccheperfetto. L'imperfetto è il tema del presente fornito di aumento e desinenze secondarie; si oppone dunque al presente, che è caratterizzato dalle desinenze primarie, cf. ''' ébheret: '~bhéreti, in gr. EqJE{:_u::: qJÉQEl, scr. étbharat: bharati. L'imperfetto è a prima vista limitato alla stessa parte del territorio ie. in cui troviamo l'aumento. L'imperfetto lat. in -ba- è in ogni caso un'innovazione recente (14a). Ma l'aoristo dell'asl. sembra aver accolto molti antichi imperfetti: la 2. e 3. sg. dell'aoristo in verbi tematici, p. es. vede accanto a l. sg. vesu "condussi" e in verbi in -n p come m in p "passare", 2. e 3. sg. aor. min p, si rifanno sicuramente a imperfetti ie. come -:'wedhesl"wedhet e '''-neu-sl-t (15), come anche l'aoristo armeno eber continua una forma di imperfetto ;,ebheret, che in nessun caso potrebbe essere un aoristo; recentemente anche l'imperfetto airl. e il preterito baltico in -e- sono stati ricondotti a questo imperfetto ie. (16) . Il piuccheper/etto (17) sembra essere una creazione assai più recente, ma poiché il perfetto - un presente - è antico, il suo tempo passato deve essere almeno altrettanto vecchio quanto l'imperfetto. · In gr. è assai diffuso accanto a otùa il preterito ~fELÙ'I']- (2. sg. ~ELÙ'I']ç, 3. sg. ~EtÙ'I'] con varianti), la cui -'1']- compare anche nel futuro dù~aw. Per un confronto si offre nello slavo il tema d'aoristo ved-ee inf. vedeti, che provano una forma del passato in -e- dal perfetto vede "io so" (18); il tentativo di mettere insieme f\ùw col lat. vzde-
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ram (19), in cui -E(o)a dovrebbe corrispondere a lat. -eram in base a un '''-es- ie., fallisce in quanto la forma greca si rifà a una -e- che appare volentieri anche in altri verbi, in particolare al participio, cf. XEXUQ1']6-ta .
Un tipo più antico nel quale le DS si univano semplicemente al tema è rimasto nelle forme duali e plurali (17), cf. lllO'tlJV "i due sapevano", EO'taoav "essi stavano", ÈJtÉJtt'fr[!EV "noi confidavamo" ecc. Questa formazione ha corrispondenze anche in scr., p. es. a-bibhe-t "aveva paura", ajiigar "era sveglio", avedam "io sapevo" accanto ai perfetti presenti bibhiiya, jiigiira, veda (20). (l) Schwyzer I 650 s., Meillet, Introduction 242; Chantraine, Morph. 309 s. ; Kurytowicz, Categories 131; L. Bottin, L'aumento in Omero, SMEA 10, 1969, 69-145; Wright, BSOAS 33, 1970, 187, 199. - (la) Ma non con vocali alte: in un numero di casi sono da restituire forme come a-icchas (RV 10, 108, 5), cf. Gonda, Old Indian, 1971, 9 nota. - (2) Cf. Meillet, Esquisse d'une grammaire comparée de l'arménien classique, 19362 , 123 s. - (3) Cf. Schwyzer 651.- (4) Schwyzer I 56. Cf. Wackernagel, Philologus 95, 1942, l s.; Pisani, AGI 51, 1967, 110 s.; Ambrosini, Studi e saggi linguistici 2, 1962, 66 s.; Blumenthal, IF 79, 1975, 67-77 (con il commento di Lehmann, SLang 3, 1979, 86); Lazzeroni SSL 17, 1977, 29 s.- (5) Porzig, Gliederung 87. - (6) Vaillant, Gram. comp. III 17, 551; contra: Durante, Sulla preistoria della tradizione poetica greca II, Roma 1976, 24 n. 25. Per illituano v. '"Hamp, Baltistica 12, 1976, 25 s.- (6a) V. Eichner, 5. Fachtagung, 1975, 78 (: esun "ero" <'"e-Hes-rr;) . - (7) Su ciò ora Duhoux, Minos 9, 1968, 92. - (8) Szemerényi, Atti e memorie del l. Congresso di micenologia II, 1969, 724. - (9) R. Schmitt, KZ 81, 1967, 65-7, seguendo Hoffmann, Injunktiv 145 s., contrario Ferrari, SSL 9, 1969, 231 s.- Su un'altra possibilità della perdita d'aumento v. Kiparsky, sopra 3.1.5. (9), 39.- (10) V. Schwyzer, GG I 652; Cowgill, in: Universals of language, 1963, 108 s. - (11) Brugmann, op. cit., II 3, 11, e ultimamente di nuovo Erhart, Sbornik . Brno A/14, 1966, 17; v. anche Kiparsky, op. cit., 45. - (11a) E. Herrmann, GGN 1943, 638. (12) Così Watkins, Celtica 6, 1963, 15 : e- = luvio a "e"; Bader, BSL 68, 1973, 60 s.; contrario Friedrich, Heth. Wb. Suppl. 3, 49. Cf. anche Ivanov, Obsceind. 245 s., e in: Slavjanskoje Jazykoznanije, 1968, 230 nota 20; e del tutto diversam. Ambrosini, op. cit., 63. - (12a) Debrunner, Das Augment e-, Fs. Fr. Zucker, 1954, 85 s. ; Wyatt, The Greek prothetic vowel, 1972, 74-79.- (13) Vedi Kurytowicz, Études 31, Apophonie 268,
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339; Lehmann, PIE Phonology 77, ma anche Cowgill, in: Evidence 163, 169. Il tremendo articolo di J. Daugman, Long vowel augments in Sanskrit and Greek, Linguistics 35, 1968, 7-27, non avrebbe mai dovuto essere stampato. - (14) Brugmann, l. cit.; Schwyzer 653. - (14a) V. Leumann2 579 s. (con bibliografia); Baldi, Lg. 52, 1976, 839-850; G. Schmidt, KZ 90, 1977, 265 s.; Pohl, Fs. Vernay, 1979, 350 [?] ; Pariente, Las formas verbales lat. en -bam, -bo, Univ. Barcelona, Anuario de filosofia 5, 1979, 19-71; Rix, in: Le lingue ie. di frammentaria attestazione, Pisa 1983, 101. - (15) Vaillant, Gram. comp. III 51, 54, 230. - (16) Kurytowicz, Categories 135; Schmalstieg, AION-L 6, 1965, 123; Barton, IF 85, 1981, 246278. - (17) Schwyzer 776; Kurytowicz, Categories 91; Berg, Ursprung des agr. aktiven Plusquamperfekts, NTS 31, 1977, 205-263. - (18) Vaillant, BSL 57, 1962, 52; Gram. 47, 77, 452. - (19) Pedersen, Formes sigmatiques du verbe latin, 1921, 15, e ancora Pisani, AGI 41, 1957, 158. Invece riconducono il piuccpf. lat. a -is-a- Leumann2 608 s.; Safarewicz, Eos46, 1954, 100 s.; Kurytowicz, Categories 125; Watkins, in: AIED 43. - (20) Thieme, Das Plupf. im Veda, 1929, 35 s.; Schwyzer 777 s.; Leumann, Morph. Neuerungen 32.
4.4.2. Il verbo ie. poteva mostrare diverse formazioni tanto nel tema del presente quanto anche in quello dell'aoristo. Questo poùmor/ismo è particolarmente sviluppato nell'aria (l) e, in minor misura, nel greco (2). Cf. p. es. scr. bharatt' "porta": bi-bhar-ti "porta in giro", ma anche senza variazione del significato sacate e SÌ!fakti "segue", stavate "loda": stumdsi "noi lodiamo", bhayate: bibheti "teme", tudati: tundate "urta", dabhanti: dabhnuvanti "essi ingannano". La radice hii- "chiamare" mostra la massima variabilità: ha 5 diverse formazioni del presente, che naturalmente non si presentano con la stessa frequenza; ordinate a seconda della frequenza esse sono : havate, hvayati, l. sg. huvé, hute juhumas(z). Altrettanto ricche sono le formazioni aoristiche della radice budh- "svegliarsi": budhanta, pass. abodhi, abubudhat, abhutsi, b6dhzjat. Casi ben noti in greco sono: nvv'l'tavo11-m - :rtEtl'fro!lm "conosco", À:tWw - ì...av'l'tavw "sono nascosto", !!Évw: !lL!lVW "aspetto" e un caso estremo: XEQUVV'll!ll, XLQVr]!ll, XlQVaw, XEQULW, xEgaw "mescolo". Non appartiene a questo ambito di problemi la tendenza, riscontrabile ovunque, a sostituire antiche formazioni atematiche con formazioni tematiche, solo in baltico il tipo antico ha vissuto ancora una tarda fioritura (3), sebbene
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oggi sia tramontato; cosi da ie. atematico "'sti-sta-mi, che è conservato in LO't'l']!!L greco, è sorto in latino il tematico sisto, e in scr. tz#hami, parimenti tema ti co; all'atematico scr. marj-mi "io sfrego" corrisponde in gr. il tematico à~-téì...yw "mungere" ecc. Per i diversi tipi di formazione del presente parrebbe naturale pensare che ognuno di essi portasse con sé una particolare sfumatura di significato; cosi nelle formazioni raddoppiate si è evinto un «aspect déterminé» (4), nelle formazioni in -sk- probabilmente vi è un significato di base iterativo-durativo (5), ecc. Recentemente però è stato fatto a ragione notare (6) che questa concezione sarebbe giustificata solo se tutte queste formazioni fossero state presenti e produttive nello stesso sistema sincronico, ciò che tuttavia non è, come si può dimostrare. Così il suffisso -ye-1-yo- (sopra, 4.1.5.), che dovunque in epoca storica presenta una tendenza ad essere sempre più produttivo, è giunto sicuramente tardi a questo ricco sviluppo. È · molto più importante il fatto che tutte le formazioni secondarie del presente, fornendo sempre nuove formazioni durative, servivano ad aumentarne la riserva, che era sempre decrescente. In questo processo la normale evoluzione consisterebbe nel passare da un verbo-base, attraverso un nome deverbale, a sviluppare un verbo (denominativo) tratto da questo, che poi verrebbe posto in rapporto col verbo-base e reinterpretato come derivato da esso: p. es. verbobase
nome deverbale
verbo denom .
verbo deverbale
''wegheti
*wogho"conducente"
''woghe-yeda *wogho-
*wogh-eyeda ''wegheti
"vehit"
A partire da questo punto di vista si dimostra priva di interesse la domanda se p. es . il lat. do vada ricondotto all'ie. '''di-do-mi, e quindi al modo di formazione attestato in gr., aria e italico o piuttosto a '''do-mi presente nel balto-slavo (7): ambedue le formazioni erano un tempo presenti in ie.; lo stesso vale anche per il germ. occidentale "'don "fare", modificazione di ie. '"dhe-mi e ie. '''dhi-dhe-mi in gr. •C1hJ~-tt. La formazione raddoppiata in questi casi era la variante iterativa che non di rado ha soppiantato il verbo-base e lo ha lasciato sopravvivere solo come aoristo, cf. scr. dadami "dò": adam "io diedi". 347
Nell'aoristo il polimorfismo è parimenti un fatto ben noto nelle fasi tarde dell'ie. per quanto riguarda la coesistenza di formazioni asigmatiche e sigmatiche. Anche qui in fin dei conti si tratta della coesistenza di diversi temi di presente, uno dei quali fu spinto alla funzione meramente aoristica (8). Ma dal punto di vista funzionale non si può dimostrare alcuna differenza fra i due tipi principali. (l) Su ciò v. Vekerdi, On polymorphic presents in the Rgveda, Acta Orientalia Acad. Hungar. 12, 1961, 249-287 ; Jelizarenkova, Significato dei temi di presente nel Rigreda (in russo), in: Jazyki Indii, Mosca 1961, 91-165; U. Joachim, Mehrfachpriisentien im Rgveda, Frankfurt/ M. 1978. - (2) In proposito la dissertazione londinese o del mio allievo O . I\ujore; Greek polymorphic presents, Amsterdam 1973. - (3) Stang, Vgl. Gram. 310. - (4) V. sopra, 4.1.2 . (4) . - (5) Sopra, 4.1.4. (8).- (6) V. in partic. Velten, Studien zu einer hist. Tempustheorie des Idg., KZ 60, 1933, 185 s.; Kurytowicz, Apophonie 32; Categories 105, 109. - (7) Szemerényi, Zwei Fragen des urslavischen Verbums, Études Slaves et Roumaines (Budapest) l, 1948, 7 s.; Kurytowicz, Slavic dam'i, To honor R. Jakobson 2, 1967, 1127-31; non così Otrl'!bski, Lingua Posnaniensis 9, 1963, 24; Georgiev, Kratylos 10, 1967, 216; Tedesco, Lg. 44, 1968, 11.- (8) Vedi IX.4.2.1. (19) .
4.4.3. L'associazione, presente nel nome e soprattutto nell'aggettivo, di diverse formazioni tematiche in un unico paradigma, che è nota come suppletivismo (v. sopra, VII.8.9.), può essere osservata anche nel verbo. Come noto, il perf. del verbo lat. /ero suona non "~'/e/erz o '''/eruz, ma, da un tema del tutto diverso, tulz, alat. tetulz; nello stesso verbo l' agg. verbale viene inoltre formato non come '''/ertus, ma da quello che sincronicamente appare come un terzo tema : lii-tus, benché diacronicamente si possa stabilire che esso è sorto da ,.,tliitos ed è quindi connesso con tulz. In greco temi che non hanno etimologicamente a che fare l'uno con l'altro, formano un paradigma unitario per "vedere" : 6gw- èhjJ0!-1-aL- dùov, per "dire": Ì..Éyw- ÈQW - d:rtov, per "andare": EQX0!-1-aL- d!-1-L- ~ì..l'tov, ecc. Ci si imbatte spesso nell'opinione che il suppletivismo sia qualcosa di primitivo. Questo è contraddetto già solo dal fatto che ne esistono dei casi abbastanza recenti, p. es . l'inglese went solo dal XV sec. è il preterito di go . Un bell'esempio è anche fornito dall'innovazione 348
post-latina in italiano vado/andiamo, e francese je vaz's/nous allons. È evidente che il suppletivismo non è che uno degli aspetti del processo di rinnovamento senza fine che costituisce la vita della lingua, cui sono esposti in modo particolare gli elementi di uso frequente, facciano essi parte del vocabolario o del sistema grammaticale (1). Si sente spesso affermare che certi temi verbali ~vrebbero un certo significato che ne renderebbe impossibile la presenza all'interno di determinate categorie formali. Così il significato ·del tema verbale '''do- sarebbe stato puntuale e perciò un presente '~do-ti sarebbe stato impossibile (2) . D'altra parte la radice ''' bher- non avrebbe dovuto formare in ie. né un aoristo né un perfetto; è per questo che le forme corrispondenti sarebbero in gr. ijvEyxov, Èv~voxa, in airl. rout'c, in lat. tetult (3); è però un fatto che l' airl. da questo tema forma l'aoristo: birt "portò" e che in scr. esistono già dall'epoca vedica l'aoristo radicale (precativo bhriyasam, imperativo bhrtam), l'aoristo in -s- abhar~am e l'aoristo in -i~-abhari~am. Parimenti dovrebbe essere impossibile la formazione da questa radice dell'aggettivo verbale per corroborare questo assunto ci si richiama a lat. latus e gr. oto,;6ç - ma esiste in vedico bhrta-, e l'airl. brithe rappresenta un · ampliamento da quest'ultima forma, mentre la forma originaria vi è mantenuta nella funzione del preterito passivo. È chiaramente impossibile dedurre limitazioni di contenuto di certe radici verbali dall'esistenza di un suppletivismo (4) . (l) V. Manczak (86 s.), Strunk (12 s.) (citati sopra, VII.8.9.); Ivanov, Glagol 177 s. - (2) Ultimamente Tedesco, sopra, 4.4.2. (7). - (3) Per esempio Pokorny, Idg. etym. Wb. 128; Meillet, Festschrift Kretschmer, 1926, 140-1; Watkins, Ériu 21, 1969, 7. - (4) Anche Dressler, KZ 85, 1971, 14 scorge qui una confusione delle concezioni.
4.4.4. Dalla trattazione che precede si ricava, per il sistema delle tarde fasi dell'ie., una opposizione tra attivo e medio-passivo, all'interno dei quali si ha un'opposizione tra presente e aoristo (1). La prima opposizione poggiava sulla forma delle desinenze personali, p. es. *bhereti "porta": *bheretoi "viene portato, porta per sé", e la seconda lo era in primo luogo sulla forma del tema e solo in via complementare sulle desinenze e, ove possibile, sull'aumento, cf. 349
''' bhéugeti "evita, fugge": ''' (é)bhugét "fuggì" (gr.
350
fatto possono trovare una semplice spiegazione immaginando che il congiuntivo dell'aoristo sigmatico sia stato formato in un'epoca in cui l'aoristo in -5- era ancora semplicemente il preterito di un presente in -5- e il congiuntivo in -5- era un congiuntivo presente. Poiché il relativo presente in -5- è andato perduto come categoria, il congiuntivo in -5- fu correlato all'aoristo sigmatico e in base a questo rapporto con l'indicativo anche all'aoristo asigmatico fu associato un nuovo congiuntivo con tema conformato a quello dell'indicativo, sebbene il congiuntivo richiesto dal sistema in realtà esistesse già nel congiuntivo presente. Il particolare comportamento semantico del congiuntivo aoristo non è dunque la conseguenza di un particolare aspetto semantico dell'aoristo, ma un'eredità quasi immutata di un tempo passato; ciò che è mutato è solo l'indicativo aoristo, per la precisione per via della scomparsa del presente ad esso corrispondente. Ne consegue che l'aoristo doveva o per lo meno poteva avere anche un ottativo e un imperativo, comunque senza alcun riferimento al passato. In linea di principio ciò è vero anche per il perfetto, solo che nella descrizione di uno stato i modi originariamente non potevano avere senso alcuno. Con lo sviluppo di perfetti che indicavano un' «azione», furono invece possibili anche i modi: lat. memento da '''me-m1}-tod sull'indicativo i'me-mon-a(t) o perfino il scr. ott. ba-bhuya-5 "sia". L'evoluzione di questa parte del sistema può essere illustrata, per l'attivo, nel modo seguente:
I.
Formazioni del presente senza -s-
Pres. ind. Pret. ind. Pres. cong.
bhéug-e-ti bhug-é-t bhéug-e-ti
Formazioni in -syeug-s-ti yeug-s-t yeug-s-e-ti
yuneg-ti yuneg-t yuneg-e-ti
II. Pres. ind. Impf. ind. Pres. cong. Aor. ind. Aor. cong.
bhéug-e-ti bhéug-e-t bhéug-e-ti bhug-é-t bhug-e-ti
yuneg-ti yuneg-t yuneg-e-ti yeug-s-t yeug-s-e-ti
351
Nel periodo I. si contrappongono '''bhéugeti e '''bhugét, e al loro fianco sta il cong. ~'bhéugeti. In quest'epoca si trovano '~yunegti e ~'yeugsti, ciascuno con tre forme sullo stesso piano. Poi questi rapporti si spostano: il presente '''yeugsti viene soppiantato da '''yunegti, mentre il pret. '''yeugst viene correlato al sistema di presente ~'yuneg til-:'yunegt e con ciò anche ~'yeugst viene ad opporsi a '''yunegt: con ciò impf. e aor. sono differenziati.· Altrove viene continuata solo l' opposizione ~'yunegti: '~'yeugst. Se si considerano inoltre il perfetto e, per il sud-est (SE) dell'indeuropeo, anche il futuro, e si ignorano l'ottativo e l'imperativo, si ottiene per le epoche tarde dell'ie. il seguente quadro di insieme: ie. comune Pres. ind. - Pres . cong.
Pret. ind. Fut. ind. (in origine pret. cong.)
ie. del SE Perf. ind. - Perf. cong.
Pres. ind. - Pres. cong. Impf. ind. Aor. ind. - Aor. cong. Fut. ind. (in origine desiderativo)
(l) Per le questioni del sistema vedi v. Velten, Studien zu einer historischen Tempustheorie des Indogermanischen, KZ 60, 1932, 185-211, in partic. 195 s., 198 s., 211; Bader, Parfait et moyen en grec, Mél. Chantraine, 1972, 1-21 (21 diagramma); Eichner, Die Vorgeschichte des hethitischen Verbalsystems, 5. Fachtagung, 1975, 71-103; Meid, Raumliche und zeitliche Gliederung des Indogermanischen, ivi 204-219, in partic. 213 s.; Neu, Rekonstruktion des idg. Verbalsystems, Studies Palmer, 1976, 239-254; Rix, in: Indogermanisch und Keltisch, 1977, 132-158, in partic. 141 s., 155 s.; Meid, in: Hethitisch und Indogermanisch, 1979, 159-176; Schlerath, Ist ein Raum/Zeit-Modell fiir eine rekonstruierte Sprache moglich?, KZ 95, 1981, 175-202, in partic. 183, 187 s.
4.4.5. Aspetto (1). Di regola il verbo di una lingua slava e m realtà una coppia di verbi: due verbi sono necessari per descrivere la stessa azione o lo stesso processo o stato a seconda che l'azione ecc. venga considerata in funzione del suo perdurare o della sua conclusione. "Ieri ho letto un romanzo" suona nell'odierno russo (a) vcera ja cita! roman risp . (b) vcera ja procital roman; (b) comunica che il romanzo è stato letto fino alla fine, (a) il contrario (la). Vengono
352
perciò distinti due vidy, oggi erroneamente resi nelle lingue occidentali come aspetti, sebbene in origine si intendessero due specie, due maniere, due classi (2); sono l'aspetto compiuto, vid soversénnyj, sopra: (b), e l'aspetto incompiuto, vid neosoversénnyj, sopra: (a), che comunemente si chiamano anche aspetti (o «Aktionsarten») per/ettivi rispettivamente imperfettivi. Un'ulteriore particolarità del sistema russo è che il presente di un verbo perfettivo, in quanto accentua la conclusione, non può essere un vero presente, è un .futuro; "io scriverò" si dice ja na-pzHt se si tiene d'occhio la fine dello scrivere, p . es. la fine della stesura di una lettera, ma ;a budu pisa t', se si deve solo dire di che cosa mi occuperò. Di questi fatti, osservati in ceco già nel 1603, in polacco nel 1778, ma in russo solo nel 1805, venne a conoscenza poco dopo il 1850, grazie alle opere di studiosi boemi, anche G. Curtius che li scoprl anche in greco, in particolare nell'opposizione tra imperfetto e aoristo (3). Più tardi gli aspetti furono scoperti in quasi tutte le lingue ie. e ipotizzati per lo stesso ie. Non è tuttavia difficile vedere (4) come ciò rappresenti un'ingiustificata trasposizione di una situazione presente nelle lingue slave. Non c'è nulla in greco o in qualunque antica lingua ie. che si possa confrontare col rigoroso dualismo del verbo slavo (4a). Se aggiungiamo inoltre che il sistema slavo non è ereditario, ma al contrario non si è ancora completamente formato all'inizio della tradizione (4b), non possiamo che stupirei del fatto che l'idea di un sistema di aspetto ie. (5) potesse sorgere ed essere accolta. Il «sistema» ie. diventa completamente incomprensibile se si accettano le affermazioni che «l'aspetto esi~ t eva solo nella fase iniziale dell'ie.» e che «l'aspetto» aveva «ancora poco spazio», ma contemporaneamente si sostiene che «nelle più antiche fasi dell'ie. non vi era ancora una categoria grammaticale di tempo compiutamente formata» : poiché «un popolo e una lingua che sono immersi nel loro presente non hanno bisogno di esprimerla per mezzo di particolari forme verbali» (6). Dunque il verbo ie. non avrà conosciuto né l'aspetto né il tempo? Deve pur aver posseduto uno dei due. Poiché dunque l'aspetto, nel senso in cui questa categoria esiste nello slavo e da lì è stata introdotta nello studio di tutte le lingue ie., è sorto nello slavo stesso come un'innovazione di una singola lingua, 353
non può essere es1st1to nell'ie. (7) . Ciò porta però necessariamente alla conclusione finale che allora il tempo oltre al modo era la categoria che caratterizzava principalmente il verbo ie. Ciò concorda con il risultato dell'indagine formale (v. sopra, 4.4.4.) secondo la quale ciò che era essenziale nell'indicativo ie. era la differenza fra presente e passato, ai quali più tardi si aggiunse anche il futuro (8) . La differenza fra azione e stato, cioè fra presente e «perfetto» non era né di tempo né di aspetto, v. inoltre più avanti, 7.3. (9), (10) . (l) Come introduzione alla sterminata letteratura e in parte alla problematica può servire Schwyzer II 246 s. Della letteratura più recente ricordo: W . Pollak, Studien zum Verbalaspekt im Franzi:isischen, 1960, 47 s.; Pisani, Glottologia indeuropea, 196P, 262 n. (Bibliografia!); Gonda, The aspectual function of the ~edic present and aorist, L'Aia 1962; Safarewicz, Symbolae Kurytowi~z, 1965, 246-254; Ki:illn, Aspekt und Diathese im Slavischen, Scando-Slavica 12, 1966, 57-79; Vaillant, Gram. comp . III 460 s.; Panzer, Die Begriffe "Aktualitat" und "Nichtaktualitat" in der Aspekt- und Tempustheorie des Slavischen, Dankesgabe an E. Koschmieder, 1967, 68-81 (Bibl.!); Haltof, Die Aspekte d es modernen Russischen, Zeitschrift fi.ir Slawistik 12, 1967, 735-43; Coseriu, El aspecto verbal perifnistico en griego antigua, in: III Congresso esp . de estudios clasicos III, 1968, 93 -116; Lyons, Introduction to theoretical linguistics, 1968, 313 s., 397 s.; Dressler, Studien zur verbalen Pluraliùit, 1968, 39 s.; Strunk, Gymnasium 76, 1969, 289-310; Ki:illn, Opposition of voice in Greek, Slavic and Baltic, 1969; Szemerényi, Unorthodox views of tense and aspect, Archivum Linguisticum 17, 1969, 161-71 (Bibl.! in partic. su Galton, MacLennan, Weinrich); R. Martin, Temps et aspect, Paris 1971; Verkuyl, O n the compositional nature of the aspects, Dordrecht 1972; A. Schopf (ed.), Der englische Aspekt, Darmstadt 1974; H .G. Klein, Tempus, Aspekt, Aktionsart, Ti.ibingen 1974; Comrie, Aspect, Cambridge 1976; Galton, The slavic verbal aspect, Skopje 1976; M. Markus, Tempus und Aspekt, Mi.inchen 1977; N.B. Thelin, Towards a theory of aspect ... , Uppsala 1978; C. Fuchs & A.-M. Léonard, Vers une théorie des aspects, Paris 1979; A.L. Lloyd, Anatomy of the verb, Amsterdam 1979; ]. David & R. Martin (edd.), La notion d'aspect, Paris, 1980; G. Serbat (ed.), Le sens du parfait en latin, Paris 1980; P.J. Tedeschi & A. Zaenen (edd.), Tense and aspect, New York 1981; Hopper (ed.), Tense - aspect, Amsterdam 1982; M.S. Ruipérez, Structure du système des aspects et des temps du verbe en grec ancien, Paris 1982 (tradotto dall'originale spagnolo del 1954); Szemerényi, 7. Fachtagung (1983) . - (la)
354
Riguardo all'aspetto in russo v. p . es. J. Forsyth, A grammar of aspectUsage and meaning in the Russian verb, Cambridge 1970 (in partic. 8, 29 s.). - (2) Stabilito da Mazon, v. MacLennan, El problema del aspecto verbal, 1962, 69 n. 42 . - (3) Cf. la descrizione di Schwyzer II 251, in partic. nota l, e 2508 • - (4) Szemerényi, l. cit. - (4a) L'aspetto è oggi contestato per molte lingue nelle quali in precedenza era accettato senza esitazioni, v. Szemerényi, 7. Fachtagung (1983), I B 4. - (4b) V. p. es. Maslov, VJ 1959 (2), 153, e recentemente Szemerényi, op. cit., I B 4. (5) Un sistema ternario (imperfettivo - perfettivo - stativo, l'ultimo al perfetto) viene ammesso da Kurytowicz, Categories 130 s., e Cap. III; Lyons, op. cit., 314.- (6) Citazioni da Schwyzer II 253; per il tempo v. anche Schelesniker, Welt der Slaven 4, 1959, 392: il protoie. non aveva tempi; Kurytowicz, Categories 130. - (7) Szemerényi, l. cit. V. ora anche Niculescu, Ot bezvidovogo jazyka k vidovomu, VJ 1984 (2), 115-121. Contro il sistema a tre membri (imperfettivo-perfettivo-perfetto), sovente accettato, v. G. Bauer, JL 6, 1970, 189-198, in partic. 196 s.; Szemerényi, 7. Fachtagung, I B 1-2 . - (8) V. ora Strunk, IF 73, 1969, 279-311.- (9) Importante è inoltre il fatto che l'aspetto è per molte lingue limitato al passato, diversamente da quanto avviene nello slavo, v. Szemerényi, op. cit., I B 3. - (10) L'opinione, prevalente per un lungo periodo, che l'aspetto sarebbe stato scoperto dagli stoici, è ora definitivamente confutata da Hiersche, KZ 91, 1978, 275 -287.
D. Sintesi: Paradigmi annotati.
5. Ciò che finora è stato elaborato analiticamente può per maggior chiarezza venire rappresentato sinteticamente nella forma di paradigmi ricostruiti. 5 .l. Il verbo ~' es- "essere" può essere quasi completamente ricostruito nel sistema del presente (v. Bader, BSL 71, 1976, 27-111; Ivanov, Glagol 73-92) .
a)
Pres.
scr.
l. 2. 3. 4.
*ésmi *és(s)i *ésti *smés(i)/sm6s(i) *sté(s) *sénti
asmi asi asti smas stha santi
5. 6.
gr.
lat.
d ~-ti
su m ess, es est sumus estis sunt, osco sent
el, d ç, èa a( èmi d~-téç,
èaté dai
ion.
d~-tév
355
N.B. Il princ1p1o costitutivo: grado normale della radice al sing., grado zero negli altri numeri, è stato mantenuto nel modo più evidente in scr. Nella 2. sg. -ss- appare abbreviato in -s-; horn. Èaa( e alat. ess sono restituiti. Sul paradigma lat., v. il mio Syncope, p. 190 s.
b)
l mp f.
scr.
gr.
l. 2. 3.
*esrp *ess *est *es me *este ''esent
asam as, asls as, aslt asma asta asan
~a, att. ~'~v
4. 5. 6.
~a~a dor. ~ç, horn. ~Ev, att. ~v T T]!-lEV ~O'tE , ~'tE dor. ~Ev, horn. att. ~aav
N.B. Il sing. è '''e-es-tr;, ''e-es-s, -:'e-es-t; al pl. ci si aspetterebbe 1'e-sme ecc., ma la forma aumentata del sing. appare anche al pl. Scr. 2. e 3. as sono sorti da 1'as-s '''as-t, perché in fine di parola è ammessa una sola consonante, per lo stesso motivo anche asan da -nt. In gr. la l. sg. ~a è la forma regolare, che contratta divenne ~ e questa con la DS quasi generale -v divenne ~v. La 2. sg. ~afta ha assunto la desinenza del perfetto -fta. Nella 3. sg. il dar. ~ç è la continuazione dell'ie. 1'est (1). Horn. ~Ev, att. ~v sono la 3. pl. (!) che in dorico è mantenuta al suo posto; l'innovazione horn. e att. sorse in frasi in cui la 3. pl. aveva dei neutri pl. come soggetti, v. Schwyzer I 677 6 • Al pl. la l. ~f.lEV ha perso regolarmente -a- davanti a -[.l-, e sulla scia di ~-[.lEV anche la 2. pl. ~-'tE; la 3 . pl. ~oav è stata resa necessaria dallo spostamento dell'originario ~Ev. (l) Tutte le forme dialettali sono ora raccolte da Masson, Étrennes Lejeune, 1978, 123-128.
c)
Cong.
scr.
l.
1
asa-ni asas(i) asat(i) asama asatha asan
2.
3. 4. 5. 6.
356
'es6 *eses(i) *eset(i) *esome *esete *esont
gr.
att.
lat. ero eris erit erimus eritis erunt
EW
<Ìl
enç en
nç
EW~-tEV
Òl~-tEV ~'tE
E'T] 'tE EWOL
1Ì ili m
N.B. V. sopra, 3.1.1.- Nell'itt. asalluleslit "sim" Eichner, 5. Fachtagung, 1975, 80 s., ha creduto di riconoscere ie. ~'H 1 esoH2 ; contra: Neu, Studies Palmer, 1976, 245 n. 23; Meid, in: Hethitisch und Indogermanisch, 1979, 172 s. Per i dati dell'ittito, v. Neu, E. Benveniste aujourd'hui II, 1984, 102 nota 64 .
d)
Ott.
scr.
gr.
lat.
aat.
syiim syiis syiit syiima syiita syur
ElfJV ELfJç ELfi d!!EV d'tE dEv
siem, sim sies, sis siet, sit simus sitis sient, sint
si sis si sin sit sin
(v. sopra, 3.1.2.)
l. 2. 3. 4.
5. 6.
*syem ''syes ''syet ''sime *site ''siyent
5.2. Il verbo ~'ei- "andare" si fletteva in modo del tutto simile, v. Ivanov, Glagol 97-102.
a)
P re s.
scr.
gr.
lat.
l.
<'éimi *éisi ''éiti *imés(i) ''ité(s) ''yénti
emi e~ i et i imas itha yami
d!!L EL'
eo Is it Imus Itis eu n t
2. 3. 4.
5. 6.
dor. du, att. dcn L!-LEV L'tE racn
N.B. Il paradigma scr. continua quasi senza variazioni quello ie. In gr. l:am è rifatto da LEV
357
l. 2. 3. 4. 5. 6.
P re s.
Impf.
Cong.
Ott.
''bher6 *bheresi ''bhereti ''bheromes ''bherete(s) *bheronti
''(e)bherom ''(e)bheres ''(e)bheret '' (e)bherome *(e)bherete ''(e)bheront
''bher6 ''bheres(i) ''bheret(i) ''bher6me ,.,bherete ''bher6nt
''bheroyrp ''bherois *bheroit *bheroime *bheroite ''bheroyvt
N .B.
Per il pres. v. sopra, 2.6., per il cong. 3.1.1., per l'ott. 3.1.2 .
5.4.
Da
~'yeug-
"aggiogare" l'aoristo in -s- ed il cong. erano:
In d. l. 2.
3. 4. 5. 6.
''(e)yeug-s-rp *(e)yeug-s-s ''(e)yeug-s-t ''(e)yug-s-mé ''(e)yug-s-té ''(e)yug-s-Q.t
Cong. E~Eul;a
E~EUl;-a ç E~Eus-E É~EUsat-tEV É~EUs-a-'tE E~Eul;a-v
'' yeug-s-6 *yeug-s-es(i) ''yeug-s-et(i) *yeug-s-ome *yeug-s-ete ''yeug-s-ont
5.5. Da '''bheug- "schivare, fuggire" le stesse forme dell'aoristo tematico erano: In d. l. 2.
3. 4. 5. 6.
*(e)bhug-o-m *(e)bhug-e-s *(e)bhug-e-t *(e)bhug-o-me ''(e)bhug-e-te ''(e)bhug-o-nt
Cong. 1\
''bhug-6 *bhug-es ''bhug-et '''bhug-6me *bhug-ete ''bhug-6nt
5.6.
Per la flessione del perfetto '~ woida v. sopra, 2.3. e 4.3.
5.7.
Per i due imperativi v. sopra, 2.5.
5.8. Secondo questi modelli possono essere ricostruite facilmente anche le forme medio-passive, cf. -:'sekwetoz~ ;'sekwontoi ecc.
E. Verbo infinito. 358
6. Tra le forme infinite il verbo ie. possedeva parecchie forme aggettivali saldamente ancorate al sistema, i participi e gli aggettivi verbali; invece i nomi non sembrano ancora essere divenuti un elemento stabile del paradigma verbale: gli eventuali infiniti di epoca più tarda esistevano, se esistevano, ancora come forme nominali autonome. 6.1.1. Un participio in -nt- si trova in tutte le lingue ie., sebbene in alcune non sia più una categoria vitale ( 1) . La flessione più arcaica è conservata in scr., e con il suo aiuto possiamo ricostruire il paradigma ie. con una certa sicurezza. Cf. ~'sont- da ~'es- "essere", ~'yont da '''ei- "andare", ~'bheront- da 1'bher- "portare" (v. anche VII.1.4.4., 2.2.2.): Sing.
Plur.
Nom . Ace. Gen. Lo c.
*son *s6nt-Ip
''yon ''y6nt-Ip
*s~;~t-6s
''y~;~t-6s
*bhéron (la) *bhéront-Ip *bhéq,1t-os
''s~;~t-i
''y~;~t-i
*bhér~;~t-i
Nom. Ace. Gen. Lo c.
''s6nt-es
*y6nt-es
*s6nt-~;~s
*y6nt-~;~s
*bhéront-es *bhéront-QS
''s~;~t-6m
*y~;~t-6m
*bhér~;~t-om
''s~;~t-su
*y~;~t-su
*bhér~;~t-su
Il nom. sg. al grado allungato (v. VI.2.7.3.) è conservato solo in gr. : ÈWV (contratto in attico wv), LWV, cpÉQWV. Nelle altre lingue è dovunque ristabilito il nom. in -ont-s: scr. bharan da ~' bharant-s, got. bairands, lit. ved(ls e asl. vedy "conducente". In lat. la situazione originaria è mantenuta solo in sons "colpevole"("colui che lo è"), insons "innocente" (lb) e in parte in iens, euntis e in voluntas, altrimenti si è generalizzato il grado ridotto -ent- da -1ft-, perfino nell'anticamente isolato dens "dente" (v. sopra, VII.2.2.1.) . Il neutro viene parimenti dal tema -nt-, invece il femminile è ampliato con il suffisso -1 (tipo dev'i, sopra, VII.7.3., 8.1.): '~snt-1 in scr. satl, gr. arcad. eaooa da i'e-snt-ya; ''' bheront-1 in scr. bh~rantl, gr. cpÉQouoa. o Una particolarità per la quale l'anatolico si differenzia da tutte le altre lingue ie., è che questo participio vi ha significato passivo con i 359
verbi transitivi, quindi p. es. itt. asant- "ente" come il scr. sant- ecc., ma da kwen- "uccidere", ie. ,·,gwhen- (v. sopra, IV.7.4.7., 7.5.3.), il participio kunant- non è "colui che uccide", come il scr. ghn-ant-, ma "ucciso". Si fa sempre più strada (3) l'opinione che questa indifferenza di genere sia originaria (2). Essa potrebbe anche essere avvalorata dal fatto che -nt- crea pure derivati nominali (4), ciò che risulta in modo chiarissimo nell'ittito, ma è visibile anche in altre lingue ie. Per quanto riguarda l'origine del «suffisso», occorre osservare che esso suona -ont- anche in verbi atematici (p. es. '''s-ont-, ,·,y-ont-, ecc.); -n t- è dunque sorto secondariamente; p . es. -ant- da -a- + -ont- e così via. Da questo solo fatto cade l'interpretazione a partire dai pronomi n(o) e t(o) (5), che già nei nomi di abitante è comunque inapplicabile: "A~aV'tEç sono naturalmente "quelli che possiedono "A~a", all'incirca "A~av EXOV'tEç (6). Sarebbe così possibile che -ontsia stato formato col suffisso -t- dei nomina agentisiactionis a partire da ,., em- "prendere" e venisse originariamente composto con nomi: "~' bher-om-t "colui che prende il portare"; questo concorderebbe con l'ipotesi che la formazione in -nt- originariamente non appartenesse al verbo (7). (l) Anche in armeno, v. Szemerényi, 5. Fachtagung, 1975, 329. - (la) Per l'apofonia anche presso i verbi tematici (non solo presso quelli atematici) v. J. Schmidt, Die Pluralbildungen der idg. Neutra, 1889 (rist. 1980), 187 s., 422 s.; Szemerényi, SMEA 2, 1967, 23-24; contra: Oettinger, Festschrift G. Neumann, 1982, 241, 245. Per i verbi atematici v. Bammesberger, KZ 95, 1982, 286-292. - Per il nom. sg. in -an un'influenza del tipo ì..f.wv è ora proposta da Collinge, Glotta 49, 1972, 221.(1b) Su ciò ultimamente Watkins, Studies in honor of G. S. Lane, 1967, 186 s.; Seebold, Sprache 15, 1969, 26 s.; ma il nom. sg. *sent(s) da lui postulato è inaccettabile, v. Anttila, Sprache 16, 1970, 171 s. - (2) Cf. Sommer, Hethiter und Hethitisch, 1947, 67; Jacobsson, Scando-Slavica 9, 1963, 123-38; Schmidt, IF 69, 1964, 6; Evangelisti, Ricerche sul suffisso -NT- di participio, Acme 18, 1965, 3-19. - (3) Non cosl Schwyzer II 241'; Kurytowicz, Proceedings of the 8th Congress (1957), 1958, 239, ma mediando Categories 167. - (4) Szemerényi, KZ 71, 1954, 208 s.; Glotta 33, 1954, 275 s. (277' Bibliogr.!); Kammenhuber, MSS 8, 1956, 43-57; Pokorny, MSS 15, 1959, 5-16; Kronasser, Sprache 8, 1962, 213 s.; Laro-
360
che, BSL 57, 1962, 23 -43; Benveniste, ibid. 44-51; Georgiev, Archiv Orientalni 33, 1965, 175 s.; 36, 1968, 189 s. - (5) Kretschmer, Glotta 32, 1953, 192.- (6) Su ciò cf. Brandenstein, Archiv Orientalni 17, 1949, 74. - (7) Per la formazione v. anche Wackernagel-Debrunner, Ai. Gr. II 2, 160 s., 417 s.
6.1.2 . Mentre è palese che il suffisso -n t- è collegato strettamente col sistema del presente dell'attivo - e pertanto non è stupefacente la sua diffusione ai sottosistemi dell'aoristo e più tardi del futuro, separatisi in un secondo tempo da questo sistema - per il sistema di · perfetto, caratterizzato come indipendente anche dalle sue desinenze, si è stabilito un suffisso del tutto diverso : -wos- e -wos- risp. nel grado normale e in quello allungato, -us- al grado zero; il femminile viene formato con -t- (gr. ya) sul grado zero e viene flesso come il femminile del participio in -nt- secondo il tipo devz. L'esempio meglio noto di questa formazione è il participio di ''' woida. Esso appare in scr. al masch . sg. nom. vidvan, gen. vidu~-as, femm. vidu~-1, le corrispondenti forme greche sono in Omero (F)ELÙ(f)Wç, (F)ELÙ(f)O'tOç, (F)tùu( a)Ia. Il greco ha dunque un tema in -s-1-t- e il paradigma scr. mostra parimenti forme casuali cori -t-, p . es. neutro sg. nom. vidvat, str. pl. vidvadbhis. Da ciò si è concluso che l'ie. possedeva un paradigma eteroclito con -wos-1-wot-, sebbene la distribuzione non potesse essere stabilita - greco e scr. non offrono in alcun caso una -t- comune - né si sarebbe potuto trascurare il fatto che il femm. con -us-z- parlava inequivocabilmente a favore dell'unità del suffisso nella forma -wos-1-us-. Ciò è ora divenuto certezza grazie al miceneo, che, come l'iranico, non conosce questa -t-; la sua introduzione in gr. e scr. è un'innovazione avvenuta indipendentemente nelle due lingue, che in questa parola si è verificata anche in got. Il miceneo mostra anche che wid- valeva come tema debole anche al masch. Il paradigma originario era dunque:
Sing.
Nom. Ace. Gen. Da t .
Masch.
Neutro
Femm.
*weid-wos *weid-wos-tp *wid-us-os ''wid-us-ei
*weid-wos *weid-wos *wid-us-os *wid-us-ei
''wid-us-1 *wid-us-Im '''wid-us-yas *wid-us-yai
361
Questa complicata alternanza fu eliminata in scr. a favore della forma debole della radice '~wid- che per il femm. fu mantenuta anche in gr. arcaico, ma che altrimenti cedeva il campo al grado normale ''' weid-, più tardi esteso perfino al femm., cf. attico dòwç/dòuia (1). Per quanto riguarda l'origine del suffisso, dal punto di vista puramente formale -wes- è stato considerato formato con -es- da radici in -u- (2) oppure diviso in we+ s (3). In considerazione del significato di stato sarebbe possibile che in -wes- sia contenuta la radice '"wes" fermarsi" . (l) Tutti i problemi connessi con questo participio sono trattati in Szemerényi, The Perfect Participle Active in Mycenaean and lE, SMEA 2, 1967, 7-26; sull'alternanza nel tema v. anche Bader, BSL 64, 1970, 57 s.; in favore di un grado zero generalizzato (anche in *widwos), Anttila, Schwebeablaut, 1969, 74. - Sulla flessione gr. in -t v. anche Ruijgh, Études sur la grammaire et le vocabulaire du grec mycénien, 1967, 90; Beekes, KZ 86, 1972, 33 (contra anche Ruijgh), e (inaccettabile) JIES 10, 1982, 58-63; Hamp, JIES 11, 1984, 379-382; sul tocarico Lane, in: AIED 218. Sul balto-slavo v. Bammesberger, Lg. 50, 1974, 690-692.- (2) Adrados, Hommages Nidermann, 1956, 25.- (3) Erhart, Charisteria Novotny, 1962, 71 s.
6.1.3. Come all'attivo, pure al medio-passivo vi era un suffisso, che era aggiunto al sistema del presente, ma più tardi, come -ntall' attivo, fu esteso anche all'aoristo e al futuro e, dopo la creazione del perfetto passivo, perfino al perfetto (1) . La forma del suffisso era -meno- o -mno-, cf. gr. É:n:6f.tEvoç "seguente", scr. saca-mèina-, ma av. baramna-. Resti di questa formazione sono il lat. /emina propr. "colei che allatta" da '''dhe(yo)-menèi (cf. fhlomo "allattò"), alumnus "alunno" da '''alo-menos di alo (la). Il suffisso -mo-, a lungo isolato in ie., dei participi presenti passivi del balto-slavo (cf. russo isk6myj "cercato", vidimyj "visibile"; lit. nesamas "portato") è stato ora riunito con i participi passivi in -matrovati in luvio e ittito-geroglifico (cf. luvio kes-ama- "pettinato", itt. ger. as'ima- "amato") (2). Queste forme anatoliche vanno però spiegate con un'assimilazione da -amna- e appartengono quindi alle formazioni in -meno-1-mno-. Ciò risulta dal fatto che i nomi di appartenenza che cominciavano con la forma -uman-a- hanno attraversato i 362
gradi attestati -umena-, -umna-, -umma-. I primi nomi di Kiiltepe (XVIII sec.) erano del tipo Harsumn -uman, "di Harsumna"; essi subirono nell'ordine tematizzazione: arun-umana- "marittimo", indebolimento : nes-umenes "Nesii", sincope: nes-umna "id.". Parimenti l'abitante di Suppiluli(ya) fu dapprima Suppiluliuman-(a), da cui già intorno al 1400 era nato Suppilulium(m)a (3). Con ciò l'anatolico si associa alla zona meridionale dell'Indeuropa che presenta in modo compatto -m(e)no- (4), mentre il -mo- del balto-slavo resta isolato tanto dopo che prima come formazione participiale (5). Per l'origine del suffisso si è accettato ripetutamente il rapporto col suffisso '''-m?J- o '''-men-1":'-mon- (6). Ma se è giusto il collegamento con i nomi etnici anatolici, queste formazioni sembrano piuttosto da accostare a ~'men- "fermarsi". N.B. L'aria, nei verbi atematici e nel perfetto, ha -iina- al posto di -miina-, cf. dadhiina- da dadhiimi "pongo", duhiina- da duh"mungere", al perfetto: tu-tud-iina-, da-d-iina- da tud- "urtare", dadami "dare". L'origine di questa formazione non è stata stabilita (7). Se -iina- può essere confrontato col germ. -ana- (p.es. got. baur-ans) e derivato dall'ie. ~'-ono- (7), la sua -ii- avrà causato l'allungamento di '~ -mana- (ie. 1' -meno-) in -miina-; già Saussure ha però pensato a una trasposizione da ~' bhariimana (cpEQO~-tEvo-) a bharamiina (8). (l) Già assai presto questo participio venne formato anche dal futuro perfetto passivo, p. es. ùtanEnoì..q.tT]OOf!EVov (Tucid.), e molto tardi perfino dal futuro perfetto medio, p. es. t€-&v'Y]1;6f,l€Voç "moriturus" (Libanio, IV sec. d.C.). - (la) Leumann 222; Schwyzer I 524 s.; Brixhe, Revue de Philologie 42, 1968, 319; di recente anche Flobert, Les verbes déponents latins, 1975, 443-448; Klingenschmitt, 5. Fachtagung, 1975, 159 s.; contra: Bammesberger, Studien zur Laryngaltheorie, 1984, 118-120 (: -men-I -mn- e con apofonia secondaria, v. sopra VI.5.6., -meno-). - (2) Friedri~h, Corolla linguistica - Festschrift Sommer, 1954, 46; Benveniste, HIE 27 s.- (3) Laroche, Les noms des hittites, 1966, 255 s., anche sulla dissimilazione luvica in -wani-; su ciò anche Szemerényi, Riickverwandlung 155 s. V. anche Friedrich, Hethitisches Elementarbuch P, 1960, 34; Neumann, Studi Meriggi, 1969, 222; contra: Kammenhuber, in: Altkleinasiatische Sprachen, 1969, 271 (: -uman- micrasiatico) . - (4) Nonostante Kronasser, Etymologie 180; Laroche, op. cit. 258 nota 17. Così
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d'altronde già Polomé, Oriens 9, 1956, 108 s. - (5) Ma cf. Vaillant III 114: -mo- da -mno-. Hamp, Baltistica 9, 1973, 45-50, crede che l'albanese abbia parimenti posseduto -mo-, p. es. la-m "lavato". - (6) Cf. Leumann 222; Schwyzer I 524. - (7) V. Thumb-Hauschild I 2, 359. - (8) Saussure, MSL 3, 1878, v. ora Recueil, 383; e recentemente Bammesberger, op. cit., 119.
Addendum. In questo contesto devono essere menzionati anche il gerundio e gerundivo lat. Il loro caratteristico -nd- appare anche nell'italico (cf. umbro popler an/erener "populi circumferendi = lustrandi", ocrer pihaner "arcis piandae" e osco upsannam de de d = ""'operandam, faciendam dedit", sakrannas "sacrandae") ma la concordanza è così grande, che si potrebbe piuttosto pensare a un prestito dal lat. (1). Un accostamento con infinitivi scr. come pibadhyai - bibendi (ambedue da '''-1:fdh- ) sarebbe possibile dal punto di vista puramente fonetico (2), e così pure il collegamento con infinitivi ittiti in -anna come appanna "prendere" da -atna, cosicché -nd- lat. sarebbe sorto da -tn- (3) o -d(h)n- (4), un caso in cui ancora una volta emerge chiaramente l'impotenza del mero filologo, quando neanche il linguista comparatista può dare alcuna risposta. Per il latinista è inoltre interessante la questione se l) gerundivo e gerundio siano entrambi originari, oppure 2) il gerundivo sia sorto dal gerundio, oppure 3) viceversa il gerundio sia sorto dal gerundivo. La maggior parte dei ricercatori sono d'accordo per l'ipotesi 2), in particolare perché le locuzioni alat. come lucis das tuendt copiam (Plauto) oppure navis inchoandt exordium (Ennio) oppure eius (feminae!) videndt cupidus (Terenzio) sembrano dimostrare assai chiaramente la priorità del gerundio (5): l'antico lucis tuendi sarebbe stato trasformato secondo luminis tuendi in lucis tuendae (6). Per l'ipotesi 3) si schierano un minor numero di studiosi (7). Non bisogna però trascurare il fatto che secundus oriundus non potevano certamente derivare dal gerundio e perciò rafforzano l'ipotesi l) (8). Può invece essere stabilito con più sicurezza che il significato di necessità e perfino la diatesi passiva sono sorti in un secondo tempo (9); cf. p. es. docendo discimus oppure ad docendum puerum (10). (l) Porzig, Festschrift Krause, 1960, 184; Porzio Gernia, AGI 48, 1963,
13 . - (2) Pisani, KZ 72, 1955, 217-221; Gernia, op. cit. 20. - (3) Cf.
364
Szemerényi, TPS 1950, 169-179. - (4) Risch, Zeitschr. fi.ir romanische Philologie 67, 1951, 359. - (5) Cf. Aalto, Untersuchungen i.iber das lat. Gerundium und Gerundivum, 1949, 170; Pisani, op. cit.; Hahn, TAPA 74, 1943, 269 s.; 96, 1965, 181-207; Language 42, 1966, 393 s.; Strunk, Gymnasium 69, 1962, 450, 460; Gernia, op. cit., 20; Bli.imel, Glotta 57, 1979, 81-95. - (6) Hahn 1965. - (7) Fra essi anche Sommer, Handbuch, 19142 , 592. - (8) Cosl Drexler, Gymnasium 69, 1962, 429-445. - (9) Hofmann-Szantyr 370.- (10) Lavori ulteriori: Gray, BSL 35, 1934, 76-81 (: -nt-do-); di epoca più recente: Godei, CFS 12, 1954, 4 (: -en-do-); Thibau, Rapports entre le latin et le grec, 1964, 20 (: regen-yo-s); Strunk, Glotta 52, 1974, 273-287; Hoenigswald, AGI 60, 1975, 55-58 (-ny-); Leumann2 330 s.; G. Schmidt, Em 46, 1978, 395 s., 400, 405 (: -ndo e itt. -a-nna da -tnoi; -ndus = lit. -tinas); Haudry, PICL 12, 1978, 489 (: agro colom-do "pour le champ, pour le cultiver"); Poultney, Studies Pulgram, 1980, 33-41 (: -enyos); Heberlein, Die Diskussion um die ndFormen, Gymnasium 88, 1981, 151-172; Risch, Gerundivum und Gerundium, Berlin 1984 (:priorità del gerundivo; 171-179: -tno-).
6.1.4. Mentre le formazioni in "~'-nt-, "~'-wos- e -~'-meno-1'~-mno-, nonostante precedenti collegamenti col nome, in ie. sono stabilmente ancorate al sistema verbale, esistono alcune altre formazioni che erano annesse al sistema verbale con una certa libertà. Divennero particolarmente importanti nel corso della storia delle singole lingue i suffissi -to- e -no-, che avevano un ruolo importante come aggettivi verbali già nelle fasi tarde dell'ie. (1). Il suffisso -to- è diffuso in tutte le lingue ie. con l'eccezione dell'anatolico (la) e del tocarico. Il modo di formazione più antico era dal grado zero della radice. L'ie. '~ktu-t6-s attestato da scr. sru-ta-, gr. xÀ.u1:6ç, lat. inclutus, aat. Hlot-hari "Lotario", airl. cloth (neutro "fama") non è formato dal presente "~'kfneumi (sopra, 4.1.3.) ma semplicemente dalla radice e il suo significato non è neanche participiale, ma semplicemente "che sta in relazione con l'udire e l'essere udito, noto". Per il modo di formazione di grado zero si può rimandare anche a ie. -;,gw't,l-!6-s in scr. gata-, gr. -~m6ç, lat. (in)ventus; '''mtt-t6-s in scr. mata- "pensato", lat. (com)mentus "ideato", got. munds "pensato"; "~'g~-t6-s "nato" in scr. jiita-, lat. (g)niitus, gall. Cintugniitus "primogenito", got. air/Ja-kunds "nato dalla terra, di origine terrestre". Nella storia più tarda delle lingue c'è la tendenza a limita365
re la formazione all'uso passivo, come in ted. mod. gelobt erlaubt, lat. amatus laudatus. Ma l'originaria indifferenza alla diatesi è chiarissima. Scr. gatas significa assai spesso "egli andò", praptas (pra-ap-tas) "egli raggiunse" ecc. , nel deponente lat. la formazione in -to- è regolarmente di significato attivo, ecc. Accanto a "~'-to- veniva usato anche "~' - no - , palesemente con la stessa funzione. Nell'uso simile al participio esso è scomparso in lat. e gr. - cf. però ple-nus, àyv6ç - mentre aria, slavo e germanico introdussero la formazione nel loro sistema verbale e suddivisero il compito da svolgere fra -to- e -no- . In scr. p. es. quasi tutte le radici in -d- formano il loro aggettivo verbale con -na-: bhid- "spaccare" bhinna-, ad- "mangiare": anna- "il mangiare", ecc. In germ. i verbi forti hanno generalizzato questa formazione per il participio passato, cf. ted. mod. gestiegen, geboren, gegangen, ecc. Anche in slavo ha avuto luogo una ridistribuzione in cui l'uso di -to- è stato molto limitato (2). Il suffisso -to- è chiaramente connesso alle diverse formazioni in -t- e rappresenterà una tematizzazione di astratti in -t- (3) . (l) V. per un'introduzione e bibliografia: Schwyzer I 501 s.; HofmannSzantyr 383, 391 s.; e ancora: Bernert, Glotta 30, 1943, 1-14; Regula, ibid. 32, 1953, 89-95; Ammann, Gedenkschrift Kretschmer I, 1957, 1023. - (la) Anche l'ittito, però, ne conserverebbe una traccia, se la mia interpretazione di hastan-uri "grand d es princes " come has-ta- (5. Fachtagung, 1975, 329) coglie nel segno. - (2) Cf. Vaillant III 116 s. e più avanti, 6.2. (9). - (3) Kurytowicz, Apophonie 77 nota 48.
6.2. La categoria dell'infinito (l), che appare così ovvia sin dalle lingue tardo-ie., non è dimostrabile né può ricostruirsi per tutto l'ie. Infatti in vedico domina ancora uno stato arcaico nel quale una grande quantità (16!) di formazioni può com patire nella funzione che più tardi sarà svolta dall'infinito e precisamente in forme casuali determinate dalla struttura della frase (2). Di regola questi infiniti sono forme casuali di astratti deverbali, in particolare principalmente dativi e accusativi, solo raramente genitivi o ablativi, probabilmente mai locativi (3); nella stragrande maggioranza delle costruzioni infinitive - più di 600 casi dei 700 totali - appare nel Rigveda il dativo, 366
solo in ca. 50 l'accusativo. Il dativo ha valore finale, l'accusativo con verbi transitivi rappresenta l'oggetto diretto, con verbi di movimento la meta; cf. sugan patho ak[1JOn nir-aje (dat.) gas "liberò le vie per portar fuori i buoi" (RV 3, 30, 10), "l'esercito dei Maruts" a gamad ... barhir asade (dat.) "deve venire, per sistemarsi su (questo nostro) Barhis" (RV 5, 46, 5); sakema tva samidham (ace.) "vorremmo essere in grado di infiammarti (Agni)" (RV l, 94, 3), iyetha barhir asadam (ace.) "tu (Agni) sei venuto per sistemar# sul Barhis" (RV 4, 9, 1). Morfologicamente sono di particolare importanza gli astratti in -tu-, -ti-, -(a)s- e -(v)an-. Da -tu- sono frequenti i dativi in -tave o -tavai (più di 40), p. es. da-tave "dare", i gen.-abl. in -tos (10), p. es. da-tos e gli ace. in -tum, p. es. da-tum. Da -ti- viene usato il dativo con 5 verbi, p. es. pz-taye "per bevuta = bere", ii-taye "aiutare". Da -(a)s- è frequente il dativo in -(a)se (di circa 30 verbi), p. es. fiv-ase "vivere", cak~-ase "vedere". È interessante che l'infinito dativo, che nel Rigveda rappresenta i 6/7 dei casi, si è quasi completamente estinto già nel primo periodo post-vedico, mentre l'ace. -tum, che corrisponde al supino lat. (e slavo), nel Rigveda appare solo cinque volte, ma nella lingua più tarda è l'unica formazione di infinito. La formazione vedica in -dhyai, finora non menzionata, è importante anche per il greco. La formazione che si va estinguendo dopo il Rigveda appare per 35 verbi, p. es. piba-dhyai "bere", bhara-dhyai "portare" ecc. (4); poiché essa si presenta completamente isolata anche nel sistema, deve essere ereditata dall'ie. Essa infatti è mantenuta in gr. -(o)om, che funge da inf. att. e 2. sg. imp. med. nell'aoristo in -s-, cf. À.oÉoom l À.owom, in seguito ambedue À.oiiom (4a). Ai vedici sacadhyai "seguire", bharadhyai "portare", corrisposero dapprima in gr. '~e:n:wom, '''cpÉQEoom; ma poiché essi non potevano essere inseriti nel sistema dell'aoristo, furono lasciati al sistema del presente e sotto l'influenza delle desinenze in -o{}- furono modificate in -wfrm. L'ario e il greco garantiscono dunque una formazione infinitiva in -dhyai per lo meno per una regione parziale dell'ie. (5). Sempre di età indeuropea è il tipo di infinito gr. in -ELV, che si rifà, secondo la testimonianza del miceneo, a 1'-e(s)en ed è quindi da unire all'inf. vedico in -sani (p. es. ne~ani "condurre"); la variante -(E)vm è sorta sotto l'influsso di -m in -o({})m. In modo simile si spiegano anche i doppioni -~Evi-~Evm nei dialetti e in Omero (6) . 367
Negli infiniti latini la desinenza generale dell'attivo presente -re si rifà, come testimoniano es-se (e vel-le) ed il perfetto -is-se, a '''-se oppure (cf. ante: gr. àv1:() a *-si; agere nella forma '''agesi sarebbe il loc. di un tema in -s- '~agos/agesos "il condurre", che semanticamente si adatta perfettamente (6a). Impressionante è la corrispondenza di scr. fivase e lat. vtvere, in cui il scr. presenta il dat. e il lat. illocativo del tema in -s- *gwtw-es-. Dagli infiniti passivi il tipo della 3. coniugazione in t si può interpretare come da t. (nell'alat. -et) di un nome radicale; confronta il sopra citato scr. nir-aj-e da ·:'ag-ei con il lat. agt. La desinenza -rt delle altre coniugazioni sarebbe allora un incrocio di -t con l'attivo -re (7). Al tipo scr. in -taye da un nome in -ti- corrisponde l'inf. baltoslavo in -ti (p. es. asl. vesti, lit. vesti "condurre") che viene ricondotto al dat. in -tei e allocativo in -tei. L'antico prussiano ha tre desinenze: da-t, da-tun, da-twei "dare", delle quali -t si rifà ad un loc. in -ti, mentre le altre due rappresentano l'ace. e il dat. di .un tema in -tu- (8) . L'ace. di un tema in -tu-: -tum si presenta in asl. e in lat. come supino ed è, come abbiamo visto, l'unico infinito del scr. classico. Il germanico imboccò una propria strada, usando per l'infinito l'accusativo di un neutro in (ie.) -no-: il got. bairan deriva dall'ie . .;,bheronom (9). (l) In gen. v. Meillet, BSL 32, 1931, 188 s.; Schwyzer I 804 s., II 358; Kurytowicz, Categories Ch. VI: Impersonai verbal forms; HofmannSzantyr 341 s.; E. Seidel, Die gram. Kategorie Infinitiv, PICL 10/4, 1970, 365-369; Voyles, The infinitive and participle in IE: a syntactic reconstruction, Linguistics 58, 1970, 68-91; Jeffers, ''' The infinitives of the IE languages, Cornell Univ. Diss. 1972, Lg. 51, 1975, 133-148; Haudry, Sur l'origine des infinitifs en grec ancien, BSL 70, 1975, 115-136; Leumann2 580 s.; Gippert, Zur Syntax der infinitivischen Bildungen in den idg. Sprachen, Frankfurt/M. 1978; G. Schmidt, Em 46, 1978, 399 s.; Disterheft, The syntactic development of the infinitive in IE, Columbus, Ohio 1980; Boeder, in: P. Ramat (ed.), Linguistic reconstruction and IE syntax, 1980, 207-224 (: vrtraya hantave). Per questa costruzione v. ora Hettrich, MSS 43, 1984, 55-106. - (2) MacDonell, Vedic Grammar, 1910, 407 s.; Sgall, Die Infinitive im Rgveda, Acta Univ. Carolinae Philologica 2 (Prag 1958), 135-268.- (3) Sgall 157, 159, 248. Che si tratti di
368
locativi viene ancora accettato per parecchie forme dell'ittito, cf. Eichner, MSS 31, 1973, 92; Carruba, Scritti Bonfante, 1976, 141. - (4) Sgall 225 s.; Benveniste, Les infinitifs avestiques, Paris 1935, 72 s. - (4a) Per questo infinitivo Berman, KZ 91, 1978, 231-239, confronta invece l'itt. -asha. - (5) Non così Benveniste, Origines 207 s.; cf. Schwyzer I 809; Sgall 156 n. 19; Poultney, Lg. 43, 1968, 872-3, 876. Su -dhyai v. inoltre Jeffers, Lg. 51, 1975, 134; Rix, Studies Palmer, 1976, 328-330 (: -dhyoz); G. Schmidt, Em 46, 1978, 399 s.; Gippert, op. cit., 289, 293 . - (6) Cf. Aalto, Studien zur Geschichte des Infinitivs im Griech., 1953 ; Burguière, Histoire de l'infinitif en grec, 1960. Su -m e gli infinitivi greci v. inoltre Wathelet, Les traits éoliens, Roma 1970, 315-324; Haudry, op. cit., 115 s.; Rix, l. cit.; G. Schmidt, op. cit., 400; Bliimel, Glotta 57, 1979, 114, 118; Cohen, KZ 95, 1982, 293 -301. - (6a) Bliimel, op. cit., 78-81, preferirebbe scorgere in -s-i un dativo con -i, variante di -ei. - (7) Farebbe difficoltà PAKARI dell'iscrizione di Duenos (ca. 500 a.C.) se dovesse essere un inf. pass. Su PAKARI e -'i passivo altrimenti Watkins, Verb 181.- (8) Vaillant III 126 s.; Stang 447 s.; Haudry, BSL 63, 1969, 144; PICL 12, 1978, 489 s. Il tocarico ha un inf. in -tsi, che forse viene da un tema in -ti-, v. Krause-Thomas, Tocharisches Elementarbuch I, 1960, 261; diversamente Windekens, AION-L 4, 1962, 6, 17 (-dhyaz) ; Winter, IF 67, 1962, 21 (- ai. -taye); Windekens, Orbis 21, 1972, 111-113 (: -tyoz); Le tokharien II 2, 1982, 250. - (9) Naturalmente connesso col participio, sopra, 6.1.4. Per -eno-1-ono- v. Seebold, Anglia 85, 1968, 251269.
F. Preistoria. 7. Il sistema verbale ie. elaborato dal confronto dei sistemi delle singole lingue deve essere esaminato secondo i principi della ricostruzione interna (v. sopra, 111.1.), col che diventa possibile uno sguardo ai rapporti interni del sistema e con ciò anche alla sua preistoria. Desinenze personali.
7 .l. l. Uno dei tratti che più colpisce nel sistema ie. delle desinenze personali è la costante differenza fra desinenze primarie e secondarie che si osserva all'indicativo del sistema di presente-aoristo
369
tanto all'attivo quanto al medio-passivo. Questa differenziazione in quasi tutte le persone (1.-3., 6.) è segnalata dalla vocale -i (cf. sopra, IX.2. 1. e 2.2.1.): Medio-passivo
Attivo l. 2. 3. 6.
*-mi *-si ''-ti *-nti
'~- m
*-s *-t *-nt
*-(m)ai *-soi *-toi *-ntoi
*-(m)a *-so *-to *-nto
Questo stato di cose induce a concludere che le due serie di desinenze personali, e con ciò anche i tempi del presente e del passato, erano originariamente una sola e che furono separate solo più tardi: per accentuare l' hic et n une fu usata la desinenza personale ampliata con l'elemento avverbiale -i in un primo momento come variante stilistica, ma col variare delle desinenze personali è subentrata poi necessariamente una polarizzazione per mezzo della quale la variante mancante di segno caratteristico, è stata del tutto allontanata dall'ambito dell' hic et nunc, ed è divenuta con ciò l'indicatore del passato (1) . Dunque storicamente le desinenze secondarie sarebbero quelle primarie e, per prevenire equivoci, le desinenze -m -s -t -nt si dovrebbero definire come «primitive» (la). In ciò va notato che la differenziazione non ha luogo ovunque, e che in particolare la l. e 2. pl. sono prive di segno caratteristico. Appare quanto meno poco consigliabile accettare per tutto l'ie. la differenziazione presente in alcune lingue - cf. itt. -weni, teni, airl. -m(a)i da -masi-, benché fondamentalmente non esista alcuna considerazione che vada contro l'ipotesi che la -i finale possa essere andata perduta (2). D'altra parte si devono riconoscere come metodologicamente carenti quei tentativi che vorrebbero respingere le desinenze primarie stabilite da certe regioni parziali, p. es. in airl. (3). Forse l'aggiunta selettiva di -i nella l. e 2. p l. era giustificata dal fatto che esse erano già comunque ben caratterizzate e il tempo era inequivocabilmente determinato dalla situazione di conversazione. Finora è stata rivolta minore attenzione alla differenza fra attivo e medio-passivo. Ma sembra essere abbastanza sicuro che, per lo meno in alcune persone, la vocale caratteristica delle DS passive era origi-
370
naria e andò perduta all'attivo solo per via di indebolimento apofonico (4). La sequenza temporale fu dunque:
I.
Il. III. IV.
3. sg. Perdita della vocale -i deittica Arretramento dell'accento
Att.
Pass.
*-to *-t *-ti/-t *-ti/-t
*-t6 *-t6 *-t6i/-t6 *-toi/-to (5)
(l) Benché questa nozione venga abbastanza generalmente ascritta a Rudolf Thurneysen (KZ 27, 1885, 173), essa era stata acquisita già nel 1857 dall'austriaco Friedrich Miiller, come accenna anche Saussure nel suo Mémoire (Recueill77) e come Kiparsky (presso Watkins, Verb 45) ha di recente mostrato dettagliatamente, V. inoltre Brugmann, Grundrill2 II 3, 593; Kieckers, Sprachwissenschaftliche Miszellen, 1934, 22; Burrow, The Sanskrit Language, 1955, 313; Martinet, T ravaux de l'Institut de linguistique de Paris l, 1956, 17 s.; Savcenko, Lingua Posnaniensis 8, 1960, 47; 12-13, 1968, 32; Kurytowicz, Categories 131 (cf. Apophonie 32); Safarewicz, in: Problemy ie. jazykoznanija, 1964, 14 s. (-i solo alla 3. pers. ie.!); Erhart, Sbornik Brno Nl4, 1966, 17 (i= "maintenant"); Kiparsky, sopra, 3.1.5. (9), 45; Wright, BSOAS 33, 1970, 187-199.- Brandenstein, Festschrift Pokorny, 1967, 18 crede che la i sia la desinenza locativa: *didomi = do-per-me. - (la) Contro questa concezione Hattori, CFS 25, 1970, 145 s. ritiene che le DS rappresentino le DP indebolite. Già altri prima di lui, p . es. Herbig, IF 6, 1896, 247-249, e Kock, KZ 34, 1897, 576 s., hanno sostenuto questo punto di vista, come pure più di recente Maticzak, in: H. Liidtke (ed.), Kommunikationstheoretische Grundlagen des Sprachwandels, Berlin 1980, 45-48. - (2) Cf. sopra VII.2.1. (5), nonostante Brugmann, l. cit. - (3) Così p. es. Watkins, Celtica 6, 1962, 47 e ora di nuovo Ériu 21, 1969, l s.; cf. invece Campanile, AION-L 8, 1968, 65. - (4) La -o (''allora") di Kieckers (1. cit.) è confutata dalla DP -toi. - Non così Meillet, BSL 23, 1922, 66; Savcenko, BPTJ 20, 1961, 114. - (5) Sulla storia della ricerca v. *W.M. Linker, A history of the research on IE verb endings from F. Bopp to C. Watkins, Diss. North Carolina 1974.
7 .1.2.
Molto maggiore interesse ha destato da sempre la questione dell'orzgine delle desinenze personali. Dai primi scritti di Bopp, già dal XVIII sec., si è stati soliti individuare nelle desinenze personali i pronomi personali (1). Nonostante molteplici opposizioni (la)
371
questa tesi è evidente nella l. sg. -m e per questa persona è ora accettata quasi universalmente (2); ma essa è valida anche per la l. pl., dove il pronome in origine suonava "~'mes (sopra, VIII.4.4.c.) e per la l. duale, la cui desinenza -we(s) contiene ugualmente il pronome (3 ). E se la l. persona viene espressa dal pronome personale, lo stesso principio deve essere considerato operante anche alla 2. persona. Ciò è suggerito anche da molti altri gruppi linguistici. Cosl in finnico le desinenze personali sono l. -n (da -m), 2. -t, 4. -mme, 5. -tte, e i pronomi personali l. mina, 2. sina (da tina), 4. me, 5. te, i pronomi possessivi suffissi l. -mi, 2. -si (da -ti), 4. -mme, 5 . -nne (da -nde) (4). Gli stessi riferimenti si possono osservare nelle lingue caucasiche e turche (5), nel camita-semitico (6) e non ultimo anche nel basco, dove accanto ai prefissi personali l. n-, 2. "~'h-, 4. g-, 5. zstanno i pronomi personali n i, "~'hz', gu, zu (7) . Questo principio può essere riconosciuto senza difficoltà anche in ie. nella 2. pl. Poiché la desinenza -tes è semplicemente il plurale del pronome di 2. sg. "~'tu : la forma plurale "~'twes (da tu+es) fu semplificata in '''tes come al singolare si alternano *twe e '~te (8). La desinenza primaria dell'aria -thas è, secondo l'opinione generale, rifatta da -t-, il che va probabilmente connesso colle altre alternanze delle desinenze personali, in partic. al duale (9). Appare invece disperato il tentativo di mettere insieme. la desinenza 2. sg. -s(t) con il pronome "~'tu. Per lo meno, non è a mio avviso discutibile l'opinione (10) secondo cui s e t potrebbero essere riportate a un comune denominatore - il pronome sarebbe allora qualcosa come ''' Zwe. Il problema si risolve semplicemente se, come a più riprese è stato accolto nelle ricerche più recenti, la desinenza di 2. sg. era originariamente -t e non -s. Lo indica anzitutto il fatto che fra le dèsinenze del perfetto la 2. sg. possedeva comunque t come sua caratteristica (11), che solo secondariamente è divenuta in ario -tha ( 12) ed è anche alla base della desinenza aria -thas ( 13). Oltre a ciò -t appare ancora come desinenza di 2. sg. in ittito e tocarico e corrispondentemente vi è -s nella 3. sg., p. es. itt. dais "posuit" (14). Possiamo perciò ammettere che anche la 2. sg. fosse costruita sul pronome personale (15) e più tardi sia stata respinta dalla 3. sg. -s quando in essa si consolidò -t (15a) . Nella 3. persona ci troviamo davanti a condizioni del tutto diverse. 372
La 3. p l. -n t- può connettersi con la 3. sg. -t, ma comunque non in modo tale da essere il plurale della desinenza di 3. sg. Ora, per quel che concerne anzitutto la desinenza di 3. sg. -t-, un tempo si ammetteva senz'altro che essa contenesse il pronome dimostrativo '''to- (16). Questa opinione fu poi messa in dubbio e si cercò di identificare la -t- con il suffisso nominale che forma nomina agentis - p. es . scr. deva-stu-t- "lodante gli dei", lat. sacer-do-t- "qui sacra facit'' - ma anche nomina actionis - p. es. ved. stu-t- "lode" -; si potrebbe così anche identificare la desinenza -to(z) del medio-passivo con il suffisso -to-, p. es. negli aggettivi verbali (17). Un'ingegnosa variazione di questa ipotesi vorrebbe spiegare l'intera flessione verbale per mezzo di una combinazione di questa teoria nominale con la costruzione ergativa (17 a). Secondo questa ipotesi all'astratto in -t- sarebbe stato aggiunto l'agente al caso ergativo, per i pronomi personali nella forma tematica dei casi obliqui. Così con un nome ~'gwh en-t- "colpo" si sarebbe costituita la serie di costruzioni '''gwhen(t)-m-i "colpo per opera mia" = "io colpisco", ~'gwhent-t-i > ~'gwhen-si (!), ~'gwhen(t) mes, '~gwhent-wes; invece nelle J. persone si sarebbe usato semplicemente il nome: ~'gwhen-t-i "un colpo (viene da qualcuno)" = "colpisce", e analogamente, con il participio, "gwhn-ont-i "coloro che colpiscono" = "essi colpiscono" (18). Questa ipotesi si accorderebbe con l'opposizione, recentemente sottolineata, tra la l. e la 2. persona da una parte e la 3. dall'altra, l'opposizione della «persona» con la «non-persona» (19). Ma, mentre nella 3. pl. -nt- può essere connesso al participio, un'interpretazione di questo tipo è esclusa per la 3. sg., se anche s può fungervi da desinenza. Resta allora solo la possibilità che tanto il casus rectus quanto il casus obliquus del dimostrativo ~'sorto potessero presentarsi come soggetti, probabilmente in una successione cronologica; una presenza cronologica contemporanea significherebbe che a seconda che il soggetto fosse animato o inanimato, veniva usato il dimostrativo '''s(o) oppure ~'t(o). Le desinenze di 3. pl., -nt risp. -r, sembrano entrambe essere di origine nominale (20): -nt- è probabilmente connesso con -nt- participiale, -r invece ha al massimo un collegamento non del tutto chiaro con la -r delle formazioni medio-passive (v. più avanti, 7.1.3.). 373
(l) Una breve storia è fornita da Seebold, Versuch i.iber die Herkunft der idg. Personalendungssysteme, KZ 85, 1971, 185 s. - (la) Cf. Hirt, IF 17, 1906, 36 s.; Jespersen, Language, its nature, development and origin, 1959'\ 383 s.; Burrow, Sanskrit 316. - (2) Brugmann II 3, 5 s., 592 s. (contro il rifiuto generale di Hirt); IF 39, 1920, 139; Kretschmer, Sprache, 1923\ 35; Savcenko, Lingua Posnaniensis 8, 1960, 48 s.; Ivanov, Obsceind. 265; Vaillant III 21; Brandenstein, l. cit. 7.1.1. (1). - (3) V. sopra VIII.4.4.c. e cf. Brugmann II 3, 594; IF 39, 137: 1'bhero-w~ "io porto (''bhero!) e l'altra persona (tu/egli)". Le desinenze -mes/- wes non possono naturalmente essere considerate semplici varianti fonetiche (così Kurytowicz, Categories 150 s.). - (4) Kretschmer, l. cit.; Szinnyei, Magyar nyelvhasonliUis, 192T, 120 s., 115, 116 s.; Hakulinen, Handbuch der finnischen Sprache I, 1957, 54, 183; Collinder, Comparative Grammar of the Uralic languages, 1960, 243 . - (5) Cf. Savcenko, op. cit., 44 s. - (6) Moscati, Comparative grammar of the Semitic languages, 1964, 137 s. - (7) Lafon, BSL 55, 1960, 216.- (8) V. sopra, VIII.4.4.c. e V.4.2.(9) V. Kurytowicz, Categories 152 s. È interessante il tentativo di Vaillant (BSL 38, 1937, 94) di derivare th da un originario gruppo H-t.- (10) Cf. Myrkin, VJ 1964 (5), 83 s.; Brandenstein, l. cit. Similmente anche Ambrosini, Studi e saggi linguistici 2, 1962, 95 . - (11) Burrow, Indo-Iranian Journal l, 1957, 64, 72; Ambrosini, op. cit., 92 s. Per l'ittito v. Kronasser, Etymologie 377 s. - (12) Kurytowicz, Apophonie 381; Savcenko, op. cit., 50 (: -tha da l. sg. Ha e 2. sg. t).- (13) Kurytowicz, Apophonie 41, 381; Categories 58; Savcenko, VJ 1955 (4), 119. - (14) Watkins, Origins 74 s., 90 s., 97 s., 102 s. (ma l'aisl. non ha comunque una 3. sg. -si come si afferma a pag. 86 s. e 104). V. anche Adrados, II. Fachtagung, 1962, 150. Del tutto diverso Kurytowicz, Categories 156 s. - (15) Lo sviluppo fonetico fu -tu > -tw > -t e/ o -tu-i = -twi > -ti. - (15a) In ogni caso uno sviluppo fonetico t > s (Seebold, KZ 85, 197 s.) rimane inaccettabile, mentre l'ipotesi del Vaillant (v. sotto) è da prendere seriamente in considerazione. - (16) P. es. Brugmann II 3, 594; IF 39, 1920, 137 s. (17) Cf. Hirt, IG 4, 1928, 102, 104; Kieckers, op. cit., 22. - (17a) Vedi in proposito: Martinet, La construction ergative, 1958, ristampato nel suo La linguistique synchronique, 1965, 206-222; Mescaninov, Ergativnaja konstrukcija v jazykax razlicnyx tipov, 1967 (cf. Szemerényi, Richtungen der modernen Sprachwissenschaft II, 1982, 17 s.); Aronson, Case and subject in Georgian, Lingua 25, 1970, 291-301; Seebold, op. cit.; Comrie, The ergative, Lingua 32, 1973, 239-253; K.H. Schmidt, Probleme der Ergativkonstruktion, MSS 36, 1977, 97-116; Tchekhoff, Aux fondements de la syntaxe: l'ergatif, Paris 1978; Dixon, Ergativity, Lg. 55,
374
.l
1979, 59-138; F. Plank (ed.), Ergativity, NY 1979. - (18) Vaillant, BSL 37, 1936, 105 s. Per -tt- > -ss- v. anche Heller, Word 12, 1956, 7; Language 33, 1957, 2F. - (19) V. Benveniste, Structure des relations de personne dans le verbe (1946), La nature des pronoms (1956), De la subjectivité dans le langage (1958) - ora tutti e tre ristampati nei suoi Problèmes de linguistique générale, 1966; cf. Kurytowicz, Categories 148; Tlaskal, La catégorie de la personne en portugais, FoL 12, 1980, 367-383 (contro Benveniste).- (20) Erhart, Sbornik Brno 4, 1955, 11 s.; Burrow, Sanskrit 317; Savcenko, Lingua Posnaniensis 8, 52-6. Su -n t- = participio Kieckers, op. cit., 12 s.; Vaillant, BSL 37, 1936, 106. - L'opinione di Cuny (Litteris 7, 1930, 155: -nto- = pron. no- + to-) era assai diffusa nel XIX sec., cf. Brugmann, MU l, 1878, 134. Cf. ora anche 7.1.3. (14).
7.1.3. Le desinenze del per/etto (sopra, 2.3.) sembrano starsene isolate nel sistema ie. Ma esse sono strettamente imparentate con certe desinenze medio-passive. Per esse abbiamo ricostruito sopra (2.2.1.) le seguenti forme: DP DS
l. -(m)ai, L -(m)a,
2. -soi, 2. -so,
3. -toi, 3. -to,
6. -ntoi
6. -nto .
Ma accanto ad esse esistono chiaramente forme ancora più arcaiche. La 2. sg. in scr. ha la desinenza secondaria -thas. Nella 3. sg. appare con alcuni verbi, invece di -ta, una desinenza -at, p. es. aduhat "munse", asayat "giaque", che si affiancano al pres. 3. sg. duh-e say-e (l) e perciò sono palesemente trasformate da a-duh-a a-say-a (2). Nella 3. pl. appaiono negli stessi verbi all'imperfetto aduhran aseran e al presente duhre sere, cosicché le forme dell'imperfetto sono di nuovo chiaramente ampliate con -n(t) da ~'aduhra '''asera. Le desinenze dei tempi del passato che si ricavano da ciò .t
2. -thas,
3. -a,
6. -ra (2a)
non trovano alcun collegamento nelle desinenze sopra riportate. Ma esse sono, come hanno riconosciuto Kurytowicz e Stang (3), in chiaro rapporto con le desinenze del perfetto 2 . -tha,
3. -e,
6. -r. 375
r Ne consegue che perfetto e medio-passivo sono strettamente legati. In tal caso, la conservazione delle antiche desinenze del perfetto nei tempi del passato va spiegata (4) col fatto che risalirebbero ad un tempo in cui esse, come pure i:-to i: -nto, erano le desinenze primarie o, per meglio dire, le desinenze primitive. Questa situazione viene confermata anche dall'anatolico, in cui nel luvio la l. ha e 3. ta fungono da DS, mentre nell'ittito la l. ha-, 2. ta-, 3. (t)a - fungono anche da DP. Il perfetto con il suo significato e la forma di 3. sg. apofonica in -e dà l'impressione di una formazione nominale (5). Le forme l. woidHa, 2. woid-tha, 3. woid-e ecc. sarebbero allora nate da i'woide-1 woido-, un astratto verbale (''il sapere") o aggettivo verbale ("sapiente") con l'aggiunta di certe desinenze, delineate chiaramente solo nel sg. e alla 3. pl. (6). Anche questa ipotesi presenta qualche difficoltà, poiché da una forma compiuta *woido non si può senz'altro derivare "~'woid-a "~'woid-tha. Perciò dovremo partire piuttosto da un nome radicale "~'woid- . Ma anche le desinenze non sono del tutto chiare: anche qui ci si attenderebbe di individuare, per lo meno nella l. e nella 2. persona, dei pronomi personali; ma al massimo vi è -tha, che, sebbene in modo nient'affatto semplice, potrebbe essere collegato a "~'tu (7). Queste difficoltà non sono eliminate completamente neanche se - seguendo l'impressione generale - si assume una -a finale per tutte le persone e si considera la 3. sg. -e un'innovazione (v. sopra, 4.3.a) (7a). Ciononostante, per un sistema antecedente è possibile porre le seguenti tre categorie nel sistema del presente: l. Attivo
2. 3. 6.
~·,
-s
,, -t ''-nt
2. Medio-passivo
3. Medio-perfetto
*-so *-to *-nto
*-tha *-e *-r
Un'ulteriore riduzione, supponendo che la seconda serie sia stata costruita in base alla 3. sg. -to rifatta da -e ovvero -el-o (8), è destinata a fallire per la difficoltà a spiegare effettivamente l'origine di -to (8a) . Il modello esposto qui sopra spiega anche il fatto che non tutti i «medi» sono verbi di stato, cf. '~ sekwetoi "segue", "~' lowetoi "si lava", 376
l
ecc. Nell'ultimo tipo è però naturale far derivare il loro medio dall'attivo e non dal perfetto (9) . Saranno spesso accaduti dei passaggi fra i due gruppi in base a contatti semantici. In questo modo si otterrebbe anche una spiegazione semplice per la l. sg. media (v. sopra, 2.2 .1.): -ma del medio-passivo e -ha del perf. medio si incrociarono divenendo -ma e -mai risp . -ho e -hai (9a). L'ultimo tipo, cioè -ho, -t(h)o, -o sembra stare alla base dello schema anatolico -ha, -ta, -a (v. sopra, 2.4.) (10), mentre la coniugazione in -hi- ittita rappresenta un'innovazione dal perfetto del presente con -ha, -tha, -e, che sotto l'influsso della classe in -mi divenne -hai -thai -ei e infine -hi -ti -i (11) . Un'ulteriore influenza reciproca fra medio-pass. e perf. medio ebbe h10go anche con le famose desinenze in -r . Il materiale anatolico mostrava dapprima che -r era limitato al presente, ma poi anche che era ristretto alle 3. persone (sopra, 2.2.2 .). Ma dobbiamo andare più in là: la terminazione di 3. pl. -antar, sorta dall'incrocio della 3. pl. -anta e della 3. p l. -r (12), fu trasferita per analogia anche alla 3. sg. -a e -ta, e il nucleo -(t)ar/-antar ovvero (con -i come nella coniugazione in -hz) -(t)aril -antari divenne il punto di partenza per un paradigma con -r costante come anche in tocario (v. 2.2.2 .). Invece italico e celtico rimasero molto più vicini al comune stadio d'origine. Che cosa sia l'elemento -r resta dubbio ora quanto prima (12a); l'unico solido collegamento sarebbe con gli eterocliti in -r- (13), ma il passaggio alla funzione della 3. pl. è ancora più difficile che con -nt(14) e l'identità con la -r impersonale (tipo airl. -berar "viene portato, si porta") è stata nuovamente messa in dubbio (15) . Ma che la sua origine risalga fino a una fase antica dell'ie. appare chiaro anche per il fatto che la flessione in -r dell'itala-celtico e del gruppo orientale (ittito, tocario, frigio) si fonderà su un'innovazione comune (16) . Altrettanto difficile è il problema dell'origine della desinenza di l. sg. -o all'attivo. Esso viene qui ricordato poiché spesso è considerato il prodotto della contrazione di -o- tema tic a + -ha perfettivo (17) . Ma il timbro o della vocale tematica non viene chiarito dalla !aringale (17a) e manca il benché minimo presupposto per una desinenza -o (quindi -o da -e- + -o) (18) . Poiché la colorazione in -o richiede una nasale (sopra, 2.6.) siamo ricondotti ad -om: -om divenne -o come p. es . '~'mem '''t(w)em divennero '~'me '"t(w)e, v. sopra, VIII.4.4.b; e 377
con ciò la differenza di
-o e -mi sarebbe da considerare secondaria
(19). (l) Le forme verbali in -e (1. e 3. sg.) sono ora raccolte da Cardona, Language 37, 1961, 338- evidentemente trascurato da Watkins, Verb 88 s.- (2) Wackernagel, KZ 41, 1907, 309-13; Leumann, Morph. Neuerungen, 1952, 10 s. Per Sommer, Hethiter und Hethitisch, 1947, 61 s., -at era originario. V. anche Narten, Festschrift Kuiper, 1968, 9 s. - (2a) La desinenza -thas del sanscrito, insieme con gr. -fu]ç e airl. -the(-r), viene spesso ricondotta a ie. -thes, ma ie. -thas è postulato da Hollifield, KZ 92, 1979, 219 (accettato da Cowgill, Ériu 34, 1983, 76); G. Schmidt, Fs. Neumann, 1982, 347 s. - (3) Kurytowicz, Les désinences moyennes de l'ie. et du hittite, BSL 33, 1932, 1-4; Stang, Perfektum und Medium, NTS 6, 1932, 29-39; cf. anche Safarewicz, Les désinences moyennes primaires, 1938, ristampato nei suoi Studia jc;zykoznawcze, 1967, 45-50; Vaillant, Les origines du médiopassif, BSL 42, 1946, 76-83 . Al riguardo anche le trattazioni in Kurytowicz, Apophonie 41 s., Categories 58-70, 150; Insler, IF 73, 1969, 322 s. - (4) Su ciò ha richiamato l'attenzione Stang 36. - (5) Così Brugmann II 3, 594; IF 39, 1920, 139; Vaillant, op. cit., 82; Griinenthal, KZ 63, 1936, 138; Savcenko, BPTJ 20, 1961, 117; Kurytowicz, 11. cit.; Watkins, Verb 105 s. Winter, Vocative 219, vede in -e una semplice voc. di appoggio. - (6) Kurytowicz, Categories 62; Watkins, Verb 107 (gwhené "occisus"); Cowgill, in: Hethitisch und Indogermanisch, 1979, 33 s. - (7) Cf. Kurytowicz, Apophonie 44, dove si parte ancora da una forma-base aoristica '"likwe. - (7a) Per -e ancora G . Schmidt, KZ 85, 1972, 260 n. 108 (-o è una «chimera») . - (8) Kurytowicz, Categories 58 (: «mechanism of the introduction of t»); Directions 76 s.; Watkins, Verb 51 (=e/o); Kurytowicz, CTL 11, 1973, 89 s. (8a) A mio avviso, però, o e to sono semplicemente dimostrativi; così pure Schmalstieg, FoL 12, 1980, 355. - (9) E con ciò i riflessivi potrebbero aver formato uno dei punti di partenza, dopo che p. es. -:'lowe-s(w)e "lavati" divenne ~'loweso. - (9a) Sulla l. sg. del medio vedi anche Kurytowicz, Categories 60 (: o + a); Watkins, Verq 130 (: a + om); Kortlandt, IF 86, 1982, 123-136; G. Schmidt, Fs. Neumann, 1982, 345-356. - (10) Cf. su ciò anche Ambrosini, Ittito esat e ai. aduhat, Studi e saggi linguistici 6, 1966, 89-95. - (11) Vedi Sturtevant-Hahn, Comp. grammar of the Hitt. language I, 195F, 131-7; Puhvel, in: AIED 243 s.; Kammenhuber, MSS 24, 1968, 72; Hethitisch 329 s. - (12) Cf. per l'essenziale Kurytowicz, Categories 69; Neu (2), 157 s.; IF 72, 1968, 231; IF 76, 1972, 244; Studies Palmer, 1976, 239-254; Eichner, 5. Fachtagung, 1975,
378
76; Jasanoff, Sprache 23, 1977, 159-170. Piuttosto incline a negare è Watkins, Verb 51, 175, 180; e infine Kurytowicz, Études Celtiques 12, 1969, 7-20. - (12a) Una particella è supposta da Wagner, TPS 1969, 217; Watkins, Verb 43, 194.- (13) Per esempio Pisani, Miscellanea Galbiati III, 1951, 31; Martinet, Word 11, 1955, 130 s.; cf. anche Ivanov, Obsceind. 123 s.; Bader, Word 24, 1970, 18 s~; Puhvel, PICL 10/4, 1970, 631 s.; Erhart, Studien zur ie. Morphologie, 1970, 80s.- (14) Cf. Pedersen, Hittitisch 105. Una reale soluzione sarebbe l'ipotesi di Vaillant (BSL 37, 1936, 107'), che -n(t) finale sia divenuta -r; purtroppo le leggi fonetiche sono ancora un ostacolo. - (15) Cf. su ciò Schmidt, IF 68, 1963, 237. - (16) Kammenhuber, KZ 77, 1961, 43 s.; MSS 24, 1968, 87; Wagner, op. cit., 217, 219-220, 238. - (17) Per esempio Savcenko, Lingua Posnaniesis 8, 1960, 52; Neu, op. cit., 229 (assume un perf. in -o); Watkins, Ériu 21, 1969, 3. Diversamente, da o + h, Vaillant, BSL 38, 1937, 93 s.; Gram. comp. III 20, 141; Pedersen, Hittitisch 81; Untermann, Gedenkschrift Brandenstein, 1968, 1663 • - (17a) Cf. inoltre Watkins, Verb 108 s.; TPS 1971, 86 n.; Bader, op. cit., 26. - (18) Così Neu, l. cit.; Specht, Ursprung 313.- (19) Altre spiegazioni in Erhart, Sbornik Brno E 3, 1958, 87 s. (: ehw); Liebert, Die ie. Personalpronomina, 1957, 73; Lindeman, NTS 21, 1967, 140; Kerns-Schwartz, Lg. 44, 1969, 718-9.
7.2. Nelle formazioni modali è sorprendente che l'ottativo (v. 3 .1.2.) prenda le desinenze secondarie. Questo potrebbe indicare che l' ottativo divenne un modo solo secondariamente, e che esso è in effetti una forma di passato spostata su un modo come funzione secondaria (1). Così l'ottativo da ie. ~'po(z)- "bere", cioè '"poyem, è stato spiegato come una forma '"poy-e-m reinterpretata come ;'po-yem; ;,poy-e-m sarebbe stato originariamente un aoristo in -e- (la). Poiché per l'ie. non è provato un aoristo in -e-, l'interpretazione resterà dubbia. Altri vengono indotti dalla forma del suffisso -ye- a riconoscere in esso un verbo con il significato di "andare" (tratto da '''ei"andare") (2). Ugualmente si tenta di ricondurre il congiuntivo (v. 3.1.1.) a una forma di indicativo (3) e ciò non presenta difficoltà se si riconduce l'uso modale ad una formazione di futuro (4), altrimenti forse non sarebbe così semplice. In ciò il problema morfologico riguarda il modo in cui e/o sia addivenuto a questa funzione. Una proposta fatta ultimamente vorrebbe derivare la flessione da una forma voliti379
va ,., éy-i5 "io voglio andare", e forse da ,., eyei (= ei + ei!) "egli! si deve andare", nelle quali si venne a creare per caso un modo di flessione tematico (5). (l) Più di cent'anni orsono Curtius ha affermato (Zur Chronologie der idg. Sprachforschungl, 1873, 54) che: «die Modusbildung aus der Tempusbildung sich erst allmahlich entwickelt hat». E alla fine del secolo scorso Goidànich (ristampato PICL 3, 1933, 301 s.) diceva che l'ottativo «è una perfettizzazione con suffisso e di una forma iterativocontinuativa». - (la) Kurytowicz, Categories 141; per l'uso 143. V. anche '"N. M. Holmer, Meddelanden fran seminarierna for slaviska Sprak l, Lund 1951, 19-27; 3, 1959, 5-13 (antico preterito).- (2) P. es. Hirt, IG 4, 290 s.; 6, 279; 7, 148; Hahn, Subjunctive 65. Per le DS dell'attivo v. anche Gonda, Moods 47; Hoffmann, Injunktiv 276. - (3) Kurytowicz, Apophonie 28, 71-4; Categories 137 s.; Safarewicz, in: Problemy ie. jazykoznanija, 1964, 15. - (4) Hirt, IG 4, 297; Hahn, Subjunctive passim. (5) Risch, Symbolae Kurytowicz, 1965, 238. A mio avviso '''ei-ei potrebbe essere tutt'al più una 2. sg.
7.3. Un'indagine più precisa dei temi temporali e delle desinenze personali conduce dunque a una progressiva riduzione del sistema che a prima vista pare così complesso. La differenza fra sistema del presente e dell'aoristo è certamente sorta secondariamente e ancora in epoca storica un tema non consente mai veramente di vedere a quale sistema appartenga: se la desinenza personale è primaria, la decisione è facile; ma se essa è secondaria allora la risposta alla domanda: imperfetto o aoristo? dipende dal fatto che nella lingua siano o meno ammesse forme con desinenze primarie (1). Anche la posizione del perfetto è ora completamente diversa. Mentre nelle lingue storiche esso mostra fondamentalmente (2) un rapporto con il passato - anche se viene considerato il mero risultato presente - prima era semplicemente un presente. La differenza dal «sistema del presente» di epoca storica non consisteva nel tempo, ma nel tipo di azione: il verbo in -mi esprimeva un'azione, il verbo in -a uno stato (3 ). Il medio-passivo - che esiste compiutamente nelle ultime fasi dell'ie. - non è ancora presente in uno stadio più antico. Ma ciò non significa che a quello stadio possiamo parlare di un'unica 380
diatesi (: attiva) (4): anche allora c'erano per lo meno due diatesi: diatesi dell'azione e diatesi dello stato (5). Il grande pericolo del metodo riduttivo consiste proprio nel fatto che si considera non il sistema ma una sua parte, e tuttavia si fanno affermazioni sull'intero. Il metodo riduttivo porta anche ad eliminare la categoria tempo. Ma è assai verisimile che, indirizzando il nostro sguardo esclusivamente alle desinenze personali, trascuriamo certe differenze che esistono ancora nel sistema o che una preesistente differenza di tempo sia andata perduta. Come disse assai bene Kurytowicz (Categories 58): «One cannot reconstruct ad in/initum. We must be satisfied with the reconstruction of stages bordering the historical reality». (l) Su ciò v. Brugmann II 3, 48; Meillet, Introduction 197 s., 248; Schwyzer I 640. - (2) Escludo gli intensivi (~É~QUXE) e i preteritopresenti (ol:ùa, got. ska{) perché essi sono resti di un'epoca passata.- (3) Savcenko, VJ 1955(4), 117; BPTJ 20, 1961, 115-118; Safarewicz, in: Problemy ie. jazykoznanija, 1964, 13-17; Ivanov, Obsceind. 137. - (4) Schwyzer II 224. - (5) Su ciò v. ora anche Perel'muter, Sull'origine della categoria del tempo nel sistema verbale ie. (in russo), VJ 1969 (5), 11-21.