Filippo Mignini
L'ETICA DI SPINOZA Introduzione alla lettura
Carocèi editore
1a ristampa, marzo 2007 1a edizione, "Seminario filosofico" 1995 © copyright 1995 e 2002 by Carocci editore S.p.A., Roma
Finito di stampare nel marzo 2007 per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Sri, Urbino ISBN 978-88-430-2350-9
Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 ·della legge 22 april~ 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.
Indice
Tavola delle sigle e delle abbreviazioni
II
Introduzione
I.
La "fortuna" dell'Etica Una filosofia per la vita I. 3. Obiettivi del presente lavoro
I.I.
1 .2.
2.
Genesi e struttura dell'opera
2I
2.I.
La redazione del testo
2I
2 .1 .1.
La storia redazionale del testo sulla base dei documenti
esterni 2.2.
Struttura del testo
25
Una via di liberazione I dell'opera
2.2.1.
2.2.2.
Piano formale e materiale
30
2.4.
Il metodo geometrico La lettura dell'Etica e le altre opere di Spinoza
3.
Dio
39
2.3.
3. I
.
34
Fondamenti dell'argomentazione 3.I.1. Definizioni (1-8)
I
3.I.2. Assiomi (1-7)
3.2. Deduzione della sostanza e dei modi (P1-29S) 3.2.1. Natura e proprietà della sostanza: Natura naturans (P1-20) I 3.2.2. Gli effetti de11a causalità immanente de11a sostanza: Natura natura/a (P21-29S)
7
49
3. 3. Confutazione di pregiudizi concernenti la natura. e l'azione dèlla sostanza (P30-36 e Appendice)
68
3.3.r. La creazione mediante intelletto (P30-3r) I 3+2. La crea·. zione mediante volontà (P32) I 3·3-3- La contingenza delle cose create (P33-36) I .3· 3+ L'imperfezione delle cose create (P33S2) I 3. 3. 5. La creazione in vista di un fine. Origine e natura dei pregiudizi, in particolare di quello teleologico (Appendice)
4.
Della natura e dell'origine della mente
4. 1. Introduzione 4.2. Fondamenti dell'argomentazione
75 76 77
4.2.r. Definizioni (r-7) I 4.2.2. Assiomi (r-5)
4-3- Origine della mente umana (Pr-9) 4.4. Natura della mente umana (Pro-47)
82 86
4.4.r. Elementi di una dottrina dell'uomo I 4.4.2. Gli oggetti immediati della mente umana: dottrina della immaginazione (Pr4-23) I 4+3· La conoscenza mediante Le affezioni del corpo (immaginazione) è inadeguata (P24-3r) I 4·4+ Differenza tra conoscenza inadeguata (errore) e conoscenza adeguata (verità) (P32-36) I 4+5· Fondamento, forme e proprietà della conoscenza adeguata (P3 7-47)
4. 5. Confutazione del pregiudizio concernente la volon~
5.
tà (P48-49)
104
Della natura e dell'origine degli affetti
109
5. 1. Prefazione
rro
5. 2. Fondamenti dell'argomentazione
III
5.2.r. Definizioni (r-3) I 5.2.2. Postulati (r-2)
5. 3. I due possibili stati della mente umana: attività e
passività (P1-3) 5 + La forza di autoconservazione (conatus) come essenza dell'affetto (P4-8) 5. 5. L'ordine della deduzione geometrica degli affetti (P9-59)
I20
5.5.r. Leggi generali del dinamismo degli affetti (P9-r8; 27-28; JI; 53-57) I 5.5.2. Gli affetti-passione (Pr9-52) I 5.5.3. Gli affetti-azione (P58-59)
5 .6. Esposizione sintetica delle definizioni degli affetti
8
1 33
6.
Della schiavitù umana o delle forze degli affetti
137
6. 1. Prefazione: del concetto di perfezione 6.2. Fondamenti dell'argomentazione 6.2.r. Definizioni (r-8) I 6.2.2. Assioma unico
Radice ontologica delle passioni: l'uomo è parte della natura ed è soggetto al suo ordine (Pr-4) La forza delle passioni (P5-r8) 6+ r. Principi generali che regolano la forza delle passioni (P5q) I 6.4.2. La conoscenza vera, in quanto vera, è impotente a moderare la forza delle passioni (Pr4-q) I 6+3· La cupidità che nasce da gioia è più forte della cupidità che nasce da· tristezza (Pr8 e S)
La virtù, attuazione della potenza d'agire dell' uomo, come ricerca dell'utile (Pr9-40) 6.5.r. La virtù consiste nel conservare il proprio essere, ricercando il vero utile sotto la guida della ragione (Pr9-25) I 6.5.2. Quali sono le cose che la ragione considera sommamente utili? (P2640) .
Del bene e del male negli affetti (P4 r -5 8) La determinazione all'azione da parte della ragione (P59-73)
153
155
6.7. r. Capacità e proprietà della ragione nel determinare all'azione (P59-66) I 6.7.2. La condotta dell'uomo reso libero dalla ragione (P67-73)
6.8. Appendice: le regole della vita razionale (capp. r32)
157
7.
Della potenza .dell'intellettQ o della libertà umana
161
7.r. Prefazione 7.2. Fondamenti dell'argomentazione (Ax1-2 e P1) 7. 3. Il potere o i rimedi della mente sugli affetti (P2-20) 7 + Della durata della mente senza relazione al corpo (P2I-40)
162
7+r. L'etetnità della mente (P21-23) I 7+2. La conoscenza di terzo genere (P24-3r) I 7+3· L'amore intellettuale verso Dio (P32-37) I 7.4+ La perfezione della mente (P38-40) I 7.4.5. La ragione prescrive che la beatitudine consiste nell'esercizio della virtù (P4r-42)
9
163 165 173
8.
Conclusione
187
8.I. I nuclei teorici dell'Etica 8.2. L'Etica nella prospettiva storica della civiltà occidentale
187 193
Cronologia della vita e. delle opere
197
Nota bibliografica
199
Indice dei nomi
233
IO
Tavola delle sigle e delle abbreviazioni
Edizioni di riferimento
G
M
AT
Spinoza, Opera, im Auftrag der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, hrsg. von C. Gebhardt, C. Winter, Heidelberg 1925, 4 voll.; rist. 1972; voi. v, Supplementa, hrsg. von C. Gebhardt, C. Winter, Heidelberg 1987. Tutte le opere, ad eccezione del Breve trattato, sono citate da questa edizione, indicata con la sigla, seguita dal numero romano del volume e dai numeri arabi della pagina e delle righe. Benedictus de Spinoza, Korte Verhandeling van God) de
mensch en deszelvs welstand (Breve trattato su Dio) t uomo e tl suo bene, introduzione, edizione, traduzione e commento di F. ·Mignini, Japadre, L'Aquila-Roma 1986). L'edizione viene indicata con la sigla, seguita dal numero progressivo della pagina. René Descartes, CEuvres, par Ch. Adam, P. Tannery, Cerf, Paris 1897-1913. Sigle e abbreviazioni deUe singole opere
TIE KV
Tractatus de intellectus emendatione. Korte Verhandeling 1, II: parte prima, parte seconda; il primo numero arabo che segue il numero romano indica il capitolo, il secondo numero arabo indica il paragrafo: I, 3, 5 = parte prima, cap. 3, par. 5.
ZI) Z2: Eerste Zamenspreeking, Tweede Zamenspreeking (I Dialogo, II Dialogo). VR: Voor Reeden van)t twede deel (Prefazione della seconda parte). II
L'ETICA
or SPINOZA
Ar, 2: Appendix I, Appendix 2. PPC Renati Des Cartes Principiorum Philosophiae Pars r... (si impiegano le stesse sigle ·dell' Ethica). CM Cogitata Metaphysica (ad esempio CM r, 3 = parte r, cap. 3)
TTP Tractatus Theologico-Politicus. E
Ethica. r,
2,
3, 4, 5: parte prima, seconda ecc.
A: Appendix AD: A/fectuum Defim~io Ax: Axioma C: Corollarium D: Definitio Ex: Explicatio L: Lemma P: Propositio Post: Postulatum Praef: Prae/atio S: Scholium (ad esempio E 2 P40S 2
=
sizione 40, scolio secondo).
TP Ep
Tractatus politicus. Epistola, Epistolae.
I2
Ethica, parte seconda, propo-
I
Introduzione Il mio proposito non è di spiegare il significato delle parole, ma ]a natura delle cose, che indico con quei vocaboli il cui significato, tratto dall'uso, non si allontana del tutto dal significato in cui li voglio impiegare. Basti averlo avvertito una sola volta. Spinoza, Etica 3, AD20 I.I
La "fortuna" dell'Etica 1 L'Etica fu pubblicata tra le Opere postume di Spinoza, sul finire del 1677. L'autore era deceduto il 21 febbraio' dello stesso anno, non ancora quarantacinquenne. Prima di morire~ egli aveva affidato agli amici alcuni manoscritti, tutti incompleti, ad eccezione di un'opera che due anni prima aveva tentato di pubblicare: il timore di persecuzioni teologiche lo aveva indotto a desistere. Quando quel manoscritto vede la luce, uscendo dalla stretta cerchia di amici che da anni ne discuteva 2 , si avverte subito che esso raccoglie quasi l'intera filosofia dell'autore, esponendo un modello di mondo nuovo e antico, alternativo alla cultura cristiana dominante. L'Etica diviene il bersaglio di un'ampia polemica: già in vita considerato cartesiano e accusato di ateismo, sullo scorcio del secolo xvn e in buona parte di quello successivo, Spinoza assurge al ruolo simbolico di eroe negativo. Arnauld lo definisce «luomo più empio e pericoloso di questo secolo». Le chiese mettono all'indice la sua opera. Per accusare qualcuno di ateismo, materialismo, fatalismo, libertinismo, epi~ ·cureismo o di qualunque altra dottrina ritenuta perversa, è sufficiente ormai chiamarlo spinozista. Se Bayle accredita, nel celebre articolo del Dictionnaire, l'immagine di Spinoza «ateo virl. Per maggiori informazioni sulla fortuna dell'opera dr. F. Mignini, Introduzione a Spinoza, Laterza, Roma-Bari 1983, 19944, pp. 173-206, e la Bibliografia di questo volume, par. lo: in seguito, i riferimenti a tale Bibliografia verranno indicati con la sigla Bibl., seguita dal numero del paragrafo a cui si rinvia (ad esempio, Bibl. io). 2. Cfr. Bibl. 12, in particolare Steenbakkers.
13
1
L ETICA DI SPINOZA
tuoso», <
I. IN'I'RODUZlONE
mandola, la filosofia di Spinoza, già nella prima metà dell'Ottocento inizia quell'indagine storico-filologica che avrà il suo culmine nei decenni conclusivi del secolo e nei primi del Novecento. Dopo quella del Paulus, che riproduceva le Opere postume, appaiono le nuove edizioni dell'Etica a cura del Gfroerer (1830) e del Bruder (r843-46). Nel r862]. Van Vloten pubblica il Breve trattato, prima formulazione sistematica dell'Etica, da poco ritrovato in due copie manoscritte nederlandesi. La scoperta del Breve trattato offre nuovo impulso alla storiografia spinoziana e all'analisi dell'Etka. Lo stesso Van Vloten pubblica nel 1883 una nuova edizione critica di tutte le opere di Spinoza, che accompagna una fervida stagione di analisi teoretiche e storiche, di traduzioni in molte lingue, di indagini lessicali e di commentari specifici dell'Ett'ca. Come suole accadere, -e come è anche naturale, a una nuova fase di studi segue anche una nuova edizione delle opere. Nel 1925 vede la luce, a cura di C. Gebhardt, quella che tuttora è considerata la principale edizione di riferimento. I cinquant'anni successivi a questa edizione hanno, conosciuto un rallentamento e quasi una stasi della ricerca. E negli ultimi vent'anni che una vera e propria seconda rinascita si è verificata, sotto il profilo filologico, storico e critico. Una nuova edizione critica di tutte le opere di Spinoza è in corso di pubblicazion~, cura di una équipe internazionale. Nuove traduzioni nelle lingue principali sono disponibili o si stanno preparando 3, Circa tremila nuovi titoli sono apparsi negli ultimi venticinque anni. Perché questo rinnovato e profondo interesse per la filosofia di Spinoza e per l'opera che ne è al centro, l'Eti-
a
ca? I.2
Una filosofia per la vita
Le risposte alla domanda precedente potrebbero essere cercate in tre diversi ordini di considerazioni, culturale, storico, esistenziale. r. La consapevolezza della crisi irreversibile di alcune delle principali categorie della cultura dominante dell'Occidente 3. Cfr. Bibl. 2-6. Segnalo, in particolare, due edizioni delle Opere complete, in preparazione, con testo originale e traduzione a fronte, rispettivamente
italiana e francese, che saranno pubblicate da Bibliopolis, Napoli e
PtrF,
Paris.
L'.l:i'TICA DI SPINOZA
(tempo, spazio, materia, sostanza, soggetto) e delle sue immagini fondamentali (essere, Dio, uomo, storia) costringe a cercare nella stessa :filosofia dell'Occidente modelli e prospettive storicamente e culturalmente perdenti, capaci tuttavia di offrire semi di verità e di rinnovamento. D'altra parte, il confronto quotidiano e inevitabile con le grandi culture storiche del mondo, in partkolare d'Oriente, costringe a trovare nella nostra stessa tradizione categorie e modelli più idonei al dialogo e alla comprensione. La filosofia di Spinoza sembra offrire risposte positive ad ambedue le esigenze. 2. Sotto il profilo storico, l'Etica presenta un interesse particolare per un duplice carattere: costituisce una sintesi formidabile delle principali tradizioni filosofiche dell'Occidente, rielaborate tuttavia secondo un modello originale, nel quale vengono al tempo stesso superate e rinnovate. 3. Sotto il profilo esistenziale, l'Etica è una delle pochissime filosofie d'Occidente che sia sorta, programmaticamente, come scienza subordinata all'esclusivo conseguimento di una vita governata dalla serenità dell'animo, considerata frutto e segno di libertà. La filosofia dell'Etzca è infatti preceduta da una conversione di vita, quella stessa dell'autore, narrata nelle celebri pagine iniziali del Trattato sull'emendaz.ione dell'z'ntelletto. L'esperien~ za filosofica si rivela impossibile senza un'autentica· riforma di vita: «Allora meditavo se per caso non fos!)e possibile pervenire a una nuova regola di ·vita, o almeno alla certezza di essa,. pur non mutando lordine e la regola abituale della mia vita: ciò che, invano, ·spesso tentai» (11E, par. 3). D'altra parte, l'indagine :filosofica, una volta avviata, assume come unico fine il «conseguimento della suprema perfezione umana»; sicché «tutto quello che nelle scienze non ci fa avanzare verso il nostro fine deve essere gettato via come inutile» (TIE, par. 16). A tal punto ritiene l'attività del pensiero giustificata dalle sole conseguenze pratiche, che Spinoza si considera fortunato anche possedendo una :filosofia falsa, la quale abbia tuttavia reso serena la sua vita. Scrive a De Blyenberg: «E se anche un giorno scoprissi esser falso il frutto che ora ricavo dall'intelletto naturale, mi renderebbe fortunato il fatto che ne godo e che cerco di trascorrere la vita non in afilizione e gemìto, ma in tranquillità, gioia e allegria» (Ep 21). Sono queste le virtù dell'uomo libero, che medita la vita: «l'uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte; e la sua sapienza è una meditazione non della morte, ma della vita» (E 4 P76). 16
I. INTRODUZIONE
Spinoza apparve non solo ai suoi contemporanei esempio di coincidenza di pensiero e vita; continua a stimolare anche noi con la scommessa intorno alla vera quiete dell'animo, che la sua Etica propone come conquista alla nostra quotidiana esperienza (E 5 P42S): Ora, se la via che ho mostrato condurre a queste cose ·sembra molto ardua, può essere tuttavia trovata. E certamente dev'essere arduo ciò che si trova così raramente. Come infatti potrebbe accadere, se la salvezza fosse a portata di mano e si potesse trovare senza grande fatica, che essa sia trascurata quasi da tutti? Ma tutte le cose sublimi sono tanto difficili, quanto rare.
1.3 Obiettivi del presente lavoro
Questo lavoro si propone come "introduzione" alla lettura delu~iversitari e, più in generale, di non specialisti. Esso non pretende di essere. un'esegesi né un commento filologico e critico; non intende neppure offrire, in primo luogo, una interpretazione complessiva del testo, anche se è inevitabile, componendo una brevce introduzione, scegliere i temi fondamentali e ordinarli per comodità .del lettore, sulla scorta di precise interpretazioni. Questi sono i principali obiettivi che il presente lav.oro si pone dinanzi. I. Svelare e rendere accessibile al lettore, oltre la barriera del linguaggio e della serrata argomentazione geometrica, la parola viva dell'opera, suscitando per essa un forte interesse intellettuale ed esistenziale. 2. Porre il lettore in condizione di accedere, nel modo più facile e proficuo, alla lettura diretta dell'opera. Nessuna introduzione può sostituirel'incontro diretto con il testo: se tale incontro non avviene, il fine principale di una introduzione è in gran parte fallito. A tale riguardo, non sarà super.fluo avvertire che l'Etica è un testo particolarmente difficile, che richiede al lettore interessato una disponibilità e una dedizione pressoché totali. Come la sua composizione impose all' àutore la dedizione di un'intera vita, così il suo studio e la sua meditazione domandano al lettore, che voglia trarne i frutti sperati, un tempo adeguato e un distacco sincero dal comune regime di vita e dagli abiti mentali acquisiti. 3. Oltrepassare l'ambito della sola conoscenza dell'Etica, per
l'Etica per un pubblico di studenti
17
L' ETfCA
or
Sf>tNOZA
intendere quest'opera nel contesto più ampio delle filosofie che l'hanno preceduta e di quelle che l'hanno seguita. Poiché tale obiettivo, per i limiti materiali entro i quali questo lavoro deve contenersi, non potrà essere attuato che per accenni e rinvii, il lettore è invitato a supplire per suo conto utilizzando .l'ampia bibliografia suggerita al termine del volume. 4. L'ambizione suprema, e più consona alle intenzioni dell' opera stessa, è quella di condurre il lettore a compiere un' esperienza di studio che coinvolga, modifichi e perfezioni la sua intera esperienza di vita. L'Etica, come si è detto, è una filosofia della vita e per la vita e il suo fine primario è qtJ.ello di produrre nel lettore la libertà dell'animo e la gioia della serenità. Per conseguire tali obiettivi ho adottato i seguenti criteri. r. Offrire al lettore le informazioni necessarie intorno alla elaborazione storica e alla struttura materiale del testo, costruito secondo il metodo geometrico. 2. Indicare in modo schematico, all'inizio di ogni capitolo, l'architettura teorica di ciascuna parte dell'opera, in modo da poter facilmente riconoscere, nella concatenazione geometrica, t> ordine e la scansione degli argomenti. Per ottenere tale risultato ho ritenuto opportuno, per quanto è possibile, semplificare e condensare in alcuni nuclei teorici la complessità e, talvolta, prolissità analitica del metodo geometrico. · 3. Mostrare la genesi delle dottrine elaborate, in riferimento sia alle opere precedenti dell'autore, in particolare al Breve trattato, sia alle fonti storiche, precisando la loro specifica evoluzione nel sistema spinoziano. 4. Informare sulle interpretazioni e sulle discussioni ancora aperte intorno ai principali nuclei teorici dell'opera. 5. Fornire una bibliografia ragionevolmente ampia e analitica, nella quale il lettore possa trovare le informazioni necessarie e importanti per lapprofondimento delle questioni dibattute. Nelle note, intenzionalmente limitate, vengono proposte indicazioni di singole opere o di intere sezioni della bibliografia, intorno ai principali temi teorici. I riferimenti puntuali alle interpretazioni dei commentari dell'Etica vengono tralasciati, poiché il lettore interessato potrà agevolmente controllarli da solo. 6. Adottare un linguaggio comprensibile e uno stile piano e diretto. Desidero concludere la prefazione di questo libro, rivolto in particolare a studenti universitari, ringraziando quelli che hanr8
I. IN'rRODU!i'.IONE
no seguito, con attenzione e non di rado con fervore, i due corsi sull'Etka tenuti nell'Università di Macerata in preparazione di esso e verifica. Ai miei studenti, di cui vado fiero per l'intelligenza, la solerzia e l'umanità, devo una testimonianza di stima e gratitudine. Talvolta, guardando l'aula gremita in maggioranza da giovani donne intente a meditare le proposizioni dell'Etka, ho pensato divertito ai moti dell'animo che in Spinoza susciterebbe un tale spettacolo. A nessuna donna, da quel che risulta, egli aveva mai confidato qualcuno dei suoi scritti o una sola proposizione dell'Etica. Si dichiarava convinto che la storia avesse sufficientemente dimostrato che il femmineo sesso non aveva gli stessi diritti dei maschi «per forza d'animo e per ingegno», doti costituenti la specifica potenza umana (TP rr, 4).
Comunque stiano le cose sub specie aeternitatis, mi sembra indiscutibile che la storia dei secoli che ci separano da Spinoza abbia smentito, nei fatti, il filosofo. Tant'è che i suoi più numerosi lettori e, talvolta, anche migliori, sono divenuti animi e ingegni femminili. Del resto, quale forza in natura è più prossima dell'animo femminile a quella sottilissima, indifferente e onnipotente dell'affetto, descritta da Spinoza nella terza parte dell'Ett'-
ca? Alla "regina degli affetti" dedico questo lavoro. Agli amici Franco Biasutti, Omero Proietti e Giuseppina Totaro un vivo ringraziamento per le osservazioni, i suggerimenti e l'aiuto che mi hanno prestato nella revisione del testo.
r9
2'
Genesi e struttura dell'opera
2.1
La redazione del testo 2. r.
r. La storia redazionale del testo sulla base dei documenti esterni
La prima notizia concernente l'Etica è offerta dall'Ep 8 di S. De Vries a Spinoza, ,del 24 febbraio 1663. L'amico di Amsterdam informa sul metodo seguito nella lettura degli scritti del "Maestro", che gli amici riuniti compiono in sua assenza. Le richieste di chiarimento di De Vries intorno alla ·natura delle definizioni e degli assiomi, i diversi riferimenti alle proposizioni, in particolare alla P8 e allo scolio della P 19, mostrano con evidenza che Spinoza ha già composto almeno una sezione della prima parte (De Deo) di un'opera more geometrico demonstrata. La lettera lascia intendere· chiaramente che un lungo periodo di tempo è trascorso. dall'ultimo incontro con Spinoza e informa che gli scritti furono trasmessi da P. Balling forse prima dell'inverno. Da queste informazioni si può arguire con ogni probabilità che Spinoza avesse iniziato a comporre l'Etica more geometrico nel corso del 1662 r. Non si trattava, però, della prima e. originale stesura dell'opera. Infatti,· redigendo secondo il metodo della geometria di Euclide il nuovo testo, I' autore non faceva che rielaborare e ampliare un'opera conclusa nell'inverno precedente, sulla cui pubblicazione, come ci informa l'Ep 6 a H. Oldenburg, era incerto, temendo di scatenare l'odio dei teologi: il Breve trattato. r. Pet le questioni e le discussioni concernenti la cronologia delle opere di Spinoza rinvio a F. Mignini, La cronologia e l'interpretazione delle opere di Spinoza, in "La Cultura", 26 (r988), 2, pp. 339-60. 2I
L' ETTCA DI SPINOZA
Quest'opera è divisa in due parti, concernenti Dio e .l'uomo. La seconda 'parte, tuttavia, è idealmente suddivisa in una dottrina della mente (teoria del corpo, della mente, dei generi di conoscenza, della volontà), una dottrina degli affetti e una dottrina della libertà. L'opera contiene inoltre un'appendice concernente la natura della sostanza, redatta in forma geometrica. _Se consideriamo che passaggi e argomentazioni del Breve trattato ricorrono materialmente nell'Etica e che è presumibile riconoscete in una numerazione progressiva trasmessa dal manoscritto A del trattato l'indicazione del lavoro di revisione che lautore vi aveva compiuto in vista della rielaborazione 2 , possiamo ricostruire la genesi dell'Etica e spiegare perché la definitiva redazione geometrica in cinque parti fosse preceduta da una prima verosimile bipartizione, quindi da una tripartizione. Una non inverosimile, originaria divisione in due parti è suggerita da11a breve introduzione a11' attuale seconda parte: in questa si annunciano, trattate insieme, le cose concernenti la mente umana e la sua beatitudine, come accade nella seconda parte del Breve trattato, ma come non accade nella seconda parte dell'Etica pubblicata. · Che 1' autore fosse presto passato a una successiva tripartizione è dimostrato dall'Ep 28 a Bouwmeester, dell'estate i665. Nella lettera, Spinoza informa lamico di aver deciso di inviargli circa 80 proposizioni della terza parte della sua Filosofia, che si sta ampliando più del previsto, perché non abbia a interromperne troppo a lungo la lettura .3. Poiché 1'attuale terza parte dell'Etka consta soltanto di 59 proposizioni, è evidente che la sua prima redazione è stata successivamente suddivisa dall'autore in tre parti, corrispondenti alle attuali terza, quarta e quinta. Si può inoltre osservare che, se nella lettera a Bouwmeester Spinoza chiama ancora la propria opera «mia Filosofia», nell'Ep 2 3 a De Blyenberg, del marzo precedente, laveva denominata, per la prima volta a quanto risulta, «mia Etica (non ancora pubblicata)» 4. È interessante sottolineare come le due denominazioni si sovrapponggno e come, per Spinoza, l'Etica sia la sua
2. Per questa e per le altre questioni concernenti il Breve trattato, rinvio alla mia edizione dell'opera e al commento che la segue. 3. G IV, 163, 19-24. 4. G IV, 151, 2.
22
2,
GENESI E STRUTTURA DELL'OPERA
Filosofia o, se si preferisce, come la sua Filosofia possa essere indicata quale Etica. È da notare che il testo dell'Etica, venendo in mano ad amici che non sempre possedevano un'adeguata conoscenza della lingua latina, era probabilmente tradotto man mano che veniva consegnato. Così, se è verosimile ritenere che le prime due parti fossero state tradotte da P. Balling, questo lavoro dovette avvenire entro il 1664, anno della morte del traduttore. Come si è visto, Spinoza invia agli amici 80 proposizioni della terza parte nell'estate del I 665; non sappiamo se queste fossero state tradotte subito, oppure se lo siano state più tardi. Sembra comunque che la mano del traduttore delle attuali terza, quarta e quinta parte sia quella di J. H. Glazemal{et .5. È verosimile tuttavia supporre che Spinoza avesse deciso di inviare a Bouwmeester quel che aveva già scritto della prevista ·terza parte, anche perché, in quei mesi, aveva iniziato a comporre un trattato sull'interpretazione de11a Scrittura. Non possiamo affermare con certezza per quale ragione il filosofo abbia deciso di interrompere la composizione dell'Etica, che avrebbe dovuto portare a compimento, per impegnarsi in un lavoro di lungo periodo, quale era prevedibile che fosse il Trattato teologico-pol#ico. Forse aveva già previsto di suddividere in tre parti l'intera materia della terza parte e aveva compreso che, per portare a termine il progetto, sarebbe stato necessario molto tempo. Ma è possibile e, forse, anche più verosimile supporre che lautore attribuisse alla meditazione intorno all'interpretazione della Scrittura un'importanza in qualche modo subordina~ ta e funzionale allo stesso compimento dell'Etka, se non voglia~ mo ammettere che egli abbia intrapreso il trattato soltanto per soddisfare qualche richiesta esterna. È un fatto che, negli anni successivi, I' autore fu prevalentemente impegnato nella compo~ sizione del Trattato teologico-politico, pubblicato nel 1670. Non abbiamo ulteriori esplicite notizie intorno a1la compo~ sizione dell'Etica, fino all'Ep 62 di H. Oldenburg a Spinoza, del 22 luglio 1675. In essa, il segretario della Royal Society si riferi~ sce a una precedente lettera di Spinoza del 5 luglio, nella quale 5. Per le questioni concernenti lo stile, la traduzione, la pubblicazione ~
la recezione degli Opera posthuma e dei Nagelate Schriften, cfr. F. Akkerman, Studies in the Posthumous Works o/ Spinoza e P. Steenbakkers, Spinoza's "Ethica" /rom Manuscript to Print (cfr. Bibl. 12).
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L ETICA DI SPlNOZA
il filosofo manifestava all'amico l'intenzione di pubblicare il «trattato in 'cinque parti» 6 • Nelle Ep 64 e 6 5, del luglio-agosto r675, si trovano diversi riferimenti alle prime tre parti dell'Etica, che corrispondono esattamente all'opera pubblicata. È tuttavia nell' Ep 68 a Oldenburg, del settembre-ottobre dello stesso anno, che Spinoza informa esplicitamente: «proprio quando ricevevo la vostra lettera del 22 luglio, partivo per Amsterdam, con l'intenzione di consegnare al tipografo il libro di cui vi avevo scritto» 7. Ho già riferito sull'ostilità manifestata dai teologi, che diffusero la notizia della pubblicazione di un'opera nella quale, come pretestuosamente lamentarono «dinanzi al principe e ai magistrati», si sosteneva che «Dio non esiste». Spinoza, che non amava le polemiche, ritirò il manoscritto in attesa di vedere che piega prendessero le cose. A Oldenburg, nella stessa lettera confessava: «a dire il vero, la faccenda sembra volgere ogni giorno al peggio, e sono incerto su che cosa tuttavia fare» .. Il manoscritto dell'Etzea rimase nel cassetto. L'autore, per difendere e chiarire alcuni passaggi del Trattato teologico-polttzeo, redasse nei mesi successivi 24 annotazioni. Poi si· impegnò nella composizione di un Trattato politico. Mentre iniziava a comporre il capitolo sulla democrazia, fu colto dalla morte, il 2 r febbraio 1677. Concludendo, i documenti in nostro possesso informano con certezza che la vicenda redazionale dell'Etica si è svolta in un periodo di circa tredici anni, dal 1662 al 1675, inframmezzata dalla composizione dei Principi della filosofia di Cartesio e dei Pensieri metafiszei, del Trattato teologzeo-pol#ico e del Compendio di grammatzea della lingua ebrazea. In particolare, si pos1670-75: il primo è sono distinguere due periodi, 1662-65 caratterizzato dalla redazione dell'Etica tripartita, fino a circa la proposizione 80 dell'originaria terza parte; il secondo dal completamento delle ultime tre parti e dalla revisione di tùtta l' opera 8 •
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6. G rv, 273, 7-9. 7. G rv, 299, 7-22. 8. Diverse ipotesi concernenti gli strati redazionali del testo sono state avanzate sulla base dell'esame filologico e della critica interna: cfr. oltre ai la-
vori di Akkerman e Steenbakkers, le analisi di B. Rousset (Bibl. r2- 3) e la tesi sostenuta da A. Negri in L'anomalia selvaggia (Bibl. rr); per una discussione di questo problema: Mignini, La cronologia cit., in particolare pp. 351-60.
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2. GENESl E STRU'I"I'URA. DELL OPERA
2.2
Struttura del testo 2. 2. r.
Una via di liberazione
La struttura materiale dell'opera e il criterio che la determina sono l'espressione di un progetto e di una intenzionalità filosofica. Questa consiste nella elaborazione e nella presentazione di un'etica, intesa come filosofia, capace di indirizzare e condurre l'esperienza vitale dell'uomo alla massima perfezione possibile. Quella che per l'uomo è conseguibile consiste nella libertà dell'animo (mai assoluta e totale) rispetto alle passioni e alla incessante determinazione delle cause esterne. Tale libertà, sempre perfettibile, si esprime nella serenità costante e in uno stato tendenzialmente continuo di gioia, ossia di passaggio da una perfezione minore ad una maggiore. L'Etica è la descrizione e la dimostrazione dell'itinerario che conduce alla gioia e alla libertà dell'animo. Essa si propone come un itinerario necessario, autofondativo e autodimostrativo. L'itinerario è necessario, in quanto intende includere e presentare tutte le conoscenze, e soltanto quelle, che sono indispensabili al conseguimento del fine prestabilito. Ad esempio, poiché l'uomo è assunto come parte della natura, non potrà trattarsi il tema della sua libertà senza conoscere della natura universale; che ne determina l'esistenza e l'azione, quanto è necessario (non tutto) per raggiungere lo scopo. È per questa ragione che lautore dedica la prima parte dell'opera all'esame della natura-sostanza-Dio. Inoltre, poiché la dottrina della libertà umana implica quella delle passioni da cui liberarsi, e queste hanno una relazione essenziale e costitutiva con la conoscenza, è necessario elaborare una dottrina della mente, svolta nella seconda parte. Ma la dottrina della mente implica anche, per essete costruita, delle notizie intorno al corpo, che· vengono perciò fornite nei limiti di quanto è necessario per spiegare i fenomeni indagati. La costruzione dell' Etzea si presenta come autofondativa, poiché procede da alcune verità semplici ed evidenti, che devono essere accettate da chiunque conosca il significato dei termini che le esprimono e, procedendo da esse, intende dimostrare con metodo deduttivo le altre verità che vi sono collegate. L' autofondatività consiste, in particolare, nella capacità di ciascuna proposizione vera di spiegare la genesi di un'altra propo-
L'.ETICA DI SPINOZA
sizione vera, in modo che si proceda da verità a verità come da causa ad effètto. L'intera costruzione e il procedimento adottato intendono essere autodimostrativi, poiché non rinviano ad alcuna verità presupposta e ad alcuna dimostrazione esterna. È evidente che un'opera così concepita non può non richiedere un metodo di esposizione e un linguaggio adeguati, che lautore assume, come si vedrà fra poco, dall'esperienza della geometria. 2.2.2.
Piano formale e materiale dell'opera
L'Etica è divisa in cinque parti (non libri). La prima parte, intitolata Dio, non ha alcuna premessa né prefazione. In essa lautore intende dimostrare che al tradizio~ nale termine Dio corrisponde una sostanza assolutamente infinita e unica, costituita da una infinità di attributi o perfezioni essenziali, causa di sé e, con il medesimo atto e con la medesima potenza con cui è causa di sé, causa· di tutto ciò che è implicato nella sua natura, ossia di infinite modificazioni. Esistono dunque soltanto due generi di "cose". I. La sostanza assolutamente infinita, natura naturante o Dio. 2. I modi che ad essa necessariamente e immanentemente ineriscono. La prima parte è costituita da 8 definizioni, 7 assiomi, 36 proposizioni corredate da I 5 corollari e i4 scoli; si conclude con una appendice riguardante la natura e l'origine dei pregiudizi, in particolare di quello finalistico. La seconda parte, intitolata Della natura e origine della mente, intende dimostrare che . l'uomo è un modo della sostanza, ossia una sola e medesima cosa che si esprime simultaneamente sotto gli attributi del pensiero e dell'estensione. La mente umana è idea di un corpo umano determinato, di cui ha consapevolezza percependo le affezioni da cui il corpo è modificato da parte di altri corpi. Ogni conoscenza che la mente ha del corpo e di se stessa mediante la percezione delle affezioni del corpo (ossia mediante l'immaginazione) è inadeguata. Ma poiché tutti i corpi hanno qualcosa in comune, essendo modi del medesimo attributo dell'estensione, la rappresentazione o idea di ciò che è comune a tutti i corpi e alle· loro affezioni è conosciuta dalla mente in modo adeguato e costituisce il fondamento della ragione, secondo genere di conoscenza.
2.
GENESI E STRUTTURA DELJ,'OPERA
Infine l'autore mostra che la mente ha anche la possibilità di rappresentare le cose singole (in quanto singole) in modo adeguato, conoscendo la loro essenza mediante l'essenza dell' attributo a cui ineriscono: è questo il terzo e supremo genere di conoscenza, denominato anche intelletto o scienza intuitiva. La seconda parte si apre con una breve introduzione ed è costituita da 7 definizioni, 5 assiomi, 49 proposizioni corredate da 18 corollari e 22 scoli; tra le P13 e 14 c'è un intermezzo concernente la fisica e la ilatura del corpo, costituito da 4 assiomi, 6 postulati, 7 lemmi e una definizione. La terza parte, intitolata Della natura e delforig;ine degli affetti, intende dimostrare che l'essenza dell'uomo (ma anche di tutte le altre cose) è affectus, ossia una forza o tentativo (conatus) di autoconservazione. Se il conatus esprime la natura. propria dell'uomo, si manifesta in un affetto attivo o azione; se esprime invece di più la forza e la determinazione delle cause esterne, si esprime in un affetto passivo o passione. Dunque il primo e fondamentale affetto umano è la cupùlitas, ossia il conatus di autoconservazione accompagnato dalla consapevolezza di sé. Se la cupiditas consegue un perfezionamento della propria potenza, si manifesta come gioia. Se, invece, subisce una diminuzione della propria potenza, si manifesta come tristezza. E poiché la cupiditas non è altro che tentativo di autoconservazione mediante la relazione con oggetti esterni, se lunione con questi è accompagnata da gioia~ si prova amore per essi; se invece è accompagnata da tristezza, si prova odio. Tutti gli altri affetti non sono che determinazioni o composizioni particolari dei primi cinque affetti, riconducibili al movimento fondamentale della cupiditas. La terza parte si apre con una ·prefazione ed è costituita da 3 definizioni, 2 postulati (non vi sono assiomi), 5 9 proposizioni corredate da 14 corollari e 3 7 scoli; comprende inoltre una sezione finale dedicata a 49 definizioni degli affetti, 2 7 delle quali seguite da una spiegazione. La quarta parte, intitolata Della schiavitù umana) o delle forze degli affetti, intende presentare una fenomenologia delle passioni umane, ossia della forza con cui esse si connettono e si organizzano, sotto la spinta delle cause esterne. Tale ricognizione delle cause delle passioni, necessaria per approntare i loro rimedi, è fondata su di un solo assioma ed è orientata dalla P3, secondo la quale la potenza con cui l'uomo cerca di perseverare nell' essere è infinitamente superata dalla forza delle cause esterne. La
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L ETICA DI SPINOZA
quarta parte è aperta da una prefazione ed è costituita da 8 definizioni, da un assioma unico e da 73 proposizioni corredate da I7 corollari e 39 scoli; è conclusa da una breve appendice in cui sono riassunte, in 22 capitoli, le cose essenziali sul retto modo di vivere, insegnate nella stessa parte. La quinta parte, intitolata Della potenza dell'intelletto, o della libertà umana, intende dimostrare quale sia la potenza che la ragione e l'intelletto possono esplicare nel moderare e vincere le passioni. In essa si intende anche dimostrare che quel potere è fondato, in ultima istanza, sulla eternità della mente. Questa parte è introdotta da una prefazione ed è costituita da 2 assiomi e 42 proposizioni, corredate da 8 corollari e r 7 scoli. Nelle Opere postume il testo dell'Etka occupa 264 pagine, così suddivise: 39 pagine la prima parte, 5 3 pagine la seconda, 68 la terza, 72 la quarta, 32 la quinta, la quale, oltre ad essere la più breve, è anche quella meno corredata, complessivamente, di corollari e di scoli. Dopo la· quinta, la parte più breve è la prima, quasi simmetrica a quella anche nel numero delle proposizioni. In mezzo, le altre tre· parti, progressivamente crescenti in numero di pagine e di proposizioni. Senza stabilire alcuna relazione diretta, causale o intenzionale tra l'estensione materiale delle parti e gli argomenti in esse trattati, si può osservare che oggetto della prima e della quinta parte sono ragione e intelletto, dispiegati o nella rappresentazione di Dio o nella rappresentazione di se stessi; nelle altre tre parti oggetto prevalente della· trattazione è l'immaginazione, intesa come forma diconoscenza inadeguata, matrice degli affetti e causa principale delle ·passioni. Si può infine· notare che quasi metà dell'opera è occupata da testi esposti non in forma geometrica, costituiti prevalentemente dagli scoli, e poi da appendici, prefazioni e spiegazioni. Sicché l'argomentazione geometrica è come intercalata da esposizioni composte secondo il metodo comune e ispirate, non· di rado, da raffinate risorse retoriche. Una considerazione particolare merita la funzione degli scoli, disposti spesso strategicamente dall'autore a sottolineare i momenti di svolta dell'argomentazione, a riassumere le principali tesi sostenute, a fornire nuove dimostrazioni tratte spesso dall'esperienza, a. difendere le dottrine esposte e a denunciare i pregiudizi con i quali gli oppositori pretendono combatterle. Gli scoli, e gli altri testi non formalmente argomentativi, intendono inoltre chiarire al lettore
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L E'ffGA Dr SPINOZA
le implicazioni di ordine culturale, etico e, talvolta, politico contenute nelle, dottrine esposte 9 (cfr. T AB. r). .2.3
Il metodo geometrico La caratteristica più rilevante dell'Etica, sotto il profilo materiale e formale, è la sua redazione more geometrico ro. Descartes aveva composto una seconda redazione delle Seconde Risposte seguendo tale metodo; lo stesso Spinoza aveva composto una prima appendice al Breve trattato in forma geometrica e aveva esposto geometricamente i Principi della filosofia di Cartesio. Tuttavia, nella storia della filosofia non v'è altra opera di impegno pari a quello dell'Etka, che sia stata redatta secondo il metodo della geometria di Euclide. Quali sono state le ragioni che hanno indotto Spinoza a impiegare tale metodo e quali ne sono gli elementi principali? Quando il filosofo detta geometricamente i Principi della filosofia di Cartesio, ha già iniziato la composizione dell'Etica. Possiamo dunque assumere che le ragioni e le spiegazioni addotte da L. Meyer nella prefazione ai Principi, per incarico e a nome di Spinoza, possano valere anche per il metodo geometrico dell'Etica. Meyer definisce matematico «quel metodo con il quale le conclusioni sono dimostrate a partire da definizioni, postulati e assiomi» 'r. Esso consiste nel dedurre senza pericolo di errorè nozioni ancora ignote da nozioni conosciute con certezza e predisposte a fondamento dell'edificio della conoscenza. Le definizioni, infatti, non sono altro che spiegazioni molto chiare dei termini e dei nomi con cui vengono designati gli oggetti della trattazione; quanto ai postulati e agli assiomi, o nozioni· comuni della mente, essi sono enunciati così chiari e perspicui, che nessuno può negare loro l'assenso, purché abbia compreso cori:ettamente il senso delle parole u.
9. Per wùnalisi sistematica della funzione degli scoli cfr. G. Deleuze,
Spinoza et le problème de t1expression, Les Éditions de Minuit, Paris r968, pp. 3r3-22 e P. Macherey, De la médiation à la constitution: description d'un parcours spéculati/, in "Cahiers Spinoza", 4 (r983), pp. 9-37. IO. Cfr. Bibl. I 5. r r. B. Spinoza, Principi deUa filosofia di Cartesio. Pensieri metafisici, a cura di E. Scribano, Laterza, Bari r990, p. q. I2. Ibid.
2. GENESt E STRUTTURA DELL'OPERA
Meyer aggiunge, discostandosi dalle precisazioni cartesiane alla fine delle Seconde Risposte, che tale metodo «è la via migliore e più sicura nella ricerca e nell'insegnamento della verità». Descartes aveva sostenuto che il metodo sintetico era la via migliore soltanto nell'insegnamento della verità, mentre nella ricerca di questa era preferibile il metodo analitico. Meyer auspica infine che tale metodo possa essere esteso a tutte le scienze, per conferire a queste certezza e incontrovertibilità; D'altra parte, lo stesso Spinoza, nel cap. 7 del Trattato teologico-politico, spiega quale sia la peculiarità del metodo di Euclide e il suo vantaggio rispetto alte altre forme di scrittura: Euclide, che non scrisse se non cose semplicissime e quanto mai intelligibili, è facilmente compreso da tutti, in qualunque lingua, né, per intenderne il pensiero, e raggiungere la certezza circa il suo vero significato, è necessario avere una piena conoscenza della lingua in cui scrisse, ma ne è sufficiertte una conoscenza comune, quasi rudimentale; e non è necessario conoscere la vita, gli studi, i costumi dell'autore, né la lingua, il -destinatario e il tempo ih cui scrisse, la fortuna del libro e le sue varie lezioni, né come e per deliberazione di chi sia stato approvato. E quel che diciamo qui di Euclide va detto di tutti coloro che scrissero intorno ad argomenti per loro natura comprensi-
bili» rJ, Componendo le caratteristiche del metodo geometrico elencate qui da Spinoza con quelle indicate da Meyer su incarico del filosofo, possiamo trarre la seguente conclusione: r. Il metodo geometrico è fondato su nozioni intelligibili per se stesse 2. perché semplicissime e perciò 3. universalmente comprensibili, 4. dalle quali si deducono con necessità altre nozioni prima ignote, 5. che possiedono la stessa certezza delle prime. 6. Tutte le scienze possono, anzi dovrebbero, essere formulate con metodo geometrico. La convinzione relativa alla possibilità, anzi alla necessità di impiegare il metodo geometrico-matematico nella costruzione e nella esposizione delle scienze nasce da alcuni assunti fondamentali del sistema spinoziano. q. B. Spinoza, Trattato teologico~politico, a cura di A. Droetto, E. Giancotti, Einaudi, Torino 1972, p. 201.
L'ETICA Dl SPINOZA
1. Tutto ciò che esiste, compreso l'uomo, è regolàto dalle medesime leggi di una sola e medesima natura. 2. Le leggi della natura sono universali e necessarie. 3. Esse sono espressione di un intelletto infinito, di cui· anche la mente umana è parte. 4. Le leggi della natura sono perfettamente intelligibili da parte della mente umana. 5. La conoscenza necessaria e universale di cui la mente umana è capace è espressa dalla conoscenza propria della matematica e della geometria, assunte da Spinoza, sotto il profilo del metodo, come discipline identiche (cfr. E 1 A). Conviene infine sottolineare che il metodo geometrico, lungi dal costituire esso stesso il fondamento di verità del sistema - quel fondamento risiede in qualunque idea vera data - è assunto invece, per le ragioni qui sopra esposte, quale strumento privilegiato della sua costruzione argomentativa e della sua espressione. Veniamo ora all'esame dei singoli elementi del metodo geometrico. 1. Definizione: secondo la formula adottata da Meyer, è una «spiegazione molto chiara dei termini e dei nomi con cui vengono designati gli oggetti della trattazione». Spinoza, rispondendo nell'Ep 9 a De Vries, che anche a nome degli amici aveva scritto al filosofo per conoscerne il parere, precisava che è necessario distinguere tra due generi di definizione: a) quella che spiega la cosa quale è fuori dell'intelletto e che, perciò, avendo un oggetto determinato, deve essere vera, ossia corrispondere nell'enunciato all'essenza della cosa definita. Se si intende definire il tempio di Salomone, non è sufficiente dare una definizione generale. di tempio, ma è necessario descrivere esattamente quello di Salomone. Questa definizione è stata chiamata reale; b) quella che spiega una cosa quale è o può essere da noi concepita e che, proponendosi al solo scopo d'esame, non richiede di essere vera, corrispondente ad ·un oggetto fuori dell'intelletto, poiché questo non viene presupposto; si richiede soltanto che essa sia concepibile, ossia che non implichi contraddizione. Questa definizione è stata chiamata nominale. Gli interpreti sono discordi nell'assegnare le definizioni dell'Etica al primo o al secondo tipo qui sopra illustrato. Ritengo che le definizioni. adottate da Spinoza nell'Etica, considerate ·
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2. GENESI E STRUTTURA DELL'OPERA
propriamente e per sé, indipendentemente dall'intero sistema, siano del tipo descritto da Meyer nella prefazione ai Principi, ossia di spiegazione di un termine o nominale. Se invece vengono considerate in relazione all'intero sistema dispiegato, poiché questo dimostra che gli oggetti da esse implicati hanno esistenza formale, possono considerarsi reali 1 4. 2. Assioma: in matematica è assunto come un principio evidente per se stesso, tale da non richiedere dimostrazione; fondativo della conoscenza. Secondo la formulazione di Meyer, lassioma è un enunciato cosi chiaro e perspicuo che nessuno può negare ad esso lassenso purché abbia compreso correttamente il significato delle parole che lo enunciano. Per I'Ep 9, lassioma, a differenza della definizione nominale, che può darsi solamente in quanto concepita, è invece sempre vero; a differenza della definizione reale, che concerne soltanto le essenze delle cose e le loro affezioni, esso si estende anche alle verità eterne. 3. Postulato: in matematica è una proposizione evidente per se stessa, oppure che si ammette come vera anche se non è evidente, e che viene assunta quale principio di dimostrazione. In filosofia., in generale, i postulati sono enunciati di verità necessari alla giustificazione di altre verità o tesi. Il postulato ha dunque le stesse caratteristiche dell'assioma, ma se ne distingue perché è espressamente finalizzato a una dimostrazione, in quanto richiesto da questa. 4. Proposizione: enunciato concernente lessenza delle cose o le loro affezioni, che richiede una dimostrazione per essere am~ messo .come vero (cfr. Ep 9). 5. Corollario: proposizione che si deduce da una proposizione precedente come immediata ed evidente conseguenza, senza bisogno di ulteriore dimostrazione. In genere, i corollari dell'Etica non hanno dimostrazione; in una decina di casi, specie nella seconda e terza parte, sono seguiti da dimostrazione e, talvolta, da un successivo scolio. 6. Scolio: commento o nota esplicativa che si ·riferisce a una proposizione o a un gruppo di proposizioni. In genere, si trova alla fine di una sezione argomentativa, oppure integra la dimostrazione di una proposizione particolarmente rilevante, riformulando con diverso metodo retorico la dimostrazione già data 14. Sulla dottrina della definizione cfr. F, Biasutti, La dottrina della scien-
za in Spinoza, cap; 3, Bibl. 15.
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L' E'I'ICA DI SPINOZA
o proponendone una nuova. Si può ragionevolmente presumere che una parte degli scoli dell'Etica costituiscano interventi successivi alla prima stesura dell'opera, in risposta a obiezioni o richieste di chiarimento formulate dagli amici lettori, oppure .soltanto previste. 7. Lemma: proposizione preliminare alla dimostrazione di una tesi, che si assume come certa oppure si dimostra, in quanto è necessaria per l'argomentazione principale.
2.4 La lettura dell'Etica e le altre opere di Spinoza
Dalla rapida esposizione del primo paragrafo di questo capitolo, risulta con evidenza il ruolo assolutamente centrale dell'Etica nel contesto delle opere spinoziane. Non solo e non tanto perché alla sua composizione Spinoza ha dedicato le proprie energie, con alcune interruzioni materiali, durante l'intero arco della sua attività; ma perché quasi tutte le altre opere o sono state diversamente implicate nella stessa composizione dell'Etica, come i Principi della filosofia di Cartesio e il Trattato teologico-politico, oppure hanno in essa il loro esplicito riferimento sistematico, come il Trattato politico. Due opere, tuttavia, hanno con l'Etica un rapporto del tutto speciale: il Trattato sull'emendazione dell'intelletto e il Breve trattato. Il primo, che considero anche la prima opera che Spinoza abbia composto, era stato concepito come un trattato sul metodo, introduttivo all'esposizione della Filosofia r;, Non v'è alcun dubbio, come si è visto, che Spinoza, nelle proprie lettere fino al 1665, indicasse l'Etica, che stava componendo, con l'espressione: «mia Filosofia». Dunque è legittimo considerare il Trattato sull'emendazione dell'intelletto, pur nella sua incompiutezza e nei suoi limiti, almeno nelle intenzioni dell'autore, come una introduzione indiretta all'Etica, intesa come espressione definitiva assunta dalla "filosofia". Si deve tuttavia precisare che l'Etica non è stata. la prima formulazione della filosofia spinoziana, ma tale è stato il Breve trattato e che fra questo e l'Etica deve porsi una relazione diret15. Sulle questioni concernenti composizione e datazione del TIE rinvio a F. Mignìni, Per la datazione e l'interpretazione del "Tractatus de intellectus emendatione" di Spinoza, in "La Cultura", r7 (r979), r-2, pp. 87-160; Id., La cronologia cit.; per ulteriori informazioni sull'accoglienza e discussione della ipotesi cfr. l'Introduzione all'edizione del TIE, in corso di pubblicazione nel quadro delle Opere complete, presso le edizioni Bibliopolis di Napoli.
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ta di continuità, oltre che di evoluzione tematica e strutturale. Ritengo quindi che i riferimenti a una futura filosofia presenti nel Trattato sull'emendazione dell'intelletto riguardino, storicamente e filologicamente, prima il Breve trattato e poi, come l' opera in cui questo si è trasformato e ha ricevuto forma definitiva, l'Etica. Non è questo il luogo per riaprire la discussione sull'argomento; la precisazione è invece necessaria perché, a seconda che la si accetti o la si rifiuti, muta anche il grado di attenzione che è necessario portare al Breve trattato nell'analisi dell'Etica. Nella prospettiva da me adottata, l'analisi della relazione delle singole dottrine dell'Etica con la loro formulazione nel Breve trattato è essenziale, non solo sotto il profilo storicofìlologico, ma anche teoretico. Diversamente, nell'ipotesi che il Breve trattato sia da considerare una sorta di tentativo sistematico incerto e abbandonato, perché superato da un nuovo progetto che implicava sistematicamente un trattato introduttivo sul metodo e una nuova filosofi.a, l'interesse dell'interprete può essere al massimo di curiosità e di erudizione. In ogni caso, quale che sia l'opinione che il lettore si formerà al riguardo, era necessario informarlo della prospettiva adottata nella presente intròduzione all'Etica. Del resto, che Spinoza considerasse il Breve trattato come un'esposizione del proprio pensiero, che potesse essere subito pubblicata, sembra essere confermato dalla motivazione che il filosofo adduce a Oldenburg per spiegare la composizione e la pubblicazione dei Principi della filosofia di Cartesio. La ragione fondamentale è quella di conquistare il favore delle autorità, perché gli sia consentito di pubblicare immediatamente (statim) qualcosa che esprima il suo vero pensiero. Ora, nell'aprile del r663, non v'è altra opera a noi nota che l'autore possa immediatamente pubblicare al di fuori del Breve trattato, eventualmente rivisto e perfezionato. La riformulazione geometrica di esso procedeva infatti lentamente ed è difficile supporre che Spinoza potesse coltivare molte illusioni sulla rapidità della sua e.secuzione. Tuttavia, comunque si voglia considerare l'ipotesi che fosse il Breve trattato l'opera che il filosofo intendeva pubblicare come espressione del proprio pensiero, e si preferisca pensare all'Etka in una sua redazione provvisoria, rimane il fatto che a questa, nel senso qui sopra indicato, è subordinata la composizione dei Principi e della loro appendice, i Pensieri metafisici. Diverso rapporto con la composizione dell'Etica ha invece la stesura del Trattato teologico-politico. Si è già ricordato che,
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L ' ETICA DI SPINOZA
nell'estate del 1665, quando inizia a comporre il trattato sull'interpretazione della Scrittura, Spinoza ha elaborato circa ottanta (forse qualcuna di più) proposizioni della terza parte dell'Etka, comprendente, nel disegno originario, le attuali ultime tre parti. Poiché ·1' attuale terza parte è costituita da 59 proposizioni~ supponendo che nel disegno primitivo lampiezza della trattazione fosse minore rispetto a quella definitiva, si può ritenere che l'autore avesse svolto, nell'estate del 1665, ·oltre alla dottrina degli affetti (terza parte), anche una buona parte della dottrina delle passioni umane, .corrispondente all'attuale quarta parte. Rimaneva da svolgere la trattazione della libertà umana, dimostrando quale potenza abbiano ragione e intelletto sulla immaginazione e sul potere delle cause esterne, ossia sulla fortuna. Tema, questo, esaminato e discusso nell'attuale quinta parte. Ora, per Spinoza era già evidente, come la ricerca condotta nel Breve trattato e nello svolgimento della quarta· parte dimostra, che la potenza dell'immaginazione, congiunta alla forza delle cause esterne, si esprime soprattutto nei pregiudizi e nelle superstizioni che guidano e travolgono per lo più gli uomini. Non a caso, anche l'appendice della prima parte è dedicata all'analisi dei pregiudizi umani, in particolare alla causa di tutti i pregiudizi, ossia a quello finalistico, fondamento e scudo della concezione teologica del mondo. Non è dunque affatto inverosimile supporre che Spinoza, prima di affrontare la composizione della quinta parte, decidesse di svolgere un'indagine storica e filologica sull'origine dei pregiudizi teologici· che, in Occidente, si possono ricondurre in gran parte alle interpretazioni storiche della Scrittura (cfr. Ep 30). E dunque a ragion veduta che la prima parte del Trattato teologù:o-pol#ico (-capp. l-15) è dedicata ·all'analisi del pregiudizio teologico riguardante il primato della conoscenza rivelata rispetto alla conoscenza naturale. L'intenzione del testo risulta con chiarezza, se si considera una possibile suddivisione interna della stessa parte: l . Esame della natura e dei limiti della rivelazione, ossia della immaginazione profetica (capp. l-2). 2. Esame di quattro temi fondamentali della Scrittura: I' elezione degli ebrei, con un excursus dedicato al tema della fortuna (cap. 3), la legge, i riti, i miracoli (capp. 4-6). 3. Esposizione della teoria spinoziana dell'esegesi biblica (capp. 7-13). 4. Natura, prerogative e limiti della conoscenza teologica e di quella filosofica (capp. 14- I 5).
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2. GENESI E STRUTTURA DELL 0PERA
D'altra parte, come già veniva espressamente indicato nel
Trattato sull'emendazione dell'intelletto e come emerge con chiarezza nella quarta parte dell'Etica, la potenza della ragione, ossia il conseguimento della libertà, può tanto meglio esplicarsi quanto più si garantiscono agli uomini condizioni di vita sicure. In altri termini, quanto più forte, ordinato e libero si costruisce uno Stato. Nella seconda parte del trattato, dopo aver delineato una teoria del diritto (capp. 16-17), l'autore mostra che il supremo potere politico ha la facoltà di legiferare anche in materia religiosa, per quanto concerne i riti e il culto esterno (capp. r8-r9) e che «in una libera repubblica è lecito a chiunque pensare quello che vuole e dire quello che pensa» (cap. 20). Come si vede, l'opera implica una intensa e radicale meditazione intorno alle condizioni della libertà politica, supporto della libertà individuale, che costituisce l'oggetto della quinta parte dell'Eika. Se le ragioni qui sopra esposte indicano il nesso strutturale e interno che lega la composizione del Trattato teologico-politico a quella dell'Etica, è necessario aggiungere che, verosimilmente, anche ragioni esterne di carattere sociale e politico potevano avere indotto Spinoza alla decisione di comporre l'opera. In particolare, nel contesto della contesa in atto tra i sostenitori dell'esperienza repubblicana capeggiata dai fratelli De Witt, ai quali Spinoza era legato da vincoli di stima e di amicizia, e il partito conservatore degli Orange, la vita civile dei Paesi Bassi era caratterizzata da un vivace conflitto religioso tra la chiesa calvinista, paladina di una intransigente ortodossia, e le molte sette di cristiani liberali alle quali appartenevano molti degli amici più intimi di Spinoza. Si trattava quindi di assumere una posizione nel conflitto tra potere religioso e potere civile, sostenendo l'esigenza di difendere la libertà di pensiero e di parola. Temi, come si è visto, affrontati esplicitamente da Spinoza nel Trattato teologico-politico. Questo, dunque, pur rispondendo a emergenze storiche determinate, può essere anche considerato una meditazione, in forma di grande excursus, sulla potenza e sulle forme dell'immaginazione storica dell'Occidente. E tale meditazione svolgeva di fatto, al tempo stesso, un ruolo preliminare e funzionale alla elaborazione della quarta e della quinta · parte dell'Etka. È quindi evidente che, nell'analisi di queste parti, un'attenzione particolare deve essere rivolta anche al
Trattato teologico-politico.
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3
Dio
Schema generale della prima parte 3 .1 . Fondamenti dell'argomentazione 3.I.I. Definizioni b-8) 3.I.2. Assiomi b-7) 3.2. DeduZione della sostanza e dei modi (P1-29S) 3.2.I. Natura e proprietà della sostanza: Natura naturans (P120)
3. 2. I. I. Natura e proprietà generali della sostanza (P1 · 85)
3.2.I.2. Una sostanza può avere più attributi (P9-10) 3.2.I.3. Una sostanza assolutamente infinita esiste necessariamente (P1 1 e S) 3.2.I.4. Proprietà della sostanza assolutamente infinita, quanto alla sua essenza (P12-15S e 19-20) 3 .2 .1. 5. Proprietà della sostanza assolutamente infinita, quanto alla sua azione (P16-18) 3.2.2. Gli effetti della causalità immanente della sostanza: Natura
naturata (P21-29) 3.2.2.1. I modi eterni e infiniti (P21-23) 3.2.2.2. I modi finiti e le loro proprietà (P24-29S)
3. 3. Confutazione di pregiudizi concernenti la natura e I' azione della sostanza (P30-36 e Appendt'ce) 3.3.i. La creazione mediante intelletto (P30-31) 3.3.2. La creazione mediante volontà (P32) 3-3-3· La contingenza delle cose create (P33-36) 3.3.4. L'imperfezione delle cose create (P33S2) 3-3-5· La creazione in vista di un fine. Origine e natura dei pregiudizi, in particolare di quello teleologico (Appendice)
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or
SPINOZA
3.1 Fondamenti dell'argomentazione
Per fondamenti dell'argomentazione si intendono le definizioni dei termini e alcune proposizioni per loro natura evidenti e vere (assiomi e postulati) che costituiscono gli assunti originari della concatenazione deduttiva. 3. r. r. Definizioni ( r -8)
Le definizioni della prima parte possono essere distinte in quattro gruppi, concernenti: a) le nozioni tradizionali di infinito e finito, che nel lessico spinoziano vengono denominati causa di sé e finito nel suo genere
We/I-2);
.
b) i termini tecnici spinoziani per designare ciò che esiste real-
mente: sostanza, attributo, modo (Def3-5 ); Dio, inteso come sostanza assolutamente infinita, la cui definizione implica quelle di causa di sé, sostanza e attributo (De/6); d) le proprietà dell'esistenza e dell'azione, ossia libertà, necessità ed eternltà Weh-8 )-. c)
Le definizioni di infinito (causa sui) e finito De/r. La prima definizione, concernente la causa di sé, come del resto altre definizioni che seguono, è costruita con nozioni e formule tipiche della tradizione filosofica, in particolare scolastica. Nel sistema spinoziano esse assumono tuttavia un significato spesso nuovo e alternativo. Nella filosofia scolastica, i sintagmi causa sui e, più frequentemente, causa a se, indicano l' essere che esiste per necessità della sua natura, ·in quanto non è causato da altro. Sottolineando il significato esclusivamente negativo delle formule, il pensiero scolastico intendeva sfuggire al1' assurdo di intendere l'essere necessario quale effetto positivo di se stesso: un sé che, in quanto causa, dovrebbe già esistere per essere causa e, simultaneamente, dovrebbe non esistere per essere effetto. Spinoza, come già Descartes r, accoglie in modo implicito anche il significato negativo della causa sui, escludendo che questa sia c.ausata da altro; attribuisce tuttavia· alla causa sui r.
Risp. alla r e alla rv Obiez., AT, vol. 7.
3.
DIO
un significato prevalentemente positivo, diverso da quello implicante contraddizione. La causa sui spinoziana è intesa positivamente in quanto è concepita come una natura infinita o perfetta, consistente in potenza attiva assoluta, che pone e conserva eternamente se stessa nell'esistenza. È evidente, infatti, che il non essere causato da altro (causalità negativa) non è ciò per cui l'ente necessario esiste da sé; è, invece, il suo necessario esistere da sé e per sé, (causalità positiva) che implica il suo non essere causato da altro. In tal senso si dice che l'esistenza è necessariamente o positivamente implicata nell'essenza o natura della causa di sé, la quale non è altro che la necessità dell' esistenza· come potenza assolutamente esplicata o «assoluta affermazione dell'esistenza» (E r P8Sr). Perché una tale affermazione o posizione di esistenza abbia una ragione sufficiente, non basta escludere soltanto una causa esterna; è necessario porre in essa una positiva ragione della sua· esistenza. Tale necessità è richiesta dalla intelligibilità universale del reale: se ogni cosa, per essere intesa, richiede una causa, è necessario che la causa prima abbia in se stessa, positivamente, il principio della propria intelligibilità. L' autocausalità positiva dell'esistenza necessaria costituisce anche il fondamento delle dimostrazioni a priori dell'esistenza di Dio date in KV r, r e in E r Pr r. Si può infine notare sin d'ora che è con il medesimo atto (infinito ed eterno) con cui la causa sui pone se stessa che essa pone anche tutto ciò che è implicato nella sua natura, ossia i suoi modi (E I P25S). De/2. Appartiene in modo costitutivo alla definizione del finito la precisazione in suo genere che, per la spiegazione della De/6, si oppone ad absolute. La definizione del finito implica due condizioni. r. Esso è concepibile esclusivamente in relazione ad altro finito, al termine (terminari potest) che ciascun finito costituisce per l'altro. Non si definisce in relazione all'infinito, perché tra infinito e finito non si dà, per Spinoza, alcuna proporzione e alcuna relazione: l'infinito, per definizione, non costituisce termine di alcunché e, propriamente, non può dirsi causa del finito. Ma se la nozione di finito implica quella di determinazione reciproca tra finiti, e ogni determinazione è negazione 2 , l'ambito della finitezza è anche ambito della negazione. Questa, tuttavia, non va intesa come negatività, poiché il finito, inerendo modalmen2.
Ep50: G rv,
240,
6-r5.
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te alla sostanza come un suo effetto, partecipa in modo essenziale della àutopositività di essa. 2. Perché un finito sia tale, ossia terminato da un altro finito, è necessario che ambedue appartengano allo stesso genere, ·cioè che siano omogenei rispetto a qualche determinazione. Dall'esempio addotto nella definizione, ma· ancor più dalle definizioni successive, si deduce che lambito di omogeneità delle cose finite, ossia dei modi, è costituito dall'attributo. Poiché, come si vedrà, lessenza che .ciascun attributo esprime non ha nulla in comune con quella di un altro, e dunque tra essi non è possibile alcuna continuità, una relazione di finitezza può essere pensata solo nell'ambito di un medesimo attributo. Segue da questa definizione che le cose finite esistono e sono concepibili in quanto sono disposte secondo ·una serie, potenzialmente infinita. Dalla definizione non si ricava immediatamente che lessere una cosa termine dell'altra coincida con la causalità dell'una rispetto all'altra: che ciascun finito sia causa prossima di un altro :finito sarà dimostrato nella P29.
Il secondo gruppo di definizioni. I termini propri della ontologia spinoziana: sostanza) attributo, modo De/3. Della sostanza si dà la tradizionale definizione aristotelica (non diversa, tuttavia, è laccezione cartesiana), con i suoi due criteri ontologico e logico. Sostanza è ciò che esiste in sé, ossia che ha se stesso come soggetto del proprio essere e, simultaneamente, che si concepisce per sé, non esigendo il concetto di altro per essere concepito. Il sintagma essere in sé, che si oppone a essere in altro, implica almeno una questione importante che conviene mettere in evidenza. Precisato che essere è qui assunto nel senso di esistere in sé, si deve esaminare se esistere in sé implichi anche esistere da sé, oppure se sia possibile esistere in sé, essendo causato da altro. In altri termini, si deve esaminare se 1' esistenza in sé, come nel proprio soggetto, richieda che questo sia costituito dalla propria essenza e che 1'essenza sia causa dell'esistenza di ciò che è in sé, facendo di questo, necessariamente, una causa sui; oppure se possa darsi qualcosa che è in sé, essendo prodotto da altro. Come si vede, nella questione è implicato già il problema della unicità o molteplicità della sostanza. Una risposta a tale problema può esser data dall'interpretazione dell'altro sintagma costitutivo della defìni42
3·
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zione: esser concepito per sé. Poiché ciò che è in sé deve essere anche concepito per sé, se fosse da altro (non in altro), dovrebbe essere concepito mediante il concetto della sua causa esterna e non potrebbe essere concepito esclusivamente mediante se stesso. Segue che laggiunta della condizione esser concepito per sé è essenziale alla definizione della sostanza, poiché ne fa un in sé che è anche da sé, cioè causa sui. De/4. Per intendere la definizione di attributo è necessario ricordare la sua distinzione dalla proprietà, sottolineata dal Breve trattato: I'attributo è concepito da Spinoza come essenza di un ente, costitutiva dell'ente stesso; la proprietà è invece ciò che appartiene ad un ente, in quanto 1' ente possiede una determinata essenza 3. N ell'Etka viene mantenuta tale distinzione e per attributo si intende, propriamente, ciò che costituisce l'essenza di una sostanza, dalla quale non ·si distingue se non per una distinzione di ragione 4. Dico di una e non della sostanza, perché l'unicità della sostanza, benché implicata dalla sua definizione, è esplicitamente posta come oggetto di dimostrazione e dunque non può essere presupposta prima che questa venga data (dr. P10S e P14C1). La definizione di attributo implica tuttavia un riferimento alla percezione che di esso ha l'intelletto e, a seconda di come si è inteso il ruolo di .tale percezione, sono state date, storicamente, due possibili interpretazioni della natura e realtà dell'attributo. Alcuni hanno inteso l'attributo soltanto come il modo in cui l'intelletto percepisce la sostanza, per sua natura vuota e indifferente, senza che esso esprima alcunché di reale rispetto alla sostanza stessa. L'altra interpretazione sostiene invece che l'intelletto percepisce la sostanza mediante lattributo, perché questo ne costituisce realmente l' essenza 5. Quest'ultima è, a ragione, l'interpretazione prevalente, a cui credo debba essere aggiunta una precisazione. La sostanza non può essere percepita in quanto sostanza, prescindendo da ciò che costituisce ed esprime la sua essenza, ossia l' attribu3. KV 1, 1, 9 nota: le proprjetà «sono solo come aggettivi che richiedono dei sostantivi per essere spiegati» (M 135); I, 3, 1 nota: «Questi che seguono sono chiamati propri perché non sono se non aggettivi, che non possono essere intesi senza i loro sostantivi. Cioè, Dio non sarebbe tale senza di questi, ma Dio non esiste a causa di questi. Essi non fanno conoscere nulla di ciò che è sostanziale e a causa soltanto del quale Dio esiste» (M x67). 4. Questa è già una dottrina cartesiana, Principia Phtlosophiae, I, 53, 62. 5. La discussione intorno alla natura dell'attributo è stata aperta dalla polemica tra J. E. Erdman e K. Fischer (Bibl. 1 I) e proseguita fino ai nostri
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to: non solo perché l'oggetto di qualunque percezione intellettiva è l'essenza, espressa, nel caso della sostanza, dall'attributo; ma anche e soprattutto perché la sostanza spinoziana, in quanto identica unità esistenziale degli attributi, è in se stessa indifferente rispetto a ogni attributo, per poter essere simultaneamente espressa da tutti. In quanto tale, non può essere percepita per sé dall'intelletto nella sua indifferenza, ma necessariamente secondo la determinazione essenziale degli attributi. Questi sono dunque 1'essenza della sostanza, della quale, considerata come natura naturante, sono il primo e costitutivo fenomeno per l'intelletto; il secondo fenomeno della sostanza, considerata come natura naturata, è il modo. De/5. Per ·modo (ma ricorrono anche altri termini tecnici della tradizione scohtstica, quali modifu;azione, affezione e, una volta, accidente) si intende ciò che si dà in altro, ossia in qualcosa che è in sé, non in quanto ne costituisca l'essenza (attributo), ma come sua espressione o manifestazione. Dunque il modo, per esistere, esige l'esistenza di una sostanza e per essere concepito. esige il concetto di una sostanza e dei suoi attributi. La definizione di modo è opposta, sul piano formale, alla definizione· di sostanza. È infatti costitutivo della sua natura di non essere in sé, ma in altro e di non essere concepito per sé ma attraverso il concetto di un attributo, in quanto costituente l' essenza di una sostanza. Dunque l'attributo è ciò che rende possibile all'intelletto concepire la sostanza, ma anche, simultaneamente, i suoi modi. Il problema principale che la definizione di modo implica è costituito dalla natura del suo essere in altro. In che senso si dice che è, se il suo essere è in altro? Non v'è dubbio, infatti, che il modo spinoziano è un ente reale, legato alla sostanza non da un semplice rapporto di inerenza, ma quale effetto alla causa. Se è. così, come si definisce l'essenza del modo, distinguendola dall'essenza dell'altro, in cui è? Come si vedrà, la definizione dell'essenza del modo finito costituisce uno dei problemi fondamentali dell'Etka. ·
La definizione di Dio De/6. La nozione di Dio è definita dall'assoluta infinità di una essenza perfetta, a cui appartiene. tutto ciò che esprime essenza giorni; pet una ricostruzione e un giudizio, cft. M. Gueroult, Spinoza, r (Biht. 14), App. n. 3.
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e non implica negazione, ossia determinazione. Ora, poiché l'essenza di una sostanza è espressa dagli attributi, a ciò che è assolutamente infinito devono appartenere tutti gli attributi, senza che ciascuno di essi implichi una qualche negazione. La totalità degli attributi è rappresentata da un· intelletto finito, che non li conosce tutti, sotto la forma di una infimià di attributi (gli infimii attributi della definizione), ciascuno dei quali è infinito nel suo genere. L'infinità nel genere significa che ogni attributo, considerato in se stesso, esprime la piena perfezione dell' essenza che lo costituisce. Se si assume il pensiero come uno degli infiniti attributi di Dio, che sia infintio nel suo genere vuol dire che non si dà altro pensiero possibile al di fuori di esso. In questa definizione emergono due problemi: il primo concerne la coesistenza di infiniti attributi, realmente differenti l'uno dall'altro, nella medesima sostanza, senza che tale differenza implichi alcuna negazione reciproca. Il secondo consiste nella compossibilità di infinite essenze, realmente diverse e infinite nel loro genere, con l'essenza assolutamente infinita di Dio. Di questi problemi si darà conto nell'analisi delle proposizioni 9 e IO.
Definizioni delle proprietà del!'esistenza e del!'azione . De/7. Ciò che esiste per sola necessità della sua natura ed è determinato ad agire solo da se stesso è libero; ciò che esiste perché è causato da altro secondo una ragione determinata e, di conseguenza, agisce in virtù di questa stessa determinazione si dice necessitato o coatto. La necessità dell' autoposizione da parte- della causa sui non si oppone alla libertà, ma coincide con questa 6 • In tutto ciò che non esiste e non agisce per propria natura la libertà è sempre limitata da un grado maggiore o minore di coazione, ossia di dipendenza dalle cause esterne. Si noti che, per Spinoza, come per la filosofia classica, lagire esprime sempre lessenza di un ente e se l'essenza di tale ente è determinata, .determinato ne è anche lagire. De/8. L'esistenza implicata necessariamente dall'essenza, oppure l'esistenza che si concepisce seguire necessariamente dalla definizione di una certa essenza, si dice eternità. Eternità 6. KV I, 4, 5: «La vera libertà non è altro che la causa prima, 1a quale non è assolutamente costretta o necessitata da altro, ed è causa di ogni perfezione solo mediante la sua perfezione» (M i71).
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ed esistenza necessaria si identificano, essendo una sola ed eterna verità. Per. eternità si intende dunque propriamente l' esistenza necessaria, ossia la causa sui, sostanza assolutamente infinita o Dio. In E 5 P30D si legge: «l'eternità è l'essenza stessa di Dio in quanto implica l'esistenza necessaria». Eterno può esser detto anche tutto ciò che partecipa in un certo modo della necessità dell'esistenza. Con la durata e con il tempo si spiegano invece le cose che non esistono per ·necessità della loro essenza, ma perché sono prodotte da altro. Più precisamente, per durata si intende l'esistenza dei modi finiti. Questa, non essendo da sé, ma da altro, non può essere determinata né a partire dalla natura stessa del modo né dalla sua causa efficiente, che la pone e non la toglie. Perciò, in E 2 De/5 Spinoza definirà la durata come «continuazione indefinita dell'esistenza». La determinazione della durata può esser data solo da altre cause attualmente esistenti, che implichino la cessazione dell'esistenza attuale. Per tempo si intende il modo con cui la mente rappresenta immaginativamente l'esistenza dei modi, secondo una determinazione della durata, concepita come maggiore o min'ore. Invece l'intelletto percepisce le cose sotto l'aspetto dell'eternità, non sotto la durata o il tempo, poiché sa che la loro essenza è implicata immediatamente dall'essenza della sostanza. Pertanto si può dire che le cose, anche quelle finite, sotto questo aspetto sono eterne. Sembrano dunque darsi, come si preciserà in seguito, tre gradi o generi diversi di eternità: quella assoluta, propria della sostanza, intesa anche come totalità degli attributi; quella dei modi infiniti immediati e mediati degli attributi; quella dei modi finiti 7. 3.r.2. Assiomi (r-7) I sette assiomi della prima parte possono essere distinti in tre gruppi. I. n primo gruppo comprende gli assiomi r-2, attinenti al tema del tradizionale principio di ragione sufficiente. Il primo assioma espone la formulazione generale del principio, nella quale si coglie non soltanto la modalità Un sé o in altro), ma anche la causa dell'esistenza di un ente. Il secondo assioma trasferisce la formulazione del principio dall'ambito ontologico a quello logico, rovesciando l'ordine tradizionale con il quale 7. Bibt. 2r.
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si procede dalla impossibilità di esistere da sé alla necessità. di esistere da altro. Impiegando una sorta di procedimento per assurdo, la necessità di concepire qualcosa per sé viene fondata sulla impossibilità di concepirlo per altro, ossia mediante altro. La premessa del secondo assioma è, owiamente, che tutto esiste o in sé o in altro, come richiede il primo. ll secondo assioma, mai formalmente utilizzato nell'Etica 8, come si vedrà in seguito, dovrebbe · essere verosimilmente all'opera nella dimostrazione della Pro. 2. Il secondo gruppo (Ax3-5) concerne il principio di causalità, di cui vengono evidenziati tre aspetti. Anzitutto (Ax3) la necessità della conseguenza: a) dal darsi determinato di una causa al darsi determinato dell'effetto; b) dal non darsi determinato di una causa al non darsi determinato dell'effetto. È infatti identicamente contraddittorio che un effetto non segua da una causa data o che un effetto segua da una causa non data. L'assioma 4 evidenzia l'aspetto della subordinazione logica (non solo ontologica) dell'effetto rispetto alla causa. Come l'effetto non si dà senza causa determinata, così la conoscenza del1' effetto non si dà se non in quanto implichi la conoscenza della causa. Come si vede, si opera anche qui il passaggio dall'ordine ontologico a quello logico, assunti come perfettamente equivalenti. Infine,· nell'assioma 5, viene espresso il terzo aspetto della dottrina della causalità. Si trattà di una tesi fondamentale, tipicamente classica. È legge dell'intelletto - ma, se è legge dell'intelletto è anche legge della realtà - il non poter concepire una relazione di causa ed effetto tra due cose che non abbiano nulla in comune. Infatti, se un effetto potesse derivare da una causa che non ha nulla dell'effetto, questo sarebbe derivato d~' nulla, il che è impossibile. Le conseguenze di questo assioma, rigorosamente assunte, sono fondamentali per la costituzione dell'intero sistema spinoziano. Per questo assioma, e per le implicazioni critiche nei confronti dell'idea tradizionale di un Dio. immateriale creatore di materia, se si concepisce un essere assolutamente infinito come causa, si deve attribuire alla sua essen8. ll problema è stato segnalato e discusso da O. Proietti, Sul problema di un assioma inutile in Spinoza, in "Rivista di Filosofia neoscolastica", 75 (1983), 2, pp. 223-42 (Bibl. r8).
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za tutto ciò che appartiene all'essenza di ciò che si considera effetto. In, altri termini, ciò vuol dire che non può darsi una differenza sostanziale tra causa ed effetto e, quindi, che I'effetto è necessariamente immanente alla causa. 3. Il terzo gruppo comprende gli assiomi 6 e 7, che riprendono e fondano due temi esposti negli assiomi precedenti. Nell'assioma 6 si espone il principio generale aristotelico.; scolastico della verità come convenienza o accordo tra idea e ideato, nel senso, tuttavia, che l'idea vera rappresenta il proprio oggetto come è in sé (E 1 P5D; E 2 P44-1)) in quanto è vera. Bisogna infatti precisare che, in seguito, I'autore afferma an.: che che l'idea vera possiede un criterio intrinseco di riconoscimento, ossia la chiarezza e distinzione; che ne fa un'idea adeguata. Si può dire che un'idea è vera, ossia implicante convenienza, perché è adeguata, oppure che è adeguata perché è vera, ossia conveniente con l'oggetto? Credo che si debba rispondere che per Spinoza verità e adeguazione sono denominazioni diverse (estrinseca e intrinseca) della stessa idea (E 2 De/4Ex); ma poiché si · danno, come· vedremo, anche idee inadeguat~, che sono tali perché rappresentano parzialmente loggetto, è possibile concludere che la convenienza con l'oggetto costituisce non solo il· criterio della verità, ma anche della adeguazione, fermo restando che il criterio di riconoscimento della verità è intrinseco all'idea vera, ossia è la sua adeguazione. L'idea vera implica certezza, è indice di sé e del falso e non richiede segni esteriori 9. L'assioma 7, infine, riprende e sintetizza sia il principio di ragione sufficiente sia quello di causalità, così come la tesi del,. l'identità dei piani ontologico e logico o della perfetta consequenzialità tra conoscere (vero) ed essere. Tale assioma implica tre affermazioni: a) lesistenza necessaria di qualcosa, ossia l'inconcepibilità della sua non esistenza, ha come causa esclusiva I'essenza della cosa stessa; b) se una cosa può essere pensata come non esistente, la sua esistenza come la sua non-esistenza non sono implicate dalla essenza; 9. KV n, 15, 3: «la verità rivela sia se stessa sia la falsità. Infatti la verità si manifesta attraverso la verità, ossia attraverso se stessa, come anche la falsità è resa manifesta da essa» (M 267); E 2. P43: «verum index sui»; Ep 60 (G 1v, 270).
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sia lesistenza sia la non-esistenza di una cosa, la cui essenza non implica I' esistenza, dipendono necessariamente da una causa determinata (esterna o altra rispetto all'essenza) dell' esistenza o della non-esistenza.
e)
3.2 Deduzione della sostanza e dei modi (Pi-29S) 3.2.I. Natura e proprietà della sostanza:
Natura naturans (P1-20) Natuta e proprietà generall della sostanza (P1-8S) Le prime otto proposizioni espongono cinque proprietà generali di ciò che· può essere considerato sostanza, in conformità alla De/3. L'autore non presuppone l'unicità della sostanza, ma procede dalla considerazione della sua molteplicità, secondo la comune accezione della tradizione aristotelica. Che esista una sostanza unica, a cui ineriscono tutti gli attributi, è ciò che si dimostrerà a partire dalla P11. Le prime dieci proposizioni intendono, in un certo senso, preparare la dimostrazione dell' esistenza di una sostanza unica. Per cogliere esattamente il senso delle prime otto proposizioni, conviene ricordare che il loro primo nucleo teorico è contenuto nel secondo capitolo della prima parte del Breve trattato, sviluppato nella prima appendice geometrica che lo segue e nella discussione del filosofo con gli amici, testimoniata in particolare dalle Ep 3-4 e 8-9, tra la fine del 1661 e gli infai del 1663. Non è ora possibile ripercorrere analiticamente l'intero svolgimento e quindi la genesi delle prime otto proposizioni e delle loro dimostrazioni; sarà sufficiente accennarvi per interpretarle in modo adeguato e per conoscere I'origine e I' evoluzione del m~todo geometrico nella filosofia di Spinoza. Si osservi inoltre che, nella prima redazione dell'Etica testimoniata dalle Ep 8 e 9, la P8 comprendeva un terzo scolio, trasformatosi, probabilmente in seguito alle discussioni con gli amici di Am~terdam, µelle attuali P9 e 1 o concernenti la possibilità di inerenza di più attributi a una medesima sostanza. È per questa ragione che considero le P9-10 in una sezione separata. Si può anzitutto osservare che le P1 -8 si dividono in due sezioni. La prima sezione, ricavata analiticamente dalle definizioni e dagli assiomi, include le P1-4, che fungono da premessa 49
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dimostrativa alla seconda sezione, costituita dalle P5~8. Le prime quattro proposizioni corrispondono esattamente agli asslémi I, 4, 5 e 2 dell'appendice geometrica del Breve trattato e ai quattro assiomi allegati all'Ep 2 di Spinoza a Oldenburg, riferiti da quest'ultimo nell'Ep 3 e ripresi distintamente da Spinoza nell'Ep 4. Qui conviene ricordare che Oldenburg dubitava che tali assiomi, forse ad eccezione del primo, corrispondente all' attuale prima proposizione, potessero essere considerati «principi indimostrabili, noti per lume naturale e non bisognosi di alcuna dimostrazione». Nell'Ep 4,· Spinoza dichiara di non voler discutere se gli assiomi vadano annoverati tra le nozioni comuni; egli osserva che la loro verità discende, ossia è dedotta analiticamente, dalle definizioni date di sostanza, modo e attributo. È probabile che, in seguito a questa discussione con Oldenburg, il filosofo abbia deciso di trasformare tali assiomi in proposizioni, dimostrate, come lascia intendere l' Ep 4, mediante l'esclusivo riferimento alle definizioni e agli assiomi dell'Etica. Rispetto all'ordine testimoniato dall'Appendice r del Breve trattato e ,dalle Ep 3-4, la P4 dell'Etica, corrispondente all'Ax2 dei testi precedenti, è stata spostata alla fine di tale sezione. Per quanto concerne invece le P5-8, esse corrispondono esattamente alle quattro proposizioni del secondo capitolo del Breve· trattato e della prima Appendice allo stesso, con la posticipazione, nell'Etica, della proposizione concernente l'esistenza necessaria della sostanza a quella riguardante la sua infinità. Vediamo dunque quali sono le quattro proprietà di una sostanza illustrate nelle Pr-8 ed esposte ora sinteticamente rispetto all'ordine geometrico delle proposizioni. Poiché le Pr-4 costituiscono la trasformazione in proposizioni di assiomi precedenti, dimostrati nell'Etica con l'esclusivo ausilio delle definizioni e degli assiomi, e poiché fungono da premessa argomentativa per le P5-8, verranno qui richiamate nell'ambito della presentazione delle quattro proprietà generali della sostanza. Tra esse, tuttavia, la prima proposizione merita un'attenzione particolare:
la sostanza precede ontologicamente e logicamente le proprie affezioni o modi. Ciò significa che tutti gli enti che non esistono in sé e ·che richiedono il concetto di qualche altro · ente per essere concepiti esistono necessariamente in una sostanza: questa costituisce la condizione di possibilità ontologica e logica dell' esistenza dei suoi modi. A rigore, la precedenza della sostanza rispetto alle sue affezioni non deve essere intesa in senso cronologico, almeno per due motivi:
3. oro
perché la sostanza, essendo infinita ed esistendo necessariamente (P7-8), è eterna e non è quindi commensurabile cronologicamente con i modi finiti e divenienti; b) perché la sostanza, come si vedrà, produce tutti i suoi effetti per necessità della sua natura, ed essi, dunque, in quanto implicati dalla natura della sostanza, sono coeterni ad essa. Passiamo ora a considerare le quattro proprietà della sostanza. a)
r. Non esistono in natura due o più sostanze aventi lo stesso attributo, ossia la stessa natura o essenza (P5). Supponendo che si
diano più sostanze, ciascuna deve distinguersi dall'altra per un attributo diverso, ossia per una essenza diversa. Infatti una sostanza può distinguersi dall'altra o per l'attributo che ne esprime I'essenza o per le affezioni (cfr. P4). Le sostanze non possono distinguersi per le affezioni, perché in tal caso le affezioni sarebbero, precedendole, ciò mediante cui le sostanze vengono intese, contro le definizioni di sostanza e di modo e contro la Pr. Tuttavia, se le sostanze possono distinguersi solo mediante i loro attributi, esse sono realmente diverse l'una dall'altra, poiché gli attributi sono realmente diversi l'uno dall'altro e non hanno tra di loro nulla in comune (P2). 2.
Una sostanza non può essere causa di un'altra sostanza (P6).
Poiché le sostanze· hanno necessariamente attributi diversi e dunque non hanno nulla in comune l'una con l'altra, l'una non può essere causa dell'altra (P3). Infatti, se l'una fosse effetto dell'altra, dovrebbe essere intesa mediante il concetto della causa (Ax4-5 ); ma il concetto della causa non ha nulla in comune con il concetto dell'effetto, poiché le sostanze non hanno nulla in comune tra loro; dunque, se l'una non può essere concepita come causa dell'altra, l'una non può essere causa dell'altra. Nell'Ep 4, Spinoza esplicita a Oldenburg la ragione ultima per cui due sostanze, non aventi nulla in comune, non possono essere l'una causa dell'altra: «nulla essendovi nell'effetto di comune con la causa, tutto ciò che esso avrebbe lo avrebbe dal nulla». Spinoza assume dunque a fondamento della propria filosofia, in tutto. il suo rigore, il principio classico della conformità, nella natura, dell'effetto rispetto alla causa, riconoscendo come proprio l'antico assioma ex nihilo nihtl. 3 ~ La sostanza esiste necessariamente per sua natura (P7). Se una sostanza non può essere prodotta da altra sostanza, essa non .può essere prodotta assolutamente da nient'altro, poiché oltre
L'ETICA DI SPINOZA
la sostanza esistono in natura soltanto le sue affezioni (P6C). Ma queste' non esistono senza la sostanza e dunque, se una sostanza esiste, esiste necessariamente per sua natura. 4. Ogni sostanza è necessan'amente infinita (PB). Se la sostanza potesse essere finita, per la De/2 dovrebbe essere limitata da un'altra sostanza dello stesso attributo, il che, per la P5, è impossibile. Dunque, se esiste necessariamente e non può essere :finita, esiste come infinita. In verità, come nota lo scolio 1, l'infinità di una sostanza deriva immediatamente dall'esistenza necessaria ·implicata dalla sua natura; infatti, se esiste necessariamente in virtù di quella natura, esprime tutta la perfezione o infinità di quella stessa natura o genere. Giunto al termine della prima sezione, nello scolio 2 della P8 lautore riprende ·in forma discorsiva i punti salienti delle precedenti dimostrazioni, per mostrare, indicando· la ragione che impedisce di coglierne levidenza, la necessità dell'esistenza di ·una sostanza. La ragione che impedisce agli uomini di cogliere la verità della P1 è la comune incapacità di distinguere tra sostanza e modo e di conoscere le cose mediante le cause prime. Infatti, se non attribuissero alla sostanza ciò che appartiene ai modi e ne considerassero attentamente la natura, gli uomini vedrebbero chiaramente due cose: a) che alla sostanza, intesa come ciò, che è in sé ed è concepito per sé, appartiene necessariamente di esistere e che tale proposizione può essere considerata come una nozione comune o una eterna verità; b) che non può esservi se non una sola sostanza della stessa natura. Per confermare ulteriormente la seconda conclusione, lautore richiama quattro principi: - la de:finizfone vera di una cosa esprime soltanto la natura della cosa definita; - la definizione non implica che alla natura della cosa definita appartengano diversi individui; - deve darsi una causa· dell'esistenza di ogni cosa attualmente esistente '(principio di ragione sufficiente); - tale causa deve essere contenuta nella stessa natura della cosa definita oppure fuori di essa (principio di causalità). Ora; poiché dalla definizione della sostanza segue necessariamente che essa esiste per sua natura e che non si dà alcuna altra causa della sua esistenza, segue anche che, non implicando la natura definita alcuna molteplicità di individui, esiste una sola sostanza della stessa natura o attributo.
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.3·
DIO
Una sostanza può avere più attributi (P9-ro) Che esista tlna sola sostanza dello stesso attributo significa che devono esistere tante sostanze quanti attributi, oppure è possibile ammettere che una. stessa sostanza possa avere più attributi, fermo restando che non possono esistere altre sostanze aventi gli .stessi attributi? Due sono i problemi affrontati da Spinoza nelle P9-ro. r. Mostrare che· il dettato della P5 - non possono esistere più sostanze aventi lo stesso attributo - non implica che una sostanza non possa avere più attributi (P9). 2. Mostrare che gli attributi appartenenti a una medesima sostanza possono essere concepiti per sé, senza esistere da sé e in sé come sostanze (Pro). Quanto al primo problema, si può ricordare che già De Vries, nell'Ep 8, a cui sopra si è accennato, aveva difficoltà a intenderne la dimostrazione, avendo inteso la P5 nel senso che ad ogni sostanza deve corrispondere un solo attributo. Nella risposta (Ep 9), Spinoza rinvia a due dimostrazioni, una delle quali troviamo nello scolio della Pro, l'altra nello scolio della Prr. Esaminiamo ora lo scolio della Pro, perché presenta sinteticamente riuniti gli argomenti svolti nelle due P9"'ro. Possiamo distinguere nello scolio tre argomenti, che, per facilità di esposizione, presento invertendo l'ordine dei primi due. r. Che una sostanza possa avere più attributi è dimostrato attraverso un argomento già presente nella KV ro e ribadito nell'Ep 9 a De Vries. Esso consiste nella tesi della diretta proporzione tra perfezione o realtà di un ente e sua essenza. Poiché ciascun ente, in ·quanto tale, è fornito di essenza e l'essenza di una sostanza è espressa dall'attributo, segue che ogni sostanza deve essere concepita sotto un qualche attributo. Ma la perfezione di un ente coincide con la sua essenza; dunque, quanto ro. KV r, 2, r nota: «Non potendo il Nulla avere alcun attributo, il Tutto deve avere tutti gli attributi; e cosl, non avendo il Nulla alcun attributo perché non è, il Qualcosa ha degli attributi, perché è qualcosa. Dunque, quanto più è qualcosa, tanto più deve avere attributi; di conseguenza Dio, essendo il più perfetto, l'infinito, il tutto, deve avere anche tutti gli attributi, infiniti e perfetti» (M r 37-9 )-.
53
1} ETJGA DI SPINOZA
maggiore è la perfezione di una sostanza, tanto più numerosi devono essere gli attributi che le competono, i quali esprimono la necessità dell'esistenza o eternità di quella sostanza e la ·sua infinità. Segue infine che, se si dà un ente assolutamente infinito, ad esso devono competere tutti -gli attributi ed esso deve coincidere con la definizione data di Dio. 2. L'assunto della P1 o è che ciascuno degli attributi di una sostanza può essere concepito per sé, senza implicare un'esistenza separata, ossia una molteplicità di sostanze. La dimostrazione è àrticolata in tre momenti: a) gli attributi di una sostanza, esistendo questa per necessità della propria natura ed essendo infinita, esistono simultaneamente; b) infatti l'uno non può essere stato prodotto dall'altro, perché, per definizione, essi sono realmente distinti e non hanno nulla in comune 11 ; c) poiché ciascun attributo esprime diversamente per l'intell~t to la realtà o 1' essere della sostanza e non può essere concepito per mezzo d'altro, per l'Ax2 deve essere concepito per sé, senza implicare una moltiplicazione delle sostanze. La dimostrazione è dunque fondata sulla distinzione tra esistenza per sé e concepibilità per sé; mentre la sostanza esiste in sé e si concepisce per sé, 1' attributo, in quanto esprime l'essenza di una sostanza, si concepisce per sé, non potendo tuttavia esistere indipendentemente o separatamente da questa. Conviene qui notare che, sia nella dimostrazione della P1 o sia nello scolio, il nerbus probandi consiste nella implicita utilizzazione dell'Ax2 (ciò che non può essere concepito per altro deve essere concepito per sé) 12 • Ne consegue che la dimostrazione della P10 dovrebbe essere logicamente integrata con 1' aggiunta in corsivo: « ... e perciò (per la De/3) non può essere concepito per mezzo d)altro e dunque (per /1Ax2) deve essere concepito per sé». 3. Gli attributi non costituiscono segni sufficienti per riconoscere una diversità di sostanze, poiché nelle proposizioni che seguono si mostrerà che essi non si danno separatamente luno dall'altro, ma ineriscono tutti ad una sola sostanza, assolutamente infinita.
II.
KV
1, 2,
I7.
12. Cfr. Proietti,
Sul problema di un assioma inutile cit. (cfr. Bibl.
54
18).
3· DIO
Una sostanza assolutamente infinita esiste necessariamente (Pn e S) La dimostrazione dell'esistenza di una sostanza assolutamente infinita, o Dio, è svolta attraverso tre prove a priori e una a posteriori. La preferenza dell'autore per le prove a priori è già esplicitamente esposta nel primo capitolo della prima parte del Breve trattato. Ora possiamo presumere che la preferenza accordata alle prove a priori anche nell'Etica abbia la stessa ragione ontologica e logica, ossia la partecipazione immediata dell'intelletto umano all'intelletto infinito, ossia alla natura di Dio. Vediamo anzitutto le tre prove a priori. 1 . La prima è esposta nella dimostrazione della P11 ed è costruita per confutazione del contrario o per assurdo. Posto che Dio è una sostanza assolutamente infinita, se non esistesse, la sua essenza non implicherebbe 1'esistenza; ma si è visto nella P7 che l'essenza di ogni sostanza implica l'esistenza; dunque, per la P7, la sostanza assolutamente infinita, in quanto è sostanza, esiste necessariamente l3. Si può osservar~ che tale argomento non dimostra che la sostanza assolutamente infinita esiste in quanto assolutamente infinita, ma che, se si dà una sostanza assolutamente infinita, in quanto è semplicemente sostanza, esiste. Resta da dimostrare che si dà una sostanza assolutamente infinita. 2. La seconda dimostrazione a priori è data nell'Alt!er 1: esiste necessariamente ciò la cui esistenza non è impedita da alcuna ragione o causa data 1 4. Tale ragione o causa potrebbe darsi o nella cosa stessa o fuori di essa. È assurdo che si dia nella cosa stessa, perché si tratta di una natura assolutamente infinita; se invece si trovasse fuori di questa, ossia in una sostanza di diversa natura, non potrebbe né favorire né impedire alcunché, poiché tra le due sostanze non vi sarebbe nulla di comune e l'una non potrebbe agire sull'altra. 3. La terza prova a priori è contenuta nello scolio. Essa consiste in una premessa generale e in una dimostrazione vera e propria. La premessa afferma che poter esistere è potenza, mentre poter non esistere è impotenza; la natura che può soltanto esistere partecipa unicamente di potenza; la natura che può non esistere partecipa di impotenza. 13. Cfr. Descartes, Med. v, AT 7, 66-67. ,
i4. Descartes
II
Resp., AT 7,
151-2.
55
1
L ETlCA
or
SPINOZA
L'argomento prevede una maggiore, una minore e una conclusione. Quanto più perfetta è la realtà di una cosa, tanto maggiore è la sua potenza; Dio è una sostanza assolutamente infinita e dunque ha· una potenza infinita di esistere; ma se ha una potenza infinita o assoluta di esistere, esiste necessariamente. Se non esistesse, potrebbe non esistere e parteciperebbe di impotenza, ciò che è assurdo per un essere definito come assolutamente infinito o perfetto. La prova a posteriori è svolta nella dimostrazione Aliter 2. Essa procede dalla constatazione empirica della nostra esistenza di essed finiti. Ogni ente esistente in atto esiste o in sé o in altro. Se l'ente finito esistesse in sé, non in altro né da altro, esisterebbe necessariamente; ma questo è assurdo, poiché l'ente finito può non esistere. Dunque, o non esiste nulla, oppure l'ente finito esiste in altro, il quale esiste necessariamente in sé non come finito, ma come infinito. Si potrebbe osservare che questa dimostrazione prova l'esistenza di un ente assolutamente infinito e che, a partire da essa, si possono costruire anche le dimostrazioni a priori. Ma tale osservazione contrasterebbe con la palese struttura e costruzione del testo, oltre che con la sua dottrina, svolta nella prima, seconda e quinta parte. Infatti si deve ricordare che la dimostrazione a priori dell' esistenza di Dio è opera della ragione, ossia del secondo genere di conoscenza, che procede da una intuizione intellettiva, ossia dal terzo genere e che, per questo, la conoscenza dell'esistenza necessaria della sostanza è .costitutiva ed essenziale: st'ne qua non. Dunque, non diversamente dal Breve trattato, anche l'Eticà procede nella dimostrazione dell'esistenza di Dio da una conoscenza intuitiva, ossia dalla presupposizione del terzo genere di conoscenza r5.
Proprietà della sostanza assolutamente infinita, quanto alla sua essenza (PI2-r5S e r9-20) In conformità alla distinzione già svolta nella prima parte del Breve trattato r 6 , nelle P12-20 Spinoza illustra le proprietà della 15. KV r, r, r-2 (M qo-qr e 394-424). r6. KV r, capp. 3-6: proprietà dell'azione causale di Dio; cap. 7: proprietà dell'essenza di Dio, rispetto alla totalità degli attributi o rispetto a ciascun attributo.
3. mo
sostanza assolutamente infinita, distinguendo quelle che riguardano la sua essenza da quelle che riguardano la sua azione causale. In questo paragrafo raccolgo le proprietà concernenti l' essenza; nel prossimo quelle concernenti l'azione. Le proprietà concernenti l'essenza sono svolte in ·due sezioni: nella prima (Pr2-r5 ), sono considerate l'indivisibilità e l'unicità; nella seconda (Pr9-20), sono considerate l'eternità e l'immutabilità. r. Indivisibilità e unicità della sostanza assolutamente infinita (P12- r 5). La tesi generale dimostrata nelle quattro proposizioni
che seguono è che esiste una sola sostanza, quella assolutamente infinita e che tutto ciò che esiste è modo di tale sostanza. Per provare l'unicità della sostanza, l'autore dimostra anzitutto che essa non è moltiplicabile per divisione interna: questa non è possibile nella sostanza in quanto tale (P12), tanto meno nella sostanza assolutamente infinita (Pr 3). In secondo luogo egli dimostra che, data 1' esistenza di una sostanza assolutamente infinita, è impossibile che si diano altre sostanze al di fuori di essa (Pr4), poiché dovrebbero essere realmente diverse, avendo attributi che essa non ha, il che è assurdo. Infine egli dimostra che, essendo la sostanza assolutamente infinita e unica, tutto ciò che esiste può essere considerato soltanto come esistente t'n altro, ossia come un modo della sostanza stessa (Pr 5). La. dimostrazione della indivisibilità di una sostanza consiste nel rendere manifesta l'incompatibilità tra natura della sostanza e divisibilità. Infatti, se una sostanza si dividesse in. parti e queste non conservassero la natura di sostanza, essa verrebbe meno, contro la P7 (fine dimostrazione PI2). Se invece le parti conservassero la natura della sostanza, dovrebbero essere necessariamente sostanze finite, contro la P8 (Pr 3S). Se le parti di una sostanza fossero considerate come sostanze infinite, dovrebbero avere attributi diversi l'una dall'altra, per la P5, e si cadrebbe nell'assurdo di più sostanze prodotte da un'altra sostanza, contro la P6. Infine, se si mantiene l'ipotesi di più sostanze infinite risultanti dalla divisione di una sostanza infinita, poiché ciascuna sarebbe concepibile per sé, potremmo concepire il tutto senza le parti. o ciascuna delle parti senza il tutto, il che è anche assurdo. Se dunque una sostanza, in quanto sostanza, non è divisibile (Pr 3C), non lo 'sarà neppure una sostanza assolutamente infinita, perché o cesserebbe semplicemente di esistere, oppure, se le sue parti fossero anch'esse as57
L'ETICA DI SPINOZA
solutamente infinite, si avrebbe una molteplicità di sostanze assolutament~ infinite, il che è assurdo. Dimostrato che la sostanza non può produrne un'altra per propria divisione, si dimostra che non possono esistere altre sostanze oltre quella assolutamente infinita. Infatti esse dovrebbero avere attributi diversi da quelli che competono alla sostanza assolutamente infinita, poiché non possono darsi diverse sostanze aventi lo stesso attributo. Ma alla sostanza assolutamente infinita competono tutti gli attributi; dunque, o essa esiste come tale ed è unica, oppure non esiste. Abbiamo visto, nella Pn, che una sostanza assolutamente infinita esiste ed è necessariamente unica. Ne segue. che pensiero ed estensione sono o attributi di Dio o suoi modi (P14C2); si dimostrerà nella seconda parte (P1-2) che sono attributi. La P15 può pertanto conclud~ re che tutto ciò che può essere considerato come ente non esistente per propria essenza non sarà sostanza, ma soltanto modo della sostanza: per 1'Ax1, non esistono in natura altro che sostanza e modi. Gli attributi, esprimendo lessenza della sostanza, non si distinguono realmente da questa se non per un intelletto che li percepisca. Con le P14-15 può considerarsi conclusa la deduzione della unicità della sostanza e, a partire da questo momentQ, la sostanza potrà e dovrà essere designata con 1' articolo determinativo. Se inoltre si vuole indicare la sostanza con il termine tradizionale Dio, come Spinoza fa, si dovrà usare il massimo controllo nell'attribuire a Dio, rappresentato con le proprietà attribuitegli nella tradizione giudaico-cristiano-islamica, i caratteri dell'unica sostanza spinoziana, concepita rigorosamente come assolutamente infinita. Che il filosofo intendesse mettere in guardia i lettori su questo punto è dimostrato dall'importante scolio della P15, dedicato in particolare a dimostrare l'inerenza a Dio dell'attributo estensione. Tale scolio è articolato in tre momenti: a) denuncia . e rifiuto delle concezioni tradizionali di Dio, caratterizzate dall'antropomorfismo, dalla considerazione di Dio come composto di mente e di corpo, e come sottoposto alle passioni. Si tratta del modo prevalentemente diffuso di considerare Dio da parte delle forme popolari, catechetiche e liturgiche di tutte le religioni storiche. Spinoza non intende discutere e confutare queste rappresentazioni puramente immaginative, perché la loro distanza dalla verità risulta a sufficienza dalle cose già dette.
3.
DIO
la posizione di coloro che, avendo «in qualche modo considerato la natura divina», negano che Dio sia corporeo. E hanno ragione, perché per sostanza corporea intendono una certa quantità misurabile e divisibile, che non compete a Dio. Tuttavia essi non sanno spiegare, se non ricorrendo al miracolo, per quale divina potenza la sostanza corporea, che non compete a Dio, sia creata da Dio. In tal modo essi pretendono che la causa possa produrre fuori di sé un effetto della cui essenza non partecipa affatto, ammettendo in tal modo che qualcosa possa derivare da nulla. Ma l'autore ricorda di aver dimostrato che una sostanza non può produrne un'altra, perché, differendo esse nell'essenza, la sostanza prodotta deriverebbe dal nulla, il che è impossibile. Inoltre egli ricorda di aver dimostrato che, oltre Dio, non si dà alcuna sostanza e conclude che la sostanza estesa non è altro che un attributo di Dio. . e) Quelli che negano che la sostanza estesa possa essere considerata attributo di Dio, si servono di due argomenti l7: - poiché la sostanza corporea è divisibile in parti, è necessariamente finita; ma se essa è finita, non può appartenere a Dio, che è infinito e non è divisibile in parti; - poiché la sostanza corporea è divisibil_e, può patire cambiamenti; ma Dio è infinito e perfetto e non patisce mutazioni; dunque Dio non può partecipare della sostanza corporea, perché altrimenti patirebbe. La risposta a queste due obiezioni può essere sintetizzata in tal modo: - 1'errore degli obiettori consiste nel considerare la sostanza corporea come divisibile e perciò, ritenendo che l'infinito non sia divisibile, nel supporla finita e nel negare che possa inerire a Dio. Ma è stato mostrato nella P8 che la sostanza è infinita e, nella P12, che essa è indivisibile; inoltre tale indivisibilità della sostanza corporea può essere anche ricavata dalla inesistenza del vuoto; · - la ragione per cui si è per natura propensi a considerare divisibile la sostanza estesa o quantità dipende dal duplice modo di considerarla, secondo l'immaginazione o secondo l'intelletto. Considerando la quantità o la materia (nomi con i quali b) Egli preferisce discutere
17. L'obiezione e le risposte sono presenti già nella KV, 149-53).
59
I,
2, 18-25 (M
'
L ETICA Dl SPlNOZA
l'autore indica indifferentemente la sostanza estesa) secondo l'immagina~ione, la consideriamo divisibile in parti; ma se la consideriamo secondo l'intelletto, sappiamo che è indivisibile. Quindi, ancora una volta, la causa dell'errore consiste in una insufficiente distinzione tra immaginazione e intelletto; ancP.e ammettendo che la sostanza corporea sia divisibile, purché eterna e infinita, essa non sarebbe indegna della natura divina. Infatti, essendo Dio sostanza unica, non c'è altra sostanza da cui possa patire, senza considerare che tutto ciò che esiste segue dalla necessità e dalle leggi della sua natura. 2. Eternità e immutabilità della sostanza assolutamente infinita (P19-20). La norma generale che presiede alle argomentazioni intorno alla eternità è costituita dalla De/8, secondo la quale per eternità si intende l'esistenza stessa in quanto è concepita seguire necessariamente dalla sola definizione della cosa eterna. Ora non v'è dubbio che Dio, concepito come sostanza assolutamente infinita, quindi tale che esiste per sola necessità della sua natura (P7), è eterno. Ma poiché la sua natura è costituita dalla totalità degli attributi, la totalità degli attributi di Dio deve implicare l'esistenza e pertanto . tutti e ciascuno sono eterni (Pr 9). Ma se ciò che costituisce l'essenza di Dio costituisce anche la sua esistenza, in Dio essenza ed esistenza coincidono (P20). Ne segue che esistenza ed essenza di Dio sono un'eterna verità (P20C r) e che Dio, ossia la totalità degli attributi, è immutabile (P20C2). Il problema posto da queste due proposizioni è quello di intendere come si passi dalla totalità degli attributi, che, in quanto tale, implica l' esistenza della sostanza assolutamente infinita, a un singolo attributo che implichi l'esistenza della stessa sostanza assolutamente infinita. Sembra evidente che, se tutti gli attributi sono implicati dalla sostanza assolutamente infinita, nessun· attributo singolarmente considerato può essere assunto al di fuori di essa e può implicare un'esistenza separata. Dunque, ciascun attributo, singolarmente preso, deve implicare la stessa esistenza della medesima sostanza. Ma l'esistenza di Dio è caratterizzata dall'essere esistenza di una sostanza assolutamente infinita, implicata dalla totalità degli attributi e non da un solo attributo; e allora, qual è la relazione tra l'esistenza assoluta della sostanza e l'esistenza (della stessa sostanza) implicata da ciascun attributo? 60
3·
DIO
Proprietà della sostanza assolutamente infim~a quanto alla sua azione (P16-18) Le principali proprietà della causalità divina 18 considerate da Spinoza nelle proposizioni qui indicate sono le seguenti. I. Dio è causa necessaria, nel senso che tutto ciò che può derivare dalla sua natura ne deriva per la sola potenza di quella natura. In altri termini, Dio è causa necessaria di tutte le cose con 1o stesso atto con cui è causa di sé: dalla natura divina è implicata necessariamente non solo lesistenza divina, ma anche l'essenza e lesistenza di tutti i suoi modi, come da1la natura del triangolo sono implicate le proprietà che ad esso appartengono. Dio, dunque, non è causa mediante intelletto e volontà, ma soltanto mediante la sua natura e perciò e in tal senso. si dice causa necessaria (P16) 1 9, 2. Dio è causa per sé, mediante la sua, sola natura e non per accidens (P16C2) 20, dal momento che nulla, al di fuori della sua essenza, può determinarlo ad agire. 3. Dio è causa assolutamente prima (P16C3); è l'unica sostanza assolutamente infinita, al di fuori della quale non si dà altra sostanza (P15) e nessuna possibilità di determinazione da parte di altro. Dunque, ogni possibile causalità si dà nella sostanza e ha nella sostanza la sua causa prima 21 • 4. Dio è causa libera: agisce per le sole leggi della sua natura e non costretto da nulla, né in sé né fuori di sé (P17C 1). Ne segue che Dio soltanto è causa libera ·e che, nella sua azione, libertà intesa ·come assenza di coazione e· necessità intesa come · azione mediante le sole leggi della sua natura coincidono
(P17C2). . 5. Dio è causa efficiente universale. Poiché Dio è la sostanza unica assolutamente infinita, la sua potenza di agire è infinita e dà l'essere a tutto ciò che è implicato dalla sua natura, ossia ad 18. In KV 1, 3, 2 si elencano otto denominazioni della causalità divina alcune delle quali riprese puntualmente nell'Etica. ' 19. Si può osservare che tale denominazione corrisponde alla terza della KV, nella quale tuttavia si sottolinea la libertà della causalità divina, intesa come assenza da coazione (in tal senso l'Etica riprende il tema della libertà nel punto 4 e simultaneamente come impossibilità da parte di Dio di omettere ciò che fa, ossia ciò che deriva dalla propria· natura: in tal senso l'Etica distingue al punto l la necessità della causa prima). 20. KV 1, 3, 2, ad 4. 2I. Corrisponde alla sesta denomipazione della KV.
'
L ETICA
or
SPINOZA
infinite cose in infiniti modi. Se si assume come criterio di misura (non 'di causalità) della infinità delle cose derivanti dalla natura divina un intelletto infinito, nel quale tutte sono rappresentate e conosciute, si potrà dire che Dio è causa di tutte le cose che possono cadere sotto un intelletto infinito. Ma si osservi, al riguardo, che l'intelletto infinito non appartiene a Dio in quanto è sostanza o natura naturante, ma, come si vedrà, in quanto è natura naturata; in altri termini, Dio non produce le cose perché le contempli nel suo intelletto, ma perché sono implicate, a cominciare dall'intelletto infinito stesso, nella sua natura. Il riferimento all'intelletto divino, non strettamente necessario dal punto di vista della filosofia spinoziana, ha un valore essenzialmente polemico, poiché, come si precisa nello scolio della Pq, per Spinoza non è possibile ammettere alcuna differenza, alcuno scarto tra ciò che è inteso da un intelletto infinito e ciò che esiste realmente. 6. Dio è causa immanente e non transitiva (Pr8). Poiché al di fuori di Dio non si danno altre sostanze (P14) e tutto ciò che esiste si dà esclusivamente in Dio come sua modalità ed è conoscibile solo mediante Dio (Pr 5), la causalità divina non esce dalla natura di Dio ponendo effetti fuori di essa (non è transitiva), ma permane in essa (è immanente) 21 • Una considerazione particolare deve essere rivolta all.o scolio della Pr 7, nel quale l'autore discute il concetto tradizionàle di libertà, attribuito alla causalità divina 2 3. Per lo più, nella tradizione teologico-filosofica occidentale, la libertà di Dio è considerata come libertà di indifferenza rispetto alla creazione delle cose. Poiché si attribuisce a Dio un sommo intelletto ma anche una volontà assoluta, si ritiene che Dio intenda tutto ciò che può cadere sotto un intelletto infinito ma che non compia tutto ciò che è nel suo intelletto, perché, altrimenti, non avrebbe più nulla da compiere e la sua potenza verrebbe esaurita. Insomma, si ritiene che Dio possa e debba non volere tutto ciò che intende. Spinoza osserva: r. Dio, sostanza assolutamente infinita e unica, causa prima e per natura di tutte le cose, non ha né intelletto né volontà. Co22.
Questa proprietà viet1e spiegata in KV r, 31
.2
con queste parole:
«[Di~] è una causa immanente e non transitiva, perché opera tutto in se stes-
so e non fuori di sé, nulla esistendo fuori di lui». 23. Questo tema è discusso in KV r1 4-6. Indicherò in dettaglio i luoghi di questi capitoli nella ripresa della discussione sotto il punto 3. 3.
3·
DIO
me si vedrà in seguito, la volontà è identificata con l'intelletto e questo è considerato effetto della stessa causalità divina. 2. Chi afferma che Dio può non volere tutto ciò che intende Lungi dal salvare la sua onnipotenza, la nega, poiché, per affer~ marl!l, deve continuamente negarla. 3. .E stato dimostrato, nelle proposizioni precedenti, che tutto deriva dalla sola necessità della natura divina. 4. Quelli che attribuiscono a Dio intelletto e volontà non sanno que~lo ~he dicono. Infatti, se si ammettesse che appartengano a Dio, intelletto e volontà dovrebbero essere attribuiti a Dio in modo totalmente diverso da come vengono attribuiti all' uomo, nel quale l'intelletto è posteriore e simwtaneo alle cose intese, mentre in Dio non può che essere anterfore e causa della loro essenza ed esistenza. Ora, poiché l'effetto differisce dalla causa esattamente in ciò che riceve dalla causa, l'intelletto divino, in quanto causa di essenza ed esistenza delle cose deve differire da queste, e dunque anche dall'intelletto uma~o sia nell'essenza sia nell'esistenza. Pertanto, anche se si attribui~se a Dio un intelletto, questo sarebbe completamente altro da ciò che intendiamo per intelletto e non si potrebbe affermare in qual modo esso agisca. 3. 2. 2. Gli effetti della causalità immanente della sostanza:
Natura naturata
(P21~29S)
I modi eterni e infiniti {P2 r-2 3) In questa sezione l'autore espone l'ambito delle cose eterne e infinite che seguono dalla natura della sostanza, per . passare, poi, a trattare di quelle finite e mutevoli. Dopo aver mostrato, nelle Pr9-20, l'eternità e immutabilità della sostanza assolutamente infinita, intesa come totalità degli attributi che ne costituiscono l'essenza, l'autore tratta dei modi eterni -e infiniti distinguendo: a) i modi che seguono immediatamente dalla sola natura di un attributo (P2 r); . b) i modi che seguono dai modi immediati degli attributi (P22-2 3).
·
Nella P21 l'autore intende dimostrare che, posto un attributo e posto che dalla sua sola natura segua necessariamente qualcosa, questo deve essere infinito ed eterno. Si assuma ad esempio l'attributo del pensiero e si supponga che ciò che se-
L' li1'ICA DI SPINOZA
gue necessariamente dalla sua natura sia l'idea di Dio. La tesi vuole che tale idea sia infinita ed eterna come l'attributo. La dimostrazione procede per assurdo, mediante la confutazione dell'ipotesi contraria. Supponiamo che l'idea di Dio, che segue immediatamente dall'attributo pensiero, sia finita. Per la De/2, è necessario che il pensiero (infinito), da cui seguirebbe necessariamente un'idea di Dio finita Oa quale, perciò, renderebbe finito anche quello da cui deriva), sia delimitato da una cosa dello stesso genere, ossia da un pensiero infinito (il che è assurdo), dal quale non segua un'idea di Dio :finita, che lo renderebbe finito. In tal modo si verrebbe a negare, semplicemente, che un'idea di Dio segua dalla natura di Dio. Ma che dal pensiero inteso come attributo infinito non segua necessariamente un'idea di Dio è contro l'ipotesi; dunque, o questa è infinita, oppure n~n possiamo. s:upporre che ~ualcosa segua i~mediata mente alla natura di un attributo. D altra parte, se st suppone che l'idea di Dio segua necessariamente dalla natura del pensiero, inteso come attributo, e si suppone che non esista sempre, ma che possa avere inizio e fine, si supporrà l'attributo come infinito ed eterno e, tuttavia, capace di. esser privo di quella idea; il che, oltre ad essere contrario all'ipotesi della derivazione necessaria, implica anche mutazione nell'attributo. Dunque, se qualcosa segue immediatamente, cioè in modo necessario, dalla sola natura di un attributo, sarà infinito ed eterno. La stessa dimostrazione vale per ciò che segue necessariamente dal modo immediato di un attributo (P22); sicché, nella P23, lautore può concludere, riassumendo, che ogni modo che esiste necessariamente e come infinito ha dovuto seguire necessariamente o dalla sola natura di un attributo oppure dalla modificazione immediata di questo. Conviene sottolineare, al riguardo, che la specificità della derivazione modale consiste nell'essere una necessaria ed eterna determinazione immanente della sostanza e dei suoi attributi. Come lattributo costituisce ed esprime I'essenza della sostanza, così i modi infiniti (immediati e mediati) dell'attributo esprimono, di questo, la potenza attiva e dinamica. Son? h:fìniti ed eterni perché ineriscono da sempre alla natura dell attnbuto: se questa è infinita ed eterna, infinita ed eterna è anche la sua espressione dinamica. . Così, per quanto concerne gli attributi a noi noti, I'espressione dinamica dell'attributo pensiero è costituita dall'intelletto
r
3.
DIO
infinito 4, ossia dall'atto di intendere simultaneamente l'intera natura naturante e l'intera natura naturata. Ora, loggetto di tale intelletto non può essere posteriore o separato, ma dato necessariamente e simultaneamente con esso; e tuttavia non si darebbe nell'attributo del pensiero se non si desse in questo l'intelletto infinito, modo. immediato. Così diciamo che la totalità delle idee concernenti l'intera natura (naturante e naturata), intesa come oggetto dell'intelletto infinito, costituisce il modo infinito mediato dell'attributo del pensiero. Tra le idee del modo infinito mediato dell'attributo del pensiero vi sono anche le menti umane e tutti i modi finiti dell'attributo del pensiero. Analogamente accade per l'attributo dell'estensione, la cui potenza dinamica, inseparabile dalla sua essenza, è costituita dal modo immediato ed eterno della relazione infinita motoquiete 2 .5. Tale infinita relazione comprende e implica ogni possibile e attuale determinazione finita di moto-quiete, ossia tutti i corpi determinati, costituenti, nella loro totalità e simultaneità, l'intero universo delle cose corporee, la facies totius universi 26 • Tale /acies, essendo immediatamente implicata e posta dalla relazione infinita moto-quiete, non può essere che necessaria e infinita come questa. Tuttavia, nella sua infinità, è costituita dalla serie infinita di tutti i corpi finiti, determinantisi l'un I'altro all'esistenza, come vedremo tra poco (cfr. FIG. 1). 2
I modi fint'ti e le loro proprietà (P24-29S) Questa sezione, dedicata all'esame delle proprietà delle cose «prodotte» da Dio in quanto causa efficiente - e non di quelle che «seguono» dalla natura dei suoi attributi (si noti il cambiamento di terminologia) - espone le proprietà dei modi finiti. Le proprietà prese in considerazione da Spinoza, dopo la defi24. KV, I, 9, 3: l'intendere. nella cosa pensànte viene detto «figlio, opera o immediata creatura di Dio». 25. KV 1, 9, i-2: anche il moto viene detto «figlio, opera o effetto immediatamente creato da Dio». 26. Ep 64 a Schuller: «la fact'es di tutto l'universo, benché varii in infiniti modi, rimane tuttavia sempre la medesima. Vedete in proposito L7S avanti la P14, parte seconda». In quest'ultimo luogo si legge: «tutta la natura è un unico individuo le cui parti, cioè tutti i corpi, variano in infiniti modi senza alcun cambiamento dell'individuo totale».
r.' E'I'ICA or
SPINOZA
FIGURA r
Modello della relazione immanente sostanza-attributi-modi Estensione
Pensiero
L'esperienza didattica insegna che talvolta può essere proficuo concedere qualche sussidio all'immaginazione. Le· due figure, identiche rispetto alla sostanza, devono essere pensate come coincidenti. Esse divergono soltanto negli attributi, dalla cui differenza essenziale deriva che i medesimi atti o determinazioni della potenza della sostanza siano moto-quiete o coi~pi rispetto all'estensiot1e, intelletto o idee rispetto al pensiero,·
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nizione generale di «cosa prodotta» (P24), riguardano: ciò che .nella cosa è oggetto della causalità divina (P2 5), l'azione della cosa (P26-27), La modalità di produzione della cosa (P28), La necessità dell'esistenza e dell'azione della cosa (P29). La P24 definisce l'ambito delle cose prodotte da Dio: sono tutte quelle la cui essenza non implica l'esistenza, ossia tutte, eccetto Dio stesso o sostanza unica con la totalità dei suoi attributi e i modi eterni e infiniti di questi. Benché nella sostanza, negli attributi e nei modi eterni e infiniti l'essenza non implichi l'esistenza allo stesso modo, tuttavia in essi L'esistenza non è mai separabile dall'essenza. Per questa ragione esse si dicono eterne, sebbene in tre sensi diversi. Tutte le altre cose, la cui esistenza è separabile dall'essenza, se esistono e per la durata della loro esistenza, implicano una diretta causalità efficiente da parte di Dio. Quali sono allora le proprietà delle cose prodotte da Dio? r. Determinazione dell'essenza oltre che dell'esistenza. Dio è causa efficiente non solo dell'esistenza, ma anche dell'essenza delle cose (P2 5) 2 7. Se infatti L'essenza delle cose fosse da sé e non da altro, implicherebbe anche resistenza e coinciderebbe con la causa sui e con La sostanza. Ma si è visto che La sostanza è unica (Pr4) e che tutto ciò che esiste, comprese Le essenze, è affezione della sostanza (Pr 5). Dunque le cose particolari, nella loro essenza e nella loro esistenza, sono affezioni degli attributi di Dio, ossia espressioni certe e determinate degli attributi, prodotte dall'unica forza e con l'unico atto con .cui la sostanza è causa di sé (P2 5 SC). 2. Determinazione dell'azione. Le cose prodotte da Dio, o modi degli attributi della sostanza, essendo determinati dalla causa ad esistere in un certo modo, sono anche determinati ad agire in un certo modo 28 ; se non fossero determinati ad agire, non potrebbero determinare se stessi, poiché non esisterebbero e, una volta determinati ad agire, non possono rendere se stessi indeterminati. Se · potessero, la Loro causa sarebbe inefficace, contro l'Ax3 e contro l'assoluta potenza della causa sui (P2627).
.
3. Determinazione dell'esistenza e dell'azione da parte di 27. KV r, 6, 7: «questa è la giusta perfezione in Dio, che egli dà a tutte le cose, dalle minime alle massime, la loro essenza o, per meglio dire, che egli ha tutto in se stesso perfettamente» (M r8 r). 28. KV r, 6, 5; n, r6, 3.
L'ETICA DI SPINOZA
un'altra cosa finita, in una serie infinita di cose finite. Tutto ciò che segue Ìmmediatamente dalla natura assoluta degli attributi o da una modificazione immediata dell'attributo è eterno e infinito; dunque il·. finito può essere causat~ da Dio s?lo med~ante un'altra affezione finita, causata da un altra affezione finita e cosi all'infinito (P28). 4. Se la potenza di Dio coincide con la sua essenza ~ da questa tutto deriva con necessità assoluta, in natura non st dà nulla di contingente, ma tutto ciò che esiste e agisce esiste e agisce perché è determinato dalla natura-potenza divina a esistere e ad agire in un modo certo e determinato (P29) 29 • Ne segue che la tradizionale distinzione tra natura naturante e natura naturata può essere riferita, da un lato, alla sostanza e ai suoi attributi ossia a Dio inteso come causa libera, dall'altro a tutto ciò che deriva da essi, quindi ai modi, sia infiniti sia finiti (P29S) .3°.
3.3 Confutazione di pregiudizi concementi la natura e l'azione della sostanza (P30-36 e 'Appendice)
Dopo aver dimostrato positivamente, nella seconda sezione della· prima parte, natura e proprietà della sostanza e della sua azione causale, nonché natura e proprietà degli effetti .ad essa immanenti, in questa sezione lautore conferma la dottrina proposta attraverso la discussione e. confutazione ~ tesi a~ers.ari.e concernenti la tradizionale dottrma della creazione. Tali test nguardano in particolare: 1. La creazione mediante intelletto (P3 0-31). 2. La creazione mediante volontà (P32). 3. La contingenza delle cose create (P33S1; P34-35). · 4. L'imperfezione delle cose create (P33S2; .P36). 5. La creazione in vista di un fine (Appendice). 3-3-I. La creazione mediante intelletto (P30-31)
L'intelletto è un modo del pensiero; può essere considerato come infinito o :finito, ma deve comunque essere riferito alla na29. KV I, 6, 2-5. ' . 30 . La distinzione tra Natura naturans e Natura natura/a e presente m KV 1, 8.
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3. mo
tura naturata 3 r e non alla natura naturante (P3 r); quindi esso non appartiene a Dio considerato come natura naturante e non costituisce uno strumento della sua azione causale. L'intelletto, sia finito sia infinito, ha per oggetto gli attributi di Dio e le loro affezioni, niente altro (P30). · 3. 3. 2. La creazione mediante volontà (P3 2)
La volontà, in quanto modo del pensare, coincide con la volizione determinata, la quale non può esistere e agire se non in quanto sia· determinata ad esistere e ad agire da un'altra volizione determinata, cioè da un altro modo del pensiero e così all'infinito (P32). Quanto alla volontà, l'autore riprende la discussione dell'ipotesi di coloro che ammettono che Dio agisca mediante la sua volontà nello scolio 2 della P3 3 per dimostrare che, anche· in tal caso, tutte le cose sarebbero prodotte da Dio con somma perfezione, ossia non diversamente da come sono prodotte (cfr. PAR. 3.3.4). 3-3-3· La contingenza delle cose create (P33~36)
Poiché non esiste nulla di contingente 32 , le cose non esistono né potrebbero esistere diversamente da come esistono né potrebbero essere prodotte diversamente da come sono prodotte (P3 3). Infatti, nel primo scolio di questa proposizione, l'autore precisa che per necessario intende ciò che esiste in virtù della propria essenza o di una causa efficiente determinata; per impossibile ciò che non può esistere o perché la sua essenza implica contraddizione. o perché non si dà alcuna causa esterna determinata a produrre tale cosa; per contingente ciò che non ci appare né come necessario né come impossibile. Chiamiamo dunque contingenti le cose non perché esistano realmente in natura, come tali, ma perché ignoriamo le cause determinate della loro esistenza e al tempo stesso ignoriamo che la loro essenza. implica contraddizione ad esistere oppure sappiamo che non implica contraddizione ad esistere (P33Cr). Il fondamento della impossibilità di cose contingenti o dell'esistenza di cose imperfette o perfettibili consiste nella identità 3r. KV r, 9, 3. 32. KV r, 6, 2-5.
L'ETICA DI SPINOZA
di potenza, ed essenza di Dio. Co1!Je Dio esiste per sua natùra, così agisce necessariamente per sua natura; dunque la sua potenza di azione coincide con la sua natura o essenza (P34)! E poiché la potenza di Dio non si esplica mediante intelletto e volontà (P32C1-2), qualunque cosa concepiamo essere nella potenza di Dio esiste necessariamente. Infatti la potenza coincide con lessenza infinita della sostanza e da questa tutto deriva necessariamente per l'unico e medesimo atto con cui la sostanza è causa di sé (P35). 3-3-4· L'imperfezione delle cose create (P33S2)
Se tutto esiste per necessità della natura divina, tutto ciò che esiste è perfetto né potrebbe esistere altrimenti 33 • Questo concetto di perfezione si oppone a quello che considera ontologicamente imperfetto e perfettibile il mondo creato, 'perché contrasterebbe con lonnipotenza divina non poterlo fare o rendere diverso da come è. In P3 3S2 1'autore conferma la propria tesi dell'assoluta necessità e perfezione ontologica degli effetti derivanti dalla natura divina, confutando le ipotesi di coloro che affermano che Dio crea le cose per volontà, che Dio sia dotato di volontà di indifferenza, che Dio agisca in vista del bene 34. 1 . Pur ·ammettendo che Dio crei mediante volontà, le cose non potrebbero esistere in altro ordine e modo da quello in cui esistono: a) per la perfezione di Dio; b) perché tutto dipende dal suo solo decreto; e) perché i decreti di Dio sono stati sanciti sin dall'eternità, nella quale non c'è né prima né dopo né quando (Dio non può esistere senza i suoi decreti); d) perché Dio non ha un intelletto in. potenza; e) perché in Dio intelletto e volontà coincidono con la sua natura. 2. In Dio non si dà volontà indifferente, perché tale indifferenza implicherebbe che essa possa essere diversa da quella che è; inoltre, coincidendo in Dio la volontà con 1'essenza, implicherebbe che anche la sua essenza possa essere diversa da quella che è.
33. KV I, 6, 6-9. 34. Tali questioni sono affrontate, quasi nello stesso ordine, in KV
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3. La tesi dell'indifferenza del volere è meno assurda di quella che subordina lazione di Dio al bene considerato come suo scopo. Questo infatti significa sottomettere Dio al fato e renderlo coatto 35.
Poiché dunque tutto esiste ed agisce in quanto espressione determinata della potenza della sostanza, in natura non esiste nulla da cui non segua qualche effetto determinato. Se infatti non seguisse qualche effetto, ciò che esiste non sarebbe una determinata potenza della sostanza (P36).
di un fine. Origine e natura dei pregiudizi, in particolare di quello teleologico (Appendice) 3. 3. 5. La creazione in vista
L'Appendù:e della prima parte, dedicata principalmente alla celebre discussione del pregiudizio teleologico, può essere divisa in cinque sezioni. 1 . Sintesi deglt' argo!JZentt' svolti. L'autore ricorda di avere spiegato la natura di Dio e le sue proprietà, mostrando che Dio: a) esiste necessariamente; b) è unico; e) esiste e agisce per sola necessità della sua natura; d) è causa- libera di tutte le cose; e) tutte le cose sono in Dio e dipendono necessariamente da Dio; j) tutte le cose sono state predeterminate necessariamente dalla sola natura o infinita potenza di Dio. 2. Dei pregiudizi in generale. L'autore ricorda che nel corso della prima parte ha già denunciato diversi pregiudizi, ma che altri ne rimangono, costituendo un ostacolo fondamentale alla conoscenza della vera natura di Dio. Ora, tutti quelli che egli intende esaminare dipendono da uno solo, da quello finalistico. Esso consiste nel credere che tutte le cose naturali e luomo agiscano in vista di un fine; inoltre, che Dio stesso diriga tutte
35. Anche questo argomento è presente ne11a KV 1, 4, 6: «Quelli che dicono che Dio fa tutto ciò che fa perché questo è buono in sé, penseranno forse di non discordare da noi. Tutt'altro, invece, perché essi stabiliscono che, prima di Dio, c'è qualcosa a cui egli sarebbe obbligato o legato, cioè una causa per la cui esigenza questo è e sarà bene, e quello è e sarà giusto» (M t 73).
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le cose ver~o un fine. Quindi l'autore enuncia i tre temi della sua argomentazione: a) indicare la causa della diffusione e della forza del pregiudizio finalistico tra gli uomini; b) mostrare la sua falsità; e) mettere in luce quali altri pregiudizi ne siano derivati. 3. Origine del pregiudizio finalistico· e causa della sua forza tra gli uomini. Spinoza precisa che non trarrà la sua argomentazione dalla natura della mente umana, di cui non ha ancora trattato, ma dimostrerà la sua tesi sullà base di una verità ammessa da tutti: «tutti gli uomini nascono ignari delle cause delle cose, mentre tutti appetiscono il proprio utile, cosa della quale sono consapevoli». Da questa condizione umana originaria e generale segue che: a) gli uomini ritengono di essere liberi, perché sono consapevoli delle loro volizioni, ma ignorano simultaneamente le cause che li muovono; b) gli uomini ritengono di fare tutto in ·vista di un fine, ossia dell'utile che appetiscono. Da tale convinzione segue che: - aspirano sempre a conoscere soltanto le cause finali delle cose che hanno compiuto; - se non le apprendono da altri, si rivolgono a se stessi e giudicano l'altrui indole in base alla propria; - considerano tutte le cose naturali che possono aiutarli a conseguire il loro utile come mezzi predisposti ad un fine; - poiché sanno di non essere stati essi ·a predisporre quei mezzi, si convincono che sia stato un altro a predisporli per loro. Da tale convinzione nasce il pregiudizio antropomorfico intorno alla divinità: questa farebbe tutto in vista degli uomini, per tenere legati a sé gli uomini ed essere da questi onorata. Tale pregiudizio si è tramutato in superstizione, quando è stato posto a fondamento di esso l'idea secondo cui .i giudizi. degli dei superano di gran lunga l'umana capacità di comprensione. Questa breve analisi può essere considerata come una delineazione della genesi della religione naturale; - infine l'autore indica la via attraverso la quale questi pregiudizi possono essere superati. Essa consiste nella conoscenza e nel metodo elaborati e insegnati dalla matematica, la quale studia e conosce esclusivamente le essenze delle cose. e le loro proprietà. 4. Falsità del pregiudizio teleologico. La falsità di tale pregiudizio è svelata con tre argomenti:
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a) è stato dimostrato che tutte le cose esistono e agiscono in
quanto derivano necessariamente dalla natura di Dio, ossia in quanto determinate da sole cause efficienti; b) il pregiudizio finalistico sowerte l'ordine naturale, poiché il fine, creato, è assunto come ciò per cui Dio crea. In tal modo, quel che è causa viene considerato come effetto e viceversa; ciò che è anteriore viene considerato posteriore; quel che è supremo e perfettissimo viene reso imperfettissimo; e) la falsità del pregiudizio finalistico risulta anche chiaramente dal fatto che, per dimostrarlo, i suoi sostenitori adducono soltanto l'ignoranza umana della insondabile volontà divina, senza poter dimostrare l'impossibilità della tesi contraria, che combattonp. Sul fondamento dello stupore che inevitabilmente nasce dall'umana ignoranza, i sostenitori della dottrina finalistica costruiscono e difendono la propria autorità tra gli uomini. Non meraviglia dunque che essi considerino eretici ed empi quelli che cercano di conoscere le vere cause naturali, mostrando l'illusorietà dei miracoli. 5. Pregiudizi derivati. Anzitutto l'autore mostra le due ragioni della derivazione di molti altri pregiudizi da quello teleologico: a) gli uomini hanno stimato come cosa più importante quella che per loro era più utile; b) gli uomini hanno ritenuto più eccellenti quelle cose dalle quali venivano affetti nel modo migliore. In secondo luogo l'autore discute singoli pregiudizi derivanti dalle due cause ora indicate: bene-male, ordine-confusione,. caldo-freddo, bello-brutto. Tali pregiudizi mostrano ancora una volta che gli uomini hanno una tendenza naturale a scambiare l'immaginazione con l'intelletto, ossia una disposizione del proprio cervello con la cosa stessa ..Inoltre, poiché ritengono di essere liberi, gli uomini hanno formulato anche le nozioni di lode-vituperio e peccato-merito. Infine l'autore ricorda il vero criterio per giudicare della perfezione o imperfezione delle cose: esso consiste nel conoscere la loro derivazione necessaria da Dio, ossia nella conoscenza della loro vera natura e potenza.
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Della natura e dell'origine della mente
Schema generale della seconda parte 4.1. Introduzione 4.2. Fondamenti dell'argomentazione: 4.2.1. Definizioni (1-7) 4. 2. I. I. Definizioni concernenti la nomenclatura della mente (De/1, 3, 4) 4.2.2.2. Definizioni concernenti nozioni di ontologia generale (De/2, 5-7) 4.2.2 . ..Assiomi (1-5) 4.3. Origine della mente umana (P1-9) 4+ Natura della mente umana (P10-47) 4.4.r. Elementi di una dottrina dell'uomo: 4.4. 1. I. Definiiione generale dell'uomo e della mente umana (Prn-13) 4-4-I.2. Lineamenti di una dottrina del corpo (excursus dopo la P13) 4.4.2. Gli oggetti immediati della mente umana: dottrina della immaginazione (P14-23) 4+2.I. 11 corpo come oggetto immediato della mente umana (P14-19) 4+2.2. L'idea come oggetto della mente umana (P2023) 4+3· La conoscenza mediante le affezioni del corpo (immaginazione) è inadeguata (P24-31) 4+4· Differenza tra cono.scenza inadeguata (errore) e conoscenza adeguata (verità) (P32-36) 4+ 5. Fondamento, forme e proprietà della conoscenza adeguata (P37-47)
4+ 5. 1. Dimostrazione della possibilità e natura della conoscenza adeguata (P37-40S2)
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4,4.5.2. Natura del terzo genere di conoscenza o intellet· to (P40S2) 4+ 5. 3. Proprietà del secondo e terzo genere di conoscenza (P4r-47) Proprietà comuni rispetto al vero (P4r-43) Proprietà della ragione rispetto al necessario (P44) Proprietà dell'intelletto rispetto all'essenza eterna di Dio (P45-47) 4. 5. Confutazione del pregiudizio concernente la volontà (P48-49)
4.1 Introduzione La seconda parte dell'Etica espone la dottrina della mente umana, considerata, come annuncia la breve introduzione, tra le infinite cose che seguono necessariamente dall'essenza di Dio. Si può osservare che l'accenno alla suprema beatitudine della mente come ad uno degli oggetti della seconda parte, costituendo invece argomento della quinta, potrebbe confermare l' ipotesi secondo la quale la breve introduzione sarebbe un calco del primo paragrafo della prefazione alla seconda parte del Breve trattato, in cui sono svolte simultaneamente le. dottrine relative alla natura della mente e alla sua beatitudine. Tale ipotesi implicherebbe anche che, nel suo primo disegno, l'Etica avesse conservato la bipartizione del Breve trattato. Probabilmente, durante la stessa prima stesura della seconda parte, l'autore decise di suddividerla, distinguendola in dottrina della mente (attuale seconda parte) ed etica vera e propria (originaria. terza parte). Quest'ultima (dedicata simultaneamente alla dottrina degli affetti, della schiavitù e della libertà umana) è stata successivamente suddivisa dall'autore nelle attuali tre parti relative agli stessi argomenti. Si deve inoltre notare che il titolo della seconda parte negli Opera posthuma (Della natura e dell'origine della mente) risulta invertito nell'ordine dei temi indagati, perché nel testo si tratta prima dell'origine, poi della natura della mente (come avviene, del resto, anche nella terza parte, dove si espone prima l'origine, poi la natura degli affetti) .
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DELLA NATURA E DELL'ORIGINE DELLA MENTE
4.2 Fondamenti dell'argomentazione 4.2.I. Definizioni (1-7)
Definizioni concernenti la nomenclatura della mente (Defr, 3, 4) La prima definizione, in modo apparentemente paradossale concerne il c_orpo, :he costituisce, .come si vedrà a partire dall~ seco~d~ sezt~ne, I oggetto proprio della mente umana. Nella defìruztone di corpo si sottolineano in particolare due cose: a) ~sso esprime in modo certo e determinato ]'essenza di Dio; b) m quanto tale essenza è espressa dall'attributo dell' estensione. Dun~ue il corpo è un modo dell'estensione e, in quanto tale, p~ss1ede la pe~ezione ~ dignità, oltre che necessità, di una espressione deternunata dell essenza di Dio. La d~fin~zione terza, concernente l'idea, riguarda anche la mente, di cui non si dà una definizione esplicita e formale Qui per mente_ si i?tende una ''cosa pensante", ossia una realtà modale fornita di una certa essenza in virtù della quale è capace di formare concetti 1 • Per idea si intende il concetto che la mente forma ne~'. esplicazione della sua attività. di cosa pensante. Da tale definizione, e dalla spiegazione che la segue, sembrerebbe emergere una rappresentazione della mente intesa come attività spontanea e, per idea, sembrerebbe. intendersi un effetto esclusivo di ~ale att~vi~à .senza alcun riferimento ad oggetti esterni. I~ effett1, la di~ttnztone tra concipere e perdpere, non sempre ngorosamente nspettata nel testo, sembra voler sottolineare che lattività della mente (idea) non ha la sua causa formale nell' ogg.etto esterno, m~ nel di~ami~mo della sost~za, che produce s1multane.ai;riente idee nell attnbuto del pensiero e corpi corrispondenti m quello dell'estensione'. L'attività dell'idea non imp~ca, dunque, che all'idea .rion corrisponda un oggetto nell' attnbuto. d~ll' estensione; essa significa soltanto che loggetto non ~e. c,ostttu1sce la causa formale. Se si considera tuttavia che I' attlvtta ?ell~ me~te non consiste nel formare oggetti, ma. idee di oggetti esistenti Oa sostanza e i suoi modi), si può intendere in . I. s~ signi~cat~ e sulla storia del termine mente in Spinoza cfr. G. Crapulli, E. Gtancotti, Ricerche lessicali su opere di Descartes e Spinoza, Ed. dell'Ateneo, Roma 1969, pp. n9-84 e Bibl. 25 e 27.
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che senso può dirsi che essa, considerata come semplice modificazione dello stato della mente, conseguente al darsi in essa di nuove idee simultaneamente al darsi di nuove affezioni nd corpo, sia chiamata da Spinoza sentire e come questo stesso sentire sia, in tal senso, un patire. Non, beninteso, da parte del corpo, ma da parte di qualunque oggetto dato, in quanto oggetto 2 • La definizione quarta precisa che cosa si deve intendere per idea adeauata e implicitamente, pone la distinzione tra questa e 6 ' l'idea vera. Se per idea vera, secondo E r Ax6, s,.mtende l' accordo dell'idea con l'ideato, per idea adeguata s'intende la stessa idea vera in quanto venga considerata non sotto il profilo della sua convenienza con l'oggetto, ma sotto quello delle sue caratteristiche intrinseche, ossia chiarezza e distinzione 3 • Poiché, da quanto s'è detto nel capitolo precedente, non esistono idee vere che non siano anche adeguate, la definizione data lascia aperta la questione della possibilità di idee adeguate che non siano vere, quali possono essere le definizioni puramente nominali formulate grazie alla potenza della mente in quanto è cosa pensante, e alle quali non corrisponda un oggetto esterno.
Definizioni concernenti nozioni di ontologia generale (Def~" 5-7) La seconda definizione, fondamentale nell'economia dell'intero sistema merita di essere trattata a parte, subito dopo le altre. La 'quinta definizione concerne la permanenza dei modi finiti nell'esistenza. Tale permanenza non può essere determinata a partire dall'essenza dei modi, che per sua natura pone - .non da sé, ma in concomitanza con una causa esterna - il modo stesso senza toglierlo, dunque, senza che sia possibile determinarne la permanenza. Questa non può neppure essere determinata dalla sola causa efficiente dell'esistenza della cosa, poiché anch'essa pone l'esistenza della cosa, ma non la toglie. Perciò l'esistenza dei modi è detta durata, in quanto la loro permanenza nell'esistere è indefinita, .tenendo conto della loro essenza e della causa efficiente. L'esistenza dei modi è invece necessariamente determinata, ossia tolta, dalle cause esterne contrarie. 2. La dottrina dell'intendere come «puro patire» è esposta in KV n, 15. Per una discussione e interpretazione di questo tema rinvio a F. Mignini, L'intendere è un puro patire, in "La Cultura", 25 (1987), l, pp. 120-5r. 3. Per tale dottrina cfr. anche TIE, 26,15 - 27,13 ed Ep 60 (G rv, 270, r5-9).
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La definizione sesta pone la perfetta e reciproca identità tra realtà (o esistenza attuale di una cosa) e perfezione 4, Questo significa che ogni cosa attualmente esistente possiede la realtà espressa dall'essenza che la costituisce e che la perfezione non è una nota aggiuntiva rispetto all'essenza, ma coincide esattamente con questa. La definizione settima ha per oggetto la nozione di cose singolari ed è divisa in due parti. Nella prima si dà la definizione vera e propria, che intende per cose singolari quelle finite (E 1 De/2) aventi esistenza determinata. Nella seconda parte si aggiunge una annotazione, che risulterà pienamente comprensibile dopo aver letto l'excursus che segue la Pr 3. L'aggiunta è importante, non solo perché precisa che una cosa singolare può essere composta da più individui, ma soprattutto perché sembra attribuire alla cosa singolare una costituzione essenzialmente dinamica. Più individui concorrenti simultaneamente a produrre un medesimo effetto {considerati perciò in quanto cause agenti) vengono assunti come una sola cosa singolare. Per esempio, il corpo umano è assunto come una sola cosa singolare, non in quanto è costituito da diversi individui aventi ciascuno una propria essenza e relati in qualche modo tra loro (infatti, come si vedrà, il corpo umano è composto da diversi individui composti a loro volta da altri individui), ma in quanto concorrono insieme nel produrre un medesimo effetto. La seconda parte della definizione sembra dunque assegnare all'operazione, nella quale le parti concorrono, la funzione di congiungere gli individui tra loro, per formare una sola cosa singolare. Se le cose stanno così, l'unità statico-corporea è soltanto l'espressione esteriore, il "fenomeno" dell'unità dinamico-produttiva delle "cose singolari". Veniamo infine alla definizione seconda, concernente ciò che compete all'essenza di una cosa. La specificità di tale definizione consiste nell'assumere come pertinente a.il' essenza di una cosa tutto ciò che rende possibile l'esistenza della cosa stessa, a condizione, tuttavia, che quel tutto esista e sia pensato anche nei limiti dell'esistenza determinata e attuale di quella cosa. In altri termini, compete all'essenza di una cosa ciò senza di cui quella cosa non può esistere né essere pensata come quella, purché 4. Cfr. E 4 Prae/.
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L'ETICA DI SPINOZA
quel ciò senza di cui esista e sia pensato come posto dalla cosa stessa. La definizione sembra dunque porre una relazione reciproca e costitutiva tra essenza ed esistenza attuale di una co~m, nel senso che lessenza di una cosa deve essere sempre cercata e definita nei limiti dell'esistenza attuale della cosa stessa 5 • Tuttavia, poiché la cosa di cui qui si parla è :finita e singolare, tale cioè che la sua essenza non ne implica lesistenza, essa richiede, per esistere, il concorso di cause esterne. Dunque, la definizione di una cosa è sempre, necessariamente, definizione di una cosa singolare- esistente in atto, mediante il riferimento della causa che ne ha prodotto lesistenza all'ambito di ciò che appartiene all'essenza della cosa stessa. Pertanto compete ali' essenza di una cosa singolare, ad esempio Pietro, non solo ciò che accomuna Pietro a tutti gli altri uomini, distinguendoli da altri animali o da altri viventi, ma anche ciò che distingue Pietro da tutti gli altri uomini. E, certamente, ciò che distingue Pietro da tutti gli altri uomini è la causa determinata della sua esistenza. Perciò la definizione di Pietro dovrà essere ricavata da Pietro stesso e non dalla nozione generale di uomo, ossia dal genere prossimo e dalla differenza specifica. Resta ovviamente da spiegare come sia possibile attribuire una funzione essenziale alla serie delle cause determinate che costituiscono lesistenza attuale di una cosa singolare. Qui si può notare che una delle ragioni che hanno indotto Spinoza a definire in tal modo ciò che compete all'essenza di una cosa è la necessità di distinguere lessenza di Dio da quella delle cose che ne derivano. Infatti, se competesse all'essenza di una cosa soltanto ciò che, posto, la cosa è posta, Dio costituirebbe lessenza di ciascuna cosa, essendo la causa prima, sufficiente e necessaria che, posta, pone ·per necessità della sua natura tutte le cose che vi sono implicate. Ma che Dio costituisca lessenza di ciascuna cosa singolare è falso (P1 oSC). Dunque, se lessenza delle cose singolari non può essere pensata senza riferimento all'essenza di Dio come causa prima, tuttavia, per la P28 della prima parte, non può neppure essere pensata senza riferimento alla serie infinita delle cose :finite. Da ciò segue: a) Dio non costituisce per sé e immediatamente lessenza delle cose singolari; 5. La stessa dottrina è già esposta in KV u, VR, 5.
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il duplice riferimento a un attributo di Dio e a un'altra cosa singolare, intesa come causa determinata. E se questa fosse costituita da una molteplicità di concause, come generalmente accade, tutte potrebbero essete considerate come una sola cosa singolare, concorrendo a produrre simultaneamente un medesimo effetto (Def7). b) questa implica necessariamente
4.2.2. Assiomi b-5)
Nel primo assioma («L'essenza di un uomo non implica l'esistenza necessaria») si deve notare che, per «ordine della natura», non si intende la serie delle cause, ma la natura o essenza stessa dell'uomo, la quale, ·per ·attuarsi in un'esistenza, deve essere determinata da cause efficienti date 6 • Infatti non è in relazione a tali cause che si può affermare la semplice possibttità dell'esistenza di questo o di quell'uomo, perché, date cause determinate, sono dati necessariamente anche effetti determinati. Questo assioma, affermando che luomo non esiste per propria essenza, sostiene anche che egli non è una sostanza, ma un modo. Il secondo assioma pone come dato immediato e certo della coscienza umana la consapevolezza di essere pensante o, per la De/3, che l'uomo ha idee. Infatti, qualunque dimostrazione della realtà dell'idea non potrebbe darsi se non mediante l'idea stessa, della quale o si è immediatamente consapevoli oppure non si dispone affatto. Per il terzo assioma, la mente, considerata come modo del pensiero, è costituita immediatamente e sufficientemente dall'idea: non si dà mente senza idea e l'idea è sufficiente perché si abbia mente. Invece tutti gli altri modi del pensiero, che possono essere chiamati affetti, non sono necessari; sicché può darsi l'idea anche senza di essi e, quando si danno, non possono darsi senza l'idea che ·ne costituisce la condizione ·di possibilità 7. Si dovrà verificare, nella terza patte, se è dawero possibile assumere un'idea senza affetti corrispondenti e in che senso l'idea costituisca condizione di possibilità dell'affetto. Come sappiamo immediatamente di avere idee, ossia di pensare, così, per l'Ax4, sentiamo immediatamente di avere un ·corpo. Tuttavia, un corpo sente se stesso in quanto è modifica6. Cfr. E 1 P24. 7. Cfr. KV A2, 5-6.
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L HTCCA
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SP[NOZA
to continuamente da altri corpi; dunque, non solo sent~amo immediatamente che il corpo è affetto in molti modi, ma lo sentia, mo immediatamente, in. quanto è affetto. Il quinto assioma è fondato sui due precedenti ed esprime in più la coscienza di una mancanza, ossia dell'impossibilità per l'uomo di sentire e percepire altro che non siano corpi (modi dell'estensione) e modi del pensiero (idee e affetti). Oltre ai modi del pensiero e ai modi dell'estensione, l'uomo può intendere la sostanza e i suoi attributi. Modi e attributi costituiscono l'intero campo dell'esperienza umana.
4·3
Origine della mente umana (P1·9)
La dottrina della mente umana è aperta da nove proposizioni che intendono determinare e dedurre la struttura ontologica che rende possibile e pensabile la mente umana: in tal senso esse costituiscono un vero e proprio discorso intorno alla sua origine. In particolare, queste proposizioni fondano la dottrina della mente rispetto a tre temi determinati. r. Le Pr-2 dimostrano, con un procedimento a posteriori, che pensiero ed estensione sono attributi di Dio. La dimostrazione si fonda sulla natura determinata del modo, sia esso idea o .corpo. Il modo, per esistere, richiede altro, ossia un attributo sostanziale in cui esista; pertanto la sostanza, a cui appartengono gli attributi del pensiero e dell'estensione, può essere detta simultaneamente pensante ed estesa. · 2. Le P3-4 mostrano che, posto in Dio l'attributo del pensiero, infinito nel suo genere, e perciò costituito da un'infinita potenza di pensare, segue che in Dio - struttura ontologica. nella quale non c'è alcuna differenza tra potenza ed esistenza o esplicazione attuale della potenza (cfr. E r PrrS e E r P34) - si dà necessariamente un'idea e una sola, della sua stessa essenza e di tutto ciò che segue dalla sua essenza, ossia di infinite cose in infiniti. modi. Per suffragare la dimostrazione, l'autore ricorda che non si deve confondere la potenza di Dio con la potenza dei re e rinvia a quanto detto sulla necessità della natura divina, a partire dalla Pr6 della prima parte. Dio è non solo l'essenza infinita da cui derivano necessariamente infinite cose in infiniti modi, secondo la differenza reale dei suoi attributi; è anche la sostanza nel cui attributo pensiero si dà un'unica idea e infinita (modo infinito immediato) della
4.
DELLA NATURA E DELL'ORIGINE DELLA MEN'rE
propria essenza e di tutto ciò che necessariamente ne-deriva. Si noti che tale idea in Dio si costituisce per la sola potenza attiva dell'attributo del pensiero, ossia dell'essenza divina, e non in quanto Dio stesso costituisca l'oggetto di tale idea. Da tale precisazione deriva la tesi principale sostenuta nelle proposizioni che seguono. 3. Le P5-9 intendono dimostrare che Dio è causa formale o reale delle cose esistenti in atto, in relazione alle infinite espressioni determinate della propria essenza, costituite da ciascun attributo. In altri termini, l'esistenza di un'idea in quanto idea, o di un corpo in quanto corpo, dipende dalla potenza autonoma degli attributi pensiero ed estensione. Il corpo, modo dell' estensione, non è causa di alcuna idea, modo del pensiero, come l'idea non è causa di alcun corpo. Invece l'idea avrà la sua causa formale in un'altra idea, come il corpo avrà la sua causa formale in un altro corpo. Si è visto infatti che le cose non vengono prodotte da Dio mediante l'idea, ma mediante la propria natura. Perciò, essendo questa l'infinita potenza attiva di una medesima sostanza, ogni suo atto si esprime simultaneamente e identicamente attraverso modificazioni di tutti i suoi attributi, senza implicare tra essi alcuna causalità reciproca (P5-6). Da qui ·deriva la tesi della celebre proposizione 7, nella quale si sostiene che «l'ordine e la connessione delle idee è lo stesso che l'ordine e la connessione delle cose». Poiché gli attributi appartengono alla medesima sostanza e tra essi non v'è nulla di comune quanto a essenza; poiché, inoltre, le determinazioni di ciascun attributo sono prodotte dall'identica potenza attiva della sostanza, si comprende facilmente che ogni impulso o determinazione di tale infinita potenza si esprime simultaneamente e con lo stesso ordine sotto ogni attributo. Ciò che in questa tesi rischia di ·non essere adeguatamente valutato è quanto viene sottolineato nello scolio della stessa proposizione, ossia che, sotto il profilo della realtà sostanziale, le singole corrispondenti modificazioni di ciascun attributo sono una sola e medesima cosa, poiché non sono altro che un atto ·determinato dell'infinita potenza della sostanza, ~sprimentesi simultaneamente sotto tutti i suoi attributi. Da ciò si conclude che la mente e il corpo sono un solo e medesimo individuo, concepito simultaneamente sotto. due diversi attributi (E 2 P7S, E 2 P21S, E 3 P2S). Su tale aspetto della dottrina spinoziana, fondamentale per tutta la teoria degli affetti, torneremo nella terza parte.
L'BTICA DI SPINOZA
La P8, la cui interpretazione ha prodotto ampie discussioni, affronta il problema dell'idea dei modi non esistenti, ma che sono esistiti o esisteranno necessariamente nella durata. Il' testo della proposizione ·non è del tutto esplicito, ma il corollario ·. permette di integrarlo e intenderlo. Conviene richiamare anzitutto una tesi spinoziana fondamentale e poi una distinzione che ne deriva. La tesi, ampiamente esposta nella prima parte, sostiene che dalla natura della sostanza seguono necessariamente infinite cose in infiniti modi. Tale "seguire" è immediato e coesistente con la natura stessa o, come dice Spinoza, è implicato dalla natura stessa della sostanza come nella natura del cerchio è implicato che contenga infini~i rettangoli uguali tra loro. L'esistenza (essenza ed esistenza insieme) implicata nella natura della sostanza, ossia negli attributi, è eterna, .essendo eterno il medesimo atto con cui la causa sui pone se stessa e tutto ciò che segue dalla sua natura. Eterna è dunque anche la conoscenza che nell'intelletto infinito (modo infinito immediato del pensiero) si dà di tutto ciò che segue (nell'essenza e nell'esistenza) dalla natura della sostanza. Abbiamo anche visto, tuttavia, che ci sono diverse modalità secondo le quali le cose sono implicate nella natura della sostanza, o sono contenute negli attributi: la modalità infinita e sempre attuale del modo infinito, immediato e mediato, di ciascun attributo; la modalità finita dei modi finiti, che sono gli individui costituenti il modo infinito mediato di ciascun attributo. Il modo infinito mediato (/acies totius universi) dell' estensione e l'insieme di tutte le idee (modo infinito mediato del pensiero) contemplate dall'intelletto infinito (modo infinito immediato) restano identici e immutabili (eterni), pur mutando gli individui che li compongono 8 ; questi, essendo limitati da altri individui del medesimo genere, sono finiti e vengono all' esistenza grazie alla determinazione di altri individui, in una serie infinita. L'esistenza attuale dei modi finiti, in quanto determinata da altri modi finiti, si dice durata. La durata è dunque I' esistenza attuale dei modi nella serie infinita (modo infinito mediato) che essi costituiscono in ciascun attributo; tale esistenza, in riferimento all'attributo e ai modi infiniti (immediato e mediato) è invece eterna. Sintetizzando, la P8 sostiene che le idee dei modi non at8. Questa tesi è fondata sullo scolio del L? dell'excursus dopo la P13 di
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DELLA NATURA E DELL'OR[GINE DELLA MENTE
tualmente esistenti non possono implicare l'esistenza attuale per la quale si dicono durare, ma che: a) esse sono comprese nell'idea infinita e unica con la quale in Dio sono intese tutte le modificazioni derivanti necessariamente dalla sua natura; b) esse sono comprese nell'idea unica infinita, come le essenze formali delle cose singolari sono contenute negli attributi di Dio. Da qui segue che, se dall'essenza di Dio derivano infinite cose in infiniti modi, poiché quell'essenza è eterna e infinita, l'ordine e la modalità della derivazione delle essenze sono anch'essi eterni e infiniti. Dunque, nell'essenza di Dio, ossia negli attributi, sono contenute per natura ed eternamente tutte le modificazioni (sotto il profilo essenziale), così come nella natura del cerchio sono compresi infiniti rettangoli uguali costituiti dai segmenti di tutte le linee che si intersecano tra loro (SP8). Perciò si dà un modo di esistenza delle cose eterno e immutabile, derivante dalla stessa eternità e immutabilità dell'attributo; si dà inoltre un modo di esistenza delle stesse cose nella durata. Quel che ora interessa mostrare è la differenza tra le idee dei modi, in quanto sono contenuti, nella loro essenza formale, negli attributidi Dio, e le idee dei modi che si dicono anche durare; nel primo caso le idee di quei modi esistono in quanto comprese nell'idea unica e infinita del. modo infinito immediato; nel secondo caso, in quanto implicati.o anche l'esistenza attuale degli stessi modi (compresi nel modo infinito mediato) nella durata. Resta da discutere il problema della distinguibilità dei modi non attualmente esistenti; secondo l'esempio dello scolio e l'inizio della dimostrazione della P9, sembrerebbe che i modi si distinguano realmente tra loro soltanto in quanto attualmente esistenti. Tuttavia, se in Dio si dà L'idea dell'essenza di Dio stesso e di tutto ciò che ne deriva, di questo deve darsi un'idea distinta secondo l'ordine della derivazione e poiché tale ordine non può essere successivo e posteriore all'essenza stessa, nell'idea di Dio devono esistere le idee distinte di tutti i modi non esistenti attualmente nella durata, la cui essenza esiste distintamente negli attributi di Dio. Da tale distinzione segue con evidenza la tesi sostenuta nella P9, secondo la quale l'idea di una cosa singolare esistente in atto, ossia nella durata, non può avere la sua causa in Dio in quanto venga considerato soltanto come infinito, ma in quanto
1,' ETICA DI SPINOZA
venga considerato come affetto da un'altra idea di cosa singolare esistentè in atto, a sua volta causata da un'altra idea e così all'infinito. In altri termini, l'idea di una cosa singolare esistente in atto, in quanto implica 1'ordine della durata, deve essere causata da un'altra idea di cosa singolare nella serie infinita delle cose singolari, secondo il dettato della P28 della prima parte.
4·4 Natura della mente umana (P10-47)
4.4.I. Elementi di una dottrina dell'uomo
Definizione generale deltuomo e della mente umana (P 10- I 3) Sulla base dei precedenti fondamenti teorici, Spinoza elabora ora gli elementi generali della dottrina dell'uomo, secondo una distinzione tradizionale: la costituzione ontologica dell'uomo e gli elementi che la compongono, .il corpo e la mente. I. Definizione generale di uomo sotto il profilo ontologico. L'uomo non è una sostanza, ma la sua essenza è costituita da modificazioni determinate degli attributi di Dio (P10). La dimostrazione si fonda sulla incapacità umana di soddisfare le proprietà della sostanza, illustrate nella prima parte: necessità dell' esistenza, unicità (o impossibilità di esistere da parte di due sostanze della medesima natura), infinità, immutabilità e indivisibilità. L'uomo, come tutte le altre cose finite, è dunque soltanto un modo come tutti gli altri, che esprime in forma certa e determinata la natura di Dio. Si deve precisare, tuttavia, che Dio non costituisce l'essenza dell'uomo, come non costituisce I'essenza di alcun' altra cosa singola, in virtù della De/2 e di quanto è stato dimostrato nella P9. 2. Definizione generale di mente. Le P1 I - 13 intendono mostrare la definizione generale della mente umana. La portata culturale ed eversiva della dottrina esposta è già in qualche modo segnalata dall'adozione del termine mente invece del termine tradizionale anima. Tuttavia, la nota distintiva della dottrina spinoziana consiste nel definire la mente in primo luogo come «idea di una cosa singolare esistente in atto» (Pi I). Tale definizione implica due condizioni per il darsi della mente: - che essa sia, anzitutto, idea, ossia .quel modo del pensiero
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che, per l'Ax3, precede e fonda ogni altro modo nello stesso attributo; - che sia idea di una cosa esistente in atto (altrimenti non sarebbe possibile neppure il suo esistere in atto come idea, per la P7 e per la P8C), in quanto singolare e finita. In altri termini, la mente umana è la modificazione finita, nell'attributo del pensiero, corrispondente a una modificazione finita di un altro attributo (si preciserà nella P13 che tale attributo è quello dell'estensione), che ne costituisce l'oggetto. Dalla definizione della mente seguono alcune proprietà che conviene subito chiarire: a) la mente non è una facoltà o struttura ontologicamente costituita, che, in forza della sua costituzione, è capace di produrre idee; essa coincide con un'idea determinata, o con un sistema di idee determinate di cose singolari attualmente esistenti; b) poiché di ogni cosa singolare esistente in atto si dà in Dio, ossia nell'intelletto infinito, un'idea, la mente umana, coincidente con una o con più di tali idee, è parte dell'intelletto infinito; e) la mente è parte di tale intelletto, non in quanto venga considerato semplicemente infinito (modo infinito immediato del1'attributo del pensiero), ma in quanto è considerato come serie infinita di idee di cose singolari esistenti in atto (modo infinito mediato del pensiero). Conviene qui avvertire che, ogni volta che nel testo si legge che in Dio si dà un'idea, si deve intendere Dio non come Natura naturans, ma come Natura naturata e, simultaneamente, come modo infinito immediato e modo infinito mediato dell'attributo del pensiero; d) in quanto l'idea costituente la mente umana è una delle infinite idee del modo infinito del pensiero, si dice che Dio (in quanto è espresso da tale modo) costituisce la natura o essenza della mente umana. Si noti tuttavia che il modo infinito mediato è implicato necessariamente nel modo infinito immediato, costituito da una sola idea o atto di intellezione di tutte le idee costituenti il modo infinito mediato. Perciò il modo infinito immediato ha una conoscenza assolutamente adeguata di tutte le cose (modo infinito mediato dell'estensione e degli altri attributi ignoti all'uomo) implicate nelle idee costituenti .il modo infinito mediato, perché le concepisce tutte simultaneamente nella loro reciproca relazione. Dunque, l'intelletto infinito immediato conosce tutto il conoscibile sia simultaneamente sia attraverso ciascuna idea singolarmente f!SSunta.
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L ETICA
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non accade altrettanto se si considera ciascuna idea costituente il modo infinito mediato, in relazione al proprio oggetto. Ciascuna idea implica infatti solamente il proprio oggetto o altri oggetti correlati più prossimamente con questo; non implica tutti gli altri oggetti di altre idee, che hanno · comunque con quello una relazione, essendo individui finiti componenti il medesimo individuo infinito (modo infinito mediato). Ne segue che la conoscenza che la mente umana ·può avere dei propri oggetti, in. quanto dati in una serie infinita di cose finite, .è inadeguata o parziale. Spinoza era consapevole della difficoltà del modello teorico che stava elaborando e pregava il lettore di attendere ad emettere un giudizio, dopo aver considerato tutto attentamente (Pr rS). Intanto la P12 precisa che la mente non è soltanto idea di una cosa singolare esistente in atto, ma anche idea di tutte le affezioni o modificazioni che possono accadere a quella cosa. La dimostrazione è duplice. La prima è fondata sulla natura stessa della mente, che è un'idea in Dio di una cosa singolare esistente in atto (Prr C). Poiché in Dio (cioè nel modo infinito mediato) non può mancare alcuna idea di una qualunque modificazione di cose singolari esistenti in atto (P9C), nella mente si danno le idee di tutte le modificazioni del proprio oggetto. La seconda (P12S) è fondata sulla P7, ossia sulla simultaneità e corrispondenza delle modificazioni del pensiero e dell' estensione in relazione alla potenza dinamica della sostanza. Infine, nella Pr 3, si conclude che loggetto proprio dell'idea costituente la mente umana è il corpo umano esistente in atto e niente altro. Se il corpo umano non fosse oggetto della mente, in questa non vi sarebbero le idee delle affezioni del corpo, come vuole l'Ax4 di questa parte. Inoltre, se oggetto della mente fosse un'altra cosa, oltre al corpo, di essa dovrebbe darsi nella mente un'idea; ma nella mente si danno idee soltanto delle affezioni del corpo; dunque, oggetto dell'idea costituente la mente umana è il corpo e niente altro. Da tale proposizione Spinoza ricava alcune conseguenze di notevole importanza, che possono essere riassunte schematicamente: - l'uomo consta di corpo e di mente (Pr3C). Si preciserà in seguito che il verbo constare non esprime una sorta· di unità che sia il risultato della composizione di due elementi o di due sostanze poste in qualche relazione. Quel verbo indica solamente che l'unica identica realtà che costituisce l'uomo si esprime sie)
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multaneamente sotto l'attributo dell'estensione e sotto quello del pensiero; - il corpo umano esiste nel modo in cui lo sentiamo (Ax4). Sentire il corpo è la prova sufficiente della sua esistenza, le cui modalità sono espresse adeguatamente dalle variazioni dello stesso sentire (Pr 3C) 9; - nel sentire il corpo da parte della mente consiste l'unione della mente e del corpo (Pr 35) ro. Essendo infatti corpo e mente non due sostanze, ma due fenomeni diversi di una sola e identica cosa, l"'unione" di cui qui si tratta non è da intendere come unità sintetica di diversi, ma come relazione fenomenica; - per comprendere adeguatamente in che cosa consiste tale sentire è necessario conoscere adeguatamente la natura del corpo umano (Pr3S). A tal fine si propone un excursus sulla natura del corpo, subito dopo la Pr 3; - se la mente è idea di un corpo esistente in atto, di tutti i corpi esistenti e di tutte le modificazioni di tutti gli attributi di Dio si dà nel modo infinito mediato un'idea corrispondente, che ne costituisce la mente. Dunque, di tutti i modi della sostanza si dà, nella sostanza stessa, un'idea che ne costituisce la mente. La diversa perfezione delle idee-menti è relativa alla diversa perfezione dei loro oggetti rr; - ·anche per quanto concerne la mente umana, la differenza e la maggior perfezione di una mente rispetto all'altra corrispondono alla differenza e maggior perfezione dell'oggetto di una mente rispetto all'oggetto di un'altra. E poiché l'oggetto della mente è il corpo umano e niente altro, si può concludere che,. quanta maggiore perfezione ha un corpo rispetto all'altro, ossia capacità di agire e patire, tanta maggiore perfezione ha la sua mente rispetto a quella dell'altro (Pr 35). Questa tesi sarà ripresa nella quinta pa~te. ·
Lineamenti di una dottrina del corpo (excursus dopo la P r3) L'excursus può essere diviso in tre parti, riguardanti: le proprietà generali dei corpi semplici; le proprietà dei corpi (o indivi9. Cfr. KV rr, r9, r3 (M 89,37- 90,r). ro. Cfr. KV, A2, 3 (M rr8, r6-20). rr. Cfr. KV, A 2, 9 (M 120,r - r21,8).
L'ETICA DI SPINOZA
dui) composti di corpi semplici; i postulati concernenti il corpo umano. 1. Proprietà generali dei corpi semplici (fino alla De/ esclusa). Possono essere sintetizzate in cinque punti: ·· a) tutti i corpi convengono tra loro in due cose: nell'essere modi del medesimo attributo dell'estensione; nell'essere determinazioni particolari del modo infinito immediato dell'attributo dell'estensione che consiste in una relazione assoluta di motoquiete. Tutti corpi convengono dunque nell'essere rapporti determinati e particolari di moto-quiete (Ax1 e L2). Assumendo la nozione di moto in senso assoluto e non soltanto come moto spaziale, non si danno corpi che siano soltanto in moto o corpi che siano soltanto in quiete, ma ogni corpo è una proporzione determinata e diversa di moto-quiet.e; . b) tutti i corpi divergono in tre cose: nella diversa proporz1on~ di moto-quiete (LI); nell'essere ora in moto spaziale, ora fermi (Ax1 ); nel diverso grado di velocità e lentezza (Ax2 e LI); e) poiché i corpi sono cose singolari la cui essenza è costituita da un diverso grado di moto-quiete, non potrebbero esistere con il loro moto o la loro quiete, se non fossero determinati al moto o alla quiete da altri corpi, in una serie infinita di determinazioni reciproche. Ne segue che un corpo permane nello stato di moto o di quiete che attualmente possiede fin quando non venga affetto da un altro corpo che ha un diverso grado di moto o di quiete, capace. di modificare quello del corpo affetto (L3 e C); . . d) le modalità delle affezioni da cui i corpi vengono modificati dipendono simultaneamente dalle nature del corpo affetto e di quello a:fficiente (Ax1 dopo il L 3); . . e) se un corpo in movimento urta contro un corpo in quiete che non può spostare, il suo movimento si riflette sulla superficie del corpo affetto formando un angolo di riflessione uguale all'angolo di incidenza (Ax2 dopo il L 3). 2. Proprietà dei corpi (o individui) composti di corpi semplici (dalla De/ al L7): a) la composizione di individui complessi da parte di corpi semplici dipende o dalla costrizione esercitata su di essi da, altri corpi che li fanno premere e aderire a vicenda, oppure dalla convenienza della velocità e lentezza del moto, che si comunicano reciprocamente (Dej);
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DELLA NATURA E DELL'ORIGINE DELLA MENTE
b) i corpi composti si distinguono in duri, molli e fluidi in relazione alla maggiore o minore ampiezza delle superfici con cui aderiscono reciprocamente (duri e molli), oppure in relazione alla convenienza e proporzione del moto in cui si accordano
(fluidi) (Ax3); i corpi composti possono essere affetti da altri corpi e modificarsi grandemente, conservando tuttavia immutata la loro natura, ossia il rapporto generale e costitutivo, oltre che distintivo, di moto-quiete. L'autore dedica i lemmi 4~7 a esaminare le diverse ·modalità e condizioni del darsi di affezioni in un individuo composto, per dimostrare che esso può permanere immutato nell'intero, pur mutando incessantemente le sue parti. Questa sezione, concernente la possibilità delle affezioni, è fondamentale non solo per la teoria della mente ma anche per quella degli affetti. Vediamo quali sono le condizioni sotto le quali un corpo permane immutato nell'insieme, pur mutando le sue parti: alcune parti si separano dal corpo e altrettante della stessa natura subentrano (L4); - le parti divengono più grandi o più piccole, conservando tuttavia la stessa reciproca proporzione di moto-quiete (L5); - la mutazione di direzione del movimento delle parti non implica una cessazione del movimento o una mutazione nella proporzione con cui esse lo comunicano vicendevolmente; - mutazioni nella intensità o nella direzione del movimento del tutto non implicano mutazioni nel movimento· e nel reciproco influsso delle parti. Verificandosi tali condizioni, «vediamo per quale ragione un individuo· composto possa essere affetto in molti modi, conservando nondimeno la sua natura» (L 7S). È questa la giustificazione della permanenza immutata del modo infinito mediato, pur mutando incessantemente tutte le sue parti (modi finiti); d) nello scolio che segue il L 7, 1' autore precisa che le proprietà esposte valgono universalmente, non solo per i corpi composti da corpi semplici, ma anche per i corpi composti da corpi a loro volta composti, in qualunque grado di composizione. L' autore avverte inoltre che non è sua intenzione proporre una dòttrina sistematica del corpo, ma esporre soltanto quei principi da cui possa facilmente dedurre le cose che ha stabilito di dimostrare intorno alla mente umana. Passa perciò a formulare alcuni postulati concernenti il corpo umano. 3. Postulati concernenti il corpo umano (Post1-6): e)
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L'ETICA DI SPINOZA
a) Postr. Il corpo umano è un individuo composto ,dialtri individui o corpi, non semplici, ma a loro volta composti. Tale postulato ha la sua conseguenza immediata nella dottrina secondo cui la mente non può essere intesa come una sola idea semplice; b) Post2. Il corpo umano è composto da ogni genere di individui composti, ossia duri, molli e fluidi; e) Post3. Il corpo umano, mediante i corpi che lo compongono, è strutturalmente e costitutivamente affetto dai corpi esterni in moltissimi modi; d) Post+ Il corpo umano non può sussistere al di fuori della relazione strutturale con altri corpi, dai quali viene continuar mente quasi rigenerato; e) Post5. I corpi esterni possono lasciare impronte e vestigia di ·sé sul corpo umano; /) Post6. Il corpo umano può muovere e disporre in moltissimi modi i corpi esterni. 4+2. Gli oggetti immediati della mente umana: dottrina della immaginazione (Pr4-2 3) Gli oggetti di ogni conoscenza possibile della mente umana sono due: il corpo umano stesso, che è il suo oggetto primo e proprio (Pr3) e la mente umana come idea del corpo. La mente umana è perciò, simultaneamente, idea del corpo e i.dea di una idea. Del primo oggetto si tratta nelle Pr4-r9, del secondo nelle P20-2 3.
Il corpo come og,getto immedt'ato della mente umana (P r4- r9) La tesi fondamentale relativa alla conoscenza del corpo da parte della mente, ma determinante anche per la conoscenza che la mente ha di se stessa e delle altre idee, è esposta nella Pr9, a cui le precedenti introducono e da cui le seguenti dipendono. La proposizione afferma: «La mente umana non conosce lo stesso corpo umano né sa che esso esiste se non mediante le idee delle affezioni da cui il corpo è affetto». La dimostrazione, nel complesso formulario spinoziano, è alquanto .oscura e può prestarsi ad equivoci. Schematizzando e semplificando, la dimostrazione può essere intesa così. r. La mente umana è idea di un corpo umano esistente in atto (Pr3).
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DELLA NATURA E DELL'ORIGINE DELLA MENTE
2. L'idea, nella sua natura, partecipa della stessa natura dell' attributo del pensiero, di cui è modo. Solo in tal senso si dice che l'idea è t'n Dt'o o che «Dio costituisce la natura della mente umana» (come del resto costituisce anche la natura del corpo umano). Non si, dimentichi che il Dt'o spinoziano non è un soggetto, persona o io, ma l'indeterminata e indifferente struttura ontologica causa sui. Soggettività, personalità, io appartengono alla Natura naturata e sono proprietà dei modi finiti. 3. Non è in virtù della propria natura che l'idea di un corpo umano attualmente esistente si costituisce come idea, ossia che la mente intende un corpo umano particolare; se cosl fosse, la mente intenderebbe solo in quanto è modo del pensiero e sarebbe dotata di un'attività spontanea e produttiva del corpo umano. 4. L'attributo del pensiero costituisce comunque la condizione formale della possibilità del darsi di un'idea del corpo umano, ossia della mente. 5. L'idea .di un corpo umano esistente in atto si costituisce nell'attributo del pensiero simultaneamente al costituirsi nell' attributo dell'estensione di un corpo umano esistente in atto
(P7).
6. Il corpo umano è un individuo composto di molti individui a loro volta composti (Posti). 7. L'idea del corpo umano non è semplice, ma composta di tutte le idee dei corpi costituenti il corpo umano (P15). 8. Il corpo umano non esiste se non in quanto è attualmente affetto da altri corpi e a sua volta attualmente li modifica. 9. Ne consegue che la mente si costituisce nell'attributo del pensiero come idea del corpo umano, solo in quanto è idea delle affezioni del corpo umano (P19). Detto nei termini del formulario spinoziano: nel modo infinito mediato dell'attributo pensiero (in Dzo), l'idea di un corpo umano attualmente esistente si dà in quanto Dio venga considerato affetto da moltissime altre idee e non in quanto costituisca semplicemente la natura della mente umana, considerata in sé e astrattamente quale modo del pensiero (P19D). 1 o. Quanto più numerose sono le affezioni del corpo, tanta maggiore capacità di percezione, o di idee, ha la mente .(Pr4). La costituzione della mente umana implica due conseguenze. La prima riguarda la qualità della conoscenza mediante le affezioni del corpo. Si tratta di un passaggio teorico importan93
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J_, ETICA DI SPINOZA.
te, perché concerne la fondazione delle dottrine dell'immaginazione e dellà memoria, svolte in particolare nelle Pr6-r8. La conoscenza che la mente consegue mediante le affezioni del corpo implica necessariamente sia la natura del corpo affetto sia la natura dei corpi esterni afficienti (Pr6). Ne segue che la mente umana percepisce la natura di moltissimi corpi unitamente alla propria e che la conoscenza che essa ha dei corpi esterni esprime più la costituzione del proprio corpo, in quanto è affetto, che quella dei corpi affidenti (Pr6 Cr e 2). Quest'ultima affermazione è di particolare importanza; perché rivela la ragione del nascere dei pregiudizi, di cui si è trattato in particolare nell'Appendice della prima parte. Si deve anche notare che la condizione strutturale e insuperabile della percezione mediante le affezioni del corpo, implicando la struttura recettiva del corpo stesso, pone tale genere di conoscenza (immaginativa) in una condizione necessaria di apparenza. Il mondo è dato, conformemente alle leggi del corpo, non come è in sé, ma nella necessità di un apparire conforme a leggi, e perciò decifrabile e intelligibile. Per conoscere il mondo come è in sé sono necessari ragione e intelletto. La conoscenza del corpo mediante le affezioni che ad esso sono date implica la costituzione del corpo affetto in due sensi: a) se il corpo è affetto da un corpo esterno, la mente avrà l'idea di quell'affezione, cioè considererà il corpo esterno come a sé presente, finché non si dia un'altra affezione che escluda la presenza di quel corpo (P17); b) grazie alla costituzione fisica del corpo e alla sua capacità di conservare le vestigia delle impressioni prodotte da corpi esterni, la mente può contemplare come presenti corpi esterni dai quali sia stata affetta e che siano attualmente assenti (P17DC). Quando la mente contempla i corpi in tal modo, si dice che immagina; le idee di affezioni del corpo, che rappresentano il corpo esterno come presente, nonostante sia attualmente assente, si chiamano immagini. Tre sono le proprietà principali dell'immaginazione. r. Essa esprime una potenza della mente, che si attua in conformità a leggi necessarie della natura .(legalità e necessità) . 2. Nelle immagini non è contenuto alcun errore, poiché questo non consiste nell'immaginare le cose assenti come presenti, ma nel giudizio della mente, in quanto è priva dell'idea escludente la presenza di ciò che è assente (SPr 7). 94
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DELLA NA'I'URA E DELL'ORIGINE DELLA MEN'I'E
3. Le immagini si concatenano per via associativa: poiché l'immaginazione è la capacità di rappresentare affezioni del corpo le cui vestigia sono conservate dal corpo stesso, se la mente è stata affetta simultaneamente da due o più corpi, immaginandone uno, la mente immaginerà per la stessa ragione anche gli altri (Pr 8). Tali proprietà svolgono un ruolo fondamentale nella descrizione dell'origine e della concatenazione degli affetti, come nella dottrina della liberazione dalle passioni. La memoria, infine, non è altro che la capacità immaginativa di recuperare la concatenazione delle affezioni dei corpi esterni, secondo l'ordine e la "concatenazione propria del corpo umano (5Pr8).
L'idea come oggetto della mente umana (P 20- 2 3) La mente, in quanto idea di un corpo esistente in atto, è un modo del pensiero formalmente, cioè realmente, esistente. Dunque, come di ogni modo realmente esistente si dà nell'infinito intelletto di Dio un'idea, così della mente umana si dà in Dio un'idea con la stessa necessità e in virtù dello stesso atto causale con cui si dà un'idea del corpo (P20). Conviene sottolineare di nuovo che l'espressione «in Dio» equivale sempre al1'espressione «nel modo infinito mediato», perché, se si supponesse che tale idea si dia nel modo infinito immediato, la mente umana sarebbe costituita dall'intelletto infinito di Dio e si identificherebbe con esso. Ne segue che l'idea della mente è unita alla mente, suo oggetto, come l'idea del corpo è unita al corpo, suo oggetto (P2 r). Infatti, come l'idea del corpo e il corpo sono un solo e identico individuo concepito sotto due attributi diversi (E 2 P7S, E 3 P2S), così l'idea (mente) e l'idea dell'idea sono una sola e medesima cosa considerata sotto lo stesso attributo. L'idea dell'idea è la realtà formale dell'idea- stessa, ossia la sua realtà di modo attualmente esistente del pensiero. L'idea è invece la realtà oggettiva di una cosa nell'attributo del pensiero. Tra l'idea e l'idea dell'idea esiste soltanto la distinzione che si dà tra saper"e qualcosa e sapere di sapere (SP2 r). Ora, se la mente è un sistema di idee delle affezioni del corpo, nella mente si daranno anche le idee delle idee di tali affezioni (P22). Ne segue che «la mente non conosce se stessa, se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del corpo» (P2 3). 95
L'ETICA DI SPINOZA
Questa proposizione è speculare rispetto alla Pi 9 e ne .estende universalmente lampiezza, confermando la costituzione recettiva della mente umana: ·questa non può intendere né il corpo né se stessa, se non mediante le affezioni del corpo e le idee di tali affezioni.
4+ 3. La conoscenza mediante le affezioni del corpo (immaginazione) è inadeguata (P24-31) Poiché è stato dimostrato che la mente umana conosce se stessa, il proprio corpo e i corpi esterni soltanto mediante .le affezioni del proprio corpo, come del resto .si riba:disce formalmente nella P29C e S, si deve esaminare perché la conoscenza mediante le affezioni del corpo è inadeguata. Ricordiamo anzitutto la definizione generale di ùJea adeguata (E 2 De/4): tale è l'idea che, considerata in sé, senza riferimento al proprio ideato (oggetto), possiede le caratteristiche intrinseche dell'idea vera. Un'idea si dice .vera perché conviene con il proprio ideato. Quando si tratta di idee che si riferiscono ad un oggetto realmente esistente in natura> ladeguazione non può dunque prescindere dalla verità, ossia dalla convenienza con loggetto. L' adeguazione presuppone in tal caso la verità, distinguendosi adeguazione e verità solo con una distinzione di .ragione. Vediamo ora se l'idea di una affezione del corpo può essere vera e quindi adeguata. Il criterio generale adottato da Spinoza per decidere della questione è il seguente: adeguata sarà l'idea che la mente formula mediante la sola potenza della sua propria natura; infatti ciò che trae da se stessa non può che esserle chiaro e distinto, mentre ciò che trae da altre idee non può esserle noto se non in modo parziale e confuso, ossia· inadeguato. Ora, che cosa costituisce la natura dell'idea-mente umana? Essere una determinazione dell'attributo del pensiero (essere cioè un modo finito del modo infinito mediato dell'attributo pensiero) corrispondente a una determinazione dell'estensione. In quanto tale determinazione si dà in un modo infinito· - ed è solo in tale contesto che essa si costituisce e sussiste - è necessariamente adeguata, perché implica in modo simultaneo la conoscenza dell'essenza del corpo umano e di tutte le ·sue affezioni. Infatti ogni idea del modo infinito mediato è conosciuta dall'intelletto infinito (modo infinito immediato) nella simultanea e perfetta relazione con tutte le altre idee che la determinano, implicando così lessenza del corpo di cui sono menti (E 2
4·
DELLA NATURA E DELL'ORIGINE DELLA MENTE
De/2). Perciò la mente umana, considerata nella sua costituzione mediante il modo infinito ed eterno del pensiero, implica la conoscenza adeguata dell'essenza del corpo umano e dell' essenza degli attributi di Dio. Tuttavia, se consideriamo in se stessa, separatamente da tutte le altre, ciascuna idea costituente il modo infinito mediato, troveremo che ogni mente, essendo idea di un oggetto composto (il corpo umano), è anche un'idea composta implicante le idee di tutte le parti del corpo umano e dei corpi con cui il corpo umano entra necessariamente in relazione per costituirsi e sussistere. Ora, degli altri corpi e delle parti del proprio corpo che possono essere separate da esso, senza che muti come intero (P24), si danno nel modo infinito mediato altre idee, diverse da quella costituente la mente umana. E questa:, per poter intendere adeguatamente il proprio corpo, dovrebbe intenderlo mediante le idee dei corpi costituenti il proprio corpo e dei corpi esterni aventi una natura diversa dalla sua (P25-26). Infatti, per la P11C, il corpo umano è conosciuto non solo mediante l'idea del corpo umano, ma anche mediante molte altre idee di corpi costituenti o afficienti il corpo umano. Perciò, mentre nell'attributo del pensiero si danno simultaneamente tutte le ·idee, e di tutte le cose si danno idee adeguate, all'idea che rappresenta l'essenza del corpo umano, _considerata per sé, mancano tutte le altre idee dei corpi (individui o parti) costituenti il corpo umano o degli altri corpi afficienti. Pertanto, delle parti del proprio corpo, dei corpi esterni e di ogni cosa conosciuta mediante le affezioni del proprio corpo - quindi anche di se stessa - la mente umana ha soltanto una conoscenza parziale e confusa, perché tali idee non dipendono dalla sua natura, ma dall'ordine comune della natura, ossia dalla serie delle cause esterne (P27-29). Poiché anche la durata del nostro corpo e dei corpi esterni dipende dall'ordine comune della. natura, di essa possiamo avere un'idea del tutto inadeguata (P3031).
4.4.4. Differenza tra conoscenza inadeguata (errore) e conoscenza adeguata (verità) (P32-36)
Il ·criterio della verità delle idee, come si è detto, è la loro convenienza con l'oggetto; poiché tale convenienza si dà necessariamente tra le idee quali sono in. Dio e le cose ad esse corrispondenti, tutte le idee, in quanto sono riferite a Dio, sono ve97.
L'ETICA or St>fNOZA
re (P32). Nei termini del Breve trattato, si può dire che la verità è Dio. · Le idee della mente umana sono vere quando dipendono dalla sola natura della mente, ossia quando si danno nello stesso modo in cui si danno in Dio, considerato come costituente l'essenza della mente umana (P34). In altri termini, quando non implicano altre idee per essere formulate. Ora, poiché tutto ciò che si dà di reale è in Dio, o perché coincide con la sua sostanza o perché· ne è un modo, segue che nelle idee non può darsi nulla di positivo o reale per cui si dicano false; infatti, se così fosse, la falsità dovrebbe essere in Dio CP33). Poiché la falsità non consiste in qualcosa di positivo e neppure nella semplice ignoranza, essa consiste nella privazione o mancanza di conoscenza implicata dalle idee inadeguate (P35). Infine, le idee che, in quanto sono "in Dio", seguono tutte con la medesima necessità e tutte sono adeguate, sono invece inadeguate e confuse in quanto si riferiscono alla mente particolare di qualcuno, dalla cui essenza o assolutezza non dipendono e dalla quale, quindi, sono conosciute solo parzialmente e in modo inadeguato. Si può concludere perciò che le idee adeguate e quelle inadeguate seguono con la medesima necessità (P36), poiché sono le medesime idee, nel medesimo ordine, considerate quali idee di un modo infinito (in cui nessuna è priva di relazione con tutte le altre) e quali idee di un modo finito, in cui si danno con una parziale relazione ad altre.
4+ 5.
Fondamento, forme e proprietà della conoscenza adeguata (P37-47)
La trattazione della conoscenza adeguata è svolta in tre momenti. I. Viene dimostrata la possibilità di una conoscenza adeguata, intesa come conoscenza di ciò che è comune a tutti i corpi: secondo genere di conoscenza o ragione (P37-40). 2. Viene indicata la natura del terzo genere di conoscenza o intelletto (P40S 2) . 3. Si indicano le proprietà· del secondo e terzo genere di conoscenza: a) proprietà comuni rispetto alla conoscenza del veto (P4143 );
4·
IJELLA NATURA E DELL'oRrGrNE DELLA MENTE
b) proprietà della ragione di conoscere sotto l'aspetto della necessità (P44); e) proprietà dell'intelletto di conoscere 1'essenza eterna e infinita di Dio (P44-47).
Dimostrazione della possibilità e natura della conoscenza adeguata (P37-40) La dimostrazione vera e propria, data nelle P38-39, ha una premessa nella P3 7, la quale afferma che ciò che è comune a tutte le cose e che si trova identicamente nella parte e nel tutto di ciascuna cosa non può còstituire l'essenza determinata di cosa alcuna. Se infatti ne costituisse l'essenza, ciò che è comune non potrebbe essere concepito senza quella cosa singolare
99
L'.ETJCA DI SPINOZA
te umana, in quanto partecipa dell'attributo pensiero (ossia non perché essa sta un atto dell'intelletto infinito o perché implichi l'intera serie delle idee di cose singolari costituenti il modo infinito mediato), tutte le idee che seguono da idee adeguate, essendone dedotte analiticamente per logica necessità, sono anch'esse adeguate (P40). In tal modo si mostra che le nozioni comuni costituiscono ·il fondamento ·della ragione e si precisa · che i cosiddetti termini trascendentali e le cosiddette nozioni universali non hanno il loro fondamento nelle nozioni comuni; o ragione, ma nella immaginazione. Questa è infatti incapace di formare un numero adeguatamente elevato di immagini distinte delle cose singolari e perciò è costretta a confondere e unificare tali immagini in· rappresentazioni comuni di cose singole diverse tra loro (P40S1). . La deduzione della conoscenza adeguata è conclusa dal celebre scolio 2 della P40, nel quale viene esposta la tripartizione dei generi. di conoscenza. 1. Il primo genere è costituito dalla immaginazione (o opinione), che si attua e si esprime in due diversi modi: a) mediante esperienza vaga delle cose, rappresentate dai sensi in modo parziale, confuso e senza ordine; b) mediante segni sensibili eh~ ci consentono di associare fortuitamente immagini di cose diverse. Il carattere che contrasse~ gna il primo genere di conoscenza è la riproduzione passiva dell'ordine comune della natura. 2. Il secondo genere è fondato sulle nozioni comuni e sulle idee adeguate delle proprietà delle cose ed è costituito dalla ragione. 3. Il terzo genere procede dall'idea adeguata dell'essenza formale di certi attributi di Dio alla conoscenza adeguata dell' essenza delle cose: è la scienza intuitiva.
Dei generi di conoscenza Spinoza ha già trattato, con alcune varianti, nel Trattato sull'emendazione dell'intelletto e nel Breve trattato 12 ; come nei due testi precedenti, anche in questo la dottrina dei generi di conoscenza è istituita nell'ambito dell'indagine intorno alla conoscenza del vero .·e .alla distinzione di questo dal falso. 12.
TIE parr.
18-24
(G
II, 10,2 - 12,14);
100
KV
II, 1-2.
4·
1
DELLA NATURA E DELL 0RIGINE DELLA MENTE
Natura del terzo genere di conoscenza o intelletto (P40S2) Nella seconda parte dell'Etica, l'autore si limita a dare (P40S2) la definizione appena ricordata e descrive alcune proprietà dell'intelletto, in particolare il suo essere conoscenza vera, al pari della ragione, e il suo essere conoscenza adeguata, ossia chiara e distinta, dell'essenza eterna e infinita di Dio (P45-47). È nella seconda sezione della quinta parte che viene ripresa più ampiamente la descrizione della natura e delle proprietà dell'intelletto, inteso come terzo genere di conoscenza. Rinviando a questa sezione l'analisi più dettagliata della natura dell'intelletto, mi limito a segnalarne i seguenti caratteri distintivi. r. L'intelletto conosce le cose singolari nella loro essenza costi~ tutiva e non in ciò che è ad esse comune (co.me la ragione) e che, in quanto tale, non è in grado di esprimerne l'essenza. 2. L'essenza delle cose singolari è conosciuta dall'intelletto immediatamente, senza deduzione o argomentazione, in quanto implicata negli attributi della sostanza. Adottando un' espressione del Breve trattato, si può dire che l'intelletto conosce la cosa «come è», non «come deve essere» (ragione) x3. 3. L'intelletto può conoscere immediatamente l'essenza delle cose singole come implicata dall'essenza degli attributi, perché esso non è altro che lo ·stesso atto di intendere dell'intelletto infinito o modo infinito immediato, delimitato e mediato da ciascuna idea del modo infinito mediato. Ciascuna idea che costituisce tale modo è infatti, simultaneamente, capace di tre diversi generi di conoscenza, perché è simultaneamente relata con tre diversi generi di oggetto: a) con tutte le altre idee assunte singolarmente in .quanto la costituiscono e la affettano (immaginazione); b) con la realtà costitutiva comune del modo infinito mediato a cui ciascuna idea appartiene e di cui perciò conosce necessità e immutabilità (ragione); e) con il modo infinito immediato o intelletto infinito, che la istituisce e costituisce, per sua sola potenza, insieme a tutte le altre. Sotto questo aspetto, ciascuna idea del modo infinito mediato è una modalità dell'atto unico con cui l'intelletto infinito immediato conosce gli attributi di Dio e il modo infinito me13· KV rr, 4,
2.
ror
L'ETICA DI SPINOZA
diato nella sua interezza e in ciascuna sua idea. Ciascuna idea o mente è d~que parte ed espressione della infinita potenza conoscitiva dell'intelletto infinito immediato e, in quanto tale, ne partecipa in· proporzione alla diversa perfezione che la costituisce. La conoscenza intuitiva della mente appartiene dunque per natura all'idea, in quanto è, insieme a infinite altre idee, parte dell'unico atto intellettivo del modo infinito immediato. È in tale partecipazione che consiste l'eternità della mente, fondamento e causa della conoscenza delle cose sotto 1'aspetto dell' eternità, di cui si tratta nella quinta parte (P3 l).
Proprietà del secondo e terzo genere di conoscenza (P41-47) i. Proprietà comuni: ambedue conoscono il vero (P41-43). Poiché è stato dimostrato che le immagini delle cose non sono erronee in se stesse, ma solo in quanto la mente sia priva dell'idea capace di riconoscerle come immagini (P17S), mentre invece la conoscenza di secondo e di terzo genere è adeguata, segue che soltanto la conoscenza di primo genere (immaginazione) è causa di falsità (non falsa per sé), mentre la conoscenza di secondo e terzo genere è necessariamente vera (P41). D' altra parte, poiché solo la conoscenza di secondo e terzo genere consente un'idea adeguata del vero e del falso, solo essa è criterio di distinzione del vero dal falso (P42). Solo il vero è indice di sé e del falso. E poiché l'idea vera implica una somma certezza, non è possibile avere un'idea vera senza sapere, con verità, di averla (P4 3 S). Nello scolio di quest'ultima proposizione Spinoza riprende alla lettera alcune questioni aperte già nel Bre-
ve trattato
1
4 •.
Proprietà della ragione rispetto al necessario (P44). La ragione contempla le cose come necessarie, cioè come sono in sé; dunque dipende solo dalla forza dell'immaginazione che rappresentiamo le cose come contingenti, sia rispetto al passato sia rispetto al futuro (P44C1S). Ma poiché la necessità delle cose coincide con la stessa necessità dell'eterna natura di Dio, da cui derivano, è proprio della ragione contemplare le cose sotto una certa specie di eternità (P44C2). Si noti che, nella quinta parte, l'autore attribuisce all'intelletto la conoscenza delle cose non sotto una certa specie, ma sotto la specie dell'eternità. Queste 2.
14. KV
II,
15. 102
T
4-
DELLA NATURA E DELL'ORIGINE DELLA MENTE
formule, ampiamente discusse nella storiografia spinoziana 1' , possono essere intese nel senso di prospettiva, sguardo, punto di vista rispetto alle cose, di .cui la ragione e l'intelletto sono capaci. La prima, conoscendo le cose non nella loro essenza singolare, ma in ciò che hanno in comune, le conosce sotto una certa specie di etem#à; l'intelletto, conoscendole nella loro essenza determinata, ossia nella relazione che intrattengono con gli attributi di Dio nella serie infinita delle cose finite, le conosce propriamente sotto la specie o dal punto di vista dell'etemztà. 3. Proprietà dell'intelletto rispetto all'essenza eterna di Dio (P45-47). È oggetto di conoscenza adeguata (intellettiva) l'essenza eterna e infinita di Dio (P45-47). Tale conoscenza è necessariamente implicata da qualunque idea di cosa singolare esistente in atto. Infatti l'esistenza in atto, intesa come forza di perseverare nell'essere, segue dalla necessità della natura di Dio e non può essere adeguatamente concepita senza l'idea dell' attributo di cui ciascuna cosa è modo, ossia senza l'essenza eterna e infinita di Dio (P45S). D'altra parte, tale conoscenza è adeguata perché, qualunque cosa si assuma, nel tutto o nella parte, implica necessariamente, in quanto esistente, un attributo di Dio (P46). E poiché la mente ha idee di tutte le cose, di se stessa, del propri.o corpo e dei corpi esterni, è proprio della natura della mente, ed è quindi possibile a tutti gli uomini, avere una conoscenza adeguata dell'eterna e infinita essenza di Dio (P47S). Tale conclusione, se assunta nel senso di una conoscenza attualmente posseduta da tutti gli uomini, sembra paradossale e incomprensibile, alla luce di altre numerose affermazioni spinoziane, secondo le quali solo pochi uomini hanno in atto la conoscenza di secondo e terzo genere. Che 1'affermazione, nonostante la formula, sia da assumere in senso potenziale, sembra essere suggerito dallo scolio della stessa proposizione, che si premura di spiegare perché gli uomini non abbiano di Dio una conoscenza ugualmente chiara rispetto a quella che hanno delle nozioni comuni; essi non possono immaginare Dio come immaginano i corpi e inoltre hanno unito il nome Dio alle immagini delle cose che sono soliti vedere. Tale osser15. Rinvio, per una prospettiva sintetica sull'argomento e per una discussione, a F. Mignini, "Sub specie aeternitatii'. Notes sur ''Ethique'' v, propost~t'ons 22-23, 29-31, in "Revue philosophique", 119 (1994), 1, pp. 41-54 e, ora, a P. Di Vona, La conoscenza «Sub specie aeternitatis» nell'opera di Spinoza, Loffredo, Napoli 1995.
L'ETICA Dr SPINOZA
vazione sembra indicare due cose: che la conoscenza adeguata dell'essenza eterna e infinita di Dio è propria della natura della mente umana, ma è attingibile solo mediante il controllo dell'immaginazione; che tale conoscenza è propria dell'intelletto, inteso come terzo genere, più che della ragione.
4·5 Confutazione del pregiudizio concernente la volontà (P48·49)
L'esposizione della dottrina spinoziana della volontà ha un significato prevalentemente emendativo e catartico, più che positivo e propositivo. In altri termini, poiché per Spinoza la volontà non appartiene alla mente né esiste in alcun modo, non si darebbe alcuna ragione. perché venga trattata nell'ambito della dottrina della mente, se non per confutare i pregiudizi a suo riguardo ed esporre i vantaggi speculativi e pratici della dottrina che la nega. Le due proposizioni conclusive della seconda parte, e soprattutto il lungo scolio finale, svolgono dunque una funzione analoga a quella svolta dall'ultima sezione della prima parte. Vediamo ora sinteticamente quali sono le tesi· spinoziane intorno alla volontà 16 • Esse sono esposte in forma progressivamente riduttiva: a) non esiste volontà assoluta, ossia sciolta da cause determinanti, poiché la mente è un modo determinato dell'attributo del pensiero, che ha in altri modi dello stesso attributo la causa della sua esistenza e pertanto anche della sua azione. È causa libera della propria azione - in tal caso indifferente al volere e al non volere - soltanto quella che esiste per propria essenza. Dunque la volontà non è libera (P48); b) non esiste facoltà del volere, come non esiste facoltà dell'intendere; le facoltà, concepite come distinte dalle volizioni e dalle idee, sono enti puramente fittizi o metafisici, che non si di~ stinguono dalle singole volizioni o idee (SP48); e) in natura esistono soltanto idee determinate e non volizioni distinte dalle idee; le cosiddette volizioni non sono altro che l'affermazione o la negazione implicata dall'idea in quanto è idea (P49). Infatti l'idea, in quanto concetto, è essenzialmente atto del pensiero, energia di affermazione e negazione del rappresentato oltre che atto di rappresentazione. Dunque la volizione, in quanto affermazione o negazione, non si distingue r6. Queste tesi sono già anticipate in KV rr, 16·17.
4·
DELLA NA'I'URA E DELL'ORIGINE DELLA MENTE
~all'idea in quanto idea. Pertanto, usando la terminologia tradizional~, la volon~~ n~h si distingue dall'intelletto (CP49). ·
Dimostrata l mes1stenza· della volontà,· comunemente considerata causa dell'errore, nello scolio della P49 l'autore indica anzitutto l'origine del pregiudizio intorno alla volontà, risponde a quattro obiezioni e sottolinea i vantaggi della dottrina t!sposta. Vediamo sinteticamente ciascun punto: a) il pregiudizio concernente l'esistenza di una volontà e per
' di più libera:, nasce da due cause: - l.a pri~a consiste nell'aver considerato l'errore come qualcosa di positivo e non come una semplice privazione di conoscenza, nella quale l'uomo si adagia, perché è privo o di altre immagini che facciano fluttuare la sua mente rispetto all'immagine che assume come vera o di un'idea certa che lo ponga positivamente nel vero; ~ la. secon?a causa consiste .nella incapacità di distinguere tra idea, tmmagme e parola. Quelli che confondono l'idea .con l'immagine assumono la prima come una «muta pittura su un quadrm> e .non vedo.no la sua potenza attiva; inoltre suppongono che. le ;idee a cUl non possono accompagnare immagini siano finz1om create da una presunta libera volontà; . b.) l'autore esamina quattro obiezioni, a cui fa seguire quattro risposte. Esporrò schematicamente ciascuna obiezione con la relativa risposta. - Qbiezione: poiché l'intelletto, per intendere di più, deve essere accr~sci~to, mentre la facoltà del volere può-per sé appetire tutto md1fferenternente, quello è finito e questa è infinita dun~ue più es~e~a dell'intelletto e diversa da esso. Risposta: s~ per intelletto s1 intendono soltanto le idee chiare e distinte si concede che la volontà sia più estesa dell'intelletto. Si nega ~ut tavia che la volontà sia più ~estesa della totale attività percettiva della mente, in particolare del sentire, che si estende a infinite cose. Inoltre si nega che la volontà sia una facoltà, ossia un ente universale, poiché solo in quanto tale può estendersi all'infinito; - Obiezione: possiamo intendere o rappresentare qualcosa (ad esempio un cavallo alato) e non dare il nostro assenso: ciò dimostra che la volontà è qualcosa di diverso dall'intelletto e libera. Risposta: neghiamo che la mente sia libera di sospendere il
L ' ETICA DI SPINOZA
giudizio indipendentemente da un'idea o percezione, che ci fa dubitare di un'idea precedente o ci induce a negarla; - Obiezione: la volontà è qualcosa di universale, che si riferisce indifferentemente a tutte le idee e non richiede una maggiore potenza per affermare che il vero è vero di quanta ne richieda per affermare che il falso è vero; invece le idee hanno diversa perfezione in relazione alla diversa perfezione dei loro oggetti; dunque la volontà è diversa dall'intelletto. Risposta: la volontà, intesa come affermazione in generale, è identicamente presente in tutte le idee; ma si nega che ogni singola affermazione sia identica alle altre, poiché si distingue dalle altre esattamentè come si distingue l'idea. Si nega inoltre che per affermare il vero si richieda la stessa potenza che per affermare il falso, poiché tra vero e falso esiste la stessa relazione che tra ente e non ente, dal momento che non c'è nulla di positivo che costituisca la forma della falsità; - Obiezione: se la volontà non fosse libera, come ci si potrebbe determinare a fare una cosa più che un'altra, quando l'intelletto fosse in equilibrio e incapace di scegliere tra due alternative, come 1'asino di Buridano? Risposta: se si dà un uomo in tale situazione, incapace di percepire altro, si concede che perirà di fame e di sete, ma non si sa se debba essere stimato più un asino che un uomo, come coloro che si tolgono la vita, i pazzi ecc.; e) vantaggi della negazione della volontà 1 7: - poiché la dottrina esposta ci convince che agiamo per solo volere di Dio e siamo· partecipi della natura divina, essa rende lanimo tranquillo e induce a compiere soltanto quelle azioni che sono consigliate dall'amore e dalla pietà, poiché sappiamo che la nostra beatitudine e libertà coincidono con la sola conoscenza. di Dio e con lo stesso compimento di azioni virtuose; - poiché gli eventi esterni e anche le nostre azioni non dipendono assolutamente da noi, tale dottrina ci insegna a sostenere con animo uguale l'alterno volto della fortuna; · - giova ·alla vita sociale, perché insegna a contentarsi delle proprie cose, a non odiare, disprezzare, deridere, invidiare il prossimo; giova alla comui::ie società, perché insegna che i cittadini de~ 17. Di tali vantaggi si tratta anche in KV II, 18.
106
4·
DELLA NATURA E DELL'ORIGINE DELLA MENTE
vono essere governati e diretti non affinché servano da schiavi ma compiano liberamente ciò che è meglio. '
Le considerazioni ora esposte intorno ai vantaggi della dottrina che e~clu?e 1'~sistenza ~ una libera volontà vanno collegate con le tesi spmoz1ane relative alla virtù come ricerca del vero utile sotto la guida della ragione, elaborate e discusse nella quarta parte.
5 Della natura e dell'origine
degli affetti
Schema generale della terza parte 5. 1. Prefazione 5 .2. Fondamenti dell'argomentazione 5 .2.I. Definizioni (1-3) 5.2.2. Postulati (1-2) 5.3. I due possibili stati della mente umana: attività e passività (P1-3)
5+
La forza di autoconservazione (conatus), come essenza dell'affetto (P4-8)
5.5. L'ordine della deduzione geometrica degli affetti (P9-59) 5.5.i. Leggi generali del dinamismo degli affetti (P9-18; 27-28; 51, 53-57 ): Legge del conato (P9-13; P28, 53-55; 57) Legge della proporzionalità affetto-oggetto (P56, P51) Legge della associazione (P14-15) Legge della somiglianza (Pi 6- r 7; P2 7) Legge della intemporalità dell'immagine-affetto (P18) 5. 5. 2. Gli affetti-passione (P19-5 2) . 5.5.2.I. Applicazioni della legge del conatus (Pr9-26) 5.5.2.2. Applicazioni della legge dell'imitazione (P29-36) 5.5.2.3. Applicazioni delle leggi congiunte del conattis, della somiglianza e della associazione (P39-42, 45-47)
5.5.2.4. Applicazioni delle leggi della associazione e _della intemporalità degli affetti (P50 e 52) 5. 5 .2. 5. Leggi che presiedono all' accresciJnento, diminuzione, annullamento di un affetto (P37-38, 43-44, 48-49) . 5.5.3. Gli affetti-azione (P58-59) 5 .6. Esposizione sintetica delle definizioni degli affetti
L'ETICA
or SPINOZA
5.1 Prefazione
Con l'esposizione della dottrina degli affetti, Spinoza presenta il terzo sistema dottrinale necessario a fondare la trattazione specificamente etica dell'opera. La terza parte, come le altre due che seguono, è aperta da una Prefazione, che ha lo scopo di giustificare la prospettiva e il metodo adottati nell'indagine degli affetti. L'autore dichiara la propria consapevolezza di aprire una nuova via nella concezione e nell'analisi degli affetti umani e avverte l'esigenza di giustificarla, dinanzi alla storia e in se stessa. La Prefazione è divisa in due parti: la prima formula un sintetico giudizio sullo status questionis; la seconda espone le ragioni del metodo adottato nell'indagine degli affetti. I. La prima sezione prende in considerazione la totalità di quelli che hanno scritto sugli affetti e sulla morale, distinguendo la maggior parte di essi da alcuni «uomini eminentissimi, alla cui fatica e operosità» l'autore confessa di dovere molto. La maggior parte dei trattatisti, dalla descrizione dei quali non è difficile riconoscere prevalentemente i teologi di ispirazione giudaico-cristiana, considerano gli affetti sottratti alla comune natura delle cose e non sottoposti alle leggi di questa. Infatti essi: a) concepiscono l'uomo come un'eccezione all'ordine naturale, che egli non segue, ma quasi sconvolge; b) ritengono che l'uomo abbia un potere assoluto sulle proprie azioni, credendo che non sia determinato che da se stesso; e) considerano l'impotenza della natura umana a dominare gli affetti dovuta a «non so quale vizio» della stessa, più che alla relazione della potenza umana con la potenza della natura universale. Per questo hanno preferito e preferiscono compiangere, deridere, disprezzare, detestare la natura umana più che intenderla. Alcuni hanno scritto cose eccellenti e hanno dato consigli pieni di prudenza sulla maniera di vivere. Tra questi, Spinoza pensa certamente ad alcuni autori della tradizione stoica, dalla quale desume alcuni concetti fondamentali, a partire da quello di conatus, e a Descartes r. Tuttavia egli è costretto a costatare
r. Per i rapporti di Spinoza con gli Stoici (sono questi, probabilmente, gli «uontlni eminentissimi» a cui si riferisce), rinvio ai lavori di W. Dilthey, K. H. E. de Jong, P. Kristeller, B. Carnois, A. Graeser in Bibt. 9; Spinoza
rro
5·
DELLA NATURA E DELL'ORIGINE DEGLI AFFETTr
che nessuno, compreso il «celeberrimo Cartesio», fuorviato dalla fede. nel potere assoluto della mente sulle proprie azioni, «ha determinato la natura e la forza degli affetti e che cosa possa la mente, da parte sua, per dominarli». 2. ~e .r~gioni che giustificano la trattazione degli affetti (tra i quali v1z1 e stoltezze che sembrano ripugnare alla ragione) con procedimento geometrico e con ragionamento certo sono le se' gu.entl:. a) è stato dimostrato che una e medesima è la natura o sostanza; b) una e medesima è la sua potenza d'agire, ossia le leggi secondo le quali le cose avvengono e mutano di forma in forma: donde deriva che nulla può essere attribuito a vizio o errore della natura 2 ; e) uno e medesimo deve essere dunque il metodo per intendere la natura e l'origine degli affetti: interpretarli alla luce delle leggi universali della natura, da cui sono retti al pari di tutti gli altri fenomeni naturali. Da ciò, la celebre conclusione: «considererò le azioni e gli appetiti umani come se si trattasse di linee, di superfici e di corpi» 3. ;.2 Fondamenti dell'argomentazion~
Per «fondamenti» dell'argomentazione intendo quegli elementi dottrinali immediati costituiti dalle definizioni e da proposizioni universali per sé note che, nella terza parte, sono costituite da due postulati. Si può tuttavia osservare che, rispetto alla elaborazione della dottrina degli affetti strettamente intesa, fungono da fondamento anche le Pr -8 concernenti la natura dell'attività e della passività della mente (Pr -3) e la natura e proprietà del posse~~va l'edizione latina delle Passiones animae di Descartes, pubblicata da Elzevmus ad Amsterdam nel 1650, e la traduzione nederlandese di Glazemaker, Amsterdam r6;9. Un confronto tra ·l'ordine delle passioni nell'edizione latina delle Pass. an. di Descartes e l'ordine degli affetti nell'Etica è svolto da S. H. Voss, How Spinoza Enumerated the A/fects, in "Atchiv fur Geschichte der Philosophie", 63 (r98r), pp. r67-79. 2. Questa tesi è la conseguenza necessaria della causalità immanente e necessaria o per natura dei modi da parte della sostanza; in KV r, 6, 9 Spino- · za conclude che «tutte le cose e azioni. esistenti nella natura sono perfette». 3. Questo principio metodologico ed epistemologico applicato agli affetti è ribadito dall'autore anche nel TP, r, 4; 2, 6.
III
L'ETICA DI SPINOZA
conato universale di autoconservazione (P4-8). D'altra parte, è evidente che il fondamento ultimo della dottrina degli affetti è costituito dalle precedenti dottrine di Dio e della mente. Esse sono state infatti preposte quali dottrine .preliminari necessarie alla costruzione dell'etica, che trova nella dottrina degli affetti la fondazione scientifica immediata.
5.2.I. Definizioni ( 1-3) Tre sono i termini definiti: i primi due sono la coppia di contrari attivo~passivo e costituiscono l'oggetto delle prime due definizioni; il terzo è il termine fondamentale di affetto e costituisce l'oggetto della terza definizione. La definizione dei concetti di attivo e passivo si fonda sulla definizione subordinata di causa adeguata: è tale quella che produce leffetto mediante la sua sola natura; in virtù della quale può essere inteso chiaramente e distintamente. Causa in~degua ta è invece quella che spiega il proprio effetto solo parzialmente, richiedendo una o più cause concomitanti per produrlo. Pertanto l'autore intende che l'uomo è attivo, se produce in sé o fuori di sé qualcosa di cui è causa adeguata, ossia sufficiente ed esclusiva: l'uomo è passivo quando in sé o fuori di sé produce qualcosa di cui è soltanto causa parziale 4. Semplificando, siamo attivi quando agiamo per le sole leggi della nostra natura, e in tal caso siamo liberi; siamo passivi quando agiamo subendo l'azione delle cause esterne, e in tal caso siamo coatti. L'attività si identifica con la libertà e con il bene dell'uomo; la passività con la schiavitù e con il male dell'uomo. Se consi(foriamo che la quarta parte è dedicata all'analisi della schiavitù dell'uomo rispetto agli affetti, la quinta invece alla trattazione della sua libertà, vediamo facilmente come questa definizione costituisca uno dei due cardini dell'intera dottrina etica spinoziana. L'altro cardine è costituito dalla definizione di affetto. Definizione fondamentale, non solo per la dottrina etica, ma anche 4. La distinzione tra azione e passione costituisce anche I' avvio della trattazione cartesiana delle passioni (Pass. An., I, 1); tuttavia, mentre in Cartesio anima e corpo sono due sostanze diverse, aventi tra loro una reciproca determinazione causale, che è azione nel corpo e passione nell'anima, o viceversa, in Spinoza mente e corpo sono un solo e medesimo individuo, unico soggetto dell'azione o della passione. 112
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per intendere esattamente l'antropologia e infine la stessa ontologia spinoziana, ossia la dottrina della sostanza. Due ·sono le condizioni che definiscono l'affetto. I. L'affetto è una struttura bipolare, ossia la simultane#à di un'affezione corporea e dell'idea di quella affezione: «intendo per affetto le affezioni del corpo [. . .] e, insieme, le Mee di que., ste affezioni». Intendere la natura di tale simultaneità e bipolarità è essenziale per intendere la natura dell'affetto; tornerò su questo punto dopo aver esposto la seconda condizione. 2. Questa consiste nella natura dell'affezione, che è una mutazione dello stato attuale del corpo in seguito all'azione esercitata· su di esso da altri. corpi, oppure che esso esercita su altri corpi. Ogni mutazione dello stato del corpo implica aumento o diminuzione della perfezione del corpo stesso, ossia della sua potenza di agire. Si può anticipare che la nozione di «accrescimento o diminuzione della potenza d'agire del corpo», in quanto è necessariamente affermata dalla mente, che ne ha un'idea, sarà espressa dai due affetti fondamentali della· gioia e · della tristezza. Torniamo ora alla struttura bipolare dell'affetto. In base alla P7 della seconda parte, non abbiamo difficoltà a concepire che, data una modificazione o affezione corporea, si dà nella mente una corrispondente modificazione costituita da un'idea di quella affezione. La difficoltà, ma anche la specificità della definizione dell'affetto consiste nel coglierlo esattamente come una sola e medesima cosa, esprimibile simultanemente da due modificazioni di· attributi realmente diversi. Come è possibile intendere l'affetto .quale medesima struttura espressa simultaneamente da due modi che non ·hanno nulla in comune e che, dunque, non possono coesistere per costituire, in una qualsiasi relazione, un medesimo ente? Per dare ·una· risposta al ,quesito, è necessario, quanto meno, che l'affetto non venga pensato come una relazione, ma in altro modo. Si ripropone, a questo riguardo; lo stesso problema che si poneva nella definizione di uomo, data in E2.P21S. Come l'uomo, ossia il corpo e la mente, venivano in quel caso definiti «un solo· e identico individuo che viene · concepito sia sotto l'attributo del pensiero sia sotto l'attributo dell'estensione», così l'affetto viene concepito come un solo e identico individuo, costituito dalla simultaneità di una modificazione del pensiero e di una modificazione dell'estensione. La coincidenza delle due definizioni non è casuale, poiché l'affetto si rivelerà essere l'essenza stessa dell'uomo, ossia quell'unico e 113
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medesimo individuo, che può essere concepito simultaneamente sotto due att~ibuti diversi. Non senza ragione, la P:57S di questa parte sostiene che qualsiasi affetto di un fadividuo differisce dall'affetto di un altro individuo tanto quanto differisce la loro essenza, dal momento che è 1'affetto, considerato come· vita, a costituire l'idea o mente di ciascun individuo (cfr. P57S) 5 • Dobbiamo ora esaminare in che cosa consista la natura dell'affetto. Dalla definizione data risulta chiaramente che l' affezione corporea non è altro che una modificazione della potentia agendi del corpo e che l'idea non è altro che un'.affermazione corrispondente, ossia una diminuzione o accrescimento della potentia agendi della mente. È chiar.o dunq~e ~he la n~tura d~ l'affetto è costituita da una potentia agendt: l affetto e potentta agende'. Ma sappiamo .che esiste una sola potentia agendi nell~ natura, quella della causa di sé o s~stanza. D~nque l'affetto ~ una determinazione un modo particolare dell assoluta potentta agendi della sostan~a, espre~sa sin:ultaneament~ a;traverso gli attributi del pensiero e dell estensione. Ma po1che qualunque potentia agendi determinata non è altro eh~ la forz~ c~n la quale ciascun ente tende a conservare se medesimo, ossia e conatus o tentativo di autoconservazione, si comprende perché e in che senso Spinoza possa considerare il conatus proprio dell' ~o~o, ossia quello che è accompagnato dalla consapevolezza di se e che chiama cupidità, come «l'essenza stessa dell'uomo» ,(DA r). tr. Ora, poiché la cupidità è la forma fondamentale d~ll arretto! possiamo concludere che questo, inteso come po~entta, agendt, forza o energia determinata della sostanza, costituisce 1essenza stessa dell'uomo. Resta da determinare la modalità propria dell'affetto in quanto energia. Per essere simultaneamente esprimibile come pensiero ed estensione, è evidente che in sé non può essere né pensante né esteso, ma deve essere .indi.ffe~ente, n~u~ tro e indeterminato rispetto a tutte le deternunaz1on1 -essenz1ah degli attributi. Ne segue che, coincidendo con quella stessa forza assoluta e infinita (potentia absoluta), la sostanza è in sé forza neutra e indifferente rispetto a ogni possibile determinazione e come tale, solo come tale, esprimibile da infiniti attributi, .ciascuno infinitamente perfetto nel suo genere. Per tale ragione dicevo che la definizione di affetto contribuisce a chiarire non solo la definizione di uomo, ma anche quella di sostanza. Tornando ora alla definizione di affetto, intesa in senso 5. Cfr. E 3 P5rS, sul quale rinvio a F. Mignini, Teoria del a/ecto, Bibl. 32.
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stretto, e alla precisazione che la segue, è necessario sottolineare una distinzione di grande rilievo per la dottrina esposta. L'autore informa che gli affetti si distinguono in azioni e passio~i a seconda che l'uomo venga considerato causa adeguata o inadeguata delle affezioni che li costituiscono. Il termine affetto è quindi generale, indicando indistintamente affetti attivi e affetti passivi (azioni e passioni), sulla cui distinzione e sulla cui genesi interverranno le Pr-3. 5 .2.2. Postulati ( r-2)
~ono due e :iguardano natura e proprietà del corpo umano già illustrate e dimostrate nella seconda parte. I postulati intorno al ~orp? ven~ono ~ui richiesti dalla natura dell'affetto, in quanto 1mphca un affezione corporea. Il primo ricorda che il corpo umano può essere affetto in molti modi, che possono aumentare, dimi~uir~ o lasciare immutata la sua potenza d'agire; il secondo ribadisce che il corpo umano può conservare le .impressioni delle affezioni subite, anche in assenza degli oggetti che le hanno prodotte e quindi conservare le medesime immagini del· le cose. Il rinvio spinoziano è a E2P17S, dove viene definita . l'immaginazione. Ora è opportuno sottolineare che, senza immaginazione non si danno affezioni e rappresentazioni corrispondenti cioè inadeguate, delle stesse. È per questa ragione che tutta 1~. dot- . trina degli affetti è fondata da Spinoza, come si vedrà sul dinamismo dell'immaginazione, anche se, specie in vista clella quinta parte, egli sottolinea che la mente è capace di avere idee adeguate delle stesse rappresentazioni immaginative. Quando la mente attua tale capacità, non è soltanto passiva, ma anche attiva; non soltanto dominata da passioni, ma capace di azioni. 5·3 I due possibili stati della mente umana: attività e passività (P1·3) La t~si fondamentale è sostenuta nella P3, a cui le due precedenti fungono da premessa: le azioni della mente nascono soltanto da idee adeguate, le passioni dipendono soltanto da idee inad~gua~e., Infatti la mente è cap~ce di produrre idee adeguate, di cu1 e causa totale ed esclusiva: sono le nozioni comuni della ragione e le idee chiare e distinte dell'intelletto. In quanto rr5
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produce tali ,idee, di cui è causa adeguata, la mente è attiva. Ma si è visto che la mente, in quanto ha idee delle affezioni dei corpi, ossia idee che implicano anche altre idee, oltre a quella che costituisce la mente umana, è causa inadeguata o parziale e, in quanto tale, si dice passiva (P1). È opportuno sottolineare ancora che la mente, concepita come idea di un corpo esistente in atto, non può percepire se stessa, il proprio corpo e gli altri corpi se non mediante le affezioni del proprio corpo, delle quali produrrà necessariamente immagini, ossia idee inadeguate. Ne segue che, di qualunque affezione data del corpo, vi sarà nella mente un'immagine e un'idea inadeguata. Ciò non toglie che possano darsi e che si diano anche idee adeguate; ma queste si daranno, sempre e necessariamente, insieme e accanto a idee inadeguate, le quali perderanno tanto più la loro forza e la passività della mente che implicano, quanto più numerose e forti saranno le idee adeguate. Se è così, la mente è tanto più soggetta a passioni, quanto più numerose sono le sue idee inadeguate, ed è tanto più attiva, quante più idee adeguate possiede (P2C). Pertanto, si vede sin da ora che l'impegno supremo dell'etica consiste nell'educare la mente a produrre quante più idee adeguate è possibile. Sappiamo tuttavia che le idee adeguate seguono nella mente con la medesima necessità con cui seguono le idee inadeguate (E 2 P3 6) e che tale necessità riposa non già su una supposta e pretesa reciproca determinazione di corpo e mente, come riteneva Cartesio, ma sulla unicità e medesimezza individuale di corpo e mente, ossia sul loro essere un solo ·e medesimo individuo, che può essere mnsiderato simultaneamente sotto l'attributo del pensiero e sotto quello del1'estensione. È a sottolineare tale dottrina e soprattutto a sfatare il pregiudizio della reciproca determinazione di corpo e mente; pregiudizio fondato sulla supposizione di un dualismo sostanziale, che sono dedicati la P2 e il suo lungo e importante scolio. Che la mente non possa determinare causalmente il corpo né il corpo la mente, è stato dimostrato nella dottrina esposta nella prima e soprattutto nella seconda parte. Tale tesi è fondata sulla differenza reale degli attributi, i quali, non avendo nulla in comune luno con l'altro, non possono neppure agire luno sull'altro; ma se non possono agire causalmente gli attributi, non possono agire causalmente luno nell'altro neppure i modi di attributi diversi. Pertanto i modi del pensiero sono prodotti èsclusivamente da modi del pensiero, mentre i modi dell' esten-
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sione sono prodotti esclusivamente da modi dell'estensione. Inoltre la tesi è fondata sulla dottrina dell'identità ontologica di corpo e mente, sostenuta nello scolio di E 2 P7, la quale costituisce anche il fondamento della dottrina del simultaneo verificars.i delle medesime modificazioni sotto attributi diversi, esposta m E 2 P12. Dunque, sotto il profilo della dimostrazione teorica, l'autore non avrebbe bisogno di argomentare ulteriormente ·per sostenere la tesi esposta in E 3 P2. Egli è consapevole, tuttavia, della forte resistenza che la sua tesi produrrà nei lettori e intende perciò aggiungere ulteriori argomenti tratti dall'esperienza. La dimostrazione può essere distinta in due parti: nella prima, analitica, vengono proposti gli argomenti positivi tratti dall'esperienza; nella seconda, dialettica, vengono discusse alcune tesi di coloro i quali sostengono la possibilità di determinazione del corpo da parte della mente. Gli argomenti positivi tratti dall'esperienza sono sostanzialmente due. r. Nessuno ha finora determinato che cosa possa il corpo in base alle sole leggi della natura corporea. In particolare: a) nessuno ha finora conosciuto tanto accuratamente la struttura del corpo da spiegarne le funzioni; b) negli animali si osservano produzioni di opere che superano di gran Lunga lingegno e la sagacia degli uomini; e) i sonnambuli, in assenza di coscienza e nel sonno più profondo, compiono operazioni che non sarebbero in grado di svolgere da svegli. 2. Nessuno sa in qual modo e con quali mezzi la mente muova il corpo, né· quanti gradi di movimento possa conferire al corpo né con quanta velocità possa muoverlo. La discussione verte intorno a tre tesi dei sostenitori della possibilità di una determinazione del corpo da parte della mente. r. Se la mente è inattiva, anche il corpo è inerte; dunque l'attività del corpo dipende dall'iriflusso della mente. Spinoza risponde osservando che anche il contrario è vero, ossia che anche quando il corpo è inerte, la mente è inattiva; inoltre, egli osserva che la mente non è sempre identicamente atta a pensare. Si può invece affermare· che, quanto più il corpo è disposto a che venga suscitata in esso l'immagine di un oggetto, tanto più la mente è disposta a contemplarlo.
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In questo. contesto, 1' autore propone, come è sua abitu~ine discutendo una tesi, il caso limite: suppone che gli avversan lo invitino a dimostrare che anche le opere della sola arte umana, quali pitture, architetture e altre cose di questo genere, possano derivare non dall'idea dell'artista, ma dalle sole leggi del suo corpo. L'autore ha già dimostrato nella prima e nella seconda parte, mediante i principi generali del sistema, che i corpi possono essere prodotti soltanto da altri corpi; se ne può dunque inferire che anche le opere d'arte possono e devono essere spiegate mediante le sole leggi del corpo. Ora egli gggiunge argomenti tratti dall'esperienza: a) nessuno conosce ancora a sufficienza quale sia il potere ·del corpo e che cosa possa derivare dalla sua natura; b) gli stessi oppositori hanno potuto sperimentare, nel sonnambulismo, che per le sole leggi del corpo accadono molte cose che la mente vigile non avrebbe mai immaginato; e) il corpo umano ha una struttura estremamente complessa ed è quindi capace di produrre opere diversissime; d) è stato dimostrato nella prima parte che dalla natura, considerata sotto qualsiasi attributo, seguono infinite cose in infiniti modi (P16). 2. Gli avversari obiettano ancora che è nel solo potere della mente tanto parlare quanto tacere. Spinoza risponde che le cose umane si svolgerebbero molto più felicemente se fosse in potere dell'uomo tanto parlare quanto tacere. Invece l'esperienza insegna che: a) nulla gli uomini hanno meno in loro potere quanto la lingua; b) nulla possono meno quanto moderare e guidare i loro appetiti. 3. Alla seconda osservazione gli avversari rispondono sostenendo la tesi della «libertà relativa»: non si dà libertà nel moderare gli appetiti forti, ma si dà libertà nel moderare gli appetiti deboli, che possono essere modificati attraverso la memoria più frequente di altre cose. L'autore obietta che è lesperienza stessa ad insegnare che non facciamo nulla liberamente, perché: a) ci illudiamo sulla nostra libertà, in quanto siamo consapevoli dei nostri appetiti ma ignoriamo le loro cause; · b) le decisioni della mente coincidono con gli stessi appet#i (i quali variano in relazione alle varie disposizioni del corpo), poiché sono la stessa cosa considerata sotto attributi diversi; e) non possiamo far nulla per libera decisione della mente, se n8
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non abbiamo la memoria della cosa che è oggetto di decisione; ma la memoria non è nel libero decreto· della mente, la quale non può disporre in alcun modo né di ricordare né di dimenticare. L'autore può dunque concludere che, quando parliamo o taciamo, agiamo soltanto in funzione della nostra memoria, con lo stesso meccanismo con cui parliamo o taciamo nel sogno, poiché non esistono due generi di decisioni, quelle libere e quelle fantastiche od oniriche. Dunque, la decisione della mente, che si crede libera, non si distingue dalla stessa immaginazione, ossia dalla memoria e non è altro che 1' affermazione implicata dall'idea in· quanto è idea.
5·4 La forza di autoconservazione ( conatus) come essenza dell'affetto (P4-8) Due (P6-7) sono le proposizioni centrali di questa dottrina, a cui le precedenti fanno da premessa e la successiva da corollario. La tesi del conato universale di autoconservazione, mediante il quale ciascun modo della sostanza, per quanto dipende dalla sua natura, tende a conservare se stesso, è fondata sulla realtà costitutiva dell'infinita potenza della sostanza. Il modo, ontologicamente, è la stessa energia della sostanza determinata secondo. uno o più attributi. Perciò, considerata in sé, ciascuna cosa è un'affermazione indefinita (P8), tendente a mantenersi oltre ogni tempo determinato, della propria esistenza. n conato di autoconservazione è perciò la stessa essenza attuale di ogni modo (P7) 6 • Anche sotto questo profilo, troviamo ribadita la tesi illustrata nella definizione dell'affetto: 1'essenza di ogni modo, come lessenza dell'uomo, è costituita da una determinazione dell'energia neutra della sostanza. Si è visto, tuttavia, che nessun modo si costituisce e sussiste senza essere prodotto e continuamente rigenerato da altri tnodi dello stesso attributo, ciascuno dei quali tende anch'esso, indefinitamente, ad affermare e a mantenere la propria esistenza. Ecco dunque configurarsi 6. La teoria del conato è esposta in KV
denza di Dio.
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5, sotto il titolo Della provvi-
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il mondo dei modi come una relazione di forze diverse, tendenti ciascuria alla propria affermazione e conservazione. Ne segue che l'esistenza di ciascun modo dipende dall'equilibrio e dalla dinamica delle forze: se la conservazione dell'una implica la distruzione dell'altra, come avviene per legge universale di natura, si vede come ogni cosa non possa essere distrutta se non da cause esterne (P4) e che forze antagoniste, tali cioè che possano distruggersi l'un l'altra, non possono darsi nel medesimo soggetto, perché questo ne verrebbe immediatamente annientato; anzi, non riuscirebbe neppure a costituirsi (P5) 7 • Dalle brevi osservazioni che precedono, risulta chiaramente che l'ontologia e l'antropologia spinoziane sono concepite secondo un modello energetico e non secondo un modello sostanzialistico.
5·5 L'ordine della deduzione geometrica degli affetti (P9-59) L'impressione che si trae 'da una lettura attenta della dimostrazione geometrica· degli affetti è che l'autore non abbia seguito o non abbia potuto seguire un preciso e rigorosamente determinato ordine logico, quale ad esempio accade di poter· riconoscere, pur con alcune incertezze, nel Breve trattato 8 • L'impressione di una difficoltà, se non di una impossibilità, nel ricondurre ad un ordine certo la deduzione geometrici;t degli affetti, è accresciuta dal confronto tra l'ordine e la successione delle passioni nella serie delle proposizioni e lordine seguito nella sezione finale, intitolata Definizione degli affetti: tra i due 7. Per un commento sul tema dei contrari, con particolare riferimento a queste proposizioni, cfr. F. Mignini, Tra Spinoza e Pascal: la filosofia o l'indi./ferenza della sostanza come soggetto di contrari, in AA. vv., Mélanges en honneur d'Alexandre Mathéron, Presses de l'ENS de Fontenay, Paris 199;. 8. Nella KV la trattazione degli affetti occupa i capp. 3·!4 della seconda parte e tende soprattutto a inostrare ciò che la ragione indica in essi di bene e di male per il conseguimento della libertà dell'animo, come accade nella sezio- . ne relativa della quarta parte dell'Etka. Quindi è a questa parte che la trattazione della KV deve essere propriamente riferita. Tuttavia, per mostrare ciò che la ragione indica in essi di utile o dannoso l'autore deve darne una breve definizione, seguendo nelle grandi linee l'ordine dell'esposizione cartesiana delle passioni. Per. un confronto sinottico tra i due ordini di passioni, cfr. M 592. Rispetto alla trattazione della KV, quella svolta nella ~erza parte dell'Etica, ordinata a indagare soprattutto le Leggi che presiedono alla genesi e all'associazione degli affetti, è dunque sostanzialmente nuova. 120
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ordini si può constatare agevolmente una notevole differenza. Del resto, lo stesso autore osserva che nella serie delle proposizioni ha dedotto gli affetti l'uno dall'altro, mediante il suo principio genetico, «come ha potuto». Tra i due ordini di affetti, il secondo è senza dubbio più prossimo a quello della serie numerica presente nella seconda parte del Breve trattato 9. Probabilmente, preparandosi alla .dimostrazione geometrica degli affetti dalle loro cause, Spinoza aveva predisposto un elenco di definizioni con le relative spiegazioni. Se tale ipotesi è attendibile,. la lista delle definizioni esposte alla fine della terza parte precede, e non segue, la deduzione geometrica, fatti salvi, ovviamente, i relativi aggiustamenti e riferimenti al· testo successivamente elaborato. Del resto, scorrendo le analisi degli interpreti, si constata o una totale diversità di ricostruzioni o l'assenza di ogni tentativo di reperire un filo logico. Credo che si possa comprendere la complessità e la non evidente linearità del testo, tenendo in debito conto due considerazioni. Una prima ragione della difficoltà oggettiva di imporre un ordine ·logico alle passioni consiste nella natura stessa degli affetti spinoziani, che sono tutti riducibili, compresi gioia e tristezza, all'affetto fondamentale della cupidità e che, per l'assoluta polimorfidtà di questa, possono combinarsi tra loro in associazioni innumerevoli e indeterminabili. Tale natura dell'affetto r~nderebbe intrinsecamente aleatorio qualunque ordine non sia concepito come estrinseco e puramente funzionale alla esposizione. La seconda ragione della difficoltà consiste nella decisione dell'autore di ricercare nella di mostrazione geometrica, più che i singoli affetti, le leggi che presiedono alla loro genesi e associazione. Si potrebbe supporre che un ordine rigoroso della deduzione possa essere indotto dalle leggi proposte; ma non è così, perché le medesime leggi possono interagire tra loro nella produzione dei medesimi affetti, oppure essere attive in momenti lontani e diversi tra: loro, nella deduzione di affetti diversi. Poiché la deduzione geometrica degli affetti è dunque destinata anzitutto a trovare· le leggi della loro genesi e delle loro associazioni, preferisco esporre separatamente, raccogliendole in un solo paragrafo, le leggi generali che regolano il dinamismo degli affetti e la loro deduzione reciproca; quindi esporrò la serie degli affetti-passione e infine quanto viene detto sugli affetti-azione. 9. Cfr. M 82I-864, in particolare 829-845. I2I
L ' ETICA DI SPIN07.A
5. 5 .1. Leggi generali del dinamismo degli affetti (P9-18; 27-28; 51; 53-57) Devo subito precisare che il titolo sotto il quale ora raccolgo alcune proposizioni della terza parte non appartiene all'autore, ma è da me suggerito perché mi sembra esprimere adeguatamente il senso e il ruolo delle tesi esposte fino alla P18 e in alcune proposizioni successive, che riconduco sotto questo paragrafo. Si tratta infatti di proposizioni che enunciano le leggi generali sotto le quali si· dispone e si struttura la dinamica degli affetti. Ciò non toglie, anzi implica che anche tutte le altre proposizioni si presentino sotto forma di leggi, come talvolta acca~ de di leggere anche esplicitamente (P39). Esse possono essere considerate casi particolari di leggi più generali. 1.
Prima legge fondamentale può essere considerata quella del
conatus: la mente è forza che tende a conservare o tenta di conservare nell'essere se stessa e il proprio corpo. Si tratta, oltre che di una legge, di una ulteriore definizione dinamica della mente, che ci avvicifl:a alla sua vera natura ontologica, come alla natura ontologica di ogni determinazione della sostanza. La nozione di conatus implica simultaneamente lesercizio di una forza, quella che costituisce l'essenza di ogni modo, nel tentativo, che implica sforzo, di conservare se stesso in mezzo ad altre forze talora convergenti ma soprattutto contrastanti. È la necessità di conservare il proprio essere in mezzo a forze contrarie, che conferisce alla forza che costituisce lessenza di ogni modo il carattere del tentativo e dello sforzo. La mente, dunque, come qualunque modo della sostanza, sia in quanto abbia idee adeguate sia in quanto le abbia inadeguate, sia in quanto ragioni e intenda sia in quanto immagini, si sforza di perseverare nell'essere ed è consapevole del suo sforzo (P9). Lo scolio precisa che tale sforzo, quando è riferito solo alla mente, si chiama volontà; quando è riferito anche al corpo, si chiama appetito; se tale appetito è proprio dell'uomo, ossia accompagn-ato da consapevolezza, si chiama cupid#à. A questo riguardo, l'autore svolge due considerazioni della massima importanza per l'intelligenza della dottrina. La prima è che la cupidità, come si afferma anche nella definizione relativa, costituisce l'essenza stessa dell'uomo, da cui segue tutto ciò che serve alla sua conservazione e che l'uomo è determinato a fare. Quindi la cupidità può essere considerata come la prima e 122
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fondamentale forma di affetto. La seconda è che, essendo la cupidità costitutiva dell'essenza umana, essa precede e determina ogni altra attività della mente, quindi anche 1'esercizio della conoscenza e del giudizio. Da ciò deriva che il conato verso qualcosa non segue· il giudizio relativo alla bontà di quel qualcosa; al contrario, il giudizio relativo alla bontà di qualcosa segue la tendenza o lo sforzo ad affermarlo e possederlo: «verso nessuna cosa noi ci sforziamo, nessuna cosa vogliamo, appetiamo o desideriamo perché la giudiéhiamo buona; ma, al tonttario, giudichiamo buona qualche cosa perché ci sforziamo verso di essa, la vogliamo, 1'appetiamo e la desideriamo». Posto che la mente è conatus, rimane da esaminare in qual modo determinato tale conatus si esprima. La risposta è semplice: poiché 1a mente è idea di un corpo umano esistente in atto, e tale idea ne costituisce 1' essenza, ogni idea che escluda I'esistenza del nostro corpo non può essere data nella mente, perché le è contraria (Prn); invece l'idea di tutto ciò che accresce o diminuisce la potenza di agire del corpo accresce o diminuisce anche la potenza di agire della mente (Pu). Ne segue che la mente si sforza di immaginare ciò che accresce la potenza di agire del corpo (P12), mentre, quando immagina ciò che diminuisce la potenza di agire del corpo, si sforza di ricordarsi di cose che escludono 1'esistenza di ciò che immagina (P1 3). Da tali proposizioni vengono dedotte le prime quattro forme determinate di affetto, dopo la cuptditas. Poiché la mente, in quanto idea del corpo attualmente esistente, può subire grandi cambiamenti passando da una perfezione minore a una maggiore e viceversa, in tale passaggio consistono i due affetti principali della gioia e della tristezza. Per gioia si intende «la passione per la quale la mente passa ad una perfezione maggiore»; per tristezza, «la passione per la. quale essa passa ad una perfezione minore» (SPI I). Si noti che in tal caso lautore denomina gioia e tristezza passioni, poiché assume che i cambiamenti siano subiti dalla mente in quanto è idea di un corpo attualmente esistente: essa conosce il corpo, i corpi esterni e se stessa soltanto mediante le affezioni del corpo. Ciò spiega perché l'esame degli affetti svolto nel, corso di quasi tutta la terza parte concerne gli affetti-passione, mentre è soltanto nelle due ultime proposizioni (58-59) che si tratterà degli affetti-azione. Ora, se cupidità, gioia e tristezza sono le tre forme fondamentali di affetto, o i tre affetti primitivi, tutte le altre dovranno 123
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essere ricondotte a queste. Infatti, dallo sforzo della mente di immaginare ciò che conserva e accresce la potenza del corpo e di escludere ciò che la nega o diminuisce, seguono le prime due determinazioni della gioia e della tristezza, in quanto siano accompagnate dall'idea di una causa esterna che le produca. Lo sforzo di conservare ciò verso cui la mente tende, perché immagina che attui e accresca la potenza d'agire del corpo e quindi anche la sua propria· potenza, è amore; lo sforzo di rifuggire e negare ciò che la .mente immagina come contrario alla propria conservazione. è odio. Dunque, poiché ciò che conserva o accresce la potenza di agire del corpo è sentito .dalla mente come gioia e ciò che toglie o diminuisce la potenza d'agire come tristezza, segue che l'amore è gioia accompagnata dall'idea di una causa esterna, mentre l'odio è tristezza accompagnata dall'idea di una causa esterna (SPr 3). Dalla coniugazione dei primi tre affetti fondamentali (cupidità, gioia, tristezza) con l'idea o immagine di una causa esterna che li produca (amore e odio) vengono dedotti tutti gli affetti-passione della terza parte. Invece gli affetti-azione, che escludono l'odio e la tristezza, possono riferirsi unicamente alla cupidità e alla gioia, nonché all'amore in quanto sia accompagnato da un'idea che ha la sua causa esclusivamente nella natura stessa della mente, ossia nella conoscenza adeguata. Da tale legge generale, derivano due leggi corollario: a) poiché la mente tende per natura a ciò che accresce la potenza d'agire del corpo e tale accrescimento di potenza è sentito da essa come gioia (P5 3), mentre l'impotenza è- sentita come tristezza (P55 ), segue che ci sforziamo di promuovere ciò che immaginiamo condurre alla gioia e di rimuovere tutto ciò che immaginiamo condurre alla tristezza (P28 e P54); b) poiché gioia e tristezza non sono altro che la stessa cupidità, iti quanto è accresciuta o diminuita, posto che la cupidità è l'essenza stessa dell'uomo, segue che gli affetti di un uomo differiscono dagli affetti dell'altro, quanto l'essenza dell'uno differisce da quella dell'altro (P57). 2. Legge della proporzionalità dell'affetto-passione rispetto all'oggetto: si danno tante specie di affetti fondamentali (cupidità, gioia e tristezza) o di affetti composti o derivanti da essi (amore, odio, paura ecc.), quante sono le specie di oggetti da cui siamo affetti (P56). Poiché qui, per affetto, si intende una passione, e la passione implica l'azione di una causa esterna, segue che la passione è tale solo nella misura in cui esprime la r24
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DELLA NATURA E DELL'ORIGINE DEGLI AFFETTI
natura della causa esterna. Dunque si daranno tante specie di passioni quante sono le specie di oggetti-cause che le producono. Naturalmente, un medesimo oggetto può produrre affetti diversi in uomini diversi o nello stesso uomo in tempi diversi (P51).
3. Legge dell'associazione: se la mente è stata affetta simultaneamente da due affetti, quando in seguito sarà affetta da uno dei due, sarà affetta anche dall'altro (P14). Da ciò deriva che qualunque cosa può essere per accidens causa di cupidità, gioia o tristezza (P1 .5), ossia può accadere che amiamo oppure odiamo cose senza alcuna causa a noi nota: in tal caso diciamo che proviamo simpatia o antipatia (SCP1 .5). 4. Legge della somiglianza: amore o· odio verso un oggetto possono essere indotti dal solo fatto di immaginare una somiglianza tra quell'oggetto e un'altra cosa che suole arrecare gioia o tristezza, anche se ciò in cui le due cose sono immaginate come somiglianti non è, per sé, causa di gioia () di tristezza (P16). Un caso particolare della legge della somiglianza ·si ha quando si immagina somigliante a una cosa che suole produrre tristezza un'altra cosa che suole produrre gioia: in tal caso la mente sarà affetta simultaneamente da odio e da amore e si dice che essa si trova in uno stato di :fluttuazione, che sta ali' affetto come il dubbio sta all'immaginazione (P17S). Se invece immaginiamo che una cosa a noi simile, e per la quale non abbiamo provato mai alcun affetto, provi un qualche affetto, proviamo anche noi un affetto simile (P27). Questa ·applicazione della legge della somiglianza può essere anche chiamata legge della imitazione degli affetti (SP2 7). 5. Legge della intemporal#à dell'immagine-affetto: poiché l'immagine consiste nella persistenza delle tracce di un'affezione in assenza della cosa afficiente, segue che gli affetti legati all'immagine sono intemporali e che dall'immagine di una cosa passata o futura deriva il medesimo affetto di letizia o tristezza che deriva dall'immagine di una cosa presente (P18). È questa legge che regola il dinamismo delle passioni concernenti il ricordo di esperienze passate o l'attesa di esperienze future (speranza, paura, disperazione, rimorso, gaudio ecc.). 5. 5. 2. Gli affetti-passione (Pi 9-5 2)
Nello scolio della P59, che conclude l'esposizione geometrica, l'autore avverte di essersi limitato a far conoscere i principali 125
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L ETCCA
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affetti e le fluttuazioni dell'animo che nascono dalla combinazione dei tre affetti primitivi. Infatti i conflitti dell'animo e le combinazioni degli affetti possono essere infiniti e <
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r Bennet (Bibl.
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DELLA NA'I'URA E DELL 0RIGINE DEGLr AFFET'tr
noza. In ogni relazione affettiva possono essere distinti quattro elementi: r. Un immaginante. 2. Un oggetto immaginato, che può essere una res (cosa o persona) o un'azione. 3 ..Una re!azione immaginata tra immaginante e oggetto, perc~ptta mediante uno dei tre affetti fondamentali, cupidità, gioia, trtstezza. 4. Una. produzione o una mutazione dell'affetto (prevalentemente dt amore o di odio, o di amore-odio) nell'immaginante. Il primo elemento, considerato come soggetto dell' esperienza affettiva, è fisso; ciascuno degli altri tre elementi può variare indefinitamente. Da quanto precede, risulta evidente che gli affetti-passione sorgono, si sviluppano, si modificano e scompaiono esclusivamente.nell'ambito e per la forza dell'immaginazione, intesa come primo genere di conoscenza. La realtà dell'affetto-passione (non dell'affetto simpliciter) è esclusivamente immaginativa: tale natura immaginativa si dà sia nel senso che la situazione affettiva possa esistere unicamente nella rappresentazione di chi immagina, sia nel senso che, pur esistendo anche in realtà fuori dell'immaginante, sia rappresentata e giudicata con il sol~ criterio della immaginazione. Prendiamo ad esempio la P40: «chi immagina di essere odiato da qualcuno, e di non avergli dato alcuna ragione di odio, lo odierà a sua volta». Perché si dia l'odio dell'immaginante non è affatto necessario che qualcuno lo odi davvero e che egli non gliene abbia dato motivo; è sufficiente che l'immaginante rappresenti a se stesso questa relazione affettiva perché ricambi con odio. Può darsi invece il caso che qualcuno odi davvero l'immaginante senza motivo: l'immaginante odierà a sua volta, se si limiterà a conoscere il fenomeno da cui è affetto con La sola immaginazione; se invece sarà in grado di ragionare su di esso o di intenderlo, riferirà l'odio da cui è affetto alle cause che lo hanno prodotto nell'odiante e non sarà più cost_retto ~ rica~biarlo con altro odio. Veniamo al primo gruppo . d1 affettt-pass1one.
Applicazioni della leg,g,e del conatus (Pr9-26) Le otto proposizioni -in· esame possono essere disposte in quattro coppie, relative a quattro condizioni che possono concerne-
L'ETICA DI SPINOZA
re ciascun membro di ogni coppia, costituito dall'oggetto di amore o di odio da parte dell'immaginante. Quattro volte I'oggetto è assunto come amato, quattro volte come odiato. La prima volta (P19-20) si considera quali. siano gli affetti di gioia o tristezza che sorgono nell'immaginante, se loggetto amato od odiato viene distrutto o conservato. La seconda volta (P21-2 3) si considera quali siano gli affetti di gioia o tristezza che sorgono nell'immaginante, se loggetto amato o odiato è affetto da gioia o da tristezza. La terza volta (P22-24) si considera quali siano gli affetti prodotti nell'immaginante se egli immagina qualcuno che faccia provare gioia o tristezza all'oggetto amato od odiato. Dalle coppie precedenti l'autore deduce le passioni della commiserazione, del favore, dell'zndtgnazzone (P22S) e dell'invidia (P24S). La quarta volta (P25-26) si considera quali siano gli affetti prodotti nell'immaginante, se questi immagina qualcosa che arrechi gioia o tristezza all'oggetto amato od odiato. In tal caso, l'immaginante affermerà tutto ciò che reca gioia all'oggetto amato e negherà ciò che gli reca tristezza; negherà ciò che reca gioia all'oggetto odiato, affermerà ciò che gli reca tristezza. Da questa coppia lautore trae le passioni della superbia, della stt'ma e del disprezzo.
Applt'cazzoni della legge dell'imitazione (P29-36) Nelle otto proposizioni in esame, loggetto dell'immaginazione è un'azione compiuta dall'immaginante stesso o . da altri e non più una cosa. In esse vengono considerati gli affetti prodotti nell'immaginante dall'immaginazione di tali azioni. Tali proposizioni vengono costruite rigorosamente per coppie di contrari, come nel gruppo precedente, ma procedono, eccettuata l'ultima, per gruppi di situazioni simili. Nella prima coppia (P29-30), oggetto dell'immaginazione è lagire stesso dell'immaginante, che in un caso viene considerato come «visto con gioia o tristezza dagli altri uomini», nel secondo .è immaginato «arrecare gioia o tristezza» agli altri. Se l'immaginante immagina che certe sue azioni siano considerate con gioia dagli altri uomini, con i quali non ha alcun rapporto di amore o di odio, sarà rinforzato a compierle; se invece immagina che siano considerate con tristezza, sarà stimolato a non compierle (P29). Da tale proposizione Spinoza trae le passioni dell'ambizione, umiltà, lode, vituperio. Se invece immagina che la 128
5·
DELLA NATURA E DELL'ORIGINE DEGLI AFFE1'1'l
propria azione produca negli altri un affetto di gioia o tristezza, l'immaginante proverà gioia o tristezza accompagnata dall'idea di sé come causa (P30). Da questa proposizione l'autore ricava gli affetti di gloria, vergogna, soddisfazione di sé, pentimento, su-
perbia. Nella seconda coppia (P31-32) si considerano due situazioni opposte., La prima è lapplicazione più perfetta dell'imitazione degli affetti, che conduce a promuovere le azioni immaginate come producenti affetti comuni alla maggior parte degli uomini: se immaginiamo che qualcuno ami ciò che amiamo, il nostro amore si rafforzerà; se· invece immaginiamo che un altro odi ciò che .amiamo, cadremo in una fluttuazione d'animo (P31). Ne segue che ognuno si sforza perché gli altri amino ciò che ama e odino ciò che egli odia (P31 C). Da tale proposizione l'autore ricava la passione dell'ambizione. Per quanto precede, è evidente allora che se immaginiamo che qualcuno ami una certa cosa che uno solo può possedere, poiché per la legge della imitazione degli affetti anche noi vorremmo goderne - ma è impossibile, perché quella cosa è unica -, faremo in modo che egli non ne goda (P32). Da tale proposizione l'autore ricava le passioni della compassione e dell'tnvùlia. Le P33-35 possono essere considerate un trio in cui si esaminano gli affetti derivanti dall'immaginazione di una relazione con una cosa simile amata o che ci ami. Se immaginiamo di amare una cosa simile a noi, ci sforzeremo affinché quella imiti il nostro amore e ci ami a sua volta (P3 3); se ne saremo amati proveremo gioia e ci glorieremo, tanto più quanto maggiore immaginiamo laffetto che ci viene rivolto dalla cosa amata (P34); se invece immaginiamo che questa leghi a sé un altro con pari o maggiore affetto, saremo affetti da tristezza e perciò odieremo la cosa amata e invidieremo l'amante. L'odio verso la cosa amata unito all'invidia si- chiama gelosia (P35· e S). .. L'ultima proposizione di questo gruppo è.: un esempio di applicazione congiunta delle leggi dell'associazione e dell'imitazione, in questo caso, di se stesso come soggetto di un' esperienza passata. Se qualcuno immagina o ricorda una cosa da cui ha tratto diletto in passato in certe circostanze, desidera possederla di nuovo nelle stesse circostanze, che sono state anch'esse per accidens · causa di gioia (P36). Se tali circostanze mancano, l'immaginante proverà una tristezza che si chiama de-
siderio. 129
L' B'l'ICA
Dl SPCNOZA
Applicazioni delle legg,i congiunte del collatus, della somiglianza e dell'associazione (P39-42, 45-47) Le P39-42 possono essere considerate casi particolari del~a !egge del conatus (P9-13, 28) coniugata con quella della somiglianza. Cosi, per la P39, chi immagina di odiare qualcuno tenderà a fargli del male, a meno che non tema di ricevere da tale azione un male maggiore; se invece immagina di amare qualcuno, tenderà a fargli del bene. L'autore precisa che per bene intende ogni genere di gioia e ciò che soddisfa un desiderio, qualunque esso sia· per male intende ogni genere di tristezza e soprattutto ciò che' frustra il desiderio. L'affetto dal quale l'uomo è disposto a non volere ciò che vuole o a volere ciò che non vuole, quando prevede un male futuro, si chiama tim~re o p~ura, .e se il desiderio di evitare un male è represso dall'1mmagme d1 un altro male, si cade nella costernazione. Le P40-42 possono essere considerate insieme, poiché riguardano il caso di chi immagini di essere odiato (P40) o amato (P41) senza aver dato motivo di tale amore od odio; nel primo caso odierà, nel secondo amerà; se invece immaginerà di amare qualcuno senza motivo e vedrà il suo amore accolto con animo ingrato, si rattristerà (P42). Da tali proposizioni l'autore ricava gli affetti di beneficio, gratitudine, ingratitudine. Le P45-47 sono deduzioni particolari delle leggi della somiglianza e dell'associazione. Se qualcuno immagina di amare una cosa simile a sé e simultaneamente immagina che un suo simile la odi odierà il simile (P45). Se invece si proverà affetto di gioia~ tristezza in relazione a qualcuno associato all'idea di una classe o di una nazione come causa, si amerà od odierà non soltanto lui, ma anche la classe o nazfone a cui è stato assodato (P46). Infine, per la legge della imitazione degli affetti, si dovrà dire che la gioia che si accompagna alla distruzione o al male di colui che odiamo sarà sempre associata a tristezza, poiché consideriamo colui che odiamo, e che è affetto da male, come un nostro simile (P47).
Applicazioni delle leggi dell'associazione e della intemporalità degli affetti (P50, 52) Queste due proposizioni sono un'applicazione della legge dell'associazione (cfr. in particolare Pr 5), congiunta a quella della intemporalità degli affetti (Pr8S). La prima prevede che qua-
5.
DELLA NA't'URA E DELLtORrGrNE DEGLI AFFE't''tI
lunque cosa, per accidens, può essere causa di speranza o di paura. L'autore ricorda che queste due passioni si danno sempre congiunte, non avendosi mai speranza senza paura né paura senza speranza e che, pertanto, la loro presenza pone l'animo in una costante fluttuazione. Inoltre, poiché crediamo facilmente alle cose che speriamo e difficilmente a quelle che temiamo, da questo «sono nate le superstizioni, dalle quali gli uomini sono combattuti dovunque» (P50S) n. · Inoltre, contempleremo ciò che immaginiamo avere qualcosa di singolare più a lungo di ciò che immaginiamo avere molte cose in comune con altre e che abbiamo visto prima insieme ad altre (P52). Da tale proposizione sono dedotte ammirazione, venerazione, orrore, devozio-
ne, disprezzo, derisione, sdegno (P52S). Legg,i che presiedono all'accrescimento, diminuzione, annullamento di un affetto (P37-38, 43-44, 48-49) Espongo per ultima questa sezione perché, per il suo oggetto, ha un riferimento immediato e un rilievo particolare per faArattazione svolta nelle parti quarta e quinta, dove vengono esaminate l'impotenza e la potenza umane rispetto agli affetti. Le leggi esposte in questa sezione sono subordinate a quelle fin qui ricordate, ma possono essere espresse da una ·formula generale, esposta nella P37: la cupidità, ossia la potenza di agire, che nasce da affetti di gioia o tristezza, odio o amore, è tanto più grande quanto maggiore è l'affetto da cui nasce. Nelle cinque proposizioni nelle quali tale legge viene esemplificata (e alle quali deve essere associata, in parte, anche la P3 r) si considerano le condizioni nelle quali l'odio e 1' amore vengono rafforzati, diminuiti o annullati. Si ricorda cosi che se un amore si tramuta in odio, questo sarà più grande che se prima non avesse preceduto alcun amore e che esso sarà tanto più grande quanto maggiore era stato l'amore (P38). L'odio per una persona sarà accresciuto, se si immagina che questa persona ricambi con odio, mentre invece potrà esse.te annieri.tato se sarà ricambiato da amore (P4 3). La conseguenza è che, se un odio è r r. Sulla condizione umana come incessante fluttuazione tra la paura e la speranza, cfr. il celebre inizio della Prefazione al TI'P. È da tale strutturale condizione e dall'incerta guida della ragione· che qui viene fatta scaturire la forza della superstizione.
13r
L'ETICA DI SPlNOZA
interamente vinto dall'amore, si muta in amore e tanto maggiore quanto màggiore sarà stato 1'odio precedente (P44). 1nfine, le P48-49 hanno una particolare importanza per le implicazioni che da esse saranno tratte nella quinta parte. L' amore o l'odio verso qualcosa o qualcuno può diminuire o cessare, se alla causa immaginata dell'amore o dell'odio vengono associate altre cause; tanto più diminuirà e tanto più facilmente cesserà, quanto più numerose saranno le cause che verranno associate (P48). Inoltre, l'amore o l'odio verso una cosa immaginata libera sarà maggiore rispetto all'amore o all'odio per una cosa considerata come necessaria (P49). Ne consegue che la ragione, concependo tutte le cose come necessarie, sarà una causa di riduzione o annientamento delle passioni e che la stessa, insie. me all'intelletto, che è in grado di conoscere le essenze e le cause delle cose, potrà associare a una singola causa immaginata molte altre cause di un fenomeno, riducendo o annullando la potenza di una passione.
Gli affetti che luomo può avere in quanto è attivo, ossia in quanto ha idee adeguate, derivanti unicamente dalla sua natura, sono soltanto gli affetti positivi o azioni dell'animo: tutti possono ridursi alla cupidità e. alla gioia. Nella P58 l'autore mostra che appartengono alla mente anche affetti positivi di gioia e cupidità, in quanto la mente possiede idee adeguate e in quanto, conoscendo se stessa e la sua potenza di agire mediante tali idee, necessariamente si allieta e desidera perseverare nel proprio essere. Nella P59 mostra invece che nQn può appartenere alla mente, che concepisca adeguatamente, alcun .affetto di tristezza, perché è impossibile che la mente conosca in tal modo e. simultaneamente percepisca se stessa come imperfetta o affetta da una perfezione minore. Dunque tutti gli affetti che si riferiscono alla mente in quanto è attiva si riducono alla gioia e alla cupidità. Nello scolio della P59, tutti gli affetti che derivano dalla cupidità e dalla gioia intese attivamente sono ricondotti alla fortezza, distinta in fermezza d'animo e generosità. La prima include e indica tutte le azioni che mirano all'utilità dell'agente; la seconda quelle che mirano anche all'utilità altrui. 132
5.
DELLA NATURA E DELL'ORrGrNE DEGLI AFFE'I''I'[
5.6 Esposizione sintetica delle definizioni degli affetti Come ho già anticipato, la lista delle A/fectuum Definitiones è stata redatta dall'autore per rendere più agevole la percezione del loro ordine, precisando per ciascuna passione le osservazioni specifiche che la riguardano. Nella deduzione geometrica l'interesse dell'autore era rivolto infatti principalmente alla de~ scrizione delle leggi che regolano le dinamiche affettive e che spiegano l'origine delle passioni. Poiché tali leggi interagiscono, accade di poter spiegare l'origine di una certa passione in diversi modi e in riferimento a diverse leggi. Ora l'interesse viene rivolto alla definizione di ciascuna passione e alle sue proprietà principali. L'elenco non deve essere dunque considerato come una mera ripetizione. L'autore prende in esame, come avverte espressamente, le principali passioni, che, del resto, sono quelle che si trovano prevalentemente anche nei trattati del tempo. Spinoza, tuttavia, dialoga implicitamente, in particolare, con il trattato di Descartes sulle passioni, di cui accoglie talvolta termini, echeggia definizioni, ma dal quale si distanzia anche nella concezione fondamentale e nell'analisi di singoli affetti. Si può inoltre osservare che le 48 definizioni di affetti, date al termine della terza parte, possono essere distinte come segue: a) affetti primitivi ( r -3 ); b) due affetti considerati tali da Cartesio ma non da• Spinoza, che li cita perché entrati nell'uso (4-5); e) affetti derivati di gioia e tristezza (6-3 r; cfr. AD3 rEx); d) affetti derivati det desiderio (32-48). Gli ultimi cinque affetti (44-48) non sono presenti in Descartes e costituiscono un gruppo a sé perché, come precisa l'autore (E 3 P56S, AD48Ex), non hanno contrari. Poiché, dati i confini del presente lavoro, non è possibile esaminare le singole definizioni, del resto sufficientemente chiare, ritengo di far cosa utile al lettore proponendo una tavola dei tre ordini di passioni che è possibile trarre dal Breve trattato e dall'Etica (TAB. 2). La prima lista espone l'ordine delle passioni esposte nel Breve trattato rr, capp. 3-r4; la seconda è l'ordine delle passioni secondo una lista numerica testimoniata dal manoscritto A del Breve trattato e verosimilmente redatta in vista della riformulazione geometrica del'Etica; la terza è lordine delle pass~oni secondo le A/fectuum Definitiones di E 3, accompagnate dal riferimento tra parentesi al relativo luogo cartesiano delle Passiones animae. 1 33
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\J.)
~
Verwo.tidering Liefde Haat Afkeerigheid Begeerte Blydschap Droevheid Achting Verachtlng Versmading Edelmoedigheid Nedrigheid V erwaantheid Strafbare N edrigheid Hoope Vreeze V erzekerdheid Wanhoop W ankelmoedigheid Moed Stoutheid Volghyver Flaauwmoedigheid V ervaartheid
KV
"TABELLA 2
I
24
~3
21 22
20
r8 19
17
r6
14 r5
12 13
II
ro
9
7 8
6
5
4
3
2
Liefde Blydschap Droevheid Verwondering Achting Versmading Liefde Haat Afkeerigheid Bespotting Boertery Begeerte Hoope Vreeze V erzekerdheid Wanhoop Beklag Achting Verachting Edelmoedigheid Nedrigheid Verwaantheid Strafb. Nedrigh. Lachgen
(Cupiditas) (Laerlrla) (Trisrltia) (Stupor/Admiratio) (Existimatio) (Contemptus) (Amor) (Odium) (Aversio) (Irrisio) (Jocus)
KV serie numerica
Cupiditas (57 e 86) Laerltia (9 r) Tristitia (61 e 92) Admiratio (5 3; 69) Contemptus (54) Amor (56 e 79) Odium (56 e 79) Propensio (85) Aversio (85 e 89) Devotio ( 83) Irrisio (62; 178) Spes (58; 165) Metus (58; 165) Securitas (5 8; 166) Desperarlo (58; r66) Gaudium (6r) Consc. morsus (60; 177) Commiserarlo (62; r85) Favot (64; 192) Indignarlo (65 e 127; 195) Existimarlo (54; 149) Despectus (55; 163) Invidia (62; 82) Misericordia ( l 86)
Ethica
;-/
\J.)
Vi
TABELLA 2
(segue)
Belgzugt/Jalousie Knaging Berouw Bespotting Boertery Lachgen Nyd .Gramschap Euvelneeming Eere Beschaamtheid Ondankbaarheid Gunste Dankbaarheid Ondankbaarheid Beklag
KV
47 48
46
45
44
25 Eere 26 Beschaamtheid 27 Onbeschaamtheid 28 W ankelmoedigh. 29 Moed 30 Stouttheid 3 r Volghyver 32 Flaauwmoedigh. 33 Vervaartheid 34 Belgzught 35 Knaging 36 Berouw 37 Nyd 38 Gramschap 39 Euvelneeming 40 Gunste 41 Dankbaarheid 42 Ondankbaarheid 43
(Honor/Gloria) (Pudor) (Impudenrla) (Titubanrla) (Animositas) (Audacia) (Aemularlo) (Pusillanimitas) (Constemarlo) (Zelotypia) (Conscientiae morsus) (Poenitenrla) (Invidia) (Ira) (Indignarlo) (Favor) (Grarltudo) (lngrarltudo)
KV serie numerica
Acquiesc. in se ipso (63) Humilitas (54; 155) Poenitentia (63; 191) Superbia (54; 157) Abjectio (54; 159 e 164) Gloria (66 e 88; 204) Pudor (66; 205) Desiderium ( 67; 209) Aemulatio (59; 177) Gratitudo (64; 19 3) Benevolenti.a ( 8 l e 83) Ira (65; 199) Vindicta (88) Crudelitas (207) Timor (58) Audacia (59; 171) Pusillanimitas (59; 174) Consternatio (59; 174) Human./Modestia (20~) Ambitio Luxuria Ebrietas Avaritia Libido
Ethica
6 Della schiavitù umana o delle forze degli affetti
Schema generale della quarta parte 6. r. Prefazione: del concetto di perfezione 6. 2. Fondamenti dell'argomentazione 6.2. r. Definizioni ( r-8) 6.2.2. Assioma unico
6.3. Radice ontologica delle passioni: l'uomo è parte della natura ed è soggetto al suo ordine (Pr-4)
6+ La forza delle passioni (P5-r8) 6.4.r. Principi generali che regolano la forza delle passioni (P5~r3) 6 + 2. La conoscenza vera, in quanto vera, è impotente a moderare la forza delle passioni (P14-17) 6 + 3. La cupidità che nasce da gioia è più forte della cµpidità che nasce da tristezza (Pr8 e S) 6. 5. La virtù, attuazione della potenza d'agire dell'uomo, come ricerca dell'utile (Pr9-40) 6. 5. r. La virtù consiste nel conservare il proprio essere, ricercando il vero utile sotto la guida della ragione (Pr9-25) 6. 5. 2. Quali sono le cose che la ragione considera sommamente utili? (P26-40) 6.5.2.r. Nell'uomo, utile supremo è la conoscenza adeguata (P26-28) 6.5.2.2. Fuori dell'uomo, è più utile all'uomo dò che ha più cose in comune con la sua natura; massimamente utile è l'altro uomo (P29-40) 6.6. Del bene e del male negli affetti (P4r-58)
137
L'ETICA DI SPINOZA
6.7. La determinazione all'azione da parte della ragione (P59-73) 6. 7. I. Capacità e proprietà della ragione nel determinare all' azione (P59-66) 6.7.2. La condotta dell'uomo reso libero dalla ragione (P67-73) 6.8. Appendice: le regole della vita razionale (capp. 1-32).
6.1 Prefazione: del concetto di perfezione
Lo scopo che l'autore si propone nella Prefazione è duplice: indicare quali sono gli obiettivi dell'indagine svolta nella quarta parte; esporre alcune considerazioni preliminari intorno alle due coppie di nozioni perfezione-imperfezione, bene-male. Definendo il proprio concetto di "schiavitù" umana, intesa come «impotenza a moderare e a reprimere gli affetti», lautore spiega che l'uomo sottoposto agli affetti passivi non è padrone di sé, ma in balia della fortuna. Con il termine "fortuna", Spinoza intende la serie delle cause esterne, il cui potere supera a tal punto quello del singolo uomo che questi è spesso costretto a fare il peggio benché veda il meglio 1 • L'autore annuncia dunque di proporsi due obiettivi nella quarta parte: a) dimostrare la causa del perché l'uomo, pur vedendo e conoscendo ciò che deve fare per il proprio bene, non lo faccia e · agisca piuttosto procurando il proprio male; b) mostrare che cosa gli affetti abbiano di buono e di cattivo. Si può osservare che, mentre il primo tema è svolto in un numero relativamente breve di proposizioni (in particolare P51.8),. il secondo è svolto in un numero molto ampio di proposizioni (P19-73), seguendo un disegno molto più articolato di quanto 1'enunciato dell'autore non lasci trasparire. In questa lunga serie di oltre cinquanta proposizioni, una sezione è destinata specificamente all'esame di ciò che gli affetti hanno di buono e di cattivo (P41-5 8); ma si deve osservare che. es~a è 1. Questa definizione di fortuna è analizzata da Spinoza in patticolare nel 1TP, cap. 3; sull'argomento, probabilmente sottovalutato dalla storiografia spinoziana, cfr. ora P. F. Moreau, Spinoza. L'expérience et l'éternité, PUF, Paris 1994, pp. 467-86 e F. Mignini, Theology as the Work and Instrument o/ Fortune, in Spinoza's Politica! and Theologica! Thought, North Holland Publishing Company, Amsterdam 1984, pp. 127-36 e anche Il sigillo di Spinoza in "La Cultura", 19 (1981), 2, pp. 351-89. '
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DELLA SCHIAV.1'.I'Ù UMANA O DELLE FORZE DEGLI AFFE'I''I'I
preceduta e seguita da una vera e propria dottrina della "ragion pratica", nella quale l'autore intende indagare quale sia il potere della ragione: a) nel determinare anzitutto ciò che è bene e male per I'uomo, (mostrando in che cosa consista la sua virtù); b) nell'orientare l'uomo all'azione virtuosa, ossia alla ricerca del vero utile e della libertà. Rispetto allo schema ora presentato, la prima parte della Prefazione risulta estremamente sintetica e forse un po' riduttiva, a meno che l'esposizione della quarta parte non sia stata ampliata dopo la stesura della Prefazione. Nella seconda e più ampia parte della Prefazione, l'autore svolge alcune considerazioni preliminari intorno alle nozioni di perfezione-imperfezione e di bene-male, esponendo dapprima l'accezione comune con cui tali nozioni vengono impiegate, poi il significato che ad esse attribuisce nella trattazione che segue. 1 . Le accezioni comuni di perfezione e imperfezione. L' accezione originaria o primitiva del termine perfezione è quella di compimento di un'opera secondo il modello particolare e determinato concepito dall'agente. Si dice che un'opera è perfetta quando attua compiutamente l'idea determinata dell'autore. L'accezione più comune e prevalente è invece quella che considera perfetto ciò che si accorda con una idea generale o universale di cosa perfetta, considerata come modello di altre cose, siano esse artificiali o naturali. Avendo concepito l'idea astratta e universale di un genere o di una specie, gli uomini identificano con quell'idea la perfezione e, confrontando tra loro gli individui che appartengono a quel genere, li ritengono perfetti o imperfetti a seconda che si identifichino o si discostino dal modello concepito. Gli uomini, affetti in generale dal pregiudizio :finalistico, considerano anche la natura come subordinata alla realizzazione di tali modelli e, ove giudicano che le cose naturali non convengano con i modelli universali di perfezione da essi concepiti, ritengono che esse siano imperfette e che nella natura si diano vizi e difetti. Si è visto tuttavia nell'Appendice alla prima parte, che la rappresentazi~ne della ~atu ra come agente in vista di un fine è solamente un pregiudizio e si è precisato, nella terza parte, che il cosiddetto fine non è altro che l'appetitus o cupiditas da cui ciascun ente è mosso alla conservazione di se stesso. Ma I'appetitus è soltanto una ca~sa efficiente, non finale. Sicché, anche l'idea secondo cui nella na-
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L'ETICA DC SPlNOZA
tura possa darsi qualche difetto o vizio è da annoverarsi tra i pregiudizi, di, cui si è trattato nell'Appendù:e della prima parte. Sappiamo inoltre che la natura agisce con la medesima necessità con cui esiste e che la perfezione coincide esattamente con la realtà o essenza da cui ciascun ente è costituito (cfr. E 2 De/6). Infatti la natura, come non esiste per alcun fine, cosi non agisce per alcun fine. Tutto ciò che esiste e tutto ciò che accade è dunque al tempo stesso ·necessario e libero, ossia slegato da ogni fine, da ogni destinazione, da ogni senso che non sia quello del suo puro accadere. Nella totale assenza di finalità, la necessità dell'accadere naturale coincide con una sorta di assoluta casualità. Dunque, assolutamente parlando, non si dà in natura né imperfezione né male; ma non si danno neppure, a rigore, perfezione e bene, perché tali nozioni, come ·si è visto, sono unicamente modi di pensare a cui non corrisponde nulla di reale, a meno che non si identifichi bene e perfezione con l' esistenza della cosa stessa. 2. Accezioni dei termini buono-cattivo, per/etto-imperfetto nella trattazione che segue. Tuttavia, benché le cose stiano così, nella costruzione dell'etica conviene conservare questi vocaboli, dal momento che, per stabilire il bene e il male dell'uomo, è necessario formare un'idea· di uomo e di natura umana che costituisca «come un modello a cui guardare». Questo modello (exemplar), fondato sulla dottrina già elaborata di Dio e dell'uomo, deve essere considerato come un criterio distintivo e regolativo, un puro ente dì ragione, dotato, tuttavia, di efficacia pratica, in quanto è, anch'esso, un modo del pensiero. Si deve tuttavia sottolineare che le nozioni di bene-male, perfezione-imperfezione da esso implicate sono soltanto relative 2 • Ecco dunque le definizioni che I' autore propone: a) buono: ciò che conosciamo con certezza ·essere un mezzo per· avvicinarci sempre più al modello; b) cattivo: ciò che conosciamo con certezza impedire la riproduzione dello stesso modello; e) più perfetto o meno perfetto: ciò che si avvicina più o meno al modello, nella misura in cui la potenza d'agire· dell'individuo aumenta o diminuisce; 2. Questa nozione di modello e le relative nozioni .di bene e di male non si discostano nella sostanza dalle analoghe definizioni date nel TIE, patt. ur 3 e da quanto si dice del bene e del male come enti di ragione in KV r, ro; cft. r, 6, 8; sull'idea di un uomo perfetto come modello efficiente dr. rr, 4, 5.
6.
DELLA SCHIAVITÙ UMANA O DELLE FORZE DEGLI AFFETTI
d) perfezione: in generale, si intende con tale termine la realtà o essenza di una cosa, in quanto e,siste e opera in ·una certa maniera, senza tenere in alcun conto la sua durata o il suo perseverare nell'esistenza; questa, infatti, non è implicata dall' essenza della cosa, ma soltanto dalla serie delle cause esterne, cioè dalla, fortuna.
6.2 Fondamenti dell'argomentazione 6.~.I.
Definizioni (1-8)
Le otto definizioni possono essere raggruppate in quattro coppie di termini contrari o simili. La prima coppia riguarda le definizioni di buono e cattivo, per le quali si rinvia alla fine della Prefazione precedente. Sinteticamente, buono viene definito ciò che sappiamo esserci utile, cattivo ciò che sappiamo con certezza impedirci di possedere un bene~ Rispetto alla Prefazione, ora non .si fa cenno al tema del modello, si identifica il bene con l'utile e, grazie a questa identificazione, sulla quale si tornerà nella sezione quinta, male e cattivo sono ciò che è contrario al nostro utile. La seconda coppia riguarda le definizioni di contingente e posst'bzle, di cui lautore aveva già trattato in E I P3 3SI, senza porre tra i due termini alcuna distinzione. Questa ora viene posta, riferendo la nostra ignoranza della necessità o impossibilità dell'esistenza di una cosa, nel primo caso (contingente), all'essenza, nel secondo (possibile), alle cause che devono produrre la cosa stessa. La terza coppia riguarda gli affetti contrari e gli affetti verso una cosa futura~ presente o passata. Gli affetti contrari sono quelli che trascinano l'uomo in direzioni diverse, anche se appartengono al medesimo genere, ad esempio, se sono affetti di odio .o di amore ecc. Per la definizione di a/letto verso una cosa determinata temporalmente, si rinvia a E 3 P18S1-2, precisando tuttavia che la nostra capacità di immaginare distintamente una distanza di tempo, come anche di luogo, è limitata ad una certa soglia, oltre la quale immaginiamo riferendo gli oggetti a un medesimo luogo o a un medesimo tempo. La quarta coppia riguarda le nozioni di fine e di virtù-poten;. za; considero accomunabili le relative definizioni perché per fine, a causa del quale si compie una certa azione, si intende
L'ETICA DI SPINOZA
l'appetito e per virtù o potenza L'essenza stessa dell'uomo in quanto causa 'di azione; ma abbiamo visto che 1' appetito o cupidità costituisce l'essenza stessa dell'uomo, in quanto è determinato ad agire; pertanto, virtù, potenza e cupidità possono essere identificati nel significato di essenza attiva dell'uomo. 6.2.2.
Assioma unico
Quattro aspetti teorici vanno considerati nell'assioma della quarta parte. r. L'universalità dell'affermazione, concernente l'intera natura naturata e tutti gli enti che la costituiscono senza eccezione. 2. L'infinità delle serie costituenti la natura naturata: non si dà mai una cosa di cui non sia possibile trovarne un'altra più forte. 3. La natura naturata è un sistema di forze in relazione reciproca; ciò che costituisce l'essenza di ogni ente non è altro che la forza con cui persevera nell'esistenza. Nella prospettiva spinoziana, spede nelle dottrine esposte nella quarta e quinta parte, tutto è pensato in termini di forza: forza assolutamente infinita e autoponentesi è la sostanza, determinazioni della forza della sostanza sono i modi. Che tale sia la prospettiva assunta è dimostrato anche dal rafforzativo lessicale /ortior aggiunto a potentior («qua potentior, et fortior [. .. ]»). 4. La distruzione di una cosa è prodotta sempre e necessariamente da un'altra cosa più potente, la cui forza di perseverare nell'esistenza, per attuarsi, implica la distruzione della prima. La quale, anziché contravvenire al principio generale del conato, gli obbedisce, contribuendo, con la sua distruzione, all'esistenza della distruttrice.
6.3 Radice ontologica delle passioni: l'uomo è parte della natura ed è soggetto al suo ordine (P1·4) Le tesi esposte nelle -Pr-4, che possono considerarsi preliminari e fondanti rispetto alla dottrina che segue, possono essere schematizzate e sintetizzate, in ordine diverso da quello del testo, come segue. r. L'uomo è una parte della natura. Se non fosse parte della natura, esisterebbe e agirebbe da sé e per sé, sarebbe causa sui, eterno e infinito; ma questo è assurdo, perché contrario alla più
6.
DELl,A SCI-HAVI'l'Ù UMANA O DELLE FORZE OEGLl AFFE'r'tI
evidente esperienza; dunque l'uomo esiste e agisce come determinazione particolare dell'essenza e potenza della natura, di cui, perciò, è parte (P4). 2. Se l'uomo è parte della natura, non può esistere senza il concorso costitutivo delle altre parti, ossia degli altri corpi e delle altre menti; dunque egli subisce necessariamente mutamenti e affezioni che derivano non solo dalla sua natura, ma anche da quella delle cause esterne (P4). 3. In quanto è parte della natura, che non può esistere né agire senza le altre parti, luomo è passivo, non essendo causa adeguata delle proprie azioni,, ma soltanto causa parziale (P2). 4. In quanto è parte della natura, l'uomo non può conoscere se stesso senza conoscere le altre parti da cui è costituito, ossia senza conoscere le affezioni del proprio corpo; ma su quanto conosce necessariamente mediante le affezioni del proprio corpo, l'uomo non· può non avere idee inadeguate o parziali. Ora, un'idea è inadeguata in noi soltanto perché partecipiamo di essa parzialmente, mentre, in quanto ,è riferita a Dio, è vera (E 2 P3 2). Dunque in ogni idea, anche inadeguata, c'è qualcosa di positivo per cui è idea. La quarta tesi sostiene che quel che c'è di positivo in una idea inadeguata non viene tolto dalla presenza del vero in quanto vero,· poiché, se così fosse, il vero sarebbe tolto da se stesso. In altri termini, un'immagine, che per sua natura è inadeguata, non cessa di sussistere come immagine, anche se conosciamo con verità che la rappresentazione da essa fornita è falsa (Pr e S). Da ciò segue che l'ordine dell'immaginazione ·può essere bensì conosciuto e controllato, ma non tolto. Ogni mente, compresa quella del saggio che conosce con il secondo e con il terzo genere di conoscenza, permane pur sempre una mente immaginante. In relazione alla dottrina degli af. fetti, ·questa tesi implica che un affetto dipendente da un'idea inadeguata non cessa di esistere per la semplice conoscenza del vero, in quanto vero, ma può essere vinto da un affetto contrario e più forte derivante dalla conoscenza del vero (cfr. P7, Pr4-18 e P59). 5. In quanto luomo è una parte della natura, che non può esistere né agire senza le altre parti, la forza con la quale egli persevera nell'esistenza è limitata e superata infinitamente dalla potenza delle cause esterne che Io hanno costituito e dalle quali è continuamente affetto (P3). Da ciò e da quanto precede, segue che l'uomo è sempre necessariamente sottoposto alle passioni e soggetto all'ordine comune della natura .(P4C). Tale conclusione
L'ETICA DI SPINOZA
non deve tuttavia essere assunta come assoluta e in nessun modo superabile. Infatti il compito che lautore si propone nella quarta e, soprattutto, nella quinta parte, è di mostrare quali affetti attivi possano nascere dalla conoscenza adeguata. Ne risulterà che laffettività umana è un campo dinamico di azioni e passioni- interagenti.
6.4 La forza delle passioni (P5·18)
6+ I. Principi generali che regolano la forza delle passioni (P5-13) Le quattordici proposizioni che trattano della forza delle passioni possono essere ridotte sotto _quattro principi normativi, che denominerò con termini non ricorrenti nel linguaggio spinoziano, ma che possano lasciar trasparire agevolmente il loro senso. 1. Principio di relazione. Esso stabilisce che la forza e I'aumento di una passione, nonché la sua persistenza non sono determinati dalla sola potenza con cui l'uomo si sforza di perseverare nell'essere, ma dal rapporto tra la potenza della causa esterna, che produce quella passione, e la potenza dell'uomo. Se la potenza della causa esterna è maggiore, la passione persisterà e si -rafforzerà, finché la potenza umana non riuscirà ad uguagliarla e a superarla (P5) 3 • 2. Principio di persz'stenza. La forza di una passione può superare persistentemente lazione o la potenza dell'uomo (P6) ed è tolta solamente da un affetto contrario e più forte (P7). 3. Principio di presenza. Tale principio- è stabilito chiaramente nella P9, di cui le Prn-13 possono considerarsi varianti. Esso afferma che l'affetto relativo a una cosa posta nel passato o nel futuro, immaginata come presente o più vkina al presente, è più forte, a parità di circostanze, dell'affetto -che si riferisce a una cosa posta nel passato o nel futuro, immaginata come assente o più lontana (P9- 10). Possono essere ricondotte allo 3. La necessità di conoscere e confrontare la forza della natura umana con quella delle cose esterne, quale mezzo necessario per conseguire il fine etico che ci si propone è già sottolineata nel TIE_, -par. 25: «conoscere ·esattamente la nostra natura, che desideriamo perfezionare e, simultaneamente, quanto è necessario della natura delle cose, affinché da tale conoscenza deduciamo rettamente differenze, concordanze, opposizioni L.J» (traduzione mia).
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6.
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stesso principio di presenza le proposizioni che stabiliscono essere più forte l'affetto verso una cosa immaginata come neces" saria (quindi in qualche modo presente) rispetto ad un'altra contingente o possibile (P1 I), oppure verso una cosa immaginata come possibile rispetto -a una immaginata come contingente (P12). La ragione ultima di tale principio risiede nello stesso concetto spinoziano di immagine, per il quale questa può essere tolta unicamente da un'altra immagine che escluda la presenza della cosa. Ora è evidente che, quanto più la cosa viene immaginata come presente, o vicina alla presenza, tanto meno può essere esclusa da altre immagini che rappresentano la cosa come meno presente. È per questa stessa ragione che J' affetto verso una cosa che si conosce come contingente, tale cioè che non esiste attualmente e di cui non si conoscono le cause che potrebbero porla all'esistenza, è più debole dell'affetto verso una cosa passata che si immagini attualmente: per la stessa legge dell'immaginazione, tale cosa, in quanto immaginata, è come se fosse presente (P13). 4. Principio di conoscenza. V affetto non si distingue realmente dall'idea dell'affezione del corpo; dunque gli affetti di gioia e tristezza, considerati come idee, ossia in quanto se ne abbia coscienza, _non sono altro che la conoscenza del bene e del male. Ciò implica, come si è già visto, che ·la conoscenza del bene e del male è _subordinata ali' affetto di gioia e tristezza che si pro" va attualmente, essendo la stessa consapevolezza -dell'affetto provato (P8). Qual è, allora, la forza della conoscenza vera del bene e del male rispetto agli affetti? 6.4.2. La conoscenza vera, in quanto vera, è impotente a moderare la forza delle passioni (P14-17) Anzitutto si precisa che tale conoscenza non può impedire alcun affetto in _quanto vera, ma solo in quanto è considerata come affetto (P14). Che cosa può dunque la cupidità, ossia l' affetto che nasce dalla conoscenza vera del bene e del male? È la domanda alla quale rispondono le P15- 18. Si noti che la «conoscenza vera del bene e del male» può essere qui intesa non come conoscenza dell'intelletto, ma soltanto come conoscenza della ragione, la quale sa come le cose devono essere e non come sono, non implicando un'esperienza diretta delle stesse4; Infatti 4· Cfr. KV
II,
4,
2.
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1
L E'I'ICA
or
SPINOZA
la conoscenza vera, in quanto tale, non potrebbe essere. che un bene, e dunque, in quanto tale, espressione di un affetto di gioia e non di tristezza. Con tale precisazione si intende sottolineare che la cupidità che nasce dalla ragione può essere ostacolata o distrutta da molte altre cupidità che nascono da altre passioni contrarie alla nostra natura (Pr 5). In particolare, se la cupidità derivante dalla ragione riguarda cose future, può essere facilmente ostacolata da cupidità derivanti dall'esperienza di cose sentite attualmente con piacere (Pr6). Inoltre la cupidità nascente dalla ragione, se riguarda cose contingenti, può essere molto più facilmente ostacolata, per il principio della presenza, dalle cupidità delle cose presenti (Pr 7). 6.4. 3. La cupidità che nasce da gioia è più forte . ·· della 'Cupidità che nasce da tristezza (Pr 8 e S)
Questa proposizione, con il relativo scolio, funge da cerniera tra la quarta e la quinta sezione. Essa infatti, richiamando di nuovo l'attenzione sulla cupidità, intesa come essenza dell' uomo, espone la condizione che consente il passaggio degli affetti da passione ad azione. Tale condizione consiste nell'attuarsi di una prevalenza dell'attività della natura umana nel rapporto di forza in cui essa è posta con la natura delle cose-cause esterne. La proposizione afferma dunque che, a parità di circostanze, la cupidità che nasce dalla gioia è più forte della cupidità che nasce dalla tristezza (Pr 8). Infatti è lo stesso affetto· della gioia, sensazione del passare da una perfezione minore a una maggiore, che ~onferma e rafforza per sua natura la cupidità, ossia lo sforzo con cui l'uomo tende a perseverare nell'essere. L'affetto di tristezza, invece, sensazione del passare da una perfezione maggiore a una minore, diminuisce e ostacola per sua natura la cupidità. La tristezza si prova, infatti, perché la natura dell' uomo è contrastata e vinta da una causa esterna; invece la gioia nasce dal concorso di una causa esterna con la nostra natura. Perciò, sommandosi la potenza della causa esterna con la potenza ·della nostra natura, la cupidità che nasce dalla gioia è più forte di quella che nasce dalla tristezza, nella quale la cupidità è definita soltanto dalla forza diminuita della nostra. natura. Ne consegue che, per attuare e potenziare la cupidità, è necessario cercare tutto ciò che produce gioia e fuggire tutto ciò che produce tristezza. Ecco allora profilarsi il compito e l'obiettivo fon-
6,
DELLA SCHrAVr'rÙ UMAt:U O DELLE FOR7.E OEGLC APFE'r'rI
L'ETICA DI SPlNOZA
La
virtù~
6.5 attuazione della potenza d'agire dell'uomo, · come ricerca dell'utile (.Pi9·40)
Veniamo ora alla deduzione geometrica di questi concetti, che raggrupperò sotto due paragrafi. 1. La ragione prescrive che la virtù consiste nella ricerca del vero utile (P19-25). 2. La ragione indica quali sono le due cose più utili da ricercare: a) la vera conoscenza (P26-28) (a questa non si accenna nello scolio della P1 8); b) ciò che ha qualcosa in comune con la nostra natura e ciò che si accorda totalmente con essa (P29-40). 6. 5. 1. La virtù consiste nel conservare il proprio essere, ricercando il vero utile sotto la guida della ragione (P19-25) La tesi è argomentata dall'autore in tre tappe successive. La prima consiste nel dimostrare la dipendenza necessaria della cupidità dal giudizio che si formula intorno al bene o al male di una cosa (P19). Si deve tuttavia notare, al riguardo, che il giudizio intorno al bene o al male non è altro che la consapevolezza dell'affetto di gioia o tristezza attualmente provato e che esso, quindi, in quanto. atto di conoscenza, è subordinato all'affetto provato. Si deve inoltre osservare che questa legge è universale e riguarda ogni genere di conoscenza, quella inadeguata come quella adeguata. Perciò, comunque si giudichi del bene e del male di una cosa~ per legge di natura si cerca il bene, ossia ciò che viene rappresentato come causa di gioia e si fugge il male, rappresentato come causa di tristezza. La seconda tappa dell'argomentazione consiste nel mostrare che il bene ricercato da ogni individuo necessariamente, quale condizione ··preliminare e fine ultimo di ogni altro bene, è la conservazione della propria esistenza. Tale conservazione costituisce il vero e supremo utile dell'uomo, come di ogni altro ente, e la virtù o potenza di ogni individuo si misura dalla capacità· di conseguirlo (P20-22). · La terza tappa consiste nel mostrare che il vero utile o virtù, ossia la reale e migliore conservazione dell'esistenza, può essere conseguita unicamente sotto la guida ·della ragione, mediante la conoscenza adeguata. Infatti solo la conoscenza ade148
6.
DELLA SCHIAVrTÙ UMANA O DELLE FORZE DEGLI AFFETTI
guata può giudicare del vero bene o vero utile ', di ciò çhe garantisce veramente la conservazione dell'essere. Del resto, unicamente la conoscenza adeguata, esprimendo la sola natura dell'uomo e la sua forza, può determinarlo a cercare la conservazione dell'essere da se stesso, e non perché mosso e costretto da altre cause. In tal senso la conoscenza adeguata esprime la sola potenza della natura umana e quindi è l'unica condizione per l'attuazione della virtù (P2 3-2 5).
6. 5. 2. Quali sono le cose che la ragione considera sommamente utili? (P26-40)
Nell'uomo, utile supremo è la conoscenza adeguata (P26-28) Poiché ogni conato, o atto della cupidità determinato dalla ragione, non è .altro che conoscere, la mente informata dalla ragione considera come sommamente utile tutto ciò che conduce alla massima conoscenza possibile: bene è ciò che la promuove, male ciò che la ostacola. P€rciò bene supremo della mente e sua somma virtù, attuazione massima della potenza della sua natura, è la conoscenza di Dio (P26-28). Infatti la conoscenza adeguata di Dio, o della sostanza mediante i suoi attributi, è la condizione prima della conoscenza adeguata di tutte le altre cose, in particolare della loro conoscenza mediante l'intelletto. Tutto ciò che esiste, esiste ed è concepito in e mediante gli attributi della sostanza. Dunque la conoscenza della natura assoluta di Dio, mediante i suoi attributi, costituisce il bene supremo e la somma utilità per l'uomo. Tale conoscenza è la più perfetta non solo per il suo oggetto, ma anche per l'affetto di amore verso Dio che ne deriva. È questa una dottrina costante e fondamentale nell'opera di Spinoza 6 •
Fuori dell'uomo è più utile all'uomo ciò che ha più cose in comune con la sua natura; massimamente utile è l'altro uomo (P29-40) Tra le cose esterne, quelle che ci sono massimamente utili sono quelle che hanno di più in comune con noi, o si accordano totalmente con la nostra natura. Infatti il principio generale che 5. Per l'identificazione di bene e utile, cfr. KV rr, 5, 5. 6. È già presente nel TIE, parr. r3, 38-42; è particolarmente sottolineata nella KV rr, 26, 5-6; cfr. n, 4, 3; rr, 5,9; II, r9-14.
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L'ETICA DI SPINOZA
regola l'intera sezione delle P29-40 è che, essendo bene tutto ciò che deriva dalla nostra natura, tutto quello che concorda con essa non può che procurare del bene, poiché le due nature convengono e la loro potenza si accresce. Questa tesi è sostenuta nelle P29-31, a proposito delle quali si deve notare che la nozione di «qualcosa di comune» è da assumere verosimilmente in due sensi: nella P29, in riferimento alla comunanza di un attributo, che costituisce la condizione di possibilità di una relazione qualsiasi, buona o cattiva, tra i suoi modi; nelle P30-31, in riferimento a ciò che accomuna nature diverse all'interno dello stesso attributo. È in tal senso che le proposizioni successive prendono in considerazione il caso dell'uomo, che trova nell'altro uomo ciò che si accorda massimamente con la ·sua natura. In che cosa consiste allora la natura dell'uomo, come la natura di ogni altra cosa? Si ricordi che, per Spinoza, non costituisce la natura di una cosa l'idea universale sotto la quale identicamente può ridursi una molteplicità di individui; appartiene all'essenza di una cosa ciò che, non soltanto pone la cosa, ma neppure può esistere ed .essere concepito senza di essa (E 2 De/2). Due o più uomini non si accordano tra loro perché hanno corpi costituiti da una proporzione simile di moto-quiete e menti similmente disposte; infatti questa è un'idea generale e astratta. Ciò che definisce la natura umana, come ogni altra natura, è la potenza determinata che esprime nell'esistere e nell' agire. Due uomini hanno la medesima natura, se la loro potenza di agire si accorda e conviene nella medesima azione; sono invece contrari, se le loro potenze di agire non convengono nelle medesime azioni, come accade tra uomini e bruti. Le conseguenze di questa tesi sono esposte nelle proposizioni che seguono, disposte in gruppi di tre. I. In quanto sono dominati dalle passioni, che esprimono conoscenza inadeguata e dipendenza dalle cause esterne, gli uomini non si accordano per natura e possono essere contrari gli uni agli altri (P32-34). 2. Solo in quanto sono guidati dalla ragione, che esprime la loro propria natura e non quella delle cause esterne, gli uomini si accordano necessariamente per natura, ricercano un bene comune e ciò che cercano per sé lo cercano necessariamente anche per gli altri uomini. La socialità e 1' amicizia tra gli uomini guidati dalla ragione saranno tanto più grandi quanto più grande sarà la conoscenza di Dio che avranno acquistato (P3 5-
6.
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3 7) 7 • È sotto questa condizione ed entro tale limite che r uomo è ciò che di massimamente utile può essere trovato in natura e che esso, lungi dall'essere un lupo, è un dio per l'altro uomo (P35C1-2 e S). La prima tesi (P35) sostiene che gli uomini possono accordarsi massimamente per natura, solo in quanto vivano sotto la guida della ragione. Infatti. la natura umana e la sua potenza sono espresse essenzialmente dalla ragione e quanto più l'uomo è guidato dalla ragione tanto più agisce in conformità alla sua natura. Dunque, quanto più gli uomini agiscono guidati dalla ragione, tanto più si accordano per natura, e perciò non c'è nulla che sia più utile all'uomo dell'altro uomo (P35C1) 8 • In secondo luogo, poiché la ragione chiede che ognuno cerchi il proprio utile, dal momento che tale utile è necessariamente conveniente alla natura umana, segue che, quanto più. si cerca il proprio utile, tanto più si cerca e si produce l'utile altrui (P35C2). È in tal senso che l'uomo guidato dalla ragione, lungi dall'essere un lupo, è un dio per laltro uomo, ed è a tale condizione che «dalla comune società degli uomini derivano molti più vantaggi che danni» (P35S). Perché l'utile che ciascuno cerca per sé, in quanto guidato dalla ragione, è necessariamente anche l'utile altrui (P36)? Perché la ragione prescrive di cercare, come sommo bene, la conoscenza adeguata, in particolare la conoscenza di Dio. Da tale 7. Nel TIE la dimensione comunitaria è presentata come essenziale al conseguimento della suprema perfezione consentita all'uomo: «Questo è perciò il fine al quale tendo, acquistare tale natura e sforzarmi affinché molti 1' acquistino con me. Ciò significa che è anche costitutivo della mia felicità operare affinché molti altri intendano la stessa cosa che io intendo, perché il loro intelletto e la loro cupidità convengano pienamente con il mio intelletto e con la mia cupidità» (par. I4, traduzione mia). Altrettanto chiaramente la dottrina è esposta nella KV, ad esempio 11, I 8, 4; n, 26-4: «Tutti noi possiamo essere ugualmente partecipi di questo bene, come avviene quando esso produce nel prossimo lo stesso desiderio che è in me, facendo si, in tal modo, che la sua volontà e la mia siano una sola e medesima volontà, cioè formino una sola e medesima natura, convenendo sempre in tutto» (M I 12). La stessa comunicazione delle dottrine delfilosofo deve essere finalizzata e subordinata esclusivamente alla salvezza del prossimo (n, 26, IO). 8. KV n, 6, 7: «Poiché un uomo perfetto è la cosa migliore che noi avendola presente o sotto i nostri occhi - conosciamo, la cosa di gran lunga migliore per noi e per ciascun uomo singolo è cercare sempre di educare gli uomini a quello stato perfetto. Infatti solo allora possiamo trarre il maggior frutto da loro ed essi da noi».
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L'ETICA DI SPINOZA
conoscenza è necessariamente implicato anche lo sforzo di condurre quanti · più uomini è possibile sotto la guida della ragione. Ma perché gli uomini guidati dalla ragione sono accomunati in una sola natura dalla conoscenza di Dio? Perché «appartiene (per la P47 della rr ·patte) all'essenza della mente umana avere una conoscenza adeguata dell'essenza eterna e infinita di Dio» (P36S). Questa tesi, caratteristica della filosofia spinoziana, è il cardine delle dimostrazioni che l'autore sta svolgendo in queste proposizioni. Infatti è soltanto sull'attuazione della potenza della mente riguardo alla conoscenza, attuazione che implica necessariamente la conoscenza di Dio, che si fonda la cupidità dell'uomo guidato dalla ragione di ricercare per gli altri il bene che cerca per sé (P3 7) e di far si che gli altri amino ciò che egli cerca e ama. Unicamente su tale conoscenza è fondata 1'azione «umana e benigna» di condurre gli uomini alla socialità e alla concordia, e su di essa sono fondate la religione, la moralità e lonestà (P37Sr): Io riferisco alla religione tutti i desideri e tutte le azioni di .cui siamo causa in quanto abbiamo l'idea di Dio, o in quanto conosciamo Dio. Chiamo moralità la cupidità di far bene, nata dal fatto che viviamo sotto la guida della ragione. Chiamo, poi, onestà la cupidità dell'uomo, che vive sotto la guida della ragione, di unire a· sé gli altri in amicizia, e onesto ciò che è lodato dagli uomini che vivono sotto la guida della ragione, mentre chiamo turpe ciò che si oppone alla formazione del1' amicizia.
Poiché tuttavia gli uomini sono comunemente soggetti ad affetti che superano la potenza umana, sono spesso contrari gli uni agli altri; essi possono essere reciprocamente utili solo mediante altri affetti, più forti, che riescano a contrastare quelli in forza dei quali S
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3. Nelle ultime tre proposizioni di questa sezione, l'autore considera come utile o bene per l'uomo due cose: ciò che potenzia la capacità del suo corpo di ricevere affezioni e di agire, ciò che conserva la proporzione delle sue parti. Infatti, il potenziamento e la conservazione del corpo sono anche, immediatamente, potenziamento e conservazione della mente, ossia dell'uomo cdme tale (P38-39). D'altra parte, poiché gli uomini non vivono isolati, ma in un corpo sociale, che garantisce loro la sicurezza, è utile all'uomo tutto ciò che contribuisce alla società comune degli uomini (P40). È evidente che queste tre proposizioni costituiscono come una sorta di premessa e condizione per l'attuazione delle P35-37 che precedono e delle prime proposizioni della sezione che segue.
6.6 Del bene e de[ male negli affetti (P41·58) Osserviamo anzitutto che in questa sezione l'autore non esamina sotto il profilo del bene e del male tutte le passioni elencate nella terza parte né si attiene rigorosamente al loro ordine. Qui egli sembra voler selezionare gli affetti· fondamentali e più comuni tra gli uomini, offrendo dei criteri generali per giudicarli, insieme a quegli affetti che ne derivino e di cui non si offre una esplicita trattazione 9. Spinoza distingue sostanzialmente cinque criteri. r. Gli affetti che sono buoni per sé e non possono mai essere cattivi: tra• questi, vengono elencati la gioia (P41) e l'ilarità (P42). La ragione è che, essendo questi affetti espressione di un aumento della potenza dell'uomo, implicano una crescita proporzionata di tutte le parti del corpo umano. 2. Gli affetti che sono cattivi per sé, come la tristezza (P4r), la malinconia (P42), l'odio e i suoi derivati, irrisione, invidia, ira, vendetta (P45), quindi speranza e paura (P47), stima e disprezzo (P48-49), superbia e àbiezione (P55-57). Queste passioni, essendo per sé nocive, implicano una diminuzione di potenza d'agire di tutte le parti del corpo umano. 3. Gli affetti che non sono cattivi per sé, ma possono diventarlo se subiscono un eccesso, come amore, cupidità (P44), solletico (P4 3 ). e ogni forma di· gioia che ecceda dai limiti della 9. Questa sezione può essere considerata ripresa e sviluppo di ciò che la ragione considera come bene e male nelle passioni in KV rr, 3-14.
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ragione. Tali affetti, divenendo eccessivi, possono implicarè uno squilibrio nella relazione di moto-quiete tra le varie parti del corpo e perciò possono diventare nocivi. 4. Gli affetti che sono buoni, se derivano dalla ragione e si accordano con essa; ma che sono cattivi, se non sono orientati da essa, come il favore (P51 ), la soddisfazione di sé (P52) e la gloria (P58). Tra questi, la soddisfazione di sé, che consiste nel considerare se stessi e la propria potenza di agire, se e in quanto derivi dalla ragione, «è veramente la cosa suprema che possiamo sperare». 5. Gli affetti che possono essere di qualche utilità nell'uomo non guidato dalla ragione, ma che non convengono all'uomo guidato dalla ragione, come commiserazione (P50), umiltà (P53), pentimento (P54). Prima di procedere oltre, è opportuno richiamare I'attenzione del lettore su due passaggi della presente sezione che evidenziano in modo speciale temi essenziali della dottrina spinoziana. Il primo (P45SC2), fondato sulla dottrina della composizione del corpo e della mente umani e sulla necessità della continua ricostituzione armonica delle parti che li costituiscono, mediante il commercio con altri corpi e altre menti, è una forte e appassionata difesa del diritto a prendersi diletto delle cose, purché con misura, dal momento che l'eccesso impedirebbe al diletto di esser tale. Infatti, quanto maggiore è la gioia da cui siamo affetti, tanto maggiore è la nostra perfezione e la partecipazione alla natura divina. Lo scolio ha anche un evidénte intento polemico nei confronti delle religioni che predicano la rinuncia, la mortificazione del corpo, le lacrime e la paura quali vie di salvezza e metodi di vita graditi alla divinità. Si può sottolineare anche il riferimento del testo all'esperienza personale dell'autore: «questa è la mia regola e così ho disposto il mio animo» 10 • Il secondo passaggio è costituito dalla P46, che insegna a ricambiare l'odio, e le passioni da esso derivate, con lamore e la generosità. Infatti l'odio implica necessariamente tristezza e suscita altro odio, poiché colui che è vinto dall'odio dell'avversario cede ad una potenza maggiore e cerca alleati, se può, per 10. Nell'Ep 21 a De Blyenbergh, del gennaio 1665, Spinoza scriveva: «mi adopero di trascorrere la vita non nella tristezza e nel lamento, ma nella tranquillità, gioia e gaiezza».
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sopperire alla propria impotenza. Non esprimendo la potenza della natura umana, l'odio non può affermarsi se non mediante il concorso della fortuna. Al contrario, r amore che nasce dalla ragione esprime la sola potenza della natura umana ed è necessariamente accompagnato da gioia; se riesce a vincere colui che odia, ciò accade non perché la potenza dell'odiato diminuisca, ma perché cresce la forza dell'amante, che produce perciò altro amore. L'amore del prossimo così inteso o, più esattamente, la generosità intesa come «sforzo di aiutare gli altri uomini .e di unirli a sé in amicizia per il solo dettame della ragione» (E 3 SP59), costituisce la virtù sociale per eccellenza. Naturalmente va sottolineata la condizione distintiva della generosità, 1'obbedienza al dettato della sola o pura ragione.
6.7
La determinazione ali'azione da parte della ragione (P59-73) La sezione conclusiva della quarta parte può a buon diritto essere considerata, simultaneamente, introduttiva della quinta. Essa è parallela all'ultima brevissima sezione della terza parte, che tratta degli affetti positivi, ma, a differenza di quanto avviene in questa, intende: a) dimostrare che la ragione, di cui si indicano potenza e proprietà, può essere causa di affetti positivi o di azioni; b) esporre gli effetti della determinazione della ragione, ossia la libertà. Ci si può chiedere perché la parte dedicata all'analisi della schiavitù umana termini con una sezione dedicata alla potenza della ragione e alla libertà che è possibile conseguire mediante essa, ossia con un tema proprio della quinta parte.
6.7.I. Capacità e proprietà della ragione nel determinare all'azione (P59-66) La proposizione principale di questa parte è la 59, che afferma il principio generale: possiamo essere determinati dalla sola ragione a compiere tutte quelle azioni a cui siamo determinati da una passione. Si noti che l'ipotesi prevede che possiamo essere mossi ad un'azione da qualche passione, la· quale, in quanto implica in parte anche la nostra natura, ci determina in parte anche ad una azione. Ora, poiché la ragione non è altro che azione derivante dalla necessità della nostra natura (E 3 De/2 e P3), tutto ciò che agiamo in quanto determinati da una passio155
L'ETICA DI SPINOZA
ne, possiamo compierlo anche in quanto determinati dalla sola ragione. Nelle' due proposizioni successive si espone la causa ultima di tale capacità della ragione: conoscendo ciò che è comune nel corpo umano e negli altri corpi, come nel tutto e nella parte di ciascun corpo, la ·ragione implica un riferimento adeguato e simultaneo a tutte le parti del corpo umano. Perciò la cupidità che nasce da essa non può avere eccesso (P6 r), a differenza della· cupidità che nasce da una gioia o da una tristezza non conformi a ragione (P6o). Quali sono allora le proprietà della ragione nel determinare all'azione? r. Poiché la ragione conosce sotto una certa specie di eternità e necessità, non è subordinata alla differenza e distanza temporale rispetto all'oggetto; quindi la mente è affetta identicamente dal presente, dal passato e dal futuro (P62). 2. Compie· il bene per sé; p'erché è bene e non per evitare un male (P6 3); del resto la ragione non ha conoscenza del male in quanto male, poiché tale conoscenza, implicando un affetto di tristezza, è inadeguata (P64). 3. La ragione persegue il maggior utile, quindi il maggior bene: se può scegliere, tra due beni coglie il maggiore, tra due mali il minore (P65 ); preferisce un bene maggiore futuro a un bene minore presente, e un male minore presente a un male maggiore futuro (P66). 6. 7. 2. La condotta dell'uomo reso libero dalla ragione (P67-73)
Le ultime sette proposizioni della quarta parte prospettano un primo quadro dell'uomo libero, ossia di quello che è guidato unicamente dalla ragione. L'autore espone due attitudini dell'uomo libero, considerato come privato, e alcune attitudini del1' uomo libero in relazione alla società. In quanto privato, l'uomo libero ha due attitudini fondamentali. r. Le prime due proposizioni si riferiscono alla seconda proprietà dell'azione razionale, ossia al compimento del bene in quanto è bene. Infatti, se un uomo nascesse libero e vi rimanesse, essendo guidato soltanto dalla ragione, non concepirebbe il male (P64) e perciò neppure il bene, che è ad esso correlativo (P68); pertanto giudicherebbe le cose nella loro semplice realtà di esistenza e nòn avrebbe alcuna idea di ciò che possa
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togliere tale esistenza; dunque a nulla penserebbe meno che alla morte (P67). · Ma l'ipotesi che ora è stata fatta è falsa (P68S), poiché gli uomini non nascono liberi, ma possono con grande sforzo ed entro limiti definiti divenirlo. Dunque anche l'uomo guidato dalla ragione ha un'idea del male e della morte; ma in quanto. è guidato dalla ·ragione pensa al bene, ossia all'utile che conserva la sua esistenza, e alla vita. 2. La seconda attitudine dell'uomo libero è quella di una pari fermezza d'animo tanto nell'evitare quanto nell'affrontare i pericoli~ ossia tutto ciò che può esser causa di tristezza, odio, discordia ecc. (P69). In relazione alla pratica della vita sociale, la condotta del1'uomo libero è contrassegnata da tre cose. 1. Cerca di evitare i benefici degli ignari, per lo più dominati dalle passioni, dal momento che solo gli uomini liberi possono essere veramente grati gli uni agli altri (P70-71) u. 2. È sempre leale con il prossimo e non agisce mai in mala fede (P72) 12 • 3. Obbedisce al decreto comune dello Stato, poiché sa che la vita in società accresce e difende la sua libertà, anziché diminuirla (P73). 6.8
Appendice: le regole della vita razionale (capp. 1·32) In 32 brevi capitoli, lautore ricorda e sottolinea, per temi omogenei e in modo che siano facilmente riconoscibili, le cose più importanti sulla retta maniera di vivere, che nella deduzione geometrica non ha potuto disporre sinteticamente, ma che ha «dimostrate qua e là, come ho potuto più facilmente dedurre l'una dall'altra». Tali cose, per comodità del lettore, possono essere raccolte e schematizzate in sette paragrafi. 1. Le azioni umane sono sempre buone quando la cupidità, costituente lessenza dell'uomo, esprime la sola natura umana,
1 i. Per alcune considerazioni sul tema della gratitudine in Spinoza, rinvio a F. Migtiini, "Gratitudo" tra "charis" e "amicitia". Momenti di storia di un'idea, in Interpretazione e gratitudine, a cura di G. Galli, Università di Macerata, Macerata 1994, pp. 17-84. i 2. Quella della lealtà è una delle esigenze sociali su cui Spinoza fonda la necessità del riconoscimento del diritto alla libertà di parola nel cap. 20 del
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ossia la sua sola potenza; possono essere sia buone sia cattive, quando la cupidità esprime, oltre alla natura umana, anche la potenza delle cause esterne ( r -3). 2. La suprema felicità conseguibile da parte dell'uomo, cioè la beatitudine, consiste nella quiete dell'animo, che si acquista con il perfezionamento e l'esercizio della vita intellettiva. Buone sono le cose che aiutano l'uomo a godere della vita della mente; cattive sono quelle che lo distolgono da tale godimento (4-5). 3. L'uomo è parte della natura; alle sue leggi è sottoposto ed è costretto ad adattarvisi quasi in modi infiniti. Se ciò che deriva dalla sola natura umana è bene per l'uomo, il male può derivare unicamente dalle cause esterne ( 6). 4. In assoluto, per diritto di natura, è lecito all'uomo fare ciò che giudica contribuire alla sua utilità. In particolare, gli è lecito cercare e prendere tutto ciò che gli è utile per la conservazione dell'essere e per il godimento della vita razionale; allontanare e respingere il contrario (8). 5. Quanto più una cosa si accorda con la natura dell'uomo, tanto più è utile (7): ciò che massimamente si accorda· con la natura dell'uomo sono gli altri uomini ( 9). Dunque è da, cercare soprattutto l'amicizia e la concordia con gli altri uomini, tanto più se guidati dalla ragione ( r 2), e da temere la discordia, fomentata dall'invidia e dall'odio ( rn). 6. Lo sforzo supremo dell'uomo guidato dalla ragione è quello di conservare e rafforzare la concordia tra gli uomini ( r r- 2 5); infatti dalla vita sociale derivano più vantaggi che danni ( 14). Conviene perciò sopportare le molestie che vi sono connesse, essendo gli uomini guidati generalmente più dal capriccio che dalla ragione ( r 3), e dedicare le proprie forze a rafforzare la concordia. L'autore esamina in particolare gli affetti connessi all'attuazione della concordia, distinguendo quelli che vi concorrono realmente da quelli che sembrano favorirla, ma solo in apparenza. Al riguardo egli osserva che: a) gli animi si vincono non con le armi, ma con r amore e la generosità ( r r ); b) le cose che generano autentica concordia sono quelle che si riferiscono alla giustizia, equità e onestà: l'amore tra gli uomini nasce ·soprattutto dalla religione, spinozianamente intesa, e dalla pietà ( r 5). Anche la liberalità concorre a favorire la concordia; ma la cura degli indigenti riguarda l'interesse comune e incombe a tutta la società ( 17); d'altra parte, è necessaria molta prudenza nell'accettare benefici e nel dimostrare gratitudine ( r 8).
6.
DELLA SCHlAVrTÙ UMANA O DELLE FORZE DEGL[ AFFE't'I'r
In generale, favoriscono la concordia gli affetti di gioia e tutti i comportamenti che tendono ad accrescere la potenza di agire degli uomini (25 ); e) generano invece falsa concordia, pronta a tramutarsi in acerba discordia, la paura ( r 6), 1' adulazione ( 2 r), la sottovalutazione di sé ( 22), l'ambizione ammantata di modestia ( 25), la vergogna ( 2 3), l'amore meretricio ( r 9), lo stesso matrimonio fondato sulla sola libidine e non anche sul desiderio di procreare figli ed educarli saggiamente ( 20). In generale, favoriscono la discordia tutti gli affetti di tristezza e tutti i comportamenti che tendono a diminuire la potenza di agire degli uomini (24-2 5). 7. Tutto ciò che si dà in natura, oltre gli uomini, non è tale da procurarci, per sé, utilità e gioia. Dunque è lecito conservarlo, distruggerlo o adattarlo al nostro uso, in qualunque modo (26). In particolare, l'autore osserva che: a) il vantaggio fondamentale che si può trarre dalle cose esterne è la conservazione e il nutrimento del corpo, perché sia capace di agire quanto più perfettamente possibile e, di conseguenza, la mente sia resa atta a concepire più cose (27); b) la ricerca del denaro è buona e utile a tal fine; ma è un vizio se è perseguita per sé ( 2 8- 2 9); e) sono buone tutte le cose che apportano letizia, purché non abbiano eccesso (30); · d) è frutto di superstizione ritenere che siano buone le cose che arrecano tristezza ( 3 r ); e) poiché le cause esterne superano infinitamente la nostra potenza e non agiscono in vista della nostra gioia, dinanzi agli avvenimenti contrari possiamo conservare la serenità e soddisfazione dell'animo con l'uso dell'intelletto, che ci induce a desiderare soltanto ciò che è necessario e a non trovare soddisfazione se non nel vero. In tal modo «il conato della parte migliore di noi si accorda con l'ordine di tutta la natura» (32). In tale accordo consiste la perfezione umana, ideale indicato già nel Trattato sulla emendazione dell'lntelletto q, ribadito e fondato ontologicamente nel Breve trattato r4, dispiegato definitivamente nelle sue ragioni e nelle condizioni della sua possibilità nella quarta e, ancor più, nella quinta parte dell'Etka. q. TIE, par. 13: «Quale sia questa natura, mostreremo invece a suo . luogo; essa è certamente la conoscenza dell'unione che la mente ha con tutta la Natura». 14. KV II, 4, IO. 1 59
7 Della potenza dell'intelletto o della libertà umana
Schema generale della quinta parte 7. I. Prefazione 7.2. Fondamenti dell'argomentazione (Ax1-2 e Pr) 7.3. Il potere o i rimedi della mente sugli affetti (P2-20) La mente può formare concetti chiari e distinti delle passioni (P3-4)
La mente può separare gli affetti dal pensiero della causa esterna immaginata confusamente (P2 e P~) La ·mente può conoscere le cose sotto l'aspetto della necessità (P5-6)
Gli affetti suscitati dalla ragione hanno maggior durata rispetto a quelli suscitati da cose considerate assenti (P7) La mente può collegare gli affetti al maggior numero possibile di cause (P8-9 e I I) La mente può ordinare le affezioni del corpo secondo l'ordine dell'intelletto (Pro-14) La mente può essere presa dall'amore verso Dio (P15-20) 7.4. Della 7.4.1. 7+2. 7.4.3. 7.4.4.
durata della mente senza relazione al corpo (P21-40) L'eternità della mente (P21~23) La conoscenza di terzo genere (P24-31) L'amore intellettuale verso Dio (P32-37) La perfezione della mente (P38-40) 7 .4. 5. La ragione prescrive che la beatitudine consiste nell' esercizio della virtù (P41-42)
L' ETCCA
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7.1 Prefazione
L'autore enuncia il tema della quinta parte, nella quale intende mostrare quale e quanto potere abbia la mente, int~sa come ragione e intelletto, per frenare e governare gli affetti. La Prefazione risponde al primo quesito (quanto potere), ricordando che si è già dimostrato che la mente non ha un potere assoluto sulle passioni, come invece sostengono, con diversi argomenti, gli Stoici e lo stesso Cartesio. Pur osservando che i sostenitori di tale potere assoluto sono continuamente smentiti dall' esperienza, l'autore espone e discute in particolare la tesi cartesiana. Questa sostiene che il corpo (causa delle passioni) può essere determinato dalla mente, La cui volontà sia stata bene educata, grazie all'unione che la mente stessa ha con la ghiandola pineale, attraverso la quale può determinare, a piacimento della volontà, il movimento degli spiriti vitali - e quindi dell'intero corpo - diversamente disposto dalle affezioni dei corpi esterni 1 • Spinoza obietta che tale ipotesi è più occulta delle qualità occulte degli Scolastici, poiché si fonda sulla premessa di una determinazione reciproca tra la mente e il corpo, dimostrata im- · possibile in E 3 P2. In particolare L'autore muove le seguenti obiezioni. r. Cartesio non mostra la causa prossima di tale relazione (in cui fa consistere l'unione di corpo e mente) ed è perciò costretto a ricorrere alla causa di tutto l'universo, cioè a Dio. 2. Non mostra quanti gradi di movimento la mente può imprimere a tale ghiandola. 3. Sostiene una dottrina della volontà e della libertà della mente, che è stata dimostrata falsa. Si può osservare che l'attenzione riservata da Spinoza alla discussione della dottrina cartesiana della determinazione del corpo da parte della mente, mediante gli spiriti vitali, aveva una qualche relazione con la storia intellettuale dello stesso Spinoza, il quale, nel Breve trattato, aveva accolto la stessa dottrina degli spiriti vitali 2, pur non condividendo la tesi cartesiana del dominio assoluto sulle passioni. Tuttavia, la ragione fondamentale del rilievo dato alla critica della dottrina cartesiana consiste r. La tesi cartesiana è sostenuta nella prima parte de Les Passi.ons de l'ame (AT xr, 327-70). l 2. Cfr., in particolare, KV rr, r9, 9; rr-r2; 22, 6-7. 162
7·
DELLA POTENZA OELL'rNTELLETTO
forse nel sottolineare la diversità del modello che egli elabora ed espone. La tesi spinoziana, peraltro già sostenuta nel Breve trattato, prevede che i rimedi degli affetti siano rappresentati unicamente dalla conoscenza vera posseduta dalla mente 3. È da tale conoscenza e soltanto da essa, che deve essere dedotto tutto ciò che riguarda la beatitudine umana. Non si deve tuttavia dimenticare che, a rendere possibile tale tesi, c'è la radicale novità della dottrina antropologica, fondata sulla tesi dell'identità individuale di corpo e mente, la cui realtà consiste in una determinazione della potenza d'agire della sostanza, affetto-cupidità, espresso simultaneamente sotto gli attributi del pensiero e dell'estensione. 7.2 Fondamenti dell'argomentazione (An-2 e Pr)
La quinta parte non ha definizioni né postulati, ma soltanto due assiomi. Il primo, che non può non ricordare la P5 della terza parte, afferma che, se in un medesimo soggetto sono suscitate due azioni contrarie, si dovrà dare un cambiamento o in ambedue o in una di esse, finché cessino di essere contrarie. Infatti, per E 3 P5, in tanto due cose, ma anche due azioni, sono contrarie, in quanto luna può distruggere l'altra e perciò non possono essere nello stesso soggetto. Qui l'autore prevede che, almeno per un tempo limitato, due azioni contrarie possano essere nel medesimo soggetto, ma che non. possano permanervi senza mutazione, perché, per loro natura, si modificano reciprocamente. È importante sottolineare che tutta la dottrina della quinta parte riposa sull'ammissione della possibilità di contrari nel medesimo soggetto umano, ossia della inerenza in esso, simultaneamente, di conoscenza inadeguata e di conoscenza adeguata, di passioni e di azioni. Il secondo assioma ricorda che la potenza di un effetto è definita dalla potenza della sua causa, in quanto l'essenza di quell'effetto è definita mediante l'essenza della causa. Tale as3. La conoscenza è l'unica causa delle passioni: KV rr, 2, 4; 4, 9; r4, 2; r9, r8; le passioni possono essere vinte soltanto dalla conoscenza vera: KV rr, 4, 4; r9, 2; 26, 2.
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sioma costituisce la seconda fondamentale premessa dell'argomentazione costruita nella prima. sezione della quinta parte, poiché permette di mostrare che, slegando un affetto dall'idea di una certa causa esterna che lo produce e che gli conferisce quella particolare essenza (di essere, ad esempio, odio) e collegandolo al pensiero di un'altra causa che abbia un'essenza diversa, perde anche la sua essenza e si tramuta in un'altra, persino opposta (ad esempio, amore). Considero premessa· all'argomentazione anche la P1, che rappresenta la condizione di possibilità dell'azione delle idee adeguate rispetto alle affezioni del corpo o alle immagini della mente, in quanto siano concepite come rappresentazioni passive di quelle affezioni. Infatti lordine dell'immaginazione riproduce passivamente lordine e la concatenazione delle affezioni del corpo. Ora, se corpo e mente sono costituiti da un solo e medesimo individuo, sulla base di E 2 P7 si dovrà dire che non solo lordine delle affezioni del corpo sarà riprodotto nella mente immaginante, ma anche 1'ordine della mente che ragiona e che intende secondo verità dovrà riprodursi neW ordine delle affezioni del corpo o delle immagini. Se di una sequenza di affezioni, concatenate nella mente secondo un certo ordine di immagini, si darà una conoscenza adeguata, nella mente si creerà un'azione contraria alla passione della rappresentazione immaginativa e lordine di questa ne sarà necessariamente modificato. Ciò non implica, ovviamente, che le immagini cessino di esistere o che altre non continuino incessantemente a prodursi. La proposizione afferma unicamente che, in presenza di un ordine chiaro .e distinto di idee relative ad immagini presenti nella mente, l'ordine e la. concatenazione delle immagini, e quindi gli affetti corrispondenti, saranno modificati secondo lordine della conoscenza adeguata. Naturalmente resta da dimostrare che di un'affezione possa prodursi un'idea chiara e distinta e in che modo una passione cessi .di esistere quando se ne formi un'idea adeguata. Come nelle parti precedenti, costituisce premessa all'argomentazione tutta la trattazione già svolta, ma, come 1'autore stesso ricorda nello scolio della P20, si considerino anche, a fondamento della dottrina sui rimedi degli affetti, in particolare le definizioni di mente, di affetto e le P1 e 3 della terza parte, che identificano lazione della mente con la conoscenza adeguata e la passione della mente con quella inadeguata.
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DELLA POTENZA DELL'INTELLETTO
7·3
Il potere o i rimedi della mente sugli affetti (P2·20) Nello scolio della P20, che funge da cerniera tra le due sezioni della quinta parte, l'autore riassume quanto è stato dimostrato nelle proposizioni precedenti e ricorda cinque rimedi principali, tra quelli che la mente può elaborare nei confronti degli affetti. Seguirò questo testo, sebbene non alla lettera, nell'analisi della prima sezione. In questa sono presentati i rimedi alle passioni, che la mente può adottare, grazie alla conoscenza vera. Essi sono: r. Conoscenza vera delle affezioni (P3-4). 2. Separazione degli affetti dal pensiero della causa esterna immaginata confusamente (P2 e P4-5'). 3. Conoscenza sub specie necessitatis (P5-6, non considerate nella P20S). 4. Maggiore durata degli affetti che derivano dalla conoscenza vera (P7). 5. Gran numero di cause da cui sono rafforzate le affezioni che si riferiscono alle proprietà comuni (P8-9 e r r). 6. Ordine con cui la mente può concatenare gli affetti· riferendoli a un'idea che costituisce la perfezione della mente (Pro14).
7. Amore verso Dio, conosciuto adeguatamente (P15-20). Risulta evidente che i primi due rimedi costituiscono la condizione di possibilità anche degli altri, che ne sono in qualche modo conseguenze. Esaminiamo singolarmente ciascun punto. r. La mente può formare concetti chiari e distinti delle passioni (P4) e una passione cessa di essere tale se è conosciuta adeguatamente (P3). Il punto fondamentale consiste nel dimostrare che la mente può formare idee adeguate di un affetto-passione. L'argomento svolto nella P4 può essere esposto così: tutti i corpi convengono in alcune cose (E 2 L2) e non avviene nulla nel corpo che non sia percepito dalla mente. Ora, in tutte le affezioni dei corpi c'è qualcosa di comune e, poiché la mente ha un'idea adeguata di ciò che è comune a tutti i corpi e al tutto e alla parte di ciascun corpo, essa può formulare idee adeguate di ogni affezione del corpo. È evidente che l'idea adeguata, concernendo ciò che è comune a tutte le affezioni, non può avere per oggetto ·l'affezione in quanto affezione, ossia ciò che
L'ETICA DI SPINOZA
la distingue propriamente da ogni altra e che, in quanto. tale, è conosciuta inàdeguatamente dalla immaginazione. I corpi infatti non sono affetti da ciò che è comune in quanto è comune, ma da ciò che di diverso si dà in ogni affezione. In che senso si può intendere allora che la mente può formare idee adeguate di ogni affezione? Poiché la mente non può conoscere chiaramente ciò che immagina in quanto lo immagina, bisogna assumere che essa possa riferire tutte le affezioni del corpo a quel che esse hanno in comune, concependo gli affetti corrispondenti in relazione a una causa diversa dalle singole affezioni e unica. Si comprende perciò come non possa darsi conoscenza adeguata di un affetto-passione - e quindi sua mutazione in un affetto-azione - senza che la mente passi dall'idea della causa esterna dell'affezione a un'altra idea: in tal caso, a ciò che vi è di comune nei corpi, oppure alla stessa idea di Dio. Quanto poi alla P3, la dimostrazione è apparentemente semplice: poiché un affetto-passione è un'idea confusa, se ne formiamo un'idea chiara e distinta, cessa di essere passione. Tuttavia, il punto in questione è: di che cosa, propriamente, formiamo un'idea chiara e distinta? Non dell'affezione in quanto affezione, ma di ciò che le affezioni hanno in comune. Dunque, l'affezione non cessa di essere passione perché ne abbiamo formato un'idea chiara e distinta, ma perché l'abbiamo riferita ad un'altra causa, diversa da quella a cui riferiamo laffezione 'in quanto affezione. Come si è visto, la possibilità di trasformare una passione in azione risiede nella mutazione dell'idea della causa esterna. Possiamo perciò passare al secondo punto. 2. La separazione ·degli affetti dal pensiero della causa esterna immaginata confusamente (P2). Questo rimedio, di cui si dà una concisa dimostrazione nella P2, è fondato direttamente sul secondo assioma, peraltro non citato. Questo afferma che la potenza di un effetto è definita dalla potenza della causa, nella misura in cui la sua essenza è definita mediante lessenza della causa. Nella dimostrazione data, lautore impiega il termine (rarissimo nell'Etka) forma a indicare lessenza degli affetti di amore e di odio e afferma che tale forma è costituita dall'idea determinata di una causa esterna che la mente sente sotto forma di gioia o tristezza. Sicché, mutata tale idea, muta anche la forma dell'affetto corrispondente, e, tolta tale idea, è tolta anche la forma di quell'affetto, cioè, semplicemente, laffetto in questione. Dunque, per modificare un affetto, la mente ha unicamente la possibilità di modificare l'idea della causa esterna
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che produce quell'affetto e, legandosi alla nuova idea, provare un affetto diverso. Come è possibile sostituire un'idea con un'altra idea, se non possiamo dominare la serie della cause esterne e se queste si danno con assoluta indifferenza rispetto al nostro bene? Non solo, ma se una causa esterna si dà con assoluta realtà e presenza, come potremo negare la sua attuale presenza legando l'affetto ad un'altra causa, diversa o non presente? A tali questioni si può rispondere osservando che non si tratta di negare una causa esterna per affermarne un'altra qualsiasi, perché, in tal caso, non si otterrebbe alcun vantaggio. Il fine che si perse-. gue è quello di sottrarre luomo alla forza delle cause esterne e la dimostrazione prevede soltanto la possibilità di togliere l'idea della causa esterna. A quale causa potrà e dovrà dunque essere riferito l'affetto, perché non sia nocivo? Ricordiamo che lo scolio della P4 insegna chiaramente due cose: a) che l'appetito o la cupidità per cui l'uomo si dice sia attivo sia passivo è uno e medesimo, e che il suo diversificarsi dipende soltanto dal suo esprimersi in una conoscenza adeguata o in una inadeguata; b) che alla separazione dell'affetto dall'idea della causa esterna deve seguire la sua congiunzione «a pensieri veri», ossia a una conoscenza adeguata. Seguiamo lo sviluppo dell'argomentazione e vedremo con chiarezza quale sia il progetto spinoziano. 3. La conoscenza adeguata presenta le cose sotto laspetto della necessità. Questo rimedio o potere della mente è trattato nelle P5-6, che devono essere lette congiuntamente. La P5 mostra che laffetto verso una cosa che «immaginiamo semplicemente», senza relazione ad altre cose o ad altre cause, quindi che immaginiamo come libera, ·è più forte, a parità delle altre circostanze, dell'affetto verso una cosa che immaginiamo legata o subordinata ad altre cause: la forza dell'affetto sarà dunque tanto minore, quanto maggiore sarà il numero di cause a cui immaginiamo legata la cosa che consideriamo causa dell'affetto presente. Quindi, se questo principio è valido per la stessa immaginazione, quando riusciremo a comprendere, con una conoscenza vera, che nessuna cosa è libera,· ma tutte sono riducibili ad altre infinite cause, ciascuna di queste a sua volta riducibile ad altre infinite («la mente conosce che tutte le cose sono necessarie e sono determinate a esistere e ad agire da un nesso infinito di cause» P6D), la forza dell'affetto legata alla :finzione della libertà sarà annullata. Anche la semplke esperienza inse-
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gna che la tristezza per un bene perduto è mitigata dalla. considerazione che' esso non poteva essere conservato in alcun modo; essa insegna anche che nessuno si rattrista per la debolezza naturale e i difetti dell'età infantile, d~l momento che la si giudica come un necessario e inevitabile passaggio alla pienezza e perfezione dell'età adulta. 4. Gli affetti suscitati dalla ragione, sotto il profilo della durata, sono più potenti, ossia durano più a lungo, degli affetti suscitati da una cosa che si considera assente (P7). Tale tuttavia viene assunta una cosa, non a causa dell'affetto con cui la immaginiamo, ma a causa di un altro affetto, derivante da affezioni diverse, che escludono l'esistenza di quella cosa (E 2 Pr 7). Ora, se la ragione suscita un affetto contrario a quello che è alimentato da una causa esterna non presente, poiché esso nasce dalla considerazione delle proprietà comuni delle cose, che sono sempre presenti e sono sempre le stesse, sarà più forte dell'affetto contrario e questo gli si dovrà adattare finché non cessi di esserle contrario. La proposizione sembra ammettere implicitamente che se l'affetto venisse di nuovo alimentato dalla sua causa esterna presente, considerata non più come assente, sarebbe capace di resistere all'affetto contrario suscitato dalla ragione, il quale non sarebbe più potente di esso e capace di superarlo. Poiché dunque la maggiore durata dell'affetto suscitato dalla ragione si misura soltanto rispetto ad un affetto la cui cau~a esterna è considerata come assente, non sembra coerente la formula con la quale lo scolio della P20 riassume questa tesi, perché presenta la maggiore potenza degli affetti suscitati dalla ragione, quanto alla durata, come una condizione universale: «nella maggior durata delle affezioni che si riferiscono alle cose che conosciamo chiaramente tispetto alla durata delle affezioni che si riferiscono alle cose che concepiamo in modo mutilato e confuso». Tuttavia, ciò che merita di essere sottolineato, nella dimostrazione della P7, è l'esplicito riferimento del maggior potere della ragione alla sua conoscenza delle proprietà comuni delle cose, ossia un'ulteriore riduzione della singolarità della causa esterna, non solo ad una infinita molteplicità di altre cause che la costituiscono e determinano, ma a qualcosa di comune a tutti i corpi e a tutte le menti, in cui il singolare e l'individuale dell' afficiente e dell'affetto si identificano. Come si vede, si tratta di una ulteriore riduzione a ciò che vi è di identico in ciascun attributo. Poiché sappiamo che l' attributo non costituisce se non l'essenza di una sostanza unica, r68
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possiamo supporre che il processo riduttivo dell'affetto, dalla causa esterna individuale a qualcosa di comune e di identico, non sia ancora terminato. 5. Quanto più numerose sono le cause che suscitano simultaneamente un affetto, tanto più esso è forte (PB e, sebbene in altro contesto, Pr r) e, quante più cause consideriamo in relazione all'affetto, tanto meno ne patiamo (P9). Lo scopo di queste due proposizioni sembra essere chiarito, almeno nelle intenzioni, dallo scolio della P20, che sintetizza così il quarto rimedio della mente sugli affetti: «nel gran numero delle cause ·da · cui sono rafforzate le affezioni che si riferiscono alle proprietà comuni delle cose, ossia a Dio (cfr. le P9 e r r di questa parte)». Se si prescinde dalla esattezza dei riferimenti - sembrerebbe necessario un riferimento anche alla P8 - la tesi che l'autore intende sostenere, alla luce dello scolio, è chiara. Se riusciamo a vincolare un affetto alle. proprietà comuni delle cose, poiché queste si trovano in tutte identicamente, l'affetto ne sarà rafforzato e si presenterà con maggior frequenza. Tuttavia, la conoscenza delle proprietà comuni non può non essere adeguata e l'affetto che ne consegue non sarà passivo, ma attivo; dunque, la forza che a tale affetto si attribuisce è la forza attiva di un'azione. Si può tuttavia osservare che, prescindendo dalla indicazione dello scolio, la P8 non implica un riferimento alle proprietà comuni delle cose e tanto meno a Dio; essa vale anche e anzitutto per gli affetti passivi. Analogamente si può affermare della P9, la quale è universale e vale anche per gli affetti passivi. Infatti, dati due affetti di pari forza, patiremo meno da quello che riusciremo· a collegare a un numero maggiore di cause, piuttosto che ad una sola causa. Misurando la potenza della mente soltanto con la sua capacità di pensare, se un affetto indurrà la. mente a pensare più cause, essa agirà di più che se· fosse indotta a pensarne una sola; in tal senso si dice che ne patisce di meno o che è più attiva. La via mediante la quale la mente può vincolare un affetto a più cause, essendo indotta a pensare di più e, simultaneamente, a rafforzare l' affetto attivo che ne deriva, è quella di cogliere in ogni· cosa singolare, che può essere causa di un affetto, ciò che ha in comune con altre cose singolari, riducendo la causa esterna supposta unica a un numero maggiore di cause o alla totalità delle cosecause di un determinato attributo, nelle quali sono identicamente presenti le proprietà comuni dell'attributo. L'affetto che deriva da tale considerazione è al tempo stesso più forte, perché
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rafforzato da cause più numerose, e attivo, perché induce la mente ad agire di più, ossia a pensare. 6. La mente ha il potere di ordinare e concatenare le affezioni del corpo secondo lordine dell'intelletto, :finché non è combattuta da affetti contrari alla sua natura (P1o-I4). Lo scolio· sintetizza questo rimedio così: «nell'ordine in cui la mente può ordinare e concatenare vicendevolmente i suoi affetti (cfr. lo scolio della Prn e inoltre le P12, 13 e 14 di questa parte)». Anche i11 tal caso, si ·registra nella sintesi una non trascurabile divergenza dal testo della P1 o, poiché vi si omette la condizione generale che permette alla mente di ordinare gli affetti secondo il proprio ordine: non essere combattuta da affetti contrari alla sua natura. Non dobbiamo trascurare questo aspetto, perché esso ci mantiene nell'autentica dottrina spinoziana del potere limitato della mente sugli affetti e del preponderante potere della fortuna o della serie delle cause esterne. Dunque, se l'uomo non è combattuto da affetti contrari e più forti, ha il potere di concatenarli secondo il proprio ordine. In che modo? E ciò che le P1o-I4 intendono mostrare. Se la mente può agire, cioè conoscere, può formare idee chiare e distinte, può dedurle le une dalle altre e può ordinare le affezioni del corpo secondo il proprio ordine. Tutto ciò accade finché la mente non è combattuta da affetti contrari. Tale potere della mente, tuttavia, non è libero o arbitrario, ma )egato a precise leggi associative delle immagini-affetti. Tali leggi sono esposte nelle P11 - 13: a) un'immagine è tanto più forte e duratura quanto maggiore è il numero delle cose a cui si riferisce, poiché ha più cause che la suscitano (P11 ); b) un'immagine è tanto più forte quanto maggiore è il nu_mero di altre immagini a cui è congiunta (P13); infatti tanto maggiore è la possibilità di essere rievocata o suscitata; e) un'immagine si riferisce più facilmente alle immagini delle cose che conosciamo chiaramente e distintamente piuttosto che ad altre (P12); infatti ciò che conosciamo chiaramente e distintamente sono le proprietà comuni, presenti in ogni cosa e deducibili da ogni immagine di cosa. Dunque, poiché un'immagine vincolata a una proprietà comune può ~ssere suscitata da qualunque altra cosa o immagine di cosa a cui· quella proprietà appartiene, si può concludere che essa è unita alle immagini di cose conosciute in modo adeguato più facilmente che alle altre. 170
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Nello scolio della Prn si trae un'applicazione pratico-operativa del potere di ordinare gli affetti. Poiché, per ostacolare degli affetti ordinati e concatenati secondo l'ordine dell'intelletto, si richiede una forza maggiore che per ostacolare affetti incerti e vaghi, una volta costruito un certo ordine intellettuale, possiamo impiegarlo per non essere facilmente colpiti da cattivi affetti, contrari alla nostra natura. Il metodo è il seguente: concepire principi certi e retti di vita, imprimerli nella memoria e quindi applicarli ctmtinuamente alle cose pattitòlari che si incontrano frequentemente nell'esperienza, in modo che la nostra immaginazione ne sia ampiamente affetta ed essi ci siano sempre presenti. In tal modo, per la forza delle associazioni immaginativo-affettive, avremo la possibilità di ordinare, conformemente all'intelletto, le immagini e gli affetti corrispondenti. 7. Vi è infine un rimedio supremo della mente contro gli affetti, a cui la trattazione ci ha condotti per mano. Si tratta di un affetto di amore che, una volta conseguito, è più forte di tutti gli altri e in grado di vincere quelli nocivi, ordinandoli sotto una gerarchia suprema. Si tratta dell'amore verso Dio, che nasce dalla capacità della mente di .riferire tutte le immagini delle cose, o tutte le affezioni del corpo, all'idea di Dio (P14). Infatti la mente, conoscendo le cose in modo chiaro e distinto, sa che tutto ciò che esiste è in Dio e non può essere concepito senza Dio. Ora, non si può concepire adeguatamente un'immagine o un'affezione senza riferirla a ciò che di comune vi è in essa; ma ciò che vi è di comune rinvia all'attributo che esprime lessenza eterna e infinita di Dio, o della sostanza unica; dunque la mente può riferire tutte le affezioni del corpo o tutte le immagini della mente all'idea di Dio, cioè all'assoluta potenza di autocausazione, di cui ogni modo, immagine e affetto è una determinazione immanente. Che cosa accade quando la mente è in grado di riferire ogni immagine-affetto all'idea di Dio, scomponendo e riferendo progressivamente il particolare e il determinato al. suo fondamento ultimo, assolutamente indeterminato? L'amore verso Dio rappresenta la conclusione necessaria della conoscenza adeguata degli affetti, poiché chi conosce se stesso e i propri affetti in modo adeguato, mediante l'idea di Dio, prova gioia (E 3 P53) e quindi ama Dio (E 3 De/A6), tanto più quanto più conosce sé e i suoi affetti (P15). Ora, poiché questo amore è unito a tutte le affezioni del corpo ed è alimen171
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tato da tutte, ,deve occupare la mente più di ogni altra cosa (P16). E se si considera che Dio è una sostanza assolutamente immutabile ed eterna, che non prova alcun affetto di gioia o di tristezza, poiché non può mutare di perfezione - e pertanto non ama e non odia nessuno (Pq) 4 -, si comprende come tale conoscenza possa liberare dall'oppressione di una religione superstiziosa e dalle passioni che questa alimenta e come possa produrre un amore puro dell'uomo verso Dio, non affetto da passioni. Infatti chi ama Dio· con conoscenza adeguata non può mai odiarlo, né il suo amore può cambiarsi in odio, proprio per l'attività che accompagna la conoscenza adeguata e che esclude ogni passione (Pr8). Inoltre, chi ama Dio adeguatamente non può desiderare che Dio lo ·ami a sua volta; egli sa che Dio è un soggetto di affetti e che dunque non ama e non odia. Se ·desiderasse essere amato da Dio, desidererebbe che Dio non fosse Dio e in tal modo si rattristerebbe, cosa impossibile in. chi esercita la conoscenza adeguata in quanto adeguata (Pr9). Infine, quest'amore verso Dio, che è il sommo bene che possiamo desiderare mediante la ragione, essendo comune a tutti gli uomini ed essendo desiderato per tutti gli uomini, non può essere affetto da passioni di invidia o gelosia; al contrario, si rafforza nella misura in cui si immagini che esso è condiviso dal maggior numero possibile di uomini (P20) '. Nello scolio di quest'ultima proposizione l'autore può dunque concludere che non si dà alcun affetto contrario a Ì:ale amore e che esso è il più costante degli affetti. In quanto si riferisce al corpo, non può essere distrutto se non con il· corpo stesso; in quanto si riferisce alla mente, si dovrà ancora vedere di che natura esso sia. Alla fine dello scolio l'autore informa di aver terminato la trattazione di tutto quello che riguarda la vita presente e di accingersi a considerare ciò che si riferisce alla durata della mente,. senza relazione al corpo. Precisiamo, intanto, che ramore di cui si tratterà nella sezione successiva è lo stesso di cui si è trattato nella precedente, ma in relazione alla sola mente. Come sia possibile considerare la mente, che è idea di un corpo esistente in atto, senza relazione al corpo, è dò che si cercherà di intendere dalle proposizioni che seguono. 4. Questa tesi è già sostenuta nella KV rr, 24, 2. 5. Per l'amore dell'uomo verso Dio cfr. KV rr, 5, 9-12; t9, r; 26, 5.
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Della durata della mente senza relazione al corpo (P21·40) Questa celebre, difficile e dibattuta sezione della quinta parte pµò essere idealmente suddivisa in quattro paragrafi. I. L'eternità della mente (P21-23). 2. La conoscenza di terzo. genere (P24-31). 3. L'amore intellettuale verso Dio (P32-3 7). 4. La perfezione della mente considerata senza relazione al corpo (P38-40). 7.4.1. L'eternità della mente (P21-23)
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Le tre proposizioni che seguono sono di importanza fondamentale per l'intera sezione. Esse si propongono di mostrare: a) in che senso si dice che la mente ha una durata; b.) perché e in che senso. si dice che è eterna. La P21 risponde alla prima questione e precisa che la mente ha una durata finché viene considerata come idea di un corpo esistente in atto. Poiché il corpo ha una durata che si può ,determinare e misurare mediante il tempo, anche la mente, considerata come idea del corpo esistente in atto, con tutte le operazioni connesse, ha la stessa durata del corpo misurabile mediante il tempo. E poiché le operazioni della mente connesse al suo essere «idea di un corpo esistente in atto» sono l'immaginazione e la memoria, segue che la mente immagina e ricorda soltanto finché dura il corpo. Morto il corpo, non si dà più mente che immagini e ricordi, ossia che abbia un'idea delle affezioni del proprio· corpo e degli altri corpi. Da ciò segue che, se la mente sussiste dopo la morte del corpo, non immaginerà né ricorderà mediante le nozioni del tempo é della durata, poiché non può più conoscere nulla di ciò che è legato all'esistenza attuale del corpo e alla propria identità personale e storica. In tal senso si può affermare che non si dà sopravvivenza di una identità individuale dopo la morte, in quanto sia legata ali' esperienza tempor~e del corpo nella sua esistenza attuale. Questa conclusione, non formalmente dedotta da Spinoza, è implicata necessariamente nella definizione di mente intesa come idea di un corpo , esistente in atto (E 2 P13) e nell'esplicita negazione del perdu6. 'Per la ·discussione storiografica su questo tema rinvio alla Bibl. 37.
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rare di immaginazione e memoria, sostenuta nella P2 t. Si può anche aggiungère che, se tutto ciò che costituisce la mente come idea è l'esistenza attuale di un corpo e niente altro (E 2 Pr 3), dovrebbe seguire che, venuta meno lesistenza attuale del corpo, nulla permanga della mente. Tuttavia, a causa della struttura complessa dell'idea costituente la mente umana, illustrata nella seconda parte, non è questa la conclusione spinoziana. Infatti, nella P22, l'autore introduce il concetto di «essenza di questo e di quel corpo umano», intendendo con ciò l'essenza di un corpo umano individuale CE 2 De/2). Il ragionamento è lineare. Come ogni ente, così anche il corpo umano individuale ha un'essenza, che ha la sua causa immanente nell'essenza stessa di Dio (E r P2 5), considerato sotto l'attributo dell' estensione. Ma in Dio, per E 2 P3, si dà necessariamente l'idea tanto della propria essenza quanto di tutte le cose che ne seguono; dunque in Dio si dà anche, necessariamente, l'idea dell'essenza di ogni corpo umano. A tale riguardo, si pongono allora due questioni: si tratta di sapere, anzitutto, che cosa appartenga all'essenza di un corpo umano o che cosa la definisca; quindi se l'idea dell'essenza di un corpo umano possa appartenere all'idea, ossia alla mente di quel corpo umano. Quanto alla prima questione, si può rispondere che ali' essenza del corpo umano individuale appartiene non solo ciò che, posto o tolto, quel corpo è posto o tolto, ma anche ciò che, senza quel corpo, non può né esistere né essere concepito. Ora, ciò che, posto o tolto, anche il corpo umano individuale è posto o tolto, è l'attributo dell'estensione, non in quanto infinito nel suo genere, ma in quanto venga concepito come determinato da una serie di altri corpi che causano lesistenza attuale di quel corpo. Dw1que, l'essenza del corpo di Pietro è esclusivamente l'essenza del corpo di Pietro, diversa dall'essenza del corpo di Paolo, così come Pietro è diverso da Paoh Ma se all'essenza del corpo di Pietro appartiene ciò che fa di Pietro un uomo diverso da Paolo, venuta meno tale causa, non dovrebbe venir meno anche l'essenza di Pietro, oltre al corpo di Pietro? Insomma, perché l'essenza del corpo di Pietro dovrebbe essere eterna, se ciò che la costituisce in parte è quella particolare relazione di corpi che sola rende il corpo di Pietro attualmente esistente? Il corpo di Pietro cessa di esistere perché la determinata relazione di corpi che, oltre all'esistenza, costi-
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tuisce anche l'essenza del corpo di Pietro, non esiste più. E allora, perché l'essenza del corpo di Pietro non viene meno, pur venendo meno il corpo di Pietro? D'altra parte, se l'essenza del corpo di Pietro venisse meno, anche l'idea di tale essenza verrebbe meno. Prima di rispondere, esaminiamo lo stesso problema sul fronte dell'essenza della mente di Pietro. Infatti la P2 3 intende dimostrare che la mente di Pietro ha qualcosa di eterno, che non viene meno, perché all'essenza della mente di Pietro appartiene l'idea dell'essenza del corpo di Pietro. Per dimostrare tale appartenenza l'autore si richiama a E 2 Pr 3. Qui non si accenna all'essenza della mente umana, ma si afferma che «l'oggetto costituente la mente umana è il corpo, ossia un certo modo, esistente in atto, dell'estensione, e niente altro». Tale proposizione, come è evidente, considera oggetto esclusivo della mente umana un corpo umano esistente in atto. Che cosa appartiene, dunque, sulla base di questa proposizione, all'essenza della mente umana? Per E 2 De/2, appartiene alt'essenza della mente umana ciò che, posto o tolto, la mente umana è posta o tolta; ma anche, viceversa, ciò che, senza la mente umana esistente in atto, non può né essere né essere concepito. Si potrebbe credere che l'esistenza attuale del corpo appartenga all'essenza della mente umana, poiché, posta, la mente è posta, tolta, la mente è tolta. Ma se fosse cosi, avremmo dato semplicemente una delle due condizioni previste dalla De/2; mancherebbe l'inversa, ossia quel qualcosa che costituisce la mente in modo tale che, senza di esso, l'essenza della mente non potrebbe esistere né essere concepita. Se, a costituire l'essenza della mente, fosse semplicemente l'esistenza attuale del corpo, tolta questa, verrebbe meno non solo la mente come idea attuale di un corpo attuale, ma lessenza stessa della mente. Dunque, a costituire l'essenza della mente deve essere qualcos'altro, oltre l'esistenza attuale del corpo. Ricordiamo infatti che la mente, oltre ad essere un'essenza oggettiva (idea di un corpo), è anche un'essenza formale, un modo del pensiero· che ha in altri modi del pensiero la sua causa immediata. Perciò, più esattamente, si dovrà dire che è costitutivo dell'essenza della mente l'attributo del pensiero, non in quanto attributo, ma in quanto determinato da una serie infinita di idee, una delle quali ha per oggetto un corpo umano esistente in atto. Perciò, come l'essenza. del corpo di Pietro è costituita dall'attributo dell'estensione, cosi anche lessenza della mente di Pietro è co175
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stituita dall'attributo del pensiero, determinato dal n.esso di idee corrispondenti al nesso di corpi ·causanti e determinanti il corpo di Pietro. Ora, venendo meno i corpi determinanti il corpo di Pietro, non verrà meno, insieme al corpo di Pietro, anche il nesso di idee che sono rappresentazioni di quei corpi e del corpo di Pietro? Certamente. E allora, non verranno meno anche lessenza del corpo di Pietro e l'essenza della mente di Pietro? Per Spinoza certamente no. Cerchiamo di vederne la ragione. · · Questa risiede in ciò che costituisce propriamente e originariamente lessenza del corpo di Pietro e l'essenza della mente di Pietro: il loro essere determinazioni e atti immanenti e necessari dell'essenza eterna e infinita di Dio, nella quale non c'è né durata né tempo. In altri termini, lessenza del corpo e della mente .di Pietro, come di qualunque altro corpo e altra mente, si costituisce mediatamente, ma non temporalmente né secondo la durata, quale autodeterminazione eterna dell'eterna .essenza della sostanza. Né può essere altrimenti, poiché tutto ciò che si dà nella sostanza Oa mente e il corpo di Pietro si danno nella sostanza come sue modalità), in quanto posto dalla sostanza, esiste eternamente .. Dunque, nella sostanza non si danno soltanto le ùlee dell'essenza del corpo e dell'essenza della mente di Pietro, ma la stessa essenza del corpo e della mente di Pietro, in quanto determinate ad esistere eternamente dalla natura eterna della sostanza. · L'essenza di ogni cosa esistente è eterna in quanto posta necessariamente e per natura dalla sostanza stessa. Non può non essere eterna, dal punto di vista della sostanza, ossia dell'eternità. Sotto il profilo dell'eternità, e dell'intelletto che la coglie, tutto dò che deriva dalla necessità della sostanza è simultaneo ed eterno. Questa è una prospettiva inaccessibile all'immaginazione, che rappresenta le cose nel tempo e nella durata, ma aperta all'intelletto inteso come terzo genere di conoscenza. Perché e come si costituisca nella mente il terzo genere di conoscenza si vedrà qui di seguito. Intanto preme osservare in che modo l'idea dell'essenza del corpo di Pietro appartenga all'essenza della mente di Pietro. Abbiamo visto che la mente di Pietro è. un'idea del corpo di Pietro esistente in atto, data nel modo infinito mediato. Ora, tale idea non ·può non implicare, nello stesso modo infinito, anche l'idea dell'essenza del corpo di Pietro, poiché non si dà corpo senza essenza. Dunque l'idea dell'essenza del corpo di
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Pietro non appartiene alla mente in quanto sia semplicemente idea del· corpo di Pietro esistente in atto, ma in quanto è un modo del pensiero che ha la sua causa in Dio, considerato sotto l'attributo del pensiero, non in quanto è· infinito, ma in quanto è concepito come serie infinita di idee finite (modo infinito mediato). In tal senso l'idea dell'essenza del corpo di Pietro appartiene ali' essenza della mente di Pietro, o all'essenza dell'idea che costituisce la mente di Pietro. Perciò non si dà tr.tente che non implichi l'idea dell'essenza del corpo di cui è mente, dal momento che il corpo esistente in atto non è altro che l'essenza del corpo sotto I'aspetto della durata. Perciò l'idea che costituisce la mente di Pietro è a sua volta costituita, nella sua essenza, dall'idea dell'essenza del corpo di Pietro. Dunque la mente non è soltanto idea del corpo di Pietro esistente in atto, ma anche, essenzialmente, idea dell'essenza del corpo di Pietro. E poiché I'essenza del corpo di Pietro non viene meno, in quanto. è posta· necessariamente dalla natura della sostanza considerata sotto l'attributo dell'estensione, non viene meno neppure la sua idea, che appartiene all'essenza della mente. Quali sono le implicazioni di tale "appartenenza", per la conoscenza e per la vita? Si è visto, ora, che l'idea dell'essenza del corpo appartiene all'essenza della mente, in· quanto ogni corpo e ogni mente sono effetti immanenti, necessari e perciò eterni della natura della sostanza, concepita sotto gli attributi dell'estensione e del pensiero. Poiché, tuttavia, non sono effetti immediati, giacché in tal caso sarebbero infiniti, essi richiedo~ no, per esistere attualmente, una causa anch'essa finita, posta in una serie infinita di cause-cose finite. È in tal senso che i corpi e le menti sono posti nella durata, per quanto concerne la loro esistenza attuale. Tuttavia, poiché lessenza di ciascun corpomente e l'intera serie dei corpi-mente sono eterni, in quanto posti dalla necessità della natura divina, è su tale eternità dell'idea costituente I' essenza della mente· umana che si fonda la capacità della mente stessa di conoscere le cose sotto laspetto dell'eternità. Tale "capacità", tuttavia, non è da intendere come una pura potenzialità o "facoltà" intesa in senso tradizionale, che permanga come tale anche in stato di inattività. Essa, in quanto idea, è rappresentazione sempre in atto delle cose sotto I' aspetto dell'eternità. La differenza tra mente e mente è costituita
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dalla consapevolezza o non consapevolezza attuale di tale conoscenza sotto 'l'aspetto dell'eternità. La mente, intesa come idea di un corpo esistente in atto, è affetta in primo luogo dalle idee delle affezioni del corpo. Poiché questo non può sussistere -senza essere affetto, sempre, necessariamente, da altri corpi, la mente sarà sempre occupata dalle idee inadeguate di quelle affezioni. È in tal senso che l'autore, adottando una metafora quantitativa o spaziale, rappresenta la- mente come una estensione occupata tutta, in massima o in minima parte, dalla immaginazione o dall'intelletto. Come è possibile alla mente conoscere con il terzo genere di conoscenza e sapere di conoscere mediante esso? Precisato che la conoscenza intellettiva è fondata sull'idea costituente l' eternità della mente e che essa non può derivare dalla conoscenza immaginativa, l'autore precisa, nella P2 3S, in che cosa consista la consapevolezza della conoscenza intellettiva. Quella coscienza consiste nella stessa attività elementare e neutra della mente, che l'autore indica con il verbo sentire. L'atto del sentire è costituito dalla stessa modificazione, in quanto modificazione, che si produce nella mente, quando riceve un modo di pensiero che prima non aveva. È indifferente quale natura abbia un tale modo di pensiero, sia essa immaginativa, razionale o intellettiva. Purché si dia, la mente è modificata e in tale sua modificazione consiste il sentire. È per tale ragione che l'autore può affermare, nello stesso scolio, che «la mente non sente meno le cose che concepisce con l'intelletto, che quelle che ha nella memoria». E quando la mente concepisce con l'intelletto, sente, ossia sa con certezza che tale conoscenza implica la prospettiva dell'eternità. È così che la mente sa, ossia sente e ha esperienza della propria eternità. L'esperienza della mente è dunque, essenzialmente, il suo stesso sentire e poiché la mente, nella sua essenza, è eterna e concepisce sotto l'aspetto dell'eternità, si può affermare· che la -sua prima esperienza, e costitutiva, è quella dell'eternità. Alla fine dello stesso scolio l'autore ricorda che la mente invece dura e può concepire le cose sotto la durata e il tempo, solo in quanto implica l'esistenza attuale del corpo. Si noti che, ad implicare l'esistenza attuale del corpo non è l'essenza eterna del corpo né, tanto meno, l'essenza della mente, ma il medesimo atto necessario e immanente della sostanza, che pone sia l'essenza del corpo sia la serie infinita delle esistenze attuali dei corpi.
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7+2. La conoscenza di terzo genere (P24-3r)
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Nell'esposizione di questa dottrina fondamentale del sistema spinoziano, .mi permetterò di modificare l'ordine seguito dall'autore nella deduzione analitica delle proposizioni, per ricostruire e presentare invece lo schema sintetico delle questioni alle quali quelle proposizioni rispondono. Riformulo ed espongo l'intera dottrina. sotto cinque domande. r. Che cos'è il terzo genere di conoscenza? La risposta viene data nella dimostrazione della P2 5, la quale, rinviando alla definizione data in E 2 P4052, ricorda che la conoscenza intellettiva procede dall'idea adeguata di certi attributi di Dio alla conoscenza adeguata dell'essenza delle cose. Per "cose" qui si intendono le cose singolari in quanto singolari (di cui si veda la definizione in E 2 Deh), poiché, come afferma la P24, «quanto più conosci?mo le cose singolari, tanto più conosciamo Dio». Infatti, poiché Dio è causa sia dell'esistenza sia dell'essenza delle cose singolari (E r P2 5 ), ne consegue che, non potendosi conoscere l'effetto senza conoscere la causa, quanto più conosciamo le co~ se singole, tanto più conosciamo Dio. Conoscere Dio secondo questo modo significa, esattamente, sapere che le cose singole sono modi immanenti e necessari, quindi ,eterni, dell'essenza divina concepita sotto attributi determinati. Ciò che distingue la conoscenza di terzo genere o intelletto dalla conoscenza del secondo genere o ragione è che, pur potendo anche questa conoscere sotto una certa specie di eternità, conosce non le cose singolari in quanto singolari, ma ciò che è comune a tutti i corpi in quanto è comune (E 2 P38-39, P44). 2. Quando la mente conosce intellettivamente le cose singolari? La risposta è data dalla P29, la quale afferma che la condizione di possibilità di ogni conoscenza di terzo genere non riposa sulla conoscenza dell'esistenza attuale del corpo, ma sulla conoscenza dell'essenza del corpo sotto la specie dell'eternità. Lo scolio della P29 offre al riguardo una distinzione capace di illuminare sul significato della tesi spinoziana. La distinzione riguarda il duplice modo di intendere il termine "attuale". Secondo un primo modo, attuale è una cosa concepita come .esistente secondo un tempo e un luogo determinati; in un secondo modo, attuale è una cosa in quanto è concepita come contenuta in 7. Cfr. Biht. 32.
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Dio e derivante dalla necessità della sua natura, ossia in quanto esistente necessariamente mediante l'essenza di Dio (P30D). Quando le cose sono concepite ip questo secondo modo, sono concepite sotto la specie dell'eternità. Ora, se torniamo alla P13 della seconda parte, possiamo intendere perché l'autore riferisca all'idea che costituisce la mente, intesa quale conoscenza dell'esistenza attuale del corpo, anche l'idea dell'essenza del corpo. Infatti, concepire lesistenza attuale del corpo in quanto contenuta in Dio e derivante dalla necessità della sua natura, significa concepirla sotto la specie dell'eternità, quale essa deve essere ed è eternamente, ossia nella sua essenza. Concepire I' essenza del corpo e concepire il corpo sotto la -specie dell'eternità sono un solo è medesimo atto dell'intelletto. E poiché concepire il corpo sotto· r aspetto dell'eternità o nella sua essenza s1gnifica concepirlo come attuale, l'idea dell'essenza del corpo umano costituisce, al pari dell'idea del corpo concepito in riferimento a una durata determinata, la mente umana. Ne consegue che la condizione universale che rende possibile alla mente conoscere le cose singole in quanto singole sotto la specie dell' eternità consiste nella sua capacità di conoscete l'essenza del proprio corpo, o il proprio corpo sotto la specie dell'eternità. 3. Che cos'è che rende la mente capace di conoscere sotto t aspetto dell'eternità? La risposta è data dalla P31, ·la quale afferma che
la causa formale o essenziale del terzo genere di conoscenza è la mente stessa in quanto è eterna, ossia in quanto è costituita, «in parte», dall'idea dell'essenza del corpo. In altri termini, l'idea dell'essenza del corpo non è un prodotto della mente, a cui la mente può giungere nella sua esperienza; non è il risultato sintetico di conoscenze precedenti e diverse, ma è il fondamento analitico della mente stessa in quanto è eterna. La mente può conoscere le cose singolari sotto 1' aspetto dell'eternità perché è essa stessa radicata nell'eternità in quanto idea eterna dell'essenza eterna del corpo. 4. Quali sono le conoscenze che la mente ottiene conoscendo se stessa e ·il corpo sotto la specie dell'eternità? La risposta è data dalla P30, la quale afferma che la mente possiede almeno queste tre conoscenze: a) ha necessariamente la conoscenza di Dio; b) sa che è in Dio; c) sa che è concepita· per mezzo di Dio, ossia per mezzo della sua essenza, a cui inerisce necessariamente, perché ne è una modificazione. 180
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5. Qual è la proprietà del terzo genere dl conoscenza, ln quanto riferito alla mente? La risposta è data dalle P25-28, le quali intendono dimostrare che la conoscenza di terzo genere costituisce la virtù suprema della mente, ossia l'esplicazione suprema della sua potenza. Quindi, nel terzo genere di conoscenza si esprime la massima cupidità umana (P25 )~ Infatti, se la conosçenza dell'essenza del corpo costituisce lessenza della mente, la cupidità, in quanto essenza dell'uomo (E 3 ADr )~ è espressa, nella sua massima potenza e perfezione, dalla conoscenza di terzo genere. Inoltre, quanto più la mente conosce mediante que~to genere, tanto più la cupidità di conoscere mediante esso si rafforza, ossia tanto più desidera conoscere mediante quello stesso genere (P26). È evidente che la cupidità di conoscere mediante il terzo genere di conoscenza non può nascere. dal primo genere, ossia dall'immaginazione e dalle sue idee inadeguate, ma nasce essenzialmente dallo stesso terzo genere, ossia dall'esistenza, nella mente, dell'idea dell'essenza del corpo. Invece la conoscenza intuitiva può essere stimolata, favorita o aiutata dalla conoscenza di secondo genere, ossia dalla ragione, che conosce ciò che è comune a· tutti i corpi sotto una certa specie di eternità (P28). È altresì evidente che la conoscenza di terzo genere non può essere dedotta dal secondo e che questo non può esserne in nessun modo la causa. Infine va notato che, se la conoscenza di terzo genere esprime la suprema perfezione della mente, quanto più la mente conosce mediante questo genere, tanto più passa ad una perfezione maggiore; dunque è tanto più affetta da gioia e non v'è gioia più alta e compiuta che possa sperimentare (P2 7). Da tale proposizione si procede all'analisi dell'effetto supremo della conoscenza di terzo genere, ossia dell'amore intellettuale verso Dio. 7.4.3. L'amore intellettuale verso Dio (P32-37)
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Le tesi sostenute dall'autore possono ridursi sostanzialmente a tre. r. Anzitutto si dimostra qual è la genesi di tale amore. ·Per la P2 7, la conoscenza di terzo genere è accompagnata dalla gioia suprema di cui la mente è capace e tale gioia implica l'idea che la mente ha di se stessa e l'idea di Dio come causa. Segue che la mente, per la definizione dell'amore (E 3 AD6), non può non 8. Cfr. Bibl. 38.
r8r
L'ETICA DI SPINOZA
amare Dio con il massimo amore di cui è capace. E poiché Dio viene amato in quanto è concepito come eterno, tale amore verso Dio viene chiamato dall'autore «amore intellettuale» (P32 e C). 2. Si dimostra poi in che cosa consista l'essenza di tale amore. L'autore chiarisce anzitutto che l'amore intellettuale è una prerogativa di Dio, in quanto la natura di Dio gode di una perfezione infinita accompagnata dall'idea di se stesso come causa (P35). È evidente che alla natura di Dio, intesa come naturante, non possono essere riferiti .né idee né affetti, né gioia né amore. Tutto ciò appartiene alla natura naturata. Dunque, in quanto venga riferito a Dio, inteso secondo E I De/6, 1' amore di sé non è altro che la forza infinita e indeterminata con cui la sostanza coincide con sé. Considerando tale relazione ontologica di autocausalità in relazione al modo infinito del pensiero, si può dire che "in Dio" si dà l'idea della sua stessa natura come assolutamente perfetta in quanto causa di sé. E questo è ciò che, nella P32C, è stato chiamato amore intellettuale e che .costituisce il fondamento e lorizzonte di ogni altro amore intellettuale. Ne consegue che l'amore intellettuale dell'uomo verso Dio è una parte o modalità dell'amore con cui Dio ama se stesso, non in quanto è infinito, ma in quanto può essere espresso mediante la mente umana (P36). In altri termini, se lamore con cui Dio ama se stesso è la condizione dell'amore della mente verso Dio e in questo amore consiste la suprema beatitudine della m~nte . m . quanto " ama " se stesso, "ama " gli uomini . . e che segue ehe Dio, lamore di Dio verso gli uomini coincide, realmente, con 1' amore che gli uomini hanno verso Dio. L'amore di Dio verso gli uomini, se cosi si vuol dire, consiste nel rendere gli uomini, non per libera volontà, ma per necessità della natura divina, capaci di amare Dio con amore intellettuale. In tal modo si mostra come la mente umana dipenda continuamente, per 1' essenza e 1'esistenza, dalla natura divina e come in tale dipendenza o relazione ontologica consista essenzialmente 1' amore di Dio verso gli uomini o lamore intellettuale dell'uomo verso Dio, nel quale risiede la suprema soddisfazione e acquietamento dell'animo (P36C e S). 3. L'amore intellettuale verso Dio è fonte di suprema beatitudine, perché è eterno (P33) e non si dà nulla in natura che gli sia contrario (P3 7). Infatti la mente è soggetta alle passioni solamente in quanto subisce affezioni da parte di altri corpi, durante 1'esistenza temporale del suo corpo. Ma poiché lamore
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DELLA POTENZA DELL'INTELLETTO
intellettuale verso Dio nasce dalla conoscenza di terzo genere, la quale non deriva dalla conoscenza dell'esistenza attuale del corpo, ma dell'essenza eterna di questo - e pertanto è eterna segue che anche quell'amore è eterno. Inoltre, poiché la mente è considerata, grazie alla natura di Dio, come una verità eterna, se in natura si desse qualcosa di contrario a quest'amore, si darebbe qualcosa che potrebbe rendere falso il vero, il che è assurdo (P3 7). Infatti 1'assioma unico della quarta parte, per cui non e' è nulla in natura di cui non possa darsi qualcosa di più potente che possa distruggerlo, vale unicamente per le cose considerate in relazione a un luogo e a un tempo determinati e non alle cose considerate sotto la specie dell'eternità (P37S). 7+4· La perfezione della mente (P38-40)
Nelle tre proposizioni che concludono la sezione dedicata alla mente considerata senza relazione all'esistenza attuale del corpo, 1'autore stabilisce un triplice rapporto proporzionale, che ha per oggetto la perfezione della mente. Il primo rapporto, di proporzione inversa, è posto tra conoscenza di secondo e terzo genere e passività della mente: quanto più la mente conosce in modo adeguato, tanto meno subisce affetti passivi e tanto meno teme la morte, perché la maggior parte di essa permane illesa con il venir meno del corpo (P38). Poiché in questa proposizione e nel suo scolio l'autore si riferisce esplicitamente a ciò che permane (remane!) della mente, sembra potersi concludere da essa che la mente, essendo individuale anche nella sua essenza, sopravviva individmtlmente dopo la morte, anche se non con le rappresentazioni proprie di immaginazione e memoria. Ciò che permarrebbe è la parte della mente che non ha relazione operativa con il corpo o, per dirlo con un termine tradizionale, la parte della mente che è separata dal corpo, secondo la tradizione aristotelica. L'intelletto, anche secondo Aristotele, permane eternamente soltanto perché è separato. dal corpo e si è congiunto ad esso "dall'esterno". Benché in un contesto categoriale diverso, la tesi che Spinoza sostiene è analoga. Periscono immaginazione e memoria; permane la parte di mente contrassegnata da idee di secondo e terzo genere. Quanto più numerose sono tali idee, tanto maggiore è la parte di mente che permane. Ora, poiché conoscere con il secondo e con il terzo genere di conoscenza significa . essere attivi e tra attività e perfezione
L' ETfCA DI Sl?INOZA
esiste proporzionalità diretta, l'autore può stabilire tale proporzione diretta e reciproca tra perfezione e attività (P40), per concludere che la parte di mente che permane, poiché è necessariamente attiva, grande o piccola ·che sia rispetto alla parte che perisce, è sempre più perfetta di questa (P400. Infine, egli stabilisce una terza inevitabile proporzione diretta tra perfezione della mente e perfezione del corpo: quanto più il corpo è atto a compiere azioni, tanto meno subisce affetti ·contrari .alla sua natura e la mente è tanto più capace di ordinarne e concatenarne le affezioni con il proprio ordine intellettuale, riferendole tutte all'idea di Dio. Da ciò segue l'amore intellettuale verso Dio e, in virtù di questo, che è eterno e non è contrastato da nulla in natura, la parte maggiore della mente sarà eterna (P39). Da quantoprecede si conclude che la mente umana, in quanto conosce· con il secondo o con il terzo genere di conoscenza, «è un modo eterno del pensare, che è determinato da un altro modo eterno del pensare, e questo a sua volta da un altro, e così all'infinito; dimodoché tutti insieme costituiscono l'intelletto eterno e infinito di Dio» (P40S). Conviene precisare, ancora una volta, che Dio, inteso come sostanza assolutamente infinita, non è un soggetto personale di intellezione e che l'intelletto infinito, come quello finito, appartiene alla Sostanza in quanto Natura naturata. L' «intelletto eterno e infinito di Dio» è dunque il modo infinito dell'attributo del pensiero, simultaneamente immediato e mediato. In quanto immediato, è costituito da· un unico atto di intendere, 'infinito e .onnicomprensivo; in quanto mediato, è la totalità délle idee, ciascuna delle quali è determinata, nell'essenza e nell'esistenza, da altre idee, in una serie infinita. Il modo infinito mediato, in quanto tale, è eterno nella sua interezza; esso è anche eterno, tuttavia, rispetto agli infiniti modi finiti che lo costituiscono, considerati nella .loro essenza. Gli stessi modi finiti, eterni nell'essenza, in quanto si determinano reciprocamente nell'esistenza, sono detti durare e sono misurati mediante il tempo. 7 .4. 5. La ragione prescrive che la beatitudine consiste nell'esercizio della virtù (P4r-42)
Per concludere la quinta parte, l'autore avverte l'esigenza di ribadire due insegnamenti che la ragione aveva impartito nella quarta parte, prima di scoprire l'eternità della mente, conosciuta solo nella quinta. Che cosa ne sarebbe della beatitudine e della sal-
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vezza dell'uomo, se l'uomo non giungesse mai a conoscere, come accade per lo più, che una parte della sua mente è eterna e che egli stesso, in quanto attua quella parte, è eterno? È egli precluso dalla beatitudine, ossia dalla libertà? L'autore ribadisce che l' uomo, pur ignorando l'eternità della propria mente, può pervenire a una vita beata obbedendo alla prescrizione razionale di ricercare il proprio utile, fondamento della virtù, ossia della retta maniera di vivere (P4rD). Ma la ragione insegna che il proprio utile può essere massimamente conseguito attraverso l'esercizio della fermezza d'animo (ossia moralità e religione) e della generosità; dunque, anche se si ignorasse che la mente è eterna, queste virtù andrebbero massimamente coltivate. Infine l'autore ricorda che la virtù non può essere esercitata perché a tale esercizio consegua un premio, come se, mancando questo, non vi fosse più ragione di esercitarla. Chi pensasse in tal modo dimostrerebbe di non sapere che cos'è la virtù, ossia la ricerca del proprio utile e l'attuazione della potenza della propria natura. Ora, poiché tale attuazione non può che essere espressione dell'attività della mente e in tale attività consiste la virtù; poiché inoltre la massima attività è espressa dalla conoscenza intuitiva e questa è accompagnata da beatitudine e da amore intellettuale verso Dio, segue che la beatitudine coincide con la stessa virtù e non è un premio successivo all'esercizio di questa. Inoltre, poiché la capacità di resistere alle passioni dipende dall'attività della mente, ossia dalla sua virtù, segue che non godiamo della beatitudine perché reprimiamo le passioni, ma, viceversa, riusciamo a reprimere le passioni perché godiamo della beatitudine, ossia perché esercitiamo la virtù, attuando la potenza della nostra natura nella ricerca del vero utile (P42). In tal modo l'autore ribadisce la natura a priori e analitica della conoscenza intuitiva, la quale, essendo eterna o modo eterno del pensare, non può in nessun modo essere prodotta o generata, non può in nessun modo seguire ad altre conoscenze, ma tutte, nel suo ordine di conoscenza adeguata, le precede. È per questo che conoscenza vera, virtù e beatitudine si identificano e sono da sempre riposte e nascoste in ogni mente. L'Etica di Spinoza ha mostrato la via che può condurre al tesoro nascosto in ogni mente di ogni uomo che vive in questo mondo in ogni tempo; via difficile, se viene trovata così raramente; ma via che può essere trovata, come l'esperienza stessa dell' autore dell'Etka sembra insegnare. Del resto, tutte le cose sublimi non sono tanto difficili quanto rare?
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Conclusione
Giunti al termine di una espos1z1one che intende sopra tutto guidare il lettore nel dedalo della complessa costruzione geometrica dell'Etka, non per grandi sintesi, ma, come è stato possibile, mostrandone anche in dettaglio il disegno e la struttura concettuale, è forse opportuno offrire, sull'opera, uno sguardo sintetico, quasi un filo conduttore teoretico, che ciascuno, impiegandolo come meglio crederà, potrà conservare, perfezionare o, semplicemente, gettare, dopo la personale lettura del testo. Tenterò quindi anzitutto di raccogliere e delineare, in dieci punti, i principali nuclei teorici dell'opera; ne proporrò poi una interpretazione complessiva, nella prospettiva dell'evoluzione storica del pensiero occidentale. 8.1 I nuclei teorici dell'Etica I. Non v'è dubbio che la prima e fondamentale tesi dell'Etica, dalla quale tutte le altre in qualche modo dipendono, consiste nella concezione dell'essere come sostanza unica, intesa quale potenza, forza o energia infinita e assoluta di· autoposizione (causa sui). Tale potenza attiva, in se stessa neutra e indifferente, è l'identità esistenziale di tutte le essenze o perfezioni infinite che competono a un essere assolutamente infinito e perfetto. La sostanza, detta anche natura o dio, contiene simultaneamente implicate ed esplicate (a seconda della natura dell'intelletto che la considera) tutte le proprie determinazioni. Essa è causa immanente e necessaria di queste, con fa stessa potenza con cui è causa di sé. 2. Ciò che l'intelletto (infinito o finito) percepisce come costituente l'essenza della sostanza, si chiama attributo. Poiché la sostanza è 1' essere assolutamente infinito, inteso come pura po-
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SP[NOZA
tenza attiva di autoposizione, ad esso ineriscono infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime una diversa perfezione o essenza, infinita non assolutamente, come la sostanza, ma nel suo genere. Gli attributi si concepiscono ciascuno per se stesso, essendo l'uno realmente distinto dall'altro, ma non esistono ciascuno per se stesso, costituendo ed esprimendo invece tutti simultaneamente la potenza assolutamente infinita della sostanza. Gli attributi sono dunque le forme con cui si esplica ontologicamente la natura della sostanza e con cui questa si manifesta all'intelletto: il primo, costitutivo ed essenziale "fenomeno" della sostanza. La sostanza intesa come causa di sé, con la totalità dei suoi attributi, costituisce la natura naturante. Degli infiniti attributi della sostanza l'uomo conosce soltanto quelli di cui partecipa come modo, ossia l'estensione e il pensiero. 3. Ciò che, essendo implicato dalla natura della sostanza secondo la determinazione essenziale dei suoi attributi, è posto in essere dalla stessa sostanza con lo stesso atto con cui è causa di sé, è il modo. Il modo è l'effetto necessario e immanente della sostanza, secondo uno o più attributi simultaneamente. Se il modo esprime la natura di un attributo, esso è infinito ed eterno come l'attributo: tali sono, ad esempio, l'intendere rispetto all'attributo del pensiero e la relazione assoluta moto-quiete rispetto all'attributo estensione. Tali modi sono infiniti e immediati. Poiché il modo è una determinazione della potenza assoluta della sostanza, esso è per natura attivo e produttivo mediante la potenza stessa della sostanza. Il modo infinito immediato implica dunque un effetto, infinito e necessario anch'esso, costituito dalla totalità delle sue determinazioni. Questo effetto, assunto come totalità e simultaneità delle determinazioni, si chiama modo infinito mediato. Tale è, per l'attributo del pensiero, la totalità, in quanto tale, delle idee che costituiscono l'attività propria dell'intendere o intelletto infinito; per l'attributo estensione, si considera modo infinito mediato la totalità dei corpi o il «volto dell'intero universo». Nella totalità infinita delle idee, ciascuna idea trova nell'altra un suo limite ed è dunque finita; nella totalità infinita dei corpi, ciascun corpo trova nell'altro un proprio limite ed è dunque finito. Il modo infinito mediato è perciò costituito dalla totalità dei modi finiti. Di essenziale importanza è intendere che, sotto il profilo ontologico, come è identica· la realtà di tutti gli attributi, ossia la medesima potenza attiva della sostanza, così è identica la realtà dei modi, determinazione della medesima potenza attiva, espressa sotto attributi
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8.
CONCLUSIONE
diversL La totalità dei modi, infiniti e finiti, costituisce la natura
naturata. 4. Quel modo, costituito da un solo e medesimo individuo, espr~sso simultaneamente sotto lattributo ·dell'estensione nella forma di un corpo umano determinato e, sotto lattributo del pensiero, nella forma di una idea determinata di tale corpo umano determinato, è l'uomo. Da ciò segue che l'uomo non è una sostanza, ma un modo e, in quanto tale, assolutamente determinato nell'essenza, nell'esistenza e nell'azione dalla sostanza e dalla serie infinita degli altri modi. Segue in· secondo luogo che, non essendo corpo e mente sostanze; ma modi di attributi che non hanno nulla· in comune nell'essenza, benché si identifichino nell'esistenza della medesima sostanza, né il corpo produce· alcun effetto nella mente né la mente ·produce alcun effetto nel corpo: nei due ordini di modalità, gli effetti o le modificazioni (idee o rappresentazioni da. un lato, variazioni dell'equilibrio moto-quiete dall'altro) procedono simultaneamente e parallelamente, poiché sono espressioni ontologiche di un medesimo individuo sotto attributi diversi. 5. La natura propria di tale medesimo individuo è una determinazione dell'unica natura ontologicamente esistente, della forza immanente della sostanza. La natura dell'uomo, come di ogni altro ente, è forza, energia di autoconservazione. Tale fotza, consistente nella simultaneità ontologica delle affezioni corporee e delle idee di tali affezioni, si chiama affetto. L'affetto costituisce dunque l'essenza propria di ogni modo, espresso simultaneamente sotto gli attributi del pensiero e dell'estensione: è peculiare dell'uomo, rispetto agli altri modi, essere un affetto consapevole di sé (cupiditas). L'uomo è dunque una forza in relazione costitutiva e strutturale con altre forze: in tal senso, esso è pensato da Spinoza secondo una prospettiva energetica, come una realtà dinamica in continua oscillazione nel rapporto e nella· tensione con tutte le altre forze della natura. Se la forza costituente l'uomo è affetto, l'indagine prioritaria concernente la natura ·umana è quella relativa alla natura e alla dinamica degli affetti, mirante a scoprire le leggi che ne regolano la genesi e le associazioni. L'Etica può ·essere considerata, sotto questo profilo, come ·la prima costruzione scientifica di una psicologia dinamica. 6. L'espressione della perfezione di cui l'uomo è capace si istituisce e si misura nell'ambito del rapporto strutturale ed imprescindibile con cui la sua forza (conato di autoconservazione) si
L' RTCCA Dr SP[NOZA
confronta con quella degli altri corpi e delle altre menti e dagli effetti che è in, grado di produrre. Come la sostanza è per sua natura attiva, così, anche per l'uomo, l'azione costituisce il criterio distintivo della perfezione. L'uomo, cioè quella particolare forma di affetto che lo costituisce, è attivo, quando è causa adeguata, intera e totale degli effetti che produce; è passivo, quando egli ne è causa inadeguata, ossia quando essi dipendono, oltre che dall'uomo stesso, anche dalla forza delle cause esterne. L'affetto si distingue dunque in azione e passione e 1' uomo è un campo interattivo e simultaneo di azioni e passioni. La forma fondamentale dell'affetto umano è la cupidità, espressione della sua essenza in quanto forza determinata ad agire da una qualche affezione data; le due forme autopercettive basilari della cupidità, di cui tutti gli altri affetti sono determinazioni, sono la gioia e la.tristezza. Quanto più l'uomo agisce, tanto più esprime la propria natura e consegue il proprio utile: nella ricerca del vero utile consiste la virtù, ossia la gioia. Due cose costituiscono in sommo grado il vero utile umano: la conoscenza adeguata e tutto ciò che rende possibile, rafforza e stabilizza la concordia tra gli uomini. Questa seconda tesi è il fondamento della politica spinoziana; dimostrare la possibilità e le condizioni della conoscenza adeguata è invece l'obiettivo principale della dottrina della mente, esposta nella seconda 'parte. 7. Se l'affetto si esprime in modo simultaneo come corpo e come mente, la forma espressiva dell'affetto sotto l'attributo del pensiero è l'idea. Tra idea e affetto non esiste, sotto questo profilo, alcuna differenza: le idee sono affetti considerati dal punto di vista dell'attributo pensiero. Da qui deriva la grande importanza che la filosofia di Spinoza assegna alla conoscenza e alle sue forme. Premesso che la mente umana non è una sostanza né un soggetto né una facoltà, ma l'insieme unitario di idee relative a un corpo umano esistente in atto, così come questo è un individuo complesso costituito da molti altri individui, ogni modificazione dello stato conoscitivo della mente, ogni darsi di una nuova idea, di qualunque genere questa sia, viene indicata nell'Etka con il verbo sentire. ta rappresentazione che nella mente si dà di una affezione del corpo in quanto affezione, sia essa attualmente data sia essa, soprattutto, assente, si chiama immagine e il dinamismo affettivo-logico che la produce immaginazione. Poiché le rappresentazioni immaginative esprimono parzialmente, ma secondo leggi necessarie, la na-
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CONCLUSWNE
tura e l'ordine deL corpi esterni mediante la struttura recettiva del corpo affetto, non seguono la natura e l'ordine della mente ma indicano la passività dell'uomo dinanzi alla forza delle cause esterne e sono sempre necessariamente inadeguate. Se invece la mente è in grado di cogliere nelle affezioni date ciò che in esse è comune a tutti i corpi e a tutte le parti del corpo umano, poiché ciò che è comune si dà identicamente in tutte, di esso avrà una conoscenza adeguata, che si chiama ragione ò conoscenza di secondo genere. Questa, tuttavia, benché conosca le cose come necessarie e sotto un certo aspetto di eternità, non è in grado di conoscerle nell'essenza, poiché ciò che è comune, in quanto tale, non costituisce l'essenza delle cose singole, la quale implica sempre necessariamente, per la sua definizione, anche le condizioni determinate dell'esistenza della cosa a cui si riferisce. Capace di conoscere le cose singolari nella loro essenza è invece l'intelletto o conoscenza di terzo genere, perché intuisce o vede immediatamente la loro relazione immanente e necessaria con l'attributo della sostanza a cui appartengono. L'intelletto, conoscendo le cose sotto l'aspetto dell'eternità, è in grado di unire l'uomo con amore immutabile a ciò che è eterno e dunque di esprimerne in massimo grado la forza o perfezione. 8. Il compito fondamentale di una dottrina etica è dunque quello di ricercare e di insegnare come è possibile trasformare una passione in azione o, detto in altri termini, perfezionare quanto più è possibile la forza di autoconservazione. Si deve al riguardo precisare che per Spinoza una liberazione totale dagli affetti passivi è impossibile, poiché è impossibile liberarsi dalla immaginazione. Quindi nella mente vi saranno sempre idee inadeguate perpetuamente risorgenti, accanto a idee adeguate. Il compito di una sana educazione è quello di condurre la mente a formare, quanto più è possibile, idee adeguate, ossia a conoscere le cose con la ragione e l'intelletto. Poiché la conoscenza adeguata esprime essenzialmente la forza della natura umana, da essa deriveranno azioni e non passioni. Ragione ed intelletto, infatti, conoscono le cose come necessarie ed eterne e sono . in grado di distogliere la mente dall'idea di una cosa esterna, considerata come unica causa di una passione, nella infinita molteplicità di concause che la costituiscono e nelle quali quella causa ritenuta unica si risolve e dissolve. 9. L'autentico bene dell'uomo e La sua (relativa) libertà consistono nella vita affettiva regolata dalla conoscenza adeguata. Per libertà non si deve intendere una indifferente capacità di
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autodeterminazione, impossibile nella natura naturata, ma soltanto lacquisizione di una progressiva capacità di autonomia rispetto al· potere delle cause esterne. In tale relativa autonomia; quando è accompagnata dalla consapevolezza di sé, risiede la quiete dell'animo, di cui tratta la quinta parte dell'Etica e a cui il testo, con riferimento demitizzante alla secolare tradizione teologica, dà anche i nomi di beatitudine e salvezza. Questa coincide con la quieta soddisfazione della mente che, conoscendo in modo adeguato lessenza eterna di Dio, conosce adeguatamente anche le cose singole che ne costituiscono la modalità di esistenza ed agisce in queste con ·giustizia e carità. Con la vita virtuosa orientata alla ricerca del vero utile umano, in quanto determinata dalla conoscenza adeguata del .dio-sostanza, è riposta l'autentica religione, capace di costituirsi e .di esprimersi a partire dalla e nella libertà dell'animo. Ogni altra forma di religione, nascendo dalla potenza della ·immaginazione, è uno strumento elaborato dagli· uomini · per controllare il perenne :fluttuare dell'animo tra la· paura e la speranza e per condurre la maggipr parte di essi· a compiere, in forza dell'obbedienza, opere di giustizia e di carità, che non potrebbero attuare in forza della conoscenza adeguata, ossia della libertà dell'animo. 10. Il fondamento e la causa autentica della capacità umana di conoscere adeguatamente risiedono nell'eternità della mente. Questa, infatti, non è soltanto idea (complessa) di un ·corpo esistente in atto in un tempo e in un luogo determinati, ma è anche idea dell'essenza del medesimo corpo umano. Tale essenza è il medesimo corpo umano individuale, in quanto è implicato necessariamente, e perciò eternamente, dalla natura della sostanza. Segue dunque che il corpo umano di ciascun individuo, come ogni altro corpo, è dotato di una eterna attualità (essenza) nell'attributo dell'estensione, della quale attualità si dà, nell'attributo del pensiero, un'idea altrettanto eterna (essenza anch'essa), costituente in parte, insieme· alle idee delle affezioni del corpo esistente in atto, la mente umana. Conoscere le cose singolari sub specie aetern#atis ·vuol ·dire, esattamente, sapere che tutto l'universo delle· cose :finite e durevoli esiste anche in una dimensione eterna, posta dalla causalità immanente e necessaria, ossia per natura, dell'unica sostanza~causa di sé. Per quanto astratta e "metafisica" possa apparire questa tesi, essa è tuttavia fondamentale e irrinunciabile ·nel sistema spinoziano: essa concerne la possibilità e la realtà, per quanto rara e difficile da consegliire, dell'esperienz(l individuale dell'eternità.
8.
CONCLUSIONE
8.2
L'Etica nella prospettiva storica della civiltà occidentale Il titolo di questo paragrafo può apparire non privo di ambizione, tanto più che il tema· da esso enunciato può essere svolto solo per accenni in questo contesto. È tuttavia necessario, leggendo un classico, farsi un'idea della posizione che occupa e del ruolo che ha svolto e può ancora. svolgere nella storia della civiltà che lo ha prodotto. Esso è, infatti, parte essenziale e costitutiva di quella stessa civiltà, di cui può rivelare percorso e destino. Mi limiterò a tre considerazioni, emergenti in modo particolare dalle analisi svolte nella presente introduzione. 1 •. Sotto il profilo ontologico, l'Etica può essere considerata come il più rigoroso documento :filosofico, nell'età moderna, della dottrina storica del principio indeterminato. Tale dottrina può essere paragonata a un fiume carsico, il quale, dopo aver bagnato ·e fecondato periodi e regioni della cultura antica, si è a lungo inabissato sotto la superficie per riapparire solo a tratti e di nuovo inabissare, fino al suo emergere sicuro in età moderna nell'Uno indifferente di Bruno e nella Sostanza di Spinoza. La totalità degli attributi costituenti l'essenza della sostanza può essere considerata come simultanea e identica alla sua unitaria esistenza assoluta solo in quanto la sostanza, considerata in sé come principio assoluto, necessario e immanente delle proprie determinazioni, venga assunta come una potenza attiva infinita e neutra, indifferente a ogni determinazione essenziale. La sostanza, quale unità e identità di esistenza di tutti gli attributi, deve essere assolutamente indeterminata e indifferente rispetto a ciascuno di essi.. Essa è forza o energia assoluta, impersonale e non soggettiva, che si esprime simultaneamente ed eternamente secondo tutte le perfezioni e modalità di essere, poiché tutte competono all'essere assolutamente infinito. Pensare e pensare la sostanza come assoluto campo vuoto di energia neutra atttoponentesi. e autodeterminantesi sono la stessa cosa. 2. n secondo aspetto di grande rilievo storico, conseguente al primo, ·è costituito dal modello monistico-dinamico elaborato nella dottrina dell'uomo. Questo non è più concepito come unità o relazione tra due sostanze (corpo e mente), e tanto meno come una sostanza; bensi come un modo ontologicamente unitario («un solo e medesimo individuo»), consistente in una determinazione della potentia della medesima sostanza, espressa 1
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simultaneamente sotto gli attributi del pensiero e dell'estensione come mente e come corpo. L'unitaria realtà costitutiva dell'uomo, quale simultaneità di affezione corporea e idea di tale affezione, è l'affetto, in quanto consapevole di sé (cupidita~). L' affetto-cupidità, costituente l'essenza dell'uomo quale tentativo strutturale di autoconservazione, è non solo la forma fondamentale e, per così dire, l'elemento unico di tutte le determinazioni e manifestazioni affettive dell'uomo, ma anche la forza che si esprime sotto l'attributo del pensiero quale rappresentazione, nei tre generi della conoscenza immaginativa, razionale .e intellettiva. La distinzione tra rappresentazione e affetto è perciò soltanto una distinzione di ragione; il modo con il quale l'affetto si determina nella conoscenza costituisce, immediatamente e per sé, anche la diversificazione della potenza affettiva e la sua dinamica. 3. L'Etica costituisce, nell'età moderna, il documento filosofico più sistematico e radicale di un modello di mondo alternativo alla civiltà fondata sulla teologia delle tre grandi religioni rivelate, ebraismo, cristianesimo e islamismo. Essa si presenta espressamente quale tentativo di demitizzazione e di inveramento dei contenuti pratici di quelle religioni, svelando la loro impotenza a costituirsi quali interpreti e testimoni della verità. Autentico depositario e interprete della verità è il lume naturale, nella sempre perfettibile ma vera costruzione dell'albero (llosofito, ossia della conoscenza scientifica. Si può dunque comprendere facilmente perché la filosofia di Spinoza, già difficile per sé, sia stata sin dal suo apparire o votata alla condanna del silenzio o apertamente osteggiata dai rappresentanti della cultura dominante, in diverso· modo ispirata ai principi della teologia cristiana. E anche quando essa è stata oggetto della massima considerazione nell'età romantica e nell'idealismo tedesco, anche quando Hegel dichiarava che essa è la via obbligata di ogni autentica filosofia, si è comunque cercato, con poche eccezioni, di trasformare la sostanza in soggetto, la struttura in spirito, attribuendo di nuovo la coscienza alla natura naturante, e non, come Spinoza voleva, alla sola natura naturata. Eppure le conquiste della fisica contemporanea, in particolare la teoria del campo quantico, gli sviluppi e le ricerche delle scienze psicologiche, in particolare della psicoanalisi e, segnatamente, della psicoanalisi fantiana o micropsicoanalisi, sembrano ritrovare e confermare, con modelli teorici, procedimenti sperimentali e lessici diversi, alcune delle principali intuizioni della filosofia spinoziana. So194
8.
CONCLUSIONE
prattutto la micropsicoanalisi di Silvio Fanti i:, evoluzione relativamente recente e, in alcuni punti essenziali, superamento della psicoanalisi freudiana, prospetta per vie teoriche e con metodi diversi, un modello di mondo e di uomo molto simile a quello disegnato dall'Etica di Spinoza. Si pensi, per limitarci ad alcune teorie fondamentali, al continuum indifferente (che la micropsicoanalisi chiama vuoto) costellato di pacchetti di energia neutra, che costituisce per Fanti il principio e la realtà in:manente vera ed eterna di tutti i fenomeni, materiali e psichici; si pensi al modello teorico del tentativo, con il quale si spiega la determinazione, l'organizzazione e la conservazione dell'energia in tutti i suoi fenomeni, simile alla fondamentale tesi spinoziana del conatus; si pensi al modello rigorosamente monistico ed energetico con cui la micropsicoanalisi pensa I' uomo e il nesso affettorappresentazione. Non si vuole stabilire, con ciò, alcuna immediata identificazione di modelli diversi; ci si limita a costatare una linea di sviluppo, il riaffiorare imponente e forse definitivo del fiume carsico del principio indeterminato e vuoto nella storia dell'Occidente. Se infine si considera che la concezione del principio come vuoto costituisce uno dei fondamenti delle grandi civiltà dell'Oriente, si può ritenere che anche il modello di mondo elaborato nell'Etka possa rappresentare, nel di~ogo interculturale tra Oriente e Occidente, un punto di incontro e una prospettiva privilegiata. Da tale dialogo, difficile e di lungo periodo, dipendono in gran parte le sorti future dell'umanità; anche sotto questo profilo l'Etica di Spinoza sembra additare il nostro orizzonte futuro e da questo, almeno in parte, sembra già da tre secoli attenderci.
r. La micropsicoanalisi è una teoria e una metodologia di ricerca, che, partendo dalla tradizione freudiana, spinge l'indagine e l'esperienza analitica oltre la soglia dell'inconscio, alla scoperta e alla verifica degli elementi microscopici e ultramicroscopici nei quali si concentra L'affetto. Tra le.opere principali del[>autore, tradotte nelle lingue principali, compreso il russo, il cinese e il giapponese, hanno particolare interesse teorico L 'homme en micropsychanalyse, Denoel, Paris r98r (trad. it. La micropsicoanalisi, Borla, Roma r992, 2a ed.) e il Dictionnaire pratique de la psychanalyse et de la micropsychanalyse, Buchet/Chastel, Paris r983 (trad. it. Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi, Borla, Roma r984).
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Cronologia della vita
e delle opere
r632
r 6 39 r649 r65 r r654
Nasce il 24 novembre ad· Amsterdam Bento/Baruch/Benedictus da Michael d'Espinoza, della comunità ebraico-portoghese; la lingua materna, nella vita quotidiana, è il portoghese. Inizia a frequentare la scuola della comunità, dove apprende l'ebraico e lo spagnolo. Muore il fratello Jshac e probabilmente Bento inizia a partecipare all'attività· commerciale del padre. Nei registri della scuola Hets-Haim appare ancora il nome · di Spinoza; scompare negli anni successivi. Muore Michael; il commercio paterno viene rilevato dalla 1
Firma Bento e Gabriel d Espinoza. Spinoza è sospettato di eterodossia; il 27 luglio viene espulso dalla comunità. r656-r658 È in contatto con esponenti di sette cristiane, quali Mennoniti, Collegianti, Quaccheri, Sociniani. Continua a frequentare personaggi eterodossi della comunità giudaicoportoghese, come J. de Prado. Frequenta la scuola di latino di F. van den Endèn. Apprende la molatura delle lenti e studia i filosofi contemporanei, in particolare Bacone e Cartesio. 1657-1659 Probabilmente compone il Tractatus de intellectus emendar656
tione. r66o-r66r Si trasferisce a Rijnsburg. Dall'Ep r sappiamo che Spinoza è a Rijnsburg nel luglio r66r. Entro la fine del 1661 compone la Korte Verhandeling. 1662 Riformula more geometrico la prima parte del Breve trattato: si tratta della prima parte di una Filosofia tripartita, che più tardi verrà chiamata Etica. r663 Pubblica i Principia phztosophiae seguiti da Cogitata metaphysica; si trasferisce a Voorburg. 16.64 Esce la traduzione nederlandese dei Principia e dei Cogitata. 1665 Spinoza è giunto a comporre fino alla P8o della terza par-
197
L'ETICA DI SPINOZA
te dell'Etka; annuncia a Oldenburg di aver iniziato a comporrè il· Tractatus theologico~pol#icus (Ep 30). Viene pubblicato il Tractatus theologico-polt'ticus; nel frattempo Spinoza ha composto il Compendi'um grammatices linguae hebraeae; si trasferisce a L'Aja. . Spinoza è invitato a insegnare :filosofia all'Università di Heidelberg: rifiuta temendo limitazioni alla libertà di ricerca e di insegnamento. Le Corti d'Olanda condannano il Tractatus theologico-polt'ticus insieme alla Philosophia s. Scripturae interpres di Meyer e al Leviathan di Hobbes. Va ad Amsterdam per curare 1'edizione dell'Etica; desiste a causa dell'opposizione teologica. Sta colJ?ponendo il Tractatus pol#icus; riceve la visita di Leibniz. Il 21 febbraio muore a L'Aja; nello stesso anno vengono pubblicate l'edizione latina (Opera posthuma) e nederlandese (Nagelate Schriften) dei suoi scritti inediti. Viene pubblicata da Van Vloten la prima edizione della Korte Verhandeling (ms. B); il ms. A, precedente, verrà pubblicato dallo Schaarschmidt nel I 869.
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PUF,
Pa-
Indice dei nomi
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Adam Ch., rr Akkerman F., 23n, 24n Aristotele, r 83 Arnaud A., r 3
Elzevirius, rr rn Erdman J. E., 43n Euclide, 2r, 30-r
Bacone (Francis Bacon), r97 Balling P., 21, 23 Bayle P., 13-4 Bennet J., 126 Biasutti F., r9, 33n Bouwmeester J., 22-3 Bruder K. H., r 5 Bruno G., I93 Buridano G., ro6
Fanti S., r95 Fichte J. G., I4 Fischer K., 43n
Galli G., r57n Gebhardt C., rr, r 5 Gfroerer A., I 5 Giancotti A., 3 rn, 77n Giovanni (evangelista), r4 Glazemaker J. H., 23, rr rn Goethe J. W., r4 Graeser A., r ron Gueroult M., 4 3n
Carnois B., r ron Crapulli G., 77n
De Blyenberg W., r6, 22, r54n De Jong K. H. E., rron Deleuze G., 3on De Prado J., 197 Descartes R., rr-2, 30, 34-5, 40, 55n, rion, III e n, Ir2n, r33, r62, r97 d'Espinoza M., 197 De Vries S., 2r, 32, 53 De Witt (fratelli), 37 Dilthey W., rron Di Vona P., ro3n
Hegel G. W. F., r4, r94 Herder J. G., r4 Hobbes Th., r98 Jacobi F. H., 14 Joachim H. H., 126n Kristeller P. O., rron
233
L'ETICA DI SPINOZA
Rousset B., 24n
Leibniz G. W., 14, 198 Lessing G. E., 14,
Salomone (re), 32 Schaarschmidt C., 198 Schelling F. W. ]., 14 Schrijvers M., 126n Schuller G. H., 65n Scribano E., 3on Steenbakkers P ., 13n, 2 3n, 240
Macherey P., 3on Matheron A., l2on Meyer L., 30-3, 198 Mignini F., n, l3n, 21n, 24n, 340, 78n, 103n, 114n, l2on, l38n, l57n Moreau P.-F., 138n
Tannery P., n Totaro G., 19
Negri A., 240
Oldenburg H., 21, 23-4, 35, 50-1 Orange (famiglia patrizia), 37
Pascal B., 12on Paulus H. E. G., Ij Proietti O., 19, 47n, .540
Van den Enden F., 197 Van Vloten ]., 15, 198 Voss S. H., 1nn
Wolff Chr., 14 Wolfson H. A., 126n
234