Seneca, DE TRANQUILLITATE ANIMI
Riassunto per capitoli
[1] Sereno espone a Seneca il suo problema: è afflitto da una sorta di
incostanza dell'animo, che si presenta in ogni aspetto della sua vita. Per
quanto riguarda il possesso di beni materiali ama la parsimonia ma è
tentato dal lusso; nella vita pubblica riconosce il momento di ritirarsi
nell'otium ma in modo impulsivo torna troppo presto alla pratica forense;
nello stile oratorio non riesce, travolto dalla passione, a mantenere uno
stile semplice come lo stoicismo richiederebbe. La richiesta di aiuto si
conclude con due metafore: Sereno si sente come in bilico su un precipizio,
sul punto di cadere, e come un naufrago che in lontananza scorga la
terraferma.
[2] Seneca riprende la metafora della tempesta e aggiunge che Sereno è come
in uno stato di convalescenza, in cui si teme ogni minino sintomo di
ricaduta. Egli definisce ciò a cui aspira Sereno come "tranquillità
dell'animo" e traccia un quadro delle circostanze in cui questa viene a
mancare e delle manifestazioni della sua assenza: una vera e propria
irrequietezza che non ha nulla di sensato o razionale. Niente porta davvero
sollievo in questi casi, perchè il malessere è interno a se stessi; alcuni
arrivano a concepire la morte per fuggire a questo stato.
[3] Inizia l'elenco dei possibili rimedi a questa situazione. L'animo è
come il muscolo di un atleta e come tale deve essere allenato; è il
consiglio che dava Atenodoro. Egli diceva anche che le circostanze
sfavorevoli possono essere di ostacolo, e che in questi casi un animo
grande può manifestarsi anche nella sfera privata, insegnando, esortando, e
dando saggi consigli. Il ritiro agli studi non è dunque un sottrarsi ai
propri doveri: tutto sta nell'impiegare bene il tempo che ci è dato, non
essere prodighi nel tempo per non vivere invano.
[4] Atenodoro tuttavia si è ritirato troppo presto dall'esercizio pubblico;
bisogna sapersi allontanare gradualmente, continuando ad operare là dove è
ancora possibile. Per questo motivo gli stoici hanno scelto il mondo come
patria (cosmopolitismo stoico): perchè la virtù agisca in un campo più
vasto. Anche quando non ci sarà più possibilità di azione si potrà fornire
sostegno con le parole, o addirittura con il silenzio. La virtù è utile
anche se agisce da lontano o di nascosto, e se non sembra consistente il
contributo di chi vive appartato converrà mescolare ozio ad attività. In
ogni caso c'è sempre spazio per le azioni oneste.
[5] Si riporta l'esempio di Atene sotto il governo dei 30 tiranni. In
questo periodo era quasi negata ogni libertà agli ateniesi ed era quasi
impossibile per la virtù manifestarsi; tuttavia Socrate in questo periodo
insegnava e non nascondeva il suo dissenso, mentre fu processato e
condannato a morte quando Atene fu nuovamente libera. Da ciò si nota come
talvolta situazioni politiche sfavorevoli non ostacolino la virtù più di
quanto non facciano altre ritenute più propizie. In ogni situazione è
necessario esercitare la virtù, perchè "nascondersi non significa
salvarsi". Rimane comunque sempre aperta la via degli studi, che è da
cercarsi come un porto durante una navigazione pericolosa.
[6] E' comunque sempre necessario valutare le proprie forze e l'entità
dell'impresa che si sta per intraprendere. Non è saggio assumersi incarichi
che richiedono forze maggiori di quelle di cui si dispone, né seguire
strade per le quali non si è naturalmente portati. Allo stesso modo
bisognerà evitare di assumersi incarichi dispersivi, o da cui non si possa
recedere facilmente, o che ci portano ad assumerci per necessità ulteriori
compiti.
[7] Infine bisogna scegliere accuratamente a chi dedicare il nostro lavoro.
Atenodoro insegna a non dedicarsi a coloro che non tengono in
considerazione il nostro aiuto, né a coloro che contano i favori e non li
considerano qualitativamente. Bisogna riflettere sulla nostra inclinazione
personale, perchè la virtù nulla può se è ostacolata dalla natura. È poi
necessario scegliersi accuratamente gli amici, che sono il più valido
sostegno alla virtù. L'amico dovrà essere libero dalle passioni, perchè non
ci influenzi negativamente; in questa società tuttavia non è facile trovare
persone sagge: si cerchino dunque quelle meno squilibrate, evitando
soprattutto coloro che si lamentano per ogni cosa, perchè questi sono i
maggiori nemici della tranquillità dell'animo.
[8] Seneca tratta delle preoccupazioni causate dal denaro, che sono
maggiori di qualunque altro tipo di preoccupazione. Giunge quindi a
concludere che è meglio non avere piuttosto che perdere. Dal momento che a
nessuno è dato di vivere senza perdere nulla e che il dolore per la perdita
di denaro è uguale per il ricco e per il povero, ne consegue che la
condizione del povero è preferibile a quella del ricco. Ne è un esempio la
vita di Diogene, saggio cinico vissuto nel IV sec. a.C., che condusse una
vita essenziale affinché nulla potesse esergli tolto. La vita beata degli
dei deve essere una prova del fatto che il denaro non è fonte di felicità:
essi vivono felicemente pur non avendo nulla e dispensando ogni bene tra
gli uomini. Senza contare che l'amministrazione di grandi patrimoni
richiede molte energie, e risulta d'impaccio come un corpo troppo grande,
esposto da ogni parte alle ferite. L'equilibrio sta nel giusto mezzo.
[9] La giusta misura è ancora più apprezzabile se ci si è abituati prima
alla frugalità, e a considerare ogni cosa per la sua utilità piuttosto che
per l'ornamento che essa porta alla nostra vita; è necessario mitigare le
nostre passioni più sfrenate, e perseguire un diverso tipo di ricchezza.
Molte tempeste infatti si abbattono su chi dispiega vele ampie: tutto deve
essere condotto in misura ristretta, bisogna serrare il giro come nelle
gare del circo. Anche nelle spese per gli studi vale la stessa regola:
meglio affidarsi a pochi autori piuttosto che vagabondare fra molti. Ciò
che è troppo è male, sempre, ed è ancora giustificato chi si procura molti
libri per la passione per gli studi: troppo spesso invece ci si circonda di
libri con il solo scopo di ornare le proprie librerie. Questa non è che
manifestazione smodata di lusso, come lo è stata, ad esempio, la biblioteca
di Alessandria.
[10] Se ci sembra di vivere una vita infelice, pensiamo a come gli schiavi,
che inizialmente hanno in odio la loro condizione, si riducono presto a
sopportarla con docilità. Fortunatamente noi sappiamo assuefarci alle
disgrazie, e ogni colpo della sorte ci sembra meno duro del precedente:
nessuno è libero dalla sofferenza, si può invece trovare del piacere in
ogni genere di vita. La ragione aiuta ad affrontare bene le difficoltà, e a
indirizzare i nostri sforzi verso obiettivi raggiungibili. Non invidiamo
chi sta più in alto, e questi a loro volta, rendano la loro condizione il
più umile possibile, perché la caduta sia meno dolorosa, e nei momenti di
tranquillità preparino nuove difese. Fissiamo noi stessi dei limiti ai
nostri successi, perché le nostre aspirazioni non tendano all'infinito.
[11] Seneca precisa che i consigli che ha dato fino a questo punto sono per
gli uomini imperfetti; l'uomo saggio invece deve camminare con sicurezza
incontro alla sorte che non teme, perchè vive come se la vita gli fosse
stata data in concessione, pronto quindi a restituirla di buon grado, senza
tuttavia disprezzarla, ma vivendo con gratitudine quello che la sorte gli
riserva. Con lo stesso atteggiamento bisogna affrontare la morte:
ridimensionare il valore della vita aiuta ad accettarla più serenamente.
Talvolta proprio la paura della morte è causa di morte, perchè chi ne è
succube non vive mai davvero. Noi sappiamo affrontare con più facilità le
disgrazie che avevamo previsto e a cui eravano preparati: meglio ricordarsi
che ogni circostanza felice può essere seguita da un momento di difficoltà
e la storia ce ne offre molti esempi. Sesto Pompeo doveva ereditare le
ricchezze di Pompeo Magno, ma quando Caligola prese il suo posto gli mancò
perfino il pane con cui sfamarsi; Seiano ricoprì le massime cariche
pubbliche ma fu ucciso in un tumulto popolare; Giugurta in breve tenpo da
feroce condottiero divenne prigioniero di guerra; dei due re Tolomeo e
Mitridate il primo fu ucciso e il secondo mandato in esilio.
[12] Per questo bisogna anche limitare le preoccupazioni superflue e i
desideri irrealizzabili, e non bisogna comportarsi come certi sfaccendati
che escono di casa la mattina e svolgono i compiti in cui si imbattono per
caso, senza uno scopo. Questi vivono inutilmente come le formiche che si
arrampicano su e giù dagli alberi senza raccogliere nulla. Essi non si
accorgono dell'inconsistenza di ciò che li attrae e si aggirano come pazzi:
da qui deriva il brutto vizio dell'origliare e del curiosare negli affari
degli altri.
[13] Per questo bisogna evitare le cose superflue, tanto più che sono molte
già quelle necessarie; chi fa troppe cose è in balia della sorte. Il saggio
non si ripromette nulla con certezza e in questo modo gli accade sempre
quello che aveva previsto, perchè aveva previsto anche l'eventualità che le
cose non andassero nel verso giusto, preparandosi ad affrontare anche
questo.
[14] Bisogna poi evitare di programmare ogni cosa, perchè questo provoca
ansia e infelicità. L'animo dovrà chiudersi in se stesso, interpretando
favorevolmente anche le avversità. Ne sono un esempio i filosofi Zenone e
Teodoro, che seppero reagire bene ai rovesci della fortuna, e Giulio Cano.
Questi, condannato a morte da Caligola, lo ringraziò, e da quel momento
fino all'esecuzione condusse una vita più che tranquilla, giocando
addirittura a dama con le guardie. Nel giorno della sua morte, chiese a un
centurione di essere testimone della sua vittoria perchè dopo la sua morte
il suo avversario non mentisse dicendo di aver vinto. Egli rincuorava gli
amici dicendosi fortunato, perchè avrebbe saputo cosa si prova al momento
della morte, e prometteva di tornare a raccontarlo agli amici. Un vero
esempio di tranquillità d'animo in mezzo alla tempesta della sorte avversa.
[15] È importante imparare a sorridere dei vizi del genere umano, senza
arrivare ad odiarlo, e a comportarsi come Democrito, che rideva di ogni
cosa, piuttosto che come Eraclito, che piangeva per tutto: il riso lascia
anche spazio alla speranza, mentre il pianto dà sfogo alla disperazione. In
realtà è ancora meglio accettare la realtà serenamente, evitando sia il
riso che il pianto eccessivi, e abbandonarsi al dolore secondo il proprio
animo, e non secondo le convenzioni.
[16] Ma come reagire di fronte alla precoce, ingiusta morte di uomini
grandi? Se questi furono realmente valorosi, allora sopportarono la morte
con grande forza d'animo, e meritano più la lode che il compianto, e devono
essere rimpianti con lo stesso animo con cui loro stessi seppero morire.
Non avrebbe senso che la morte di uomini grandi suscitasse reazioni vili
negli altri. Con la morte questi uomini hanno raggiunto l'immortalità.
[17] Un altro motivo di inquietudine è la cura della propria immagine in
società: allora è meglio vivere con schiettezza ed essere criticati per
questo piuttosto che essere prigionieri di una maschera, comunque non
bisogna mai scadere nella trascuratezza. Bisogna poi alternare momenti di
solitudine e di vita sociale, che si compensano vicendevolmente. Lo svago,
poi, nella giusta misura, è utile a ristorare l'animo e non comporta una
perdita di dignità. I giorni festivi sono stati istituiti appositamente per
costringere l'uomo al risposo, e ogni occupazione prevede in sé una pausa:
la pratica oratoria, l'attività in senato, l'esercizio militare... È anche
salutare fare passeggiate all'aria aperta e, ogni tanto, ubriacarsi, il che
libera l'animo dalle preoccupazioni (non per niente Bacco è anche detto
Libero). Ogni cosa straordinaria non ha origine dalla mediocrità, ma da una
sorta di eccitazione dell'animo, che crea uno scarto con il consueto e
conduce l'animo là dove non avrebbe osato andare.
Il discorso di Seneca si conclude con l'esortazione, rivolta a Sereno, di
fare buon uso di questi consigli che, se applicati con costanza, conducono
alla piena realizzazione della tranquillità dell'animo.