G.JACAZ/0
B. PIOMBO
Ordinario di Meccanica delle Macchine Politecnico di Torino
Ordinario di Meccanica delle Vibrazioni Politecnico di Torino
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Vol./l La trasmissione del moto
LIBRERIA EDITRICE UNIVERSITARIA
LEVROTIO BELLA TORINO CORSO VITTORIO EMANUELE, 26 CORSO LUIGI EINAUDI, 57
A mia moglie Gisella e Ai miei figli Filippo e Costanza G. J.
A Elda, mia madre, il mio passato e A Ilaria, mia. figlia, il mio futuro B. P.
Copyright @1992 Levrotto & Bella di Gua lini T. & C. di Gua lini Elisabett~. S.a.s., Corso Vittorio Emanuele, 26/F - Torino l diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservate per tutti i paesi Finito di stampare nel mese di maggio 1992
Stampato da Stampatre, Torino per conto della Levrotto & Bella Editrice S.a.s. Corso Vittorio Emanuele, 26/F- Torino
INDICE GENERALE )
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INTRODUZIONE
Pag.
l
l. GIUNTI
1.11.2 1.3 1.41.5-
Giunto di Cardano Accelerazioni nel giunto di Cardano e reazioni dei supporti Doppio giunto di Cardano Giunti omocinetici Giunto di Oldham
2. FLESSIBILI
2.1 - La trasmissione del moto mediante organi flessibili 2.2 - Moltiplicatori di sforzo con flessibili 2,3 -Cinghie 2.4 - Trasmissione del moto per attrito mediante flessibili 2.5 - Trasmissione a cinghie 2.6 - Forzamento della cinghia 2.7 - Potenza massima trasmissibile 2.8 - Trasmissioni a rapporto di trasmissione variabile 2.9 - Cabestani 2.10- Trasmissione della. potenza. con cinghie dentate 2.11- Catene 2.12- Trasmissione del moto mediante catene 2.13- Alberi flessibili 3. INGRANAGGI
3.1 3.2 3.3 3.4 3.5
-
Le ruote dentate Trasmissione del moto mediante ruote di attrito Trasmissione del moto mediante ruote dentate Profili dei denti Caratteristiche generali degli ingranaggi
" " " " "
3
lO 11 13 18
" " ," ,
21
," " ", " " ,"
" ", " ,"
~
21 21 26 30 33 38 42 44 45 46 47 51 56 59 59 59 62 65 69
VIII
IX 3.6 3.7 3.8 3.9
-
Contatti fra i denti Caratteristiche geometriche dei denti Ruote dentate cilindriche esterne a denti diritti Perdite di potenza negli ingranaggi cilindrici esterni a denti diritti 3.10- Ruote dentate cilindriche interne a denti diritti 3.11 - Ruote dentate cilindriche a denti elicoidali 3.12- Ruotè dentate coniche a denti diritti 3.13 - Ruote dentate coniche ad asse dente curvo . 3.14- Trasmissione del moto fra assi sghembi 3.15- Ruote dentate cinlindriche elicoidali ad assi sghembi 3.16- Ingranaggi a vite 3.17- Ingranaggi ipoidi 3.18- Ingranaggi spiroidi ed helicon 3.19- Ingranaggi speciali 3.20 - Forze dinamche 3.21 - Prestazioni dei diversi tipi di ingranaggi 4. ROTISMI
4.1 4.2 4.3 4.4
-
Rotismi ordinari Riduttori a rotismi ordinari Moltiplicatori a rot.ismi ordinari Applicazione dei rotismi ordinari: cambio di velocità di una autovettura 4.5 - Rotismi epicicloidali 4.6 - Riduttori a rotismi epicicloidali 4.7 - Rendimento di rotismi epicicloidali 4.8 - Rotismi epicicloidali ad ingranaggi conici 4.9 - Rotismi epicicloidali multipli . 4.10- Rotismi epicicloidali per la regolazione del passo delle pale di un'elica ... 4.11 - Cambio di velocità a rotismi epicicloidali 4.12 - Sterzo di mezzi cingolati 4.13- Rotismi epicicloidali senza port.atren?. 4.14- Riduttori cicloidali 4.15- Riduttori armonici
5. VITI
5.1 5.2 5.35.4 5.5 -
Geometria delle viti Vite e madrevite a filetto rettangolare Vite e madrevite a filetto trapezio Viti differenziali e viti multiple Viti a circolazione di sfere
Pag.
" "
73 77 81
" " "
89 92 95 106 116 125 125 132 140 146 147 151 157
"
159
"
159 163 163
" " " " " " "
" ,
5.6 - Caratteristiche geometriche e di funzionamento di una vite a circolazione di sfere 6. CAMME
6.1 6.2 6.3 6.4 6.5
- Geometria delle camme - Cinemati~a delle camme con punteria - Tracciamento del profilo della camma - Camma ad accelera.zione costante - Tipi principali di leggi del moto adottate nella realizzazione di camme 6.6 - Camma a fianchi rettilinei con punteria a rullo 6.7 - Camma policentrica con punteria a rullo . 6.8 - Camma policentrica con punteria a piattello 6.9 - Forze agenti nelle camme 6.10- Camme con braccio oscillante 6.11 - Altri tipi di camme
" "
183 185 188 190 191 194
"
199
"
199 201 207 209 211
- Definizione e funzione dei freni - Freni ad attrito - Distribuzione delle pressioni in un freno - Freni a tamburo (od a ceppi) -Tipi di freni a tamburo - Freni a disco . - Freni a nastro - Dissipazione dell'energia cinetica nei freni - Freni elettromagnetici
219
" "
257 257
" "
258 264 266 269 270 274 277 286 289
, :.
219 221 224 228 232 236 242 244 247 252 254
" "
FRENI ED ARRESTI
8.1 8.2 8.3 8.4 8.5 8.6 8.7 8.8 8.9
"
"
7.1 - Generalità sui meccanismi 7.2 - Procedimento generale per il calcolo cinematico dei meccanismi articolati 7.3 - Manovellismo 7.4 - Meccanismi a rapido ritorno 7.5 - Meccanismi di amplificazione degli sforzi 7.6 - Meccanismi che generano leggi del moto particolari 7.7 - Meccanismi che trasformano un moto continuo in un moto intermittente 7.8 - Meccanismi a croce di Malta esterna 7.9 - Meccanismi a croce di Ma.lta intrena, sferica e rettilinea 7.10- Meccanismi a camme cilindriche per la generazione di un moto intermittente
s.
214
"
7. MECCANISMI
164 165 172 175 177 180
Pag.
" "
" "
291 291 293 294 298 305 308 311 315 321
x
XI 8.10- Freni a fluido 8.11 - Arresti
Pag.
"
9. INNESTI
9.1 9.2 9.3 9.4 9.6 9.7 9.8 9.9 9.109.11 -
11.15- Lubrificazione limite . . . . . . . . . . . . . · Pag. , 11.16- Confronto tra cuscinetti a strisciamento ed a rotolamento Blibliografia . .
331
,
Caratteristiche degli innesti Innesti a denti . Innesti ad attrito Frizioni radiali . Frizioni coniche Frizioni a forza centrifuga Innesti a nastro Innesti elettromagnetici . Considerazioni di progetto Innesti di sopravanzo . .
, " " " " " "
Classìficazione delle trasmissioni a fluido Trasmissioni idrostatiche Trasmissioni idrocinetiche Giunti idraulici Convertitori di coppia Trasmissioni idroviscose
11. CUSCINETTI
11.1 11.2 11.3 11.4
- Considerazioni generali - Principi di funzionamento di un cuscinetto a rotolamento -Tipi di cuscinetti a rotolamento . . . . . . . . . . - Vita di un cuscinetto e carico sopportabile durante il funzionamento . . . . . 11.5 - Cuscinetti a strisciamento . . . . . . . . . . . . 11.6 - Equazione di Reynolds . . . . . . . . . . . . . . 11.7 - Applicazione deli 'equazione di Reynolds a.d alcuni casi elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.8 -Cuscinetti reggispinta lubrificanti . . . . . . . . 11.9 - Andamento della pressione in un meato convergentedivergente . . . . . . . . 11.10- Cuscinetto portante completo . . . . . . . . . 11.11 - Cuscinetto portante parzia.le . . . . . . . . . 11.12- Potenza dissipata in un cuscinetto a strisciamento 11.13 - Cuscinetti idrostatici . . . . . . . . . 11.14- Cuscinetti idrostatici a pressione costante
; ttatx# ;;:oz;xw.nw; xz
331 333 334 338 342 344 346 348 349 351 355
10. TRASMISSIONI A FLUIDO
10.1 10.2 10.3 10.410.5 10.6 -
322 326
4 , ;_ A),(
" " " " " "
355 356 362 363 369 373
"
375
,
,
375 376 380
"
385 391 392
" "
396 399
" " "
409 410 420 433 434 439
,
l·
Indice analitico
, ,
442 443 447 451
INTRODUZIONE
In moltissime applicazioni dell'ingegneria occorre trasmettere il moto e, di conseguenza, una potenza meccanica, da una macchina che genera potenza ad una macchina che la utilizza in presenza, in generale, di forze e coppie dissipative che trasformano parte della energia meccanica fornita in energia interna. Nella trasmissione del moto debbono essere considerati vari aspetti, e precisamente: - disposizione nello spazio della macchina operatrice e di quella utilizzatrice; - caratteristica meccanica (coppia-velocità angolare o forza-velocità) della macchina motrice e di quella utilizzatrice; - realizzazione di particolari leggi del moto; - regolazione della potenza meccanica trasmessa; - supporto degli elementi in moto. Per realizzare quindi la trasmissione del moto e della potenza meccanica nel modo voluto occorre, in generale, che siano presenti tra macchina motrice e macchina utilizzatrice compon,enti meccanici opportuni. Nello studio di questi cbmponenti esistono due diversi aspetti: uno è la determinazione delle caratteristiche cinematiche e dinamiche del componente, l'altro è il calcolo delle sollecitazioni conseguenti alla trasmissione della potenza meccanica. Nel presente volume di Meccanica Applicata verrà esaminato il primo aspetto, ossia .Io studio cinematico e dinamico dei componenti impiegati nella trasmissione del moto. Poichè questo è lo scopo del presente volume, non verranno citati tutti quei componenti che, per la loro costituzione, non presentano interesse dal punto di vista cinematico o dinamico (ad esempio: collegamenti con alberi scanalati, giunti rigidi, ecc.).
...l
2
Nello studio dei vari componenti impiegati nella trasmissione del moto verrà sovente calcolato il rendimento del componente. Questo è definito come il rapporto fra la potenza meccanica resa in uscita dal componente meccanico e la potenza fornita al componente, in condizioni stazionarie: . t ren d1men o
1J
l.
GIUNTI
potenza uscente = potenza = entrante _ potenza entrante-potenza dissipata potenza entrante
1.1 - Giunto di Cardano
n giunto di Cardano è un componente impiegato per trasmettere il moto fra due alberi giacenti in un piano e che formano tra loro un certo angolo a:. L'origine di questo giunto risale a Girolamo Cardano (1501-1576), il quale sviluppò un sistema di sospensione basato su questo tipo di giunto. L'inglese Robert Hooke (1635-1703) fu il primo ad applicare questo tipo dì giunto alla trasmissione del moto rotatorio e a brevettare questo dispositivo. Di conseguenza, nei paesi anglosassoni il giunto di Cardano viene normalmente indicato come giunto di Hooke. Forcella
~Crociera Fig. l - Rappresentazione schematica del giunto di Cardano
n giunto di Cardano è illustrato schematicamente nella Fig. L In questo giunto l'albero motore e l'albero condotto sono solidali a due forcelle poste in piani tra loro perpendicolari. Una croce di collegamento, costituita da due perni ortogonali, è vincolata alle due forcelle mediante quattro accoppiamenti rotoidali. In questo modo l'albero motore, ruotando attorno al proprio asse,
5
4
trascina l'albero condotto, ma nel contempo induce delle rotazioni relative tra i perni e le forcelle, rotazioni che alterano il valore della velocità angolare istantanea dell'albero condotto rispetto a quella dell'albero motore.
a)
b)
Se ora l'albero motore ruota di un angolo e attorno al proprio asse , il punto Ao si sposterà in A muovendosi lungo una circonferenza giacente 11 nel piano (ç, z). ll punto C0 , solidale all'albero condotto, si sposterà invece di un angolo lp lungo una circonferenza giacente nel piano (:z:, z). Se gli assi 1J e y coincidessero, gli angoli e e lp sarebbero evidentemente uguali; poichè invece 1J e y formano un angolo a diverso da zero, e e lp sono in generale diversi tra loro.
Fig. 2 - Schema funzionale di un giunto di Cardano: a) posizione del giunto ad un istante generico; b) posizione del giunto dopo una rotazione di 90°
Le Figg. 2 a) e b) illustrano la posizione del giunto ad un dato istante e quella da esso assunta dopo una rotazione di 90°. Dopo una ulteriore rotazione di 90° le posizioni dei perni A e B risultano tra loro invertite e lo stesso dicasi per quelle dei perni C e D; ciò nonostante la configurazione del giunto è identica a quella iniziale, per cui si può senz'altro concludere che le oscillazioni introdotte nella trasmissione del moto dal giunto di Cardano sono periodiche e di periodo pari a 1r. La relazione tra le velocità angolari istantanee dell'albero motore e dell'albero condotto può essere determinata in base ad alcune considerazioni geometriche. Con riferimento alla Fig. 3 siano 1J l'asse dell'albero motore (avente velocità angolare istantanea w1 ) e y l'asse dell'albero condotto (avente velocità angolare istantanea w2 ). I due assi, incidenti in O, indiv.iduano il piano del giunto di Cardano. Si indichino ora con z l'asse perpendicolare al piano (TJ, y) e con :z: e ç gli assi giacenti nel piano (TJ, y) e perpendicolari rispettivamente a y e a TJ· L'angolo a, formato tra gli assi 1J e y è allora uguale all'angolo formato tra gli assi :z: e ç. Si consideri ora quale configurazione iniziale del giunto quella indicata nella Fig. 2 b): la croce di collegamento in queste condizioni ha un asse coincidente con ç e l'altro asse coincidente con z.
Fig. 3 - Grandezze geometriche caratteristiche di un giunto di Cardano
Ciò deriva dal fatto che i punti A e C, coincidenti con i centri dei perni delle forcelle, debbono mantenersi sempre alla stessa distanza in quanto rigidamente vincolati tra loro per mezzo della croce di collegamento. Pertanto la lunghezza dell'arco Aè deve mantenersi costante durante il moto o, analogame~te, l'angolo AOC deve sempre essere un angolo retto per qualsiasi posizione angolare del giunto di Cardano. In base alle considerazioni ora esposte si può concludere che il prodotto scalare dei vettori (A- O) e (C- O) deve essere costantemente nullo. Supponendo allora di assumere come unitaria la distanza AO si avrà, con riferimento alla Fig. 3:
6
7 (A- O)
Per determinare la relazione tra le velocità angolari w1 e w 2 deli 'albero motore e di quello condotto occorre de!ivare la (2.1) rispetto al tempo. Si otterrà pertanto:
= cos l) X- sin l) k
(C- O) = sin
l
Sarà inoltre:
.
""-21) w1
cos e, in base ancora alla (2.1):
X= cosa-i+sina-]
= cos a-(1 + tg2
Pertanto, dovendo essere (A- O) x (C- O) =O, si avrà: l
""-21) c...•1
cos
cos a cos l) sin
t 21) ) =cosa- ( l+ ~ cos 2 O'
w2
Da questa, dopo alcuni semplici passaggi, si ottiene:
Ossia:
(2.1)
(2.2)
tg l) = tg
Si vede da questa relazione che quando l) = O, 1r, 21r, ... , n1r, con n numero intero, si ha tg cp = tg l) = O, per cui anche cp è uguale a O, 1r, 21r, .... , n1r. Inoltre anche per l)= 1rj2, 37r/2, ... , gli angoli l) e cp sono uguali poichè in questo caso si ha tg cp = tg l) = ±oo. La massima differenza angolare JO- sol si ha per angoli O prossimi a 7r/4, 37r/4, ... ed è funzione dell'angolo a formato dagli alberi del giunto. La Fig. 4 mostra la differenza cp -0 in funzione della posizione angolare l) dell'albero motore per alcuni valori dell'angolo a-.
T
6
0=4~
4L v
30°
......
20°
2~ :.-
l)=
-per O=
l\\"
6
.. i'-
\
~ 20
40
2,
60
Tmax
cosO' -l---s-=-i-,n2"a--co-s-:-2-l) = 1
-~ t'----
4
o
= -l cosO' cosO= O, T= Tmin =cosa
O, cosO= l, T=
Ì'\.\
2
8
cos acos a= ---:;--,-+ cos 2 a- .cos2 l) l - sin 2 a- cos2 l)
n rapporto di trasmissione è invece uguale a l, ossia i due alberi hanno la stessa velocità angolare, quando:
\
~~
o
l)
Dalla (2.2) si può verificare quanto asserito in precedenza, ossia che il rapporto di trasmissione T varia periodicamente nel tempo con periodo pari a 1r. I valori massimo e minimo di T si ottengono rispettivamente per l) = o e l)= rr/2; infatti: 7r
/ '\
2
dove T rappresenta il valore del rapporto istantaneo di trasmissione del giunto di Cardano.
-per 8
= w2 - = sin Wl
80
_)00 .;]
120
Ciò si verifica per:
(:!}
v---v1 lL
140
160
cos 20 = J
180
(O)
Fig. 4- Differenza tra le posizioni angolari dell'albero condotto e dell'albero motore in un giunto di Cardano
l-cosa·2 sm a-
l = l + cos a-
ossia per: tg O= ±JcosaPoichè a- è sempre abbastanza piccolo, e comunque raramente superiore a 40•, gli angoli BM per cui le velocità angolari dei due alberi sono uguali sono, come già si è detto, sempre prossimi a rr/4, 3rr/4, ecc. La (2.2) esprime il legame funzionale esistente tra il rapporto istantaneo di trasmissione T e gli angoli a- e O. A volte però (ad esempio quando la
9
8 velocità angolare w 2 dell'albero condotto è costante) può essere più conveniente esprimere T in funzione di a e dell'angolo di rotazione
• 2 Sin
l o---.,.---..,-2 2
1 + tg
a
e da questa, dopo pochi passaggi, si ottiene: l - sin 2 a sin 2
Pertanto sarà:
Si può osservare ora che se il momento di inerzia I 2 è molto maggiore di h, allora Id I 2 2 -< l e la velocità angolare w2 risulta praticamente costante e pari al suo valor medio:
r
"-'2
w2
_fiE =v I;
La w1 varierà invece in hase alla relazione
W1
=w2/T.
Se poi si misurano gli angoli a partire da una posizione ruotata di 71" /2 rispetto a quella fino ad ora assunta come iniziale, i nuovi angoli
T -
l
- -
-T-
Wl
-
-
Questa relazione è identica alla (2.2); quest'ultima quindi può essere utilizzata sia per il calcolo di w2/w 1 sia per quello di wdw2, purchè si dia il corretto significato all'angolo e che in essa compare. È stato visto finora che il rapporto di trasmissione del giunto di Cardano varia periodicamente durante la rotazione dei due alberi attorno a un valor medio pari ad uno. In generale anche le velocità angolari w 1 ed w2 (e non solo il loro rapporto) variano nel tempo; purtuttavia accade frequentemente nella pratica che una delle due velocità angolari si mantenga costante mentre l'altra varia secondo quanto stabilito dalla (2.2). Ciò avviene ad esempio quando l'albero motore è collegato ad un motore a velocità costante, oppure quando l'inerzia degli organi collegati a uno dei due alberi è molto maggiore di quella relativa alle masse dell'altro albero. Si consideri ad esempio il caso di due alberi, collegati mediante un giunto di Cardano, sui quali sono montati due volani aventi momenti di inerzia I 1 e I 2 (Fig. 5). Si considerino gli alberi in rotazione senza coppie attive agenti ed in assenza di attrito. In tali condizioni l'energia cinetica E del sistema è costante, per cui: l
2
l
2
2I1w 1 + 2I2w 2 =E
Tra w 2 e w 1 si ha, dalla (2.2): w2
--=T= w1
----·-·
COSO' ----~--~--
~
w2 -.l-sin 2 acos 2
cosa ? l-sin-acos2 8
Fig. 5 - Volani collegati da un giunto di Cardano Poichè si definisce irregolarità periodica di ognuno dei due alberi il rapporto tra la differenza delle velocità angolari massima e minima e la velocità angolare media, per l'albero condotto si avrà:
e:
= (w2)max -
(w2)min (w2)medio
Se la velocità angolare w1 dell'albero motore è costante, allora (w 2)medio = w1. per cui: 1 e:= (T)max- (T)min - - cosa= sin a tg a cosa
=-
Si vede quindi come in un giunto di Cardano l'irregolarità periodica cresca rapidamente in funzione dell'angolo formato dai due alberi collegati dal giunto stesso.
11
lO ~
)
1.2 - Accelerazioni nel giunto di Cardano e reazioni dei supporti La relazione tra le accelerazioni angolari di due alberi collegati da un giunto di Cardano si ricava facilmente derivando la (2.2) rispetto al tempo t. Si ottiene: (2.3)
dw2 dt
-=
cosa dw1 cosa sin 2 a sin 29 2 -w 2 2 l - sin a cos 9 dt (l- sin 2 a cos2 9) 1
Nel caso in cui w1 sia costante il primo termine del secondo membro si annulla, al contrario del secondo che cresce invece rapidamente ~ crescere di w1 e di a. Poichè il valore della coppia di inerzia in un albero è direttamente proporzionale all'accelerazione angolare dell'albero stesso e poichè inoltre essa origina carichi periodici sui supporti, è intuibile dalla (2.3) come la vita ed il rendimento di un giunto di Cardano siano tanto maggiori, ad una data velocità angolare di funzionamento, quanto minore è l'angolo a. Per alberi sopportati da cuscinetti a rotolamento i rendimenti dei giunti di Cardano sono in ogni caso molto alti: si raggiungono infatti mediamente valori di O, 98-;-0, 99 per valori dell'angolo a prossimi ai 20°.
giunto,·uguale e opposto al risultante Mv dei momenti originati dalle reazioni vincolari. Tale momento Mv può essere scomposto in un momento Mv A, dovuto alle reazioni dei vincoli in A1 e A2 , normale all'asse l, ed in un momento Mv B, dovuto alle reazioni vincolari agenti in B1 e B 2 , normale all'asse 2. Poichè in o~ tre Mv A e MvB giacciono nel piano individuato dagli assi, le reazioni nei supporti risulteranno perpendicolari a tale piano, a due a due di verso opposto tra loro e di intensità pari a: MvA RAl =RA2= - .a
{
RBl
MvB
= RB2 = -b-
1.3 - Doppio giunto di Cardano Si è visto nei precedenti paragrafi come un giunto di Cardano introduca un certo grado di irregolarità periodica nella trasmissione, funzione dell'angolo a formato dai due alberi e crescente con questo. Se quindi l'albero motore ruota a velocità costante, la velocità dell'albero condotto fluttua in continuazione e ciò può in alcuni casi risultare inaccettabile a causa delle vibrazioni indotte nelle macchine situate a valle del giunto. Un metodo molto comune per evitare tali fluttuazioni di velocità utilizza un doppio giunto di Cardano (Fig. 7), nel quale un albero intermedio i forma lo stesso angolo a sia con
Fig. 6 - Reazioni vincolari in un giunto di Cardano
n calcolo delle reazioni vincolari in un giunto di Cardano si effettua considerando l'equazione di equilibrio globale delle coppie agenti sul giunto. Con riferimento alla Fig. 6 si consideri per l'appunto un giunto di Cardano in cui, ad un dato istante, le coppie motrice e resistente CM e GR, e le coppie di inerzia M{ e M~ siano rappresentate dai vettori indicati in figura. n risultante somma di CM, GR, A"J{ e .lo,f~ deve essere, per l'equilibrio del
Fig. 7 - Doppio giunto di Cardano
l'albero motore sia con l'albero condotto. Assumendo come posizione iniziale
13
12 quella illustrata in Fig. 7, si indichino con e l'angolo di rotazione dell'albero l, con '1/J l'angolo di rotazione dell'albero intermedio i e con rp l'angolo di rotazione dell'albero condotto 2. Si osservi inoltre che gli alberi l e i hanno una posizione iniziale identica a quella considerata in Fig. 3, per cui tra e e '1/J sussisterà la relazione: tg e = tg '1/J cos a Gli alberi i e 2 si trovano invece in una posizione iniziale sfasata di 90° rispetto a quella assunta nella Fig. 3; pertanto si avrà tra gli angoli '1/J e rp una relazione data da: tg rp = tg '1/J cos a
Se gli alberi motore e condotto del doppio giunto di Cardano giacciono in piani diversi (Fig. 9), la condizione di omocineticità può ancora essere realizzata purchè gli angoli formati tra i due alberi di estremità e quello intermedio siano uguali tra loro e purchè le due forcelle solidali all'albero intermedio siano ruotate una rispetto all'altra di un angolo (3 pari all'angolo formato dai piani 71" 11 contenente l'asse l e quello intermedio i, e 71"2 , contenente l'asse 2 e quello intermedio i.
Poichè i secondi membri delle due ultime equazioni scritte sono uguali tra loro, dovranno essere uguali tra loro anche i primi membri; si avrà pertanto:
La condizione di _omocineticità tra gli alberi l e 2 può essere ottenuta anche con un'altra disposiziòne; inclinando cioè l'albero condotto di un angolo -a rispetto all'albero intermedio (Fig. 8). Così facendo, poichè
Fig. 9 - Doppio giunto di Cardano con alberi motore e condotto posti su piani differenti Nella Fig. lO sono illustrati i componenti di un doppio giunto di Cardano con albero intermedio telescopico (allungabile).
1.4- Giunti omocinetici
Fig. 8 - Doppio giunto di Cardano con alberi motore e condotto paralleli tra loro
=
cos(-a) cosa, si ottiene, procedendo in modo analogo a quello appena esposto, la. condizione di omocineticità: e = c.;, w 1 = w 2 • Questa particolare configurazione del doppio giunto di Cardano costituisce pertanto anch'essa un metodo utilizzabile per la trasmissione omocinetica del moto tra due alberi paralleli.
La realizzazione .di un giunto omocinetico è possibile, come si è visto, utilizzando due giunti di Cardano opportunamente disposti. Questo tipo di accoppiamento può essere tuttavia in molti casi troppo ingombrante, anche riducendo al minimo l'albero intermedio. Sono stati quindi sviluppati particolari giunti, detti appunto giunti omocinetici, i quali garantiscono un rapporto di trasmissione costante e pari a uno, nei quali la lunghezza dell'albero intermedio è ridotta praticamente a zero, ed anzi quest'ultimo è sostituito da un altro organo avente le funzioni di elemento intermedio della trasmissione.
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Lo schema di funzionamento di un giunto omocinetico è rappresentato nella Fig. 11. Due alberi, (1) e (2), si intersecano in un punto che costituisce il centro di uno snodo sferico S. L'angolo ottuso formato dai· due alberi è a:. Solidale all'albero (1) è un braccio Bl, che forma un angolo {3 rispetto ad (1) e si collega a questo in un punto Hl. Analogamente, un braccio B2,
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Fig. 11 - Schema di funzionamento di un giunto omocinetico
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solidale all'albero (2), forma con questo un angolo {3 e si collega ad esso in un punto H2 distante dal punto di intersezione degli alberi quanto Hl. A causa di questa simmetria, i due bracci Bl e B2 si intersecano in un punto P che si trova sulla bisettrice dell'angolo a: formato dagli assi (l) e (2). I bracci Bl e B2 sono scanalati e vengono collegati tra loro mediante un perno, che può muoversi lungo le scanalature, e che è in grado di trasmettere forze fra i due bracci. Poichè la distanza del punto P dì intersezione fra Bl e B2 è la stessa dall'albero (1) e dall'albero (2), la velocità angolare dei due alberi deve essere la stessa; durante la rotazione del giunto, il punto di intersezione P fra i bracci descrive una circonferenza, avente centro nel punto di intersezione fra gli alberi (1) e (2), e giacente nel piano 1r, detto piano
17
16 omocinetico, bisettore dell'angolo a formato fra gli alberi. Qualunque sia l'angolo di rotazione descritto dal giunto, continua a mantenersi la condizione di simmetria ora vista, per cui il rapporto di trasmissione fra gli alberi si mantiene rigorosamente pari a l. Supponiamo ora che vari l'angolo a formato fra gli alberi, ad esempio che l'albero 2 ruoti nel piano di un angolo 'Y· portandosi nella posizione (2'). Conseguentemente, il braccio B2 si porta nella posizione B2' (Fig. 11) ed il nuovo punto di intersezione fra i bracci diventa P', che si trova sul nuovo piano 11"', bisettore dell'angolo a+'Y· n funzionamento del giunto omocinetico rimane inalterato, il rapporto di trasmissione continua a essere costante e pari a uno, con la sola differenza che varia la velocità periferica del punto P' essendo variata la sua distanza dagli assi. Esistono diverse realizzazioni pratiche di giunti omocinetici, che seguono il principio di funzionamento prima descritto. I più comuni tipi di giunto omocinetico sono: il giunto Bendix- Weiss, generalmente usato per coppie non superiori a 6000 Nm, e il giunto Rzeppa, che viene usato per coppie fino a 35000 Nm.
porta una forcella nella quale sono ricavate quattro semigole toroidali. Le due forcelle sono montate ad angolo retto una rispetto all'altra e sono tra loro distanziate da una sfera, il cui centro coincide con il punto intersezione degli assi l e 2. I centri di curvatura C1 e C2 delle ,gole toroidali si trovano sugli assi l e 2 a una distanza piccola dall'intersezione degli assi medesimi. Pertanto, essendo i raggi di curvatura uguali per tutte le gole, ogni sfera tocca la gola della forcella 'l e la gola della forcella 2 in punti simmetrici rispetto al piano 1r bisettore degli assi l e 2 nel quale vengono di conseguenza a trovarsi i centri delle sfere. Tale condizione viene realizzata qualunque sia l'angolo a formato dagli assi poichè essa dipende solo dal fatto che i centri C 1 e C2 delle gole sono a distanza uguale dal punto intersezione degli assi e che i raggi di curvatura delle gole sono uguali tra loro. n piano bisettore 1r costituisce il piano omocinetico della trasmissione ed il giunto può quindi trasmettere il moto tra i due alberi con un rapporto di trasmissione costante e pari a l. a)
Fig. 13- Giunto Rzeppa: a) sezione col piano principale; b) sezione col piano omocinetico
Fig. 12- Giunto omocinetico Bendix-Weiss
n giunto Bendix- Weiss illustrato schematicamente nella Fig. 12 è costituito da due alberi, inclinati tra loro di un angolo a, ognuno dei quali l
La stessa condizione di omocineticità viene ottenuta, con una diversa realizzazione costruttiva, nel giunto Rzeppa, che è il giunto più usato nelle applicazioni meccaniche. In esso (Fig. 13) le forcelle solidali ai due alberi portano delle superfici attive sferiche (rispettivamente interna per l'albero motore ed esterna per l 'albero condotto) i cui centri cl e c2 giacciono sugli assi dei due alberi a breve distanza dal loro punto di intersezione O. Queste superfici attive sferiche sono in realtà costituite da tante gole giacenti
18
in piani equidistanti (Fig. 13 b); in ogni gola trovano posto due sfere che, dovendo toccare entrambe le superfici sferiche at~ive delle due forcelle, hanno una posizione ben definita (ed esattamente il loro centro deve giacere nel piano bisettore degli assi di rotazione) analogamente a quanto accade nel giunto Bendix-Weiss. Anche in questo caso si è pertanto in presenza di un piano omocinetico 1r nel quale si mantengono i centri delle sfere e che costituisce inoltre il piano bisettore di due assi di rotazione qualunque sia il valore dell'angolo a da essi formato. n giunto è poi completato da una gabbia distanziatrice entro cui trovano posto le sfere alle quali è di conseguenza impedita una eventuale fuoriuscita dalle apposite sedi. Nei tipi di giunto ora descritti l'elemento intermedio della trasmissione è costituito da una serie di sfere e il moto delle sfere sulle forcelle dei due alberi è un moto di rotolamento per cui il rendimento di questi giunti omocinetici è sempre molto elevato. Accanto ad essi si trovano altri giunti omocinetici nei quali però l'elemento intermedio possiede un moto di strisciamento rispetto alle due forcelle e ciò comporta una conseguente diminuzione del valore del rendimento della trasmissione. I giunti omocinetici sono utilizzati in numerose applicazioni tecniche dell'ingegneria. Essi sono universalmente usati negli autoveicoli a trazione anteriore nei quali le ruote motrici hanno anche una funzione direzionale; essi inoltre trovano applicazione in quegli alberi rotanti a velocità elevata nei quali le fluttuazioni periodiche di velocità angolare introdotte da un semplice giunto di Cardano assumerebbero valori addirittura intollerabili.
1.5 - Giunto di Oldham Si è analizzata in precedenza (Fig. 8) la possibilità di adottare un doppio giunto di Cardano per trasmettere il moto tra due assi paralleli ad un rapporto di trasmissiòne costante e pari a l; per piccole velocità angolari si abbandona talvolta questa soluzione e si ricorre invece al giunto di Oldham (Fig. 14). Esso è costituito da un disco intermedio I dal quale sporgono due risalti rettangolari che si impegnano in corrispondenti scanalature dei dischi A e B rigidamente collegati agli alberi tra i quali viene trasmesso il moto. Poichè il moto del disco intermedio relativamente al disco A può essere unicamente una traslazione, la velocità angolare di I è la stessa di quella di A. La stessa cosa si ha tra i dischi I e B, per cui si ottiene, quale risultato
t l l
19
finale, che la v~locità angolare dell'albero l, solidale ad A, è identica a quella dell'albero 2, solidale a B. A
Fig. 14 - Giunto di Oldham
Poichè il baricentro del disco intermedio I non si trova sull'asse di rotazione del disco stesso, quest'ultimo risulta soggetto a una forza centrifuga di intensità direttamente proporzionale alla distanza fra gli assi e al quadrato della velocità angolare. Per questo motivo il giunto di Oldham è usato, come prima detto, solo per bassi valori delle velocità angolari dei due alberi da esso collegati.
2. FLESSIBILI
2.1 - La trasmissione del moto mediante organi flessibili Prendono nome di flessibili quei componenti meccanici dotati di grande cedevolezza fiessionale, detta appunto flessibilità. t"', 1') '-l ;;_ I flessi_bili sono essenzialmente raggruppabili in due tipi differenti: a) Flessibili_in cui la flessibilità è ottenuta deformando il materiale costituente l'elemento stesso; a tale gruppo appartengono le funi, le cinghie e gli alberi flessibili. b) Flessibili costituiti da tante parti rigide collegate tra loro in modo tale da permettere il moto relativo tra le parti stesse; in tal caso la flessibilità glooàle_dell~-~~~gl~~to {~ovuta p_roprÌo questa pÒssihlit~ di moto Ì:elati_vo- tra i singoli organi _costituenti. A questo gruppo appartengono le catene.
a
I flessibili possono essere impiegati in tre modi differenti: + come moltiplicatori di sforzo negli organi di soll~vamento;
- èome dispositivi di trasmissione della potenza tra assi paralleli; - co1Iledispositivi di trasmissione della potenza lungo percorsi non rettilinei (alberi flessibili).
2.2 - Moltiplicatori di sforzo con flessibili Una applicazione dei flessibili la si riscontra negli apparecchi di sollevamento, nei quali una fune (o una catena) si avvolge alternativamente su una puleggia ad asse mobile e su una puleggia o tamburo ad asse fisso, ed il carico da sollevare è -collegato alla puleggia mobile (Fig. 15). Se si indicano con w e wP le velocità angolari del tamburo ad asse fisso e della puleggia ad asse 2. JACAZIO-PIOMBO - La trasmissione del moto
l l
22
23
\l
mobile, si ha, con riferimento alla Fig. 15
~):
1
d Vv =w{ VB =wp:;
Ve =wp
d
2
I risultati ora ricavati valgono, come si è detto, nel caso ideale di un flessibile considerato privo di rigidezza ed in assenza di attrito. In realtà ogni flessibile possiede sia una rigidezza elastica sia una rigidezza anelastica che alterano i risultati già ottenuti nel caso ideale .. Quando un fl~ssibile dotato di sola rigidezza elastica si avvolge su una puleggia di diametro D, il flessibile stesso è sottoposto a un momento flettente pari a MJ = 2EaJ/D in cui Eo. è il modulo di elasticità del materiale. Se si indica ora con h la distanza esistente tra la forza T e il punto origine del contatto tra fune e puleggia, si ha: Th=MJ
r.·,
Se si indica inoltre con e' la distanza esistente tra la forza T e la puleggia, si può affermare, in base ad alcune considerazioni di teoria dell'elasticità, che essa è pari ad h/2 e ricavare in definitiva: EaJ 1 e= TD
!'· b)
La rigidezza anelastica è invece dovuta a fenomeni di attrito interno nel materiale del flessibile; è a causa della rigidezza anelastica infatti che se si pone un flessibile in una data posizione esso tende a mantenerla ed anzi richiede l'applicazione di un lavoro per tornare alla posizione primitiva. A causa della sola rigidezza anelastica pertanto un flessibile che si avvolge lungo
a)
Fig. 15- Argano di sollevamento: a) schema dell'argano; b) diagramma delle velocità della puleggia mobile
b)
Poichè Vv =VB, si ottiene: wp=w/2 { Ve= VE/2
Per il calcolo del carico P sollevabile dall'argano si osservi innanzi tutto che in _ assenza di attrito le tensioni all'ingresso e all 1uscita della puleggia sono uguali, per cui, scrivendo una equazione di equilibrio secondo la direzione verticale si ha: P=2T L'argano di sollevamento raggiunge quindi lo scopo di dimezzare, nel caso ideale di assenza di attrito, lo sforzo necessario a sollevare un carico di intensità P. Contemporaneamente, la velocità di sollevamento del carico è la metà di quella del punto al quale è applicata la forza di trazione T.
f
f
T
Fig. 16 - a) Effetto della rigidezza elastica; b) effetto della rigidezza anelastica
una puleggia assume l 'aspetto indicato nella Fig. 16 b): dal lato in cui il flessibile si avvolge sulla puleggia esso tende a rimanere diritto, mentre dal lato
24
J
in cui si svolge esso tende a mantenere la curvatura fornitagli dalla puleggia. La forza di trazione T che deve essere applicata a un ramo della fune per vincere la forza resistente T' applicata all'altro ramo è di conseguenza:
,D/2 +e" T =T D/2-e"
!
25
Poichè il modulo della velocità V della fune è costante in tutti i suoi punti, si ricava dalle (2.4) che il rendimento 7J della puleggia è: T'V
7J
Quindi T è maggiore di T e se la fune si muove a una velocità V, la potenza dissipata per vincere gli attriti interni è: 4TVe" Pw = (T - T') V = D _ e, 2
= TV
l
=l+ k
Quanto ora esposto per una puleggia può essere esteso al caso dei paranchi di sollevamento nei quali lo sforzo applicato viene amplificato proporzionalmente al numero delle pulegge esistenti. Con riferimento alla Fig. 18 si avrà infatti:
Una seconda causa di perdita di potenza nel passaggio attorno a una puleggia è dovuta all'attrito nel perno della puleggia, fenomeno ampiamente esaminato nel paragrafo 3.11 del I volume. Tenendo conto ora sia della rigidezza elastica, sia di quella anelastica, sia dell'attrito nel perno, si ricava, mediante una semplice equazione di equilibrio alla rotazione, la seguente relazione fra T e T' (Fig. 17): T
D/2 + e' + e" + p = T'---'-:--------'D/2 + e' - e" - p
Fig. 18 - Paranco di sollevamento Fig. 17- Effetto complessivo delle rigidezze elastica e anelastica in un flessibile
Inoltre, per l'equilibrio dell'elemento mobile sarà: 7
da cui, tenendo conto che
D~
(e"+ p) e che D» e' si ha:
P
=T1 + Ts + Ts + ... + To = L n=O
(2.4)
T=l+k T' { k = 4(e'~+ p)
con
e di conseguenza:
Tn
27
La forza di trazione da:
T8
che deve essere applicata per sollevare il cadeo è data
Ts
=(l+ k) 8 To
da cui, sostituendo a To il valore ricavabile dall'equazione di equilibrio in direzione verticale, si ottiene:
Ts
=
(l+k) 8 P 7
l:Cl+kt n=O
Se le perdite dovute all'attrito e alla rigidezza anelastica fossero nulle si avrebbe k =O e quindi T8 = Pj8. La velocità di sollevamento può essere ricavata sia mediante considerazioni cinematiche, sia in base alla considerazione ch6 nel caso di rendimento pari a l la potenza necessaria a sollevare il carico è uguale alla potenza fornita. Si ha allora che la velocità di sollevamento del carico è data da: V= Vs 8
2.3 - Cinghie
Le ci_.!!ghie vengono normalmente usate per trasmettere il moto tra assi
parall~Ìlposti ad una certa distanza::- Le -prfnci pali ·caratteristiche
;;ione utilizzando pulegge _çostruite in modo particgl(!.re. d) Usando cinghie piane è possibile ottenere il funzionamento analogo a quello di _una frizione semplicemente spostando la cinghia da una puleggia folle ~_v. n a. in_presa_. e) La trasmissione a cinghie richiede sempre un certo aggiustaggio dei centri degli assi. f) Impiegando pulegge a scalini si ottiene un mezzo economico per variare il rapporto di trasmissione in modo discontinuo tra due alberi.
g) È-nossibile far funzionare una trasmissione a cinghie ugualmente bene com--;;:;auttrice o ;:n;;ztì.Piìcatriced.ì._velo-èìtà~ -- ------------Nelle applicazioni meccaniche si utilizzano principalmente cinque tipi di cinghie e precisamente: ------~-------___ ""
-
·--------
cinghie _cinghie cinghie cinghie cinghie
piane ròtortde aV a costole a_ denti.
Le cinghie piane offrono una notevole flessibilità e possono pertanto esse~e usate sia per là normale trasmissione del moto tra assi paralleli sia quando la cinghia debba effettuare particolari percorsi a serpentino; esse_ sono generalmente di cuoio, di gomma o di materia plastica. --~e_ cinghie di cuoio sono usate per velocità moderate, fino a 30 mjs, e per potenze--fino a400 kW,-cop. r_apporti _di trasmissione-fino-a-16.:.1,.ed inoltre posseggono una buon.;: capa:c~~~ ~i-~3.2-.rÈ'~!ll~ntQ_ -~glLul:H; l~_ l<:>r?__tipiche applicazioni si riscontrano nelìa derivazione del moto a diverse utilizzazioni a partire da un unico albero di trasmissione e nelle apparecchiat~re di miniera. Le cinghie di gomma costituiscono il tipo più economico di cinghie piane; esse sono normalmente formate da uno o più strati di cotone impregnati di gomma. La vita di queste cinghie e la potenza da esse trasmes-sa per unità di superficie sono minori delle analoghe caratteristiche delle cinghie di cuoio. La massima velocità raggiungibile è, come per le cinghie di cuoio, dell'ordine dei 30 m/s e la massima potenza trasmessa non supera in genere i 250 kW. Le c!11ghie piane in gomma trovano le loro principali applicazionCin- tr~s!l:Ù~sioni di piccole potenze e di solito con pulegge di piccolo diaJl!e!:o: .. __ Una versione più robusta delle cinghie in gomma può ~ss~J~_re_~zzata utilizzando unoo pfliStràtrdi c~vi annegati nella -go~~a. In tal cas-;)ron una: ~i~gh}a df sèziòne piccola si ottiene una notevole resistènza-
28
29
liammide ricoperto da gomma o da altro materiale plastico. Queste ultime_ cinghie possono operare a grandissima velocità, fino a 200 m/s. Le cinghie a V (Fig. 19) sono normalmènt~ costituite da una serie di cavi immersi in uno strato di materiale plastico che, oltre a fungere da supporto, mantiene i cavi stessi nella loro posizione corretta; questo strato di materiale plastico è a sua volta compreso entro due strati di gomma chiusi esternamente da una guaina anch'essa generalmente di gomma. Le ci nFig. 19 - Cinghia a V ghie a V funzionano normalmente a velocità variabili tra 7 e 30m/se con rapporti di trasmissione fino a 7:1; tuttavia cinghie a V strette e cinghie di poliuretano possono funzionare fino a velocità di 50 m/s. I principali vantaggi delle cinghie a V sono la lunga durata (mediamente 3-:-5 anni), la facilità di installazione, la silenziosità e la facile manutenzione, oltre alla capacità di assorbimento degli urti come in quasi tutte le cinghie. U!la delle principali proprietà delle cinghie a v è costituita dal fatto che esse posseggono un coefficiente di attrito equivalente molto superiore al coefficiente di attrito_effettivamente esistente tra il materiale della cinghia e quello della puleggia. Se infatti si indica con N la forza normale con la quale la cin- · ghia è premuta contro la puleggia Fig. 20- Forze scambiate tra cinghia a V (Fig. 20), tale forza è equilibrata e puleggia dalle due forze N' che le facce della puleggia trasmettono alla cinghia. Da una equazione di equilibrio alla traslazione in direzione verticale si ha: (2.5)
. N= 2N'sin:: 2
La forza tangenziale complessiva diretta normalmente al piano della Fig. 20, forza dovuta allo scorrimento relativo tra cinghia e puleggia, è allora data da: T= 2! N'
dove f è il coefficiente di attrito effettivo Jra cinghia.e puleggia. Sostituendo in questa relazione il valore di N' ricavabile dalla (2.5) si ottiene:
-\ .
f 'T---\N Q/ sin2
Per effetto della forma a V della cinghia si è pertanto in presenza di un coefficiente di attrito equivalente pari a: (2.6)
!
, __!_ -
.
et
Slll-
.
2
che è tanto maggiore quanto minore è l'angolo al vertice della cinghia. Per una cinghia piana si ha a= 180° con l'ovvia conseguenza di ottenere dalla (2.6) !'=f. In numerose applicazioni, quando la potenza da trasmettere è elevata, si utilizzano più cinghie a V in parallelo che si avvolgono su altrettante gole ricavate nella stessa puleggia. In altre applicazioni, per semplificare i problemi di installazione, sono usate cinghie a V ad anelli; esse sono formate da tanti piccoli tronchi di cinghia a V collegati tra loro mediante elementi metallici. Le cinghie ad anelli sono usate in applicazioni a velocità moderata e per potenze fino a 800 kW; il loro principale vantaggio risiede nella possibilità di variare la lunghezza della cinghia semplicemente aggiungendo o togliendo uno degli anelli. Le cinghie rotonde sono normalmente di gomma e possono essere rinforzate con uno o più cavi metallici. Esse vengono utilizzate soprattutto in applicazioni leggere quali trapani ad alta velocità, macchine da cucire, e così via. Le cinghie a costole sono essenzialmente cinghie a V multiple con l'unica differenza che le varie costole a V sono ricavate in un'unica cinghia. Le cinghie a costole U_!liscono la robustezza e semplicità della cinghia piana con l'elevato coefficiente di attrito delle cinghie a V. Esse tuttavia non sono raccomandate nelle applicazioni in cui le costole della cinghia possono strisciare una contro l'altra. Le cinghie del tipo ora descritto sono impiegabili per trasmettere la potenza meccanica per attrito, come si vedrà nel successivo paragrafo 2.4. Le cinghie a denti invece trasmettono la potenza meccanica mediante forze normali, come si vedrà nel paragrafo 2.10.
30
31
2.4- Trasmissione del moto per attrito mediante flessibili
Si possono così scrivere le due equazioni di equilibrio dell'elemento di cinghia considerato secondo le direzioni normale:
Si consideri una cinghia piana avvolta su una puleggia (Fig. 21) e si indichi co~.lJ.. l'angolo ge:u~riço 11_1j§urato a pa_~tire ~-~ P..llfitQ Ì_:Q._~~~ è soggetta alla: tensione minima 7.'2 • Siano inoltre T1 la tensione massima, T 'Iat-en~ione in una sezione generica, f il coefficie;t;d.i~ttrito esistente tra cinghia e puleggia, r il raggio della puleggia, q la massa della cinghia per unità di lunghezza e w la velocità angolare della puleggia.
e tangenziale: d'IJ) -T cos ( 2
-
dV ds + (T + dT) cos (d'IJ) dFT + q dt
2
=O
b)
a)
fr
''· ·_Y_
Fig. 21 - Trasmissione del moto fra puleggia e cinghia: puleggia condotta
a) puleggia motrice; b)
Si consideri ora (Fig. 22), in corrispondenza dell'angolo .,J generico, un tratto elementare di cinghia di lunghezza ds rd'IJ. Su tale elemento di cinghia agiscono le forze seguenti: le tensioni T e T+ che le restanti parti della cinghia trasmettono all'elemento considerato attraverso le due sezioni di -+ -+ estremità, la forza tangenziale dFT e quella normale dFN che la puleggia esercita sull'elemento di cinghia, la forza di inerzia a cui è soggetto l'elemento
=
dT
stesso. Quest'ultima possiede una componente tangenziale di intensità q dV ds .
2
dt
Se si _definisc~J!.O_o.r_a pulf;gge_ motrici quelle in cui copEi~"_?.gE]_nt~ ~-:'elocità angolare hanno verso concorde (Fig. 2f a) e- pulegijé' c'ondotte quelle in : curcoppia-e-velocità angolare hanno verso tra loro discorde (Fig: 21 b) si ·può osservare che la puleggia indicata in Fig. 22 è una puleggi~- motrice e di :
conseguenza le forze tangenziali di attrito dFT e di inerzia q dV ds hanno dt necessariamente il verso indicato nella figura stessa.
tratto elementare di cinghia
A_ qu~ste_eg~az_!OI_li vannQ aggi!l!lte_la
~.!l.~.zio~e __~i attri~~
----------·-l
= fdFN ______
/ dFT
....__._
e la relazione geometrica: ds
e una componente normale (forza centrifuga) pari a q V ds. r
~n
Fig. 22 - Forze agenti su
f
"'---....
=rd'IJ
n sistema formato dalle
quattro equazioni ora scritte può èssere facilmente risolto rammentando che d.,J e dT sono due infinitesimi, per cui si può con ottima approssimazione sia porre sin(dt?) d'IJ, cos(d'IJ) = l, sia trascurare il prodotto dT · dt? in quanto infinitesimo di ordine superiore rispetto ai precedenti. In base a ciò si ottiene:
=
32
33
e infine: dT = f d'I!J
(T- qV
Si noti ancora che nel caso in cui la trasmissione del moto avvenga mediante cinghie a V, tutto quanto ora esposto mantiene la sua validità a patto di introdurre al posto del coefficiente di attrito effettivo f quello equivalente f' dato dalla (2.6). ~/ /"\.'(.'_.!_V l('"'-,
2
--q!:.. dV) f dt Integrando questa equazione differenziale fra i limiti O e rJ si ha: T-qV2-q!:. dV (2 7) fr dV dt =e'" • T2-qV 2 - q - ! dt La _(~._7)__!gJ>P.I~sen~a q~ndi l 'equazione fondamentale_ della ..trasmissione del moto medi an~ attrit() fra 1!11~ ~!iig}Ìia-:è-u;-~-puleggia~ ricavata, come già d~tto, ~~r~n~ puleggia mot~!ce. Per una puleggia cÒndott"à~ponendo al solito l 'origine degli angoli nel punto in cui la cinghia è soggetta alla tensione minima T2 ~Fig. _21 b), si può ripetere un ragionamento analogo ottenendo una equazione Identica alla (2.7) ad eccezione del segno della componente tangenziale della forza di inerzia. E precisamente per una puleggia condotta si ha: r dV T -qV 2 +q-(2.8) f dt el" T? _ qV 2 + q !:. dV f dt . r dV . Inolt re, 11 termme qj_di che compare nelle (2.7) e (2.8), dovuto alla com-
=
ponente tangenziale della forza di inerzia, è tras~u~abil~ nella-grande maggioranza d~ casi pratici, per cui l'equazione fondàmentale della trasmissione a dnghie, valida sia per pulegge motrici sia per pulegge condotte, diventa: (2.9)
T- qV
2
T2- qV 2 =e
1,
.. .E~He~er..e o~a il Jg~me. funzionale t_ra leJ~:n.sioni massima
€: e
~~0 esistenti nella cmgh1a basta sostituire all'angolo generico rJ il
[~ell'angolo(E\lungo il C:Q:!}:..i Si otterrà pertanto:
guale avviene la variazione totale di tensione .
TI - qV2 = el". T2- qV 2 In molti casi la velocità periferica Y- della cinghia è ab.has.tanza.-pi-GGolae il valore di qV 2 è piccolo rispetto a T2 e T1 per cui il termine ~te alla forza centill'Uga può essere trascurato. ottenendo in definitiva: (2.11) I_= el" e TI -e~"· -------T2 T2 (2.10)
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2.5 - Trasmissione a cinghie
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elastic~
Se si sottopone una cinghia costituita di materiale di una tensione T diretta lungo le sue fibre queste si deformano provocando in definitiva un aumento della lunghezza della cinghia stessa. Si consideri pertanto un tratto infinitesimo di cinghia avente lunghezza d/ 0 , area A e modulo di elasticità normale E; l'allungamento 5(dl 0 ) di tale elemento in seguito all'applicazione di una tensione T vale: 5(dlo)
= (dio) T
EA Si indichi ora con V la velocità della cinghia nella sezione in cui la sua tensione è T. il tempo dt necessario al tratto di cinghia lungo dl = dl 0 +5(dl0 ) per passare attraverso la sezione considerata vale: dt
= dlo + 5(dl0 ) v
ossia: (2.12)
Se la tensione T della cinghia varia, varia pure la lunghezza dl del tratto di cinghia in esame, tuttavia il tempo dt necessario a farlo passare attraverso una data sezione deve essere ovunque lo stesso. Infatti se si considerano due diverse sezioni a e b in cui le tensioni valgono Ta e n, Ja stessa quantità di massa dm della cinghia che nel tempo dt entra attraverso la sezione a deve uscire -nello stesso tempo attraverso la sezione b. La massa dm a sua volta resta distribuità in un tratto di cinghia lungo dla d/ 0 (1 +Tal EA) nella sezione a e in un tratto lungo dh d/ 0 (1 +n/ EA) nella sezione b. Poichè dt è il medesimo, le velocità V<~ e Vb della cinghia nelle sezioni a e b sono fornite, in base alla (2.12) da:
=
=
(2.13)
{ .
Va=~: Vi
b
'-
= dlo dt
(1 + J~)
0
--~"·-
1ì.·b ) +EA
.-~~-
34
35
n e j!i
n
Lungo _barco J31 d!Jy_v.ol~im~-S.~q:Ie 1m a.rco @i.n .cui ~a tensione varia e un. arco- (3 1..-=- {)* m cm la tens10ne e costante ed m cu1 cmgh1a ~-P~~ggia son~-i~ condizioni di àd:~renza poichè,_~e vi fosse tra.idue corpi uno scorrimento relativo, esisterebbe di conseguenza unà ulteriore inammissibile variazione.dells!Jen?l?ne all'interna_della c~ È chiaro inoltre che nella puleggia motrice la velocità della cinghia, crescente al crescere della tensione, non puÒ mai essere supe;k;re alla velocità perÌienèà dèlla puleggia steSS?-, per cui l'arco di aderenz~ (3 1 - é _hg,_J:>.!igine dove la tensione T1 è massima e la velocità V1 della cinghia vale di conseguenza:
Pertanto, se le tensioni Ta e sono diverse, anche le velocità Va Vb risulteranno tra loro differenti, Più in generale_&_può afferma;ea_~aft f
tensione_~~nt~rn~_lBì~
l_a velocitàneisin&~lrpul}t_~ della cinghia stessa, ~ P.Oichè la guleggt~j:iì~~ç~_I!_Jj: una velocità angolare costa,!lte pari a. V= rw, se ne conclude che tra cinghia ! i e puleggia-esiste in gen~:rale -~-no scorrimento relativo. · · -----=J- ---~-+ --- Si co-nsideri ora la trC:S~issione a cinghÌe.tr'à-due assi paralleli illustrata in Fig. 23.
-,.
(2.16)
· V1
= -dlo dt
(l
T1 ) + -EA = r1w1
ll rimanente arco i:/è det!9_i!_z-ço -~!_§çogim~ntq_eJungo..e.s.SJ:>~aJ..ensione diminuisce dal valore T1 al WJore T 2 -~la ;>:elgsHtdiminuisce dal valore ~!..... al valore Y-'L che, in base alle (2.13), vale: T2
l+'EA
(2.17)
Fig. 23 - Trasmissione a cinghia fra due assi paralleli
Un fenomeno__ opposto. a vviene. sulla. ..puleggia~ condotta.. QuUnfa~!i _!a velocità periferica della puleggia può al p~sae:te...uguale alla velocità mi.nima dellacin~. Di co-nseguenza ~arco di aderenza_ di a~piezza _((3~ -:::_{)*).> ~ _ ~:i~ c~;rispandenza della tensione minima ili)dove la vèlocità della cinghia vale V2 e la velocità angolare -delià pùfèggia è di conseguenza fornita da:
Se@ e@sono~sio;n,i. nei due rami della...cinghi~(con··'ti~~ le coppie motrici e resistenti agenti sugli assi delle pulegge l e 2 valgono rispettivam~llk;_
V?
(2.18)
(2.14)
Si supponga ora nota la tensione T2 ; la tensione T 1 è, in base alla (2.11), pari a: e, in base alle (2.14) si avrà: (2.15)
TI l+ EA
= T2(ef 11 • -l)r1 { C2 = T2(ef 11 • -l)r2 C1
S~e o2:_~a _c~ppia., C~-- appJi<:.a.!a _alla, _p:uleggiarmotrice è· piccola__,~~heJ.)..J:t,g
~·- i~orrisp_o!l denza,_ del _quale..sL.ha-la-variazione-di- tensione-delta -cinghia
(piccolo e comun q~ _P:ilile>re dell' a1]f!_olo dL..av_E_olgim(!nto~·!§l della cinghia.
---------------
W?= -=.
-
r2
L'arco di scorrimento sulla puleggia <:_~ndotta corrisponde all'aumento di \//tensione da T2 a Tl e all'aumento di velocità della cinghia da v2 a VI. /·\"- -Supponendo di suddividere la cinghia in tanti tratti uguali colorati alternativamente in bianco e in neror si può ottenere una rappresentazione grafica dell'andamento delle tensioni all'interno della cinghia stessa durante il funzionamento della trasmissione così come è mostrato nella Fig. 24. Se la_coppi-!rmotrice ~quella resistente aumentano, aumenta di conseguenza l'arco di scorrimento~· fino al momentq_in cui (~p_ponendo fi1 <_B_:J arco d_Lscorrimento e angolo di avvolgimento (31 coincidono. In questa condizione, detta di ~r..Ì.JJJ&JJ~ si ha il massimo valore poss16ile-a-& rapporto TJ/T2 ccunp_atihlle con l~c.2_ndizioni fisiche del fenomeno e, conse~m~nte, la massima potenza trasmessa dalla cinghia a quella velocità. \
:i)
37
36 Se la coppia motrice. C1 aumenta oltre il valore limite corrispondente aii~·-condizione di scorrimento globale, valore fornito in base alle (2.15) da:
T2 / EA, è di solito abbastanza piccolo rispetto a l per cui nella maggior parte dei calcoli si può supporre, in prima approssimazione:
la tensione massima della cinghia T1- resta costante, mentre la puleggia l accelera con una accelerazione angolare data da:
n rendimento 1J è fornito dal rapporto tra la potenza uscente W 2 e quella entrante wl = C!W!, quindi:
.
------------C1- (Cl)lim
dwl
'd:t =
h
1J
dove J 1 è il momento di inerzia, attorno al suo asse di rotazione, della puleggia l e di tutti gli altri organi ad essa eventualmente collegati.
=
W2 W1
=
=C w 2
2
C2w2 C1w1
e, in base alle (2.14) e (2.19): T2
(2.20)
l+E'A 7]=
T1
l+ EA
Fig. 24- Stato di tensione in una cinghia durante la trasmissione del moto fra due pulegge
Poichè al solito Td EA è quasi sempre piccolo rispetto a l, il rendimento di una trasmissione a cinghie è in generale abbastanza elevato (mediamente si hanno valori di 0,95). Si noti che l'espressione detr.endiment?_ fornita dalla (2.20) tiene conto unicamente della potenza persa per attrito nel contaito tra cinghia e puleggia. n rendimento effettivo della trasmissione sarà ancora inferiore a causa della dissipazione di potenza esistente nei supporti delle pulegge e nell'effetto ventilante. Un'altra causa di diminuzione di rendimento è la deficiente flessibilità della cinghia. La potenza meccanica persa per questa causa è data da:
w= La condizione di scorrimento globale, anche se si verifica prima sulla puleggia avente l'arco di avvolgimento minore, può evidentemente essere ottenuta su entrambe le pulegge se le coppie cl e c2 superano entrambe il loro valore limite. In base alle relazioni prima ricavate si possono ora determinare sia il rapporto di trasmissione T tra le velocità angolari delle due pulegge sia il rendimento 7J della trasmissione. Dalle (2.16), (2.17) e (2.18) si ottiene infatti: (2.19)
T=
W2 Wj
= v2 2:!. = rl r:z
v'l
r2
(l+ T2/EA) l+ T!/EA
Poichè T2 è minore di T1 il rapporto (l+ T2 / EA)/(l + Td EA) è minore di l e di conseguenza T< rifr2. In ogni caso però Td EA, e a maggior ragione
r\ s2b (~)v D 180
dove s, b, D sono spessore, larghezza e diametro della puleggia, V la velocità periferica della cinghia, a l'angolo di avvòlgimento in gradi e K un coefficiente che, per le cinghie piane, vale mediamente 105 N jm 2 • In tutte le espressioni finora analizzate si è supposto che la tensione in ogni ramo libero della cinghia si mantenesse costante. La validità di questa assunzione, accettabile nella grande maggioranza dei casi, viene a mancare quando le due pulegge non si trovano allo stesso livello, ma a livelli notevolmente differenti. In tal caso, se i rami liberi della cinghia sono inclinati di un angolo a sull'orizzontale, l'aumento dT di tensione in un generico elemento di cinghia lungo ds è dato da: dT = qg sin a ds = q dy
39
38
Le relazioni esistenti tra iL T2 e Q si possono ricavare mediante semplici equazioni di equilibrio. Per il caso della Fig. 25-a, scrivendo una equazione di equilibrio alla traslazione nella direzione orizzontale, si ottiene:
dove q rappresenta la massa per unità di lunghezza della cinghia, dy la variazione di quota e g l'accelerazione di gravità. Se quindi il dislivello complessivo esistente tra gli estremi dei rami liberi della cinghia è h, la variazione di tensione globale all'interno di ciascun ramo è data da:
(2.21) D..T =q g h
mentre nel caso della Fig. 25-b, dall'equazione di equilibrio alla rotazione attorno alla cerniera C, si ottiene: (2.22)
2.6 - Forzamento della cinghia Per rendere possibile la trasmissione del moto tramite l'accoppiamento cinghia-puleggia, occorre mantenere un certo valore minimo della tensione To nei rami liberi della cinghia anche in condizioni statiche. Quando la distanza tra le pulegge è molto grande, il peso proprio dei rami liberi della cinghi~ è già ·di per _se_ ste~_
fornisce illecrame funzionale tra tutte le quantità sopraelencate. .. . o . - ···- .... --·- ----------------------A parte questo caso particolare però, caso del resto poco frequente nella pratica, si è soliti dotare la cinghia di una certa tensione iniziale ricorrendo all'ausilio di due sistemi e precisamente dei: - sistemi a base motore mobile, sistemi a rullo tenditore. I sistemi a base motore mobile possono a loto volta essere raggruppati nelle tre categorie seguenti: - a gravità; - a molla; - a base scorrevole.
I sistemi a gravità creano la tensione iniziale ali 'interno della cinghia utilizzando o un contrappeso (Fig. 25-a) o il peso stesso del motore (Fig. 25-b).
b)
a)
Q
b
Fig. 25 - Messa in tensione di una cinghia mediante un sistema a gravità: con contrappeso (a); a cerniera (b)
l
'•
Nei sistemi a molla (Fig. 26) la base mobile sulla quale è montato il motore è collegata ad una molla elicoidale; ponendo in tensione la molla si origina di conseguenza una forza FM, agente sulla base del motore, ap-prossimativamente costante in tutte le condizioni di funzionamento. Si avrà quindi, con buona approssimazione: (2.23)
Nel sistema a base scorrevole invece, la base del motore, collegata mediante due o più scanalature ad un supporto rigido, viene inizialmente spostata lungo il supporto stesso fino a ottenere una tensione iniziale T0 della cinghia; la base motore viene poi fissata al supporto in modo da mantenere la posizione voluta anche durante il funzionamento. l
l l
41
~·
40
l
iT':)dipende sia dallo spostamento iniz.iale della base del motore sia dalla lun~zza della cinghia. Con riferimento alla Fig. 27, la lunghezza totale della cinghia è, prima del forzamento, pari a: Lo
= 2dl (7r -
2 (d22- d21) -2a) + d2 (1r + 2a ) + 2 ;2•
= !!:.2 (d1 + d
2
2)
+ a(d2- d1 ) + V4i 2 -
(d2- d1)2
.
l
Poichè normalmente l'angolo a è abbastanza piccolo, se l'interasse i aumenta di una quantità. éi, l'allungamento ll"L 0 della cinghia è dato con buona approssimazione da: l:l.Lo =::: 26i cosa e di conseguenza la tensione di forzamento, costante lungo tutta la cinghia, vale: To = llLoES 2ES6i cosa (2.24) __ Lo Lo
=
~------
--
dove S rappresenta l'area della sezione della cinghia ed E il modulo di elasticità. del materiale costituente la cinghia stessa. Durante il funzionél,Il1ento, come si è già. avuto occasione di vedere, la tensiòn"'enelfacrngh1a non è più costante; essa varia infatti lungo gli archi scorrimento delle due PJJ.legge. e roantiene.._~~ori costanti, ma diy~i tra lo!:9.,_ lungo i due archi di aderenza e i due ramlJi.,h~ri. . Per trovare una relazione esatta tra le tensioni esistenti durante il funzionamento e quella presente in condizioni stati che occorre procedere_n.el modo seguente: scritte le relazioni tra :·fi,T2 , 1'J* ed ~~~iste nel paragrafo 2.4, si calcola if corrispondente allunga~t~--;.ç,_ d~~,ghi9- e lo si u~glia_~- valore di D.L 0 ricavabile .Q._alla (2.~1) ottene~do così la relazione voluta. Quest'u.itima è notevolmente complessa, per cui ad essà-sè~ne8;;5tTtUisce in pratica una semplificata espressa da:
ai
Fig. 26 - Messa in tensione di una cinghia mediante un sistema a molla
(2.25)
. T1
+ T2 2
= 7ìo .l
che d 'altro canto fornisce risultati molto prossimi a quelli effettivi. Nel passare dalle condizioni statiche a quelle dinamiche, in definitiva, ~~l9Jt§)j_l}~- ra.!J19_çr~g_~fi.gg_?J_y_alorv..L...mentre nell'altro diminuisce fino al valore T 2 , e la semisom~_què[email protected].:rLsi.:man.tknEU.~t~!!.~.i.:Ea~i ai val~-r~ della tensione di forzamento iniziaJe. ·---- .. ···· ·-· · --------·--- ·· ·--- ·
Fig. 27 - Grandezze geometriche caratteristiche di una trasmissione a cinghie
Nel' sisteillf a rullo teniHtore infine, la cinghia viene fatta passare su una puleggia folle, detta appunto rullo tenditore, sottoposta all'azione di una molla (Fig. 28-a) o di un pes~ (Fig. 28-b ). TI rullo tenditore opera sempre sul ramo della cinghia sottoposto alla tensione minore T2 ; in questo modo, poichè la tensione T2 deve rimanere costante per poter assicurare in -q~alunque condizione di funzionamento l'equilibrio del rullo, all'aumentare della coppia C applicata sulla puleggia corrisponde unicamente un aumento dell
Si ha inoltre: T1 =T2+
2C
d
43
42
n valore di f2
è poi immediatamente ottenibile in base alla forza esercitata dalla molla (FM) o dal peso (P). Se con Fp si indica la forza che la cinghia
esercita sulla puleggia del tenditore, si ha: Fp
(2.26)
. Per un tenditore a molla è poi Fp è (Fig. 28-b):
r•
di scorrimento coincide con quello di avvolgimento. Se ci si riferisce alle (2.10) e (2.14), dopo avere posto = fJ1l (angolo di avvolgimento sulla puleggia motrice), si ottiene per la potenza trasmessa dalla cinghia (trascurando le perdite per attrito nei supporti della puleggia) l'espressione:
r:; = c,w, = c, v l
=2T sin% 2
= FM,
mentre per un tenditore a gravità
\~
rl
~
-
qV 2 )
con:
da cui si ricava:
a)
W::::: (e1 f3 1 -l) V(T2
Se il forzamento della cinghia è ottenuto con un rullo tenditore, la tensione T2 è costante e il suo valore è stabilito dalla geometria del tenditore e dalla forza agente su di esso. Per un tenditore a molla ad esempio, si avrà dalla (2.26): FM T2 = a2sin 2 per cui la potenza massima trasmissibile è: (2.27)
W= (eff3, - l) V (
b) Fig. 28 - Messa in tensione con rullo tenditore: a molla (a) e a gravità (b)
Accanto a questi schemi fondamentali esistono poi numerose altre realizzazioni costruttive utilizzate in pratica per la messa in tensione della cinghia, la cui descrizione esula tuttavia dagli scopi di questo volume.
~M a-
2sm
- qV 2 )
2
Se invece il forzamento è ottenuto variando la posizione della base motore, la tensione T2 varia durante il funzionamento. Si è visto ad esempio che nel sistema a base scorrevole le tensioni T1 e T 2 sono legate alla tensione di forzamento iniziale dalla relaz.ione (T1 + T 2 )j2 To. In questo caso allora la tensione T2 vale:
=
T2
2.7- Potenza massima trasmissibile
=
2T0 + qV 2 (ef"" -l) ef""
+l
e la potenza massima trasmissibile risulta: In base a quanto esposto nei paragrafi precedenti è possibile ora determinare-quale è la ..mas.ill:P~z.a. trasmissihHe da u~ cinghia-pule~. È chiaro innanzi tutto che la condi~on_e di massimg,_ potenza trasmessa coin.dd~ con la condizio~i...scorrimento_gl.oh;Ye in quanto, a p.a..illà di velocità angolare. si ottiene la..ma.s.sima..coppia.-p~u~~do-l'arco
(2.28)
W= 2(eff3,- l) V(1ì - V2) 0 (eff3, + l) q
Dall'analisi delle (2.27) e (2.28) si osserva che la potenza massima trasmissibile dapprima aumenta all'aumentare della velocità fino a quando, per
44
velocità. molto grandi, il termine guadratico non diventa preponderante con conseguente diminuzione della potenza. TI massimo valore della massima po~ tenza trasmissibile dal sistema cinghia-puleggia si ricava annullando la derivata prima rispetto alla velocità. V della (2.27) o della (2.28). Si avrà. pertanto dalla (2.27): dW =O dV
per
V=
. 6qsm
Nella regolazione stazionaria è. necessario arrestare il funzionamento della trasmissione per poter fissare meccanicamente il diametro medio della puleggia voluto, mentre nella regolazione continua le due facce della puleggia sono caricate da una molla in modo che, variando il carico della molla, le facce della puleggia si avvicinano o si allontanano tra loro aumentando o diminuendo così il raggio di avvolgimento della cinghia.
-,
Q
2
l l l
e dalla (2.28):
l
dW --o dV -
per
V=
fTo y-sq
l l l
l l__ l l
Come si può notare, la massima potenza trasmissibile è espressa, in presenza di rullo tenditore. da:
. 6qsm
WMAX
=
3(ef.Bl
+l)
l l l l l
Q
Z
mentre in presenza di base motore scorreYole, essa è fornita da: 4T0(ef.Bl- l)
l
{i; vsq
2.8 - Trasmissioni a rapporto di trasmissione variabile
Le cinghie a V vengono spesso utilizzate per la trasmissione del moto con rapporto .tra le velocità di ingresso e di uscita del moto stesso variabile nel tempo. Esistono fondamentalmente due tipi di trasmissioni a velocità variabile, e precisamente le: - trasmissioni con regolazione stazionaria
~-a..:~tJ
Fig. 29 - Trasmissione a rapporto di trasmissione variabile
Nelle regolazioni stazionarie inoltre il rapporto tra le velocità può subire in genere variazioni dell'ordine del 10% e fino al 30% mentre la potenza massima trasmissibile non supera di norma i 250 kW. Nelle trasmissioni continue invece, pur se la massima potenza trasmissibile è solitamente minore, in genere fino a 20 kW, si ha la possibilità di variare il rapporto tra i raggi massimi e minimi su cui si avvolge la puleggia, e quindi il rapporto di trasmissione, entro un campo notevolmente più ampio, in genere compreso tra l e 3. Ciò è realizzabile però solo usando cinghie a V particolarmente larghe; adottando cinghie a V di tipo standard infatti le variazioni del rapporto di trasmissione non superano il 30% 'anche nel caso di regolazione continua.
e le - trasmissioni con regolazione continua. Entrambi i tipi sono realizzati con l'ausilio di una cinghia a V e di una o due pulegge le cui facce possono essere allontanate o avvicinate, consentendo così alla cinghia stessa di avvolgersi, a seconda delle condizioni di funzionamento, su raggi di puleggia differenti (Fig. 29).
2.9 - Cabestani
Nei cabestani (Fig. 30) una fune compie numerosi giri attorno a un tamburo al cui asse è applicata una coppia motrice Cm. Ai due estremi della
47
46 fune sono applicati da una parte il carico P da trainare e dall'altra la forza di trazione f. È chiaro che la minima forza di trazione T da applicare per far muovere il carico P si ottiene quando esistono condizioni di scorrimento d
l
.,
costanza del ra,pporto di trasmissione, una piccola tensione di forzamento con conseguente basso carico sui cuscinetti, minima manutenzione e possibilità di trasmissione di potenze elevate; la velocità massima raggiungibile si aggira attorno agli 80 m/s. Poichè queste cinghie non possono slittare sulle pulegge su cui si avvolgono, in caso di urti esse sono sottoposte, contrariamente agli altri tipi di cinghie sino ad ora esaminati, all'intero carico d'urto.
l
i f
Fig. 30 - Schema di un cabestano
Fig. 31 - Cinghia a denti
globale del flessibile sul tamburo. Poichè l'angolo IJ* di scorrimento è pari a 21rn, dove con n si indica il numero di giri della fune attorno al tamburo, si ha dalla (2.11 ):
Le cinghie dentate, inoltre, hanno un costo maggiore di quello delle altre cinghie e richiedono un migliore allineamento delle pulegge.
mentre la coppia applicata all'asse del tamburo vale:
2.11 - Catene
2.10 - Trasmissione della potenza con cinghie dentate
Lo scorrimento che si manifesta fra u~a cinghia e una puleggia impedisce che questo tipo di trasmissione possa essere usato quando si vuole ottenere un rapporto di trasmissione costante. Per impedire lo scorrimento fra cinghia e puleggia sono state sviluppate le cinghie dentate, le quali portano una serie di denti di gomma posti a ugual distanza tra loro lungo tutta la superficie interna della cinghia (Fig. 31 ). La cinghia è formata da una serie di cavi metallici immersi in un rivestimento di neoprene sul quale sono posti i denti, di solito dello stesso materiale. Le cinghie a denti offrono numerosi vantaggi, quali la
Le catene costituiscono un componente meccanico sviluppato già nell'antichità. I primi disegni di catena di tipo simile a quelle attuali sono, comunque, quelli contenuti nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci. Le catene vengono usate per la trasmissione del moto in numerose applicazioni meccaniche ed i loro principali vantaggi consistono in: possibilità di trasmettere il moto sia tra assi vicini sia tra assi distanti, compattezza e facilità di installazione, flessibilità della trasmissione senza che peraltro vi siano fenomeni di scorrimento, possibilità di funzionare entro un campo molto ampio di temperature. Le varie catene usate per la trasmissione del moto possono essere suddivise in cinque tipi principali: - catene ad anelli separabili; - catene a perni;
49
48
n passo delle catene di questo tipo è in genere compreso fra 25 e 150 mm ed il
- catene a rulli,· - catene silenziose; - catene a sfere.
Le catene ad anelli separabili sono costituite da tanti anelli aventi l'aspetto indicato nella Fig. 32-a) che possono venire facilmente collegati o separati tra loro. . . n passo di queste catene, ossia la distanza tra un anello ed Il successivo, varia in genere tra i 20 e i 100 mm e la massima forza di trazione da esse sopportata è normalmente compresa fra 3000 e 80000 N. La catena, formata da tutti gli anelli collegati tra loro, si avvolge su due ruote a impronte come è illustrato dalla Fig. 32-b).
massimo sforzo di trazione ammissibile varia fra 15000 e 150000 N, anche se in alcuni casi eccezionali sono state costruite catene a perni capaci di sopportare carichi di trazione fino a 700000 N.
!llll1 ~
·-~
·-·
l
..
-·-·
-----. - · - ---·-· ---
Fig. 33 - Catene a perni
a)
b) Le catene a rulli costituiscono uno dei tipi di catene maggiormente diffusi; il loro passo è compreso normalmente fra 5 e 75 mm e la massima forza di trazio'le varia tra 4000 e 600000 N. Lo schema di queste catene è indicato nella Fig. 34.
Fig. 32- Catene ad anelli separabili: trasmissione
(a) anello della catena;
(b) schema della Fig. 34 - Schema di catena a rulli
Le catene ad anelli separabili, anche se poco costose, sono però abbastanza rumorose durante il funzionamento, per cui il loro impiego è limitato a velocità non superiori a 2 m/se a potenze non superiori ai 20 kW. Esse sono frequentemente usate in applicazioni agricole. Le catene a perni sono usate per velocità e per carichi maggiori dei precedenti (rispettivamente fino a 3 m/se fino a 30 kW). Esse sono costituite da anelli che portano solidalmente a una delle loro estremità un cilindro cavo (Fig. 33) internamente al quale si dispone un perno che crea di conseguenza il collegamento tra due anelli successivi.
Come si può rile~are dalla Fig. 34, un perno collega tra loro le piastrine laterali, la boccola e il rullo; mentre però il perno è collegato alle piastrine esterne in modo da non ruotare rispetto ad esse, la boccola è resa solidale alle piastrine interne. In questo modo l'unico strisciamento avviene tra il perno e la boccola, ed il rullo è inoltre libero di ruotare attorno alla boccola stessa. La velocità di queste catene è in media dell'ordine di 10-:- 15 mfs, ma catene a passo piccolo possono funzionare fino a 50 mfs; la massima potenza
50
51
trasmissibile arriva in taluni.casi sino a 1200 kW. n rapporto di trasmissione in genere non supera il valore di 1:7, mentre la distanza fra gli assi delle ruote su cui le catene si avvolgono è di solito compresa fra 30 e 80 volte il passo. Le catene silenziose (Fig. 35) sono catene usate per la trasmissione del moto ad alta velocità, quali ad esempio il comando degli alberi a camme degli autoveicoli. La velocità da esse normalmente raggiunta è di circa 25-;- 30 m/s con una potenza trasmessa fino a 1200 kW, anche se in alcuni casi si sono usate catene silenziose per trasmettere potenze dell'ordine di 2000 kW.
2.12 -
~
p= 2Rsin
z
Inoltre si ha che il rapporto tra i raggi r e R delle circonferenze tangenti alle rette di minima e di massima distanza della catena dall'asse della ruota dentata vale: (2.30)
La catena è costituita da una serie di piastrine la cui superficie di lavoro è rettilinea; le piastrine sono poi collegate tra loro mediante perni che si impegnano in sedi circolari in esse ricavate. Le catene a sfere sono usate in numerose applicazioni a bassa velocità (o addirittura a comando manuale) nelle quali la coppia da trasmettere è molto piccola. In queste circostanze le.. catene a sfere offrono una grande flessibilità; esse possono infatti essere utilizzate per la trasmissione del moto fra assi non paralleli, oppure quando si debba far seguire alla catena un particolare percorso. La massima velocità raggiungibile è, per una catena lubrificata, variabile tra 0,2 e 0,8 mjs, mentre la tensione massima dipende dalle dimensioni delle sfere. Per una sfera di 5 mm di diametro, la massima tensione è di circa 350 N.
del moto mediante catene
Nella trasmissione del moto mediante catene, analogamente a quanto avviene nelle cinghie, la catena si avvolge su due ruote, solidali agli assi tra cui viene trasmesso il moto, ma in questo caso le ruote portano lungo la loro circonferenza una serie di denti nei quali vanno ad impegnarsi gli anelli della catena. Affinchè la trasmissione del moto avvenga in forma corretta, la superficie attiva degli anelli della catena ed i denti della ruota debbono necessariamente essere due profili coniugati, ossia nel moto relativo della catena rispetto alla ruota il dente della ruota stessa deve costituire l'inviluppo delle successive posizioni assunte dalla superficie attiva dell'anello della catena. n numero di denti della ruota varia entro limiti molto ampi: in genere esso è compreso tra un minimo di 17 ed un ma(>simo di 125, ma esistono applicazioni nelle quali il numero di denti è solo 6 e altre in cui si arriva fino a 250. li numero di denti z è ovviamente legato al raggio primitivo R della ruota (raggio lungo il quale si dispongono i centri degli anelli della catena) e al passo p della catena. Con riferimento alla Fig. 36 si ha infatti: (2.29)
Fig. 35 - Catena silenziosa
Trasm~ssione
rjR
= COS71'jz
'i
p
e
l_)------
:.---
l
e~
Fig. 36 - Relazione tra passo, raggio primitivo e numero di denti di una catena
53
52 Indicando con t:..tp l'intervallo di tempo necessario affinchè la ruota dentata avanzi di un angolo corrispondente a un passo, risulta quindi:
Le componenti di queste velocità lungo la direzione del ramo libero della catena, Vc 1 e Vc 2 , debbono essere uguali, per cui:
= 271'/z
l::..tp
w
dove w è la velocità angolare della ruota dentata. Poichè questo tempo deve essere lo stesso per entrambe le ruote su cui si avvolge la catena, ne risulta:
n rapporto di
trasmis~ione
istantaneo vale quindi:
w2 R1 cos a:1 01H 1 ---- w1 - R2cosa:2 - 02H2
r---
l::..tp
= 271'/Zl = 27l'/Z2 w2
wl
da cui si ottiene per il rapporto di trasmissione medio l'espressione: (2.31)
Tm
W2
Z1
wl
Z2
=- =-
n rapporto
di trasmissione istantaneo di una catena non è costante, ma oscilla fra un minimo è un massimo attorno al valore medio ora indicato.
Con riferimento alla Fig. 37a, si può anche notare che: 0 1 Hd0 2 H 2 = Come si può ora osservare nella Fig. 37b, il punto C si sposta fra due posizioni estreme C' e C" individuate rispettivamente dalle tangenti alle circonferenze di raggi R 1 e r 2 , e di raggi r 1 e R 2 • n rapporto dì trasmissione minimo è quindi (ricordando la (2.30)):
= CO!/C02.
mentre il rapporto dì trasmissione massimo è: Tmax=
01C' 02C'
R1 r2
-==-
=
R1 R2 cos 7!' / z2
Di conseguenza, l'irregolarità periodica della trasmissione a catena è: é
= Tmax -
Tmin
= l_
~~
Tmin
= l_ COS !:._ COS !:._
~~
~
~
Tenuto conto che:
b)
cosa: == l - a: 2/2
-.--:-.: .: . -:.:. ::: =~--
l'irregolarità periodica diventa, approssimativamente:
c'
(2.32)
-
Fig. 37 - Schema cinematico di una trasmissione a catena
Si consideri infatti la trasmissione a catena illustrata schematicamente nella Fig. 37; le velocità Vp 1 e Vp 2 dei perni ddle catene che si impegnano con le due ruote dentate valgono (in modulo):
= w1R1 Vp2 = W2R2 Vp1
Tm è il rapporto di trasmissione medio espresso dalla (2.31). Dalla (2.32) si può osservare che l'irregolarità periodica E:, a parità di rapporto di trasmissione medio Tm, diventa tanto più grande quanto minore è il numero di denti zl> che, pertanto, non può essere scelto troppo piccolo per evitare eccessive accelerazioni alterne della catena. Le forze che agiscono in una trasmissione a catena sono:
dove
- forza trasmessa dalle ruote dentate
3. JACAZIO-PIOMBO - La trasmissione del moto
54
55
- tensione dovuta a forza centrifuga - tensione dovuta al peso proprio tensione dovuta ali 'irregolarità periodica - forza dovuta agli urti fra perni e ruote dentate.
La forza trasmessa dalle ruote dentate dipende dalle coppie motrice e resistente e dal raggio delle ruote dentate su cui si avvolge la catena. Se R1 è il raggio primitivo della ruota dentata motrice e C1 è la coppia motrice, la forza minima trasmessa dal motore è (ovviamente sul ramo teso della catena): F=
catena a rulli illustrata nella Fig. 39: l'anello A della catena ha il rullo R 1 impegnato nella ruota dentata, mentre il rullo R 2 è ancora libero. Durante la successiva rotazione della ruota dentata il rullo R2 si avvicina alla ruota stessa, e poichè esso è parte integrante dell'anello A, il suo moto relativo rispetto alla ruota dentata consiste in una rotazione attorno al centro di R1 •
c1
R1 A questa forza si somma una tensione causata dall'irregolarità periodica che provoca forze di inerzia nella catena. L'accelerazione media della catena vale: am
=
Vmax- Vmin l::,. t
dove f::,.t è il tempo necessario affinchè la catena avanzi di mezzo passo ed è quindi: L'accelerazione media è quindi: am
Vmin Vmax ~ Z1wiR1 1rR1wi (l = Vmax· -= c - - - = --+ Tm2) Vmax f::,.t 2.:;1 7r
La tensione dovuta alle forze centrifughe contribuisce ad un incremento Te delle forze agenti nella catena pari a (Fig. 38): 2Tcsin
i= Fc
Si ha quindi che il rullo R 2 urta la ruota dentata con una velocità il cui modulo vale V,. wp, dove p è il passo della catena, dato dalla (2.29) e pertanto sarà: Vr 2wRsin~ z Come si può notare quindi, la velocità d'urto è tanto maggiore quanto maggiore è la velocità della catena e quanto minore è il numero dei denti della ruota. Per ridurre l'entità degli urti vengono usate le catene silenziose, già in precedenza descritte, le quali, a causa della loro particolare realizzazione, toccano i denti della ruota con una piccola velocità. Oltre alla perdita di energia dovuta agli urti ora descritti, è presente nelle catene una seconda causa di dissipazione di energia imputabile alle perdite per attrito causate dalla rotazione relativa fra gli anelli della catena quando questa si avvolge sulla ruota. Per completare la descrizione della trasmissione mediante catene resta unicamente da determinare il valore della lunghezza della catena. Indicando
=
Fc c- 2sina/2
T. _
dove Fc è la forza centrifuga di un perno e di due mezze maglie. La tensione della catena dovuta al peso proprio è generalmente trascurabile, mentre possono essere rilevanti le forze che nascono negli urti fra i perni della catena e le ruote dentate sulle quali la catena si avvolge. Si consideri infatti la ruota con la
Fig. 39 - Urto al contatto tra catena e ruota
=
Fig. 38 - Forza centrifuga in una catena
j l
l
56
57
l'
con i la distanza fra gli assi delle due ruote, con z1 e z2 il loro numero di denti e con p il passo, la lunghezza totale L della catena è ottenibile dalla seguente relazione approssimata: 2i + )2 p=p + - 2 - + _,_4..::.11",_(,....ij""'"'p"-)
L
Z!
Z2
( Z2 2
Z!
Durante il funzionamento la catena si usura e di conseguenza la sua lunghezza totale aumenta leggermente. Ciò costituisce un notevole inconveniente, soprattutto nei casi in cui la catena è soggetta a carichi variabili. Per evitare l'aumento degli urti e delle perdite di energia connesse con l!-na catena allentata, le trasmissioni ·a catena posseggono sistemi per la messa in tensione abbastanza simili a quelli delle cinghie. In generale la messa in tensione della catena si ottiene spostando la base del motore (operazione che va ovviamente più volte ripetuta durante la vita della catena) o mediante l'applicazione di un rullino tenditore.
2.13 - Alberi flessibili Gli alberi flessibili costituiscono un mezzo economico per trasmettere il moto tra assi non paralleli quando le potenze in gioco non sono troppo elevate. Oltre alla loro economicità gli alberi flessibili riducono in maniera sensibile il rumore. Esistono fondamentalmente due tipi di alberi flessibili:
a) alberi per la trasmissione di potenza; b) alberi di controllo. Gli alberi flessibili sono costituiti da uno o più strati (fino a 12) di filo di acciaio avvolto a elica attorno a un cavo flessibile centrale (Fig. 40), e sono rivestiti da un~ guaina flessibile.
Fig. 40 - Schema di albero flessibile con vista in sezione degli attacchi l
La massima coppia trasmissibile dagli alberi flessibili dipende sia dalle dimensioni dell'albero, sia dal suo raggio di curvatura. Ad esempio, per un albero di 8 mm di diametro in cui la coppia massima trasmissibile è di 2,8 Nm con un raggio di curvatura di 150 mm, la coppia massima è di 5,8 Nm con un raggio di curvatura di 650 mm. La velocità periferica V degli alberi flessibili è sempre piccola e normalmente non supera i 2,5 m/s; di conseguenza se si indica con d il diametro dell'albero flessibile, la massima velocità angolare n, espressa in giri al minuto, è data da: 60 Vmax
n=--lrd
Per un albero di 8 mm di diametro si trova di conseguenza una velocità di rotazione massima pari a circa 6000 giri/min.
\
3. INGRANAGGI
.X/3.1 -
Le ruote dentate
Le ruote dentate realizzano la trasmissione del moto tra assi paralleli, concorrenti e sghembi mantenendo una ben definita correlazione tra la rotazione angolare dell'albero motore e quella dell'albero condotto. Nelle applicazioni tecniche l'uso della trasmissione del moto mediante ruote dentate risulta particolarmente vantaggioso, e a volte indispensabile, quando: a) b) c) d)
si si si si
deve deve deve deve
contenere il valore dell'interasse; mantenere costante il valore del rapporto di trasmissione; trasmettere una. coppia di grande intensità; ottenere una forte riduzione di velocità entro uno spazio limitato.
Le ruote dentate sono costituite da solidi strutturati in modo da poter ruotare attorno a un asse e sono dotate, sulla periferia, di salienti sagomati in modo opportuno, detti denti, atti a trascinare in movimento i denti di un'altra ruota dentata. ll meccanismo costituito da due ruote dentate che possono vicendevolmente trasmettersi un moto rotatorio è chiamato ingranaggio.
l
7- 3.2 - Trasmissione del moto
mediante ruote di attrito
Si considerino due ruote che ruotano attorno a due assi paralleli passanti per i centri 0 1 e 0 2 delle due ruote e che vengono a contatto in un punto C (Fig. 41). Se le due ruote sono premute l'una contro l'altra da una forza normale FN e la forza FT trasmessa in direzione tangenziale fra le due ruote è tale per cui FT $ faFN, dove fa è il coefficiente di aderenza fra le ruote,
i
60
f.
61
si ha fra le due ruote un moto relativo di rotolamento senza strisciamento in cui C è il centro di istantanea rotazione.
....
FN
C, y 02
k
o..., o ....
...u
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~
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o
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o
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3 ~
o
-~ Fig. 41 - Trasmissione del moto mediante ruote di attrito
. >
.::..., v"'....
...,o o
s .5
·o..... o
u
...,
Poichè in queste condizioni la velocità relativa in C è nulla, le velocità periferiche delle due ruote debbono essere uguali e, di conseguenza, indicando con w1 e w2 le velocità angolari delle due ruote, risulta:
Tra le due ruote si ha il rapporto di trasmissione: w2
r1
. wl
r2
r=-=-
(2.33)
Poichè i raggi delle due ruote sono costanti, il rapporto di trasmissione si mantiene costante nel tempo ed è indipendente sia dalla posizione angolare delle ruote che dal valore della potenza trasmessa. Ciò vale fino a che si mantengono le condizioni di aderenza, ossia fino a quando le coppie SlJgli assi delle due ruote sono: C1 =:; faFNrl {
C2 =:; faFNr2 Le ruote di attrito quindi, pur presentando il vantaggio della costanza del rapporto di trasmissione, non sono adatte alla trasmissione di potenze oltre un certo limite. Le ruote dentate, invece, sono realizzate in modo da trasmettere la potenza meccanica mediante l'azione di forze normali scambiate
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62
63
fra i denti realizzando tuttavia una trasmissione del moto cinematicamente identica a quella delle ruote di attrito, come verrà descritto nel successivo paragrafo. La trasmissione del moto mediante corpi in moto relativo di rotolamento senza strisciamento viene utilizzata nella pratica soprattutto per realizzare dispositivi a rapporto di trasmissione variabile con continuità. Nella Fig. 42 sono illustrati tre esempi di variatori continui di velocità, in cui il rapporto di trasmissione w2 r1 r=-=wl
Se si vuole clie il rapporto di trasmissione r si mantenga costante occorre quindi che tale si mantenga anche il rapporto 0 1C /02C, e di conseguenza che il punto C, intersezione della normale comune delle superfici a contatto con la congiungente dei punti 01 e 02, si mantenga in una posizione fissa.
r2
può essere variato fra un minimo e un massimo modificando il rapporto rdr2.
~.3- Trasmissione del moto mediante ruote dentate
Poichè n~lla trasmissione del moto mediante ruote dentate si vuole che il rapporto di trasmissione si mantenga costante in ogni condizione di funzio::.. "' namento, è necessario che i denti delle due ruote che vengono a contatto tra loro soddisfino ad alcune particolari condizioni, condizioni che verranno qui di seguito esaminate. Se si schematizza una coppia di denti di due ruote dentate rappresentandola con due corpi sagomati a contatto in un punto P (Fig. 43) solidali a due bracci ruotanti attorno agli assi (1) e (2) e si indicano con w1 e w2 i moduli delle velocità angolari degli assi medesimi, le velocità dei punti dei due denti a contatto in P valgono: V1 =w1·01P { v2 = w2 ·02P
Poichè durante il funzionamento i due corpi debbono rimanere a contatto, le componenti delle velocità VI e v2 secondo la normale comune di contatto debbono essere uguali, ossia, con riferimentoalla Fig. 43, deve essere:
Da ciò si ottiene: V2
w2 .
v!
w1 .
-=
o;;; =cos-a10 1P
cos a2
Pertanto il rapporto di trasmissione r vale:
Fig. 43 - Trasmissione del moto mediante due profili coniugati
Per ottenere la costanza del rapporto di trasmissione si può in generale scegliere arbitrariamente il profilo di uno dei denti e determinare di conseguenza il profilo dell'altro in modo che sia soddisfatta la condizione prima esposta, mentre è ovvio che se i profili di entrambi i denti vengono scelti a caso la legge del moto da essi realizzata sarà in genere irregolare con rapporto di trasmissione continuamente variabile. Ritornando ora al caso della Fig. 43, si può osservare che se il punto C mantiene invariata la sua posizione durante la rotazione dei due corpi, i successivi punti P di contatto fra i corpi stessi si spostano lungo una linea, detta linea di contatto, che nel caso più comune di denti con profilo a evolvente di circonferenza è una retta coincidente con la normale comune ai due denti. Poichè la forza scambiata tra i due corpi è, in assenza di attrito, anch'essa diretta secondo la normale comune alle due superfici a contatto, la linea di contatto è anche chiamata, nel caso di denti con profilo ad evolvente di circonferenza, retta di pressione, e l'angolo 'IJ da essa formato con la normale alla congiungente i centri 0 1 e 0 2 prende il nome di angolo di pressione.
64
65
=
Si è visto in precedenza che il rapporto di trasmissione r w2 /w 1 = 0 1C f0 2C è costante se la posizione del punto C rimane invariata. Di conseguenza la trasmissione del moto tra i due corpi è, dal punto di vista cinematico, identica a quella che si avrebbe tra due circonferenze di raggi r1 0 1C e r 2 0 2C, con centri in 0 1 e 0 2 , ruotanti a velocità angolari w1 e w 2, e tangenti tra loro nel punto C. Queste due circonferenze ideali prendono il nome di circonferenze primitive; il punto C risulta essere il centro di istantanea rotazione nel moto relativo tra le due primitive mentre i profili dei due corpi che vengono a contatto sono profili coniugati nel moto relativo tra i corpi stessi.
=
=
La velocità di strisciamento Vr è quindi, a conferma di quanto in precedenza affermato, sempre diversa da zero ad eccezione dell'istante in cui P coincide con C ed il suo valore è tanto maggiore quanto maggiore è la distanza del punto di contatto P dal centro di istantanea rotazione del moto relativo. Poichè la potenza P.ersa per attrito tra i due corpi a contatto è proporzionale alla velocità relativa, si comprende, in base alle considerazioni sopra. esposte, l'opportunità di realizzare il contatto tra. i due profili coniugati in un intorno limitato del punto C.
/\ 3.4 - Profili dei denti
Fig. 44 - Circonferenze primitive del moto
Si può ancora osservare che la trasmissione del moto tra due ruote dentate è equivalente, dal punto di vista cinematico, a quella di due ruote di attrito aventi come raggi i raggi delle circonferenze primitive delle due ruote dentate. Anche se la velocità relativa nel punto di contatto C tra le due primitive è nulla, nel punto generico P di contatto tra i due profili coniugati la ~elodtà relativa è in genere diversa da zero. Essa. vale infatti:
e, nel caso della Fig. 43, si avrà: Vr
= w2 · P02 sin et2 - wl · P01 sin 0'1 = = w2 · PH2- w1 · PH1 = PC(w1 +w2)
Come si è avuto modo di osservare, i profili dei denti debbono essere realizzati secondo forme opportune in modo da. poter assicurare la. trasmissione del moto fra le due ruote secondo la. legge voluta. La presentazione di una teoria. corretta. sul profilo dei denti venne fornita. per la. prima. volta. nel 1674 dall'astronomo danese Ola.f Roemer, il quale propose fra. l'altro l'adozione dei denti a. profilo cicloidale. Questo tipo di dente, largamente usato in passato, è ora limitato ad alcune particolari applicazioni, mentre il profilo di dente universalmente diffuso è quello a evolvente di circonferenza, proposto per la prima volta nel 1695 dal francese Philippe de Lahaire. La ragione principale della diffusione dei denti con profilo a evolvente di circonferenza risiede nella grande semplicità di lavorazione della superficie del dente stesso in confronto alla complessità della lavorazione di un dente cicloidale. La. migliore lavorazione rende inoltre possibile una maggiore accuratezza delle dimensioni del dente e si traduce in definitiva in un miglior funzionamento della trasmissione. Si definisce evolvente di una circonferenza la curva piana generata dal punto p di u~a retta (detta generatrice), tangente ad una circonferenza (detta circonferenza fondamentale), quando la retta rotola senza strisciare sulla cir.conferenza stessa (Fig. 45). L'evolvente di una circonferenza può anche essere pensata come la curva descritta dall'estremo di una fune quando questa viene svolta da un rullo sul quale era arrotolata. Poichè in un istante generico il punto p che descrive l'evolvente ruota attorno al punto Q, la traiettoria di p in quell'istante risulta perpendicolare al segmento PQ; pertanto l'evolvente possiede in un punto generico P una tangente t perpendicolare alla retta passante per P e tangente a sua volta .alla circonferenza fondamentale. Assumendo un sistema di coordinate polari avente origine in O e asse
67
66 di riferimento coincidente con OH si può scrivere l'equazione rappresentativa
dell'evolvente osservando che:
moto tra le due ruote avvenga con rapporto dtJr.asmissione _çg_s.tante. Inoltre le due circonferenze di centri 0 1 e 0 2 e passanti per C rappresentano, come si è avuto modo di esaminare nei paragrafi precedenti, le due primitive del moto e c è il centro di istantanea rotazione nel moto relativo di una rispetto all'altra.
e che: PQ =HQ= r r1 (si pensi infatti a come viene generata l'evolvente), per cui:
Eliminando l'angolo r dalle due equazioni ora scritte si ottiene di conseguenza la relazione cercata, relazione espressa da:
~ =J(~
Fig. 45 - Generazione dell'evolvente
r-
l - arctg
J(~ rl
Si considerino ora due evolventi a contatto in un punto P (Fig. 46); è evidente che nel punto P le tangenti alle due curve devono necessariamente essere coincidenti. D'altra parte la tangente ad una evolvente è sempre perpendicolare alla retta generatrice la quale a sua volta è tangente alla circonferenza fondamentale. Pertanto, essendo comune alle due evolventi la loro tangente nel punto di contatto, la normale comune in P alle evolventi stesse deve essere tangente a entrambe le circonferenze fondamentali. Se ora la circonferenza fondamentale (l) e la sua evolvente ruotano nel verso indicato, l'evolvente della ruota (2) sarà ruotata di conseguenza, e il nuovo punto di contatto P' sarà di nuovo un punto per il quale le tangenti alle due evolventi coincideranno tra loro. Poichè ciò avviene al solito quando la normale comune alle due evolventi è tangente alle due circonferenze fondamentali, si ricava in definitiva che il punto P di contatto tra le due evolventi si sposta durante la rotazione lungo la retta tangente alle due circonferenze fondamentali. Questa retta, che è in ogni istante la normale ai due profili a contatto, interseca quindi la congiungente 0 10 2 dei centri delle due ruote in un punto C la cui posizione è fissa nel tempo. Questa condizione è necessaria e sufficiente come già si è visto all'inizio di questo capitolo, affinchè la trasmissione del
Fig. 46 - Trasmissione del moto mediante due evolventi di circonferenza
L'angolo ~ formato tra la ·normale ad 0102 e la tangente alle circonferenze fondamentali è l'angolo di pressione, mentre la tangente comune alle circonferenze fondamentali altro non è che la retta di pressione. Dall'esame della Fig. 46 si ottengono immediatamente le relazioni esistenti tra i raggi fondamentali r1 e i raggi primitivi r delle due ruote; si ha infatti: (2.34)
n rapporto di trasmissione (2.35)
T
1'
fra le due ruote è dato da:
= w2 = r1 = rh w1
r2
rh
Come si può notare il rapporto di trasmissione risulta determinato una volta che si siano fissati i valori dei raggi delle circonferenze fondamentali, e proprio da ciò nasce una importante proprietà delle dentature a evolvente. Per esse
\
68 infatti il rapporto di trasmissione non varia al variare della distanza fra gli assi delle ruote. Si considerino infatti (Fig. 47) le due circonferenze fondamentali aventi centro nei punti 0 1 e 0 2 • Se 02 si sposta nel punto indicato con 02 i punti di contatto tra le evolventi delle due circonferenze apparterranno alla
<
69
3.5 - Caratteristiche generali degli ingr:_anaggi
Come prima detto, un ingranaggio è un meccanismo costituito da due ruote dentate che possono vicendevolmente trasmettersi un moto rotatorio. In un ingranaggio, la ruota dentata che abbia numero di denti minore dell'altra è chiamata.pignone; mentre quella con. numero di denti maggiore è chiamata semplicemente ruota (Fig. 48).
Fig. 47 - Allontanamento dei centri delle circonferenze fondamentali Fig. 48 - Definizione di pignone e ruota
nuova tangente comune alle circonferenze fondamentali, la quale a sua volta intersecherà in C' la congiungente 0 10 2 • Anche in tal caso però il rapporto di trasmissione risulta espresso da:
Come si può facilmente comprendere, questa proprietà delle ruote dentate a evolvente di ~irconferenza assume una notevole importanza in quanto la trasmissione del moto avviene correttamente e nel modo voluto anche se gli assi delle ruote stesse subiscono durante il funzionamento piccoli scostamenti dalla loro posizione iniziale. Ciononostante, ogni ruota dentata viene costruita e dimensionata facendo riferimento a una circonferenza primitiva nominale che rappresenta in sostanza la effettiva circonferenza primitiva della ruota stessa quando la trasmissione funziona nelle condizioni di progetto.
TI rapporto fra il numero di denti della ruota e quello del pignone è chiamato rapporto d'ingranamento. La trasmissione del moto può avvenire fra assi coplanari (paralleli o concorrenti), nel qual caso si parla, rispettivamente, di ingranaggi paralleli o concorrenti; la trasmissione può anche essere realizzata fra assi sghembi, mediante ingranaggi sghembi (Fig. 49). Assi paralleli
Assi concorrenti
Assi sghembi
Fig. 49 - Posizione relativa fra gli assi delle ruote dentate
70
71
Si chiama interasse di funzionamento la minima distanza tra gli assi delle ruote 'di un ingranaggio parallelo o sghembo. Si chiama angolo fra gli assi l'angolo (minore di 180°) necessario per portare l'asse della ruota di un ingranaggio parallelo (nel caso di ingranaggi sghembi) o coincidente (nel caso di ingranaggi concorrenti) con l'asse dell'altra ruota, in modo che i sensi di rotazione delle ruote siano opposti. In un ingranaggio, ogni dente di una ruota trascina in movimento un dente della ruota a contatto, e quindi il numero di denti dell'una e dell'altra ruota che passano davanti ad un riferimento fisso nello stesso tempo è identico. Si ha quindi:
o
e il rapporto di trasmissione è: W2
ZJ
WJ
Z2
T=-=-
(2.36)
ossia è l'inverso del rapporto di ingranamento. Confrontando le (2.35) e (2.36) si ha pure che: IJ
(2.37)
r2
= 7'j, = rh
ZJ Z2
n moto delle ruote è completamente definito se vengono assegnati i valori
Fig. 50 - Velocità angolari in ingranaggi con assi concorrenti
assoluti (cioè i moduli) delle velocità. angolaTi, la posizione degli assi ed i sensi di rotazione; tutte queste quantità sono riassunte dall'espressione dei vettori velocità angolare c.J1 ed c.J 2 • Si intende che la rotazione avvenga in senso antiorario attorno ali 'asse del vettore w disposto lungo l 'asse della ruota. Nel caso in cui gli assi sono coplanari, il moto relativo istantaneo è una rotazione rappresentata dal vettore wr della velocità angolare relativa del pignone l rispetto alla ruota 2, che è dato dal risultante dei vettori c.J 1 e -c.J2
vettore wr pa.ssa per il punto di intersezione degli assi coplanari concorrenti (Fig. 50) ed è parallelo agli assi delle due ruote nel caso di assi paralleli (Fig. 51). La figura 50 caratterizza. ingranaggi concorrenti; per questi ingranaggi le primitive delle ruote sono coniche; i coni hanno semiaperture angolari pari agli angoli primitivi di funzionamento ç 1 e ç 2 • L'angolo fra gli assi vale:
n
:* --l:r l
l
'
:
l.
l
•
a
l
.,, .1- ., ..r -.. .,:-. , .. ......
l
.........
l,
{
...,:\ ~
\, l l
a)
b)
(2.38)
Fig. 51 - Velocità angolari per ingranaggi interni ed esterni
73
72
Nel caso in cui il moto relativo è elicoidale istantaneo, si portano ad essere tangenti fra di loro due superfici di riferimento.
L'asse di istantanea rotazione è disposto secondo la retta tangente comune ai due coni e il moto di una ruota rispetto all'altra corrisponde al rotolamento senza strisciamento di un cono primitivo sull'altro. n rapporto di ingranamento vale: (2.39)
w1
sin ({>2
w2
sm
A_3.6- Contatti fra i denti
u=-=-.--
'1
Le superfici a evolvente dei denti delle ruote dentate sono superfici co- ;. niugate. Nei punti di contatto la velocità relativa (velocità di strisciamento) è tangente alle superfici e perpendicolare alla normale comune di contatto. Le superfici coniugate possono essere generate per inviluppo. Una volta definito il moto generatore (per esempio assegnando le primitive del moto), e definita anche la superficie attiva di un dente solidale ad una delle ruote, la superficie coniugata del dente a contat.to viene costruità geometricamente come inviluppo della superficie del dente della prima r~ota _; nel moto relativo alla seconda. · ·--· Neì caso ora descritto, se cioè i denti coniugati si inviluppano reciprocamente nel moto relativo, i denti si toccano lungo unaJinea di contatto_, detta : anche caratteristica. --·--· ·-
Ì·
n caso in cui gli assi delle ruote sono paralleli può essere inteso come caso limite di quelli in cui gli assi sono incidenti, quando il punto di incidenza O si allontana all'infinito. Nelle Figg. 51a e 51b sono rappresentati rispettivamente i casi in cui i versi delle rotazioni delle ruote sono concordi o discordi in un ingranaggio parallelo. Se il rapporto di ingranamento è costante, i raggi r1 ed r2 sono costanti, rappresentando le distanze fra i vettori paralleli · wr ed w1 e, rispettivamente, Wr ed w2. Essendo a l'interasse delle ruote, si ha, nel caso della Fig. 51a: (2.40)
e nel caso della Fig. 51b: (2.41)
Nel caso di un ingranaggio ad assi paralleli le superfici primitive sono cilindri e l'asse di istantanea rotazione è disposto secondo la retta tangente comune ai due cilindri primitivi. · Nel caso della Fig. 51a (versi di rotazione concordi delle due ruote) i cilindri primitivi sono uno interno all'altro (ingranaggi interni); nel caso di figura 51b (versi di rotazione discordi delle due ruote) i cilindri primitivi sono esterni l 'uno ali 'altro (ingranaggi esterni). n moto di una ruota rispetto all'altra corrisponde al rotolamento senza strisciamento di un cilindro primitivo sull'altro. Nel caso degli ingranaggi sghembi, il moto relativo istantaneo non è rotatorio ma elicoidale. Non esiste più alcun luogo di punti in cui, istante per istante, le velocità locali corrispondenti al moto dell'una e dell'altra ruota sono uguali, in cui cioè la velocità relativa è nulla. In questo caso, le primitive cinematiche non presentano più un pratico interesse. Si possono invece ancora definire superfici di riferimento (cilindriche, coniche o tori che). Nel caso in cui il moto relativo sia di rotazione istantanea (rotolamento su cilindri o coni), le primitive di funzionamento sono tangénti fra di loro.
'·
La linea caratteristica può-essere determinata, istante per istante, sull~ superficie attiva di, un dente, congiungendo tutti i punti di contatto di tale superficie che hanno, nel moto relativo rispetto al dente coniugato, velocità tangenti alla superficie attiva stessa. Per esempio, nel caso degli ingranaggi con assi coplanari, in cui il moto relativo è costituito da una rotazione istantanea, la caratteristica di una superficie in ogni istante è la linea che si ottiene congiungendo i punti della superficie stessa per cui le normali alla superficie intersecano l'asse della rotazione istantanea. Superfici coniugate possono anche essere generate, per inviluppo, da un~ terza superficie, detta ausiliaria, coniugata con entrambe in due separati moti relativi. n moto" della superficie ausiliaria è equivalente a quello della superficie, supposta di spessore infinitesimo, del dente di una ideale ruota ausiliaria, capace di ingranare contemporaneamente con entrambe le ruote dell'ingranaggio durante il moto definito dalle primitive di tali ruote. n moto delle ruote ausiliarie, relativo all'uno ed all'altra delle ruote dell'ingranaggio, è definito da una primitiva ad essa solidale. Costruendo una serie di ruote dentate diverse mediante una stessa ruota ausiliaria, è così possibile creare un assortimento di ruote tutte in grado di ingranare fra di loro. Per la generazione mediante taglio dal pieno dei denti delle ruote, la superficie ausiliaria può essere sostituita da utensili i cui taglienti ne
75
74
in corri~ponden~a a tale linea limite esso presenta una singolarità, in quanto la superficie del dente della ruota del cui asse la linea limite è proiezione presenta un raggio principale di curvatura uguale a zero. Linee di contatto, linee limite e superficie di azione sono definite nella Fig. 53.
descrivono il contorno nelle posizioni assunte durante il moto generatore. Nella Fig. 52 sono riportate le successive-posizioni assunte da una ruota che viene intagliata da un utensile la cui superficie primitiva è un piano che trasla. La superficie ausiliaria, solidale al piano che trasla, è costituita da una sagoma a denti rettilinei.
-
Linea di contatto Superficie di azione
Fig. 52- Successive fasi dell'intaglio di una ruota da parte di una dentiera utensile
n contatto fra i denti generati è lineare se le linee caratteristiche della superficie ausiliaria nel moto di inviluppo delle superfici dei denti dell'una e dell'altra ruota sono le stesse in ogni istante. Ciò è sempre vero quando il moto relativo è un moto di rotazione istantanea (caso delle ruote con assi coplanari ); il luogo, sulla superficie ausiliaria, delle tracce delle normali alla superficie stessa passanti per l'asse della rotazione istantanea relativa costituisce la linea che, istante per istante, è comune alle superfici dei denti in presa idealmente generati dalla interposta superficie ausiliaria (supposta di spessore nullo) per inviluppo contemporaneo. n contatto fra i denti generati è puntiforme se le caratteristiche tracciate in ogni istante sulla superficie ausiliaria, durante il moto di contemporanea generazione dei denti dell'ingranaggio, sono diverse. In tal caso, il punto di contatto è determinato dall'incrocio delle linee caratteristiche. Questo caso si verifica quando si effettua mediante una superficie ausiliaria la generazione dei denti di ingranaggi ad assi sghembi. Si ha ancora contatto lineare, anche se gli assi delle ruote sono sghembi, quando i denti a contatto sono generati per inviluppo diretto della superficie di un dente nel moto relativo al dente coniugato. n luogo dei punti descritti dalle linee di contatto durante il moto assoluto delle ruote si dice superficie d'azione. Proiettando ortogonalmente gli assi delle due ruote sulla superficie di azione si ottengono le linee limiti d'azione; quando il contatto fra i denti giunge
Fig. 53 - Definizione di linee di contatto, linee limite e superficie di azione
I denti di ciascuna ruota sono delimitati da due superfici attive, ciascuna in grado di coniugarsi con la superficie analoga dei denti dell'altra ruota dell'ingranaggio. Esistono quindi per ogni ingranaggio due superfici di azione lungo delle linee di conta.tto dell'uno e dell'altro fianco dei denti. Le superfici d'azione si riducono a linee d'azione nel caso in cui il contatto sia puntiforme. . (L'insieme dei denti di una ruota dentata viene definito dentatura. La dentatura è delimitata da due superfici coassiali con la ruota, che si distinguono in ~upe:fi~ie di te~ta o di troncatura, contenente la sommità dei denti, e superficze dz pzede o dz fondo, tangente al fondo dei vani, cioè degli spazi compresi fra due denti finiti.
ll
l! Le ruote la cui superficie di testa è esterna a quella di piede sono ruote }. esterne; quelle in cui avviene il contrario sono ruote interne. La zona d'ingra-
77
76 namento è costituita. dalle parti delle superfici d'azione, o delle linee d'azione se il contatto è puntiforme, comprese fra. le superfici di testa. delle due ruote dell'ingranaggio. L 'angolo di azione è l'angolo di rotazione di una. ruota. attorno al suo asse, per cui due stesse superfici coniugate permangono in contatto. Tutte le ,\ grandezze ora. definite sono riportate nella. Fig. 54.
Negli ingranaggi sghembi le dentature sono sempre costruite attorno a. superfici di riferimento assai differenti dalle primitive cinematiche (che sono iperboloidi ad una. falda.); a. seconda. dei casi si hanno superfici di riferimento cilindriche, coniche o toriche.
\
3. 7 - Caratteristiche geometriche dei denti Le superfici di tronca.tura. e di fondo sono definite, per ruote aventi superficie di riferimento cilindrica., da. cilindri aventi un diametro di troncatura da e un diametro di fondo d1 (Fig. 55); per ruote con superficie di riferimento conica., da coni aventi un angolo di troncatura éa ed un angolo di fondo é1 .
\ _J-- - - -- -1
-
Diametro dì troncatura
\
\
Fig. 55 - Definizione delle dimensioni di un dente
Fig. 54 - Definizioni generali di una dentatura
Tutti gli ingranaggi coplanari (con primitive cilindriche o coniche) hanno superfici d'azione che intersecano le loro primitive secondo l'asse tangente comune alle primitive a. contatto. Le tracce delle superfici omologhe di due denti successivi di una ruota. sono spaziate di un passo. TI passo può essere misurato angolarmente, oppure linearmente, secondo varie direzioni. Dato che in uno stesso tempo passano davanti ad un riferimento fisso lo stesso numero di denti dell'una e dell'altra ruota di un ingranaggio, il passo di due ruote ingrananti misurato lungo una linea d'azione è sempre uguale. Negli ingranaggi coplanari, le dentature sono costruite attorno alle superfici primitive di riferimento (primitive nominali).
'
L'altezza del dente, h, è la somma della distanza a fra superficie di riferimento e superficie di troncatura (detta addendum), e della distanza d fra superficie di riferimento e superficie di fondo (detta. dedendum). Tali valori sono costanti per le ruote cilindriche, variabili nelle ruote coniche, ove sono normalmente proporzionali alla distanza dal vertice del cono misurata lungo una generatrice. Per le ruote con superficie di riferimento conica si definisce un angolo di addendum 72 0 e un angolo di dedendum 72a, dati da: (2 .4 2)
{72a=8a-8 ,Jd = 8- 8,
79
78
dove 6 è l'angolo di semiapertura del cono di riferimento. I denti sono delimitati da due fianchi che ne costituiscono le superfici comprese fra la superficie di troncatura e quella di fondo. Le tracce di un fianco di dente su un piano sono profili del dente. Si dice profilo trasversale la sezione di un fianco con una superficie perpendicolare alle generatrici della superficie di riferimento (vedi Fig. 56), profilo norma!~ la sezione di un fianco con un piano perpendicolare alla linea del fianco; profilo assiale la sezione di un fianco con un piano passante per l 'asse della ruota. Gli angoli compresi fra la ROrmale ad un profilo nel punto di intersezione con la superficie di riferimento ed il piano tangente per lo stesso punto Fig. 56 - Profili di un dente alla superficie di riferimento, si dicono angoli di pressione (rispettivamente trasversale '!9, normale '!9n, assiale '!9.,). Si dice fianco in addendum (o in dedendum) la porzione del fianco compresa fra la superficie di troncatura (o di fondo) e la superficie di riferimento; si dice fianco attivo la porzione del fianco lungo la quale si verificano i contatti coi fianchi dei denti di una ruota coniugata; fianco utilizzabile tutta quella porzione di fianco che è in grado di assumere le funzioni di fianco attivo. La superficie curva compresa fra il fianco utilizzabile e la superficie di fondo si dice raccordo. Si dice spessore trasversale s 1 (Fig. 55) di un dente la lunghezza d'arco compresa fra i due fianchi che delimitano il dente, misurata normalmente alla traccia delle superfici dei denti sulla superficie di riferimento. Si dice vano trasversale e:, la distanza d'arco, misurata analogamente, fra i fianchi opposti di due denti contigui. Si chiamano spessore normale sn e vano normale en le lunghezze d'arco, comprese rispettivamente fra i fianchi opposti di denti contigui, misurate sulle superfici di riferimento normalmente alle varie linee dei fianchi che sono tracciate durante lo spostamento del dente di un passo. La larghezza di dentatura b corrisponde alla lunghezza della fascia dentata misurata in una sezione assiale della ruota, ed è la distanza che separa i punti intersezione della linea del fianco della superficie di un dente con le
tracce delle facce di estremità della dentatura sul piano assiale. n passo tiasversale . p è la lunghezza d_' arco compresa fra i fianchi omologhi di denti contigui misurata lungo la traccia, sulla superficie di riferimento, di-una.S;,l!Perficie normale a quest'ultima, e contenente i profili trasversali. Si ha: (2.43)
dove d è il diametro della superficie di riferimento. n passo normale Pn è la lunghezza d'arco, misurata sulla superficie di riferimento normalmente alle varie linee dei fianchi che sono trp.cciate durante l'avanzamento di un passo, e compresa fra i fianchi omologhi di denti contigui. Si ha:
n passo assiale
P.r è la distanza fra le intersezioni di due profili assiali contigui con la superficie di riferimento. Si definisce modulo il rapporto:
(2.44)
m=p/7r=d/z
fra il passo trasversale p e la costante 71'. Analogamente si hanno un modulo normale mn = Pn/11' e un modulo assiale m.,= p.,j1r. Denti ideali potrebbero essere costruiti con uguale spaziatura fra spessore di dente e di vano. Pur cercando di avvicinarsi a tali condizioni, i denti effettivi presentano un leggero gioco che tiene conto delle inesattezze nel processo di lavorazione ed evita che si possano creare delle tensioni elastiche abnormi. n gioco fra i denti deve però essere il più possibile limitato per evitare urti all'istante dell'entrata in contatto. Si chiama gioco trasversale j 1 la distanza d'arco sulla sezione trasversale della s.uperficie di riferimento, misurata sulla traccia della superficie di riferimento e valutata per un dente che ha un proprio fianco in presa col dente della ruota coniugata, compresa fra il fianco opposto dello stesso dente ed il profilo di tale fianco considerato tangente al dente contrapposto della ruota coniugata (vedi Fig. 57). Tale misura viene fatta allorchè i contatti ideali sui due fian~hi dei denti sono compresi nella zona d'azione. . n gioco normale in è misurato analogamente a j 1 , ma in una sezione contenente i profili normali dei denti. n gioco di fondo c è la distanza minima fra le sommità di un dente di una ruota ed il fondo del vano del dente coniugato.
80
81
~ 3.8
Per definire le dimensioni del dente si usano talvolta anche altre misure, uali quelle della corda s (si tratta della corda sottesa all'arco corrisponden~e spessore del vano sulla superficie di riferimento), e l'altezza.sulla ha che è la distanza, misurata lungo la mezzeria del dente, fra la linea di corda e la sommità del dente (vedi Fig. 57).
~lo
~orda
- Ruote dentate cilindriche esterne a dènti diritti
È questo il caso più semplice di applicazione di ruote dentate alla trasmissione del moto. In esso ciascun dente di ogni ruota è costituito da due profili a evolvente simmetrici; la forza scambiata tra i denti viene trasmessa da uno o dall'altro dei due profili a seconda del verso di rotazione delle ruote e a seconda che esse siano motrici o condotte.
Fig. 57 - Caratteristiche costruttive di un dente
n raggio di curvatura di un dente in un punto generico è chiamato p; raggi di curvatura degli spigoli sulla sommità del dente sono chiamati Pa, ed i raggi di raccordo sul fondo dei denti P!· . Lo spessore di sommità sa dei denti è proporzionato sempre m modo da essere superiore al valore minimo compatibile con la resistenza del.ma:eriale: Negli ingranaggi occorre che vi sia almeno sempre una~c.o~p1a d1 denti in presa al fine di garantire la continuità del moto. Per tale,rag10ne l'altezza del dente non può essere troppo piccola; parimenti questa non può superare un certo limite, altrimenti si verificano fenomeni di interferenza fra le ruote dentate (che verranno trattati successivamente). Sovente i denti delle ruote dentate hanno l'addendum pari al modulo normale (uguale a quello trasversale nelle ruote a denti diritti) e il de~end~~ pari ai 5/4 del modulo normale. In totale, quindi, l'altezza d'el dente e pan ai 9/4 del modulo. Questo tipo di proporzionamento del dente e detto modulare.
Fig. 58 - Grandezze geometriche caratteristiche di due ruote dentate cilindriche con profilo a evolvente
Y
/\ 1
Negli ingranaggi cilindrici a denti diritti inoltre, il contatto tra i denti delle ruote avviene in modo simultaneo lungo tutta una generatrice dei denti stessi in quanto tutte le sezioni delle ruote ottenute con piani perpendicolari agli assi sono uguali tra loro. Si consideri pertanto (Fig. 58) una sezione generica di un accoppiamento tra due ruote dentate: in essa i punti A e B di inizio e fine contatto tra i denti sono determinati dalle intersezioni delle due troncature t 1 e t 2 con la retta dei contatti ! 1 ! 2 e la lunghezza del segmento dei contatti è pertanto esprimibile in funzione delle grandezze geometriche
82
83
delle due ruote; si ha infatti:
dalla prima alla seconda posizione tutti i punti del dente hanno ruotato dello stesso angolo, per cui si ha:
MO';C=RG;S dove le lunghezze dei segmenti AI2 e Bh valgono rispettivamente: e pertanto tra gli archi MC e RS sussisterà la relazione:
Se si introducono ora i valori dei raggi primitivi, i corrispondenti valori dei raggi delle troncature sono forniti da: r 1, = r 2 + a 2 e r 1, = r 1 + all dove a 2 e a 1 rappresentano gli addenda, mentre i raggi fondamentali, indicando con t9 l'angolo di pressione, sono esprimibili mediante le:· rh = r 1 cost9 e r12 = r 2 cos 19. Effettuando le dovute sostituzioni si ottiene pertanto:
(l + ;;.
-~-""=-..:._------
--.........
r-
cos2 t9
l
2
( 1 + ;: )
'""-
-
cos2 tJ
-----
'"''"'
\
\
\
e di conseguenza la lunghezza del segmento dei contatti vale:
Fig. 59- Relazione geometrica tra arco d'azione e segmento dei contatti
Per ruote dentate realizzate con proporzionamento modulare si ha: a 1 m, r 1 = mzr/2, r2 = mz2/2, per cui si ricava in definitiva:
AB
~;
[ ''
=a2 =
(l+ ~)' - coo' 6+
D'altra parte, per le proprietà dell'evolvente si ha:
AC=RS per cui si ottien~ in definitiva:
(2.45)
+,, (l+;,)'-='.-,,,+ ,,)&••] Si consideri ora (Fig. 59) il profilo del dente nella posizione corrispondente all'inizio deli 'ingranamento (contatto nel punto A) e nella posizione corrispondente a quella per cui il contatto si verifica nel punto C: passando
L'arco MC costituisce l'arco d'azione in accesso. Una espressione identica alla precedente si ricava per il tratto dell'arco d'azione in recesso, per cui la lunghezza complessiva e dell'arco d'azione vale: (2.46)
AB e=-cos tJ
84
85
Di conseguenza il numero di denti contemporaneamente in presa è dato da:
*01
j\
e AB AB z ------p - p - p cos t? P!
l \--\ '
l
dove con p e con P! si sono indicati rispettivamente il passo misurato sulla circonferenza primitiva e quello misurato sulla circonferenza fondamentale. La velocità di strisciamento tra i due profili a contatto, quando questo avviene nel punto generico P, è data, come si è già avuto modo di osservare, da: espressione che può anche essere ricavata ricordando che il moto relativo di una ruota rispetto all'altra è rappresentato da una rotazione attorno al punto C con velocità angolare pari a w 1 + w2. Quando il raggio primitivo r 2 della ruota maggiore aumenta, il rapporto di trasmissione diminuisce, il punto 12 di tangenza fra la retta d'azione e la circonferenza fondamentale si allontana da C (Fig. 58) e corrispondentemente il profilo a evolvente del dente tende a diventare sempr!;'! più rettilineo. Al limite, per r 2 ..... oo, il valore del rapporto di trasmissione si annulla e il profilo del dente diviene esattamente rettilineo. La ruota dentata limite così ottenuta è detta dentiera (Fig. 60) mentre la ruota ad essa accoppiata costituisce il rocchetto; la dentiera si muove di moto traslatorio ed i suoi denti vengono dimensionati secondo· norme modulari identiche a quelle usate per tutte le altre ruote dentate. Affinchè l'ingranamento fra due ruote dentate possa realizzarsi in modo corretto è necessario che il contatto avvenga unicamente lungo il profilo a evolvente dei loro denti. Può però verificarsi il caso, quando ad esempio l'addendum di una delle ruote è troppo.grande, di contatto tra la punta del dente di una ruota e la parte del dente dell'altra ruota interna alla circonferenza fondamentale, @§.O questo che corrisponderebbe ad avere una compenetrazione tra i denti delle due ruote, ossia adaVe;e una interferenza tra le ruote mede-
-si;-m-e-.--;::C..,.io.--a-cc_a_d..-e""'i.-n_p_r_a--:t'ic_a_q_u_a_n_d.-o-a..-lm-en_o_u_n_a_d.-e"ll;:-e-;~-se-z-io_n_i_A_eB_
\
'
\
' .:7 \
~
j
\
'
l l
\
\
Fig. 60 - Ingranamento tra rocchetto e dentiera
r2
(1)
(2)
l
-----~-·-·-·
l
l r,
l
tra le troncature t 1 e t 2 delle due ruote dentate e la retta di pressione cade esternamente al segmento ! 1 ! 2 (Fig. 61). Dalla Fig. 61 si può chiaramente osservare che se le due ruote dentate hanno lo stesso addendum il fenomeno della interferenza si verifica per primo all'intersezione tra la troncatura della ruota di diametro maggiore e la retta dei contatti. Per evitare il manifestarsi della interferenza è dunque necessario che l'addendum assuma un_:ya}g~ da far cadere il punto A internamente al segmento ~. Fig. 61 -Interferenza nel punto A fra due ruote dentate esterne 4. JACAZIO-PIOMBO - La trasmissione del moto
86
87
J
Si consideri allora il caso limite in cui A ::: h; per determinare il valore dell'addendum corrispondente a questa condizione al limite dell'interferenza conviene applicare il teorema di Carnot al triangolo 01 02h, ottenendo di conseguenza la relazione: 021[ = 010~
D'altra parte si ha:
mz1 = r1 = -2-
--
= -mz2 2
01C
02C= r2
--
01Ir =rh=
--
0211
mz 1
2
[
di conseguenza, come si vedrà più avanti, ad un notevole aumento della forza scambiata fra i denti a parità di coppia motrice, aumento evidentemente dannoso per quanto riguarda lo stato di sollecitazione all'interno dei denti stessi. Se in una trasmissione con ruote dentate cilindriche esterne a denti diritti non è possibile realizzare la ruota di diametro minore dotandola di un numero di denti maggiore di Zmin si ricorre a un proporzionamento diverso da quello modulare originando così una dentatura corretta (o a cerchi spostati).
cos19
- +a = r2 + a = -mz2 2
Pertanto, introducendo il rapporto di trasmissione T = ri/r 2 , si ricava in definitiva che per evitare l'interferenza l'addendum a deve soddisfare alla condizione:
!:.
!
!
+ 011'f- 2 · 01h · 0102 · cos 19
--
1
•l
_!_ + T2
(1 + ~) sin 19- ..!.] 2
T
l
"':
T
Se la ruota dentata è costruita secondo norme modulari l'addendum è pari al modulo e pertanto, sempre per evitare l 'interferenza, la ruota di diametro minore deve possedere un numero di denti z 1 maggiore di un valore limite Zmin dato da: Zmin
2 = -r========-=
l ( + -2) sm. 19 - -l 2[1 + V l+ + sin 19) -T2 +
(2.47)
2
l
T
(2T
=
T
T2)
2
Fig. 62- Correzione delle ruote dentate per evitare l'interferenza
(2 + T) sin 2 19
Esaminando la (2.47) si può osservare che il valore del numero di denti minimo per evitare l'interferenza cresce al diminuire sia dell'angolo di pressione 19 sia del rapporto di trasmissione Ti al limite, per T = O (ingranamento tra rocchetto e dentiera) Zmin è dato da: (Zmin)r:O
2 =~ sm u
Va però osservato che l'aumentare il valore dell'angolo di pressione 19, anche se permette di diminuire il minimo numero di denti ammissibile, porta
Nelle dentature corrette l'addendum della ruota di diametro maggiore viene diminuito della quantità necessaria ad evitare l'interferenza; inoltre, poichè questa operazione comporta collateralmente una diminuzione della lunghezza dell'arco di accesso, si aumenta l'addendum della ruota di diametro minore in modo da aumentare la lunghezza dell'arco di recesso e mantenere così inalterato il valore della lunghezza complessiva dell'arco di ingranamento. Esiste ciononostante un limite a tali condizioni, limite individuato dal massimo valore ammissibile dell'addendum della ruota di diametro minore senza che si manifesti l'interferenza non più all'inizio della fase di accesso, bensì al ter-
l
88
89
;i
mine della fase di recesso. La Fig. 62 illustra per l'appunto la correzione da apportare alle due ruote dentate per evitare l'interferenza: la troncatura t 2 , tracciata secondo le norme modulari, intersecherebbe in A, ossia esternamente al segmento Iti2 , la retta di pressione, provocando così interferenza fra i denti delle due ruote nella fase di accesso. Per ovviare a questo inconveniente la troncatura t 2 della ruota 2 deve intersecare la retta di pressione in un punto A' interno al segmento I1 I2 (in figura è rappresentato il caso limite di coincidenza tra i punti A' e Il); contemporaneamente la troncatura t 1 della ruota l viene spostata verso l'esterno di una quantità 6 pari a quella corrispondente allo spostamento di t 2 verso l'interno. Di conseguenza il punto B di intersezione tra t~ e la retta di pressione si avvicina al punto I 2 ed è quindi ovvio che per evitare interferenza nella fase di recesso lo spostamento delle troncature può essere effettuato solo fino a quando il punto B' non viene a coincidere con h· Risulta d'altro canto evidente che l'allontanamento della troncatura dal cerchio fondamentale può portare ai casi limiti di denti estremamente appuntiti o dotati addirittura di profili tra loro incidenti e che pertanto la correzione dell'addendum deve essere necessariamente accompagnata da una. correzione della grossezza del dente, correzione che viene effettuata. (Fig. 62) allontanando i profili della ruota di diametro minore ed avvicinando quelli della ruota di diametro maggiore di una stessa quantità e, in modo da ovviare all'inconveniente prima esposto e mantenere nel contempo la somma degli spessori dei due denti costante e pari (a parte l'eventuale gioco) al passo. Per concludere l'esame della. trasmissione del moto mediante ruote dentate cilindriche a denti diritti non resta che considerare la. trasmissione della. potenza. fra. gli assi delle due ruote. Indicando con W 1 la. potenza. entrante nella. trasmissione attraverso l'albero motore l (Fig. 63), la. coppia. alla. quale è soggetta. la. ruota. l risulta. essere: 0 1 = W 1 fw 1 • In assenza. di attrito la. forza. f che le due ruote dentate si scambiano è diretta., come si è già avuto modo di osservare, secondo la retta di pressione, per cui, dall'equilibrio alla. rotazione della. ruota. motrice l in condizioni di regime si ha.:
l
l
Ed introducendo il valore di F prima. ricavato si ottiene:
Fig. 63 - Forze scambiate tra i denti di due ruote dentate cilindriche esterne a denti diritti in assenza di attrito
Poichè il rapporto di trasmissione r tra. le due ruote dentate è pari a. w2 fw 1 zd z2 si ha. di conseguenza.:
=
La. potenza. uscente dali 'albero 2 in assenza. di perdite è ovviamente uguale a. quella. entrante nell'albero 1:
/ \ 3.9 - Perdite di potenza negli ingranaggi cilindrici esterni a denti diritti Analogamente per la. ruota condotta. 2 si avrà: C2
=F · rh = Fr2 cos .,J = -Fmz2 2
Le perdite di potenza. meccanica in un ingranaggio sono costituite da. cinque tipi principali: cos .,J
a.) perdite causate dallo strisciamento dei denti a contatto;
90
91
b) perdite dovute all'imperfetto rotolamento dei profili su un sottile strato elastoidrodinamico di lubrificante prodotto dall'azione dei denti durante l 'ingranamento; c) perdite nei supporti; d) perdite per effetto ventilante; e) perdite causate dai piccoli urti che si sviluppano fra due denti che vengono a contatto in presenza di giochi o di errori di intaglio dei denti. Per ciò che riguarda le perdite causate dallo strisciamento dei denti a contatto, si deve considerare che la forza scambiata fra i denti possiede due componenti: una normale alla superficie del dente e una ad essa tangenziale ed avente inoltre la direzione della velocità relativa tra i due denti. La velocità
ad esso accoJlpiato. Dall'equazione di equilibrio alla rotazione della ruota l attorno al punto 0 1 si ha:
D'altra parte la forza tangenziale FT è pari a di attrito, per cui: ·
"t FN,
essendo f il coefficiente
(2.48)
Sulla ruota 2 agiscono la coppia resistente C2 e le 'forze F,Z. e FJ.., uguali e opposte a FT e FN, che il dente della ruota (l) esercita su quello della ruota (2). Scrivendo ora una equazione di equilibrio alla rotazione della ruota (2) attorno al punto 0 2 si ha:
da cui si ricava: (2.49)
Eguagliando ora le (2.48) e (2.49) si ottiene:
c2
r2cost9-f(r2sint9+x)
cl= rlcost9-f(rlsint9-x)
Fig. 64 - Forze scambiate tra i denti di due ruote dentate cilindriche esterne a denti diritti in presenza di attrito
da cui si ricava l'espressione del rendimento:
relativa V,. del dente della ruota 2 rispetto a quello della ruota l nel punto c~edlcontatto?--è- e-;pressa, come8lfgià visto-;- da:-----
(2.50)
C2w2
= -W-1 = -C-1w-1 =
l -
f (tg t9 + ~) r cos v
-----;(,..------' '---+)1- f _x2
tg t9 -
Vr = (w2- wl) 1\ (P- C) ed il suo modulo vale: Vr
W2 TJ
= (w2 +wl) ·x
dove x rappresenta la distanza del punto P dal punto C. Si consideri ora la ruota 1: supponendo per semplicità che nell'accoppiamento in esame vi sia una sola coppia di denti in presa, sulla ruota l agiscono la coppia e le forze FN e FT che il dente della ruota 2 trasmette al dente della ruota l
cl
r1 cos t9
ll rendimento TJ è ovviamente pari a l se f = O, ma è anche pari a l per x = O, ossia quando il punto di contatto tra i due profili coincide col centro di istantanea rotazione nel moto relativo: solo in questa condizione infatti la velocità di strisciamento relativa tra i due profili a contatto è nulla. L'espressione del rendimento sopra ricavata è valida durante la fase di accesso, quando cioè il punto P è interno al segmento I 1 C; durante la fase di recesso, ossia quando il punto P è interno al segmento CI 2 , bisogna tener presente che la velocità relativa, e quindi la forza tangenziale, sono di
i l
i
!
92
"
verso opposto rispetto al caso precedente. Seguendo un ragionamento analogo a quello ora esposto, si ricava per il valore del rendimento nella fase di recesso l 'espressione:
93 costituito da una ruota dentata interna e da una ruota dentata esterna, di diametro minore.
1+/ (tg{}-~) r2 cos v
(2.51) fJ
=
l
+f
(tg{} + ~) r 1 cos v
espressione strutturalmente identica a quella ricavata per la fase di accesso. Si può tuttavia osservare che, a parità di distanza del punto di contatto fra i denti dal punto di contatto C fra le primitive, il rendimento della trasmissione in fase di recesso è leggermente superiore a quello in fase di accesso. Le espressioni del rendimento medio durante l'ingranamento dipendono dalla lunghezza del segmento dei contatti. Indicando con la e lr le lunghezze del segmento dei contatti in fase di accesso e di recesso, si ha la seguente espressione del rendimento medio di un ingranaggio, in base alle sole perdite di attrito: (2.52)
(/a+ lr)-
fJm
ftg{}(la -lr)- f(l~
+ t;)/2r2cos{}
= (la+ lr)- ftg{}(la -lr) + f(l~ + I;}/2rx cos{}
Questa relazione può essere semplificata con qualche approssimazione ottenendo la formula di Poncelet: (2.53)
Le perdite per attrito costituiscono la parte principale delle perdite in un ingranaggio a denti diritti a bassa velocità sottoposto a un carico elevato. Ad elevate velocità le perdite causate dagli urti -e le perdite di rotolamento acquistano una importanza predominante, soprattutto se i carichi non sono rrìol t o al ti. \
(\ 3.10 - Ruote dentate cilindriche interne a denti diritti Le ruote dentate cilindriche interne, del tutto simili a quelle esterne, si differenziano da queste in quanto i profili dei denti si presentano in esse concavi anzichè convessi. La Fig. 65 illustra un ingranaggip interno, che è
Fig. 65- Trasmissione del moto mediante ruote dentate interne; c1 , circonferenza di troncatura; cJ, circonferenza di fondo; cp, circonferenza primitiva; p, passo; i, interasse; {}, angolo di pressione
Per ruote interne l'ampiezza del segmento dei contatti è evidentemente sempre determinata dalle intersezioni delle due circonferenze di troncatura con la retta d'azione, anche se in questo caso (Fig. 66), a differenza di -quanto si verifica per ruote esterne, i punti di tangenza h. e ! 2 della retta d'azione con le circonferenze fondamentali si trovano dalla stessa parte rispetto al punto di contatto C fra le circonferenze primitive. Per tale ragione, ricordando quanto si è esposto nel paragrafo precedente circa il fenomeno dell'interferenza, si è in grado di affermare che in una coppia di ruote dentate interne può esistere interferenza solo nella fase di accesso, mentre nella fase di recesso il contatto tra i denti delle due ruote risulta sempre corretto qualunque sia la dimensione della troncatura del pignone. Ciononostante, a parità di valori delle grandezze
94
95
geometriche caratteristiche dell'accoppiamento, il minimo numero di denti ammissibile onde evitare interferenza risulta maggiore per le ruote interne rispetto a quello delle corrispondenti ruote esterne in quanto nel primo caso il punto di intersezione A (Fig. 66) è più vicino al punto limite h di quanto non lo sia nel secondo.
n rendimento di un ingranaggio interno, considerando le sole perdite di attrito, è esprimibile mediante la formula di _Po11celet (2.53), leggermente modificata: (2.54)
1J
111 11(Z2+J2) f la + lr
-1----m2 r1 r2
_a _ _ r
~: 3.11 - Ruote dentate cilindriche a denti elicoidali ·,,
\ Fig. 66- Segmento dei contatti per una coppia di ruote dentate interne
Per determinare il numero minimo di denti necessario a evitare l'interferenza in una coppia di ruote dentate interne è sufficiente seguire un procedimento analogo a quello esposto nel caso di ruote dentate esterne nel paragrafo - 3.8, considerando la condizione in cui il punto A coincide con il punto limite h (Fig. 66). Si perverrà pertanto alla relazione:
relazione che fornisce il valore del numero minimo di denti ammissibile per il pignone.
Quando si trasmette il moto sfruttando accoppiamenti costituiti da ruote dentate cilindrich_e~a;.,_
96
97
quando si facciano tendere ad infinito le n suddivisioni del dente nel senso della sua. lunghezza.. Infatti, se si ruotano di una quantità infinitesima. una rispetto a.ll'altra.le infinite sezioni della ruota si ottiene una superficie elicoidale del dente della ruota medesima. Analizzando ora la ruota da un punto di vista geometrico, si può considerare l,a _supe.rfìcie __ elicoidale del dente, dente che in ogni sezione perpencÌicol~~e _a.ll'asse della ruota. mantiene la sua forma ad evolvente. _di circonferenza, generata. non più_ d~ una _!'~~ta._-R~iailel_g,_~I.:.asse_ della rl!ota. giacente su un piano generatore IT 9 che rotola senza strisciare sul cilindro fonda.mentale.(Fig. 69a.), bensì da una retta giacente nello stesso piano ma inclina.ta..dLun certo_ a!lg()lO f3 risp~tto all'asse della..moFig. 68 - Ingranaggio elicoidale: a) ruota ta. stessa (Fig. 69b ). L'intersezione motrice; b) ruota condotta
della su;erficie del dent<:_~<:onJl.cilindr_Ò fon_d~ment<1liu:isult~di_coi!:seguenza e;sere~i.:n'elica~con fndlnazfòne sull'asse della. ruota pari a /3. È _Qr.a~d'al tro ca.ntòevidente che l'inters~~ione della superficie -del den~on il cilindro prl!!J.lt!Y?, pur essendo-s~mpre- r~ppresent~ta. d~ un'~lica, possiede un angolo di inclinazione rispe~to all'asse della ruota diverso da f3 in quanto il ra,ggig del cilindro primitivo è maggiore di quello del cilindro fondamentale. Infatti, indicando con Pe il passo assiale dell'elica, passo che mantiene evidentemente inalterato il suo valore sia p~r l 'elica individuata dal cilindro fondamentale,
-
~D
l.
P,
.l
Fig. 70 - Relazione fra gli angoli di inclinazione dell'elica sul cilindro fondamentale (/3) e su quello primitivo (a) di raggio r1 , sia per quella individuata dal cilindro primitivo di raggio 1·, si deve avere (Fig. 70): 2ir1' = Pe tg a {
2ir 1'j
= Pe tg /3
da cui: tg f3
= _j_ tg a 1'
1'
e da cui in definitiva, ricordando che r1 = valore dell'angolo di pressione, si ottiene: (2.55)
Fig. 69 - Generazione dei denti con profilo ad evolvente di una ruota dentata a denti · diritti (a) e a denti elicoidali (b)
tg /3
1·
cos {) ove con {) si indichi il
= tg a- . cos {)
Si noti inoltre che, essendo i denti delle due ruote dentate generati da una stessa retta solidale al piano generatore TI 9 nel suo moto di rotolamento senza strisciamento sui due cilindri fondamentali, le eliche dei denti di due ingranaggi elicoidali ad assi paralleli hanno uguale angolo di inclinazione ma. versi di
98 avvolgimento opposti; così, ad esempio, se l'elica di una ruota è destrorsa, l'elica dell'altra risulta sinistrorsa (si veda a questo proposito la Fig. 68). Anche per le ruote dentate elicoidali, così come per quelle a denti diritti, al tendere del raggio della ruota a infinito, si ottiene una ruota dentata limite, detta ancora dentiera, i cui denti sono inclinati dell'angolo Q sul piano primitivo. La Fig. 71 illustra chiaramente quali siano le grandezze fondamentali caratteristiche della dentiera di una dentatura elicoidale ad evolvente di circonferenza. In essa il piano primitivo è rappresentato dal piano n, mentre
99 zione col pian~ primitivo n è data dal segmento SQ inclinato dell'angolo Q rispetto a SP. Tenendo presente che l'angolo compreso fra i piani n e n9 è pari all'angolo di pressione tJ, si ottiene:
=
P R S P · tg {3 · { PQ=SP·tgQ
Essendo inoltre: PR
= PQcos{}
si ottiene in definitiva la relazione: tg {3
= tg a· · cos tJ
relazione del tutto identica. alla (2 .55), che peraltro era. stata ricavata mediante altre considerazioni di cara.ttere geometrico. Le relazioni esistenti tra. passo, raggio e numero dei denti della ruota sono uguali a quelle già viste per le ruote denta.te a denti diritti. Si avrà pertanto, con la simbologia sin qui adottata:
= 2;r r 1 p:::2 = 2;r
pz1
7'2
W2
7'1
Zl
WJ
7'2
:::2
r=-=-=Nelle ruote dentate elicoidali è di solito conveniente riferirsi alle grandezze misurate in direzione normale all'elica primitiva del dente. Così, accanto all'angolo di pressione {} nel pia.no frontale (piano perpendicolare all'asse della ruota), si considera l'angolo di pressione vn formato dalla superficie del dente e dalla direzione radiale nel piano normale ali 'elica. primitiva (Fig. 72). b) Fig. 71 - Grandezze geometriche caratteristiche della dentiera di una dentatura elicoidale a evolvente di circonferenza
con n9 è indicato il piano generatore il cui moto origina la superficie del dente. Nel caso della dentiera il cilindro fondamentale degenera ovviamente in un piano ed il punto di tangenza tra il piano generatore n9 e quello fondamentale (non rappresentato in figura) si trova all'infinito. Pertanto il moto di rotolamento senza strisciamento del piano generatore su quello fondamentale si riduce ad una tra.slazione in senso normale alla giacitura di n9 • La retta generatrice del dente è rappresentata in Fig. 71 dal segmento SR, inclinato dell'angolo /3 rispetto al segmento SP, intersezione dei piani n e n • La 9 superficie del dente è quindi rappresentata dal piano TNSQ, la cui interse-
~--
y
z
Fig. 72- Grandezze carat.t.eristiche nel piano normale ed in quello frontale
100
101
Considerando la Fig. 72 a, si ha:
YZ {
= XY · tg iJ
YT = XY · tg iJn YT
stesso e che tale condizione si mantiene fino a quando il punto di contatto nel piano frontale di estremità. non coincide col punto M, punto in cui i due denti iniziano a disimpegnarsi per sciogliere poi definitivamente il loro contatto nel punto K.
= Y Z · cosa
b
e pertanto tra gli angoli di pressione normale e frontale sussisterà la relazione: (2.56)
tg iJ n = tg iJ · COS Q'
La distanza tra due denti successivi misurata lungo il cilindro primitivo in un piano normale all'asse della ruota (piano frontale) è per definizione il passo p (o passo frontale o trasversale) della dentatura. La distanza fra due denti successivi, sempre misurata sul cilindro primitivo, ma in un piano normale alla superficie del dente (Fig. 72 b), rappresenta il passo normale Pn della dentatura. Tra passo normale e frontale (trasversale) sussiste la semplice relazione, ricavabile dalla Fig. 72 b: p,= p·
COSQ'
Si è già avuto modo di osservare nel caso di ruote dentate cilindriche a denti diritti che, per ogni sezione normale alle ruote, il contatto tra i denti avviene lungo un tratto della retta d'azione compreso fra le troncature delle ruote medesime. Anche nelle ruote dentate cilindriche a denti elicoidali, essendo il profilo dei denti sempre ad evolvente, il contatto avviene, in ogni sezione, in punti appartenenti alla retta d'azione; in tal caso però, risultando il dente inclinato rispetto all'asse della ruota, il contatto non si realizza più contemporaneamente su tutta la lunghezza del dente stesso, ma inizia in un punto di una delle due sezioni di estremità per poi estendersi successivamente in modo graduale a tutta la lunghezza del dente (Fig. 73). È chiaro che, per come è stata generata la superficie del dente della ruota, la caratteristica (o linea di azione), costituita dalla intersezione tra il dente ed il piano dei contatti (piano tangente ai due cilindri fondamentali) è rappresentata da una retta inclinata dell'angolo (J sull'asse della ruota. Nel piano dei contatti i segmenti H L e M f( altro non sono che le tracce delle intersezioni dei cilindri di troncatura delle due ruote con il piano stesso; supponendo dunque che i denti delle due ruote vengano inizialmente a contatto nel punto H, si può ossen·are (Fig. 73) che in seguito il contatto si estende ad una zona sempre più ampia del dente finchè, quando il punto di contatto nella sezione frontale si è spostato da H a J, il contatto avviene su tutta la lung\1ezza del dente
Fig. 73 - Piano dei contatti per una coppia di ruote dentate cilindriche a denti elicoidali
Per calcolare il numero di denti in presa nelle ruote elicoidali si deve ora osservare che l'effettiva lunghezza del segmento dei contatti è fornita, sulla base di quanto sopra esposto, da:
Dividendo oe per il passo misurato sul cilindro fondamentale si ottiene il valore del numero di denti contemporaneamente in presa dalla: Zp
=p
o COS
b tg fJ
'IJ
+ p COS 'IJ
dove il primo termine .a secondo membro rappresenta il numero di denti in presa che si avrebbe per una coppia di ruote dentate a denti diritti delle stesse dimensioni di quelle a denti elicoidali, per le quali bisogna considerare in più il termine aggiuntivo btg(Jjpcos?J. Per determinare invece il numero di denti necessario a evitare l'interferenza nel caso di un accoppiamento tra due ruote dentate cilindriche a denti elicoidali occorre innanzi tutto procedere ad alcune osservazioni concernenti la geometria delle ruote medesime. In primo luogo occorre ricordare che il
1-
102 profilo del dente di una ruota dentata elicoidale mantiene in ogni sezione effettuata con un piano frontale (piano normale all'asse della ruota) la forma di una evolvente del cilindro fondamentale. Tale proprietà d'altro canto perde la sua validità quando si consideri una intersezione della superficie del dente con un piano normale all'elica primitiva; in questo caso infatti il profilo del dente non coincide più esattamente con un profilo ad evolvente e l'intersezione del piano normale con il cilindro primitivo non è più rappresentata da una circonferenza, ma da un'ellisse (Fig. 74) avente semiassi, a= r/ cosa, b = r e la circonferenza osculatrice dell'ellisse nel punto C, ossia la circonferenza di curvatura uguale a quella deli 'ellisse in C, ha un raggio R pari a: a2
R
7'
r
__!_---!·l d. '
t• -!
/
'~
\
!
=
• 21
,/
/
/
/
/\ \ 1·
/ /
/
)
/
/ ('
/ /
/ /
viduato dal moto di rotolamento senza strisciamento di un cilindro primitivo rispetto all'altro, ed essendo inoltre l'angolo a di inclinazione dell'elica solitamente abbastanza piccolo, è lecito rappresentare, con buona approssimazione, il moto relativo tra le due ruote dentate con un moto di rotolamento senza strisciamento tra due cilindri aventi asse inclinato di un angolo a rispetto al! 'asse della ruota dentata elicoidale e raggio pari al raggio della circonferenza osculatrice. In altre parole l'ingranamento effettivo fra i denti delle due ruote elicoidali è approssimabile all'ingranamento che si avrebbe, in un piano normale ai denti in presa, tra due ruote dentate a denti diritti aventi raggi R1 = rd cos 2 a e R2 r2/ cos 2 a, angolo di pressione 'l'ln (poichè ci si trova ora nel piano normale) e numeri di denti pari a: .
= b = cos 2 a //
l
103
/
•
Essendo il moto delle due ruote dentate a denti elicoidali completamente indi-
ZJ
2R2 mn
z2
z 2 = - = -3 -
cos a I numeri di denti zj e z2 sono detti numeri di denti fittizi delle due ruote dentate equivalenti a denti diritti. Ora, essendo il proporzionamento delle ruote dentate elicoidali eseguito secondo le norme modulari ed in base al valore del modulo normale, le formule ricavate per il calcolo del minimo numero di denti per ruote dentate a denti diritti sono ovviamente valide quando si considerino le due ruote dentate equivalenti e possono di conseguenza essere utilizzate, con la stessa approssimazione, per il calcolo del minimo numero di denti di una ruota dentata elicoidale. Infatti, noti i valori di r e di {)n si determina dalla (2.47), e dopo aver posto in essa {) = 'l'ln, il valore z;;,in del numero di denti minimo fittizio della ruota dentata equivalente. L'effettivo numero minimo di denti della ruota elicoidale sarà di conseguenza fornito da: Zmin
Fig. 74- Ingranamento nel piano normale, e: ruota dentata elicoidale; d: ruota dentata equivalente a denti diritti; s: ellisse intersezione della ruota elicoidale col piano Z-Z; o: circonferenza osculatrice
2Rl
= mn = cos3 a
= z;;,in
COS
3
Q.
Per la determinazione della forza scambiata, in assenza di attrito, tra i denti in presa di una coppia di ruote dentate elicoidali si possono seguire due diversi procedimenti. Il primo consiste nel considerare la forza nel ~piano IT 9 tangente ai due cilindri fondamentali (Fig. 75). Infatti, poichè le superfici dei denti delle due ruote sono normali al piano II 9 , in quanto evolventi dei due cilindri fondamentali, la forza scambiata tra i denti giace necessariamente nel piano II 9 ed è irtoltre normale alla retta generatrice inclinata dell'angolo f3 rispetto all'asse delle ruote. La forza scambiata F ha pertanto due componenti: una componente A diretta secondo l'asse delle ruote e una componente H' situata nel piano normale all'asse delle ruote, di intensità: A= Fsin/3 { H'= Fcos(3
104
105
Inoltre la componente H' è a sua volta scomponi bile in una componente radiale R ed in una tangenziale Q situata nel piano II tangente ai cilindri primitivi. Pertanto, la forza scambiata tra i denti delle ruote dentate cilindriche a denti elicoidali può essere rappresentata con l'ausilio di tre componenti: una tangenziale, una radiale ed una assiale di intensità rispettivamente pari
a:
Q= Fcos{3cos'IJ (2.57)
{ R = F cos {3 sin 'IJ A= Fsin{3
-
\
Fig. 76 - Scomposizione della forza scambiata fra i denti di due ingranaggi elicoidali
Delle tre componenti in cui è stata scomposta la forza scambiata fra i denti, l'unica a fornire momento rispetto all'asse delle ruote è la componente tangenziale Q. Scrivendo una equazione di momento rispetto all'asse della ruota l, si ricava pertanto l'espressione della coppia agente, espressione fornita da: C1 Fig. 75 - Determinazione della forza scambiata fra i denti di due ruote dentate elicoidali
Ad un identico risultato si può giuùgere osservando che, essendo la forza
f, in assenza di attrito, normale alla superficie del dente, essa deve giacere nel piano normale e può quindi essere scomposta in una componente radiale R e in una H" situata nel piano tangente ai due cilindri primitivi (Fig. 76) di intensità pari a: R= Fsin'IJn
{ H"= Fcos1Jn La forza H" può essere a sua volta scomposta in una componente assiale A ed in una tangenziale Q, per cui si ottiene in definitiva: Q= F COS 'IJn COSO: (2.58) { A = F cos 'IJn sin a R= Fsin'IJn Le (2.57) e (2.58) devono evidentemente essere uguali tra loro ed infatti si possono trasformare l'una nell'altra tenendo presenti le relazioni (2.55) e (2.56). l
=Qr1 =F1·1 cos {3 cos .,'}
Nel caso in cui sia nota la coppia motrice agente su una ruota, si è in grado di calcolare le componenti Q, R ed A della forza agente sulla ruota stessa mediante le relazioni:
Q=
c1 7'1
R
= C1 tg 'IJ = C1 r1
r1
tg 'IJn cosa
c1 tgf3 c1 A = - - - =-tga 7'1 cos 'IJ r1
=
Se ora nelle (2.57) o (2.58) si pone a = {3 O e 'IJ = 'IJn si ritrovano ovviamente le espressioni delle componenti della forza scambiata fra i denti di ingranaggi cilindrici a denti diritti, nei quali la componente assiale è evidentemente nulla. Questa componente infatti nasce esclusivamente per effetto dell'inclinazione del dente ed è sempre diretta nel senso di allontanare i due ingranaggi in direzione assiale. Per annullare la spinta assiale, o quanto meno ridurla a un valore molto piccolo, vengono costruite ruote dentate elicoi.dali a freccia formate da due
106
l·
parti uguali aventi inclinazioni di elica opposte e che quindi, neli 'ipotesi di distribuzione uniforme del carico tra le due parti, danno origine a forze a:ssiali uguali ed opposte, raggiungendo così l'obiettivo prefissato di equilibrio della ruota dentata in direzione assiale. La figura 77 illustra un ingranaggio costituito da una coppia di ruote dentate elicoidali a freccia per la trasmissione di una potenza di 6000 k W ad una velocità angolare compresa fra 400 e 1500 giri/min.
107 stessi è ovviam'ente nulla.
Fig. 78 - Ingranaggio conico
Fig. 77- Ingranaggio con ruote dentate elicoidali a freccia (O.T.G., Milano)
) ( 3.12 - Ruote dentate coniche a denti diritti Le ruote dentate coniche vengono utilizzate per trasmettere il moto tra assi concorrenti (Fig. 49 b). Come nel caso di tramissione tra assi paralleli si era ricavato che le superfici primitive del moto erano rappresentate da due cilindri, così nel caso di trasmissione del moto tra assi incidenti si può dimostrare, seguendo lo stesso tipo di ragionamento a.llora svolto, che le superfici primitive altro non sono che due coni aventi angoli di apertura 'Pl e '-P 2 (Fig. 79). Il moto indiYiduato da due ruote dentate coniche è pertanto schematizzabile in quello di due coni che ruotano attorno ai propri assi e che sono a contatto secondo una generatrice lungo la quale la velocità relativa tra i coni
Fig. 79- Coni primitivi di una coppia di ruote dentate coniche
n valore del rapporto di trasmissione è facilmente determinabile con alcu~e semplici considerazioni cinematiche. Infatti la velocità V del punto P d1 contatto fra i due coni è data da:
109
108
piano che rotola senza strisciare su un cono fondamentale (Fig. 80). Sia infatti :B il piano tangente al cono fondamentale e OI la generatrice dì contatto tra piano e cono; se si fa rotolare senza strisciare :B sul cono fondamentale, i punti della retta OI solidale al piano descrivono una superficie a evolvente, detta evolvente sferica.
Ma d'altro canto si ha (Fig. 79):
e di. conseguenza: r1 r2
w2
(2.59)
sin
r=-=-=-.-W!
Essendo inoltre la somma degli angoli di apertura dei due coni pari all'angolo 'lj; compreso fra i due assi: 'lj;
=
si è in grado di calcolare il valore degli angoli di apertura
=l
t g
\
____ ____ _ ·o -
sin 'lj;
-T + cos'lj;
(2.60)
{
\
eh \
=
\
\
l __\,_
l
l •
sin 'lj; r+cos'lj;
\ l
l•
l
l
l• ·
l •
\l l
I
1 l
l l
l
l
/
o
Fig. 80 - Generazione dei profili dei denti in una ruota dentata conica
Come per le ruote dentate ad assi paralleli, così anche per le ruote coniche il profilo dei denti universalmente adottato è quello a evolvente, ed in questo caso l'evolvente è quella descritta dai punti di una retta solidale ad un
'
Fig. 81 - Coni primitivi e fondamentali nell'ingranamento tra due dentate coniche
Per meglio comprendere come le ruote dot.ate di denti ad evolvente sferica (Fig. 81) soddisfino alle condizioni indicate nel § 3.3 per la costanza del rapporto di trasmissiorte, si considerino ora i due coni fondamentali eh e eh aventi i vertici coincidenti in O. Durante il loro moto solo il punto comune O mantiene fissa la sua posizione nel tempo; la trasmissione del moto tra i coni costituisce dunque un caso di moto sferico e pertanto le loro intersezioni con una sfera S di centro O individuano due circonferenze f 1 e f 2 che, pur muovendosi, si mantengono costantemente sulla sfera. Se si considera il piano 2:: tangente comune ai due coni fondamentali eh e eh si osserva
111
110
che la sua· intersezione con la sfera del moto è rappresentata da una circonferenza r tangente alle circonferenze rl e r2 nei rispettivi punti h e 12. Se ora si fa rotolare senza strisciare il piano I: sull'uno e sull'altro dei due coni fondamentali, un punto della circonferenza r descrive delle evolventi sferiche e1 ed e2 delle circonferenze f 1 e r 2 , e la normale in un punto generico P ad una delle due evolventi, ad esempio eh altro non è che un arco della circonferenza r tangente a r 1 nel punto· 11 • Poichè la normale ai profili di due denti deve coincidere quando questi vengono a contatto, risulta che, analogamente a quanto si è visto per gli ingr~naggi cilindrici, il punto di contatto p tra i denti si trova lungo l'arco hl2 della circonferenza r tangente comune~ r 1 e r 2 e, mentre i due coni fondamentali ruotano, P si sposta lungo hi2 • L'intersezione C tra. la congiungente i punti V1 e V2 , punti intersezione tra gli assi e la sfera del moto, e la normale alla superficie dei denti è allora un punto fisso e ciò soddisfa, come si voleva dimostrare, alla condizione necessaria ad ottenere un rapporto di trasmissione costante. La retta CO congiungente il punto C ora determinato con l'origine dei due coni fondamentali individua pertanto la generatrice tangente comune dei due coni primitivi del moto. Se ,J è l'angolo compreso fra la tangente ·alla circonferenza r nel piano I: e la tangente comune alle intersezioni dei coni primitivi con la sfera del moto, si possono ricavare. in base af alcune considerazioni di trigonometria sferica, le seguenti relazioni:
all'esterno ed all'interno da due coni detti rispettivamente di troncatura ( 0 di testa) e di fondo (o di piede); esso viene inoltre delimitato nel senso della lunghezza da due coni aventi generatrici perpe1idicolari a quella del cono primitivo e detti pertanto coni complementari. Ne consegue che in una ruota dentata conica l'altezza del dente, e così l'adqendum ed il dedendum, crescono al crescere del~a distanza del vertice O. Per convenzione si assumono per i valori del diametro del cono primitivo, dell'addendum, del dedendum e dell'altezza del dente, quelli corrispondenti alla sezione esterna del dente (ossia quelli di dimensioni maggiori) e nel proporzionamento modulare si adottano per il dente gli stessi valori di addendum e dedendum delle ruote dentate cilindriche a denti diritti, rispettivamente pari al modulo e ai .5/4 del modulo stesso.
sin Xl == sin 2 cos fJ dove con X1, X2, cp 1 e 'P2 si sono indicate rispettivamente le aperture dei coni fondamentali e dei coni primitivi delle due ruote. Come si può notare, tutte le considerazioni ora svolte sono analoghe a quelle a suo tempo effettuate per le ruote dentate cilindriche e pertanto, evitando di ripetere in ogni dettaglio il ragionamento allora seguito, si potrà senz'altrg affermare che anche le ruote dentate coniche, sebbene costruite per funzionare con certi coni primitivi ben definiti, detti nominali, mantengono un funzionamento corretto con rapporto di trasmissione costante e pari a quello voluto anche quando gli assi delle due ruote subiscono spostamenti di piccola entità dalla loro posizione nominale. In tal caso infatti i due coni fondamentali restano inalterati, mentre variano soltanto i due coni primitivi e l'angolo ,J compreso tra la tangente comune ai due coni primitivi e la tangente nel piano I: alla circonferenza r. Le dimensioni geometriche caratteristiche di una ruota dentata conica sono indicate nella Fig. 82. Come si può osservare, il dente risulta limitato
Fig. 82 - Dimensioni e grandezze caratteristiche di una ruota dentata conica: a ::::: addendum; d. = dedendum; h = altezza del dente·, b = larghezza del dente·' cp = an~o l~ d. 1 apertura; C; = cono di fondo; Ce = cono di tronca.tura; Cp = cono pnmtttvo; Cc = cono complementare; D = diametro primitivo; De diametro esterno; l = lunghezza del cono
=
Nei calcoli relativi alle ruote dentate coniche, in particolar modo nel calcolo delle forze scambiate fra i denti, è tuttavia più opportuno riferirsi alla sezione media del tronco di cono in cui avviene l'ingranamento fra i denti. Quando l'angolo
cp
di apertura del cono primitivo diventa. retto, il
112
113
.l.
cono stesso si trasforma in una superficie piana e la ruota conica corrispondente è detta ruota dentata piano-conica (Fig. 83); essa rappresenta per gli ingranaggi conici il corrispondente della dentiera di quelli cilindrici. Per essa, se '!9 è l'angolo di pressione, l'angolo di apertura del cono fondamentale vale naturalmente 1rj2- '!9 (Fig. 83 a) ed i suoi denti inoltre sono diritti, ossia l'intersezione del profilo del dente con un piano perpendicolare a quello primitivo è un segmento. diretto in senso radiale (Fig. 83 b).
tivi con la sfera del moto può essere approssimato dal moto di rotolamento senza strisciamento, nel piano tangente alla sfera del moto, di due circonferenze di raggi: 7'1 r2 Pl=-- e P2=--. cos 'Pl
cos '?2
a)
l
l
/
/
. . --t--.. . ...'
e
l'
TT
....
/"""
',\
l
\
~L_ \
'
l c
' '.... ....
---,'
l
/
/
l
/
l
l
l
---t-,..
..... ....
b)
',, \
. l .
\
\
l
r cos tp
j l
{1
/
/'
/
Lo studio dell'ingranamento tra i denti di due ruote dentate coniche e la determinazione del numero minimo di denti necessario a evitare l'interferenza possono essere effettuati in modo rigoroso considerando l'ingranamento tra i profili dei denti sulla sfera del moto. Questo studio si presenta però notevolmente complesso e perciò si ricorre normalmente alla approssimazione di Tredgold che consiste nel sostituire alla sfera del moto, in corrispondenza di un punto generico P e per il piccolo tratto corrispondente all'altezza del dente, il piano ad essa tangente (Fig. 84). Questo piano, avente traccia PQ nel piano della Fig. 84 a, interseca il cono primitivo C secondo una conica che in P possiede un raggio di curvatura pari a:
\
\,
' ' ' . . . . . . __ + l __ . . . . "/
Fig. 83 - Ruota dentata piano-conica: a) generazione dei denti; b) aspetto dei denti della ruota
bl
...............
\
l
l
..
\ -y-·-·-· s ·-·:--·-·-·) i
l
~ \
------
/// L"·\ _.,..,....
Fig. 84 - Tl:acciamento approssima.to dei profili dei denti di una ruota dentata conica: a) cono primiti~o .G_ e. piano tangente in P alla sfera del moto S; b) circonferenza pmmt1va Immaginaria
Queste due circonferenze non sono altro che le circonferenze osculatrici nel punto P alle coniche intersezioni del piano tangente alla sfera del moto con i coni primitivi. Ai raggi p1 e p2 viene pertanto dato il nome di raggi primitivi immaginari e le due circonferenze osculatrici assumono a loro volta il nome di circonferenze primitive immaginarie. Indicando ora con m il modulo della. dentatura al raggio corrispondente al punto P, si otterrà per le due circonferenze primitive immaginarie un numero di denti immaginario dato da:
p=--
Per il piccolo angolo di rotazione corrispondente all'ingranamento fra una coppia di denti di due ruote dentate coniche, il moto relativo di rotolamento senza strisciamento delle due circonferenze intersezioni dei coni primi-
(2.61)
In definitiva quindi l'ingranamento fra due ruote dentate coniche, aventi numeri di denti .:-1 e Zz e angoli di apertura pari a <; 1 e ç 2 , è approssima.bile
114
115
).
!
all'ingra.namento fra du~ ruote cilindriche a denti diritti aventi il numero di denti fornito dalle (2.61). Si noti che per una ruota piano-conica si ha IP2 = 1r /2 e z:; = oo. Si ritrova dunque che la ruota piano-conica corrisponde a una dentiera e che il profilo dei suoi denti è di conseguenza un profilo rettilineo. In base alla (2.61) si ha che alle due ruote dentate immaginarie corrisponde un rapporto di trasmissione immaginario: •
zi
z1 cos I{J2
z:i
z2 cos 'Pl
T=-=---
Pèr il calcolo della forza scambiata fra una coppia di ruote dentate coniche a denti diritti si considerino i due coni primitivi e il piano tangente nel punto C alla sfera del moto (Fig. 85). La forza F scambiata tra i denti delle due ruote dentate, quando il contatto avviene in C, giace nel piano II tangente alla sfera e può essere scomposta in una componente tangenziale Q di modulo Q = F cos '!9 ed in una F', normale a Q, che giace nel piano tangente ed interseca gli assi, di intensità F' = Fsin !9. Le coppie C\ e C2 agenti sulle ruote vengono equilibrate solo dalla componente Q e pertanto si avrà:
e che il minimo numero di denti fittizio per evitare l'interferenza è quindi esprimibile, con riferimento alla (2.47), mediante la: l+Jl+r*(2+r•)sin 2 !9
• zmin
=
(l+
(2.62)
T2") sin2!9 dove
mentre l'effettivo minimo numero di denti ammissibile è dato da:
se con l si è indicata la ruota di raggio minore. Con procedimento del tutto analogo si è in grado di calcolare la lunghezza dell'arco d'azione riferendosi a quella calcolabile in una coppia di ruote dentate cilindriche immaginarie a denti diritti.
·-·--.
........
~
Yf·"-. \ -~
2
TT
r1 e r2 sono i raggi primitivi medi dei denti delle due ruote. La componente F' a.gente sulla ruota 1 è a sua volta scomponibile in una componente assiale A1 ed in una radiale R1 di intensità:
{
A1
= F' sin lfJl = F sin '!9 sini{J1
R1
= F' cos lP = F sin '!9 cos l!' l
l
e, in base alle (2.62), si ha in definitiva:
(2.63)
TT
l
l Fig. 85 - Forza scambiata fra i denti di una coppia di ruote dentate coniche
ed in modo del tutto analogo possono essere calcolate le intensità delle componenti A2 e R2 agenti sulla ruota 2. Si osservi infine che le due componenti radiali R1 e R2 sono dirette nel senso di distanziare le due ruote, mentre le componenti assiali sono dirette nel senso di sfilare le ruote stesse allontanandole dal centro O. Poichè le ruote dentate coniche, come quelle cilindriche a denti elicoidali, sono soggette anche a. una spinta assiale, è di conseguenza necessario che i cuscinetti che sostengono gli alberi delle due ruote siano in grado di sopportare, oltre ai carichi radiali, forze di tipo assiale.
117
116 . 3.13 - Ruote dentate coniche ad asse dente curvo
rotola senza strisciare sui coni fondamentali delle due ruote dentate (Fig. 88). Le intersezioni della superficie dei denti con la sfera del moto sono di conse-
Le ruote dentate coniche ad asse dente curvo (o ruote dentate coniche a denti obliqui) (Fig. 86) sono ruote in cui le superfici primitive del moto sono ancora dei coni, ma l'asse del dente, anzichè essere rettilineo, è curvilineo. l
l
l l l
-f->.1.'11-----:+·-·-
(al
lbl
(C)
Fig. 86 - Ruote dentate coniche ad asse dente curvo (Alfredo Gusti S.p.A., Milano)
(dJ
I vantaggi degli ingranaggi conici a denti obliqui nei confronti di quelli ad asse dente rettilineo sono analoghi a quelli degli ingranaggi cilindrici a denti elicoidali, e possono essere riassunti in: aumento della lunghezza effettiva del segmento dei contatti, gradualità nella variazione del carico su una coppia di denti in presa, silenziosità del funzionamento. TI tipo di dentatura proprjo di una coppia di ruote dentate coniche a denti obliqui è definito facendo riferimento alla relativa ruota piano-conica. Mentre i denti della ruota piano-conica a denti diritti sono segmenti radiali (Fig. 87a), i denti delle ruote piano-coniche a denti obliqui più comuni sono: segmenti di rette tangenti ad una circonferenza (Fig. 87b) nelle ruote dentate Bilgram, archi di spirale logaritmica (Fig. 87c) nelle ruote dentate Gleason, archi di circonferenza (Fig. 87d) e archi di evolvente (Fig. 87e). I profili dei denti di queste ruote dentate, qualunque sia il tipo di asse dente, sono comunque sempre profili ad evolvente. I denti sono infatti generati dalla curva (nel caso più elementare una retta) appartenente, a un piano che
(el
Fig. 87- Ruote dentate coniche ad asse dente curvo: a) a denti diritti; b) a denti tangenziali; c) aspirale logaritmica; d) ad archi di circonferenza; e) ad archi di evolvente
guenza sempre due evolventi sferiche. Durante l 'ingrana.mento fra le ruote, i due denti in presa vengono a contatto lungo la curva generatrice /, che giace nel piano tangente comlfne ai due coni fondamentali, e detta generatrice si sposta, nel corso dell'ingranamento, lungo il piano II.
5. JACAZIO-PIOMBO • La trasmissione del moto
l
118
119
anche l'aumen~o dell'arco d'azione dovuto alla forma obliqua del dente: il passo angolare fra i denti è infatti pari a -y, mentre l'angolo formato fra la fine e l'inizio del dente è e:. Quindi, se o è l 'angolo formato fra le tracce delle generatrici di troncatura, il numero di denti in presa è dato da:
o+e:
Zp=-')'
L'esame delle forze scambiate fra i denti di una coppia di ruote dentate conici a denti obliqui risulta abbastanza complesso, sia per il fatto di essere i denti curvi, sia perchè l'inclinazione della curva del dente è in genere variabile da punto a punto, ad eccezione del caso di denti a spirale logaritmica, per i quali l 'angolo di inclinaiione è costante. In essi infatti facendo riferimento alla ruota piano-conica (Fig. 87c) ed adottando un sistema di riferimento in coordinate polari con l'origine degli angoli coincidente con un raggio r;, si ha.:
Fig. 88 - Generazione dei denti di una ruota dentata conica a denti obliqui
La superficie di ingra.namento altro non è dunque che una. parte del piano II tangente comune a.i due coni fondamentali, e risulta. delimitata dai coni di troncatura esterna e, nel senso della lunghezza, dai coni complementari (Fig. 89). Nella stessa Fig. 89 risulta inoltre chiaramente evidenziato
c,
Fig. 89 - Superficie dì ìngranament.o in una coppia di ruote dentate coniche ad asse dente curvo: c1, c2 = tracce dei coni complementari; t 1 , t 2 = tracce dei coni di troncatura; !1, h tracce dei coni fondamentali
=
e l'angolo formato fra la tangente alla curva in un punto generico ed il raggio corrispondente è dato da: rd'IJ tg ex= - dr
l k
= - = costante
Normalmente in questo tipo di ruote dentate si assume per l'angolo a un valore di 35 •. In tutti gli altri casi, come si è visto, l'angolo di inclinazione dell'asse dente è variabile da punto a punto; purtuttavia, data l'estensione relativamente piccola della. superficie di contatto, si può considerare con buona. approsima.zione che la risultante delle forze scambiate fra i denti passi per il punto medio M del tratto di generatrice lungo il quale i due coni primitivi vengono a contatto (Fig. 89). Come per le ruote dentate cilindriche a denti elicoidali, così per le corrispettive ruote dentate coniche esistono due modi differenti di scomposizione della forza scambiata fra i denti. n primo considera la forza scambiata appartenente al piano II tangente comune ai due coni fondamentali. La forza f scambiata fra i denti può allora essere scomposta, nel piano tangente comune, in due componenti: una di intensità A' diretta secondo la tangente comune OC ai due coni primitivi, e una di intensità F' normale ad essa (Fig. 90). Si avrà pertanto, indicando con (3 l'angolo di inclinazione dell'elica. sul cono fondamentale: (2.64)
F' = F cos(3 { A'= Fsìn(3
l
120
121
una componente tangenziale Q e in una intensità rispettivamente pari a:
R'
normale a questa. (Fig. 91a.) di
Q = F' cos il = F cos (3 cos il { R' = F' sin il = F cos (3 sin il
(2.65)
dove con il si è indicato l'angolo di pressione. Delle tre componenti Q, R', A', solo la Q fornisce un momento in grado di equilibrare la coppia motrice e di conseguenza: cl= Qrl.
cl>
Le due componenti R' cd A' danno luogo globalmente a una forza A m direzione assiale e ad una R in direzione radiale (Fig. 91 b) che valgono:
A { Fig. 90 - Scomposizione della forza. f scambia.t.a. fra. i denti nelle componenti .4' e F'; Cft =cono fondamentale della. ruota. l; cp,cp 2 =coni primitivi delle due ruote
Sostituendo in queste equazioni le (2.64) e (2.65) si ottiene:
{
a)
b)
cp,
A = F sin (3 cos so 1 + F cos (3 sin1'J sin so 1 R = - F sin (3 sin so 1 + F cos (3 sin 1'J cos
Q = F cos (3 cos 1'J
e, introducendo la coppia motrice cl:
Q= (2.66)
\
w1 J
c
jf
c)\ l
\. \
c1 1'1
A = -c1
(
cos 1 + tg 1'J 5111 . ) tg {3--_-Q 'P l cos v
C1 R=-
(
sill'PI +tg1'Jcos
1'1
r1
Le (2.66) esprimono dunque l'intensità delle forze agenti sulla ruota (l), supposta motrice, nell'ipotesi che il verso di rotazione della ruota sia orario e che l'elica sia sinistrorsa (Fig. 90). Se invece l'elica è destrorsa, la componente A' è diretta in verso opposto a quello indicato nelle Figg. 90 e 91b, per cui le (2.66) diventano:
l .
'
= A' cos so 1 + R' sin 'PI
R = -A' sin 'PI + R' cos 'PI
~
Q=
Fig. 91 - Scomposizione della. forza scambiata. fra i denti di una coppia. di ruote dentate coniche ad asse dente curvo (2.67)
La forza f', che si trova a sua volta in un piano ~ tangente alla sfera del moto passante per il punto medio del dente C, può essere scomposta in l
c1 r1
C1 ( COS'P! . A=-tgfj--_+ tg{]sm
cos v
1'1
R
= -C1 1'1
(
sin 1 + tg {] cos
122
123
Analogamente, ne! caso di elica sinistrorsa e verso di rotazione antiorario è valida la (2.67), mentre nel caso di elica destrorsa e verso di rotazione antiorario risulta valida la (2.66). Per la ruota condotta (2), una volta sostituito cp 2 al posto di 10 1 , ci si trova in situazioni opposte alle precedenti. È opportuno quindi, nel caso di ruote dentate coniche a denti obliqui fare riferimento alla Tab. I che riporta la validità di una o dell'altra espressione della forza scambiata nei diversi casi possibili di funzionamento.
La componente R' si trova ora in un piano passante per l'asse OZ e per il punto d di tangenza dei due coni primitivi, mentre F' giace nel piano
TABELLA I- Validità delle espressioni della forza scambiata tra i denti in una coppia di ruote dentate coniche a denti obliqui
Ruota
Verso di rotazione
Verso di avvolgimento del dente
Equazione valida
motrice motrice motrice motrice
orario orario antiorario antiorario
sinistrorso destrorso sinistrorso destrorso
(2.66) (2.67) (2.67) (2.66)
condotta condotta condotta condotta
orario or ano antiorario antiorario
sinistrorso destrorso sinistrorso destrorso
(2.67) (2.66) (2.66) (2.67)
R'
F scambiata fra i denti nelle componenti
M, tangente comune ai due coni primitivi. La componente F' può quindi essere a sua volta scomposta in una componente tangenziale Q ed in una componente A.\ normale a Q, che, come la R', giace nel piano passante per OZ e per C (Fig. 93a), ottenendo così: (2.69)
Q :::: F' cos a- :::: F cos a· cos t9 n {
A'
= F' sin a-= F sin a- cos t? n
dove a- è l'angolo di inclinazione del dente sul cono primitivo. Le due componenti A' e R' danno luogo nel loro complesso a una componente assiale di intensità A diretta secondo l'asse della ruota conica, e ad una componente di intensità. R diretta radialmente che valgono (Fig. 93b ): (2.70)
{ F' = F cos ?Jn
l
-·---··.
.i
Fig. 92 - Scomposizione della forza F'ed ii.'
= Fsin ?Jn
----------------~
-·
\\ \'---\ w, ·,.....__
Si noti che per due ruote dentate in presa se ad esempio la ruota motrice possiede una rotazione oraria e un verso di avvolgimento del dente sinistrorso, quella condotta ruota in senso antiorario ed il verso di avvolgimento dei suoi denti è destrorso. Di conseguenza, se per una delle due ruote vale la (2.66), per l'altra vale la (2.67). n secondo metodo utilizzabile per il calcolo della forza F scambiata fra i denti poggia sulla considerazione che quest'ultima, supponendo r:,empre di concentrarla al raggio medio, giace in un piano N normale alla superficie del dente (Fig. 92). In questo piano la forza F può essere scomposta in una F' che giace nel piano tangente al cono primitivo ed in una R' normale ad essa. Indicando con 13n l'angolo di pressione nel piano normale, si ha allora: (2.68)
/
ir . +---rz:--.' /
R:::: R' {
COSyj-
A' sin\01
A = R' sin <; 1 + A' cos cp 1
124
125 ruota (1) sia motrice, ruoti in senso orario ed il verso di avvolgimento del dente sia sinistrorso. In tutti gli altri casi i segni - e + delle espressioni della componente radiale e di quella assiale vanno posti come nelle (2.66) e (2.67) seguendo al solito il criterio indicato nella Tab .. I.
a) M
3.14 - Trasmissione del moto fra assi sghembi
Come già indicato nel paragrafo 3.5, è possibile trasmettere il moto fra due assi sghembi mediante una. coppia di ruote dentate ruotanti, rispettivamente, attorno all'uno e all'altro asse. Sempre nel paragrafo 3.5 si è visto che per gli ingranaggi sghembi il moto relativo istantaneo è elicoidale e che conviene riferirsi, per la. descrizione delle ruote dentate, a opportune superfici di riferimento. A seconda della disposizione del punto medio di contatto, si hanno diverse forme di ruote che permettono la trasmissione del moto fra due assi con il rapporto di trasmissione voluto. Se il punto medio di contatto si trova sulla perpendicolare comune agli assi delle due ruote si hanno ingranaggi cilindrici elicoidali, costituiti da ruote dentate cilindriche in cui i denti si avvolgono ad elica attorno ai rispettivi cilindri di riferimento. Se le ruote dentate che ingranano sono generate per inviluppo da una ruota ausiliaria esse si toccano in un punto; se invece esse sono generate per inviluppo diretto esse vengono a contatto lungo una linea. Le ruote dentate cilindriche ad assi sghembi possono trasmettere il moto fra due assi formanti un angolo qualsiasi. Se l'angolo fra gli assi è di 90° e il rapporto di trasmissione è piccolo, l'ingranaggio viene normalmente chiamato ingmnaggio a vite. Se la zona dei contatti fra i denti non interseca la perpendicolare comune agli assi delle ruote si ha il tipo più generale di ingranaggio per la trasmissione del moto fra assi sghembi, detto ingranaggio ipoide.
Fig. 93 - Scomposizione della forza scambiata fra i denti in una coppia di ruote dentate coniche a denti obliqui
Sostituendo nelle (2.70) le (2.68) e (2.69) si ricavano in definitiva per le componenti della forza scambiata fra i denti le espressioni seguenti: Q= Fcosacos11n R = F sin 11, cos ~l - F sin a cos 11n sin ~l { A = F sin 11n sin ~ 1 + F sin a· cos 11n cos ~l
Poichè l'unica componente a fornire momento rispetto all'asse è la Q=
Q,
si avrà:
c1 r1
(2.71)
cl( tg 11n'cos~l R= -- cos Cl'
1'1
A = -cl r1
tg Cl' 5111 ~l o
)
( tg 1J nsin-191- +.. tg Cl' cos ~l ) cosa
Da queste espressioni, ricordando che, come per le ruote dentate cilindriche elicoidali, valgono le relazioni: tg (3 {
= tg
tg1Jn
Cl'
3.15 - Ruote dentate cilindriche elicoidali ad assi sghembi
Per descrivere la trasmissione del moto tra due ruote dentate elicoidali ad assi sghembi conviene procedere nel modo seguente. Si consideri dapprima la ruota dentata elicoidale l che ruota attorno al proprio asse x- x ed ingrana con la dentiera D 1 ad essa coniugata (Fig. 9-la). Analogamente si consideri la ruota dentata elicoidale 2 che ruota attorno al proprio asse y- y. sghembo ed inclinato dell'angolo ~· rispetto all'asse .r-.r. e che ingrana con la propria
cos 1J
= tg1Jcosa
si possono nuovamente desumere le (2.66). Anche le (2.71), come le (2.66). forniscono i valori delle componenti della forza scambiata nel caso in cui la
- - - - - - - - · - · ·--···
--
126
127
dentiera D 2 ; se i versi di rotazione delle due ruote sono quelli indicati nella Fig. 94a, le due dentiere coniugate alle ruote traslano anch'esse nelle direzioni indicate in figura. Si osservi infine che i piani primitivi delle due dentiere coniugate in realtà coincidono tra loro, ma si muovono in due direzioni differenti. b)
a)
oppure la rela!lione: se le eliche hanno versi di avvolgimento opposti.
(2.73)
a)
b)
Fig. 94 - Schema cinematico della trasmissione del moto fra due ruote dentate elicoidali ad assi sghembi Fig. 95 - Angolo fra gli assi delle ruote dentate cilindriche ad assi sghembi: a) per due eliche destrorse; b) per elica l sinistrorsa ed elica 2 destrorsa
A questo punto risulta chiaro che si può immaginare la trasmissione del moto tra i due assi sghembi come una successione di tre sequenze: trasmissione del moto della ruota l alla dentiera D1 ; trasmissione del moto della dentiera D 1 dalla dentiera D 2 ; trasmissione del moto dalla dentiera D 2 alla ruota 2. È ora evidente che per rendere possibile la trasmissione del moto tra le due dentiere (e quindi quella del moto tra i due assi sghembi) è necessario che i denti delle due dentiere siano tra loro pal·alleli (Fig. 94b). Solo così infatti mentre la dentiera coniugata alla ruota l trasla nella direzione indica.ta, la dentiera della ruota 2 riesce a traslare nella propria direzione anche se in tale moto le due dentiere scorrono l'una rispetto all'altra nella direzione individuata dai loro denti. !n definitiva quindi si può affermare che la condizione necessaria per rendere possibile l'ingranamento tra due ruote dentate elicoidali ad assi sghembi è rappresentata dalla condizione di tangenza tra le eliche delle due ruote nel piano tangente comune ai due cilindri primitivi; ciò significa (Fig. 95) che tra gli angoli di inclinazione delle eliche e l 'angolo compreso fra gli assi deve sussistere la relazione: (2.72)
se entrambe le eliche hanno lo stesso verso di avvolgimento (caso più frequente),
È necessario ora rilevare che nel caso di ruote elicoidali ad assi sghembi si intendono come cilindri primitivi quei cilindri che sono i primitivi nell'ingranamento con le due dentiere coniugate; in realtà, come già detto, questi stessi cilindri non rappresentano affatto le superfici primitive nell'ingranamento tra le due ruote dentate dal momento che, come si è visto esaminando il moto delle due dentiere coniugate, la velocità relativa tra i denti nel punto di contatto assume sempre un valore finito diverso da zero. È d'altro canto chiaro che esiste una ulteriore condizione per rendere possibile l'ingranamento, condizione che si esprime osservando che il passo delle due ruote dentate in direzione normale alla tangente comune alle due eliche deve essere lo stesso, e che di conseguenza il modulo normale mn è identico per le due ruote. :Descritti così i principi cinematici del moto, questi verranno qui di seguito tradotti nelle corrispondenti relazioni geometriche e cinematiche caratteristiche della trasmissione. Volendo calcolare la distanza fra gli assi delle ruote si avrà infatti (Fig. 96): Poichè il modulo normale è identico per entrambe le ruote, sarà:
m1
=
128
mn/ cosa 1
129 e m2
=mn/ cosa2,
e di conseguenza:
d- ffin - 2
(---2_ + ~) cos cos a1
a2
La velocità di strisciamento è data invece da modulo vale quindi, con riferimento alla Fig. 97:
Vr =
v2 - vl ed il suo
per eliche aventi lo stesso verso di avvolgimento, per eliche aventi versi di avvolgimento opposti.
Fig. 96 - Distanza fra gli assi di due ruote dentate cilindriche elicoidali ad assi sghembi
n rapporto di trasmissione tra le velocità angolari delle due ruote e la velocità di strisciamento nel punto di contatto sono ricavabili in base ad alcune considerazioni cinematiche. Si considerino infatti i due cilindri primitivi a contatto in C (Fig. 97); le velocità periferiche delle due ruote saranno espresse da: vl = rlwl { V2·= r2W2 Poichè le eliche dei due denti sono tangenti in C e le componenti delle velocità vl e v2 nella direzione perpendicolare alla tangente comune t -t debbono essere uguali, sr ottiene la condizione:
e di conseguenza: da cui, esprimendo ''1 e r2 in funzione del modulo normale e del numero di denti si ottiene che il rapporto di trasmissione r è ancora pari a: (2.74)
Fig. 97 - Velocità di due ruote dentate ad assi sghembi nel punto di contatto; t- t: tangente comune alle eliche dei due denti
Come si è visto, i due cilindri primitivi nell'ingranamento delle ruote con le rispettive dentiere (Fig. 98a) perdono questa loro caratteristica quando si considera l'ingranamento delle due ruote dentate tra loro, in quanto la velocità relativa nel punto di contatto è diversa da zero, e proprio questo diversifica nettamente, il comportamento delle ruote dentate elicoidali ad assi sghembi da quello delle ruote dentate elicoidali ad assi paralleli. Per queste ultime infatti la velocità relativa tra due denti in presa si annulla quando il punto di contatto tra i denti coincide con il punto di tangenza fra i due cilindri primitivi, ed è diversa da zero in tutti gli altri punti del segmento dei contatti, pur mantenendo valori modesti in quanto l'estensione del segmento dei contatti è abbastanza piccolo rispetto al diametro delle ruote dentate. Per le ruote dentate ad assi sghembi invece, non esiste un punto in cui la velocità relativa si annulla ed essa anzi è dello stesso ordine di grandezza delle
130
131
velocità periferiche delle due ruote dentate. La potenza persa per attrito in queste ruote è quindi evidentemente superiore, a parità di potenza entrante, a quella dissipata in una coppia di ruote dentate ad assi paralleli, e pertanto il rendimento della trasmissione assume nel primo caso valori inferiori a quelli relativi al secondo.
z-z
~nJVt~,
4-y.--J
)
conseguenza inclinata di un angolo {)n rispetto al piano tangente comune due cilindri di riferimento. Si avrà dunque, con riferimento alla Fig. 98: PR. {
P*
.
aJ
= PN sin 'I'Jn = PN COS {)n
dove PR. e p• sono rispettivamente la componente radiale e la componente nel piano tangente della forza scambiata tra i denti. In presenza di attrito si avrà, oltre alla forza FN normale alla superficie, una forza tangenziale Fr diretta. secondo la tangente comune alle eliche dei due denti e di intensità pari a f PN, se con f si indica il relativo coefficiente di attrito. Considerando le forze che la ruota l esercita sulla ruota 2 i versi di Fr e di FN sono quelli indicati nella Fig. 98. Individuate le forze scambiate fra le due ruote, si è ora in grado di determinare le componenti assiale, radiale e tangenziale della forza scambiata fra i denti. Sempre con riferimento alla Fig. 98, si ha: per la ruota motrice 1: R1
>5l'l '
rpc,
r--·
{ (,'l
V, /~
Per il calcolo del rendimento della trasmissione quando si adottino due ruote dentate ad assi sghembi, conviene considerare le forze scambiate fra i denti delle due ruote quando il contatto avviene nel punto C di ta:ngenza fra i cilindri primitivi. In realtà il punto di contatto fra i denti si sposta lungo il segmento dei contatti, ed il rendimento effettivo varia da istante a istante ma le sue variazioni sono così piccole rispetto al valore medio da permette;e di assumere con buona approssimazione un rendimento costante e pari al valore di quello ottenibile quando il contatto an-iene nel punto C (Fig. 98). In assenza di attrito, la forza scambiata fra i denti risulta normale alle superfici dei due denti a contatto; nel piano normale alla tangente comune alle eliche dei due cilindri di riferimento (piano ::-:: nella Fig. 98) essa è di
A1
= PN cos {)n sin
+ JPN sin 01
OJ -
f PN cos Cl l
per la ruota condotta 2:
R2 = PNsin'I'Jn Q2 = PN cos {),., cos 0'2- f PN sin cr2 { A2 = PN cos {)n sin 02 + J PN cos cr2
~
Fig. 98 - Forze scambiate fra i denti di una. coppia di ruote dentate elicoidali ad assi sghembi
=PN sin {)n
Q l = PN cos {)n cos cr1
Le coppie C1 e C2 a.genti sugli assi delle due ruote sono equilibrate dal momento della componente tangenziale della forza scambiata fra i denti, per cui: cl =Ql7'1 = PN1'l(cost7ncosal+fsincrl) { c2 = Q27'2 = PN1'2(costln COSCI'',!.- [sin cr2) da cui si ottiene:
c2 r2(cost9n cosa2- fsina2) cl = rl (cos {),., cos Clj + f sin Q l)
Tenendo presente ora che r· 2 = m 2z2/2 = m 71 ::'.!./2cosa2 e inoltre che r1 mnzd2cos a 1 , si ricava in definitiva: (2.i5)
C2 C1:
Z2(cos'I'Jn-ftga2) ZJ(C0St9n+ftgal)
=
132 ed il rendimento risulta pertanto espresso da:
(2. 76)
Poichè l'angolo. 1'1n è di solito abbastanza piccolo, si usa sovente una espressione approssimata del rendimento assumendo cos 1'1n l e ottenendo perciò dalla (2. 76):
=
=
=
Dalla (2.76) si ottiene ovviamente che 17 l per f O e non deve stupire il fatto che si ritrovi un valore unitario del rendimento anche per le condizioni a 1 = -a 2 , ossia nel caso di ruote dentate elicoidali ad assi paralleli. Ciò deriva in realtà dali 'aver ipotizzato che il contatto tra i denti avvenga unicamente nel punto di tangenza C fra i cilindri di riferimento, punto che, nel caso di ruote· ad assi paralleli, gode della propr~età di possedere velocità di strisciamento nulla con conseguente assenza di perdite di potenza dovute all'attrito.
Durante la rotazione della vite, questa dentiera ideale trasla parallelamente alla propria retta di riferimento, inviluppando nel piano mediano le sezioni dei denti della ruota, che risultano avere profilo ad evolvente di cerchio. Nel piano principale perciò l'ingranaggio a vite si comporta come un ingranaggio dentiera-ruota cilindrica ad evolvente. Il cilindro di riferimento della vite (in base al quale sono definite le dimensioni nominali della dentatura) è chiamato cilindro medio, ed r è il valore del raggio medio (di tale cilindro). Fig. 99 - Ingranaggio a vite
3.16 - Ingranaggi a vite Gli ingranaggi a vite sono ingranaggi costituiti da due ruote dentate cilindriche elicoidali che trasmettono il moto fra due assi sghembi a 90° con piccolo rapporto di trasmissione (Fig: 99). L'elemento generatore di tali ingranaggi è una vite; l'elemento generato ad esso coniugato è una ruota a vite. Tale ruota è usualmente sagomata in modo da avvolgersi un poco attorno alla vite, nella sezione normale all'asse della vite; la sua forma viene quindi a essere non più cilindrica, ma torica. In una vite le dentature assumono l'aspetto di filetti elicoidali avvolgentisi con passo costante attorno all'asse della vite, detti anche principi della vite. In un ingranaggio a. vite (detto anche a vite senza fine e ruota elicoidale) il piano passante per l 'asse della vite e perpendicolare all'asse della ruota \·iene detto piano principale. Nella Fig. 100 sono rappresentate la sezione di un ingranaggio a vite con il piano principale e la sezione con un piano passante per l'asse della ruota e perpendicolare all"asse della vite. La sezione della \·i te cilindrica rappresentata. nella. Fig. 100 è identica. a quella di una dentiera a denti trapezi.
Fig. 100 - Sezione di un ingranaggio a vite
135
134
al passo Pe dell'elicoide costituente la filettatura ed alla velocità angolare w1 della vite secondo la:
Si dice elica media l 'elica intersezione del fianco del dente con il cilindro medio della vite; essa ha un passo elicoidale Pe corrispondente alla distanza assiale fra due profili omologhi successivi di un medesimo filetto. Si chiama invece passo assiale Pa la distanza assiale fra due profili omologhi consecutivi della vite: si ha Pa = Pe se la vite ha un solo filetto, e Pa =p./ z1 se il numero dei filetti è z1. In Fig. 100 è rappresentato il caso di una vite a due filetti. n modulo assiale è il rapporto ma = Pafn. , La lunghezza della vite è la lunghezza della parte dentata della vite misurata sul cilindro medio parallelamente all'asse. L'addendum ed il dedendum sono le distanze fra il cilindro medio e, rispettivamente, il cilindro di testa e quello di piede; nel caso delle viti globoidali (Fig. 105), i cilindri sono sostituiti da superfici tori che medie, di testa e di piede, aventi cerchi generatori coassiali con la ruota. La ruota a vite coniugata con la vite ha. normalmente una dentatura che si sviluppa attorno ad un toro medio (vedi Fig. 100) di riferimento.
V
12
\
'
\
2~
(2.77)
Poichè le viti accoppiate alle ruote elicoidali sono quasi sempre a filetto trapezio, ne deriva, come prima. detto, che il moto del. profilo principale della vite nel piano principale è identico a quello di una dentiera che ingrana con una ruota dentata ad evolvente di circonferenza avente angolo di pressione 1'J. Se quindi r 2 è il raggio primitivo della ruota., la velocità angolare di quest'ultima è data, in base alla (2. 77), da.: V
l
.
r2
·
27r1"2
l
l
l
l
l l·
Z!PaWJ
w2=-=-D'altra parte il passo assiale della vite deve essere uguale al passo frontale della ruota, per cui, introducendo il numero di denti z2 della ruota, si ha:
l ~ l
Pe
27r WJ
Indicando quindi con z1 il numero di principi della vite e con Pa il passo assiale, si ha:
02 ;!-
\'
=
l
ed il mpporto di trasmissione vale in definitiva: h
/
i li
lr, ' q_-_____ j_·-------~~------------_!21 Fig. 101 - Ingranamento della vite senza fine e della ruota elicoidale nel piano principale
1-.Ientre la vite ruota. attorno al proprio asse, la dentiera equivalente trasla nel piano principale con una velocità i! il cui valore è proporzionale
(2.78)
n rapporto di
W2
ZJ
wl
z2
r=-=-
trasmissione tra vite senza fine e ruota elicoidale è quindi pari al rapporto tra il numero di principi z 1 della vite ed il numero di denti z2 della. ruota. Poichè il numero dei principi della. vite è normalmente piccolo, mentre il numero dei denti della ruota può anche essere molto grande, il rapporto di trasmissione tra. vite e ruota è sempre piccolo e può assumere valori dell'ordin-e di 1/100. La forma. e l'estensione della. superficie di contatto tra vite senza fine e ruota elicoidale dipendono dalla. forma. e dalle dimensioni dei denti della ruota e del filetto della vite, ed il contorno della superficie stessa è individuato dalle tronca.ture della vite e della ruota. e dalle superfici piane che delimitano assialmente la ruota. Per il tipo più comune di ruota elicoidale, rappresentato nella Fig. 100, la superficie dei contatti assume una forma a ferro di caYallo così come è
136
illustrato nella Fig. 102. In tal caso, mentre la vite ruota nel verso indicato dalla freccia, il filetto avanza nella direzione indica.ta; nell'istante particolare rappresentato in figura, i denti a contatto sono quattro e Je rispettive linee di contatto sono indicate con 1,2,3 e 4, ed è palese che ad ogni giro della vite la linea di contatto 1 si sposta in 2,2 in 3 e così via.
)
4-3
;r
1l\ r
vz
A
137
Per valut,-e la forza scambiata fca vite e >uota si Indichi con F (Fig. 104) la fona che la vite "'ercita sulla ruota in direzione normale alle due 'Uperfici a contatto. In presenza di attrito e&sterà, oltre a detta forza P, anche una for" di attrito F., il cui modulo vanà 1F se con 1 si indica il coefficiente di attrito. relativo aJ tipo di materiali a contatto. ~uora
i /'--
Il
-
r---.
2
1-
~ Jl ~ v~
l l ---~
l/
Traccia del fil erro dc lla vi re
l
. ''
Asse vi re
3J
4
v
_y
'
l
'
l '
Fig. 102- Luogo dei contatti tra vite senza fine e ruota elicoidale: Z ::: zona di contatto
v, "' V1 cos a + v,
sin
a
--Fig. 103- Velocità della vit.e e della ruota in un ingranaggio a vite
Le velocità periferiche Vl e V2 della vite e della ruota valgono rispettivamente: Vl ::: W t r1 v2::: w2r2
e sono dirette a 90° una rispetto all'altra. Indicando con ex l 'angolo formato fra-la traccia del filetto e la perpendicolare all'asse della vite (Fig. 103), si ha che, essendo uguale la componente VN di velocità normale al filetto: x
ossia: W2
rl
Zt
w1
r2
z2
-=-tgcx=:-
La velocità di strisciamento (velocità relativa) è:
Fig. 104 - Forze scambiate tra vite e ruota
(2. 79)
Con riferimento alla Fig. 104 si può allora concludere che le componenti della forza complessiva che la vite esercita sulla ruota sono da.te da.:
139
138
Nella determinazione della forza ora fatta si è supposto che la vite fosse motrice e la ruota resistente. Ciò corrisponde al caso di normale funzionamento di un ingranaggio a vite. Se, invece la ruota è motrice e la vite è condotta, l'espressione del rendimento (2.83) si capovolge e si scambiano i segni + e -, per cui si ottiP.ne un rendimento per funzionamento inverso:
= F(costln cosa- /sin a) Fy = Fsin tln F, = F(costlnsina+fcosa)
F:r (2.80)
dove l'angolo tln secondo la:
{
è ancora esprimibile in funzione degli angoli
tgtln
(2.81)
Le intensità delle coppie vite sono date da:
GR
iJ
ed a
=tgi'Jcosa e cl' agenti sugli assi della ruota e della
per cui si ha: (2.82)
GR Cv
F:r1'2
r2
= Fz r1 = r1
·
cos tln cosa- f sin a cos tln sin a + f cosa
(2.84)
7];
=
tln - J/tg Cl' costln+ftga
COS
Da questa relazione si può facilmente osservare che, per piccoli angoli a di inclinazione del filetto, il rendimento è molto basso anche per piccoli valori del coefficiente di attrito. Si pÙò inoltre facilmente ottenere il caso di rendimento nullo o addirittura negativo; ciò sta a. significare che in queste condizioni l'ingranaggio è irreversibile, ossia che il. flusso di potenza può solo avvenire dalla vite verso la ruota. Gli ingranaggi a vite globoidale sono ingranaggi vite-ruota dentata in cui il raggio medio della filettatura della vite varia nel modo illustrato nella Fig. 105. In tal modo, la vite assume un aspetto particolare, comunemente detto a clessidra, e avvolge la ruota (Fig. 105 a), mentre a sua volta la ruota avvolge la vite (Fig.l05 b).
D'altra parte, in base alla geometria della vite e della ruota si ha: z2 -r2r1 = -tga Zl
e pertanto la (2.82) diventa: CR Cl' =
Z2
COS
Z1 • COS
iJ n
t9n
-
f tg Cl'
+ (! jtg a)
e da questa è facile ricavare che, se f =O, GR/Cv= z2/z 1 = Ijr. il rendimento 7J della trasmissione, espresso al solito come rapporto tra la potenza utilizzata e quella assorbita, vale: (2.83)
e si può osservare che nel ca.mpo dei valori di a normalmente utilizzati (0° 745°), il rendimento cresce al crescere dell'angolo stesso. Come per le ruote dentate elicoidali, così nell'accoppiamento vite senza fine-ruota elicoidale la presenza di una dentatura elicoidale genera una spinta Fr lungo l'asse della vite ed una. spinta. F. lungo l'asse della. ruota, spinte che debbono essere sopportate adottando opportuni cuscinetti reggispinta.
b)
a)
Fig. 105- Ingranaggio a vite globoidale
Questo particolare tipo di ingranaggio a vite è stato proposto da Hindley nel1765 al fine di diminuirne l'usura dei filettì. Tuttavia solo lo sviluppo di un particolare metodo di intaglio, ottenuto in tempi recenti da Samuel I. Cone, ha permesso la realizzazione pratica. di queste viti. In tale soluzione costrutth·a i denti della ruota sono diritti ed il filetto della vite è tagliato in modo da seguire i denti stessi.
141
140
3.17 - Ingranaggi ipoidi
Come detto nel paragrafo 3.14, gli ingranaggi ipoidi sono quelli costituiti da una coppia di ruote dentate ad assi sghembi in cui la zona dei conta.tti non si trova in corrispondenza della. perpendicolare comune fra gli assi.
Le linee giacenti su questi due piani sono tracciate a tratto pieno; le linee perpendicolari a questi piani sono tracciate a tratto e punto; tutte le altre linee sono tratteggiate. n punto medio di contatto M deve essere compreso fra i piani per gli assi normali alla perpendicolare comune; esso può essere individuato con riferimento,.ad esempio, al pignone di asse x1, dando la distanza X1 H 1 B 1 fra il punto H 1 ed il piano normale ad x1 in cui si trova M; la distanza r 1 M B 1 fra M e l 'asse x 1 ; l 'angolo e:- 1 fra la direzione di M B 1 ed il piano 1 1r normale alla perpendicolare comune agli assi. La distanza X 1 specifica il piano di rotazione in cui si trova M; r 1 rappresenta il raggio medio del pignone; e: 1 fornisce l'orientazione di M nel piano di rotazione. n punto M' è la proiezione di M sul piano ;r'; perciò e: 1 è l'angolo compreso fra le direzioni di M' B 1 e M B 1 • Analogamente si possono definire le quantità X 2 , r 2 , e: 2 , relative alla individuazione del punto M rispetto alla ruota di asse X2· n piano per M norrr::ale ad x2 taglia tale asse nel punto Bz a distanza X 2 da H 2 ; la distanza M B 2 vale r 2 e l'angolo e: 2 è quello compreso fra la direzione di M B 2 ed il piano 1r11 • Si indicano inoltre con M" la proiezione di M su 71"2, con B1' la proiezione di B1 su 11" 11 e con B2 la proiezione di B 2 su 1r'. Per il punto M passa una retta. incidente entrambi gli assi x 1 ed x2 , rispettivamente nei punti A 1 ed A 2 • Le proiezioni di A 1 ed A 2 rispettivamente su 1r" e 1r' sono indicate con A~ ed A2. Se ora si vuole realizzare l'ingra.na.mento mediante ruote sghembe aventi superfici di riferimento coniche, se ne possono definire i vertici V1 e V2 sugli assi x 1 ed x 2 (vedi Figura 107). Le aperture angolari dei due coni so 1 e so 2 , corrispondono rispettivamente agli angoli fra la direzione di MV1 e l'asse x 1 e fra la direzione di MV2 e l'asse x2. Le generatrici .MV1 ed MV2 sono a contatto tangente in M; il piano .MV1 V2 (tratteggiato in_ Fig. 107) è tangente ad entrambi i coni di riferimento delle due. ruote ipoidi. La retta A 1 A 2 , che congiunge entrambi gli assi con M, coincide perciò con la normale al pia.no MV1V2 , ed è quindi chiamata. verticale principale deli 'ingranaggio.
=
=
Fig. 106- Definizione geometrica della trasmissione fra assi sghembi con ruote ipoidi
La Fig. 106 rappresenta a.ssonometricamente gli assi sghembi x1 e x2 formanti un angolo 1/J. Siano H 1 e H 2 i punti in cui tali assi sono intersecati dalla perpendicolare comune. In :figura 106 sono individuati i piani 1r' e "" normali alla perpendi· colare comune e passanti per i due a.ssi .r 1 ed x2 , tracciando per H1 ed H2 le parallele rispettivamente agli assi x 2 ed :t· 1 •
143
142
L'angolo compreso fra M A 1 e l'asse x 1 vale quindi 71'
fra MA 2 el'asse x 2 vale 2-cp2.
71'
2- cp1,
relazioni seguenti: ,
e l'angolo
r1
x1
MA 1 = - cos \!'l
(2.87)
. At
{
MA?=~ -
'
(2.88)
l '
l
ft' ' ,
cos \!'2
ll
'
l
'
:!!.. -l(Jz 2-
Xz
Fig. 107- Piano
71'o
tangente comune ai coni medi di ruote ipoidi
Si chiamino ora 2 1 =M M'; Zz
zl (2.85)
yl
= M.M";
= BzM".
Si ha:
r1
sin é1
= rz coséz
essendo a= H1H2 la distanza. fra. gli assi. Inoltre, dalla rappresentazione del piano (2.86)
Yz
= 1'1 sin éj = 7'! cos é!
{ Zz = r2 sin éz = a Y2
= B1M';
Y1
Fig. 108- Piano
71'
1
s~
in Figura. 108 si ricava.:
= X 1 sin 1j; - Y1 cos 1j; X 2 = Y1 sin 1f; + X 1 cos 1j;
71'
1
per l'asse x 1 parallelo all'asse x 2 delle ruote ipoidi
hanno quindi le espressioni seguenti:
(2.89)
·{ Yz
Essendo stati assegnati i valori X 1 , r 1 , é 1 , ed essendo inoltre dati i valori a, 1/;, della distanza e dell'angolo fra gli assi, dalle (2.85) e (2.86) si ricavano i valori Y1, Yz,Zl,Zz, ed inoltre X 2 ,1· 2 ,é 2 ; si ottengono cioè i dati relativi alla posizione di M riferita. alle ruote dell'ingranaggio. Inoltre si hanno le
(2.90)
cos \!'!
= sin é2
cos cpz
sin é 1
~)2- a2 =(Xl+ l'I tg~l)2 + (.\'? + 7'•, tg'"?)2+
+ ( _r_l_ cos l-'l cos
r
- 2(XI
-
-
,__
+ 1"! tg 9I)(Xz + 1·2 tg 92) cos 1/J
Le (2.89) e (2.90) definiscono i valori degli angoli di apertura 9 1 e 9 2 dei coni di riferimento delle ruote ipoidi. Le posizioni dei vertici di tali coni sono
--
145
144
sono date dalle distanze w 1 e w2 fra i vertici V1 e V2 e, rispettivamente, i punti B 1 e B 2 , centri dei cerchi medi di funzionamento. Si ha allora:
Le lunghezze medie delle generatrici R1 coni valgono: R1 (2.92)
=V P 1
ed R2
= V2P
dei due
= .-.!:.!.__ sin 101 r
2 { R2= -.--
(2.91)
sml02 V1M e
L'angolo 4J fra le generatrici V2 M di tangenza dei due coni col piano 1r 0 tangente comune raffigurato nella Figura. 109 a è dato dali 'espressione: (2.93)
cos 4J
cos'if; = cos 101 cos <,:'2
+tg
Nelle Figg. 109 b e 109 c sono rappresentate le sezioni normali al piano della Fig. 109 a, contenenti rispettivamente gli assi x1 ed x 2 delle due ruote. Le velocità delle due ruote nel punto di contatto M giacciono nel piano "o e valgono V1 = w1r1 e V2 = w21·2· La loro posizione è normale alle rispettive generatrici Vll'\1 e V2 M (Fig. 110).
a)
b)
Fig. 110 - Velocità di strisciamento fra i denti di due ruote ipoidi
La velocità relativa. Vr è parallela. alla. tangente comune alla traccia dei denti nel punto M. Essa forma. rispettivamente gli angoli cx 1 e a 2 con le generatrici V1 M e V2 M. Si ha quindi:
c)
X2
Fig. 109- a)- Proiezione degli assi delle ruote i poi di sul piano iTo. b)- Piano normale a
2
;r 0
per l'asse della ruota l. c)- Piano normale a
;r 0
per l'asse della ruota
146
147
Queste relazioni permettono di calcolare gli angoli di spirale a1 e a2 in funzione del rapporto di trasmissione w2/w1 = zdz2 e dell'angolo
Fig. 112- Ingranaggi spiroidi (Illinois Tool Work Inc.)
Fig. 111 -Ingranaggio ipoide con angolo di 90° fra gli assi
Nella Fig. 111 è rappresentato un ingranaggio ipoide con angolo fra gli assi di 90°.
3.18 - Ingranaggi spiroidi ed helicon Fig. 113- Ruote helicon (Illinois Tool Y'i'ork Inc.)
Gli ingranaggi spiroidi ed helicon, brevettati dalla illinois Tool Work, sono costituiti da una vite senza fine a più principi (nel primo caso, con filetti avvolti su un cono; nel secondo caso, con filetti avvolti su un cilindro), che costituisce l'elemento generatore, e da una ruota conica di tipo frontale. Tale ruota ha superfici di riferimento, di troncatura e di fondo piane e parallele all'asse della vi te nel caso degli ingranaggi h eli con (Fig. 113); tali superfici sono leggermente rastremate nel caso degli ingranaggi spiroidi (Fig. 112).
3.19 - Ingranaggi speciali Si è visto in precedenza che la condizione necessaria affi.nchè il rapporto di trasmissione tra. due ruote denta.te sia costante è soddisfatta quando le loro primitive sono due circonferenze. In alcune applicazioni particolari invece può esistere la necessità di ottenere un rapporto di trasmissione variabile periodi-
149
148
camente nel tempo secondo una determinata legge. Ciò può essere ottenuto o con l'ausilio di opportuni meccanismi o ricorrendo all'uso di ruote dentate aventi le primitive non più rappresentate da circonferenze, bensì da curve aventi forma tale da realizzare la legge del moto voluta. Le ruote dentate non circolari sono generalmente più costose dei corrispondenti meccanismi che realizzano la stessa legge del moto, ma ciò nonostante esse trovano appplicazione nella tecnica. in quanto offrono una maggiore compattezza ed una migliore e più facile possibilità. di equilibra.mento, fattori questi di particolare importanza negli organi rotanti ad alta velocità. In linea di massima le ruote dentate non circolari possono essere suddivise in due categorie: - ruote dentate nelle quali si richiede unicamente una sensibile variazione della velocità angolare della. ruota condotta (ad esempio negli ingranaggi che comandano macchine utensili in cui la corsa di ritorno deve essere più rapida della corsa di lavoro); · - ruote dentate che debbono realizzare una precisa legge del moto (ad esempio generare funzioni di tipo trigonometrico).
quando rotolano senza strisciare l'una relativamente all'altra. Per determinare l'espressione del ra.pport di trasmissione si consideri ancora la Fig. 114: se P 1 e P2 sono i punti delle due ellissi che verranno '""" ,.-.. a contatto in C, sarà evidentemente P1C=P2 C. I triangoli F 1 P1 F{ e F2 P2F~ sono pertanto uguali e sono di conseguenza uguali gli angoli t?]. e t? 2 • n rapporto di trasmissione nella posizione indicata in figura è d'altro canto fornito da: W2
F!C
Wj
F2C
r=-== mentre quando i punti P1 e P2 sono venuti a contatto in C esso vale:
In base alle proprietà. caratteristiche dell'ellisse si è in grado di scrivere inoltre che: F 1 P1 + F{P1
= 2a
e F 1 F1
= 2e
Applicando infine il teorema di Carnot al triangolo F{ P F 1 : F{P[
2b
= F1P? + F 1 F{ 2 - 2F1P 1 · F 1F{ cos(1r- t?J)
si è in grado di ricavare, dopo alcuni semplici passaggi che: T=
2a
Fig. 114 - Ellissi primitive di 11na coppia di ruote dentate ellittiche
Tra le ruote dentate non circolari, le più comuni sono quelle ellittiche (Fig. 114). In esse le primitive delle due ruote sono rappresentate da due ellissi uguali che ruotano attorno a. due assi coincidenti con i loro fuochi F 1 e F2. Si indichino ora con a e b i semiassi delle due ellissi e con e . la loro eccentricità: poichè la somma della distanza di un punto dai due fuochi di un 'ellisse è costante e pari a 2a, e poichè le ellissi sono uguali, si può affermare che le due ellissi rappresentano effettivamente le pr\mitive del moto
? ? a-+ e-+ 2ae cos .o u1
Come si può notare, il rapporto di trasmissione tra due ruote dentate ellittiche non è più una quantità costante ma varia da un valore minimo (per t? 1 =O) pari a: a-e
Tmin=a+e
ad un valore massimo (per t? 1 = 1r) definito da: Tmax
a+e = -a-e
Si consideri ora (Fig. 115) la ruota ellittica (a) in rotazione attorno ad uno dei due fuochi: essa può ingranare, oltre che con una ruota ellittica identica, anche con ruote denta.te vincolate nel loro centro ed in possesso di
6. JACAZIO-PIOl\.fBO - La trasmissione del moto
l
1
150
primitive di forma o ellittica.oppure a più lobi. La ruota ellittica (a) (detta ellisse fondamentale) può dunque accoppiarsi con ruote aventi per primitive le curve (2), (3) e (4) e ruota.nti rispettivamente attorno ai punti B,C e D.
151
primitiva a for,ma di spirale logaritmica (Fig. 116). Per queste ruote dentate, utilizzate solo per escursioni angolari limitate e mai estes.e all'intero giro, il valore del rapporto di trasmissione è ricavabile nel modo seguente: siano 1? 1 e 1? 2 gli angoli di rotazione contati a partire dalla configurazione in cui le distanze 0 1C e 0 2C sono uguali; i raggi r 1 · e r 2 saranno allora espressi da:
dove k è la costante della spirale logaritmica. D'altro canto, i raggi r 1 e sono legati tra loro dalla relazione:
1· 2
per cui si ottiene in definitiva, dopo alcuni passaggi: Fig. 115- Ingranamento dell'ellisse fondamentale (a) con ellissi di ordine superiore
T:-,----
~-é"• l'o
Dette primitive prendono il nome di ellissi del secondo, terzo e quarto ordine e possono anche essere accoppiate tra loro; un particolare curioso ad esempio è fornito da due ruote dentate ellittiche con primitive del quarto ordine ingrananti tra loro in quanto una volta costruite, assumono approssimativamente l'aspetto di due ruote dentate quadrate.
Come si può osservare, il rapporto di trasmissione aumenta rapidamente con 1? 1 P.d addirittura tende ad infinito al tendere di t9 1 al valore l i t?1 =-Ink l'o
3.20 - Forze dinamiche sui denti
.l Fig. 116 - Ruote dentate a spirale logaritmica
Un altro tipo di ruote dentate non circolari è quello di ruote dentate con
Nei paragrafi precedenti sono state valutate, per vari tipi di ruote dentate, le forze che queste si scambiano quando sono animate di moto uniforme nel caso che esista un ingranamento perfetto (ossia in assenza di giochi) e che si abbia una sola coppia di denti in presa. In realtà queste tre condizioni sono soltanto in parte soddisfatte, sia perchè non sempre il moto è uniforme, sia perchè il numero delle coppie di denti in presa è variabile, sia infine perchè a causa delle imprecisioni di lavorazione avvengono durante l'ingranamento urti tra i denti, urti che provocano variazioni istantanee dei valori sia della. velocità delle ruote sia dell'intensità della forza trasmessa. Per ciò che riguarda la non uniformità del moto, è chiaro che, se una delle ruote di una coppia di ingranaggi è solidale ad un albero motore su cui è
153
152 applicata una coppia C (Fig. 117), se I è il momento di inerzia complessivo della ruota dentata e di tutte le masse rotanti con l'albero considerato, ed il sistema sta accelerando con una accelerazione angolare pari a dwfdt, la componente tangenziale Q della forza scambiata tra i denti, qualunque sia il tipo di ingranaggio in esame, vale: Q
C- I(dw/dt) = ---'---'---'rl
la parte abcde del diagramma della forza scambiata visibile nella Fig. 118. Negli istanti successivi, tratto f g della curva, il valore della forza scambiata si stabilizza attorno ad un valore medio che è con ottima approssimazione uguale a quello calcolato con le formule ricavate nei precedenti paragrafi. Infine, quando una ulteriore coppia di denti entra in presa, l'intensità della forza scambiata ass·ume un valore inferiore (tratto hi del diagramma) per poi annullarsi definitivamente quando i due denti si disimpegnano. F
1
f
~ì
dw
dt
Fig. 117 - Componente tangenziale della forza scambiata fra i denti di due ruote di un sistema in fase di accelerazione
Rispetto alle condizioni di moto uniforme si verifica dunque, a causa della presenza delle azioni di inerzia, una diminuzione dell'intensità della forza tangenziale quando l'albero motore accelera. ed un aumento della forza stessa quando l'albero decelera. Per quanto concerne invece il fatto che il numero di denti in presa è in genere variabile, vale la considerazione che, se le ruote dentate fossero nel modo più assoluto esenti da difetti di lavorazione, il carico verrebbe approssimativamente diviso in parti uguali fra i vari denti in presa e le uniche variazioni della sua intensità si otterrebbero di conseguenza prevalentemente in corrispondenza dell'inizio o d:lla fine dell'ingranamento di ogni coppia di denti. Se però si esamina un diagramma sperimentale della forza istantanea scambiata fra due denti in presa, si può osservare (Fig. 118) che esso presenta in genere un andamento molto irregolare, e ciò è dovuto sia alla deformabilità dei denti sotto I'effetto del carico, sia alle in accuratezze di lavorazione sia ad eventuali disallineamenti degli assi. In particolare, le maggiori sollecitazioni dinamiche si verificano quando vi è un errore positivo sul passo e mentre una nuova coppia di denti entra in presa: a questa fase corrisponde
'
(
d
.J
Fig. 118 - Andamento della forza istantanea scambiata fra una coppia di denti in presa
I valori dei due picchi di carico Fa e Fd sono funzione dell'errore di lavorazione della. ruota dentata, della sua. velocità periferica, dell'inerzia e della deformabilità delle due ruote denta.te. Una giustificazione della loro esistenza può essere fornita da un punto di vista. qualitativo in modo abbastanza semplice. Si considerino infatti le due ruote dentate in presa indicate nella Fig. 119; il contatto teorico fra i due denti D1 e D 2 avviene lungo il segmento dei contatti AB e la normale comune ai due denti in presa passa sempre per C, in modo che il rapporto di trasmissione vale costantemente:
154
155
se con 11 e 12 si sono indicati i momenti di inerzia delle due ruote rispetto alloro asse. f-a costante c1, funzione dell'angolo di pressione, è invece pari a: CJ
=
2 tg 19(1 - cos t9) tJ2
ed in particolare per t1 = 14° 30' e per t1 = 20° si hanno rispettivamente c1 = O, 257 e c1 = O, 360. Poichè invece i materiali costituenti i due denti posseggono una certa elasticità, la forza scambiata fra i denti è di intensità minore, in quanto al nascere della forza corrisponde una deformazione dei denti stessi con una conseguente diminuzione del valore effettivo dell'errore sul passo. Al limite, se· P è la forza scambiata in una coppia di denti in presa in condizioni di moto uniforme e 8 è la corrispondente deformazione complessiva dei due denti sulla circonferenza. primitiva, la forza limite i'2 che corrisponde a una deformazione a.ggiui1tiva. pari all'errore e vale: Fig. 119 - Effetto dell'errore e sulla trasmissione del moto tra due ruote dentate
Se però esiste un errore di lavorazione, in conseguenza del quale il passo tra i denti misurato lungo la primitiva risulta diminuito rispetto al valore nominale di una quantità e, ossia se il profilo effettivo del dente D~ è rappresentato ~
(2.95)
La deformazione 6 è a sua volta esprimibile mediante la: (2.96)
~
dall'arco M'N' anzichè da M N, il contatto fra i denti D; e D2 inizia già nel punto R mentre i denti D1 e D 2 sono a contatto in C. La normale in R alle superfici dei denti D; e D~ interseca perciò il segmento 0 1 0 2 nel punto C' interno a 0 2C e pertanto la ruota condotta (2) accelera mentre la ruota motrice (1) rallenta. Ora, nel caso di denti infinitamente rigidi, la forza fl\ che i denti D~ e D2 si scambiano, forza dovuta unicamente alle azioni di inerzia agenti sui corpi (l) e (2), è esprimibile, secondo quanto calcolato da Buckingham, sotto la forma: (2.94)
dove v è la velocità periferica delle due ruote dentate e m è la massa equivalente delle due ruote denta.te e delle masse a.d esse solidali, pari a: m.=
m1m2 m1 +m2
sono a loro volta uguali a:
1)
F2 = F (~ + 6 .
6 =Co!_ -b
(...!_ + ...!_) E1 : E2
dove b è la larghezza del dente, E 1 .. ed · • E 2 . sono i modelli di elasticità dei materiali costituenti i denti e c2 una còsta.nte a.dimensiona.ta. che dipende dall'angolo di pressione e dal proporzionamento con il quale il dente è stato realizzato. Per proporzionamento modulare e 1'J = 14°30' si ha c2 = 9,345, mentre per t1 = 20° si ha c2 = 9, 000 con proporzionamento modulare e c2 = 8, 700 con proporzionamento ribassato, proporzionamento che prevede per il dedendum e per l'addendum valori pari rispettivamente al modulo m e agli 8/10 del modulo stesso. La forza Fa dovuta all'accelerazione è quindi al massimo pari a i'? mentre sarebbe pari a F1 nel caso di denti infinitamente rigidi e sembra quindi ragionevole assumere per essa un valore pari alla media degli inversi: (2.97)
F a-
FIF2 F1 + F2
valore che definisce quindi l 'intensità del primo picco di carico. In seguito a questa fase di accelerazione, fase di brevissima durata nel tempo, la velocità angolare delle ruote varia rispetto al valore medio di regime; d'altra parte il punto di contatto fra. i denti D~ e D2 in seguito alla
156
157
rotazione delle ruote dentate si sposta sul sgmento nominale dei contatti AB, cosa che porta come conseguenza ad una rapida decelerazione della ruota condotta (2). A questa decelerazione corrisponde però una forza scambiata fra i denti di segno negativo e quindi un distacco tra i denti stessi (tratto e-d della Fig. 118). Negli istanti successivi, poichè la ruota motrice, sottoposta a una coppia concorde alla velocità angolare, accelera e quella condotta, soggetta a una coppia resistente, decelera, i due denti vengono nuovamente a contatto, ma questa volta con un urto, urto al quale corrisponde un massimo valore della forza scambiata pari a: (2.98)
dove F è l'intensità della forza. trasmessa. in condizioni normali da una sola coppia di denti in presa e F2 ed Fa sono date dalle (2.95) e (2.97). ll valore di Fa fornito dalla (2.98) rappresenta. il massimo valore istantaneo della forza scambiata fra i denti; tale valore, ricavato teoricamente da E. Buckingha.m, risulta leggermente superiore a quelli effettivamente riscontrati nelle indagini sperimentali e la (2.98) può quindi essere utilizzata nella determinazione del massimo carico dinamico risconirabi!e in una ruota. dentata con un'approssimazione ottima e favorevole alla sicurezza della ruota stessa. Per una più rapida, ma meno esa.tta. determinazione del massimo carico dinamico, può anche essere utilizzata la seguente formula approssimata: (2.99)
F+F"
Fa = F + --0..--:-75..----1 + -'-)F+ F•
v
dove V è la velocità. periferica delle ruote dentate espressa in m/s ed F" è una quantità, avente le dimensioni di una forza., espressa. da: be
F"
= ( -1 + -r) - E1 E2 C?
dove c2 è al solito il coefficiente che compare nella. (2.96) e b la. larghezza del dente. La (2.99) può essere usata per il calcolo del massimo carico dinamico solo in prima approssimazione e solo quando le inerzie delle due ruote dentate non sono troppo diverse; in caso contrario gli errori derivati dall'uso della (2.99) sarebbero di tale entità da rendere del tutto inaccettabili i risultati del calcolo.
3.21 - Prestazioni dei diversi tipi di ingranaggi Come è stato ampiamente esaminato nei paragrafi precedenti, la velocità periferica, il carico trasmissibile ed il rendimento di un ingranaggio dipendono dal tipo di ruota ad<;>ttato, dalla precisione della sua lavorazione e dalle condizioni di lubrificazione esistenti durante il funzionamento. Si possono tuttavia indicare i limiti delle prestazioni dei vari tipi di ruote dentate in condizioni normali, tenendo però presente che ingranaggi di alta precisione sono in grado di fornire prestazioni migliori di quelle indicate. Nella Tabella II sono per l 'appunto indicati i normali campi di valori del rapporto di trasmissione, del rendimento, della massima velocità periferica e della massima potenza trasmissibile per i vari tipi di ruote dentate descritte nel presente capitolo. TABELLA II - Prestazioni normali degli ingranaggi
Tipo di ingranaggio
Velocità periferica
Potenza massima
(m/s)
(kW)
0,9870,99 o, 98 7 o, 99
20 50
1800 15000
l 7 15
0,9870,99
150
20000
176 179
o, 94 7 o, 98 0,9470,98
15 40
400 4000
l 7 10 179 lO 7 100 3 7 100
o, 75 7 o, 95 0,85 7 o, 98 0,5070,95 o, 50 7 o, 97
25 20 30 30
80 500 400 80
Rapporto di ingranamento
Rendimento
l 7 10 l 7 15
Ad assi paralleli
- A denti diritti - A denti elicoidali - A denti elicoidali a freccia Ad assi incidenti
- A denti diritti - Ad asse dente curvo Ad assi sghembi
-
A denti elicoidali Ipoidi Spiroidi Ruote helicon
' J
4. ROTISMI
4.1 - Rotismi ordinari ~
r-t
~t(,': 1:::
.""t;:;.;ì"':O
Si definisce rotismo un sistema costituito da più ruote
Fig. 120- Esempio di rotismo ordinario
In un rotismo ordinario (Fig. 120) le velocità angolari di tutte le ruote sono note in valore ed in verso una volta nota la velocità di una di esse, ed il rapporto di trasmissione r del rotismo stesso viene di conseguenza definito in valore ed in segno: si avrà così un rapporto di trasmissione negativo se due ruote dentate ruotano in versi opposti (caso che corrisponde, quando si con-
-
161
160
sideri un accoppiamento di d~sole ruote dentate, a quello degli ingranaggi esterni), mentre si avrà un rapporto di trasmissione positivo tra due ruote dentate del rotismo q11~do gue_~te ruotano nello stesso verso (caso corrispondente a quello degli ingranaggi interni). Così, nell'esempio della Fig. 120 si avrà:
mentre il rapporto di trasmissione globale r vale: Wd- = Wd- Wb= Ta b • Te d= ( - Zc) ZaZc T= - ( - Za) - _- Wa Wb Wa ' ' Zd Zb ZbZd
Ne consegue che, in un rotismo ordinario analogo a quello indicato in Fig. 120, il rapporto di trasmissione globale altro non è che il prodotto dei singoli rapporti di trasmissione esistenti tra le velocità angolari degli ingranaggi componenti. Ora, se un rotismo contiene una ruota che ingrana contemporaneamente cgn_ altre due (Fig. 121), il rapporto di trasmissione tra la prima e l'ultima ruota non vede alterato, a. causa della presenza. della. ruota intermedia, il suo valore, ma unicamente il suo segno. Si avrà infatti: Ta,b
=
Tb,c
Wc =Wb
Wb
e quindi: T
= Ta,b
. 1ò,c
d:.;
= - Za
Zb Zb
W0
{
Avendo indicato con r il rapporto di trasmissione wd/Wa (Fig. 120), il rapporto tra le coppie agenti sulle ruote a e d, quando si supponga il moto uniforme e dotato di un rendimento pari a l, vale: Cd/Ca = wa/wd = l/r. Durante i transitori, sempre considerando un valore unitario del rendimento, il rapporto tra le coppie agenti sugli assi delle ruote d ed a è diverso da 1/r, poichè pròprio durante i transitori insorgono delle azioni di inerzia riducibili come effetto alla presenza di tre coppie agenti ciacuna su di un asse del rotismo. Si supponga ad esempio di indicare con Cm la coppia fornita dal motore collegato alla ruota a, con Gr la coppia resistente assorbita dall'utilizzatore collegato alla ruota d com lm e lr i momenti di inerzia polari delle masse (incluse quelle delle relative ruote dentate a e d) collegate rispettivamente all'albero del motore ed a quello dell'utilizzatore, e con h il momento di inerzia polare delle masse collegate all'albero intermedio. Se inoltre si indicano con Qa la componente tangenziale della forza scambiata fra a e b e con Qc la componente tangenziale della forza scambiata fra c e d e si scrivono poi le equazioni di equilibrio alla rotazione attorno ai tre assi degli alberi componenti il rotismo, si ottiene:
= -:~c
Za = Wc = -z . c ~ a
Per questo motivo alla ruota intermedia viene dato il nome di ruota oziosa ..
Fig. 121- Rotismo ordinario con ruota oziosa
Cm- lm-Jf
= Qara
d:..;b Qarb- lvdt
=Qcrc
Qcrd
dwd = lrdt +Gr
dove con r 0 ,rb,rc,rd si sono indicati i raggi primitivi delle singole ruote dentate. Introducendo il valore sia del rapporto di trasmissione globale sia di quelli parziali e risolvendo il sistema così ottenuto, si ricava: dwa dt
Cm - TCr
= lm + lbrJ,b + lrr = 2
Cm - rCr le
dove dwa/dt rappresenta il valore dell'accelerazione angolare istantanea dell'albero motore e dove con le si è indi_cato il momento di inerzia equivalente complessivo, ossia il momento di inerzia di quel volano fittizio che, posto sull'albero motore, provoca sull'albero stesso, a parità di altre condizioni, una accelerazione angolare identica a quella ottenibile nel rotismo reale. In un rotismo qualunque si è quindi in grado di effettuare la riduzione dei momenti di inerzia ad un unico asse del rotismo in esame sommando al momento di inerzia delle masse solidali all'albero stesso i momenti di inerzia delle masse collegate agli altri assi moltiplicati per il quadrato dei rispettivi valori del rapporto di trasmissione.
l }
162
163
4.2 - RiduttoH a rotismi ordinari
I riduttori a rotismi ordinari si distinguono in base al numero di ingranaggi presenti (riduttori a doppia riduzione, a. tripla riduzione, a quadrupla riduzione) e in base ;~Ila disposizione degli alberi di ingresso e di uscita. n rendimento di un riduttore a rotismi ordinari è costituito dal prodotto dei rendimenti dei singoli ingranaggi costituenti il rotismo. Nella Fig. 122 sono riportati esempi di riduttori a rotismi ordinari a diversi stadi di riduzione.
a)
4.3 - Moltiplicatori a rotismi ordinari
Un moltiplicatore di velocità funziona teoricamente come un riduttore di velocità alla rovescia; il rapporto di trasmissione globale è quindi sempre dato dal prodotto dei rapporti di trasmissione dei singoli ingranaggi costituenti il rotismo. Tuttavia, un moltiplicatore di velocità si differenzia da un riduttore sia per quanto riguarda il rendimento, che per alcune particolarità costruttive. Una caratteristica degli ingranaggi usati nei moltiplicatori di velocità è costituita dalla tendenza della punta del dente della ruota dentata condotta (che è la più piccola) a incunearsi del fianco del dente della ruota dentata più grande (che è la conduttrice). Questo fenomeno è il risultato degli inevitabili errori di intaglio delle dentature, per cui il fianco della ruota conduttrice giunge nel punto teorico di inizio di contatto prima del corrispondente dente del pignone. La punta del dente del pignone condotto, in questa condizione, tende ad asportare Io strato di lubrificante eventualmente presente, causando quindi una rapida usura e determinando una diminuzione del redimento. Per ridurre questo fe~omeno i denti delle ruote condotte nei moltiplicatori di velocità vengono sovente smussati con un opportuno raggio di raccordo sulla punta. Inoltre, i moltiplicatori di velocità vengono normalmente realizzati con ruote dentate corrette in modo da diminuire l'arco di accesso e aumentare l'arco direcesso. Confrontando le (2.50) e (2.51) si può osservare che, a parità di distanza dal punto di contatto teorico fra le due circonferenze primitive, il rendimento istantaneo in fase di recesso è leggermente migliore di quello in fase di accesso, e ciò compensa parzialmente il minor rendimento di un ingranaggio funzionante da moltiplicatore.
b)
c)
Fig. 122 - Riduttori a doppia. tripla e quadrupla riduzione
165
164
4.4 - Applicazione dei rotismi ordinari: cambio di velocità di una autovettura Una tipica applicazione dei rotismi ordinari la sì riscontra nella realizzazione dei cambi di velocità delle autovetture. La Fig. 123 illustra per l'appunto un cambio di velocità meccanico a tre marce più retromarcia: in es·so la ruota dentata A èsolidaleall'alberomotore (i) eleruotedentate B,C,E,G sono tutte solidali fra loro. Le ruote dentate A e B sono sempre in presa dì modo che ad una rotazione del motore corrisponde sempre una rotazione delle ruote B, C, E e G. Le ruote dentate D ed F, che nella Fig. 123 sono rappresentate in posizione di folle, possono invece scorrere lungo un albero scanalato, albero che costituisce la seconda estremità della linea di trasmissione che comanda le ruote motrici della vettura.
=
=
ZA = 15, ZB = 32, ZC = 26, ZD 21, ZE = 19, ZF = 28, ZG = 15, ZH 15 e si suppone inoltre di muovere il braccio di ·comando della ruota F verso sinistra in modo da farla ingranare con la. ruota E, si è in grado di ricavare per il rapporto dì trasmissione wu/w; il valore: ZA) ( ZE) T= ( -ZB -ZF
15) = ( -32
( -28 19) =0, 318
valore che corrisponde alla prima. marcia. Se invece si sposta la ruota D verso destra in modo da farla ingranare con la ruota C, il rapporto di trasmissione è dato da: T= (-ZA) = (-15) (-26) =Q, 580 ZB ZD 32 21
(-ZC)
e questo valore caratterizza la seconda marcia. Le ruote A e D portano inoltre delle dentature frontali X e Y, dentature che vengono ad impegnarsi tra loro quando la ruota D viene spostata a sinistra; in tal caso il moto viene trasmesso direttamente dall'albero motore (i) a quello di uscita (u) senza passa.re attraverso l'albero di rinvio ottenendo così una terza marcia con rapporto di trasmissione ovviamente unitario. Se infine si sposta la. ruota F verso destra. fino a farla ingranare con la ruota dentata H, si realizza la catena cinematica corrispondente alla retromarcia. In detta catena infatti la. ruota H, che ingrana contemporaneamente con le ruote F e G, altro non è che una ruota oziosa e per il rapporto di trasmissione si ottiene il valore: T= ( - 15)
32
(-~) 15
(- 15) =Q 268 28 '
Valore che, essendo negativo, si differenzia. nel segno dai tre prima calcolati e caratterizza quindi proprio la. retromarcia.
4.5 - Rotismi epicicloidali
Fig. 123- Cambio di velocità a tre marce più retromarcia
Se si suppone ora che i numeri di denti delle ruote, dentate siano
I,rotismi epicicloidali, costituiti anch'essi da più catene cinematiche di ruote dentate, si differenziano da quelli ordinari in quanto in essi gli alberi di alcune ruote non sono pii:1 fissi, bensì mobili. In un rotismo epicicloidale semplice (Fig. 124) di distinguono due ruote dentate principali, dette solari, che non ingranano tra loro e che ruota no attomo a due assi fissi e coincidenti e una o più ruote dentate, dette satelliti (o planetari), che ingranano con le due ruote solari ed i cui assi sono portati da un elemento rigido, detto portatreno,
167
166 .c~ota.a.sna yolta~a~wQ.:.a.
altrl-- che ru;ta.no- attorno ad ·-assi ~--
--~---·
planetari). ---
--.
solidali-~! Q~ir~o,
e cioè..i....satelliti (o ~
-
a)
Prima di calcolare il valore del rapporto di trasmissione di un rotismo epicicloidale è necessario osservare innanzi tutto che in esso, a differenza dei r.2_tismi ordinari, nei quali esistono un albero di ingresso ed un albero di uscita (ossia un albero motore ed uno condotto), esistono tre alberi differenti e si possono quindi ritrovare ca.si di due alberi motori ed uno condotto, o di un motore e due condoÙi, oppure di un albero fermo, uno motore e uno conc;i9.t.:tq. Ciò premesso, si_èjn g~ado di determinare .una relazione fra le velocità angolari w1 e w 2 dei· solari e la velocità angolari w1 e w 2 dei solari e la velocità angolare n del portatreno utilizzando il metodo seguente. Si , supponga di fornire a tutto il rotismo una velocità angolare n uguale ed opposta a quella del portatreno; così facendo, le velocità angolari dei due solari diventano WI -n e W2- n, mentre quella del portatrenO Si annulla ed il rotismo in esame, privato della caratteristica pec-uliare dei rotismi epicicloidali, si trasforma di conseguenza in un rotismo ordinario ad assi fissi. Se si indica ora con r il rapporto di trasmissione del rotismo ad assi fissi derivato da quello epicicloidale in esame, si è in grado di scrivere che: w2
Fig. 124- Schemi di rotismi epicicloidali semplici. Ruote l e 2: solari; ruote 3 e 4: satelliti (o planetari)
È chiaro che in un rotismo epicicloidale non tutte le ruote dentate possono essere scelte l'una indipendentemente dall'altra, poichè debbono essere evidentementé rispettate alcune condizioni di carattere geometrico. Nel rotismo della Fig. 124 a) si dovrà avere infatti:
-.n
r=--
(2.100)
wr-
n
La (2.100), detta formula di Willis, rappresenta una relazione di carattere fondamentale nel calcolo cinematico dei rotismi epicicloidali ed individua, come si è visto, il rapporto di trasmission§ del rotismo reso ordinario (ossia ad assi fissi). ~ Si consideri ad esempio il rotismo di Fig. 124 b e si supponga che la corona dentata (2), solidale alla scatola del rotismo, sia fissa; in tal caso gli unici organi in rotazione saranno pertanto rappresentati dall'albero (l) e dal portatreno (P). I numeri di denti delle ruote dentate (l) e (3) siano z1 23 e z3 14 e si voglia determinare il rapporto njw 1 tra le velocità angolari del portatreno e dell'albero (1). n rapporto di trasmissione del rotismo reso ordinario (ossia a portatreno fisso) varrà dunque:
=
=
condizione che, se i moduli delle ruote dentate sono uguali tra loro, corrisponde ~~
-
Ed analogamente nel rotismo della Fig. 124 b) deve essere rispettata la condizione:
con z2 pari a: Z2
Ne consegue che, in un rotismo epicicloidale, i parametri che caratterizzano una ruota dentata risultano automaticamente determinati una volta che siano stati stabiliti quelli relativi a tutte le altre.
= ZI + 2z3 = 23 + 2 X 14 = 51
Per cui si otterrà in definitiva: zr
23 51
T=--=--= -0,4.51 Z2
169
168
Essendo ora nulla la velocità angolare Willis sarà esprimibile mediante la: T=
w2
della corona esterna, la formula di
-n
E_=
ws
-0,451 = - , wl- n
è, conCludendo, il rapporto di trasmissione cercato 'varrà: w1
Volendo infine calcolare la velòcità di rotazione dei satelliti attorno al loro asse basta osservare che:
_r_ = -0,451 r-1 -0,451-1
= 0, 311
Nel rotismo epicicloidale in esame quindi, il solare (l) ed il portatreno ruotano nello stesso senso ed il rapporto tre le loro velocità angolari è pari a 0,311.
Vs w1r1 w1z1 = -= --=--= -0,821wl rs 2rs 2zs
Quando si vuole procedere al calcolo dei valori delle coppie agenti sui singoli alberi del rotismo, ci si imbatte in una importante proprietà tipica dei rotismi epicicloidali, proprietà che verrà qui di seguito evidenziata. Si consideri dunque un rotismo epicicloidale qualsiasi; su di esso agiscono (Fig. 126) tre coppie esterne: una, di intensità C11 sul solare (1), una seconda di intensità C2 , sul solare (2), ed infine una ter~a, di
Fig. 125 - Rotismo epicicloidale con corona esterna fissa
Allo stesso risultato si può a:nche pervenire utilizzando altre semplici considerazioni di carattere cinematico. La velocità periferica della ruota (l) è infatti pari a:, V1 w1r1 (Fig. 125), e poichè la c9rona dentata (2) è fissa, la velocità dell'asse del satellite è necessariamente pari a: Vs = Vlf2 = w1 rd2. Di conseguenza la velocità angolare del portatreno è data da:
=
n-~-
r1
+ 7's
-
w 2 ( 1+
~; )
Fig. 126 - Coppie agenti su un rotismo epicicloidale
Si supponga ora che il rendimento del rotismo sia unitario; in tale caso il lavoro complessivo compiuto dalle coppie 62 e Cp in un dato il}tervallo di tempo deve essere nullo e pertanto si è in grado di scrivere che:
cl>
(2.102)
Dalle(2.101) e (2.J02) si ha allora: e da questa si ritrova che il rapporto di trasmissione cercato vale: l
- = -,(--~--,--) = o' 311 2 l+ :2_
WJ
.::l
e
171
170
Introducendo in questa espressione la (2.100) si ottiene la relazim!_e:.
Si supponga inoltre che il motore fornisca una potenza costante W, e che la coppia agente sull'albero motore sia pertanto esprimibile mediante la:
(2.103) r~lazione
che, assieme alla: Dalle (2.103) e (2.104) si avrà allora: Cp
1- T
c1 =-T-
(2.104)
ricavabile dalle (2.103) e (2.101), esprime in termini matematici la proprietà cercata. In bàse alle (2.103) e (2.104) infatti si può affermare che, in lJ.ll rotismo _ epicicloidale qualsiasi, il rapporto traje coppie agenti sui due solari e quello tra le coppie agenti sul portatreno e su uno dei due solari sono indipendenti dalle velocità angolari alle quali ruotano gli assi considerati, e sono pari ai rapporti esistenti tra le coppie agenti in un rotismo ordinario ad assi fissi gèometricamente identico a quello in esame. Un rotismo epicicloidale è dunque fondamentalmente un partitore di coppia ed il rapporto di partizione dipende unicamente dalla geometria del rotismo e non dalle sue condizioni cinematiche di funzionamento. Naturalmente questa proprietà vale fintantochè si suppongano valide le ipotesi di rendimento unitario e di moto uniforme. Va. però osservato che, anche se il rendimento non è mai pari all'unità, esso è però sovente molto prossimo ad l, almeno per i rotismi più semplici, per cui le relazioni ora viste possono essere utilizzate con sufficiente approssimazione in numerosi calcoli pratici. Come si è avuto modo di osservare nell'esempio precedente, nei rotismi epicicloidali due delle tre velocità angolari w 1 ,w 2 e n possono essere fornite indipendentemente l'una dall'altra., mentre il valore della terza. è facilmente determinabile utilizzando la formula di \Villis. A volte però, anzichè conoscere il valore di una o più velocità angolari degli assi del rotismo, ci si trova. nella condizione di poter unicamente esprimere delle relazioni che legano dette velocità angolari alle coppie agenti suj vari assi: in tal caso le (2.100)-;- (2;104) mantengono la loro validità, ma ad esse vanno aggiunte le relazioni esistenti tra coppie e velocità angolari. Per meglio comprendere quanto ora esposto, si consideri ad esempio il rotismo della Fig. 124 b) e si supponga che, invece di essere w2 = O, l 'albero (2) ed il portatreno siano collegati a due utilizzatori che creano una coppia resistente direttamente proporzionale alla velocità angolare. Sarà allora:
= -kpn c2 = -k2:,;2
cp {
Cp
1-
T
c1 =-T-= (2.105)
{
kp n --ww1
c2 = _.!. =- k2w2wl T w
c1
mentre, dalla formula di Willis, si avrà: (2.106)
dove
T,
rapporto di trasmissione del rotismo reso ordinario, vale sempre:
Le (2.105) e (2.106) forniscono allora un sistema di tre equazioni nelle tre incognite w1,w2 e n, sistema che, una volta risolto, porta alle soluzioni:
Come si è già avuto modo di fare osservare, le (2.103) e (2.104) perdono la loro validità durante i transitori poichè in tal caso esistono, in aggiunta alle coppie esterne agenti sugli assi dei solari e del portatreno, le coppie di inerzia relative alle masse solidali agli assi stessi. Ciò nonostante, le coppie di inerzia dei solari e del portatreno possono essere sommate alle coppie esterne agenti sui rispettivi assi e le coppie di inerzia dei singoli satelliti sono normalmente di piccola intensità rispetto alle altre coppie in gioco, per cui non si commette di solito un grande errore utilizzando comunque la (2.103) e (2.104). Per il calcolo delle accelerazioni insorgenti in un rotismo epicicloidale durante i transitori può essere a volte conveniente, come nei rotismi ordinari,
173
172 conglobare i momenti di inerzia dei vari alberi e delle masse ad essi eventualmente collegate in un unico momento di inerzia equivalente agente sull'asse del motore. Per il calcolo del momento di inerzia equivalente si può seguire il procedimento indicato per i rotismi ordinari scrivendo in fasi successive le varie equazioni di equilibrio dei singoli elementi, oppure, più semplicemente, si può scrivere che il momento di inerzia di un volano equivalente posto sull'albero (1) ruotante alla velocità angolare w1 deve essere tale da fornire la stessa energia cinetica del sistema originario. Se allora i momenti· di inerzia dei solari, del portatreno e delle masse ad essi collegate sono h, h, Ip, il momento di inerzia e la massa di ogni satellite sono Is e ms, la velocità angolare dei satelliti è ws, la velocità del loro baricentro è Vs ed il loro numero è ns, si ha che il momento di inerzia equivalente I. soddisfa alla relazione: l
l
l
l
ns
2 I.w 21 = 2 hw 21 + 2 I2w2 + 2 Ipn- + 2 ?
?
?
(Isws
è allora calcolabile utilizzando la formula di Willis; si avrà infatti:
-n ---=T w1-n
dove: e pertanto: w1
T
-l
-=--
n
T
?
+ ms Vg)
per cui si ha in definitiva:
Nei casi finora considerati si sono sempre ipotizzati i rotismi epicicloidali come costituiti da ingranaggi cilindrici; in realtà, come si avrà modo di osservare in alcuni degli esempi successivi, esistono anche dei rotismi epicicloidali dotati di ingranaggi conici ed il calcolo delle condizioni cinematiche del loro funzionamento non si discosta affatto da quello esposto nel presente paragrafo.
4.6 - Rid uttori a rotismi epicicloidali Una delle principali applicazioni dei rotismi epicicloidali la si riscontra nei riduttori a forte rapporto di riduzione; in essi infatti i rotismi epicicloidali consentono soluzioni costruttive dotate di ingombri notevolmente minori di quelli ottenibili, a parità di ra.pporto di riduzione, adottando dei rotismi ordinari. Si consideri ad esempio il rotismo epicicloidale illustrato nella Fig. 127: in esso il porta treno P è collegato al motore, mentre il solare (l) è collegato all'utilizzatore e la ruota dentata (2) è fissa. fl rapporto di tra,Sl11ÌSSÌ0!1e Wj/0.
Fig. 127 - Riduttore a rotismi epicicloidali: il solare (2) è fermo
È evidente quindi che, se i numeri di denti delle ruote vengono scelti in modo da fornire per il rapporto di trasmissione del rotismo reso ordinario un valore molto prossimo a l, si è in grado di ottenere dei valori di wl/O molto piccoli ed inoltre positivi (rotazioni w1 e n tra loro concordi) per valori di T leggermente maggiori di quello unitario, oppure negativi (rotazioni w 1 e f1 tra loro discordi) pe~ Valori di T leggermente inferiori all'unità. Un altro tipo di riduttore epicicloidale molto diffuso è quello indicato nella Fig. 125 e del quale viene mostrato un esempio concreto di applicazione nella Fig. 128, dove è raffigurata la ruota motrice di un trattore per movimento terra: in essa il solare esterno del rotismo epicicloidale è solidale all'albero cavo ed è fisso mentre l'albero interno è quello motore e trasmette il moto aH'altra ruota solare. D portatreno è invece collegato solidalmente al mozzo della ruota motrice del trattore; in questo modo il rapporto tra le velocità angolari della
175
174 ruota e dell'albero è, in base a quanto già esaminato nel paragrafo precedente, pari a:
= -.,-----wl
2 ( 1+
;: )
dove z1 _e z3 sono rispettivamente i numeri di denti della ruota motrice e dei satelliti.
4. 7 - Rendimento di rotismi epicicloidali Nel paragrafo 3.9 sono state esaminate le varie cause di perdite meccaniche nella trasmissione del moto mediante ingranaggi. Per i rotismi ad assi :fissi si è visto che il rendimento globale è il ·prodotto dei rendimenti delle singole coppie di ruòte dentate. Nel caso dei rotismi epicicloidali la determinazione del rendimento globale in funzione di quello delle singole coppie di ruote dentate è più complesso per la presenza delle ruote dentate ad asse mobile. Tuttavia, se si considerano soltanto le perdite di potenza meccanica dipendenti dal moto relativo fra le ruote dentate, il problema del calcolo del rendimento di un rotismo epicicloidale può essere effettuato tenendo presente che le velocità relative fra le ruote dentate non variano applicando a tutto il rotismo una certa velocità angolare. Si può pertanto calcolare n rendimento del rotismo epicicloidale scrivendo un bilancio di potenze del rotismo effettivo e un bilancio di potenze del rotismo "ordinario". Per quest'ultima relazione occorre prestare una particolare attenzione. Infatti, i flussi di potenza attraverso le ruote dentate del rotismo effettivo possono essere diversi\ia quelli del rotismo reso "ordinario", ed occorre quindi esaminare attentamente i segni delle coppie e delle velocità angolari dei vari elementi rotanti, al fine di introdurre il giusto valore del rendimento. . ·· ,. Si consideri, ad esempio, n rotismo'epi-. cicloidale di Fig. 129 in cui il portatreno P è collegato al motore, mentre il solare l è collegato all'utilizzatore ed il solare 2 è fisso. In questo caso il flusso di potenza avviene dal portatreno verso il solare l. Questo rotismo è identico a quello indicato nella Fig. 127, per cui il rapporto fra le Velocità angolari Wl e n è: W1
T-
n
T
l
Z2Z3
-=--=1---=a
Fig. 128 - Ruota motrice di un trattore per movimento terra
Z1Z4
Per come è realizzato il rotismo di Fig. 129, z1 > z2 e z4 > z3 , per cui O< a< l e, di conseguenza, risulta che w 1 e n sono concordi con w 1 < n. Le equazioni di equilibrio di coppia e di potenza sono:
4
Fig. 129 - Rotismo epicicloidale
177
176 C1
+ C2 + Cp
{ C1w1
da cui risulta:
c1
=O
+ Cpf2r}P,1 W!
=O
cl
Cp=---=--a 71P,1 0 71P,!
C2
=-Cp -
C1
che, unite all'equazione di equilibrio di coppia, forniscono la seguente espressione del rendimento inverso:
=C1 (~1) 71P,1
Poichè il rapporto di trasmissione a è minore di uno e quindi IC1 l è maggiore di ICPI, risulta che C2 è positiva. Immaginando ora di dare a tutto il rotismo una velocità angolare -n, risulta che il portatreno è fisso, mentre i solari l e 2 ruotano .rispettivamente alle velocità angolari w1 -n e -n. Queste velocità angolari sono entrambe negative, poichè lw 1 l < IO!; pertanto, essendo C1 negativa e C2 positiva, il flusso di potenza nel "rotismo reso ordinario" va dal solare l al solare 2, quindi:
l _ Z2 Z3 __l__
(2.108)
71!,P =
Zl 1
Z4
_
713,1 · 712,4 Z3
Z2
Z1Z4
Dalle (2.107) e (2.108) si può osservare come il rendimento globale del rotismo vari, per grandi rapporti di riduzione, molto rapidamente con piccole variazioni del rendimento delle singole coppie di ruote. Ad esempio, se 71 1 ,3 = 714,2 = 713,1 = 712,4 = 71, . Z1 = 19, Z2 = 18, Z3 = 20, Z4 = 21, Si ha: wr/0 = 1/10,231 ed i rendimenti valgono: per 71 = O, 99, 71P,l = O, 845, 71l,P = O, 812; per 71 = 0,98,71P,1 = 0,732,711,P = 0,619; per 71 = 0,97,71P,1 = 0,647,71l,P = 0,420. Infine, dalla (2.108) si trova che il rotismo, funzionando da moltiplicatore ha rendimento nullo per 71 = O, 94987, mentre, sempre per questo valore di 71, il rendimento in moto diretto (riduttore) vale ancora 0,526.
4.8 - Rotismi epicicloidali ad ingranaggi conici
e, dopo alcuni passaggi:
Uguagliando questa espressione di C2 con quella prima trovata si ha:
ossia: (2.107)
Nel caso di moto inverso (solare l motore, portatreno P utilizzatore), le due equazioni di equilibrio di potenza diventano:
=
CJW!711,P + CpO o { C2(-0)712,1 + C1(w1- O)= O
I rotismi epicicloidali ad ingranaggi conici trovano la loro principale applicazione nei differenziali. Dei differenziali, quasi universalmente adottati sugli autoveicoli onde consentire alle ruote motrici di percorrere traiettorie curvilinee senza che si verifichi strisciamento tra le ruote stesse ed il terreno, è riportata una applicazione pratica nella Fig. 130, che illustra per l'appunto un differenziale per autocarro. In esso i due solari (1) e (2) sono costituiti da due ruote dentate coniche uguali che ingranano con due satelliti identici (3) e (4 ). I satelliti, liberi di ruotare attorno ad un perno solidale al portatreno (P), vengono da questo trascinati in rotazione attorno all'asse delle ruote in quanto il portatreno stesso è solidale ad una ruota dentata conica che ingrana con un rocchetto conico il quale a sua volta ri-ceve il moto dal motore. Se si considera il rotismo a portatreno fisso, ossia dopo averlo reso ordinario, si può constatare facilmente che il rapporto di trasmissione tra i solari (l) e (2) è pari a r =-l. In base alla formula di Willis si ottiene allora: w2 -n --=r=-1 w1-n
178
179
e di conseguenza:
In condizioni di moto _r_ettilip.eQ, le. velocità..a.ngolar-i.-delle;uote-mot-ridlqro uguali ed.i satellitLdeLdifferenziale-non ruotano at~~rno alloro asse, in ~~!_lt_o_ é!_~v~no _qyyiamente_~ssereugua}L anche le_velo~l.!-!_~irotazione dei due solari. Se invece si cons!dera il veicolo in ma~cia lungo una traiettoria curvilinea si osserva che i .baricentri delle due_ ruote ed iÌ_punto medio d~ll'asse che le collega posseggono rispettivamente le velocità: V~_=_~Y-~- -::.YJ.:!J., VM = wv R e V2 = wv(R + p/2), dove con wv si è indicata la velocità di rotazione del veicolo attorno al centro della traiettoria. Affi.nchè le ruote rotolino senza strisciare è necessario pertanto che le loro velocità angolari risultino pari a: Q.~!!'_a_!ltoveicc;>lg SOJ:!~_tra
d
Fig. 130 - Differenziale per autocarro
In un differenziale quindi, la velocità angolare del portatreno è uguale alla semisomrna delle velocità angolari delle due ruote. Inoltre, in base alla (2.103), il rapporto tra le coppie agenti sui due solari è:
Fig. 131 - Velocità dei centri delle ruote di un veicolo in una traiettoria curva
men-tre la velocità angolare del portatreno risulta: O :::
Wl
+ W2 2
c2 = _.!. =1
c1
r
e pertanto le coppie agenti sulle due ruote solari in condizioni di regime sono sempre uguali tra loro, mentre la coppia fornita dal portatreno è data da:
:::
2VM d
Come si può osservare, la ruota interna alla curva deve possedere una velocità angolare minore di quella relativa alla ruota esterna e ciò è reso possibile proprio dalla presenza del differenziale. In tal caso infatti i satelliti, oltre ad essere trascinati dal portatreno, si pongono in rotazione attorno al proprio asse in modo tale da diminuire la velocità angolare del solare collegato alla ruota interna ed aumentare corrispondentemente l'altra.
1
!
l
180
181
Oltre che sugli assi delle ruote motrici dei veicoli, i differenziali trovano evidentemente applicazione in tutti i sistemi meccanici nei quali occorre effettuare la somma di due rotazioni quali, ad esempio, i servomeccanismi utilizzati per il comando di un organo meccanico. Rotismi epicicloidali ad ingranaggi conici, sia con solari uguali (come nel differenziale), sia con solari differenti vengono inoltre usati come riduttori a forte rapporto di riduzione analogamente a quanto visto per i riduttori epicicloidali ad ingranaggi cilindrici.
4.9 - Rotismi epicicloidali multipli·
Si definisce rotismo epicicloidale multiplo quello formato da più rotismi epicicloidali nei quali uno o più elementi appartengono a due rotismi successivi. Un rotismo epicicloidale multiplo, e per esatezza doppio, è illustrato nella Fig. 132; in esso infatti il portatreno (P) è comune ai due rotismi componenti ed anche la ruota composta (2-3) è un solare per entrambi. È opportuno osservare che, come in un rotismo epicicloidale semplice, anche in uno composto si è normalmente in presenza di tre alberi uscenti dal rotismo stesso e che inoltre anche in questo caso la velocità di uno degli alberi è determinata una volta che siano fissate le altre due. D calcolo della relazione tra le velocità angolari dei tre alberi uscenti dal rotismo multiplo si effettua in modo del tutto analogo a quello relativo ad un rotismo semplice, applicando però più volte la formula di Willis. Così nel rotismo della Fig. 132 si considera inizialmente il rotismo epicicloidale formato dalle ruote solari (l) e (2), dal portatreno P e dalle ruote satelliti (5). In esso si ha: w2 -0 w1- n
--=rl
Fig. 132 - Rotismo epicicloidale doppio con portatreno comune
L'equazione di equilibrio delle coppie è fornita, così come in un rotismo epicicloidale semplice, da:
c1 + c4 + cp =o mentre quella delle potenze, assumendo un rendimento unitario, è esprimibile sotto la forma: C1w1
+ C4w4 + CpO = O
Dal sistema formato dalle due equazioni ora scritte e dalla (2.109) si ricava che i rapporti tra le singole coppie agenti sugli alberi valgono:
dove r 1 = -~d z 2 è il rapporto di trasmissione nel rotismo reso ordinario, ossia a portatreno fisso. Nel secondo rotismo, formato dai solari (3) e (4), dal portatreno P e dai satelliti (6) si ha, in modo del tutto analogo: w4-n w3-n
--=r2
=
dove ora r2 -z3 jz4 • Osservando ora che w3 =w~, in quanto le ruote dentate (2) e (3) sono ricavate dallo stesso pezzo, ed eliminando di conseguenza w 2 dalle due equazioni prima scritte si ottiene: (2.109)
Come si può notare, anche nei rotismi epicicloidali multipli il rapporto fra le coppie dipende solo dalla geometria del rotismo e non dalle velocità angolari degli alberi, e pertanto anche i rotismi epicicloidali multipli sono, nell'ipotesi di moto a regime e di rendimento unitario, dei partitori di coppia. I rotismi epicicloidali multipli, infine, possono anche essere realizzati utilizzando ruote dentate coniche anzichè cilindriche come è chiaramente visibile i. JACAZIO-PIOlv!BO- La trasmissione del moto
182
t
nell'applicazione illustrata in Fig. 133. Il rotismo epicicloidale ivi rappresentato è in pratica costituito da due rotismi semplici in parallelo aventi un solare ed il portatreno in comue. Il solare A ruota solidalmente all'albero motore F ed ingrana con i satelliti D i quali ruotano liberamente attorno al portatreno e si impegnano con l'altra ruota solare C fissa. Ai satelliti D sono inoltre solidali gli altri satelliti E, i quali a loro volta ingranano con la ruota solare B rigidamente collegata all'albero condotto G. n portatreno è in questo caso un elemento interno al rotismo multiplo e ad esso quindi non risulta applicata alcuna coppia esterna; le coppie esterne agiscono infatti in questo caso sulle tre ruote solari A, B e C.
Fig. 133 - Rotismo epicicloidale multiplo ad ingrana.ggi conici
Per ricavare la relazione esistente fra le tre velocità angolari wA,ws ed wc occorre ora procedere nel modo seguente. Considerando il rotismo epicicloidale semplice (A, D, C) ed indicando con n la velocità angolare del portatreno si ha: wc-n ---=11
WA 11
-n
= -zA/ zc mentre per il rotismo epicicloidale sep1plice
(A, D, E, B) si ha:
ws-n
---=i?
WACOn
12
fl
-
= -ZA ZE/ZD ZB·
Eliminando
n
Se poi come è stato in precedenza ipotizzato, il solare C è fisso (wc
'
WB
12-1!
WA
= l - lj =
ZA(ZDZB-ZEZC) ZD
dalle due equazioni ora scritte si ottiene:
-n
aw.s
+ ZA)
Una interessante applicazione dei rotismi epicicloidali multipli è quella relativa alla regolazione del passo delle pale di un'elica. Nelle eliche a passo variabile infatti, in base alle condizioni di funzionamento desiderate, si invia corrente ad un motore elettrico collegato alle pale in modo da farle ruotare fino al raggiungimento della posizione richiesta. In un sistema di questo genere occorre però avere fortissimi rapporti di riduzione entro un piccolo spazio in quanto la coppia richiesta per ruotare le pale è di intensità rilevante, mentre il motore elettrico, per ragioni di carattere tecnico-costruttive, è sempre di dimensioni ridotte e ruota ad alta velocità. Lo schema del rotismo epicicloidale adottato è illustrato schematicamente nella Fig. 134; in esso il motore elettrico guida il solare A, mentre le corone dentate C~ ed H sono fisse all'involucro, i due portatreni sono indipendenti e liberi di ruotare attorno alloro asse comune, e l'albero di uscita J comanda la rotazione delle pale dell'elica. per il tramite di una. normale coppia. coni ca. ad assi fissi. Per il calcolo del rapporto globale di trasmissione è opportuno iniziare a considerare il rotismo (A,B,C); indicando con n la velocità angolare del porta.treno e rammentando che la. ruota C è fissa. si ha: ---=11
i .
zs(zc
Se pertanto i .due prodotti zs ZD e ZE zc sono quasi uguali tra loro si ottiene da questo rotismo epicicloidale un riduttore dotato di un rapporto di riduzione estremamente elevato, di dimensioni ridotte e di alberi di ingresso e di uscita coassiali, caratteristiche queste molto apprezzate in svariate realizzazioni costruttive. n rendimento di rotismi epicicloidali multipli può essere ricavato seguendo il procedimento indicato nel paragrafo 4.7 per i rotismi epicicloidali semplici.
WA-
,j
=
)
o), si ha in definitiva che:
4.10 - Rotismi epicicloidali per la regolazione del passo delle pale di un'elica
F --
dove, al solito,
183
H iiU.
z.s.
JZlWlSL &Uk
n
=A
=-::c
184
185
Considerando il rotismo (A, B, D, E) si ottiene invece:
Come risulta evidente analizzando la (2.110), per ottenere un rapporto di riduzione molto elevato è sufficiente rendere abbastanza piccol~ le differenze (r1-r2) e (rs-r4)· Si consideri ad esempio una possibile serie di ingranaggi costituita dalle ruote: ZA = 13, ZB =56, ZC = 125, ZD = 48, ZE = 117, ZF = 17, ZG = 30, ZH = 77, z1 = 26, z1 = 73. (si osservi che nella Fig. 134le ruote dentate F,G,H,I,J hanno dimensioni maggiori di A, B, C, D, E in quanto posseggono un modulo maggiore). Con i valori scelti dei numeri dei denti si ha:
f2 ZA ZD ---=r2=--f2 ZB ZE
WE-
WA-
Tj
= -0, 104;
T2
= -0, 09524;
1"3
= -0, 2208;
1"4 = -0,2018
e dalla (2.110) si ottiene per il rapporto di trasmissione globale il valore: WJ =8115
WA
Fig. 134 - Rotismo epicicloidale per la regolazione del passo delle pale di un'elica
Analogamente per il rotismo (F, G, H), tenendo conto ora che e che la ruota H è fissa, 'si ha:
WF
=w E
4.11 - Cambio di velocità a rotismi epicicloidali
-0 1 rs WE- f2' .
ZF = = -ZH
Ed infine, per il rotismo (F, G, I, J) si ha: WJWE-
O' f2'
ZFZJ = = --ZG ZJ 7"4
Dalle quattro equazioni ora scritte si è in grado di ricavare il rapporto WJ/wA eliminando in fasi successive i termini wE,n,n' ed ottenendo in definì ti va.: (2.110)
WJ WA
= (~) Tj-
l
valore estremamente basso, ma che comunque non rappresenta un limite inferiore per questo tipo di rotismi multipli. Con una opportuna scelta del numero dei denti delle ruote si sono infatti ottenuti, a parità di ingombro del riduttore, rapporti di trasmissione fino a l : 180000 ed è interessante notare che se si volesse ottenere un rapporto di trasmissione così basso con una sola coppia di ruote dentate cilindriche, nell'ipotesi di adottare una ruota motrice di 4 cm di diametro si dovrebbe accoppiare a questa una ruota condotta di diametro pari a 7,2 km.
(T3T4) 1"3 -1
I rotismi epicicloidali multipli vengono comunemente utilizzati anche negli autoveicoli, e particolarmente nei veicoli pesanti ed in quelli a trasmissione automatica, per quanto concerne la. realizzazione dei cambi di velocità. Un esempio di cambio di velocità a rotismi epicicloidali è illustrato nella. Fig. 135. In esso l'albero motore è solidale ai due solari A e B e trasmette inoltre il moto, tramite un albero scanalato, alla frizione Z. L'albero di uscita (albero condotto) è indicato con 2, mentre con F 1 , F2 , F3 , F4 sono stati indicati i freni (a nastro o a disco), che mantengono fissi, a seconda delle necessità, gli elementi sui quali essi agiscono. Si consideri ora il caso in cui il freno F2 mantiene ferma la corona dentata I in modo che il moto venga trasmesso dall'albero motore a quello
186
187
condotto (che porta gli assi dei satelliti D e M) tramite il rotismo epicicloidale (B, D, I). TI rapporto di trasmissione, essendo I fermo, è dato da: -W2
ZB
wl- w2
ZJ
---=r~=--
ossia W2
TJ
ZB
-=--=---
e pertanto il rapporto di trasmissione risulta in questo caso maggiore di quello precedente. Se ora si mette in funzione il freno F3 , il moto viene trasmesso con l'ausilio di tre rotismi epicicloidali: a) il rotismo (E, F, G) in cui G è fisso; b) il rotismo (A, C, H); c) il rotismo (B, D, I). La formula di Willis, applicata successivamente ai tre rotismi, fornisce le seguenti relazioni fra le varie velocità angolari: WJ-WH
-wH WH -W[ Wj-W[
= ra = -ZG ZE ZA = T2 = -ZH ·
WJ-Wz
ZB
Wj- W2
Z[
---=T!=--
e da queste, sviluppando i calcoli, si ottiene: w2 r2(l- ra)- r1(r2- rz ra + ra) w1 = (l-r1)(r2-r2ra+r3) = ZB
----~~-A~Z~J~(N~-E~+_z~G~)______~
=--+-cZB + ZJ (zB + Fig. 135 - Rotismo epicicloidale multiplo per cambio di velocità
Se invece è operante il freno F1 ed è mantenuta fissa la corona dentata H, il moto viene trasmesso dall'albero motore a quello condotto mediante un
rotismo epicicloidale multiplo. In esso il primo rotismo è formato dal solare A, dal satellite C e dal solare H (fisso); il portatreno di questo rotismo è solidale alla corona dentata I che costituisce un solare del secondo rotismo (I, D, B) ed il portatreno di questo secondo rotismo coincide, come nel caso precedente, con l'albero condotto. Si ha dunque in definitva:
Wj-:~/ = T2 = - ;; {
WJ-W2
ZB
wl -w2
ZJ
---=rl =--
ZJ)(zA ZE
+
ZA ZG
+ ZG ZH)
Se ora si inserisce la frizione Z mentre tutti i freni sono disinseriti, le velocità angolari delle ruote dentate A, B e G sono le stesse, per cui tutto il complesso e quindi anche l'albero condotto 2, ruota alla stessa velocità angolare w 1 • Se infine si inserisce il freno F4 il moto viene trasmesso mediante i rotismi (B,D,I) e (L, M, N) in cui WN =O, ottenendo così: W[- W2
ZB
---=r~=-
WI- W2
ZJ
-W2
ZL
WJ -W2
ZN
---=r4=---
e da queste, dopo alcuni passaggi, si ottiene:
da cui, eliminando w1 , si ottiene W2 Wj
+ T2- T2 = -ZB- + -:---_.:.:,_,..:.-__ ZA ZJ = (l-rl)(r2-l) ZB+ZJ (::A+zH)(zB+ZJ) Tj
Tj
Poichè z 1 > z8 e zN > zL il rapporto w2 fw 1 è negativo e questo caso caratterizza di conseguenza la retromarcia.
188
189
4.12 - Sterzo di mezzi cingolati Proseguendo nella rassegna di applicazioni tecniche dei rotismi epicicloidali è opportuno soffermarsi su quella riguardante la capacità sterzante dei veicoli cingolati. Questi ultimi infatti vengono dotati della possibilità di variare la loro traiettoria utilizzando diverse realizzazioni costruttive, tutte però basate sul principio di frenare una delle due corone dentate dei rotismi epiciclodali collegati alle ruote.
dove zs e zc sono i numeri di denti del solare S1 (o S2) e della corona dentata C1 (o C2). Di conseguenza, se entrambe le frizioni sono inserite ed i freni entrambi disinseriti, le velocità angolari ws e WD delle ruote dentate motrici di sinistra e di destra. sono pari a wy ed il veicolo mantiene una traiettoria rettilinea; se invece sono inseriti la frizione di sinistra ed il freno di destra (caso rappresentato nella Fig. 136), la velocità angolare ws è pari a wy, mentre la WD è pari a wy zs/(zc + zs) e di conseguenza il veicolo procede verso destra. n fenomeno opposto si verifica ovviamente quando vengono inseriti il freno di sinistra e la frizione di destra.
Fig. 137- Velocità angolare di sterzata e raggio di curvatura di un veicolo cingolato Fig. 136- Schema di sterzo di un veicolo cingolato
Lo schema fondamentale dello sterzo di un veicolo cingolato è illustrato nella Fig. 136. In esso l'albero x trasmette il moto all'albero delle ruote motrici y mediante una coppia conica. L'albero y a sua volta è rigidamente collegato alle due ruote dentate S 1 ·e S 2 , che costituiscono i solari di due . rotismi epicicloidali. n portatreno di ciascun rotismo è solidale alle ruote dentate motrici.dei due cingoli, mentre la corona dentata costituente l'altro solare può essere mantenuta ferma mediante il freno F1 (o F 2 ) oppure può essere resa solidale al portatreno mediante la friazione N1 (o N2 ). Se allora la frizione N1 (o N2 ) è inserita, la rispettiva corona dentata è solidale al portatreno e tutto il rotismo epicicloidale costituisce un elemento rigido che ruota alla stessa velocità angolare wy dell'albero y. Se invece la frizione è disinserita ed il freno mantiene ferma la corona dentata, la velocità angolare del portatreno diventa: O=w~ Y zc + =s
Indicando ora con D il diametro delle ruote dentate motrici e con p la loro distanza (detta anche carreggiata) si possono immediatamente ricavare i valori della velocità angolare di sterzata 0 5 e del raggio di curvatura medio R. Si ha infatti dalla Fig. 137: 05
= D(ws- wD) = D
zc w 2p 2p(zc+zs) 11 D D D -ws-wD -ws 2 2 __ 2_
P
-E.+R 2
da cui si ricava in definitiva:
R= E. (ws+wD) 2 (ws - WD)
= p(2zs+zc) 2 =c
190
191
4.13 - Rotismi epicicloidali senza portatreno
n portatreno dei rotismi epicicloidali ha, in genere, una doppia funzione: quella di mantenere equidistanti i satelliti e quella di fornire una coppia al rotismo in grado di equilibrare le coppie applicate alle ruote solari. In certi rotismi epicicloidali multipli, tuttavia, il portatreno è un elemento interno del rotismo che ruota liberamente senza fornire coppia (motrice, o resistente). Un esempio è illustrato nella Fig. 138, in cui la potenza meccanica viene trasmessa dal solare l al solare 3, mentre la ruota 2 è fissa e il portatreno P ruota liberamente. In questo caso il rapporto di trasmissione nel rotismo l - P - 2 è dato da:
2 4
5
Fig. 138- Rotismo epicicloidale multiplo con portatreno libero
-n
Ciò è rappresentato schematicamente nella Fig. 139, in cui la ruota dentata solare 2 è fissa, mentre la l e la 3 ruotano attorno all'asse comune del rotismo e il portatreno non esiste. Affinchè questo rotismo (detto anche azionatore rotativo a ingmnaggi) possa funzionare, occorre che esso sia simmetrico rispetto a un piano di mezzeria perpendicolare all'asse del rotismo. In questo modo, le forze scambiate fra i denti delle dentature (2-4), (3-5), (1-5), (2'-4') costituiscono un insieme di forze equilibrato e non è quindi necessario un elemento in grado di fornire reazioni vincolari (portatreno). I vantaggi costituiti dali 'eliminazione del portatreno sono essenFig. 139 - Rotismo epicicloidale senza zialmente due: riduzione d eli 'inportatreno gombro (e conseguentemente del peso) del componente, e miglioramento della ripartizione del carico fra i vari satelliti.
z1
--= TJ = -WJ- n Z2 mentre il rapporto di trasmissione nel rotismo l W3-
n
P-~.
è dato da:
ZJZS
---=T?=--WJ-n
•
Z4Z3
e il rapporto di trasmissione globale è: (2.111)
wa
TJ- r2
WJ
TJ-
-=--l
Poichè in questo rotismo il portatreno non trasmette potenza meccanica è possibile realizzare una soluzione costruttiva in cui il portatreno non esiste.
4.14 - Riduttori cicloidali ;I riduttori cicloidali, basati sullo stesso principio di funzionamento dei riduttori epicicloidali, si differenziano però da questi sia perchè il loro albero di uscita è collegato ad un satellite del rotismo costituente. il riduttore, sia perchè il riduttore stesso è realizzato in modo tale da ottenere un rotolamento senza strisciamento fra tutte le superfici in moto relativo, assicurando così un valore particolarmente elevato del rendimento. Lo schema fondamentale di un riduttore cicloidale è rappresentato in Fig. 140: l'albero di ingresso x forma un gomito G, gomito che porta il cuscinetto a rulli R; su questo poi è calettato il satellite, costituito dalla ruota
192
193
dentata S a denti cicloidali che a sua volta ingrana con una corona dentata fissa c il cui asse coincide con quello di :z:. n riduttore si presenta dunque nel suo complesso come un rotismo epicicloidale in cui manca un solare mentre l'altro è rappresentato dalla corona dentata C ed in cui inoltre la ruota S ed il gomito G fungono rispettivamente da satellite e da portatreno.
Poichè inoltre questo particolare rotismo epicicloidale è privo del solare interno, è evidente che il satellite può assumere dimensioni di poco inferiori a quelle della corona esterna ed in particolare possedere un numero di denti inferiore di una unità a quello della corona stessa. Si ottiene in tal caso per il rapporto di trasmis~ione il valore: w
l
-8= - Wx
Zs
Dotando il satellite di un numero elevato di denti si è quindi in grado di ottenere un forte rapporto di riduzione, generalmente compreso tra l : 20 e l : 100, mentre per rapporti di riduzione ancora maggiori si ricorre normalmente all'uso di due riduttori collegati in serie fra loro. Nella Fig. 141-a è illustrata una realizzazione costruttiva del riduttore cicloidale schematicamente rappresentato in Fig. 140: come si può notare, l'asse del cuscinetto a rulli R possiede una piccola eccentricità e rispetto all'asse dell'albero motore x e trascina inoltre durante la sua rotazione il satellitP S avente denti a profilo cicloidale. I denti della corona fissa C sono invece costituiti da perni e ogni perno porta un rullo cilindrico; con questo accorgimento si evita lo strisciamento fra denti del satellite e denti della corona in quanto i rulli portati dai perni solidali alla corona rotolano senza strisciare rispetto ai denti cicloidali del satellite stesso.
Fig. 140- Schema funzionale di un riduttore cicloidale R
Supponendo ora di fornire a tutto il sistema una velocità angolare -wx, uguale ed opposta a quella del portatreno G, si trasforma il rotismo epicicloidale in uno ordinario ad assi fissi in cui le velocità angolari della corona C e del satellite S valgono rispettivamente -W:r e WS- w,. il rapporto di trasmissione in questo rotismo ad assi fissi vale pertanto:
.
-W:r WS -W:r
ZS
=ZC
da cui si ricava: Fig. 141 - Schema costruttivo di un riduttore cicloidale; a) satellite e corona dentata; b) satellite e albero condotto
Poichè il satellite ruota attorno ad un asse mobile mentre l'albero con-
194
dotto ruota attorno ad un asse fisso coincidente con quello dell'albero motore, il riduttore è completato da un semplice meccanismo, illustrato nella Fig. 141b, che attua la trasmissione del moto dal satellite all'albero condotto. Come si può notare, il disco cicloidale costituente il satellite porta una serie di fori nei quali si impegnano altrettanti rulli portati da perni solidali all'albero condotto, ed il gioco diametrale tra rulli e fori è pari al doppio della eccentricità in modo da consentire un moto relativo tra satellite ed albero condotto. Questo sistema realizza in pratica la stessa funzione di un giunto di Oldham diminuendone però le perdite, in quanto i rulli rotolano senza strisciare rispetto ai fori del satellite, fenomeno questo che riduce sensibilmente le dissipazioni di "energia dovute all'attrito. Riduttori cicloidali con rapporti di riduzione di l : 100 posseggono infatti rendimenti dell'ordine di 0,95, sensibilmente maggiori di quelli ottenibili con altri rotismi. La presenza di un disco eccentrico nel riduttore cicloidale genera p~rò una forza centrifuga, forza che origina a sua volta un carico rotante sui supporti; onde evitare questo inconveniente si usano sovente riduttori cicloidali nei quali l 'albero motore possiede due gomiti sfasati di 180°, ognuno dei quali porta un eccentrico a denti cicloidali in modo da bila.nciare così gli effetti dannosi della forza centrifuga.
4.15 - Riduttori armonici I riduttori armonici, apparentemente simili ai riduttori epicicloidali, differiscono da questi nel principio di funzionamento in quanto realizzano grandi rapporti di trasmissione sfr.uttando la deformabilità di un anello dentato. Lo schema di un riduttore armonico è indicato nella Fig. 142: l'albero motore è collegato al braccio che porta i due rulli, mentre l'albero di uscita è collegato ad un anello dentato flessibile e la corona dentata esterna è fissa. L'anello flessibile, dotato di un numero di denti minore di quello della corona, assume - in conseguenza del moto dei rulli solidali all'albero motore una forma ellittica, realizzando così il contatto tra i suoi denti e quelli della corona, come è per l'appunto mostrato nella Fig. 142. Se il braccio motore ruota alla velocità angolare wm, anche la sagoma ellittica dell'anello ruota alla velocità wm ed è chiaro che quando l 'albero motore ha compiuto un giro tutti i denti dell'anello sono stati a contatto con i corrispondenti denti della corona. Se allora i numeri di denti dell'anello e della corona sono rispettivamente z0 e z0 , la frazione di angolo giro di cui
195
\.
l'anello ha ruo.tato in corrispondenza di un giro dell'albero motore è data da: (2.112)
Za- Zc
r=--Za
M
Fig. 142- Schema di riduttore armonico. M: albero motore; C: corona dentata fissa; F: anello dentato flessibile
(si noti che se l 'albero motore ruota in senso orario, l 'anello flessibile ruota in senso antiorario). La (2.112) rappresenta dunque il rapporto di trasmissione esistente tra l'albero motore e l'albero condotto; solidale all'anello flessibile, ed è analoga alla espressione relativa ai riduttori cicloidali. Durante la rotazione del braccio motore l'anello flessibile possiede, oltre al lento movimento di rotazione attorno al proprio asse, anche una pulsazione in direzione radiale dovuta alla deformazione indotta dal braccio motore. Proprio a causa di queste pulsazioni, al braccio motore ed al riduttore nel suo complesso vengono rispettivamente dati i nomi di generatore d'onda e di riduttore armonico. I vantaggi dei riduttori armonici risiedono nella loro semplicità (vi sono unicamente tre elementi), nella capacità di trasmettere coppie elevate tra corona fissa ed anello flessibile in quanto vi sono sempre numerosi denti in presa, e nella possibilità di generare la forma ellittica dell'anello utilizzando parecchi mezzi tra loro differenti. Oltre a quello indicato nella Fig. 142, si possono infatti utilizzare quali generatori d'onda sia dei cuscinetti a rotolamento di forma ellittica, sia delle serie di pistoni comandati idraulicamente o pneumaticamente, sia dei campi magnetici rotanti, sia infine dei cuscinetti opportunamente sagomati in modo da ottenere una lubrificazione idrodinamica.
197
196 Anche se finora si è preso in considerazione un riduttore armonico in cui la corona dentata è mantenuta fissa, esistono purtuttavia nella pratica realizzazioni in cui la corona dentata è mobile mentre è fisso l'anello flessibile, oppure applicazioni con generatore d'onda fisso, o con tutti e tre gli elementi mobili. La relazione tra le diverse velocità angolari è ricavabile mediante considerazioni. identiche a quelle fornite nei casi di rotismi epicicloidali e di riduttori cicloidali, ottenendo di conseguenza: Wc- Wg
(2.113)
Wa- Wg
=
Za Ze
dove con wa,wc ed w9 si sono indicate rispettivamente le velocità angolari dell'anello flessibile, della corona dentata rigida e del generatore d'onda e da dove si ritrova ovviamente la (2.112) quando si ponga Wc= O.
mantenuto fermo e dalla (2.113) si ottiene: Wa
ed essendo
Wc=
w1zdz2 con zJ/z2
Zc
Wa =-Wc Za
= w2
e
Wc=
w1zdz2
w2
=
=
si ottiene:
Ze) +w9 ( 1-:.,a
=w1za/zc
Essendo poi nell'esempio citato: zc
Si consideri ora a titolo di esempio il sistema indicato nella Fig. 143: l'alb~ro motore x comanda il rullo R1 ed è solidale ad una ruota dentata cilindrica avente z1 100 denti. Quest'ultima trasmette il moto, tramite una ruota dentata folle, ad una seconda ruota avente z2 101 denti, ruota che è ricavata sull'esterno della corona dentata ùi un riduttore armonico in cui i numeri di denti della corona e dell'anello flessibile sono rispettivamente ze = 101 e Za = 100. L'anello flessibile A comanda il rullo R 2 mentre il generatore d'onda I< riceve il moto da un piccolo motore elettrico M sul cui asse è posto un freno. Se allora il freno è inserito, il generatore d'onda è
= za/zc
Se si vuole far variare la velocità angolare w 2 è sufficiente liberare il freno e, tramite il motore elettrico M, far ruotare il generatore d'onda alla velocità angolare w9 • Dalla (2.113) si ha infatti:
Poichè w4
Fig. 143 - Applicazione di un riduttore armonico alla regolazione del rapporto tra le velocità angolari di due rulli
Zc
-=-
= 101
si ottiene in definitiva:
e za
= 100,
si ha:
= w1- O,Olw9
È chiaro ora come, facendo ruotare il generatore d'onda., si riesca ad ottenere un aggiustaggio della velocità angolare del rullo R 2 rispetto a quella del rullo R1 • Si noti che se si vuole far aumentare w 2 rispetto a w 1 è sufficiente far ruotare il generatore d 'onda in verso opposto a quello indicato in figura. Utilizzando lo stesso dispositivo si è in grado di effettuare anche l'aggiustaggio della fase dei due rulli facendo compiere al generatore d'onda solo un angolo (od un numero di giri) limitato ed in tal caso al motore elettrico può essere sostituito un comando manuale. Per quanto si sia finora considerato il caso di corona dentata rigida esterna, esistono anche soluzioni tecniche che, pur sfruttando il principio già in precedenza analizzato, posseggono il generatore d 'onda esterno; tale generatore deforma un anello flessibile con dentatura interna che a sua volta ingrana con una ruota dentata rigida a. dentatura esterna axente un numero di denti leggermente inferiore a quello dell'anello flessibile.
198
)-.
5. VITI
5.1 - Geometria delle viti La vite è essenzialmente un elemento rigido in cui la parte attiva, cioè quella che viene a contatto con l'altro elemento dell'accoppiamento, è costituita da una porzione dì elicoide, ossia da una porzione dì superficie generata Generatore d'onda
b)
a)
Struttura fissa
Fig. 144- Schema di installazione di un riduttore armonico per il comando del braccio di un robot
Per concludere, nella Fig. 144 è riportato lo schema di installazione di un riduttore armonico per il comando del braccio di un robot.
C)
Fig. 145- Sezione della vite con un piano passante per l'asse: a) filetto rettangolare; b) filetto trapezio; c) filetto elicoidale generico
l.
201
200 da una curva che si muove di moto elicoidale attorno all'asse della vite, compresa tra due cilindri analoghi ai cilindri od ai coni di troncatura delle ruote dentate (Figg. 145 a, b, c). Affi.nchè il moto possa avvenire nei due sensi la vite presenta in realtà due superfici elicoidali attive simmetriche ognuna delle quali serve a trasmettere delle forze in un verso assegnato. Poichè le due superfici elicoidali attive posseggono lo stesso passo, esse originano di conseguenza un filetto che si avvolge ad elica lungo il corpo centrale della vite, filetto che può assumere forme diverse a seconda del tipo di curva che genera l'elicoide. Le forme normalmente adottate nella pratica sono quelle: - rettangolare (Fig. 145-a); e - trapezia (Fig. 145-b). Le viti a filetto rettangolare, come si avrà modo di osservare nel seguito, anche se godono, a parità di altre condizioni, di un rendimento leggermente maggiore di quello delle viti a filetto trapezio, risultano di più difficile lavorazione rispetto a queste e pertanto la loro utilizzazione è abbastanza limitata. La distanza fra due intersezioni successive dei filetti della vite con un piano passante per il suo asse prende il nome di passo assiale Pa e può essere uguale o inferiore al passo effettivo dei filetti che costituiscono la vite a seconda del numero dei filetti stessi. Una vite può essere infatti formata da un unico filetto che si avvolge ad elica (Fig. 146a), ed in tal caso il passo Pe dell'elicoide costituente i filetti è uguale al passo assiale Pa (Fig. 145), oppure può essere realizzata da 2, 3 o più filetti tra loro equidistanti (Figg. 146b e c), ed in questo caso il passo dell'elicoide p. è un multiplo intero del passo assiale Pa, e vale: Pe=
Z
di solito pari ai 7/16 di Pa nelle viti rettangolari, mentre in quelle trapezoidali si ritrova in genere h~ 0,5pa e fJ = 14°30'.
5.2 - Vite e madrevite a filetto rettangolare Quando si vuole trasformare un moto rotatorio in uno rettilineo si può accoppiare una vite ad una madrevite (Fig. 147); quest'ultima è costituita da un cilindro cavo nel quale sono ricavate delle scanalature atte ad ospitare il filetto della vite stessa. Nelle applicazioni dell'accoppiamento vite-madrevite si possono riscontrare sia casi in cui il moto rotatorio della vite o della madrevite provoca il moto traslatorio dell'altro organo della coppia, sia casi in cui la vite o la madrevite sono mantenute fisse ed in tal caso l'elemento accoppiato a quello fisso è contemporaneamente dotato di moto rotatorio e di moto traslatorio. Onde poter determinare le relazioni esistenti tra le grandezze caratteristiche dell'accoppiamento vite-madrevite e le coppie e le forze ad esso applicate, si consideri inizialmente il caso di una vite a filetto rettangolare la cui elica media possiede angolo di inclinazione a rispetto alla normale all'asse della vite (Fig. 148a). Se ora si sviluppa su un piano il cilindro medio di diametro d, all'elica media corrisponderà una retta inclinata dell'angolo a sull'orizzontale, e tra passo Pe della vite ed angolo a della filettatura sussisterà di conseguenza la relazione: Pe
=
7r
d tg Cl'
Pa
se con z si indica il numero dei filetti (o principi) della vite. a)
b)
c)
Fig. 146 -- a) vite a l principio; b) vite a 2 principi; c) vite a 3 principi
Da un punto di vista costruttivo va osservato che l 'altezza h del filetto è
Fig. 147- Accoppiamento vite-madrevite
,_
203
202 Nello sviluppo indicato nella Fig. 148b inoltre, essendo la fi!ettatu~a di tipo rettangolare, alla vite V corrisponderà il prisma avente come mter~ezwne col piano della figura stessa il trapezio ABCD, mentre alla madrev1te M corrisponderà il prisma avente sezione AF ED.
a)
=
esaminato nel paragrafo 3.9 del l o volume, inclinata di un angolo tp arctg f rispetto alla normale n, in modo da possedere una componente d'attrito tale da opporsi al moto relativo fra le due superfici a contatto. Si avrà allora, dalla Fig. 149: P = F cos( a: + tp)
b) F
.......
®
''
~
' ',
® .........
6x
-----------d
BI.
rr.d
.(
Fig. 148 - Sviluppo dell'accoppiamento vite-madrevite su un piano
Si consideri ora il caso di una vite che ruota e di una madrevite che trasla; in base alla schematizzazione di Fig. 148b si potrà allora rappresentare questo meccanismo secondo quanto indicato nella Fig. 149: in essa la vite V trasla in direzione orizzontale ed il suo moto causa di conseguenza la traslazione della madrevite M in direzione verticale. Se ox è la traslazione della vite, la corrispondente traslazione della madrevite è data da: oz =o x· tg a:. Essendo inoltre, in base allo sviluppo dell'elica: ox = MJ · d/2, si otterrà in definitiva: (2.114)
oz = 2d tg 0: 8{)
Si supponga ora che alla madrevite M sia applicato un carico P e si supponga di voler determinare il momento Mv da applicare all'asse della vite per sollevare a regime il carico P, nell'ipotesi che il coefficiente di attrito tra i materiali costituenti la vite e la madrevite sia f e che sia di entità trascurabile l'attrito esistente lungo i supporti della vite e della madrevite. Con riferimento alla Fig. 149 si può osservare che, se non vi fosse attrito tra vite e madrevite, la direzione della forza scambiata tra questi due elementi sarebbe quella della normale n alle due superfici a contatto. In presenza di attrito invece la forza scambiata fra V ed M sarà, in base a quanto
Fig. 149 - Sollevamento di un carico applicato alla madrevite della vite v.
M
mediante rotazione
Poichè una forza F uguale ed opposta alla precedente viene esercitata dalla madrevite sulla vite, quest'ultima, sempre nella schematizzazione della Fig. 149, dovrà essere soggetta ad una forza T, avente direzione orizzontale, di intensità pari a: (2.115)
T= Fsin(a: + tp)
= Ptg(a: + tp)
.Come si è visto, il prisma V della Fig. 149 rappresenta lo sviluppo su un piano del cilindro medio della vite; pertanto la forza T espressa dalla (2.115) non è altro che la risultante delle componenti tangenziali di tutte le forze che la vite esercita sulla madrevite, componenti che, nello sviluppo della vite sul piano, sono ovviamente tutte parallele tra loro. Se ora, invece di considerare lo sviluppo su un piano della vite, si considera la vite effettiva, è facile concludere che le componenti tangenziali di tutte le forze esercitate dalla vite sulla madrevite sono disposte lungo il cilindro medio della vite stessa e danno luogo ad una forza risultante nulla e a.d
204
205
un momento rispetto all'asse della vite di intensità pari a:
dove T è esprimibile mediante la (2.115) e pertanto l'intensità. del momento Mv da applicare alla vite per sollevare il carico P è fornita da:
Mv
(2.116)
ma dalla parte opposta rispetto a quella relativa ad un sollevamento del carico V' > a oppure a(caso rappresentato nella Fig. 151 ), e pertanto le equazioni di equilibrio alla traslazione dell'accoppiamento sono date da:
P. È evidente che si possono ora verificare due casi e cioè che sia
d Mv =T2
= 2Pd tg (a-+ V')
=
P F cos(
ll rendimento del meccanismo varrà quindi, ricordando le (2.114) e (2.116): Péz tga(2.117) 1J = MvélJ = tg (a-+
È opportuno osservare che nella trattazione prima esposta si è fatto sempre riferimento al coefficiente di attrito j, mentre quando si esamina la condizione di quiete del sistema si dovrebbe a rigore introdurre nei calcoli l'angolo di aderenza 'P a = arctg fa. Poichè però IPa è sempre maggiore di
Fig. 153 - Forze scambiate in un accoppiamento vite-madrevite a filetto trapezio
In assenza di attrito, la forza Fn scambiata tra vite e madrevite ha la direzione n della normale alle due superfici a contatto, normale che giace in un piano ll1 formante l'angolo {} col piano verticale Ilo, ed è inoltre perpendicolare alla retta m intersezione del piano II 1 col pianò rr1 del filetto. La retta m a sua volta forma un angolo (3 con la direzione orizzontale, angolo che, sulla base di semplici considerazioni geometriche, è esprimibile mediante la: (2.119)
tg (3
=tg a cos {}
209
208 In presenza di attrito si ha, oltre alla forza Fn, anche una forza tangenziale f Fn diretta secondo l'elica ed avente verso tale da opporsi al moto relativo dei due membri. Se si indica allora con P il carico verticale agente, ad esempio, sulla madrevite e con T la forza tangenziale da applicare alla vite per sollevare il carico P, si ottiene, in base alle considerazioni prima esposte, e con riferimento alla Fig. 153:
5.4 - Viti differenziali e viti multiple
In talune applicazioni meccaniche in cui il moto rotatorio viene trasformato in moto rettilineo si vuole che quest'ultimo sia particolarmente lento o particolarmente rapido. Un moto molto lento può essere ottenuto usando
P= Fn cosf3cos {}- fFnsina { T Fn sin /3 + f Fn cosa
=
da cui, eliminando Fn, e tenuto conto della (2.119) si ha in definitiva: tg a + tg ~ J l - sin 2 a sin 2 {} -cos p - 1- tg SO tg a Vl - sin 2 asin 2 {} cos {} T
Poichè {} vale in genere 14° 30' ed a è sempre un angolo piccolo, il termine sin 2 a sin 2 {} è trascurabile rispetto all'unità e si è quindi in grado di scrivere, con ottima approssimazione, che: tg so
T - tga+ cos {} p- _ tgsotga 1 cos {}
Fig. 154 - Vite differenziale
Se ora in questa relazione si pone (2.120)
tg so' = tg so/ cos fJ
Si ottiene formalmente la stessa espressione già ricavata per le viti a filetto rettangolare: (2.121)
M v = T-d = -Pd tg (a + so') 2 2
so' rappresenta un angolo di attrito equivalente il cui valore è dato dalla
dove (2.120). Dall'analisi delle (2.120) e (2.121) si osserva che per {} = O, ossia per so' t.p, si ritrova la (2.116), e che, a parità di carico P da sollevare, il momento richiesto aumenta all'aumentare dell'angolo {} e pertanto, a parità di altre condizioni ed a conferma di quanto in precedenza asserito, il rendimento di un accoppiamento vite-madrevite a filetto trapezio è tanto minore quanto maggiore è l'angolo lJ del filetto stesso.
=
viti con passo molto piccolo, con la conseguenza però di avere filetti poco resistenti, ed analogamente un rapido moto di avanzamento può essere realizzato adottando un valore elevato del passo della vite, rinunciando però alla irreversibilità del sistema. Per ovviare a questi inconvenienti ed ottenere nel contempo i risultati voluti si utilizzano in pratica le viti differenziali e le viti multiple. Un esempio di vite differenziale è rappresentato nella Fig. 154: sul mozzo della ruota A è ricavata una vite con filetto destrorso s., vite che si impegna con una madrevite fissa W. Internamente allo stesso mozzo della ruota A è ricavata una madrevite, anch'essa a filettatura destrorsa, che si impegna con una vite S;, la quale può traslare ma non ruotare a causa dei vincoli realizzati dal supporto fisso. Effettuando lo sviluppo su un piano delle due viti S, ed S; si ottiene lo schema indicato nella Fig. 155. Si supponga ora di fornire alla ruota A una rotazione òlJ in senso antiorario: ali 'angolo òlJ corrisponderanno, ai raggi
211
210
medi delle due viti, due archi di ampiezza rispettivamente pari a: éx; = r; · étJ e éx. =· r, . étJ. Per effetto dello spostamento éx. la ruota A, solidale alla vite s., si solleva rispetto alla madrevite fissa W di una quantità éze = éxe. tg o:., se con o:e si indica l'angolo di inclinazione dell'elica della filettatura esterna. D'altro canto, per effetto dello spostamento éx; la vite S; si abbassa, relativamente alla ruota A, della quantità éz; == éx; ·tg o:;, dove al solito a; rappresenta l'angolo di inclinazione della filettatura interna. Ne risulta quindi che rispetto alla madrevite fissa W la vite S; si solleva della quantità:
n mome:r,tto che deve essere comp~essivamente applicato alla ruota A per provocare il sollevamento del carico P è dato, con riferimento alla Fig. 155, da: e, in base alla (2.115) e (2.118) si ha: T;= F; sin(c,o- o:;)= P tg (c,o- a;) { T. == F. sin(cp +a.) P tg (cp +a.)
=
ottenendo così in definitiva: (2.122)
éz = OZe- oz; =(r. -tg o:.é'IJ =(p.- p;)-. 271"
r;
·tga;)otJ = (2.123)
n rendimento del sistema, considerando le (2.122) e (2.123), risulta essere espresso dalla: (2.124)
=
e da quest'ultima si ritrova che se re tg o:. r; tg o:;, ossia se Pe =p;, il rendimento è nullo, e che il rendimento stesso è unitario quando cp O. Le viti multiple sono del tutto simili alle viti differenziali e si diversificano da queste solo perchè le eliche delle due viti che le costituiscono hanno verso di avvolgimento opposto. In tal caso, ad un·a rotazione étJ della ruota A corrisponde uno spostamento verticale éz della vite S; pari a: oz ::: (p;
=
otJ
+ Pe) 271"
e per il sollevamento del carico P è necessario applicare un momento di intensità pari a:
Fig. 155 - Schematizzazione di una vite differenziale Ciò significa che ad ogni giro della ruota A, la vite S; si solleva di una quantità pari alla differenza tra i passi della vite esterna e di quella interna. È evidente che se i passi delle due filettature sono uguali tra loro alla rotazione di A non corrisponde alcun moto della vite S;, e che se p; > Pe alla rotazione di A nel senso indicato corrisponde un abbassamento della vite S;.
5.5 - Viti a circolazione di sfere
n sistema costituito da vite e madrevite serve, come si è visto, a trasformare il moto rotatorio in moto rettilineo; se inoltre, come in effetti si ritrova nella maggioranza dei casi, l'angolo di inclinazione a dell'elica è minore dell'angolo di attrito cp, il sistema è irreversibile, ossia il moto può essere ottenuto
212
213
solo applicando una coppia alla vite (o alla madrevite), e non applicando una forza assiale alla madrevite (o alla vite); questa caratteristica dell'accoppiamento è ottenuta evidentemente a prezzo di una elevata perdita di potenza per attrito e di un conseguente basso rendimento. In molte applicazioni però, è necessario operare la trasformazione del moto con il massimo rendimento possibile, rinunciando di conseguenza alla irreversibilità del meccanismo. In tal caso si ricorre all'uso delle viii a circolazione di sfere (Fig. 156) in cui le filettature elicoidali della vite e della madrevite sono sostituite da scanalature elicoidali; in un certo tratto di queste scanalature sono alloggiate delle sfere che assolvono il compito di sopportare i carichi trasmessi dalla vite alla ma~ drevite e viceversa. Poichè le sfere rotolano senza strisciare sulle scanalature elicoidali della vite e della madrevite, il rendimento complessivo del sistema è molto maggiore di quello relativo ad un normale accoppiamento a filettatura rettangolare o trapezia. Va inoltre osservato che, essendo le gole della vite e della madrevite di forma elicoidale, la rotazione di uno dei due membri provoca l'avanzamento delle sfere, ed è pertanto necessario ricavare nell'interno della madrevite un <;ondotto di ritorno (Fig. 156) in modo da creare una circolazione continua delle sfere stesse.
lunghezza di un passo, tale dispositivo non è in pratica adatto a passi inferiori a3mm.
Fig. 157- Ricircolo interno al corpo della madrevite mediante deviatore o liner: A, punto di raccolta B, punto di immissione D, deviatore
Fig. 156 - Schema di vite a circolazione di sfere
Esistono fondamentalmente due tipi di dispositivi impiegati per la ricircolazione delle sfere: - ricircolo interno alla madrevite mediante deviatore (Fig. 157);
Fig. 158- Ricircolo esterno mediante tubetto deviatore: A punto di raccolta B, punto di immissione T, tubetto deviatore
- ricircolo esterno mediante tubetto deviatore (Fig. 158).
n dispositivo a ricircolo interno consente velocità angolari elevate; tuttavia, poichè ogni filetto necessita di un deviatore, e questo deve avere la
n dispositivo a ricircolo esterno consente un comodo passaggio delle sfere attraverso il tubetto deviatore e una notevole flessibilità nella scelta del passo, 8. JACAZIQ.PlOl'v!BO - La trasmissione del moto
j
214
ma dà luogo a un maggiore ingombro della madrevite e ne limita la massima velocità angolare a causa dello sbilanciamento prodotto dalla presenza del tubetto deviatore. Le geometrie del profilo delle scanalature utilizzate sono generalmente di due tipi:
215
da un angolo ,di di contatto nominale t9 0 in assenza di carico, ad un angolo di contatto di lavoro t9, che varia al variare del carico applicato.
- pro:filo ad arco di circonferenza (Fig. 159 a) - profilo ad arco gotico (Fig. 159 b).
a) retta di pressione
-------------------------asse I'Ìte Fig. 160 - Definizione dell'angolo di contatto t.
• Con riferimento alla Fig. 161,indic~do con
Madrevite
r A, r 8
le distanze dei centri
A e B di curvatura dei profili delle piste di rotolamento dall'asse della vite, con r0 la distanza fra i suddetti punti, l'angolo di contatto nominale è dato
b)
da:
Vite
(2.125)
·· cost9o
rB -rA = _.::::.._;:.:. ro
Fig. 159 - Profilo della scanalatura ad arco di circonferenza (a), ad arco gotico (b)
5.6 - Caratteristiche geometriche e di funzionamento di una vite a circolazione di sfere In una vite a circolazione di sfere ogni corpo volvente ha un contatto puntiforme con le scanalature elicoidali della vite e della madrevite. Là congiungente dei punti di contatto della sfera con le due piste è detta retta di pressione, e costituisce la retta secondo la quale viene trasmesso il carico dalla vite alla madrevite (o viceversa). Si definisce angolo di contatto l'angolo t9 (Fig. 160) formato dalla retta di pressione con un piano radiale (perpendicolare all'asse della vite). Durante il funzionamento della vite a circolazione di sfere si hanno deformazioni locali di contatto tra sfere e piste di rotolamento, per cui l'angolo di contatto varia
l Fig. 161 - Definizione geometrica della sfera e delle piste
j lf
217
216
A sua volta, r 0 è dato da: ro
In molte applicazioni l'angolo di contatto nominale è circa 45° e aumenta di 5°-8° in condizioni di massimo carico applicato alla vite. La relazione fra la velocità assiale V e la velocità angolare w in una vite a circolazione di sfere è identica a quella di un accoppiamento vite-madrevite:
= 2R- d
dove:
=
R raggio di curvatura del profilo della scanalatura; d= diametro della sfera.
(2.127)
V= rtgetw
Nel caso in cui le piste di rotolamento abbiano profilo circolare, la (2.125) diventa:
dove r è il raggio medio e et è l'angolo di inclinazione delle scanalature elicoidali rispetto a un piano perpendicolare all'asse della vite. Poichè il passo dell'elica p è legato a r e ad et dalla relazione:
come si può ricavare dalla Fig. 162, essendo e il gioco radiale. Quando la vite è sottoposta a un carico, tra vite e madrevite si produce uno schiaccia.mento 6, in seguito al quale si ha un aumento dell'angolo di contatto t9. Con riferimento alla Fig. 163, si ha infatti:
p= 27rr tg et
e cost9a=1-ro
risulta anche: (2.128)
CIA =CIBI tgt9 =cl c+ CA= 6 + rosin t9o
Madrevite
b)
a)
Fig. 162- Geometria di sfera e piste con profilo circolare
D'altra parte, in prima approssimazione:
per cui: 6 + ro sin t? o
= ro cos t? o tg t9
e, di conseguenza: (2.126)
tg t9
6
= tg t9 o + r cos t9 o 0
Fig. 163 - Variazione dell'angolo di contatto con la deformazione assiale
n rendimento di una vite a circolazione di sfere è normalmente abbastanza elevato; per angoli di inclinazione dell'elica maggiori di 3° esso è solitamente maggiore di 0,9. In queste condizioni, la differenza fra il rendimento
218
in moto diretto (potenza fornita dall'elemento che ruota) e il rendimento in moto inverso (potenza fornita dall'elemento che trasla) è circa di 0,01-0,02. n rendimento si abbassa nel caso in cui la vite a circolazione di sfere sia precaricata al fine di annullare i giochi, pur rimanendo comunque a valori elevati. Nel caso di una vite a circolazione di sfere precaricata si genera infatti una coppia passiva costante che abbassa il valore del rendimento per piccoli carichi trasmessi, mentre ha una influenza più limitata quando i carichi trasmessi sono elevati. Per una vite a circolazione di sfere non precariéata, il rendimento può essere espresso, con buona approssimazione, mediante una relazione analoga a quella dell'accoppiamento vite-madrevite: 'T]=
(2.129)
{
'T]=
tga tg(a + cp)
(rendimento diretto)
tg(a- cp) tg a
(rendimento inverso)
6. CAMME
6.1 - Geometria delle camme dove (2.130) essendo u il parametro di attrito volvente, d il diametro della sfera e ?J l'angolo di contatto. n carico agente su ogni sfera è, a sua volta dato da: (2.131)
P=
FA Zeff
sin ?J cos( a
+ cp)
dove FA è il carico assiale totale e Zeff il numero effettivo di sfere caricate (mediamente il 60-70% del numero totale delle sfere).
Con il nome di camme si definiscono quei particolari organi meccanici che, dotati di opportune sagome o profili, trasformano un moto continuo nel moto alternativo di un altro organo ad essi accoppiato, realizzando così per quest'ultimo una ben definita legge del moto. Le camme, la cui applicazione ha trovato e trova tuttora grande riscontro nella tecnica, possono essere raggruppate in tre categorie principali: · a) camme che trasformano un moto rotatorio continuo in un moto traslatorio alternativo (Fig. 164 a); b) camme che trasformano un moto rotatorio continuo in un moto rotatorio alternativo (Fig. 164 b); ed infine: c) camme che trasfomrano un moto traslatorio continuo in un moto traslato~io alternativo (Fig. 164 c).
n
tipo di moto realizzato dall'elemento accoppiato ad una camma è funzione sia del suo profilo sia del profilo della camma stessa, e poichè tali profili possono assumere le forme più disparate è di conseguenza possibile ottenere, mediante un adeguato uso delle camme, i più svariati tipi di legge del moto. Nel caso di camme che trasformano un moto rotatorio continuo in un moto rettilineo alternativo (Fig. 164 a), l'organo ad esse accoppiato prende il nome di punteria ed il contatto tra i due elementi può essere a sua volta realizzato mediante un bordo a coltello (Fig. 165 a), un rullo (Fig. 165 b), od
l l
220
l
un piattello (Fig. 165 c). Si definisce inoltre alzata della punteriala distanza esistente tra la posizione assunta, in un istante generico del moto, da un punto solidale alla punteria stessa e quella ad esso relativa quando la punteria si trova nella sua posizione più bassa, ossia quella per cui è minima la distanza del punto considerato dal centro di rotazione della camma.
221
a) b)
Si consideri ora la camma con punteria a rullo illustrata nella Fig. 166; in tale figura è rappresentata per l'accoppiamento camma-punteria la condizione per cui è minima la distanza di un punto generico della punteria dal centro E della camma, condizione che verrà qui di seguito assunta come iniziale ed indicata come posizione O. Se ora si ruota la camma in senso antiorario, si osserva che, dopo una rotazione t? 11 ad esempio pari a 30°, essa si trova rispetto alla punteria nella posizione indicata con l ed ha provocato il sollevamento della punteria stessa, rispetto alla sua posizione iniziale, di una quantità pari a z1 • Proseguendo in modo analogo per valori dell'angolo di rotazione compresi nell'intero giro, si è in grado di tracciare un grafico nel quale si riportano i valori delle alzate z1 , z2 , ••. , Zn della punteria in funzione dei rispettivi valori degli angoli di rotazione t?1. t? 2 , .•• , t? n della camma. In tale grafico (Fig. 166) si individuano in genere una fase di sollevamento S ed una fase di ritorno R caratterizzate da valori variabili d eli 'alzata, ed una fase stazionaria D in cui l'alzata della punteria si mantiene costante; l'arco di camma corrispondende a quest'ultima fase viene definito arco ozioso.
l.
~~~
Fig. 164 - Tipi fondamentali di camme
a)
b)
+
z
c)
D
Fig. 166 - Alzate della· punteria in funzione della posizione angolare della camma
6.2 - Cinematica delle camme con punteria
Fig. 165 - Tipi di punterie
n tipo più comune di camme è senza dubbio costituito da quelle che trasformano il moto rotatorio continuo in moto rettilineo alternativo, ossia dalle camme accoppiate ad una punteria (Fig. 165 a,b,c). Per tali accoppiamenti assume una particolare importanza la corretta determinazione delle caratteri-
222
223
stiche cinematiche ad essi relative, in quanto proprio tali accopiamenti risultano sovente utilizzati in applicazioni tecniche implicanti alte velocità. Come è facile intuire, con il termine determinazione deÙe caratteristiche cinematiche dell'accoppiamento si intende in realtà indicare una ésatta valutazione delle relazioni esistenti tra le caratteristiche cinematiche (ossia alzata, velocità ed accelerazione) della punteria e le corrispondenti posizioni angolari tJ della camma. Per poter individuare e di conseguenza correttamente risolvere il problema, conviene considerare un punto solidale alla punteria, detto punto di riferimento; in genere si assume, per una punteria con bordo a coltello, il punto di riferimento R coincidente con l'estremità della punteria stessa (Fig. 167 a), mentre per una punteria a rullo si assume R coincidente con il centro del rullo (Fig. 167 b) e per una punteria a piattello R è normalmente rappresentato dall 'intersezione della traccia della superficie di lavoro del piattello con la retta passante per il centro della camma e parallela all'asse della punteria (Fig. 167 c). b)
a)
)
integrare la relazione a= f(tJ) rispetto al tempo t: V= f'adt= lf('IJ)dt lo o .
D'altra parte, nell'ipotesi che la velocità angolare w della camma sia nota, si ha: dt = d'IJ/w, per cui, supponendo ancora che w sia costante per il tempo di integrazione considerato, si ottiene in definitiva:
v = .!. {'' !( tJ) d'IJ w lo
(2.132)
Se allora si riportano su di un diagramma (Fig. 168) i valori dell'accelerazione a in funzione della posizione angolare tJ della camma, la velocità V della punteria è rappresentata, a meno del valore della costante l/w, dell'integrale rispetto a tJ della funzione f('IJ), ossia dal valore dell'area compresa tra la curva rappresentante la f(tJ) e l'asse degli angoli di rotazione.
a~D~--------------~5~----------------~~D
C)
V
IDI
~t l ID' 1m l l
R
N!!
:~t
~
'Wl
l l
~
h
! ~l
N!! l~ R
l
R
Fig. 167- Puntò di riferimento di una punteria
Si supponga ora di voler realizzare una camma in modo che l'accelerazione a della punteria, ossia quella del punto di riferimento, abbia un certo andamento in funzione dell'angolo di rotazione tJ della camma, ovvero, in altre parole, si supponga assegnata la relazione a = f( tJ). Per determinare la velocità di sollevamento della punteria (o meglio, del suo punto di riferimento R) ad un istante generico t è allora necessario
Fig. 168 - Velocità, alzata ed accelerazione di una punteria in funzione degli angoli di rotazione della camma
Analogamente, l'alzata h è data da: (2.133)
e se si pone: F( tJ)
h
=
i"
1
= o v dt = -wl !
i" v o
f('IJ) d'IJ, si ha: h= 2l w
1" o
F('IJ) d'IJ
dtJ
225
224
Nella Fig. 168 sono per l'appunto tracciate, in funzione degli angoli di rotazione t9 della camma, le curve della accelerazione a, della velocità V e dell'alzata h della punteria. Poichè ad ogni istante la velocità è la derivata rispetto al tempo, o, nell'ipotesi di velocità angolare costante, rispetto alle rotazioni t9, dell'alzata e l'accelerazione è la derivata rispetto al tempo (o alle rotazioni) della velocità, si può osservare che in corrispondenza dei punti di accelerazione nulla la curva delle velocità presenta un massimo mentre quella delle alzate presenta un fiesso, e così la curva delle alzate presenta un massimo (od un minimo) dove si annullano i valori delle velocità. 6.3 - Tracciamento del profilo della camma Una volta determinata la legge delle alzate della punteria in funzione della posizione angolare della camma, il profilo di quest'ultima può essere determinato utilizzando il procedimento seguente. Si consideri il punto di riferimento R della punteria (Fig. 167) e si fissi il raggio r 0 del cerchio di base, ossia la distanza del punto di riferimento R della punteria dal centro X della camma quando l 'ci.J.zata h è nulla. Si supponga ora di fornire a tutto il sistema una velocità angolare- w, uguale ed opposta a quella della camma; in tali condizioni la camma risulta ferma mentre la punteria ruota attorno al centro X con una velocità angolare- w. In base all'espressione della legge delle alzate in funzione della posizione angolare t9 : h = h( t9), espressione che o è nota, o è determinabile nel modo esposto nel paragrafo precedente, si è in grado di riportare, per ogni valore di t9, il corrispondente valore dell'alzata h. In tal modo il punto di riferimento R descrive una curva chiusa che costituisce il profilo teorico della camma: quest'ultimo dunque rappresenta la curva descritta dal punto di riferimento R quando si faccia ruotare la punteria attorno alla camma. Se la punteria termina con.. un bordo a coltello, il profilo teorico coincide, come è facilmente intuibile, con l'effettivo profilo di lavoro della camma (Fig. 169), in quanto in tal caso il punto di riferimento R coincide in ogni istante con il punto di contatto tra camma e punteria. Se invece la punteria porta un rullo, il profilo teorico è quello descritto dal centro del rullo (Fig. 170) mentre l'effettivo profilo di lavore è ottenibile tracciando tante circonferenze aventi centri lungo tutti i punti del profilo teorico t e raggio pari a quello del rullo. L'inviluppo interno di tutte queste circonferenze costituisce il profilo di lavoro l della camma, ossia esso rappresenta la curva lungo la quale il rullo deve rotolare senza strisciare in modo da realizzare la voluta legge delle alzate della punteria.
Fig. 169 - Profilo della camma per una punteria con bordo a coltello
Fig. 170 - Profilo della camma per una punteria a rullo: t filo di lovor()
= profilo teorico; l = pro-
226
227
Se .infine la punteria termina con un piattello, una volta disegnato il profilo teorico t della camma si deve tracciare, a partire da ogni punto del profilo stesso, la normale alla congiungente il punto considerato con il centro della camma. La curva di inviluppo di tutte queste normali (Fig. 171) fornisce il profilo di lavoro l della camma, profilo lungo il quale striscia il piattello durante il suo moto relativo alla camma stessa.
originare un fenomeno di imp11ntamento, condurrebbe addirittura ad una reale impossibilità del funzionamento stesso. ll raggio del cerchio di base dal quale si inizia a tracciare il profilo teorico della camma può essere scelto in modo arbitrario; tuttavia per esso esiste un valore limite inferiore imposto da particolari condizioni geometriche, oppure dalla necessità di evitare eccessive sollecitazioni dì contatto. Si consideri infatti l'esempio riportato nella Fig. 172 a, dove si è indicato con t il profilo teorico della camma; se la punteria è a rullo, il profilo di lavoro altro non è che l'inviluppo interno delle posizioni assunte dal rullo stesso ed è rappresentato in figura dalla curva l. In tali condizioni però sorge un inconveniente dovuto al fatto che il rullo, quando è nella posizione teorica individuata dalla lettera E, non tocca la curva di lavoro, e questo significa in pratica che nell'intorno di quella posizione la camma non realizza la legge del moto voluta. Per ovviare a ciò si può allora scegliere un cerchio di base di raggio maggiore, oppure adottare un rullo di diametro minore (Fig. 172 b), sempre che le sollecitazioni di contatto non siano eccessive.
~~~ l
i
a)
Fig. 171 - Profilo della camma per una punteria a piattello: t l = profilo di lavoro
= profilo
b)
teorico;
La punteria a piattello, pur fruendo del vantaggio di originare valori delle pressioni locali di contatto inferiori a quelli relativi a punterie a coltello od a rullo, presenta tuttavia l'inconveniente di doversi necessariamente accoppiare ad una camma dotata di un profilo di lavoro interamente convesso. In caso contrario infatti, la presenza della benchè minima rientranza altererebbe il corretto funzionamento del sistema camma-punteria ed in taluni casi, potendo
Fig. 172 - Influenza del raggio del cerchio di base sul profilo della camma Per concludere la rassegna delle principali caratteristiche geometriche dei profili delle camme, va ancora osservato che all'inizio di questo paragrafo si è definito come cerchio di base della camma il cerchio coincidente con la parte del profilo teorico della camma per il quale l'alzata è nulla. In modo del
229
228
tutto analogo si definisce cerchio di riposo della camma il cerchio coincidente con la parte del profilo di lavoro della camma stessa per il quale l'alzata è nulla.
Poichè inoltre l'integrale che compare nella relazione sopra scritta rappresenta l'area sottostante alla curva a= a( t?), tra gli angoli di rotazione e le accelerazioni ad essi relative dovrà in definitiva esistere la relazione:
6.4 - Camma ad accelerazione costante
Al fine di esemplificare quanto precedentemente esposto si consideri una camma in cui la legge delle accelerazioni della punteria in funzione delle posizioni angolari della camma è rappresentata da una serie di segmenti orizzontali corrispondenti quindi ad intervalli ad accelerazione costante. Nel diagramma relativo (Fig. 173) quindi, l'accelerazione, inizialmente positiva e pari ad a 1 , si mantiene costante fino a quando l'angolo di rotazione della camma non raggiunge il valore t9 1 ; per t9 = t9 1 essa diventa negativa e pari ad a= -a2 e tale si mantiene fino a quando la camma non ha ruotato di un angolo pari a t?3; per angoli compresi fra t9 3 e t9 4 infine, l'accelerazione assume nuovamente un valore costante e positivo e pari ad a1.
Nella maggior parte dei casi riscontrabili nella pratica poi, le camme sono simmetriche, ossia per esse esistono un arco compreso far i valori O e t9 2 in cui la punteria si alza, ed un arco di eguale ampiezza, compreso fra t9 2 e t9 4 , in cui la punteria si abbassa con una legge del moto simmetrica alla precedente rispetto all'angolo di rotazione t9 2 • In questo caso pertanto la velocità della punteria si annulla anche in corrispondenza di t9 2 ed all'angolo t9 2 stesso corrisponde ovviamente un valore massimo dell'alzata. Nel caso di camma simmetrica pertanto esisterà l'ulteriore condizione:
v2 =-wl
1{}'o
a(t?)dt?
=o
condizione che, nel caso di camma a.d accelerazione costante, si traduce nella: a
(2.134)
a,f--- --------·------ ---------.--........
Supposto dunque che la. camma sia simmetrica, e che sia di conseguenza soddisfatta la (2.134), la velocità massima della punteria si presenta al termine della fase di accelerazione positiva della camma (Fig. 174) e vale, in base alla (2.132):
11{}
1
a1t?1
V1 =a(t?)dt?=w o w
-·l----'--------1...-Fig. 173 - Diagramma delle accelerazioni di una punteria accoppiata ad una camma ad accelerazione costante
Poichè all'inizio ed al termine della fase di lavoro, cioè per angoli di rotazione t9 = O e t9 = t9 4 , la velocità. deve essere nulla, dovrà di conseguenza necessariamente essere: V4 = (V){}={}•
= 2_ w
[{}•
lo
a(t?)dt9 =O
Nell'arco compreso tra t9 1 e t9 2 la velocità della punteria diminuisce, ma si mantiene sempre positiva, e pertanto l'alzata h continua ad aumentare fino a raggiungere un massimo per t9 t9 2 , massimo che, in base alla (2.133), vale:
=
(2.135)
La (2.135) esprime dunque la relazione esistente fra l'alzata massima della punteria, l 'accelerazione iniziale, gli angoli di rotazione t9 1 e lJ 2 e la velocità. angolare w della camma nel caso di camme ad accelerazione costante. In base ad essa si può ricavare il valore di a 1 in funzione delle altre grandezze: 01
=
2hM:..: 2 VJV2
231
230
e da questa, in base alla (2.134), si otterrà per
a2
{} 1
2hMw 2
{}2- {}1
'!92({}2- {}1)
a2 = a 1 - - - =
che altererebb~ evidentemente la legge del moto della punteria, questa è normalmente sottoposta all'azione di una molla (vedasi a questo proposito il successivo § 6.9) che la mantiene costantemente a contatto della camma in modo da assicurare la realizzazione della legge del moto voluta. Fino ad ora si .sono ricavate, per il caso di camma ad accelerazione costante, le espressioni della velocità massima e dell'alzata massima della punteria; quando si vogliano invece ricavare, sempre per una camma ad accelerazione costante, le espressioni della velocità e dell'alzata ad un istante generico t in funzione della posizione angolare {} della camma si deve procedere nel modo seguente. Nel primo tratto (ad accelerazione positiva) la velocità della punteria è esprimibile, in base alla (2.132), mediante la:
il valore:
a,V,h
1"
V=-l w o
(2.136)
e per t9
= {} 1 ,
a1d{}
{} =a1-
w
essa vale, come già precedentemente ricavato:
v,1_-a1{}1 -w
L 'alzata h, sempre nel tratto ad accelerazione positiva, è invece esprimibile, in base alla (2.133), mediante la: Fig. 174 - Diagrammi di accelerazione, velocità ed alzata per una camma ad accelerazione costante
Si supponga allora che una camma di questo tipo ruoti alla velocità angolare di 1500 giri/mm, che l'alzata massima da essa realizzata sia hM = 5 mm e che gli angoli {} 1 e '!9 2 valgano rispettivamente 30° e 90°. In base alle relazioni precedenti ed essendo: w= 157,08 radfs, {}1 = 0,5236 rad, {} 2 = 1,5708 rad, i valori di a 1 ed a 2 saranno dati da:
..
a = 2 x 0,005 x (157,08? 1
a2
0,5236 x 1,5708
=300 x
= 300 m/s2 = 30 6
5236 O, l, 5708- o, 5236
'
h
(2.137)
e per {}
= '!9 1
= -l
w
1" o
V dt9
= -l
w2
1" o
a1 t9
dt9
·
2
= -a1 {}
2w2
essa vale al solito: h - alJ?i ·l 2w2
Nel tratto corrispondente a valori negativi della accelerazione ('!9 1 < lJ < '!9 2) l'espressione della velocità sarà data da:
g
= 150 m/s = 15,3 g 2
Come si può notare, le accelerazioni delle punterie comandate da camme ruotanti a grande velocità raggiungono valori molto elevati e di conseguenza la punteria è soggetta a forze di inerzia notevoli che, durante la fase di accelerazione negatiYa (arco compreso tra i valori t9 1 e t9 2 della Fig. 174 ), tendono ad allontanarla dalla camma. Onde evitare il verificarsi di questo fenomeno,
(2.138)
Sempre nel tratto di accelerazione negativa l'alzata sarà espressa da: h
= -wl
1" v o
dt?
= -wl
[1" v + 1" v ] o
1
dt?
.,,
dt?
232
233 a
da cui, in base alle (2.136) e (2.138), si trova in definitiva: (2.139)
h= : 2 [(al+ a2) t?1
19 (t?- 21) - a2 ~ ] 2
Dalle (2.138) e (2.139), sostituendo in esse a t9 il valore !J2, si ritrovano ovviamente un valore nullo della velocità V ed il valore massimo dell'alzata hM espresso dalla (2.135). Le (2.137) e (2.139) forniscono dunque i valori dell'alzata h della punteria in funzione della posizione angolare t9 della camma ed in base ad esse si possono pertanto ricavare, secondo quanto esposto nel paragrafo precedente, sia il profilo teorico che quello effettivo (di lavoro) della camma che realizza la legge del moto a tratti di accelerazione costante.
6.5 - Tipi principali di leggi del moto adottate nella realizzazione di camme Per le camme ad accelerazione costante, già. dettagliatamente esaminate nel paragrafo precedente ed utilizzate nella pratica in applicazioni a media velocità, si può ancora osservare che se si suppone l 'angolo t9 1 pari a t9 2 /2 si ritrova dalla (2.135): 4w 2 hM
a1
··· .. V
·· ... e
____ l ~
o
....._
_.
a)
Y············ ...
C)
' . /·/ .· · · · · · · < ~
d)
·· .. e
e
= --t922-
Se si indica inoltre con t 0 il tempo necessario a raggiungere l'alzata massima, il valore di a1 risulta fornito dalla: a1
= -4hM to2
Seguendo.lo stesso procedimento adottato pe!.le camme ad accelerazione costante si possono ora ricavare sia le leggi delle velocità e delle alzate della pu.nteria in funzione degli angoli di rotazione della camma, sia la relazione esistente tra i valori dell'alzata massima hM e dell'accelerazione massima aM per altre forme del diagramma delle accelerazioni, ossia, in definitiva, per altri tipi di legge del moto della punteria. Tra queste, le più comunemente adottate nelle applicazioni pratiche sono le seguenti (*):
( *) Va osservato che in Fig. 175 sono riportati i diagrammi delle accelerazioni della punteria in funzione degli angoli di rotazione della camma al valore 0 corrispondente all'alzata massima della punteria (valore indicato con 11, nella Fig. l 74 relativa al caso di camma ad accelerazione costante); si suppone pertanto che le camme che realizzano tali leggi del moto siano di tiph simmetrico.
e)
f)
·····.
g)
h)
Fig. l i5 - Forme del diagramma delle accelerazioni della punteria normalmente usate nella tecnica: a) ad_ acce!erazione costante; b) lineare crescente; c) lineare decrescente; d) polmom1ale; e) cosinusoidale; f) sinusoidale; g) trapezoidale; h) trapezoidale modificata
235
234 111
Legge lineare crescente (Fig. 175 b)
In tal caso la massima accelerazione e la massima velocità della punteria valgono: 12hM
aM=-r o
e
Come è facile intuire, anche se l'accelerazione in questo caso aumenta progressivamente, l'inversione che essa presenta a metà del diagramma origina perturbazioni di grande intensità e pertanto tale legge del moto trova applicazione solo nel caso di basse velocità di funzionamento. 111
e viene raggiul).to in corrispondenza dell'angolo !'J = ej2. A causa della graduale variazione subita dai valori della accelerazione, questo tipo di legge del moto della punteria viene utilizzato quando esistono grandi velocità di rotazione della camma. 111
Legge cosinusoidalè (Fig. 175 e).
In tal caso la legge delle accelerazioni, rappresentabile mediante la: a= kcos
fornisce per il valore massimo della accelerazione l 'espressione:
Legge lineare decrescente (Fig. 175 c).
Per essa l'accelerazione, massima ali 'istante iniziale, decresce linearmente fino ad annullarsi al centro del diagramma ed a raggiungere il massimo valore negativo all'istante corrispondente all'alzata massima. I valori della accelerazione massima e della massima velocità sono in questo caso espressi da: 6hM aM=f:2 e
Tale valore massimo è positivo per !'l = O e negativo per !'l = e. La massima velocità, raggiunta in corrispondenza dell'angolo !'J = e;2, \·aie invece: VM
o
111
(~)
= 2hM io
Leggi del moto di tipo cosinusoidale sono normalmente utilizzate in applicazioni a media velocità.
Legge polinomiale (Fig. 175 d).
Indicando con e il valore dell'angolo corrispondente all'alzata massima e con !'J l'angolo di rotazione generico della camma, la legge di accalerazione di tipo polinomiale rappresentata in figura è esprimibile mediante la:
111
Legge sinusoidale (Fig. 175 f).
È una legge di accelerazione a forma di sinusoide completa ed è pertanto esprimibile mediante la:
. (2iri' e J)
a= ksm
ed in tal caso pertanto l 'accelerazione si annulla in corrispondenza degli angoli: !'l= o, !'l= ej2 e !'l= e. Con questo diagramma di accelerazione, il valore massimo (positivo e negativo) della accelerazione stessa è pari a: aM
5, 77 hM = __ t_2_ o
e viene raggiunto in corrispondenza degli angoli !'J il valore massimo della velocità è dato da:
=ej4
e !'J
= 3e/4,
mentre
La massima accelerazione è raggiunta in corrispondenza di (positiva) e !'J 3ej4 (negativa) e vale:
=
!'J
mentre la massima velocità, raggiunta in corrispondenza dell'angolo !'J vale: hM VM=2-
= e;4
= ej2,
to Leggi del moto di tipo sinusoidale sono generalmente usate in applicazioni implicanti grandissime velocità di funzionamento.
237
236 11
Legge trapezoidale (Fig. 175 g)
La legge trapezoidale illustrata in figura è definita dalle seguenti condizioni:
e
a= k19
per0<19
e 8
<19<
30
per
8
per
8
per
8
50 70
30
a=
8 50
< 19 <
8
<19<
8
70
a=
ke a= -8 a=
< 19
k0
8 (costante) ke 2-M
stabilita la legge del moto della punteria ad essa accoppiata. Purtuttavia nella pratica corrente si verifica sovente il fenomeno opposto, ossia si stabilisce in genere il profilo della camma in base a considerazioni diverse, quali ad esempio la semplicità di lavorazione della camma stessa, e si vuole di conseguenza determinare la legge del moto da esso realizzata. Questa metodologia, opposta alla precedente, vien~ adottata ogniqualvolta si desideri raggiungere il valore massimo dell'alzata della punteria in corrispondenza di un ben determinato angolo di rotazione della camma senza peraltro dover soddisfare a particolari requisiti sui valori delle alzate intermedie.
(costante)
-ke +H
e pertanto i valori massimi dell'accelerazione e della velocità risultano espressi dalle: hM hM aM=5,3-?- e VM=2t0
io
Leggi di tipo trapezoidale sono abbastanza usate nella pratica per applicazioni con grande velocità di rotazione della camma. 11
Legge trapezoidale modificata (Fig. 175 h)
Simile alla precedente, differisce da essa per il fatto che i tratti rettilinei sono sostituiti da archi di sinusoide analiticamente esprimibili mediante le:
e
S: 30 e { per-< 19
8
2
e (471"19 e -
. (471"19) a= k·sm a
= k· .
Slll
7r
)
La massima accelerazione e la massima velocità della punteria valgono rispettivamente:
ed anche questa legge di accelerazione, così come quella sinusoidale, è utilizzata per applicazioni implicanti altissime velocità di rotazione della camma.
Fig. 176 - Camma a fianchi rettilinei con punteria a rullo. Fase di accelerazione positiva
6.6 - Camma a fianchi rettilinei con punteria a rullo
In tutti questi casi quindi, noti i valori dell'alzata massima e dell'angolo di lavoro e noto il tipo di profilo, si debbono determinare le effettive dimensioni geometriche della camma e le massime velocità ed accelerazioni realizzate dalla
Kei precedenti paragrafi si sono esposti i criteri in base ai quali si è in grado di determinare il profilo teorico e quello effettivo di una camma una volta
238
239
punteria ad essa accoppiata. Un tipo di camma abbastanza comune .è quello rappresentato nella Fig. 176 ed indicato normalmente come camma a fianchi rettilinei. In tale camma, di tipo simmetrico, il cerchio di riposo, di raggio r 1 e centro 0 1 è raccordato in M ad un tratto rettilineo,__M N, il quale è a sua volta raccor-
=
dato in ,...... N ad un arco di circonferenza N P di centro 0 2 e raggio r 2 0 2 N; ........ l'arco N P infine è raccordato in P ad un arco di circonferenza PQ avente raggio r 3 = 0 1 Q e centro in 0 1 ; la retta individuata dal segmento 0 1 Q costituisce inoltre l'asse di simmetria della camma. Essendo la punteria costituita da un rullo di raggio r 4 , il profilo teorico della camma, indicato a tratto e punto nella Fig. 176, è pertanto rappresentato da un cerchio di base di centro 0 1 e raggio r 1 + r 4 , da un tratto rettilineo ,-.
Indicand,o ora con t?1 l'angolo M'o;N', si ha, in base alle (2.140) e (2.141 ), che l'alzata e la velocità ad esso corrispondenti, ossia l'alzata e la velocità raggiunte dalla punteria al termine del tratto rettilineo M N della camma, valgono:
e:
M'N' parallelo a M N e distante da questo r 4 , da un arco N'P' di centro
"'"' 0 2 e raggio r 2 + 1·4 , da un arco P' Q' di centro 0 1 e raggio r 3 + r 4 , e quindi da altrettanti archi e segmenti simmetrici ai precedenti rispetto all'asse 0 1Q'. Per determinare la legge del moto nella fase di accelerazione positiva si considerino la camma e la punteria nella posizione indicata nella Fig. 176 e si indichi con t9 l'angolo formato tra la congiungente il punto di riferimento R della punteria con il centro 0 1 della camma ed il segmento 0 1M', assunto quale posizione iniziale. In tale generica condizione la distanza R0 1 è pari a: ROl =M'O!
cos t9 e l'alzata della punteria risulta pertanto espressa da: (2.140)
In base alla (2.140) la velocità e l'accelerazione della punteria quando questa è a contatto con il tratto rettilineo della camma saranno rispettivamente esprimibili mediante la: (2.141)
V
dh dt? tg t9 = -dh = -d'l!) -dt = (1·1 + r4) w dt cos t9
e la _ dV _ dV dt9 _ t - d·•v dt - (rJ
a- d
+ r4
) w
2
l+
2 tg 2 t?
cos .ov ed in particolare l'accelerazione all'istante iniziale varrà:
Fig. 177 - Camma a fianchi rettilinei con punteria a rullo. Fase di accelerazione negativa ,....._
I\ el tratto N P la punteria a rullo e la camma si trovano nella posizione illustrata n.:!!_a Fig. 177 e se si indicano con t.p l'angolo o;ifo2 e con t?' l'angolo R01P di cui deve ruotare la camma per portarsi dalla posizione
240
241
(,
generica indicata in figura a quella corrispondente all'alzata massima (si osservi che la condizione di alzata massima è raggiunta quando i punti R,P ed 0 1 sono allineati in quanto lungo l'arco PQ, che ha centro in 011 l'alzata stessa mantiene inalterato il suo valore), si può esprimere il valore generico dell'alzata mediante la relazione:
D'altro canto, considerando il triangolo R020 11 si ottiene facilmente: R02 sin r.p = 0102 sin 13'
L'accelerazione.-,della punteria, sempre nel caso di punto di contatto compreso nell'arco N P, vale di conseguenza: dV d'IJ' a= d'IJ' dt
(2.144)
= -c(r2 + r4)w2
[
4 <: cos 21J' + <: 3 sin 13'] cos TJ' + (1- é'2 sin2 IJ')3/2
Le equazioni (2.142)', (2.143) e (2.144), espresse in funzione dell'angolo IJ', possono evidentemente essere riscritte facendo comparire in esse l'angolo IJ, in quanto tra TJ e TJ' sussiste la semplice relazione: '19' = IJ 2 - TJ. Ad esse però vanno aggiunte alcune condizioni di carattere geometrico; dall'esame del triangolo 02N'01 (Fig. 177) si ha infatti che:
ossia: e quindi che: (r3- r2) sin(IJ2 - 131) dove:
r3- r2 r2 + r4
<:=---
ossia in definitiva che: r3- r2 sin IJ1 é'=--= r2+r4 sin(IJ2-IJ1)
ed in definitiva si avrà:
L'alzata generic;:._ della punteria quando questa è a contatto con la camma lungo l'arco NP vale pertanto:
= (r2 + r4) sin IJ1
Va ancora osservato che la lunghezza del segmento 0 1N' è esprimibile mediante la: 01N' = Oz01 · cos( IJ2- IJ1) + 02N' cos '111 e che in definitiva per l'accoppiamento considerato deve essere rispettata l'ulteriore condizione:
(2.142) e la velocità della punteria lungo tale arco vale di conseguenza:
=
Si noti infine che per TJ = IJ 1 (e quindi IJ' IJ 2 - IJI) i valori dell'alzata forniti dalle (2.140) e (2.142) debbono coincidere e che pertanto deve ancora essere rispettata la condizione:
h +r4) Osservando ora che, durante la rotazione della camma, 13 cresce mentre = -d!Jfdt =-w) si ha definitiva:
TJ' diminuisce (per cui d'IJ'fdt (2.143)
V
= <:( 7'2 + r 4) "-'' [sin TJ' + ---r.;é=s=ii=l22=1J='2=;;==] 2v l - <: sin IJ'
Co: -l) = IJ
1
(r2 +r4) [é cos(IJ2- t?1) + V1- c2 sin\IJ2- t?1)] -(r1 +r4)
L'alzata massima (per IJ' =O) varrà inoltre:
ed appare evidente, osservando le ultime equazioni scritte, che non tutte le varie grandezze possono essere scelte l'una indipendentemente dall'altra. In
242
-·.
effetti vengono normalmente fissati i valori dell'alzata massima hM, dell'angolo complessivo di lavoro t92 e del raggio r 1; i valori delle rimanenti quattro grandezze, ossia dell'angolo t9 1 e dei raggi r 2 , r 3 e r 4 sono di conseguenza determinati dalle quattro equazioni prima scritte.
243 e pertanto l'alzata, la velocità e l'accelerazione della punteria quando questa ' ........ e a contatto della camma lungo l'arco M N valgono rispettivamente: )
h= (r1 dh
+ r4)[\h- e: 2 sin 2 t9- e:cost9)- (ro + r 4)
V= dt9 w=-~ e:(r1
6. 7 - Camma policentrica con punteria a rullo a=
Si definisce camma policentrica una camma in cui gli archi di lavoro sono costituiti da una serie di successivi archi di circonferenza raccordati tra loro. Nella Fig. 178 è rappresentata una camma a due centri: il cerchio di riposo di raggio r 0 e centro O è raccordato in M a una circonferenza di ........ centro 0 1 e raggio r 11 il cui arco M N forma una parte del profilo di lavoro ........ della camma. In N esso è raccordato ad un nuovo arco di circonferenza NP di raggio r 2 e centro 0 2 ; la retta OP rappresenta poi l'asse di simmetria della camma, per cui la rimanente parte del profilo di lavoro è costituita da archi simmetrici ai precedenti rispetto alla OP stessa. Al fine di ricavare la legge del moto di una punteria a rullo, di raggio r 4 , a contatto con una camma policentrica, si inizi col considerare l'arco di
· e: sin 2t9 ] + r 4) w [ sin t9 + -r===:::= 2
~~w= e:(r1 + r4) w2
2Vl - e: 2 sin t9
[cos t9 + E: cos 2t9 + e;3 sin4 t9] (l - e: 2 sin 2 t9)3/2
........
lavoro M N; il corrispondente arco di profilo teorico è rappresentato dall'arco ,-.. di circonferenza M'N' avente un centro in 0 1 e raggio pari a r 1 + r 4 • Nella posizione generica indicata in Fig. 178 ed individuata dall'angolo t9 il valore dell'alzata h della punteria è dato da: h= OR- OJI!'
= (0 1Rcos cp- 00 1 cost9)- OM'
ossia, sostituendo ai segmenti che ivi compaiono i rispettivi valori, da:
Essendo inoltre:
e ponendo: r1- ro r1 + r4
~----
~-
si ottiene:
Fig. 178 - Camma policentrica con punteria a rullo
Nel sec~do tratto, ossia quando il contatto camma-punteria avviene lungo l'arco N P, la legge del moto è identica a quella ricavata per l'arco N p
244
245
della camma a fianchi rettilinei (Fig. 177) e pertanto, in base alle (2.142), (2.143) e (2.144) i valori di alzata, velocità ed accelerazione della punteria valgono rispettivamente:
6.8 - Camma policentrica con punteria a piattello
Le camme policentriche descritte nel precedente paragrafo comandano molto spesso una punteria a piattello anzichè a rullo, ed in tal caso (Fig. 179) l'alzata h della punteria durante la fase di accelerazione positiva è data da: h= OR- OM = (01S- 001 cos 19)- OM
= h- (r1- ro) cos 19)- ro
ossia:
Or Fig. 179- Camma policentrica con punteria a piattello. Fase di accelerazione positiva
h= (r1- ro) (1- cos19)
(2.145)
La lunghezza del segmento 00 2 , osservando che: La velocità della punteria in tale fase è di conseguenza esprimibile mediante la:
V=~~ w= w(r~.- ro)sin 1.9
(2.146)
mentre l'accelerazione è data da:
002 sin(!?2- 1.91)
= 001 sin !?1
-002
sin 1.9 1 • (·• .o ) sm vz- v1
è a sua volta data da:
= (r1 -
,.....,
(2.147)
h= OR- OM
= (02S + 00zcost9')- OM = (r2 + 002 cost9')- ro
) 7'o
e pertanto l'alzata massima hM vale, in base alla (2.147): hM
Lungo l'arco N P, corrispondente ad una fa.se di accelerazione negativa, si ha invece (Fig. 180):
=( r1 -
sin !?1
ro) . - (r 0 - r 2) Slll (1.92- 1J1)
La velocità V e l'accelerazione a quando il punto di contatto cammapunteria è compreso nell'arco sono di conseguenza rispettivamente esprimibili mediante la:
NP
(2.148)
V
dh - . , = - d-O! =002w Slll V = (1'! (/ W
9. JACAZIO-PI01\1BO - La trasmissione del moto
sin 1.9 1 l'O) . 5111 (1.92- !?t)
W
sin v'
247
246 e mediante la: dV
a = -w diJ 1
-- 2 = -002w cos 'tJ = 1
(
rl -
ro
)
.
c-·sin iJ1 .o ) w2 cos v_
Sln V2 -
01
Vj
L'espressione ora ricavata, unitamente a quella relativa all'alzata massima, fornisce 'il legame esistente fra le varie grandezze geometriche di una camma policentrica accoppiata ad una punteria a piattello. Nel caso di un accoppiamento di questo tipo vengono normalmente fissati i valori dell'alzata massima hM, del raggio r 0 e degli angoli 1? 1 e '!J 2 , mentre in base alle relazioni sopra viste.si rico.vano di conseguenza i valori dei raggi r 1 e r 2 •
6.9 - Forze agenti nelle camme
Al fine di valutare la natura e l'entità delle forze agenti in un accoppiamento camma-punteria, si consideri dapprima una camma a contatto con una punteria a rullo (Fig. 181): lungo tutto l'arco ozioso la punteria è premuta contro il rullo dalle sole forze P (date dal peso e da eventuali forze esterne di pressione) e della molla FMo· Entrambe queste forze sono dirette secondo l'asse della punteria e pertanto la forza scambiata fra rullo e camma vale:
FMo +P.
Fig. 180 - Camma policentrica con punteria a piattello. Fase di accelerazione negativa
L'angolo 'IJ' è poi legato ali 'angolo iJ dalla relazione: il' = iJ2 - iJ e le equazioni sopra scritte possono al solito essere trasformate facendo comparire in esse l 'angolo iJ al posto di 'IJ'. Come si è già avuto modo di osservare nel § 6.6, in corrispondenza del
NP
deve sussistere l'uguaglianza punto di raccordo tra gli archi AfN e tra i valori delle alzate espressi dalle (2.145) e (2.147), per cui deve essere evidentemente rispettata la condizione: (r 1 - r 0) (l- cos il l)= [r 2 +h
-l'o)
sin~~:~ il!) cos (iJ2- 'IJI)] - ro
relazione che, in definitiva, equivale alla: (r 1 - 1· 2)
1 = (r1- ro) [Slll. (iJ2sin iJ iJ ) cos (iJ2- iJ1) + cos iJ1] l
Lungo l 'arco di lavoro invece, i valori delle forze agenti sulla punteria tendono ad essere modificati dalla presenza di più fenomeni concomitanti. Innanzi tutto aumenta l'intensità della forza esercitata. dalla molla sulla punteria in quanto quest'ultima si trova spostata dalla sua posizione iniziale: per un'alzata generica h infatti, la forza che la molla esercita sulla punteria diventa: FM = FMo + kh, se con k si indica la rigidezza della molla stessa. In secondo luogo, durante la fase di lavoro la punteria è generalmente soggetta all'azione di forze di inerzia, dirette secondo il suo asse, che possono sommarsi o sottrarsi alle forze della molla e del peso. Durante la fase di lavoro inoltre, il contatto fra rullo e camma avviene in un punto che non si trova più sull'asse della punteria. Volendo verificare l'equilibrio del rullo infatti, si osserva che, nell'ipotesi di trascurare le azioni di inerzia alle quali esso è soggetto, le uniche forze che lo sollecitano sono rappresentate dalla forza Fp,r, che la punteria (p) gli trasmette in R, e dalla forza Fc,r, che la camma (c) gìi trasmette nel punto P. Affinchè siano soddisfatte le condizioni di equilibrio del rullo occorre pertanto che le due forze Fp,r ed Fc,r siano uguali ed opposte (Fig. 181 b) e ciò equivale in pratica ad affermare che la. direzione della. forza scambiata tra rullo e punteria è quella individuata dalla congiungente RP. L'angolo x compreso fra la congiungente RP e l'asse della punteria è detto angolo di pressione e dal suo valore dipendono evidentemente le intensità sia della coppia che deve essere applicata alla camma, sia delle reazioni
248
249
sui supporti, sia infine delle sollecitazioni di contatto fra camma e rullo. Si consideri infatti la camma (c); la coppia C _che deve essere ad essa applicata per assicurarne l'equilibrio vale: (2.149)
C= Fr,e · b
a)
+
b)
d)
+ c)
edove ro
h, e d rappresentano rispettivamente l'alzata, il raggio del cerchio di riposo ed il diametro del rullo. La forza fr,p, uguale in modulo a fr,e, che n rullo esercita sulla punteria possiede a sua volta due componenti: una, verticale, pari a Fr,p -cos x ed una., orizzontale, pari a Fr,p ·sin x. ll valore della prima può essere semplicemente determinato scrivendo l'equazione di equilibrio alla traslazione verticale della punteria, equazionè che, nell'ipotesi di accelerazione negativa della punteria stessa, è espressa dalla:
(2.151)
i{ T
Fr,p • COS X+ F;- FM- P= O
dove F; rappresenta per l'appunto il valore della forza di inerzia cui la punteria è soggetta. La seconda componente, ossia quella orizzontale, è equilibrata invece dalle forze Fs1 e Fs2 che i due supporti esercitano sulla punteria (Fig. 181 d). In base alle (2.149), (2.150) e (2.151) si è in grado di ricavare il valore della coppia che deve essere fornita alla camma per mantenerla in rotazione in moto uniforme, valore dato da: C=
(ro+~+h)
(P+FMo+kh-F;)tgx
e pertanto la coppia fornita alla camma deve essere tanto maggiore quanto maggiore è il valore deli 'angolo di pressione.
Fig. 181 - Forze agenti su una camma accoppiata ad una punteria a rullo dove: (2.150)
Fig. 182- Influenza del raggio del cerchio di base sull'angolo di pressione di una camma
250
251
Tale angolo come si può facilmente osservare riferendosi alla Fig. 182, diminuisce all'aun:entare del raggio del cerchio di base della camma; se infatti h ra.ppresenta l'alzata della punteria in corrispondenza di un certo angolo di rotazione t9 della camma, si può notare che l'angolo di pressione x' corrispondente alla camma con raggio del cerchio di base pari a r!, risulta minore dell'angolo di pressione x relativo alla camma avente raggio del cerchio di base pari a rb.
Anche se si è fatto finora riferimento ad una punteria a rullo, è chiaro che gli stessi' procedimenti fin qui adottati possono essere estesi al caso di punterie a coltello a patto di considerare per esso la presenza della forza di attrito. Per una camma con punteria a piattello poi, la direzione della forza scambiata fra camma e piattello è, in assenza di attrito, normale alle superfici a contatto ed è quindi sempre parallela all'asse della punteria anche se, durante l 'arco di lavoro, no~ coincide con l'asse stesso. Ciò genera di conseguenza un momento sulla punteria, momento che viene ad essere equilibrato, come nel caso di punteria a rullo, dalle reazioni vincolari dei supporti. È chiaro inoltre che la presenza di una forza di attrito contribuisce a generare ulteriori reazioni vincolari nei supporti e a modificare il valore della coppia applicata alla camma. Quale esempio di quanto sopra esposto si consideri la camma ad accelerazione costante già esaminata nel § 6.4. Per essa si era assunto: t9 1 = 30° = 0,5236 rad, hM = 5 mm, n= 1500 giri/min = 157,08 rad/s e si erano ricavati i valori delle massime accelerazioni positive e negative della punteria, valori rispettivamente dati da: a 1 300 m/s 2 e a 2 150 m/s 2 • Volendo ora determinare il valore dell'angolo di pressione x in corrispondenza del termine della fase di accelerazione positiva, si dovranno innanzi tutto calcolare i valori dell'alzata h e della velocità V della punteria relativi a tale posizione. Essi saranno dati, in base alle espressioni viste nel § 6.4, da:
=
Fig. 183 - Determinazione dell'angolo di pressione
x
di una camma
Una volta note la velocità e l'alzata della punteria in una generica posizione della camma, si può calcolare il valore dell'angolo di pressione x osservando che (Fig. 183) ad una rotazione infinitesima dt9 della camma corrisponde un incremento dh dell'alzata in direzione normale alla rotazione infinitesima della camma nella posizione considerata, e che pertanto: dh =tg x· ds
È ora facile ricavare il valore di x. Sarà infatti: dh dh dh/dt tgx= ds = (rb+h)dt9 = (rb+h)dt9jdt ossia, in definitiva:
v
tg x= w(rb +h)
Si noti che in questa espressione rb rappresenta il raggio del cerchio di base ed è quindi pari, trattandosi di un accoppiamento di una ca.mma con una punteria a rullo, alla somma dei raggi del cerchio di riposo e del rullo.
_ a t9
_
1 1 vl - -w -
{ h - al t9r 1 - 2w 2
-
=
300 x O, 5236 _ / - 1m s 157, 08 300 x (0, 5236)2 2 x (157,08)2
.
= O 001667 '
m
l 667
= '
mm
Ipotizzando per il raggio del cerchio di base rb un valore di 20 mm, l 'angolo di pressione sarà definito da:
v1
tgx= w(rb+h)
=
1ooo 157,08x'(20+1,667)
= 0 294 '
e varrà di conseguenza x = 16°23'. A conclusione del paragrafo dedicato all'esame delle forze agenti sulle camme si osservi che, in base alla (2.151 ), la forza scambiata tra camma e punteria vale: Fr p '
FM+P- Fi = --'-'----cosx
e che pertanto, affinchè la punteria segua effettivamente la legge del moto voluta, ossia affinchè la punteria si mantenga sempre a contatto con la camma,
252
253
è necessario che la forza Fr,p sia sempre positiva e che quindi la somma della forza della molla e della forza data dal peso e dalla pressione esterna eventualmente agente sulla punteria sia sempre maggiore della massima forza di inerzia agente sulla punteria nella fase di decelerazione della stessa, ossia che: FM +P> F;. Proprio in base a questa necessità vengono infatti determinati i valori del precarico e della rigidezza della molla agente sulla punteria.
attorno al fulcro di incernieramento del braccio oscillante.
n procedimento da seguire per ricav:are sia la legge degli spostamenti angolari del braccio sia il profilo della camma è del tutto analogo a quello ampiamente illustrato per le camme accoppiate ad una punteria. Basterà qui ricordarE} che nel ca&o di braccio oscillante ci si trova in presenza di una data legge delle ·accelerazioni angolari rj; del braccio assegnata in funzione degli angoli di rotazione 1J della camma (rj; = F('IJ)) e che da questa, una volta fissato un punto di riferimento R sul braccio oscillante, si è in grado di ricavare la legge degli spostamenti angolari cp = ('IJ) dello stesso e quindi di tracciare il profilo teorico della camma. Da quest'ultimo, in base al tipo di braccio accoppiato alla camma (a piattello, a rullo, ecc.), si deduce infine l'effettivo profilo di lavoro della camma, così come è indicato nella Fig. 185, figura che si riferisce al caso di un braccio a pia.ttello.
Fig. 184 - Camma a doppia guida (desmodromica)
Ove non sia conveniente o possibile installare una molla dalle caratteristiche volute, si dovrà necessariamente ricorrere all'adozione di una camma a doppia guida, detta anche camma desmodromica (Fig. 184). Fig. 185- Profilo teorico (t) e profilo di lavoro (/) di una camma accoppiata ad un braccio oscillante a piattello
6.10 - Camme con braccio oscillante
1
l
Come si è già avuto modo di osservare nel primo paragrafo del presente capitolo, esistono anche, in aggiunta ai tipi di camme finora descritti, camme accoppiate ad un braccio oscillante (Fig. 164 b); in tal caso il moto rotatorio continuo della camma viene trasformato in un moto rotatorio alternativo
Va ancora osservato che è a volte possibile, studiando il comportamento cinematico delle camme, individuare un meccanismo ad esse equivalente. Se si considera ad esempio la camma costituita da un cerchio eccentrico accoppiato ad un braccio oscillante a rullo riportata nella Fig. 186, si nota che il punto Q, centro del cerchio; ruota durante il funzionamento attorno al punto O ad
254
255
una distanza e costante da esso e che il punto R, centro del rullo, descrive un arco di circonferenza di centro S e raggio b. In definitiva quindi, il sistema costituito da camma e braccio con rullo è equivalente, dal punto di vista cinematico, ad un meccanismo costituito da una manovella OQ, da una biella QR e da un bilanciere RS. Anche per altri tipi di accoppiamento cammapunteria o camma-braccio oscillante si è ovviamente in grado di determinare il meccanismo ad essi cinematicamente equivalente e proprio questo ricondursi a meccanismi noti può portare a sensibili semplificazioni nello svolgimento dei calcoli.· b
\
Nelle cathme di traslazione, il moto traslatorio di una superficie sagomata provoca la traslazione (Fig. 187 a) o la rotazione di un altro elemento ad essa accoppiato. In questo caso i procedimenti da seguire per tracciare il profilo della camma sono identici a quelli visti nei paragrafi precedenti, anche se le leggi delle accelerazioni ?i o ip della punteria o del braccio oscillante sono assegnate non più in funzione della rotazione fJ bensì dello spostamento orizzontale x della camma.
\ J
Fig. 186- Camma a cerchio eccentrico con braccio a rullo e meccanismo ad essa cinematicament.e equivalente
6.11 - Altri tipi di camme
Le camme di traslazione si presentano sovente in realtà sotto la forma di anelli sagomati che ruotano attorno ad un asse centrale parallelo all'asse della punteria (Fig. 188). In tal caso allora lo spostamento x del profilo periferico della camma sarà pari a x rlJ, se con r si indica il raggio dell'anello sagomato.
=
Oltre alle camme descritte nei paragrafi precedenti, si riscontrano nelle applicazioni meccaniche anche camme di traslazione e camme cilindriche e si ritiene pertanto opportuno riportare qui di seguito alcuni cenni relativi alloro funzionamento. a)
Fig. 188 - Camma di traslazione ad anello sagomato
bJ
Fig. 189 - Camma cilindrica
Fig. 187 - Camme di traslazione
Le camme cilindriche sono invece costituite da un cilindro che ruota attorno al proprio asse e porta una scanalatura nella quale si impegna l'e-
256
lemento guidato (Fig. 189). Anche in questo caso però l'analisi cinematica della camma ed il tracciamento del suo profilo di lavoro saranno ovviamente analoghi a quelli precedentemente esposti.
7. MECCANISMI
7 .l - Generalità sui meccanismi Crm il termine meccanismo si suole comunemente denominare una qualunque catena cinematica costituita da due o più organi collegati tra loro in modo tale da consentire la trasmissione del moto dall'elemento iniziale a quello finale della catena stessa secondo una legge prefissata; a rigor di logica pertanto, nella maggior parte dei capitoli finora esposti si sono esaminati componenti meccanici (quali a.d esempio i giunti di Cardano, gli ingranaggi, le camme e cosi via) appartenenti alla categoria dei meccansimi. Nel presente capitolo invece, si intende proporre una rassegna dei principali tipi di meccanismi utilizzati per ottenere tipi del tutto particolari di leggi del moto dell'elemento finale della catena cinematica in esame. Tali meccanismi, pur presentandosi in grande numero e sotto le forme più svariate, possono essere raggruppati in quattro tipi fondamentali, e precisamente in: a) meccanismi che trasformano un moto continuo in un moto alternativo; b) meccansimi che trasformano un moto continuo in un moto intermittente; c) meccanismi di à.mplificazione (forze o spostamenti); d) meccanismi che generano leggi del moto particolari. I meccanismi costituiti da un insieme di aste rigide collegate tra loro mediante cerniere vengono indicati come meccanismi articolati. La determinazione dello stato di moto (velocità, accelerazioni) delle varie parti di un meccanismo articolato è possibile, a volte in modo abbastanza semplice, in forma analitica; alcune volte è più opportuno eseguire un calcolo numerico
258
259
~ sato su una costruzione grafica. Nel seguito di questo capitolo verranno illustrati alcuni tipi principali di meccanismi che, di volta in volta, ricadranno in una delle categorie prima elencate.
7.2 - Procedimento generale per il calcolo cinematico dei meccanismi articolati
Per la risoluzione dei problemi di cinematica relativi ai meccanismi articolati, occorre utilizzare le relazioni tra velocità e accelerazioni ricavate nei paragrafi 1.4, 1.5 e 1.7 del primo volume. Tali relazioni dovranno essere applicate ai vari elementi rigidi che costituiscono il meccanismo articolato.
in base alla (L22):
vB =w1A (B-A) Indicando ora con w3 la velocità angolare della biella si può scrivere, sempre in base alla (1.22): (2.152)
per cui, tenendo conto che il vettore w 3 /\ (E- B) è un vettore perpendicolare ad EB, si può effettuare la costruzione vettoriale indicata nella Fig. 191a dalla quale si ricavano Ve e w3 1\ (E- B). Poichè la velocità di E è data anche da:
è possibile ricavare
w2
e
w3 che, in modulo, valgono: lw 2 1 =
!Ve l/ ED; lw 1 = 3
IWsi\(E-B)IJEB.
E
biella
bilanciere
D
Fig. 190 - Quadrilatero articolato
Quale esempio di applicazione si consideri il caso del quadrilatero articolato (Fig. 190), che costituisce un meccanismo in grado di trasformare un moto rotatorio continuo in un moto rotatorio alternativo. In questo meccanismo la manovella AB ruota attorno alla cerniera fissa·-A, mentre il bilanciere ED, ~ssendo più lungo della manovella, compie una oscillazione ruotando attorno alla cerniera fissa D. Si supponga ora di conoscere la velocità angolare w 1 della manovella e di voler determinare la velocità angolare w 2 del bilanciere. Per prima cosa dovrà essere determinata la velocità Ve dell'estremo del bilanciere. Questa velocità non è nota, ma è nota la direzione del vettore velocità (perpendicolare ad ED, essendo il moto del bilanciere una rotazione attorno a D). La velocità Vs dell'estremo della manovella AB è nota e vale,
La determinazione delle velocità dei vari elementi del meccanismo può anche essere effettuata determinando il centro di istantanea rotazione C della biella. Tenuto conto infatti che la velocità dei punti di un corpo rigido è proporzionale alla loro distanza dal centro di istantanea rotazione ed è perpendicolare alla congiungente col centro di istantanea rotazione (1.24), risulta che, essendo Vs e VE perpendicolari ad AB ed ED, il centro di istantanea rotazione C della biella è dato dall'intersezione delle rette prolungamento di AB ed ED. A questo punto si può scrivere (Fig. 19la): w3
Vs l = tga = =Iiiel = =i'BC EC
per cui: -
-
IVel = ECtga =
ECBCIVsl
Con un procedimento simile a quello ora impiegato per le velocità si possono ricavare le accelerazioni dei vari elementi costituenti il meccanismo. Supponendo che la velocità w1 della manovella sia nota e costante, la accelerazione éi8 risulta, in base alla (1.26): (2.153)
261
260 a)
L'accelerazione del punto E, in quanto facente parte della biella è, in base alla (1.23): (2.154)
as
- +. dt dWa 1\ (E =as
B) - w 32 (E
-
B)
- + wa . EB=as ra + w 3 EBna 2
Considerando invece il punto E facente parte del bilanciere si ottiene, essendo D un punto fisso: (2.155)
Uguagliando i secondi membri delle (2.154) e (2.155) si ottiene:
Fig. 191 - Determinazione di velocità e accelerazioni in un quadrilatero articolato
Mediante questa equaF zione vettori aie è p ossi bile effettuare la costruzione della Fig. 191b, che consente di ricavare gli elementi incogniti, ossia le accelerazioni angolari w2 e w3 • Un a volta note queste due accelerazioni angolari, possono essere calcolate le accelerazioni di tutti i punti del meccanismo. n procedimento ora visto può essere utilizzato per tutti i meccanismi articolati in cui il moto relativo fra le varie parti è costituito da Fig. 192- Quadrilatero articolato con asta trauna rotazione. Si consideri slante ora il meccanismo, derivato dal quadrila.tero articolato, in cui la biella scorre entro una guida (Fig. 192). la quale porta una cerniera cui è Yincolata l'asta CF che, inoltre, è obbligata a scorrere verticalmente entro una guida fissa. Supponendo nota la velocità angolare w 1 (costante) della manovella, si vuole determinare velocità e accelerazione dell'asta CF.
262
263
Ripetendo il procedimento prima visto per il quadrilatero articolato (Fig. 191), si può determinare la velocità angolare w3 della biella BE, per cui la velocità del punto G, pensato come parte della biella, è:
a)
F
Essendo inoltre nota, sempre in base al procedimento visto precedentemente, l' accelerazione angolare w3 , si può ricavare anche l'accelerazione del punto G della biella: aa
(2.156)
- + dt dw3 A ( G- B) = aB
w32(G
-
B)
ll punto G, pensato come appartenente all'asta CF, ha un moto di traslazione in direzione verticale con velocità Va. Questa velocità può, tuttavia, essere considerata come la somma di una velocità di G relativa alla biella (diretta secondo ii3 , Fig. 193 a), più una velocità di trascinamento, ossia la velocità del punto G considerato come appartenente alla biella, secondo quanto visto nel paragrafo 1.4 del primo volume. È allora possibile, come indicato nella costruzione vettoriale della Fig. 193 a, ricavare la velocità Va, nonchè la velocità Va(r) dell'asta relativa alla biella.
D
b)
Anche per le accelerazioni si ha che l'accelerazione assoluta iia dell'asta è diretta verticalmente, e che può essere espressa, come stabilito dalla (1.18),
dove:
cf; l è l 'accelerazione di
G relativa alla biella ed è diretta secondo la
direzione della biella (ii3 ); èf.,t) è l'accelerazione di trascinamento, ossia l'accelerazione del punto G considerato come parte della biella (2.156); èi.),c) 2w3 A Va(r) è l'accelerazione di Coriolis ed è nota, poichè sono già state calcolate w3 e vJrl; in particolare, essendo w3 e Va(r) due vettori tra loro perpendicolari, essa vale in modulo 2w 3 Va(r) ed è diretta secondo
=
-f3. Note tutte queste grandezze può essere effettuata la costruzione vettoriale della Fig. 193 b ricavando l'accelerazione aa dell'asta.
Fig. 193- Determinazione della velocità e della accelerazione nell'asta traslante verticalmente
265
264
n procedimento ora visto per la' risoluzione del calcolo cinematico dei meccanismi articolati si basa su un calcolo vettoriale. È possibile, tuttavia, effettuare anche un calcolo analitico esprimendo le equazioni vettoriali come insiemi di equazioni scalari, oppure scrivendo le relazioni geometriche esistenti nel meccanismo. In molti casi ciò porta a ricavare espressioni complesse, ma in alcuni casi si hanno soluzioni relativamente semplici, come per i casi riportati nei successivi paragrafi.
e pertanto lo spostamento 6 del piede di biella stesso misurato a partire dal punto morto superiore e corrispondente ad una rotazione generica ~ della manovella vale: . 6 = (OB)o- OB
= r(1- cost?) + l(V1- >. 2 sin 2 t? -1)
7.3- Manovellismo
n manovellismo (o meccanismo a biella e manovella) costituisce il mezzo più comune per trasformare un moto rotatorio continuo in un moto rettilineo alternativo (Fig. 194). Si consideri la Fig.194 e si indichino con 7' e /le lunghezze rispettivamente della manovella e della biella; siano inoltre t? e
OB
= r cos t?+ l cos t.p
Esistendo inoltre l 'ulteriore condizione geometrica : r sin t? = l sin
Fig. 194- Schema di un manovellismo Come si può notare, se il rapporto >. = r/l assume un valore molto piccolo, il moto del piede di biella diventa praticamente un moto armonico; in tal caso si avrà infatti: 6 r( l - cos t?). Nella grande maggioranza dei casi però, >., pur non essendo mai piccolissimo, assume valori notevolmente minori di uno per cui si può con buona approssimazione porre:
=
e di conseguenza ricavare per la distanza OB l'espressione:
Indicando allora con >. il rapporto 1·/l si ottiene dalle (2.157) e (2.158):
È ora facile osservare che se t? = O, ossia se il piede di biella B si trova nella posizione normalmente indicata come punto morto superiore, la distanza OB vale: (OB)o
=
7'
(1 + ±)
(2.159)
Per ricavare i vàlori della velocità Vs e dell'accelerazione a8 del piede di biella in funzione degli angoli di rotazione t? della manovella basterà ora derivare la (2.159) rispetto al tempo, ottenendo così:
{
Vs
= -rw (sin t?+~ sin 21?)
aB= -rw 2 (cost? + >. cos2t?)- r
~
(sin t?+~ sin 21?)
267
266
dove con w si è indicato il valore della velocità angolare d19 f dt della manovella. TI manovellismo semplice ora descritto, oltre ad essere applicato nella grande maggioranza dei motori alternativi, costituisce anche un elemento cinematico dal quale possono essere derivati numerosi meccanismi utilizzati nei più svariati campi della tecnica. Basterà qui ricordare come esempio l'applicazione del manovellismo nella pompa a pistoni a cilindrata variabile il cui schema è riportato in Fig. 195. In essa la rotazione della manovella M N,
quali è riportato in Fig. 196 lo schema fondamentale. In tale meccanismo, denominato anche guida di Fairbairn, il punto I<, estremo della manovella J I<, descrive una circonferenza r, mentre la guida I L oscilla tra le due posi~ioni estreme individuate dalle direzioni I M e I N. L
...--------........
,/r-
""'
K
l
'
\
l Fig. 196- Meccanismo a glifo oscillante Fig. 195 - Schema di comando di una pompa volumetrica a cilindrata variabile
Con riferimento alla Fig. 196, si ha: quasi sempre a velocità costante, genera il moto alternativo del pistone S, la cui corsa dipende inoltre dalla posizione angolare della. guida R; orientando in modi differenti la guida R si è pertanto in grado di variare la cilindrata della pompa.
h
sin(7r- (19 + "2 +
=-.sm
da cui, posto>.= rjh, si ottiene in definitiva: ). cos 19 t g. sin IJ
(2.160)
7.4 - Meccanismi a rapido ritorno In numerose applicazioni meccaniche, quali ad esempio quelle inerenti le macchine utensili dotate di moto alternativo, è importante far si che che la corsa di lavoro, ossia la corsa durante la. quale la macchina fornisce lavoro, avvenga più lentamente della corsa di ritorno, durante la quale la macchina. deve solo vincere gli attriti e le resistenze al moto. Per ottenere questo scopo in modo puramente meccanico si ricorre ai !!_1~c_cq_n~s!21}_!1 glifo o~illante, dei
r
'iT
relazione questa che fornisce i valori degli angoli di rotazione
.
>.(>. + sin 19) w l+ >. 2 + 2>.sin IJ
269
268
dove w ·rappresenta al solito la velocità angolare dt?fdt della manovella. Ed analogamente per ricavare il valore dell'accelerazione angolare del glifo ad un istante generico corrispondente ad una rotazione t? della manovella, sarà sufficiente derivare ulteriormente la (2.161) rispetto al tempo, ottenendo di conseguenza: .. cp=
(2.162)
À(À 2 -l)cost? w2 (l+ 2À sin t?+ À2)2
Esaminando ora la Fig. 196 si può osservare che se, come normalmente avviene, la velocità angolare w della manovella è costante, il rapporto r fra il tempo t 1 della corsa di lavoro ed il tempo tr della corsa di ritorno vale: tl 271'-~ r=-=-tr ~
dove il valore di
~
è fornito dalla:
Di conseguenza, al crescere di À ~ di~inuisce e r aumenta, e pertanto, utilizzando lo stesso meccanismo ed operando sul valore del rapporto rjh, si è in grado di modificare il valore del rapporto dei tempi r. Oltre che quale elemento fondamentale di numerosi meccanismi a rapido ritorno, il meccanismo a glifo oscillante è impiegato anche in meccanismi più complessi, quale ad esempio quello di comando di una sega per il taglio di barre metalliche illustrato nella Fig. 197 e nel quale l'albero motore B comanda la sega solidale ad H mediante un sistema costituito da due glifi oscillanti.
7.5 - Meccanismi di amplificazione degli sforzi Numerosi meccanismi sono utilizzati nella pratica per realizzare una amplificazione degli sforzi, ossia per ottenere, con l'applicazione di una piccola forza, lo spostamento di un carico di notevole entità.
cos:.=!:.=À 2 h
H
v
Fig. 198 -: Meccanismo di amplificazione degli sforzi Un esempio degli svariati tipi di meccanismi che realizzano tali amplificazioni è riportato nella Fig. 198. In esso l 'intensità della forza S che assicura l'equilibrio dell'asta UV è, con buona approssimazione, pari a: S
Fig. 197- Schema di meccanismo usato nel comando di una sega pe,r il taglio di barre metalliche
=2Rtg~
e pertanto, essendo ~ piccolo, sia lo sforzo S, sia ovviamente la coppia motrice
271
2i0
Considerando inoltre i triangoli rettangoli LOR ed ORP si ha:
M da applicare alla manovella TU sono piccoli.
7.6 - Meccanismi che generano leggi del moto particolari
e quindi: In talune applicazioni meccaniche è necessario realizzare meccanismi in cui un punto di uno degli elementi del sistema si muove secondo una legge prefissata, quali ad esempio i meccanismi utilizzati per generare moti rettilinei o moti ellittici. I meccanismi più comunemente usati per generare un moto rettilineo sono il meccanismo di Scott-Russell ed il meccanismo di Peaucellier.
v\
i l
>-l:
vi
i l
'P' -Il---
i i Fig. 200 - Meccanismo di Peaucellier
Essendo d'altra parte: Fig.199- Meccanismo di Scott-Russell
n meccanismo di Scott-Russell, illustrato nella Fig. 199, altro non è che un manovellismo in cui la biella LK è prolungata di una distanza LN = LI:( ed in cui anche la manovella LM ha lunghezza pari a LI<. Con questa disposizione, al ruotare della manovella LM il punto N si muove lungo una retta verticale v passante per M realizzando così la condizione voluta. n meccanismo di Peaucellier è invece indicato nella Fig. 200. In esso le cerniere L e M sono fisse e le lunghezze delle varie aste soddisfano alle condizioni:LM = MN,LO = LQ, NO= OP = PQ = NQ, in modo da far muovere il punto P lungo una retta v perpendicolare ad LM. Infatti, essendo LA1 = MN, si ha: LN
= 2LMcos"(
LR + N R = LP = LP'/ cos "i
si ha in definitiva: __!ry
-2
LO--No. LP'=--==2LM
e ciò significa che la posizione di P', proiezione di P sul prolungamento di LM è indipendente dall'angolo "i e quindi che il punto P si muove lungo la retta v normale al segmento LM. I due meccanismi ora esaminati sono dunque atti a generare il moto esattamente rettilineo di un dato punto. Oltre ad essi esistono però meccanismi in grado di generare un moto approssimativamente rettilineo. quale ad esempio il meccanismo di Watt indicato schematicamente nella Fig. 201. In esso, a condizione che le lunghezze delle due aste M N e RS siano uguali tra
272
273
loro, il punto p (posto a metà. dell'asta RN) si muove lungo la traiettoria indicata con la linea tratteggiata, traiettoria che risulta essere per un certo tratto quasi esattamente rettilinea.
che rappresenta per l'appunto l'equazione di un'ellisse. x
\
\
\
l
.,....,.,...,......---
l
l
/
y
/
l ..L._.
\
'\
__
"........... ..... __ __
J
_, /
/ /
M IN l
l
Fig. 202 - Meccanismo per la generazione di un moto ellittico
l \ \
Fig. 201 - Meccanismo di Watt per la generazione approssimata di un moto rettilineo
Oltre ai meccanismi generatori di moti rettilinei, si sono realizzati meccanismi in grado di generare moti di altro tipo (ad esempio ellittico), od anche meccanismi per i quali la traiettoria di un loro punto deve necessariamente passare per alcuni punti ben definiti (meccanismi con punti di precisione). Un esempio di meccanismo atto a generare un moto ellittico è illustrato nella Fig. 202. Esso è costituito da una manovella OR che ruota attorno al pun~o fisso O e da un'asta MP incernierata in R alla manovella OR e collegata m M e N' a due pattini che scorrono entro due guide tra loro perpendicolari. Assumendo un sistema di riferimento cartesiano con origine nel pun~o O, si possono esprimere le coordinate x ed y del punto P mediante le: x
Da queste si ottiene:
= M P cos {);
y
= N P sin{)
Una categoria di meccanismi diversa dai precedenti è costituita dai pantografi, i quali debbono amplificare o .ridurre con un rapporto costante una curva assegnata. I pantografi (Fig. 203), pur potendo essere realizzati seguendo schemi cinematici differenti, presenatno sempre una caratteristica comune, e cioè quella di possedere, quale elemento fondamentale, un parallelogrammo articolato. Se allora si indica con I il punto che percorre una curva assegnata, il punto J descriverà una curva simile alla precedente, ma in una scala diversa. Si consideri infa.tti ad esempio lo schema di pantografo illustrato nella Fig. 203-a; dalla similitudine dei trangoli J N I e J MO si ottiene: e quindi:
IN=JNOM JM
Poichè J N, J M e OM sono tutti segmenti di lunghezza costante, anche la posizione del punto I relativamente al segmento RN si mantiene costante e quindi anche il rapporto OJ /OI si mantiene costante. Ciò significa in definitiva che se il punto I del meccanismo segue una curva assegnata, il punto J genera una curva simile a questa, ma alterata nelle dimensioni nel rapporto costante OJ /OI.
2=75
274
R / a)
/
/
/
/
/
/
/
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N
l
M
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I
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R
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C)
/
N
/
a) gli arpionismi; b) gli ingranaggi parziali; c) le camme, già ampiamente trattate nel capitolo precedente e delle quali si
I
/
/
/
/
I
/
/
o
proporrà nel seguito una ulteriore applicazione; d) la croce di Malta,.che v~rrà esaminata nel successivo paragrafo. Gli arpionismi altro non sono che ruote dentate nelle quali i denti si presentano dotati di forme particolari, forme atte ad impegnarsi con un opportuno braccio sagomato così come è schematicamente illustrato nella Fig. 204. In base alla forma dei denti ivi rappresentati, il braccio B è in grado di provocare unicamente uno spostamento della ruota in verso orario, in quanto per versi antiorari il braccio stesso scorre lungo i denti mantenendone inalterata la posizione. TI movimento rotatorio continuo della manovella M viene così trasformato in un movimento rotatorio intermittente della ruota dentata R.
M
Fig. 203 - Schemi di pantografi
7. 7 - Meccanismi che trasformano un moto continuo in un moto intermittente Fig. 204 - Schema di arpionismo
In molte applicazioni meccaniche, quali ad esempio quelle relative a tutte le macchine utensili automatiche o semiautomatiche in cui un ben..determinato ciclo di lavoro deve essere ripetuto periodicamente nel tempo, è necessario che il moto di un certo elemento avvenga secondo una legge assegnata ad intervalli di tempo ben definiti. Se la potenza meccanica viene fornita utilizzando un albero ruotante attorno al proprio asse, è indispensabile possedere meccanismi che trasformino un moto continuo in un moto intermittente. Nella grande maggioranza delle realizzazioni costruttive i moti intermittenti con generazione puramente meccanica vengono ottenuti con l'ausilio di quattro differenti tipi di meccanismi e precisamente mediante:
L'ampiezza dell'angolo descritto in ogni fase di avanzamento dalla ruota dentata R dipende ovviamente dall'ampiezza dell'angolo descritto dal bilanciere E, e la frequenza con la quale si susseguono le rotazioni di R è naturalmente pari a wj2Tr, se con w si indica la velocità angolare della manovella. Una particolare categoria di arpionismi è quella rappresentata dagli scappamenti, dei quali se ne riporta un esempio nella Fig. 205. In questo meccanismo, detto scappamento di Graham e normalmente usato neo-li oro. o log1, la ruota dentata E è sottosposta all'azione di una molla che tende a farla
276 ruotare in verso orario, azionando così l'ancora A solidale al pendolo P. ll pendolo compie così una mezza oscillazione attorno al fulcro F finchè l'estremo sinistro dell'ancora non si impegna tra due denti della ruota E bloccandone il moto. A questo punto il pendolo compie una oscillazione in senso inverso ed il moto continua fino a quando la molla di comando della ruota E è in grado di fornire una coppia sufficiente a far avanzare il meccanismo.
277 7.8 - Meccanismi a croce di Malta esterna
I meccanismi a croce di Malta formano una delle più antiche categorie di organi meccanici atti a trasformare un moto continuo in un movimento intermittente e devono il loro nome al fatto che i primi meccanismi di questo tipo erano costituiti da una croce dotata di quattro scanalature, il cui aspetto molto rassomigliava all'insegna dei Cavalieri dell'Ordine di Malta (*).
Fig. 205 - Scappamento di Graham. A: ancora; E: ruota dentata; F: fulcro; P: pendolo
Gli ingranaggi parziali sono invece costituiti da normali ruote dentate che presentano però un numero limitato di denti lungo la loro periferia; in tal caso la trasmissione del moto tra la ruota motrice e quella condotta avviene unicamente quando i denti delle due ruote entrano in presa, mentre durante la rimanente rotazione della ruota motrice la ruota condotta. mantiene inalterata la sua posizione. Di tutti i meccanismi ad ingranaggi parziali però, quelli di gran lunga più utilizzati sono i meccanismi a croce di Malta esterna e ad essi si ritiene pertanto necessario dedicare l'intero paragrafo successivo.
Fig. 206 - Meccanismo a croce di Malta esterna
I meccanismi a croce di Malta possono essere suddivisi in tre tipi fondamentali: meccanismi a croce di Malta esterna, a croce di Malta interna e a croce di Malta sferica. Tra questi il più comune è senza dubbio il meccanismo a croce di Malta esterna, qui rappresentato nella Fig. 206, in cuf la ruota motrice A porta un perno P che, per effetto della rotazione della ruota motrice, va successivamente ad impegnarsi nelle varie scanalature della croce di Malta M, provocando così il movimento intermittente dell'albero condotto ad essa solidale; in tal modo, ad ogni giro della ruota motrice A corrisponderà (*) I meccanismi a croce di Malta sono normalmente indicati come Geneva Mechanisms nella letteratura anglosassone e questa loro nomenclatura risulta giustificata dal fatto che essi furono effettivamente utilizzati per la prima volta dagli orologiai svizzeri verso la fine del XV secolo.
lO. JASAZIO-PIOMBO • La trasmissione del moto
278
279
una rotazione della croce di Malta M pari ad una frazione N-esima di giro, se con N si indica il numero totale delle scanalature in essa presenti. Se la · ruota A portasse due perni tra loro diametralmente opposti, è ovvio che la croce di Malta subirebbe avanzamenti di intensità ancora pari a l/N giri, ma questi si verificherebbero con una frequenza doppia di quella relativa al caso precedente. Per evitare che durante tutto l'intervallo di tempo per cui il perno P non è impegnato in una fenditura della croce di Malta questa si ponga in movimento a causa di coppie o forze eventualmente agenti su di essa, si dota . la ruota motrice di una superficie cilindrica esterna che va a contatto con una corrispondente superficie cilindrica interna ricavata sulla croce di Malta stessa; un risultato analogo può ovviamente essere ottenuto facendo si che, durante lo stesso intervallo di tempo, un perno solidale alla croce di Malta si impegni in una scanalatura circonferenziale parziale della ruota motrice. Al fine di ricavare le relazioni geometriche caratteristiche dell'accoppiamento si consideri ora il meccanismo a croce di Malta esterna rappresentato nella Fig. 206; è ovvio che per esso il valore dell 'interasse i ·è fornito dalla: .
r2
r1
z-~----
cos~-
-
cose
Come si ,è già avuto modo di osservare, il rapporto
_! _
e-
~;e
è pari a:
1rjN __ 2_ 1rj2- 1rj N - N- 2
per cui, se l'albero motore ruota ad una velocità angolare costante e pari ad il tempo T impiegato dalla croce di Malta per passare da una posizione generica a quella ad essa successiva è dato da:
w,
T= _2e
w
= 2e ~ = ....;7r(,__N_-_2:..t..) ~w
wN
Se si vogliono ora ricavare le proprietà cinematiche del meccanismo a croce di Malta esterna è sufficiente osservare che, per tutto l'intervallo di tempo in cui il perno P si muove entro una delle scanalature, il meccanismo si comporta essenzialmente come una guida di Fairbairn e che si possono pertanto utilizzare i risultati già ottenuti nel § 7.4 del presente capitolo. Indicando allora con 'IJ e con cp gli angoli formati ad un istante generico dai raggi PO e PO' con la congiungente i centri O ed O' (Fig. 207) si potrà allora
ed è altrettanto evidente sia che l'angolo ~ è inversamente proporzionale al numero N delle fenditure presenti nella croce di Malta, sia che, per evitare l'insorgere _, di urti quando avviene l'imbocco del perno nella fenditura, l'angolo OPO deve essere retto e che in definitiva dovranno risultare verificate le condizioni:
Fra i raggi
r1
ed
r2
dovrà pertanto sussistere la relazione:
l l La profondità radiale minima di una scanalatura dovrà a sua volta essere pari a: l=
~LE..
-.&
.. t
Z3 "
%A J
t dA
7'1 +?'o -
-
i
= ?'o [l + _si_n_,_(71"~/_A-"r)_-.,-1] -
.l
Fig. 207- Guida di Fairbairn equivalente al meccanismo a croce di Malta
usufruire delle (2.160), (2.161) e (2.162) ponendo però attenzione al fatto che l'angolo 1J che in esse compare è misurato a partire da una posizione sfasata
cos(1rjN)
$._Wl
280
281
di 90° rispetto a quella della Fig. 207, per cui si avrà in definitiva: Àsin t'l
tg so = 1.- À cos t'l .
À) so-- l-À(cost'Jw 2À cos t?+ À2
(2.163)
'P=
xl :~""'3
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= rdi =cose= sin = sin·;
Analizzando le (2.163) si osserva che l'accelerazione ip della croce di Malta è nulla per t'J =O e che di conseguenza la sua massima velocità angolare è data da: .
IPmax
E
e;:,
-- M
r-
~
N N
Àw
= l- A
Annullando poi la derivata rispetto al tempo della terza delle (2.163), si ricava il valore dell'angolo di rotazione t? m in corrispondenza del quale l 'accelerazione ip presenta un massimo; tale angolo soddisfa alla condizione:
·s.01"'3
·s.~l Le relazioni geometriche e cinematiche espresse dalle (2.163) sono riportate nei grafici delle Figg. 208, 209 e 210 mentre la Tab. III riassume le principali caratteristiche dei meccanismi a croce di Malta. In essa sono riportati il numero N delle fenditure della croce di Malta, la massima velocità angolare tl;max della croce di Malta, i semiangoli di lavoro e e <1>, l'accelerazione angolare 'Po relativa all'istante in cui il perno della ruota motrice entra nella fenditura della croce di Malta, la massima accelerazione angolare s'max~ed i valori degli angoli t?m e lOm in corrispondenza dei quali essa si verifica. Da un attento esame dei grafici ad esse relativi, ed in particolare della Fig. 210, si rileva come le croci di Malta con poche scanalature siano molto sfavorevoli dal punto di vista dinamico, in quanto originano forti accelerazioni e di conseguenza elevate azioni di inerzia. Risulta pertanto consigliabile limitarne l'applicazione ad organi accoppiati a motori dotati di modesti valori della velocità angolare w.
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Fig. 208- Angolo di rotazione r.p della croce di Malta in funzione dell'angolo di rotazione .,J della ruota motrice 3.5
q,
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50
60
70
80
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\
Se si vuole ricavare il valore della forza scambiata fra il perno della ruota motrice e la scanalatu~a della croce di Malta, è necessario innanzi tutto osservare che questa varia in modo continuativo durante tutto l'arco di lavoro; si considerino allora la ruota motrice A e la croce di Malta M ad un istante generico (Fig. 211) compreso nella fase di accesso: la coppia resistente Gr e la coppia di inerzia C; sono equilibrate, in assenza di attrito, da una forza F avente direzione perpendicolare alla fenditura e modulo pari a:
2.5
1.
l
~
Fig. 210- Accelerazione angolare della croce di Malta in funzione dell'angolo di rotazione .,J della ruota motrice
3.0
2.0
r ~~
~
1215
·r~~~o
l \1 \
4
l v/~/~~ \'\ /
2o
:-\\
5
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\
~ -~~ r+-
5"
1.o
F
b
6
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12 -15 18
o o
'\... 10
20
30
r1
sin ?J
Per calcolare il valore della coppia motrice basta ora osservare che la forza F è a sua volta scomponibile in una Fn diretta secondo il raggio PO ed in una ft a questa ortogonale. La coppia motrice Cm varrà pertanto:
~
o.5=10
= Gr + C; = (Gr + C;) sin r.p
"
40
50
60
70
80
~(o)
Fig. 209- Velocità angolare della croce di Malta in funzione dell'angolo di rotazione .,J della ruota motrice
284
285
n valore della coppia motrice può tuttavia essere calcolato usufruendo semplicemente dell'equazione di equilibrio istantaneo tra le potenze entranti ed uscenti dal meccanismo. Si avrà infatti (sempre nell'ipotesi di attrito trascurabile):
40
30
Cmw =(Gr+ C;)
2o
o
o
o
l
v /
L--- r---
-
l 5
10
15
20
N
25
Fig. 21? - Angolo di rotazione della ruota motrice corrispondente al massimo valore di
1.5
o
1.
Fig. 211 - Forze scambiate tra ruota motrice A e croce di Malta M
Come si è già avuto modo di osservare (si veda a questo proposito la seconda delle (2.163)) la quantità ./(1>.), in corrispondenza di t'J O, mentre il massimo valore di
\--~
o.5
=
o
o
5
Fig. 213- Massimo valore di
1'---.
10
15
20
N
25
286
287
7.9 - Meccanismi a croce di Malta interna, sferica e rettilinea I meccanismi a croce di Malta interna (Fig. 214) presentano un funzionamento del tutto simile a quelli a croce di Malta esterna; l'unica differenza consiste nel fatto che, nel caso di croce interna, l'angolo descritto dalla ruota motrice durante la fase corrispondente alla presenza del perno P all'interno di una delle scanalature è maggiore di 180°.
Durata di
un~ rotazione della croce di Malta: T= 1r(~; 2)
L'angolo r.p di rotazione della croce di Malta è ora dato da: tgr.p=
r1 sin {}
. i + r 1 cos {}
{} = l +À sin Àcos {}
dove: À
=rdi
e di conseguenza la velocità e l'accelerazione angolare della croce di Malta valgono rispettivamente:·
(2.164)
{
. .>.(>. + cos {}) r.p= (1+2Àcos{J+.>. 2
t
.. À(l - .>. 2 ) sin{} 2 r.p =-(l+ 2Àcos{J + >. 2 ) 2 w
La massima velocità angolare si verifica al solito per {} valore è dato da:
(
= O ed
il suo
>.w = l+ À
La massima accelerazione angolare invece, contrariamente a quanto avviene nei meccanismi a croce di Malta esterna, si manifesta proprio nell'istante corrispondente all'imbocco del perno nella fenditura (ossia per{}= e) e vale: Fig. 214- Schema di meccanismo a croce di Malta interna
Procedendo in modo identico a quello esposto nel caso di croce di Malta esterna, si ricavano per le varie grandezze caratteristiche dell'accoppiamento le seguenti relazioni.
sermango · r d. 1avoro: = N, " 1
1
Interasse: i=~= sin
e = " (~2 + ..!._) N
1
'' sin( 7r /N)
Raggio interno ro della croce di Malta: ,., · · d'1 una go l a: l Pro fon d1't'a ra d'1a1e mnuma
= tg(n/N) r1
= 1·1 [ l - l +cos(n/N) . , ] sm( 7r /.i\)
I meccanismi a croce di Malta sferica sono utilizzati per trasmettere il moto tra assi ortogonali anzichè paralleli (Fig. 215) e funzionano secondo un principio del tutto identico a quello delle croci di Malta interne ed esterne prima esaminate. I meccanismi a croce di Malta rettilinea costituiscono una realizzazione limite dei meccanismi a croce di Malta esterna quando le dimensioni di quest'ultima tendono ad infinito. Essa si presenta quindi come Ùna banda rettilinea dotata di scanalature perpendicolari al suo asse di traslazione (Fig. 216) per cui il suo spostamento x, calcolato a. partire dall'istante in cui il perno P si impegna nella scanalatura, vale:
288
289
mentre la sua velocità è data da:
e pertanto, come era facile intuire, il moto realizzato dalla croce di Malta rettilinea altro non è che un moto intermittente con semionde di tipo sinusoidale.
7.10 - Meccanismi a camme cilindriche per la generazione di un moto intermittente
I meccanismi a croce di Malta, di costruzione relativamente semplice e poco costosa, posseggono però sia l'inconveniente di presentare uno strisciamento relativo fra le varie parti che vengono a contatto, sia una limitazione intrinseca dovuta al fatto di originare una ben determinata legge del moto.
Fig. 215- Meccanismo a croce di Malta sferica
-
v
Fig. 216- Meccanismo a croce di Malta rettilinea
Fig. 217 - Applicazione di un meccanismo a camma cilindrica per il comando di una piattaforma rotante. a: piattaforma rotante e piattaforma porta-utensili; b: flangia di montaggio della piattaforma rotante; c: cuscinetto di supporto della piattaforma rotante; d: camma cilindrica; e: risalto per il collegamento con la ruota porta-rulli; f: foro di passaggio del refrigerante; g: sezione di un rullo (Ferguson Machine Company, St. Louis, Missouri)
290 Onde superare queste limitazioni, si è fatto ricorso nelle applicazioni tecniche all'uso di sistemi per la trasformazione di un moto continuo in un moto intermittente basati sull'accoppiamento di una camma cilindrica ad una ruota sulla quale sono montati rulli cilindrici a contatto col profilo attivo della camma stessa. In tal modo, durante la rotazione della camma, i rulli rotolano senza strisciare lungo il profilo di questa, dando luogo perciò a piccole azioni dissipative di attrito, ed inoltre, variando il profilo della camma, si possono realizzare diversi tipi di diagrammi delle accelerazioni, ottenendo di conseguenza la legge del moto più adatta alla particolare applicazione a cui tale meccanismo deve essere destinato. Per effetto delle proprietà ora descritte, questi meccanismi a camme cilindriche sono ampiamente usati nel campo delle macchine utensili e particolarmente nei comandi delle piattaforme rotanti delle macchine transfer, dei quali è illustrato nella Fig. 217 un esempio.
8. FRENI ED ARRESTI
8.1 - Definizione e funzione dei freni
Si definiscono comunemente come freni quegli organi meccaniCi la cui funzione principale consiste nel trasformare l'energia cinetica di un corpo o di un sistema in calore e nel dissipare poi quest'ultimo nell'ambiente. I freni possono essere fondamentalmente di tre tipi: - freni a fluido - freni ad attrito - freni elettromagnetici
Questa distinzione si riferisce alla. natura del fenomeno fisico che causa la trasformazione di energia cinetica in calore e non al tipo di comando del freno. Va ora. osservato <;he, qualunque sia. il tipo di freno che si considera, due sono i-fattori di primaria importanza che stanno alla base del suo dimensionamento, e precisamente: la massima coppia resistente che deve essere realizzata dal freno e la quantità di calore che questo deve assorbire, e successivamente dissipare, ad ogni frenatura. Riguardo a quest'ultima caratteristica è bene rammentare che se al sistema da frenare sono applicate forze o coppie, motrici o resistenti, la quantità di calore sviluppata durante la frenatura dipende anche dalla loro intensità. Si consideri ad esempio il sistema illustrato nella Fig. 218: in esso un peso P è sostenuto da. un cavo che si avvolge su un tamburo di diametro d. Sapendo che I è il momento di inerzia polare totale delle masse rotanti attorno
293
292 all'asse del tamburo e che il peso P è inizialmente in moto con una velocità di discesa V0 si supponga di voler determinare i valori della coppia frenantt_0, supposta costante, da applicare all'asse del tamburo e dell'energia .c1 che deve essere dissipata dal freno per arrestare la discesa del peso P in uno spazio t:.h. Scrivendo l'equazione di equilibrio alla rotazione del sistema attorno all'asse del tamburo:
c,+ 1 dw
_
dt
(p_!:_g dV)~= O dt 2
e tenendo conto che w.= 2V/d, si ottiene: dV dt
-=-
2g(CJ - Pd/2) d(P + 4gl fd2)
e x= t:.h) si ottiene per la coppia frenante necessaria ad arrestare il peso P nello spazio t:.h il valore:
n valore dell'energia dissipata dal freno può essere facilmente calcolato utilizzando il teorema dell'energia cinetica. Poiché il lavoro compiuto da tutte la forze e le coppie agenti sul sistema deve essere uguale alla variazione di energia cinetiCa dello stesso, e poiché il lavoro delle forze di attrito è evidentemente negativo, si ha: P
v2
Jw2)
-.C1 +Pt:.h=- ( - - + g 2 2
da cui si ricava in definitiva la relazione: 2
V .C 1 =Pl:.h+2
(p-+-41) g
d2
relazione che fornisce il valore dell'energia dissipata. nel freno in funzione del peso P e dello spazio di frenatura t:.h.
8.2 - Freni ad attrito
Fig. 218 - Frenatura di un carico in moto verticale
Questa equazione differenziale può ora essere riscritta sotto la forma: V dV=- 2g(CJ- Pd/2) dx d( P+ 4gl fd2)
Integrando quest'ultima equazione tra l'istante iniziale (definito dalle condizioni V= Vo e x= O) e l'istante finale (definito dalle cqndizioni V= O
I freni ad attrito costituiscono la principale categoria di freni impiegato nelle applicazioni meccaniche. Essi sono in grado di applicare una coppia resistente sia in condizioni dinamiche che in condizioni statiche. I freni ad attrito sono costituiti da un elemento mobile, normalmente rotante, collegato al sistema eh~ deve essere frenato, sul quale viene applicata l'azione frenante mediante l'ausilio di opportune superfici di attrito. n materiale di attrito usato nei freni può essere di varia natu:r:a: in tal uni casi esso è metallico oppure organico, ma in generale è costituito da miscele di gomma, amianto e resine sintetiche impregnate di asfalto e rinforzate mediante fili di rame, denominate commercialmente ferodi. Con riguardo al modo in cui si realizza l'accoppiamento tra corpo rotante e materiale di attrito, i freni vengono normalmente suddivisi in tre categorie differenti, e precisamente in:
295
294
a) freni a tamburo (o freni a ceppi); b) freni a disco; c) freni a nastro; mentre se si considera il tipo di comando ad essi applicato si possono distinguere freni a comando meccanico, idraulico, pneumatico od elettrico.
8.3 - Distribuzione delle pressioni in un freno
Come si è detto nel precedente paragrafo, nei freni ad attrito l'azione frenante è ottenuta grazie alle forze di attrito che si sviluppano nella zona di contatto tra due elementi in moto relativo tra loro. Per poter valutare l'entità della coppia resistente fornita da un certo freno è quindi necessario conoscere la distribuzione delle pressioni esistenti nelle superfici a contatto dell'accoppiamento; solo quando è nota. questa distribuzione di pressioni si è infatti in grado di risalire alla rela.tiva distribuzione di azioni tangenziali di attrito ed ottenere di .conseguenza il valore del momento frenante. La determinazione in via teorica della distribuzione delle pressioni di contatto in un freno presenta però notevoli difficoltà., e può essere ottenuta solo in prima approssimazione sulla base di alcune assunzioni ed ipotesi, così come si avrà modo di osservare nel seguito.
p
a)
b)
~
si consideri ad 'esempio un disco rotante premuto contro un disco fisso ad esso coassiale (Fig. 219). Quando il disco è nuovo è ragionevole assumere che la pressione p si mantenga costante in tutti i punti di contatto tra i due dischi (Fig. 219-a); dopo un certo periodQ di funzionamento però, si riscontra che il disco costituito da materiale di attrito risulta più sottile in corrispondenza del diametro esterno, così come è indicato nella Fig. 219-b, e questo fenomeno trova una sua spiegazione introducendo l'ulteriore ipotesi di proporzionalità tra consumo del materiale d'attrito e lavoro compiuto dalle forze di attrito. In tal caso infatti, il volume dV di materiale asportato in corrispondenza di un elemento di area dA in ·un intervallo di tempo dt è esprimibile mediante la: dV= d6 ·dA
dove d6 rappresenta lo spessore di mate1:iale asportato nel tempo dt. n lavoro compiuto nello stesso inter,va1lo .di tempo dalle forze tangenziali di contatto dovute all'attrito è dato ·d~~.::.< . d,C1 = J p dA V dt
=' f p w r
dA dt
dove f rappresenta al solito il coefficiente' di' attrito, p la pressione esistente in un'area infinitesima dA della zona di contatto~ V la velocità relativa tra le due superfici nel luogo considerato. Ipotizzando ora che dC 1 sia proporzionale a dV:
C)
dc 1
= kdV
si ottiene in definitiva che: (2.165)
Fig. 219- Pressioni e consumo in un disco rotante
Volendo determinare in un caso semplice tale distribuzione di pressioni.
Si può osservare dalla (2.165) che, essendo il coefficiente di attrito f una quantità pressoché costante per tutti i punti dell'accoppiamento, il consumo unitario d6jdt del materiale di attrito risulta proporzionale alla pressione p esistente in ciascun punto dell'accoppiamento ed alla distanza r di questo dall'asse di rotazione. Se ora si suppone, in base a quanto précedentemente esposto, che nella fase iniziale del funzionamento (Fig. 219-a) la pressione p si mantenga costante, è evidente che il consumo unitario d6fdt varia esclusivamente al variare del raggio r e cresce al crescere di questo. Tale variazione
296
297
di consumo unitario lungo il raggio durante la fase iniziale di funzionamento conferisce al disco costituito da materiale di attrito l'aspetto della Fig. 219-b, · e con una tale configurazione della superficie di contatto è logico prevedere che la pressione non si mantenga più costante in tutti i punti, ma che si presenti maggiore verso il centro, dove lo spessore del disco è maggiore, e minore verso l'esterno dove lo spessore del disco è minore. Se poi il moto di accostamento del disco rotante nei confronti del disco fisso è, per effetto dei vincoli imposti, una traslazione in direzione assiale, è altrettanto intuitivo supporre che il successivo consumo del materiale di attrito avvenga in modo pressoché uniforme in tutti i punti e che di conseguenza il consumo unitario d6jdt si mantenga. pressoché costante per tutti i punti della zona di contatto (Fig. 219-c). In base a tale assunzione ed alla (2.165) si osserva pertanto che, per istanti successivi a quelli iniziali, la pressione p varia in modo inversamente proporzionale al raggio r: p=
k(déjdt) fwr
e di una traslazione in direzione perpendicolare alla congiungente OA, che non influenza quindi il consumo del materiale di attrito) si può in definitiva supporre che la pressione in un punto generico P dell'accoppiamento valga p = kx, dove x rappresenta la distanza di P dal punto A. Indicando ora con b la larghezza dèl pattino, con l la sua lunghezza e con a la distanza del
a
h
-
x
k'
j7
=r
e che quindi essa, a conferma. di quanto in precedenza a.nticipato, risulta tanto maggiore quanto più ci si avvicina all'asse di rotazione. L'ipotesi ora utilizzata di lavoro ,di attrito proporzionale al consumo, detta ipotesi di Reye, pur non essendo valida in ogni circostanza, è comunque applicabile in prima approssimazione in tutti i casi caratterizzati dalla presenza di attrito secco tra le superfici che vengono a contatto; proprio tale ipotesi, accoppiata all'informazione concernente il tipo di accostamento realizzato fra le superfici di ~ttrito, consente di determinare la distribuzione teorica delle pressioni di contatto e di risalire ovviamente da questa a quella delle azioni tangenziali ed in definitiva al valore del momento frenante. A titolo di esempio applicativo di tale ipotesi si consideri ora un pattino piano premuto contro un nastro che trasla ad una velocità V (Fig. 220) e si supponga di voler calcolare il valore della forza frenante FT una volta noto il valore della coppia C applicata al pattino. Poichè la velocità relativa tra nastro e pattino è costante in tutti i punti della zona di contatto, è evidente che, in base alla (2.165), si può supporre che la pressione sia proporzionale al consumo; essendo poi, come si è già avuto modo di osservare, il consumo funzione del tipo di accostamento, ed essendo questo una rotazione rigida attorno al punto A (una rotazione attorno al punto O può infatti essere considerata come somma di una. rotazione attorno ad A
Fig. 220 - Distribuzione delle presisoni in un pattino piano premuto contro un nastro che trasla
punto di incernieramento del pattino dall'estremità della superficie frenante (Fig. 220), si è in grado di scrivere l'equazione di equilibrio alla rotazione del pattino attorno al punto O sotto la forma: C-
j
a
a+l
b P x dx + f
ja+l a
b p h dx
=O
e da questa, sostituendo a p la sua espressione in funzione di x si ottiene il ' valore della costante k,_ valore dato da:
-
(2.166)
La forza tangenziale data in modulo da:
k
=
2[(a + 1) 3
6Cjb -
a3)- 3 f h[( a+ 1)2 - a2)
FT, che esercita l'azione frenante sul nastro, è ovviamente FT
= f ja a+l b p dx = f b l k .(a + 2'l)
299
298
e sostituendo in questa la (2.166) si ottiene l'espressione desiderata della relazione esistente fra le intensità della coppia C applicata al pattino e della relativa forza FT originata sul nastro.
8.4- Freni a tamburo (od a ceppi)
I freni a ceppi o a tamburo sono costituiti dall'accoppiamento di un cilindro rotante (detto tamburo) e di uno o più ceppi realizzati con materiale di attrito, che vengono premuti sulla superficie laterale esterna od interna del tamburo stesso in modo da creare così un'azione frenante. Si consideri ad esempio il freno a ceppo esterno della Fig. 221: quando all'estremo H del ceppo viene applicata una forza S, questo ruota attorno al fulcro E fino a portarsi a contatto del tamburo, ed in corrispondenza di ogni area infin~esima di contatto sorgono di conseguenza sia una forza elementare normale d F N, sia una forza elementare tangenziale dovuta all'attrito di intensità dFT = fdFN, forza che si oppone al moto relativo tra ceppo e tamburo.
Fig. 221 - Schema di freno a ceppo esterno
Da un'accurata analisi della Fig. 221 nascono ora alcune semplici ma importanti considerazioni. E' in primo luogo evidente che, qualunque sia la
distribuzione delle forze elementari normali iF N, la. loro risultante è necessariamente costituita da una forza radiale che non fornisce alcun momento rispetto al centro del tamburo, e ciò perché ogni singola. [p N possiede direzione radiale. In secondo luogo appare altrettanto evidente che la. risultante FT di tutte le forze tangenziali elementari dFT è in modulo minore della. somma. dei ~eduli, ossia. che IFTI < I:ldFTI, e che pertanto essa. dovrà possedere un braccio rispetto ad O maggiore del raggio R del tamburo, in quanto devono necessariamente essere uguali tra. loro i valori del momento risultante rispetto al centro O delle forze tangenziali elementari, a.pplica.te tutte al raggio R, e del momento rispetto ad O della. loro risultante. In terzo luogo si constata. che per ogni area. elementare della. superficie di contatto sussiste la. relazione dFT f dFN, e che perciò la. stessa. relazione deve sussistere tra. le forze risulta:nti; deve cioè essere in definitiva.: FT = f FN. In base a. queste tre semplici considerazioni si può concludere pertanto che, comunque siano distribuite le pressioni lungo la. superficie di contatto tra. ceppo e tamburo, la. loro risultante F R deve passare per un punto I< esterno al tamburo e che tale risulta.nte deve essere inclinata. di un angolo 9 = a.rctg f rispetto alla. congiungente J( O. E' chiaro ora che per determinare il valore del momento frenante realizzato da. un freno a. ceppi occorre in definitiva. conoscere la posizione del punto J{ di applicazione della. forza. risultante rispetto al centro di rotazione O del tamburo, e che questa. dipende unicamente dal modo con cui si distribuiscono le pressioni nella. zona. di contatto tra. ceppo e tamburo. Per ceppi che ruota.no attorno ad un punto fisso (freni a ceppi ad accostamento rigido) si può però supporre, in prima. approssimazione, che la. risultante delle forze scambiate fra ceppo e tamburo passi per il punto medi_o della. loro zona. di contatto (Fig. 222-a.). Questa. approssimazione, utilizzabile in tutti i casi in cui si voglia. valutare rapidamente la. coppia resistente fornita. da. un freno, risulta. tanto più valida quanto minore è l'angolo di apertura. del ceppo e quanto più l'angolo compreso tra. la congiungente OE e la. mezzeria. del ceppo si avvicina. a. 90°. Tenuto conto ora. del fatto che le forze F',v e Fr che il tamburo esercita. sul ceppo sono uguali ed opposte alle forze F N e F T che il ceppo esercita. sul tamburo, si potrà. scrivere la. seguente equazione di equilibrio alla. rotazione del ceppo attorno al punto E:
=
S h - Fsb- FTa
da cui si otterrà:
=0
301
300
hS FN=-b+fa
ed il momento frenante, nell'ambito di questa approssimazione, sarà in definitiva esprimibile mediante la: fhrS MJ =Fr·r= - - b+fa a)
b)
Se si vuole ora procedere ad una più precisa determinazione della posizione del punto di applicazione della risultante delle forze scambiate fra ceppo e tamburo, occorre, come si è già avuto modo di osservare, ipotizzare una certa distribuzione delle pressioni di contatto fra i due elementi. A tale scopo si suppone generalm$:!nte valida l'ipotesi di Reye esposta nel paragrafo precedente; nel caso di freni a ceppi l'assunzione di tale ipotesi, essendo la velocità relativa tra ceppo e tamburo costante in tutti i punti, equivale ad asserire che la pressione risulta proporzionale in ogni punto al consumo (vedasi a questo proposito la (2.165)), il quale è a sua volta funzione del tipo di accostamento realizzato tra le due superfici dell'accoppiamento. Si consideri allora nuovamente un freno ad accostamento rigido (Fig. 223): il moto del ceppo è orà costituito da una rotazione attorno al punto E; questa rotazione può al solito essere considerata come somma di una rotazione attorno al centro O del tamburo (che non fornisce alcun contributo al consumo del materiale costituente il ceppo) e di una traslazione nella direzione perpendicolarE ad OE, che viene di conseguenza usualmente definita come direzione di accostamento.
Fig. 222 - Schema di freno a ceppo esterno; a) ad accostamento rigido; b) ad accostamento libero
Per un freno in cui il ceppo ruoti attorno ad un punto mobile (freno a ceppo ad accostamento libero, Fig. 222-b ), è invece evidente che la forza che l'asta !{E esercita sul ceppo deve passare per la cerniera H e poiché questa è normalmente molto vicina alla superficie del tamburo, si può addirittura supporre che la risultante delle forze scambiate tra ceppo e tamburo passi proprio per il punto H. In base a questa assunzione si è quindi in grado, ripetendo passo a passo il procedimento visto per il freno ad accostamento rigido, di determinare in prima. approssimazione l'entità del momento frenante in funzione dell'intensità S della forza di comando.
Fig. 223 - Direzione di accostamento e consumo in un freno a ceppi ad accostamento rigido
Il valore del consumo 8, dovuto alla traslazione del ceppo lungo la di-
303
302
rezione di accostamento e realizzato in un certo intervallo di tempo in corrispondenza di un punto generico della superficie. di contatto individuato da un angolo t? rispetto alla mezzeria del ceppo, è dato allora da: 6 = 60 cos(t?- !3)
dove con !3 si indica l'angolo compreso tra la direzione d'accostamento e la mezzeria del ceppo e con 60 si indica il consumo massimo, ossia il consumo che si è verificato nello stesso intervallo di tempo nel punto intersezione della retta di accostamento con il tamburo. Poiché in questo caso la pressione è proporzionale al consumo, si avrà in definitiva una distribuzione delle pressioni tra ceppo e tamburo definita da una legge del tipo: p= Po
cos(t?- !3)
con t? variabile da -o:/2 a +o:/2, se co:n o: si indica l 'angolo di apertura del ceppo. Nota la distribuzione delle pressioni lungo la superficie di contatto sarà di conseguenza nota la distribuzione delle azioni tangenziali di attrito e si potrà pertanto procedere al calcolo sia dell'intensità della forza risultante F scambiata tra ceppo e tamburo, sia della. posizione del suo punto di app~ zione M. -~i~~olito ,8 -~-~.ngol~.isG€-c-J.!isP§falla mei;eria ~~Ù:.~IP~C.cos~_.am~o~_IJ'é!-;J&s>loJ.m:o~nito èhe- definis-ce, setp.J>re nspetta:al!~~ç~~~L$gp__po_,_la dir~_zione ..NO_,risJtl!g,~J-e..P:~1~J.orze elemell~<:ri_norm~genti suU~bu~? (Fig. 224),;tl:ang()!~~Is.ce...la ~un punto. gen~ri_~ risp:!to alla me~~~_:~a -~~ ~-~J?P.Q,_,o: l'angolo d1 a~.el-C~E:e:::~Jl~. Poiché la direzione MO definisce la direzione della forza normale Fn complessivamente scambiata tra ceppo e tam~ro,~~somma delle componenti delle singole azioni elementari d F n in direzione normale alla MO deve essere nulla· se con a si ~itainburo, tale condizione è espressa dalla:'
l
+a/2
a Po cos(t?- P),sin(t?- i)7' d t?= O
-n/2
e risolvendo l'integrale sopra scritto si ottiene in definitiva la relazione: ---=--~c=-=-·-.::C.~~-
(2.167)
(
s~n o:-\. o:+smo:
tg;-= tgf]o:~
~--=--------~·
Fig. 224 - Determinazione della forza scambiata fra ceppo e tamburo relazione che consente di determinare la direzione della forza normale scam-
__bìata~!'~..l~PPsl e t~~b~r~-~na ;olta ;;t_e Ja direz~-;·d~~;;;~~'t"t.~~~Pan
. g<;>~-=~~BSTJ~~4~L...cep.P-:9-:;:; -If""ffi(;ftfl(j--p:~ììa :ròFia· normale risultante- è fornito invece dalla somma delle componenti di tutte le forze normali secondo la direzione MO, per cui si ha in definitiva: Fn =
l
+n/2
apo cos( t? -
/3) cos( t? - i )rdt? =
-n/2
(2.168)
=
~ap 0 r[(o: +sin o:) cos /3 cosi+ (o:- sin o:) sin/3 sin i]
Volendo ora definire la posizione del punto M sulla semiretta uscente da O ed i~ata dell'angolo ;y rispetto alla niezzeria.del ceppo, baster"àriCoraar~ ~-il mom~elle forze elem~iliBia""n-ginzT;ili~ rispètt~ .:a'dO"èlève'""es~e:te .wafè ~afmome'rlto~:.~~fupfè" rispetto-àd o, _deil~_lQ.r9 forza ris~l_!~t-;;·ij~e fQ.~di?i9ne....riene espressa a
l
+n/2
-n/2
fapo cos(t?- f])r 2 dt? = 2fapor 2 sin ~ cos /3 = Ft · OM
2
= f FnOM
305
304 Da quest'ultima relazione e dalle (2.167) e (2.168) si ricava in definitiva per OM l'espressione:
Analizz.ando ora tale relazione si può osservare che, una volta fissati il raggio del tamburo_r_e l'angolo di apertura del ce:~mo a-,jl punto· M per cui passa la risultante delle forze scambiate tra ceppo e tamburo si muove, al variare della direzione di accostamento, e quindi degli angoli j3 e -y, lungo una circonferenza r di diametro: ------
- ----""" .
(2.169)
. b = 4r sin(a/2)\
·"----
a- + sin a-/
~-·----._____..,..·
Questa proprietà, caratteristica dei freni a tamburo, è stata evidenziata per la prima volta da A. Romiti, per cui la circonferenza r avente diametro definito dalla (2.169) viene usualmente denominata circonferenza di Romiti. ~~_risultante Fr delle forze scambiate fra ceppo e tamburo passa dunque per il punto M ed è inclinata di un angoio i-~ispetto all~..Ql\{ 1~Èsh!ar9_èhe, una vorta-dèfirutalageometria"del.freno, i(puiit~- 1.1 è univoc~mente determinat~; ciò nonostante la risultante Fr può essere ·i;;:~iinata dell'angol~ r.p da ùna parte o dali 'altra rispetto alla direzioiìeradiaìeo.M a :~ecgnd~ .9,_el Y~_. di rotazione. del t~mb~ro, in quànto hdòiza che"il ceppo esercita sul tamburo d~~~ opp-~rsi àCmoto dei tamburo relativo al ceppo. Una volta determinata la direzione della forza risultante complessiva Fr, si può constatare (Fig. 224) çhe la sua retta d'azione interseca la circonfere~ _di RomJ!Un u.n punto..E.,_,d.eÙ~~t~di--&~;iù",- e ;i-p.uò_~~sseryariiUQl1Ìe èhe fiiigç:~Jo_d:M&_p_g,J:u cp, è ]lg!l~e...all'angolo co:mpx~s.o__tra~a_~_nmte Jn=O~éi.i:confer.enz.a_cli_Romiti significa in definitiva che, a parità di coefficiente di attrito esistente tra i materiali costituenti le superfici del ceppo e del tamburo ed a parità di angolo di apertura del ceppo, la posizione del punto R è costante e non varia al variare della direzione d'accostamento. Solo se si inverte il verso di rotazione del tamburo il punto di Romiti si sposta lungo la circonferenza r, e precisamente assume una posizione simmetrica alla precedente rispetto alla mezzeria del ceppo (pu:nto R' nella Fig. 224 ). Definita così nel modo più completo possibile la forza scambiata tra ceppo e tamburo (sia in direzione. sia in modulo, sia come punto di applicazione) si è in grado di ricavare il momento frenante che questa realizza. È opportuno ricordare però che il procedimento ora esposto"procedimento più
·ciò
raffinato rispetto a quello di prima approssimazione visto in precedenza, mantiene la sua validità. solo nell'ambito della validità. dell'ipotesi di Reye, sulla quale si basa per quanto concerne la determinazione delle pressioni di contatto tra ceppo e tamburo; ove la validità. dell'ipotesi di Reye venisse meno, anche i risultati qui esposti. necessiterebbero di ulteriori ritocchi ed affinamenti.
8.5 - Tipi di freni a tamburo Nelle applicazioni pratiche si possono riscontrare sostanzialmente quattro tipi di freni a tamburo: il ceppo ad ess_9 acc()ppiato ~ infatti essere interno od esterno ed il suo accostamento _p_uò essere di tipo rigido o libero. I due casi di freni a ceppo ad accostamento rlgido-;;nc;-ra,ppresentati nella Fig. 225: p~_en.tramhi risuLta_nQ!a la direzione di accostamento (normale ad OE) definit~-d~angol9_§; in base alla (2.167)- si può pertanto determinare, nell'un caso e nell'altro, il valore dell'angolo 'Y e quindi, mediante la (2.169), la posizione del punto M; noto poi il valore del coefficiente di attrito, è nota di conseguenza la posizione del punto di Romiti Re la congiungente M con R fornisce quindi la direzione della forza scambiata tra ceppo e tamburo; il valore del momento frenante M1 è pertanto dato da:
mentre il valore di Fr è ricavabile, secondo quanto già. esposto nel precedente paragrafo, dalle equazioni di equilibrio del ceppo. Anche i freni ad accostamento libero (Fig. 226) p~I\Q.eSs,er.e_es.~ni 9 interni: pur essendo in ambedue i casi incognita a priori la direzione di ac-
c=;;=stamento~_uò.però_ ~sservare ~~fo~ licate~c.eppo...sLJ.Uilllanq
l'asta t::;?-sme.tte..4l~pp,_at.tra~7rso la cerniera --f!~e che· pe~ queste due forze debbono essere uglial!ln direzi_9g_e e Il}~_d_ulo e possedere versi opposti. Ne consegue dieTa' ri"sultante delle forze scamb~te fra ceppo e tamburo deve necessariamente passare per la cerniera B; poichè essa deve anche passare per il punto di Romiti R, è ovvio che ne resti automaticamente determinata la sua direzione. L'intersezione della retta BR con la circonferenza di Romiti r individua poi il punto M che, unito al centro O, determina l'ampiezza dell'angolo 'Y e da questo, in base alla (2.167) si è in grado di determinare il valore dell'angolo /3, ossia di individuare in definitiva la direzione di accostamento. Al
307
306
questi sono po~ti come illustrato nella f:ig. 227-a, a parità di forze S1 ed S2 , le forze F\ ed F2 da loro scambiate con il tamburo sono diverse e di conseguenza i due ceppi presentano una diversa azione frenante (a parità di forza S infatti il ceppo di destra frena più di quello di sinistra).
solito poi, imponendo l'equilibrio dell'asta EB, si può determinare l'intensità· della forza Fn e da questa risalire al valore del momento frenante applicato (\l tamburo.
a) .
b)
Fig. 225 - Freni a tamburo ad accostamento rigido: a) ceppo esterno; h) ceppo interno a)
b) Fig. 227 - Freno a tamburo a due ceppi esterni
~
Fig. 226 - Freni a tamburo ad accostamento libero: a) ceppo esterno; h) ceppo interno Si verifica sovente nelle applicazioni pratiche, che un tamburo venga frenato azionando contemporaneamente due ceppi uguali tra loro; se però
Per poter distinguere tra loro i due ceppi è invalso l'uso di indicare come ceppo avvolgente quello in cui un punto del tamburo si muove verso la cerniera, e c~ceppo_s~e quello in cui -~-n- punto del tambur~- si allontana dalla cerniera. In base a quanto sopra esposto resta allora evidente che, a parità di forza di comando S agente sui due ceppi, quello svolgente risulta, nel caso di ceppi esterni, più efficiente di quello avvolgente, mentre l'opposto si verifica nel caso di ceppi interni. Per ottenere una uguale azione frenante sui due ceppi a parità di forza esterna applicata, si dovrà pertanto adottare una soluzione simile a quella della Fig. 227-b, in cui entrambi i ceppi si trovano nelle medesime condizioni. I freni a tamburo presentano talvolta la peculiare caratteristica di essere autoavvolgenti; ciò significa che, una volta che si sia realizzato il contatto tra tamburo e ceppo, questo, per effetto delle forze che si originano sulla superficie di contatto, tende a serrarsi sempre più sul tamburo stesso.
309
308
dimensioni, un momento frenante uguale a quello relativo ai freni a tamburo; il materiale di attrito che li costituisce deve pertanto essere in grado di sopportare pressioni maggiori di quelle insorgenti in un contatto ceppo-tamburo. I freni a disco possono essere raggruppati in tre categorie differenti a seconda del moto di accostamento che il pattino possiede nei confronti del disco. Si possono ritrovare pertanto freni a disco di tipo:
Una tale situazione potrebbe ad esempio verificarsi nel freno schematizzato nella Fig. 225-b: se il valore del coefficiente di attrito fosse particolarmente alto ed il punto di Romiti fosse di conseguenza spostato verso sinistra, la congiungente M con R andrebbe infatti ad intersecare la retta m esternamente al segmento OE, ed in tal caso la forza f: che il tamburo esercita sul ceppo originei:e?be un momento rispetto al punto E tale da serrare il ceppo sul tamburo. E evidente che un funzionamento del genere è, a parte casi eccezionali, quanto mai indesiderato, per cui occorre sempre assicurarsi che, adottando una configurazione del freno sul tipo di quella ora indicata, i parametri geometrici ed il coefficiente di attrito siano tali da escludere il verificarsi di una simile condizione.
a) ad accostamento rigido; b) ad accostamento semilibero; c) ad accostamento libero.
n tipo di freno a disco che trova più frequenti applicazioni nella. tecnica è quello ad accostamento rigido, in cui il moto di accostamento del pattino frenante consiste in una traslazione rigida in direzione perpendicolare alla superficie del disco (Fig. 229). Volendo calcolare il valore del momento frenante realizzabile con freni di questo tipo in funzione della loro geometria e dell'intensità d~lla forza normale Fn applicata al pattino, va innanzi tutto osservato che per essi, una volta superata la fase iniziale del funzionamento, il consumo \ del materiale di attrito in un certo intervallo di tempo si mantiene, in base \ alle considerazioni esposte nel §8.3 del presente capitolo, costante lungo tutta la superficie di contatto.
8.6 - Freni a disco
I freni a disco sono costituiti dall'accoppiamento di un disco rotante, solidale al sistema da frenare, e di un pattino rivestito di materiale di attrito· il contatto tra i due organi dell'accoppiamento può essere esteso a tutta l~ superficie del disco, oppure solo ad una. sua parte, e viene realizzato premendo su questa il pattino in una direzione ad essa. perpendicolare (Fig. 228).
Fig. 228 - Schema di freno a disco Fig. 229 - Freno a disco ad accostamento rigido
. l freni a disco, pur presentando svariati vantaggi rispetto agli altri tipi d1 freno, e principalmente una maggiore costanza nell'azione frenante, una minore sensibilità alla contaminazione (da acqua. o da olio) grazie ai valori molto piccoli del gioco esistente tra le superfici di attrito ed il disco, ed una ugual capacità frenante in entrambi i versi di rotazione, debbono tuttavia essere sottoposti ad una forza di comando più intensa per originare, a parità di
Supponendo valida l'ipotesi di Reye si è pertanto in grado di asserire che il prodotto tra i valori della pressione di contatto e della velocità di strisciamento esistenti in ogni punto della superficie di contatto è proporzionale, nel caso di freni a disco ad accostamento rigido, al consumo unitario d5fdt e
i
l
_j_
11. JACAZIO-PIOMBO- La trasmissione del moto
l
310
quindi che: (défdt) k p= c---=wr r
Siano ora r; ed r. i raggi interno ed esterno della superficie di contatto (Fig. 229), a l'angolo di apertura ad essa r-elativo, A il valore della sua area e 'IJ ed r rispettivamente i valori della posizione angolare, riferita alla mezzeria della superficie di contatto, e del raggio relativi ad un punto generico della zona di contatto. Poichè l'intensità della forza risultante di tutte le azioni di pressione deve essere pari a quella Fn della forza normale agente sul pattino, si avrà ovviamente che: (2.170)
Fn
=
r.
+o:/2
l 1 r,
prd1·d'!J
-a:/2
311
I freni ad accostamento libero infine, posseggono, rispetto a quelli ad accostamento semilibero, un grado di libertà in più. Essi sono infatti costituiti· da un pattino che viene premuto contro il disco con forze di uguale intensità F originate da due cilindretti che nello schema della Fig. 230 b hanno tracce C 1 e C2 • E' chiaro allora che in questo tipo di freno il pattino, oltre a traslare ed a ruotare attorno all'asse y può anche ruotare attorno all'asse :z:, perpendicolare ad y. a)
b)
·---
= ka(re- r;)
ed il momento frenante complessivo, calcolato come somma dei singoli contributi delle azioni tangenziali di attrito agenti in ogni punto del contatto, sarà evidentemente dato da:
Sostituendo in quest'ultima equazione il valore di k ricavabile dalla (2.170) si otterrà in definitiva la relazione voluta: (2.171)
mentre il valore della massima pressione riscontrabile nella zona di contatto risulterà espresso dalla:
Pmax
k =- = r;
Fn w·;( r • - r;)
I freni a disco ad accostamento semilibero sono realizzati invece secondo lo schema della Fig. 230 a: in essi il pattino è incernierato all'estremo B dell'ast: EB e viene premuto contro il disco applicando a quest'ultima una coppia C. TI moto di accostamento è quindi costituito da una traslazione più una rotazione.
Fig. 230- Freni a disco ad accostamento semilibero (a) e ad accostamento libero (b) Poiché questi tip! di freno a disco hanno più gradi di libertà la distribuzione di pressione nel freno è più complessa di quella per il freno ad accostamento rigido. Tuttavia, per il calcolo del momento frenante, è possibile utilizzare sempre la (2.171).
8. 7 - Freni a nastro
I freni a nastro sono costituiti da un nastro che porta del materiale di attrito e da un tamburo solidale al sistema meccanico da frenare; ponendo in tensione il nastro, questo si serra sul tamburo e, grazie alla presenza delle forze di attrito che si sviluppano nella zona di contatto, lo sottopone ad un'azione frenante.
312 J l
313
l
per cui l'espressione dell.a coppia frenante realizzata da un accoppiamento sul tipo di quello indicato in Fig. 231 vale in definitiva:
l
(2.172)
ad · c,= -F(eff3l) 2c
La distribuzione delle pressioni esistenti fra nastro e tamburo può essere ricavata scrivendo un'equazione di equilibrio alla traslazione in direzione radiale di un elemento infì.nitesimo di nastro (Fig. 232). Indicando con b la larghezza del nastro si ha allora: [T+ (T+ dT)]
l.
a
J
Fig. 231 - Freno a nastro semplice
dt9 2 = p b r d 1J
da cui, trascurando gli infinitesimi di ordine superiore, si ha:
T 2T p=-=br bd La pressione massima si sviluppa pertanto là dove è massima la tensione, e vale:
D tipo più semplice di freno a nastro è schematizzato nella Fig. 231: in esso n nastro è avvolto sul tamburo per un angolo di ampiezza /3 ed n rapporto tra le tensioni T1 e T2 vale, per il verso di rotazione indicato in figura, ed in base alla (2.11 ): TJ.
T2
= eff3
e di conseguenza la coppia frenante agente sul tamburo risulta espressa dalla:
~ove il valore della tensione
T2 dipende evidentemente dall'entità della forza
F applicata all'estremo della leva di comando; dall'equazione di equilibrio alla
rotazione della leva attorno al suo fulcro si ha infatti: To = F~ c
Fig. 232 - Pressione agente su di un elemento infinitesimo di nastro
Con il freno a nastro semplice illustrato nella Fig. 231 però, l'azione frenante si manifesta con intensità differente a seconda dei due possibili versi
314 315
di rotazione del tamburo. Se infatti il tamburo ha verso di rotazione antiorario le tensioni T1 e T2 si presentano scambiate tra loro e la tensione massima sarà ora data da: T1
Fa
c, =
= c-
d
2c(ef/3 +l).
e che essa mantiene' inalterato il suo valore per entrambi i versi di rotazione del tamburo.
mentre la coppia frenante varrà di conseguenza: C1
pertanto si ricava, mediante alcune semplici considerazioni, che in tal caso la coppia frenante vale: Fad(ef/3- l)
Fad
.
=(T1- T2)-2 = -2cef/3 - ( e f 13 -1) 8.8 - Dissipazione dell'energia cinetica nei freni
e pertanto, a parità di forza T agente sulla leva, la coppia frenante agente sul tamburo per un suo verso di rotazione antiorario risulta ef/3 volte minore di quella sviluppata nel caso di verso di rotazione orario.
Come si è già avuto modo di osservare all'inizio del presente capitolo, due sono i fattori principali di cui si deve tener conto nel calcolo di un freno, e precisamente la massima coppia resistente che esso deve realizzare e la quantità di energia cinetica che esso deve dissipare ad ogni frenatura. Nei precedenti paragrafi si sono ampiamente esaminati i metodi atti a calcolare l'entità della coppia resistente fornita dai vari tipi di freni; verrà invece qui di seguito analizzato, se pure a grandi linee, il secondo aspetto, ossia la. trasformazione dell'energia. cinetica in calore e la successiva. dissipazione di quest'ultimo nell 'ambiente circostante. Una. delle formule approssimate per il calcolo della temperatura. media. Tm di equilibrio alla. quale si porta un freno durante il suo funzionamento è data. dalla: (2.173)
a
Fig. 233 - Freno a nastro con ugual azione frenante per entrambi i versi di rotazione del tamburo
Per ottenere una ugual azione frenante nei due versi di rotazione. occorre modificare lo schema del freno a nastro prima. visto ed adottare il tipo. di freno indicato nella Fig. 233. In esso le distanze dei punti di collegamento degli estremi del nastro dal fulcro della leva di comando sono uguali tra loro e
Nt "( Nt )] C(Tm- Tl) [ 3600 +l, o l- 3600
EN =A
dove N rappresenta il numero di cicli di frenatura all'ora, E lq. quantità di calore in kcal sviluppata. durante una. singola. frenatura, A la. superficie di scambio termico in m 2 , t la. durata in secondi di ogni frenatura., T 1 la temperatura dell'ambiente e C un coefficiente di scambio termico medio funzione del materiale costituente il tamburo od il disco e della loro velocità periferica iniziale. Per un tamburo in ghisa od in acciaio il coefficiente C (espresso in kcal/h m 20 C) varia in funzione della velocità periferica del tamburo stesso nel modo indicato dal diagramma della Fig. 234. Il calcolo della presumibile temperatura di equilibrio raggiungibile all'interno di un freno durante il suo funzionamento assume una notevole importanza in quanto le caratteristiche dei materiali che vengono a contatto
316
317
nell'aCcoppiamento variano al variare della temperatura; esisterà di conseguenza, per ogni possibile coppia di materiali costituenti il freno, una temperatura massima ammissibile di funzionamento, in quanto al di là di questa si otterrebbero, per l'accoppiamento in esame, delle prestazioni troppo dissimili da quelle teoricamente previste e pertanto inaccettabili da un punto di vista applicativo. I valori indicativi della massima temperatura e della massima pressione ammissibile per alcune coppie di materiali usate nei freni sono riportati nella tabella IV.
nante, V la velocità di strisciamento e k un coefficiente che vale, mediamente, 8, 5 N 2 m per ferodo su acciaio con fun-zionamento intermittente. cm s TABELLA I.V - Caratteristiche dei materiali usati nei freni
Materiali di contatto
l - -~ ~
15
/
10
/
~
~
~
/
/ 5
o
l 5
15
10
20
25
V(m;s) Fig. 234 - Coefficiente di scambio termico medio in un freno a tamburo
La Fig. 235 riporta l'andamento del coefficiente di aderenza fa e del coefficiente dj attrito f in funzione della pressione, della velocità di strisciamento e della temperatura superficiale. Un metodo approssimato seguito per verificare la capacità del freno di assorbire una certa quantità di calore senza danneggiarsi consiste nel verificare che sia soddisfatta la seguente relazione:
dove Ad è l'area della superficie di scambio termico, fil coefficiente di attrito, la pressione media, A1 l'area di contatto lungo la quale avvitene l'azione fre-
p
Massima temperatura ammissibile (o C)
Massima pressione ammissibile (N/cm 2 )
-
150 300 250 250 250
50..;- 90 100 ..;- 200 100 ..;- 150 100 150
O, 03 ..;-O, 05
-
250
100
o, 05 ..;-o, l
o, l ..;- o, 4
500
100
0,05 ..;-o, l
0,170,3
550
200
150 100 100 100
40 ..;- 60 10 ..;- 30 10 10 ..;- 30
bagnate
25
o
Coefficiente di attrit.o per superfici
Bronzo su ghisa o acciaio Ghisa su ghisa Ghisa su acciaio Acciaio duro su acciaio duro Acciaio duro su acciaio duro con rivestimento di cromo Bronzo fosforoso su acciaio duro con rivestimento di cromo Poi vere di metallo su ghisa o acciaio Polvere di metallo su acciaio duro con rivestimento di cromo Legno su ghisa o
o, 05 ..;-o, 07 o, 05 ..;-o, 08 O, 06 ..;-O, 09 o, 05 ..;-o, 08 O, 03 ..;-O, 06
asciutte
0,15 0,23 0,42
o, 16 ..;-o, 20 o, 35 ..;-o, 65 o, 12 ..;-o, 15 O, 30 ..;-O, 50 o, 15 ..;-o, 25 o, 30 ..;-o, 50 ... o, 30 ..;-o, 50 o, 08 ..;-o, 20 o, 05 ..;-o, 10 o, 10 ..;-o, 15 -
O, 20 ..;-O, 60 0,25 0,25
150 ..;- 400 350 ..;- 550 150
50 ..;- 150 200 .. 70
In applicazioni in cui il freno sia sottoposto ad un funzionamento continuativo e di conseguenza la quantità di energia da esso dissipata nell'unità di tempo assuma valori molto elevati, o tali comunque da portarlo ad una temperatura di equilibrio inammissibile, si può ricorrere ad un processo di raffreddamento delle superfici dell'accoppiamento, così come è illustrato nella Fig. 236 per il caso di un freno a dischi con circolazione di refrigerante.
319
318
la.l
0,25
0,20
0,2
'.
0,15
0,05
o
o
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o
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l
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20 40 60 80 100
p (N/cm 2 )
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l
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80 120 160 200
o
o
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o
24 32 40
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o
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~ ~ V--:
0,2
o
lZ~ "\ ~ ~ ..._
p (N/cm
)
100 200 300 400 500
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o
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V (mis)
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V (m/s)
laJ 0,4
o
V (m/s)
laJ 0,20
-v
0,10
v
In questo freno i ferodi a, solidali al disco collegato al sist~ma meccanico da frenare, strisciano contro due dischi fissi di rame b, i quali vengono lambiti dal :fluido refrigerante lungo la faccia opposta a quella a contatto dei ferodi. n disco che porta i ferodi è mobile assialmente·ed il disco di rame di destra, montato su di un supporto d'acciaio, si presenta anch'esso mobile in senso assiale. In tal modo l'introduzione di aria in pressione nel tubo di neoprene h provoca lo spostamento assiale dei vari dischi che vengono così premuti uno contro l'altro. Tra il tubo di neoprene ed il supporto di acciaio e è posto un elemento intermedio in fibra di vetro g che serve ad ottenere una distribuzione la più possibile uniforme della pressione.
16
20
o
-'
-.::.:: ~
!00 200 300 400 500
T(°C)
Fig. 235 - Valori del coefficiente di attrito per: a) acciaio-acciaio, funzionamento lubrificato; b) acciaio-ferodo, funzionamento lubrificato; c) acciaio-ferodo, funzionamento a secco. Condizioni di riferimento: p= 100 Njcm 2 ; V= 5 mjs; T= 100° C
.!!.'
' /l
Fig. 236 - Freno a dischi refrigerato. a) ferodi; b) dischi di rame; c) albero scanalato solidale al sistema rotante; d) anelli Seeger; c) supporti di acciaio; f) molla di richiamo; g) disco di pressione in fibra di vetro; h) tubo attuatore in neoprene; i) passaggi per l'aria di raffreddamento; j) passaggi per il refrigerante (Wichita Clutch Company)
____ --;::--_--
321
320 TI fatto che il materiale costituente i due dischi contro cui strisciano i ferodi sia rame assicura una notevole capacità di trasmissione del calore dalla superficie di attrito a quella lambita dal refrigerante; il freno viene inoltre refrigerato sulla superficie esterna con l'ausilio di una opportuna circolazione di aria ottenuta mediante i passaggi radiali i. Adottando tutti gli accorgimenti sopra esposti, il freno riesce a dissipare potenza meccanica nella misura di 35 W per ogni cm 2 di superficie di attrito, mentre la portata di refrigerante è approssimativamente di 0,6 1/min per ogni kW di potenza meccanica dissipata nel freno e la velocità periferica massima t.ra le superfici di attrito non supera in genere i 30 m/s.
8.9 - Freni elettromagnetici
8
-, 7
.......~
mentali della SAE, risultati che forniscono, per quindici operazioni successive, il rapporto tra il valore medio della forza di comando necessario per ottenere l'arresto di un veicolo viaggiante alla velocità iniziale di 100 km/h, ed il valore medio della forza corrispondente alla prima frenatura. Come si può osservare dal grafico della Fig. 237, il freno a disco, avente una maggiore capacità di trasmissione del calore, presenta, a conferma di quanto in precedenza esposto, un aumento di forza necessaria sul pedale minore di quello relativo ad un freno a tamburo.
Per ottenere la dissipazione dell'energia cinetica di un sistema meccanico si può ricorrere, oltre che all'effetto derivante dalla presenza dell'attrito tra due superfici in moto relativo, ad altri metodi, principalmente di natura elettrica ed elettromagnetica; questi sono:
l 1\ ,/ \
4
l
~ 3
::
1 ...,......... ~
/ 3
.
.
5
~
v
./'
7
9
Numero di arresti
7
- freni a correnti parassite;
\/
- freni ad isteresi; - freni a particelle magnetiche.
a)
11
13
15
-
Fig. 237 - Aumento dello sforzo medio sul pedale di un freno per autoveicolo in funzione del numero degli arresti successivi: a) freno a disco; b) freno a tamburo Come si è visto, una buona trasmissione del calore dal freno verso l'esterno, oltre che impedire l'eccessivo aumento di temperatura nel freno e quindi il suo danneggiamento, serve a far sì che il coefficiente di attrito fra i materiali che strisciano si mantenga costante durante più frenature successive. A questo riguardo vengono qui riportati i risultati di una serie di prove speri-
I freni ad isteresi, usati in applicazioni di piccolissima potenza, sono costituiti da uno sta.tore cilindrico fisso, che porta sulla sua superficie esterna tanti poli magnetici l'uno di polarità opposta ali 'altro, e da un anello cilindrico di materiale ferromagnetico, solidalmente collegato al sistema meccanico da frenare, la cui superficie interna è affacciata ai poli dello statore. Quando si genera un campo magnetico, ogni punto dell'anello rotante incontra in istanti successivi poli dello statore aventi, come si è detto, polarità opposta ed i fenomeni di isteresi che ne derivano creano di conseguenza una coppia frenante agente sull'anello stesso. In tali freni la coppia resistente è evidentemente proporzionale all'intensità della corrente che attraversa gli avvolgimenti dello statore, e questa proprietà li rende particolarmente adatti ad applicazioni speciali quali quelle riguardanti i dinamometri utilizzati per la misura di forze di piccola intensità. I freni a correnti parassite consistono essenzialmente di un rotore e di uno statore coassiali privi di contatto diretto, e lo statore porta un avvolgimento percorso da corrente continua. La presenza del campo magnetico
323
322
dovuto al passaggio della corrente attraverso lo statore genera delle correnti parassite nel rotore, che ne risulta di conseguenza frenato. L'intensità della coppia frenante è, in tali freni, proporzionale sia alla velocità angolare relativa fra rotore e statore, sia all'intensità della corrente che percorre l'avvolgimento e pertanto, poichè a rotore fermo si ha ovviamente coppia resistente nulla, i freni a correnti parassite vengono unicamente utilizzati per creare coppie resistenti al moto e non, ad esempio, per mantenere un carico in condizioni statiche. I vantaggi dei due tipi di freno ora descritti consistono principalmente . nel non presentare superfici striscianti e nel possedere di conseguenza una vita notevolmente maggiore di quella relativa ad altri tipi di freni. I freni a particelle magnetiche sono invece costituiti da due dischi magnetici tra i quali è interposta una miscela lubrificante contenente delle particelle magnetiche. Variando la corrente di eccitazione dei due dischi magnetici, si varia di conseguenza il valore del coefficiente di attrito equivalente della miscela contenente le particelle magnetiche, riuscendo così a creare coppie resistenti di intensità variabile da zero fino ad un massimo dipendente dall'intensità della corrente eccitatrice e dalle dimensioni geometriche del freno.
8.10 - Freni a fluido
- pompe centrifughe - pompe volumetriche.
Nelle pompe cèntrifughe il fluido aspirato viene portato ad elevata velocità da parte di una girante opportunamente sagomata, di solito fornita di un certo numero di palette, e successivamente, in un diffusore, l'energia cinetica viene convertita in energia di pressione.
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I freni a fluido sono dispositivi nei quali la coppia frenante viene fornita da una pompa che, funzionando, fa circolare un fluido entro un impianto nel quale viene dissipata quindi l'energia meccanica fornita all'asse della pompa. Lo schema di base dell'impianto che costituisce un freno a fluido è illustrato nella Fig. 238. La pompa è collegata meccanicamente all'organo rotante che deve essere frenato. La pompa, ruotando, fa circolare nell'impianto una portata di fluido e, in funzione delle caratteristiche della pompa e del circuito idraulico, si stabilisce alla mandata della pompa una pressione p1 • Indicando con po la pressione del fluido nel serbatoio (pressione di aspirazione della pompa), con w la velocità angolare della pompa e con 77 il suo rendimento, la coppia all'asse della pompa è:
(2.174)
Le pompe impiegate nei freni a fluido _possono essere:
C= Q(pl- Po) 7]W
.Serbatoio
Fig. 238 - Freno a fluido: schema del circuito
Nelle pompe centrifughe la portata, la pressione e la velocità angolare della pompa sono mutuamente dipendenti e sono legate tra loro da relazioni rappresentate da curve caratteristiche del tipo rappresentato nella Fig. 239. In questa figura sono anche riportate le curve pressione-portata che caratterizzano la resistenza idraulica del circuito al variare dell'area di passaggio attraverso la valvola (Fig. 238). Al diminuire dell'area di passaggio la resistenza Rv aumenta ed aumenta la pressione richiesta a parità di portata. Variando l'apertura della valvola è quindi possibile ottenere un diverso punto di funzionamento a parità di velocità angolare, e quindi una diversa coppia all'asse della pompa. Nelle pompe centrifughe la separazione fra le zone ad alta e a bassa
. 324
325
pressione è ottenuta dal fluido stesso che viene pompato e non da elementi meccanici, per cui è possibile far ruotare la girante della pompa anche con la mandata completamente chiusa. In questo caso il fluido ricircola nell'interno della pompa stessa, mantenendo una differenza di pressione fra aspirazione e mandata. Pressione differenziale (p,- Po)
{
(2.175)
Q=
D.
-WTJv
271'
C= .D.(pl - Po) 211''1/m
dove: '1/v è il rendimento volumetrico della pompa, inferiore a uno a causa dei trafilamenti interni; '1/m è il. rendimento meccanico della pompa, inferiore a uno a causa degli attriti interni. n rendimento globale della pompa è dato dal prodotto 'T/v'T/m, infatti si ha: (2.176)
Caratteristiche della pompa
TJ
=
Q(pJ - Po) Cw
= 7]v'1/m
A causa dell'altissimo rendimento volumetrico, le pompe volumetriche hanno caratteristiche pressione-portata quasi verticali, come riportato nella Fig. 240.
Portata Q
Fig. 239 - Caratteristiche di un freno fluido con pompa centrifuga
Pressione differenziale
Nelle pompe volumetriche il fluido viene trasportato in volumi determinati dalla zona di aspirazione {bassa pressione) a quella di mandata (alta pressione). Nelle pompe volumetriche i trafilamenti interni sono molto piccoli, per cui la portata è quasi indipendente dalla pressione, ma è funzione quasi esclusivamente della velocità angolare, nonchè delle caratteristiche della. pompa. A ca.u.sa. dei minimi trafilamenti interni il rendimento delle pompe volumetriche è sempre alto (mediamente O, 9), contrariamente a quello delle pompe centrifughe che, a seconda delle condizioni di esercizio, varia tipicamente tra O, 5 e O, 7. Per le pompe volumetriche si definisce cilindrata il volume teorico di fluido trasportato dalla aspirazione alla mandata per ogni giro della pompa. Indicando con D. la cilindrata, con p 0 la pressione di aspirazione, con p1 quella di mandata, con Q la portata, con w la velocità angolare della pompa, con C la coppia richiesta all'asse della. pompa, si hanno le seguenti relazioni:
P1 -Po
Caratteristiche della pompa
Portata Q
Fig. 240 - Caratteristiche di un freno a fluido con pompa volumetrica
327
326
n punto di intersezione fra la caratteristica della pompa e quella del circuito determina il punto di funzionamento, e quindi la pressione differenziale (p1 - po), nota la quale si può calcolare la coppia all'asse della pompa in base alla seconda delle (2.175). I freni a fluido presentano, rispetto ai freni ad attrito, due incovenienti: sono più ingombranti e costosi, e non sono in grado di esercitare una coppia frenante in condizioni statiche. Ciò poichè l'azione frenante è dovuta alla resistenza al moto di un fluido in un circuito, resistenza che viene quindi a cessare se la pompa è ferma. Un importante vantaggio dei freni a fluido è, invece, quello di poter regolare con precisione la coppia frenante, operazione che risulta invece difficoltosa nei freni ad attrito. Per tale ragione i freni a fluido sono sovente impiegati nei banchi di prova motori, dove occorre generare una coppia frenante regolabile con precisione e mantenibile costante nel tempo. Inoltre, nei freni a fluido l'energia meccanica trasformata in calore può essere facilmente trasmessa all'ambiente esterno facendo passare il fluido caldo attraverso uno scambiatore di calore.
rotazioni in verso orario, ma non in verso antiorario. Ad una seconda categoria di arresti appartengono gli arresti ad attrito, un esempio dei quali è riportato nella Fig. 242. Ìn esso la ruota S ed il nottolino N vengonQ a contatto nel punto H: se S ruota in verso orario, si osserva che la coppia resistente alla quale essa è soggetta è molto piccola, in quanto la forza tangenziale di attrito che si origina al contatto ruota-nottolino dipende unicamente dall'intensità della piccola forza che la molla M trasmette al nottolino stesso in modo da mantenerlo leggermente premuto contro la ruota. Se invece S ruota in verso antiorario, la forza tangenziale di attrito Fr dà luogo ad un momento rispetto al centro del perno del nottolino che origina un aumento della componente normale della forza scambiata in H ed un conseguente aumento della forza tangenziale Fr stessa. Si verifica cioè un fenomeno di impuntamento che porta in definitva all'arresto della ruota S.
8.11 - Arresti Gli arresti altro non sono che particolari meccanismi ai quali viene affidata la funzione di impedire il moto tra due elementi prescindendo àall'intervento di un comando esterno. Gli arresti sono quindi costituiti in prevalenza da meccanismi di non ritorno, ossia da quei meccanismi che consentono il moto in un dato verso di rotazione, ma non nel verso opposto. Una prima categoria di arresti è costituita dagli arpionismi (Fig. 241), già esaminati nel capitolo riguardante i meccanismi nella loro qualità di organi atti a trasformare un moto continuo in un moto intermittente, e che qui invece sono semplicemente costituiti da una ruota dentata, solidale al sistema in moto, e da un nottolino, incernierato nel punto A, che consente Fig. 241- Arpionismo
Fig. 242- Arresto ad attrito
Una terza categoria di arresti è quella costituita dagli arresti a molla nei quali una molla M viene montata con una certa interferenza su di un albero :fisso (Fig. 243), mentre l'estremità H della molla stessa viene accoppiata al sistema meccanico che deYe essere arrestato. Se l'estremo H viene mosso
329
328
nel senso indicato dalla freccia continua, è chiare che l'interferenza iniziale della molla viene ad essere interamente recuperata e che- tutto il sistema può liberamente ruotare attorno al proprio asse presentando unicamente un piccolissimo fenomeno di attrito. Se invece l'estremo H della molla è mosso nel verso indicato dalla freccia tratteggiata, è evidente che la molla viene ulteriormente serrata sull'albero e che il punto H si sposta solo di una distanza molto piccola, corrispondente all'allungamento elastico della molla, provocando di conseguenza l'arresto del sistema ad esso collegato. Se si indicano con E il modulo di elasticità del materiale costituente la molla, con J il momento di inerzia geometrico della sezione della molla, con r il suo raggio medio e con ~ro l'interferenza iniziale, il momento Mo che deve essere applicato per ricondurre l'interferenza a zero, nel caso in cui H si muova nel verso indicato dalla freccia continua., è dato da: (2.177)
e questo è perciò il valore del momento resistente incontrato dal sistema durante la rotazione della molla sull'albero.
r
Fig. 243 - Schema di arresto a molla
Quando invece il sistema tende a spostare H secondo la freccia tratteggiata (Fig. 243), la molla si comporta come un freno a nastro capace di fornire una coppia frenante massima pari a: (2.178)
dove M 0 è dato dalla (2.177), n è il numero di spire della molla ed f il coefficiente di attrito. Questo tipo di arresto si comporta quindi come tale solo a patto che non lo si sottoponga ad una coppia di intensità 'maggiore di quella data dalla (2.178). Oltre quest6 limite infatti la molla, pur continuando a fornire una coppia resistente di intensità pari a Mmax, striscerebbe sull'albero e l'accoppiamento perderebbe quindi la peculiare caratteristica degli arresti.
9. INNESTI
9.1 - Caratteristiche degli innesti
Gli innesti costituiscono una particolare categoria di accoppiamenti aventi, come i giunti, lo scopo di trasmettere il moto rotatorio tra due alberi coassiali, ma dotati, al contrario di questi, della possibilità di attivar.e o disattivare, mediante un opportuno comando, il collegamento da essi realizzato. È opportuno osservare, prima di passare ad una più dettagliata descrizione dei vari tipi di innesti, che essi presentano la caratteristica di dissipare sempre, durante la fase del loro inserimento tra due alberi appartenenti ad un sistema meccanico, una certa quota parte dell'energia meccanica del sistema stesso, e che l'entità dell'energia dissipata dipende, in generale, sia dalle coppie agenti sul sistema, sia dalla durata dell'operazione di innesto. Con riferimento alla Fig. 244, si supponga infatti che l'elemento l dell'innesto sia collegato all'albero motore, che l'elemento 2 sia collegato all'albero condotto e che siano inoltre w 10 ed w20 i valori delle velocità angolari iniziali dei due elementi (ossia prima dell'inizio dell'operazione d'innesto), WJ il valore comune della loro velocità angolare al termine dell'operazione stessa, Cm la coppia motrice, Gr quella resistente, h ed ! 2 i momenti di inerzia delle masse rotanti solidali ai due alberi e 19 1 e 19 2 i valori generici degli angoli descritti dagli alberi stessi. La quantità di lavoro .c1 dissipata durante l'operazione di innesto può allora essere calcolata applicando il teorema dell'energia cinetica; in base ad esso si ha infatti:
ed integrando questa operazione per tutta la durata. r dell'operazione di in-
333 332
da cui si ricava in definitiva:
nesto si .ottiene:
c,= ~[Itwi 0 + I2w~o- (ft + I2)w}]+ (2.179)
+
1
Cm wl dt -
1
Crw2dt
ed il lavoro perso durante l'operazione di innesto assume di conseguenza, in questo caso particolare, l'espressione data da: (2.180)
9.2 - Innesti a denti
Fig. 244 - Innesto tra due alberi
Quale caso particolare di quello generale ora visto può considerarsi quello in cui le coppie agenti sui due alberi siano entramb: n~lle, oppure Ilo in cui il tempo di innesto sia talmente breve da consenttre dt trascurare d' · · que li integrali a secondo membro della (2.179). In entrambe queste con JZJOlll ~ lavoro perso durante l'operazione di innesto è dato, sempre in base alla (2.179), da:
c, = ~ [ftwr0 + I2w~o- (It + I2)w]J mentre la velocità angolare finale del sistema complessivo è facilmente ricavabile scrivendo una equazione di equilibrio alla rotazione del sistema stesso, equazione data: da: Cm+Cr
dff = dt
Integrando quest'ultima equazione si avrà infatti, nell'ambito delle ipotesi prima esposte: H;niz
ossia:
= Hfin
Gli innesti a denti rappresentano il tipo più semplice di innesti realizzato nelle applicazioni pratiche. Rispetto agli innesti ad attrito, ai quali verrà dedicato il paragrafo successivo, essi si presentano, a parità di coppia trasmessa, notevolmente più piccoli, leggeri ed economici; essi inoltre non richiedono, al contrario di quelli ad attrito, una regolazione periodica per ovviare al consumo, e la frequenza con la quale possono essere inseriti e disinseriti è estremamente elevata in quanto, essendo i tempi di innesto brevissimi il lavoro dissipato durante ogni operazione di innesto è dato dalla (2.180) e si presenta pertanto sensibilmente minore di quello relativo ad un innesto ad attrito di pari caratteristiche. Gli innesti a denti presentano però diversi inconvenienti, e tra questi due sono i principali: a) essi possono essere inseriti solo a velocità molto basse, in quanto in caso contrario sorgerebbero durante l'operazione di innesto urti di intensita inaccettabili; b) essi non possono in genere essere inseriti a velocità nulla; l 'operazione di innesto infatti deve essere quasi sempre effettuata in presenza di una piccola velocità angolare relativa tra i due elementi dell'accoppiamento. Gli innesti a denti si suddividono essenzialmente in tre tipi differenti; esistono infatti innesti a denti rettangolari, a denti a spirale e a denti trape::oidali. Gli innesti a denti rettangolari non sono molto diffusi: essi sono utilizzati generalmente solo per applicazioni a bassa velocità (meno di 100 giri/min) e
334
per essi l'operazione di innesto avviene di norma in un campo di velocità compreso tra i 2 ed i lO giri/min. Gli innesti a denti a spirale vengono usati per velocità maggiori di quelle relative al caso precedente e l'operazione di innesto può avvenire per essi a velocità comprese fra i 2 ed i 150 giri/min. Gli innesti a denti trapezoidali, infine, sono realizzati in genere mediante molti denti p~sti sulla faccia di due dischi contrapposti, dischi che vengono di solito inseriti tra loro utilizzando un comando elettromagnetico, e l'operazione di innesto può svolgersi, a seconda dei tipi, a velocità comprese tra i 60 ed i 300 giri/min.
335
alberi al termine dello slittamento e la quantità di lavoro dissipato dipendono sia dal valore della coppia trasmessa per attrito dalla frizione, sia dai valori delle coppie esterne agenti sui due alberi, da quelli dei loro momenti di inerzia e da quelli delle loro velocità. angolari iniziali. Con riferimento alla Fig. 245
9.3 - Innesti ad attrito
Gli innesti ad attrito, detti comunemente frizioni, costituiscono il tipo di innesti più comunemente utilizzato in campo meccanico. Essi sfruttano il fenomeno dell'attrito esistente tra due superfici a contatto per poter trasmettere una certa coppia fra due elementi rotanti a queste collegati, e possono pertanto essere utilizzati per operazioni di innesto che debbano avvenire anche ad alta velocità. ed in presenza di carichi notevoli. Quando infatti i due elementi della frizione aventi diversa velocità angolar~gono-poFtati-ar-conta@_,_ si ongma nell'accoppiamento una coppia di a~.a della forza con cui i due elementi vengono premuti l'uJ:!o contro l'altro, sia della geometria della frizione stessa, sia infine del valore del
c~ffi:cfente dC~ttrito relati~-~l.la_f.QPQia-~-~ateriajT;_--;;-~~Và:Osser
vato che, se quest'liftimo è costante o comunque diro~o variabile in modo da poter essere sostituito con buona approssimazione dal suo valor medio, anche la coppia trasmessa per attrito tra le due superfici della frizione si mantiene costante. Una volta che i due elementi della frizione hanno raggiunto la stessa velocità angolare, si passa da una fase di trasmissione della coppia per attrito dovuto allo strisciamento ad una fase di trasmissione della coppia per aderenza fra le due superfici, ed è ovvio che in queste condizioni la coppia trasmessa attraverso la frizione può assumere valori qualsiasi purchè questi si mantengano entro il limite massimo stabilito dalle condizioni di aderenza. La durata dell'operazione di innesto, la velocità angolare comune ai due
:~h'::~:::,~·:~·.: Fig. 245 - IiméSto. ad· attrito
si considerino infatti i due elementi d~ll~:.frlzione collegati rispettivamente l'uno all'albero motore, avente velocità inizi~e w 0 , e l'altro all'albero condotto, inizialmente fermo, e si supponga ad esempio che il motore fornisca una coppia di intensità costante Cm e che l'utilizzazione origini una coppia resistente di intensità Cr proporzionale al quadrato della sua velocità angolare. Se si indica con c, l'intensità della coppia trasmessa per attrito tra i due elementi della frizione, si è allora in grado di scrivere le equazioni di equilibrio dell'albero motore e di quello condotto, equazioni date rispettivamente dalle:
Cm
-c, - I1 d~1
=O
(2.181) {
Cf- Cr
-I~• dw2 dt
=O
Poichè nell'ambito delle ipotesi assunte Cm e c1 sono costanti, si ricava dall'integrazione della prima delle (2.181) che la velocità angolare dell'albero motore, inizialmente pari a w0 , varia durante l'operazione di innesto in fun-
336
337 L'andamento nel tempo delle velocità. angolari dell'albero motore e dell'albero condotto, per il caso di innesto ad attrito precedentemente esaminato è qualitativamente riportato nel grafico della Fig. 246 in cui le curve l, 2 e 3 rappresentano rispettivamente le (2.182), (2.183) e (2.184).
zione del tempo t secondo la: (2.182) Dalla seconda delle (2.181), tenendo conto del fatto che Cr = Co+ kwi e che w2 è inizialmente nulla, si ottiene, dopo alcune semplificazioni, l'espressione. che fornisce, in funzione del tempo t, la legge di variazione della velocità. angolare w 2 dell'albero condotto. Si avrà. pertanto:
w
(2.183) Uguagliando tra loro la (2.182) e la (2.183) si ricava una equazione nella variabile t che, una volta risolta., fornisce il valore del tempo t• relativo all'istante terminale della fase di innesto, ed è ovvio che la corrispondente velocità. angolare w* comune ai due mer,nbri dell'accoppiamento è quindi ottenibile ponendo t= t• indifferentemente nella. (2.182) o nella. (2.183). Una volta terminata la fase di slittamento, gli alberi motore e condotto posseggono, come si è visto, la stessa velocità. e l'equazione del moto del sistema in esame, per istanti corrispondenti a valori di t maggiori di t•, è data da: ~
dw
Cm -Co - kw- - (11 + /2) dt
=O
Procedendo all'integrazione di questa equazione differenziale, e ricordando che per t = t* si ha w = w*, si è in grado di ricavare, dopo alcuni passaggi, che la velocità angolare ~ del sistema complessivo ad un istante t generico successivo a quello corrispondente al termine della fase di innesto è data da: (2.184)
l (l - a (1
w-
+ aw* )e(t-t.)/T - (l - aw•) + aw•)e(t-t•)jT- (1- aw•)
dove:
{
a-
7
= 2jk(Cm- Co)
Fig. 246 - Velocità degli alberi motore e condotto in un innesto ad attrito
La quantità di lavoro dissipata durante l'operazione di innesto della frizione è calcolabile sia mediante la (2.179) sia osservando che, essendo in questo caso la fonte della dissipazione dovuta unicamente all'effetto dell'attrito esistente tra gli elementi della frizione stessa, essa vale di conseguenza:
(2.185)
dove al posto di w 1 ed w 2 debbono èssere ovviamente sostituite le rispettive espressioni fornite dalla (2.182) e (2.183). Va infine osservato che si è finora ipotizza.to di conoscere il valore c1 della coppia trasmessa dall'innesto grazie alla presenza dell'attrito esistente tra le due superfici a contatto dell'accoppiamento, ma che d'altro canto non se ne è mai fornita una sua espressione esplicita. Nei paragrafi successivi verranno pertanto esaminati diversi tipi di frizioni in modo da poter ricavare per ciascuno di essi il rispettivo valore della coppia c, trasmessa durante la fase
339
338
di innesto in funzione e delle caratteristiche geometriche dell'accoppiamento e delle forze ad esso applicate.
9.4 - Frizioni radiali
Dohmen-Leblahc (Fig. 247): esso è infatti costituito da quattro pattini P, solidali all'albero motore, che possono scorrere in direzione radiale; spostando il collare Gin direzione assiale la molla M viene compressa ed esercita di conseguenza una forza in direzione radiale che serra i quattro pattini dell'innesto nelle corrispondenti gole ricavate nella campami. E.
Nelle frizioni radiali i due elementi costituenti la frizione vengono portati a contatto, durante l'operazione di innesto, mediante uno spostamento relativo tra le rispettive superfici di attrito in direzione radiale. Le frizioni radiali possono essere a tamburo, ed in tal caso esse hanno un aspetto identico a quello dei freni a tamburo, oppure a gole, ed in questo caso esse sono costituite da più pattini collegati ad un albero ed aventi tutti una superficie esterna sagomata in modo tale da poter essere inseriti, durante il funzionamento, entro una o più gole corrispondenti ricavate sulla superficie interna di un cilindro solidale all'altro albero dell'accoppiamento.
Fig. 248- Forze agenti sui pattini dell'innesto Dohmen-Leblanc Si consideri ora uno dei pattini costituenti l'innesto (Fig. 248), e si supponga che la forza radiale S con la quale viene premuto ogni pattino sia egualmente suddivisa fra le varie gole che lo costituiscono. Se si indicano con N la forza agente in direzione radiale in ogni gola e con a l'angolo di apertura della gola stessa, si ha ovviamente che l'intensità della forza N' scambiata fra le singole superfici a contatto è data da: Fig. 247- Innesto Dohmen-Leblanc L'applicazione di questo tipo di frizioni è limitato a soluzioni tecniche implicanti basse velocità di rotazione degli alberi del sistema, in quanto, per valori elevati della loro velocità angolare le forze centrifughe agenti sui pattini diverrebbero di intensità tale da provocare fenomeni non trascurabili di disturbo durante l'operazione di disinnesto. Un tipico esempio di innesto radiale a gole è riscontrabile nell'innesto
N= 2N'sin ~ 2
Ft
mentre la forza tangenziale di attrito F
,
t
ha un'intensità data da: !N
= 21 N = sin(a-/2)
dove j3 rappresenta al solito il valore del coefficiente di attrito relativo alla coppia di materiali costituenti le superfici a contatto dell'innesto.
341
340
Se S è l'intensità della forza radiale agente su ciascun pattino (va osservato che S ed N sono uguali solo nel caso che il pattino sia costituito da un'unica gola), n il numero dei pattini e d il loro diametro medio, l'intensità della coppia totale c1 trasmessa per attrito dalla frizione risulta in definitva espressa dalla: C
1
=
accostamento rigido; l'unica differenza consiste nel fatto che nel caso della frizione la superficie di attrito si estende per l'intero giro e che, sempre nel caso della frizione, entrambi i dischi costituenti l'accoppiamento sono contemporaneamente in rotazione durante la fase di innesto.
njSd 2sin(a/2)
_ _ _ ,.,.,oferro Pacco lamellare
mentre la pressione p esistente in un punto generico dell'accoppiamento, nell'ipotesi che essa si distribuisca sulle superfici di contatto, vale: 2N' b{3d
p=-=
IO
1
Corpo es1ernu
2
Corpo tnterno porta-bobina
3
Bussola
5
Ghtera O• regotaz•one
7
Lamelle esterne
8
Lamelle tnterne
hPO S • in olio
acciaio/bronzo sintenzzato
S ibd{3 sin( a /2)
dove {3 rappresenta l'angolo di apertura del pattino ed i il numero di gole presenti in ogni pattino.
t
D•sco distanziatore
10
Anello collettore
11
Anello tsolante
12
Dtsco •sotante
14
Bobtna
9.5 - Frizioni assiali
Le frizioni assiali sono costituite da due o più dischi che vengono collegati l'uno all'altro in direzione assiale. Nella loro realizzazione più semplice esse sono schematizzabili mediante due soli dischi, solidali a.i due alberi da collegare, uno dei quali porta del materiale di attrito simile a quello utilizzato nei freni; serrando l'uno contro l'altro i due dischi con l'ausilio di una forza assiale N si ottiene, grazie alla presenza dell'attrito esistente fra le due superfici a contatto, una coppia di intensità c1 (Fig. 249) all'interno della frizione.
Pacco lamellare
15
Perno d• gutda
11
Nollohno d• press•one
17
Molla di distacco
18
Lamella anterna schermata
tipo T • a secco • acciaio/textar
Fig. 250- Frizione assiale a dischi multipli con comando elettromagnetico (StrornagMarzorati, Milano)
Fig. 249 - Schema di frizione assiale semplice monodisco
Supponendo perciò valida l'ipotesi di Reye sul consumo del materiale per attrito, ed indicando con N il valore della forza assiale che preme le due superfici di attrito, con fil valore del coefficiente di attrito relativo a.i materiali a contatto e con r; ed re i raggi interno ed esterno della zona di contatto, si ha dalla (2.171) che la coppia trasmessa per attrito vale in definitiva:
Una frizione assiale semplice è perciò identica ad un freno a disco ad l
12.
JACAZIO~PIO:\IBO-
La trasmissione del moto
343
342 mentre l'intensità della coppia trasmessa per attrito, se ' è data a sua volta da: dente di attrito, (2.186) (2.188)
e che la pressione p in un punto generico P dell'accoppiamento situato al raggio generico r vale: p
N = -::----:---..,.. 27rr(r e - r;)
C
= t1rpbd =
tNd
2
2sina:
2
1
t
è al solito il coeffi-
e da questo si vede che se la frizione è piana, ossia se a:= 1rj2, si ritrova per c1 l'espressione fornita dalla (2.186).
Quando si debbono trasmettere coppie elevate, le frizioni assiali, anzichè essere costituite semplicemente da due sole superfici di attrito, sono formate da numerosi dischi (alcune realizzazioni prevedono addiritura l'impiego di 60 dischi) collegati alternativamente con l'albero motore e con l'albero condotto (Fig. 250). I dischi, tutti mobili assialmente, a frizione inserita vengono tutti premuti uno contro l'altro mediante la stessa forza assiale N e pertanto, se i è il numero totale delle superfici di attrito che vengono a contatto durante l'operazione di innesto, la coppia trasmessa durante l'operazione stessa dalla frizione ha intensità pari a: C j=Z'tNr. + r;-2
Fig. 251 -Schema di frizione conica
9.6 - Frizioni coniche Nelle frizioni coniche (Fig. 251) le superfici che trasmettono la coppia per attrito hanno la forma di un tronco di cono. Si riesce in tal modo ad ottenere, a parità di forza assiale con la quale vengono serrati .i due elementi della frizione, una coppia trasmessa per attrito di intensità molto superiore a quella relativa ad una frizione assiale-semplice. Se si indicano infatti con d il diametro medio della frizione, con a: l 'angolo di semiapertura del cono, con p la pressione, supposta uniforme, esistente tra le due superfici a contatto e con N l'intensità della forza assiale con cui i due elementi vengono premuti tra loro, si ha: (2.187)
N
=1rpbd sin a:
È opportuno ora osservare che se N è la forza necessaria a mantenere premuti i due coni della frizione quando si vuole trasmettere la coppia Cf, la forza N' necessaria ad innestare i due coni risulta maggiore della N stessa. Quando i due coni vengono premuti uno contro l'altro infatti, danno luogo ad un moto di strisciamento relativo lungo le loro generatrici di contatto con conseguente nascita, lungo le generatrici stesse, di azioni tangenziali di attrito pari in ogni punto a tP (Fig. 252); l'effettiva forza N' necessaria ad innestare i due coni ha pertanto un'intensità pari a: N'
=1rbdp(sin a:+ t cosa:)
ossia, in base alla (2.187), essa vale in definitiva: 1Y'
=N(l + tftga:)
344
345
Dall'esame della (2.188) si nota chiaramente, a conferma di quanto in precedenza anticipato, che le frizioni coniche sono in grado di trasmettere una coppia molto maggiore, a parità di altre condizioni, di quella trasmissibile dalle frizioni piane. Ciò, pur potendo da una parte costituire un vantaggio, fa sì però che anèhe le accelerazioni del sistema, e quindi le relative coppie di inerzia, siano molto superiori a quelle presenti nelle frizioni piane e proprio per questo motivo le frizioni coniche, ampiamente usate in passato, sono ora prevalentemente destinate ad applicazioni implicanti piccole potenze e basse velocità periferiche.
Ad ogni pattino è inoltre collegata una molla che lo assoggetta ad una forza di richiamo di intensità FM pari a: FM
= Fo+ kx
d
Fig. 253 - Frizione a forza centrifuga Fig. 252 - Forze scambiate tra. le superfici di una frizione conica durante il loro avvicinamento
9. 7 - Frizioni a forza centrifuga
Le frizioni a forza centrifuga sono costituite da un certo numero di pattini rotanti~solidalmente all'albero motore e dotati della possibilità di scorrere in direzione radiale (Fig. 253). Se m è la massa di ogni pattino, h la distanza in condizioni statiche del baricentro di ogni pattino dall'asse del motore ed x il suo spostamento rispetto a questa condizione iniziale, il pattino è sottoposto, se l'albero a cui è collegato ruota ad una velocità angolare w, ad una forza centrifuga di intensità pari a:
Fc =m( h+ x)w 2
dove Fo rappresenta al solito il precari co iniziale della molla e k la sua rigidezza, e pertanto, se a è il, gioco radiale iniziale esistente tra la superficie esterna dei pattini e la superficie interna del cilindro solidale all'albero condotto, l 'operazione di innesto avrà inizio ad una velocità angolare w0 dell'albero motore pari a: wo
=
(Fo + ka) (h+ a)m
mentre per velocità angolari maggiori di wo la frizione trasmetterà una coppia di intensità c1 pari a::
c1 = i~d [m( h+ a)w
2
-
(Fo
+ ka)]
dO\·e al solito i rappresenta il numero di pattini presenti nella frizione, d il loro diametro medio ed f il coefficiente di attrito relativo ai materiali a contatto.
346
347
Un altro tipo di innesto a forza centrifuga, sovente denominato innesto a fluido secco, è costituito da tanti elementi centrifughi, realizzati con piccolissime sfere di acciaio, contenuti entro un involucro solidale al motore. Quando il motore inizia a ruotare, la forza centrifuga sospinge le sferette d'acciaio verso la periferia del loro involucro in modo da comprimerle tra questo ed un rotore, costituito da un disco sagomato, solidale all'utilizzatore. La Fig. 254
poso, leggermente sollevata rispetto ai due mozzi A e B solidali rispettivamente all'albero motore S ed all'utilizzatore. Entrambe le estremità della molla sono piegate in modo da formare due linguette che vanno ad impegnarsi rispettivamente nel mozzo B e nE'l collare C, collare che costituisce inoltre l'armatura di un elettromagnet"e il cui avvolgimento E è situato nell'involucro fisso ed è alimentato mediante i due cavi H.
Fig. 254- Innesto centrifugo a sferette di acciaio (Dodge, Mfg. Comapny)
illustra per l'appunto una realizzazione pratica di questo particolare innesto a forza centrifuga, in cui l'albero motore è collegato ad un involucro doppio mediante un giunto elastico, mentre l'albero condotto porta due rotori sagomati che vanno ad alloggiare nelle rispettive gole dell'involucro. Fig. 255 - Innesto a nastro con comando elettromagnetico
9.8 - Innesti a nastro Gli innesti a nastro differiscono da quelli sinora esaminati in quanto presentano la caratteristica di essere unidirezionali, ossia di essere in grado di funzionare solo per un determinato verso di rotazione. Nelle versioni più recenti essi sono costituiti da una molla elicoidale M (Fig. 255) a sezione rettangolare la cui superficie interna è, in condizioni di ri-
Quando l'avvolgimento non è percorso da corrente, il collare C risulta libero e la molla M, le cui spire si avvolgono in parte sul mozzo A ed in parte .sul mozzo B, si mantiene sollevata rispetto alla superficie dei mozzi stessi. Poichè, come si è visto, gli estremi nella molla sono impegnati rispettivamente nel mozzo B, solidale all'utilizzatore, e nel collare C, ne consegue che, in mancanza di corrente nell'avvolgimento dell'elettromagnete, tutti e tre questi elementi ruotano assieme all'utilizzatore, oppure mantengono una posizione di quiete se quest'ultimo è fermo.
348 Se si provvede invece ad alimentare opportunamente gli avvolgimenti dell'elettromagnete, questo attira verso di sé il collare C, portandone la superficie Z a contatto del mozzo A e rendendo di conseguenza il collare C e la linguetta L della molla solidali all'albero motore. n secondo estremo della molla è d'altro canto sempre solidale al mozzo B, e la molla pertanto in queste condizioni si allunga, il suo diametro si riduce e le sue spire infine vengono premute contro le superfici cilindriche dei due mozzi realizzando così il collegamento tra i due alberi. La forza che l'elettromagnete deve esercitare è evidentemente molto piccola, in quanto essa è unicamente quella necessaria a mantenere il collare C contro il mozzo A mentre la trasmissione della coppia è affidata alla presenza dell'attrito nella zona di contatto tra la molla ed i due mozzi. Gli innesti a nastro, che possono trasmettere coppie molto elevate, presentano un tempo r di innesto molto inferiore a quello relativo alle frizioni usuali (ma superiore a quello proprio degli innesti a denti) e tale tempo inoltre non è tanto influenzato dall'entità della coppia trasmessa quanto dal valore della velocità angolare relativa dei due alberi. Gli innesti a nastro, pertanto, bene si prestano ad essere utilizzati in tutte quelle applicazioni caratterizzate da un valore del momento di inerzia dell'utilizzatore abbastanza piccolo e nelle quali si richieda una piccola durata dell'operazione di innesto. È evidente infine che, essendo il contatto tra collare e mozzo dell'albero motore assicurato dalla forza esercitata dall'elettromagnete E, è necessario alimentare l'avvolgimento dell'elettromagnete stesso anche quando l'innesto è inserito; va però precisato che una tale dissipazione di potenza, pur verificandosi per tutto il periodo di funzionamento dell'innesto, si mantiene entro limiti accettabili in quanto corrisponde a circa l Watt per ogni Nm di coppia massima trasmissibile dall'accoppiamento.
9.9 - Innesti elettromagnetici Gli innesti elettromagnetici sono analoghi ai freni elettromagnetici esaminati nel relativo paragrafo del capitolo precedente e si avranno pertanto: a) innesti ad isteresi (Fig. 256a); b) innesti a correnti parassite (Fig. 256b); c) innesti a particelle magnetiche (Fig. 256c).
349 Gli innesti ad isteresi, adatti alla trasmissione di piccole coppie (da O, 05 a lO Nm), presentano, come si è già avuto modo di osservare a proposito dei freni dello stesso tipo, la proprietà di trasmettere una coppia di intensità proporzionale alla loro corrente di alimentazione, e grazie a questa loro caratteristica essi sono pertanto principalmente utilizzati nel campo della strumentazione e nella realizzazione dei servocomandi. Elettromagnete
Fig. 256- Innesti elettromagnetici; a) ad isteresi; b) a correnti parassite; c) a particelle magnetiche
Gli innesti a particelle magnetiche sono usati in modo particolare dove esistano utilizzatori con elevati valori del momento di inerzia e sono in grado di trasmettere coppie di intensità fino a 1000 Nm. Gli innesti a correnti parassi te sono caratterizzati essenzialmente da due proprietà: quella di trasmettere una coppia proporzionale alla velocità relativa tra i due elementi dell'innesto, e quella di possedere una vita praticamente infinita. Grazie alla prima caratteristica è evidente che non è mai possibile ottenere una uguaglianza tra i valori delle velocità angolari dell'albero motore e dell'albero condotto; questi innesti trovano la loro principale applicazione come regolatori di velocità. Va osservato infine, che gli innesti a correnti parassi te sono in grado di trasmettere coppie di intensità anché. elevate, fino ad un massimo di 15000 Nm.
9.10 - Considerazioni di progetto Sia nel progetto che nella scelta di un determinato tipo di frizione occorre tenere ben presenti, così come nei freni, due fa.ttori principali, e cioè: l'entità della coppia che deve essere trasmessa e la quantità di calore generata
350
351
all'interno della frizione ad ogni operazione di innesto. Per quanto concerne il valore della coppia che può essere trasmessa dalla frizione va osservato che esso, a parità di forza di comando, dipende, come si è visto nei precedenti paragrafi, dal valore del coefficiente di attrito e dalle dimensioni geometriche della frizione stessa. È opportuno però ricordare che il valore del coefficiente di attrito può variare al variare della velocità relativa esistente tra le due superfici a contatto, come riportato nella Fig. 235. In media la coppia trasmissibile da una frizione' in condizioni stati che è di circa il 50% superiore a quella trasmissibile oltre i 5 mjs. 500 kJ/ins,
300
>
fornite, da parte dei costruttori, delle curve sperimentali che riportano, per ogni tipo di frizione, la quantità di calore massima che si può generare durante ogni operazione di innesto, in funzione del numero di innesti operati nell'unità di tempo. il grafico della Fig. 257 riporta per l'appunto la quantità massima di calore E che si può generare ad ogni operazione di innesto, in funzione del numero di innesti all'ora N, per diverse frizioni assiali a dischi multipli, ciascuna delle quali è caratterizzata dal valore della coppia massima Co trasmissibile in condizioni dinamiche. Le frizioni del diagramma di Fig. 257 hanno lamelle in acciaio-ferodo e funzionano a secco. Per frizioni con flusso d'olio di raffreddamento la capacità di smaltimento del calore aumenta. Per queste frizioni la potenza termica dissipa.bile, a frizione fredda, è in genere compresa fra l e 4 \V jmm 2 •
200 100
9.11 - Innesti di sopravanzo
50
40
o
30
,2
~
20
"" 'O
10
"'c
-~
5 4
O,
3
" 'iii
Gli innesti di sopravanzo, detti anche ruote libere, costituiscono quella particolare categoria di innesti che conse1~tono all'albero condotto di sopravanzare l'albero motore sia quando questo venga. arrestato o fatto ruotare in verso opposto a quello corrispondente al normale funzionamento dell'accoppiamento, sia quando, per effetto ad esempio di una inversione del carico agente sull'albero condotto, la velocità di questo aumenti rispetto a quella dell'albero motore. Gli innesti di sopravanzo si suddividono, da un punto di vista costruttivo, in tre tipi principali e precisamente in innesti:
i5
0,5 0,4 0,3 0,2 O,l
numero inserzioni z inserzioni/ora - - ·
Fig.257 - Dissipazione del calore in frizioni assali a dischi multipli. Funzionamento a secco. (Stromag-Marzorati, Milano)
Per ciò che riguarda la quantità di calore sviluppata invece, è sufficiente assicurarsi che essa non provochi un eccessivo aumento di temperatura nel materiale d'attrito. Volendo procedere ad una determinazione approssimata della massima temperatura raggiunta in una frizione, basta rifarsi a quanto esposto a proposito dei freni. A tale riguardo tuttavia vengono normalmente
a) a rulli; b) a camme; c) a molla.
Negli innesti a rulli, un esempio dei quali è schematizza.to nella Fig. 258-a, l'albero motore è collegato all'anello esterno E, l'albero condotto è solidale alla ruota. dentata I, i cui denti hanno fianchi rettilinei, e tra due denti successivi della ruota I trovano posto i rulli R che vengono leggermente premuti contro le superfici della ruota stessa e dell'anello E dall'azione delle molle M. Quando l 'anello esterno ruota nel verso indicato dalla figura, esso tende a far rotolare i rulli R lungo le superfici inclinate della ruota dentata I, com-
352
353
primendoli di conseguenza tra l'elemento motore e l'elemento condotto. Se si trascura la forza esercitata dalla molla, generalmente di intensità molto piccola, si può osservare che ogni rullo si trova soggetto all'azione di due sole forze, e precisamente quelle che rispettivamente gli trasmettono l'anello esterno E e la ruota dentata I. Tali forze, indicate con F nella Fig. 258b, devono essere necessariamente uguali ed opposte tra loro, e posseggono
Se poi l'anello esterno E ruota in verso opposto a quello indicato nella Fig. 258, è evidente che esso non tende più a forzare i rulli R nelle rispettive sedi, e che di conseguenza la rotazione de}l'anello stesso non influenza . minimamente quella .della ruota dentata interna I, in quanto non esiste più la possibilità di trasmettere il moto tra i due organi dell'accoppiamento.
b) a)
a)
R
!i..2 l
! ---,--l
+
Fig. 258 - Ruota libera a rulli
Fig. 259 - Innesti a camme
ciascuna una componente normale di intensità N ed una tangenziale di intensità T. Va ora innanzi tutto osservato che solo se il rapporto T/N= tg (1/J/2) risulta minore del valore del coefficiente di aderenza relativo ai materiali a contatto, la trasmissione del moto è effettivamente possibile, perchè in caso contrario il rullo striscerebbe rispetto alle superfici dell'anello esterno e della ruota dentata, alterando di conseguenza il corretto funzionamento dell'innesto. Se si suppone verificata la condizione sopra esposta e se C è l'intensità della coppia trasmessa dall'accoppiamento, la componente normale della forza scambiata tra ogni rullo e le superfici con le quali è a contatto vale ovviamente:
Gli innesti a camme (Fig. 259-a) sono invece costituiti da un anello esterno E collegato all'albero motore, da un cilindro interno I collegato all'albero condotto, e da una serie di elementi sagomati intermedi S. Se l'anello esterno E ruota nel verso indicato nella :figura, l'elemento intermedio Stende a ruotare in verso orario (Fig. 259-b) e quindi, a causa della sua forma, si impunta tra i due cilindri. Anc}le in questo caso ogni elemento S è soggetto solo all'azione di due forze uguali ed opposte e la componente normale N di tali forze vale, come per l 'innesto a rulli:
N=__!!!__ 2C • - ndtg(1/J/2) N-
dove n rappresenta il numero dei rulli R e d il diametro della superficie di contatto dell'anello esterno E.
n d tg rJ
dove C rappresenta al solito il valore della coppia trasmessa, n il numero degli elementi intermedi e d il diametro della superficie di contatto dell'anello esterno.
354 Gli innesti di sopravanzo a molla sono invece simili agli arresti a molla descritti nel capitolo precedente. In essi la molla M (Fig. 243) è montata con una certa interferenza iniziale sull'albero condotto A, e l 'estremo H è comandato dall'albero motore. Se H viene spostato nel senso indicato dalla freccia tratteggiata, la molla viene ulteriormente serrata sull'albero condotto, consentendo così la trasmissione del moto; se invece l'estremo H subisce uno spostamento nel verso indicato dalla freccia continua, là molla ruota sull'albero condotto A ed è soggetta solo a.lla coppia necessaria ad annullare l'interferenza iniziale, coppia il cui valore è fornito dalla (2.177).
Rispetto agli innesti a. rulli ed a camme, gli innesti di sopravanzo a molla si presentano più affidabili e meno costosi; essi sono soggetti tuttavia all'inconveniente, non sempre a.ccetta.bile, di dar luogo di solito ad una rotazione relativa di alcuni gradi tra. albero motore ed albero condotto durante l 'operazione di innesto.
10. TRASMISSIONI A FLUIDO
10.1 - Classificazione delle trasmissioni a fluido
Le trasmissioni a fluido sono, come dice il nome, dispositivi in cui la trasmissione della potenza meccanica avyi~l1e mediante l'interposizione di un fluido. Nelle trasmissioni a fluido la .Pot,~nz~·meccanica viene trasmessa mediante una pompa dall'albero di ingresso a un fluido, e da questo trasmessa successivamente, mediante una turbina o uri. motore, all'albero di uscita. Esistono tre tipi diversi di trasmissioni a ffuido, e precisamente: - trasmissioni idrostatiche; - trasmissioni idrocinetiche; - trasmissioni idroviscose. Le trasmissioni idrostatiche sono fondamentalmente costituite da una pompa e un motore volumetrici tra i quali circola una portata di fluido determinata dalla velocità angolare e dalla cilindrata della pompa. Le trasmissioni idrocinetiche sono invece costituite da un pompa centrifuga e da una turbina; la portata di fluido circolante dipende dalle condizioni di funzionamento di tutta la trasmissione. Le trasmissioni idroviscose utilizzano le forze tangenziali viscose che si sviluppano fra due superfici in moto relativo, con fluido interposto, per trasmettere la potenza meccanica tra un albero di ingresso ed uno di uscita.
356
357
10.2 - Trasmissioni idrostatiche
Q
ll.p
= differenza di pressione tra mandata e aspirazione della pompa = rendimento meccanico della pompa = cilindrata della pompa
wp
= velocità angolare della pompa
T/vp
= rendimento volumetrico della pompa.
épp
Le trasmissioni idrostatiche costituiscono un particolare tipo di sistema di trasmissione della potenza meccanica e sono formate da una pompa, in cui la potenza viene trasferita da un albero ad un fluido, e da un motore idraulico, dove avviene il trasferimento inverso di potenza dal fluido ad un albero rotante. Nelle trasmissioni idrostatiche, a differenza delle trasmissioni idrocinetiche, che verranno esaminate nei paragrafi 10.3, 10.4, 10.5, la pompa e il motore idraulico sono di tipo volumetrico (v. par. 8.10). Lo schema di base di una trasmissione idrostatica è rappresentato nella Fig. 260. Pompa e motore idraulico impiegati nelle trasmissioni idrostatiche sono generalmente a pistoni, radiali o assiali, e possono essere a cilindrata fissa e a cilindrata variabile.
Ps Fig. 260 - Schema di base di una trasmissione idrostatica
=portata
T/mp
In queste relazioni il rendimento meccanico T/mp tiene conto di tutte le perdite di potenza meccanica interne alla pompa: perdite dovute agli strisciamenti, in presenza di attrito, fra le parti in moto, agli effetti ventilanti dovuti alla rotazione di un corpo entro un fluido, e alle cadute di pressione nei passaggi interni della pompa. n rendimento volumetrico T/vp della pompa tiene invece conto del fluido che ricircola internamente alla pompa tra la zona ad alta pressione e quella. a bassa pressione, a causa dei trafilamenti interni. Di conseguenza, di tutto il fluido che viene pompato nell'unità di tempo: ll.pwp/27r, solo la quota espressa dalla (2.190) è utilizzata, mentre la parte rimanente costituisce una fuga interna. I rendimenti meccanico e volumetrico dipendono sia dal tipo di pompa che dalle condizioni di funzionamento. E' evidente che, a parità di altre condizioni, il rendimento volumetrico diminuisce all'aumentare della differenza di pressione poiché aumentano le fughe interne. Invece il rendimento meccanico inizialmente aumenta all'aumentare della differenza di pressione poiché la quota di coppie passive, costanti e indipendenti dalla pressione, conta percentualmente meno rispetto alla coppia totale. Per le pompe a pistoni assiali, che normalmente hanno i migliori rendimenti, i rendimenti nelle condizioni di progetto sono tipicamente:
Le relazioni fondamentali fra i parametri che caratterizzano il funzionamento delle pompe volumetriche, come già visto nel paragrafo 8.10, sono: (2.189)
c
_ll.p~
27r TJmp .6.p Q= _,, WpT)vp 2 P -
(2.190)
dove: Cp
= coppia applicata all'asse della pompa
7Jmp {
7)vp
= O, 90- O, 93 = O, 95- O, 97
Per il motore idraulico si hanno relazioni analoghe alle (2.189) e (2.190 ), solo con i rendimenti che giocano un effetto opposto, per cui, utilizzando le stesse notazioni delle (2.189) e (2.190) in cui ora il pedice m si riferisce al
359
358
motore, si ha: (2.191)
.6., l 7Jvm Q= '2;Wm
(2.192)
La differenza di pressione épm disponibile fra ingresso e uscita del motore non è, in generale, uguale alla differenza di pressione épp fra mandata e aspirazione della pompa. Ciò poiché il moto del fluido nei· condotti tra pompa e motore dà luogo a cadute di pressione. Si avrà quindi, in generale: (2.193)
dove
op0
rappresenta le cadute di pressione nelle tubazioni. Dalle (2.189), (2.191) e (2.193) si ottiene allora la seguente relazione fra le coppie all'asse della pompa e del motore: (2.194)
C p -
.6.p
.6.,
C, ---'-"'--+ -6po -.6.p l)mpT/mm
2;r
T/mp
Dalle (2.190) e (2.192) si ottiene la seguente relazione fra le velocità angolari: (2.195)
.6.p
Wm
= ~T/vpT/vmWp um
Si consideri ora il ca.so ideale di una trasmissione idrostatica priva di perdite in cui si abbia: T/mp = 7)mm = T/vp = T/vm = l e épo = O. In questo caso, le (2.194) e (2.195) diventano:
c,~ (2.196) {
:m .6.p
Cm
p w W m-~ p
deriva dal fatto che, essendo pompa e motore due macchine volumetriche, la portata di fluido circolante è, a parte le fughe, direttamente proporzionale alle velocità angolari della pompa e del motore. La presenza delle perdite (meccaniche e volumetriche) altera leggermenté il comportamento della trasmissione idrostatica. rispetto al caso ideale, p1a non ne muta sostanzialmente le caratteristiche. Se la pompa e il motore sono a cilindrata fissa, il rapporto .6.p/.6.m fra le cilindrate è evidentemente costante. Se invece, la pompa, o il motore, o entrambi contengono un dispositivoin grado di farne variare la cilindrata, la trasmissione idrostatica diventa a rapporto di trasmissione variabile e realizza di conseguenza un variatore continuo di velocità. In molte applicazioni la pompa è collegata al motore primo che fornisce la potenza meccanica e ruota a velocità angolare costante, o quasi costante; facendo variare la cilindrata .6.r della pompa dal massimo fino a zero si ottiene la possibilità di diminuire la velocità angolare del motore, fino ad annullarla. Quando la velocità angolare del motore è nulla, è .6.p/.6., è uguale a zero, si ha pure, nel caso ideale, che Cp = O, indipendentemente dalla coppia agente sull'asse del motore. Ciò significa che, variando la cilindrata della pompa fino a zero si può, nel caso ideale, mantenere una coppia all'asse del motore idraulico senza che venga richiesta potenza alla pompa, e mentre questa continua a ruotare alla propria velocità angolare. Anche se, in realtà, le perdite meccaniche e volumetriche fanno sì che, a motore idraulico fermo, la pompa debba comunque generare un po' di potenza che viene dissipata a causa dei rendimenti non unitari, le trasmissioni idrostatiche sono <;omunque estremamente vantaggiose quando si debbono generare coppie e velocità angolari variabili ali 'asse di uscita di una trasmissione (asse del motore idraulico) mentre l'asse di ingresso (asse della pompa) ruota a velocità angolare quasi costante. Il dimensionamento di una trasmissione idrostatica viene normalmente effettuato nel modo seguente. Nota la massima coppia Cm che deve essere fornita dal motore idraulico, e stabilito il valore massimo di pressione op, al quale deve lavorare l'impianto idraulico, si ricava, noto il rendimento meccanico del motore idraulico scelto, la cilindrata del motore .6.,o:
"-'m
Da queste relazioni si vede come una trasmissione idrostatica ideale costituisca un organo di trasmissione con rapporto di trasmissione pari al rapporto .6.p/ .6.m fra le cilindrate della pompa e del motore. Questa caratteristica
(2.19i)
~
_ 2;rC,o mO- 6p,7Jmm •
In base alla velocità :...·, 0 richiesta al motore idraulico si ottiene la portata
361
360 circolante nell'impianto, dalla (2.192): Qo
= ~mo 271'
Wmo 7Jm
Conoscendo la velocità angolare wp alla quale deve ruotare l'asse della pompa, si ottiene, dalla (2.190), la cilindrata massima della pompa: A
(2.198)
_
"-"pO -
~mO
Se, come si è supposto finora, la cilind~ata, del motore è fissa e pari a al diminuire della coppia rispetto al valore massimo Cmo, diminuisce, in base alla (2.191), la differenza di pressione 6pm nell'impianto idraulico e, in base alla (2.194), la coppia Cp richiesta all'asse della pompa. In certe applicazioni si vuole che, al diminuire della coppia in uscita della trasmissione, aumenti la velocità angolare. Ciò è possibile nelle trasmissioni idrostatiche impiegando un motore a cilindrata variabile. Se infatti si mantiene costante la cilindrata della pompa (che ruota a velocità angolare costante) si mantiene pure costante la portata circolante nell'impianto. Diminuendo allora la cilindrata del motore idraulico si ha, in base alla (2.192) un aumento della sua velocità angolare. Poiché la cilindrata ~m del motore, mantenendo costante 6pm, è circa proporzionale alla coppia fornita dal motore idraulico, si ottiene in questo caso una relazione circa iperbolica tra coppia e velocità angolare del motore idraulico (Fig. 262). ~mo,
Wmo
--- -7]vp7Jvm Wp
Sostituendo ~po nella (2.194) si ottiene il valore della coppia massima richiesta all'asse della pompa. Wm
Fig. 261 - Variazione della velocità angolare del motore in funzione della cilindrata della pompa (wp = costante)
Se ora, ferma restando la velocità angolare wp della pompa, viene fatta diminuire la cilindrata ~P della pompa, la velocità angolare del motore e la portata circolante nell'impianto diminuiscono. La velocità angolare del motore si annulla in corrispondenza di un valore di cilindrata ~pL, che costituisce il minimo necessario per compensare le fughe interne e mantenere la differenza di pressione necessaria a equilibrare la coppia agente sull'asse motore in base alla (2.191).
Fig. 262 - Relazione coppia-velocità angolare di un motore idraulico a cilindrata variabile alimentato a portata costante
Si è finora supposto che la pompa della trasmissione idrostatica ruotasse a velocità angolare costante, o quasi costante. Ciò avviene in molte applicazioni, ma in molte altre la velocità angolare della pompa è variabile e ciò non modifica, ovviamente, le caratteristiche fondamentali di funzionamento delle trasmissioni idrostatiche. In certe applicazioni, ad esempio, le trasmis-
363
362
sioni idrostatiche sono usate per produrre, all'asse del motore, una velocità angolare costante, indipendentemente dalla velocità angolare della pompa e dalle variazioni di coppia sull'asse del motore. Ciò è ottenibile associando alla trasmissione idrostatica un regolatore che misura la velocità angolare del motore idraulico e fa variare le cilindrate della pompa e del motore in modo da mantenere costante tale velocità. Le trasmissioni idrostatiche sono normalmente impiegate per trasmettere potenze comprese fra 5 e 250 kW.
10.3 - Trasmissioni idrocinetiche Le trasmissioni idrocinetiche sono anch'esse costituite, come le trasmissioni idrostatiche, da un elemento (pompa) che trasmette potenza da un organo ruotante a un fluido, e da un elemento (turbina) che trasmette potenza dal fluido a un organo meccanico rotante. Tuttavia, nelle trasmissioni idrocinetiche pompa e turbina non sono più macchine volumetriche, ma turbomacchine, in cui la pressione del fluido, la portata. e la velocità angolare della pompa e della turbina sono legate tra loro in modo più complesso. Nelle turbomacchine non si ha una netta separazione meccanica fra la zona ad alta e a bassa pressione, di conseguenza le trasmissioni idrocinetiche forniscono un 'ottima protezione in caso di urti della parte meccanica collegata alla turbina. Le trasmissioni idrocinetiche sono normalmente disponibili per potenze comprese fra l e 3000 kW; vi sono tuttavia applicazioni speciali fino a 25000 kW. Esistono due tipi fondamentli di trasmissioni idrocinetiche: - giunti idraulici - convertitori di coppia.
Questi due tipi di trasmissioni verranno esaminati nei successivi paragrafi.
10.4 - Giunti idraulici Un giunto idraulico (Fig. 263) è costituito da una pompa P che, ruotando, accelera il flui~o che entra al suo raggio interno ed esce al suo raggio esterno. L'energia cinetica così acquistata dal fluido viene da questo ceduta ad una turbina T, coassiale alla pompa, all'interno della quale il fluido stesso rallenta nel passare dal raggio esterno a quello interno. Poiché il fluido passa direttamente dalla pompa alla turbina e viceversa, la coppia che la pompa trasmette al fluido è esattamente uguale, qualunque sia la condizione di funzionamento a regime, a quella che il fluido trasmette alla turbina, e l'entità di questa coppia dipende dalla portata di fluido e dalla velocità relativa esistente tra pompa e turbina.
T
2
Fig. 263 - Schema di giunto idraulko
Per poter meglio compfendere il funzionamento di un giunto idraulico, si supponga ad esempio che in una certa condizione pompa e turbina ruotino alla stessa velocità. In queste condizioni la differenza di pressione del fluido tra raggio esterno e raggio interno dovuta. al campo di forze centrifughe agenti su di esso è la stessa sia per la pompa che per la turbina; il fluido perciò non circola fra questi due elementi dell'accoppiamento e la coppia trasmessa è di conseguenza nulla. Se invece la turbina ruota ad una velocità angolare inferiore a quella della pompa, la differenza di pressione creata dalla turbina è minore di quella creata dalla pompa; si origina pertanto una circolazione di
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fluido che al raggio esterno passa dalla pompa alla turbina, mentre al raggio interno passa dalla turbina alla pompa e si ha di conseguenza un certo valore non nullo della coppia trasmessa, coppia la cui intensità è, a parità di velocità angolare della pompa, tanto ma.ggiore quanto minore è la velocità angolare della turbina ed è, al limite, massima quando la turbina è ferma. Poiché, come si è visto, la coppia trasmessa è funzione della velocità angolare relativa, è allora opportuno introdurre un parametro u, detto scorrimento, definito dal rapporto: (2.199)
dove wp ed w 1 rappresentano rispettivamente le velocità angolari della pompa e della turbina. La coppia trasmessa sarà quindi, per ogni tipo di giunto, funzione della velocità angolare della pompa wp e dello scorrimento u; la Fig. 264 mostra per l'appunto il tipico andamento della coppia trasmessa in funzione delle succitate grandezze (le quantità Co ed w0 rappresentano rispettivamente una coppia ed una velocità angolare di riferimento).
la trasmissione del moto. Si può innanzi tutto osservare che, qualunque sia il tipo di carico collegato alla turbina, la coppia resistente incontrata dal motore, solidale alla pompa, è nulla per velocità angolare nulla. Ciò consente dunque al motore di raggiungere una certa velocità prima che la coppia resistente diventi rilevante e questa proprietà assume una particolare importanza quando si interponga ad esempio un giunto idraul~co tra un motore elettrico ed un utilizzatore, in quanto riduce notevolmente il valore della corrente assorbita allo spunto. Si può notare in secondo luogo che, se si verificano durante il funzionamento rapide variazioni del carico sull'albero condotto, queste non vengono praticamente risentite dal motore, ma portano come effetto ad una rapida variazione dello scorrimento e quindi ad una successiva graduale variazione della velocità del motore. Va osservato in terzo luogo che le vibrazioni e gli urti eventualmente insorgenti durante il funzionamento vengono fortemente smorzati dalla presenza del fluido all'interno del giunto, ed infine va rilevato che, quando si disponga di più motori in parallelo collegati ad un solo utilìzzatore, si riesce, inserendo dei giunti idraulici ali 'uscita dei motori, ad ottenere una effettiva equiparazione del carico agente su di essi. .
100
c
c Co
(Nm)r----------65 50
0 ~~==----~~--------~10~0~0----~~~15~0~0~--~n--~ 1354 1440 (giri/min)
0
Wp/W 0
Fig. 265 - Condizioni di funzionamento a regime di una trasmissione dotata di un giunto idraulico
Fig. 264 - Coppia trasmessa in un giunto idraulico
In base alle caratteristiche dei giunti idraulici ora descritte, si è dunque in grado di rile\'are che essi presentano numerosi vantaggi per.quanto riguarda
Per concludere poi, è evidente che, essendovi in un giunto idraulico trasmissione di coppia solo per Yalori non nulli dello scorrimento. il motore e
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l'utilizzatore ad esso collegati non possono mai a.:vere la stessa velocità angolare. A questo proposito la Fig. 265 illustra ad esempio il caso di un motore elettrico asincrono, avente la caratteristica meccanica indicata dalla curva m collegato ad un utilizzatore che fornisce una coppia resistente il cui andamento è fornito dalla curva u. Se il collegamento tra motore ed utilizzatore avvenisse tramite un giunto od un innesto tradizionali, le condizioni di funzionamènto a regime del sistema sarebbero evidentemente quelle individuate dal punto I 0 • Con l'interposizione di un gi1;1nto idraulico, giunto che presenta, per un valore dello scorrimento pari a 0,06, la caratteristica indicata dalla curva g, il punto di funzionamento a regime del motore si sposta in I m, per cui la coppia da questo fornita vale C1 = 65 Nm e la sua velocità angolare vale nm = 1440 giri/min. n punto di funzionamento dell'utilizzatore si sposta d'altro canto da Io ad Iu, per cui la coppia da esso assorbita vale sempre Ct 65 Nm, ma la sua velocità angolare vale nu = 1354 giri/min, il che corrisponde proprio ad uno scorrimento u del giunto pari a (nm - nu)/nm =O, 06. Poiché la pompa e la turbina costituenti il giunto idraulico sono sostanzialmente due macchine centrifughe, valgono evidentemente per esse le leggi di similitudine delle turbomacchine, per cui la coppia trasmessa dal giunto può essere in definitiva espressa sotto la forma:
=
(2.200) dove wp rappresenta la velocità angolare della pompa, d il suo diametro esterno (Fig. 263) e ](A un fattore di accoppiamento, misurato in Ns 2 jm 4 , che assume lo stesso valore per giunti geometricamente simili e per lo stesso valore dello scorrimento. E' evidente, in base alle considerazioni prima esposte, che il fattore di accoppiamento è massimo quando lo scorrimento u è pari ad l ed è nullo per u O. Poiché inoltre per giunti idraulici geometricamente simili la coppia, e quindi la potenza trasmessa, sono proporzionali, in base alla (2.200), al diametro alla quinta, è altrettanto evidente che la potenza trasmissibile da un giunto idraulico raddoppia se si aumentano le sue dimensioni del 15%. n rendimento di un giunto idraulico, definito al solito come rapporto tra la potenza entrante e quella uscente dal giunto, è nullo per scorrimento unitario, in quanto in tal caso la turbina è ferma e tutta la potenza meccanica fornita dalla pompa viene dissipata sotto forma di calore nel fluido circostante,
=
ed aumenta al tliminuire dello scorrimento in modo praticamente lineare (Fig. 266); è ovvio però che per scorrimento nullo il rendimento del giunto è nuovamente pari a zero, in quanto in tali condizioni si annulla il valore della coppia trasmessa C1• 1.0
0.8
/
0.6
0.4
0.2
o~ o
v
/ 02
~
/
0.4
_/ ~
v
/
0.6
0.8
1.0
1-cr Fig. 266- Rendimento di un giunto idraulico in funzione dello scorrimento
Si è finora fatto riferimento alle normali condizioni di funzionamento dei giunti, nelle quali la potenza viene trasmessa, dalla pompa alla turbina, ma si possono a volte anche verificare temporanee situazioni particolari in cui, per effetto dei carichi applicati, l 'utilizzatore collegato alla turbina accelera e raggiunge velocità superiori a quelle del motore. Per funzionamenti caratterizzati da queste sovravelocità della turbina, il fluido circola nel giunto nel verso opposto a quello normale e la pompa funziona. così da freno fornendo in definitiva una coppia frenante tanto maggiore quanto maggiore è la differenza fra le velocità angolari della turbina e della pompa. Accanto ai giunti idraulici ora esaminati, in cui la quantità di liquido circolante nel giunto è costante, esistono anche giunti idraulici a riempimento variabile nei quali si può regolare la quantità di fluido circolante tra pompa e turbina. Essi posseggono generalmente (Fig. 267) una pompa volumetrica di riempimento a portata costante, che fa circolare il fluido immettendolo nella pompa centrifuga solidale all'albero motore, ed un tubo di aspirazione la cui posizione è regolabile e tale da determinare il livello di fluido nella pompa e nella turbina costituenti l 'accoppiamento.
369
368 10.5 - Convertitori di coppia
Si è visto nel precedente paragrafo che i giunti idraulici sono sostanzialmente degli innesti automatici: i convertitori di· coppia invece, pur svolgendo le stesse funzioni dei.giunti idraulici, si differenziano da questi in quanto per essi il valore della coppia agente sulla turbina è diverso da quello della coppia agente sulla pompa. Per ottenere questa caratteristica i convertitori di coppia presentano, in aggiunta alla pompa P ed alla turbina T, uno statore S avente le funzioni di un elemento di reazione (Fig. 268). Poiché, in condizioni di regime, la somma delle coppie agenti sui tre elementi deve essere nulla, si avra Cp +Ct +C.= O
da cui appare evidente che è possibile ottenere una C 1 diversa dalla Cp, a patto che l'elemento di reazione fornisca una opportuna. coppia di intensità C, in grado di equilibrare la somma delle prime due.
Fig. 267- Giunto idraulico a riempimento variabile: p: pompa; t: turbina; a: tubo di aspirazione; u: uscita di fluido verso lo scambiatore di calore; e: leva di regolazione; m: albero motore; c: albero condotto; Pc: pompa di circolazione; i: ingresso del fluido di ritorno dallo scambiatore di calore. (Liquid Drive Corporation)
Se il livello del fluido si abbassa, e. quindi è minore la portata di fluido circolante tra pompa e turbina, la coppia trasmessa, a parità di velocità angolare del motore ed a parità di scorrimento, diminuisce, e pertanto le curve caratteristiche del funzionamento del giunto idraulico rappresentate nella Fig. 264 conservano lo stesso andamento, ma si appiattiscono tanto più quanto minore è il livello di fluido presente.
Fig. 268 - Schema di convertitore di coppia: P: pompa; T: turbina; S: elemento stazionario di reazione
Come per i giunti idra.ulici, anche per i convertitori di coppia si definisce lo scorrimento O' mediante il rapporto: O'= Wp- Wt
Wp
371
370
dove wp ed Wt sono rispettivamente le velocità angolari della pompa e della turbina, ed anche in questo caso la coppia che deve essere fornita dalla pompa è esprimibile come:
Mediant~ queste due curve, ed utilizzando inoltre la (2.201), si è in grado poi di determinare i valori delle coppie agenti sulla pompa e sulla turbina in tutte le altre condizioni di funzionamento. Alla velocità angolare di riferimento w 0 si avrà infatti:
(2.201)
(2.202)
dove al solito d rappresenta una dimensione caratteristica della pompa (normalmente il diametro esterno) e ]{A il fattore di accoppiamento misurato in · N . s2 fm 4 • Questo fattore è funzione dello scorrimento e del tipo di convertitore ma, per convertitori geometricamente· simili ed a parità di scorrimento, esso è indipendente dalle loro dimensioni e dalla velocità angolare della pompa. Le prestazioni di un convertitore di coppia sono normalmente presentate nel modo seguente: una volta stabilita una certa velocità angolare di riferimento della pompa w0 , vengono per essa fornite due curve in funzione del rapporto tra le velocità angolari della turbina e della pompa; la prima individua l'andamento della coppia fornita dalla pompa (oppure del fattore di accoppiamento), mentre la seconda caratterizza l'andamento dei rendimento 1J del convertitore (Fig. 269).
c
Fig. 269 - Coppia fornita dalla pompa e rendimento di un convertitore di coppia ad una data velocità angolare wo della pompa
per cui dalle curve di Cp e di 1J in funzione di wtfwp si ricava il valore della coppia Ct agente sulla turbina in quelle condizioni. Dalla (2.201) inoltre, si ha che la coppia Cp agente sulla pompa ad una certa velocità angolare w diversa da w0 è legata alla coppia Cp 0 agente sulla pompa stessa nelle condizioni di riferimento dalla: Cp
= Cpo
(:J
2
ed una analoga relazione si avrà evidentemente per le coppie agenti sulla turbina. Quest'ultima relazione però non è esattamente verificata in corrispondenza della condizione di stallo, ossia quando la turbina è ferma, e per scorrimenti prossimi ad l. Vengono pertanto anche normalmente fornite, in funzione della velocità angolare wp della pompa, sia la curva che individua il valore del rapporto esistente tra la coppia C1, agente sulla turbina e la coppia Cp, agente sulla pompa nelle condizioni di stallo, sia la curva della coppia Cp, agente sulla pompa nelle stesse condizioni (Fig. 270).
Wp Fig. 2i0 - Andamenti della coppia agente sulla pompa e del rapporto tra le coppie agenti sulla turbina e sulla pompa in condizioni di stalle
372
373
Dall'esame della. (2.202) e della. Fig. 269 si possono trarre, per quanto concerne il comportamento dei convertitori di coppia, alcune importanti conclusioni. In primo luogo si osserva che la coppia agente sulla turbina è nulla quando lo scorrimento è nullo, ed è crescente all'aumentare di questo; in secondo luogo appare evidente che la curva del rendimento presenta un massimo per un certo valore dello scorrimento (J che, al contrario di quanto accade per i giunti idraulici, non sempre è prossimo a zero. Sovente infine, viene introdotto per i convertitori di coppia un parametro detto rapporto di utilizzazione; esso è definito come il rapporto tra. i valori massimo e minimo di wt/wp per cui il rendimento TJ del convertitore è maggiore di O,i, ed esso fornisce di conseguenza un'indicazione sul campo di condizioni normali per non dissipare una potenza eccessiva. Accanto al tipo fondamentale di convertitore di coppia. schema.tizzato nella Fig. 268 e il cui spaccato è riportato nella Fig. 271, ne esistono nella pratica. molti altri tipi, da questo derivati, e miranti allo scopo di migliorarne le prestazioni, anche se con una maggiore complessità di costruzione. Si hanno, infatti, convertitori di coppia pluristadio e polifasici. Si definiscono convertitori di coppia a più stadi quei convertitori che posseggono più turbine, tutte solidali all'albero condotto, mentre si definiscono polifasici quei convertitori di coppia nei qua.li lo statoi'e, o gli statori, che forniscono la coppia. di reazione sono collegati a.ll'involucro fisso mediante l 'inserimento di una o più ruote libere. In quest'ultimo caso quindi, lo statore è effettivamente fisso solo finché la coppia che il fluido esercita su di esso ha un
ben determinato verso; quando tale coppia cambia di segno, lo statore, collegato come si è visto all'involucro mediante una ruota libera, non può più fornire una coppia di reazione ed in queste condizioni un convertirore di coppia ad uno stadio si trasforma evidentemente in un giunto idraulico, in quanto tutta la coppia agent~ sulla pompa deve essere ad ogni istante equilibrata da quella agente sulla turbina. In questo senso si dirà pertanto che il convertitore è bifasico.
Fig. 272 - Convertitore di coppia monofasico a tre stadi
Fig. 273 - Convertitore di coppia monofasico ad uno stadio
Le Figg. 272 e 273 illustrano gli schemi rispettivamente di un convertitore di coppia monofasico a tre stadi e di un convertitore di coppia. polifasico ad uno stadio. Si noti però che nel convertitore polifasico della Fig. 2i3 vi sono in realtà due pompe in serie P 1 e P 2 tra le quali è posta una ruota libera L.
10.6 - Trasmissioni idroviscose Fig. 271- Spaccato di convertitore di coppia: c: carcassa; p: pompa; m: albero motore; t: turbina; u: albero condotto
Le trasmissioni idroviscose (Fig. 27 4) sono costituite da. una. serie di dischi affacciati, collegati alternativamente all'albero di ingresso e a quello di uscita, tutti immersi in olio. Indicando con d 2 e d 1 i diametri esterno e interno
13. JACAZIO-PIOl\180- La trasmissione del moto
l
374
dei dischi, con p. la viscosità del :fluido, con wr la velocità angolare relativa fra i dischi solidali all'albero di ingresso e a quello di uscita, con h la distanza fra i dischi, la coppia trasmessa per ogni superficie di disco è, in base alla {1.87), (Vol. I, para. 3.12):
11. CUSCINETTI
M= 11'"J.LWr(d~- di) 32h
(2.203)
La coppia totale trasmessa dipende, ovviamente, dal numero di superfici affacciate. 11.1 - Considerazioni generali Scambiatore di calore
ingresso
Serbatoio
Fig. 274- Trasmissione idroviscosa
Poiché il rapporto fra coppia e velocità angolare dipende dalla distanza h fra i dischi, regolando questa variabile è possibile mantenere costante la
velocità angolare al variare della coppia trasmessa. Le trasmissioni idroviscose sono realizzate in un campo di potenze molto ampio, fra 3 e 1500 kW.
Si definiscono generalmente come cuscinetti tutti quegli organi meccanici aventi sia la funzione di supportare i carichi applicati ad un albero rotante da parte degli altri elementi della catena cimnematica alla quale questo ap. partiene, sia la proprietà di originare nel contempo coppie resistenti di piccola intensità. I cuscinetti si suddividono poi; in base al principio di funzionamento che li caratterizza, in due grandi categorie:· nella prima, quella dei cuscinetti a strisciarnento, l'albero ruota entro una boccola cilindrica di diametro leggermente maggiore a quello dell'albero stesso, e nel cui interno viene normalmente introdotto un opportuno lubrificante; nella seconda categoria invece, e precisamente in quella dei cuscinetti a rotola.rnento, tra l'organo rotante e quello fisso dell'accoppiamento si interpongono degli appositi elementi intermedi di rotolamento (quali ad esempio rulli o sfere), riuscendo così ad ottenere un moto relativo di rotolamento puro tra i vari componenti dell'accoppiamento stesso. La scelta del tipo di cuscinetto da adottare in una generica soluzione costruttiva è evidentemente in:fl.uenzata dalla presenza o meno di numerosi fattori, che verranno più avanti esaminati; in linea di massima conviene comunque qui anticipare che: a) i cuscinetti a rotola.mento sono in grado di sopportare la presenza di forti carichi sia ad albero fisso che ad albero rotante; b) i cuscinetti a strisciamento possono in genere sopportare solo carichi limitati ad albero fermo; c) la capacità portante dei cuscinetti a strisciamento aumenta in genere all'aumentare della velocità.
376
377
Qualunque sia il tipo di cuscinetto in esame poi, va osservato che esso può essere soggetto o ad un carico radiale (e quindi giacente in un piano normale all'asse di rotazione), oppure ad un carico assiale (diretto parallelamente all'asse di rotazione), oppure infine ad un carico misto, derivante dalla contemporanea presenza di un carico radiale e di uno assiale. Nel presente capitolo verranno pertanto esaminate per ciascun tipo di cuscinetto, ed iniziando da quelli a rotolamento, sia le principali soluzioni costruttive sino ad ora realizzate, sia le metodologie di calcolo da seguire onde poter valutare l'entità. dei carichi massimi sopportabili dal cuscinetto stesso.
Va= Ve+ V1 2
=w r 0
0
+w;r; 2
mentre, indicando con d il diametro della sfera, si otterrà. ovviamente il valore della velocità angolare w, di quest'ultima mediante la relazione:
11.2 - Principi di funzionamento di un cuscinetto a rotolamento Un cuscinetto a rotolamento è costituito da quattro elementi principali (Fig. 275): un anello interno I solidale all'albero rotante, un anello esterno E solidale all'involucro o ad un altro elemento di supporto, degli elementi intermedi di rotolamento S (sfere nel caso della Fig. 275) ed una gabbia distanziatrice G, la cui l funzione, come è facile intuire, è unicamente quella di mantenere equidistanziati tra loro gli elementi di rotolamento S. Onde determinare le caratteristiche cinematiche di un cuscinetto a rotolamento, si supponga ora che i due anelli, quello interno di raggio r;, e quello esterno di raggio r., ruotino rispettivamente alle velocità angolari w; ed w. (Fig. 276) e che tra essi siano interposte ad esempio delle sfere: le velocità dei punti di contatto fra i due anelli ed una qualsiasi Fig. 275 - Cuscinetto radiale delle sfere saranno pertanto date da: rigido a sfere (SKF)
r;w;
e di conseguenza la velocità del centro G di ogni sfera varrà:
Fig. 276 - Velocità degli organi caratteristici di un cuscinetto a rotolamento
Si noti infine che la velocità Va del centro della sfera è pari alla velocità periferica della gabbia distanziatrice, per cui la velocità angolare n~ di quest'ultima varrà evidentemenete:
n 9
-
Va
(r;
+ d/2)
= Were +w;r; 2r; +d
Volendo ora valutare l'entità di quella particolare coppia resistente, agente sull'anello interno, dovuta al rotolamento delle sfere sui due anelli, si supponga ad esempio che il carico agente in direzione radiale su di una sfera valga P; in presenza di attrito volvente le forze scambiate tra sfera ed anelli non passeranno ovviamente più per i punti geometrici di contatto ma passeranno, nell'ambito della schematizzazione esposta nel paragrafo 3.13 del l o
378
379
volume, per i punti di E ed I spostati rispetto ai punti geometrici di contatto di una distanza u pari al parametro di attrito volvente (Fig. 277). TABELLA V - Coefficiente di attrito equivalente nei cuscinetti a rotolamento
Tipo di cuscinetto
Cuscinetti Cuscinetti Cuscinetti Cuscinetti Cuscinetti Cuscinetti Fig. 277- Effetto della presenza dell'attrito volvente nei cuscinetti a rotolamento
La forza R scambiata tra sfera ed anelli avrà pertanto un'intensità approssimativamente eguale a R = P/ cost:, dove t: == arctg(2u/d), e quindi la forza che la sfera esercita. sull'anello interno possiederà una componente in direzione tangenziale pari a: 2u T= Ptgt: =-P d
Ciò significa in definitiva che, per contrastare l'effetto dovuto alla presenza dell'attrito volvente, deve essere applicata all'anello interno una coppia di intensità C; pari a: 2u C;
=T . r; = dr;P
a sfere o a rulli oscillanti a rulli cilindrici reggispinta a sfere radiali a sfere a rulli conici e a botte a rullini
!. 0,0010 0,0011 0,0013 0,0015 0,0018 0,0045
Quella ora valutata non è però l'unica fonte di dissipazione di energia meccanica presente in un cuscinetto a rotolamento; si possono ritrovare infatti anche dissipazioni di energia per effetto delle resistenze di attrito dovute allo strisciamento delle sfere contro la gabbia distanziatrice, per effetto dei fenomeni di isteresi nel materiale e per effetto di una resistenza addizionale al moto dovuta ad una eventuale eccessiva quantità di lubrificante all'interno del cuscinetto. A causa della complessità e della varietà delle singole azioni presenti, la resistenza complessiva al moto per un cuscinetto a rotolamento viene di solito espressa introducendo un coefficiente di attrito equivalente fe che tenga conto di tutte le cause di dissipazione ed il cui valore è solitamente ricavato con metodi sperimentali. Alcuni valori medi del coefficiente di attrito equivalente riscontrabili nei principali tipi di cuscinetti utilizzati nella pratica sono riportati nella Tabella V, ed in base a questi valori si potrà calcolare l'entità Gr della coppia resistente agente sull'anello interno mediante la:
e che, se l'anello interno ruota alla velocità angolare w;, durante il moto di rotolamento viene dissipata una potenza w, pari a: dove P1 rappresenta l'intensità del carico radiale agente sul cuscinetto e r; rappresenta al solito il valore del raggio dell'anello interno del cuscinetto stesso.
380
381
11.3 - Tipi di cuscinetti a rotolamento
Le realizzazioni dei cuscinetti a rotola.mento a tutt'oggi esistenti presentano differenti caratteristiche costruttive a seconda del tipo di carico che essi debbono sopportare (radiale, assiale o misto), dell'entità dE>Jlo stesso, della loro velocità angolare, dell'ambiente in cui debbono funzionare e dell'accuratezza di montaggio. Una descrizione particolareggiata di tutti i tipi di cuscinetti a rotolamento esula dagli scopi del presente volume, per cui ne verranno qui di seguito analizzati solo i tipi principali. Cuscinetti radiali rigidi a una corona di sfere. Sono il tipo di cuscinetti rappresentato nella Fig. 275. Essi sono in grado di sopportare un carico assiali pari a circa il 40 ..;-50% del massimo carico radiale ed ammettono un disallineamento massimo tra gli assi dell'accoppiamento dell'ordine di 0° 15'. Cuscinetti radiali oscillanti a sfere .(Fig. 278-a). Posseggono in genere due corone di sfere rotolanti e la pista di rotolamento ricavata nell'anello esterno è comune ad entrambe. Grazie a tale accorgimento, questo cuscinetto tollera piccoli disallineamenti (fino a 2°30' circa), mentre la sua capacità di carico assiale è pari a circa il 25% di quella radiale. a)
bJ
tale da presentare la direzione del carico agente sulla sfera obliqua rispetto all'asse del cuscinetto. Entrambi i tipi sono in grado di sopportare carichi assiali anche elevati, con la differenza che, mentre il cuscinetto ad una corona di sfere può sopportare un carico assiale diretto in un solo verso, il cuscinetto a due corone di sfere può sopportare un carico assiale agente in entrambe le direzioni. In tutti e due i casi infine, i valori del massimo disallineamento tollerabile dal cuscinetto sono estremamente bassi. Cuscinetti a rulli cilindrici (Fig. 279-a). Sono cuscinetti adatti a sopportare elevati carichi radiali ad alta velocità di rotazione. I rulli sono in genere guidati dai bordini esistenti su uno dei due anelli, mentre l'altro ne è normalmente privo, e ciò consente quindi un piccolo spostamento relativo degli anelli in direzione assiale. Si possono ritrovare nelle applicazioni anche casi di cuscinetti a rulli cilindrici dotati di bordini di guida su entrambi gli anelli, e tali cuscinetti possono di conseguenza guidare l'albero in direzione assiale a condizione però che gli ::;forzi agenti in tal senso siano molto piccoli. a)
C)
Fig. 279- Cuscinetto a rulli cilindrici (a) e cuscinetto oscillante a rulli (b) (SKF) Fig. 278- Cuscinetti radiali a sfere oscillanti (a) e cuscinetti obliqui (b e c)
Cuscinetti obliqui a sfere. Possono essere a una (Fig. 278-b) o a due (Fig. 278-c) corone di sfere. In essi le piste di rotolamento sono r~cavate in m od o
Cuscinetti oscillanti a r·ulli (Fig. 219-b). Sono costituiti da due corone di rulli che rotolano su una pista sferica comune ricavata nelranello esterno. Essi possono quindi tollerare un certo disallineamento (fino a l o 30') e possono
382
383
resistere anche a carichi assiali di intensità contenute entro un valore limite pari a circa il 30% di quella del carico radiale massimo.
a)
Cuscinetti a rulli conici (Fig. 280). Questi cuscinetti vengono usati in tutte quelle applicazioni caratterizzate dalla presenza di carichi assiali e radiali di forte intensità; essi sono normalmente montati in coppia in modo da poter sopportare spinte assiali nei due sensi ed è importante osservare che, per ottenere un funzionamento cinematicamente corretto, le generatrici e l'asse dei rulli conici debbono necessariamente incontrarsi in uno stesso punto situato sull'asse del cuscinetto.
Fig. 281- Cuscinetti reggispinta a sfere a semplice effetto ad anelli piani (a) e ad anelli sferici (b)
a)
b)
Fig. 280 - Cuscinetti a rulli conici
Cuscinetti reggispinta a sfere a semplice effetto. Possono essere ad anelli piani (Fig. 281-a) oppure ad anelli sferici (Fig. 281-b), ed in quest'ultimo caso consentono piccoli disallineamenti degli assi dell'accoppiamento. È chiaro poi che entrambi questi cuscinetti possono resistere a spinte assiali dirette in un solo verso, e che inoltre es.si non sono in grado di sopportare carichi radiali. Cuscinetti reggispinta a sfere a doppio effetto. Sono simili ai precedenti, ma posseggono due corone di sfere anzichè una e riescono pertanto a sopportare spinte assiali dirette in entrambi i versi. Anche questi cuscinetti possono avere anelli piani (Fig. 282-a) od anelli sferici (Fig. 282-b ). Cuscinetti reggispinta oscillanti a rulli sferici (Fig. 283). Posseggono una corona di rulli posti obliquamente e rotolano su due piste sferiche, presentando
Fig. 282- Cuscinetti regggispint.a a sfere a doppio effetto ad anelli piani (a) e ad anelli sferici (b)
384
385
così una elevata capacità di autoallineamento. Questi cuscinetti possono infatti tollerare disallineamenti fino a circa 3° e sono in grado, contrariamente ai cuscinetti reggispinta precedentemente esaminati, di sopportare anche discreti carichi radiali.
Cuscinetti a rullini. Sono utilizzati ogni qualvolta vi sia uno spazio limitato per l'installazione del cuscinetto, e sono costruiti normalmente per sopportare carichi radiali (Fig. 284-a); esistono tuttavia anche cuscinetti reggispinta a rullini (Fig. 284-b), ma in essi, contrariamente a quanto accade in tutti gli altri tipi di cuscinet-ti fin qui esaminati, il moto relativo tra rullini ed anelli è un moto di rotolamento puro solo in corrispondenza di un ben determinato raggio, mentre in tutti gli altri punti di contatto si è in presenza di velocità relative di strisciamento diverse da zero.
11.4- Vita di un cuscinetto e carico sopportabile durante il funzio-
namento
Fig. 283 - Cuscinetti reggispinta oscillanti a rulli sferici a)
b)
Fig. 284 - Cuscinetti a radiali (a) e reggispinta (b) ( Torrington Company)
Si consideri ora un generico cuscinetto e si supponga che esso sia sottoposto all'azione di un certo carico: è chiaro che tutte le volte in cui un organo intermedio di rotola.mento (sfera. o rullo) passa nella zona di applicazione del carico, l 'elemento stesso ed i pun ti degli anelli con i quali esso viene a contatto sono sottoposti ad una sollecitazione locale. Gli elementi costituenti il cuscinetto vengono perciò sottoposti ad una serie di sollecitazioni variabili nel tempo per cui il cuscinnetto stesso, dopo una vita più o meno lunga a seconda delle sue condizioni di carico e di funzionamento, è soggetto ad una rottura per fatica, o ra.ggiunge una usura eccessiva. Se si analizza. poi un grande numero di cuscinetti uguali tra loro e li si sottopone tutti ad urta prova di durata effettuata nelle stesse identiche condizioni, si può constatare che non tutti i campioni presenteranno rotture per fatica dopo uno stesso numero di cicli di funzionamento, ma che questo limite varierà molto da esemplare ad esemplare. Ciò nonostante si è in grado di effettuare dei calcoli sulla vita di un cuscinetto, in quantG si è osservato che il comportamento dei cuscinetti sottoposti alla prova di durata standard è raffigurabile -mediante il grafico della Fig. 285; in esso Lm rappresenta una vita media, definita come quel numero di cicli per cui nelle condizioni standard della prova funziona ancora il 50% dei cuscinetti prima di presentare rotture per fatica, L rappresenta un valore generico della vita dei cuscinetti stessi e ( la percentuale di questi che ha presentato in corrispondenza ad essa rotture per fatica. Una volta nota la vita media di un tipo di cuscinetto, si è di conseo-uenza in oa-rado di ricavare una correlazione fra percentuale di cuscinetti o
l
386 rotti per fatica e numero di cicli di funzionamento. Si può infatti osservare ad esempio che per una vita L pari a l, 5Lm si sarà rotto circa. il68% dei cuscinetti, mentre solo il 10% degli stessi risulterà danneggiato dalla fatica per una vita pari a 0,2Lm. Proprio quest'ultimo valore, ossia il numero di cicli per cui può funzionare il 90% dei cuscinetti prima che inizino ad insorgere evidenti fenomeni di fatica, viene indicato come vita nominale del cuscinetto in esame nelle condizioni di funzionamento considerate, ed assunto come durata del cuscinetto stesso nei calcoli del progetto.
387 cuscinetto radiale, come il carico radiale corris.pondente alla vita nominale di un milione di cicli nel caso in cui l'anello interno sia rotante, quello esterno fisso e la direzione del carico sia costante nel tempo; per un cuscinetto reggispinta, invece, il coefficiente di carico C rappresenta più semplicemente il valore del carico asSiale corrispondente alla vita nominale di un milione di cicli del cuscinetto stesso. In base alla (2.204) si può allora dedurre che per un carico P, diverso da C, ma applicato con le stesse modalità, la vita del cuscinetto, espressa in milioni di cicli, è data da:
100
80
/
60 40 20
/:/
/
/
~
~
~
(2.205)
mentre la sua durata Lh, espressa in ore di funzionamento, risulterà ovviamente pari a:
/
(2.206)
1.0
1.5
2.0
L/Lm
2.s
Fig. 285 - Percentuale di cuscinetti danneggiati per fatica in funzione della vita, per prove effettuate in condizioni sta.nda.rd
Tutte le considerazioni sinora svolte si riferivano ad un ben determinato tipo di cuscinetto sottoposto all'azione di un ben determinato carico di intensità pari ad esempio a P1. Se poi, nota la vita L1 (in milioni di cicli) di un cuscinetto sottoposto all'azione del carico P1 , si vuole determinare la vita L2 dello stesso cuscinetto quando venga sottoposto all'azione di un carico pari ad esempio a P2, si può utilizzare la relazione espressa da:
dove n rappresenta il valore della velocità angolare relativa tra i due anelli espressa in giri/min. Se il carico agente sul cuscinetto è applicato secondo le modalità prima viste, la (2.205) permette di calcolare, in base al valore di P, la vita nominale del cuscinetto in esame; se però il carico non è soltanto radiale od assiale, ma possiede una componente in entrambe le direzioni, oppure se l'anello esterno è rotante, si deve introdurre al posto di P nella (2.205) un carico equivalente P, 9 così definito: a) Per cuscinetti radiali:
Peq
= X V Pr + Y Pa
dove: (2.204)
Pr
dove a è un coefficiente che assume un valore pari a 3 per i cuscinetti a sfere e pari a 10/3 per i cuscinetti a. rulli. Per definire la capacità di carico di un cuscinetto, si introduce pertanto un coefficiente di carico C definito, per un
Pa X
Y
= carico radiale effettivo costante, = carico assiale effettivo .costante, = coefficiente radiale, = coefficiente assiale,
389
388
V
= fattore di rotazione;
i coefficienti X and Y dipendono dal tipo di cuscinetto e dal valore del rapporto Pr 1Pa, mentre V è un fattore di rotazione che normalmente viene posto uguale a 1 per anello esterno fisso e uguale a l, 2 per anello esterno rotante. b) Per cuscinetti assiali a sfere:
in quanto questi cuscinetti non sono in grado di sopportare alcun carico radiale.
carico equivalente gravante su di esso. Si deve però tenere ancora conto di due fattori che possono ridurre la durata del cuscinetto, e precisamente: la presenza di urti e vibrazioni durante il funzionamento e la temperatura assoluta dal cuscinetto durante il funzionamento stesso; Della presenza di eventuali urti si tiene conto moltiplicando il valore del carico equivalente calcolato in condizioni di regime per un fattore di carico /d il cui valore dipende dal tipo di applicazione a cui il cuscinetto è destinato. Per macchinari che diano luogo ad urti di piccola intensità !d varia tra l, 2 e l, 5, mentre per macchinari in cui insorgono forti urti !d assume valori maggiori, e compresi in genere fra 2 e 3. Dell'effetto di temperature elevate si tiene conto invece moltiplicando il coefficiente di carico C per un coefficiente c, minore di l, i cui valori, per cuscinetti a rotolamento normali, sono ricavabili dal grafico della Fig. 286.
c) Per cuscinetti assiali oscillanti a rulli sferici:
-
1.0
Peg
= Pa + l,2Pr
In tali cuscinetti tuttavia Pr deve essere sempre inferiore a O, 55 P•. Sovente poi, il carico che a.gisce su di un cuscinetto non ha intensità costante, ma variabile nel tempo. Se allora Pl> P2, ···,Pn sono i carichi di intensità costante agenti rispettivamente per N 1 , N2, · .. ,Nn giri, il carico di intensità costante Pm equivalente alla successione di carichi variabili è dato da: Pm
=
, PfN1 + P?N2 + · ·· + P;Nn N N1 + N2 + ·· ·+ n
mentre nel caso particolare che la velocità angolare del cuscinetto sia costante ed il carico vari nel tempo con una legge all'incirca lineare, mantenendo però invariata la sua direzione, il carico medio equivalente agente sul cuscinetto è approssimabile mediante la: _ Pmin + 2Pmax Pm 3
dove Pmin e Pmax indicano rispettivamente i valori minimo e massimo del carico stesso. 1Iediante i procedimenti ora esposti si è dunque in grado di calcolare la vita del cuscinetto, una volta noti i valori del suo coefficiente di carico e del
Ca.
0.8
--
~
0.6
-.........
ì-- r--
-r--
0.4
0.2
o
40
60
BO
100
120
140
160
180
200
220
240
260
280
TC·c) Fig. 286 - Variazione del coefficiente di carico con la. temperatura
Si è considerato finora il caso di un cuscinetto in moto; quando invece un cuscinetto non ruota. o comunque compie unicamente piccole oscillazioni attorno ad una posizione di riposo, è ovvio che il valore del carico gravante sul cuscinetto non deve essere tale da produrre eccessive deformazioni nelle piste di rotolamento, e perciò ogni cuscinetto è caratterizzato da un coefficiente di carico statico Cn, che rappresenta per l'appunt.o il massimo valore del carico sopportabile in condizioni statiche. A conclusione di quanto ora esaminato, viene qui riportata una tabella.
390
391
!·
originariamente approntata dalla casa costruttrice SKF, indicante i valori della durata di funzionamento in ore raccomandata per i vari tipi dì applicazioni dei cuscinetti a rotolamento. TABELLA VI - Durata in ore di funzionamento raccomandata per diversi tipi di applicazioni di cuscinetti a rotolamento
Tipi di macchine
Durata in ore di funzionamento Lh
Strumenti ed apparecchi di impiego saltuario: Apparecchi dimostrativi, meccanismi per manovra di porte scorrevoli ..................................................
500
Macchine funzionanti per brevi periodi o saltuariamente il cui arresto accidentale non ha eccessiva importanza: Utensili a mano, paranchi per officine, macchine a mano in gene~e, macchine agricole, gru per montaggio, apparecchi domestiCI .....................................................
4000-8000
Macchine ~er funzionamento intermittente il cui arresto accidentale è a evitare: Macchine ausiliarie per produzione di energia, trasportatori continui, gru per depositi, ascensori, macclìme utensili ausiliarie .......................................................
8000-12.000
Macchine per funzionamento intermittente di 8 ore al giorno: Motori elettrici fissi, ridut.tori in genere .....................
12.000-20.000
.Macchine per funzionamento continuo di 8 ore al giorno: Macchine per l'industria meccanica in genere, gru parco deposi ti, ventilatori, contralberi ...............................
20.000-30.000
Macchine per funzionamento continuo (24 ore al giorno): Separatori centrifughi, compressori, pompe, elevatori per miniere, motori elettnci fissi; macchine per funzionamento continuo su navi da guerra .....................................
40.000-60.000
Macchine per~unzionamento continuo di 24 ore al giorno per le quali si ric .iede assoluta sicurezza di funzionamento: Macchine per la fabbricazione della cellulosa e della carta, macchine per la produzione di energia per servizio pubblico, Rompe per miniere 1 impianti per acque.d_otti, macchine per unzwnamento contmuo su navi mercant1h ..................
100.000-200.000
11.5 - Cuscirletti a strisciamento I cuscinetti a strisciamento, secondo quanto si è già avuto modo di anticipare, altro non sono che semplici supporti, portanti o di spinta, nei quali, a causa dell'assenza di elementi meccanici intermedi come le sfere od i rulli dei cùscinetti a rotolamento, il moto relativo tra albero e supporto è esclusivamente un moto di strisciamento. I cuscinetti a strisciamento, pur potendo in talunì casi presentare un funzionamento a secco (ciò avviene ad esempio quando le applicazioni cui sono destinati sono caratterizzate da carichi di modesta entità o da moti relativi a bassa velocità o intermittenti), funzionano, nella grande maggioranza dei casi, in presenza di un opportuno lubrificante avente lo scopo percipuo di attenuare i fenomeni dovuti all'attrito e quindi di diminuire in definitiva i valori della potenza dissipata dall'accoppiamento. Tale lubrificante, poi, può esplicare la sua funzione secondo differenti modalità, ed a questo proposito vengono di solito distinti nelle applicazioni pratiche tre tipi di lubrificazione e precisamente:
a) lubrificazione idrostatica; b) lubrificazione i:drodinamica; c) lubrificazione limite. Nella lubrificazione idrostatica il lubrificante (e come tale può essere usata anche l'aria) viene introdotto nella zona di carico del cuscinetto ad una pressione di valore tale da poter mantenere separate le superfici dei due elementi dell'accoppiamento anche in assenza di moto relativo fra gli elementi stessi. Anche nella lubrificazione idrodinamica le due superfici in moto relativo si trovano separate da uno strato sufficie!ltemente spesso di lubrificante; in questo caso però lo spessore dello strato non dipende dall'introduzione di lubrificante a pressione elevata, ma dipende-essenzialmente dal moto relativo delle due superfici. L'effetto del moto relativo è infatti quello dì sospingere il lubrificante in opportune zone a sezione variabile (dette meati) comprese fra le due superfici dell'accoppiamento, con una velocità sufficientemente elevata in modo da creare così la pressione necessaria ad equilibrare il carico esterno ed a mantenere separati ralbero ed il cuscinetto. n caso della lubrificazione mista (o limite), infine, è quello in cui, per
393
392 effetto di un carico troppo elevato o di una troppo piccola velocità relativa tra gli elementi dell'accoppiamento, non si possono raggiungere le condizioni necessarie allo stabilirsi di un regime di lubrificazione idrodinamica, e ci si ritrova pertanto in presenza di un parziale contatto metallico tra albero e cuscinetto. Nei sucèessivi paragrafi verranno esaminati per primi i cuscinetti con lubrificazione idrodinamica, che costituiscono il caso più comune di cuscinetti a strisciamento, mentre successivamente verranno esaminati i cuscinetti con lubrificazione idrostatica e limite. Nei cuscinetti a strisciamento, la proprietà del lubrificante fondamentale, che ne determina le caratteristiche di funzionamento, è la viscosità, che è stata definita nel paragrafo 3.6 del volume l. È tuttavia opportuno ricordare che la scelta di un lubrificante non va effettuata esclusivamente in base aj valori della sua viscosità, ma che vanno generalmente tenute in conto anche altre sue caratteristiche, quali ad esempio l'acidità, la resistenza chimica, il punto di ebollizione, la resistenza a formare schiume, il calore specifico, la conducibilità. termica, e così via.
g) lo strato .del lubrificante presente tra i d'ue elementi in moto relativo sia così sottile da consentire di trascurare la curvatura degli stessi; ed infine che: h) in ogni sezione normale alla direzione della velocità del fluido la pressione si mantenga costante. Di tutte queste assunzioni, alcune sono pienamente giustificate dal comportamento del fluido in esame, mentre altre, a cominciare dall'ipotesi di viscosità. costante, sono valide solo in prima approssimazione (si tenga ad esempio presente per quanto concerne la viscosità, che si è in generale in presenza di variazioni di temperatura nel fluido lungo il meato e che di conseguenza varia anche la viscosità del fluido stesso). Ciò nonostante, i risultati teorici ottenuti sulla base delle ipotesi prima elencate sono generalmente abbastanza ben verificati nella pratica, ed essi pertanto possono fornire una sufficientemente valida spiegazione dei fenomeni riscontrati.
11.6 - Equazione di Reynolds Per ottenere in modo semplice una relazione fra le varie grandezze in gioco nei supporti lubrificati, relazione che tornerà utile per risolvere numerosi problemi concernenti la lubrificazione idrodinamica e quella idrostatica, conviene formulare alcune ipotesi semplificative, che, peraltro, sono normalmente più che accettabili nei problemi relativi alla lubrificazione. In particolare, verrà supposto che: a) il lubrificante sia un fluido newtoniano; b) il lubrificante sia un fluido incompressibile (ossia a densità costante); c) la viscosità del lubrificante si mantenga costante lungo tutta la zona interessata deli 'accoppiamento; d) gli effetti dovuti all'inerzia del fluido siano trascurabili; e) il peso del lubrificante sia trascurabile; f) il moto del fluido sia laminare;
(H~dy)~x
~~
l-(P+ ~~
dx)dy
T. d x
x
il Fig. '287 - Equilibrio di un elemento di fluido
Si consideri dunque il caso semplice di due elementi in moto relativo l'uno rispetto all'altro e si supponga ad esempio che le loro superfici non siano parallele (Fig. 281) e che l 'elemento inferiore trasli con una velocità
395
394
costante V. Se si analizza ora un elemento infinitesimo di fluido di larghezza unitaria, lunghezza dx e spessore dy, si può osservare che sulle due facce normali alla direzione del moto agiscono le forze per unità di larghezza p. dy e - (P+
~~ dx) dy dovute alla pressione, mentre sulle due facce laterali agiscono
le forze per unità di larghezza -Tdx e (T+
~: dy) dx dovute alle azioni tangen-
ziali originate dalla presenza della viscosità. Scrivendo allora una equazione di equilibrio alla traslazione secondo l'asse x dell'elemento di fluido considerato si avrà: pdy - (p +
~~ dx) dy -
Tdx
+ (T + ~; dy)
dx
=O
per cui si otterrà in definitiva: (2.208)
l dp (h- y) u= - - ( y - h ) y + V - 2p. dx
dove, si noti, l'altezza h di una generica sezione del meato non è costante, ma è normalmente variabile lungo l'asse x del moto stesso. Volendo ora eliminare la variabile u della. (2.208) ed ottenere una relazione tra le sole grandezze note del problema in esame, basta osservare che la portata in volume di fluido per unità di larghezza del meato in una generica sezione di altezza h è da.ta da.:
da cui si otterrà in definitiva: (2.207)
{)p _
8T
{)x -
{)y
Poichè la pressione, sulla. base di una delle ipotesi assunte, si mantiene costante lungo y, si può sostituire alla. derivata parziale della. pressione lungo x la sua. derivata. totale e, sempre dalla (2.207), si otterrà. ancora., in base alla (1.55): dp {) 2u d x =p. {)y2
Integrando ora. questa equazione rispetto a.d y si ha: 8u l dp -{)y = --y+fl(x) ,u dx
ed integrando ancora una volta si a.vrà:
dove fl(x) ed h(x) sono due funzioni che dipendono dalle condizioni ai limiti; nell'ipotesi in cui l'angolo formato tra le superfici in moto relativo sia piccolo, tali condizioni, relativamente al caso in esame, sono date da:
{
u= V
per y =O
u=O
per y =h
h
q
=
1 h
o
d
u ·Y
per cui si ricava in definitiva che: (2.209)
Vh 2
h3 dp 12,u dx
= -.- - - ·..
dp _-6,:tV'(.·~·'=·2q) - 1-dx h2" ~· •. · Vh
Questa relazione, che collega trà loro· il gradiente di pressione dpfdx esistente nel fluido, la velocità V della. parete mobile, la. portata. in volume q e l'altezza generica h della sezione a cui queste grandezze si riferiscono, costituisce l'equazione di Reynolds(*) nella sua forma più semplice, ossia relativa ad un caso di moto bidimensionale del fluido nel piano xy, ed una espressione simile può essere ovviamente ricavata nel ca.so più generale di un moto tridimensionale. Nella (2.209) il rapporto 2q/V è una. costante poichè, essendo per ipotesi il fluido incompressibile, la portata. q è evidentemenete costante in tutte le sezioni; questo rapporto ha le dimensioni di una. lunghezza e l'equazione di Reynolds può perciò essere anche scritta. sotto la. forma: (2.210)
dp dx
= 6p.~ h-
(1- h*) h
(*)Fu appunt.o Osborne Reynolds nell886 a derh·are la present.e equazione e ad utilizzarla per la spiegazione dei principali fenomeni riscontrat.i nella lubrificazione.
397
396 dove evidentemente: h•
= 2qfV.
11.7- Applicazione dell'equazione di Reynolds ad alcuni casi elementari Si consideri, quale primo esempio applicativo di quanto finora esposto, un pattino dotato di uno scalino di spessore e (Fig. 288) che si muove di moto traslatorio con velocità V relativamente ad una superficie piana, e si supponga sia ad allungamento infinito, ossia che il rapporto tra la sua larghezza e la sua lunghezza sia molto grande e tale comunque da consentire di trascurare gli effetti laterali.
meato è costante, la derivata della pressione rispetto a :r è costante; b) poichè la pressione è a sua volta necessariamente uguale alla pressione esterna (posta a zero) all'inizio ed alla fine del pattino, ne consegue che all'interno del meato si deve avere un primo tratto a pressione crescente seguito da un secondo tratto a pressione decrescente; c) il valore massimo della pressione Pm si otterrà in corrispondenza dello scalino e, in base alla (2.210), esso varrà:
(2.211)
d) dovrà infine essere ovviamente soddisfatta la condizione geometrica:
y
(2.212)
Si supponga ora di assegnare il valore dello spessore minimo del meato h 2 e di voler determinare i valori della massima pressione Pm e del carico totale P sopportabile dal pattino, nell'ipotesi che la sua larghezza sia. l. Dalle (2.211)
e (2.212) si ricava. dopo alcune semplici operazioni:
{
6J.LVabe
x
Pm
= ah~+ b(h2 + e) 3
mentre il carico totale P sarà da.to a. sua. volta. da:
l.
a
·l·
b
Fig. 288 - Pattino piano con gradino
Osservando la Fig. 288 si può constatare che il pattino forma con la sede fissa. un mea.to costituito da. due tratti a. spe<;sore costante h1 ed h2 , e ciò conduce alle seguenti considerazioni: a.) dall'equazione di Reynolds (2.210) si ricava che, se lo spessore h del
P=l
l
a+b
o
l p(x)dx=l·-(a+b)pm
2
e quindi da: P= 3~Vab(a+b)le ah 2 + b(h2 + e)3
Quale secondo esempio, si consideri il caso di un pattino piano che formi un meato a spessore costante h. che avanzi con velocità costante V e nel quale
399
398
venga immessa una portata di fluido per unità di larghezza pari a q (Fig. 289). Anche in tal caso è ancora possibile ottenere lungo il meato un gradiente di pressione dpjdx diverso da zero, poiché le portate di fluido all'interno del primo e del secondo tratto sono differenti tra loro. Si ha dunque, utilizzando la (2.209): Pm a
= 61tV2
( 1-
h
{ _Pm b
= 6J.LV2 h
(
2ql) Vh 1- 2q2) Vh
caso precedente: P= l
a+b
1 o
p(x)dx
(a+ b) =1--pm 2
e da questa si otterrà la relazione: 6J.Lablq P - -h3 -
relazione che fornisce il legame esistente tra il valore del carico P sopportabile dal pattino ed i valori delle grandezze ca.ra.tteristiche dell'accoppiamento.
ed essendo il fluid incompressibile, si avrà inoltre: 11.8 - Cuscinetti reggispinta lubrificati
Fig. 289- Pattino piano con immissione intermedia di lubrificante
Così come i cuscinetti a. rotolamento, anche quelli a strisciamento possono essere di tipo portante e reggispinta, ed in quest'ultimo caso essi sono realizzati, nella loro versione più semplice, accoppiando un anello fissso E, che porta un certo numero di pattini S rettilinei inclinati (Fig. 290), con un anello rotante R, detto ralla, solidale all'albero e coassiale con quello fisso. Entrambi gli anelli sono immersi nel lubrificante, e questo viene immesso nel loro interno utilizzando appositi fori posti nelle scanalature esistenti tra i vari pattini. ll carico PT, applicato lungo l'asse dell'accoppiamento, viene pertanto ad essere euiqlibrato dalla risultante delle pressioni originate nel lubrificante dalla presenza dell'effetto idrodinamico dovuto al moto relativo della ralla e dell'anello fisso. I cuscinetti reggispinta così costruiti prendono il nome di cuscinetti Michell e le loro prestazioni vengono generalmente ricavate supponendo che il carico totale PT sia ugualmente suddiviso fra i vari pattini, ed ipotizzando inoltre che la distribuzione di pressione lungo ogni pattino sia uguale a quella realizzata da due elementi rettilinei aventi la stessa geometria e animati di moto traslatorio con velocità pari alla velocitf periferica media:
Da queste espressioni si ricava facilmente il valore della pressione massima, valore dato da: l2J.Labq
Pm
= (a+b)h3
Se inoltre il carico totale è P e la larghezza del pattino è l. si avrà, come nel
Ogni pattino può dunque essere schematizzato secondo quanto indicato dalla Fig. 291; la lunghezza l che i vi compare sarà ovviamente pari a ì (d 1 : d 2 ),
400
401
dove 1 (Fig. 290) è l'angolo di apertura di ogni pattino, mentre la sua larghezza in senso normale alla figura sarà data da b (d 2 - d1)/2. n rapporto
=
Sulla base di questa relazione e ricordando che k9 è pari normalmente a circa 0,8, che la pressione media Pm è in genere compresa tra 3 e 4 MPa e che il valore del diametro d 1 è solitamente di poco superiore a quello dell'albero dell'accoppiamento, si potrà in definitiva determinare il diametro esterno del cuscinetto una volta. che sia nota l'entità del carico totale Pr agente su di esso.
x
y Fig. 291 - Schematizzazione di un pattino di un cuscinetto Michell
Fig. 290 - Schema di cuscinetto reggispinta Michell À tra larghezza e lunghezza del pattino prende il nome di allungamento del pattino stesso, ed è naturalmente pari a:
Al_ fin_e_ di _v:a.l_ut_ar~ ora la ~apacità portante di un cuscinetto quando siano asseÙla~_k§ue_.ill_m_ensionLecÙl tlpo -di lubriflc~il:te__im:Qi§gat!,), si inizi col co-nsiderare il caso ideale di un.pattino.ad.allungamento infinito, ossia di un pattino in cui À sia sufficientemente grande e tale da consentire di trascurare le fughe laterali di lubrificante. In questo caso dalla equazione di Reynolds (2.210) si ha: (2.213)
Prima di procedere al calcolo della distribuzione delle pressioni lungo il pattino, conviene soffermarsi su alcune considerazioni utili al dimensionamento di massima dei cuscinetti Michell. Indicando con k9 la frazione di circonferenza occupata dai pattini, la. pressione media agente su di essi è pari
dp= 6,uV ( hl 2
-
h*) h dx 3
dove lo spessore h del·meato è ora una funzione di x e vale (Fig. 291): (2.214)
a: Pm
=
4Pr k (d' iT ·g ·2 - d') i
Per ottenere le condizioni al contorno del problema basta osservare che la pressione esistente nelle sezioni iniziale e finale del pattino, pari alla pressione
402
403
che regna nell'ambiente in cui si trova il cuscinetto, costituisce per l'accoppiamento in esame una pressione di riferimento e che quindi, essendo per ipotesi il fluido incompressibile, essa può essere posta pari a zero. Sarà pertanto:
ed in base allei (2.215) si otterrà: p= 6ttVb/
(2.216) p=
O
{ p=O
per
x= O
per
x= l
Integrando allora la (2.213), dopo aver sostituito in essa il valore di h dato dalla (2.214), e tenendo conto delle condizioni al contorno sopra scritte, si ottiene la relazione: (2.215)
h~
2
(-1-) ç -l
2
[In
ç _ 2(( -l)] . ç +l
dove ç non rappresenta altro che il valore del rapporto hl/h 2 • L'ascissa x 0 del punto di applicazione della forza risultante delle azioni di pressione sarà a sua volta data da:
(2.217)
xo
=
f~ p(x)x dx J~ p( x) dx
=
/(( 2 - l- 2(ln() 2((( - l)ln(- 2((- 1)2) 2
mentre la forza tangenziale agente sul pattino e dovuta alla viscosità del fluido sarà evidentemente pari a:
relazione che fornisce l'andamento della pressione all'interno del meato considerato. In base alle (2.213) e (2.215) il valore massimo della pressione ali 'interno del fluido viene raggiunto in corrispondenza dell'ascissa: x
•
Fr
(2.218)
ed è dato da:
3(~-1)
2_!_
_!_
+ l)
h2 h2 Dall'espressione dell'ascissa del punto di pressione massima si può osservare che ad a: = O corrisponde x• = //2 e che all'aumentare di a: il punto stesso tende a spostarsi verso ascisse di valori sempre maggiori di 1/2. In condizioni di equilibrio il carico P agente su ogni pattino deve essere necessariamente uguale alla risultante delle forze di pressione, per cui sarà:
P. _ Ph 2 2(( 2 - l)ln(- 3((- 1) 2 T l 3(( + l)ln(- 6((- l)
Le (2.216), (2.217) e (2.218) sono espressioni abbastanza complesse per quanto concerne l'uso pratico, e pertanto vengono normalmente riscritte in modo più conciso facendo comparire in esse tre coefficienti adimensionali cp, cm e c1 , funzioni unicamente del rapporto ( = hifh 2 , e più precisamente esse appaiono S6tto la forma: ttVbz2 P =-h2 Cp '2
(2.219)
P=blp(x)dx
dx y=O
In questa espressione al valore di 8uj8y può essere sostituito quello ottenibile dalla (2.208) per cui si avrà in definitiva:
+ad)/ = (h2 2h2 +a:/
ttVI Pmax = };2 h (h 2
=b lot r(x)dx = btt lo( (~u) Y
404
405
mentre i valori dei tre coefficienti cp, cm e CJ in funzione di ( sono riportati nel diagramma della Fig. 292. Si noti ora che dalla terza delle (2.219) si può calcolare anche il valore della potenza W dissipata per attrito in ogni pattino, in quanto essa vale:
0.18 Cp
0.16
0.14
0.12
0.10
0.9
\"
Cj Cm
0.8
cj_ ~ \
i v b K ---t-r-Z r-- ,_ v
0.6
l
""'
0.08
""'"
0.0 6 0.0 4 o
0.7
~
2
3
4
5
6
........
e pari a:
Q=Vb~ hl+ h2
Fino a questo punto del calcolo si è implicitamente ipotizzato, facendo riferimento all·a Fig. 291, che fosse nota l'inclinazione a del pattino, ma gli stessi ragionamentio effettuati valgono anche nel caso in cui si abbia un cuscinetto a pattini orienta.bili, ossia un cuscinetto realizzato con pattini incernierati in un ben determinato punto della loro lunghezza (Fig. 293). In questo caso l'angolo di inclinazione a del pattino durante il funzionamento è sì incognito, ma è per contro noto il punto di applicazione della forza agente sul pattino (cioè la cerniera, ed è di conseguenza noto il valore di c,; le prestazioni di un tale tipo di cuscinetto possono pertanto essere ricavate usufruendo dapprima dei grafici della Fig. 292 ed utilizzando poi le (2.219).
o.s 0.4
~
7
'~
8
0.3
~ 9
0.2 10
~=h,/h2
Fig. 292- Coefficienti Cp, Cm e CJ in funzione del rapporto ( pattino ad allungamento infinito
=
hdh2 nel caso di
Sulla base poi dell'entità della potenza dissipata per attrito, si può anche effettuare un calcolo appròssimato dell'aumento ·ai temperatura subìto dal lubrificante nel passaggio attraverso il pattino. Supponendo infatti che tutta la -potenza dissipata vada a riscaldare il lubrificante, ed indicando con p la densità di questo, con c il suo calore specifico e con Q la portata di fluido in una generica sezione, si ha: W= pcQ!j,T
dove !j,T rappresenta il valore dell'aumento di temperatura cercato e dove al valore della portata Q va sostituito quello rica.vabile dali 'equazione di Reynolds
Fig. 293 - Schema di cuscinetto con pattini orientabili
Tutto ciò che è stato finora esposto si riferiva, per ipotesi, al caso di un pattino ideale di allungamento infinito; volendo ricavare le caratteristiche di un pattino ad allungamento finito va innanzi tutto osserva.to che questè certamente peggioreranno rispetto al caso ideale in quanto la pressione deve in tal caso essere nulla su tutti e quattro i lati del pattino, e di conseguenza essa assume nei vari punti del pattino stesso valori minori di quelli corrispondenti al caso di pattino ad allungamento infinito. I valori del coefficiente di pressione cp da introdurre in un caso reale nella prima delle (2.219) per calcolare il carico sopportabile dal cuscinetto sono riportati nella Fig. 294 in funzione di (e per diversi valori di A; naturalmente, anche gli altri coefficienti che compaiono
14. JACAZIO-PIOMBO - La trasmissione del moto
407
406 0.16
nelle (2.219) variano al variare di >. e la Fig. 295 riporta infatti il valore del rapporto c1 /cp in funzione di (per diversi valori di >.. Si è qui preferito riportare l'andamento del rapporto c1 /cp in quanto esso è direttamente proporzionale al coeffici~nte di attrito equivalente f del cuscinetto; dalla prima e dalla terza delle (2.219) si ha infatti:
Cp
0.14
0.12
0.10
f=Fr=CJh2
p
Cp
/
0.08 1.0 Cm
0.06
0.9
0.04 0.8
l~
0.02
...,...
0.7
o o
2
3
4
5
Fig. 294 - Andamento del coefficiente di pressione
7
6 Cp
8
9
~
10
~~ ::z:L_ ;::;-
0.6
nei pattini ad allungamento finito 0.5
30o
l
200
··~·\\
't Cp
100
80 60
30
20
r-""' f--1.5 \ '\
o(_\
.........
0.7.\""--.. . . . .
-·:~
4
~l 1
l
T
2
3
--
...--::
-::?::::.-::~ ~
-;:::::::::. ~
~
.....-- ~ ~
l l
00~
o
1--
--
........ 10 1--- 2 1 4 \ . 8
6
o
2
3
4
Fig. 296 - Andamento del coefficiente
l
f40
0.4
~ ~l l
~~
l ~~
~~
4
5
6
l 7
8
l 9
~ 10
Fig. 295 - Andamento del rapporto cJl Cp nei pattini ad allungamento finito
---a_ &
~ .::;:::::- ---=
5 Cm
6
7
l
8
9
~
10
nei pattini ad allungamento finito
In Fig. 296 è invece riportato l'andamento, sempre in funzione dei due parametri adimensionati ( e >., del coefficiente adimensionato cm che individua la posizione della.forza risultante delle azioni di pressione, mentre in Fig. 297 sono riportati, in funzione di ( e >., due fasci di curve: quello continuo rappresenta l'andamento del rapporto tra. la. portata. Q che entra nel meato e la portata. caratteristica v'bh 2 (ed in esso la. curva. corrispondente a>.= oo è palesemente quella ottenibile direttamente dall'equazione di Reynolds), mentre quello tratteggiato indica i valori della portata. QL che fuoiiesce lateralmente dal cuscinetto, sempre riferita alla portata caratteristica, e sempre in funzione dei parametri ( e >.. · Nella Fig. 298, infine, è illustrata. la realizzazione costruttiva dell'anello fisso di un cuscinetto Michell progettato dali 'U .I.I. (Ufficio Impianti
409 408
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Idroelettrici, Milano), realizzato dall'ASGEN {Ansaldo San Giorgio, Genova), e destinato a sostenere la girante di una delle turbine Kaplan utilizzate nella centrale idroelettrica di Jupià in Brasile. Tale cuscinetto sopporta carichi di intensità pari a 2300 t ed in esso i pattini sono dotati di un particolare sistema di equilibratura idraulico: ciascuno di essi infatti oscilla attorno ad un punto solidale ad un pistone idraulico e spostato rispetto al baricentro del pattino stesso; si riesce così ad avere l'inclinazione voluta della superficie di scorrimento dei pattini, ed ottenere di conseguenza una corretta formazione del velo d'olio lubrificante. I pistoni idraulici di tutti i pattini sono poi collegati tra loro mediante un collettore, visibile nella Fig. 298, che assolve la specifica funzione di garantire l 'uniformità della ripartizione del carico gravante sull'intero cuscinetto.
11.9 - Andamento divergente
Fig. 297- Portata entrante nel meato (a) e portata uscente dai lati (b) di un cuscinetto ad allungamento finito
della
pressione
in
un
meato
convergente-
Si consideri ora un pattino dota.to di una superficie sagomata in modo da formare, rispetto ad una sede piana, un meato costituito da due tratti distinti: un primo convergente ed un secondo divergente (Fig. 299); quando il y
-v
x
Fig. 299- Andamento della pressione in un meato convergente-divergente
Fig. 298 - Realizzazione costruttiva di un anello fisso di un cuscinetto Michell (U.I.l., Milano; ASCE.-,..', Genova)
410
411
pattino e la sede piana sono in moto relativo tra loro, la pressione varia lungo il meato secondo quanto stabilito dall'equazione di Reynolds (2.209) ed assume l'andamento individuato dalla curva a) della Fig. 299. La curva teorica delle pressioni è dunque una curva antisimmetrica rispetto al punto centrale del meato, ed una tale distribuzione di pressioni lungo il meato stesso è ottenuta integrando l'equazione di Reynolds nell'ipotesi che sia p= Oper x= ±oo, condizione questa che prende il nome di ipotesi di Sommerfeld. Essendo la distribuzione delle pressioni rappresentata da una curva antisimmetrica, è chiaro che, se nel primo tratto del meato esiste una grande pressione positiva, esisterà di conseguenza una altrettanto grande pressione negativa nel tratto divergente del meato stesso. Va ora osservato, che i fluidi lubrificanti possono essere sottoposti con continuità solo a pressioni negative molto piccole ( ovviamente in riferimento a quella ambiente); ciò significa pertanto che, se la pressione all'interno del tratto divergente tende ad assumere valori negativi rilevanti, la corrente fluida si rompe e la pressione rimane pressochè costante ovunque. Ciò corrisponde in pratica ad avere all'interno del meato una distribuzione di pressioni simile a quella indicata dalla curva b) della Fig. 299. La curva b) è ancora ottenuta integrando l 'equazione di Reynolds (2.209), ma ponendo delle condizioni aj limiti differenti da quelle ipotizzate da Sommerfeld, e precisamente assumendo che sia p = O, per x = -oo e che, per x > O, sia p = O dove dp/dx = O. Questa condizione ai limiti prende il nome di condizione di Reynolds ed è quella che, in definitiva, consente di calcolare una distribuzione di pressioni più aderente a quella verificata sperimentalmente.
11.10 · Cuscinetto portante completo
Si consideri ora. un cuscinetto portante lubrificato costituito da un albero di raggio r accoppiato ad una. sede circolare (detta boccola) di raggio R leggermente maggiore di quello dell'albero, e sia di conseguenza. b = R- r il gioco radiale. Si supponga inoltre che ali 'albero sia applicato un carico costante è chiaro che se l 'albero è fermo, esso appoggia, per effetto del carico applicato, sulla boccola lungo una sua generatrice; se invece l'albero ruota ad una data velocità angolare w, esso va a disporsi eccentricamente rispetto alla boccola in modo da formare un rneato ed originare una relativa distribuzione di pressioni, la cui risultante serve ad equilibrare il carico esterno applicato.
P:
n problema relativo alla determinazione dell'andamento della pressione lungo il meato nel caso di un cuscinetto completo (ossia di un cuscinetto che si estende per tutti i 360°) è stato risolto per la prima volta da Sommerfeld nel 1904 per il caso di cuscinetto ad allungamento infinito, ossia per il cuscinetto ideale in cui la lungh.ezza del perno è molto maggiore del suo diametro.
Fig. 300 - Schema di cuscinetto portante lubrificato completo
Si consideri allora (Fig. 300) un perno di raggio r e centro 01 in posizione eccentrica rispetto ad una boccola di raggio Re centro 0 2 , e si assuma come origine degli angoli {) quella individuata da.lla semi retta uscente da 01, congiungente i centri 0 1 ed 0 2 e corrispondente al massimo spessore del meato. Se si indica con e l'eccentricità, ossi a la distanza esistente fra i centri 01 e 02, distanza che è sempre molto piccola rispetto ai raggi ,. ed R, lo spessore h del meato in corrispondenza di una generica sezione è allora esprimibile mediante la: h= 02P2- 02P1
Essendo però:
=R- OzP1 =R- (0' P1- 020')
412
413
e:
= 0 20 1 cos iJ = e cos iJ
0 2 0' sarà anche:
h= R- r+ ecosiJ
=6 + ecosiJ
e, ponendo e::;::; e/6 si otterrà in definitiva: (2.220)
Dalla (2.220) è facile osservare che lo spessore h del meato, massimo per '19 = O e pari a hmax = 6(1 +e:), diminuisce all'aumentare di iJ, raggiunge un valore minimo hmin 6(1 -e:) per iJ 1r, e quindi torna ad aumentare per raggiungere di nuovo il valore h hmax per i} 27r. n meato pertanto è proprio del tipo convergente-divergente descritto nel precedente paragrafo, e la soluzione del problema è quindi ottenibile integrando l'equazione di Reynolds (2.210) scritta ora sotto la forma:
=
dp RdiJ
=
6pV [ 1
= h2 (iJ)
=
h* ] - h(iJ)
ed assumendo come condizione ai limiti la condizione di Reynolds, e cioè ipotizzando che sia: p {
e che, per
.'!J
(2.221)
S
= pLRw(R/6)
= e/6;
tale parametro è il
2
-;rP
dove J.L rapp.resenta al solito la viscosità dinamica del lubrificante, L la lunghezza del perno, w la velocità angolare in rad/s e P l'intensità del carico applicato all'accoppiamento. Esprimendo la velocità angolare in giri/min (n) si avrà:
h= 6(1 +e: cosiJ)
=
dato allungamento di questo, del solo rapporto e: numero di Sommerfeld S, ed è definito dalla:
=O per iJ =O
> 1r sia p::::: O nel punto in cui dp/ d{} = O.
La risoluzione dell'equazione differenziale sopra scritta, con le condizioni ai limiti imposte, è piuttosto complessa, ed ancor più complessa è la ris9luzione delle equazioni differenziali che descrivono il moto del fluido in un cu~cinetto ad allungamento finito. Tali problemi vengono quindi prevalentemente affrontati per via numerica ed i risultati ottenuti sono qui di seguito esposti ricorrendo all'uso di alcuni grafici. Dalla risoluzione dell'equazione di Reynolds, si è in grado di identificare un parametro adimensionato, caratteristico del cuscinetto e funzione, per un
S
= pLRn(R/6) 2 30P
Se invece si esprime la velcoità angolare in giri/s (N) si avrà: S
= 2pLRN(R/6) 2 p
E' bene ancora rammentare che i grafici che sono qui riportati dalla Fig. 301 alla Fig. 30.5 sono validi esclusivamente per un cuscinetto completo e sono stati ricavati nell'ipotesi che sia p= O per iJ = O; ciò presuppone che l'immissione di lubrificante avvenga in corrispondenza della sezione in cui il meato ha la massima altezza (iJ = O). In realtà questa evenienza non è sempre verificata anche perché, come si può osservare dalla Fig. 303, l'angolo compreso tra la direzione del carico e la congiungente dei centri varia al variare delle condizioni di funzionamento; ciò significa in pratica che anche se l'immissione di lubrificante avviene per iJ = O in una certa condizione di funzionamento, essa non avverrà pii1 in corrispondenza di v= O per un'altra condizione di funzionamento diversa dalla precedente. Ciò nonostante, l'immissione di lubrificante avviene nella realtà sempre nell'intorno della posizione iJ = O ed un cuscinetto completo è poco sensibile a variazioni anche di ±20° rispetto Cf questa condizione. Se però l'immissione di lubrificante avvenisse in zone molto discoste dalla linea iJ = O, si dovrebbe considerare il cuscinetto non più come completo, ma come un cuscinetto parziale, ed il comportamento di quest'ultimo dovrebbe essere analizzato secondo le modalità che verranno esposte nel paragrafo successivo.
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Fig. 302- Andamento del parametro Rf /6 in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto portante lubrificato completQ
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Andamento dell'angolo in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto portante lubrificato completo
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Fig. a04 - Andamento del rapporto Pmax/Po in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto portante lubrificato complet.o
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Si noti che la Fig. 302 è valida solo fino a quando il cuscinetto funziona in regime idrodinamico, ossia finchè il gioco minimo esistente fra perno e cuscinetto è sufficientemente grande e tale da assicurare la presenza di un velo continuo di lubrificante. Ove questa condizione venisse a mancare, l'attrito fra perno e cuscinetto si manifesterebbe con modalità di tipo misto, ed a queste si farà riferimento nel paragrafo 11.15 del presente Capitolo. ll grafico della Fig. 303 riporta i valori deU:angolo
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La Fig. 305 infine riporta, sempre in funzione del numero di Sommerfeld S, i valori della portata. adimensionata. ii: che fuoriesce dalle estremità laterali del cuscinetto e definita come:
421
420
dove al solito N rappresenta i numeri di giri al secondo del perno e Q. la portata effettiva di fluido fluente delle estremità dell'accoppiamneto.
11.11 - Cuscinetto portante parziale
o
(')
Un cuscinetto parziale (Fig. 306) è, come si è già avuto modo di anticipare, un cuscinetto in cui la zona utile dell'accoppiamento ricopre un arco f3 inferiore ai 360°; in generale poi l'angolo /3 è nei_ cuscinetti parziali inferiore anche ai 180°. La soluzione delle equazioni differenziali che descrivono il comportamento di un cuscinetto portante parziale è ancor più complicata di quella relativa ad un cuscinetto completo per il fatto che in questo caso vengono introdotte nel problema due nuove variabili, e precisamente l'ampiezza angolare f3 del cuscinetto e l'angolo a che individua la posizione del carico rispetto al cuscinetto stesso. La soluzione delle equazioni relative ad un cuscinetto parziale lubrificato sono qui riportate sotto forma grafica e per il solo caso di cuscinetto caricato simmetricamente, caso in cui sarà ovviamente: a= /3/2.
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Fig. 314- Andamento della portata adimensionale if.z in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto parziale con fJ 120°
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Fig. 315- Andamento dell'eccentricità relativa e in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto parziale con fJ = 60°
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Fig. 316- Andamento dell'angolo di assetto
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Rj 6 1000 800 600
40 20 40
100 80 60
20 10 8 6 4
2
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30
50
70
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Fig. 317- Andamento del rapporto RJ /6 in funzione del numero di Sommerfeld S per un cuscinetto parziale con f] = 60°
A
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432
J o
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Cf)
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IL
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Le Figg. 309, 313 e 317 illustrano, sempre per gli stessi valori dell'angolo di apertura (3, i diagrammi che riportano i valori del rapporto Rf /6 in funzione del numerò di Sommerfeld S, ed infine le Figg. 310, 314 e 318 riportano, per (3 rispettivamente pari a 180°, 120° e 60°, i valori della portata adimensionata q, che fuoriesce dai lati del cuscinetto in funzione del numero di Sommerfeld
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Le Figg. 308, 312 e 316 si riferiscono invece all'andamento dell'angolo cii assetto
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La potenza dissipata in un cuscinetto a strisci amento è
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11.12 - Potenza dissipata in un cuscinetto a strisciamenlQ"::
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433
1
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dove f è il coefficiente di attrito equivalente, R il raggio del cuscinetto, P il carico gravante su di esso ed w la velocità angolare. Questa potenza meccanica viene trasformata in calore e questo viene poi trasmesso verso l 'esterno sia per conduzione, sia per convezione, sia per irraggiamento. La valutazione delle frazioni di quantità di calore che vengono trasmesse in ciascuno dei tre modi risulta estremamente difficile, e per semplicità si ipotizza normalmente che tutta la quantità di calore sviluppata venga trasmessa -ai(·~~ter~~ per convezione dall'olio che esce dai due lati del cuscinetto. Con questa assunzione, la potenza W dissipata deve essere uguale a: W= pcQ:l::.T
dove p è la densità del lubrificante (mediante 850 kg/m 3 ), c il suo calore specifico (mediamente 0,42 kcal/kg °C), Q. la portata di lubrificante che fuoriesce dai lati del cuscinetto e t:. T l 'aumento di temperatura che il lubrificante ha subìto rispetto a quella che possedeva al suo ingresso nel cuscinetto. Si deve a questo punto osservare che, essendo la Yiscosità del lubrificante funzione della temperatura ed essendo questa variabile lungo il mea.to, si dovrà introdurre nell'espressione del numero di Sommerfeld caraetteristico
434
435
del funzionamento dell'accoppiamento un valo.re della viscosità corrispondente ad una temperatura intermedia tra quella di ingresso T; e quella di uscita T. del lubrificante stesso. Dal confronto tra i risultati teorici e quelli sperimentali ricavati a questo riguardo, si è riscontrato che, per ottenere una sufficiente attendibilità dei primi nei confronti dei secondi, occorre considerare una temperatura effettiva Tetr pari a: Tetr
11.13 - Cuscinetti idrostatici
= 'Fi + 0,8t:.T
ed industriali, compressori, e così via; in alcuni casi poi, l'azione di portanza deriva effettivamente dalla presenza di lubrificante in pressione, mentre in altri la portanza è fornita principalmente dalla presenza dell'effetto idrodinamico, e l'alimentazione mediante olio in pressione viene esclusivamente utilizzata per aumentare la portata assiale di lubrificante e diminuirne di conseguenza la temperatura. D cuscinetto idrostatico elementare è riportato nella Fig. 319, in cui h è l'altezza (costante) del meato, P il carico agente sul pattino, Q la portata immessa nel meato.
l
I cuscinetti idrostatici (o cuscinetti pressuriz~ati) sono cuscinetti, portanti o di spinta, nei quali si immette all'interno dell'accoppiamento una certa portata di lubrificante ad una pressione maggiore di quella. ambiente, ottenendo di conseguenza un effetto di portanza indipendentemente dalla presenza o meno di una velocità relativa tra i due membri dell'accoppiamento stesso. I cuscinetti idrostatici presentano alcmil vantaggi rispetto ai cuscinetti idrodinamici. Uno di questi ad esempio consyste nel fatto che, grazie all'effetto dell'immissione di lubrificante in pressione, l'albero ed il cuscinetto sono sempre separati da uno strato di lubrificante, anche a velocità nulla. Ne consegue pertanto che, essendo la forza resistente viscosa proporzionale alla velocità, l'attrito statico è in tal caso nullo; proprio questa importante proprietà di assenza di attrito statico ha fatto sì che i cuscinetti idrostatici venissero e siano tuttora usati in numerose applicazioni particolari, quali ad esempio i supporti di installazioni radar e di telescopi (i~itelebre telescopio da 200 pollici di Monte Palomar è per l'appunto montato sJ_ un cuscinetto di spinta idrostatico). __ Una seconda caratteristica peculiare dei cuscinetti idrostatici è rappresentata dal fatto che in essi, come si vedrà più avanti, l'altezza del meato è in funzione della radice cubica del carico, mentre in un cuscinetto idrodinamico essa. dipende (2.219) dalla radice quadrata del carico stesso e che pertanto il cuscinetto idrostatico risulta più rigido di quello idrodinamico. I cuscinetti pressurizzati possono essere di tipi quanto mai diversi e possono anche essere costruiti con scopi assai diversi: oltre che nelle applicazioni prima citate di cuscinetti di spinta infatti, essi possono anche essere utilizzati come cuscinetti portanti di macchinari pesanti quali turbine, ingranaggi navali
Fig. 319 - Cuscinetto idrostatico elementare
Indicando con b la larghezza del pattino, e supponendo che questa sia molto grande rispetto alla lunghezza L (allungamento infinito), si ottiene dalla equazione di Reynolds (2.210): 12J.L(Q/2)
po
L/2 =
bh3
(2.225) 3J.LLQ
Po
= bh3
da cui risulta che la relazione fra carico applicato e altezza del meato lubrificato è: (2.226)
436
437
La rigidezza del cuscinetto idrostatico nell'intorno di un determinato punto di funzionamento è data da: (2.227)
k _ (- oP)
-
ah
2
= 9tJL Q 2h 4
Una variante del cuscinetto idrostatico elementare è rappresentata nella Fig. 320, in cui il cuscinetto presenta una cavità centrale nella quale la pressione è praticamente costante e pari al valore massimo Po·
maggiore portata, e questa è la soluzione normalmente adottata nei cuscinetti idrostatici. I due semplici esempi di cuscinetto idrostatico qui presentati si riferiscono al caso di moto del fluido unidimensionale; verrà ora esaminato il caso di un cuscinetto reggispinta, alimentato da una portata costante, in cui il moto del fluido avviene radialmente a partire da una zona centrale. Si consideri dunque l 'albero sottoposto ad un carico assiale di intensità p ed il relativo cuscinetto di spinta idrostatico schematizzati nella Fig. 321. li cuscinetto è costituito da una scanalatura circolare di raggio rr. entro la quale viene immesso l 'olio in pressione, e da un meato di altezza costante h formante una corona circolare di raggi r1 ed ro.
Fig. 320 - Cuscinetto idrostatico elementare con cavità centrale
In questo caso si ottiene, per la p.resisone massima identica alla (2.225 ):
p0 ,
una espressione Fi~.
321 - Schema di cuscinetto idrostatico di spinta con flusso radiale
l mentre la capacità di carico diventa.:
In base alla (2.209rsi può osservare che;- se il cuscinetto è fermo (è quindiv = O), la portata che passa attraverso una sezione infinitesima di meato di larghezza rdfJ è pari a: 3
dq
(2.229)
h dp = -12JJ - -1·df} d7·
per cui la portata totale Q è data da: Confrontando la (2.226) e la (2.229) si vede chiaramente come questa seconda soluzione offra una maggiore capacità di carico, anche se richiede
2
Q=
1 0
"
3
7rh .7· dp dq=--6p d1·
438
439
Poiché il valore di tale portata è costante qualunque sia il valore di r, si ha: -1rh3
6p
J
dp
= -Q
J
-dr r
+
11.14 - Cuscinetti idrostatici a pressicme costante I cuscinetti idrostatici esaminati nel precedente paragrafo erano basati sul principio di immettere una portata costante d'olio nel cuscinetto, mentre la pressione massima veniva stabilita di conseguenza in base al carico applicato. Questa soluzione fornisce grande rigidezza al cuscinetto; tuttavia, in molti casi, si preferisce adottare, per ragioni pratiche, una soluzione a pressione costante, in cui la po_rtata che fluisce attraverso il cuscinetto risulta funzione delle dimensioni geometriche del meato, e quindi· anche del carico applicato.
costante
per cui, effettuando l'integrazione, si otterrà in definitiva: 7rh3p
- - = -Q In r + costante 6p
Poiché al raggio esterno la pression~:è pari a quella ambiente, si può determinare il valore della costante di irttegrazione ponendo p = O per r ro, e i/ pertanto sarà:
=
7rh3p
6p
= Q In
7'o r
=
Al raggio interno r r 1 la pressione p è uguale alla pressione. di alimentazione Pa che, se il cuscinetto è alimentato da una pompa volumetrica a portata costante, risulterà ovviamente determinabile mediante la: l (2.230)
E' chiaro poi che il carico P agente sul cuscinetto deve essere equilibrato dalla risultante di tutte le forze di pressione, per cui sarà:
PA Fig. 322 - Schema tipico di cuscinetto idrostatico a pressione costante ;i
( Da questa, dopo opportune semplificazioni; si ricava là: 2
(2.231)
P
l - (rl/ro) 2 =7rroPa 2 l n (ro/7·1)
e. introducendo nella (2.231) il valore di Pa espresso dalla (2.230), si otterrà in conclusione: (2.232)
Un cuscinetto idrosta"tico à pressione costante è schematizzato nella Fig. 322, in cui la sorgente a pressione costante PA è separata dalla camera a pressione p0 da una resistenza idraulica R. Si possono avere due casi: - la resistenza idraulica è lineare (caso di moto laminare del fluido); - la resistenza idraulica è non-lineare (caso di moto turbolento del fluido). Per il caso di moto laminare del fluido, quale è quello che si può ottenere in tubi lunghi e di piccolo diametro, la relazione fra la portata Q e la differenza
440
441
di pressione PA - Po è:
dove cd è il coefficiente di efflusso (normalmente compreso fra 0,5 e 0,75 e mediamente pari a 0,61), A l'area di passaggio dell'orifizio, p la densità del fluido. Sostituendo la (2.238) nella (2.228) si trova, dopo alcuni passaggi:
Q= 1rd4 (PA- Po)
(2.233)
a
128J.t
dove a è la lunghezza di un tubo, di diametro d, percorso dal fluido lubrificante. Tale. relazione sussiste fino a che il numero di Reynolds,
(2.239)
(2.234)
dove:
Po
=
jl
w= in cui
è la densità del fluido èminore di circa di 2300." La resistenza idraulica R risulta allora: p
+ 4h 6 pA/W- l 2h6JW l8J.t 2 L 2l c 2d A 2 pb2
Nota p0 [il carico sopportato dal cuscinetto, per un· dato valore dell'altezza h del diventa:
m;jto,
_ (PA- Po) _ 128J.ta
R-
Q
-
;rd4
r----------------------,
Sostituendo la (2.233) nella (2.228) si ottiene:
l l l
PA Po= l+h3jV
(2.235)
l
l
l
dove:
l 4
V= 37rd LI 128ab
(2.236)
l l
l l r---------------
1
l
l
l
l
(2.237)
p_
b L1
- Po 2 + Po
bL ~ PAb(Lo
o-
+ Lt/2)
l+ h3JV
_N_ota la pressione di alimentazione PA e nota la geometria del cuscinetto è possibile, con questa relazione, ricavare il valore dello spessore del meato in funzione del carico applicato. Una volta che sia noto h è anche possibile determinare p 0 e, di conseguenza, la portata Q in base alla (2.233). Nel caso in cui la resistenza idraulica sia rappresentata da un orifizio, il moto del fluido risulta turbolento. In questo caso, la portata di fluido lubrificante attraverso l'orifizio è esprimibile mediante la relazione seguente: (2.238)
Strozza tori
l
n carico sopportato è allora dato da:
l l
,: l
-ì l
l l
l l
1--------1
l
l
1--------:-, .--~.----. -Te--~m-f-,------___,..~,...,..,..___,,_..J Pompa ·
l l
l l l l
Valvola !imitatrice di pressione
l
~-------------------------~
Fig. 323 - Schema di cuscinetto portante idrostatico con circuito idraulico a pressione costante
La lubrificazione idrostatica, oltre che per i cuscinetti reggispinta, può essere utilizzata per i cuscinetti portanti. Questi sono costituiti, nella loro
443
442 versione più semplice, da un cuscinetto dotato di quattro gole nelle quali viene inviata una certa portata di lubrificante in pressione (Fig. 323). Se il çarico agente sul perno è nullo, il perno si mantiene centrato rispetto al cuscinetto; se invece il carico è diverso da zero, il perno si dispone eccentricamente rispetto al cuscinetto, variando così la distribuzione delle pressioni all'interno del meato in modo da realizzare l 'uguaglianza tra la forza risultante da tale distribuzione ed il carico esterno stesso. Il cuscinetto idrostatico della Fig. 323, che rappresenta un tipico cuscinetto portante per mandrini di macchine utensili, presenta, oltre alle quattro camere di immissione del lubrificante, anche quattro gole di scarico in cui il lubrificante è r raccolto e inviato al serbatoio. Il cuscinetto lavora con una . pompa a pressione costante che invia l 'olio a quattro strozzatori, i quali dosano il lubrificante Alle camere pressurizzate del cuscinetto. Per ciascun quarto del cuscinetto possono essere scritte le. relazioni prima viste, con l'unica avvertenza che ~er il calcolo del carico sopportato dal cuscinetto occorre integrare le componbti della pressione nella direzione del carico, tenendo conto che l 'altezza c;l.el meato è variabile con l 'angolo.
l
ll.lS- Lubrificazione limite
/
: 1
Per tutti i cuscinetti che operano in regime idrodinamico esistono invariabilmente periodi di funzionamento durante i quali non si realizzano le condizioni atte a mantenere un velo continuo di lubrificante; ciò avviene ad esempio durante le fasi di avviamento e di arresto dell'albero, oppure quando il carico assume valori troppo elevati o la velocità angolare valori troppo bassi. In tutti questi casi, le caratteristiche dell'azione resistente dovuta all'attrito sono determinate da fenomeni differenti da quelli finora esaminati, quali l'assorbimento del lubrificante o lac fcirÌmizìone- di composti chimici· dovuti alla reazione dei componenti del lubrificante stesso con la superficie del cuscinetto. In generale si può affermare che il passaggio dalla condizione di lubrificazione idrodinamica a quella. di lubrificazione limite avviene per numeri di Sommerfeld inferiori a 0,05 e che al di sotto di questo valore il coefficiente di attrito aumenta fino a raggiungere un valore massimo quando il numero di Sommerfeld diventa pari a zero. La capacità portante di un cuscinetto nelle condizioni di lubrificazione limite viene poi di solito stabilita verificando le condizioni seguenti. Definita
una pressioll€1 media Pm mediante la: p
Pm
= 2RL
dove P è al solito il carico agente sul cuscinetto, R il raggio di quest'ultimo e L la sua lunghezza, è necessario che il prodotto della Pm stessa e della velocità periferica V sia inferiore ad un limite massimo dipendente dal materiale con cui il cuscinetto è realizzato, ed è inoltre necessario che, sia la pressione media _ Pm, sia la velocità periferica V, sia la temperatura T non superino a loro volta dei rispettivi valori che, pér alcuni tipi di materiali usati nei cuscinetti, sono elencati nella Tab. VII.
.~
l TABELLA VII - Caratteristiche dì funzionamento di cuscinetti in condi-. zione di lubrificazione limite
Materiale
Bronzo Ferro poroso Resine fenoliche Nylon Teflon Teflon rinforzato Grafite
(Pm)max (N/cm 2 )
3000 5500 4000 700 350 1500 400
Tmax (•C)
65 65 95 95 250 250 400 ·.
. (Pm V)max
Vmax (m/s)
7)
( cm2 N) ( m
200 200 '50
8 4 12 5 0,5 5 12
10
4 40 50
,: l
~ lL~6 - Confronto tra cuscinetti a strisciamento ed a 'roto lamento
La scelta di uno dei due tipi fondamentali di cuscinetto, a rotolamento od a strisciamento, è evidentemente influenzata, in ciascuna applicazione tecnica, dalla presenza di numerosi fattori: si può tutta.via asserire che generalmente questi si suddividono in tre categorie principali, e più precisamente che essi sono costituiti: a) dai requisiti meccanici dell'applicazione a cui il cuscinetto è destinato; b) dalle condizioni ambientali in cui questo dovrà funzionare;
445
444
c) dal costo relativo tra i due cuscinetti. Si ritiene pertanto opportuno qui riportare la Tab. VIII, ripresa da Bearing Design and Applications (v. bibl.), la quale illustra chiaramente le proprietà dei due tipi principali di cuscinetti relative ai tre ordini di fattori su esposti. TABELLA VIII - Caratteristiche dei cuscinetti a rotolamento ed a strisciamento
Fattori Meccanici
Caratteristiche Carico Uni direzionale Alternato Di spunto. Eccentrico D'urto Velocità limitata da:
Tolleranza al disallineamento
Cuscinetto a strisci amen t o
Cuscinetto a rotolamento
Buono Buono Scarso Buono Discreto
Ottimo Ottimo Ottimo Ottimo Ottimo
Thrbolenza Temperatura
Carico centrifugo Effetti dinamici
Discreta
Scarsa, ad eccezione di cuscinetti appositamente disegnati, a scapito però della capacità di carido
/
A ftri t o statico
Ingombro Radiale Assiale
Grande Piccolo (eccetto il caso di lubrifìcazione idrostati ca)
Piccolo Da 1/4 a 2 volte il diametro
Grande Da 1/5 a 1/2 del diametro
Cuscinetto a rotolamento
Condizioni di emergenza
Normalmente si può avere un funzionamento di emergenza successivo a una rottura
Si può avere un limitato funzionamento dopo rottura per fatica
Smorzamen to
Buono
Scarso
Tipo di lubrificante
Olio o alt.ro liquido; grasso; aria o gas
Olio o grasso
Quantità di lubrificante
Grande, eccetto che per cuscinetti progettati per funzionamento in lubrificazione limite
Molto piccola, ad eccezione dei casi in cui si generino grandi quantità di calore
Rumorosità
Molto piccola
Può essere grande; dipende dal montaggio e da eventuali risonanze
l Dissipazione di potenza
l'
----
Cuscinetto a strisci amento
Caratteristiche
Fattori
-
Ambien.talL. -·
6
Bassa temperaturaL - - - - . -- --· Scarse Proprietà alla partenza Alta temperatura Funzionamento
Economici
w 2 d3 L Varia con - -
Vita
--
Varia entro un campo molto vasto e dipende dal tipo di lubrifìcazione. Generalmente minore che nei cuscinetti a strisciamento ·-
Buone
Limitato dal lubrifica n te
Limitato dal lubrifìcante
Illimitata, eccetto che per carichi cicl ici
Limitata dalla resistenza a fatica del materiale
446
Fattori
Caratteristiche
Cuscinetto a strisci amento
Cuscinetto a roto}amento
Manutenzione
Richiesto lubrificante pulito
Richiesto lubrificante pulito
Costo
Molto piccolo per i tipi semplici o di grande produzione
Intermedio per i tipi standard
Facilità di sostituzione
Dipende dal tipo di installazione
Dipende dal tipo di installazione
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t!
r
r
Accostamento, direzione di 303 Addendum 77' 78, 134 Albero flessibile 56 Allungamento 41 infinito 396, 401, 435 finito 405-408, 412 77 Altezza del dente Alzata 220 Angolo di addendum 78 di apertura 106, 108 di avvolgimento 34 di azione 76 di contatto 214-217 di dedendum 78 di fondo ii di inclinazione dell'elica 97 di pressi011e (ingranaggi) 63, 67, 78, 99 ~di pressione Tcammey~= 249-251 di pressione. normale 99 di troncatura 77 fra gli assi 70 primitivo 70 Arco di aderenza 35 di azione 83, 114 di scorrimento 35 ozioso 221 Argano di sollevamento 15 -,--·<--
Arpionismo Arresti Assortimento Attrito nei perni Azionatori rotativi a ingranaggi
Base motore mobile Base scorrevole Ben dix- Weiss, giunto Buckingham, E.
274-276 326-329 73 24 190-191
38-39 39 16-17 156
Cabestano Cambio di velocità 164, Camme ad accelerazione costante a fianchi rettilinei - --~- -~ihnéln cb~e ~,~ --- · 254-255,
45 185-188 219-256 228-232 236-242 289-290
con braccio oscillante desmodromica di traslazione policentrica Caratteristica Cardano, giunto di Catene ad anelli separabili a perni a rulli
252-254 252 254-255 242-247 73 3-13 47-56 48 48-49 49
- -
~-
-
--
453
452
a sfere silenziose Cedevolezza flessionale istantanea rotazione Ceppo avvolgente Ceppo svolgente Cerchio di base Cerchio di riposo Cicloidale, profilo Cinghie a costole
,If
v
id~ntate
l l
l
i
50 50 21 Centro di
67 309 309 224, 227, 249 227 65 26-47 29 28 46-47 27 29
· p1ane rotonde Circonferenza 306 di Romiti fondamentale 65-66 osculatrice 113 primitiva 64-68 primitiva immaginaria 113 Coefficiente di attrito nei cuscinetti a rotolamento 379 nei cuscinetti 419, 433 Coefficiente di carico 386-387, 389 Cone, S.I. 139 Cono complementare 111 108, 109 . fondamentale primitivo l06-10i, 109-110 Contatto fra i denti· ·- i_i2 136 Convertitori di coppia 369-373 Corda 80 Coriolis, accelerazione di 262 Correzione delle ruote dentate 87 Corsa di lavoro 266 Corsa di ritorno 266 Croce di ì\falt a 2ii-290 esterna 277-285 interna 285-287 '~
rettilinea sferica Cuscinetti a pattini ori en t abili a rotolamento a rulli cilindrici a rulli conici a rullini a strisciamento idrostatici obliqui a sfere oscillanti a rulli portanti completi portanti parziali radiali oscillanti a sfere radiali rigidi a sfere reggispinta a sfere reggispinta lubrificati reggispinta Michell reggispinta oscillanti
Dedendum Denti Dentiera Dent.iera corretta Diametro di fondo di troncatura Differenziale Direzione di accostamento Doppi~-gi-tinro· di Càrèlano
Eccentricità relat.iva Elica media Elicoide Energia cinetica Equazione di Reynolds Evolvente di una circonferenza
287-289 287-289 375-446 405 375, 390-443 381 382 385 375, 376-390 434-442 380 381 410-420 420-433 380 380 382 399-409 399-409 382-384
77, 78, 134 59 84, 98 87 77 77 177-180 303 11-13
411 419 134 199 323-324 392-399 65-67
79 Faccia di una dentatura 78 Fianco del dente 199-200 Filetto 21-56 Flessibili 21, 37 Flessi bili tà 38-42 Forzamento delle cinghie Forza scambiata 378 nei cuscinetti a rotolamento 151-156 Forze dinamiche fra i denti 247-252 Forze nelle camme Forze scambiate nei freni a tamburo. 305-306 Forze scambiate nella croce di Malt.a 282-285 Forze scambiate nelle ruote dentat.e 89-90 a denti diritti 104-105 a denti ~licoidali 115 coniche 119-125 coniche ad asse dente curvo 130-131 ad assi sghembi 137-138 a vite 291-326 Freni 293 ad att.rito 308-311 a disco 322-326 a fluido 311-315 a nastro 298-3_08 a tamburo 307 autoavvolgenti 334-348 elettromagnetici Frizioni radiali 338-340 340-342 assiali
Gabbia distanziatrice Gioco di fondo normale trasversale Giunti Bendi x- Weiss
376, 377 79 79 79 3-19 16-17
di Cardano di Hooke di .Oldham idraulici omocinetici Rzeppa Glifo oscillante Graham, scappamento di Grossezza di un dente Guida di Fairbairn
. 3-13 3 18-19 362-368 13-17 17-18 266 276 88 266, 280
,; Hindley
/
'·
139
Ingranaggi 59-157 ad assi concorrenti 69 ad assi paralleli 69 ad assi sghembi 69, 72, 125 a vite 125, 132-139 cilindrici elicoidali ad assi sghembi l 125-132 conici 106-125 conici ad asse d.ente curvo 116-125 elicoidali 95-106 ellittici 147-150 esterni 72, 81-92 h eli con 146-147 interni 72 i poi di ,: 125, 140-146 parziali. 274, 276 spiroidi · 146-147 In-nesti 331-354 a correnti parassite 348-349 ad attrito 333 a denti 333 ad isteresi 348-349 a forza centrifuga 344-346 a nastro 346-348 a particelle magnetiche 348-349 di sopravanzo 351-354 elettromagnetici 348-349
l
45-!
455
Int.erasse di funzionament.o Interferenza In viluppo Irregolarità periodica
70 80, 84-87 73 9, 53
Larghezza di dentatura Leggi del moto delle camme Linea di azione Linea di contatto Lubrificazione idrodinamica idrostatica limite mista
79 23'2-236 75, 76 63, 73, 75 391 391 391, 442-443 392
Manovella ::?64-265 Manovellismo :?64-366 Meato 391' 409 Meccanismi 257-391 a glifo oscillante 266-269 a rapido ritorno 266-268 articolati 257-264 con punti di precisione 272 di amplificazione degli sforzi 269-270 di Peaucellier 270-271 di Scott-Russell 270 di Watt 272 per la generazione di moto intermittente 274-291 ___ _per la gener.azione di un moto ellittico 272-274 Modulare, proporzionamento 80 Modulo 79 assiale 79, 134 normale 79 Moltiplicatori a rotismi ordinari 163 Molt.iplicatori di sforzo con flessibili 21-26 .Momento di inerzia equivalente 161 Moto sferico 109
~umero
di coppie di denti in presa 84, 101, 119 ~umero di denti fittizio 103 Numero di denti immaginario 113 ~umero minimo di denti 86, 94, 112-114
Oldham, giunto di Omocinetico, giunto
18-19 13-18
Pantografo Paranco di sollevamento Passo assiale assiale nelle viti dell'elica di una catena di una dentatura elicoidale frontale normale trasversale Pattino piano Peaucellier, meccanismo di Piano dei contatti generatore omocinetico principale ti Piede di biella Pignone Planetario Poncelet, formula di Portatreno Potenza dissipata Pressione in un freno ad attrito in un freno a disco in un freno a tamburo Primitive
l
273-274 25 79, 134, 131 200 '97 i
48 76 134-135, 200
/
l
100 79, 100 79, 100 396-399 270-271 100-101 98 15 132 264 69 165-166 92, 95 165-166 433 294-298 312
302-303 64, 68, 73, 77
/
Principi di una vite l Profili coniugati Profilo a evolvente assiale cicloidale dei denti di lavoro normale teorico trasversale Puleggia condotta motrice Punt.eria Punto di riferimento Punto di Romiti Punto morto
132, 135, 200-201 51, 63-64 65-67 78 65 65-68. 108 224 78 224 78 30 30 219 304 264
Quadrilatero articolato
258-261
Raccordo Raggio di curvatura Raggio di raccordo Raggio primitivo immaginario Rapporto di ingranamento Rapporto di trasmissione immaginario nei rotismi epicicloidali nei rotismi ordinari ... nellé' cinghie nelle ruote dentate nelle ruote di attrito Reazioni vincolari Rendimento meccanico nei rotismi epicicloidali nella vite-madrevite
-----------------------~-------------
78 80 80 113 69 114 167 160 '36'
62, 67, 70, 108, 128, 135, 157
60 10 2, 10 325, 357 175-177 204
nelle cinghie 36 nelle ruote de n t ate 91. 132, 138, 139 nelle vi t.i a circolazione di sfere 218 nelle viti differenziali 211 volumetrico 325, 357 Retta di pressione 63, 61, 214 Reye, ipotesi di 298 Reynolds condizione di 410 equazione di 392-399 numero di 440 Riduttori armonici 194-198 a rotismi epicicloidali I72-1i4 a rot.ismi ordinari 163 cicloidali 191-194 Riduzione dei momenti di inerzia 161 Rigidezza anelastica 23 elastica 23 Rocchetto 84 Romiti circonferenza di 304 punt.q di 304 Rotismi epicicloidali 165-191 a ingranaggi conici 177-180, 182 multipli 180-18i senza portatren o 190-191 Rot.ismi ordinari 159-163 Rullo tenditore 38,41 Ruota a vite 132, 134 ·---Ruot.a oziosa 160 Ruot.e dentate 51, 59, 60, 69 a scalini 95-97 Bilgram 116 cilindriche a denti elicoidali 95, 97-106 cilindriche elicoidali ad assi sghembi 125-132
cilindriche esterne a denti diritti 84-92 cilindriche interne a denti diritti 92-95
456 coniche coniche ad asse dente curvo esterne Gleason interne piano coniche Ruote di attrito Ruote libere Rzeppa, giunto
/
'·
/
Satellite Scappamenti Scappamento di Graham Scorrimento arco di globale Scott-Russell, meccanismo di Segmento dei contatti Solare Sommerfeld ipotesi di numero di Spessore di sommità normale trasversale Sterzo dei mezzi cingolati Superfici coniugate di riferimento primitive Superficie ausiliaria di azione di fondo di piede
106-125 116-125 76 116 76 112 59-60 351-354 li-18
165-166 276 276. 277 35 35
di testa di troncatura
74 74
39-41 Tensione di forzamento Trasmissione 33-38 a cinghie 355-374 a fluido 44-45 a rapport-o variabile 51-56 con catene con ruot.e de n tal-e -62 con ruote di attrito 59-60 fra assi sghembi 125 idrocinetica 355, 362-373 idrostatica 355, 356-362 idroviscosa 355, 373-374 Tredgold, approssimazione di 112
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l
:no 81-82, 93 165-166 411 410 413, 419 80 78 78 188-189 73 ì2,ì3 7ì i3 74, 76
i4 i4
Vano normale 78 t.rasversale 78 Variat.ori continui di velocità 61, 62, 359 Velocità angolare negli ingranaggi il Velocità di strisciamento 73, 84, 129, 136 Vit-a di un cuscinetto 385-390 Vit-e 132, 199-218 a circolazione di sfere 211-218 differenziale 209-211 globoidale 139 multipla 211 13'>_ _ senza fine
Wau, meccanismo di Willis, formula di
2ì2 167
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