Linguistica Romanza, di Cahrmaine Lee. Riassunto. Filologia Romanza.Full description
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Costantino Paglialunga - Alla scoperta di Terra Cava (fonte edicolaweb)Full description
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Costanzo Di Glrolamo Charmaine Lee
Avviamento alla filologia provenzale
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La Nuova Italia Scientifica
Indice
Premessa
'I
Simboli fonetici e diacritici Introduzione linguistica i. Caratteri Caratteri del delprovenzale provenzale
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Denominazione Denorninazione della lingua / 1.2. Frontiere storiche e frontiere linguistiche / 1.3. i. Dialetti Dialetti e koine e koiné letteraria letteraria / 1.4. / 1.4. Lingua Lingua e grafie e grafie
Finito di Finito di stampare stamparenel nel febbraio febbraio 1996 1996 per i tipidelle delleArti ArtiGrafiche GraficheEditoriali Editorialisrl, srl,Urbino Urbino per tipi ISBN88-430-0391-7 TSBN 88-430-0391-7
Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo quest° volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, neppure per uso interno intern° o didattico.
4. 4. Sintassi Sintassi74 4• struttura della frase struttura della frase 1 • IlIi sAppendice. Nozioni di metrica e di poetica o st Esempi di scansione a nt iv Sigle Sigledei delcanzonieri canzonieri 95 o /I 4. 2. IlII v 7 er
74
87 92 92
95
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Premessa
Questo manualetto di filologia provenzale si compone di un'introduzione linguistica, di una parte antologica, e di un glossario. Il libro, destinato soprattutto all'università, vuole essere un agile strumento per l'apprendimento, individuale o guidato, dell'antico provenzale a partire dai testi stessi. Come finalità accessorie, ha anche lo scopo di familiarizzare il lettore con problemi di critica testuale e di versificazione (in appendice all'introduzione abbiamo anche aggiunto un breve capitoletto dedicato alle principali nozioni di metrica e di poetica). Benché la selezione antologica sia per sommi capi rappresentativa, esorbitavano dai limiti che abbiamo dovuto imporci l'interpretazione dei testi e l'inquadramento storico-letterario degli autori, per i quali lo studente dovrà ricorrere ad altri libri o alla guida in classe del docente. La letteratura provenzale presenta tratti fortemente atipici rispetto alle sue consorelle romanze: fiorita precocemente, nella seconda metà dell'xi secolo, essa è durata in vita per poco più di due secoli, travolta da tragiche vicende storiche (la Crociata contro gli albigesi: un vero e proprio genocidio) e dall'espansionismo della monarchia francese. Nonostante la sua breve esistenza e la relativa esiguità del corpus testuale sopravvissuto, la civiltà letteraria del Mezzogiorno francese ha lasciato tracce indelebili nella cultura e nelle letterature europee. Con i trovatori si può fare cominciare infatti la poesia moderna: una poesia laica, scritta nella lingua parlata e non più in latino, rivolta a uomini e a donne, interclassista, svincolata dal libro, inscinclibile dal canto. La loro concezione dell'amore, che è poi metafora esistenziale e di comportamento dell'individuo nella società, si impose in tutta Europa nel giro di pochi decenni, e forse, sia pure attraverso infinite mediazioni e deformazioni, ancora non è del tutto morta. Subito recepita nel Nord della Francia, essa permeò il genere romanzesco: il contributo più originale della cultura letteraria francese alla letteratura occidentale, il romanzo (quasi tutti gli altri generi
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
francesi sviluppano, o sono riconducibili a, precedenti clericali, cioè mediolatini), sarebbe impensabile senza la componente cortese di provenienza meridionale. In questo senso, alla letteratura provenzale può essere riconosciuto un ideale primato sulle altre letterature moderne, come già ben vedevano lettori che si chiamavano Dante, Stendhal, Nietzsche, Ezra Pound, Simone Wein Lo studente volenteroso che riuscirà a impossessarsi della sua lingua, una lingua, peraltro, molto vicina all'italiano, scoprirà nella letteratura d'oc insospettati tesori e forti personalità, vivacemente caratterizzate; e una buona conoscenza di questa poesia sfaterà anche il mito ingiustamente radicato di un Medioevo letterario convenzionale e ripetitivo nelle forme e nei contenuti, oscurantista e bigotto: questo non è vero in generale, ed è tanto meno vero per la letteratura provenzale. Una letteratura, la provenzale, fatta principalmente di lirica. Questa mancanza di varietà generica è un dato sostanzialmente vero, anche se alcune precisazioni e spiegazioni vanno aggiunte a questo rilievo. Anzitutto, l'idea di lirica che può avere in mente il lettore italiano, familiare, per quanto riguarda il Medioevo, con la lirica stilnovistica o petrarchesca (una lirica molto accuratamente distillata), non corrisponde affatto alla gamma poetica dei trovatori, che va dalla poesia d'amore a quella comica, parodica e oscena, alla satira, all'intervento politico, a note di epica, al dialogo (con spunti di teatralità), perfino a forme embrionali di racconto. Il primato della lirica, della lirica così intesa, nel Sud della Francia è probabilmente anche in rapporto con la forma della comunicazione letteraria, che era in origine puramente orale e appoggiata al canto a piena voce. Lo strappo più importante operato dai trovatori nei confronti della tradizione medievale precedente è quello di svincolare la poesia, la poesia d'arte, dal libro: di comporre poesia, e di comporla ovviamente per iscritto, ma destinata all'esecuzione dei giullari della lirica, veri e propri cantanti e abili musicisti, a differenza dei giullari dell'epica o dei cantastorie, che cantilenavano o semplicemente recitavano, raccontavano i loro testi. Forse la letteratura provenzale (meglio diremmo la poesia provenzale) è stata, più di quella francese o di altre, intransigentemente refrattaria al libro, e questo deve avere per forza di cose privilegiato il genere lirico, sovraccaricandolo del resto di componenti di altri generi. La "letteratura" era in realtà evento mondano, atto sociale, spettacolo: era l'esecuzione musicale e vocale di un giullare itinerante, diremmo oggi in tournée, alla presenza di un pubblico di intenditori di musica e di poesia, uomini e donne, nella sala di un castello o di un palazzo; era insomma qualcosa che non aveva nulla a che vedere con la lettura indivi12
PREMESSA
duale della poesia, e nemmeno con la lettura in piccoli gruppi o a coppie (Paolo e Francesca) dei romanzi. È solo a un certo punto, e per così dire soprattutto all'estero, che la poesia dei trovatori, prima trascritta su pergamene volanti (rottili) o su coolicetti di giullari, viene onsegnata ai grandi codici allestiti per le biblioteche dei collezionisti. Lo sfascio politico e sociale del Sud travolse per sempre le modalità originarie di comunicazione letteraria dei provenzali. Dante probabilmente non aveva nessuna idea di che cosa dovesse essere l'esecuzione di un giullare, e leggeva i suoi Arnaut Daniel, Giraut de Bomelh e Bertran de Born in un volume rilegato, muti del canto. C'è infine un'altra considerazione da fare quando si pensa che la letteratura provenzale sia in sostanza e prevalentemente una letteratura fatta di poesia lirica. ll movimento dei trovatori si sarà sicuramente imposto, per efficacia, qualità, prestigio internazionale, non in ultimo per la sua trasgressività, su altre forme di espressione letteraria, su altri generi; ma di tanti altri generi provenzali esistono comunque testimonianze e tracce, praticamente di tutti i generi della letteratura medievale romanza. Sono tuttavia testimonianze e tracce sparute e a volte modeste, si potrebbe dire casualmente sopravvissute. Una ragione di ciò è forse da cercare nella sorte della trasmissione dei testi. La letteratura francese è stata trasmessa dai francesi, quella italiana dagli italiani, quella castigliana dai castigliani, e così via. Alla fine del Medioevo, francesi, italiani e castigliani hanno severamente selezionato, sulla base del loro gusto o piuttosto per considerazioni "editoriali", diciamo di mercato, il patrimonio testuale dei secoli precedenti: la Chanson de Roland, nella sua versione più arcaica, ci è giunta in un modesto codicetto di giullare; un capolavoro come il Distano di Thomas ci è giunto a brandelli; a partire dal Trecento i Siciliani e Guittane in Italia non vengono più copiati; scarsa o nulla è la fortuna delle più grandi opere castigliane del xm e del m-v secolo, compreso il Cid (tramandato da un unico testimone), nei secoli successivi. Le opere del passato sono "superate": il romanzo in prosa, in Francia, soppianta nel gusto dei lettori quello in versi; in Italia gli stilnovisti e poi Petrarca cancellano i Siciliani e i Siculo-toscani; i sedicenti umanisti castigliani fanno di tutto per dimenticare il loro Medioevo... La letteratura provenzale, per converso, è un'eredità lasciata ai forestieri: agli italiani, ai catalani, ai francesi. Di questa letteratura italiani, catalani e francesi conoscevano principalmente o esclusivamente la lirica, che era stata l'inimitabile modello della loro lirica, ed evidentemente avevano scarso interesse per altri generi in lingua d'oc. In realtà non è affatto singolare il probabile naufragio di tante opere non liriche provenzali; è singolare semmai che il corpus lirico dei provenzali sia 13
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROV,ENZALE
stato ne. in parte salvato, e sia stato salvato fuori della sua terra d'origiI testi della nostra antologia sono disposti in ordine cronologico, o almeno tendenzialmente tale, perché la datazione di molte opere e gli estremi biografici di tanti autori sono incerti o controversi. A due testi arcaici, ascrivibili alla seconda metà dell'xi secolo, il Boeci e la Sanciti Fides, e a un documento del 1103, seguono subito le poesie del primo trovatore, Guglielmo vii conte di Poitiers e ix duca d'Aquitania (1071-1126); e poi quelle dei due grandi poeti della generazione successiva: Jaufre Rudel e Marcabru. Ricade nella seconda metà del mi secolo la produzione di Peire d'Alvernhe, di Bernart de Ventadorn, di Raimbaut d'Aurenga, della trobairitz Azalais de Porcaíragues, di Grani de Bornelh, di Bertran de Born. A cavallo dei due secoli vanno collocati i trovatori Folquet de Marselha, Amaut Daniel, Arnaut de Maruelh, Raimbaut de Vaqueiras, Peire Vidal, e l'altra apprezzabile trobairitz, la Contessa di Dia; inseriamo a questa altezza cronologica un altro documento, di area guascone, datato dal suo editore, su basi paleografiche, intorno al 1200. Tra i testi non lirici, è ascrivib3ile alla seconda metà del xn secolo il poema epico Girart de Rousstilon: l'epica provenzale si serve di una varietà di lingua letteraria ammiccante al francese, che doveva essere evidentemente identificato con la lingua dell'epica. Tra i primi testi didattici (forse del I t8o circa, se non è più tardo) sembra da annoverare l'ensenbamen al cavaliere di Arnau Guilhem de Marsan. Risale alla prima metà del 'cm secolo Datirel e Beton, altro poema epico con vistosi tratti linguistici francesi, e anche manifesto della cultura trobadorica e cortese, o per meglio dire giullaresca. Ugualmente intrise di cultura giullaresca sono le novas del catalano Raimon Vidal, a metà strada tra il racconto e la poesia didattica. Seguono, nella nostra selezione, i lirici del XIII secolo, rappresentati da Rigaut de Berbezith e Raimon de Miravai, poeti principalmente d'amore, ai quali si affianca la grande, qualitativamente e quantitafivamente, produzione satirica di Peire Cardenal e quella, minore ma per molti aspetti significativa, dell'italiano Sordel. Gli ultimi trovatori importanti dell'epoca della decadenza sono il catalano Cerveri de Girona, ideale maestro dei continuatori catalani della lirica d'oc (i catalani continuano a comporre in provenzale fino all'inizio del xv secolo), e Gni:rant Riquier, considerato a torto o a ragione l'ultimo trovatore (la sua ultima poesia databile è del 1292); collochiamo accanto a loro una cobla osceno-burlesca e una delicata alba, entrambe anonime. In effetti, dopo Guiraut Riquier sopravvive nel Mezzogiorno francese solo una poesia di scuola, ripetiti-
PREMESSA
va e accademica; a parte la sua scarsa qualità, viene anche meno, come abbiamo accennato sopra, la modalità caratteristica di diffusione di questa poesia, attraverso il canto e attraverso i giullari. La produzione non lirica del xiii secolo è rappresentata, nella nostra scelta, dalla Canzone della Crociata contro gli albigesi, dal romanzo arturiano Jaufre, dallo splendido romanzo cortese Flarnenca, dai cupi versi moralistici dell'Arlabecca, e dalla grandiosa enciclopedia dell'amor sacro, il Breviari di Matfre Ermengau (morto intorno al 1322); inseriamo qui anche un pezzo di teatro religioso, la Passione del manoscritto Didot. Infine, c'è la riflessione sui poeti e sulle arti della poesia. Le vidas e le razos (biografie e commenti), che in alcuni canzonieri accompagnano i testi poetici, sono il corredo del nuovo modo di circolazione, attraverso il libro, delle liriche trobadoriche, e testimoniano dei gusti e delle esigenze di informazione di un nuovo pubblico, soprattutto italiano. Anche rivolti a cultori non occitani della lirica in lingua d'oc sono i numerosi manuali di grammatica, di retorica, di metrica diamo qui per intero il secondo di due brevi testi catalani, i cosiddetti trattatelli di Ripoll. Concludono l'antologia alcune pagine di un altro trattato, le monumentali Leys d'Arnors, in una delle sue tre redazioni: a differenza delle altre trattazioni, l'opera è rivolta ai tardi continuatori meridionali dei trovatoti, riuniti attorno all'Accademia tolosana del Gai Saber. Qualche parola ora sui criteri di edizione dei testi. La maggior parte delle poesie dei trovatori è stata tramandata da più testimoni e questo ha fatto della provenzalistica il terreno ideale per l'applicazione del metodo di Lachmann o di metodi neolachmanniani; nei casi peggiori, ha prodotto edizioni gratuitamente composite. Ciò ha comportato seri interventi, da parte degli editori, sulle grafie. Alcune edizioni classiche e famose normalizzano la lingua dei poeti praticamente sulla base delle entrate del Petti dictionnaire provewal-franois di ani]. Levy, del 1909. In considerazione delle finalità di questo rnanualetto, ci è parso opportuno sottoporre al lettore i testi, o almeno la maggior parte dei testi, in una veste linguistica quanto più possibile reale, e non ricostruita a tavolino sulle grammatiche e sui lessici. Di qui la decisione di seguire da vicino, quasi sempre, un unico manoscritto, correggendone la lezione solo dove palesemente difettosa. Tale scelta non significa affatto che sottoscriviamo la filosofia bédieriana del buon manoscritto: questa filosofia, che pure ha diversi cultori tra i provenzalisti, non ci pare che abbia dato buoni risultati, almeno limitatamente ai trovatori, nella pratica ecdotica; nel caso dei trovatori, inoltre, gli interventi rimaneggiatori dei copisti non sono, normalmen-
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
te, di tale entità da imporla, com'è invece il caso di altri generi (per esempio della narrativa antico-francese). In conseguenza di queste decisioni, e del carattere didattico di questo volumetto, il lettore si imbatterà in tipologie diverse di edizione, che sommariamente qui di seguito elenchiamo, premettendo che di tutti i testi, tranne che di D'aisso lau Dku di Marcabru, del trattateli° di Ripoll e dei due documenti editi da Clovis Brune!, abbiamo visto gli originali o i microfilm del manoscritto usato come base, o di più o di tutti i manoscritti. Come dicevamo, la maggior parte dei testi riprodotti fotografa un unico manoscritto, corretto nell'indispensabile sulla base della nostra collazione di altri manoscritti o sulla base degli apparati critici delle edizioni più affidabili, o, com'è ovvio, congetturalmente emendato nel caso dei codices unici, Nostra è pertanto la responsabilità di questi testi (nei cappelli, la casella "Testo" seguita dal nome dell'editore è mancante), fatti salvi tutti i riconoscimenti, dichiarati in apparato, ai precedenti editori; in nessun caso abbiamo espresso apprezzamenti o critiche sulle edizioni esistenti, e in nessun caso ne abbiamo segnalato gli eventuali errori. Per dare tuttavia un'idea di edizioni critiche lachmanniane o neolachmanniane, con i loro apparati completi e non meramente funzionali alle finalità e all'economia di questo manualetto, abbiamo ripreso alcuni testi da edizioni critiche esemplari o quanto meno accreditate. Non ne abbiamo tentata in proprio nessuna perché non riteniamo che un'edizione critica di un unico testo basata sul confronto di tutti i manoscritti possa essere episodicamente intrapresa, possa cioè essere realizzata senza avere sodocchio la tradizione manoscritta complessiva di un autore, e soprattutto disgiungendo l'operazione ecdotica da quella interpretativa, che deve necessariamente fondarsi sull'insieme della produzione di un autore (questo purtroppo lo dimenticano, a volte, anche editori agguerritissimi). In un caso, quello di D'aisso di Marcabru, abbiamo riassunto il ragionamento dell'editore e ne abbiamo riportato per intero l'apparato; in altri due (jaufre Rudel e laufre) proponiamo due redazioni distinte dello stesso testo. Aggiungiamo che la casella "Edd." ["Edizioni"], nei cappelli, registra solo le edizioni principali, senza alcuna pretesa di esaustività bibliografica. Ringraziamo l'Institut de Recherche et d'Histoire des Textes (Parigi), dove abbiamo avuto la possibilità di svolgere una parte importante del lavoro. Saremo grati a quanti, colleghi e studenti, vorranno segnalarci errori o imperfezioni emendabili nelle prossime edizioni. 16
Simboli fonetici e diacritici
Si indica di seguito il suono corrispondente in italiano.
orto monte burro
[i] viso [e] mela [e] vento [a] male Consonanti [p] [b] [t] [d] [k] [g] [f] [v] [s] [z]
[ts] zucchero (nella pronuncia toscana e meridionale, "zeta sorda") [tl] cena [cI3] gelato [m] mano [n] nave [n] agnello [I] lato figlio [r] rosso
padre bello tale dare cane grande fama vero chiuso ("esse sorda") rosa ("esse sonora")
Semivocali Ewl quadro
[i] piede
Altri simboli utilizzati MAIUSCOLETTO voci latine
A quantità vocalica lunga quantità vocalica breve silaba aperta, cioè uscente in vocale
A accento tonico diventa deriva da forma non attestata e ricostruita
Introduzione linguistica
Caratteri dei provenzale 1.1. Denominazione della lingua Nell'elencare le principali suddivisioni delle lingue romanze si individua un gruppo galloromanzo per comprendere le parlate presenti nell'area geografica che corrisponde grosso modo alla Francia odierna, con qualche sacca ohrefrontiera in Belgio, in Svizzera e nell'Italia settentrionale; un gruppo che viene di solito identificato semplicemente con il francese. Storicamente, tuttavia, il galloromanzo è costituito da più di una varietà linguistica, le più importanti delle quali, dal punto di vista culturale, sono il francese e il provenzale. A rigore, il termine "provenzale" è improprio, riferendosi a uno solo dei dialetti galloromanzi meridionali, quello parlato tra il Rodano e le Alpi a sud della Durance: si tratta cioè della varietà meridionale più contigua all'Italia, e appunto ad ambienti italiani si deve l'estensione, nel corso del Medioevo, di questo termine a tutte le varietà meridionali e alla lingua letteraria del Sud. Concorrente a "provenzale" è il termine "occitano" o "occitanico", basato sull'espressione "lingua d'oc" documentata anche in Dante (oc "sì"), con la quale a partire dal xíli secolo si designava il complesso delle parlate meridionali. Se tuttavia è vero che "occitano" ha il vantaggio di comprendere tutti i dialetti meridionali sia medievali che moderni, è anche vero che "provenzale" si associa più specificamente all'epoca medievale e che è il termine favorito dalla grande tradizione filologica che dall'Ottocento in poi si è occupata della lirica dei trovatori. È appunto alla lingua di quest'epoca che è dedicato il presente manuale, il che giustifica il mantenimento del termine "provenzale". Al giorno d'oggi, i dialetti occitani, come tutti i dialetti un tempo esistenti sul territorio francese, sono in pericolo di estinzione, sopraf19
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZ . ALE
fatti dalla forza centripeta della varietà diffusa da Parigi e ridotti allo stato di patois, cioè di parlate rustiche con registri espressivi normalmente limitati. Nonostante gli sforzi fatti nel secolo scorso dal movimento del Félibrige, capeggiato da Frédéric A/Estrai, o negli anni Sessanta-Settanta di questo secolo da quanti hanno rivendicato il diritto di insegnare l'occitano a scuola, e nonostante una minoranza di intellettuali continui a parlarlo e a scriverlo (il Novecento conosce una produzione letteraria, soprattutto lirica, assai fine), le previsioni sul futuro di questa varietà non possono essere che pessimistiche. A differenza del catalano nella vicina Spagna, l'occitano in Francia sembra aver perso la sua battaglia per la rinascita. Va in ogni caso segnalata l'esistenza di una varietà regionale che introduce nella lingua francese parlata in quesearea alcuni tratti lessicali e anche fonetici tipici delle parlate occitane. Si pensi, per esempio, all'articolazione della r come /r/, più simile all'italiano, e non /R/ come in francese; alla tendenza a pronunciare la -e finale, laddove in francese è scomparsa; a una maggiore apertura delle vocali; o ancora al grado minore di nasalizzazione rispetto al francese: tutti aspetti che fanno parte del cosiddetto accent du 1.2. Frontiere storiche e frontiere linguistiche L'occitano, o provenzale, è dunque la lingua del Meridione della Francia, parlata, almeno in teoria, su un'area che corrisponde approssimativamente a un terzo del territorio nazionale a sud di una linea ideale che segue più o meno l'antica strada romana che andava da Aosta a Bordeaux, dalle Alpi Marittime all'estuario della Gironda, inarcandosi verso Nord fino a includere l'area del Massiccio Centrale. Oltre le frontiere della Repubblica francese, il provenzale è parlato anche in Italia, nelle Valli Valdesi della frangia occidentale della provincia di Torino e, sulla scia della fuga dei valdesi nel xv secolo, nella colonia da loro fondata a Guardia Piemontese, un paesino oggi di poche anime in provincia di Cosenza. Le principali frontiere linguistiche del provenzale sono con il francese a Nord, con l'italiano a Est e con il catalano a Sud; ma poiché è difficile tracciare una netta frontiera tra varietà linguistiche come queste, che vanno piuttosto considerate come facenti parte del continuum dialettale romanzo, possiamo isolare anche delle varietà di transizione sulle frontiere tra il provenzale e le varietà immediatamente a Nord e a Sud. Esse sono il franco-provenzale a Nord-Est nell'area alpina (Franca Contea, Lionese, Savoia, Svizzera Romanda, Val d'Aosta), un sistema dialettale, questo, isolato da Ascoli nel 20
INTRODUZIONE LINGUISTICA
1875; e a Nord-Ovest il pittavino (Poitou, Saintonge, Angoumois), la cui indipendenza come lingua è stata rivendicata molto più recentemente da studiosi come Pignon e Avalle, contro la tendenza a considerare queste parlate come parte del sistema dialettale della langue d'od oppure del provenzale a cui anticamente si avvicinavano maggiormente. A Sud-Ovest, sull'Oceano Atlantico, il guascone costituisce una varietà di transizione con le lingue iberoromanze, anche se molti Io considerano piuttosto un dialetto occitano con caratteristiche molto particolari. Infine anche il catalano sulla frontiera mediterranea sud-occidentale costituisce di fatto una varietà di transizione con l'iberoromanzo: dibattuta è la questione se esso appartenga a quest'ultimo gruppo o se non sia piuttosto da considerare come una varietà galloromanza. Alcuni studiosi lo includono tra i dialetti occitani, mentre la sua appartenenza all'iberoromanzo dipende in gran parte da questioni di ordine storico-politico che hanno fatto gravitare questa varietà nell'ambito iberico a partire dalla fine del Medioevo. Precedentemente, e fino almeno all'epoca di Ramon Llull ( '232-13 16), la lingua letteraria dei catalani era il provenzale, e lo resterà, limitatamente alla lirica e alla narrativa in versi, fino all'inizio del xv secolo. Il solco più netto dunque tra il provenzale e le altre varietà circostanti è quello con il francese, soprattutto se per francese intendiamo la varietà che a mano a mano si è affermata come lingua standard. Tale frontiera linguistica è rafforzata anche da divisioni di tipo culturale-che sembrano indicare la presenza di un'antica frontiera costituita dal Massiccio Centrale e dalla Valle della Loira, che il moderno assetto politico della Francia tende a nascondere. L'esistenza di tale frontiera ha influito sui tre periodi di formazione della lingua attualmente parlata nell'area. In primo luogo la popolazione preromana era composta al Sud da varie etnie: un'antica popolazione pirenaica (gli antenati, forse, dei baschi), e poi gli iberi, i liguri e infine lungo il Mediterraneo, i greci con le colonie fondate a Marsiglia, Nizza, Antibes, Monaco e Agde; al Nord predominavano invece i celti, che occuparono anche il Sud a cominciare dal tv secolo a.C., ma in numero molto minore che al Nord. In seguito, l'occupazione romana della Gallia ebbe luogo in due fasi diverse: prima al Sud nel 118 a.C., poi al Nord nel 51 a.C., quando nella parte meridionale era già consolidata la cultura romana. L'intera Gallia divenne presto una delle aree dell'Impero più acculturate, ma va notato che furono proprio le frontiere amministrative delle provincie romane a consolidare la divisione Nord-Sud. La Gallia contava due provincie meridionali, la Narbonensis e l' Aquitana, e due settentrionali, la Lugdonensis o Celtica e la Belgica: le frontiere fra le prime e le seconde furono fissate in epoca 21
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
augustea lungo la Vallata della Loira. Quando, sotto Diocleziano, la Gallia fu divisa in due diocesi, la Diocesis Galliae a Nord e la Viennenst:s. a Sud, la frontiera fra le due continuò a seguire quella augustea. Infine, alla caduta dell'Impero, con le invasioni barbariche, la Gallia meridionale subì un'occupazione germanica di entità e di tipo diverso rispetto al Nord. Essa fu occupata dai visigoti, poco numerosi e già romanizzati, che si stabilirono nel 425 a Tolosa, mentre il Nord fu travolto dai franchi. Più numerosi, più aggressivi e con precise mire di colonizzazione, i franchi avevano avuto pochi contatti con i romani e imposero dunque la loro cultura e anche la loro lingua sul Nord del paese. Nel 507 sconfissero i visigoti, spingendoli verso la Penisola Iberica, ma, come era avvenuto in precedenza con i celti, la loro occupazione dell'area al di sotto del Massiccio Centrale era più che altro nominale. Nel Sud, relativamente indipendente, rimasero vive la cultura e le istituzioni romane, e ciò ha a sua volta consolidato la frattura tra Nord e Sud durante l'alto e medio Medioevo. Una frattura che diventa anche politica nel xit secolo: la riorganizzazione del potere statale vede contrapposti i Capetingi a Nord e i Plantageneti a Sud, fino al Trattato di Parigi del 1229, seguito alla Crociata albigese, che segnò il passaggio definitivo del Mezzogiorno alla corona francese. Da un punto di vista strettamente linguistico il provenzale si distingue dal francese in base a sei tratti principali. i. In provenzale, ad a tonica in sillaba libera, cioè uscente per vocale, corrisponde e in francese: mar/mer, prat/pré (cfr. it. mare, prato). 2. Ad -a finale corrisponde -e in francese (gli esempi si riferiscono al periodo medievale: in francese moderno la vocale finale si è dileguata, mentre in occitano moderno -a > -o): porta/porte /porto/ (cfr. it. porta). 3. Ad e e o (aperte) toniche in sillaba libera corrispondono i dittonghi francesi ie e ue: mei/Intel, cor/cuer (> fr. mod. coeur) (cfr. it. miele, cuore). 4. Ad e e o (chiuse) toniche in sillaba libera corrispondono i dittonghi francesi ei (> oi) e ou ( > eu): tela/teile (> tode), llor/flour (> fieur) (cfr. it. tela, fiore); questi ultimi due esempi rivelano come il provenzale, a differenza del francese, non conosca la dittongazione spontanea delle vocali mediane latine. 5. Alle consonanti occlusive sonore in posizione intervocalica corrispondono una consonante fricativa sonora o l'assenza di consonante: ribalrive, vtda/vie, amiga/amie (in questo il provenzale si avvicina di più alle lingue iberoromanze e galloitaliche, che nel processo di leni22
INTRODUZIONE LINGUISTICA
zione, di indebolimento, delle consonanti occlusive sorde latine in posizione intervocalica si fermano alla prima fase, cioè alla semplice sonorizzazione, mentre il francese arriva alla fricatizzazione e spesso al dileguo della consonante) (cfr. it. riva, ma merid. ripa, vita, amica). 6. Il dittongo au, che mantiene lo stesso dittongo latino, è reso come o in francese: aur/or, aurelhaloreille (cfr. ti. oro, orecchio). Questi sei tratti corrispondono ad altrettanti fenomeni che riguardano l'evoluzione dal latino alle varietà galloromanze. Per ognuno di essi esiste una linea ideale a nord della quale avviene l'evoluzione "francese" e a sud della quale avviene quella "provenzale". Questa linea, che segue il tracciato della frontiera menzionata sopra, costituisce ciò che in dialettologia è chiamata un'isoglossa, e la presenza di ben sei isoglosse che seguono lo stesso tracciato, costituendo un fascio di isoglosse, rende ancora più marcata la divisione tra queste due varietà. Se possiamo fare una distinzione globale tra francese e provenzale, ciò non significa tuttavia che quello che stiamo chiamando provenzale o occitano sia una lingua unitaria: al contrario, il provenzale si articola in vari dialetti. Una lingua molto uniforme è normalmente il risultato di un processo di standardizzazione che avviene a un certo punto nella sua storia per motivi non strettamente linguistici. L'esigenza di numerose corti feudali nel Sud della Francia durante il Medioevo ha semmai favorito la conservazione di differenze regionali. Di fatto anche il francese, che oggi appare una lingua così uniforme, conosceva una variazione regionale più marcata durante il Medioevo e fino all'incirca all'ultimo terzo del 'un secolo, quando la monarchia riuscì a domare i baroni feudali, gettando le basi per la diffusione sul territorio nazionale della varietà della zona di Parigi come lingua standard. Questo è avvenuto anche a scapito del provenzale. Il consolidarsi del potere della monarchia francese portò alla distruzione delle corti meridionali e alla decadenza della cultura nata attorno a esse e che trovava la sua espressione nella lingua provenzale. Nel Sud della Francia insomma non si sono mai date le condizioni storiche per lo sviluppo di una varietà standard. 1.3. Dialetti e koiné letteraria Si usa distinguere cinque gruppi dialettali: il timosino, parlato oltre la Dordogna a ovest del Massiccio Centrale; l'aivermate, parlato nel Massiccio Centrale; l'alpino-delfinatese, parlato fra l'Alvernia e le Alpi; il linguadociano, parlato fra la Garonna e il Rodano e che costituisce 2 3
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
augustea lungo la Vallata della Loira. Quando, sotto Diocleziano, la Gallia fu divisa in due diocesi, la Diocesz:v Galliae a Nord e la Viennensis a Sud, la frontiera fra le due continuò a seguire quella augustea. Infine, alla caduta dell'Impero, con le invasioni barbariche, la Gallia meridionale subì un'occupazione germanica di entità e di tipo diverso rispetto al Nord. Essa fu occupata dai visigoti, poco numerosi e già romanizzati, che si stabilirono nel 425 a Tolosa, mentre Nord fu travolto dai franchi. Più numerosi, più aggressivi e con precise mire di colonizzazione, i franchi avevano avuto pochi contatti con i romani e imposero dunque la loro cultura e anche la loro lingua sul Nord del paese. Nel 507 sconfissero i visigoti, spingendoli verso la Penisola Iberica, ma, come era avvenuto in precedenza con i celti, la loro occupazione dell'area al di sotto del Massiccio Centrale era più che altro nominale. Nel Sud, relativamente indipendente, rimasero vive la cultura e le istituzioni romane, e ciò ha a sua volta consolidato la frattura tra Nord e Sud durante l'alto e medio Medioevo. Una frattura che diventa anche politica nel >ai secolo: la riorganizzazione del potere statale vede contrapposti i Capetingi a Nord e i Plantageneti a Sud, fino al Trattato di Parigi del 1229, seguito alla Crociata albigese, che segnò il passaggio definitivo del Mezzogiorno alla corona francese. Da un punto di vista strettamente linguistico il provenzale si distingue dal francese in base a sei tratti principali. i. In provenzale, ad a tonica in sillaba libera, cioè uscente per vocale, corrisponde e in francese: mar/ mer, prat/pré (cfr. it. mare, prato). 2. Ad -a finale corrisponde -e in francese (gli esempi si riferiscono al periodo medievale: in francese moderno la vocale finale si è dileguata, mentre in occitano moderno -a > -o): porta/porte /porto/ (cfr. it. porta). 3. Ad e e o (aperte) toniche in sillaba libera corrispondono i dittonghi francesi ie e ne: mel/miel, cor/cuer (> fr. mod. coeur) (cfr. it• miele, cuore). 4. Ad e e o (chiuse) toniche in sillaba libera corrispondono i dittonghi francesi ei (> oi) e ou ( > eu): tela/tezle (> toile), llor/Ilour (> ileur) (cfr. it. tela, fiore); questi ultimi due esempi rivelano come provenzale, a differenza del francese, non conosca la dittongazione spontanea delle vocali mediane latine. 5. Alle consonanti occlusive sonore in posizione intervocalica corrispondono una consonante fricativa sonora o l'assenza di consonante: riba/rive, vida/vie, amiga/ arnie (in questo il provenzale si avvicina di più alle lingue iberoromanze e galloitaliche, che nel processo di lezzi . 22
INTRODUZIONE LINGUISTICA
zione, di indebolimento, delle consonanti occlusive sorde latine in posizione intervocalica si fermano alla prima fase, cioè alla semplice sonorizzazione, mentre il francese arriva alla fricatizzazione e spesso al dileguo della consonante) (cfr. it. riva, ma merid. riPa, vita, amica). 6. Il dittongo au, che mantiene lo stesso dittongo latino, è reso come o in francese: aur/or, aurelha/orezile (cfr. it. oro, orecchio). Questi sei tratti corrispondono ad altrettanti fenomeni che riguardano l'evoluzione dal latino alle varietà galloromanze. Per ognuno di essi esiste una linea ideale a nord della quale avviene l'evoluzione "francese" e a sud della quale avviene quella "provenzale". Questa linea, che segue il tracciato della frontiera menzionata sopra, costituisce ciò che in dialettologia è chiamata un'isoglossa, e la presenza di ben sei isoglosse che seguono lo stesso tracciato, costituendo un fascio di isoglosse, rende ancora più marcata la divisione tra queste due varietà. Se possiamo fare una distinzione globale tra francese e provenzale, ciò non significa tuttavia che quello che stiamo chiamando provenzale o occitano sia una lingua unitaria: al contrario, il provenzale si articola in vari dialetti. Una lingua molto uniforme è normalmente il risultato di un processo di standardizzazione che avviene a un certo punto nella sua storia per motivi non strettamente linguistici. L'esistenza di numerose corti feudali nel Sud della Francia durante il Medioevo ha semmai favorito la conservazione di differenze regionali. Di fatto anche il francese, che oggi appare una lingua così uniforme, conosceva una variazione regionale più marcata durante il Medioevo e fino all'incirca all'ultimo terzo del xill secolo, quando la monarchia riuscì a domare i baroni feudali, gettando le basi per la diffusione sul territorio nazionale della varietà della zona di Parigi come lingua standard. Questo è avvenuto anche a scapito del provenzale. Il consolidarsi del potere della monarchia francese portò alla distruzione delle corti meridionali e alla decadenza della cultura nata attorno a esse e che trovava la sua espressione nella lingua provenzale. Nel Sud della Francia insomma non si sono mai date le condizioni storiche per lo sviluppo di una varietà standard. 1.3. Dialetti e koiné letteraria Si usa distinguere cinque gruppi dialettali: il /in/osino, parlato oltre la Dordogna a ovest del Massiccio Centrale; 1' alverniate, parlato nel Massiccio Centrale; l' alpino-delfinatese, parlato fra l'Alvernia e le Alpi; il linguadociano, parlato fra la Garonna e il Rodano e che costituisce 23
l'area più ampia che include le sottovarietà del caorsino, dell'albigese, del tolosano, del narbonese e le città di Montpellier e Nirnes; il provenzale in senso stretto, parlato nell'antica contea di Provenza, nel Comté Venaissin e nelle città di Avignone, Marsiglia e Nizza. Tale divisione dialettale è rimasta grosso modo stabile dall'epoca medievale sino ad oggi: si tratta degli stessi dialetti con cui devono fare i conti coloro che tentano di fare rivivere l'occitano e di fissarne uno standard. Questi dialetti formano due grandi gruppi: un tipo settentrionale (limosino, alverniate, alpino-delfinatese), e uno meridionale (lingua2 4
dociano e provenzale). Il tratto che li distingue è principalmente la presenza di una palatale affricata nei dialetti del Nord in corrispondenza di una occlusiva velare seguita da a al Sud: chantar/cantar; chastellcastel; brancha/branca; fot/gaug; plaja/plaga. Il tipo settentrionale corrisponde anche al francese: chanter, chateau, branche, joi(e), plaie, e rappresenta di fatto un'evoluzione particolare delle occlusive velari latine seguite da a, comune a un'area che include il francese (escluso restremo Nord-Est), i dialetti occitani settentrionali, il retoromanzo, e alcuni dialetti gallo-italici, costituendo unisoglossa spostata più verso il Sud rispetto al fascio di isoglosse menzionato sopra. Infine, come si diceva, un sesto gruppo sarebbe costituito dal guascone, mentre per alcuni studiosi il catalano formerebbe un ulteriore gruppo dialettale. Comunque sia, all'epoca che ci interessa, si considerava il guascone una lingua a parte, come testimonia il descort di Raimbaut de Vaqueíras, componimento scritto in cinque lingue diverse di cui una è il guascone, che compare accanto al provenzale. Il catalano a sua volta, come dicevamo, non era considerato una lingua letteraria all'epoca "classica" dei trovatori. L'assenza di uno standard, dunque, e l'esistenza di diversi dialetti pongono il problema di come caratterizzare precisamente la lingua usata nel più ampio corpus scritto in provenzale medievale, quello dei trovatori. Ora, uno sguardo ai testi ci rivela la presenza di forme dialettali concorrenti non solo da un testo all'altro dello stesso poeta, ma perfino all'interno dello stesso testo: in Guglielmo ix (5) troviamo per esempio be, re, cove, bo, con perdita della n detta caduca, contro bon; in Jaufre Rudel (6A e B) chan, jauzen, foios contro cavals. Ciò pone un problema che riguarda le copie, il momento della trasmissione scritta di questa poesia, destinata in origine al canto. I copisti medievali, soprattutto di testi volgari, non avevano, come è risaputo, la stessa concezione della copia che si ha oggi, ma tendevano ad adattare la lingua del testo alla varietà da loro parlata. Così, un copista provenzale, copiando un testo limosino, avrebbe incluso dei provenzalismi, e viceversa. Il problema è ancora più grave per i testi trobadorici in quanto in fin dei conti sono pochi i canzonieri che provengono dal Meridione della Francia, mentre la maggior parte sono stati esemplari in Italia, in Catalogna, e alcuni nel Nord della Francia, sicché non mancano italianismi, catalanismi, francesismi. Si aggiunga a ciò l'abitudine degli editori moderni di rispettare la veste linguistica del manoscritto scelto come base dell'edizione. Poiché spesso le singole canzoni di uno stesso autore hanno una tradizione manoscritta diversa, cioè non sono sempre state copiate tutte insieme come opera omnia del poeta e trasmesse come tale attraverso i secoli, 25
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può capitare che la veste linguistica cambi da una canzone all'altra all'interno di un singolo corpus di canzoni. Non possiamo tuttavia incolpare esclusivamente i copisti e gli editori di queste apparenti mescolanze, in quanto sono gli stessi poeti che usano forme provenienti da dialetti diversi. La conferma ci è data da luoghi particolari delle poesie, resistenti per definizione ad alterazioni, e cioè dalle parole in rima. Per fare solo un esempio, un poeta come Giraut de Bornelh, originario del Limosino, usa la forma foneticamente meridionale dicha al posto della forma settentrionale e sud-occidentale dita in rima con richa, forma propria della sua area dialettale, mentre altrove usa la forma settentrionale e sud-occidentale delitz (la forma meridionale sarebbe delichs) in rima con quella panoccitana grazitz: Giraut impiega cioè opportunisticamente forme provenienti da aree dialettali diverse per esigenze metriche. Tutto ciò rivela che la lingua dei trovatori era in sostanza una koMé sopradialettale, una lingua con elementi derivati da diversi dialetti, selezionata, epurata e accettata dai poeti come veicolo specifico della poesia lirica; da poeti non solo provenienti dal Meridione della Francia ma anche dalla Catalogna e dall'Italia. In mancanza dunque di uno standard linguistico emanato da qualche centro politico, si è venuto formando uno standard associato a un genere letterario particolare, quello appunto della lirica. Come si sia formata questa koiné, che già i primi trovatori accettano e utilizzano, e quale sia il dialetto che ne è principalmente alla base, aprendosi poi a forme provenienti da altre aree, è un problema ancora non completamente risolto. Si potrebbe pensare che i termini usati anticamente per riferirsi a questa lingua siano di qualche aiuto per determinarne l'origine, ma di fatto non è così. Nei testi più antichi si trova l'espressione lenga romana, che però oppone semplicemente la lingua volgare al latino. Sempre per contiguità di area si trova il termine provenzale, usato come si è detto dagli italiani, pittavino, usato dai francesi, e perfino guascone. Nessuna di queste varietà sembra tuttavia avere rappresentato la base principale per la koiné. Più influente su di essa sembra essere stata invece la varietà che nel 'cm secolo autori originari della Catalogna, come Raimon Vidal de Besalú, denominano lengua lemosina o Ilemosi, limosino. In effetti, un grande centro culturale attivo immediatamente prima della fioritura trobadorica, e che ha sicuramente influenzato la metrica e la musica dei trovatori, era l'Abbazia di San Marziale a Limoges. Il primo trovatore a noi noto, Guglielmo ix d'Aquitania, proveniva da quest'area e, anche se non sarà stato proprio il primo trovatore, sembra che questa poesia sia nata nelle terre che formavano i suoi domini. Il 26
INTRODUZIONE LINGUISTICA
fatto per esempio che un termine-chiave dell'ideologia cortese come joi abbia una veste fonetica settentrionale (l'esito meridionale è gaug), e che sia accettato da tutti i trovatori, sembrerebbe indicare una base settentrionale della koiné. Questa però rimane comunque un'ipotesi non del tutto dimostrabile, perché anche i testi più antichi non lirici geograficamente localizzabili rivelano tratti appartenenti ad altre aree dialettali. E il caso del Boeci, databile alla seconda metà dell'xi secolo e proveniente dall'area lirnosina, nonché della Canzone di Sancta Eides della stessa epoca e proveniente probabilmente dall'area di Narbona. Si deve insomma concludere che si sarà verificato per il provenzale ciò che è stato osservato anche per il francese antico, e cioè la formazione di scriptae locali, che costituiscono una lingua convenzionale usata per scrivere e che non corrispondono esattamente alle varietà parlate, scriptae contenenti appunto numerose forme «comuni" o appartenenti ad altri dialetti. Se si mette la questione in termini di una scrtpta, si può pensare che quella che servì come veicolo della lirica si fosse irradiata in un primo momento dall'area limosina, ma essa non è tuttavia l'unica scripta documentata. L'importanza, per esempio, della corte di Tolosa a partire dalla seconda metà del mi secolo portò alla formazione di una scripta a base linguadociana, la quale sarà predominante come lingua dell'amministrazione: è infatti quella dei primi documenti legali occitani, e più tardi troverà impieghi letterari, soprattutto in testi non lirici, fino al xv secolo. Va ricordata infine l'esistenza di un'altra scripta, piuttosto artificiale, il cui uso è limitato a uno specifico genere letterario, quello epico. Essa contiene molte forme francesizzate, talvolta anche errate, in modo da produrre una lingua letteraria definita da Avalle "franco-occitana" (che non va ovviamente confusa con il franco-provenzale di cui si è parlato sopra), una lingua simile per alcuni aspetti al franco-veneto impiegato nella poesia epica dell'Italia settentrionale. 1.4 Lingua e grafie Il problema del rapporto tra scritto e parlato ci porta a un'ultima precisazione che va fatta prima di passare a una descrizione del provenzale. Sarebbe più che banale dire che tutta la documentazione che possediamo sull'antico provenzale è una documentazione scritta, sia pure di tipo differenziato. La lingua moderna d'altronde, che ha ovviamente subito un'evoluzione dal Medioevo, non può essere usata ciecamente come base per delle conclusioni sulla lingua antica; e si è appena detto che i testi scritti usano una scripta che è per definizione
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mista dal punto di vista delle varietà. Ma un'altra difficoltà riguarda le grafie delle parole, che non ci dicono sempre molto sulla loro pronuncia. Una simile situazione non è sconosciuta neanche oggi: basti pensare a una lingua come l'inglese o, in area romanza, al francese per capire come il sistema grafico di una lingua sia una convenzione e non una rappresentazione fedele del sistema fonetico. II problema, nel caso delle lingue romanze medievali, è che esistono diversi sistemi grafici concorrenti e nessuna convenzione che li regola. Un ulteriore problema è dato dalla posizione del latino, che era la lingua della cultura per eccellenza. Chiunque sapesse scrivere, inclusi ovviamente i copisti dei testi volgari, era stato a scuola e aveva imparato, sia pure rudimentalmente, il latino e il suo sistema grafico, che era in ogni caso l'unico disponibile per una rappresentazione grafica delle lingue neolatine nel momento in cui è nata la coscienza della loro diversità dal latino e l'esigenza di dare a esse una forma scritta. Esiste quindi una tensione continua nei sistemi grafici anche di singoli testi tra grafie etimologiche e grafie evolute, che tentano cioè di rappresentare la parola come effettivamente pronunciata, ma sempre con il ricorso a grafemi latini. Tra questi due estremi esistono anche residui di sistemi intermedi, che rappresentano una fase precedente dell'evoluzione della lingua o anche del latino, non sempre in linea con le norme "classiche". Il risultato di tutto ciò è che alcuni grafemi possono rappresentare più di un suono, mentre alcuni suoni possono essere rappresentati da più grafemi, il che porta anche a segni ridondanti oppure polifunzionali, non sempre di facile interpretazione. Per esempio la consonante occlusiva velare sorda /k/ può essere rappresentata da c, come in latino: coratge, cort, contra (5.23, 35, 26), ma anche da qu, soprattutto prima di una vocale anteriore: qui, aquest, que-s (5.11, 45, 35), ma anche prima di vocale posteriore o a: quar, aquo (5.8, 14), quastiazo (1.22). Questo perché in provenzale non esiste più il suono labio-velare /ler/ rappresentato dal &gramma QU in latino, che è così disponibile a rappresentare la semplice velare, mentre viceversa la grafia etimologica qu può anche essere sostituita da c: c'anc (5.14). Si trova anche per questo fonema ch: charcer, chastia (171, 49), e perfino k: kadenas (nel Boeci, ma non nel nostro brano). La preferenza per il digramma qu = /k/ prima di una vocale anteriore dipende dal fatto che nell'evoluzione della lingua la combinazione c (/k/) + a, i aveva subito una palatalizzazione dando l'esito /s/ in provenzale e i copisti sono dunque coscienti del fatto che la combinazione grafica ce, ci può essere intesa come !se!, /si/, sicché troviamo un'oscillazione tra grafie etimologiche: aicels, cel, cellui (5.29; 28
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8.17, 20) ed evolute: ayselh, so, sertanamens (4.4; 5.20, 22), che impiegano il grafema che normalmente rappresenta la sibilante sorda /s/. La comparsa di una serie di fonemi palatali come risultato dell'evoluzione della lingua dal latino, lingua che non conosceva tali suoni, ha anche costretto i colpisti a piegare l'alfabeto latino a rappresentarli, spesso con il ricorso a digrammi (basti paragonare l'impiego in italiano di gli e gn rispettivamente per la palatale laterale e quella nasale). Così la palatale laterale /A/ è resa normalmente lh, li, III, quella nasale / .per esempio, ma non nel brano riportato). La palatale affricata itS/ 1resa normalmente con ch, ma in posizione finale lo stesso suono può essere reso anche con g, dich, dig, dth; è inoltre chiaro che solo 1 un'analisi del sistema grafernatico di un testo ci potrà dire se ch, al/meno in certe posizioni (ch + a, per esempio), rappresenti la velare n oppure la palatale /4/. Si cercherà nelle pagine seguenti di chia/k/ hrire ogni volta i singoli fonemi e la loro rappresentazione grafica, ma ,quanto appena detto darà qualche idea della difficoltà di offrire un'adeguata descrizione del sistema fonetico di una lingua di cui si posi siede solo una documentazione scritta, e per giunta in un sistema di gscrittura (o in sistemi di scrittura) che non conosce ancora una nornma accettata da tutti. , 2 g Fonetica n , 2.1. Vocalismo u 2.1.1. Vocalismo tonico n , In n posizione tonica, cioè nella sillaba su cui cade r accento della parola, l'antico provenzale ha sette fonemi vocalici orali (articolati solo ycon il passaggio dell'aria attraverso la bocca). Siamo in grado di sta( bilire ciò dallo studio delle rime, molto accurate soprattutto nella e poesia lirica, e da considerazioni di tipo storico. Ogni vocale può rimare solo con se stessa, sicché se troviamo che due vocali, uguali dal p punto di vista della rappresentazione grafica ma di provenienza die versa dal punto di vista etimologico, non rimano mai, allora possiamo rsupporre con relativa certezza che esse sono di fatto due fonemi difversi. Questi fonemi vocalici possono essere rappresentati schematicai mente nel modo seguente sul "trapezio" delle vocali (che ne segna il punto di articolazione nella bocca): n o g ,
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chiuso
/n/ poteva poi anche dileguare: efan : gran ( < INFANTEM, GRANDEM) (10.45, 48).
anteriore
posteriore
/e/ Esempi: novel, cem, cert, pe, cel. Proviene da È' breve latina o da AE in qualsiasi tipo di sillaba (nei nostri esempi da NOVELLUM, C'ERVUM, CERTUM, PEDEM, CAELUM).
a aperto
/e/ Esempi: aver, saber, poder, veri', sei, pena. Deriva da È" lunga latina oppure da I in qualsiasi tipo di sillaba o dal dittongo OE (nei
Il sistema delle vocali toniche dell'antico provenzale riflette fedelmente ciò che doveva essere l'evoluzione del sistema vocalico dal latino classico a ciò che chiameremo per comodità il latino volgare, ma che potremmo anche chiamare tardolatino o protoromanzo Il sistema classico consisteva in cinque vocali: AEIO u, ognuna delle quali poteva essere lunga o breve. Tale distinzione era fonologica, cioè la sostituzione di una vocale lunga con la sua corrispondente breve poteva cambiare il significato o la funzione grammaticale della parola. Ciò costituisce un sistema di dieci fonemi vocalici. A causa di modifiche riguardanti la struttura della sillaba, il tipo di accento e il timbro delle vocali, questo sistema fu ridotto in vaste aree dell'Impero, incluso il territorio dell'antica Gallia, a sette vocali nel modo seguente: A
o
o Sono queste sette vocali che danno conto del sistema provenzale, come anche di quello catalano, francese, retoromanzo, italiano standard (ma non di tutti i dialetti italiani), castigliano e portoghese. Il latino classico aveva anche tre dittonghi: AE, 0E, AU, di cui i primi due si erano ridotti nel latino volgare rispettivamente a /E/ e /e/, seguendo poi la stessa evoluzione delle corrispondenti vocali semplici. /a/ Esempi: prat, portar, delgat, usatge, blanc. Proviene da A tonica latina o germanica in qualsiasi tipo di sillaba: nei nostri esempi da
nostri esempi da HABERE, SAPERE, POTERE, VÌRIDEM, ECCE ILLUM, POENA).
Una e più chiusa poteva anche derivare da M/ etimologica in posizione prenasale: ben, be; tems; coven, cove (derivati da BENE, TEMPUS, CONVENIT), ma non è sicuro si tratti di /e/ poiché generalmente rima con se stessa: be : re : cove : mante ( < BENE, REM, CONVENIT, MANTENIT) (5.7-12).
li/ Esempi: auzir, ric, 17 .nica in qualsiasi tipo di sillaba (nei nostri esempi da AUDfRE, " CUM, RfVUM, visum). RICU, ViSUM • Deriva da i Talvolta si trova /i/ derivata da È lunga latina germa- una palatale, /X/ o /p/, che tende a chiudere queste sonooe seguite - lunga i breveda latine quando la vocale precedente per apolonla (alternanza vocalica, appunto, in presenza di particolari suoni): meramlbos rispetto a meravelhos ( < MIRABlitosum). /i/ può anche risultare dalla chiusura di /e/ per metafoMa (l'influenza su una vocale di un'altra vocale vicina nella parola; nelle lingue romanze tale vocale consiste normalmente in /i/ o /u/ finale, che può poi dileguare): fu, I remoto di fazre ( < FEci), citi < * a persona singolare del passato ECCE ILLf. /O/ Esempi: cor, dol, n2ort, ome. Proviene da 6 breve latina ( Ce5R, DÒLUM, MÒRTUM, HÒMINEM).
/o/ Esempi: amor, cort, flor, gola, molt. Proviene da 6 lunga e latine (AMÓREM, COHÓRTEM, FLOREM, GÚLA, MIUTUM).
Come per le vocali anteriori mediane anche le posteriori sono influenzate da una consonante nasale seguente e avremo una o più
a particolare con pronuncia stretta, detta a estreita, in posizione prenasale (davanti a /n/ o /m/), che poteva rimare solo con se stessa; la
r. Da questi ultimi esempi si può capire quanto sia stato importante il ruolo della metafonia nella morfologia del provenzale, creando, per esempio, alternanza vocalica nella coniugazione dei verbi: FECI > fiS rispetto alla 3. persona singolare dello stesso tempo FECIT > fes, o nella declinazione dei dimostrativi: ECCE ILLI > al, nominativo maschile singolare, rispetto a ECCE ILLUM > cel, accusativo maschile singolare.
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PRATUM, PORTARE, DELICATUM, * USATICUM, Dallo studio BLANK). delle rime risulta che il provenzale aveva anche una
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chiusa dove ci si aspetterebbe una /0/: pon, bo(n), raison/raizo PONTEM, BONUM, RATIONEM). Anche qui, però, questo suono rima generalmente con se stesso: sermo : razo : fallo : nom ( < SERMONEM,
LAEI, ALTERUM + II 'ERI, e in questo caso può anche coesistere affianco alle forme senza dittongo: metiz, meu, Deu, eu, lei. Il dittongo ie anche il risultato dell'evoluzione del suffisso - A RIUM : cfr. cavalier, pri-
sermo (1.20-23), che avvicinerebbe il suono a /o/. /u/ Esempi: cura, nulla, una. Proviene da f1 lunga latina (cífilAm, t\a da - /o/ seguita da palatale: punh ma anche potnh ( < PUGNUM), oppure dalla chiusura di /o/ per metafonia: dui, tug ( < DUI, Torri). n, Non è del tutto chiaro, infine, se questo fonema fosse effettivaL mente /u/ come in italiano oppure se era /y/ come in francese e come è pronunciato in occitano moderno. Sembra che il cambio sia A avvenuto durante il Medioevo, ma poiché esso rima sempre con se m, stesso non si hanno le basi per stabilirne la precisa qualità. 13 2.1.2. Dittonghi N Il1provenzale era anche caratterizzato da numerosi dittonghi e trittonghi A in posizione tonica. Essi sono il risultato dell'evoluzione condizionata di alcune vocali toniche, vocali cioè che vengono influenzate dal m contesto fonetico della parola. In questo rispetto il provenzale si di). stingue da lingue come il francese, ma anche il castigano e il toscano, C che conoscono anche una dittongazzone spontanea di certe vocali toniche, fenomeno che non avviene in provenzale. Nella lingua letteo raria le forme con dittongo coesistono talvolta affianco a quelle senza. m I dittonghi principali sono: e la Esempi: aur, aura, causa, lau, pauc, autre, paraula, suau. Il proau venzale, a differenza della maggior parte delle lingue romanze occivo dentali, mantiene il dittongo AL; latino, nonché germanico, inalterato ca (si confrontino gli esiti italiano oro, francese e catalano or, ma portole ghese ouro); il dittongo è però anche il risultato della vocalizzazione anb, v o i che si trovano in posizione preconsonantale sia nell'etimo di che te per effetto dell'evoluzione fonetica con la caduta di una vocale atona; rio i nostri esempi dunque derivano da AURUM, AURAM, CAUSAM, L AUDO, PAUCUM, ALTERUM, PARAB(0) LAM, SUAV (E)M. re ie/i/Esempi: mieillz tongo ,an mietiascendente (accentato sul secondo elemento) che è il risultato in primoku, luogo di una /E/ condizionata dalla presenza di una palata,ch Dieu, hai, le, di uno iato, oppure di metafonia: mtmus, múum, ptum, ÚGO, ILe / autrier, cavalkr, u/ primier. Dit3 pu 2 ò
uo/ue Esempi: fuelha, cuelha, vuelha, buoill/huelb, orguotil, luenh, luoc/ luec, juec, fuoc. Dittongo ascendente, esso risulta dalla dittongazione di /o/ nelle stesse condizioni che /a/ > FÒLIA, CÒLLIGAT, VÒ -LEAT, iSCULUM, * URGOLI, senza dittongo: foilla, oill, loigna ( < LUNGAM ) • Lo stesso dittongo LUNGUM); sono puòpossibili risultare in presenza della consonante velare /k/: Locum, tocum, anche le forme FOCUM, sempre affianco a forme senza dittongo: loc, joc, foc. Come si può vedere dall'esempio di mieti, Dieu, ieu il dittongo si combina anche con altri elementi vocalici nella parola producendo un trittongo. È infatti dalla combinazione di elementi vocalici o di una vocale più yod o wau, risultante anche dalla vocalizzazione di una consonante, che derivano gran parte degli altri dittonghi e trittonghi nel provenzale. eu Esempi: breu, deu, leu, beure. Provengono dall'incontro di /8/ o /e/ con la semivocale /w/ derivata da b, v, < BREVEM, DEBET, LEVEM, BIBERE, BELLITATEM.
2 di . li/ con la semivocale /w/ dovuta a vocalizzazione di b, v: < RIVUM, SCRIBERE, VIVUM, VIVERE. 1 4 ai Esempi: fatt, laisa, paire, mais, ai. Proviene dall'incontro di a con yod di varia origine: < FACTUM, LAXAT, PATREM, MAGIS, HABEO. E sei Esempi: rei, lei, dei, dreyt, vey, creys, seis. Risulta dall'incontro di e /e/ o /e/ con yod: < REGEM, LEGEM, DEBBO, DIRECTUM, VIDEO, CRESCIT, SEX. m p01 i:di. /o/ o /o/ con yod: < GAUDIUM 2 ri,EPODIUM, POSTEA, I dittonghi in posizione pretonica provengono dal dittongo latino AU, use oppure sono il risultato dell'incontro di una vocale con la semivocale ,yod m o wau: epi: sjoi 2. Come già detto sopra, joi è esito tipico dei dialetti più settentrionali e legato c,alla lirica, che convive accanto all'esito più meridionale gaug• ripo 33 uig, r
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auzir < AUDIRE auzelb < Av(i)cELLum aunidamens < *HAUNITHAMENTE aunidamens < HAUNITHAMENTE deleitos deleitos < DILEcTosum < beutat < BELLITATEM DILECT < ciutat < civ(1)TATEm OSUM BELLI poira TATE< POTERE + HABET
La gamma delle vocali atone e piü ridotta che non quella delle vocali toniche. In questo ilii provenzale si comporta come le altre ahre lingue lingue roromanze. In posizione non accentata dunque il provenzale ha cinque vocali /a/, /a/,/e/, /e/,/v, /o/, /0/,/u/, /11/, senza senza distinzione distinzionedidiapertura aperturaeepossibili possibili in tutte le posizioni all'inizio o all'interno della parola. In posizione finale invece invece si sitrovano trovanogeneralmente generalmentesolo solo/a/ /a/ee/e /e/: /: terra, domna, altre, paire.Le Le altre altre vocali sono possibili in questa posialre, palm. zione in certe condizioni: se protette da una -n caduca, oppure se forrnano un dittongo con la sillaba tonica. formano /o/ foron/ foron/ foro for° /i/ parei, prendrai Ail breu, seu, yin /u/ viu La distribuzione delle vocali atone in provenzale non rispecchia fedelmente quella del latino poiché poiche tali vocali, più piü deboli di quelle toniche rafforzate dall'aumentata intensità intensita della sillaba tonica, hanno subho cambiamenti. Molte atone subito diversi carnbiamenti. atone latine, latine, specie speciein inposizione posizione immediatamente pre- o postonica, sono cadute (sincope). comte < c6m(1)TEm com(1)TEm domna < rx5m(1)NAm Dom(1)NAM oil << oc(u)Lum oill 6c(u)Lum ciutat < civ(1)TATEm L'evoluzione delle vocali atone iniziali può puo anche essere determinata da anafonesi e dissimilazione, sicché sicche la vocale provenzale non continuerà ra direttamente quella latina. plos gdos<
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INTRODUZIONE LINGUISTICA
Nel caso delle vocali atone none finali, finali, a parte eccezioni del tipo citato sopra, solo -A finale latina sopravvive in provenzale. Invece -e finale è e di fatto una vocale di appoggio quando un nesso consonantico, che altrimenti risulterebbe impronunciabile, nel sistema fonetico del provenzale, viene a trovarsi in posizione finale. ALT(E)R(um) > altre DupL(um) > doble PATR EM PATII (EM)> >paire paire
In parole con più pifi di tre sillabe le atone immediatamente precedenti la sillaba tonica si Si comportano come le vocali finali, quasi come se queste parole si dividessero dividessero in indue duepath partidisdnte. distinte. yergoigna < VERE-CUNDIAM vergoigna benvolensa benvolensa < VERE- < BENE-VOLENTIAM
sonora.
dentali dentall palatali palatodivelari yelari ocdusi ve p pb b occlusive affricate fricative nasali laterall laterali vibranti semivocali
t ts d3 ts sz n 1A
kkgg
A
IlIi sistema delle consonanti consonantiprovenzali provenzalinon noneèmolto moltodivers() diverso da da quello quello italiano che, come il provenzale, provenzale,continua continuaininmold molti casi casiiiilsistema sistemaladlatino soprattutto per quanto riguarda le consonanti iniziali. In linea generale, i cambi maggiori rispetto al latino concernono l'evoluzione revoluzione delle consonanti consonandpalatali, palatali,sconosciute sconosciuteal allatino, latino,eedovute dovutemolto moltospesso spesso all'influenza sulle consonanti consonantidella dellasemivocale semivocalepalatale palataleyod yod/1/, /j/, an35
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
ch'essa nuova rispetto al latino, ma che compare in latino volgare in diversi contesti fonetici: come risultato di alcuni nessi consonantici: CT,x(ks), cr, X(KS),scScecc. ecc.oppure oppuredidivocali vocaliininiato: iato:EA, EA,IA, IA, IUM ecc. Altri fenomeni generali attivi nell'evoluzione delle consonanti sono la lenizione (indebolimento) delle consonanti intervocaliche: le occlusive sorde doppie diventano ocdusive diventanoscempie scenyie e le occlusive sorde sordesemsemplici diventano sonore ee talvolta talvolta fricative, fricative,IIil che porta a una una nuova nuova distribuzione dei fonemi in cui aumentano aurnentano notevolmente le consonanti intervocaliche sonore singole rispetto al latino. Infine si creano nuovi nessi consonantici dovuti alla sincope delle vocali atone e compaiono in posizione finale, a causa della caduta delle vocali finali latine, delle consonanti prima interne, che avranno un'evoluzione particolare. /p/ Possibile in qualsiasi posizione, iniziale, mediana, finale: part, oensal, pie, capa, emperador, essenzple, essemple, cap. cap.Proviene Provieneda daPp- iniziale iniziale latina (PARTEM, PROVINCIALEM, PLENUM), da -PP- intervocalica (cAP-
PAm) e da -P- preceduta da altra consonante (IMPERATOREM, EXEMPLUM). In posizione finale è e generalmente il risultato risuhato di di /b/ /b/ rimasta rimasta finale e diventata sorda come avviene per tutte le consonanti finali (CAPUT con lenizione p >> b, b, eé desommizzazione desonorizzazione b > p). /b/ In posizione iniziale o mediana: bona, blasmar, herba, berba, oblidar, abat, adobat, nebot, saber, obra, doble, cambra. Proviene da a- iniziale (BONAM, BLASPHEMARE), da -a- preceduta da consonante (HERBAM),
da -a- seguita da consonante consonante(oBLIDAT) (oaEroAr) ooda da-BB-BB- intervocalica intervocalica (ABBA'rEM, * da * R, L (NEPOTEM, SAPERE, OP(E)RAM, DUPLUM), mentre nell'ultimo ADDUBB caso caso -b-b-è una consonante gide (eufonica) non etimologica per faciliADDUB ATUM). tare la e una pronuncia del nesso consonantico secondario m'R, risultato BATUM) Proviene dalla caduta di una vocale vocale atona: atona:CAM(E)RAM cAm(E)RAm > cambra. Non si trotroconsona . invece anche dain posizione finale dove, se l'evoluzione lo porta in questa va nte glide diventa posizione, posizione, diventa sorda sorda (cfr. (cfr. sopra) sopra) o semivocale o semivocale /w/: deu /w/:
o secondario TOTTA, MITTERE, QUATTUOR, 3( SUB* 3.. Per Per Per nesso primario si intende un un nesso consonantico presente nesso primario Si intende nesso consonantico presenteininlatino, latino,per per secondario uno che si Si èe venuto venuto aa creare creamper la caduta di una vocale atona. TOTTA, MITTERE, QUATTUOR, SUB36
INTRODUZIONE LINGUISTICA
TILEM, COPERTAM, MISSAT(I)CUM). MISSAT(I)CUM).In Inposizione posizionefinale finaleeèIIilrisultato risultatodi di -D- rimasta finale, talvolta con lenizione da un'originale -T- (GRAND(EM), CIVITAT(EM), civITAT(EM), NEPOT(EM). NEPOT(EM).L'esempio L'esempiodi difait faitrivela rivelala laparticolare evoluzione del nesso /kt/ con palatalizzazione del primo elemento > /jt/, che in alcuni dialetti dialetti arriva arriva aa /t1/: /4/: fach. Una /t/ in posizione finale, come si è e visto, non è e una -T finale originaria, perché perche questa consonantelatina consonante latina cade: cade: canta canta < CANTAI'. Infine -T- diventa la semivocale vocale yod yodnel nel nesso nesso -TR-: -TR-: patrepaire < PATREM, maire < MATREM, noirit < CANTAT. Infine -Tdiventa < NUTRITUM. < PATREM, maire la semi< MATREM, noirit /d/ Esempi: /cV Esempi:druda, druda,domna, domna,devetz, devetz, mordre, muda, vida, vida,cendre. cendre.ComCompare in posizione iniziale o interna, interim, mentre non troviamo casi di -d finale: laddove è e venuta a trovarsi in questa posizione, diventa la sorda corrispondente fe < corrispondente/t/, /t/,oppure oppuredilegua: dilegua: feFIDEM, pe < PEDEM. Proviene latina o, nel primo esempio, celtica cdtica (( < FIDEM,da peD< PEDEM. NAM, DEBETIS) 0 o da -Din nesso consonantico (MORDERE), ma non * da -DRda -DRO -D 0 -D DRUTAM, DOMI' l'esito diuna una-T-T-intervocalica intervocalica(MUTAT, (mtrrAT,VITAM). vrrAm). 'R-: catratdi < R-: cairat QUADRATU /k/creire Rappresentato graficamente per c, qu, talvolta k, ch. Esempi: M, < < cors, cantar, CRED(E) cors, cantar,can, can,charcer, charcer, catre, catre, cantlquan, cant/quan, quilki, querrer, querrer,clar, clar,cretre, creire, RE. È sec, arc, fuec, QuADRATu escrit, juec, ac. Proviene da c- iniziale latina davanti a o, U, anche A, ma anche dalla labio-velare /kw/ (rappresentata da QU, una consom, creire nante che non esiste nelle lingue romanze e che perde l'elemento la< CRED(E) biale in provenzale) (CORPUS, CANTARE,CANEM, CANEM,CARCEREM, CARCEREM,QUATQUATRE. E anche (coRpus, CANTARE, TUOR, QUANDO, QUI, QUAERERE, QUAERERE, CLARUM, CLARUM, CREDERE) CREDERE) e da -c- in nessi consonantici e da -c- in nessi o da -cc- intervocalica intervocalica(SCRIPTUM, (SCRIPTUM,srccum, sIccum,ARcum). ARcum).In In posizione finale puet può anche anche risultare risukaredalla dallasonorizzazione sonorizzazione di di/g/ proveniente da una /W /k/ intervocalica originaria: rocum locum > juec, oppure dalla semivocale /w/: HABUI > *awwi > ac, e diventa un tratto caratterizzante della coniugazione dei verbi al perfetto. /g/ Rappresentato /g/ Rappresentato graficamente graficamente da gda o gu davanti a vocale anteriore, si trova in posizione posizione iniziale iniziale o o interna, interim, ma ma non non finale, finale,dove doveililgragrag fema fema g rappresenta il suono palatale /tS/. Esempi: gais, gaug, greu, o gu davanti a vocale anteriograi g le, ongla, gazardo, gardar, guerra, agues, volgues, gastat, braga, egau, ega. Proviene da G- iniziale latina davanti a o, U, A (ma cfr. sotto) e rappr in nessi consonantici iniziali con R, L, e interni, dove è e diventata meesent dia di tre (GAIUS, GAUDIUM, GRAVEM ( LEVEM), GRACILEM, UNGUaLAM) il ee da nonché /w//w/ come esito di -mnelda/w/ /w/iniziale inizialegermanica, germanica, nonche come esito di nella desinenza dei perfetti forti ( suon VOLUISSEM). VOLUISSEM). gastatgastat < VASTATUM rivela invece come al ger*BUISSEM, oBUISSEM, < VASTATUM rivela invece WIDERDO, * palat come 37 * / al ger-* WARDON, ale WARDON, WERRA, HA4/.
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manico /w/ venga talvolta assimilata anche la v latina, pronunciata in origine /w/, che diventa normalmente la labiodentale /v/. /g/ è anche l'esito della lenizione di /k/ e di /kw/ intervocaliche (BRACAM, AEQUALEM, EQUAM), anche se è possibile il dileguo completo della consonante intervocalica: amia < AMICAM (accanto a amigua). /ts/ Questo fonema palatale è nuovo in provenzale (e anche in altre lingue romanze: corrisponde alla z sorda dell'it. zio) rispetto al sistema delle consonanti latine. Può essere rappresentato da c, o anche da z, tz o ts in fine di parola. Esempi: cen, ciutat, ce!, po, merce, akel, braz, pretz, vertatz, sabetz, fassats. Proviene in primo luogo da c latina seguita da E, I (CENTUM, CIVITATEM, CAELUM, ECCE HOC, MERCEDEM, ATQUE + ECCE ILLUM). È anche il risultato di c + yod (BRA-
cnium) o di T + yod (pRETrum) e dell'incontro di T con la desinenza -S (VERITATIS, SAPETIS, FACIATIS), dove diventa dunque caratteri-
stico soprattutto della 2a persona plurale dei verbi. L'ultimo esempio, che contiene anche la sequenza c + yod: fassatz < FACIATIS, rivela dalla grafia -ss- che il suono /ts/ si riduce in posizione interna, ma anche iniziale, a /s/ nel mit secolo; così troviamo anche le forme sei, ayselh affianco alle grafie etimologiche con c. /4/ Altro fonema nuovo del provenzale (e di altre lingue romanze: corrisponde a c iniziale nellit. cena), si trova in posizione iniziale, mediana o finale ed è rappresentato graficamente, a seconda anche della posizione, da ch, tg, g, h. Esempi: chantar, chevaler, chat, drekha, facha, sapcha, fag, gaug, cug, freg, tug/tuh. Questo suono non è tipico di tutti i dialetti occitani, ma solo di alcuni. Per esempio in posizione iniziale proviene dalla palatalizzazione di /k/ + A latina nei dialetti settentrionali (CANTARE, CABALLARIUM, CATTUM) e coesiste nella lingua letteraria affianco a forme non palatalizzate. Proviene dal nesso -CT- nei dialetti più meridionali (DIRECTAM, FACTAM) affianco a forme con /jt/: dreit, fait. È anche l'esito di + yod (sAptAT), talvolta di c + yod (RActAT), e, in posizione finale, in alternanza dialettale con le sequenze romanze -it, -id di varia provenienza fag/fait < FACTum, gaug < GAUDIUM (D + yod), cug/cutd < COGITO, freg/fiei < FRIGIDUM, tug/tuh/tuit < TOTTL
/d3/ Fonema nuovo in provenzale rappresentato graficamente da g (davanti e, i), i o i (davanti a, o, u) e perfino tg, ti (corrisponde a g iniziale nell'it. gente). Esempi: genoil, gen, genti!, girar, argen, jauzir, iauzen, iazer/jazer, ioglar/joglar, iorn/lom, regina, sagita, camjat, comjat, coratie, messatge, tutiar. Proviene da /g/ + i, e, a (quest'ulti38
INTRODUZIONE LINGUISTICA
mo solo nei dialetti settentrionali) (GENUCULUM, GENTEM, GENTILEM, GYRARE, ARGENTUM, GAUDERE, GAUDENTEM, GAUDIUM) e anche da
/i/ e /dj/ iniziali (IACERE, IOCULARIUM, DIORNUM). È anche l'esito di una -G- intervocalica seguita da I, E, (SAGITTAM, REGINAM), dove può anche scomparire: reina < REGINAM, e di una labiale + yod all'interno della parola (CAMBIATUM, COMMEATUM), nonché del suffisso -ATICUM e sequenze affini (CORATICUM, MISSATICUM, IUDICARE).
/f/ Compare in posizione iniziale, in nessi consonantici in posizione intervocalica e in posizione finale. Esempi: fuelha, llor, fieg, fait, fin, sufren, defenden, efan. Proviene da F latina iniziale e in nessi consonantici (FOLIA, FLOREM, FRIGIDUM, FACTUM, FINEM, SUBFERENTEM).
In posizione intervocalica solo se è sentita come iniziale dopo un prefisso o come esito della riduzione di un nesso consonantico (DEFENDENTEM, INFANTEM). È anche l'esito di una v diventata finale: sak < SALVET, che può anche dileguare: sal. /v/ Il latino non conosceva questo fonema; i grafemi u e v indicavano sia la vocale /u/ che la semivocale /w/ (si ricordi peraltro che solo in epoca postmedievale si attribuisce un valore univoco a ciascuno di questi due grafemi). Questa /w/ iniziale, intervocalica o tra vocale e /r/, in età imperiale si evolve in una bilabiale fricativa /p/ (suono ancora presente in castigliano, per esempio) e intorno al vi' secolo diventa la labiodentale fricativa sonora /v/. Gli esempi provenzali si rifanno innanzitutto a questi fonemi latini: vers, vodl, vezi, vezer, vass, lavatz (< VERSUS, VOLEO, VICINUM, VIDERE, VOS, LAVATIS), ma sono
anche l'esito della lenizione di -F- intervocalica, nonché di -B- e perfino di -P-: deves, devetz, cavallier, Esteve (< DEFENSUM, DEBETIS, CABALLARIUM, STEPHANUM). Si osservi che -v- intervocalica può anche dileguare quando è accanto a una vocale posteriore o tra due /V: proensals, rius, i < PROVINCIALIS, RIVUS, IBL
/s/ Letto come -s- dellit. casa. Rappresentata graficamente da s o ss, non esistendo doppie consonanti in provenzale. Esempi: seror, senor, saber, messatge, festa, aspramens, eis, meteis, cas-selh, nais, angoissa, faissos/faisos, laissar/laisar, capas, pueys, forssa, obediensa, plassa, fissa. Proviene in primo luogo da s latina iniziale o -ss- interna (SOROR, SENIOREM, SAPERE, MISSATICUM) e da -s- in gruppi con consonanti sorde (FESTA, ASPERAMENTE, IPSE, METIPSUM), dal nesso -NS- (CONSILIUM), dai nessi SC, ST, CT + yod (NASCO, ANGUSTIA, FACTIONES), o
da x ( =ks) (LAXARE) o, infine, da qualsiasi -s finale o diventata tale (CAPPAS, POST). È anche l'esito, negli ultimi esempi, di cons. + T + 39
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
yod o di c + yod (FORTIA, OBEDIENTIA, PLACEAT, FACIAT ) e, come
si è visto, altri casi di c palatalizzata da vocale anteriore diventano /s/ nel xiii secolo. Non sono invece generalmente ammessi in provenzale gruppi iniziali con /s/ + cons. e quelli latini sviluppano una /e/ prostetica per motivi eufonici, come in francese e nelle lingue iberoromanze:esposa,escu,espazas (SPONSA,SCUTUM,SPATHAS) /z/ Letto come -s- dellit. rosa. Il latino non aveva questo fonema che è il risultato in primo luogo della lenizione di /s/ intervocalica. La grafia è generalmente z ma anche s. Esempi: rozier/rosier, prezen, guiza/guisa (< ROSARIUM, PRESENTEM, * sti esempi di /z/ intervocalica WISA) Coincidono con que-altri che hanno provenienza diversa: vezer, auzir, lauzar, espazas, razo, baizan, vezi, plazer. Provengono dalla lenizione di -D- intervocalica, talvolta -T- intervocalica, o anche da -T+ yod e da -s- + yod, da -c- intervocalica seguita da vocale anteriore ( VIDERE, AUDIRE, LAUDARE, SPATHAS, RATIONEM, BASIANDO, VICINUM, PLACERE)
/m/ Esempi: maire, merce, amia, ampia, cambra, parllam, ferm. Proviene da M latina in tutte le posizioni ( MATREM, MERCEDEM, AMICAM, AMPLAM, CAMERAM, PARLAMUS, FERMUM ) Va osservato che /m/ fina-
le è il risultato di una -M- latina diventata finale, mentre -m finale latina dilegua presto o diventa /n/ in monosillabi: ren < REM. /n/ Esempi: nulz, novel, finamen, sanatz, manda, rendrai, meins, iorn, quali. Proviene da N latina in tutte le posizioni, tranne che davanti a yod e nel nesso GN (NULLUS, NOVELLUM, FINAMENTE, SANATUS, MANDA, RENDERE HABEO, MINUS, DIURNUM, QUANDO). La /n/ finale deri-
vante da nasale finale latina o da -N- intervocalica diventa caduca, cioè si trovano forme con la -n accanto a quelle senza: can/ca, ren/re, mante < CANEM, REM, MANTENET )
Talvolta una N preceduta da vocale e seguita da consonante diventa /w/: altre/ autre, molt/mout, beutatz, dous < ALTERUM, MULTUM, BELLITATEM, DULCEM.
/A/ Il latino non conosceva questo fonema; viene rappresentato nella grafia da /h, il, 11/, /L Esempi: fila, conseill, fuelba/ fuella/ oills/ buelbs, aurella, veli, vellan, confida, auzelbs, bella, db. Proviene da L + yod, dai nessi secondari c'L, T'L, G 'dialetti sud-occidentali, da -LL- (FILIA, cowsnium, FOLIA, OC (t/ )LOS, AURIC (1.1 )LA, VET(U )LUM, VIG (I )LANT, * L, L (I ) GITA, AVICELLOS, COLL BELLA, ILLUM ) . ' G Nella + vocale anteriore e, nei /r/ grafia r o rr: anche se è possibile che rr avesse una pronuncia più forte, non si fa una sostanziale distinzione tra i due. Esempi: rire, morir, querrer, terra, for, cavallier. Proviene da R o RR in qualsiasi posizione ( RIDERE, MORIRE, QUAERERE, TERRA, ILLORUM, CABALLARIUM )
/w/ È il fonema che compare nei dittonghi uo/ue, au, eu. Come si è già visto, il primo è il risultato della dittongazione, a certe condizioni, di /0/: fuelba < FOLIAM, juec < iocum, mentre gli altri due sono casi in cui alcune consonanti si sono vocalizzate: deu, breu sono l'esito di B e v diventate finali ( DEBET, BREvEm) e autre, beutat l'esito della vocalizzazione di L + consonante (ALT (E ) RUM, BELL (I )TATEM ), un fenomeno diventato più frequente dopo il xii secolo. Questo fonema in latino volgare è anche il risultato di o e u in iato, ma in provenzale non sopravvive come tale; esso scompare spesso dopo aver influenzato lo sviluppo dei suoni circostanti, come nelle desinenze del perfetto in -m- dove contribuisce a formare delle desinenze caratterizzate da suoni velari: ac, volgues, degues, plagues (< HAI3UI, VOLUISSET, DEBUISSET, PLACUISSET )
/p/ Questo fonema palatale non esisteva in latino; viene rappresentato graficamente da nb, ign, ingn, n. Esempi: senbor/seignor/senor, venba, punb, ensenba/enseigna, reingna, deigna, vergonba/vergotkna, poing, loigna. Proviene da N + yod, -GN- intervocalico, ND + yod, NG + vocale anteriore ( SENIOREM, VENIAT, PUGNUM, INSIGNAT, REGNAT, DIGNAT, VERECUNDIAM, PUNGET, LUNGEAT )
N Esempi: laissar, legir, lengua, lor, paraulas, parlar, bela, ela, cal. Proviene da L latina in tutte le posizioni tranne quando seguita da yod o nei nessi C ' L, G '
/i/ Numerosi sono i contesti in cui si trova questo fonema in provenzale, e si è già visto sopra come esso entri a formare una serie di dittonghi come ai, ei, oi incontrandosi con le diverse vocali. Yod si trova dunque o a formare un dittongo, dove può anche essere finale nella parola, o in posizione intervocalica. Esempi: fait, dreit, freit, paire, laissar, creyssensa, maior, maia, enveya, aya, baizan, laissar, angoissa, preiar, playa. Proviene dai nessi -CT-, -G 'I ( FACTUM, D IRECTUM, FRIG (I ) DUM, PATREM, LAXARE, C RESCENTiAm), oppure /j/ (mmoR, mATA), o dalla combinazione di alcune D-, -TR-, -X- da (ks), -sc- + E, 41
INTRODUZIONE LINGUISTICA
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
consonanti con yod, come D + yod, E + yod, s, ss, + yod, ST + yod (INVIDIA, HABEAT, BASIANDO, ANGUSTIA) O anche da -C-, -G-
intervocaliche seguite da A (PRECARE, PLAGA). Nei casi in cui l'esito provenzale è una yod intervocalica, vi è spesso un'alternanza, di origine dialettale, con forme con /d3/ intervocalica: maior/major, aya/aja, enveya/enveja, pueja e poiat. Questo fonema non era così frequente in latino e si trovava generalmente in posizione iniziale dove si evolve in una /d3/ (scritto j o, più spesso nei manoscritti, i): juec, jazer, ja < JOCUM, IACERE, IAM. Nelle altre posizioni, si sviluppò in latino in casi di iato di E, I atone + altra vocale, dove le due vocali avevano all'origine valore sillabico (IN-VI-DI-A, HA-EE-AT) per poi ridursi a una sola sillaba con la chiusura del primo elemento dello iato nella semivocale /j/: IN-VI-DJA, HA-EJAT.
Come si può vedere da molti dei nostri esempi, soprattutto per quanto riguarda non solo /j/ in provenzale ma anche tutti i suoni palatali, yod modificò tutte le consonanti che lo precedevano. 2.3. Accentazione A conclusione di questa sezione aggiungiamo alcune cursorie indicazioni sull'accentazione, anche perché per il provenzale, a differenza che per le altre lingue romanze, non si usa segnare graficamente l'accento 4 . Il provenzale rientra nella categoria delle lingue ad accento libero, mentre il francese ad esempio rientra in quella ad accento fisso. L'accento può cadere sull'ultima sillaba delle parole (che in questo caso si dicono ossitone), sulla penultima (parossitone) e raramente, quando l'atona postonica non è scomparsa, anche sulla terzultima (proparossitone): anz6r, c&zta, lézgrema (che convive accanto a l'arma). Per leggere correttamente i testi occorrerà basarsi principalmente sulla posizione che l'accento aveva in latino, ricordando tuttavia che in latino volgare gli accenti hanno subito alcuni spostamenti; per chi non abbia una eccessiva familiarità con il latino e con la linguistica storica, anche il confronto con una lingua come l'italiano può essere utile. Leggeremo pertanto raz6•(o raz6n) < RATIONEM, it. ragione; d6mna < DéMINAM, it. donna; filbóla < lat. volg. FILIÓLAM < FILIDLAM, figliola; entier < lat. volg. INTÚ,GRUM < IINTE'GRUM, it. intero ecc.
4. In questo paragrafo e più avanti in questo libro segneremo pertanto con un accento acuto (indipendentemente dall'apertura delle vocali) le sillabe accentate solo per ragioni didattiche.
Nella sezione seguente vedremo che, sempre per ragioni etimologiche, la diversa collocazione dell'accento su parole altrimenti otnofone serve talvolta a distinguere il caso retto dall'obliquo, come in maher < MULIER, molhér < lat. volg. MULIE'REM < MULI . volta in volta altre indicazioni sull'accento a proposito della declinaEREM. Daremo di zione dei sostantivi e degli aggettivi, della flessione dei verbi ecc.
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Morfologia 11 sistema naorfologico del provenzale si articola in un sottosistema nominale, un sottosistema verbale e una serie di parole invariabili come preposizioni, congiunzioni e avverbi. 3.1. Sistema nominale sottosistema nominale comprende i sostantivi, gli aggettivi, i pronomi, gli articoli e i numerali. Tali classi di parole (con l'eccezione della maggior parte dei numerali) si distinguono per genere grammaticale, maschile o femminile, che non corrisponde sempre a una distinzione di sesso, e, per alcuni aggettivi e pronomi, neutro. Nel caso di un'identità della radice della parola, il genere marcato è quello femminile, segnato generalmente con -a, talvolta con modifica della consonante finale. m. don "signore" anzic "amico"
f. dona "signora" amiga "amica"
La stessa classe di parole si distingue anche per numero, singolare o plurale: tozeta ragazza" tozetas "ragazze" A queste distinzioni, che corrispondono a quelle dell'italiano, il provenzale, come l'antico francese, aggiunge la distinzione di una parte delle funzioni dei nomi mediante opposizioni di caso; generalmente due (tre per alcuni pronomi). Esiste cioè una declinazione bicasuale che distingue formalmente il soggetto dal complemento della frase. Troviamo, per esempio, nel testo 8, «Amors es d'aital guisa» (8.8), «Amors solia esser dreicha» (8.25), dove Amors è soggetto, o caso
11!
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retto, e «Dirai vos d'Amor» (8.19) «el sap d'Amor» (8.75), dove Amor è complemento, o caso obliquo. 3.I.1. Origine della declinazione Il provenzale eredita la declinazione bicasuale dal latino. Il latino aveva una declinazione più articolata che prevedeva sei casi, ognuno dei quali esprimeva, mediante una desinenza diversa, una diversa funzione della parola nella frase: nominativo (soggetto), genitivo (possesso), dativo (complemento indiretto), accusativo (complemento diretto), vocativo (appellativo), ablativo (con diverse funzioni). Già in latino, però, questo sistema aveva delle falle. Non tutti i casi avevano delle desinenze ben distinte, una situazione che divenne più accentuata con l'evoluzione fonetica della lingua. Allo stesso tempo l'evoluzione sintattica conduceva verso uno stadio in cui le diverse funzioni delle parole venivano espresse tramite preposizioni o con l'ordirle delle parole. Il caso retto provenzale discende direttamente dalle forme del nominativo latino, AMICUS > amks e assume anche le funzioni del vocativo: «mas vos, amks, etz ben tant conoisens» (24.26). Il caso obliquo discende invece dall'accusativo, come si può vedere sia dalla fonetica che dal fatto che le testimonianze del latino volgare rivelano una tendenza dell'accusativo ad affermarsi a scapito degli altri casi. Il provenzale conserva qualche relitto degli altri casi latini come il genitivo: DIE VENERIS > divenres o i plurali in -ORUM: paganor, pascor che, però, vengono equiparati a un caso retto e dotato di desinenze del caso obliquo con l'aggiunta di -s. Funziona invece come genitivo talvolta l'accusativo giustapposto alla cosa posseduta, senza ricorso alla preposizione de: «lo senz Teiric» (1.58); «Marcabrus, fills Na Bruna» (8.73). Le distinzioni di numero e di genere sono anche un riflesso diretto di quelle latine. La marca -s per il sing. m. del caso retto di molti nomi, e per il pl. m. del caso obliquo nonché dei pl. f. pongono il provenzale tra le lingue romanze che, come il francese, il castigliano e il portoghese, conservano questa consonante in posizione finale, grazie anche alla sua importanza per queste distinzioni morfologiche. La distinzione di un genere neutro, di cui si è detto sopra, è un residuo del sistema nominale latino che distingueva appunto tre generi. La maggior parte dei neutri latini con uscita in -DM sono confluiti nei sostantivi maschili in -us. In alcuni casi invece le forme del neutro plurale con uscita in -A sono confluite fra i sostantivi femmini44
INTRODUZIONE LINGUISTICA
li con singolare in -A. Vengono così interpretati come singolari, anche se generalmente con significato collettivo (come avviene anche in francese e in castigliano): FOLIUM sing. n. > FoLIA pl. n. > FoLiA sing f collettivo > fuelha/fuella "il fogliame" (4.I.I). L'interpretazione dei pl. neutri in -A come femminili è sintomatica di un'altra riduzione nel sistema nominale latino, che è quello delle classi di sostantivi. In latino classico le classi o declinazioni del sostantivo erano cinque, ma già anticamente vi fu una tendenza a ridurle a tre: una declinazione femminile, marcata con -A, una maschile marcata generalmente con -us, e una mista con desinenze varie. Così si vede che era forte anche la tendenza a identificare, almeno per quanto riguarda le prime due classi, il genere in base alla desinenza, il che spiega appunto il trattamento dei suddetti neutri plurali. Tale evoluzione era già presente in latino per la declinazione degli aggettivi, divisi in due grandi classi: I. m. BONUS, f. BONA. 2. mlf. TRISTIS.
Questo è sostanzialmente lo schema che si trova alla base della declinazione dei sostantivi provenzali, articolata in una declinazione maschile, con o senza -s al caso retto singolare, una declinazione femminile, con o senza -s al caso retto singolare, e una declinazione degli imparisillabi con o senza spostamento dell'accento tonico. 3. I .2. Declinazione dei sostantivi
r. -s obl. -0
Sostantivi maschili di .r a classe sin& pl. -0 filh.s• -s filb
filh filhs
Si vedano i seguenti esempi dai nostri testi: «E1 fiths del rei de Fransa, qu'es de mal cossentens» (32B.3o) sing obl. «E•1 cardenals trames a Paris ichamens al filh del rei de Fransa» (3213.22) pl. obl. «Pros ferma._ seretz per sos filhs grans» (434 sing. r.
6
Questa classe di sostantivi deriva per lo più dai sostantivi della se) conda declinazione latina, che aveva le desinenze nom. sing. e pl. 45
INTRODUZIONE LINGUISTICA
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
-us, acc. sing. e pl. -um, -os. Per regolare evoluzione fonetica (caduta di -m e dileguo delle vocali finali), si ha la marca -s per il retto sing. e l'obliquo pl. A questi si aggiungono ovviamente anche i neutri in -um confluiti in questa declinazione: CASTELLUM > * sing. ohi. caste!,>pl.sing. r. caste!, pl. obl. castels; alcuni sostantivi maschili CASTELLUS r. castels, parisillabi della terza declinazione: per esempio PANIS, PANEM, * PANES PANI, > pa(n)s, pa(n), pa(n), pa(n)s; e gli infiniti sostantivati: aver > avers, aver, aver, avers. Sostantivi maschili di 2' classe Possono costituire un secondo gruppo di sostantivi maschili quelli che etimologicamente non hanno una -s al retto singolare, anche se ne presentano talvolta una analogica, dando il seguente schema: r. obl. -0
sing.
pl. -0 -s
fraire(s) fraire
fraire fraires
Sostantivi maschili di 3a classe Dai nostri testi possiamo vedere alcune parole che offrono forme diverse al caso retto singolare rispetto agli altri paradigmi: «Qieu non vuoill ges esser bar» (15.33) «Baro, ditz el, anem los escoltar» (30.1483) «vas Lombardia... / on trobava baros assatz» (28. 193 ) «Valen marques, senher de Monferrat» (23.1) «bon senhor ai molt en vos trobat» (23.6) «Escotatz... mas no say que s'es / senhor, so que vuelh comensar» (I2• I ) sing. r. «pos er de pretz emperaire» (27.65) sing. obl. «ac ta gran valor / aprob Mallio, lo rei emperador» (1.34) sing. r. «per vos sui chantaire» (27.60) sing. obl. «Non es meravelha s'eu chan / melhs de nul autre chantador» (10.2) sing. r. pl. r. pl. obl. sing. r. sing. obl. pl. r.
Si ha così lo schema seguente: sing. rad. i -0
Essi derivano regolarmente da quei sostantivi maschili della seconda e della terza declinazione latina che non avevano la desinenza in -s
r. obl.
bensì er La classe comprende anche gli infiniti sostantivati in come re faire e i sostantivi neutri uscenti in -ATICUM: CORATICUM > re: faires; faire faiLIBER coratge coratge coratge coratges. > fibre, FRATCome si è accennato sopra e si può vedere dagli esempi sotto, il ER > * retto singolare marcato -0 si alterna a forme analogiche in -s: FRAT RE > fraire 5 «era fraire del comte de Peiregors» (39.1) .
ma anche:
«plus creis de lai lo dampnatges el dans» (rA..r o) «valer mi deu... mos fis coratges» (25.30)
Ciò testimonia della tendenza a identificare il retto sing. m. con la marca -s. 5 Si ricordi (cfr. 5 2.1.3) che la vocale in sillaba finale di norma cade ( * * giunta della vocale di appoggio -E. Questo spiega, in freure (e lo stesso vale anche per F LIB'R, gli esempi seguenti, emperaire, maire e simili), il dittongo dal nesso -TR- al caso retto R (cfr. 5 2.2, sub /t/). A T 46 ' R
rad. 2. -0
pl. rad. 2 -0 bar rad. 2 -s baro(n)
baro(n) baro(n)s
sénher senhór senhór senh6rs emperaire emperador emperador emperadors chantaire chantador chantador chantadors Questi sostantivi derivano da sostantivi imparisillabi latini con accento mobile (cioè con l'accento che si sposta in avanti all'accusativo e al plurale rispetto al sing nom.) che ha un effetto sull'evoluzione fonetica, dando luogo a forme diverse al caso r. sing.: per esempio, IMPERATOR > emperaire, IMPERATOREM > emperador * I oppure: M P E SENIOR > senher, SENIOREM > senheir R A A questaT classe fanno anche capo alcune parole di origine germanica, fatte rientrare O in categorie morfologiche latine come BARO > bar, BAR I e 47 m p
AVVIAMENTOALLAFILOLOGIAPROVENZALE
INTRODUZIONELINGUISTICA
RONEM > baro(n), nonché sostantivi deverbali come chantaire da chantar. Altre parole di questa classe, presenti nei nostri testi, sono: enfas, enfant; trobaire, trobador • Appartengono a questa classe anche un paio di parole derivate da imparisillabi senza spostamento di accento:
Si vedano i seguenti casi dell'obliquo singolare:
HOMO > (NOM, HOMINEM > ( HOMINI > (h)ome, HOMINES > ( Nome Nomes COMES>COMS,COMITEM>comte * C e alcuniOnomi propri di origine germanica, per esempio, nel nostro testo, Carles, Carlon; Uc, Ugon; Polche, Folcon; Bos, Bosun. M nel caso di questi sostantivi vi è la tendenza a una -s anaAnche logica alIsing retto, a riprova del fatto che questa desinenza si associa sempre T di più a questo caso nella declinazione maschile. Si trovano così casi come i seguenti: I > «Cantaire fo meravilhos e comtaires azautz e Hee» (28.186'87) c «ni anc homs non la poc vezer» (6A.28) o minfine che, in alcuni contesti fonetici, la marca -s si combiVa notato na con lat consonante finale del tema e può essere rappresentata graficamente e in diversi modi: , -c + s -x: Grex, amix ma anche dercx, amicx C + S > -tz: sairitz, datz, pratz -T -s O -z dopo l, n, g, ch, h: Ponz, digz, faihz -F M + S > -s: cers (sing. r.), cerf (sing obl.) I Sostantivi maschili indedtnabili T TenendoEpresente quanto appena detto, alcuni sostantivi maschili che hanno un'uscita della radice in -s, -tz, -,c risultano indeclinabili, come lo sono S anche quei pochi sostantivi che derivano dai neutri in -us > declinazione latina: per esempio, della terza c BRACHIUM > bratz, PALATIUM > palais, CORPUS > cors, o TEMPUS >tems m t 4 e 8
Sostantivi femminili di I o classe La maggior parte dei sostantivi femminili non hanno forme distinte per i casi, ma solo per il numero:
«gra& es, fresc'ab cors plazen» (6A.26) «car hanc creset ni•1 vene cm pes qu'il nul tems amar lo degues» (35.2759-60).
sing. -0 pl. -s
domna domnas
Essi derivano dai sostantivi femminili della la declinazione latina del tipo DOMINA (nom. sing.), DOMINAM (acc. sing.), con dileguo della -m, che porta alla coincidenza del nom. e dell'acc. sing. Al plurale, invece, si aveva un pl. acc. in -AS che si è esteso anche al nom. pl. soppiantando le forme classiche in -AE. Sono confluiti in questa classe anche i sostantivi femminili della 3 le a finale di appoggio a un'uscita con un nesso consonantico: d nom. sing. MATER > maire 110M. pl. MATRES > maires e acc. sing MATREM > maire acc. pl. MATRES > maires c Sostantivi femminili di 2 li a classe n Un altro gruppo di sostantivi femminili distingue invece tra i casi, a almeno al singolare, sempre mediante la marca -s: z i sing. or. s - -0 nati nobl. vertutz naus naus es vertut l amors mors a a amor ti nSi tratta dei sostantivi derivati dagli altri femminili della 3' declinazioane, compresi gli imparisillabi che sono stati rimodellati analogicamente per eliminare l'oscillazione tra il nominativo e le altre forme: c h 49 e n
I sostantivi femminili imparisillabi, in base a quanto detto sopra, sono quasi scomparsi. In provenzale si hanno comunque: mólber molbér molb&s e sor seror sero s che derivano rispettivamente da MULIER, MULIEREM, MULIERES; ROR, SOROREM, SORORES.
Sostantivi femminili indeclinabtli Anche per i sostantivi femminili, quelli che hanno uscita in -s, -z, -tz sono indeclinabili: voz < *vocts (da vox), VOCEM lutz < * LIICIS (da Si notino infine alcuni casi di sostantivi con uscita in -a come dia, LUX), papa, profeta, LLICE che si comportano talvolta come maschili della I a clasM se, talvolta come femminili della l
a classe: sing. r. dias obl. dia
pl. dia dias
ma anche
sing dia
pl. dias
In generale, nella lingua dei trovatori, il sistema bicasuale viene rispettato abbastanza bene, e laddove vi sono degli errori sono piuttosto da attribuire ai colpisti, come si può vedere da molte delle forme rifiutate nei testi ma che si trovano in apparato. Questo avviene anche perché la lingua usata dai poeti, come si è detto, è una koiné, una varietà che per alcuni aspetti risulta artificiale: essa costituisce un modello linguistico a cui si rifacevano anche poeti che non erano nativi del Sud della Francia e che avevano dovuto imparare la lingua poetica. Per apprendere tale lingua vi erano delle grammatiche, come le Razos de trobar di Raimon Vidal, che insistono proprio sull'uso corretto dei casi, mantenendo un livello di lingua più conservativo rispetto a quello che effettivamente si usava in contesti meno aulici. Nonostante ciò, sono possibili delle confusioni. Si è già visto come nei sostantivi maschili della 2 estenda a quelle parole che non l'avevano etimologicamente: a e dellaanche 3 pafres per paire, comptaires a classe la marca -s si per comptaire. Talvolta per i maschili della terza si estende analogicamente il tema più diffuso anche al caso retto singolare: emperadors per emperaire, felons per fel. Si trovano anche forme analogiche basate sul caso retto: bar obliquo per baron. Il tutto testimonia una tendenza nella lingua ad unificare la declinazione del sostantivo, in questo caso ponendo tutti i maschili nella l declinazione due a classe, e apiù incasi. generale Infatti, nelle carte e nei testi in prosa più antichi, nonché nelle a eliminare la vidas e nelle razos, sono più frequenti le deviazioni nella declinazione che non nella lingua dei trovatoti, come si può vedere dagli esempi seguenti: «Aquels castels c'aici sunt escrit» (3.3) «els fugges lauzaren» (2 I .2 ) Così, anche se in generale si può dire che il provenzale mantiene più a lungo del francese antico la declinazione bicasuale, e ciò fino almeno al xiv secolo, è altrettanto vero che tale resistenza della declinazione è, come si è visto, dovuta al particolare status attribuito alla lingua dei trovatori, mentre in altri tipi di scrittura resisteva di meno. 3.1.4. Declinazione degli aggettivi
6. Gli ultimi due, come tutti i sostantivi astratti no, diventano femminili in galloromanzo. 5 0
n -OR, -OREM, maschili in lati- La declinazione degli aggettivi segue in linea di massima quella dei sostantivi, distinguendo tra i casi e i generi: maschile, femminile e
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROV NZALE
INTRODUZIONE LINGUISTICA
"neutro". Essi si dividono in due grandi classi, a seconda che venga distinta o no la forma femminile da quella maschile con la marca -a. Aggettivi di ia classe
Tutti questi aggettivi derivano da quelli della l BONUS BONUM a classe BONA latina del tipo che sta alla base della classe l tre il tipo paubre deriva da quegli aggettivi che in latino hanno la a provenzale, mendesinenza -ER (PAUPER); il tipo faus da aggettivi latini con il tema in una sibilante: FALSUS.
a) aggettivi con uscita in -s al retto singolare maschile: sing. r. pl. r. -0
obl.
m. -s -0
f. -a -as
obl. -3
bons bon bon bons
boria bonas
sing. r.
bels bela bel bel belas bels
pl. r. -0
amatz amada amat amat amadas amatz
m.
f.
obl.
-0
-a
paubre paubra
obl.
-0 -s
-as
paubre paubres
paubras
c) aggettivi indectinabili al maschile. Come per i sostantivi, questi sono aggettivi il cui tema termina in -3 e che sono perciò indeclinabili, mentre al femminile prendono la marca -a: sing. pl.
indeclinabile
s
obl. -s
fortz fort fort fortz
fortz
amantz amantz amant amant amant amantz amantz
b) aggettivi con uscita in -e al retto singolare maschile:
m.
obl.
-s -0
Questi aggettivi si comportano al femminile come i sostantivi della 3 classe femminile e derivano dagli aggettivi latini della 2 a tipo FORTIS. del a classe Come fortz si declinano anche granz, greus e tutti i participi presenti:
e tutti i participi passati:
pl. r.
f. -s fortz -0 fort
111.
Allo stesso modo si declina:
sing r.
Aggettivi di 2 a classe Non hanno forme distinte per il maschile e il femminile tranne che per il caso retto plurale maschile:
f. -a -as
faus
faussa faussas
3.1.5. Forma neutra degli aggettivi Come si è accennato sopra, esiste anche una forma neutra degli aggettivi che è uguale al caso obliquo del maschile: senza -s dunque, perché deriva dai neutri latini in -UM: BONUM, BELLUM ecc. (bo, bel ecc.). 3.1.6. Passaggi di classe Come si è visto per i sostantivi, anche per gli aggettivi si osserva la tendenza alla creazione di forme analogiche per farle confluire tutte nella l numerosa e più produttiva, anche in latino volgare. a class 53 e con
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
Si trovano aggettivi della classe ib che prendono la desinenza -s al maschile retto singolare, come per esempio paubre > paubres. Allo stesso modo, le forme femminili della 2 -a: dous >prendono doussa; grantz > granda; avinens > avinenta. a classe la desinenza Da questi esempi si può anche vedere che le forme femminili non solo prendono la desinenza -a, ma che a volte cambiano anche la consonante finale del tema, per ragioni che riguardano la normale evoluzione fonetica. 3.1.7. Comparativi e superlativi Il comparativo è generalmente espresso con plus o mais seguiti dall'aggettivo, il superlativo relativo con lo plus o la plus seguiti dall'aggettivo, e il superlativo assoluto con mout (mot), be(n) o anche altri avverbi rafforzativi seguiti dall'aggettivo: «quar no sai joia plus valen» (613.9) «am la plus bere la melhor» (10.26) «un crit mout estraing e mout angoissom (30414-5) «jaufres Rudels de Blaia si fo molt gentils hom» (38.1) «Ia no cera nuils hom ben fis» (5.25) Nell'esempio a 10.26 si può anche osservare la forma del superlativo relativo la melhor, che comprende il comparativo sintetico melhor. In provenzale infatti, come del resto in italiano e in altre lingue romanze, un gruppo circoscritto di aggettivi forma il comparativo (e poi il superlativo relativo) con una forma flessa, talvolta anche con cambio di radice, derivante dai comparativi latini che si formavano appunto tramite un cambio di desinenza e non mediante una costruzione perifrastica. Poiché le forme latine ricadevano nella declinazione degli aggettivi della 2 to diversa dalle altre, mentre il maschile si distingue dal femminile a classe, per la presenza di forme flesse per i casi del plurale: abbiamo in provenzale MELIOR > mélber MELIOREM > melb6r una forma al m. f. caso retmelher melher sing r. • sing. r. ohi. melhor obl. melhor melhor pl. r. obl. melhors 54
INTRODUZIONE LINGUISTICA
Altri comparativi simili, che troviamo nei nostri testi sono: Epeier] peior " [maier, pegg maire] maior (( genser gensor "più nobile" maggiore i Eausserl aussor "più alto" ore " possono aggiungere: ai quali si
•»
rnenre rnenor (( bellaire minore,,bellazor "più bello" mentre è attestata solo la forma "maggioritaria" per alcuni comparativi, che poi costituiscono la forma più frequente, come si può vedere anche dai nostri testi, dove il caso retto singolare è raramente rappresentato: granbor forsor malbor
"più grande" "più forte" "più cattivo"
Anche se il provenzale, come le altre lingue romanze, riduce drasticamente i comparativi sintetici, preferendo la forma con plus o mais, va notato che le forme genser gensor e bellaire bellazor rappresentano delle estensioni delle forme sintetiche in parole che sono neoformazioni sulla base di gens e bels ( * Nei nostri testi troviamo anche alcune forme di comparativo sinGENITIOR, * tetico di -IOREM; avverbi: • BELLATIOR, -IOREM).
miei& mens pieitz
"meglio" meno peggio,
che continuano le forme degli avverbi latini MELIUS, MINUS, PEIUS. Esistono infine alcune forme di superlativi derivati dai superlativi sintetici del latino in -issimus, come altisme, santisme ecc. 3.1.8. Avverbi Non esiste una singola marca in base alla quale sono riconoscibili gli avverbi. Alcuni aggettivi, nella forma singolare maschile obl., semmai preceduti da una preposizione, potevano assolvere la funzione di av55
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
verbi°, utilizzando in sostanza quella che abbiamo chiamato la forma neutra dell'aggettivo: «e Teirix col tot e mal sa razo» (1.50) «e sei que.1 marit fort ternia» (29.61) «si o tenet a bo» (45.1569) Molti altri avverbi derivano da avverbi o locuzioni avverbiali latini di diverso tipo come: be, soven(t), dont Un buon numero di essi escono in -s, come: apres, fors, sus, jos, che costituisce alla fine una marca dell'avverbio, estendendosi anche a parole in cui -s non è etimologica: adoncx, doncz, bes, mais, nei nostri testi. Anche nell'altra grande classe di avverbi, quelli formati con il singolare femminile dell'aggettivo con l'aggiunta del suffisso -men(s) (da MENS MENTIS all'ablativo, con il significato di "in modo"), compare spesso una -s non etimologica. Nei nostri testi troviamo, tra gli altri: malament, arreament, finamen, longamen, veraiamen, affianco a: loniamens,verayamens,bonamenz,sertanamens,saviamens,estrechamens.
INTRODUZIONE LINGUISTICA
di mille, e nel caso di cen si distingue, al plurale, tra retto e obliquo: r. doi cen; obl. dos cens; ma solo india. Gli altri numerali non si declinano, ma nei nostri testi di fatto troviamo tra questi solo "quattro" catre, anche perché è frequente da parte dei copisti l'uso di numeri romani inquadrati da puntini, che vengono normalmente lasciati come tali nelle edizioni: «can son pauc tondut» (20.347) «Que ben a passatz mes» (12.22) «car mais amaria vi. deniers» (12.14) (per seis) «e per sos frais per viii. sol» (2I.I) (per oit) «e .x. brizaut gazanhet al jogar» (30.1455) (per detz) «.c. mart d'argen lhí farai prezentar» (30.1465) I numeri ordinali, avendo funzione aggettivale, si presentano come gli aggettivi della classe la, oppure, se sono indeclinabili, come quelli della classe 1c. Sicché "primo", primers (ma anche premiers, primiers) si declina come segue:
3.1.9. Numerali I tre primi numeri cardinali sono declinabili, continuando la declinazione latina. Nei nostri testi troviamo il numero "uno" al m. r. uns, us, m. obl. un, f. una. Oltre alla funzione di numerale, questa forma assume la funzione di un articolo indefinito, sicché si hanno anche delle forme al plurale, che non sono presenti nei nostri testi: m. r. u(n) obl. u(n)s
f. unas
m. r. dui [doti obl. dos
f. doas
m. r. trei obl. tres
f. tres
111.
sing pl.
r. obl. r. obl.
primers primer primer primers
f. primera primeras
Questa forma deriva dal latino PRIMARIUS e non dall'ordinale PRIMUS, il cui continuatore prún prende il significato di "eccellente", come per esempio: «Anc hom non vi tan prim arquier con es Amors» (35. 2713-14). Gli altri ordinali fino a "quinto" derivano regolarmente dagli ordinali latini: segon < SECUNDUM, tertz < TERTIUM, quart < QUAR'rum, < QUINTUM. A partire da "sesto" (anche se esiste la forma sest), gli ordinali provenzali si distinguono per il suffisso -e(n): seize(n), sete(n), detze(n), vente(n) ecc., derivato dagli antichi distributivi latini con suffisso -ENUM. Non sono forme frequenti e di fatto non ne troviamo nei nostri testi. 3.I.10. Articolo Articolo definito
Hanno un plurale anche i numeri "cento" cen(t) e "mille" md quando sono preceduti da un altro numerale per indicare multipli di cento o
L'articolo definito si declina per genere, numero e talvolta per caso: 57
INTRODUZIONE LINGUISTICA
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
sing. pl.
r. obl. r. obl.
L'articolo definito deriva da quello che era l'aggettivo dimostrativo latino IEEE ILLA ILLum. L'estensione dell'accusativo ILLum anche al nominativo spiega la forma m. sing. lo, mentre è più raro i/ < IEEE. Al f. sing. r. si trova anche raramente li < In determinati contesti fonetici l'articolo, come in italiano, può subire modifiche. Davanti a una parola che inizia con una vocale si ha proclisi (l'articolo si attacca alla parola seguente), segnata con l'apostrofo: Tautrier, Tauzels, Temperi, remperador, Tira. Dopo una parola terminante in vocale si ha enclisi (l'articolo si attacca alla parola precedente). L'enclisi viene generalmente segnalata nelle edizioni con il punto in alto (o punto volante): e•1 = e lo, meiro•ls = meiro los, quel = que lo, o con un semplice punto non seguito da spazio (e•I ecc.), raramente con un trattino (e - In ragione dello stesso principio, l'articolo si combina con le preposizioni per formare delle preposizioni articolate: del, delz, al, pels, I ecc.). (=
vano intatte, almeno alla 3 latino. a persona, la forma e la funzione del dativo r (i)eu sing. r. a obl. me, mi p nos pl. e vos
2 tu a te p e r Queste forme continuano le formerlatine del nominativo e delraccus sativo del pronome personale; la sforma mi continua il dativo ma le sue funzioni o coincidono esattamente o con quelle di me < ME accusativo. n n Il provenzale ha un pronome che presenta la stesa anche a riflessivo sa ridondanza nelle forme come risultato della confusione tra accusativo e dativo: se < SE, Si < SIBI,
m. sing. r. obl.
pl. r.
obl.
Articolo indefinito Dell'articolo indefinito, la cui forma corrisponde a quella del numerale uno: uns, una ecc., si è parlato sopra (cfr. 3.1.9). 3.1.11. Pronomi e aggettivi pronominali
f. sing. r. obl.
Pronomi personali I pronomi personali, come i pronomi in generale, presentano una fiessione alquanto più complessa dei sostantivi e degli aggettivi. Si distinguono tutti per numero e per caso, e quelli di 3' persona anche per genere. Spesso le opposizioni si esprimono non solo mediante un cambio di desinenza, ma anche di tema (el - ela, ma anche ieu - me). Alla 3' persona troviamo anche una distinzione tra forme toniche e forme atone e, tra quelle atone, un'ulteriore distinzione tra caso obliquo diretto e indiretto. In questo senso i pronomi personali conser58
pl. r.
obl.
3a persona tonico atono dir. ind.
el, elh el, elh, lui lo
tonico atono dir. incl.
ilh els, elhs, lor los lor
tonico atono dir. incl.
ela, elba, il , ilb elha, 1Wei, 1(i)eis la li
tonico atono dir. ind.
elas, elbas elas, elhas, lor las lor
Le forme del pronome personale di 3' persona, che mancavano in latino, sono state date dal pronome dimostrativo IEEE, diventato lui per analogia sul relativo QUI. Si è sviluppato anche un dativo analogico ILLut, sulla base di cui, che ha generato anche la forma femmini59
INTRODUZIONE LINGUISTICA
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
le analogica ILLAEI, basi rispettivamente di lui, 1(i)ei. Queste forme originariamente dative costituiscono dei doppioni per funzione di el, ela al caso obliquo tonico singolare. Allo stesso modo troviamo ridondanza al caso obliquo tonico plurale dove le forme derivate dall'accusativo sono affiancate da una forma (identica per m. e f.) derivata dal genitivo plurale ILLORUM > lor • La serie el, il, els, ela, elas è affiancata da una serie con palatale, elb ecc., che si è estesa da quei casi in cui la fonosintassi permetteva la palatalizzazione di /1/, cioè davanti a vocale. Al femminile esiste anche la possibilità di una forma singolare retta il, ilh < ILLI, mentre di più difficile spiegazione è l'oscillazione, all'obliquo tonico sing., di 1(i)ei/Ki)eis: «qan son denan lkis mogut» (27.35), ma anche «non es plus fresca de liei» (27.40). Esiste anche un pronome "neutro" singolare, riferito a qualcosa già menzionato: r. lo ( < ILLum per ILLUD ), obl. o ( < Frod: «aisi con en est breu escrit es et clerges leger o i pot» (3.4). Possono fungere da pronomi personali in funzione di genitivo ne o en(t) e in funzione di dativo i, derivati rispettivamente dalle particelle avverbiali INDE "indi", DM "li". Come per l'articolo definito, nella proclisi elidono la vocale finale me, mi, te, se, si, lo, la, talvolta li, e en. Le stesse forme e inoltre nos, vos, los, las perdono la vocale o comunque si abbreviano nell'enclisú me, mi > m te > t se, si > s o is nos > ns vos > us o s lo, la > l li > i los, , lb, las > Is en > n ilb,
sessore, legate cioè alla r a, 2'' e 3a persona singolare, distinguono forme toniche (pronominali) da forme atone (aggettivali proclitiche). POSSESSORE UNICO
m. tonico sing r m(i)eus t(i)eus s(t)eus obl. m(i)eu t(i)eu s(i)eu
3a
pl. r. mWei t(i)ei s(i)ei obl. m(i)eus t(t)eus s(i)eus atono sing r mos tos sos obl. tno(n) to(n) so(n) pl. r. mWei t(i)ei s(i)ei obl. mos tos sos f. tonico sing. mia, mkua toa, tieua soa, sieua pl. mias, mieuas toas, tieuas soas, sieuas atono sing ma ta pl. mas tas
sa sas
• POSSESSORE PLURALE a 22
Il pronome di I a persona sin& r. ieu davanti a enclisi diventa (t)e: «siatz sufrens del ben qui te • us vuel» (16.19-20), «qu' e • us servirai com bo senhor» (10.51). Pronomi e aggettivi possessivi I pronomi possessivi si declinano per genere e per numero e, al maschile, per caso. Inoltre la serie di forme che indicano un solo pos6o
m. sing. r. nostre(s) vostre(s) obl. nostre vostre
3 a
pl. r. nostre vostre obl. nostres vostres lor (lur) f. sing. nostra vostra pl. nostras vostras
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
INTRODUZIONE LINGUISTICA
Alla base delle forme che indicano un solo possessore vi sono le forme latine mEUS, TUUS, SUUS. Le forme toniche maschili continuano queste, ma con le forme analogiche TEUS SEUS sulla base di MEUS. Al nominativo plurale sono anche possibili le forme etimologiche tot, soi; per esempio: «Lai fo Boecis e foren i soi par» (1.63). Le forme toniche femminili più comuni sono quelle etimologiche; per esempio: «egals a la soci dompna» (39.3), anche se sono possibili forme analogiche basate su quelle maschili, mieua ecc., assenti nei no-
LONTANANZA
stri testi.
f. sing r.
Per spiegare le forme atone bisogna pensare a forme che, proprio a causa dell'uso atono, si sono ridotte a mos, TOS, SAS, MA, TA, SA. Le forme che indicano un possessore plurale derivano da NOSTER e VOSTER (che sostituisce VESTER) e, per la forma unica della 3 sona, da ILLORUM. a perPronomi e aggettivi dimostrativi I pronomi dimostrativi provenzali sono particolarmente ricchi di forme diverse. Innanzitutto, il provenzale distingue, come l'italiano, tra un dimostrativo di vicinanza: «Amix, ditz ela, cest aver vueilh prengat» (30.151o), e uno di lontananza: «Per cel senhor que tos nos fa parlar» (30.1457). I primi consistono in quattro serie di forme equivalenti caratterizzate dall'elemento est, i secondi da tre serie di forme equivalenti, caratterizzate dall'elemento eL Il primo gruppo inoltre si declina per genere, numero e, al m. pl., per caso. Il secondo gruppo si declina per genere, numero e, al m. sing. e 131., nonché al f. sing., per caso. Vi è poi una serie in questo gruppo che distingue al caso obl. sing, m. e f. tra diretto e indiretto. VICINANZA
m. sing est
(ist)
pl. r. ist obl. estz f. sing. esta pl. estas
(ist)
cest (ctst) cist cestz
aicest aquest (akíst) (aquist) akist aquist aicestz aquestz
cesta (cist) cestas
atcesta aquesta (alcist) (aquist) akestas aquestas
62
m. sing. r. obl. dir. pl. r.
obl.
obl, dir. ind. pl.
cel(b) cel celui cd(b) cels
aicel(h) akel
aquel(b) aquel
aicil(b) akels
aquil(b) aquels
cela (cil(b)) cela celWey celeis celkys celas
akela (aicd(b))
aquela (aquil(b))
aicelas aquelas
Si noti che le grafie (ai)cest, (ai)cel ecc. possono anche essere rese come (at)sest, (az)seL «ieu port d'ayselb mestier la flor» (4.4); «Ieu conosc ben selb qui be• m di» (4.15). Una tale varietà di forme implica una certa varietà di etirni. Alla base dei dimostrativi provenzali vi sono i dimostrativi latini ISTE e ILLE, con o senza una serie di prefissi rafforzativi. Si ricorderà che la forma semplice ILLE aveva assunto la funzione di articolo definito, sicché non troviamo la forma semplice come dimostrativo, ma solo quella derivante da ISTE. I dimostrativi vengono rafforzati generalmente da un prefisso, in questo caso ECCE > cest, cel; ATQUE + ECCE > aicest, aicel; ATQUE + ECCU > aquest, aquel. Tutte queste forme funzionano sia da pronomi che da aggettivi dimostrativi. Esiste anche un dimostrativo neutro ʻ•o/so/zo, aisso, aquo: derivato da Hoc più i prefissi elencati sopra: tale dimostrativo ha solo funzione pronominale. Infine, il provenzale ha un dimostrativo di identità, "stesso": in forma semplice, al m. eis, eps, f. eissa, epsa; in forma rafforzata, mezeis, meteis: «Qieu eis, cui sol sonar» (14.51) «eps li satan son en so mandament» «Aqui mezeis se comenson totz / demantenen a despoillar» (3413.4.00-4o1); «ayssi meteysb li altre dictat podon haver» (47.2) 63
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Questa forma deriva dal dimostrativo IPSE, rafforzato anche da MET. Vi è anche una forma negativa, neis < NEC + IPSE "nemmeno":
INTRODUZIONE LINGUISTICA
Pronomi e aggettivi interrogativi
Le forme degli interrogativi si accavallano con quelle dei relativi, an«non ai memb e no • m fremisca, neis l'ongla» (I8.io) che a causa della confusione, già esistente nel latino volgare, tra QUI relativo e QUIS interrogativo. Si ha così: qui, cui, que e inoltre qual Pronomi relativi (cal), che si declina come il relativo. Vi è poi una terza serie, quins, di origine non chiara, declinata relativi presentano due tipi di forme. La prima è come gli aggettivi della classe la: m. qui cui que sing r quins obl. quin che sono forme invariabili a uso unicamente pronominale La seconquin pl. r. da, usata come pronome e aggettivo, è composta con l'articolo: lo obl. quins quals (cals) e si declina come gli aggettivi di 2 f. am.classe: sing. quina lo quals sing r pl. quinas obl. lo qual pl. r. li qual Pronomi e aggettivi indefiniti obl. los quals Segnaliamo qui le forme presenti nei nostri testi: f. Altre, autre (< ALTER) si declina come gli aggettivi della classe '19, sing r la quals ma con una forma alternativa all'obl. m. sing. autrui, modellata sul obl. la qual relativo cui e con funzioni simili: «ieu fier drutrui / e« m gart de lui» pl. las quals (7.34-5); «En l'autrui brodi; chatz cora m voill» (7.37-38); al(s) "altro", solo neutro: «pois d'als non l'aus merce querrer» La prima forma deriva regolarmente da Qui, CUI, QUEM, mentre la seconda è basata su QUALIS. (6A.2 a1u(ws si declina come u(n)s; Davanti a vocale, que si elide in qu', q', c', oppure aggiunge una c cadau(n)s (< CATA + UNUS) consonante epentetica: ques, quez: i); cascu(n)s, chascu(n)s (< CATA + QUISQUE + UNUS) "ciascuno", si declinano come u(n)s; «que al mielhs ques els puescan» (3213.13) calque, qualque "qualche", ma anche "quale che sia": «que non «alqus fols creiria / quez est'amors mala sia» (,44.27291-92). n'agues calque merce» (35.2748); tot "tutto", pronome e aggettivo, si declina come segue: Un ulteriore pronome don(t), derivato da DEUNDE, viene usato c,ome m. indiretto o per indicare possesso. totz sing Notiamo anche, affianco al relativo lo quals, anche il correlativo obl. tot tals < TALIS, declinato allo stesso modo: tuit, tukb, tug, tuh pl. r. obl. totz «Tal seffignor ai» (26.56) «De tal domna sui cobeitos» (6a.15) f. tota «e so m'en partitz de tals tres» (1231) sing totas «ve n posca un tal aval pel cors descendre» (40.5) pl. 64
65
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INTRODUZIONE LINGUISTICA
3•2.2. Classificazione dei verbi
Condizionale i Condizionale ir Imperativo
Per quanto riguarda la coniugazione dei verbi, il provenzale riduce sostanzialmente a due le quattro coniugazioni latine, sicché i verbi in -ar (l -er, a -re, -ir (2 to però che molti verbi in -zr hanno adottato l'infisso incoativo -isc- o a coni -isstra la radice e la desinenza in alcuni tempi 7 ,uga 3 Questa divisione dei verbi è attraversata da un'altra divisione tra .a zion deboli e verbi forti: tale distinzione riguarda la coniugazione verbi ,e4 verbi al perfetto (passato remoto). Sono detti forti quei verbi in dei cui a latinal perfetto l'accento cade sulla radice alla l deboli quelli in cui cade sempre sulla desinenza. In provenzale ci soaconiugazion a) tre classi di perfetti forti corrispondenti alle uscite latine in -sr, no ,e 3latina) ne han una classe, quest'ultima, molto più estesa in provenzale che non a 6 hanno in Inoltre, tra i perfetti deboli vanno distinti due tipi, il tipo noelatino. a persona che un'altra. continua Vae le forme latine, che riguarda i verbi in -ir, e il tipo a cui una si sono estese per analogia delle desinenze basate sui perfetti latini notaseri uscita in -DEM ( > -ei), che riguarda tutti gli altri. con e diIn provenzale solo i verbi in -ir e soprattutto in -ar sono produttivi, desicioè capaci di generare verbi nuovi. Questo riguarda le nuove formazioni denominali: abelir da bel, meravelbar da meravelha, esdarzir nen da dar, reverdezfr da vert ecc., e i verbi di origine germanica, che ze, rientrano solo in queste due classi: gardar, garir, garnir, guidar. e quell Verbi deboli. l i in a classe: Esempio: chantar.infinito Part• pr• part• pass• chantat. incbantan, -ar Indicativo Presente chan chantas chanta chantam chantatz chantan (chanto(n), chanten)
7 L'infisso incoativo, in latino, esprimeva l'idea di qualcosa che "diventava". 8. Per gli esempi delle coniugazioni abbiamo cercato fin dove è possibile di utilizzare 68
Si noti che in tutti i verbi la desinenza della 5 dursi a -s, -t oanche -z: «Baro, 2 pers• può ri- que vos en par / d'aisel efan que vezet lai estar» (30 • 451-52 ); «que ab ma filha vos anes deportar» ( 30 '4.72 ); «adossas me ab dos l'amar» (12.27); «aiqui viraz» (x 7. La desinenza del perfetto determina la vocale caratteristica della 1288). desinenza del condizionale ii e dell'imperfetto del congiuntivo. Nei tempi passati composti i verbi transitivi usano l'ausiliare aver, mentre quelli intransitivi usano generalmente esser. Il paradigma di aver al presente è: ai, as, a, avem, avetz, an. L'accento nel futuro e nel condizionale i è chanteréz (3 chantería (l a pers•), pers•), chanterézm (4 ae3 (l a pers.), pers•) e L'origine perifrastica del futuro e del condizionale i è ancora ria nell'imperfetto del mentre nel cordata permettendo la scissione delle due parti e l'inserimento di un e congiuntivo condizional pronome tra le•chantés due: «lauzar vos an per estranhes regnatz» (30.1518) e3 riloderanno"; "vi è mucir m'an li sospire» (16.13), "mi uccideranno". " chantéra (l ap e 3 e presenti nei nostri testi. Si tratta pur sempre spesso di forme standardizzate, sicché forme a rimandiamo r al glossario per forme diverse soprattutto dal punto di vista delle grafie. s i, 69 c
INTRODUZIONE LINGUISTICA
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA P ROVENZALE
Verbi deboli. 2 a classe: Esempio: dormir. . Part. infinito in pr. -er,dormen, part. pass. dormit. -re, -ir Indicativo Presente
I verbi in etimologiche del perfetto, mentre gli altri hanno le stesse desinenze ir in che cbantar: crei re - crezel, prendre - prendei, vendre - vendei, vensser questa venssei; di qui anche condizionale crezera, prendera, vendera, vensseclasse ra e cong. itnp. crezes, prendes, vendes, vensses. mantengo no, come si è detto, le forme
Verbi deboli. 3" classe: incoativi Esempio: fiorir. . Pari. pr. floren/florissen, pari. pass. //mit. Pr. ind. Pr. cong. Imperativo Ilorisc (-is) fiorisca floris floris (-isses) floriscas floretz floris fiorisca florem floriscam lloretz floriscatz fiorisco(n) floriscan (-isso(n)) L'infisso incoativo è inserito solo in alcune voci del verbo: in tutto il pr. cong., nella ra 2 l'imperativo, e (ma non sempre) nel participio presente. Tutti gli ala 3 a e 6" persona tri tempi si coniugano come il tipo dormir: del pr. id., nella 2 floria 1 pers.ind. del- imperfetto ind. perfetto fiori ind. futuro fiorirai ind. condizionale floriria ind, condizionale forma cong. imperfetto lloris Verbi forti, ia classe: perfetti latini in È chiaro che la distinzione qui riguarda solo il tema del perfetto sicché daremo solo il paradigma del perfetto dell'indicativo e la la pers. sing. del condizionale xx e dell'imperfetto del congiuntivo, tempi costruiti sullo stesso tema. Tutto il resto del verbo si coniuga secondo i tipi sopraelencati. Di fatto, per i rimaneggiamenti all'interno del sistema verbale latino, solo un verbo rimane in questa classe: vezer, che per evoluzione fonetica viene a coincidere con i verbi come dormir. Ind. perfetto vi vist vi vini vitz viron
Condizionale xx• Cong. imperfetto vira vis
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
Verbi forti. 2 0 classe: Esempio: metre.perfetti latini Ind. perfetto in -si Condizionale mes, nits meira mesist mes mesem mesetz mesdren, meiron
INTRODUZIONE LINGUISTICA
Parecchi tra questi verbi forti hanno anche delle forme deboli per analogia con gli altri verbi, specie alla I a e alla 6 dormi), agueron (su(su cbanteron). 0 persona: agui Cong. imperfetto mezes
Verbi forti. 30 classe: perfetti latini in -m A rigore, e facendo a meno della base latina, qui si potrebbe parlare di due classi, una con un tema che esce in -c e una con tema in -p. Questo è il risultato dell'evoluzione fonetica. Nel primo tipo, la semivocale /w/ subisce un'evoluzione come /w/ germanica > gw > g, assorbendo la precedente consonante se è /k, t, d, b, v/ e diventando c /k/ in posizione finale POTUI > poc, HABUI > ac, voLui > volc. Nel secondo tipo, quando la semivocale /w/ era preceduta da /p/, si ha anticipazione della stessa: SAPUI > sazi!). a) Esempio: aver.
Si è già detto che le forme dei verbi irregolari, nonché le forme irregolari dei verbi regolari, si troveranno nel glossario, limitatamente ai testi della nostra antologia. Diamo comunque le forme del più frequente dei verbi irregolari, il verbo "essere", esser, estre usato anche come ausiliare per il passato composto dei verbi intransitivi e del passivo. Part. pr. essen, part. pass. estat. Indicativo Presente so(n), soi, sui (z)es(t)
es sern,em,esmes etz, es so(n), sun(t)
Imperfetto era eras era eram eratz ero(n)
Perfetto
Futuro
fui fust fo(n) fom fotz foro(n)
serai, er seras,ers sera, er(t) serem seretz seron
Condizionale i Condizionale ir Imperativo
Ind. perfetto Condizionale u Cong. imperfetto ac, aic agra agues aguist ac aguem aguetz agron
seria fora serias foras seria fora seriam foram seriatz foratz serian forali
Presente Imperfetto sia fos stas fosses sta fos siam fossem statz fossetz
sian, sio(n) losso(n), fossen 73
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
Si noti come solo questo verbo mantenga, nelle persone I anche le forme del futuro latino. Le forme del presente del congiunn tivo si rifanno non al latino classico mq bensì a un più arcaico SIEM ,2 diventato SIAM in latino volgare. ae3 a 4 Sintassi , Premettiamo che non pensiamo di fornire uno studio esaustivo sulla sintassi dell'antico provenzale, argomento a cui sono stati dedicati manuali adeguati e affidabili, ma piuttosto di dare delle indicazioni sui fatti salienti, con esempi ricavati dai testi dell'antologia. 4.1. Il sostantivo 4.1.1. Numero Alcuni sostantivi con forma singolare hanno il valore di plurale, hanno cioè un senso collettivo. Molti di questi derivano, come si è visto (S 3.1.1), dai plurali neutri latini in -A, identificato poi come un femminile singolare. Essi reggono generalmente un verbo al singolare: «la fuelba que s'espan» (9.2), dove fuelba < FOLIA (plur. neutro) ha valore di "fogliame". Un caso più complesso è dato da gens, che etimologicamente è un femminile singolare che regge per lo più un verbo al singolare: «Ai! bona gentz, con es manda» (30.428). Ma l'idea di una pluralità di persone fa sì che talvolta regga un verbo al plurale: «Mas una gen fad'enversa / cum s'eron noirrit en tertres» (11.17-18); o che il sostantivo venga esso stesso usato al plurale, "le genti": «per sa beutat la gardon mantas gens» (41.22).
INTRODUZIONE LINGUISTICA
cum, si trova il caso retto, dato che è il soggetto di un verbo implicito: «Iazon el camps cuma fradin» (2.11); «doussa•us er cum cbans de lera» (8.35). Com'è ovvio, il caso retto viene usato nella copula con il verbo esser: «foren ome fello; / mal ome foren, aora sunt peior» (1.20-21); e con altri verbi che si comportano come copulativi, come semblar: «que•I bel plan mi semblon tertre» (11.1o); «cum pogues semblar malaveis» (27.21); parer: «paro•m fulbat li giscle» (I i.14); tornar: «ni un de mi non tornara descosselbatz» (4.34-35); e con l'espressione esser faitz: «que•ls rnotz son faitz tug per egau» (5.39). Verbi che significano "essere chiamato" reggono anche, ma non sempre, il caso retto, come apelar: «om me n'apela Ioglar» (12.34, in rima); aver nom: «el a nom n'Anfos de Barbastre» (29.43). Il caso retto è anche usato nel vocativo (sostituendo il caso vocativo latino): «Haus tu Raimuns, fils Aialmus. Bells Cavalbiers, / de vos ab ira» (22.62-64); «Be•in meravill cum 1 vostre cors s'orguoilla, / amics, vas me» (25.15-16); «Amors, Amors, / » (1.3); «ia•m pariira, / breu no•m faitz socors» (35.2687-88); «Firaz les, cbevaler» (17.13oo). 4.1.3. Il caso obliquo
Il caso retto è usato per esprimere il soggetto grammaticale del verbo, attivo, passivo o riflessivo, e tutti gli elementi nominali che concordano con quel soggetto. Le parole in apposizione con il soggetto grammaticale del verbo prendono anche il caso retto: «fo moiller del rei Enric d'Engleterra, maire del Rei joven» (37.3); «n'Enricx, / us reys d'Englaterra, donava» (28. '88-89); « Heu Ponz, fits de Garsia» (3.1). Nel secondo termine di una comparazione, per esempio dopo
Il caso obliquo marca in primo luogo l'oggetto diretto di un verbo transitivo e tutti gli elementi nominali che concordano con questo oggetto, comprese, ovviamente, le parole in apposizione: «veit Folcon lo conte venir devant» (17.1294). Si usa per lo più anche l'obliquo dopo espressioni come i a: «n'i a tan bon escu» (17.1319); «no•i a ren plus» (26.15); «ha•y times soltes, times esparses...» (46.3), oppure es vos, ve- us: «E vos Carlon primers e Uc de Brei» (17.1308); «Ecvos e Roma l'emperador Teirk» (1.44); «ve•us m'al vostre comandamen» (Io.6i). L'obliquo può anche essere usato come determinativo di un sostantivo senza preposizione per esprimere possesso, anche se tale uso sembra meno frequente che in antico francese. Generalmente si tratta di un nome di persona o di parentela: «del temps Constantin» (2. 13 ); «Bernart, lo fraire Armant» ( i 7. '296) La parola all'obliqt segue il nome, tranne che per Deu: «ses Deu licencia» (1.19). L'obliquo viene ovviamente usato dopo tutte le preposizioni, ma senza una preposizione l'obliquo può anche esprimere una serie di rapporti come: a) tempo: «qu'eu ja pois viva jorn ni mes» (io.i4) o con l'espressione totz joms "sempre;
74
75
41.2. 11 caso retto
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA P ROVENZALE
b) modo: per esempio l'espressione mon escien "secondo me"; c) circostanza: «tuit s'en van a las tendas.„ senbeiras desplegadas e-ls penos destendutz» (32A.1 -2 ) • 4.1.4. I determinanti e i qualificanti del sostantivo L'articolo
L'articolo definito serve a identificare un sostantivo preciso, generalmente unico o già menzionato nel testo: «fez lo lo reis e sa charcer gitar» (171); «so ditz lo re» (30. t45t ) (si tratta di personaggi già introdotti); «l'enseigne au rei Martel le jor fu raue» (17.1283) (una bandiera specifica). L'ultimo esempio illustra anche come rarticolo definito possa avere un significato dimostrativo che ricorda le sue origini dal dimostrativo latino: le jor "quel giorno". L'articolo definito può però anche avere un significato generico: «anet lonc temps per lo mon per enganar las domnas» (37.2), "le donne" in generale. Si usa in senso distributivo: «cen vetz mor lo jorn de dolor» (10.27); e anche con parti del corpo quando è chiaro a chi appartengono: «non ai membre no-m fremisca, neis l'ongla» (18.io); «del cors en trait verme& l'ensengne blaue» (17. 28 i). L'uso dell'articolo definito non è obbligatorio e vi sono diversi contesti in cui è normale non impiegarlo, per esempio per termini di significato generale o astratto e, ovviamente, per personificazioni: «Dompna met mot mal s'amor / que ab ric ome plaideia» (13.17-18); «neus, gels e conglapis» (11.3); «d'amor no dei dir mas be» (5.7); dovens falli e fraing e brisa, / et Amors es d'aital guisa» (8.7-8). L'articolo è spesso assente in comparazioni generiche: «dolz'e suaus es plus que bresca» (2.18); «plus sera dreicha que ligna» (8.23), in frasi ipotetiche: «s'anc trobey bon cor ardii» (28.176) e come predicato di verbi come esser e in apposizioni: «ma domna Maeuz de Montaignac, moiller d'en Talairan, qu'era fraire del comte de Peiregors» (39.1), nonché in espressioni fatte come aver razon. È generalmente omesso davanti a nomi di persone, di popoli e di paesi: «mil salut mi venon... de Cataluenha e de Lombardia» (24.32-33); «cli•us dones Normandia» (15.20); «sai Frances e lai Masmut» (27.63). Alcune delle funzioni elencate sopra per l'omissione dell'articolo sarebbero coperte in italiano dall'articolo indefinito, articolo meno diffuso in provenzale, ma che, come avviene per l'uso dell'articolo in generale nelle lingue romanze, si diffonde di più a partire dal )(m secolo. L'articolo indefinito è usato per riferire a un sostantivo che
INTRODUZIONE LINGUISTICA
non è stato ancora menzionato: «Legir auzi sotz eiss un pin / del veli temps un libre latín» (2.1-2); «mas elha- m dis un reprovier» (4.50); «en lieis amar honratz fora us reis» (24.8); oppure può anche particolarizzare un sostantivo, assolvendo la sua funzione d'origine, di numerale: «Et ac un fili, que ac per moiller la duquessa de Normandia, don ac una fila, que fo moiller del rei Enric d'Englaterra» (37.3). L'articolo partitivo è poco presente in provenzale che usa normalmente per questa funzione il sostantivo senza articolo: «ieu ai, dona, aur et argen asat» (30.1514). Talvolta però il partitivo espresso con de, con o senza l'articolo definito, e serve a indicare una quantità non specificata anche di qualcosa di astratto: «de vostres laices vos li anes viholar» (30.1473) "qualcuna delle vostre lasse"; «no vos anes que del miei non aiatz» (30.1524); «non ai de sen per un efan» ( i o .45 ); «ab de cavalers no sai can» ( 34A • 388 ) L'aggettivo L'aggettivo e i participi usati come aggettivi si accordano con il sostantivo in genere, numero e caso, e ciò vale anche nella predicazione: «lo coms de Toloza es iratz e dolens» (321111). Quando i sostantivi sono più di uno e di genere diverso, l'aggettivo si accorda normalmente con il sostantivo più vicino. La forma neutra dell'aggettivo viene usata in costruzioni impersonali o per qualificare un pronome neutro: «Bel m'es q'ieu chant e coindei» (27.1 ); «no•us estara gen» (16.31); «greu er c'ulmais i ateingna» (6A.I3); «aisso m'es bon a far» (30.1475). La posizione dell'aggettivo è piuttosto libera anche se si preferisce mettere aggettivi brevi o aggettivi dimostrativi, possessivi ecc. prima del sostantivo e gli altri dopo. In liste di aggettivi si fa generalmente precedere l'ultimo da e: «francs cors umils, gais e cortes» (1(3.54). Pronomi personali Le desinenze verbali sono sufficientemente distinte da rendere superfluo l'uso del pronome personale soggetto per distinguerne le persone, sicché questi pronomi vengono usati, come per esempio in italiano o in castigliano, per lo più per enfasi o chiarezza: «leu conosc ben sen e folhor / e conosc anta e paor» (4.8-9) (la prima occorrenza serve a enfatizzare il soggetto parlante in questo vanto); «Heu Ponz, fils de Garsia... no•t decebrai» (3.1); «Nos iove otnne... / da gran follia per folledat parllana» ( «mas vos, amics, etz ben tant co77
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PR OVENZA LE
noisens» (25.26), e per apostrofare: «Haus tu Raimuns, fils Aialmus!» (3.1). Per la seconda persona singolare, come si vede anche dagli esempi di cui sopra, si può usare sia tu che vos. Vos è la forma prediletta per interpellare l'amata (o l'amante) nella lirica, e spiega la più alta frequenza di forme pronominali della 5' persona rispetto a quelle di 2 letterario e che forse ricalca l'uso latino, visto che si tratta di un doa cumento legale. n Ti pronome oggetto diretto ha funzione di oggetto diretto del vere mentre quello indiretto, oltre alla funzione di oggetto indiretto bo, del i verbo, ha una serie di altre funzioni non connesse al verbo. Viene n impiegato con una preposizione: «selhs qui s'azauton de mi» (4.18); «ieu vau ves lieis corren» (6B.23) o con un infinito: «qu'en o liets amar» (24.8). Il pronome oggetto indiretto può anche indicare a s beneficio di chi viene compiuta l'azione del verbo: «irada es, anas t apagar» (30.1474) "per conto mio». la•m ri Il pronome riflessivo, oltre alla sua funzione di riflessivo, può avere un uso puramente stilistico: «sus a las cambras s'en es Beto t intrat» (30.I487); «totz lo cors m'en vai esperden» (6B.s8); può ine dicare la reciprocità di un'azione: «l'us ves l'aitre si•s fai fals sacras mem» (i. io); o in costruzioni impersonali può anche servire a esprimere un passivo «aquestes dues maneres... se usen molt en las canti 90nS» (46.12). . Per quanto riguarda l'ordine dei pronomi atoni, a differenza che T nelle lingue romanze moderne, è generalmente l'oggetto diretto a u precedere quello indiretto: «eu la vos canterei» (2.33); «vos /os , datz quantz s'en volra» (30.1481 14_1— )i Questi pronomi precedono normalmente il verbo, si trovano cioè in .n posizione proclitica: «heu•ls te rendría sens logre et sens engan» (3.2); «el /os pren, ela /os li a donatz» (30.1531). Quando il verbo, f però, è in prima posizione nella frase (per esempio quando è un ima perativo), essi lo seguono, cadendo dunque in posizione enclifica: tt me bon esser, senhors?» (12.22); «Tenet /os doncz, per amor «pot ios i, portatz» (30.1530); lo stesso avviene dopo la congiunzione: «e dis è /i tot risen» (34.A.427); «Et enamoret se de la comtessa» (38.2) 9 .p Come si è già accennato, con il futuro è possibile inserire il pronome tra i due elementi che compongono questo tempo: «lauzar vos r per estranhes regnatz» (30.1518); «e dir vos ay per que» (12.14). an e s 9. Queduso dell'enclisi è noto come legge di Tobler (Mussafia la estese all'italiano antico: legge Tobler-Mussafia). e n t e
INTRODUZIONE LINGUISTICA
Pronomi e aggettivi possessivi Le forme atone dei dimostrativi funzionano sempre come aggettivi: «ma dompna Maria de Ventedorn» (39.1); «la gent fazia en so sermo» (1.23); «ni ma behatz ni mos pretz ni MOS sens» (25.5). Più articolati sono invece gli usi delle forme toniche, che all'oHgine sono più enfatiche. Possono fungere anch'esse da aggettivi, precedute dall'articolo come in italiano: «eu t'o tenrai de la mia part» (3.4); «lo mieus bels amics gens» (25.33). Senza articolo, funzionano come predicato: «mais vai sia seus totz l'aurs et totz l'argens» ( 3 2B. 36); «quar lo mieus dans vostres er» (16.40). Sempre precedute dall'articolo, fungono da pronome: «Carles secor les seus» (17.1284). Il possesso può anche essere espresso, come si è visto, dall'apposizione di due sostantivi e anche con de e un pronome personale: «la mort de lui» (3 8 7 ). Pronomi e aggettivi dimostrativi Come si è detto, le due serie di dimostrativi si distinguono in base alla distanza della cosa indicata da chi parla, ma ciò non viene sempre rispettato se tale distinzione non risulta importante nel contesto, • sicché le due serie sono spesso più o meno sinonimiche: «ieu suy d'aquest mestier... / tan ensenhatz» (4.39-40) e «ieu port d'ayselh mestier la flor» (4.4). Le funzioni delle forme dell'obliquo diretto e indiretto non sono sempre ben distinte: «Ieu conosc ben selb qui be•m di» (4.15), accanto a «e conosc ben selhuy qui • m ri» (4.17). Spesso l'uso delle forme lunghe è per enfasi o è dovuto a ragioni metriche. Talvolta il dimostrativo può sostituire un articolo definito, con il quale è legato etimologicamente: «Per cel senhor que tos nos fa parlar» (30.1457). Il dimostrativo neutro si riferisce a qualcosa che è stato già menzionato; può essere usato come soggetto, oggetto o dopo una preposizione: «per zo no•I volg Boecis a senor» (1.47); «aquestes dues maneres, o es rimes croades e rimes leoni:nes» (46.12); «anc d'aquo c'amei no• m iauzi» (5.81 ); «aisso m'es bon a far» (30.1475). Pronomi e aggettivi relativi Nelle forme qui, que e cui alla differenza formale non corrisponde sempre una differenza di funzione grammaticale. Qui dovrebbe funzionare come soggetto riferito a persone e que riferito ad animali o 79
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
cose: «creessen Deu, qui sostenc passio» (1.24); «obediensa deu portar / qui voi amar» (5.31-32); «n'Alengri, c'un dia / vok ad un parc venir» (31.6-7); «canczon audi q'es bella•n tresca» (2.14); ma qui come soggetto può sostituire que come riferito a cose: «las forzas qui i sunt ni que azenant faias i serant» (3.1), e viceversa: «Dompna met mot mal s'amor que ah ric ome plaideía» (13.17-18). Qui in quanto riferito a una persona può non avere un antecedente preciso: «qi ben la cliz a lei francesca, / cuig me qe sos granz pros l'en cresca» (2.20-21); «qu'en dobl'es fatz / e dessenatz / qui • s laiss'a fol enfolletir» ( 7.28-30) Que è impiegato anche come relativo generico in espressioni di tempo: «... quel iorn qued vei» (26.57). Que si riferisce anche a un neutro come so, o a un'intera frase: «quar vueill so que non puesc aver» (5.20); «no say que s'es... / so que vuelh comensar» (I2.I-2), ma troviamo anche «ago qui es dir» (46.26). L'impiego più comune di que è come oggetto diretto: «est vers si es de bona color / quieu ai trag de mon obrador» (4.2-3); «ome gu'es aissi conques» (10.47); «siatz sufrens / del ben quie• us vuel» (16.17-18). Cui è riferito solo a persona e viene anche usato con preposizione: «Donz fo Boecis... / cui tan amet Torquator Mallios» (1.28-29); «de tal domna sui cobeitos, / a cui non aus dire...» (6A.15-16), ma con una preposizione può essere sostituito da qui o que: «car tan l'am eu, per que i ai dan» (10.20); «tant ai lo cors deseubut, / per gu'eu soi a toz estraigna» (13.9-1o). Lo quals può fungere sia da pronome che da aggettivo: «aplicar a la persona a la qual...» (47.8); «aplicar a so senhal: lo qual senhal...» (47. 8 Don(t), come si è detto, ha funzione di relativo indiretto o serve a ). indicare possesso: «ben deu cascus lo ioi iauzir / don es iauzens» (5.5-6); «Miels de domna, don sui fogiz dos ans» (26.50). Un dimostrativo più un relativo serve a indicare qualcuno o qualcosa di specifico: «Ieu conosc ben selh qui be•m / di e selh qui•m voi mal atressi; / e conosc ben .s•elhuy qui • m ri» (4.13-15), "colui che". Un relativo più que invece ha valore indefinito: «e diga•I / qui que s'en vuelha azautar» (12.41), "chiunque"; «qui d'amor no sen / al cor cal que dousa sabor» "qualche". Pronomi e aggettivi interrogativi Qui, cui e que si usano solo come pronomi, le prime due forme riferite a persone, l'altra non riferita a persone: «ni sap qui•rn so in sap
INTRODUZIONE LINGUISTICA
que• m fa» (35.2737). Cui, inoltre, non ha mai funzione di soggetto e di attributo: «quar no nos membra per cui viuri esperam» (1.3). Qual (anche accompagnato dall'articolo) e qutna fungono sia da pronome che da aggettivo; qutna significa per lo più "di quale specie?" (non abbiamo esempi nei nostri testi): «sabon quals est aquist canczons» (2.25); «Quals flors? Neus gels e conglapis...» (11.3). 4.2. Il verbo In genere il verbo concorda con il suo soggetto in numero e persona. Una serie di sostantivi collegati da e, o, ti può prendere un verbo al singolare: «L'airs dars e•1 chans dels auzelhs, / la flors fresca ed fuelha / / ei vertz herb'a bruelha / mi mostra d'esser ysnelhs» (9.1-5); «neus, gels e conglapis / que cotz e destrenh e trenca» (I i.34). La 5 6 a «so dison cil co an proat» (35.2751). a person Nell'uso dei tempi, all'indicativo si osserva un'oscillazione, sopratsa ha tutto nei testi narrativi, tra presente e perfetto, che non corrisponde isempre molto a ciò che chiameremmo un presente storico: «Polche vieni' ri premerains / E vait ferir Bernard de Rochemaue. / Tau li det en spesso l'escu, fvaloreque tot l'estraue» (17.1275-79); «Aicel cossel si van tuh ajustar /ee lo rei fa per l'efan enviar / et el vene tost, e preti se a ginoulhar» singola (30.1468-70). Tale oscillazione, che potrebbe essere collegata alla ri re, di presentazione orale dei testi più antichi, tende a scomparire e a lasrispetto sciare il posto a un'alternanza a noi più familiare fra perfetto e prec, e la storico nei testi in prosa più tardi, come le vidas e le razos: i sente nostri esempi infatti presentano solo verbi al passato. e Il participio presente con esser può esprimere un'azione continua: t«ben deu chascus lo ioi iauzir / don es iauzens» (5.5-6) o essere aequivalente a un tempo semplice con valore durativo: «a tot lo mon lsui damanz» (26.34), "mi lamento". Quando non è declinato ha il valore di un gerundio che descrive l'azione del soggetto del verbo; in v questo caso può essere rafforzato da en: «Quar en baizan no•us eno verse» (11.25), "baciandovi, nel baciarvi". lt Per quanto riguarda i tempi passati, il perfetto è usato per azioni apassate limitate nel tempo. Esso è il tempo narrativo principale: «E aper voluntat de Heis vezer, el se crozet e se mes en mar; e pres lo umalautia en la nau» (38.4); il passato composto descrive azioni o stati che cominciano nel passato e continuano nel presente «ie•us vuelh, n senher, demandar / co es endevengut / d'aital mescap, c'aisi perdut s/ an pretz e valor li baro» (28.218-21): l'imperfetto descrive uno stao g 81 g
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
to o una condizione del passato: «Et yeu auzi si com n'Enricx, / us reys d'Englaterra, donava / cavals e muls, e can sercava / vas Lombardia•1 pros marques, / e de terras o iii. / on trobava baros assatz» (28.188-93). Va anche notato che viene spesso usato con valore di presente storico in testi narrativi anche anar al presente + l'infinito, sicché negli esempi di prima vait ferir (17.1278) e van ajustar (30.1469) hanno un significato passato. L'imperativo negativo si esprime con no(n) + il congiuntivo: «Noi prenatz lo fals marit» (42.1); «Per que? No m' o demans» (14.81); «Mon prumier do en refut non agatz» (30.1512). Il congiuntivo esprime in generale qualcosa che si spera, che si pensa, che si vorrebbe, qualcosa di ipotetico; viene dunque usato in frasi ottative, per ordini, per esprimere un giudizio: «ben vuelh que sapchon li plusor» (4.1); «mas que dezir'e entenda que per espoza la prenda» (A4 vos anes2deportar» (30.1471-72); «cuig me que sos grans pros l'en cresca» 73 (2. 20-21 ); «non es faitz c'ont creire deya» (29.81). In molti casi, se la cosa è più realistica, si può trovare un indicativo negli stes47 «qieu crei e sai / que sel cui jesus ensenha / segur'esi contesti: scola pot-0 tener» (6A.4.2). Nel periodo ipotetico la presenza di un congiuntivo dipende dal ); grado di certezza che viene espresso. Un'ipotesi realizzabile riferita al «a presente o al futuro ha generalmente si + l'indicativo nella protasi e ra (presente o futuro) o il condizionale i nell'apodosi: «us l'indicativo •u si•s tarda son parent, / senor ni par, si•11 mena malanon o preza, ment» (1.2-3); s «Ia no cera nuils hom ben fis / contr'amor, si non l'es achs» (5.26); «si vos plaz est nostre sons / / eu la vos cantarei en vu dons» (2.33); «s'orsi era o femena quels ti tolgues, ah aquels fin ni ei societad non auria» (3.2); «si jeu vos o avia mogut, e no•us o trazia a h m'en per fol» 12.14). cap, tenriatz for l'ipotesi è piuttosto irrealizzabile si ha si + l'imperfetto Quando del congiuntivo nella protasi e (di solito) il condizionale m nell'apot dosi: «Car s'il m'auzis o si•m parles / o si•m vezes o si•m toques / pr adonc la pogra combatre / fin'Amors» (35.2741-44); «qe no las en ostera jeseg / adonc, se tot far o poges» (34a.379-8o). aressere sostituito da quan: «Plus sera dreich que ligna / Si può qand ieuqu serai ses privatz» (8.23-24), o anche da qui < stQuis "se qualcuno": e «Lo vers chant, qui .1 sabra» (9.61); «del vers vos dic que mais ne ah vau / qui ben l'enten» (5.37-38); «ja no•us degratz restar, / qi-us dones Normandia» ( 15. I 9-20 ) Oltremall'impiego in frasi ipotetiche il condizionale i serve a moa derare un'affermazione: «mais amatici deniers en mon punh que fil ha 82
INTRODUZIONE LINGUISTICA
.m. sols el cel» (12.14) e, in ragione della sua origine come futuro nel passato, si riferisce a un'azione posteriore a un'altra al passato: «fez razo que ia mais non la cobrarta» (39.2). Come si è visto, il provenzale ha una curiosa ridondanza fra forme del condizionale; il condizionale ii si impiega come il condizionale i in contesti presenti: «q'a lauzengiers / sai q' abellira» (22.69-70), ma indica anche un'azione che poteva aver luogo nel passato ma non lo ha fatto: «Bonas maynadas, / be•us volgra aver essenhadas / de MOn lati» (36.39-41). Il passivo si esprime con la forma composta con esser seguito dal participio passato che concorda con il soggetto; ma è anche possibile e frequente l'uso della 3 «Tenseigne rei Martel a persona, au riflessiva o le ior fu raue» (17.1283); «Aquels castels c'aid sunt escrit» (3.3); «Mater bel'e plazen avía / / mas sol d'un no, oppure della 6a: don era reptada» (29.46-50); « on trobava baros assatz» (28. i 93 ); «e non cre genser s'enseingna / ni anc homs non la pot vezer» (6A.2728). 4.3. Parole invariabili Si, oltre ad introdurre una frase ipotetica (derivata dunque dal latino si), ha anche altri valori derivati in parte dal latino stc, in parte sviluppati nelle lingue romanze In generale si può dire che ha un valore intensivo: «e fo si malament e nafratz e ferutz» (32A.12); «si•m tira vas amor lo fres / que vas autra part no•m aten» (10.7-8); «Bertrans de Born si era drutz» (39.1). Può anche significare "così": «si iqon o monstra•1 passions» (2.29). Funziona anche come congiunzione, spesso al posto di e, ma non è sinonimo di e in quanto è anche possibile la combinazione e si, che ha talvolta il significato di "poi, dunque, allora": «fez sos mes segre, siiz fez metre e preso» (1.59); «E penset si • s conseillet qu'el en fezes una» (39.3); «de Boeci escriure fez lo nom, / e sii tramet e Grecia la regio» (1.54). L'affermazione si realizza con l'avverbio oc ( < Hoc): «oc! e may de mil ans so•m par» (12.33); «per que•tn tieng ric sol que•na deinh dire d'oc» (24.9); «Senher, oc» (29.66). La negazione è espressa con no(n), sia da solo che nella frase. Talvolta non è rafforzato da altre particelle come ren, nien, ges, anc, mais, _la e l'a mais: «sent e quier l'amor / on non a ren biays» (9.4647); «ieu non vuoill ges esser bar» (15.33); «sa beutat no. m val nien» (613.19); «qu'anc non nasquet sai entre nos / neguna...» (6A.24-25); «Ara no mais» (14.81); «no sai cutnia mais sia pros ni cumja venh'a guerimen» (613.38-39). Due negazioni, come si vede dall'ultimo 83
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
INTRODUZIONE LINGUISTICA
Que introduce una subordinata con una varietà di significati che vanno dedotti ogni volta dal contesto: «ben vueill que sapchon li plusor» (4.1), «vas lui no' m vai merces ni cortesia... / c'atressi• m sui enganada e trahia / cum degr'esser, s'ieu fos desavinens» (25.4-7); «ge carvendría / sa gelozia» (22.25-26), "perché"; «queds motz son faitz tug per egau» (5.39), "poiché"; «lo rics pretz q'avetz m'en atayna, /
c'una non sai / si voi amar, vas vos non sia aclina» (25.23-25), "cosicché"; «qui nos pais, que no murem de fam» (r.5), "di modo che"; «per Oen vos mand lai on es vostr'estatges / esta chansson» (25.31-32), "per ciò". Talvolta sembra che que funga da semplice riempitivo: «Quieu jutg'a drei / que fols follei» (7.25 -26 ); altre volte viene anche omesso, lasciando che la semplice giustapposizione introduca la subordinata: «ieu non creirai sia filh de joglar» (30.1458); «no suy tan fatz / non sapcha triar lo meilhor» (4.12-13); «non ai membre no•m fremisca» (18.to). Possiamo dire, come regola generale, che il verbo tende ad assumere la seconda posizione nella frase, anche se il primo elemento non è necessariamente il soggetto (identificabile anche grazie alla declinazione). L'ordine che domina nelle lingue romanze moderne, cioè soggetto-verbo-oggetto (s-v-o), è il più frequente nella frase subordinata, mentre nella principale il verbo può essere preceduto da altri elementi: un avverbio, l'oggetto, una frase avverbiale, una subordinata. Nei seguenti esempi vediamo l'ordine s-v-o nella frase subordinata: «qu'el trametia los breus» (1.65); «aquest sant home que an mort» (45.1538); «Chansos es us dictatz que conte de .v. a sii. coblas» (47.1 5); «quant el pres Rossillon» 7.1 3 3 3 ); «que ieu ai aur et argen asat» (30.1514), e anche nella frase principale: «Nos iove omne mena tal mal iovent» (1.7); «Carles secor les seus» (17.1284); «En Symos de Montfort, alegres e iauzens, / a retengut lo camp» (3213.8-9); «li altre dictat podon haver una o doas tornadas» (47. 2 Come si è detto, tuttavia, soprattutto nella principale la prima posizione della frase può essere occupata da altri elementi, che ven). gono così portati a tema ", talvolta anche per motivi di enfasi. Si avrà dunque un'ordine o-v-s, che mette enfaticamente in rilievo l'oggetto nella principale: «trop gran bauzia / fai en Bascol» (29.73-74); «Mon cor ai lai en cella torre» (35.2690); «Obediensa deu portar / a maintas gens, qui voi amar» (5.31-32). Il verbo può anche essere preceduto da un complemento indiretto: «a vos chanta, a edili gigna» (8.20), da un avverbio: «Mar vit Carles Martelz son grant bofei» (t 7. 33 ), «Mot fo grans lo dampnatges» (32B.t); da una frase avverbiale: «Sus a las cambras s'en es Beto intrat» (30.1487). Va anche notato che non sempre è necessario esprimere il sog-
io. Forme spinte e articolate di ipotassi, o di subordinazione, vengono introdotte nella prosa volgare su imitazione di quella latina, assunta a modello ad altezze cronologiche variabili da una tradizione letteraria all'altra.
t. Per tema di una frase si intende non il soggetto ma ciò che viene percepito come più importante e che viene così spesso ad assumere la prima posizione (viene "tematizzato").
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esempio, vengono collegate da m l'er . vedatz, / ni un de mi non tornara / descosselhatz» (4.32-35); «c'anc c'amei no•m iauzi, // ni o farai, ni anc o fi» (5.14-15). : «selhd'aquo que cosselh mi guerra Talvolta nelle frasi negative vi è apparentemente un eccesso di parole non negative: «ni mais negus no m es dous ni plazens» (16.4). 4.4. La struttura della frase Parlare di struttura della frase o di ordine delle parole in un corpus di testi, come il nostro, composto per gran parte di poesie liriche non è facile, poiché in tali testi l'ordine è pressoché libero per motivi stilistici e metrici. Inoltre la melodia dei testi lirici costituiva una struttura portante e in qualche modo densa di significato, sicché il testo poteva eludere una sintassi rigorosa. Questo si vede bene per esempio in un testo come il nostro numero 22, la Kalenda maía di Raimbaut de Vaqueiras, che sembra procedere per giustapposizione di brevi frasi non sempre ben collegate fra di loro. Anche la destinazione orale della lirica avrà scoraggiato l'uso dell'ipotassi e in genere di una sintassi complessa, seguibile solo nello scritto. Detto ciò, il modo più tipico per il provenzale di costruire una frase o un testo è quello appunto della giustapposizione delle frasi; predomina cioè la paratassi, ovvero la coordinazione xo connettori , e l'uso dideboli: «Lo coms de Peiteus si fo uns dels maiors cortes del mon e dels maiors trichadors de domnas, e bons cavalliers d'armas e larcs de dompneiar, e saup ben trobar e cantar. Et anet lonc temps per lo mon per enganar las domnas. Et ac un fui, atte ac per moiller la duquessa de Normandia, don ac una filla que fo moiller del rei Enric d'Englaterra, maire del Rei Iove e d'en Richart e del comte Iaufre de Bretaingna» (37).
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
getto, quando questo è un pronome personale, il soggetto implicito. La costruzione (s)-v-o è molto frequente come si può vedere, per esempio, dai testi 37, 38, 39, dove la maggior parte delle frasi dipendono dal soggetto enunciato all'inizio del testo; il soggetto viene talvolta inserito per evitare confusione: «E saup qu'ella era la comtessa» (38.6). Il verbo assume la prima posizione nella frase normalmente in alcuni contesti. Si trova spesso, per esempio, nell'introduzione di un discorso diretto: «Ditz la regina» (30.1462); «Baro, ditz el» (3 0 Viene anche per primo quando è un imperativo: «Firaz les, chevaler» ( 17 .13 oo ) «Garatz vostra gonela» (20 .325 ); «Ben gardatz • huelhs e mas» (20.357), ma per enfasi si può anticipare l'oggetto: 1 «Vostre cors tenetz gen» (20.305); «ad els, ma dona, aquest aver 4 donatz» (30.1517). 8 Nell'interrogazione ci si aspetta generalmente l'inversione, come avviene per lo più nelle lingue romanze. Nelle interrogazioni intro3) dotte da una parola interrogativa (pronome o altro), l'ordirle è: paro• interrogativa-v-s; per esempio: «On son gandit joglar?» (14.31); la «De qual guisa guerrai eu donquas ...?» (35.2737); in quelle senza parola interrogativa c'è inversione del verbo e del soggetto: «Cuiatz vos...?» (8.61). Anche qui, però, sono possibili altri ordini. Il soggetto può essere anticipato per enfasi in interrogazioni con parola interrogativa: «E vos, que•m faz, domna Merces?» (35.2704); «aiso que sera, domna?» (12.28); «eu que• n pose mais?» (10.2I); mentre in quelle senza si può mantenere l'ordine normale della frase, lasciando presunulbilmente la funzione interrogativa all'intonazione, come in italiano: «Doncx, so dis lo rey, aquest fo / lo cortes Bascol de Cotanda?» (29.64-65). L'interrogazione indiretta può essere introdotta da una parola interrogativa: «no say que s'es» (12.1); «Ar auiatz, senher, cal desastre / li avene» (29.44-45), oppure da si: «Cuiatz vos q'ieu non conosca d'Amar / s'es orba o losca?» (8.61-62),
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Appendice Nozioni di metrica e di poetica
Abbiamo deciso di dedicare queste poche e sintetiche pagine alle nozioni principali di versificazione e di poetica provenzale per il ruolo fondante che le istituzioni metriche e i generi della lirica trobadorica hanno avuto nei confronti delle altre tradizioni romanze ed europee. Prima della versificazione provenzale esistono solo, nel mondo romanzo (assai più ricco è il quadro del mondo semitico), forme relativamente semplici come l'ottonario o il decenario organizzati in lasse o strofi assonanzate o rimanti. Sono i trovatori a creare forme e generi come la canzone e il sirventese, come la cabla esparsa (antenata del sonetto) o come la tenzone, e inoltre a trasporre sul piano della poesia d'arte alcune inflessioni della poesia tradizionale. La versificazione provenzale, come quella antico-francese e delle altre lingue romanze, affonda le sue origini nel sistema ritmico-sillablco della poesia mediolatina, che aveva rimpiazzato la metrica quantitativa dell'epoca classica. Gli elementi costitutivi del verso sono le posizioni (una o più sillabe) e gli ictus (gli accenti di parola, o meglio del gruppo fonetico, che hanno una funzione ritmica). Le figure metriche regolano, grosso modo come nella metrica italiana, gli incontri vocalici tra le parole (la dialefe separa due sillabe contigue, la sinalefe le unifica) e all'interno delle parole (la dieresi fa contare come due posizioni due vocali contigue, la sineresi le fa contare come una). Non va invece considerata una figura metrica l'elisione, che si verifica anche in prosa, benché, ovviamente, essa abbia delle ripercussioni metriche almeno nel senso che impedisce la dialefe. Nella versificazione provenzale rimpiego della dialefe, e forse anche quello della dieresi, doveva essere più diffuso di quanto lo stato dei testi lasci oggi sospettare, dopo l'intervento di copisti-correttori (e in qualche misura anche di alcuni editori moderni). La stessa cosa si può dire della versificazione italiana delle origini (fino almeno a Dante), in cui queste figure erano più frequenti e inoltre ammettevano oscillazioni. 87
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
È possibile che la tendenza a uniformare si debba principalmente ai copisti, che erano in buona parte italiani. La denominazione moderna dei versi provenzali si basa sul computo delle posizioni alla francese e non all'italiana: il verso italiano di dieci posizioni, seguite da una sillaba opzionale immancabilmente atona, è chiamato endecasillabo, perché la stragrande maggioranza delle parole italiane è parossitona e quindi il verso è di norma di undici "sillabe" (più esattamente di dieci unità metriche, che abbiamo chiamato posizioni, seguite da una sillaba atona che però non è determinante nella struttura ritmica del verso: può infatti mancare o possono essercene due); in francese lo stesso verso è chiamato décasyllabe, perché la stragrande maggioranza delle parole francesi è ossitona (e quindi il numero di "sillabe" coincide di norma con il numero delle posizioni, salvo quando il verso termini con eventuale consonante). e atona più Con terminologia italiana parleremo, per i versi provenzali, di versi di una posizione, di binari, ternari, quaternari, quinari, senari, settenari, ottonari, novenari; i versi con più di nove posizioni sono versi composti, cioè formati da due membri separati da cesura, a cominciare dal decenario (così preferiamo chiamare il décasyllabe) e dal senario doppio, corrispondente all'alessandrino francese (più rari sono altri tipi di versi composti). E decenario risulta dalla combinazione di un quaternario seguito da un senario: l'autonomia dei due membri consente che talvolta il quaternario sia parossitono (cioè che alle quattro posizioni segua una sillaba atona, extranumeraria ed estranea al computo metrico), dando luogo a un tipo di cesura detta epica (cfr. S LI) i. Non mancano altri tipi di cesurazione: tra queste, quella detta lirica, che anticipa l'ictus di quarta alla terza posizione, con uscita parossitona del primo membro (cfr. 24.36), e quella che prevede l'inversione dei membri, prima il senario, poi il quaternario (cfr. r 4 5 9 ) • E sistema metrico del provenzale, se cronologicamente ha un precedente in quello francese, si è sviluppato in maniera originale e complessa soprattutto nella strofica e nel perfezionamento della rima, il cui uso è rigoroso e tocca in alcuni poeti livelli insuperati di virtuosismo. Anche l'impiego dei tipi metrici, cioè dei vari versi, è dei più variati. Per facilitare la loro individuazione, è consuetudine tipografica invalsa quella di allineare asimmetricamente i versi a sinistra, fa-
APPENDICE
a. Diamo qui alla fine alcuni esempi di scansione, evidenziando ictus, figure metriche, cesurazioni ecc.
cendo rientrare maggiormente, in maniera scalare, i più brevi rispetto ai più lunghi (cfr. per esempio i testi 7, 9, 15 ecc.). Qualche cenno sulla cobla (it. stanza o strofe), che può considerarsi la cellula semantica, metrica e melodica dei componimenti lirici. Tutte le coblas di una poesia devono avere lo stesso numero di versi, lo stesso schema di rime, la stessa successione di tipi metrici; nella stessa posizione strofica, inoltre, l'uscita del verso (ossitona o parossitona) non può cambiare. Alla fine di ogni cobta la melodia si ripeteva identica. Al loro interno, le coblas possono esibire delle partizioni, rilevabili dal cambio di rime (per esempio: abba/cdcd), da un diverso andamento della melodia, dalla sintassi, anche se tali partizioni sono generalmente più embrionali di quelle in cui si organizzerà la stanza di canzone italiana. I componimenti sono di solito conclusi da un congedo, chiamato tomada o, più anticamente, fenda, di estensione inferiore, sia pure di un sol verso, alla cobla, benché raramente la funzione di congedo possa essere svolta dall'intera ultima stanza. Nella tornada, la misura dei versi e le rime devono essere esattamente le stesse della parte finale della stanza immediatamente precedente: una tornada di quattro versi, per esempio, riproduce precisamente e nello stesso ordine i tipi metrici e le rime degli ultimi quattro versi dell'ultima stanza. Diverse poesie hanno più congedi: in alcuni casi ciò si può spiegare con la ridestinazione dello stesso componimento a un nuovo destinatario. Le coblas sono spesso concatenate l'up l'altra con una serie di accorgimenti che costituiscono un arricchimento tonico-strutturale e che nello stesso tempo servono a proteggere, almeno relativamente, la corretta successione delle stanze da incidenti di copia e a favorire la memorizzazione. Un solo tipo di organizzazione strofica, quello detto a coblas singulars, ammette la totale indipendenza delle stanze dal punto di vista delle rime, che si rinnovano a ogni stanza salvo restando il disegno di base; ma nemmeno questa tecnica esclude del tutto qualche tenue elemento di raccordo perché è comunque lecito mantenere costante, in tutto il componimento, una o più rime, che possono essere rims estramps o dissolutz (isolate nella stanza) o disporre di compagne all'interno della stanza. All'estremo opposto si situa la tecnica delle coblas unissonans, che impone l'uso delle stesse rime per tutto il testo: anche qui una o più rime, o perfino tutte, possono essere rims dissolutz. Un'altra forma di arrangiamento strofico consiste nel raggruppamento delle stanze a due a due mediante la rima: in un pezzo a coblas doblas, dunque, la prima stanza avrà rime uguali alla seconda, la terza alla quarta, e così via. Esistono anche componimenti a coblas ternas, a stanze alternate (la prima con rime uguali alla
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terza, la seconda alla quarta ecc.), o con schemi strofici misti o più complicati. Più chiaramente finalizzati al congelamento della sequenza delle stanze, benché non inediti nella versificazione mediolatina, sono certi accorgimenti che allacciano la fine di ogni stanza all'inizio della successiva. Nelle coblas capcaudadas la rima dell'ultimo verso di ciascuna stanza è uguale a quella del primo verso della stanza seguente. Nelle coblas capfinidas invece una parola, ma non necessariamente la parola in rima, dell'ultimo verso di ogni stanza è ripetuta all'interno o all'inizio del primo verso della stanza che segue. A coblas retrogradadas si dice il componimento in cui viene impiegata la retrogradatio delle rime (le rime si ripetono specularmente). L'applicazione simultanea della tecnica delle coblas capcaudadas, di un tipo particolare di retrogradatio e la sostituzione della rima con la parola-rima (cioè della rima identica) dà luogo alla sestina (18), inventata da Arnaut Daniel e quindi trasmessa, grazie alla mediazione di Dante e di Petrarca, a numerose letterature moderne. La sestina è una canzone a coblas unissonans e a rtms dissolutz; ogni stanza si compone di sei versi (un settenario e cinque decenari) terminanti con una parola-rima, ma la successione delle parole-rima cambia di stanza in stanza in base alla 'formula della retrogradatio cruczata, vale a dire che ogni stanza ripropone le sei parole-rima della precedente alternativamente dal fondo e dall'inizio: i. abcdef, ii. faebdc, in. cfdabe ecc. Con la sesta stanza tutte le possibilità combinatorie sono esaurite. Come abbiamo detto, i trovatori fanno un uso impeccabile e rigoroso della rima, escludendo ogni tipo di rima per l'occhio, più o meno tollerata in diverse tradizioni letterarie: non è dunque consentito rimare e aperta con e chiusa, o aperta con o chiusa, a con a estreita; i poeti più raffinati distinguono inoltre sfumature fonetiche più sottili, come le varianti combinatorie di uno stesso fonerna. La terminologia per definire i tipi di rima, risalente in buona parte alla precettistica tarda, è complessa e a volte contraddittoria. Basterà segnalare, in molti trovatoti, lo sforzo di arricchire la rima, estendendo l'identità della terminazione ai fonenai che precedono la vocale tonica (rime ricche), di giocare sull'aequivocatio (voci omofone ma con significato diverso), di legare rime diverse con figure flessionali (come per esempio enverse - enversa), di impiegare rime difficili o perfino cacofoniche (rime care). Negli schemi metrici i versi vengono indicati con il numero delle posizioni: per i versi con uscita parossitona (o femminile, secondo la terminologia francese; quelli con uscita ossitona sono anche detti maschili), alla cifra si fa seguire un apice: io' è un decenario femminile 90
APPENDICE
(in italiano "piano"), io un decenario maschile (in italiano "tronco"). La cifra è preceduta da una lettera minuscola che indica la rima (le maiuscole sono riservate all'eventuale refranb, cioè ritornello). Nei cappelli che in questo manualetto precedono i componimenti selezionati abbiamo sempre indicato lo schema metrico, il numero, l'estensione e il tipo di concatenamento delle stanze, e in ultimo il numero di congedi. A questi dati facciamo seguire il rinvio al primo volume del Répertoire métrique di Istvàn Frank. Si prenda ad esempio il testo n. Io, Non es meravelba s'eu cban: «Frank 624: 51» significa che la successione di rime abbacddc è lo schema strofico n. 624 del repertorio; lo schema 624 è a sua volta articolato in 92 sottoschemi a seconda del tipo di versi (nel nostro caso si tratta semplicemente di otto ottonari) e delle rime vere e proprie; al n. 51 troveremo l'indicazione della nostra canzone, vale a dire «Bn Vent 70, 31», cioè il nome del trovatore in forma abbreviata seguito da altri due numeri che rinviano alla bibliografia contenuta nel secondo volume del repertorio. Qui, «70» è il numero assegnato a Bemart de Ventadorn sulla base della lista alfabetica di tutti i trovatori, e «31» il numero della poesia in questione assegnato sulla base della lista alfabefica degli incipit delle sue poesie. Questo codice trovatore-poesia risale in realtà alla Bibliographie der Troubadours di Alfred Pillet e Henry Carstens (nel suo repertorio Frank ne aggiorna e corregge alcuni dati), e infatti è questo codice che indichiamo con le iniziali dei due studiosi (è anche in uso la sigla BdT) subito dopo l'elenco dei manoscritti: «P.-C. 70.31». Chiudono i cappelli il rinvio a tre repertori di melodie trobadoriche, quello di Gennrich, di van der Werf e di Fernàndez de la Cuesta, e una caratterizzazione del genere poetico. Pochi sono i generi metrici in senso stretto dei trovatori (cioè le forme fisse, come per la tradizione italiana il sonetto o l'ottava), anche perché il principale genere poetico, la canzone, imponeva l'originalità della formula strofica: la stessa sestina, uno schema chiuso, Arnaut doveva considerarla un unicum e non una forma ripetibile. Tra i generi metrici si può ricordare il descort (a forma, per la verità, non fissa per eccellenza), fondato sull'irregolarità delle strofi e dei tipi metrici, a connotazione del disordine mentale del poeta-amatore; i generi per coro e solista (la balada e la dansa), che contengono un refranb; e ovviamente i metri, non strofici, in uso nell'epica, nel romanzo, in alcuni generi religiosi e in quelli didascalici, che hanno quasi tutti dei precedenti nella tradizione francese. Molto più variato è invece il panorama dei generi poetici, soprat-
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tutto dei generi della lirica. Tra quelli rappresentati nella nostra scelta antologica, ricordiamo anzitutto la canzone, veicolo principale di espressione della condizione cortese; l'alba, di argomento ugualmente cortese, che descrive la separazione degli amanti al mattino; la pastorella, genere non cortese e talvolta quasi narrativo, che racconta la seduzione da parte di un cavaliere di una pastora (personaggio socialmente basso, contrapposto alla dama della lirica); il sirventese, grande genere dell'attacco personale, politico, della satira dei costumi; il gap, vanteria militare, poetica o sessuale. La lirica di ispirazione religiosa (non ne diamo esempi) assume spesso forme improntate ai generi laici, come la canzone, l'alba o la pastorella. Esistono anche generi ibridi, come la canzone-gap (24) o il sirventese-canzone. Ciascun genere ha i suoi connotatoti, costituiti da segnali verbali oltre che dalla situazione. Lasciando da parte la canzone, che dispone di una miriade di segnali, si può per esempio osservare come il sirventese sia basato sul vocativo (il poeta si rivolge a un signore o all'intera classe baronale); come la pastorella sia giocata tutta sul dialogo e presenti un cavaliere che immancabilmente nei primi versi cavalca; come nell'alba non solo compaia sempre la parola alba, ma è quasi di rigore l'invocazione a Dio ecc. D'altra parte, la lirica dei trovatoti non è una poesia calligrafica e, per così dire, normativa dal punto di vista dei generi. I poeti cercano costantemente di variare il loro modello, arrivando in qualche caso a ribaltarlo parodicamente: si veda per esempio l'anti-gap di Guglielmo ne (4) o l'altro gap, sul filo dell'assurdo, di Raimbaut d'Aurenga (12), che include una cavillosa presa in giro delle classificazioni generico-melodiche e che si serve perfino di battute in prosa. Tra i generi non lirici, ma pur sempre in versi, ricorderemo ovviamente il romanzo, l'epica, la letteratura religiosa, allegorica e didascalica (soprattutto quella degli ensenbamens), e infine il teatro. Non mancano esempi di prosa religiosa e didascalica (qui non inclusi) e di trattatistica grammaticale e poetica, mentre un caso a parte nella tradizione romanza è quello delle vidas e delle razos, che secondo alcuni hanno costituito un importante precedente della Vita nuova e del Decameron. Esempi di scansione
Chiudiamo tra barre verticali le singole posizioni; la doppia barra segnala la cesura nei versi composti. Indichiamo con un accento acuto gli ictus principali.
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.t Nos I io:5 ve ! é ! mne, ! quan dius ! qu'e I nés ! t'ànt è un decenario (quaternario + settario) a uscita maschile, con primo membro femminile e con secondo membro cominciante con consonante, pertanto con cesura epica. Si noti la dialefe tra iove e omne. 1.30 De sa! pi ! én I cia ! ! nò ! fé ! trop I nulaillés
è un altro decenario maschile dello stesso tipo del precedente e con cesura epica. Si notino la dieresi in -ie- di sapiencia e la sineresi in -ia della stessa parola; inoltre la dieresi in nuallos. 1.31 únt ! en j re ténc ! I que I de ! tét I non I fo ! blés è un decenario maschile con primo membro anch'esso maschile. 4.3 6 è un ottonatio maschile. Si notino la sineresi in ieu e la dieresi in Qu maistre (accentato su -i-, forma che coesiste in provenzale accanto a 'ié m&Stre, mastre).• u! ai I Tért !esIniléns 5.18 né è mun ! quaternario maschile, con dieresi in niens. ma 16.55 las ! tres I dé ! nnas ! ! a !cùi! ieu te ! pre sén 1 è isun ! decenario maschile con cesura lirica. tre !17,1281 del ! cérs j en ! tríit ! ver ! méi! Ile ! ! s'en ! sé ! ngne blú i ue ce r !un decenario femminile con anticipazione del senario rispetto al è tI quaternario (è questo il metro del Girart de Roussdlon), che presenta anche una cesura epica, avendo il primo membro uscita femminile 20,302 si ftz I a ! per ! ceu I bUtz è un senati° maschile, con dieresi in siatz. 93
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25.21 q'en ! ma i cò1 i pa
Sigle dei canzonieri
sl a•I I de par ti méns
è un decenario maschile con cesura lirica; dieresi in sia 30.1493 t la i f6 aIgrajd.Jbla, I en I sa riú ! te Ali. datz 30.1494 qu'é i ro d'aur I fl et Ideldins I tra I gi tatz sono esempi di alternanza tra alessandrini (1493) e decenari (1494) in un poema epico. 3213.1 Mot ! fo ! grns ! lo ! damp n tges e:1 clas !eI I per I de méntz 3213.2 cant lo ! réis d'A. ! ra i géo j re mas I mórt e I saIgnéns sono due alessandrini (senati doppi) maschili: nel primo esempio l'uscita del primo emistichio è femminile, nel secondo è maschile. Nel secondo, il primo ictus del secondo ernistichio potrebbe cadere anche su remas- invece che su mort
Elenchiamo di seguito inoltre alcuni testi i canzonieri che non lirici compresi nell'antologia. Le sigle risalgono a K. Bartsch, Grundri s zar Geschichte der provenzalischen Literatur, Eberfeld 1872, contengono le sliriche con le aggiunte che successivamente si sono rese necessarie. Per i codici non dei trovatori e ai cappelli ai singoli testi. siglati si rimanda A
C
35.3246 Ka lén da i I E i vai I s'én è un ottonario maschile. Si noti la dialefe prima di E.
C v
D E F
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 5232; membr.,
sec. xiii, copiato in Italia. Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 1592; membr., sec. xiii, copiato in Provenza Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 856; membr., sec. m Narbona. Catania, Biblioteca Ventimiliana, 92; membr., sec. xv, copiato in Cav, copiato a talogna. Modena, Biblioteca Estense, oc.R.4.4; membr., datato 1254 (con sezioni aggiunte in epoca posteriore), copiato in Italia: è diviso in quattro parti: D, D', Db e D', a cui segue il supplemento cartaceo d. Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 1749; membr., sec. xtv, copiato in Linguadoca. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi L iv,ro6: membr., sec. xtv, copiato in Italia. Milano, Biblioteca Ambrosiana, R.71 sup.; membr., sec. xiv, copiato
H
K ' 94
in Italia. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 3207; membr., sec. 'uv, copiato in Italia Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 854; membr., sec. XIII Italia. , copiato in Firenze, Biblioteca Nazionale, Conv. Soppr. F.4.776; membr., sec. 'uv, copiato in Linguadoca. Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 12473; membr., sec. 'cm, copiato in Italia. Udine, Biblioteca Arcivescovile, cod. frag. 1.265; frammento membr., sec. xiii, copiato in Italia. 95
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L
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat 3206; membr., sec. xtv, copiato in Italia. M Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 12474; membr., s ec. )(n', copiato in Italia. N New York, Pierpont Morgan Library, 819; mernbr., s ec. xrit ex., col'iato in Italia. N' Berlino, Staatsbibliothek, Phillips 1910; cart., sec. xv , copiato in Italia dal filologo Giulio Camino. O Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana lat. 3208; membr., sec. xtv, copiato in Italia. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pl. xt..1.42; membr., datato 1310, copiato in Italia. Q Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2909; membr., sec. 'uv, copiato in Italia. Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 22543; membr., sec. 'uv, copiato in Linguadoca. Oxford, Bodleian Library, Douce 269; membr., sec. xrn copiato in Italia. Sg Barcellona, Biblioteca de Catalunya, 146; membr., sec. xtv, copiato in Caralogna. T Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 15211; membr., sec. xv; copiato in Italia. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pl. xr.r.43; membr., sec. xtv, copiato in Italia. Venezia, Biblioteca Marciana, fr. App. cod. xr; membr., datato 1268, copiato in Catalogna. VeAg Barcellona, Biblioteca de Catalunya, 7 e 8; cart., sec. xv in.; copiato in Catalogna. W Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 844; canzoniere francese contenente poesie provenzali; membr., sec. xrn, copiato in Francia. X Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 20050; canzoniere francese contenente poesie provenzali; membr., sec. xnr, copiato in Francia. Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 1745; membr., sec. xrv, copiato in Linguadoca. a, a' Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2814 (siglato a); Modena, Biblioteca Estense, Campori O.N.8.4, lI, 12, 13 (siglato a'); cart., copia eseguita nel 1589 a Tarascona del canzoniere perduto compilato dal chierico alverniate Bernart Amoros tra la fine del mit e l'inizio del xrv secolo, smembrata in 'due parti. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barberini lat. 4087; cart., copia parziale eseguita in Italia nel sec. xvi del canzoniere perduto compilato a Montpeffier nella seconda metà del xitr secolo da Miquel de la Tor. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pl. xc.26; cart., sec. xv, copiato in Italia. 96
• SIGLE DEI CANZONIERI
Codice Stengel, acquistato dalla Biblioteca dell'Università di Lovanio e distrutto nell'incendio del maggio 1940; cart., sec. xvi, copiato in Italia. Supplemento cartaceo di D; sec. xvi ex., copiato in Italia. e Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barberini lat. 3965; cart., sec. xrx in., copiato in Italia dal canonico catalano Joaquin Pla (si tratta di un'antologia moderna, esemplata in parte su codici pervenuti, in parte su codici perduti). Parigi, Bibliothèque Nationale, fr. 12472; cart., sec. xtv, copiato in Provenza. C Bern, Stadtbibbothek, 389; canzoniere francese contenente poesie provenzali; membr., sec. xiii, copiato in Francia.
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Boeci Ms.: Orléans, Bibliothèque Municipale 444 ()a sec., proveniente dall'area di Limoges ) Edd. : Bartsch ( 1855 ); Appel ( 895 ); Crescini ( 926 ); Lavaud & Machicot (1950). Metrica: lasse monorime (ma con un' certo numero di assonanze in luogo della rima) di decenari. È l'inizio del poema, con tonalità epico-agiografiche, sulla biografia di Boezio, in parte basato sul De consolatione philosophiae.
Nos iove omne, quandius qu'e nos estam, de gran follia per folledat parllam; quar no nos membra per cui viuri esperam, qui nos soste tan quan per terra annam, e qui nos pais, que no murem de fam, per cui salv esmes per pur tan quell damarn. Nos iove omne menam tal mal iovent que us non o preza, si•s tarda son parent, senor ni par, si•11 mena malament, ni l'us ves l'aitre si•s fai fals sacrament. Quant o a fait, mlia no s'en repent, enivers Deu non fai emendament. Pro non es gaire, si penedenza•n prent: dis que l'a presa, mila nonqua la te, que epslor forfaiz sempre fai epsament; e laisall Deu, lo grant omnipotent, ki•I mort e1 viu tot a in iutiament; eps li satan son en so mandament. Ses Deu licencia ia non faran torment. III
forenome&Ho; mal ome foren, aora sunt peior. Volg i Boecis metre quastiazo; auvent la gent fazia en so sermo, creesíen Deu, qui sostenc passio, per lui aurien trastut redemcio. Mas molt s'en penet, quar non i mes foiso anz per eveia lo mesdren e preiso.
iv Donz fo Boecis, corps ag bo e pros, cui tan amet Torquator Mallios. IOI
I O
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2. SANCTA FIDES
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
De sapiencia no fo trop nuallos; tant en retenc que de tot non fo blos. Tan bo essemple en laiset entre nos, no cuid qu'en Roma om de so saber fos. v Coms fo de Roma, e ac ta gran valor aprob Mallio, lo rei ernperador: el era4 meler de tota la onor, de tot l'emperi4 tenien per senor. Mas d'una causa u nom avia genzor: de sapiencia l'apellaven doctor. vi Quan veng la fis Manie) Torquator, donc vene Bocci ta gran dolors al cor, no culd aprob altre dols li demor. vii Morz fo Mallios Torquator dunt eu dig. Ecvos e Roma l'emperador Teiric; del fiel Deu no volg aver amig.
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El capitoli, l'endema al dia clar, lai o solien las altras leis iutiar, lai veng lo reis sa felnia menar. Lai fo Boecis e foren i sci par; lo reis lo pres de felni'a reptar, qu'el trametia los breus ultra la mar: a obs los Grex Roma volia tradar. 102
7 0
io ves] vel xi o a f.] o f. 14 presa] bresa 15 forfaiz] for farzc 16 e 1.l 1. 17 ei viu] (et) vius 20 Eznsanzs (P) en dies E. o. f. (Bartsch propone Enanz en dies) 26 Verso mermetro nel primo emisttchio 28 Verso mometro nel secondo emistichio; pros] pro 66 Verso mermetro nel secondo emzstichio; forse Roma
volla a obs los Grex tradar (corr. Meyer e altri) 67 pesar] pesat 68 Sal en] sal el en 70 solfa.] solient a. (corr. Meyer e altri)
4 0 2
Sancta Fides 45
viti No credet Deu lo nostre creator; per zo no1 volg Boecis a senor, ni gens de lui no volg tener s'onor. tx Eu lo chastia ta be ab so sermo, e Teirix col tot e mal sa razo, per grant evea de lui volg far fello. Fez u breu faire per gran decepcio, e de Boeci esci-jure fez lo nom, e sii tramet e Grecia la regio. De part Bocci lor manda tal raizo, que passen mar guarnit de contengo: eu lor redra Roma per traazo. Lo senz Teiric miga no fo de bo: fez sos mes segre, si•lz fez metre e preso.
Pero Bocci anc no venc e pesar. Sal en estant e cuidet s'en salvar; l'om noi laiset a salvament annar; cid li faliren qu'el soll'aiudar; fez lo lo reis e sa charcer gitar.
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6o
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Ms.: Leida, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Vossianus Lat. in-8., n. 6o (ultimo terzo xt sec., probabilmente della regione di Na rbona). Ed.: Thomas (1925). Metrica: lasse monorime di ottonari. li poema racconta la passione e i miracoli di Santa Fede di Agen, mantirizzata sotto Diocleziano, e le disgrazie capitate ai suoi aguzzini Le tre lasse riportate sono il prologo.
Legir audi sotz eiss un pin del veli temps un libre latin; tot l'escoltei tro a la fin. Hanc non fo senz q' el norrl declin; parled del pair'al rei Licin e del linnadg'al Maximin. Cel meiro•ls saintz en tal traiti con fai venairels cervs matin: a elusa% menan et a fin; mortz los laissavan en sopin. Iazon els camps cuma fradin; no•lz sebelliron lur vizin. Czo fo prob del temps Constantin. ti Canczon audi q' es bella:n tresca, que fo de razo espanesca; non fo de paraulla grezesca, 103
IO
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
ne de lengua serrazinesca. Dolz'e suaus es plus que bresca e plus qe nutz pimentz cl'om mesca; qi ben la diz a lei francesca, cuig me qe sos granz pros l'en cresca e q'en est segle l'en paresca. III Tota Basconn'et Aragons e Fencontrada delz Gascons sabon quals es aqist canczons e ss'es ben vera 'sta razons. Eu l'audi legir a clerczons et a gramadis, a molt bons, si qon o monstra1 passions en que orn lig estas leiczons. E si vos plaz est nostre sons, aisi cowl guida1 primers tons, eu la vos cantarei en dons.
4. BEN VUELH QUE SAPCHON LXPLUZOR
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3 a la fin] la aggiunto nell'Interi.
3
Carta provenzale del 1103 ca. Parigi, Archives Nationales, J 329 (Toulouse 'od, n. 22. Ed.: Brunel (1926-52). Testo: Brunel (le parole latine sono in corsivo). Giuramento feudale.
'Haus tu Raimuns, fils Aialmus! Heu Ponz, fils de Garsia, del castel de Fos et de Eiras et d'Aix nwt decebrai, ni nots ti tolrai, ni om ni femena per mon conseil, las forzas qui i sunt ni que azenant faias i serant; 2et s'om era o femena quels ti tolges, ab aquels fin ni societad non auria, fors pels castels a recobrar, et con recobrati los auria, hewls te rendria sens logre et sens engan. 3Aquels castels c'aici sunt escrit, ewls te rendrai con m'en comoras o comonroe m'en faras sens engan. 4Heu Gaufres, fils Garsias, a ti Raimun, fils Aialmos, aisi con en est breu escrit es et derges leger o i pot, eu t'o tenrai de la mia part. 5Heu Bertrans, fils Garsias, a ti Raimun, fils Aialmos, aisi con es escrit en es breu et clerges leiger o i pot, eu t'o tenrai de la mia
part. 6 Rostain Ugo Isnar. Fredols d'Aix. Guultelmus Dodons. Guullelmus R. Rostain Dodon. Peire Gasc. Bertran Senioret. Geral dus. Petru s 4 Raimu Guglielmo d'Aquitania ndus• Ben vuelh que sapchon li pluzor Petru s de Mss.: C, Da, E, N (P.-C. 183.2). Edd.: jeanroy (1927); Pasero (1973); Fos. Bond (1982). Testo di C. Beren Metrica: a8 a8 a8 a8 b4 a8 b4; otto coblas dablas di sette versi e due tornadas, ger R. la prima di quattro e la seconda di due versi (Frank 25: 5). Gap letterario-erotico, che nelle ultime due stanze assume un tono parodico e autoironico.
Ben vuelh que sapchon li pluzor d'est vers si es de bona color, qu'ieu ai trag de mon obrador; qu'ieu port d'ayseth mestier la fio , et es vertatz, e puesc en trair lo vers auctor, quant er lassatz.
4
ti teu conosc ben sen e folhor, e conosc anta et honor, et ai ardimen e paor; e si•m partetz un iuec d'amor no suy tan fata non sapcha triar lo meilhor d'entrels malvatz.
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iii teu conosc ben selh qui bem di e selh qui•m voi mal atressi; e conosc ben selhuy qui•m e selhs qui s'azauton de mi conosc assatz: qu'atressi dey voler lor fi e lor solatz.
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105
5. Pos vEzEm DE NOVEL FLORIR
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
IV
Mas ben aya selb quiln noyri, que tan bo mestier m'eschari que anc a negu non falli: que sai iogar sobre coyssi a totz tocatz; mais en say que nulh mo vezi, qual que• m veiatz.
v Dieus en lau e sanh 'olia: tant ai apres del iuec doussa que sobre totz n'ay boria ma; e selh que cosselh mi guerra non l'er vedatz, ni un de mi non tornara descosselhatz. VI
VII
Quieu ai nom maiestre certa: ia m'amigu'anueg no m'aura que no•m vuelh'aver Fendema; qu'ieu suy d'aquest mestier, so-m va, tan ensenhatz que ben sai gazanhar rnon pa en totz mercatz. Pero no m'auzetz tan guabier quieu non fos rahuzatz l'autrier, que logav'a un ioc grossier quem fon trop bos el cap primier tro fuy taulatz; quan guardiey, no m'ac plus mestier, siqn fon camjatz.
viri Mas elhaqn dis un reprovier: «Don, vostre dat son menudier, et ieu revit vos a doblier.» Dis ieu: «Qui•in dava Monpeslier non er laissatz.» E leviey un pauc son taulier ab ams mos bratz. 1x E quan l'aie levat lo taulier empeys los datz:
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el duy foron cairat vallier, el tertz plombatz.
6o
E fi•ls ben ferir al taulier, e fon ioguatz.
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2 si es] sis 25 sai] de 36 nom] mo 48 (pani quem 51 vostres datz 58 empys 59 cairati caira C, caramaiBier E
5
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Guglielmo d'Aquitania Pos vezem de novel fiorir
39
Mss.: C, E, a' (P.-C. 183.11). Edd.: Jeanroy (1927); Pasero (1973); Bond (1982). Testo di E, con poche e ovvie correzioni. Al V. 46 il pronome me ci sembra da espungere perché sia deve essere &eretico, cioè bisillabico, come ai vv. 44, 48 50 (10 è il più delle volte nei trovatori classici). Metrica: a8 a8 a8 b4 a8 b4; sette coblas singulars di sei versi e due torna-
das di 4 versi; b è fissa (Frank 55: 5). Canzone. 4 2
46 49
53
56
Pos vezem de novel fiorir pratz, e vergiers reverdezir, rius e fontanas esdarzir, auras e vens, ben deu cascus lo ioi iauzir dones Pauzens• ii D'amor no dei dire mas Quar non ai ni petit ni re? Quar ben leu plus no m'en cove! Pero leumens dona gran ioi qui be mante los aizimens. tu A totz ioms m'es pres enaisi c'anc d'aquo c'amei nona iauzi, ni o farai, ni anc non o 364 c'az essiens
3 6
9
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
fauc maintas res quel cor me di: «Tot es niens.» Per tal n'ai meins de bon saber quar vueill so que non puesc aver. Aisel reprovers me ditz ver sertanamens: • a bon coratge bon poder, qui-s ben sufrens. V
VI
VII
la no cera nuils hom ben fis contr'amor, si non l'es aclis, et als estranhs et als vezis non es consens, et a totz sels d'aicels aizis obediens. Obediensa deu portar a maintas gens, qui voi amar; e cove li que sapcha far faitz avinens e quei gart en cort de parlar vilanamens. Del vers vos dic que mais ne vau qui ben l'enten, e n'a plus lau, que-ls motz son faitz tug per egau comunaltnens, e-1 son, et ieu meteus m'en lau, bo-s e valens.
viri A Narbona, mas ieu noi vau, sia1 prezens mos vers, e vueill que d'aquest lau sia guirens. IX
Mon Esteve, mas ieu no-i vau, sia-I prezens mos vers, e vueill que d'aquest lau sia guirens.
16 essien 17 ditz 18 tos 29 daicel aízi 45 mos vers manca 46 me sia 49 iati] vers
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6. QUAN LO ROSS N OLS EL FOILLOS
18
6
jaufre Rudel
Quan lo rossinhols el 2
24
27
3o
Mss.: due redazioni: (A) A, B, D, I, K, M, N2, Sg, a', e; (B) C, E, R 262.6). Edd.: Jeanroy (19 15 ); Chiarini ( '985 ); Lafont (1992). Testi: Chiarini, per entrambe le redazioni. Le due redazioni sono con ogni ragionevole probabilità da attribuire al poeta stesso, e costituiscono pertanto una preziosa testimonianza di varianti d'autore. Ci limitiamo a riprodurre, senza apparati, i testi dell'edizione (lachmanniana) di Chiarini. La sesta stanza della redazione A è contenuta solo nei codici Me, ai quali probabilmente giunge per contaminazione con due dei tre codici che danno la redazione B (CE). Metrica: a8 b8 a8 b8 b8 c7' d8; sei coblas unissonans di sette versi (Frank 341: i). Melodia: Gennrich, n. 15; Fernandez de la Cuesta, p. 57; van der Werf, p. 222. Canzone. Redazione A
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39
Quan lo rossinhols el foillos dona d'amor e-n quier e-n pren, e mou son chan jauzen joios e remira sa par soven, e-1 riai san clar e-I prat son gen, pel novel deport que reingna me ven al cor grans jois jazer.
4 7
rt D'aquest'amor son tan cochos que, quant eu vauc vas leis corren, vejaire m'es qu'a reusos m'en torn e qu'ela m'an fugen. E mos cavals i cor tan len,
greu er c'uimais i ateingna s'Amors no la-m fa remaner. 4 6
50
in De tal domna sui cobeitos, a cui non aus dir mon talen; ans, quant remire sas faisos, totz lo cors m'en vai esperden. E aurai ja tan d'ardimen que l'aus dir per sieu mi teingna, pois d'als non ll'aus merce querrer? 109
1 4
21
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
IV
A! com son siei dit amoros e siei fait son fin e valen: qu'anc non nasquet sai entre nos neguna c'aia cor tan gen; graille es, fresc'ab cors plazen, e non cre genser s'enseingna, ni anc homs non la poc vezer.
v Amors, alegrem part de vos per so car vau mon mieillz queren; e son d'aitan aventuros qu'enquar n'aurai mon cor jauzen: la merce de mon Bon Guiren, quem voi e m'aperern deigna e m'a tornat a bon esper. V I
[E qi sai reman delechos e Dieu non sec en Belleen, non sai com sia ja mais pros ni cum ja venh'a guerimen; q'ieu crei e sai, mon escien, que sel cui jesus ensenha segur'escola pot tener.] Redazione B
III
25
IV
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Quan lo rossinhols el folhos dona d'amor en quier en pren, e ITIOU son chan jauzent joios e remira sa par soven, el riu son dar el prat son gen, pel novel deport quel renha mi vai grans jois al cor jazer. D'un'amistat sui enveios, quar no sai joia plus valen c'or e dezir, que bona•tn fos siqn fazia d'amor prezen: quel cors a gras, delgat e gen e ses ren quel desconvenha; es amors bon'ab bon saber. 110
D'aquest'amor sui cossiros vellan e pueis sompnhan dormen: quar lai ai joi meravelhos, per quieu la jau jauzitz jauzen. Mas sa beutat no•m vai nien, quar nulhs amics no m'essenha cum ieu ja n'aia bonsaber.
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D'aquest'amor sui tan cochos que quant reu vau ves lieis corren vejaire m'es qu'a reversos m'en torn e qu'ela•s n'an fugen. E mos cavals vai aitan len, a greu cug mais que i atenha s'ela no•s voi aremaner.
V Amors, alegrern part de vos per so quar vau mo mielhs queren; e sui en tant aventuros qu'enqueras n, ai mon cor jauzen: mas pero per mon Bon Guiren, quern voi e m'apell'em denha, m'es 013S a parcer mon voler. V I
4
7. D ' AIS SO LAU D EU
E qui sai rema deleitos e Dieu non siec en Belleen, no sai CUITI ja mais sia pros ni curn ja venh'a guerimen; quieu sai e crei, mon escien, que selh cui jhesus ensenha segur'escola pot tener.
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7
Marcabru D'aisso lati Dieu I'
Mss.: A, C, E, I, K, T, d 293.16). Edd. Dejeanne (1909); Roncagfia (1951). Testo: Roncaglia. Dall'edizione di Roncagfia, apparsa in un articolo che, oltre a fissare il testo, è anche un contributo fondamentale alla sua inIII
AVVIAMENTO ALLA FT OLOGIA PROVENZALE
terpretazione, riproduciamo l'apparato completo e diamo un riassunto del ragionamento dell'editore a giustificazione del suo stemma. Per la costituzione del testo servono solo sei mss., essendo d descriptus da K. Sulla base di errori e omissioni significativi si individuano chiaramente due famiglie: AIK e CE, con IK che fanno coppia rispetto ad A. T, invece, non contiene gli errori e le omissioni che servono a formare le famiglie AIK e CE e offre inoltre un ordine inverso delle strofe vri-rx (ne, viti, vd), un gran numero di lezioni indifferenti, che, però, non sono da attribuire a varianti d'autore, e alcune lezioni facillores o scadenti, oltre a una serie di errori palesi. Dall'esame di alcune lezioni divergenti di T, bisogna concludere che questo codice è contaminato. Tale conclusione si basa, per esempio, sui vv. 49-50, presi insieme a 13-14, versi quasi identici in T. Ai vv. 49-50 sembra che vi sia un errore nell'archedpo che legge sens per len(b)s, lezione riportata in AIK, ma modificata in modi diversi in CE e T. La famiglia CE effettua la modifica in un modo che ricorda la lezione dei vv. 13-14; ciò succede anche in T, che sembra rivelare così una collazione su un membro della famiglia CE. VV. 11-12: al v. Li la lezione giusta sembra quella di A, jutgetz, con una banalizzazione in IK, digatz, mentre CE e T sono accomunati dall'avere erroneamente iniziato il verso con un relativo; al V. 12 T continua a concordare con CE e più specificamente con C nel cambiare la persona verbale, sap per sabetz. Altrove, al v. 54, T (fauc) concorda con AIK, e più specificamente con A (fauc), errore di lettura per sai. Roncaglia traccia dunque lo stemma seguente:
7. D ' AIS SO LAU DIE U
e non fatz bruig e volrai vos lo per que dir. C'assatz es lait s'intratz en plait don non sabretz a lutz issir, e non es bo jutgetz razo si non la sabetz defenir. III
De gignos sens sui si manens que mout sui greus ad escar lo pan del fol caudet e mol manduc, e lais lo mieu frezir.
IV
Tant quant li dur fi pliu eil jur c'om no•m puosca de lui partir, e quan li faill mus e badaill e prenda del mieu lo dezir.
T
CE
La sua conclusione è che, dal momento che T non è un testimone del tutto affidabile, bisogna attenersi rigorosamente allo stemma. La base della grafia è A. Metrica: a4 a4 b8 c4 c4 b8 (Frank 193: 7); dieci coblas singulars di sei versi; b è fissa. Vers satirico-morale, con toni di gap.
D'aisso lau Dieu e saint Andrieu c'om non es de major albir quieu sui, so•rn cuig, 112
12
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Qu' eu jutg'a drei que fols follei e savis si gart al partir, qu'en dobl'es fatz e dessenatz qui•s laiss'a fol enfolletir.
---- - -- -- . ------ - -- - -- - ---A
6
V I
VII
D'estoc breto ni de basto no sap om plus ni d'escrimir; quieu fier autrui em gart de lui e no•is sap del mieu colp cobrir. En l'autrui broill chatz coraln voifi e fatz mos dos canetz glatir, • tertz sahus 113
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
8. DIRE VOS VUOILL SES DOPTANSSA
eis de rahus bautz e ficatz senes mentir. VIII
IX
Mos alos es en tal deves res mas ieu non s'en pot jauzir: aissi l'ai claus de pens venaus que nuills no lo. m pot erwazir. Del plus tortz fenz sui ples e prens, de cent colors per mieills chauzir; fog porti sai et aigua lai ab que sai la flam'escanfir. Cascun si gart, c'ab aital art mi fatz a viure e morir; qu'ieu sui rauzels c'als estornels fatz los mieus auzellos noirir.
8
Marcabru Dire vos vuoti' ses doptanssa 45
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57
60
cortes T 24. maue(n)s C Altans apres T; 15 per e. T. 16 Cel T 17 E
chaut e m. IK 18 mangi C, -e ET 19-21 mancano in CE 19 col pas T 21 non I; de liei A; Cerens nonos pouria T 22 E om. T 23 01 fol T 24 El saui se gart al partir ( V. 27) T 25 Qui AIK; iugge C; ioc E; dereg T 26 Quel E, Cel T; verso ripetuto in T 27 El AET; se ET 28 Qua A, Que IKCE, Ce T 29 Es forsenatz T 30 al CE; Ci a fol se laisa efolir T 31 Destroc IK, Destonc E, Dentom betron T 32 E de E 33 sabon
T 4747 pes nauaus C 48 Nuls horn C, Que straign T; no len AIK, noi T; poc C 49-54 = st. vrr T 49 Dels plus torsens AIK, De pluzors sens CE, De sens cortes T 50 Soi tan apres T 51 mil T; meschauzir C, mielz gansir T 52 Fug C, Frug E; port CET; essay C, esai E, desai T 53 E laigia ai T 54 fatz la
f. A, fauc la f. T; fam E; rnurir T 55-6o mancano in AIK 55 Usce se T 57 Mer a uiure o a T 6o auzeletz E
11 4
Dire vos vuoill ses doptanssa d'aquest vers la comenssanssa; li mot fant de ver semblanssa. Escoutatz! Qui ves Proessa balanssa semblanssa fai de malvatz.
3
Tovens faill e fraing e brisa, et Amors es d'aital guisa que pois al saut es aprisa.
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Escoutatz!
4 Qui sol E, De me T; so IK 5 E uoliom tug T 6 uolrei IK T 7Quieu Mut esta T 8 Sintras E, Quis met T 9 Si non C; sabetz CI; ;sapcia nos K; luius E; Don non alus issir T II Digatz IK, Quinquier CE, Cimou T 12 E no la sabetz E, E non la sap ben C, Si ben nolasap T 13 Dengignos IK; De sens
AIK, sapchom C 36 nos CE, non T; gandir T 37-42 = st. rx T 37 E nautrueil T 38 cant me uogil T 39 Ei AC; canentz T 40-41 El terz sauzes deraus E, El terz sauzes. Disserades C; Altres. lagius. Van de randus T 42 Bautz e ficatz senes mentir C, Bautz senes mentir E; Et aficatz per ferir T 4 mancano in AIK 45 Ce re fors ieu noi pot sentir T 46 Aisi es E, Ce so 2-
Mss.: A, C, D., I, K, M, R, a' (P.-C. 293.28). Edd.: Dejeanne (1909); Hamlin et al. (1967). Diamo il testo di A con minime e ovvie correzioni. Metrica: a7' a7' a7' b3 a7' b7 (Frank 55: 9); tredici coblas stngulars di sei versi; b è fissa; refranh al quarto verso di ogni stanza. Melodia: Gennrich, n. 9; Fernftidez de la Cuesta, p. 63; van der Werf, p. 225. Vers satiricomorale.
Que chascus n'a sa devisa, ia pois non sera cuitatz.
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iii Arnors fai cum la belluia que si rnescla ah la suia, c'art lo fust e la festuia. Escoutatz! Cel non sap vas cal part fuia pois que del fuoc es gastatz. tv Dirai vos d'Amor curia migna: a vos chanta, a cellui gigna, ab vos parla, ab l'autre cigna. Escoutatz! Plus sera dreicha que ligna cland ieu serai sos privatz. v Arnors sofia esser dreicha, mas er'es torta e brecha et a coillida tal deicha. Escoutatz! 115
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2 4
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
Lai on non pot mordre, leicha plus arreament que chatz. V I
Anc puois Amors non fo vera pos triet del mel la cera, anz sap si pelar la pera. Escoutatz! Doussa•us er cum chans de !era si sol la coa.n troncatz.
vii Cel qui ab Amor barata ab diables se combata: no•il cal c'autra verga4 bata. Escoutatz! Ni sap mas curn cel qi•s grata tro que vius s'es escorgatz. viii Amors es mout de mal avi: mii homes a mortz de glavi, Dieus non fetz tant fort gramavi. Escoutatz! Fol non fassa lo plus savi si tant fai quel tenga al latz. IX
S'anc Arnors fon car comprada, er es en viltat tornada: virginitat a passada. Escoutatz! Puois al prendre es alargada, de sera vos en gardatz. Amors a usatge d'ega que totz iorns voi c'om la sega, e freta de lega en lega. Escoutatz! Ni non demandara trega si•us etz deiuns o disnatz.
XI
Cuiatz vos q'ieu non conosca d'Amor s'es orba o losca? Sos digz aplana et endoscha. Escoutatz! 1 1
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9. L ' AIR S CL AR S E'L CH AN S DE LS AU ZE LH S
Plus suavet poing que mosca, mas plus greu n'es hom sanatz. 66 xri Qui ab geing de femna reigna dreitz es que mais l'en aveigna, si cum la Letra esseingna. 69 Escoutatz! Malaventura•us en veigna si tuich no vos en gardatz! 'cm Marcabrus, lo fills Na Bruna, fo engenratz en tal luna q'el sap d'Amor cum degruna. Escoutatz! Qez anc non amet neguna ni d'autra non fo amatz. 78
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3 motl mout 28 brechal bercha 37 barata] bara 41 qi•sl geis 67 del ab 45
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Peire d'Alvergne
L'airs clars e1 chans dels auzelbs Ms.: C (P.-C. 323.10). Edd.: Appel (1890); Zenker (1900); Del Monte (1955); Fratta (in stampa). Testo: Fratta (a cui si rinvia per l'attribuzione di paternità dei pochi interventi congetturali sul testimone unico). Metrica: a7 b5' a7 b5' a7 b5' a7 b5' c8 c8 d8 d8 (Frank 253: i); cinque coblas singulars (ma cd sono fisse) di dodici versi e una tomada di due. I versi 22, 45 e 46 sono ipometri (mancano di una sillaba), evidentemente per guasti di trasmissione. Vers morale sull'amore.
L'airs dars e1 chans dels auzelhs, la flors fresca el fuelha que s'espan per los brondelhs el vertz herb'a bruelha mi mostra d'esser ysnelhs q'un vers non-dus cuelha, tal quel sos sia novelhs, quel chant qui ia•s vuella, per qu'ara chanten cavallier: 117
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
que chans aporta alegrier, e pert de son segle lo mays qui seguon sazo non es guays. Quira ni grans cossiriers non obra boneza, qu'ans es dans e destorbiers; non obra proeza, que, cum totz mais encombriers mou de cobezeza, atressi sortz totz faitz niers d'embronquar, qui•I veza. Doncx qui de gaug a dezirier tengua a dreyt so semdier e l'ira e l'avol parven lays als malvatz ni als sers savays. Mas dels dos ioys es ops sens ereconoyssensa, e l'us es abaissamens e l'autre creyssensa. E s'oms es lo mon seguens, vir se on mais l'agensa, qu'ayselh sos faitz es grazens qu'es ses repentensa; qu'aítal es de gaug ufanier qui•lh sec e defug l'autr'entier, cum del can cui cazec del cays la carns, quan l'ombra el'aiguai trays. Per que qui del ioy munda s'apropch'e ss'aferma si: «era•I terras», non l'a, que, quan creys mais, merma. Quar s'amors fon bona ia qui no'm pliu ni«m ferma que no rn'o menta dema? Don l'amars s'azerma, fors cum volv'a descordier, ieu no sai, e sent e quier l'amor on non a ren biays, 118
IO. NON ES MERAVELHA CHAN
ori ma bon'esperansaln pays. 12
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v Quel sieus ioys gensetz esiau selhuy qui1 s'autreya senes fenh'e ssemblant brau e ses vair'enveya, qu'ades a quasqun iornau sai viu e verdeya sa valors ab ver lonc lau, cui totz pretz sopleya; que, cum resplan roz'en rozier gensetz d'autra flor de vergier, sobra sobre totz ioys sos iays del maior gaug qu'anc nasc ni nays.
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vi Lo vers chant, qui1 sabra ses brays, on mot mi platz de qui mas bays. 2 eli e la
20 cl>embronquar] don bron quar 24 ni als sers] mal sers
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Io
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Bernart de Ventadorn Non es meravelba s'eu chan Mss.: A, C, D, F, G, I, K, K', L (due volte), M, N, O, P, Q, R, S, U, V, W, a (P.-C. 70.31). Edd.: Appel (1915); Lazar (1964). Testo: Appel. L'ed. Appel, che usa grafie normalizzate, segue sostanzialmente, per questa canzone, il ms. A. In apparato registriamo le lezioni rifiutate. Metrica: a8 b8 b8 a8 c8 d8 d8 c8; sette coblas alterne di otto versi e una tomada di tre (Frank 624: 51). Melodia: Gennrich, n. 30; Fernkidez de la Cuesta, p. 139; vari der Werf, pp. 51-4. Canzone.
Non es meravelha s'eu chan melhs de nul autre chantador, que plus me tra•I cors vas amor e melhs sui faihz a so coman. Cor e cors e saber e sen e fors'e poder i ai mes; si•rn tira vas amor lo fres 11 9
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
II. ER RESPLAN LA FLORS ENVERSA
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que vas autra part no-m aten. TI
III
IV
Ben es morta qui d'amor no sen al cor cal que dousa sabor; e que vai viure ses valor mas per enoi far a la gen? ja Domnedeus no•m azir tan qu'eu ja pois viva jorn ni mes, pois que d'enoi serai mespres ni d'amor non aurai talan. Per bona fe e ses enjan am la plus bel'e la melhor. Del cor sospir e dels olhs plor, car tan l'am eu, per que i ai dan. Eu quen posc mais, s'Amors me pren e las charcers en que m'a mes, no pot claus obrir mas merces, e de merce no-i trop nien? Aquest'amors me fer tan gen al cor d'una dousa sabor: cen vetz mor lo jorn de dolor e reviu de joi autras cen. Ben es mos mais de bel semblan, que mais vai mos mais qu'autre bes; e pois mos mais aitan bos m'es, bos er lo bes apres l'afan.
v Ai Deus! car se fosson trian d'entrels faus li fin amador; elh lauzenger eih trichador portesson corns el fron denan! Tot l'aur del mon e tot l'argen i volgr'aver dat, s'eu l'agues, sol que ma domna conogues aissi com eu l'am finamen. V I
Cant eu la vei, be m'es parven als olhs, al vis, a la color, car aissi tremble de paor 120
com fa la folha contral. ven. Non ai de sen per un efan, aissi sui d'amor entrepres; e d'orne qu'es aissi conques, pot domn'aver almorna gran.
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vit Bona domna, re no•us deman mas quem prendatz per servidor, qu'eus servirai com bo senhor, cossi que del gazardo m'an. Veus m'al vostre comandamen, frapcs cors utnils, gais e cortes! Ors ni leos non etz vos ges, (peni aucizatz, s'a vos me ren.
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vni A mo Cortes, lai on ilh es, tramet lo vers, e ja nolh pes car n'ai estat tan lojamen. 2 4
28
3 me] mi; cors] cor 8 no•ml non is viurel viures 20 l'am eu per quel lam p(er) qieu 21 Eu quen pose] eu non puosc; me] mi 23 no] nom 24 noi tropl non trob 25 me] mi 30 que] car 32 bes apres] bens aprop 33 se] Si 46 aissi sui] aissim seni 49 Bona] bella; re] als 52 cossi quel cum q(ue) puois 56 aucizatz] auciatz; me] mi 57-59 la tornada
manca in A
32
Raimbaut d'Aurenga Er resplan la flors enversa 36
4 0
Mss.: C, D, E, I, K, M, N, N', O, R, U, a, c 389.16). Edd.: Appel (1895); Pattison (1952). Testo di C. Metrica: a7' b7' c7' d7' e7' e7' t8 t8 (Frank 859: I). Sei coblas alternate di otto versi e due tomadas di due; mots una stanza all'altra da figura fiessionale; ma i versi 5 stanza comunque, regolarmente, -refranhrimano in luogo delle rime, legati da a coppie, mentre a bc d sono estrampas; la prima tornada riprende le ultime due parole-rima della stanza v, 6e7 la seconda quelle della stanza vi; i versi 3 -sentano le coppie di parole-rima con figura flessionale nell'ordine inverso ri8 di ciascuna spetto' stessistanze versi delle stanzeprepari: 4 e 7-8agli delle dispari 121
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
vv. e rima a7 2: b7' > 3: c7' 4: d7' 5: e7' 6: e7' 7: f8 8: f8
stanze enverse tertre conglapi trenque siscle giscle joy croy
A complicare ulteriormente l'ordito si aggiungono numerose parole ripetute all'interno dei versi (gel, pia, llor, chant, cor, rancx ecc.), quasi una sorta di parole-rima interne o di estensione delle parole-rima. La canzone rappresenta il più complesso esempio di trobar
Er resplan la flors enversa pels trencans rancx e pels tertres. Quals flors? Neus, gels e conglapis que cotz e destrenh e trenca; don vey morz quils, critz, brays, siscles en fueis mas mi te vert e iauzen ioys , en er quan ramsvey e secx lo dolens croys. en Quar enaissi o enverse giscles; quel bel plan mi semblon tertre, e tenc per flor lo conglapi, e-I cautz m'es vis quel freit trenque, e-I tro mi son chant e siscle, e paro-m fulhat li giscle. Aissi-m suy ferm lassatz en ioy que re no vey que sia croy. III
Mas una gen fad'enversa cum s'eron noirit en tertres, que-m fan pro pieigz que conglapis; q'us quecx ab sa lengua trenca e no y vai bastos ni gisdes ai menassas; ans lur es ioys quan fan so don hom los dam croys.
iv Qu'ar en baizan no-us enverse no m'o tolon pia ni tertre, 122
4
8
dona, M gel ni conglapi, mas non-poder trop en trenque. Dona, per cuy chant e siscle, vostre belli huelh mi son giscle que-m castion sii cor ab joy quieu no-us aus aver talan croy. v Anat ai cum cauz'enversa sercan rancx e vals e tertres, marritz cum selh que conglapis cocha e mazelh'e trenca: que no conquis chans ni siscles plus que folhs dercx conquer giscles. Mas ar, Dieu lau, m'alberga ioys malgrat dels fals lauzengiers croys. vi Mos vers an, qu'aissi l'enverse que noi tenhon bosc ni tertre, lai on hom non sen conglapi, ni a freitz poder que y trenque. A midons lo chant e-I siscle, clar, qu'el cor l'en intro-I giscle, selh que sap gen chantar ab ioy, que no tanh a chantador croy. vii Doussa dona, Amors e Ioys nos aiuste malgrat dels croys.
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16
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4 0
44
4 8
viii Iocglar, granren ai ineynhs de ioy, quar no-us vey, en fas semblan croy. 52 i era 3 q(ua)1 5 brays e s. 6 (e) en rams 9 enalssins Il los conglapis 1 croys 27 conglapis 31 si lo; ioys 32 talans croys 42 mon 43 con2 caut giapis 44 freit 47 ioys 48 chantadors croys 49 amor 13 soni ioys 52 semblans croys semblo n 14 parum 12 15 oys 16 Raimbaut d'Aurenga
Escotatz..• mas no say que s'es Mss.: C, M, R, a (P.-C. 389.28). Edd.: Bartsch (1855); Appel (1895); Crescini (1926); Pattison (1952). Testo di R (M presenta una probabile varian-
1 2
AR EM AL FREG TEMPS VENGUT
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
te d'autore alla fine (v. 42): Vai, ses-nonz, e quil demanda qui t'a fag, digas d'en Rambaut, que sap ben far una balla de foudat quan si voi). Metrica: a8 b8 a8 b8 a8 b8, prosa (Frank 223: 2); sei •coblas unissonans di sei versi seguiti da prosa, secondo una tecnica che è stata considerata come un unicum nella lirica provenzale. fl solo precedente rintracciabile Deus, vera vtda, verays di Peire d'Alvernhe (P.-C. 323.16), che si conclude con l'invocazione ametrica In nomine Patris et Ftlzi et Spiritus sancti, amens, la stessa inserita qui alla fine della quarta stanza. Si deve intendere che (in entrambi i casi) la sospensione del metro comportasse la sospensione del canto, e che ad esso si sostituisse il parlato. Numeriamo i righi di prosa come un unico verso. Componimento satirico-parodico con ingredienti di gap e riflessioni metaletterarie.
Escotatz... mas no say que s'es senhor, so que vuelh comensar. Vers, estribot, ni sirventes non es, M nom no-1 sai trobar; ni ges no say col mi fezes 5 s'aytal no1 podi'acabar, que ia hom mays non vis fag aytal ad home M, a femna en est segle ni en l'autre qu'es passatz. Sitot m o tenetz a foles per tan no-m poiria layssar que ieu mon talan non disses: no m'en cuies hom castiar; tot cant es non pres un poies 12 vas so c'ades vey et esgar, e dir vos ay per que: car si ieu vos o avia mogut, e no-us o trazia a cap, tenriatz m'en per fol, car mais amaria .vi. deniers en mon punh que .m. sols el cel. iii la no-m tema ies far quem pes mos amicx, aco-1 vuelh preiar; s'als obs no-rn voi valer manes pus m'o profer'ab lonc tarzar; pus leu que sei que m'a conques no in pot nulh autre galiar. Tot ayso dic per una domna que-m fay languir ab belas paraulas et ab lonc respieg, no say per que: pot me bon esser, senhors? xv Que ben a passatz mes, (od e may de mil ans so-m par) 124
que m'a autreiat e promes quem dara so que m'es pus car. Dona, pus mon cor tenes pres 26 adossas me ab dos l'amar. Dieus, aiuda! In nomine Patris et Fiiii et Spiríttis sancti, aiso que sera, domna? v Qu'ieu soy per vos gays, d'ira ples: iratz-iauzens me fays trobar; e so m'en partitz de tals tres qu'el mon non a, mas vos, lur par; e soy fols cantayre cortes 33 tan c'om me n'apela Ioglar. Dona, far ne podetz a vostra guia, co fes n'Ayma de l'espada, que la estuiet lay on li plac. vi Er fenisc mo no-say-que-s'es, c'aisi l'ay volgut bateiar: pus may d'ai:tal non auzi ies bel dey enaysi apelar; e diga-1, can l'aura apres, 40 qui que s'en vuelha azautar. E si hom li demanda qui l'a fag, pot dir que sei que sap be far totas fazendas can se vol. 2 senhors 4 sai] puesc 13 vasi mas reni ies
cuy
34 rari] cil
3
4 1 q u i]
Azalais de Porcairagues
Ar em al freg temps vengut Mss.: C, D', H, I, K, N, d 43.
r). Edd.: Schultz (1888); Sakari
(1949); Rieger (1991). Testo di D'.
Metrica: a7 b7' a7 b7' c7 c7 d7' d7'; sei coblas doblas (ma con irregolarità nello strofismo, variamente spiegabili, alle coblas v e vi) di Otto versi e una tomada di quattro (Frank 382: ro7). Canzone.
Ar em al freg temps vengut, quel gells e-I neus e la faingna, 1 2
14. PER SOLATZ REVELHAR
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e li auellet estan mut, c'us de chantar non s'afraingna; e son sec li ram pels plais, que flors ni follia no-i naís, ni rrossignols non i crida, que l'am'e mai me rreissida. Tant ai lo cors deseubut, per qu'eu soi a toz estraigna, e sai que l'om a perdut molt plus tost que non gasaingna; e s'ieu falli ab motz verais, d'Aurenga me moc l'esglais, per qu'eu m'estauc esbaida en pert solatz en pardda. Dompna met mot mal s'amor que ah ric ome plaideia, ah plus aut de vavasor, e s'ill o fai, il folleía; car so diz om en Veillai que ges per ricor non vai, e dompna que n'es chauzida en tenc per envilanida. IV
Amic ai de gran valor que sobre toz seignoreia, e non a cor trichador vas me, que amor m'autreia. Eu dic que m'amors l'eschai, e cel que dis que non fai Dieus li don mal'esgarida, qu'eu m'en teing fort per guerida.
v Bels amics, de bon talan san ab vos toz iorz en guaie, corteza de bel semblan, sol no-m demandes outraies; tost en venrem a l'assai qu'en vostra merce-m metrai: vos m'aves la fe plevida, 126
que no-in demandes faillida.
4 0
4
8
12
16
VI A Dieu coman Belesgar e plus la ciutat d'Aurenga e Gloriet'e-I caslar e lo seignor de Proenza e tot can voi mon ben lai, e l'arc on san fag l'assai. Cellui perdici c'a ma vida, e-n serai toz iorz marridal
44
vri Joglar, que aves cor gai, ves Narbona portas lai ma chanson ah la fenicla lei cuj iois e iovenz guida. 52 7 non i] noi 14 esglais] esglars 18 plaideia] pladeia 27 trichador] trichadodor 37 venrem C] veirem et al.
20
Giraut de Bornelh Per solatz revelhar 24
Mss.: A, B, C, D, I, K, N, P, Q, R, Sg, U, V, c, c' (1 Kolsen (1910-35); Crescini (1926); Sharman (1989). Testo: Crescini. Cre3 scini usa A come base delle grafie, ma dà un testo composito. Registriamo .-C. 242.55). in apparato le Edd.: lezioni di A rifiutate dall'editore. Metrica: a6 b6 b6 a6 a6 b6 b6 a6 cro dio; otto coblas untSsonans di dieci versi e due tomadas, la prima di due e la seconda di un solo verso (Frank 480: Sirventese. 32
36
Per solatz reveillar, que s'es trop endormitz, e per pretz, q'es faiditz, acuillir e tornar me culti trebaillar; mas er m'en sui giquitz. Per so m'en sui faillitz, car non es d'acabar: cum plus m'en ven voluntatz e talans, plus creis de lai lo dampnatges c-1 dans. 1 2
5
I O
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
14. PER SOLATZ REVELHAR
Greu es de sofertar: a vos o dic qu'auzitz curn era jois grazitz e tuich li benestar. Oimais podetz jurar q'egas de fust non vitz ni vilans vieils formitz estra grat cavalgar. Laitz es l'afars e fers e malestrans, don hom pert Dieu e reman malanans. III
IV
ieu dic de totz, qel pretz n'a traich l'engans. 50 VI
Vos vitz torneis mandar e segrels gen garnitz; e puois dels mieills feritz una sason parlar: ar es pretz de raubar e d'enbranchar berbitz. Cavalliers cleis met a dompneiar pois que tocha dels mans moutos belans ni que rauba glieisas ni vianans!
VII
On son gandit joglar, que vitz gen acoillitz? c'a tal a mestier guitz que solia guidar; e pero, ses reptar, vai at tals escaritz, pos fo1 bons pretz failli (le solia• n menar de compaignos, e no sai dire qans, gent en arneis e bels e benestans.
v E vitz per cortz anar de joglaretz petitz gent caussatz e vestitz, sol per dompnas lauzar: er no n'auzem parlar; tant es lor pretz delitz. don es lo tortz issitz d'elas malrazonar? Digatz de cals: d'ellas o dels amans? 128
VIII
IX
45
Q'ieu eis, cui sol sonar totz pros horn issernitz, estauc tant esbahitz que no•tn sai conseillar: q' en luoc de solassar aug er en cortz los critz; c'aitan leu s'er grazitz de l'aucha de Bremar lo comtes entre lor CUM us bos chans dels rics affars e dels temps e dels ans.
55
Mas a cor afranchar, que s'es trop endurzitz, non deu hom los oblitz ni•ls viells faitz remembrar; que mal es a laissar affars, pos es plevitz, ed mal, com es garitz, non cal ja meizinar; mas so c'om ve volv'e vir e balans, e prend'e lais e forsse d'ams los pans. De tant mi puosc vanar c'anc mos ostals petitz non fo d'els envazits, vei per totz doptar: anc no•rn fetz mas honrar lo volpills ni l'arditz: don mos seigner chausitz si deuria pensar que no•il es jes pretz ni laus ni bobans qieu, clem laus d'els, sia de lui danlans. 8o Ara no mais. Per que? No m'o demans• car plaings sera, s'aissi rema, mos chans. So di•1 Dalfins, que conois los bons chans.
7 m'enl en IO de lat] e sortz 12 qu'auzitz] que uitz 13 ioiS 14 li] il 15 turar 21 ViZ 22 segre-Isi segre 24 sazon 25 pres 26 d'enbranchad de penre 27 sia 31 toglar 35 e pero] empero 36 anar ta(n)t escarnitz 38 soliten] solion 39 non 42 toglaretz 45 au-
1 2 9
75
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
sen 46 'or] lo 49 Digatz] Digam 50 jeu 59 usi eS 65 mals 68 ia 69 volv'e v. e b.l vir e torn en balans 743 prenda 73 envazitz 75 nomi non 76 los; ni l'ai els a. 79 i plaing es 8o al 82 q(e)
IV
15 Bertran de Born
Seigner eri coms, a blasmar Mss.: A, D, L K (P.-C. 80.39). Edd.: Stimming (1879); Thomas (1888); Appel (1932); Gouiran (1985); Paden et al. ( 1986). Testo di A. Metrica: a7 b6' a6 b6' a6 c7' c7' a7; sei coblas unissonans di otto versi e una tornada di tre (Frank 284: i; lo schema metrico è ripreso da Guillem de Bergueda, P.-C. 210.11, Frank 284: 2). Sirventese.
Seigner en coms, a blasmar vos fai senes faillia car noi ausatz anar, pois ella o volia, a la dompna parlar. Et al for de Cataloigna al vostr'ops eu n'ai vergoigna car la-i fesetz fadiar. ir E fis drutz no-is deu tardar si messatge-I venia, rnas que pens de l'anar e qe-is meta en la via, com non sap son affar de sidonz, ni sa besoigna; ben leu a talan que loigna per que no-is deu aturar. iii E qan vitz vostre ioglar que devas lieis venia, ja no-us degratz restar, qi-us dones Normandia! S'acestz bon cor d'anar antre Beira e Dordoigna de regart no-us daratz soigna ni ia no-us degra membrar. 13o
4
r6
20
Mas ara podetz proar s'es vers so qu'eu dizia, que non fai ad amar ries hom per drudaria. Tant ant a cossirar per qe-1 iois d'amor los loigna. Qieu non vuoil aver Bergoigna sens temer e sens
•
32
v Qieu non vuoill ges esser bar ni de gran manentia, per qe-m pogues reptar nuills hom de vilania. Mais am rire e gabar ah midonz, que m'en somoigna, qu'eu no volria Gascoigna ni Bretaigna capdellar. vi Mon chant vir vas n'Aze ar, qui s'onor en sabria, cui nostre seigner car. Sa pauca Lombardia tant gen sap dompneiar, qe no-is camia ni s'enbroigna per menassas: anz ressoigna, Lemozin fai reserar. VII
12
16. TANT M ' ABEL S L ' AMOROS PESSAMEN S
Si1 coms Taufres no s'esloigna Peitau aura e Gascoigna, si tot no-is sap dompneiar.
44
4 8
46 ni s'e. ITK] nis broigna AD 49 no s'e. IK] nois loigna A, nos loingna D 50 aura manca in A.
6 Folquet de Marseffia
Tant m'abellis l'amoros pessamens Mss.: A, B, C, D, E, F, G, I, K, L, M, N, P, Q, R, S, U, V, W, a, c, f (P.C. 155.22). Edd.: Crescini (1926), Strotiski (1910). Testo: Strofiski. Diamo 131
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17. GIRART DE ROUSSILLON
in apparato le lezioni eliminate di C, MS. usato dall'editore come base delle grafie; in questo ms. le strofe ji e in sono invertite.
• di Otto M versi e due tomadas, la prima di quattro e la seconda di tre versi (Frank 768: i). Melodia: Gennrich, n. 87; Fernandez de la Cuesta, p. 218;
e van der Werf, pp. 100-2. Canzone. t r Tant rn'abellis l'amoros pessamens i que s'es vengutz e mon fin cor assire c per que noi pot nuills autre pes caber ni mais negus no m'es dous ni plazens, a qu'adonc vlu sas quan m'aucizo.1 cossire : e fin'amors aleuja•m mo martire a quem promet joi, mas trop lo•m dona len, r qu'ap bel semblan m'a trainat longamen. o b Be sai que tot quan faz es dreiz niens: i eu qu'en puesc mais s'Amors mi voi aucire? o Qu'az escien m'a donat tal voler ' que ja non er vencutz ni el no vens. Vencutz si er, qu'aucir m'an li sospire, c tot soavet, quar de liey cui dezire r non ai socors, ni d'allors no l'aten, o ni d'autr'amor no puesc aver talen. a r iii Bona dona, si•us platz, siatz sufrens o del ben qu'ieus vuel qu'ieu sui del mal sufrire, b e pueis lo mais 110 • M poira dan tener, r ans m'er semblan quel partam egalmens. Pero, si•us platz qu'az autra part me vire, o ostatz de vos la beutat el dous rire ' el bel semblan que m'afollis mon sen, b pueis partir m'ai de vos, mon esciti'. i o totz jorns m'etz plus bel'e plus plazens, 'v A ' per qu'ien vuel mal als huels ab queus remire, d quar a mon pro no•us poirian vezer i et a mon dan vezon trop sofilmens. Mos dans non es, sivals pos no•m n'azire, o ans es mos pros, dona, per qu'ieu m'albire, d si m'aucisetz, que no-us estara gen, i quar lo mieus dans vostres er eissamen. o ; 13 c 2
4
v Per so, dona, no•us am saviamens qu'a vos sui fis et a mos ops trayre; e vos cug perdr'e mi no puesc'aver, eus cug nozer et a mi sui nozens. Pero, no-us aus mon mal mostrar ni dire, mas a l'esgart podetz mon cor devire, qu'ar Icrus cuich dir et aras m'en repen et port n'als huels vergonh'e ardimen. vi Trop vos am mais, dona, quieu no sai dire, e quar anc jorn aic d'autr'amor dasire no m'en penet, ans vos am per un cen, car ai proat l'autrui captenemen.
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4 0
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vii Vas Nems t'en vai, chanssos, qui qes n'azire, que gauch n'auran, per lo meu escien, las tres donnas a cui ieu te presen. 12
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abellics 2 quesses 3 nuillsi luns; bes 4 mais negusi luns autres 5 vitti sui 6 maleujam 7 ioi 8 trainati tengut 9 fas; dretz io Eu] e; mai si amors Il ia 14 suavet 15 socorsi lunb ioi, dallor 17 dels bes; sui dels mais x8 li mal; poiran 20 quels partram egalmen 21 quas 22 ostatzi partetz 23 bel semblani gai solas; mafolleis mos sen 25 iorns 27 pogron anc vezer 28 mas a mon dan vos vezon subtilmens 29 mas; nom; savals; pos] quar 30 ans mi don ioi pros domna quan malbire 32 issamen 33 nous am dona 35 qtfieus cug prendre 36 ieus 37 per so; mal] cor 38 als esgartz podez 39 quieu noi vos dic tan tem far fallimen 43 segue la seguente tornada Donai fin cor quieus ai nous puesc tot dire / restauratz vos b bon entendemen 42 car; iorn 44 quar proat aj autruj 45-47 in C manca Pultima tomada
20
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7
Grad de Roussillon Mss.: (Mord, Bodleian Library, Canonici Miscellanei 63 (che contiene al suo interno anche un frammento di due carte, di mano più tarda); Londra, British Library, Harley 4334 (acefalo); Parigi, B. N. fr. 2180 (acefalo); Nancy, Bibliothèque de l'Université, ms. io (frammento). Ed.: Hackett (1953-55). Testo: Hackett, basato sul ms. di Oxford (xnr sec., copiato forse in Italia), che presenta ancora più marcatamente una serie di tratti franco-occitani tipici dell'epica provenzale. Si restaurano le grafie del ms i per j, esfrei al V. 1311, la forma perderunt al v. 1301.
133
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
Metrica: Lasse monorime di decenari; a differenza tuttavia dei dérasyllabes della Chanson de Roland e di buona parte dei decenari lirici confezionati nel >m secolo, la cesura è dopo la sesta posizione (seguita o no da un'atona), non dopo la quarta. Per un torto fattogli dal suo signore Carlo, Girart gli dichiara guerra e passa parte della sua vita in lotta contro di lui. Dopo la perdita dei suoi castelli e dei suoi beni e un periodo di esilio nelle Ardenne insieme con la moglie Berthe, Girart si pente e finisce la sua esistenza in odore di santità, lavorando alla costruzione dell'abbazia di Vézelay. Qui riportiamo un brano che descrive uno dei numerosi scontri tra Girart e Carlo.
Lxxxiv Folche vient premerains en plaine paue, sobre un cheval movent at come saue. A de pur ardement la color paue. E vait ferir Bernart de Rochemaue. Tau li det en l'escu que tot l'estraue; son auberc li desrunt e li desclaue; del cors en trai:t vermeille s'ensengne blaue. Co est li iorz de que Girarz se laue; l'enseigne au rei Martel le ior fu raue. LXXXV Carles secor les seus par un plantert; a pres d'un soudader elme e aubert. E escridet s'enseigne, lat vos uvert: «Firaz les, chevaler, pos tant i perd» Aiqui viraz donar tan colp apert, que tau mil en cairent per lo codert, que uns de ces nen a cor ne cap entert, ne ne savant conoistre dar de tenert; n'ainc pois nen tornat uns a son abert. Lxxxvx Carles veit des Girart qu'il vant sobrant, e veit Folcon lo conte venir devant; e portet une enseigne tote seignant: aucis lor a Bernart, lo fraire Armant. E veit Bosun son fraire quil vait reinant. E•1 marches Amadieus s'en est traiant. E quant Carles les veit n'ot ais que cant: «Firaz les, chevaler, pos vos comand ja nen perderunt onor vostre enfant, demi pie ne un dou ne un plan gant.» E cil com il l'auirent, irat les vant, e corent les ferir, el dois s'espant. 1 3
I28o
1285
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18. LO FERM VOLER QU ' EL COR M ' INTRA
LXXXVII Onques n'i ot d'escale plait ne conrei, ne de rengar bataille, fai que vos dei, mais li caus abanz pot poin a destrei. E vos Carlon primers e lk de Brei, Galeran de Saindiz e Godefrei. Carlon plot cant les veit toz entor sei. Mais autre riens le met molt en esfrei, qu'il veit Folcon venir laz un ausnei; e despleget s'ensegne, per quei balei; sanglent en sunt li pan e tuit li plei. E vindrent o lui conte a catre o trei, Ponz e Ricarz e Coines el Desertei; cascuns cridet s'ensegne segun sa lei. E lai o aiosterent a grant abei, n'i a tan bon escu que non pecei, aste reide ne freigne o non arcei. Ne vaut maille d'auberc mais cal correi. Folche ioinst a Albert, Girarz au rei. Es vos Albert cau del bai morei, e Girarz de Ramunt laz un mafei. Mais a Fescosse d'elz ot tan trepei, c'aichi fu e ferit, ne non chaei, bin a Deu a garent e Saint Romei! Polche retient Arbert denant lo rei. Trei rnile en i resterent, que mort, que frei. Molt en retient Gerarz de vis o sei. Mar vit Carles Martelz son grant bofei, quant creeit traitor, lausengier chei, quant el pres Rossillon per annelei.
1305
1310
1315
1320
1325
13 30
1281 sensenge 1290 enteri en cert 1291 de tenerti c'e uvert 1313 despeget 1319 a tan tan bon 1321 vanti vaint 1330 des 1295
18 1300
Arnaut Daniel
Lo ferm voler qu'el cor m'intra Mss.: A, B, C, D, E, G, H, I, K, M, N2, Q, R, S, Sg, U, V, VeAg, a, c 29.14). Edd.: Candi° (1883); Lavaud (1910-II); Toja (1960); Perugi 135
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
(1978); Eusehi (1984). Testo: Eusebi (con una modifica al V. 39). Diamo in apparato le lezioni eliminate di C, manoscritto usato dall'editore come base delle grafie. La vulgata offre per gli ultimi due versi una lezione dal senso alquanto problematico: a grat de lieis que de sa verj'a l'arma, / son dezirat, cui pretz dzns cambra intra [per compiacere colei che della sua verga possiede l'anima, suo desiderato (oppure: il suo Desirat, inteso come senhal), il cui pregio entra in camera]. Eusebi propone di leggere: a Grant Desid, qui de sa verj'a l'arma, / son cledisat qu'apres dins cambra intra, e traduce: «.„ a Gran Deslo, che della sua verga ha l'anima, canto [son] contesto a graticcio [con allusione all'ordito delle rime] che, appreso, in camera entra». Ma forse per l'ultimo verso la lettera della tradizione può essere conservata (ferma restando la congettura di Eusebi su tutto il resto e soprattutto sulla sintassi), se si intende dezirat non come nome bensì come participio passato con valore attivo, fenomeno di cui si hanno esempi in tutte le lingue romanze (fino all'odorata ginestra leopardiana): il san dezírat è «la canzone del desiderio», del ferm voler dell'incipit, appunto. Metrica: a7' bio' cr o' dio' ero' fio (Frani( 864: 3). Canzone detta sestina: sei coblas unissonans di sei versi e una tornada di tre; mots estramps, in luogo delle rime, che si succedono secondo lo schema della retrogradatio cruciata: i. abcdef, n. faebdc, iii. cfdabe, iv. ecbfad, v. deacfb, refranh, tutti vi. bdfeca. Nella tornada sono riprese, come di regola, le tre ultime parolerima della stanza precedente, mentre le prime tre sono collocate, nello stesso ordine, all'interno dei tre versi: (b)e(d)c(f)a. La parola-rima al v. 31 andrebbe a rigore considerata derivativa. Melodia: Gennrich, n, 91; Fernandez de la Cuesta, p. 232; van der Werf, p. 14.
Lo ferm voler qu'el cor mintra nona pot ges becs escoissendre ni ongla de lauzengier qui pert per mal dir s'arma; e pus no l'aus batr'ab rarn ni ab verja, sivals a frau, lui on non aurai onde, jauzirai joi, en vergier o dins cambra. Il
Quan mi sove de la cambra on a mon dan sai que nulhs om non intra (ans me son tug plus que fraire ni onck) non ai membre noni fremisca, neis l'ongla, aissi cum fai l'enfas devant la verja: tal paor ai neri sia prop de l'arma. Del cors li fos, non de l'arma, e cossentis m'a celat dins sa cambia, que plus mi nafra•I cor que colp de verja qu'ar lo sieus sers lai ont ilh es non intra: 136
18. LO FERM VOLER QU ' EL COR ' INTRA
de lieis serai aisi cum carn e ongla e non creirai castic d'arnie ni d'onde. IS Anc la seror de mon onde non amei plus ni tan, per aquest'arma, qu'aitan vezis cum es lo detz de l'ongla, s'a lieis plagues, volgr'esser de sa cambia; de me pot far l'amors qu'ins el cor m'intra miels a son voi C ' v Pus floric secadeverja 0111lafortz ni de n'Adam foron nebot e onde frevol verja. cum selha qu'el coi mintra tan fin'amors IV
non cug fos anc en cors no neis en arma: on qu'eu estei, fors en plan o dins cambra, mos cors no•s part de lieis tan cum ten l'ongla. V I
VII
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Aissi s'empren e s'enongJa mos cors en heis cum l'escors'en la venia, qu'ilh m'es de joi tors e palais e cambia; e non am tan paren, fraire ni onde, qu'en Paradis n'aura doble joi m'arma, si ja nulhs hom per ben amar lai intra. Arnaut tramet son cantar d'ongl'e d'onde a Grant Desiei, qui de sa verj'a l'arma, son dezirat qu'apres dins cambia intra.
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33 36
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becx; escoyssendre 3 qui peri per] si tot del 4 batre ab; verga 5 savals; aura 6 io:1)y; en] dins 8 quom del mon noy mira 9 pius] pus; frairel nebot io neis l'ongla] ni ongla ix lefanz; verga 12 tal] quar; prop]
trop 13 cos 14 quem cossentis a celar 15 quel quars; cors 16 9
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ylh 17 de lieis semi aisi] tos temps serai ab lieys cum 18 e] ia 20 amici; tan ni plus 22 lieys 24 a son voi] so voler; c'om] cum 26 n'Adaml adam; foron nebot] hyssiron bot 27 tant 28 tos mai ni en cor ni en arma 29 on quil estey o en 36 mon cor de lieys noys pari tan 31 guaissi 32 mon con lieys 33 ioy 34 e am la mais no fas cozin ni onde 35 ioy 37 dongla e 38 a grat de lieys qui de veda larma
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20. ENSENHAMEN
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
quei sieus belh cors d'alegratge me a mes en est trahi.
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Arnaut de Maruelh Belb m'es quan lo vens m'alena
22 S. c.] saursacri (corr. Johnston)
Mss.: C, R (P.-C. 30.10). Ed.: Johnston (1935 apparato una ). Testo di C.lezione Diamorifiutata in di C. Metrica: a7' b7 a7' b7 c7' d7 c7' d7; quattro coblas unissonans di otto versi (Frank 407: 22). Canzone.
Arnau Guilhem de Marsan Ensenhamen
Belh m'es quan lo vens m'alena en abril ans qu'entre mays, e tota la nueg serena chantad rossinhols ei iays; quecx auzel en son lenguatge, per la frescor del mati, van menan ioy d'agradatge, com quer am sa par s'aizi. xx E pus tota res terrena s'alegra quan fuelha nays, no•m puesc mudar noln sovena d'un amor per quieu sui iays; per natur'e per uzatge me ve qu'ieu vas ioy m'acli, lai quan fai lo dous auratge quem reve lo cor aissi. xii Pus blancha es que Elena, belhazors que flors que nays, e de cortezia piena, blancas dens ab motz verays, ab cor franc ses vilanatge, color fresc'ab saura cri. Dieus, quei det lo senhoratge, la sal, qu'anc gensor non vi! xv Merce fara, si no•m mena d'aisi enan per loncs plays, e don m'en un bais d'estrena e segon servizi•I mais! E pueys farem breu viatge sovendet e breu carni, 138
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Ms.: R. Edd.: Bartsch (1868); Sansone (1977). Metrica: distici di senari. Precetti e raccomandazioni all'aspirante cavaliere.
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Si voletz esser drutz siatz aperceubutz: enquer apendretz pus si d'amor segues l'us. Vostre cors tenetz gen e d'azaut vestimen, e, sian vil o car, faitz los gent arezar; de pauc pretz o de gran, tug sian benestan, car tot pros cavayer deu vestir a sobrier. Camizas de ransan, primas, car ben estan, e blancas totas vetz, que mielhs en senblaretz, cortes e ensenhatz, en totz locx on venhatz. Estrechamens caussas pes e cambas e bras, e sob•ecot e man•as, si que las gens estranias e totz hom que vos veya vos en porte enveya. Garatz vostra gonela, can la faretz novela, 139
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AVVIAMENTO ALLA P' LOLOGIA PROVENZALE
que no sia trop lonia, que pus en seria conia, e faitz la cabessalha a traves, ab ventalha, ampia pels muscies sus, car lo pieytz n'er pus clus; e dirai vos per que e aprendetz o be: per so c'om res no veya e-1 pieys que mal esteya. D'eys drap faitz lo naantel e gardatz que1 tessei i sia ben estan e l'afibialh denan. Gardatz vostres cabeihs, que mais vai hom per eihs. Sovendet los lavatz, que pus beis en siatz, mas no1s portes trop loncx, que may valon adoncx can son pauc tondut que s'eran trop cregut. Ni portes lo= guinhos, que sapchatz no so bos, ni la barba trop lonia, que may vai que re conia, e no n'ayatz trop ges, que pieitz seri'ades, mas gent et per mezura, e vos donatz vo-n cura. Ben gardatz hueihs e mas que no senbles vilas: huellas e mas son messatie mot sovent del coratie. Los hueihs tenetz menbrat que non gardon en fat, e las mas eyssamen gardatz que aian sen. Si vezetz azauteza que.us fassa cobezeza entre mas ad autruy, 14o
21. CARTA GUASCONE DEL 1200 CA.
non la prendatz de luy, car atressi la-s voi e auria vo-n per fol. 33o
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3 ne) 2 361 menbrad m(n)brat 366 fassal fissai (-i esp.) 3 h o 21 m Carta guascone del 1200 ca. ] h Tolosa, Archives Départementales de la Haute Garonne, Ordre de Malte, o Grand Prieuré de Toulouse, Commanderie de Montsaunès. n Ed.: Brunel (1926-52). Testo: Brunel (i puntini stanno per alcune parole z illeggibili). 3 I giudici di Saint-Gaudens deliberano in merito a una controversia tra R. W. e gli Ospitalieri. 3 5 xSabuda paraula es q'en R. W. de l'Ospitai l'acapde q'en P. de o Castans e-n P. del Soler avian feit d'en la part qe avian el moinar de m Bentolan e jornal de terra devant la mola e en la iria, e-n P. de jorns ] dels ag bonarnenz per si e per sos frais per sa sol. qe n'agren acapde e .fi. de cees qe n'an totz ans a Nadal, 2e R. W. forsa-ls hi e o ag ( nel pens, e per aqera forsa qe R. W. los fazia bengoren l'ospitalers n ab R. W. devant los jugges de Sen Gauzenz, els jugges lauzaren a-n P. de Castans qe fes la beritad si terz e ab atant qe fos tot de ) l'Ospitai, pus los prosomes feren ne fin da R. W. e de l'Ospitai, 3 z R. e3 W. solbe e-1 moinar e 1 jornal de terra e en la irla tot so qe i domanava ne domanar i podia per si e pels sos per .v. sol. gels ospi5 talers lo-n deren.. 4D'agesta fin e d'aqest abiement qe R. W. fe ab 3 l'Ospitai son bezenz adorgadz d'amas partz en Buaumon, S. d'Aven ron, S. de Sen Just, Joan de Narricomer qui eran jugges juradz al o dia. E-n R. Barrau e-n P. de Castans deren aqestz .v. sol. n ' a 22 y a Raimbaut de Vaqueiras t z l Mss.: C, M (due volte), P (incompleta), R, Sg (P.-C. 392.9). Edd.: Appel (1895); n Linskill (1964). Testo di M (prima occorrenza), tranne la cobla v, che o esiste solo in C. ( n 141 )
Katenda rnaia
365
22. KALENDA MAIA
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
Metrica: a4.' a4' a4' 12,4 ID4 54' 1D4 a4' az' az> C2 a4' az' az' C2 a4' (Frank 88: i); sei coblas singulars di venti versi. Melodia: Gennrich, n. 98; Fernffildez de la Cuesta, p. 325; van der Werf, pp. 292-3. La poesia è ascritta dal poeta stesso (cfr. l'ultimo verso) al genere musicale dell'estampida (ft:. estanzpie), caratterizzato da un ritmo veloce e martellante. Dal punto di vista musicale questo componimento è considerato uno dei capolavori della musica profana del Medioevo.
Kalenda maia ni fueills de faia
ni chans d'auzell ni flors de glaia
non es ge:m plaia, pros donna gaia, tro (l'un isnell messagier aia del vostre bell
5
cors, qi•in retraia
Io
plazer novell amors m'atraia e iaia, e:m traia vas vos, donna veraia, e chaia de plaia :1 gelos,
15
anz cle:m n'estraia.
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ia mais no•m veiria; celi dia morria, donna pros, qicus perdria. in Con er perduda ai m'er renduda donna, s'enanz non l'ai aguda? Qe drutz ni druda non es per cuda; mas gant amantz en drut si muda, l'onors es granz qel n'es creguda, bels semblanz fai far tal bruda; ge nuda tenguda -no:us ai, ai d'als vencuda; volguda cresuda vos ai, ses autr'aiuda.
Iv Tart m'esjauzira, pos ia:m p artira, Bells Cavalhiers, de vos ab ira, 25 q'ailhors no:s vira mos cors, ni:rn tira mos deziriers, q' als non dezira; q'a lauzengiers
ti Ma bell'amia, per Dieu non sia ge ia:I gelos
de mon dan ria, ge carvendría sa gelozia si aitals dos amantz partia; clieu ia ioios mais non seria, ai iois ses vos pro no-m tenria; tal via faria
sai q' abellira,
donna, cfestiers non lur garira: tals vira, sentira 142
143
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
mos danz, qills vos grazira, qe•us mira, cossira, cuidanz don cors sospira.
e nAnorammonomm MNZUREIrd,Mil»,11•111M."11Il.•11111111MrBOMMIEOMMEIMMIIMEMIIMMIIIMO amm Almr wwwwww mumwoumilmm _Aimm - mm.moo.~
Ka - len -da ma - ia ni fueffls de fa ia Non es ge•In pia - ia pros don na ga - fa
80
v Tant gent comensa, part totas gensa, Na Beatritz, e pren creissensa vostra valensa; per ma credensa, de pretz garnitz vostra tenensa e de bels ditz, senes failhensa; de faitz grazitz tenetz semensa; siensa, sufrensa avetz e coneissensa; valensa ses tensa vistetz ab benvolensa.
vi Donna grazida, gecs lauz'e crida vostra valor q'es e qi•us oblida pauc li vai vida, per eficus azor, donna eissernida; oziar per gengor vos ai chauzida e per meilhor, de prez complida, blandida,
vas vos dom-na ve - ra - fa
e cha a
MeMMI•
,•111 W'•••••••••MEERMI~M~IEMOMMIEMIIIMMMMMilMiMilIEMMION~MIUMMIIIIMIMMEMEEMM 111,,Mr.••~•~IMEIMIMIMEMIMMIMIMINEM.7.1•M•'MMIM•MEMIMIIMEMI ,MASUMMI ONIMP,IIMIMEMEMOIMIMME11111111,311111MrZIIM§11 ~1.11 11M 9•R...EME•1•1••111.11~111111EMM ME
105
MI. n ild l IIM
de pia - fa • ge - los anz tge•fn n'es -
MIE EIM M••,I
-
MMI
Fonte: EMIMGentirich, Formentehre des Mittelalterlichen Idedes, Halle 1932. OM ~IM MIM
Io
144 145
MIE
tra -
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
servida genses q'Erecs Ertida. Bastida, finida, N'Engles, ai l'estampida.
24. BARON, DE MON DAN COVIT
115
120
desplaia 29 ia] iamai 39 mais non seria] non sera nos 61 eschauzira 81 par 83 venatritz 85 vostre stre 89 dijtz 97 balensa 115 genser
55 DO•usi
88 vo-
23
Raimbaut de Vaqueíras Salut Mss. (della prima lassa): C, Cv, R, Sg (P.-C., p. 361). Edd.: Schultz-Gora (1893 ); Crescint ( r 90 1 -02 ); Linskill (1964). Testo di C. Metrica: tre lasse di decasillabi monorimi, alcuni dei quali con cesura epica, concluse da un quaternario, senber marques, che si ripete identico e che è ripreso come primo emistichio delle lasse Il e III (si tratta quindi di lasse capfinidas). Il trovatore ricorda al suo signore, Bonifacio I marchese di Monferrato, episodi di una vita cavalleresca trascorsa al suo servizio. Si trascrive la prima lassa.
Valen rnarques, senher de Monferrat, a Dieu grazisc quar vos a tant onrat que mais avetz mes, conques e donat c'orn ses corona de la crestiantat; e laus en Dieu quar tan m'a enansat que bon senhor ai rnolt en vos trobat, que m'avetz gent noyrit et adobat, e fai-t gran be e de bas aut poiat, e de nien fait cavafier prezat, grazi:t en cort e per donas lauzat. Et ieu ai vos servit de voluntat, de bona fe, de bon cor e de grat, que mon poder vos n'ai ben tot mostrat; 146
et ai ab vos fait maint cortes barat, qu'en maint bel luec ay ab vos dompneyat; et ah armas perdut e guazanhat, et ai ab vos per guerra cavalguat, e pres maynt colp et ab vos n'ai donat, e gen fugit et ab vos encaussat, vensen encaus, et en fugen tornat, 20 e sui cazutz et ai enderrocat. Et ai en ja e sus en pon iostat, e part barreiras ab vos esperonat, et envazit barbacade fossat, e sus en guarda et en aut luec anat, vensen grans coytas; et ai vos aiudat a conquerre emperi e duguat estranhas terras et yllas e corntat, e reys a penre, princeps e principat, et a venser maint cavalier armat. Maynt fort castel e mainta fort ciutat, maint bel palaitz ai ab vos azeguat, emperador e rey et amirat • sevasto Lasquar eI proestat el Peitr'assis, e maint'autra postat. Et encaussei ah vos a Filopat l'emperador, qu'avetz dezeretat, de Romania, e l'autre coronat. E si per vos no suy en gran rictat, no semblara qu'ab vos aia estat ni servit tan cum vos ai reprochat, e vos sabetz quieu dic del tot vertat, senher marques.
35
25 amat 27 e duguat] regisme e d. 29 e reys rtp 34 Lasquar R] lassar; proestat E] potestat 35 Peitt'assis R] pretalis 38 dautre 39 Haat al. I honoretat
5 24
Peire Vidal Baron, de mon dan covit I o
Mss.: C, E, M, Q, R, e (P.-C. 364.7). Edd.: Anglade ( 19 3 ); Avalle (1960). Testo: Avalle. Diamo in apparato le lezioni rifiutate di M, ms. su cui si basa l'editore. 1 4
AVVIAMENTO ALLA ILOLOGIA PROVENZALE
24. BARON, DE MON DAN COVIT
Metrica: a7 b7 a7 b7 cto' dio dio etc) (Frank 389: 2); sei coblas unissonans di nove versi e una tornada di tre. Melodia: Gennrich, n. 61; FertAndez de la Cuesta, p. 343; van der Werf, p. 238. Canzone ibridata con un gap, che occupa le ultime tre stanze.
Baron, de mon dan covit lauzengiers deslials, qu'en tal domna ai chauzit, ont es fis pretz naturals. Et ieu am la de cor e ses bauzia et sui totz sieus, quora qu'ilh sia mia, qu'a sa beutat e sa valor pareis, qu'en lieis amar honratz fora us reis, per quem tieng ric sol quem deinh dire d'oc. XI
III
IV
4
Mon cor sent alegrezit, quar me cobrara 'N Barrals. Ben aia selh quem noirit, e Dieus! quar ieu sui aitals, que tnil salut mi venon cascun dia de Cataluenha e de Lombardia, 148
v Ben es proat et auzit, cum ieu sui pros e cabals, e pus Dieus m'a enriquit, non tanh qu'ieu sia venals. Cent domnas sai que cascunaqn volria tener ab se, si aver me podia. Mas ieu sui selh qu'anc noqn gabei niqn feis ni volgui trop parlar de mi meteis, mas domnas bais e cavaliers derroc. VI
Anc res tan no m'abellit cum sos adreitz cors on son tug bon aip complit e totz bes senes totz mais. E pus tot a quan tainh a drudaria, ben sui astrucs, sol que mos cors lai sia; e si merces, per que totz bos aips creis, mi vai ab lieis, beus puesc dir ses totz neis, qu'anc ab amor tant ajudar no•rn poc. Chant e solatz vei corts e dous e bos hostals, e domnei no vei grazit, si:1h domn'el drutz non es fals. Aquel n'a mai que plus soven galia. Non dirai plus, mas C11111 si vuelha sia. Mas peza me quar ades non esteis lo prenaiers fals que comenset anceis: e fora dreitz, qu'avol eixample moc.
quar a totz jorns pueja mos pretz e creis; que per un pauc no mor d'enveja.I Reis, quar ab donas fas moti trep e mon joc.
Mainht bon tornei ai partit pels colps qu'ieu fier tan mortals, qu'en luc non vau qu'om no cric «So es en Peire Vidals, selh qui manten domnei e drudaria e fa que pros per amor de s'arnia; et ama mais batallas e torneis que monje patz, e sembla1 malaveis trop sojornar et estar en un loc.»
vri Plus que non pot ses aigua viurel peis, non pot esser ses lauzengiers domneis, per qu'amador compron trop car lur joc. 22
2 fals lausengiers desleials 4 on; fins 5 Et] ez 6 cora ci(e)1 8 kis; uns ix con; adrech 12 tuch 14 pos 15 cors] pros 16 tutz bons 17 leis; totz neis] torneis 18 ab amod a baron; aiudar 19 falhit 20 cortz e douz 21 donnei non 22 si do(n)naldrut 23 mais qi 24 co(n) sis voilha 25 mi; ades1 adonc 26 comenzet 27 drech; example 28 seri 29 gan mi cobreran 30 aia celi clim 31 e Dieus] et ieu 32 gar; chascun 33 cataloinha 34 iornz pueia; pres 35 ge per un p(er) un pauc; non; enveia 36 domnas; ioc 38 con 39 pos; enregit 41 chascuna 42 si; mi 43 celi 44 volgi; mezeis 45 cavalhiers deroch 46 maint 47 pel 48 luec; no] non 49 peires 50 celi; don-
nei 51 fai; prous 52 batailhas 53 monge; semblam 54 seiornar ez 55 nos; sei laiga 56 pod; lausengiers dormeis 57 conpron; ioc
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
26. ATRESSI CON L ' ORIFANZ
25 Contessa di Dia A chantar m'er de so g'ieu no volria Mss.: A, B, C, D, G, I, K, L, M, N, R, W, a, b (P.-C. 46.2). Edd.: Schultz[-Gora] (1888); Kussler-Ratyé (1917); Rieger (1991). Testo di A. Metrica: aro' aro' aro' aro' bio aro' bio; cinque coblas stngulars di sette versi e una tornada di due (Frank 25: 2). Melodia: Gennrich, n. 38; Fernàndez de la Cuesta, p. 316; van der Werf, p. 21. Canzone.
iii Be-m meravill curn vostre cors s'orguoilla, amics, vas me, per q'ai razon que-m duoilla; non es ges dreitz c'autr'amors vos mi tuoila per nuilla ren qe•us diga ni-us acuoilla; e membre vos cals fol comenssamens de nostr'amor: ia Dompnidieus non vuoilla q'en ma colpa sia-1 departimens! iv Proesa grans q'el vostre cors s'aizina e lo rics pretz q'avetz m'en atayna, c'una non sai loindana ni vezina, si voi amar, vas vos non sia adirla; mas vos, amics, etz ben tant conoisens que ben devetz conoisser la plus fina, 15 0
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v Valer mi deu mos pretz e mos paratges e ma beutatz e plus mos fis coratges, per q'ieu vos mand lai on es vostr'estatges esta chansson que me sia messatges: e voill saber, lo mieus bels amics gens, per que vos m'etz tant fers ni tant salvatges, no sai si s'es orguoills o mais talens.
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vi Mas aitan plus vuoill li digas, messatges, q'en trop d'orguoill ant gran dan maintas gens.
A chantar m'er de so q'ieu no volria, tant me rancur de lui cui sui arnia car eu l'am mais que nuilla ren que sia; vas lui no-m vai merces ni cortesia, ni ma beltatz, ni mos pretz, ni mos sens, c'atressi-m sui enganada e trahia cum degr'esser, s'ieu fos desavinens. ir D'aisso-m conort car anc non fi faillenssa, amics, vas vos per nuilla captenenssa, anz vos am mais non fetz Seguis Valenssa, e platz mi mout qez eu d'amar vos venssa, lo rnieus amics, car etz lo plus valens; mi faiz orguoill en digz et en parvenssa, e si etz francs vas totas autras gens.
e membre vos de nostres covinens.
6 trahia traimela A 17 me ali vos A 19 acuoilla ocuoilla AB 4 7
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Rigaut de Berbezilh Atressi con l'orifanz
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Mss.: A, B, C, D., D', G, H, L j, K, L, N, O, P, Q, R, U, VeAg (due volte), W, X, a', b, I, (P.-C. 421.2). Edd.: Crescini (1926); Braccini (1960); Vai-varo (1960). Diamo il testo di I, corretto, nelle poche ed evidenti mende, sulla base dell'edizione lachmanniana di Varvaro. Metrica: a7 b7 b7 c7 c7 aua aro dio dio ero ero (Frank 680: i); cinque coblas unissonans di undici versi con mot refranh al decimo verso di ogni stanza, seguite da una tornada di due versi (Q) di improbabile autenticità: Beffi Bende, loy e pretz vos mante: / tot quan vuelh . offrono un'altra tornada, ai quan de vos me sove). Melodia: Germrich, n, 171; Ferrúndez de la Cuesta, p. 75; van der Werf, pp. 334-7. Canzone.
Atressi con l'orifanz, que quant chai no-s pot levar tro li autre, ab lor cridar, de lor voz lo levon sus, et eu sigrai aquel us, que mos talanz es tan greus e pesanz que si la cortz del Puoi e lo bobanz e-1 verais pretz dels lials amadors no-m relevon, iamais non serai sors: qu'il deingnesson per mi clamar merce 151
6
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
'ai on preiars ni merces no.m vai re. I'
E s'ieu per los fis amanz non puosc en ioi retornar, per tostemps lais mon chantar, que de mi n'A a ren plus, anz viurai si eo1 reclus, sols, ses solatz, c'aitals es mos talans, e ma vida m'es enoi et affans e lois rn'es dols e plazers m'es dolors; qu'eu non sui ges de la mainera l'ors, que qui bel bat ni.I te vii ses merce el engrassa e meillur'e reve. Ben sai c'Amors es tan granz que leu mi pot perdonar s'ieu fallii per sobramar ni reingnei com Dedalus, que dis qu'el era Iezus e volc volar al cel outracuidanz, mas Dieus baisset l'orgoill e lo sobranz; e mos orgoills non es res mas amors, per que Merces me deu far ben socors, que mant loc son on rasos venz merce e mant d'autre on rasos non vai re.
IV
A tot lo mon sui clamanz de mi e de trop parlar, e si pogues contrafar fenis, que non es mai us, que s'art e pois resort sus, eu m'arsera, car sui tan malanans e mos fals ditz messongiers e truans; resorsera en sospirs et en plors, la on beutatz e iovenz e valors es que noi falli mas un pauc de merce que noi sion assemblat tuit li be.
v Ma chansos er drogomanz lai on eu non aus anar ni ab dretz oillz regardar, tan sui conques et aclus. 152
'I
27. BEL M ' ES 0E11 CHANT E COINDEI
E ia hom no mi escus, Miels de domna, don sui fogiz dos ans; ar torn a vos doloros e plorans; aissi co.1 sers, que carri a faig son cors torna morir al crit dels cassadors, aissi torn eu, domn', en vostra merce, mas vos non cal, si d'amor no.us sove.
50
55
vi Tal seingnor ai en cui a mais de be quel iorn quel vei non puosc faillir en re. 22
12 re] rea 20 ges] ge 21 qui] quil 22 e m.] el m. 27 quel quel 48 aclus] aclics 55 no-us] nos
27
Rairnon de Miraval Bel m'es g'ieu chant e coindei
33
Mss.: A, C, D, H, I, K, L, M, P, Q, R, S, U, V, a', f 406.12). Ed.: Topsheld (1971). Testo di A. Metrica: a7 b7 b7 a7 c7 d7' d7' c7 c7 (Frank 627: 5 ); sette coblas UniSsonans di nove versi e due tomadas di cinque versi. Melodia: Gennrich, n. 141; Fernandez de la Cuesta, p. 429; van der Werf,13. 312. Canzone.
Bel m'es qieu chant e coindei quan es doutz el temps gais, e per vergiers e per plais aug lo retint el gabei que fant l'auzeillet menut 39 entrel vert e.1 blanc el vaire;
adoncs se deuri'atraire cel qe voi c'amors l'aiut vas chaptenenssa de drut.
44 ix Eu non sui drutz mas dompnei, ni non tem pena M fais, ni.rn rancur leu ni m'irais, ni per orguoill no m'esfrei; pero temenssa.m fai mut, c'a la bella de bon aire 153
9
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
non aus mostrar ni retraire mon cor qu'ill tenc rescondut, pois aic son pretz conogut. III
IV
Ses preiar e ses autrei sui intratz en greu pantais cum pogues semblar verais si sa gran valor desplei, q' enqer non a pretz agut dompna c'anc nasqes de maire (le contrai sieu valgues gaire; e sin sai maint car tengut qe-I sieus al meillor vencut. Ben voi om gen la cortei, e platz li solatz e iais, e no-W agrada'om savais qui-s deguise ni fadei. Mas li pro son ben vengut, cui mostra tant bel veiaire, si qe chascus n'es lauzaire clan son d'enan lieis mogut, plus qe s'eron siei vendut.
v la non cre c'ab lieis parei beutatz d'autra dompna mais, que fiors de rosier qan nais non es plus fresca de liei, cors ben fait e gen cregut, bocha et oills del mon esclaire; c'anc Beutatz plus noi saup faire, se-i mes tota sa vertut qe res no-il n'es remasut V I
la ma dompna no-is malei si ieu a sa merce m'eslais, elica non ai cor qe-m biais ni vas autr'amor desrei, c'ades ai lo mieills volgut defors e dins mon repaire; e de lieis non sui gabaire, que plus non ai entendut 1 5
28. ABRIL ISSIA
mas gen m'acuoill'e-m salut.
54
vir Chanssos, vai me dir al rei cui iois guida e vest e pais, q' en lui non a ren biais, c'aital cum ieu vuoill lo vei; ab que cobres Montagut e Carcassona el repaire, 23 pois er de pretz emperaire, e doptaran son escut sai Frances e lai Masmut.
59
63
viti Dompna ades m'avetz valgut tant que per vos sui chantaire; e non cuiei chanson faire tro-I fieu vos agues rendut de Miraval q' ai perdut.
68
ix Mas lo reis m'a covengut quel cobrarai anz de gaire, e mos Audiartz Belcaire: puois poiran dompnas e drut tornar el ioi cl'ant perdut.
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17 qu'ill al.] qieul A 70 quel ali clieul A
28 Raimon Vidal Abril issia 45
Ms.: R. Ed.: Bartsch (1868); Bohs (1903); Field (1989-91). Metrica: distici di ottonari. Il poemetto rientra nel genere delle novas, ma ha una struttura narrativa esilissima e tratta piuttosto del ruolo del giullare nella società. Il protagonista
qui lamenta con il mecenate e trovatore Dalfi d'Alvernhe la decadenza della cortesia. 50
Aital solatz e pus entier aguem aqui pus que no-us clic. E-I cavayer ses tot prezic a lur temps s'aneron iazer; 155
168
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
car mo senher volc remaner ab i. companhon iosta•I foc. Per qu'ieu, can vi sazon ni loc a demandar so que doptava, vas luy mi trays sobr'una blava tota cuberta de samit. E s'anc trobey bon cor ardit a ben parlar, si fis yeu lay. Per quel dis: «Senher, ab esmay ai loniamens estat ab vos; e dirai vos per cals razos, si•eus play que m'escotetz ades. Vos sabetz be que luenh ni pres non es homs natz ni faitz ses paire: per qu'ieu n'aic mot de bon aire e tal ques saup far entrels pros. Cantaire fo meravilhos e comtaires azautz e ricx. Et yeu auzi si com n'Enricx, us reys d'Englaterra, donava cavals e muls, e can sercava vas Lombardia1 pros marques, e de terras il. o IL on trobava baros assatz, adreitz e ben acostumatz e donadors vas totas mas. E auzic nomnar catalas e proensals mot, e gascos, vas donas francx et amoros; e fazian guerras e plays. Per c'a mi par aytal pertrays ah vostres motz me fis ioglars. E ai sercat terras e mars e vilas e castels assatz vas tota partz, e poestatz e baros que no•us clic tans. No truep d'aquels de semblans mas mot petit, so•us dic de ver, donon ab bo saber e li autre nessiamen: e li autre, privadamen a sels que son acostumatz. 156
29. CA . ST IAG I LOS
Aisi ai trobat, e pus fata que no•us auria dig d'un an; 172 e vos mezeus, si tot semblan que es a tot bon fag cauzir, non etz aital com auzi:m dir adoncx a la gen ni comtar. 176 Per quieus vuelh, senher, demandar, si•eus platz, co es endevengut d'aital mescap, c>aisi perdut an pretz e valor li baro.» 18o
Ms.: R. Edd.: Appel (1895); Cluzel (1958); Field (1989-9 i) (che ne nega, ma senza argomenti persuasivi, l'attribuzione a Raimon Vidal). 92 Metrica: distici di ottonari. È una sorta di fabliau: un marito eccessivamente geloso induce all'adulterio la moglie ed è alla fine costretto a chiederle scusa. I personaggi principali sono storici. 196
Ab tan lo joglar issernit a dig: «Franc rey, de pretz garnit, ieu soi vengutz de mon repaire 200 a vos, per dir e per retraire un'aventura que avenc sai en la terra don yeu venc, a vassalh aragones. 204. Be sabetz lo vassalh qui es: el a nom n'Amfos de Barbastre. Ar auiatz, senher, cal desastre li avenc per sa gilozia. 208 Molher bel'e plazen avia, e sela que anc no fallii vas nulh hom, ni anc no sofri precx de nulh hom de s'encontrada, 157
38
4 2
46
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
mas sol d'un don era reptada, qu'era de son alberc privatz, d'aquel de son marit cassatz. Mas amors tan fort lo sobrava per que alcuna vetz pregava la molher son senhor, n'Alvira, don ilh n'avía al cor gran ira; pero mais amava sofrir sos precx que a son marit dir res per que el fos issilhatz, car cavayers era prezatz, e sel quel marit fort temia; car de bona cavalaria non ac sa par en Arago.» «Doncx», so dis lo rey, «aquest fo lo cortes Basco' de Cotanda?» «Senher, oc. Er auiatz la randa, 66 • pres de la bela n'Alvira: car res de tot cant hom dezira non poc compere ni aver tro al rnarit venc a saber, quel disseron siey cavayer tug essems en cosselh plenier: "Senher, per Dieu, trop gran bauzia fai en Bascol, que cascun dia 74 pregua ma dona et enquer; e dic vos que tan loi sofer que coguos en seretz, ses falba." Et el respos: "Si Dieu mi valha, 78 si no m'era a mal tengut, tug seriatz ars o pendut, car non es faitz c'om creire deya, e tug o dizetz per enveya, 82 car sobre totz el vai e sap. Mas ia Dieu no mi sal mon cap, si iamay negus mi retrai de res que na Alvira fai, 86 s'ieu per la gola non lo pen, que ja non trobara guiren."» 6 manca (imegr. Raynouard) 4 s 0 m
158
30. DAUREL E BETON
30
Daurel e Beton Ms.: Parigi, B. N., Nouvelles acquisitions, fr. 4232, detto "manuscrit Didot" 54 perché acquistato alla fine del xtx secolo da Amboise Firmin-Didot (xiv sec., proveniente dalla regione di Tolosa, ma copiato da un copista guascone o da un antigrafo guascone). La lingua, oltre a qualche tratto guascone, presenta una koiné diversa da quella dei trovatori, il franco-occitano utilizzato 58 dall'epica provenzale. Edd.: Meyer ( x88o); Kimmel (1971); Lee (1991). Testo: Lee. Metrica: lasse monorime di decenari, occasionalmente frammisti ad alessandrini. Il nobile Beton è allevato come un figlio dal giullare Daurel dopo l'uccisione a tradimento del padre, ma il suo comportamento alla corte di Babilonia rivela la sua vera origine.
xxxvn So ditz lo re: «Baro, que vos en par d'aisel efan que vezet lai estar, de Betonet que ieu puec rant amar? Tantas proesas ieu li vei comensar; e .x. brizaut gazanhet al jogar, e cant los ac, dese los anec dar. Per cel senhor que tos nos fa parlar, ieu non creirai sia filh de joglar, que los cavals li vei fort abribar e los ausbers vestir e despulhar e los escutz tener et abrasar.» Ditz la regina: deusz o farai proar: ins en las crambas vos l'en mandat filtrar, que a ma filha a•n dels verses cormar. .c. mart d'argen lhEil farai prezentar; si pren l'aver, donc er filh de joglar, si no1 pren, anc re no1h ac a far.» Aicel cossel si van tuh ajustar; e lo rei fa per l'efan enviar et el venc tost, pren se a ginoulhar: «Beto,» dit el, «ara•us vueih fort pregar que ab ma fdha vos anes deportar, de vostres laices vos li anes viholar: irada es, anas lam apagar.» «Senher,» dita el, «aisso m'es bon a far.» Vai s'eri corren, pren sa vieula trempar. 159
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31. LI CLERC SI FAN PASTOR
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
E la regina vai sa filha ensenhar: «Filha,» dit ela, «ab vos volrai parlar: .c. martz d'argen aissi vos vueilh laissar, que Betonetz vos venra deportar; vos los li datz quantz s'en volra anar.» Lo rei meszisses comensa a parlar: «Baro,» ditz el, «anern los escoltar en cal manieira si volra capdelar.» Entorn la cambra si van tuh amagar que auziram tot so que volran far. xxxvm Sus a las cambras s'eri es Beto intrat en brizaut que fo gentil cordatz; e la donzela es 'evada viat: «Bo-m sap, amix, quar ses sains intrat.» Ela es joves et es gratis sa beutat, non a .x. ans enquara acabat. Ela fo agradabla, en sa ma te iii. datz qu'ero d'aur fi et dedins tragitatz. «Dona,» ditz el, «sai vos soi eviat, que-us mi trametz mos senher l'amiratz, et ieu mezis teinh m'en fort per pagatz. De bels verses sai, dona, vueilh que n'aujatz.» E dit sos verses e fon ben escoltatz. Lo rei l'auzi que s'era amagatz entom la cambra eil reina delatz, et ab lor so .c. cavaliers prezatz, que tuh escolto cossi s'es deportatz. Una gran pessa s'es lains deportatz, canta e vihola, es se fort alegratz. «Dona,» dit el, «iriei m'en si a vos plat, totz jorn, ma dona, que-m volret mi mandatz.» «Beto,» dit ela, petit m'escoltat.» .c. mart d'argen li a denan pauzatz. «Amix,» ditz ela, «cest aver vueilh prengat que cornpar ne-t palafres sojornat. Mon prumier do en refut non agatz.» «Dona,» dit eE1], «.m. merces e .c. grat, que ieu ai, dona, aur et argen asat ab solamen que vos be mi volhatz. joglar venran, d'estrains e de privatz: 160
ad els, ma dona, aquest aver donatz; lauzar vos an per estranhes regnatz e vostre pret sera-n plus issausatz. De vos, ma dona, me teinh for per pagatz, 1 que tot jour vos a mi pro donata, 1 que noiritz m'a mosenher l'arniratz.» «Beto,» ditz ela, «per la fe que-m portatz 8 no vos n'anes que del miei non aiatz.» «Dona,» dir el, «per que m'en sermonatz? 10 Quantz ieu l'auria seria ne enbargatz; 4 mas solamen, car conosc que a vos platz, 8 de vostra ma prendrai aquels datz.» 5 «Amix,» ditz ela, «ben pauc mi demandatz. Tenet los doncz, per amor los portatz.» Et el los pren, ela los li a donatz. 1.490 «Dona,» clitz el, «donatz mi comjatz.» «Beto,» dis ela, «en bon astre anatz; que Dieus vos don so que vos mai deziratz.» «Dona,» dita el, «vos ab Dieus remanatz.»
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1495 1465 Ihi] lh (integr. Meyer e Kimmel) 1466 er] er es 1468 fa per] fapre cane. f. p. 147o tost] tanst cane. t. 1490 bili - 1495 soi] a (cori'. Meyer) 1497 teinh] tenih Meyer) 1502 prezatz] pregratz Meyer e Kimmel) 1511 palafres] plalafres Meyer e Kim91 es seguito da lettere mel)ela 1513 eh] e (integr. Meyerilleggie Kiminel) 1518 regnatz] -n- aggiunto nell'interi. 1520 teinh] terli 1533 agre] -t- aggiunto nell'interi. 1534 vos don] done (corr. Meyer) 1500
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3' Peire Cardenal Li clerc si fan pastor Mss.: A, C, Db, l, J, K, M, R, T (1 vaud (1957); Vatteroni (1990). Testo: Vatteroni. L'edizione impiegata adot3 ta I come base grafie: .-C. 335 .3 I ) •delle Edd.: Appeldiamo in apparato le lezioni rifiutate del manoscritto, corrette dall'editore con il confronto dell'intera tradizione. (1895); LaMetrica: a6 a6 a6 b6 b6 c6' b6 c6' d6 d6 d6 d6 (Frank 74: 2); cinque coblas unissonans di dodici versi e una tornada di quattro. Sirventese.
Li derc si fan pastor e son aussizedor 161
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
e semblan de santor; can los vei revestir e prent m'a sovenir de n'Alengri, c'un dia volc ad un parc venir, mas pels canx que temia pel de mouton vestic, ah que los escarnic, pois manget e trazic la cal que l'abelic.
III
IV
Rei et emperador, duc, comte e comtor e cavallier ab lor solon lo mon regir; eras vei possezir ha clercs la seingnoria, ah tolre et ab trair et ab ypocrizia, ah forssa et ab prezic, e tenon s'a fastic qui tot non lor ho gic, et er fait , cant Aissi com son maior que tric. son ab meins de valor et ab mais de follor et ab meins de ver dir et ab mais de mentir et ab meins de clersia et ab mais de failhír et ab meli-1s de paria; dels fals clergues ho clic, c'anc mais tant enemic hieu a Dieu non auzic de sai lo temps antic. Cant son en refreitor, no m'o tenc az onor qu'a la taula aussor vei los cussons aissir e premiers s'escausir; 162
32. CANZONE DELLA CROCIATA CONTRO GLI ALBIGESI
4
8
auías grant vilania: q'ar hi auszon venir et hom no los en tria; pero anc no lai vic paubre cusso mendic sezer latz cusson tic; d'aisso los vos esche,
44
v la non aion paor 12 alcaicx ni almassor qe abat ni prior los anon envazir ni lors terras sazir, que afans lor seria, 16 mas sai son en consir del mon comsi lor sia, ni com en Frederic gitesson de l'abric; 20 pero tals l'aramic c'anc fort no s'en iauzic. vi Clergues, qui vos chauzic 24 ses fellon cor enic en son comde faillic, c'anc peior gent non vie. 28
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sil sen 6 Alengril elengri 7 ad un] i com.. ves un; pare venir] pore rair ii manget] o manget rz la cali las eals, abeliel abellie 13 Rei] reis 14 e om. 20 ypoerizia] ypoerazia 39 elersia] elerissia 31 faillnr] faillir 34 enemic] enemicz 36 om 39 la om. 41 s'escausir] ses faillir 47 sezer] vezer; eusson] o son 51 abati abas 56 lor] lors
32
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4 0 ri m a (
3 2 Canzone della Crociata contro gli albigesi Ms.: Parigi, B. N., fr. 25425 (1275 ca., proveniente dalla zona di Tolosa). Edd.: Meyer (1875); Mattin-Chabot (193 I Metrica: lasse monorime di alessandrini chiuse da un senario privo di nel primo verso della lassa successiva).
1 6 3
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
32. CANZONE DELLA CROCIATA CONTRO GLI ALBIGESI
Gli autori sono due: Guilhem de Tudela, responsabile delle prime 130 lasse (2749 versi), e un anonimo, responsabile delle ultime 83 (6811 versi), dalle quali è tratto il brano che segue. L'opera è una cronaca in stile epico della Crociata contro gli albigesi dalla sua proclamazione nel 1208 fino alla decisione di assediare Tolosa nel 1219. Le lasse che antologizziamo raccontano la dura sconfitta inflitta da Simon de Montfort alle truppe degli aragonesi e del conte di Tolosa Raimondo alla battaglia di Muret (1213), nella quale mori il re Pietro ti d'Aragona.
CXL Tuit s'en van a las tendas per meias las palutz, senheiras desplegadas els penos destendutz; dels escutz e dels elms, on es li ors batutz, e d'ausbercs e d'espazas tota la plasa•n lutz. Ei bos reis d'Arago, cant les ag perceubutz, ab petits companhos es vas lor atendutz; e l'ome de Toloza i son tuit corregutz, que anc ni coms ni reis non fon de ren creiitz; e anc non saubon mot trols Frances son vengutz e van trastuit en la on fol reis conogutz. Io E el escrida: «Eu sol reis!,» mas no i es entendutz e fo si malament e nafratz e ferutz que per meía la terra s'es lo sancs espandutz, e loras cazec mortz aqui totz estendutz. E l'autri, cant o viro, teno•s per deceubutz, 15 qui fug sa, qui fug la: us no s'es defendutz; e li Frances lor corro e an totz lor destruitz, e an les malament de guiza combatutz, c'aicel que vius n'escapa se te per ereubutz. Entro sus al rivel es lo chaples tengutz, 20 e l'ome de Toloza, c'als traps son remazutz, estero tuit essemps malament desperdutz. En Dalmatz de Creiselh es per rata embatutz e crida: «Dieus aiuda! grans mais nos es cregutz, quel bos reis d'Arago es mortz e recrezutz, 25 e tant baro dels autres que so mortz e vencutz. Tamais tan grans dampnaties no s'era receubutz!» Ab tant es de Garona fors de l'aiga issutz. E-1 pobles de Toloza, e lo grans el menutz, s'en son trastuit essems ves l'aiga corregutz, 30 e passon cels que pogon, mas mots n'i a remazutz: Faiga qu'es rabineira n'a negatz e perutz. E remas ins el camp trastotz le lor tratitz. Don fo lo grans dampnaties per lo mon retendutz, 164.
5
car tnans om i remas, totz morts e estendutz, don es grans lo dampnatges! QUA MOt fo grans lo dampnatges el dols el perdementz cant lo reis d'Arago remas mort e sagnens, e mot d'autres baros, don fo grans l'aunimens a tot crestianesme et a trastotas gens. EIs omes de Tholoza, totz iratz e dolens, aicels qui son estorta, que no son remanens, s'en intran a Toloza dedins los bastimens. En Symos de Montfort, alegres e iauzens, a retengut lo camp, don ac mans garnimens; e mostra e retra trastotz sos partimens. E lo coms de Toloza es fiatz e dolens, ez a clig al Capitol, ez aquo bassamens, que al mielhs ques els puescan fassan acordamens que el ira al Papa far sos querelharnens: qu'en Simos de Monfort, ab sos mais cauzimens, l'a gitat de sa terra ab glazios turmens. Pueih issic de sa terra, e sos fdhs ichamens; els homes de Toloza, cum caineus e dolens, s'acordan ab Simo e li fan sagramens, e redo s'a la Gleiza, a totz bos cauzimens• E•1 cardenals trames a Paris ichamens al filh del rei de Fransa, c'ades venga correns; ez el i es vengutz bautz e alegramens. Ez intran a Toloza trastot cominalmens, e perprendo la vila e los albergamens, es albergon ab ioia dedins los pazimens. Eds omes de la vila dizon: «Siam suffrens; suffram so que Dieus voi trastot paziblamens, que Dieus nos pot aidar, que es nostre guirens.» EI filhs del rei de Fransa, qu'es de mal cossentens, Simos ei cardenals en Ries mescladamens an dig en lor secret c'an lo barreiamens per trastota la vila, e poig lo focs ardens. En Simos se perpessa, que es mais e cozens, que si destrui la vila non er sos salvamens, que mais vai sia seus totz l'aurs e totz l'argens. E pugh fo entre lor aitals emprendemens que s'umplan los valatz, e nulhs orti defendens no s'i puesca defendre ah negus garnimens; 165
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
e trastotas las tors e'ls murs els bastimens que sian derrocatz e mes en fondemens. Aísi fo autreiatz e dig lo iutiamens. E•n Simos de Montfort remas terra-tenens de trastotas las terras ques eran apendens al comte de Tholoza, ni als siaus benvolens, qu'el es dezeretatz ab fals prezicamens. E•1 reis torna. s n'en Fransa,
34. JAUFRE
45
c'aicel] car ce! (corr. Martin (con'. Martin ah] ab en Chabod) 23 de Creselh eal Chabod)de(n)teiselhes 24 In margine: Ayshi lo reys de 33 Arago rnortz Sorde' cxud9
A lei puesc ma mort demandar
Ms.: F 437.3). Edd.: Boni (1954); Wilhelm (1987). Metrica: a8 b8 a8 b8 cro' dio dio cro' (Frank 421: 27). Cobla esparsw o frammento di canzone.
A lei puesc ma mort demandar, q'ab engan ez ab tracion mi cuiget sas joias donar al tornei, per tal ocaison, qei fezes tan qe lai perdes ma via. Mas eu saubi d'amor e d'armas tan e de domnei e lei dem'en gauz, e de dolor m'amia. , q'eu morte gardei de dan,
34
jaufre Mss.: Parigi, B. N., fr. 2164 (xtv sec., regione di Nimes); Parigi, B. N., fr. 12571 (xrv sec., Italia); frammenti nei canzonieri L, N, e in due foglietti s. 166
s. custoditi a Nimes negli Archives Départementales du Gard. Edd.: Brune! (1943) (ms. 2164); Raynouard (1838) (ms. 12571, parziale); Breuer (1925) (nuova ed. del ms. 12571, corretto sulla base degli altri testimoni); Lavaud c5c Neili (1960-66) (stessa base di Brunel, con correzioni dall'altro ms. principale). Ad esemplificazione del tipo di minuta rielaborazione frequente nei testi narrativi, fotografiamo il brano nella versione dei due manoscritti principali, senza alcuna correzione. Metrica: distici di ottonari. jaufre, composto intorno al 1225-28, è un romanzo arturiano di circa I 1.000 versi, ricco di toni parodici. Racconta le avventure dell'eroe jaufre alla ricerca del cavaliere cattivo, Taulat de Rogimun, e della mano della sua amata Brunissen. In questi versi re Artù, che si era rifiutato di banchettare, come d'uso, prima di andare incontro a un'avventura, la trova poco dopo, rimanendo appeso alle corna di un'orribile bestia.
Redazione A (ms. B. N., fr. 2164) E cascus aitan can pot broca, e venon al pe de la roca, e prenon en sus a garar, e viron lur seinor estar el corn de la bestia pendut, e tan estrain dol mogut qe anc, so'm par, non fo ausitz ni per me neus pot esser digtz. Aqui vegras tirar cabels a cavaliers e a donzels, e rumpon tug lurs vestiduras, e maldison las aventuras q'en la forest son atrobadas, c'a tan gran dol lor son tornadas. E Qecs lo senescal escrida: «Ai! bona gen, con es manda! Con aves per fort destinada la mort del bon rei devinadal Cal aventura es venguda! Con avem uei Valor perduda!» Ab tan el es de son cavai casutz, aloinnatz contra vai. El reis estet desus, iratz, e's se ab las mas refermatz, qe no las en ostera jes adonc, se tot far o poges, 1 6 7
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
car gran paor a de caser. E la bestia a gran lezer istet se laisus tota via. Ed rei prega santa Maria e Deus, lo seu glorios fil, qe l'estorca d'acjel perii. Galvain e Yvan e Tristans, ab de cavalers no sai cans, dison qe tutz lur dras pendran, el pe de la rocads metran desotz lo rei, e pui, se ca sus els draps, ja mal no•s fara. Pues o an als autres comtat. E Galvain a lur o pregat: «Seinors, laisem lo dol istar, aisi no•s pot ren acabar, mais prengam tutz desliuramens cadaus nostres vestirnens e metam los al rei desotz.» Aqui meteis comenso totz demantenen a despolar. E veiras lor draps aportar, manteus e capas, tot corren. Anc no kir remas vestimen, causas, ni camisa ni braga, qe cascus ades non o traga. E can tuit despolat s'en son, an fet dels draps tal u molon desotz, qe si tot caseges, •non cre qa ja mal si feses. E la bestia, cant aigo vi, fes sernblan qes moges d'aqui e crollet son cap un petit. Acidi d'aval feiro un crit mot estraiti e mot angoisos, e son se mes de genoilos, e pregon Deu qe1 rei defenda e qe sa e sal lo lur renda. E ela jon los .fiii. pes e sail entr'els, e pueis apres laisa caser lo rei qe»s tenc 16 8
34. JAUFRE
a sos corns, e ela devenc 382 cavalers grans e bel e gens; e fo vestit mot ricamens d'escarlata tro als talos, e es vengutz de genolios 386 al rei, e dis li tot risen: «Seiner, faitz vestir vostra gen, qe ben podon hueimais manjar, qe vos ni els non cal laisar 390 per aventura, car trobada l'avetz, si beus er tardada.»
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Redazione B (ms. B. N., fr. 12571) 394
E cascus aitant con pot proca, e venon al pe della roca, e prenon en sus a garrar,
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als coms della bestia pendut, et an tant estraing dol mogut que anc son par non fon ausitz 402 ni per me no•us pot esser dit. Aqui viras tirar cabels a cavaliers e a donzels, que tuit ronpons lor vestiduras e maldizon las aventuras, 406 que tant lor son malas e duras qu'a tant gran dol lor sun tomadas, qu'en la foresta sen trobadas. 410 Ab tant lo senescals escrida: «Ai! boria gentz, con es manda! Con avetz per fort destinada la mort del bon rei destinada! 414 Cal aventura es venguda! Con avetz uei Valor perduda!» Ab aitant es cazutz del cavai a tera, de sus contra vai. 418 E I reis estet desus pendutz, ab las mans es se retengutz, que non las dostera ies adoncs, se faire on poges, 169
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
que gran pagur a de cazer. E la bestia a gran leser estet se lai sus tota via. E•1 reis preget santa Maria e Deu, lo sieu glorios fili, que l'estorga de quel perdi. Galvans e Ivans e Tritans, ab de cavaliers ne sai cans, dizon (pie totz los draps penran, al pe de la roca metran desotz lo rei, e pueis si cha sus els dras ia mal ncrs facha• E pueis en als autres mandat. E Galvans a lor o a mostrat: «Seignor, laissem lo dol estar, que ren non pueit nuls acabar, mais prendom tot deluiramentz cadauns nostres vestimentz e metam le al rei desotz.» Aqui mezeis se comenson totz demantenen a despoillar. E veiras los draps aportar, manteis e capas, molt corent. A negun non remas vestiment, causas, ni camisa ni braga, que cascuns ades non o traga. E quan totz despuillatz se son, an faitz de draps un tal molon desotz le rei, que s'el cazes non crei que gran mal se fezes. E la bestia, cant ako vi, fes semblant que moghes e crolet son cap un petit. E cels d'aval le non un crit mout estraing e mout angoissos, e son ses mes a genoillos, e pregun Dieu quel rei defenda e que san e sal lo lur renda. E la bestia ions los pes e sal entr'els, e pueis apres lasai cazer lo rei que tenc 170
35. FLAMENCA
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a sos corns, e el devenc cavaliers grans e bels e ientz; e fon vestutz mout ricamentz d'escarlata tro als talons, es vengutz as genoillons al rei, e dis li tot rizen: «Seiner, faitz vestir vostra gen, que ben podon oimais maniar, eine vos ne els no•ill cal laissar per aventura, car trobada l'avetz, si tot vos es tarzada.»
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Flamenca (Las novas de Guillem de Nivers)
Ms.: Carcassonne, Bibliothèque Municipale, n. 34 (mi' sec., di area provenzale); il codice è mutilo dell'inizio e della fine. Edd.: Meyer (1863); Lavaud & Nelli (1960-66); Limentani (1965) (ed. parziale); Gschwind (1976); Hu4° chet (1988). 2 Metrica: distici di ottonari. Il romanzo racconta la nascita e il divampare della fin'amor (nei più classici termini trobadorici) tra Flamenca, afflitta da un marito geloso, e .406 Guillem, cavaliere che si finge chierico per conquistarla. La kalenda maia (v. 3235) evidentemente un canto tradizionale di primavera, i cui unici echi letterari provenzali sono costituiti da questo brano e dalrestampida di Raimbaut de Vaqueíras. 410
«Amors, Amors, s'em breu no»m faitz vostre socors, noqn poires a longas socorre. Mon cor ai lai en cella torre 4 e, sii cors vos non lai metes, 1 sapias que perdut m'aves. 4 Ses cors nom pot hom gaire viure, -418 e per so•us clic tot a desliure: si ades nom penzatz de me, d'un autr'aitnador faitz conre, quieu m'en irai. E on? Non sai? 171
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE 35. FLAMENCA
Mais lai on tota li gens vai, en l'autre segle, per saber si lai aves tan de poder; e no-us cuies que ia sa-us torn per quan sa-m dones bon soiorn, ans cuh que mala-us conogues. E vos, que-m faz, domna Merces? ja soles vos venir a poinh. Non vezes donc consi m'a poinh Amors, e ferit de son dart que tot lo cor mi crem'e m'art? Eu cug que fos entoissegatz; per doas partz mi sen nafratz, car per l'aurella e per l'uil ai pres lo colp don tan mi doil. Anc hom non vi tam prim arquier con es Amors, qu'ai si dreg fier: per on que toc, al cor s'en va son cairels, et aqui rema, e-I plaia defors sobresana et es desempre bella e plana, e no-m par que res i toques ni dart ai sageta-n passes. Per so nom pens'aver dolor le nafratz quan pert la vigor, le maniar e-1 beur'el dormir; e per mai re nom pot garir, s'ab lo cairel c'al cor li iai, endreh s'amor, Amors non fai autre colb; e, s'es tan pleners le segons con fon le primers, per dreg covinent si guerran sil dai nafrat quant luec n'avran, car l'us nafratz pot garir l'autre: totz cors d'aman es d'aiso autre que ia non er fort ben garitz, s'autre non es per lui feritz. De qual guisa guerrai eu donquas, cant cd cui am non mi vi unquas ai sap qui-m so ai sap que-m fa? Conssi Amors la poinera ab lo dart ques ieu ai al cor 17 2
2698 s'ella no.m ve dins o defor? Car s'il m'auzis o si-m parles, o si-m vezes o si-m toques, adonc la pogra ben combatre 2702 fm'Amors per un d'aquestz quatre, e per mi guerir la ferira, car non fora, quan mi vira morir d'angoissa davan se, 2706 que non n'agues calque merce. E pogra esser que non agra, car ben ves hom domna tan agra, so dison cil co an proat, 2710 ques es sens tota pietat et escondit so qu'a promes, quant ha suffert dos ans o tres domnei e prec, solas e vista; 2714 e quan l'a cavallier conquista, sos arnix hanc plus luein non fo, e coven li guerre perdo, car hanc creset ni-1 venc em pes 2718 nul tems amar lo degues. Per so-rn part lo cors e-I cor laissa car sei non vol ben segr'en laissa e-1 cors pensa que l 2722 se-1 forsava que s'en mogues ' entro que lo s'aia gitat eSteISSeS, sii on ha tan lonc tems musat; mais cant ha conogut e \list 2726 q'us autres ha cel hos conquist don el a trah si long'endura, non ha poissas de s'amor cura ai desira plus sa paria 2730 ni la vol neis trobar en via.»
2734 Las tosetas agron ja trachas las maias quel serws son fachas e lur devinolas canteron; tot rien davan Guillem passeron, 2738 cantan una kalenda maia que dis: «Cella domna ben aia 173
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
que non fai languir son amic ni no tem gilos ni castic, qu'il non an a son cavallier em bosc, em prat o en vergier, e dins sa cambra non l'amene per so que meilz ab lui s'abene, el gilos iassa daus l'esponda; e, si parla, qu'il li responda: "No•m sones mot, faitz vos en lai qu'entre mos bras mos arnics iai". Kalenda mai& E vai s'en.» Gai= sospira coralmen e prega Dieu tot suavet qu'en lui avere cest verset que las tosetas han cantar. 2689 a 1.] 1. 2693 cors] cor 2731 pot] po 2740 non] non sign vezes] mauzis 2763 el] e 3246 mos ID.] mon b.; amics] amic
36 ARLABECCA
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36 Arlabecca Mss.: Z e Parigi, B. N. Lat. 10869 ()uv sec.): i due testimoni, coevi, presentano vistose varianti. Edd.: Bartsch (1855); Meyer (1864); Pulega (1983). Testo: Pulega (1983) (base: Z). Diamo in apparato le lezioni eliminate del ms. di base. Metrica: la forma è quella della codolada catalana: alternanza di ottonari e quaternari a rima baciata. È l'inizio del poemetto (150 versi in tutto), che ha per tema la vanità del mondo e il trionfo della morte.
Dieus vos salve trastotz essems, que si•s fara verayamens. Si Enos nom pecca: et entendes una arlabecca, qu'jeu vos vuelh dire. Sabes, nom puesc chantar ni rire ni far conort, tan veg em poder de la mort tota le gen. 174
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Nom pot hom gandir per argen ni per amics; , non l'escapa savis ni rics, joves ni folls, car engallnen estrenh los colls als lays, als clergues; e no•y col festa M ditzmergues ni jorn de feri, don so bossatz li sementeri; qui suenh s'en dona, sapias que ad home non perdona per cant que valha. Hom ric non preza una mealha, per rics que sia, ni Ivo faria per clercia valen d'un ayll; ans los vay segan am son dayll, coras quel plassa: sapias, cruzelmens los estrassa, que no•y fay fencha. Mi troba plages que lo•n venssa, per negun codi, depueys que l'a mes e son hodi, que be no.I rest, e pueys valon li•n pauc son test e mens sas glozas. Davan la mort van las almomas el parlaria, de tot que negun o sentria. Bonas maynadas, beus volgra aver essenhadas de mon lati, que no-11s calgues cer ni mati aver temenssa de la mort, que certz es queus venssa; co fay los autres, que non lur tenori pro emplastres, ni medicina, ni l'esgardamen de l'orina, nids bos espescis; per que totz fezecias es nescis, 175
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
que am luy contrasta, car atressi meteys los tasta, que lectoaris non lur ten pro ni poticaris amsas sernensas. Neyss las gens que fan penedensas no•y an amor: menudetz ni prezicador; ni los prelatz. Per que.us dic que totz homs es fatz qu'el mon se fia, car egalmens s'en van li dia als rix e als paubres. Adonc renembre te que lauves, don bes te venha. 4i. arlabeca Z 7 conortz Z Z 16 ditzmergue Z 21 cantz SSOTI Z 33 restz Z 34 testz di Lei 37 els parlarias Lat 44 los manca in Z 61 fiza Z 62-65 men Lat
38. VIDA DI JAUFRE RUDEL
d'Engleterra, maire del Rei Iove e d'en Richart e del comte Iaufre de Bretaingna.
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Vida di jaufre Rudel
Mss.: A, B, I, K, N2. Edd.: Favati (1961); Boutière & Schutz (1964). Testo 6o di I corretto con K (la redazione di AB amplia e rielabora).
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8 vegz Z; mortz Z Io potz Z 15 al Z 22 mealha Z 26 an Z 32 Z 36 mortz Z 37-38 manca in Z, testo mortz Z 52 atrassi Z 55 sa Z 59 manca in Z, testo di Lat 62 egalmens] egal-
Ijaufres Rudels de Blaia si fo mout gentils hom e fo princes de Blaia. 2Et enamoret se de la comtessa de Tripol, ses vezer, per lo ben qu'el n'auzi dire als pelerins que venguen d'Antiocha. 3E fez de kis rnains vers ab bons sons, ab paubres motz. 4E per voluntat de lleis vezer, el se croset e se mes en mar; e pres lo malautia en la nau, e fo condug a Tripol, en un alberc, per mon. 'E fo fait saber a la comtessa et ella venc ad el, al son leit, e pres lo antre sos bratz. 6 comtessa, e mantenent E saup (N'ella era la recobret l'auzir e1 flairar, e lauzet Dieu que l'avia la vida sostenguda tro qu'el la agues vista; et enaissi el mori entre sos braz. 7Et ella lo fez a gran honor sepellir en la maison del Tempie; e pois, en aquel dia, ella se rendet rnorga, per la dolor n'ac de la mort de lui. 2 Tripoli Tripoli ben] bon 3 paubres] paubre IK
4 Tripol] Tripoli
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Vida di Guglieltno d'Aquitania Mss.: I, K. Edd.: Favati (1961); Boutière & Schutz (1964). Testo di I discendenti di Guglielmo ix ricordati dal biografo sono, nell'ordirle: il figlio Guglielmo x, Eleonora d'Aquitania (figlia e non moglie di Guglielmo x, erroneamente scissa in due personaggi), sposata con Enrico Plantageneta duca di Normandia e poi re d'Inghilterra, da cui ebbe, tra gli altri figli, Enrico detto il Re Giovane, Riccardo Cuor di Leone e Goffredo di Bretagna.
coms de Peifieus si fo uns dels maiors cortes del mon e dels maiors trichadors de dompnas, e bons cavalliers d'armas e larcs de dompneiar; e saup ben trobar e cantar. 2Et anet lonc temps per lo mon per enganar las domnas. 3 duquessa de que Normandia, don ac una fila que fo moiller del rei Enric Et ac un fili, ac per moiller la 176
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Razo di Bertran de Born Domna, puois de mi no•us cal Mss. della razo: F, I, K. Edd.: Favati (1961); Boutière & Schutz (1964). Testo di I corretto con gli altri manoscritti. Nella poesia introdotta da questa razo il trovatore, in attesa di riappacificarsi con la sua dama, la più bella del mondo, cerca in tutte le donne che conosce qualche qualità fisica, in modo da crearsi una dama artificiale o immaginaria (la dorma soiseubuda), composta con tanti pezzi di donne differenti.
IBertrans de Born si era drutz d'una domna gentil e iove e fort prezada, et avia nom ma domna Maeuz de Montaingnac, moiller d'en
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
Talairan, qu'era fraire del comte de Peiregors; et ella era fila del vescomte de Torena e seror de ma dompna Maria de Ventedorn e de n'Elis de Monfort. 2E, segon qu'el dis en son chantar, ela-1 parti de si ei1 det comiat, don el fo•n mout tristz e iratz, e fez razo que ia mais no la cobraria, ai autra non trobava quei], fos tan bella ni tan bona ni tan plazens ni tan enseingnada. 3E penset, pois qu'el non poiria cobrar neguna quelli pogues esser egals a la soa domna, si•s conseillet qu'el en fezes una en aital guisa qu'el soiseubes de las autras bonas dompnas e bellas de chascuna una beutat o un bel senblan o un bel acuillimen o un avinen parlar o un bel captenemen o un bel garan o un bel taill de persona. 4Et enaissi el anet queren a totas las bonas dompnas que chascuna li dones un d'aquestz dos que m'avetz auzit nomar per restaurar la soa domna c'avia perduda. 5Et el sirventes qu'el fetz d'aquesta razon vos auziretz nommar totas las domnas a las quals el anet guerre socors et aiuda a far la domna soiseubuda. 6 Dompna, pois de mi no-us cal. E4 sirventes qu'el fetz Talairanl tailarairan IK; talaran F 3 a] e IK; si si li FIK 4 queren] que IK; aquestzl aquest I d'aquesta razon si comensa:
41. EN UN VERGIER SOTZ FUELLA D ' ALBESPI
c'audan tut cil qe vos venran veder; e clan verra lo sendeman al ser ven posca un tal aval pel cors descendre qcos faza•I cui e sarar e sconscendre. 2 tal (corr. Appel) 3 vos v.] ve veiran (con , . Appel)
4 En un vergier sotz 1 fuella dalbespi Ms.: C (1 3 Metrica: aro aro aro Bio; sei coblas singulars, con refranh al quarto verso. Alba. .-C. 461.113) En un vergier sotz fucila d'albespi . Ed.: tenc la dompna son amic costa si, Appel (1895). tro la gayta cricla que l'alba vi.
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Deu vos sal, dels 0 pez soberana Ms.: G 461.82). Edd.: Appel (1897); Riquer (1975).
Metrica: a8' aro' bio bro cro' cro' (Frank 161: 3). Cobla esparsa. Parodia oscena, con la stessa metrica, di una cobla anonima di ispirazione cortese: Dieus vos sal, de pretz sobeirana, / e vos don gaug e vos lais estar sana / e mi lais far tan de vos plazer / quein tengas car segon lo mieu voler. / AissVm podetz del tot guiszardon rendre / e, s'anc fis tort, ben met podetz carvendre 461.83; ed. in Riquer, 1975, p. 1709) [Dio vi salvi, regina di pregio, e vi dia gioia e vi conservi sana, e a me conceda di darvi tanto piacere in modo che mi abbiate caro secondo il mio desiderio. Così potete
darmi completa ricompensa e, se ho mai sbagliato, potete farmela pagare cara].
Deu vos sal, dels pez soberana e vos dun far dui tals sobre semana
Oy Dieus, oy Dieus, de • tan tost ve.
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«Plagues a Dieu ia la nueitz non falhis ni•I mieus amicx lonc de mi no•s partis ni la gayta iorn ni alba no vis! Oy Dieus, oy Dieus, de • tan tost ve.
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Bels dous amicx, baizem nos yeu e vos aval els pratz, on chanto•ls auzellos, tot o fassam en despieg del gilos. Oy Dieus, oy Dieus, de • tan tost ve. IV
Bels dous amicx, fassam un ioc novel yns el iardi, on chanton li auzel, tro la gaita toglie son caramelli. Oy Dieus, oy Dieus, de l'alba! tan tost ve.
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v Per la doss'aura qu'es venguda de lay, del mieu amic bel e cortes e gay, del sieu alen ai begut un dous ray.» Oy Dieus, oy Dieus, de • tan tost ve.
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• 402 ,, CA5 e nilk. , 0, 3; "
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA P ROVENZALE
43. A SANT POS DE TOMEIRAS
vi La domna es agradans e plasens, per sa beutat la gardon mantas gens, et a son cor en amar leyalmens.
Oy Dieus, oy Theus, de l'alba! tan tost ve.
vi No iaga ab vos el lit, mes vos y valra l'amich,
Yana delgada!
7 , 0 P . T W A , . ~
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4 Cerveri 2 de Girona No-1 prenatz lo l'ah mani'
Guiraut Riquier A Sant Pos de Tomeiras Ms.: C (P.-C. 248.15). Edd.: Appel (1895); Audiau (1923).
Ms.: Sg 434a.34). Edd.: Riquer (1947); Coromines (1988). Metrica (trascrizione per esteso): A7 B4' (ritornello), c7 c7 B4', a7 a7 B4', c7 c7 B4', a7 E7 B4', c7 c7 B4', a7 a7 B4' (Frank 193: 5). La tecnica parallelistica riecheggia le cantsgas d'amígo galego-portoghesi. Al penultimo verso la rima imperfetta si giustifica forse nel contesto di un genere popola-
reggiante. Viadeyra: canzoncina di viaggio, cantata presumibilmente nelle marce o sulla via dei pellegrinaggi.
No-i prenatz lo fals marit lana delgada! No-1 prenatz lo fals iurat, que pec es mal enseynat,
Lana delgada!
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ii No-1 prenatz lo mal marit, que pec es ez adormit,
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Yana delgada! itt Que pec es mal enseynat, no sia per vos amat,
Yana delgadat
L I
iv Que pec es ez adormit, no iaga ab vos el lit, _Tana delgada. 1 v No sia per vos amat, mes vai cel c'avetz privat,
coblas singulars di sedici versi e una tomada di dieci versi (Frank 771: i). Sesta e ultima di un ciclo di pastorelle, in cui il trovatore finge di incontrare, nel corso di venticlue anni (1260-1282), la stessa pastora, nel frattempo sposatasi, diventata madre e poi vedova. LA 'SU A PASTA Sant Pos de Tomeiras OREL vengui l'autre dia, AD ' de plueja totz nudlatz, EN en poder d'ostaleyras GIRAU qu'ieu no conoyssia; T RIQUI ans fuy meravelhatz, ER L per quel viella rizia ' qu'a la iove dizia AN M.CC.suau calque solatz; LXXX mas quasquna-m fazia 1 los plazers que sabia . tro fuy gent albergatz; 1.
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12
que agui sovinensa del temps que n'es passatz, e cobrey conoyssensa del vielha, de que-m platz,
tI E dissi-l: «Vos etz selha que ja fos bergeira e m'avetz tant trufat.» Elha-m dis, non pas felha: «Senher, mais guerreira 181
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
no•us serai per mon grat.» «Pro femna, de maneira tal vos vey segon teyra (N'esser deu chastiat.» «Senher, s'ieu fos leugeira non a trop qu'en carreira fuy de trobar mercat.» «Pro femna, per aizina fon dich d'ome cochat.» «Senher, ans suy vezina d'est amic non amat.» III
IV
«Pros femna, d'aital toza cum vos deu amaire for esser dezirans.» «Senher Dieus! Per espoza mi voi; mas del faire no suy ges acordans.» «Pros femna, de maltraire vos es ben temps d'estraire, si es hom benanans.» «Senher, assatz ad aire pogram viure, mas paire lo sai de .vii. efans.» «Pros femna, gent servida seretz per sos filhs grans.» «Senher, ja-n suy marrida, qu'un no n'a de .x. ans.» «Na ferma descenada, de mal etz estorta, e peitz anatz sercan.» «Senher, ans suy membrada, quel cor no rni porta si quer), fassa mon dan.» «Pros femna, via torta queretz, don seretz morta, so.rn pes, enans d'un an.» «Senher, veus qui•rn coforta, quar de mon gaug es porta, selha quens es denan.» «Pros femna, vostra filha 182
43. A SANT POS DE TOMEIRAS
24
es, segon mo semblan.» «Senher, pres de la Ylha, nos trobes vos antan.»
v «Pros femna, doncx emenda covenra (Nem fassa 28 per vos de motz pezars.» «Senher, tant o atenda (N'a sso marit plassa, pueys faitz vostres afars.» 32 «Pros femna, no•us espassa, enquers, e dura•us massa maishuey vostre trufars.» «En Guiraut Riquier, lassa suy quar tant seguetz trassa 36 d'aquestz leugiers chantars.» «Pros femna, quar vilheza vos a faitz chans amars.» «Senher, de vos se deza 40 tant qu'als vielhs non etz pars!» vi «Pros femna, de mal dire no•m feratz temensa, mas aisso solatz par.» 44 «Senher, ges no m'albire que ma malsabensa vos saubessetz pessar.» «Pus e vostra tenensa 48 suy, ben devetz sufrensa de tot ab mi trobar.» «Senher, ges no m'agensa (piens diga ren per tensa, ni•us fassa malestar.» 5 «Dona, ia no poiriatz, 2 quar no•us puesc desamar.» «Senher, quant o fariatz, Yeus vuelh totz temps honrar.» 56
vii «Al pro comte agensa d'Astarac nostra tensa, dona, qu'om deu lauzar.» 6o «Senher, sa gran valensa lo fai ab bevolensa 183
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44. BREVIARI D ' AMOR
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
a totas gens nomnar.» «Dona, si:1 sa veziatz, saubessetz l'amparar?» «Senher, ben auziriatz que n'ay en cor a far.»
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77 femnal fem (corr. Appai)
44 Matfre Ermengau Breviart . Mss.: la tradizione del testo è ricchissima; diamo perciò l'elenco dei mss. d'amor principali presi in considerazione dall'edizione che seguiamo (le sigle tra parentesi non sono quelle dei canzonieri): Parigi, B. N., fr. 857 (A); Parigi, B. N., fr. 9291 (B); Parigi, B. N., fr. 858 (C); Parigi, B.N., fr. 16o1 (D); Osterreichische Nationalbibliothek 2563 (F); Vienna, Osterreichische Nationalbibliothek 2583 (G); Lyon, Bibliothèque Municipale 1351 (H); Carpentras, Bibliothèque Municipale 380 (I); Londra, British Library, Harley 4940 (K); Londra, British Library, Royal 19.C.I (L); El Escorial, Biblioteca Rea! de San Lorenzo S.I.3 (M); San Pietroburgo, Gosudarstvennaja Publichnaja Biblioteka, im. M. E. Saltykova-Scedrina, esp. (N); Parigi, B. N., fr. 1745 (0). Edd.: Azais (1862-81), Ricketts (1976) e (1989) (non ancora completa). Testo e apparato: Ricketts (base: M). Metrica: distici di ottonari (con alcune irregolarità). Vasta compilazione enciclopedica concepita per esaltare Dio, la cui immagine è rispecchiata dalle meraviglie della creazione e dall'amore. Fortemente influenzata dalla spiritualità francescana, quest'opera è preziosa anche per le numerose citazioni di testi trobadorici al suo interno. Il brano che segue è un elogio dell'amore, purché, beninteso, sia indirizzato al matrimonio e alla procreazione. QUEZ EST AB QU ' AMORS ' OM N DE E quar alqus fols creiria MASCLE ' quez AB FEMEest'amors inala sia, UZE hieu vos dic per me escuzar ES BONA BE; E DE SE, d'aquest'amor vueilh tractar EN que QUAL en est libre ont hai tractat MANI tans de bes de divinitat, EIRA' quel digz movemens naturals N POT HOM BEN UZAR. 184
27294
qu'es datz a totz los animals, en quant es adordenamens de Dieu, es bos certanamens. Quar Dieus anc non azordenet malvestat, ni fetz ni creet, ni:s pot ges far que Dieus failhis. E per sso ditz Sanhs Augustis que totz movemens naturals, en quant es, es bos e no mais, et es obra veraiamen de Dieu lo pair'omnipoten, e obra de nos peccadors en quant es peccatz e folors. Diguam doncz que l'amors en se es bona, qui:n uzava be, e si:1h muzart, per lur follor, uzon malamen d'est'amor, non rema per lur folia que l'amors bona no sia, quar de sso quez en se bon'es, uza hom mal per nescies; per qu'orn non deu l'amor blasmar mas cells que:n veira mal n'uzar, quar sabcha qui mal n'uzara qu'en qualque tems o comprara. Et es le carnals movemens de mout gran merit a las gens quel sabo be tener reglat en restrenher lur voluntat e venser la temtacio carnal ab sen e ab razo, al movemen no cossenten si non o fan degudamen, aquell carnal ITIOVeMell sieu azordenan, a servir Dieu quo cell qu'ab moilher s'attira per aver engenradura, tal qu'ab be far et ab ben dir son creator puesca servir e non ges per ententio de carnal delectatio, sa moilher de bon cor aman, 185
27298
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2 7 3 1 8 27 32 2
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AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
las autras no cobezejan. Pero, si non es molheratz, be pot esser enamoratz, aman, ab que be l'amor guit, domn' o donzela ses marit, ah que l'am de hai amor, si que non dezire folor, rnas que dezir'e entenda que per espoza la prenda per esquivar mal e pecca, fazen sso que Dieus ha mandat per cosservar la natura, engenran engenradura az onor e plazer de Dieu que fassa lo servizi sieu.
45. PASSIONE DEL MANOSCRITTO DIDOT
Metrica: distici di ottona i con alcune escursioni nella misura decasillabica. 27342 È uno dei rari monumenti del teatro provenzale (o in provenzale: se ne sospetta un'origine catalana). Dopo la passione, Giuseppe di Arirnatea chiede a Ponzio Pilato di potere seppellire il corpo di Cristo. 27346
Iozep s'en va denant Pons Pdat e ditz lui: 27350
2 7 Rubr. Quez est'amors] aquestamor B; masde ab feme] mascle e de feme C; es bona de sei es bona H; ab qu'omi mas que hom D, mas quom H; uze] uzes C;3et en qual] qual K; pot hotn ben] ne pot be om B, en pot hom be D, par hom de ben 5 K; ben uzar] uzar be N 27291 E qual.] car B; alqus fols] alqun fol H 27292 quez est'amorsi questamor N; inala] bona H 27295 ond non C 272974quel] quels CFL; cligz] dig CKN 27300 manca M N 27302 creeti crec K, erret N 27306 es, esi es FK, es e N 27307 veraiameni veramen KN 27310 e folorsi es folors F, e felors N 27312 qui•n uzava] qui usa eri C, qui ne usa H, qui nusza LN 27315 rema] roman CL 27316 que l'amors] questamors BF, que lor K, que lamors que N 27317 bon'es] e bones K 27318 nescies] nedos B, son mespres D 27320 queril qui B, queo C, quom D 27321 manca in K 27322 qualque] que K; o comprara] so comprara D, e compraran K 27325 tener] tenir N 27326 e] en BF 27327 e] ell K 27328 rigo bianco m C; e carnal ab sen ab razo G 27330 non o] no N; fan] fay CG; degudamen] legudamen D 27332 a servir] al servir K 27333 qua] puo K; ab moilher] am sa molher C 27334 per baveri per so quaya D 27336 creatori creator creator L 27338 delectadoi dilectio G 27340 e 1as autras no cobeytant D 27343 ab que bel ab que re C, ah que KL 2 BCFGIKN, filha H; donzela] pieucela H 27345 ah que l'am] que la ame D; de] 7344 &nido] dona del L 27348 espoza] sa espoza D, esperansa K 27352 engenran] e per aver D 27353 plazer] a piazer CDKN.
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Passione del manoscritto Diclot Ms.: Parigi, B. N., Nouvelles acquisitions, fr. 4232 ()uv sec. di mano guascone, forse da un antigrafo catalano); il codice è lo stesso che contiene Daurel e Beton (30). Ed.: Shepard (1928). 186
Senher, auyatz, En Pons Pilat, si-us platz ni-us ve de voluntat. Senher, auyat queus vulh heu dir: Fort vos prec que no-s pees nins tir, car jeu suy denant vos vengut per gran afar que m'es cregut. Assatz vos dic quem pessa fort d'aquest sant home que an mort. Per gran mal e per gran engan l'an mort li falls Tuzieus truans, que son malvatz e enveyos. Mays merevilhe-m fort de vos, come volgues pe re cocentir c'aysi l'avet leyssat murir, savals aytant aunidamens que en crotz l'avet layssat sufrir turmens. Ara, senher, puys que aysi es, tart mi semle no siem pres, car ya non poriam crubar per mal que no•n sabessem dar. Mas d'aytant vos prec sib sab bon, senher, que vos me det un don; car be son hom quem devet dar tot don sii vos vul demandar. lo sant cos vos quer quem donetz, puys que penyat ni mort l'avet. Donatz me lo cors en bremnent, car sertas fort ne son dolent. Car jeu lo vey en la crotz penyar, tot lo cor mi cuyha esdatar, per quel vulh el mieu moniment pausar, si-I me dat breurnent. 187
1 5 3 4 1 5 3 8
1 5 4 2 1 5 4 6 1550
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4 6 -
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
Si riproduce integralmente il secondo dei trattatelli contenuti nel codice, dedicato ai tipi di rima (il primo definisce i generi). Il testo presenta vistosi tratti catalaneggianti.
Pons Pilat ditz a lozep: jozep, be vos deu hom donar, car ta azaut sabet parlar, e:us deu hom portar ondrament, car es hom leyals verament. Lo cors vos don que:m dernandat a totas vostras voluntatz. Pero, si o tenet a bo, fasam venir senturio, e auray ab el mon acort e sabrem si es encara mort.
156 6 1570
Centurio venc denant Pons Pilat e Pons Pilat dish Centurio, hieu vos deman d'aquest sant home que mort an. Veyat si es encara mort, que ab el ne vulh aver acort. Centurio dish a Pons Pilat:
1 5 7 4
Senher, aytant vos fas saber que lo sant hom es mort per ver; car veritat ne pusc yeu dir, senher, car hieu Fay vist murir, e dic vos que sa mort m'es greu, car conosc que era verai filh de Dieu.
1 5 7 8
1582
Pons Pilat dit a Iosep: Iosep, doncas lo cor vos don, e qu'en fasat gran vostre pro. 1543 volgues] vogues 1544 leyssat] leyssar 1569 o tenet] atenet es1 siat sies
4 Trattati6di Ripoll
1 5 7 5 s i
Ms.: Barcellona, Archivo de la Corona de Aragée, Ripoll 129 (codice proveniente dal Monastero di Santa Maria de Ripoll, in Catalogna). Ed.: Marshall (1972). Testo: Marshall. 188
RATTATI DI RIPOLL
2Aquestes son les maneras de les times. 2Rima-es semblanga d'u mot ah altra en la fi, cant a les letres e al accent; e dich «cant al accent», cor no seria rima d'aquest mot en lati péndere, en quant ha la primera largua, ab aquest altre perdére, en quant ha la seguona largua, iatsecia que sien semblans en letres. 3De les rimes hi ha en moltes maneras, cor ha:y rimes soltes, rimes sparsas, rimes croades, times leonines, rimes dobles, rimes doses, rimes doblades, rimes cares, e rimes aiectivades. 4Rimes soltes son quon en tota una cobla no ha rimes semblans, axi con en la cango d'en Arnaut Daniel qui diu: 'Lo ferm voler qu'ins al cor rn'intra, etc. 6 enpero < io trop que ris sparses son aqueles qui en una cobla matexa R son luyn le unes de les altres axi di ha .ij. o .iij. al nùg, agri con clarament pot veure qui be o voi guardar en los antars idels trobadors antichs. m 7Rimes croades son can la primera respon a la terga e la seguona a la>quarta, axi con par en aquela d'en G. de Capestayn qui diu: 8 dok Li ecossire / que-m don'amor soven, / dona, -m fay dire / de vos mant vers plasen. 9 s terg, s'acorden, Agi par con e con lo soven ab lo plasen, qui son seguon e quart, s'acorden. s aquel cossire, p '°Rimes leonines son can la primera e la quarta s'acorden e le qui esal primer, duesa mig, axi con en aquela danga qui diu: "Merce prey vos venga e(.P.) lo dire, qui r / e franch'humilitatz, (IP.) / dompna, que•rn fassats (IP.) / de greu es mal guirenp. 12E aquestes dues maneres, go es rimes croades e timess leonines, se usen molt en les cangons e danges, en lo comensamente de les cobles. 23Rimes dobles no son sino con una matexa rima se dobla, axi s consaquela qui diu: Iffis vos suy ayman sen enian / ab fernz talan, cors ben estan. are principalment no ha sino una rima, mas es doblada. e g i'Rimes closes son aqueles qui tanquen e clohen una sola rima, u aquela qui diu: uDompna, de me merce-us prenya, / trop ay axi con sofert o mais d'amor; / playa-us c'alcun be m'en venya. 1 mes 8 nque termenen en -enya clohen e tanquen al mig una sola qui termena en -or. Lessdues extre29Rimes doblades son qui van de dues en dues, axi con aquestes: a l 189 s
AVVIAMENTO ALLA FILOLOGIA PROVENZALE
"Er vey qu em venguts als iorns lonebs / que flors s'arenguon sobrels troncbs. 2'Aquestes dues son semblans e son doblades. 22Rimes cares son aqueles de que hom troba poques, axi con aqueles que termenen en -obra (o enquar -uer, o en -aygua, e -um, -u) o en -ampa o en -endi o en -atxa o en -imbre, o semblans rimes de que on troba poques. 231\iectivadas son aqueles con la terminaci° masculina va devant e la femenina se seguex apres, seguons quel femeni se devala del masculi, axi con aquela del Capela de Bolquera qui clnu 241.,i fayt Dieu sonescur. 25No trop mes maneres de rimes qui sien seguons la art ne seguons los entichs trobados. 2 maneres contra ago qui es dit de la differencia de les cangos e de les 6 altres maneres de cantars, o encare en la differencia de les rimes, tot E ventura son sesifaper comunament per soptilesa o per alcuna altra necessitat, per que trobades alcunes ago basta complidament.
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Las Leys d'Amors Ms.: Tolosa, Académie des jeux Floraux, s. s. Dell'opera esistono tre redazioni: la prima, in prosa, del 1328-37 (ed. Gatien-Arnoult, 1841-43, pessima); la seconda, in versi, del 1337-43 (Las Flors del Gay Saber, ed. Anglade, 1926); di nuovo in prosa la terza (Las Leys d'Amors, ed. Anglade, 1919-20). Trascriviamo le cc. 40"-41" (secondo la numerazione moderna) della prima redazione. Il ms. di Tolosa di questa redazione è attualmente irreperibile sia all'Académie che alla Bibliothèque Municipale: riproduciamo perciò una parte della trascrizione da microfilm già pubblicata in C. Di Girolamo, Elementi di versificazione provenzale, Napoli 1979, Le parentesi uncinate indicano le integrazioni a lacune dovute a guasti meccanici, le parentesi quadre le integrazioni congetturali, i puntini tra parentesi tonde i passaggi omessi, le parentesi angolari inferiori le aggiunte interlineari nel manoscritto, le angolari superiori le aggiunte ai margini.
'La diffinnios de vers. 2Vers es un dictatz en romans que compren de .v. coblas a x., amb una oz am doas tornadas; et ayssi meteysh altre dictat podon haver una o doas tornadas. 3E deu tractar de sen, e per so es digz vers, que voi dir verays, quar veraya cauza es parlar de sen. 4Enpero segon lati vers se pot deshendre de verto, vertis, que vol dir 'girar' o 'virar'; et enayssi que vers sia digz de virar, et segon 190