A
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%*A ém%^i^..
,»,--j^^;
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LUIGI (UNTAUELLI '
.
STUDI
ROMANI
E BIZANTINI
ROMA TIPOORAFIA DEIJ.A
F{.
ACCADEMIA
915
DEI LINCEI
1
PROPRIETÀ LETTERARIA
ALLA
CARA
E
BENEDETTA MEMORIA DI
E
LISINA VIERO SORELLA MIA DILETTISSIMA
QVESTO VOLVME DEDICO
Tn
CONSACRO
E
niea
tu
nioriens /registi covimoda,
Tecuvi una tota
Omnia
est
ELISA,
nostra servita cionius,
una perierunt gandia nostra, Qtiae tuvs in vita dulcis alebat amor. tecurti
Catui.l. LXVIII, 21-24.
Digitized by the Internet Archive in
2011 with funding from University of Toronto
http://www.archive.org/details/studiromaniebizaOOcant
i
AI LETTORI
Più volte avevo formato
un volume alcuni
dei miei
mie occupazioni
me
proposito di riunire in
scritti pubblicati in vari pe-
riodici scientifici o letterari
e le
il
;
ma
maggior lena
lavori di
ne avevano sempre distolto.
Sennonché, l'anno decorso, quando, colpita da sorabile morbo,
perdevo
mia
la
fiero e ine-
diletta sorella Elisina,
angelo consolatore della mia vita, l'antico proposito riaffacciò alla
lume
alla
mente unito
al
pensiero di dedicare
ci
poche pagine destinate soprattutto
mio dolore. Fra queste
ricordare
le
gentili
univa, ho scritto alle
persone
le
conoscerla e parteciparono
quali ebbero la fortuna di al
vo-
il
sua cara e benedetta memoria.
Di Lei, e dell'intenso affetto che in
si
è caro e
signore
del
doveroso per
Circolo
me
Femminile
il
di
Cultura, che la mia diletta estinta onorarono con una affettuosa
commemorazione. E mi
sia lecito qui
di
rin-
graziare ancora una volta la signora Bice Righini-Stern, la
marchesa Teresa Venuti
Mosca, che in quel giorno
e Fon.
amico prof. Gaetano
dissero di
mia
sorella
vivo sentimento e con profonda commozione.
con
— Dalle pagine
di
—
mio
quel
sono essere riprodotte
VI
per
non pos-
libretto, che qui
mi
intero,
consentito
sia
togliere questi periodi:
Qual cuore fosse
"
numerosi, le
di cui,
tuo, lo sanno
il
non solo
ma
bisogni,
ai
altresì le
che non invano ricorrevano a te per consiglio
mente innamorata
fervido ingegno, quale la
e del bello nelle sue forme svariate, lo sanno
signore del Circolo Femminile
mento avevi dedicato
me piangono
romani; Shidi vigintiviri ex
volume
ma
perchè
la
si
preferii
le gentili
(al cui incre-
mio paese che molte
al
„
diviso
Due
in
studi
potuto essere
due parti
Studi
:
àficpoTepwv
(iiyz\i.ù)v
inserirli
nel
periodo
nella
collocati
seconda
nella
formula papirologica che
comprende
il
bene
del
vi si
bizantino
;
:
il
;
i
Mas-
reipublicae cnrandae al tempo di
simino) avrebbero parte,
!
è
bizantini.
s. e.
quale
;
tua dipartita. Eri un vero ca-
la
donne possano somigliarti
presente
Cultura
di
persone
tutte le energie del tuo spirito)
rattere dolce e fermo: auguro
Il
poveri
con carità veramente cristiana, tergevi
lacrime e sovvenivi
che con
i
prima primo,
illustra,
meglio
Taltro,
perchè
espone un importante avvenimento della prima metà del secolo terzo, nella quale vediamo già prepararsi di fatto il
Basso Impero, che
regno
in
s'
inizia
soltanto
col
di Diocleziano.
Nella revisione degli rezioni di siero
diritto
;
scritti
mi sono limitato a cor-
forma che rendessero più chiaro
a rinfrescare le
citazioni
delle
il
mio pen-
fonti e talvolta
—
VII
a correggerle. Correzioni di sostanza sarie,
non furono neces-
perchè non ho avuto ragione, per
gli scritti
più
Della let-
antichi, di modificare le opinioni già espresse.
teratura posteriore ai miei studi, non ho creduto di far
cenno se non
A
pochissimi
in
casi.
questo volume non sarebbe mancata una revisione
generale da parte del collega, professore Giuseppe Gatti,
che ne vide compostele prime pagine; ma, pur troppo,
non
egli
air
uomo
più
è
fra
noi,
e
all'amico
impareggiabile,
integerrimo, all'epigrafista insigne, da cui tanto
appresi nei miei studi,
mando da queste pagine
un'afifet-
tuoso, estremo saluto.
Spero che errori tipografici non siano sfuggiti, non solo perchè
mio
il
amico
dotto
Franchi de' Cavalieri ha voluto aiutarmi delle
(e gliene
prove
fu curata, tutti
di
comm. Pio
grande
con
pazienza
rendo pubbliche grazie) nella revisione
stampa,
con
e collega
la
ma
altresì
consueta
ben nota, dall'ottimo
e
perchè la pubblicazione scrupolosa diligenza a
e valente
signor F.
S.
Pe-
rugini direttore della tipografia dei Lincei; e a lui pure
esprimo
la
Se, ciò
gratitudine dell'animo mio.
nondimeno,
vi
sono ancora errori,
il
benigno
lettore vorrà da se stesso correggerli.
Ed ora questo volume, dedicato
all'unica
persona
cara di mia famiglia che mi era restata nel mondo, sia affidato alla ])enevolenza dei lettori
Roma,
.'il
dicembre 1914.
e dei critici.
r
h
STUDI ROMANI
I
UN'ODE ORAZIANA [I.
La
(^)
28]
ventottesijna ode del libro primo di Orazio diede oc-
casione alle più strane interpretazioni dei commentatori e dei critici
(^).
Non ho
esaminerò soltanto
intenzione di riferirle tutte per esteso
principali e gli argomenti che le in-
le
firmano, mostrando, poi, qnal
dimento del carme
Come un
chiero
a mio parere,
sia,
il
vero inten-
latino.
L'ode 28 è stata considerata I)
;
:
dialogo tra l'ombra di Archita ed un noc-
;
(^) Pubblicato nella ((Rivista di Filologia XI, 1883.
e
d'Istruzione
Citiamo, per esempio, quella del Baxter, secondo si parla della morte di Bruto e della sua virtù che
(^)
l'ode 28,
il
Classica
»,
quale, nel-
gli riuscì del
La mort de Brutus,
dice il Sanadon, dal quale abbiamo peu reconnoissable dans cette Ode, qu'on ne ce qui en a pu faire naitre l'idée au S9avant Anglois qui l'a
tutto inutile.
"
tolta la citazione, est
si
con^oit i)as produite ». Les ^poésies d'Horace, Amst., 1756,
I,
p.
282 e
seg.
sta considerare la letteratura relativa per convincersene.
Commenti:
A)
Q.
Horatius Flaccus
commentario, Antuery>iae, 1608.
—E
Eccola
ba-
:
cum Laevini Torrentii
— Les Oeuvres d'Horace
trad. par Dacier, Les poésies d'IIorace traduites avec des remarques par Sanadon, Amst., 1756. Q. fiorata carmina ree. Peerlkamp, Harlemi,
Paris,
1691.
18U4. —
—
—
Q. Horatius ree. G.
ratius ree.
F.
RiTTEK, Lipsiae, 1856.
OEK, Bonn, 1867 (5aediz.). (I''',
65).
—
Horatius
-
Orellius, Turici, 1850
— Q.
—
Horatius
(3» ed.).
ree.
G.
— Q. Ho-
Dillenbur-
Orazio coni, da E. Bindi, Prato, Le Odi di Orazio com. da G. Trezza, Firenze, 1872.
Oden
erkl.
von
C.
W. Nauck,
Leipzig,
1876
(9*
1870
—
ediz.).
Q.
—
—
^
-
4
Come un monologo dell'ombra di Archita III) Come un dialogo tra un nocchiero e l'ombra II)
;
un
di
naufrago.
Esaminiamo partitamente queste T.
tre diverse ipotesi.
non sono punto
Gli scrittori che sostengono la prima,
d'accordo
nell' assegnare
parti agl'interlocutori del dia-
le
logo. Alcuni fanno parlare
nocchiero nei primi
il
e dal settimo in poi l'ombra di Archita
invece assegna
nocchiero
al
tarentino, mentre, per
al filosofo
Dillenburger
(^); il
primi 16 versi e
i
il
i
delle parti
due interlocutori del dialogo sono affatto
attribuite ai
Scholia Horatiana ed F.
Pauly, Pragae, 1861, tom.
dacronis scholia in Horatium ed Keller,
I,
rimanenti
Torrentius e perilButt-
mann, Archita parla soltanto dal v. 21 in poi. Lasciamo pur stare che queste determinazioni
Od.
sei versi,
I,
I,
120.
p.
ar-
— Pseu-
105.
Lavori speciali sull'ode 1,28: Kries
B) 28
et
F., Quaedam de und Paedag., IX, p. 115). 349-62). Weil, Zu Od., l, 28
de Archyta {Jahrbilcher fur Phil.
Weiske, Uber
Od.,
28
I,
{Jalirh.,
XII,
p.
—
—
— Rùhrmund, Horatii Od. 28 {Jahrh., LXXVI, — Meineke, ZuHoraz Od. 1,28 {Philologus, V, Hel— MÀhly, Horatins carm., 28 ler, Horaz Od. 28 XVI, — Keller, {Bheinisches 3Iuseum, X, Glossen zu Horaz {Eh. Mns., XVIII, Lipsiae. 1817. 274). — Hottinger, Opuse. — Meutzner, Abhand. Od. 28 per Jahrb., LIV, — Eggert 28 vmbra carm., Nauta Archytae — Frante, Od. per Jahrb., XLI, 455 XLV, Mùnchen, 1842. — Platz, Bemerk. zu Horaz Od. Werthem. 1846. — K ARCHER, Horaz, Od. 1848. — L. Dòderlein, — W. Gòttling, Gesammelte Abhand., 1854. 214. Eeden, — Martin, De Hor. carm. Posen, 1858. — Gruppe. Minos. Die Interpolationem in den ròm. Dichtern, Leipzig, 1859. — Ogorek. Hor. LXXI,
{Jahrb.,
p. 720).
I,
p. 193).
p. 731).
I.
Kritisch.
p. 127).
Phil.,
p.
iiber
F. L.,
tarentini
p.
expl.
p.
394.
;
I.
I,
28,
s.
ÓtJeìitì.
C.
p.
6-28 des
fiir
das
28.
28.
Carlsriihe,
I,
Kudolfswert
1.
p. 96).
I.
l,
p. 106).
la ree.
(ci.
1,
et
la ree.
(cf.
carm.
171).
p.
{Phil.,
I,
28,
Programm
Scliuljalir,
des
KK. Real und Obergymnas.
1875-76
(cf.
per la ree.
Bursian, 1876,
in
Jahresber. di
il
1877. p. 84). p. 228 e la Eevue des Eevues, 1876, p. 165 Uber die achtundzwanzigste Ode im ersten Buche des Horaz, Wissenschaftl. Abhandl. des Gynin. zu Patschkau, 1881 (cir. per la ree. commenti e la lettela Philologische Eundschau, 1881, p. 1497). Per ratura più recente, v. Schanz, Eòm. Litteratur, Vili. 2. V. ]>. 151. ;
— F. Adam,
i
(1)
Il
Landino, Federico Oeruto Veronese, e
menti ad Orazio
(cit.
dall' Orelli).
il
Wolff nei loro
com-
bitrario, milla autorizzandoci
ad alTormaro cho
parli Archita e al taPaltro
nocchiero
di pili
il
grave ancora, poiché la
non può
essere sostenuta, se
tesi del
non
(i);
verso tale
al
ma
c'è ((ualcosa
dialogo nell'ode 28
suppone innanzi
si
tutto
che Archita fosse insepolto, ciò che va assolutametìte contro le stesse parole d'Orazio.
Che cosa
significa infatti quel
Te cohibent pnlveris exigui prope litus parva Matimim muAlcuni intendono poca terra, che ti è ancora neneraf «
)).
:
gata, trattiene la tua ombra, o Archita, presso e t'impedisce cosi
si
(^),
Ma
altri in-
occupato
allude al piccolo spazio
dal corpo del filosofo pitagoreo
lido
lido Matino,
passaggio dello Stige. Secondo
il
vece in quelle parole sul
il
nessuna di
queste diie spiegazioni può esser accolta, poiché esse travi-
sano
vero significato che ha qui
il
il
verbo
coJiibere, cioè,
quello di coprire, circondare, Vumscìiliessen dei Tedeschi se-
condo l'ossers^azione del Platz cohibent pulveris exigui...
po' di terra copriva
il
y>
;
quindi
e
significano
le
parole
:
«
Te
chiaramente che un
corpo di Archita, che esso insomma
era sepolto. Difatti,
come giustamente
il
Trezza, nel
«
parva mu-
accenna a quel po' di gleba gittata adsuo corpo (cohibent) perchè l'anima in pace potesse
nera exigui pulveris dosso
dice
al
varcare
acque vietate di Stige
le
come
bastava,
si
;
giacché poco appunto
dice piti sotto {iniecto ter pulvere), ed era
dono {munera) che
si
un
faceva all'estinto, liberandolo dalle
corse ^•agabonde alle quali era condannato finché rimanesse
insepolto
Tale è
» (3). il
significato dei primi versi dell'ode; spiegandoli
differentemente sarebbe guastata anche quella stupenda antitesi di
Archita, costretto ora ad esser per sempre racchiuso
(^) Se l'ode 28 f oHHe veramente un dialogo, avrebbe la forma nona del terzo libro iJonec gratus eram Uhi in cui subito lo si Cf. Mkinkkk, PhiL, V, p. 171.
intuisce.
Okklli, li orai, carm., 'J'uricJ, 1850, 1, p. 153. (^) G. Tkkzza, Le Odi di Orazio Fiacco, Firenze, 1872, innovi Hludii crilici, Verona, 1881, \). 113.
p.
:
dell'ode
('')
I,
165
;
—
6 ->
da un poco di arena, mentre nn dì spaziava, misurandone la
vastità, per le terre e per
nota
Trezza, che
il
;
«
ironia della natura,
vendicava dello
un eterno
soifocando in filosofo
si
mari
i
silenzio la
spirito
impaziente curiosità del
».
Ma se pure vogliamo concedere, per ipotesi, dialogo che si
di Archita,
corpo di Archita fosse insepolto, è naturale che
il
domandi come poteva
vere giacente
ai difensori del
nocchiero sapere che
sul lido era quello del
li
sia concepibile
il
un uomo
di
mare
gran tarentino
cada-
il
(^),
e
come
così dotto, così versato nelle
speculazioni filosofiche da potersi far giudice dello stesso
come indicano
Pitagora,
mictor naturae verique
»
al
?
E
parole
«
Indice
te
(2),
sarebbero pronunciate da Ar-
infine poi, nell'ombra del naufrago che
nocchiero
la"
non sordidus
del verso 14, e che, stando all'opi-
nione di alcuni scrittori chita
le
raccomanda
sua sepoltura, non possiamo certo riconoscere
Archita, del quale nessuna notizia rimane che ei sia stato
vittima di una tempesta nel mare biezioni più gravi che
non parmi
si
si
fanno
possa in alcun
illirico (^).
alla
modo
prima
Tali sono le ob-
ipotesi, e alle quali
rispondere. Passiamo ora
alla seconda. II.
Il
Peerlkamp, che tra
Orazio, n'è tia igitur viter
il
i
moderni commentatori
principale difensore, così
carminis
arena tectus
si
esprime:
Jiaec est. lacet ArcJiytas
quam nonnulli
in
litore^
praetereiintes
e.
di
Senten-
iam
le-
ex religiosa
consuetudine in ignotum cadaver proiecerant. Praeterit navtis nauta, qui festinans, officium humanitatis neglecturus esse (1)
raz.
Peerlkamp, Horat. carni., Ilarlemi, 1, 28 {Phil., XVI, p. 732).
1834,
p.
vi-
118; Heller. Ho-
Od.,
Credono taluni che ogni difficoltà sparisca, leggendo u indice me » in luogo di « indice te » senza punto badare airautorità dei codici, u Coniecturam Indice me, nota I'Orelli, a lanio receptam neminem iam pròbaturnm esse confido « {op. cit., p. 155). (^) « Perchè nella seconda parte di quest'ode parlasse l'ombra di Archita, come finora si è inteso, bisognerebbe che egli fosse morto affogato, il che non mi è avvenuto di trovare ». Pallavicini, nota ad Orazio (cit. (2)
dairOrelli, «
I,
161). Il Torrentius, nel
Archytas naufragio periit
»
suo commento a quest'ode, scrive
:
senza dirci dove abbia trovata questa imtizia.
:
— et
dicens
Me
:
quum Archytas secum
praetcrit tum,
debatur,
—
7
loqui desierat
quoque devexi rapidus comes Oricnis Illyricis
Notus Obruit undis. Ibi forma orationis mutata est : et dixit me quoque prò te quoque^ quod Me fuisset obscurum^ quia statim ad nautam convertitur. Atque ea orationis mutatio propria,
quum nobiscum
est,
fecit, ut
cum animo
sive
crederem Archytam secum loqui solum, etiam hoc
quia multa dixit, quae alienum esset nautae narrare
che l'ipotesi del Peerlkamp non regge al il
pari della
le
An-
alla critica, poiché,
naufragio di Archita e la preghiera di lui
sembra
piti
al
nocchiero
assai strano che sino
21 Archita adoperi, per parlare, la seconda persona,
V.
e la
» (^).
erat,
prima già esaminata, erroneamente suppone
per la sua sepoltura. Di al
Quod
nostro loquimur...
prima
di
fino al
lì
ragioni che adduce
non mi persuadono
il
termine delPcde. Son troppo deboli critico olandese, e quelle del
affatto.
Vorrebbe quest'ultimo
Màhly
farci cre-
dere, tra le altre cose, che Archita parli in seconda persona
perchè esso è un'ombra che
si
aggira intorno
al
cadavere,
quasi che cessasse di essere un'ombra al v. 21, quando co-
mincia invece a parlare in persona prima
!
{^).
Basta poi leg-
gere attentamente l'ode 28 per accorgersi che, se essa
(^)
l'ode 28
—
Peerlkamp, op. cit., p. 118. Anche per gli non è che un monologo dell'ombra di Archita.
non
è
antichi scoliasti
Haec ode, dice inducitur enim corpus nau«
pseudo Acrone, ex prosopopeia formata est Archytae Tarentini ad litvs expidsvm conqveri de iniuria sua etapraetereuntibus petere sepulturam ». E lo stesso dice anche Porfirio. Ciò non toglie peraltro che alla parola Matinus commentino « Mons sive promontorium Apuliae est iuxta quod Archytas septdtus est ». Or bene, se Archita era sepolto, come poteva « ad litus expidsus... a praetereìintibus
il
;
fragi
:
petere
sepulturam
f
».
La
contraddizione è evidentissima. Sch. Ilor. (ed.
—
I, p. 120. Cf. Mahly, che segue la stessa opiPeerlkamp, {Eh. Mus., X, p. 127). (2) Und nun, woran làsst sich nodi anstossen ? - Dass Archytas gleich Anfangs in der zweiten Person zu sich spricht ? Aber Wir miissen bedenken, dass es der Hchatten ist, der iiber dem todten Kòrper schwebt ».
Pauly), Pragae, 1861,
nione del <'
È
vero del resto che poi aggiunge « Diese Getheiltheit (?) zwischen Schatten und Kòrper macht es nun auch mòglich, dass v. 21 die Person geweoliselt wird, ohne dass dadurch ini Geringsten das Eintreten eines Zweiten verschiedenen bezeichnet wàre ». Màhly, loc. cit. p. 136 e 136. :
—Sche un monologo del filosofo tarentino, ripetizione
tile
nuovo
la
versi.
Per
tali
cade in una inu-
rammenterebbe
difatti Archita al v. 21
;
morte
si
di
dopo averne già parlato nei primi sei ragioni anche l'ipotesi del Peerlkamp non può sua,
certo essere accolta.
IH. Secondo la terza, così si presenta la scena dell'ode. Un nocchiero approda al lido Matino, e lì dinanzi al piccolo tumulo di Archita si pone a ragionare sulla necessità del
quando sopraggiunge l'ombra
morire,
prega di rendere
lo
Abbiamo
gli
estremi onori
come
già accenn.ato
tutto insostenibile nell'ode 28
mostriamo
varlo,
ipotesi
da
lì
(^),
;
un naufrago che
suo corpo insepolto.
al
la tesi del dialogo sia del
pure, a maggiormente pro-
l'errore di coloro,
sostengono che fino
di
i
al v.
quali, in questa terza
21 parli
in poi l'ombra dell'insepolto. Difatti
il
il
concetto espresso
nei primi venti versi sulla n.ecessità della morte, risce tutto nel V. 20,
cosicché
il
«
me quoque
ma
nocchiero e
non
si
esau-
bensì continua nei due seguenti;
devexi
»
non può
cia a parlare un'altra persona,
ma
indicarci che comin-
deve esser considerato
come la logica conclusione che arreca alle sue parole chi ha discorso fino al v. 21. Nemmeno nell'« at tu nauta del V. 23 possiamo trovare un indizio del dialogo, poiché Vat^ come osserva giustamente I'Heller (2), denota solo il passaggio di colui che parla da uno ad altro argomento soltanto
r>
;
ma
dal v. 21 in poi è chiaro che discorre l'ombra del naufrago
;
dunque, per quello che abbiam detto fin qui, bisogna concludere che essa discorra anche nei versi precedenti. Ma vi è di più. Quell'uomo di
ed anche secondo
la
mare
prima, ragiona innanzi
chita, sa troppe cose, dice (1)
11
che, secondo la presente ipotesi
Pallavicini, l'Orelli,
il
il
Eittcr
(^),
u
al
tumulo
di Ar-
ha troppa erudizione
Biadi.
dass der 8preC^) «Derni at... kann uur dazu dieneu aiizudeuteu. cheHde sich zu etwas anderem vvendet » {Phil., XVI. p. 733). « rtBoQ loqueiitis (^) a nauta pronsus abhoiTet. Bene ille nt>vit studia Archytae (1-6), tabulaft veteres (7-9). Pythagorae placita (UW-lò). sortem mortaliuni (15-16), caBus morientiuni (17-20), quae omnia a nautis aliena 8unt.
»
KiTTER, Bor. carm.,
I,
p.
103.
—
9
—
pitagorica, troppa rassegnazione epicurea per crederlo tale
come osserva
Trezza
il
(loc.
cit.)
;
ed infine chi
»
sostiene
questa ipotesi, non s'accorge d'un controsenso pur mani-
quando l'ombra del naufrago raccomanda al nocchiero la sua sepoltura, non lo trova troppo disposto ad esaudirla, perchè ha fretta (festinans), e teme ogni piti piccolo indugio (v. 35). Ora come mai un nocchiero che ha fretta e non vuol indugi, sia pur quello piccolissimo (non
Ed
festo.
invero,
mora longa) di gettar tre volte un po' di terra addosso ad un corpo insepolto (iniecto ter pulvere), e che palesa con questo la nessuna pietà dell'animo, sta fermo innanzi al tuest
mulo
di Archita, e
lì si
que, la terza ipotesi
(1)
(1).
dal Weil, dal Keller, dal
altri,
di cui
?
Accenniamo qui rapidamente un'altra
tori, l'ode
Nauck
ipotesi, sostenuta, tra gli
e dall' Ogorek.
Secondo questi
28 non è che una fantasia, una visione del poeta.
l'ombra
si
raccomanda
nocchiero
al
suo corpo insepolto, è lo stesso Orazio.
questi scrittori del pericolo
da
Od. Ili, nurus unda ;
desumono lui V.
4,
scrit-
naufrago, al aggira intorno tumulo di Archita, che ragiona sulla
necessità del morire e che il
Anche per queste ragioni,adunmi sembra non aver fortuna maggiore
morire
sulla necessità del
delle altre
pone, rassegnato e mesto, a filosofare
gli
A
Il
gli e»stremi
onori per
sostegno della loro ipotesi,
argomenti dalle odi ove
il
poeta fa cenno
corso in
mare
27
Devota non extinxit arbos nec Sicula Pali-
me...
:
:
(iter Hadriae novi sinus ; prendendo occasione dalla caduta di un albero che poco mancò non lo schiacciasse, descrive ciò che avrebbe veduto nei regni della fosca Proserpina (v. 21) se quella caduta gli fosse riuscita fatale. Ma questi argomenti parmi non reggano. Se è vero che Orazio corse pericolo di naufragare, non ne viene per questo che il naufrago dell'ode 28 debba esser lui e se la visione dell'oltretomba che il
Od. Ili, 27
;
V.
18
:
ego quid sit
e dall'ode II, 13, in cui Orazio,
:
poeta finge di avere nell'ode 13, ti si manifesta evidente in quelle paQvdm paene furvae regna Proserpinae Et iudicaniem vidimus Aea-
role
cum
:
(v. 21
)
— nulla invece te
la fa sentire nell'ode di
Archita.
Avrebbe
poi Orazio potuto raggiungere lo scopo suo, nello scrivere questa ode,
come vedremo, era
quello di eccitare il sentimento di pietà verso nell'ombra del naufrago, che chiede un po' di gleba per il suo corpo insepolto, avesse voluto ralligurare se stesso ? Sostengono
che,
gli estinti, se,
—
alcuni che l'ode 28 sia imitata, per
zione greca di genere identico.
«
non
Verte,
dire tradotta
diremo con
da una composi-
l'Orelli, si Iloratius,
—
10
—
Al punto in cui siamo giunti, rimane soltanto da esporre
come debba veramente farlo
l'ode
è
determinare
necessario
medesima,
Tede 28
esser iixtesa
concetti
i
;
(i)
però prima di contenuti nel-
e che perfettamente corrispondono alle
due
può esser divisa (^). « Tutti dobbiamo morire » ecco il concetto espresso nella prima parte che si estende fino al v. 23, e che troviamo parti in cui essa
riassunto nei versi 15 e 16. «
—
Sed omnes una manet nox Et calcanda semel via leti».
Esso non è nuovo in Orazio,
ma
s'incontra in molti luo-
ghi delle sue opere de' quali citiamo «
1)
Pallida more aequo pulsat pede
Regumque
turres
—
i
seguenti
:
pauperum tabernas
summa brevis spem noe vetat inchoare longam. lam te premet nox, fabulaeque Manes, Et domus exilis Plutonia ». Vitae
{Od.,
1,
4,
quod nos prorsns ignoramus, graecum aliquod secutus
V.
est
13).
exemplar,
ly-
non fuit, cum post novem Lyricos vixerit Archytas, sed sìSóXXiov, etiam epigramma Alexandrinae aetatis » (loc. cit.). Ad ogni modo
ricon vel
quelle leggende elleniche, accennate nell'ode, quel ricordo di cui era fiorente
il
di
Posidone,
culto in Taranto e nelle altre colonie doriche, quella
credenza religiosa, che ritrovi in Omero, sul destino degli insepolti, rendono assai probabile l'ipotesi ma questo è un problema che ricade in ;
quello più vasto e più arduo sulle fonti delle odi Oraziane.
Secondo il Euhemund (1. e. p. 193) lo scopo finale (Endzvveck) dell'ode 28 è compreso in queste parole u onorate e seppellite i morti mentre per il Mahly (loc. cit., p. 136) è l'idea della morte e del suo contrasto con la vita, che domina il carme di Orazio. Io credo invece che i due concetti si compiano Tun l'altro e che ambedue formino il punto (^)
>>
:
centrale dell'ode. (-)
Secondo
il
Gruppe
{Die
p. 320) la prima parte dell'ode
si
Inierpolationen in den ròm. Dichtern,
estende dal
v.
1
al v.
16. e la
seconda
dal V. 21 al v. 36; poiché i versi 17-20 devono per il Gruppe - als unecht erkannt werden». Questa partizione non mi sembra del tutto esatta. L'ultima parte deve cominciare al v. 23, poiché i vv. 21 e 22. come fu già veduto, contengono la fine di quel concetto che si svolge negli antecedenti, e solo nell'ai tn navta del v. 23 è nettamente indicato il passaggio del discorso da uno ad altro argomento.
—
Divcfino prisco natuR ab Tnaclio,
«
2)
—
11
pan per
Nil interest, an.
De
et infima
gente sub divo moreris, nil miserantis Orci.
Victima
Omnes eodem cogimur, omnium Versatur urna serius ocius Sors exitura et nos in aeternum Exilium impositura cymbae ». 21
{Od., II, 3, V.
— — unda, tristi
«
3)
ss.).
omnibus,
scilicet
Quicumque
munere vescimur,
terrae
Enaviganda,
si ve
reges
Sive inopes erimus coloni
».
{Od., Il, 14, V. 9-12).
«
4)
—
Aequa
tellus
Pauperi recluditur
Regumque
pueris
».
{Od., Il,
«
5)
—
18, V.
aequa lege Necessitas
Sortitur insignes et imos
Omne capax movet {Od.,
«
6)
A
«
morti
»
—
ecco
il
Ili,
;
urna nomen
I,
V.
rerum
est
{Episi., I,
16, V.
79).
il
i
concetto della seconda parte dell'ode, che
ne parce... arenae... Particulam dare
»
!'«
e
at tu nauta,
vagae
Vainiecto ter pul-
del v. 36.
»
È
».
dovere di onorare e di seppellire
principia al v. 23 e al quale alludono
vere
».
14).
linea
Mors ultima
incombe
tutti
32).
nota
cialmente
la i
grande importanza che
Greci ed
i
i
popoli antichi, e spe-
Eomani, attribuivano
alla sepoltura.
Era infatti loro credenza religiosa che le anim(^ degl'insepolti non potessero penetrare nell'Ade, ma che fossero costrette ad andar vagando continuamente, finché il loro cadavere non avesse ricevuto (M
('A.
Iliad.,
inhumataque turba
ultimi onori
gli
XXIII, 71-74. est
;
rortitor
ille
—
{^).
Quando qualcuno trovava
Haec omnis, quam cernis, inops Oharon : hi, quos vehit unda, sepulti ; <(
— per via un cadaYcro, o
tevano
il
t(
—
12
m])0 o
circostanze
lo
non permet-
dare ad esso nna sepoltura conveniente, aveva
di
Pobbli^o di gettaroli almeno tre volte addosso un poco di terra
(^);
se
sepolto qu(4
Eema alla
coi^ijo,
non poteva
Terra
e
ponti ficium
rendevasi reo di
il
cui
volte
si
trova
gli estinti negli
rito
sacrifizio
era determinato dal
ius
Elpenore
si
ricordato
quest'obbligo
pietoso
massimamente in Omero undecimo doW Odissea l'ombra
antichi poeti e
e in Virgilio. Cosi nel libro di
vero delitto, che in
non con un annuo
espiarsi se
a Cerere,
un.
(^).
Spesse verso
trascurava questo sacro dovere, lasciando in-
presenta ad Ulisse e
lo
prega per ciò che ha
ranca fluenta Transportare prins, qnam sedibus ossa quierunt. Centum errant annos volitaniqv e haec litora circnm, Ttim demum admissi stagna ea-optata revisunt ». Aen, VI, 325-330. nec ripas datur Jiorrendas
et
—
Creditnm est insepnltos non ante ad inferos redigi qnam insta pereeperint, secnndum Homericnm Pairodvm fiinns in somniis flagitaìitem, qnod non alias adire portas infernm posset, arcentibus enim longe animabus sepidtornm ». Tertulliano, De Anima, 56. Cf. anche Plaut, 3Iostell.,li,2, 68. (^) Narra Eliano che Solone aveva fatto una legge in Atene, la quale ordinava che chiunque si fosse imbattuto per via in un corpo insepolto (àxdccpw atójjtax'.) dovesse gettargli addosso un poco di terra (èniPaXXsiv aùt(p Y'^"^)- Ael., De Nat. An., II, 42 Var. Hist., V. 14 (ed. Hercher). Parigi 1858. —Euripide chiama quest'obbligo ^ò^0(;, uaveXXigvtov [Snppl., 526), perchè non doveasi fare alcuna distinzione tra un cittadino ed uno straniero. Praeteriens aliquis tralatitia humanitate [nos) lapidabit, ant, quod nltimum est, iratis etiam fliictibus imprudens arena Terrae componet Petron., 114. Serv. ad Vero., Aen, VI, 366: autem iniectio secnndum pontiflcalem ritum poterai fieri et circa cadavera, Nam in et circa absentinm corpora quibusdam solemnibns sacris ». «
;
—
<(
—
)).
((
—
sacris et hoc genits
sepulturae tradebatur,
ut
etsi
i<
non obrueretur,
manu
». Pseud. Acrone, schol. Declam, ci. Propert., Ili, 7, 27 Quint., ò, 6. Ilor., p. 109 (2) L'ombra dell'ode 28, nel minacciare il nocchiero che indugiava ad » Frecibus non linquar inultis, teesaudire la sua preghiera, aggiunge glie piacula nulla resolvent ». Forse lo diceva per incutere maggior spavento in quell'uomo di mare, e perchè si decidesse alla fine a gettar uu
piena
ter
iacta terra cadaveri prò sepnltura esset ;
;
:
po' di gleba su quel corpo iuvsepolto, poiché da Varrone e da Festo sap-
piamo positivamente che
accenniamo potevasi espiale. Varrone (in Non., p. 163, 10): i^Quod humatur non sii, heredi porca praecidanea suscipienda Telluri et Cereri ; aliter familia pura non est » il
delitto a cui
;
— (lì
più caro
mondo
al
—
13
perchè non incorra
(^
nell'ira divina,
di renderci gli (^stremi onori al suo corpo che giace insepolto e nel sesto libro (V^ìV Eneide, Palimiro
il
;
pilota, che, nel tor-
nar da Cartagine con Enea, era caduto nel mare,
incon-
lo
tra
nelPAverno e narratogli come non perì di naufragio,
ma
che giunto a salvarsi
lido,
sul
barbari
i
abitanti del
luogo lo uccisero, lo prega di dar sepoltura al suo corpo, affinchè gli sia concesso di varcare lo Stige.
— tu
«
mihi terram
Iniice...
».
(VI, 366);
dice Palinuro ad Enea; parole che corrispondono esattamente all'({
arenae particnlam dare
»
e alPa iniecto ter j)ulvere
l'ode 28, e che voglionsi riferire a quel rito
quale fu già discorso
del-
»
simbolico, del
piii sopra.
Eiassumiamo ora l'ode di Orazio, secondo quella interpretazione che ci sembra più vera e che conta, tra' suoi sostenitori
il
Weiske,
Bitter, l'Heller e
il
Trezza.
il
tumulo di Archita, che sorgeva formato da poca terra sulle « spiagge Calabre di Taranto per dove dall' Apulia distendesi a mezzogiorno il monte Matino » (^), si Dinanzi
Paul.
al
Praecidanea agna voeabatur, quae ante alias Jtem porca, quae Cereri mactabatur ab eo, qui mortuo insta non fecisset, id est glebam non obiecisset, quia mos erat eis idfacere, priusquam novas frnges gustarent ». Ci. Festu.s, pag. 218: praecidanea porca ìk (ap. Fest., p. 223)
:
<(
caedebatvr.
^^
Marius Victor, pag. 2470, Putsch
« Qui insta defuncto non fecerint aut adendo peccaverint porca contrahitur quam omnibus annis immolari his f oporteat... ». Cf. Cic, Leg., Il, 22 Gell., Noct. Ad., IV, 6, 7. Per altre citazioni e per maggiori i)articolari su questo argomento cf. Kirchmann,
in
:
,
;
iJe funerib. (1637), 3, 27 p.
308
M AiJitY,
;
151
II, p.
I/isl.
e Kcg.
;
.'i08;
1871,
1873, II, pag. 565;
p.
483 e
Marquardt,
I,
p.
335
;
Schoemann,
jRom.
jStoafsi;.,
e 170.
Alcuni, tra vaù l'Orclli, credono che per litus
Maiinum
si
debba
il nome dal monte Matino nell'Apulia. Kitter che « Apuliae finis meridianus non a Tarenlo, ac Matinus in Apulis incipiens in Calabros in quo-
interidere la H[)iaggia che
prende
Ma
il
osserva giustamente
proeul est
seg.;
IJouciié-Leclercq, Les Pontifes de Vancienne Home, Paris,
15:J
p.
(')
(trad. fr.), Paris, 1818, II,
liECKEK-CIÒLL, Gallus III,
Griech. Alterth., Berlin,
IIP,
Adam, Ant. Eom.
;
des relig. de la Grece Antique, Paris, 1852,
—
—
14
ferma l'ombra di un di Taranto (i), il cui corpo sommerso dalla tempesta nel mare illirico era stato dalla corrente trasportato sul lido della patria sua. Le grandi cose che tu operasti, o Archita, esclama l'ombra tra se,
strapparti alla morte
ma
;
tal destino
non valsero a
ebbero Tantalo, Ti-
tone, Minosse e perfino lo stesso Pitagora, del quale, a tuo
profonda era
giudizio,
mente
la
nell'investigare
segreti
i
della natura e del vero.
Del resto non poteva essere
menti, poiché tutti, chi in
un modo,
Mentre
lirico.
un nocchiero sepolto
;
lo
vede l'ombra e
gendosi però che
lo
altro,
con
così parla, passa frettoloso,
suo corpo giacente
il
dobbiamo naufragio nel mare il-
chi in
necessariamente morire. Anch'io feci
un
la sua nave,
prega di non lasciar
sull'arena del lido
lì
altri-
(^).
in-
Accor-
nocchiero indugia ad adempiere un atto
il
così pietoso, alle preghiere unisce le minacele e lo avverte
che a gittar tre volte un poco di arena addosso ad un corpo
poco tempo
insepolto,
mostra di aver fretta
vuole, e che quindi, poiché egli
ci
potrà subito riprendere la naviga-
(^),
zione interrotta.
rum
agro Tarentum positum
iiliUis cit.,
Matinum
1,
104).
p.
iuxta
liae est,
(1)
il
prociirrit
»,
e per
conseguenza per
si
^<
<(
quem
Arcliytas sepultus est, sive ut
Calahriae» (Sch., Hot.,
Che
est,
deve intendere Tarentinum Calahriae litus » {op. Anche il pseudo Acrone notava: Matinus mons Apun
p.
naufrago
quidam volunt, plana
105-106). Cf. Trezza, op.
sia tarentino, lo si
cit.,
166.
p.
può indurre facilmente
quella sua alhisione a Nettuno {Neptunus sacri ciistos Tarenti,
quale era vivo
come dicevano
il
v. 29).
da del
culto nelle colonie doriche, tra cui Taranto, fondata,
da Taras
tradizioni antiche,
le
figlio
di
Posidone e
di
Saturia. (2)
Secondo
il
Ritter ed
il
Trezza,
il
non su
polto sulla spiaggia Illirica e
corpo del naufrago giaceva inse-
quella di Taranto, e colà doveva
che quel cadavere fosse giunto sul lido Matino « nullo verbo significatur ». nota il Ritter. A me sembra però più naturale ed anche più drammatico che l'ombra, nel dirigere la sua pre-
seppellirlo
il
nocchiero
ghiera al nocchiero,
Matinum
».
;
difatti,
gli additi
D'altra parte se
«
il
capo e
in Italiani nullo verbo significatur
»,
ossa giacenti
lì
i^
nulla pure indica neirt)de
corpo giacesse insepolto sulla spiaggia (^)
le
prope
litus
ex lllyrico per mare advectum esse vada ver
quel
clie
d'Illiria.
Solent nautae festinare, dice Cicerone (Kp. ad jam.
XVI
\)
4).
quaestus sui causa.
1
— Tale mi sembra
non Gruppe
che
;
mesta al tumulo di Archita, nel naufrago un postumo ammiratore, j)er non
un seguace,
dire
che vi scorgeva
anzi, quell'apostrofe
rivela
ti
vero contenuto dell'ode 28, in cui
esiste la soluzione di continuità
certo il
il
—
15
nascevano in
del filosofo tarentino
lui, alla
vista del tumulo, sulla necessità della
morte, alla quale non isfuggirono
uomini più cari agli che gli provava quanto fosse fallace
Dei, e lo stesso Pitagora, e la dottrina della
quelle riflessioni che
;
metempsicosi
dell'insepolto per la sua pace,
;
gli
quella preghiera minacciosa
mi paiono
esser cose così in-
timamente collegate fra loro da costituire un tutto organico di quest'ode che ti rappresenta una nota malinconica in mezzo all'allegra armonia di quelle che cantano le donne e gli amori del poeta latino. E qui, prima di finire, mi sia consentita una brevissima osservazione a queste parole del Trezza
Amleto ha una
spettro paterno ad
:
terribilità
che non poteva avere l'ombra del tarentino dello
SJiaJcespeare
d'Orazio
»
ti
fa
comparire dello
« il
drammatica
eppure la scena
;
comprendere meglio l'ode bizzarra
(^).
Perchè fosse vero quanto qui
il
Trezza asserisce, sarebbe
necessario che tra la scena del poeta inglese e l'ode del poeta latino ci fosse io
non
andar
falli
(^)
comune che
ei sia
comparisce l'ombra del padre, che
la notte
da
lui
vagando, e ad il
narra
(^)
Doom'd
esser,
il
giorno, circondato
da
fuoco consumi e purifichi interamente
commessi in vita
Nuovi Studi
And,
gli
condannato, per un certo spazio di tempo, ad
fiamme, fino a che i
di
riesco affatto a trovare.
Ad Amleto come
un legame, qualcosa insomma
Critici, p.
(^),
e
come
ei sia
rimasto
114.
« I
am
l'or
a certain term to walk the night,
thy father's
spirit
;
for the day, confìn'd to fast in fìres,
Till the foui crirrieH,
done
in
Are burnt, and purg'd away
my
dayK of nature.
».
{Hamlet, A. L,
s.
V).
vit-
-- Ì6
tìma
(Ì.Ì
un crudele omicidio
dicare, soggiuntale l'ombra
;
omicidio che tu dovrai ven-
ad Amleto
(^).
Tale è in sostanza, nel suo contenuto, la scena stupenda dello
Shakespeare
;
paragoniamolo con quello della nostra
ode e sorgerà evidente dal confronto che il
quale
morte lido
per
si
glese,
sua, nulla
ha che
fare con l'ombra del naufrago che sul
al frettoloso
suo corpo insepolto
;
vendetta, non può in nessun
terribile
modo
l'ode del poeta latino in cui
(^)
il
nocchiero un po' di arena
e perciò la scena del
quale prorompe
dalla
morte e
paterno,
presenta ad Amleto per chiedere vendetta della
Matino domanda il
lo spettro
Revenge
his foul
sentimento
in-
della
farci com'prendere meglio
domina soltanto
sentimento di pietà verso
«
il
poeta
l'idea della
gli estinti.
and most unnatural murder {Hamlet, A.
I.,
s.
V).
».
GLI ANNALI GRECI DI E
Una
ACILIO
C.
CLAUDIO QUADEIGAEIO
Q.
questione
storiografia
d,i
romana intimamente con-
giunta con la storia delle fonti di Tito Livio
qualche tempo tra
i
più autorevoli
si
discute da
filologi della
Germania.
Essa trova origine in questi due passi Li\dane
auctor est
ad triginta septem millia hostium caesa Claudius^ qui annales Acilianos ex Graeco in La39
Unum sermonem 20
e
«
vertit
XXXV,
— tradit
14
» ;
«
Claudius secutus
Graecos Acilianos
»;
può formularsi
nel seguente
natore C. Acilio (^)
decadi
delle
:
P XXV,
lihros
{^)
(2)
scrisse
modo
gli
:
secondo
in greco,
Pubblicato nella Rivista di Filologia
e
annali die il
il
se-
costume
d'Istruzione Classica, XII,
1884.
Che C. Acilio Aulo Gellio (VI, (2)
di si
narra
Diogene
come
fosse senatore lo 14, 9) e l'altro di
egli facesse
:
da interprete nel senato
e Critolao, venuti in
Atene. Questo è
l'uno deduce da due passi Plutarco {Cat. M., 22) in cui
si
Roma
l'anno
1
55
ai filosofi
a. Cr.
Cameade,
quali ambasciatori
avvenimento conosciuto della sua vita. Gli Annali di Acilio sono citati da Stuabone (V, 3, 3, p. 230), da Cicerone {De off., Ili, 32, 113), da Plutarco {Rom., 21) e da Dionigi d'ALiCARNASSO (III, 67), oltre i luoghi citati di Livio. Intorno ad Acilio cf. Krausk, Vitae et fraqm. vet. Ilist. Rom., Berolini, 1833, p. 84 l'art, del Preunek nella Realencj/dop. del Pauly, 1-, p. 109; H. Peter, Vet. Ilist. Rom. relliqniae, Lipsiae, 1870, j). CXIX e seg.; Schaefer, Ahriss der Quellenkunde der fjriech. und rom. Gesch., Leipzig, 1885, IF, p. 19; Teuffkl-Schwabk, Rom. L iter alar (jeseìiicMe ed. V, I, p. 205. di
il
solo
—
;
V.
anche Schanz, Rom. Lilteralur, Vili,
2',
p.
104 o seg.
—
18
dell'età sua, nel sesto secolo di fatti in latino
?
Ammessa
— Koma, furono
tradotti o
codesta traduzione o codesto
ri-
rifaci-
mento, chi ne sarebbe stato l'autore, l'aimalista Q. Claudio Quadrigario, ovvero uno scrittore ignoto 1 Debbonsi invece «ili
come una
annali Aciliani considerare soltanto
alle
quali Quadrigario attinse per iscrivere, sul
secolo settimo, la sua storia di
Come ben plessa
si
comprende,
Eoma
del
finire
?
la questione è
abbastanza com-
giova, quindi, per renderla possibilmente chiara, per
;
non perdere ret,
delle fonti
il
filo
d'Arianna, come dice benissimo
in questo labirinto,
decomporla
Thou-
il
nelle sue parti. Occu-
piamoci, perciò, prima di tutto, dello scrittore che avrebbe tradotti o rifatti in latino codesti annali greci
;
esaminiamo
poi se sia sostenibile questa traduzione o questo rifacimento
vedremo da ultimo in qual modo possa venir risoluto il problema che ci occupa. Il presente lavoro ha lo scopo di far conoscere in Italia la questione Aciliana dovremo perciò entrare in alcuni parche voglia chiamarsi
;
;
ticolari che
potranno forse parere superflui,
ma
che d'al-
tra parte sono indispensabili per la piena intelligenza del
nostro argomento.
I.
Tito Livio cita dieci volte,
come una
delle sue fonti,
nome di Claudio (VI, 42 Vili, XXXIII, 10, 30, 36 XXXVIII, 23,
scrittore col semplice
IX, 5
;
X, 37
;
;
;
uno 19
;
41
;
XLIV, 15). È esso identico col Claudio che lo stesso rammenta insieme con Acilio, oppure diverso? Alcuni
Livio
da
Tito
moderni sostengono che
tori
Livio dieci volte e invece l'altro
sia
il
l'annalista
Claudio Q.
citato
Claudio Quadrigario,
Claudio sia uno scrittore ignoto
ScHWEGLER, Eòm. Geschichi€, Tùbingen, 1856, HARDY, Róm. Litteratur*, Braunschweig, 1865. p. 642 (1)
della Leti. cit., p.
Romana
(trad.
CCLXXXXVIl
;
ital.),
Torino, 1879,
scrit-
11*,
p.
I. ;
(^)
il
;
p. 81
;
Baehk.
Xis-
BernStoria
14; Peter, op.
Weissenborn, uel suo eommento a
Liv.,
XXV.
39,
— sen
(^),
al contrario,
tutti e dodici
ma
i
19
—
d'accordo col Nitzsch
passi liviani
si
parli
non
(^),
crede che in
di ('laudio Qiiadri^ario,
della cronaca ^reca di Acilio, tradotta in latino
Claudio a noi ignoto, e di cui appunto
stesso
lo
da un
Livio
si
^iova.
Cominciamo
argomenti che adduce
Fa non può
Nissen
dalla ipotesi del
gli
?
egli osiservare, in
identificarsi
quali sono
;
primo luogo, che
il
Claudio Liviano
con Claudio Quadrigario, perchè questo
annalista da Gelilo, I^ouio, Seneca, Prisciano ed altri an-
rammentano, vien chiamato sempre o Claudio Quadrigario, o Quadrigario soltanto mentre Livio, il quale, per es., cita Valerio Anziate trenta volte con ambedue i nomi, cinque col primo, e tre col secondo, chiama sempre cora che
lo
;
il
nome
suo autore col solo
di Claudio.
È
vero, continua
Mssen^ che Livio suol citare Fabio, Celio, Pisone e.Eutilio con un sol nome, ma non bisogna dimenticarsi che il
questi scrittori erano famigliari ai contemporanei, mentre
Quadrigario, ricordato, per la prima volta, da Velleio, Se-
neca
e Gellio,
non apparteneva
agli scrittori più
rinomati
del periodo repubblicano.
Su questo argomento del Xissen devesi, innanzi tutto, osservare non esser esatto che Gellio, Nonio, Prisciano e i rimanenti scrittori ricordino
il
nostro annalista col
Berlin, 1871, sebbene nella introduzione (p. 37),
parmi,
—
si
nome
di
contraddica
;
anche Teuffel-Schwabe, op. cit., I, 257. Fra i più. antichi critici, il SiGONio {Scholia in Livium, XXV, 39, Venetiis 1572, p. 52) credeva che il Claudio, che, da qui innanzi per brevità, chiameremo AciHano, fosse Clodio Licino, altrove citato da Livio (XXIX, 22), e per conseguenza diverso da Claudio Quadrigario « cuius et ipse (cioè Livio) saepe meminit «. Ma questa è una pura asserzione dice bene il Krause (op. cit., " Sigonius p. 244) vero quod Claudium, qui annales Acilianos vertit, Clodium Licium, putavit, videtur in errorem incidisse ». Il Vossio {Be Ilist. Lai., Lugd., 1651, I, p. 44) lasciò insoluta la questione. {^) Krit. Unterà, iiber die Quellen der vierten und fiinften Dek. des Livius, Berlin, 1863, p. 40 « Livius benutzte die Chronik des Acilius in der lateinischen Uebersetzung eines gewissen Claudius ». (^) Die RomÌ8che Annalistik, Berlin, 1873, p. 329, u. 3. cf.
;
:
—
:
—
—
so
Claudio Quadrigario o di Quadrigario soltanto, poiché citato anche col semplice
trova
volte in
Nonio
tre in Prisciano
una
in Gellio
e
Mommsen
il
32, 61, 78, 94
(fr.
49, 73, 96)
(fr.
;
Peter, RelL, p. 218 e seg.)
una
in
Diomede
(fr.
e
;
71) ed
Peter
il
An tip atro
che anche L. Celio
(^)
di Claudio, quattro
Notano poi giustamente
89).
(fr.
;
nome
lo si
L.
(^)
Cal-
purnio Pisone vengono sempre ricordati da Livio col solo
nome
Coelius e di Fiso
di
nuta l'obbiezione conosciuti presso
;
;
Nissen aveva già preve-
contemporanei. Piuttosto, a mio credere,
dovrebbe rilevarsi una petizion del Nissen
il
che questi erano scrittori assai
col dire i
ma
di principio nel
ragionamento
poiché quando egli scrive che Claudio Quadri-
gario vien per la prima volta citato da Velleio, Seneca e
und
Gellio (wird zuerst bei Velléjus, Seneca
suppone che esso
sia rimasto ignoto a Livio,
punto bisognava dimostrare. Sarebbe
un
strana che da avessero
da
conosciuto
loro.
lista
dopo
i
tura dell'Unger, di scrivere
(*).
gli
assai
dopo Livio non
ignoto Quadrigario cosi spesso citato il
Mommsen
ma un soprannome
tempi
cosa
Claudio liviano e dall'altro che a
il
Osserva inoltre
un cognome,
era
ciò che ap-
infatti
lato gli scrittori venuti
fosse rimasto
Ijìvio
Gellius envàJint)
di Livio
e che,
(^),
che Quadrigario non
dato
al
nostro amia-
secondo una conget-
sarebbe stato attribuito per
Queste osservazioni mi paiono
il
suo
modo
sufiftcienti a
primo argomento del Nissen. CCLXXXXVIII.
togliere ogni valore al (1) (2)
Op.
cit.
p.
Rómischp Forschungen, Berlin, 1879,
II, p.
426, n. 27.
—
ein eigentliches Bòm. Forsch., II, p. 426, n. 27: « Quadrigarius Cognomen nicht gewesen sein kanu, sondern uur eutweder eine Stau{'^)
—
derselbe erst nach Liviiiszeit desbezeichnung oder ein Spitzname gangbar geworden ist ». ('*) Die ròm. Qvellen des Livius in der vier, und jiinjten Deh., Phi;
lologus, Suppl.
3 (1878), p.
12
:
«Der rasche gang,
così scrive l'Unger,
seiner sàtze (cioè di Quadrigario) in verbindung mit der lautlichen
und
inhaltlichen schwere ihrer worte niag dazu gefuhrt haben. seinen
stil
mit dem dròhnenden einherrasseln. deni polternden trabe eines viergespanns zur vergleichen ». Infatti la parola quadrigae è adoperata talora « zur bildliclien bezeichnung des schnellen, feierlichen und heftigeu gauges einer sache, z. b. von Ennius b. Serv. zu. Aen. 12. 499 irurunuiue
— Più serio è
secondo
il
"21
:
—
Claudio Quadrigario non
perchè
identificarsi col Claudio liviano, traduttore^ di Acilio, la
cronaca di
cominciava dall'incendio
lui
Acilio dalla fondazione di Il
Thouret
drigario abbracciavano anche
ma
dei Galli,
il
gallico, e quella di
Koma.
tentò di provare che
(^)
j)U()
i
tempi anteriori
venuta
alla
campo
suo tentativo non esce fuori dal
congetture. Difatti che Claudio
Qua-
annali di
gli
non narrasse
i
delle
tempi
pri-
mitivi della storia romana, risulta in primo luogo dal fatto
che
nessuno
sua opera
numerosi frammenti che esistono della
dei
ad un avvenimento anteriore
si riferisce
vasione gallica, e ciò non può essere, come vuole ret,
un mero
caso
(^)
di più Livio lo cita per la
;
nel sesto libro, che narra appunto
l'evento
;
infine poi
non
si
fatti posteriori a quel-
che
si
seconda guerra sannitica
fino alla
pio da abbracciare
un periodo maggiore
Per qual ragione,
poi, Claudio
Thou-
il
prima volta
può comprendere come
libro degli annali di Quadrigario,
meno
i
alla in-
primo
il
estendeva per fosse cosi
(^)
di quattro secoli
lo
am(*).
abbia cominciata la cro-
efunde quadrigas oder von Cicero an Quintus 2, 13, 3 cursu corrigam tuam cum equis tnm vero, quoniam scribis poema ab eo nostrum probari, quadrigis poeticis ». E per conseguenza, conclude l'Unger, il nostro annalista, nel periodo letterario anteriore a Velleio, venne denominato « der rassler oder traber ». Cf. Teuffel-Schwabe, op. cit., Io credo più sottile che vera la congettura dell'Unger ed osI, 257. servando che Siila, nell'annosi a. Cr., celebrò splendidi giuochi circensi; che AscoNio, negli scoli all'orazione di Cicerone In senatu in toga can" atque ut istum omittam dida, alle parole in Victoria quadrigarium », commenta così de Antonio dici manifestum est quod cvm Sylla post victoriam circenses faceret, ita ut honesti homines quadrigas agitarent, fuit inier eos C. Antonivs » (p. 79, ed. Kiessling cf. p. 83), e che Quadrigario era contemporaneo di Siila, mi pare di poter ammettere che tarditatem
—
;
—
:
—
<(
:
;
codesto soprannome circensi, (^)
IJ
guidato
{^)
(*)
gli sia
stato attribuito per aver egli, in quei giuochi
quadrighe. Cf. Krause, op.
cit.,
Ueber den gatlischen Brand nei Jahrbiicher fur
(1880), (2)
le
F.
p.
p.
class.
152.
RuHL
nel TAter.
(Jentralblatt,
Peter, JMl, p. C:CLXXXJX. Peter, JV. Jahrb. f. FUI, 1882,
1881, p.
p.
104.
243.
176.
Phil., Suppl.
— 22 — naca dal punto sopradotto, ignoriamo
da quanto
solo,
;
stesso Livio scrive nella prefazione al sesto libro arguire, con
molta probabilità
si
(^),
lo
può
di esser nel vero, che Claudio
Eoma, considerava non
Quadrigario tralasciò di esporre la storia di
aiv
teriore all'incendio gallico, perchè la
au-
tentica ed incerta
Eesta quindi fermo che
(^).
Quadrigario narravano in ventitré
mana
venuta dei Galli
dalla
l'anno 142
193
all'anno
fino a.
fino ai
almeno
tempi
Cr.
a.
Cr.
e
men-
(^),
Eoma
si
esten-
probabilmente sino
al-
(^),
secondo argomento del Nissen è adunque incontrasta-
Il
esso però
bile,
non rende impossibile
la soluzione del pro-
blema Aciliano, comesi^'edrà a suo tempo. Per alla
annali di
la storia ro-
di Siila
Acilio, dalla fondazione di
tre quelli di C.
devano
libri
gli
sua ipotesi, basta concludere che
ora, rispetto
Brocker,
il
il
Peter
hanno provato ad evidenza che alcuni frammenti di Quadrigario, conservati da Gelilo, consuonano coi corrispondenti luoghi di Livio, dimodoché il Claudio Li\àano deve essere identico con Quadrigario (^). e l'Unger
(^)
Liv. VI,
1:
«
quinque
libris
exposui, res
cum
parvae
et
vetustate nimia ob-
magno ex intervallo loci vix cernuntur, rarae per eadem tempora litterae
scuras, velut quae
memoriae rerum gestarum,
tum quod fiiere,
una
quod, etiamsi quae in commentariis pontifìcum aliisque publicis privatisque erant monumentis, custodia
fìdelis
et
incensa urbe pleraeque interiere». SCHWEGLER, B. G., I, p. 39; II, p. 11. Che i libri di Quadrigario fossero almeno ventitré, risulta da un passo di Gellio (X, 13, 4) che giungessero fino ai tempi di Siila, ossia fino all'anno 82 a. Cr., da un passo di Orosio V, 20. (^) Che la cronaca di Acilio cominciasse dalla fondazione di Roma si deduce da un passo di Plutarco {Bovi., 21) giungeva fino all'anno ('^)
(^)
;
;
193 a. Cr., secondo il passo citato di Livio (XXXV, 14) e forse sino all'anno 142 a. Cr., se è vera la congettura dell'IlERTZ {De Lucììs Cinciis, Berlin, 1842, p. 42), il qusLÌe, neìV Epitome del libro LUI di Livio, contenente la storia degli anni 143-141 a. Cr., vuol leggere Acilius in luogo di C. Itilins senator graece res romanas
scribit.
avvenuta tra T. Manlio Tor{^) Ci., p. e., il quato ed un Gallo sul ponte sull'Amene quale ci vien esposto da Quadrigario (Peter, fr. 10, p. 207) e da Tito Livio (VII. 9). Si noti peraltro che, rispetto a questo avvenimento, la cronologia di Claudio è racconto della lotta
— Dimostrata del
identità
contro
così,
le
mane però sempre ferma
la
ar^^omcnt azioni
domanda
è lo stesso Claudio Quadri^ario, ^ler,
Bernhardy,
il
Claudio
il
:
e
il
accennato, sostengono appunto la diversità,
durre argomenti
seri, pcsitivi,
Aciliano
?
ma
senza ad-
a fondamento di questa opi-
nione. Se Claudio Quadrigario,
diversa da quella di Livio
dice, fòsse identico
si
quest'ultimo, infatti, seguendo in ciò
;
ri-
Lo SchwePeter, come fu
oppure è diverso
Weissenborn
i^
Kissen, la
d<^l
con Claudio Quadri^^ario,
liviano
(^Uuidio
-
^3
con
l'o-
poneva nell'anno 361 a. Cr., mentre Claudio lo anticipa di cinque anni, cioè, lo pone nel 367 a. Cr. Troppo lunghi per esser qui riportati interi, riferiamo dei due passi, segnandole in corsivo, quelle parole soltanto che ne provano l'armonia.
pinione di
Q.
367
altri scrittori, lo
Claudius a.
Cr.
:
Gallus
«
IX,
{Gellius,
—
Liv., VII,
13).
processit qui
361
a. Cr.:
«
10.
9,
eximia corporis magnitu-
— Gallus — maxima — — antistabat. cum voce maxima voce ManHus — pedestre scutum conclamat — deinde Gallus incidere Hispanico cingitur gladio — — GaUum — linguam etiam ab inrisu coepit atque linguam — Gal(Manlius) — scuto exserentem — ubi — proiecto laeva — Rogladio Hispanico cinctus — con— Gallus — proiecto manus — cum scuto scutum — — Manlius — ventrem hausit — torque scutum percussit — pectus hausit — torquem detraxit spoliavit, quem respersum cruore eamque sanguinulentam in circumdedit suo — Torquati lum imponit — quo ex facto ipse cognomen auditum — celebratum et viribus et
magnitudine
—
ceteris
dine
processit
cepit,
exsertare
pedestri
Is
stiterunt
constitere
et
lus
ita
scuto
scuto
per-
scuto
culisset
sibi
posterique
gm minati))
eius (ed.
col-
collo
Torquati sunt co-
posteris
Hertz).
(ed.
familiaeque honori fuit
Weissenborn).
Lachmann, De
Per quanto Peter, p. 210),
il
Berlin,
p. 266), le cui osservazioni esegetiche sopra le
1873,
I,
Io
neghino
Xitzsch
il
»
(op. cit., p. 329) e
font. il
Liv.,
67
I,
(cit.
Clason {Róm.
dal
Gesch.,
due nar-
non sono sempre esatte, poiché vuol, p. e. sostenere che Claudio pugna tra Manlio ed il Gallo, mentre invece concorda con Livio nel fissarlo in ponti, cioè, circa Anienem flumen, non si può razioni
tace
il
,
sito della
metter in dubbio che ""l'ito Livio conosceva il racconto di Quadrigario, non l'ha preso a principale modello per la sua narrazione. Cf. per maggiori particolari sull'identità del Claudio liviano con Quadrigario, Brockiìr, Untersuch. iiher Glaubw. der altróm. Gesch., Basel, 1855, pa-
se pur
gine 88, 215 e seg., Peter, lidi.,
p.
207
;
Unger,
op.
cit. p.
9
Zur Kritik der Quellen der Mi. Róm. Gesch., Halle, 1879,
;
C.
Peter,
p. 59 e eeg.
24
—
non avrebbe fatta primo luogo in cui appunto lo
l'Aciliano, j)^rchè Livio
quell'aggiunta,
a noi nota, nel
cita (VI, 42)
perchè
la riteer\*ò al quinto
?
perchè vien ripetuta nel quarto
luogo della quarta decade, dopo che già
XXXII1
tre volte nel libro
?
1
nominato
aA^ea
lo
Livio, adunque, con codesta
aggiunta, non ha voluto che distinguere l'un Claudio dall'altro
(1).
A
questa obiezione è
se
facile,
Claudio Quadrigario è citato da Livio insieme
la risposta.
con Acilio soltanto nei due noti in
essi
—
e
(op. cit.,
Giesebrecht
il
—
c'era
prima
la
solamente ragione di
dipoi l'Unger
e
giustamente che se Livio avesse
6) osserva*rono
]).
(^)
perchè
passi,
Andremo frappo co
lo
Del resto
farlo.
pur non c'inganniamo,
voluto distinguere due Claudii, non avrebbe adoperata espressione qui
— vertit
al Claudiìis,
Clandins
vertit,
ma
(^)
is
avrebbe aggiunto, mi pare, al xf?
che Plutarco
assai tormentato dai critici, e sul quale
or ora fermarci
un
istante.
Ma
uno de' suoi più abbandonata del tutto (^).
ipotesi, tanto piti che
Peter, l'ha
Claudius
bensì
un quidam, corrispondente
usa in un passo
dovremo
—
•
fors'anco
o
(^),
qui
la
basti di questa
validi difensori,
il
Stabilita quindi l'identità di Claudio Quadrigario anche
rimangono da esaminarisi
col Claudio Aciliano,
di coloro che sostengono la traduzione o
il
le
opinioni
rifacimento
la-
Krause,
op.
tino degli annali di Acilio.
cit.,
COLXXXXVII.
(1)
Peter, Bell,
(^)
Q. Claudius Quadrignrius, Prenziau, 1831
p.
p.
(cit.
dal
244).
In Cicerone trovo appunto una espressione identica « -4. et Albinns is qui graece scripsit historìam 21, 81) (^)
—
:
et
disertvs fnit
».
(*)
Num.,
(»)
N. Jahrb., 1882,
1.
p.
104.
{Brutus, ìittenitus.
_
0,?i
II.
L'Unger verse
infatti attribuisce a Claudio tre
(^)
Una
giovanile
traduzióne della cronaca di Acilio, fatta in età
;
Gli annali latini scritti inetàpiìi
2)
seiner reiferen jahre)
prima
blicata
matura
(das werh
;
Una monografia
3)
cronologica, scritta in greco, e pub-
ampiamente
degli annali col fine di esporre
ragioni che lo avevano determinato a cominciare la sua
romana
storia
dall'invasione gallica, e che sarebbe appunto
l'IXeyxo^ Xpóvtóv di cui
(1)
KZCLi
cit.,
1.
Nnm.,
(^)
xò
tox.uptSeTat, xà^
àvSpwv
Si'
cpaveaxdxouj
appaiai;
}isv
sono
affaticati
xialv
x^piZ,o\iéy(i)^
oò
è^
oiy.o\)c,
ydp
KXóìòióc, ti$ sv èXéyxQJ XP^"^^^ (ouxo)
«
:
ptjJXtov)
auyxsloQat
(^).
11-12.
p. 1
Fuma
parla Plutarco nella vita di
KsXxixoìg TidGsai x^^ TióXscog r/cpavioGat, xà^
si
di-
:
1)
le
opere
Sé
sii;
Ttpoayjxóvxtov
xà
àvaYpa^àg còx
èxsCvas vOv
àni'^éypci-
nttìz
^v
cpatvo{i£vag
rcpwxa
yévyj
£Ìopia?^o}xsvois
—
».
xoùg
xaì
Gli
lolg
àXyjGws stii-
scrittori
a ricercare chi potesse essere questo Clodio citato
Alcuni, scorgendo neU'iXsyxo? XP°"V^^ 1^ traduzione della parola anncdes (Xiebuhr, Róm. Gesch., Berlin, 1853, p. 354
qui da
Plutarco.
;
ScHWEGLER, Claudio
op.
cit.,
Quadrigario
I,
;
il
p.
39
II,
;
Le Clerc
139) vede in lui
Paris, 1838, p.
a Virgilio (ad Aen.,
229),
Il,
p.
14,
n.
identificano con
lo
5),
{Des Journaux chez
Bomains, Clodio, che Servio, nei commentari
il
cita
col
nome
di
les
commentario-
scriba
rum; altri lo identificano con lo storico Clodio Licinio (Mììller, If^. H. G., IV, p. 364; Bernhardy, Eóm. Litt."^, p. 645); il Lewis (/*;%quiry into the credihility of the early Roman history, London, 1855) scorge in lui il Panlu8 (Jlodivs, del quale Appiano {de. reb. Gali., I, 3) ricorda {Gòtt.
un'opera (jeX.
Anz.,
di
titolo
1849, p.
simile
:
XP®''^^*^
oovxd^sig
1'
e
;
Hermann
1460) finalmente lo crede quel Servius Clodius
che Cicerone (ad. Fani., IX, 16) chiama litteratissimum. Cf. H. Peter, Die Quellen PlritarchH, Halk?, 1865, p. 162. La ipotesi dell'Unger potrà difficilmente essere accolta, poiché il passo di. Plutarco in nes-
—
sun modo tenuto che
ci
vi
autorizza
ad
scorge l'Unger.
attribuire
Lo
all'
storico di
SXsyxoc
xpó"^^*^
Cheronea
si
qvLQl
a dire che Clodio, nel suo libro, pretendeva di sostenere che tichi alberi genealogici
gli
an-
romane erano andati che perciò quelli esistenti al tempo
delle piìi illustri
perduti durante l'incendio gallico, e
con-
limita infatti
famiglie
.
— Ha
rap^iono
M(
il
mmsen
troppo
sono
26
—
sottili
Avremo oeeasicne
(^).
frappoeo sulla sua ipotesi
tornare
questo distinzirni
di dire olio
;
di
ora basti notare
j)er
ohe sarebbe assai strano che Quadrigario avesse prima tra-
dotta la cronaca di Acilio, che espone^ a la storia tradizio-
Koma, come
nale di
gallico, e poi
non teneva realmente ai
fu
già,
composta un'opera
affatto conto
esistita,
non pochi
avvertito, anteriore all'incendio
;
di
originale, che di tale storia se questa traduzione fosse
piti,
sarebbe difficilmente rimasta sconosciuta che parlano di C. Acilio e di Quadri-
scrittori,
gario.
nostro annalista
Il
ma
non ha tradotto
gli
annali Aciliani
ha soltanto rifatti, omettendone la prima parte che esponeva gli avvenimenti anteriori alla venuta dei in latino,
li
una forma assai suo metodo di citare le date
Galli e continuandoli fino all'età sua, in
come, per
libera,
secondo
il
es., lo
indica
il
calendario romano. Questa è l'opinione sostenuta
falsi ma da ciò nulla possiamo ricavare intorno all'in contenuto di codesto lavoro. Di piìi l'espressione KXcóStóg non può convenire, secondo me, al nostro Claudio, che sappiamo
suo erano
-
:
—
(iole e al iiQ
esser stato famigliare agli scrittori dell'età imperiale
;
di
cui anzi gli
annali dovevano essere usati continuamente dagli studiosi che frequen-
tavano
le
biblioteche aperte in
in quella di Tivoli, situata nel di
libri
{satis
commode
Roma tempio
in
quel tempo, poiché, perfino
di Ercole e
instructa libris), trovavasi,
abbastanza fornita a testimonianza di
IX, 14. 3 cf Gellio, la cronaca di Quadrigario (Gell., XIX, 5, 4 BiRT, Das antike Buchwesen, Berlin, 1882, p. 360). Non sarebbe infine stato assai strano che Claudio, il quale traduceva, secondo ITTnger, ;
;
l'opera di Acilio certo col fine di renderla famigliare a quelli tra suoi
contemporanei, che ignoravano la lingua greca, avesse poi scritto in greco un libro, il quale doveva nientemeno che spiegare ai lettori de' suoi annali latini, il gr èssere rómische Pnhlikum, per dirla con lo stesso Unger, la cronologia, il metodo di trattazione, insomma, da lui seguito in quest'ultimi? Cf. Thouret, op. cit., p. 153; Peter. N. Jahrb.. 1882. pag. 105; e le giuste considerazioni del Brocker. Untersuchungen. p.
1,
sul passo di Plutarco in questione.
Werden
stand unserer Ueberhefcrung kennt. weiss, was von dergleichen zerhrechlichen Feinheiten zu halten Ì8t ». (^)
Op.
cit., II, p.
427
:
«
— Mcmmsen
dal
(^),
—
27
cho mi sembra del tutto destituita
di
prove.
Come
può
si
infatti dalla
premessa
<,Hi
:
annali Aciliani
cominciavano dalla fondazione di Koma, (quelli di Quadrigario dall'incendio gallico, trarre la conseguenza che questi
non sono che un rifacimento latino dei primi abbreviato nel principio (am Anfang ver/curzte Bearbeitung) quando ciò appunto dovrebbe dimostrarsi ? Di piti qua! relazione può esistere tra il metodo usato da Claudio nel citare le date, e la forma libera del suo preteso rifacimento? Il ultimi
Mommsen V, 17
Q.
:
specialmente a questo passo di Gelilo,
allude
Claudius annalium quinto cladem illam pugnae
Cannensis vastissimam factam
diem quartum No-
ante
dicit
nas Sextiles, dal quale risulta, come è chiaro, che la battaglia di Canne, secondo sto
Secondo Polibio
(2).
dopo
Claudio, era avvenuta
(III, 107), invece,
2 ago-
il
avvenne non molto
principio della mietitura, in giugno o in luglio, in
il
ogni caso prima che fosse terminata la 01. 140^, di cui l'anno 4°
appunto
finiva si
può concludere
era arretrato
27 giugno del 216
il
(^),
a.
o che, nell'anno 216,
:
il
almeno Quadrigario
o che
pra un calcolo cronologico che non era
ma
Or bene, da ciò calendario romano
Cr.
ammésso
piti
errori cronologici che si potrebbero
gli
fondava
si
so(*)
;
rilevare nella
sua cronaca, qual prova possono fornire per affermare che
rimaneggiò in una forma assai libera
egli lio ?
Ad
(^)
modo confessiamo candidamente ragionamento del Mommsen.
il
Op.
cit., Il, p.
wegliess
ergànzte.
—
—
C'^)
427
:
«
Der
di
non com-
den ersten AbFehlendc selbstàndi/^
lateinische Bearbeiter
andererBeits da«
am
Scluss
Dass seine Bearbeitung ùberhaupt eine sehr
beweisen auch andere fiilirurig
annali di Aci-
ogni
prendere
8chnitt
gli
Stelleri (a quali
allude?),
von Daten nach ròmischem Kalender
Matrobio
zum
»
riferisce lo stesso nei Saturnali,
(Gell., V, I,
freie
Beispiel die
16,
17,
war,
An5).
26.
Fischer, Ròm. Zeittafeln, Altona, 1846, p. 89. (*) HuscHKE, Dafi ròm. Jahr, Breslau, 1869, pag. 153. Che la cronologia di Claudio non fosse la comune, lo abbiamo veduto anche più sopra a proposito della lotta tra Manlio Torquato ed un Gallo (pa(•')
—
gine 22-23, n.
5).
—
t8
—
xViropinione di lui aderisce anche
il
ma
Thouret,
la
sua
come osserva pure il Peter (N. JaJirb., 1882, p. 105), è contraddittoria o per lo meno non sempre coerente. Difatti, in un luogo, egli sostiene ohe Acilio, nei due passi, era citato da Claudio, e che Tito Livio stimò opportuno di menzionare la fonte del suo autore (^), e in un altro conclude ipotesi,
che
annali Aciliani, rifatti in latino da Quadrigario, for-
gli
mavano una
stessa cosa con quelli del nostro Claudio, e che
appunto Livio usa Acilio
nelle sue storie
Oltre a ciò
(2).
il
rifacimento latino di
Thouret non è molto fermo nella
il
sua opinione, poiché non sa ben stabilire se codesti annali siano gario.
soltanto rifatti da Claudio Quadri-
stati tradotti o (^).
III.
Ma
è
di Livio,
tempo oramai di entrar nell'analisi dei due passi di veder insomma se questa traduzione o questo
E
preteso rifacimento possa realmente sostenersi.
ciamo dal Liv.,
piti facile,
XXXV,
Acilianos
libros,
il
secondo
14 (193 P.
:
a. Cr.):
Africanum
«
Claudius, secutus Graecos
in ea fuisso legatione tra-
eumque Ephesi conlocutum cum Hannibale,
dit,
(^)
Loc.
dius bereits
cit.,
p.
citirt,
156:
und
«
Acilius
wurde an beiden
Liviiis liielt
comin-
Stelleu
et
sermo-
von Clau-
Gewàhrsmanu
es fùr nòthig deii
—
L'opinione del Thouret è Gewàhrsniannes mitzunennen ». accolta anche dallo Zielinski, Die letzen Jahre des zweiten Punittchen
seines
Krieges, Leipzig, 1880, p. (2)
Loc.
cit.,
p.
Mommsens
Ansicht
159:
111. «
Wir kommen zu dem Resultate und zu der
zuriick,
dass Livius
sein
die lateinische Benrbeitung des Acilius henntzt,
Annalen (^)
ganzes
und dass
des Claiiditis Qvndrigarius identiseh sind
Loc.
cit.,
p.
163:
«
Claudius Quadrigarius
Annalen des Acilius heraus,
—
uhersetzte
Werk hindurch diese
und die
».
grift'
die giiechisclien
oder bearbeitete sie laleinisch
».
Anche il Dodwell {Praelect. Aecndemieae in scholn hist. Camdeniana, Ox., 1692. p. 658) era d'opinione che gli annali Aciliani fossero stati da Claudio Quadrigario u e Graeco in latinum transluti, et a Li' vio ipso usurpati
».
!
-
—
29
nom unum etiam refort, quo quaerenti Africano, maximum imperatorem Haiuiibal crederot... » Il
seguito
Bernliardy,
in
qiiom fuisse
anche dal Weissenborn,
ciò
crede che l'espressione secutus Graecos A. L accenni ad una libera traduzione della cronaca Aciliana
A me
(^).
pare di
scorgere in questo l'influenza del primo passo, e se per
momento
eliminiamo, non curandoci che del secondo,
lo
spiegazione della forma secutus,
la
alla
mente
del lettore,
non
che subito
si
presenta
Bernhardy.
è certo quella data dal
Così in questi passi, che riportiamo per avvalorare
giormente
nostro ragionamento
il
Cic, de Div.j
1)
24: «Hoc item in Sileni, quem
I,
simum Polyhium
3) Liv., IV, 23
Tubero
Macer
et
Licinio
haud dubie
veri est
»
«
)>
;
— Sequamur
quo nemo
nostrum^
temporibus diligentior
et
14:
de Rep.j II,
Id.,
enim
exquirendis
in
fuit
potis-
» ;
«
:
ceterum in tam discrepanti editione linteos
libros
auctores profìtentur
seqni linteos placuit.
—
Tubero incertus
;
QuiNT.,
4)
I,
6,
12
«
:
Varrò in eo
romanae urbis enarrat, lupum feminam toremque Fabium secutus », il
mag-
:
Coelius sequitur, graeca historia est 2)
un
significato
delle
forme sequi
dicit
e secutus
quo
libro,
Ennium
non
sicché questa pare la loro vera spiegazione
:
initia
dubbio
è
Celio
L.
Pic-
;
An-
tipatro seguiva ne' suoi annali l'autorità dello storico greco
Sileno
[1]
;
Licinio
rone, nel suo libro bio
[3J
e
Macro quella dei
De
repubblica
Varrone nelle sue
nio e Fabio Pittore
liòri
[2]
;
seguiva o citava
Origini di
«
lintei
Eoma
»
CicePoli-
citava En-
[4].
Identico, per noi, è
significato del participio secutus
il
nel passo liviano, e perciò spieghiamo quest'ultimo nel se-
guente
contava
ein
modo la
(^) Ròm. Werk in
:
C'iaudio
Quadrigario, ne' suoi annali, rac-
disputa avvenuta in Efeso tra Scipione Africano Liti.
*,
pa^. 642
:
»
Die Formel secutus G. A.
IwAvr Uebcrtragung
».
l.
deutet auf
—
-
30
ed Annibale snlla questione chi fosse
ma
piti
il
poiché codesta notizia avea in fondo
uomo
aneddoto, da
il
gran capitano carattere di
stimò opportuno
coscienzioso,
di
;
un ci-
tare la fonte, cioè, gli annali di Acilio, da cui l'aveva attinta
Tito Livio, poi, togliendo dalla cronaca di Claudio
(^).
credè ben fatto di aggiungere che
quell'aneddoto,
suo
il
autore, nel raccontarlo, seguiva l'autorità di Acilio. Questa
mi pare
la spiegazione
ovvia e plausibile del secondo passo
liviano.
Veniamo tero
ora
al
primo, che è d'uopo riportare per
in-
:
Liv.,
XXV,
39 (212
a. Cr.)
«
:
Ita nocte ac die bina castra
hostium expugnata ductu L. Marcii.
Ad
millia
hostium caesa, auctor
lianos
ex Graeco in Latinum sermonem octigentos
mille
triginta,
vertit
;
centurn
ad
captos
praedam ingentem partam triginta
;
in
septem
una septem millia caesa hostium
Hasdriibalis.
castra Magonis capta tradit, altero proelio eruptione
septem
Claudius, qui annales Aci-
est
ea fuisse clipeum argenteum pondo
cum imagine Barcini
triginta
Valerius
Antias
;
pugnatum cum Hasdrubale, decem
millia occisa, quattuor millia trecentos triginta captos. Piso
quinque millia hominum,
quum Mago
cedentes nostros
fuse sequeretur, caesa ex insidiis scribit.
gnum nomen
Marcii ducis est
;
et
ef-
Apnd omnes ma-
verae gloriae eius etiam
flammam ei contionanti fusam e capite, sine ipsius sensu, cum magno pavore circumstantium militum monumentumque victoriae eius de Poenis u^que ad miracula addunt,
;
incensum
Capitolium fuisse
cum imagine
appellatum,
la
tempio clipeum, ^Nlarcium
in
Hasdrubalis
»
(ed.
IVIadvig)
('^).
Per comprenderlo bene è necessario premettere che, dopo morte dei due Scipioni avvenuta in Ispagna nell'amu)
212
a. Cr.,
colti gli
un
(1)
nome
L. Marcio, rac-
avanzi dei due eserciti rimasti pri^i dei loro ca-
pitani, tentò
(2)
cavaliere romano, per
un
assalto contro
i
due accampamenti Carta-
TlIOURET, op. cit.. p. 155. Cf. Val. Max., I, G; Plin.. Hist. Nat..
11.
241.
ginesì di Asdnibale e
Eomani,
ai
e lo si
31
-
Magone. L'esito
d,i
riuscì favorevole
espone appunto in questo pa^so in cui
Livio riferisce la narrazione di Claudio Quadrigario, con
le
varianti di Valerio Anziate e di Calpuxnio Pisone. Secondo
Claudio, infatti, qui annales Acilianos ex Gracco in
sermonem
vcrtit,
Cartaginesi ebbero una perdita, tra morti
i
e prigionieri, di 38,830 uomini, e
e tra le
con
l'effigie di
Anziate, invece,
lerio
21,330 uomini
soldati,
d'argento del peso
Asdrubale Barcino secondo Va;
però (apud omnes), erano concordi
il
nome
di L. Marcio, al quale, dicevano,
una fiamma avesse circondato i
fecero gran preda,
perdite dei Cartaginesi furono di
le
Tutti questi scrittori, nel magnificare
Eomani
secondo Pisone, di 5000 morti soltanto.
e
;
i
era uno scudo
cose predate
di 137 libbre
Latinum
il
mentre arringava
capo,
senza che egli se ne fosse accorto, con grande spa-
vento dei circostanti. Aggiungevano infine
chiamato Marcio in suo onore,
che
quale ricordo
lo
scudo,
della
vit-
era rimasto appeso
toria,
da
lui riportata sui Cartaginesi,
sopra
le
porte del tempio di Giove sino all'incendio del
Capito] io
E
(1).
non sarà cosa
qui
costume di sospender
del tutto
gli
inutile
notare
come
scudi nei templi fosse proprio spe-
cialmente dei Greci. Gli Ateniesi infatti consacravano
Dei quelli che al
li
avevano
il
agli
difesi nelle battaglie, e quelli tolti
nemico, per solito sospendendoli all'architrave de' templi,
uno di essi una iscrizione che ricordasse la loro vittoria. Cosi Pausania (X, 19) racconta, che, in memoria della battaglia di Maratona, vinta dagli Ateniesi, erano stati appesi degli scudi sull'architrave del tempio di Apollo Delfico. A poco a poco s'introdusse il costume di consacrare agli Dei
incisa sopra
anche degli scudi, che non erano mai stati usati, e di fonderne espressamente dei nuovi in ricordo d'un' impresa guerresca. (^)
Plin.,
et iniagiue» balis irivenit jyra
forcs
//.
N.,
XXXV,
4:
«
secumque vexere. In MarciuH, Scipioiiuin
(Japilolinae
aedis
Poeni ex auro factitavere et clupeos castris certe captis talem Hasdriiiti
Ilispauia ultor, isque clupeuB
unque ad incendium
primum
fuit
».
sii-
— Di
32
—
genero orano quelli d'oro fabbricati dopo la battaglia di Platea e custoditi nel tempio di Delfo. In Koma gli scudi tal
tolti al
nemico
conservavano nel tempio di Giove Capi-
si
tolino sospesi all'architrave o al disopra delle porte, ed è
pensare quanto grande dovesse essere
facile
durante
la repubblica.
di tutti
i
ma
li
fatti,
metalli
:
Ve n'erano
il
numero
loro
di tutte le dimensioni e
in bronzo, in argento e perfino in oro
;
rendeva pregevoli non tanto la materia di cui erano quanto l'impresa guerresca che ricordavano. Eacconta
invero
Plinio, che, nell'anno 159 a. Cr.,
CapitoUo redcmptor, come egli
M. Aufìdio,
chiama, avvertì
lo
tutelae
senato
il
che molti degli scudi affidati alla sua custodia erano d'argento,
mentre da parecchi lustri tutti li credevano di bronzo (^). Ma torniamo al passo di Livio, sul quale l'Unger (loc. p. 5) fa questa osservazione
cit.,
citava qui Acilio Efeso,
ma
come
:
Claudio Quadrigario non
nel passo relativo alla
è invece lo stesso Livio,
piccola differenza intercedente tra
il il
quale, notando la
avendo tradotto
sta,
dato da Va-
magis immodicus in nmnero augendo
esprime un suo pensiero, cioè, che
solete
Acilio,
non
numero, dato da Clau-
dio, delle perdite fatte dai Cartaginesi, e quello lerio Anziate, qui
disputa di
il
esse
nostro annali-
poteva aver tolta quella notizia
dagli annali del senatore romano.
L'osservazione dell'Unger in nessun
modo
ci
persuade,
poiché, prescindendo anche dal fatto che suppone esistente
(^)
Plin., loc.
cit.,
«
Maiorum quidem nostrorum tanta
in ea re adnotatur, ut L. Manlio, Q. Fulvio cos.
anno urbis
securita*
DLXXV
M. Aufidius tutelae Capitolio redeniptor docuerit patres argenteos esse Da queclwpeos, qui prò aereis per aliqiiot iam lustra ndsignubaniiir ».
—
sti
votivi bisogna distinouere le cosiddette imagines clipeatae medaglioni, in bronzo od in argento, di uomini illustri che de-
scudi
ossia
i
coravano specialmente gli atri delle case. Per quanto diciamo nel testo e per maggiori particolari ci". Albert, Boucliers décoratifs du Musée de Naples {Eev. nrch., 1882, voi. XLII, p. 130 e seg).. L'Albert erroneamente scrive che lo scudo Barcino era d'oro e pesava 13S libbre. Cf. anche l'art. cUpeus dello stesso autore nel Dici, des antiquités G. et E. del Saglio Fuciis. De... clipeis.... Gottingae. 1852. p. S e hi bibliografia citata nel Marquardt, Privatlehen der Ròmer, P, pagg. 244. n. 4. ;
—
-
33
appunto
la tradiiziono latina di Aeilio, ciò ch^^
provare, il
passo liviano,
il
è necessario
che stiamo analizzajuio, non e
solo in cui le cifre di Claudio appariscano piii (^sa^erate
Nella
Anziate.
di Valerio
di quelle
Olimpo in Galazia, per
battaglia
del
monte
avvenuta nell'anno 189 a. Or. e vinta dal console Cn. Manlio sui Galli, questi ebbero, al dire di Claudio, ben quarantamila morti, mentre Valerio es.,
Anziate ne faceva ascendere
Ora
il
numero a
in questo e negli altri passi di Livio
diecimila
soli
non
si
trova meno-
mamente il nome di Aeilio congiunto a quello come dovrebbe essere, se fosse vera l'asserzione Quindi è chiaro che ben altra deve essere
la
(^).
di Claudio,
dell'Unger.
ragione di co-
desta aggiunta.
Che le parole Claudius qui annales Acilianos ex Graeco in Latinum sermonem vertit accennino ad una traduzione piti o meno libera non vi è dubbio {^) ma trarne la con;
seguenza che Quadrigario abbia tradotta o rifatta la
cronaca greca di Aeilio, come vogliono l'Unger e
ret,
in latino il
Thou-
par troppo, perchè ciò equivarrebbe in sostanza a
ci
un caso Lo potremmo
tutto particolare e
generalizzare
a farlo.
proposizione isolata,
nulla
autorizza
forse se quelle parole formassero
ma
indipendente,
esse,
al
una
contrario,
mero inciso, che non può, in nessun modo, venir staccato da tutto il contesto. Perciò ne discende che qui Livio non esprime un suo pensiero, non vuol dire in costituiscono un
generale che Claudio annali Aciliani, l'esporre in il
ma
avea tradotti o
nota solo che
particolari
i
{auctor
Ispagna, ne traduceva
piti
est)
o
rifatti
nostro annalista, nel-
il
dell'impresa
meno
di
letteralmente
passo ad essa relativo. Tale e non altra
XXXVin,
in latino gli
mi pare
Marcio (vertit)
la vera
« Claudius 23 qui bis pugnatum in Olympo ad quadraginta millia hominum auctor est caesa. Valerius Antias, qui magis immodicus in numero augendo esse solet, non 'plus decem millia ». Per altri passi confronta Peter, Bell., p. CCLXXXXII.
(^)
monte
Liv.
;
scribit,
—
(^) La forma vertit fa suppone una traduzione libera, come risulta anche da questo passo di Plauto, Trin. prol.: « buie graece nomen est Thensauro fabulae Philerno scripsit, Plautus vortit barbare ».
—
— spie orazione
dir
—
quelle parole, tanto tormentate dai critici
d.i
modo
ad. ofjni
34
se la
traduzione o
;
rifacimento di Acilio che
il
voolia, fosse realmente esistito, Li^io ne avrebbe data
si
senza dubbio notizia la prima volta in cui citava Claudio,
non aspettando di
dirlo
nel quinto
luogo in cui
ram-
lo
menta.
L'Unger
(loc. cit., ])ag.
5) ci
opporrà su questa parziale
traduzione di Acilio, da noi ammessa nel passo liviano, che
termine pondo la esclude assolutamente, poiché
il
il
ha provato come codesto termine proprio della metrologia romana si trova solo ne' luoghi liviani in cui sono fonte gli annalisti, mentre in quelli in cui è fonte Polibio, cioè, uno scrittore greco, si trova sempre
Mssen
il
(Unters., p. 108)
termine talentum proprio della metrologia greca
rebbe però facile rispondergli col Thouret che se
il
(^).
Sa-
(loc. cit., p. 155),
termine pondo suppone una fonte romana, Acilio
era appunto romano, non greco, e quindi avrà usato non
termine xàXaviov,
ma
probabilmente
Xdpat.
Ad
ogni
il
modo
Quadrigario, traducendo, ne' suoi annali, quel passo della
cronaca di Acilio, avrà usato, come è naturale,
il
termine
proprio della metrologia romana.
Ma
perchè
traduceva
lo
samente dal Thouret
(loc.
?
La ragione
cit., p.
fu trovata ingegno-
157), e a
me non
resta
che riassumerlo.
Lo scudo Barcino era rimasto, nel tempio
fino
il
passo di Livio,
all'incendio del Capitolio, e que-
Non. Quint.) dell'anno 83 a. Codesto incendio non poteva certo esser ricordato
sto bruciò Or.
Giove
di
dice
(2).
il
6 luglio
(pridie
né dagli annali di C. Acilio, né da quelli di Calpurnio risone, poiché i primi, come già fu detto, non giungevano oltre
142
il
(Peter, {^)
a.
Cr. e
i
secondi toccavano
Rell.^ p. 136, fr. 39).
HuLTSCH,
Oriech.
solo
l'anno 416
Claudio Quadrigario, adunque,
und ròm.
Metrologie^,
Berlin,
1882. p.
127
e segg. (2)
Fischer, B.
Halle, 1875, p. 68.
Zeittafeln, p. 185; C.
Peter.
Zeittafeln der R. Oesch^.
— Anziato
ValoTÌo
e
Capitolio
trovato
;
il
(l('l
ricordo in tutti questi scrittori {apud omnes). Si stabilire che
Claudio scriveva
nali relativo all'impresa di lo
rammoiitavano Pineondio
soltanto
Tito Livio, con non molta esattezza, diee di averne
può intanto ormai
-
36
il
passo de' suoi an-
Marcio dopo Panno 83
scudo Barcino era perduto.
Ma
quando
a. Or.,
poiché egli
lo de-
dandone perfino il peso, è chiaro che questa notizia egli dovea aver tratta da uno scrittore più antico che aveva veduto quello scudo e conosciutone il peso. Ora che, al tempo di Acilio, lo scudo fosse stato pesato lo si deduce dal luogo di Plinio che riguarda M. Aufìdio ed è piti sopra riferito. A. C. Acilio, adunque, che deve aver scritto i suoi annali dopo Panno 169 a. Or. e che quindi poteva non solo aver veduto il clipeum Marcium, ma conosciuto ancora il suo peso, parve degno di registrarlo nel passo della sua cronaca che esponeva le gesta di Marcio in Ispagna. Clauscriveva,
dio Quadrigario trovò in Acilio codesta notizia,
ma poiché
romano piti non esisteva quando egli ne narrava le gesta, da uomo coscienzioso, volle citare, ne' suoi annali, l'autorità di un testimonio oculare, glorioso ricordo
il
del cavaliere
traducendo dal greco Aciliana,
in latino tutto
che riguardava appunto
impresa guerresca e
lo
i
il
passo della cronaca
particolari
quella
di
Marcio
scudo Barcino trovato da
nell'accampamento di Asdrubale. Tito Livio poi, «
s'efface
le
come
quale,
il
lui-méme pour
dice benissimo
laisser parler
ses
il
Taine
auteurs
»
e
(^) «
:
a
mérite rare de n'altérer jamais une témoignage, et de ne
dire rien sans cita ancora cioè, di
i
une autorité
libri lintei e
il
»,
che,
foedus Ardeatinum
questo annalista, senza peraltro
ha dimenticato
il
Macro,
citando Licinio
averle
(^),
le
fonti,
vedute, non
suo sistema rispetto a Quadrigario e men-
zionandolo credè opportuno di aggiungere che, nelPesporre l'impresa di Marcio, l'annalista traduceva
il
passo ad essa
relativo della cronaca di Acilio, e la citava semplicemente {')
Efisai sur
(2)
Cf.
Tìte Live, ParÌR,
Liv., IV, 7
;
20. 23
;
1874 (nouv.
Peter,
ed.), p.
Eell., p.
39 e
CCCXLII.
fleg.
— nel luogo
36
—
ove riferiva la disputa di Efeso avvenuta tra Sci-
pione Africano ed Annibale.
Eaccogliendo adunque Peter, a cui il
va attribuita
le
sparse
concludiamo col
fila,
la priorità di
questa ipotesi, che
Claudio Liviano è identico con Claudio Quadrigario
esso
non ha
modo
in verun
ma
amiali greci di Acilio,
tanto
come una
la sua storia
;
che
tradotti o rifatti in latino gli
questi sono da considerarsi sol-
delle fonti a cui egli attinse per iscrivere
romana,
e che
li
citava specialmente in quei
due nomi (^). Il lettore comprende ora facilmente, ed è inutile insistervi, come il secondo argomento che il Nissen adduceva
due passi ove Livio congiunge insieme
i
a sostegno della sua ipotesi, e accennato nel principio del presente scritto, non sia punto di ostacolo a zione che
mi sembra
questa solu-
la sola possibile, della questione
Aci-
liana.
104, 105) dopo aver detto ohe ora (^) Il Peter {N. Jahrh., pag. « ioti schlage nun einen andern weg zur cangia opinione, soggiunge lòsung der frage ein, nemHch den, dasz dee Claudius werk nicht eine ùbersetzung der Acilisclien annalen war, sondem dasz er sie nur bei :
—
einer selbstàndingen arbeit benutzt
wo
Livius die beiden
namen
und
bei
den zwei gelegenheiten,
namentUch
verbindet, dieselben
citiert
»
;
« zu den quellen der annalen des Q. Claudius Quadrigarius gehòrten die griecliischen annalen des C. Acilius ». È strano che anche
e più giù
PUNGER
:
—
(loc. cit., p. 5)
crede questa ipotesi sia la
vera, poiché,
dopo
aver riassunto quella del Mommsen, scrive « er (cioè il Mommsen) bàtte nach unsrer ansicht nur noch den letzten schritt thun, und die annalen des Quadrigarius fiir ein ganz selbstàndiges werk erklàren sollen, in :
welchem
Acilius
zwar
benutzt, aber nicht iihersetet ist
».
LEGIO
LIBERATRIX MACRlANA O
I
Clodio Macro governava, nell'anno D. 68 la dioecesis
L.
Nnmidica, una delle circoscrizioni amministrative dell'Africa
romana, tempo, nella
e,
il
come
ribellò
(^).
NeroniSy
e delle milizie
il
grano a Eoma,
potere di Clodio, durante
quale
il
per avarizia
le
navi
scopo di provocare
allo
ed una rivolta nella capitale dell'impero
tissimo per crudeltà e
si
CrispiDilla, magistra libidinum
chiama Tacito, trattenne in Africa
la
destinate a portare
il
Augusta
All'annunzio della morte di ]N"erone, Clodio
come
la carestia
forze militari stanziate
le
cioè, della legione III
ed istigato da Calvia
;
aveva, nel medesimo
(*),
supremo comando di tutte
Numidia,
ausiliarie
legato imperiale
si
fece
(^),
6u
(^).
odiare assai
Ma
mol-
breve
;
Galba, infatti, appena assunto all'impero, diede ordine a
Trebonio
Garuciano,
tana, di uccidere
il
governatore della Mauretania Tingi-
legato ribelle e l'ordine venne prontamente
Pubblicato nel Btdlettino deUa Commissione archeologica comu-
(^)
nale di Rom,a, 1886. (*)
Erroneamente
8i
comune
crede, per
opinione, che Clodio Macro
fosse xjroconsole dell'Africa (cf., tra gli altri, Sievers, Studien zur Gesch.
Rom. Kaiser, Berlin, 1870, p. 139), mentre Suetonio Tacito {Hist. IV, 49) lo dicono soltanto legato. der
(^)
Sulla divisione dei poteri
che,
nell'anno
nell'amministrazione dell'Africa e per la quale litari di
un
il
D.
37,
comando
(Galb.,
fu
11) e
introdotta
delle forze mi-
quella provincia venne tolto al proconsole ed affidato invece ad
legatijs
Angusti prò praetore, vedi Henzen, Iscrizioni deW Algeria (An-
nali dell'InKiiinto Arch., 1860, p. 26)
Makquardt, Staaisverwallung P, ,
{*)
Tacit., nist.
{^)
Plut., Galb. 6
p.
;
Mommhen, 4(56 Kcgg.
73; Plut., Oalb.
l, ;
cf.
Tacit., Uist.
13. I,
11.
0.
I.
L.,
VITI, p.
XVI
;
— mano
eseguito per
sono
ste
di
—
38
un centurione
di nomePa])irio(i).
poche notizie che intorno
le
al
Que-
tentativo di Clodio
Macro tramandarono gli storici antichi. Le monete di lui, ancora esistenti, attestano che egli, deposto il titolo di legato im])eriale, aveva assunto quello di prò prae{tore) Africae
(^),
titolo proprio del secolo settimo di
dà argomento al Mommsen per asserire che la rivolta di Clodio Macro ricade nel numero di quei tentativi che, alla morte di Nerone, avvennero in varie provincie
Roma. Questo
fatto
dell'impero e che costituiscono, nel parer suo, l'ultima lotta
che la repubblica romana sosteime per risorgere sulle rovine
movimento repubblicano Nerone, propugnata dal Mommsen (^), non ha,
del principato. Questa ipotesi di un alla
morte
di
a mio avviso, grandi probabilità in suo favore di averla soltanto accennata, poiché la oltre
piti
ma
(*).
gliamo ora occuparci, di quella, delle forze militari delle quali effetto
:
l'una vìen
cioè,
si
interessante, vo-
numero Clodio per mandare
che concerne
servi
chiamata Leg{io) III
(Lib{eratrix)
AugiustaYj l'altra, iegf(io) Ilib(eratrix) Macriana risulterebbero, adunque,
due cose
legione III Angusta, di cui gato, aggiunse
(L
e.
p.
il
XX) ma
come
soprannome
:
(^).
Da
prima, che Clodio,
ciò alla
già sappiamo, egli era
di Liberatrice
;
le-
che, poi, per au-
—
Il Mommsen Plut., Gcdh. 15. crede Trebonio Gariiciano governatore della Mauretania Ce-
Tacit., Hist,
sariense,
il
Le monete clodiane ricordano
suo tentativo.
il
due legioni
(1)
qui basta
esamineremo a fondo
Di un'altra questione, invece, non meno
ad
;
il
l,
7
;
IV, 49,
cf. I,
Pallu De Lessert
37.
{Fastes des 'provinces africaines,
I,
531) fa notare giustamente che Trebonio deve aver governato la Mauretania Tingitana, poiché, a capo della Cesariense, Nerone aveva potato Lucceio Albino (2)
VI,
p.
Per 288
il
le ;
quale la governò fino al tempo di ViteUio. di Clodio Macro et". Eckiiel, Doctrina
monete
MiJLLER, Numismatiqne de V ancienne Afrique,
Cohen, Médailles (3)
p.
=
Kampf
(*)
V. pag. 79 e seg.
(*)
Vedi
le
I'^,
p.
II, p.
der
opere citate nella
n.
Vet.,
170
;
317.
rómischen Republik {Hermes XIII Gesamm. Schriften IV, 333 e segg.).
I)er letzte
90 Begg.
imperiales,
Num.
2.
(187v^
— meritare
le
—
39
mezzo di milizie raccolte nella stessa formò un'altra legione, la I Liheratrix,
sue forze per
provincia d'Africa, che, dal suo
mi
nome,
volle
chiamare Macriana. La conclusione
pare, ovvia e spontanea
tutti
peraltro
non
pensano egualmente su questo punto. Lo
Schiller,
infatti,
sarebbe,
;
la
asserisce che Olodio, licenziata la legione III Augusta, ne
formò due nuove che
chiamarono I
si
e III
Macriana
(^).
Ma
questa opinione dello storico dell'impero romano non mi
pare affatto sostenibile, poiché nulla prova, nelle fonti, che Clodio avesse disciolta la legione III Augusta e
le
sue monete
non autorizzano, in alcun modo, ad ammettere l'esistenza di una legione III Macriana, quando esse ricordano soltanto la I Macriana e la III Augusta Liberatrice. Di un'altra opinione è il Mommsen (^), nella quale concordano in sostanza anche secondo
Clodio, alla
poi, il
sua legione,
il
Fiegel
(^)
ed
il
Boissière
(*).
Mommsen, avrebbe dapprima aggiunto cioè, alla III Augusta, il nome di Liberatrice il
;
congedatala, l'avrebbe restituita di nuovo mutandole
nome
primitivo
quello di I Liberatrice Macriana.
in
questa sarebbe, nel parere del per conciliare
i
avvenimento eohortesque
si
(le
due seguenti riferiscono milizie
noto. De formano
mox
Macro, eepere
I,
;
pa.ssi di
Hist
ausiliare
II,
della
maniera
la sola
Tacito che a questo 97
:
in Africa legio
legione
che,
com'è
naturale complemento) delectae a Clodio
a Gotha dimissae, rursus iussu Vitella militiam
11
cro contenta
il
:
Mommsen,
E
:
Africa ac legio p) in ea interfecto Clodio
Ma-
qualicumque principe post eocperimentum domini
minoris.
{^)
Geschichte dee ròm. Kaiserzeit,
(2)
L. e, p.
{^)
li istoria legionis
(*)
i: Algerie Tumuline (2 édit.), Paris, 1883, p. 483.
(^) I
cAxMcÀ
hanno
psie e accettata ormai nes, diremo col
1,
p.
367, 965.
XX. III Augnstae, Berlin, 1882 pag.
legiones
da
tutti
Mommsen
memoriae contrarium
(I.
est,
i
;
legio è
16.
una correzione proposta dal
più recenti editori di Tacito, poiché
e. p.
XX), quod
est in libro,
«
Li-
legio-
non solum rerum
sed item sermonis latini legibus
».
—
40
—
Dal primo passo di Tacito risulta chiaramonto
(ciò
che
viene confermato dalle monete) che Clodio
formò una legione ma, d'altra parte, i due testi combinati insieme provano anche che, in Africa, alla morte di Clodio, non vi era ;
piti di
una legione
(^).
Così ragiona
il
Mommsen
per dimo-
Augusta con la I Macriana a comprendere il suo ragionamento,
strare l'identità della legione III
:
ma, o io non sono riuscito oppure quella conciliazione che egli crede di aver trovata nei passi di Tacito si trasforma, con la sua ipotesi, in una vera e propria contradizione.
ferma
Mommsen,
il
E
difatti, se fosse
la legione
III
vero quanto
af-
Augusta sarebbe stata
da Galba (ciò che, anche secondo il Mommsen, deve esser avvenuto contemporaneamente all'ordine dato dallo stesso Galba di uccidere Clodio Macro) e, dopo l'uc-
licenziata
cisione di Clodio, avrebbe continuato a militare in Africa,
contenta, al pari di questa provincia, del nuovo stato di cose post experimentum domini minoris, e tutto ciò nel me-
desimo tempo. La contradizione sarebbe, mi pare, evidentissima {^)
(^)
ma
;
L. e, p.
in Africa fuisse
tum
XX: Eo «
Il
1,
Pfitzner
11)
modo
mortuo (Clodio Macro) non plus unain legionem
idem Tacitus
altero Hist. (^)
poiché Tacito non può essersi in alcun
significat
cum
modo
loco
citato {Hisi. II, 97,
».
{Geschichte der
Bòm.
Kaiserlegionen, Leipzig, 1881,
crede che l'ordine di congedo della legione
Macriana, dato da Galba, poiché Tacito « die Verhàltnisse zu Rom und in den Provinzen zur Zeit des Einzugs Galbas in Rom schildert {Hist. 1, 4-12), so konnte er in Bezug auf Afrika nicht anders rechnen, als dass er von zwei dortigen Legionen spricht {Hist. I, Il
p. 48)
sia posteriore a quello dell'uccisione di Clodio.
I
E
Africa ac legiones in ea). Darauf haben die Editoren nicht geachtet. Dieso von Galba nunmehr (mooc) aufgelòste Legion nennt Tacitus spàter
Prescindendo dalla questione filologica di questo passo di Tacito, già accennata, osserveremo al Pfitzner esser molto più probabile che l'ordine di congedo della legione Macriana abbia coinciso con queUo dell'uccisione di Clodio né vale l'argomento che Tacito ricordi pili tardi, cioè, nel libro secondo, il congedo di codesta legione, poiché egli lo rammenta in quel libro non perchè esso sia posteriore all'ordine dato da Galba a Trebonio Garuciano, ma perché dovendo, ivi. lo storico dire che la legione di Macro rursHS iitsstt Vitella militiam veperat. crede opportuno di toccarne, con quel suo fare laconico, le vicissitudini tino dalla sua prima origine. {Hist.
2,
97)
').
;
.
Il
— 41 — con tra dotto, tutto
tempo
nell'Africa, al
non
di
una
trastabile,
primo passo
modo
provato in
e
inco]S"el
adunque. Tacito accenna
alla
{Hist.
II,
97),
Macriana
sue milizie ausiliario)
(e alle
Augusta, venne formata da Clodio e
che, accanto alla III
poi congedata da Galba
come una
11), invece,
(I,
arnmotta,
^ià fu veduto, dalle monete clodiane.
leo^iono I Liberatrice
condo passo
si
due legioDi
di Clodio, Pesistenza di
sola, ciò che, del resto, è
come
purché
spiofra bollissimo,
si
legione ribelle
nel se-
;
Tacito allude alla legione III
Augusta che continuò a militare in Africa, anche dopo la morte di Clodio, contenta del nuovo principe, poiché certo essa non poteva rimpiangere il governo tirannico del suo antico legato. Il
sul
Grotefend
(^)
e
il
Marquardt
passo già citato di Tacito (Hist.
fondandosi
sostengono che
II, 97),
da Vitellio e poi congenuovo da Vespasiano, hanno fatto dire a Tacito, a
la legione
data di
Macriana venne
quali,
i
(2),
mio av\àso,
piiì di
restituita
quello che fosse nel suo pensiero.
E
difatti
l'espressione militiam cepere, che si trova nel passo di cui ci
occupiamo, mi sembra che non possa convenire a una vera e
ma
propria restituzione della legione,
altre espressioni
arma capere (Ann.,
resumere (Hist.,
Il,
67
;
44
;
equivalente alle
sia
arma
Ili, 38), militiam,
lY, 76)
usate dallo stesso
(^),
Tacito e che vogliono significare semplicemente prendere
armi o riprendere
una vera
servizio militare.
il
usando un termine che gusta
(*) lo
quali
(^) (^)
(*) (^)
oit.« p.
fosse trattato di
si
avrebbe
Vitella restituta, renovata,
trova adoperato in quelle iscrizioni
rammentano appunto
licenziata
ch(3,
tuita, noi 253,
(^)
si
e propria ricostituzione della legione. Tacito
detto probabilmente legio iussu
africane
Se
le
da Gordiano
da Valeriane)
la legione III
III, nel 238,
e Gallieno
(^).
venne
Se inoltro
Au-
resti-
si
con-
Legiones (Patjlt's, Eeal Encycloj). IV, 871). StaatHverwaltung IP p. 449 n. 2.
mililiam capeKsere di Plinio, (J.I.L. Vllf, 2482, 2634. (Jf.
il
IIbnzkn,
494 aegg.
1.
o.,
p.
60;
i\IoiviM3EN,
1.
Hifit,
e,
p.
nat.
XX;
VI, 66. lioiasiÈRE, op.
— 42 — beno
siderano
lo
parole
che
quelle ^ià citate nel passo di Tacito dcibat inpigre
nomina,
e si
non
convincersi che Vitellio
il
:
simul cetera iuventus
rammenta che
proprio la voce tecnica equivalente facile
immediatamente a
se^ruono
al
il
i
armi
soldati sotto le
(i
nomina
nostro arrotarsi
restituì, nella
sione del termine, l'antica le orione Macriana,
soltanto
dare
(^),
è è
vera espres-
ma ne richiamò
quali alla chiamata accorsero
volonterosi) incorporandoli in altre legioni e probabilmente
E
nella III Augusta.
vinti in
quanto
procedesse,
dobbiamo di ciò essere connon attestano punto che Vespasiano
tanto
le fonti
come vogliono
una nuova dimissio
piti
il
Grotefend e
il
Marquardt, ad
della legione Macriana. Tacito, infatti,
nel passo piti volte ricordato, altro
non
dice se
non che Ve-
spasiano, al contrario di Vitellio, aveva lasciato nell'Africa tristi ricordi del
Dalle cose
suo proconsolato
qui dette risulta sufficientemente provato
fin
che la legione III Augusta non
con
i^).
la legione I Liberatrice
deve affatto confondersi
Macriana. Questa ebbe esistenza
separata e distinta e quantunque sia stata cosi effìmera da
non
lasciar traccia di sé che nelle
autore, pure legioni
(^)
il
romane
Vedi
i
nome
monete
superstiti del
suo
di essa deve figurare nella storia delle
(^),
testi citati dal
Bouché-Leclercq, Manuel
maines, Paris, 1886, p. 272 n. 5. (*) Tacit., Hist. II, 97. Suetonio {Vespas.
spasiano governò l'Africa integerrime nec sine
des Inst.
ro-
4),
invece, dice che Ve-
magna
dignatione...nxsi quod
Hadrumeii seditione quadam rapa in eiim iacta siint. Però, come nota anche il Tissot {Fastes de la Province Eom. d'Afrique, Paris, 1886, p. 66). è più da prestar fede a Tacito che a Suetonio, poiché Vespasiano venne riconosciuto imperatore nell'Africa non senza una forte opposizione. (^) V. intorno a Clodio Macro, anche Cagnat, Armée romaine d'AVaglieri in De Ruggiero, Dizion. epigrafico l, frique P, 142 e segg. Lessert, Fastes des prov. afric. I. 318; Groag. CIoìUus de Pallu 816; ;
Macer
in
Pault Wissowa,
R. E., IV, p. 79 n. 38.
I
SENATORI PEDARII
^'^
I.
Intorno ai pedani fu scritto molto si
possono ridurre
le ipotesi
con
le
(^):
ma
a due soltanto
quali cercarono gli eruditi
problema delle antichità romane. Alcuni, tra cui l'Hofmann, il Eein ed il Mommsen, credono essere stati i pedani quei senatori, i quali, prima della loro entrata nella curia, non avevano occupata alcuna magistradi spiegare questo oscuro
chiamavano in tal modo perchè, privi del diparlare in senato, potevano solamente prender parte
tura e che ritto di
(^)
nella
si
Questo studio è composto di due
Rivista
italiana per
le
articoli;
scienze giuridiche,
primo pubblicato
il
1886
;
e
il
secondo nel
Romano, 1889. (2) Vedi, tra i più antichi, Manuzio e Zamoscio, de Senat. Rom. in Graevii, Thesaurus, 1, pagg. 1018-1082; tra i moderni, Becker, Handbuch der Róm. AlterthOmer, II, 2, pagg. 431-434; Rein, Senatus nella Enciclopedia Reale del Pauly, VI, pag. 1004; Hofmann, Der róm. Senat, pagg. 19-34; Mommsen, Róm. Forschungen, I, pag. 257-60 263-268 Clason, Krit. Erórterungen, pag. 135 segg. J. Becker, TJeber die Zusammensetzung des róm. Senats und inshesondere ueber die sogenannten pedarii negli Hessische Gymnasialhlàtter I (1845), pag. 39 segg.; Noch ein Wort uéber die pedarii im róm. Henat nella Zeitschr. f. Alterthiimswissenschaft, 1850, pag. 20 segg.; Lange, Róm. Alterth. II, (2» ed.) pagg. 361-354; Zumpt, Comment. Epigraph. I, pagg. 130 negg. Monro, On the pedarii in the rom. Senat nel Journal of Philology, IV (1872), pagg. 113-119; Willem», Sénat Bollettino delV Istituto di Diritto
;
;
;
,
;
de la Réj). Romaine,
I,
pagg. 137-145
Madvig, Verfassnng,
;
Droit public romain
=
(7. ed.),
pag. 165,
UÉtat romain, II, pag. 36 Ml8P0TJLET, Inst. polii, des Romains, I, pag. 164 segg.; Herzog, Róm. Staatsverf assumi, I, pag. 888, n. l Karlowa, Róm. Rechtsgeschichte, I, pag. 361; Bouché-Leclergq, Manuel des Institutions Romaines, pag. 97-98. n. 3
;
I,
;
pag. 315
;
—
—
votazione finale
alla discessiOj cioè, alla
e
44
Willems, sostengono che pedani erano
il
come a
cunili, ai quali,
modo
diritto
il
tempi dell'impero,
contrappone
si
al
Willems,
Il
conda
ipotesi,
adduce, in favore della sua
ma, per quanto gravi siano queste e sottile sia
il
modo
suo
sempre alcuni dubbi
di
5txa-
questa
se-
tesi,
molte ragioni,
ragioni, per
quanto abile
me rimangono
di argomentare, a
sulla
index pe-
(i\i.^(xb'i\ioq
strenuo difensore
piìi
il
il
magistrato che am-
ministra la giustizia, seduto sulla sedia curule GTfi<;).
nome perchè
sedere^ sulla sedia cunile, nello stesso
d,i
(xajxatStxaaTi^c)
il
ius senten-
il
che portavano un tal
che, durante gli ultimi
daneus
i
tutti gli altri, spettava
tiae dicendae et ferendae e
non avevano
Lange senatori non
tra cui
altri,
;
bontà del sistema, da
lui soste-
nuto, che qui intendo di esporre brevemente.
H
testo in cui
Aulo Gelho per intero.
parla ex professo dei pedani è quello di
si
«
Non
stimiamo opportuno di riportare
che
(III, 18)
pauci sunt, qui opinantur,
tores appellatosi qui sententiam in senatu
sed in alienam sententiam
pediòus irent.
senatusconsultum per discessionem
fiebat,
«
pedarios
»
sena-
non verbis dicerent^ Quid igitur f cum nonne universi
se-
naiores sententiam pedibus fer ebani f Atque haec etiam voca-
quam Gavius Bassus in commenta-
buli istius ratio dicitur,
Rns
enim
suis scriptam reliquit. Senatores
aetate,
dicit in
veterum
qui curulem magistratum gessissent, curru solitos honoris
curiam veM, in quo curru
gratia in
eam causam
considerent, quae ob
«
sella esset,
curulis
super quam
appellaretur
»
;
sed
nondum ciperant, pepropterea senatores nondum maio» nominatos. M. antem Varrò in
eos seniores, qui magistratum curulem
dibus itavisse in curiam ribus honorihus
«
pedarios
SATIRA Menippea, quae
dam
dicit
«
pedarios
qui,
nondum a
non
erant,
veniehant
»
'I:t7:oxùa)v
appellatosi
inscripta
videtnrque
sed quia Jionoribus popiili et
sententiae ius habebant.
non
est,
equites quos-
eos
significare,
censoribus in senatu tu ledi, senatores quidem
stratibus functi, si
senatores
:
nondum a
erant,
et,
usi erant,
Nam
et
in senatu nt
curulibus ntagi-
censoribus in senatu m
lecti trant,
quia in postremis scripti erant, non
ro-
—
45
—
gabantur sententias, sed, quas principes dixerant, in eas scedebant
Hertz, Berlin, 1883)
come ben
Ora, risulta
(ree.
»
vede, da
si
di-
(^).
questo passo di Aulo Gelilo
chiaramente che, secondo l'opinione dominante {non
pauci sunt qui opinantur), pedani erano quei senatori
i
quali
un parere motivato, ma facevano conoscere la loro opinione andando a collocarsi vicino a coloro di cui approvavano l'avviso. Lo stesso dicono il mi-
non avevano
diritto di esprimere
mografo Laberio in questo verso di un suo conservato da Gellio
e
(Stricturae)
(III,
mimo
perduto
=
Eibbeck,
18,
9
Com. Rom., Fragm.^ pag. 293): Sine lingua caput peda/rii sententia e Lucilio,
secondo quello che
guente, pag. 210
quom
ait
:
«
Agipes vocem mittere coepit
;
Feste nel passo
ci riferisce
Fedarium senatorem
:
est
».
significai
Qui
se-
Lucilius^
appellatur,
ita
quia tacitus transeundo ad eum, cuius sententiam proòatj quid indicai
sentiate
(^)
»
(^).
Insostenibile è la definizione che Aulo Gellio deduce dalla espres-
sione sopra citata di Varrone, secondo la quale
ex -magistrati,
vano
quali,
i
pur non essendo
ius sententia e dicendae.
il
assai
bene che Gellio
strati
non senatori
si
tenuti in
non
{Sénat,
I,
pag. 138) rileva
nome figurare nella lista. Willems (op. cit., I, pag. 143, n.
il
di Varrone, riportato
rios appellatos,
Willems
si
loro
da
Gellio, equites
riferisce ai senatori.
considerazione
Come
minore dei senatori
i
quosdam
dieit
I.
Enciclop. Reale del
6)
che
peda-
curuli, così Varrone,
—
li
per
chiama
Cadono cosi le ipotesi di coloro Becker, Zeitschr. /. Alt., 1850, pag. 21 segg.; Rein. Fault, VI, pag. 1004) che vorrebbero i pedarii fos-
equites pedarii, cavalieri a piedi.
specialmente
non
Inoltre
senatori pedarii sono
porre in satira alcuni cavalieri poco degni dell'ordine equestre,
(cf.
gli
ave-
in postremis scripti erant, mentre è chiaro che,
osserva giustamente lo stesso testo
pedarii sarebbero stati
contraddice, poiché afferma che quegli ex-magi-
essendo senatori, non poteva
il
Il
i
inscritti nella lista senatoria,
sero stati cavalieri.
Essendo
voce agipes sconosciuta nella lingua latina, i critici tentarono di correggerla. Il Mììller {Festns, exc. pag. 9) propose di leggere afiipes =x acupedins, la quale parola, secondo Paolo, pag. 9, indicherebbe colui al quale praecipww, erat in currendo acifmen pednm ; ma questa (2)
la
correzione, pro]:)()Hta dal
Miiller,
non ha incontrato favore. Lo Hirsch-
{Hermes VIII, 1874, pag. 468 segg. = Kleine Hchriften, propone di leggere, così il verso di Lucilio Ga4, pes vocem mittere coepit ;
¥¥.1.1)
:
UÉL
p.
788 e segg.):
-^ 46
me
Questi tre testi a
—
sembrerebbero decisivi per affermare
non avevano, nel tempo, almeno, a cui quei testi si riferiscono, un ius scntentiae dicendae completo così peraltro non pensa il Willems. Osserva egli che i pedani, essendo interrogati dopo tutti i senatori curuli, non avevano, per regola generale, occasione di esprimere un avviso motiche
senatori pedani
i
;
vato, poiché, d'ordinario, la questione, di cui trattavasi, era già esaurita prima che a loro spettasse di parlare, sovratutto
tempi della repubblica quando
negli ultimi
centocinquanta
e piti senatori curuli.
Ma
contava
la curia
se,
di regola, l'opi-
nione dei pedani non era domandata, non deve concludersi,
continua lare,
Willems, che ad
il
poiché provano
tentias, di cui si
il
essi fosse
negato
contrario l'espressione perrogare sen-
27
ciascun senatore
(XXIX,
servono frequentemente Livio
Suetonio (Aug. 35) e Tacito {Hist. IV, di Dionisio (XI,
diritto di par-
il
cf.
58; VI, 69; VII, 47),
quindi
(e
testimonianza
la
9),
il
19),
diritto che
il
pedarius) aveva di rivolgere
domande ai legati stranieri, introdotti nella curia e finalmente alcuni esempi storici. Esaminiamo questi vari argomenti addotti dal Wil-
E prima
lems.
perrogare sententias del senato
modi
per
esset,
per
primo
caso,
il
Il
pure legge
verso
C. Celio
si il
È
noto
discessionem,
duhia
cosi
f
cosa
significa
che, secondo
il
romano, un senatocon sulto poteva
aut
:
che
tutto
di
il
si
Lachmann
riferirebbe, dice
dopo
regolamento farsi
consentiretur,
singulorum sententias
presidente,
l'espressione
aut,
Nel
dopo aver,
cioè,
nella 8ua edizione di Lucilio,
Hirschfeld,
lo
sentenza
alla
quale, secondo Vauctor ad Ilerenn.
(II,
res
si
(^).
exquisitas
la relatio,
in due
13, 19),
fr.
del
1098.
—
giudice iniu-
absolvit
riartim eum, qui Lucilium poetam in seaena nominatim laeserat, e che
perciò da Lucilio venne deriso nelle sue satire
nunc, Gai, qvoniam incilans nos
laedi'
(cf.
vicissim).
fr.
C.
876
Lachmann
Celio sarebbe
:
una
stessa persona con C. Celio Caldo console nell'anno 94 a. Cr. e che. iU
tempo
del processo
avvenuto
negli ultimi anni della vita
—
sarebbe stato senator pedarius. La congettura ingegnosa, ma sempre una congettura. Gell, XIV, 7, 9. (1)
di
Lucilio,
dell' Hii'schleld è
molto
—
47
esposto la quostiono sulla quale
— il
formula una proposta su
liberare,
avviso, invita
i
senato era chiamato a de-
senza chiedere
cui,
il
loro
senatori a votare. Nel secondo caso, invece,
domanda
il
parere di ciascun senatore secondo l'ordine col quale esso
si
il
presidente,
prima
di passare alla votazione,
trova inscritto nelV album senatorium il
sijO'nifìeato
della espressione
(^).
È
questo appunto
perrogare sententias
ma
;
io
non vedo proprio che cosa essa provi in favore della tesi sostenuta dal Willems. E difatti supponiamo che un senatore interrogato
dal presidente sull'argomento
ciirule
sia
rélatio.
Quel senatore ha
il
dovere di rispondere,
ma
lems medesimo m'insegna che esso può esprimere
O
avviso in tre forme affatto diverse.
leva in piedi e pronuncia a dirittura
il
della
Wil-
proprio
il
senatore curule
il
un
si
discorso, oppure,
rimanendo seduto, dichiara di associarsi all'opinione di un precedente oratore che nomina
(verbo
oppure,
adsentiri),
senza parlare, va a collocarsi vicino a quello di cui approva (pedibus ire in sententiam alienam)
l'avviso
(^)
(^)
Willems, Sénat, E, pag. 178
Le
tre forme,
con
le
segg.
;
(^).
Se adunque
Droit p. romain, p. 173 segg, un avviso,
quali potevasi esprimere iu senato
sono menzionate da Livio, XXVII, 34 e da Vopisco, Aurei. 20, il quale però ricorda anche l'alzar delle mani, una quarta forma che si era aggiunta durante l'impero. Cf. Becker, Bóm. Alt., II, 2, pagg. 431-433; Wil-
—
lems, Sénat, II, pagg. 185-188; Droit p. romain, pag. 175. Non bisogna confondere il pedibus ire della discessio definitiva, cioè, della votazione che avviene da ultimo sopra una sententia, col pedibus ire mediante il quale il senatore, interrogato dal presidente, indica il suo avviso. Cf. Cic, ad Q. pare, che
che
il
l'
Hofmann,
fr. II, il
1,
Rein,
3. il
È in forza di questa confusione, mi Mommsen, e il Karlowa sostengono
pedarius fosse privato del ius sententiae e potesse partecipare
soltanto alla votazione finale. definisce
il
11
Karlowa
sententiam dicere così
:
«
{B. Bechtsg.,
1,
pag. 360) p.
e.
Meinung durch Rede kundvon dem pedibus in sententiam
scine
geben » e lo vuole distinto « nicht bloss ire, sondern auch von dem verbo assentire, der einfachen wòrtlichon ZuRtimmung zu einer fremden Meinung », mentre queste sono, secondo quello che diciamo nel testo, forme diverse con le quali potevasi eser-
Anche
15ouché-Leclercq (op. cit., pag. 98-99), non distinguendo bene queste forme, ammette che i pedarii « renon9aient généralement a la parole, comme leur surnom l'indiquc, et se citare
il
ius sententiae.
il
contentaient de prendre pail au vote final per discessionem
».
— un sonatore
—
48
(Minile (^sereitava
ìms sententiae, esprimendo
il
suo avviso con una qualunque di queste tre forme che ab-
il
biamo
indicate, è chiaro che lo esercitavano anche
i
senatori
pedani, sebbene a loro, che venivano interrogati da ultimo e
quando ormai
la questione, su cui discute vasi, era esaurita,
fosse concesso di esercitarlo soltanto
con l'ultima forma del
pedihus ire in sententiam alienam. I pedarii, in.somma,
stinguevano dai sfvnatori dicendae, più per la
rispetto
ciiruli,
forma che per
ius
al
la sostanza, e
si
di-
sententiae
questa
di-
mio avviso, è chiaramente indicata da Gellio passo piti sopra riferito poiché quando il nostro autore
stinzione, a nel
;
scrive che
pedarii, secondo la opinione
i
dominante, senten-
tiam in senatu non verbis dicerent, sed in alienam sententiam
non intende dire che a loro fosse interamente negato il ius sententiae, ma che essi non potevano esercitarlo nella forma più ampia, che chiameremo espressa (verbis), ma pedihus
irent,
solo nella ire
forma più
ristretta,
in sententiam alienam).
che chiameremo tacita (pedibus
Ne
questa interpretazione
.a
ri-
pugna, mi pare, la testimonianza di Dionisio, invocata dal Willems, il
il
quale menziona spesso sedute del senato in cui
prcvSidente
cf.
domanda
58, VI, 69, VII, 47)
;
l'avviso di tutti
i
senatori (XI, 21,
anzi l'ultimo di questi passi citati con-
ferma, mi sembra, la nostra interpretazione. Dionisio, VII, 47
:
TCpwtoi
àvbiavTO.... teXeotalot 6è
yàp
tjV
bi
aocpwrepov
aca)(^uvrj^
eivat
ol
vewTaxoc Xóyov
izpza^hzou'
ÓTraitxwv....
ouSsva Xi^owzzc,, £ii
eTutxupoOvie^
5è
tòlq
xecfiéva;^
Ora questo passo a mio parere, concorda con quello di Aulo
poiché esso diraostra in alcuni senatori (Xóyov
[xèv
itbv
xóie Tw|JLatot^ xouio, xal véo^ oòSel? Tj^tou éauiòv
ÓTiaitxwv Yvw|jia^ (ree. Kiessling)
nisio,
Tipea^uTaioc
ol
(Jièv
Dice, infatti,
[AÈv
(^).
modo
chiarissimo che, nel
non esprimevano verbalmente
ou5lva XeYovte?),
ma
si
limitavano
il
orò di
rtov
Dio-
Gellio,
senato,
loro parere
ad approvart\
(^) Il NiEBUiiR {Eòm. Oeschichte, ed. Isler, U, pag. 109) ideutitìca appunto questi senatori vewxaxo',, di cui parla Dionisio, coi s. pedarii. Sui senatori seniores e iuniores nel primo secolo della Repubblica vedi quanto dice il Bloch, //tw orìgines dii Sénnt l\om., pag 279 sgg.
—
—
—
49
forma che noi conosciamo, Ma procediamo oltre.
certo nolla
da
altri.
^nà espresse
le oj)inioni
Era consuetudine^ dice il Willems, che i Ic^^^ati stranieri, dopo aver esposto al senato l'oggetto della loro missione, uscissero dall'aula ed aspettassero nella Oraecostasis la deli-
berazione del senato il
curule quanto
il
prima, però, ogni senatore (quindi tanto
;
pedarius) aveva diritto di rivolgere
domanda
O
ai le-
m'inganno di molto, o anche questo argomento nulla prova in favore della tesi sostenuta dal Willems. E difatti, da quanto fin qui abbiamo
gati qualunque
veduto, non risulta che
sonaggio il
muto
(^).
io
un
pedarius fosse, di diritto,
il
per-
in senato, che gli fosse legalmente interdetto
ma
diritto di parlare,
soltanto che esso
non poteva, sopra
una data questione, esprimere un avviso motivato è chiaro dunque che non gli poteva esser negato il rivolgere domande ad ambasciatori stranieri, poiché ciò non equivale in alcun modo ad esercitare il ius sententiae dieendae. ;
Il
Willems adduce
in sostegno della
infine,
alcuni esempi storici. Citiamone, per brevità,
208
a. Cr. il
provò
sua ipotesi, soli.
Nel
senato, deliberando sulla sorte di Taranto,
ap-
la sententia di
M\
Acilius (senatus consultum in
tentiam Jf.' Acilii factum
Glabrio fu console nel 191
208 esso era tutt'al
due
Liv.
est,
a. Or.,
XXVII,
25). M'.
pure esprime un avviso
che viene accolto dal senato. P. Servilius Yatia, a. Or. e
Acilius
tribuno della plebe nel 201; nel
piti quaestorius, e
console dell'anno 79
sen-
figlio
del
che fu egli stesso console nell'anno
non essendo certamente ancora senatore curule e propone ad una sententia espressa un emendamento che il senato approva (^). Ora
48, pretore nel 54, parla in senato, nell'anno 60,
questi esempi e gli altri citati dal Willems dimostrerebbero,
a mio avviso, una cosa sola feriscono,
i
senatori,
gistratura curule,
non mai che Liv.,
(^)
Cic, ad
godevano
Ali.
22 o I,
H)
^]] altri ;
ci.
ad
tempo a
cui
si ri-
non avevano occupata una ma-
quali
del ius sententiae
tale lo avessero
XXX,
(1)
i
cioè che, nel
:
senatori pedani,
i
toMì
completo,
I
;
come vuole
Willems, Sé7inl, II, p. 489. Willkms, i^énal, I, paft-. 141 8gg.
citati dal
Ali. II,
ma
,
il
Willems,
—
50
quale, ciò aroonxontaiiflo,
il
cadere in mia ])etizion di principio
;
non
i^oicliò
accorge
eli
suppone già
di-
si
come fatto indiscutibile, l'identità dei pedani coi non curuli, la qual cosa non è, in fondo, che una
mostrata, senatori
semplice congettura. In altri termini, per quello che ferisce agli
da
storici,
lui citati,
il
Willems spiega imo
due punti controversi del nostro argomento
dei i
esempi
pedarii
si
ri-
si
in che cosa
:
distinguano dagli altri senatori, con
l'altro
:
a
mentre questi due punti vogliono essere esaminati indipendentemente Puno dall'altro. quale categoria essi appartengano
Ma vediamo Willems, che
;
ora qual fondamento abbia la congettura del
pedani siano una cosa sola coi senatori
i
i
quali
non avevano (occupata antecedentemente una magistratura rule.
Essa riposa princi])almente
cu-
sulla definizione dei pedarii
proposta da Gavio Basso, grammatico dell'età augustea, e
da Gellio nel passo
ri])()rtata
volte citato.
piti
Ma
me
a
pare che codesta definizione sia da accogliersi con molto
come nota giustamente
riserbo, poiché essa è subordinata,
anche
il
Mommsen
ad una strana spiegazione etimologica pedarius ; infatti, i seziatori non curuli
(^),
delle voci curnlis e
sarebbero stati cliiamati pedarii perchè in senato,
carro.
mentre
Tutto
senatori curuli vi
i
come ben
ciò,
si
si
recavano a piedi
andavano sopra un
Willems porta un altro argomento. Cicerone, in una ad Attico 60
a. Cr.
(Ij
19, 9,) parla di
summa pedariorum
toritate facUiìn
;
al
Attico medesimo
eam sententiam nel ])rimo testo,
quindi (^)
8U8...
i
quale
nostri
pedarii siano
B. Forschungen,
I,
i
Aeniter bekleidet
dell'anno
voluntate^ nnìlins nostrum auc-
rapii m
in
4),
con queste parole
pedarii cucmrerunt. il
lett(^ra
ad
si
Il
:
Willems crede che,
riferisca ai consolari e pretoil; che
senatori di grado inferiore, cioè,
pag. 257, n. 11
da88 VOI Alters {in veterum
liwclieii
un senato consulto
il
allud(^ in un'altra lettera scritta
20,
(I,
Ma
vede, è poco credibile.
tteUite)
\\kiik^.n, peiì ari i
:
(^
die
die
i
Angabe dee Gavius Bas-
Seuatoieii.
ijeweseu seieu
—
die keiiie eiiie
eiiru-
Xaehrielit
deren (llaubwiiidii'keit durcli di»; sehr alberilo et ymoloi^isehe (.'ombiiiatioii von curidis uiid pedarius, welche Hastnis
wird
».
—
51
—
non enruli di fatti, continua il nostro autore, in quol tompo non vi potevano ossero senatori inferiori ai quaestorii tranne quelli (ledila lectio sullana dell'Sl a. Or., ma il loro numero, ;
non poteva esser sufìfìeiente per disporre della ma<>:ijioranza in senato. Mi sia consentita una breve osservazione^ a questo araomcMito del Willems. Ohe nella parola nostri del ])rimo testo ciceroniano si debbano comprendere, eerto ristretto,
in sostanza, tutti
modo
a mio
i
sen.atori curuli
mi par troppo
non sono che
di vedere,
i
soli
;
i
nostri,
senatori consolari
a cui apparteneva Cicerone. Si noti, inoltre, che la sententia, la quale,
per
voto del senato, divenne un senato consulto,
il
era stata proposta da P. Servilio Vazia (già ricordato
piti
che ha tanta cura di
M. Porcio Catone (^). Ora Cicerone far sapere ad Attico, e lo dice con
un
che la sententia di Servilio era stata
sopra) e appoggiata da
senso di sdegno,
approvata massimamente per opera dei pedarii, cioè degli ultimi tra
i
senatori, a fortiori
che l'autore o darii
ma
;
gli
non avrebbe mancato
autori di codesta sententia erano stati pe-
Cicerone non
lo dice.
Quindi due conclusioni
potrebbero ricavare da tutto questo
non
di dire
curuli, ai quali
:
la
prima, che
appartenevano Servilio
i
si
senatori
e Catone, l'uno
anno 60 (^), non erano pedarii ; la seconda, che la maggioranza vincitrice in quella seduta di cui parla Cicerone non era tutta formata di senatori pedarii. Del resto, che il numero dei senatori infequestorio, l'altro tribuno in codesto
riori ai questori, nell'età
non
pare, poiché
come
ciceroniana, dovesse essere esiguo,
è notc>, la lectio dell'anno 70
ebbe per
risultato l'eliminazione di ])en sessantaquattro senatori (Liv.,
«est enim illnd senatusconsultum summn pe19, 9 \ dariorum voliintate, mdUus nostrum auctoritate factum. Num quod m,e esse ad scribendum vides, ex ipso senatusconsidto intelligere potes aliam rem tum relatam, hoc autem de populis liberis, sine causa additum ; et ita jacVum est a P. Servilio filio, qui in postremis sententiam dixit. (^)
Cic.
ad
Att.
:
,
—
Ad
Att.
II,
atf,ribuis (2)
n.
1,
10:
Servilio
Quod Sicyonii
Willems, Sénat,
1102.
te
laedunt, Catoni
et
eius aemulatori
».
I,
jm^. 482 sgg.
;
Becker,
Alt., II, 2, pag. 433,
—
—
52
Per. 98), tantoché, corno nota anche
prohabilo cho, por colmare questi questa, infatti, la prima
di cittadini
i
censori del 61 (fu
numero normale noW album senatorium un
lectio sullana^
un numero abbastanza
dei
il
non magistrati,
nevano della
Anioti,
i
molto
è
(^),
dopo quella dell'anno
lectio
obbligati ad oltrepassare
dovessero inscrivere
PHerzog
70),
senatori,
numero
certo
con quelli che già rima-
quali,
possono benissimo aver formato
rilevante di pedani nell'anno 60 a. Cr.
Kelle curie municipali dell'età imperiale
i
pedani erano,
non avevano occupata antecedentemente alcuna magistratura. Lo attesta in modo positivo un monumento epigrafico dell'anno D. 223, voglio dire la lista dei decurioni di Canosa. li^album Canusimim (^) senz'alcun dubbio,
i
senatori che
indica infatti che quel senato municipale era composto di quinqiiennaUcii qnaestoricii
;
allecti inter
;
pedani
(^)
e che
;
senatori nullo Jionore functi
da
altri testi epigrafici
curie municipali erano
;
virali cii; aedilicii
pedani o pedarii fossero
i
(ITlp., fr. 1
Ora
II
io
municipali sono modellate su quella di
meno
ristretto
?
Ma
codesto
secondo
Willems, anche nella curia imperiale,
almeno di Tiberio, .come (Ann. Ili, 65 a. D. 22) sed
omnes
constilares,
Eòm.
(^)
TJt
:
freilich...
da questo testo
magna pars eorum, :
u
consen-a,
si
non modo primores
Staatsverfassung, pag. 896
(Senatoren) war dig,
risulta
voce pedarius
ra-
periodo
meno
il
curie
il
significato
ristretto della
i
delle
Eoma, per qual
gione la voce pedarius dovrebbe avere durante
repubblicano un significato
;
Dig. L. 3) risulta anche
domando, se i pedarii senatori non magistrati, se le
(*). i
qìiinq.
:
al
di
tem])o
Tacito
civìtatis....
qui praetura functi,
Fui' die Ergànzuiig jener 04
aufs neue ein Schub von Nichtbeamteu uotweu-
dem Rest der sullanischen Pedarier iu CiAbstimmung gebildet liaben ». CI. L.,IX,338 = De8saii, 6121;cf. ZuMPT, Comm. ^i). I.pag. 130.
und
80
kòmien
diese mit
ceros Zeit einen Faktor bei der (2)
Pedanens Gellio (III, {*)
dice
forma e4uivaleute a pedarius. Hoc vocabidum, a plerisque barbare dici aniìnadvertimtis. Nam prò
è un'altra 18, 10),
pedariis pedaneos appellant.
anche
i
patroni e
i
;
ì^eìWdbum decurionnm t^ono iut^eritti essi non contano nel numero dei
ma
Willems. Dr. Dessau, 6209; 6210.
senatori ordinari. Cf. (*)
—
praetextati
p.
romain.
])au.
524. n.
4.
—
—
53
mìiltiqrce etiam pedarii senatores certatim exsurgerent et
nimia censerent
».
Ai senatori
curuli, dice
Willems, cioè,
il
Tacito contrappone
ai consMÌares e ai pretorii,
foedaque
pedani. Gli
i
ex-edili curuli erano, in quel tempo, cosi poco numerosi che
menzione
lo storico
non ne
sempre
Willems, nulla autorizza ad ammettere che nel
il
fa
senato imperiale esistesse quaestorii o
speciale. D'altrcnde, continua
un grado
inferiore a
degli adlecti inter quaestorios
quello dei
(^).
ma, d'altra parte, bisognerebbe provare che nel senato imperiale non esistevano senatori inferiori ai quaestorii e le prove disgraziatamente mancano. Tutto ciò sta bene
Frontino
(de aquis,
l'anno 11 a. Cr.
(si
;
99)
rammenta due
senatori
che, nel-
noti la data che è anteriore a quella del
passo di Tacito), vennero dati
come
adiutori
(adiutores) al
aquarum Messala Corvino essi sono Postumio Sulpicio praetorins e L. Cominio pedarius. Ora, appunto, di L. Cominio nulla rimane nelle fonti per poter stabilire la sua condizione nel tempo in cui egli fu impiegato nell'ufficio dei curatori delle acque (cf. Lanciani, Acque e Acqueciirator
dotti,
;
Ad
pagg. 319).
dal Willems,
non può
siva in favore del tino le
ogni
modo
essere,
il
mi
Tacito, invocato
testo di
pare,
una prova
suo sistema, poiché certo lo
non pensava
deci-
storico
la-
di determinare ivi tassati^'-amente tutte
categorie dei senatori romani.
Da
adunque, che
ciò,
fin
intomo al secondo punto controverso del nostro argomento, mi sembra risulti in modo assai chiaro essere l'identità dei pedani coi senatori non curuli non un fatto positivo, bensi una semplice congettura per la qualcosa gli esempi storici addotti dal Willems e ricordati più sopra, fondandosi essi principalmente sopra questa congettura medesima, non y)ossono provare, nel parer nostro, che ai pedarii qui fu detto
;
s])ettass''
clic
com^'lcto
fornir('])be
riferito,
ma
tal
ins sententiae dicendae.
il
j)rova
sarebbe
che gio\a ripetere
giore chiarezza
:
ut...
(M Willems, Hénai,
(juello
ji.ell'
di
ultima
TI
solo
Tacito, or ])arte,
testo
ora
per mag-
multi eiiayn pedarii senatores certatim l,
x>ag.
146.
— exsnrgerent foedaque
nimia
et
non lasciano dubbi
cito
seduta del senato,
ma
tivato,
estendere
quando ne abbiamo samente il contrario
in,
possiamo noi essere autorizzati ad
tempi repubblicani questo
ai
La voce
:
loro
il
Ta-
una parere mo-
dice chiaramente che,
pedariì manifestarono
i
domando
io
censerent. L'es]>r(^ssiom di
(\iili
:
—
54
altri,
passo
Tacito,
di
per quei tempi, che dicono preci-
?
una denominazione tecnica, ufficiale, o soltanto popolare? Durante l'impero, il carattere tecnico della nostra voce non può esser messo in dubbio lo provano abbastanza i testi citati di Tacito, di Frontino e quello epigrafico cleW album di CaLivio nosa. Lo stesso non può dirsi per i tempi republicani non usa il termine pedarkis, in Cicerone lo troviamo due sole volte ed una in un frammento del mimografo Laberio (vedi sopra i testi citati). Lucilio (morto nel 103 a. Cr.) non conosceva la voce pedarius, poiché, se dobbiamo stare al pedarius quando ebbe ori
?
era essa
;
;
Festo, esso avrebbe foggiato,
passo riportato di
per desi-
gnare quella categoria di senatori, un termine tutto suo pro-
Prendendo adunque Lucilio come punto
prio. si
di partenza,
potrebbe asserire che la parola pedarius, d'indole popolare,
cominciò ad usarsi, per indicare una delle minori categorie di senatori, prol)al)ilmente inoltre,
e
AVillems
il
Cicerone e di Laberio lente nel
testo
riosa o per lo fatti, essere
alle satire
di
stesso il
di
si
già
spieglii,
rileva
non
si (^)
n.ei
è
e
questione, nel
suo equiva-
naturale.
Dovevano,
con
([uell'ironia
i
quali, essendo
altri.
il
ultimi
loro
pa-
ma dovtn'ano contentarsi modo che conosciamo, gli che giustamente
passi di Cicerone, di Laberio e di
oit.
in-
Ognun vede come benissimo
da
op.
nei testi di
i)oco e quindi offrire occasione
espressi
Herzog,
noti
con intenzione ingiu-
spiegherebbe punto, se invece, come Cf.
il
8i
(^).
non pote^'ano esprimere
tacitamen.te,
ciò,
sullani
riconosce, che
tem])o quei senatori
sopra una data
avvisi
Ed
ben
considerati
approvare
tempi
termine pedarius
ironica.
nella lista senatoriale,
rere
lo
i
Lucilio sono usati
meno
del
dopo
pag. 888.
il
Willems
Lucilio egli
i^
vuole,
chi' la
—
--
55
voce pedarius indicasse soltanto
con questo nome, non notevole
nalogia
pedarius e
»
sedeva
che
sonatore, designato
il
sulla sedia eurule
Willems ravvisa tra
il
index pedaneus
il
eh<'
molto,
soddisfa
né
;
«
l'a-
scnator
il
])()ichè,
pur
non volendo rammentare qui "il noto adajjio omnis comparano claudicai^ mi pare che la denominazione ufficiale di pedanei^ applicata ai giudici qui negotia humiliora diseeptant (e.
Cod.
5,
lust.,
Ili,
3) decrli ultimi
tempi imperiali, non popolare e forse
possa aiutarci a scoprire l'oripne tutta
anche satirica della voce pedarius dei tempi repubblicani.
II.
Come
si
chi erano
due domande senatori pedarii; qual competenza avevano ? fu
è visto nelle pagine precedenti, alle i
risposto assai variamente dai romanisti.
i
Alcuni, fra
quali
i
Karlowa e il Mommsen (^), dicono essere stati senatori non ex-magistrati, in tal modo chiamati,
l'Hofmann, pedarii
:
il
perchè, privi del diritto di parlare in senato, potevano sola-
mente prendere parte
alla
discessio o
questa opinione mi unisco anche senatori pedari,
termini,
ma non
si
finale.
rispetto alla qualità dei
lato che pedarii erano
dall'altro
che
il
loro diritto
pari degli altri senatori, avevano, a parer mio,
ma non
senatori
i
limitava a prendere parte alla votazione finale
tiae,
il
;
non
essi,
forma più
i
quali
il
o
andando cui approvavano il pa-
ristretta o tacita,
cioè a porsi a fianco del collega di rere. Altri, tra
al
ius senten-
potevano esercitarlo nella forma più ampia
espressa, bensì nella
A
rispetto alla competenza. In altri
ammettendo da un
non ex-magistrati, penso
io,
votazione
Willems, sostengono, invece, che
Nel Róm. Staatarecht, III, pag. 963, n. 1, 964, mi pare che il modificlji alquanto la sua opinione sostenuta nelle Eòm. ForschuTKjen, I, p. 257 e seg, poiché dice che « der AuBBchluss » dei pedarii (^)
Mommaen «
von
dei- IJrnfrage... in
ftàciilichcr
war
;
àlterer Zeit
ossia che
"
factisch
rechtlichtr, spàterhin ein that-
in nachRullanischer Zeit
diejenigen sind, welche bei der
und
eiri
Umfrage an
Henatores pedarii
letzter Stelle gefragt
an derselben sich nicht betheiligen
».
Cf. pag. 982.
werden
— pedani erano
come
56
—
senatori ex-magistrati non
i
spettava
ai eunili,
un
e elle j^ortavano
tal
il
ius sententiae dicendae
fu opposto
amministrava
il
modo
seduto
in
queste tre
qualcuna delle fonti relative a suo avviso, tutti
modo. Difatti
simo il
Landucci, tutti
non
pedari,
parte
«
al
alle discussioni e alle
sidente, poiché erano
Il
ravvisa
in
fa contraddire a
in quanto alla competenjza
senatori effettivi che
si i
curule.
nostro argomento,
senatori erano eguali;
i
(i),
mentre,
possono conciliarsi in semplicis-
testi
i
diritto
che in tempi
sedia
sulla
una sagace dissertazione ipotesi un vizio comune, che le
Landucci,
ferendae,
index pedaneus al magistrato che
giustizia
la
et
nome, perchè erano privi del
di sedere sulla sedia curule, nello stesso
posteriori
ai quali,
euinili,
i
votazioni
sì
i
secondo
»,
pedari, che
i
provvisori prendevano ;
ma,
molto innanzi nella
geva ad interrogarli quasi mai. In quanto
di fatto, lista,
il
pre-
non giun-
nome, in origine si dissero pedarii quei senatori che, non potendo farsi portare sulla sedia curule, dovevano andare a piedi al senato. Ma, aumentando ognor più, pel crescere delle magial
numero dei senatori curali, ed in pratica il presidente non giungendo quasi mai ad interrogare oltr'essi, bizzarri spiriti del tempo dissero che i pedari dovevano i chiamarsi così anche perchè non parlavan mai e la loro azione anzi questo moin senato era affidata soltanto alle gambe tivo si sostituì del tutto all'antico quando anche i senatori strature,
il
;
curali smisero l'uso di farsi portare in cocchio al senato.
E
poiché
il
presidente
non arrivava quasi mai nemmeno
ai
senatori provvisori o rivestiti del semplice esercizio dei diritti senatòri,
zione dei
non
anch'essi in pratica
con
po' spregiativo.
E
non
si
troA^arono nella condi-
curuli e furon colpiti (pur
loro dei curali)
visori
si
lo
quando erano
stesso ei)iteto scherzoso ed
poiché veime tempo in cui
ebbero che in fondo
ìya
anche un
senatori prov-
i
alla lista (poiché
non po-
terono essere se non dell'ultima categoria di magistrati e (') /
cademia
Senatori pedari, Saggio storico esegetico, p. 35 di scienze iu
Padova
»,
Nuova
Serie,
»
Atti delhi
il.
Ac-
IV (1888), pag. 33-78.
—
-
57
ex-magistrati viventi eraii tanti ehe bastavano a eom-
^li
pletare
il
senato) ne venne ehe essi
sero pedari.
Ma
il
nome non
piti
propriamente
divenne^ tecnico se
curie dei municipi, nelle quali servì a designare
non ex magistrati, non onorari
effettivi
minimum
feriori al
secondo infatti,
Landucci,
il ((
dell'età necessaria si
satira di Laberio,
sione dei pedari
non
;
è arguto
;
si
passi delle fonti
i
)>
discus;
infine
43 e seg.) Questa
(op. cit., p.
ma
;
frizzo di Lucilio, è vera la
il
argomenti coi quali
gli
difende, e quelli coi quali combatte
il
nostro
il
si-
mi hanno punto convinto e ne dirò le ragioni brevemente, se non altro per chiarire meglio il mio
stema, non assai
non ancora inIn questo modo,
è agevole a comprendersi Cicerone
opinione è assai ingegnosa,
Landucci
senatori
« i
non erra Tacito ricordando una
è strano l'albo Canosino
nelle
Gavio Basso, come
è attendibile l'etimologia di
quella di Aulo Gellio
non
dis-
o
».
conciliano tutti
si
;
pensiero.
Prima
di tutto, devo, sebbene
turbare l'armonia che la ipotesi del la
buona ventura
con mio rincrescimento, Landucci avrebbe avuto
di stabilire fra le fonti
;
ma
non posso
di-
spensarmene, poiché egli non tiene affatto conto del passo più importante, con cui comincia
il
capitolo di Gellio, III,
non pauci sunt qui opinantur, pedarios senatores appellatosi qui sententiam in senatu non verbis dicerent, sed in alienam sententiam pedibus irent. Il mio egregio avversario non dice una parola, nella sua dotta dissertazione, di questo 18
:
passo, che,
da
si
intende subito, è inconciliabile con la ipotesi
lui sostenuta.
Non
basta.
nioni precedenti alla sua,
Il
come
qualcuna delle fonti relative
al
Landucci respinge
le opi-
quelle che contraddicono a
nostro problema, e propugna
invece un sistc^ma di completa conciliazione fra queste fonti
ma
;
mi può insegnare che la conciliaquando le parti vogliono essere connostro, le parti, ossia le fonti, non mi
egli, giurista valente,
zione solo è j)Ossibile ciliate
;
ora, nel (;aso
pare che vogliano conciliarsi, poiché la contraddizione che
notiamo in
esse
non
è solo apparente,
ma
intrinseca. In altri
— 58 tonnini, la questiono dei pedani
per
moderni, poiché diverso è
i
discutono ed analizzano antichi stessi. Se
non è controversa soltanto il punto di vista dal quale
le fonti,
ma
era controversa per gli
capitolo di Aulo
il
vedremo frappoco, contiene, pugnanti, è naturale che
i
Gellio
infatti,
come
pedani, opinioni fra loro
sui
moderni, avendo dinanzi a loro
i
passi nei quali sono riassunte le discrepanze degli antichi sul nostro
loro
tema, seguano quei passi
sembrano più verosimili. Onde
tuita l'accusa di leggerezza che
e quelle opinioni
reputo del tutto gra-
io
Landucci rivolge
il
che a
ai suoi
avversari, tanto più che egli stesso cade, senza avvedersene, nel
medesimo difetto che rimprovera agli altri. Ma veniamo al passo classico di Aulo Gellio che mi
di-
spenso di trascrivere qui, avendolo più sopra riportato per intero (pp. 44-45).
Quel passo comincia con l'esporre
non pauci,
ossia dei
alla quale
pauci, ossia, 2) quella di
1) l'opinione
:
fanno seguito
Gavio Basso
le
3) quella di
;
comune,
opinioni dei
Aulo
Gellio.
L'opinione dei non pauci è rifiutata da Gellio con queste
cum senatusconsultum
parole
:
fiebat,
nonne universi senatores sententiam pedibus ferebant
quid igitur
?
per discessionem f
Le quali parole, in sostanza, vogliono dire questo l'opinione comune sui pedarii non è punto accettabile, poiché se fosse :
vera, ne verrebbe questa conseguenza, che tutti
sarebbero
pedarii,
discessionem, tutti
inquantoché, senatori
i
dall'altra parte della sala al
dremo frappoco come
momento
grammatico
perché in antico al
Basso,
i
della votazione. Ve-
Gellio, nello stesso passo, contraddica
pinione di Gavio
:
per
andavano a porsi dall'una o
come
tenore seguente
senatori
senatusconsultum
nel
a questa sua obbiezione, e
del
i
vi
possa rispondere. L'o-
si
pedarii erano
i
dell'età
Augustea, è
senatori
non cumli,
senatori curuli usavano
condurre
farsi
senato in cocchio, seduti sulla loro sella curulis,
mentre
dovevano andarvi a Gavio Basso ]>are al Landucci (op.
gli altri, privi del diritto di farn(^ uso,
piedi.
La
definizione di
cit. p. 37, n. 76)
tutta verosimile ed accettabile
;
a
me
pare
—
59
—
invoco poco crodibilo o siiì^ordinata ad una strana o falsa spiegazione etimologica dolio voci curulis o
un
difatti
43 45
vero che
ci
mostra come non
senatori curali avessero
i
in cocchio al senato
cesso
(^)
;
testo esplicito di Plinio ma
141 od. Detl(^fson)
§
pedarius
;
condurre
diritto di farsi
il
questo era soltanto
ad alcuni personaggi eminenti.
Il
un
punto
sia
privilegio con-
passo è questo
:
tri-
C, che aveva vista salvando il palladium in un incendio del Vesta populus romanus quod nulli àlii ab condito
buit ei (L. Metello dittatore dell'anno 224 a.
perduto la
tempio di
)
aevo, ut quotiens in
magnum
ei
senatum
Popinione di Ga^do Basso, senatori
dei
curru veheretur ad curiam
sublime, sed prò oeulis
et
dunque, a parer
di Plinio
diritto
irei,
datum
(^).
mio, distrugge il
curuli
curulis,
di
quale fa risalire quel preteso
veterum
alla
proposta
anche quella di pedarius
;
aetate,
alla
parole con
alla terza
a piedi, e che
natori
(^) (^) (•'*)
il
e
Cf. più Cf.
è falsa
cade
poiché
lo
grammatico non era punto (^).
opinione sui pedarii, o meglio a quelle
Gelilo
una sua
chiamandoli equites pedarios, cavalieri
Landucci (op. cit., pag. 31, n. 62) è d'accordo con noi nel non doversi punto riferire ai se-
Secondo Aulo
(*).
quando
Basso,
quali Varrone metteva in ridicolo, in
le
WiiJems
se
strano,
interpretazione data da Aulo
satira, certi cavalieri,
col
E
Gavio
sue spiegazioni etimologiche
Veniamo ora diremo
da
né ciò paia
stesso Gelilo avverte che cotesto felice nelle
Questo testo
completamente
invece, condito aevo, esso era a loro negato.
l'etimologia
:
sopra pag.
Hofmann,
Gelilo,
pedarii
sarebbero stati
Willems,
Sénat,
i
50.
Rfrm. fienai., p. 21
;
I,
p. 132, n. 6.
Infatti, a propoHito della etimologia della parola divinatio pro-
posta da Gavio Basso, Gellio, II, 4, 4, fa questa osservazione nimis quidem est in verbia Gavi Bassi ratio imperfecta vel magia inopa et ieiuna ; :
cf.
Gell. Ili, 19. ("*) Di contraria opinione
p. HlìH n. 2
;
004,
ma non
è invece
il
Mommsen,
risulta chiaro
il
perchè. Certo è che un altro
Staatsrecht, III,
frammento
della stessa satira di Varrone, 'In7toxóo)v (Varronis, Saturae
ree.
pag.
liiese,
149)
:
ApoUonium
ideo excuriant, quia nihil habebat.
— non
sonatori provAdsorì,
60
—
offottivi,
che avevano
il
ius senten-
tiae dicendae; essi, infatti, scritti in jfìne della lista senatoria,
non erano chiamati
ad.
esprimere
loro parere,
il
non
roga-
hantur sententias, sed, quas principes dixerant, in eas discedehant. In questa opinione di Gelilo sono
da notarsi tre contraddizioni. La prima, rilevata già dal Willems (Sénat., I, 138) e non distrutta, secondo me, dalle osservazioni del Landncci (op. cit. p. 31, n. 63), è questa che gli ex magistrati non senatori effettivi, secondo Gelilo, in postremis scripti erant^ mentre è chiaro che, non essendo senatori, il loro nome non poteva figurare nella lista la seconda con;
traddizione
ma
terrogati,
finale {sed^ egli
che
è,
pedani, secondo Gelilo, non erano in-
potevano soltanto prender parte
quas principes dixerant^
aveva respinto
suo,
i
l'ipotesi
diritto dei pedarii a
il
(i);
tazione finale asserire
che
i
egli
mentre,
comune perchè
piti sopra,
limitava, a parer
prender parte soltanto
in terzo luogo, infine,
alla vo-
come poteva
Gelilo stesso la
f
La congettura dunque,
chiama (videturque
cercava di spiegare
etc),
con
la quale
parole di Varrone, che a lui mede-
le
simo sembravano oscure, checché ne dica in contrario ducci, è fica
i
non
Gelilo
senatori provvisori sententiae ius haòeòant e
poi che non rogabantur sententias
come
etc),
alla discessio
solo contradditoria,
pedariiy che
ma
il
Lan-
confusa, poiché identi-
sono senatori effettivi (come risulta chia-
ramente dalla definizione dei non pauci che li chiamano senatores), con i senatori prov^nsorì, i quali, perciò, dai primi
fa supporre che, nella satira,
si
parlasse di senatori
;
ma
allora potrebbe
dubitarsi se la lezione equites qyosdam sia veramente esatta, o se invece
quosdam (ci. Hofmann, op. cit.. p. 33. n. 13). un'epigramma di Marziale, I. 84. in cui il senso satirico è evidente dal contesto, può fornire un argomento di piti a conferma della interpretazione data, nel testo, al frammento
non dehh-dìeggeT&ì
senatores
l^equitihus vernis che trovo in
Varroniano.
Ad
ogni
lo stesso Oellio. col
modo
la
questiono è
Cf.
e si capisce
suo videi ur, fosse imbarazzato a spiegare
di Varrone. (^)
difficile
Hofmann,
op.
oit., p. 26.
le
perchè parole
— sono affatto indij^^ndonti
posta
notiamo
di tutto
cui egli cade dicendo fiebat,
O
Ma
:
torniamo
alla difficoltà op-
È
non pauci.
Gollio alla o])inion<' doi
ila
Prima
(^).
—
61
essa fondata"?
la inesattezza e la contraddizioni^ in
cum senatusconsultum
per discessionem
nonne universi senatores sententiam pedihus ferehant
f
che, forse, nel senatusconsultum per discessionem e in quello
per singulorum sententias exquisitas, l'ordine del voto e
modo
in cui
dichiarava non era identico, e quindi anche,
si
non poteva
in questo ultimo caso,
pedihus ferehant? ì^on è infatti
12-13)
dirsi universi senatores
per discessionem e tentias exquisitasj
il
Gellio
stesso
lo
quale censura la distinzione fra
il
il
(XIV,
7,
senatusconsultum
il
senatusconsultum per singolarum sen-
proposta da Varrone, come poco conve-
niente e concorda con Ateio Capitone e Tuberone nel soste-
nere che in omnibus senatusconsultis, etiam in relationem
necessaria?
fterent, discessio esset
(^)
diamo da ciò se veramente danno i non pauci avesse il ;
la definizione
significato
Gellio, l'obbiezione sarebbe certo fondata;
iis,
quae per
Ma
prescin-
che dei pedarii
che
le
attribuisce
ma, a parer mio,
non dicono che ai pedarii fosse negato il ius sententiae dicendae, ma che non lo potevano esercitare verhis, cioè con la piti ampia delle forme con le quali potevasi, nel senato, esprimere un avviso ai pedarii infatti era riservata soltanto l'ultima forma del
il
pensiero dei
non pauci
è tutt'altro. Essi
;
pedihus
ire
in sententiam alienam^ mediante la quale
natore, interrogato dal presidente, indicava
il
se-
il
suo parere,
andando a porsi a fianco del collega di cui approvava l'avviso. In altri termini, Gellio non ha compresa la definizione dei non pauci, poiché confonde il pedihus ire della votazione
comune a
finale,
una
delle tre
cosa non è (1)
Cf.
I
ammessa da
MoMMSEN,
codici
MoMMSEN
i
forme con
III, p. 902, u. 2 (2)
tutti
Rom..
senatori, col le quali,
pedihus
ire,
cioè,
con
giova ripeterlo perchè
la
potevasi esercitare, in senato,
tutti,
Forsehimgen,
I,
p. 260,
n.
17;
Staatsrecht,
Hc^r.
hanno pdfiiionem
(Slffdtftreeht.
gere ferroyalione.
ITI,
4S.*>,
;
cf.
n.
4)
A. Gell., Noci. Att., II, 218.
propone erronea mente
Il
di leg-
— il
sententiae
i?i.
62
—
Se ciò è vero, r()b])ioziono
(^).
rivolgeva all'ipotesi dei non pauci
Parmi dunque il
ogni suo valore.
})erd.e
di avere fin qui dimostrato che la conci-
liazione fra le fonti tentata dal
perchè
che Gellio
Landucci non è
possibile,
capitolo di Gellio sui pedarìi contiene una
vera
e propria serie di opinioni fra loro pugnanti, e che quelle le
quali
formano
Landucci
la chiave di volta del sistema del
sono inverosimili,
contradditorie e
non scevre
confu-
di
sione.
Mi
rivolgere alla il
da esaminare le obbiezioni che si possono definizione dei non pmici, sulla quale poggia
resta ora
sistema da
me
sostenuto
che contro la mia obiezione il i
si
ricava
ipotesi
;
dal
replicherò così agli argomenti,
adduce
passo
di
il
Tacito,
quale dice chiaramente che, in una
pedani manifestarono
il
La prima
Landucci.
Ann.
Ili,
seduta del senato,
loro parere motivato
:
etiam pedani senatores certatim exurgerent foedaqiie censerent.
A
65,
multiqiie et
nimia
questa obiezione risposi così: «possiamo noi
es-
ad esteudere ai tempi repubblicani questo Tacito, quando ne abbiamo altri, per quei tempi,
sere autorizzati
passo di
che dicono precisamente
Landucci (1)
Le
WiLLEMS
il
contrario?»
(op. cit. p. 39, n. 80) osserva
tre
:
(v. «
Ma
pag. 54).
il
dove sono questi
forme del ins sententiae dicendae. Dettamente distinte dal
{Sénat, II, pag. 185 e seg.), bouo queste: a) oratio
;
b) verbo
; e) pedibiis ire in sententiam idienam. I pedarii non hanno dimio avviso, che all'ultima, non anche alla seconda, come erroneamente mi fa dire il Landucci, op. cit., pag. 42. n. 88. Il Mommsen, (Staatsrecht, III, pag. 979) non ammette che le due prime forme e perciò, a torto, sostiene, con l'Hofmann e col Karlowa, che il pedarius fosse
adsentiri
ritto, a
;
privo del ius sententiae e potesse partecipare soltanto alla votazione Col nostro sistema cade l'obiezione dello Zoll (che ha scritto una dissertazione in polacco sui pedarii e dì cui mi è noto soltanto un sunto inserito dallo stesso autore nella Zeitschrift fur Privat und off. Fecht. XIII (1886 p. 740) secondo il quale « ist es schwer anzunehmen. dass einem Senator, dem ein votur,i decisivum zugestandex war. das votunt informativum - und ein solches war dodi das ius dicendae sententiae finale.
hàtte abgesprochen werden kònnen » Lo Zoll poi crede che il nome di pedarii servisse a designare quei senatori u meistens jungeren. die sich scheuten, mit einer eigeaen Meinung hervorzutreten ».
—
non ne ricorda alcuno prova negativa (e molto faticosa) che non
passi espliciti
altri
egli si limita alla
ce ne
—
63
?
il
Cantarelli
;
sono che ricordino senz'altro, o vi alludano pedari
come il Cantarelli, che pedari non ex magistrati, si basa su un
che parlano... Chi sostiene,
furono sempre
documento,
i
senatori
l'albo di
Canosa del III
all'epoca repubblicana
un
che non quello di Tacito. si sia
fatto di
Ed
due
quindi estende
secoli piti
lontano
è logico dubitare se
allora...
autorizzati ad estendere ai tempi repubblicani
di Tacito
con
sec. di Cr.,
me
?
))
Il
stesso
il
passo
Lan ducei vuole cogliermi in contraddizione e non si accorge che, ciò facendo, confonde
due punti controversi del nostro problema, mentre, per quanto collegati insieme, essi non possono servire l'uno a
i
riprova dell'altro. Altra cosa è ferisce
l'albo
alla
ai
si
noi
lo ripeto,
tempi repubblicani
tempi, abbiamo
non fauci Laberio che
il
(di cui
e quello di
dicono
non yauci
passo di Tacito che
competenza dei senatori pedari,
Canosino che
Or bene,
il
il
riferisce
cosa è
qualità dei medesimi.
non siamo autorizzati ad estendere passo di Tacito, quando, per quei
passo di Gellio contenente l'opinione dei
Landucci non tiene conto), quello
il
Festo (ecco
precisamente
—
alla
altra
si ri-
passo
i
passi desiderati dal Landucci)
contrario.
il
capitale
di
—
Sulla opinione dei
dopo
ciò
che ho
detto
più sopra, non possono restare più dubbi ed è inutile insistervi.
Vengo piuttosto a^li altri due conservato da Gellio (III, 18, 9) pedani sententia Muller) «
:
est
;
il
testi.
Il
è questo
verso di Laberio, :
caput sine lingua
passo di Festo suona così
pedarium senatorem
agipes vocem mittere coepit
significat Lucilius, »,
(p.
210
quorn
ait:
qui ita appellatur, quia tacitus
transeundo ad eum^cuius sententiam probat,quid sentiat indicat.
Orbene, o io mi inganno a partito, ovvero questi passi con-
fermano sph^ndidamente l'opinione dei non pauci essi,
il
]iii<.{ua,
secondo
pedano non apriva mai bocca, era un individuo senza e, per esprimere il suo a\viso, poteva soltanto usare
l'ultima delle forme ee-n ìli
:
sejiato, (;ioè
\'<\
le ((uaìi (\sercitavasi il
ius sententiae
l'orma tacita del pcdihus ire in Hentenliam
— alienam. Perciò se
mitavano viso,
di
Laberio
ma
;
invece tutti
se
i
come
sostiene
Landucci
il
(^),
chiamarsi individui stanza lingua
come
È
*?
Ma come
Landucci
(op.
40,
p.
pure di
sia
avrebl)ero potuto
il
vuota
dice
presidente,
81), interrogarli
n.
umo-
chiaro allora che la
avrebbe potuto
cit.
li-
pedani (vedremo
satira invece di arguta, riuscirebbe insipida e affatto
di senso.
si
loro av-
il
frizzo di Lucilio, la satira
il
frappoco la raj^ione di questo tutti) ])arlavano, rado,
ma
non parlavano mai,
esprimere sine lingua, tacitamente,
ad,
capisce benissimo
si
ristica
pedarii
i
—
64
se
i
il
pedarii
un pedario pensava diversamente da tutti i precedenti, come avrebbe dichiarato il suo avviso ? n L'obbiezione è acuta senza dubbio, ma vi si può rispondere facilmente. Se ammettiamo infatti una limitazione nel ius sententiae del pedario, se non gli era lecito usare che l'ulnon parlavano
e
se
«
tima forma in cui
si
estrinsecava
stente appunto nel pedibus se
quando giungeva
il
ire
il
in
ius sententiae, e consi-
sententiam
alienam, e
suo turno, la discussione era quasi
non poteva né bensì una semplice
esaurita, è naturale che quello del pedario
doveva
essere
un parere
originale,
adesione all'avviso di quel collega, merla, andava a collocarsi. senatori pedari e
veniamo
Ma
ma al
cui fianco, per espri-
basti della
competenza dei
alla qualità loro.
Landucci mi accusa di incoerenza perchè ho esteso tempi repubblicani l'albo Canosino, dal quale risulta che, Il
ai
nelle curie municipali, modellate su quella di
darii erano
come t'altro
per
il
;
ma
lista,
codesta estensione a
me
pe-
pare tut-
che ingiustificata, poiché non trovo nessun
passo,
periodo repubblicano, che contraddica a quel testo
né può fare ostacolo
quale chiama pedari (^)
i
senatori non magistrati (nullo honore functì,
dice Ulpiano)
epigrafico, il
i
Eoma,
senatori
non
curuli e
Gavio Basso,
non soltanto
presidente, poiché erano molto innanzi nella giungeva ad interrogarli quasi mai ». Il quasi indica che qualche
Op.
non
i
la definizione di
cit., p.
43
:
«
Il
volta erano interrogati e se erano interrogati, nella ipotesi
rispondevano
verbis.
d«^l
Landucci.
— i
—
65
non ex -mas^i strati, avendo poc'anzi dimostrato eome quella
opinione riposi tutta sopra un'etimolojj^ia erronea della voce
È
Willems (Sénat, I, 141) ha addotto in sostegno della sua ipotesi vari esempi storici, ma codesti
pedario.
vero,
il
esempi, credo di averlo già dimostrato e non con fatica,
e piti
provano una sola cosa, che alcuni senatori non curuli propriamente tribunicii o
ma non
sententiae completo,
questi senatori
che
il
non
Landucci
curuli
questorii,
provano
con
i
godevano
del ius
affatto la identità di
pedarii ; e tanto è ciò vero,
spingendo
(op. cit., p. 38, n. 79),
piti
interrogati,
espressero,
magistrati
;
ma i
4; II,
dai quali
1, 10),
è che
desume che
si
siano
auctoritate,
sententia espressa, proposto
Vazia, questorio, qui in postremis
19,
I,
9
I,
;
20,
summa
senato approvò
il
pedariorum voluntate, nullius nostrum
un emen-
da P. Servilio
sententiam
dixit,
poggiato da M. Porcio Catone. Ora, secondo
e ap-
Willems
il
e
Landucci, nella parola nostri usata da Cicerone, nel primo
dei testi citati,
si
pretorii, e quindi
devono intendere
i
pedarii sarebbero
i
i
a mio parere, invece soli
(v.
senatori consolari,
ai
non voleva certamente in
stati ex-
una congettura ingegnosa.
Cicerone (ad Att,
passi di
damento ad una
non
loro parere,
non
la sua
Eimangono
il
in là
quando
l'indagine del Willems, vuole che codesti senatori,
il
molta
due
parti,
intermedia
ma
le
i
(^).
nostri
ed
sopra, p. 51)
i
di
Cicerone,
pedarii, escludendo cosi
Al Landucci non
].iace
curuli
sarebbero
nostri
passo dividere
;
i
che
senato
il
una parte
questa interpretazione,
non mi costringono a Cicerone medesimo (ad. Q. fr.
sue osservazi( ni
un passo
non
senatori
quali apparteneva in quel
i
senatori consolari e
rifiutarla, II,
1,
1
poiché
Wesen-
berg) ne dimostrano anzi la esattezza. Parlando, in quel testo, di
una seduta (^)
A
del senato, Cicerone cosi
si
esprime
:
consulares
proponito di uno di questi esempi citati dal WillemR e dal
il M ommsen {Stautsrecht, IH, p. 963, n. 2) osserva clie la idenM' AciliuH Glabrio, console nel 191 a Cr., con l'Acilius, di cui parlaLivio, XXVII, 25, e che avrebbe espresso un avviso accolto dal senato nel 208 a Cr., cKw^ndo quaefitoriiis, non è punto provata, poiché il prenome dell'Acilio liviano era M{arcu8), non M{anius).
Landucci, tità del
nos fuimus Lepidus,
et
—
66
duo consules designati, P.
Volcatius,
GlcUmo^
Servilius,
Sane
praetores.
M.
Lucullus,
freqtientes fui-
omnino ad CC. Ot bene, supponiamo che Cicerone, in questo medesimo ])asso, dicesse poi senatusconsultum
mus
:
:
nullius nostrum auctoritate factum
rebbe
La
mi pare naturale
risposta
creda peraltro del
il
il
nostri a chi si riferi-
ovvero anche
soltanto,
ai consulares
f
;
ai consulares
:
Landucci che di questa mia
primo passo ciceroniano
questione di vita o di morte
faccia,
io
ai praetores
soltanto.
?
Kon
interj^ret azione
per cosi
dire,
una
tutt'altro, anzi sarei disposto
;
ad abbandonarla, poiché quel passo mi sembra di poterlo spiegare anche diversamente. Se la parola nostri indica tanto i
senatori consolari, quanto
di Cicerone,
i
pretori, se
i
pedarii, nel pensiero
contrappongono a quelle due categorie di
si
M. Catone, autori della proposta, tribunicio l'altro, si debbono considerare
senatori, se P. Servilio e
questorio l'uno e
come pedariij ne viene tempo di cui parliamo rie di senatori
questa conseguenza, che nel
allora
esistevano, nel senato, due catego-
l'una composta di quelli che, in diritto e
:
non potevano esprimere verbis il loro parere, ossenatori non ex-magistrati l'altra composta di quelli
in fatto, sia
i
;
godevano
che, in diritto,
ne usavano di rado
(i),
di tale facoltà,
ossia
i
ma
che, in fatto,
senatori tribunici e questori.
In pratica, di questa distinzione così sottile non tenevasi conto gli arguti del tempo non badavano che i secondi ;
avrebbero avuto diritto ad essere risparmiati dalla
satira,
ma
tanto agli uni quanto agli altri applicavano l'epiteto mordace
(^)
Nou
perchè,
come
dice
il
Landucci
(op.
cit., p. 43),
essendo
presidente non giungeva ad interquando spettava a loro di parlare, la discussione era quasi esaurita, e ad essi non restava altro che collocarsi al fianco del collega di cui appropavano l'avviso. Credo infatti col MommSEN {Staatsrecht, 111, p. 983. n. 2) essere insostenibile quanto dice il
iscritti
molto innanzi nella
rogarli quasi
WiLLEMS chiudere
mai
;
ma
lista, il
percliè
{Sénat, II, 190) che la discussione.
Vi
si
presidente potesse, a suo piacimento, oppongono, secondo me, la espressione
il
perrogare sententias, e l'altra senatusconsultum factum per singulorum sententias exquisitas.
-
67
— un comune dispregio (i), Cicerone non contraddice,
pedani, eonfond.on(I()li insiomo in
di
Inteso a questo modo,
il
passo di
a mio credere, né all'albo di Canosa, né alla definizione dei
non yauci che formano la base principale del mio sistema. Del resto, non pretendo né ho preteso mai di risolvere il
si
nostro problema; lo credo anzi insolubile, poiché, per quanto
possa iiccar
lo viso al
non abbiamo mezzo
(e
teneva
divisi,
fondo, ci troveremo
sempre dinanzi
di liberarcene) la controversia che
su questo punto, gli stessi eruditi antichi.
mie osservazioni, cercai dimostrare come la opinione comune, intesa un po' diversamente dal Mommsen che pure
Con
le
la segue, si accosti
più
al vero, di quelle
che
le
sono contrarie.
Al Landucci, invece, pare preferibile ciò che dicono Gavio Basso e Aulo Gellio
;
al
Willems
ciò che dice
moderni contraddicano perché noi non facciamo altro, nella
soltanto. In tal caso è naturale che
ad alcuna
delle fonti,
Gavio Basso
i
ipotesi nostra, che pedibus ire nella opinione dei e
i
non pauci,
miei dotti avversari non fanno altro, nelle ipotesi loro,
che pedibus ire nella opinione di quegli eruditi antichi che ai
non pauci
{^)
Cf.
si
opponevano. Ecco tutto.
anche Mommsen, Staatsrecht,
III, p.
982, n.
1.
]
VINDICE E LA CRITICA MODERNA n Adsertor a Nerone
libertatis.
Plin., Hi8t. Nat.,
XX,
160.
I.
C.
Giulio Vindice, secondo gli archeologi di
del secolo decimosesto,
ma
le
fonti altro
Bordeaux
sarebbe nativo di quella città
non dicono
se
non che
egli,
(^),
discendente
da un'antica ed illustre famiglia dell' Aquitania (^), apparteneva a quella nobiltà gallo -romana la quale, al tempo di Claudio, ebbe aperta la via ai pubblici onori
(*).
Prolusione al corso libero di storia romana antica cominciato nella R. Università di Roma il 1° dicembre 1886, pubblicata nella Eivista dì Filologia ed istruzione classica XVI (1887) con la seguente dedica: MEMORIAE - IOANNIS PHILIPPI SPONGIA - AVI MEI MATERNI - QVI IN PATAVINO ARCHIGYMNASIO - MEDICORVM CLASSI - OLIM PRAEFVIT - SACRUM. (^)
(^)
luLLiAN, Causes
et
caractère de la guerre civile qui suivit la mori
de Néron, Bordeaux, 1885, p. 27.
Dunod
Sequanois, p. 37) crede, senza alcuna ragione, che Vindice discendesse dal sequano Ca-
tamantalede (Caes.,
beli.
Gali.,
Il
1,
(Hist. de
3).
ex }Jièv TcpoYÓvwv 'Axuxavòc xou PaotXt.xoù cpóXou. (*) Dio., LXIII, 22 ed. Boissevain. Come ben si vede, secondo Dione Cassio, compendiato qui da Xifilino, Vindice discenderebbe dagli antichi re di Aquitania ma giustamente osserva il Sievers (Studien zur Gesch. der ròm. Kaiser, p. 142, n. 9) che, in Gallia, dopo Giulio Cesare, « batte es schwerlich aquitanische Kònige gegeben auch vorher miissen die einzelnn, die diesen Titel fiihrten, nur wenig màchtige Fùrsten gewesen sein, da Aqui:
;
;
tanien, so lange wir es wenigstens kennen, in viele kleine Vòlkerschaf-
ten
zerfiel
(Caes.,
beli.
Gali.,
Ili,
27)
>'.
Ann.. XI, 23, 25. Secondo Tacito, i soli Edui senatorurn, in urbe ius adepti sunt ; ma i prirnores di altre città non tardarono ad ottenere il ius honorum corrif ò, provato da un testo di Dione, (LXIII, 22) in cui si dice appunto che Vindice fu xaxà 5è xòv Ttaxépa PooXs'jxYjj x(7)v 'Po)fia':o)v. Cf. Zon., XI, 13. (4)
Cf. Tacit.,
— In Koma, ove cominciò fu testimone di tutte
rone
le
(^),
le
—
70
sua carriera politica,
la
tur|)itudini e
crudeltà di Ne-
le
tanta indignazione produssero
(luali
Vindice
nel
suo
animo che formò l'ardito diset^no di liberare l'impero da un cosi odioso tiranno (^). Tornato in patria, col titolo di legato imjjeriale della Gallia Lugdunense (^), e j)ersuasi i capi della Gallia centrale a sollevarsi
rone
(*),
contro Ne-
lui
Vindice scrisse a parecchi governatori delle Pro-
vincie occidentali per conoscere
chiedere
con
il
i
loro intendimenti e per
loro valido aiuto in così grande impresa,
ma
essi,
non volendo farsi complici della ricolta, mandarono le lettere rice^nite a Nerone Sulpicio Galba soltanto, che governava la Spagna Tarraconese, non prestandovi fede, non volle de;
nunziare la cosa le
(^).
Niente abbattuto dal nessun favore che
sue proposte incontravano presso
suoi colleghi delle
i
marzo dell'anno D.
altre provincie, Vindice, nel
68,
radunò
Di Vindice Plinio {Hist. nat., XX, 160) narra questo aneddoto Cuminum omne pallorem gignit bihentihus. Ita certe ferunt... luliiim Vindicem, adsertorem illum a Nerone libertatis, captationì testamenti sic (1)
:
lenocinatum.
Dione (LXIII,
(2)
xaì
xìrjv
4'^X''Ì^
xe
7T:oXe|xixò)v
La Lugdunensis, una come
ritrae
così
22)
twv
xó xe cpiXeÀeuGspov xat xò
BÙxoX\iOc,. (^)
aovexòg,
Vindice
e|ji7i£tpoc
cpiXóxijJLOv
xó
:
te otòiia ìoxopòg
xal icpòg uàv spyov
uXsìaxov
jiéya
si)(£v.
delle tre provincie imperiali della Gallia,
da un legatus Angitsti prò praetore di gi-ado Plut., Galb., 4 Dio., LXIII, 22) non dicono propriamente che Vindice fosse legato delia, Lugdunensis,
era governata, pretorio.
ma
Le
fonti
è noto,
(Suet., Ner,, 40
tale lo considerò
il
Borghesi,
;
;
come
risulta dalla lista cronologica
governatori delle provincie galliche compilata dal Desjardins {Gaule romaine, III, p. 250) sulle schede Borghesiane, ancora inedite a Parigi. Ci. Dessau, Frosopographia L E. II, p. 220, n. 414.
dei
(*)
Flav., Ios.,
De
beli.
lud., IV,
Di alcuni
èTcìxwpfwv àcpeoxò)g Néptovog.
8, 1
:
OùtvSig
dt^ia
xoìg Suvaxoì?; xibv
di questi capi della Gallia cen-
conosciamo il nome tali infatti devono essere Asiatico, Flavo e i quali Tacito {llist., II, 94) chiama duvcs Galliarum e che, per ordine di Vitellio, vennero fatti uccidere quod prò Vindice bellassent. Xéysxai |ièv oòv xaì Tipo ificpavoùg àTcooxdosttì^ (^) Plut., Galb. 4 trale
;
Rufino,
xy)(j;
:
Ypd{i|iaxa jjiYjvòoai iTiep.cj'av
npb<;
aùxòv àcptxéoOat
xaì xaxstnecv, npòi; NépoDva.
(og
gxepot
Txapà
xwv
xoù OùivSixoi;,
Yjysiiovixtbv
cìij;
^Vjxe ittoTsòoai
èKtOxoXà^
aùxoi^
nr,x8
yP'*^-^^*»
—
—
71
donno di o^ni condiziono sociale, oppressi dalle esazioni fiscali, e, dopo aver le follie di Neenumerati in un lungo discorso i d<^litti
una
moltitudine di Galli, uomini
^ran(l(^
e
(^
rone, le
eccitò
li
e a prendere
ad insorgere contro l'imperatore
Eoma
armi in difesa di
(^)
;
poi giurare che nulla
fattili
mai avrebbero contro essa operato, propose loro come principe nuovo Sulpicio Galba (2). Le proposte di Vindice furono con
(1) Il
entusiasmo
tanto
approvate
dai Galli
Dione, LXIII,
discorso di Vindice è conservato da
dopo aver enumerato
Nerone, dice Vindice
i
(^),
che
22.
suoi delitti e le sue fol-
non è degno di chiamarsi Cesare, imperatore, nomi sacri che furono portati da Augusto e da Claudio ([iyjSsIs b^pit^éiM) xà lepà èxslva
lie,
taòta
òvó[j.axa"
Auyo'jaxos
yòcp
fisv
KXaóStog
xal
Alcmeone
piuttosto Tieste, Edipo,
e
Oreste
saxov
)
chiamiamolo
;
{obxoq 5è
Sìr)
0oéoxTr]s xs
xaì 'OpsaxYjs... OìòLkoììc,, Queste parole mi paiono esser quelle di un uomo devoto alla monarchia dei Cesari e addolorato di vederla contaminata da un tiranno e da un pazzo, come Nerone, e non senza ragione Vindice nominava Claudio, per il cui favore suo padre e molti altri notabili della Gallia Comata avevano ottenuto, come già si è visto, il ius honorum. In fine del discorso. Vindice eccita i Galli ad insorgere, a recar aiuto al popolo romano e a ridonare la li-
xaì
xaXotxo),
xs
'AXx|is(i)v
bertà a tutta la terra
(iTcwoupi^aaxs
ds xot$ Tcopiafoig,
sXsoGspóaaxs Sé
oixou|jiév7jv). xYjV Queste parole collegate con ciò che aveva prima, altro significano se non che Vindice voleva che i Galli detto non liberassero Roma e l'impero dal dispotismo di Nerone, che la rivolta, insomma, avesse un carattere tutto romano e non nazionale. Ciò resulta, a parer mio, anche da un passo di Zonara che attinge a Dione, e che è riportato nella nota seguente. (^) ZoN., XI, 13 Tiàvxa ur.èp xfiq pouÀTig xai xoO Sr^jioo xwv *Pco[j,aCa)V
Tcàoav
:
xai
TCO'.igaeiv,
èaoxóv,
àv
xi
Tcapà
xa'jxa
Trpd^ig,
cpoveóostv.
—
Che Galba
fosse proclamato, a proposta di Vindice, imperatore in Gallia, risulta
da Dione (LXIII, ònò
Y.&y.slvoQ
16)
:
xtóv
ah Hispanis (3)
23)
:
...ó
Oùivoic, xòv rdÀJiav... è^
xìrjv riYe\xo^LQi.'^
axpaxtwxwv aùxov.pdxwp àvYjYop£u07j, e et
Trposxstpfoaxo.
da EUTROPIO (VII,
Gallis [Galba] im-perator electns.
Dio., LXIII, 23.
Zonara
(XI, 13)
dice che Vindice trovò
i
Galli già disposti alla ribellione (òpywvxag npòc, àuoaxaaiav) le cause sono bene enumerate dall'HERTZBERG {Gesch. des ròm. Kaiserreiches, " Der P^influss der erbitterten Druiden auf das Volk p. 266) der noch immer vìcMnch fnlil})are fìnanziello Dnick der ròmischen Besteuerung und df;s ilaliKcfien Kapiials (ci. I)io., LXIII, 22) und bei der Ritterschafi noch ganz besonders der alte keltische Zug zum verwegencn Abenteuer und zur Veriinderuug ». Si noti anche ciò che dice ;
:
;
;
s
(|iiiind<)
escìrtarlo
\)vr
nuovo a Galba \wv
scrisse dì
Olili
a
-
7<2
capo della
farsi
umano, potè annunziaroli
«renere
combattenti pronti a seguirlo potuto mettere in armi
rÌA'olta
clie i>ià
rimi)ero
offrirgli
e
liberatore del
centomila erano
più ancora ne avrebbe
e che
(^).
Galba ebbe in Cartagine Nuova
di Vindice
la lettera
mentn^ un'altra gliene giungeva dal legato imperiale tania che a lui
domandava
sollevazione delle
Gallie
1
di Aqui-
(^).
soccorsi per reprimere subito la
Queste
lettere,
pervenute nello
tempo, da prima lasciarono Galba un poco perplesso
stesso
sul partito
che
conveniva prendere,
gli
ma
poi la scoperta
che egli fece dei segreti ordini mandati da Nerone ai suoi agenti che lo uccidessero
Eoma
ziato a
incertezza. gli
(^),
forse perchè
non aveva denun-
la rivolta di Vindice, gli tolse dall'animo ogni
Eifìutato
il
d'imperatore, che
titolo
i
soldati
offrivano (2 aprile 68), prese soltanto quello di legato del
senato
del
e
popolo romano
(*)
;
quindi, per
mezzo di milizie raccolte governata, formò una nuova legione sue forze per
accrescere le
da lui VII Gemina) e.
nella provincia (la
Trebellio Pollione {Tyr. trig. 3, 7 Gallien., 4, 3) dei Galli, cioè, che essi novarum rernm semper siint cupidi, e che per istinto {insitum est) non possono tollerare leves ac degenerantes a virtnte romana et luxuriosos ;
principes.
SuET.,
{^)
humano ó
Saperveneruìit...
:
ducemque
adsertorem
generi
OùtvSi^
9
Gali).,
sypacj'E
xq)
FaX^cf
se
TiapaxaXwv
Vindicis litterae hortantis, ut
accomodar et. àvaSé^aaSai
Plut., Galh., 4 xyjv
"i^ysiiovcav
7iapaax.£iv lauxòv iaxupq) acóiiaxt ^yjxoùvxi xscpaXi^v, xalg FaXattat^
àv5pà)v (bTtXtaiiévcDv (^)
SuET.,
Desjardins
ìy^oxìocLic,
Gali)., 9
àXXai; xs TiXsfovag òtùXqoli
Ssxa
{lopiccSai;
5uva|jLéva'.(;.
legato Aquitaìiiae auxilia implorante.
:
:
xaì
Secondo
questo legato imperiale dell'Aquitania sarebbe Betnus Chilo, sul quale cf. Tacit., Hist.. I. 37. mandata Neronis de nece sua ad procuratores (^) SuET., Galh., 9 clam missa deprenderat. Cf. Auk., Vict., Caes., 5. Il Sievers (op. cit.. p. 144, n. 14) crede che questi ordini di Nerone siano stati inventati da Galba per giustificare la sua ribellione. {*) Su ET., Galh., 10 consalutatusque imperator legatum se senati! ac poptdi romani professns est; cf. Plut., Galh., 5. Tacit.. llist.. V. 16: principem Galham sextae [victncis] legionis auctoritate factum; cf. il
(op. cit., Ili, p. 250)
:
:
Hist.,
I,
It).
—
73
composto come una specie
una
persona,
di
iiruardia
di
— senato, e scelta,
cavalieri,
per la sua
sparse proclami per le
Provincie consigliando tutti di unirsi a
lui
(^
di aiutare,
come
ognuno pot(^sse, la causa comune (^). La prima notizia della sollevazione delle Gallie giunse a Kerone mentre egli era in Napoli (e non in Grecia, come attestano falsamente Apoll. 10, 11) della
il
il
Pseudo-Luciano, Ner. 5
e Filostrato,
giorno stesso in cui cadeva l'anniversario
morte di sua madre (19 marzo 68)
p),
ma
tanta in-
differenza e tranquillità, al dir di Suetonio, egli mostrò
nel
da far credere che ne avesse anche piacere per data una buona occasione di spogliare, con diritto
riceverla essergli
di guerra, le opulenti provincie della Gallia. Si scosse sol-
tanto dalla sua indolenza e scrisse al senato, eccitandolo a
vendicare se e l'impero, quando seppe che Vindice, nei pro-
clami oltraggiosi che contro
lui
faceva affiggere nelle città
transalpine e le cui copie spediva perfino a
mava un
Ma
le
cattivo citarista
e,
si
piti
(^)
SuET.,
conscripsit.
.
.
e
Gali).,
10
:
E
Eoma, ove
plebe
(*),
la rivolta
Nerone fu
co-
giunto, fece dal senato
quidem provinciae legiones
primorìbus prudentia atque aetate praestantibus
et
auxilia
vel instar
senatus, ad quos de maiore re quotiens opus esset referretur, instituit. legit et equestris
(^).
gravi, poiché, oltre
annunziava ancora
di Ottone, governatore della Lusitania stretto di tornarsene a
lo chia-
invece di Kerone, Enobarbo
cose divenendo ogni giorno
quella di Vindice e Galba,
Eoma,
De-
ordinis iuvenes, qui... evocati appellar entur, excubiasque
cubiculum suum vice militum agerent. Etiam per provincias edicta dimisit, auctor singulis universisque conspirandi simul et ut qua posset quisque opera communem causam iuvarent. Da questo passo di Suetonio resulterebbe che non una, ma più fossero le legioni formate da Galba in Ispagna; e difatti alcuni sostengono (cf. Marquardt, Staatsverwaltung, IP, p. 440; Vaglieri, legio I Adiutrix [De Ruggiero, Dizionario Epigrafico di antichità romane, I, p. 87 1) che, oltre la VII Gemina, egli abbia formato anche ìa I A dintrix, ma la questione rimane ancora sub circa
indice. (2)
(3) (*)
Su ET., Ner., 40 Henzen, Arvali, p. 77. SUET., Ner., 40-42. SuET., Oth., 4 conatibus Galhae primus accessit. Cf.
;
:
— dicliiarare
74
—
nemici pubLlici Vindice e Galba
mise una
(^),
due milioni e mezzo di sesterzi sulla testa del primo (') e richiamò indietro, perchè muovessero contro il ribelle, le squadre di alcime eorioni della Germania, della Britantaglia di
1
nia e dell'Illirico, che erano state spedite contro
Vedendo questi preparativi di
Eoma
lo
avevano alfine svegliato
scrivevano sulle colonne che
oramai tutto
piti,
il
territorio delle tre Gallie,
venti seguaci di Vindice gli
arguti
Galli, col loro canto,
la fortuna
alla parte limitrofa della
trale,
gli
pareva sorridere
poiché la sollevazione non solo abbracciava
insorti,
anche
i
Nerone,
Edui (Autun),
le fonti
estendeva
si
Tra
Narbonese.
piti fer-
i
ricordano, nella Gallia cen-
Arvemi
gli
ma
(Clermont),
Sequani
i
(Besan^on) e Vienna, l'antica colonia della Narbonese ostili
invece alla rivolta
si
da
benefìci nale, i
i
lui
ricevuti
Treveri (Tréves),
(^), i
(^)
;
dichiaravano apertamente, oltre
Lionesi, nemici accaniti di
i
(^).
(*).
Frattanto, ogni giorno agli
e l'agitarsi di
Albani
gli
i
Vienna
e fedeli a
Nerone per
popoli della Gallia settentrio-
Lingoni (Langres) e
i
Eemi
(Keims),
quali tutti, vicini al Eeno, avevano interessi e sentimenti
comuni con
le
legioni delle due
Germanie
i\^i
stanziate e
DiON., LXIII, 23, 2; Pseud. AuR. Vìct., E'p. 5. (2) Dione, che ciò racconta (LXIII, 23), aggiunge che Vindice, conosciuta la minaccia dell'imperatore, offrì la sua testa in cambio di quella di Nerone. multi ad hoc numeri [sul significato tecnico (3) Tacit., Hist., I, 6 G. Schr. della voce numeri v. Mommsen, Hermes, XIX p. 220 VI, 103], e Germania ac Britannia et Illyrico, quos idem. Nero electos praemissosque ad claustra Caspiarum, et hellum, quod in Alhanos parabat, opprimendis Vindicis coeptis revocaverat ; cf. Hist., l, 9, 70 Suet., Ner., 19 Plin., Hist. nat., VI, 39; Dio., LXIII, 8. Vedi anche Schiller. (1)
:
=
;
;
Oesch. des ròm. Kaiserreichs unter Nero, p. 277. u. 2. ascriptum et coliimnìs etiam Gallos (*) Suet., Ner., 45 :
eum cantando
excitasse.
IV. 17. pertinaci prò Nerone fide : cf. I, 65. 1 Lio(•) Tacit., Hist., I, 51 nesi erano fedeli a Nerone perchè memori dei quattro milii>ui di sesterzi che egli mandò loro in dono nell'anno 64 (Tacit.. Ann., W\. (»)
Tacit., Hist.,
I,
51, 65
;
:
13),
quando Lione rimase incendiata (Sen., Ep.,
91).
—
75
—
movimonto che nelle vicine provincie (i). Quelle specialmente della Gallia si andava estendendo dell'alta Germania vedevano malvolentieri che delle sorti dell'impero dovesse decidere un legato imperiale di una provincia priva, come la Lionese, di grandi forze militari (^) e non volevano affatto che il principe nuovo dovesse esser Galba, il quale, oltre al comandare una legione poco importante, aveva lasciato fama, nella Germania superiore,
punto
da
lui
fayoro/voli al
uomo eccessivamente
governata sotto Caligola, di
duro e severo
Quest'odio che
(^).
le
Ger-
legioni dell'alta
mania nutrivano verso Galba era indirettamente favorito da Virginio Eufo, che, nell'anno 68, governava quella provincia. Difatti, egli, sebbene non fosse amico di Nerone, disapprovava la sollevazione di Vindice e la candidatura di
Galba, poiché a lui pareva cosa non conforme
tiche istituzioni, alle quali
si
an-
alle
sentivane ll'animo profonda-
mente devoto,
il
vincia senza
consenso del senato e del popolo romano
il
proclamare
il
principe nuovo in una pro(*).
Virginio, quindi, che più di ogni altro era vicino ai paesi insorti e che
suo
nascere,
reputava necessità assoluta la
rivolta dei Galli,
forse
reprimere, nel
il
nemmeno
aspet-
constai obstitisse Treviris Lingonibusque quod Vindicis motu cum Verginio steterant. I Treveri e 1 Lingoni sono altrove chiamati da Tacito, Hist., l, 8 proximae Germanicis exercitibus Galliarum civitates ; Ilist., I, 51 pars Galliarum, quae Ehenum accolli, easdem [adversus Vindicem] partes secuta. Cf. Hist., I, 53 V. anche Mommsen, Hermes, XIII (1878), p. 94 G«8. (^)
apud
Tacit., Hist., IV, 69
:
Gallias,
:
:
=
;
Schr. IV, 336. (^)
Tacit., Hist.,
I,
16
vinciae inermes dell'impero
V index cum
romano vedi
inermi provincia. Sulle prò-
l'accurato studio del
luNG
nella
XXV
jij,r Oesterr. Gymn., (1874), p. 668-696. Sergio SulpicJo Galha, concole nel 33, successe a Cornelio Getu-
Zeitschrift (^)
:
governo della Germania superiore {legatus Augusti prò praeGermaniae superioris) nell'anno 39 e lo tenne fino al 41. Cf. DesJARDiNS, op. cit., Ili, p. 248. (li. Prosop. I. B. Ili, n. 723. La sua lico nel
tore
severità era tale, dice delle legioni,
andava
Suetonio
(Galb.,
6),
che, negli
accampamenti
in giro questo verso: disce miles militare, Galba
non Gaetulicus. Cf. Dììntzer, Die Legionen am Bheine (Jahrbùcher des Vereins v. Alterthumsfr. im Rheinlande, LXXIII [1882|, p. 47). est,
(*)
.Mia
Plut., GcUb.,
6.
— tando che un ordine esercito
!!
76
— da Koma, ordinato
friuu^esse
tolta occasione dagl'assedio che
e,
suo
il
Viennesi ave-
i
vano posto a Lione (i), entrò subitamente nel territorio dei Sequani ed avendo
accampamenti non lungi dalla chiese ed ottenne un colloquio con Virginio. Che
dei suoi alleati città assediata,
e,
posti gli
cosa dicessero e stabilissero fra loro bio. Vindice forse
domandò
due generali rimase dub-
a Virginio che lo lasciasse entrare
almeno cercò di persuaGalba. Tale fu probabilmente il sospetto che
liberamente in Vesonzio e derlo, in favore di
i
lo persuase, o
penetrò nell'animo dei soldati romani, poiché mentre Vindice, forse secondo l'accordo preso
con Virginio,
si
avvicinava,
piombarono adattaccò tra i due eserciti
coi suoi, per entrare in Vesonzio, le legioni
La battaglia che si non riuscirono ad impedire,
dosso ai Galli. e che
nosa
i
(^)
capi ;
i
gicamente,
Galli,
ma
sebbene
poi,
sor|)resi,
fu aspra e sangui-
da prima
si
difesero ener-
impotenti a resistere all'urto della ca-
valleria batava, rimasero
completamente
disfatti, lasciando
TACiT.,Hist., 1,65 ;lLACiT.,Eist., 1,53: hello adversus Vindicem universus [exercitvs Germaniae superìoris] adfiierat. L'esercito di Virgi{^)
nio era composto di tre legioni: la
XXII
Primigenia,
piti
IV
Macedonica,
delle milizie ausiliarie dei
la
XXI
Batavi
Bapax
e la
e dei Belgi
Tacit., Hist., IV, 17), in tutto circa 30,000 uomini (cf. Mommsen. G. S. IV, 340, n. 4). Il Pfitzner {Gesch. der Hermes, XIII p. 98, n. 2 (cf.
=
Eóm. Kaiserlegionen, p. 41) sostiene erroneamente che anche gione XIII Gemina prendesse parte alla battaglia di Vesonzio
la le;
essa
trovava allora in Pannonia (Ritterling, De legione X Gemina, p. 92). Anche le legioni della bassa Germania, secondo un altro passo di Tacito [Hist. 1, 51), avrebbero combattuto contro Vindice, ma, come osserva giustamente lo Schiller (Eóm. Kaiserzeit, I, p. 364), ciò non può essere avvenuto, poiché codeste legioni si trovavano troppo lontane dai territori insorti e di più si noti che, secondo Suetonio {Galh., 16) e Plutarco {Galb. 18). le legioni le quali fremevano perchè defraudate dei donativo per la vittoria di Vesonzio sarebbero appunto quelle dell'alta Germania. (2) Gli eruditi di Besan^on, fino dal secolo scorso, tentarono di determinare il luogo preciso in cui sarebbe avvenuta la battaglia di Vesonzio. Il Delacroix {Alaise et Séquanie, Besan^on. 1860. p. 180), ohe fu l'ultimo a studiare questo problema topografico, sostiene clie premier « occupèrent, derrière la citadelle, les hauteurs du i Romani et Germanie la voies militaires de plateau du Jora où aboutissent les
invece
si
;
—
—
77
morti sul campo ventimila dei loro. Vindice disperato
che,
una sola giornata, fosse andata distrutta l'opera alla quale aveva consacrato tutto so stesso, e iorse sospettando il tradimento di Virginio, si uccise con la propria spada (^). Le
in
de
l'Italie
e che Vindice
»
s'arréte sur le
meme
«
venu par
le
sud-ovest du Jura, et devaucó,
plateau, entre Fontains et la Loue, à une
lieure
de distance de la citadelle, dont il est séparé par les camps romains ». battaglia, quindi, secondo il Delacroix, sarebbe avvenuta nei luoghi chiamati più tardi les Champs du Débat, le Cimetière de Puyey, la Malepierre, les Ghamps-Latins e il Bois-Néron. L'ipotesi del Delacroix fu confermata dagli scavi eseguiti nei tumuli numerosi che si
La
trovano in codesti luoghi, per ordine della società di Emulazione del dipartimento del Doubs e che dimostrano, come dice il Castan, nella sua bella relazione di codesti scavi {La bataille de Vesontio, p. 15. Memoires de la Société d' Émulation du dep. de Douhs, 3^ sèrie VII [1862], p. 477-490), esser quei tumuli « des sépultures de combat ». come e per quali ra(^) Non è facile determinare con esattezza gioni sia avvenuta veramente la battaglia di Vesonzio, perchè le fonti sono oscure e discordi su questo punto. Zonaka (XI, 13) nulla sa di una battaglia Vindice, secondo lui, si uccise perchè la rivolta procedeva lentamente (tYJ? S'àTiooxaatas rtapa-cstvofiévTjg ò OùtvSts éauxòv ;
àTcéocpa^e.
.
.
.
xoù
òpiYVTjGei^,
oùx
xai
è^sxéXsasv
xò
rcpòg
NspcDva
xòv aùxó.
Il
àyavaxxVjaas
datfjióvtov
xaxaXDaai
colloquio
xaì
óxt
xoò^
upay^axo?
xoiouxou
'PcDixaioui;
sXeuBsptbaat,
tra Vindice e Virginio è
ammesso
da XiFiLiNO {Ep., LXIII, 24) e da Giovanni Antiochieno (fr. 91, ediz. MùLLER, F. H. G. IV, p. 575) che qui dipende da Dione, ma mentre il primo ignora le cose trattate in quella conferenza e solo si limita a dire che probabilmente Vindice e Virginio si erano posti d'accordo contro Nerone (xaxà xoò NspcDvog, (h(; si/.a^exo, auvéOevxo Tipò^ àXXi^Xoug), il secondo rii>orta i particolari del colloquio, poiché, se devesi prestar fede a Giovanni Antiocheno, Vindice e Virginio avrebbero stabilito di riconoscere Galba come imperatore, prendendo, peraltro, ciascuno di loro per sé, una jjrovincia dell'impero (aùxòj [Toùcpo^] |ièv xcòv FaXXtòiv
èGvr;
sTitXssdiasvo^,
àpx,stv
rdXpa uàaav
ò\iO^)
xuyxdvei).
La
x'/jv
xai
oaa
movimento che Vindice
addosso
paragona
ai
Galli
due
xy,v xrj
'ipyjptav
'Pcopiatwv
Ttpooì^xeLv
àpxf;
xai
x(p
TipoauuaxoueLv
battaglia poi, secondo Xifilino, cominciò per causa
delle legioni, le quali, interjjretando il
5è
Oùtvotxt
'IxaX'.av,
come una manovra
fece per entrare in Vesonzio,
(àvxs^wpfiyjaav aùxoxéXsuoxot);
e
a loro ostile
piombarono
Plutarco
{Galb., 6)
che vennero a battaglia, traendo a viva forza i loro capi, a furiosi cavalli che la mano dell'auriga è impotente a frewcjTisp nare xoù^ Tjvióyoui; xpaxfjoat, xxXi,vò)v |xyj ouvyjOévxai;). Quanto al i
eserciti
(
di Vindice, lo ammettono Plutarco, Xifihno, Zonara e Giovanni Antiocheno, ma mentre Plutarco e Xifilino ne ascrivono la cacone al dolore che Vindice provò y)er la sconfitta del suo esercito, Gio-
suicidio
vanni Antiocheno sostiene che Vindice
si
uccise per aver scoperto
una
—
78
—
U^gioni, superbe di questa vittoria riportata così facilmente
e
che,
secondo
loro,
rendeva
datura di Galba, spezzate
le
im])Ossil)il(^
l'odiata
(^ )
candi-
imma^^^ini di Nerone, orridarono
congiura che da alcuni soldati di Virginio era etata tramata contro di lui ; bì aggiunga poi che Xifìliuo racconta che, ferito il cadavere di Vindice, molti soldati romani andavano spargendo la voce falsa di
averlo
medesimi
essi
ucciso
(Só^av
xioi
ijkxttjv
(he,
xat aòxoi à-xe-
Di tutti questi particolari nulla saprebbe Tacito, poiché egli dice soltanto che Vindice rimase ucciso con tutto il suo esercito in una battaglia nella quale gii Edui e gli Arverni furono disfatti dalla cavalleria Batava {Hist., I, 61: caeso cum omnibus copii'i lìdio Vindice ; IV, 57 sic olim Sacrovirum et Aeduos, niiper Vindicem Galliasque sirhgulis proeliis concidisse ; IV, 17: Baiavo equite protritos Aeduos Arvernosque). Lo Schiller {Nero, p. 269), la cui opinione sul XTovóxe^
aÒTÒv Ttapéoxov).
:
dovremo discutere più tardi, rifiuta battaglia di Vesonzio troviamo in Plutarco e
carattere del tentativo di Vindice la versione
che della
Xifilino e accetta invece quella di Tacito, perchè, a suo avviso, questo
più vicino agli avvenimenti, merita fede maggiore.
storico, essendo
Tutto ciò sta bene, ma lo Schiller si dimentica, mi pare, che la rivolta di Vindice era narrata in quella parte degli Annali di Tacito che andò perduta e che intorno ad essa non abbiamo nelle Istorie altro che meri accenni incidentali. Così le parole caeso cum omnibus copiis l'alio Vindice, alle quali lo Schiller dà tanta importanza, appartengono a quel capitolo del primo libro delle Istorie, in cui Tacito, prendendo a narrare gii antecedenti della guerra vitelliana (r/iiiirt cansasque motus VitelUani), si rifa appunto dalla morte di Vindice e l'accenna così di volo, poiché suppone già noti ai suoi lettori i particolari di codesto avvenimento, narrato da lui negli Annali ; per conseguenza a me pare che, per quanto incerto possa sembrare il racconto che della catastrofe di Vesonzio tro-
viamo
in Xifilino e in Plutarco, esso
non possa
essere
menomamente
infirmato da quello di Tacito per la semplicissima ragione che quest'ulIlSiEVERS (op. cit.,p. 147, n. 33) e lo Schiller timo è andato perduto.
—
{Nero, p. 272, n. 2) credono una esagerazione {eineGaìlische Uebertreibung) i centomila soldati che Vindice annunziava a Galba di aver pronti,
poiché da Tacito resulta, dicono, che tutto l'esercito gallico rimase sul campo, e Plutarco afferma che i Galli rimasti uccisi non furono più di ventimila ma l'argomento non regge, poiché prima di tutto è Plutarco stesso che riporta le due cifre dei centomila e dei ventimila soldati, e poi è verosimile il supporre che non tutto l'esercito gallico fosse stato condotto da Vindice in aiuto di Vesonzio, ma che una parte ;
ne fosse rimasta con i Viennesi all'assedio di Lione. Anche THokck [Ròm. 403) crede che la cagione della battaglia di Ve1, 3, pag. sonzio fosse «der Widerwille der Rhein-Legionen. der Saclie des Viudox und Galba zu dienen ». Germanici exercitus... solliciti et irati 8U(^) Tacit., Hist., I, 8: Gesch.
imperatoro Virginio,
compreso
aveva
ma
79 -—
o
grande
di
cho la tragica fine di Vindice quell'onore,
ricusò
mestizia,
fermo nel suo ])rincipio che non ai soldati, ma al senato e al popolo spettava il concederlo (maggio 68) (^).
II.
scarse testimonianze delle fonti intorno alla rivolta
Le
di Vindice fin qui raccolte, fosse
dimostrano come
puramente antineroniano, come Vindice,
mini, sollevando la Gallia, la patria e l'impero
si
il
suo scopo
in altri ter-
proponesse soltanto di liberare
Nerone
dalla tirannide di
(^).
Ma
a
perbia recentis victoriae ; l, 51 ferox praeda gloriaque exercitus, ut cui Sirie labore ac periculo ditissind belli Victoria evenisset. :
suo rifiuto ad accettare l'impero (pare che un, Pedanio Costa, che Tacito, Rist., II, 71, chiama Verginii extimulator, lo eccitasse ad assumerlo) nell'epitaffio da lui stesso composto i per la sua tomba (Plin., E'p., IX, 19 cf. VI, 10) e così concepito hic situs est Bufus, pulso qui Vindice quondam Imperium adseruit non sibi sed patriae. Peraltro Tacito rileva in Virginio una certa indecisione, an imperare noluisset dupoiché, in un passo (Hist., I, 8) dice di lui delatum milite imperivm ei a conveniebat, e in un altro {Hist. bium ; I, 52) merito dubitasse Verginium, equestri familia, ignoto patre, inparem si recepisset imperium, tutum si recusasset. Alla iscrizione che ricorda Virginio (C. I. L., V, 5702) lovi O. M. Pro salute et Victoria L. Vergini Bufi Fylades saltuar. V. 8. il Mommsen nota cum formula prò salute et Victoria non conveniat nisi imperatori et ubi invenitur (1)
Virginio volle ricordato
il
;
:
;
:
:
—
:
:
ad imperatorem referatur, anno p. Chr. 69 [68], quo L. Verginius Hufus Vindice devicto a militibus in Gallia imperator appellatus est, sed post diutinas moras [vedi i passi di Tacito sopra citati] imperium recusavit inter eas moras opinor servus eius titulum dedicavit ». (^) Tristan, Hist. des Emperenrs, I, p. 248 Tillemont, Hist. des Empereurs, 1, pag. 321 Niebuiir-schmitz, Eòmische Gescìiichte, II, Champagny, Les Cèsars, IP, p. 313 Merivale, The Eoman p. 269 under the Empire, VI, p. 348 l'articolo su Vindice dell'HAAKH nella Enciclopedia Reale del Pauly, IV, p. 489 Hoeck, Bóm. Gesch., I, 3, 401 Peter, Gesch. Boms, III, p. 331 p. Latour St. Ybars, Néron, pag. 551, 563 (citato dallo Schiller) Thierry, Hist. des Gaulois, li, Vannucci, Italia Antica, IV•^ p. 421; Martin, Hist. de France, p. 456 I, p. 232 Fustel De Coulanges, Institutions Folitiques de V Ancienne Fra/nce, I, 39 il DniiuY {Hist. des Romains, IV, p. 88) sebbene creda 1305, 3032
(0. /. L., II,
;
III, 1088)
ibi
iure titulum adscribemus
;
;
;
;
;
;
;
;
;
;
;
;
;
—
—
80
punto è necessario domandarci se questa che, in fondo, non è che l'opinione comune de^li storici, possa ancora mantenersi quando il tentativo di Vindice è giudiqiiost,(ì
modo
cato in
E,
difatti,
diverso da altri
all'atto
Teodoro Mommsen,
da.
dice,
insorgendo contro Neurone,
sulle
rovine
manno
un
si
autore\-oli lato, crede
proponeva
scrittori.
che Vin-
di ristabilire,
monarchia, l'antica repubblica, ed Erdall'altro, scorgendo nel moto dei Galli im
della
Scliiller,
carattere essenzialmente nazionale, opina che Vindice voleva fare della patria sua uno stato indipendente, che, in
una parola,
esso,
Civile, tentò,
ma
come
Giulio Floro e Sacroviro, Sabino e
invano, di effettuare ciò che, nel secolo
Postumo e Tetrico, divenne un fatto compiuto (i). Esaminiamo adunque se gli argomenti addotti dal Mommsen terzo, con
e dallo
Schiller in appoggio delle loro ipotesi reggano di
fronte alla retta interpretazione delle fonti, ovvero se queste
confermino l'opinione comune
È un
fin
qui sostenuta.
fatto storico attestato dai piii autorevoli scrittori
romani, dice
il
Mommsen,
che la fine tragica di Nerone coin-
cide con la fine del principato e del ristabilimento in della repubblica, la quale
venne nello
stesso
Roma
tempo pro-
Vindice « trop romain pour concevoir autre chose qu'iin changement de prin.ce », pure pensa che esso u qu'il voulùt ou non, était le chef d'un mouvement national... ». Il Ranke {Weltgeschichte, IIP, p. 214) sostiene che Vindice volesse « durch die Verbindung ròniischer Einrichtungen mit den Kràften der Provinzialen cine Veriinderung von Grund aus hervorzubringen », e che, non staccandosi da Roma, fosse suo pensiero di unirsi a qualcuno « der grossen Befehlshaber der benachbarten Legionem und sich zum Imperator ausrufen lassen solle ». (^) La rivolta di Vindice è narrata dal Mommsen nello studio che ha per titolo Der letste Kampf der Bòm. Eeptiblik, ed è inserito nelGesam. Schriften IV, 333 e seg.; cf. l'Hermes, XIII (1878), p. 90 sg. aki[iche\a,s,\ia> Bòmische Geschichte,y, p. 75 e 117. Per l'ipotesi sostenuta dallo Schiller vedi la sua Gesch. des R. Kaiserr. unter Sero, p. iHU 8g.eìa,Bua>GesckichtedesB.Kaiserzeit, I,p. 362 sg. Lo Scliiller ha oouibattuto per il ])rimo, con grande sagacia e vigore di argomeutazioae. la tesi del Monimsen in una vivace polemica che egli t4)l>e ciui lui. per la quale vedi Mommsen, Hermes XVI (1881). p. 147 = Gvmim. Schriften. Schiller, Hermes, XV (1880). pag. (>20 Hiksian's. JahreIV, 347 XXVIU (1S8I). p. 330. sbericht, XV (1878), p. 507
=
;
;
;
—
81
clamata in Tspacna da Gall)a
—
o
da Ottone,
in Africa
da Pio-
Germania da Fontcio Capitone e Vir^nnio Vindice, poi, che Plinio chiama (in quel passo,
dio Macro, e in
Kufo
(^).
XX,
riportato, della sua Storia Naturale,
^ièb
sertor a
Nerone
libertatis,
sarebbe stato
IGO)
ad-
ille
primo autore
il
di
movimento repubblicano, poiché adsertor libertatis e simili altre espressioni non ])ossono convenire a chi sostituisce ad un malvagio un principe buono, ma solamente possono api)licarsi a chi ha rovesciato la monarchia (^) codesto
;
quelle parole di Plinio vogliono quindi significare che Vin-
dice
aveva
cipe,
ma
scritto sulla sua
bandiera la rovina non del prin-
come
del x)rincipato, e possono riguardarsi
programma col quale Vindice inaugurò Fin qui il Mommsen.
l'eco
la rivolta
del
(^).
Per conoscere quale fondamento abbiano queste sue fermazioni,
è
necessario
prima
esaminare
tutto
di
af-
quali
siano gli autorevoli scrittori romani che, a suo av^dso, at-
testerebbero
il
risorgimento della repubblica alla morte di
I^erone. Marziale, in
rammentare
il
un suo epigramma
(VII, 63), volendo
consolato di Silio Italico che tenne
fasci
i
nell'anno 68 in cui appunto avvennero la rivolta di Vindice
morte di Nerone, usa queste espressioni
e la
ingentem
senis
orbe
fuit.,.
Ora,
annum Rexerat, secondo il Mommsen, le
fascibus
non vogliono dire al
everso Nerone,
ma
:
Postquam
adserto
qui
sacer
parole adserto orbe
alludono
chiaramente
governo repubblicano che venne, per pochi mesi,
bilito in quell'anno
Ma, per
(*).
dire
il
bis
rista-
non mi sembra
vero,
=
(i)/7erme«,XVI,p.l52 XlU,p. 99 Gesam. Schriften, lY, 3 52, Z42. (2) Hermes, XllI, pu«^. O.'J G. H. IV, 336, n. 1 « adsertor libertatis und die analogen AuKdriicke durcliauB nicht auf den passen, der eiuen sclilechten Herrscher durch einen guten crsetzt, sonderà nur dem zukommen, der die Monarchie uberhaupt stùrtzt ». (3) Hermes, XVI, p. 150 G. S. IV, 350: « PliniuB sagt hier rait klaren Worten, daKH Vindex den Sturz nicht dcK Monarchcn, Rondcrn ;
=
;
=
der Monarcliie auf Heine Fahne genehrieben hat Heine Worte KÌJid oline Zweifel daH Edio den ProgramniK, iiiit dem Vindex auftrat ». ;
{*)
Mommsen, Hermes, XVT,
p.
150.
=
G.
*S'.
IV, 350-351. 6
—
8fi
—
che il passo di Marziale sia così interpretato rettamente, poiché,
pur stare
lasciando
pà
dimostrato
dovrebbesi
il
invece
clie
codesta
ristabilimento
provarlo,
suppone
interpretazione della
bisogna
mentre
repubblica,
avvertire
quale scriveva questo epigramma
che
Mar-
tempo di Domiziano (^), difficilmente a\T:'ebbe osato toccare, in una sua poesia, una questione così i)ericolosa come era quella della ziale,
il
al
caduta del principato, né potrebbe valere l'argomento che,
non mancano le reminiscenze repubblicane, poiché queste, come nota anche lo Schiller (2), riguardano sempre la morte di Bruto, di Catone e di Trasea, fatti insomma troppo comuni ormai perché il rammentarli potesse nuocere al poeta. Marziale, adunque, con le parole adserto orbe, alludeva alla tirannide di Kerone, da cui il mondo romano fu liberato in quell'anno 6S (% di quel Nerone che, altrove, egli non si peritava di chiamare feroce (VII, 21) e del quale nulla, a suo avviso, aveva esistito di peggiore (VII, 34), ma non pensava affatto al ristabilimento
nei suoi epigrammi,
della repubblica.
Che, alla notizia della morte di Nerone, la plebe, ornata
Roma
del pileus, percorresse le vie di
che questo fosse comune a tutti
in segno di gaudio,
gli ordini dei cittadini, che,
spenta la famiglia dei Giulii, fosse della elezione del principe e che
il
sorto
il
nuovo
senato volesse approfit-
tarne per riprendere l'antico prestigio e dominare imx>eratore cito
(^),
im vero
ma
son cose che
si
leggono in Suetonio
questi scrittori sono
si
aggiunge, che
(*)
il
nuovo
e in
Ta-
ben lontani dal parlare
e proprio ristabilimento del
Dall'altro lato
diritto
il
di
governo repubblicano.
senato, nell'assenza del
Friedlander, Ghronologie der Epigramme Mariials (M. Valeri! Mart. Epigramm. libri, I, p. 98). (2) Bursian's Jahreshericht. XXVIII, p. 347. (^) Anche il Friedlander nel suo commento (vedi nota 1) a questo epigramma dice che Marziak> « nennt das Jahr 68 heilig \vegen der Befreiung der Welt [adserto orbe) von Nero ». (1)
(*)
Ner. 57.
(5)
Tacit., Uist.,
I,
4.
— uno
ri])ren(loii(I()
j)rincipe, ])rivat()
imi)orat()ri,
i::li
—
83
doi [)rivilogi, di cui lo avovajLo
batter moneto, oltre
l'occ'
con
dai numismatici,
Roma
stituta^
restituta,
loro
le
Roma
leggende
Roma
renascens,
di
chiamate auto-
rame, d'oro e d'argento, e queste monete,
nome
che
(lihertas
re-
Hercn-
victrix,
Mars ultor, ecc.) proverebbero appunto, Duca di Blacas, che le ha dottamente illustrate
se-
adsertor,
les
condo ed
il
Mommsen, che
il
repubblica
ma
;
ciò
(i),
morto Nerone, proclamasse
il
senato,
è
andar troppo
la
poiché bisogna
oltre,
rammentarsi che chi comandava allora in Eoma, non era il
senato, bensì la guardia pretoriana di Mnfìdio Sabino,
tanto
vero
è
narra
che Plutarco
(^)
avere
senato e
il
il
popolo riconosciuto, senza difficoltà alcuna, come impera-
Galba che già dai pretoriani' era stato acclamato men-
tore,
tre
que
stava occulto. Comun-
si
perchè l'ipotesi del Duca di Blacas e del
sia,
bisognerebbe che in
fosse vera, la
ma
viveva ancora,
ISTerone
quelle
Mommsen
monete autonome
parola lihertas volesse significare chiaramente governo re-
pubblicano
;
ma
qui sta appunto l'errore che lo
monete
rilevò benissimo fondandosi sulle di Claudio
(^)
(*),
di
Essai sur
les
Galba
(^),
di Vespasiano
Medailles Autonomes
Bom.
e
Schiller
iscrizioni
sulle
(«),
di
(^)
Kerva
(^)
de V Epoque Imp. (Ee-
argomento DeWiTTE, Rev. Num., X (1865), p. 167 Cohen, P, p. 342-351. Leggende simili si trovano nelle monete alessandrine di Galba èXsuGspfa, vue Numismatique, VII (1862),
p. 197). Cf. sullo stesso
—
;
:
xpdxr/ot^,
La Monnaie dans (^)
Galh., 7
oxpccxsi)[ia
Galb., ('0
{*)
:
upòixov,
àvayopeóosiev,
ecc.
Twiìt),
stpyjvYj,
Cf.
Mionnet, VI,
p. 74-76;
VAntiquité, II, p. 375. xat ^wvxog stc xoù Népa)V0(;, oùx
5xt
slxa
òXiyov
ó
oè
òy;|iog
liaxspov
ymI
f;
aÓYxXyjXO^
àTrayYsXOsfy]
òvzoq,
Lenormant, oh cpavspou,
xò
aùxoxpaxopa xòv FaX^av
xeGvyjxò)^
èxsìvoi;.
Cf.
SuET.,
Dio., LXlll, 29. Bursian's, Jahresbericht, XXVIII, p. 344. C. I. L., VI, add. ad 920, p. 841 = 31203: Ti. Claudio... vind{iei)
11
;
lib{ertatÌ8).
VI, 471 Hignum lihertatis restitutae Ser. Galbae imperatoria Ang. Cohen, P, Galh., 132-135 Lihertas restitnta. (®) (JOHEN, P, Vesp., 518, 521 Adserlori lihertatis publicae. 0'. (') /./>., VI, 472 Libertati ah Imp. Nerva (Jaes. Aug... restitutae. (•^)
0. /.
iy.,
:
—
:
:
:
Cohen, IP, Ayr., 3.
Nerv., 105
:
lihertas puhlica
;
cf.
Pein., Ep., IX, 13
;
Tacit.,
— (i),
e di Pertinace
—
84
nelle quali
si
notano frequenti
le espres-
sioni liberias publica, Ubertas restituta, UbertcUis P. E, vindex,
via dicendo. Ora è chiaro che questi im-
liberatis civibus e
peratori
non sono chiamati,
mismatici,
restitutores
nei
ovvero
monumenti
adsertores
epigrafici e nu-
publicae
libertatis
perchè abbiano pensato a far risorgere l'antica repubblica, ciò che sarebbe
semplicemente assurdo,
ma
perchè
essi ten-
tarono una ristaurazione più larga della diarchia Augustea
divenuta
che,
dei loro
rispettivi
Domiziano principi
nome vano durante
e
(3)
governo dispotico
il
predecessori Caligola,
Commodo, appariva
(^),
Nerone,
Vitellio,
di fronte alla tirannide di questi ai
E o mani
di
tempo
quel
vera
forma migliore di governo che da essi potevasi desiderare, in cui i principi conservassero con l'autorità l'orUbertas^ la
dine pubblico^ ed
privati,
i
senza opposizione, seguissero
l'impulso della propria natura verso
il
proprio bene
Per conseguenza, come nota benissimo
lo
(*).
se
Schiller,
monete e nelle iscrizioni di quegli imperatori che abbiamo rammentati, libertas restiUita significa uno stato di libertà non assoluta, ma relativa, ne viene da se che tale deve essere il suo significato anche nelle monete autonome del duca di Blacas, le quali perciò nulla possono provare nelle
in favore della ipotesi sostenuta dal
Incerta molto
mi pare anche
(1) (2)
proclamata da Galba,
Cohen, IIP, Peri., 28, 29 liberatis civibus. Anche Augusto, in una moneta dell'anno 28
E ufo
:
Dikhl) dice
di se
libertatis p. r. vindex,
medesimo
oppressavi in libertatem (^)
secondo
Clodio Macro, Fonteio Capitone e Virginio
Aug., 218), è chiamato ed.^
(^).
la sua congettura,
la quale la repubblica sarebbe stata
Ottone,
Mommsen
Le leggende
:
a. Cr.
ed egli {Bes
(Cohen,
Gestae,
rem publicam dominatione
I,
I, 1,
factianis
vÌ7t dicavi.
ob redditam, ob receptam libertatem,
restitutor
li-
trovano anche nelle monete di Gallieno (Cohen, IV, Gali., Costantino (Cohen, VI, Cosi., 93) e di Magneuzio (Cohen, VI, 3Iagn., 10). ma la voce libertas ha ormai perduto, in mieste monete, il significato attribuitole nel testo. (*) MiRABELLi, Storia del pensiero romano, IV, p. 529. (^) Schiller, Buts. Jahresber., XXVUI. p. 344 sg. bertatis si
15, 16, 369, 793), di
— 85 — nelle provincie d.a essi
governate
;
basta, infatti, esaminare
quello che su questo punto le fonti ci riferi-
un momento
scono. Galba volle chiamarsi
non perchè
oc populi romani,
repubblicani,
ma
speranza
prima
(^),
da principio
nutrisse nell'animo sentimenti
perchè, agitato com'era dal timore e dalla di manifestare le
sue
voleva vedere quale piega avrebbero presa a
serve
ciò
legatus senatus
comprendere
far
come
gli
vere intenzioni,
avvenimenti
egli,
primo
al
(^)
;
an-
nunzio della morte di Kerone e del giuramento di fedeltà che da ogni parte
gli
veniva prestato, deposto
legato,
prendesse quello di Cesare
essere
repubblicano un
il
titolo di
Del resto non poteva
(^).
uomo come
Galba,
che
compia-
cevasi di raccogliere predizioni secondo le quali nella Spa-
gna sarebbe sorto il principe nuovo (*). Kemmeno Ottone era repubblicano a ;
le
parti di Galba, due sole ragioni lo decisero
di vendicarsi di Kerone, lo
seguire, per primo,
il
il
:
desiderio
quale, rapitagli la moglie Poppea,
aveva relegato, sotto colore di una legazione, in Lusi-
tania
(^),
e la
speranza di ereditare l'impero facendosi adot-
tare dallo stesso
A sare
Galba
(«),
un tentativo repubblicano farebbe, a prima vista, penClodio Macro legato imperiale in Numidia e coman-
dante supremo della legione III Augusta che aveva sede in quella regione, poiché
attestano che
(^) SuET., Gali)., 9 tim spe recepii.
SlEVERS, op.
(')
SuET.,
monete
di lui ancora
superstiti,
all'annunzio della morte di Nerone, de-
egli,
(2)
le
:
nec diu cunctatus, condiiìonem partim metu par-
cit., p.
Gali)., 11
144.
sed supervenientibus ab vrbe nuntiis ut occistim
:
Neronem eunctosque in verba sua iurasse cognovit, deposita legati suscepit Caesaris appellationem. Anche questo testo di Zonaka (XI, 13), il quale dice di Galba clic tyjv -^yejAovtav èSé^ato, oùx VjGéXyjos §è xàg XYjC aÙTapx'.'a^ èucxXyjostg TipoaXapsiv xóxs, prova, a niio avviso, che Galba fin dal primo rnorneriio mirava all'impero. 8 [JET., Galb.,
(*)
{^)
Tacit.,
sepoHuit («)
;
cf.
0.
llisl., I,
.Suj:t.,
13
(Jlh.,
SuET., Oth., 3-5.
:
m provinciam
3.
Lusitaniam specie legationis
— ])osto
il
titolo di legato
proprae{tore)
Koma
—
imi)erialo,
aveva assunto quello di
proprio del secolo settimo di
titolo
Africae,
86
che a ciascuna delle sue legioni
e
Macrlana formata, quest'ultima,
la I
(la
III Augusta
dallo stesso Clodio
milizie raccolte nell'Africa) av(n'a aggiunto
il
e
con
soprannome
Ma, sotto queste parvenze repubblicane Clodio nascondeva probabilmente il proposito di impadrodi
Liheratrix
(^).
da Calvia Crispimagistra libidinum Neronis, come la chiama Tacito,
nirsi dell'impero nilla,
(^),
trattenuto in Africa
Eoma, volta
allo
le
navi destinate a portare
fa
supporre
Clodio
romano avrebbe dato l'impero a la
grano a
il
scopo di provocarvi una carestia ed una
mi
(^),
e l'aver egli, istigato
sperasse lui
che
il
ri-
popolo
che poteva far cessare
fame. È, del resto, notevole che Tacito
(*)
lo
chiami do-
minus, titolo che, se conveuiva a Clodio per la sua avarizia e crudeltà
non potrebbe certamente
(^),
applicarsi a lui se
fosse stato
adsertor libertatis nel senso attribuito
parola dal
Mommsen.
Che Virginio Bufo
proponesse, alla morte di Nerone,
si
di far risorgere l'antica repubblica pare al dall'epitaffio di
a suo
modo
quell'uomo
di vedere,
a questa
illustre, pivi
dovrebbe
Mommsen
provato
sopra riferito, e che,
così interpretarsi
:
qui giace
Per le monete di Clodio Macro vedi Mùller, Numismatique de r Ancienne Afriqiie, II, p. 170; R. Movat, Monnayage de Clodius Macer (Riv. Ital. di Numismatica, 1902, p. 165 e segg.). A torto il Mommsen {C. I. L., Vili, p. XX) sostiene l'identità della legione III Augusta con la I Liheratrix Macriana ; v. sopra, pag. 38. Plut., Galh., 6. Polemius Silvius, in (2) Tacit., Hist., I, 7, 11 Mommsen, Chr. Minora I, 520 (Nero) sub quo Vindex et Clodius (1)
;
:
tyranni fverunt.
Plut., Galb., 13. IIFiegel {Historia leg.III {^) Tacit., Hist., I, 73 Avgustae, p. 16) dice addirittura che Clodio « Calvia Crispinilla agitante atque hortante imperatoriam petebat dignitatem ». (*) Tacit., Hist., I, 11. (^) Plut., Galh., 6. Clodio Macro fu fatto uccidere, per ordine di Galba, da Trebonio Garuciano, procuratore della Maurctauia Tingitana (vedi su ciò Pallu De Lessert. Fastes des Frovinc. A f rivaines I, 531). per mano di un centurione chiamato Pa]>irio (Tacit. ;
.
Uist., 531,
1,
7;
IV, 4U
;
cf.
1,
37,
Plut., Galb.,
15).
— il
Pimi)ero
che
mente
Con
era
gli
favore
in
tutto
il
stato
del
rispetto
me sembra
msen, a
—
dopo aver vinto Vindice,
quale,
Virprdo,
H7
ma
oi!ferto,
ristabilimento
dovuto
rifiutò
non
dichiarò aperta-
si
della
republ)lica
(^).
Mom-
grande autorità del
alla
solo
invece che Pintei*pretazione dell'epitaffio
non possa esser che questa qui giace Virginio, il quale? dopo aver vinto Vindice, non volle far proprio l'impero che i suoi soldati più volte gli offrirono, non volle designare :
nemmeno
il
senato ed al popolo)
il
nuovo,
princi})e
conservatori,
principi
suoi
ai
chi dovesse essere
lasciò
ma, fedele
patria (cioè al
alla
decidere sulla elezione; e con
imperium adseruit Virginio non alludeva
le
parole
al
rista-
affatto
ma, come benissimo osserva anche lo Schiller, supponeva anzi permanente la forma monarchica del governo (^).
bilimento
della
repubblica,
Mommsen
argomenti adunque addotti dal
per
di-
mostrare la esistenza di un vero e proprio movimento
re-
Gli
pubblicano in Eoma, non occidentali,
ma
solo,
ancora nelle provincie
non mi paiono, dall'esame
fatto fin qui, abba-
stanza fondati per troncare ogni dubbio su tale questione
ma
dato anche e jion concesso che questo movimento
realmente avvenuto, come potrebbe farsene di Vindice
;
sia il
campione ? Il discorso da lui tenuto ai Galli, e che compendiatore di Dione (la cui autorità il Mommsen stesso
principale il
non disconosce) ha conservato, è un vero programma, come già si è visto, di uomo devoto alle istituzioni monarchiche
—
(1) Hermes, XIU,]). 99 G. Sckr. IV, 341. « er (VerginiuB) lehnte nicht bloH8 fùr «ich die KaiKerwiirde ab, sondern erkiàrte sich aucli fùr
die Wiederlierntelluug der Kejjublik
».
—
Bursian's Jahresbericht, XV, pag. 509. Anche Dione Cassio (I^XVIII, 2, 4), o XiFiLiNO che dir si voglia, intende, nello stesso (2)
modo,
l'cfniaffìo
Virginio
di
:
vtxigoai;
—
Otk'v^txa
xo
v.pdxoc,
oòx
éautq)
Tiaxf/t^t, Non è jjunto chiaro quanto Tacito scrive sui disegni di Fonteio Capitone, governatore della bassa Germania, il quale venne fatto uccidere dal legato Fabio Valente {Ilist., I, 52 TU, f)2) ma, ad ogni modo, non si può assolutamente asserire
Tisp'.STio'.yjoa-co,
;
(cf.
Dio.,
dXXà
ty;
;
LXIV,
2)
che
egli fosse
repubblicano.
— ben lontano Tutto
si
clal
88
—
nutrirò nolP animo sentimenti repubblicani.
riduce adun(i[ue a quelle j^arole adscrtor a Nerone
Uhertatis del passo di Plinio le quali la chiave di volta della tesi del
a chi ben
consideri,
le
formano, per così
Mommsen ma
quello che l'insigne storico supi)one. Già
numismatici di questo temp/O
grafici e
aiuto per iscoprirne
il
quelle parole,
;
mi pare vogliano
significato
dire,
dire tutt'altro di
monumenti
i
epi-
furono di valido
ci
ma
generale,
giovane
due passi
di Plinio
il
vecchio e di Plinio
stabilirne
il
significato particolare rispetto a Vindice. Nella
il
servàraimo a
ci
Naturale (VII, 46) Plinio dice che Nerone fu nemico
storia
del genere
umano
in tutto
hostem generis humani) e
cipatu suo
lettera (III, 5), ove fornisce a
un
di suo zio, ricorda
da Plinio
suo regno (Neronem
il
il
toto
prin-
Plinio giuniore
nella
Bebio Macro l'elenco
trattato di cose grammaticali scritto
vecchio negli ultimi anni del regno di Nerone,
nei quali, egli dice, sione di Plinio
il
servaggio (notisi bene questa espres-
il
giovane) aveva reso pericoloso ogni genere
di studi pili elevato e inn libero (duhii sermonis
sub Nerone novissimis liberius
palilo
et
annis,
erro,
periculosum servitus
ereetius
:
seripsit
testi,
fecisset)
mi par
facile,
affermare che Vindice è chiamato adseHor
da Plinio
tatis
odo
cum omne studiorum genus
Ora, tenendo conto di questi due
non
delle opere
il
naturalista,
non perchè
il
(^).
se
liber-
suo tentativo
fosse stato antimonarchico e tale fosse apparso agli occhi di quell'insigne scrittore,
ma
gendo contro Nerone, aveva
solamente perchè scosso,
ima buona
giogo servile che, da quasi quattordici anni collo ai
Eomani ed
esso, insor-
C^),
volta,
pesava
il
sul
era stato la causa prima per la quale
l'impero avea potuto esser liberato da quel nemico del ge-
(^)
Lo
stesso
Plinio
il
giovane in una lettera diretta all'aiiiieo suo il regno tirannico ili Domiziano, tanto
chiama
Titius Aristo (Vili, 14),
simile a quello di Nerone, prioruìn
posto,
usa
le
parole
reducta
temporvm
Ubertas
per
iitrritns
;
e,
designare
per contrapil
regno
di
Nerva. C^)
iSvì'iT.,
i\er.,
40.
I
— 89 — umano come
nerv
desimo
]S"orone
chiamato da Plinio me-
^n.o^no
(^).
Esaminata così l'ipotesi del Mommsen (^) che non sembra abbastanza munita di prove, vediamo ora se quella sostenuta dallo Schiller abbia maggiore fortuna.
La
rivolta di Vindice ebbe,
scopo
rone,
senta, a ])arer suo, molti punti di contatto di Sacro^iro e di Civile
non avrebbe
(^),
il
Ed
le
pre-
sollevazioni
rammenta insième, ciò che davvero non gli fossero apparse simili e nelle
le
fatto se
dello
con
essa
Ne-
valoroso legato della legione
loro cagioni e nei loro particolari
argomento
storico di
anzi è Tacito stesso, dice lo Schiller,
;
che, nel discorso di Vocula,
vigesimaseconda
lo
antiromano, poiché
ed
nazionale
secondo
Ma
(*).
a questo primo
non mi pare
Schiller la risposta
invero, prescindendo pure dal fatto
difficile.
che troppo poco
sappiamo della rivolta di Vindice per poterla porre a raffronto con quelle di Sacroviro e di Civile, bisogna prima che, nel discorso di Vocula, e
di tutto avvertire
ricordato insieme con
il
tentativo di Vindice quello di Sacro-
viro soltanto, e ciò per la ragione che
aveva posto città galliche (1) Il
i
(^)
(2)
grandi debiti dai quali erano oppresse
le
sola battaglia
;
e del resto, se
vera cagione della rivolta di Floro e di
la
passo di Plinio spiega, se ancora ce ne fosse bisogno, quello 9), ove si dice che Vindice, scrivendo a Galba, lo generi adsertorem
L'opinione del 265.
cit., p.
le rivolte si
SuETONio {Galb., esortava ut humano di
ad ambedue
ben
una
fine
guardi, furono
veramente
Il
Mommben
Bertolini {Storia
accosta in parte, poiché dice che
repubblicano
»,
ma
che
«
ducemque
se
accommodaret.
è seguita anche dall' Hertzberg, op.
il
Eoma, Milano, 1886, p. 727) vi si moto di Vindice « fu nel suo nascere
di
col suo propagarsi
perde subito questo carat-
non ebbe più altro obbiettivo fuorché di disfarsi di Nerone i)er sostituirgli un altro imperatore ». Però l'analisi fatta più Ropia del discorso di Vindice ai Galli mi sembra che renda insostetere, e l'insurrezione
nibile
anche questa del
(^)
Hist., TV, 57
GolliaMque {*)
sint/vlifi
:
Bertolini, che chiamerei opinione intermedia. sic
olim Snerovirnm
et
Aeduos, nvper Vindicem
proeliis concidisse.
Nero, p. 269.
Tao., Ann., Ili, 40 Gallùirun), civitatee oh magnitndinem aeris alieni rebellionem coeptavere ; cf. Desjardins, op. cit.. Ili, p. 270. (*)
:
^
— 90 — Sacrovirc), oalli i
non avendo
quali,
i
])otuto corromj)ere
soldati
i
che sorvivan l'impero, iurono costretti a giovarsi, per
loro disegni, della parte (i).
popolazione
miserabile e
])iìi
Codesta rivolta nulla ebbe di nazionale,
movimento vago ed impotente,
fu un
Tacito,
il
abietta della
piti
governo imperiale fece appena attenzione
tentativo di Civile ebbe certo maggior gravità, gallico fu
Vimpero
batavo e germanico
delle Gallie
(^),
il
suoi compagni. Civile e
poiché
essi
nio, di cui
come
al quale,
;
sa,
che
piti
che
infatti,
Il
al-
non giurarono fede, più vasto, ad un domi-
suoi barbari
i
centro fosse stato
il
di
paese dei Batavi, e
Germania (*). È noto, del Civile riusci vana appunto per
vincie, la Gallia e la la sollevazione di
(^),
grido di guerra di Classico e dei
miravano a qualcosa il
ognuno
ma
dice
le
Pro-
resto, che
l'esitazione
dei Galli e specialmente dei Sequani aifezionati alla causa
romana. Giuseppe Flavio I,
65)
(S),
chiamano concordemente
la rivolta di
anzi quest'ultimo scrittore (Hist.,
gallica,
come un bellum
fica
Plutarco (Galb., 10) e Tacito
(Eist.,
Vindice la guerra I,
89) la quali-
provinciale quod Inter legiones Gallias-
que velut externum fuit
;
queste espressioni paiono
(1)
Tacit., Ann., Ili, 40, 42.
(2)
Tacit., Ann., Ili, 44
An
:
allo Schil-
compererai (Tiberius) modica esse
et
vulgatis leviora. (*)
vum dum
Tacit., Eist., IV, 61
:
Civilis...
ncque se neque qvemquam Bata-
in verba Galliarum adegit, flsus Germanorum opihus et, si certanadversus Gallos de possessione rerum foret, inclutus famaetpotior.
Cf. ib., IV., 59. («) (^)
DuRUT, op. cit. De beli. lud., IV,
IV., p. 140. 9, 2
:
xóv te xaxà tyjv
FcxXatJav
7i:óX£p.ov
ó)^ è-cs-
Xeuryjos. In altri passi di questa stessa opera Giuseppe Flavio ricorda la ribellione di Vindice così nella introduzione (pr. 2) dice che la Gal;
lia
non era tranquilla
(tò
KeXtixòv oùx
'yjpsjiei)
;
e altrove
(IV,
8, l)
che annunziavasi una rivolta nella Gallia (xò Trspl xyjv TaXae che Vindice si era ribellato a Nerone ((£(ia (ov èv àxptpsoTspotj itspì xolg Sovaxotc x&v èmxwpiwv àcpsaxcbg Népwvog, àvayéYpauxai). Ad ogni modo se da questi passi di Giuseppe Flavio potesse inferirsi che il moto dello Gallie venne accolto con uioia in Giudea perchè creduto simile a quello dei Giudei stessi, m»n ne ver riferisce
xtav àYyéXXsxai xfvTjna)
rebbe per questo che tale fosse stato realmente.
— 91 — ler
un ars^omonto
sicuro por afformare che
antiromano.
zionale ed
Ma
invece,
se
predotti scrit-
un
tentativo di Vindice
tori riconoscono noi
i
ben
carattere nasi
^mardi, nei
non potrebbe essere diversamente chiamata, poiché essa non cessava di essere gallica sebbene concepita nello scoi)0 puramente romano gli di rovesciare dal trono Nerone, sostituendovi Galba elementi infatti che la formavano erano tutti gallici, essa la
citati
tosti
rivolta di Vindice
;
mai si estese al di là della Gallia, e in territorio gallico fu combattuta la battaglia in cui si decise la sorte di Vindice. Per conseguenza quelle espressioni usate da Giuseppe Flavio, da Plutarco e da Tacito non sono, a mio avviso, che semplici espressioni topografiche, le quali non possono, in modo, designare
alcun
il
carattere
vero
e
proprio della
rivolta.
Crede poi sieno stati
lo Schiller
una
fìnta del
che
i
rapporti di Vindice con Galba
primo per nascondere
del
suo tentativo e per raggiungerlo in
ma
il
il
modo
vero scopo più facile
;
contegno di Galba dopo la morte di Vindice distrugge
completamente questa la quale non è, in pura asserzione. Narra infatti Suetonio Galba rimase
dice,
tutto, fu sul
così
realtà,
che,
che una
morto Vin-
costernato, che, abbandonatosi del
punto d'uccidersi
(^).
Eisollevato però l'animo
notizia che la sua elezione era stata confermata dal
alla
senato e ricevuti
gli
ambasciatori dell'augusto consesso in
Narbona, volle onorare
la
memoria
l'ordinargli funerali splendidi poli,
(^)
di Vindice,
prima con
e poi col concedere ai po-
quali ne avevan seguite le parti e che, in qualche
i
modo, erano
stati autori della sua stessa
fortuna, la citta-
dinanza romana e la esenzione di un quarto dei tributi
(1) (*)
SuET., Galb., 10. Plut., Galb., 22 :
xeOvyjy.óxa (•')
recenti {Galli)
v.olì
jióvo) [0ò'.'v5ixt]
xòv TdXpav yÓLpvi eiSévat xal
(^),
xi|jiàv
yepa'.psiv dirjiioaiot^ svaYtoiiot^.
8 Galliae super memoriam Vindicis obligatae dono romnnne civitatiH et, in poster uni tributi levamerhto ; I, 51 remissam sibi a Galba quartam tributaram, parlem et publice do-
Tacit., IHhI.,
I,
:
:
— 9« — montro volle puniti soToramoutc mostrati contrari
(i).
Di qui
la
quelli che a Vindice
formazione in Gallia di due
tempo abitata
fazioni le quali la tennero per vario nel centro, gli Ar\'erni, ^lì
galbiani i
Eemi
(^),
erano
si
Edui ed
mentre a settentrione
Sequani furono
i
i
e diAÌsa
Lingoni,
;
tutti
Treveri ed
i
seguirono la parte o])posta. Ora, da tutti questi
non
fatti considerati insieme,
argomentare che Vin-
è lecito
dice aveva veramente sollevato la Gallia in favore di Galba?
non sarebbe, infatti, inconcepibile che la sua memoria avesse avuto da Galba funebri onori e che ai suoi partigiani fossero toccate ricompense e privilegi, se la rivolta, da lui cominciata in Gallia, fosse stata puramente nazionale ed antiromana ? È vero che Plutarco riporta la voce, a cui lo Schiller dà molta importanza, secondo la quale l'esenzione dai tributi e la cittadinanza romana i Galli, amici di Vindice, avrebbero comprata da Vinio, il legato imperiale, non ottenuta dalla liberalità dell'imperatore (^) parmi peraltro facile l'arguire esser stata questa una voce falsa sparsa, ad ;
arte, dal partito
antigalbiano,
il
quale
cercava,
con ogni
—
Vienna ; cf. Plut., Galh. 18. Vienin multus (Tacit., Hist., I, 65 più favorite Galba da fu tra nenses honor), il quale, in questa occasione, ingrandì il tenitorio della Narbonese aggiungendovi, dal lato delle Alpi, il paese degli Avantici e dei Bodiontici con il loro cppidum Dinia (Plin., Hist. Nat., Ili, 6).
natos in ignominiam exereitns iactobant le città
:
Betuvs Chilo, il governatore dell' Aquitania che a Vindice si era mostrato ostile, fu ucciso (Tacit., Hist, I, 37) i Lingoni e i Tréveri ebbero diminuito il loro territorio (Tacit., Hist., I, 53. 54) a Lione furono confiscati i redditi (Tacit., Hist., I, 65) ed altre città furono gravate di nuovi tributi o ebbero distrutte le mura (Suet., Galb., 12). pars Galliarnm, qnae Ehenum accolit... (*) Tacit., Hist., I, 51 acerrima instigatrix adversum Galbianos; hoc enim nomen fastidito Vindice indiderant. A proposito delle parole fastidito Vindice non mi pare Lingoui esatto lo Schiller {Kero, p. 26S) quando dice che Treveri e unpasseudeiu gànzlich «mit chiamavano Galbiani i seguaci di Vindice: (^)
;
;
:
i
i
Namen, wie der
Schriftsteller (Tacitue)
.
ger des Vindex hàtten heisseu pare tutt'altro esso dice che i Treveri e ».
;
altri Galli col
soprannome avevano perfino a noia
tro Vindice, che (»)
Plut., OàLb., 18.
sie eigeutlich Anhanpensiero di Tacito a uie
bemerkt da
miissen
Il i
Lingoni chiamavano
di Galbiani. })oichè tale era il
suo nome.
il
gli
loro odio con-
I
— mozzo, di
a^li
donifi^raro,
91
—
ocelli
antichi seguaci di Vindice, e
gli
tal diceria in
lozioni
,£,^oTinaniclio,
riconoscer(^. la fonte di
il
(^)
chiama feeunda rumo-
non sarebbe cosa affatto improbabile.
ribuSj
Ma un della
Lione, che Tacito
debile
argomento adduce lo Schiller in appoggio sua ipotesi, che, a prima vista, potrebbe sembrare dealtro
Attestano Suetonio e Plutarco che
cisivo.
le
legioni della
Germania superiore fremevano nulla ottenendo della grande ricompensa di cui si tenevano degne per Popera prestata contro Vindice e
mai
i
Galli
(^)
ora lo Schiller
;
si
domanda come
una ricomaver combattuto
quelle legioni avrebbero potuto aspettarsi .
pensa da Galba
se esse
dovevano credere di
in Vesonzio contro lui stesso, ciò che infatti sarebbe avve-
nuto
se
moto
il
di Vindice avesse mirato
all'impero. Bisogna
quelle legioni
dunque concludere, dice
che
lo Schiller,
pensavano, invece, di avere, con la vittoria
di Vesonzio, giovato a Galba,
tativo
ad innalzare Galba
separatista di Vindice
mento, condotto a
filo
rendendo impossibile (^).
di logica,
Tutto
il
ten-
ragiona-
codcv^^to
tornerebbe benissimo
se
Suetonio e Plutarco dicessero cosa non suscettibile di un'al-
Ed
tra interpretazione. tori
non
si
vuol
dire,
infatti, in
quei passi dei due
a mio avviso, che
le
legioni germaniche
erano malcontente perchè Galba non concedeva loro
mio a
scrit-
un pre-
ma perchè erano avuto. E la ragione è
cui credevano di avere diritto,
cure che da lui
mai
lo
avrebbero
si-
fa-
detto poc'anzi narrando la
rammenti quanto abbiamo rivolta di Vindice. Le legioni
Germania avevano
sperato, vincendo in Vesonzio,
a comprendersi sol che
cile
dell'alta di
si
aver resa impossibile la candidatura di Galba, alla quale (1)
Hist., I, 51.
SuET., Galh., 16 maxime fremebat superioris Germaniae exerfraudari ne f)raem,ii8 navatae adversns Gallos et Vindicem, operae ; Plut., Galh., IH: ol 5è Tipóxspov òtiò Oùspytvun Ysvófievoi, tóts S'òvxs^ utiò (^)
:
citus,
X(xy.y.o)
Tcspi
Tef/iaaviav,
è|iaxécavxo Tcpò^ Oùiv^ixa, >jaav.
Ci. (3)
i(l.,
22.
Nero, p. 265.
|1£Y7.À())v
iiy^òsvòi;
|xèv
à^toOvxsj
auxoùc,
3cà
xyjv
Sé xoyxotvovxes, àr.apigyópìgxoi,
tidx.7]v,
xolc,
yìv
àpxouaiv
~ noa erano punto
94
—
favorevoli, tanto è vero che esse, cupide
avevano offerto l'impero a Virginio. Ma, come
di donativi,
sappiamo, la loro speranza rimase delusa
Virginio rifiutò
;
l'impero e Galba venne da tutti riconosciuto imperatore.
Lo riconobbero anche malincuore
poiché
(^)
germaniche,
le legioni
con
esse,
ma
la elevazione di
ultime e a
Galba, ve-
devano appunto sfuggirsi di mano quel premio da loro tanto agognato e che da Galba mai avrebbero potuto ottenere, lo sapevano avendo le loro armi colpito in Vesonzio bene non solo Vindice, ma anche gli interessi dello stesso Galba che in Vindice riconosceva il solo autore della sua grande fortuna (^). Aggiungi che i Treveri, i Lingoni e gli
—
—
altri
puniti da Galba con enormi gravezze,
popoli,
tavano
ecci-
dei soldati romani contro gli antichi partigiani
l'ira
di Vindice, che, per
privilegi ottenuti e dei quali
i
vanta-
si
vano apertamente, erano stati trattati come vincitori (^), mentre agli occhi delle legioni non apparivano che vinti e
nemici
(*)
aggiungasi, infine, che
;
correva la voce
(facilmente
nei
campi
creduta dai soldati,
taììiquam alias partes fovissent [Tacit., Hist.,
come
considerarsi
decimar
le
i
come
Tacit., Hist.,
Germaniae (2)
btC
Èxeivou (3) (*)
e
malcontento nelle
file
dopo (genjiaio 69) scoppiare Se tutto ciò adunque è vero, parmi evi-
I,
53
:
nec nisi occiso Nerone translatus
superioris'] in Galbam atque in Germaniae praeventiis erat ; cf.
Plut.,
(^),
dovesse, poco
legioni,
inferioris
il
accenna Suetonio, che serpeggiava
in aperta rivolta.
(1)
quali,
potevano
centurioni migliori
sarà facile spiegarsi da tutti questi fatti
delle
I, 8],
i
Eeno
a Galba), che l'imperatore volesse
ribelli
legioni e congedare
latente, a cui
del
Gali).,
'Ptóp,a{(tìv
22
|ióv(p
:
ipso
eo I,
[exercitiis
sacramento
l'exììUs
8.
[Oùiv5txt] tòv
TotXpav x^^P^^
sìSévat....
w$
àuoSsSeiYlJLévov aòxoxpdxopa.
Tacit., Hist., l, 51, 53, 54. nec socios, ut olim, sed hostes Tacit., Hist., I, 51 :
et
rictos vo-
cabant. (^)
ditnm, dimitti.
Tacit., Hist.,
decumari
I,
legiones
51 et
:
accessit
callide
promptissimum
volgatum,
quemque
temere
ere-
centurionum
— 95 — d.euto cho
nommono
i
passi di Sm'tonio e di Plutarco possano
giovare alla tesi sostc^mita dallo Sehiller
Ed
ora non resta che concludere. Se Vindic(?, insor^n;ndo
contro Kerone, avesse avuto
il
pensiero di staccare la Gal-
dalPimpero romano per formarne un regno
lia
dente
le fonti lo
(^),
di lui,
Edui
tentò sollevare contro
(^),
il i
quale, poco
Eomani
tempo dopo
villaggi
i
df^gli
orvevo restitutorGalliarum, il sopTdjXinome che a Postu-
attribuiscono
Ma,
indipen-
chiamerebbero a dirittura adsertor Gal-
liarum come quel boio Maricco
mo
(^).
poi, si
i
monumenti numismatici del
può davvero supporre che
ligente dei tempi neroniani
(^),
secolo terzo (*).
Plinio, lo storico di-
avesse chiamato
Vindice
anche quanto scrive l'anonimo recensore della Storia di Nerone dello Schiller nel Philologischer Anzeìger, V (1873), p. 405. In un passo di Tacito, già citato {Hist., II, 94), si dice che Vitellio, (^)
Cf.
—
richiestone dai suoi soldati (postulantur) , ordinò
Flavo
il
supplizio di Asia-
Rufino duces Galliarum, quod prò Vindice bellaòsent. Quell'espressione daces Galliarum, dice lo Schiller {Nero, p. 269), fa pensare ad un'impresa nazionale, e quei duces, stando fi Tacito, non combatterono in favore di G-alba, « sondern ausdrùcklich lautete die A.nklage, sie hàtten fiir Vindex gestritten ». Il passo di Tacito è adunque, secondo lo Schiller, un altro argomento per la sua tesi. A me però quel passo altro non prova se non che, nelle legioni germaniche, al tempo di Vitellio, vivissimo si manteneva ancora l'odio contro Vindice e i suoi partigiani e difatti se i nomi mutavano, le fazioni duravano sempre. Gli antigalbiani divennero in Gallia ferventi seguaci di Vitellio e Tacito {Hist., I, 65, 66) stesso ci narra che, morti Vindice e Galba, non erano ancora sparite le antiche rivalità tra Lione e Vienna, che i Lionesi eccitarono Fabio Valente, legato di Vitellio, a distruggere l'antica loro rivale sotto pretesto che essa era stata sedes Gallici belli e fautrice zelante di Vindice e di Galba e che Vienna potè, soltanto a furia di oro, sfuggire a certa rovina. (^) Anche il Sievers (op. cit., p. 143) sostiene che nella rivolta di Vindice altro non debbasi scorgere che « einen Versuch Gallien von
tico,
e
;
;
;
Rom
loszureissen
(3)
».
Tacit., Hist., II, 61.
(*)
De Witte,
(^)
Plinio, come è noto, continuò in 31
Empereurs des Gaides, Postum., 256-261. libri, la storia di Aufidto Basso (cf. Pltn., Ej)., Ili, 5, 6), narrando secondo le congetture del Dctlelseri e del Gutsclirnid il periodo che si estende dalla morte di riaudio (n. 41) fino al trionfo di Vespasiano e di Tito (a. 71). Cf. Teuffel, Geschichte der lióm. Literatur IP, p. 288 e seg.
—
—
—
—
96
mede-
adsertor HhertaUs noi s^^nso ijiustissimo che lo Schiller
simo attribuisce a questa espressione,
cioè, di
liberatore
dell'impero dalla tirannide di Nerone, ribellandosi,
fosse proposto di liberare la patria sua dalla
si
dominazione di Roma,
ciò che
occhi di
ao^li
avrebbe fatto senz'altro apparire come mi
anche concedere, ciò che peraltro per primi, aprì l'animo suo,
un movimento il
separatista
si
lo
Possiamo
non dicono
le fonti
affatto,
ai quali Vindice,
siano dichiarati fautori di
ma
(*),
un romano
ribelle ?
che alcuni di quei capi della Gallia centrale,
oltre
se Vindice,
certo
è
andar troppo
volerlo attribuire recisamente alle intenzioni di Vin-
dice, poiché esso,
sebbene di orioine gallica, nel fondo era
troppo romano per voler ricondurre la patria sua all'antica
indipendenza di Vercingetorige dinaostra precursore di
Postumo
e
di Lucterio,
e di Tetrico,
e
nulla lo
come lo vogliono
Augusta (^). Ribellandosi a Nerone, Vindice aveva soltanto sperato di poter liberare il mondo romano da una obbrobriosa tirannide che durava quasi da quattordici anni e di ristabilire. fare gli scrittori della storia
(1)
DuRUY,
op. cit., IV, p.
88.
Sparziano [Pescenn. Nigr., 9), Lampridio {Al. Sev., 1) e Vopisco {Firm., 1) annoverano Vindice fra i tyranni, vocabolo in uso al terzo od al principio del quarto secolo per designare, per lo più, i capi d'un corpo d'esercito, che, tumultuante e ribelle, proclamavali im(2)
peratori sperandone quindi elargizioni e donativi ed ogni genere di privilegi
[GiAMBELLi, Gli
VI, 1881,
p.
280)]
;
cf.
scrittori della
Storia Augusta (Atti dei Lincei,
POLEMIUS SlLVIUS,
Giuliano Apostata {Caesares, 399,
ed.
14, ed.
MOMMSEN,
1.
e. I.
520.
—
Hertlein) ricorda Vindice
addirittura insieme con Galba, Ottone e Vitellio
(sui xouxfp noXkoi xaì
Anche lo JuLLiAN (op. cit., p. 27) crede (ma mi j)are gratuitamente, per quello che già abbiamo detto nel testo) che Vindice comme les empeveurs du troisième siede, songea à un royaumc des CJaules vivant soiis hi souveraineté de Rome, et qu'il dut poser à Galba des conditions oii faveur des libertés de son pays » e che « il a tenu, comme Givilis. coìiime Tetricus, à ce que h^s ("uiules conservassent à tout pii\... Tuiiite (|u"elles devaieut à la conquète romaine ». TiavxoSaTroì auvéxpsxov,
BivSixsg,
FotXpai, "OOcovsg,
BixsXXtcì).
i
òon un principe miglioro,
La
-
-
ò^
il
o^overno temperato di Augusto.
battaglia di Vesonzio troncò le sue speranze
;
ed esso,
uccidendosi, con quel senso divinatorio che la credenza antica attribuisce ai morenti, forse previde che la conciliazione
tra la libertà e si
il
principato, ispiratrice della sua rivolta,
sarebbe un giorno compiuta, non prima peraltro che
Eomani
fossero stati messi a
PaDarchia militare e con di
Domiziano.
le
nuove prove con
i
le stragi del-
insanie feroci della tirannide
LA LEX DE IMPERIO VESPASIANI
^')
I.
Quella insigne tavola di bronzo, conservata nella
sala
Fauno, nel museo capitolino, che porta incisi alcuni dei diritti imperiali conferiti a Vespasiano Augusto, e che Cola del
prima di assumere il titolo e la potestà 20 maggio 1347, tradusse e spiegò, per il primo,
di Eienzo,
di tribuno,
il
in
arringa
politica,
Eomani
ai
nella Basilica lateranense
fu oggetto di molti studi nei tempi passati
derna erudizione, con
i
una sua
(^).
(^),
Anche la mo-
mezzi maggiori dei quali dispone, vi
messa dattorno con grande amore, e ai cultori dei nostri studi sono senza dubbio presenti, oltre la traduzione e il
si
è
commento notevole (1)
del Mispoulet
le
(*),
sagaci osservazioni
Pubblicato nel Bull, della Comm. Ardi. Comunale di
Boma
1890.
Della scoperta da lui fatta della lex Vespasiani parla lo stesso Cola, in una sua lettera dell'agosto 1350, ad Ernesto di Parbubitz, arci(^)
vescovo di Praga, nei seguenti termini « patet etiam de bis quedam tabula magna erea, sculptis literis antiquitus insignita, quam Bonifacius :
odium imperii occultavit et de ea quoddam altare construxit, ego autem ante tribunatus assumpcionem posui illam in medio Lateranensis ecclesie ornatam, in loco videlicet eminenti, ut poHsit ab omnibus inspici atque legi » {Epistolario di Cola di Rienzo ed.
papa Vili a tergo
in
literis occultatis,
a cura di A. (Jabuielli, p. 165). Per
sua
vita scritta
da incerto autore nel
discorso politico di Cola, v. la
il
sec.
xiv
(ed. Re), p.
26 e segg.
(") Pejr la letteratura più antica sulla lex de imperio, cf. Cramer, Vespasianvs (.Jenae, 1785), p. 29 e seg. Rein, lex Regia (Pauly, Real Encyklop., IV, 995), e le note dell' 11 enzen all'iscrizione {C. 1. L. VI, 930). Sui dubbi puerili sollevati, nei secoli scorsi, intorno all'autenticità del bronzo caj>itolino, cf. Gravina, de orla et progressu iuris civilis (Ve;
netiis (^)
17.58),
p.
64,
106.
Inslitutions Roliliques des
Romains,
1,
367 e seg.
—
-
100
che sulla importante iscrizione capitolina proposero
msen
Karlova
il
(^),
gli sforzi di così
e
(^)
Willems
il
valenti eruditi,
nostra iscrizione, sia rispetto
nome
al
buito,
al
Ma, nonostante
(^).
difficoltà
le
Moni-
il
che presenta la
suo contenuto, sia rispetto
che, sull'autorità delle fonti ^^^iuridiche, le è attri-
sia
rispetto
infine
suo
al
carattere
signifìcatoi
e
non mi paiono tutte vinte; rimangono ancora alcuni punt, oscuri che esigono di
spiegati e che noi
essere
ci
propo-
niamo appunto di esaminare in queste pagine. Comincieremo dal contenuto della iscrizione (*) che, per la piena intelligenza delle nostre osservazioni, sarà utile trascrivere inte-
ramente, distinguendone a)...
cum
joedusve
cuit divo Aug{nsto), Ti.
parti in altrettanti paragrafi.
le
qinbìis volet facere liceat ita,
lidio
Questo primo paragrafo della
;
Vespasiani che, come
lex
vede, è incompleto, non presenta difficoltà alcuna
riguarda
il
di trattati
diritto
del
principe
internazionali, e
senza dubbio comprendere della guerra e della pace
quale non tutti
li-
Caesari Aug{usto), Tiberioque
Claudio Caesari Aug(usto) Germanico
si
liti
concludere
di
parte
nella
ogni
esso
;
specie
mancante doveva
il
diritto del principe di decidere
(^).
Sulla actoriim rescissio, per la
predecessori di Vespasiano sono menzio-
i
Mommsen,
nati nella legge, vedi
op.
cit.,
11^,
1129.
b) vtique ci senatum Jiabere, relationvm facere, remitsenatusccnsiilta
tere,
per
liceat ita, uti licuit divo
Ti.
relationem
discessionemqìte
facere
Aug(usto), Ti. Inlio Caesari A{ìigtisto),
Claudio Caesari Angusto Germanico; e)
utiqiie
cum
ex voliintate auctoritateve inssu manda-
tuve eius prassenteve eo senatus Jiahebitur,
perinde Jiabeatur
ac
servetìir,
si
e lege
omnium rerum
senatus
edictus
ius
esset
habereturque.
(^)
Ròm. Móm.
(^)
Droit puhlic fomain'',
(^)
Stnnisrecht, IP,
Fechtsgeschichte,
876 e seg. I,
p.
494 e seg;. 414 e seg.
= Bruns. Fontes \ n. 56, p.
=
=
(*) a. I. L. VI. 930 Dessau. 244 RiccoBONO, Fontes, p. 121 Girako,
=
C^)
et Mommsen,
Staatsrecht,
IP, 954.
Tejctes
de Droit Rom.*,
n.
202 18.
—
-
101
Questi due paragrafi contemplano hus del principe, ossia
convocare e di presiedere di far
che
diritto
il
il
gli
vien
cum
patri-
confc^rito di
senato, di sottoporgli proposte,
approvare senatoconsulti, con
tutte queste prerogative,
ius agenii
il
la facoltà di esercitare
personalmente,
sia
sia
mediante
delegazione al qìiaestor Augusti, uno dei suoi rappresentanti.
Ma
se
il
significato generale dei
altrettanto
non
si
può
che sono interppretate in varie
ò) e
maniere dagli eruditi moderni
si
e
vediamo quale
;
di
analizziam'ole
relationem facere.
:
Il
dunque
bre-
queste varie interpretazioni
accosti, a parer nostro, piti al vero.
questa
è chiarissimo,
dire di alcune fra le formule che s'in-
contrano nel paragrafo
vemente
due paragrafi
La prima formula
è
Mommsen (^) aveva proposta una
interpretazione di questa formula che, sebbene da lui poi ab-
bandonata (^), a fondamento
è
esaminare.
termine relationem
il
Il
Mommsen,
pur necessario di conoscere, perchè fu presa
di
che dovremo fra poco
un'altra ipotesi
indicava
diritto
il
facere,
adunque, secondo
dell'imperatore di comuni-
care al senato proposte scritte, sotto forma di orationes
o
nell'assemblea era incaricato
il
di litterae, della cui lettura
mentre
quaestor Augusti,
partenente
diritto
sarebbe
principe,
al
il
di proposta orale, ap-
stato
indicato
dal
ter-
mine referre. Ma questa interpretazione che oramai ha un valore puramente storico, perchè il suo autore, come si è detto, l'ha rifiutata, non è sostenibile per due semplici ragioni la prima, che referre e relationem facere (lo prova un passo di Livio, XLII, 3) erano due termini equivalenti ;
;
la seconda,
che siccome
numerazione delle e
il
paragrafo
e)
il
paragrafo
b)
non contiene che
x^rt^rogative imperiali rispetto
al
senato,
x)rescrive che esse siano identiche, nella pre-
(1)
Siaaisrecht, IP, 861,
(2)
SUiatfirecht,
n. 4.
IP, 899: Mciiic
liùli(;ro
Annali ine...
nigBtens unsicher, alw senalum habere viehnchr
al.s
ist
insofern we-
allgemeiner Ausdruck
vorangestellt zu sein Rcheint uno. relationem facere nur desswegen referre gcKctzt Hcin
anzuHchlieBBeu.
l'e-
kann,
um
fùr
daHB folgendo relationem remittere daran
—
—
10^2
senza, o assenza del principe, è chiaro che la formula rela-
tionem facere deve comprendere tanto orale, I,
quanto
205, 377).
Passiamo ora Mispoulet (op.
Romanorum gazioni di
all'altra I,
cit.,
formula
205)
e
il
rclationem remittere.
:
Cyzicenis
Il
Pick (de scnatus-conwltis
propongono due spiequeste formule, che hanno un punto di contatto [Berolini 1884], p. 8, n. 4)
fra loro nelle parole con le quali comincia
il
testo del
s. e.
de
= Dessau, 7190 = Bruns,Fontes%p. 206,
(CHI, 7060
Appio Gallo
n. 62): sententia dieta ab
co(n)s{ule) des(ignato)
IIII concedente imp{eratore) Cacs[are Tito A]elio
relatione
Hadriano Anto[nino Aug. si
proposta
di proposta scritta (cf. ]Mispoulet,
diritto
il
diritto di
il
Pio]. Difatti su
questo testo
essi
fondano per sostenere, l'uno, che l'espressione relaticnem
remittere significa che
o rifiutare ad
l'imperatore ha
un magistrato
posta in senato, finche
diritto di concedere
la facoltà di presentare
una pro-
non abbia esaurito
egli stesso
ius tertiae, qiiartae, quintae relationis
ha
il
;
l'altro,
che
il
il
suo
principe
facoltà di rinunziare al ius primae relationis in favore
un magistrato che abbia
il
che
i
Ma, ciò sostenendo, il Mispoulet e il Pick non si avvedono di cadere in una petizione di principio, poiché suppongono a priori che nel s. e. de Cyzicenis sia conservato un esempio del ius di
relationem reìnittendi,
e
ius reverendi.
termini relationem concedere
(nella lapide di Cizico) e relationem remittere (nel
equivalenti
siano
pitolino)
come ora vedremo, ciò
che
(cosa
il
bronzo ca-
Mispoulet stesso^
esclude implicitamente), quando
dovrebbe essere dimostrato.
E
tutto
concesso pure che la
in-
terpretazione del Mispoulet sia fondata, rimarrebbe sempre
da provare che mente menzione
nella del
lex
iìis
Vespasiani
tertiae,
si
faceva implicita-
quartae, quintae relationis
ciò che,
più tardi, vedremo essere inamissibile
la legge
avrebbe dovuto esprimersi
relationem
concedere^
altrimenti
;
e in ogni caso
così: relationem remittere
l'interpretazione
del
spoulet resta dimezzata, poiché le parole relationem tere
escludono
il
concetto
dell'autorizzazione,
tanto
^li-
remité
ciò
I
— vero, che
il
«
formula controversa con
la.
cit., I,
le
par
371). Quanto, poi, alla ipotesi del Pick,
per ammetterla, bisognerebbe che, nella legge,
che,
non relationem
fosse detto
remitterey
ma
bensì relationem con-
sarebbe più
devesi avvertire che la lapide di Oizico
cedere,
di contrad-
celles |prop()sitions| (}ui seraient faites
écarter
d'autres» (op. oltre
non accorgendosi
Mispoiilet medesimo,
dire alla sua ipotesi, traducx^.
parole:
—
103
contraria che favorevole alla tesi da lui sostenuta, poiché, ivi, il
l'imperatore non rinunzia al ius priìnae relationiSj
Pick sostiene
p. 445, n. 9]
ma
chiaro),
il
ho inteso, col Willems [Broit puòlic, suo ragionamento, per vero dire, non troppo (così
bensì al ius quartae relationis
formula della
desco nella
dere anche la rinunzia ai lui resterebbe
lex
il
dotto
il
te-
comprenanche a
da dimostrare che codesti iura erano men-
secondo
dicherebbero
e se
Vespasiani volesse
Kè
piìi
convincente di queste
l'interpretazione propugnata dal
11^, 900),
;
iiira tertiae etc. relationis,
zionati nella lex Vespasiani.
mi pare
come
il
Mommsen
(op. cit.,
quale, le parole relationem remittere in-
rimandare
diritto del principe di
al
senato
una questione di competenza esclusiva di questa assemblea, che prima era stata sottoposta al giudizio del principe stesso. Difatti, nei testi che il Mommsen adduce a conforto della sua ipotesi, i termini relatio e remittere non hanno, secondo me, quel carattere tecnico che presentano nella Vespasiani,
si
riferiscono
non ad una relatio propriamente e ad ogni modo supporrei piut-
detta,
ma
tosto
che
fosse
compreso nel termine relationem
viso, la si
a cosa diversa, il
diritto imperiale, a
formula relationem
lex
cui
allude
il
facere.
Mommsen,
A
mio
av-
remittere, nel pensiero della legge,
contrappone a quella che la precede e non può quindi
spiegarsi isolatamente
esprimono
il
x>6rciò se le
;
parole relationem facere
diritto dell'imperatore di presentare al senato
qualunque proposta, noi pensiamo col Madvig (^) e col Karlowa (^), che le parole relationem remittere, secondo il Verfasfsiinfj
(^)
ro!),
II, (^)
dea
Ròm.
Staats,
1,
538
267, n. 20.
lióm. liechtsfjeschiie,
1,
498, u.
2.
—
L' État
Bomain
(trad.
Mo-
—
3
-
104
generale del verbo remittere, vo«^liano dire abbando-
sioiiifìcato
nare o lasciar cadere, designino
insomma
il
diritto
del prin-
prima del voto, una proposta deliberazione del senato. Ed ora veniamo
cipe di sospendere o ritirare, già presentata alla
all'ultima formula del paragrafo b)
lationem discessioncmque facere.
parole
Comunemente
f
senatusccnsulta per
:
QuaPò
il
re-
significato di queste
s'intende che esse servano ad indicare
due forme di procedura con le quali facevasi un senatoconsulto, usate al tempo della repubblica e che Varrone descrive in un passo conservato da Gelilo (XIV, 7, 9) \Varro docet]
le
:
considUim
senatiis
diiobus modis
fieri
dvbia
si consentireU(r, atit si res
esset,
:
ani per discessionem,
per singidorum sententias
primo caso, il presidente, dopo aver formulava una decisione, sulla quale, senza
exquisitas, cioè a dire, nel
esposta la chiedere
relatio,
loro parere, invitava
il
condo caso
invece,
presidente,
il
votazione, chiedeva
senatori a votare
i
prima
di
procedere
neWalbum senatorhim. In
mini, nell'un caso e nell'altro, l'ordine del voto e
nel secondo
sione. i(
Lo
il
altri ter-
modo onde
caso
voto era preceduto da una discus-
il
attesta Gelilo nel passo citato con queste parole
sed quod ait [M. Varrò] senaUisccnsultum duobus modis
solere, aiit conquisitis sententiis ani
convenire videtnr
cum
seriptum
Nam
reliqiiit.
eo
per discessionem,
fieri
discessio esset necessaria,
veruni esse adfirmat)).
che
il s.
e.
parum
iis
idqiie
quae per ipse
rela-
Capilo
evidente da questo passo di Gelilo,
per relationem, menzionato nel bronzo capitolino,
è identico al
s.
per singuloriim sententias exquisitaSy di cui
e.
parlava Varrone
;
cosa diversamente. le
È
fieri
Villi Tubercnem dicere ait, posse non discessione facta,
quia in omnibus senatusconsultiSj etiam in fierent,
:
quod Ateins Capito in ccniectaneis
in libro
nullum senatusconsìdtum tionem
alla
erano identici (avveniva cioè per discessio),
dichiarava
ma
nel se-
parere di ciascun senatore, secondo
il
l'ordine suo d'iscrizione
si
;
due forme con
la repubblica,
si
le
nui 11
il
Tick
primo
e
Mommsen
intendono
(op. cit., p. 8, n. I)
la
crede che
un senatoconsulto durante modificate al tempo delPimpero, che
quali facevasi
siano
il
~ il
s.
non
per rclationem
e.
ma
sententia'i exqnisitas',
—
105
sia identico al
invece,
sia,
(j
s.
per sindidorum
e.
nello
quod irnperator
«
non praesens sed per relationem fa(dt » intesa l'espressione per relationem nel modo che venne spie^^ata, una volta, dal Mommsen, e che il s. e. per discessionem sia quello qnod '<
aut imperator praesens aut quilibet alius magistratus relator facit
bene inteso però che
)),
diatamente
alla
sententiam
dicere
relatio,
poiché
opus
erat
non seguiva immeunum quidem senatorem
discessio
la
«
Ma
».
Pick
P ipotesi del
è
confutata dalla sua stessa esposizione; difatti, che durante V impero
Varrone sionem
si
forme
due
le
sieno
un monologo
congettura affatto gratuita spiegazione proposta
la
nel
da
descritte
s.
e.
per
disces-
preceduta da una breve discus-
fosse
piuttosto da
sione,
che
modificate, e
discessio
la
senatocunsulti
di
di
quanto
;
al
un s.
una
senatore, è
per relationem,
e.
manca interamente
dal Pick
di
base, e quindi è insostenibile, poiché essa poggia tutta sulla interx^ret azione
Mommsen,
la
che alla formula relationem facere diede
quale noi dimostrammo fallace e che egli stesso
ha
finito
lex
Vespasiani non
Secondo
col rifiutare.
ma
sulti,
i
si
Mommsen,
il
due momenti indispensabili nella compilazione la
di accettare questa ipotesi
mi vietano due
paiono incontrovertibili
potesi
mommseniana,
in altra forma, cioè
non cere la
s ;
il
relatio e la discessio
(^)
ma
;
ragioni che a
prima, che, se fosse vera
la
:
nostro documento
l'i-
sarebbe espresso
si
senatusconsultum
avrebbe detto
ena tu consulta
la
invece, nella
distinguono due specie di senatocon-
di ogni senatoconsulto, cioè
me
il
e
per relationem discessionemque fa-
seconda, che la formula
s. e.
per discessionem factum,
quale occorre nel testo del senatoconsulto che s'intitola
de nuniinis saltus Beyuensis (^)
StaatsrerM, III, 983, n. 4
A^<'H[)a8Ìari
:
(^),
mi
wcriii in
confermi la
esi-
Be.stallung.sgegesetz
dem
j)are
dom
gestattet wird senatiis con.sHlla per reldtioneni discessionemque
ffuere, ho zcigt die
Copula, dasH
iiicht
zwei Gattungo.u
ii<.t(3r,sclii(3deri,
dcrn die heideii bei jedorn Senatisbe.schluss unentberhliclien liervorgehoben werden. (2)
(J,
I.
L, Vili.
270; 11451;
=
Bkuns'
205, u.
6.
son-
Momento
—
—
106
duo speeio di senatocunsulti che, a nostro avviso, Vespasiani chiaramente distin«iie. Però, ammessa que-
stenzii dolio la lex
sta distinzione, è necessario spieoare per quale ragione tolo
singulonim scnUntias
s. e.
noU'altro più breve,
non mi sembra
difficile.
E
invero
lo
ti-
durante l'impero,
La
(^).
spiegazione
che servivano
i'ormule
due procedimenti di senatoconsulti, a due secondo me, dovevano mirare ad essere brevi, e a
a distinguere cose,
i
:
porre in e^àdenza pilazione caso.
sia mvitato,
per relationem
e.
.s'.
si
il
del
senatoconsulto,
La formula
due scopi
momento
s.
e.
piìi
e
importante
nella
non identico
in
dire che
il
compilazione del
momento
senatoconsulto,
KelP altro caso invece
nettamente due momenti in
si
la discussione
:
importanza
il
adunque dovevasi tener conto
?
nella
si
ed
ma
Fu dunque,
mo-
distinguevano il
voto,
;
e
il
il
formula indicatrice di
questa specie di senatoconsulto, se volevasi che
quanto
poteva
tema della Dalla relatio. Di essa
secondo
discussione da che cosa era formato
fosse, in
poi-
della relatio spariva assorbito nel
della discessio.
primo superava
ciascun
momento importante
questo caso, non essendovi discussione,
ché in
com-
ad esser breve, teneva conto del
importante, anzi del solo
a cui ridticevasi la
mento
piti
per discessionem rispondeva a questi
oltre
infatti,
:
momento
il
il
titolo
agli scopi, simile all'altro per discessionem.
a parer mio, amore di brevità, amore di sim-
metria, la ragione di quel
mutamento
fu introdotto nella formula tias exquisitas, del
piti
che, durante l'impero,
ampia, per singulonim senten-
periodo repubblicano.
d) ìitique quos magistratum potestatem
imperinm cura-
tionemve cuins rei petentes senatui populoque
Romano com-
mendaverit qtiibtisque sufjragationem suam dederit promiserii,
eorum comitis quibusque
(^) s.
identità del
e.
s.
'per
singulonim
seìitentias
exquisitas e del
per relationem risulta chiaramente dal passo di Gellio,
e.
dove (cf.
La
extra ordinem ratio Jiabeatur;
la lezione dei codici
A. Oell.,
vorrebbe
il
XIV.
7.
12.
^elulionem deve correggersi così per relationt
l^Qci. Ati. ree.
Momiv'Sen, op.
Hertz
11.
218), e
cit., 111. 1)83, n. 4.
non
penoijutiont'
m
conio
Questo vero
parafj^rafo
—
107
che riguarda
attribuzioni elettorali, ov-
le
diritto del principe di proporre candidati alle (cariche
il
pubbliche, è chiarissimo e non
bisogno di
ha.
magt^iori particolari sul ius commcndationis,
921 e seg.
Mispoulet,
;
378
I,
;
Karlowa,
spie
cf.
Mommsen,
I,
498
Per I
T*,
Willc^ms,
;
p. 410. ìitique
e)
pomerii proferre promovere
fìnes
ei
republica censebit esse, liceat
Germanico
sari Aug(usto)
Eispetto
primo, fra
uti
Ti. Claudio Cae-
licuit
;
di estendere
diritto
al
ita,
ex
curri
limiti del pomerio,
i
il
predecessori di Vespasiano, ad esserne investito,
i
secondo questo paragrafo, fu Claudio. Però alcuni passi di Tacito {Ann. XII, 23), di Dione (LY, 6) e di Vopisco {Atir. 21) attestano che anche Augusto, rio, il
ma
enumerati, non
XIII,
il
pome-
lo
gli
menziona,
chiama ultimo, prima
8)
compiuto da esistente fra
Siila. i
non ne fanno ampliamenti del pomerio
e la lex Vespasiani
cenno. Gelilo (XIY, 13), fra lui
8 a. Cr., ampliò
questo preteso ampliamento è molto dubbio, poiché
monumento Ancirano
da
nell'
Secondo
il
Seneca
e
(de hrev. vitae,
di Claudio, l'allargamento
Detlefsen
la
(^),
contraddizione
passi di codesti scrittori potrebbe essere
eli-
minata, supponendo che Augusto non abbia voluto far menzione, nel suo iniex
jjomerio, comi)iuto
rerum a
da
se gestarum, dell'allargamento del
lui nell'8 a. Cr.,
per essergli venuti dei
dubbi negli ultimi anni della vita sulla legittimità di questo
suo diritto
congettura col
;
per
Mommsen
ma
questa e una semplice ipotesi, ed
congettura, inclinerei
(op. cit.,
IP, 1035,
piuttosto
n. 2
;
io,
a credere
1072) che Tacito,
Dione e Vopisco abbiano confuso l'allargamento del pomerio,
da
loro attribuito
grenzung) della
ad Augusto, con
(^)
Augusto
(^).
i)rimo interi)rete della nostra legge. Cola di Eienzo, iJafi
romcrium lloms und
die Grenzen
Italiens
(Hermes XXI,
[1886], 516). (2)
(Ab-
città, resa necessaria dalla ripartizione regio-
nale compiuta appunto da Il
la limitazione
Cf.
anche IIenzen, Bull. delVInsl. 1857,
p.
11 e seg.
— tradusse role (li
passo fines pomerii proferre promovere con
il
accrescere lo giardino di
«
—
108
RienzOy p. 26),
come
se,
Eoma,
dice
cioè, Italia
»
pa-
{vita di Cola
Papencordt (Cola
il
le
di Rienzo
[trad. ita!.], Torino 1844, p. 72, n. 2), /Jor^^m^(m equivalesse
a pomarium
e questa interpretazione gli
;
piacque tanto, che
viene da lui spesso ripetuta nelle sue lettere. Però la pater-
non deve essere, osserva il De Eossi (^), attribuita a Cola assai prima di lui, cioè fino dal secolo XII, altri aveano adoperata l'appellazione di pomerium per pomarium, applicandola all'Italia, con allusione evidente alla lex Vespasiani, alla quale sembra alludere anche Dante, là dove chiama l'Italia « il giardin dell'imperio » (-). Ma ciò a me non pare abbastanza provato. nità di codesta erronea interpertazione
;
Ed
che la lex de imperio fosse conosciuta dagli eru-
infatti,
secolo XII, e che abbia
diti del
tempo, quasi di contrappeso
ghibellina di quel
zione di Costantino, lo afferma
consente
De
il
da
lui
biblioteca
di
dirette
potuto servire alla parte
il
Bock
dona-
alla
con esso appunto
(e
un erudito belga, in una delle lettere a L. Bethmann intorno ad un manoscritto della Eossi),
Borgogna, intitolato
rito nelV Anmiaire de la Bibliothèque
p. 105 e seg.,
alcuna prova.
ma Il
non adduce
Bock
Guido7iis
lìber
e
inse-
Royale de Belgique, 1851,
in favore della sua asserzione
fonda
infatti
suo ragionamento
il
sopra due versi desunti dal panegyricus rhytìimicus in Heinriciim
IV
imperatorem
come
Asti,
(^)
di Benzo, vescovo d'Alba (e
dice erroneamente
il
Bock)
e
non
di
precisamente dal
capo primo del libro primo di quell'opera, ove Benzo
cita gli
^
imperatori Augusto, Tiberio, Vespasiano, Costantino ed Eraclio,
«le cui gesta immortalate dagli storici possono
utili
esempi
sono questi
ai loro successori
)).
I
versi, relativi
magnum Tyheriam
3Iultis plantis qui adaiixit puhlicum
p.
a Tiberio
:
per
(^)
off'rire
Frirne raccolte iVaniiche iscrizioni, p. 94;
12. (-)
Piny. VI. 105.
{')
Monum.
(ioni.,
XIll (XI).
p.
591-681.
vi.
pomerium. />'«//.
lielVInst.
1871.
Ora, dice
il
Bock,
evidente l'allusione
in questi versi è
ragrafo della lex de imperio: utìque ei
Eenzo, ignorando lo
ha
inteso in
il
finefi
pomerii
al
pa-
etc.
e
vero significato del vocabolo pomerium,
un senso
figurato,
come
piìi
tardi fece Cola di
Bock adduce per sostenere che la lex regia era conosciuta da Benzo e dai suoi contemporanei, argomento, come ognuno comprende, assai debole, tanto più che il Bock non si è avveduto che, nel i3aEienzo. Questo e
il
argomento che
solo
il
ragrafo della lex de imperio relativo all'ampliamento del po-
merio, i
si
versi
non si nomina Tiberio, ma Claudio soltanto, e quindi di Benzo non possono farvi allusione, salvo che non
voglia am_mettere che
nomi
il
vescovo d'Alba abbia confusi
un
e persone, cosa che sarebbe
de imperio^
come pensa
diti del secolo
il
Bock, era
po' strana, se
la
lex
così famigliare agli eru-
XII, da venir con>siderata come una vera fonte
di diritto pubblico
(^).
Ma
ammet-
del resto com'è possibile
tere che la legge regia sia stata conosciuta fino dal secolo XII,
che Dante vi alluda in quel verso citato del Purgatorio
(^)
(^) Anche il Bock (1. e, p. 116) stesso si accorgeva che la sua tesi non era abbastanza provata, poiohè dice « des preuves plus concluantes pour établir que la lex de imperio était connue du temps de Benzo et de Gui, et qu'elle passait déja alors pour une source du droit public, je ne puis les présenter en ce moment, mais je ne désespère pointde lestrouver [ch'io sappia, non le ha mai trovate]. Toutefois je crois pouvoirinvoquer à l'appui de cette hypothèse la vive sollicitude aveclequel un pareli document a dù étre recherché par la parti imperiai au XII siede etl'empressement avec lequel on a dù s'en servir des le moment oìi il fut [ma lo fu ?] connu ». Ognuno intende subito da quCvSte sole parole che l'ipotesi del Bock è tutta involta in una petizione di principio. È poi da notare che il Bock confonde anche le date, perchè Benzo fu vescovo d'Alba non :
nel secolo XII,
ma
nel secolo
XI
e
precisamente nel 1061. Xel testo però,
per non i)rodurre confusione, non ho conetto l'errore del Bock. (2) I commentatori più antichi di Dante (Benvenuto Kambaldi da Imola; Iacopo della Lana; l'Anonimo) nulla sanno di questa allusione ;
Benvenuto (Comentum
svjter
Dantis Comoediam, Florentiae,
1887,
III,
Dante chiamò l'Italia « giardino » per mondo. Vale la pena di riprodurre alcune
esser
184) anzi fa intendere che
essa la più bella parte del
sue parole: "Italia est pulcrior lioìiiii,
domus mundi,
cuiuM gloriao totus orbis terrarum
delle
cuius arx sive caput est
angustus
fiiit...
Romandiola
— quando
sa che
si
il
HO
--
giureconsulto Odofredo, vissuto nel
ma,
colo tredicesinu), vide la nostra iscrizione nel Laterano,
non comprendendola,
la
se-
scambiò nientemeno che con un brano
Com'è possibile che quel monumento sia stato allora conosciuto, se Bonifacio Vili adoperò la tavola di bronzo ad ornamento di un altare della basilica ladelle dodici tavole
(^) ?
teranense, cosicché
che Cola, nifacio
quale
il
ci
Vili aveva
Eossi stesso
(^)
le
lettere
tramanda
odiiim imperii,
È
vero
che Bo-
ma
il
De
osserva giustamente che allora bisognerebbe
intellexisset
ncque veri credenda ».
?
siffatta notizia, dice
ciò fatto in
ammettere che quel pontefice
mentum
ne rimasero coperte
«
omnium primus
exeunte
saeculo
XIII
eius argu-
quae
:
res
ncque unius Nicolai testimonio ogni modo, quand'anche vogliasi concedere
similis videtur,
Ad
da altri nella sua spiegazione, è certo che la voce pomerium, da lui, o dai suoi precursori, fu interpretata nel senso di giardino, non già che Cola sia stato preceduto
perchè creduta equivalente a poìnarium, il
significato che quella parola ebbe,
romano mente i
e
durante
il
glossografi e
ma
tale
dalla fine dell'impero
medio evo, come attestano chiarai documenti di quel tempo (^).
est hortiis rornanus, tota virens, tota fertilis et amoena...
visina est viridarium huius nobiliosimae floridas, Venetias,
Veronam
essendo
et
Marchia
domus, liabeus arbores
taraltas,
Paduain ». I, 1 «de
istis duabiis tabulis(le due ul(1) Dig. Vetus, fr. 6, Dig-. time tavole delle legori decemvirali), aliquid est apud Lateranum Romae, et male suiit scriptae, quia non est ibi punctus nec § in litera, et nisi revolveritis literas non possetis aliquid intelligere ». Cf. Savigny, Storia del Diritto romano nel medio evo (trad. it.), II, 419, n. g.; De Rossi, Inser. Chr., :
II,
301. (2) (3)
Inscr. Chr., II, 316.
Cyrilli, Philox. Gloss., p. 140 Labb.
;
ó èvxò^
>j
sxtò? Tsìxoog
xf^Tto;;
(Loewe, Corpus Gloss. Lat., IV. 140) pomarium locus uhi poma sunt, pomerinm ipse locus arborum. Vedi anche i testi citati dal DucANGE, Glossarium (editio nova), VI, 401. e dal Diefenbach. Glossarium Intinogermunicun, p. 446. (^f. XisSEN, Pomp. Stiidien, p. 483 Glossae cod. Vat, 3321
:
;
Mommsen, Fóm. Forsekungen,
II,
26, n.
12.
i)
ìitique
divinarum
quaeeunque ex
ei
u.ni rei publicae maiestate (que)
Caesari
lulio
rerum
privatarurrujue
agere facere ius potestasque
Tiberioque
Aug{usto),
-
publicarum
liuma(na)rum
esse censebity
111
ita uti divo
sit,
Aug{usto)j
Claudio Caesari Aug{usto) Germanico fuit
Tiberioqtie
;
Questa clausola è considerata, nella opinione prevalente,
come
la fonte della constitutio principis, ossia della partecipa-
zione indiretta dell'inn)eratore al potere legislativo
com'è
;
ha data occasione a molte discussioni, nelle intenzione mia di addentrarmi mi limito sol-
naturale, essa
non
quali
è
;
a citare,
tanto
sotto,
piii
gli
me
professo. Inoltre pare a
scrittori
che questa clausola così ampia
non dovrebbe considerarsi unicamente constitutio principisi
ma
che ne trattano ex
di tutto
il
come
potere legislativo confe-
rito al principe, e altresì delle attribuzioni
come pontefice massimo,
la fonte della
che
gli
nelle cose del culto
spettavano,
(quaecumque
ex maiestate divinarum rerum esse censebit). Cf.
su questo
paragrafo Wlassak, Krit. Studien zur TJieorie der RecJitsquellen
im
Zeitalter der Klass. luristen (Graz 1884), p.
Kriiger, GeschicMe der Quellen
und
Litteratur des
309 e
Ròm.
seg.
;
RecJits
{Leipzig 1888), p. 100 e seg. g) utique
quibus legibus plebeive
scitis
scriptum
fuit,
ne
divus Aug{ustus), Tiberiusve lulius Caesar Aug{ustus), Tibe-
riusque Claudius Caesar Aug(ustus) Germanicus tener entur^ plebisque scitis
legibus tus sit
;
iis
imp{erator) Caesar Vespasianus solu-
quaeque ex quaque
lege rogatione
divum Aug{ustum),
Tiberiumve lulium Caesar em Aug{ustum), Tiberiumve Clau-
dium Caes(arem) Aug{ustum) Germanicum facere oportuit, ea omnia imp{eratori) Caesari Vespasiano Aug(usto) facere liceat
;
Qui sx)eciali.
751
;
si
disx)ensa
il
j)rincii)e
dall'osservanza di alcune leggi
Vedi su questo x^unto Mommsen,
Mispoulet,
I,
Staatsrecht,
11^,
379.
h) utique quae ante hanc legem rogatam acta gesta decreta
imperata ab imperatore Caesar e Vespasiano Aug(usto)
iussu rnandatuve eius a quoque sunt, ea perinde iusta rata{que) sint, ac si
populi plehisve iussu acta essent.
A
torto,
alcuni ravvisano in
questa clausola la
non
della eon^Ututio principis, poiché essa
una
è che
fonte
clausola
transitoria che conferisce forza retroattiva a tutti gli atti
emanati dal principe innanzi Kriiger, op.
(cf.
sia
momento
il
Vedremo
p. 100, n. 71).
quale
piti tardi
circoscritto dalle parole ante liane legem ro-
Sebbene
gatani. lex e
cit.,
i)romulgazione della legge
la
il
ad una vera
nostro documento abbia qui
nome
il
e propria legge accenni la sanctio del pa-
ragrafo seguente, pure tutto l'atto è scritto nella forma di
senatoconsulto
(la
formula
cipio di ciascun paragrafo
senatui placuit)-, stanza, di
campo
di
ma
titi
dovrebbe completarsi con
ciò è naturale,
un decreto
che s'incontra
liceat
un
al prin-
le
parole:
poiché trattavasi, in so-
del senato che
i
comizi popolari, nel
di Marte, osservato l'intervallo del trinundinum, erano
chiamati ad approvare col voto, per pura formalità. Bentosto
il
voto effettivo fu sostituito dall'acclamazione che, nel
secolo terzo, seguiva
senato.
Cf.
immediatamente dopo
Mommsen, IP, 875;
la
Mispoulet,
I,
seduta del Wil-
375;
lems, 414.
Sanetio
i)
Si quis huiusce legis ergo adversiis leges rogationes plehisvescita senatusve ccnstdta fecit
feceritj
quod eum ex
sive
rogatÌGne pleòisve scito s(€natus)ve c{onsulto)
non
fecerit
cani
rem popido dare
huius
legis ergo, id ei
III,
Girard), VI, 1,
302,
apud
comune a
è la sanzione
della lex Tudertina (C. I. L.
Staatsrecht
esto,
oportehit^
neve quii
debeto, neve cui de ea re actio neve
dicatio estOj neve quis de ea re
Questa
ne fraudi
facere
n.
1
I,
=
oh iu-
[s]e agì sinito.
tutte le leggi;
409).
lege
cf. \si
sanctio
Vedi anche Mommsen,
Droit public
romain
(trad.
415, n. 1.
II.
Esaminato
così
il
contenuto del nostro monumento, nei
prima cosa che vien fatta di domandare è questa abbiamo noi qui dinanzi una legge di poteri conferiti unicamente all'imperatore Vespasiano, un atto suoi punti piti
difficili, la
:
singolare per questo i)rincipe, ovvero la Icx Vespasiani incisa nel bronzo capitolino
non
generale, contenente
i
l'avvenimento
non sembri
al
non
che
poiché appunto, n. 1) sostiene
una legge
ripeteva
il
al-
La domanda
?
{Kais,
Ilirschfeld
lo
che
di
si
trono di ciascun imperatore
inutile
sia
un esempio
i)oteri imperiali e
venvaltungsheamUn, 475, tolino
ò altro che
monumento
capi-
che un atto singolare per Vespasiano, col quale
s'intese di ristabilire
il
principato sopra le sue antiche basi, per
impedire che si rinnovassero i tempi della tirannide neroniana ( ^ ). Difatti, osserva l'illustre professore di Berlino,
che
sibile
predecessori di Vespasiano e
i
(tutt'al pili forse
Kerva) siano
è
ammis-
suoi successori
i
stati investiti del potere
mediante una legge, poiché di fatto
riale
non
essi lo
impe-
ottennero
per diritto ereditario, o di adozione, col consenso del senato e del popolo.
non
chfeld,
Ma
questa opinione, propugnata dallo Hirs-
regge, secondo me, alla critica
stessa iscrizione capitolina ci
:
prova che essa non
golare per Vespasiano, inquantochè se vi
mente che
i
primo luogo,
in
si
è
un
la
atto sin-
dice esplicita-
poteri a lui attribuiti erano stati concessi anche
a quei suoi predecessori che la legge stessa menziona, ne con-
segue chiaramente che la forma di concessione non può sere stata che identica,
come benissimo avverte
poi,
notorio che
n. 1), è
che
cioè
il
il
(^)
liom,
A
I,
questa ipotesi
398),
il
si
;
Mommsen
in secondo (op.
luogo
cit., 11^,
878,
ammette implicitamente quando
puta necessario a trasmetterlo popolo, consenso che
legge
potere imperiale non era ereditario, ciò
Hirschfeld stesso
lo
una
es-
il
re-
consenso del senato e del
non avrebbe potuto accosta quella del
esplicarsi altro che
Reumont
{Gesch. der Stadi
quale sostiene che la lex Vespasiani sia stata un fon-
damento costituzionale
del potere imperiale diverso
da quello della sima non
gnoria fino allora durata dei Giulii. L'ipotesi è affatto gratuita,
va combattuta, come fa il Padp:lletti (Storia del Diritto Romano, 2^ ed. sebbene accolta anche da I>. 375) con un altra ipotesi assai discutibile, altri (cf. p. e. A. Xis.sen, Beitrdge zum lióm. Staatsrecht, p. 228) che cioè la nostra legge " deve aver formata la continuazione della lex curiata della repubblica », V. Maijvig, Verfassung, I, 546 État Romain, II,
=
276, n.
18.
8
^
-- 114
forma
in
di Ifìooe
;
in terzo luooo, la teorica dello Hirschfeld
trova un ostacolo, secondo me, invincibile nelle fonti giuridiche
che conferiva questi
una legge generale
quali attestano l'esistenza di
le
al
principe
potere imperiale. I passi sono
il
:
1) Gai. 5
constitutio principis est, quocl imperator de-
:
nnqiiam duMtatum
creto vel edicto vel epistiila constituit, nec
quin id
est,
legis
gem imperium
vicem optineat,
accipiat
cum
ipse imperator per
;
2) Ulp. lib. I Inst. (Dig. I, 4, 1 pr.)
placuit,
vigorem;
hahet
legis
de imperio eius lata
imperium
conferai
est,
(^)
utpote
popuhis
ei
cum
prmeipi
qtiod
regia,
lege
gtiae
eum omne suiim
in
et
:
;
Alexander, Cod.
3)
le-
lust.,
VI, 23, 3
licet
:
enim
lex im-
perii solemnihtis iuris imperatorem solverit.
Si
ammette, comunemente, dagli eruditi che l'appellativo
regia attribuito alla lex de imperio, nel passo di Ulpiano,
non
sia
poiché,
si
non
dice,
è possibile concepire che quella legge
denominata con un
sia
di
che una interpolazione dei compilatori delle Pandette,
che avrebbe ridestato
titolo
un tempo odioso per il popolo romano
modo
e al quale gli impera-
non
di
fare allusione. Però dall'altro lato
si
che se è incredibile che codesta lex abbia portato un i
nelle
fonti
non
contemporanee,
piti tardi, forse già nel
un
pili
e
potere regio, quel titolo
ragione di evitare
il
Mommsen
(^).
impossibile
che,
il
or-
potere imperiale
Ma
è forse più persuasivo
(op. cit., 11^, 876, n. 2), cioè
che
Questo passo è riprodotto ad litteram nelle Istituzioni Giustinianee, Deo auctore {Cod. lust., I, 17, 7) cf. Pseudo Thkoph..
Paraphrasis, 6
Rein,
nome
adoperato nel linguaggio
sia
6 e nella cost.
(2)
tal
quando non vi era
raffronto fra si
popolare, se non nell'ufficiale
quanto nota
è però
terzo secolo,
mai
(1)
osserva
primi imperatori, non trovandosene traccia alcuna
sotto
I, 2,
ricordo
seguendo l'esempio di Giulio Cesare, cercavano in ogni
tori,
il
il
si
Cf. 1.
;
vópiou p&yion
:
PucHTA,
e.,
p.
900
(ed.
Ferrini, p.
Institutionen, V. 218 ;
Mispoulet,
13).
= Istituzioni
o}). cit. I.
309.
(trad.
it.), II.
9
;
((
essendo, nel
Egiziani,
mondo
Adriano
dall'età di
greco, specicilniente
di re api)licato
titolo
il
-
11S
fm
senza
Asiatici e gli
gli
riguardi,
almeno
in poi, agli imperatori romani, i)uò darsi
che quella espressione non sia stata interpolata nel testo di Ulpiano, secondo le tradizioni delle scuole orientali di di-
ma
ritto,
piuttosto che egli stesso abbia scritto in quel
mento più da
Siro che
da Eomano
que di queste spiegazioni
si
».
Ad
mo-
ogni modo, qualun-
voglia accettare, a
me pare che,
dai testi di Gaio e di Alessandro Severo risulti evidente che la legge alla
tempi,
un
quale essi alludono, non doveva avere, nei primi
titolo
vero e proprio
e che, solo più tardi, nella
;
uno che serviva ad indicarne il contenuto (^). Ma non basta nel testo di Ulpiano si vuole da alcuni (^) che anche le altre parole che seguono dopo le^e regia^ populiis ei etc. siano una interpolazione, un emblema di scuola, ne fu adottato
;
Triboniano, e ciò per la ragione principalissima che esse
vorrebbero dire
mano
il
popolo ro-
una sola volta e in un dato momento, spomediante una legge, di tutti i suoi diritti a favore del era, in
si
gliato,
cosa è inammissibile) che
(e la
principe allora regnante, ai suoi successori.
il
quale poi
li
avrebbe trasmessi
Se tale fosse veramente
il
solo significato
delle parole di Ulpiano, la loro autenticità sarebbe assai bia,
ma
gli eruditi
che
le
ripudiano non
interpretandole in tal guisa, non
avverte giustamente
il
gazione datane dagli Cuiacio e infatti, in
il
si
sono accorti che,
fa altro che ripetere, lo
Mispoulet (op. antichi
si
dub-
cit.,
I,
368), la spie-
giureconsulti, fra
i
quali
il
Vinnio, e che ormai è inutile confutare. Ulpiano
non è interpolato i>iù, potrebbe esser espresso in forma migliore, non che il pojjolo, in un dato momento e in una sola
quel jjasso che, a mio
e che, tutt'al
intende dire
avviso,
Nei passi di Gaio, Ulpiano ed Alessandro Severo, la voce impenel senso di i)otcre supremo. Confermano questa interj)retazione i sef^uenti passi di alcune costituzioni del codice Teodosiano IX, 16, 9 le(j(iH a me in exordio imperii m.ei datae ; XV, 5, 2 quibus [die(^)
rium va intesa
:
:
:
bus] vel in Ivcem, editi, vel imperii (^)
gesch.
et.
specialmente Pernice,
VI (1885)
p.
298
;
Karlowa,
sumus
sceptra
Zeitscìirifl
op.
cit., p.
sortiti.
der Sav. Stif. 494, n.
3.
fiir
Bechts-
volta ritti
-
mediante una
spogliato,
si sia
116
ma
a favore del principe,
legge, di tutti
che esso conferisce
al
suoi di
principe
prerogative che sono enumerate nella lex de imperio e la
le
cui
somma
costituisce
il
come nota con ragione
il
potere supremo
Wlassak
;
in altri termini,
(op. cit., p.
177),
consulto romano, con le parole populus principi
omne smini imperium et sumere in una formula
potestatem conferat, sintetica
il
non
et
il
giure-
in
eum
fa che rias-
contenuto della lex
de
imperio. Alla morte del principe, o resosi vacante
in altra
maniera
popolo,
il
trono,
il
i
poteri imperiali ritornano
quale, mediante un'altra legge, ne investe
ratore.
Quindi è vero quanto avverte romano,
fonti del diritto « si
salvò teoricamente
sotto l'impero
:
p.
48),
si
il
principio della sovranità popolare
il
popolo ne
lo investiva,
di quella
è notevole che questa
del dispotismo assoluto».
La
lex de
impe-
le fonti giu-
bronzo capitolino su cui è inciso un frammento
il
promulgata per Vespasiano, era una legge generale
e periodica
il
Ed
delegandolo ad eser-
adunque, come attestano concordemente
ridiche e
era
Ferrini (Storia delle
continuò ad ammettere ed insegnare anche nel-
l'ultimo periodo rio
nuovo impe-
che, per la lex de imperio,
citarne in sua vece le attribuzioni.
dottrina
il
il
al
l'imperatore raccoglieva tanta parte della so-
vranità, perchè
.
i
;
insomma
Mommsen,
ma
quali e quanti poteri conteneva essa, quale
l'indole e la estensione sua? il
Karlowa
e
il
A questa domanda,
Mispoulet hanno risposto con
al-
trettanti sistemi tutti opposti fra loro, che noi esamineremo,
ora rapidamente prima di esprimere l'avviso nostro su que-
punto importante della piamo. sto
La
teorica del
difficile
Mommsen
questione di cui
è questa
:
gli
ci
occu-
elementi costi-
tutivi del potere imperiale sono due: V imperium proconsnlare e la potestas trìhunìcia. Jj
imperium era conferito
cipe dal senato, o dall'esercito senza l'intervento di nel
momento
ima
legge,
della sua elezione: la potestas trihunicia, con
diritti accessori
mente
al prin-
i
che ne fanno parte, era conceduta, posterior-
',\\Vimperium,
mediante un senatoconsidto approvato
—
117
—
appunto la lex de imperio. Ma questa teorica non ha incontrato veramente molto favore e ^li argomenti che vietano di accettarla non mancano certamente di efficacia. In primo luogo si osserva che le fonti at-
dal popolo, che sarebbe
non
testano chiaramente essere Vimperiiim
identico,
senzialmente distinto dal ius proconsulare luogo,
una
giureconsulti parlano tutti di
i
(^)
;
ma
es-
in secondo
legge che confe-
riva al principe Vimperium, e le loro espressioni conformi
non
possono
si
ma
chiamato imperium, il
Mommsen,
Ulpiano
anche a sione,
il
ma
il
sempre
potestas.ìì vero che, secondo
termine imperium, di cui giuridiche,
altre fonti
e le noi,
potere tribunizio, che non fu mai
riferire al
supremo potere imperiale
il
come pare
in tutta la sua esten-
voce imperium, intesa in
è chiaro allora, che la
comprende ancora
servono Gaio ed
significa,
questo senso, se comprende in se stessa vi
si
il
potere tribunizio,
potere militare, ed una legge la quale
conferiva al principe l'autorità suprema,
non poteva
riflet-
tere
semplicemente
non
militari, le quali scaturiscono dal potere tribunizio
se
la trasmissione delle attribuzioni civili, ;
e
Gaio ed Ulpiano avessero designata la legge che trasmet-
teva codesto potere, come una legge, per la quale Vimperator V imperium,
riceveva
linguaggio cosi poco precisa,
aggiunga infine che
loro. Si
la
il
espressi
maggior parte
contenute nella lex Vespasiani, p. alleanze,
con
forma di che ripugna di ammettere in
sarebbero
si
diritto di allargare
il
e.
il
delle clausole
diritto di contrarre
pomerio di Eoma,
commendationis, non hanno alcuna relazione con bunizio
(il
quale, secondo
il
Mommsen, sarebbe
il
il
potere
ma
si
tri-
stato menzio-
nato nella parte perduta del nostro monumento), non ne
scendono in veruna guisa,
ius
di-
riferiscono piuttosto al po-
tere militare del principe.
Questi sono
gli
argomenti principali che furono addotti
contro la teorica del
cilmente
(^)
si
Vedi
i
Mommsen
possa rispondere
testi e le ragioni
(cf.
parmi che
e ai quali
Karlowa,
I,
addotte dal Karlowa,
494).
I,
493.
diffi-
— Secondo
—
118
Karlowa, invece,
il
ms
Vimperiiim militare (distinto dal cipe otteneva mediante
mentre
;
proconsvlare che
un senatoconsulto
altre attribuzioni importanti, lex de imperio
anche dal Willems,
se«jnito
il
prin-
speciale) era,
conferito all'imperatore nella
la potestas trihtinicia gli era
conceduta
posteriormente aWimperitimy mediante una legge che
punto chiamavasi
lex de trihunicia potestate.
tro questo sistema piìi cose
con
si
Ma
ap-
anche con-
possono osservare. Prima di
Karlowa e il Willems non hanno abbastanza provato che Vimperium fosse conferito al principe, in forma di legge; i comitia che, ad ogni avvenimento al trono, sono mendi tutto,
il
zionati negli atti degli Arvali (Henzen, p. 65),
esclusivamente testatis)
ferito
po-
Mommsen
(op.
abbia
quando
n. 2)
non da una
riferiscono
potere tribunizio (comitia triòtiniciae credo
sicché
;
IP, 842,
cit.,
al
si
legge,
ma
ragione
il
Pim^^mi^m era consemplicemente da quello stesso sostiene che
senatoconsulto che riconosceva l'eletto come imperator
Kè
passi di Gaio e di Ulpiano possono invocarsi dal
i
a sostegno della sua
tesi, sia
(^).
Karlowa
che la espressione i/>ipmw7?2, ivi
adoperata, abbia quel significato ampio che noi
le ricono-
E
invero, se
sciamo, sia che abbia
ammettesi
primo caso,
il
compreso anche (ripeterò
poc'anzi
un
il
significato
chiaro
è
potere tribunizio
ristretto.
sistema del
una legge
e
;
a rovescio l'obiezione che, al
nelV imperium
che
col
era
la quale
Karlowa, opposi
Mommsen) aveva per
iscopo di tras-
mettere l'autorità suprema, non poteva limitarsi ad accordare
i
diritti
che discendono dall'im/>mi*m,
ancora quelli inerenti si
ammetta
il
alla
potestà
ma
comprendere
tribunizia.
Se,
invece
secondo caso, bisognerebbe provare che tutte Vespasiani derivano veramente
le attribuzioni scritte nella lex
dnWimperiìim, poiché, ad esempio, la clausola riguardante potere legislativo del principe le
e,
come
il
noi crediamo, anche
sue attribuzioni nelle cose del culto, non può aver rela(1)
Act. frat. Arv., ed. Ilenzen,
K{alendas) A'priles
[18 marzo 38]
p.
XLIII
— quod
Germanicus a senatu imper{ator appellatus
;
est).
XV
63: a{n)te d(iem) Augusttm
hoc die C. diesar
— nozione con Vimperium e
ius habcndi senatum, dì cui
il
cenno nella legge, spetta di certo sua tribiinicia potestas semplice.
A
fa
l'orza della
in
x>i'incipe
(').
sistema proj)osto dal Mispoulet (op.
Il
una
al
si
suo avviso,
potere imperiale
il
una
compone
si
meno indipendenti
serie di diritti speciali, piìi o
dagli altri, conferiti in
242) ò molto
cit., T,
sola volta,
mediante
gli
di
uni
la lex regia
che ne conteneva Penumerazione. Per ricostruire codesta
enumerazione, basta aggiungere alla ci
rimane,
i
due elementi
incompleta che
lista
importanti che dovevano neces-
piìi
Vimperium proconsulare^ la tribunicia potestas e il titolo di ponti f ex maximus. Questo sistema, per la sua stessa semplicità, sembra, a prima vista, assai convincente, ma, esaminato a fondo, palesa anch'esso sariamente figurarvi, cioè
i
suoi difetti. Prescindo dalla identità delVimperium e del
che
ius proconsidare
il
Mispoulet a torto sostiene, poiché,
scrivendo egli anteriormente al Karlowa, non poteva tener
conto delle ragioni perentorie
che
contro
quella
identità
furono addotte dal romanista tedesco, e vengo, invece, altri
la
argomenti che, secondo me, infirmano assolutamente
sua
grave è questo, che non è esatto che Vim-
tesi. Il piti
perium e
la
principe in
tribunicia potestas fossero
una
sola volta e
porgono esempi luminosi 65)
così,
cioè
;
il
gli atti degli
il
atti
conferiti al
successivi.
dies imperii di
il
;
convocati
il
di Vitellio
ebbe luogo
mentre
il
19
addurre, secondo C'f.
il
Hr'Hii.LKK,
IV, 570).
ax)rile, e
gli altri
il
13 ot-
il
potere
gennaio 69
15
comitia tribunicia furono
28 febbraio successivo
So bene che questi esempi e
Alt.
i
il
Kerone,
venne con-
ad Ottone Vimperium e
accordati dal senato
Tacit., hist., I, 47),
Ce ne
Arvali (Henzen, p. 63-
4 dicembre dello stesso anno gli
tribunizio vennero
(^)
sempre
giorno in cui ebbe Vimperium dal senato, fu
ferita la tribunicia potestas
Kl.
non con
per citarne qualcuno,
tobre 54, e solo
(cf.
al
;
i
infine,
comizi
il
il
ancora che
dies imperii
30 aprile 69. si
potrebbero
Mispoulet, non provano altro se non che, Róm., Staatmlteriiimcr (Mùller, Ilandbuch der
—
120
—
por la convocazione dei comizi popolari, limitarsi il
ad approvare
potere tribunizio,
decreto del senato che conferiva
il
vollero rispettare le forme antiche,
si
cioè l'intervallo del trinvndimim,
senatoconsulto e la
poiché era il
le^^ge
senato e non
il
potere imperiale
;
dovevano
quali
i
che ad
e
non formavano che un il
modo
ogni
il
solo atto,
popolo che conferiva veramente
è vero ciò, l'intervento dei comizi
ma
riduceva nel fatto ad una pura formalità,
si
è vero altres
quanto essa fosse una formalità, il decreto del senato non avrebbe avuto effetto legale, senza l'approvazione che, per
del popolo.
È
poi inconcepibile
nel bronzo capitolino siano,
denti
daWimperium
fonti attestano che
foederis,
iìis
il
il
Mispoulet, indipen-
quando
trihimicia potestas,
le
potere imperiale è costituito essenzial-
mente da codesti due elementi ed il
attribuzioni scritte
le
come vuole
e dalla il
che
è indubitato che, p.
ius commendationis,
il
e.,
promovendi po-
ius
merium, menzionati nel nostro monumento, mettono capo
E
dXVimperium.
quand'anche
Mispoulet
il
avesse ragione,
bisognerebbe ammettere che nella parte perduta della zione figurassero
ma
pato,
le
non
due elementi
i
attribuzioni,
i
poiché ripugna, secondo me, il
diritti al
pensare che un atto, come
due forme stite)
;
affatto diverse
:
costitutivi del princi-
che da
essi
rampollano,
senso giuridico dei il
iscri-
Eomani
nostro, fosse compilato in
analitica l'una (la purte super-
sintetica l'altra (la parte perduta). Questi argomenti
mi paiono più che
bastevoli a confutare
il
sistema proposto
dal Mispoulet.
Giunti a questo punto, dopo aver rilevati difetti
che rendono, a parer nostro, insostenibili
i i
sistemi proposti sul carattere della lex Vespasiani, stabilito
che Vimperiumy la trihunicia potestas,
sulare, gli elementi costitutivi,
periale, che, per
erano conferiti
che
i
il
principali principali
dopo aver ius proeon-
insomma, delF autorità im-
maggiore chiarezza, chiamerei poteri-fonti,
al
principe con atti distinti e successivi, e
diritti imperiali
enumerati nella
lex
Vespasiani non
si
possono far derivare tutti esclusivamente da uno, o da un
—
—
121
che la nostra lex
altro di questi poteri, ò forza concludere
non può il
ad alcuno di codesti
essere identica
suo scopo non era quello di trasmettere
piuttosto,
minarne
come nota acutamente
le
competenze.
quali al principe
E
invero
il
che quindi
principato,
l'IIirschfeld
(^),
i
ma
deter-
di
formula degli
la
trasmettevano
si
atti,
atti, coi
poteri costitutivi del
doveva essere, secondo me, assai semplice, limitarsi cioè alla pura e semplice trasmissione di quei po-
principato,
senza però specificare
teri,
i
scaturivano.
E
attribuzioni
non erano sempre
la ragione è evidente. Codesti diritti, codeste gli
impe-
essi
promovendi pomerium, come
prima volta
piti
per tutti
le stesse
del loro regno. Così, per addurre
la
che ne
potevano ottenere nuove attribuzioni, momento della loro elezione, ovvero durante il corso poiché
ratori, al
attribuzioni
diritti, le
all'
si
qualche esempio,
imperatore Claudio
;
il
ius
concesso per
già, fu
è visto
il
diritto di presentare
proposte in senato fu concesso agli imperatori, a quanto
pare, dagli Antonini in poi,
ma
mentre Antonino Pio, Per-
Marco Aurelio e Alessandro Severo ebbero rispettivamente il ius quartae, quintae relationis, all' imperatore Probo tinace,
fu concesso soltanto
il
ius tertiae relationis
provano adunque che
le
competenze,
periali si allargavano, si restringevano,
nel
succedersi
che
un
dei
vari imperatori
si
(^).
prerogative
le
era perciò necessario
;
atto speciale tenesse conto di queste
Verwaltungsheamten
des Gesetzes, wie
(ed. I), I, 289, n.
4
Mommseu fùr mòglich hàlt,
im-
mutavano insomma
determinasse, volta per volta, quali erano (^)
Questi esempi
:
i
mutazioni e
diritti
che com-
Dass der verloreue Anfang
die Verleihung der tribunici-
Bchen Gewalt entlialten habe, balte ich nicht fùr wahrscbeinlich, da es sich bier nicbt um die Uebertragung des Principates, sondern um die Bcgran-
zung der damit verbundenen (Jonipetenzen bandelt. CI 2 ed., p. 475, n. 1. (2) Vedi i testi citati dal Mommsen, IP, 786, n. 4; 898, n. 4. Il KarLOWA (op, cit. I, 498) pensa che il ius tertiae, quartae, quintae relationis non fosse scritto nella lex de imperio, y)ercbè derivante da una concessione speciale, ma, secondo me, a torto. Codesta prerogativa non figura nella lex Vespasiani, perchè a quel principe non venne senza dubbio conferita, ma essa doveva certamente figurare nelle leges de imperio dei suoi successori, ai quali fu conceduta.
petevano
—
122
Quest'atto è appunto, a parer nostro,
al principe.
quindi definire come una
che potremo
la lex de imperio
legge periodica, enumerativa di tutti attribuzioni costituenti,
premo che
nel loro
i
complesso,
tutte
di
diritti,
le
potere su-
il
principe era conferito al suo avvenimento al
al
trono.
Ma, contro questo nostro modo d'intendere l'iscrizione capitolina si presenta subito una obiezione che in sostanza non è che quella già opposta dal Mommsen all'ipotesi dello Hirschfeld {}) e che può formularsi nel modo seguente se :
gli atti, coi
quali
peratore eletto
i
senato e
il
popolo trasmettevano
il
poteri costitutivi del principato, erano distinti
dalla legge che ne determinava le competenze,
ne segue logicamente
anteriori,
all'im-
che
principe
il
ad essa
e
investito
supremo potere non poteva esercitarlo infìno a tanto che quella legge non era promulgata, ciò che sarebbe veramente assurdo. L'obiezione, a primo aspetto, sembra assai
del
grave, ma, se
non m'inganno,
dà modo
la stessa lex de imperio
di toglierle ogni forza, solo che s'intenda bene a qual
mento
si
come
già
si
è visto,
aveva per iscopo di che
(op. cit., I, 496) è di avviso
gli atti, ai
voleva dare forza retroattiva, erano
prima che
principe,
senso della clausola transitoria
Prima
quelli
Il
Kar-
quali la legge
compiuti dal
la sua elezione, fatta dall'esercito, fosse
stata riconosciuta valida dal senato
ragioni.
ratificare
emanati dal principe ante legem rogatam.
tutti gli atti
lowa
munita,
riferisca la clausola transitoria di cui essa è
la quale,
mo-
di tutto
il
?
(^).
È
questo
Io ne dubito per
Karlowa suppone,
le
nella
il
vero
seguenti
sua ipo-
che l'intervento dell'esercito, nella elezione del principe, fosse un fatto costante e legittimo, mentre, come nota giu-
tesi,
stamente
il
Willems
(op. cit, p. 414, n. 9),
esso
non era che
Ebenso bleibt niir die Distinctiou iiiiIP, 878, n. 1 verstàndlich, die HirBchfeld weiterhin aufstellt, zwischeu « Uebertragung des Principats » und « Begrànzung de daniit vorbimdeneu Competeuzen « OS ist eia Widersiim erst das Aint und dami die Amtsgewalt zu vorloiheu. (1)
Op.
cit.
:
;
('^)
Cf.
anche Mispoulet,
1,
379.
una usurpazione
di
—
123
poteri,
un
— fatto,
({uìndi,
eccezionale
;
ammette, e con ragione, che l'eletto non poteva dirsi veramente investito del su-
in secondo luogo, se egli dall'esercito
premo potere,
non quando
valida
conosciuta alle
se
dal
la
sua elezione fosse stata contraddice
senato,
ri-
chiaramente
parole stesse della nostra legge, la quale intende dare
forza retroattiva agli atti compiuti aò imperatore
Caesare
Vespasiano Angusto, ossia compiuti da Vespasiano, eletto
non
solo
dall'esercito,
certamente
il
ma
confermato dal
titolo à.Hmperator
non
gli
senato, poiché
poteva legalmente
non quando codesta confermazione avesse avuto luogo. La clausola transitoria adunque della lex Vespasiani non può riferirsi che agli atti compiuti dall'imperatore nell'intervallo di tempo che intercede fra la sua investitura del supremo potere e la promulgazione della legge che ne spettare, se
competenze
determinava
le
pretazione
supporre che, nel caso speciale di Vespasiano,
il
la clausola sia stata estesa
prima che compiuta
il
;
ne osta a questa nostra
anche
agli atti
inter-
emanati da
lui
senato ne avesse dichiarata valida la elezione
dall'esercito
Intesa così, la
leo-
(^).
de imperio
non presenta, a mio avviso,
quelle difficoltà che, attraverso le altre interpretazioni, vi
rilevammo, e se codesta legge non era che
l'atto
enumera-
tivo di tutte le prerogative spettanti al principe,
potremo
carta costituzionale dell'impero romano, ripigliando un termine adoperato dal biografo del suo primo commentatore e divenuto comune nella storia designarla
come
la
degli stati moderni.
(1)
SuET., Vesj).
6.
I
FRAMMENTO BERLINESE
IL
DE DEDITICIIS
((
<'>
»
frammenti di un libro de iudiciis, scritto da un antico giureconsulto romano, contenuti in una pergamena proveniente da Fajjum in Egitto, che il Mommsen pubblicò, per la prima volta, nei Rendiconti dell'Accademia
Sono noti
tre
i
501-509 (= Gesamm.
delle scienze di Berlino, del 1879, pagg. ScJiriften,
68-75).
II,
tenore seguente:...
eornlm] ìiominum
Il
rum ita
secondo esset,
ius
sed
di quei
cum
frammenti
lege de honis rebusque
iudicium
dicere
è del
praetor
reddere
inbeatur, ut ea fiant, quae futura forent, si dediticiorum nu-
mero
non
facti
senserunt
Lo
essent,
videamus, ne verius
de universis honis
et
et
illustrarono, dottamente,
sit
de singulis...
dopo
quod quidam (^).
Mommsen,
il
pianto Alibrandi, l'ultimo dei romanisti classici ger
(^),
(^)
(^)
l'Huschke (% M. Cohn (%
(»)
60-70. (*)
93-99; p. p.
(^)
(«)
il
Krii-
Schoci-
lo
;
I.
Girard, Textes de Drolt Romain, 4
Eom. A.
Studi
e
documenti di Storia
e Diritto, I
(1880), 169-183; II (1881),
Oj)ere Giuridiche e Storiche,
Zeitschrift der S. S. fur Eechtsgeschichte cf.
Krueger,
=
Baviera,
ed. p. 494;
p. 519.
(= Alibrandi,
249 e 8eg. 333-334.
risten,
(^),
com-
Pubblicato nel Bullettino délV Istituto di Diritto Bomano, VII, 1894. Huschke lur. Ant. (ed. 5), p. 623 Collectio libr. iuris Anteiusti-
niani, III, 299;
Fontes
Brinz
il
(^),
il
Geschichte der Quellen
Ilistoire des sources
du
und
I,
374-392).
(Kòm. Abth.),
Litteratur des
droit
romain
Die jiingst aufgefundenen Bruchstiicke aus Leipzig 1880.
I
(1880)*
Róm.
Rechts,
(trad. Brissaud),
Schriften
Róm. Ju-
Zeitschrift der Savigny-Stijtung (R. A.), II (1881), 90-111.
Sitzungsberichte der Bayer. Akademie, 1884, p. 542 Die Freigelassenen der lex Aelia Sentia und das Berliner fragment von den dediti(')
ciern, l'reiburg
;
I.
B.,
1884.
der
(^)
qui
le
e
Karlowa
il
]Son è mia intenzione di esporre
('^).
frammento
interx)retazioni che del
berlinese propo-
sero questi scrittori, tanto piti che ebbi occasione di ragio-
narne altrove pili
ma
(^),
ampia ad una
soltanto di dare forma più chiara e
ipotesi, a cui lo ScLneider,
acceimò, fugacemente, nel suo scritto e
clie,
per
il
primo,
a mio avviso,
se
non
ci
avvicina, però, di molto alla soluzione del più importante
risolve tutti
quesiti
i
fra essi. I quesiti son questi
:
quel frammento presenta,
cli.e
1) chi è l'autore dei
persone sono designate con
2) quali
mimerò
diticioTìim
loro successione
;
quaPè
e
facti
quaPè
3)
le
frammenti
;
parole homines de-
la legge regolatrice della
contenuto della controversia
il
a cui alludono le parole del frammento vidcamus ne verivs
quod quidam scnserunt,
sii
primo quesito mi pare quasi insolubile. L'Alibrar.di sostiene che i nostri frammenti appartengono al libro quin1. Il
dicesimo del commentario di XJlpiano ad Edichim^ poiché, fra gli altri argomenti,
a
addice a lui che nei suoi verius
(*)
))
schke e
scritti
abbonda
Lenel
(^),
sebbene
di
sii
si
vidcamus e di
primo supponga che
il
ben
consentono anche PHus-
e in questa opinione
;
il
quel vidcamus ne verius
i
fram-
VI (1885), 198-204: cf. anche ib., che parla incidentalmente del nostro frammento a proposito delle relazioni della legge Elia Senzia con la legge (1)
p,
Zeitschrift fur S. S. (R. A.),
205-225,
lo scritto dell' Hòlder
lunia Norbana. (^)
Róm.
Bechtsgeschichte,
sulla deditio e
i
dediticii aeliani
I,
767.
— C.
Segrè, nel suo acuto lavoro
(BuUettino dell'Istituto di Diritto
Romano,
datele cattive condizioni del papiro su cui possa da quella parte di esso che è chiaramente leggibile trarre legittimamente nessuna positiva e decisiva conclusione » ma è questa, affermazione troppo assoluta. Cultura, III (1884), 762(3)Cf. imiei Latini luniani, p. 37 e seg. 1890, pag. 33), sostiene che
è scritto
il
frammento, non
«
si
;
;
766
;
Rivista Critica delle Scienze Giuridiche, III (1885). 359-361. (*)
L.
e. II,
XJlpiano e sul
pian I
68
=
Opere
modo come
I,
egli
390.
— Sul
esprime
il
(^)
;
477 e
p.
25,
da
cf. Pernice. VIK. Akad. der Wiss. zu Berlin.
seg.).
Das Edictum Perpetuum,
di citazione usato
proprio avviso
als Schrifsteller (Sitzimgsberichte der
(1885), 468 e seg.
metodo
5.
--
menti appartengano al
HI
-
libro ([iiattordi eesimo
al
(^)
Recondo
il
(^
decimosesto di quel commentario di Uljjiano. Ora, per
quanto sagaci siano quali
argomenti e
gli
osservazioni sulle
fop-da questa congettura, penso esser cosa piti pru-
si
come benissimo quei frammenti non danno un punto
dente lasciar in disparte avverte
le
Mommsen,
il
di appoggio
quesito, poiché,
per indovinare
mi
e quindi
«
il
il
nome
del loro autore
limito a conchiudere che
»
nostro autore
il
(^)
scri-
veva durante l'impero, quando l'opinione di quei giureconche nella parte mutila del frammento
sulti,
non aveva ormai più seguaci
e discussa,
riassunta
era
nelle scuole di di-
ritto.
Gli scrittori sopra citati,
2.
Mommsen
e
Karlowa, che
il
nostro frammento sono
i
sostengono le
tutti,
tranne
il
persone contemplate nel
libertini dediticì e
che la legge a
come
cui esso allude è la legge Elia Senzia, la quale,
è noto,
quella categoria di schiavi manomessi. Questa opi-
istituì
potremmo chiamare ormai comune, a me pare
nione, che
incontrovertibile, poiché se in Gaio III, 74), in
Ulpiano
IV, 12,
(Seni.,
(I,
5,
11
;
XX,
7) e nelle istituzioni
12, 15, 25, 67, 68
(I,
14
XXII,
;
giustinianee
locuzione qui dediticiorum numero sunt, ovvero
ciorum numero
facti
sunt, designa
2), (I,
;
in Paolo 5, 3) la
qui dediti-
soltanto la categoria dei
dediticii eliar.i, se quei giureconsulti antichi
era appunto la legge Elia Senzia che
ticiorum numero, se da Gaio (III, 75)
li
insegnano che
faceta essere dedisi
desume che
le di-
sposizioni di quella legge, relative alla successione dei
ad una controversia
bertini deditici, diedero occasione
li-
fra
non comj)rendo proprio come possa nascere dubbio che il frammento berlinese si riferisca a quegli
giureconsulti, il
schiavi
Op.
(^)
inni.,
p.
fuerit, (^)
quali formane no
i
cit., p. 15.
6213,
n.
1,
l'infima
categoria dei libertini,
Però, nella quinta edizione della sua lur. Ante-
riIu.scjiKE scrive:
«
quotus hic ad edictum liber
qui erat de iudieiis li, ne nunc quideni definire audeo L.
e. p.
den Anhalt ».
506:
iiberreste keinen
"
Namen
».
des Verfassers zu erratlien geben dei
-- 1^28
—
tanto più che la più elementare regola di critica storica
insegna cU non interpretarlo separatamente dalle altre fonti
ammettendo questa opinione, nega nostro frammento ci conser\'i una disposizione della
giuridiche. L'Holder, pur
che
il
legge Elia Senzia e crede, invece, che alluda alla legge lunia
Norbana,
la quale avrebbe, a suo
avviso, estesa ai deditici
che, astrazion fatta dalla loro turpitudo, sarebbero divenuti
quale regolava la suc-
latini, quella clausola di essa legge la
Le
cessione dei latini iuniani.
frappo co svolgere rispetto
che
considerazioni che
infirmeranno an-
al terzo quesito,
ma
la ipotesi dell'Holder,
dovremo
ad ogni modo
qui, basterà
dire che essa
non appare
non indicano
affatto che la legge lunia ìs"orbana abbia
sostenibile, poiché le nostre fonti
po-
tuto occuparsi espressamente dei deditici eliani.
Mommsen
Il
sentono dagli
mento si
e
Karlowa,
il
primo
il
abbiamo già
che illustrarono
altri scrittori
e sostengono,
lo
detto, dis-
nostro fram-
il
specialmente,
(^),
che esso
riferisce agli exsules della fine della repubblica, a colere,
cioè,
che erano colpiti à,2i\V€asilhim^ da una pena criminale
che includei'a la perdita della cittadinanza e l'allontanamento
da un
l'Italia
Contro questa opinione del
('^).
argomenti gravissimi,
addotti
e dall'Huschke
che se
;
fra
i
parlando di
pare irrepugnabile questo, erano parificati
gli esuli
non poteva il nostro autore, invocare una legge la quale ordinava al
esuli,
Mommsen mantiene la sua opinione, suo B. Staatsrecht,
Girard) VI,
De
exilio (-)
Cf.
(3)
I
pag.
157, n.
apud romanos,
Mommsen,
Girard), VI,
ai de-
(^),
pretore de bcnis reòusqve eornm Jiomimim
Il
dall' Alibrandi
beni da loro acquistati, anche dopo la deporta-
zione, ricadevano al fisco
sizioni, nel
da
specialmente
me
quali a
i
tempo dell'impero
al
portati e
(^)
Eoma e dalMommsen furono
territorio limitato, di regola, almeno,
1,
p.
Con
2.
140. lui
=
§
5
;
le
consente anche L.
E. Staatsrecht, III, 140.
7,
nonostante
molte oppo-
Droit public romiiin
(trad.
Hartmann,
21.
=
Segrè, 1. e. Cod. lust, IX, 49.
pag. 157, n, 2
DiG. 48, 20,
111,
ita ius dicere^ iu-
;
0.
Droit public romain (trad. p. 32. 2.
ca
dicium reddere,
ut
ciorum numero
jacti
quae futura
fiant
non
esscnt.
forcnt
Comunque,
dediti-
si
quentione
la
non sta tanto nel sapere se gli exsules o i deportati siano veramente nel numero dei deditici, quanto se la locuzione numero,
dediticiorum
possa a loro applicarsi gliono
il
Karlova e
adoperata ;
framm.ento,
ora sia o non sia tecnica, come voKriiger,
il
nostro
nel
non
è possibile negare che
non designa che i deditici eliani. E pure ammesso per un momento che le persone designate nel frammento berlinese fossero locuzione, nelle fonti giuridiche, altro
quella
avremmo
exsules,
gli
manomessi il
conseguenza che, essendo anche
la
Senzia
Elia
legge
della
nostro autore avrebbe riprodotto
ambiguo, che nello stesso tempo
così
testo di
potrebbe
a due classi di persone fra loro distinte, e
una legge applicarsi
pretore, nel ius
il
iudicium reddere intorno alla successione ereditaria
dicere,
di cui la legge prescriveva le se
numero,
dediticiorum
un
i
questa intendeva
norme, sarebbe stato incerto
riferirsi agli
exsules,
ovvero
ai deditici
Ora ammettere una simile ambiguità nel testo di una legge romana e nel commento interpretati\'o di un giureconsulto romano intorno a quella legge sarebbe cosa semplicemente assurda queste ragioni adunque e le eliani.
;
altre
addotte dagli scrittori
del nostro
la
dimostrano che
frammento quale eos
i
libertini deditici e
parole
le
frammento homines dediticiorum numero
signano soltanto nel
citati,
facti de-
che la legge, citata
non può essere che la legge Elia Senzia dediticiorum numero faciehat. Passiamo ora al stesso,
terzo quesito. 3. sit
Le parole
quod quidam senserunt
cennano,
come
consulti, e dal jjare di
frammento videamus ne
del nostro
già
si
et
è detto,
modo come
il
de universis
et
verius
de singulis...
ad una controversia nostro autore
si
fra
i
slc-
giure-
esprime mi
poter ammettere che esso consentiva nella opinione
quidam da lui esposta nella parte inferiore della pergamena di Fajjum, o che almeno essa, di fronte alla massima contraria stabilita nelle scuole del suo tempo e che aveva
dei
9
—
—
130
sembrava forse la più vera e comparativo veriiis dimostra che
rice\nito forza di legge, gli
dico la più vera, perchè
il
nella parte superiore del
;
frammento era riassunta un'altra
opinione, anch'essa opposta a quella prevalente fra
alle
parole testuali della legge
ricerchiamo per quale ragione
riguardante
i
(^).
Ciò posto,
capo della legge Elia Senzia,
il
beni dei liberti dediticì defunti, poteva nella
sua applicazione far sorgere una controversia fra
ne discorre nelle sue istituzioni
(III,
74-76)
quos lex Aelia Sentia dediticioriim numero
Romanorum
lihertorum^
Nam
ad patronos pertinent.
i
giure-
da Gaio che
consulti, e riproduciamolo innanzi tutto
quasi civinm
giure-
sembrava meno vera perchè
consulti, e che al nostro autore
contraddicente
i
:
così
Eoriim autcm^
bona modo
facit,
modo quasi Latinorum
eorum hona^ qui
in aliquo vitio
si
non essente manumissi cives Romani futuri essent, quasi vium Romanorum patronis eadem lege trihuuntur. non
men
iti
Nam
Jiaòent etiam testamenti factionem.
Nam
nec inmerito.
placuity
condicionis
Jiominibus
Eorum
eiundi ius concedere. vitio essent,
manumissi
ìatorem
Icgis
Cohn
il
le
:
nec
me
suam
riferiscono
suam
praeterit
non
verbis expressisse.
riferiscano le
si
ncn
satis in ea
re
controversia sulla testamenti-
alla
che alcuni giureconsulti negavano,
vece,
accordavano
torto, perchè
praeterit
verbis expressisse. L'Alibrandi
factio
ai
non in aliquo
me
In primo luogo esaminiamo a che cosa
e
fa-
futuri Latini essent, proinde tribuun-
satis in ea re legislatorem voluntatem
legislatorem voluntatem
id plerisque
testamenti
vero bcna, qui si
tur patronis, ac si Latini decessisscnt. nec
ultime parole di Gaio
ta-
videbatur pessimae
incredibile
voluisse
ci-
liberti
dediticì,
altri,
e
più, in-
i
ma, secondo me, a
Gaio aveva già esaurita co testa controversia ecn
(^) Che il comparativo frammento, il riassunto
veriiis
lasci
supporre nella parte superiore
opposta alle parole tead ogni stuali della legge {sed cum lege) a rae pare di per sé evidente modo cf. Ulp., libro IX ad edictum (Dio., Ili, 3, 1, § I); id. libro XI ad del
di un'altra opinione
;
ed. (ib.
IV,
fra loro e libr.
2, 9, § 8),
una
ove
il
di queste fa
giureconsulto raffronta due opinioni diverse
sua adoperando
I qvaestionum (DiG., IV,
2,
17).
il
verius. Cf.
anche Paulvs,
parole nani incredibile vidchatur
le
osserva giustamente
questa maniera
in
Sclai.eider,
me
ius concedere, nec
voluntatem
svam
sarebbe esjjresso
si
lalorem testamenti jacinndi
lecjis
praeterit
non
saiis in ea re leyis latorem
verbis eoopressisse.
nemmeno può
re
egli
come
altrimeiiii,
;
nani incredibile videbatur pessimae con-
:
ìioviinibus voluisse
dicionis
L'ea
lo
et rei.
Eorum
alla
riferirsi
vero bona et rei.
successione di coloro
non esscnt, sarebbero diventati liberti latini, poiché al tempo della legge Elia Senzia, come è mia ferma opinione (^), i latini non esistevano, e la legge lunia Isorbana, per quanto affermino il contrario il Yoigt (^) e lo Holder(^), non si occupò affatto della successione di costoro. Che ciò sia vero parmi risulti evidente dal raffronto di quei
quali, si in aliquo vitio
due locuzioni usate da Gaio: nel caso dei liberti
ste
che, prescindendo cives,
Romanorum
tribuuntnr
dalla loro
eorum
turpitudo, sarebbero
n.ostro giureconsulto si
il
quasi civium tia^
dalla loro
;
patrcnis
eadem
:
diventati
eorum
bona...
lege [Aelia Sen-
nel caso dei liberti dediticì che, prescindendo
/i/r^^ihit/o,
bona...
esprime così
dediticì,
sarebbero diventati
latini,
proinde tribuuntur patrcnis ac
si
dice così:
Latini de-
sen^a attribuire ne alla legge Elia Senzia né alla
cessissent,
legge lunia ìsTorbana codesto provvedimento. Quel passo di
Gaio
(III,
legge,
76)
ma una
adunque non contiene una. disposizione
di
dottrina interpretativa sorta dalla necessità
di estendere a quei dediticì
i
quali, prescindendo dalla loro
turpitudo, sarebbero diventati latini, la regola stabilita dalla
legge Elia Senzia per la successione di coloro che,
vandosi in aliquo dini
(^)
(^)
Ci.
Norbana, C"^)
n.
ma
;
i
p.
vitio,
non
tro-
sarebbero diventati liberti citta-
poiché la parola legislatorem, adoperata, per
miei Latini luniani, p. 29 e
seg.;
la data della legge
lunia
13 e seg.
JJas ius civile
und ius gentium
der Eómer, p. 746, n. 842, 7
;
p. 761,
855. {^) ('*)
quoties cetera,
L. e, p. 218 e seg.
Ulp., Uh. 1 ad Ed. aed. cur. (Dio., I, 3, 13) Nam, ut ait Pedius, Uge aliquid unum, vel alterum introductum est, bona oecasio est giiae tendunt ad eamden utilitatem, vel iuterpretationo, vel
certe iurisdictione suj)pleri.
:
due
volte,
sce,
non
13^
—
da Gaio in quel passo, come dal contesto appari-
jniò riguardare che la legge Elia Senzia sopra no-
minata, Vea re deve
a tutto l'istituto della succes-
riferirsi
sione dei deditici regolato da codesta legge a cui Gaio, a
modo
non aver dato su
di conclusione, rivolge l'accusa di
questo punto forma abbastanza clxiara e precisa
Ma
siero.
non sarebbe
l'accusa di Gaio
suo pen-
giustificata,
controversia avrebbe potuto sorgere fra la legge Elia
al
né una
giureconsulti, se
i
Senzia, prescrivendo al pretore di ius dicere
rispetto ai beni dei liberti deditici, avesse adoperate le parole
Romani
fu-
poiché in questo caso la volontà della legge
sa-
ut ea fiant quae futura forent si turi essent
;
rebbe stata chiarissima,
manumissi
cives
beni che lasciavano morendo
i
i
dovuto considerarsi come beni di un liberto cittadino romano defunto, e per quanto assurda podeditici avrebbero
tesse di
sembrare
la cosa,
una espressione
della
legge
essi,
in ultimo spiritu, per servirci
di Giustiniano, avrebbero avuto, inforza
stessa, la facoltà di
la controversia fosse possibile,
Perchè adunque
testare.
era necessario che le parole
ambigue da dar
testuali della legge Elia Senzia fossero cosi
un
ragione nello stesso tempo, da nati da Gaio, e dall'altro
ai
lato ai
quidam che
plerique nomi-
alla loro
opinione
contraddicevano. Quali erano coteste parole? Cele fa co-
pergamena di Fajjum, legge Elia Senzia doveva essere
noscere, sen^a dubbio, la
che
il
capo della
mulato: dicitOy
a
iudicium reddito^
ut
ea fiant quae futura forent si de-
Secondo I'Alibrandi
(1.
e. I,
(^).
173 e seg.
della legge, era detto così: dediticiorum
ma
così for-
de honis riòusquehorum hoìninum Fraetor,.. ita ius
diticiorum numero facii non essent))
(^)
di guisa
=
opere
I,
378), nel testo
numero hac lege facti non essent; aveva prescritto che servi
se nei capi precedenti la legge Elia Senzia
a domiinis poenae nomine
numero
sint,
vincti...
snnt peregrini dediticii (Gai, l'inciso
et
postea...
ovvero eiusdem condicionis I.
13
;
Ulp.,
liberi I,
manumissi, dedìticiarum fiant,
11), nel
cuius
condicìonis
capo che discutiamo
hac lege era inutile, s'intendeva da sé che codesti homines erano
quelli qvos lex Aelia Seniia dediticiorum
numero
faciebat.
— Orbene, dussero
i
—
giureconsulti romani,
un
ad.
133
solo
quali,
i
ri-
contenuto delle leggi Elia Senzia e
il
lunia Korbana, considerando quest'ultima
mento
com'è noto,
come un comple-
dovevano dare alla dediticiorum numero facii non essent,
della prima, quale interpretazione
formula negativa
si
dovevano forse considerarla equivalente tiva adoperata dalla legge lunia
alla form.ula
nega-
Norbana per regolare
la
suceessione dei latini iuniani, la quale aveva disposto che
i
beni di codesti liberti proinde ad manumissores pertinerent, ac si
non
lata
le\)c
esset
Gaio
(III, 56) ?
tamente questo punto, perchè qui
è
il
Esaminiamo attenvero nodo della que-
stione.
La formula negativa adoperata bana era chiarissima oscurità
(^),
;
Gaio non
dalla legge lunia Nor-
le rivolge
alcuna accusa di
poiché essa ricade nel numero di
quelle for-
mule negative si capite deminutus non esset, si homo usucaptus non esset, si mancipio non dedisset, si arhor non coaluisset, si se alieno iuri non suòiecissent, le quali formule, per dirla col Karlowa, « hanno tutte per iscopo una specie :
di
E
restituzione
nella
primitiva
difatti se la legge lunia
condizione giuridica
Norbana aveva
»
(^).
presentato che la
successione dei liberti latini doveva regolarsi ac si lex lata
non
esset,
nessun dubbio poteva sorgere sulla vera volontà
del legislatore
;
alla
condizione
la legge
lunia Nor-
esso voleva aver riguardo
in cui quei liberti
vivevano prima che
bana fosse stata promulgata, cioè tutelato dal pretore
;
quindi
il
allo
in lihertate morari
patrimonio che
il
latino la-
morendo doveva tornare al patrono come se si fosse itaque iure trattato del peculio di uno schiavo (Gaio, ìb. sciava
:
A
i quali sostengono che la legge lunia Norbana 8Ì occupò può oBHcrvarc ancora cIk^ sarebbe inconcepibile che l'autore di essa, mentre aveva (}Kj)re.srto chiaramente la Bua volontà nel regolare la BucccBsione dei liberti latini, foBBC stato oscuro e non preciso
(^)
coloro
dei deditici,
si
nel manifestarla rispetto ai deditici latini futuri. {'^)
()]).
cit.
I,
767
:
"
DicKc
riegjjt iveii
Fiklioncii
Art KcBtitution des friiheren KechtszuBtandes
».
bezwecken
alle ein
— quodam modo
pectdii
Ma
lege pcrtincnt).
la
—
134
hona Latinorum ad mannmissores ea
formula usata dalla \eoge Elia
Ser.zia
frammento non poteva essere inquesto unico mccl.o chi ben la esamina s'ac-
e riprodotta nel nostro
terpretata in
;
corge subito che essa era bilingue. In supj)orsi legittimamente che
altri termini,
legislatore, nell'ade perarl a,
il
aA^esse voluto a^^er riguardo alla condizione in cui i
liberti dediticì
dizione servile
;
prima
ma
poteva
di essere
manomessi,
^ive^ano
cioè alla con-
potevasi anche supporre legittimamente
che esso avesse voluto avere riguardo alla condizione migliore di liberti cittadini romani, o di liberti latini, nella
quale quei manomessi sarebbero vissuti se essa legge ncn li
depressi ed abbassati alla pessima condizione dei
avesse
deditici. Ora,
partendo da così opposti concetti, alcuni giu-
reconsulti sostenevano che se le parole della legge Elia Senzia
avevano riguardo
formula negativa
si
condizione migliore, ossia che
alla
decliticionim
era risolvibile nella positiva
numero
si cives
ncn
facti
Romani
moniali,
essciit
vel latini facti
che cioè dovevansi distinguere, nei riguardi
essente
patri-
dediticì cives dai dediticì latini, per logica conse-
i
guenza era necessario e giusto riconoscere nei primi i
romano,
diritti del liberto cittadino
di far testamento
che
;
e quindi
anche quello
invece
sostenevano
altri giureconsulti
mitiva condizione servile di codesti manomessi che la formula negativa
non
si
(i
dediticiorum
si
risolveva in quest'altra
essent, e quindi,
diticì
cives e
nello stesso
i
si
latini), la loro
I,
23
tornare
;
Ulp.,
non
manuìnissi
successione doveva regolarsi
al
patrono iure
argomentare quei giureconsulti
Gai,
facti
cui regolavasi, in forza della legge
Norbana nega esplicitamente (1)
numero
senza distinguere due categorie di de-
modo con
beni doA'evano
ttirpesy ossia
a dominis
lunia IsTorbana, la successione dei liberti
infatti
tutti
parole della legge Elia Senzia riguardavano la pri-
le
essent
la
XX,
14.
ai
:
liberti
latini, cioè
peculii.
se
la
i
loro
Potevano
legge lunia
latini C)
la testa-
— mentijactio^ se
cuna
(UMliticì
i
—
135
eliaiù
soi».o
distiii/ioiui
sci'.za
inferiori ai liberti eives e ai liberti latini^
equo accordare
alcuni di essi
ad.
i
al-
non sarebbe
diritti del liberto cittadino
romano, stabilendo così una disparità
da
trattamento
di
nulla giustificata nella categoria di codesti Jiomines pessimae
due opposti sistemi sarebbero dunque, a mio avviso, contenuti, il primo nella parte superiore del il nostro frammento precedente alle parole superstiti (^) secondo nella parte inferiore, ce sicché il frammento stesso condicionis. Questi
;
potrebbe supplirsi nella seguente maniera:
videamus ne
verius sit quod quidam senserunt et de universis bonis et de singulis [rebus omnium qui dediciorum numero sunt ita ius dicere, iudicium reddere praetorem iuberi oportere, ut ea fiant quae
futura forent
si
a dominis
manumissi non essent]. Fra queste due opinioni opposte ed estreme si venne piti tardi formando una terza eclettica, la quale cercò non solo di conciliarle fra loro,
ma finì
per diventare l'opinione do-
minante nelle scuole romane di diritto e al tempo di Gaio era ormai ricevuta come massima di legge. I giureconsulti che la propugnavano partivano da questo
concetto,
che
l'equità voleva, nell' applicare la legge Elia Senzia intorno alla successione dei dediticì defunti, si avesse
riguardo alla
condizione migliore di liberti cives romani o di liberti in cui, secondo
i
casi,
dalla loro turpitudo
equo negare
non ai
stabilire
dediticì
;
essi
ma
latini^
sarebbero vissuti, prescindendo
nello
stesso
tempo era altrettanto
ai dediticì cives futuri, la testamentifactio,
in loro favore
latini
futuri,
un trattamento
per
che, di fronte
sarebbe stato privilegiato e
stri-
dente. Però Gaio nel riprodurre, nelle sue istituzioni, que-
Alcuni degli eruditi sopra nominati ni servono, per risolvere 1 problemi che preserita il nostro frammento, anclie degli altri due e specialmente del terzo; ma a me è parso cosa più prudente lasciarli in dis(^)
parte per non proporre congetture che
damento.
mancano
affatto di solido fon-
—
136
—
sto terzo sistema, sentiva che esso le
non era
logico in tutte
sue parti e non poteva esimersi dal darne accusa alla legge
Elia Senzia, la quale avrebbe potuto
con ma^^giore chia-
rezza far nota la propria volontà su questo punto, e
il
no-
anonimo forse concludeva che i quidam^ i quali fondavano il loro sistema sulla lettera della legge, in fondo in fondo non avevano tutti i torti. stro
AeOLIO E GLI SCRITTORI DELLA vSTORIA AUGUSTA
Kella biografìa di Severo Alessandro attribuita a pridio (14, 6; 48, 7; 64, 4) tico
cita tre volte
si
ma una
die parimenti è citato,
3) attribuita a
di Aureliano (12,
Lam-
scrittore an-
volta sola, nella vita
Vopisco.
evidentemente
d'origine
Acholius,
uno
(')
greca,
Il
che
suo
nome
nella
ono-
mastica romana s'incontra in una sola lapide ostiense
un Acholius Aòydus
la quale ricorda
praefectus
è
(^),
annonae del
secolo quinto o sesto. Vopisco dice cbe Acolio era magister
vedremo frappoco possa attribuirsi ad Acolio, per egli visse nella seconda metà
admissionum dell'imperatore Valeriano se
veramente questa carica
ora basti lo stabilire
avendo Valeriano regnato
del secolo terzo,
260. 1)
Ad
una
Acolio
che
;
dall' a.
D. 253
comunemente tre opere Severo Alessandro 2) una narrazione
attribuiscono
si
al
biografìa di
:
;
piuttosto delle spedizioni militari di questo
dei viaggi o
una raccolta actorum divisa in piìi libri, dei quali Vopisco nomina il nono (^). Esaminiamo se questa partizione delle opere di Acolio sia veramente fondata, o se piuttosto non debbasi considerarlo autore di un'opera sola. principe
Il
;
3)
passo sul quale
si
fondano coloro che di Acolio fanno un
biografo di Severo Alessandro, è quello in cui Lampridio (Alex,
1,
7),
narrando
la
ribellione di Ovinio Camillo se-
(^)
Pubblicato nel Bollettino di Filologia
(2)
C. I. L.,
(') l,
48,
Cf.
V.
p. 249.
XIV,
classica, I (1895).
157.
KoiiL>EN,
Acholius, in
Pault-Wissowa, Eeal-Encyclop.,
— natore avvenuta sotto
comunemente
mentre Scptimins
to
praedicaverunt
ma
;
ascrivere
sua
edizione
(Lipsiae 1884,
videntur
)>
né a
;
lo
parole
le
clie
me
par
sed a librariis
difficile
est)
mettendo a raffronto
non ab
«
repetenda
esse
invece,
qui vitam eius
:
i
per
est,
ora è probabile che
;
due
passi,
espressa
Lam-
e
(cioè
Encolpio
di
familiarissimo (qno
era
gli
ille
amanuensi,
abbiano estesa
scrittori la qualità di biografi di
quale
»
spiegare l'origine di codesto
non mediocriter exsequìdns
dice soltanto che del principe
due
un
Angiistae
racchiuse
così
pridio cita Settimio con queste parole
familiarissimo tisus
è
s
glossema. Kel capo 17 della làta di Alessandro Severo,
del principe)
talia
ha considerato E. Peter
Scriptores Historiae
«
scriptoribus vitarum,
ipsis
vitae scrip-
285) includendolo in parentesi quadre,
I, p.
quali indicano
le
degli
Traiano,
di
vitae script ore
l'inciso
fatto
il
Alessandro Severo)
di
glossema degli amanuensi, e tale nella
tempo
al
T^ncolpius
et
(ossia
Jioc
avverte che
principe,
AcJiolius
et
ccterique de
r e s
quel
soleva
si
—
138
agli altri
Severo Alessandro, la
testimonianza
di
Lampridio,
era propria soltanto di Settimio.
Alla seconda opera di Acolio
passo
Alex. 64, 4
:
scio
:
si
riferirebbe
a miUtiòuSy qui verum prorsus ignorant
consohrinum Heliogahalij
t i
n
n
e r
e r a
codici
a Jiuius principis
è (^),
certamente
;
esse sed
dicere praeterea
qui,
ut
(cioè
non
nos sequantur,
maxime Acìiolium, qui scripsit. Or bene, la lezione i t
Mstoricos eius temporis legant i
hunc
Caesarem appellatum
Alessandro Severo) a senatti
Jiunc fuisse
negare
sane plerosque
seguente
il
et
corrotta,
perchè urta con tutto
parole del passo, riguardanti
il
nonostante il
l'autorità
et i-
dei
contesto. Infatti le ultime
grado di parentela di Ales-
sandro Severo con Elagabalo, alludono alla opinione dello Questa autorità è un po' diminuita, perchè il Mommsen Hermes, 25, Gesam. SchriffcnWl, 352) ha provato che il codice di Bambenja. considerato sin qui il più antico, non è che una copia del ralatiuo. del resto (1)
p.
281
(
=
utilissima per ritrovare correzioni.
il
testo primitivo del Palatino,
alterato
dalle
— storico greco Dessippo,
il
139
quale sostenciva che I^^lagabalo era
Severo Alessandro, non
zio di
dre, e riprodotta nel
come
si
1(5
ultime parole uxoria
nm
leggono
Casaubono,
il
sua ma-
figlio della Ksorella di
capo 49, 3-5, ove
sororis eiusdem filium,
emendarsi, secondo
—
così
:
codici,
non
devono
sororis eiusdem
poiché Elagabalo, come è noto, era figliuolo
ìnatris filium,
di
Boemia ed Alessandro
Il
Giambelli
(^)
nel passo citato
Mammea, ambedue
di
che difende la lezione itinera
anche
l'altra notizia
di Alessandro a Cesare per parte soldati, derivi dalla
medesima
figlie di
sostiene che
(^),
riguardante
non
Mesa.
nomina
la
del Senato,
ma
dei
anche su
fonte, e che quindi
questo punto Lampidrio contrapponga a Dessippo lo storico
ma, secondo me, a torto, perchè codesta notizia confutata subito da Lampidrio in modo generico con
Acolio
;
parole qui verum prorsus ignorant detto
:
scio sane plerosque negare
;
sia,
comprendere che
è facile
hunc a
Caesarem
senatu
etc.
Comun-
la notizia riguardante
grado di parentela di Alessandro con Elagabalo trova suo posto naturale in una biografìa di Alessandro, in un'opera che
ne descriva puramente e
spedizioni militari 14, 7)
ove
si
;
le
altrimenti egli avrebbe
appellatum esse sed a militibus, dicere praeterea
que
è
non
il
già
semplicemente
lo stesso dicasi di quell'altro
il
le
passo {Alex.
forniscono notizie sulle qualità fìsiche di Ales-
sandro, e che Lampridio
furono itinerari
desumeva da
nel
scritti
Acolio.
quarto
secolo
la vita intera dei principi, dei quali
e
È
vero, vi
comprendenti
abbiamo un
tipo nell'^-
tinerarium Alexandria composto per la spedizione dell'imperatore Costanzo contro
una vera pili
i
Persiani, e nel quale l'autore scrive
e propria biografìa di Alessandro
il
Macedone,
coi
minuti particolari della sua nascita, della sua famiglia
e delle sue qualità fìsiche;
dell'ox)inione
ma
il
Giambelli stesso, pur seguace
comune, non accorgendosi di cadere
(1)
Atti dei Lincei,
{'^)
CoFÌ
i>nr(' il
VI
[1880-81], p.
Callc^ari
è Kcguacc
in con-
329.
dell'opinione
ad Acolio nel buo Htudio diligente sulle « Fonti per «andro Severo ». Padova 1805, pag. 32 e seg.
la
comune intorno «toria di
Aleti-
—
—
140
ammettere che questi itinerari non sono punto da confondersi con quelli
traddizione, è costretto ad del secolo (quarto di cui egli ritrova
tipo nel capo
il
Severo Alessandro e che
45 della stessa vita di
vorrebbe derivare dalla
egli
scrit-
tura di Acolio. In quel passo ove è detto che itinerum dies proponehantur^ abbiamo la traccia di un vero itine-
pìiblice
rario nelle spedizioni militari
ma
;
esso,
per implicita confes-
non poteva contenere
sione dello stesso Giambelli,
relative alla vita privata del principe
;
notizie
e del resto, se fosse
vero che codesto itinerario derivava dallo scritto di Acolio,
maxime Acholium
l'inciso legant
avrebbe trovato
scripsitj
e
non
qui
et
itinera huius principis
suo posto naturale nel capo 45
il
nel capo 64. Tutte queste ragioni
mi paiono
sufficienti
per concludere che la lezione itinera è corrotta e non può
mantenersi nel testo di Lampidrio
già
;
il
Lipsio
(^)
propo-
neva di leggere in suo luogo intima, mentre E. Peter (^), propone la variante interiora, di guisa che Acolio avrebbe scritto
Ma, per vero
Alexandri.
interiora
queste varianti non
mi soddisfano punto,
e
dire,
ambedue
penso piuttosto
che ad itinera debbasi sostituire la parola acta intesa nel
mi induce lo stesso Peter, uHistoricornm Romanorum fragmenta )\
senso che dirò frappoco il
nei
quale,
suoi
e a ciò
;
non distingue due
p. 354,
scritti di Acolio,
congettura, sarebbe da aspettarsi, cioè
xandri
»
e
i
«
actorum
libri
»
;
ma
tutti
stro storico colloca sotto la rubrica
menta
Ed
«
gli i
ex
come, nella sua «
interiora
Ale-
frammenti del no-
libris
actorum
frag-
)>.
eccoci così giunti a parlare della terza opera attri-
buita ad Acolio e che Vopisco cita nel passo seguente delle biografìe di Aureliano tione
eiiis
(12, 4)
[Aureliani] aliqna
et
quonìam etiam de adroga-
me dixeram
posìtiirnm, quae ad
pcrtìnerent, qtiacso, ne odiosior rerbosiorve
tantum principem in ea re videar,
:
quam
fidei
causa inserendatn end idi ex
lihris
Acholi, qui magister admissionumValeriani principis fuit, li-
HI
(1)
Epist. Cent.
(2)
Scriptores H.
A.,
Misceli. 18. I.
p.
290, u. 20.
bro actoriim eius nono. Da questo passo si deduco munemente che Acolio compilò una raccolta di nove libri
meno
actorum, cioè, secondo
Giambelli, degli atti
il
degli urbani, del popolo,
insomma
d'ogni genere; mentre
Diindliker
colta di Acolio
peratorum
»
si
e che
il
intitolava i
nove
libri
d(il
coal-
Senato,
di tutti gli atti i)ubblici (^)
sostiene che la rac-
Acta Caesarum » ovvero « imcitati da Vopisco corrispondono
«
nove imperatori, che tanti ne conta da Alessandro poiché a Valeriano, sebbene siano in numero maggiore il Dàndliker dimentica Gordiano II, Balbino e Pupieno,
agli acta di
;
Comunque, tutto ciò è di secondaria importanza a noi piuttosto preme sapere se Acolio abbia veramente composto una raccolta di atti pubblici in un senso lato, come pensa il Giambelli, o in un senso più ristretto, come parmi intenda il Dàndliker. Ora ciò non è ammissibile, in primo luogo perchè non risulta affatto che esistessero raccolte private o speciali di atti pubblici, come sarebbe
Ostiliano e Volusiano. :
quella di Acolio
(^)
nella biografia di
;
Vopisco stesso
in secondo luogo perchè
Probo
2) dice
(2,
espressamente di aver
consultato gli atti del Senato e del popolo.
Ad
ogni modo,
ammesso che la raccolta di Acolio abbia veramente esistito, vediamo se il documento che ne traeva Vopisco possa chiamarsi un documento ufficiale, fornito di tutti i caratteri dell'autenticità, come vuole H Giambelli; è necessario quindi di esaminarne rapidamente il contenuto. Quel documento è
composto di due parti
un
bale di
consiglio
:
la
prima contiene
il
processo
ver-
militare tenuto dall'imperatore Vale-
riano in Bisanzio nell'a. D. 258, nel quale conferisce molte
comj)ense ad Aureliano per
le
sue vittorie riportate sui Goti
e gli onori del consolato; la seconda parte contiene
verbale
dell' adrogatio,
dell'
ri-
atto
cioè
con
il
il
processo
quale Ulpio
uno dei grandi personaggi dell'impero che pretendeva discendere da Traiano, adotta Aureliano dinanzi al-
Crinito,
l'imperatore e alla sua corte. Orbene, questo preteso docu(^) (2)
BùDiNGER, Untersuchungen zur B. Kaiserg., HI, 295, KuBiT.scHEK, Tlda in Pal'Ly-Wissowa, li. Encyd.,
Cfr.
n. l,
1. 1,
204.
monto
estratto dalla raccolta di Acolio, contiene
errori,
che ne provano la non autenticità
che fanno corona a Valeriano portano
mostrato
]\[ommsen
il
{praeses Orientis^ diix Scythici limitiSj
annonae
praefectiis cici,
dux
ma
di
Costantino
iìnali liacc fit
nel
state ridicole in bocca sua
come
giunta di Vopisco,
solet dare, sed
ad Aureliano,
rivolto
qitem das
poiché
consìdew^
te
il
;
Thra-
al
tempo
;
il
le
da Valeriano,
parole
sarebbero
non sono che un'ag-^ Casaubono stesso sospettava,
esse quindi il
un glossema, come parvero
3,
y
et
a senatu, quando
al Goell
gono in dubbio per conseguenza l'autenticità discorso
di-
Umitts,
orientalis
dell'imperatore
discorso
pronunziate
accipere,
piuttostochè
dux
dux Illyrìciani limitis che non appartengono affatto
cnim imperato)' non
consulj
come ha
tutti,
sono proprie del tempo di Diocleziano e
2.
;
personaggi
i
.
orientis,
Retici limitis),
di Valeriano,
1
di cariche militari e civili
titoli
(^),
:
seguenti
i
hodie
designo,
quale risponde
:
dice
(^),
e pon-
tutto
di
il
imperatore
l'
consulatum
acci pio
or bene, questa designazione al consolato è falsa,
consiglio militare
avveniva nel 258
(lo
desumiamo
dalla presenza di IVIemmio Tusco, che fu console ordinario in quell'anno), e
reliano ebbe
fasti consolari
morto
nome
del figlio adottivo
mutato secondo invece liano
i
si
attestano invece che Au-
fino dall'a. 259; 4. se Ulpio Crinito avesse
veramente adottato Aureliano il
(^)
consolato per la prima volta nel 271 e Va-
il
leriano era già
i
le
si
e fattolo erede dei suoi beni,
sarebbe in tutto od in parte
note regole
dell'onomastica
romana
;
monumenti attestano concordemente che Aurechiamò
Aureliamis
;
ciò
Togatio è falsa o
reliano sia stato
e continuò
sempre a chiamarsi L. Bomitius
dunque prova che anche la notizia delFa^/inventata. Piuttosto è da credere che Augenero di Ulpio Crinito (in una lettera a lui
diretta e riferita dallo stesso Vopisco, 38, 3, Aureliano lo
chiama
pater),
perchè la moglie sua, come ne fanno fede
(2)
Hermes, 25, p. 233 PMlol. 14, p. 59G,
(•')
LiEBENAM, Fasti
(1)
= n.
Gesam.
Schriften, VII, 306-307.
6.
consiilares,
p.
31.
le
monete
Ii3
-
e le iscrizioni che la riguardano, chianiavasi
Ulpia
Severina ed era molto probabilmente %liiiola di ('rinito
ed ò strano, nota, con ra
Orbene, che
il
gli errori
Dessau
che Vopisco,
(^)
ma
il
lui.
che abbiamo
qui notati dimostrano
fin
processo verbale non ò autentico e del tempo
numero di quei documenti inventati che abbondano nelle biografie imperiali e mente in quelle attribuite a Vopisco (^). Ciò posto, leriano,
;
di Aureliano (Aur. 42), nulla
figlia
sappia del matrimonio di
il
(^)
di
ricade nel
Ya-
falsi
od
special-
è chiaro
che l'opera di Acolio, dalla quale Vopisco avrebbe riprodotto
una raccolta ben si noti, ciò
quel processo verbale, non può essere stata
actorum,
come comunemente
si
crede
;
e se
risulta dal passo dello stesso Vopisco, poiché le parole in-
serendam credidi ex
qui magister admissionum
actorum
eius nono, non che quel processo verbale fu estratto dal libro nono
Valeriani principis significano
lihris AcJioli, fuit,
libro
una raccolta actorum di Acolio (se così fosse, il periodo avrebbe avuto questa forma ex libris actorum AcJioli, qui magister admissiGnum Valeriani principis fuit^ libro nono)^ di
:
ma
bensì dai libri di Acolio e precisamente dal libro nono,
nel quale contenevasi la narrazione delle imprese dell'im-
peratore Valeriano, poiché
parola actorum deve
il
riferirsi
genitivo eius
a Valeriano, non già ad Acolio,
dimostra nello stesso tempo che la parola acta ha, in
e ci
questo caso,
il
atti pubblici
(*).
Se
il
significato di gesta, ossia imprese, e
:
l'una relativa
Acolio, l'altra relativa ai biografi imperiali. :
non
di
passo controverso così deve intendersi, due conclu-
discendono dalle nostre indagini
sioni
sta
che segue alla
La prima
ad
è que-
Acolio, liberto della casa imperiale, forse capo dell' o/-
(')
V. Fuciis, Aurelianns in
931-937 e
gli
De Ruggiero,
Dizionario Epigrafico,
autori ivi citati.
Hermes, 27, p. o70. P) Cfr. KcBnsciiFCK, 1. o. I, C) II. Peter, Die Serijitorcs
(2)
1,
295.
li istorine
Avg.i.^f.ir,
]).
181, 233.
l,
ficinm adrnissioniSj mirrij
tore,
ma
144
non
—
col titolo di magister admissio-
che comparisce soltanto nel quarto secolo
non
un'opera
di tre opere, sola, nella
come comunemente
quale narrò la vita e
si
nove
di acta
libri
;
ma
crede,
di
imprese degli
le
imperatori da Severo Alessandro fino a Valeriano, in
fu au-
(^),
almeno
codesta opera, se portava un titolo aveva quello
Caesarum, intesa
imprese
la parola acta nel senso di
non di atti pubblici (^). Di essa si giovò precipuamente Lampridio per scrivere la biografìa di Alessandro Severo, e Yopisco ne ricavò qualche notizia che gii servì di trama per inventare il processo verbale di una adrogatio di Aureliano, la quale non ha mai esistito e che egli riprodusse col nome e
per levare ogni dubbio
di Acolio
documento. Seconda conclusione che
agli altri
l'esempio di Acolio, unito
potrebbero addurre, è prova sufficiente per
si
se
non come
falsificazione vera e propria del secolo quarto
e quinto,
considerare gli
una
:
di quel
sull'autenticità
secondo la
troppo radicale
tesi
come una fonte però falsi,
Augusta
Scrittori della Storia
«
»
Dessau
del
di assai dubbio valore
;
i
documenti
contengono, de-
interpolati, gli anacronismi che essi
vono indurci a giovarcene, per lo studio dei tempi si riferiscono, con la maggiore cautela, adoperando, a loro, quel metodo stesso con cui sinceri dei martiri
mondo Le Blant
(^)
e che fu cosi
nel suo
Seeck,
e del
ai
quali
rispetto
non bene delineato da Ed-
si
studiano
supplemento
alla
gli
atti
silloge classica
del Euinart.
(1)
(2)
Seeck, Admissionales in Pault-Wissowa, Il
Brunner
acta di Acolio le
«
memorie presso
loc. cit., I, (3)
Cfr.
I,
1,
p.
382.
[Bi'DiNGEK, op. cìt, IL 37]) considera gli eine Art Memoiren »; ma il termine proprio che designa i
(Foniseli s
Romani,
è invece commentarii. Cfr.
De Ruggiero,
60.
La Blanchère, Bevue
Critique, 1894,
I,
320.
ORIGINE DEGLI
documenti antichi che danno ragguaglio
I
si
o Annales Ilaximi,
Pontefici
dei
ANNALES MAXIMI
a
minare come
voler deter-
il
formata e svolta questa antichissima cro-
sia
si
naca dei Eomani è cosa sommamente
difficile e direi
le
proposte
(1)
XXVI (2)
molte congetture degli eruditi moderni C^),
quasi
codesta in-
disperata, né possono prestare aiuto sicuro in
dagine
Annali
sugli
come più comunemente
scarsi e oscuri, che
chiamavano, sono così
»(')
qui
fin
poiché esse, per quanto sagaci, aumentano, a
Pubblicato nella Bivista di Filologia
e
d'Istruzione
Classica,
(1898).
Enumeriamo
qui, in ordine alfabetico, le monografìe e le opere
Annales Maximi e che dovremo, nella magKmaivcci, Gli Annales Filologia Classica, XXIV [1896], pp. 208-233)
principali che trattano degli
gior parte, citare nel corso di queste pagine;
Maximi (Ei vista di Becker, Bdm. Alterth.
;
Berger-Cucheval, //ist de V Éloquence latine, 1^, 115-126 Bonghi, Storia di Roma, II, 233-254; BouchèLeclercq, Les Pontifes de V Ancienne Eome, pp. 250-264 Cichorius, Annales (Pauly-Wissowa, Beai EneyUojyàdie, I, 2248-51) De La Berge, Annales Maximi (Daremberg-Saglio, Dict. des Antiqvités, I, 272-273) Hììbner, Die Annales Maximi der Bómer (Jahrb. fiir Philologie, LXXIX (1859), pp. 401-423) Hullemann, Dispvtatio critica de annalihus maximis, Amstelodami, 1855 (conosco questo scritto mediante la recensione fattane dal Niemeyer, nella ZeitscJirift fiir das Gymnasialwesen XII (1858), pp. 423-428); Krause, Vitae et fragmenta V. hist. Bom., p. 23 Le Clercq, Des Jovrnaux chez les Bomains, ^-p. 11,
4-12;
;
;
;
;
;
;
Lewis-Liebreciit, Altróm. GescJiicìite, I, 164-177 MarquardtBrissaud, Le Cnlte chez les Bomains, I, 361-362 Masciike, Das alt. 176
;
;
;
fragm. der róm.
Stadtchronilc
Bóm.
V, 461
Gescìiichte,
dekade des Livius, ter., Hist.
Bom.
p.
;
(Philologus
54,
p.
Nissen, Kr. Unters. Uh.
86 e seg.
Belliquiae,
;
pi).
150-162);
Mommsen,
die quéllen der
IV u. V
Nitzscii, Barn. Annalistik, p. 237
iii-xxvii
(= Peter.,
Hist.
;
Pe-
Bom. Frag10
— mio,
parer
nella
loro
fìtto
buio
ogni
modo vediamo
elle
mentali che
si
146
I
— invece di rischiarare
varietà,
circonda l'origine
nostra cronaca.
della
un attento esame
se
riferiscono
agli
vere tutte rire,
per
lo
('),
Annales Maximi,
agli
li
i
cui
delle migliori risol-
riguardano, a chia-
meno, qualche punto importante.
gioverà trascrivere, per intero, tivi
nella
possa condurci se non a
intricate questioni che
le
Ad
dei passi fonda-
interpretazione, faremo, naturalmente, tesoro
osservazioni dei moderni
quel
E
innanzi tutto
due passi fondamentali
rela-
Annales Maximi, sebbene siano notissimi, affinchè
menta pp. 3-5)
Schanz, Gesch. d. Bòm. Litteratur P, 84 e seg. Schafer, Abrisz der Quellenkunde {Bòm. Geschichte) pp. 7-10 Schwegler, Fòmische Geschichte, ì, 7-12 Seeck, Die Kalendertafel der Pontifìces, Ber;
;
;
;
lin,
1885
;
SoLTAU, Eòmische Chronologie, pp. 445-450
IV
schen Qnellen in Livius
u.
;
Die anìwUsti-
V. Deìcade (Pliilologus 52, 664 e segg.)
Die Entstehiing der annales maximi (Pliilologus
;
55, pp. 257-276); Livius,
Geschichtswerk, pp. 28, 35, 87, n. 3 Teuffel, Annales 182, 187, 216 (Pauly, Jf^. Encyclop. V, 1017-18); Eòm. Litteraturg. P, 120-122; Wachs;
;
MUTH, Einleitung in das Studiiinn der Alten Geschishte, p. 618 e seg. (1) Non è mia intenzione di esaminare criticamente le opinioni dei moderni intorno alla origine degli Annales Maximi, né di riassumerle nel corso di queste pagine, ma non posso fare a meno di ricordare quella del Mommsen, che ha maggior seguito delle altre, il quale crede gii Annales Maximi una derivazione dai Fasti consolari, come la cronaca meche dievale si formò con le notizie registrate sulla tavola pasquale ;
cioè
in
margine
ai
Fasti
si
registrassero
i
più importanti avvenimenti
accaduti sotto l'amministrazione dei consoli a cui solo più tardi,
quando per
Fasti non fu più sufficiente,
il
si
riferivano, e che
moltiplicarsi di tali notizie
il
margine dei
collocata allato ad essi un'altra tavola, avvenimenti ma, come fu già bene osservato da altri (Bonghi, Amatucci), gli Annali, o per dir meglio, le tavole pontificali erano indipendenti dai Fasti e dai Calendari, altrimenti che bisogno ci sarebbe stato di segnare in cima alla tabida dealbata i nomi dei consoli e degli altri magistrati ? e perchè mai si sarebbe continuato a compilare i Fasti quando le tavole già complete potevano fornire l'elenco di tutti i magistrati, compresi i consoli f Le stesse osservazioni si potrebbero rivolgere alla ipotesi del Seeck (seguita anche dal Cichorius e dal Wachsmuth), secondo il quale gli Annales Maximi sarebbero del pubi calendaii affissi tutti gii anni dal pontefice massimo per uso sulla quale
si
notavano
blico e annotati
qua
i
si sia
soli
;
e là nel corso dell'anno,
come un'agenda.
—
nostro ragionamento proceda chiaro e spedito. Essi sono
il i
—
147
seguenti
:
de orai. II, 12, 52
1. eie.
annalium
nisi
nendae causa ab pontificem
initio
reti-
rerum Romanarum usque ad P. Mucium res
omnes singulorum annorum mandahat
maximus
tabulam domi, potestas ut
efferchatque in
album
nominantur.
proponebat
et
populo cognoscendi:
esset
Annales Max imi
nunc
memoriaeque puòlicae
eonfectio, euius rei
maximum
pontifex
litteris
Erat enim Mstoria nihil aliud
:
Hanc
qui etiam
ii
similitudinem
scribendi multi secuti suntj qui sine ullis ornam.entis
monumenta
solum temporum ìiominum locorum gestarumque rerum
reli-
querunt. 2.
Serv. ad Aen.
I,
373
:
Ita autem annales conficiebantur:
tabulam dealbatam quotannis pontifex maximus praescriptis
consulum nominibus
et
Jiabuit,
aliorum magistratuum digna
memoratu notare consueverat domi militiaeque gesta per singulos dies, cuius diligentiae
ta r i o
s
marique
terra
annuos commen-
in octoginta libros veteres retulerunt, eosque a pontift-
Gibus maximis,
pellarunt
in qua
a quibus
fiebant,
Annales Maximos
ap-
{}).
Or bene, da questi due separati l'uno
passi,
esaminati a fondo e non
dall'altro, risulta, a
me
pare,
chiara-
assai
mente, che nella formazione della cronaca pontificale debbonsi distinguere tre elementi bulae dealbatae
3'^ ;
gli
:
1°
commentarii
i
annales maximi propriamente detti.
Vediamo, adunque, ciascuno di questi
1.
Il
vano
tre punti.
Commentarii.
pontefice massimo, prima di di^nilgare gli avvenimenti
accadevano, nelle tabulae deal-
di ciascun anno, via via che batae,
2^ le ta-
;
li
raccoglieva privatamente in note che
nell'archivio pontificale
;
si
conserva-
siffatta distinzione fra le ta-
vole pubbliche e le note private apparisce evidente
p.
(1) Cfr. anche Macrob. 8at. Ili, 484 Keil.
2, 17
;
Fest. p. 126, M.
non ;
solo
Diomed.
— dalle parole di Cicerone
giliano che riproduce
148
—
ma
(^),
una buona fonte
alla trascrizione della
mentarios che appunto erano
domanda
(^).
una
sono
distinti
annuos com-
e naturale la
cosa
stessa
È
?
coi
noto che nella
documenti
moderni, dei
tentata da alcuni
contenuti nell'archivio pontificale, tarii
ma
le tavole,
inten-
fonti così spesso ricordano,
le
oppure dobbiamo considerarli classificazione
libri, lascia
qui sorge spontanea
commentarii pontificum che
riguardo
note conservate nell'archi-
le
commentarli
siffatti
:
Ma
1
scoliaste vir-
quale,
il
(^),
cronaca in ottanta
dere che furono trascritte non già
vio pontificale
dallo
altresì
si
dà
nome
il
pontificum alla raccolta dei decreta e
di
commenresponsa,
dei
che costituiva quasi una giurisprudenza, nel senso moderno della parola, per
casi futuri
i
(^)
;
ma una
tale definizione,
a parer mio, è affatto arbitraria e restrittiva, perchè, se da alcuni passi
(^),
sui quali essa
fonda, scaturisce
si
tere sacro e giuridico della raccolta,
da
il
altri passi
carat(®j,
in-
res omnes singulorum annornm mandabat litteris 'pontìfex (^) L. e. maximus efferebatque in album et proponehat tabulam domi, po:
testas ut
esset
populo cognoscendi.
(2)
Secondo
il
(^)
Anche
Peter
il
Seeck, (p.
p.
X,
86, la fonte sarebbe Verrio Fiacco. n. 1)
accenna a queste note private del come egli la chiama, nella
pontefice Massimo, alla 'tabula pugillaris',
quale 'pontifex priusquam
SoLTAU poi {Bóm. Chr.
ederet,
res
memoratu dignas
conligebat'
446 Philologus, 1896, p. 270) distingue tre elementi nella composizione della cronaca pontificale la tabtda dealbata (Pontificaltafel) quello che egli chiama pontificale Jahrbuch, e
il
p.
;
:
;
ma
che, però,
non considera identico
viso, e, finalmente la
ai
commentarii, come è nostro av-
Stadtchronik che sarebbe una
stessa
cosa
con
Annales Maximi.
gli
cfr. Landucci, Storia del Diritto (*) Marquart-Brissaud, I, 359 Romano, P, 594. de Dom. 53, 156. Nel primo passo si accenna a (^) Cic, Brut. 14, 55 responsi pronunciati da Tib. Coruncanio e contenuti nei commentari pontifici nel secondo se ne cita uno del pontefice massimo M. Emilio, ivi parimenti contenuto, sopra un rito di dedicazione. Fra i passi che attestano altresì il carattere sacro della raccolta v. Plin. N. H. 18, 14 Macrob. 3, 3, 1. ;
;
;
;
(®)
Cic, Brut.
15, 60; 18, 73
;
nel primo passo. Cicerone, disconendo
dell'anno in cui morì Nevio, e nel secondo, dell'anno in
o\ii
Livio Andro-
— apparisce chiaro
vece,
E
149
—
contenuto storico della raccolta
il
come
ha provato con molta chiarezza, i libri pontificum sono una stessa cosa coi commentarii pontificum, non esito ad alfermare che nell'archivio dei pontefici non erano raccolti piti documenti, come da molti si pretende C^), ma, accanto ai fasti e al camedesima.
il
Eegell
(')
che loro spettava di compilare, esistevano
lendario, libri
d'altra parte se,
o commentarii, nei quali
scrizioni del culto,
i
nico fece rappresentare veteres o antiqui
i
soli
i
pontefici registravano le pre-
formulari delle preghiere (indigitamenta),
il
suo primo dramma, cita la testimonianza dei i quali non possono essere che i commentari
commentarii,
concedono (almeno per il primo passo) anche coloro che, censurano quelli che considerano una cosa sola gli Annali e i Commentari. Ma se questi passi non paiono abbastanza decisivi, ve ne sono due di Livio assolutamente perentori l'uno (VI, 1, 2) dei pontefici, lo
come
il
Peter
(p. vii),
:
in cui, fra le fonti della piìi antica storia di
Roma,
si
citano
i
commentarii
che contiene il discorso del tribuno Canuleio, commentarti pontificum con queste parole 'ohnel quale secro vos, si non ad fastos, non ad commentarios pontificum admittimur, ne ea quidem scimus, quae omnes peregrini etiam sciunt, consules pontificum; l'altro (IV, si
ricordano
3, 9)
i
:
in locum regum, successisse nec aut iuris aut maiestatis quicquam hahere,
quod non in regihus ante fuerit
Numam manum,
En umquam
fondo auditum esse, Pompilium, non modo non patricium, sed ne civem quidem Boex Sabino agro accitum, populi iussu, patribus auctoribus Bomae ?
creditis
non Eomanae modo, sed ne Italicae quidem Demarati Corinthii filium, incolam a Tarquiniis, vivis liberis Anci, regem factum f Ser. Tullium post hunc, captiva Corniculana natum, patre nullo, maire serva, ingenio, virtute regnum tenuisse ? quid enim de T. Tatio Sabino dicam, quem ipse Romidus parens urbis, in societatem regni accepit ? Ho voluto trascrivere tutto il passo, sebbene un po' lungo, affinchè ne risultasse chiaramente che il contenuto dei commentarii pontificum, era anche storico, ed invero tutti i fatti che Canuleio rammenta per rimproverare ai patrizi di volerli nascondere ai plebei, appartengono alla più antica storia di Roma. Cf. Le Clercq, p. 120. (^) De augurum publicorum libris, p. 30 e seg. (2) Vedine la enumerazione; in Makquaki>t-Bkissaud, I, 358 e in Bouchè-Leclercq, Pontifes, p. 20 e seg.; Institutions Romaines, p. 520, n. 6. Che, nell'archivio pontificale, fossero custoditi V album pontificum,
regnasse
?
L. deinde Tarquinium,
gentis,
cioè a dire, l'elenco cronologico dei
ficum, ossia, fonti
i
membri
del collegio e gli acta ponti-
processi verbali delle sedute, e i)resumibile, sebbene le
non facciano cenno
di questi
due documenti.
— i
canoni del diritto sacro,
da
(responsa)
—
150
sentenze {decreta) e
le
loro pronunciati,
i
quali servir
regola nei casi avvenire, e infine
Eoma
fatti occorsi in
i
pareri
dovevano
una breve cronaca
di
dei
parevano più
e fuori, che ai pontefici
meritevoli di essere ricordati. Se tali cose fossero distribuite
Puna dopo l'alpresentata Toccasione, non ò possibile
con qualche ordine nei commentarii o tra,
secondo se n'era
scritte
congetturare nella scarsità delle notizie che rimangono di siffatti
ma
commentarii,
vari
i
nomi
coi quali gli antichi
hanno designati (^) non provano altro se non le parti diverse di una così vasta compilazione e la varietà delle materie che vi erano contenute (^). Ciò posto, poiché i commentarii, intesi in questo senso, devono essere stati coevi alla istituzione del collegio dei pontefici, ognuno comprende che gli
la
informazione di Cicerone, che cioè la cronaca pontificale
risaliva al principio delle cose
romane
rerum Ro-
{ah initio
manarum), non ha in
sé quel carattere iperbolico
vi rav\àsano, sebbene
non
siano stati compilati solo da
che
il
con
vogliasi
Numa
ciò
che
altri
affermare
che
in poi, per la ragione
una istituzione di quel re, campo della leggenda. Ed ora
collegio dei pontefici sarebbe
poiché tutto ciò ricade nel
ricerchiamo quando e per qual ragione
i
pontefici
si
risol-
vettero a divulgare la cronaca contenuta nei commentarii che, gelosamente, era tenuta segreta nel loro
quale forma la di^^ilgarono
punto
;
le tavole pontificali ! Il
stro, l'anno
secondo
Libri
445
a. Cr.,
pontificii,
essere esposte nell'atrio della
terminus a quo
libri pontifiades,
libri sacrorum., libri sacri, libri
Che
i
libri
hanno sostenuto,
ponti ficales
ma
è,
a parer no-
nel quale fu pronunciato dal tribuno
libri
pontificnm, commeìttarii
sacrorum 'pontifiealium, commentarii yoniificum, ypa^*^ (2)
al
Tàbiilae dealbatae.
Quando principiarono ad
{^)
siamo cosi arrivati
delle nostre indagini.
2.
Eegia
archivio e in
sacerdotum,
non
"^i^^
t£po(favT(ov.
Ispaì pìpXoi etc.
come alcuni come si ò detto
fossero semplici rituali,
contenessero una breve cronaca,
— Canuleio
tammo
famoso discorso riportato da Livio o
il
alcuni inulti.
È
vero che l'Amatucci
(')
di
cui
alle
ci-
\)Hto\(ì
non ad faf^tos, non ad commentario^ ponadmittimur, propone di dare una interpretazione di-
di quel discorso
tiflcum
quale prima
si
:
comune
versa da quella « il
—
151
;
era lamentato perchè
si
essere consoli, deplori poi che
a redigere
fasti e
i
non sieno ammessi
non
commentarii^
i
al
pontificato
interpretazione assolutamente
sia
che vai quanto dire che
il
».
Ma
a
arbitraria
semplicemente questo
abbiamo accesso
non potevano ammessi nemmeno
plebei
i
sieno
cato delle parole di Canuleio (come
comune)
che C.anuleio,
egli sostiene infatti
:
è, «
me sembra
siffatta
che
signifi-
e
il
del resto, l'opinione
sebbene noi plebei non
all'archivio pontificale
dove sono
riposti
i
non ci è ignoto il loro contenuto ». Dalle quali parole adunque si desume che i commentarii nel 445 a. Cr. non erano di pubblica ragione, e poiché di essi, come si è detto, faceva parte la cronaca pontificale e ad essa fasti e
si
i
commentariij pure
riferiva Canuleio
ai plebei
i
rimproverando
fatti della storia di
ai patrizi di
Eoma,
nascondere
è evidente che, in quel-
non potevano ancora essere esposte al popolo le tahulae dealbatae che appunto ebbero lo scopo di divulgare siffatta storia (^). Ma se il termine negativo, mi si conceda
l'anno,
nel testo, risulta anche
da un frammento
(Peter, Fragm. p. 272, n. 6), secondo il quale in cotesti libri si leggevano i particolari sulla morte di Romolo e sul ius provocationis al tempo dei re (cfr. Cic, De Bej). II, 31) e da un passo dello scoliaste virgiliano (Serv., Aen. VII, 190) che parla della leggenda di Pico trasformato in augure dall'agiogi'afo j)ontificale. (1)
L.
(2)
Il
coloro
«
e.
p.
Peter
Cfr.
di Fenestella
Bouchè-Leclercq,
Pontifes, p. 21.
217.
chiama 'perversa' l'opinione di Canuleii ad annales pontifìcum plebi aditum
{Jielliquiae , p. vii. n. 2)
qui ex querellis
clausum conlegerunt » e il Becker {II(indbneh, I, 11) dice che nel discorso di Canuleio non si allude agli Annali, « in denen nichts enthalten sein konntc, vas man Ursache gehabt hàtte vor der Plebs zu verbergen, und ùberdicKs widerspn'cht es geradezu dem, was Cicero von dcra òfl'entlichen Ausstellen der Tafeln sagte » ma i due eruditi non hanno visto che la loro obiezione ha poco valore, perchè alla plebe era vietato di confiiisse
;
l'espressione, cliftìcile
con piena certezza
non sono
Niebuhr
Il
—
a parer m'o, facile a stabilirsi, è altrettanto
è,
stabilire
tentativi
152
peraltro mancati.
un passo
stenne, perchè in
im"lio dallo
infatti, seguito
(^)
della
«
Eepubblica
è detto clxe la eclissi solare dell'anno
Ennio
strata negli Annali di
quella
si
termine positivo. I
il
350 di
Sclnvegler, so di Cicerone
»
Eoma
era regi-
Annali Classimi
e negli
(-)
da
e
calcolarono le anteriori sino alla eclissi del giorno
Eomolo,
in cui morì esistiti gli
prima
clie
di
quell'anno
non
fossero
Annali^ almeno quelli che furono ritrovati dopo
l'incendio gallico
altrimenti
;
l'eclissi vi
sarebbero state no-
non sarebbe occorso di ritrovarle col calcolo. Ma piìi cose devono essere considerate rispetto alla congettura del Mebulir, che la dimostrano non accettabile. In primo luogo, essa riposa tutta sopra un passo, quello di Cicerone, di letate e
zione assai incerta, in cui è dubbio se l'anno, di cui vi scorre, sia
il
si di-
350, o per lo meno, a quale anno corrisponda
dell'era nostra l'eclissi citata, se sia quella del 2 giugno 390
come
a. Cr.,
^niole l'Unger
come propone
Matzat
il
(*),
sultare la cronaca pontificale,
adduce, nulla voghono
(1)
dire,
o
giugno 400
del 21
o, infine,
non per
del
6
ma
sé stessa,
a.
Cr.,
maggio 203
a.
in quanto faceva
Becker perchè appunto bisognerebbe provare che
parte integrale dei commentarii nel 445
(^),
,
e le
parole di Cicerone, che
il
a. Cr. le tavole pontificali esistevano.
Hisioire
Homaine
De Eep.
I,
(trad.
De Golbery),
I,
352.
Id autem [solem lunae opposìtu solere deficere] postea ne nostrum quidem Ennium fugit ; qui ut scribit, anno trecentesimo, quinquagesimo fere post Romam conditam (2)
16,
25
:
nonis lunis soli luna obstitit Atque hac in
Ennium
et
re tanta inest atque sollertia,
iit
et nox. quem apud
ex hoc die,
in maximis annalihus consignatum videmus,
superiores soUs
ad illam, quae nonis Quinctilibus fuit regnante Eomulo (ed. Muellek). Sopra questo passo, oltre gU autori citati nelle note seguenti, v. le osservazioni del Francken nella Eerue de Vlnstruction Publique en Belgique, XXIX (1886), pp. 30-34. defectiones reputatae sint nsque
(')
Stadtdra, pp.
(^)
BOm.
15-17.
Chronologie,
I,
1,
145-151.
I
—
—
153
Soltaii ('), e se vi come sostenne p'ù recentemente aggiunge fere di Cicerone, ogmin vvàU), osserva b n'ssimo il il
Cr., si
il
Bonghi
che terreno
('^);
ci
resta per appoggiarvi su congetture.
In secondo luogo, lasciando anche in disj)arte qualumpie congettura sull'anno di cui i)ropriamente
si
discorre nel x^asso
da notare clie Cicerone parlava degli Annales Maximi che erano una cosa ben diversa dalle tavole pontificali, e poiché abbiamo detto piti sopra che gli ^IntiaZes controverso
(^),
è
non furono che una ciceroniano altro non dei pontefici
stri
trascrizione dei commentarli^
l'eclissi
350 di Koma, e da quella
si
sendovi forse, soltanto allcra,
questa materia
(*).
suppongono, come
Ma non si
non questo, che nei regidi sole, poniamo dell'anno
calcolarono le precedenti, fra
i
basta. Il
pontefici,
Mebuhr
un
e lo
Schwegler
è visto, che le tavole pontificali p) siano
l'anno 350, cioè sino a quindici anni innanzi
coloro che
come
gallico,
il
(^)
quella
al-
cata-
Ma
l'incendio
Thcuret ha dimostrato in uno studio sagace
e diligentissimo che a
ricade nel
sino
opinione è ammessa dalla maggior parte d^
sono occupati della questione.
si
es-
perito in
rimaste bruciate nell'incendio gallico e poi rifatte
strofe, e la loro
passo
significa fc
notò
si
il
numero
me
delle
fa specie sia così
poco citato
molte leggende che
Rómische Chronologie,^^. 186-191. Nella nota
si
(®),
addensano
3, p. 186,
il
Soltau
cita altre opere huI passo controverso di Cicerone. (^)
Storia di
Roma,
II,
113.
Se ben si guardi, nel passo di Cicerone, non è detto che Ennio Annales Maximi registravano l'anno, ma bensì il giorno in cui era avvenuto l'eclissi. (4) Amatucci, 1. e. p. 221-222. Il Bonghi (op. cit. II, 239, n. 3) va anzi più in là e sostiene che dalle parole di Cicerone non si può dedurre « che nessun'altra ecclissi innanzi a quella del 350 fosse notata negli Annali », ma non ne foriuscc la y)rova. (^)
e gli
(•'')
sione
e
perchè
quando (^)
Il
Niebulir e lo Schvvcglcr, specialmente,
adoperano l'espresanche quando intendono parlar delle tavole, ma a torto, nome " annali » fu applicato alla cronaca pontificale soltanto
annali il
»
pubblicata in ottanta libri. Ueber den GaUischen Brand (Jahrb. vitnnv,
pp. 93-188).
fiir
Class. Pliil., Suppl.
XI,
—
—
154
Roma, poiché
intorno alla più antica storia di
non ne parlano
gliori
chè-Leclerq
1
Bou-
il
alfermare che l'incendio gallico, invocato
moderna, per qualificare come apocrifi
critica
dalla
di
(^)
ha quindi ragione
affatto, e
mi-
le fonti
documenti anteriori
al
390
è
a. Cr.,
una vera
tutti
ossessione che
ormai devono scuotersi di dosso C^). ipotesi del Niebuhr e dello Schwegler non
gli storici
Se la
que accettabile, parer nostro, origine
?
in
senti
adun-
è
non rimontano, nel Roma, in qual tempo ebbero
se le tavole pontificali
quarto di
al secolo
Due
fatti
tale
indagine
devono, secondo me, esser tenuti prel'uno,
:
pubblicazione dei
la
fasti,
intorno alla metà del quinto secolo, furono divulgati
che,
dallo scriba
Gneo Flavio,
tro, l'uso di
dare responsi in pubblico, che da Tiberio Corun-
canio, console nel 280
a. Or.,
vestito della dignità di sulla fine del
edile curule nel
medesimo
e primo fra
(^).
Fasti
(Daremberg
et
plebei ad esser
ri-
Ora, poiché questi due fatti
devono aver recato grave scossa (^)
i
a. Cr. (^); l'al-
massimo, fu introdotto
pontefice
secolo
304
al
potere dei pontefici e
Saglio, Dici, des Antiqiiités,
II, 1011, n. 7).
Se per un momento si voglia credere alla realtà dell'incendio gallico, dal passo famoso di Livio (VI, 1, 2), sostegno della ipotesi che combattiamo nel testo, non deriva affatto che le tavole esistessero Livio (-)
;
avevano avuto cura nel caso di trasportare dalla Kegia nel Capitolio, ove parecchie cose sacre furono poste in salvo (Plut., Cam. 20). Il Thouret (1. e. p. 96) osserva poi giustamente che Cicerone {De Or. II, 12) non pensa nemmeno ad una soluzione di continuità che gli Annali avrebbero sofferto parla dei commentarii che
i
pontefici senza dubbio
L'Holzapfel {Eómische ChronoAnnales Maximi neirincendio gal-
a cagione del preteso incendio gallico.
pp. 163 358) suppone che gli siano stati guastati, ma non distrutti.
logie,
lico
;
(^) I
1,
passi fondamentali su Cn. Flavio sono
18; Liv., 9, 46, 4; Plin.,
CROB., Sat.I, 15,
9;
H. N.
PoMP., Dig.
33, 1, 6, 17;
1, 2, 2, § 7.
questioni controverse, sulle quali v. {llòm. Olir. blicò
il
ficius, e
j).
223),
il
quale, fra le
i
seguenti: Cic,
Valer. Maxim.,
2,
Ad
Att. 6
5,2;
Ma-
Intorno a Flavio vi sono molte
Seeck
Soltau quando pub-
(op. cit. pp. 1-56) e
altre, sostiene che Flavio,
fosse edile curule, ma un semplice seriba pontipone cotesta pubblicazione dopo l'anno 286 a. Cr. cioè dopo la
calendario,
non
legge Ortensia.
PoMPONius, Dig. I, 2, soiirces du dr. rom. p. 67. (4)
des
2, §
35
;
cfr.
Krueger-Brissaud,
Ilist.
—
155
—
segreto di cui essi circo ndav^ano
al
sumibile che intorno
allo
la fine del secolo quinto,
noscere
al
popolo
stesso i
loro archivio, e i)re-
il
tempo
pontefici
si
metà
cioè fra la
e
siano decisi a far co-
avvenimenti di ciascun anno, mentre
gli
limitavano a registrarli nei commentarli Q). Stabilita così l'epoca probabile a cui risalgono le tavole allora
fino
pontificali,
si
vediamo, ora, quale fosse la loro composizione.
Al principio di ogni anno,
nell'atrio della
Eegia ove abitava,
massimo esponeva una tavola coperta di gesso, nella quale, scritti in cima i nomi dei consoli e degli altri magistrati dell'anno, si notavano il caro dei viveri, l'ecclissi, pontefice
il
i
prodigi
{^)j
e poi
i
fatti piìi notevoli della
Eoma,
storia di
avvenuti in pace e in guerra, per terra e per mare, in ordine cronologico, con l'indicazione del giorno in cui erano
Quali fossero
caduti.
proprio
questi
documenti che abbiamo, non
dei
nare efiettivamente. Certo, oltre tati
costruzione dei
la
è
possibile di determi-
le guerre,
monumenti
scarsità
nella
fatti,
ac-
si
pubblici,
saranno nol'
invio
delle
colonie, la erezione di statue, le pestilenze, e le morti dei
(1) Il
NiTZSCH
(op. cit. p. 238), allargando le congetture del
II,
307), fa
cominciare
le
Momm-
Bernays [Gesam. Abhandl-
sen {Praef. Liv. Per. ed. Jahn, p. xx) e del
tavole pontificali nel
249
a.
perchè
Cr.,
anno ha principio il liber ^prodigiorum di Giulio Ossequente, il quale, lo diremo con le parole del Mommsen, « nulla alia de causa ab hoc anno initium fecisse putandus est, quam quod eo tempore pontifìces prodigiorum in annales referendorum initium fecisse apud Livium relatum invenit ». Ma questa del Nitzsch a me pare una supposizione troppo assoluta, poiché dal libro di Ossequente si può indurre (sebbene altri lo neghino, cfr. Seeck, o\). cit., p. 68; Bonghi, II, 236) che la notazione dei prodigi cominciasse nel 249, ma non già che le tavole da
cotesto
avessero proprio principio in quell'anno.
E
poiché
le tavole,
nostro, sono di.stinte dalla cronaca pontificale contenuta nei tari e già,
secondo Livio
(I,
20, 7),
Numa
nel
parer
commen-
aveva ordinato ut
'pontifex
fidminihus aliove quo visu musa svsciperentur atqve curarentur, è naturale, il pensare che, nei commentari, si siano registrati i prodigi ben prima del 249. edoceret, qìiaeqiie prodigia
(^)
C/AT,, Orig. fr.
jjontificem
maximum
luminc calvjo
a:tt
77 Pi<:ter est,
:
quotiens
qirid ohstilerit.
Non
luhet
annona
scribere,
quod in tabula apud
cara, quotiens lunae ani solis
—
156
—
ma, per A^ero dotte dai moderni in prova che personagfgi celebri,
registrati nelle tavole pontificali o,
dire, le
dobbiamo riguarda
risolvere
tempo
il
suppone
non mi paiono fondate, non è chiaramente detto
annali dei pontefici.
gli
qui
da alcuni e che quale erano composte le tavole. Si difficoltà sollevata
dealbata
avvenimenti di un anno avvenisse
alla fine
ma
non
ciò
risulta
della
punto dal passo di
Ci-
quale, in tal caso, avrebbe detto efferebatque in
il
et
Ma
tabula
dell'anno stesso,
album
nel
erano
fatti
(^),
infatti che la pubblicazione
contenente
cerone,
una
gli
cotesti
tutti
in altri termini, in qnei passi
che fonte di quei fatti siano
testimonianze ad-
proponebat tabulam domi
cum
anniis exactus
esset^
neppure resulta dal passo di Servio, sebbene l'Amatucci ('-) osservi che il pontefice non avrebbe potuto segnare in cima e
alle
tavole
costoro
ma
i
nomi
dei consoli e degli altri magistrati, poiché
non assumevano
tutti l'ufficio nel
medesimo tempo
l'obbiezione è di poco rilievo, nulla vietando di pensare
che sulla tavola
Eegia a principio
della
nell'atrio
affissa
d'anno fosse riservato uno spazio vuoto per registrare
nomi
E
;
dei magistrati via via che entravano in
carica
i
(^).
non erano una vera come abbiamo tentato di pro-
d'altra parte se le tavole pontificali
e propria cronaca, la quale,
vare, faceva parte, invece, dei commentarii, se
il
loro scopo
era quello soltanto di soddisfare la curiosità del pubblico di conoscere gli
certa e lo
immediata notizia
nota assai bene
(1) 1.
avvenimenti via via che accadevano, di darne
e.
Vedile citate dal
p. 216.
parola
il
non
popolo, se
Soltau
(*),
ai
si
si
possono paragonare,
nostri giornali ufficiali.
Berger-Cucheval,
In cotesti passi
si riferisce
al
I,
117 e
dall' Amatucci.
citano gli «Annali» in generale, la qual
già alla cronaca pontificale,
ma bensì agli annalisti.
SciiWEGLEK, I, 11, n. 13. 11 Maschke [Fhilologus, 54, p. 150 e seg), che gli Annales citati da Plinio {N. II. 33, 6. 17, sq.) siano identici alla cronaca dei pontefici, la qnale, secondo lui, cominciò autenticamente verso il secolo quarto. Cfr.
p. e., sostiene
(')
L.
(3)
HiiBNER,
(*)
Eòm.
e.
p. 219. 1.
c.
p.
42Q
;
Peter,
Chronologie, 445-446.
Bell. p. xii.
ai
avvisi
pubblici
clie
—
157
si
lej^fi^ono
vie
nelle
affissi
nostre città, sarebbe stato assai strano che,
delle
dare Pan-
])er
un fatto qualunque clie interessava l'opinione jjubblica di Roma, si fosse asi)ettato, per divulgarlo sulle tavole, la fine dell'anno. Le tavole, lo si avverta bene, non contenevano che l'indicazione mera e semplice del fatto nunzio
di
che vi
si
tolo
registrava
ognuno poteva
ove
(^),
esposte nella
;
Regia senza alcun
ti-
leggerle e consultarle a suo
non erano conservate, poiché, al termine dell'anno finiva anche il loro scopo, quello, come abbiam detto, di soddisfare soltanto la pubblica curiosità del momento. Ed ora veniamo al terzo punto. agio,
Annalcs Maximi.
3.
L'uso di esporre colo di
Roma
e precisamente fino
Muoio Scevola
di P.
tavole continuò sino al settimo se-
le
che
(^)
i
quali,
le
ormai tutta una
Roma
e,
nello stesso
antiche tavole pontificali. Oltre a
ciò,
allora avevasi circondato l'archivio
fino
era
piti
possibile a mantenere, e
vi erano custoditi
Non
fioritura di
scrivendo in greco e in latino, avevano
resa popolare la storia di tili
massimo
lo fece cessare, poiché, al di fuori
del collegio dei pontefici, vi era annalisti,
pontificato
al
quindi
tempo, inu-
segreto di cui
il
dei pontefici
non
commentarii che
i
vollero pubblicare, per ordine proba-
si
chiamavano, come alcuni dicono (Cfr. Cichorius, 1. e. I, 2248) tabula pontificìs maximi ovvero tabula annalis, ma solevansi indicare con una perifrasi {tabula apud 'pontificem maximum^) come fa Catone che le vide che nel pasvso di Dionisio (I, 74) di lezione incerta e che deve esser letto secondo la correzione proposta dal Niebuhr iid xoù (^)
bì
;
:
Tcapà Toc^ àpxiepsOai, ('Ay/^taisùat codd.) xeqjiév&u Tttvaxoj, la
come
parola
Tiiva^ desi-
Kornemann,
Klio XI, 245 e seg. der Priester odex in der Regia, Tùbingcn, 1912, non ò ammissibile. (lì. HiRSCurKLD, Kleine Schrijten, p. 341 JjEO, Gesch. der ròm,. LUieratur I, 43-44, n. 4. gni la
tabula di Catone,
sostiene
il
K
;
;
(^)
Mucio Scevola divcirme pontefice massimo nel
mori fra ste fra
il
il
123 e
130 e
il
il
114
114
a.
a.
Cr., sicché le
Cr.
Cfr.
131/30
a.
Cr. e
tavole cessarono di essere espo-
Cichorius,
1.
e,
I,
2251.
—
—
158
bìlmonte dolio stesso Mucio Scevola
(^)
la pubblicazione agli scribi o pontefici
minori
lo scoliaste di Orazio,
volendo spiegare a
poeta con
pontifictim
parole
le
utrnm annalcs an
itis
quale
il
libros
(^).
clie ("^),
pontificale si(jnìf(icat)
ne affidò Porfìrione,
cesa alluda
domanda
si
ciò clie
?
a parer mio, assai chiaramente che la parte
il
:
mostra,
giuridica e sa-
commeniani venne distinta dalla cronaca, ma che ambedue i monumenti, quando furono pubblicati, conservarono l'antico nome di commentarii o libri^ poiché le due parole, come abbiam veduto, sono sinonime. Popolarmente cra dei
peraltro
Puna,
cercò d'indicare le due raccolte con titolo diverso
si
la giuridica, si
chiamò ius
desumere dai
trattati de iure
Pittore
C.
di
(^),
l'altra, la
moriim
o
il
nome
Annales Fublici
Annales Maximi
(^), il
di
Servio
Fabio
Annales pontificum mari-
(*^),
o,
piii
frequentemente,
quale ultimo epiteto richiede qualche
spiegazione. Alcuni, sulla fede di Servio,
È
di
Ateio Capitone e di M. Antistio Labecne,
cronaca, ebbe
(^)
come possiamo
pontificale,
pontificio
:
questa l'opinione comune degU
(^),
di Paolo Dia-
sebbene non trovi se ne discosta il Le ClePvCQ (op. cit. p. 112) il quale, però, senza alcuna buona ragione, attribuisce a Verrio Fiacco il coordinamento della cronaca pontificale. (2) DiOMED., p. 484, 6 Keil. (*)
eruditi,
sostegno né nel passo di Cicerone, né in quello di Servio
(^)
Epist. ir,
{*)
Il
1,
Bremer
V.
;
26.
{liirisprudentiae antehadrianae,
I,
9) attribuisce
la
a Q. Fabio Pittore, il più antico annalista romano, ma questa è una congettura la quale riposa tutta sopra un passo di Nonio (s. v. picumnus, p. 518), dove è chiara la confusione di due autori. Vedi su questo punto il Bader {De Diodori
compilazione di
libri iuris pontificii
rerum Eomanarum auctoribus, p. 41), col quale, non possiamo per altro convenire che il Fabia s Pictor citato da Nonio sia il Q. Fabius Mt(j.im'ts Servilianus citato da Macrobio (I, 16, 25), come egli sostiene, seguendo
una congettura
del
Wachsmuth.
Cic, De Legib. I, 2, 6. Cfr. Quint., X, 2. 7. Cic, De Bep. II, 15, 28 è questo il passo ove Cicerone dice che AnvMles Publici non chiarivano bene un'antica tradizione, cioè, se (5)
(®)
gli
Numa Cf.
:
era stato discepolo di Pitagora o filosofo pitagoreo.
DiOMED. (')
Vedi
(«)
L.
e.
p. 484, 6 i
Keil.
luoghi più volte citati di Cicerone, di Servio, etc.
— cono
e di
(^)
Macrobio
(-),
—
159
che
s'isierigono
gli
annali doTi-
varono l'appellativo maximi dal pontefice massimo che no ma se ben si guardi, siil'atta interpretazione era autore ;
testimonianza
contraddice alla passo
volte citato (Be Orai.
pili
nales
2, 12, 52),
Annali, aggiunge
la confezion degli
Cicerone,
di
:
dopo aver descritta qui etiam nunc
ii
nominantur. L'Amatucci
Maxiìni
nel
(fuale
il
{^)
pensa
An-
che Ci-
cerone voleva dire che, anche ai suoi tempi, nei quali
Annali pubblicati da Scevola erano ricopiati sebbene non avessero
scribae pontificum,
e dill'usi dagli
relazione col
piti
ma
pontefice massimo, conservavano l'antico lor nome; testo
me
ragionamento a
pare nasconda una
suppone
principio, perchè
pontefice massimo, ciò
l'epiteto di
ficum
petizion di
che invece occorre dimostrare.
ii
:
co-
maximi derivato dal
spiegazione dell'Amatucci sarebbe vera solo
Cicerone avesse detto
gli
nel
caso
La che
qui etiam nunc Annales ponti-
maximorum nominantur. Con
le
parole etiam nunc Ci-
cerone, adunque, allude alla estensione degli annali dei pon-
Maximi, come pili estesi di tutti gli altri annali compilati da autori privati (^), e ccntinuaTano anche al suo tempo, per la forza dell'uso, a mantenere lo stessa ne me, sebbene fosse divenuto improprio, poiché ormai si erano pubblicati altri annali di tefici
quali in origine, erano stati chiamati
i
maggior mole teraria
;
secondo
anche di maggior importanza storica o
e
mentre
e difatti, lo
scoliaste
ne scrisse per
lo
numero dei
meno
S.
ottanta
libri,
V. p.
126,
Gelilo
(^).
A
molti, anzi, pare soverchio
che Servdo attribuisce agli annali dei in
sessanta
M.
(2)
Sat. Ili, 2, 17.
(3)
L.
e*)
Clic
e.
Gneo
novantasette, e Valerio Anziate set-
poiché notano che Livio abbraccia
X)ontefici,
(1)
libri
Annali Massimi fermarono,
virgiliano,
tantacinque assai prolissi il
gli
let-
p. 232.
l'epiteto
maximi
attribuito agli annali dei pontefici abbia
quento koIo Bignificato a me pare risulti anche da Cic, De Eep. I, 16, 24, ove la parola annales è preceduta, non seguita dall'attributo maximi, (") Cfr. Peter, lielliq, \). xx.
—
—
160
tempo compreso negli Annales e suppongono che questi non siano clie la trascrizione delle tavole. Ma gli ottanta libri non paiono soverchi, poiché, come abbiamo cercato piìi sopra di dimostrare, gli Annali non sono la trascrizione pura e semplice delle tavole, o una libri lo
stesso periodo
d.i
trascrizione accresciuta e migliorata, nelle parti in
cui le
tavole difettavano, per opera dei compilatori degli Annali
medesimi, come pensa
il
Peter
(^),
ma
bensì la cronaca con-
tenuta nei commentarli, la quale risaliva alla stessa
istitu-
zione del collegio pontificale, ed era naturalmente più diffusa delle tavole in cui
sommaria, perchè
il
i
fatti si
solevano indicare in maniera
pubblico ne potesse avere notizia to-
accadevano (^). Vero è che contro
sto che
silìatta supposizione,
dovessero essere abbastanza luoghi di Cicerone
;
nel
diffusi, si
storici
gli
Annali
sogliono addurre due
primo dei quali
che molti dei più antichi
che
egli
fa osservare
romani seguirono
me-
il
todo tenuto dal pontefice massimo nella compilazione degli Annali,
temporiim, Jiominiim, (de
Orai.
ullis
ornamentis monumenta solum
locomm
gestarumqiie rerum reliquerunt
quindi sine
e
II,
12)
nel
;
secondo
passo
[de
Cicerone, introducendo Attico a parlare sul la storia^ gli fa dire così
ximorum, quihus
:
nam
post annali s
leg.
modo
2,
5)
di scriver
ponti ficum ma-
iucundius
nihil potest esse
I,
si
aut ad Fa-
òium aut ad eum, qui libi semper in ore est, Catonem, aut ad Piscnem aut ad Fannium aut ad Vennonhim venìas, quam-
quam quam
ex isti
Ms
alius alio plus Jiabet virium,
omnesf
questi due passi rio,
(^) ?
tamen quid tam
Cosa vogliono propriamente
Cominciamo dal secondo,
exile
significare
in cui è necessa-
innanzi tutto, osservare che la lezione iucundius dei co(1)
Cfr. op. cit. p. XVIII.
(2) Gli Annales Maximi contenevano un infinito numero di documenti (senatoconsulti, leggi, relazioni di ambasciatori) che accrescevano naturalmente la mole di tale raccolta essi erano, come ben nota il SoLTAU {Philologus, 55, p. 267 e seg.), piuttosto una raccolta di materiali che una cronaca di facile lettura. (3) Cfr. QuiNT., X, 2, 7. ;
-
— dici
non
ò
ammessa
—
161
da pochissimi
elio
quasi
(^);
tutti gli
moderni delle opere di Cicerone leggono ieiunius eon PUrsini, o imurmtms con altri (^). Però, qualunque cosa vogliasi pensare della lezione data dai eodici o delle varie editori
congetture proposte dai moderni per emendarla, è chiaro passo
dal contesto del
Becker
serva anche
il
sembravano
exiles
parirgli gli
ad Attico,
a
il
os-
nominati
dovevano apqui sta il vero nodo
fortiori,
Ma, e
significato
il
owero
essa lo stile, la forma,
gli annalisti ivi
tali,
pontefici.
qual'è
questione,
della
che se
(^),
Annali dei
come giustamente
ciceroniano,
di
exilitas
;
riguarda
contenuto di una scrittura
^
Cicerone stesso ce ne porge la spiegazione in alcuni passi
De
del suo trattato
non
xilitas
designa
Oratore
disadorno
lo stile arido e
quali dimostrano che Ve-
i
contenuto di una scrittura,
riferisce al
si
(*),
;
ma ne
e difatti fra gli annalisti
che Cicerone qualifica come exiles sono
pure Catone,
che
aveva sempre in bocca, e Vennonio, la cui storia doveva, almeno per lui, godere di molta riputazione, se, in una let-
egli
tera al suo Attico (XII, 3,
(1) 1.
e. p.
1), si
dimostra dolente di non pos-
La difendono il Klotz, I'Hùbner, 1. 230. La lezione iummdius potrebbe del
noi sappiamo che Cicerone
si
Ad
e, p.
resto
412 e I'Amatucci, mantenersi, poiché
dilettava delle opere antiche della lettera-
ove deride i vscótepoo, che ali passi {Acad. 1, trove {Tvsc. 3, 19, 45) chiama cantores Euphorionis cfr. T^isc. ove si II, 27 19, mostra Orai. 3, 45) ammiratore De 7, 3, 10 di Ennio, Pacuvio, Accio, e quelli ove parla con lode di Lucilio e dei De Orai. Ili, 12, 45; ib. sales degU antichi Romani {De Off. I, 29, 105 tura romana. Vedi
p.
e.
VII,
Ait.
2,
I,
;
;
;
;
16,
72 (2)
;
De Per
Fin.
I,
le altre
3,
9
Ad Fam.
:
9,
15, 2).
varianti proposte dai
Cicerone del Mìjllkk, IV,
2, p.
xxxiii
(=
moderni vedi
la edizione
di
p. 383, 7).
Op. cit. p. 6, n. 6. genvfi fiermonis adfert non liquidwm, non fvsitni ac pro/luens (*) II, 38 sed ex il e aridiim coneifium atqiie mimitum. Qvod si qui prohabit, ita prò etenim videmus, bfibit, vi oratori tumcn apium non esse fateatur ; I, 11 (3)
:
:
iisdem de rebus
ieiune quosdam
et
exilìter, ut eum, quem acvtissimum
ferunt, (Jhrysippvm, dispuiavisse neque ob eam rem philosophiae non satis feeisse, quod non habuerit hane direndi ex arte aliena faeultatem ; ib.
12: qvi/l erqo interest
dicendo u berta fem tale et eleqantia
et
'^i
ani qui discernes
eorum, quos nominavi, in
copiam ab eorum ex ili tato, qui hae dicendi
non idvntnr
?
11
varie-
— sederla.
È
162
noto, del rimauente,
il
concetto die Cicerone aveva
storia.
Lo
avvenimenti
alla
ma
abbondante, accessibile a
della
chiara,
storico,
secondo
deve far servire
Ini,
dimostrazione di un'idea, scrivere in
for-
animare,
col
calore del sentimento e della passione,
con tutte
infine
in
una
parola,
gli
le grazie di
storia
la
uno
tutti, il
racconto, abbellirlo
ampio
stile
e magnifico
:
per Cicerone è opera d'arte, è
opera assolutamente oratoria
È
(^).
naturale
quindi
che,
paragonando i primi monumenti della storiografìa romana con siffatto tipo della storia che gli si era formato nella mente, dovessero apparirgli scrittori aridi
minati e sopratutto
gli
Annali dei
avevano appreso a tramandare
il
annalisti
gli
da
no-
lui
pontefici, dai quali costoro
ricordo dei tempi, dei per-
sonaggi, dei luoghi e dei fatti accaduti, senza punto curarsi di adornare,
mio,
il
con bello
stile, il
loro racconto. Tale
è,
a senso
vero significato dei due passi ciceroniani sopra
ci-
da cui nulla possiamo perciò ricavare intorno alla maggiore o minore estensione della cronaca pontificale. Il vero è che della forma in cui erano scritti gli Annali Massimi e dell'ampiezza del loro contenuto non possiamo avere un concetto ben chiaro, poiché nessun frammento è giunto fino a noi che ce ne riproduca il testo preciso (^),
tati
(^),
(1) (2)
De Legih. I, 2: opus... oratorium maxime. Cfr. De Orai. II, Ogimuo comprende che, con la nostra interpretazione, la
12. le-
zione iucimdnis del secondo passo potrebbe benissimo mantenersi, poiché,
come già avvertono I'Hìjbner (1. come già si è detto più sopra, a
p. 230), e
sito
dei suoi tempi,
aridi e disadorni,
e.
412) e
p.
doveva sembrar piacevole
ma
I'Amatucci
(1.
e.
Cicerone, avvezzo al gusto squila lettura degli
Annali
nei quali le leggende e gli aneddoti inverosimili
sovrabbondavano. V. p. 161. n. 1. (^) Tre sono i frammenti che degli Annali Massimi il Peter propone nei suoi Ilistoricorum Bomanorum fragmenta pp. 4-5 l'uno è desunto da Vopisco {Vit. Tacit I, 1), il quale attinge la notizia dell'interregno che seguì la morte di Romolo dai Pontefici penes quos seribendae historiae potestas fnit, ma, a prescindere dalle osservazioni che intorno al ]);ussi> di Vopisco fecero altri (v. IIìjbner, 1. e. p. 415 Bonghi, 11, 234). non devesi dimenticare che Vopisco è fonte assai sospetta come tutti gli altri scrittori della Storia Augusta, le cui citazioni devono accogliersi con :
,
;
— noppur quello conservato
—
163
Gellio
(l.Ji
e elie,
prima
{i
vista,
parrebbe contraddire a tale ail'ermaz io ne. Vediamolo. Kacconta Aulo Gellio che la statua di Orazio Ooclite, la quale sorgeva nel Comizio, rimase colpita dal fulmine
;
gli
aruspici
venire dall'Etruria per procedere a cerimonie espiato-
fatti
animati da sentimento ostile agli interessi di Roma,
rie,
consigliarono di trasportare la statua in luogo basso e oscuro,
ma, scoperto
il
loro segreto disegno e confessatolo,
vennero
condannati a morte e la statua trasferita in area Volcani, in luogo eminente, ex quo res bene ac prospere populo cessit
donde fu
;
fanciulli
il
verso, cantato per tutta
malum consilium
:
avverte
verso,
fatto
Esiodo (Opp.
et
lo
stesso
consultori
è
Gellio,
Dier. v. 266)
:
Di questo racconto Gellio undecimo degli Annali Massimi di Yerrio Fiacco intitolata
ma
è facile
dai
pouXi] ito pouXeòaavxt
come
cita
e
Roma
pessimum est, il qual tradotto da quello di
'H Sé xaxYj
xa"/.''ai7].
Romano
primo
il
fonti
il
libro
libro dell'opera
memoria (^), due fonti egli non vide
Belle cose degne di
comprendere che
delle
che la seconda, nella quale trovò citata la prima, poiché a Gellio
non sarebbe
stato necessario di addurre la testimo-
nianza di Yerrio Fiacco se avesse avuto sottocchio la fonte primigenia del fatto da lui raccontato
;
e oltre a ciò, se
si
quando cita uno scrittore antico, trascriverne il testo e non riassumerlo semplicemente (^), ne consegue che, nel passo di cui discorriamo, gli Annali Massimi non sono trascritti testualmente, ma riassunti sol-
nota che Gellio è
solito,
molta rlBerva. Vedi quanto seri viamo più sopra, pag. 144. Il secondo è da Cicerone (De Rep. I, 16, 25), di cui già abbiamo discorso il
tratto
;
terzo è quello riportato (1)
Gell., IV,
da Gellio (IV,
5).
5.
ha conservato parecchi frammenti, p. e., degli Annali di Claudio Quadrigario che esso cita, quasi sempre testualmente, con la formula verba ex Q. Claudi primo annali, ovvero, Qnadrigarius in teriio annaliuw, ita, seripsit ; e una volta (Peter, fr. 81), dovendo citare un fatto narrato da quell'annaliKta, lo riassume, e poi ne riproduce (^)
Gellio ci
:
le
parole testuali
-
—
164
meno, mi sembrano le osservazioni fatte da parecchi moderni intorno al passo di Geltanto. Se così
superflue, per lo
ò,
più specialmente intorno
ilo e
\-erso
al
che conclude
il
rac-
conto, vale a dire, o che esso devesi considerare un'aggiunta di Verrio Fiacco che lo tradusse
Annali era un saturnio Gelilo
può
('-)
o
che,
da Esiodo
mani di racconto medesimo non
diventato tutto
infine,
o che negli
(')
il
senario
nelle
compreso nella cronaca pontificale pubbli-
esser stato
cata per ordine di Muoio Scevola, poiché la parola consìdtor
non esisteva allora, ma entrò nell'uso comune soltanto al tempo di Sallustio (^). Ho detto superflue tutte cotesto osservazioni, poiché, giova ripeterlo, noi non abbiamo dinanzi il testo genuino del racconto, ma un rifacimento riassuntivo, più o meno libero, del racconto medesimo, che non sapj)iamo nemmeno se debba si attribuire a Verrio Fiacco o a Gelilo, sebbene la prima supposizione sembri più probabile. Quanto all'essere il verso latino una traduzione del verso di Esiodo, ha ragione l'Amatucci (*) di osservare che qui si tratta di un proverbio e che proverbi simili si trovano fra popoli non solo affini,
ma anche disparati per
stirpi e
dimore.
È probabile
dunque che il proverbio contenuto negli Annali fosse simile a un altro che correva per le bocche dei Greci e che Esiodo ave^a posto in versi e trovandolo simile al
una traduzione
Comunque
leggendo
Gelilo,
;
greco per
il
contenuto,
il
verso latino lo
di questo.
sia,
e
nostre osservazioni,
con
diamo
ciò
fine,
riassumendole,
qual'era quella di conoscere
accadevano, quando altro
alU^
tavole pontificali ebbero grande
se le
importanza, perchè rispondevano a una pubblica
zia,
considerò
i
fatti più rilevanti \và via clu^
modo non
ben poca invece ne ebbe
necessità,
la
\i era di averne noti-
cronaca dei pontefici con-
tenuta nei loro commentarii, e alla quale, quando fu pubbli-
(2)
Peter, Bell. Becker, op.
eit.
(^)
BuECHELER,
Rli.
(*)
L.
(1)
e.
p.
229.
p. xiiii. p.
10. n.
14.
3fusevm. XLI,
p.
2.
— cata,
si
elle vi
diede si
il
nome
165
-
Annales Maximi, perchè
di
fatti
1
modo
registravano potevansi ormai conoscere in
altrettanto compiuto dagli scrittori privati, e ciò spiega la
rara menzione che degli Annali
Classimi troviamo presso
antichi C).
gli
Tale spiegazione proponiamo intorno alla d€^^i
Annali Massimi e che, a parer nostro,
risolve, tutte le difficoltà
cito applicare
ad essa
le
che la circondano
e
scura origine
chiarisce, se
quindi sia
;
parole del poeta di Venosa
Si quid novisti rectius
Candidus inperti ;
utere
si nil, his
{Ep.
1,
6,
non le-
:
istis,
meGum 67-68).
Sebbene Livio mai citi gli Annali dei pontefici (efr. SchweI, 8, n. 4), pure lo Soltau {Philologus, 52, p. 667 e seg. 55, p. 268 e seg.) ha, con molta sagacia, tentato di provare che vestigi degli Annales Maximi esistono nelle decadi, dei quali lo storico padovano si sarebbe giovato indirettamente, cioè, mediante due delle sue fonti principali Calpurnio Pisone e Valerio Anziate. I due passi nei quali Dionisio farebbe menzione della cronaca pontificale sarebbero Tuno (I, 73), quello dove dice che i Romani non ebbero nessun antico scrittore o logografo, (^)
GLER,
;
:
—
:
ma
i
ex TiaXaicóv Xóywv sv lepalg SéXxotg ow^ofiévwv
loro scrittori attinsero
l'altro
(Vili, 56) ove ricorda
le
xwv Ispocpavxcòv ypa^aó, nelle quali
si
;
narra
diffusamente la storia di un prodigio avvenuto al tempo di Coriolano. Se nel pa.sso (XI,
Massimi, o ai
62),.
libri dei
dove
cita le Ispal ^{pXot, Dionisio alluda agli
magistrati, è dubbio. Cfr. su ciò
Annali
Schwegler,
1,
8,
Diodoro (I, 4), dice di aver tolto il materiale occorrente per la storia romana ex xwv uap' sxsCvotg uTioiivYjiidxwv ex TtoXXwv ypóvo3v xsxr/pyjixévwv, le quali parole, secondo il Wachsmuth e n. 4
;
Bonghi,
II,
244, n.
2.
CiCHORius {Leipziger Studien, IX, 225,
che ne cita e ne fa sua l'opinione, vogliono significare non già che Diodoro attinse agli Annali Massimi, ma che li trovò citati in una sua fonte, cioè, nei xpo'^'-^t^t di il
Castore.
n.
1)
I
CECILIA ATTICA
Le
lettere di Cicerone, che
(')
paiono scritte oggi, non venti
tanta è la freschezza, tanta è la vita che vi
secoli or sono,
nemmeno
palpita dentro e che
secoli futuri
i
potenza di spegnere, sono tutte importanti, leggersi sotto vari punti di vista
alcuni
:
avranno
ma
amano
torbidi anni e piti la
altri le
;
intimamente
possono studiarvi,
giorno per giorno, la storia dei tempi procellosi visse Cicerone, le lotte di parte che lacerarono
la
nei
quali
Eoma in quei
studiano per conoscere più da vicino
gli
uomini insigni
che, nella rivoluzione
quale mise fine alla repubblica romana, furono a Cicerone
amici o avversari chè l'indole,
;
a noi destano interesse, sopra tutto, per-
costumi,
i
privati di lui vi
gli afietti
tano limpidi dinanzi allo sguardo,
persona che
si
riflette in
si
come l'immagine
uno specchio
presendi
una
tersissimo.
Della vita privata e specialmente degli affetti di Cice-
rammentano, fra le altre, le belle pagine del Boissier (^), di Clarissa Bader (^), di Iginio Gentile (^) e di Valentino Giachi (^) nelle quali si discorre, con tanta
rone molto
efficacia,
si
è scritto, e tutti
di Tullia, la figliuola adorata e infelice del
oratore di Arpino; di Tirone, diletto de' suoi studi e di T.
timo di
^
lui.
Ma
il
(^)
Pubblicato in Koma, Cicéron
(*)
(^)
liberto fedele e
Pomponio
compagno
Attico, l'amico in-
vivissimo affetto paterno che Cicerone ebbe
(2) (^)
il
grande
tip.
della R.
Accademia
dei Lincei, 1898.
amia (8« édition, Paris, 1888) p. 82 e seg. La femme romaine (Pam, 1877), p. 204 e seg. Tulliola (Rassegna ^Settimanale VI [1880]), p. 312 e seg. Amori e costumi latini (Città di Castello 1885), p. 209 e seg. et ses
— per Oooilia Attica, la
168
figlia di
non perciò meno degno
—
Pomponio,
è forse
di essere conosciuto
meno
noto,
sono brevi,
;
è vero, e talora anche fugaci le espressioni clie egli le dedica nelle sue lettere,
ma, prese
nel
loro
insieme,
non
solo
velano ancora una volta quanto fosse aìvo in Cicerone pulso dell'anima
vuole amare
clie
ma
espressione mirabile, di delineare gli
il
nello
»,
l'im-
«
per dirla con una
stesso
tempo
ci
ri-
sua
consentono
tenue profilo di quella graziosa fanciulla che
fu tanto cara
{^).
Cecilia Attica
(^)
nacque pochi anni dopo
il
matrimonio
Seguo nel corso di queste pagine, per le lettere di Cicerone ad Attico, l'edizione del Boot (editio altera, Amstelodami 1886), tenendo però anche presenti le edizioni di G. Orelli (Turici 1845) di A. We(^)
;
SENBERG (Lipsiae 1873) di C. F. W. Mueller (Lipsiae 1898) e di Purser (Oxonii 1903); e per i libri XII e XIII, il testo pubblicato da Ottone Edoardo Schmidt in appendice alla sua opera magistrale Der Briefwechsel des M. Tullius Cicero von seinem Prokonsidat in Cilicien bis zìi Caesaris Ermordung (Leipzig 1893), pp. 465-530. Lo Schmidt propone una numerazione diversa delle lettere nella quale si tiene mag;
L. C.
gior conto dell'ordine cronologico e che dovrà certamente essere adot-
tata nelle future edizioni delle lettere ciceroniane, ma, per evitare
una
possibile confusione,
mantengo,
nelle citazioni seguenti,
la
ora
nume-
razione tradizionale.
Sono questi i nomi completi della figliuola di Attico, come risultano da varie lettere di Cicerone (v. Orelli, Onomasticon Tidlianum, (^)
pars II, p. 84, 99), il quale usa chiamarla altresì ÓTioxopioxixcòs col vezzeggiativo Aitimda {ad Att. VI, 5); infatti, secondo il costume ro-
dava, mutato al femminile, il nome gentilizio solo od unito al cognome del padre, i nomi di Attica riproducevano rispettivamente il cognome paterno e il nuovo gentilizio che Attico (secondo le norme della onomastica romana) assunse, prima che gli nascesse la figlia, quando fu adottato dallo zio materno Q. Cecilio che. morendo, lo fece anche suo erede, nel 50 a. Cr.; d'allora in poi egli non
mano, per
il
quale alle
figlie si
chiamò più T. Pomponiiis Atticus, ma bensì Q. Caecilius Q. F. Pomponianus Atticus (v. Cic, ad Att. Ili, 20). A torto il Frandsen {M. Vipsanius Agrippa [Altona 1836], p. 235) e il Drumann {Geschichte Poms [Koenigsberg 1841], V, p. 88), seguiti da quavsi tutti i più recenti scrittori di cose romane, chiamano Attica anche Pom])onia, mentre questo era il nome di sua zia, la sorella di Attico, e la bisbetica moglie del fratello di Cicerone (v. Orelli, op. cit., p. 481). [Nella seconda edizione della storia del Drumann, curata da P. Groebe (V. 91) rerroro è corsi
retto].
— con VìWn
di suo padre
donna
fu
amata
miglia e teneramente
proconsole figlia,
preprsto
allora (^),
per quanto ne sappiamo,
la ([nalo,
('),
mitissima indole, tutta dedita alla
gentile, di
trovavasi
—
169
al
api)ena Attico
marito
dal
governo gli rese
Koma
tua figlioletta costì in
ancora veduta, già
amabile»
ti sia
(Alicia
che
come
la nascita di
sua
mi consolo che la cara io, che non l'ho :
«
;
voglio bene e son certo che deve essere
le
«Godo
(*).
già
(U^la
nota
ne rallegrò con queste parole
se
('ie(5rone
('^).
fa-
poi, gli scriveva più tardi
che tu provi da te stesso come l'amore verso
da i
Brindisi,
figli sia
un
vero sentimento di natura che se così non fosse, non potrebbe ;
esistere fra
uomo un legame naturale, e tolto questo, vita verrebbe meno » (^). Affettuose parole,
uomo
la società nella
e
una punta dottrina epicurea professata da Attico,
senza dubbio, dalle quali peraltro di rimprovero per la di cui, la
come ben
si sa.
trasparisce
Cicerone era avversissimo, e secondo
quale l'uomo deve rivolgere tutto
Ma
il
suo affetto a se stesso,
non deve stupire, poiché Cicerone, sebbene legato ad Attico da viva amicizia, non trascurava occasione per pungerlo sul suo escludendone
(1)
gli
altri.
Attico sposò Pilla
cotesto
rimprovero
12 febbraio dell'a. 56
il
a. Cr.
{ad Q. Fr. II,
3, 7) e non dell'a. 63 a. Cr., come afferma a torto il Boot (adAtt.Y, 19); ed Attica nacque nel giugno 51 e non prima, come sostiene lo stesso Boot, poiché Cicerone, partito da Roma per la Cilicia nel maggio di quell'anno,
nella lettera, che ricorderemo frappoco, del 21 settembre (ad Att. 19) scrive
ad Attico che
ifdiolam tuam...
egli
non aveva ancor veduta
quam numqnam
la
sua
V,
figlioletta
vidi).
Intorno a Pilia v. le notizie raccolte dal Drumann, op. cit., V^, 90. una sua lettera commovente {valde scripta est aujxTta^&g) accenna Ci(2)
Ad
cerone, ad C) (4) (^)
Att. V,
Anno
Ad Ad
II.
51 a. Cr.
Att.
V, 19:
Att.
VII,
2,
cf.
VII,
4
Fiiiola tua
:
i.
te
delectari laetor et prohari tibi
non est, mdla potest Uomini ad hominem naturae adiinidio, qua sublata vitae societastollitur. Intorno alla dottrina, secondo la quale l'amore dei genitori per i figli è un cpoGtxÌTjv
esse iTjv Tipòg xà
xéxva
:
etenim, si haec
esse
sentimento di natura, dottrina propria degli Stoici e dei Peripatetici e negata da Epicuro, C'icerone, si trattiene ampiamente in altre sue opere v. sopratutto, De finibus, III, 62 IV, 17. effetto del
;
;
— epicuroismo, e quando
170
—
morì
gli
nonna, sapendo che
la
gli
vana piangere i morti, gli scrisse queste sole parole ironiclie e anche un po' dure « L. Saufeio (era un epicureo), credo, ti manderà una lettera per consolarti» (^). Del resto se l'atarassia, come la chiamavano, o la pace e serenità dell'animo imperturbato, formava l'ideale degli epicurei, non è punto probabile che sifiatta dottrina fosse scrupolosamente messa in pratica (^) e mentre rimane incerto se Attico seguisse la dottrina di Epicuro per epicurei consideravano cosa
:
;
vera convinzione, o soltanto per opportunismo, come oggi si
direbbe
(^), il
suo amore A^erso
non può mettersi
i
parenti e la famiglia tutta
da alcuno (*). (torniamo a lei dopo questa breve
in dubbio
Attica intanto
gressione) veniva su circondata dalle
cure
di-
amorevoli dei
suoi genitori dei quali era gioia e conforto, e
lì
casa
nella
paterna del Quirinale resa piacevole dalle ombre degli beri piantati all'intorno,
Nomento
Attico possedeva in
(1)
Ad
(2)
È noto quanto
Att.
I,
3,
scuola, avesse per la vela, fra le altre, in
ovvero nella amena
formò
si
la
che
villetta
sua educazione
(^).
1.
vivo affetto lo stesso Epicuro,
il
fondatore della
madre e il padre e la sua gentilezza d'animo si riuna lettera scritta da lui ad una bambina di pochi ;
anni, e che conservata nei volumi Ercolanesi, fu edita e
GoMPERZ, Hermes V,
La
al-
388. V. sull'etica di Epicuro
morale d'Epicure, Paris 1878 e
le
il
illustrata dal
libro del
Guyau,
Giussani
belle osservazioni del
nei suoi Studi Lucreziani (Torino 1896), p. Lxvii e seg. {^) (4)
MANN,
Cf.
BoissiER, op.
Nep., op.
Att. 17;
cit.
cit.,
p.
137 e seg.
CiC, ad Att. Vili,
6,
3; ad Brut,
l, 17,
4
;
cf.
Dru-
V2. 73, 90.
che Attico possedeva in Italia, secondo Cornelio Nipote {Att. 14), erano due Arretinum^ et Nomentanum; ma, nonostante l'autorità dei codici e del Nipperdey {In Corri. Nep. spie. crìi. [Opuscula, p. 891]) che combatte anche la variante Featinum proposta dal (^)
Le
ville
:
ROTH
{Corn. Nep. p. 164), io leggerei, nel primo luogo,
come
del
resto
hanno antiche edizioni di Cornelio Nipote, Ardeatinum, ma pur troppo non ho argomenti sufficienti per confortare la mia congettura. La villa Nomentana è quella che Cicerone chiama Ficuìense {ad Att. XII, 34) o villa semplicemente (ib. 36, 2), oppure suburbanum (ib. 37, 2 38, 1, ;
40, 5) o altresì horti soltanto (ib. 40, 2) e nella quale egli fu ospite di
Attico per tutto l'aprile 45
(cf.
0. E.
Schmidt, Briefwechsel,
p.
276).
— Nei tempi di cui discorriamo
non
nobile e ricca
—
171
mandavano
si
romane di famiglia come nei primi secoli
le fanciulle piìi,
della repubblica, alla scuola nelle taberne del
un pedagogo,
affidavano invece alle cure di schiavi o
i
liberti letterati della casa,
gere, lo scrivere e lo studio, per
i
i
poeti di Grecia e di
Siffatta
Eoma
cosi
i
filosofi,
armoniosa.
fanciulle di
alle
leg-
il
importante
comprendere
e a suonare la lira
educazione che s'impartiva
si
scelto fra gli
quale, oltre
il
Eomani
e difficile, del calcolo, insegnaA a loro a
ma
Foro,
quel
tempo e nella quale, oltre i lavori femminili, non mancavano il canto e la danza (^), era resa necessaria dal grande movimento letterario e artistico che il contatto con l'ellenismo propagò e diffuse nelle classi elevate della società romana. I^oi vorremmo conoscere qualcosa di piti partico-
ma
lare intorno alla educazione e agli studi di Attica,
troppo, eccettuato ro ta
(^),
un
anche dopo piti tardi,
La
nome
il
piir
del suo pedagogo, Q. Cecilio Epi-
liberto di Attico, che continuò
ad
maestro
esserle
suo matrimonio con Agrippa, di cui diremo
il
sappiamo. Ciò nonostante ce la raffigu-
null'altro
nomi
diversità dei
di cotesta villa
si
spiega benissimo poiché essa
doveva essere situata tra Ficulea (La Cesarina)
come
e
Nomentum (Mentana),
Nomentana cliiaCf. Boot, ad 2. Che Attico avesse poi un'altra villa presso il monte Lucretile nella Sabina é un errore derivato da una lettera di Cicerone {ad Att. VII, 11, i), ove non deve leggersi, come hanno alcune edizioni, in ilio Lt( cretino tuo sole, ma
i
cui territori,
si sa,
erano
vicini,
tantoché
la via
mavasi una volta anche via Fimdensis (Liv. Ili, 52). Att. XII, 34; Dessau, Corp. Inscr. Lai. XIV, p. 441, 447, n.
bensì, secondo
codice Mediceo, 49,
il
intorno a questo Attica nella villa (^)
passo Nipperdey,
Nomentana
Sulla educazione delle
Boms, P, 463-466 Bomains, I, 96-157.
geschichte
des
v.
ad
Att.
18, in ilio
loc, cit., p. 89,
XII,
fanciulle ;
cf.
lucrativo tuo
1;
sole.
V.
Sul soggiorno d
XIII, 49.
romane
v.
Friedlànder, Sitten-
Marquardt-Henry, La
vie privée
(2) Ad Att. XII, 33 Suet., Be gramm. et rhet. 16. Il Boot {ad Att. XII, 33) nega che il pedagogo di Attica ricordato, senza dirne il nome, da Cicerone, sia Cecilio Epirota, di cui parla Suetonio nel passo citato ma egli è indotto nella erronea supposizione da cotesto passo che sin qui non fu bene compreso, come abbiamo dimostrato nel Bollettino dì ;
;
Filologia Classica,
IV
(1897), p.
110 e seg.
I
— riamo
adornavano amico di della figlia pili
fornita
l'olentieri la
lui, le
—
quale sia consentito
;
ri])rodurre
minore del nostro Fundano
cara, piìi graziosa fanciulla
ancora
ai
ma
tredici
donna matura
e
di
lei,
pure,
(^),
in
lei
grazia e alla verecondia della fanciulla. vasi al collo di suo padre
bracciava noi, amici di ai
pedagoghi,
!
lui
!
la
io
;
matronale
gravità
la
«
:
non vidi mai degna non solo di
morta
è
punto
ciualche
quasi della immortalità.
anni
che
(qualità
Fundano Plinio minore, una sua gentilissima lettera,
Minicio
descrive così, in
più lunga vita,
medesime
(indio
di
di
figlia
17^2
Non
giunta
prudenza
la
univano
si
O come
di alla
avvinghia-
Con quale affetto e modestia abQuanto bene voleva alle nutrici, ciascuno secondo le proprie in-
ai precettori,
combenze. Con quanta applicazione e discernimento leggeva e rileggeva
Quanto era misurata
!
Con quale moderazione
e pazienza, anzi
sostenne l'ultima sua malattia
mava
la sorella e
geva con né mai
le
il
guardinga nel giuocare
e
padre
;
!
venne meno
con quale costanza
Obbediva
ai
le
durò sino all'ultimo,
per la lunghezza del
sia
medici, ani-
esausta di forze, se stessa reg-
vigore dell'animo, che
il
male, sia per
Fundano ha perduto una
timor della morte...
!
figlia
nel carattere e nel volto, era tutta l'immagine sua
che,
('-).
))
Tale doveva essere Attica, sebbene di pochi anni mi-
come Cicerone unisca come, nominando l'una,
nore, e perciò riesce facile intendere
Tullia e lei in
un medesimo
affetto e
non dimentichi l'altra. Poco innanzi la morte di sua figlia, « ... e possa io correre subito ad abegli scrive ad Attico :
(^)
Nel 1881 fu ritrovato in
Roma
u
monte Mario « il che la dice morta
sul ciglio del
titolo sepolcrale della fanciulla {C. I. L. VI,
16631),
a 12 anni, 11 mesi e 7 giorni, dunque poco prima di compiere 13 anni. Se non si vuole ammettere uno sbaglio dello scalpellino (appena ammissibile in particolare così si
grave) che invece di XIII avrebbe inciso XII.
dovrà restituire nel passo
impleverat),
Lanciani
come osservano Com. 1881,
{Bull.
accettata dal
Kukula
tolo sepolcrale ci (2)
Ep. y,
il
p.
Dressel {Bull. 25).
annos
d.
Inst.
1881. p.
XII J. [La nuova
16) e
la giovinetta cliiamavasi
il
lettura è
nella sua edizione delle epistole pliniane].
apprende che
16.
Plinio {Ep. V, 16: nonduin annos XIII
di
Il
ti-
Minìcia Marcella.
— mia
bracciar la ti
prego,
un bacio ad Attica
Tullia e a dare
notizie di
scolano, sappia ciò che sta
per iscritto o a voce
;
mandami,
se
me
frattanto,
nel
Tu-
pure
tro-
la saluterai
Dolci espressioni che x^rovano
(^).
»
o
chiaccliierando,
scrive
ti
;
mentre rimango
afììnchè,
lei,
vasi in villa, ciò che
—
173
quanto bene Cicerone volesse ad Attica e come o^'-ni jnh minuta cosa fosse per lui attraente nella sua giovane amica. Alcuni mesi prima della morte di Tullia, Attica fu
da febbre maligna
salita
di mitglioramenti
mise,
pericolo
in
anzi,
che la tenne, con alternativa
('^)
di ricadute,
e
lungamente inferma
morte.
di
as-
Indescrivibili
e la
dolore
il
e l'angoscia dei suoi genitori e di tutti gli altri della casa,
che vedevano a poco a poco consumarsi la cara fanciulla e, al
suo letto intenti a prestarle la
non avevano che una di Cratero,
affettuosa assistenza,
sola speranza nel cuore
medico famoso di que' tempi, che
grande amore
turale gaiezza in
padre di non
il
male,
mezzo
alle
figliuola
e,
:
la valentia
la
curava con
piena
di co-
serbando anzi la sua na-
sue lunghe sofferenze, pregava
per
afifliggersi
morte dell'adorata ziante dolore e
mo stravasi
Attica, invece,
(^).
raggio nel sopportare
il
piti
lei
Cicerone poi, che la
(^).
aveva immerso
nel
piti
stra-
era ritirato, per cercare refrigerio a tanta
si
ambascia, nella solitudine della sua villa di Astura, non
mase
^on
ri-
male che tormentava Cecilia, quel tempo, scritta da lui a Pomponio,
insensibile dinanzi vi è lettera di
al
Atque utinam continuo ad com{^) Ad Att. XII, I, 1 (24 nov. 46 a. Cr.) plexum meae Tvlliae, ad oscvlnm Atticae possim cnrrere! Quodquidem ipsum scribe, quaeso, ad me, vt, dvm consisto in Tusctdano, sciam quid garriat sin rvsticatvr, quid scribat ad te, eique interea aut scribes salutem, :
:
aut nuniiabis. il 15 febbraio 45 a. Cr. (cf. Schmidt, op. cit., p. 207 febbre da cui venne colpita Attica deve essere apparsa la prima volta nel giugno 46 {ad Att. XII, 3).
(2)
e Heg.)
{'')
Tullia mori la
;
Ad
da Orazio
—
Alt.
{Hat.
XII,
6,
II, 3
4
;
13,
101
v.
;
1
;
14, 4
;
cf. /S'rj/ioifm.
17.
ad h. 1. e il coirini. del Iahn, abstinentia 1, 53 IIkrcher. XIIl. M), 1. (4) Ad Att. XII, n V.
65
v. sch.
;
Cratero è ricordato anche
ad. h. p.
1.)
e
da Persio
157).
Cf.
(*SV/i.
Porpiiyr.,
III,
De
— non
elle
la ricordi
174
con ogni più affettuosa premura
pare trascurabile di fronte
gli
trova
;
— :
tutto
stato nel quale essa
allo
spesso rilegge le lettere del padre clie parlan di
e in queste soltanto trova gusto e conforto,
ma
si
lei,
nello stesso
tempo ne aspetta, con impazienza, di nuove (^); si duole che peni tanto a riaversi (^) raccomanda ad Attico che Pilla non si angusti di soverchio, avA^ezza com'è purtroppo ;
ad
affliggersi
per tutti
(•'^) ;
s'inquieta se passan tre giorni
senza aver notizie di Attica, sebbene egli stesso ne cerchi e
ne trovi
la
ragione
(*)
;
mandargli un saluto, ne muove
di
forti
si
lamenti,
dimentica
ma
nello
« ricordami, tempo scrive al padre con affetto, a peraltro non dirle che mi sono adirato» (^); e una volta,
stesso lei, il
e se la cara fanciulla
:
suo dolore è tale che giunge perfino ad usare siffatte pa-
role
:
«
la
malattia della nostra Attica mi angustia immen-
samente, tanto che temerei vi fosse colpa in qualcuno, seb-
bene
pedagogo, l'assiduità del medico e
la probità del
le
mi lascino concepire piìi non posso dirti » (^).
cure amorevoli di tutta la famiglia non
un
dunque
simile sospetto. Curala
Ad
;
di
Sed quid haec levia caramns'ì Attica mea, XIII, 13, 3 ohsecro te, quid agiti qnae me valde angit, sed crebro regusto ttias litteras; in iis acquiesco, tamen expecto novas. Ci. ib. XIII, 17. (2) Ad Att. XII, 6. Piliam angi veta ; satis est eam maerere prò (^) Ad Att. XII, 14 omnibus. Così leggo questo passo del quale sono varie le lezioni proposte dagli editori. Mentre nel codice Mediceo si legge Piliam angi vetabat is est merere, alcuni (Orelli, Nisard), sulla fede del Du Boys, coiTeggono satis solitus es maerere prò omnibus; altri (Boot, Sclimidt, Wesenberg, Purser) leggono satis est me maerere prò omnibus. Ma nessuna di queste lezioni mi pare accettabile, poiché il pensiero di Cicerone, a senso mio, non è che questo egli non vuol punto usurpare il dolore giustissimo di Pilla, ma sapendo quanto il cuore di lei sia sensibile ai dolori di tutti (e lo abbiamo veduto citare una sua lettera commovente), cerca "d'impedire che si angusti troppo e ne risenta perciò qualche danno la {^)
Att.
;
:
:
:
:
:
,
sua salute. Quid agii, obsecro te, Attica nostra ? nam triduo (*) Ad. Att. XIII, 15 abs te nnllas acceperam ; nec mirum. Nemo enim venerai, nec f orlasse causa fuerat. (5) Ad Att. XIII, 22, 5. («) Ad Att. XII, 33. 2. :
— Per esprimere
con
la
massima
volta, di queste parole
commotiunculis
:
vogliono dire: «io soffro con brili
»
eOìeacia, tutto
il
Cecilia, Cicerone
cagionava la malattia di
clxe gli
una
i^oi,
—
175
dolore serve,
si
dei suoi piccoli accessi feb-
lei
Egli usa la parola greca simpatizzare, perchè
(^).
clic
au|jL7ràayo),
non
trovava nel linguaggio romano un vocabolo che esprimesse tutto ciò che sentiva nel cuore per Attica sapendola inferma,
manifesta
e
suo
il
sentimento
forma
in
cosi
delicata,
da non potersi tradurre e che paragonabile alla frase famosa della marchesa
così piena di tenerezza,
tanto è
Sévigné quando scriveva a sua
me
mal à votre poitrine
fait
figlia ('^).
»
:
La
«
Del
sol-
De
de Grignan...
bise
resto l'apprensione
continua di Cicerone per la salute di Cecilia è dav^^ero com-
movente: pare tatore
che
(^),
tema per
egli
padre di
il
impressioni così soavi e che forma per lui
di
Giuseppe Giusti
si
dopo aver trovato giovamento
l'aveva condotta
di lui,
Ad
(1)
Alt.
versi
i
XII,
piti
gentili
e in te si posa.
Cumana
lago Lucrino, ove la madre, per
il
l'argomento
:
nel soggiorno incantevole della villa
presso
provare
gli fa
possono applicare
Ogni più dolce cosa Fugge l'animo stanco Attica, che
una sventura
lei,
eguale alla sua, e alla graziosa fanciulla che
caro delle sue lettere,
commen-
con ragione un suo
quasi, nota
di
suo male Cicerone,
consiglio e invito
e al ritorno in
(*),
al
Eoma
era
di
11.
Lettera del 29 dicembre 1688 in un'altra lettera (3 aprile 1680), sempre diretta a sua figlia, la marchesa adoperava espressioni simili (2)
;
:
«
vos brasiers, vos pesanteurs, votre point
je sens
cit.,
p. (•')
p.
171
Cf. C.
Bader,
op.
Charles Nisard, Notes sur
les
lettres
de Cicéron
(Paris 1882)
(lettre 566).
(^)
Eli/m,
».
215.
Ciò risulta dalla lettera ad Att XIII, 27, 2 (25
(fili
e
Otimano venerdì,
r/vod et piane valere
maggio 45)
Atticam nvntiahat
:
et
dapprima avevo dubitato che nella parola Cvmano del passo citato si celasse un errore, poiché nell'epistolario di Cicerone non vi è traccia che, nel maggio 45, Attica sia stata condotta a Cuma ma, come mi fa gentilmente osser-
litieras se
habere aiehat, statim ad
misi.
te
;
Per vero
dire,
— malata
nuovo caduta tanto che
a vedere
andava, intanto,
si
('),
padre, per darle
svio
—
176
nn
riavendo;
poex) di svago, la
condusse
giuochi circensi, decretati dal Senato in
i
non gradì quei
di Cesare. Cicerone, avversario di lui,
onore
giuochi,
perchè, accanto alle immagini degli dei, che portate in gran
pompa,
solevano
li
statua del
dittatore
(^)
ma
;
Attico di avervi condotta la
veva, per l'animo qualche
vare per lettera
il
comparve allora anche la pure approvò pienamente
precedere,
figlia
«
:
vi è sempre,
uno
sollicA^o in
gli
scri-
spettacolo, sopra-
abbiamo già cose ciceroniane, non vi è
prof. 0. E. Schmidt, la cui opera
ricor-
errore data e che oggi forma autorità nelle alcuno nella lettera del 25 maggio, ogni covsa anzi si spiega benissimo (ed io convengo pienamente nelle sue osservazioni) purché si ponga mente alle
lettere
come
già
si
accompagnata dalla mentre Cicerone trova-
jiartenza di Attica,
Cuma avvenne
madre Pilia, per vasi Ovspite,
La
antecedenti.
nell'aprile 45,
è visto, di Attico nella sua villa di Ficulea,
e
due amici era rimasto naturalmente interrotto. Ciil cerone, fermatosi nella villa di Attico fino al 30 aprile, passò gran parte dai del mese seguente in Astura, in Lanuvio e nella villa di Tuscolo quali luoghi più volte mandò il suo liberto Aegypta nel Cumano per informarsi della salute di Pilia e di Attica {ad Att. XII, 37, 1; 40.5; l'ultima volta che il liberto venne da Cuma fu appunto 45, 2) 47, 3 il 25 maggio 45 {Aegyptam, secondo lo Schmidt, è forse da scrivere in luogo di evm, nel passo citato) e poiché esso diceva di esser latore di alcune lettere per Attico, Cicerone lo mandò subito a Eoma, ove l'amico suo allora si trovava. Ciò posto, nella lettera ad Att. XII, 37, 1 (4 maggio 45) ove si legge: accepique ab Aegypta liberto eodem die Pili a m et Atcarteggio fra
i
;
;
;
ticam piane die,
belle se habere.
Hae
queste ultime parole {hae
litterae niihi redditae
litterae
—
die), già
sunt
tertio
decimo
sospette al Manuzio,
non sono da trasportarsi, come lo Schuetz (v. Boot, 1. e, p. 545, n. 1) e lo Schmidt (op. cit., p. 280) propongono, per ragione di tempo, dopo le altre ad me quoque misit (scil. Brutus), ma devono essere lasciate al loro luogo (e sono lieto che lo Schmidt stesso, come mi scrive, ne convenga), poiché coteste lettere sono quelle di Pilia e di Attica, allora in
Cuma, che Cicerone scritte,
tito pili tardi (^)
ricevette,
(2)
tredici giorni
]>ar-
da Cuma, o aveva dovuto trattenersi più giorni per
via.
La prima
lettera in cui
avvenuto sui primi
Ad
Appian.,
da che erano state
portava,
quale o era
23 giugno 45 {ad Att. XIII, 12, essere
dopo
per causa del liberto Aegypta, che
Att.
XIII, 44
bel. civ.
3,
54
;
:
il
parla della ricaduta di Attica, é del
si
1)
le
;
dunque
il
suo ritorno
in
Roma
dove
di giugno.
acerba
pompa
Suet., Caes.
;
Ofi.
cf.
Dio. 43. 45
;
44.
(»
;
47. IS
;
—
—
177
tutto se questo (e con tali parole ogli alle
immagini degli
Attica
con la
dei) è di carattere religioso
perfettamente,
guarì
infine
pensiero,
delicato
alludeva, appunto,
invitò
la
madre a prendersi un
e
(').
allora
(cicerone,
insieme
nuovT)
di
»
(5on
dopo tante solTeavendo compreso che
po' di solliev^o,
Ouma
renze, niella sua villa di
ma
;
Attico non voleva per la seconda volta separarsi dalla sua cara figliuola
{^),
si
contentò che Pilia venisse sola a Cuma,
ove l'accolse con ogni specie di i
villici e tutti gli
cortesie,
agenti a sua disposizione
dalla sua villa di Pozzuoli, ove allora
a visitarla, tantoché Attica
mezzo del padre, tutta per
mettendo
si
ed
;
trovava
egli
stesso
(^),
venne
affrettò a manifestargli, per
si
la gratitudine
che sentiva nel cuore
cure amorevoli che egli prodigava a sua
le
la villa,
madre
{^).
Poco tempo dopo, Cicerone, in mezzo ai pubblici avvenimenti che seguirono la morte di Cesare e alla vigilia di partire per la fugio,
Grecia dove
da un lato l'apatìa
nacce degli avversari, leg'gera
si
consigliavano di cercar
lo
de'
suoi amici, dall'altro le mi-
nabile
dimenticanza (forse non
le
aveva mandato
(2) (3)
19,
6.
suoi
i
padre), ben perdofece
però
qualche
lamento, e Cicerone subito a scriverne a Pomponio
(^)
una
rese colpevole verso Attica di
come era solito, per mezzo del in momenti sì gravi. Attica ne
saluti,
ri-
:
«
tua
V. la lettera citata nella nota precedente.
Ad Att XIV, 2, Ad Att. XIV, 15, Il
4.
3
16,
;
Beloch {Campamene,
1;
p.
17,
1
;
20, 5
;
XV,
1 b. 1.
Cf. ib.
XIV,
175) crede che la villa di Pozzuoli,
a cui accenna Cicerone nella lettera ad Att. XV, 1 b., 1 sia quella lasciatagli in eredità da M. Cluvio, un ricco banchiere puteolano e indicata in altra 8ua lettera (ib. XIV, 16, 1) col nome di horti Cluviani ; ma non mi pare abbai^tanza provata la sua congettura, o almeno egli non adduce argomenti così perentori da eliminare la opinione comune, secondo la quale il Puteolanum è diverso dal Cumannm e dal Cluvianum. V. su ,
questo punto Li cu tene erger,
siorum 1895), ("*)
Ad
p.
Alt.
De
Ciceronis re 'privata (Lutetiae Pari-
14 e seg.
XIV,
19, 5
:
Atticam
meam
gratias mihi agere de matre
gaudeo, cui gvidem ego totnm villani cellamqne tradidi V. idvs videre.
Tu
Atticae salutem dices.
Nos Piliam
eamque cogitabam diligenter tuebimur.
12
— figlia ho. ra):>ioiu'
sebbene
mio lo
—
la colpa sia tutta tua, e dille
malumore
e
scusa in mio nome,
lameiitai\si, eliiedile
ma
altetto per lei» (');
suo
il
(ii
178
che immutabile è
la cara fanciulla
il
depose tosto
chiederne perdono a Cicerone che
\'()lle
accolse con oran tenerezza
(^).
Pom])ei e
momento di lasciare nuovo a Pomponio: «io Al
un bacio alla nostra Attica il saluto che tu mMn\ ii ila parte sua mi e così dolce ricambialelo, te ne prego, con molta ell'usione » (^). Durante il viaggio, in una
desidero di dare
;
:
lettera scritta in Bivona,
sioni piene di affetto
amore le
si «
:
ricorda di
Attica, la
lei
con queste espres-
mia
delizia
e
mio
il
quando i venti contrari lo risospingono verso coste d'Italia, navigando alla volta di Pompei, egli ha »
C*)
;
e
ancora un pensiero
jìer la
«soavissima Attica»
poco
e
(^)
dopo, dalla sua villa di Pozzuoli, lieto di sentirla vispa e contenta, raccomanda a suo padre di baciarla
Sono queste
le
Cicerone
«
dopo,
giustizia
»
ultime lettere che la ricordano nobilissimo
sappiamo, se non che,
tica nulPaltro
ad Agrippa, l'amico famoso (1)
tico o
o
Ad
Att.
XV,
27, 28.
Il
Ad Ad
e
(^).
della
Di At-
andò sposa non è conget-
piìi tardi,
Augusto
(9),
(ep. cit., p. 693)
abbia dimenticato di presentare alla visitarlo nella sua
(^).
un anno
;
dell'onestà
Antonio
lui
figlia
i
e
congettura che Atsaluti di Cicerone,
villa di Tuscolo.
XVI, 1, 6. XVI, 3, 6 Atticam nostrani cupio suavinri et rei. così codice Mediceo. Lo Sciimidt {Die handschriftl. Ueberlieferung der
(2) (^) il
di
Boot
non l'abbia condotta a
ha
martire
finiva ucciso dai sicari di
(')
per
Att.
Att.
:
;
an Attiens [Philologus 1896, p. 703]) fa bene osservare che il participio ahsentem, riferito ad Attica. che si legge in alcune edizioni sciupa e che manca nel codice Mediceo è una interpolazione la quale tutta la gi'azia del concetto ciceroniano. Briefe Cicero' s
(6)
Ad Ad Ad
(')
Vannucci, Studi
(*) (5)
Att. Att.
Att.
XVI, XVI, XVI,
edizione), Torino, (^) {*)
viro
6,
4.
7,
8.
11, 8. storici e
morali sulla letteratura latina
(terza
1871, p. 209.
dicembre del 43 a. Cr. Probabilmente nel 36 a. (^r.; il matrimonio fu concluso dal triumIl
7
M. Antonio.
Of.
Nep., Ati. 12, 19, 21; Suet.. Tiher.
7;
Denrinl.
—
179
—
tura improbabile elio poclii anni della sua giovinezza
dopo
sia
il
mistero
anni che videro
cir-
in (juegli
ultime lotte della morente repul)blica,
le
tumulti, le proscrizioni e
i
fiore
elie
tua vita, dopo la morte di Oicerone, seguirti
la
([uando
nel
(').
Noi vorremmo eonoscere, o Attica,
conda
morta
gli eccidi
fecero deside-
romana un periodo sapere se tu fosti felice o infelice, come di pace e di quiete farebbero forse supporre le oscure parole di un antico scritma pur tore che i moderni non hanno bene compreso {^) troppo siffatta curiosità non è possibile a soddisfare. E forse non è un male, poiché così, nel nostro pensiero, il tuo ricordo non può concepirsi disgiunto da quello di Cicerone, rare ardentemente alla esausta società ;
;
per
quale sopratutto tu riesci a noi cara e simpatica.
il
Egli, rimasto senza affetti nella sua casa, ti
mente, e seppe ritrovare, nel suo cuore, per quelle leggiadre Tullia, la sua
tu
sorriso,
espressioni
amata
figliola,
;
Senec
;
quali
le
mentre tante
te,
tenera-
alcune di
soleva chiamare
volte, col tuo dolce
inconsapevole, di
forse
consolatrice,
fosti
negli ultimi e tristissimi
16
con
amò
lui,
anni della sua travagliata esistenza.
ep. 21, Figlia di Attica e di
Agrippa fu Vipsania Agrippina,
un anno appena, venne de.stinata sposa a Tiberio. Che, nel 45 a. Cr.,si fosse pensato ad un matrimonio di Attica con un giovane di nome Talna può risultare dalle lettere Ad Att. XIII, 21, 7 29, 1,
la quale, di
;
sebbene
il
Drumann
(op. cit., V^, 92, n. 2) lo
de Cicéron à Atticus, Y, 524) e derla cosa possibile.
una
lettera di {^)
A un
Bruto
al
il
Boot
(1.
cit. p.
altro progetto di
padre di
lei
neghi e
Mongault
{Lettres
581, 589) esitino a cre-
matrimonio per Attica allude
{Ad Brut.
Attica sarebbe morta prima del 32
il
1,
a. Cr.,
17,
7).
l'anno in cui morì suo
padre poiché non trovasi nominata, come pure Pilla sua madre, da Cornelio Nipote [Att. 21) fra le persone (e fra queste vi ò il genero ;
Agrippa) presenti ai suoi ultimi istanti. (2) SuET., De gramm. et rhet. 16. Il Drumann (op. cit. V^, 92 fonda su questo passo congetture che a me paiono prive di qualsiasi fondamento. Più prudente è il Frandsen, M. Vipsanius Agrippa (Altona 1836) p. 255 cf. p. 41. V. sul passo di Suetonio le mie osservazion ;
nel lUdU'Mino di filologia clasnica
IV
(1897)
p.
110 e seg.
LA DIARCHIA ROMANA
Teodoro Mommsen,
nell'opera
Eomani che può
pubblico dei
intorno
sua
diritto
al
manifestazione
la
definirsi
''>
più splendida della sua grande operosità e di cui è comple-
mento, come
egli stesso
penale di quel popolo
dice,
(^),
il
volume intorno
insegna che
dine
ma
costituzionale
E epubblica
i
antitesi all'or-
segnandone
la
fine,
poteri straordinari che, dopo ventidue anni,
erano succeduti nello stato e ne avevano, se non abrogata,
sospesa almeno la costituzione di Cesare e si
come
piuttosto mirava a ristabilirla nelle sue antiche basi,
distruggendo si
della
principato di Au-
il
gusto e de' suoi successori non sorgeva
diritto
al
:
vale a dire, la dittatura
triumvirato rei iniblicae constittiendae. Se ben
il
guardi, l'imper'o
venne
costituito in
modo
che, conside-
non potrebbe chiamarsi col nome di monarchia, sia pure di monarchia temperata, ma bensì con quello di diarchia, intesa questa nel senso di un potere ripartito fra il senato, da una parte, e il principe,
randolo
costituzionalmente,
rappresentante del jjopolo, dall'altra. Certamente la verità di questa concezione del x^rincipato
chiara se
non
dallo studio
minuto
ma
dell'imperatore e del senato,
confermano di
:
l'uno di
Gaio Caligola
delle
singole attribuzioni
pure due
(^)
;
l'altro del
giureconsulto
(2)
Pubblicato naW Atene e Boma, 1900. Theodor Mommsen, Rómisches Straf rechi,
{^)
Dio., 59,
(1)
flO'>À£'jxag...
tzoX'at.
fi,
1
:
testi precisi
la
Dione Cassio che riassume un discorso
senato
al
romano non può apparire
aùxòi;
èy.cXàxeoos,
[ò Tdioc,] èg tyjv xy)v...
Pom-
LeipzU/, 1899.
Y)YS|JLOVt,'av
àpxvjv XGtvo)astv acpCat.
àvtoTtaxéaxv)... .
.
bniay^zxo.
Toòq,
— pò Ilio
La denuncia
(*).
da un
trovarono
;
sul
tentativi fatti,
i
loro
la
un semplice strumento
principe
nel
XX
prima applicazione nei
tempo
rei puhlieac ctirandae, al
e.
compromesso
del
per costituire un governo assoluto del senato
lato,
che avrebbe aAuto
s.
progressiva
fondavasi la diarchia di Augusto
(luale
elle
—
182
viri
Massimino; e
di
i
e
ex
ten-
monarchia assoluta senato e che trionfarono con Diocleziano
tativi fatti, dall'altro lato, per fondare la
rovine del
sulle
e
suoi successori, son tutte cose che spetta di tratteggiare
i
Koma, non
allo storico di
blico
C^).
Ma dal
all'espositore del suo diritto pub-
contro la concezione del principato romano ideata
Mommsen
e che fin qui
abbiamo fedelmente
riassunta,
non sono mancate opposizioni. E invero sostengono alcuni che il nuovo reggimento instaurato da Augusto era una il principe non aveva nel suo vera monarchia assoluta ;
potere alcun limite legale, né alcuna responsabilità efficace lo
vincolava; e
il
senato non era indipendente,
ma
sottoposto
aggiungono
gli
oppositori
del tutto al principe. del
Mommsen,
per
Del
resto,
giudicare
rettamente
imperiale, è d'uopo tener conto dei fatti, e
esteriori,
furono, in sostanza,
portarono
mano non fra
il
nome
il
vi
A^eri e
di re;
sono
non
appunto che
insegnano
fatti
i
costituzione
la
i
delle
primi
forme Cesari
propri monarchi, eccetto che
onde
storia dell'impero ro-
nella
due momenti o due
fasi
successive
versità di forme. Per conseguenza
Mommsen non non
(2)
(^) 1,
nisi
i
:
Quominus
mperator
Mommsen, Le
Disegno
dal
solamente per un giure-
(^).
Dig. 43, 12, 2
impedii,
sistema proposto
il
di-
corrisponde alla verità storica, o almeno,
e falso addirittura, ò vero
consulto
(1)
:
periodo dell'impero che s'inizia con Augusto e quello
che ha principio con Diocleziano, intercedono semplici
se
non
ani
droit public
cv puhlico flumine ducatur aqua, nihil is
e
n a
romain
del Diritto pubblico roinano (traci,
t
u
s
vetet.
(tra
it. ili
V,
patf.
-4
o ^^o^,;
P. 1U)NFANTE) p. 400 e
st'o-.
V. specialmento, Mispoulet. Institutions politiques des liomnins,
245 e
seg.
;
Bouché-Leclercq. Manuel
dett
Institutions Eomninei:
—
addotte contro
Siffatte obbiezioni,
me
niana, a
che
si
—
183
teorica monirnse-
la
paiono assolutamente inaccettabili, come
fondano sopra un equivoco.
1^]
per vero
dire;,
sen e coloro clie lo seguono sostenessero che
eguale dei pubblici poteri, ira
al tutto
se
una
senato e
il
(j
nelle
JVlomm-
il
ripartizione il
principe,
non potrebbe, senza alcun appunto la storia dimostra
esistesse in fatto, cotesto sistema
poiché
ammettersi,
dubbio,
che, neir amministrazione e nel la parte del principe era
governo della pubblica cosa,
preponderante e dal suo carattere
personale dipendeva, in sostanza, quella del senato.
concetto del
Mommsen
ben diverso
è
la ripartizione eguale dei poteri fra
cioè la diarchia, esistesse in fatto,
in diritto, ne vale
senato e
il
ma
principe,
il
che esistesse soltanto
dire che^ per giudicare la costituzione
il
imperiale romana, devesi aver riguardo ai fatti e
forme
esteriori, poiché, in
una
il
ne n sostiene che
egli
;
Ma
primo luogo,
non
alle
nello studiare l'in-
dobbiamo fondarci anzitutto sopra criteri di diritto pubblico e non sopra criteri meramente storici e in secondo luogo, ammessa come vera dole
di
costituzione,
;
diventerebbe impossibile
l'ipotesi
contraria,
tutte
costituzioni
le
diverso
il
da quello
modo
antiche
col quale
col quale
si
e
moderne,
svolgevano e
Moklot,
il
i)rincix)ato
romano
molto
svolgimento
lo
si
di
svolgono in fatto
Del rimanente, se pur devesi tener conto dei vorrà negare che
studio
essendo
si
ne è concepito in diritto
lo
fatti,
(^).
nessuno
divideva in due
Rome, pag. 292. 11 Landucci che Timpero iome di fatto, al tempo di o dei suoi successori, una monarchia, e che di diritto non lo divenisse mai sino a Diocleziano ma che nel primo pag. 126;
{Slorid del Diritto
Inntitntions politiques de
Romano, Augusto
l,
494, n.
2), sostieii(3
;
periodo deirin)i>ero, «giuridicamente, rimanesse la precedente respubiica» non mi pare animissibile, né il Landuc(;i lo ha provato. (^) So bene che, in quanto si attiene si)ecialmente alle costituzioni
moderne, ha grande forza la consuetudine;, sia sotto forma attiva, come dice il MoiiKLLi {La funzione lefjidaliva, pag. 188), sia sotto forma di desuetudine, ma non credo che essa, possa trovare applicazione nel caso nostro.
— parti
:
la parte antica
184
—
repubblicana di cui era centro
il
se-
nuova che si imperniava nel principe e questa divisione di poteri, come bene osserva il Karlowa (i), si
nato, e la
;
manifesta essenzialmente nella ripartizione delle provincie in senatorie e imperiali
iieiV aerar him, la
;
nato, e nel fiscus, la tesoreria imperiale
tesoreria del se-
nelle magistrature
;
repubblicane e nei prefetti e procuratori imperiali iudiciorum privatorum repubblicano cognitio imperiale
tum
;
e nelle costituzioni imperiali
due
poteri, se
quali
il
mi
quelli
neìVordo
extraordinaria
forma repubblicana
nella
novum. Erano adunque
i\is
nella
e
;
del
itis
scrip-
nel ius ordinariiim e nel
;
del principe e del
senato
è lecito così dire, a contatto fra loro, dei
primo, più forte, tendeva, per la stessa legge
ad assorbire lentamente
contatti,
il
secondo,
dei
non senza
qualche sua resistenza, e in questo lentissimo e progressivo
assorbimento
si
riassume tutta
la storia costituzionale del-
l'impero da Augusto a Diocleziano. Soltanto allora nel
nato ogni autorità vien
meno
e
il
assoluto potere che esteriormente
indossata dall'imperatore,
nel
principe è investito di si
;
soluta
mano
Ma
soltanto (^)
allora
snhiecti, servii ooOXoc
come vogliono
se,
manifesta nella porpora
titolo ufficiale di doìni-
comincia davvero
soltanto allora
;
gli
un
diadema, nel nimhtis, nella
ceremonia dell'adorazione e nel suo nus
se-
la
monarchia
abitanti dell'impero
si
as-
chia-
(^).
gli
Mommsen, anche
avversari del
prima di Diocleziano, l'impero era una monarchia assoluta, potremo ammettere che esso fosse allora, come fu dopo, realmente una servitus f (Potestà espressione applicata al principato trovasi in Plinio in
una sua
dice che
(^) (2) (^)
il
lettera,
il
giovane,
il
quale, parlando
degli ultimi anni del regno di Nerone,
servaggio ave\'a, in
([uel teinj)0, reso
Eòmische Rechtsges chi citte, I, 492. WiLLKMS, Droit public romain (7 ed.), pa^j. 562. V. le fonti citale dal JìkthmaniN -IIollweg. f?om.
Ili, 21, n,
48 e dal Willkms, op.
cit.
pag. 541.
ii.
S.
pericoloso
Civilproseìft:.
—
—
185
ogni genere elevato e liberale di studi (M ^ in un'altra sua lettera chiama il regno tirannico di Domiziano, tanto simile ;
a quello di Is^erone, priorum temporum servitus, dice che ha fatto dimenticare al
diritti del
i
A
(^).
monianza
contrappone
e lo
(^),
regno di Kerva, che invece designa con
lihertas
parole reducta
le
quella di Plinio potremo aggiungere la testi-
monete
di alcune
e di alcune iscrizioni di Claudio I,
Galba, di Vespasiano, di Kerva e di Pertinace, nelle quali
di
di fronte al
cotesti principi,
sertores
puhlicae
lihertatis
governo dispotico dei loro
(*)
potremo
;
aggiungere
altresì
testimonianza delle cosidette monete autonome che
nato fece battere dopo
trixj
Hercules
restituta,
di
Nerone, con
Roma
liberatore dell'impero
{adsertor a
Nerone
nemico del genere umano {Nero
come
il
se-
leggende
Roma
:
vic-
quando Vindice,
31 ars ultor etc,
adsertor,
le
renascens,
contro la tirannide di Kerone,
insorgendo
testo
morte
la
Roma
lihertas restitiita,
ri-
sono chiamati restitutores ovvero ad-
spettivi predecessori,
la
senato
era acclamato
lihertatis)
da
co-
principatu suo
toto
chiamava (^). Ora tutte queste testimonianze che cosa provano ì Che il Jiostis
generis Jiumani),
regno di quei
jjrincijji,
Plinio seniore lo
durante
chiamava servitus cominciava, quando il s
il
un fenomeno
senato era oppresso,
lihertas
ri-
-nato, risollevandosi dall'oppressione
tirannica di alcuni imxjeratori,
servitus
il
e che, al contrario, la
si
quindi la
quale
riprendeva
il
suo posto, e
nel j)rimo i)eriodo dell'impero apparisce
transitorio,
non uno
è forza concludere che fra
il
stato permanente. Pertanto
x)eriodo che s'inizia
con Augusto
C) Kp. 111,5, 6: Duhii sermonis odo, scripsit [avunculus meus] sub Nerone novissimis (tnnis, cum omne stiuliorum genus paiilo liberius '
et erecti US (2)
to ri
periculosnm
Ep.VIlI,
nervitus
14, 2
:
fecisset.
Triorum temporarn servitus... iuiis sena-
(juandam
{*)
et ignorantia V. la l(jttera citata nella nota precedente. V. le fonti citate v. «opra pag. 84.
(^)
Sulle
i
i^)
()
b
attribuito
1
;i
i
vi oiKi
in
monete autonome Vindice da Plinio
le opinioni dei
dotti,
v.
e
sull'appellativo
r^cniore,
soj»ia pag. 83.
e
di
sul (jual(i
iii
iriduxit.
adsertor lihertatis
non sono concordi
— e (quello
comincia con Diocleziano,
cl).e
ma
diversità di forma,
Una
—
186
vi
non semplice
o
assoluta diversità di sostanza.
rij)rova analogica della ^-erità di
quanto siamo ve-
nuti dicendo lin qui trovasi anche nella storia della schia-
romana.
vitìi
E
invero la condizione dello schiavo
romano
può essere giudicata differentemente, secondo che la si esamina dal punto di vista delle leggi regolatrici di essa, o dal punto di vista della realtà delle cose, o, per dirlo piti brevemente, secondo che
si
primo aspetto, essa
Sotto
il
come
tutti sanno,
godeva
la
esamina in
diritto
manifesta assai dura, poiché,
si
non
servo, nato in casa o acquistato,
il
di alcun diritto personale o patrimoniale, era consi-
come parte
derato una cosa,
come un suo
capitale, e
del patrimonio
padrone avcAa
il
il
usarne e di abusarne a proprio talento sino ciderlo
mente
o in fatto.
(^).
Ora questo
diritto
così
del padrone,
pieno diritto di al
rigoroso
punto che,
di uc-
special-
nei pili antichi tempi, le leggi consentivano ai padroni
sui loro
servi,
\enÌMi mitigato dal costume nella pratica
applicazione di ciascun giorno
pagine mirabili della sua opera
Gastone
e
;
la Religione
nelle
Boissier,
Bomana da Au-
gusto agli Antonini, in cui descrive la condizione degli schiavi,
nota giustamente che pili
intime e
meno
giunta supporsi
riservate di quello che potrebbe a prima
E
(-).
ai loro schiavi si
relazioni fra padroni e servi erano
le
invero sulle
tombe
erette
dai padroni
leggono iscrizioni piene di sentimenti
af-
una prima, un padrone ringrazia una schiava in una seconda si ricorda del suo grande amore per lui (^) che il servo fu tenuto come figlio (^) e in un'altra si fa dire « ser\ itìi al servo medesimo tu non mi fosti mai troppo sfavorevole » (^). Sulla tomba di un centurione erettagli fettuosi
:
in
;
;
:
{^)
Padelletti, Storia
(^)
Boissiicii, L(i
(3)
C.
IX, 1776:
lii'liijion
I).
domiuHS oh merita eius
et
Ixomuno (Firenze 1S78).
del Diritto
Honudm'
(troif^ièiiie
éditioii).
]>ai;-.
II.
lóT. 32l>.
Calhemerae ri{jit) an{nis) X X VI Iluic probitatem qnod eum pieno adfeetu dilejerit.
M.
\
|
\
fecit.
VI. 18754: rer{na) loco jiHii) hab(itus). l>niinbaeh. 1246: servituti mihi «««/<«i(sie) innda (^) C. XllI, 7111) fuisti. Ma il servo, volendo mostrare subito quanto fosse ])er lui iuesti(*)
C.
=
—
—
suoi servi divenuti poi liberti,
(lai
non dono
ma
presi moglie,
«
ci
187
leggono queste parole
si
procreai dei
e
figli »
:
liberti rispon-
i
(i)
ed un'altra iscrizione, infine, «bene; addio» mostra una madre cl).e non fa dii'ferenza alcuna fra il se:
;
polcro
ed
del
e
figlio
quello
provano adunque che
erigerle a regola generale, e
punti
romana,
contingenze favorevoli
di coloro
i
leggieri
moltiplicarsi,
ai
non prescinde da non può peraltro
se
servi,
deve convenire che
la
condizione
sebbene trattati con umanità, non avevano
quali,
da invocare per difendere l'onore
diritti
Questi
C^).
di quella che le leggi dipingono,
storico della schiaviti!
queste
di
schiavo
condizione degli schiavi romani era^
la
meno dura
in molti casi, lo
proprio
esempi che potrebbero
altri
ma
del
e la vita, era
una condizione miserrima, era sempre una servitù s per quanto non gravosa. Orbene,
se
queste
mano, a parer mio, a rovescio, vero nel suo
«
Diritto pubblico
teorica dei pubblici x)oteri, egli la
sono
considerazioni
la tesi del
Eomano doveva
»,
confer-
giuste,
Mommsen. E
in-
ricostituendo la
far rivivere soltanto
costituzione imperiale nella sua essenza, quale Augusto
l'avea concepita e quale
ma
si
se parecchi principi
co testa
trici di
svolse nel primo periodo dell'impero;
allontanarono dalle norme diret-
si
costituzione,
tanto che
il
loro regno
dege-
nerò in vera e jjropria servitù, di cotesti fatti transitori
Mommsen non Ciò
nondimeno
ma conferma che, nel
poteva tener conto ed anzi
il
ijrincipio
primo periodo
del
costituzionale,
infirma,
mommseniano, vale a
dell'imjjero,
era
a sistema.
non
la transitorietà di cotesti fatti
una d senato, non una monarchia
spetto
erigerli
i
il
dire
i)rincipato, sotto l'a-
a r e
li i
assoluta,
a del principe e
come a
torto è
jnaciuto ad ah*uni scrittori di aifermare e di sostenere.
mabilo
lu
liberta, eoiitiiuia cohì
:
lihertaten (sic) misero
\
mors
abstulit
iniqua. (^)
macie
C
tu.
{'^)
C.
III,
I
().').'{
:
vale.
VI, 22!)72.
7ion fui
marifuH
et,
il
rdiffui lilìcroH. Servi
domino
.
LE
STATIONES MUNIOIPIORUM
«
»
(''
Giuseppe Gatti pubblicando nel BtdUttino Comunale 1889,
un importante frammento epigrafico rinvenuto nel Foro Eomano e spettante ad una delle stationes municipiorum situate nei Foro medesimo, scrive non esser abbastanza conopag. 242,
rammenta,
sciuto lo scopo al quale erano costituite, e solo
senza pronunciare intorno ad essa gettura proposta dal
Mommsen
proprio avviso, la con-
il
a proposito delle stazioni dei
menzione in una ben nota lapide
delle quali è fatta
Tirii,
ma
pu teolana che citeremo appresso. 11 prudente riserbo dell'acuto epigrafista romano richiamò la mia attenzione sox)ra l'importante argomento e mi condusse a studiarlo e il resultato delle mie indagini presento ai lettori del Bullettino. ;
Innanzi tutto raccoglierò qui
il
materiale letterario
epigrafico che riguarda le stazioni dei municipi 1
XVI,
Plin., Nat. Hist.
)
44,
[loti\
in forum usque Caesaris per
rum
penetrant.
2) Suet., Ner.
n
o.
m
:
radices eius
stationes municipio-
circa
est
quod
forum civitatihus ad statio-
tocasset.
3)(y. V^r, s t a t
:
37 Ihm: ^Salmdieno Orfito ohiectum
domo suo
tabernas tres de
236 Mayhoff
ed
i
4)
250 (Itomae): ^Vn/o
o nar Ih.
(')
ii
s
eorum
|
342 (Roma)
I*anarist\ us\
fKile di
i
....
l'iihl)lic,ato
Roma,
:
idemque iM'I
1000.
\
|
Noricorum
\
L Julius Bassus
\
d(e)d(icavit). \If\erculi s
1,
lliillcllino
a t
i
Tihurtino
o ne
m
(:\t\
Asinius
. . .
dclld (jornrnissionc
archeologica
coniii-
— frammento
Il
condo
Koma
fu scoperto in
ma
schede del Sarti,
le
—
190
«
sub tabulario
»
se-
Dessau(0. XIV, 3552), non
il
prestando molta fede alla testimonianza di quelF archeologo, pr(ì pende
tina
;
a crederlo appartenente ad una iscrizione tibur-
e a ((uesto parere
Jordan
Rdm.
(l»r(4h'.r,
mi pare
si
accosti anche
il
compianto
Mytholoijie 11^ 285-86, n.
Of. ib.
2).
30742. 5) Kaibcl/n-vcr. graec.
(Romae ad sacram \nam)
= ('agnat,Inscr. Graecae, 1, 131
1064 :
[Swxrjpcac; £vex|ev xfj^ xoO xupLou
|
Aùioxpàtopo^ Kaiaa|po; M. AuprjXi'ou EùaE^oO^
[.
.
.
nomeu muliebre]
.
cftXoa£pàata)[v xal
Seour^fjGu ?
|
'Avtwvec'Jvou
Ss^aaioO
axaxtwva [xwv
r yjv
àveyeLpaaa aOv tw
Icavwv
7ia[vTl i
xóafjLO) xf]
àvl^rjxev.
éjauTi^i; TuaxpiSc
A
cptXopa)[i|a''o)v
|
|T?^|ià)v
qual popolo o città appartenesse la stazione indicata
nella lapide è incerto. 6) Kaibel,
e, 1066 a
1.
ad sacram viam)
:
=
B^dl.
Com. 1878, pag. 257 (Romae
Tapalwv.
Waddington (Bìill. Com. 1880, pag. 80) ha dimostrato che questo frammento di epistilio fa parte di un altro frammento epigrafico greco (Kaìhcl, 1. e, 1066 ò), rinvenuto Il
parimenti nel Foro e dedicato a Gordiano III dagli abitanti di Tarso
grande e splendida metropoli della
(la
come
Cilicia
e
frammento medesimo viene denominata), i quali avevano dunque una stazione nel Foro. Bcàv KóprjV SapocavoT; A(o6xio;) 7) Kaibel, 1008 (Romae) della
Isauria,
nel
:
Aòp(Y^Xco(;)
Il
SàrupG^ à:r£X(c68'£po?) 2]£paa(xoO)
Kaibel nota giustamente che
àvéO-YjXEv. Cf. ib.,
la lapide
deve
1009.
riferirsi
a un collegio, a un sodalizio o ad una stazione degli abitanti di Sardi, la 8) Kaibel, Ypa'^£!aa
È
tyj
famosa capitale 1.
della Lidia.
e, -= 830 Cagnat,
tzòXbi
Tupiwv
x.
la insigne iscrizione
x.
1.
e. I,
421 (Puteoli)
:
'EuiarcXy;
X.
(frammentata), di cui
si
è fatto
sopra ricordo, dell'anno D. 174, scoperta in Pozzuoli ed ora
conservata nel Museo Capitolino,
clic,
non possiamo qui riprodurre per
intero.
UoTiòloic, xaxoLxoijvx£;
per la sua lunghezza,
In «ssa
i
Tirii
Iv
ricordano di avere a disposiziono della
— madre patria
cioè una
eòo,
aTOLiloivac,
—
191
Eoma
Sepaaryj WoxiòXok;), l'altra in
scrizione fu edita e illustrata, fra
{De
Franz
pag. 278 e seg.): dnl
Mommsen
(1850), pag. 57.
È
Cagnat,
9)
E
1.
(T.
Romains,
I,
e.
[iccoiXiòi
da Nieolò
Sàch.s.
(rcs'.
3,
che non
Il
Corpor.
:
in
iscrizione,
'lapjvcc
marmo, da
cui
fu dedicata questa statuetta
che la sua città natale aveva nel Foro Eomano.
alla stazione
è
e poi dal
441.
che porta incisa nel plinto la suddetta
'IwYjVGu
enarra
der Wiss.
una statuetta muliebre
un Ismene s
I
Xeai)()litanai,
(h\ TTT, 5853)
/.
L'i-
'V(')\iy^).
111 (Eomae in via Sacra)
la parte inferiore di
apparisce che da
(èv xoXcovfa
anche dal Waltzing,
riprodotta
professionelles chez les
xy]
gli altri,
der Verh. der
Ber.
noi
(àv
I*(»/zu(>li
[He Palaestra
agone pnteolano
ButJif/siac
in
un nome
origine
ma
il
genitivo
si
trova ricordato nelle fonti, tantoché potrebbe
di
di
semitica,
ammettersi anche quanto mi fece gentilmente osservare
De
dotto prof. Gaetano e
Sanctis, che vi sia errore nel
che invece di KjJHNoY, come ora
ICMHNoY. Ismeno, designando dice
Un di
Tci^sfy.sjg,
'AXOTit;
Eoma
legge, dovesse scriversi
suo luogo di
il
m?rmo
origine,
si
cioè oriundo di Tiberiade^ città della Palestina.
TL(3£p(t)£Ó(;
è ricordato in un'altra iscrizione
pure
Gr. IV, 9922).
(0.
=
10) Cagnat, ib. 132
mae ad
si
il
Hiilsen,
ecclesiam 8. Hadriani)
:
Mitteil.
i^iaiiwv
1905, 10.
|Ta>v
Tcp£]pL£(Dv
(EoxCbV
|
y.ofl
KXai)ÒL07:oXLT(i)v
2]i)[>ta]
JlaXefalTELVY,'
|
'A|p|JLÓvt|o^
if^
Questo frammento di una iscrizione incisa in un grande architrave principio, [8],
marmoreo non appartiene, come fu creduto dapalla stazione ricordata nel frammento puteolano
che avevano
in
Eoma
i
Tirii,
frammento
ma
invece ai cittadini
non bisogna leggere |i'T)v TL>|f|f7C£a)v, bensì |Tt[j£|pt£a)^^, come hanno dimostrato il Kubitschek (Oesterr. J ahre.^hejte VI [19()3|„
di
Tiberiade;
I>eiblatt, p. 42, cf.
p.
nel
80-81)
;
e
il
infatti
Turzewitsch, Orbis in urbe (russo)^
Hiilsen, Mitt. 1905, 9,
10.
— 11) Kaibel,
Kataapc
|Aùiox|pàTopi E|ùa£p|£r xat
1052 (Komae) (= Waltzing,
e.
1.
Màpxw
—
192
AÌXuù
Tlto)
'AvTWvecvcp
'ASptavfT)
Kacaapc xal
Aùpr^Xuo
3, n.
\z\ù)
.
.
1373)
^e[3aatcT)
|^iaxtlò)v
.
:
xr]^
|
xal
Ttp^óiY]?
^epaaxwv
menti
(jLey^^"^^?
x^
|XY]Tpo7uóXea);
vauxXv^pocL; xal
èfiiTuópoi;?
epigrafici, di eiii l'uno,
.
|*A|ai'a? xal ol^ veftojxópov .
.
.]
xwv
Sono due framManuzio che ce lo
x. x. X.
secondo
il
ha conservato, trovavasi « in un archi trave di marmo rotto ». Per questa circostanza tutta esterna, ma che rilevasi anche nel frammento [10] per esservi nominati i vaóxXTjpoc e gli ;
come
frammento puteolano [8] e finalmente per esservi ricordata una grande metropoli dell'Asia, come nel frammento [6], suppongo che la iscrizione possa riguardare ejjLTiopot,
nel
;
una statio mnnicipioriim incerta e perciò la lacuna esistente prima delle lettere tov nella linea seconda ho supplita così :
[]Sxaxt|ci)v.
12)
Ad una
statio
può
riferirsi
una
iscrizione greca rin-
venuta dall'Hiilsen nella basilica omilia
da
o
lui
pubblicata
in Mittcil. 1905, 10.
documenti antichi nei quali stationes municipiorum^ accenniamo
Raccolti così e ordinati
menzione
fa
si
delle
i
in secondo luogo le congetture
da alcuni moderni proposte
per ispiegarle.
Kiebuhr sosteneva (^) che fossero locali nei quali i cittadei municipi si radunavano per poi andare a deporre il loro
Il
dini
voto nelle già
tribvi alle
aveva messa innanzi
come abbiamo visto, fuori di Eoma. Il Gilbert (^) non
Cardini
il
stazìoìii di
si
dal trovarsi esse fra
duce e
iscritti, e (^)
ma
;
questa opinione basta enunciarla
dimostrarne l'assoluta insostenibilità,
per
ma
quali erano
che. avessero
con
i
tr esviri
rmmìcìpi
pronuncia il
Volcanale e
;
Tìpucìireihìnu) der Stadi
(-)
Roma
(^)
Geschichte
(intica, u.
11*,
che,
trovavano anche
il
Foro il
di Cesare de-
carcere ^Famertino
congettura questa che, confesso
francamente, non sono riuscito a comprendere. (^)
piìi
sul carattere delle stazioni,
stretta relazione con
capitalcs
si
tanto
Uom.,
III.
1.
pau".
227.
Top. der Stadt Rom., Ili, 104.
(>H.
— Monirnsoii
Il
—
193
esprimo così
si
«
:
spectacuhi, ut Tyrii in urbe jiionintes
dum
commod(3 spectarent.
esset inde
non
Tortassci si
(^nint nisi
(juid in foro \'id(in-
otiosorum
('erto
in stationibus morari porspioitnr ex Plinii
epistulis,
i'uisso
13;
1,
munioipiorum urbanae ab anticiuissima Graecostasi, quae fuit a comitio, ut ait Varrò L l. 5, J55, locus siihstructus libi nationum suòsisterent legati
2,
9.
Ko non
diti'erunt stationos
qui ad senatnm essent missi, ipso
lorum in
senatii
ni fallor locus spectacu-
ille
curiae Hostiliae proximus)
(soilicet
quod olim
Massilionsibus, ut ait lustinus, 43, 5, 10. Itaque
Eomani
Massilionsibus in urbe
Tyriis tribuerunt
»
id
sua,
datus
Puteolani
similiter
(^).
Sulla congettura del
Mommsen,
per la grande autorità
dobbiamo necessariamente trattenerci un momento. Mommsen adunque suppone che le stationes municipio-
sua, Il
rum fossero simili come già sostiene
all'antica Graecostasis, che, nel parer suo,
Eomana
non
era che
un
posto riservato ai Massalioti, accanto alla tribuna dei
se-
perchè
natori,
dati nel Foro
non
costasis
nella Storia
ma
;
era
potessero
colà
di
agli
assistere
spettacoli
come spero di poter provare, la Graepunto un locus spectaculorum in senatu datus, se,
meno necessariamente anche
verrà
(^),
l'analogia che
il
Momm-
sen paiole stabilire fra essa e le stazioni dei municipi.
La congettura
del
Mommsen, che
non esitava a chiamare abbastanza sopra [
il
passo
Massiliensihus
\
decreta
et
compianto Jordan
incerta,
sopra citato
Giustino
di
il
locus
:
si
fonda tutta
immunitas
mio,
Oosì
abbiamo
Suetonio
legalis
in
{Claud.
orchestra
jjarecchi
25)
sedere
dice
invero locus
Kaibkl,
(^)
I'ómÌ8che Getichichte, V, 416.
(^)
Tojwgraphie der
e,
n.
Claudio
:
permisit [Claudius],
(1)
1.
esempì nello nostre di
liom im
Alt., I, 2,
pag.
.342, n.
spectai
posti fonti.
Germanorum simplicitate
8.30.
St.
in
deve interpre-
culorum in senatu datus è termine tecnico riguardante in teatro. Isq
illis
spectaculorum
senatu datus; ma esso, a parer tarsi in modo interamente diverso. E
(^)
40
a.
— eornm
Parthos
animadvertisseni
na tu, ad eadem (Ner. 12 )
Così
e
:
Ì7i
Tacito,
et
Armenios
sedentis
loca s ponte transierant ete.
orchestram
Ann.
54
13,
senatumque :
intravere
n a t u s percontantur
etc.
Dai
(^uali
;
Pompei theatrum qiiis eqnesy
designa
ai senatori e
ambasciatori delle
agli
altro che
il
il
che
nazioni
straniere, ai quali volevansi tributare onori particolari
Per conseguenza
ubi
Inoghi dunque apparisce
solamente VorcJiestra dei teatri riservata assegnava in generale
se-
Nerone
e di
che la espressione locus spectactdonim in senatu,
si
in
descendit [Nero],
consessum caveae, discrimina ordinum,
illic g
quod in popularia deducti, cum
fiducia commotus,
et
—
194
(^).
passo di Giustino non i^uò riguardare
posto di onore, inter senatores, dato ai Massalioti,
non autorizza in nessun modo a dire che la Graecostasis fosse un locus spectaculorum ('^) mentre invece essa non era altro che il luogo ove le deputazioni straniere in teatro, e
;
aspettavano, presso la Curia Ostilia, prima di essere introdotte nel Senato, secondo la definizione varroniana sopra citata
Quindi l'analogia che
Mommsen
il
(^).
vorrebbe ravvisare fra
municipiorum urbane, a parer per conseguenza le stationes muni-
la Graecostasis e le stationes
mio, non è ammissibile e
cipiorum non possono considerarsi come tribune riservate (spectacula) per assistere alle feste del Foro.
Posto dunque che
minate non possono
le
accogliersi,
se sia possibile trovare
che il
ci
siamo proposti.
congetture dei moderni
E
fin
qui esa-
vediamo, in terzo luogo
una soluzione dell'oscuro problema prima di ogni altra cosa indaghiamo
significato della parola statio.
È
questo multiforme,
d'in-
dole generica e specifica. Ison staremo qui ad indicare tutti i
sensi che co testa espressione
può assumere
e
che sono rac-
(^) FriedlIÀnder, Les Jeux in Marquàrdt. Manuel des Antiq. JRomaines XIII (trad. fr.), pag. 310 e seg. Cf. Willems, Le Senat de la Eépuhliqne, 1, 148. ap])unto inteso anche da Mattia (2) Il passo di Giustino ò così
Bernegger (^)
Cf.
{Justin. ed Frotscher, III, 481-482).
anche Willems, op.
cit.,
II,
488.
-
ne citeremo alcuni soltanto. Stazioni
noi lessici (');
colti
—
105
chiamavansi genericamente in Roma ([iiei luoghi ove oziosi solevano passare il tempo, cluacchierando del e del
meno, e
Mommsen
il
statione
i
chiamavansi stationem
esse-,
i
haòere)-,
In senso spe-
luoghi di fermata delle
ì
;
e
i
come
luoghi,
particolare, stazioni erano in
piti
vero
gli
nelle
fonti
uffici
in senso
sono
epigrafiche
di
annonae ; la statio aquarum statio operum puòlicorum ; la
alvei Tiberis
designava
;
altresì la residenza di
la statio
;
statio
un
la
marmorum
;
la statio
e via dicendo. Statio il
col-
nei suddetti esempì
secondo termine getta luce sul primo
il
e lo spiega, così, nel caso nostro,
piorum deve indicare
:
urbana identica
collegio e quindi
Or bene, poiché
(^).
annonae, ecc.)
(statio
ov-
le sedi
frequente menzionate
XX hereditatitim
la statio
medesimo
legio
Eoma
alcune pubbliche amministrazioni; così
di
statio
alla
ri-
in materie giuridiche (stationes
ius puhlicum docentium aiU respondentium). Infine,
ancora
(in
ovei giureconsulti romani insegnavano
(13, 13),
davano responsi
diritto o
il
(^).
posti militari di guardia
poste romane, detti anche mansìones
corda Gellio
jùìi
passi di Plinio minore, che
ricorda e sono già sopra citati
stazioni
cifico
alludono
ai quali
gli
il
il
significato
secondo termine munìci-
primo termine
del
sta-
tiones.
Ma vano
se intorno alla ragione per la quale
stationes in
(1) I
Roma
i
miinicipia ave-
e altrove, le fonti antiche sono quasi
vari significati della parola statio e
i
testi antichi
che
li
riguar-
dano sono diligentemente raccolti nel Forcellini-De-Vit, Lexicon, Y,
62.3 (2)
47,
e seg.
Ai passi di Plinio, possiamo aggiungere luv. 11, 4; Ulp., Dig. Queste stationes o luoghi di ritrovo mi fanno ricordare i di Antonfrancesco Doni, in cui lo scrittore raccoglie i dialoghi che :
10. 15, § 7.
Marmi
immagina intervenuti fra alcuni cittadini versare sui gradini marmorei del Duomo i
riuniti, nelle sere estive, a con-
in Firenze, e nei quali dipinge
costumi dell'età sua. (^)
Le
iscrizioni
rammentano,
fra le altre, la statio vetustissima del
Pis{anorum) (C. XI, 1436), e la statio del eocorum Avfjiusti) n{ostri) (/iiod consistit in Palatio (C. VI, 7458), V. LiEBJiNAM, Róm. VereinswfHen, pag. 277 Waltzing, op. cit. 1, 521. collegio fahr{um) naval{ium)
collegio
;
- 196
—
dobbiamo chioderhi alla storia medievale. Ed essa appunto c'insegna che le nazioni occidentali, le ([uali commerciavano con l'Oriente, avevano là dei grandi edifìci destinati ad alloggiare i loro mercanti, di
o»4iii
luce muto, eotesta luce
a custodirne fìci
che
merci e a facilitarne
le
Genovesi,
i
i
Veneziani,
i
lo spaccio. Cotesti edi-
Pisani possedevano
Oriente, chiamavansi fondachi (emboli era
il
nome
in
di quelli
dei GenoACsi) e sull'esempio loro ne vennero istituiti in Ve-
nezia per
i
popoli che là commerciavano e sono famosi fra quello dei Saraceni o Mori e quello
essi quello dei Turchi,
Tedeschi.
dei
Quest'ultimo ha trovato un eccellente
stratore nel Simonsfeld
sopra
i
documenti contemporanei
altre cose
della i
quale ne ha scritto la storia
il
(^),
s'impara
E epubblica,
la
clìe
il
illu-
;
e dai suoi studi fra le
fondaco dei Tedeschi era proprietà
quale
si
dava cura
di ampliarlo, secondo
bisogni, acquistando per questo scopo le case dei confinanti
e
rendendone
facili gli accessi
per conto della Eepubblica, e le
spese per
i
ìsTelle
di professione che
stanze di esso
si
locavano
residui delle rendite, detratte
stanze del fondaco, oltre
i
mercanti
venivano a Venezia dalle provincie
desche e che vi depositavano i
i
le
bisogni del fondaco, andavano a benefìzio del
pubblico erario.
gio
;
le loro
te-
merci, trovavano allog-
giovani desiderosi d'imparare la lingua italiana,
gli usi
commercio e il conteggio, ed altre persone ancora che venivano a professare in Venezia le diverse arti ed erano così numerose da formare proprie scuole o corporazioni. del
Or bene, tralasciando vità, altri particolari
di accennare, per ragione di bre-
che riguardano
il
governo e l'ammini-
strazione del fondaco dei Tedeschi che furono posti in chiara
luce dal Simonsfeld tiones
(^),
non
mtmìcipiorum erano
merciavano in
Eoma
i
esito
ad affermare che
le
sta-
fondachi di quei popoli che com-
e nelle altre città,
come
Pozzuoli, dove
Der Fondaco dei Tedeschi in Venedig, Stuttgart 1887. Vedi anche la recensione di A. Fertile suiropera del Simonsfeld neWArchirio Veneto, 35 (1888). pa»-. 226 e seij. che liassunie i punti più importanti deirargomento. (^)
(^)
-
—
197
—
stazioni sono ricordate. (Iic, del resto,
tali
fosse commerciale, apparisce
epigrafe puteolana, canti
(efiTiopot)
ben chiaro dal contesto della parla espressamtmte di
(juale
la
navi
e di padroni di
Eonia venivano da Tiro attestano che avevano stazioni zuoli e a
Tirii della Siria i
Palestina
Sardiani della Lidia
cittadini del borico,
nei
documenti
ed
(vauxXr^pct)
che
Roma
in
altri
epigrafici che
dovevano
ancora dei quali
concernono
li
il
nome
appunto per
è perito
insomma,
superfluo far qui
è
bisogni del loro
commercio
(*).
fondaco dei Tedeschi era proprietà della Re-
il
MoMMSEN,
Il
i
i
degli unguenti,
tessuti,
Eoma
;
;
Ora, del com-
(^).
essere istituite le nostre stazioni
Come
(1)
ma
i
:
quei di Tiberiade nella Palestina
;
che importavano in Italia e in ;
sono
fuori,
e
dei profumi, delle vesti, delle armi, di tutto ciò,
(^)
Poz-
I popoli, di cui h; lapidi
{^).
mercio di tutti questi popoli, dei
parola
in
mer-
cittadini di Tarso in Cilicia
i
;
loro carattere
il
nel
commento
già citato all'iscrizione puteolana
{Ber. der sdcTi. Gesell. 1850, pag. 60), aveva ben intuito il carattere commerciale delle stationes munici'piorum, quando le chiamava « Facto
reien di
».
pure
Co.sì
queste
il
stationes
Liebenam, op. era
stato
it.
pag. 91.
riconosciuto
Il
carattere commerciale dall' Ign arra
anche
(1.
e.
il quale le raffronta con le èfiTiopixàg yatc.xcas di Strabone (XVIl, 826) e le chiama k quaedam simulacra coloniarum, in emporiis commercii causa stabilitae ». Di questo avviso è pure il Franz (C. Gr. Ili, 5853)
pag. 309),
(^)
èv
I Tirii
Jlox'.óXoic,
Sta-^iépouaa
;
.
.
vi
.
dicono nella loro epistola y.ai
[rj]
yjiiSTépa
erano dunque
èarìv
altri
y.cù
sì
:
y.ai
y.óa|JLW
xic,
xaì
o-atiojv saxLv
àX?.7j
{isysO-si
popoli che avevano
twv
stazioni
in
àXXcDV
Poz-
zuoli. (^)
Sul commercio di questi popoli, vedi lo studio del
Die Gewerbliche Thdtigkeit der Yòlker des Klass.
Alterili.,
Blììmner,
Leipzig 1869,
passim.
Similmente stazioni per i bisogni del loro commercio dovevano i cAves romani che negoziavano in Argo, in Delo, in Apamea, in Mitilene, in Salamina e in altri centri commerciali della Grecia e dell'Oriente, secondo la testimonianza di numerose iscrizioni diligentemente raccolte dal Liebenam, op. cit. pag. 91 e seg. alle quali aggiungi la lapide di Terracnna pubblicata da L. Borsari {Notizie degli Scavi, 1900, pag. 97) che ricorda i cives Romani in Sicilia Panhormi qui negotiantur. Vedi sui Romani in Delo lo studio eccellente dell'HoMOLLE (*)
avere gV Italici o
;
nel
IluU. de corr. hell.
Vili, pag. 75-158.
—
—
198
pubblica Veneta che ne percepiva una parte delle rendite, così le nostre stazioni erano di proprietà pubblica e gli utenti
dovevano pagare
annuo
al
])ubblico erario
;
ciò ri-
chiaramente dalla iscrizione puteolana, a proposito
sulta
della quale
cum
\uì fitto
nota appunto
AÙdentur
suam
stationem
scribant,
INTomnisen C):
il
contigisse
«
Tyrii
sibi
autem
(oupLjreaelv),
publicae fuisse et civitatibus ita distributae,
ibi
mercedem annuam prò iis aerario Puteolano penderent » ('^). La Eepubblica Veneta aveva, come si è visto, un diritto di locazione sopra le stanze del fondaco dei Tedeschi la qual cosa può spiegare il passo di Suetonio [2| dal quale apprendiamo che Nerone fece un delitto a SaMdieno Orfìto quod tabernas tres de domo sua circa forum civitatibus ut
;
ad stationem giare
Di tutto
ciò
ministrazione e nulla
sappiamo
;
forse
:
veniva
egli
pubblico erario sopra
diritti del
i
nicipi.
locasset
che riguarda personale
il
soltanto a
della stazione dei Norici
il
loro
che
tamente,
lo
(1)
Kaibel,
(2)
Le parole
Tiapéys'.v.
=
oxaxùovo^
.
stationarius
(^).
nostre ricerche, scarsi cer-
tali,
ni fallor, per dir a col
porre nella sua vera luce
.
sii;
I.
il
carattere delle
e, pag. 830.
precise della epistola dei Tirii sono queste (Kaibel,
Cagnat, xà yàp
}iy)
421)
I,
ct=|pa
xà ispà?
èXoyioàiiEO-a, iva (3)
pur troppo
municipiorum.
stationes
10-15
ma
vedo anch'io,
Mommsen, da
V.
risultati delle
i
la loro
muam-
ovvero custode
col jonticarius,
o portinaio, del fondaco dei Tedeschi
Questi sono
governo e
me piace raffrontare il
[3],
danneg-
le stazioni dei
dirigeva
le
a
così
xt/v
uóXiv
xoD
|
sùxovoD[ji£v
xal
xà
-ròv
[ji'.oGòv
y-^^ópisva
£'.<;
xf^c,
1.
e,
aiaTtitovcs
STiiaxsuYjv
xy,j
xuptou aòxoxpocxopo^ 0077150060(7] )s éauxolg
[iapc&iisv.
Damianus Me(Urkunden), pag. 7, n. 21 Thentonicornm. Ci. doc. 71 (ib., I, 24).
cit., I
gane... fonticariiis fontici
Oùy.
àvaXtófxaxa
i^ifiépa^
SiMONSFELD, op.
:
:
TACFARINATA
I
Eomani
nell'Africa
<»
non posarono quasi mai
tanto frequenti erano le incursioni,
le
armi,
le
rivolte dei Berberi:
una delle più «Tavi, delle più lunghe e che può chiamarsi una vera guerra, fu quella che si accese nei primi anni del regno di Tiberio e della quale Tacito, unica fonte di essa, lasciò una descrizione mirabile C^). La guerra prende il nome da Tacfarinata, un numida, che, disertore dell'esercito romano, ove aveva servito come ausiliario, si era fatto capo di una banda di malandrini, che dapprima condusse qua e là saccheggiando e poi ordinò militarmente, formandone compagnie regolari di fanti e di cavalieri (^). Bentosto le sue forze aumentarono i Musu;
nomade che abitava
lamì, la grande tribù
cina al
monte Aurasio
(*),
si
unirono a
lui,
la
regione vi-
lo
riconobbero
per capo, traendo seco nella rivoltale tribù maure ad essa vicine, delle quali era
Mazippa
duce un valoroso guerriero di nome
e altresì la forte
popolazione dei Cinizi dimorante
Pubblicato nelI'ATENE e Roma, 1901. Tacit, Ann. II, 52; III, 20-21; 32; 35; 73-74; IV, 23-24. Aurelio Vittore {Caes. 2, 3) ha queste poche parole sulla guerra: compressaque Gaetulorum latrocinia, quae Tacf arinate duce passim proruperant ; e l'autore dell'^^p. 2, 8: Gaetulorum [Tiberius] latrocinia repressiti (1)
(2)
(li.
Lacrotx, Histoire de la Numidie et de UAhjé.rie Komaine, I, 235-231)
SIÈRE,
;
d'Afrif/ve (2^ ed.), p. (^)
<;ato di (^)
la Maiirétanie, p.
Cagnat,
75-78
;
Bois-
UArmée Eomaine
9-24.
Tacit., Ann. Il, 52 per vexilla et tiirmas componere. Sul signiqueste parole di Tacito, v. Caguat, o[). cit. p. 9, 3. :
Caonat,
op.
cit.
p.
10.
— minore
jìresso la Sirti
mana
comando
al
abituava
e elH^ ;
terrore.
il
se
il
territorio
il
Gravissima
piano di guerra
il
armati
fior dei soldati
alla vita d(4
^Fazippa, eon
ferro e fuoco
—
Abilissimo era
(^).
Tacfarinata aveva eon
"200
le
eampo,
milizie
solare,
metteva a
le^^^oiere,
romano, jiortando
ogni dove
in
era fatta la rivolta, poiché non solo
si
Romani
i
a reprimerla. Per la qualcosa
M. Furio Camillo che governava la legione III
ma
tutto
mezzogiorno della provincia procon-
il
rendendo pericoloso ogni indugio che
sero frapposto
alla ro-
alla disciplina e
estendevasi verso una gran parte della Mauretania,
quanto abbracciava
:
Augusta,
proconsole
il
allora la provincia
suoi ausiliari, e
i
i
aves-
(-),
con
contingenti for-
da Giuba II, re della Mauretania, che in questa guerra fu sempre alleato dei Romani, marciò contro i nemici. L'eniti
sercito del proconsole
a tanti Numidi e
così
(^),
vana
di fronte
che bisognava combattere, e
IVfauri
romano sopra ogni cosa temeva che
nerale
paura
pareva un pugno d'uomini
il
g' insorti,
avessero cercato di evitar la battaglia, la guerra contro a loro e possibile
ge-
per
rendendo bisogno di
il
Avvenne però altrimenti, poiché i nemici, vedendo che i Romani erano molto meno numerosi di loro, con
rinnovarla
(^).
speranza di vincere, accettarono la battaglia;
la
ma
narono, poiché, collocata la legione nel centro, leggiere
e
due divisioni
secondo
le
norme ordinarie
della
op.
22, 27
Numidi,
i
quia (*)
jì^'r
ricom-
onori trionfali. 30. Cf.
Cagnat,
v.
Pallu De Lessert,
Là paura
de
(4,
insorti 24),
è
spiegata
Tacito in un nominis Komani,
dallo stesso
con queste parole:
Nnmidae peditum aciem jerre nequeunt. Ne hellìim.... elnderent. Ho accettata
proposta dal NÌDV)erdey (Tacitus. Annaìes, la migliore.
Fastes des prorincett
100.
passo degli Annali et
4.
e,
;
a combattere Tacfarinata, ((fricaines, I, (^)
gli
Plin., Hist. Nat. V.
;
lati,
10 TissOT, Géogr. eomp. de VAfrique, I. 453. Sul proconsolato di Furio Camillo e dei suoi successori che ebbero
cit. p. {-)
3,
ai
dei combattimenti romani, Ca-
pensa della sua vittoria, ottenne dal senato Ptol., IV,
milizie
le
cavalleria ausiliaria
millo riuscì a battere interamente
(1)
s'ingan-
terrore
nel testo la
V,
180)
spiegazione
che mi sembra
—
—
201
ma
Tacfarinata però, AÌnto
non debbiato,
riparate le
aveva trovato riCiijiio, rinnovò, poco dopo, la «"guerra (') cambiando tattica. Da principio si diede a guastare molto paese, schivando o
glia
con
ove
deserto
nel
sue corse, poi distrusse l)orgate,
la rapidità delle
traendone gran preda, e da ultimo cinse d'assedio un fortino presso
fiume Pagida, di cui s'ignora
il
e
che era guardato da una
mandava, soldato valoroso a'
a combattere
(^),
la
animati
rampogna
genti,
mezzo
i
nemici
un
si
e
volendo
presenta fuori assalto. Al-
dardi, affronta
ai
fug-
i
portabandiera che a disertori e a briganti
i
indisciplinati volgano le spalle ferite, trafìtto
suoi
i
coorte cede al primo
lora Decrio, gettandosi in
e
intrepido, sentendo vergogna
e
nemici in campo aperto,
ma
(^)
erte romana. Decrio che la co-
di quell'assedio fatto da' barbari,
dar battaglia
sito preciso
il
i
soldati romani,
occhio, col viso innanzi,
si
e pieno di
avventa contro
combatte sempre, finche cade morto abbandonato
e
dai suoi.
A
tal
(^)
Tacit.,
nuova, L. Apronio che, nel governo proconsolare
1. e. Ili, 20; eodem anno (a. 20) Tacfarinas, quem pulsum a Camillo memoravi, bellum in Africa renovat et
destate]
è qualche discussione sopra questo passo
parole priore aestate
le
:
[priore
Vi sono
rei.
(op. e. V, 229), come erronea interpolazione di uno il quale voleva determinare il tempo delle operazioni militari poiché Tacfarinata fu vinto da Camillo non nel 19,
racchiuse in parentesi quadre dal
Nipperdey
;
ma
nell'a.
D.
17.
Che
vi sia poi contraddizione o errore in questo passo,
come suppongono il Tissot {Fastes d'Afrique, Pallu De Lessert (op. cit. I, 102), non parmi. Tacito pone
nei rispetti cronologici, p. 50) e
il
la ripresa delle ostilità si
nell'anno 20, perchè
svolsero in cotesto anno,
ma
vagis
i
maggiori della guerra
populationibus,
il
ramente che le vano avuto principio l'anno dopo (•^)
la vittoria di Camillo, cioè l'anno
Sul fiume Pagida, v. Tissot, op.
(2)
Tacit., Ili, 20
:
cit.
facerent,
ma
piam pugnae singolare.
I,
55
;
II,
18.
786.
Is [Decrins] cohortatus mUites, vt copiam
in aperto faceret, aciem prò castris instruit.
1
fatti
primum
il dein postremo haiid procid Parjj/da flumine, indicano chiarazzie di Tacfarinata, come oggi si chiamerebbero, ave-
VÌC08 excindere, e
il
erroneamente, osserva facere è cosa propria
bene di
(;hi
I il
codici
pugnae hanno veramente
Nipperdey, poiché
comanda,
il
co-
e quindi richiede
—
—
®02
dell'Africa, era frattanto succeduto a Furio Camillo
putò necessario,
afifìncliè
e la fuoa della coorte
parziale successo di Tacfarinata
il
non
finissero per
deprimere
militare dell'esercito africano, di ricorrere a
plinare che
i
Eomani
morirono sotto
spirito
lo
una misura
disci-
antichi usavano nei casi estremi,
piti
vale a dire, decimò la coorte che teggiati
re-
(^),
si
era resa infame, e
verghe.
le
Cotesto atto di
i
sor-
rigore
un drappello di soli cinquecento veterani a disperdere le bande di Tacfarinata, il quale,
fu così effìcac3, che riusci a battere e
imbaldanzito della facile vittoria ottenuta presso Pagida, aveva cinta di assedio la città di Thala
In que-
combattimento un semplice soldato, Elvio Eufo,
sto
gnalò siffattamente da meritare
gli
onori
soliti
a coloro che salvavano un cittadino. Apronio collane e e
(^).
fiume
il
si
non non
una lancia
;
gliela avesse
ne
se
offese.
con
il
punti
la tattica
il
Tacfarinata intanto, poiché
sua prediletta
fugge quando
('"),
gli
diede
lo
:
le (^),
j)roconsole che egli stesso
donata, come ne aveva
erano sbigottiti e non volevano
prende
a concedersi
Tiberio vi aggiunse la corona civica
dolse, osserva Tacito,
se-
si
j)iù
diritto i
C*),
ma
suoi iSi"umidi
saperne di assedi,
ri-
dissemina la guerra in vari
incalzano, per tornare poi alla
Apronio ebbe il governo dell'Africa nella metà dell'a. 18 CI Pallu De Lessert, I, 102. ma quella città portavano nell'Africa il nome Thala (2) Due assediata da Tacfarinata pare fosse situata dove oggi si trova il villag(1)
;
gio
omonimo non
Tissot, II. (^)
lungi dalla frontiera tunisina. V. Cagnat, op.
633; 830; Pallu
De
Dessert,
I,
cit. p.
13;
104.
Elvio Rufo è ricordato anche nella seguente iscrizione di Varia
M. Helvius 31. /. Cam{ilia tribù) Enfus Civica, prim{i) balneum miinicipihus et incolis dedit, (C. XIV, 3472) dalla quale s'impara che dopo la battaglia di Thala egli fu promosso al centurionato ed assunse il soprannome di Civica, e che era nativo di Tivoli poiché appunto i Tiburtini si trovavano iscritti nella tribù Camilia. (*) A casi simili accenna anche Suetonio {Tib. 32): eorripuit [Tiberiìis] considares exercitihus praepositos, quod non de rebus gestis senni ui scriherent quodque de tribuendis quibusdam militaribns donis tid se rejerrent, quasi non omnitm tribuendorum ipsi ius huberent. (^) Sparga bellum, dice Tacito (1. e. HI, 21) con frase intraducibile, che scolpisce 8tupendament<^ la tattica (U Tacfarinata. Ci. Agric. 3S. 12 (Vico varo)
:
pil{aris)
»
e
Lucano.
II.
082
;
111.64.
carica, beffandosi così dei
doni marittime che della Tunisia,
—
Romani che
stancavano, inu-
si
Senonchè, piegando verso
neirinsesfuirlo.
tilmente,
^203
distendono
si
hmj^o
mezzo<^iorno
il
pingue bottino che aveva fatto
il
re-
le
lo costrinse
a fermarsi e a chiudersi, per custodirlo, in stabile accamjjamento e là L. xVpronio Cesiano, per ordine del proconsole, ;
ed anche probabilmente
di cui era fìo^liuolo
ufficiale
dinanza, con una squadra volante di cavalieri, di ausiliarie e dei piìi
uomini
agili
delle
legioni
(^),
d'or-
coorti
sorprese
Tacfarinata, lo vinse in aperta battaglia, costringendolo a
trovare di nuovo uno scampo, coi suoi Numidi, nel deserto.
Per questa vittoria
proconsole ebbe
il
una statua laureata
fali e
(^)
;
il
figlio
ornamenti
gli
trion-
che non aveva peranco
compiuta l'età legale per ottenere una magistratura, fu nominato settemviro degli epuloni (^).
Sul cominciare dell'anno D. 20 fu inviata nell'Africa
(^)
IX
forzo la legione nella
Pannonia
;
legionem,
ducebatur
ib.
3,
21
come
rin-
stata di guarnigione
er.a
provano i passi di Tacito {Ann. 3, 9 Fiso... quae e Pannonia in urhem, dein jyresidio Africae
lo
ndseqiiitur ;
Hispana, che fino allora
:
:
velocissimos legionum addiderat) che
appunto all'anno 20, (2) Tacit., Ann. lY,
corrispondono
23.
Questa notizia è conservata in una iscrizione metrica del tempio che L. Apronio Cesiano aveva innalzato a Venere Ericina e nella quale celebrava la vittoria da lui riportata sui Numidi. Di questa iscrizione li illustrò il sventuratamente non rimangono che tre frammenti MommSEN (C. X, 7527 = Eph. Ep. II, 264) e li supplì il Buecheler {Carmina Epigraphica, II, 1525). Sono i seguenti: [L. Apronius L. f. Caesia] nus VII vir[epidonu]m... Veneri Eru(A)-^l patrehic missus Lihyae procon[^sule^^ bella cinae [d{onuni)] d{at). {Ji) - Felicem gladum miscet Numidis, prosternitnr imp[ins] hostis. divm [Ubi qui sacramqve dicavit Aproni effigiem, [miles bonus, o dea,] duj-que Me idem fnit, Me i[nsto eertamin]e v[i]ctor, praetextae positae (^)
;
\
—
—
\
\
\
|
[eansa pariterque re]sumptae,
|
septemvir puer, han[c, genitor
quam
—
rite
Caesar quam dedera{t, vestem Ubi, sancta, rel]iquit. (C) J)ivor[um... mvi[va... Gaefdius Aproni maio[r quam nomine factis, tvlas gentes q[uod dedit ipse fugae, effigiem cari genitor[is, diva looavit,
r]ogarat,
\
\
|
I
\
Aeneadum alma
paren[s, praemia insta Ubi,
[per volnera jracio attritus,
|
(fu anta
\
armaque quae
patet virtus, ens[Ì8
consummatque [hasta tropaeum, qua
ah
gessit
hoste rabet
eecidit
\
:
scuto
caedibus
fos[8]u[s] barbalrus
— La
—
^04
vittoria, per altro, di
Apronio Cesiano non fu
deci-
Panno seguente (a. D. 21) Tacfarinata, che nel centro dell'Africa aveva riparato intanto le sue forze, minacciava di nuove incursioni i territori romani. Tiberio allora fece comprendere al senato come fosse necessario di preporre al governo dell'Africa un proconsole esperto nell'arte militare e fisicamente capace di menare a buon fine una vigorosa spedizione contro i ribelli, poiché Apronio non era riuscito di venirne a capo (^). Il senato lasciò la scelta del nuovo proconsole al principe, il quale, non senza siva, poiché
aver fatto indirettamente rimprovero ai padri del sempre
due candidati: M'. Emiiio primo non volle accettare
rimettel'e ogni cosa a lui, designò
Lepido e Q. Giunio Bleso ma il il diffìcile incarico, in apparenza per motivi ;
famiglia,
in
di salute e di
sapendo che Tiberio preferiva Bleso, Sciano, e Bleso appunto ebbe la nomina.
realtà,
perchè zio di
Tacfarinata intanto era giunto a tale arroganza da inviare
ambasciatori a chiedergli terre per sé e
all'imperatore
sotto minaccia altrimenti
suoi,
di
La
guerra eterna.
1
do-
manda
di quel barbaro indomabile, osserva giustamente
Cagnat
(^),
nomadi
del deserto a porsi in lotta così fiera e continua con
il
getta viva luce sulle ragioni che inducevano
i
non facevano guerra per difendere la loro indipendenza, ma per non essere esclusi dalle pianure fertili
l'impero
:
essi
appartenenti ai romani, ove solevano venire, ogni in cerca di nutrimento per sé e
suna ingiuria tanto
predone volesse darsi
ora ferox.
runt
\
Quo
(1)
23), le
Il
pater
su[mma
quanto che un disertore
l'aria di belligerante
:
in
,
Caesaris utroque
proconsole Apronio.
dormendo
e^giem
fiiit.
eerto.
Armée,
;
come
p.
18.
positit
il
un
\
hoc Uhi sacrti-
p[ar cura duorum,
lancia iiiteiidere
non aveva
e
respinse quindi
[Curante] L. Apronio [L.
sngli allori coiiqnistati,
precauzioni necessarie ad impedire
(2)
loro armenti. Tiberio di nes-
i
nihil est utrìque magis vener [abile sìgnum,
filius atqu[e
certavit pietas,
dolse,
si
mese,
Tacito
I
l(iberto)].
(^4»i/i..
IV.
preso, per incuria.
ritorno di Tacfarinata dal
dt>-
—
—
205
vsdefynosamonic la superba, proposta, di Tacia rinata o diede
che ^ià tino dal
ordine^ a Illeso,
assunto
iioverno
il
dei suoi,
Poiché
i
ne acquistarono molti, e quando
adoperò per combatterlo
meno
ribelli,
forti dei
qua
sa'ccheggiare, correvano
armi, e
l(i
modo,
del loro capo. In tal il
Tacfarinata indebolito, per l'abbandono
vide
di offrire
('),
insorti deporrebbero
d(^
ad ogni costo
d'ini})adronirsi
degl'insorti se
provincia i)roconsolare
della,
rimpunita a (pianti
dell'anno 21 aveva
<>iu<^iio
sue
le
e là a piccole
parecchi
di
arti
ma
Eomani,
proconsole
medesime.
abilissimi nel
bande, schermen-
dosi dagli attacchi e tendendo agguati, così Bleso reputò
necessario di dividere
suo esercito in tre colonne mobili
il
che dovevano prendere tre vie diverse
IX Hispana comandata Scipione
proteggeva
(^)
a sinistra, la legione
:
dal suo legato P. Cornelio Lentulo territorio di Leptis
il
minor (Lamta),
pronta a tagliare la ritirata ai nemici verso la regione dei
Garamanti
mano
a destra,
;
dell' Aurasio
le uscite
con forte
di Bleso copriva
figlio
il
verso Cirta
nel centro,
;
il
pro-
console in persona col nerbo dell'esercito, avendo per base
operazioni
delle
della legione III
Theveste Augusta,
(Tébessa), si
quartier
il
avanzava
fra le
generale
due prime
lonne, collocando forti e guardie nei posti opportuni, di niera che
nemici, circondati da tutte le parti,
i
un movimento, senza
fare
fianchi e
i
Eomani
ma-
non potevano in faccia, ai
spesso anche alle spalle. In tale maniera molti
degl'insorti lora,
trovarsi
co-
vennero trucidati o
spingendo
piti oltre la
fatti
prigionieri. Bleso
sue operazioni, suddivise
al-
le tre
colonne in vari distaccamenti, a capo dei quali pose centurioni di x^rovato valore
né, trascorsa l'estate,
;
costume dei suoi predecessori, richiamò tieri
I
Pallu ('^)
])ot(;ri
\)k
Klebh,
^li
furono
Lks.sekt, op.
luoghi
si
attendava, cattu-
prorogati Rul cominciare dell'anno 22.
f)oi
cit.
Prom'p(>')r
i
pratiche del deserto, potè dar la
caccia a Tacfarinata che, or qui or là 0)
il
l'esercito nei quar-
d'inverno della sua provincia, ma, provveduti
forti di milizie leggiere e
V.
seguendo
I,
107.
Imp. Romani,
1,
457.
occupando stabilmente il territorio dei Musulamì. La guerra non poteva dirsi compiuta, perchè Tacfarinata non era ancor preso, ma Tiberio, considerandola rare
come
di
fratello
il
finita,
lui,
permise che
x)roconsole vincitore fosse salu-
il
tato dalle legioni col titolo
ricevervi gli onori del trionfo
in
Eoma
nemico
quando credevano
(^),
aver fatto abbastanza per meritare il
(quelle di Furio Camillo, di L.
di
onori trionfali, ab-
gli
già tre statue laureate
;
a
(^).
I nostri generali, dice Tacito
bandonavano
Eoma
imperator e venisse a
à"*
Apronio
si
ergevano
e di Giunio
Bleso) e pure Tacfarinata metteva l'Africa ancora a soqquadro.
La
fortuna
anzi
pareva
sempr? propizia all'audace
condottiero dei Berberi, poiché la legione
IX Hispana
ebbe
ordine da Tiberio di tornarsene nei suoi antichi quartieri
nuovo proconsole P. Cornelio Dolabella succeduto a Bleso (^) ardì di trattenerla, temendo più il comando del principe che il pericolo della guerra (*). Di della Pannonia,
cotesto
né
il
cercò
errore
e fece sparger
Tacfarinata di trarre partito
subito
dovunque
la
voce che
i
Eomani, occupati
in altre guerre, uscivano d'Africa a poco a poco e quindi
sarebbe stato
facile,
con un colpo ardito, spegnerne
nenti, se quanti più del servaggio gli
avessero fortemente assaliti
l'effetto desiderato,
tenti del figlio
i
si
Tacfarinata, a cui
Tacito {Ann.
si
La
le
cose dello Stato lasciava in
univano pure i poveri
Ili, 72) dice
la libertà
falsa notizia produsse
sollevarono e fecero causa
trionfali, lo fece soltanto per
rima-
Mauri, morto re Giuba, malcon-
Tolomeo che
balìa dei liberti,
(1)
poiché
(^).
apprezzavano
i
e
i
comune con
turbolenti della
che Tiberio, concedendo a Bleso
gli
onori
riguardo a Seiano. ciò che mostra, osserva
il Cagnat (op. cit. 21), che il proconsole non aveva eseguito la parte più importante delle istruzioni imperiali, che era quella, come dicemmo, d'impadronirsi di Tacfarinata. Il Wilmaxxs {Eph. Ep. 11.276) propone un'altra interpretazione che il Cagnat giustamente rifiuta.
(2) (3)
(4) (5)
Ann. IV, 23. la metà dell'a. D. 23; Tacit.. Ann. IV, 23. Tacit., Ann. IV. 24.
Verso
cf.
Pallu De Lessekt.
I.
110.
^07
provincia, e
il
~
mandava leggiere. La
re dei (lariiniaiiti
un buon numero
milizie
di
eonie
rinforzo
parte
meridio-
nale dell'Africa, dalle colonne di Ercole «ino alla Sirti maggiore,
era
dunque
presentiva
molto
di
nuovo
in
pericolosa
piena rivolta,
per
Eomani.
i
([uale si
la
Tacfarinata
non osando rompere le linee delle fortificazioni che Bleso aveva fatte costruire a mezzogiorno della provincia e della Numidia, concentrò tutte le sue forze nella peraltro,
Mauretania e cinse di assedio la città di Tuptisuctu (Tiklat), di cui rimangono ancora oggi le rovine nella vallata del
Nasavath (Oued Sahel)
(^).
Cotesta
città, al
tempo
di
Au-
gusto divenuta sede di una colonia di veterani appartenenti alla settima legione,
poteva, munita com'era di fortificazioni,
difendersi a lungo contro di Dolabella. Allorché
i
ribelli
i
ed aspettare
Xumidi conobbero che
soccorso
il
proconsole
il
avanzava con quanti soldati aveva, ben sapendo che a loro non era possibile sostenere l'impeto della fanteria rosi
mana, levarono in fretta l'assedio e posero il campo presso un castello di nome Auzia (Aumale), da essi diroccato e arso, fidando che la bontà del sito tutto racchiuso da grandi foreste, li avrebbe difesi da qualunque sorpresa. Dolabella non si curò dapprima d'inseguire il nemico, ma fortificati i luoghi pili importanti, soffocato nel germe un tentativo di ribellione dei Musulami col farne giustiziare i capi, invitato Tolomeo a congiungersi a lui con i soldati rimastigli fedeli, formò quattro colonne del suo esercito affidandole ciascuna a legati o a tribuni, mentre egli stesso ne assumeva il comando supremo e inviava drappelli guidati da ufficiali Mauri a predare il paese. Così disposte le forze, il proconsole marciò celermente sopra Auzia piombando addosso ai nemici che immersi nel sonno e impreparati
alla
battaglia furono,
Tacfarinata, il
come vide
le
come
jjecore,
C'agnat, op.
cit. p.
e
sgozzati.
sue guardie cadérgli d'intorno,
figliuolo stesso fatto prigioniero, e
(^)
presi
23; ('at..
i
Komani che
La province rom.
lo
preme-
de Maurétanie, p. 90.
— ms — vano da avuto in
tutti
tino,
i
grido, che, lui preso, la guerra avrebbe
lati, al
scagliò in
si
mano ai nemici e La guerra questa
mezzo
vi trovò
ai dardi
per non cader vivo
ben vendicata
volta era
la
morte.
davvero, e
finita
i
Gara-
manti inviarono ambasciatori a Eoma per fare atto di sottomissione mentre al giovane Tolomeo il senato, secondo ;
un antico costume, mandava uno dei suoi membri con ricchi doni, un bastone d'avorio, e una toga dipinta a colori, a- salutarlo coi nomi di re, di alleato e amico del popolo romano. Gli onori trionfali invece vennero negati a Dolabella, che di tutti
i
era veramente
proconsoli combattenti contro Tacfarinata il
solo
degno di
riceverli,
brerà strano a chi conosce la storia delle Tiberio, osserva Tacito iano, nel timore che la
ma
non semingratitudini umane.
glieli rifiutò,
(^),
fama
il
fatto
per riguardo a Sc-
del nipote Bleso
non ne
ri-
manesse offuscata.
La guerra
di Tacfarinata era durata
e fu la lotta piti terribile che
i
Eomani
sette anni (17-24)
sostennero nell'Africa
dopo i tempi di Giugurta non rivolta soltanto di predon| nomadi, come \aiole il Toutain (^), ma sollevamento altresì d'indigeni accorsi alla chiamata di quell'audace condottiero che il Mommsen (") ben chiama un Arminio Africano. :
(1) (2)
(3)
Ann. IV,
26.
Les Cìtès Eomaines de la Tunisie, pag. 17, 28. Le Provincie Romane (trad. di E. De Ruggiero),
p.
620.
UN PREFETTO
DI EGITTO
ZIO DI SENECA
Nel
libro
duodecimo dei
matrem de consolationc
('^),
(M
dialoghi, che s'intitola
ad Helviam
Seneca rammenta un prefetto di
Egitto che governò quella provincia sedici anni e che morì
mare
in
nel tornarsene a
per aver compiuto
Seneca tace
il
nome
marito di sua
il
Eoma, per tempo
esservi stato richiamato,
della sua amministrazione.
di quel prefetto e dice soltanto che era
zia, la sorella di
sua madre, e di questa zia
un magnifico elogio che è necessario riportare quasi per intero (cap. XIX): Maximum adhuc solaciumtuum tacco, tesse
materteram, sororem
tuam, illud
fedelissimum
Uhi
pectus,
in quod omnes ciirae tuae prò indiviso tranferuntur, illum ani-
mum
omnibus nobis maternum.
primum
miscuisti, in huius
tum prò
te dolet.
Illius
Jiac
tu
lacrimas tuas
respirasti sinu. Illa
quidem ad-
mea tamem persona non tanmanibus in urbem perlatus sum ; illius
semper sequitur
fectus tuos
Cum
;
in
pio maternoque nutrieio per longum tempus aeger illa
prò quaestura
mea gratiam suam
extendit...
dentiam perfectissimae jeminae novi, non
spectator
n
aV
e
u
1
u
fui,
metum (^)
nico
tulit
cui
Pubblicato L.
nfil
prunihil
te
nupsergi,
virgo
tamem eodem tempore
evictisque tempestatibus corpus eius
XIX (2)
patietur
si
et
m nostrum,
quidem navvjatione;
Sed
;
exemplum tibi suum, cuius ego narrabit. Carissimum virum amiserat,
profuturo maerore consumi
etiam
convalui
Tìullettino
delVimp.
Istituto
et
in
ipsa
luctum
naufraga
et
evexit...
archeologico
germa-
(1904).
Annaei Senecae Dialogoruml. XII ree. M.
C.
Gertz, Hauniac 1886. 14
— Nemo
(fuod, per
miratili,,
mariUis
eius
—
sedecim
annos,
(/Kihus
Acgyptiim
numquatn in pnhlivo eonspccta damuni suani admisit^ nihil a
optinuity
nemincìn provi nei aleni petiit, nihil
210
a se peti passa
est
;
itaque loqvax
et
est,
viro
in contumelias
praejeetoruni ingeni osa provineia, in qua etiam qui vitavernnt
culpa m
non
infamiamo velut unicum sanctitatis
e/Juqerunt
exemplum suspexit
quod
et,
illi
difjìeilliìnum
cui etiam
est,
illi,
omnem verhorum liccntiam continuit quamvis numquam sperei semper optai.
per
XVI
periculosi sales placenta et
hodie similem
j
Mulium
crai,
plus
quod ignoravit
est
Due
si
annos illam provincia prohasset
;
».
congetture furono proposte intorno all'innominato
prefetto di Egitto
:
quella del Lipsio
(^),
che
egli
cioè sia
Vitrasio Pollione che mori nell'a. D. 32, e quella del Bor-
ghesi
il
(^),
riconoscere in quel prefetto Emilio
quale vuol
Eetto che governava l'Egitto cisamente
damento
nell'a.
D.
di queste
due congetture
di
Augusto
di esaminare
è necessario di
parentela esistevano fra
come a primo aspetto può
e preil
fon-
ben
sta-
Seneca
e
non sono tanto
prefetto di Egitto, perchè, a dir vero, esse
chiare,
apparire.
Gertz, nella sua edizione dei dialoghi di Seneca poc'anzi
Il
citata, al
morte
Prima peraltro
14.
bilire quali relazioni di il
alla
si
è occupato di questi rapporti famigliari in
una nota
passo sopra trascritto e che è bene riprodurre interamente
:
Oeterum vix lexicis credendum est, hunc hominem ob id solum avonculum suum Senecam dixisse, quod materterae vir esset certe alterum huius abusus verbi q. e. avonculus exem«
;
non possunt. Ex cap. 2, 4 verisimile est eum proprie Helviae avonculum fuisse, ergo Senecae fratrumque eius avonculum magnum, qui idem simpliciter avonculus
plum
alìerre
vocari potuit
nostrum
meum (^)
p.
quare,
L.
cum Seneca eum hoc
dicit, signifìcat
fratrumque
89, n. (2)
;
:
loco avoìieuUim
avonculum tuum,Helvia, eundemque
meorum avonculum
magnum
;
nani
Annaei Senecae opera a Insto Lipsio emendata, Antiierpiae 231.
Oeuvres, lY, 438-444.
noltJ05
— strtim prò
meum non
Ilelviae
culo
ut non
dum
soror
incestae
ca
avonculo
(luae
Helviae pater ante,
ut
Ad
ess(3nt ?
cap.
qnam
9
18,
hoc cxplicanres
EEolviam habet,
ita
matrem
TIelviae
poiiiii,
('.«se
Ic-^imus,
dnbio
sino
ert>o
;
nupta
Ilclviae
niiptiae
liao
fuisse
patris
Sed qiiomodo llclvhie 8oror avon-
dixit.
pertinent,
unicam
—
«il
in
matri-
moniuni dueeret, ex qua liane solam filiam suseepit, euùiue Vetrasiae
nomen
fuisse verisimile
est,
aliam habuerit uxo-
rem, ex qua illam Helviae sororem (non ^ermanam) nuerat,
nupsit
;
ge-
quae postea Helviae avonculo Vetrasio Pollioni nam Vetrasium Pollionem hune avonculum fuisse
acute Lipsius suspicatus
Helviae matre mortua pater
est.
uxorem duxit, illam Helviae novercam, quae cap. 2, 4 commemoratur nam ex eo modo, quo Seneca de Helviae sorore loquitur, verisimile mihi quidem videtur, eam Helvia mater maiorem fuisse, itaque non ex Illa noverca
eius (Helvius) tertiam
;
susceptam esse Il
gli
:
(pagina 409 in nota).
»
Gertz adunque suppone che Elvio abbia aviHo tre mo-
la
prima, la madre della sorella non germana di Elvia che
andò sposa
al
prefetto di Egitto la seconda, la ;
che morì nel darla alla luce, come (cap. 2, 4)
;
la terza, la
lo stesso
madre
di Elvia
Seneca c'informa
matrigna di Elvia (ibidem)
;
ma questa
congettura di tre mogli dal Gertz attribuite ad Elvio, mi pare esclusa, per dire
il
vero, dai passi medesimi di Seneca che egli
cita.
E difatti,
dum
nasceris... crevisti sub noverca, etc.
patrem cogita
dal cap. 2,4: amisisti
!
cui tu
quidem
tot
matrem statim ;
e dal
nata,
cap.
immo
18,
9
:
nepotes pronepotesque dando
ne unica esses, etc, a me pare risulti evidente che Elvio ebbe due e non tre mogli e un'unica figliuola, la madre di Seneca, che gli assicurò, quasi per compensazione,
efjecisti,
una lunga discendenza
di nipoti e pronipoti, e quindi la so-
non può esser sua figlia. Eliminata così riy)otesi del Gertz, non rimane che quest'unica soluzione la madre di Elvia ebbe due mariti e da ciascuno di essi una figlia quindi Elvia e la sorella maggiore di lei, avendo comune soltanto ia madre e non rella di
Elvia non x>uò esser nata da
:
;
lui,
©15
padre, erano, por nsaro
il
non
ma
consantruiiuH»,
ji'ià
romana,
tormiiiolojjia
la
sorelle
uterine.
Chiarito questo primo punto dei rapporti famiijliari, resta
ad esaminare
secondo, vale a dire se
il
marito della sorella
il
eome
di Klvia, VavuncKÌnsi noster, era ])roprio lo zio di Elvia,
suppone
il
A
Gertz. Vediamolo.
posizione egli adduec^
eapo
il
fondamento
madre
ricordato ad Elvia la perdita di sua
condusse sotto
cum adventmn
cius expectares, amisisti,
leviorem didncendo
fortuna
continua
matri^^na,
la
così et^
intra
faccret,
omnibtis
est,
avoncuhim...
:
ne saevitiam snam
tricensiwum dicm extulisti
:
quidem absentibus
quasi de industria in id tempus coniectis
liberis,
che essa
e la vita
carissimum inrnm, ex quo mater trium liberorum eras lugenti tihi luctus nuntiatus
sup-
dove Seneca, dopo aver
4
2,
della sua
malis tuis,
Or bene, comprende subito
ut nihil esset [Jiaberes], ubi se dolor tuus reclinaret.
che
avunculus
questo
essere lo zio di Elvia, nel
tratta
si
cap.
dal
contesto
non può
19,
si
identificarsi
con quello di cui
perchè senza alcuna ragione Seneca
ne rammenterebbe due volte
la
cum adventum
dimostrano che cotesto
eius
expectares
morte. Di
piti
parole
le
zio
che morì mentre Elvia ne aspettava T arrivo, sarebbe tornato Egitto che faceva ritorno
solo, al contrario del prefetto di
compagnia
in
come
stesso scrive, della fortezza
egli
sopportò
della moglie e del nipote Seneca, testimone,
la perdita del
un
E
mese dopo quella
suno, neppure
i
figli,
loro.
Ma
lei
a
morte
con cui sfogare
x>ii^iir;'ere
zia
viaggio
anche
del marito, seguita
non aveva nesproprio dolore, mentre
il
il
prefetto di Egitto, la sorella stati in-
queste due morti così AÌcine fra
l'argomento principe contro la congettura del (lertz
è questo, che lo zio di Elvia,
padre
il
la
sia così, risulta
Seneca reduci dal tristissimo viaggio, sarebbero
sieme con
il
quale
dello zio, era sola,
è presumibile che se lo zio fosse e
che
altro fatto, che Elvia alla
solo
la
marito avvenuta durante
(cuius etiam ego spectator fui).
da un
con
di Seneca,
non può
il
([uale
(»ss(^re,
morì un mese prima del
come suppone
il
Oertz,
prefetto di Egitto Vitrasio Pollione, poiché cotesto prefetto
— morì gli
nell'a.
—
213
32 (Dio., 58, 19,
.*>()),
e
padre
il
Seneca invece
di
sopravvisse ancora sei anni, essendo morto circa
d. Cr.
l*er tutte (jueste ragioni
(^).
a(lun(|ne pjirmi siiflìcien-
temente dimostrato che Varunenlus cap.
del
Come
del
uscire pertanto dalla difficoltà che
me, non ha tolta
non
Io
"l
\
prima è molto semplice.
19
ca}).
il
(juello
distinte.
Gertz, secondo
edo che due soluzioni,
di cui la
primo jiaragrafo del
nel
Infatti,
e
ma
sono due persone non identiche,
2
39
l'a.
nome materteram che il Gertz ha letto nel codice ambrosiano (^), mi sembra una interpolazione, e quindi una cap. 19,
il
interpolazione parallela potrebbe essere anche Vavonculum
nostrum del paragrafo quarto, tanto
j)Ìti
che mi pare strano
che Seneca significhi a sua madre cotesti gradi di parentela, e d'altra parte
i
manoscritti di Seneca non difettano certo
Ma
non vogliamo, con l'espungere dal cap. 19 quei due nomi, adottare una soluzione tropico radicale, non si può fare a meno di riconoscere nel nome avundifatti, se a rigor di termini culus un carattere estensivo Seneca poteva chiamar matertera la sorellastra di sua madre, poiché frater [et] soror tam ex patre quam ex maire accipiuntur (^), non poteva, parimenti a rigor di termini, chiamare avunculus il marito di lei.- Esso era semplicemente un affine; ma se il vincolo dell'affinità si fonda sulla finzione che i coniugi compongano quasi una sola persona, d'interpolazioni.
se
;
tantoché l'uno
coniugi
dei
grado nel quale
dell'altro, nello stesso
sangue
quelli congiunto per
come mi
familiare,
l'uso
amico Vittorio Scialoja, vero
7n(j,
aif(?tto,
RosSBACH,
(^)
Op.
A^
adHcrij)HÌt
H.
V. in
408,
cit. p.
non
(*),
:
ri.
Era
l'altro
:
dei
parenti
coniuge è con
è improbabile che nel-
se le
persone erano congiunte il
nome che
Pauly-Wissowa, R. 7
affine
fa gentilmente osservare l'illustre
applicasse all'affine
si
(1)
considerasi
e.,
1, col.
tacco materteram scrissi
{nine duhio
is,
;
qui hoc scripsit,
gli
da
sarebbe
2238.
tacco era A^
;
in
nomen proprium
esse credidil). (3)
Paul.,
(4) Die;.,
nomano, P,
f^ent.
IV, 11,
XXXVIII, 187.
2,
10, 4 §
:3.
3
pr.;
cf.
Doveri, Istituzioni di Diritto
—
—
"214
spettato se fosse stato cognato al j)osto del coniuge. In questo
senso può benissimo Seneca aver chianuito aimncidus
abbiamo dato anche noi premesso a queste poche pagine.
nel
rapporti di famiglia, rimane la ricerca
piìi
sua zia e
rito di
titolo
nome
ma-
il
Chiariti così difficile,
chi
tal
i
cioè
sia
gli
anonimo prefetto che governò
(questo
Come
l'Egitto per sedici anni.
Lipsio, seguito dal Letronne
si
il
e
da
altri
Di
lui
sappiamo soltanto da
(^)
visa in esso Vitrasio Pollione.
accennato poc'anzi,
ò
moderni
rav-
(^)
ma
Dione Cassio
(58, 19, 30)
Letronne
gli
attribuiva
condo
quale Pollione sarebbe stato prefetto nel quarto
la
anno del regno
che morì in carica,
una lapide greca
nell'a.
del
D. 32,
Louvre
di Tiberio, cioè a dire nel 17, e poiché
tra lapide greca di Athribis
(*)
risulta
(^),
da
il
se-
un'al-
che nell'anno nono
dello stesso regno, ossia, nel 22, la prefettura di Egitto era
occupata da C. Galerio,
due marmi con trasio
il
Letronne, dal confronto di questi
testimonianza di Dione, ne deduceva Vi-
la
Pollione essere stato due volte prefetto di
Egitto,
l'una dell'a. D. 17 al 20-21, l'altra dal 21 al 32, e queste due
prefetture prese insieme formerebbero appunto di cui parla il
Seneca
(^).
Ma
lasciando stare,
Borghesi, che la permanenza di sedici anni
i
sedici anni
come ben notava si
deve intendere
continuata e non interrotta, l'opinione del Letronne fu com-
pletamente demolita, come avvertiva di recente
da una migliore lettura h'
[....] dove
[Ttpepcou],
col.
il
della lapide greca del
Letronne aveva
lo Stein (^),
Louvre
Ixo^^c,
erroneamente supplito
mentre, nello spazio capace di sole quattro
(1)
Inser. de VÉgypte,
(2)
Gertz, op.
cit. p.
\,
409.
let-
235. 7;
RossBACH
in
Pauly-Wissowa.
B. E.
I,
2241.
{*)
4963 C. Or. 4711
(5)
Il
(^)
C. Gr.
= Fròhnek, = Cagnat,
Letronne
Inscr. greeques 1.
Gr.
{Oeuvres Choisies
du Louvre 219,
u.
US.
1150. 1, 1,
tempo
474) suppose anche un
che nel testo di Seneca, o per errore degli amanuensi o per svista delma è fosse scritto sejiìecim invece di trfdtcim tinnos
l'autore stesso,
;
questa una supposizione gratuita. {«)
Oesterr. Jahreshefte, III (1900),
Beiblatt,
col. 210.
— tere,
nome
il
dell'imperatore,
cancellato
Fròhner, cominciava con
del
la iscrizioni?
—
215
V
lettera
la
{Vócco<;).
Quindi
ma
appartiene all'anno (Quarto non di Tiberio,
Caligola, cioè, all'a. 1). 39-40, e
di
deve invece attribuirsi aO. Vi-
governò
trasio Pollione figlio del nostro prefetto, che
come da
testimonianza
a
un'altra iscrizione s'impara
Per con-
nell'a. 39.
(^),
l'Egitto,
seguenza di Vitrasio Pollione seniore possiamo dire soltanto
ma non
che fu prefetto nel 31-32, e che morì nel 32, sibile attribuirgli
Eimane
una prefettura
E etto
Emilio
zio di Seneca,
novembre
(^),
rescritto al
quale ravvisa nello
che, subentrando nel governo
dell' a. 1 alla
la provincia
primavera
dell' a.
D.
17.
prenome era probabilmente Luparla solamente Dione, all'a. D. 14, ricordando un
Di Emilio Eetto, cio
il
avrebbe amministrato
di Egitto a P. Ottavio,
dall'ottobre o
di sedici anni.
congettura del Borghesi,
la
ò pos-
cui
il
divenuto poi proverbiale,
Tiberio,
di
col
quale
prefetto che estorceva dagli Egiziani maggior quantità
ordinava che
di denaro di quella stabilita, l'imperatore
pecore sue
si
tondessero,
ma non
si
scorticassero
questo rescritto, di cui Dione ha conservato
(^).
le
Or bene
lo spirito,
for-
un primo argomento contro la congettura del Borghesi quale, per l'autorità sua, hanno fatto buon viso alcuni
nisce alla
recenti scrittori
E
(*).
per vero dalle parole di Dione risulta
evidente che Emilio Eetto non deve, durante
il
suo governo,
essersi cattivato l'alfetto degli Egiziani, anzi tutt'altro,
tre lo zio di vSeneca, sedici
anni deve
lasciando
(1)
avere
buon nome
E etto
Emilio
da quel che ne dice
CIL.
di
nipote, nei suoi
bene amministrata se presso
i
la
provincia,
suoi amministrati. Se
invece fosse lo zio di Seneca, se egli avesse
Ili, Suppl.
141471.
prenome Lucio di Egitto (DiTTKNBEKGEK 0. condo il Klebs (Frosop. I, (^) Il
(3)
il
men-
Dio., 57, 10,
cf.
è portato
oraonimo prefetto
altro
G., Jnscr. II, 60:5) al
tempo
di Claudio, e, se-
n. 273), figlio del nostro,
Suet., Tih. 32; Okos., VII,
Klebs, Prosopogr. I, n. 272 A; R. E. I, 582 DiTTKNBEKGEJi, 1. c. (*)
;
ProceedirnjH oj JiiM. Arch.
da un
XXII
v.
Rohden, s.
II, 663, n.
3.
4.
Fault -Wissowa, Seymour de Ricci,
v. in
(1900) p. 376, n. 10.
— 216 — scorticato gli Egiziani con eccessivi balzelli,
il
suo
non sarebbe stato risparmiato da quella
certo
loquax
nome
di
provincia
in contumelias praefectorurn imjcniosaj in qua etiam
ti
qui vitavei'Uìit cui pam,
non c/Jugcrunt infamia m. In secondo luogo Emilio Retto non può essere subentrato a P. Ottavio nelFa.
1).
perchè (luesto prefetto, come ora meglio appari-
1,
governò l'Egitto dal settembre
sce,
D. 3
dell'a.
terzo luogo,
quindi
era
(^),
Borghesi,
il
D.
dell' a.
1
al
febbraio
tuttora in carica nell'a. 3
;
in
quando propose la sua congetcome già osservò il Dessau (^), che
non poteva sapere, negli anni D. 10-11 era prefetto Giulio Aquila (C. Ili, 12040), senza contare Magio Massimo che fu per due volte a capo della provincia sotto Augusto e la seconda, molto probabilmente, dopo Aquila (^). Per tutte queste ragioni adunque Emilio Petto non può aver governato l'Egitto per sedici tura,
non
anni, e quindi
è possibile riconoscere in lui lo zio di Se-
neca.
Quale potrà essere adunque questo anonimo prefetto che ebbe nell'Egitto una così lunga amministrazione
minando il
la serie dei prefetti al
solo di essi sul quale
sia C. Galerio, che,
data
(I.
berio
Bnll.
freto
nostra attenzione, ricor-
(?i.
corrispondente
C. Gr. 4715;
19, 1, 3), fece
Ji.
Alexandriam septimo
Brugsch,
Geogr. Inschr.
épigraphiqìie de VEgi/pte romaine
il
D. 22 e viaggio
I,
137;
die
pervenerit).
Seymour de
Ricci.
(Archiv fur Papyrusforschiuig.
9*).
Prosop. Ili, 192, n. 246;
B. E. Supplement.
all'a.
Messina ad Alessandria in sette giorni {Oa-
Siciliae
II [1903], 431, n. (2)
la
secondo la lapide di Athribis già
Tc^spLou Kaiaapog)
%-'
dello stretto di
(^)
di Tiberio, credo che
possiamo fermare
che, secondo Plinio seniore
a
Esa-
Gr. 1150), reggeva la provincia nell'anno nono di Ti-
(Izouc,
lerius
tempo
?
e.
18,
ctr.
Stein,
s.
v.
iu
Pauly-Wissowa.
124.
ii.
Flaccmn, 10 [jisXXovTa nàXiv stc' AiyÓTiTOU xaì xfiz X'*'P°'? èTcìxpoTiEÓstv. Lo Stein {Oesterr. J iihreshejte 1900. e. 210), a proposito di Vitrasio Pollione, sostiene che non vi è esempio di una i>eniiiia prefettura di Egitto, ma il uocXiv di Filone applicato a Magio Masvsimo mi pare (^)
Phil.
in
:
,
provi
il
contrario.
-
—
217
Fino a prova contraria nulla vieta
di rieonosc(ire in (ialerio
l'immediato successore di 8eio iStrabone, che governò per j)oco temjx)
nell'a.
supporre che
15-10, e di
retta la provincia, non essendo necessario stati completi, fino alPa. 31. il
i
l'J^]^itto
e^li
abbia
sedici anni siano
In cotesto anno Galerio cedette
posto a Vitrasio Pollione, per
a
ritorno
i'ar
racconta Seneca, insieme con la moglie e
Koma, come
nipote,
il
ma
ove
non giunse, essendo rimasto vittima di una tempesta mare. Di questa nostra congettura non possiamo dare una
peraltro di
prova positiva,
ma
essa scaturisce logicamente dalla elimi-
nazione fatta delle precedenti ipotesi e non urta, a parer nostro, nelle
sola
molte
difficoltà
può spiegare
le
che quelle circondano. Inoltre essa
date a cui accennano
altri
due passi
di Seneca relativi al soggiorno di lui nell'Egitto, Ep. 49, 2;
apud soiionem pMlosophum
ptier sedi; ib.
108, 22: in pri-
mum
Tiberii Caesaris principitum iuventae tempus inciderai
e che
si
riferiscono senza dubbio al periodo degli an.
Pertanto
la cronologia dei prefetti di Egitto,
D. 15-20.
durante una
parte del regno di Tiberio, dovrebbe così lievemente modificarsi
:
A. D. 14: [L.] Aemilius Eectus. A. D. 15-16: Seius Strabo. A. D. 16-31: C. Galerius. A.
I).
31-32: [C?] Vitrasius Pollio
{"),
Potrebbe qualche nuova scoperta nel campo feracissimo delle antichità egiziane
infirmare la nostra congettura che
in C. Galerio ravvisa lo zio di sedici
anni,
ma
nello
Seneca prefetto di Egitto per
stato presente
delle
fonti la
non può negarle buona accoglienza.
(^)
V. la
mia
*S'me dei Prefetti di Ecji
tto,
],
n. 9-12.
critica
UN
CURATO R TIBEIMS
((
UNA LAPIDE GKECA
IN
»
DI EFESO
{')
Negli scavi di Efeso intrapresi dall'Istituto archeologico di
Vienna tornò
di recente in luce
commento
fu pubblicata con dotto e sagace
Egger nei Jahreshepe
Twv
.
.
Maì(p£rv[ovJ
.
h^wj
£7itT£|XGij|JL£v(ov
dal dott. Eodolfo
Wien,
des Oesterr. ArcJi. Inst. in
[1906], Beiblatt, pag. 61-76 .
di base
iscrizione greca di singolare importanza, che
marmorea con
[M. Nwvcov]
un frammento
L'iscrizione è così concepita:
(^).
|
IX
uTcaxov Ta){xa''a)v, àvO-ó Traiov 'Aaia^, |
Twv
àv^pwv,
;u£vx[£]|xatO£xa
'Avxwvec I
7rp[£]ap£uxrjv
rwv
ex
Oùrjptavòv
v[ta]vòv
|
ai)VxaTy]5ta)|Ji[£]v(j)v
xal auvaTióSyjjiov xoO |X£Yb|[x]ou aùxoxpàxopo? M. Aùpr]-
|
'Avxa)v£ivou, fjY£(Jióva òxa|xtxòv Ilavvovta^
Xtou
:£p£a,
cpcXTà|T(i)v
^^[w]j
xf^^
|
TiT^I^-óva
I
navvovta^ pwO-Ev
Z7^(;
xà|xa),
£TC'.[i£XrjxrjV
X£Ytwvo?
rjY£{AÓva
S^-^-r]?,
xoO Tc^épEO);
x%
7iOTa|JioO
|
x£aaap£axo([L5]£xàxYj(;,
|
éxaxéaxr>ax7j|
I
YÒv Twpiatwv, TrXaxóaTjjJLOv
oy^(xap)(^ov,
xwv
èKi\xzkzloi.[q]
7rp£aj^£i)xyjV
xf;(;
'Aatai;, xa|jicav,
y^Eikiaijypw |
X£Yt(ì)Vo;
|
|
£7xxaxacÒ£xàxrj[(;],
Sixwv,
[jcjàvxa
Tcpoa
(sic)
|
£V
x['àXXa]
xot(;
|
xf^c,
Ssxa
zy^c,
ìnoL^ytloLC,
I
ao3XY^[pa],
xy)[v]
x£C|iy^v
àv£axr^a£v
. |
.
.[A]a[i'.avó^.
I
L'editore della lapide ha ben veduto che di cui nella lapide stessa Maxp£lvGc,
non
il
personaggio,
è rimasto intero che
il
cognome
deve essere identico a M. Nonius Macrinus
ricor-
dato in parecchie iscrizioni di Brescia, donde era oriundo
(^),
marito di Arria filosofessa benvoluta da Settimio Severo, (^)
Pubblicato nel lìidlettino della (Jomm. A. Com. di
(1907). (2)
f^
(^) (J.
riprodotta ndla
hìI1o^(;
del
Deshau, 8830.
\, 4300, 4325, 4330, 4343, 4344, 4361, 4854.
Roma
XXXV
— mo — come provò il r>()r<'liesi(^),M. Nonio ebbe vari figli, fra cui M. Nonio Arrio Muciano, e Arrio Paolino Apro. Dalle lapidi bresciane già si sapeva Macrino aver governato le duePandalla quale,
nonie; ed
secondo
egli,
Borghesi
il
Pannonie appunto,
nelle
('-),
Commodo, come [lettera apocrifa di Com-
insieme con Settimio Severo mal parlava di attesta
biografo di Clodio Albino, 2
il
modo ad
Albino]
:...
Nonium Murcum
audio cnim
Septimium Severum
et
me ayud
tnale de
milites loqni, ut sihi pa-
rent stationis
Augnstae procurationem'y nel qua! passo
me Murcum,
evidentemente corrotto, secondo
mutarsi in Macrìnum
(^).
composta dei governatori
il
delle
Pannonie
(*),
cogno-
Borghesi deve
il
Eitterling, nella serie
Il
et
seguendo
da
lui
la con-
gettura del Borghesi, crede che Macrino fosse a capo della Pan-
nonia Inferiore, mentre alla Superiore era preposto Settimio Severo, e lo abbia poi surrogato nel governo di questa provincia
quando Severo
nel 193,
tervi Didio Giuliano.
partì alla volta dell'Italia per combat-
Ma
questa cronologia del governo di Ma-
crino nelle due Pannonie, stabilita dal Eitterling,
non può
ammettersi, come ben prova l'Egger, in base alla iscrizione di Efeso. Questa, che comjjleta
il
cursus honoruìn del nostro bre-
sciano,
enumera
sono
seguenti nell'ordine diretto
i
candis
;
(-) (•^)
;
trihunus plebi s
curator alvei
inferioris (1)
uffici
legatus
;
et
;
da
XYI
consularis
(?)
stlitihus ;
quaestor
praetor ; legatus legionis
riparum Tiberis
che
lui sostenuti e
decemvir
:
trihunus laticlavius legÌGnis
;
gatus Asiae
consul
dignità e gli
le
;
legatus
iudiIc-
;
XIV
;
Pannoniae
Pannoniae superiorìs ;
legatus
Oeuvres, VI, 65. V. nota i^recedente. L.
e.
Dass Horgliosi, Oeuvr. V, 407 (osserva TEgger, 1. e. Lesuiit^ Maeer \ <)rij;oz(>,i::eii habe, wie II. Peter. Prosopographiii
VI, 66.
p. 65, n. 7) dio
«
Neuen Jahrb. I, 31), A. 2 sehreibt, seheiiit inig Vero è che il Borghesi, scrivendo al Labns (OcKrr. \'1I. 307). così si esprisostengo che la vera lezione [nel passo di Capitolino] è Soni m me Macrum, scambio facilissimo con Murcum, di cui abbiamo dozzine di esemi)i nei codici. Non perciò credo venir danno alla mia opinit>uc. se suppongo scritto Macrum invece di Macrìnum, essendo sempre più
iinpcrii roììKiìii in Ilbergs
<).
,
:
ti
((
convinto che (*)
si
tenne poco conto della varietà
Arch. Ep.
Mit.
XX
[1897], 32 e seg.
di tali
terminazioni
>.
et
come
maximi imperatoria M. Anrelii Antonini
fi
Verianys
Antoninianns
sacris faeivndis
La
nostra
di lui, cioè
XV
;
vir
proeonsul Asiae.
;
elio fa
lai)i(l(^
monzioiH'
prima
marzo
del 17
191-193,
secondo
quindi
Nonius Mureus
dell'
morte
della
prova chiaramente che
Pannonie nel periodo
nelle
accennata
l'opinione
imporaiore M. Au-
prima
incisa,
180,
Macrino non può essere stato
il
amieissimis
eooptatis
quindi (hwe essere stata
e
relio
ex
sodalis
;
del passo
Ritterling
del
;
e
corrotto di Capitolino
non deve essere identico al nostro. Chi sia questo personagintanto cerchiamo di stabilire gio, lo vedremo piii tardi ;
qualche data nella
occupate da Macrino.
serie delle cariche
L'Egger ha dimostrato nel suo sagace commento
alla iscri-
zione Efesina, che essa permette di stabilire che
il
d'Asia Macrino, sotto
sole
stide scrisse
il
cui governo
il
retore Elio Ari-
la orazione intitolata 'EXeuaiviGg
tante congetture
sono proposte, è
si
il
jjrocon-
(^)
e sul quale
nostro Nonio Macrino,
che avrebbe appunto governato l'Asia dal maggio 170
al
maggio 171, secondo i calcoli molto probabili che l'Egger stesso determina in relazione alla diffìcile e controversa cronologia della vita di Aristide. Ciò posto, non e le
date delle altre cariche, almeno delle
cupate da Macrino
ma
;
diffìcile stabilire
piti
importanti, oc-
qui debbo in parte dissentire dalle
Ma-
conclusioni alle quali è giunto l'Egger. Nel parer suo, crino,
essendo ancora pretorio, avrebbe preso
governo della Pannonia Inferiore, di
una
iscrizione di
Aquincum
posto nel 156, e
avuto
i
fasci
l'intervallo sercizio
passato,
(')
èv
Or.
wpat èv
RVf7)v
del
suffetti, d(ii
cioè
nell'anno
XXII Keh,
=
XIX
òo)o£xato)!.,
Dindorf è-r.i
UulL (Jom. 1904,
j).
2i)()
:
o Kcg.
Compiuto
proconsolato,
così
fra
l'e-
sarebbe
governo della Pannonia Kiil)scr.
yiyB\ióyoQ
g.
(2)
del al
157.
anni, richiesto
((uattordici
uTtaicxóg,
T^^yeiifov
[ìy/;!,
Basso, che da
(^)
consolato e (juello
ciiópvYj',
posto, nel
sappiamo esservi stato prementre era in quella provincia, avrebbe
legale
come
Tallio
il
èXziìoivioc,.
[i-axpLvoo
sxuiv
èypdi:pr]
òvxi
ocov
vy xai
— Superiore Ira
157 e
il
Questo
lOl.
il
paiono pert'ettanicnte esatte.
duto che
la
iscrizione
—
<3*32
non ha nu^nziona, prima
L' Kouror
efesina
mi
non
conclusioni
infatti ve-
delle lega-
pannoniclie, la cura del Tevere, ch'era ufficio conso-
zioni
quindi la lapide (\ Y, 4344 prova non già che Macrino
lare, e
avesse ottenuto
consolato mentre
il
ma
lìonia Inferiore,
trovava
si
che anzi aveva deposti
i
nella
Pan-
fasci nel giungere
Efeso conferma an-
in ([uella provincia. Sicché la lapide di
cora una volta la opinione del Borghesi
(^),
che cioè prima
Marco Aurelio la Pannonia Inferiore era già divenuta consolare né può valere in contrario l'epiteto di T?jy£|xà)v ójuarcxó^ che il nostro frammento epigrafico attribuisce a Macrino solamente per il governo della Pannonia Superiore, poiché la terminologia delle lapidi greche non è sempre precisa, come vedremo nella stessa iscrizione efesina a proposito della cura di
;
Per
Tiberìs.
qualcosa crederei di poter cosi lievemente
la
modificare la cronologia delle cariche occupate da Macrino.
Kel 156 lato
(poiché l'intervallo fra
va generalmente da
suffetti e
prima
il
dieci a quindici anni)
proconso-
ebbe
i
fasci (^),
del quale lo collocheremo nella nostra serie dei cura-
feriore,
(^)
nel 157 passò al
;
prendendovi
il
governo della Pannonia In-
posto di lallio Basso, e di
tempo, prima del 161, fu trasferito efesina
é
la
sola
delle
al
comando
iscrizioni
ÌT:i\i.Ekezìic,
ToD
lì
a poco
della Superiore.
greche
conosciute, che menzioni l'ufficio del Tevere;
ma
fin il
qui
titolo:
Tipipeo); tzotoì^oìj x^; éxaxÉpwO-ev ox^fi<Ì è peraltro
incompleto, perché vi unita,
il
insieme la cura del Tevere come Stazio Prisco
torcs Tiheris
La
consolato e
com'è noto,
manca alla
la
cura
menzione Tiheris
della cura cloacarum,
da Traiano
in
poi.
Unico esempio
di questa omissione, nelle iscrizioni latine, é
la lapide di C.
Cesonio Macro Rufiniano
del Tevere probabilmente
(^) (2) (3)
(*)
[*)
che fu curatore
sotto Settimio Severo.
Oeuvres Vili, 456 e seg. Dessau, 1902. lìull. Com. 1889, pag. 197. Dessau. 1182.
Ed
dopo
ora,
di tornare sopra
il
jirrieeliin^
hi
nostra
come ho
(\oÀ
aveva creduto che
^ià detto,
in
eii-
sia h^eito
passo di Capitolino sopra eitato.
il
nuovo
il
serica
Tevere pur troppo sempre hicunosa, mi
ratori del
si
osservazioni sopni
hn^xì
qiiesl(^
perso niio^oio che viene ad
ghesi,
—
223
Bor-
Il
cpiel
passo
ammettendo che
parlasse di Konio Macrino, perchè solo
nostro bresciano avesse aiutato Settimio Severo a raggiun-
gere
il
principato, poteva spiegare gli onori che in appresso
colmarono
sua casa, vale a
la
dire,
i
fasci ordinari
che
il
M. Konio Arrio Muciano ebbe nel 201, compiuta una carriera brevissima e non militare, e conseguiti poco dopo, cioè nel 207, anche dall'altro figlio M. Nonio Arrio Paolino Apro, che, secondo il Borghesi, era allora un ragazzo (^), figlio
benevolenza che Settimio Severo e Caracall a dimostra-
e la
vano ad Arria moglie le
di
Macrino
(^).
Queste, in sostanza, erano
premesse della congettura del Borghesi, che
di Efeso
dimostrò falsa nelle sue
come
illazioni,
la iscrizione
poiché ISTonio Ma-
Pannonia molti anni prima di Settimio Severo. Ma, eliminate le illazioni, rimangono sempre integre le premesse le quali però possono concrino,
è visto,
si
governò
la
;
durre ad un'altra soluzione, che cioè nel
3Iucianum, e
ma
Macrino, è,
Nonium Macrinum
invece di
lino,
che
quindi
in
al
L3 aprile 193 funzioni
È
momento
in
cui
Settimio
;
ma
al
con quali
Vediamo.
come
fonti faBtografìclio
'V.V.))
(l'rofiop. Il,
nel
pure Nonio Muciano
vi fosse
(^),
cognome Aper
V, paf^ina
debba leggere Nonium esso si parli non di Nonio si
governo delle Pannonie, cioè dal 191 fino
cosa risaputa
(') ]j',
-olo
?
di Capito-
del figlio suo maggiore, console nel 201. Se così
potremmo ammettere che
Severo era
passo
di
409, n. 02).
nostre fonti attribuiscano a Set-
veramente non
Ltebenam,
(cfr.
dubita
le
questo consolato
('fr. la
mia
ci
liarmo conservato che
Fasti ad. a. 207). di Af)ro;
Il
il
Mommsen {Corp. il Dessau
non però
serie dei curdlori delle vie {Bull.
Com.
Vaglieri, Consules, in De Ruggiero, Dizionario Kpifjrafieo, II, 047; Lieijenam, Fasti, ad. a. 207. (2) Oeumeg. VII, 307 o scg. 1801, pa^.
(')
H',i,
n. 4)
;
Ritti:kling, loc.
cit.,
pag. 32.
— timio Severo, alcune, della
altre,
panza
224
—
o^overno di tutte e due
il
Pannonia Superiore
delle fonti
della carriera
si
])olitica
soltanto,
questa discre-
e
manifesta negli scrittori moderni che di Settimio Severo
sono occupati.
si
Certamente^, non posso qui analizzare la spinosa sia,
controver-
mi porterebbe a considerazioni troppo difma, secondo me, hanno xaoione coloro, tra i quali
che
fuse
Pannouie,
le
;
farlo
il
H. Peter
(^),
che a Severo attribuiscono
Pannonie. Anzi vado
governo delle due
il
in là e credo che
pivi
il
futuro impe-
ratore avesse avuto nel governo di quelle provincie poteri
come fa Sparziano, quando dice
dei suoi predecessori. Erra senza dubbio,
pili estesi
giustamente osservare
il
Borghesi
(^),
che Severo Pannonias proconsnlari imperio rexit (Sev., poiché, se
((
intendesi
il
proconsulare imperivm
4, 2);
per quello
che suona e secondo che fu dato ad Elio Cesare, come mai
potè ottenerlo un privato
ì »
;
ma
role di Sparziano, erronee nella e la stessa
d'altra parte
forma
ma
accennata contraddizione delle
quelle pa-
vere nel fondo,
mi
fonti,
supporre che Settimio Severo avesse ricevuto
supremo
comando
Pannonie con poteri straordinari quasi che nel 136-137 furono conferiti a L. Elio
di tutte le
egiudi a quelli
Cesare
il
lasciano
(^).
E come
allora Elio
ebbe sotto
i
suoi ordini T. Sta-
Massimo nella qualità di iuridicus propraetore utritisque Pannoniae (*), così è a credere che Settimio Severo avesse a latere, come aggiunto nella sua amministrazione Panno nica, tilio
Muciano, con attribuzioni forse identiche a quelle
N'orno Statilio
Massimo. Muciano deve essere stato
a Severo nel suo lavorìo per acquistarsi si il
il
di
di
molto aiuto
trono
;
ed allora
comprende facilmente come il nuo\'0 imperatore premiasse figlio di Macrino con i fasci ordinari che ottenne nel 201. Si
potrebbe obbiettare contro questa congettura, che
(^)
Jen. Literaiurzeitung, 1875,
(^)
Oeuvres, Vili, pag. 458.
(3)
Dessau, Dessau,
(*)
319.
1062.
i)ii
844.
la
lapide
—
—
1!25
Verona (^), la quale ricorda le poche di
;
deve sorprendere, poiché anche
le
lapidi
bresciane di suo
padre Macrino omettono molte delle dignità che di Efeso gli attribuisce. D'altra parte si noti
la iscrizione
ancora che la
Verona mostra Muciano essere ascritto alla tribil Poblilia, e non alla Fabia, la tribìi paterna, e la ragione di ciò, osserva il Mommsen, s'ignora. Vi sono adunque taluni punti oscuri nello stato di servizio di Muciano, che non è possibile a noi di chiarire, ma che rendono almeno probabile la nostra congettura sia poi lecito sperare che, come la lapide di
;
terra di Efeso ci diede
un documento che
fece luce sulla car-
riera amministrativa del padre, così l'antica
un giorno
darci
una lapide
la
Pannonia possa
quale rischiari anche l'oscura
carriera del figlio.
(1)
C. Y, 3342.
15
GLI UTRIOULARII o
Si è disputato a lungo, e
romana
razione le
lapidi della
si
disputa ancora, sulla corpo-
degli utricularii
Gallia
detto alcuni, tra
i
(^)
quali
il
e quelle
della
Dacia
padre Menestrier
namusa
(®)
(*).
(^), gli
essere stati negozianti di vini e di liquori che nelle otri; Sertorio Orsato
menzione
di cui fanno
(^)
si
utricularii
trasportavano
credeva fossero sonatori di cor-
o fabbricanti di questo strumento musicale
stengono che
gli
Hanno
una
utricularii fossero
;
altri so-
specie di canottieri,
Pubblicato nel Bull, della Comm. Arch. Comunale 1912. Degli utricularii scrissi una prima volta nel Bulletin épigraphique de la Gaide, III (1883), pag. 232-233 ritorno ora sull'argomento con nuove osservazioni, alcune delle quali pubblicai già incidentalmente {})
(2)
;
nella Rivista
per
le
Scienze giuridiche, 1890, pag. 381 e seg.
2039 (LuguXII, 700, 729, 731, 733 (Arelate) ib., 187, 189 (Antipolis) ib. 360, 372 (Keii);ib., 1742 (Tricastinorum ager lo Hirschfeld dubita della autenticità del titolo) ib., 3351 (Nemausus) ib., 982 (Ernaginum). Le tessere di Cavaillon e di Narbona già pubblicate dal Calvet (v. pag. 228 nota 1) e dichiarate false dallo Hirschfeld {C. XII, 136*, 283*; cfr. p. 34*) sarebbero ora dimostrate autentiche da un'altra tessera enea simile, rinvenuta nel comune di Saint-IIippolyte de Montaigu e riprodotta da (3)
dunum)
C. XIII, 1954, 1960, 1979, 1985, 1998, 2009, 2023,
;
;
;
;
;
;
A, Héron de Villefosse nel Bulletin Archéologique 1912, pag. 104. Cfr.
anche 0. XII, 4107 (St. Gilles) ib., 1387 (Vasio) ib., 1815 (Vienna) XIII, 2839 (ager Aeduorum septentrionalis), ('*) C. Ili, 944 (inter Mikhàzam et Demenyhàzam circa Maros-Vàsarhely) ib. 1547 (ad pagum Marga prope confìnia Transilvaniae... qui ;
;
;
;
vicus, osserva
il
Mommsen, cum
incidat fere in
pontem illum Augusti,
notandiimest memorari ibicoUegium iitriclariorum). GM utricularii daWa, Dacia avevano por divinità protettrice Nemesi o Adrastea. {') l'répar. a VhinL de Lyon, pag 33. (*) De noi. liom. comm,. in Graevit, Thes., XI, 710.
— i
quali, por
trasporto delle mercanzie, sui fìnmi della Gallia
il
fiume Maros nella Dacia,
e sul
—
228
stenute da otri riempiti d'aria
pose
la
(^);
moderni
che cioè
(^),
semplicemente fabbricanti
stati
il
Lasciando in disparte
ha
più
Boissieu
(^)
mercanti di
e
alcun
sarebbero
credo
difensore,
?
accettabile (*),
nonostante
consenso generale che circonda
l'ipotesi del Boissieu e le
molte considerazioni per
infatti che
faceva
Boissieu
il
applicazioni degli otri nel
mondo
le
quali
dell' Orsato.
congettura, in sostanza può
sua
fendere la le
sembra degna quella
ragionamento
Il
dello
censure
le
il
(^)
che non
quella
delle quali fu fatta scoino,
Hirschfeld
Quale
otri.
l'ipotesi del p. Menestrier,
Schwartz, dello 8pon e del (^ilvet
allo
so-
infine pro-
ntricnlarii
^\i
questa varie opinioni è preferibile
di
zattere
di
spieo^azione nella (luale consentono la ma^i^orior parte
eruditi
debili
servivano
si
per
di-
questo:
dirsi
antico erano numerose
imperocché, oltre all'essere adoperati nella navigazione specialmente in quella dei fiumi, servivano
piti
tores vinarii
per
per quello degli
e
ai negotia-
trasporto dei vini, ai negotiatores olearii
il
sonatori di cornamusa e anche ai medici
olì, ai
per la cura di alcuni mali. Orbene, se
ìitricularii fossero
gli
semplicemente una specie di nantae,
stati
;
è possibile
immagi-
Misceli., pp. 61, 171, (^) V. Spon, Becherche (nouv. ed.), pag. 112 238; Schwartz, Misceli, politior., pag. 27; Calvet, Dissertation sur un monument singulier des utricidaires de Cavaillon, Avignon, 1766. Aderisce a questa opinione anche l'Héron de Villefosse nel suo studio interessante sugli utricularii della Gallia, citato nella nota 3, pag. 227. ;
(2)
hiscriptìoiìs de Li/ou, pag. 401.
(^)
Renier, Annoi, à
la
DiNS, Géogr. de la Gaide B.,
Bevue
épigr.
du midi de
la
168
;
,
Allmer,
;
lìiscr.
(1884), pag.
Il
112, n.
de
1;
Vienne.
DesjarII,
11; Mommsen,
Marquardt, Das PriraUehen
332
;
Bidl.
der Bòmer'^.
Blììmner, Gewerbliche Thaetigkeit, pa141; Gewerbe und Kunste bei G. u. Bómern, P, 277; Waltzixg, Cor-
pag. 740 gina,
I,
France
deirinst. A., 1853, pag. 78
= (trad.
Becherche de Spon, pag.
fr.
II,
402);
porations professionelles, lì, 187; IV, 125 e segg. {*) 11
Liebenam {Bóm.
fra le varie congetture
;
Vereinsivesen, pagg. 87-88)
così pure
Privataltertiimer, pag. 614, n. (^)
[1884J, pag. 244
Blììmner
si
mostra indeciso
nelle sue recenti
Barn.
7.
Gallische Studien, III. pag.
=
il
8,
Kleine Schriften,
n. 2 p.
(Wiener Sitzungsber., CVII
100 n.
2).
— nare che ad sonatori,
i
essi si rivolgessero
avere
mc^diei, i)er
o proi'essioiie
f
Non
—
2^9
niercaritr di vino, di olio,
i
i
necessari alla loro arte
gli otri
e più verosimiU^ che tutt
(^
([ueste arti
od industrie ricorressero ad una corporazioiKi indipendente e
speciale,
agli
utricularii,
numerosi a cagione prodotti
II
1
i
cui
collegi
dovevano
essere
molteplici ai)plicazioni dei loro
delle
ragionamento del Boissieu, a i)rima giunta,
sembra incensurabile, ma, esaminato a fondo, palesa subito i suoi difetti. E difatti è vero che numerose erano che
le applicazioni degli otri, e
città della Gallia, Lione,
le
Vienna, Nìmes, Arles, ove esistevano Mtricularii,
corporazioni degli
le
erano regioni vinicole e situate in riva a fìunù
sui quali fioriva allora gli utricidarii
commercio
il
e
trasporto dei vini
il
però non sono menzionati soltanto nelle
;
iscri-
ma, come ho detto, ancora in due lapidi Dacia, la quale non era ragione vinicola. Nella Pannonella Mesia invece, ove, per testimonianza di Eutropio,
zioni della Gallia, della
nia e
IX, 17 e di Aurelio Vittore, vite il
non sono
gli utricularii
(^),
loro collegio
gli otri
e dell'olio,
come
si
erano adoperati per
e
se fosse
vera
l'i-
in Italia,
trasporto del vino
il
ricava dalle fonti letterarie e figurate
monumento
Nella Gallia poi, un
anno
esistervi,
non esistevano nemmeno
e
;
nominati, mentre
affatto
avrebbe dovuto
potesi del Boissieu
ove pure
Caes.^ 37, fioriva la coltura della
(^).
scoperto da qualche
da poco pubblicato dal signor Marco Deydier
Bull, archéolog.
du comité
^tifiques 1912, i)ag. 3 e seg.,
travaux historiques
des
dimostra che
simile applicazione. Si tratta di
un
gli otri
et
nel
scien-
non avevano
bassorilievo rinvenuto
in Cabrières d'Aigues (Vaucluse), nelle vicinanze della valle della
Duranza, che forma un importante documento per
romano
storia del commc^rcio (^)
Il
iiher Alteri,
nella Narbonese.
Volgi, i(^iideiido conto del del Burniaii
XL
mio primo
Esso
la
rapx)re-
scritto nello Jdhresb.
(1884), 255, volendo x^roviire che
la
mia
obiezione alla ipotewi del J{oÌ8KÌeu, desunta dalle lapidi della Dacia, aveva
poco valore, mi opponeva appunto i due Vittore, mentre questi confermano anzi (/')
Makquakdt, lióm.
viticultura presso i
])as.si
la
di
mia
Eutropio e di Aurelio tesi.
Privatleben^, li, jjag. 25é, n.
Romani,
x>ag.
144.
4
;
Manzi, La
—
230
—
senta due scene della vita quotidiana j>rese dal vero
l'una,
:
una scena di tonneggio sopra un fiume l'altra, la bottega di un grosso mercante di vini, ove si vedono i recipienti ;
adoperati per contenerli, e sono botti, anfore in terracotta, vasi di vetro cojierti di vimini
ben nota l'Héron de
alla collezione,
per servire
solo recipiente che
il
;
Villei'osse
è quello che,
(^),
trasporto dei vini, sarebbe stato oggetto di una
al
intensa lavorazione nella regione vicina. Difatti
non
sul
come
(litres), celli,
il
mai
ma
Boissieu vuole,
di x)iccoli otri (utricMÌi),
gli titres,
gli utriculi
per
i
fabbricanti di otri
bensì
i
fabbricanti di otri-
mentre il
i
significato
al
già
citano sempre
le fonti
trasporto del vino
ambedue
deriverebbero due conseguenze,
l'una, che
stando
utricnlarii,
non sarebbero
letterale della parola,
fabbricanti di otri (utres)
(^)
che sarebbero
bricanti: gli utriciilarii e gli utrarii. v£u[jiaTa,
una
tina che
il
terzo] secolo
(^),
Fortunatamente
(^)
troncano
latina della parola
(e
greca
appunto utrarius e non
il
che ad essa attribuiva
àoy.oTzoioc,
utrieiilariiis
il
partae victoriae ludiSj ctiam
Cfr.
(^)
et
avvertiva)
lo
corrispondente
(fabbricante (^),
del
di
dimodoché avere
il
otri)
è
è chiaro
significato
che trova :
il
suo fondamento
voremt... proditurum
Jiydraulam
chomuìani
et
ti
pag. 23.
Ed. IHocl. de
Notices
un anonimo
la
essi
in questo passo di Svetonio {Nero, 54)
(2)
ma
Boissieu.
l'ipotesi dell'Orsato,
cit.,
di
Voigt stesso
che quest'ultima espressione non può
Loc.
gii 'Ep{nr]-
a Giulio Polluce,
attribuisce
ogni dubbio in proposito, poiché in
(^)
l'altra,
distinte di codesti fab-
Krumbacher, sono opera
che, secondo
Eimane
;
specie di dizionario di conversazione greco-la-
Boucherie
il
da
e
sarebbero denominati
si
due corporazioni
esistite
;
inverosimili:
dalla specie piìi piccola dei loro prodotti (utrimdi)
se,
rilievo
vi è traccia alcuna dell'otre.
Si noti inoltre che gli
ciò
manca
pretiis.
extraits des
X, 13-15
{C. 1. L. 111. pau. 11)38).
maniiscrits de la
liibl.
yution.
XXlll.
2ème partie, pag. 384. (*) (5)
Cfr. Christ., Gesch. der grich. Litteratur*. pag. 804. Cfr.
ed. Goetz)
;
anche Glosme Gnieco-Uttinae (Corpus Clot^s. Ilermeneumata Monlepessidana, ib. 307, 0.
l.at..
11.
-48.
— utricularium. autorevole
parere
—
231
con tutto
Ora,
il
che,
dell' Il irseli feld
rispetto
dovuto
come ho
al
detto, la
reputa de^na di considerazione, non so decidermi ad accettare l'ipotesi dell'Orsato, per la
che nel passo di Svetonio a parer mio, che
da
debbano
tali
Eoma
in
collegio,
?
(^)
sonatori di cornamusa for-
?
ricordati soltanto
D'altronde, è possibile di consi-
come
musici,
quando vediamo uno
nmitarum Druenticorum qualificato anche come lintiarius
di essi chiamarsi patronus
982) ed
un
1998)?
Una
e
i
altro è
relazione fra
lintiarii, è,
modo,
in alcun
ove era un centro fiorente di vita
Dacia
utricularii
gli
i
perchè dovrebbero essere
nella Gallia e nella
derare
non segue
perchè non dovebbero essere menzionati
e in Alessandria
musicale
ciò
essere stati gli utricularii della
Gallia e della Dacia. Se infatti
mavano un
vero
è
:
parola idricularius significa
la
ma
suonatore di cornamusa,
seguente ragione
i
sonatori di cornamusa,
secondo me, inconcepibile
;
(C. (C. i
XII,
XIII,
nautae
per la qual cosa
credo che l'antica opinione dello Schwartz, dello Spon, del dell' Héron
Calvet e
la piti verosimile
de Villefosse
(^)
e del
i
canottieri dei
fiume Maros nella Dacia
nome. Se
a prova contraria,
né paia strano che tanto
;
cornamusa, quanto
di
sia, fino
l'otricello era,
per
si
gli
fiumi
i
sonatori
della
Gallia
designassero con uno stesso
uni e per
gli altri, la
materia,
l'elemento primo della loro professione, è naturale che esso
dovesse concorrere, come elemento primo, alla formazione del
nome
che serviva ad indicarla, e nella vita pratica del
tempo non saranno mancati mezzi,
contrassegni, che a noi
fanno difetto, per distinguere fra loro queste due ste
due
j)rimo
que-
una confusione che, a potrebbe sembrare non solo possibile, ma
i)rofessioni,
aspetto,
arti,
togliendo
così
altresì inevitabile.
LuMBROSO, UEfiitio dei Greci e dei Romani, Friedlander, Hillengeschichte, II F, 360, 306.
(*)
n.
1
;
2» ed., pag.
110,
tempi antichi cfr. Caesar, de hello civili, I, 48**; Livius, XXI, 27; Suet., Gaemr, 57; Flor., III, 5 Front, ^trat, III, 13. Cfr. Héron de Villefosse, Ice. (2)
Sull'aj)j>licazi()n(;
;
cit. i)ag.
11 4 e seg.
degli otri alla navigazione nei
*
I
STUDI BIZANTINI
UN FRAMMENTO EPIGRAFICO CRISTIANO DELL' ISOLA PORTUENSE "
testo, fu scoperto nella
diamo qui appresso seconda metà del secolo decimo
Morene
nel cortile del cenobio dei Fate-
Il il
frammento, oggi perduto,
settimo da Carlo
cui
d.i
bene-fratelli situato accanto alla chiesa di
camente portava
il
nome
o de Insula, o inter duos
(^)
Lo
scritto
di
s.
Giovanni Battista in Insula,
pontes
(^).
L'apografo del Moro ne
presente fu Ietto nell'adunanza dell'imperiale
tuto Archeologico Germanico del 20 marzo
Comm.
tino della (^)
La
Giovanni Ca-
tiberina o Licaonia, la quale chiesa anti-
nell'isola
libita,
s.
Archeologica comunale di
1
Isti-
896 e pubblicatone! 5i/We^
Boma,
1896.
chiesa di S. Giovanni Battista è menzionata in parecchie
bolle pontificie che citeremo
piìi
tardi e sulle sue rovine sorse nel secolo
Giovanni Calibita per opera dei frati ospiSopra la porta, nell'interno della chiesa, si legge una iscrizione (Forcella, Iscrizioni delle Chiese, X, p. 220, n. 344) in cui è detto che la chiesa è sacra a S. Giovanni Calibita, romano, del quale ivi era la casa paterna; ma questo è un errore, perchè il santo, come risulta dalle sue antiche biografie, nacque invece in Costantinopoli, rpuie nova Boma vulgo ajìpellatvr, coma dice una di quelle biografìe, ed era figlio del patrizio Eutropio e di Teodora, nomi questi non certamente romani. I genitori, dopo la morte di lui, tumulatone il corf>o nel tugurio dove il santo aveva vissuto e che era situato accanto alla casa paterna, vi edificarono sopra un tempio in suo decimosettimo
talieri
noti col
la chiesa di S.
nome
di Fate-bene-fratelli.
onore. Al tempo degli imperatori Iconoclasti alcune parti del suo corpo furono trasferite in Roma nell'isola tiberina, altre a Besan9on. Cf. Ada Sanctorvm, 15 gemi., I, 1029, seg. Symeon Metaphrastes (Migne, P. ;
Or., 114,
507 e seg.) xikon, VI, 1701-1702. 1,
e.
;
Stkeber,
in
Wetzer unfl Welte's Kirchenle-
— si
conserva in un codice della biblioteca barberiniana (Barb. 2003)
lat.
servano
due altri codici della stessa biblioteca si conapografi di Giovanni Maria ]Je 8uares vescovo di e in
(^)
«ili
Vaison (Barb. 2109)
lat. il
—
236
De
neste rini
lat.
3084)
che videro anch'essi
(^)
Giacomo Bouchard (Barb. la epi^iirafe. La pubblicarono
e di
('-)
Suares predetto nel suo libro (*)
e
il
sulle
antichità di Pre-
Fabretti nella sua silloge epifirafica
(^).
Il
Ma-
vide e copiò quella parte del frammento racchiusa da
linee e
il
suo apografo, supplito nella parte perduta col testo
del Fabretti e
con l'apografo suaresiano
(^),
trovasi pubbli-
cato nel volume delle sue iscrizioni cristiane edite dal Mai
De
(').
come ho detto nella nota sesta, illustra, in una scheda inedita, il nostro frammento en.e propone migliore lezione, ma quella scheda, scritta molti anni fa, non contiene l'ultimo pensiero dell'insigne arclieologo, ed una sua Il
Bossi,
allusione alla epigrafe,
cheologia Cristiana
persuaso che
il
De
»
contenuta nel
il
Bullettino
del 1866, di cui dirò appresso,
di
mi
Arfa
Eossi, pubblicando la scheda, ne a\^ebbe
interamente modificate
Ecco
«
conclusioni.
le
frammento
testo del nostro
:
\
1
+ VANDALICA QVAM (^) (2) (^)
HANC
MARTYRIS AVLAM PETRVS a/nTISTES CVLTV MELIORE NOVATA
XXX,
RABIES
VSSIT
•
95 secondo l'antica numerazione. XXXVIII, 100, f. 171-172 secondo l'antica numerazione. XXX, 182, f. 135 secondo l'antica numerazione. 136,
f.
Romae,
(*)
Praenestes Antiq.,
(^)
Inscr. Antiq., p. 737, n. 477.
miro DA
Roma {Memorie
nori della prov. romana,
1655, p. 283.
La
j)ubblicò anche
il
padre Casi-
istoriche delle chiese e dei conventi dei frati mi-
Roma
De Suares. Lo desumo da una
1764, p. 268) togliendola dal libro su
citato del {*)
delle schede inedite di G.
13.
De
Rossi, pre-
grande raccolta dello iscrizioni cristiane di Roma, nella quale il sommo maestro illustra il nostro frammento e ne propone migliore lezione scheda che il eh. amico prof. Gatti, con la sua usata cortesia, di cui gli rendo qui pubbluamente grazie, mise a mia disi)osizione. {') Scriptorum Veterum Nora Collectio, \. j>. 158, n. 3. parate, circa quarant'anni or sono,
per
la
sua
;
—
—
237
Lo proponiamo secondo la lezione del Bouchard, che diversifica dajzli apoorrafì del Morone e del De Suares, dei quali sono date in nota
due punti nopjramma
di Cristo
fetto novavit-, altre due,
+
nella
:
ma
nota
(^),
premessa
frammento invece
^
,
al
De
questi
del
mo-
e nel participio navata invece del per-
la lezione del
il
specialmente in
le varianti
Rossi,
parte del frammento che
il
Bouchard
è preferibile alle
perchè confermata da quella Marini potè trascrivere e nella
quale appunto egli vide la +. Stabilito così
il
testo del nostro
innanzi tutto domandarci buire
dove era situata
ì
vandalica visse
a quale età devesi esso attri-
la chiesa
che fu arsa dalla rabbia
a quale diocesi era preposto e in
?
qual tempo
da cui venne restaurata ? A queste rispondere per primo il De Suares, in
Adesco vo Pietro,
il
domande una
:
frammento, dobbiamo
cercò di
lettera del 10 ottobre 1658 diretta al cardinal Francesco
Barberini e datata da Yaison
congetture nell'isola
:
(^),
prima, che la chiesa di
la
Licaonia
sia stata
quale propone due
nella s.
Giovanni Battista
bruciata dai Vandali, quando, nel
455, venj?.ero condotti dal re Genserico a saccheggiare nel qual caso
Eoma,
suo restauratore sarebbe Pietro vescovo di
il
Porto, nella cui giurisdizione era appunto
l'isola
Licaonia,
^ MoROXE De Suares, Fabretti KABIS, MA...IS, FaAVLA, De Suares ANTISTIS, De Suares, Fabretti, Marini, De Rossi Meliori, De Suares, Fabretti NOVAVIT, Morone, De Suares NOVAVI, Fabretti, Marini. (1)
bretti
;
;
;
;
;
;
La
trova nel codice Barberiuiano 3018 (XXVIII, 34, p. 89-90 secondo l'antica numerazione) ed è la risposta ad una lettera del cardinal Francesco Barberini del 25 agosto 1658 (oggi non esi(^)
lettera
stente), nella quale
fii
il
cardinale
non comunica al De Suares il frammento come pensa il De Rossi, perchè il De
epigrafico ritrovato dal Morone,
Suares già lo conosceva e lo aveva anzi publ)licato nel suo libro su ricordato intomo a Preneste, tre anni prima, ma gli propone, o gli chiede alcune spiegazioni sul frammento stesso, come parmi di intendere dalla risposta del De Suares medesimo che comincia così La santa curiosità di V. Km. in questa lontananza mi dà modo d'imparare sempre, così io (ir-Jla benig.nria sua delli 25 agosto, quale mi insogna che l'Episcopio :
Portuense, etc.
»,
<(
— che intervenne ossia nel 465
al sino do
(^)
^38
romano
la seconda,
;
— al
tempo
di
s.
che la chiesa di
Papa,
Il aro
Giovanni
s.
Battista sia stata bruciata dai Saraceni, quando, nell'846,
vennero depredando
le chiese di
sarebbe quello sotto
il
Eoma,
e
il
vescovo Pietro
quale Callisto II unì insieme
le
chiese episeopali di Porto e di Selva Candida, nel 1120
due (-).
Di queste due congetture proposte dal De Suares, la seconda non è atfatto accettabile, e il De Eossi osserva assai bene che
i
Saraceni non poterono devastare
tuata dentro
come
Eoma si
esistenti,
come
città
Inoltre
(^).
carsi ai
una chiesa, poiché essi, del tempo e specialmente da Gio-
limitarono a danneggiare
i
la basilica di san Pietro, fuori le
mi pare
assai
difficile,
che l'espressione vandalica
possibile
Saraceni
:
si-
e incendiarne
risulta dagli scrittori
vanni Diacono,
l'isola tiberina
per
rabies
sia
usato un termine conforme a quello
edifici
mura
non
per designarli,
nella lapide,
soli
della
dire im-
da applisi
sarebbe
che trovo adoperato
una bolla del pontefice Sergio III, del 23 maggio 905, in cui appunto si rammenta la desolazione che alla chiesa epi-
in
Candida fu cagionata a nepJìandissima Sarracenorum gente (*). Di piti la chiesa di s. Giovanjii Bat-
scopale di
tista, arsa
Selva
nell'SlG,
Pietro II, fra
il
sarebbe stata restaurata dal vescovo
1106 e
il
1120, mentre da
una
iscrizione in-
Sinodo fu aperto dal pontefice Raro il 19 novembre 465 {Flavio Basilisco et Herminerico viris clarissimis consulihus Sìih die XIII Kalendaritm Decembrinm) in basilica sanctae Mariae alla presenza di cinquanta vescovi, fra i quali appunto è nominato Petrus Portuensìs {Decretiim synodale Ililari Papae in Thiel, Epistolae Bomanoritm Pontificum, I, 159). Cf. Gams, Series Episcoporum, p. Vili. (2) Ciò risulta da una bolla di Gregorio IX del 2 agosto 1236, nella quale è menzionato il privilegi um di Calisto II che unì le due chiese (Ughelli, Italia sacra, I, 130). Cf. Pottiiast, Eegesia, I, p. 868, n. 10217: Cristofori, Storia dei Cardinali, l, 10 Gams, op. cit., p. IX. 315) {^) Chron. Episc. S. Neap. Eccl. (Muratori, B. I. Serip. I, 2, p. Africani... Bomam supervenerunt ntqne... Ecclesias Apostolorum, et cunvta quae extrinsecus repererunt,l\(genda pernicie et ìiorrihili capti ritate diripuerunt. Cf. Muratori, Annali d Italia (a. 846). Milano, 1838. 11. 419. C*) Marini. Papiri Diplomatici, p. 32. (^) Il
;
:
— un
cisa snlla fronte di
all'a.
—
sarcofii^^o
lateraneiise, ricaviamo che
Porto dall'a. 846
239
che
Formoso,
trova
si
il
(juale
stessa e ricordata del 1018
(%
di
fu vescovo di
876 e poi divenne papa, trasfetì
chiesa alcune reliquie di martiri ostiensi
come
palazzo
nc^l
in quella
chiesa
e la
(^),
esistente nelle bolle di Benedetto
XIX
Giovanni
YIII
del 1026 C), di Benedetto
TX
Leone IX del 1049 (^). Questi arfi^omeriti bastino a provare dunque come sia insostenibile la ipotesi che vorrebbe attribuire il nostro frammento al tempo dei del 1037
(4)
e di
Saraceni.
Migliore è invece la congettura che dei Vandali
con
le altre
che trovo usate nei documenti contemporanei, vandalica
(^),
necessitas ;
C^),
non
e d'altronde, lo
possono
notava
Eossi, nulla vi è nella lapide che impedisca di attri-
buirla al secolo quinto
(^)
tempo
parole vandalica rahies, messe a raffronto
che a quei barbari soltanto
riferirsi
De
le
vandalica
clades
il
:
lo riferisce al
Grut. 1053,6
:
Ma
(^).
se è cosa certa che nella la-
Hic requiescunt corpora sanctor{um) martyrum
Taurini, Hercidiani, atque lohannis Calibitis. Formosus epi-
Hipolyti,
scopus condidit. Cf.
De
Eossi, Byll. Crisi., 1866, p. 49.
Marini, Papiri, p. 65= Ughelli, Italia Sacra, I, 116. (^) Marini, p. 77 = Ughelli, I, 97. La chiesa di s. Giovanni BattÌ8ta è ricordata anche in un documento dell'archivio di s. Maria in via Lata, del 14 giugno 1029, nel quale si legge che Benedetto vescovo di Porto concede in enfiteusi perpetua ad Ermengarda e Boniza abbadesse del monastero dei ss. Ciriaco e Nicolò, qui ponitur in via Lata, un molino nel Tevere in insula quae vocatur Licaonia insta ecclesia sancti lohannis {Ecclesiae s. Mariae in via Lata Tahvlariuni. ed. L. Hartmann Vindohonae 1895, p. 67 = Galletti, Del Primicerio, p. 260, (2)
n.
—
34).
=
(®)
Ughelli, I, 104. Ughelli, I, 123. Liber Ponti/ìcalis (ed. Duchesne) 1, 239.
(')
Novell.
(4) (5)
(^)
Marini, 83 Marini, p,
De
85=
Valentin.,
Rossi,
neh.
XXXIV, ms.
:
"
§
12.
Kpigrammatis
stiluR
meliorem sapit
aetatem et licet nonnulla antiquitatis indicia, Mariniani fragmenti eciypon et Buchardiana lectio excluserint (crux enim in locum mouogrammatis suffecta eat et NOVATA (sic) scriptum prò NOVAVIT), tamen nulla ratio est cur saeculo quinto inscriptio abjudicanda sit, vel 8Ì Bolae litterarum lormae spectentur ». ;
— pide
fa
si
240
—
menzione dei Vandali,
è altrettanto certo
Chiesa da quei barbari bruciata sia quella di
Saures, nella quale
an.che dal di
Roma
Prima
De
il
G18)
GioA^anni Bat-
Bossi consente e che è accettata
compianto Armellini nel suo (2 ed-, p.
la
secondo la prima congettura del
tista nell'isola Licaoiùa,
De
s.
che
f
Io
non
lo
utile libro sulle Chiese
credo e per
piìi
ragioni.
tutto bisognerebbe pro\'are che fino dal secolo
di
quinto Pisola tiberina trovava si nella giurisdizione del ve-
scovo
Porto
di
per
mentre,
;
quanto
mi
dalla
risulta,
non possiamo secolo nono ad ogni modo, nella quinto i vescovi di Porto non de-
lapide del vescovo Formoso, che citai poc'anzi, ciò certificare
che per
il
;
seconda metà del secolo
vono aver a^nito giurisdizione sull'isola, né la chiesa di san Giovanni Battista era forse ancora edificata. In quel tempo nell'isola esistcA^a
un carcere
dannati a morte per gra^^ quivi aspettassero zioni di
un
i
in cui
delitti
si
rinchiudevano
contro
lo
i
con-
stato, affinchè
trenta giorni che, secondo le disposi-
antico senatusconsuTto Tiberiano, dovevano tra-
scorrere dal
momento
in cui la sentenza era pronunciata
a quello in cui doveva essere eseguita. Infatti nell'anno 469 in quel carcere fu rinchiuso,
come narra Sidonio Apollinare
una sua lettera, Arvando prefetto delle Gallie condanjiato a morte per reati di concussione e di alto tradimento verso lo Stato {^). Ora è molto probabile la congettura del De Saures che quel carcere appunto fosse poi trasformato nella in
chiesa di (^)
s.
Epist.
Giovanni Battista I,
7
:
(^),
la quale,
per conseguenza,
sed (Arvandus) capite midtntus in
insulam
co-
niectus est serpentis Epidauri, uhi usque ad inìmieorum dolorem devenustatus et a rebus humanis veluti vomitu jortunae nauseantis exsputus nunc ex vetere senntu sconsulto Tiberiano trigìnta dierum t>ìiam post sententiam trahit, imcum et Gemonias et laqueum per horas turbuLuetj oliami). citata) considera questo carcere per quello
lenti carnificis horrescens (ed. (2)
Il
De Suares
(lett.
Marta e compagni (le cui reliquie furono collocate nella chiesa di s. Giovanni Calibita, come apparisce da una iscrizione ivi esistente [Forcella, X, in p. 220, n. 344]) i quali morirono nella persecuzione di Claudio II stesso che è ricordato negli atti dei santi martiri persiani Mario,
;
codesti atti è detto che quei martiri venientes in castra trans 2'iberim,
—
241
—
non esisteva ancora ([uaiulo Vandali vennero ad oeciii)are Eoma. Ma (jiiesti argomenti che cluamerò esterni avrebb(^ro un valore tutto relativo, se la lapide stessa iv)n fornisse un argomento che a me pare perentorio e al fjuale> darò la forma i
perchè riesca
sillogistica,
di cui parla
di
maggiore evidenza. La chiesa,
nostro frammento era dedicata ad un
il
mar-
Giovanni Battista, nella Vera espressione del termine, non fu martirie; dunque la clùesa che portava il suo nome nelPis( la Licaonia non è quella che i Vandali bruciatire
;
s.
rono nel 455. L'argomento mi sembra incontrovertibile e
da demolite completamente l'iJ)otesi fin qui combattuta. Ma a questo punito ci si pi^esenta sempre dinanzi la do. mand^ ove era situata Vania martyris che soffrì l'incendio tale
:
Per rispondete a tale domanda viene in aiuto Fabretti, il quale nota che il frammento si trovava « in
dei Vandali il
1
templi d. Ioannis Calybitae
sacrario
(olim) era situato
in insula Portuensi
«
ma
»,
che una volta
Donde
».
il
Fabretti
abbia ricavato questa seconda indicazione topografica, che
manca
negli apografi del
Morone, del
De
Suares, del Bou-
chard e anche (notisi bene) nel testo dell'ultimo
una parte
frammento,
del
il
Marini,
pur troppo, come a tutti è noto,
non
esistono
chi conosce
I\Xa
(^).
le
non la
saprei dire, perchè piti
grande diligenza di
non può dubitare che esatta non ne dubitò lo
sia
vide
schede del Fabretti
quell'archeologo lui riferita
'che
indicazione da
la
-,
stesso
De
Eossi,
sebbene nella scheda manoscritta, non ne faccia
poiché,
alcun
cenno,
stiana^
»
del
pure nel suo
ove
1866,
«
Bullettino di Archeologia Cri-
illustra
ampiamente
i
monumenti
cristiani di Porto, scrive, alludendo alla nostra lapide, che il
Fabretti di\'ulgò qualche iscrizione portata nell'isola
in carcere invenerunt
ctorum, stra ivi cHistenti
II,
216)
;
hominem venerabilem Cyrinum nomine (Acta San-
ma
io avrei
nominati o sono
i
qualche dubbio in proposito, perchè
castra
Ravennatium o
nella regione transtiberina, (Cf.
Epigrafico di E.
Cj V.
De
ti-
De Ruggiero
II,
Rossi, Inscr. Chr.,
138]), I,
i
i
ca-
castra lecticariorum
Vaglieri, Castra [Dizionario
non però
nell'isola Licaonia.
XXVI*. IG
_ berma ah
243 --
ìnsula Portnensi
Orbene, se
(^).
la
indicazione
tramandata dal Fabretti è vera, nelPiscla portuense dfeve esser esistita una chiesa a cui si possa riferire il franmaento epiorafìco di cui discorriamo.
noi sappiamo che
primo vescovo
il
difficilissime, sulle (2),
cosa è chiarissima. Ora di Porto, cioè
s.
Ippolito,
addensa una quantità di questioni quali non intendiamo punto di adden-
intorno alla cui storia
trarci
La
si
fu sepolto nell'isola sacra di Porto,
cirica
sessanta
piedi dentro essa, poco lungi dalla fossa ove era stato git-
tate ed uociso
dicata in
al
(3)
;
e in quel luogo sorse più tardi e fu de-
martire Ippolito una basilica, la quale è ricordata
due passi del Lìber
di Leonie III
(*)
Pontificalis e pre'cisamente nella vita
e in quella di
Leone IV
(^),
oggi rimangon.0 l'antica torre camipanaria architettonici.
È
quindi
mento non possa
come
evidente
e di cui
ancora
alcuni
avanzi
nostro
fram-
e il
che alla basilica del martire Ip-
riferirsi
da cui antonomasticamente prendeva nome il vescovado di Porto (^). Ciò ammesso, ogni cosa si spiega in modo assai facile. Xel 455 i Vandali, sl^arcati a Porto, atpolito,
traversarono
l'isola
sacra devastandola ed incendiando la
basilica che in essa sorgeva
;
alcuni anni dopo, circa
465,
il
Pietro, vescovo di Porto, la restaurava rendendola più gnifica.
Più tardi, vale a dire nel nono 'secolo, quando
(1)
Bull. Cr., 1866, p. 51.
(•-)
Intorno a
s.
De
Ippolito v.
ma-
i
cit-
Rossi, Bull. Cr. IV, (1866) p. 48 e
VI (1881), p. 26 e seg., s. 4, I (1882), p. 9 e seg., II (1883), Allard, Dernières Persécutions, p. 343, e seg. Xeumann, Der p. 104 Bòmische Staat und die allgemeine Kirche, I, 257-264. seg.,
3,
s.
;
(^)
;
Ada
SS., AuG., IV, 506
:
Christiani sepelierunt [beotum Hippo-
lytum] in eodem loco non longe ab ipsa fovea quasi pedes plus minus xagìnta in insula. Ci. De Rossi, Bull. Cr., 1866, pag. 49. (*)
Lib. Pontificalis II, 12
Duchesne
:
se-
Basilica beati Hippolyti mar-
tyris in civitate Portuense. (^)
Lih. Pontificalis II, 125
:
Ecclesia beati Hippolyti martyris, quae
ponitur in insula Portuensi. (®)
Portuensis beati martyris Rippolyti
chiamato
il
vescovado
(pag. 238, n. 2).
di
ecclesia,
Porto nella bolla di Gregorio
così
IX
è
appunto
sopra citata
,
—
-
i2t3
tadini di Porto, atterriti dalle frecjuenti iina.sioiù dei Saraceni, furono costretti i
ad abbandonare
vescovi di quella diocesi
nell'isola tiberina,
la patria
anche
(^),
cercarono una sede più sicura
che da quel tempo passò sotto
Formoso, uno di questi vescovi, come
giurisdizione.
s.
at-
Eoma
testa la lapide che ho poc'anzi ricordata, trasferì in le reliquie di
loro
la
Ippolito insieme con quelle degli altri martiri
Taurino ed Ercolano, che erano stati nascostamente seppelliti in Porto, e le congiunse alle reliquie di s. Giovanni Calibita
che
si
trovavano nella chiesa
quell'occasione fu
anche
abbiamo
la lapide di cui
Eoma
a
trasferita
fin
non m'inganno, questa è nostro frammento che non urti fatto
difficoltà
Ed
che circondano
dali diedero a
qui ragionato
portuense (^).
Se
af-
la sola interpretazione del
in quegli scogli e in quelle
le altre
Sono note
Eoma
le
congetture proposte.
si
vicende del sacco che
A
Bom im
questo tempo
:
Miti.,
si riferisce
nono secolo
v.
Gregokovius,
IIP, 98 e seg. (= trad. ital. Ili, 129). un fra-mmento di metrico carme, nel
quale forse è fatta menzione di un Ovspizio costruito nell'isola
una chiesa
Van-
;
Sulle condizioni di Porto nel
Geschichte der Stadi
i
ognuno sa come il saccheggio estese a tutte le regioni urbane
nel 455
durò quattordici giorni e
(2)
dall'isola
e in
;
ora un'ultima parola sulla importanza storica del
titolo epigrafico.
(^)
dell'isola tiberina
tiberina
mentre la città di Porto {Urbs Fortensis) periva senti ^pressa mina, che fu veduto e copiato nel medesimo chiostro del cenobio di s. Giovanni Calibita dal Morone, dal De Suares e dal Bouchard e pubblicato dal Fabretti (1. e, p. 737, n. 478). Sono lieto di poter presentare ai lettori il frammento secondo la migliore lezione proposta dal De Rossi (sch. rns.) Pauperibus vict[v]m nudis cum tegmina confert Hunc habuit patrem orfanus et vidua. Hanc aulam propr[iis opi'\bus construxit ab imo, In qua sanctorum [plu]rima membra manent Urbis Fortensis 8en[ii est q\uae pressa mina. Il supplemento sen[ii'\ proposto dal De Rossi è conforme ad una espressione da lui trovata nella vita di Gregorio IV {Liber Pontificalis II, 82 Duchesne) in cui appunto parlandosi della città di Porto, si dice che era longo quassata senio. Erroneamente il De Suares (lett. citata) x>r<^>p^*rideva a crederlo l'epitaffio del vescovo Pietro menzionato nel nostro frammento. e di
ivi riedificata,
:
—
— <;li
Oggetti preziosi del palazzo imperiale, le insegne del su-
premo potere,
statue del tempio di Giove Capitolino, le
le
lamine di bronzo
elie
ne copriAaiv)
il
tetto, alcuni vasi pre-
che l'Imperatore Tito ave^'a portati via dal tempio
ziosi
di
Ui —
Gerusalemme,
arredi sacri delle chiese parrocchiali,
gli
tutto fu preso dai barbari soldati di Genserico la città
rimase sah'a dalle stragi e dagli incendi.
Il
;
soltanto
re
Vandalo
mantene\a così la promessa fatta al pontefice san Leone I, il quale, quando Genserico stara per entrare in Koma, mentre la maggior parte degli abitanti fuggivano, ebbe cuore di farglisi incontro fuor delle lesse
almeno risparmiare
evidente
come questa
mura per
alla città
Tunnuna
(^),
e
i
s.
non buone
bizantini Evagrio
Isiceforo
si
fonda
sul-
Prospero d'Aquitania
Chronica Gallica
tener conto di fonti e
sangue ed il fuoco. Ora è
tradizione storica, la quale
l'autorità delle fonti migliori, cioè,
Vittore di
il
supplicarlo che vo-
(non devesi
posteriori,
e assai
Callisto
(^)
(^),
come
i
che parlano di un
incendio generale della città), sarebbe scossa nelle sua fon-
damenta qualora
fosse vero che
chiesa nell'isola tiberina
;
ma
i
Vandali incendiarono una
se,
come
spero di aver pro-
vato, questa chiesa era invece situata nell'isola di Porto,
frammento conferma splendidamente la zione che il sacco di Eoma, nel 455, avvenne sine il
nostro
igne, per usare la frase dei
Chronica Gallica
tradiferro et
(*).
«
(^)
(2) (•*)
(*)
(Roma
Chronica Minora
(ed.
Chronica Minora, Chronica Minora,
II, l,
Mommsen)
a.
455.
484.
663.
Sui particolari del sacco 1896) ad
I.
186.
di
Roma,
v.
i
miei Anjiali
d'Italia
E
Il
LE REGIONI SUBURBK^AKIE UNA POLEMICA DEL SECOLO XVI
tema
C]
decimo-
di questa prelezione suscitò nel secolo
settimo, in quel secolo che vide tanti preclari
T
ingegni
una
gnalarsi nei diversi rami delle scienze antiquarie,
se-
inte-
ressante e vivace polemica che merita di essere ripresa in
esame ed analizzata rapidamente, perchè mi offre modo - completando i miei studi sull'amministrazione d'Italia dopo i tempi di Diocleziano (^) - di render piìi chiari taluni punti ancora oscuri dell'ordinamento provinciale del nostro paese iniziatosi sul finire del secolo terzo.
Per ben comprendere
il
contenuto
dell'accennata pole-
mica occorre ricordare per prima cosa quali erano zioni amministrative dell'Italia nel periodo del
pero. Tutti
secondo
monta tre
le
sanno che
condi-
le
Basso Im-
la prefettura del pretorio
d' Italia,
testimonianze della Notitia Bignitatum
che
ri-
primo decennio del secolo quinto, comprendeva diocesi una delle quali chiamavasi I^aZict e diversamente al
dalle altre diocesi, era
da due vicari
:
il
governata non da un
primo aveva sede
vieariuH Italiae, l'altro risiedeva in
(^)
Prelozione al corso di Storia
in
solo,
ma
bensì
Milano e chiamavasi
Eoma
e
portava
il
nome
ed Istituzioni Politiche del Basso
Impero letta nella R. Università di Roma il 17 dicembre 1906 e pubblicata volume di scritti vari dedicato al Cardinale Baronio, nel terzo
nel
centenario della sua morte, (^)
dentale,
La
I)ioce,si
Roma
Italiciana
1903.
Roma,
1911.
da Uiodeziino
(dhi
fine
delVImpero Occi-
— di cicarius in urbe
Roma o
—
24G
vicarins urbis Roì}ìac(^). Dsil vicarnis
dipendevano sette provineie
Italiae
Liguria
Flaminia
Aeniilia;
et
Alpes Coitiae
Raetia prima
;
;
Histria
et
annonarium; Queste provineie
secìinda.
che eostituivano l'antica Gallia Cisalpina fino all'Arno
e dalla Hezia, ossia
Baviera,
si
il
territorio dei Grigioni, del Tirolo e
sogliono anche indicare con
annonaria^ poiché sopra di esse gravava dall'imperatore Massimiano per
per
altresì
il
nome
il
(e
del-
di regio
tributo imposto
mantenimento non
il
Milano
della corte imperiale di
ma
solo
tardi di Eavenna),
piìi
bisogni dell'esercito, e che consisteva in vino,
i
legna ed altre derrate
(^);
nei documenti del
tempo le troviamo
anche chiamate regiones Italiae o Italia semplicemente
Dal vicarins urbis dipendevano l'Italia
e
accresciuta però a settentrione dalle Alpi Cozie
all'Esino,
l'alta
;
Piceli iim
et
Radia
Vcnetia
:
provineie costituenti
dieci
media, inferiore ed insulare cioè: Tuscia
(più tardi divisa in annonaria
(^).
et
Umbria;
Campania ; Samnium; Va-
suburbicaria)
et
;
Ficenum Suburbicaritim ; leria; Sicilia; Sardinia; Corsica. In mezzo al vicariato di Eoma s'insinuava la prefettura urbana che comprendeva Lucania
Brutii
et
talune parti
Samnium dalle
Ficenum
del
e della
vicariato di
il
regiones
urbicariae
meno importanti
piti o
Umbria^
et
;
o
della Tuscia suburbicaria
Campania. Or bene,
Eoma come
regiones
si
le
identiche
esse
le
quali
regiones
(1)
nelle
dovevano provvedere
di calce, legna, suini, bovi e vino
urbicariae
o
regiones
alle
(menzionate nei docu-
suburbicariae
menti contemporanei e specialmente periali),
provineie costituenti
chiamavano per distinguerle
Erano
Italiae f
del
suburbicariunij della Valeria,
(*),
la
costituzioni imdi
città
ovvero, con
il
Eoma
nome
suburbi cari ae, venivano
regiones
V. Notitia dignitatnm {eà. Seeck) p. 108;
cf. la
mia Diocesi
di
de-
Ita-
liciana p. 15 e seg. (2)
e
il
AuiiEL. ViCT, Caes. 39
comento {')
C.
(*)
V.
del
Gotofredo
Th. XI, 16, i
§
31, 32
alla
e.
;
6.
cf.
[Treb. Poli.]
('od. Th.
XI,
vit.
XXX
1.
9.
testi citati dal
Mommsen, Bóm.
Feldmesser,
II.
199.
ti/r.
U,
....
quelle
sio'iiate
9/1
—
7
t'ormavano
elie
s^^nplicemente
urbana ! A (ju(\st(' domande seeolo deeimo settimo in modi
il
territorio
rispose da^-li
della prefettura
si
eruditi del
diversi.
infatti
riservavano
strato
dal
eselusivamente
estendevano a tutto
il
Eoma;
altri
altri
infine,
conciliativa, distinguevano fra
ponendo una opinione epiteti
vicariato di
il
denominazioni,
queste
urbi
praefectus
amrìini-
territorio
al
Tahmi le
})ro-
due
i
regioni suburbicarie sarebbero state quelle formanti
:
regioni urbicarie invece quelle co-
distretto del prefetto,
stituenti
il
polemica,
ISTella
Eoma.
vicariato di
Gotofredo con
il
il
fuoco fu aperto nel 1618 da Giacomo
suo opuscolo anonimo
de suburbicariis
«
regionibus et ecclesiis, seu de praefecturae et episcopi urbis
Eomae
dioecesi conjectura (Francf. 1618)
^1
('0^
>;
quale rispose
confutandolo Giacomo Sirmond nella sua «censura conjecturae
anonymi
ma
scriptoris de suburbicariis regionibus (Paris. 1618)
la replica del
Gotofredo non
stampate in Ginevra,
nel 1619 apparvero
nome,
le
nibus
et
«
alla
:
«
regio«.
amici ad amicum. epistola
et ecclesiis
per nulla sgomentatosi,
Sirmond
avversari
suo
il
opinione del Gotofredo faceva adesione Claudio
de suburbicariis regionibus
(il
senza
censuram lacobi Sirmondi
adversus
Salmasio nello scritto anonimo
gli
ma
vindiciae prò conjectura de suburbicariis ecclesiis
Frattanto
poiché
fece attendere,
si
»:
con
il
suo
il
(Paris.
replicò
1619)
ad
»
;
ma
ambedue
Adventoria causidico Divionensi
«
Salmasio esercitava allora l'avvocatura in Bigione) ad-
versus amici ad an icum epistolam de suburbicariis regio-
nibus et ecclesiis
cum
censura vindiciarum
conjecturae
al-
anonymi (il Gotofredo) auctore I. Sirmondo (Paris. 1620)^). E ad una seconda confutazione del Salmasio in-
terius
E licitaristicon
titolata
1621), risicose di
nuovo
I. il
firmando prò Adventoria (Paris. Sirmond nel Propemticum CI. Sal-
masio adv.eius eucharist. (Paris. 1622) (1)
Cf.
(2) I
volume
il
Ruo comeixto alla
e.
vari Hcritti qui indicati del delle sue opere,
j>.
1-160,
2.
(Jod.
(^).
Era, come
Th., II,
si
vede,
16.
Sirmond sono ristampati nel quarto
— semplici
(lai
titoli di
questi
248
—
scritti,
un vero fuoco
di fila al
abbandonavano cotesti insigni eruditi del secolo decimosettimo, ai quali dobbiamo unire altri scrittori di minor rinomanza, fra cui Gerolamo Aleandro «^iuniore nella sua refìdatio conieciurae ancnymi scriptoris de snbtirbicariis regionibus et dioeeesi episcopi Romani (Paris. 1619) e Giuseppe quale
si
Morisano che nella sua illustrazione delle Calabria
(^)
Eeggio
iscrizioni di
s'intrattiene a lungo sulla nostra controversia
Nella dotta polemica non
si
giunse all'omicidio, come in quella
che nel secolo precedente sorse fra
il
Caro e
il
Castelvetro
per la canzone composta dal primo {venite alVombra gigli d'uovo) in
lode della regia stirpe dei Valois
aspre ne furono scritte in
Marini poteva
dire,
due
(^).
(^);
ma
gran
parole
Gaetano
gran copia, tantoché
secoli
de"*
dopo, di non sapere se in essa
fosse stata maggiore la bile o la dottrina
(^).
Tanta veemenza peraltro e tanto accanimento in una disputa erudita male si spiegherebbero se non fosse noto come la controversia religiosa formava il fondo della contesa geografica.
È
risapvito
che
infatti
il
Sommo
Pontefice,
come
vescovo di Eoma, ebbe giurisdizione immediata sopra tutte le
Chiese d'Italia fino alla metà circa del
e
dopo
esercitò
quella di metropolitano
vescovi suburbicari.
Ma
i
soltanto
quarto,
sopra
limiti di cotesta provincia
i
eccle-
non erano ben definiti gli autori calvinisti (tra quali appunto il Gotofredo e il Salmasio) la riducevano al
siastica i
secolo
;
raggio di cento miglia intorno a
Eoma,
identificando così
(^)
Inscriptiones Beginae, Napoli 1770, pagg. 379 e seg.
(-)
Degli altri eruditi che presero parte alla coutroversia
i
più antichi
proemio del Trotz al volume Opera Juridica minora del Gotofredo, Lugd. Batav. 1733, p. 16; i più recenti in Loening, Geschìchte 439. n. 1. Aggiungi il Vigneaux des Deutschen Kirchenrechts, I, 438, n. 1 nel suo eccèllente Essai sur Vhist. de la praefectura urbis à Bome, p. 159, che della controversia offre un nitido riassunto da noi seguito nel testo. (^) V. sull'uccisione di Alberico Longo, uno degli ammiratori del Caro, lo studio diS. Cavazzuti, Lodovico Castelvetro {^U'>{{v\\l\, 1903) pp. 106. sono
citati nel
;
200 e Roeg (*)
l'apiri diplomatici p.
37(3,
n.
5.
Pastore Supremo della Chiesa rou
la giurisdizione del
del praefeetus urbi che
simus lapis le
gli scrittori cattolici, al contrario,
;
suburbicarie
regioni
esercitava api)nnto entro
si
sino
confini
ai
(]
nello
cente-
il
prolungavano Gallia
dell'antica
Per conseguenza, diminuire la potestà del Ponera nel fondo il segreto motivo della polemica da
Cisalpina. tefice
parte degli autori calvinisti che la iniziarono e che spiega altresì la
Ma
forma aspra con
quali fra
la quale essa si svolse.
Un
rapido
la risposta a
questa
contendenti avevano ragione
i
esame dei vari sistemi proposti darà domanda.
?
Secondo un sistema che non incontrò veramente molto favore (^), è necessario distinguere le regioni suburbicarie da quelle urbicarie prefetto,
prime sarebbero state dipendenti dal
le
:
Poma.
seconde dal vicario di
le
fondamentali del sistema sono due
:
l'uno è desunto dallo
stesso vocabolo stiò-uròicarùis che confrontato
pare designi un luogo più prossimo alla città;
Bignitatum la quale, fra
dalla Notitia
argomenti
Gli
i
con urHcarius deriva
l'altro
pubblici
ufficiali
dell'amministrazione finanziaria posti sub dispositÌGne comitis
rerum privatariim, menziona rei privatae
i
Romani
per urbem
due seguenti: et
parte Faustinae (occ. XII, 9); 2)
urbicarias regiones rerum luliani stinae era
il
il
(ib.
XII, 24). La pars Fau-
trono, lasciato a sua figlia Faustina e che,
di
passò
condo taluni
x>atrimonio imperiale.
scrittori,
i
ciim
procurator rei privatae per
patrimonio privato di Antonino Pio, da
al
rationalis
il
stiburbicarias regiones
lire al lei,
1)
Le
lui,
dopo
nel sa-
la
morte
res luliani erano, se-
beni resi ai templi pagani da Giuliano
Apostata, che Valentiniano I riprese loro, facendoli rientrare nella res privata
(^)
;
ma
cotesti beni resi ai templi
da Giuliano
non y)otevano evidentemente esser chiamati con res luliani; x>are
(')
SANo, (2)
quindi
(if).
}).
;
liòcKiNfJ,
au Ba8-Em,pire,
p. 23.
nome
di
verosimile l'altra opinione che
Aleander, Bejidatio, pa;;. 24 380 e 8eg. Vigneaux, op. cit. p. 161 e Notitia, TI, 387*; Wiart. Le regime des
V.,su quento 8Ì3tema, ci{,
piti
il
e
ko»;-.;
Mori-
seg. terres
dii
fine
— riconosce in
essi
il
patrimonio dell'imperatore Didio Giu-
dopo che
liano riunito alla res privata
(^onmn(iue
sia,
-
350
avremmo
venne ucciso
egli
(^).
qui due intendenti diversi del do-
minio imperiale: l'uno amministrante taluni beni in e nelle reo ioni suburbicarie
j
l'altro,
Eoma
nelle regioni urbicarie.
Dunque, secondo i sostenitori di questo sistema conciliativo, le suburbicarie nominate insieme con Eoma dovevano essere più prossime all'urbe, e invece piti lontane le urbicarie
che comjìrendevano
Eoma. Ma Eispetto
residuo
il
territorio
vicariato
del
non sono punto primo vuoisi ricordare un passo
questi argomenti
al
di
accettabili.
Ulpiano,
di
ignoto ai tempi della controversia, perchè trovasi nei Frag-
menta Vaticana
scoperti,
1821, nel quale
si
fa
com'è noto, dal cardinale Mai
menzione
delVtiròica dioecesis
dimostra come l'epiteto veramente appropriato formanti e
non
il
distretto prefettizio sarebbe quello
quello di snburhicariae
osserva
il
Yigneaux,
.
e che
alle regioni
di urMcariae
In secondo luogo, come ben
fonti
le
(^)
nel
tutte provano la sinonimia
o equivalenza dei due termini controversi che nella Notitia
Bignitatnm l'altro
;
furono
oltre
alternativamente
a ciò,
si
adoperati
il
primo amministrante
res privata nel distretto del prefetto
urbano,
altre parti del vicariato
E
(^)
His,
Domdnen
per
avverta bene, non abbiamo qui due
funzionari del medesimo grado,
privatarum aveva sotto
l'uno
;
tutt' altro. i
infatti
il il
la
secondo, nelle
comes rerum
suoi ordini in varie provincie
der ròm. Kaiserzeit, p. 66
:
Beaudoin, Grands
i
do-
maines, p. 48, n. 4. Per vero dire, avrei qualche dubbio sulla probabilità di questa opinione; perchè mi pare difficile che i beni dell'imperatore Didio Giuliano, ucciso nell'a. D. 193, continuassero ad avere separata amministrazione nel vsecolo quinto a cui risale la JVo///
che l'amministrazione speciale dei beni confiscati a Plauziano (il proPlautmni è menzionato in una iscrizione del 211/212; cf. Corp. Ili, 1464) suocero di Caracalla e da lui fatto uccidere, ebbe poca durata. Cf. His, op. cit. p. 7. Per la qualcosa le res lidia ni potrebbero aver appartenuto ad un Giuliano non menzionato nelle fonti a noi note. (2) Frag. Vat. 305 (Ulp. de otf. praet.): proinde si qui s ad urbicam curator ad bona
dioecesim
pertinens
et
rei.
I
— rationalvs o
tendenti et
inUMidciiti «generali,
(juindi
;
—
251
il
procuratore^ o sotto in-
i
(^
rat'Unalw rei priratae per urbe/m Rowam.
svhurhicarias regiones non era ohe l'intendcmte j^c^nerale
della res privata per la città e vicariato di
Roma
(^
dal
quale
dipendeA^ano parecchi sotto intendenti, tra cui apx)unto prociirator rei privatae per urbicarias regicnes al
spettava
quale
rerum lulianij
amministrare nello stesso
di
il
vicariato
Sono questi adunque due funzionari gerarchici amministranti in regioni di uno stesso territorio indicate l'uno, il superiore, ha nella Notitia con termini sinonimi
le res luliani.
:
l'amministrazione generale della res privata
ne amministra taluni beni
feriore,
Veniamo ora
l'altro,
l'in-
adunque suburbicariae erano due
speciali.^
che regicnes urbicarioA' e regicnes termini equivalenti
È
;
chiaro
(^).
sistema
al
Gotofredo e del Salmasio,
del
che trovò parecchi seguaci anche in tempi a noi vicini, fra gli altri
Walter,
il
sistema,
Savigny e
il
il
Bocking. Secondo questo
termini regicnes urbicariae o suburbicariae desi-
i
E orna
gnano regioni prossime a ritorio del prefetto e alle regioni
comprese soltanto nel
ter-
quindi sono assolutamente inapplicabili
estreme della penisola e sopratutto
alle
isole.
ha conservato sopra nomi medesimi dell'ordinamento
Inoltre la tradizione ecclesiastica, che tanti punti le divisioni e
imperiale,
stema)
a
il
Eoma,
i
riserva ancora (dicono titolo
i
sostenitori di questo
si-
di sedi suburbicarie alle diocesi piti vicine
cioè di Ostia e Yelletri, di Porto
e S. Eufìna, di
Albano, Frascati, Palestrina e Sabina, che sono appunto
comprese nel raggio della centesima pietra miliare; bisogna
dunque concludere che urbano era applicato
alle sole regioni
nome
il
soggette
di regicnes
al
prefetto
urbicariae o su-
burbicariae.
Ma
il
sistema del Gotofredo e del Salmasio fu con ottimi
argomenti confutato dal Sirmond scritti
il
quale,
nei
numerosi
poc'anzi enumerati, dimostra lucidamente che
gioni suburbicarie o urbicarie (') Cf.
ViGNEAUX,
op.
cit.
le re-
comprendevano invece tutto
pag. 162 e seg.
— il
vicariato di
il
sesto
Roma.
4
—
252
interpreta in questo
11 Sirnioiid
senso
canone del primo concilio di Nicea, apertosi, com'è
noto, nel 325, che nella così detta versio prisca è formulato
modo:
nel seo'uente
moris
aìitiqui
est
urbis
nt
scopus habeat princìpatum ut suhurhicaria loca
vinciam sua sollicitudine guhernet luogo e
momento, non
il
(^).
che
Per
il
epi-
pro-
qui
certo
è
dirò di esaminare,
di riassumere le varie questioni a cui
sesto del concilio niceno.
Non
et
Romae omnem
il
ma nemmeno
dà occasione
il
canone
nostro assunto basterà
dire
Papa, come vescovo di Roma, ebbe giurisdizione im-
il
mediata su tutte
le
del secolo quarto
venne
formarono
si
metà
dopo questo tempo un mutamento av-
;
circoscrizioni della
nelle
clesiastiche
diocesi d'Italia fino intorno alla
Due
Chiesa.
corrisposero
e
e
metropoli ec-
forse
model-
si
larono sulla giurisdizione civile dei due vicariati imperiali l'una, la metropoli del
vicariato d'Italia
(^);
vescovo di Milano, fu costituita dal
ebbe per metropolitano
l'altra
Pontefice nell'ambito del vicariato di
dono appunto
le
:
Roma. E
lo stesso
a ciò allu-
parole sub uri) icari a loca del canone sesto del
concilio niceno, le quali però
devono considerarsi come una
aggiunta posteriore di Rufino di Aquileia, resa necessaria
mutate condizioni
dalle
in cui
si
svolgeva
al principio del se-
colo quinto la giurisdizione del vescovo di
Com'è noto,
(^)
nel testo greco origiiicile del canone sesto (Mansi. II,
670) è detto vsemplicemente così: c'JvYjOés èaxiv
deriva,
Roma (^). Il nome
y.aL
sTis'.Sìf)
tq) sv x-^ Tfóiir;
;
ora l'aggiunta della versio prisca posteriore
comehaprovato
il
Maassen
STi'.cxÓTtw
aìl'a.
xoùxo
419, che
{Gesch. der Qiiellen des cari. Eechis,\). 307)
della versiiìue del vescovo Attico di Costantinopoli e da quella diesi trova nella raccolta del manoscritto di Cliieti,
primo
dipende da Rufino
libro della sua continuazione della storia ecclesiastica
il
quale, nel
di
Eusebio,
canoni niceni. Nell'abbreviazione di Kufiiio il passo suddetto vsuona così; ut... siihiirbicariarum ecclesiarum soUicitudinem gerat. Sulle questioni a cui da luogo il passo cf., oltre il Maassen, IjOENING,
riproduce abbreviandoli
op.
cit. (-)
pag.
La
I,
448,
i
n.
2.
giurisdizione del vcvscovo di Milano fu
])oi
limitata dalla nuov:4
metropoli di Aquileia e del vescovado di Ravenna. V. Duchesne. Liber ì\>h-
CXXIX
348.
Vedi anche
studio pregevole dello Zattoni.
//^caZi.9, 1,
pag.
Origine
giurisdizione della metropoli ecclesittsticK di Favennu, Pavia \904.
(3)
e
V.
la.
nota
1.
;
lo
— poi
suburbicarie riservato
sedi
di
—
253
Eoma, nulla prova in favore perchè, come ha ben dimostrato
della
a
diocesi
alle
vicine
})ià
del Gotolredo,
tesi
Duchesne, in
monsi^i^nor
uno studio importante (^), esso non risale ad un'antichità molto remota, non è anteriore al dodicesimo secolo. Al tempo di Stefano III (a. 769) si trova, è vero, fatta menzione
ma
dei vescovi suburbicari,
domadari
Le
con
il
solo
nome
episcopi heh-
di
(^).
confermano vittoriosamente
giuridiche
fonti
stema del Sirmond, accettato ormai da numerosi fra
i
quali autorevolissimo
nono del
il
Mommsen. E
il
si-
scrittori,
difatti, nel libro
titolo trenta del codice teodosiano,
dopo
le costi
enumerano le regioni del vicariato di Eoma {Campania^ Picenum^ Flaminia, Apulia et Calabria), ne segue un'altra che loro attribuisce appunto il nome di tuzioni imperiali che
urbicariae regiones, e in questa categoria sono anche incluse la
Lucania
e
il
Bruttium affatto indipendenti dal territorio
XI,
prefettizio (ib.
2, 3
XIV,
;
Spesse
4).
4,
volte
troviamo
editti imperiali diretti al praefecUis praetorio Italiae
indicate tutte le provincie nelle quali gli editti
vano pubblicarsi ed le
l'Italia,
eseguirsi
regioni urbicarie, l'Africa e l'Illirico
Milano a cui
si
contrappongono
ivi le
altrimenti, se
;
incompleta e blicati
gli ordini imperiali
devano verso (')
il
il
vicariato
vicariato di
il
provincie
non sarebbero
;
il
ter-
sarebbe
stati
né pub-
Eoma
situato
avvertasi infine che
Picenum suburbicarium
si
esten-
settentrione, al di là del raggio delle cento
Archivio della Società
(2)
JAhcr Pontìficalis
I,
[")
('.
Th. VI, 13,
(a.
blcarian
il
e l'Italia,
significare che
delle
centesima pietra miliare
Tuscia suburbicaria e
dove-
regiones urbicariae.
né eseguiti nella parte del vicariato di
al di là della
la
l'enumerazione
prefettizio,
ritorio
non dovessero
(^),
designa
Queste perciò dovevano comprendere tutto
Eoma
stessi
ora questi editti nominano
;
per concorde testimonianza delle fonti, di
negli
1
Romana
di Storia Patria, 1892 p. 476.
478.
383): per
A fricanasque regiones ac per
omnem liidlam-, tum omnem Illyricum.
etiam per
iir-
—
miglia. Tutti questi argomenti tolo di al
ma
del prefetto urbano,
regioni del vicariato e tutta
pendente dal vescovo
mune
provano adunque che
riguardava tutte
provincia
la
ti-
il
non era limitato
urbicariae o subarhlcariae regiones
territorio
Il
I
—
254
ecclesiastica
le
di-
Koma.
di
sistema del Sirmond è diventato, come ho detto, co-
non mancano però taluni tard (^) e il Willems (^), ed è
come
dissenzienti,
;
naturale,
in questo sistema, sebbene inoppugnabile,
si
perchè
il
Léo-
anche
notano alcuni
punti oscuri. Eeputo perciò necessario di chiarirli per rendere vieppiù evidente la bontà del sistema medesimo. In-
nanzi tutto, per quanto sia stata bene stabilita la sinonimia o equivalenza che dir
Mcariae
e
regiones
si
voglia dei due termini regiones nr-
snhiirMcariae^
non
altrettanto
risulta
chiara l'origine loro nei sistemi sin qui esaminati, perchè
due termini
si
son voluti
paiono piuttosto preposto.
E
riferire
riferibili
difatti, se
il
al
i
mentre mi
territorio,
pubblico ufficiale che vi era
al
prefetto di
Koma,
oltre che praefectns
chiamato nei documenti del tempo anche praefectvs
urbis, è
urbiciis, e la
prefettura è detta pure
praefectura
urbicaria,
ne deriva che la dioecesis urbica che Ulpiano contrappone
alle
come dovevansi formanti questa diocesi, si nominavano
regiones iuridicum e le regiones urbicariae^
chiamare così
non
le
regioni
già per loro vicinanza SiWurbs,
esercitava la sua giurisdizione ossia,
il
praefectus urbicus.
interpretazione, lo
dicare
i
E
il
perchè in esse
primo magistrato
dell'?/rò.s%
che mal non mi aj)ponga in tale
desumo da questo, che
luoghi circostanti a
ma
Eoma,
si
i
Eomani, per
servivano di altro
inter-
mine; ricorderemo V Italia suburbana di Plinio seniore (H. Xat.
due costituzioni del Codice teodosiano, ove le Provincie prossime a Eoma si chiamano appunto col nome o di vicinae regiones o di provinciae snburbanae (XIV, 10, 4), 26,
19)
e
non sono affatto equivalenti urbicariae. Quando, nel Basso Imperi^
e questi termini
all'altro
regiones
Tltalia
!' Jfy praefecfuì'd nrhis, p. 38 e seg. (-,
Droìl piiUlc romain
(éil.
7). p.
603.
di di-
— venne una diocesi divisa
mavano
in
~
555
due
vicariati e le regioni che for-
nome
quella di Milano, dal
del vicarine Italiacy
denominarono, come abbiamo detto, regiones semplicemente,
si
un nome da
cercò
pendenti dal vicarius urbis, confonderle con e dall'altro,
le
il
il
Italia
applicarsi a quelle di-
quale doveva, da un lato, non
-
regioni urbicarie
territorio prefettizio
il
-
dimostrare che gerarchicamente e nei rispetti
della giurisdizione civile e criminale
correnza,
Italiae o
si
vicarius
urbis,
da
loro esercitata in con-
vir spectabilis,
al praefectus urbi vir inlustris.
Di qui
era subordinato
nome
il
di
regiones
suburbicariae dato alle regioni dipendenti dal vicario di
che contiene in sé stesso
il
Eoma,
concetto di uìia duplice subordi-
nazione: la prima, delle regioni a quelle dipendenti dal prefetto;
urbano, a
la seconda, del vicario stesso al prefetto
su-
lui
periore per grado e per giurisdizione. Secunda iudicia chiama
Simmaco
infatti
(X, 43) la giurisdizione del vicario e degli
minor es di fronte a quella del prefetto di Eoma. contatto fra queste due giurisdizioni concorrenti era
altri iudices
Ma
il
così forte,
che come per render giustizia
serviva tanto al prefetto quanto al
mune
lo
chiama Simmaco (Ep. X,
medesimo tribunale vicario - secretarium comil
43), così
i
nomi
delle regioni
messi a contatto fra loro, per la forza stessa delle cose confusero insieme nei rispetti della giurisdizione e significato
il
si
loro
divenne promiscuo.
Della concorrenza fra
le
due
giurisdizioni, che
venivano an-
ch'esse a confondersi insieme, e della promiscuità dei
due termini controversi porgono luminosa prova taluni documenti contenuti nella così detta
collectio
Avellana e sui quali mi siano
consentite j)oche parole di chiarimento. in
Cotesta raccolta,
gran parte fatta conoscere dal cardinale Baronio nei suoi
annali ecclesiastici
(il
primi editori di essa),
pendice
alle
quale può chiamarsi quindi uno dei piti
tardi dai fratelli Ballerini (nell'ap-
opere di S. Leone Magno), chiamata così dal
codice del monastero di S. Pietro in fonte Avellana in cui è contenuto, comx)rende epistole, editti d'imperatori, di gistrati
romani
ma-
e bizantini, di pontefici e di dignitari eccle-
— siastici
(lairunno 307
ctio
sono importanti per
(^ ),
256
—
Or bene, nostro tema le
553.
iill'a. il
questa
in
colle-
epistole imperiali
rioiiardanti lo seisma di Ursino.
Morto
pontefìee Liberio
il
24 settembre 366, in mezzo
Eomana,
contese che agitavano la Cliiesa
a fiere
Damaso Marzio
eletto
papa
Lorenzo
in
t!u
(s.
basilica
Giulio
di
vissimi finiti
(s.
a
prendere
incaricati
il
prefetto e
notevoli
Lucina) Maria)
costretto
e
venire
epistola
nella
nella basilica di e
diacono Ursino
il
governo
il
energici il
Eoma
A
din-
i
inter-
ne furono
questo proposito sono
Valente
Yalentiniano,
di
e
ad
imperiale
provvedimenti,
vicario.
nella
Tumulti gra-
Trastevere.
in
diacono
il
Lucina in Campo
sangue turbarono allora
nel
tantoché
torni,
il
Gra-
e
ziano, diretta nel 365 al vicario Aginazio, le seguenti parole:
nrhanae in hoc auxilnim jwaefecturae...
Jiabes et stibìtis
facile prae-
et
duo, quod singuli praestare possitis (ep. 9 Guenther),
quali dimostrano chiaramente l'unione di quei due fun-
le
zionari nella persecuzione dei turbolenti scismatici. Il Ba-
ronio
(^)
a torto sostiene che Aginazio era vicario
del
pre-
Eoma, Olibrio (Aginatium vicariam praefecturam functum esse apud Olybrium urbis praefectum etiam Amfetto
di
mianus adfirmat), poiché
se
tale
fosse
stato,
rescritto
il
imperiale non lo avrebbe contrapposto a quell' amministra-
Ammiano
zione di cui faceva parte. 1, 32), il
lo
chiama
vicaritts
Marcellino
poi
Romae, espressione che designa
capo delle regioni suburbicarie, e non già
il
vicario della
prefettura urbana. I provvedimenti presi dall'autorità
riguardavano in primo luogo di Ursino
tenevano fuori di
di Ursino e dei
suoi seguaci.
mate extramurani conventns diede
ordine
vietarle intra (^)
ree.
adunanze che
Eoma
partigiani
e poi le persone
Quanto dagli
i
romana
alle
stesse
adunanze
imperatori
(ep.
chia8),
si
vicario Aginazio
di
vicesimum lapidem, cioè in un raggio di venti
Epistulae im.'peraiorum, poìitificum (Corpus SS. Eccl. Lat.
O (JUENTHER. (2)
le
prefetto Olibrio e al
al
(28,
Annales ad
a.
369 n.
4,
XXXV).
—
intorno a lioma. TTrsino
mi
nelle
relo^iiti
due
ma,
Giillie;
rescritti imperiali,
l'altro al vicario
—
^57
e.
i
Massimino,
l'uno
non facessero ritorno
in
Eoma
alla
regno di Valentiniano
il
le
ai
di
rele^^ati
riti-
condizione
sola
che
suburbicarie
agitazioni cessarono du-
ma rinnovandosi
I,
Ampelio,
prefetto
e nelle regioni
{Ep. 11, 12 Guenther). I tumulti e
rante
al
i)ermisero
dovunque avessero voluto,
rarsi
vennero
pena nell'anno 371,
niiti
diretti,
coinpa^iii
suoi
dopo, gl'imperatori Graziano e Valentiniano
pochi anni
II, in risposta
ad una supplica loro inviata dal concilio di vescovi che il pontefice Damaso aveva convocato in Eoma per definire talune questioni attinenti allo scisma Ursiniano, ordinarono, nel 379,
con un rescritto ad Aquilino vicario, di
centesimum miliarium ab urbe
ultra
i
bandire
sediziosi indicati dal
concilio dei vescovi e di espellerli altresì dal territorio delle
da essi turbate (Ep. 13 Guenther). Or bene, tutti queprovvedimenti emanati dall'autorità imperiale riguardano
città sti
territorio del prefetto di
il
Ampelio prefetto
e a
Roma, ma
Massimino
i
due
rescritti diretti
vicario, in cui
si
ad
prescrive che
Romani vel ad regiones subcommeare^ chiamano col nome di regioni su-
l'antipapa Ursino ne vel ad urbem ii
rbicarias aiideat
burbicarie le regioni del territorio prefettizio, mentre, a rigore di termini, a^Tebbero
cosa i
i
dovuto chiamarle urbicarie. Per
rescritti della collezione Avellana,
le
regioni dipendenti dal vicarins
che, a partire dalla seconda
metà
urbis,
son dette
dimostrano
del secolo quarto,
regiones urbicariae e regiones suburbicariae
i
termini
da opposti erano
divenuti equivalenti e designavano promiscuamente gioni formanti cesis
che
ne;
il
vicariato di
le
re-
e quelle di^Wurbica dioe-
faceva parte integrante.
Spiegata così l'origine necessario di
Roma
qual
combinati insieme con
testi delle costituzioni imperiali in cui urbicariae
invece
la
dei
chiarire ancora
un
due termini controversi, è altro punto.
La
costituzione
imperiale del 359 diretta a Tauro prefetto del pretorio d'Italia ai
{('.
Th. XI,
10,
9),
accennando
ai privilegi
conceduti
beni patrimoniali ed enfiteutici situati in Italia, prescrive 17
— che
258
—
debbano valere non per lialiam tantum^
ossi
per nrhicarias regiones
Or bene,
SieiliaìH.
et
attesta la Notitia DignitaUim (Occ,
Roma, per
vicariato di
XIX)
mentre dovrebbe esservi inclusa
A
1
se la Sicilia,
come
faceva parte del
qua! motivo è nominata nel testo
imperiale suddc^tto separatamente dalle
stinzione
etiarn
fted
parer mio, in un
Come
?
sol
regiones iirbicariae, spiegasi questa di-
modo. Noi sappiamo
dalle
Notiiia Dignitatnm stessa e
fonti ancora
unitamente
alla
da altre Sardegna e
alla Corsica,
rio-nardi finanziari,
una
speciale amministrazione a cui era
Sicilia,
preposto un procuratore chiamato rationalis provinciarvm, il
ma
tutti
i
il
momenti
loro
alla
cesi
aveva, nei
summarum
trium
le divisioni politiche e
purtroppo, a cagione
dell'Italia, delle quali
nostre fonti scarse ed oscure, non possiamo seguire
delle
una
che la
quando, come ben nota
nel secolo quarto,
Léotard, varie e frequenti furono
amministrative
(^)
e tutti
i
particolari, le tre isole,
avuto riguardo
antica origine di provincie, formarono non solo
circoscrizione finanziaria
vera e propria.
A
autonoma,
ma
una
altresì
dio-
questa condizione di cose allude infatti
poeta Claudiano nei seguenti versi del panegirico da
composto del
tempo
in onore di
di
Onorio
:
Manlio Teodoro, personaggio famoso
suscepit [Theodoriis] habenas quattnor
ingenti iuris temone refusas.
crebisque micantem
temperai
ctinda I
;
\
\
Prima Padum TJiybrimque
urbibus Italiam
Illyrico
se
tertia
Tyrrhena tunditur unda
\
rei
orbi
porrigit \
Sicaniam
Teodoro amministrava 397
tro diocesi: la
occidentale,
;
la
la
et
\
ultima
in
preto-
comprendeva quat-
dall'Italia
annonaria e dalle
seconda, dall'Africa
;
la terza, dal-
quarta era formata dalla Sardegna,
Tirreno e del mare Ionio. Vedine
Da
tempo
dalla Corsica, dalla Sicilia, con le rimanenti isole del
(^)
se-
quidquid
la prefettura del
399, questa
prima era costituita
regioni suburbicarie l'Illirico
al
;
gemit Ionia (vv. 198-205).
questi versi di Claudiano risulta evidente che, al
rio d'Italia, cioè dal
ligat
Libyaas Poenosqne
;
Sardiniam, Cyrnon, trifidamque retentat
cui Manlio
lui
la citazione nella
Il
Docking, nel suo comento
mia Diocesi
Italiciaud
pug. 179.
mar alla
—
—
259
Notitia Dignitatiim (II, 207) pone in dubbio la esistenza di
questa diocesi insulare e crede sia dovuta ad una licenza poetica di Claudiano, o che, per la
Ma
durata.
mento
meno,
efìfìmera
ne
sia stata
dubbi del Bockinj]: mi paiono di poco mo-
i
sono cosi esatte e
espressioni del poeta infatti
le
;
lo
precise nel descrivere le altre parti della prefettura d'Italia,
che non so vedere perchè
debba infirmarne
si
nianza rispetto all'ultima parte. Anche
enumerando
(II, 33, 14), del resto,
l'Impero
tempo
al
formavano pretorio
:
tw §è ip^xw
aùtyjv vT^aou^ xal tzi ye
tyjv
riorum errore con
tempo con
»
'ItaXcav aTuaaav xal ScxsXiav xal
critica di
se isolato
d'Italia
minori, formavano
una
(e
Klpvyji;
Mendels-
il
libra-
«
badi,
si
Sardegna
fin
dal
e la Corsica,
diocesi distinta
da quella
Questa piccola diocesi insulare non era proba-
(^).
bilmente governata da un vicario, ma, come tale,
Trepl
prova poco, unito peraltro
di Costantino) che la Sicilia, la
le isole
àzò Supxswv
rr^v
Zosimo, è lacunoso
conferma
Claudiano,
di
xà^
perchè vi manca la menzione della diocesi
('IXXupc5a),
quello
amministrato dal terzo prefetto del
SapSóva xal Kòpvov xal
shon nella sua edizione dell'Illirico
quattro prefetture del-
passo che senza dubbio, come nota
diyjA AtpuY]v. Il
Zozimo
lo storico
di Costantino, cosi descrive le diocesi che
territorio
il
le
testimo-
la
l'Illirico
occiden-
dipendeva direttamente dal praefectus praetorio
Ecco spiegato
il
motivo per
il
Italiae,
mentovata
quale, nella
costi-
tuzione imperiale del 359 (che conferma a sua volta la testi-
monianza
di
Claudiano e di Zosimo),
della diocesi
Più
carie.
tardi,
sul
è inclusa
nelle
Giuliano Apostata nella orazione seconda
loro f^ovomate, così parla di
To)|iy^v
5uj)%£',
2)'.xsXvav,
panso,
'/ai xìrjv
'IxaXJav,
o5ti cpauXoxépav
in cui
si
xf/ij
Massimiano xal
'A(iyBloL<;
unito
xyjv
ai
:
Aipór^v
(p. 65,
lui
3
tempo
Hertlein)
e lo
& jièv xf/^ xe
in lode
parti dell'impero Ttatvjp
iir^xpòc,
èTt'aòx-^,
xal
xal Muxrjvalaj Suvaaxelav x.
enumerano evidentemente
simiano, e la .Sardegna e la Sicilia cf>nferrrii
regioni suburbi-
la Notitia Dignitatnm, le tre isole
di CV)8tanzo imperatore, ricordando gli avi di
da
prima provincia
principio del secolo quarto, al
venne comjjilata
in cui
(')
non
insulare,
la Sicilia,
xyjv
2ap8(o xal x. X.
Questo
governate da Massono distinte dall'Ilalia, mi pare che
passi sopra citati,
le
diocesi
la esistenza della
diocesi
insulare.
— pordiitii
lii
260
i
— vennero assorbite nel
loro iiidipondenza politica
vicariato di Konia,
])\\r
mantenendo
inte
zione finanziaria. Allora e soltanto allora carie l'ormanti
rono
altresì la
il
vicariato di
Koma
le re«^ioni
suburbi-
furono complete e costitui-
circoscrizione metropolitana
vescovo di
del
Roma. Queste osservazioni non infirmano punto
8irmond, giustezza, fredo,
lemica
ma
pili
ne pongono anzi in maggior luce
mentre
la
offuscata i
il
Mommsen
dall'ardore
la
bontà e
la
(^),
rimase in questa po-
calvinista che lo portava
ad
canoni del primo concilio di Kicea nel senso
sfavorevole al vescovo di
(1)
sistema del
consueta lucidità di mente del Goto-
come ben osserva
interpretare
il
Fóm. Feldmesser
II,
198.
Roma.
VTGTNTI VIRI
I
EX 8EKATUS CONSULTO KEI PUBLICAE OURANDAE AL TEMPO DI MASSIMINO
principato romano, che
ÌSÌel
il
(i)
Mommsen
concepì genial-
mente come una diarchia, i poteri del principe e del senato erano, se mi è lecito dire così, a contatto fra loro e il primo, piti forte,
cercava, per la stessa legge dei contatti, di assor-
bire lentamente
secondo
il
sivo assorbimento
si
:
e in questo lentissimo e progres-
riassume tutta la storia costituzionale
dell'impero da Ottaviano Augusto a Diocleziano
(^).
Se-
Il
nato talora resisteva, e della sua resistenza sono esempi peculiari
i
tentativi fatti per costituire
di quell'assemblea
un governo
assoluto
che avrebbe avuto nel principe un sem-
prima applicazione
plice istrumento e che trovarono la loro
nei viginti viri ex s.c. rei publicae curandae, al
tempo
Mas-
di
simino.
Intorno a questa singolare e straordinaria magistratura,
annoverata a buon diritto dal ture costituenti, molto
si
piena non venne fatta fonti scarse,
Mommsen
(^)
fra le magistra-
è scritto incidentalmente,
ma
luce
quanto lo consentono le nostre confuse ed oscure - nemmeno dai due ultimi x)er
che se ne sono occupati, Alfredo Domaszewski, nei suoi studi importanti relativi alla storia degl'imperatori romani
(')
(^)
(1900),
Pubblicato neW Ausonia II (1907). Vedi il mio studio sulla diarchia romana, p.
117 e se^.
(^)
Le droit
(*)
Uhein.
=
jìuhlie
v.
sopra pag. 80 e seg.
romnin
Mmeum,
neW Atene
(trad. fr.) IV, p.
J.VIII [1903],
i)p.
432.
540 e seg.
e
(*),
Roma,
e
III
— Giovanni Costa, nei suoi diani
—
i262
diligenti e sagaci articoli sui Gor-
(^).
Farmi adunque non inutile riprendere l'argomento, esaminare di nuovo la breve storia della nostra magistratura, per quanto riguarda sopratutto la elezione, la durata,
nome,
attribuzioni e
le
il
poteri dei vigintiviri. Avrei deside-
i
rato pure di ricostruirne la serie completa
;
ma
lo stato delle
non ne consente che una ricostruzione parziale. Quando furono eletti i XX virif Per comune opinione, dopo proclamati i Gordiani nell'Africa proconsolare; il Mommsen solo (-) ne colloca la elezione dopo la morte di cotesti due infelici imperatori, contraddicendo, nota il Domaszewski (^), fonti
testimonianze di tutte
alle
Domaszewski non parmi passi di Capitolino
(v.
è
Goni., 10, 1
altrettanto vero
osservazione del
dopo che
la
lo
22, 1) dimostrano
;
come fonte
stesso
Capitolino
si
Dessippo, che allo
sostiene l'esistenza di
un
dice
li
3,
i
ove
passi citati
errore sfuggito
non a
biografo imperiale segue in quei passi,
il
vi-
contemporaneo
di siffatta notizia lo storico
Dessippo. Per spiegare questa discordanza fra di Capitolino
i
proclamazione dei Gor-
Gordianis nella vita di.Massimino, 32,
eletti interfectis
cita
la
esatta, perchè se è vero che taluni
gintiviri essere stati eletti
diani,
Ma
le fonti.
ma
stesso Capitolino, che sarebbe caduto in contraddizione
con se stesso
A me
(^).
sembra invece che
errore, che con-
traddizione non esista punto, e spero dimostrarlo.
Vediamo innanzi tutto lo scopo che il Senato si propose con la nomina dei vigintiviri; in altri termini, esaminiamo quale mandato avesse la commissione senatoria. Capitolino lo stabilisce
nettamente con queste
natus ad hoc creavcraty
(^)
(3)
{*)
Drei
:
illos
sane ciginti
ut dividerli his lialicas
regiones
Dizionario epigrafico di antichità romane di E.
voi. Ili, pp. (•-)
jìarole
contm
De Ruggiero.
535-559.
Op. cit, Loc.
se-
cit,,
p. j).
432. 54.
Herzog. Ròm. Staatsvcrfassung. 11.507.
letzlen Biicher
u.
Uerodians, in Biidinger Unters.,
2; ofr. III.
Danhukeu,
253.
u
2.
.
— Maximinum
263
—
prò Gordianis tucndas
{(lord,,
quos ad rem p. tuendam deleyerat
viris,
mandato adunque era ben
Il
nome
contro Massimino nel
missione eletta
quando
il
(ibid., 22,
1).
chiaro: difendere
dei sovrani assenti
;
lo
Stato
ma la com-
aveva forse apjjena cominciato
9 luglio
morte dei Gordiani
Massimo
ex viginti
;
20 giugno 238 (seguiamo qui la cronologia
il
stabilita dal Costa) lavori,
10, 3)
venne annunziata
i
propri
Senato
in
la
e in loro
luogo proclamati imperatori
e Balbino che della
commissione stessa facevano
parte. Eletti
i
nuovi principi,
i
avrebbero cessato,
vigintiviri
Domaszewski e il Costa, le loro funzioni, poiché, durante il nuovo regno, nel parere di cotesti scrittori, non si farebbe più cenno della commissione nominata al solo scopo di difendere l'Italia per i Gordiani assenti. Il Domaszewski anzi trova un argomento per sostenere che la commissione fu sciolta, dopo eletti Massimo e Balbino, nella lapide, pur secondo
il
troppo frammentata, di Lavinium, che nelle sue belle ricerche relative alle
«
Lanciani pubblicò
il
antichità del territorio
laurentino nella reale tenuta di Castelporziano
ad uno dei nostri
L'iscrizione dedicata
sue prime quattro linee è cosi concepita
ALERIO CLAVD ACILIO
•
Domaszewski
(Sex.
minorum)] '<
|
f
\
nelle
:
.
.
.
.
.
.
.
.
.
•
supx)lisce così
Catiof.,] alerio
[Clementiano
vigintiviri^
PRISCILIN
VGVRILAVRLABI NN INTER XX CoS Il
» (^).
a]ugnri,
:
Claud(io)....
\
Acilio
Friscillian{o)
Layr{enti) Lahi{nati), [corniti d(o-
n(ostrorum), Inter (viginti) co(n)siilares
Le due NN,
al.
principio della quarta linea, se la lettura
Domaszewski, dimostrano che nella lapide doveva precedere una carica qualificata dalla menzione di due imperatori, che può essere stata questa: [corniti d{ominorum)] è giusta, dice
n(oHtrorurn). {')
il
Infatti
Monumenti
la
commissione senatoria che,
del Lincei,
Xlll [1903|,
col.
171-172.
nell'as-
—
204 -—
senza dei precedenti imperatori, aveva funzionato,
era tra-
si
sformata in quei tempi di guerra nei comites dei nuovi principi (Gordiano III era allora soltanto Cesare) i quali avevano assunto la direzione suprema della lotta
».
La
congettura del Domaszewski non è per altro ammissipoiché riposa tutta sulla lettura delle due che ò
NN
bile,
come
incerta,
«le
due
Lanciani stesso avvertiva in questa nota:
non sono chiare
sigle
ma non
il
oso
affermarlo
» (^).
e
mi
Se
si
è
sembrato leggere NA^,
osserva poi la frase suc-
come leggesi nella lapide, un complemento il quale neces-
cessiva inter viginti consiilares, così esser mutila
richiedere
e
sariamente deve trovarsi nelle parole
ammettere che soltanto nella linea quarta
la
sigla
precedenti, bisogna
NA/^
è
giusta e
deve leggere e supplire
si
così
quindi :
[electo
a se]nat{u) inter (viginti) co(n)sulares, affinchè la frase abbia
un senso
e sia completa
(^).
Ma
se così è, tutta l'argo-
mentazione del Domaszewski contro l'esistenza dei tiviri
durante
sotto quei
;
che di loro non
e del resto
si
faccia piti cenno
due imperatori non è vero, poiché
dano Crispino leia
regno di Massimo e di Balbino viene intera-
il
mente a cadere
vigin-
e Menofìlo
le fonti ricor-
che strenuamente difesero Aqui-
contro Massimino nella qualità di consolari qui a senatu
missi fuerant
(^)
e nei quali, appunto,
come
il
Domaszewski
ben vide, non senza contradizione, devonsi riconoscere
stesso
due dei vigintiviri. La commissione senatoria, adunque, continuò a li)
Loc.
C^)
Lo
cit.,
col.
171,
11.
sussi-
1.
Domaszewki propone tale supplemento, nel dubbio che non possa essere ammesso. Il Dessau {Eph. Ep. IX,
stesso
l'altro indicato
XX
COS e osserva che i 533) sui)plisce così: corniti Augg. NN. INTER vig'mii viri nominati all'annunzio della uccisione dei Gordiani, rimasero in carica anche sotto il regno di Massimo e di Balbino u et potuit unus ex illis; qui Maximum profìciscentem contra Maximiimm comitatus est, dici
Comes Augustoruvi
inter viginti consulares
».
Interpretazione in-
Dessau scriva noli dubigegnosissima, ma tare de lectione», non è pienamente certa e quindi non mi sento di abbandonare l'altra lezione proposta nel testo. la lezione
(^)
Capit.,
Maxim,
et
NN., per quanto
Balb.. 12, 2;
il
IIerod., Vili,
^i
2,
5.
—
-— 265
anche dopo
stere
la
morte dei Gordiani
turale e logica, poiché se
erano stati
vigintiviri
i
cosa del resto na-
;
eletti dal Se-
nato sopratutto contro Massiniino, come risulta dalle stesse parole che nel suo discorso
M
fittizio
contra nos riginti viros statuerunt..
contra nos ledi svnt (Goni., 34,
non erano
(che
vengono
gli
viginti viri consulares
;
3, 4), la
morte dei Gordiani
mandanti) non poteva estinguere
i
attribuite,
il
dato. Anzi essa produsse questa conseguenza, che
il
man-
Senato
Maximiniim vehemcntius timens (Gord.j 22), non confermò in carica i venti contro Massimino che, mag-
trepidus solo
et
giormente inferocito,
ne rese più ampli
i
presentava
si
tendente,
alle
come ben nota
il
porte d'Italia,
ma
mandato difensivo, anche un mandato politico
poteri. Infatti, oltre
commissione ottenne allora
la
loro
il
Mommsen,
a trasformare la co-
stituzione imperiale nel senso della maggioranza del Senato. I
nuovi imperatori Massimo
e
Balbino, eletti nel suo seno,
dovettero governare l'impero di concerto con essa preparando
una restaurazione del governo senatorio, nel quale il principe ne doveva essere un semplice strumento (^). Ciò ricosi
sulta chiaramente dal passo di Zosimo, I, PouXr^? àvopa? bItlogi
zfiq
Il
i. X.
Ilpoyejpt^ovxac
ex xoutwv aùioxpaTop^^
oxp^f.zriyioLC, £[A7i£Cpoi)^'
òòo, BaXpivov xal Mà^Lixov x.
éXó[jL£vot
14:
Klebs
(^)
a proposito
ha osservato acutamente che Zosimo, per designare un augusto, un imperatore, non si serve della voce
di questo passo
aÙToxpàxtop, § 14,
ma
bensì della voce
dove parla
'^aoiXtùc,
si
esprime:
oi
ty^v
Atpóvjv ocxoOvTsg FopScavòv
xal TÒv
è(Jio)vu|Jiov
sicché
jMassimo e Balbino non sono
x^asso
e difatti nello stesso
della proclamazione dei Gordiani nell'Africa
proconsolare, cosi
il
;
roóio)
Tiatòa
^OLGiXiac,
àvaoec^avie^ paacXsT^
suddetto deve tradursi nel seguente
x.
Maximum
praeftciunt
dalle altre fonti risulta (0 2,
p.
MoMMWEN,
op. cit.,
cum summa
modo
altresì
Massimo
ProHoy. Imp. Rom.,
e
IV, p. 432; Schillp:r,
701. (^)
potestate
l,
260, adnot.
Co-
per Zosimo, e :
vigintiviros deligunt artis imperatoriae peritos, quihus et
X.
x.
».
«
e
senatu
Balhinum
Ma
poiché
Balbino, dal Se-
Róm.
Kaiserzeit,
I,
—
266
—
nato esser stati proclamati augusti (Capit. P'U]>in(num sive
Maximum
vi
(ford.,
22: senaius...
Vlodinm Balbinum
Augiifttos ap-
come direbbero
pcUacit), è necessario distin<»iiere, lo
stato
di jaito. In
dallo stato
diritto^
(li
«giuristi,
i
Massimo
diritto
come tali comx>aiono essi non erano che i capi
e Inalbino erano augusti, imperatori, e nelle lapidi e nelle
in jatto
;
commissione senatoria
della il
monete
nella quale
(^),
si
concentrava
governo della pubblica cosa in quei momenti paurosi,
scopo che sopra abbiamo indicato I
vùjintiviri
stori e
da
(^).
erano tutti consolari (Gord., 14,
nuovi elementi
loro furono aggiunti
altri ordini (Capit.
ma
4),
tolti dai pretori, dai
Maxim,
dichiarato nemico pubblico insieme con
que-
Massimino
figlio.
il
Ai pretori ap-
appunto queir Anniano missus adv(ersus) Tra][nsp]ad(ana'm)
h(ostes)
p(nblicos)
in
gend{is)
armis fabr(icandis) in [ur(be)] [Me]diol(anio),
et
come suona conservato
re[g(ione7n)
la
il
bella
lapide
di
cursus honorum.
Mogontiacum
La
tir(onibì(s)
mino
e di suo figlio, uccisi dai loro soldati dinanzi le
di Aquileia, a cui
19 luglio, con la morte di Massi-
al
mandato
militare
restava da compiere ancora
cende interne che portarono di Balbino (1)
Bene
dell' Acead.
per il
mura
avevano posto assedio. La morte dei due
principi nemici del Senato annunziata in
pose termine
sic-
lotta fu aspra e sanguinosa
come
il
le-
che ne ha
(^),
e finì,
tutti sanno,
a
Baiò., 10, 1), a fine
et
di rendere più efficace la difesa militare contro
partiene
allo
alla
dei liiueei, 1881
politico;
uccisione
opera dei pretoriani
Giambellt
il
23
dei venti,
(*)
mandato
il
Eoma
(15
di
p.
1)51)
chiaina
i
ma
hv
vi-
le
Massimo
ottobre)
venti
quali
ai
{Gli scrittori della Storia augusta, 1.
luglio,
e
e
alla
[Memorie
Signoria o la
Prioria.
ehe Mas(-) L'osservazione del Dandliker (loc. eit.. p. 253, n. 2) simo e Balbino non avrebbero più avnto biso«j:no dei venti (^ wie hiitten aneli M. u B,.. nocli zwanzig Mànneruòtliig geliabt »). mi pare ingenna. (3) C. XIII. 6763. (*)
leggono
Un frammento le
epigiatìco dell'Africa (^\ Vili. 1823), nel quale
parole victoriae
sen{atitii)
alla uccisione di Massiiuino; cosi
le
parole victoriae Aug{ustae).
rom{ani), secondo
pure
l'alt
io
(ih..
il
Mommsen,
1SS2) elu»
]>ort a
si
iUliide
incise
—
UT
proclamazione di Gordiano
Dimodoché può
credersi
—
207
(21
con
clie
ottobre), lo rosero vano. la mortc^ dei loro capi
i
venti, per l'orza di cose, abbiano cessato dalle loro funzioni.
Questa è
da un attento esanu^
risulta
mente Zosimo si
breve storia della nostra commissione, come
la
e Capitolino.
e conironto delle fonti, special-
Nò
bio^^rafo imi)eriale erra e
il
contradice, mettendo l'elezione dei venti prima sotto
Gordiani e poi dopo
la loro
stata, se le parole addidit
morte
;
i
contradizione vi sarebbe
Bexippus tantum odium
fnisse
Ma-
ximini, ut interfectis Gordianis vigintiviros senatus creaverit si
ma
leggessero nella stessa biografia dei Gordiani;
non hanno veduto
(e ciò
gli
scrittori su
invece
nominati) esse
si
leggono nella biografìa dei Massimini, la quale contiene fatti
morte dei Gordiani. La genesi di questa spiega del resto benissimo. Dessippo nei Xpovtxà
avvenuti dopo notizia
si
la
narrava come la commissione dei venti fosse stata eletta dal Senato, proclamati
Gordiani e poi confermata (era questa
i
modo
quasi una seconda elezione) dopo la morte loro,
nel
sopra indicato. Degli autori che da lui attinsero
le notizie,
Zosimo non tiene conto che della conferma, poiché soltanto nel secondo periodo la commissione potè esplicare realmente il
mandato
proprio
;
Capitolino, piti accurato, registra
jjeriodi, l'uno nella biografia dei
i
due
Gordiani, l'altro in quella dei
Massimini. Al biografo imperiale adunque, ingiustamente accusato di errore da taluni dei moderni lode per la sua diligenza, e ciò dimostra talvolta le censure che
si
muovono
critici,
va anzi data
come esagerate
siano
agli scrittori della storia
augusta. 31
ex
nome
ufììciale della
scnatusconsulto
(^)
rei
commissione era quello curandae,
puhlicae
chiaramente dalla iscrizione di Cesonio 11
Costa invece
così
:
(') p.
392,
n
XXviri ex
crede
che
s(enatus)
si
e.
I.
XIV,
3902.
come di
risulta
loro
(^).
denominasse propriamente
c{onsulto)
Sulla formula ex senatus consulto, n.
uno
XXviri
di
r(ei)
vedi
p{ublicae)
Mommsen,
op.
contra cit.,
IV,
— curandae
;
ma
di piti
adverstis ìiostes ptiblicos,
come
si
citata
di
Anniano:
ma semplice pretorio
venti, e che la sua iscrizione è ad ogni
morte dei Gordiani. Dei poteri e delle attribuzioni dei :
nn.
d.
missus
non avvertendo che Anniano non
è detto, vìgintivir,
abbastanza
d.
Costa ha tenuto presente nel com-
il
parole della lapide su
le
impp.
prò
questa denoiiiiiiazione, oltre che complicata,
non parmi esatta; porla
r(omani)
2){opnU)
p{ìihlicos)
h(ost('s)
—
268
modo
era,
subordinato
ai
posteriore alla
vigintiviri si è già detto
qui rimane soltanto da aggiungere che
il
Se-
nato, per rendere seria ed efficace la difesa militare contro
Massimino, divise
l'Italia in dieci regioni,
preponendo a
scuna di esse due consolari con Pincarico di riparare tificazioni delle città, di arrolare e istruire
di dirigere le operazioni di guerra
come
si
è già detto, sotto
i
(^).
i
cia-
le for-
nuovi soldati e
I vigintiviri
avevano,
loro ordini, alcuni adiutori (pretori,
questori, edilicì, tribunicì) per la vigilanza diretta dei lavori.
Delle regioni alle quali il
nome
iuridici,
preciso
;
si
i
venti erano preposti non sappiamo
modellarono probabilmente su quelle dei
con qualche lieve mutamento. Eccone un indice con-
getturale
:
I.
Transpadana.
II.
Venetia
III.
Aemilia.
IV.
Liguria.
V.
Flaminia
VI.
Tuscia
VII.
Urbica dioecesis.
Histria.
et
et
Ficenum.
Umbria.
et
Vili. Samnium.
IX.
Lucania
X.
Apulia
et
et
Di queste regioni non sono prima e la seconda la prima, :
(1)
0.
Capit.,
XllI, 6763.
Gord, 10: Maxim,
et
Brutta. Calabria. certificate nelle fonti la Balh.,
che
Transpadana, dalla 10.
12; IIerod.. Vili.
la
più 2.
5;
—
Aimiano
volte citata lapide di
due consolari dirensori
d(M
—
209
di
;
menzione
sccondii, dalla
l;i
M enofilo
A(|uileia,
e ('risf)ino,
dovevano x)erciò esserci y)re|)osti alla VcnH'ia ci Ilislria. Ed ora, dopo aver trattato della elezione, della durata,
(piali
i
nome
del
dei
e delle attribuzioni
indichiamo fra
venti,
persona2:«i che ebbero quest'ufficio, (pici pochi che
le
i
fonti
ricordano.
1.
D. Caelius Calvinus Baleintjs.
Oapit., Gord., 10,
Baìòintis
;
cfr.
altre fonti sopra citate.
le
Erroneamente i
viginti viros... inter quos erat...[Clodius]
i:
egli
chiamato
è
Clodms da Capitolino
;
suoi veri nomi, attestati dalle iscrizioni e dalle monete, sono
quelli sopra scritti.
rum
È
difficile ricostruire
fu due volte console
;
:
il
suo cursus hono-
prima, secondo una probabile
la
congettura del Waddington [FasteSj p. 263), nel 210 o 211 la
seconda nel 213, insieme con Caracalla (Liebenam Fasti,
p. 27).
Yedi sopra
la
sua vita prima e dopo l'assunzione
Imp. Rom.,
l'impero, Klebs, Prosop.
I,
259
de Lessert, Fastes des provinces d''Afrique, s.
;
V. in
2.
e I,
seg.
265
M. Clodits Pupienus
Puppienus
Fu
;
Pallu Stein,
Pauly-Wissowa, R. E. IH, 1258-1265.
(si ve
Pupienius) Maxoius.
Capit., (Urrd., 10, 1: viginti viros... inter quos erat sive
;
al-
;
22.
cfr. ih.
console due volte
Maximus
:
suffetto la
prima
in
anno incerto
;
ordinario la seconda, insieme con Agricola Urbanus, nel 234,
secondo una congettura del Borghesi (i
n.
dopo l'assunzione 029
n. 50.
Ofr.
;
Stein
s.
v.
Domaszewski
anche Borghesi,
(1)
Oeuvre fi, V.
5013.
all'imy)ero in
(^).
vSulla
sua vita prima
vedi Klebs, Prosop.,
Pauly-Wissowa,
7^.
E. IV,
1,
I, e.
418, 88,
in Festschrift Th. (tomperz, p. 233 e seg. loc.
cit.,
p.
485 e seg.
— C'AKSONIUS
L.
o.
=
XIV, 3902
0.
LUCILLUS MACER KUFIJ^IANUS.
Dessau, 1180
Qìùrina Lucillns
soniiis C.
fil.
Arvalis,
jimcf. urbi, eleetus
\
—
"270
\
(in
a^ro Tiburlino)
Macer Rvfìniamis
ad cognoscendas
:
L. Cae-
cos.^ frater
Caesaris
vice
\
prow Africae, XXviros (sic vel XXviro reqiiiritur XXvir) ex senatus apoiiraplia consulto r. p. curamlac, cnrator aqimrnm et Miniciae, cut. albei Tyberis et
cognitiones, procos. ;
\
\
cloacanim urbis
et.
rei.
Macro Euiìniano (^) e di Manilia Lucilla (^), da cui prese il cognome Lucilio. L'anno del suo consolato è ignoto; ma certamente antecede la morte di di C. Cesonio
Figlio
Severo Alessandro perchè, nella base onoraria di suo padre, incisa durante
il
regno di cotesto principe,
egli si qualifica
Occupava la carica di cnrator aquarum et Miniciae, quando fu eletto vigintivir. La sua iscrizione è importante, perchè ha conservato il nome ufficiale dei nostri consularis.
magistrati. Vedi sopra di lui
Pauly-Wissowa, R. I,
280
;
Prosop.,
209
I,
Groag. in
;
1317-18; Pallu de Lessert, Fastes
E.,
Borghesi, Oenvres, IX, 379
Tiberis e dei curatores aquarum,
da
;
e
me
i
dei
fasti
curatores
pubblicati nel Bull.
Com., 1889, p. 199; Bull, Com., 1901, pp. 206-207.
4.
V]alerius Claudius Acilius Priscillianus.
Dessau, Eph. Epigr. IX, 593 13 (1903),
col.
171-172 (Lavinio)
Acilio Priscil[l]ian[o
d{io) I
a se]natu Inter
tium)
[electo
alvei
Ti]beris
= Lanciani,
riparum
\
:
[...
V
vel
Mon.
dei Lincei^
G]alerio
Clau-
a}uguriy Laur(entium) Labi(na' (lugìnti)
co(n)sulares \[cur(atori)
[eloacaru}mquae sacrae
(sic)
[urbis,
\
cons]ti lari ordinar [(io)]
et.
rei.
Di questa iscrizione si è già fatta menzione più sopra. Secondo il Domaszewski (*) il nostro vigintiviro potrebbe essere (2) (")
(*)
C. C.
XIV, XIV,
Loc.
cit.,
3900.
3901. ]).
542.
— Sex. Catins
(
Clementinns)
'lem enti anv^ (detto jmicIk^
lianm console ordinario od anche diverso,
e
nel
con
2:^0
L.
Prisell-
Aoricola,
Virio
(luesto caso sarebbe
in
230, che prese
siitfetto del
—
27t
un
o
console
posto di Clementianus', oppure
il
uno dei conosli degli anni 214-237, dei quali ignoriamo i non pare ammissibile gentilizi. La prima ipotesi a me per la diversità dei gentilizi (Valerius Claudius Aeilius) che presenta
nostro personaggio di fronte al console del 230,
il
che fu anche legato della Germania Superiore
Cappadocia
Nemmeno il
(^),
ciò
nostro Priscilliano
(consiliari ordinario)
;
sembrami la seconda ipotesi, perchè non fu console suÈetto, ma ordinario non resta quindi che la terza ipotesi, un console ignoto
cioè che Priscilliano sia
5.
Maxim,
Aquileiensibus
et
del periodo 214-237.
Crispinus.
Maximinns ah oppidanis
Balb., 12, 2:
paucis, qui
et
legato della
che non risulta dalla iscrizione di Lavinium.
accettabile
Capit.,
(^),
erant, militibus ac Crispino
illic
ae Menjftlo Cionsularibus, qui a senatu missi fuerant, victus est.
Maxim., 21,
Ofr. Capit.
Herod., Vili, 2, 5 5tà '|)povriòo; àvÒps; guy^Xy^to-j.
(I)v
Crispino
come ad
già
si
5')o,
ó
[jiàv
e
il
6.
:
iarpar/^Y^uv
à;iò
ÒKxzdx:;
KpLa;:ìvo;,
ripartizione che
talia in dieci regioni, toccò
hk òtto
difesero
;
il
il
armi di Massimino
venne fatta dal Senato
governo della Venetia
Borghesi
nius, e nella sua opinione consentono
{')
(2)
<:.
e.
(^) il
et
0924.
(=*)
Oeuvrefi,
II,
{*)
ProHoj).,
II, 209,
(')
Pauly-Wi.showa,
2152. n.
254.
R. e.,
IV,
1,
col.
90.
;
dell'I-
Histria
non
è
crede che fosse Lore-
Dessau
XIII, 0749. Ili,
tì^c,
strenuamente,
di cui Aquileia era metropoli. Il gentilizio di Crispino
conservato dalle fonti
e^X'^v
ò ùz MyjvÓ'^lXo; exaXecTO.
è detto, Aquileia contro le
essi, nella
aùiwv xal Travia
[xév, iiZLXe'/^d'iviE;
Menofìlo
collega
oè
("*)
e lo Stein
(^);
Lorenius Vrwpinus fu console suttotto in anno
Tj.
Il
TillcmontC), Tllcnze
(-)
e
Doniaszewski
il
alla identitii del nostro Crispino
console ordinario
ammettersi,
ma
credono, invece,
(^)
Crispinus
Bnittiiis
Ambedue
224.
dell'a.
con L.
io-noto.
ipotesi possono
le
nessuna presenta un ar<2:omento decisivo
quindi è cosa più prudente lasciare incerto
suo favore,
in il
gentilizio del nostro vigintiviro.
Julius Menopiiilus.
6.
Maxim.
Capit.,
21, 6: Post hoc Aquileiam venit [3I(ixi-
j
eum armatis
minvs], quae contra clausity nec
poi,
muros
propugnatio defnit Mcnofilo
ribus viris auctorihus. Cfr.
Tillemont
Il
circa
prima
(*)
e
il
Crispino consula-
et
luoghi sopra
i
citati.
Borghesi (CEuvres,
hanno ben veduto che Menofìlo collega
difesa di Aquileia
(^)
deve essere identico
cui parla Pietro Patrizio in KàpTTOL hohl
.
f^v
(^)
.
-pò?
£T:£[X'|>av
.
Muatag
x.
Empereurs, V. in
(2)
S.
(3)
Loc.
(4)
Op.
X.
x.
un passo che
To'jXtov {^).
cit.,
228
II,
e seg.)
di Crispino nella
suo omonimo, di
al
così
comincia
TTpec^eLav
.
.
.
:
ozi ol
oOro;
Òì
In premio dell'impresa di Aquileia
III, p. 240.
Pauly-Wissowa,
cit., p.
Mrjvó'^iXov
portas
dispositis
7?.
E., Ili, 912, n. 4.
531.
Ili,
194.
Gratuita è la notizia di alcuni storici della regione veneta, che in Aquileia fosse «gran numero di Trivigiani, Vicentini, Bellunesi. Fel(^)
tri ni
»
(Piloni, Historia di Belluno, Venetia. 1606.
p.
34), e
che Crispino
e Menofìlo fossero stati inviati al presidio della frontiera, a Feltre, Belè data dal Mondini, Storia di Ceneda, e Graziani nelle Notizie storiche della città di Vittorio (rendo qui C. vivissime grazie al padre don Giovanni Ceriani C. R. S. che con molta cura ha riscontrato per me in Vittorio queste due storie manoscritte,
luno e Ceneda. Questa notizia
da
Erodiano
(Vili,
2.4)
dice
TioXó Tt TtX'^O'Og ÈKsSy^iiei où
5è xat
{jLÓcXXov
ooppuévxwv,
soltanto che allora uoXtiwv
[lóvov
STtoXuTiXaaidaDrj xò TiXrjS-Of,
TzoXix'^oLQ
XE xaì
èvO-sv,
àXXà ^évwv
ts
cioè,
xwv òxXwv Tiàvxwv
xtt)(iag xxq, 7isptxst.|isva^
in Aquileia. èiiTicpwv. tóts
xat
è^ àYptòv sxsìjs
xaxaX'.nóvxwv
x.
x.
X.
Ero-
diano adunque non giustifica punto quanto dicono quegli autori veneti, nei quali più che la verità storica potè la carità del natio loco, (*)
Excerpta de legationibus.
9.
I,
392,
De
Boor.
—
—
273
felicemente termiData con l'uccisione di Massimino e di suo
m^Uo, Menofìlo venne preposto che tenne per tre anni
riore,
governo della Mesia Infe-
al
238
cioè, dall'anno
O,
al
241,
la
qual provincia molestata dai Carpi aveva bisogno, osserva
il
Borghesi, di un
di Menofìlo
Il gentilizio
Patrizio,
pone
ma
ma
pur troppo
di leggere 'louXiov
il
conserva nel passo di Pietro
si
Niebuhr pro-
la lezione è incerta. Il
Carlo Miiller ed altri con
Kiebuhr sembra
la lezione del
perchè
;
nota riputazione militare.
di
x>rc»^i(^G
gentilizio Tullio
TouXXlov
lui,
preferibile, in
scompare nell'onomastica del terzo
secolo, e poi perchè nelle fonti
cognome Menofìlo
il
è unito
piuttosto col gentilizio lulms. Così, ad esempio, trovasi Iidius Menopliilus vir spectahilis
Menopiliis riore
rammentano
sono adunque
come
ma me
nel
*
P.
i
già
a Massimino
;
i
Mi
limito, a
princeps
e
(^)
capo
Senato,
for-
di congettura,
nel
253,
:
che,
senatus
(Capit.
parte
avversa
nel
2) *
DomitiuSj ricordato dal solo Aurelio Vit-
a parer mio,
come uno,
è
invece
(2)
Petr. Patrio, ih.: Fragm. Val, 20.
(3)
0.
(*)
Cfr.
egli
eie,
il
fìglio
tpóa
della
pure, dei capi (^)
creduto identico
Vii. Sev.,
Ser.
della parte
8,
8,
ma
a
che,
Calpurnius Bomitius
exy;.
6255.
anche
Amm. Rom.
fonti
con un asterisco
Valerianus imperatore,
Bomitius Beoder nominato in
Ili,
modo
contrassegnandoli
contraria a Massimino, e dal Costa
(^)
le
era
tore (Caes., 26)
C.
che
vigintiviri
ne astengo, non potendone
consolare
7)
9,
titoli.
nomi,
i
Licinius
238,
Gord.y
dice,
si
a indicarne )
lulius
personaggi di quel tempo vorrei includere
altri
;
nella nostra serie,
-1
un
di data incerta e
(*).
Sei solamente
nire,
(^)
un
una lapide della Mesia Infeappunto il nostro consolare
Menopliilus) in
che potrebbe essere
(^),
e legato
(=
;
primo luogo
0. 111,582.
(trad.
(^)
ZoH.,
I,
(•)
Loc.
cit.
it.)
I,
14.
p. 537.
Sono
326; e
il
di
queste avviso anche
Liebenam, Legaten,
1,
il
Marquardt,
291.
— BextcTj console ordinario
fusamente Dceiìis,
il
Boro-hesi
imperatore
nel
(^);
nel
(Ep. 29) chiamato in
—
274
3) *
249,
225, e C.
di cui
ha trattato
dif-
Mcssius Quintus Traianus
dallo
pseudo Aurelio Vittore
armis promtùsimns, epiteto che ben
corrisponde all'altro di arpaiYjYta^
epuieipo?
da Zosimo
(loc. cit.)
attribuito ai vigintiviri.
Sia lecito certino altro
sperare
che
queste semplici congetture
nome, rendano meno
abbiamo proposta.
(^)
nuove scoperte epigrafiche
CEuvres, VI, 483 e seg.
o,
rivelandoci
esile la serie dei
ac-
qualche
magistrati che
FLAVIO EPIFANIO
Fra
Egitto
di
prefetti
i
De
strati nella lista di S.
XXIV
Bibl. Arch.
quarto sono regi-
secolo
del
(')
Eicci (Proceedings of the Soc. of
[1902], pag. 102, n. 94) e in quella di lady
Amlierst of Hackney (A
slcetcJi
Egyptian History, 1906,
of
pag. 424, n. 97), è Flavio Epifanio. Il
nome
suo
sianum
Vienna
di
tmd
Palaeogr.
da
e
lui
non voleva pagare
n.
(ib.,
vino fornitogli e comincia
sebbene
arj][i(oxàTa)),
riferirsi
allo
II) il
Ili
;
x.
Il
X.
x.
e che comincia
Wessely non
lo
così: Xauc[(p]
papiro
clie pre-
[Xa]i)[c(p...
indichi,
xw
tempo
stesso personaggio.
A
?
Una
lapide di
Eoma
(^)
Se del
Epiphanius prefetto urbano negli anni 412 e 414
certificano
prima
data precisa
?
Onorio e di Teodosio II ricorda un Flavius Annius
di
Eìichariiis
come
la
5:a-
mi pare
In qual tempo Epifanio avrebbe governato l'Egitto ne può stabilire
pa-
il
una donna contro un uomo che
ScaaTjiaoiàTWL rjY£[ióvt
cede questo
debba
il
del There-
pubblicato^nei suoi Studien zur
Papi/ruslctinde I (1901), pag. 2. n.
piro contiene la querela di
'ETitcpav'w zG)i
un papiro
fu letto dal Wessely in
vista,
si
alcuni rescritti imperiali di quel
potrebbe considerare
il
tempo
(^).
Flavio Epifanio della
lapide urbana tutt'uno col Flavio Epifanio del papiro viennef^e,
il
(]
viale,
dopo aver governato T Egitto
secolo ((uarto, sarebbe stato
Ma
già {')
il
l(ic(d
VI,
1718=
alla prefettura di
Koma.
dubitava, e non a torto, di questa prima
Pubblicato ncA Xenia
(2)6'.
n
I)(i
promosso
sul finire del
Romana (Roma
1907).
Djcssau, 5522.
Cod. Th. VI, 18, 1; VI, 24, 7; VI, 20,
14.
— 276 — o apparento identifìcaziono. Infatti
buito dal Wossely
perche contiene
al
principio e
altresì
indicate in talenti e in
non
sul finire dello
essendo ancor riadi
(^).
piti
stesso
basso, lo
Veramente non
E
Ma
prefetto,
valore
il
alla petizione ;
il
diretta ad Epifa-
Wessely nulla ne
i
dice,
data da
la
ma lui
quindi se Epifanio governò V Egitto alla fine del secolo quarto.
da fare ed
In quel
è questa.
papiri, piuttosto che
sogliono menzionare
denaro
è certo se queste notizie tributarie
vi è un'altra osservazione i
del
indicava generalmente in mi-
non potè governarlo
colo le iscrizioni e
così elevate,
principio di quel secolo,
mancano argomenti per negare
attribuita al papiro.
come
al
secolo,
si
un'aggiunta posteriore
d'altra parte
alla fine del secolo quarto,
dramme, somme queste
debbano considerarsi coeve nio, o
papiro viennese è attri-
talune note di un esattore d'imposte,
che possono convenire soltanto
mentre
il
i
se-
prefetti di Egitto,
una
presidi della Tebaide,
delle Pro-
vincie in cui, com'è noto, venne allora divisa quella regione, e
con quei presidi sogliono appunto confondersi
Ora
se
ben
esamina
si
il
come
fa osservare
essere diretta al prefetto,
ed anche
il
(^).
contenuto della petizione diretta ad
Epifanio (una querela per vino non pagato), subito,
prefetti
i
il
Mitteis
ma
titolo 5caa7]{jiÓTaTo;
(^),
comprende che essa non j)oteva si
bensì al preside della Tebaide
;
conviene perfettamente ad una
come mostrano i papiri concerquando sarà stato preposto Epifanio
siffatta qualità di Epifanio,
nenti quei presidi. al
Ma
governo della Tebaide
?
Il
Seeck, nel suo notevole studio
sulla cronologia delle lettere di
denti
Libanio
(*),
fra
i
corrispon-
famoso retore ricorda un Epifanio che nel 388
del
era consularis PJioeniceSy e congettura che esso abbia prima
governata
la
Tebaide
e sia identico al nostro;
ma
questa ipo-
non sembra attendibile apx)unto per la data attribuita dal Wessely al papiro di Vienna e che bisognerebbe innanzi
tesi
(1) Cf.
Wessely, Wiener SHzungsher, 1904, V, ^4^/*. SCHWARTZ, Gòtt. Nachrichten 1904. p. 355.
(2)
Cf.
(^)
Mélanges Nicole, pag. 370.
(*)
T. V. Unt.
z.
Gesch. der Altchr. Ut. N. F.,
XV,
1,
pai»-.
10 e
soìt.
pag. 127 e seg.
—
—
277
tutto provare erronea. IMuttosto ascriverei al
tempo
di Costantino durante
il
il
nostro Ey)ifanio
(|uale trovasi ricordato
un
Val(erius) Epifanius v(ir) p{erfcctissirmis) ma(j(istcr) privai(a(;)
Ae(gypti) si
et
Lih(yae)
(^).
Se
si
potesse i)rovare che
chiamava anche Flavius, sarebbe evidente
certo altresì
mi
ma
a considerare
limito
rimane
logia del papiro tità di persone,
un
non arrischio due funzionari
i
salva.
(1)
C. Ili, 18
sia
=
modo
sia di
la conget-
solo
come
la crono-
queste iden-
dalle esposte osser-
Flavio Epifanio deve eliminarsi dalla
serie dei prefetti di Egitto egli
Comunque
fatto resta accertato
vazioni ed è questo:
che
la identità e
io
appartenenti alla stessa famiglia. In questo
bile
magister
suo passaggio dalla carica finanziaria alPuf-
il
cio di preside della Tebaide,
tura e
il
dopo Diocleziano, ed
uno dei primi governatori ibid.. 6586.
è
proba-
della Tebaide.
(Ox. Pap.
Nel papiro di Ossirinco il
numero
(^),
àjjicpoxépwv
'f^yE\iù)^
del papiro,
VAlto e
e
il
VEgitto.
sue lettere
cMv
al
il
I
39, 6).
dell'a.
D. ò2, di cui sopra è dato
prefetto di Egitto si attribuisce di
non
facile
interpretazione.
Grenfell e l'Hunt, credono indicati
il
titolo di
Gli editori
nell'à|icpox£pa)v
Wilcken (^) invece, Alessandria Giacomo Lumbroso, nella trentesimaterza delle al signor professore Wilcken pubblicate néiVAr-
Basso Egitto
;
il
TV
mentre chiama le due suddette spiegazioni « buone entrambe e fondate », ne ritrova in un passo filoniano una terza, disgraziatamente, egli filr
dice,
PapyrusforscJiting,
neppur essa priva
318,
fondamento. Filone
di
infatti, là
dove ci mostra Fiacco, caduto in disgrazia, esigliato in una povera isola dell'Egeo, lo fa prorompere in desolati lamenti e mettere a confronto col
il
suo viaggio umiliante di condannato
superbo e splendido suo viaggio d'un altro tempo, xa^
ov xatpòv è:u£X£cpoxóv7)io tf^^ AiyÒTtiou xal
539 M). Dimodoché, secondo
xric,
ófjiópou At^ór]? è.nizpo'KOi;
Lumbroso, bisogna concludere non liquet. Prima però di giungere ad una conclusione così sconfortante, tentiamo l'esame del j)iccolo problema (II
il
:
y)apirologico, perchè le
spiegazioni projìoste possono essere
tutte e tre apparentemente
buone
e fondate,
ma una
sola
deve esser vera. Gioverà innanzi tutto esaminare talune formule simili (^)
Pubblicato
(2)
Cf.
(=^)
Ostraka,
negli Studi Storici per V Antichità Classica
Wilcken, Chrestomathie, I,
426.
456.
1(1908).
— alla nostra
280
che di frequente s'incontrano nel linguaggio am-
ministrativo
romano
:
Corredar utriusque Italiae
1.
La formula
(^).
Italia utraque si risolve in questa equazione
Transpadana
Italia
—
Italia citra
et
Fadum
(^).
Procurator utriusque provinciae Mauretaniae
2.
abbiamo
l'equazione
:
{^),
dove
Mauretania utraque := Mauretania
:
Tingitana; Mauretania Caesaricnsis.
Procurator utriusque Germaniae
3.
è
seguente
la
Germania
Germania utraque
=
Germania superior
;
interior.
Magister utriusque militiae
4. et
:
dove l'equazione
(^),
(^)
==-
Magister
peditum
equitum.
pronome utriusque è sempre seguito da un sostantivo, rivelano una unità che risulta dalla fusione degli elementi che le compongono mentre l'à[icpoT£(:;(ov della nostra formula, così generico, così rigido, indica non unità negli elementi che supOrbene, tutte queste formule,
quali
nelle
il
;
pone,
ma
che
titolo del prefetto
il
vero e proprio dualismo. Ciò permesso, è chiaro
queste due condizioni in
modo che
;
che noi cerchiamo deve rispondere a
prima, deve essere
sia facile riconoscerlo sotto
mula comprensiva
;
ufficiale il
ed usitato
velame
secondo, deve esser composto da
menti opposti fra loro e non
riducibili
ad unità. Quella
tre spiegazioni su proposte che risponde a queste
dizioni è soltanto la vera.
La
della forele-
delle
due con-
Vediamo.
congettura proposta dal Lumbroso rivela
lismo, risponde perciò alla seconda condizione,
il
dua-
ma non alla
prima. Infatti, per quanto quel titolo filoniano del prefetto
possa aver precedenti nel linguaggio amministrativo dell'Egitto
(1)
preromano, come nota
il
Lumbroso, non ha però
G. VI, 1673.
(2) Cfr.
Cantarelli, Diocesi Italiciana, pag. 45 e segg.
(3)
0. Vili, 9371.
(«)
G.
(^)
0. VI, 1731.
m,
5215.
af-
—
—
281
fatto riscontro nei titoli ufficiali prefettizi che le fonti del
periodo imperiale ricordano, non è così comune, da ravvisarlo subito nella formula controversa.
La
spiegazione adunque non
mi pare possa ammettersi.
E nemmeno
spiegazione i)roposta dal
accettabile ò la
Grenf eli e dallo Hunt
;
sappiamo bene che
assumevano
successori, gl'imperatori romani, «
il
e
loro
i
titolo di re
Egitto» nelle iscrizioni scritte in egizio
dell'alto e basso
ma
Tolomei
i
nessun esempio trovasi nelle fonti,
(^),
sia letterarie sia ejji-
grafìche sia pai)irologiche, di siffatto titolo portato dal pre-
non siamo quindi autorizzati a riconoscere nella formula -^yefjLwv à|xcpoT£p(ov un titolo che non competeva al viceré d'Egitto. Kel caso diverso, ben differente sarebbe stata la formula usata si sarebbe detto, come nell'iscrizione greca di
fetto;
;
Rosetta
(^):
come
A^yÓTcìcov,
^^^ X^P^^
f^y* "^^^
nell'editto
Alexandrinorum
^"^^
'^^i?
XIII
di
xàxo);
oppure
Giustiniano,
formule suppongono l'unità degli elementi che
ste
gono, non già
il
dualismo che è nella nostra
seconda spiegazione non risponde
Veniamo titolo
il
Alexandreae
provato fosse
et
come
insolito
(^),
sostiene
quali dimostrano che
(^)
Cfr.
;
condizione richiesta.
Wilcken.
il
ufficiale del prefetto e
Dittenberger
»;
«
aUa
MoMMSEN,
il
(I.
La
iscrizione
attesta
C^)
non un
544 n.
().
prefetto era preposto
città e al paese
Dittenberger, a. Ili, 14147'^
(*)
Nel testo greco manca O.,
654
:
('')
%.
fiir àfjypt.
(«)
li,
517, 541,
».
titolo
3),
Inscr. Or., 90,
= Dessau, èni
1.
ri-
le
ad Alessandria (^)
lo
1.
4.
899'^.
la
irionzione di Alessandria:
x^g Alynnxou vtaxaoxaT>e{5.
Sprache
«
Filone in fatti
Provincie romane, pag. 654 n.
(^)
I.
componquindi anche la
nel testo geroglifico. Ora, che questo
(3)
berger,
que-
concorde testimonianza delle fonti letterarie
sulta dalla
e all'Egitto
Ma
le
primo prefetto di Egitto
completo ed
titolo
il
de urbe
completo del viceré era quello di praefectus Aegypti (^) e tale comparisce anche, come ha
Wilcken
il
alla
alla terza, a quella del
latina di Cornelio Gallo
che
«
(C. luris Civilis III, p. 780 Kroll).
»
twv Suo
y^y.
XXXV
(1897) p. 70.
-
Ditten-
—
—
282
chiama ò i^i; 'AXe^avSpet'ac; 'f{^e\i.ùrj^ ò r% X'óp<^^ sTittpoTrc? A?Yu:r'uou; Giuseppe Flavio (hel.lud. ]V OlG) dice eosì: ìiiiaziXkziù'tu^hc, no
StéTuovTc
ATyuTiiov xal
TTjV
Eusebio, hi Hi. Aty'J^T^o^
VI
cccl.
2
'AXe^àvopetav Ttpepio) 'AXe^àvSptp;
xyjv
oè 'AXe^avSpe^ai; xal
•/^yerro
:
V
e Sozomeiio, hist. eccl.
Aalio^.;
Touiou AtyÓTiToi) xal
'AXs^avopeia^
ttji;
160
[xexà 'AXé^avopov tgv
oi
:
Anche
aùifj(; Yjp^ev.
MaxeSóva
1%
fetto dio
ovvero i^iróXecog
di praefectus Aegypti e di liKxpyoq A^yótitou
que che abbreviazioni
del
titolo
Tipo
nei titoli
Arm.
interpret.
attribuiti al pree quello
fjysixwv (^),
non sono adun-
C^)
completo e
Da queste
ficato dalla iscrizione di Philae.
Zc,
:
Acy^'^'coo xal 'AXs^avSpeta^
cfr.
'AXe^av5p£Ìa(;
XotTuy;;
Euseb. Chron.
:
regum series secundum (Euseb. Chr. Appendix I 15 Schoene). I titoli ^aatXeuaavxei;;
extr.
7
dei re Tolomei comparisce questo dualismo I
xfj<;
ufficiale
certi-
testimonianze an-
adunque provato che la congettura del Wilcken risponde alla prima condizione esaminiamo ora se risponda tiche risulta
;
alla seconda. Alessandria, a diiìerenza di tutto
l'Egitto,
non apparteneva ad alcun nomo, da
posto di
TcóXc?,
la città e
x'^^9^i
il
paese
ciò
il
contrap-
condizione della
la
;
resto del-
il
metropoli egiziana è ben definita da queste parole di un fram-
mento
Branchidae
epigrafico di
[AlyhTzzm] e
da quest'altre
['AXs^JavSpeta
if]
Tipo?
di
(^),
eie,
un papiro,
AtY'Jjiia)
chiaramente che Alessandria
si
t))v
Tupò;
di Ossirinco (I n. 35,9):
dalle
(*);
'AXegàvSpsiav
parole risulta
quali
contrapponeva
all'
Egitto
perchè era situata vicino a questa regione, più che compresa in
essa.
Sifffatto
del prefetto
dualismo
si
Giulio Alessandro
manifesta anche (^):
ttjv
risce
nel
titolo
tutte e due, la sione dualistica,
ufficiale nòXic,
e la x^P^'? ^ quindi
Kuhn, Verfdssuny
Vedi
Passini nelle iscrizioni latine e greche.
testi citati in
chiamato spcvsso fiyeinìiy, senza l'aggiunta (^) DlTTENBERGER, I. ()., 193. (5)
ATyDKXov; appa-
le
amministrava
l'à[A'>pox£pcov,
non può designare che Alessandria
(^)
(*) Cfr.
xy]\f
del prefetto che
(^)
i
àxoXaóouaav kov
ttóXcv
eòepyeatwv a^ e^et Ttapà twv 2j£(iaarajv xal zoù
Euseb., Chr.,
DlTTENBERGER,
I,
I. O.,
170, 33.
069,
li.
nell'editto
dvs Ixòm.
Nei
Aiy^ifcou.
e l'Egitto.
lìcichti.
paiùri
espres-
il
11.
475.
preietto è
— Parmi
la
e concorrenti
inperti,
—
così di aver dimoKstrato
cken riporta applicare
283
;
palma
ma
perche non
;
.riquid
feci
pone da Todi diceva »
due
iiiteii)retazioiii oi)poste
:
«
novisti
reciius
istis,
è lecito
candidus
qui che da semplice glossatore. laco-
dov'è piana la lettera, non
speriamo che qui, ove
«
la lettera
dissensione di papirologi, non è di certo piana,
almeno non
mi
a queste brevi osservazioni non
l'oraziano
scura glosa
sulle altre
che la spiegazione del Wil-
sia stata oscura.
»,
la
fare
o-
in tanta «
glosa
»
,
LA
TAZIANO
PERSECUZIONI^] DI
OOÌ^TEO GLI ORTODOSSI DI ALESSANDRIA
Flavio Eutolmio
nomi completi fino al 370.
Scaligero
Attestano queste date
(^)
e
i
il
xecpàXata atanasiani
tre
altre
dopo
il
Senonchè
Barbaro di
Barbaro
il
Puna nel 371, l'altra quali non possono in alcun
essere autentiche, poiché noi
dalla lista atanasiana che,
cosi detto
(*).
prefetture
dal 374 al 376, e la terza nel 378, le
modo
suoi
i
fu prefetto di Egitto dal 27 gennaio 367
(^),
attribuisce
gli
com'è chiamato con
Taziano,
{')
:
sappiamo prima di tutto
370, altri furono
i
prefetti
dopo aver deposto quella provincia, ebbe nuove cariche (^) e dal
di Egitto e in secondo luogo che Taziano, il
governo di
{^)
Pubblicato nel Bulletin de la Società Archéologiqne
d' Alexandrie
1910. (2)
BERGER, (3)
nomi la iscrizione greca 723 = Dessau, 8809.
V. per questi 1.
O.,
MoMMSEN,
Chr. Minora,
1,
295
=
di Antinopoli
:
Ditten-
Frick, Chr. Minora,
I,
364.
SCHWARTZ, Gótt. Nachrichten, 1904, p. 352-353. Dalla iscrizione metrica di Sidyma (Dessau, 8844), che contiene cursus honorum di Taziano, si apprende che, dopo la prefettura di (*) {^)
il
Egitto, egli divenne consularis Hyriae (Ouaxixò^
Supiyjij)
e quindi 6[7tX]ap)(05
un ardito supplemento che il Mommsen propose non senza esitazione, pensando alla carica del prefetto del pretorio (v. BennIwa?,
secondo
und NiEMANN, ReAscn in Lyìcicn, pag. 81 ci. p. 157). Ma a dir vero questo supjjlemento non mi persuade, prima di tutto perchè s'ignora che Taziano sia stato due volte prefetto del pretorio e in ogni caso \)()KV
;
poeta avrebbe indicata codesta dignità con espressione simile a quella con cui indica 7)iii sotto nel v, 5 l'autentica prefettura pretoriana di Ta-
il
suap^oj
secondo luogo, Taziano sarebbe divenuto prefetto del pretorio, prima di Oyjaaupwv 0eCo)v y.ó\vriQ, ciò che contraddice alle regole gerarchiche del tempo. Quindi credo piuttosto che nelle ziano
:
|J-^T*€
V^'^fi
'>
in
— 374
377 per
al
num
Ma
(^).
alexandrina,
avvenuta
del martirio
nell' attribuire
non era
piti
caduta sotto di
il
2
Snida
e in
(*),
Tatiano vit-
concordano
persecuzione a Taziano.
che da un lato Taziano, dopo
prefetto di Egitto, e dall'altro,
ortodossi
gli
lui
che
il
la per-
Alessandria sarebbe ac-
di
Vediamo.
?
passo citato di Snida, che dipende forse da Eu-
il
minciò in Alessandria
dopo
(^)
siffatta
dire,
come sospettava
napio,
ortodossi sub
gli
risolvere questa difficoltà apparente nei no-
secuzione contro
Secondo
una persecuzione
esser vero, se altre fonti, di cui
Fozio
in
documenti, vale a
370,
buon
menziona espressamente una
si
non può non
traccie
Come adunque stri
l'autorità
sia
vien chiamata dal Gotofredo farrago
lui
quale
(^),
Barbaro
col
largitio-
beato Doroteo, con l'indicazione perfino del giorno
il
le
quanto esigua
Alessandria contro
della
tima, cioè,
comcs sacrarum
ricordo che vi troviamo di
il
in
praeside,
di
così confuso nella sua cronologia, che a
cronaca di
diritto la
trovansi
meno, quella
d'altra parte, per
Barbaro
del
lo
—
286
Wachsmuth
il
maggio 373,
parole lacunose della lapide
la
persecuzione co-
xeXsurrjv 'ASavaaiou, cioè
a dire
ne troviamo conferma anche nelle
e
Sozomeno
storie di Socrate,
ttjv
jjisxà
(^),
e Teodoreto
(®).
Era
allora prefetto
nasconda Tufficio di comes Orieniis che governo della Siria, come del resto sospetta si
Taziano avrà avuto dopo il giustamente il Seeck in Kaibel, epigr. graec, 919. (1) Cod. Th., IX, 21, 8 X, 20, 8 X, 22, 1 Vili, 7, 14. Gratiano secnndo clarissìmo (a. 371), (^) Frick, Ghr. Minora, I, 364 suh eodem Tatiano Augustalio. Eo anno martyrizavit heatus Dorotheus in Alexandria. VII idos Octohris, quod est Faofi duodecimo. Ferarum esca traditiis est sub Tatiano praeside, prò quo tunc erant hereticl. Ci. sul mar;
;
;
:
Doroteo, Theoph. ad. a. n. 5870 Tillemont, 3/émo/rfs, VI. 589. 484 ò. ó Ss loùg xatà tyjv Aiyoniov cpóvo'jg ::aAa[-UÓ|j,3vog Taxiavò^
tirio di
;
Bihl.
{^) fjV
ó xaÓT-yjg
OàxTov
èuapxog,
ov
f]
tìefa
òLy.y]
xaì
x'f]<;
fiiatcfovtag
OùàXyj^
xaì
.
.
.
jiova^oó?,
STitoxÓTioug
sic;
ixupì
'AXs^avSpeta?;*
uapsSwxs, xa5xa 8è
Eh.
Museum, XXVIII,
Vedi per
p.
583. n.
la citazione dei passi, la
xaì
Tidvxa
XsuxY]v 'AGavaoi'ou.
{^)
x^ij
SuoosSsìa^;
è^optav su£|ius, xaì TtpsaP'JTspoc; xaì Staxó-
Taxcavcù xóxs àpx^ovxo^
Xptoxtavwv èpaoccvioe, xat xtvag
(5)
xaì
jisO-^XOs-.
(*)
voug
:
1.
nota seguente.
koXXoÙi; |isxà
xijv
X(ov
xs-
— (li
287
Elio l^alladio, che teneva riifTìcio fino dall'a. 371
Eiiitto
insieme con Vindalonio
egli,
tionum
—
Magno comes
in Alessandria per sostenere gli Ariani, quali, imprigionato
i
sul seggio episcopale di Alessandria
Questo fu
di(Mle
il
Koma,
loro
i
le
pochi mesi
nel
collocarono
capo Lucio.
si
può aggiungere
che, rifiutando
il
di Valente, mori-
missione di Vindalonio
Magno durò
febbraio dell'anno seguente 374 esso venne
da Taziano
sostituito
num
La
verghe.
;
forte
segnale della persecuzione di cui forniscono
il
summentovati storici e ai quali la punizione di molti monaci di Nitria (^), servizio militare imposto loro da una legge particolari
mano
vescovo Pietro successore
il
di S. Atanasio, che poi potò fuggire a
rono sotto
largi-
appositamente mandato dall'imperatore Valente
(^),
a costoro,
sacrarnrn
;
nell'ufficio di
comes sacrarum
largitio-
ed anche, poiché nulla vieta di crederlo, nella missione
favorevole agli Ariani e ostile agli
non era
Magno
ortodossi. Forse
riuscito appieno a soddisfare l'imperatore,
quale
il
volle affidata la stessa missione a Taziano che, esperto co-
noscitore
come
dell'Egitto
prefetto,
efficacia
da
lui
governato pochi
poteva adempiere
ed energia Se così
è,
il
anni prima
mandato con maggiore
ogni cosa
si
spiega benissimo.
Taziano, divenuto comes sacranim largitionum, fece ritorno in Alessandria e vi alla
rimase dal 374
morte dell'imperatore Valente (^)
T)
sTiì
y.C/iiYjTaxy^otwv
tò)v
paaiXivaov Birjaaopò)v lo
XapyiT'.óvojv
Gyjoa'jpòjv Ta|ita$ lo
y.ó|j.r;s
lo
al
377, forse anche fino
(^).
chiama Socrate, IV, 21
dice Teodoreto, IV, 22, 10 e
designa Sozomeno, VI, 19, 2
;
;
iwv
ó
y-ó\i-rìc,
xwv
epiteti greci corrispon-
denti al titolo ufficiale di comes sacrarum largitionum. Cf. Seeck,
s.
v.
Pauly Wissowa, E. E., IV, 671, n. 84. Vindalonio Magno (così è chiamato nei (JonsuUrria Constantinopolitana [Mommsen, Chr. Min. I, 242]) non deve confondersi, come fa il Seeck {Libanivs, p. 200), con Magno vicarius urbis nel 307 e proV)abilmente identico con Emilio Magno Arborio prefetto di Roma nel 379 e 380. V. la mia Diocesi italiciana, j). 83.
in
(2)
HiER,
67/T.,
a.
375 [Schoene,
II,
198].
Seeck {Lihanius
p. 286) vonebbe Taziano avesse conservato Comes sdcrarum largitionum, anche dopo la morte di Valente, poiché una costituzione del 17 giugno 380 {Cod. Iiist.,Wl\, 36, 3) che (•^)
Il
l'ufficio di
erroneamente
lo
chiama praefectus
praetorio, trattando di cose riguar-
—
288
—
Dalla testimonianza delle fonti citate risulta chiaramente
che neiradempimento della sua missione Taziano strò
così
spietato verso
oli
;
dimo-
ortodossi che la persecuzione,
sebbene iniziata da Palladio e da Magno, tribuita tutta a lui
si
finì
per essere at-
e la sua autorità fu tale, che si sovrap-
pose a quella dello stesso prefetto, tantoché la fonte di Snida
chiama addirittura àp^wv 'AXe^avSpeca^ e la cronaca del Barbaro lo indica prefetto di Egitto dal 367 al 378 quasi senza soluzione di continuità, mentre il vero prefetto Elio Palladio, che governò dal 371 al 377, è menzionato solamente tre volte. Parmi così di aver portato un po' di luce e di ordine nella cronologia oscura e confusa del Barbaro eliminando lo
quelle difficoltà, rispetto a Taziano, che fin
qui sembravano
insormontabili.
quando a me par più probabile che Taziano abbia compiuto
danti
ma
il
fisco,
dovrebbe
essergli vstata diretta,
egli era la
e quindi deposto ruffìcio di comes, nella primavera del 378,
comes
;
sua missione
quando Va-
abbandonò Antiochia e diede ordine di sospendere la persecuzione gli ortodossi, come attestano San Girolamo {Chr. II, 198 Schgene) Rufino {Hist. Eccl. XI, 13, testimonianza sulla quale il Tillemont,
lente
contro e
Mémoires, VI, 799, fa veramente qualche riserva), oppure nell'estate medesimo anno 378, quando Pietro vescovo legittimo di Alessandria, vi fece ritorno, cacciatone l'ariano Lucio, che invano chiese iiiuto a Valente occupato allora nei preparativi della guerra contro i Goti, o tutt'al del
più, alla
morte
di
Valente stesso (9 agosto 378).
IL PATRIZIO LIBERIO
L'IMPEEATOEE GIUSTINIANO
E
La
{')
solenne condanna pronunciata nelPa. 451 dal concilio
contro
di Calcedonia
i
non riuscì ad estirpare preso nuovo vigore, si radicava
monofìsiti
quella eresia, la quale anzi,
sopratutto in Egitto. Forti dissenzioni però avvennero subito fra quegli eretici che, divisi in piti sètte, al
Giustiniano,
si
tempo
di
contrastarono con grande violenza la suc-
cessione del vescovo di Alessandria
Timoteo IV morto nel 535.
Dal contrasto, breve fu
il
non senza spargimento
di sangue, dal cubiculario Narsete.
A
passo all'aperta rivolta, repressa,
questo stato di cose urgendo porre riparo, Giustiniano,
per consiglio di Pelagio
allora
apocrisiario o nunzio della
sede apostolica in Costantinopoli, che molto poteva sull'a-
nimo
di lui e della imperatrice Teodora, deliberò di restau-
rare
la
dottrina
calcedonica in Egitto, riconducendo
quella regione alla ortodossia. in
Egitto
fu scelto
nome ed Paolo
il
nuovo orientamento
da Pelagio
:
era
atto a far trionfare
della
un monaco
di
politica
imperiale
Tabenna, Paolo di
egiziano di origine. Ordinato vescovo di Alessandria,
jjartì
X)lis8imi
L'uomo
cosi
per l'Egitto sul
finire dell'a.
concedutigli dall'imperatore
ziata l'ardua impresa che
si
;
537 con poteri am-
ma non
era assunta, lo
appena
coli)ì la
ini-
gravis-
sima accusa di aver fatto morire Psoio diacono ed economo della chiesa di Alessandria fenicio prei)osto allora al
Del
grave delitto (M Pubblicato
con
la complicità di
Kodone, un
governo della città come augustale.
venne subito informato Giustiniano,
naWAvsonia VI
(1911).
19
il
quale, deposto
E Odone,
—
—
290
lo
sostituì
con
patrizio
il
Liberio a cui diede ordine di recarsi tosto
per procedere a severa inchiesta e punire
Alessandria
in
colpevoli
i
era Liberio e per quali ragioni veniva preposto ad
quasi sempre per
lo
delle regioni orientali
romano (^).
un
Chi
ufficio
innanzi conferito a funzionari oriundi ?
come egli chiamavasi (^), anni quando fu mandato a governare
Pietro Marcellino Felice Liberio, era molto innanzi negli
Alessandria e insigne per cariche cospicue occupate con grande
onore in Occidente. Appena ventenne fece
le
sue prime armi
sotto Odoacre, lo seguì fedelmente nella guerra
contro Teo-
dopo la sua sconfitta, divenne caro al vincitore che, in una lettera al Senato di Eoma, lo elogia espressamente, rammentandone la incorrotta fede verso il suo primo derico, e
signore.
A
dimostrare la stima che sentiva per
sull'inizio del
d'Italia e
stesso
suo regno, nominò Liberio prefetto del pretorio
poco dopo
tempo
Teoderico,
lui,
lo fece patrizio
(^),
affidandogli
gravissimo incarico di assegnare
il
ai
nello
Goti la
terza parte delle terre già concedute da Odoacre e gli diede pieni poteri, affinchè le operazioni procedessero regolari e sollecite
;
e
Liberio,
romano come
conoscitore profondo
delle consuetudini barbariche,
dato ricevuto con piena soddisfazione
dei
così
del
compiè
diritto il
man-
vincitori e dei
i successivi avvenimenti di Alessandria, v. le due contemporanee Liberato, Breviarum causae Sestorianorum et Eutyeliianorum (Migne, Fair. Lat., 68, cap. XX, col. 1036 cap. XXIII, col. 1044-45); Procopio, Anecdota, 27, ed. Haury. Cf. anche lo studio eccellente di Monsignor L. Duchesne, Vigile et Pélage nella Eévue des Questiona Historiques, voi. 36 [1884], p. 387 e seg. (2) Vedi pag. 291 nota quinta.
(^)
Per questi
fonti importanti e
e
:
;
493 (?) fino 500 in cui venne nominato patrizio. Cfr. le fonti citate in Borghesi, Oeuvres, X, 630, e iieWindex personarvm compilato dal MOMMSEN, alle Varine di Cassiodoro {Mon. Germ. XII, pag. 495-496). V. anche Muratori, xìnnali a. 500. Nel 500 Liberio deve aver accompagnato a Roma Teoderico quando vi si recò a ricevere gli omaggi del senato e del popolo (cfr. Garollo, Teoderico, pag. 140) e fu fautore della elezione di Marcellino a vescovo di Aquileia. come risulta dalla lettera di Ennodio {Ep. V, I) diretta appunto a Liberio putrido. (^)
Liberio fu prefetto del pretorio d'Italia dall'anno
circa all'a.
—
— vinti, di cui
si
sima lettera a
fece eco
il
2!)l
—
vescovo
Durante
lui diretta C).
un monastero chiamato
eresse anche
e
;
73
secondo P Hodgkin
che,
cf.
:
(^),
una
n()])ilis-
la i)rei'ettura d'Italia di
Campania, del quale troviamo ricordo nei e nelle Epistole (IX, 24
in
I^jiinodio
S.
Martino, nella
dialo<>hi (li, 35)
Magno,
v, 33) di S. Gregorio
sarebbe stato non lontano
da Monte Cassino. Dalla prefettura del pretorio d'Italia quella delle Gallie larico gli la
(^),
annunziò
sua assunzione
la
al
passò a
Liberio
quando Atacontemporaneamente
e n'era investito nel 526,
morte dell'avo
trono
Come
(*).
e
prefetto delle Gallie, cioè
di quelle provincie allora soggette al re degli Ostrogoti, prese
parte nel 529 al concilio secondo di Grange, negli atti del quale
si
sottoscrisse
guente maniera
:
con tutti
(^).
nomi
suoi
e
titoli
nella
Petrus Marcellinus Felix Liberius
ini. praefecttis praetorii
subsGvipsi
i
seet
v. e.
Galliarum atque patricius consentiens
Quel concilio ebbe luogo nell'occasione che
quattordici vescovi, dei quali primo S. Cesario di Arles,
si
erano riuniti in Arausio per consacrarvi e dedicarvi una basilica colà
appunto innalzata dal prefetto Liberio
chiamato in Italia nel 533, praesentalis.
come
corte
È
noto come
coadiutori
i
del
Atalarico lo
nominò
Ei-
patricius
stavano in
patricii praesentales
re
(^).
governo dello Stato e
nel
facevano parte del consiglio regio (comitatus) di Ravenna, e tali
devono considerarsi
figura
il
gli illustres et
magnifici
fra cui
viri,
nostro Liberio, ai quali è diretta la lettera di
Ep., IX, 23.
A
torto mon.signor
Francesco Magani,
Papa
sua che Liberio era fratello di Fausto giuniore console dell'anno 490 e amico di Ennodio, (1)
pregevole minografìa intorno ad Ennodio
(2)
(=) (*)
Italy
Var.,
Vili,
6,
521 al 533, non fino al 534,
Borghesi, op. cit., X, 572 e segg. Mansi, Concilia, Vili, 719.
(*)
Hefele-Leclercq,
il
nella
sostiene
2.
jjrefetto delle Gallie dal
(•^)
«tiene
105 e seg.)
and her invaders, IV, 493.
Cassiod.,
Fu
(I,
;
come
v. ivi le fonti citate.
Ilistoire des Conciles, II,
2,
pag. 1085.
so-
—
292
—
Giovanni II del 24 marzo 534 relativa storiani
dei
all'eresia
ne-
(^).
Nel 534 dal re Teodato, succeduto ad Atalarico, ebbe Liberio la missione di recarsi a Costantinopoli per giustificare la prigionia e alla
mali trattamenti che quel re aveva
i
regina Amalasunta. In quell'ambasceria
pagno
consolare Opilio ne; Procopio
il
senatori romani ed elogia in particolar
dolo
uomo
«
eccellente e
di Opilione
che
il
li
com-
fu
chiama ambedue
modo
amantissimo
rettitudine e la schiettezza di Liberio
nascosto a Giustiniano
(^)
gli
inflitti
Liberio dicenverità
della
».
La
che non volle tener
vero stato delle cose (all'incontro
affermai^a
nessuna mancanza
aver com-
messo Teodato verso Amalasunta) piacquero all'imperatore, tantoché Liberio,
quale non poteva certo in quelle con-
il
dizioni pensare a far ritorno
dimora
senso,
stabile
in Italia, prese,
in Bisanzio.
col
suo con-
Giustiniano poi,
cono-
scendolo più da vicino, seppe maggiormente apprezzarne
le
doti squisite dell'animo, e quando, sul finire dell'a. 538, volle
sistemare l'amministrazione assai confusa dell'Egitto, per consiglio
pose
certamente di Pelagio che di Liberio era amico, vi prepatrizio
il
romano, come
colui che
aveva dato prove
luminose della sua esperienza amministrativa in Italia e nelle
A me
Gallie.
poi sembra lecito considerarlo
governatore di Alessandria che, giusta riunì in se stesso, civile
col titolo di
le
augustalis
come
il
primo
riforme imperiali, et
dux^
il
potere
militare.
e
Liberio giunse in Alessandria
al
principio dell'a. 539 e
subito procedette, secondo gli ordini ricevuti, alla inchiesta
morte del diacono Psoio. Kell'interrogatorio dei due accusati, Eodone e Paolo, il primo addusse a propria disulla
scolpa che (^)
le istruzioni
ricevute dall' imperatore
gli
V. Mansi, Vili. 803-804. Sui patrizi praesentales e sul
facevano p(itì'i:ii(to
romano dal secolo IV al secolo Vili, v. lo editto del Magliari, in Studi Documenti XVIII (1897). pag. 202. Il Mommsen {Ostg. Studien in Gesam.
e
schriften,
VI. 448) identifica
sentalis militum.
C)
De
beli.
Gol..
I,
4.
il
patricius praesentalis con
il
tutigister
prae-
—
—
298
stretto dovere di prestar obbc^lienza in oo;ni cosa al vescovo
e che (]nindi, per
diacono;
comando
di
lui,
Jiveva l'alto uccidere
vescovo, dairaltro lato,
il
allargate, e
il
gov(3rnatore
finì
con
assolutamente di
iie.^ò
aver dato ordini in ({uesto senso. Le
il
indaii.ini
furono allora che ronn'cidio
lo sco[)rire
era stato preparato ed eseguito d'accordo (^on Eodonc^ da un notabile di Alessandria,
nome
di
uomo
Arsenio,
fama. Finita l'inchiesta, Liberio pronunciò
venne condannato a morte
senio
;
ivi,
Ar-
la sentenza:
Eodone, con
processo, inviato a Costantinopoli ed
dubbia
di
gli atti del
per ordine di Giu-
stiniano, ucciso; al vescovo Paolo poi, che, sebbene negativo,
non apparve interamente immune da colpa, toccò per pena l'esilio di Gaza; e colà, poiché forse la sua dottrina ortodossa non fu trovata ben salda, venne deposto dal concilio riuni541 sotto la presidenza
tosi nel
Intanto Liberio, mentre
aspettava
servizi resi all'impero in quella
riordinare
il
.
un premio
forse
occasione e
si
infatti, stancatosi di lui, lo sostituì nel
dei
preparava a
governo della sua provincia, rimase vittima
l'animo doppio e volteggiante di Giustiniano.
dria
Pelagio.
dell' apocrisiaiio
L
del-
imperatore
governo di Alessan-
con un egizio chiamato Giovanni Lassarione. Sapu-
tosi ciò
da Pelagio che nel frattempo
(a.
542) era tornato
a Costantinopoli, chiese a Giustiniano se fosse vera la notizia divulgatasi di siffatta sostituzione,
assolutamente
il
ma
l'imperatore negò
fatto ed anzi diede lettere a Pelagio per Li-
berio, nelle quali gii
ordinava formalmente di tenersi fermo
non abbandonarlo affatto, perche non era mai stato suo proponimento di rimuoverlo dal x>0''^to che allora occupava in Egitto. Informato di tali cose, Eudemone, lo zio di Giovanni, personaggio autorevole alla corte nel suo ufficio, di
di
Bisanzio,
sempre sicuro
domandò
a
dell'ufficio
Giustiniano
se
il
nipote
fosse
ottenuto in Alessandria, e Giu-
stiniano, dissimulando le lettere inviate a Liberio, altre ne scrisse
a
Giovanni,
ordinandogli
forza del governo di Egitto, nulla trario. Hi svolse allora
una scena
d'imjjadronirsi
avendo disposto singolare
:
a in
tutta con-
Giovanni, forte
—
—
"294
del messaooio imperiale, intimò a Liberio di lasciare libera
governo da cui era stato rimosso ricusò Liberio e mostrò anche lui le lettere imperiali che gl'ingiungevano di restar fermo al suo posto. Ma Giovanni non volle arrenla sede del
dersi e con si
;
i
suoi armigeri o bnccellarii,
scagliò addosso a Liberio
armati
si
difese; ne
come
si
chiamavano,
quale, a sua volta, con
il
i
nacque una vera battaglia, molti
suoi delle
due parti caddero uccisi e fra questi il nuovo augustale Giovanni. Per le forti insistenze di Eudemone, Liberio venne allora richiamato a Bisanzio
cesso di omicidio,
ma
il
;
Senato
istruì regolare pro-
Liberio, riuscitogli facile di provare
che tutto era avvenuto contro la sua volontà e che aveva agito per semplice e legittima difesa, fu assoluto. Della sentenza assolutoria non rimase peraltro pago l'imperatore e
condannò
in segreto Liberio a sborsare
Pochi anni dopo,
il
patrizio
una somma
romano tornò
principe, poiché sul finire della guerra gotica
Giustiniano volle affidargli vale,
il
comando
di
dalle
armi
di Totila.
Ma
in grazia del (a.
549-550)
una spedizione na-
con l'ordine di recarsi sollecitamente in
l'isola
(^).
pentitosi
Sicilia e salvar
appena
lo
ebbe
nominato, perchè Liberio, dice Procopio, era decrepito delle cose di guerra affatto inesperto, lo sostituì
bane che comandava
l'esercito
in prossimità delle Calabrie
giungere Liberio,
il
quale,
da
di
fiera
ignaro
Tracia.
e
con Arta-
Questi, sorpreso
tempesta non potè ragdel
revocato comando,
approdò a Siracusa assediata dai Goti e sbaragliati quei barbari, si ormeggiò nel porto e con tutta l'armata entrò nella cinta della città. Sprovvisto però di forze sufficienti
per fare impeto contro
gli
di nascosto dei nemici,
si
recò a Palermo, dove, richiamato
dall'imperatore, depose
il
comando
far ritorno a Costantinopoli
assedianti e dar loro
(^).
Ma
delle
battaglia,
armi imperiali per
poco dopo, nel 551,
ri-
bellatosi Atanagildo al re dei Visigoti Agii, Giustiniano deli-
Procop., Anecdota. 29. (2) Procop., Bell. Goth., Ili, 36, 37, 39, 40; IV, 24 ed. Comparetti lORDANES, Eom., 385. (^)
;
i
—
295
—
berò rinvio di una «pediziono militare nella Hpa^ria aflìdandone il comando a Liberio, del cui esito però nulla sap-
piamo
E
(^).
mi
([ui
copio.
Lo
sia lecito di
polemizzare un istante con
storico di Cesarea,
che Giustiniano
si
come
si
i^ro-
è detto sopra, afferma
pentì di aver preposto Liberio alla spe-
dizione navale contro Totila, perchè decrepito
e delle
cose di
guerra affatto inesperto. Orbene, Liberio era certamente as-
ma
sai vecchio,
ardito e forte
uomo
e
tanto è vero che pochi anni prima,
vedemmo
tener
e
riuscir vittorioso
combattimento poc'anzi delle cose di guerra non
è
chiama guerriero
lo
e
ancora per
piti
rihus
le
Che
descritto.
nella lettera al Senato di berio,
che settantenne,
piti
lo
con ardore giovanile all'impeto di
testa
Giovanni Lassarione
molto sicuro nell'arme,
fosse poi inesperto
punto vero. Cassiodoro
Eoma
ove fa
(^)
(exercitualis
ferite {forma
pulcJiriorem), sicché,
quel singolare
in
l'elogio
vir), bello di
infatti,
di Li-
forme
conspicuum, sed vulne-
osserva benissimo
Tonini
il
(^),
non fu capitano di solo nome. Liberio si presenta dinnanzi ai miei occhi come quel vecchione fiorentino del secolo decimoterzo, così bene dipinto da messer Donato Velluti nella sua cronica domestica: «questo Bonaccorso di Piero fu uno « ardito, forte e atante uomo, e molto sicuro nell'arme... Tutte « <(
carni sue erano ricucite, tante fedite avea avute in bat-
le
Era
taglie e zuffe...
(^)
Che
^Giordane tricius
la
spedizione avesse veramente
{G. 58, 303),
cum
il
vembra
di bella statura, e le
luogo, è
dubbio,
perchè
ne parla, dice soltanto Liherius pabene osserva il Mommsen {praef. in
solo che
exercitu destinatur, e
forti, e
:
che ad un vero invio di Liberio contraddice atisus Il Diehl {Justinien, p. 206) afferma che Liberio riuscì in poco tempo a vincere il re Agii e ad occupare in nome dell'imperatore molte piazze forti, Cartagena, Malaga, Cordova e Asilord., p. XV, n. 31)
vocabulo destinatus
dona
;
ma
€ui tratta
romani (2)
di
lo
».
—
storico francese confonde questa spedizione con altre, di
Gelzer, da lui citato, nella prefazione Giorgio Ciprio, p. xxxii-xliii.
il
Var. XI,
I,
16.
V. nella sua eccellente Storia di Rimini, pagine dedicate a Liberio. (•')
alla Descriptio orbis
li,
162-168,
le
belle
—
— bene CXX 296
ma
u
bene complesso. Vivette
a
anni perde
((
fosse così vecchio, udì' dire che la carne sua
((
che non
si
il
anni
;
lume, innanzi morisse per vecchiaia.
potea attortigliare
E
avea
e se avesse preso
;
XX
bene
perchè sì
soda,
qualunque
((
giovane più atante in su l'omero, l'avrebbe fatto accoc-
«
colare
ohe
)>
Così deve esser stato Liberio;
(^).
ed è probabile
parole di Cassiodoro indneribiis pulchriorem alludano
le
anche a quel singolare episodio che
di lui si
narra nella vita
di san Cesario vescovo di Arles.
Mentre egli era infatti prefetto delle Gallie, cadde, in una imboscata dei Visigoti, mortalmente ferito da un colpo di
Abbandonato dai
lancia.
che usciva dalle al villaggio di
per Cesario,
ferite,
suoi,
nonostante
potè a grande stento trascinarsi fino
Ma
all'accostarsi del santo A^escovo,
moribondo, come poi raccontava
egli stesso,
che l'avvertiva della presenza di Cesario aperti gli occhi, e vedutolo a sé dinanzi,
rato a raccogliere
E
molto sangue
Arnago prossimo ad Arles. Colà giunto, mandò il quale accorso prontamente troA'ò Liberio
privo di conoscenza.
alla ferita.
il
un lembo
;
si
il
sangue,
si
udì una voce
per la qualcosa, trovò come
della veste di lui e
tosto, stagnatosi
il
ispi-
ad appressarlo
sentì in tal guisa
rinascere le forze del corpo, che avrebbe potuto rimettersi in via se
presenti, fra cui la moglie e la figlia, glielo aves-
i
Liberio
adunque
fossero le armi e la guerra, e lo
conferma
sero consentito. Così la vita del santo
non ignorava che cosa del resto
il
racconto dello stesso Procopio, poiché nelle ope-
razioni militari di Siracusa
non
solo,
(^).
ma
si
condusse come capitano abile
prudente. Perciò, non decrepitezza del corpo
e imperizia dell'arte guerresca furono le vere ragioni che gli
tolsero
il
comando
la instabilità
della impresa navale contro Totila, bensì
consueta di Giustiniano, e tanto è ciò vero, che
l'anno seguente,
il
principe lo voleva capo della spedizione
di Spagna. (^)
Cronica domestica di riesser Donato Velluti pubblicata dai maorginrJi per cnra, di Isidoro Del Lungo e Ovoiielmo Volpi.
nos'^'T'itti
Firenze. 1914. pa^. 72-73. (2)
Scripfores
rerum MeroritKjicdiuni,
ediz.
KKrsrn,
111. p.
4S7-488.
— Dopo menzione
la imj)r(\s}i ibericii
di Liberio ancora
suole chiamarlo, che
gio al giugno 553
si
Papa
al
e a sanzionare
lio
padri
(^).
due volte
:
trc^
prima,
la
ne
tenne in (Costantinopoli dal magricordato
la
sua presenza
il
si
pre-
Conci-
deliberazioni dei
le
L'altro ricordo di Liberio è fatto
Prammatica sanzione
fra gli
per ordine di Giustiniano,
Vigilio invitandolo a presiedere
con
atti
capitoli, conui altresì
Liberio vi apparisce
;
alti dignitari di Coorte che,
sentarono
oscura ed incerta, trovasi fatta
ecumenico o dei
del quinto concilio si
—
^297
nella così detta
del 13 agosto 554, ossia in quel sunto
dei provvedimenti chiesti dal pontefice Vigilio a Giustiniano
anUqmoris Romae
{prò petiticne Vigilii venerabilis
per sollevare
le
episcopi)
condizioni d'Italia profondamente immise-
dopo i venti anni della guerra gotica l' imperatore nel primo capitolo rammenta la donazione della metà dei beni rita
di
;
Marciano fatta a Liberio, che
e la
egli
conferma nella stessa misura
chiama
vir gloriosissimus,
(^).
Questo è l'ultimo vestigio che troviamo di Liberio nei
documenti del tempo ed è ben poca cosa quello che essi ci hanno conservato. Se fossero giunte fino a noi le lettere da lui scritte ad Ennodio e ad altri amici suoi e quelle dirette
quando trovavasi lontano da loro in Bisanzio, potremmo conoscere ciò che egli pensava del dominio dei Goti dopo Teodorico, la sua opinione sulla controversia teologica dei tre cax)itoli già menzionata e il giudizio che egli si era fatto del carattere ambiguo di Giustiniano. Ma di quelle lettere nulla pur troi)po rimane e il tempo edace non risparmiò nepx)ure la laj)ide sejjolcrale di lui esistente una volta in Eimini, la quale prova, secondo me, che Liberio tornò in Italia e morì in quella città; come e quando non sembra ai figli,
;
difficile
È
divinare.
probabile infatti che Liberio facesse parte
(1)
Mansi, IX,
197,
(2)
Novellae ree.
Schoell-Kroll, Corpus luris
l'analini
della
del
seguito
198. Civilis, III, 799.
Vedi
prammatica sanzione nell'ottimo libro di A. Gaudenzi e Vimpero (VOriente, Bologna, 1888, ]). 119 e seg.
Rapporti tra V Italia
— Papa
di
allorché
Vigilio,
298
—
quell'infelice
pontefice,
ottenuto
da Giustiniano l'importante decreto che doveva instaurare per
l'Italia
nella
un'era nuova,
primavera del 555,
si
mise in viaggio per farvi ritorno,
e costretto a fermarsi in Siracusa, a
cagione della malattia terribile che il
giugno di quel medesimo anno. Fra
7
compagnavano cui
il
del 14
nome
figura fra
ma
il
pochi vescovi che ac-
i
sottoscrittori del celebre constitutum
Morto il papa, la salma venne trasportata vescovo Stefano e Liberio devono aver preso
maggio 553
a Eoma,
i
consumava, vi morì
papa Vigilio, era certamente Stefano, quello aveva sempre seguito nella sua via dolorosa
il
di Eimini, che lo
e
lo
(^).
la via di Eimini. Colà giunto, quel vecchio glorioso, già pros-
simo
ai
novant'anni, non potè gustare a lungo la gioia del
ritorno in patria dopo
piti di
vent'anni di assenza; forse per
le
fatiche del lungo viaggio accresciute dalla estrema vecchiezza, la vita gli
sul
venne meno.
un monumento
I figliuoli gii eressero
quale era scolpita una iscrizione metrica;
ma
col volger
del tempo, sex^olcro e iscrizione scomparvero e l'epitafìo di
Liberio sarebbe rimasto ignoto a noi, senza si
gli
apografi che
conservano in taluni codici manoscritti, dei quali
antico, del secolo
ziano
esistente
decimo quinto, nella
il
così detto codice Bigaz-
Gambalunga di Eimini perchè l'autore anonimo della
silloge epigrafica ariminense, forse Ciriaco
Eccone
l'originale il
più
Biblioteca
(M. n. 72), è molto autorevole,
sott'occhio
il
della
d'Ancona, ebbe
nostra iscrizione
(^).
testo:
Avellana ed. Guenther, p. 319. (^) Per gli altri codici e per gli editori dell'epitafio metrico v. l'in dicazione data dal Tonini, op. cit. I, 286,366 e dal Bormann, nel C. I. L. XI, 382. Il De Rossi {Inscr. Ch. II, 404) cita un altro codice epigrafico che contiene il nostro epitafio, quello di Pirro Vizani del 1494 questo codice era nella biblioteca del defunto principe Baldassare Boncompagni (v. E. Narducci, Catalogo di manoscritti, Kouia 1892. p. 114{})
Collectio
—
;
115) ora pur troppo dispersa; feci per rintracciarlo molte ricerche,
pur troppo vane.
ma
—
10
—
LKGEM NATVRA GRE ATRI X HANC DEDIT VT TVMVLT MEMBRA SEPVLTA TEGAWT LIEERII SOBOLES PATRI MATRIQVE SEPVLCURVM TRISTE MINISTERIVM MENTE DEDERE ]>IA HIC SVNT MEMBRA QVIDEM SED FAMAM NOM TENET VRNA NAM DVRAT TITVLIS NESCIA VITA MORI REXIT ROMVLEOS FASCES CVRRENTIBVS ANNIS SVCCESSV PARILI GALLICA IVRA TENENS HOS NON IMBELLI PRETIO MERCATVS HONORES SED PRETIO MAIVS DETVLIT ALMA FIDES HVMA^'0
5
299
(ilCNERI
AVSONIAE POPVLIS GENTILES RITE COHORTES DISPOSVIT SANXIT FOEDERA IVRA DEDIT CVNCTIS MENTE PATER TOTO VENERABILIS AEVO
TER DENIS ET TRIS PROXIMVS OCCVBVIT QVANTVM BENE GESTA VALENT CVM MEMBRA RECEDUNT NESCTT FAMA MORI LVCIDA VITA MANET
15
Il
nella
testo è quello accolto dal linea
14
dove
è
Nel codice Eigazziano
hanno
si
Bormann
diversità
codici e
i
gli
TEEEDEÌsT IS TEIS
legge
TEEDEKIS
fra
nel Corpus, tranne
;
editori. il
Bovio
TEIS, lo che porta, osserva bene il Tonini (op. cit. I, 367), una soverchia longevità. Il Codice Fantaguzzi (^) ha invece TEE DENIS ET TEIS, core gli altri
Uis
rezione probabile del Eigazziano.
Annales, in margine
all' a.
accolta dal Tonini e dal
ingegnosa, codici
mi pare
Il
Baronio propose nei suoi
529, la lezione
Bormann,
la quale,
Buecheler
sebbene molto
DENIS
arbitraria, poiché la parola
non può, senza ragione, mutarsi
X)arve al
TEE^eKIS toTEIS
il
in
seNIS
quale invece nei suoi
;
dei
e arbitraria
Carmina
latina
EpigrapJiiea, II, n. 1376, accetta la lezione terdenis [lMs]tris,
osservando che est licentia
»,
«
ma
tredecim lustra dicuntur poetica quae visa la
sua osservazione non mi persuade, per-
chè volendo evitare la soverchia longevità, non di cadere nell'eccesso ojjposto
una età comune che non era (^)
Bibl. Classense di
Ravenna,
;
il
n.
difatti
i
si
accorge
tredici lustri
danno
caso di rilevare nell'epitafìo. 468,
f.
4.
—
—
300
me
In tanta discrepanza di lezioni a
pare cosa prudente
per quanto e possibile, la tradizione rappresentata
se«:uire,
dal codice Eigazziano e dal codice Fantaguzzi;
que dovrebbe leggersi Ter de
così
nis et
|
|
il
verso adun-
:
tris
dove, sottintendendo annis^
pròxìmus
|i
it
|
va interpretato come
tris
il
òccubu
|
for-
mazione analogica di Ms e corrispondente al greco ipi; = ter. Si avrebbe quindi la combinazione numerica tre volte :
dieci
= 30 = tre volte 30 = 90.
Kasi
mio dotto amico
prof. Pietro
Padova gentilmente mi
università di
dell'
Il
suggerisce
di leggere così:
Ter dove
(Tè
nis tri [ni]s
|
pròxìmus òccubu
la
=
tre (dieci tre
combinazione numerica
30)
tamente sagace,
=
ma
a
3 >< 30
me
Pantaguzzi che usò
lapide in Eimini
il
it
=
la
zioni
:
-|-
piace non discostarmi da quella codice Eigazziano e forse vide la
il
Tonini, deve
V.
et
formula propria del tempo
Mg
requiescit
e
stato letto
esser
esso seguiva certa-
usata in altre
iscri-
Petrus Marcellinus Felix Liberi us
qui vixit ann... dep... post
ili.
tre volte dieci
90. Siffatta lettura è cer-
e trascritto mutilo, perchè alla fine di
mente
:
;
(^).
come nota
L'epitafìo,
e.
|
distributivo trinis sarebbe in relazione con denis
il
avremo quindi
del
||
XIIII
e.
Basili
v.
e.
ind. III.
Come poltura
dice l'iscrizione,
al
padre e
Da
sono taciuti. {})
alla
due
i
figli
ma
madre,
Gambahmga di i
numero
le
(^)
e
il
nome
loro
però sappiamo
dott. Aldo Masserà biblioteAndrea Zoli bibliotecario della gentilezze usatemi quando consultai in quelle
Riniini e
Classense di Ravenna, per biblioteche
il
Liberio diedero se-
lettere di Teoderico
Ringrazio qui pubblicamente
cario della
di
(^)
il
il
dott.
codici manoscritti che contengono gii apografi dell'epitatìo
di Liberio. ('^)
Ai
figli di
NdDio {Ep. IX, {^)
Cass.,
Liberio (snmmates 23).
Var.,
Il,
lo.
16.
filios)
allude, senza nominarli,
En-
— che mio dei
—
301
eliiamavasi Venanzio,
fioli
servizi resi dal padre,
domestici mentre era ancor giovanetto (in tenera aetate) arrivo peraltro a
Venanzio
che
(^onij) rendere
invece
sia
come
il
Mommsen
famiglia
della
Decius Mariu.s Venantms Basilius console dalla lettura
chiaro
due
delle
Liberio, a cui
figlio di
attribuisce
il
il
dei
Decii,
Borghesi
seguito dal
(^)
La
nome,
ma
moglie di Liberio Agretia, Agretia,
(*).
dai
figli
Liebenam
V. 3 la berii
altrove e
una figlia
il
nome
il
della
senza dubbio di origine gal-
non
nel sepolcro
ove era contenuta
come
sostituire,
voce superstes a sepulcìirum^
sit
(^)
detta unica, forse (l'avverte
nome
il
premorta probabilmente a Liberio, fu sepolta
ne importa
di lui,
mentre
vita poi di S. Cesario,
Tonini) perchè tale del suo sesso, e rivela altresì
lica
forse
Teoderico riesce
ricordata più sopra, attesta che Liberio aveva anche il
non
;
Venantius cornee domesticorum è
consolato dell'a. 507.
di cui è taciuto
dei
sostenga
(^)
nell'a. 508,
di
citate
lettere
lampante che
e
dei
pn^niio
in
nominò eonie onorario
re lo
(iiiel
e
«
epitaphium», perchè dedere
mula generica con
la
quale
i
figli
scenza virgiliana
diritto (^),
ma
triste
salma
Sirmond (^), cum unius tantum sepidchriim è una fa
il
nel
Lifor-
di Liberio asseriscono di
aver compiuto l'estremo dovere verso
chiamano a buon
la
i
genitori
ministerium,
che
essi,
con remini-
da codesta formula non deriva
madre fosse posta in quel sepolcro, come Me sunt membra quidem sed famam non tenet
X)unto che anche la
prova
il
V. 5
urna che riguarda evidentemente sua moglie non
si
fa
mai cenno
il
solo Liberio,
nell'epitafio.
(^)
Cassiod. index fera. s. v, Venantius. Fasti Consulares, p. 104.
(^)
Fanti Consvlares,
(^)
jj.
mentre di
Alla prefettura
52.
Thesaurus lingnae latinae, \, 1439. Ennod. Ep. IX, 23. Adi. VI, 222 (^) Pars ingenti svhiere feretro, Triste ministerivm. ; quciic ultime parole non Bono che un'appoF-izione di subiere feretro (qvod est triste ministeriim), e tali nono da conRiderarsi anche nel noBtro epigramma. Cf, anche il triste ministeriiim gemini solvere parentes di un epigramma Hpoletino (C. XI, 4969 = Buecheler, 1349). (*) (^)
Clr.
Ad
:
— d'Italia
si
riferisce
v. 7, e
il
seguente a quella della Gallia
il
Ausoniae populis non
nel V. 11
sosteneva G. Marini divisioni
Il
Mommsen
Komani
ai
romano
civile
osserva che
('^)
delle
sud-
palatine, bensì della condizione che
Goti foederati ebbero rispetto
come funzionario
una
;
come
fa espressa menzione,
si
delle coorti gentili,
(^),
milizie
delle
—
303
i
e che Liberio regolò
(^). il
cursus honorum di Liberio
nell'epigramma riminese è degno di nota, poiché ne deriva che Liberio, al
tempo
che dignità
civili,
come Eomano, non ebbe
degli Ostrogoti,
mentre, sotto Giustiniano,
dati anche uffici militari
;
ma
a
me
pare
gli
piìi
vennero
affi-
verisimile che
non ricordi le dignità avute da Liberio in Oriente, perchè non gli accrebbero fama, sia perchè furono fonte
l'epitafìo sia
amarezze per
di gravi
L'iscrizione in
Kavenna,
secondo
Liberio,
di
ma
lui.
è questa
Mommsen,
il
una semplice
svista,
esisteva
poiché dal
codice Eigazziano e dagli altri eruditi che videro o copiarono l'iscrizione, risulta
chiaramente che essa era incisa sopra un
gran sepolcro presso l'antica cattedrale di Eimini; però del cito
sommo
esprimere
al
storico
mi
suggerisce un'idea che
termine del mio
scritto.
la svista
mi
fo le-
Agnello Kavennate(^)
Eavenna: l'uno, nel quarto. Ora potrebbe supporsi
ricorda tre Liberii nella serie dei vescovi di
due nel
terzo secolo, gli altri
che anche
il
nimo prefetto
nostro Liberio, probabilmente nipote dell'omodel pretorio d'Italia al
tempo
di
Onorio
(^),
ap-
partenesse alla famiglia di quei vescovi e fosse quindi oriundo di
Eavenna. La sua partenza
stato assente per
un uomo,
vita di
può aver
dall'Italia nel 534,
un ventennio, grande gli
aevi spatitim nella
avvenimenti della guerra gotica, tutto
influito sulle
Accende della sua famiglia,
(^)
Papiri diplomatici,
(2)
Mommsen,
(^)
Cassiodor., index person.,
Ost.
l'esserne
sì
da
p. 325.
Studien,
1.
e.
p.
p.
447-48. n.
4.
406.
rerum Langob. {Mon. Germ.) ed. Holder-Egger, 287-288; ci Gams, Series Episcoporum, p. 716. (5) Cf. Borghesi, X, 591. (*)
Script,
co-
p. 283-
—
303
—
Kavenna per quella di Eimini, nel momento in eni tante fami^li(^ romane esulavano dalla patria. Ad ogni modo la mia ò una sempliee congettura e come tale la presento ai lettori. strin*]^erla
ad abbandonare
Arrivato
al
la ronidenza di
termine di queste pagine, nelle quali cercai
fama di un uomo insigne del secolo sesto loto veneraMlis aevo), mi è caro di chiuderle nella stessa bellissima terra di Eimini, ove, dinanzi al mare vasto e profondo, che richiama alla mente l'idea dell'infinito, Liberio, giunto di rinfrescare la
ormai a nata.
sera,
venne a compiere
(
la
sua lunga ed operosa gior-
NIeETA NOl^
FU AUGUSTALE DI ALESSANDEIA
{')
Nell'anno settimo del regno di Foca, corrispondente
al-
D. 609/10, quando Eraclio patrizio ed esarca dell'Africa insieme con Gregorio suo fratello e luogotenente (^) innalza-
l'a.
rono
lo
stendardo della rivolta contro
ì
il
tiranno imperatore,
Bónàkìs generale di Eraclio eb-
di Gregorio, e
bero l'ordine di muovere con forte esercito contro l'Egitto, sollevarvi la popolazione
mentre l'armata, sotto sarca,
il
e sottomettere l'intera provincia,
comando
salpava verso Costantinopoli.
Alessandria allora in carica, di il
di Eraclio figlio dell'eIl
prefetto e duca di
nome Giovanni,
d'accordo con
patriarca melchita Teodoro Scribone e con
l'intendente
dei grani pur chiamato Teodoro, informò tosto l'imperatore della gravissima rivolta che
si
preparava contro
verno in Egitto e Foca provvide subito ad una Gli avvenimenti che
si
il
suo go-
efficace difesa.
svolsero in seguito alla rivolta era-
cliana nella provincia di Egitto sono narrati soltanto nella cro-
naca coi)ta di GioA^anni vescovo di ìsikiou, che può considerarsi quasi il
ad essa contemporanea
disordine che
;
ma le lacune, le
oscurità e
quella cronaca presenta, specialmente negli
ultimi cai)itoli, dovute in gran parte allo stato in cui è per-
Pubblicato nel Bull, de la Société Arch. iVAlexandrie, 1912. (2) aùxoù lo chiama Teofane (295, 30 297, 8 De Book) col nome però di rpvjY'^^pàj V^yf(ò^io<; invece lo chiama Niceforo (^)
'0 ÓTiooTpaiTjYcj
;
;
ioT. oóvToiioc, (3,
V.
DiEHL,
14 I>E BooR). Sull'ufficio di hypostratega {adiutor strategi)
Afrifjue liyz., p. 488.
20
— (i),
venuta
come
tante
tali e
(il
(^lOtofredo l'avrebbe chiamata.,
Excerpta Barbar i^ una farrago), che
gli
Giovanni
di Is'ikiou
rifacitori,
Arab
son
—
306
fra
i
non
è stato
racconto di
ben compreso da suoi moderni
quali ricorderò
Conqtiest of
il
Butler nel suo libro The
il
Egypt p. 1-41
mìVimperatore Eraclio, pag. 15 e
Pernice nel suo saggio
il
;
seg.
e lo Spintler nella sua
;
Phoca imperatore Romanonmi, pag. 30 e seg. non è vero, come asseriscono cotesti scrittori,
dissertazione de
E che il
il
infatti
gli Eracliani,
vinto ed ucciso Vapellón
{^)
di Alessandria,
quale aveva cercato con buoni
armati di contrastare loro passo, siano entrati nella città sotto la guida di :^iiceta e
che questi, occupato
il
palazzo del governatore e impadro-
nitosi del tesoro imperiale e delle navi ancorate nel porto di
Faro, abbia mandato Bònàkìs nel Delta. ì^iceta
a propagare la rivoluzione
(^)
non comparisce punto
in questa
prima fase
della rivolta vittoriosa in Egitto, bensì Bònàkìs,
che, vinto
Vapellón di Alessandria, entrò nella città accolto
onore dal clero e dal popolo
E
(^).
fu allora che,
l'ira
popolare, Giovanni l'augustale e
dei
grani
s.
Teodoro e
città in tal
{^)
Come
il
chiesa
di
Atanasio.
La
nella
patriarca melchita in quella di
modo rimase
temendo
Teodoro l'intendente
cercarono rifugio
(àvvuyvéna^yoq)
con grande
s.
senza governo in piena balia degli
è noto, della cronaca
non abbiamo
il
testo originale,
ma
una versione etiopica, compilata nel araba oggi perduta, che lo Zotenberg ha pubblicato insieme con una traduzione francese nelle Notices et Extraits des Manuscrits de la Biblio1602 sopra un'antica parafrasi
thèque Nationale C^)
La
XXIV,
I
part. (1883), pag. 125 e seguenti.
Zotenberg (1. e. p. 542, n. 2), di cui ignorala designa il comandante militare di una provincia. G. Ma-
parola, dice lo
forma autentica, SPERO {Revue de Philologie 1911,
p. 15-16;
Organisaiion milìtaire de V Egijpte
Byzantine, p. 89; 96, n. 9) crede possa essere una deformazione della pail tribuno in Alessandria rola greca tptpoOvoi; passata attraverso l'arabo era il comandante speciale del presidio subordinato al duca-augustale. ;
(^) Il
nome, nota
lo
Zotenberg
(1.
e.
corrotto, perchè trovasi nel testo etiopico (*) Il
nostro cronista
(p.
p. 541, n.
probabilmente forme diverse. accolsero con grande
trascritto
543) dice veramente
u
3).
è
in
onore Eraclio », ma forse nel testo originale era scritto u il generale di Eraclio », il quale non può essere che Bònàkìs. tenuto conto di ciò che Begue dopo.
— Eracliani il
Teodoro
:
patriarca,
il
Chronicon Paschale
—
307
iiiiì
come
ucciso
attesta
ed e^nal sorte toccò forse anche
(^),
ai
due funzionari amministrativi di Foca, sebbene cronista di Nikiou nulla dica in proposito. Il clero e il popolo allora, ribellatisi apertamente contro l'autorità imperiale, non solo il
presero possesso del palazzo del governatore e vi
rono
;
ma fecero altresì sospendere alle porte della città, veduta da
fosse
e tolsero
che
loro
stabili-
si
il
tutti, la testa delVapellón
staccata dal busto
prodotto dell'imposta imperiale dalle mani di co-
custodivano
lo
Bònàkìs poi ordinò
(^).
l'arresto
dei soldati che avevano seguito Vapellón e mise sotto
custodia quelli che
non
altro narra
si
accanto ad un governo
governo di Foca in Alessanformato
civile rivoluzionario si
tare assunto da Bònàkìs. Quasi tutti all'autorità del generale di Eraclio
costituì i
un governo
pagarchi
si
mili-
sottomisero
ed esso cercò di consolidare
suo potere in Egitto, fino all'arrivo di Bonoso conte d'O-
riente si
ciò e
Giovanni di ]Nikiou. Orbene, dal suo racconto
dai notabili del clero, del popolo
il
buona
trovavano nel porto del Faro. Tutto
risulta chiaro che, sulle rovine del dria,
perchè
(^),
che Foca aveva mandato contro
ma
preparò alla difesa,
aveva un (1) Il
esercito piii
il
i
feroce generale
numeroso
testo del Chronicon Paschale
ribelli.
Bònàkìs
bizantino, che
e piìi disciplinato di quello
{1,
699 Bonn.) dice così: Toóxcp
xq>
exsi àTToaiaxoùG'.v 'Aq^pixYj xaì 'AXe^dvSpsia' xai, jcpa^siai aTcò èvaviùov ó Tcduag 'AXs^^cv^ps'.'ag (cioè
testa
Teodoro soprannominato Scribone
NicEFORO Callisto,
come atIIGutschmid
[ó ^xpi6a)v],
Hist. eecl., Migne, Gr. 147, p. 887).
{Kleine Schriften II, p. 470 e seg.) crede che gli avversari (èvavxioc) siano gli avversari della rivolta, fra i quali erano i partigiani di Teodoro, ma
non mi pare che
debba intendersi
il passo del Ghroìiicon Paschale : nemici di Teodoro e del suo partito cioè gli Eracliani. Notisi peraltro che quando il Gutschmid scriveva, la cronaca di Giovanni di Nikiou era ancora ignota. {^) Così dice la prima versione di Giovanni di Nikiou pubbHcata dallo
gli
èvavTCo'.
ZoTENBERG
così
sono, al
contrario,
i
Joumal
Asiatique 1879, p. 333 e un po' differente dalla seche meglio risponde alla lettera del testo etiopico, come mi fa osservare l'illustre collega Ignazio Guidi. I custodi del tributo imperiale sono f orse i xpoawvat,, sui quali v. Wilcken, Grundzuge 1, 164 e seg. 1 p.
conda
(•^)
nel
del 1883,
Thkoph.
ma
j).
296, 22
:
y.ó\iri<;,
àvaxoXyjg.
—
308
—
dopo una lotta fiera e ostinata in una battaglia avvenuta ad oriente della città di Menouf (^). Bónàkis venne fatto prigioniero ed ucciso, mentre i pochi soldati di lui, che poterono scampare alla morte, si del suo avversario, riuscì a vincerlo
salvarono con la fuga in Alessandria.
Ucciso Bónàkis, ricomparisce Niceta
durante
nemmeno
inoperosità durante la lotta fra
un passo verso la Nubia
brerebbe, da
il
trovasse
si
governo militare del suo compagno d'armi in Ales-
il
sandria non è ben chiaro, e
diretto
dove
;
comprende la sua Bónàkis e Bonoso. Sem-
del nostro
d'Africa,
si
cronista
ma non
(^),
che
fosse
si
ne intende bene
se
motivo. Certo è che, dopo la fine di Bónàkis, Niceta, as-
sunto di
sto
un
potere militare, raccolse
il
di marinai, di arcieri,
di barbari,
soldati regolari,
di cittadini di Alessandria e dei Prasini,
fazione verde, la quale, in Egitto,
con
come
in Costantinopoli, così
Alessandria
si
anche
preparò allora a resistere
al-
Bonoso che la cinse d'assedio ma dopo accanita d'ambe le parti, la vittoria rimase agli
l'esercito imperiale di
lotta
cioè della
quelli
abbandonato Foca, aveva fatto causa comune
gl'insorti.
una
compo-
forte esercito
eracliani ai quali
unirono anche
si
i
Foca però non
zurra). Il generale di anzi, riordinate le
;
file
novamente Alessandria
Veneti si
(la
fazione az-
diede per vinto, che
del suo esercito, cercò di ;
ma
i
molestare
suoi tentativi, di fronte alla
energia di ]^iceta, riuscirono vani. Bonoso fu quindi costretto
ad abbandonare
l'Egitto lasciandolo nel pieno dominio del
suo forte avversario toria per averne
a
ristabilire l'ordine titi.
Punì
infatti
i
;
ma
iS'iceta
(^)
volle servirsi della vit-
endetta sui partigiani di Foca, bensì per turbato da tante lotte e pacificare Prasini,
i
quali, col pretesto
gl'interessi della parte eracliana,
ogni genere contro
non
i
Veneti
(^);
i
par-
favorù-e
di
commettevano violenze riordinò
Sulla ubicazione di questa città v.
di
ramministrazione,
Amélineau,
Géog. de VÈgi/pte.
p. 252. (2)
PagET. 542 e
(^)
Il
seg*.
Pareti, in uno scritto acuto 8ui verdi
e
nz::iin'i
ai
tempi di
—
309
-
nominiiiido nuovi pagarclii in tuttc>
gantaggio e abbonò
un
U) c.itià;
represso
il
bri-
])agamento delle pubbliche imposte per
il
triennio a tutti gli Egiziani che gli
conoscenti. Questi atti che Islceta
si
mostrarono assai
compiva
ri-
primavera
nella
quando Foca era ancora vivo (^), sono atti di vero dittatore e non di un semplice prefetto augustale, come lo chiamano gli autori moderni poc'anzi citati, errore manidel 610,
come vedremo
festo,
fra poco.
Gli avvenimenti di Costantinopoli del 5 ottobre 610, cioè
a dire, l'eccidio di Foca e la incoronazione del giovane Erache
clio
gli
succedeva
sul
tanare Islceta dall'Egitto si
trono di Bisanzio, non fecero allon(^)
;
anzi, al principio dell'anno 611,
svolsero in Alessandria due fatti importanti ai quali è
gato
il
suo nome.
Il
primo
è la
nomina
le-
del patriarca melchita
San Giovanni Elemosinarlo chiamato a succedere
all'ucciso
Teodoro dall'imperatore Eraclio, per viva istanza degli Alessandrini e dello stesso patrizio Kiceta che di Giovanni era
amicissimo
(^)
;
il
secondo fatto è la unione delle due chiese
tempo separate, e che Antiochia venne in Alessandria a ri-
monofìsite della Siria e dell'Egitto, da il
patriarca Atanasio di
stabilire di
comune accordo con Anastasio,
patriarca copto di
quella città, e con l'appoggio dello stesso Mceta,
il
quale
seguiva così la politica di Eraclio desideroso di metter fine
XIX
Foca (Studi It. di Fil. Class. siano sempre mantenuti
dei Prasini contro
di loro
(1912) pp. 314-315) sostiene che
i Veneti fondandosi sulle persecuzioni queste persecuzioni possono spiegarsi
fedeli a Foca,
si
;
ma
benissimo ammettendo che, per quanto seguaci ambedue del partito eracliano, l'antico odio fra le due fazioni non fosse ancor spento. (^)
Per
(*)
Da un
data v. Butlek, op. cit. p. 31. passo di Giovanni di Nikiou (p. 552) sembrerebbe che Niceta 8Ì fosse trovato in Costantinopoli alla caduta di Foca ma lo ZoTENBERG (1. c. n. 1) avverte che il nome Niceta » è un errore del testo al quale bisogna sostituire « (^rispo », come talvolta è chiamato Prisco la
;
<(
;
nelle fonti bizantine
;
v. oltre
pag. 310 n.
3.
(^) frammento della vita di Giovanni Elemosinario scritta da Giovanni Mosco e Sofronio in Gelzer, Leontios v. Neapolis, Anhang II, 109-110 (= Sym. Metaphr. in Mignc, Gr. 114, col. 897) per la data del 61 Iv. la nota del Gelzer. ib. i>. 124, (Jf.
il
;
— una buona
A^olta alle
contese
A'ano dilaniato l'impero
per Costantinopoli ed
imperatore resi alla
Due
(^).
ivi,
ottenne,
(^),
causa di
—
310
relit]^iose
che lungamente ave-
Sul finire del
(il
2 Niceta partì
accolto con grandi onori dal cugino
ricompensa dei grandi servizi
in
lui, l'alta
dignità di conies
exciibitorum
(^).
anni dopo, nell'autunno del 614, prese parte alla spedi-
zione intrajìresa da Eraclio contro
i
Persiani,
li
fronteggiò per
ma
poi,
insufiìcienti, fece ritorno in Egitto,
non
qualche tempo sui confini occidentali della Palestina,
disponendo di mezzi
senza aver prima strappate ai Persiani
le
preziose e sacre
quie della spugna e della lancia che
il
costato di Gesti Cri-
sto
(^). Il
ferì
non
ritorno nella regione egiziana
reli-
significava perls'i-
ceta vita tranquilla, poiché egli dovè subito prepararsi a difendersi contro
i
minacciavano vero
di
lì
pose loro
come
Persiani, che, la
sua provincia
a poco
già da
(^).
fiera resistenza;
BRAEUS
La data
I nemici
si
prevedeva,
ma quando i
appar-
infatti
tempo, e Niceta, con poche
polazione della città parteggiava per
(^)
tempo
forze,
vide che ormai la poPersiani e che ogni
della unione delle chiese monofìsite è controversa.
{Chr. Eccl.
l,
270) l'ascrive
all'a.
op-
927 dell'era greca
=
a.
Barhe-
D. 615/616,
mentre Tommaso Presbitero (Land, Anecd. Syr. I, 115) la riferisce all'a. 618; ma nessuna di queste date mi pare accettabile, poiché non è verosimile che Niceta pensasse all'unione delle chiese monofìsite nel
momento
l'invasione Persiana premeva sulFEgitto. Preferisco invece la data ammessa da Michele Siro {Chroniqiie éditée par I. B. Cliabot II, 3, 399, 401), il quale pone l'unione nell'a. 921 dei Greci e nel primo anno di Eraclio 010/611) il momento allora era propizio, perchè finite le lotte cagionate dalla rivolta eracliana, e l'ordine ristabilito da Xiceta in cui
=
;
in tutto l'Egitto. ci. Tlieoph., 298, 20. Niceph. Const. p. 6, De Boor (3) Niceta sostituì nell'ufficio di comes excubitorum Prisco genero di Foca, che, perduto il favore di Eraclio, venne relegato nel convento di Cora(67tr. Pascli. 703, 11. Niceph. Const., p. 7). Sulla dignità di vomes excubitorum e sugli alti dignitari di corte soliti ad avere quel posto, (2)
v.
;
MoMMSEN, Gesam.
Schriften, VI, 233 e seg.; E.
verfassung (Abhandl. der Sàclis. Gesellschaft,
Gelzer. By^. Themen-
XVIII
[1899], p. 15 e seg.)
Chr. Pasch. 705, 6, 11. Vedi, a questo proposito, l'episodio narrato nella vita di Giovanni Elemosinario, scritto da Leonzio di Napoli, p. 23-25; e l'altra versione in (*)
(5)
Lebeau,
Hist. (In
Bas-Empire, XI, 51-53.
—
;u
difesa (Iìvcmìnìi impossibile
I
— (
salpò alla volta di Costantinopoli
(^).
di
al
Giovanni, nel «giugno 019,
suo destino, insieme col x)atriarca
Ho
Alessandria
iil)baiid()iiiitii
('),
detto più sopra che Niceta non fu mai augu stale
come
Alessandi'ia, tutti
Infatti
i
alcuni
asseriscono
provvedimenti da
per
presi
lui
moderni.
storici
ristabilire
dopo la vittoria riportata su Bonoso, rimetà del 610, quando Foca ancora regnava
l'ordine in Egitto
salgono
alla
ed è assurdo pensare che
in Costantinopoli,
minasse augustale
suo forte avversario. Inoltre
il
che rammentano Niceta
Teofane e
patrizio
T.oLx^Uict;)
(ó
Magna
polis
chiamano augustale,
lo
nell'alta
edito dal Grenfell
(^),
fonti
Chroni-
il
ma semplicemente
pure un papiro
così
;
le
(Giovanni di Nikiou, Leonzio di
Napoli, Niceforo Costantinopolitano,
con PascJiale) mai
tiranno no-
il
Apollino-
di
Tebaide del 3 gennaio 618.
papiro
Il
relativo al giuramento prestato
da un
mercante, è singolare, perchè costui giura non solo per gl'imperatori Eraclio e Costantino suo ceta
ó
Tiavs'j'.p'irjfjio;
xal
anche per Ki-
TuaTpcxio^.
ÓTrepcpuéaiaio;
ricerca la ragione per la
ma
figlio,
M. Gelzer
quale Niceta fosse in tal
onorato nella Tebaide, dove
l'
augustale
allora
più giurisdizione, e pensa, senza però insistervi
(*)
modo
non aveva troppo, ad
mutamento avvenuto nell'amministrazione egiziana dopo il tempo dell'imperatore Maurizio nulla di tutto
un
possibile
;
(^) V. Caetani, Annali, IV, p. 76. Dell'assedio di Alessandria paria una cronachetta siriaca anonima edita da Ignazio Guidi in Scriptores
Syr.,
s. (^)
Ili, 4. p.
La data
22.
della caduta di Alessandria in
qui controversa. E. sulla fede di
Gelzer
Tommaso D. 618
si
ai Persiani era fino
giugno
dell'a.
a
619
Presbitero, e questa data è la sola ammissibile,
poiché in alcuni papiri (vedine p. 31) dell'a.
mano
(jLeon^. p. 151) l'ascrive al
fa ancora
la citazione in
menzione
M. Gelzer, Byz. Verw.
di Eraclio
come
imy)eratore.
regnante. L'ultimo di questi papiri (B. G. U. 725) è del 21 luglio 618,
corrispondente
all'a.
ottavo di Eraclio (sioo;
y/
èTieìcp
x^')
del papiro l'hanno attribuito all'a. 615.
;
erroneamente
Niceta divenne piìi tardi, fra il 619 (t il 629, esarca dell'Africa, e sua figlia Gregoria sposò l'erede presuntivo del trono di Bisanzio, Eraclio (Costantino. Cf. E. Gè lzer gli
editori
Leont., p. 130
;
Diehl, Afriqve Byza7itine,
(')
Journal of Philology, XXII,
e*)
/iyz.
Verwaltung, pag, 31,
n.
p. I.
ip.
272.
524, 526.
—
—
Niceta era così onorato nella Tebaide, perchè, in forza
ciò.
della sua lo
312
abilità
M.
stesso
politica e
militare (vi allude,
aveva assunto, come
Gelzer),
del
resto,
è visto, poteri
si
dittatoriali in tutto l'Egitto, resi necessari dallo stato di anar-
chia in cui resto
ceta
il
paese
trovava
si
morte
alla
Foca
(^),
proviene da una semplice svista di Enrico Gelzer
(^)
Del
erroneamente a Ki-
titolo di Augustalis attribuito
il
di
(3),
chiama appunto praefectus praetorio Augustalis et dux fondandosi sulla testimonianza di Barhebraeus, mentre il
quale
il
cronista siriaco lo dice semplicemente
La
lo
dunque
svista
di questo
errore
di E.
exercitus
cliix
Gelzer è stata
1'
(*).
origine
che ha ingannato tanti scrittori
prima
(^),
ma
anche un prezioso ammaestramento di metodologia storica, ed è questo, che di nessuna citazione^ essa porta con se
per quanto
omaggio (^)
Si
autorevole
sia,
bisogna
precetto di Epicarmo
al
può confrontare
il
:
fidarsi,
(xsjAvaa'
papiro di Apollinopolis
rendendo
cosi
àTucaiecv.
Magna con
sera enea a lettere di argento di Plotino Eustazio prefetto di
SAU, 813), nella quale la formula snlvis d{ominis) n{ostris)
et
la
tes-
Roma (Despatricio Ri-
come cercai di dimostrare altrove {Bull. Com. 1888, potenza dittatoriale di Ricimero nell'impero occidentale. (2) Solo fra i moderni, il Grafton Milne {History of Egypt, ^. 112 e seg.) ravvisa nella cronaca di Giovanni di Nikiou la successione Bónàkis-Niceta e come Niceta non sia stato Augustale di Alessandria. cimere
allude,
p. 194), alla
(^)
Leoni.
V.
Neapolis, op.
cit.
129.
Gregorii Barhebraeii, Chronicon
(Lovanii 1872)
270: Athanasins patrinrcha Alexandriam, ubi orthodoxornm patriarcha erat Anastasius et iniit cum ipso unionem post schisma e dissidio Inter Petrum et Damianum ortiim. Facta est igitur unio inter ecclesiam nostram Syriae et ecclesiam Aegypti, anno Graecorum nongentesimo vigesimo septimo (Chr. 616) opera horum duorum sanctorum sictit exercitus, ceterorumque fidelium (trad. Abbeet Nicetae diicis looss et Lamy). Michele Siro (op. cit. II, 3, 399) da cui dipende Barhebraeus, chiama Niceta parimenti generale. La parola siriaca comune (*)
«
Eodem tempore
Eccl.
I,
abiit
,
^)
ad ambedue
i
cronisti è àL** uì^9 (rés haylà).
Chiamano augustale Niceta, fra i più recenti, M. Gelzer, op. cit. WiLCKEN, Grundziige, I, p. 70; G. M aspero (Or(;««/s. militnire de p. 31; rÉgypte Byz., p. 120; addenda), il quale cerca di confutare negli addenda l'opinione da me espressa, ma non la esamina in tutte lo sue {*)
parti e
nomi
si
(p.
dimostra altresì incerto della sua, poiché, neir indice dei pone un punto interrogativo (*) al titolo di augustale
157),
attribuito a Niceta.
PER UN PRESIDE DELLA TRIPOLITANIA
Fra
rescritti imperiali
i
indirizzati
(')
ad alcuni dei gover-
uno con questa iscrizione Valens] ad Oricum praesidem
natori della Tripolitania ve n'è
Idem
A A.
[Valentiniamis
Tripolitanae il
et
sine die et conss. nella sottoscrizione, sebbene
{^),
Krueger l'ascriva
e
con ragione alPa. D. 366, perchè Va-
lentiniano e Valente furono dall'a.
364
al
indica cosi tuzione:
i
:
367
(^).
soli
apparato
IS eli'
ad oricum Paris. 4429 Oricus sarebbe nel 366, secondo
om.
;
il
KI
si
Krueger
il
fonda
la
sua
(*)
resti-
U = Berolinensis 274) (
;
)>.
adunque preside
stato
Mommsen
anche dal
critico
codici manoscritti sui quali
ad rotium praes. tripolitane
«
senza Graziano,
Augusti,
della Tripolitania
Krueger, e la sua congettura è accolta (^);
ma
è strano che cotesti
due insigni
romanisti non abbiano avuto alcun sospetto sull'autenticità del
nome
Oricus, mentre esso era balenato alla
del Gotofredo
(^)
mente acuta
che proponeva di sostituirlo con Atticus.
Certamente questa sostituzione non
può
si
accettare,
ma
è
altrettanto certo che Oricus, ignoto alla onomastica romana, (^)
Pubblicato nel Bollettino di Filologia Classica 1912.
(2)
Cod. lust. II, 48, 5 ed.
(^)
Nelle
Krueger.
antiche edizioni del Codice Giustinianeo
così formulata
l'iscrizione
è
lidem A. A. ad Oricum p. p. ed Orico perciò è considerato prefetto del pretorio d'Italia nella serie Borgliesiana {Oeuvres
X,
537),
:
ma
;
il
del pretorio in base
nel
Cuq a buon appunto
diritto
alla
nuova
propone
di eliminarlo dai prefetti
lettura della iscrizione
testo del Codice dal Krueger. (*)
Loc.
(*)
Prolegom. in Theodosianum, pag. CCI. Prosopogr. Cod. Th. s. v. Oricus.
(*)
cit.
p. 982, n.
6.
ammessa
— nome
è un
314
corrotto. Qnale
—
adunque sarà
di quel governatore tripolitano
il
nome
autentico
'ì
Ammiano ^Marcellino (^) attesta che, durante il grave conflitto fra Eomano comes Africae e Lep titani, era preside i
della
tempo ebbe altresì il comando delle milizie locali quando venne tolto al conte Eomano. Euricio governò la Tripolitania come Tripolitania,
RnriciuSy
dal 364 al 370
praeses
(^)
quale per
il
(gualche
nel quale anno,
mostrato favorevole nel conflitto
ai
poiché
era
si
venne
suoi governati,
sottoposto a processo e messo a morte apìid Sitifim. Orbene,
governò dal 364
se Euricio
nel 366 esito
un
al 370,
non può
altro governatore in Tripolitania
scritti,
se dal
dal
citati
tradicono,
ma
primo del
sciando la
Krueger nell'apparato
quindi non
(rotitim)
Ro
e le finali
=
critico,
e
(in
accusativo)
iunij
dal secondo (orictim) le
rie,
diritto correggere così l'iscrizione del rescritto di
lentiniano I
la-
avremo una equazione Ruricium. Quindi parmi di potere a
non sono comuni
perfetta: Roricium
manonon con-
codici
la
che é trascurabile,
/
I
mia congettura, poiché prendiamo le due lettere iniziali del
appoggiano anzi
preside
altre tre che
buon
e
a riconoscere nell'accusativo Orictim del rescritto di
Valentiniano una corruzione di Rvricnim.
nome
esservi stato
Va-
:
Idem AA. ad Ruricium praesidem
Tripolitanae,
Lasciamo perciò il nome Oricus a casa sua nell'Epiro ed eliminiamolo dal numero dei presidi della Tripolitania, per grazia divina e per virtìi dei nostri soldati di terra e di mare restituita a noi e tolta a quella mala signoria che il grande statista inglese, con frase scultoria, chiamava obbrobrio del
e
mondo
civile.
(2)
XXVriI,
(3)
Cfr.
seff.
6, U, 22. Pallu de Lessert, Fastes
des provinces Africaines
,
II,
299
L'
£7ua[j)(o;
AtyuTuiou
NEI PAPIRI DI THEADELPHIA
Un
funzionario col titolo di Ina^ycq
{^]
AiyÓTCrcu
è
quente menzionato nei papiri di Theadelphia che
di
fre-
il
loro
dotto editore ed illustratore Pietro Jouguet considera
come
deWAegyptus lovia, una delle nuove provincie istituite in Egitto da Diocleziano e la cui giurisdizione si sarebbe estesa anche sugli altri territori amministrati dai
il
preside
presidi deìVHercìilia e della Tebaide
È
(^).
questa in sostanza l'ipotesi adombrata da Edoardo
SchTvartz nella sua geniale ricostruzione dal siriaco della lista
atanasiana degli
maggiore
ampiezza,
r^ye[ióv^c, iT.cf.^-^/oi
(^),
svolta con
oscurità,
da Mattia
AiyÒTriou
non però senza
Gelzer nei suoi studi sull'amministrazione bizantina dell'E-
ben chiarita da Paolo M. Meyer nella Beri. Phil. Woch. 1912, p. 530. Ma questa ipotesi, per quanto propugnata da papirologi così autorevoli, non mi pare sostenibile.
gitto
e
(*),
Difatti
non può
difesa,
ed è
il
essere considerato
solo che
si
adduce,
buono argomento il
in sua
silenzio delle fonti sulla
un praeses loviae ; il titolo poi di eirap^o? dato preside di una provincia contraddice ai nostri documenti,
esistenza di al
Comunicazione
(^)
nale in Hchrijt (^)
24,
letta al III CongresRo
Roma 10 ottobre XXII (1912). il
P.
Jouguet, Papyrvs de Théadelphie,
15—16
;
25,
17—18
(a.
Archeologico Internazio-
1912 e pubblicata nella Byzaniinische Zeit-
D. 334)
;
17,
1
(a.
8,
2; p. 77 not.
D. 332)
;
colo). (')
Goetting. Gelehrie Nachrichten, 1904 p.
(^)
liyz.
V erwaltung Aegyptens
,
p.
4.
334 e
(a.
D. 306)
18, 7 (III o
seg.
IV
;
se-
— nei quali esso è chiamato
asseriscono che il
il
—
sempre
-/jyeiJLcóv
e coloro
;
i
quali
praeses loviae eredita dall'antico prefetto
conserva accanto a quello di
titolo di ^rapxoc e lo
non
316
T^^yepLwv,
avvedono di cadere in una petizione di principio, poiché suppongono dimostrato ciò che invece dovrebbero dimostrare; finalmente, che un semplice preside avesse preminenza giurisdizionale sui colleghi delle altre provincie, si
è cosa assolutamente inconcepibile.
Se
1'
dei papiri
AtyÓTrioj
£:rapx^?
adunque identico
al
l'antico prefetto
ma come
forma
;
il
possiamo allora spiegare
quale,
il
mentre aggregava
Aegyptus lovia, Aegyptus
Provincie egiziane, le
Theadelphia non
è
praeses loviae, la logica vuole che sia
di Diocleziano,
Thebais, con
di
due Libie,
le
la
nuove
Hercnlia
alla diocesi di Oriente,
ri-
e
sopprimeva
vicereame, sopprimeva l'antica prefettura, non essendo
possibile per l'antico viceré di Egitto di sottostare gerarchi-
camente
al vicarius e
più tardi comes Orientis f
rispondere alla domanda, purché
Non é
difficile
tenga ben presente che
si
non era unica, ma Ossirinco (I, 39, 6) chiama il
la funzione del prefetto
duplice. Infatti
un papiro
prefetto
àficfOTÉpcDv
del
di
e ciò significa, secondo la geniale interpretazione
Wilcken
(^),
che
il
prefetto reggeva
la x^P°^? ^^^ altresì Alessandria, la
stato anche dalla iscrizione all'inizio della
xandreae
ù^z
non solo l'Egitto, come viene atte-
di Cornelio
Gallo, che
prefettura s'intitolò appunto praefectus Ale-
Aegypti
et
tuóXlc,
famosa
(^).
Orbene, poiché
dioclezianee troviamo menzionato j^•^z\i.^ùv
tP^y^P'^'''
'AXe^avSpefa^,
ovvero,
il
i%
nelle
titolo TiéXsco^
fonti post-
amministrativo e
l'altro
titolo
dobbiamo legittimamente concludere che Diocleziano^ sopprimendo la i^^ ArpTUToo •f[^z\i.ov,a., non intese affatto sopprimere anche quella di Alessandria, commessa appunto al prefetto, e che questi dopo Diocleziano continuò a reggere, come prima, Alessandria e a portare, secondo lo spirito eminentemente conservatore dei Eomani, 5;rap)(05
(^) (2)
Aiy^^'cou,
Ostraka,
I,
426.
C. Ili, 14147*.
v.
quel che uè diciamo più sopra, png. 270 e seg.
di
l'antico titolo
317
Aìyótixcu,
l-Ka^x^i
tenuto e meramente onorifico.
Per
privo la
Theadelphia non è
AiyÓTctou dei papiri di il
— x)eriiltro
qual il
(;o.sa,
il
di
titolo
Alessandria
governatore di
AcyÓTri&u
liza.ijjpc,
eTcap^o*;
ma
altresì P^c^?/p-
tus lovia^ nella (luale provincia era situata la
detto che
l'
con-
praeses loviae,
governatore di Alessandria, da cui dix)ende
Ho
di
iróXtg.
conservato
era onorifico e privo
di
al
con-
può sembrare eccessiva a chi consideri la condizione del prefetto prima di Diocleziano. Esso allora era il capo della prefettura non solo, ma aveva altresì un carattere regio, certificato, come ben nota Giacomo Lumbroso (^), dagli obelischi innalzatigli talvolta come ad un re, da quei yacJits reali, o panfili (così italianamente li vorrebbe chiamare il p. Guglielmotti) (^), sui quali navigava, da quei tenuto, né la parola
fondi regi che erano in suo possesso, dai tichi re,
e
che
il
riti
propri degli an-
prefetto osservava durante la piena del
]N~ilo,
da quella ceremonia religiosa di Arsinoe, nella quale figura
come un Faraone. Dopo Diocleziano, invece, la prefettura pili non esiste, il carattere regio vien meno nel prefetto, e tanto è vero che una profonda differenza esiste fra i due periodi, prima
e
dopo in
costituisce titolo e ;N
il
297, che quando, nel 380 circa, P Egitto
si
cambia
di
diocesi
indipendente,
il
prefetto
viene promosso ad Augustalis.
è la giurisdizione
che PeTrap^o? AtyuTixou esercitava, secondo
alcuni testi papiracei
(^),
in altre provincie, in concorrenza
puramente formale del suo titolo, poiché cotesta giurisdizione non sorgeva in lui dalla riforma dioclezianea, magli restava in forza
con
i
rispettivi presidi, contraddice al carattere
dell'uso.
In
altri termini,
sebbene dopo
il
297 l'autorità del
prefetto fosse in diritto limitata alla città di Alessandria e alla provincia che la conteneva,
(')
(^)
pure di fatto esso conti-
Rendiconti della R. Accademia dei Lincei 1886, Vocabolario marino militare, s. v. panfilio.
Vedine la citazione in M. Gelzek, op. cit., Lehre von den TAhellen (.SacliK. Berichte .62 lOlOj (^)
(
Qrundziige
\,
73; in
Jouguet
II,
57 e seg.
Mitteis, Ziir
p. 5; in p. 106)
p.
;
in
op. cit. (v. sopra pag. 315, n.
Wilcken, 2).
— ad esercitarla negli
iiiiava i
presidi delle
—
318
altri territori,
nuove provincie
insomma, sebbene privato
quasi non esistessero
istituite in Egitto. Il prefetto
del vicereame in forza della legge
riformatrice, seguitava ad esercitare le sue antiche funzioni in
forza della tradizione, quale vicario del comes orientis,
come
chiama
lo
il
Mommsen.
Questa mia congettura, resa pubblica nerali fino dal 19 J9
(^),
nelle sue linee ge-
passò quasi inosservata e prevalse
invece quella dello Schwartz e di Mattia Gelzer. meraviglia, poiché liahent sua fata
getture
!
come fautore
Sorgeva quindi in
me
il
della ipotesi
l'ho svolto
in Bidl. Soc. arch. d'Alexandrie Egitto II
(Roma
le sezioni, e se
Manzoni, non
L. Cantarelli, Il prefetto di
P.
me combattuta
!
(^).
rapidamente in questa breve comunicazione, ne
noiati, credano, lo dirò col
(2)
da
ad un fatto personale e il doomaggio al suìim cuique trihiiere ;
chiedo venia ai gentili componenti
di
con-
le
diritto
vere di non rinunciarvi in
cetti
a fortiori
Strano mi parve invece che mi abbiano fatto pas-
sare quasi
(^)
libelli e
Is"on fa certo
ii.
1911), p.
s.
Egitto
nei
li
ho an-
l'ho fatto apposta.
documenti Atanasiani
II 1909 e seg.
;
ci.
Serie dei
10.
M. Meyerìii Berlin. Phil. Wochenschr. 1912,
p. 530.
Pre-
INDICE Dedica
Pag.
iii
»
V
»
3
...»
17
»
37
»
43
Ai lettori
STUDI ROMANI Un'Ode Oraziana Quadrigario
Gli Annali Greci di C. Acilio e Q. Claudio
Legio I
Liberatrix Macriana
I
Senatori Pedarii
Vindice e la Critica moderna
»
69
La Lex
»
99'
»
125
»
137
de Imperio Vespasiani
frammento Berlinese
II
Acolio e
gli scrittori
Origine degli
«
De
Dediticiis
della Storia
Annales Maximi
»
Augusta
»
145
Cecilia Attica
»
167
La Diarchia Romana
»
181
»
189
»
199
»
209-
Le
«
«
Stationes Municipiorum
»
»
Tacfarinata
Un Un
prefetto di Egitto zio di Seneca «
Curator
TiberivS
Gli Utricularii
»
una lapide greca
in
di Efeso
.
»
219
»
227
»
235
»
245
STUDI BIZANTINI Un frammento Le I
epigrafico cristiano dell'isola Portuenee
regioni suburbicarie e
Vigintiviri
tempo
una polemica
ex Senatusconsulto di
rei
XVII. publicae curandae del secolo
.
al
Massimino
»
261
»
275
»
279
«
285
»
289
Niceta non fu aiigustale di Alessandria
»
305
Per un
»
313
»
315
Flavio
Ex)if anio
'Hy6|iÒ3v à|i.:poxépo)v
La II
persecuzione di Taziano contro
gli
ortodossi di Alessandria
patrizio Liberio e l'imperatore Giustiniano
presid'i della Tripolitania
L'èTiap/og ALy^Tcìou nei papiri
di Theadelphia
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University of Toronto
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