FISIOLOGIA E' la scienza che studia l’organismo sano e si basa su modelli messi a punto con le leggi della fisica classica. Il principio base della fisiologia secondo Claude Bernard è il principio dell’omeostasi (“cose stanno costanti”), l’equilibrio e la costanza del mezzo interno, della composizione chimica del plasma, del liquido interstiziale e di quello intracellulare. Il concetto di omeostasi è diventato fondamentale quando l’organismo è passato dalla vita in ambiente acquoso, alla vita nel mondo esterno variabile. L’acqua è la più importante componente inorganica dell’essere vivente. È una molecola polare, composta da due atomi di H carichi positivamente e un atomo di O carico negativamente. Rappresenta circa il 60%del peso corporeo dell’organismo ed è fortemente influenzata dalla temperatura. Quanto più la temperatura sale, tanto più l’acqua si dissocia nelle due componenti ioniche e viceversa. Per garantire l’omeostasi è quindi fondamentale che alcune variabili siano regolate all’interno del loro range di movimento (temperatura e pressione arteriosa per esempio sono variabili fondamentali). Per questo il nostro sistema deve essere controllato, un sistema chiuso che lavora seguendo il principio della RETROAZIONE=FEEDBACK. Esistono due diversi tipi di feedback: • feedback negativo: sia ha la modulazione dell’ingresso in base al segnale d’uscita. La variabile viene costantemente riportata alla situazione iniziale. • feedback positivo: la variazione della variabile viene incrementata in modo tale da allontanarla dalla situazione iniziale. Perché questo avvenga l’organismo necessita di sensori, effettori (muscoli) e comparatori, in costante comunicazione tra loro tramite il sistema nervoso. Due esempi in cui il nostro sistema agisce utilizzando feedback positivo potrebbero essere il parto (con le contrazioni uterine) e il potenziale d’azione, in cui i canali si chiudono spontaneamente. Se a qualsiasi livello nascono problemi nel mantenere l’omeostasi insorgono patologie. Prima che vi siano danni irreversibili l’organismo prova a mettere in atto un meccanismo di adattamento, dopo il quale eventualmente insorge il danno irreversibile.
LA CELLULA E’ l’unità fondamentale della materia vivente. All’interno e all’esterno di essa si trova H2O come componente principale sia del plasma che del citoplasma. Le sostanze all’interno dell’ H2O sono definite ioni, in quanto le molecole immerse nel liquido si dissociano a causa della diminuzione dell’attrazione di circa 80volte. Nel caso del NaCl gli ioni sono Na+ e Cl-‐. Gli ioni fondamentali sono: Na+, Cl-‐ ;K+; proteine anfotere, si caricano positivamente o negativamente in base al pH in cui si trovano. Nel nostro organismo il pH è variabile in base alle zone anatomiche, ma solitamente si aggira intorno al 7.4 basico, in cui le proteine diventano anioni (cariche negativamente). Studi seguenti hanno portato alla scoperta di concentrazioni differenti degli ioni fondamentali all’interno e all’esterno della cellula, con la conseguente differenziazione tra ioni intracellulari e ioni extracellulari. Per quanto riguarda i primi si scoprì che K+ e proteine erano in maggior quantità presenti all’interno della cellula, a differenza di Cl-‐ e Na+ che si concentravano prevalentemente all’esterno della membrana cellulare. Nonostante questa divisione di ioni interni ed esterni rimane fondamentale il concetto di equilibrio, tanto che anche in questo caso si parla di osmolarità, principio secondo il quale la cellula deve mantenere invariato il proprio volume, mantenendo sotto controllo l’entrata e la conseguente uscita di H2O. Senza questo tipo di controllo la vita cellulare sarebbe messa a rischio. Per tale motivo anche la
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composizione dell’ambiente extracellulare è importante alla sopravvivenza della cellula stessa: se l’ambiente è ipertonico ( >9g/l ) allora presenta più sali e meno H2O rispetto all’ambiente interno, e per tale motivo l’ H2O tende a fuoriuscire dalla cellula, facendola raggrinzire. Se l’ambiente è ipotonico ( <9g/l ) significa che all’interno della cellula vi è maggiore concentrazione di Sali e l’ H2O è maggiormente presente all’esterno, e per diffusione tende ad entrare nella cellula, portandola a eccessivo gonfiore. In entrambi i casi si hanno situazioni incompatibili con la vita e la sopravvivenza della cellula, per questo la concentrazione di NaCl dovrebbe essere =9g/L, come nella soluzione Fisiologica. Gli ioni presenti all’interno e all’esterno della membrana cellulare vanno a costituire il potenziale di membrana, ossia la differenza di potenziale che sta a cavallo della cellula; si dice che la membrana è polarizzata e il segno si riferisce sempre al potenziale registrato all’interno della cellula rispetto all’esterno. Ruolo fondamentale è quello delle proteine intracellulari, che sbilanciano negativamente l’interno della cellula. La membrana cellulare è l’elemento di separazione tra liquido intracellulare e liquido extracellulare, ed è costituita da lipidi e proteine. La componente lipidica è rappresentata da colesterolo, fosfolipidi e sfingolipidi, disposti in doppio strato. Essi presentano teste idrofile, a diretto contatto con l’ambiente acquoso, e code idrofobe, lontane dal contatto con l’ H2O. È di fondamentale importanza che tale membrana separi i liquidi interni da quelli esterni, ma che contemporaneamente permetta degli scambi di materiale tra i due differenti ambienti. Le sostanze che attraversano liberamente la membrana sono gas, alcool, CO2 e utilizzano la diffusione diretta. Negli anni ‘90 si pensava alla membrana come una superficie caratterizzata da pori che permettessero gli scambi, ma oggi sappiamo che tali scambi avvengono grazie alle proteine di membrana: 1) proteine di superficie 2) proteine canale 3) carrier di membrana Le prime sono ancorate sulla superficie della membrana, le seconde sono proteine integrali che attraversano tutta la membrana cellulare, mettendo in comunicazione diretta LIC e LEC. Poiché il diametro è di dimensioni limitate, il passaggio è consentito sostanzialmente ad acqua e ioni. I canali sono selettivi, in base alla dimensione del canale e sulla carica elettrica. Se il canale è rivestito da aminoacidi carichi negativamente, permette il passaggio di cationi, ma non di anioni, e viceversa. Essi presentano dei “gate”, dei “cancelli” che possono essere aperti o chiusi. I canali aperti sono anche chiamati canali di diffusione o non regolamentati, e permettono agli ioni di attraversare la membrana secondo gradiente elettrochimico esistente. Quando i canali sono chiusi, indipendentemente dall’entità del gradiente elettrochimico, il transito degli ioni è bloccato. La modulazione di apertura e chiusura dei canali può essere regolata: • Da molecole messaggere/ligandi, nei canali regolati chimicamente • Dallo stato elettrico della cellula, nei canali voltaggio dipendenti, regolati in base a variazione del potenziale di membrana • Da una modificazione fisica, nei canali regolati meccanicamente. I trasportatori carrier sono anch’essi proteine transmembrana, ma non creano mai una comunicazione diretta tra LIC e LEC. Presentano due cancelli, uno per lato della membrana. Modificano la loro conformazione quando la molecola da trasportare si lega ad essi, e un cancello si apre e l’altro si chiude. È un tipo di trasporto selettivo, saturabile e competitivo, in quanto quando tutti i trasportatori sono occupati la proteina è satura, e per questo vi è competizione per lo stesso carrier. I meccanismi di trasporto si classificano anche in base al dispendio energetico: • Trasporto Attivo, quando il meccanismo richiede un costante apporto energetico. • Trasporto Passivo, quando il movimento della sostanza si realizza senza richiedere energia metabolica. In generale il trasporto passivo avviene lungo un gradiente di concentrazione, ossia da regioni dove la concentrazione della sostanza è maggiore, a regioni dove è presente in minor concentrazione. È questo il caso della “diffusione semplice”, meccanismo che sfrutta il potenziale elettrochimico, senza spesa
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energetica da parte della cellula. Per il trasporto di ioni è infatti fondamentale la somma del potenziale elettrico e di quello chimico, essendo essi sottoposti a due forze differenti e a volte anche opposte. Quando le due forze sono in equilibrio anche lo ione trova il suo potenziale di equilibrio. Esso corrisponde al valore di potenziale di membrana tale per cui non si verifica una diffusione netta, ma il numero di ioni che entrano è uguale a quello in uscita. Di tutto ciò che viene trasportato attraverso la membrana cellulare è fondamentale il flusso: la quantità nell’unità di tempo. Il movimento attraverso la membrana, ottenuto con l’intervento di trasportatori o proteine carrier è detto “trasporto mediato”. Esso può essere attivo o passivo, a seconda che richieda o meno energia metabolica. Un tipo di trasporto mediato passivo è la “diffusione facilitata”, che al pari della diffusione semplice avviene secondo gradiente elettrochimico, ma è mediata da trasportatori. In alcuni casi la specificità del trasportatore non è assoluta, come nel caso del glucosio-‐ galattosio-‐ fruttosio. La formazione del legame tra molecola da trasportare e trasportatore avviene solo se sono verificate particolari caratteristiche chimico-‐ fisiche. Il flusso attraverso la membrana può essere ridotto con l’intervento di sostanze dette inibitori, i quali possono competere il legame con il trasportatore. A causa di tale competizione diminuisce il numero di siti attivi per il soluto e quindi si riduce il flusso. Non tutti gli inibitori sono competitivi, ma in alcuni casi può accadere che una sostanza possa favorire il distacco tra soluto e trasportatore. Il “trasporto mediato attivo” muove i soluti contro gradiente di concentrazione, cioè dalla regione a minore concentrazione alla regione a maggiore concentrazione. È un movimento che richiede costante apporto di energia e tende a creare disequilibrio tra interno ed esterno della membrana cellulare. La fonte energetica per il trasporto attivo è l’ATP, idrolizzata ad ADP e Pi, con liberazione di energia (7kilocalorie). Il fosfato liberato si lega alla proteina carrier e inizia un ciclo di fosforilazione e defosforilazione. L’esempio più importante di trasporto attivo è la pompa del sodio e del potassio.
POMPA SODIO POTASSIO La Na-‐ K ATPasi è una proteina di trasporto presente in tutte le membrane cellulari, la quale realizza un trasporto accoppiato di Na+ e K+. Ciascuno dei due ioni si muovono contro gradiente di concentrazione. Quando i canali si aprono e il Na+ entra nella cellula, automaticamente il K+ ne esce. Per far ritornare la situazione precedente, la pompa sodio potassio utilizza ATP, abbinando all’uscita di 3Na+ l’entrata di 2K+. Ne consegue che per ogni ciclo vengono portati fuori dalla cellula un maggior numero di cariche positive di quante ne vengano portate dentro, in un rapporto di 3:2. Si va a creare quindi una differenza di potenziale tra interno ed esterno, dove l’interno è sempre più negativo dell’esterno. Tale dato è garantito anche dalla presenza interna delle proteine An-‐ , cariche negativamente, che essendo prive di carrier non possono fuoriuscire. In aggiunta, come sottolineato dal rapporto 3:2, Na-‐ K ATPasi crea una certa negatività interna. La pompa del sodio e del potassio è per tanto definita elettrogenica, poiché genera essa stessa una differenza di potenziale. Il valore di potenziale registrato all’interno della cellula rispetto all’esterno è detto potenziale di membrana. Il potenziale di membrana di una cellula nervosa a riposo, ha un valore intorno ai -‐70mV . Valore molto vicino al potenziale di equilibrio del Cl-‐ e soprattutto del K+, ma molto lontano dall’equilibrio di Na+ e Ca2. A causa della diffusione secondo gradiente elettrochimico, una cellula a riposo è caratterizzata dalla presenza di canali K+ e Cl-‐ per lo più aperti, mentre canali Na+ per lo più chiusi. Per mantenere la differenza di potenziale creatasi, la cellula ha un dispendio energetico, e per tale motivo non si trova in condizioni di equilibrio, ma di “stato stazionario”. Tale dispendio è sottolineato dal fatto che, messa in soluzione poco ossigenata la cellula perde parte del potenziale di membrana, in quanto l’ossigeno è fondamentale per la glicolisi e la produzione energetica.
ECCITABILITA’ CELLULARE Gli stimoli da soli però non basterebbero ad aprire i canali come quello appena descritto, per questo la cellula deve essere eccitabile e conducibile. Entrambe caratteristiche fondamentali e inscindibili, infatti la cellula stimolata deve essere in grado di condurre il potenziale ad altre cellule, mettendole in comunicazione tra loro. Lo stimolo ricevuto è la modificazione ambientale esterna/interna al nostro corpo, al quale può seguire il propagarsi di potenziale d’azione. Esistono due tipi di comunicazione:
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Comunicazione Nervosa: avviene tramite il SN, velocemente(anche 120ms) e non lascia tracce. • Comunicazione Ormonale: avviene tramite il flusso ematico, il quale trasporta ormoni nel corpo, più lentamente (un paio di metri al secondo) del SN e provocando un effetto duraturo, in quanto lascia dei residui. I valori della comunicazione nervosa sono calcolati da una singola fibra. Per la risultante finale del nervo bisogna tenere conto della media delle fibre che compongono il nervo stesso. L’eccitabilità di una cellula consiste in una rapida depolarizzazione, cioè una variazione del potenziale di membrana verso valori meno negativi o positivi, a conseguenza dell’ingresso di Na+ oltre la membrana cellulare, seguita da un’altrettanta rapida ripolarizzazione, cioè il ritorno allo stato di riposo del potenziale di membrana, conseguenza della fuoriuscita di K+. Un eventuale aumento di flusso negativo all’interno, causato dall’ingresso di Cl-‐ , provocherebbe il fenomeno dell’iperpolarizzazione, cioè una variazione di potenziale verso valori più negativi. Il tessuto nervoso è composto da due macro gruppi di cellule: • cellule gliali: hanno funzione di sostegno (da “glia”, ”colla”) sia fisico che biochimico e sono presenti in maggior numero rispetto ai neuroni (circa il 90%delle cellule nervose) • neuroni: unità fondamentale del SN, mediante i quali avviene la comunicazione. Essi sono composti da regioni che svolgono un diverso ruolo funzionale: il soma o corpo cellulare, dotato di nucleo e di numerose estensioni, fabbrica elementi utili alla cellula; i dendriti, “dendron=albero”, ramificazioni che ricevono i segnali nervosi attraverso le fibre nervose presinaptiche dei neuroni che su di esso convergono. Aumentano di molto la superficie dell’intero neurone, e possono essere considerati gli elementi d’ingresso della cellula: l’assone, elemento di conduzione, il quale convoglia il potenziale d’azione lontano dal corpo cellulare(anche metri);il potenziale d’azione, che nasce a livello del cono di emergenza/trigger, in corrispondenza del primo Nodo di Ranvier; infine il terminale assonale, l’elemento di uscita con il quale il neurone comunica con altri neuroni o cellule bersaglio, attraverso il processo di trasmissione sinaptica, che si realizza attraverso il rilascio di un neurotrasmettitore. Il potenziale d’azione costituisce il vero messaggio nervoso. Le cellule eccitabili, nervose e muscolari, sono in grado di modificare attivamente il potenziale di membrana, in risposta a una stimolazione esterna. Per tanto, la produzione di segnali elettrici nei neuroni è il risultato di variazioni del potenziale di membrana. Tale cambiamento è dovuto alla variazione di permeabilità della membrana stessa, tramite apertura e chiusura di canali ionici. Gli ioni così, entrano o escono dalla cellula secondo il proprio gradiente elettrochimico. Per tanto Na+, Cl-‐ e Ca2 entrano, mentre gli ioni K+ escono. Questo flusso di cariche elettriche produce una variazione di potenziale di membrana, generando un segnale elettrico. Il potenziale d’azione segue un codice binario, la legge del “tutto o nulla”, secondo cui o arriva nella zona trigger un potenziale graduato, che genera un potenziale d’azione il quale si propaga, o non nasce. Il potenziale graduato presenta massima intensità nel punto dove genera lo stimolo. Allontanandosi da tale punto, l’intensità decresce, e l’effetto a distanza è tanto maggiore quanto più intenso è stato lo stimolo iniziale; nei potenziali graduati possono però avvenire fenomeni di sommazione spaziale o temporale, in cui, rispettivamente, gli effetti di segnali provenienti da diverse regioni dello spazio o che si verificano in tempi sufficientemente ravvicinati si sommano. Perché il potenziale graduato generi un potenziale •
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d’azione, esso deve depolarizzare fino al valore soglia la zona trigger. La presenza di una soglia a -‐ 55mV, valore al quale il potenziale d’azione inevitabilmente s’innesca, influenza anche lo stimolo, il quale può essere: • liminare, quando giunge nella zona trigger esattamente a -‐ 55mV, causando la nascita del potenziale d’azione. • sovraliminare, in cui il potenziale d’azione parte sicuramente in quanto la soglia è sorpassata. • sottoliminare, quando il potenziale non arriva a soglia nella zona trigger e non si propaga. Una volta partito un potenziale liminare o sovra liminare, lo stimolo depolarizzante apre i canali del Na+, con conseguente ingresso di cariche positive all’interno della cellula. Con il fenomeno della depolarizzazione coincide il periodo di “refrattarietà assoluta”, durante il quale non può nascere un nuovo treno di potenziale. La polarità della cellula così si inverte. Raggiunto un determinato valore intracellulare positivo, i canali del sodio si chiudono, e si aprono quelli del K+. Avviene così un flusso in uscita di cariche positive. Essendo a lenta chiusura, i canali del K+ generano un’iperpolarizzazione postuma, con il quale il potenziale di membrana diviene più negativo che a riposo. In questo periodo, “refrattario relativo”, per far partire un altro treno di potenziale d’azione è necessario uno stimolo sovra liminare. Quando i canali del K+ si chiudono, il potenziale di membrana torna al valore di riposo. Il potenziale d’azione non è un evento modulabile dallo stimolo, ma un evento “tutto o nulla”, ciò significa che i potenziali sotto soglia non danno origine ad alcun segnale, mentre quelli sopra soglia danno sempre origine allo stesso segnale. Un segnale in grado di propagarsi inalterato per tutta la lunghezza dell’assone. Di conseguenza il codice del SNC è in frequenza, ovvero il numero delle ripetizioni nell’unità di tempo. Stimoli più intensi generano più potenziali d’azione nell’unità di tempo, dovuti al fatto che la cellula si depolarizza più velocemente . Questo dato permette la differenziazione dell’intensità di uno stimolo rispetto ad un altro. Maggiore è la frequenza, più rapidamente si propaga il potenziale e si aprono i canali. I canali del sodio a riposo sono chiusi, con l’arrivo del potenziale si aprono e l’interno della cellula si depolarizza. Con tale termine si indica il movimento di ioni che rende l’interno della cellula meno negativo o addirittura positivo, rispetto l’esterno. In seguito alla chiusura dei canali si ha un periodo di refrattarietà assoluta (circa 1 ms), durante il quale nessuno stimolo può far nascere potenziale d’azione. Questo periodo è seguito da un periodo di refrattarietà relativa (5-‐15 ms), durante il quale, se si vuole far partire un treno di potenziale d’azione prima che la cellula si sia ripolarizzata del tutto, si deve avere uno stimolo sovra liminare. Tale stimolo produrrebbe un flusso di Na+ in ingresso, maggiore di quello di K+ in uscita. L’informazione riguardo l’intensità dello stimolo si ricava dalla frequenza di scarica, cioè dal numero di potenziali di azione che avvengono nell’unità di tempo. La conduzione del potenziale avviene
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nelle fibre amieliniche secondo propagazione puntuale, quando la zona attiva riporta a soglia la zona a riposo, per tutta la lunghezza della fibra. Cosi facendo si ha la migrazione del potenziale da punto a punto. Il flusso di corrente depolarizza la regione originariamente a riposo, generando un potenziale d’azione. Ciò che si propaga in realtà è la modificazione della permeabilità della membrana, grazie alla quale la cellula arriva a soglia. La trasmissione dunque è una rapida successione di depolarizzazioni e ripolarizzazioni . La differenza di potenziale, presente da zona eccitata e zona a riposo, aumenta all’aumentare dell’intensità della corrente elettrotonica. La conduzione puntuale è limitata dalla relativa lentezza di propagazione, rispetto a fibre con maggiore calibro e assone mielinizzato. Con l’aumento del diametro della fibra, aumenta la superficie e quindi la capacità di membrana, e contemporaneamente diminuisce l’attrito interno alla fibra stessa .La mielina invece è una guaina isolante, sintetizza da oligodendrociti nel SNC che rivestono più assoni contemporaneamente, e dalle cellule di Schwann nel SNP, proprie di singoli assoni. Essa è interrotta in alcuni punti, detti nodi di Ranvier, che permettono il passaggio del potenziale con propagazione saltatoria. Non si ha più quindi un lento passaggio da punto a punto, ma da nodo a nodo in maniera tale che il potenziale aumenti di molto la sua velocità di conduzione. In presenza dei nodi si ha una quantità di sodio maggiore di 100volte rispetto alle fibre amieliniche .In un nervo rigenerato dopo una lesione, tali nodi potrebbero essere spostati, e la quantità di Na+ diminuita. Per questo motivo la velocità della conduzione diminuisce di circa il 20-‐ 30%. Velocità può variare da 1 a più 100 m/s. Fondamentale sapere che, l’informazione trasportata da un potenziale d’azione non dipende dalla morfologia del segnale, ma dalla via nervosa che esso percorre. Tali vie connettono periferia e centro dell’organismo. Perché questi due elementi siano connessi è necessario che anche le cellule nervose siano in connessione. Questo avviene tramite la “sinapsi”, struttura deputata a trasmettere il segnale nervoso, da una terminazione presinaptica, ad una postsinaptica. Esistono due tipi di sinapsi: le sinapsi elettriche e le sinapsi chimiche. Quelle elettriche trasmettono rapidamente un segnale elettrico direttamente da una cellula all’altra. Le membrane cellulari sono a distanza di qualche nm, e presentano canali ionici allineati, con la possibilità di scambiarsi ioni e piccole molecole. Caratteristica importante di tali sinapsi è di non essere unidirezionali. Le sinapsi chimiche sono presenti in maggior quantità nell’organismo, sono a trasduzione più lenta, ma più duttili ed efficaci integratori d’informazione. Ogni sinapsi chimica è composta da 3 elementi: cellula presinaptica, fessura sinaptica, e cellula postsinaptica. Nel passaggio da un neurone all’altro l’informazione si modifica, passando da un segnale elettrico, (potenziale d’azione) a un segnale chimico(il neurotrasmettitore), il quale genera un nuovo segnale elettrico graduato detto potenziale sinaptico. Esso è un potenziale graduato, che se giunge a soglia nella zona trigger del neurone postsinaptico, fa nascere un potenziale d’azione. Il meccanismo appena descritto è unidirezionale, ovvero la propagazione del potenziale avviene in un’unica direzione. A livello del SNC le sinapsi realizzano una connessione “molti a uno”, più neuroni presinaptici convergono su uno postsinaptico. L’unica giunzione “uno a uno” è la giunzione neuromuscolare. Durante lo sviluppo del SN ogni neurone crea delle connessioni sinaptiche con altri neuroni, connessioni modificabili durante la crescita tramite l’esperienza. Questo processo è detto “plasticità sinaptica”. La trasmissione sinaptica deve trasmettere alla cellula postsinaptica anche intensità e durata del messaggio nervoso. Questo avviene grazie a un rilascio maggiore di mediatori, direttamente proporzionale alla frequenza del treno di potenziale d’azione presente nella cellula presinaptica. Si determina così un treno di potenziale sinaptico di maggiore ampiezza. La presenza nella fessura sinaptica di neurotrasmettitori è conseguenza di arrivo di potenziali d’azione; per tale motivo, al loro cessare, anche i mediatori devono essere inattivati o degradati. Il neurotrasmettitore è prodotto nel soma neuronale e viene trasportato lungo l’assone, fino alle vescicole presenti nel terminale assonale. Il neurone fabbrica un solo neurotrasmettitore, che può essere eccitatorio (EPSP) o inibitorio (IPSP) . Ciò dipende dall’interazione che esso ha con il recettore postsinaptico, e non da proprietà intrinseche del mediatore stesso. Le sinapsi, al contrario sono di un solo tipo, o eccitatorie o inibitorie. Generalmente i neuroni possono formare in media 1000 connessioni sinaptiche e riceverne anche più. Se la somma, spaziale e temporale, di tutti gli stimoli ricevuti in un determinato istante, porta a soglia il neurone, nasce il potenziale d’azione.
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Se il potenziale postsinaptico è eccitatorio (EPSP), esso causa una depolarizzazione che avvicina la membrana al valore soglia. Ciò causa l’apertura dei canali per cationi. Pertanto Na+ K+ seguono il loro gradiente elettrochimico, e il potenziale si propaga con decremento verso il cono di emergenza del neurone. Se il potenziale postsinaptico è inibitorio (IPSP), esso causa una iperpolarizzazione che allontana la membrana dal valore soglia, e quindi dalla possibilità di dar origine a un potenziale d’azione. L’iperpolarizzazione è data dall’apertura di canali per anioni, con conseguente ingresso intracellulare di Cl-‐ . Analogamente all’EPSP, gli IPSP si propagano con decremento. L’enorme potenzialità e duttilità del SN di scegliere tra più alternative possibili, è stata definita da C. Sherrington “attività integrativa fondamentale tra le attività cerebrali”. (1857-‐ 1952).
Recettori e sistemi sensitivi I recettori sono trasduttori di energia:convertono l’energia contenuta nello stimolo incidente in un segnale locale, graduabile:il potenziale di recettore, l’unica forma di energia in grado di costituire informazione per il sistema nervoso. Se viene raggiunta la soglia, si genera un treno di potenziali d’azione. I recettori trasformano l’energia per induzione di flussi ionici, secondo gradienti elettrochimici, assicurati dal funzionamento di pompe ioniche. Il tutto a spese di energia chimica che deriva da processi metabolici. I recettori sono strutture altamente specializzate, in grado di trasdurre un unico tipo di energia incidente, chiamato “stimolo adeguato”. Avremo, perciò, recettori che rispondono a stimoli luminosi (fotocettori), recettori che rispondono a stimoli termici (termocettori), recettori che rispondono a stimoli olfattivi e gustativi (chemocettori) e recettori tattili o meccanocettori. Il meccanismo di trasduzione recettoriale comporta due conseguenze: la specificità della risposta, che definisce la modalità sensoriale, e la soglia sensoriale. Ciascun recettore risponde ad una specifica modalità sensoriale; in altre parole, il recettore viene attivato in modo efficace da una determinata forma di energia. La soglia sensoriale, invece, è il minimo stimolo richiesto per attivare un certo recettore. Inoltre essa risulta correlata all’intensità dello stimolo, per cui distinguiamo stimoli sotto-‐soglia (sottoliminari), liminari e sopra-‐soglia (sopra-‐liminari). Una volta che lo stimolo entra nel SN per essere elaborato, deve conservare in qualche modo i propri attributi. Il SNC deve distinguere 4 proprietà di uno stimolo: la natura, o modalità, la sua localizzazione, la sua durata e la sua intensità. Qualsiasi sia l’intensità dello stimolo, purchè adeguato, esso produce una modificazione delle proprietà di membrana e pertanto dà origine a un potenziale di recettore. Tuttavia, se il potenziale graduato (“graduato” perché l’ampiezza del potenziale cambia in misura proporzionale all’intensità dello stimolo), elettronicamente condotto a livello del I Nodo di Ranvier del neurone sensitivo primario, non raggiunge la soglia, non può nascere il treno di potenziali d’azione che si propaga lungo le vie sensitive dando origine alla sensazione. Pertanto possiamo percepire solo stimoli sopra-‐soglia. I recettori in periferia trasmettono le informazioni al SNC attraverso una successione ordinata di neuroni di I,II,III,IV ordine (anche chiamati primari, secondari, terziari…), e centri di ritrasmissione. L’attivazione dei recettori fa partire potenziali d’azione nei corrispondenti neuroni sensoriali primari, che portano l’informazione dai recettori somatici al SNC. L’organizzazione anatomica tra recettore e neurone sensitivo primario è diversa per le classi di recettori
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denominate di I, II,III,IV tipo. • Nei recettori di I tipo, la fibra afferente sensitiva si connette direttamente alla struttura recettoriale, per cui il potenziale di recettore depolarizzante si propaga fino al cono di emergenza e, se a soglia, dà origine direttamente al potenziale d’azione. • Nei recettori di II tipo, tra la struttura recettoriale e la fibra afferente sensitiva primaria si interpone una sinapsi. Il potenziale di recettore media, oppure può inibire, il rilascio di un neurotrasmettitore che, a sua volta, determina la nascita del potenziale d’azione o arresta la trasmissione dell’impulso nervoso. • Il recettore di III tipo è ancora più complesso perché tra i recettori e la fibra nervosa mie linizzata si interpone la cellula bipolare (dotata di due sinapsi). I neuroni di I ordine stabiliscono contatti sinaptici con i neuroni di II ordine a livello dei nuclei di collegamento posti nel midollo spinale o nel tronco encefalico. Nel talamo i neuroni sensoriali di II ordine fanno sinapsi sul neurone di III ordine, il quale proietta sulla regione somatosensoriale della corteccia cerebrale (area di proiezione dei neuroni di IV ordine). Ad ogni livello si realizza sempre un processo di integrazione ed elaborazione dell’informazione sensoriale. Pertanto la percezione che si ottiene a livello della corteccia è la risultante delle elaborazioni avvenute ai diversi stadi. Ciò consente all’uomo di rapportarsi con lo spazio circostante, coordinare le risposte motorie.. Un aspetto interessante dell’elaborazione da parte del SNC è la soglia percettiva, cioè il livello di intensità dello stimolo necessario perché noi ne diventiamo coscienti. Il significato del segnale, sia esso visivo o tattile, sensitivo o motorio, non viene determinato dalle caratteristiche del messaggio nervoso, ma dalla particolare via lungo la quale esso è condotto, denominata via marcata. Ciascuna via marcata trasporta l’informazione relativa a una determinata modalità sensoriale; per cui, informazioni riguardanti aspetti diversi percorrono vie marcate diverse, fino a raggiungere la corteccia cerebrale. È fin qui che deve arrivare integra l’informazione, partita in seguito a stimolazione recettoriale. La percezione dello stimolo è legata al campo recettivo, ossia alla zona la cui stimolazione provoca la risposta di un dato neurone. Il campo recettivo è strettamente correlato con la capacità discriminativa del recettore: campi recettivi piccoli sono propri delle regioni del nostro corpo con alta densità recettoriale e quindi con maggiore capacità discriminativa. Infatti, perché si possano localizzare e discriminare due stimoli è necessario che esso vadano ad eccitare due recettori differenti, ossia incidano su campi recettivi differenti. Due stimoli che incidono sullo stesso campo recettivo verranno percepiti come un unico stimolo. La capacità di discriminare due stimoli diversi che incidono simultaneamente è denominata acuità. Procedendo verso stadi superiori, i campi recettivi tendono a diventare più grandi e più complessi, il che significa che i segnali tendono a convergere per essere confrontati ed elaborati. I campi recettivi possono essere di due tipi: eccitatori o inibitori. Nel primo caso la scarica dei neuroni aumenta, nel secondo diminuisce. La presenza di campi inibitori può dar luogo al fenomeno dell’inibizione laterale, in cui il recettore stimola sé stesso alla scarica, inibendo, allo stesso tempo, la scarica dei recettori circostanti. Fatta eccezione per le terminazioni dolorifiche, i recettori rispondono ad uno stimolo con un potenziale di recettore la cui intensità decresce nel tempo, ossia, nonostante il perdurare dello stimolo, il potenziale di recettore tende a tornare al suo valore di riposo. Si dice che il recettore si “adatta” allo stimolo e il fenomeno prende il nome di adattamento. Quando l’adattamento è completo, il recettore non è più in grado di produrre informazioni sullo stimolo, mentre i recettori privi di adattamento segnalano uno stimolo di intensità costante. Ci sono recettori che si adattano molto rapidamente, chiamati recettori fasici o recettori di velocità. Essi non sono adatti a segnalare l’intensità di uno stimolo; segnalano, tuttavia, l’instaurarsi e il venir meno dello stimolo. Quando lo stimolo raggiunge un livello stazionario, i recettori fasici cessano di scaricare. Al contrario, i recettori a lento adattamento o tonici, segnalano la presenza dello stimolo per l’intera sua durata, pur riducendo, a causa dell’adattamento stesso, la frequenza di scarica. Solo questi recettori riescono ad informare i centri superiori circa l’intensità dello stimolo. ( grafico per i due tipi di recettori, dei potenziali che si generano in seguito a stimolazione sulla copia cartacea).
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Compito dei recettori fasici è segnalare la velocità di applicazione dello stimolo con conseguente compressione cutanea. I recettori tonici, invece, percepiscono l’entità di tale compressione. Al variare dell’intensità dello stimolo, varia anche la sensazione percepita. Questo è quanto fu considerato dal fisico Weber. Costui valutò la soglia differenziale, cioè la più piccola variazione di intensità di uno stimolo, in grado di produrre una variazione di sensazione. Dai suoi studi ed esperimenti, Weber elaborò una legge secondo la quale il rapporto tra la variazione dello stimolo e lo stimolo di partenza è una costante K, la costante di Weber. Il valore di K varia al variare della modalità sensoriale. = K
S= K
[u.a.]
0 [Kg] La decodifica dell’intensità dello stimolo è su base logaritmica, non lineare. Questo perché una trasduzione logaritmica permette di discriminare in maniera fine stimoli di bassa intensità e di percepire una gamma più vasta di stimoli di intensità più alta, percependoli come simili. Tuttavia, all’aumentare dell’intensità dello stimolo oltre un certo limite, ciascuna modalità sensoriale confluisce nella sensazione dapprima di stimolo fastidioso e, poi, doloroso. La sensazione di dolore induce l’allontanamento dalla sorgente dello stimolo, evitando, così, un eventuale danno recettoriale. Più complesso risulta misurare l’intensità della sensazione. Fu lo psicologo Stevens il primo a fare questa misurazione, basandosi sull’equazione: S= K In base a questa equazione, la sensazione cresce all’aumentare dello stimolo, secondo una funzione di potenza. Tuttavia, al perdurare dello stimolo, l’intensità della sensazione diminuisce secondo il processo dell’adattamento. In base all’adattamento, uno stimolo che si instaura molto lentamente è percepito come meno intenso rispetto ad uno stimolo che si instaura più velocemente. Pertanto la sensazione dipende dall’intensità dello stimolo, dalla sua durata e dalla modalità di instauro. Tutti i sistemi sensoriali sono anche in grado di localizzare gli stimoli, ossia di correlarli alla zona dello spazio dalla quale provengono, sia essa riferita al nostro corpo o all’ambiente esterno.
Il sistema somatosensoriale Il sistema della sensibilità somatica differisce dagli altri sistemi sensoriali per la complessità e molteplicità funzionale. Esso ci permette di rapportarci, in ogni istante, spazialmente con l’ambiente circostante e di ottenere informazioni circa lo stato di benessere dei visceri. Per assolvere a questi compiti interviene una molteplice popolazione di recettori cutanei e sottocutanei, presente in tutte le regioni del corpo. Oltre alla distinzione tra recettori fasici e tonici, fatta precedentemente, i recettori vengono suddivisi in altri due gruppi: esterocettori, propriocettori, enterocettori. I primi contribuiscono alla trasduzione di stimoli provenienti dal mondo esterno. A questa classe di recettori appartengono i meccanocettori, che forniscono informazioni su stimoli meccanici non dolorosi che hanno origine all’esterno o all’interno del nostro corpo, termocettori e nocicettori. Questi ultimi trasmettono informazioni evocate da stimoli nocivi di natura chimica, termica o meccanica, che potrebbero apportare
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danni tissutali. I nocicettori mediano sia la sensazione di dolore acuto che di dolore urente. I propriocettori contribuiscono alla trasduzione di stimoli che provengono dai muscoli, dai tendini e dalle articolazioni. Infine, gli enterocettori contribuiscono alla trasduzione di stimoli provenienti dagli organi viscerali. Questi stimoli raggiungono il livello cosciente solo nel momento in cui apportano informazioni circa lo stato di benessere o malessere. Il sistema somatosensoriale affida la trasduzione di diverse modalità sensoriali a recettori diversi. Pertanto i neuroni che trasportano le informazioni, provenienti da meccanocettori, termocettori, propriocettori e nocicettori formano vie nervose separate. Esistono 2 sistemi per la trasmissione delle informazioni somatosensoriali al SNC: il sistema delle colonne dorsali e del lemnisco mediale e il sistema antero-‐laterale o spinotalamico. Il primo trasporta informazioni che riguardano la sensibilità tattile discriminativa, pressoria, vibratoria e propriocettiva. Inoltre tale sistema risulta formato da fibre ad alta velocità di conduzione ed è responsabile della capacità di discriminazione dello stimolo di due punti. Il sistema antero-‐laterale trasporta informazioni che riguardano la sensibilità dolorifica, termica e tattile grossolana. L’organizzazione è analoga, anche se l’informazione è trasportata da fibre a minore velocità di conduzione. Ciascuna via di questi 2 sistemi converge al talamo. Dal talamo le informazioni raggiungono le cortecce somatosensoriali I e II, dove le stesse informazioni vengono integrate dai neuroni.
La sensibilità tattile È chiamata anche meccanocezione e comprende l’insieme delle informazioni relative al contatto della superficie cutanea con oggetti solidi, presenti nell’ambiente circostante, attraverso l’attività di recettori diversi. A livello del derma sono presenti 4 meccanocettori, che possono essere classificati in base alla loro localizzazione: recettori superficiali e profondi. A livello superficiale ci sono 2 recettori tattili: i Corpuscoli di Meissner ( recettori fasici) e i dischi di Merkel (recettori tonici). Nel tessuto profondo ce ne sono altrettanti 2 di recettori tattili: i Corpuscoli del Pacini (recettori fasici) e i Corpuscoli di Ruffini (recettori tonici). • i Corpuscoli di Meissner sono recettori fasici, capsulati, posti nel derma della pelle glabra e dei polpastrelli delle dita. Sono caratterizzati da risposte a rapido adattamento. Posseggono campi recettivi piccoli e ben definiti e quindi ad alta capacità discriminativa. Essi sono in grado di localizzare con precisione il punto di stimolazione. In particolare, essi sono adeguati per la trasduzione di stimoli esercitati da oggetti in movimento, che entrano in contatto con la cute. Inoltre questi recettori sono deputati alla trasduzione di stimoli vibrazionali a bassa frequenza, che producono la sensazione definita come tremolio. • i dischi di Merkel sono recettori tonici, a lento adattamento e caratterizzati anch’essi da campi recettivi piccoli e ben definiti. Rispondono all’iniziale deformazione della cute, rilevandone anche l’infossamento per alcuni secondi. La risposta risulta proporzionale all’entità della deformazione Sono presenti con elevata densità sulle dita e intorno alla bocca, in bassa densità nella cute dotata di peli. L’elevata densità recettoriale aumenta notevolmente la capacità di discriminare variazioni sulla superficie dove si prende contatto. • i Corpuscoli del Pacini sono recettori a rapido adattamento, che si inattivano se lo stimolo persiste. Sono capsulati, rispondono alle variazioni di velocità dello stimolo e trasducono stimoli vibrazionali ad alta frequenza. Si trovano nel tessuto sottocutaneo, nelle fasce muscolari e negli organi interni. Sono inoltre dotati di campi recettivi molto estesi, che possono interessare più dita e persino la mano. • i Corpuscoli del Ruffini si trovano nel derma della cute pelosa e nelle capsule articolari. Hanno campi recettivi estesi e rispondono allo stiramento della cute, anche se si verifica lontano dal punto in cui si trovano. Sono recettori a lento adattamento, scaricano rapidamente nel momento in cui la cute viene stirata. Subito dopo, la scarica diminuisce per raggiungere un livello proporzionale al
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grado di stiramento. Pertanto questi recettori non si adattano mai completamente. Il sistema somatosensoriale presenta un’elevata risoluzione, sia spaziale, correlata al tipo di recettore attivato e alla sua densità di distribuzione nella regione cutanea in esame, sia temporale per la discriminazione di stimolazioni tattili che si presentano in successione. Da ricordare, in ultimo, la distribuzione dei recettori cutanei: su 1 di pelle, vi sono mediamente 13 recettori tattili.
La termocezione I termocettori sono recettori tonici che rispondono in maniera specifica ad uno stimolo termico applicato alla cute, ma non sono in grado di segnalare il permanere di uno stimolo meccanico. Sono delle terminazioni libere che rispondono allo stimolo, caldo o freddo, a seconda della sensazione. La prima informazione sulla temperatura arriva dalla periferia. Si distinguono i recettori sensibili al caldo e quelli sensibili al freddo. I recettori per il caldo presentano la massima frequenza di scarica intorno ai 40°C, mentre i recettori per il freddo scaricano massimalmente ad una temperatura di poco superiore ai 20°C. In un ambito di temperature prossime a quella cutanea, in condizioni di benessere termico, scaricano sia i recettori per il freddo che quelli per il caldo. All’aumentare della temperatura, i recettori per il caldo aumentano la loro frequenza di scarica, mentre i recettori per il freddo la diminuiscono. Accade il contrario se la temperatura diminuisce. Quando la temperatura raggiunge valori in grado di provocare danno tissutale, ossia oltre i 45°C, i recettori per il caldo divengono silenti. La stessa osservazione vale per i recettori per il freddo per temperature inferiori a 4°C. Il campo recettivo di un termocettore è di circa 1mm di diametro e i recettori sono diffusi in tutto il corpo. Ci sono molti più recettori per il freddo che per il caldo. I termocettori hanno memoria dello stimolo termico precedente, il quale risulta localizzato con precisione solo se applicato direttamente alla cute.
La nocicezione I nocicettori, anche chiamati recettori dolorifici, sono delle terminazioni nervose libere, in quanto sprovviste di un rivestimento connettivale e situate a livello della giunzione dermo-‐epidermica. Gli stimoli nocicettivi avvertono l’individuo della presenza di un evento dannoso, affinchè egli possa attuare una risposta di difesa. La percezione dello stimolo dolorifico ha comunque una componente emotiva. La soglia sensoriale varia da individuo a individuo e nelle diverse parti del corpo. Inoltre lo stesso individuo percepisce e interpreta in maniera diversa stimoli dolorosi di uguale intensità, in funzione dello stato d’animo, della possibilità di associare lo stimolo presente con il ricordo di esperienze passate. Lo stimolo doloroso è percepito con diversa intensità anche in funzione della sua associazione a situazioni piacevoli o spiacevoli. Funzionalmente si riconoscono due classi di nocicettori: nocicettori meccanici e polimodali. I primi rispondono a stimoli termici o meccanici molto intensi, sono innervati da fibre afferenti mieliniche e rispondono a stimoli che provocano dolore pungente. I nocicettori polimodali, invece, sono innervati da fibre amieliniche e sono in grado di trasdurre stimoli meccanici o chimici di intensità elevata e stimoli termici agli estremi del caldo e del freddo. Gli stimoli dolorosi, trasdotti dai nocicettori meccanici, sono trasportati da fibre ad alta velocità di conduzione. Al contrario, gli stimoli dolorosi trasdotti dai recettori polimodali sono trasportati da fibre a lenta velocità di conduzione. Quindi ciascuna di queste due classi di recettori è deputata al trasporto di un particolare tipo di sensazione dolorosa. La stretta interazione stimolo dolorifico-‐stimolo meccanico determina una compressione con conseguente blocco dello stimolo dolorifico. Il risultato è una minore percezione del dolore. Il dolore è la risultante di afferenze sensitive e di segnali che derivano da vie discendenti, con la funzione di ridurre o aumentare il dolore. Si distinguono principalmente 3 forme diverse di dolore: • Dolore nocicettivo: i recettori del dolore scaricano e si ha la percezione del dolore in una zona non
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lesa precedentemente. Dolore neuropatico: c’è lesione o danno al sistema nervoso, che può essere coinvolto anche a livelli più alti, non solo a livello nocicettivo. • Dolore idiopatico: di cui non si conosce la natura. Esso non ha un’immediata motivazione organica. Nella grande famiglia dei dolori nocicettivi, individuiamo: • Dolore pungente,un dolore che compare e scompare rapidamente e localizzabile con precisione, come quello prodotto da una puntura di spillo. Alla percezione del dolore pungente fa spesso seguito la risposta riflessa di allontanamento dalla sorgente dolorifica. Il segnale dolorifico è trasmesso attraverso fibre a conduzione rapida, piccole e mie linizzate, dette Aδ. • Dolore urente, trasportato da fibre a conduzione lenta, piccole e non mielinizzate (fibre C). é un dolore diffuso e persistente ed è accompagnato da una forte componente emotiva, come nel caso di una scottatura. • Dolore profondo, si origina a livello viscerale, è mal localizzato, tanto che può dar luogo al cosiddetto dolore viscerale riferito. Da notare che le fibre dolorifiche, non mie linizzate, a seconda del loro calibro, cambiano denominazione. Si nominano con le lettere dell’alfabeto, italiano (A), greco (β) o in associazione (Aβ). a mano a mano che si procede con l’uso in successione delle lettere dell’alfabeto, la fibra avrà calibro sempre più piccolo. •
FISIOLOGIA DEL MUSCOLO Struttura del muscolo scheletrico Il muscolo è l’organo deputato al movimento. La parte che genera forza prende il nome di corpo, il quale a sua volta è costituito da diversi fasci di cellule o fibre muscolari, detti fascicoli, insieme a tessuto connettivo, vasi e nervi. Le fibre muscolari percorrono tutta la lunghezza del muscolo, sono avvolte da tessuto connettivo e presentano più di un nucleo, essendo il risultato della fusione di più cellule (sincizio). Il sarcolemma è la membrana cellulare delle fibre del tessuto muscolare striato, di origine connettivale e con la funzione di ricevere e condurre stimoli. Al suo interno troviamo un liquido semifluido, il sarcoplasma, nel quale troviamo, oltre ai mitocondri e ad altre strutture, elementi di forma bastoncellare, le miofibrille, responsabili della natura contrattile della fibra muscolare. Ogni miofibrilla è composta da: • Proteine contrattili: actina e miosina, responsabili dell’aspetto striato di questo tipo di muscolatura. L’actina costituisce i filamenti sottili, disposti in senso parallelo rispetto all’asse longitudinale della cellula e costitutiti da monomeri di actina G (globulare) aventi un sito per l’attacco della miosina. I monomeri di actina sono tra loro legati in modo da formare una struttura filamentosa, l’actina F (fibrosa), la quale a sua volta si intreccia con un’altra actina F andando a costituire una doppia elica.
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La miosina costituisce invece i filamenti spessi. La tipica struttura della miosina consiste essenzialmente in due domini, definiti testa e coda. La testa è una regione globulare deputata al legame con i filamenti di actina (sito di fissazione dell’actina) e a quello con il sito di idrolisi dell’ATP (sito ATPasico). Essa è responsabile della generazione delle forze meccaniche sviluppate dal muscolo ed è proprio l’idrolisi dell’ATP a permettere il movimento della miosina verso l'estremità del filamento di actina, tramite cambiamenti conformazionali dovuti alla diversa affinità della proteina per le molecole che può legare. La coda è invece una struttura allungata attraverso cui due molecole di miosina si legano l’una all’altra.
•
Proteine regolatrici: troponina e tropomiosina, presenti a livello dei filamenti sottili, che consentono di iniziare e terminare la contrazione delle fibre muscolari.
La troponina è costituita da un complesso di tre proteine: una si attacca al filamento di actina, l’altra si fissa alla tropomiosina e l’ultima lega reversibilmente gli ioni calcio, permettendo così l’innescarsi della contrazione muscolare, in modo che la troponina sposti lateralmente la tropomiosina, esponendo i siti di legame per la miosina presenti sulle molecole di actina. La tropomiosina è una proteina filamentosa che ha il compito, quando il muscolo è a riposo, di bloccare i siti di legame con la miosina. •
Proteine strutturali: tra cui titina e nebulina, con la funzione di mantenere la struttura del sarcomero durante contrazione e rilassamento.
La titina è una proteina elastica in grado di allungarsi nella contrazione e di tornare alla conformazione originaria nel rilassamento. La nebulina è una proteina anelastica situata tra i filamenti sottili, che favorisce l’allineamento dei filamenti di actina una volta attaccata alle linee Z. Le miofibrille sono formate da un’unità di base (il sarcomero) che si ripete numerosissime volte.
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· · · · ·
Linea Z: disposta tra un sarcomero e l’altro, blocca i filamenti sottili ad un’estremità ed é disposta ortogonalmente rispetto all’asse longitudinale della miofibrilla. Linea M: linea di connessione tra i filamenti spessi, anch’essa disposta perpendicolarmente all’asse longitudinale. Banda A: regione che appare più scura e che si estende per tutta la lunghezza dei filamenti spessi. Al centro presenta una porzione più chiara (zona H), in cui sono presenti soltanto filamenti spessi. Nella porzione più scura presenta in realtà la sovrapposizione di filamenti spessi e sottili. Banda I: regione più chiara situata tra le bande A di due sarcomeri adiacenti, contenente solo filamenti sottili (l’assenza dei filamenti spessi è la causa della sua trasparenza). Zona H: regione più chiara disposta al centro della banda A, in cui non sono presenti filamenti sottili.
Meccanismo di generazione della forza del muscolo Modello dello scorrimento dei filamenti e ciclo dei ponti All’interno del corpo umano c’è una strettissima relazione tra struttura e funzione delle varie parti e questo è particolarmente vero a livello del muscolo scheletrico. Nel corso della contrazione della cellula muscolare i filamenti sottili e spessi non modificano la loro lunghezza, ma semplicemente i filamenti sottili scivolano lungo quelli spessi, muovendosi in direzione della porzione più interna della zona H, riducendone la larghezza. Le bande A dunque, non modificano la loro lunghezza, mentre le bande I e le zone H si accorciano. Le linee Z si avvicinano tra loro producendo l’accorciamento del sarcomero, al quale segue quello delle miofibrille, delle fibre muscolari e quindi del muscolo intero. Il meccanismo che spiega questo scorrimento reciproco dei filamenti prende il nome di ciclo dei ponti trasversali. L’energia sprigionata dall’idrolisi dell’ATP fa sì che si formino dei ponti trasversali tra miosina ed actina. Il movimento dei ponti, dovuto a modificazioni conformazionali delle molecole di miosina, produce un’oscillazione, avanti e indietro, che tira i filamenti sottili verso il centro del sarcomero. In ogni ciclo si possono individuare 5 fasi:
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1. Aggancio della miosina all’actina: la miosina si trova
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nella forma ad alta energia in cui è molto affine all’actina, con l’ATP nella sua forma ADP+Pi, legata al sito ATPasico della testa della miosina. Questa fase avviene solamente in presenza di calcio. Colpo di forza: avviene la liberazione del Pi e dell’ADP dal sito ATPasico; la testa della miosina ruota verso il centro del sarcomero, tirando con sé il filamento sottile. Stato di rigor: la miosina si trova nello stato a bassa energia ed è legata strettamente all’actina (rigor). Nel rigor mortis il ciclo dei ponti trasversali si blocca in questa fase a causa dell’esaurimento di ATP. Distacco della miosina dall’actina: al sito ATPasico si lega una nuova molecola di ATP, modificando lo stato conformazionale della testa della miosina e causando il distacco dell’actina (diminuzione dell’affinità tra actina e miosina). Energizzazione della testa della miosina: l’ATP appena attaccato al sito ATPasico nella fase precedente viene idrolizzato ad ADP+Pi con conseguente rilascio di energia (7 Kcal), che viene in parte conservata nella miosina, la quale raggiunge così lo stato ad alta energia. Questa situazione non è sufficiente a far sì che i prodotti finali della reazione (ADP e Pi) vengano liberati dal sito ATPasico, in quanto per far ripartire il ciclo è necessaria la presenza di calcio.
Nonostante un ponte trasversale generi forza solo per una parte del tempo durante il quale è attivo (colpo di forza) la fibra muscolare genera invece forza in modo continuativo; infatti i ponti trasversali avviano il ciclo simultaneamente, ma non perfettamente in fase. Giunzione neuromuscolare: accoppiamento eccitamento-‐contrazione Esattamente come i neuroni anche le fibre muscolari sono cellule eccitabili e dunque in grado di generare potenziali d’azione. Quando una cellula muscolare riceve un segnale da parte di un motoneurone infatti, la cellula si depolarizza e genera un potenziale d’azione che produce una contrazione. Ciascuna fibra muscolare riceve il segnale da un solo motoneurone. Il punto in cui un motoneurone entra in contatto con una cellula muscolare prende il nome di giunzione neuromuscolare. Il motoneurone (cellula presinaptica) libera un neurotrasmettitore (Acetilcolina), che diffonde verso la membrana plasmatica della cellula muscolare (cellula postsinaptica) e, legandosi a recettori specifici, induce alla depolarizzazione (potenziale di placca). Una volta generatosi il potenziale d’azione all’interno della cellula muscolare, esso si propaga per tutto il sarcolemma, inclusi i tubuli T (una sorta di continuazione del sarcolemma), provocando il rilascio del calcio dal reticolo sarcoplasmatico adiacente e permettendo così l’attivazione del ciclo dei ponti.
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Quando la cellula muscolare è in stato di rilasciamento la concentrazione di calcio all’interno del citosol è estremamente bassa, così come il numero di molecole di troponina legate al calcio, che si trovano nel loro stato conformazionale normale (a riposo). La posizione della tropomiosina sul filamento sottile fa sì che i siti di legame per la miosina siano bloccati e che dunque il ciclo dei ponti non possa avere luogo. In condizioni di normalità la concentrazione di calcio nel citosol è bassa, dal momento che all’interno del reticolo sarcoplasmatico sono presenti delle pompe di membrana in grado di trasportare il calcio dal citosol al suo interno, contro gradiente di concentrazione. Oltre alle pompe sono presenti anche dei canali per il calcio voltaggio-‐dipendenti, che restano chiusi in condizioni di normalità, in modo da evitare che il calcio possa fuoriuscire dal RS. Nel momento in cui un potenziale d’azione passa lungo i tubuli T questi canali si aprono permettendo così al calcio di fuoriuscire nel citosol; il segnale elettrico che determina l’apertura di questi canali è situato nelle membrane dei tubuli T anzichè nella membrana del RS. Tubuli T e membrana del RS sono collegati da proteine (recettori per la rianodina) che fungono anche da canali per il calcio. Ci sono poi altre proteine (recettori per le diidropiridine o recettori DHP), localizzati dove i recettori per la rianodina prendono contatto con le membrane dei tubuli T, che fungono da rilevatori di voltaggio e che, quando arriva il potenziale d’azione lungo la membrana dei tubuli T, attraverso una modificazione conformazionale trasmettono il segnale ai recettori per la rianodina attivando così l’apertura dei canali del calcio. Quando la concentrazione citosolica di calcio aumenta parte del calcio si lega ad una delle tre proteine costituenti la troponina, che induce lo spostamento della tropomiosina liberando in questo modo i siti di legame per la miosina presenti sui monomeri di actina. Può avere così inizio il ciclo dei ponti. Il rilascio di calcio in tutti i sarcomeri avviene praticamente in condizioni di simultaneità, in modo che tutti i sarcomeri si accorcino contemporaneamente. Quando una cellula non riceve più segnali dal motoneurone cessa di contrarsi. In ogni caso, quando il potenziale d’azione dà inizio al meccanismo di rilascio del calcio dal RS questo si accumula all’interno del citosol solo entro un certo limite, raggiunto il quale inizia a legarsi a dei siti a bassa affinità per il calcio presenti sui canali del RS provocandone la chiusura. Il rilascio di calcio all’interno del citosol viene così inibito e il calcio viene riportato al RS provocando una diminuzione della sua concentrazione citoplasmatica. Questa diminuzione comporta: · La dissociazione del calcio dalla troponina (troponina e tropomiosina tornano nuovamente nella loro posizione di partenza); · Il numero di siti esposti sul filamento di actina diminuisce progressivamente; · I ponti trasversali attivi diminuiscono di pari passo; · Conseguentemente avremo la cessazione della contrazione muscolare (il calcio ha raggiunto valori di riposo). Scossa singola La contrazione muscolare può variare in termini di forza e di durata. Il potenziale d’azione di un motoneurone evoca la contrazione di tutte le cellule muscolari che ad esso
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risultano connesse; non è possibile che se ne contraggano solo alcune e altre no. L’insieme del motoneurone e delle fibre muscolari da questo innervate si definisce unità motoria. Con scossa singola intendiamo la risposta meccanica di una singola cellula muscolare, di una unità motoria o di un intero muscolo ad un solo potenziale d’azione. Caratteristica della scossa singola è la sua riproducibilità, ovvero che la stimolazione continua di un muscolo induce lo sviluppo di numerose scosse singole in successione, con grandezza e forma uguali tra loro. Questa proprietà è dipendente dal carattere “tutto o nulla” caratteristico del potenziale d’azione della cellula muscolare. Si parte ovviamente dal presupposto che le cellule presentino nel corso del tempo le medesime caratteristiche (il potenziale d’azione provocherà ogni volta la liberazione di una stessa quantità di calcio, con un ugual numero di ponti trasversali attivati e conseguentemente con lo sviluppo ogni volta di una stessa forza). Fasi della scossa singola 1. PERIODO DI LATENZA: intervallo di tempo, della durata di pochi millisecondi, dovuto al fatto che l’evento eccitamento-‐contrazione deve avvenire prima dell’inizio del ciclo dei ponti; è la fase che intercorre tra la comparsa del potenziale d’azione e l’inizio della contrazione nella cellula muscolare. 2. FASE DI CONTRAZIONE: durata tra i 10 e 100 millisecondi (a seconda del muscolo considerato); inizia al termine del periodo di latenza e termina al raggiungimento del picco massimo di tensione. E’ questa la fase in cui la concentrazione di calcio all’interno del citosol aumenta. 3. FASE DI RILASCIAMENTO: periodo che intercorre tra il picco della tensione e la fine della contrazione, ovvero il momento in cui la tensione (forza) torna a zero. Di conseguenza la concentrazione del calcio in questa fase diminuisce.
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Grafico tensione e lunghezza Il grafico mostra la relazione tra la lunghezza del muscolo a riposo e la tensione sviluppata. La forza muscolare deriva dal numero dei ponti trasversali formati tra actina e miosina; maggiore è il numero di legami acto-‐miosinici instaurati, maggiore sarà la tensione sviluppata. La curva ci fa vedere che alla lunghezza ottimale del muscolo è possibile ottenere una massima espressione di forza (tensione), poiché tutti i filamenti sottili e spessi sono reclutati nella formazione dei ponti. Con l’aumentare della lunghezza del muscolo la tensione diminuisce perché la formazione di legami acto-‐miosinici possibile è inferiore rispetto alla lunghezza ottimale. Se invece il muscolo si accorcia la tensione si ridurrà ugualmente per la sovrapposizione dei filamenti sottili gli uni sugli altri,con conseguente copertura di possibili siti attivi per la formazione dei ponti Contrazione isometrica e isotonica I due tipi di contrazione possibili non differiscono tra loro in base al meccanismo di generazione della forza, ma per la possibilità o meno che il muscolo ha di potersi accorciare nel corso della contrazione. Al contrario della contrazione isometrica la contrazione isotonica non è un evento di tutto o nulla; l’intensità e la forma della contrazione dipendono da grandezza del carico su cui agisce il muscolo. •
CONTRAZIONE ISOTONICA: generazione di una tensione pari alle forze che si oppongono al muscolo (carico); muscolo e porzione tendinea subiscono un accorciamento.
•
CONTRAZIONE ISOMETRICA: sviluppo di tensione senza conseguente accorciamento del muscolo, il quale non esprime una forza sufficiente a vincere il carico; i tendini sviluppano una forza uguale e contraria al muscolo.
Isotonica Isometrica
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Forza generata dal muscolo La forza generata dal muscolo dipende da due fattori: · Forza sviluppata dalle singole cellule muscolari, che dipende dal numero di ponti trasversali attivi che si legano all’actina; · Numero di fibre muscolari che subiscono la contrazione. I fattori che influenzano il numero di ponti trasversali attivi e, di conseguenza, la forza esercitata dalle singole fibre muscolari, sono: 1. Frequenza di stimolazione: le contrazioni muscolari isometriche sono di fatto riproducibili, solo se il muscolo viene stimolato ad una frequenza bassa a sufficienza per garantire che le scosse singole siano tra di loro separate nel tempo. A frequenze più alte, il calcio presente nel citosol aumenta, generando una maggiore tensione del picco. L’aumento di calcio produce infatti come conseguenza l’attivazione del ciclo dei ponti trasversali e dunque un aumento della forza di contrazione sviluppata. All’aumento della forza di contrazione segue il passaggio da contrazioni singole ad una scala e, successivamente, da una scala alla sommazione, fino ad arrivare al fenomeno del tetano. SCOSSA SINGOLA: risposta meccanica di una unità motoria ad un singolo potenziale d’azione. SCALA: le singole scosse si susseguono in modo talmente ravvicinato che il picco della tensione aumenta progressivamente proprio come i gradini di una scala fino al raggiungimento di un plateau. SOMMAZIONE: il potenziale d’azione della scossa successiva si sviluppa prima che la scossa precedente sia giunta a completamento; le scosse così si sovrappongono sviluppando perciò una forza superiore a quella sviluppata da una scossa singola. TETANO: valore massimo raggiunto dalla sommazione a frequenze di stimolazione superiori. TETANO NON FUSO o incompleto: la forza sviluppata presenta degli intervalli di rilasciamento tra un picco e l’altro che producono delle piccole oscillazioni. TETANO FUSO o completo: caratterizzato da una fase di plateau stabile, durante la quale i siti per il legame con la miosina sono continuamente esposti. Un ulteriore accrescimento della frequenza di stimolo comporta un aumento della tensione tetanica, ma solo fino ad un certo punto, oltre il quale non si ha un ulteriore aumento della forza. In queste condizioni si raggiunge la tensione tetanica massimale: il muscolo sta sviluppando tutta la forza che è in grado di generare.
2. Diametro delle fibre muscolari: più ponti trasversali all’interno di un sarcomero corrispondono ad una maggiore forza espressa dal muscolo; a sua volta, un muscolo contenente un numero più elevato di sarcomeri disposti parallelamente sviluppa una forza maggiore di un muscolo con meno
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sarcomeri. Il diametro della fibra muscolare rappresenta dunque una caratteristica fondamentale per determinare la forza contrattile, considerando anche il fatto che, per unità di sezione trasversale, il numero di filamenti spessi e sottili non varia significativamente da un muscolo all’altro. 3. Variazione della lunghezza della fibra muscolare: è il fattore che influenza la capacità di generazione della forza. Determinante è appunto la lunghezza dei sarcomeri, ma non il loro numero in serie. Ogni fibra muscolare possiede una lunghezza ottimale alla quale può sviluppare la sua massima forza; quando una cellula muscolare è più lunga o più corta rispetto alla sua lunghezza ottimale la sua capacità di generare forza diminuisce. Nel caso di allungamento il grado di sovrapposizione dei filamenti di actina e miosina diminuisce e i ponti trasversali tra le due proteine non possono avere luogo. Nel caso di un accorciamento della lunghezza ottimale di un muscolo la tensione si riduce in parallelo alla riduzione della sua lunghezza e i filamenti sottili iniziano a sovrapporsi e accavallarsi gli uni sugli altri alle estremità, impedendo così la loro possibilità di muoversi. Fibre rapide e fibre lente Alcuni muscoli, sottoposti a contrazione, impiegano più tempo di altri a raggiungere il picco di tensione e questo dipende dal tipo di fibre dalle quali sono costituiti: · Fibre a contrazione lenta: caratterizzate dalla presenza nei loro filamenti spessi della miosina lenta · Fibre a contrazione rapida: caratterizzate dalla presenza della miosina rapida, che idrolizza l’ATP più velocemente, completa un numero maggiore di cicli dei ponti trasversali in un secondo e, di conseguenza, a parità di condizioni, fa sì che i sarcomeri si accorcino più rapidamente. Le fibre inoltre possono essere classificate in base alla “fatica” che insorge: - quando l’ATP prodotta è minore rispetto a quella consumata; - a causa dell’aumento della concentrazione degli ioni idrogeno (produzione acido lattico nella glicolisi); - per l’inefficenza dell’accoppiamento EC. La continua stimolazione del muscolo porta ad una successiva diminuzione di tensione sviluppata, accompagnata da un affaticamento muscolare. Un altro tipo di fatica potrebbe insorgere dal S.N.C : difetti di regioni della corteccia motrice possono non far contrarre le fibre muscolari (fatica centrale).
Fibre glicolitiche e fibre ossidative In base alle loro capacità metaboliche possiamo parlare di: · Fibre glicolitiche o fibre bianche: producono rapidamente ATP attraverso la via glicolitica
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·
(fosforilazione a livello di substrato), in quanto, essendo carenti di mitocondri, non hanno una elevata capacità di sintetizzare ATP mediante fosforilazione ossidativa. Producono ATP meno efficientemente delle fibre rosse, a parità di substrato consumato, ma sono maggiormente in grado di produrre ATP quando la disponibilità di ossigeno è bassa. Fibre ossidative o fibre rosse: di calibro minore delle precedenti, ricche di mitocondri, ben vascolarizzate (presentano una proteina che lega reversibilmente l’ossigeno, la mioglobina) e carenti di enzimi glicolitici, al contrario delle fibre glicolitiche, hanno un’elevata capacità di produrre ATP tramite fosforilazione ossidativa e bassa capacità glicolitica.
Muscolo innervato La risposta che otterremo da un muscolo in vivo sarà diversa dalla risposta di un muscolo isolato. Possiamo ottenere quindi due tipi di risposta muscolare: • Stimolazione diretta : stimolazione tetanica massimale del muscolo o del nervo motore. • Stimolazione per via riflessa.
Come possiamo notare dal grafico abbiamo delle differenze: • Nel reclutamento, con conseguente aumento della tensione; • Nella scarica postuma una diminuzione della tensione; • Nell’attivazione della forza massima da parte dei due muscoli. Principio della dimensione Quando un muscolo si contrae non sempre tutte le sue cellule generano forza: tendenzialmente alcune unità motorie sono attive, mentre le fibre delle altre unità motorie subiscono un accorciamento passivo provocato dalle forze sviluppate dalle fibre che hanno una contrazione attiva. Nel momento in cui viene richiesta una forza maggiore il sistema nervoso può fare attivare alcune delle fibre che erano a riposo e questo incremento delle unità motorie attive prende il nome di reclutamento. Quando un muscolo viene utilizzato per sviluppare una forza moderata vengono attivate le unità motorie più piccole, ma al crescere della forza richiesta dal muscolo vengono reclutate via via unità motorie di dimensioni maggiori. In base al principio della dimensione si parla infatti di una corrispondenza tra dimensioni delle unità motorie e ordine di reclutamento. Nel caso di una contrazione prolungata le unità motorie vengono reclutate in modo asincrono, ovvero nel momento in cui una viene attivata l’altra cessa la sua attività in modo che la forza totale espressa dal muscolo venga mantenuta pressoché costante e le unità motorie attive non risultino sovraccaricate di lavoro. Inoltre non solo le unità motorie sono di dimensioni diverse, ma a variare sono anche le dimensioni dei motoneuroni che le controllano: le unità motorie più grandi sono controllate da motoneuroni con corpo cellulare e diametro dell’assone più grandi della media, così come le più piccole da motoneuroni con corpo cellulare ed assone più piccoli. Le dimensioni del neurone hanno delle conseguenze sul controllo muscolare, 2 1
infatti le cellule più grandi hanno maggiori difficoltà a raggiungere la soglia per la nascita di un potenziale d’azione, poichè è necessario un input sinaptico eccitatorio maggiore che comporta un aumento nella frequenza di scarica delle cellule presinaptiche. Quando un input sinaptico che aumenta gradualmente arriva ad un gruppo di motoneuroni i più piccoli scaricano per primi seguiti da quelli più grandi.
L’interneurone di Renshaw Si tratta di un secondo meccanismo per graduare la forza muscolare. Questo dispositivo a feedback negativo permette di inibire la frequenza di scarica del motoneurone alfa eccitato. Inoltre è possibile modulare l’azione dell’interneurone facilitando o attenuando l’inibizione attraverso proiezioni EPSP e IPSP (con potenziali EPSP l’interneurone aumenta l’inibizione, viceversa con potenziali IPSP l’inibizione viene diminuita). L’interneurone di Renshaw è comunque sempre attivo in minima parte e ciò permette la graduazione “fine” della forza. Motoneuroni Si tratta di neuroni efferenti del sistema nervoso somatico, che contraggono sinapsi con le cellule muscolari scheletriche e sono localizzati nelle corna ventrali del midollo spinale o in analoghe strutture del tronco encefalico. Si possono distinuguere: • Motoneuroni alpha: grosse cellule multipolari il cui assone si porta in periferia per andare a contrarre sinapsi con delle fibre muscolari striate scheletriche, a livello delle quali si ramifica in numerose terminazioni nervose, ciascuna delle quali forma una struttura sinaptica specializzata: la giunzione neuromuscolare, attraverso la quale i motoneuroni alpha sono in grado di determinare la contrazione muscolare. • Motoneuroni gamma: neuroni simili agli alpha, ma di dimensioni inferiori, commisti con essi nelle corna anteriori del midollo spinale e nei nuclei motori dei nervi cranici; il loro assone mielinico si porta alle fibre intrafusali dei fusi neuromuscolari (propriocettori del muscolo scheletrico che ne rilevano le variazioni di lunghezza e velocità di contrazione) con il compito di regolare dinamicamente la sensibilità del propriocettore, adattandola allo stato di contrazione dell’intero muscolo. Unità motoria di Sherrington Gli assoni dei motoneuroni somatici alpha si ramificano ripetutamente una volta penetrati in un muscolo e, ogni ramo che termina con una placca motrice, si mette in sinapsi con una fibra muscolare differente. Si definisce unità motoria di Sherrington l’insieme del motoneurone e delle fibre muscolari striate che da esse dipendono direttamente. Se le unità motorie di un muscolo sono composte da poche fibre il controllo nervoso potrà essere migliore e i movimenti permessi più precisi e fini, perché un unico neurone dovrà
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guidare l’attività contrattile di poche fibre; diversamente, se un neurone ha sotto il suo controllo molte fibre, la risposta contrattile sarà meno precisa. Arco riflesso Il riflesso rappresenta una risposta automatica ad uno stimolo sensoriale. Le vie nervose variano nella loro complessità e quelle più brevi sono rappresentate dall’arco riflesso, via riflessa più semplice. Gli ingredienti principali di un arco riflesso sono: 4. Un recettore sensoriale 5. Un neurone afferente 6. Un centro integratore 7. Un neurone efferente 8. Un organo effettore Per generare un’azione riflessa il recettore deve essere stimolato in maniera opportuna e l’informazione, tramite il neurone afferente, viene inviata al SNC che funziona da centro integratore inviando segnali al neurone efferente, che a sua volta li trasmette all’organo effettore ottenendo una risposta. Il tipo di integrazione può essere semplice (riflesso monosinaptico) o complessa (polisinaptico), in cui sono presenti diversi interneuroni. Riflesso da stiramento Il più semplice riflesso é il riflesso da stiramento (il riflesso patellare è un esempio di arco riflesso monosinaptico del fuso neuromuscolare, l’unico riflesso monosinaptico presente nel corpo umano). Il recettore coinvolto in tale riflesso è appunto il fuso neuromuscolare, struttura presente all’interno dei muscoli scheletrici, che risponde agli stiramenti muscolari. I propriocettori I propriocettori sono organi sensitivi specializzati, che danno informazioni sulle posizioni del corpo in condizioni di quiete (propriocezione propriamente detta) e quando il corpo é in movimento (cinestesia). Vi sono tre sistemi principali in cui vengono elaborati i codici provenienti dalle vie sensitive: • Un primo sistema, incosciente, è deputato al controllo e alla reazione a situazioni pericolose e garantisce la salvaguardia immediata rispetto ad eventuali danni fisici ed è controllato prevalentemente dal midollo spinale. • Un secondo sistema è deputato al controllo dell'esecuzione dei progetti motori e degli automatismi, garantisce in tutti i movimenti la massima precisione ed aderenza fra progetto motorio e movimento, allo scopo di ottenere il maggior vantaggio possibile. Il sistema è prevalentemente controllato dal cervelletto ed è anch'esso completamente incosciente. • Un terzo sistema utilizza le informazioni sensitive provenienti dai recettori periferici a scopo cosciente. Attraverso questo sistema ciascuno di noi si forma e controlla la propria immagine corporea. Questo terzo sistema è prevalentemente controllato dalla corteccia cerebrale, che elabora, integrandole in vario modo, tutte le informazioni provenienti dalla periferia. Gli organi di senso propriocettivi possono essere suddivisi in tre gruppi principali: 1. Recettori muscolari: fusi neuromuscolari, organi tendinei del Golgi, recettori del Pacini a collocazione muscolare e terminazioni muscolari libere del muscolo. Fusi e organi del Golgi sono recettori sensibili allo stato di allungamento e di tensione del muscolo, particolarmente utili nel definire i parametri per il sistema propriocettivo incosciente (facente capo al cervelletto) o per le risposte riflesse (midollo spinale). Svolgono un ruolo di primaria importanza sia nella propriocezione che nei meccanismi del controllo motorio. Sembrano essere più adatti ad
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informare sulle caratteristiche meccaniche del movimento che sullo stato di riposo dell'apparato locomotore. 2. Recettori articolari, che pur essendo fondamentali a livello di propriocezione incosciente, giocano un ruolo più importante nelle sensazioni statiche, quindi nel senso di posizione (propriocettività cosciente). 3. Meccanocettori cutanei, di cui fanno parte i corpuscoli di Merkel, i corpuscoli di Meissner, i corposculi di Ruffini e i corpuscoli di Pacini. I fusi neuromuscolari
Si tratta di particolari recettori meccanici localizzati all'interno dei muscoli striati. Essi sono formati da 2-‐12 fibre muscolari modificate, dette fibre intrafusali (innervate da fibre gamma), avvolte da una capsula di tessuto connettivo e disposte parallelamente alle fibre muscolari vere e proprie deputate alla contrazione (fibre extrafusali, innervate da fibre alpha). Le fibre intrafusali si dividono in due gruppi: • Fibre a catene di nuclei: 8-‐10 per ogni fuso, in cui i nuclei sono disposti in fila, longitudinalmente, nella porzione mediana. • Fibre a sacco di nuclei: 3-‐5 per ogni fuso, le quali presentano nella porzione mediana, che appare rigonfia, un accumulo di circa 100 nuclei. Queste ultime possono essere suddivise in ulteriori due sottotipi molto differenti per proprietà strutturali, biochimiche e meccaniche: ·Fibre statiche: sensibili alla velocità variazione di lunghezza del muscolo (tipo Ia). ·Fibre dinamiche: sensibili all’allungamento assoluto del muscolo (tipo II). Le fibre afferenti sensitive avvolgono la fibra intrafusale andando a costituire delle anulospire; quando il muscolo si allunga e si accorcia, il fuso fa lo stesso e trasmette impulsi al sistema nervoso centrale riguardo alla lunghezza muscolare. Quando il muscolo si allunga, le anulospire si allontanano, il fuso registra questa variazione (tramite l'apertura di canali ionici meccano-‐dipendenti) ed aumenta la frequenza degli impulsi sensitivi verso il midollo spinale; quando il muscolo si accorcia (chiusura dei canali) la frequenza degli impulsi diminuisce. Se lo stimolo è adeguato, il potenziale di recettore può far partire il potenziale d’azione e, se questo riesce ad arrivare a soglia, il fuso neuromuscolare scarica. Questi recettori sono sensibili all'allungamento della fibra e alla sua velocità di allungamento, con un ordine del decimo di millimetro. A livello del midollo spinale i neuroni sensitivi formano sinapsi con quelli motori, quindi, quando c'è un aumento degli impulsi provenienti dal muscolo, il neurone motorio è stimolato ed invia impulsi eccitatori aumentando il tono muscolare (riflesso da stiramento), quando invece c'è una diminuzione della frequenza degli impulsi, il motoneurone viene inibito ed invia impulsi inibenti che diminuiscono il tono muscolare, favorendo il rilassamento. Nel frattempo i neuroni sensitivi inviano anche informazioni al cervello per informarlo sul posizionamento del corpo nello spazio. Possiamo quindi affermare che il fuso neuromuscolare difende l'integrità anatomica del muscolo,
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regolando la lunghezza muscolare come risposta riflessa agli stimoli esterni o "per ordine" del sistema nervoso centrale al fine di adattare la postura. Organo muscolo-‐tendineo di Golgi Si tratta di un secondo tipo di propriocettore muscolare, localizzato a livello della giunzione tra i tendini e le fibre muscolari e costituito da terminazioni nervose libere, intrecciate tra fibre di collagene all'interno di una capsula di tessuto connettivo. Diversamente dai fusi neuromuscolari, gli OTG sono posti in serie rispetto agli elementi contrattili del muscolo scheletrico (le fibre extrafusali), rispondono principalmente alla tensione sviluppata dal muscolo scheletrico durante una contrazione isometrica (in cui non c'è accorciamento muscolare) e si comportano, rispetto allo stiramento del muscolo, in modo passivo, sfuggendo al controllo dei centri nervosi. Quando il muscolo si contrae, i tendini agiscono da componente elastica e vengono stirati durante la fase isometrica della contrazione. La contrazione sottopone a una certa trazione le fibre di collagene nell'organo di Golgi, determinando una pressione sulle terminazioni sensoriali dei neuroni afferenti e causando la loro attivazione. L'attivazione dell'organo tendineo del Golgi eccita degli interneuroni inibitori nel midollo spinale, che a loro volta inibiscono i motoneuroni alfa che innervano il muscolo, quindi la contrazione muscolare diminuisce o cessa. Il riflesso tendineo esercita un effetto protettivo sul muscolo, impedendo che questo eserciti una forza eccessiva.
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ANALOGIE E DIFFERENZE TRA MUSCOLO SCHELETRICO E CARDIACO Sia il muscolo scheletrico che quello cardiaco presentano: + uguale struttura del sarcomero e di conseguenza le stesse proteine contrattili, Actina e Miosina; + troponina come complesso proteico capace di legare in modo reversibile gli ioni calcio; + reticolo sarcorcoplasmatico come fonte di calcio; + sviluppano contrazioni che sono sotto il controllo del sistema troponina-‐tropomiosina. Differenze Il muscolo scheletrico è sotto controllo del sistema nervoso somatico ( volontario), mentre il muscolo cardiaco è controllato dal sistema nervoso autonomo ( involontario ); La giunzione nervosa effettrice nel muscolo scheletrico è la giunzione neuromuscolare, nel muscolo cardiaco sono le varicosità diffuse (in analogia con il tessuto muscolare liscio); Il muscolo scheletrico non presenta nessun controllo ormonale, al contrario il muscolo cardiaco è controllato dall’ormone Adrenalina; Il muscolo scheletrico può restare in aerobiosi, seguendo la vie gli colitica e producendo acido lattico, il muscolo cardiaco segue un metabolismo esclusivamente aerobico; Contrariamente al muscolo scheletrico, le cellule del miocardio non si possono tetanizzare, ad una sistole segue sempre una diastole, il cuore lavora a scosse singole; Il potenziale d’azione a riposo, nel muscolo scheletrico è stabile a -‐70 mV, nel muscolo cardiaco il potenziale pacemaker è instabile, solitamente inizia a -‐ 60 mV. I potenziali d’azione cardiaci sono ampi e durano centinaia di millisecondi, assumendo caratteristiche diverse dai potenziali d’azione tipici del muscolo cardiaco, la cui durata è di 1-‐2 millisecondi; Nel muscolo cardiaco non si può verificare la sommazione delle contrazioni. Alcune cellule del muscolo cardiaco, concentrate nel nodo senoatriale e atrioventricolare, sono dotate di attività pacemaker. Il battito cardiaco è avviato da potenziali d'azione che originano dalle cellule pacemaker, non dipende dalla stimolazione nervosa. L'attività contrattile cardiaca viene detta miogena (il segnale dal quale si origina il battito cardiaco nasce all'interno del muscolo cardiaco), mentre l'attività contrattile del muscolo scheletrico è chiamata neurogena ( dipende dalla stimolazione nervosa). Analogie muscolo cardiaco e muscolo liscio Le cellule del muscolo cardiaco sono simili a quelle del muscolo liscio, in quanto sono collegate fra loro attraverso giunzioni comunicanti e il potenziale d’azione, una volta generato, si propaga a tutta la parete cellulare. Le cellule muscolari lisce, in alcuni casi, generano depolarizzazioni spontanee (potenziali pacemaker o potenziali ad onda lenta). I potenziali pacemaker sono costituiti da lente depolarizzazioni indotte da una o più variazioni della membrana: aumento della permeabilità al sodio o al calcio, diminuzione della permeabilità al potassio. I potenziali ad onda lenta sono costituiti da depolarizzazioni e ripolarizzazioni cicliche, dovute fluttuazioni della permeabilità al sodio.
SISTEMA NERVOSO AUTONOMO E’ definito così perché la sua attività si svolge in modo inconscio; controlla il mantenimento delle funzioni vitali, regola i processi omeostatici e interviene nei processi di memoria e apprendimento e nelle risposte emozionali. Esso innerva tutti gli organi viscerali, le cellule muscolari lisce dei vasi ematici, le ghiandole e il tessuto adiposo. Il SNA innerva la maggior parte degli organi mediante una duplice innervazione. Esso si
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divide infatti in due branche, il sistema nervoso simpatico e quello parasimpatico, che hanno effetti antagonisti e si inibiscono a vicenda. Il sistema nervoso simpatico è più attivo durante i periodi di eccitazione, di stress o di attività fisica intensa, ad esempio dando origine a reazioni di attacco o di fuga che preparano l’organismo ad affrontare situazioni di pericolo. Il sistema parasimpatico, al contrario, è più attivo durante i periodi di riposo (durante la digestione ad esempio) ed è un “immagazzinatore “ di energia.
ANATOMIA GENERALE DEL SNA
Mentre nel sistema somatico esiste una via ininterrotta che va dal corpo cellulare del neurone alle cellule effettrici, il SNA presenta invece due neuroni in serie tra il SNC e l’organo effettore che comunicano tra loro mediante sinapsi localizzate nei gangli autonomi. I primi neuroni, che connettono il SNC ai gangli, si chiamano neuroni pregangliari; quelli che collegano i gangli all’organo effettore sono detti neuroni postgangliari. In ogni ganglio si trovano quindi i terminali assonici dei neuroni pregangliari e i corpi cellulari e i dendriti dei neuroni postgangliari. Il SNA presenta una particolarità a livello della sinapsi tra i neuroni postgangliari e gli organi bersaglio. Queste sinapsi sono dette giunzioni neuroeffettrici. Gli assoni dei neuroni postgangliari non inviano i loro terminali su un numero definito di cellule, ma il neurotrasmettitore è rilasciato da molti rigonfiamenti presenti lungo gli assoni chiamati varicosità .La membrana di ogni varicosità contiene canali per il Ca2+, oltre a canali voltaggio-‐dipendenti per il Na+ e il K+ per la propagazione del potenziale d’azione. Quando questo arriva si aprono i canali per il Ca2+ il quale, entrando nel citoplasma, stimola il rilascio di neurotrasmettitore, che si trova immagazzinato in vescicole. Il neurotrasmettitore si diffonde in un’area molto ampia dell’organo bersaglio, e si lega alle cellule di tutto l’organo. Analizziamo ora in dettaglio le due divisioni del SNA.
SISTEMA NERVOSO SIMPATICO Il sistema nervoso simpatico viene attivato quando l’individuo deve mobilizzare le risorse corporee, in risposta a stati emotivi o di stress. I neuroni pregangliari del sistema nervoso simpatico sono localizzati nella porzione toraco-‐lombare del midollo spinale, e in particolare nel corno laterale della sostanza grigia. I neuroni pregangliari simpatici hanno assoni brevi e possono essere connessi a quelli postgangliari in tre diversi modi: 1)Gli assoni dei neuroni pregangliari originano nel corno laterale ed escono dalle corna ventrali del midollo spinale. Dopo che le radici dorsali e ventrali hanno formato il nervo spinale, l’assone del neurone pregangliare lascia il nervo attraverso un ramo bianco, il quale giunge in uno o più gangli simpatici paravertebrali che sono localizzati vicino al midollo spinale. In questi gangli il neurone pregangliare forma sinapsi con molti neuroni postgangliari, i cui assoni ritornano al nervo spinale attraverso una diramazione, il ramo grigio, e raggiungono gli organi effettori. I gangli simpatici paravertebrali sono connessi fra loro e formano la catena simpatica (o tronco simpatico), che decorre parallelamente ai due lati della colonna vertebrale.
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Inoltre l’assone di un neurone pregangliare invia dal ganglio simpatico molte collaterali in alto e in basso per formare sinapsi con altri neuroni postgangliari. Possiamo quindi capire che il sistema simpatico svolge un’azione generalizzata e diffusa nel nostro organismo, inducendo effetti su più organi insieme. 2)Un’altra possibile organizzazione si ha quando il neurone pregangliare forma sinapsi direttamente su tessuti endocrini. E’ il caso delle ghiandole surrenali. Lo strato interno midollare della ghiandola surrenale è costituito da “cellule cromaffini”, neuroni simpatici postgangliari modificati. Quando queste vengono stimolate rilasciano nel sangue catecolamine (adrenalina e noradrenalina), le quali viaggiando nell’organismo contribuiscono a diffondere la risposta simpatica. 3)Una terza organizzazione si verifica quando i neuroni pregangliari formano sinapsi con neuroni postgangliari nei gangli collaterali (o prevertebrali), situati tra il SNC e gli organi effettori. In questo caso i gangli collaterali non sono tra loro connessi, a differenza di quelli della catena simpatica. Sono tre: ganglio celiaco e ganglio mesenterico superiore e inferiore.
Il sistema simpatico esercita un’influenza continua sugli organi che innerva, mediante il tono simpatico, che consiste in scariche a bassa frequenza che raggiungono gli organi bersaglio attraverso le vie simpatiche. In situazioni di pericolo o di stress questa scarica viene aumentata e si attivano le risposte simpatiche (Es. reazione di attacco e fuga: dilatazione delle pupille, vasocostrizione cutanea, ispessimento della saliva, aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa).
SISTEMA PARASIMPATICO I neuroni pregangliari parasimpatici sono localizzati nel tronco dell’encefalo o nel tratto sacrale del midollo spinale. I gangli in cui i neuroni pregangliari formano sinapsi con i neuroni postgangliari sono posti in prossimità degli organi bersaglio, quindi gli assoni dei primi sono molto lunghi e terminano vicino o all’inteno degli organi effettori. Nella porzione craniale gli assoni dei neuroni pregangliari decorrono in associazione ad alcuni nervi cranici; questi sono: *nervo vago (X paio di nervi cranici) che innerva molti visceri delle cavità toracica e addominale (cuore, fegato, polmoni, stomaco, intestino tenue); *nervo oculomotore (III); *nervo facciale (VII paio di nervi); *nervo glossofaringeo (IX paio di nervi). Al contrario le fibre dei neuroni pregangliari sacrali non decorrono insieme ai nervi spinali, ma insieme ad altri nervi pregangliari parasimpatici per formare i nervi pelvici. La risposta del sistema parasimpatico è specifica, ed esso viene reclutato in situazioni di riposo e quando l’organismo necessita di immagazzinare energia.
NEUROTRASMETTITORI E RECETTORI DEL SNA
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Troviamo due tipi di neuroni: i neuroni COLINERGICI, che rilasciano ACETILCOLINA, e i recettori ADRENERGICI che rilasciano come neurotrasmettitore ADRENALINA e NORADRENALINA. Sono colinergici i neuroni pregangliari simpatici e parasimpatici e quelli postgangliari parasimpatici. I neuroni simpatici postgangliari sono quasi esclusivamente adrenergici.
RECETTORI COLINERGICI Si distinguono in: -‐NICOTINICI in questo caso l’agonista dell’Ach è la nicotina, l’antagonista è il curaro; si trovano sui corpi cellulari dei neuroni postgangliari sia simpatici che parasimpatici, sulle cellule cromaffini della midollare del surrene (le quali, in seguito al legame Ach con il recettore colinergico, rilasciano adrenalina) e sulle cellule muscolari scheletriche. Il legame tra Ach e recettore nicotinico provoca l’apertura dei canali per il Na+ e per il K+; il Na+ entra nella cellula, il K+ esce e la cellula si depolarizza . Le risposte attivate sono quindi di tipo eccitatorio. -‐MUSCARINICIl’agonista di Ach è la muscarina e sono inibiti da atropina. Sono localizzati sugli organi effettori del sistema parasimpatico (cuore, cellule muscolari lisce…). I recettori muscarinici sono accoppiati a proteine G. Le risposte possono essere sia eccitatorie che inibitorie.
RECETTORI ADRENERGICI Sono localizzati negli organi effettori del sistema simpatico. Vi sono due classi principali: -‐recettori α, divisi in α1 e α2; -‐recettori β, divisi in β1, β2 e β3. Tutti i recettori adrenergici sono accoppiati a una proteina G, e possono dare origine a risposte eccitatorie o inibitorie. I recettori α hanno generalmente maggior affinità per la noradrenalina rispetto all’adrenalina e producono effetti eccitatori; I recettori β2, al contrario, hanno maggior affinità per l’adrenalina e danno origine in genere a risposte inibitorie.
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EFFETTI DEL SISTEMA NERVOSO SIMPATICO E PARASIMPATICO A CONFRONTO: SIMPATICO PARASIMPATICO Dilatazione pupille Costrizione pupille Inibizione salivazione e suo ispessimento Stimolazione della salivazione Rilassamento bronchi Costrizione bronchi Accelerazione battito cardiaco Rallentamento battito cardiaco Inibizione stomaco, pancreas, intestino Stimolazione stomaco, pancreas, intestino Inibizione minzione Stimolazione minzione Eiaculazione Erezione Stimolazione del rilascio di adrenalina e noradrenalina da parte delle ghiandole surrenali
IL CUORE Il cuore è l’organo preposto alla funzione di spinta del sangue attraverso il torrente circolatorio. Il cuore deve funzionare in maniera sincrona, in modo da espellere la stessa quantità di sangue in circolo. Dal punto di vista anatomico è costituito da quattro camere, che funzionano a tempi prestabiliti in modo da adempiere alla funzione di pompa. I due atri disposti superiormente, essi ricevono il sangue che ritorna al cuore dai vasi venosi e lo trasferiscono alle camere sottostanti. I due ventricoli disposti inferiormente, ai quali spetta il vero e proprio compito di eiezione del sangue in circolo. I ventricoli costituiscono gran parte della massa del cuore, il ventricolo sinistro è molto più sviluppato del destro, perché in eiezione deve vincere valori
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pressori molto più elevati. Atri e ventricoli di destra e sinistra sono separati da un setto, che evita il passaggio del sangue dal cuore destro al cuore sinistro e viceversa. Il setto interatriale separa l'atrio destro da quello di sinistra; il setto interventricolare separa il ventricolo destro da quello di sinistra. La pressione delle camere varia durante il ciclo cardiaco ed è la differenza di pressione che spinge il sangue dagli atri nei ventricoli e dai ventricoli alle arterie. E' perciò molto importante che questa direzionalità del flusso stabilita dal gradiente pressorio venga mantenuta, per assolvere questa funzione il cuore possiede quattro valvole, facendo in modo che il sangue scorra secondo una precisa direzione. Le valvole atrioventricolari separano le camere atriali da quelle ventricolari, permettendo al sangue di fluire in un'unica direzione, dall'atrio al ventricolo e non viceversa. Quando la pressione atriale è più elevata di quella ventricolare, le valvole atrioventricolari sono aperte; quando la pressione ventricolare diventa più elevata di quella atriale, le valvole atrioventricolari si chiudono. Oltre alle valvole atrioventricolari, vi sono altre valvole poste tra i ventricoli e le arterie. La valvola semilunare aortica, localizzata tra il ventricolo sinistro e l'aorta, mentre la valvola semilunare polmonare si trova tra il ventricolo destro e il tronco polmonare. La funzione di queste valvole, come le valvole atrioventricolari è quella di permettere l'avanzare del flusso del sangue in un unica direzione. La valvola aortica e polmonare si aprono quando la pressione ventricolare supera quella arteriosa a valle, questo consente al sangue di fluire dai ventricoli alle arterie. Quando i ventricoli si rilasciano e la pressione ventricolare diviene più bassa della pressione arteriosa, le valvole si chiudono, evitando il reflusso del sangue dalle arterie al ventricolo. Cuore destro e cuore sinistro funzionano esattamente come due pompe collegate in serie.
LA FUNZIONE CARDIACA Durante il lavoro aerobico il consumo di O2 è l'analogo del carico lavorativo, poiché aumentando il carico lavorativo, aumenta la richiesta di O2. All'aumentare dell'esercizio fisico, aumenta la quantità di sangue richiesta diretta al muscolo e quello diretto verso gli organi progressivamente diminuisce. La gettata cardiaca è la quantità di sangue che esce dai ventricoli destro e sinistro, la quantità di sangue in uscita deve essere uguale sia per il VD e VS, se le gettate cardiache sono diverse, avviene un ristagno a livello del circolo polmonare destro e la patologia più importante è l'edema polmonare, quindi le gettate cardiache devono essere uguali, invece le pressioni tra il ventricolo destro e sinistro sono molto diverse. Le gettate cardiache variano da individuo ad individuo, dipende dalla taglia del soggetto. Per un soggetto sano di altezza 1,70 e di peso 70Kg, avrà una gettata cardiaca uguale a 5L\min, questo valore verrà modificato in maniera significativa, se il soggetto sarà giovane e allenato o meno. Per far ciò abbiamo bisogno del cuore, di una doppia pompa in grado di spingere il sangue nel circolo sistemico e nel circolo polmonare. Il sangue è un fluido reale che ha una sua viscosità, si muove in un condotto con attrito e man mano che si muove perde energia ( perde pressione ), l'energia si dissipa a causa dell'attrito. N.B: nella fisiologia cardiovascolare, tutte le pressioni sono date in relazione alla pressione atmosferica, che viene considerata uguale a zero. Così quando si dice che il sangue ha una pressione di 100 mmHg, vuol dire che è 100 mmHg al di sopra della pressione atmosferica. Scopo del sistema cardiovascolare è il mantenimento di un flusso di sangue continuo e costante attraverso i capillari, al fine di garantire il trasporto di materiali nutritivi e ( O2 ) e la rimozione delle sostanze di rifiuto e CO2.
IL SISTEMA DI CONDUZIONE
Il cuore è un sincizio funzionale vale a dire una cinetica tutta insieme, le cellule cardiache presentano dei dischi intercalari ( giunzioni comunicanti ) che collegano fibre muscolari adiacenti, la presenza dei dischi intercalari rende il cuore un sincizio funzionale, un'unica unità, che riesce ad avere una meccanica 3 1
sincronizzata. La meccanica sincronizzata di contrazione serve al muscolo cardiaco per far si che il cuore pompi adeguatamente il sangue nel sistema circolatorio, prima contraendo entrambi gli atri, poi contraendo entrambi i ventricoli, coordinando la sequenza di eccitazione delle cellule muscolari cardiache. Il cuore è doppiamente innervato dal sistema nervoso parasimpatico ( cardioacceleratore o cardiorallentatore), ma non possono generare contrazioni, bensì possono solo modificarle. Il sistema nervoso simpatico non solo aumenta la frequenza cardiaca ma aumenta anche la forza di contrazione; viceversa il sistema nervoso parasimpatico diminuisce la frequenza cardiaca e la forza di contrazione. Le contrazioni del muscolo cardiaco sono indotte da segnali che originano all'interno del muscolo stesso ( attività miogena del muscolo cardiaco ). L'autoritmicità del cuore è dovuta all'azione di diversi gruppi di cellule pacemaker, che autogenerano il proprio ritmo, avviano i potenziali d'azione e stabiliscono il ritmo cardiaco. Il battito prende origine in un sistema di autoeccitazione e conduzione specializzato, attraverso il quale raggiunge tutte le parti del miocardio. Le cellule che compongono il tessuto di eccitazione e conduzione sono miocellule che hanno perduto la capacità di sviluppare forti tensioni di contrazione a favore di una capacità di autoindurre e velocemente condurre potenziali d’azione. Perché il cuore abbia una funzione di pompa, bisogna che siano presenti tre tessuti: 1-‐ Le cellule Pacemaker o tessuto nodale, le cellule pacemaker, cellule specializzate che danno luogo spontaneamente ai potenziali d'azione, attraverso la loro scarica regolare di potenziali d'azione, fissano il ritmo cardiaco. Esse si trovano concentrate nel nodo senoatriale (parte superiore dell'atrio destro) e nel nodo atrioventricolare (vicino alla valvola semilunare polmonare). Il nodo senoatriale è definito come tessuto aviatore primario ( o pacemaker o segnapassi primario ), in quanto in condizioni fisiologiche ( quando il ritmo cardiaco è definito ritmo sinusale )è da tale gruppo di cellule che viene determinato il ritmo cardiaco, poiché la velocità con cui in esse si autogenerano potenziali d’azione è più elevata di quella di qualsiasi altra struttura del sistema. Il nodo atrioventricolare è invece definito aviatore secondario poiché se insorgono problemi di genesi di impulsi a livello del nodo senoatriale tale gruppo di tale gruppo di cellule subentra come induttore del ritmo cardiaco e il cuore può continuare a contrarsi anche se con frequenza inferiore ( ritmo nodale ). Sia il nodo senoatriale che il nodo atrioventricolare sono entrambi capaci di generare spontaneamente un potenziale d'azione, sebbene il battito cardiaco è quasi sempre attivato dal nodo senoatriale, per due ragioni: Le frequenze di scarica spontanea delle cellule del nodo senoatriale e del nodo atrioventricolare sono diverse. Le prime hanno un'attività spontanea intrinseca più elevata delle seconde (circa 70 impulsi/min per il nodo SA, contro i 50 impulsi/min per il nodo AV, in una condizione di riposo), poiché i due nodi sono connessi fra loro da tessuto di conduzione, è il nodo senoatriale ad attivare la scarica nel nodo atrioventricolare e quindi a tutto il cuore, stabilendone il ritmo. Un altro motivo sta nel fatto che i potenziali d'azione generati nel nodo senoatriale, prima di arrivare nei ventricoli, passano attraverso il nodo atrioventricolare, facendo entrare le sue cellule nel periodo refrattario, non permettendogli di dare origine ad un potenziale d'azione. 2-‐ il tessuto di conduzione (fibrocellule del sistema di conduzione), conduce in modo privilegiato e velocemente, attraverso il miocardio, il treno di potenziali d'azione, originatasi a livello del tessuto nodale, lungo tutto il cuore in maniera estremamente coordinata, i potenziali d'azione nella maggior parte delle fibre del muscolo cardiaco viaggiano ad una velocità di 0,3-‐0,5 m/s. Il fascio di His: fascio di fibre che decorre tra i due ventricoli, veicolando l'impulso alla periferia.
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Dopo un breve percorso nel setto interatriale si divide in branca di destra e branca di sinistra. Tali branche sono poste al di sotto dell’endocardio e si dirigono verso l'apice corrispondente del ventricolo, vi girano attorno e ritornano alla base del cuore. In tutto il loro percorso le branche danno origine alle fibre di Purkinje. Sistema di Purkinje ( Fibre di Purkinje ) : sono fibre che originano dalle branche del fascio di His e che penetrano nella massa muscolare della fascia endocardica formando una struttura simile ad una rete. 3-‐ il tessuto muscolare (miocardio), azione di pompa, contrazione. Le strutture del sistema di conduzione, non sono capaci di sviluppare una valida contrazione, ma sono invece in grado di generare e condurre un potenziale d'azione attraverso il cuore. Ad una adeguata e sincrona contrattilità provvedono le altre fibre del tessuto muscolare cardiaco (miocardio). I potenziali d'azione generati dalle cellule pacemaker, si devono propagare rapidamente attraverso le fibre di conduzione, per coordinare la diffusione dell'eccitazione. Il sistema di conduzione provoca un'onda di eccitazione, che va per prima nella direzione degli atri causando la loro depolarizzazione e la loro contrazione unitaria per poi passare ai ventricoli causandone la depolarizzazione e la contrazione. La rapida trasmissione dei potenziali d'azione dalle cellule pacemaker alle fibre di conduzione e alle cellule contrattili è possibile perché tutte le cellule muscolari cardiache sono collegate fra loro attraverso delle giunzioni comunicanti, dischi intercalari, che collegano fibre muscolari adiacenti.
VELOCITA' DI CONDUZIONE La depolarizzazione iniziata nel nodo SA, si propaga alla velocità di circa 0.05 m\s, per diffondere attraverso i due atri con una velocità di circa 1-‐ 1.2 m/s. La depolarizzazione atriale si completa normalmente in 0.1 sec. Mediante le tre vie internodali gli impulsi raggiungono il nodo AV, ed è in questo momento che rallenta la la velocità di conduzione, che viene rallentata di 0,1 sec , in modo che gli atri si contraggono completamente prima che l'impulso raggiunga i ventricoli. Questo ritardo è abbreviato dalla stimolazione del simpatico cardiaco ed è allungato dalla stimolazione dei vaghi, ( che veicolano la stimolazione parasimpatica ). Attraversato il nodo AV gli impulsi raggiungono il fascio di His. Nel fascio di His, a livello del setto interventricolare, il segnale eccitatorio si propaga con velocità pari a 1.2 m/sec. I segnali viaggiano per un breve tratto nel fascio di His, infatti esso si divide nella di branche del fascio di destra e di sinistra, che conducono l'impulso rispettivamente all'atrio destro e a quello sinistro, la velocità dell’onda di eccitamento raggiunge i 2m/s. Dalle due branche, gli impulsi viaggiano attraverso una rete di fibre del Purkinje, attraverso le quali l'impulso si propaga in maniera sincrona alla muscolatura di tutti e due ventricoli, facendoli contrarre simultaneamente, la velocità di conduzione rallenta proporzionalmente al diametro delle fibre stesse. Dalla sommità del setto l’onda di depolarizzazione si propaga così rapidamente a tutte le fibre dei ventricoli, in 0.08-‐0.1 sec. Il nodo SA ha una ritmicità intrinseca di 70-‐75 impulsi / minuto. Se, il nodo SA non riesce a generare l'impulso, tale attività è assunta dal nodo AV, o dalle fibre di Purkinje, le altre strutture del cuore specializzate nella conduzione dell'impulso. Infatti sia il nodo SA che il nodo AV sono entrambi capaci di generare spontaneamente un potenziale d'azione, sebbene il battito cardiaco è quasi sempre attivato dal nodo SA, per due ragioni: Le frequenze di scarica spontanea delle cellule del nodo SA e del nodo AV sono diverse. Le prime hanno un'attività spontanea intrinseca più elevata delle seconde (circa 70-‐75 impulsi/min per il nodo SA, contro i 50 impulsi/min per il nodo AV, in una condizione di riposo), poiché i due nodi sono connessi fra loro da tessuto di conduzione, è il nodo senoatriale ad attivare la scarica nel nodo atrioventricolare e quindi a tutto
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il cuore, stabilendone il ritmo. Un altro motivo sta nel fatto che i potenziali d'azione generati nel nodo senoatriale, prima di arrivare nei ventricoli, passano attraverso il nodo atrioventricolare, facendo entrare le sue cellule nel periodo refrattario, non permettendogli di dare origine ad un potenziale d'azione. Principali tappe della conduzione del segnale: 1) Attivazione del nodo SA 2) Eccitazione atriale 3) Eccitazione del nodo AV ( con ritardo atrio-‐ventricolare) 4) Eccitazione del fascio di His 5) Attivazione del setto interventricolare ( da sinistra verso destra ) 6) Attivazione dell’apice 7) Attivazione delle pareti ventricolari 8) Attivazione della base ventricolare (l’ultima parte ad essere attivata è la parete postero basale del ventricolo). La depolarizzazione delle pareti ventricolari procede dall’endocardio verso l’epicardio, al contrario la ripolarizzazione procede dall'epicardio all'endocardio. Quindi le ultime regioni a depolarizzarsi sono le prime a ripristinare il loro potenziale di membrana a riposo.
ATTIVITA' ELETTRICA DELLE CELLULE PACEMAKER Come abbiamo detto la cellula pacemaker è in grado di originare spontaneamente il potenziale d'azione, perché? La cellula pacemaker non riesce a mantenere stabile il proprio potenziale d'azione e, subito dopo che l'ha generato la cellula pacemaker inizia lentamente a depolarizzarsi e continua a farlo fintanto che il suo potenziale di membrana raggiunge la soglia innescando un altro potenziale d'azione. Quindi il potenziale d'azione ritorna a circa -‐60mV ed a -‐70mV inizia un'altra depolarizzazione spontanea, fino a che non nasce un altro potenziale d'azione. Gli eventi elettrici, come accade in altre cellule, sono provocati da modificazioni della permeabilità della membrana plasmatica agli ioni, causate dall'apertura e dalla chiusura di specifici canali ionici. Nelle cellule del muscolo cardiaco, le variazioni più rilavanti riguardo la permeabilità coinvolgono gli ioni sodio, potassio e gli ioni calcio. Al pari di tutte le altre cellule eccitabili dell’organismo, le cellule cardiache hanno una concentrazione ionica simile (liquido intracellulare ricco di ioni potassio ma povero di sodio e calcio rispetto al liquido extracellulare).Sodio e calcio hanno invece concentrazioni opposte. Un aumento della permeabilità per il sodio e per il calcio tende a rendere il potenziale di membrana più positivo, mentre un aumento della permeabilità per il potassio tende a farlo divenire più negativo. Il comportamento elettrico delle cellule cardiache è completamente diverso da quello delle cellule nervose e delle altre cellule muscolari ( lisce e scheletriche). In genere la durata dei potenziali d'azione è prolungata rispetto quella che si ha nelle altre cellule muscolari o nervose, a causa di una fase cosiddetta di ''plateau'' che rallenta le ripolarizzazione della membrana dopo il raggiungimento del picco del potenziale d'azione. Nel cuore si registrano due principali tipi di potenziali d’azione: -‐ una risposta lenta → si registra nel nodo senoatriale ( SA ) e nel nodo atrioventricolare ( NA ). Le polarizzazioni lente che conducono a ciascun potenziale d'azione sono dette potenziali pacemaker -‐ una risposta rapida → si registra nelle fibre del miocardio atriale e ventricolare e nelle fibre specializzate alla conduzione ( es. fibre di Purkinje ). Nelle cellule pacemaker, la depolarizzione lenta e spontanea e il successivo potenziale d'azione sono
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generati dalla variazione della permeabilità della membrana al potassio (Pk), sodio (PNa) e calcio (PCa). Un aumento della permeabilità al sodio e al calcio, tende a rendere il potenziale di membrana più positivo, mentre un aumento della permeabilità al potassio tende a farlo divenire più negativo.
1-‐ POTENZIALE PACEMAKER (depolarizzazione lenta e spontanea) da -‐60 mV a -‐50 mV valore soglia. -‐ nella fase iniziale della depolarizzazione lenta, il potenziale pacemaker è causato dalla chiusura dei canali per il potassio e all'apertura dei "canali funny", quindi il movimento di potassio fuori dalle cellule diminuisce, mentre il movimento del sodio verso l'interno della cellula aumenta. Quindi la permeabilità della membrana al potassio diminuisce e aumenta la permeabilità al sodio. 2-‐ DEPOLARIZZAZIONE RAPIDA -‐ la depolarizzazione iniziale lenta attiva l'apertura dei canali voltaggio-‐dipendenti (canali di tipo T) per il calcio, causando l'aumento della sua permeabilità, il che depolarizza ulteriormente. I canali di tipo T rimangono aperti per un tempo breve per poi inattivarsi, la depolarizzazione risultante causa l'apertura di altri canali voltaggio-‐dipendenti per il calcio (canali di tipo L), che rimangono aperti per più tempo e si inattivano lentamente. Il risultato sarà un grosso aumento della permeabilità del calcio, il che accelera la depolarizzazione che genera la fase ascendente del potenziale d'azione. Se si bloccano i canali per il calcio si riduce sia l'ampiezza che la pendenza del potenziale d'azione delle cellule pacemaker del nodo SA. 3-‐ la depolarizzazione rapida consente l'apertura dei canali per il potassio e il suo conseguente aumento della permeabilità, che avviene subito dopo l'aumento della permeabilità del calcio, riportando il potenziale di membrana verso il valore di riposo, attraverso l'inibizione dello stimolo per l'apertura dei canali per il calcio, riducendo quindi la sua permeabilità, e diminuisce il flusso di calcio all'interno della cellula. L'aumento della permeabilità per il potassio, induce la ripolarizzazione della membrana, terminando il potenziale d'azione.
ATTIVITA' ELETTRICA DELLE CELLULE CARDIACHE CONTRATTILI (risposta rapida)
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Fase 0: apertura canali del sodio → ingresso degli ioni sodio La rapida depolarizzazione che ha luogo durante la fase 0 è dovuta sostanzialmente all'apertura dei canali per il sodio voltaggio-‐dipendenti, quindi all'aumento della permeabilità per il sodio ed al conseguente flusso di ioni sodio nella cellula. Quindi il potenziale di membrana passa da -‐ 90mV a -‐65mV, il potenziale di membrana diventa più positivo e induce l'apertura di molti canali per il sodio, causando un ulteriore aumento della permeabilità per il sodio, aumentando la depolarizzazione e causando il meccanismo autorigenerativo che caratterizza la fase rapida del potenziale d'azione. Fase 1: prima lieve ripolarizzazione-‐ inattivazione canali per il sodio → diminuzione del movimento in ingresso degli ioni sodio. I canali per il sodio iniziano a inattivarsi, riducendo la permeabilità al sodio, questo fa diminuire il flusso di sodio nella cellula e porta il potenziale d'azione verso valori più negativi. Il potenziale di membrana è lieve, il mantenimento della depolarizzazione è causato da due eventi addizionali che contrastano l'effetto di inattivazione dei canali per il sodio: la chiusura dei canali voltaggio-‐dipendenti per il potassio che riduce la permeabilità al potassio e il flusso di potassio in uscita dalla cellula e dalla apertura dei canali per il calcio voltaggio-‐dipendenti (tipo L) che innalzano la permeabilità per il calcio e aumentano il calcio in entrata nella cellula. Fase 2: fase plateau-‐ canali potassio chiusi → diminuzione del movimento in uscita di ioni potassio apertura canali del calcio → ingresso di ioni calcio Durante la fase di plateau del potenziale d'azione si verifica l'entrata di calcio nella cellula. I canali voltaggio-‐dipendenti per il potassio che erano chiusi nella fase 1 restano chiusi e la permeabilità per il potassio rimane più bassa rispetto ai suoi valori di riposo e la maggior parte dei canali per il calcio che erano aperti nella fase 1 rimane aperta, e la permeabilità al calcio rimane elevata. La bassa permeabilità per il potassio e la elevata permeabilità per il calcio contribuiscono a mantenere la membrana nello stato di depolarizzazione. Fase 3: ripolarizzazione finale-‐ canali rettificanti tardivi del potassio aperti → fuoriuscita di ioni potassio chiusura dei canali del calcio tipo L → diminuzione dell'ingresso di ioni Ca La permeabilità al potassio aumenta a causa dei canali rettificanti tardivi, questi canali iniziano ad aprirsi nella fase 1 e 2, ma non esercitano una influenza significativa sul potenziale di membrana fino alla fase 3 perchè si aprono lentamente. La ripolarizzazione finale ha inizio quando l'uscita delle cariche positive come ioni potassio non è più controbilanciata da cariche positive come ioni calcio in entrata. 3 6
Fase 4: ripristino delle concentrazioni ioniche, che corrisponde al potenziale di riposo -‐apertura di canili per il potassio di entrambe i tipi → fuoriuscita di ioni potassio -‐canali del sodio e del potassio ancora chiusi → ingresso di pochi ioni sodio e pochi ioni calcio. In questa condizione, la permeabilità per il potassio è più alta di quella del sodio e del calcio e di conseguenza il potenziale di membrana a riposo è vicino al potenziale di equilibrio del potassio, circa -‐90mV. DIFFERENZA DEL COMPORTAMENTO TRA FIBRE A RISPOSTA LENTA E RAPIDA 1-‐ nelle fibre a risposta lenta la fase 0 è meno veloce e molto meno ripida; 2-‐ il plateau è meno ripido e meno prolungato e la fase di transizione dal plateau alla ripolarizzazione è meno distinguibile; 3-‐ la fase 1 è assente.
EVENTI MECCANICI DEL CICLO CARDIACO
Comprende tutti gli eventi meccanici che si svolgono ad ogni battito cardiaco, un ciclo completo comprende sia la contrazione ventricolare che il rilasciamento ventricolare. Gli eventi meccanici sono: -‐ sistole atriale, contrazione di entrambi gli atri; -‐ diastole atriale, rilasciamento di entrambi gli atri; -‐ sistole ventricolare, contrazione di entrambi i ventricoli; -‐ diastole ventricolare, rilasciamento di entrambi i ventricoli. Dapprima si contraggono simultaneamente i due atri, e poi mentre questi si rilasciano, si contraggono simultaneamente i due ventricoli, così facendo il muscolo non si contrae mai completamente. 1-‐ FASE DI RIEMPIMENTO VENTRICOLARE ( atri e ventricoli sono completamente rilasciati ) Quando il sangue ritorna al cuore attraverso le vene sistemiche e le vene polmonari entra negli atri rilasciati, passa attraverso le valvole AV aperte raggiungendo i ventricoli grazie alla propria pressione ( maggiore quella atriale, minore quella ventricolare ). Durante il riempimento ventricolare le valvole semilunari aortiche e polmonari sono chiuse perché la pressione ventricolare è più basse di quella che si trova in aorta e arterie polmonari. Alla fine della diastole, i due atri si contraggono e la forza di contrazione spinge il sangue attraverso le valvole AV aperte all'interno dei due ventricoli. Dopo gli atri si rilasciano ed inizia la sistole. 3 7
2-‐ FASE DI CONTRAZIONE ISOVOLUMETRICA I ventricoli si contraggono aumentando la pressione interna. Quando la pressione ventricolare supera quella atriale, le valvole AV si chiudono e le valvole semilunari restano anch'esse chiuse perché la pressione ventricolare non è ancora abbastanza alta per causarne l'apertura. ( Tutte le valvole sono chiuse ). 3-‐ FASE DI EIEZIONE VENTRICOLARE Quando la contrazione ventricolare è sufficientemente grande da forzare l'apertura delle valvole semilunari, il sangue viene spinto con forza in circolo ( sistemico attraverso l'aorta e polmonare attraverso l'arteria polmonare). La pressione ventricolare raggiunge il picco massimo e inizia poi a diminuire. Questa fase può essere divisa in due fasi: 1-‐ fase di eiezione rapida: durante la quale il flusso ematico violento arriva ai sistemi arteriosi, caratterizzata da una elevata pressione ventricolare e aortica; 2-‐ fase di eiezione ridotta: nella quale il volume ventricolare si riduce meno rapidamente. Il volume residuo è la quantità di sangue che al termine della eiezione resta nel ventricolo. 4-‐ RILASCIAMENTO ISOVOLUMETRICO (DIASTOLE) Tutte le valvole sono chiuse. Le valvole semilunari si chiudono dopo l'eiezione, per evitare il reflusso del sangue nei ventricoli, mentre le valvole atrioventricolari sono chiuse poiché la pressione degli atri non supera quella dei ventricoli che si stanno rilasciando. Questa fase è chiamata rilasciamento isovolumetrico perché la pressione dei ventricoli diminuisce ma non diminuisce il suo volume. Una volta che la pressione ventricolare diviene abbastanza bassa da consentire alle valvole AV di aprirsi, altro sangue fluirà dagli atri nei ventricoli e riprende di nuovo il ciclo. RELAZIONE PRESSIONE E VOLUME NEL VENTRICOLO All'inizio della diastole nella camera ventricolare si ha il riempimento ad una pressione di circa 10 mmHg, con il progressivo rilasciamento e distensione tale pressione diminuisce, nonostante l'afflusso di sangue. A metà diastole (fase1) la pressione rimane molto bassa fino alla fine della fase, quando si verifica un piccolo ma repentino aumento, questo aumento è dovuto alla contrazione atriale. L'aumento del volume provoca l'aumento della pressione ventricolare. Durante la contrazione isovolumetrica si ha un rapido incremento della pressione senza variazione del volume ventricolare. A seguito della apertura della valvola semilunare aortica, e durante la prima fase di eiezione (rapida) si nota
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una diminuzione del volume unita ad un rapido incremento della pressione interventricolare, seguita da una più lenta diminuzione del volume e della pressione. Dopo la chiusura della valvola semilunare aortica si ha una brusca diminuzione del volume e della pressione interventricolare, senza variazione del volume, poiché tutte le valvole sono chiuse.
ECG L’ECG, acronimo di ElettroCardioGramma, è un esame diagnostico non invasivo che registra l’attività elettrica del cuore.
Basi fisiche ecg
Il cuore è in grado di generare differenze di potenziale a livello di tre strutture: Il nodo SenoAtriale (SA), il nodo AtrioVentricolare (AV) e il fascio di His. Per studiare la genesi e la conduzione di questo stimolo elettrico è però necessario adottare alcune convenzioni; una convenzione è un insieme di regole generalmente accettate o standard a cui la comunità scientifica fa riferimento, con lo scopo di rendere uniformi le misure e le conclusioni tratte. La prima convenzione è considerare il cuore come un dipolo elettrico, ossia un sistema composto da due cariche elettriche uguali e opposte di segno, separate da un fronte di carica neutro. È uno dei più semplici sistemi di cariche che rappresenta il modello base del campo generato da un insieme di cariche globalmente neutro. Tra queste due cariche si genera un campo elettrostatico, il cui modulo diminuisce con il quadrato della distanza tra le due cariche. Osservando il campo generatosi è possibile individuare delle linee di campo, che delimitano zone ad uguale potenziale elettrico. La registrazione dell’ECG è effettuata tramite due elettrodi elettricamente neutri, in grado di registrare differenze di potenziale. In pratica, se entrambi gli elettrodi fossero inseriti tra due linee di campo il potenziale registrato risulterebbe nullo. Il cuore è però un dipolo elettrico dinamico, in quanto l’onda di depolarizzazione compie un percorso specifico nel cuore; per questo motivo le linee di campo continueranno a cambiare, e conseguentemente la differenza di potenziale registrata dai due elettrodi. La seconda convenzione riguarda la direzione delle linee di campo (chiamati anche vettori di campo); la corrente infatti è definita un flusso di elettroni dal polo positivo (indicato con il segno +) al polo negativo (indicato con il segno -‐). La terza convenzione riguarda gli elettrodi, che vengono chiamati rispettivamente elettrodo registrante (+, detto così perché positivo se il fronte di depolarizzazione di avvicina) ed elettrodo di riferimento (-‐, perché negativo se il fronte di depolarizzazione di avvicina). Questa convenzione influenza anche il comportamento della deflessione grafica: se l’onda di depolarizzazione si avvicina, allora l’onda sarà positiva, altrimenti il contrario; per la ripolarizzazione i segni registrati saranno invertiti: un’onda di ripolarizzazione se si avvicina sarà negativa. Grazie a tutte queste convenzioni è possibile “leggere” sul tracciato ECG la fisiologia elettrica cardiaca: • Negli atri depolarizzazione e ripolarizzazione vanno nello stesso senso, ossia le prime cellule che si depolarizzando sono le prime che si ripolarizzano; nel tracciato ECG infatti l’onda P (l’onda di depolarizzazione atriale) e l’onda Ta (onda di ripolarizzazione atriale, mascherata dall’onda R) hanno segno opposto (ricordando che per convenzione una onda di depolarizzazione è positiva se si avvicina al polo positivo e un’onda di ripolarizzazione è negativa); • Nei ventricoli si ha una situazione opposta, le ultime cellule che si depolarizzano sono le prime che si ripolarizzano; nel tracciato ECG infatti l’onda R (l’onda di depolarizzazione ventricolare) e l’onda T (onda di ripolarizzazione ventricolare) hanno uguale segno (ricordando che per convenzione una onda di depolarizzazione è positiva se si avvicina al polo positivo e un’onda di ripolarizzazione è positiva se si allontana dal polo positivo); Il triangolo di Einthoven Il triangolo di Einthoven deve il suo nome al fisiologo tedesco Willem Einthoven, che ne teorizzò e ne descrisse le caratteristiche durante i primi anni del 1900.
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Si consideri un uomo con le braccia e le gambe estese e si individui un triangolo equilatero, dove i vertici sono costituiti rispettivamente dai due polsi e dalle caviglie unite. Tramite l’apposizione di due elettrodi registranti neutri su due di questi vertici è possibile quantificare lo stimolo elettrico che permette la genesi del ciclo cardiaco, tramite proiezione della forza elettrica (considerato un vettore) su un lato del suddetto triangolo. Alla caviglia destra è posta una messa a terra, con lo scopo di eliminare le correnti elettriche minori o esogene, per migliorare la chiarezza del segnale. Il cuore è assimilato ad un solo punto, chiamato punto O e gli arti sono considerati resistenze di pari valore. La macchina registrante è un galvanometro, ossia un voltmetro in serie ad un circuito di amplificazione, che permette di registrare differenze di potenziale dell’ordine del mV; Il galvanometro è collegato ad una piccola punta scrivente, su cui scorre della carta millimetrata a velocità costante. La registrazione consiste nello studio delle tre diverse combinazioni dei tre punti, dette derivazioni: • Prima derivazione I: dal polso sinistro, considerato registrante al polso destro; • Seconda derivazione II: dalla caviglia sinistra, registrante, al polso destro; • Terza derivazione III: dalla caviglia sinistra, registrante, al polso sinistro. Einthoven decise di studiare tre derivazioni poiché la registrazione del tracciato non è lato-‐specifico, ossia non fa alcuna distinzione tra lato dx e lato sx; poiché la derivazione II e III sono invece laterali, lo studio della prima derivazione permette di diagnosticare anomalie elettriche, lo studio della seconda e della terza permettono di individuare su quale lato del cuore si trova l’anomalia elettrica. Poiché Einthoven utilizzava due elettrodi per analizzare i cambiamenti di differenza di potenziale nel cuore si danno alle sue derivazioni il nome di derivazioni bipolari. Nel corso degli anni, grazie a studi più approfonditi si è arrivati a studiare dodici derivazioni, di cui tre originali di Einthoven, 3 di Goldberg e sei di Wilson (dette precordiali). Queste ultime nove derivazioni sono dette derivazioni unipolari, poiché un elettrodo registrante è incluso nella macchina ECG. Struttura del tracciato ECG
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Il grafico ECG è composto da una successione di 5 onde, P-‐Q-‐R-‐S-‐T. Il complesso di queste cinque onde dura circa 0,8 secondi (la durata di un ciclo cardiaco). Del tracciato ECG si studiano: • La presenza e la forma delle cinque onde PQRST; • La presenza di un complesso (un insieme di più onde), il complesso QRS; • L’intervallo, ossia la distanza che intercorre tra due onde. L’intervallo R-‐R viene utilizzato per misurare la frequenza di scarica cardiaca, considerando la velocità della carta di 25 mm/s. Accoppiamento ECG-‐Cuore Ogni onda nel tracciato ECG registra una ben determinata attività cardiaca nel cuore: • Onda P: L’onda è generata dalla depolarizzazione atriale; • Complesso QRS: Questo insieme di onde è generato dalla contemporanea ripolarizzazione atriale (parte Q-‐R e parte R-‐S) e dalla scarica di depolarizzazione ventricolare (onda R); • Onda T: Depolarizzazione atriale. Curiosità Perché Einthoven dette il nome PQRST alle onde? L’ipotesi più probabile è che abbia voluto usare la stessa convenzione usata da Cartesio nelle sue dimostrazioni geometriche; come prima lettera Cartesio usava P, perché individuava il primo punto, e gli altri punti venivano individuati in ordine alfabetico: Q, R ed S.
LA LUCE (Parte di fisica) La luce è definita come radiazione elettromagnetica, cioè un fenomeno ondulatorio di propagazione di energia che si manifesta con un campo elettrico ed un campo magnetico, oscillanti in piani ortogonali tra loro. Essa ha quindi determinate caratteristiche tipiche delle onde: la lunghezza d’onda, l’ampiezza, il periodo, la frequenza. La lunghezza d’onda e la frequenza sono grandezze inversamente proporzionali, quindi al variare della frequenza, ossia della lunghezza d’onda, le radiazioni presentano caratteristiche differenti. Solo le radiazioni da lunghezza d’onda compresa nell’intervallo tra 400nm e 700nm stimolano la retina dell’occhio umano, producendo la sensazione visiva; tale intervallo è detto campo del visibile rappresentato dalla gamma di colori presenti nell’arcobaleno. Poco al di sotto di questo intervallo troviamo l’infrarosso (da 10^12 Hz a 4.3*10^14 Hz), possiamo percepire queste onde come calore sulla cute ma non siamo in grado di vederle. Al di sopra del campo del visibile si trova la luce ultravioletta o raggi UV (7.5*10^14 Hz a 10^17 Hz). Una particolarità di questo tipo di onda è che trattandosi di energia elettromagnetica, a differenza dell’onda sonora, essa si può propagare anche nel vuoto. Inoltre la velocità della luce, che è massima nel vuoto e vale 300 000 km/s, diminuisce quando l’onda incide un mezzo più rarefatto per poi passare ad un uno più denso. Come per il suono valgono due leggi importanti per la comprensione di questo fenomeno: rifrazione e riflessione. La prima avviene quando un raggio luminoso attraversa due mezzi aventi proprietà fisico-‐ chimiche differenti: se un raggio che proviene dall’aria incontra una superficie come l’acqua esso passa attraverso il mezzo in linea retta se incide perpendicolarmente sulla superficie di separazione, mentre il raggio modifica la sua inclinazione e quindi si rifrange se incide in modo obliquo sulla superficie. L’indice di rifrazione assoluto di un mezzo è il rapporto della velocità della luce nel mezzo, rispetto alla velocità nel vuoto, al quale si attribuisce indice di rifrazione n = 1; ad esempio l’indice di rifrazione dell’acqua rispetto all’aria è 1.33, un valore superiore ad 1 significa che l’acqua ha un potere di rifrazione maggiore di quello dell’aria e che quindi l’angolo di incidenza iniziale è maggiore di quello di rifrazione. Questo fenomeno è illustrato dalla legge di Snell: nel passaggio da un mezzo meno rifrangente (aria) ad uno più rifrangente (acqua) la velocità di propagazione del raggio luminoso diminuisce. Quest’ultimo viene deviato di un angolo di rifrazione (r, nel disegno) che rispetto all’angolo di incidenza (i) si avvicina alla normale.
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Mentre secondo la legge della riflessione il raggio luminoso incidente (parte sinistra del disegno) su una superficie liscia, la normale e il raggio riflesso (freccia tratteggiata) sono complanari; inoltre l’angolo di incidenza e di riflessione sono congruenti.
ANATOMIA DELL’OCCHIO
La struttura principale dell’apparato della vista è l’occhio, organo pari e simmetrico posto nella regione anteriore del capo. Esso ha una forma a sfera e sono riconoscibili tre diversi strati: lo strato più esterno è composto dalla sclera e dalla cornea. La sclera è una consistente membrana di tessuto connettivo che forma la cosiddetta “parte bianca” dell’occhio; essa ha il compito di mantenere la forma della struttura e dare attacco ai tendini dei muscoli. Anteriormente la sclera dà origine alla cornea, una lamina trasparente che permette alla luce di penetrare all’interno dell’occhio; essa è priva di vasi ma ricca di innervazioni sensitive. Lo strato intermedio è costituito dalla coroide, dal corpo ciliare e dall’iride. La prima è unita alla sclera ed è ricca di vasi con lo scopo di nutrire l’intero bulbo oculare, inoltre essa include i fotorecettori. Il corpo ciliare contiene sottili filamenti, cioè i muscoli ciliari, che vanno ad inserirsi sul cristallino attraverso dei tendini chiamati fibre della zonula. Infine l’iride è la parte anteriore di questo strato ed è formata da cellule muscolari pigmentate, che determinano il colore degli occhi. Al centro, essa presenta un foro chiamato pupilla il cui diametro si modifica a seconda delle condizioni di luminosità; infatti il ruolo della pupilla è quello di far penetrare una giusta quantità di luce nella parte posteriore dell’occhio. Lo strato più interno è rappresentato dalla retina formata da 10 strati di tessuto nervoso all’interno del quale vi sono cellule maggiormente specializzate nella trasduzione dello stimolo luminoso chiamate fotorecettori; quest’ultimi sono di due tipi: coni, i quali sono sensibili a diverse lunghezze d’onda e
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permettono la discriminazione dei colori, i bastoncelli responsabili della visione crepuscolare. In particolare due zone della retina hanno un ruolo importante, la fovea: una depressione circolare che rappresenta il punto centrale dove il raggio luminoso si dirige. L’altra area è il disco ottico è la parte attraversata dal nervo ottico e dai vasi sanguiferi, essa è quindi priva di fotorecettori costituisce perciò un punto cieco detto appunto macchia cieca. Nella parte esterna della retina si trova l’epitelio pigmentoso, esso possiede un’alta concentrazione di melanina con il compito di assorbire tutti i raggi luminosi non assorbiti in precedenza dai recettori impedendone la diffrazione. Il cristallino è una lente convergente a potere variabile di 59 diottrie situata posteriormente all’iride, esso focalizza i raggi luminosi sulla retina grazie all’azione di due muscoli ciliari, i quali possono avere diversi gradi di contrazione. Quindi il cristallino agisce da lente addizionale per la visione degli oggetti vicini (come già detto in questo ambito si considerano oggetti vicini quelli posti a meno di 6 metri dall’osservatore), infatti senza l’aiuto di esso l’immagine naturalmente si verrebbe a formare posteriormente alla retina ottenendo così un’immagine sfocata; quest’ultimo fatto è lo stimolo adeguato affinché avvenga il riflesso di accomodazione, cioè se l’immagine risulta essere fuori fuoco i muscoli ciliari si contraggono causando la diminuzione di tensione delle fibre della zonula rendono il cristallino più convergente permettendo così all’immagine di formarsi sulla retina. Questo riflesso è sotto il controllo del sistema nervoso parasimpatico, in assenza di esso i muscoli ciliari si rilasciano e quindi le fibre zonulari sono tese e la curvatura del cristallino è ridotta. Oltre ai tre diversi strati sopra citati nell’occhio si possono riconoscere due camere suddivise dal cristallino e dal corpo ciliare. Davanti a queste ultime strutture si trova il segmento anteriore contenente l’umor acqueo, un liquido che fornisce nutrienti alla cornea e al cristallino. Posteriormente invece troviamo il segmento posteriore che contiene l’umor vitreo, una sostanza gelatinosa che aiuta a mantenere la forma sferica dell’occhio. Insieme all’occhio hanno un ruolo importante determinate strutture esterne come la palpebra, la sclera e la congiuntiva, che appunto proteggono il bulbo oculare; inoltre l’umor acqueo e il cristallino filtrano le radiazioni infrarosse mentre la cornea quelle ultraviolette.
APPARATO UDITIVO Prima di tutto è necessario specificare le funzioni di questo apparato che sono la necessità di riconoscere il segnale sonoro e altrettanto importante funzione è la localizzazione di esso. Una delle caratteristiche che accumuna apparato uditivo e quello visivo è la crescente complessità dei recettori ed inoltre quest’ultimi si trovano lontani dallo stimolo che incide sulla superficie (si trovano nella coclea). Vi è il problema della significatività dello stimolo (soprattutto in termini di intensità), in particolare avviene un cambio di mezzo tra l’arrivo dello stimolo e la trasduzione recettoriale (orecchio medio ha la funziona di amplificare). Un ‘onda è un fenomeno periodico di perturbazione che si propaga con una velocità definita, inoltre si possono distinguere onde di tipo trasversale quando le particelle vibrano in direzione perpendicolare al moto dell’onda e onde longitudinali quando le particelle del mezzo oscillano lungo la stessa direzione del moto dell’onda. La luce è un’onda elettromagnetica, formata da due campi perpendicolari tra loro; grazie a questa sua caratteristica le onde luminose possono propagarsi anche nel vuoto. Il suono, invece, è un’onda elastica longitudinale e perciò necessita di un mezzo per propagarsi; infatti è l’oscillazione delle molecole del mezzo che determina la propagazione del suono[onda sonora è una compressione o una rarefazione delle molecole del mezzo]. Inoltre la propagazione dell’onda sonora non comporta trasporto di materia infatti sono le particelle del mezzo che oscillano intorno alla loro posizione di equilibrio. L’onda si allontana dalla sorgente con una velocità che dipende da alcune caratteristiche del mezzo di propagazione, come ad esempio la densità, la temperatura ma soprattutto la comprimibilità adiabatica, infatti a seconda del materiale c’è bisogno di una maggiore o minore energia. Nel caso più specifico dell’apparato uditivo si ha a livello dell’orecchio medio e interno il passaggio da aria (nel primo) ad acqua (endolinfa o perilinfa, nel secondo) e quindi sarà necessaria una maggiore energia, infatti l’orecchio medio ha il compito di amplificare l’onda sonora. La velocità di propagazione del suono nell’aria è 340 m/s mentre nell’acqua 1430 m/s. 4 3
CARATTERISTICHE DELL’ONDA AB è la lunghezza d’onda, cioè la distanza tra due creste, che si misura in nanometri e si indica con λ (landa); la frequenza è 1/λ, essa rappresenta il numero di creste che passano per un determinato punto nell’unità di tempo. L’ampiezza è la massima altezza di una cresta. Una legge importante per il suono è la seguente: E=hf^2. Inoltre ci sono altre 2 leggi che valgono sia per il suono che per la luce: + Riflessione, l’onda incide una superficie e si riflette formando un angolo uguale a quello di incidenza. + Rifrazione, l’onda passa da un mezzo ad un altro variando il proprio angolo. Le caratteristiche di questo tipo di onda sono: 1. Intensità è la quantità di energia che passa attraverso una data area in un definito intervallo di tempo, essa è massima alla sorgente ma diminuisce con il quadrato della distanza. I valori udibili sono compresi tra 0 dB (soglia di udibilità) e 120 dB (valore massimo, soglia del valore). Quest’energia si misura in bel, scala sonora è logaritmica tra un bel e il successivo vi sono 10 gradini in mezzo (decibel) altrimenti il bel sarebbe una frazione troppo grande per rappresentare l’effettiva variazione sonora percepibile. 2. Tono è determinato dalla frequenza. Nel caso in cui l’onda sonora contenga un’unica frequenza (onda monocromatica), il suono prende il nome di tono o suono puro, questi suoni però non esistono in natura, infatti essi possono solo essere prodotti da generatori meccanici (diapason), o di frequenza. In base alla frequenza delle onde si riconoscono due tipologie di toni: acuti e gravi. L’intervallo di frequenze udibili dall’orecchio umano è compreso tra i 20 Hz e i 20000 Hz, suoni con frequenze superiori sono detti ultrasuoni mentre quelli con frequenze inferiori sono detti infrasuoni. 3. Timbro è tipico dell’oggetto che emette il suono, per questo motivo è detto anche qualità del suono. Al contrario il rumore è una miscela di frequenze non separabili e prive di periodicità (segnale/rumore).
ANATOMIA DELL’ORECCHIO
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+ La struttura dell’orecchio esterno si trova nell’osso temporale, essa comprende il padiglione auricolare (la parte visibile) e il canale acustico, quest’ultimo si estende verso l’interno ed è rivestito da ghiandole che secernono cerume a scopo termoprotettivo. La funzione di questa parte esterna è quella di indirizzare e trasmettere le onde sonore verso il termine di questa prima porzione ovvero verso il timpano( o membrana timpanica), esso vibra a seconda che l’onda sia di compressione o rarefazione. Molto importanti è mantenere l’equilibrio tra le pressioni a cui la membrana timpanica è sottoposta sia dall’interno che dall’esterno, così per ovviare questo problema è necessaria una via di sfogo per compensare le due pressioni ; La tromba di Eustachio, che connette l’orecchio medio con la faringe, ha dunque questa funzione, con la sua apertura (attuata attraverso la deglutizione o lo sbadiglio) permette alla pressione presente nella porzione media di equilibrarsi con quella atmosferica. + L’orecchio medio, situato anch’esso nell’osso temporale, ha la fondamentale funzione di amplificare le onde sonora affinché esse possiedano sufficiente energia per la loro trasmissione da aria ad un ambiente fluido; infatti all’interno di questa cavità c’è ancora aria. Gli elementi che lo costituiscono sono: la catena dei tre ossicini (martello, incudine e staffa) che assicura il collegamento tra orecchio medio ed interno; infatti il martello è strettamente collegato al timpano, che a sua volta si trova a contatto con l’incudine e quest’ultima con la staffa, infine l’ultimo ossicino è attaccato ad un’altra membrana dell’orecchio interno, la finestra ovale. Essa separa la porzione di orecchio medio da quello interno insieme anche alla finestra rotonda. L’orecchio medio comprende anche due importanti muscoli coinvolti in un meccanismo riflesso che sono lo stapedio e il tensore del timpano. + L’orecchio interno comprende la coclea, che contiene le strutture per la trasduzione sonora; la coclea (o chiocciola) è un tubo avvolto a spirale che nasce dal vestibolo, con il quale interagiscono anche gli organi dell’equilibrio. Essa è formata da tre canali sovrapposti: la scala timpanica, la scala media e la scala vestibolare; a loro volta separati da due membrane (membrana vestibolare e basilare). La scala vestibolare comunica con l’orecchio medio tramite la finestra ovale e contiene perilinfa, la scala timpanica comunica con l’orecchio medio attraverso la finestra rotonda. La perilinfa è un liquido cocleare ad alta concentrazione di Na+ e basso contenuto di K+. Al contrario la scala media, sede dell’organo del Corti e dove sono collocate le cellule sensoriali, contiene endolinfa avente un’alta concentrazione di K+ e bassa di Na+. La scala vestibolare e quella media sono separate dalla membrana vestibolare, quella media e quella timpanica dalla membrana basilare. Inoltre la scala vestibolare e quella timpanica si uniscono a livello dell’elicotrema, ultimo tratto della coclea. L’organo del Corti è localizzato sulla membrana basilare ed è immerso nell’endolinfa. Esso contiene le cellule ciliate, i recettori del segnale acustico. Queste ultime presentano all’apice delle stereociglia di lunghezza diversa, le cui estremità si estendono nella membrana tettoria. Il corpo di queste cellule è pertanto immerso nella perilinfa, mentre l’apparato ciliare si trova nell’endolinfa. Inoltre è presente un filamento di actina che unisce le ciglia come se fosse una molla, indispensabile perché nasca il potenziale di recettore. Si distinguono le cellule cigliate esterne, disposte in più file parallele: esse sono dotate di motilità e hanno il compito di amplificare le oscillazioni meccaniche della membrana basilare. Le cellule cigliate interne, presenti in numero molto minore e disposte su un’unica fila, avviano il processo di trasduzione del segnale acustico mediante la generazione del potenziale di recettore attraverso la deflessione delle stereociglia provocata dall’arrivo dell’onda sonora.
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STRADA DELL’ONDA SONORA L’onda sonora arriva alla prima parte dell’orecchio esterno cioè al padiglione auricolare, esso amplifica leggermente il suono e convoglia le oscillazioni verso le parti più interne dell’orecchio. Le oscillazioni attraversano così il meato uditivo esterno fino a giungere alla membrana timpanica causandone il movimento in avanti se l’onda è di compressione indietro se è di rarefazione, quindi le vibrazioni vengono trasmesse fedelmente all’orecchio medio. Poiché il timpano è collegato al martello (primo ossicino) le oscillazioni sono trasmesse con la stessa frequenza ed ampiezza, gli altri due ossicini funzionano come una serie di leve e quindi da questo fatto si deduce l’importante funzione dell’orecchio medio : amplificare il segnale sonoro e di introdurre un guadagno; ciò è ottenuto grazie a : + Catena 3 ossicini (martello, incudine, staffa) che costituisce un sistema di leva che introduce un guadagno di 1.3 volte. Essi sono tenuti in sede da 2 muscoli che contraendosi o rilasciandosi possono orientare gli ossicini. Si ha il fenomeno detto riflesso timpanico, esso si instaura per stimoli sonori di elevata intensità (per stimoli improvvisi però questo riflesso non fa in tempo ad attuarsi) con lo scopo di proteggere i recettori acustici da stimoli troppo intensi. L’effetto è un irrigidimento della catena degli ossicini, per cui l’intensità dello stimolo acustico può essere ridotta fino a 40dB, ma con l’età diminuisce l’efficienza del riflesso (fisiologico), questo disturbo prende il nome di presbiacusia che però non compromette la comunicazione verbale. Inoltre ci sono due altri tipi di sordità: la prima legata a lesioni delle strutture nervose come la coclea o il nervo acustico, la seconda causata da danni all’orecchio medio o al timpano come l’otosclerosi. + Pressione= Forza/ Superficie F=P1S1=P2S2 L’amplificazione avviene anche grazie al brusco passaggio da un superficie relativamente ampia come quella del timpano (superficie di circa 55 mm2 ) al piede della staffa (circa 3.2 mm2 ) la quale è quindi notevolmente diminuita; si assiste così ad un aumento della forza esercitata sul liquido cocleare pari a 22 volte la forza esercitata sulla membrana timpanica. A questo punto della trasmissione l’onda ha assunto sufficiente energia per passare da uno mezzo gassoso ad uno liquido presente nell’orecchio interno, sede dei recettori acustici dove avviene la trasduzione del segnale sonoro. Se sulla membrana arriva un suono acuto, che quindi possiede una maggiore energia, ha la capacità di mettere in oscillazione la prima parte della membrana che è quella rigida e quindi fa rispondere una determinata popolazione di recettori. Mentre un suono grave deve percorrere la membrana fino a quando trova una porzione più flessibile e quindi fa rispondere un’altra classe di recettori. In conclusione a seconda della quantità di energia di ogni onda si mettono in oscillazione porzioni diverse della membrana basilare se la membrana fosse stata al contrario flessibile/rigida tutti i suoni si sarebbero fermati all’inizio e quindi non ci sarebbe una suddivisione delle popolazioni di recettori]. Al di sopra di questa membrana c’è la membrana tettoria. L’onda fa oscillare la membrana basilare (non tutta ma solo una determinata porzione in funzione dell’energia). Le vibrazioni della membrana basilare provocano lo sfregamento sulla membrana tettoria delle stereociglia e la loro conseguente deflessione: essa costituisce lo stimolo adeguato per eccitare i recettori cocleari. A ciglia dritte ho un certo rilascio di neurotrasmettitore (i canali non sono tutti chiusi), ho quindi una certa frequenza di potenziale di azione definito RILASCIO TONICO. Se ciglia subiscono oscillazione in un determinato senso si ha un aumento del rilascio del neurotrasmettitore al contrario si può avere una diminuzione rispetto a prima. Infatti se le ciglia si deflettono nella direzione del ciglio più lungo, il filamento di actina viene stirato provocando l’apertura dei canali per il K+; poiché nell’endolinfa, che è a contatto con le stereociglia, è presente una maggiore
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concentrazione di ioni K+ rispetto all’interno della cellula, l’apertura dei canali K+ provoca l’ingresso nella cellula di questo ione che segue il suo gradiente elettrochimico. Il risultato è una depolarizzazione. In seguito a questo evento si aprono i canali per il Ca2+ e l’ingresso di questi ioni determina il rilascio di neurotrasmettitore. Al contrario, se le stereociglia sono deflesse nella direzione del ciglio più corto, i canali per il K+ si chiudono e si ha iperpolarizzazione e termine del rilascio di neurotrasmettitore. Il potenziale di recettore o potenziale microfonico cocleare è dunque un potenziale bifasico, la cui intensità è proporzionale al grado di deflessione delle ciglia. A livello del primo nodo di Ranvier c’è una certa frequenza di potenziali d’azione (relativa a potenziale di recettori messi in moto), nervo acustico entra nel MS arriva alla corteccia uditiva primaria (trasforma diverse frequenze in un suono complesso) formando le vie uditive. Le stazioni acustiche sono organizzate per vie parallele ma ciò nonostante il nucleo genicolato del talamo è una stazione obbligatoria prima di giungere alla corteccia uditiva (stazione finale) dove avviene l’elaborazione delle informazioni.
Il riconoscimento dell’altezza dei suoni avviene in primo momento a livello della membrana basilare, questo fenomeno prende il nome di tonopia, cioè vi è una corrispondenza tra una porzione della membrana e l’altezza del suono. Il processo origina dal modo in cui la membrana oscilla in base a suoni diversi, infatti come si può vedere nel disegno che la rappresenta essa è costituita da una più piccola e rigida parte iniziale per poi allargarsi e quindi acquisire maggiore flessibilità; ciò si spiega con il fatto che la rigidità è una proprietà che dipende anche dalla larghezza della struttura considerata. Inoltre secondo la relazione tra l’energia e il quadrato della frequenza, un suono che trasporta una minore quantità di energia risulta grave mentre un suono ad alta frequenza possiede maggiore energia; inoltre maggiore è la frequenza del suono maggiore sarà la resistenza opposta dai liquidi cocleari. Quindi un suono grave, trasportando un minor quantitativo di energia, non è in grado di mettere in oscillazione la prima porzione della membrana basilare ma l’onda sonora prosegue lungo di essa fino a raggiungere una zona più flessibile. Al contrario i suoni acuti, possedendo maggiore energia, hanno la capacità di far vibrare la zona più vicina alla staffa; quindi si ha l’eccitazione di differenti popolazioni di recettori. In conclusione trovandosi le alte frequenze verso la prima porzione e quelle basse all’apice la membrana basilare è in grado di distinguere l’altezza delle onde che costituiscono il suono (mappa tonotopica). Per quanto riguarda la localizzazione del suono, si forma una mappa neuronale del campo uditivo basata sulle informazioni circa i ritardi interaurali: per frequenze inferiori a 2000 Hz si misura la differenza temporale di arrivo del suono, per frequenze superiori i recettori cocleari utilizzano la differenza di intensità del suono a causa dell’ “ombra sonora” costituita dal capo, se un suono arriva da destra arriverà a sinsitra smorzato.
L’APPARATO VESTIBOLARE L’apparato vestibolare ha la funzione di percepire le variazioni dell’orientamento del capo nello spazio. Esso
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rileva infatti le accelerazioni lineari e angolari della testa e la sua posizione nello spazio, con lo scopo di mantenere il bilanciamento e l’equilibrio del corpo. Esso dà origine a segnali che influenzano i movimenti della testa e degli occhi che permettono di fornire alla retina immagini visibili stabili e a segnali che contribuiscono al controllo della postura ai fini del mantenimento della postura eretta.
ANATOMIA
Esso è localizzato in una cavità dell’osso temporale, il labirinto osseo, ed è composto da strutture membranose che costituiscono il labirinto membranoso, che comprende anche la coclea. Il labirinto membranoso contiene endolinfa, mentre gli spazi tra questo e il labirinto osseo sono riempiti da perilinfa, gli stessi liquidi cocleari. L’apparato vestibolare è composto da: -‐tre canali semicircolari che percepiscono le accelerazioni angolari della testa; infatti ogni canale semicircolare percepisce le accelerazioni angolari orientate su un piano perpendicolare rispetto agli altri due canali, e di conseguenza giungono ai centri soprassiali informazioni circa le accelerazioni angolari della testa nei tre piani dello spazio. Il canale anteriore percepisce le accelerazioni dall’alto al basso ( come per dire sì), quello posteriore rileva la rotazione della testa sul piano frontale (l’orecchio va a toccare la spalla) e il canale laterale rileva le accelerazioni da un lato all’altro ( per dire no). Ogni canale semicircolare presenta alla base un’area dilatata, chiamata ampolla; ogni ampolla contiene una cupola, una struttura gelatinosa. L’ampolla presenta un epitelio sensoriale, la cresta ampollare, dove sono situate le cellule cigliate recettoriali ( molto simili a quelle del sistema uditivo e dal funzionamento analogo ). Esse proiettano le loro stereociglia all’interno della massa gelatinosa. Le cellule cigliate dei canali semicircolari sono poste specularmente tra i due vestiboli. -‐utricolo e sacculo, localizzati tra i canali semicircolari e la coclea, percepiscono invece le accelerazioni lineari della testa e costituiscono l’apparato maculare; il primo rileva le accelerazioni in avanti e indietro, il secondo dall'alto al basso ( ad esempio quando si prende un ascensore). Anche l'utricolo e il sacculo, come i canali semicircolari contengono delle cellule cigliate recettoriali, le cui ciglia si estendono in uno strato gelatinoso. Le cellule cigliate dell' utricolo sono disposte orizzontalmente, quelle del sacculo verticalmente. Sopra la sostanza gelatinosa si trovano gli otoliti, ovvero cristalli di carbonato di calcio che aumentano la massa di questa sostanza; pesando sui recettori li rendono sensibili alle variazioni della forza di gravità. Inoltre le cellule recettoriali, a differenza di quelle dei canali semicircolari sono disposte in maniera opposta rispetto ad un asse di simmetria chiamato striola.
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TRASDUZIONE DELLO STIMOLO Per quanto riguarda le accelerazioni angolari, esse vengono rilevate dai canali semicircolari. La trasduzione del segnale è del tutto simile a quella del sistema uditivo; infatti la deflessione delle ciglia determina l'apertura o la chiusura dei canali per il K+, a seconda che essa avvenga in direzione del chinociglio ( il ciglio più lungo) o nella direzione opposta e quindi si ha depolarizzazione o iperpolarizzazione della cellula. Se la testa è a riposo le ciglia sono in posizione verticale e le cellule sono solo parzialmente depolarizzate ( c'è pertanto un rilascio tonico di neurotrasmettitore ). Quando la testa ruota, il labirinto osseo ruota con essa ma inizialmente l'endolinfa non segue il movimento del labirinto osseo a causa dell'inerzia del liquido; esercita quindi una forza contro la cupola con direzione opposta a quella del movimento e, spostando la cupola, determina la deflessione delle stereociglia, le quali si spostano tutte nella medesima direzione. Quando la testa ruota verso sinistra, il vestibolo di sinistra aumenta la frequenza di scarica ( le cellule cigliate sono depolarizzate ), mentre quello di destra la diminuisce ( iperpolarizzazione ). Confrontando la scarica di destra con quella di sinistra i centri superiori possono rilevare in ogni momento la posizione della testa in relazione allo spazio. Più la testa è inclinata, maggiore sarà la frequenza di scarica. Quando la testa ruota a velocità costante la situazione è analoga a quella che si verifica in condizioni di riposo. Questo avviene perchè a velocità costante la spinta inerziale del liquido si esaurisce e il movimento dell'endolinfa è solidale a quello del labirinto osseo. Pertanto le ciglia non vengono deflesse e non si verifica depolarizzazione. I riflessi originati dai canali semicircolari influenzano la componente visiva del tono posturale, in quanto hanno influenza sui muscoli oculari. Nel caso invece delle accelerazioni lineari intervengono sacculo e utricolo. Quando un soggetto comincia a camminare avanti ( o indietro ), gli otoliti dell'utricolo trascinano indietro ( o avanti ) la massa gelatinosa e le stereociglia si deflettono. Analogamente avviene nel sacculo: infatti il peso degli otoliti agisce sulla massa gelatinosa e flette le ciglia. A riposo, ancora grazie al peso degli otoliti, c’è una scarica tonica del nervo vestibolare. I riflessi originati da utricolo e sacculo modulano risposte opposte a seconda che le forze abbiano uguale o opposta direzione rispetto al vettore gravità ( vedi risposta simmetrica nel paragrafo successivo).
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AFFERENZE VESTIBOLARI Le afferenze delle cellule cigliate vestibolari decorrono nel nervo vestibolare. I corpi cellulari delle fibre che vi decorrono sono contenuti nel ganglio di Scarpa. Il nervo vestibolare innerva separatamente i vari epiteli sensoriali tramite alcune sue diramazioni ( nervo utricolare, sacculare, ampollare superiore e posteriore ). Esso arriva al tronco dell’encefalo; alcune sue afferenze terminano nei nuclei vestibolari, altre giungono direttamente al cervelletto. Dai nuclei vestibolari partono delle proiezioni ascendenti ( riflesso vestibolo oculare ) e discendenti ( riflesso vestibolo spinale ): -‐il riflesso vestibolo oculare, che arriva ai nuclei oculomotori attraverso il fascicolo longitudinale-‐mediale, determina dei movimenti solidali degli occhi nella direzione opposta a quella del movimento del capo e di uguale intensità, in modo tale da mantenere sulla retina un’immagine visibile stabile durante la rotazione. -‐il riflesso vestibolo spinale attraverso il fascio vestibolo spinale laterale contribuisce al controllo della postura, eccitando i motoneuroni che innervano i muscoli posturali. Attraverso invece il fascio vestibolo spinale mediale contribuisce al controllo della posizione del capo, eccitando i motoneuroni che innervano i muscoli del collo. La risposta vestibolo spinale varia a seconda della direzione della forza che agisce sul soggetto rispetto alla direzione della forza di gravità. Vi può essere una risposta simmetrica e una asimmetrica: (A)risposta simmetrica; presenta due casi: -‐se la forza ha la stessa direzione della forza di gravità, la forza peso esercitata dagli otoliti del sacculo sullo strato gelatinoso diminuisce e, di conseguenza diminuisce anche la frequenza di scarica del nervo. Si ha quindi un rinforzo dei muscoli estensori. -‐se la forza ha direzione opposta a quella della gravità, il peso degli otoliti aumenta. Ne consegue una maggior frequenza di scarica e si ha un rinforzo dell’attività dei flessori. (B)risposta asimmetrica: si verifica quando la forza è obliqua.si ha un rinforzo della reazione posturale che contrasta l’inclinazione del corpo.
Tuttavia l’apparato vestibolare, e in particolare i canali semicircolari, non rispondono bene ai movimenti lenti. Quando un segnale vestibolare si attenua, anche a causa dell’adattamento dell’apparato vestibolare,
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viene sostituito dal riflesso optocinetico. Esso è più efficace nella rilevazione di movimenti lenti. I segnali optocinetici arrivano ai nuclei vestibolari attraverso la corteccia visiva o il tronco encefalico.
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