Ogni epoca ha avuto diversi atteggiamenti nei confronti del passato e l’ attenzione non è stata rivolta sempre ad una stessa categoria di oggetti. Il passato ha una storia e il restauro dipende strettamente da questa storia. La STORIA può aiutare a comprendere il restauro nelle finalità e nei metodi . È’ un concetto legato alla religione: la concezione cristiana (direzione temporale temporale percorsa nei due versi) e la concezione orientale (eterno presente): passato e presente coincidono, dunque, non si conserva il passato semplicemente perché non esiste (la tradizione scintoista vuole che i santuari vengano ricostruiti ogni vent'anni nello stesso luogo per assecondare l'ideale di rinnovamento e di purezza). A seconda dell ’idea del passato un monumento si è rifatto, riparato, mantenuto o demolito: non si è sempre restaurato allo stesso modo, né sono sempre stati restaurati gli stessi oggetti non esiste un solo modo di restaurare. RESTAURO [ambiguità etimologica del termine : origine indoeuropea: re (ritorno) stavros (elemento verticale) e origine latina: restauro, -are (rinnovare, trasformare); re-instauro, -are ( ristabilire, ristabilire, rifondare)]: è una disciplina dall’ dall’identità difficile, dove confluiscono molte competenze competenze ed è in continuo movimento. Significa rinnovamento, rifacimento, rimessa in efficienza. Non è solo riferito alla produzione artistica (oggetto, utensile, edificio, edificio, forma di governo) e comporta scelte storiche e scelte estetiche. Si occupa di rimettere in ordine, col fine di arginare il processo naturale di disfacimento. I metodi possibili (2 filoni): la riconoscibilità riconoscibilità (dal XX secolo in poi) (segni diacritici: guasti o abrasioni, aggiunte o interpretazioni) e la dissimulazione (XIX secolo). Oggi, si t ende a sostituire il termine restauro con il termine conservazione. conservazione. In passato si poteva distruggere e rifare senza che ciò fosse ritenuto un oltraggio. Il rapporto utilitario con il passato ad un certo punto (XVIII sec.) si è interrotto. ( da “Moneo, “Moneo, ere” ere”: ammonire, ricordare un avvenimento o un personaggio): da MONUMENTO (Monumentum) (da valore di ricordo a modello artistico da imitare. Esso può avere due aspetti: testimonianza testimonianza storica e testimonianza testimonianza artistica. ESTETICA (da “ Aestesis” Aestesis”: senso, sensibilità, percezione): studia l’l ’origine e la ragione del bello. E’ E ’ diventato un metodo per definire il bello di ogni periodo storico. La diversa concezione del bello condiziona il restauro: Il 500: 500: la perfezione ideale e l’ 800: il sublime e la predilezione per il rudere. CONSERVAZIONE: è volta a continuare il ricordo senza alterare uno stato. E’ tuttavia un termine velleitario, in quanto un intervento comporta sempre una alterazione. È un termine recente (del 1800) e tende ad eliminare l’ambiguità del restauro. La conservazione non va separata dal restauro che da essa va controllato. Con il tempo il concetto è stato esteso ad una categoria di oggetti sempre più ampia. primitivo”: riporta il RIPRISTINO (da re, ritorno, e dal latino pristinus, affine a primus, primo) “ritorno allo stato primitivo” manufatto, attraverso aggiunte o sottrazioni, all ’aspetto primitivo o presunto tale. RECUPERO, RIUSO dal latino recupero, -ere; re-cipio, -ere; re-capio,-ere = riavere, riacquistare, riprendersi, riprendere l’l ’efficienza): si occupa dell’ dell ’aspetto funzionale. funzionale. Si opera una selezione in funzione dello sfruttamento economico dell’ dell ’oggetto. Da qui, il termine RIUSO, il cui fine è l’l ’accrescimento del valore economico a discapito del monumento. Il RIADATTAMENTO nel mondo antico: in generale, trasformazione anziché conservazione; se si conserva è per motivi devozionali o politici. Foro Romano: il tempio di Saturno (501-498 a.C.) viene rifatto più volte (IV a.C.; I a.C.; III d.C.), la Curia Senatus (VII a.C.) è riparata, ampliata e ricostruita ricostruita più volte (dal 52 a.C. fino al 305 d.C.), la statua di Giano nel 46 a.C. fu modificata di modo che reggesse in una mano il n. 300 e nell’altra il n. 65. 65. Distruzione e riutilizzo nel MEDIOEVO (V - XIV secolo): le preesistenze vengono riplasmate riplasmate per motivi pratici, politici, rappresentativi. rappresentativi. - Basso Medioevo (V-VIII sec.): invasioni barbariche, barbariche, calo demografico, demografico, abbandono delle città (abbandono degli edifici, distruzioni e spoliazioni). Il tempio di Atena (Siracusa, V sec. a.C.) viene trasformato in S. Maria del Piliero nel VII sec. d. C.; il tempio Santa Maria sopra Minerva (Assisi, I secolo a. C.) viene trasformato nel VI secolo prima in chiesa di S. Donato, poi adattato a carcere ed infine riconsacrato a S. Maria e restaurata nel 1539. - Medioevo (IX-X sec.): Carlo Magno e la rinascita politica e culturale (ripresi i modelli dell Antichità ’Antichità classica, classica, riproduzione di monete, riproposizione di manufatti e di fonti antiche; ma anche reimpiego di colonne, marmi pregiati, ecc.) Il tempio della Fortuna Virile (edificato da S. Tullio a Roma nel 557 a.C.) viene ricostruito nel 212 a.C. dopo un incendio, trasformato nella chiesa dedicata a Santa Maria Vergine nel IX secolo d.C. e ripristinato nel 1916 da A. Munoz. - Alto Medioevo (XI-XIV sec.): nascita dei Comuni (ampliamento e trasformazione trasformazione delle città di fondazione romana, attraverso distruzione e/o adattamento di preesistenze; preesistenze; ma anche distruzioni, spoliazioni, spoliazioni, reimpiego). San Pietro ad Alba Fucens (L’Aquila) costruita nel XII secolo sui resti del tempio di Apollo del II sec. a. C.
Il Teatro di Marcello (Roma, iniziato da Cesare e concluso da Augusto, I sec. a.C.- I sec. d.C.) viene adattato ad un cambio di destinazione d’uso: in epoca medievale viene occupato da piccole costruzioni e si trasforma in un castello fortificato, inizialmente di proprietà dei Pierleoni, poi passato ai Faffo e quindi, dal XIII secolo ai Savelli, che fecero edificare da B. Peruzzi il palazzo tuttora esistente sopra le arcate della facciata. Nel XVIII ne divennero proprietari gli Orsini. A Lucca l’anfiteatro romano è trasformato in piazza del Mercato: la piazza del mercato sorge sui resti dell’anfitea dell’anfiteatro tro romano, edificato fra il I e il II secolo d.C., ma parzialmente distrutto durante le invasioni barbariche. In epoca medievale le casetorri furono erette sull’anello perimetrale conservando l’invaso ellittico dell’anfiteat dell’anfiteatro. ro. Il RIUTILIZZO è dettato anche da ragioni simboliche: si riutilizzano marmi ed elementi decorativi antichi per nobilitare il presente, immortalare il passato autorevole in un nuovo monumento che si ammanta di potere e prestigio. Si reimpiega la statuaria antica, esibendola all ’esterno dei nuovi edifici, per attribuire autorità e potere alla città medievale, come nel Palazzo dei Priori a Perugia (le due sculture bronzee, il grifone ed il leone, forse appartenute alla fontana degli Assetati di Arnolfo di Cambio, sono esibite sulla facciata del palazzo). Col RINASCIMENTO (seconda metà metà del XIV secolo - XVI secolo) secolo) avvengono avvengono profonde trasformazioni nella vita e nel costume europeo: - passaggio dalle strutture feudali agli stati moderni - scoperte geografiche - le nuove invenzioni (stampa e polvere da sparo) - concezione laica della vita Gli “studia humanitatis” humanitatis”, volti alla conoscenza dell’uomo: dell ’uomo: al al centro dell’attenzione dell’attenzione vi vi è l’l’uomo con la sua libertà e dignità. La libertà creativa che riplasma la realtà a misura dell ’uomo. Trasformazione nelle arti visive: - naturalismo (l’ (l ’antico insegna come interpretare la natura: cfr. i Trattati) - razionalizzazione geometrica e matematica dello spazio - creazione artistica con gli strumenti della conoscenza matematica e fisica - calcolo delle proporzioni con le leggi della prospettiva Renovatio (mito di un ritorno alla civiltà del mondo antico): riferimento ai modelli architettonici e scultorei della classicità e interesse per i principi teorici dell ’architettura classica (Vitruvio). Affinità con il mondo antico, che non è imitazione, imitazione, ma “mimesis”, mimesis”, che vuol dire creare dire creare e ricreare. Riferimento ai modelli ideali e non ad oggetti concreti. Si predilige non una forma fisica, ma un principio, una forma ideale. Tuttavia è conosciuta la contraddizione degli artisti rinascimentali: essa sta nell’attribuire nell’attribuire all’antico un valore strumentale, strumentale, infatti i reperti r eperti antichi erano soltanto soltanto fonte d’ d ’ispirazione per creare, gli antichi originali venivano disegnati e rilevati per poi essere distrutti. Le maggiori distruzioni vengono documentate tra 1530 e 1540 (la Basilica Emilia o il Tempio di Marte Ultore nel foro romano) . I disegni sono appunti per il mestiere, interpretazioni, interpretazioni, non rilievi. I reperti antichi venivano riprodotti, correggendoli e migliorandoli. In tale clima è singolare la maturazione di interessi conservativi: a Roma, prima della fine del XV secolo, furono emanate dai pontefici una lunga serie di bandi e norme a tutela delle opere d'arte, atti a frenare la dispersione e la distruzione del patrimonio. Leone X nel 1515 nominò Raffaello Sanzio “Ispettore generale delle Antichità e Belle Arti”. La Arti”. La Letter a di Raffaello a Leone X (1520) è un’ esortazione a proteggere gli antichi resti: le vestigia antiche sono una testimonianza, testimonianza, una memoria , sono fonte d ’ispirazione per nuove creazioni. Spesso gli interventi sulle preesistenze si configurano come aggiornamenti e la preoccupazione è quella di dare una funzione e una forma attuale all ’edificio antico. La configurazione originaria di Santo Stefano Rotondo a Roma fu trasformata col restauro voluto da Nicolò V (1453) su progetto di B. Rossellino (egli chiude anche alcune finestre aprendo bifore); i Dioscuri (Castore e Polluce) in piazza Quirinale (Roma, V sec. a.C., rielaborazione in epoca imperiale) integrazioni integrazioni di L. Somanzi Somanzi,, P. Olivieri e F. Vacca (fine XVI secolo): la reintegrazione all’antica in questo caso contravviene la consuetudine di completare senza distinguere ; La Dama con Liocorno (Raffello Sanzio,1506) trasformata nel ritratto di Santa Caterina (forse Solinai, fine 1500) e così conservata fino al 1927: l’opera può essere modificata tanto da cambiare perfino il soggetto . La prassi rinascimentale tende ad attualizzare forma e funzione: in genere, si interviene sull ’antico per trasformarlo. Prevale il gusto di abbellire, rendere nuovo, contemporaneo. Erwin Panofsky (1892-1968) d’intervento: 1) Recupero del passato attualizzandolo individua 3 categorie d’intervento attualizzandolo 2) Intervento goticizzante (si tende a non variare le regole della “concinnitas” concinnitas”) 3) Intervento I ntervento di compromesso La chiesa di San Francesco, a Rimini, viene trasformata in Tempio Malatestiano (Leon Battista Alberti, 1450): recupero del passato attraverso un processo di attualizzazione, si punta a superare i modelli classici riadattando soluzioni antiche a contesti moderni. La basilica palladiana (A. Palladio, 1546-49, Vicenza): l’originario palazzo della ragione, realizzato a metà del Quattrocento in forme gotiche, viene completato con un doppio ordine di logge fra il 1481 e il 1494. Due anni dopo la fine del cantiere crolla l’angolo sud-ovest sud -ovest e per
oltre quarant’anni i vicentini dibatteranno sulle modalità della ricostruzione. La soluzione proposta da Palladio è una struttura per così dire elastica, in grado di tener conto dei necessari allineamenti con le aperture e i varchi del preesistente palazzo quattrocentesco. Il sistema si basa sull’iterazione della cosiddetta “serliana”, vale a dire una struttura composta da un arco a luce costante affiancato da due aperture laterali rettangolari, di larghezza variabile e quindi in grado di assorbire le differenze di ampiezza delle campate. Ricostruzione del tepidarium di Diocleziano: il nuovo spazio della chiesa di Santa Maria degli Angeli (Roma, Michelangelo, 1561) all'interno dello spazio voltato del tepidarium delle terme di Diocleziano, è ottenuto aggiungendo alcuni setti murari e un profondo presbiterio, garantendo il rispetto dei resti archeologici. La chiesa ha un insolito sviluppo trasversale, che sfrutta tre campate contigue coperte a crociera, a cui sono aggiunte due cappelle laterali quadrate. Roma, chiesa di San Marco (nel 1740 Filippo Barigioni duplica i sostegni lasciando distinte le parti antiche da quelle moderne). Firenze, la cupola di Santa Maria del Fiore (F. Brunelleschi,1420-1436). il completamento di Brunelleschi, che parte dalla preesistenza arnolfiana, è perseguito con libertà di ideazione, ponendosi come esempio di artisticità e sincerità. Brunelleschi attinge ora dalla tradizione costruttiva romana, ora fiorentina. Il motivo della spina pesce attinge dalla tradizione veneta e orientale. La costruzione di arconi e vele deve procedere parallelamente su tutto il perimetro ogni strato di posa si configura come un anello chiuso autoportante. Si tratta infatti, nonostante la pianta ottagona, di una cupola di rotazione. Procedendo dal basso verso l’alto diminuisce la sezione degli arconi e si passa dalla pietra al mattone disposto in un apparecchio a spina pesce secondo la corda blanda. Santa Maria delle Grazie (Milano, D. Bramante - G. A. Amadeo, 1463-1490): Ludovico il Moro intende modificare la chiesa domenicana in sepolcro di famiglia. Modelli ispiratori per il nuovo nucleo centrico e cubico sono la Sacrestia Vecchia fiorentina e il San Lorenzo a Milano . La sostituzione dell ’abside e del transetto con la tribuna triabsidata è un esempio di sintesi ed armonia compositiva. Non mancano rinvii alla tradizione locale come ad esempio l’alta finestra rettangolare con colonna centrale nel tiburio. Pur nell’autonomia della concezione è evidente il condizionamento della preesistenza a partire dalla forte dilatazione delle absidi laterali per garantire l’allineamento con l’ampiezza delle navi minori. Santa Maria Novella a Firenze: il completamento di L. B. Alberti tra il 1458 e il1478, perseguito con continuità, non rinuncia del tutto alla novità dell ’ideazione. Tutti gli elementi già eseguiti vengono ricondotti all’interno di una nuova composizione dove prevale l’ordine classico, pur rispettando le preesistenze attraverso un accordo complessivo riconducibile al concetto albertiano di concinnitas. L’originale combinazione colonna-pilastro agli estremi della facciata è allargata oltre i muri perimetrali della chiesa. L’interruzione delle arcatelle cieche agli estremi della facciata è un indizio a favore dell’ipotesi sulla loro preesistenza. Colonna antonina a Roma, criteri statici per il capitello adottati da D. Fontana (1543-1607): esempio di restauro di un monumento antico, inteso più come fatto di scultura, in cui prevale l ’interesse artistico. Il Duomo di Pienza progettato da B. Rossellino (1459-62): sostituzione di un monumento romanico con l’intento di fare un’opera completamente nuova. Basilica di San Pietro a Roma: demolizione e ricostruzione, in questo caso l’istanza progettuale supera quella conservativa. La CONTRORIFORMA le tesi di Martin Lutero, questioni dibattute: il primato del papa, la figura della Vergine, il culto delle reliquie, in discussione il tema dell’autenticità dei fondamenti della Chiesa, scisma e guerre di religione, 1548: Concilio di Trento. Riorganizzazione della Chiesa per recuperare la purezza e l’autenticità perdute. L’impegno di cardinali ed intellettuali cattolici: - Antonio Bosio (1575-1629) (visita le catacombe e riscopre i simboli cristiani) - Carlo Maria Borromeo (1538-1584) (riscopre le chiese paleocristiane: quadriportico, nartece) - Cesare Baronio (1538-1607) (Scrive gli Annales che rappresentano una delle prime vere e proprie opere di storia ecclesiastica in campo cattolico, basata su una attenta e scrupolosa analisi critica delle fonti documentarie. Studia le cronache dei primi martiri cristiani; promuove restauri di molte chiese medievali: ripropone i mosaici, l ’ambone, il pulpito, la cattedra episcopale). Attenzione filologica e intento apologetico. SS. Nereo e Achilleo, Roma, IX sec., XV sec., interventi di restauro e decorazione, 1597. Dietro l'altare c'è il trono episcopale in stile cosmatesco, sul quale sono iscritte le ventotto omelie di papa Gregorio I. Il cardinale Baronio, ne ordinò l'iscrizione, ma non sapeva della traslazione delle reliquie dalle catacombe, e pensò dunque che fosse questo il luogo riferito da Gregorio Magno. Il seggio episcopale viene realizzato impiegando elementi di recupero. Il Laocoonte, Roma, Musei Vaticani, II sec. a.C. Il restauro del 1532 e il restauro del 1906: la ricostruzione di Giovanni Antonio Montorsoli (1507-1563), pur suscitando molti dubbi, incontrò un ampio favore (tanto che venne mantenuta per molto tempo), sacrificando così alla seduzione di un gesto tanto carico di suggestioni la consapevolezza di un errore filologico. Il BAROCCO (XVII secolo) Roma, il Pantheon: G. L. Bernini demolisce il campanile romanico sostituendolo con due campanili di gusto barocco, conservati fino al 1883, quando si decide di demolirli, in nome di un
ritorno all’antico. Il lato sinistro del pronao viene restaurato da G. L. Bernini, il quale rimette in piedi la colonna d’angolo (ante 1632) rifacendo il capitello corinzio segnandolo con il simbolo araldico di Urbano VIII Barberini e sostituisce gli altri due (1667) segnandoli con il simbolo araldico di Alessandro VII Chigi. Roma, S . Giovanni in Laterano (F. Borromini, 1644-1650). Innocenzo X, non volendo abbattere le antiche strutture murarie per non cancellare le testimonianze costantiniane, impose a Borromini il rispetto non solo formale, ma anche materiale delle antiche murature. In questo caso consolidamento, restauro e progettazione sono strettamente integrati. Borromini ingabbiò le precedenti rovinatissime colonne a due a due entro grandi pilastri. Racchiudendo le vecchie pareti in muri doppi aperti da finestre ovali, nella navata principale pose nicchie incurvate verso l'esterno e le racchiuse tra i pilastri, mentre le navate laterali f urono coperte con vari tipi di volte a botte e ribassate con cupolette. Per salvare le lapidi e le memorie medievali e rinascimentali egli operò nel successivo pontificato di Alessandro VII un capillare lavoro di smontaggio dei monumenti antichi, inserendo gli elementi caratterizzanti dei primi in monumenti commemorativi da lui creati. Le rielaborazioni incontravano un tale favore da essere valutate positivamente anche dai classicisti più rigorosi, come Orfeo Boselli (1597 –1667) il quale nonostante professasse una rigida obbedienza all ’Antico e disprezzasse apertamente le sculture di Bernini, ne apprezzò i restauri giocati sulla combinazione di antico e moderno. I restauri del Bernini, infatti, mostrano la chiara tendenza ad allontanarsi dal linguaggio antico per lasciare libero corso all’immaginazione barocca. Roma, Ares Ludovisi, fine IV secolo: restauro di G.L. Bernini (1622). Roma, Hermes Loghios, copia romana dell’originale greco: restauro di A. Algardi (1631); egli integra le parti mancanti aggiungendo la verga del dio Mercurio nella mano destra ed un borsellino nella mano sinistra, poi rimossi agli inizi del XX secolo. La statua è un tipico esempio di rielaborazione barocca perché completa un torso nella posa di antico oratore con libere integrazioni probabilmente ispirate ad un Mercurio in bronzo realizzato, sebbene in stile antico, nel Rinascimento. Il SETTECENTO è un secolo di riforme e grandi trasformazioni per la nuova classe borghese, la revisione dei tradizionali principi e la diffusione della nuova ideologia tra vasti strati di popolazione. Unico criterio di verità ed elemento stabile di certezza è la ragione , la verifica critica : ricerca delle leggi che presiedono alla vita attraverso il metodo matematico-scientifico. I dati che provengono dal passato vengono sottoposti a verifica critica. L’Illuminismo abbraccia tutto lo scibile dalla scienza alla filosofia, si afferma una capacità razionale In grado di “illuminare” i temi cruciali della cultura contemporanea [ lo stato ‘di diritto’ (rivoluzione francese), la filosofia moderna (Kant)] Antonio Ludovico Muratori e la storia, come pubblicazione di fonti: la necessità di studiare il documento originale edizione filologica delle fonti. Il nuovo approccio si trasferirà dalla storiografia agli altri campi, compreso il restauro. Eruditi, storici e antiquari cominciano a studiare l’antichità sulla base delle fonti originali, ci si chiede se le opere da sottoporre a restauro rispettino il principio dell’autenticità, e di conseguenza si richiede che il restauratore non sia un artista ma un tecnico per evitare che riplasmi l’opera. In Francia nel 1751 viene pubblicata l’Encyclopédie (il testo su cui si fonda la cultura settecentesca): l’intento è quello di organizzare in modo chiaro, razionale e scientifico le conoscenze raggiunte nelle singole attività pratiche e fra queste l’arte che, dopo il Settecento, smette di essere un’attività legata alla capacità immaginativa del singolo artista; i nvece l’arte è fatta di pennelli, colori, materia. Nell’Encyclopédie compaiono le descrizioni degli strumenti dell’artista e tavole grafiche che mostrano le modalità di lavorazione . In architettura si cerca di capire scientificamente come stanno in piedi gli edifici e quindi anche come possono essere restaurati. Quanto prima era frutto di un sapere empirico, ora viene razionalizzato e compreso scientificamente. L’arte è un f enomeno che può essere studiato e il restauro è la tecnica che si inserisce in questo sapere razionale. Il rinnovamento settecentesco investe anche il campo dell’estetica. Il filosofo Baumgarten pubblica Aesthetica (1750) che segna l’avvento della ‘filosofia dell’arte’ . Giambattista Vico riconosce la ragione come principale strumento conoscitivo, rivendica accanto al ruolo di scienziati e filosofi anche quello dei poeti: si può indagare la realtà t ramite la poesia e l’intuizione; arte, scienza e ragione hanno una funzione conoscitiva. Il ruolo int uitivo dell’arte nel Settecento tende ad assumere maggiore dignità con Immanuel Kant (Critica del giudizio, 1790): l’arte ha la facoltà di conoscere il bello ed ha la stessa dignità della scienza e della filosofia (tanto che Shelling considererà l’arte la massima forma di conoscenza) . La rivalutazione dell’arte classica e gli scavi archeologici: Ercolano (1709), Villa Adriana (1734), Pompei (1748). Nel campo della storiografia artistica il rinnovamento è legato a Johann Joachim Winckelmann ( La storia dell’arte presso gli antichi , 1763) il quale mostra una diversa e nuova impostazione d ella Storia dell’Arte (moderna): non più biografie di artisti, ma ciclo evolutivo. W. è in Italia a servizio dei cardinali Archinto e Albani: viene nominato “Prefetto delle Antichità” (1736); ordina, classifica, suddivide: epoche, artisti, opere; sposta l’attenzione dal modello ideale all’esempio concreto; distingue le culture artistiche suddividendole in
periodi (arcaico, dello splendore, della decadenza). Per la prima volta un oggetto d ’arte si colloca consapevolmente in precise condizioni di tempo e di luogo: l’ approfondimento degli studi archeologici diventa indagine scientifica. Winckelmann amplia la visione dell ’arte antica: integra la visione storica con la valutazione artistica e pone le basi scientifiche alla ricerca archeologica (impostazione scientifica nello studio dei reperti). Le opere d’arte sono oggetto di valutazioni storico-artistiche e diventano oggetto delle prime cure conservative. Da qui, il restauro moderno. Il distacco tra passato e presente: il passato ha un valore storico permanente (anche se può essere sottoposto alla relatività del giudizio). L ’opera del passato non può ricevere ulteriori rielaborazioni formali ed ha un valore storico concluso perché documenta una cultura irriproducibile e quindi deve rimanere quel che è. Se il valore storico è permanente, si pone l ’esigenza della conservazione. Nasce il restauro modernamente inteso, che è un atto distinto e storicamente autonomo rispetto al processo di definizione dell’opera: è un atto teso alla conservazione e trasmissione al futuro di un ’opera. Al Settecento risale l’odierna organizzazione dei musei con accesso al pubblico e opere spesso disposte secondo un percorso che segue un criterio cronologico. Tra il 1739 e 1750 diventano accessibili le collezioni di opere d’arte (Roma, museo capitolino; Vaticano, museo Pio - Clementino). La Legislazione precisa il concetto di “bene culturale”: - 30 settembre 1704: editto del cardinale G. Battista Spinola (1681-1752) Sono importanti le “antiche memorie ed ornamenti di quest’alma città di Roma, quali tanto conferiscono a promuovere la stima della sua magnificenza e splendore appresso le nazioni straniere; come pure vagliono mirabilmente a conferire ed illustrare le notizie appartenenti all ’Istoria” (attrattive turistiche, fonti documentarie) - 10 settembre 1733: editto del cardinale Alessandro Albani (1692-1779) “questa alma città, a cui sommamente importa il conservarsi in essa le opere illustri di scultura e pittura, e specialmente quelle, che si rendono più stimabili e rare per la loro antichità, la conservazione delle quali non solo conferisce molto all’erudizione sì sacra che profana, ma ancora porge incitamento a forestieri…e dà norma sicura di studio a quelli che si applicano all ’esercizio di queste nobili arti…”(fonti di erudizione, attrattive turistiche, fonti di ispirazione per artisti). Il RESTAURO NELLA PITTURA: il restauratore è anche un tecnico, capace di proporre soluzioni scientifiche, non inventa più, non ricrea la forma originaria. In pittura era consuetudine pulire i dipinti con il “vino greco”, per poi ridipingere sopra l’originale. Carlo Maratta viene incaricato del restauro degli affreschi della Galleria di Raffaello nella villa Farnesina a Roma, che esegue nel modo tradizionale, ovvero ridipingendo sui colori antichi. I colori spenti vengono ravvivati ricorrendo alla sanguigna. Le porzioni di intonaco degradate vengono consolidate con grappe a “T”. Giovanni Bottari critica il restauro perché aveva compromesso l’autenticità. Egli chiede un atteggiamento neutrale. Luigi Crespi (1709-1779) introduce il concetto di patina ( “il dipinto vecchio … ha preso la sua patina dalla calce, dall’aria, dalla polvere e dall’umido: la qual patina è difficilissima, per non dire impossibile, da imitarsi”); si oppone all’uso del “vino greco” perché compromette la “patina”; distingue la conservazione dal restauro: “non si possa fare altro che attendere a conservare, al meglio che si può”, avendosi cura, invece, di rimuovere le cause del danno; anticipa il concetto di reversibilità : “Trattasi di un’aggiunta che … può ad ogni ora lev arsi a piacimento senza lesione del vecchio ”; supera l’identificazione rinascimentale dell’Artista con il Restauratore: un artista può essere “perito ed eccellente nella sua maniera”, ma incapace di ritoccare una pittura in maniera diversa dalla propria; promuove il “minimo intervento”: “debban rispettarsi, né aver l’ardimento di mettervi mano”; distingue l’integrazione dall’autentico. Pietro Edwards (1744-1821), Direttore di un Istituto, sorto a Venezia, che si occupa della “Conservazione dei Monumenti e dei Dipinti della Repubblica ” enuncia i principi cui attenersi nei lavori di restauro: cautela nell ’uso di nuovi materiali, divieto di ritoccare, integrare le lacune con materiali reversibili. Il RESTAURO NELLA SCULTURA: Antonio Canova (1757-1822) è contrario ad ogni aggiunta integrativa delle opere d’arte antiche, e, consapevole dell’alterità dell’antico, si oppone alla pulitura dei marmi fidiaci del Partenone: è un sostenitore del non-restauro. Bartolomeo Cavaceppi (1717-1799) è la mano operativa di Winckelmann ed il più noto restauratore di statue di fine 1700. Nel 1786 enuncia una sorta di decalogo per i restauratori: astinenza dal completamento in caso di dubbio; seguire la maniera antica e non il virtuosismo fine a se stesso; divieto di mutilare l’originale per le integrazioni; integrare con la stessa materia, ma adeguarsi allo stile; le commessure devono essere irregolari e casuali; divieto di lustrare le superfici corrose dal tempo. Il RESTAURO IN ARCHITETTURA: l’interesse per i principi teorici dell ’arte classica e la pubblicazione dei trattati: Vitruvo, De architectura; Jacopo Barozzi da Vignola, Regola delli cinque ordini d’architettura; Francesco Milizia, Principi di architettura civile. F. Fuga (1699-1782), uno dei promotori del Neoclassicismo, attinge da P. da Cortona (1596-1669): aggiunge all’antica facciata di Santa Maria Maggiore a Roma, decorata con mosaici duecenteschi, una seconda facciata che non intacca quella preesistente. Concepisce un fronte
aperto che unisce i due edifici adiacenti creando un diaframma al di là del quale permane l’antica facciata ; A. Galilei (1691-1736) attinge dal repertorio palladiano; G. Battista Piranesi (1720-1778) trasformazione di S. Maria del Priorato di Malta (1764-67): la piccola chiesa, dall’impaginato classico, evoca all'esterno il modello architettonico di un tempio romano, arricchito da una decorazione fortemente sperimentale: una bizzarra rielaborazione dell’antico composta di elementi, qui fortemente simbolici, recuperati a nuova vita. All’interno riecheggia soluzioni barocche: le volte a lacunari esangolari sono una chiara citazione delle celebri cupole borrominiane. G. Quarenghi, il rifacimento interno di S. Scolastica (1769 c.): entrato in possesso di una copia dei Quattro Libri d'Architettura di Andrea Palladio, Quarenghi decise di indirizzarsi verso lo studio dell'antico, disegnando e rilevando gli edifici di Roma antica. La chiesa medievale viene trasformata in una basilica con volta a lacunari e con una soluzione absidale che riecheggia gli antichi ninfei Le due colonne in marmo cipollino che sostengono la tribuna d ’ingresso provengono dalla villa di Nerone. Il coro risale al XVII secolo e apparteneva alla precedente chiesa romanico-gotica, le cui strutture murarie risultano ben visibili dal cortile dell’ Assunta e dalla volta della chiesa attuale; Città del Vaticano, cupola di San Pietro: fine 1600 i primi allarmismi e nel 1740 papa Benedetto XIV consulta architetti, capomastri e matematici, oltre a G. Poleni e L. Vanvitelli: Poleni e Vanvitelli affrontano il problema ricorrendo ad un metodo scientifico. Studiano l’equilibrio ricorrendo al modello della catenaria. Registrano tutte le lesioni mettendo a punto un vero e proprio quadro fessurativo. Le cause vengono imputate all’invecchiamento delle malte e alla insufficiente sezione del tamburo. Poleni suggerisce 5 cerchiature da aggiungere alle 2 esistenti messe in opera da G. Della Porta e Vanvitelli traduce l’idea di Poleni progettando cerchiature con un giunto “a forchetta”. Vengono aggiunti tiranti a tre occhielli per consolidare i contrafforti all’altezza del tamburo . La novità dell’intervento sta nel metodo e nell’obiettivo che è consolidare conservando, dunque, evitando ogni revisione formale. Quello che conta è la sicurezza statica. I RESTAURI ARCHEOLOGICI nel XIX secolo a ROMA: Quadro legislativo nello Stato Pontificio tra Settecento e Ottocento. 1704: Editto del cardinale G. B. Spinola (i reperti sono testimonianze storiche e attrattiva turistica) 1733: Editto del cardinale A. Albani (i reperti sono anche fonte di ispirazione e norma da rispettare) 1802: Editto del cardinale Doria Pamphili (chirografo di Pio VII) (ripristinata la carica di Ispettore Generale delle Belle Arti e Antichità; obbligo di notificare ai Commissari ed Ispettori per le Antichità i reperti rinvenuti da scavi archeologici) 1820: Editto del cardinale Pacca (commissioni centrale e periferiche; vincoli; tassa per le esportazioni; estensione della tutela agli oggetti d’arte e di tradizione popolare; diritto di prelazione) Roma, Colosseo, sottoposto a lavori nel 1806-1807: sperone orientale realizzato da R. Stern (1806-1807), sperone occidentale realizzato da G. Valadier (1823) (l’intervento è preceduto da puntellature lignee costituite da elementi verticali e diagonali, a 45°, per contrastare provvisoriamente le spinte degli archi); Roma, Arco di Tito, lo scavo e il restauro di G. Valadier (1818-1824); Roma, il Tempio di Ercole Vincitore (II sec. a.C.), detto di Vesta. Nel XII secolo vengono tamponati gli intercolumni ed il tempio trasformato in chiesa dedicata a Santa Maria del Sole per interessamento dei Savelli. Durante il periodo francese (1809-1814 ) si decide il ripristino. Restauro di G. Valadier (1809-14): Valadier esegue il consolidamento fondale, la correzione del fuori piombo delle colonne, la eliminazione dei tamponamenti, la conservazione del muro della cella, la sostituzione delle travi lignee in copertura. Altre sistemazioni di G. Valadier: arco di Settimio Severo a Roma, tempio di Antonino e Faustina a Roma. Luigi Canina si occupò nel 1848 degli scavi nella via Appia Antica ma anche della sistemazione dei resti scavati ai lati della via come passeggiata archeologica, con l'inserimento dei frammenti di decorazioni e sculture in nuove quinte in muratura, che riproponevano la facciata degli antichi sepolcri. Egli restaura il Portico degli Dei Consenti sotto il Campidoglio. Le colonne originarie vengono ricomposte e trattenute da cerchiature di ferro. Colonne di travertino, basi e capitelli schematici, reintegrano le parti mancanti. I RESTAURI ARCHEOLOGICI nel XIX secolo ad ATENE: I primi tentativi di valorizzazione dell ’Acropoli risalgono al 1830, ad avvenuto riconoscimento dell ’indipendenza dello stato greco dal dominio ottomano (Ottone I di Monaco di Baviera). Leo von Klenze nel 1834 traccia le linee direttrici degli interventi sull ’Acropoli: sistemazione ad area archeologica; scavi e restauri; eliminazione delle aggiunte; allestimento di un museo. Il tempietto di Athena Nike, 1835-36 (Ludwig Ross, Eduard Shaubert, Christian Hansen) -1844-45 (Pittakis). Nel 1686 il tempio di Athena Nike viene completamente demolito dai Turchi ed i suoi elementi inseriti nelle opere fortificate davanti ai Propilei. Nel 1833, quando vengono demolite le fortificazioni, si rinvengono frammenti del crepidoma, l’intero basamento della cella e le basi di due colonne. Dal 1835 al 1836 i due architetti Shaubert e Hansen e l’archeologo Ross eseguono la prima riuscita anastilosi, seppure con alcune imperfezioni. Le inserzioni nelle colonne sono in pentelico, evitando gli ornati, mentre le murature della cella in
pietra porosa. Dal 1844 al 1845 Pittakis conclude il lavoro completando le murature ovest e sud, rimontando parte dell’architrave del portico. Tra il 1934 e il 1940 iniziano gli studi preparatori per una seconda anastilosi affidata a Balanos che inizia lo smontaggio, poi proseguito da Orlandos: si realizza un solaio in c.a. al di sotto del piano di spiccato inclinandolo verso ovest, si restaura il bastione integrandolo sul lato ovest e rifacendolo sul lato sud, i calchi in terracotta della prima anastilosi vengono sostituiti con calchi in cemento, le integrazioni vengono fatte impiegando in parte pentelico e in parte marmi antichi, si reintegrano fregio e cornice con ulteriori frammenti originali, alcuni elementi della cornice vengono collocati in maniera “convenzionale” (non essendo certa la loro posizione assoluta). L ’Eretteo nel corso del tempo è soggetto ad una serie di modifiche: inserito un muro con finestre negli intercolumni del lato ovest; subisce due incendi (I e III sec. d.C.); varia la distribuzione interna a causa della trasformazione in chiesa, con la loggia delle cariatidi adattata a battistero (V-VI sec. d.C.); sotto il dominio turco è usato come abitazione e deposito di munizioni, il che comportò il tamponamento del portico nord; Lord Elgin trafuga la 3^ cariatide (1801-1806), oltre ad una colonna del portico est. Nel corso dell’Ottocento l’Eretteo era ormai gravemente danneggiato: le murature nord e sud erano quasi completamente crollate, i portici compromessi. Dal 1835 al 1845 L. Ross e K. Pittakis eseguono gli scavi , rimuovono in parte il tamponamento del portico nord, rinvengono frammenti di due cariatidi, avviano i restauri. Pittakis tra il 1837 e il 1840 ricostruisce parte dei muri sud e nord, consolida alcune colonne dei portici nord ed ovest, ricolloca la 4^ cariatide (4) crollata nel 2° assedio all ’Acropoli (1827-1833); A. Paccard tra il 1846 e il 1847 ricompone la 6^ cariatide reintegrandola con inserti di marmo e colloca una copia in terracotta della 3^ cariatide trafugata da Lord Elgin. Nel 1852 le tre colonne superstiti della facciata ovest crollarono a seguito di una violenta tempesta. Negli anni successivi proseguirono gli scavi realizzati da archeologi stranieri e responsabili dell’Eforia. Dopo il violento terremoto del 1894 i lavori dell ’Acropoli vengono affidati a Balanos che lavora all’Eretteo dal 1902 al 1909. Il Partenone: i primi restauri a partire dal 1834. Leo Von Klenze prevede per il Partenone - trasformato prima in chiesa e poi in moschea, ma sostanzialmente inalterato nelle forme - un restauro per anastilosi, integrandone le parti mancanti per mezzo di blocchi ben riconoscibili, oltre che la creazione di una zona verde attorno al tempio. Nel 1834 Leo von Klenze propone: la liberazione del tempio dalle aggiunte e l’avvio di scavi che porteranno alla luce nuovi frammenti. Tra il 1834 e il 1898 (da L. Ross fino a P. Kavvadias) si proseguono gli scavi, si libera il tempio dall ’abside e dalla moschea e si eseguono alcuni restauri: 1841 (K. Pittakis esegue anastilosi di alcune colonne sulle pareti nord e sud e consolida con mattoni le pareti lunghe della cella), 1872 (P. Kalkos esegue un arco di scarico sopra la porta dell ’opistodomo e N. Martinelli restaura il fregio ovest ed i sottostanti architravi), 1894 (un forte sisma fa crollare l’architrave dell’opistodomo), 1898 (N. Balanos avvia una prima campagna di restauri, smontando, consolidando, riassemblando, che si conclude nel 1902). I Propilei: L’immagine ottocentesca è la commistione tra gli elementi del castello fortificato (dominazione franca, 1204-1311) e di un palazzo detto torre di Franchi (dominazione fiorentina degli Acciaiuoli, 1388-1458). L’insieme (vestibolo, por tico est, pinacoteca) era stato anche compromesso dalle esplosioni in epoca turca, (1640-1687). Alla fine del Settecento erano stati demoliti i capitelli delle 4 colonne mediane del portico ovest. Infine, Lord Elgin trafuga un rocchio ed una cornice del vestibolo, sul lato sud. Nel 1834 Ottone I di Baviera e Leo von Klenze optarono per un ritorno all ’antico, nonostante alcune proposte alternative, come quella di Shinkel che prevedeva la realizzazione del palazzo reale proprio sull’area dei Propilei. Iniziarono le liberazioni dalle sovrastrutture, i consolidamenti e le parziali ricostruzioni, come la gradinata di accesso (1849). Più tardi, viene restaurato il muro di contenimento del bastione (1878) e viene demolita la torre dei Franchi (1882). Nel 1909 i restauri passano a N. Balanos il quale, dopo lo smontaggio, affronta: 1. il restauro del portico est ricorrendo al riassemblaggio dei frammenti mediante il cemento (dopo aver spianato le superfici di frattura), a reintegrazioni in cemento, al riassemblaggio dei frammenti dell’architrave e delle travi secondarie rinforzati con travi in ferro a doppia T inserite all ’interno di scanalature eseguite all’estradosso, annegandole nel cemento forte; 2. il restauro del vestibolo attraverso la reintegrazione dell’ultima colonna ionica a nord, riassemblando il capitello, la ricomposizione di parte della copertura rinforzando l’architrave e le due travi secondarie con travi in ferro a doppia T, ed i soprastanti lacunari con barre di ferro. Le reintegrazioni dei frammenti furono realizzate con marmo anziché cemento e grappe metalliche. I COMPLETAMENTI NEOCLASSICI Carlo Barabino (1768-1835) l’Annunziata a Genova : la chiesa, eretta nel 1508 in forme tardo gotiche, poi radicalmente trasformata in periodo post-tridentino, rimase incompiuta nella facciata, il cui progetto viene messo a punto da Barabino nel 1834 riprendendo una sua prima versione elaborata nel 1816. Il progetto fu realizzato, con variazioni e incompleto, dall’allievo Giovan Battista Resarco nel 1840. Pasquale Belli (1752-1833) In qualità di economo all ’Accademia di San Luca, P. Belli amministra il
lascito napoleonico legato all’obbligo di restaurare opere pubbliche di belle arti e antichità. Gli incarichi per il completamento delle facciate delle due chiese romane sono fra le opportunità professionali avute grazie al rapporto con il card. Consalvi, segretario di Pio VII. S. Andrea delle Fratte: il 1° ordine di G. Guerra costituisce il punto di partenza per la soluzione di P. Belli che nel 1826 depura l ’opera dagli eccessi barocchi attraverso un processo di semplificazione delle forme. S. Maria della Consolazione: la difficoltà aggiuntiva in questo caso sta nel cercare un equilibrio compositivo fra il 1° ordine ed il 2°, dato il considerevole sviluppo orizzontale della facciata. Giuseppe Valadier (1762-1839) Roma, chiesa dei SS. Apostoli: alle doppie arcate quattrocentesche G. Valadier sovrappone un terz’ ordine dichiaratamente neoclassico; fra le diverse soluzioni approntate, V. sceglie quella più dichiaratamente neoclassiche; in questo caso V. non riesce a sottrarsi alle suggestione delle opere palladiane. Le RICOSTRUZIONI NEOCLASSICHE: Roma, San Paolo fuori le Mura: il 30 dicembre 1823 Valadier presenta un primo progetto andato perduto, di completa riconfigurazione (ottenuta conservando solo una parte che si era salvata dall’incendio), ma di cui si serba una lettera di accompagnamento, dove è chiaro il parere espresso sull’antico edificio giudicato “della decadenza”, “rammantato alla meglio con strutture poco o niente solide”. Nel giugno 1824 elabora due varianti, che in qualche modo riconsiderano il portico. Carlo Fea, Commissario per le Antichità, insorge contro il progetto di Valadier: il recupero di un edificio così antico non può essere lasciato a chi ha “le mani callose perché lavora nei cantieri ”, ma deve essere affidato agli studiosi di antichità. Leone XII, 18 settembre 1825: “nessuna innovazione dovrà introdursi nelle forme e nelle proporzioni architettoniche, e neanche negli ornamenti del risorgente edificio, se non sia per escludere altra cosa che in un tempo posteriore alla sua primitiva fondazione, poté introdurvisi dal capriccio dell ’età seguente…”. Nel novembre 1825 G. Valadier è indotto a ritirarsi. Il progetto è affidato a Pasquale Belli (18251833). Luigi Poletti riprende il progetto di Pasquale Belli, proseguendolo e completandolo (1833 - 1869): ridisegna le colonne ad unico ordine, riproduce i medaglioni con i pontefici, inventa un soffitto rinascimentale, proietta l’ordine principale anche sulla navata estrema, regolarizza i muri, inserisce al secondo ordine paraste, là dove non erano mai esistite. Il portico, limitatamente alla facciata, viene messo a punto da Vespignani che conclude i lavori nel 1882. La FRANCIA tra il XVIII e il XIX secolo. 1789: la Rivoluzione francese. 1792/95: la Repubblica e la Convenzione Nazionale. I provvedimenti di tutela: inventariare i beni incamerati, distruggere le opere appartenute alla feudalità purché non abbiano valore artistico, proteggere le opere d ’arte che non hanno alcuna complicità con il passato. Pubblicazione del “Bollettino Monumentale”: il 1° numero è dedicato al vandalismo (il vandalismo rivoluzionario, il vandalismo imprenditoriale, il vandalismo dei classicisti). Victor Hugo (movimento medievalista): “…guerra ai demolitori”. 1794: 1° provvedimento a favore della conservazione delle opere di proprietà della nazione, su proposta di Joseph Lakanal, promulgato da Henry Gregorie. Le contraddizioni: sfasamento tra i principi e la prassi (la distruzione delle tombe dei Re a Saint Denis). Arcisse de Caumont fonda “l’Associazione francese per la conservazione e la descrizione dei monumenti storici”. La compresenza delle due diverse anime: classicista e medievalista. La formazione classica degli architetti. La dicotomia tra la cultura dominante (classicista) e i compiti reali da affrontare concretamente (monumenti medievali da restaurare). 1802: Chateaubriand: il genio (= carattere) del cristianesimo e il bello morale cristiano contro il bello ideale pagano. Si riconsacrano le chiese, si restituiscono agli edifici religiosi le sculture sottratte. In Francia non c’è stata una interruzione traumatica del gotico. La fiorentissima letteratura gotica (1700 - 1830). I monumenti medievali sono opere d ’arte. La rinascita del gotico e la protezione dei monumenti. Arcisse de Caumont in un suo articolo suddivide la storia per epoche e classifica le architettura per modelli. L’approccio corrente degli architetti verso i monumenti segue l ’educazione classicista ed il criterio cronologico. De Laborde, I monumenti di Francia classificati cronologicamente (1816). (1791-1816): A. Lenoir allestisce il Petit Augustains = museo di antichità medievali (sistema cronologicamente e progetta in stile l’ambiente), Quatremere de Quincy e la conservazione “in situ”. I primi documenti francesi parlano di manutenzione. spesso si ricorre al restauro che è un ’operazione permessa dal concetto di stile. L’unità di stile: restauro= operazione che restituisce al monumento lo stile a lui dovuto. Il PERIODO DELL’EMPIRISMO: Parigi, Saint Denis; Rouen, chiesa di Saint - Ouen. Il PERIODO DOTTRINARIO: Il restauro ha inizio concretamente in Francia nel 3° decennio del 1800. Nel 1830 l’ispettore dei monumenti storici visita i Dipartimenti, promuove la manutenzione, è l’anello di congiunzione con studiosi e autorità, si informa sulla dispersione degli oggetti mobili. 1830 - 1834: Ludovic Vitet (1° Ispettore storico) immedesimazione del restauratore nell ’autore, conoscenza delle tecniche del passato, restituire l’aspetto originario per “severa induzione” (dal frammento all’unità dell’opera secondo un
procedimento scientifico), il restauro deve passare inosservato. 1835: Prospere Merimée ( 2° Ispettore): restaurare = conservare quanto esiste o, al limite, riprodurre quanto esistito, reintegrare secondo le regole dello stile, in assenza di tracce antiche, copiare motivi analoghi di un edificio dello stesso tempo e dello stesso luogo. 1840: codificazione del restauro del monumento secondo lo stile a lui dovuto. 1844: relazione su Notre Dame, di Leon de Melville al Consiglio Generale delle Costruzioni Civili: riprodurre una decorazione mutila o raddrizzare un pinnacolo vacillante significa far rivivere il monumento e non profanarlo. 1849: pubblicazione di una istruzione per conservare e manutenere gli edifici diocesani. Il restauro è sempre una necessità incresciosa che può essere prevenuta da una intelligente manutenzione. Viollet le Duc (1814 - 1879): distingue tra: costruire un’opera nuova e restaurare un’opera del Passato. Scrive l’ Entretiens sur l’architecture (1869): l’interesse per il problema costruttivo e la buona architettura è espressione dei principi strutturali, contro l'arbitrio e le convenzioni delle leggi Accademiche, l’interesse per l’arte gotica, l’uso appropriato dei materiali nell’architettura gotica, gli aspetti tecnici e funzionali, l a coerenza tra forma e struttura nell’arte gotica. Viollet, quando progetta ex-novo, reinterpreta il passato assumendolo come riferimento ideale. Progetta opere moderne. Il duplice concetto di stile in V. Le Duc: insieme di regole liberamente interpretabili, insieme di forme storicamente determinate da restituire filologicamente attraverso un’operazione scientifica. Nel restauro si restituisce un’interpretazione già data. V. Le Duc, come teorico del restauro, 2 presupposti: umiltà verso il monumento, immedesimazione nell’architetto primitivo. 2 momenti: togliere le aggiunte per riportare l ’opera all’origine, colmare le lacune seguendo le regole dello stile o il principio analogico. Restaurare un edificio è ristabilirlo in uno stato di integrità che potrebbe non essere mai esistito. Regola: restituire l ’unità di stile quando le aggiunte non costituiscono valori storici o artistici importanti. La deroga al principio dell ’unità di stile: in tutti gli altri casi si conserva l’esistente (voce “restauro”: prevalgono le ragioni delle fasi costruttive). Per restaurare sono necessari: indagine storica, rilievo, conoscenza delle tecniche costruttive, f otografie. Vezelay, la Madeleine: 3 navate, 10 campate (6 campate romaniche, 4 campate gotiche, coro gotico): lavori di puntellamento, ricostruzione di parti pericolanti (volte), conservazione del coro gotico, lavori di sottofondazione, restauro delle parti degradate, rifacimento delle sculture, eliminazione delle tinteggiature, smontaggio e rimontaggio del finestrone gotico, rinuncia al completamento della torre in facciata. Parigi, Notre Dame, restauro (1845 - 1864): 1819: incarico a Godde, 1842: rimozione di Godde dall’incarico, 1844: prescelto il progetto di Viollet e Lassus, 1845: inizio lavori, 1864: fine lavori . (“Proponiamo il ripristino di tutte le sculture, perché ogni elemento è importante in questo insieme unitario di statue e di bassorilievi. Non si può lasciare incompleta una pagina tanto mirabile, senza rischiare di renderla inintelligibile ”). Malgrado l’idea
generale di non completare, si decise la ricostruzione della guglia.1792: distruzione. 1844: progetto ispirato alla guglia originaria, ma nella realizzazione Viollet si discostò dal disegni ed aggiunse le statue degli apostoli e di Viollet. Viollet e Lassus inserirono alcuni elementi illustranti lo stato anteriore dell ’edificio a titolo di esempio: le finestre della navata e del coro, risultato di una modifica del XIII secolo, secondo il progetto dovevano essere ripristinate (XII secolo); furono riaperti alcuni dei rosoni originari antecedenti alle finestre nella navata, nel transetto e nel coro. Altri restauri di V. Le Duc: Sainte Chapelle; cattedrale di Saint Denis; Carcassone; il castello di Pierrefonds. Gli epigoni di viollet le duc: Paul Abadie: Chiesa di Santa Croce (Bordeaux) e Cattedrale di Angoulême. Gli orientamenti estetici e letterari in INGHILTERRA tra Settecento e Ottocento. XVII secolo - XVIII secolo: Rivoluzione Industriale: lavoro minorile, inquinamento, urbanizzazione e sradicamento sociale, il prodotto industriale è frutto di un lavoro parcellizzato, lo scalpellino del Medioevo e l ’operaio del XVIII secolo. Gli architetti inglesi mantengono un forte legame con la tradizione gotica: il gotico è sempre stato lo “stile” nazionale. Christopher Wren, classicista, progetterà anche in gotico (abbazia di Westminster). Kenneth Klark: revival gotico (riscoperta) e survival gotico (sopravvivenza). Abbazia di Westminster (Londra, XI - XV sec.) Progetto per il restauro del transetto nord. Wren propone la rimozione di aggiunte recenti per restituire al prospetto la forma originaria: interesse di restituire l ’unità stilistica all’insieme. La sensibilità estetica legata all’idea del sublime. Edmund Burke, A philosophical enquiry into the origin of our ideas of the sublime and beautiful , 1750. Sublime: conflitto, scontro, tensione fra elementi in contrasto. Si apprezza ciò che è decadente, il rudere. Lo scontro tra l’opera compiuta dell’uomo e l’infinitezza della natura. Joseph Gandy, la Banca d’Inghilterra concepita come rovina. J. Soane colleziona frammenti architettonici e scultorei antichi riportati dai suoi innumerevoli viaggi all’estero. E’ evidente nell’esposizione dei reperti il gusto per il capriccio, il pittoresco, interpretato in chiave emotiva al contrario dello spirito razionale classificatorio riscontrato invece in A. Lenoir. J. M. William Turner (1775 - 1851): Ombra e tenebre. La sera del diluvio , 1843 (nella pittura si predilige l’irregolare, lo smisurato, il colossale, l’indistinto . È il momento in cui le acque stanno per abbattersi
sulla terra per purificarla. L’incombente coltre di nubi scure e una massa globulare luminosa al centro della tela. La tela è priva di impianto prospettico; mancano contorni e consistenza materiale). Luce e colore, il mattino dopo il diluvio , 1843 (il mattino dopo il diluvio è il giorno della rinascita, l ’ottimismo dell’inizio, la speranza di un nuovo ordine di cose. Vaghe figure umane sono trascinate in un abbandono totale nel vortice della luce. Il colore asseconda lo stato aurorale e ne enfatizza il valore. Il rosso e il giallo danno vita ad un cromatismo roteante per sottolineare il potere creatore e vivificante della luce). La sensibilità estetica legata anche all’idea del pittoresco. Pittoresco: bello malinconico, talmente bello da essere dipinto. L ’aggettivo è riferito a paesaggi naturali, giardini, rovine Il giardino inglese non segue alcuna regola prospettica. Il progettista ricrea la natura selvaggia. In letteratura si diffonde il gusto per le “gothic stories”. Sono romanzi ambientati in castelli medievali (Sir Horace Walpole, The castle of Otranto, 1764). James Wyatt costruisce Strawberry Hill per H. Walpole, autore di romanzi di gusto gotico (passaggio dalle forme barocche alle forme neogotiche) e Fonthill Abbey per sir Beckford (si ispira ad un ’abbazia medievale ridotta a rudere). I materiali duraturi del gotico e i materiali effimeri del neogotico. XIX sec.: l ’Inghilterra ha assorbito il gusto gotico e pittoresco. Si scopre una nazione con una religione secolarizzata e abbandonata. Si assiste all’ inurbamento e all’abbandono di chiese e monumenti antichi. 1818: legge per la costruzione de lle chiese “Church building act” (molte chiese saranno costruite in gusto gotico). John Soane ( 1753-1837) propone un modello di chiesa a pianta longitudinale a 3 navi suggerendo per gli alzati il gotico o il classico. La consacrazione del neogotico e il ruolo della Camden Society nella progettazione di chiese neogotiche e nel ripristino delle liturgia cattolica. Augustus W. N. Pugin (1812-1852): promotore del neogotico perché coincidente con la verità estetica e l’organicità costruttiva. Si lega alla Cambridge Camden Society che aveva fondato la rivista “The Ecclesiologist”. I temi trattati: recupero della fede, ritorno alla liturgia cattolica medievale, restauro delle chiese. La rivista viene chiusa perché dichiar ata fuori legge e l’attività di promotore passa a Pugin. Trattato sui veri principi dell’archi tettura ogivale ossia cristiana (sui caratteri del gotico inglese; il gotico è l ’architettura del cristianesimo; il gotico veicola il trascendente; il gotico è lo stile della fede); Contrasts (è un confronto tra la città inglese del XV secolo e quella contemporanea; i valori sono espressi dall ’architettura; la perfezione del passato e la decadenza del presente). Pugin esorta a guardare del passato non solo i ruderi ma i valori di cui l’antica città è portatrice. Bisogna conservare la città antica perché portatrice di valori che altrimenti andranno perduti. Pugin non scrive di restauro, ma sostiene l’idea che conservare il passato serve a migliorare il presente. I restauri procedono in maniera confusionaria, molte le m anomissioni. George Gilbert Scott (18111878) soffre la distinzione fra parole e fatti causata da forzati compromessi di natura professionale. Sul piano teorico difende la conservazione e si oppone al restauro che mina l ’autenticità dei monumenti. Avversa il fare troppo e il non sapersi fermare in tempo, come pure il preferire una fase storica rispetto ad altre. Sul piano operativo diventa il maggiore responsabile delle manomissioni degli antichi monumenti. La cattedrale di Hereford subisce due restauri (2^ metà del XIX secolo e inizio XX secolo); restaurate anche la chiesa di St. Mary a Stafford e la cattedrale di St. Alban. John Ruskin (1819 - 1900) Seguace eccellente di A. W. N. Pugin, nell’idea di migliorare il presente attraverso la conservazione del passato. Sostenitore dei Preraffaelliti e capofila del movimento neomedievale in Inghilterra: i suoi disegni sono un inno al medioevo, sono scorci, accenni; l’attenzione si rivolge ai particolari, alle superfici, alla materia. The Stones of Venice , 1851 (le pietre di Venezia rappresentano i valori dei cittadini, la capacità lavorativa, la bontà delle leggi) Il testo, dunque, è un’allegoria: le pietre di Venezia rappresentano, oltre che le architetture, i valori su cui si fondava la Repubblica. Sono qualità come il carattere, l’anima, il sentimento; per cui una società sana produce una buona architettura. Ispirarsi al gotico produce benèfici effetti alla società contemporanea. Mistica contemplazione dell’opera d’arte; le opere del passato non ci appartengono; l ’uomo è testimone del passato che deve essere tramandato; conservare la natura autentica degli antichi edifici; conservare le tracce del tempo (la patina: sublimità parassitaria); la bellezza raggiunge la massima espressione quando l ’edificio porta i segni del tempo. The Seven Lamps of Architecture , 1848: le sette lampade, ovvero i sette principi morali che guidano l’architettura: sacrificio (necessario per il venerabile e il bello), verità (autenticità dei materiali), potenza (semplicità dei volumi e grandiosità delle masse), bellezza (ispirazione alla natura), vita (artigianalità delle opere), obbedienza (accettazione universale di uno stile), memoria (l ’architettura serve per ricordare il tempo passato. Ogni architettura trasmette la memoria del passato e si fa carico dello scorrere del tempo). La lampada della memoria: ”Conferire all’architettura una dimensione storica e conservarla” (la max perfezione si raggiunge quando gli edifici diventano commemorativi) , “La terra ci è stata data in consegna; non la possediamo”, “La più grande gloria di un edificio risiede nella sua età, nella dorata patina del tempo. Il tempo conferisce bellezza, la quale coincide con la decadenza. Questa è ben espressa dal pittoresco. Il
pittoresco sta nella sublimità delle fessure, delle macchie, della vegetazione”, “Il restauro è la peggiore distruzione. È una menzogna. Meglio demolire, sgretolare, fare zavorra delle pietre. Non abbiamo alcun diritto di toccare i monumenti”. William Morris (1834-1896) critica i restauratori e f onda la S.P.A.B. (1877). Il Manifesto (1878) dal titolo “ Anti Restoration Movement” dice di: rispettare gli edifici di ogni epoca, non alterare la patina, non eliminare gli strati superficiali né l ’intonaco antico, non eliminare le lavorazioni superficiali, non usare la sega elicoidale, rispettare le fasi costruttive, f avorire la manutenzione per prevenire il restauro, ammesse le aggiunte purché non riproducano uno stile passato. RUSKIN: aristocratico e teorico; le istanze tecniche sono subordinate a quelle estetiche; restauro = distruzione, ammessa solo la manutenzione; non si sente padrone del monumento; monumento = testimonianza e simbolo di umanità e poesia VIOLLET le DUC: pubblico dipendente, formazione architettonica e archeologica; i problemi operativi sono prioritari; nel restauro il ripristino è ammesso (eccezionalmente); si sente responsabile della sopravvivenza del monumento; importanti gli aspetti statici e d ’uso. Marco Dezzi Bardeschi: in linea con il fatalismo ruskiniano, sostiene la pura conservazione: il restauro può solo arginare la fine; il restauro non deve mai togliere, ma aggiungere materia; ne discende una particolare attenzione ai prodotti chimici consolidanti. Milano, Palazzo della Ragione: l’edificio mostra tutte le sue ferite, le lacune non vengono chiuse: l’intervento ha previsto il fissaggio degli intonaci esistenti in luogo della formazione dei rappezzi, si è steso un protettivo superficiale trasparente su tutte le superfici. Paolo Marconi, in linea con l’atteggiamento retrospettivo, sostiene l’iper manutenzione ripristino. Il restauro è una manutenzione di lunga durata, volta a replicare gli strati di sacrificio. Ma riscoprire gli strati di sacrificio significa tornare all ’immagine passata e compiere una operazione di ripristino formale. I monumenti ereditati dal passato non sono più quelli originali, in quanto sottoposti a ripetute manutenzioni. Dal rifacimento delle superfici, si giunge al rifacimento integrale di solai, coperture, ecc. Un esempio di iper-manutenzione-ripristino: Villa Lante al Gianicolo a Roma, Restauro di P. Marconi (1980/81): “Il colorito rosso mattone del la facciata era stato voluto dal precedente Direttore dell'Institutum Romanum Finlandiae, in ossequio al colore preferito dalla Roma umbertina fino agli anni '60 del XIX secolo, ricoprendo con un intonaco rustico gli stucchi originari. ” “Si scoprono gli stucchi e gli intonaci originari. L’orientamento del nuovo Direttore dell'Institutum Romanum Finlandiae, l'archeologa Margareta Steinby, prevede di: scoprire gli intonaci originari residui, consolidandoli, e per il resto ripristinare un colorito che ricordasse il tono "color travertino" degli stucchi originari. ” “La facciata dopo i lavori, in cui si nota il tono più cupo degli sfondi, sul quale spiccano le paraste e gli ornati. La stesura delle tinte fu effettuata dalle stesse maestranze che avevano da poco lavorato a Villa Medici sotto da direzione del grande Balthus, con tocchi di tono freddo e caldo alternati, sulla falsariga dell'impressionismo di Seurat e Signac. ” I criteri-guida, la prassi e il dibattito architettonico in Italia nella seconda metà dell’Ottocento I completamenti stilistici: Niccolò Matas (1798-1872) (Firenze, S. Croce) Emilio De Fabris (1807-1883) (Firenze, S. Maria del Fiore. Completamento della facciata (1880-1888) I ripristini stilistici: Carlo Maria Maciachini (1818-1899) (Milano, S. Marco), Cesare Nava (1861-1933), Paolo Cesa Bianchi (1840-1920) (Milano, S. Babila), Giovanni Battista Giovenale (1848-1934) (Roma, S. Maria in Cosmedin), Giuseppe Sacconi (1854-1905) (Orvieto, Palazzo del Popolo (1854 - 95), Alfonso Rubbiani (18481913) (Bologna, Palazzo dei Notai, Palazzo di Re Enzo, Loggia dei mercanti, Chiesa di S. Francesco, Chiesa di San Domenico; Aosta, chiesa di san Michele presso sant’Ambrogio di Susa; Venezia, campanile di san Marco) Errico Alvino (1809-1872) (Amalfi, Duomo ), Alfredo D’Andrade (1839-1915) (Fenis (AO), castello) diviene Sovrintendente alle Belle Arti di Liguria e Piemonte e dirige tutti i restauri di chiese e castelli effettuati sino al 1915 in queste regioni. Il materiale accumulato gli permetterà di curare la realizzazione del Borgo Medievale di Torino, al Parco del Valentino, in seno all'Esposizione generale italiana del 1884. Il Borgo costituisce una delle sue opere di maggiore rilievo poiché in essa l'artista ha ricreato un piccolo nucleo urbano medievale partendo dalle esperienze architettoniche che aveva avuto modo di rilevare. Invece a Genova, a porta Soprana, effettua scrostamento degli intonaci delle torri, liberazione dalle aggiunte, parziale rifacimento del paramento lapideo, ricostruzione dei merli, sottomurazione e ricostruzione della base della torre sud. Federico Berchet (1831- 1909) (Venezia, Fondaco dei turchi). CAMILLO BOITO (1836 - 1914) di formazione veneziana, è allievo di Pietro Selvatico Estense. Secondo il Maestro, il Medioevo “è il periodo dell’unità delle arti, dove utilità e bellezza si collegano” ed i monumenti medievali sono la materializzazione di una dimensione spirituale e l’espressione di vita e di civiltà di un preciso momento. Fu docente all’Accademia di Brera (1860 1908), docente al Politecnico di Milano (1865-1908), membro della Giunta Superiore di BB.AA. presso il MPI e poeta, narratore, pubblicista. [ Architettura del Medioevo in Italia, 1880 (introduzione); Ornamenti di tutti gli stili , 1888; Arte italiana decorativa e industriale, 1892] L’idea della verità nell’arte indirizza Boi to ad apprezzare
l’architettura lombarda che, per essere l’essenza dell a razionalità e al tempo stesso della libera fantasia, è da lui ritenuta compiutamente italiana. Si ispira ad un nuovo linguaggio figurativo basato sullo stretto rapporto tra funzione ed espressione figurativa. Il bisogno di verità diventa più incisivo quando Boito parla di restauro: “non ingannare né il prossimo né i posteri” (1893) [Restaurare e conservare, 1893; Questioni pratiche di Belle Arti , 1893] Il restauro è basato sul concetto di monumento come documento storico, connotato dal valore dell’autenticità. Da posizioni inizialmente prossime alla teoria di Viollet, Boito si avvicina progressivamente ai nuovi orientamenti prossimi alle posizioni inglesi di Ruskin e Morris fino a gettare le basi della moderna scuola italiana del restauro orientando il pensiero verso un metodo cauto ed equilibrato. Diviene caposcuola del restauro filologico: conservare senza aggiungere, rispettare le stratificazioni, rendere riconoscibili le intromissioni solo qualora queste fossero indispensabili. “I restauri fatti bene e per tempo assicurano la solidità di un edificio e non ne snaturano il carattere, invece, fatti tardi e disattentamente mandano l’edificio in rovina, o gli tolgono l’originale bellezza.” Boito aderisce ad una esigenza di conservazione lontana da ogni drastico intervento. Reagisce contro gli arbitri interpretativi, però denuncia lo stato di abulia nei cfr. dei monumenti; condanna i restauri perfetti quanto ingannatori, ma al t empo stesso rifiuta la fine del monumento. Il fine ideale per l’architetto è la conservazione: meglio consolidare che riparare, m eglio riparare che restaurare. Garanzia per un corretto intervento è l’indagine filologica: convinto assertore dell’indagine diretta e della ricerca st orica ritiene che il monumento è il primo documento di se stesso. Ma bisogna restituire o no la fisionomia originaria? Sul piano teorico è cauto e prudente nella liberazione dalle aggiunte. E’ consapevole che: “il lavorar e intorno ad un monumento è una tentazione continua: si sa dove si principia, non si sa ove si vada a finire” . 1883: IV Congresso degli ingegneri e degli architetti. Il primo ordine del giorno articolato in otto punti: differenza di stile fra il vecchio e il nuovo (per le aggiunte); differenza di materiali (per le aggiunte); soppressione di sagome o di ornati (per le integrazioni archeologiche); mostra dei vecchi pezzi rimossi aperta accanto al monumento; incisione in ciascun pezzo rinnovato della data del restauro o di un segno convenzionale; epigrafe descrittiva incisa sul monumento; descrizione e fotografie dei diversi periodi del lavoro, deposte nell’edificio o in un luogo prossimo ad esso, oppure descrizione pubblicata per le stampe; notorietà. I principi teorici enunciati nel 1883 non incidono più di tanto nella operatività boitiana, dove si registra un sostanziale ritardo. Diversamente, gli assunti teorici indirizzano verso un ripensamento dell’organizzazione amministrativa dell’attività di tutela e della normativa. Boito decide di scendere in campo nel 1879: propone la sostituzione delle Commissioni Conservatrici con otto Ispettorati Regionali le cui funzioni riguardano lo studio, il progetto, la catalogazione, il controllo; prospetta come struttura direttiva centrale il Consiglio Superiore per i Monumenti di Antichità e Belle Arti; si impegna perché si sottragga al Genio Civile l’attività di progettazione e restauro di edifici monumentali. Legge n. 185 del 1902, art. 13 “Nei comuni nei quali esistono monumenti soggetti alle disposizioni della presente legge potranno essere prescritte per i casi di nuove costruzioni, ricostruzioni e alzamenti di edifici, le distanze e le misure necessarie allo scopo che le nuove opere non danneggino la prospettiva o la luce richiesta dalla natura dei monumenti stessi”. Monumenti di importanza archeologica: Restauro archeologico (resti antichi) (l’unico intervento ammesso è l’anastilosi, con minime integrazion i semplificate e distinguibili). Monumenti di apparenza pittoresca: Restauro pittorico (opere medievali) (s i parla di restauro ‘invisibile’ che preserva i caratteri antichi e limita la quantità di aggiunte). Monumenti di bellezza architettonica: Restauro architettonico (opere rinascimentali e successive) (è ammessa una maggiore libertà di intervento, pur limitando completamenti e innovazioni). Pur fra dubbi e incertezze, la riflessione di Boito, volto a difendere l’autenticità e l’originalità, s’incentra sul rapporto dialettico, a volte contraddittorio, fra conservazione e restauro. La storia può legittimare la rimozione dell’aggiunta : In Questioni pratiche di belle arti (1893) Boito affronta, sotto forma di dialogo fra due interlocutori, alcuni nodi concettuali incentrati sulla dialettica antichitàbellezza. Boito concorda con A. Forcellini che ha chiuso la finestra più lontana dallo spigolo del Palazzo Ducale a Venezia perché non sufficientem ente antica. L’eliminazione dell’aggiunta in questo caso è legittimata dalla storia. Boito ritiene sia opportuno riproporre i tamponamenti cinquecenteschi delle arcate eliminati da A. Forcellini, perché antichi. La conservazione dell’aggiunta può essere legittimata se questa non compromette l’antico. Inoltre approva la rimozione dell’aggiunta cinquecentesca (arco trasversale che aveva nascosto le colonnine binate), intrapresa da A. Forcellini, perché legittimata dall’antichità e dalla bellezza e ammette il rifacimento (della trifora) se legittimato, come lo sarebbe in questo caso, da elementi certi. Murano, chiesa dei SS. Maria e Donato (1858): è una delle iniziali esperienze che consentono di verificare le prime posizioni assunte da Boito in tema di restauro. Il fine è quello di riproporre l’assetto originario della chiesa. L’osservazione diretta, anteposta qui alla ricerca d’archivio e finalizzata alla ricerca degli indizi materiali certi, è associata alla comparazione con edifici coevi ed alla conoscenza dell’organismo analizzato nella struttura e
nell’ornato. Archi, colonne, decori che suggeriscono il disegno di quanto perduto o alterato dagli interventi seicenteschi vanno preservati. Il restauro consiste nella eliminazione della disomogeneità stilistica e nel consolidamento delle strutture dissestate. Boito giudica la facciata solida ma ‘brutta e contrastante con il carattere primitivo della chiesa’. Mancando gli indizi certi, nell’impossibilità di ricorrere ad un criterio analogico, la fronte viene ‘ideata tutta di nuovo’. Il progetto non viene realizzato. Il progetto prevede un riassetto generale che riguarda gli accessi, i percorsi e nuovi elementi funzionali. La demolizione delle ‘appiccicate costruzioni’ (abitazione, cappelle, sacrestia) all’esterno, i rifacimenti, le aggiunte, la riproposizione di antichi elementi decorativi all’interno hanno pure questo scopo. Le forme restituite al monumento legano inscindibilmente l’opera di restauro dello stile primitivo alla ricerca dello stile futuro dell’architettura. Milano, Porta Ticinese (1861-65) Quando si ridisegna la viabilità urbana la porta, significativo reperto di epoca medievale, rischia di essere demolita. Gli ingressi al centro antico sembrano inutili e desueti ingombri. Si innesca un vivace dibattito fra conservatori e demolitori, che si risolve nel 1860 con la delibera di mantenimento e l’inizio dei lavori di liberazione dalle stratificazioni. Boito giudica la porta e il colonnato di san Lorenzo permanenze di epoche gloriose (medioevo e romanità) e riconosce alcuni indizi materiali (gli archi laterali alla base delle torri, i blocchi lapidei del basamento) che gli suggeriscono di ricomporre la ‘forma prima’ dell’edificio. Boito vede nella porta ticinese un modello architettonico esemplificativo della tradizione medievale lombarda ed esprime il proprio apprezzamento per il suo carattere pregevole. Oltretutto, prosegue Boito, poiché non è sostenibile il suo stato di rudere in quanto non appartiene all’età classica, è legittimo riportare l’edificio a ‘quell’aspetto che doveva presentare al tempo della sua costruzione’. Per tramandare la memoria storica è necessario restaurare. Per far conoscere la ‘verità storica’ spesso non basta solo conservare ma bisogna reintegrare ciò che non esiste più, r eintegrare sulla base di ‘prove sicure’. E questo caso mostra una quantità sufficientemente ampia di indizi da rendere agevole lo svolgimento del restauro. Dal punto di vista funzionale Boito decide di destinare i due varchi laterali al transito veicolare, aggiungere un passaggio pedonale e dare in locazione gli ambienti ai livelli superiori per ammortizzare i costi. La torre ovest e la parte centrale vengono coronate da merli guelfi; la torre est rimane incompiuta. Il paramento in mattoni e gli elementi lapidei (cornici, mostre, finestre, lastre di coronamento dei merli) confluiranno in quel lessico a cui Boito attingerà per i progetti di architettura pubblica in Lombardia. Progetto ex novo del cimitero di Gallarate (Varese), 1865. Nella progettazione del nuovo, Boito ricerca un nuovo linguaggio figurativo che attinge dal repertorio medievale lombardo, a cui riconosce il pregio della sincerità costruttiva. L’essenzialità da lui ricercata è perseguita attraverso volumi semplici, pareti levigate, uso di materiali poveri come mattoni e pietra tagliata. Le ragioni funzio nali dell’organismo sono palesi guardando il recinto di cui sono parte integrante le cappelle. La bicromia è affidata all’uso del mattone e della pietra che consentono di attribuire espressività alle masse murarie. Padova, progetto ex novo delle scuole elementari di Reggio Carrarese (1880): l a chiara distribuzione interna dell’edificio con impianto ad “L” si manif esta in modo palese all’esterno anche attraverso le aperture. Le superfici sono articolate attraverso fasce marcapiano e piedritti (bicromi) ribattuti nella soluzione angolare e raddoppiati in corrispondenza degli ingressi. Venezia, restauro di Palazzo Cavalli ora Franchetti a Campo San Vidal (1879-83) costruito nel XIV secolo, il palazzo subisce dei rimaneggiamenti nella seconda metà del XIX secolo, che sembra abbiano riguardato la facciata completamente riformulata con la costruzione di una balaustra neogotica. La facciata viene smontata quasi totalmente e ricomposta da Boito che ristruttura e regolarizza il piano terra e l’ammezzato, elimina il ‘poggiolo’ (balaustra) sulla pentafora al secondo livello, rimuove l’abbaino. I lavori si concludono con la realizzazione dello scalone d’onore ne o-gotico collocato a nord-ovest dell’edificio. L’attenzione per i dettagli, l’uso di materiali pregiati, il gusto floreale nella decorazione delle pareti sembrano contraddire la semplicità da egli ripetutamente sostenuta. Padova, basilica di Sant’Antonio, Altare di Donatello (1893-95). L’altare, realizzato da Donatello nel 1450, fu manipolato una prima volta nel 1579-82, quando viene distrutta la parte architettonica e reimpiegati alcuni brani scultorei originali, ed una seconda volta, nel 1651-58, quando viene imbarocchito, traslato verso la cantoria e privato dei brani scultorei sparsi nella basilica. Boito, che conosce bene le fonti disponibili da cui estrapola notizie cir ca la posizione dell’altare, l’identificazione degli elementi scultorei, ma non la struttura architettonica dell’insieme, intende riposizionare gli elementi scultorei nel loro ‘giusto punto prospettico’, distribuendoli su tre livelli: le sculture a forte aggetto e di media grandezza in basso, i bassorilievi nella zona intermedia e le sculture a tutto tondo in alto. Dunque, una nuova configurazione che si ispira ai modi donatelliani attinti dalla Cantoria di Santa Maria del Fiore, dal pulpito esterno della Pieve di Prato, dall’Annunciazione di Santa Croce. Boito interviene laddove avrebbe dovuto astenersi: come nella sistemazione del Crocifisso che, pur essendo opera di Donatello colloca in una posizione non pertinente, e come nella posizione dell’altare che sistema sotto la cupola dell’Angelo, anziché
nel coro. Gli ornamenti: il fregio a cerchi e conchiglie si ispira alla cantoria di Santa Maria del Fiore; mentre i pilastrini a cinque scanalature con base attica e capitello corinzio al pulpito della pieve di Prato. Il motivo decorativo della corona con le ali ed i nastri si ispirano all’analogo motivo dell’Annunciazione di S anta Croce. LUCA BELTRAMI (1854-1933) allievo di Boito, teorico, storico, architetto, restauratore, Beltrami è ricordato non tanto per gli scritti, quanto per le esperienze professionali. Svolge la propria attività con serietà scientifica e professionale e con impegno civile per la salvaguardia del patrimonio storico-architettonico e la costruzione di una efficiente amministrazione statale in questo campo (Promuove gli Uffici Regionali per la conservazione dei monumenti). Sostiene la verità scientifica dei dati documentari validi per la singola opera, oggetto unico e irripetibile. Rifiuta regole generalizzanti, si oppone alle traslazioni analogiche ed ai rifacimenti in stile delle parti mancanti, mentre approva regole valide per la singola opera. Ricerca fonti, segni, tracce purché sempre riconducibili all’evento storico specifico: egli è sostenitore del restauro storico. La fondatezza scientifica dei dati autorizza e legittima il ripristino delle parti mancanti ‘dov’erano e com’erano’. In questo modo si argina il rischio della soggettività e dell’arbitrarietà. Solo quando la ricerca storiografica non è conclusiva, solo allora il restauro è delegabile alle concezioni personali del restauratore che può raggiungere, come massimo traguardo, la verosimiglianza. Sul piano teorico difende l’autenticità attraverso un met odo basato sulla documentazione storicamente fedele, mentre operativamente oppone modi ripristinatori al rigore concettuale del criterio storico. Milano, castello sforzesco (1893-94 / 1901-05). Dalle fonti si apprende che il primo nucleo, di cui rimane ben poco, fu edificato in età viscontea (XIV sec.). Nel 1450 F. Sforza avvia la ricostruzione e l’ampliamento. Nel 1452 Filarete costruisce la torre sul fronte verso la città. P iù tardi, l’apporto di Leonardo e Bramante contribuisce a fondere in un unico organismo la fortezza con la dimora signorile. Nel 1521 la torre crolla a causa di un fulmine. Beltrami si oppone alla demolizione del castello, che può essere adattato a sede delle Esposizioni Riunite, e redige un progetto di ricostruzione pressoché integrale sulla base del rilievo dello stato di fatto e una scrupolosa indagine documentaria. La fabbrica era in precarie condizioni statiche e compromessa da modifiche ed adattamenti. Demolisce le costruzioni giudicate prive di valore, ripristina paramenti, torri, reintegra profili e decorazioni, legittimando il restauro stilistico con il metodo della documentazione storicamente fedele. Le porte del Carmine e di Santo Spirito vengono restaurate. La torre di Bona di Savoia viene riportata alla sua altezza originaria. Nella corte ducale vengono ripristinate le aperture. La cinta sforzesca (la Ghirlanda) viene demolita, giustificando l’operazione con le precarie condizioni dei resti . L’esperienza della ricostruzione della torre del Filarete mette in evidenza come il metodo storico selezioni i dati della storia reinventando (o per analogia stilistica o per documentazione filologica) parti andate distrutte oppure mai completate. La sola storia non può costituire un dato assoluto poiché nuove acquisizioni potrebbero modificarla. In questo caso Beltrami forza la storia trasformando vaghi indizi, ovverosia documenti iconografici, in fonti certe. La ricostruzione della torre del Filarete viene intrapresa fra il 1901 e il 1905. Consapevole che non riesce ad “arrivare alla materiale e scrupolosa esattezza originaria della struttura”, Beltrami esegue un ripristino il cui senso è affidato al disegno d’insieme e al movimento delle masse. Nella piazza d’Armi sono sistemati i resti di facciate di case demolite durante le ristrutturazioni urbane del XIX secolo. Beltrami non si preoccupa di salvare un documento materiale, quanto piuttosto di esemplificare un tipo costruttivo. Il luogo diventa “l’archivio materiale della città”. Similmente, la Pusterla dei Fabbri, appartenente alla cinta muraria medievale, viene rimontata reimpiegando le pi etre, e posta all’ingresso alla Biblioteca d’Arte del Castello; non solo viene salvata materialmente, ma entra a far parte del museo didattico costituito dal Castello. GAETANO MORETTI (1860-1938). Venezia, Piazza San Marco (ricostruisce il campanile dopo crollo del 14 luglio 1902). Il restauro in Europa all ’inizio del XX secolo: le riflessioni di ALOIS RIEGL (1858 - 1905). Storico dell’arte, esponente della cosiddetta “Scuola di Vienna”, f ondatore del Museo Artistico per l’Arte Applicata: supera la tradizionale divisione fra arti maggiori e arti minori. Afferma la piena validità di tutti gli stili (concetto estetico del Kunstwollen) e sostiene l’esistenza del solo valore artistico relativo e non assoluto . Riegl “affronta la questione del rapporto fra l'individualità dell'artista e le tendenze stilistiche del suo tempo, t ra il "gusto" proprio dell'artista e quello della cultura alla quale appartiene, e la risolve affermando che anche il grande artista è parte integrante della tradizione nazionale alla quale appartiene, ma ne costituisce al tempo stesso la massima e più genuina espressione”. Riegl si dedica anche a studi monografici, come quello della ritrattistica di gruppo olandese. La formazione e gli influssi culturali: metodo storico dello studio critico delle fonti, germinato dal terreno della filologia; elaborazione storica basata sul lo studio dei “fatti” materiali. Il suo originale apporto teorico contribuì al precisarsi di una compiuta teoria della conservazione. Rivoluziona l’approccio al problema della tutela introducendo un nuovo concetto di monumento: il monumento viene connesso alla nozione di tempo, di divenire, di testimonianza storica, d’arte, di esperienza, di civiltà.
Monumenti intenzionali (nati come tali) e monumenti non intenzionali (divenuti tali per le vicende della storia e per la loro qualità d’arte). Elabora una teoria dello sviluppo dei valori artistici: i valori si possono riconoscere in ciascun monumento e sono collegati ad un processo storico; attraverso di essi è possibile apprezzare le qualità dei monumenti e orientare l’atto di tutela e restauro. I primi valori analizzati: valore storico e valore artistico. Ogni oggetto dell’attività umana, in quanto testimonianza, può rivendicare un valore storico. Ma potremmo, indipendentemente dal valore storico, pur sempre riconoscere all’oggetto antico un valore artistico e questo avviene quando si verifica una coincidenza fra il moderno kunstwollen (volontà artistica) e l’antico kunstwollen. In tal senso il valore artistico è considerato valore contemporaneo. Siamo noi, soggetti moderni, che attribuiamo un senso alle opere, ai monumenti. Antichi tappeti orientali , 1891: questo scritto è la prima pietra della sua costruzione teorica. Il tappeto è una forma di espressione artistica che si comprende superando la distinzione fra arti maggiori e minori. È fuorviante lo stesso aggettivo “orientale”, vista la continuità con l’arte occidentale. Riegl mette a punto un’analisi basata sulla valutazione dell’oggetto artistico a partire dai materiali. Egli mette in relazione i motivi decorativi dei tappeti, ma non solo, con i sistemi economici e sociali che li hanno prodotti. Affronta aspetti storici, stilistici e questioni tecniche; analizza le forme artistiche superando gli steccati geografici e temporali. Ma Riegl studia anche la ricezione della forma artistica da parte di sistemi culturali diversi da quello che ha prodotto quella forma. Problemi di stile, 1893: Riegl propone nuovi criteri per valutare l’arte ornamentale. Lo studioso parte dall’esame diretto dell’oggetto artistico (i tessuti). La forma artistica è determinata dal Kunstwollen=intenzione d ’arte. Kunstwollen è una capacità dell’ar tista di relazionare la propria opera con la dimensione sociale e culturale in cui l’artista agisce . Riegl introduce la teoria del “valore relativo” dell’oggetto d’arte. Dunque, Riegl afferma la relatività del valore artistico. Lo studioso dovrà confrontare i due Kunstwollen, cioè dovrà confrontare la dimensione sociale e culturale in cui l’artista dell’opera analizzata agisce, con la dim ensione sociale e culturale cui il critico appartiene. Lo storico deve essere storicamente neutrale. Diventa consulente per riorganizzare il servizio di tutela in Austria 1902: Direttore della Commissione Centrale per la Conservazione dei Monumenti Storici e Artistici dell ’impero austro-ungarico. L’obiettivo è fissare i criteri cui deve uniformarsi il servizio di tutela nazionale. Il culto moderno dei monumenti, 1903: lo scritto è il saggio introduttivo ad un progetto di legge elaborato dallo stesso Riegl per la riorganizzazione della tutela in Austria. Nel saggio egli affronta la questione della tutela dei monumenti attraverso la definizione e l’analisi di un sistema di valori . Prima di Riegl, le cui riflessioni si svolgono all’esterno del settore operativo, la critica storico-artistica era rimasta estranea alle problematiche inerenti la tutela. Questa è una novità e deriva dal metodo di studio del monumento, che viene inteso da Riegl innanzitutto come documento. E’ alla luce di queste riflessioni c he Riegl, nella duplice veste di Storico dell’Arte e di Soprintendente della Commissione centrale per l’arte e i monumenti storici, affronta il problema della tutela dei monumenti dell’impero austro-ungarico. Il saggio è diviso in tre parti: 1^ parte: analisi dei valori nei monumenti; 2^ parte e 3^ parte: indagine sugli effetti che i valori producono sui monumenti e studio dei conflitti tra i valori. Prima affronta il concetto di monumento poi individua i valori cui far riferimento in un restauro. Per prima cosa definisce il valore artistico di un monumento che, grazie al Kunstwollen, è un valore relativo e non assoluto, fino a che giunge a riconoscere al monumento un valore documentario, motivo sufficiente per giustificarne la conservazione. Riegl delinea le linee di sviluppo dei VALORI IN QUANTO MEMORIA: i monumenti nel tempo sono soggetti al divenire, si trasformano per il trascorrere del tempo. Ad essi si riconosce un valore antico (ad esso corrisponde l’azione congiunta della natura e dell’uomo) . I monumenti però testimoniano anche una determinata tappa nello sviluppo dell’attività umana. Ad essi si riconosce un valore storico (ad esso corrisponde un’azione di conservazione) . All’origine i monumenti vengono realizzati dall’uomo per perpetuare azioni o gesta. A questi monumenti si riconosce un valore intenzionale commemorativo (ad esso corr isponde un’azione di restauro). il valore “antico” nasce dal contrasto con il presente: è l ’insieme delle tracce che il tempo lascia sull ’opera. Il monumento disgregato dagli agenti atmosferici diventa parte integrante della natura. Il monumento non deve essere né conservato nello stato precedente (perché si frenerebbero i segni del tempo) né restaurato per restituire l’aspetto originario (perché si altererebbero i segni del tempo). La patina va conservata. Il valore dell’antico è percepito da tutti, è un valore di massa: la moderna tutela deve tener conto principalmente di questo valore. In un restauro il punto di riferimento è il valore dell ’antico ed un restauro è ben riuscito quando si riesce ad equilibrare i diversi valori presenti nell ’opera. Il valore “storico” riguarda lo stato iniziale dell’opera architettonica, è tanto più alto quanto più traspare lo stato originario. Prescinde dal degrado: il degrado e le alterazioni disturbano l’opera; si deve conservare il più a lungo possibile lo stato attuale del monumento, se è vicino al suo stato originario, oppure si devono colmare “teoricamente” le eventuali lacune . Si deve impedire il
degrado provocato dagli agenti atmosferici (il v. antico mira a rallentare il degrado, il v. storico tende ad impedirlo). I possibili conflitti tre valore storico e valore antico: Riegl enuncia la legge estetica fondamentale della modernità: dalla mano dell’uomo esigiamo la realizzazione di opere compiute, concluse; dalla natura che agisce nel corso del tempo esigiamo il degrado di quel carattere concluso. Come superare il conflitto fra valore storico e valore antico? R. suggerisce di risolvere la questione lavorando su copie oppure speculando e riflettendo sul piano teorico. Il valore “commemorativo intenzionale”: il monumento può aver avuto un’origine intenzionale (monumento da monere = ricordare, tramandare). Non si deve permettere che il monumento abbia una fine, bisogna conservare il monumento presente e vivo nella coscienza futura e combattere le forze della natura che provocano il degrado. Di qui, l’importanza del restauro inteso come azione che fa tornare il monumento allo stato iniziale. I possibili conflitti tra valore commemorativo intenzionale e valore antico: per il 1° valore il restauro tende a riportare il monumento alle condizioni iniziali garantendo la conservazione dell’intenzionalità, ma ciò contraddice il valore dell’antico. Tuttavia il conflitto è meno forte di quanto possa sembrare, infatti il numero di monumenti intenzionali è notevolmente inferiore rispetto al numero di monumenti involontari. I VALORI CONTEMPORANEI affondano le radici nel soddisfacimento di bisogni: bisogni naturali (valore d’uso) (purché l’opera viva, è indifferente ai trattamenti subiti; se vive grazie alla manutenzione non si altera il valore dell’antico) e bisogni intellettuali ( valore artistico) (kunstwollen). Quest’ultimo valore si suddivide in valore di novità (di opera nuova, appena conclusa; antagonista del valore dell’antico) e valore artistico relativo (la conservazione è legata ad attuali specifiche esigenze di gusto). Il valore d’uso deve garantire condizioni di sicurezza e salubrità. Il monumento ammette alterazioni fin quando non viene intaccata l’esistenza stessa del monumento. L’eventuale conflitto con il valore del l’antico può verificarsi quando il monumento è in biblico fra utilizzabilità e non utilizzabilità; il conflitto allora andrà risolto chiamando in causa gli altri valori concomitanti. I possibili conflitti tra valore d’uso (valore contemporaneo) e valore antico (valore commemorativo-intenzionale): nel caso sussista il valore d ’uso si tende ad aggiornare l’opera contraddicendo il valore dell’antico; nel caso in cui non c’è il valore d’uso prevalgono gli orientamenti dettati dal valore dell’antico. L’eventuale conflitto tra valore d’uso e valore antico verrà risolto anche soppesando gli altri valori concomitanti. E’ auspicabile dare maggiore peso all ’uso, qualora esso sussista, ed evitare la morte per eccesso di fedeltà all’antico. Il valore di novità è il massimo avversario del valore dell’antico: r iguarda la compiutezza formale e l’integrità cromatica. È un valore di massa (al contrario del valore artistico relativo). Il nuovo, l’integro è bello; il frammentario, lo scolorito è brutto. Nel 1800 fusione del v. di novità con il v. storico, per cui ogni azione mirava alla restituzione dell’integrità e compiutezza originaria . I possibili conflitti tra valore di novità e valore antico. Va riconosciuta una netta contrapposizione tra l ’apprezzamento dell’antico (il valore dell’antico) e l’apprezzamento del nuovo (il valore di novità): il valore di novità riesce sempre ad avere maggiori consensi tra la gente. Ne consegue che il valore di novità può essere perseguito a scapito dell ’antico. Il valore artistico relativo fa apprezzare la creatività umana, la concezione, la forma e il colore. Per noi moderni non esiste un valore artistico assoluto, ma relativo, tanto che le generazioni future potrebbero non riconoscere valore artistico ad un’opera. Il valore artistico relativo può essere positivo o negativo: è positivo quando soddisfa il moderno kunstwollen. In tal caso si deve conservare l’opera nello stato in c ui è pervenuto. Il desiderio di conservazione è legato alla coincidenza del moderno Kunstwollen con l ’antico Kunstwollen. I possibili conflitti tra valore artistico relativo e valore antico: a volte, anche se il valore artistico relativo è positivo, si può giungere ad una restauratio in integrum, arrivando a contraddire l ’antico. Quando il valore artistico relativo è negativo, si può giungere alla richiesta di distruzione dell’opera, contraddicendo nuovamente l’antico. Una decisione a svantaggio dell’antico può verificarsi nel caso di un ulteriore conflitto con altri concomitanti valori (d’uso e di novità) . Il restauro comincia ad essere legato alla definizione di valore: nasce il restauro contemporaneo legato alle scelte di valore, che comunque sono sempre condizionate dal gusto, dal tempo, dallo stato della storiografia. Le scelte di restauro dipendono dal peso attribuito a ciascun valore, dunque, in Riegl, c’è un implicito costante riferimento all’atto giudicante . In definitiva, principi e metodi del restauro non possono eludere il concetto di valore e il pratico operare non può fare a meno di compiere scelte. Tener conto del pensiero di Riegl vuol dire evitare di privilegiare una sola operazione tra quelle possibili perché ciò significa ridurre, parzializzare e strumentalizzare la complessa elaborazione concettuale dello storico austriaco, da cui deriverà la speculazione di Cesare Brandi. GUSTAVO GIOVANNONI (1873 - 1947) Promotore della I^ Facoltà di Architettura istituita a Roma (1920): “Nuova Scuola Superiore di Architettura”, Cattedra di Rilievo e restauro dei monumenti. Insegnamenti fondamentali: Restauro dei Monumenti, Storia dell’ Architettura. Membro del Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti. Il ripristino sconsigliato, ma ammesso se perseguito con criteri rigorosamente storici. L ’importanza dell’aspetto strutturale e tecnico-
costruttivo. La sua teoria sul restauro è sintetizzata in: Voce “Restauro” nell’E.I. (1939) e Il Restauro dei Monumenti (1945). Di quest’ultimo la premessa: monumento è “qualunque costruzione, anche modesta, che abbia un valore d’arte e di storica testimonianza” comprendendo anche “le condizioni esterne costituenti l’ambiente”. I^ parte (storia analitica dei monumenti): lo studio del monumento è indispensabile alla operatività del restauro: vaglio dei documenti (documenti diretti e indiretti), studio anatomico, raffronto stilistico, disegno (rilievo, restituzione di elementi sicuri, saggio di restituzione totale). Giovannoni condanna i restauri ben condotti e i restauri malfatti; inoltre, nutre dubbi sul linguaggio dell ’architettura a lui contemporanea. II^ parte (la teoria): esorta la manutenzione e il consolidamento limitato al minimo necessario, raccomanda il rispetto delle aggiunte, indica di distinguere il nuovo dall ’autentico, dispone di adottare linee semplici e schematiche per i completamenti, prescrive le stesse cure per l’ambiente, classifica i monumenti dividendoli in maggiori e minori, distingue i monumenti in “vivi” e “morti” (l’utilizzazione è la premessa alla conservazione). III^ parte (la pratica): i possibili tipi di intervento, ossia: consolidamento (ammesse le tecniche moderne), anastilosi, liberazione, completamento (purché le aggiunte siano accessorie), innovazione. Realizzazioni ex-novo: Roma, Fabbrica del ghiaccio e magazzini frigoriferi della Birra Peroni (1909-13) libero da legami con la tradizione, Giovannoni sperimenta forme liberty su un edificio a struttura intelaiata in c.a.; Palazzetto Torlonia (1908-09) qui Giovannoni attingendo dalla tradizione rinascimentale-barocca attualizza il tema del palazzetto diffuso a Roma nel XVI secolo; Roma, chiesa degli Angeli Custodi [è evidente nell’impianto la derivazione dagli esempi triconchi tardo-antichi e rinascimentali, nonostante l ’inserzione di cappelle laterali. Altrettanto esplicita è la citazione di Santa Maria delle Grazie a Milano nella soluzione del tiburio. Come pure sono chiari i riferimenti ad alcune opere di Antonio da Sangallo il Giovane nell ’impaginato della facciata]; Roma, S. Stefano Maggiore degli Abissini [ricostruita nel VIII-IX secolo su preesistenze del V secolo fu restaurata, sia nel XV secolo da Sisto V quando fu consegnata agli Abissini, sia nel XVIII secolo. Il restauro intrapreso da Giovannoni risale, invece, al 1931. Questo è forse fra gli interventi condotti con maggiore coerenza. Interviene su finestre, tetti lignei, transenna, altare e ciborio rimontati con elementi di reimpiego. Isola le colonne superstiti liberandole dai muri longitudinali che consolida con contrafforti esterni e travi in ferro. Ripristina le campate laterali adiacenti al transetto. Conserva le strutture autentiche ed evidenzia le integrazioni ricorrendo o a forme semplici oppure ad epigrafi e sigle che appone in corrispondenza delle parti nuove]; Orvieto, S. Andrea [I reperti di epoca etrusca e romana rinvenuti dagli scavi archeologici, sono resi fruibili grazie al solaio in c.a. progettato da Giovannoni. La chiesa era stata trasformata più volte (doppio transetto, pilastri polistili e arcate ogivali nel XII secolo; sopraelevazione della navata centrale e relativa copertura nel XVI; facciata tricuspidale ma non gotica, realizzata nel XVII; sommità del campanile (risalente al XII secolo), ricostruita nel XVI-XVII secolo, aggiunta delle botteghe sul lato nord. Contrasti con gli organi di controllo, modifiche e ripensamenti dovuti alle novità emerse durante il corso dei lavori, condizionano gli esiti del restauro: tre ordini di bifore e coronamento merlato per il campanile; per la chiesa, in facciata coronamento a capanna per la parte centrale sopraelevata di 70 cm per rendere visibile l ’intero arco trionfale e spioventi laterali, rosone ispirato a quello di Santa Scolastica, sostituzione delle botteghe con un portico a nord; arcate cieche per la parete esterna del transetto verso la piazza. I disegni per il coronamento della facciata, con particolare riguardo al nodo in corrispondenza del contrafforte poligonale, si ispirano al concetto di “nuda semplicità e rispondenza allo schema costruttivo”. La parete esterna del transetto verso la piazza in una delle prime versioni prevede una successione di monofore dotate di transenne che seguono l ’inclinazione delle falde. Nella versione definitiva il disegno, documentato in una delle tante versioni del progetto presentato, è completamente diverso]; Orvieto, S. Domenico [sorta nel XIII secolo la chiesa, originariamente a tre navate, viene restaurata più volte fino al XV secolo. Nel XVII viene trasformata in chiesa ad una navata con cappelle laterali e voltata sia nel transetto che nella navata. Nel 1934 quando si amplia la sede dell ’accademia femminile di educazione fisica viene demolito il corpo longitudinale. Si tampona l ’arco di antico collegamento fra navata e transetto e si apre l’ingresso sul prospetto sud dello stesso transetto che diventa la nuova facciata della chiesa. Internamente si demoliscono le volte e le decorazioni seicentesche. Giovannoni, consulente insieme a De Debbio, programma la conservazione integrale delle superfici e degli elementi rinvenibili]; Ausonia, S. Maria del Piano [Il santuario, di origine benedettina, nel 1907 aveva manifestato seri problemi legati a problemi di umidità di infiltrazione nella cripta affrescata, e all ’alterazione, soprattutto in facciata causata da aggiunte incongrue. Risanata la cripta, l ’ing. Albino predispone un progetto di ripristino della facciata, tuttavia respinto. Nel 1917 l’incarico passa a Giovannoni che documenta più fasi (portico, loggiato, campanile del XVI sec.; campanile a vela, portali barocchi, completamento del monastero addossato al lato destro della chiesa del XVII sec.) rispetto a ciascuna delle quali egli esprime un diverso giudizio di valore.
Giovannoni per supportare scientificamente il progetto, in sede preliminare intraprende una ricerca documentaria, insieme ad un’indagine tecnico-scientifica che gli consente di approfondire sistemi costruttivi, materiali e tecniche, oltre ad uno studio comparativo basato anche su raffronti stilistici (nel caso del portico e del campanile riscontra analogie con gli esempi di Cassino e Capua, concludendo che in particolare il campanile sia rappresentativo del “tipo regionale” più ricorrente). A questa prima fase di conoscenza fa seguire il rilievo metrico e fotografico per giungere alla stesura del progetto che tiene conto di ogni singolo episodio architettonico sempre in relazione alle sue “condizioni ambientali”. I lavori programmati rientrano in precise categorie d ’intervento: “consolidamento” del portico e del campanile con opere di rinforzo in c.a. ed interventi di scuci e cuci, “liberazione” di alcune porzioni del monastero a ridosso del campanile, “completamento” della parte superiore del prospetto con un frontone ispirato alle linee del portico inferiore dotato di arcatelle cieche suggerite da quelle delle chiese di Sessa Aurunca, S. Angelo in Formis e Caserta Vecchia e l’inserimento, a sinistra del frontone, di una bifora inquadrata da un arco a tutto sesto conforme alle bifore osservate nel centro antico. Anche l ’apparato decorativo studiato per il campanile deriva da raffronti stilistici, come le tegole maiolicate (cupole di Vietri e Pompei) ed il rivestimento marmoreo del torrino e della base quadrata (tiburio della chiesa di Caserta Vecchia, campanile di Melfi, chiostro di Monreale)]. L ’interesse per il tema urbano: Vecchie città ed edilizia nuova , 1931: Giovannoni scopre il rapporto restauro/urbanistica. Giovannoni e l’ A.A.C.A.R. (Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura, fondata da Giovenale nel 1890) elaborano la teoria del “diradamento” per una conciliazione tra città antica ed esigenze moderne. Camillo Sitte (1843-1903) e la sua opera L’arte di costruire la città , 1889 è la sua fonte di ispirazione. Charles Buls (18371914), sindaco di Bruxelles dal 1880 al 1899, autore de L’esthétique des villes , è un altro punto di riferimento (affronta esperienze concrete in cui cerca di rinnovare la viabilità proteggendo la città antica). Camillo Sitte è orientato alla ricerca di principi guida per l’urbanistica moderna attraverso l’analisi dei caratteri distintivi delle antiche città europee, in particolare quelle italiane. Si esprime contro l ’isolamento dei monumenti ribadendo il legame fra edificio e contesto, condannando l ’uso dei rettifili e dei tracciati viari rigidamente geometrici. Roma, PRG redatto da Edmondo Sanjust nel 1908: Il piano del 1908 prevedeva un allargamento di via de Coronari posta su un lungo asse fra piazza Colonna e ponte sant ’Angelo. Giovannoni condanna le previsioni distruttive del piano e propone di diradare le case togliendo alcune fabbriche o alcuni isolati privi di importanza che potranno essere sostituiti da piccole piazze o piccoli giardini, evitando nuove costruzioni che avrebbero potuto alterare l’ambiente. Proposta per via De Coronari e le sue adiacenze: nel 1911 Giovannoni predispone un primo progetto basato sulla preventiva individuazione dei monumenti da salvaguardare. In alternativa alle previsione del PRG del 1908 egli propone interventi puntuali mirati al risanamento igienico attraverso limitate demolizioni di isolati. Nel 1913 rielabora il progetto apportando lievi modifiche e prendendo in esame anche l’ipotesi affrontata dal Sanjust della via trasversale di collegamento fra la Chiesa Nuova e il Lungotevere di cui suggerisce la deviazione in funzione dei caposaldi costituiti dagli edifici di maggior pregio. Roma, quartiere del Rinascimento e la sua sistemazione secondo il principio del diradamento: viene istituita una Commissione per predisporre un’alternativa al PRG del 1908. Nel 1918 la Commissione presenta la conclusione dei lavori con una relazione ed una planimetria che rappresenta l ’abitato chiuso dall’ansa del Tevere. Si coglie un orientamento più conservativo per il rione Ponte, dove scompaiono alcuni tracciati presenti nel precedente progetto. Inoltre, aumenta il numero dei caposaldi ritenuti degni di conservazione. Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti , 1928: “Una città storica è tutta un monumento, nel suo schema topografico come nel suo aspetto paesistico, nel carattere delle sue vie come negli aggruppamenti dei suoi edifici maggiori o minori; e non dissimile che per un monumento singolo deve essere l ’applicazione della legge di tutela o quella dei criteri di restauri di liberazione, di completamento, di innovazione .” Con l’avvento del fascismo l’apparente coerenza delle proposte giovannoniane entra in crisi. Giovannoni finisce per avallare demolizioni ed allargamenti riducendo l’applicazione dei principi del diradamento a parti sempre più limitate della città. Ne è un esempio il parere positivo espresso nel 1926-27 sulla bonifica del rione S. Giuseppe-Carità l ’unico intervento ad essere realizzato di quelli previsti nel PRG di Napoli. Singolare è anche la proposta di qualche anno più tardi di un tracciato alternativo ad andamento curvilineo rispetto al rettifilo di corso Umberto. Roma, la creazione di via dei Fori Imperiali , 1932: 1 Inizio delle demolizioni delle case di via Alessandrina per la liberazione dei Mercati Traianei e del Foro di Augusto; 2 Liberazione delle mura del Foro di Augusto e della Casa dei Cavalieri di Rodi; 3 La loggia di ponente della Casa dei Cavalieri di Rodi durante la demolizione degli edifici circostanti. Piano di risanamento di Bergamo Alta di L. Angelini (1927): il piano individua gli edifici da tutelare, studia i percorsi di attraversamento per limitare i tagli e gli allargamenti, ricerca nuovi scorci prospettici, rispetta il perimetro degli isolati anche nel caso di demolizioni. Angelini, mostrando un ’attenzione puntuale nei confronti
degli edifici, prevede una più ampia categoria d ’interventi rispetto a quella giovannoniana. Il Maestro ravviserà nel caso di Bergamo Alta un esempio di “sana teoria ben applicata”. Fra i limiti della teoria del diradamento emerge un criterio selettivo che privilegia solo alcune parti della città dove le emergenze monumentali che funzionano da caposaldi sono oggetto di consistenti liberazioni. Non solo, nonostante Giovannoni esorti a seguire la fibra del vecchio quartiere, limitando le nuove strade a semplici allargamenti di percorsi esistenti, tuttavia ammette il taglio e l’attraversamento di antichi tessuti. Piano Arrigo Veccia, ingegnere capo comunale (1926) 1926: il comune di Bari commissiona all ’ingegnere Capo dell’ufficio tecnico, Arrigo Veccia, la redazione del piano per Bari Vecchia. In parallelo vengono presentati al duce due piani alternativi, redatti da Forcignanò e Palmiotto, poi accantonati, che prevedono la demolizione totale e la ricostruzione di Bari Vecchia. Il piano Veccia si ispira alle più decise tecniche di demolizione e sventramento: prevede rettifili nord-sud incrociati da molteplici strade ad essi ortogonali di sezione più ridotta che ripropongono la maglia murattiana e che sventrano sistematicamente il tessuto edilizio ai lati; vivace dibattito fra coloro che difendono i contesti stratificati di antico impianto (fra cui Luigi Piccinato) e quelli favorevoli alle demolizioni radicali e all ’isolamento dei monumenti; nel 1929 viene approvato solo il primo lotto riguardante la sistemazione di piazza Santa Barbara. L’esecuzione del primo lotto è in contrasto con le dichiarazioni di principio del commissario Vella secondo cui l’obiettivo era: mantenere inalterate le caratteristiche della città vecchia, isolare i monumenti più pregevoli, conservare la maggior parte dei palazzi medievali, eliminare le costruzioni posticce e antigeniche. Infatti, a piazza Santa Barbara viene realizzato un edificio in forte contrasto volumetrico e architettonico con la città antica. Per questo alcuni propongono una commissione di studio che formuli proposte concrete in merito al risanamento di Bari Vecchia: accorto lavoro di demolizione di casupole addossate agli edifici più importanti e migliore aerazione ed illuminazione degli edifici rimanenti; incentivazione dei proprietari a risanare le proprie abitazioni e fondazione di un consorzio fra proprietari sostenuti economicamente dall ’aiuto delle Autorità; nelle demolizioni rispettare i limiti di proprietà; oasi di verde e piazzette laddove gli sventramenti erano già stati effettuati. Piano di Concezio Petrucci, sempre a Bari Vecchia (1931): nel 1926 A. Di Crollallanza (podestà di Bari, poi sottosegretario, infine ministro dei LL.PP.) si avvale del commissario straordinario Vella. Congela il PRG e gli sventramenti previsti da Veccia per mettere in cantiere numerose opere pubbliche e puntare sulla terziarizzazione della città. Nel 1930 assume provvisoriamente Concezio Petrucci per dare un senso alle opere pubbliche nel quadro di una nuova pianificazione urbanistica. Petrucci lavora tenendo conto delle direttive impartite da una commissione istituita dal comune e f ormata da Chierici, Giovannoni, Quagliati. Il piano Petrucci richiama per struttura il progetto per il quartiere Rinascimento a Roma, redatto fra il 1913 e il 1919 da Giovannoni, considerato un esempio paradigmatico del metodo del diradamento. I tracciati viari dimensionati per percorrenza pedonale e carrabile vengono decisi dopo un ’attenta lettura della struttura e della morfologia del tessuto urbano in modo da seguire la fibra del quartiere. Il sistema viario è concepito in modo da collegare meglio la città murattiana sia all ’area portuale, sia alle emergenze della cattedrale e della basilica di S. Nicola. Il disegno stradale è ottenuto concependo un andamento spezzato e rifuggendo da qualsiasi regolarità di andamento e sezione. Petrucci accoglie il principio giovannoniano di seguire le linee di minor resistenza, di allargare la viabilità esistente demolendo ora l ’uno ora l’altro lato di ciascuna strada, anche se non esita ad aprire varchi nel corpo dei singoli isolati quando è necessario raccordare i tratti viari allargati. Il risultato di questo metodo, di fatto, è uno sventramento camuffato da diradamento, seppure non in evidente contrasto con la morfologia del tessuto circostante. Petrucci segue la medesima logica - adottata per l’apertura delle strade - nelle zone intermedie. Apre, soprattutto nell’area a sud, slarghi, piazze, piazzette utili e portare aria e luce nel tessuto urbano giudicato troppo fitto in corrispondenza di emergenze monumentali. Petrucci distingue nel piano fra costruzioni esistenti e costruzioni esistenti di particolare importanza storicoartistica. Le prime, rispetto alle seconde, possono essere demolite e ricostruite, o ristrutturate e la decisione è affidata esclusivamente al progettista. Le demolizioni diffuse pongono il problema di dover risarcire le ferite prodotte con nuove facciate e di dovere decidere il linguaggio architettonico da adottare. Petrucci affronta il delicato problema esplicitando le caratteristiche di massima delle nuove architetture con lo strumento del disegno (cfr. le sue vedute). La teoria giovannoniana, da questo punto di vista, è vaga, indeterminata ed ambigua invocando da un lato la massima semplicità nelle linee architettoniche, dall ’altro, suggerendo di continuare - quando è possibile - i motivi delle parti rimaste di uno stesso edificio. Petrucci, non potendo applicare le generiche regole di Giovannoni, per le questioni generali si uniforma a scelte normative preliminari (altezze contenute, coperture a terrazza, intonaci e pietra calcarea). Per i tipi edilizi e la composizione delle facciate ricorre allo strumento del disegno attraverso vedute prospettiche. Petrucci prevede un diradamento per crear e un “ingresso” a Bari Vecchia, in asse con via Sparano, tramite un edificio
rappresentativo destinato a Casa del Fascio. Per risarcire le ferite delle demolizioni è necessario decidere il linguaggio da adottare nella progettazione delle nuove facciate. Pe r l’ area di passaggio fra Piazza del Ferrarese e Piazza Mercantile, Petrucci prevede la demolizione dell ’edificio d’angolo che mette in vista il lato cieco del Palazzo del Sedile, collocato sull ’asse di un’importante visuale della città murattiana. Petrucci ricerca una soluzione monumentale che si esplicita attraverso l ’integrazione del loggiato di coronamento, l’inserimento di un nicchione a doppia altezza e la sistemazione a verde. Per Santa Teresa dei Maschi: Petrucci prevede un allargamento stradale da piazza Mercantile in direzione della cattedrale. Riprogetta il fianco della chiesa e propone un giardino piantumato. Per il Sagrato della Cattedrale, l’intervento proposto prevede la demolizione di due blocchi edilizi finalizzato ad ampliare la piazza esistente e creare un collegamento verso ovest ampio e diretto con il Castello. Poiché le demolizioni previste sono piuttosto ampie anche a nord e a est si potrebbe parlare quasi di ‘isolamento’. Per il Sagrato della Basilica di San Nicola Petrucci accantona ogni idea di isolamento; anzi, prevede il totale rispetto del perimetro del recinto catapanale la cui antica ripartizione viene ripresa, a nord, con un portico di chiusura fra i due cortili e la ricostruzione della terrazza a sud di S. Gregorio. Ad ovest si conservano le arcate medievali emerse dalla precedente demolizione del portico dei pellegrini e si realizza un volume neomedievale. Per Piazza San Pietro Petrucci prevede la demolizione di un intero isolato e la sostituzione di un altro gruppo di case prospettanti Santa Scolastica con un edificio nuovo (compatto, fuori misura ed eterogeneo rispetto alla logica di aggregazione delle antiche architetture) a destinazione residenziale. L’intervento unifica due distinti invasi spaziali al fine di creare una piazza davanti all ’ospedale e un giardino con fontane e pini, accogliendo con ciò le idee giovannoniane. Per Santa Chiara Petrucci prevede demolizioni senza alcuna ricostruzione per realizzare lo sbocco sul lungomare ovest dell ’asse trasversale che, in quel tratto, funge da “nuova strada” per S. Nicola. È un’applicazione del diradamento giovannoniano per “soddisfare le esigenze della vita contemporanea insieme a quelle dell ’arte e della tradizione e aprire nel vecchio aggregato cittadino opportuni spazi, riuscendo a portare dove occorre aria e luce pur senza distruggere le caratteristiche ambientali dell ’antica cerchia”. Per la Casa del Fascio alla elaborazione del piano segue un coordinato programma di opere pubbliche. Nel 1932 viene approvato il primo lotto che prevede la realizzazione di una scuola (area della Giudecca, dietro la cattedrale) e della Casa del Fascio in piazza Santa Barbara, affidata, questa a Giancaspro e Petrucci. È un complesso edilizio, non realizzato, più compatto e rigido rispetto alla prima versione e indifferente all ’intorno. LA CONFERENZA DI ATENE I. Premessa: la Conferenza promuove la collaborazione tra Stati per favorire la conservazione dei monumenti di arte e di storia II. Principi generali: si constata la tendenza ad abbandonare le restituzioni integrali, evitandone i rischi attraverso manutenzioni regolari al f ine di assicurare la conservazione degli edifici. Nel caso fosse indispensabile il restauro si raccomanda il rispetto dell ’opera storica ed artistica senza eliminare lo stile di alcuna epoca. Si raccomanda di assicurare una moderna destinazione d ’uso purché si rispetti il carattere storico-artistico. III. Legislazione: la legislazione sulla protezione dei monumenti d’interesse storico-artistico è condizionata dalla difficoltà di conciliare il diritto della collettività con l ’interesse privato. IV. Restauri archeologici: nel caso di rovine s’impone una scrupolosa conservazione attraverso anastilosi e materiali riconoscibili nelle reintegrazioni. Quando non è possibile la conservazione, se ne consiglia il rinterro. V. Materiali del restauro: si approva l’impiego giudizioso delle tecniche moderne, come il calcestruzzo armato, purchè venga dissimulato per non alterare l’aspetto e il carattere dell’edificio. VI. Deterioramento dei monumenti: i monumenti sono sempre più minacciati dagli agenti atmosferici. Per diminuire i rischi si auspica la collaborazione degli architetti con esperti nel campo delle scienze fisiche, chimiche e naturali. VII. Valorizzazione dei monumenti: si raccomanda nella costruzione di nuovi edifici il rispetto del carattere dell’ambiente in prossimità dei monumenti. È importante studiare le piantagioni per la conservazione dell’antico carattere. VIII. Documentazione internazionale centralizzata: si auspica la pubblicazione di un inventario dei monumenti storici nazionali, la creazione di un archivio documentario per ogni monumento, la pubblicazione di articoli sui procedimenti e i metodi di conservazione. IX. La conservazione dei monumenti e la collaborazione internazionale: omaggio al governo ellenico che ha accettato, nel corso dei campi di lavoro di scavo, la collaborazione degli archeologi e degli specialisti di tutti i Paesi X. L’educazione nella protezione dei monumenti: si sottolinea l ’importanza del ruolo degli educatori i quali abituino fin dall’infanzia a rispettare i monumenti intendendone il significato e a favorire la protezione delle testimonianze di ogni civiltà. LA CARTA ITALIANA DEL RESTAURO DEL 1931 (Consiglio Superiore Antichità e Belle Arti) I. Priorità assoluta al consolidamento e alla manutenzione II. Ammesso il ripristino solo se basato su dati certi e non
ipotesi III. Vietato il completamento di edifici antichi, ammessa la sola anastilosi IV. Ammesse le utilizzazioni non lontane dalle destinazioni primitive V. Conservare tutti gli elementi con carattere d ’arte e di storico ricordo evitando il ritorno all’unità stilistica. Solo se l’eliminazione è indispensabile il giudizio deve essere accuratamente vagliato e non dal solo autore del restauro VI. Rispetto delle condizioni ambientali evitando inopportuni isolamenti VII. Ammesse le aggiunte solo quando necessarie; ridurre al minimo i nuovi elementi che devono avere carattere di semplicità e di rispondenza allo schema costruttivo VIII. Le aggiunte devono essere riconoscibili IX. Ammessi i nuovi mezzi moderni nel consolidamento X. Gli scavi devono essere seguiti dalla sistemazione e conservazione dei ruderi XI. L ’operazione del restauro deve essere documentata Istruzioni per il restauro dei monumenti del 1938 (Consiglio sup. AA.BB.AA) I. Allo Stato compete il controllo dell’attività di tutela delle opere d’arte pubbliche e private II. L’attività degli Uffici Governativi preposti alla tutela e degli Enti pubblici e privati deve essere indirizzata alla manutenzione per prevenire ogni causa di deperimento delle opere. III. Sono da escludersi completamenti, ripristini, aggiunte di elementi che non siano indispensabili alla stabilità, conservazione e comprensione dell ’opera IV. L’eventuale aggiunta deve essere riconoscibile per materiali, tecniche e carattere di semplicità V. Le stratificazioni, se hanno interesse artistico o documentario, vanno conservate. Deve essere evitato il principio dell ’unità stilistica e della restituzione della forma originaria. VI. Gli scavi archeologici presuppongono interventi di sistemazione dei ruderi, consolidamento, protezione. Nel caso le condizioni ambientali non consentono la conservazione in situ, gli elementi originari andranno sostituiti con copie. VII. Assicurare la stessa cura al contesto ambientale del monumento, escludendo possibili alienazioni. L ’isolamento di edifici monumentali deve essere ispirato al principio di neutralità prospettica e spaziale. VIII. È proibita la costruzione di edifici “in stile antico” al fine di evitare falsificazioni IX. Documentare tutti i restauri con grafici, f otografie e relazioni che descrivano i procedimenti seguiti ed evidenzino i dati storici venuti alla luce. La legislazione italiana negli anni ‘30 del XX secolo. Legge 1 giugno 1939 n. 1089 sulla “tutela delle cose mobili e immobili di interesse artistico ”: i vincoli emessi dalle Soprintendenze (spontaneamente o su richiesta): assoluto (proibisce la disponibilità del bene) e relativo (limita parzialmente la disponibilità del bene e ne disciplina l’uso). La notifica: atto amministrativo in cui si dichiara la limitazione di proprietà. Legge 29 giugno 1939 n. 1497. Artt. 1, 11, 14: tra le “bellezze naturali e panoramiche” si inseriscono i “complessi di cose immobili che compongono un caratteristico valore estetico e tradizionale” e le “bellezze panoramiche considerate come quadri naturali ”. È la prima legge che impone il piano territoriale paesistico. i beni culturali ambientali: paesaggistici, aree naturali (coste, isole, vulcani), aree ecologiche (parchi naturali), paesaggi artificiali (strade, ponti, canali), urbanistici, strutture insediative urbane (centri storici), strutture insediative non urbane (castelli, torri, abbazie). Queste due leggi furono abrogate dal Decreto Legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 “Testo Unico sulle disposizioni legislative in materia di tutela di Beni Culturale e Ambientali” e dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 “Codice dei Beni Culturale e del Paesaggio”. I RESTAURI NEL SECONDO DOPOGUERRA: con le distruzioni della 2^ guerra mondiale le perdite artistiche superano quelle di carattere storico. Il metodo scientifico rivela la propria inadeguatezza; l’entità dei danni lo rende inapplicabile. La posizione filologica considera il monumento una testimonianza storica, ignorandone la valenza artistica. Non si poteva conservare solo quanto rimasto né si poteva perdere anche quanto era rimasto. L’emergenza della ricostruzione da un lato e la crisi del restauro filologico dall’altro, portano operativamente a seguire 2 strade: la ricostruzione secondo un linguaggio moderno e la ricostruzione secondo il principio del dov’era e com’era . Milano, Ospedale Maggiore (L. Grassi) costruito in tre momenti successivi, l’ospedale si compone del corpo quattrocentesco progettato da Filarete, della parte centrale barocca realizzata da Richini e della crociera neoclassica realizzata da Castelli a cavallo del 1800. I cortili interni del corpo quattrocentesco prevedono un doppio sistema di arcate (con l’aggiunta, al livello superiore, di colonnine interne alternate a contrafforti che segnano i punti del sistema di afflusso e deflusso delle acque). I prospetti esterni sono articolati su due livelli (il primo con arcate a tutto sesto, il secondo con bifore fuori asse) al di sopra di un piano rialzato . I primi lavori di consolidamento intrapresi dall’Ufficio Tecnico Comunale nel 1946 prevedono per la copertura della crociera quattrocentesca travi in c.a. Nel 1947 alcune parti del cortile centrale erano state restaurate con la consulenza di A. Annoni. Gli archi rialzati e le decorazioni fra archi e marcapiani vengono ricomposte con l’aiuto di antiche foto. I lavori proseguono con integrazioni e tassellature fino al 1958. Nel 1951 il progetto passa a Liliana Grassi (per le parti quattrocentesca e barocca) e Portaluppi (per la parte neoclassica). Liliana Grassi ritiene di non ricostruire, se non in casi specialissimi, le parti andate perdute quanto piuttosto di avvalorare e consolidare in modo scrupoloso, integrando le parti mancanti secondo soluzioni architettoniche non imitative, senza compromettere la peculiarità del monumento. L’intervento su questo fronte consiste nella ricomposizione sul tratto a sinistra delle bifore al 2° livello, nell’apertura di semplici
finestre al 1° livello, nella ricostruzione, in arretramento del tratto a destra andato distrutto. Nel progetto di sistemazione dell’ex Ospedale Maggiore da adattare a sede dell’Università di Milano, si tiene conto sia della destinazione d’uso che dell’importanza delle preesistenze. Si sceglie di conservare l’impianto filaretiano, mantenendo il disegno della crociera anche per la parte (neoclassica) da ricostruire, suggerito dalla logica delle parti superstiti ritenute significative. Fra il 1946 e il 1949 erano stati avviati lavori di restauro anche all’interno dei cortili del corpo quattrocentesco con la consulenza di A. Annoni. Erano state rimosse le sopraelevazioni e rifatte le coperture. Ma il restauro vero e proprio inizia nel 1951, quando si eliminano le sovrastrutture più recenti, si ripristinano le parti danneggiate o manomesse e si rimettono in luce le tracce rinvenute. Del cortile della Ghiacciaia si ricostruiscono due lati, mentre tratti degli altri lati sono lasciati allo stato di rudere; la parte ricostruita è denunciata con intonaci chiari. Treviso, palazzo dei Trecento (F. Forlati, 1949): si decide di non demolire le murature superstiti fortemente lesionate e strapiombanti, ma di consolidarle e reintegrarle. Rimini, tempio Malatestiano (C. Capezzuoli, 1947): il bombardamento aveva provocato la distruzione dell’abside, l’abbassamento del sagrato con rotazione della facciata verso l’esterno e il trascinamento dei fianchi. Lo scopo è quello di salvaguardare i rapporti geometrici, quelli proporzionali ed il ritmo compositivo. La strada seguita, ritenuta l’unica possibile, è quella della scomposizione e ricomposizione dei conci di pietra, previa numerazione dei pezzi. La fase operativa viene preceduta da un attento studio basato su rilievi grafici e fotografici. Duomo di Modena (A. Barbacci, 1948): si esegue un attento recupero di ogni frammento originale con lo scopo di restituire l’unità figurativa compromessa dall’esplosione. Il restauro è datato in ogni elemento aggiunto: i capitelli e le sculture, opportunamente rafforzati con anime in acciaio, sono resi nuovamente comprensibili mediante il completamento con linee schematiche e riconoscibili a distanza ravvicinata attraverso la puntinatura delle integrazioni. Napoli, S. Chiara (G. Rosi e A. Rusconi; D.L.: M. Zampino, 1944-1953): il bombardamento ed il conseguente incendio del 1943 avevano ricondotto l’interno alle severe linee trecentesche, cancellando ogni traccia della regale e fastosa veste settecentesca, straordinario esempio di architettura barocca, testimonianza preziosa di un importante periodo della storia di Napoli. Non si trattava solo di una perdita storica ed artistica, ma di una perdita psicologica. Il senso della memoria legata a quell’immagine veniva spazzato via da una figuratività estranea e sconosciuta. “L’impossibilità di ricomporre l’interno barocco di S. Chiara appare evidente al primo sguardo: data la scomparsa della volta e di quasi tutte le decorazioni settecentesche, il restauro offre una sola possibilità dal punto di vista formale: quella che consiste nel ripetere le linee trecentesche continuando a scoprire ciò che il fuoco ha parzialmente scoperto. Tuttavia significativi avanzi del rifacimento settecentesco potranno essere conservati come le sculture sepolcrali e il pavimento che, sebbene danneggiato, non sarà difficile r icomporre, dato il suo prevalente carattere geometrico” Si dovrebbero “ semplicemente eseguire le necessarie opere di consolidamento e di piccola ricomposizione indicativa, senza avere la pretesa di operare l’impossibile, risuscitando una vita alle ceneri. E il monumento dovrebbe rimanere così, in uno stato non molto dissimile a quello in cui lo hanno lasciato le bombe o le mine. In tal modo, risparmiando di commettere una falsificazione, si salverà almeno del monumento quel che è rimasto, quale testimonianza che potrà anche avere in sé la poesia delle rovine ”. Il
ponte di Bassano (F. Forlati, 1947): in molte occasioni il restauro, costretto dall’emergenza della guerra ad allontanarsi dalle normali e rigorose prassi, poteva arrivare fino alla soluzione eccezionale della ricostruzione totale. E’ il caso di alcuni ponti ricostruiti secondo il principio del “com’era e dov’era”. La peculiarità del ponte di Bassano legata alla concezione palladiana, al rapporto ambientale con il paesaggio urbano del Brenta, alla storia della resistenza, non pose dubbi sulla ricostruzione fedele al disegno palladiano. Firenze, il ponte di S. Trinità (R. Gizdulich, 1952-58): r ecuperate le pietre nell’Arno, la ricostruzione si rese possibile grazie alla esatta riproduzione della forma degli archi e la prova a terra su sagome al vero dei conci poi ricollocati in opera. Verona, ponte di Castelvecchio (P. Gazzola, 1946-51): costruito da Cangrande della Scala nel XIV, fu fatto saltare dai tedeschi nel 1945. In mattoni rossi nella parte superiore, e in marmo bianco in quella inferiore, il ponte è costituito da tre arcate di ampiezza decrescente che poggiano su due torri pentagonali, rostrate. Nella ricostruzione si ricorre a mattoni rossi di recupero e pietre di analogo litotipo. Verona, ponte Pietra (P. Gazzola, 1946-59): Gazzola si avvale di preesistenti rilievi e decide per l’anastilosi delle arcate romane e la ricostruzione delle arcate centrali. Varsavia, Città Vecchia: 1939: bombardamento (l’85% della città fu rasa al suolo, annientati il Ghetto ebraico e il Palazzo Reale, danneggiati i palazzi barocchi e distrutti quelli neoclassici) 1939-1945: occupazione tedesca: il progetto tedesco di trasformare la città in “città giardino” destinata ad abitanti di origine tedesca (riduzione da 1.300.000 a 130.000 abitanti). I l castello reale viene fatto saltare in aria nel 1944. Si sviluppa la resistenza organizzata e l’attività architettonica clandestina. 1945: con la liberazione si decide la ricostruzione della Città Vecchia. Il governo decide la ricostruzione, dopo aver ampliato
i confini amministrativi della città attraverso lo strumento dell’esproprio. La ricostruzione della città vecchia, resa possibile dai rilievi effettuati prima dello scoppio della guerra dagli studenti della facoltà di architettura, da fotografie e immagini pittoriche di varie epoche, è basata sul recupero dei reperti rinvenuti. A causa della irriproducibilità delle decorazioni pittoriche nelle facciate dei palazzi di piazza del Mercato, la maggior parte di esse sono state affidate a famosi artisti polacchi contemporanei. Il progetto di recupero e valorizzazione della città vecchia viene approntato, con il contributo di più discipline, tenendo conto delle esigenze contemporanee. Il centro storico viene destinato a centro residenziale e culturale di grande prestigio, con abitazioni, botteghe di artigiani, ateliers per artisti, attività commerciali e musei. I criteri adottati nella ricostruzione contemperano le esigenze dell’edilizia storica con quelle del risanamento in modo da offrire tutti i conforts necessari. Vengono anche recuperati gli spazi dei cortili interni occlusi da aggiunte e stratificazioni. La ricostruzione del centro storico si conclude nel 1953. La ricostruzione del palazzo reale, divenuto edificio di rappresentanza di stato e sede di un museo, resa possibile da generosi contributi economici e dal volontariato di molti, è avviata a partire dal 1971. La doppia cinta muraria, circondata da un fossato, viene liberata dalle superfetazioni. Il Barbacane, che segna l’accesso alla città da nord , viene interamente ricostruito. Il RESTAURO CRITICO: sul piano teorico gli eventi bellici originano un ripensamento dei motivi spirituali e dei moventi culturali in relazione al complesso di operazioni che si rendono necessarie. L ’influsso del pensiero di Benedetto Croce: il monumento non è solo documento storico, ma è opera d ’arte, esso rispecchia il mondo spirituale di chi l’ha creato. Il restauro deve intervenire sull’opera d’arte, di conseguenza esso stesso ha una storia e diventa esso stesso opera d’arte. Il restauro è l’inserimento di una nuova architettura nell’antico, non è un atto esclusivamente subordinato alla storia. È un restauro critico che presuppone selezione, valutazione (saper interpretare e rivivere nel progetto gli spunti forniti dall ’analisi), quindi una sintesi critica molto vicina all’atto creativo. Agnoldomenico Pica (1907-1990) Attualità del restauro, 1943: si mostra critico nei confronti del restauro filologico, ne apprezza i meriti, ma ne evidenzia i limiti e le contraddizioni. Il restauro filologico non può limitarsi ad un semplice prontuario per fare meno danni possibili. Il monumento è cosa viva e non preziosa scheda per scrupolosi collezionisti. Su 100 casi di restauro, a 99 potranno essere applicati i principi del restauro filologico, ma per 1 varrebbe la pena affrontare con audacia un restauro decisamente moderno, ricorrendo alla sensibilità artistica, capace di risolvere il problema “là dove la sutura con il nuovo diventa indispensabile ”. Il restauro deve seguire un doppio binario: giudizio storico (capace di selezionare), atto creativo (comprendere l’opera e restituirgli il valore artistico). Roberto Pane (1897-1987) Il restauro dei monumenti , in “ Aretusa”: è necessario un criterio di scelta : giudicare se certi elementi abbiano o meno carattere d’arte è già un atto critico. Così come non possiamo dare la stessa importanza a tutto lo svolgimento del nostro passato, sarà così anche nel giudizio dell’opera d’arte. Non esiste una regola fissa per il restauro, perché unica è l’opera d’arte e tale dovrà essere il suo restauro. Pur riconoscendo la legittimità dei principi del restauro filologico è indispensabile un suo superamento. Il superamento lo si persegue introducendo nel restauro componenti progettuali. Sarà necessario un deciso impegno creativo nel ricucire certe lacerazioni. I vincoli del restauro imporranno i limiti al gusto e alla fantasia, ma saranno questi ultimi a fornire una soluzione al problema. Circa il metodo filologico, il porre in evidenza con materiali diversi la parte nuova in un restauro è già, inconsapevolmente, una implicita ammissione della natura artistica del restauro medesimo. Al contrario, l’imitazione dell’antico è una negazione dell’arte. Data la varietà delle circostanze si potranno compiere varie esperienze: dal consolidamento, all ’anastilosi, all’opera nuova creando un felice contrasto piuttosto che una falsa imitazione. Il contributo di R. Pane alla elaborazione dei principi del restauro critico, costituisce ancora oggi un riferimento attuale. Rispetto alla perdita di vista del fondamento teorico, riassumibile nel “perché conservare?”, Pane afferma che la ragione prima risiede in una istanza morale di civiltà. Egli, facendo autocritica, riconosce che ci si è troppo soffermati sulle istanze storica ed artistica, trascurando le condizioni (economiche, sociali, civili) che hanno generato il patrimonio da tutelare. Per combattere la distruzione dei beni ambientali è necessario: restaurare, oltre ai beni culturali, anche la stessa natura; difendere il bello, la memoria, la qualità; educare alla bellezza artistica e ambientale, alla natura, al senso della tradizione e della storia. Pane riconosce l ’importanza dei beni ambientali. Sono proprio questi che esprimono la continuità della stratificazione. L ’architettura ne è la protagonista. La continuità storica è riconoscibile nella stratificazione delle forme architettoniche (che, non a caso, venivano raffigurate dai maggiori viaggiatori in Italia). Da ciò deriva la concezione “integrata” che Pane ha del restauro. Tant’è che egli fa precedere alle due istanze, storica ed artistica, l’istanza psicologica la quale, indifferibile esigenza umana, costituisce il presupposto della fruizione estetica e della memoria. Oggi, dice Pane, si pone la necessità di una visione che risponda più organicamente alla problematica ecologica, intesa nella sua totalità, che coinvolge tutti gli aspetti
delle scienze umane, compresa la psicologia che esercita la sua influenza anche sui beni ambientali. È con l’istanza psicologica introdotta da Pane che la cultura del restauro si apre, nel dopoguerra, al tema della città. Parafrasando il binomio crociano poesia-letteratura (la poesia è frutto del genio, la letteratura è frutto della ragione), Pane distingue fra architettura ed edilizia (le emergenze monumentali e il tessuto urbano). Per la conservazione dell’edilizia Pane invoca non tanto ragioni di ordine estetico e storico, ma motivi psicologici. In nome dell’istanza psicologica, Pane legittima la ricostruzione secondo il principio del “dov’era e com’era” sia nel caso del ponte di Santa Trinità a Firenze, per non privare i fiorentini di un simbolo della memoria collettiva, sia della città di Varsavia per non perdere l’identità storica del popolo polacco. Rispetto alla tendenza a sopravvalutare l’apporto della tecnologia, Pane premette che il restauro prima ancora che una tecnica è una filosofia. La fiducia nella tecnica è espressione di un mondo efficientista, riduttivista, incapace di apprezzare e tutelare l’ambiente e la memoria che esso contiene. La tirannide della ragione non è in grado di metterci in sintonia con l’arte e la storia stratificatasi nell’ambiente, rendendone possibile la difesa. La risposta non è da ricercare in ciò che è riconducibile a puri e semplici termini razionali. La tendenza al ripristino (ricorrente sia in campo archeologico che in campo architettonico), tesa a sottrarre le opere dal flusso della storia cancellandone l’antichità, è vista da Pane come un oltraggio non solo alla storia e all ’estetica del singolo edificio, ma soprattuttoun’offesa ai valori ambientali. Il valore dei beni ambientali risiede proprio nel loro stare insieme in una armoniosa unità, che può essere compromessa da interventi che ad esempio cedono alla suggestione dell’efficienza di materiali nuovi (si pensi alla pulitura o ridipintura di una facciata, o al rinnovamento, spesso inutile di pavimenti o infissi). Come pure le ricostruzioni massicce in campo archeologico (Capua, Pozzuoli) comportano un danno irreversibile che cancella un vivo e drammatico documento del passato, un insieme di arte e natura, un frammento di ambiente. Rispetto al problema della distinguibilità delle parti restaurate da quelle originali, Pane l ’interpreta come alta forma di rispetto nei confronti degli studiosi, dei conoscitori, ma dell ’umanità tutta. Pane sostiene l’unità concettuale del restauro nel caso di architettura, scultura, pittura, pur riconoscendo a loro delle diversità. Ad esempio, è importante riservare alla patina di un’architettura le stesse attenzioni che si porrebbero ad una scultura. Ciò significa rispettare autenticità e bellezza che invece potrebbero essere snaturate da una semplice opera di manutenzione. Napoli, chiesa di Santa Chiara: “L’impossibilità di ricomporre l’interno barocco di S. Chiara appare evidente al primo sguardo: (…) data la scomparsa della volta e di quasi tutte le decorazioni settecentesche, il restauro offre una sola possibilità dal punto di vista formale: quella che consiste nel ripetere le linee trecentesche continuando a scoprire ciò che il fuoco ha parzialmente scoperto. Tuttavia, significativi avanzi del rifacimento settecentesco potranno essere conservati come le sculture sepolcrali e il pavimento che, sebbene danneggiato, non sarà difficile ricomporre, dato il suo prevalente carattere geometrico (…) ”In onore di verità va riconosciuto che il Set tecento napoletano non aveva raggiunto in S. Chiara una delle espressioni più felici (…) Ciò non toglie, ad ogni modo, che anche S. Chiara barocca sia degna di rimpianto e che il suo ricordo susciti in noi un sentimento di nostalgia (…) In tal senso l’anti tesi tra la chiesa settecentesca, così ricca e profana, e quella austera e nuda che risorgerà dal restauro, significherà in simbolo l’antitesi tra il tempo passato e quello che ci attende (…).Concepito in pura funzione statica , il restauro dovrà limitarsi a rifare, là dove occorra, qualche elemento portante in forma riassuntiva e schematica in maniera che esso appaia riconoscibile dal resto per il suo diverso carattere pur collaborando a ricostituire una visione d ’ insieme e provando a proteggere ciò che resta da una successiva rovina. Ora, che questa visione d ’i nsieme possa essere raggiunta pare molto probabile; ma risulterà certa solo quando raccolte ed esaminate, le sparse membra, si delineerà quel ripristino grafico che dovrà precedere il lavoro esecutivo ” . RENATO BONELLI (1911-2004 ) è convinto che un’opera
architettonica non sia solo un documento, ma è soprattutto una forma che esprime totalmente un mondo spirituale ed è per questo che essa assume importanza e significato. Opere di Bonelli sul restauro: Architettura e restauro, Venezia 1959 e Voce Restauro Architettonico, Roma 1963. L’architettura secondo Bonelli si manifesta attraverso lo spazio (inteso come ciò che appare e fa percepire il senso del pieno, o massa e del vuoto, o trasparenza, ma fa anche percepire la visione prospettica) e con il sussidio della luce (che è anche ombra e colore). Ne consegue che di fronte all ’opera architettonica si devono considerare solo i valori esteticovisivi ed il giudizio dipende da una conoscenza diretta dell ’opera e dalla visione dell’opera sul luogo. Il restauro architettonico, secondo Bonelli, è un concetto moderno in base al quale si può intervenire sui monumenti modificandone la forma visibile e l’organismo statico-strutturale. Nel XIX secolo il restauro era basato sul principio di restituire l’opera architettonica al suo mondo storicamente determinato, ricollocandola idealmente nel luogo dove era sorta, con il compito di renderla nuovamente viva ed attuale nel contesto moderno. L’attuale teoria, dice Bonelli, muove dal concetto in base al quale se l’architettura è arte e di conseguenza
l’opera architettonica è opera d’arte, il restauratore dovrà individuare il valore del monumento e cioè riconoscere in esso la presenza della qualità artistica. Il riconoscimento è atto critico che permette di identificare gli aspetti figurativi, dunque, il valore artistico dell ’opera. Si tratta di recuperare, restituendo e liberando l’insieme degli aspetti figurativi che concorrono a definire l’opera d’arte. Le varie operazioni saranno subordinate alla individuazione (reintegrazione e conservazione) del valore espressivo dell ’opera, con lo scopo di liberare la sua vera forma. Dunque, si selezionerà la fase di migliore coerenza formale (vera forma) e la storia indicherà quando l’opera ha vissuto il periodo migliore. Non si tratta di tornare all ’unità stilistica e alla forma primitiva, ma di reintegrare l ’unità figurativa dell’opera. Dunque, cade il rispetto assoluto di tutte le fasi costruttive e decorative; come pure cade l ’imperativo di rendere riconoscibile l’aggiunta. Liberare l’unità figurativa di una visuale significa demolire le parti aggiunte che turbano la visione e completare punti non essenziali manomessi senza che la traccia di tale lavoro disturbi la vista d ’insieme. Quando il percorso finalizzato alla liberazione della vera forma è interrotto da distruzioni o ingombri visivi, il processo critico è costretto a valersi della fantasia, prima per evocare e dopo per ricomporre o riprodurre le parti mancanti o quelle nascoste. Si compie, così, il primo passo per integrare il processo critico con la creazione artistica. Restauro come processo critico e atto creativo che sono in rapporto dialettico: il 1° costituisce la premessa per il 2°. Se gli elementi superstiti non sono sufficienti a fornire la traccia per ridare all ’opera una propria unità e continuità formale, il restauratore dovrà intervenire inserendo, in sostituzione, elementi nuovi ricorrendo ad una libera scelta creatrice , che non è arbitrio creativo. Bonelli suggerisce i criteri da adottare per il restauro: eliminare le sovrapposizioni e le aggiunte anche ragguardevoli e di pregio linguistico e testimoniale, che possano intaccare o guastare l’integrità architettonico-figurativa alterandone la visione; non ricostruire (ci si riferisce a parti sostanziali) laddove le distruzioni hanno causato la perdita dell ’unità figurata; ricostruire completando le parti mancanti, laddove assolutamente sicure e non sostanziali, evitando di garantire la riconoscibilità dell’aggiunta, allo scopo di ridare la veduta autentica. R. Bonelli erroneamente è accusato da R. Pane di tendenze stilistiche: il restauro stilistico non parla mai di vera forma, ma di quella che meglio interpreta lo stile. Per R. Bonelli il restauro è da intendersi come processo critico e come processo creativo: liberare la vera forma dell’opera d’arte significa puntare alla forma compiuta con lo scopo di rendere nuovamente viva ed attuale l’opera d’arte. Il 2° congresso internazionale degli architetti e tecnici dei monumenti (25 - 31 maggio 1964): la CARTA DI VENEZIA o CARTA INTERNAZIONALE DEL RESTAURO . Art. 1 [concetto di monumento]: la nozione di monumento storico comprende tanto la creazione architettonica isolata quanto l’ambiente urbano o p aesistico che costituisca la testimonianza di una civiltà particolare, di un’evoluzione significativa o di un avvenimento storico. Questa nozione si applica non solo alle grandi opere ma anche alle opere modeste che, con il tempo, abbiano acquistato un significato culturale. Art. 2 [appello alle scienze e alle tecniche]: la conservazione ed il restauro dei monumenti costituiscono una disciplina che si vale di tutte le scienze e di tutte le tecniche che possono contribuire allo studio ed alla salvaguardia del patrimonio monumentale. Art. 3 [le istanze artistica e storica]: la conservazione ed il restauro dei monumenti mirano a salvaguardare tanto l’opera d’arte che la testimonianza storica. Conservazione : Art. 4 [manutenzione]: la conservazione dei monumenti impone innanzi tutto una manutenzione sistematica. Art. 5 [utilizzazione]: la conservazione dei monumenti è sempre favorita dalla loro utilizzazione in funzioni utili alla società: una tale destinazione è augurabile ma non deve alterare la distribuzione e l’aspetto dell’edificio. Gli adattamenti pretesi dall’evoluzione degli usi e dei costumi devono dunque essere contenuti entro questi limiti. Art. 6 [condizioni ambientali]: la conservazione di un monumento implica quella delle sue condizioni ambientali. Quando sussista un ambiente tradizionale, questo sarà conservato; verrà inoltre messa al bando qualsiasi nuova costruzione, distruzione e utilizzazione che possa alterare i rapporti di volumi e colori. Art. 7 [inalienabilità]: il monumento non può essere separato dalla storia della quale è testimone, né dall’ambiente dove esso si trova. Lo spostamento di una parte o di tutto il monumento non può quindi essere tollerato che quando la salvaguardia di un monumento lo esiga o quando ciò sia giustificato da cause di notevole interesse nazionale o internazionale. Art. 8 [inseparabilità degli elementi artistici dal monumento]: gli elementi di scultura, di pittura o di decorazione che sono parte integrante del monumento non possono essere separati da esso che quando questo sia l ’unico modo atto ad assicurare la loro conservazione. Restauro: Art. 9 [restauro]: il restauro è un processo che deve mantenere un carattere eccezionale. Il suo scopo è di conservare e di rivelare i valori formali e storici del monumento e si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche. Il restauro deve fermarsi dove ha inizio l’ipotesi: qualsiasi lavoro di completamento, riconosciuto indispensabile per ragioni estetiche e teoriche, deve distinguersi dalla progettazione architettonica e dovrà recare il segno della nostra epoca. Il restauro sarà
sempre preceduto e accompagnato da uno studio archeologico e storico del monumento. Art. 10 [moderni mezzi per consolidamenti]: quando le tecniche tradizionali si rivelano inadeguate, il consolidamento di un monumento può essere assicurato, mediante l ’ausilio di tutti i più moderni mezzi di struttura e di conservazione, la cui efficacia sia stata dimostrata da dati scientifici e sia garantita dall ’esperienza. Art. 11 [liberazioni]: nel restauro di un monumento devono essere rispettati i contributi validi nella costruzione di un monumento, a qualunque epoca appartengano, in quanto l’unità stilistica non è lo scopo del restauro. Quando in un edificio si presentano parecchie strutture sovrapposte, la liberazione di una struttura inferiore non si giustifica che eccezionalmente, e a condizione che gli elementi rimossi siano di scarso interesse, che la composizione architettonica rimessa in luce costituisca una testimonianza di grande valore storico, archeologico o estetico, e che il suo stato di conservazione sia ritenuto sufficiente. Il giudizio sul valore degli elementi in questione e la decisione sulle eliminazioni da eseguirsi non possono dipendere dal solo autore del progetto. Art. 12 [sostituzioni]: gli elementi destinati a sostituire le parti mancanti devono integrarsi armoniosamente nell’insieme, distinguendosi, tuttavia dalle parti originali, affinché il restauro non falsifichi il monumento, sia nel suo aspetto artistico, sia nel suo aspetto storico. Art. 13 [aggiunte]: le aggiunte non possono essere tollerate se non rispettano tutte le parti interessanti dell ’edificio, il suo ambiente tradizionale, l’equilibrio del suo complesso ed i rapporti con l’ambiente circostante. Ambienti monumentali : Art. 14 [ambienti monumentali]: gli ambienti monumentali devono essere l ’oggetto di speciali cure, al fine di salvaguardare la loro integrità ed assicurare il loro risanamento, la loro utilizzazione e valorizzazione. I lavori di conservazione e di restauro che vi sono eseguiti devono ispirarsi ai principii enunciati negli articoli precedenti. Art. 15 [resti archeologici]: i lavori di scavo devono essere eseguiti conformemente a norme scientifiche ed alla “raccomandazione che definisce i principi internazionali da applicare in materia di scavi archeologici ” adottata dall’UNESCO nel 1956. Saranno assicurate l’utilizzazione delle rovine e le misure necessarie alla conservazione ed alla stabile protezione delle opere architettoniche e degli oggetti rinvenuti. È da escludersi a priori qualsiasi lavoro di ricostruzione, mentre è da considerarsi solo l ’anastilosi, cioè la ricomposizione di esistenti parti, ma smembrate. Gli elementi di integrazione dovranno sempre essere riconoscibili e rappresenteranno il minimo necessario per assicurare le condizioni di conservazione del monumento e ristabilire la continuità delle sue forme. Documentazione e pubblicazione : Art. 16 [documentazione e pubblicazione]: lavori di conservazione, di restauro e di scavo saranno sempre accompagnati da una documentazione precisa con relazioni analitiche e critiche, illustrate da disegni e da fotografie. Tutte le fasi dei lavori di liberazione, di consolidamento, di ricomposizione e di integrazione, come gli elementi tecnici e formali identificati nel corso dei lavori, vi saranno inclusi. Questa documentazione sarà depositata negli archivi di ente pubblico e verrà messa a disposizione degli studiosi: è raccomandata la sua pubblicazione. CESARE BRANDI (1906-1988) Il restauro di manufatti industriali e di opere d ’arte. L’opera d’arte e il singolare riconoscimento (ri-creazione): la qualità del restauro dipende dall ’avvenuto riconoscimento. Il riconoscimento mette in gioco la materia e le istanze storica ed estetica. La materia dell’opera d’arte: veicolo della manifestazione dell’immagine nella sua duplice polarità: aspetto (nei dipinti la pellicola pittorica, in architettura la connotazione architettonica) e struttura (nei dipinti il supporto, in architettura la statica dell ’edificio). Solo quando si giunge all’intervento pratico si dovrà conoscere scientificamente la costituzione fisica della materia. L’istanza storica (triplice storicità): quando l’opera viene formulata (il restauro non può collocarsi nella fase irripetibile del processo creativo); l’intervallo di fruizione (il restauro interromperebbe il ciclo di vita dell’opera): l’attimo della recezione nella coscienza (il restauro non può che collocarsi in questa fase inserendosi nel processo di trasmissione dell ’opera d’arte al futuro). L’istanza estetica (riguarda l’opera d’arte in quanto tale). IL RESTAURO: è il momento metodologico dell’opera d’arte in quanto tale, nella sua consistenza fisica e nella duplice polarità storica ed estetica in vista della sua trasmissione al futuro. Il riconoscimento avviene nella coscienza individuale e vige l’imperativo della conservazione. 1° ASSIOMA: si restaura solo la materia dell’opera d’arte (contemperamento delle due istanze, in caso di conflitto prevale quella estetica). 2° ASSIOMA: il restauro deve mirare al ristabilimento dell’unità potenziale senza creare un falso storico o un falso estetico e senza cancellare le tracce che segnano il passaggio dell ’opera nel tempo. L’opera d’arte come unità: l’opera d’arte è un intero o è un totale? Se fosse un totale sarebbe costituita da parti autonome, ma queste o non sono così autonome, o perdono la loro individualità per essere riassorbite nell’opera che le contiene. L’attrazione che l’opera esercita sulle parti è la negazione implicita delle parti costitutive dell’opera d’arte. L’opera d’arte essendo un intero può essere solo contemplata. 1° corollario: se l’opera viene frantumata, la sua unità sarà contenuta potenzialmente in ogni frammento. 2° corollario: nell’integrazione dell’opera frantumata si dovrà sviluppare la potenzialità originaria contenuta potenzialmente
in ciascun frammento. Lo sviluppo dell’unità dovrà essere guidato dal contemperamento delle due istanze per evitare falsi storici ed estetici. Questi i principi da seguire: riconoscibilità dell ’integrazione; divieto di sostituzione della materia se collabora alla f iguratività; ogni restauro deve permettere interventi futuri (reversibilità). Il problema della lacuna: esperimenti di trattamento delle lacune: la tinta neutra (il più possibile priva di timbro); la “macchia sul vetro” (far percepire la lacuna ad un livello diverso con un colore che si stacchi dal colore del dipinto, oppure far emergere il supporto); riconoscibilità e reversibilità dell’integrazione (tecnica del tratteggio ad acquerello). Il rudere. Istanza storica (rudere = monumento ridotto ad un residuo della materia). Impone: conservazione e trasmissione al futuro a) intervento diretto b) i ntervento indiretto. Non ammette: ricostruzione, ripristino, copia. Istanza estetica (rudere = avanzo di opera che non può essere ricondotta all’unità). Stabilisce: conservazione se l’opera è un relitto, se è parte di un complesso monumentale e se caratterizza l’ambiente pur nella sua mutilazione. Non ammette: completamenti né isolamenti. L ’aggiunta. Istanza storica stabilisce: regolare la conservazione, solo eccezionalmente la rimozione, tassativa la conservazione della patina (vanno privilegiati il tempo e la mano dell ’uomo, non la novità della materia). Istanza estetica stabilisce: ammessa la rimozione se permette di ristabilire l ’unità potenziale (poiché sorge il conflitto con l’istanza storica, si ricorrerà al giudizio di valore). La patina essendo un’aggiunta dovrebbe essere rimossa (ma sorgerebbe il conflitto con l ’istanza storica. Si ricorrerà al giudizio di valore. La soluzione sta nella materia come aspetto: prevarrà l’immagine). Il rifacimento. Istanza storica abolisce un lasso di tempo. 2 casi: rimozione, quando si tratta di retrodatazione, e conservazione, quando si verifica l ’assorbimento dell’esistente in un’opera nuova. Istanza estetica, in generale, va rimosso (perché offesa alla storia e oltraggio all ’estetica). 2 casi: rimozione, se è pregiudizievole all’immagine, e conservazione se ha comportato distruzioni parziali dell’opera. È ammissibile la “copia” del campanile di S. Marco solo se non vale per sé. Lo spazio dell’opera d’arte: l’opera ha una sua spazialità, definita una volta per sempre, la quale va ad inserirsi nello spazio fisico che viviamo, senza parteciparne. Qual è lo spazio che deve essere tutelato dal restauro? Si interverrà affinché la spazialità dell’opera possa affermarsi, senza essere ostacolata, entro lo spazio fisico. Tra gli accorgimenti: appendere un quadro, togliergli o mettergli una cornice; togliere o aggiungere un piedistallo ad una statua; aprire uno slargo ad un’architettura. Il restauro preventivo: l’opera può subire alterazioni nocive all ’immagine, alla materia o ad entrambe. Il restauro preventivo si distingue dal restauro di estrema urgenza: esso è tutela, rimozione di pericoli, assicurazione di condizioni favorevoli. Falsificazione: il falso si f onda sul giudizio. Le diverse intenzionalità si raggruppano in 3 casi: produzione per documentare un oggetto (copia); produzione con l’intento di trarre in inganno (falso); diffusione nel commercio con l ’intento di trarre in inganno (falso). Legittimo è interpretare, illegittimo retrodatare. Principi per il restauro dei monumenti: inalienabilità del monumento dal sito storico; illegittimità scomposizione e ricomposizione in luogo diverso; legittimità della scomposizione e ricomposizione nel medesimo luogo. 2 interrogativi: se l ’ambiente è stato profondamente alterato, prevale il principio di inalienabilità? se l’ambiente non è stato alterato, ma sono scomparsi alcuni elementi, la riproduzione di quegli elementi costituisce un falso? FRANCO MINISSI (1919-1996) Gela (Caltanissetta), mura greche di Capo Soprano (IV secolo a.C.): lastre di cristallo temperato infrangibili collegate con tiranti in lega di alluminio inossidabile. Piazza Armerina (Enna), Villa Romana del Casale: il sistema di protezione ideato da F. Minissi fra il 1957 e il 1963 su indicazioni di metodo e operative di C. Brandi. Viste generali dei ruderi e delle loro coperture nel contesto del paesaggio circostante. Minissi ricorre all’impiego di materiali leggeri e trasparenti (lastre di perspex). La struttura di copertura è ancorata tramite tubolari metallici alla muratura di sacrificio posta sopra ai ruderi. CARLO SCARPA (1906-1978) Palermo, palazzo Abatellis (1490-1495): restauro ed allestimento museografico del 1953, i criteri espositivi mirano ad isolare gli oggetti e riproporli come se fossero sospesi e immersi in una dimensione astratta, metafisica, fuori dal tempo. Le relazioni fra gli oggetti esposti e i diversi spazi si instaurano grazie al calibrato uso della luce naturale filtrata da velari. Palermo, palazzo Chiaramonte o Steri (1307-1320). La rilettura delle vicende costruttive della fabbrica viene tradotta con scale e piani sfalsati al piano terra che evocano i livelli originari dei pavimenti, interpretando in tal modo il carattere labirintico delle antiche carceri. Verona, Castelvecchio. Le opere, provenienti da edifici religiosi distrutti, quindi fuori dal proprio contesto storico e architettonico, sono così collocate in una dimensione assoluta, fuori dallo spazio e dal t empo. La CARTA ITALIANA del 1972: le elaborazioni teoriche e le esperienze maturate in seno all ’Istituto Centrale del Restauro per le opere d’arte costituiscono il punto di riferimento per una commissione ministeriale preposta ad elaborare “norme unificate” che, a partire dall’archeologia, dovevano coinvolgere tutti i rami delle arti figurative. L’esigenza di unificare i metodi si era rivelata imprescindibile anche per intervenire correttamente sulle opere di proprietà privata, ovviamente non meno importanti di quelle di proprietà statale.
Ed è in conseguenza di ciò che il Ministro della Pubblica Istruzione emana la Carta del restauro del 1972, che assume valenza amministrativa, i cui contenuti si ispirano alla teoria del restauro brandiana. Il documento viene diramato a tutti i soprintendenti e responsabili degli Istituti autonomi, con la disposizione di attenersi obbligatoriamente, per ogni intervento di restauro di qualsiasi opera d ’arte alle norme contenute nella Carta e nelle Istruzioni ad essa allegate. I principi brandiani vengono ripresi ed applicati nei diversi campi del restauro: il documento è diviso in quattro parti contenenti istruzioni per il restauro archeologico, architettonico, dei centri storici, scultoreo e pittorico. A grandi linee, sono banditi: interventi di carattere stilistico e analogico, come pure le operazioni volte a rimuovere le aggiunte mentre si afferma il principio della “reversibilità”, obbligatorio per pitture e sculture. Gli ORIENTAMENTI nel DIBATTITO ATTUALE: estesa domanda di restauro in rapporto alla richiesta del nuovo; ampliamento di ciò che si considera storico; inadeguatezza del “restauro scientifico” a risolvere ogni problema conservativo; gli apporti nel campo dell ’estetica filosofica nel 2° dopoguerra; C. Brandi e il 1° fondamento filosofico al restauro; gli apporti del restauro critico. Le attuali riflessioni nelle diverse sfaccettature frammentano il variegato panorama disciplinare: la posizione centrale (G. Carbonara), la “pura conservazione” (M. Dezzi Bardeschi), l’ipermanutenzione - ripristino (P. Marconi). Le linee guida della posizione centrale: contemperamento del “restauro scientifico” e del “restauro critico” con consapevolezza conservativa, osservanza del “minimo intervento” e della “distinguibilità ”, ma legittimazione degli interventi innovativi nel rispetto dell’opera autentica. Il ricorso al criterio di scelta: le scelte operative non dipendono direttamente, in modo meccanico, ed esclusivamente dagli esiti della ricerca storica. La compresenza di espressioni diverse nella posizione centrale: P. Fancelli (l’oggettività della filologia), G. Zander (accentuazioni storiche), G. Fiengo (equilibrio tra progettazione del nuovo e conservazione dell ’antico), M. Civita (l’esercizio progettuale e la conciliazione di storia e tecnica a servizio della prassi restaurativa), S. Casiello (l ’importanza di analisi, progetto, verifica in relazione all’unicità dell’opera), S. Boscarino (il fondamento storico del restauro, il ruolo centrale del giudizio). Giovanni Carbonara: maggiore adesione alla linea critico-conservativa, prende avvio dalla formulazione di R. Bonelli. Il restauro è una lecita modificazione dettata dal rapporto critica-creatività, ma sostanziata da finalità conservative. La reintegrazione dell ’immagine è ristabilire l’unità figurativa attraverso un atto critico-creativo, garantendo la riconoscibilità dell ’intervento, senza reinventare. Legittimità al linguaggio moderno, ricomponendo le linee-guida. G. Carbonara recupera la frattura tra architettura moderna e architettura storica. Reversibilità dell’intervento e Ricostituzione dell’unità potenziale. La reversibilità può essere intesa anche come forte riconoscibilità della protesi. Esempi di reintegrazione dell ’immagine: la Torre Salomon a Visegrad (Ungheria), restaurata dall ’arch. J. Seldamyr; il castello di Diosgyor (Ungheria); la chiesa di St. Michaels a Coventry (Inghilterra). Le linee- guida della “pura conservazione”: r eazione ai restauri condotti negli anni ‘60 del 1900, senza progetto; si postula l’esclusivo mantenimento dell’esistente; l’oggettività del dato testimoniale, contro ogni criterio di scelta; le testimonianze sono tutte ugualmente inviolabili; rinnovato interesse per la ricerca filologica; rispetto per la totalità dell’opera (strutture, tecniche, materiali) ; la mutevolezza e la provvisorietà del giudizio; abolizione del restauro fondato sul giudizio critico; ripristinato il concetto di rigorosa conservazione. Tale ultimo concetto poggia su 2 cardini: la materia è già di per sé un valore, la vera storia non è fatta di soli grandi avvenimenti. Marco Dezzi Bardeschi: la pura conservazione diventa un problema legato alla tecnica. Il fatalismo ruskiniano; il restauro può solo arginare la fine. Il restauro non deve mai togliere, ma aggiungere materia (attenzione nei confronti dei prodotti chimici consolidanti). L’esempio del Palazzo della Ragione a Milano (l ’edificio mostra tutte le sue ferite. Le lacune non vengono chiuse. L’intervento ha previsto il fissaggio degli intonaci esistenti e, in luogo della formazione dei rappezzi, la stesura di un protettivo superficiale trasparente su tutte le superfici. Si aggiunge una scala di sicurezza, realizzata con criteri e materiali moderni, dissonanti, che viene dichiarata esplicitamente come aggiunta contemporanea, segno dell’ennesima stratificazione che si aggiunge ai segni delle epoche passate.) Ravenna, biblioteca classense: l’intervento prevede il consolidamento di tutte le murature, con il ricorso ad elementi metallici di sostegno e rinforzo. Ma si aggiungono nuovi strati, come nel salone a piano terra, di cui si conservano tutte le stratificazioni murarie, disegnando un nuovo pavimento in mosaico di ciottoli, che allude a motivi astronomici, del tutto autonomo rispetto alla logica dell’architettura preesistente. Linee guida dell’ipermanutenzione-ripristino: ritorno alla manualità e alle antiche tecniche di manutenzione; gli strati di sacrificio (pellicole di protezione di pietra e laterizio) ; usati nell’antichità per prevenire il degrado; gli strati protettivi venivano periodicamente rinnovati; con l’industrialesimo si perde la manualità; con il Movimento Moderno si privilegiano materiali a vista. Paolo Marconi: restauro è una manutenzione di lunga durata volta a replicare gli strati di sacrificio, ma riscoprire gli strati di sacrificio significa tornare all’immagine passata e
compiere una operazione di ripristino formale; i monumenti ereditati dal passato non sono più q uelli originali, in quanto sottoposti a ripetute manutenzioni; dal rifacimento delle superfici, si giunge al rifacimento integrale di solai, coperture, ecc. Gli esempi di: Palazzo Barberini (travertino e mattoni intonacati: la “brodatura” con materiali “uniformanti”)e Villa Lante al Gianicolo (rimozione intonaci ottocenteschi e riproposizione degli antichi intonaci). Manuali del recupero (da non usare come repertorio di soluzioni da scegliere e da applicare in modo indifferenziato). È un filone che mette in discussione il concetto di autenticità storica dell ’edificio. Il percorso svolto da P. Marconi parte dalla fiducia riposta nei materiali e tecniche moderni per poi subire un ’inversione di rotta e riscoprire materiali e tecniche costruttive tradizionali. Palermo, La Zisa (Restauro di G. Caronia e consulenza P. Marconi (1978/80) Residenza di caccia dei principi normanni nel XIII secolo, fu realizzata ricorrendo a maestranze magrebine su influssi architettonici di origine cairota e fu residenza di autorità borboniche e poi di nobili famiglie palermitane fino agli anni '50 di questo secolo. È un esempio di sperimentazione del c.a. La voragine del lato Ovest, dovuta ad un crollo avvenuto nel 1971, è frutto della demanializzazione dell'immobile e del conseguente abbandono. Roma, Villa Lante al Gianicolo (Loggia e Facciata) (restauro di P. Marconi (1971/72) è un esempio di iper-manutenzione-ripristino. Era la dimora extraurbana del Cardinale B. Turini da Pescia e fu saccheggiata dai Lanzichenecchi il 5 maggio 1527. Lavori di restauro della Loggia: il tassello di pulitura della verniciatura ottocentesca degli stucchi preziosissimi di Giovanni da Udine; l'interno della Loggia ha una nuova pavimentazione, nuove vetrate e gli stucchi restaurati. Brescia, il Broletto: Marconi privilegia le strutture originarie, tamponando o riducendo le aperture successive ritenute incongrue che non permettono la lettura del testo medievale. “Lo scalone medievale viene riprodotto solo tipologicamente, optando per una soluzione in legno lamellare” “Anche nel caso dei solai, Marconi replica le tipologie antiche utilizzando materiali moderni” “Il limite di questa operazione è quello di individuare un determinato tipo di solaio antico e replicarlo indistintamente in molti contesti diversi fra loro, in ossequio al principio di astrattezza del tipo, senza tenere conto della sua ineludibile storicità ”. Paolo Marconi la promozione e la divulgazione dei manuali del recupero.