Analisi II
Appunti Prof. Sergio Lancelotti A.A. 2011-2012
INDICE
Cap1 – Richiami Funzioni in più variabili
pag.1
Cap2 – Integrali multipli
pag.11
Cap3 – Integrali curvilinei
pag.63
Cap4 – Integrali di superficie
pag.81
Cap5 – Campi conservativi
pag.113
Cap6 – Serie numeriche
pag.133
Cap7 – Successioni di funzioni
pag.167
CAp8 – Serie di funzioni
pag.177
Capitolo 1
Brevi richiami di topologia e calcolo differenziale in pi` u variabili Premessa fondamentale Siano A e B due insiemi. Con la scrittura f : A → B si intende una funzione che associa ad ogni elemento di A uno e un solo elemento di B. Quindi A `e il dominio di f e B `e il codominio di f . Talvolta il dominio si indica con il simbolo dom (f ). Quindi se f : A → B `e una funzione, allora dom (f ) = A.
1
Brevi richiami di topologia di Rn
Nel seguito considereremo n ∈ N, n ≥ 1. Denotiamo con Rn il prodotto cartesiano di R per se stesso n volte, cio`e n
o
Rn = R × ·{z · · × R} = (x1 , x2 , . . . , xn ) : x1 , x2 , . . . , xn ∈ R . | n volte
` uno spazio vettoriale su R di dimensione n. Per ogni i = 1, . . . , n denotiamo con ei E ` detto il vettore di Rn avente la componente i-esima uguale a 1 e tutte le altre nulle. E il vettore i-esimo della base canonica di Rn . La base (e1 , . . . , en ) `e detta base canonica di Rn . Se v = (v1 , . . . , vn ) ∈ Rn , allora si ha che v = (v1 , . . . , vn ) = (v1 , 0, . . . , 0) + · · · + (0, . . . , 0, vn ) = = v1 (1, 0, . . . , 0) + · · · + vn (0, . . . , 0, 1) = v1 e1 + · · · + vn en . |
{z e1
}
|
{z
en
In Rn sono definiti un prodotto scalare ∀x = (x1 , . . . , xn ), y = (y1 , . . . , yn ) :
}
x·y = (x1 , . . . , xn )·(y1 , . . . , yn ) = x1 y1 +· · ·+xn yn , 1
2
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
e una norma, detta anche modulo, kxk =
∀x = (x1 , . . . , xn ) :
q √ x · x = x21 + · · · + x2n .
Introduciamo alcuni concetti di topologia dello spazio Rn . (1.1) Definizione
Siano x0 ∈ Rn e r > 0.
Si chiama intorno (sferico) aperto di centro x0 e raggio r (o anche palla aperta di centro x0 e raggio r) l’insieme n
o
Br (x0 ) = x ∈ Rn : kx − x0 k < r . Questo intorno contiene tutti e soli i punti di Rn aventi distanza da x0 minore di r. Si chiama intorno (sferico) chiuso di centro x0 e raggio r (o anche palla chiusa di centro x0 e raggio r) l’insieme n
o
Br (x0 ) = x ∈ Rn : kx − x0 k ≤ r .
Per n = 1 si ha che Br (x0 ) = {x ∈ R : |x − x0 | < r} = (x0 − r, x0 + r), Br (x0 ) = {x ∈ R : |x − x0 | ≤ r} = [x0 − r, x0 + r]. Per n = 2 si ha che n
o
Br (x0 , y0 ) = (x, y) ∈ R2 : k(x, y) − (x0 , y0 )k < r = n
= (x, y) ∈ R2 : (x − x0 )2 + (y − y0 )2 < r 2
o
che `e l’insieme dei punti interni alla circonferenza di centro (x0 , y0 ) e raggio r, mentre n
o
Br (x0 , y0 ) = (x, y) ∈ R2 : k(x, y) − (x0 , y0 )k ≤ r = n
= (x, y) ∈ R2 : (x − x0 )2 + (y − y0 )2 ≤ r 2
o
che `e l’insieme dei punti della circonferenza di centro (x0 , y0 ) e raggio r e di quelli interni ad essa.
1 Brevi richiami di topologia di Rn
3
y
Br (x0 , y0 ) y0
r
x0
O
x
Per n = 3 si ha che n
o
Br (x0 , y0 , z0 ) = (x, y, z) ∈ R3 : k(x, y, z) − (x0 , y0 , z0 )k < r = n
= (x, y, z) ∈ R3 : (x − x0 )2 + (y − y0 )2 + (z − z0 )2 < r 2
o
che `e l’insieme dei punti interni alla sfera di centro (x0 , y0 , z0 ) e raggio r, mentre n
o
Br (x0 , y0 , z0 ) = (x, y, z) ∈ R3 : k(x, y, z) − (x0 , y0 , z0 )k ≤ r = n
= (x, y, z) ∈ R3 : (x − x0 )2 + (y − y0 )2 + (z − z0 )2 ≤ r 2
o
che `e l’insieme dei punti della sfera di centro (x0 , y0 , z0 ) e raggio r e di quelli interni ad essa. z z0
Br (x0 , y0 , z0 )
r
O
y0 x0
y
x
Se n ≥ 2 non si introducono le nozioni di intorno destro e sinistro e non si
introducono le nozioni di intorno di +∞ e −∞.
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S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.2) Definizione
Siano Ω ⊆ Rn e x0 ∈ Rn .
e un punto interno ad Ω se esiste r > 0 tale che Br (x0 ) ⊆ Ω. Diciamo che x0 ` In particolare x0 ∈ Ω. Si chiama parte interna di Ω l’insieme dei punti interni di Ω. Si denota con int(Ω). Diciamo che x0 ` e un punto isolato per Ω se esiste r > 0 tale che Ω ∩ Br (x0 ) = {x0 }. In particolare x0 ∈ Ω. e un punto di accumulazione per Ω se per ogni r > 0 si ha che Diciamo che x0 ` h
i
Ω ∩ Br (x0 ) \ {x0 } = 6 ∅,
cio`e se ogni intorno di x0 contiene punti di Ω diversi da x0 . In tal caso non `e detto che x0 appartenga ad Ω. Diciamo che x0 ` e un punto di frontiera per Ω se per ogni r > 0 si ha che Ω ∩ Br (x0 ) 6= ∅ e CΩ ∩ Br (x0 ) 6= ∅, dove CΩ `e il complementare di Ω. In tal caso non `e detto che x0 appartenga ad Ω. Si chiama frontiera di Ω (talvolta detta anche bordo di Ω) l’insieme dei punti di frontiera di Ω. Si denota con Fr(A) oppure ∂Ω. Evidentemente ∂Ω = ∂CΩ. Si chiama chiusura di Ω l’insieme Ω = Ω ∪ ∂Ω.
Il termine punti di frontiera sembra indicare quei punti che “separano” un insieme da un altro, che in questo caso `e il complementare. In molte situazioni in effetti si tratta proprio di punti che delineano un confine fra i due insiemi. y
y
∂Ω Ω Ω O
x
∂Ω O
x
Esistono per` o casi particolari ai quali mal si applica la dicitura di punti di “sepa-
1 Brevi richiami di topologia di Rn
5
razione”. Nel caso dell’insieme n
o
Ω = (x, y) ∈ R2 : x, y ∈ Q , si ha che il suo complementare `e n
o
C(Ω) = (x, y) ∈ R2 : x ∨ y 6∈ Q mentre il bordo `e ∂Ω = R2 che contiene sia Ω che C(Ω). (1.3) Definizione
Sia Ω ⊆ Rn .
Diciamo che Ω ` e aperto se ogni punto di Ω `e interno ad Ω, cio`e se int(Ω) = Ω. Diciamo che Ω ` e chiuso se CΩ `e aperto. Diciamo che Ω ` e limitato se esiste r > 0 tale che Ω ⊆ Br (0). Diciamo che Ω ` e compatto se `e chiuso e limitato. Per convenzione ∅ e Rn sono contemporaneamente aperti e chiusi. Si osserva che Ω `e chiuso se e solo se ∂Ω ⊆ Ω. Ne segue che Ω `e aperto se e solo se
Ω ∩ ∂Ω = ∅. Inoltre se Ω `e chiuso, allora Ω = Ω.
Richiamiamo alcune semplici propriet` a degli insiemi aperti e chiusi. (1.4) Proposizione
Valgono i seguenti fatti:
a) l’unione di insiemi aperti `e un insieme aperto; b) l’intersezione di un numero finito di insiemi aperti `e un insieme aperto; c) l’unione di un numero finito di insiemi chiusi `e un insieme chiuso; d) l’intersezione di insiemi chiusi `e un insieme chiuso.
(1.5) Proposizione
Siano Ω ⊆ Rn non vuoto, f : Ω → R una funzione continua
e A ⊆ R. Allora valgono i seguenti fatti: a) se A `e aperto, allora f −1 (A) `e aperto; b) se A `e chiuso, allora f −1 (A) `e chiuso.
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S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Si rammenta che f −1 (A) `e la preimmagine (o controimmagine) di A tramite f definita da f −1 (A) = {x ∈ Ω : f (x) ∈ A}. (1.6) Esempio n
o
1) L’insieme Ω = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 = 1 `e chiuso. Infatti, posto A = {1} e f (x, y) = x2 + y 2 , si ha che Ω = f −1 (A). Poich´e A `e chiuso e f `e continua, per la Proposizione (1.5) si ha che Ω `e chiuso. Inoltre si osserva che int(Ω) = ∅ e ∂Ω = Ω. n
o
2) L’insieme Ω = (x, y) ∈ R2 : 2x2 + 3y 2 < 4 `e aperto. Infatti, posto A = (−∞, 4) e f (x, y) = 2x2 + 3y 2 , si ha che Ω = f −1 (A). Poich´e A `e aperto e f `e continua, per la Proposizione (1.5) si ha che Ω `e aperto. n
o
3) L’insieme Ω = (x, y) ∈ R2 : 2 ≤ x2 + y 2 ≤ 3 `e chiuso. Infatti, posto A = [2, +∞), B = (−∞, 3] e f (x, y) = x2 + y 2 , si ha che Ω = f −1 (A)∩f −1 (B). Poich´e A e B sono chiusi e f `e continua, per le Proposizioni (1.4) e (1.5) si ha che Ω `e chiuso. n
o
4) L’insieme Ω = (x, y, z) ∈ R3 : 1 < x2 + y 2 + z 2 < 4 `e aperto. Infatti, posto A = (1, +∞), B = (−∞, 4) e f (x, y, z) = x2 + y 2 + z 2 , si ha che Ω = f −1 (A)∩f −1 (B). Poich´e A e B sono aperti e f `e continua, per le Proposizioni (1.4) e (1.5) si ha che Ω `e aperto. n
o
5) L’insieme Ω = (x, y) ∈ R2 : 1 ≤ x2 + y 2 < 4 non `e n´e aperto n´e chiuso. La dimostrazione viene lasciata per esercizio.
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2 Brevi richiami di calcolo differenziale in pi` u variabili
2
Brevi richiami di calcolo differenziale in pi` u variabili
Nel seguito n e m indicano numeri naturali maggiori o uguali a 1. (2.1) Definizione Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto, x0 ∈ Ω, v ∈ Rn e f : Ω → Rm una funzione. Diciamo che f ` e derivabile in x0 rispetto a v se esiste in Rm il limite lim
t→0
f (x0 + tv) − f (x0 ) , t
che in tal caso si denota con il simbolo
∂f ∂v (x0 )
ed `e detto derivata direzionale
di f in x0 rispetto a v. In particolare se v = ei , i-esimo vettore della base canonica di Rn , allora questa derivata `e anche detta derivata parziale di f rispetto a xi in x0 e si denota con il simbolo
∂f ∂xi (x0 ).
Si osserva che il limite f (x0 + tv) − f (x0 ) t→0 t lim
`e nella sola variabile reale t. Quindi `e il limite di una funzione in una variabile, pi` u n
precisamente fissati x0 e v `e il limite della funzione t 7→ (2.2) Definizione
f (x0 +tv)−f (x0 ) t
o
.
Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto, x0 ∈ Ω e f : Ω → Rm una
funzione. Diciamo che f ` e differenziabile in x0 se esiste una funzione lineare (e continua) L : Rn → Rm tale che lim
x→x0
f (x) − f (x0 ) − L(x − x0 ) = 0. kx − x0 k
In tal caso denotiamo questa funzione L con il simbolo df (x0 ) (oppure dfx0 ) che `e detto differenziale di f in x0 .
Si osserva che il limite lim
x→x0
f (x) − f (x0 ) − L(x − x0 ) kx − x0 k
`e nella variabile x di Rn , quindi `e un limite di una funzione di n variabili.
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S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(2.3) Proposizione
Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto, x0 ∈ Ω e f : Ω → Rm una
funzione. Allora valgono i seguenti fatti: 1) se f `e differenziabile in x0 , allora f `e continua in x0 ; 2) se f `e differenziabile in x0 , allora per ogni v ∈ Rn si ha che f `e derivabile in x0 rispetto a v e vale la seguente uguaglianza ∂f (x0 ) = df (x0 )(v). ∂v In particolare se v = ei , i-esimo vettore della base canonica di Rn , si ha che ∂f (x0 ) = df (x0 )(ei ). ∂xi Quindi se v = v1 e1 + · · · + vn en , si ha che df (x0 )(v) = df (x0 )(v1 e1 + · · · + vn en ) = v1 df (x0 )(e1 ) + · · · + vn df (x0 )(en ) = = v1
∂f ∂f (x0 ) + · · · + vn (x0 ). ∂x1 ∂xn
In particolare se m = 1, allora df (x0 )(v) = ∇f (x0 ) · v; 3) se la funzione f ammette tutte le derivate parziali
∂f ∂xi
per ogni i = 1, . . . , n in
Ω e se queste le derivate parziali sono continue in x0 , allora f `e differenziabile in x0 . (2.4) Osservazione Poich´e il differenziale di f : Ω → Rm in x0 ∈ Ω ⊆ Rn `e una applicazione lineare, ad essa `e associata, rispetto alle basi canoniche di Rn e Rm , una matrice m × n, detta matrice Jacobiana, denotata talvolta con il simbolo Jf (x0 ). Pi` u precisamente, se f = (f1 , . . . , fm ), allora
Jf (x0 ) =
∂f1 ∂x1 (x0 )
.. . ∂fm ∂x1 (x0 )
··· .. . ···
∂f1 ∂xn (x0 )
.. . . ∂fm ∂xn (x0 )
Evidentemente si ha che per ogni v = (v1 , . . . , vn ) ∈ Rn
∂f1 ∂x1 (x0 )
··· . .. .. df (x0 )(v) = Jf (x0 )v = . ∂fm ∂x1 (x0 ) · · ·
∂f1 ∂xn (x0 )
.. . ∂fm ∂xn (x0 )
v1 .. . . vn
9
2 Brevi richiami di calcolo differenziale in pi` u variabili
Se f `e una funzione reale, cio`e se m = 1, allora denotate con (dx1 , . . . , dxn ) le applicazioni lineari da Rn in R tali che dxi (ej ) =
(
1 se i = j 0 se i 6= j,
dove ej `e il j-esimo vettore della base canonica di Rn , si ha che (2.5)
df (x0 ) =
n X ∂f ∂f ∂f (x0 ) dx1 + · · · + (x0 ) dxn = (x0 ) dxi . ∂x1 ∂xn ∂xi i=1
(2.6) Osservazione Se I ⊆ R `e un intervallo aperto, x0 ∈ I e f : I → Rm `e derivabile
in x0 , allora f `e differenziabile in x0 con df (x0 )(x) = f 0 (x0 )x per ogni x ∈ R. In particolare f 0 (x0 ) = df (x0 )(1). Differenziale della funzione composta
Se f e g sono due funzioni rispettivamente differenziabili in x0 e in f (x0 ), allora la funzione composta g ◦ f `e differenziabile in x0 con ∀x :
d(g ◦ f )(x0 )(x) = dg(f (x0 ))(df (x0 )(x)).
In termini matriciali si ha che Jg◦f (x0 ) = Jg (f (x0 )) Jf (x0 ). Derivata parziale della funzione composta Se f e g sono due funzioni rispettivamente differenziabili in x0 e in f (x0 ), allora la derivata parziale i-esima della funzione composta g ◦ f in x0 `e data da
∂(g ◦ f ) ∂f (x0 ) = d(g ◦ f )(x0 )(ei ) = dg(f (x0 ))(df (x0 )(ei )) = dg(f (x0 )) (x0 ) . ∂xi ∂xi f
g
In particolare se g `e una funzione reale, cio`e ad esempio si ha Rn −→ Rm −→ R, allora per (2.5) si ha che dg(y0 ) =
m X ∂g
j=1
∂yj
(y0 ) dyj
e quindi, denotate con (f1 , . . . , fm ) le componenti di f , si ha che m X ∂(g ◦ f ) ∂f ∂g (x0 ) = dg(f (x0 )) (x0 ) = (f (x0 )) dyj ∂xi ∂xi ∂y j j=1
=
m X ∂g
j=1
∂yj
(f (x0 )) dyj
∂f (x0 ) = ∂xi
∂f1 ∂fm (x0 ), . . . , (x0 ) = ∂xi ∂xi
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S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
=
m X ∂g
j=1
∂yj
(f (x0 )) dyj |
Casi particolari
∂f1 ∂fm (x0 ) e1 + · · · + (x0 ) em ∂xi ∂xi {z
∂f = ∂xj (x0 ) i
f
=
}
m X ∂g
j=1
∂yj
(f (x0 ))
∂fj (x0 ). ∂xi
g
a) Se si ha Rn −→ R −→ R, allora
∂(g ◦ f ) ∂f (x0 ) = g0 (f (x0 )) (x0 ). ∂xi ∂xi
f
g
b) Se si ha R −→ Rm −→ R, allora (g ◦ f )0 (x0 ) =
(2.7) Definizione
m X ∂g
∂yj j=1
(f (x0 )) fj0 (x0 ) = ∇g(f (x0 )) · f 0 (x0 ).
Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto e f : Ω → Rm una funzione.
Diciamo che f ` e di classe C 0 in Ω se f `e continua in Ω.
Diciamo che f ` e di classe C 1 in Ω se f ammette tutte le derivate parziali
∂f ∂xi
in
Ω e sono continue in Ω. Diciamo che f ` e di classe C 2 in Ω se f ammette tutte le derivate parziali seconde ∂2f ∂xi ∂xj
in Ω e sono continue in Ω.
Se k ∈ N con k ≥ 2, diciamo che f ` e di classe C k in Ω se f ammette tutte le derivate parziali k-esime
∂k f
∂xi · · · ∂xj |
{z
k variabili
in Ω e sono continue in Ω.
}
Diciamo che f ` e di classe C ∞ in Ω se f `e di classe C k in Ω per ogni k ∈ N.
(2.8) Lemma
(di Schwarz) Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto e f : Ω → Rm
una funzione di classe C 2 .
Allora per ogni i, j = 1, . . . , n e per ogni x ∈ Ω si ha che ∂2f ∂2f (x) = (x). ∂xi ∂xj ∂xj ∂xi
(2.9) Teorema
(di Weierstrass) Siano Ω ⊆ Rn compatto non vuoto e f : Ω →
R una funzione continua. Allora f ammette massimo e minimo in Ω.
Capitolo 2
Calcolo degli integrali multipli 1
Breve introduzione teorica
Per integrale multiplo si intende l’integrale di una funzione reale di n ≥ 2 variabili su
un sottoinsieme di Rn . La nozione di integrale multiplo `e una naturale estensione di quella dell’integrale definito di una funzione reale di una variabile reale. Quindi gode, ad esempio, delle medesime propriet` a di linearit` a e di monotonia. La differenza sostanziale consiste nel fatto che, mentre in una variabile si calcola l’integrale di una funzione limitata prevalentemente su un intervallo limitato, nel caso dell’integrale multiplo si calcola l’integrale di una funzione limitata su un sottoinsieme limitato di Rn che pu` o essere molto vario. L’analogo nel piano R2 di un intervallo limitato sulla retta reale `e un rettangolo, mentre nello spazio R3 `e un parallelepipedo. Per` o in R2 e in R3 pu` o essere utile, oppure `e necessario, calcolare gli integrali anche su insiemi che non sono rettangoli o parallelepipedi rispettivamente. Ad esempio su triangoli, trapezi, cerchi, ellissi ecc. in
R2 e piramidi, prismi, sfere, ellissoidi, tronchi di cono, ecc. in R3 . Per questo motivo la teoria dell’integrazione multipla, pur essendo una naturale estensione di quella in una variabile, presenta delle complicazioni e delle difficolt` a maggiori rispetto al caso unidimensionale. Infatti, dovendo prevedere la possibilit` a di integrare le funzioni su insiemi per cos`ı dire “non necessariamente dritti” (come potrebbero essere definiti gli intervalli, i rettangoli e i parallelepipedi), deve forzatamente avere una base teorica che permetta di discernere gli insiemi “buoni” su cui integrare, da quelli “non buoni”. Questa base `e costituita dalla cosidetta teoria della misura, che introduce e studia le propriet` a degli insiemi misurabili (quelli “buoni”) che, sostanzialmente, sono quelli a cui `e possibile associare una misura, che nel piano comunemente chiamiamo area e nello spazio volume. 11
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S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Esistono varie teorie dell’integrazione multipla, ciascuna basata appunto su una certa teoria della misura. Le pi` u note sono l’integrazione secondo Riemann (basata sulla teoria della misura di Peano-Jordan) e l’integrazione secondo Lebesgue (basata sull’omonima teoria della misura). In questa breve introduzione non vedremo la definizione di integrale di Riemann ma ci accontenteremo di avere un’idea intuitiva del suo significato e di alcune sue applicazioni; studieremo inoltre le propriet` a principali e infine vedremo come si calcolano gli integrali di funzioni di due variabili (detti integrali doppi) e di tre variabili (detti integrali tripli). Per una esposizione pi` u dettagliata e rigorosa dell’integrale di Riemann in pi` u variabili si rimanda all’Appendice B. Nel seguito considereremo n ∈ N, n ≥ 1. e misuraNotazione Sia Ω ⊆ Rn limitato non vuoto. In questa sede diremo che Ω ` bile1 se `e possibile associare a Ω una misura, che per n = 2 `e proprio l’area di Ω inteso come sottoinsieme del piano, mentre per n = 3 `e il classico volume di Ω inteso come sottoinsieme dello spazio. Denotiamo la misura di Ω con mn (Ω) o pi` u semplicemente, quando non vi sia ambiguit` a, con m(Ω), e la chiamiamo misura n-dimensionale di Ω (o pi` u semplicemente misura di Ω). Evidentemente m(Ω) ∈ [0, +∞). Talvolta si parla di volume n-dimensionale di Ω. In particolare, per n = 2 la misura m(Ω) `e detta area di Ω, mentre per n = 3 la misura m(Ω) `e detta volume di Ω. Per convenzione si pone m(∅) = 0. (1.1) Osservazione Valgono i seguenti fatti: 1) se Ω ⊆ Rk `e misurabile, con 1 ≤ k < n, allora mn (Ω) = 0. In particolare l’area e il volume di un sottoinsieme misurabile della retta reale sono zero, il volume di un sottoinsieme misurabile del piano `e zero; 2) se Ω ⊆ Rn `e il sostegno di una curva parametrica regolare2 , allora mn (Ω) = 0 per ogni n ≥ 2;
3) se Ω ⊆ R3 `e il grafico di una funzione continua di due variabili3 , allora m3 (Ω) = 0; 1
Per la definizione rigorosa di insieme misurabile e di misura di Peano-Jordan vedi Appendice B. Vedi capitolo Integrali curvilinei. 3 3 Vale pi` u in generale se Ω ⊆ R `e il sostegno di una calotta regolare (vedi capitolo Integrali di superficie). 2
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1 Breve introduzione teorica
4) se Ω ⊆ Rn `e un aperto limitato, allora ∂Ω, la frontiera di Ω, ha misura ndimensionale nulla; 5) se A, B ⊆ Rn sono misurabili, allora m(A ∪ B) = m(A) + m(B) − m(A ∩ B). Quindi se m(A ∩ B) = 0, allora m(A ∪ B) = m(A) + m(B). In particolare se A `e un aperto limitato, allora A ∩ ∂A = ∅, da cui segue che la misura di A = A ∪ ∂A, chiusura di A, `e
m(A) = m(A) + m(∂A) = m(A).
Sia Ω ⊆ Rn misurabile. Diciamo che Ω ` e trascurabile (in
(1.2) Definizione
Rn ) se m(Ω) = 0.
Vale la seguente propriet` a, che non dimostriamo. (1.3) Teorema
Sia Ω ⊆ Rn limitato non vuoto.
Allora Ω `e misurabile se e solo se ∂Ω `e trascurabile. (1.4) Esempio Un esempio di insieme non misurabile nel piano `e Ω = {(x, y) ∈ [0, 1] × [0, 1] : x, y ∈ Q} . Infatti, in tal caso ∂Ω = [0, 1] × [0, 1] e quindi m(∂Ω) = 1 6= 0. Introduciamo ora il concetto di integrale multiplo di una funzione reale. Nel seguito con il termine integrabile intenderemo “integrabile secondo Riemann”. Per questioni di semplicit` a espositiva tratteremo solo il caso di funzioni continue e limitate, anche se la nozione di integrale multiplo si pu` o introdurre per una classe di funzioni pi` u ampia, detta delle funzioni integrabili. Notazione Siano Ω ⊆ Rn misurabile e f : Ω → R una funzione continua e limitata. L’integrale (multiplo) di Riemann di f su Ω `e il numero reale denotato con uno dei seguenti simboli Z
f, Ω
Z
f (x) dx, Ω
Z
Ω
n volte
f (x1 , · · · , xn ) dx1 . . . dxn ,
zZ }| Z {
···
Ω
f (x1 , . . . , xn ) dx1 · · · dxn .
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S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Se n = 2 si usa talvolta scrivere ZZ
f (x, y) dx dy.
(Integrale doppio)
Ω
Se n = 3 si usa talvolta scrivere ZZZ
f (x, y, z) dx dy dz.
(Integrale triplo)
Ω
L’insieme Ω `e detto dominio di integrazione. Come nel caso unidimensionale, se f ≥ 0 su Ω, allora
Z
f (x) dx rappresenta
Ω
il volume in Rn+1 , cio`e la misura (n + 1)-dimensionale, del “trapezoide” di f , ossia dell’insieme n
Tf = (x1 , · · · , xn , xn+1 ) ∈ Rn+1 : x = (x1 , · · · , xn ) ∈ Ω,
o
0 ≤ xn+1 ≤ f (x) .
z Gf Per esempio, per n = 2, allora Tf = n
(x, y, z) ∈ R3 : (x, y) ∈ Ω,
e
Z
f (x, y) dx dy
o
0 ≤ z ≤ f (x, y) .
`e il classico
Tf
Ω
volume del solido Tf .
y Ω x
Mediante l’integrale di Riemann si possono quindi riottenere le aree delle classiche figure geometriche del piano e i volumi di quelle dello spazio. Esistono anche altre possibili interpretazioni dell’integrale multiplo, oltre a quella geometrica, e dipendono chiaramente dalla natura e Z della funzione f . Se per esempio f ` f fornisce la carica totale su Ω; se f
la distribuzione di carica elettrica in Ω, allora
Ω
`e la distribuzione della densit` a di massa in Ω, allora
Z
f fornisce la massa totale di Ω
Ω
(vedi pag. 44).
(1.5) Osservazione Se Ω ⊆ Rn `e misurabile e f (x) = 1 per ogni x ∈ Ω, allora l’integrale di f su Ω `e proprio la misura n-dimensionale di Ω, cio`e Z
Ω
f (x) dx =
Z
Ω
1 dx = mn (Ω).
15
1 Breve introduzione teorica
Infatti, se per semplicit` a consideriamo il caso n = 2, allora essendo f (x) = 1 per ogni x ∈ Ω, si ha che il trapezoide Tf di f `e un cilindro con generatrici parallelle all’asse z avente per basi Ω e la proiezione ortogonale di Ω sul piano z = 1. z 1
3
Quindi il volume (in R ) di Tf `e Z
Ω
Gf b
1 dx = m3 (Tf ) = m2 (Ω).
Tf y Ω x
Elenchiamo ora alcune delle propriet` a principali dell’integrale multiplo, utili anche nelle applicazioni. (1.6) Proposizione
Siano Ω ⊆ Rn misurabile, f, g : Ω → R continue e limitate
e λ ∈ R. Allora valgono i seguenti fatti: a)
Z
(f + g) =
Ω
b)
Z
Z
Ω
λf = λ
Ω
Z
f+
Z
f;
(Omegeneit` a)
Ω
c) se f ≤ g su Ω, allora Z Z d) f ≤ |f |. Ω
(Additivit` a)
g;
Ω
Z
f≤
Ω
Z
(Monotonia)
g;
Ω
Ω
` ben noto che queste quattro propriet` E a valgono anche per l’integrale unidimensionale. (1.7) Proposizione
Siano Ω ⊆ Rn misurabile e f : Ω → R continua e limitata.
Allora valgono i seguenti fatti: a) se Ω `e trascurabile, allora
Z
f = 0;
Ω
b) se Ω = A ∪ B con A e B misurabili e A ∩ B trascurabile, allora Z
Ω
f=
Z
A∪B
f=
Z
A
f+
Z
B
f;
16
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
c) se A ⊆ Ω `e misurabile e f ≥ 0 su Ω, allora Z
f≤
A
Z
f.
Ω
La propriet` a b) `e detta Additivit` a rispetto al dominio, mentre c) `e detta Monotonia rispetto al dominio. Valgono anche nel caso unidimensionale. In tal caso sono le ben note Z
∀c ∈ [a, b] :
Z
b
f (x) dx =
a
Z
c
f (x) dx +
a
b
f (x) dx,
Additivit` a rispetto al dominio
c
e Z
f ≥ 0 =⇒ ∀c ∈ [a, b] :
c
a
f (x) dx ≤
Z
b
f (x) dx.
Monotonia rispetto all’intervallo
a
(1.8) Osservazione La propriet` a a) stabilisce che gli insiemi trascurabili, cio` e di misura nulla, possono essere a tutti gli effetti del calcolo trascurati, quindi non considerati. Infatti, il loro contributo nell’integrale multiplo `e nullo. In particolare 2 e ad esempio un segmento o pi` u in generale una linea del piano, allora si Z ha che se Ω ⊆ R ` Ω
f = 0. Analogamente se Ω ⊆ R3 `e contenuto in un piano, oppure `e una superficie,
allora
Z
f = 0.
Ω
Per le propriet` a a) e b), se Ω ⊆ Rn `e la chiusura di un aperto non vuoto, allora
essendo Ω = int(Ω) ∪ ∂Ω e ∂Ω trascurabile, si ha che Z
f=
Ω
Z
f=
int(Ω)∪∂Ω
Z
f+
int(Ω)
Z
f=
∂Ω
| {z }
Z
f.
int(Ω)
=0
Inoltre, sempre per le propriet` a a) e b), se f, g : Ω → R sono continue e limitate e esiste A ⊆ Ω trascurabile tale che f (x) = g(x) per ogni x ∈ Ω \ A, allora Z
f=
Ω
Z
g.
Ω
Infatti, Z
Ω
f=
Z
f+
Ω\A
Z
f=
|A {z } =0
Z
f Ω\A
= ↑
f (x) = g(x) ∀x ∈ Ω \ A
Z
Ω\A
g=
Z
Ω\A
g+
Z
g=
A |{z}
Z
g.
Ω
=0
Quindi nel calcolo di un integrale multiplo possiamo tranquillamente non considerare gli insiemi trascurabili.
17
1.1 Calcolo degli integrali doppi
1.1
Calcolo degli integrali doppi
(1.9) Definizione
Sia Ω ⊆ R2 .
Diciamo che Ω `e un insieme y-semplice (o verticalmente convesso) se `e della forma
n
o
Ω = (x, y) ∈ R2 : a ≤ x ≤ b, α(x) ≤ y ≤ β(x) , dove α, β : [a, b] → R sono due funzioni continue.
Diciamo che Ω `e un insieme x-semplice (o orizzontalmente convesso) se `e della forma
n
o
Ω = (x, y) ∈ R2 : c ≤ y ≤ d, γ(y) ≤ x ≤ δ(y) , dove γ, δ : [c, d] → R sono due funzioni continue.
Osserviamo che questi insiemi sono misurabili.
y
y d
Ω y = α(x) O
a
Ω
x = δ(y)
x = γ(y)
y = β(x)
c b
x
Figura 2.1: Insieme y-semplice.
O
x
Figura 2.2: Insieme x-semplice.
Ci sono insiemi del piano che sono sia x-semplici che y sempici. Ad esempio un quadrato, un rettangolo, o un trapezio con le basi parallele ad uno dei due assi cartesiani o anche pi` u semplicemente un triangolo.
18
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
y
Graficamente si osserva che Ω `e y-semplice
y = β(x)
se per ogni x0 sull’asse delle ascisse compreso nell’intervallo ottenuto proiettando Ω sulΩ
l’asse x, si ha che l’intersezione fra Ω e la retta verticale x = x0 `e un segmento. Poich´e un
y = α(x)
segmento `e un insieme convesso, `e giustificaO
ta la denominazione verticalmente convesso
x0
a
b
x
per Ω. Figura 2.3: Insieme y-semplice. y d
Similmente, graficamente si osserva che Ω `e x-semplice se per ogni y0 sull’asse delle or-
x = γ(y)
dinate compreso nell’intervallo ottenuto proiettando Ω sull’asse y, si ha che l’intersezione
Ω
x = δ(y)
y0
fra Ω e la retta orizzontale y = y0 `e un segmento. Poich´e un segmento `e un insieme
c
convesso, `e giustificata la denominazione
O
x
orizzontalmente convesso per Ω. Figura 2.4: Insieme x-semplice.
(1.10) Teorema (di integrazione su insiemi x-semplici o y-semplici) Siano Ω ⊆ R2 l’insieme y-semplice n
o
Ω = (x, y) ∈ R2 : a ≤ x ≤ b, α(x) ≤ y ≤ β(x) , dove α, β : [a, b] → R sono funzioni continue, e f : Ω → R una funzione continua4 . Allora si ha che Z
f (x, y) dx dy =
Ω
Z
b
a
"Z
β(x)
#
f (x, y) dy dx.
α(x)
Se Ω ⊆ R2 `e l’insieme x-semplice n
o
Ω = (x, y) ∈ R2 : c ≤ y ≤ d, γ(y) ≤ x ≤ δ(y) , dove γ, δ : [c, d] → R sono funzioni continue, e f : Ω → R `e una funzione continua3 , allora si ha che Z
Ω
f (x, y) dx dy =
Z
c
d
"Z
δ(y)
γ(y)
#
f (x, y) dx dy.
19
1.1 Calcolo degli integrali doppi
Il teorema precedente, noto anche come teorema di riduzione per gli integrali doppi, stabilisce che l’integrale doppio di una funzione reale continua e limitata di due variabili si pu` o determinare calcolando in cascata due integrali definiti in una variabile. Osserviamo che nella formula relativa agli insiemi y-semplici Z
Z
f (x, y) dx dy =
Ω
prima si calcola
Z
b
a
"Z
#
β(x)
f (x, y) dy dx,
α(x)
β(x)
f (x, y) dy che `e un integrale definito di una funzione nella sola
α(x)
variabile y (x va considerata come un parametro) fra gli estremi α(x) e β(x). Questo integrale produce una funzione F (x) della sola variabile x che va poi integrata fra a e b. In modo del tutto analogo, ma a variabili scambiate, si procede nel caso della formula relativa agli insiemi x-semplici. (1.11) Osservazione Siano Ω ⊆ R2 un rettangolo con lati paralleli agli assi x e
y, cio`e Ω `e della forma Ω = [a, b] × [c, d], e f : Ω → R una funzione della forma f (x, y) = f1 (x)f2 (y), con f1 : [a, b] → R e f2 : [c, d] → R continue4 . Allora si ha che Z
Z
f (x, y) dx dy =
Ω
b a
f1 (x) dx
! Z
c
!
d
f2 (y) dy .
Dimostrazione. Per esercizio.
(1.12) Esempio Calcoliamo l’integrale
Z
(x + y) dx dy, dove
Ω
Ω=
(
) √ q 2 2 (x, y) ∈ R : 0 ≤ y ≤ , y ≤x≤ 1−y . 2 2
L’insieme Ω `e x-semplice. Quindi si ha che √ Z Z 2 "Z √ 2
(x + y) dx dy =
0
Ω
=
Z
√
2 2
0
= 3 4
Z
√
2 2
0
1 2 x + xy 2
√
1−y 2
dy = q
Z
1 − 2y 2 + y 1 − y 2 2
(x + y) dx dy =
y
√ 2 2
0
y
#
1−y 2
1
dy =
q 3 1 − y 2 + y 1 − y 2 − y 2 dy = 2 2
1
1 2 y − y3 − 1 − y2 2 3 3
Per il Teorema di Weierstrass risulta che Ω `e compatto e che f `e limitata. Per il Teorema di Weierstrass sono anche limitate.
3 2
√ 2 2
= 0
1 . 3
20
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
y √
2 2
x
=
y
x=
p
1 − y2
Ω √
O
2 2
1
x
Figura 2.5: L’insieme Ω.
Osserviamo che Ω `e anche y-semplice. Infatti, n
o
Ω = (x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤ 1, α(x) ≤ y ≤ β(x) , x
dove α(x) = 0 e β(x) =
se 0 ≤ x <
√
√
√
2 2
. Poich´e β `e definita a tratti, per
2 2
x2
1− se ≤ x ≤ 1. calcolare l’integrale su Ω considerato come insieme y-semplice, conviene osservare che Ω = Ω1 ∪ Ω2 , come in Fig. 2.6 e usare la propriet` a b) della Proposizione (1.7), in modo che Z
(x + y) dx dy = Ω
Z
(x + y) dx dy +
Ω1
Z
(x + y) dx dy.
Ω2
Lo svolgimento viene lasciato per esercizio. y √
2 2
√ 1 − x2
y
=
x
y= Ω1
O
Ω2
√
2 2
1
x
Figura 2.6: L’insieme Ω = Ω1 ∪ Ω2 .
21
1.1 Calcolo degli integrali doppi
(1.13) Teorema Siano
Ω, Ω′
(del cambiamento di variabile negli integrali doppi)
2
⊆ R aperti limitati non vuoti, f : Ω → R una funzione continua e
limitata e Φ : Ω′ → Ω una funzione tale che: i) Φ `e biiettiva;
ii) Φ `e di classe C 1 con det JΦ (u, v) 6= 0 per ogni (u, v) ∈ Ω′ . Allora Formula del Z
f (x, y) dx dy =
Ω
Z
Ω′
f (Φ(u, v))| det JΦ (u, v)| du dv.
cambiamento di variabile negli integrali doppi
(1.14) Osservazione La funzione Φ `e quella che produce il cambiamento di variabili, da (u, v) a (x, y) che, essendo in dimensione maggiore di uno, `e anche detta del cambiamento di coordinate. ` evidente la somiglianza fra questa formula e l’analoga nel caso unidimensionale E Z
b
f (x) dx =
a
Z
β
f (ϕ(t)) ϕ′ (t) dt,
(a = ϕ(α), b = ϕ(β)).
α
In questo caso si pone formalmente x = ϕ(t), e nell’integrale di sinistra si sostituisce x con ϕ(t), il differenziale dx con ϕ′ (t) dt e gli estremi a e b rispettivamente con α e β tali che a = ϕ(α) e b = ϕ(β). Nel caso bidimensionale si procede in modo analogo. Formalmente si pone (x, y) = Φ(u, v) e nell’integrale di sinistra si sostituisce (x, y) con Φ(u, v). A questo punto vanno sostituiti gli “estremi di integrazione”, che in questo caso `e il dominio, da Ω a Ω′ tale che Φ(Ω′ ) = Ω e il “differenziale”, da dx dy a | det JΦ (u, v)| du dv. La differenza sostanziale non sta tanto nella presenza del determinante della matrice Jacobiana di Φ quanto nella ` bene non scordarlo per non commettere errori. presenza del modulo dello stesso. E Si fa comunque notare che questa formula `e esattamente l’estensione in due variabili di quella unidimensionale. Infatti, ricordando che nel caso unidimensionale gli intervalli sono orientati, se Ω′ = [α, β] e Ω = ϕ(Ω′ ) = [ϕ(α), ϕ(β)], allora ϕ `e crescente. Essendo derivabile su un intervallo, ϕ′ ≥ 0 da cui segue che | det Jϕ (t)| = |ϕ′ (t)| = ϕ′ (t). Quindi
22
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
posto x = ϕ(t) si ha che Z
Z
f (x) dx = Ω
=
Z
[α,β]
f (x) dx = [ϕ(α),ϕ(β)]
f (ϕ(t))| det Jϕ (t)| dt =
Z
β
Z
ϕ(β)
f (x) dx = ϕ(α)
f (ϕ(t)) ϕ′ (t) dt.
α
Se invece Ω′ = [α, β] e Ω = ϕ(Ω′ ) = [ϕ(β), ϕ(α)], allora ϕ `e decrescente. Essendo derivabile su un intervallo, ϕ′ ≤ 0 da cui segue che | det Jϕ (t)| = |ϕ′ (t)| = −ϕ′ (t). Quindi posto x = ϕ(t) si ha che Z
f (x) dx =
Ω
=−
Z
f (x) dx =
[ϕ(β),ϕ(α)]
ϕ(β)
ϕ(α)
Z
f (x) dx = −
Z
[α,β]
Z
ϕ(α)
f (x) dx =
ϕ(β)
f (ϕ(t))| det Jϕ (t)| dt =
Z
β
f (ϕ(t)) ϕ′ (t) dt.
α
(1.15) Osservazione Nel caso unidimensionale il cambiamento di variabile `e utile molto spesso per “semplificare ” la funzione integranda al fine di permettere la determinazione di una primitiva in modo pi` u agevole. In pi` u variabili, invece, il cambiamento di variabile negli integrali multipli `e utile molto spesso non tanto per modificare la funzione quanto per modificare e quindi semplificare il dominio di integrazione. Evidentemente, come sottolineato nell’Osservazione (1.11), il caso pi` u semplice nel piano `e quello del rettangolo con lati paralleli agli assi cartesiani. (1.16) Osservazione La formula del cambiamento di variabile continua a valere anche se Φ non `e biiettiva, oppure se det JΦ = 0, su un sottoinsieme di misura nulla di Ω′ . Infatti, come sottolineato nell’Osservazione (1.8), gli insiemi di misura nulla non danno alcun contributo nell’integrale. Cambiamenti di coordinate notevoli nel piano 1) Coordinate polari. Sia (x0 , y0 ) ∈ R2 . La funzione che esprime le coordinate
polari centrate in (x0 , y0 ) dei punti del piano `e Φ : [0, +∞) × [0, 2π] → R2 definita
da Φ(ρ, ϑ) = (x0 + ρ cos ϑ, y0 + ρ sin ϑ). In particolare se (x0 , y0 ) = (0, 0) si ha Φ(ρ, ϑ) = (ρ cos ϑ, ρ sin ϑ).
23
1.1 Calcolo degli integrali doppi
y P (xP , yP ) yP
b b
ρ
ϑ b b
xP
x
cos ϑ
−ρ sin ϑ
sin ϑ
ρ cos ϑ
!
O
In ogni caso la matrice Jacobiana di Φ `e JΦ (ρ, ϑ) =
.
Quindi il modulo del determinante della matrice Jacobiana di Φ `e
| det JΦ (ρ, ϑ)| = ρ cos2 ϑ + ρ sin2 ϑ = ρ.
Osserviamo che per ρ = 0 la funzione Φ non `e iniettiva, e quindi biiettiva, e inoltre che det JΦ (ρ, ϑ) = 0. Poich´e {0} × [0, 2π] `e un insieme trascurabile in R2 (`e un segmento), per l’Osservazione (1.16) possiamo comunque utilizzare questo cambiamento di variabile nel calcolo di un integrale doppio. Inoltre Φ(ρ, 0) = Φ(ρ, 2π) per ogni ρ ≥ 0. Poich´e anche l’insieme [0, +∞) × {2π} ´e trascurabile
in R2 (`e una semiretta), anche questo fatto non influisce sull’utilizzo di questo
cambiamento di variabile nel calcolo di un integrale doppio. Questo cambiamento di variabile viene usato per integrare su insiemi che presentano una simmetria radiale rispetto ad un punto. Per esempio se Ω `e il cerchio di centro l’origine e raggio R > 0 n
o
Ω = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < R2 , allora passando in coordinate polari nel piano centrate nell’origine, si ha che Φ:
(
x = ρ cos ϑ y = ρ sin ϑ,
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π,
|det JΦ (ρ, ϑ)| = ρ.
Allora (x, y) ∈ Ω ⇐⇒ x2 + y 2 < R2 ⇐⇒ ρ2 < R2 ⇐⇒ 0 ≤ ρ < R, Quindi Ω = Φ(Ω′ ), dove n
Ω′ = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ < R, 0 ≤ ϑ ≤ 2π
o
0 ≤ ϑ ≤ 2π.
24
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
y
ϑ 2π
R
Ω O
R
Ω′
x
b
O
R
ρ
che `e un rettangolo con lati paralleli agli assi coordinati. Anche l’insieme Ω dell’Esempio (1.12) presenta una simmetria radiale. Infatti, `e un settore circolare del cerchio di centro l’origine e raggio 1. Per esercizio “trasformarlo” in coordinate polari. 2) Coordinate ellittiche. Siano a, b > 0 e (x0 , y0 ) ∈ R2 . La funzione che esprime le coordinate ellittiche centrate in (x0 , y0 ), associate ad a e b, dei punti del piano `e Φ : [0, +∞) × [0, 2π] → R2 definita da Φ(ρ, ϑ) = (x0 + aρ cos ϑ, y0 + bρ sin ϑ). In particolare se (x0 , y0 ) = (0, 0) si ha Φ(ρ, ϑ) = (aρ cos ϑ, bρ sin ϑ). In ogni caso la matrice Jacobiana di Φ `e JΦ (ρ, ϑ) =
a cos ϑ
−aρ sin ϑ
b sin ϑ
bρ cos ϑ
!
.
Quindi il modulo del determinante della matrice Jacobiana di Φ `e
| det JΦ (ρ, ϑ)| = abρ cos2 ϑ + abρ sin2 ϑ = abρ.
Come nel caso precedente, osserviamo che per ρ = 0 la funzione Φ non `e iniettiva, e quindi biiettiva, e inoltre che det JΦ (ρ, ϑ) = 0. Poich´e {0} × [0, 2π] `e un insieme
trascurabile in R2 , per l’Osservazione (1.16) possiamo comunque utilizzare questo cambiamento di variabile nel calcolo di un integrale doppio. Inoltre Φ(ρ, 0) = Φ(ρ, 2π) per ogni ρ ≥ 0. Poich´e anche l’insieme [0, +∞) × {2π} ´e trascurabile in
R2 , anche questo fatto non influisce sull’utilizzo di questo cambiamento di variabile nel calcolo di un integrale doppio.
25
1.1 Calcolo degli integrali doppi
Questo cambiamento di variabile viene usato per integrare su un ellisse. Per esempio se Ω `e l’ellisse di centro l’origine e semiassi a e b (
Ω=
)
x2 y 2 (x, y) ∈ R : 2 + 2 < 1 , a b 2
allora passando in coordinate ellittiche nel piano centrate nell’origine, si ha che Φ:
(
x = aρ cos ϑ
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π,
y = bρ sin ϑ,
|det JΦ (ρ, ϑ)| = abρ.
Allora x2 y 2 + 2 < 1 ⇐⇒ ρ2 < 1 ⇐⇒ 0 ≤ ρ < 1, a2 b
(x, y) ∈ Ω ⇐⇒
0 ≤ ϑ ≤ 2π.
Quindi Ω = Φ(Ω′ ), dove n
Ω′ = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ < 1, 0 ≤ ϑ ≤ 2π
o
che `e un rettangolo con lati paralleli agli assi coordinati. y 2
x a2
+
2
y b2
=1
ϑ 2π
b
Ω O
a
x
Ω′
b
O
(1.17) Esempio Calcoliamo l’integrale
Z
Ω
n
x2
1
ρ
xy dx dy, dove + y2 o
Ω = (x, y) ∈ R2 : 1 < x2 + y 2 < 4, x > 0, y > 0 . L’insieme Ω `e sia x-semplice che y-semplice.
Osserviamo che Ω presenta una
simmetria radiale. Passiamo in coordinate polari nel piano. Poniamo quindi Φ:
(
x = ρ cos ϑ y = ρ sin ϑ,
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π,
|det JΦ (ρ, ϑ)| = ρ.
26
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
y
ϑ
2 x2 + y 2 = 4 π 2
Ω
1
Ω′ x2 + y 2 = 1 1
O
2
x
1
O
2
Figura 2.8: L’insieme Ω′ .
Figura 2.7: L’insieme Ω. Allora (x, y) ∈ Ω
1 < x2 + y 2 < 4
⇐⇒
Quindi si ha che Ω =
x>0
⇐⇒
y>0
Φ(Ω′ ),
dove
1 < ρ2 < 4
⇐⇒
cos ϑ > 0
(
sin ϑ > 0
Ω′ = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 1 < ρ < 2, 0 < ϑ <
1<ρ<2 0 < ϑ < π2 .
π . 2
Ne segue che Z
Ω
xy dx dy = 2 x + y2
Z
Ω′
ρ2 cos ϑ sin ϑ ρ dρ dϑ = ρ2
Z
Ω′
ρ cos ϑ sin ϑ dρ dϑ =
essendo Ω′ un rettangolo con lati paralleli agli assi ρ e ϑ e la funzione integranda prodotto di una funzione di ρ e di una funzione di ϑ si ottiene =
Z
1
2
ρ dρ
Z
0
π 2
cos ϑ sin ϑ dϑ
!
1 = ρ2 2
2 1
1 sin2 ϑ 2
π 2
0
3 = . 4
(1.18) Osservazione Siano Ω ⊆ R2 misurabile e f : Ω → R continua e limitata. Se Ω e f presentano una simmetria rispetto ad uno stesso asse cartesiano, x o y, allora l’integrale di f su Ω si pu` o calcolare in un modo talvolta pi` u semplice. Ricordiamo innanzi tutto che: Ω` e simmetrico rispetto all’asse x se ∀(x, y) ∈ Ω anche (x, −y) ∈ Ω; Ω` e simmetrico rispetto all’asse y se ∀(x, y) ∈ Ω anche (−x, y) ∈ Ω.
ρ
27
1.1 Calcolo degli integrali doppi
y
y
(x0 , y0 ) b
b
b
(x0 , −y0 )
(x0 , y0 ) b
b
x
O
x
O
b
(x0 , −y0 )
Figura 2.9: all’asse x.
Figura 2.10: Insieme simmetrico rispetto all’asse y.
Insieme simmetrico rispetto
Si hanno i seguenti quattro casi: 1)
(
Ω simmetrico rispetto all’asse x e ∀(x, y) ∈ Ω si ha f (x, −y) = f (x, y)
=⇒
Z
f (x, y) dx dy = 2
Ω
Z
Ω′
f (x, y) dx dy,
dove Ω′ = {(x, y) ∈ Ω : y ≥ 0}, (oppure y ≤ 0); 2)
3)
( (
Ω simmetrico rispetto all’asse x e ∀(x, y) ∈ Ω si ha f (x, −y) = −f (x, y) Ω simmetrico rispetto all’asse y e ∀(x, y) ∈ Ω si ha f (−x, y) = f (x, y)
Z
=⇒
f (x, y) dx dy = 0;
Ω
=⇒
Z
f (x, y) dx dy = 2
Ω
Z
Ω′
f (x, y) dx dy,
dove Ω′ = {(x, y) ∈ Ω : x ≥ 0}, (oppure x ≤ 0); 4)
(
Ω simmetrico rispetto all’asse y e ∀(x, y) ∈ Ω si ha f (−x, y) = −f (x, y)
=⇒
Z
Ω
f (x, y) dx dy = 0.
28
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
1.2
Calcolo degli integrali tripli
Per gli integrali tripli esistono formule di riduzione simili a quelle degli integrali doppi. L’idea di fondo `e di ricondurre il calcolo di un integrale triplo a quello in cascata di un integrale doppio e uno definito in una variabile. A seconda che si calcoli prima l’integrale in una variabile o quello doppio, si hanno le formule di integrazione per fili paralleli ad un asse o per strati paralleli ad un piano. Integrazione per fili paralleli ad un asse Asse z. Sia Ω ⊆ R3 l’insieme n
o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : (x, y) ∈ D, α(x, y) ≤ z ≤ β(x, y) , dove D ⊆ R2 `e compatto (chiuso e limitato) e α, β : D → R sono due funzioni continue, e sia f : Ω → R una funzione continua5 . z z = β(x, y)
Ω
z = α(x, y) y D x
Allora si ha che Z
Ω
5
f (x, y, z) dx dy dz =
Z "Z D
β(x,y)
α(x,y)
#
f (x, y, z) dz dx dy.
Per il Teorema di Weierstrass risulta che Ω `e compatto e che f `e limitata.
Formula di integrazione per fili paralleli all’asse z
29
1.2 Calcolo degli integrali tripli
Quindi l’integrale triplo di una funzione continua e limitata di tre variabili si pu` o determinare calcolando in cascata prima un integrale definito in una variabile e poi un integrale doppio nelle due variabili rimanenti. Nella formula precedente, Z β(x,y) prima si calcola f (x, y, z) dz che `e un integrale definito di una funzione α(x,y)
nella sola variabile z (x e y vanno considerate come parametri) fra gli estremi
α(x, y) e β(x, y). Questo integrale produce una funzione F (x, y) nelle variabili x e y che va poi integrata sull’insieme D ⊆ R2 . Questo integrale doppio si calcola con le tecniche viste precedentemente. z z = β(x, y) Come evidenziato in Fig. 2.11, fissato un punto (x0 , y0 ) ∈ D, l’intersezione fra Ω e la retta Ω
passante per questo punto parallela all’asse z `e un segmento (nella figura `e tratteggiato). ` cos`ı giustificata la denomiE
z = α(x, y)
nazione di integrazione per fili
y b
paralleli all’asse z per questo
(x0 , y0 )
D
x
metodo di integrazione.
Figura 2.11: Integrazione per fili paralleli all’asse z. Similmente si introducono le formule di integrazioni per fili paralleli agli altri assi. Asse y. Sia Ω ⊆ R3 l’insieme n
o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : (x, z) ∈ D, α(x, z) ≤ y ≤ β(x, z) , dove D ⊆ R2 `e compatto e α, β : D → R sono due funzioni continue, e sia f : Ω → R una funzione continua. Allora si ha che Z
Ω
f (x, y, z) dx dy dz =
Z "Z D
β(x,z)
α(x,z)
#
f (x, y, z) dy dx dz.
Formula di integrazione per fili paralleli all’asse y
30
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Asse x. Sia Ω ⊆ R3 l’insieme n
o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : (y, z) ∈ D, α(y, z) ≤ x ≤ β(y, z) , dove D ⊆ R2 `e compatto e α, β : D → R sono due funzioni continue, e sia
f : Ω → R una funzione continua. Allora si ha che Z
Z "Z
f (x, y, z) dx dy dz =
Ω
D
#
β(y,z)
f (x, y, z) dx dy dz.
α(y,z)
Formula di integrazione per fili paralleli all’asse x
Integrazione per strati paralleli ad un piano Premettiamo la seguente (1.19) Definizione
Siano Ω ⊆ R3 limitato e z0 ∈ R. Poniamo n
o
Ωz0 = (x, y) ∈ R2 : (x, y, z0 ) ∈ Ω . Osserviamo che Ωz0 `e la proiezione ortogonale sul piano xy dell’intersezione fra Ω e il piano z = z0 . Se questa intersezione `e l’insieme vuoto, allora anche Ωz0 = ∅. z z0
Ω b
y Ω z0 x
In modo del tutto analogo, se x0 , y0 ∈ R si introducono gli insiemi n
o
Ωx0 = (y, z) ∈ R2 : (x0 , y, z) ∈ Ω ,
n
o
Ωy0 = (x, z) ∈ R2 : (x, y0 , z) ∈ Ω .
31
1.2 Calcolo degli integrali tripli
Formule di integrazione per strati paralleli ad un piano Piano xy. Siano Ω ⊆ R3 l’insieme n
o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : a ≤ z ≤ b, (x, y) ∈ Ωz , dove Ωz =
n
o
(x, y) ∈ R2 : (x, y, z) ∈ Ω , e f : Ω → R una funzione continua e
limitata. Supponiamo che Ωz sia misurabile in R2 per ogni z ∈ [a, b]. Allora si ha che Z
f (x, y, z) dx dy dz =
Ω
Z
b Z
f (x, y, z) dx dy dz.
Ωz
a
Formula di integrazione per strati paralleli al piano xy
Quindi l’integrale triplo di una funzione continua e limitata di tre variabili si pu` o determinare calcolando in cascata prima un integrale doppio e poi un inteZ grale definito. Nella formula precedente, prima si calcola
f (x, y, z) dx dy che `e
Ωz
un integrale doppio di una funzione nelle variabili x e y (z va considerata come parametro) sull’insieme Ωz ⊆ R2 . Questo integrale doppio si calcola con le tec-
niche viste precedentemente e produce una funzione F (z) nella variabile z che va poi integrata fra gli estremi a e b.
z Come evidenziato in Fig. 2.12, fissato un punto z0 ∈ [a, b],
b z0
l’intersezione fra Ω e il piano z = z0 `e una sezione non vuota di Ω giacente su un piano par` cos`ı giusallelo al piano xy. E
b
Ω
a
tificata la denominazione di integrazione per strati paralleli al
y
piano xy per questo metodo di integrazione.
x
Figura 2.12: Integrazione per strati paralleli al piano xy.
32
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Similmente si introducono le formule di integrazioni per strati paralleli agli altri piani. Piano xz. Siano Ω ⊆ R3 l’insieme n
o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : a ≤ y ≤ b, (x, z) ∈ Ωy , dove Ωy =
n
o
(x, z) ∈ R2 : (x, y, z) ∈ Ω , e f : Ω → R una funzione continua e
limitata. Supponiamo che Ωy sia misurabile in R2 per ogni y ∈ [a, b]. Allora si ha che Z
f (x, y, z) dx dy dz =
Ω
Z
b
"Z
#
f (x, y, z) dx dz dy.
Ωy
a
Formula di integrazione per strati paralleli al piano xz
Piano yz. Siano Ω ⊆ R3 l’insieme
dove Ωx =
n
n
o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : a ≤ x ≤ b, (y, z) ∈ Ωx , o
(y, z) ∈ R2 : (x, y, z) ∈ Ω , e f : Ω → R una funzione continua e
limitata. Supponiamo che Ωx sia misurabile in R2 per ogni x ∈ [a, b]. Allora si ha che Z
f (x, y, z) dx dy dz =
Ω
b Z
Z
f (x, y, z) dy dz dx.
Ωx
a
Formula di integrazione per strati paralleli al piano yz
(1.20) Osservazione Siano Ω ⊆ R3 un parallelepipedo con spigoli paralleli agli assi
x, y e z, cio`e Ω `e della forma Ω = [a, b] × [c, d] × [h, k], e f : Ω → R una funzione della forma f (x, y, z) = f1 (x)f2 (y)f3 (z), con f1 : [a, b] → R, f2 : [c, d] → R e f3 : [h, k] → R continue6 .
Allora si ha che Z
f (x, y, z) dx dy dz = Ω
Z
b
a
f1 (x) dx
! Z
c
d
f2 (y) dy
Dimostrazione. Per esercizio.
6
Per il Teorema di Weierstrass le funzioni sono anche limitate.
! Z
k
h
!
f3 (z) dz .
33
1.2 Calcolo degli integrali tripli
(1.21) Esempio Calcoliamo l’integrale
Z
x2 + y 2 z dx dy dz, dove
Ω
n
o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 ≤ 1, z ≥ 0 . Osserviamo che Ω `e la semisfera di centro l’origine e raggio 1 “appoggiata” sul piano xy dalla parte delle z positive. z
Ω
y
x
Figura 2.13: L’insieme Ω.
Si ha che
3
Ω = (x, y, z) ∈ R : 0 ≤ z ≤ n
q
1−
x2
− y2 ,
2
2
x +y ≤1 .
o
Quindi, posto D = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1 , risulta che Ω `e della forma adatta per integrare per fili paralleli all’asse z. Integrando per fili paralleli all’asse z, si ha che # Z Z "Z √ Ω
=
x +y
Z 1 D
2
2
2
1−x2 −y 2
z dx dy dz =
x2 + y 2 z 2
D
√
1−x2 −y 2
0
dx dy =
0
1 2
Z
x2 + y 2 z dz dx dy =
x2 + y 2
D
1 − x2 − y 2 dx dy.
Poich´e D `e l’insieme dei punti interni alla circonferenza di equazione x2 + y 2 = 1 e di quelli della circonferenza, passiamo in coordinate polari nel piano xy. Poniamo quindi Φ:
(
x = ρ cos ϑ y = ρ sin ϑ,
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π,
Allora (x, y) ∈ D
⇐⇒
2
2
x +y ≤1
⇐⇒
|det JΦ (ρ, ϑ)| = ρ. (
0≤ρ≤1 0 ≤ ϑ ≤ 2π.
34
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
y
ϑ 2π
1
D 1
O
D′
x
b
1
O
ρ
Figura 2.15: L’insieme D′ .
Figura 2.14: L’insieme D. Quindi si ha che D = Φ(D′ ), dove n
o
D′ = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ ≤ 1, 0 ≤ ϑ ≤ 2π . Ne segue che Z
2
x +y
Ω
2
1 z dx dy dz = 2 =
1 2
Z
D′
Z
x2 + y 2
D
1 − x2 − y 2 dx dy =
ρ3 − ρ5 dρ dϑ =
essendo D′ un rettangolo con lati paralleli agli assi ρ e ϑ e la funzione integranda prodotto di una funzione di ρ e di una funzione di ϑ, si ottiene =
1 2
Z
0
1
ρ3 − ρ5 dρ
Z
2π
dϑ = π
0
1 4 1 6 ρ − ρ 4 6
1
=
0
π . 12
Si pu` o procedere anche integrando per strati paralleli ad un piano. Infatti, osserviamo che
n
o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 ≤ 1 − z 2 , 0 ≤ z ≤ 1 . n
o
Quindi, per ogni z ∈ [0, 1] posto Ωz = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1 − z 2 , risulta che Ω `e della forma adatta per integrare per strati paralleli al piano xy. Integrando per strati paralleli al piano xy, si ha che Z Ω
x2 + y 2 z dx dy dz =
Z
0
1 Z
Ωz
x2 + y 2 z dx dy dz.
35
1.2 Calcolo degli integrali tripli
ϑ 2π
y √
1 − z2
Ωz √
O
1 − z2
Ω′z
x
√ b
O
1 − z2
ρ
Figura 2.17: L’insieme Ω′z .
Figura 2.16: L’insieme Ωz .
Poich´e per ogni z ∈ [0, 1] l’insieme Ωz `e costituito dai punti interni alla circonferenza
di equazione x2 +y 2 = 1−z 2 e da quelli della stessa circonferenza, passiamo in coordinate polari nel piano xy. Poniamo quindi (
Φ:
x = ρ cos ϑ
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π,
y = ρ sin ϑ,
|det JΦ (ρ, ϑ)| = ρ.
Allora (x, y) ∈ Ωz
2
⇐⇒
2
x +y ≤1−z
2
(
⇐⇒
Quindi si ha che Ωz = Φ(Ω′z ), dove n
0≤ρ≤
1 − z2
0 ≤ ϑ ≤ 2π. o
p
Ω′z = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ ≤
√
1 − z 2 , 0 ≤ ϑ ≤ 2π .
Ne segue che Z
x2 + y 2 z dx dy dz =
Ω
Z
0
=
Z
1
0
"Z
Ω′z
1 Z
Ωz
x2 + y 2 z dx dy dz = #
ρ3 z dρ dϑ dz =
essendo Ω′z un rettangolo con lati paralleli agli assi ρ e ϑ e la funzione integranda prodotto di una funzione di ρ e di una funzione di ϑ, si ottiene =
Z
1
z 0
Z
√
1−z 2
3
ρ dρ
0
π = 2
! Z
2π
dϑ
0
Z
0
1
z 1−z
2 2
dz = 2π
Z
0
1
1 z ρ4 4
√1−z 2
1
π . 12
3 π 1 dz = − 1 − z2 2 6
0
=
0
dz =
36
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.22) Teorema Siano
Ω, Ω′
(del cambiamento di variabile negli integrali tripli)
3
⊆ R aperti limitati non vuoti, f : Ω → R una funzione continua e
limitata e Φ : Ω′ → Ω una funzione tale che: i) Φ `e biiettiva;
ii) Φ `e di classe C 1 con det JΦ (u, v, w) 6= 0 per ogni (u, v, w) ∈ Ω′ . Allora Z
Ω
f (x, y, z) dx dy dz =
Z
Ω′
f (Φ(u, v, w))| det JΦ (u, v, w)| du dv dw.
Formula del cambiamento di variabile negli integrali tripli (1.23) Osservazione Come nel caso bidimensionale, la funzione Φ `e quella che produce il cambiamento di variabili, da (u, v, w) a (x, y, z) ed `e anche detta del cambiamento di coordinate. Valgono le stesse considerazioni fatte nell’Osservazione (1.14) a proposito dell’analogia fra questa formula e quella del caso unidimensionale. In tal caso si pone formalmente (x, y, z) = Φ(u, v, w) e nell’integrale di sinistra si sostituisce (x, y, z) con Φ(u, v, w), il dominio Ω con Ω′ tale che Φ(Ω′ ) = Ω e dx dy dz con | det JΦ (u, v, w)| du dv dw. Si rammenta di NON dimenticare il modulo del determinante Jacobiano di Φ. Come gi` a osservato nel caso bidimensionale, il cambiamento di variabile negli integrali multipli `e utile molto spesso non tanto per modificare la funzione quanto per modificare e quindi semplificare il dominio di integrazione. Evidentemente, come sottolineato nell’Osservazione (1.20) il caso pi` u semplice nello spazio `e quello del parallelepipedo con spigoli paralleli agli assi cartesiani. (1.24) Osservazione Come nel caso bidimensionale, anche la formula del cambiamento di variabile negli integrali tripli continua a valere anche se Φ non `e biiettiva, oppure se det JΦ = 0, su un sottoinsieme di misura nulla di Ω′ . Infatti, come sottolineato nell’Osservazione (1.8), gli insiemi di misura nulla non danno alcun contributo nell’integrale. Cambiamenti di coordinate notevoli nello spazio 1) Coordinate polari o sferiche. Sia (x0 , y0 , z0 ) ∈ R3 . La funzione che esprime le coordinate polari (o sferiche) centrate in (x0 , y0 , z0 ) dei punti dello spazio, con la
37
1.2 Calcolo degli integrali tripli
colatitudine misurata dall’asse z, `e Φ : [0, +∞) × [0, π] × [0, 2π] → R3 definita da Φ(ρ, ϑ, ϕ) = (x0 + ρ sin ϑ cos ϕ, y0 + ρ sin ϑ sin ϕ, z0 + ρ cos ϑ). In particolare se (x0 , y0 , z0 ) = (0, 0, 0) si ha Φ(ρ, ϑ, ϕ) = (ρ sin ϑ cos ϕ, ρ sin ϑ sin ϕ, ρ cos ϑ). z zP b
P (xP , yP , zP )
ϑ: colatitudine
b
ϑ
ϕ: longitudine
ρ O b b
yP xP
y
ϕ b b
Q(xP , yP , 0)
x In ogni caso la matrice Jacobiana di Φ `e
sin ϑ cos ϕ
JΦ (ρ, ϑ, ϕ) = sin ϑ sin ϕ cos ϑ
ρ cos ϑ cos ϕ −ρ sin ϑ sin ϕ ρ cos ϑ sin ϕ −ρ sin ϑ
ρ sin ϑ cos ϕ . 0
Quindi il modulo del determinante della matrice Jacobiana di Φ `e
| det JΦ (ρ, ϑ, ϕ)| = cos ϑ ρ2 sin ϑ cos ϑ cos2 ϕ + ρ2 sin ϑ cos ϑ sin2 ϕ +
+ρ sin ϑ ρ sin2 ϑ cos2 ϕ + ρ sin2 ϑ sin2 ϕ =
= ρ2 sin ϑ cos2 ϑ + ρ2 sin3 ϑ =
= ρ2 sin ϑ cos2 ϑ + sin2 ϑ = ρ2 sin ϑ.
Osserviamo che per ρ = 0 la funzione Φ non `e iniettiva, e quindi biiettiva. Inoltre det JΦ (ρ, ϑ, ϕ) = 0 ⇐⇒ ρ = 0 oppure ϑ = 0, π. Poich´e {0} × [0, π] × [0, 2π],
[0, +∞) × {0} × [0, 2π] e [0, +∞) × {2π} × [0, 2π] sono tre insiemi trascurabili in
R3 , per l’Osservazione (1.16) possiamo comunque utilizzare questo cambiamento di variabile nel calcolo di un integrale triplo. Inoltre Φ(ρ, ϑ, 0) = Φ(ρ, ϑ, 2π) per ogni ρ ≥ 0 e ϑ ∈ [0, π]. Poich´e anche l’insieme [0, +∞) × [0, π] × {2π} ´e trascurabile in
R3 , anche questo fatto non influisce sull’utilizzo di questo cambiamento di variabile nel calcolo di un integrale triplo.
38
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Questo cambiamento di variabile viene usato per integrare su insiemi che presentano una simmetria radiale rispetto ad un punto. Per esempio se Ω `e la sfera di centro l’origine e raggio R > 0 n
o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 < R2 , allora passando in coordinate polari nello spazio centrate nell’origine, si ha che
Φ:
x = ρ sin ϑ cos ϕ
y = ρ sin ϑ sin ϕ, ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ π, 0 ≤ ϕ ≤ 2π, |det JΦ (ρ, ϑ, ϕ)| = ρ2 sin ϑ. z = ρ cos ϑ
Allora (x, y, z) ∈ Ω ⇐⇒ x2 + y 2 + z 2 < R2 ⇐⇒ ρ2 < R2 ⇐⇒ Quindi Ω = Φ(Ω′ ), dove
0≤ρ
0≤ϑ≤π
0 ≤ ϕ ≤ 2π.
n
Ω′ = (ρ, ϑ, ϕ) ∈ R3 : 0 ≤ ρ < R, 0 ≤ ϑ ≤ π, 0 ≤ ϕ ≤ 2π
o
che `e un parallelepipedo con spigoli paralleli agli assi coordinati.
ϕ z 2π
Ω′
R
x
Ω
R
y ρ
π ϑ
In modo del tutto analogo si introducono le coordinate polari (o sferiche) con la colatitudine misurata dall’asse x o dall’asse y.
39
1.2 Calcolo degli integrali tripli
2) Coordinate cilindriche. Sia (x0 , y0 , z0 ) ∈ R3 . La funzione che esprime le coordinate cilindriche centrate in (x0 , y0 , z0 ), con asse parallelo all’asse z, dei punti dello spazio `e Φ : [0, +∞) × [0, 2π] × R → R3 definita da Φ(ρ, ϑ, z) = (x0 + ρ cos ϑ, y0 + ρ sin ϑ, z). In particolare se (x0 , y0 , z0 ) = (0, 0, 0) si ha Φ(ρ, ϑ, z) = (ρ cos ϑ, ρ sin ϑ, z). z zP b
P (xP , yP , zP ) b
O b b
yP
ρ xP
ϑ b
y
b
Q(xP , yP , 0)
x In ogni caso la matrice Jacobiana di Φ `e
cos ϑ
JΦ (ρ, ϑ, z) = sin ϑ 0
−ρ sin ϑ ρ cos ϑ 0
0
0 . 1
Quindi il modulo del determinante della matrice Jacobiana di Φ `e
| det JΦ (ρ, ϑ, z)| = ρ cos2 ϑ + ρ sin2 ϑ = ρ.
Anche in questo caso si osserva che per certi valori di ρ e ϑ risulta che Φ non `e biiettiva. Come nei casi precedenti, questo fatto non pregiudica la possibili` a di utilizzare questo cambiamento di variabile negli integrali tripli. Questo cambiamento di variabile viene usato per integrare su cilindri, coni, paraboloidi. Per esempio se Ω `e il cilindro circolare retto con asse coincidente con l’asse z e raggio R compreso fra i piani z = a e z = b, con a < b, n
o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 < R2 , a < z < b ,
40
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
allora passando in coordinate cilindriche centrate nell’origine con asse parallelo all’asse z, si ha che
Φ:
Allora
x = ρ cos ϑ
y = ρ sin ϑ,
|det JΦ (ρ, ϑ, z)| = ρ.
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π, z ∈ R,
z = z,
(x, y, z) ∈ Ω ⇐⇒ x2 +y 2 < R2 , a < z < b ⇐⇒
(
0 ≤ ρ2 < R2 a
⇐⇒
Quindi Ω = Φ(Ω′ ), dove n
0≤ρ
0 ≤ ϑ ≤ 2π a < z < b.
o
Ω′ = (ρ, ϑ, z) ∈ R3 : 0 ≤ ρ < R, 0 ≤ ϑ ≤ 2π, a < z < b che `e un parallelepipedo con spigoli paralleli agli assi coordinati. z
z b
b Ω
Ω′
R
y
x
π ϑ
a ρ
a
In modo del tutto analogo si introducono le coordinate cilindriche con asse parallelo all’asse x o all’asse y. (1.25) Osservazione Integrare una funzione utilizzando il cambiamento di variabili in coordinate cilindriche con asse parallelo ad uno degli assi cartesiani equivale a integrare per fili paralleli a quell’asse e poi passare in coordinate polari nel piano ortogonale a quell’asse. (1.26) Esempio Calcoliamo l’integrale
Z
Ω
n
x2 dx dy dz, dove x2 + z 2 o
Ω = (x, y, z) ∈ R3 : 1 < x2 + y 2 + z 2 < 2, x2 − y 2 + z 2 < 0, y > 0 .
41
1.2 Calcolo degli integrali tripli
z
ϕ
Ω
y
x
Ω′
ϑ ρ
Figura 2.19: L’insieme Ω′ .
Figura 2.18: L’insieme Ω.
L’insieme Ω `e la parte dello spazio compresa fra le sfere di equazione x2 +y 2 +z 2 = 1 √ e x2 + y 2 + z 2 = 2 e il semicono y = x2 + z 2 . Passiamo in coordinate sferiche in cui la colatitudine `e misurata rispetto all’asse y. Poniamo quindi
Φ:
x = ρ sin ϑ cos ϕ
|det JΦ (ρ, ϑ, ϕ)| = ρ2 sin ϑ.
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ π, 0 ≤ ϕ ≤ 2π,
y = ρ cos ϑ
z = ρ sin ϑ sin ϕ,
Si ha che
(x, y, z) ∈ Ω
⇐⇒
1 < ρ2 < 2
sin2 ϑ − cos2 ϑ < 0
√ 1<ρ< 2
⇐⇒
cos ϑ > 0
Quindi si ha che Ω = Φ(Ω′ ), dove
Ω′ = (ρ, ϑ, ϕ) ∈ R3 : 1 < ρ <
√
2, 0 ≤ ϑ <
0≤ϑ<
π 4
0 ≤ ϕ ≤ 2π.
π , 0 ≤ ϕ ≤ 2π . 4
Allora si ha che Z
Ω
x2 dx dy dz = x2 + z 2
Z
Ω′
ρ2 sin2 ϑ cos2 ϕ 2 ρ sin ϑ dρ dϑ dϕ = ρ2 sin2 ϑ
Z
Ω′
ρ2 sin ϑ cos2 ϕ dρ dϑ dϕ =
42
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
essendo Ω′ un parallelepipedo con spigoli paralleli agli assi coordinati e la funzione integranda prodotto di una funzione di ρ, di una di ϑ e di una di ϕ, si ottiene Z
=
1 = ρ3 3
√
2
2
ρ dρ 1
√ 2 h
− cos ϑ
1
! Z
π 4
0
iπ 1 4
2
0
sin ϑ dϑ
! Z
2π
2
cos ϕ dϕ =
0
2π
(ϕ + sin ϕ cos ϕ)
=
0
π √ 5 2−6 . 6
(1.27) Osservazione Siano Ω ⊆ R3 misurabile e f : Ω → R continua e limitata. Se Ω e f presentano una simmetria rispetto ad uno stesso piano cartesiano, xy, xz o yz, allora l’integrale di f su Ω si pu` o calcolare in un modo talvolta pi` u semplice. Ricordiamo innanzi tutto che: Ω` e simmetrico rispetto al piano xy se ∀(x, y, z) ∈ Ω anche (x, y, −z) ∈ Ω; Ω` e simmetrico rispetto al piano xz se ∀(x, y, z) ∈ Ω anche (x, −y, z) ∈ Ω; Ω` e simmetrico rispetto al piano yz se ∀(x, y, z) ∈ Ω anche (−x, y, z) ∈ Ω. Si hanno i seguenti sei casi: 1) se Ω `e simmetrico rispetto al piano xy e ∀(x, y, z) ∈ Ω si ha f (x, y, −z) = f (x, y, z), allora
Z
f (x, y, z) dx dy dz = 2 Ω
Z
Ω′
f (x, y, z) dx dy dz,
dove Ω′ = {(x, y, z) ∈ Ω : z ≥ 0}, (oppure z ≤ 0); 2) se Ω `e simmetrico rispetto al piano xy e ∀(x, y, z) ∈ Ω si ha f (x, y, −z) = −f (x, y, z), allora
Z
f (x, y, z) dx dy dz = 0;
Ω
3) se Ω `e simmetrico rispetto al piano xz e ∀(x, y, z) ∈ Ω si ha f (x, −y, z) = f (x, y, z), allora
Z
f (x, y, z) dx dy dz = 2 Ω
Z
Ω′
f (x, y, z) dx dy dz,
dove Ω′ = {(x, y, z) ∈ Ω : y ≥ 0}, (oppure y ≤ 0); 4) se Ω `e simmetrico rispetto al piano xz e ∀(x, y, z) ∈ Ω si ha f (x, −y, z) = −f (x, y, z), allora
Z
Ω
f (x, y, z) dx dy dz = 0;
43
1.2 Calcolo degli integrali tripli
5) se Ω `e simmetrico rispetto al piano yz e ∀(x, y, z) ∈ Ω si ha f (−x, y, z) = f (x, y, z), allora
Z
f (x, y, z) dx dy dz = 2
Ω
Z
Ω′
f (x, y, z) dx dy dz,
dove Ω′ = {(x, y, z) ∈ Ω : x ≥ 0}, (oppure x ≤ 0); 6) se Ω `e simmetrico rispetto al piano yz e ∀(x, y, z) ∈ Ω si ha f (−x, y, z) = −f (x, y, z), allora
Z
f (x, y, z) dx dy dz = 0. Ω
44
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
1.3
Massa, baricentro, momento d’inerzia
(1.28) Definizione
Siano Ω ⊆ R3 non vuoto e ρ : Ω → R la funzione densit` a di
massa in Ω. La massa di Ω `e il numero reale M (Ω) =
Z
ρ(x, y, z) dx dy dz.
Ω
Se la densit` a di massa ρ `e costante in Ω, allora M (Ω) =
Z
ρ(x, y, z) dx dy dz = ρ
Ω
Z
dx dy dz = ρ m(Ω),
Ω
dove m(Ω) `e il volume di Ω. In particolare se ρ = 1 su Ω, allora M (Ω) = m(Ω).
(1.29) Definizione
Siano Ω ⊆ R3 non vuoto e ρ : Ω → R la funzione densit` a di
massa in Ω. Il baricentro (o centro di massa, o centroide) di Ω `e il punto B(xB , yB , zB ) dove
(1.30) Definizione
xB =
1 M (Ω)
yB =
1 M (Ω)
zB =
1 M (Ω)
Z
x ρ(x, y, z) dx dy dz, Ω
Z
y ρ(x, y, z) dx dy dz,
Ω
Z
z ρ(x, y, z) dx dy dz. Ω
Siano Ω ⊆ R3 non vuoto, ρ : Ω → R la funzione densit` a di
massa in Ω, r una retta in R3 e d : Ω → R la funzione distanza dei punti di Ω dalla retta r. Il momento d’inerzia di Ω rispetto all’asse r `e il numero reale I=
Z
d2 (x, y, z) ρ(x, y, z) dx dy dz.
Ω
Se la densit` a di massa ρ `e costante in Ω, allora ρ = I=
Z
Ω
d2 (x, y, z) ρ(x, y, z) dx dy dz =
M (Ω) m(Ω)
M (Ω) m(Ω)
Z
e si ha che
d2 (x, y, z) dx dy dz. Ω
Analoghe nozioni si possono introdurre se Ω ⊆ R2 , a patto di sostituire gli integrali tripli con integrali doppi. Inoltre, analoghe nozioni si possono introdurre se Ω sottoin-
45
1.3 Massa, baricentro, momento d’inerzia
sieme di R2 (risp. di R3 ) `e il sostegno di una curva parametrica γ semplice e regolare, a patto di sostituire gli integrali doppi (risp. tripli) con l’integrale curvilineo di I specie lungo γ (si veda il capitolo Integrali curvilinei). Volume di un solido di rotazione Sia S un sottoinsieme non vuoto del semipiano yz in cui y ≥ 0 e sia Ω ⊆ R3 ottenuto dalla rotazione completa di S attorno all’asse z. z Ω
S y
x Figura 2.20: Il toro. Siamo interessati a determinare il volume di Ω. Rappresentiamo Ω in coordinate cilindriche con asse coincidente con l’asse z. Si ha che
Φ:
Allora Ω = Φ(Ω′ ), con
x = ρ cos ϑ
y = ρ sin ϑ
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π, z ∈ R.
z=z
n
o
Ω′ = (ρ, ϑ, z) ∈ R3 : (ρ, z) ∈ S, 0 ≤ ϑ ≤ 2π . Ne segue che Ω′ `e un cilindro con basi S e la proiezione di S sul piano ϑ = 2π. Quindi il volume di Ω `e m(Ω) =
Z
dx dy dz =
Ω
Z
Ω′
ρ dρ dϑ dz =
integrando per fili paralleli all’asse ϑ si ottiene = 2π
Z
S
ρ dρ dz.
46
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Poich´e S `e contenuto nel semipiano yz in cui y ≥ 0, si ha che ρ = y. Quindi (1.31)
m(Ω) = 2π
Z
y dy dz.
S
Similmente, se S `e contenuto nel semipiano yz con z ≥ 0 e Ω `e ottenuto dalla rotazione completa di S attorno all’asse y si ha che m(Ω) = 2π
Z
z dy dz. S
Analoghe formule se S `e contenuto negli altri semipiani dei piani coordinati in cui una delle coordinate `e non negativa. Per esempio, consideriamo il toro Ω di Fig. 2.20 ottenuto dalla rotazione del cerchio n
o
S = (y, z) ∈ R2 : (y − y0 )2 + (z − z0 )2 ≤ R2 , Il volume di Ω `e dato da m(Ω) = 2π
Z
y0 , R > 0,
z0 ∈ R.
y dy dz.
S
Passando in coordinate polari nel piano yz si ha Φ:
(
y = y0 + ρ cos ϑ
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π,
z = z0 + ρ sin ϑ,
|det JΦ (ρ, ϑ)| = ρ.
Allora (y, z) ∈ S ⇐⇒ (y−y0 )2 +(z−z0 )2 ≤ R2 ⇐⇒ ρ2 ≤ R2 ⇐⇒ 0 ≤ ρ ≤ R, Quindi S = Φ(S ′ ), dove n
o
S ′ = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ ≤ R, 0 ≤ ϑ ≤ 2π . che `e un rettangolo con lati paralleli agli assi coordinati. Ne segue che m(Ω) = 2π
Z
y dy dz = 2π
S
= 2π
Z
2π
0
"Z
0
R
2
Z
S′
ρ(y0 + ρ cos ϑ) dρ dϑ =
#
y0 ρ + ρ cos ϑ dρ dϑ = 2π 2 y0 R2 .
(1.32) Osservazione Siano f : [a, b] → R continua, n
o
S = (y, z) ∈ R2 : a ≤ z ≤ b, 0 ≤ y ≤ f (z)
e Ω ⊆ R3 ottenuto dalla rotazione completa di S attorno all’asse z.
0 ≤ ϑ ≤ 2π.
47
1.3 Massa, baricentro, momento d’inerzia
z
y = f (z)
b
S
a y
O
Allora il volume di Ω `e dato da m(Ω) = π
Z
b
[f (z)]2 dz.
a
Infatti, essendo S un insieme y-semplice7 , da (1.31) si ha che m(Ω) = 2π
Z
S
y dy dz = 2π
Z
b
a
"Z
f (z)
#
y dy dz = 2π
0
Z
b 1
a
2
y2
f (z)
dz = π
0
Z
b
[f (z)]2 dz.
a
(1.33) Osservazione Abbiamo visto che se S `e contenuto nel semipiano yz con y ≥ 0 e Ω `e ottenuto dalla rotazione completa di S attorno all’asse z si ha che m3 (Ω) = 2π
Z
y dy dz.
S
Moltiplicando e dividendo per l’area m2 (S) di S, si ottiene m3 (Ω) = 2π m2 (S)
1 m2 (S)
|
dove B `e il baricentro di S. La formula
Z
S
{z
yB
y dy dz = 2π yB m2 (S), }
m3 (Ω) = 2π yB m2 (S) `e nota come I Teorema di Guldino.
7
Si osservi che in tal caso y `e l’asse cartesiano orizzontale, e quindi Ω `e orizzontalmente convesso.
48
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Appendice A
Momento d’inerzia (1.1) Definizione
Consideriamo un punto dotato di massa m (ovvero una massa
puntiforme) che ruota con velocit` a angolare ~ ω intorno ad un asse a posto a distanza d. Il momento d’inerzia di questa massa puntiforme rispetto all’asse a `e il numero reale I = m d2 . Il momento d’inerzia di una massa puntiforme `e legato al momento angolare. Infatti, supponiamo per semplicit` a che l’asse a passi per l’origine O. Se denotiamo con ~r il vettore posizione della massa puntiforme rispetto all’origine O e con ~v il vettore velocit` a del punto, si ha che ~v = ~ ω ∧ ~r ed `e tangente alla traiettoria. Il momento angolare `e ~ = m ~r ∧ ~v . L ~ lungo l’asse a `e La componente di L La = m d2 ω = I ω, dove ω = |~ ω | `e il modulo della velocit` a angolare.
49
50
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Appendice B
Integrale di Riemann Per integrale multiplo si intende l’integrale di una funzione reale di n ≥ 2 variabili. La nozione di integrale multiplo `e una naturale estensione di quella dell’integrale definito di una funzione reale di una variabile reale. Nel corso di Analisi Matematica I avete studiato la teoria dell’integrazione secondo Riemann nella quale viene introdotto l’integrale di una funzione limitata su un intervallo limitato. Nel caso di funzioni di pi` u variabili, l’estensione naturale di questa situazione `e quella di considerare funzioni limitate su iperrettangoli, ossia su insiemi che sono l’estensione dei rettangoli nel piano e dei parallelepipedi nello spazio. Mentre in una variabile si calcola l’integrale di una funzione limitata prevalentemente su un intervallo limitato, nel caso di funzioni di pi` u variabili o si calcola l’integrale di una funzione limitata su un sottoinsieme limitato di Rn che pu` essere molto vario e che non `e necessariamente un iperrettangolo. La teoria dell’integrazione deve quindi poter discriminare fra gli insiemi “buoni” su cui integrare e quelli ` quindi fondamentale possedere una teoria della misura, che introduca “non buoni”. E e studi le propriet` a degli insiemi misurabili (quelli “buoni”) che, sostanzialmente, sono quelli a cui `e possibile associare una misura, che nel piano comunemente chiamiamo area e nello spazio volume. Per questo motivo risulta pi` u laborioso introdurre il concetto di integrale multiplo per una funzione limitata. Procediamo nel seguente modo: a) introduciamo l’integrale di funzioni limitate su iperrettangoli imitando il procedimento visto nel caso dell’integrale di Riemann per funzioni di una variabile; b) introduciamo poi il concetto di misura di Peano-Jordan di un sottonsieme di Rn e quindi quello di insieme misurabile; c) introduciamo infine l’integrale di funzioni limitate su un insieme misurabile. 51
52
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Nel seguito considereremo n ∈ N, n ≥ 1.
1
Integrale di Riemann su un iperrettangolo (1.1) Definizione n
Siano I1 , . . . , In ⊆ R intervalli limitati.
Si chiama
iperrettangolo in R l’insieme R = I1 × · · · × In . Per n = 1 si ha l’intervallo R = I1 . Per n = 2 si ha il rettangolo R = I1 × I2 . Per n = 3 si ha il parallelepipedo (retto o rettangolo) R = I1 × I2 × I3 .
y
z
R R
O
x
Figura B.1: Iperrettangolo nel piano R2 .
y
x
Figura B.2: Iperrettangolo nello spazio R3 .
Gli estremi degli intervalli Ij possono essere o non essere inclusi nell’intervallo. Come vedremo, analogamente a quanto accade per l’integrale in una variabile, ci` o non ha alcuna importanza nella teoria dell’integrazione. Osserviamo che se R `e un iperrettangolo in Rn , allora ∂R `e unione di un numero finito di iperrettangoli in Rm con m ≤ n − 1. (1.2) Definizione
Per ogni j = 1, . . . , n sia Ij un intervallo limitato di estremi
aj , bj con aj < bj e R = I1 × · · · × In un iperrettangolo in Rn . Si chiama misura (n-dimensionale) di R il numero reale m(R) = (b1 − a1 )(b2 − a2 ) · · · (bn − an ). Evidentemente la misura di un iperrettangolo `e data dal prodotto delle misure dei singoli intervalli il cui prodotto (cartesiano) `e l’iperrettangolo stesso.
53
Appendice B Integrale di Riemann su un iperrettangolo
Per n = 1, essendo R = I1 , la sua misura `e la lunghezza dell’intervallo I1 , cio`e m(R) = b1 − a1 . Per n = 2, essendo R = I1 × I2 , la sua misura `e l’area del rettangolo R, cio`e
m(R) = (b1 − a1 )(b2 − a2 ).
Per n = 3, essendo R = I1 × I2 × I3 , la sua misura `e il volume del parallelepipedo
R, cio`e m(R) = (b1 − a1 )(b2 − a2 )(b3 − a3 ). (1.3) Definizione
Sia R un iperrettangolo in Rn .
Si chiama suddivisione di R una famiglia finita {R1 , . . . , Rk } di iperrettangoli contenuti in R tali che: 1) R = R1 ∪ · · · ∪ Rk ; u punti 2) per ogni i, j = 1, . . . , k con i 6= j l’intersezione Ri ∩ Rj contiene al pi` della frontiera di Ri e Rj .
y
R = R1 ∪ · · · ∪ Rk R1
R2
Rk
O
x
Figura B.3: Suddivisione di un iperrettangolo nel piano R2 .
(1.4) Definizione
Siano R un iperrettangolo in Rn e f : R → R una funzione.
Diciamo che f ` e una funzione a scala se esiste una suddivisione {R1 , . . . , Rk } di R tale che f `e costante su ciascuno degli iperrettangoli Rj , per j = 1, . . . , k. In tal e adattata a f . caso diciamo che la suddivisione `
54
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
z
z
f
f
y
y
R
R
x
x
Figura B.4: Suddivisione adattata alla funzione a scala.
Figura B.5: Suddivisione non adattata alla funzione a scala.
Introduciamo ora il concetto di integrale di una funzione a scala su un iperrettangolo. Il significato geometrico `e analogo a quello in una variabile. Infatti, se consideriamo in
Rn+1 il trapezoide di f , n
Tf = (x, xn+1 ) ∈ Rn+1 : x ∈ R ⊆ Rn ,
o
0 ≤ xn+1 ≤ f (x) oppure f (x) ≤ xn+1 ≤ 0 ,
cio`e la regione delimitata dal grafico di f , dall’iperrettangolo R e dagli iperpiani1 ortogonali a Rn (su cui “giace” R) passanti per ∂R, allora l’integrale di f su R `e il “volume” in Rn+1 di questo trapezoide, dove le virgolette stanno ad indicare che le zone di questa regione che corrispondono ai valori positivi di f danno un contributo positivo, mentre quelle che corrispondono ai valori negativi di f danno un contributo negativo. Evidentemente se f ≥ 0, allora si ha effettivamente il volume in Rn+1 di questo trapezoide. (1.5) Definizione
Siano R un iperrettangolo in Rn , f : R → R una funzione a
scala e {R1 , . . . , Rk } una suddivisione di R adattata a f . Per ogni j = 1, . . . , k sia cj il valore assunto da f su Rj . Si chiama integrale (multiplo) di f su R il numero reale Z
R
1
f (x) dx = c1 m(R1 ) + · · · + ck m(Rk ) =
Un iperpiano `e una generalizzazione in
Rn
k X
cj m(Rj ).
j=1
della nozione di piano dello spazio
R3 .
55
Appendice B Integrale di Riemann su un iperrettangolo
z
Tf
y R x Figura B.6: Le regioni del trapezoide Tf di f che corrispondono ai valori positivi di f danno un contributo positivo, mentre quelle che corrispondono ai valori negativi di f danno un contributo negativo. Talvolta l’integrale di f su R si denota con uno dei seguenti simboli: Z
Z
f,
R
R
n volte
f (x1 , . . . , xn ) dx1 · · · dxn ,
zZ }| Z {
···
R
f (x1 , . . . , xn ) dx1 · · · dxn .
Se n = 2 si usa talvolta scrivere ZZ
f (x, y) dx dy.
(Integrale doppio)
R
Se n = 3 si usa talvolta scrivere ZZZ
f (x, y, z) dx dy dz.
(Integrale triplo)
R
Si dimostra facilmente che questa definizione `e ben posta, ossia non dipende dalla scelta della suddivisione di R adattata a f . Introduciamo ora l’integrale di una funzione limitata, non necessariamente a scala, su un iperettangolo R. Siano quindi R un iperrettangolo in Rn e f : R → R una funzione limi-
tata. Denotiamo con Hf− e Hf+ gli insiemi delle funzioni a scala minoranti e maggioranti di f rispettivamente, cio`e Hf− = {g : R → R a scala tale che g ≤ f } , Hf+ = {g : R → R a scala tale che g ≥ f } . Essendo f limitata su R si ha che Hf− , Hf+ 6= ∅. Poniamo Z
R
f = sup
Z
R
g: g∈
Hf−
(Integrale inferiore di f su R),
56
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Z
f = inf
R
Z
R
g : g ∈ Hf+
Essendo f limitata su R si ha che
Z
(Integrale superiore di f su R).
f,
R
Z
R
Z
R
f ∈ R e evidentemente
f≤
Z
f.
R
R
h
f
Rn
R g
Figura B.7: Approssimazione di f con le funzioni a scala g e h, g ≤ f ≤ h. (1.6) Definizione
Siano R un iperrettangolo in Rn e f : R → R una funzione
limitata. Diciamo che f ` e integrabile (secondo Riemann) su R se
Z
R
f=
Z
R
f ∈ R. In
tal caso chiamiamo integrale (multiplo) di Riemann di f su R il comune valore di questi due integrali e lo denotiamo con le notazioni introdotte precedentemente. Si dimostra che se f `e continua e limitata su R, allora `e integrabile. Esistono anche funzioni non integrabili. Ad esempio, posto R = [0, 1] × [0, 1], la funzione f : R → R
57
Appendice B Misura di Peano-Jordan
definita da f (x, y) =
(
1 se x ∈ Q, y ∈ R 0 se x 6∈ Q, y ∈ R
non `e integrabile su R. Infatti, se g, h : R → R sono due funzioni a scala rispettivamente
minorante e maggiorante di f , allora essendo f (x, y) = 0 per ogni (x, y) ∈ R con x 6∈ Q, si ha che g(x, y) ≤ 0 per ogni (x, y) ∈ R. Analogamente, essendo f (x, y) = 1 per ogni (x, y) ∈ R con x ∈ Q, si ha che h(x, y) ≥ 1 per ogni (x, y) ∈ R. Quindi Z
R
g(x, y) dx dy ≤ 0,
Z
Z
Z
R
h(x, y) dx dy ≥ 1.
Ne segue che
R
Quindi
2
Z
f< R
Z
R
f ≤ 0,
R
f ≥ 1.
f ∈ R da cui segue che f non `e integrabile su R.
Misura di Peano-Jordan
(2.1) Definizione
Sia P ⊆ Rn . Diciamo che P ` e un plurirettangolo se
P `e l’unione di un numero finito di iperrettangoli R1 , . . . , Rk tali che per ogni i, j = 1, . . . , k con i 6= j l’intersezione Ri ∩ Rj contiene al pi` u punti della frontiera di Ri e Rj . La misura n-dimensionale del plurirettangolo P = R1 ∪ · · · ∪ Rk `e data da m(P ) = m(R1 ) + · · · + m(Rk ) =
k X
m(Rj ).
j=1
Evidentemente un iperrettangolo `e un plurirettangolo.
58
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
y
y
P = R1 ∪ R2
P = R1 ∪ R2
R1
R1
R2
R2
O
x
Figura B.8: P `e un plurirettangolo.
(2.2) Definizione
O
x
Figura B.9: P non `e un plurirettangolo.
Sia Ω ⊆ Rn limitato non vuoto. Introduciamo i seguenti
insiemi: S − (Ω) = {P ⊆ Rn plurirettangolo tale che P ⊆ Ω}, S + (Ω) = {P ⊆ Rn plurirettangolo tale che P ⊇ Ω}. Evidentemente S + (Ω) 6= ∅, mentre S − (Ω) potrebbe anche essere l’insieme vuoto (per esempio se Ω `e l’insieme costituito da un solo punto). Si chiama misura interna di Ω il numero reale m∗ (Ω) = sup{m(P ) : P ∈ S − (Ω)} e si chiama misura esterna di Ω il numero reale m∗ (Ω) = inf{m(P ) : P ∈ S + (Ω)}, con la convenzione che se S − (Ω) = ∅, allora m∗ (Ω) = 0.
Evidentemente 0 ≤ m∗ (Ω) ≤ m∗ (Ω). Da un punto di vista pratico, stiamo approssimando “dall’interno e dall’esterno l’insieme” Ω con dei plurirettangoli, cio`e con l’unione di iperrettangoli. Calcoliamo la misura di questi plurirettangoli e facciamo il sup delle misure di quelli interni, e l’inf delle misure di quelli esterni.
59
Appendice B Misura di Peano-Jordan
y
P
Ω Q
Q⊆Ω⊆P Q ∈ S − (Ω) P ∈ S + (Ω)
O
x
Figura B.10: Approssimazione di Ω ⊆ R2 dall’interno e dall’esterno con plurirettangoli.
(2.3) Definizione
Sia Ω ⊆ Rn limitato non vuoto.
Diciamo che Ω ` e misurabile (secondo Peano-Jordan) se m∗ (Ω) = m∗ (Ω) e in tal caso chiamiamo misura di Ω il comune valore e lo denotiamo con mn (Ω), o pi` u semplicemente, dove non vi sia ambiguit` a, con m(Ω). Per convenzione poniamo m(∅) = 0.
Evidentemente se Ω = P plurirettangolo, allora riotteniamo la nozione precedente. Se Ω ⊆ R2 `e misurabile, la misura di Ω `e l’area di Ω.
Se Ω ⊆ R3 `e misurabile, la misura di Ω `e il volume di Ω. In generale per n ≥ 3 la misura di Ω `e detta volume (n-dimensionale) di Ω. (2.4) Esempio Un esempio di insieme non misurabile nel piano `e Ω = {(x, y) ∈ [0, 1] × [0, 1] : x, y ∈ Q} . Infatti, in tal caso S − (Ω) = ∅ e quindi m∗ (Ω) = 0, mentre m∗ (Ω) = 1. Ne segue che m∗ (Ω) < m∗ (Ω) e quindi Ω non `e misurabile.
60
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(2.5) Definizione
Sia Ω ⊆ Rn misurabile.
e trascurabile se m(Ω) = 0. Diciamo che Ω `
(2.6) Teorema
Sia Ω ⊆ Rn limitato non vuoto.
Allora Ω `e misurabile se e solo se ∂Ω `e trascurabile.
Omettiamo la dimostrazione.
3
Integrale di Riemann su un insieme misurabile
Nella sezione 1 abbiamo introdotto l’integrale di Riemann di una funzione limitata su un iperrettangolo. Per poter estendere questo concetto al caso di una funzione limitata su un insieme misurabile, ci riconduciamo al caso precedente estendendo la funzione ad un iperrettangolo che contiene l’insieme misurabile con valore nullo al di fuori di questo insieme. (3.1) Definizione
Siano Ω ⊆ Rn misurabile e f : Ω → R una funzione limitata.
Siano R un iperrettangolo tale che Ω ⊆ R e fe : R → R la funzione fe(x) =
f (x)
0
se x ∈ Ω
se x ∈ R \ Ω.
Diciamo che f ` e integrabile (secondo Riemann) su Ω se fe `e integrabile su R nel senso della Definizione (1.6) e in tal caso poniamo Z
f= Ω
Z
R
fe,
lo chiamiamo integrale (multiplo) di Riemann di f su Ω e lo denotiamo con le medesime notazioni introdotte precedentemente.
Si osserva che le nozioni di funzione integrabile e di integrale su un insieme misurabile non dipendono dalla scelta dell’iperrettangolo R. Evidentemente se Ω `e un iperrettangolo, allora si riottiene la nozione introdotta dalla Definizione (1.6). Infatti, in tal caso si ha che fe = f .
61
Appendice B Integrale di Riemann su un insieme misurabile
Se f ≥ 0, allora come nel caso precedente si ha che trapezoide di f ,
Z
f `e il volume in Rn+1 del
Ω
n
Tf = (x1 , · · · , xn , xn+1 ) ∈ Rn+1 : x = (x1 , · · · , xn ) ∈ Ω, Si osserva infine che se f = 1 su Ω, allora
Z
o
0 ≤ xn+1 ≤ f (x) .
f = m(Ω).
Ω
Concludiamo questa sezione elencando alcune delle propriet` a principali dell’integrale multipo, utili anche nelle applicazioni.
(3.2) Proposizione
Siano Ω ⊆ Rn misurabile, f, g : Ω → R integrabili su Ω e
λ ∈ R. Allora valgono i seguenti fatti: a) f + g `e integrabile su Ω e si ha che Z
(f + g) =
Ω
Z
f+
Ω
Z
g;
Ω
b) λf `e integrabile su Ω e si ha che Z
λf = λ
Ω
c) se f ≤ g su Ω, allora
Z
f≤
Ω
Z
Z
f;
Ω
g;
Ω
d) |f | `e integrabile su Ω e si ha che
Z Z f ≤ |f |. Ω
(3.3) Proposizione
Ω
Siano Ω ⊆ Rn misurabile e f : Ω → R integrabile su Ω.
Allora valgono i seguenti fatti: a) se Ω `e trascurabile, allora
Z
f = 0;
Ω
b) se Ω = A ∪ B con A e B misurabili e A ∩ B trascurabile, allora Z
Ω
f=
Z
A∪B
f=
Z
A
f+
Z
B
f;
62
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
c) se A ⊆ Ω `e misurabile, allora f `e integrabile anche su A; d) se A ⊆ Ω `e misurabile e f ≥ 0 su Ω, allora Z
A
f≤
Z
Ω
f.
Capitolo 3
Integrali curvilinei Nel seguito considereremo n ∈ N, n ≥ 1.
1
Brevi richiami sulle curve parametriche (1.1) Definizione
Siano I ⊆ R un intervallo qualunque.
Una curva
parametrica `e una funzione γ : I → Rn continua. Si chiama sostegno di γ l’immagine di γ. Quindi il sostegno di γ `e l’insieme dei punti γ(t), al variare di t ∈ I, cio`e `e la linea definita da γ. Diciamo che γ ` e semplice se γ(t1 ) = γ(t2 ) implica che t1 = t2 oppure che t1 e t2 sono gli estremi dell’intervallo I, se I contiene i suoi estremi.
Se una curva `e semplice, allora pu` o assumere gli stessi valori solo negli estremi dell’intervallo I, se I contiene i suoi estremi. (1.2) Osservazione Se γ `e una curva parametrica semplice, allora facendo variare il parametro t nel verso di crescita dei numeri reali, t descrive I e il punto γ(t) ∈ Rn descrive il sostegno di γ senza mai ripassare per uno stesso punto, a meno che negli estremi di I, se li contiene, γ assuma gli stessi valori, e senza mai invertire il “moto” del punto γ(t) sul sostegno di γ. Quindi γ individua sul proprio sostegno un verso di percorrenza e si dice che γ induce sul sostegno un verso di percorrenza. Evidentemente data una linea nel piano che sia parametrizzata da una curva parametrica semplice, su di essa si possono individuare solo due versi di percorrenza, l’uno opposto all’altro. 63
64
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.3) Definizione
Sia γ : [a, b] → Rn una curva parametrica.
e chiusa se γ(a) = γ(b). Diciamo che γ `
(1.4) Definizione Siano I ⊆ R un intervallo e γ : I → Rn una curva parametrica derivabile. Diciamo che γ ` e regolare se γ ′ `e continua e per ogni t interno a I si ha che γ ′ (t) 6= 0.
(1.5) Definizione
Sia γ : [a, b] → Rn una curva parametrica.
Diciamo che γ ` e regolare a tratti se valgono tutti i seguenti fatti: i) γ `e derivabile in [a, b] con derivata continua tranne che in un numero finito di punti; ii) γ ′ (t) 6= 0 in tutti i punti in cui γ `e derivabile tranne che in un numero finito di punti; iii) nei punti in cui γ non `e derivabile esistono le derivate destra e sinistra.
In altri termini γ `e regolare a tratti se esistono a = t0 < t1 < · · · < tm = b tali che γ `e regolare in ogni intervallo [tk−1 , tk ], per ogni k = 1, . . . , m, cio`e se l’intervallo [a, b] `e suddivisibile nell’unione di un numero finito di intervalli adiacenti su cui γ `e regolare.
(1.6) Definizione
Siano I, J ⊆ R due intervalli, γ : I → Rn e η : J → Rn due
curve parametriche. Diciamo che γ e η sono equivalenti se esiste una funzione α : J → I biiettiva e di classe C 1 con α′ (τ ) > 0 per ogni τ ∈ J tale che η = γ ◦ α.
1 Brevi richiami sulle curve parametriche
(1.7) Proposizione
65
Siano I, J ⊆ R due intervalli, γ : I → Rn e η : J → Rn
due curve parametriche equivalenti e α come nella Definizione (1.6). Allora valgono i seguenti fatti: a) γ e η hanno lo stesso sostegno; b) γ `e semplice se e solo se η `e semplice; c) γ `e derivabile se e solo se η `e derivabile e in particolare si ha che η ′ (τ ) = γ ′ (α(τ ))α′ (τ ). Inoltre γ `e regolare se e solo se η `e regolare; d) γ e η inducono lo stesso verso di percorrenza sul loro comune sostegno.
Se γ e η sono equivalenti, in virt` u delle propriet` a a) e d), si dice anche che γ e η sono due parametrizzazioni della stessa curva che inducono su di essa lo stesso verso di percorrenza.
(1.8) Proposizione
Siano γ, η, α come nella Definizione (1.6) tranne che per
il segno di α′ e supponiamo che α′ (τ ) < 0 per ogni τ ∈ J. Allora valgono i seguenti fatti: a) γ e η hanno lo stesso sostegno; b) γ `e semplice se e solo se η `e semplice; c) γ `e derivabile se e solo se η `e derivabile e in particolare si ha che η ′ (τ ) = γ ′ (α(τ ))α′ (τ ). Inoltre γ `e regolare se e solo se η `e regolare; d) γ e η inducono versi di percorrenza opposti sul loro comune sostegno.
66
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Sia Ω ⊆ Rn un aperto non vuoto.
(1.9) Definizione
e connesso per archi se per ogni x, y ∈ Ω esiste una curva Diciamo che Ω ` parametrica γ : [a, b] → Ω tale che γ(a) = x e γ(b) = y.
Si dimostra che se Ω `e connesso per archi, allora fissati x, y ∈ Ω con x 6= y esiste sempre una curva parametrica semplice e regolare a tratti γ : [a, b] → Ω tale che γ(a) = x e γ(b) = y.
2
Integrale curvilineo di I specie
(2.1) Definizione
Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto, f : Ω → R una funzione
continua e γ : [a, b] → Ω una curva parametrica semplice e regolare. Si chiama integrale curvilineo (o di prima specie) di f lungo γ il numero reale
Z
f=
γ
Z
b
f (γ(t))kγ ′ (t)k dt,
a
dove kγ ′ (t)k `e la norma (detta anche modulo) del vettore γ ′ (t) in Rn .Z Talvolta l’integrale curvilineo di f lungo γ `e denotato con il simbolo f ds. Se f = 1, allora
Z
γ
γ
f ds = lγ lunghezza della curva γ.
(2.2) Osservazione Per n = 1 otteniamo l’integrale di Riemann di una funzione continua. Infatti, se per semplicit` a supponiamo che [a, b] ⊆ Ω, allora si ha che γ(t) = t, kγ ′ (t)k = 1 e Z
f= γ
Z
b
f (γ(t))kγ ′ (t)k dt =
a
Z
b
f (t) dt.
a
(2.3) Esempio Calcolare l’integrale curvilineo della funzione f (x, y) = x lungo la curva
γ : [0, 1] → R2 definita da γ(t) = t, t2 .
67
2 Integrale curvilineo di I specie
y
La funzione f (x, y) = x `e definita su
1
dom (f ) = R2 . Quindi il sostegno di γ : γ
[0, 1] → R2 , γ(t) = t, t2 , `e evidentemente contenuto in dom (f ).
1
O
x
La curva γ `e regolare. Infatti, `e derivabile con derivata continua γ ′ (t) = (1, 2t) 6= (0, 0) per ogni t ∈ (0, 1). Inoltre per ogni t ∈ [0, 1] si ha che
f (γ(t)) = f t, t2 = t,
kγ ′ (t)k =
p
1 + 4t2 .
Quindi Z
f=
γ
Z
x=
Z
1
f (γ(t))kγ ′ (t)k dt =
0
γ
=
Z
1
p
t 1 + 4t2 dt =
0
3 1 1 + 4t2 2 12
1
=
0
i 3 1 h (1 + 4) 2 − 1 . 12
(2.4) Teorema (Indipendenza dell’integrale curvilineo dalla parametrizzazione) Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto, f : Ω → R una funzione continua e γ : [a, b] → Ω e η : [c, d] → Ω due curve parametriche semplici, regolari ed equivalenti. Allora
Z
f=
γ
Z
f. η
Dimostrazione. Poich´e γ e η sono equivalenti, esiste α : [c, d] → [a, b] biiettiva e di classe C 1 con α′ (τ ) > 0 per ogni τ ∈ [c, d] tale che η = γ ◦ α. Allora Z
η
=
Z
d
f=
Z
d
′
f (η(τ ))kη (τ )k dτ =
c ′
′
f (γ(α(τ )))kγ (α(τ ))k |α (τ )| dτ c
Z
d
f (γ(α(τ )))kγ ′ (α(τ ))α′ (τ )k dτ =
c
= x
Z
d
f (γ(α(τ )))kγ ′ (α(τ ))k α′ (τ ) dτ =
c
α′ (τ )>0
posto t = α(τ ), da cui dt = α′ (τ ) dτ , ed essendo α(c) = a e α(d) = b perch´e α `e crescente, si ottiene =
Z
b
a
′
f (γ(t))kγ (t)k dt =
Z
γ
f.
68
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(2.5) Osservazione Per questo teorema se γ e η sono equivalenti, e quindi in base alla Proposizione (1.7) se hanno lo stesso sostegno e inducono su di esso il medesimo verso di percorrenza, allora l’integrale curvilineo non cambia. Questa propriet` a sussiste anche se γ e η sono tali che esiste α : [c, d] → [a, b] biiettiva e di classe C 1 con α′ (τ ) < 0 per ogni τ ∈ [c, d] tale che η = γ ◦ α. In tal caso per la Proposizione (1.8) γ e η hanno lo stesso sostegno ma inducono su di esso versi di percorrenza opposti. Infatti, si ha che Z
=
Z
d
f= η
Z
d
′
f (η(τ ))kη (τ )k dτ =
c
Z
d
f (γ(α(τ )))kγ ′ (α(τ ))α′ (τ )k dτ =
c
f (γ(α(τ )))kγ ′ (α(τ ))k |α′ (τ )| dτ
c
= x
−
Z
d
f (γ(α(τ )))kγ ′ (α(τ ))k α′ (τ ) dτ =
c
α′ (τ )<0
posto t = α(τ ), da cui dt = α′ (τ ) dτ , ed essendo α(c) = b e α(d) = a perch´e α `e decrescente, si ottiene =−
Z
a
′
f (γ(t))kγ (t)k dt =
b
Z
b
′
f (γ(t))kγ (t)k dt =
a
Z
f.
γ
La nozione di integrale curvilineo di una funzione reale si pu` o introdurre anche su una curva regolare a tratti. (2.6) Definizione
Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto, f : Ω → R una funzione
continua e γ : [a, b] → Ω una curva parametrica regolare a tratti. Conformemente alla definizione di curva regolare a tratti, siano a = t0 < t1 < · · · < tm = b tali che γ `e regolare in ogni intervallo [tk−1 , tk ], per ogni k = 1, . . . , m. Si chiama integrale curvilineo (o di prima specie) di f lungo γ il numero reale
=
Z Z
t1
a
m Z X
f= γ
f (γ(t))kγ ′ (t)k dt +
tk
f (γ(t))kγ ′ (t)k dt =
k=1 tk−1
Z
t2 t1
f (γ(t))kγ ′ (t)k dt + · · · +
Z
b
f (γ(t))kγ ′ (t)k dt.
tm−1
In altri termini l’integrale curvilineo lungo una curva regolare a tratti `e la somma degli integrali curvilinei lungo i tratti su cui la curva `e regolare. Il Teorema (2.4) e l’Osservazione (2.5) sussistono anche per le curve regolari a tratti.
69
3 Integrale curvilineo di II specie
3
Integrale curvilineo di II specie (o integrale di linea) (3.1) Definizione
Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto, F : Ω → Rn un campo
vettoriale continuo e γ : [a, b] → Ω una curva parametrica semplice e regolare. Si chiama integrale curvilineo di seconda specie (o integrale di linea) di F lungo γ il numero reale Z
F · dP =
γ
Z
b
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt,
a
dove il simbolo “·” (nell’integrale di destra) indica il prodotto scalare fra i due vettori di Rn . Talvolta Zl’integrale curvilineo di seconda specie di F lungo γ `e denotato con il simbolo
F · dT .
γ
Se la curva parametrica γ `e chiusa, cio`e γ(a) = γ(b), allora l’integrale di linea del campo vettoriale F lungo γ `e anche detto circuitazione di F lungo γ e viene I talvolta denotato con il simbolo
F · dP .
γ
Il significato fisico di questa nozione `e il seguente: l’integrale di F lungo γ rappresenta il lavoro compiuto dal campo di forze F per “trasferire” la grandezza fisica in oggetto lungo γ dal punto γ(a) al punto γ(b). A patto di sostituire γ con una curva equivalente, possiamo supporre che kγ ′ (t)k = 1 per ogni t ∈ [a, b] (vedi Proposizione (1.6) in Appendice C).
F (γ(t))
direzione di γ ′ (t) b
v(t) = [F (γ(t)) · γ ′ (t)]γ ′ (t)
γ(t) b
γ(a)
b
γ(b)
im (γ)
La componente del campo di forze F che agisce sul sostegno di γ nel punto γ(t) per “trasferire” la grandezza fisica in oggetto dal punto γ(a) al punto γ(b) `e quella tangente
70
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
al sostegno stesso nel punto γ(t). Quindi `e la proiezione ortogonale del vettore F (γ(t)) nella direzione del vettore tangente al sostegno in γ(t), che `e appunto quella del vettore γ ′ (t). Essendo γ ′ (t) un versore tangente al sostegno in γ(t), questa proiezione `e il vettore v(t) = [F (γ(t)) · γ ′ (t)]γ ′ (t).
Ne segue che la norma di questo vettore `e
kv(t)k = [F (γ(t)) · γ ′ (t)]γ ′ (t) = |F (γ(t)) · γ ′ (t)| kγ ′ (t)k = |F (γ(t)) · γ ′ (t)|. | {z } =1
A parte il segno, questa funzione coincide con la funzione integranda nell’integrale curvilineo. (3.2) Osservazione Per n = 1 otteniamo l’integrale di Riemann di una funzione continua. Infatti, se per semplicit` a supponiamo che [a, b] ⊆ Ω, allora si ha che γ(t) = t, γ ′ (t) = 1 e Z
F · dP =
γ
Z
b
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt =
a
Z
b
F (t) dt.
a
(3.3) Esempio Calcolare l’integrale di linea del campo vettoriale F (x, y) = y, x2 + y 2
lungo la curva γ che parametrizza la circonferenza di centro (0, 0) e raggio 1 a partire dal punto (1, 0), inducendo su di essa un verso di percorrenza antiorario. y 1
Il campo F `e continuo.
γ
La curva γ :
2
[0, 2π] → R `e definita da γ(t) = (cos t, sin t) ed `e regolare.
Infatti, `e derivabile con
derivata continua γ ′ (t) = (− sin t, cos t) 6= (0, 0),
b
O
∀t ∈ (0, 2π).
1
x
71
3 Integrale curvilineo di II specie
Inoltre per ogni t ∈ [0, 2π] si ha F (γ(t)) · γ ′ (t) = F (cos t, sin t) · (− sin t, cos t) = = (sin t, 1) · (− sin t, cos t) = − sin2 t + cos t. Quindi
Z
F · dP =
Z
2π
Z
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt =
0
γ
2π
0
1 = − (t − sin t cos t) + sin t 2
(3.4) Teorema
− sin2 t + cos t dt =
2π
= −π.
0
(Dipendenza dell’integrale di linea dal verso indotto
dalla curva parametrica sul sostegno) Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto, F : Ω → Rn un campo vettoriale continuo e γ : [a, b] → Ω e η : [c, d] → Ω due curve parametriche semplici e regolari. Valgono i seguenti fatti: i) se γ e η sono equivalenti, allora Z
F · dP =
γ
Z
F · dP ;
η
ii) se esiste una funzione α : [c, d] → [a, b] biiettiva, di classe C 1 con α′ (τ ) < 0 per ogni τ ∈ [c, d] tale che η = γ ◦ α, allora Z
F · dP = −
γ
Z
F · dP.
η
Dimostrazione. Proviamo la propriet` a ii). L’altra si dimostra in modo analogo e viene lasciata per esercizio. Poich´e η = γ ◦ α, allora per ogni τ ∈ [c, d], si ha che η ′ (τ ) = γ ′ (α(τ ))α′ (τ ). Allora Z
F · dP =
η
Z
d
′
F (η(τ )) · η (τ ) dτ = c
Z
d
F (γ(α(τ ))) · γ ′ (α(τ ))α′ (τ ) dτ.
c
Poniamo t = α(τ ), da cui dt = α′ (τ ) dτ . Essendo α biiettiva con α′ (τ ) < 0 per ogni τ ∈ [c, d], si ha che α `e decrescente e τ =c
=⇒
t = α(c) = b,
τ =d
=⇒
t = α(d) = a.
72
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Quindi Z
F · dP =
η
=
Z
a
Z
d
F (γ(α(τ ))) · γ ′ (α(τ ))α′ (τ ) dτ =
c
′
F (γ(t)) · γ (t) dt = −
b
Z
b
′
F (γ(t)) · γ (t) dt = −
a
Z
F · dP,
γ
da cui scende la tesi.
(3.5) Osservazione Per la Proposizione (1.7) se γ e η sono due curve parametriche equivalenti, allora inducono lo stesso verso di percorrenza sul loro comune sostegno. Quindi l’affermazione i) dice che l’integrale di linea non dipende dalle parametrizzazioni, se inducono lo stesso verso sulla curva. Nella ii) la funzione α ha tutte le propriet` a elencate nella Definizione (1.6) di curve equivalenti tranne che per il segno della sua derivata. Per la Proposizione (1.8) si ha che γ e η inducono versi opposti sul loro comune sostegno. In tal caso l’integrale di linea che si ottiene `e l’opposto. Questo fatto `e perfettamente in sintonia con l’interpretazione fisica dell’integrale di linea, quale lavoro compiuto dal campo di forze nel “trasferire” la grandezza fisica da un punto all’altro. Se si invertono punto di partenza e punto di arrivo chiaramente il lavoro `e opposto. In definitiva questo teorema stabilisce che l’integrale di linea dipende solo dal verso indotto dalla parametrizzazione sulla curva e non da altro. Chiaramente se si percorrono “due strade diverse”, cio`e si scelgono due curve che non hanno lo stesso sostegno, allora l’integrale pu` o essere diverso. Nel Capitolo sui campi vettoriali conservativi vedremo che l’integrale di linea di un campo vettoriale conservativo non dipende dal percorso, ma solo dai punti iniziali e finali. La nozione di integrale curvilineo di seconda specie (o integrale di linea) di un campo vettoriale si pu` o introdurre anche su una curva regolare a tratti.
73
3 Integrale curvilineo di II specie
Siano Ω ⊆ Rn aperto non vuoto, F : Ω → Rn un campo vet-
(3.6) Definizione
toriale continuo e γ : [a, b] → Ω una curva parametrica regolare a tratti. Conformemente alla definizione di curva regolare a tratti, siano a = t0 < t1 < · · · < tm = b tali che γ `e regolare in ogni intervallo [tk−1 , tk ], per ogni k = 1, . . . , m. Si chiama integrale curvilineo di seconda specie (o integrale di linea) di F lungo γ il numero reale Z
F · dP =
γ
=
Z
t1
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt +
a
m Z X
tk
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt =
k=1 tk−1
Z
t2
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt + · · · +
t1
Z
b
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt.
tm−1
In altri termini l’integrale curvilineo di seconda specie lungo una curva regolare a tratti `e la somma degli integrali curvilinei lungo i tratti su cui la curva `e regolare. Le propriet` a del Teorema (3.4) sussistono anche per le curve regolari a tratti. (3.7) Osservazione Concludiamo questo capitolo osservando che la nozione di integrale di linea `e un caso particolare di quella di integrale curvilineo di prima specie. Infatti, se Ω ⊆ Rn `e un aperto non vuoto, F : Ω → Rn `e un campo vettoriale continuo e γ : [a, b] → Ω `e una curva parametrica semplice e regolare, allora considerata la funzione f : Ω → R definita da f = F · T , dove T `e il vettore tangente al sostegno di γ, definito γ ′ (t) kγ ′ (t)k ,
come T (γ(t)) = Z
γ
=
Z
f=
si ha che
Z
b
f (γ(t))kγ (t)k dt =
a
b
a
′
F (γ(t)) ·
Z
b
Z
b
(F · T )(γ(t))kγ ′ (t)k dt =
a
γ ′ (t) kγ ′ (t)k dt = kγ ′ (t)k
a
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt =
Z
γ
F · dP.
74
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Appendice C
Ascissa curvilinea Introduciamo una nozione pi` u generale di curve equivalenti rispetto a quella introdotta a pag. 64. Nel seguito considereremo n ∈ N, n ≥ 1. (1.1) Definizione Siano γ : [a, b] → Rn e η : [c, d] → Rn due curve parametriche. Diciamo che γ e η sono equivalenti se esiste una funzione α : [c, d] → [a, b] biiettiva, continua su [c, d] e di classe C 1 su (c, d) con α′ (τ ) > 0 per ogni τ ∈ (c, d) tale che η = γ ◦ α. Rispetto alla Definizione (1.6) di pag. 64 la funzione α del cambiamento di parametro non `e di classe C 1 su tutto l’intervallo [c, d]. Quindi pu` o non essere derivabile negli estremi. Si noti che nelle ipotesi indicate risulta comunque che α `e strettamente crescente su [c, d] e quindi `e invertibile. Inoltre per le propriet` a della funzione inversa, anche α−1 : [a, b] → [c, d] `e continua su [a, b] e derivabile su (a, b) con ∀t ∈ (a, b) :
α−1
′
(t) =
1 α′ (α−1 (t))
ed `e strettamente crescente su [a, b]. (1.2) Proposizione
Siano γ : [a, b] → Rn e η : [c, d] → Rn due curve
parametriche semplici, regolari ed equivalenti nel senso della Definizione (1.1). Allora γ e η hanno lo stesso sostegno e inducono su di esso lo stesso verso di percorrenza. Dimostrazione. Sia α : [c, d] → [a, b] biiettiva, continua su [c, d] e di classe C 1 su (c, d) con α′ (τ ) > 0 per ogni τ ∈ (c, d) tale che η = γ ◦ α. Quindi η([c, d]) = γ([a, b]) da cui 75
76
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
segue che γ e η hanno lo stesso sostegno. Dimostriamo che inducono su di esso lo stesso verso di percorrenza. Consideriamo t1 , t2 ∈ [a, b] con t1 < t2 . Allora il punto γ(t) percorre il sostegno di γ fra i punti γ(t1 ) e γ(t2 ) nel verso da γ(t1 ) a γ(t2 ). η(τ2 ) =γ(t2 ) b
b
η(τ1 )
im (η)=im (γ)
γ(t1 )
Poich´e α `e biiettiva esistono e sono unici τ1 , τ2 ∈ [c, d] tali che t1 = α(τ1 ) e t2 = α(τ2 ). Essendo α strettamente crescente su [c, d] si ha che α(τ1 ) = t1 < t2 = α(τ2 )
=⇒
τ1 < τ2 .
Ne segue che il punto η(τ ) percorre il sostegno di η fra i punti η(τ1 ) = γ(α(τ1 )) = γ(t1 ) e η(τ2 ) = γ(α(τ2 )) = γ(t2 ) nel verso da η(τ1 ) a η(τ2 ), come γ. Quindi γ e η inducono lo stesso verso di percorrenza sul loro comune sostegno.
(1.3) Proposizione
Siano γ : [a, b] → Rn e η : [c, d] → Rn due curve para-
metriche semplici e regolari e sia α : [c, d] → [a, b] biiettiva, continua su [c, d] e di classe C 1 su (c, d) con α′ (τ ) < 0 per ogni τ ∈ (c, d) tale che η = γ ◦ α. Allora γ e η hanno lo stesso sostegno e inducono su di esso versi di percorrenza opposti. ` analoga alla dimostrazione della proposizione precedente. Dimostrazione. E Osserviamo che in questa proposizione la funzione α ha tutte le propriet` a elencate nella Definizione (1.1) tranne che per il segno della sua derivata. (1.4) Definizione
Sia γ : [a, b] → Rn una curva parametrica regolare. Si chiama
ascissa curvilinea la funzione s : [a, b] → R definita da s(t) =
Z
t
a
kγ ′ (τ )k dτ.
77
Appendice C Ascissa curvilinea
(1.5) Osservazione Se γ : [a, b] → Rn `e una curva parametrica semplice e regolare, allora s(b) =
Z
b
a
kγ ′ (τ )k dτ = lγ `e la lunghezza della curva γ, che come abbiamo visto
non dipende dalla parametrizzazione (vedi Teorema (2.4) del Capitolo 3). Quindi in tal caso l’ascissa curvilinea `e una funzione s : [a, b] → [0, lγ ]. Inoltre, per ogni t ∈ [a, b] il numero reale s(t) `e la lunghezza del tratto del sostegno di γ compreso fra γ(a) e γ(t). (1.6) Proposizione
Sia γ : [a, b] → Rn una curva parametrica semplice e
regolare. Allora valgono i seguenti fatti: a) la funzione ascissa curvilinea s : [a, b] → [0, lγ ] `e di classe C 1 con s′ (t) = kγ ′ (t)k per ogni t ∈ [a, b]. Inoltre s `e invertibile; b) se α `e la funzione inversa di s, allora la curva parametrica η : [0, lγ ] → Rn definita da η = γ ◦ α `e equivalente a γ nel senso della Definizione (1.1) e per ogni τ ∈ (0, lγ ) si ha kη ′ (τ )k = 1. Dimostrazione. a) Poich´e γ ′ `e continua su [a, b], per il Teorema fondamentale del calcolo integrale si ha che s `e derivabile su [a, b] con s′ (t) = kγ ′ (t)k per ogni t ∈ [a, b]. Inoltre essendo γ ′ continua su [a, b] con γ ′ (t) 6= 0 per ogni t ∈ (a, b), si ha che s `e di classe C 1 su [a, b] con s′ (t) = kγ ′ (t)k > 0 per ogni t ∈ (a, b). Ne segue che s `e strettamente crescente su [a, b] e quindi s : [a, b] → [0, lγ ] `e invertibile. b) La funzione α : [0, lγ ] → [a, b] `e continua in quanto inversa di una funzione continua su un intervallo. Poich´e s′ (t) = kγ ′ (t)k > 0 per ogni t ∈ (a, b), per il Teorema della derivata della funzione inversa, la funzione α `e derivabile su (0, lγ ) con ∀τ ∈ (0, lγ ) :
α′ (τ ) =
1 s′ (α(τ ))
=
1 kγ ′ (α(τ ))k
> 0.
In particolare α `e di classe C 1 su (0, lγ ). Ne segue che η e γ sono equivalenti, nel senso della Definizione (1.1). Infine per ogni τ ∈ (0, lγ ) si ha che kη ′ (τ )k = kγ ′ (α(τ ))α′ (τ )k = kγ ′ (α(τ ))k |α′ (τ )| =
kγ ′ (α(τ ))k = 1. kγ ′ (α(τ ))k
78
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Il prossimo risultato costituisce il viceversa delle Proposizioni (1.2) e (1.3). (1.7) Proposizione
Siano γ : [a, b] → Rn e η : [c, d] → Rn due curve semplici e
regolari aventi lo stesso sostegno. Allora esiste α : [c, d] → [a, b] biiettiva, continua su [c, d] e di classe C 1 su (c, d) tale che α′ (τ ) 6= 0 per ogni τ ∈ (c, d) tale che η = γ ◦ α. Pi` u precisamente, se γ e η inducono lo stesso verso di percorrenza, allora α′ (τ ) > 0 per ogni τ ∈ (c, d) (e quindi γ e η sono equivalenti nel senso della Definizione (1.1)), mentre se γ e η inducono versi di percorrenza opposti, allora α′ (τ ) < 0 per ogni τ ∈ (c, d). Dimostrazione. Poich´e γ e η sono semplici e hanno lo stesso sostegno, si ha che ∀t ∈ [a, b] ∃!τ ∈ [c, d] : γ(t) = η(τ ),
∀τ ∈ [c, d] ∃!t ∈ [a, b] : γ(t) = η(τ ).
Consideriamo le ascisse curvilinee associate alle curve γ e η, cio`e le funzioni s : [a, b] → R e σ : [c, d] → R definite da s(t) =
Z
t
kγ ′ (u)k du,
σ(τ ) =
a
Z
τ
kη ′ (v)k dv.
c
Poich´e le curve hanno lo stesso sostegno, in virt` u dell’Osservazione (1.5) si ha che s([a, b]) = σ([c, d]) e s(b) = σ(d) = lγ = lη . Inoltre per la proposizione precedente le funzioni ascissa curvilinea sono invertibili. Consideriamo inizialmente il caso in cui γ e η inducono lo stesso verso di percorrenza sul loro comune sostegno. In tal caso si ha che per ogni τ ∈ [c, d] esiste un unico t ∈ [a, b] tale che s(t) = σ(τ ), cio`e t = s−1 (σ(τ )).
γ(a) =η(c) γ(b) =η(d)
b
η(τ )
γ(t)
Figura C.1: Curve che inducono lo stesso verso di percorrenza sul sostegno. Osserviamo che γ(t) = η(τ ). Infatti, poich´e s(t) = σ(τ ), s(a) = σ(c) = 0 e s(b) = σ(d) = lγ = lη , si ha che il tratto di curva compreso fra η(c) e η(τ ) misura σ(τ ) − σ(c) =
79
Appendice C Ascissa curvilinea
s(t) − s(a) come quello compreso fra γ(t) e γ(a). Poich´e γ(a) = η(c), ne segue che γ(t) = η(τ ). Consideriamo la funzione α : [c, d] → [a, b] definita da α(τ ) = s−1 (σ(τ )). La funzione α `e biiettiva, continua su [c, d] e di classe C 1 su (c, d) con α′ (τ ) = (s−1 )′ (σ(τ )) σ ′ (τ ) =
∀τ ∈ (c, d) :
σ ′ (τ ) > 0. s′ (s−1 (σ(τ )))
Inoltre per ogni τ ∈ [c, d]
(γ ◦ α)(τ ) = γ s−1 (σ(τ )) = γ(t) = η(τ ). Ne segue la tesi e in particolare γ e η sono equivalenti nel senso della Definizione (1.1). Consideriamo ora il caso in cui γ e η inducono versi di percorrenza opposti sul loro comune sostegno. In tal caso si ha che per ogni τ ∈ [c, d] esiste un unico t ∈ [a, b] tale che s(t) = σ(τ ), cio`e t = s−1 (σ(τ )). σ(τ ) z
}|
{
b
η(τ )
γ(a) =η(d)
γ(b) =η(c)
γ(t) b
|
{z
s(t)
}
Figura C.2: Curve che inducono versi di percorrenza opposti sul sostegno.
Osserviamo che γ s−1 (σ(d) − σ(τ )) = η(τ ). Infatti, essendo s(t) = σ(τ ) e s(b) = σ(d) = lγ = lη , si ha che il tratto di curva compreso fra η(τ ) e η(d) misura σ(d) − σ(τ ) = s(b) − s(t) come quello compreso fra γ(t) e γ(b). Quindi s−1 (σ(d) − σ(τ )) = s−1 (s(b) − s(t)) = s−1 (s(b) − σ(τ )). Ma s−1 (s(b) − σ(τ )) = u ∈ [a, b] tale che s(u) = s(b) − σ(τ ) = lγ − σ(τ ) = lη − σ(τ ). Come si evince da Fig. C.2 u `e il punto a cui corrisponde γ(u) = η(τ ). Quindi
η(τ ) = γ s−1 (s(b) − σ(τ )) = γ s−1 (σ(d) − σ(τ )) .
80
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Consideriamo la funzione α : [c, d] → [a, b] definita da α(τ ) = s−1 (σ(d) − σ(τ )). La funzione α `e biiettiva, continua su [c, d] e di classe C 1 su (c, d) con ∀τ ∈ (c, d) :
α′ (τ ) = −(s−1 )′ (σ(d) − σ(τ ))σ ′ (τ ) = −
σ ′ (τ ) < 0. s′ (s−1 (σ(d) − σ(τ )))
Inoltre per ogni τ ∈ [c, d]
(γ ◦ α)(τ ) = γ s−1 (σ(d) − σ(τ )) = η(τ ). Ne segue la tesi.
Capitolo 4
Integrali di superficie 1
Brevi richiami sulle superfici parametriche (1.1) Definizione
Sia A ⊆ R2 un aperto connesso per archi.
Si chiama
3
superficie parametrica una funzione continua σ : A → R . ` una superficie in R3 . Si chiama sostegno di σ l’immagine di σ, Σ = σ(A). E Σ = σ(A) = {σ(u, v) : (u, v) ∈ A}. Diciamo che σ ` e semplice se `e iniettiva. Diciamo che σ ` e regolare se `e di classe C 1 e se per ogni (u, v) ∈ A la matrice Jacobiana Jσ (u, v) di σ in (u, v) ha rango massimo, cio`e 2. Si chiama calotta regolare la restrizione di σ ad un qualunque compatto K contenuto in A, la cui frontiera sia il sostegno di una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti.
(1.2) Osservazione Ricordiamo che la matrice Jacobiana Jσ (u, v) di σ = (σ1 , σ2 , σ3 ) in (u, v) `e
Jσ (u, v) =
∂σ1 ∂u (u, v)
∂σ ∂σ ∂σ 2 (u, v), (u, v) = ∂u (u, v) ∂u ∂v ∂σ3 ∂u (u, v)
∂σ1 ∂v (u, v)
∂σ2 ∂v (u, v) . ∂σ3 ∂v (u, v)
Quindi se σ : A → R3 `e regolare, significa che per ogni (u, v) ∈ A i vettori
∂σ ∂v (u, v)
∂σ ∂u (u, v)
e
sono linearmente indipendenti. Fissato ad esempio (u0 , v0 ) ∈ A, se si considera-
no le funzioni γ(u) = σ(u, v0 ) e η(v) = σ(u0 , v), sono definite in un intervallo contenente rispettivamente u0 e v0 . Poich´e σ `e regolare, γ e η sono due curve parametriche regolari. 81
82
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
v
z σ(u0 , v0 ) A v0
σ b
b
γ
η
Σ
u0
O
y
u
x
Infatti, ∂σ (u, v0 ), ∂u
η ′ (v) =
∂σ (u0 , v0 ), ∂u
η ′ (v0 ) =
γ ′ (u) =
∂σ (u0 , v). ∂v
In particolare γ ′ (u0 ) =
∂σ (u0 , v0 ). ∂v
Poich´e questi due vettori sono linearmente indipendenti, essi individuano un piano in R3 passante per il punto σ(u0 , v0 ) e tangente alle curve γ e η. Questo piano `e detto piano tangente alla superficie parametrica σ in σ(u0 , v0 ). In virt` u di questa osservazione, possiamo dare la seguente (1.3) Definizione
Siano A ⊆ R2 un aperto connesso per archi, σ : A → R3 una
superficie semplice e regolare e (u, v) ∈ A. Si chiama vettore normale al piano tangente alla superficie in σ(u, v) il vettore (1.4) Il versore n = verso di N .
N (u, v) = N kN k
∂σ ∂σ (u, v) ∧ (u, v). ∂u ∂v
`e detto versore normale alla superficie avente lo stesso
(1.5) Osservazione Se σ : A → R3 `e una superficie parametrica semplice e regolare, allora in ogni punto σ(u, v) della superficie Σ = σ(A) `e definito il vettore normale N (u, v)
83
1 Brevi richiami sulle superfici parametriche
mediante la (1.4). Questo vettore individua uno dei due possibili versori normali alla superficie σ in questo punto. L’altro `e il suo opposto. Si dice che σ induce (o individua) su Σ un orientamento, detto anche verso di attraversamento. Evidentemente su Σ sono possibili solo due orientamenti, uno opposto all’altro.
(1.6) Definizione
Siano A, B ⊆ R2 due aperti connessi per archi, σ : A → R3 e
τ : B → R3 due superfici semplici e regolari.
Diciamo che σ e τ sono equivalenti se esiste una funzione α : B → A biiettiva e
di classe C 1 con det Jα (x, y) > 0 per ogni (x, y) ∈ B tale che τ = σ ◦ α.
(1.7) Proposizione
Siano A, B ⊆ R2 due aperti connessi per archi, σ : A → R3
e τ : B → R3 due superfici semplici, regolari ed equivalenti.
Allora σ e τ hanno lo stesso sostegno e inducono su di esso lo stesso orientamento.
Dimostrazione. Per esercizio.
(1.8) Proposizione
Siano σ, τ, α come nella Definizione (1.6) tranne che per il
segno di det Jα e supponiamo che det Jα (x, y) < 0 per ogni (x, y) ∈ B. Allora σ e τ hanno lo stesso sostegno ma inducono su di esso orientamenti opposti.
Dimostrazione. Per esercizio.
(1.9) Esempio Siano A = R × (0, 2π), ρ > 0 e σ : A → R3 la superficie parametrica definita da σ(u, v) = (ρ cos v, ρ sin v, u). Il sostegno di σ `e n
o
Σ = σ(A) = (x, y, z) ∈ R3 : (x, y, z) = σ(u, v), (u, v) ∈ A = n
o
= (x, y, z) ∈ R3 : (x, y, z) = (ρ cos v, ρ sin v, u), u ∈ R, 0 < v < 2π .
84
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
In altri termini, posto σ(u, v) = (x, y, z), si hanno le equazioni parametriche della superficie Σ x = ρ cos v
y = ρ sin v
u ∈ R,
z = u,
0 < v < 2π.
Elevando al quadrato le prime due equazioni e sommando si ottiene x2 +y 2 = ρ2 , per ogni (x, y, z) ∈ R3 esclusi i punti (ρ, 0, z). Quindi Σ `e il cilindro retto con asse coincidente
con l’asse z di equazione x2 + y 2 = ρ2 privato di una generatrice, quella passante per il
punto (ρ, 0, 0). In altri termini n
o
n
o
Σ = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 = ρ2 , z ∈ R \ (ρ, 0, z) ∈ R3 : z ∈ R . z
Σ y
x
Osserviamo che la superficie parametrica σ `e regolare. Infatti,
∀(u, v) ∈ A :
Jσ (u, v) =
0 −ρ sin v
∂σ ∂σ (u, v), (u, v) = 0 ∂u ∂v 1
ρ cos v . 0
Quindi rango Jσ (u, v) = 2. (1.10) Esempio Siano A = (0, π) × (0, 2π), ρ > 0 e σ : A → R3 la superficie parametrica definita da σ(u, v) = (ρ sin u cos v, ρ sin u sin v, ρ cos u). Il sostegno di σ `e n
o
Σ = σ(A) = (x, y, z) ∈ R3 : (x, y, z) = σ(u, v), (u, v) ∈ A = n
o
= (x, y, z) ∈ R3 : (x, y, z) = (ρ sin u cos v, ρ sin u sin v, ρ cos u), 0 < u < π, 0 < v < 2π .
85
1 Brevi richiami sulle superfici parametriche
In altri termini, posto σ(u, v) = (x, y, z), si hanno le equazioni parametriche della superficie Σ
x = ρ sin u cos v
y = ρ sin u sin v
0 < u < π,
0 < v < 2π.
z = ρ cos u,
Elevando al quadrato le tre equazioni e sommando si ottiene x2 + y 2 + z 2 = ρ2 , per ogni (x, y, z) ∈ R3 esclusi i punti (x, 0, z) tali che x2 + z 2 = ρ2 con x > 0. Quindi Σ
`e la superficie sferica di equazione x2 + y 2 + z 2 = ρ2 privata della semicirconferenza di equazione x2 + z 2 = ρ2 con x > 0. In altri termini o
n
n
o
Σ = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 = ρ2 \ (x, 0, z) ∈ R3 : x2 + z 2 = ρ2 , x > 0 .
z
Σ y
x
Osserviamo che la superficie parametrica σ `e regolare. Infatti,
∀(u, v) ∈ A :
Jσ (u, v) =
Quindi rango Jσ (u, v) = 2.
ρ cos u cos v
∂σ ∂σ (u, v), (u, v) = ρ cos u sin v ∂u ∂v −ρ sin u
−ρ sin u sin v
ρ sin u cos v . 0
(1.11) Esempio Siano A ⊆ R2 un aperto connesso per archi, f : A → R una funzione
di classe C 1 e σ : A → R3 la superficie parametrica definita da σ(x, y) = (x, y, f (x, y)). Il sostegno di σ `e il grafico della funzione f . Infatti, n
o
Σ = σ(A) = (x, y, z) ∈ R3 : (x, y, z) = σ(x, y), (x, y) ∈ A = n
o
= (x, y, z) ∈ R3 : (x, y, z) = (x, y, f (x, y)), (x, y) ∈ A = Gf .
86
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
z
Σ = Gf
y A x Osserviamo che la superficie parametrica σ `e regolare. Infatti,
Jσ (x, y) =
∀(x, y) ∈ A :
Quindi rango Jσ (x, y) = 2.
2
1
0
0
1
∂f ∂x (x, y)
∂f ∂y (x, y)
∂σ ∂σ (x, y), (x, y) = ∂x ∂y
.
Integrale superficiale (o di superficie) di una funzione reale (2.1) Definizione
Siano K ⊆ R2 un compatto la cui frontiera `e il sostegno di
una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti, σ : K → R3 una calotta regolare, Σ = σ(K) il sostegno di σ e f : Σ → R una funzione continua.
Si chiama integrale superficiale (o di superficie) di f su σ (o su Σ) il numero reale Z
f=
σ
Z
f (σ(u, v))kN (u, v)k du dv,
K
dove N (u, v) `e il vettore normale a Σ nel punto σ(u, v) definito da N (u, v) =
∂σ ∂σ (u, v) ∧ (u, v). ∂u ∂v
Talvolta l’integrale superficiale di f su σ `e denotato con uno dei seguenti simboli Z
Σ
Se f = 1, allora
Z
σ
f=
Z
Σ
f,
Z
σ
f dσ,
Z
f dσ.
Σ
f = AΣ area della superficie Σ.
87
2 Integrale di superficie di una funzione reale
(2.2) Osservazione Siano A ⊆ R2 un aperto connesso per archi, K ⊆ A compatto la cui frontiera sia il sostegno di una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti e g : A → R una funzione di classe C 1 . Allora valgono i seguenti fatti: i) se Σ `e la superficie definita da n
o
Σ = (x, y, z) ∈ R3 : (x, y) ∈ K, z = g(x, y) , allora Σ, che `e il grafico della funzione z = g(x, y) ristretta a K, si pu` o scrivere come Σ = σ(K), dove σ : K → R3 `e definita da σ(x, y) = (x, y, g(x, y)). In particolare Σ `e il sostegno della calotta regolare σ e in tal caso il vettore normale N (x, y) a Σ nel punto σ(x, y) `e
N (x, y) =
∂σ ∂σ (x, y) ∧ (x, y) ∂x ∂y
= x
σ = (σ1 , σ2 , σ3 ) i = 1
0
j
k
0 1
i
j
∂σ1 ∂x (x, y)
∂σ2 ∂x (x, y)
∂σ1 ∂y (x, y)
∂σ2 ∂y (x, y)
∂g = − ∂g (x, y), − ∂g (x, y), 1 ; (x, y) ∂x ∂x ∂y ∂g
k
∂σ3 ∂x (x, y) = ∂σ3 (x, y) ∂y
∂y (x, y)
ii) se Σ `e la superficie definita da n
o
Σ = (x, y, z) ∈ R3 : (x, z) ∈ K, y = g(x, z) , allora Σ, che `e il grafico della funzione y = g(x, z) ristretta a K, si pu` o scrivere come Σ = σ(K), dove σ : K → R3 `e definita da σ(x, z) = (x, g(x, z), z). In particolare Σ `e il sostegno della calotta regolare σ e in tal caso il vettore normale N (x, z) a Σ nel punto σ(x, z) `e
N (x, z) =
∂σ ∂σ (x, z) ∧ (x, z) ∂x ∂z
= x
σ = (σ1 , σ2 , σ3 ) i = 1
j ∂g ∂x (x, z) ∂g ∂z (x, z)
0
iii) se Σ `e la superficie definita da n
k
i
j
∂σ1 ∂x (x, z)
∂σ2 ∂x (x, z)
∂σ1 ∂z (x, z)
∂σ2 ∂z (x, z)
∂g ∂g 0 = (x, z), −1, (x, z) ; ∂x ∂z
1
o
Σ = (x, y, z) ∈ R3 : (y, z) ∈ K, x = g(y, z) ,
k
∂σ3 = (x, z) ∂x ∂σ3 (x, z) ∂z
88
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
allora Σ, che `e il grafico della funzione x = g(y, z) ristretta a K, si pu` o scrivere come Σ = σ(K), dove σ : K → R3 `e definita da σ(y, z) = (g(y, z), y, z). In particolare Σ `e il sostegno della calotta regolare σ e in tal caso il vettore normale N (y, z) a Σ nel punto σ(y, z) `e
N (y, z) =
∂σ ∂σ (y, z) ∧ (y, z) ∂y ∂z
= x
σ = (σ1 , σ2 , σ3 ) i ∂g = ∂y (y, z) ∂g (y, z)
j
k
0 = 1, − 1
0
∂z
1
i
j
k
∂σ1 ∂y (y, z)
∂σ2 ∂y (y, z)
∂σ1 ∂z (y, z)
∂σ2 ∂z (y, z)
∂σ3 = (y, z) ∂y ∂σ3 ∂z
(y, z)
∂g ∂g (y, z), − (y, z) . ∂y ∂z
(2.3) Esempio Siano A ⊆ R2 un aperto connesso per archi, K ⊆ A un compatto la cui frontiera `e il sostegno di una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti e f : A → R una funzione di classe C 1 . Calcoliamo l’area del grafico della funzione f ristretta a K, cio`e della superficie n
o
Σ = (x, y, z) ∈ R3 : (x, y) ∈ K, z = f (x, y) . Per quanto visto nell’osservazione precedente, Σ `e il sostegno della calotta regolare σ : K → R3 definita da σ(x, y) = (x, y, f (x, y)). Quindi l’area di Σ `e AΣ =
Z
Z
dσ =
σ
K
kN (x, y)k dx dy,
dove N (x, y) `e il vettore normale a Σ nel punto σ(x, y) definito da
∂f ∂f (x, y), − (x, y), 1 . ∂x ∂y
1+
N (x, y) = − Essendo kN (x, y)k =
s
2
∂f (x, y) ∂x
+
2
∂f (x, y) ∂y
,
si ha che AΣ =
Z
K
kN (x, y)k dx dy =
Z
s
1+
K
Se per esempio consideriamo f (x, y) =
1 2
2
∂f (x, y) ∂x
+
2
∂f (x, y) ∂y
dx dy.
x2 + y 2 con x2 + y 2 < 8, allora
1 2 Σ = Gf = (x, y, z) ∈ R : z = x + y 2 , x2 + y 2 < 8 . 2
3
89
2 Integrale di superficie di una funzione reale
y √ 2 2
z
K √ 2 2 x
O
Σ y
x
Figura 4.1: L’insieme Σ.
Figura 4.2: L’insieme K.
` la parte del paraboloide circolare di equazione z = E
1 2
x2 + y 2 al di sotto del piano
z = 4.
Si ha che Σ = σ(K), dove σ : K → R3 `e definita da
σ(x, y) = (x, y, f (x, y)) = x, y, n
o
1 2 x + y2 , 2
e K = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < 8 . Quindi l’area di Σ `e AΣ = dove N (x, y) =
∂σ ∂x (x, y)
N (x, y) =
∧
∂σ ∂y (x, y).
Z
K
kN (x, y)k dx dy,
Si ha che
∂σ ∂σ ∂g ∂g (x, y) ∧ (x, y) = − (x, y), − (x, y), 1 = (−x, −y, 1), ∂x ∂y ∂x ∂y
kN (x, y)k =
q
1 + x2 + y 2 .
Quindi AΣ =
Z
K
kN (x, y)k dx dy =
Z q
1 + x2 + y 2 dx dy.
K
Passiamo in coordinate polari nel piano xy. Poniamo quindi Φ:
(
x = ρ cos ϑ y = ρ sin ϑ,
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π,
Allora (x, y) ∈ K Quindi si ha che K =
Φ(K ′ ),
dove
⇐⇒
(
|det JΦ (ρ, ϑ)| = ρ.
√ 0≤ρ<2 2 0 ≤ ϑ ≤ 2π.
n o √ K ′ = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ < 2 2, 0 ≤ ϑ ≤ 2π .
90
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Ne segue che AΣ =
Z
kN (x, y)k dx dy =
K
Z
q
1 + x2 + y 2 dx dy =
K
Z
K′
q
ρ 1 + ρ2 dρ dϑ =
ed essendo K ′ un rettangolo con lati paralleli agli assi ρ e ϑ e la funzione integranda prodotto di una funzione di ρ e di una funzione di ϑ, si ottiene =
Z
2π
dϑ
0
Z
√ 2 2
q
ρ 1 + ρ2 dρ
0
(2.4) Esempio Consideriamo l’integrale
!
= 2π
Z
3
1 + ρ2
3
3 2
2
2
=
0
52 π. 3
x2 + y 2 dσ, dove
Σ
√
1
Σ = (x, y, z) ∈ R : z =
q
x2
+
y2 ,
2
2
x +y <1 .
La superficie Σ `e il grafico della funzione g : K → R definita da g(x, y) = dove n
p
o
x2 + y 2 ,
K = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < 1 . ` quindi la parte del semicono di equazione z = E O(0, 0, 0) e il piano z = 1.
p
x2 + y 2 compresa fra il vertice
y
z
1
K O
Σ
1 x
y
x
Figura 4.3: L’insieme Σ.
Figura 4.4: L’insieme K.
Si ha che Σ = σ(K), dove σ : K → R3 `e definita da
σ(x, y) = (x, y, g(x, y)) = x, y,
q
x2
+
y2
.
Quindi si ha che Z
x2 + y 2 dσ =
Σ
Z K
x2 + y 2 kN (x, y)k dx dy,
91
2 Integrale di superficie di una funzione reale
dove N (x, y) =
∂σ ∂x (x, y)
∂σ ∂y (x, y).
∧
Si ha che
∂σ ∂σ ∂g ∂g (x, y) ∧ (x, y) = − (x, y), − (x, y), 1 = N (x, y) = ∂x ∂y ∂x ∂y
!
x y p , − ,1 = −p 2 x + y2 x2 + y 2
Quindi Z
2
x +y
Σ
2
dσ =
Z
2
x +y
K
2
=⇒
kN (x, y)k =
√
2.
√ Z 2 kN (x, y)k dx dy = 2 x + y 2 dx dy. K
Passiamo in coordinate polari nel piano. Poniamo quindi Φ:
(
x = ρ cos ϑ y = ρ sin ϑ,
ρ ≥ 0, 0 ≤ ϑ ≤ 2π,
Allora (x, y) ∈ K
(
⇐⇒
Quindi si ha che K = Φ(K ′ ), dove
|det JΦ (ρ, ϑ)| = ρ.
0≤ρ<1 0 ≤ ϑ ≤ 2π.
n
o
K ′ = (ρ, ϑ) ∈ R2 : 0 ≤ ρ < 1, 0 ≤ ϑ ≤ 2π . Ne segue che Z
2
x +y
Σ
2
√ Z 2 √ Z 2 dσ = 2 x + y dx dy = 2
K′
K
ρ3 dρ dϑ =
ed essendo K ′ un rettangolo con lati paralleli agli assi ρ e ϑ e la funzione integranda prodotto di una funzione di ρ e di una funzione di ϑ, si ottiene √ Z = 2
(2.5)
Teorema
2π
dϑ 0
Z
1
0
√ √ 1 4 1 2 ρ dρ = 2 2π ρ = π. 4 2 0 3
(Indipendenza
dell’integrale 3
parametrizzazione) Siano σ : K → R e τ :
K′
superficiale
dalla
3
→ R due calotte rego-
lari equivalenti, Σ = σ(K) = τ (K ′ ) il sostegno di σ e τ e f : Σ → R una funzione continua. Allora Z
σ
f dσ =
Z
f dσ.
τ
` analoga alla dimostrazione del Teorema (2.4) del Capitolo 3. In tal Dimostrazione. E caso si usa il Teorema del cambiamento di variabile negli integrali doppi.
92
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(2.6) Osservazione Per questo teorema se σ e τ sono equivalenti, e quindi in base alla Proposizione (1.7) se hanno lo stesso sostegno e inducono su di esso il medesimo orientamento, allora l’integrale superficiale non cambia. Questa propriet` a sussiste anche se σ e τ sono tali che esiste1 α : K ′ → K biiettiva e di classe C 1 con det Jα (x, y) < 0 per ogni (x, y) ∈ K ′ tale che τ = σ ◦ α. In tal caso per la Proposizione (1.8) σ e τ hanno lo
stesso sostegno ma inducono su di esso orientamenti opposti.
3
Flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie Siano Ω ⊆ R3 aperto non vuoto, F : Ω → R3 un campo
(3.1) Definizione
vettoriale continuo, K ⊆ R2 un compatto la cui frontiera `e il sostegno di una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti, σ : K → Ω una calotta regolare e Σ = σ(K) il sostegno di σ. Si chiama flusso del campo vettoriale F attraverso σ (o attraverso Σ) il numero reale Z
(3.2)
σ
F ·n=
Z
K
F (σ(u, v)) · N (u, v) du dv,
dove N (u, v) `e il vettore normale a Σ nel punto σ(u, v) definito da N (u, v) = en=
N kN k
∂σ ∂σ (u, v) ∧ (u, v) ∂u ∂v
`e il versore normale a Σ avente lo stesso verso di N .
Chiaramente il simbolo “·” (nell’integrale di destra) indica il prodotto scalare fra i due vettori di R3 . Talvolta il flusso del campo vettoriale F su σ `e denotato con uno dei seguenti simboli Z
Σ
F · n,
Z
σ
F · n dσ,
Z
Σ
F · n dσ.
(3.3) Osservazione Per la determinazione del vettore normale N si veda l’Osservazione (2.2). Talvolta si parla di flusso uscente (o entrante) di un campo vettoriale F dalla frontiera (detta anche bordo) di un insieme D ⊆ R3 . In tal caso si ha che Σ = ∂D e si 1
2
A rigore, se esistono A, B ⊆ R aperti connessi per archi con K ⊆ A, K ′ ⊆ B e α : B → A di classe C tale che α|K ′ : K ′ → K `e biiettiva con det Jα (x, y) < 0 per ogni (x, y) ∈ K ′ e tale che τ = σ ◦ α. 1
93
3 Flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie
deve controllare che il vettore N (u, v) normale a Σ in σ(u, v) sia uscente da D (oppure entrante in D). Se c’`e corrispondenza, allora quello `e il vettore da usare nella formula (3.2); altrimenti si considera il suo opposto. Essendo σ una calotta regolare, per controllare se il vettore N (u, v) =
∂σ ∂σ (u, v) ∧ (u, v) ∂u ∂v
`e uscente da D (o entrante in D), `e sufficiente considerare un punto (u0 , v0 ) qualsiasi interno a K e verificare che il vettore N (u0 , v0 ) applicato in σ(u0 , v0 ) sia uscente da D (o entrante in D). Per fare ci` o si pu` o procedere utilizzando uno qualunque di questi tre metodi: 1) grafico: si disegnano l’insieme D e il vettore N (u0 , v0 ) applicato nel punto σ(u0 , v0 ) della superficie ∂D e si controlla se questo vettore `e rivolto all’interno o all’esterno di D; 2) vettoriale: se D `e convesso (cio`e se per ogni coppia di punti X, Y ∈ D e per ogni t ∈ [0, 1], anche il segmento (1 − t)X + tY appartiene a D), allora si ha che ∀(x, y, z) ∈ D : ∀(x, y, z) ∈ D :
(x, y, z)−σ(u0 , v0 )) ·N (u0 , v0 ) ≤ 0
(x, y, z)−σ(u0 , v0 )) ·N (u0 , v0 ) ≥ 0
=⇒ =⇒
N (u0 , v0 ) `e uscente; N (u0 , v0 ) `e entrante;
3) analitico: si controlla se per ε > 0 sufficientemente piccolo si ha che σ(u0 , v0 ) + εN (u0 , v0 ) ∈ D. In caso affermativo N (u0 , v0 ) `e entrante, altrimenti `e uscente.
(3.4) Esempio Calcoliamo il flusso uscente del campo vettoriale F (x, y, z) = x2 , y 2 , z n
o
dal bordo dell’insieme D = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 < z < 1 . Si ha che ∂D = Σ1 ∪ Σ2 , dove n
o
Σ1 = (x, y, z) ∈ R3 : z = 1, x2 + y 2 ≤ 1 , n
o
Σ2 = (x, y, z) ∈ R3 : z = x2 + y 2 , x2 + y 2 ≤ 1 . Quindi
Z
∂D
F ·n=
Z
Σ1
F ·n+
Z
Σ2
F · n.
94
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
z
z
∂D = Σ1 ∪ Σ2
N1
Σ1
b
b
D Σ2 y
x
N2 y
x
Figura 4.5: L’insieme D.
Figura 4.6: L’insieme ∂D = Σ1 ∪ Σ2 .
Si ha che Σ1 `e il grafico della funzione g1 : K → R definita da g1 (x, y) = 1 e Σ2 `e il
grafico della funzione g2 : K → R definita da g2 (x, y) = x2 + y 2 , dove n
o
K = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1 . Allora si ha che Σ1 = σ1 (K), dove σ1 : K → R3 `e definita da σ1 (x, y) = (x, y, g1 (x, y)) = (x, y, 1) e Σ2 = σ2 (K), dove σ2 : K → R3 `e definita da
σ2 (x, y) = (x, y, g2 (x, y)) = x, y, x2 + y 2 . Per definizione di integrale di flusso si ha che Z
Σ1
F ·n=
Z
K
F (σ1 (x, y)) · N1 (x, y) dx dy,
dove N1 (x, y) `e il vettore normale a Σ1 nel punto σ1 (x, y) uscente da D. Si ha che il vettore N (x, y) = N (x, y) =
∂σ1 ∂x (x, y)
∧
∂σ1 ∂y (x, y)
`e normale alla superficie Σ1 = σ1 (K). Si ha che
∂σ1 ∂σ1 ∂g1 ∂g1 (x, y) ∧ (x, y) = − (x, y), − (x, y), 1 = (0, 0, 1). ∂x ∂y ∂x ∂y
Questo vettore normale `e uscente da D.
Quindi un vettore uscente `e N1 (x, y) =
N (x, y) = (0, 0, 1). Ne segue che Z
Σ1
F ·n=
Z
K
F (σ1 (x, y)) · N1 (x, y) dx dy = =
Z
K
Z
(x, y, 1) · (0, 0, 1) dx dy =
F (x, y, −1) · (0, 0, 1) dx dy =
K
Z
K
dx dy = π.
95
3 Flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie
Per definizione di integrale di flusso si ha che Z
F ·n=
Σ2
Z
K
F (σ2 (x, y)) · N2 (x, y) dx dy,
dove N2 (x, y) `e il vettore normale a Σ2 nel punto σ2 (x, y) uscente da D. Si ha che il vettore N (x, y) =
∂σ2 ∂x (x, y)
∧
∂σ2 ∂y (x, y)
`e normale alla superficie Σ2 = σ2 (K). Si ha che
∂σ2 ∂g2 ∂σ2 ∂g2 N (x, y) = (x, y) ∧ (x, y) = − (x, y), − (x, y), 1 = (−2x, −2y, 1). ∂x ∂y ∂x ∂y
Questo vettore normale `e entrante in D.
Quindi un vettore uscente `e N2 (x, y) =
−N (x, y) = (2x, 2y, −1). Ne segue che Z
Σ2
F ·n=
=
Z
K
Z
K
F (σ2 (x, y)) · N2 (x, y) dx dy =
Z
x2 , y 2 , x2 + y 2 · (2x, 2y, −1) dx dy =
K
F x, y, x2 + y 2 · (2x, 2y, −1) dx dy =
Z
K
h
2 x3 + y 3 − x2 + y 2
i
dx dy =
passando in coordinate polari nel piano =
Z
0
2π
3
3
cos ϑ + sin ϑ dϑ
Z
1 0
4
2ρ dρ −
Z
2π
dϑ
0
Z
0
1
π ρ dρ = − . 2 3
In conclusione si ha che Z
∂D
F ·n=
Z
Σ1
F ·n+
Z
Σ2
F ·n=
π . 2
(3.5) Osservazione Nell’esempio precedente l’integrale di flusso attraverso ∂D = Σ1 ∪ Σ2 `e dato dalla somma dei singoli integrali di flusso attraverso Σ1 e Σ2 . Nel caso specifico Σ1 e Σ2 hanno in comune solo la circonferenza di centro (0, 0, 1) e raggio 1 nel piano z = 1, cio`e il sostegno di una curva parametrica, ossia l’immagine tramite una funzione continua di un intervallo (che `e un insieme di misura nulla del piano). Per quanto visto a proposito degli integrali su insiemi trascurabili, ne segue che il contributo di questa circonferenza nell’integrale di flusso `e nullo. Questo fatto vale in generale quando le superfici Σ1 e Σ2 hanno in comune al pi` u un insieme che ` e l’unione di un numero finito di linee, cio` e di sostegni di curve parametriche.
96
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(3.6) Teorema
(Dipendenza del flusso di un campo dall’orientamento
indotto dalla parametrizzazione sul sostegno) Siano Ω ⊆ R3 aperto non
vuoto, F : Ω → R3 un campo vettoriale continuo, σ : K → Ω e τ : K ′ → Ω due calotte regolari. Allora valgono i seguenti fatti: i) se σ e τ sono equivalenti, allora Z
σ
F ·n=
Z
F · n.
τ
ii) se esiste2 α : K ′ → K biiettiva e di classe C 1 con det Jα (x, y) < 0 per ogni (x, y) ∈ K ′ tale che τ = σ ◦ α, allora Z
σ
F ·n=−
Z
τ
F · n.
` analoga alla dimostrazione del Teorema (3.4) del Capitolo 3. In tal Dimostrazione. E caso si usa il Teorema del cambiamento di variabile negli integrali doppi.
(3.7) Osservazione Per questo teorema se σ e τ sono equivalenti, propriet` a i), e quindi in base alla Proposizione (1.7) se hanno lo stesso sostegno e inducono su di esso il medesimo orientamento, allora il flusso del campo attraverso le superfici non cambia. Nella ii) invece α ha tutte le propriet` a elencate nella Definizione (1.6) tranne che per il segno del determinante della sua matrice Jacobiana. Per la Proposizione (1.8) σ e τ hanno lo stesso sostegno ma inducono su di esso orientamenti opposti. In tal caso il flusso del campo attraverso le due superfici `e l’opposto. (3.8) Osservazione Concludiamo questo capitolo osservando che la nozione di flusso di un campo attraverso una superficie `e un caso particolare di quella di integrale superficiale. Infatti, se Ω ⊆ R3 `e un aperto non vuoto, F : Ω → R3 `e un campo vettoriale continuo, σ : K → Ω `e una calotta regolare e Σ = σ(K) `e il suo sostegno, allora considerata la funzione f : Ω → R definita da f = F · n, dove n `e il versore normale a Σ in σ(u, v), definito come n(σ(u, v)) = Z
σ
2
f=
Z
N (u,v) kN (u,v)k ,
si ha che
f (σ(u, v))kN (u, v)k du dv =
K 2
Z
K
(F · n)(σ(u, v))kN (u, v)k du dv =
A rigore, se esistono A, B ⊆ R aperti connessi per archi con K ⊆ A, K ′ ⊆ B e α : B → A di classe C tale che α|K ′ : K ′ → K `e biiettiva con det Jα (x, y) < 0 per ogni (x, y) ∈ K ′ e tale che τ = σ ◦ α. 1
97
4 Teoremi di Green, Stokes, Gauss
=
Z
4
K
F (σ(u, v)) ·
N (u, v) kN (u, v)k du dv = kN (u, v)k
Z
K
F (σ(u, v)) · N (u, v) du dv =
Z
σ
F · n.
Teoremi di Green, Stokes, Gauss
Questi teoremi stabiliscono delle uguaglianze fra integrali in “dimensioni diverse”, ossia fra integrali di linea (in “una dimensione”) e integrali doppi e/o di flusso (in “due dimensioni”) e fra integrali di flusso e integrali tripli (in “tre dimensioni”). Pi` u precisamente: Teorema di Green: stabilisce un’uguaglianza fra un integrale di linea (in particolare una circuitazione) e un integrale doppio; Teorema di Stokes: stabilisce un’uguaglianza fra un integrale di linea (in particolare una circuitazione) e un integrale di flusso; Teorema di Gauss: stabilisce un’uguaglianza fra un integrale di flusso e un integrale triplo. In tutti questi casi si tratta di integrali di campi vettoriali e che quindi, per le propriet` a studiate, dipendono dall’orientamento indotto dalla parametrizzazione sul sostegno. Perci` o `e fondamentale definire bene a priori qual `e l’orientamento che deve indurre la curva parametrica o la superficie parametrica sul suo sostegno.
4.1
Teorema di Green
(4.1) Definizione
Sia A ⊆ R2 un aperto limitato non vuoto tale che ∂A `e il
sostegno di una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti γ : [a, b] →
R2 .
Diciamo che ∂A ` e orientato positivamente se γ induce su ∂A un verso di percorrenza antiorario. In altri termini, ∂A `e orientato positivamente se percorrendo idealmente ∂A si vedono in punti di A alla propria sinistra.
98
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(di Green (o formula di Gauss-Green)) Siano Ω ⊆ R2
(4.2) Teorema
aperto non vuoto, F : Ω → R2 un campo vettoriale di classe C 1 , F = (f1 , f2 ), A ⊆ Ω un aperto limitato tale che ∂A ⊆ Ω `e il sostegno di una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti γ : [a, b] → Ω. Supponiamo che ∂A sia orientamento positivamente. Allora I
∂A
F · dP =
Z A
∂f1 ∂f2 (x, y) − (x, y) dx dy. ∂x ∂y
Omettiamo la dimostrazione. (4.3) Esempio Calcolare l’integrale di linea del campo F (x, y) = y 2 , x lungo la
circonferenza C di centro l’origine e raggio 1 percorsa una sola volta in senso antiorario. y
C = ∂A
1
γ A b
1
O
x
Il campo vettoriale F (x, y) = y 2 , x `e di classe C 1 su R2 . Possiamo calcolare
l’integrale di linea con la definizione. In tal caso si deve individuare una curva parametrica γ che parametrizzi la circonferenza C inducendo su di essa un verso di percorrenza antiorario. n
o
Oppure, posto A = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 < 1 , osserviamo che essendo C = ∂A, si ha che ∂A `e orientato positivamente e quindi possiamo ricorrere al Teorema di Green. Posto F = (f1 , f2 ), per il Teorema di Green si ha che Z
γ
F · dP =
Z A
∂f2 ∂f1 (x, y) − (x, y) dx dy = ∂x ∂y
Z
A
(1 − 2y)dx dy =
e passando in coordinate polari nel piano =
Z
0
2π
Z
1 0
(1 − 2ρ sin ϑ)ρ dρ dϑ =
Z
0
2π
1 2 2 3 ρ − ρ sin ϑ 2 3
1 0
dϑ =
99
4.1 Teorema di Green
=
Z
2π
0
(4.4) Corollario
1 2 − sin ϑ dϑ = π. 2 3
Siano A ⊆ R2 un aperto limitato tale che ∂A `e il sostegno di
una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti che induca su di esso un verso di percorrenza antiorario, e F : R2 → R2 un campo vettoriale di classe C 1 , F = (f1 , f2 ), che soddisfa la condizione (4.5)
∂f2 ∂f1 (x, y) − (x, y) = 1. ∂x ∂y
∀(x, y) ∈ A :
Allora l’area di A `e uguale a m(A) =
I
∂A
F · dP.
` un’immediata conseguenza del Teorema di Green. Dimostrazione. E
Campi vettoriali che soddisfano la condizione (4.5) sono ad esempio F (x, y) = (0, x),
G(x, y) = (−y, 0),
y x H(x, y) = − , . 2 2
(4.6) Esempio Sia γ : [0, 1] → R2 la curva parametrica definita da
γ(t) = t3 − 3t2 + 2t, t − t3 . Calcolare l’area dell’insieme A racchiuso all’interno del sostegno di γ. y
A γ O
x
Osserviamo che γ `e chiusa e che induce sul suo sostegno un verso di percorrenza antiorario. Infatti, γ(0) = γ(1) = (0, 0) e 1 γ 4
=
21 15 , , 64 64
1 γ 2
=
3 3 , . 8 8
100
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Quindi ∂A `e orientato positivamente. Utilizziamo il corollario precedente per calcolare l’area di A, m(A). Consideriamo ad esempio il campo F (x, y) = (−y, 0) che soddisfa la condizione (4.5). Allora m(A) =
I
∂A
F · dP =
I
γ
F · dP =
Z
0
1
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt.
Per ogni t ∈ [0, 1] si ha che
F (γ(t)) · γ ′ (t) = −t + t3 , 0 · 3t2 − 6t + 2, 1 − 3t2 = 3t5 − 6t4 − t3 + 6t2 − 2t. Quindi m(A) =
Z
1 0
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt = =
Z
0
1
3t5 − 6t4 − t3 + 6t2 − 2t dt =
1 6 6 5 1 4 t − t − t + 2t3 − t2 2 5 4
1
1 . 20
=
0
(4.7) Osservazione Pu` o succedere che ∂A sia l’unione di pi` u sostegni di curve parametriche chiuse, semplici e regolari a tratti, tutti orientati positivamente, ad esempio come in Fig. 4.7. Γ1
Γ2
Γ3
A
Figura 4.7: ∂A = Γ1 ∪ Γ2 ∪ Γ3 In tal caso ∂A = Γ1 ∪ Γ2 ∪ Γ3 e I
∂A
F · dP =
Z
Γ1
F · dP +
Z
Γ2
F · dP +
Z
Γ3
F · dP.
101
4.1 Teorema di Green
In alternativa, se F = (f1 , f2 ) `e di classe C 1 , allora si pu` o ancora applicare il Teorema di Green e quindi si ha che Z
∂A
F · dP =
Z A
∂f1 ∂f2 (x, y) − (x, y) dx dy. ∂x ∂y
(4.8) Esempio Calcolare l’integrale di linea del campo F (x, y) = x2 y 3 , y lungo la
curva γ che parametrizza il bordo dell’insieme n
o
A = (x, y) ∈ R2 : 1 ≤ x2 + y 2 ≤ 4 inducendo su di esso un orientamento positivo. y
γ2 A γ1 1
O
2
x
Il campo vettoriale F (x, y) = x2 y 3 , y `e di classe C 1 su R2 . Possiamo calcolare
l’integrale di linea con la definizione. In tal caso Z
∂A
F · dP =
Z
γ1
F · dP +
Z
γ2
F · dP.
Oppure, essendo ∂A orientato positivamente, possiamo ricorrere al Teorema di Green. Posto F = (f1 , f2 ), per il Teorema di Green si ha che Z
γ
F · dP =
Z A
∂f2 ∂f1 (x, y) − (x, y) dx dy = − ∂x ∂y
Z
3x2 y 2 dx dy =
A
passando in coordinate polari nel piano = −3
Z
2π
2
2
cos ϑ sin ϑ dϑ
0
Z
1
=−
2
3 ρ dρ = − 4 5
2π
2
sin 2ϑ dϑ
0
2π
63 1 (2ϑ − sin 2ϑ cos 2ϑ) 8 4
Z
0
=−
63 π. 8
1 6 ρ 6
2 1
=
102
4.2
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Teorema di Stokes
(4.9) Definizione
Siano A ⊆ R2 un aperto limitato connesso per archi tale che
∂A sia il sostegno di una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti, K = A = A ∪ ∂A (e quindi K `e compatto con ∂K = ∂A) e σ : K → R3 una calotta regolare. Si chiama bordo di σ, denotato con ∂σ, la restrizione di σ a ∂K. Denotiamo con Σ = σ(K) il sostegno di σ e con N (u, v) il vettore normale a Σ in σ(u, v) definito da N (u, v) =
∂σ ∂σ (u, v) ∧ (u, v). ∂u ∂v
Diciamo che ∂σ ` e orientato positivamente se la curva σ(∂K) `e percorsa in senso antiorario rispetto ad un osservatore posto come il vettore N . In altri termini, ∂σ `e orientato positivamente se percorrendo idealmente σ(∂K) appoggiato alla faccia di Σ da cui esce N , si vedono in punti di Σ alla propria sinistra. Talvolta, anche se impropriamente, si parla di bordo di Σ anzich`e di bordo di σ.
∂Σ = Γ1 ∪ Γ2 ∪ Γ3 N
Γ3 b
Σ
Γ2
Γ1
Figura 4.8: Bordo di una superficie orientato positivamente. (4.10) Osservazione Se A ⊆ R2 `e un aperto limitato connesso per archi tale che ∂A `e l’unione di un numero finito di sostegni a due a due disgiunti C1 , . . . , Cn di curve parametriche chiuse, semplici e regolari a tratti, se K = A = A ∪ ∂A (e quindi K
`e compatto con ∂K = ∂A), σ : K → R3 `e una calotta regolare e Σ = σ(K) `e il suo sostegno, allora posto Γi = σ(Ci ) per ogni i = 1, . . . , n si ha che ∂K = ∂A = C1 ∪· · ·∪Cn , e ∂σ = Γ1 ∪· · ·∪Γn . In tal caso diciamo che ∂σ ` e orientato positivamente se ciascuna curva Γi `e orientata positivamente nel senso della definizione precedente.
103
4.2 Teorema di Stokes
∂Σ = Γ1 ∪ Γ2 Γ1 b
Σ Γ2
N
Figura 4.9: Bordo di una superficie orientato positivamente.
(4.11) Teorema
(di Stokes (o del rotore)) Siano Ω ⊆ R3 aperto non vuoto,
F : Ω → R3 un campo vettoriale di classe C 1 , F = (f1 , f2 , f3 ), A ⊆ R2 un aperto limitato connesso per archi tale che ∂A `e l’unione di un numero finito di sostegni a due a due disgiunti di curve parametriche chiuse, semplici e regolari a tratti, K = A = A ∪ ∂A e σ : K → R3 una calotta regolare con ∂σ orientamento positivamente. Allora I
∂σ
F · dP =
Z
σ
rotF · n,
dove rotF `e il rotore del campo F , definito formalmente da i ∂ rotF (x, y, z) = ∂x f (x, y, z) 1
∀(x, y, z) ∈ Ω :
j
k
∂ . ∂z f3 (x, y, z)
∂ ∂y
f2 (x, y, z)
Omettiamo la dimostrazione. (4.12) Esempio Calcolare l’integrale di linea del campo F (x, y, z) = (x, 0, y) lungo il bordo della superficie n
o
Σ = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 = 1, x, z ≥ 0
orientato positivamente rispetto al versore normale uscente dalla sfera x2 + y 2 + z 2 = 1.
104
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Il campo vettoriale F (x, y, z) = (x, 0, y) `e di classe C 1 su R3 . Si osserva che ∂Σ = Γ1 ∪ Γ2 , con
n
o
Γ1 = (x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 = 1, x ≥ 0, z = 0 , n
o
Γ2 = (x, y, z) ∈ R3 : y 2 + z 2 = 1, z ≥ 0, x = 0 . z
ϕ
∂Σ = Γ1 ∪ Γ2
γ2
N
π 2
b
Σ
K
Γ2
Γ1
y
π 2
O
ϑ
γ1 − π2
x
Figura 4.10: L’insieme Σ.
Figura 4.11: L’insieme K.
Si pu` o calcolare l’integrale di linea con la definizione. In tal caso si devono determinare due parametrizzazioni γ1 e γ2 rispettivamente di Γ1 e Γ2 e si ha che Z
∂Σ
F · dP =
Z
γ1
F · dP +
Z
γ2
F · dP.
Altrimenti, poich´e la linea su cui si integra `e il bordo di una superficie, si pu` o procedere applicando il Teorema di Stokes. Z F · dP applicando il Teorema di Stokes. Si ha che Calcoliamo l’integrale ∂Σ
Z
∂Σ
F · dP =
Z
Σ
rotF · n,
dove n `e il versore normale uscente dalla sfera x2 + y 2 + z 2 = 1. La superficie Σ `e la parte della sfera x2 + y 2 + z 2 = 1 compresa nel quadrante in cui x, z ≥ 0. Si ha che Σ = σ(K), dove σ : K → R3 `e definita da
σ(ϑ, ϕ) = (sin ϑ cos ϕ, sin ϑ sin ϕ, cos ϑ), dove
K = (ϑ, ϕ) ∈ R2 : 0 ≤ ϑ ≤
π π π , − ≤ϕ≤ 2 2 2
Per definizione di integrale di flusso si ha che Z
Σ
rotF · n =
Z
K
rotF (σ(ϑ, ϕ)) · N (ϑ, ϕ) dϑ dϕ,
.
105
4.2 Teorema di Stokes
dove N (ϑ, ϕ) `e il vettore normale uscente dalla sfera nel punto σ(ϑ, ϕ). Si ha che il vettore N1 (ϑ, ϕ) =
∂σ ∂ϑ (ϑ, ϕ)
∧
∂σ ∂ϕ (ϑ, ϕ)
`e normale alla superficie Σ = σ(K). Si ha che
i j k ∂σ ∂σ N1 (ϑ, ϕ) = (ϑ, ϕ) ∧ (ϑ, ϕ) = cos ϑ cos ϕ cos ϑ sin ϕ − sin ϑ = ∂ϑ ∂ϕ − sin ϑ sin ϕ sin ϑ cos ϕ 0
= sin2 ϑ cos ϕ, sin2 ϑ sin ϕ, sin ϑ cos ϑ .
Questo vettore normale `e uscente dalla sfera. Quindi un vettore uscente `e N (ϑ, z) = N1 (ϑ, z) = sin2 ϑ cos ϕ, sin2 ϑ sin ϕ, sin ϑ cos ϑ . Ne segue che
rotF (σ(ϑ, ϕ)) · N (ϑ, ϕ) = (1, 0, 0) · sin2 ϑ cos ϕ, sin2 ϑ sin ϕ, sin ϑ cos ϑ = = sin2 ϑ cos ϕ e Z
Σ
rotF · n =
Z
=
Z
K
rotF (σ(ϑ, ϕ)) · N (ϑ, ϕ) dϑ dϕ = sin2 ϑ cos ϕ dϑ dϕ =
K
essendo K un rettangolo con lati paralleli agli assi ϑ e ϕ e la funzione integranda prodotto di una funzione di ϑ e di una funzione di ϕ, si ottiene =
Z
π 2
2
sin ϑ dϑ
0
! Z
π 2
− π2
!
cos ϕ dϕ
π h 2
1 = (ϑ − sin ϑ cos ϑ) 2
0
iπ
sin ϕ
2
−π 2
=
π . 2
Osservazione Si pu` o procedere anche osservando che la superficie Σ `e il grafico della funzione g : K → R definita da g(x, y) =
p
1 − x2 − y 2 , dove n
o
K = (x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ 1, x ≥ 0 .
106
4.3
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Teorema di Gauss
(4.13) Definizione
Sia D ⊆ R3 un aperto limitato connesso per archi.
Diciamo che D ` e un aperto con bordo se ∂D `e unione di un numero finito di sostegni di calotte semplici e regolari, orientate secondo il verso uscente da D e aventi a due a due in comune al pi` u sostegni di curve regolari a tratti.
∂D = Σ1 ∪ Σ2 ∪ Σ3 Per esempio, nella figura a destra D `e un aperto con bordo. Infatti, ∂D = Σ1 ∪Σ2 ∪Σ3 e le superfici Σ1 e Σ2 , e Σ2 e Σ3 hanno in
Σ3 Σ2
Σ1
comune solo linee parametrizzabili con curve regolari a tratti.
(4.14) Teorema
(di Gauss (o della divergenza)) Siano Ω ⊆ R3 un aperto,
F : Ω → R3 un campo vettoriale di classe C 1 , F = (f1 , f2 , f3 ), D ⊆ Ω un aperto con bordo tale che ∂D ⊆ Ω. Allora il flusso uscente del campo F dal bordo di D `e dato da Z
∂D
F ·n=
Z
divF (x, y, z) dx dy dz,
D
dove divF `e la divergenza del campo F , definita da ∀(x, y, z) ∈ Ω :
divF (x, y, z) =
∂f1 ∂f2 ∂f3 (x, y, z) + (x, y, z) + (x, y, z). ∂x ∂y ∂z
Omettiamo la dimostrazione.
(4.15) Esempio Calcoliamo il flusso uscente del campo vettoriale F (x, y, z) = x2 , y 2 , z 2 n
o
dal bordo dell’insieme D = (x, y, z) ∈ R3 : 0 ≤ x ≤ 1, 0 ≤ y ≤ 1, 0 ≤ z ≤ 1 .
Si ha che ∂D = Σ1 ∪ Σ2 ∪ Σ3 ∪ Σ4 ∪ Σ5 ∪ Σ6 , dove Σ1 , Σ2 , Σ3 , Σ4 , Σ5 , Σ6 sono le sei facce del cubo avente spigoli di misura 1 paralleli agli assi cartesiani, un vertice
107
4.3 Teorema di Gauss
z
N4 b
Σ4
N2
Σ2
Σ3 Σ5 Σ1 b
N3
y
1
b
Σ6
K
b
b
y
N6
b
x
1
O
N5
x
N1
nell’origine e uno nel punto (1, 1, 1). Quindi, volendo procedere come da definizione si ha che Z
∂D
F ·n=
Z
F ·n+
Σ1
Z
Σ2
Z
F ·n+
Σ3
F ·n+
Z
Σ4
F ·n+
Z
Σ5
F ·n+
Z
Σ6
F · n.
Altrimenti, poich´e la superficie in questione `e il bordo di un aperto con bordo, si pu` o applicare il Teorema di Gauss. Si ha che Z
∂D
F ·n=
Z
divF (x, y, z) dx dy dz,
D
dove, posto F = (f1 , f2 , f3 ), si ha che divF (x, y, z) =
∂f1 ∂f2 ∂f3 (x, y, z) + (x, y, z) + (x, y, z). ∂x ∂y ∂z
Quindi divF (x, y, z) = 2(x + y + z) e Z
∂D
F ·n=2
Z
(x + y + z) dx dy dz =
D
integrando per fili paralleli all’asse z si ottiene =2
Z
K
Z
1
(x + y + z) dz dx dy = 2
0
=2 n
Z
K
Z
1 +x+y 2
dy
K
1 (x + y)z + z 2 2
1
dx dy =
0
dx dy = o
essendo K = (x, y) ∈ R2 : 0 ≤ x ≤ 1, 0 ≤ y ≤ 1 , si ha =2
Z
0
1 Z 1 1 0
2
+x+y =2
Z
1 0
dx = 2 h
Z
0
1 1
1 + x y + y2 2 2
(x + 1) dx = (x + 1)2
i1 0
= 3.
1 0
dx =
108
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Appendice D
Gradiente, rotore, divergenza In questa sezione vogliamo sottolineare alcuni aspetti riguardanti gli operatori di gradiente, rotore e divergenza. ` un operatore che trasforma una Gradiente. Si indica talvolta con il simbolo ∇. E
funzione reale di n ≥ 1 variabili in un campo vettoriale di Rn . Infatti, se Ω ⊆ Rn `e un aperto non vuoto e f : Ω → R `e una funzione differenziabile, allora il gradiente di f `e il campo vettoriale ∇f : Ω → Rn definito da ∇f =
∂f ∂f ,···, . ∂x1 ∂xn
` un operatore che trasforma un campo Rotore. Si indica talvolta con il simbolo rot. E vettoriale di R3 in un campo vettoriale di R3 . Infatti, se Ω ⊆ R3 `e un aperto non vuoto e F : Ω → R3 `e campo vettoriale di classe C 1 , F = (f1 , f2 , f3 ), allora il rotore di F `e il campo vettoriale rotF : Ω → R3 definito da rotF =
∂f3 ∂f2 ∂f1 ∂f3 ∂f2 ∂f1 − , − , − . ∂y ∂z ∂z ∂x ∂x ∂y
` un operatore che trasforma un Divergenza. Si indica talvolta con il simbolo div. E campo vettoriale di Rn in una funzione di n ≥ 1 variabili. Infatti, se Ω ⊆ Rn `e un
aperto non vuoto e F : Ω → Rn `e campo vettoriale di classe C 1 , F = (f1 , · · · , fn ), allora la divergenza di F `e la funzione divF : Ω → R definita da divF =
∂f1 ∂fn + ··· + . ∂x1 ∂xn
Quindi se f indica una funzione e F un campo vettoriale, ha senso calcolare rot∇f,
div∇f,
div rotF, 109
∇ divF.
110
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Non ha senso calcolare rot divF,
∇ rotF.
Infine, si osserva che se f e F sono di classe C 2 , allora rot∇f = 0,
div rotF = 0.
L’operatore div∇ `e detto Laplaciano (o operatore di Laplace) e si indica con il simbolo ∆. Quindi se f : Ω → R `e di classe C 2 , ∆f = div∇f =
∂2f ∂2f + · · · + . ∂x21 ∂x2n
Significato fisico del rotore (Tratto dal testo A. Bacciotti, CALCOLO DIFFERENZIALE E INTEGRALE II. Seconda parte: Vettori, funzioni reali di pi` u variabili reali, serie, Celid). Il termine rotore rimanda inevitabilmente alla rotazione. In effetti, dato il campo vettoriale F di R3 , si osserva che il vettore rotF `e in qualche modo legato alla rotazione. Per renderci conto di ci` o, consideriamo un caso molto semplice di un corpo rigido. Ogni movimento del corpo rigido si pu` o immaginare come una combinazione di un moto traslatorio e di un moto rotatorio intorno al baricentro. Supponiamo per semplicit` a che in ogni punto P (x, y, z) del corpo rigido la velocit` a ~v (P ) dipenda solo dalla posizione del punto P e che la velocit` a angolare ~ ω sia costante. Allora ~ i −−→ ~v (P ) = ω ~ ∧ P O = (ω1 , ω2 , ω3 ) ∧ (x, y, z) = ω1 x
~j ω2 y
~k
ω3 =
= (ω2 z − ω3 y)~i + (ω3 x − ω1 z)~j + (ω1 y − ω2 x)~k.
z
Ne segue che ~i ∂ rot ~v (P ) = ∂x ω z − ω y 2 3
~j ∂ ∂y
ω3 x − ω1 z
~k
∂ = (2ω1 , 2ω2 , 2ω3 ) = 2~ ω. ∂z ω1 y − ω2 x
Quindi il rotore del campo di velocit` a `e multiplo del vettore velocit` a angolare, che `e chiaramente legato alla rotazione. In particolare in questo semplice esempio si ha che rot ~v = ~0
⇐⇒
ω = ~0. ~
111
Appendice D Gradiente, rotore, divergenza
Per questo motivo si dice che un campo `e irrotazionale quando il suo rotore `e nullo. Questa terminologia si utilizza anche nei casi pi` u generali. Quando si considera ad esempio il moto di un fluido, rot ~v = ~0 indica assenza di vorticosit` a. Significato fisico della divergenza (Tratto dal testo A. Bacciotti, CALCOLO DIFFERENZIALE E INTEGRALE II. Seconda parte: Vettori, funzioni reali di pi` u variabili reali, serie, Celid). Consideriamo un fluido e supponiamo che in ogni punto la velocit` a dipenda solo dalla posizione del punto. Studiamo il moto del fluido attraverso un cubo di lato h con spigoli paralleli agli assi cartesiani e con un vertice in un punto P . Vogliamo calcolare la variazione di flusso del fluido nel cubo nell’unit` a di tempo. z
h
P h h
y
x
Supponiamo per semplicit` a che la densit` a del fluido sia 1. Il flusso del fluido attraverso una superficie Σ `e proporzionale alla densit` a del fluido, all’area di Σ e al prodotto scalare fra il campo di velocit` a ~v e il versore normale n a Σ. Consideriamo il contributo di ogni coppia di facce parallele del cubo. In tal caso Σ `e una faccia del cubo e la sua area `e h2 . Partiamo da quelle ortogonali all’asse x. La variazione di flusso (uscente - entrante) `e h
i
h2 ~v (x + h, y, z) − ~v (x, y, z) · ~i
= x
v=(v1 ,v2 ,v3 )
h
i
h2 v1 (x + h, y, z) − v1 (x, y, z) .
Dividendo per il volume h3 del cubo, in modo da ricondurci al cubo unitario, otteniamo v1 (x + h, y, z) − v1 (x, y, z) h
112
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
e passando al limite per h → 0 otteniamo lim
h→0
v1 (x + h, y, z) − v1 (x, y, z) ∂v1 = (x, y, z). h ∂x
Analogamente la variazione di flusso (uscente - entrante) relativa alle altre coppie di facce parallele agli assi y e z `e rispettivamente
∂v2 ∂y (x, y, z)
e
∂v3 ∂z (x, y, z).
Sommando
questi tre contributi si ottiene che la variazione totale di flusso `e ∂v1 ∂v2 ∂v3 (x, y, z) + (x, y, z) + (x, y, z) = div ~v (x, y, z). ∂x ∂y ∂z Quindi la divergenza del campo di velocit` a tiene conto della variazione del flusso del fluido. In particolare div ~v = 0 significa che il fluido si muove senza dilatarsi e senza comprimersi. In generale, quando la divergenza `e nulla, si dice che il campo `e solenoidale.
Capitolo 5
Campi vettoriali conservativi Nel seguito considereremo n ∈ N, n ≥ 1.
1
Campi conservativi e potenziali
(1.1) Definizione
Siano Ω ⊆ Rn un aperto non vuoto e F : Ω → Rn un campo
vettoriale. Diciamo che F ` e conservativo se esiste una funzione f : Ω → R differenziabile tale che ∇f (x) = F (x) per ogni x ∈ Ω. In tal caso f `e detto un potenziale di F su Ω. Se F = (f1 , . . . , fn ), dove f1 , . . . , fn : Ω → R sono le componenti di F , allora ∇f (x) = F (x)
⇐⇒
∂f (x) = fi (x), ∂xi
∀i = 1, . . . , n.
Poich´e per ogni c ∈ R si ha ∇(f +c) = ∇f , se un campo vettoriale F `e conservativo, allora ammette infiniti potenziali.
(1.2) Esempio Il campo vettoriale F (x, y) = 2xy + y 2 , x2 + 2xy `e conservativo. Infatti, la funzione f (x, y) = x2 y + xy 2 `e un potenziale di f , essendo 2
∀(x, y) ∈ R :
∇f (x, y) =
∂f ∂f (x, y), (x, y) = 2xy + y 2 , x2 + 2xy = F (x, y). ∂x ∂y
(1.3) Osservazione Se n = 1 e Ω `e un intervallo aperto, allora la nozione di potenziale coincide con quella di primitiva su un intervallo. 113
114
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.4) Definizione Siano 0 < a < b ≤ +∞, Ω = {x ∈ Rn : a < kxk < b} e F : Ω → Rn un campo vettoriale. Diciamo che F ` e radiale se `e della forma F (x) = ϕ(kxk) x, dove ϕ : (a, b) → R `e una funzione. Il campo gravitazionale generato da una massa puntiforme collocata in (0, 0, 0) definito da ∀(x, y, z) ∈ R3 \ {(0, 0, 0)} : F (x, y, z) = −
1 (x, y, z) (x, y, z) = − 3 2 k(x, y, z)k (x + y 2 + z 2 )3/2
`e un campo radiale. (1.5) Osservazione Sia F : Ω → Rn un campo radiale continuo. Allora F `e conservativo. Dimostrazione. Essendo F (x) = ϕ(kxk) x, si ha che ϕ : (a, b) → R `e continua. Quindi anche la funzione {t → tϕ(t)} `e continua. Per il Teorema fondamentale del calcolo integrale questa funzione ammette una primitiva su (a, b). Sia Φ : (a, b) → R una primitiva di questa funzione su (a, b). Quindi ∀t ∈ (a, b) :
Φ′ (t) = tϕ(t).
Consideriamo la funzione f : Ω → R definita da ∀x = (x1 , . . . , xn ) ∈ Ω :
f (x) = Φ(kxk) = Φ
q
x21
+ ··· +
x2n
.
La funzione f ammette tutte le derivate parziali in Ω con ∀x = (x1 , . . . , xn ) ∈ Ω :
∂f xi xi (x) = Φ′ (kxk) = xϕ(kxk) = xi ϕ(kxk). ∂xi kxk kxk
Poich´e queste derivate parziali sono continue, si ha che f `e differenziabile in Ω con ∀x = (x1 , . . . , xn ) ∈ Ω :
∇f (x) = (x1 ϕ(kxk), . . . , xn ϕ(kxk)) = ϕ(kxk) x = F (x).
Quindi f `e un potenziale di F su Ω e di conseguenza F `e conservativo.
Richiamiamo la nozione di aperto connesso per archi.
115
1 Campi conservativi e potenziali
(1.6) Definizione
Sia Ω ⊆ Rn un aperto non vuoto.
e connesso per archi se per ogni x, y ∈ Ω esiste una curva Diciamo che Ω ` parametrica γ : [a, b] → Ω regolare a tratti tale che γ(a) = x e γ(b) = y.
y
y
b
(x1 , y1 ) Ω
Ω
γ
b
(x0 , y0 )
O
x
Figura 5.1: Insieme connesso per archi nel piano.
O
x
Figura 5.2: Insieme non connesso per archi nel piano.
Si dimostra che se Ω `e connesso per archi, allora fissati x, y ∈ Ω con x 6= y esiste sempre una curva parametrica semplice e regolare a tratti γ : [a, b] → Ω tale che γ(a) = x e γ(b) = y. (1.7) Proposizione
(Propriet` a dei potenziali) Siano Ω ⊆ Rn un aperto
connesso per archi, F : Ω → Rn un campo vettoriale conservativo e f, g : Ω → R due potenziali di F su Ω. Allora esiste c ∈ R tale che f − g = c, cio`e f (x) − g(x) = c per ogni x ∈ Ω. Dimostrazione. Consideriamo la funzione f − g : Ω → R. Poich´e f e g sono due potenziali di F , allora f e g sono differenziabili in Ω con ∇f (x) = ∇g(x) = F (x) per ogni x ∈ Ω. Quindi f − g `e differenziabile in Ω con ∀x ∈ Ω :
∇(f − g)(x) = ∇f (x) − ∇g(x) = F (x) − F (x) = 0.
Poich´e Ω `e connesso per archi, allora f − g `e costante su Ω. Infatti, siano x, y ∈ Ω con x 6= y e sia γ : [a, b] → Ω una curva parametrica semplice e regolare a tratti tale che γ(a) = x e γ(b) = y. Quindi esistono a = t0 < t1 < · · · < tm = b tali che γ `e derivabile in
116
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
ogni intervallo (tk−1 , tk ), per ogni k = 1, . . . , m, con derivata non nulla, e negli estremi di tali intervalli esistono le derivate laterali. Consideriamo la funzione ϕ : [a, b] → R definita da ϕ(t) = (f − g)(γ(t)). Si ha che ϕ `e derivabile in ogni t 6= tk , per ogni k = 0, . . . , m, con ϕ′ (t) = ∇(f − g)(γ(t)) · γ ′ (t) = 0. |
{z
}
=0
Ne segue che ϕ `e costante in ogni intervallo (tk−1 , tk ). Essendo anche continua su [a, b], ne segue che ϕ `e costante su tutto [a, b]. In particolare si ha che ϕ(a) = ϕ(b). Quindi (f − g)(x) = (f − g)(γ(a)) = ϕ(a) = ϕ(b) = (f − g)(γ(b)) = (f − g)(y). Per l’arbitrariet` a di x e y si ha che f − g `e costante su Ω, da cui segue la tesi.
(1.8) Osservazione Questa proposizione afferma che due potenziali di un campo conservativo su un aperto connesso per archi differiscono al pi` u per una costante. Si tratta di un’estensione della propriet` a delle primitive di una funzione reale di una variabile su un intervallo. Infatti, un intervallo `e evidentemente un insieme connesso per archi. Se Ω non `e connesso per archi, allora la propriet` a precedente pu` o non essere vera. Infatti, consideriamo le funzioni f (x, y) = arctan (xy),
g(x, y) = − arctan
1 . xy
Si ha che f e g sono due potenziali su Ω = R2 \ {(x, y) ∈ R2 : xy = 0} del campo vettoriale F (x, y) =
y x 1+x2 y 2 , 1+x2 y 2
∀(x, y) ∈ Ω :
. Infatti,
∇f (x, y) = ∇g(x, y) =
y x , . 1 + x2 y 2 1 + x2 y 2
L’insieme Ω, che `e costituito dai quattro quadranti del piano privati degli assi, non `e connesso per archi. Osserviamo che f − g non `e costante in Ω. Infatti,
f (x, y) − g(x, y) =
(
π 2
se xy > 0
− π2
se xy < 0.
117
1 Campi conservativi e potenziali
(1.9) Teorema
(Integrale di linea di un campo conservativo) Siano Ω ⊆
n
R un aperto non vuoto, F : Ω → Rn un campo vettoriale continuo e conservativo, f : Ω → R un potenziale di F su Ω e γ : [a, b] → Ω una curva parametrica semplice e regolare a tratti. Allora
Z
F · dP = f (γ(b)) − f (γ(a)).
γ
Inoltre, se γ `e chiusa risulta che I
F · dP = 0.
γ
Dimostrazione. Conformemente alla definizione di curva regolare a tratti, siano a = t0 < t1 < · · · < tm = b tali che γ `e derivabile in ogni intervallo (tk−1 , tk ), per ogni k = 1, . . . , m, con derivata non nulla, e negli estremi di tali intervalli esistono le derivate laterali. Per definizione si ha che Z
F · dP =
γ
m Z X
tk
F (γ(t)) · γ ′ (t) dt.
k=1 tk−1
Sia ϕ : [a, b] → R definita da ϕ(t) = f (γ(t)). Poich´e F `e continuo e f `e un potenziale di F , allora f `e di classe C 1 in Ω. Ne segue che ϕ `e di classe C 1 a tratti su [a, b], cio`e ϕ `e continua su [a, b] ed `e derivabile con derivata continua in ogni t 6= tk , per ogni k = 0, . . . , m, con ϕ′ (t) = ∇f (γ(t)) · γ ′ (t) = F (γ(t)) · γ ′ (t). Quindi Z
F · dP = γ
m Z X
tk
′
F (γ(t)) · γ (t) dt =
k=1 tk−1
m Z X
tk
ϕ′ (t) dt =
k=1 tk−1
applicando il Teorema di Torricelli-Barrow alla funzione ϕ′ su ogni intervallo [tk−1 , tk ] si ottiene =
m X
[ϕ(tk ) − ϕ(tk−1 )] = ϕ(t1 ) − ϕ(t0 ) + ϕ(t2 ) − ϕ(t1 ) + · · · + ϕ(tm ) − ϕ(tm−1 ) =
k=1
= ϕ(tm ) − ϕ(t0 ) = ϕ(b) − ϕ(a) = f (γ(b)) − f (γ(a)). Infine, se γ `e chiusa, allora γ(a) = γ(b) e I
γ
F · dP = f (γ(b)) − f (γ(a)) = 0.
118
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.10) Osservazione In base a questo teorema l’integrale di linea di un campo conservativo non dipende dal percorso e quindi neppure dalla parametrizzazione, ma solo dai punti inziali e finali del percorso. (1.11) Teorema
(di equivalenza) Siano Ω ⊆ Rn un aperto connesso per archi
e F : Ω → Rn un campo vettoriale continuo. Allora sono fatti equivalenti: i) F `e conservativo; ii) se γ1 : [a, b] → Ω e γ2 : [c, d] → Ω sono due curve parametriche semplici e regolari a tratti tali che γ1 (a) = γ2 (c) e γ1 (b) = γ2 (d), allora Z
F · dP =
γ1
Z
F · dP ;
γ2
iii) se γ : [a, b] → Ω `e una curva parametrica chiusa, semplice e regolare a tratti, allora
I
F · dP = 0. γ
Dimostrazione. Dimostriamo nell’ordine che i) =⇒ iii), iii) =⇒ ii) e ii) =⇒ i). Per la Proposizione precedente si ha che i) =⇒ iii). Proviamo ora che iii) =⇒ ii).
Sia η : [a, b + d − c] → Ω definita da η(t) =
(
γ1 (b) = γ2 (d)
γ1 (t)
se a ≤ t ≤ b b
γ2
γ2 (b + d − t) se b < t ≤ b + d − c.
Ω
η
Si ha che η `e regolare a tratti, semplice e b
γ1
γ1 (a) = γ2 (c)
chiusa. Infatti, η(a) = γ1 (a) e η(b + d − c) = γ2 (c) = γ1 (a).
Per l’ipotesi iii) si ha che
Z
F · dP = 0. Quindi
η
0=
Z
η
F · dP =
Z
b
a
′
F (η(t)) · η (t) dt +
Z
b
b+d−c
F (η(t)) · (η ′ (t)) dt =
119
1 Campi conservativi e potenziali
=
Z
b
F (γ1 (t))
a
· γ1′ (t) dt
Z
+
b+d−c
b
F (γ2 (b + d − t)) · (−γ2′ (b + d − t)) dt =
operando il cambiamento di variabile τ = b+d−t nel secondo integrale, da cui dτ = −dt, si ottiene =
Z
F · dP +
γ1
Z
d
c
F (γ2 (τ )) · γ2′ (τ ) dτ = Z
=
Z
F · dP −
γ1
Quindi
Z
F · dP − γ1
Z
d
c
Z
F (γ2 (τ )) · γ2′ (τ ) dτ =
F · dP.
γ2
F · dP =
γ1
Z
F · dP.
γ2
Infine proviamo che ii) =⇒ i). Dobbiamo dimostrare che F `e conservativo, cio`e che esiste una funzione differenziabile f : Ω → R tale che ∇f = F , ossia se F = (f1 , . . . , fn ), che per ogni j = 1, . . . , n si ha
∂f ∂xj
= fj .
Sia x0 ∈ Ω. Consideriamo la funzione f : Ω → R definita da ∀x ∈ Ω :
f (x) =
Z
F · dP,
γ
dove γ : [a, b] → Ω `e una curva parametrica semplice e regolare a tratti tale che γ(a) = x0 e γ(b) = x. Per l’ipotesi ii) la funzione f `e ben definita, cio`e non dipende dalla scelta della curva γ. Dimostriamo che f `e un potenziale di F . Per fare ci` o proviamo che f ammette tutte le derivate parziali si ha
∂f ∂xj
∂f ∂xj
in Ω, che sono continue e che per ogni j = 1, . . . , n
= fj . Per semplicit` a espositiva consideriamo j = 1.
Si ha che x0 = (x0,1 , . . . , x0,n ),
x = (x1 , . . . , xn ).
Rn−1 Poich´e Ω `e aperto, esiste r > 0 tale che Br (x) =
x = (x1 + h, x2 , . . . , xn )
n
{u ∈ R : ku − xk < r} ⊆ Ω. Sia 0 < h < r e
x x b
consideriamo la curva parametrica η : [a, b+h] →
b
γ
Ω definita da η(t) =
(
γ(t)
Ω x0
se a ≤ t ≤ b
b
(x1 + t − b, x2 , . . . , xn ) se b < t ≤ b + h.
Si ha che η `e semplice e regolare a tratti.
b
O
x0,1
Inoltre η(a) = γ(a) = x0 ,
η(b + h) = (x1 + h, x2 , . . . , xn ).
b
b
x1 x1 + h
R
120
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Consideriamo il rapporto incrementale di f in x nella direzione x1 . Si ha che f (x1 + h, x2 , . . . , xn ) − f (x1 , x2 , . . . , xn ) 1 = h h 1 = h
Z
b
′
F (η(t)) · η (t) dt +
a
Z
Z
b+h
F · dP −
η
Z
F · dP
γ
′
F (η(t)) · η (t) dt −
b
Z
F · dP
γ
!
=
=
essendo η = γ su [a, b] Z
1 = h =
1 h
F · dP +
γ
Z
Z
b+h
F (x1 + t − b, x2 , . . . , xn ) · (1, 0, . . . , 0) dt −
b
b+h
b
f1 (x1 + t − b, x2 , . . . , xn ) dt τ dτ
1 h
= x
Z
0
Z
F · dP
γ
!
=
h
f1 (x1 + τ, x2 , . . . , xn ) dτ.
= t−b = dt
fondamentale Essendo la funzione {τ → f1 (x1 + τ, x2 , .(. . , xn )} continua, per il Teorema ) Z h
del calcolo integrale la funzione integrale h →
0
f1 (x1 + τ, x2 , . . . , xn ) dτ
`e derivabile
in h con derivata uguale a f1 (x1 + h, x2 , . . . , xn ). Allora si ha che
lim
h→0+
f (x1 + h, x2 , . . . , xn ) − f (x1 , x2 , . . . , xn ) = lim h h→0+
Z
h 0
f1 (x1 + τ, x2 , . . . , xn ) dτ h
=
per il Teorema di De l’Hˆ opital = lim+ f1 (x1 + h, x2 , . . . , xn ) = f1 (x). h→0
In modo del tutto analogo, se −r < h < 0 considerando la curva parametrica η : [a, b − h] → Ω definita da η(t) =
(
se a ≤ t ≤ b
γ(t)
(x1 + b − t, x2 , . . . , xn ) se b < t ≤ b − h,
si prova che lim−
h→0
f (x1 + h, x2 , . . . , xn ) − f (x1 , x2 , . . . , xn ) = f1 (x). h
∂f a di ∂x1 (x) = f1 (x). Per l’arbitrariet` ∂f x si ha che f `e derivabile in Ω nella direzione di x1 con ∂x (x) = f1 (x) per ogni x ∈ Ω. 1 ∂f Analogamente si procede per le altre derivate parziali di f ottenendo ∂x (x) = fj (x) per j
Quindi f `e derivabile in x nella direzione di x1 con
ogni x ∈ Ω e per ogni j = 1, . . . , n. Essendo fj continua per ogni j = 1, . . . , n, ne segue che tutte le derivate parziali di f sono continue. Quindi f `e differenziabile in Ω e ∀x ∈ Ω :
∇f (x) =
∂f ∂f (x), . . . , (x) = (f1 (x), . . . , fn (x)) = F (x). ∂x1 ∂xn
121
1 Campi conservativi e potenziali
Quindi f `e un potenziale di F su Ω, da cui la i).
(1.12) Osservazione a) Questo teorema `e utile per stabilire se un campo vettoriale F non `e conservativo. Infatti, `e sufficiente mostrare che non vale una delle due ipotesi ii) o iii), cio`e esibire un esempio di curve per cui non `e soddisfatta ii) oppure iii). Non `e invece operativo per provare la conservativit` a di un campo, se non da un punto di vista puramente teorico. Infatti, per stabilire che lo `e si deve provare che vale una delle due ipotesi ii) o iii) e per fare ci` o si devono fare infiniti controlli su tutte le curve aventi le caratteristiche indicate in ii) o iii). E questo non `e possibile. b) Nella dimostrazione dell’implicazione ii) =⇒ i) abbiamo esibito un potenziale f del campo F dicendo che f (x) =
Z
F · dP, γ
dove γ `e una qualunque curva parametrica semplice e regolare a tratti congiungente un prefissato punto del dominio di F con il generico punto x dello stesso dominio. Questo modo di esibire un potenziale `e anche quello che talvolta si usa nelle applicazioni per determinare esplicitamente un potenziale di un campo conservativo. Si tenga presente che, stante l’ipotesi ii), nelle applicazioni si scelgono opportune curve γ che permettono di semplificare i calcoli (si veda pag. 126).
(1.13) Teorema
(Condizione necessaria per i campi conservativi di
classe C 1 ) Siano Ω ⊆ Rn un aperto non vuoto e F : Ω → Rn un campo vettoriale di classe C 1 , F = (f1 , . . . , fn ). Se F `e conservativo, allora per ogni x ∈ Ω si ha che ∀i, j = 1, . . . , n :
Dimostrazione.
∂fi ∂fj (x) = (x). ∂xj ∂xi
` una conseguenza del Lemma di Schwarz sull’uguaglianza delle E
derivate seconde miste di una funzione di classe C 2 . Infatti, essendo F conservativo, esiste f : Ω → R differenziabile tale che ∇f (x) = F (x) per ogni x ∈ Ω. In particolare per ogni i = 1, . . . , n e per ogni x ∈ Ω si ha che
∂f ∂xi (x)
C 1 , anche le sue componenti fi lo sono. Ne segue che
= fi (x). Poich´e F `e di classe ∂f ∂xi
`e di classe C 1 e quindi il
122
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
potenziale f `e di classe C 2 . Per il Lemma di Schwarz si ha che per ogni x ∈ Ω e per ogni i, j = 1, . . . , n ∂ ∂f ∂2f ∂2f ∂ ∂f ∂fj ∂fi (x) = (x) = (x) = (x) = (x) = (x). ∂xj ∂xj ∂xi ∂xj ∂xi ∂xi ∂xj ∂xi ∂xj ∂xi
Da questo teorema segue immediatamente che se NON vale l’ipotesi ∀x ∈ Ω,
∀i, j = 1, . . . , n :
∂fi ∂fj (x) = (x), ∂xj ∂xi
allora il campo NON `e conservativo.
(1.14) Definizione
Sia Ω ⊆ R2 un aperto connesso per archi.
Diciamo che Ω ` e semplicemente connesso se per ogni curva chiusa e semplice γ avente sostegno in Ω si ha che la parte di piano racchiusa dal sostegno di γ `e contenuta in Ω. Sia Ω ⊆ R3 un aperto connesso per archi. Diciamo che Ω ` e semplicemente connesso se per ogni curva chiusa, semplice e regolare a tratti γ avente sostegno in Ω esiste una calotta regolare σ il cui bordo sia il sostegno di γ e tale che il sostegno di σ sia contenuto in Ω.
(1.15) Osservazione La nozione di aperto semplicemente connesso si pu` o introdurre in generale, e in modo univoco comprendente anche i casi n = 2, 3, per ogni n ≥ 1. In questa sede si `e preferito, per motivi di semplicit` a espositiva, considerare, e in modo distinto, solo i casi n = 2 e n = 3.
(1.16) Esempio Il piano R2 e lo spazio R3 sono semplicemente connessi. Nel piano non sono semplicemente connessi gli aperti connessi per archi che hanno dei “buchi”. Ad esempio le corone circolari o anche i cerchi privati di uno o pi` u punti interni non sono semplicemente connessi.
123
1 Campi conservativi e potenziali
y
y
Ω Ω O
O
x
x
Figura 5.3: Insieme semplicemente connesso nel piano.
Figura 5.4: Insieme non semplicemente connesso nel piano.
Nello spazio, contrariamente a quanto accade nel piano, esistono aperti connessi per archi che hanno dei “buchi” che sono semplicemente connessi. Per esempio lo spazio R3 privato di un punto, o di una sfera piena, `e semplicemente connesso. L’insieme costituito dall’intercapedine fra due sfere concentriche di raggi diversi `e semplicemente connesso.
z
Infatti, se ad esempio Ω `e lo spazio
R3 privato di una sfera piena come
σ
Ω = R3 \ sfera
in Fig. 5.5, allora se si considera una qualunque curva chiusa, semplice e regolare a tratti γ avente sostegno in Ω, esiste una calotta re-
γ x
y
golare σ il cui bordo sia il sostegno di γ e tale che il sostegno di σ sia contenuto in Ω.
Figura 5.5: Insieme semplicemente connesso nello spazio.
Il toro, la cui forma ricorda quella di una ciambella con il buco, invece non `e semplicemente connesso. Lo spazio privato di una retta non `e semplicemente connesso.
124
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Infatti, se ad esempio Ω `e lo spazio
z
R3 privato di una retta come in
Ω = R3 \ retta
σ
Fig. 5.6, allora se si considera la curva chiusa, semplice e regolare a
γ
tratti γ il cui sostegno `e una circonferenza in Ω che “gira” attorno alla y
x
retta, si ha che ogni calotta regolare σ il cui bordo sia la circonferenza necessariamente intersecher` a la retta in qualche punto e quindi il
Figura 5.6: Insieme non semplicemente connesso nello spazio.
sostegno di σ non `e contenuto in Ω.
(1.17) Teorema
(Condizione sufficiente per i campi conservativi di
classe C 1 ) Siano Ω ⊆ Rn un aperto non vuoto e F : Ω → Rn un campo vettoriale di classe C 1 , F = (f1 , . . . , fn ). Se Ω `e semplicemente connesso e per ogni x ∈ Ω si ha che (1.18)
∂fi ∂fj (x) = (x), ∂xj ∂xi
∀i, j = 1, . . . , n :
allora F `e conservativo.
Dimostrazione. Per semplicit` a vediamo la dimostrazione solo nei casi n = 2 e n = 3. Per dimostrare che F `e conservativo, ricorriamo al Teorema di equivalenza (vedi Teorema (1.11)). Consideriamo una qualunque curva parametrica γ : [a, b] → Ω semplice, I regolare a tratti e chiusa e proviamo che
F · dP = 0.
γ
Se n = 2, allora per ipotesi si ha che ∀(x, y) ∈ Ω :
∂f2 ∂f1 (x, y) = (x, y). ∂x ∂y
Sia A l’aperto costituito dalla parte di piano racchiusa nel sostegno di γ avente per bordo proprio il sostegno di γ. Quindi ∂A = im (γ) e, essendo Ω semplicemente connesso, si ha che A = A ∪ ∂A ⊆ Ω. Se γ induce su ∂A un verso di percorrenza antiorario, allora per il Teorema di Green si ha che I
F · dP = γ
Z A
∂f2 ∂f1 (x, y) − (x, y) ∂x ∂y
dx dy = 0.
125
1 Campi conservativi e potenziali
Se γ induce su ∂A un verso di percorrenza orario, allora sempre per il Teorema di Green si ha che
I
F · dP = −
γ
Z A
∂f2 ∂f1 (x, y) − (x, y) ∂x ∂y
dx dy = 0.
Per il Teorema di equivalenza F `e conservativo. Se n = 3, allora per ipotesi si ha che per ogni (x, y, z) ∈ Ω ∂f2 ∂f1 (x, y, z) = (x, y, z), ∂x ∂y
∂f1 ∂f3 (x, y, z) = (x, y, z), ∂z ∂x
∂f3 ∂f2 (x, y, z) = (x, y, z). ∂y ∂z
Quindi il rotore del campo F `e rotF =
∂f3 ∂f2 ∂f1 ∂f3 ∂f2 ∂f1 − , − , − ∂y ∂z ∂z ∂x ∂x ∂y
= (0, 0, 0) = 0.
Poich´e Ω `e semplicemente connesso, esiste una calotta regolare σ : K → R3 tale che ∂σ = im (γ) e tale che il suo sostegno σ(K) ⊆ Ω. Se ∂σ `e orientato positivamente, allora per il Teorema di Stokes si ha che I
F · dP =
γ
Z
rotF · dσ = 0.
σ
Se ∂σ non `e orientato positivamente, allora sempre per il Teorema di Stokes si ha che I
γ
F · dP = −
Z
rotF · dσ = 0.
σ
Per il Teorema di equivalenza F `e conservativo.
(1.19) Osservazione Come osservato nella dimostrazione del teorema precedente, se ∂fi ∂fj = per ogni i, j = 1, 2, 3 equivale a rotF = 0, che viene n = 3 la condizione ∂xj ∂xi detta irrotazionalit` a di F . (1.20) Esempio Il Teorema precedente costituisce una condizione sufficiente affinch´e un campo vettoriale F = (f1 , . . . , fn ) di classe C 1 sia conservativo. Se l’ipotesi (1.18) non `e soddisfatta, allora non vale la condizione necessaria (vedi Teorema (1.13)) e quindi il campo F non `e conservativo. Se invece questa ipotesi `e soddisfatta ma il dominio Ω del campo F non `e semplicemente connesso, allora pu` o succedere qualunque cosa. Ad esempio, si considerino F, G : R2 \ {(0, 0)} → R2 definiti da
F (x, y) = (f1 (x, y), f2 (x, y)) = − G(x, y) = (g1 (x, y), g2 (x, y)) =
2y 2x , 2 , 2 2 x + y x + y2
2x 2y , 2 . 2 2 x + y x + y2
126
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Si osserva che F e G verificano la condizione necessaria. Infatti, ∂f2 2(y 2 − x2 ) ∂f1 (x, y) = 2 = (x, y), 2 2 ∂x (x + y ) ∂y
∂g2 4xy ∂g1 (x, y) = − 2 = (x, y). 2 2 ∂x (x + y ) ∂y
Il dominio di F e G `e Ω = R2 \ {(0, 0)} che non `e semplicemente connesso. Si osserva che F non `e conservativo, mentre G lo `e. Infatti, se consideriamo l’integrale di F lungo la curva chiusa, semplice e regolare γ : [0, 2π] → Ω, γ(t) = (cos t, sin t), si ha che Z
γ
F · dP =
Z
2π ′
F (γ(t)) · γ (t) dt =
0
Z
2π
(−2 sin t, 2 cos t) · (− sin t, cos t) dt =
0
=2
Z
2π
0
sin2 t + cos2 t dt = 2
Z
2π
dt = 4π 6= 0.
0
Quindi F non `e conservativo. Invece G lo `e, poich´e la funzione g : Ω → R definita da
g(x, y) = log x2 + y 2 `e un potenziale di G, essendo di classe C ∞ su Ω e ∀(x, y) ∈ Ω :
1.1
∇g(x, y) =
2x 2y , 2 2 2 x + y x + y2
= G(x, y).
Ricerca dei potenziali di un campo vettoriale conservativo
Presentiamo due metodi per la determinazione dei potenziali di un campo vettoriale conservativo. Per semplicit` a espositiva limitiamo la nostra attenzione al caso n = 2, anche se i metodi valgono in generale per n ≥ 2. Metodo dell’integrazione lungo una curva Questo metodo `e quello che `e stato utilizzato nella dimostrazione del Teorema di equivalenza (vedi Teorema (1.11)) quando si `e provata l’implicazione ii) =⇒ i). Siano Ω ⊆ R2 un aperto connesso per archi, F : Ω → R2 un campo vettoriale continuo e conservativo, F = (f1 , f2 ) e (x0 , y0 ) ∈ Ω. Consideriamo un qualunque punto (x, y) ∈ Ω e una curva γ : [a, b] → Ω semplice e regolare a tratti tale che γ(a) = (x0 , y0 ) e γ(b) = (x, y). La curva γ `e una curva parametrica il cui sostegno congiunge i punti (x0 , y0 ) e (x, y) rimanendo all’interno di Ω. Allora un potenziale di F su Ω `e f : Ω → R definito da f (x, y) =
Z
F · dP. γ
Poich´e F `e conservativo, per il Teorema di equivalenza (vedi Teorema (1.11)) la funzione f `e ben definita, cio`e non dipende dalla curva γ. Si pu` o quindi scegliere una curva γ utile a semplificare i calcoli di questo integrale di linea.
127
1.1 Ricerca dei potenziali di un campo vettoriale conservativo
x2
Poich´e Ω `e aperto e (x0 , y0 ) ∈ Ω, esiste una palla (nel piano un cerchio) di centro (x0 , y0 )
y b
tutta contenuta in Ω. Ogni punto (x, y) di
γ2 Ω
γ
questa palla `e collegabile a (x0 , y0 ) con una
y0 b
linea che `e l’unione di due segmenti adiacenti
γ1
(al pi` u uno `e degenere, cio`e ridotto ad un solo punto) ciascuno dei quali `e parallelo ad
O
x0
x
x1
uno degli assi cartesiani. Figura 5.7: Curva parametrica che collega (x0 , y0 ) a (x, y). Consideriamo la situazione rappresentata nella Figura 5.7. Il sostegno di γ `e l’unione dei sostegni delle curve γ1 : [0, 1] → R2 e γ2 : [0, 1] → R2 definite da γ1 (t) = (x0 + t(x − x0 ), y0 ),
γ2 (t) = (x, y0 + t(y − y0 )).
Allora un potenziale f di F su Ω `e f (x, y) =
Z
F ·dP =
γ
Z
F ·dP +
γ1
Z
F ·dP = γ2
Z
1
F (γ1 (t))·γ1′ (t) dt+
0
Z
0
1
F (γ2 (t))·γ2′ (t) dt =
essendo per ogni t ∈ [0, 1] γ1′ (t) = (1, 0),
F (γ1 (t)) · γ1′ (t) = F (x0 + t(x − x0 ), y0 ) · (1, 0) = f1 (x0 + t(x − x0 ), y0 ),
e γ2′ (t) = (0, 1),
F (γ2 (t)) · γ2′ (t) = F (x, y0 + t(y − y0 )) · (0, 1) = f2 (x, y0 + t(y − y0 )),
si ottiene =
Z
1
f1 (x0 + t(x − x0 ), y0 ) dt +
0
Z
1
f2 (x, y0 + t(y − y0 )) dt =
0
operando i cambiamenti di variabile s = x0 +t(x−x0 ) e s = y0 +t(y −y0 ) rispettivamente nel primo e nel secondo integrale, si ottiene =
Z
x
x0
f1 (s, y0 ) ds +
Z
y
y0
f2 (x, s) ds.
128
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
x2
Se invece si considera quest’altra situazione
y b
γ
rappresentata nella Figura 5.8, allora in modo del tutto analogo al precedente si ha che
Ω y0 b
un potenziale f di F su Ω `e f (x, y) =
Z
x
x0
f1 (s, y) ds +
Z
y
f2 (x0 , s) ds.
y0
O
x0
x
x1
Figura 5.8: Altra curva parametrica che collega (x0 , y0 ) a (x, y).
Metodo delle integrazioni indefinite Siano Ω ⊆ R2 un aperto non vuoto e F : Ω → R2 un campo vettoriale continuo e conservativo, F = (f1 , f2 ). Se la funzione f : Ω → R `e un potenziale di F su Ω, allora deve soddisfare le seguenti uguaglianze: (1.21)
∂f (x, y) = f1 (x, y), ∂x
∀(x, y) ∈ Ω;
∂f (x, y) = f2 (x, y), ∀(x, y) ∈ Ω. ∂y Essendo F continuo, anche le sue componenti f1 e f2 sono continue. Se in (1.21)
(1.22)
consideriamo y come parametro, risulta che f `e una primitiva di f1 rispetto alla variabile x. Quindi se F1 `e una primitiva di f1 considerata come funzione solo di x, allora esiste una funzione k dipendente solo da y, e quindi costante rispetto a x, tale che (1.23)
f (x, y) = F1 (x, y) + k(y).
Imponendo che f soddisfi (1.22) si ottiene ∂F1 (x, y) + k′ (y) = f2 (x, y) ∂y
=⇒
k′ (y) = f2 (x, y) −
∂F1 (x, y). ∂y
1 Se F2 `e una primitiva di f2 − ∂F ∂y considerata ora come funzione solo di y (l’altra variabile
x `e considerata come un parametro), si ha che esiste c ∈ R tale che k(y) = F2 (x, y) + c.
129
1.1 Ricerca dei potenziali di un campo vettoriale conservativo
Sostituendo in (1.23) si ottiene che un potenziale di F su Ω `e f (x, y) = F1 (x, y) + F2 (x, y) + c. Operativamente, si pu` o procedere il modo pi` u formale nel seguente modo: 1) si integra (1.21) rispetto a x ottenendo (1.24)
f (x, y) =
Z
f1 (x, y) dx = F1 (x, y) + k(y),
dove F1 `e una primitiva di f1 rispetto a x e k `e una qualunque funzione della sola variabile y; 2) si deriva il potenziale cos`ı ottenuto rispetto a y si ottiene ∂ ∂F1 ∂f (x, y) = (F1 (x, y) + k(y)) = (x, y) + k′ (y); ∂y ∂y ∂y 3) si impone che sia soddisfatta (1.22) e si ottiene ∂F1 (x, y) + k′ (y) = f2 (x, y) ∂y
=⇒
k′ (y) = f2 (x, y) −
∂F1 (x, y), ∂y
da cui integrando rispetto a y si ottiene k(y) =
Z
∂F1 f2 (x, y) − (x, y) dy = F2 (x, y) + c, ∂y
dove F2 `e una primitiva di f2 −
∂F1 ∂y
rispetto a y e c ∈ R `e qualunque;
4) si sostituisce in (1.24) e si ottiene c ∈ R.
f (x, y) = F1 (x, y) + F2 (x, y) + c, Questa espressione fornisce tutti i potenziali di F su Ω.
Evidentemente si pu` o procedere anche integrando prima (1.22) rispetto a y e poi imponendo che sia soddisfatta (1.21).
Si ha che F `e di classe C ∞
2xy 1 ,− . 2 2 (1 + x ) 1 + x2 su dom (F ) = R2 che `e semplicemente connesso. Posto
(1.25) Esempio Consideriamo il campo vettoriale F (x, y) =
F = (f1 , f2 ) con f1 (x, y) =
2xy , (1 + x2 )2
f2 (x, y) = −
1 , 1 + x2
si ha che ∂f1 ∂f2 2x (x, y) = (x, y) = . ∂y ∂x (1 + x2 )2
130
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Per il Teorema (1.17) F `e conservativo. Determiniamo ora un potenziale di F . Operando con il metodo di integrazione lungo una curva, si ha che se (x0 , y0 ) = (0, 0) e se (x, y) `e un generico punto di R2 , allora un potenziale f di F `e dato da f (x, y) =
Z
x
f1 (s, 0) ds +
0
Z
y
f2 (x, s) ds =
0
Z
x
0 ds +
0
Z
y
0
1 − 1 + x2
ds = −
y . 1 + x2
Operando con il metodo delle integrazione indefinite, osserviamo che se f `e un potenziale di F , allora si ha che (1.26)
∂f 2xy (x, y) = f1 (x, y) = , ∂x (1 + x2 )2
(1.27)
1 ∂f (x, y) = f2 (x, y) = − . ∂y 1 + x2
Integrando (1.27) rispetto a y si ottiene (1.28)
f (x, y) = −
Z
1 y dy = − + c(x), 2 1+x 1 + x2
dove c `e una funzione della sola variabile x. Sostituendo in (1.26) si ottiene ∂f 2xy 2xy (x, y) = + c′ (x) = 2 2 ∂x (1 + x ) (1 + x2 )2
=⇒
c′ (x) = 0
=⇒
c(x) = c ∈ R.
Sostituendo in (1.28) si ottiene che un potenziale f di F `e f (x, y) = −
y + c, 1 + x2
c ∈ R.
(1.29) Esercizio Nell’Esempio (1.20) abbiamo visto che il campo vettoriale F (x, y) =
2 2x − x22y e conservativo. Se invece consideriamo +y 2 , x2 +y 2 definito su Ω = R \{(0, 0)} non `
F definito ad esempio solo per ogni (x, y) con y > 0, allora `e conservativo? In caso affermativo, chi `e un suo potenziale? (1.30) Esercizio Dimostrare che se Ω ⊆ R3 `e un aperto connesso per archi, F : Ω → R3 `e un campo vettoriale continuo e conservativo, F = (f1 , f2 , f3 ) e (x0 , y0 , z0 ) ∈ Ω, allora un potenziale f : Ω → R di F `e dato da una delle seguenti formule, analoghe a quelle appena viste nel caso bidimensionale: f (x, y, z) =
Z
x
Z
x
f1 (s, y0 , z0 ) ds +
x0
f (x, y, z) =
x0
Z
y
Z
y
f2 (x, s, z0 ) ds +
y0
f1 (s, y0 , z0 ) ds +
y0
f2 (x, s, z) ds +
Z
Z
z
f3 (x, y, s) ds, z0 z
z0
f3 (x, y0 , s) ds,
131
1.1 Ricerca dei potenziali di un campo vettoriale conservativo
f (x, y, z) =
Z
x
f1 (s, y, z0 ) ds +
x0
f (x, y, z) =
Z
x
f1 (s, y, z) ds +
Z
Z
x
Z
f1 (s, y0 , z) ds +
y
f2 (x0 , s, z0 ) ds +
Z
f1 (s, y, z) ds +
Z
z
f3 (x, y, s) ds,
Z
z
f3 (x0 , y, s) ds,
z0
y
f2 (x, s, z) ds +
y
y0
Z
z0
y0
x
x0
f2 (x0 , s, z0 ) ds +
y0
x0
f (x, y, z) =
y
y0
x0
f (x, y, z) =
Z
f2 (x0 , s, z) ds +
Z
z
f3 (x0 , y0 , s) ds,
z0
Z
z
z0
f3 (x0 , y0 , s) ds.
132
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Capitolo 6
Serie numeriche 1
Nozioni preliminari
Introduciamo la nozione di serie numerica reale. Per le serie complesse si veda pag. 160. (1.1) Definizione
Sia (an ) una successione di numeri reali. Si chiama serie di
an la scrittura formale
∞ X
an
n=0
o pi` u semplicemente (dove non vi sia ambiguit` a) termine generale della serie.
P
an . Il numero reale an `e detto
Poniamo S0 = a0 , Sn =
n X
k=0
ak = a0 + a1 + · · · + an ,
∀n ≥ 1.
Per ogni n, Sn `e detta somma parziale n-esima della serie di an . Osserviamo che per ogni n ≥ 1 si ha che Sn = Sn−1 + an . Diciamo che
∞ X
n=0
an converge (o che ` e convergente) se lim Sn = S ∈ R e in tal n
caso chiamiamo somma della serie di an il numero reale S e poniamo ∞ X
n=0
Diciamo che
∞ X
an = lim Sn = S. n
an diverge (o che ` e divergente) positivamente (risp.
n=0
negativamente) se lim Sn = +∞ (risp. −∞). Diciamo che
∞ X
n
an ` e indeterminata se non esiste lim Sn . n
n=0
133
134
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Diciamo che
∞ X
an converge assolutamente se converge la serie
n=0
∞ X
n=0
|an |.
Studiare il carattere di una serie significa stabilire se la serie converge, diverge, oppure `e indeterminata. (1.2) Osservazione Nella scrittura
∞ X
an il numero naturale n `e detto indice della
n=0
serie. Esso assume tutti i valori interi a partire da quello specificato nel simbolo (nell’esempio 0). L’indice `e muto e pu` o essere denominato a piacere senza che si modifichi la nozione in cui esso `e introdotto. Pertanto si ha che ∞ X
an =
n=0
∞ X
ak =
k=0
∞ X
ah .
h=0
(1.3) Esempio (Serie notevoli) 1) Serie geometrica Sia a ∈ R. La serie geometrica di ragione a ∞ X
n
a :
converge a
n=0
1 1−a
se |a| < 1
diverge positivamente
se a ≥ 1
`e indeterminata
se a ≤ −1,
con la convenzione che 00 = 1. Infatti, essendo 1−an+1 = (1−a)(1+a+a2 +· · ·+an ), si ha che Sn =
n X
k=0
ak = 1 + a + a2 + · · · + an =
n+1 1−a
1−a n+1
se a 6= 1, se a = 1.
Quindi se a = 1, allora lim Sn = lim(n + 1) = +∞ e la serie diverge positivamente. n
n
Se a 6= 1, allora 1 1−a
1 − an+1 lim Sn = lim = +∞ n n 1−a
6∃
Ne segue che per |a| < 1 la serie converge a
se |a| < 1 se a > 1 se a ≤ −1.
1 1−a ,
positivamente e per a ≤ −1 la serie `e indeterminata.
per a > 1 la serie diverge
135
1 Nozioni preliminari
2) Serie armonica generalizzata Sia p ∈ R. La serie armonica (generalizzata se p 6= 1) ∞ X 1
n=1
np
(
:
converge
se p > 1
diverge positivamente
se p ≤ 1.
La dimostrazione segue dalle propriet` a delle serie che studieremo nella prossima sessione (vedi pag. 141 e 149). 3) Serie telescopiche Sia (an ) una successione di numeri reali. La serie ∞ X
n=0
(an+1 − an )
`e detta telescopica. In tal caso la somma parziale n-esima della serie `e Sn =
n X
k=0
(ak+1 − ak ) = (a1 − a0 ) + (a2 − a1 ) + · · · + (an − an−1 ) + (an+1 − an ) = = an+1 − a0 .
Pi` u in generale, se p ∈ N, p ≥ 1, nel caso della serie ∞ X
n=0
si ha che Sn =
(an+p − an )
n X
k=0
(ak+p − ak ) =
= (ap − a0 ) + (ap+1 − a1 ) + (ap+2 − a2 ) + · · · + (an+p−1 − an−1 ) + (an+p − an ) = = (an+1 + · · · + an+p ) − (a0 + · · · + ap−1 ) . Un esempio di serie telescopica `e la serie di Mengoli, cio`e la serie Questa serie converge a 1. Infatti, si ha che
= 1− Quindi
1 2
n X 1 1 1 Sn = = − k(k + 1) k=1 k k + 1 k=1
+
n X
1 1 − 2 3
+
1 1 − 3 4
+ ··· +
1 lim Sn = lim 1 − n n n+1 Ne segue che la serie di Mengoli converge a 1.
= 1.
1 . n(n + 1) n=1
=
1 1 − n n+1
∞ X
=1−
1 . n+1
136
2
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Criteri di convergenza
2.1
Criteri di convergenza per tutte le serie
(2.1) Proposizione
Il carattere di una serie non cambia se si aggiunge, oppure
si elimina, oppure si modifica un numero finito di termini. Dimostrazione. Sia
P
an una serie e sia
finito di termini della serie
P
P
bn la serie ottenuta modificando un numero
an (in modo analogo si procede se la serie di bn `e ottenuta
aggiungendo oppure eliminando un numero finito di termini della serie di an ). Dimostriamo che il carattere della serie di bn `e lo stesso di quello della serie di an . Sia p ∈ N tale che an = bn per ogni n ≥ p e siano Sn =
n X
ak ,
σn =
k=0
n X
bk
k=0
le somme parziali n-esime delle serie di an e bn rispettivamente. Allora per ogni n > p si ha che
n X
σn =
bk =
k=0
p X
bk +
n X
| {z }
essendo
ak =
k=p+1
n X
k=0
ak −
p X
σp +
k=p+1
k=0 σp
n X
= x
bk
n X
ak =
k=p+1
a k = bk se k > p
ak si ottiene
k=0
= σp +
n X
k=0
ak −
p X
k=0
ak = σp + Sn − Sp .
Ne segue che per ogni n > p risulta σn = σp + Sn − Sp . Se
P
an converge, allora lim Sn = S ∈ R. Ne segue che n
lim σn = lim(σp + Sn − Sp ) = σp + S − Sp ∈ R n
Se
P
=⇒
n
P
bn converge.
an diverge, allora lim Sn = +∞ (oppure −∞). Ne segue che n
lim σn = lim(σp + Sn − Sp ) = +∞ (oppure −∞) n
Se infine
P
n
=⇒
P
bn diverge.
an `e indeterminata, allora non esiste lim Sn . Ne segue che n
lim σn = lim(σp + Sn − Sp ) 6 ∃ n
n
=⇒
P
bn `e indeterminata.
137
2.1 Criteri di convergenza per tutte le serie
(2.2) Osservazione Come si evince anche dalla dimostrazione, se una serie converge, allora aggiungendo, oppure eliminando o modificando un numero finito di termini, la somma della serie potrebbe cambiare. In particolare, se la serie
∞ X
n=0
m ∈ N, m ≥ 1, si ha che ∞ X
∞ X
an =
n=m
n=0
an −
m−1 X n=0
an = S ∈ R, preso
an = S − (a0 + a1 + · · · + am−1 ).
Ad esempio, ∞ X 1
n=1
2n
(2.3) Proposizione
=
∞ n X 1
2
n=1
=
∞ n X 1
n=0
2
−
0
1 2
∞ X
(Algebra delle serie) Siano
= 1.
an e
n=0
λ ∈ R. Allora valgono i seguenti fatti: a) se
∞ X
an e
n=0
∞ X
bn convergono, allora anche
n=0
(an + bn ) =
n=0
b) se
∞ X
an e
n=0
∞ X
n=0 ∞ X
(an + bn ) e
an +
∞ X
n=0
bn ,
∞ X
λan ,
n=0
λan = λ
n=0
∞ X
∞ X
an ;
n=0
bn divergono entrambe positivamente (risp. negativamente),
n=0 ∞ X
allora anche
bn due serie e
n=0
n=0
convergono e si ha che ∞ X
∞ X
∞ X
(an + bn ) diverge positivamente (risp. negativamente);
n=0
c) se
∞ X
an converge e
n=0
allora
∞ X
∞ X
bn diverge positivamente (risp.
negativamente),
n=0
(an + bn ) diverge positivamente (risp. negativamente).
n=0
` un’immediata conseguenza dell’algebra dei limiti. Dimostrazione. E
138
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(2.4) Teorema
∞ X
(Condizione necessaria) Se
an converge, allora
n=0
lim an = 0. n
Dimostrazione. Sia Sn la somma parziale n-esima della serie Sn−1 + an . Poich´e
P
P
an . Si ha che Sn =
an converge, allora lim Sn = S ∈ R. Essendo (Sn−1 ) una sottosucn
cessione di (Sn ), si ha anche lim Sn−1 = S. Ne segue che n
lim an = lim(Sn − Sn−1 ) = S − S = 0. n
n
(2.5) Osservazione Segue direttamente da questo teorema che lim an 6= 0
=⇒
n
P
an non converge.
Si osservi inoltre che il viceversa del teorema non `e vero, cio`e P
lim an = 0 =⇒ / n
an converge.
∞ X
Infatti, se si considera ad esempio la serie
log 1 +
n=1
lim log 1 + n
1 n
1 , si ha che n
=0
ma la serie diverge positivamente. Infatti, detta Sn la somma parziale n-esima della serie, si ha che n X
1 log 1 + Sn = k k=1
=
n X
[log (k + 1) − log k] =
k=1
= (log 2 − log 1) + (log 3 − log 2) + (log 4 − log 3) + · · · + (log (n + 1) − log n) = log (n + 1). Quindi lim Sn = lim log (n + 1) = +∞ n
n
=⇒
∞ X
n=1
log 1 +
1 n
diverge positivamente.
139
2.2 Criteri di convergenza per le serie a termini positivi
2.2
Criteri di convergenza per le serie a termini positivi
(2.6) Teorema Allora
∞ X
Sia (an ) una successione tale che an ≥ 0 per ogni n ∈ N.
an converge o diverge positivamente a seconda che la successione delle
n=0
somme parziali della serie sia limitata o illimitata. Dimostrazione. Poich´e an ≥ 0 per ogni n, risulta che la successione (Sn ) delle somme parziali della serie
P
an `e crescente. Infatti, si ha che Sn+1 = Sn + an+1 ≥ Sn .
Quindi la successione (Sn ) ammette limite lim Sn = sup Sn . Ne segue che lim Sn `e finito n
n
se (Sn ) `e limitata, mentre `e +∞ se (Sn ) `e illimitata. Nel primo caso secondo diverge positivamente.
n
P
an converge, nel
(2.7) Osservazione In base a questo criterio, se la serie `e a termini positivi, allora o converge o diverge (positivamente) e quindi non pu` o essere indeterminata. Inoltre, combinando questo criterio con la condizione necessaria per la convergenza di una serie (vedi Teorema (2.4)) si ha che an ≥ 0 per ogni n e lim an 6= 0
=⇒
n
(2.8) Teorema
P
an diverge positivamente.
(Criterio del confronto) Siano (an ) e (bn ) due successioni
tali che 0 ≤ an ≤ bn per ogni n ∈ N. Valgono i seguenti fatti: i) se
∞ X
bn converge, allora anche
n=0
∞ X
∞ X
n=0
ii) se
∞ X
n=0
an converge e si ha che
n=0
an diverge, allora anche
an ≤
∞ X
∞ X
bn ;
n=0
bn diverge.
n=0
Dimostrazione. Siano (Sn ) e (σn ) le successioni delle somme parziali delle serie di an e bn rispettivamente. Poich´e an , bn ≥ 0, per il Teorema precedente le serie di an
140
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
e bn convergono o divergono positivamente. In ogni caso esistono i limiti lim Sn = S e n
lim σn = σ con S, σ ∈ [0, +∞]. Inoltre, poich´e an ≤ bn per ogni n, risulta che Sn ≤ σn n
per ogni n. Per il Primo teorema del confronto (sui limiti), si ha che S ≤ σ. Ne segue che i)
P
bn converge
Inoltre, ii)
P
S≤σ
an diverge
σ∈R
=⇒
∞ X
=⇒
n=0
=⇒
S∈R
=⇒ an ≤
S = +∞
∞ X
P
=⇒
bn .
an converge.
n=0
=⇒
σ = +∞
=⇒
P
bn diverge.
(2.9) Osservazione Il Criterio del confronto non esaurisce tutti i casi possibili. In particolare si ha che: a) se 0 ≤ an ≤ bn per ogni n ∈ N e nulla sulla convergenza di
P
an ;
P
bn .
b) se 0 ≤ an ≤ bn per ogni n ∈ N e nulla sulla convergenza di
P
P
bn diverge, allora NON possiamo concludere
an converge, allora NON possiamo concludere
In queste situazioni `e necessario ricorrere ad altri metodi per stabilire il carattere della serie. ∞ X 1
` una serie a termini positivi, quindi . E n2 converge o diverge positivamente. Per ogni n ≥ 2 si ha che (2.10) Esempio Consideriamo la serie
n=1
n2 ≥ n(n − 1) La serie
1 1 ≤ . 2 n n(n − 1)
=⇒
∞ X
1 `e la serie di Mengoli, che converge a 1 (vedi pag. 135). Infatti, n(n − 1) n=2 ∞ X
1 n(n − 1) n=2 Per il Criterio del confronto anche
∞ X 1
n=1 ∞ X 1
n=1
n2
=
∞ X 1
n=2
n2
= x
1 . k(k + 1) k=1
k=n−1
n2
∞ X
converge. Inoltre, si ha che
+1≤
∞ X
1 + 1 = 2. n(n − 1) n=2
141
2.2 Criteri di convergenza per le serie a termini positivi
Utilizzando le serie di Fourier si prova che
∞ X 1
n=1
n2
=
π2 . 6
∞ X 1
` una serie a termini positivi, . E n n=1 quindi converge o diverge positivamente. Per ogni n ≥ 1 si ha che (2.11) Esempio Consideriamo la serie armonica
1 log 1 + n
≤
1 . n
Infatti, se consideriamo la funzione f : [0, +∞) → R definita da f (x) = log(1 + x) − x,
x si ha che f `e derivabile con derivata f 0 (x) = − x+1 < 0 per ogni x ≥ 0. Quindi f `e
decrescente in [0, +∞) e in particolare si ha che f (x) ≤ f (0) = 0 per ogni x ≥ 0, cio`e log(1 + x) − x ≤ 0. Preso x = serie
∞ X
n=1
diverge.
log 1 +
1 n
1 n
si ottiene che log 1 +
1 n
≤
1 n
per ogni n ≥ 1. La
diverge (vedi pag. 138). Per il Criterio del confronto anche
∞ X 1
n=1
n
(2.12) Esercizio Utilizzando il Criterio del confronto provare che la serie armonica ∞ X 1 converge per p > 2 e diverge per p < 1. generalizzata np n=1 (2.13) Teorema
(Criterio del confronto asintotico) Siano (an ) e (bn ) due
successioni tali che an ≥ 0 e bn ≥ 0 per ogni n ∈ N. Supponiamo che esista lim n
an = l ∈ [0, +∞). bn
Valgono i seguenti fatti: i) se l > 0, allora
∞ X
an converge se e solo se
n=0
ii) se l = 0 e
bn converge;
n=0
∞ X
bn converge, allora anche
∞ X
an diverge, allora anche
n=0
iii) se l = 0 e
∞ X
∞ X
an converge;
n=0
n=0
∞ X
bn diverge.
n=0
Dimostrazione. i) Se l > 0, per la definizione di limite preso ε = n ≥ n0 si ha
l 2
≤
an bn
≤
3 2 l.
In particolare,
l 2
l 2 bn
esiste n0 ∈ N tale che per ogni ≤ an ≤
3 2 lbn
per ogni n ≥ n0 .
Applicando le Proposizioni (2.1) e (2.3) e il Criterio del confronto ne segue che P
an converge se e solo se
P
bn converge.
142
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
ii), iii) Se l = 0, per la definizione di limite preso ε = 1 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ n0 si ha
an bn
≤ 1. In particolare, an ≤ bn per ogni n ≥ n0 . Applicando la
Proposizione (2.1) e il Criterio del confronto si ottiene tesi.
(2.14) Osservazione Le tre affermazioni del teorema precedente possono essere cos`ı riformulate: i) se an , bn ≥ 0 per ogni n ∈ N e an ∼ l bn con l 6= 0 per n → +∞, allora converge se e solo se
∞ X
∞ X
an
n=0
bn converge;
n=0
ii) se an , bn ≥ 0 per ogni n ∈ N, an = o(bn ) per n → +∞ e anche
∞ X
∞ X
bn converge, allora
n=0
an converge;
n=0
iii) se an , bn ≥ 0 per ogni n ∈ N, an = o(bn ) per n → +∞ e anche
∞ X
∞ X
an diverge, allora
n=0
bn diverge.
n=0
(2.15) Osservazione Il Criterio del confronto asintotico non esaurisce tutti i casi possibili. In particolare si ha che: a) se an , bn ≥ 0 per ogni n ∈ N, an = o(bn ) per n → +∞ e NON possiamo concludere nulla sulla convergenza di
P
b) se an , bn ≥ 0 per ogni n ∈ N, an = o(bn ) per n → +∞ e possiamo concludere nulla sulla convergenza di
P
an .
bn ;
P
P
an converge, allora
bn diverge, allora NON
In queste situazioni `e necessario ricorrere ad altri metodi per stabilire il carattere della serie. ∞ X
1 ` una serie a termini positivi, . E −n+1 n=1 quindi converge o diverge positivamente. Osserviamo che per ogni n ≥ 1 si ha che (2.16) Esempio Consideriamo la serie
n2 − n + 1 ≤ n2
=⇒
n2
n2
1 1 ≥ 2. −n+1 n
143
2.2 Criteri di convergenza per le serie a termini positivi
La serie
∞ X 1
converge (vedi Esempio (2.10)) ma non `e possibile applicare il Criterio n2 del confronto. Osserviamo per` o che n=1
1 1 ∼ 2, n2 − n + 1 n
n → +∞.
Quindi per il Criterio del confronto asintotico la serie
∞ X
n=1
n2
1 converge. −n+1
∞ X
1 ` una serie a termini positivi, . E 5n + 3 n=1 quindi converge o diverge positivamente. Osserviamo che per ogni n ≥ 1 si ha che (2.17) Esempio Consideriamo la serie
5n + 3 ≥ 5n
=⇒
1 1 ≤ . 5n + 3 5n
∞ X 1
diverge (vedi Esempio (2.11) e l’algebra delle serie) ma non `e possibile 5n applicare il Criterio del confronto. Osserviamo per` o che La serie
n=1
1 1 ∼ , 5n + 3 5n
n → +∞.
Quindi per il Criterio del confronto asintotico la serie
∞ X
1 diverge. 5n +3 n=1
(2.18) Osservazione I criteri del confronto e del confronto asintotico si usano per determinare il carattere di una serie a termini positivi confrontando o confrontando asintoticamente il termine generale di questa serie con quello di una serie di cui `e gi` a noto il carattere. In genere si cerca di confrontare con le serie notevoli ed in particolare con la serie geometrica e la serie armonica generalizzata (vedi Esempio (1.3)). (2.19) Teorema
(Criterio della radice) Sia (an ) una successione tale che
an ≥ 0 per ogni n ∈ N. Supponiamo che esista lim n
√ n
an = l ∈ [0, +∞) ∪ {+∞}.
Valgono i seguenti fatti: i) se l < 1, allora
∞ X
an converge;
∞ X
an diverge.
n=0
ii) se l > 1, allora
n=0
144
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Dimostrazione. Consideriamo inizialmente il caso in cui l ∈ R. Per la definizione di √ limite, per ogni ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ n0 si ha l − ε < n an < l + ε. In particolare, an < (l + ε)n per ogni n ≥ n0 e, se ε ≤ l, si ha anche (l − ε)n < an per ogni n ≥ n0 . Se l < 1, preso ε = con l + ε =
l+1 2
1−l 2
esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ n0 si ha an < (l + ε)n
< 1. Poich´e la serie geometrica di ragione l + ε converge (vedi pag. 134),
per la Proposizione (2.1) e il Criterio del confronto anche Se l > 1, preso ε = con l − ε =
l+1 2
l−1 2
P
an converge.
esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ n0 si ha an > (l − ε)n
> 1. In particolare si ha che lim an ≥ lim(l − ε)n = +∞. n
n
Per la Condizione necessaria per la convergenza delle serie si ha che
P
an diverge.
Infine consideriamo il caso l = +∞. Per la definizione di limite, esiste n0 ∈ N tale √ che per ogni n ≥ n0 si ha n an > 1. In particolare, an > 1 per ogni n ≥ n0 . Ne segue che lim an 6= 0. Per la Condizione necessaria per la convergenza delle serie si ha che n
diverge.
P
an
` necessario ricorrere (2.20) Osservazione Se l = 1 NON si pu` o concludere nulla. E ad un altro metodo per studiare il carattere della serie. ∞ X
2
1 n ` (2.21) Esempio Consideriamo la serie 1− . E una serie a termini positivi, n n=1 quindi converge o diverge positivamente. Osserviamo che
1−
Inoltre n2 log 1 −
1 n
1 n
n2
= en
2
1 log(1− n )
.
∼ −n, per n → +∞, ma en
2
1 log(1− n )
6∼ e−n ,
n → +∞.
Proviamo a ricorrere al Criterio della radice. Si ha che lim n
s
Per il Criterio della radice
n
1 1− n
∞ X
n=1
n2
1 1− n
1 = lim 1 − n n
n2
converge.
n
=
1 < 1. e
145
2.2 Criteri di convergenza per le serie a termini positivi
(2.22) Osservazione Si osservi che n2 log 1 − en
2
1 log(1− n )
1
∼ e−n− 2 = √
1 n
1 , e en
∼ −n − 12 , per n → +∞ e che n → +∞.
2 ∞ X 1 n 1 √ n converge, per il Criterio del confronto asintotico Poich´e 1− conee n n=1 n=1 verge. ∞ X
(2.23) Teorema
(Criterio del rapporto) Sia (an ) una successione tale che
an ≥ 0 per ogni n ∈ N. Supponiamo che esista lim n
an+1 = l ∈ [0, +∞) ∪ {+∞}. an
Valgono i seguenti fatti: i) se l < 1, allora
∞ X
an converge;
∞ X
an diverge.
n=0
ii) se l > 1, allora
n=0
an = l. an−1 Consideriamo inizialmente il caso in cui l ∈ R. Per la definizione di limite, per ogni
Dimostrazione. Essendo
an
an−1
una sottosuccessione di
ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ n0 si ha l − ε <
an+1 an
an an−1
, si ha che lim n
< l + ε. In particolare,
(l − ε)an−1 < an < (l + ε)an−1 per ogni n ≥ n0 . Se l < 1, preso ε =
1−l 2
esiste n0 ∈ N tale che per ogni n > n0 si ha che
an < (l + ε)an−1 < (l + ε)2 an−2 < (l + ε)3 an−3 < · · · < (l + ε)n−n0 an0 con l + ε =
l+1 2
< 1. Poich´e la serie geometrica di ragione l + ε converge (vedi pag. 134),
per la Proposizione (2.1) e il Criterio del confronto anche Se l > 1, preso ε =
l−1 2
P
an converge.
esiste n0 ∈ N tale che per ogni n > n0 si ha che
an > (l − ε)an−1 > (l − ε)2 an−2 > (l − ε)3 an−3 > · · · > (l − ε)n−n0 an0 con l − ε =
l+1 2
> 1. In particolare si ha che lim an ≥ lim(l − ε)n−n0 an0 = +∞. n
n
Per la Condizione necessaria per la convergenza delle serie si ha che
P
an diverge.
146
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Infine consideriamo il caso l = +∞. Per la definizione di limite, esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ n0 si ha
an an−1
> 1. In particolare, an > an−1 per ogni n ≥
n0 , cio`e la successione (an ) `e definitivamente strettamente crescente. Ne segue che lim an = sup an > 0. Per la Condizione necessaria per la convergenza delle serie si ha n
che
P
n
an diverge.
` necessario ricorrere (2.24) Osservazione Se l = 1 NON si pu` o concludere nulla. E ad un altro metodo per studiare il carattere della serie. ∞ X n!
` una serie a termini positivi, quindi . E n n n=1 converge o diverge positivamente. Sappiamo che n! = o(nn ) per n → +∞ (vedi Appen(2.25) Esempio Consideriamo la serie
dice E, pag. 165). Quindi `e verificata la condizione necessaria per la convergenza della serie. Proviamo a ricorrere al Criterio del rapporto. Posto an =
Quindi
n! nn ,
si ha che
(n + 1) n! nn an+1 (n + 1)! nn nn 1 n . = = = · · = n+1 n n an (n + 1) n! (n + 1) (n + 1) n! (n + 1) 1 + n1 lim n
an+1 1 1 n = < 1. = lim n 1 an e 1+ n
Per il Criterio del rapporto
∞ X n!
n=1
nn
converge.
√ (2.26) Osservazione Per la Formula di Stirling si ha che n! ∼ nn e−n 2πn, per n → +∞. In particolare
√ n
n! ∼ ne−1
√
2n
2πn,
n → +∞.
Quindi volendo ricorrere al Criterio della radice per studiare il carattere della serie ∞ X n! , si ha che n n n=1 lim n
s n
√ √ n n! n! ne−1 2n 2πn 1 = lim = lim = < 1. n n nn n n e
Per il Criterio della radice
∞ X n!
n=1
nn
converge.
(2.27) Osservazione Se (an ) `e una successione tale che an ≥ 0 per ogni n ∈ N e se √ an+1 lim = l, allora anche lim n an = l. n→+∞ an n→+∞
147
2.2 Criteri di convergenza per le serie a termini positivi
In altri termini, il Criterio della radice `e pi` u generale di quello del rapporto. Il viceversa non `e vero. Dimostrazione. Consideriamo inizialmente il caso l ∈ R, l > 0. Sia ε > 0 tale che l−
ε 2
> 0. Allora per la definizione di limite si ha che esiste n0 ∈ N tale che ∀n ≥ n0 :
l−
ε an+1 ε <
Si ha che ∀n > n0 :
an =
an an−1 an +1 · · · 0 an0 . an−1 an−2 an0
Quindi n − n0 fattori
z
}|
{
n−n0
an0 .
n−n0
an0 .
an +1 ε an an−1 an = ··· 0 an0 < l + an−1 an−2 an0 2
∀n > n0 :
| {z } | {z }
Pertanto
√ n
ε an < l + 2
| {z }
1− n0
√ n
n
an0 .
Analogamente n − n0 fattori
}|
z
{
an an−1 an +1 ε an = ··· 0 an0 > l − an−1 an−2 an0 2
∀n > n0 :
| {z } | {z } >l− 2ε >l− 2ε
Quindi
√ n
ε an > l − 2
| {z } >l− 2ε
1− n0 n
√ n
an0 .
Ne segue che per ogni n > n0
Poich´e lim n
√ n
ε l− 2
1− n0 n
√ ε √ n n a an < l + n0 < 2
1− n0
√ n
n
an0 .
an0 = 1 (vedi Appendice E pag. 164), ne segue che
ε lim l − n 2 |
1− n0
{z y
ε l− 2
n
}
ε an0 = l − , 2 | {z } √ n
y 1
ε lim l + n 2 |
1− n0 n
{z y
ε l+ 2
}
ε √ n a n0 = l + . 2 | {z } y 1
Quindi per la definizione di limite esiste n1 ∈ N, n1 ≥ n0 , tale che per ogni n > n1 si ha
ε l−ε< l− 2
1− n0 n
√ n
an0 < l,
ε l< l+ 2
1− n0 n
√ n
an0 < l + ε.
148
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Allora per ogni n > n1 si ha che l−ε< cio`e lim n
√ n
√ n
an < l + ε,
an = l.
Se l = 0, allora si procede come nel caso precedente, utilizzando solo la stima √ dall’alto, essendo n an ≥ 0. Infine, se l = +∞, allora si procede come nel caso precedente, utilizzando solo la stima dal basso.
(Criterio di McLaurin) Sia f : [1, +∞) → R una funzione
(2.28) Teorema
non negativa e decrescente1 e sia an = f (n) per ogni n ∈ N, n ≥ 1. Allora
∞ X
Z
an converge se e solo se l’integrale improprio ∞ X
n=2
an ≤
Z
+∞
f (x) dx ≤
1
∞ X
f (x) dx converge e
1
n=1
in tal caso si ha che
+∞
an .
n=1
Dimostrazione. Essendo f descrescente, per ogni n ∈ N e per ogni x ∈ [n, n + 1] si ha che f (n + 1) ≤ f (x) ≤ f (n). In particolare risulta che f (n + 1) =
Z
n+1
n
Posto bn =
Z
si ha che se
f (n + 1) dx ≤
Z
n+1
f (x) dx ≤
n
Z
n+1
f (n) dx = f (n).
n
n+1
n ∞ X
f (x) dx, risulta quindi che an+1 ≤ bn ≤ an . Per il Criterio del confronto an converge, allora
n=1
(2.29)
∞ X
bn converge e
∞ X
bn ≤
n=1
n=1
∞ X
an .
n=1
Inoltre, essendo (2.30)
∞ X
n=1 1
an+1
= x
k=n+1
∞ X
ak
k=2
Poich´e f `e monotona decrescente, allora f `e integrabile secondo Riemann sull’intervallo [0, c], per ogni c ≥ 1.
149
2.2 Criteri di convergenza per le serie a termini positivi
per il Criterio del confronto e la Proposizione (2.1) si ha che se ∞ X
bn converge, allora
n=1
an converge e
n=1
∞ X
(2.31) Quindi
∞ X
n=2 ∞ X
an converge se e solo se
n=1
Sn =
an ≤
∞ X
bn .
n=1
bn converge. Detta Sn la somma parziale n-esima
n=1
della serie di bn , si ha che n X
n Z X
bk =
Quindi si ha che lim Sn = lim n
n
Pertanto la convergenza di
k+1
f (x) dx =
∞ X
Z
Z
n+1
f (x) dx.
1
k=1 k
k=1
Z
∞ X
n+1
f (x) dx =
1
Z
+∞
f (x) dx.
1
bn corrisponde a quella dell’integrale improprio
n=1
+∞
f (x) dx, da cui segue la tesi. Infine, in caso di convergenza si ha che 1 ∞ X
bn =
n=1
Z
+∞
f (x) dx
1
ed essendo an+1 ≤ bn ≤ an , da (2.29), (2.30) e (2.31) segue che ∞ X
n=2
an ≤
Z
+∞ 1
f (x) dx ≤
∞ X
an .
n=1
(2.32) Esempio (Serie armonica generalizzata) Sia p ∈ R. La serie armonica (generalizzata se p 6= 1) ∞ X 1
n=1
np
:
(
converge
se p > 1
diverge positivamente
se p ≤ 1.
Negli Esempi (2.10) e (2.11) abbiamo gi` a considerato separatamente i casi p = 2 e p = 1 rispettivamente. Consideriamo inizialmente p > 0. Sia f : [1, +∞) → R definita da f (x) =
Evidentemente, per ogni n ∈ N con n ≥ 1 si ha f (n) =
1 np .
La funzione f `e positiva e
decrescente. Inoltre l’integrale improrio Z
1
+∞
1 dx : xp
(
1 xp .
converge
se p > 1
diverge positivamente
se p ≤ 1.
150
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Per il Criterio di McLaurin risulta che ∞ X 1
n=1
np
(
:
Infine, se p ≤ 0, allora
converge
se p > 1
diverge positivamente
se 0 < p ≤ 1.
1 lim p = n n
(
1
se p = 0
+∞
se p < 0.
Ne segue che non `e verificata la condizione necessaria per la convergenza della serie e quindi per p ≤ 0 la serie diverge. (2.33) Osservazione Si osserva che per p ≤ 1 e per p ≥ 2 il carattere della serie armonica generalizzata si pu` o dedurre anche utilizzando il Criterio del confronto (vedi Esercizio (2.12)). (2.34) Teorema
(Criterio di condensazione o di Cauchy) Sia (an ) una
successione non negativa e decrescente. Allora
∞ X
an converge se e solo
n=1
∞ X
2n a2n converge e in tal caso si ha che
n=0 ∞ X
n=1
Dimostrazione. Siano Sn =
an ≤
n X
∞ X
2n a2n ≤ 2
n=0
ah e Tk =
k X
∞ X
an .
n=1
2m a2m la somma parziale n-esima della
m=1
h=1
serie di an e la somma parziale k-esima della serie di 2n a2n rispettivamente. Se n ≤ 2k , allora Sn =
n X
h=1
=
a
1 |{z}
20 termini
ah ≤
n X
ah +
h=1
2k+1 X−1
ah =
h=n+1
+ (a2 + a3 ) + (a4 + a5 + a6 + a7 ) + · · · + (a2k + · · · + a2k+1 −1 ) ≤ |
{z
}
21 termini
essendo (an ) decrescente
|
{z
}
22 termini
|
≤ a1 + 2a2 + 22 a22 + · · · + 2k a2k = Tk . Ne segue che se n ≤ 2k , allora Sn ≤ Tk . Viceversa, se n > 2k , allora
Sn =
n X
h=1
k
ah ≥
2 X
h=1
ah =
{z
2k termini
}
151
2.3 Criteri di convergenza per le serie a termini di segno variabile
= a1 + a2 + (a3 + a4 ) + (a5 + a6 + a7 + a8 ) + · · · + (a2k−1 +1 + · · · + a2k ) ≥ |
{z
}
21 termini
essendo (an ) decrescente
|
{z
}
22 termini
|
}
1 2a2 + 22 a22 + · · · + 2k a2k ≥ 2
≥ a1 + a2 + 2a22 + 22 a23 + · · · + 2k−1 a2k = a1 + ≥
{z
2k−1 termini
1 1 a1 + 2a2 + 22 a22 + · · · + 2k a2k = Tk . 2 2
Ne segue che se n > 2k , allora Sn ≥ 12 Tk . Pertanto le successioni delle somme parziali Sn e Tk delle due serie si confrontano l’un l’altra. Ne segue che se una `e limitata (e quindi se la serie corrispondente converge), allora anche l’altra lo `e, da cui scende la tesi. Infine, dalle disuguaglianze precedenti segue che ∞ X
n=1
e
∞ X
n=0
an = lim Sn ≤ lim Tk = n
k
∞ X
2n a2n
n=0
2n a2n = lim Tk ≤ 2 lim Sn = 2 n
k
∞ X
an .
n=1
(2.35) Osservazione Se (an ) `e una successione reale tale che an ≤ 0 per ogni n ∈ N, allora per studiare il carattere della serie positivi
P
P
an conviene considerare la serie a termini
(−an ) alla quale si possono applicare i criteri appena introdotti. Poich´e questa
serie converge o diverge positivamente, essendo an = −(−an ), per l’algebra delle serie la serie
P
an converge o diverge negativamente. Pi` u precisamente:
P
2.3
P
P
(−an ) diverge positivamente =⇒
an converge a −S; an diverge negativamente.
Criteri di convergenza per le serie a termini di segno variabile
(2.36) Teorema Se
P
(−an ) converge a S ≥ 0 =⇒
∞ X
(Criterio della convergenza assoluta)
an converge assolutamente, allora
n=0
∞ X
an converge e si ha che
n=0
∞ ∞ X X an ≤ |an |. n=0
n=0
152
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Dimostrazione. La serie
∞ X
(|an | + an ) `e a termini positivi. Poich´e per ogni n risulta
n=0
|an |+an ≤ 2|an |, per il Criterio del confronto e l’algebra delle serie questa serie converge. Infine, essendo an = (|an | + an ) − |an |, per l’algebra delle serie anche
∞ X
an converge.
n=0
Infine, dette Sn e σn le somme parziali n-esime delle serie di an e |an | rispettivamente, dalla disuguaglianza triangolare del valore assoluto segue che |Sn | ≤ σn per ogni n. Per il Primo teorema del confronto sui limiti si ha che ∞ ∞ X X an = lim |Sn | ≤ lim σn = |an |. n n n=0
n=0
(2.37) Osservazione Il viceversa non `e vero. L’esempio classico `e quello della serie armonica a termini di segno alterno ∞ X (−1)n
n=1
n
.
Poich´e ∞ ∞ n X X 1 (−1) = n n
n=1
n=1
`e divergente, ne segue che la serie armonica a termini di segno alterno non converge assolutamente. Come vedremo a pag. 154 questa serie converge.
Criteri per le serie a termini di segno alterno
(2.38) Definizione
Una serie `e detta a termini di segno alterno se `e della
forma
∞ X
(−1)n bn ,
n=0
dove bn ≥ 0 per ogni n ∈ N.
153
2.3 Criteri di convergenza per le serie a termini di segno variabile
(2.39) Teorema
(Criterio di Leibniz) Sia (bn ) una successione tale che
bn ≥ 0 per ogni n ∈ N. Supponiamo che i) lim bn = 0; n
ii) la successione (bn ) sia decrescente. Allora
∞ X
(−1)n bn converge. In particolare, se Sn `e la somma parziale della serie
n=1
e S `e la somma della serie, si ha che S2n+1 ≤ S ≤ S2n e |Sn − S| ≤ bn+1 , per ogni n ∈ N. Dimostrazione. Sia Sn =
n X
(−1)k bk la somma parziale n-esima della serie. Essendo
k=1
(bn ) decrescente, si ha che S2n+2 =
S2n+1 =
2n+2 X
(−1)k bk =
2n X
(−1)k bk − (b2n+1 − b2n+2 ) ≤ S2n ,
k=1
k=1
2n+1 X
2n−1 X
(−1)k bk =
k=1
k=1
|
{z
}
≥0
(−1)k bk + (b2n − b2n+1 ) ≥ S2n−1 . |
{z
}
≥0
Quindi la successione delle somme parziali con indice pari (S2n ) `e decrescente, mentre quella con indice dispari (S2n+1 ) `e crescente. Inoltre, S2n − S2n+1 = b2n+1 ≥ 0 implica che S2n ≥ S2n+1 per ogni n da cui segue che, essendo (S2n+1 ) crescente, S2n ≥ S1 . Quindi la successione (S2n ) `e anche limitata inferiormente. Per le propriet` a dei limiti delle successioni monotone, ne segue che esiste lim S2n = inf S2n = S ∈ R. In particolare, n
fissato ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥
n
n0 2
si ha
|S2n − S| < ε. Chiaramente S2n ≥ S per ogni n. Per l’ipotesi ii) si ha che lim S2n+1 = lim(S2n − b2n+1 ) = S. n
n
In particolare, esiste n1 ∈ N, n1 ≥ n0 , tale che per ogni n ≥ |S2n+1 − S| < ε. Quindi per ogni n > n1 si ha |Sn − S| < ε.
n1 2
si ha
154
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Ne segue che la serie
∞ X
(−1)n bn converge a S. Chiaramente S2n+1 ≤ S per ogni n, da
n=1
cui segue che S2n+1 ≤ S ≤ S2n per ogni n. In particolare 0 ≤ S − S2n−1 ≤ S2n − S2n−1 ≤ b2n ,
0 ≤ S2n − S ≤ S2n − S2n+1 ≤ b2n+1 ,
da cui segue che |Sn − S| ≤ bn+1 per ogni n.
(2.40) Esempio (Serie armonica a termini di segno alterno) Consideriamo la serie
∞ X (−1)n
n=1
n
.
Nell’Osservazione (2.14) abbiamo gi` a mostrato che non converge assolutamente. Posto bn = n1 , si ha che i) lim bn = lim n
n
1 = 0; n
ii) per ogni n ≥ 1 si ha che bn+1 =
1 n+1
≤
1 n
= bn e quindi la successione (bn ) `e
decrescente. Per il Criterio di Leibniz la serie armonica a termini di segno alterno converge. ∞ X (−1)n Vedremo nel capitolo sulle serie di Taylor che = − log 2. n n=1 (2.41) Osservazione Il Criterio di Leibniz stabilisce una condizione sufficiente affinch´e una serie a termini di segno alterno converga. Quindi, in generale, se non sono soddisfatte le ipotesi, allora NON `e possibile concludere nulla sulla convergenza, divergenza o indeterminatezza della serie. Tuttavia, conviene essere pi` u precisi e considerare separatamente le due ipotesi: a) se non vale l’ipotesi i) del Criterio di Leibniz, cio`e se lim bn 6= 0, allora anche n
lim(−1)n bn 6= 0 e per la condizione necessaria della convergenza di una serie, si ha n
che
∞ X
(−1)n bn non converge, e quindi diverge oppure `e indeterminata;
n=1
b) se la successione (bn ) non `e decrescente, allora o `e crescente, oppure non `e n´e crescente n´e descrescente. Se `e crescente, ma non costantemente nulla, allora risulta che lim bn = sup bn > 0, e quindi per la condizione necessaria della convergenza di n
una serie
∞ X
n
(−1)n bn non converge. Se invece non `e n´e crescente n´e descrescente,
n=1
2.3 Criteri di convergenza per le serie a termini di segno variabile
155
allora NON `e possibile concludere nulla sulla convergenza, divergenza o indetermi` necessario ricorrere ad altri metodi per stabilire il carattere natezza della serie. E della serie. Concludiamo questo paragrafo introducendo il Criterio di Dirichl´et che vale per le serie reali a termini di segno variabile. (2.42) Teorema
(Criterio di Dirichl´ et) Siano
∞ X
an una serie, (Sn ) la suc-
n=0
cessione delle somme parziali di questa serie e (bn ) una successione con bn ≥ 0 per ogni n. Supponiamo che: a) la successione (Sn ) sia limitata; b) la successione (bn ) sia infinitesima e decrescente. Allora la serie
∞ X
an bn converge.
n=0
Dimostrazione. Sia σn =
n X
ak bk la somma parziale n-esima della serie di an bn .
k=0
Essendo ak = Sk − Sk−1 per ogni k ≥ 1 e a0 = S0 , si ha che σn =
n X
ak bk = S0 b0 +
k=0
n X
(Sk − Sk−1 )bk =
k=1
= S0 b0 + (S1 − S0 )b1 + (S2 − S1 )b2 + · · · + (Sn − Sn−1 )bn = = S0 (b0 − b1 ) + S1 (b1 − b2 ) + · · · + Sn−1 (bn−1 − bn ) + Sn bn .
Posto Tn =
n X
k=1
Sk−1 (bk−1 − bk ), si ha che per ogni n ∈ N, n ≥ 1
(2.43)
σn = Tn−1 + Sn bn .
Poich´e (Sn ) `e limitata, esiste M > 0 tale che |Sn | ≤ M per ogni n ∈ N. Inoltre, essendo (bn ) decrescente, si ha che bn−1 − bn ≥ 0, per ogni n ≥ 1. Osserviamo che la serie
∞ X
n=1
Sn−1 (bn−1 − bn ) converge assolutamente. Infatti, se consideriamo la successione
delle somme parziali della serie
∞ X
n=1 n X
k=1
|Sk−1 (bk−1 − bk )| =
|Sn−1 (bn−1 − bn )| si ha che
n X
k=1
|Sk−1 |(bk−1 − bk ) ≤
n X
k=1
M (bk−1 − bk ) =
156
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
= M (b0 − b1 ) + M (b1 − b2 ) + · · · + M (bn−1 − bn ) = M b0 − M bn ≤ M b0 . | {z } ≥0
Quindi la successione delle somme paziali della serie ∞ X
il Teorema (2.6) questa serie converge, cio`e
n=1
∞ X
n=1
|Sn−1 (bn−1 − bn )| `e limitata. Per
Sn−1 (bn−1 − bn ) converge assolutamente
e quindi converge. Essendo Tn−1 la somma parziale (n − 1)-esima di questa serie, ne segue che lim Tn−1 = T ∈ R. n
Poich´e (Sn ) `e limitata e bn → 0 per n → +∞, da (2.43) si ha che lim σn = lim(Tn−1 + Sn bn ) = T ∈ R, n
n
da cui segue la tesi.
(2.44) Osservazione Il Criterio di Leibniz `e un caso particolare del Criterio di Dirichl´et. Infatti, in tal caso an = (−1)n e la somma parziale n-esima della serie di an `e Sn =
n X
k
(−1) =
k=0
3
(
1 se n `e pari 0 se n `e dispari.
Prodotto di due serie
(3.1) Definizione
Siano
∞ X
an e
n=0
∞ X
bn n=0 ∞ X
Cauchy delle serie di an e bn la serie
due serie. Si chiama prodotto di cn , dove
n=0
cn =
n X
k=0
ak bn−k .
157
3 Prodotto di due serie
(3.2) Teorema
∞ X
(di Mertens) Siano
∞ X
an e
n=0
bn due serie convergenti
n=0
rispettivamente a A e B. Supponiamo che almeno una delle due serie converga assolutamente. Allora il prodotto di Cauchy delle serie di an e bn converge a AB. In altri termini, se cn =
n X
ak bn−k , allora
k=0 ∞ X
∞ X
cn =
n=0
an
n=0
Dimostrazione. Supponiamo che
P
!
∞ X
!
bn .
n=0
an converga anche assolutamente. In modo del
tutto analogo si procede se a convergere assolutamente `e somme parziali n-esime delle serie Cn =
n X
k=0
P
an ,
P
bn e
P
P
bn . Siano An , Bn e Cn le
cn rispettivamente. Si ha che
ck = c0 +c1 +· · ·+cn = a0 b0 +(a0 b1 +a1 b0 )+· · ·+(an b0 +an−1 b1 +· · ·+a0 bn ) = = a0 Bn + a1 Bn−1 + · · · + an−1 B1 + an B0 =
= a0 (Bn − B + B) + a1 (Bn−1 − B + B) + · · · + an−1 (B1 − B + B) + an (B0 − B + B) = posto Rn =
∞ X
bk (`e detto il resto n-esimo della serie di bn ) si ottiene
k=n+1
= An B − a0 Rn − a1 Rn−1 − · · · − an−1 R1 − an R0 . Quindi per ogni n ∈ N (3.3)
Cn = An B −
n X
ak Rn−k .
k=0
Poich´e la serie di bn converge a B, si ha che lim Rn = lim n
n
Mostriamo che lim n
n X
k=0
∞ X
bk = lim
k=n+1
n
∞ X
k=0
bk −
n X
bk
k=0
!
= B − B = 0.
ak Rn−k = 0. Sia ε > 0. Poich´e Rk → 0 per k → +∞, esiste
k0 ∈ N tale che |Rk | < ε per ogni k ≥ k0 . Posto M = max{|Rk |}, si ha che per ogni k≤k0
n ≥ k0
≤
n−k X0 k=0
n−k n n X X0 X ak Rn−k = ak Rn−k + ak Rn−k ≤ k=0 k=0 k=n−k0 +1
|ak ||Rn−k | +
n X
k=n−k0 +1
|ak ||Rn−k | ≤ ε
n−k X0 k=0
|ak | + M
n X
k=n−k0 +1
|ak |.
158
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Poich´e
P
an converge assolutamente, posto
∞ X
n=0 n−k X0 k=0
|an | = σ ∈ R, si ha che
|ak | ≤ σ.
Inoltre, n X
|ak | = σ −
k=n−k0 +1
Poich´e
∞ X
n=0
n−k X0
|ak | −
k=0
∞ X
k=n+1
|ak | = σ −
n−k X0 k=0
|ak | − σ −
n X
k=0
!
|ak | .
|an | = σ, si ha che lim n
n−k X0 k=0
Quindi lim n
n X
k=n−k0 +1
|ak | = lim n
|ak | = lim σ − n
n−k X0 k=0
n X
k=0
|ak | = σ.
|ak | − σ −
n X
k=0
Ne segue che esiste n1 ∈ N, n1 ≥ k0 , tale che per ogni n ≥ n1 n X
k=n−k0 +1
!
|ak | = 0.
|ak | ≤ ε.
Pertanto si ha che per ogni n ≥ n1
n−k n X X0 ak Rn−k ≤ ε |ak | + M k=0
k=0
Per l’arbitrariet` a di ε si ha che lim n
n X
n X
k=n−k0 +1
ak Rn−k = 0. Da (3.3) si ha che
k=0
lim Cn = lim An B − n
|ak | ≤ εσ + εM = ε(σ + M ).
n
n X
ak Rn−k
k=0
!
= AB,
da cui segue la tesi.
(3.4) Osservazione Se
P
an e
P
bn convergono ma nessuna delle due converge as-
solutamente, allora il loro prodotto di Cauchy potrebbe non convergere. Infatti, se consideriamo ad esempio an = bn =
(−1)n √ , n+1
si ha che
P
an e
P
bn convergono ma non
assolutamente. Inoltre il termine generale del prodotto di Cauchy delle serie di an e bn `e cn =
n X
k=0
ak bn−k =
n X
k=0
n X (−1)n 1 p = (−1)n . (k + 1)(n − k + 1) (k + 1)(n − k + 1) k=0
p
159
3 Prodotto di due serie
Poich´e per ogni 0 ≤ k ≤ n si ha che (n + 1)2 ≥ (k + 1)(n − k + 1), ne segue che 1 1 ≥ , n+1 (k + 1)(n − k + 1)
e quindi si ha che
p
n n X X 1 1 1 n p p = 1. |cn | = (−1) ≥ (n + 1) = n+1 (k + 1)(n − k + 1) (k + 1)(n − k + 1) k=0
k=0
Ne segue che lim cn 6= 0 e per la condizione necessaria per la convergenza di una serie
P
n
cn non converge.
160
4
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Serie complesse
Poich´e la nozione di limite per una successione in C `e la stessa di quella per le successioni reali (vedi Definizione (1.1) in Appendice E limitatamente al caso l ∈ C), in modo del tutto analogo a quanto visto precedentemente possiamo introdurre la nozione di serie anche nel campo C dei numeri complessi. (4.1) Definizione
Sia (zn ) una successione in C. Si chiama serie di zn la
scrittura formale
∞ X
zn
n=0
o pi` u semplicemente (dove non vi sia ambiguit` a) detto termine generale della serie.
P
zn . Il numero complesso zn `e
Poniamo S0 = z0 , Sn =
n X
k=0
zk = z0 + z1 + · · · + zn ,
∀n ≥ 1.
Per ogni n, Sn `e detta somma parziale n-esima della serie di zn . Osserviamo che per ogni n ≥ 1 si ha che Sn = Sn−1 + zn . Diciamo che
∞ X
n=0
zn converge (o che ` e convergente) se lim Sn = S ∈ C e in tal n
caso chiamiamo somma della serie di zn il numero complesso S e poniamo ∞ X
n=0
zn = lim Sn = S. n
Se lim Sn non esiste, allora diciamo che n
zn non converge (o che non ` e
n=0
convergente). Diciamo che positivi)
∞ X
∞ X
n=0
∞ X
zn converge assolutamente se converge la serie (reale a termini
n=0
|zn |.
(4.2) Osservazione Sia (zn ) una successione in C e siano Re (zn ) e Im (zn ) rispettivamente la parte reale e la parte immaginaria di zn . Essendo zn = Re (zn )+iIm (zn ) ,
|Re (zn ) | ≤ |zn |, |Im (zn ) | ≤ |zn |,
dall’algebra delle serie e dal Criterio del confronto segue che
|zn | ≤ |Re (zn ) |+|Im (zn ) |,
161
4 Serie complesse
a)
P
zn converge a S ∈ C se e solo se
P
Re (zn ) e
mente a Re (S) e Im (S) e in tal caso si ha che ∞ X
zn =
n=0
b)
P
∞ X
Re (zn ) + i
n=0
∞ X
Im (zn ) convergono rispettiva-
Im (zn ) ;
n=0
zn converge assolutamente se e solo se
lutamente.
P
∞ X cos n
(4.3) Esempio Consideriamo le serie
P
Re (zn ) e
P
Im (zn ) convergono asso-
∞ X sin n
e . Sono serie reali a termini n n n=1 di segno variabile ma non alterno. Dalla formula di Eulero si ha che ein = cos n + n=1
i sin n. Quindi queste due serie sono le serie della parte reale e della parte immaginaria ∞ in X e in rispettivamente di en . Osserviamo che non converge assolutamente. Infatti, n n=1 ∞ in ∞ X X 1 e = n n
n=1
1 n
∞ in X e
∞ X
1 = ein · ricorriamo al Criterio di n n n=1 n=1 (il Criterio di Dirichl´et vale anche se (an ) `e una
Per studiare la convergenza della serie Dirichl´et, ponendo an = ein , bn =
che diverge.
n=1
successione complessa). Si ha che la successione (bn ) `e non negativa, infinitesima e decrescente. Detta Sn la somma parziale n-esima della serie di an , si ha che n n X X k ik i |Sn | = e = e k=1
k=1
= x
vedi pag. 134
1 − ei(n+1 ) ei − ei(n+1 ) 2 − 1 = . ≤ 1 − ei 1 − ei |1 − ei |
Quindi (Sn ) `e limitata (in C). Per il Criterio di Dirich´et vazione (4.2) anche le serie
∞ X cos n
∞ X sin n
n=1
n
converge e per l’Osser-
convergono. n n n=1 Osserviamo che queste due serie non convergono assolutamente. Per l’Osservazio∞ in X e ne (4.2) non possono convergere entrambe assolutamente perch´e altrimenti anche n n=1 convergerebbe assolutamente, contraddicendo quanto affermato in precedenza. Essendo n=1
e
∞ in X e
| cos n| ≤ 1, | sin n| ≤ 1, si ha che cos2 n ≤ | cos n|, sin2 n ≤ | sin n|. Per le formule di bisezione si ha che | cos n| cos2 n 1 + cos (2n) 1 cos (2n) ≥ = = + , n n 2n 2n 2n | sin n| sin2 n 1 − cos (2n) 1 cos (2n) ≥ = = − . n n 2n 2n 2n
162
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
∞ X | cos n|
e
∞ X | sin n|
convergesse, allora per il n n n=1 Criterio del confronto convergerebbero anche le serie i cui termini generali sono Se per assurdo una delle due serie
n=1
1 cos (2n) + , 2n 2n Osserviamo che anche
∞ X cos 2n
n=1
Per il Criterio di Dirich´et
2n
∞ i2n X e
n=1
2n
1 cos (2n) − . 2n 2n
converge. Infatti, `e la serie della parte reale di
converge (si procede come nel caso precedente). Ne
segue che, per l’algebra delle serie, anche
∞ X 1
n=1
2n
convergerebbe: assurdo perch´e la se-
rie armonica `e divergente. Ne segue che entrambe le serie convergono assolutamente.
ei2n 2n .
∞ X cos n
n=1
n
e
∞ X sin n
n=1
n
non
Appendice E
Richiami sulle successioni reali 1
Limiti di successioni
Richiamiamo la definizione di limite di una successione.
(1.1) Definizione
Sia (an ) una successione reale e l ∈ R ∪ {±∞}.
Diciamo che (an ) ha limite l per n che tende a +∞ se per ogni intorno I(l) di l esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ n0 si ha che an ∈ I(l). In tal caso scriviamo lim an = l
n→+∞
o pi` u semplicemente
lim an = l. n
In particolare se l ∈ R si ha lim an = l n
∀ε > 0 ∃n0 ∈ N: ∀n ∈ N con n ≥ n0
⇐⇒
si ha che |an − l| < ε,
mentre se l = +∞ (risp. l = −∞) lim an = +∞ (−∞) n
⇐⇒
∀b ∈ R ∃n0 ∈ N: ∀n ∈ N con n ≥ n0 si ha che an > b (an < b).
Diciamo che (an ) converge a l (oppure che (an ) ` e una successione convergente) se lim an = l ∈ R. n
163
164
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Diciamo che (an ) diverge positivamente (risp. negativamente) (oppure che (an ) ` e una successione divergente positivamente (risp. negativamente)) se lim an = +∞ (risp. −∞). n
Diciamo che (an ) ` e indeterminata se non esiste lim an . n
(1.2) Osservazione Poich´e il limite di successione altro non `e che il limite di funzione per la variabile che tende a +∞, per esso valgono tutti i teoremi e le considerazioni fatti per i limiti di funzione di una variabile reale. Pi` u precisamente valgono: 1) il Teorema di unicit` a del limite; 2) il Teorema della limitatezza locale; 3) il Teorema della permanenza del segno e le sue conseguenze; 4) l’algebra dei limiti (somma, prodotto, quoziente e composizione); 5) i teoremi del confronto e loro conseguenze; 6) il teorema sui limiti delle successioni monotone. Inoltre anche per i limiti di successione si introducono le stesse forme indeterminate e si hanno i seguenti limiti notevoli: 1) lim
√ n
2) lim
√ n
3) lim
√ n
n
n
n
nk = 1, per ogni k ∈ R.
ak = 1, per ogni a > 0 e k ∈ R.
n! = +∞.
4) lim 1 + n
5) lim n
a n
n
= ea , per ogni a ∈ R.
logp n = 0, per ogni p, k ∈ R con k > 0. nk
165
Appendice E Limiti di successioni
6) lim n
nk = 0, per ogni k, a ∈ R con a > 1. an
7) lim nk an = 0, per ogni k > 0 e 0 < a < 1; n
8) lim
an = 0, per ogni a ∈ R. n!
9) lim
n! = 0. nn
n
n
Formula di Stirling
(1.3) Definizione
√ n! ∼ nn e−n 2πn,
n → +∞.
Sia (an ) una successione. Diciamo che una successione (bn )
` e una sottosuccessione (o successione estratta) di (an ) se bn = aϕ(n) , dove ϕ : N → N `e una successione strettamente crescente. Usualmente una sottosuccessione di (an ) si denota con (ank ).
Una sottosuccessione di una successione (an ) `e quindi una successione i cui termini sono selezionati tra quelli della successione di partenza, in modo che se un elemento `e selezionato, allora i successivi sono selezionati fra quelli che hanno un indice maggiore di quest’ultimo. (1.4) Teorema
Sia (an ) una successione reale.
Supponiamo che lim an = l ∈ R ∪ {±∞}. n
Allora per ogni sottosuccessione (ank ) di (an ) si ha che lim ank = l. k
(1.5) Teorema
(di Bolzano-Weierstrass) Sia (an ) una successione reale
limitata. Allora (an ) ammette almeno una sottosuccessione convergente.
166
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.6)
Teorema
(Criterio
del
rapporto
Sia (an ) una successione a termini positivi. an+1 lim = l ∈ [0, +∞) ∪ {+∞}. n an Allora valgono i seguenti fatti:
per
le
successioni)
Supponiamo che esista
i) se l < 1, allora lim an = 0; n
ii) se l > 1, allora lim an = +∞. n
` necessario ricorrere ad (1.7) Osservazione Se l = 1 NON si pu` o concludere nulla. E un altro metodo per calcolare lim an . n
(1.8) Teorema
(Criterio della radice per le successioni) Sia (an ) una suc√ cessione a termini positivi. Supponiamo che esista lim n an = l ∈ [0, +∞) ∪ {+∞}. n
Allora valgono i seguenti fatti: i) se l < 1, allora lim an = 0; n
ii) se l > 1, allora lim an = +∞. n
` necessario ricorrere ad (1.9) Osservazione Se l = 1 NON si pu` o concludere nulla. E un altro metodo per calcolare lim an . n
Il Criterio della radice `e pi` u generale di quello del rapporto, come afferma il seguente risultato (vedi pag. 146). (1.10) Teorema Sia (an ) una successione a termini positivi. Supponiamo che an+1 esista lim = l ∈ [0, +∞) ∪ {+∞}. n an √ Allora lim n an = l. n
Capitolo 7
Successioni di funzioni Nel seguito considereremo m ∈ N, m ≥ 1.
1
Nozioni preliminari sulle successioni di funzioni
Introduciamo le nozioni per le funzioni reali. In modo del tutto analogo si introducono per le funzioni complesse.
(1.1) Definizione
Siano Ω ⊆ Rm non vuoto, (fn ) una successione di funzioni
da Ω in R e f : Ω → R. Diciamo che (fn ) converge puntualmente a f in Ω se ∀x ∈ Ω :
lim fn (x) = f (x). n
In tal caso la funzione f `e detta il limite puntuale della successione (fn ) e scriviamo lim fn = f. n
Equivalentemente, (fn ) converge puntualmente a f in Ω se ∀x ∈ Ω :
lim |fn (x) − f (x)| = 0. n
Quindi la successione di funzioni (fn ) converge puntualmente a f in Ω se per ogni x ∈ Ω la successione reale (fn (x)) converge a f (x). 167
168
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.2) Definizione
Siano Ω ⊆ Rm non vuoto, (fn ) una successione di funzioni
limitate da Ω in R e f : Ω → R una funzione. Diciamo che (fn ) converge uniformemente a f in Ω se lim kfn − f k∞ = 0, n
dove kfn − f k∞ = sup |fn (x) − f (x)|. x∈Ω
(1.3) Osservazione Per il Teorema di Weierstrass se Ω ⊆ Rm `e compatto, cio`e chiuso e limitato, non vuoto e f : Ω → R `e continua, allora |f | ammette massimo. In tal caso si ha che
kf k∞ = sup |f (x)| = max |f (x)|. x∈Ω
x∈Ω
(1.4) Osservazione Per definizione (fn ) converge uniformemente a f in Ω se
lim kfn − f k∞ = 0, n
dove kfn − f k∞ = sup |fn (x) − f (x)|. Questo significa che x∈Ω
∀ε > 0 ∃n0 ∈ N tale che ∀n ≥ n0 e ∀x ∈ Ω si ha f (x) − ε < fn (x) < f (x) + ε.
Quindi definitivamente (cio`e da un certo n0 in poi) il grafico di tutte le funzioni fn `e contenuto nella “striscia” compresa fra i grafici delle funzioni f − ε e f + ε.
169
1 Nozioni preliminari sulle successioni di funzioni
y
f +ε fn f f −ε
O
a
b
x
Figura 7.1: Convergenza uniforme su un intervallo.
(1.5) Esempio Consideriamo la successione di funzioni fn : [0, 1] → R definite da fn (x) = xn . Determiniamo il limite puntuale della successione (fn ) e controlliamo se la convergenza `e uniforme. Si ha che per ogni x ∈ [0, 1] n
lim fn (x) = lim x = n
n
(
0 se 0 ≤ x < 1 1 se x = 1.
Quindi la successione (fn ) converge puntualmente su [0, 1] alla funzione f (x) =
(
0 se 0 ≤ x < 1 1 se x = 1.
Controlliamo se la convergenza `e uniforme, ossia se lim kfn − f k∞ = lim sup |fn (x) − f (x)| = 0. n
n x∈[0,1]
Si ha che per ogni n |fn (x) − f (x)| =
(
xn
se 0 ≤ x < 1
0
se x = 1.
Quindi per ogni n kfn − f k∞ = sup |fn (x) − f (x)| = sup xn = 1. x∈[0,1]
x∈[0,1)
170
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Ne segue che lim kfn − f k∞ = 1 6= 0 e quindi (fn ) non converge uniformemente a f su n
[0, 1]. Questo fatto `e ben visibile anche graficamente. Infatti, in un intorno sinistro del punto x = 1 non `e vero che per ogni ε > 0 il grafico delle funzioni fn `e definitivamente contenuto fra quello delle funzioni f − ε e f + ε, y
1
fn
f
ε
1
O
x
−ε
Figura 7.2: Il grafico di fn non `e definitivamente contenuto fra i grafici di f − ε e f + ε.
(1.6) Esempio Consideriamo la successione di funzioni fn : [0, a] → R definite da fn (x) = xn , con 0 < a < 1. Determiniamo il limite puntuale della successione (fn ) e controlliamo se la convergenza `e uniforme. Si ha che per ogni x ∈ [0, a] lim fn (x) = lim xn = 0. n
n
Quindi la successione (fn ) converge puntualmente su [0, a] alla funzione f (x) = 0. Controlliamo se la convergenza `e uniforme, ossia se lim kfn − f k∞ = lim sup |fn (x) − f (x)| = 0. n
n x∈[0,a]
Si ha che per ogni n |fn (x) − f (x)| = xn
=⇒
kfn − f k∞ = sup |fn (x) − f (x)| = an . x∈[0,a]
171
1 Nozioni preliminari sulle successioni di funzioni
Essendo 0 < a < 1, ne segue che lim kfn − f k∞ = lim an = 0 n
n
e quindi (fn ) converge uniformemente a f su [0, a]. Questo fatto `e ben visibile anche graficamente. Infatti, per ogni ε > 0 il grafico delle funzioni fn `e definitivamente contenuto fra quello delle funzioni f − ε e f + ε, y
f2 (x) = x2
f5 (x) = x5
ε
f
O
a
x a = 0, 75
−ε
Figura 7.3: Il grafico di fn `e definitivamente contenuto fra i grafici di f − ε e f + ε.
(1.7) Proposizione Siano Ω ⊆ Rm non vuoto, (fn ) una successione di funzioni limitate da Ω in R convergente uniformemente a f in Ω. Allora (fn ) converge puntualmente a f in Ω. Dimostrazione. Per ogni x ∈ Ω si ha che 0 ≤ |fn (x) − f (x)| ≤ kfn − f k∞ . Poich´e kfn −f k∞ → 0, per il Secondo teorema del confronto (sui limiti) anche |fn (x)−f (x)| → 0 per ogni x ∈ Ω, da cui la tesi.
(1.8) Proposizione
Siano Ω ⊆ Rm non vuoto, (fn ) una successione di funzioni
continue e limitate da Ω in R convergente uniformemente a f in Ω. Allora f `e continua.
172
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Dimostrazione. Sia x0 ∈ Ω. Proviamo che f `e continua in x0 , cio`e che ∀ε > 0 ∃δ > 0 tale che ∀x ∈ Ω con |x − x0 | < δ si ha |f (x) − f (x0 )| < ε. Sia ε > 0. Poich´e (fn ) converge uniformemente a f in Ω, si ha che ∃n0 ∈ N tale che ∀n ≥ n0 e ∀x ∈ Ω si ha |fn (x) − f (x)| < 3ε . Poich´e fn0 `e continua, si ha che ∃δ > 0 tale che ∀x ∈ Ω con |x − x0 | < δ si ha |fn0 (x) − fn0 (x0 )| < 3ε . Ne segue che per ogni x ∈ Ω con |x − x0 | < δ si ha che |f (x) − f (x0 )| ≤ |f (x) − fn0 (x)| + |fn0 (x) − fn0 (x0 )| + |fn0 (x0 ) − f (x0 )| <
ε ε ε + + = ε. 3 3 3
Pertanto f `e continua in x0 e per l’arbitrariet` a di x0 si ha la tesi.
(1.9) Osservazione Nell’Esempio (1.5) abbiamo visto che la successione di funzioni fn (x) = xn su [0, 1] non converge uniformemente al suo limite puntuale f (x) =
(
0 se 0 ≤ x < 1 1 se x = 1.
Questo fatto si pu` o dedurre molto pi` u facilmente facendo ricorso alla Proposizione (1.8). Infatti, poich´e le funzioni fn sono continue mentre f non `e continua su [0, 1], per la Proposizione (1.8) la successione (fn ) non converge uniformemente a f su [0, 1].
2
Passaggio al limite sotto il segno di integrale e derivata (2.1) Teorema
(Passaggio al limite sotto il segno di integrale)
Sia (fn ) una successione di funzioni continue su [a, b] convergente uniformemente a f in [a, b]. Allora
Z
b
a
f (x) dx =
Z
b
a
lim fn (x) dx = lim n
n
Z
b
a
fn (x) dx.
Dimostrazione. Proviamo che ∀ε > 0 ∃n0 ∈ N tale che ∀n ≥ n0 si ha
Z Z b b fn (x) dx − f (x) dx < ε. a a
173
2 Passaggio al limite sotto il segno di integrale e derivata
Sia ε > 0. Poich´e (fn ) converge uniformemente a f in [a, b], esiste n0 ∈ N tale che per ε b−a .
ogni n ≥ n0 si ha che kfn − f k∞ <
Ne segue che per ogni n ≥ n0
Z Z Z Z b b b b fn (x) dx − f (x) dx = (fn (x) − f (x)) dx ≤ |fn (x) − f (x)| dx ≤ a a a a
≤
Z
b
a
kfn − f k∞ dx = kfn − f k∞ (b − a) <
Pertanto lim n
(2.2) Teorema
Z
b
a
fn (x) =
Z
ε (b − a) = ε. b−a
b
f (x) dx.
a
(Passaggio al limite sotto il segno di derivata)
Siano I ⊆ R un intervallo aperto e (fn ) una successione di funzioni di classe C 1 su I. Supponiamo che: i) la successione (fn ) converga puntualmente ad una funzione f su I; ii) la successione (fn0 ) converga uniformemente ad una funzione g su ogni sottointervallo chiuso e limitato contenuto in I. Allora f `e di classe C 1 su I e f 0 (x) = g(x) per ogni x ∈ I. In particolare si ha che
f 0 = D lim fn = lim D(fn ), n
dove D `e l’operatore di derivazione.
n
Dimostrazione. Sia x0 ∈ I. Proviamo che f `e derivabile in x0 con derivata continua
e che f 0 (x0 ) = g(x0 ).
Sia [a, b] ⊆ I con x0 ∈ [a, b].
Poich´e fn0 `e continua su [a, b], per il Teorema
fondamentale del calcolo integrale si ha che ∀x ∈ [a, b] :
fn (x) = fn (x0 ) +
Z
x x0
fn0 (t) dt.
Introduciamo la funzione G : [a, b] → R definita da ∀x ∈ [a, b] :
G(x) = f (x0 ) +
Z
x
g(t) dt.
x0
Dimostriamo che (fn ) converge uniformemente a G su [a, b]. Sia ε > 0.
174
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Poich´e per l’ipotesi i) (fn ) converge puntualmente a f su I, esiste n0 ∈ N tale che
per ogni n ≥ n0 si ha |fn (x0 ) − f (x0 )| < 4ε .
Poich´e per l’ipotesi ii) (fn0 ) converge uniformemente a g su [a, b], esiste n1 ∈ N, n1 ≥
n0 , tale che per ogni n ≥ n1 si ha kfn0 − gk∞ <
ε 4(b−a) .
Inoltre per la Proposizione (1.8)
si ha che g `e continua su [a, b]. Allora per ogni n ≥ n1 e per ogni x ∈ [a, b] con x ≥ x0 si ha che Z |fn (x) − G(x)| = fn (x0 ) +
x
x0
Z
≤ |fn (x0 ) − f (x0 )| +
≤ |fn (x0 ) − f (x0 )| +
x
x0
Z
fn0 (t) dt
− f (x0 ) −
Z
x
x0
(fn0 (t) − g(t)) dt ≤ |fn (x0 ) − f (x0 )| + b
a
Z
x
Z
b
|fn0 (t) − g(t)| dt ≤ |fn (x0 ) − f (x0 )| +
= |fn (x0 ) − f (x0 )| + kfn0 − gk∞ (b − a) <
g(t) dt ≤ x0
a
|fn0 (t) − g(t)| dt ≤ kfn0 − gk∞ dt =
ε ε ε ε ε + (b − a) = + = . 4 4(b − a) 4 4 2
Similmente per ogni n ≥ n1 e per ogni x ∈ [a, b] con x < x0 si ha che |fn (x) − G(x)| < 2ε .
Quindi per ogni n ≥ n1 e per ogni x ∈ [a, b] si ha che |fn (x) − G(x)| < 2ε . Ne segue che per ogni n ≥ n1 kfn − Gk∞ = sup |fn (x) − G(x)| ≤ x∈[a,b]
ε < ε. 2
Quindi (fn ) converge uniformemente a G su [a, b]. In particolare (fn ) converge puntualmente a G su [a, b]. Poich´e per l’ipotesi i) (fn ) converge puntualmente a f su I, per il Teorema di unicit` a del limite si ha che G = f su [a, b]. Quindi si ha che ∀x ∈ [a, b] :
f (x) = f (x0 ) +
Z
x
g(t) dt.
x0
Per il Teorema fondamentale del calcolo integrale si ha che f `e derivabile in [a, b] con f 0 (x) = g(x) per ogni x ∈ [a, b]. In particolare f `e derivabile in x0 con derivata continua e f 0 (x0 ) = g(x0 ). Per l’arbitrariet` a di x0 si ha la tesi.
175
3 Approfondimenti: scambio di ordine nei limiti
3
Approfondimenti: scambio di ordine nei limiti (3.1) Teorema m
Siano Ω ⊆ R
(Scambio di ordine nei limiti)
non vuoto, x0 ∈ Rm un punto di accumulazione per Ω e (fn ) una
successione di funzioni limitate da Ω in R. Supponiamo che: i) (fn ) converga uniformemente ad una funzione f in Ω; ii) per ogni n ∈ N esista lim fn (x) = ln ∈ R. x→x0
Allora esiste lim ln = l ∈ R e si ha che lim f (x) = l. In particolare si ha che n
x→x0
lim
x→x0
lim fn (x) = lim n
n
lim fn (x) .
x→x0
Dimostrazione. Proviamo inizialmente che la successione (ln ) `e di Cauchy in R, cio`e che ∀ε > 0 ∃n0 ∈ N tale che ∀n, m ≥ n0 si ha che |ln − lm | < ε. Sia ε > 0. Poich´e (fn ) converge uniformemente a f in Ω, esiste n0 ∈ N tale che per ogni
n ∈ N, con n ≥ n0 , si ha kfn − f k∞ < 3ε . Ne segue che per ogni n ∈ N, con n ≥ n0 , e per ogni x ∈ Ω si ha (3.2)
|fn (x) − f (x)| <
ε . 3
In particolare per ogni n, m ∈ N, con n, m ≥ n0 , e per ogni x ∈ Ω si ha |fn (x) − fm (x)| ≤ |fn (x) − f (x)| + |f (x) − fm (x)| <
2 ε ε + = ε. 3 3 3
Poich´e fn (x) → ln per x → x0 , si ha che 2 |ln − lm | = lim |fn (x) − fm (x)| ≤ ε < ε. x→x0 3 Quindi (ln ) `e di Cauchy. Poich´e R `e uno spazio normato completo 1 , la successione (ln ) converge ad un certo l ∈ R. Dimostriamo ora che lim f (x) = l. Poich´e ln → l per n → +∞, esiste n1 ∈ N, con x→x0
n1 ≥ n0 , tale che per per ogni n ∈ N con n ≥ n1 si ha |ln − l| < 3ε . In particolare per n = n1 si ha |ln1 − l| < 3ε . Poich´e fn1 (x) → ln1 per x → x0 , esiste δ > 0 tale che per ogni 1
Uno spazio normato `e completo se ogni successione di Cauchy in questo spazio `e convergente (vedi Appendice F).
176
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
x ∈ Ω con 0 < |x − x0 | < δ si ha |fn1 (x) − ln1 | < 3ε . Quindi, applicando (3.2) si ha che per ogni x ∈ Ω con 0 < |x − x0 | < δ |f (x) − l| ≤ |f (x) − fn1 (x)| + |fn1 (x) − ln1 | + |ln1 − l| < Ne segue che f (x) → l per x → x0 , da cui la tesi.
ε ε ε + + = ε. 3 3 3
Capitolo 8
Serie di funzioni Nel seguito considereremo m ∈ N, m ≥ 1.
1
Nozioni preliminari sulle serie di funzioni
Introduciamo le nozioni per le funzioni reali. In modo del tutto analogo si introducono per le funzioni complesse.
(1.1) Definizione
Siano Ω ⊆ Rm non vuoto e (fn ) una successione di funzioni
da Ω in R. Si chiama serie di fn la scrittura formale ∞ X
fn (x).
n=0
Per ogni x ∈ Ω poniamo S0 (x) = f0 (x), Sn (x) =
n X
k=0
fk (x) = f0 (x) + f1 (x) + · · · + fn (x),
n ≥ 1.
Per ogni n, Sn `e detta somma parziale n-esima della serie di fn . Diciamo che
∞ X
n=0
fn (x) converge puntualmente in Ω alla funzione f : Ω → R
se la successione (Sn ) converge puntualmente a f in Ω, cio`e se per ogni x ∈ Ω lim Sn (x) = f (x). n
177
178
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
In tal caso f `e detta somma della serie di fn e poniamo ∀x ∈ Ω : Diciamo che
∞ X
∞ X
fn (x) = lim Sn (x) = f (x). n
n=0
fn (x) converge assolutamente in Ω se la serie
n=0
n=0
converge puntualmente in Ω.
Fissato x ∈ Ω, la serie
∞ X
∞ X
|fn (x)|
fn (x) `e una serie numerica. Quindi questa definizione
n=0
corrisponde a quella introdotta per le serie numeriche.
(1.2) Definizione
Siano Ω ⊆ Rm non vuoto, (fn ) una successione di funzioni
limitate da Ω in R, (Sn ) la successione delle somme parziali della serie di fn e f : Ω → R una funzione. Diciamo che
∞ X
fn (x) converge uniformemente a f
n=0
in Ω se la successione (Sn ) converge uniformemente a f in Ω, cio`e se lim kSn − f k∞ = 0, n
dove kSn − f k∞ = sup |Sn (x) − f (x)|. Diciamo che
∞ X
x∈Ω
fn (x) converge totalmente (o normalmente) in Ω se converge
n=0
la serie numerica
∞ X
n=0
kfn k∞ ,
dove kfn k∞ = sup |fn (x)|. x∈Ω
(1.3) Osservazione Evidentemente le serie numeriche sono serie di funzioni costanti. In tal caso la convergenza uniforme coincide con quella puntuale e la convergenza totale coincide con quella assoluta. Il prossimo risultato stabilisce quale relazione sussista fra i quattro tipi di convergenza introdotti per una serie di funzioni limitate.
179
1 Nozioni preliminari sulle serie di funzioni
(1.4) Proposizione Siano Ω ⊆ Rm non vuoto e (fn ) una successione di funzioni limitate da Ω in R. Allora valgono le seguenti implicazioni fra i vari tipi di convergenza della serie ∞ X
fn (x):
n=0
Convergenza totale
=⇒
w w
Convergenza assoluta =⇒ 1
Dimostrazione. Se convergenza assoluta
∞ X
n=0 ∞ X
Convergenza uniforme w w
Convergenza puntuale
fn (x) converge assolutamente in Ω, allora per il Criterio della fn (x) converge puntualmente in Ω e si ha
n=0
∀x ∈ Ω : Se
∞ X
∞ ∞ X X fn (x) ≤ |fn (x)|. n=0
n=0
fn (x) converge uniformemente in Ω, allora la successione (Sn ) delle somme parziali
n=0
della serie di fn converge uniformemente in Ω. Per la Proposizione (1.7) del Capitolo 7 (Sn ) converge puntualmente in Ω e quindi Se
∞ X
∞ X
fn (x) converge puntualmente in Ω.
n=0
fn (x) converge totalmente in Ω, allora
n=0
∞ X
n=0
kfn k∞ converge. Essendo |fn (x)| ≤
kfn k∞ per ogni x ∈ Ω, per il Criterio del confronto anche x ∈ Ω, quindi
∞ X
∞ X
n=0
fn (x) converge assolutamente in Ω.
n=0
Infine, supponiamo che converga. Dimostriamo che nei passi precedenti, la serie
∞ X
fn (x) converga totalmente in Ω, cio`e che
n=0 ∞ X
1
∞ X
n=0
kfn k∞
fn (x) converge uniformemente in Ω. Per quanto visto
n=0 ∞ X
fn (x) converge assolutamente e puntualmente in Ω con
n=0
(1.5)
|fn (x)| converge per ogni
∀x ∈ Ω :
∞ ∞ X X fn (x) ≤ |fn (x)|. n=0
Vale pi` u in generale anche per funzioni non limitate.
n=0
180
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Siano Sn (x) =
n X
fk (x) la somma parziale n-esima della serie e f (x) =
k=0
∞ X
fk (x) la
k=0
somma della serie. Per ogni x ∈ Ω si ha che
n ∞ ∞ X X X |Sn (x) − f (x)| = fk (x) − fk (x) = fk (x) ≤ x k=0 k=0 k=n+1
(1.5)
≤
∞ X
k=n+1
|fk (x)|
≤ x
k=n+1
|fk (x)|≤kfk k∞
Ne segue che
∞ X
kSn − f k∞ = sup |Sn (x) − f (x)| ≤ x∈Ω
Poich´e
∞ X
k=0
lim n
kfk k∞ .
∞ X
kfk k∞ .
∞ X
kfk k∞ −
k=n+1
kfk k∞ converge, allora
∞ X
k=n+1
kfk k∞ = lim n
∞ X
k=0
kfk k∞ −
n X
k=0
kfk k∞
!
=
k=0
∞ X
k=0
kfk k∞ = 0.
Per il Secondo teorema del confronto (sui limiti) anche lim kSn − f k∞ = 0 n
da cui segue che
∞ X
fn (x) converge uniformemente in Ω.
n=0
(1.6) Proposizione Siano Ω ⊆ Rm non vuoto, (fn ) una successione di funzioni continue e limitate da Ω in R e f : Ω → R una funzione. Se
∞ X
fn (x) converge uniformemente a f in Ω, allora f `e continua.
n=0
Dimostrazione. Si applica la Proposizione (1.8) del Capitolo 7 alla successione (Sn ) delle somme parziali della serie di fn .
(1.7) Osservazione Fra convergenza uniforme e convergenza assoluta non c’`e alcuna implicazione. Questo significa che esistono serie che convergono uniformemente ma non assolutamente e serie che convergono assolutamente ma non uniformemente. Per esempio, la serie di funzioni costanti fn (x) =
(−1)n n
converge uniformemente
ma non assolutamente su R. Infatti, per l’Osservazione (1.3) la convergenza uniforme
181
1 Nozioni preliminari sulle serie di funzioni
coincide con quella puntuale, ed essendo convergente
∞ X (−1)n
n
n=1
formemente in R. Inoltre per ogni x ∈ R si ha che ∞ X
n=1
Quindi
∞ X
∞ ∞ X (−1)n X 1 |fn (x)| = = n n n=1
, converge anche uni-
`e divergente.
n=1
fn (x) non converge assolutamente.
n=1
Un esempio di serie convergente assolutamente ma non uniformemente `e ∞ X
arctan (nx) − arctan [(n − 1)x] .
n=1
` una serie di funzioni continue su R. Per ogni n ≥ 1 poniamo fn (x) = arctan (nx) − E arctan [(n − 1)x]. Osserviamo che la serie data `e telescopica. Consideriamo inizialmente la convergenza puntuale. La somma parziale n-esima della serie `e Sn (x) =
n X
n X
fk (x) =
k=1
k=1
arctan (kx) − arctan [(k − 1)x] =
= arctan x + arctan 2x − arctan x + · · · + arctan (nx) − arctan [(n − 1)x] = = arctan (nx). Quindi la somma della serie `e
f (x) = lim Sn (x) = lim arctan (nx) = n
n
π − 2
0
π 2
se x < 0 se x = 0 se x > 0.
Quindi la serie converge puntualmente in R alla funzione f . Osserviamo che fn `e continua in R, mentre f non `e continua in 0. Per la Proposizione (1.6) la serie data non converge uniformemente e totalmente in R. Infine consideriamo la convergenza assoluta. Osserviamo che fn (x) ≥ 0 se e solo se x ≥ 0. Inoltre fn `e dispari. Ne segue che se x ≥ 0, allora la serie f (x); se x < 0, allora la serie
∞ X
n=1
|fn (x)| =
serie data converge assolutamente in R a g(x) =
(
∞ X
∞ X
n=1
|fn (x)| converge a
fn (−x) converge a f (−x) = π2 . Quindi la
n=1
0
se x = 0
π 2
se x 6= 0
= |f (x)|.
182
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.8) Teorema (Criterio di Weierstrass) Siano Ω ⊆ Rm non vuoto e (fn ) una successione di funzioni da Ω in R. Suppponiamo che esista una successione (Mn ) in R tale che: i) |fn (x)| ≤ Mn per ogni x ∈ Ω e ogni n ∈ N; ii) la serie
∞ X
Mn sia convergente.
n=0
Allora
∞ X
fn (x) converge totalmente in Ω.
n=0
Dimostrazione. Poich´e |fn (x)| ≤ Mn per ogni x ∈ Ω e ogni n ∈ N si ha che kfn k∞ = sup |fn (x)| ≤ Mn . x∈Ω
Poich´e ∞ X
∞ X
Mn converge, per il Criterio del confronto anche
n=0
∞ X
n=0
kfn k∞ converge e quindi
fn (x) converge totalmente in Ω.
n=0
(1.9) Osservazione Per l’ipotesi i) le funzioni fn sono tutte limitate.
1.1
Integrazione e derivazione termine a termine
(1.10) Teorema
(di integrazione termine a termine) Sia (fn ) una
successione di funzioni continue in [a, b].
Supponiamo che
∞ X
fn (x) converga
n=0
uniformemente ad una funzione f in [a, b]. Allora
Z
b
a
f (x) dx =
Z
∞ bX
a n=0
fn (x) dx =
∞ Z X
b
n=0 a
fn (x) dx.
(Si dice che la serie `e integrabile termine a termine). Dimostrazione. Si applica il Teorema di passaggio al limite sotto il segno di integrale alla successione delle somme parziali della serie di fn (vedi Teorema (2.1) del Capitolo 7).
183
1.1 Integrazione e derivazione termine a termine
(1.11) Teorema
(di derivazione termine a termine) Siano I ⊆ R un in-
tervallo aperto e (fn ) una successione di funzioni di classe C 1 su I. Supponiamo che: i)
∞ X
fn (x) converga puntualmente ad una funzione f su I;
∞ X
fn′ (x) converga uniformemente ad una funzione g su ogni sottointervallo
n=0
ii)
n=0
chiuso e limitato contenuto in I. Allora f `e di classe C 1 su I e f ′ (x) = g(x) per ogni x ∈ I. In particolare si ha che per ogni x ∈ I ′
f (x) = D
∞ X
n=0
!
fn (x)
=
∞ X
Dfn (x),
n=0
dove D `e l’operatore di derivazione. (Si dice che la serie `e derivabile termine a termine). Dimostrazione. Si applica il Teorema di passaggio al limite sotto il segno di derivata alla successione delle somme parziali della serie di fn (vedi Teorema (2.2) del Capitolo 7).
184
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.12) Osservazione Abbiamo gi` a osservato che le serie numeriche sono particolari serie di funzioni (costanti). Nei prossimi capitoli studieremo con maggiore attenzione serie di funzioni non costanti che godono di particolari propriet` a. Pi` u precisamente ci occuperemo di serie di potenze, serie di Taylor (e di McLaurin), serie di Fourier. Da un punto di vista grafico possiamo cos`ı rappresentare questi insiemi di serie di funzioni:
Serie di funzioni
Serie numeriche Serie di potenze
Serie di Taylor e di McLaurin Serie di Fourier
185
1.2 Approfondimenti: limite di una serie
1.2
Approfondimenti: limite di una serie
(1.13) Teorema
(Limite di una serie)
Siano Ω ⊆ Rm non vuoto, x0 ∈ Rm un punto di accumulazione per Ω e (fn ) una successione di funzioni limitate da Ω in R. Supponiamo che: i)
∞ X
fn (x) converga uniformemente ad una funzione f in Ω;
n=0
ii) per ogni n ∈ N esista lim fn (x) = ln ∈ R. x→x0
Allora
∞ X
n=0
ln converge a l ∈ R e si ha che lim f (x) = l. In particolare si ha che x→x0
lim
x→x0
∞ X
n=0
!
fn (x)
=
∞ X
n=0
lim fn (x) .
x→x0
Dimostrazione. Si applica il Teorema sullo scambio di ordine nei limiti alla successione delle somme parziali (Sn ) della serie di fn (vedi Teorema (3.1) del Capitolo 7).
186
2
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Serie di potenze
Introduciamo le serie di potenze reali. Per quelle complesse si veda pag. 213. (2.1) Definizione
Siano x0 ∈ R e (an ) una successione di numeri reali. Si
chiama serie di potenze centrata in x0 la serie di funzioni ∞ X
n=0
an (x − x0 )n ,
con la convenzione che 00 = 1. Si chiama raggio di convergenza della serie di potenze
∞ X
n=0
(
R = sup t ∈ R :
∞ X
an (x − x0 )n l’entit` a
)
n
an t `e convergente .
n=0
Con il cambiamento di variabile t = x − x0 la serie di potenze centrata in x0 diventa una serie di potenze centrata in 0. Infatti, ∞ X
n=0
an (x − x0 )n
= x
t=x−x0
∞ X
an tn .
n=0
Poich´e la serie di potenze converge certamente in x = x0 , ovvero in t = 0, si ha che R ∈ [0, +∞]. Per semplicit` a espositiva, nel seguito considereremo serie di potenze centrate in 0. (2.2) Teorema Siano
∞ X
n=0
(sull’insieme di convergenza)
an xn una serie di potenze e R ∈ [0, +∞] il suo raggio di convergenza.
Valgono i seguenti fatti: i) se R = 0, allora la serie
∞ X
an xn converge solo in x = 0;
n=0
ii) se 0 < R < +∞, allora la serie
∞ X
an xn converge assolutamente nell’in-
n=0
tervallo (−R, R) e uniformemente in ogni intervallo [−k, k], con 0 < k < R; iii) se R = +∞, allora la serie
∞ X
an xn converge assolutamente in R e
n=0
uniformemente in ogni intervallo [−k, k], con k > 0.
187
2 Serie di potenze
Dimostrazione. La i) `e ovvia. Proviamo ii). Sia x ∈ (−R, R). Essendo (
R = sup t ∈ R : esiste |x| < x1 < R tale che
∞ X
∞ X
)
n
an t `e convergente ,
n=0
an xn1 converge. Per il Criterio del confronto
n=0
∞ X
an xn
n=0
converge assolutamente e per l’arbitrariet` a di x ∈ (−R, R) la serie di potenze converge assolutamente in (−R, R). Sia ora 0 < k < R. Per quanto appena dimostrato la serie di potenze converge assolutamente in k. Inoltre per ogni x ∈ [−k, k] si ha che per ogni n ∈ N |an xn | = |an ||x|n ≤ |an |kn . Per il Criterio del Weierstrass
∞ X
an xn converge totalmente, e quindi uniformemente, in
n=0
[−k, k].
Infine la iii) si prova in modo analogo alla ii).
(2.3) Teorema
(di Abel) Siano
n=0
il suo raggio di convergenza. Se la serie di potenze
∞ X
n=0
∞ X
an xn una serie di potenze e R ∈ (0, +∞)
an xn converge anche in x = R (risp. x = −R), allora
converge uniformemente in ogni intervallo [−k, R] (risp. [−R, k]), con 0 < k < R. In particolare, se converge in x = ±R, allora converge uniformemente in [−R, R]. Per la dimostrazione si veda pag. 199. (2.4) Esempio Consideriamo la serie di potenze
∞ X xn
. Determiniamo il raggio di n convergenza. Al momento non abbiamo strumenti per determinare il raggio di convern=0
genza e quindi dobbiamo ricorrere alla definizione. Vedremo in seguito alcuni modi per determinarlo (Teoremi (2.6) e (2.8)). Sia x ∈ R. Si ha che
Poich´e la serie geometrica
∞ X
n=0
n x ≤ |x|n . n
|x|n converge se e solo se |x| < 1, per il Criterio del
confronto la serie di potenze converge in ogni x con |x| < 1. Consideriamo ora x con
188
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
|x| ≥ 1. Si ha che x=1
∞ X xn
=⇒
n=0
x = −1
|x| > 1
=⇒
∞ X xn
=⇒
n=0
xn = lim n n
(
n
n
=
=
∞ X 1
n=0
n
=⇒
∞ X (−1)n
n=0
=⇒
n
+∞
se x > 1
6∃
se x < −1
=⇒
diverge;
converge; ∞ X xn
n=0
n
non converge.
Quindi (
x∈R:
∞ X xn
n=0
n
`e convergente
)
= [−1, 1).
Ne segue che il raggio di convergenza `e R = sup[−1, 1) = 1. La serie di potenze converge assolutamente in (−1, 1) e per il Teorema di Abel converge uniformemente in [−1, k], per ogni 0 < k < 1.
(2.5) Osservazione Siano
∞ X
n=0
an xn una serie di potenze, I ⊆ R l’insieme di conver-
genza puntuale della serie e f : I → R la somma della serie. Allora f `e continua. Dimostrazione. Sia x0 ∈ I. Dimostriamo che la funzione f : I → R definita da ∀x ∈ I :
f (x) =
∞ X
an xn
n=0
`e continua in x0 . Se il raggio di convergenza della serie `e R = 0, allora x0 = 0, I = {0} e la tesi `e ovvia. Sia quindi R ∈ (0, +∞]. Se x0 = 0, essendo R > 0 la serie di potenze converge
uniformemente in [−k, k] per ogni 0 < k < R. Poich´e le funzioni fn (x) = an xn sono continue su I, quindi anche su [−k, k], per la Proposizione (1.6) f `e continua su [−k, k], quindi anche in x0 = 0. Supponiamo che x0 > 0 (analogamente se x0 < 0). Le funzioni fn (x) = an xn sono continue su I, quindi anche su [0, x0 ]. Per i Teoremi (2.2) e (2.3) la serie converge uniformemente in [0, x0 ]. Per la Proposizione (1.6) f `e continua in [0, x0 ] e in particolare in x0 . Per l’arbitrariet` a di x0 si ha la tesi.
189
2 Serie di potenze
(2.6) Teorema
(della radice o di Cauchy-Hadamard) Sia
∞ X
an xn una
n=0
serie di potenze. Supponiamo che esista q n
lim n
|an | = l ∈ [0, +∞].
Allora il raggio di convergenza della serie di potenze `e
R=
+∞ 1
se l = 0 se 0 < l < +∞
l
0
se l = +∞.
Dimostrazione. Sappiamo che la serie di potenze converge in x = 0. Sia x 6= 0. Applichiamo il Criterio della radice alla serie numerica
∞ X
n=0
lim n
q n
q n
|an xn | = lim n
|an | |x| =
Se l = 0, allora per il Criterio della radice
∞ X
n=0
0
|an xn |. Si ha che
se l = 0 se 0 < l < +∞
l|x|
+∞ se l = +∞. n
|an x | converge. Quindi
assolutamente e di conseguenza converge in ogni x 6= 0. Pertanto (
x∈R:
∞ X
n
an x `e convergente
n=0
)
∞ X
an xn converge
n=0
=R
e il raggio di convergenza della serie di potenze `e R = +∞. Se 0 < l < +∞, allora per il Criterio della radice e diverge se l|x| > 1. Quindi se |x| < conseguenza converge. Se |x| > 1l , allora
∞ X
1 l,
allora
∞ X
∞ X
n=0
|an xn | converge se l|x| < 1
an xn converge assolutamente e di
n=0
an xn non converge assolutamente. Se per assurdo convergesse
n=0
in qualche x con |x| > 1l , allora il raggio di convergenza della serie sarebbe R ≥ |x| >
1 l
e quindi per il Teorema (2.2) la serie convergerebbe assolutamente in (−R, R). Quindi convergerebbe assolutamente in qualche t con |t| >
1 l,
contraddicendo quanto appena
dimostrato. Ne segue che
1 1 − , l l
⊆
(
x∈R:
∞ X
n=0
n
an x `e convergente
)
1 1 ⊆ − , . l l
190
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Quindi
1 1 sup − , l l |
{z
= 1l
}
(
≤ sup x ∈ R :
∞ X
n
an x `e convergente
n=0
|
)
{z
}
=R
|
Ne segue che il raggio di convergenza della serie di potenze `e R = 1l . Se l = +∞, allora per il Criterio della radice
∞ X
n=0
1 1 ≤ sup − , . l l {z
= 1l
}
|an xn | diverge e quindi
∞ X
an xn
n=0
non converge assolutamente in alcun x 6= 0. Se per assurdo convergesse in qualche x 6= 0, allora il raggio di convergenza della serie sarebbe R ≥ |x| > 0 e quindi per il Teorema (2.2) la serie convergerebbe assolutamente in (−R, R). Quindi convergerebbe assolutamente in qualche t 6= 0, contraddicendo quanto appena dimostrato. Pertanto (
x∈R:
∞ X
n
an x `e convergente
n=0
)
= {0}
e il raggio di convergenza della serie di potenze `e R = 0.
(2.7) Osservazione Se non esiste lim
q n
|an |, allora NON possiamo concludere nulla ` sul raggio di convergenza della serie di potenze utilizzando il Teorema della radice. E n
necessario ricorrere ad un altro metodo per determinarlo.
(2.8) Teorema
(del rapporto o di D’Alembert) Sia
∞ X
an xn una serie di
n=0
potenze. Supponiamo che esista an+1 = l ∈ [0, +∞]. lim n a n
Allora il raggio di convergenza della serie di potenze `e
R=
+∞ 1 l
0
se l = 0 se 0 < l < +∞ se l = +∞.
Dimostrazione. Sappiamo che la serie di potenze converge in x = 0. Sia x 6= 0. Applichiamo il Criterio del rapporto alla serie numerica
∞ X
n=0
0
a n+1 an+1 n+1 x |x| = l|x| lim = lim n n an xn an
|an xn |. Si ha che
se l = 0 se 0 < l < +∞
+∞ se l = +∞.
191
2 Serie di potenze
Da qui in poi la dimostrazione procede in modo del tutto identico a quella del Teorema della radice.
an+1 , allora NON possiamo concludere nulla (2.9) Osservazione Se non esiste lim n a n
` sul raggio di convergenza della serie di potenze utilizzando il Teorema del rapporto. E necessario ricorrere ad un altro metodo per determinarlo.
(2.10) Osservazione Come gi` a visto nel capitolo sulle serie numeriche (vedi Osservazione (2.27) del Capitolo 6 e Teorema (1.10) dell’Appendice E), se (an ) `e una succes q an+1 = l, allora anche lim n |an | = l. In altri termini, il Teorema sione e se lim n→+∞ an n→+∞ della radice `e pi` u generale di quello del rapporto. q an+1 n . Quindi Si osservi che se non esiste lim |an |, allora non esiste neppure lim n n an in tal caso NON `e possibile n´e applicare il Teorema della radice n´e quello del rapporto ` necessario ricorrere ad un altro per determinare il raggio di convergenza della serie. E metodo per determinarlo. (2.11) Esempio Consideriamo la serie di potenze
∞ X
(2n + 3n ) xn . Determiniamo il
n=0
raggio di convergenza. Proviamo ad applicare il Teorema della radice. Si ha che r
n √ n 2 + 1 = 3. lim n 2n + 3n = lim 3 n n 3n
Quindi il raggio di convergenza della serie di potenze `e R =
1 3.
Ne segue che la serie
converge assolutamente in − 13 , 13 .
Consideriamo ora x = ± 13 . Si ha che x=
x=−
1 3
1 3
=⇒
lim n
2n + 3n = 1 6= 0 3n
lim(−1)n
=⇒
n
Quindi la serie di potenze
2n + 3n 6∃ 3n
∞ X
∞ X 2n + 3n
=⇒
n=0
=⇒
∞ X
(−1)n
n=0
3n
diverge;
2n + 3n non converge. 3n
(2n + 3n ) xn converge puntualmente in
n=0
formemente in [−k, k] per ogni 0 < k < 13 . (2.12) Esempio Consideriamo la serie di potenze
∞ X
n=0
n
− 13 , 13
e uni-
n! xn . Determiniamo il raggio di
convergenza. Proviamo ad applicare il Teorema del rapporto. Si ha che lim
(n + 1)! (n + 1) n! = lim = lim(n + 1) = +∞. n n n! n!
192
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Quindi il raggio di convergenza della serie di potenze `e R = 0. Ne segue che la serie converge solo in x = 0. ∞ X 2n
xn . Determiniamo il raggio n! n=0 n di convergenza. Proviamo ad applicare il Teorema del rapporto. Posto an = 2n! , si ha (2.13) Esempio Consideriamo la serie di potenze
che lim n
an+1 2n+1 2 · 2n 2 n! n! = lim · n = lim · n = lim = 0. n (n + 1)! 2 n (n + 1) n! 2 n n+1 an
Quindi il raggio di convergenza della serie di potenze `e R = +∞. Ne segue che la serie ∞ X 2n n x converge assolutamente su tutto R e uniformemente su [−k, k], per di potenze n! n=0 ogni k > 0. (2.14) Osservazione Sia x0 ∈ R e consideriamo la serie di potenze
∞ X
n=0
an (x − x0 )n .
Il raggio di convergenza R della serie si pu` o determinare come negli esempi precedenti, mediante i teoremi della radice o del rapporto. Si ha che i) se R = 0, la serie
∞ X
n=0
an (x − x0 )n converge solo in x0 ;
ii) se 0 < R < +∞, la serie
∞ X
n=0
an (x − x0 )n converge assolutamente nell’intervallo
(x0 − R, x0 + R) e uniformemente in ogni intervallo [a, b], con x0 − R < a < b < x0 + R; iii) se R = +∞, la serie
∞ X
n=0
an (x − x0 )n converge assolutamente in R e uniformemente
in ogni intervallo [a, b], con a < b. Inoltre, se R ∈ (0, +∞) e la serie di potenze
∞ X
n=0
an (x − x0 )n converge anche in
x = x0 + R (risp. x = x0 − R), allora converge uniformemente in ogni intervallo [a, x0 + R] (risp. [x0 − R, b]), con x0 − R < a < x0 + R (risp. x0 − R < b < x0 + R). In particolare, se converge in x = x0 ± R, allora converge uniformemente in [x0 − R, x0 + R]. Dimostrazione. Per esercizio.
Suggerimento Nelle applicazioni, data la serie di potenze
∞ X
n=0
an (x − x0 )n , conviene ricondursi ad una
serie centrata in 0 mediante il cambiamento di variabile t = x−x0 . Determinato il raggio di convergenza R e gli insiemi di convergenza puntuale e uniforme della serie di potenze
193
2 Serie di potenze
∞ X
an tn , si determinano quelli della serie centrata in x0 (il raggio `e lo stesso) mediante
n=0
il cambiamento di variabile inverso, cio`e x = t + x0 . ∞ X
1 ` una (x − 1)n . E n log (n + 1) 2 n=1 serie di potenze centrata in x0 = 1. Posto t = x − 1 si ha che
(2.15) Esempio Consideriamo la serie di potenze
∞ X
∞ X 1 1 n (x − 1) = tn n n 2 log (n + 1) 2 log (n + 1) n=1 n=1
che `e una serie di potenze centrata in 0.
Determiniamo il raggio di convergenza.
Proviamo ad applicare il Teorema della radice. Si ha che
lim n
s n
1 1 1 = lim p = . n 2 n log (n + 1) 2n log (n + 1) 2
Quindi il raggio di convergenza della serie di potenze `e R = 2. Ne segue che la serie di ∞ X 1 potenze tn converge assolutamente in (−2, 2). n 2 log (n + 1) n=1 Consideriamo ora t = ±2. Si ha che t=2
Essendo
1 log (n+1)
>
1 n+1 ,
=⇒
∞ X
1 . log (n + 1) n=1
per il Criterio del confronto questa serie diverge. Inoltre
t = −2
=⇒
∞ X
(−1)n . log (n + 1) n=1
Per il Criterio di Leibniz questa serie converge. Quindi la serie di potenze centrata ∞ X 1 tn , converge puntualmente in [−2, 2) e, per il Teorema di Abel, in 0, n 2 log (n + 1) n=1 uniformemente in [−2, k] per ogni 0 < k < 2. ∞ X
1 (x − 1)n converge puntuallog (n + 1) n=1 mente in [−1, 3) e uniformemente in [−1, b] con −1 < b < 3. Essendo x = t + 1, si ha che la serie
2n
194
2.1
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Somma e prodotto di serie di potenze
(2.16) Teorema
(Somma di serie di potenze) Siano
∞ X
n=0
due serie di potenze con raggi di convergenza rispettivamente R1 e R2 . Allora la serie di potenze
∞ X
∞ X
an xn e
bn xn
n=0
(an + bn )xn ha raggio di convergenza R
n=0
min{R1 , R2 }.
≥
Se R1 6= R2 , allora il raggio di convergenza `e R = min{R1 , R2 }. Inoltre, per ogni x ∈ R con |x| < min{R1 , R2 } si ha che ∞ X
(an + bn )xn =
n=0
Dimostrazione. ∞ X
rie ∞ X
an xn e
n=0
∞ X
∞ X
an xn +
n=0
∞ X
bn xn .
n=0
Sia Rm = min{R1 , R2 }. Se x ∈ R con |x| < Rm , allora le sebn xn convergono e quindi per l’algebra delle serie converge anche
n=0
(an + bn )xn e si ha che
n=0 ∞ X
n
(an + bn )x =
n=0
∞ X
n
an x +
n=0
∞ X
bn xn .
n=0
In particolare (−Rm , Rm ) ⊆
(
∞ X
x∈R:
)
(an + bn )xn `e convergente .
n=0
Quindi il raggio di convergenza R della serie
∞ X
(an + bn )xn `e tale che
n=0
(
R = sup x ∈ R :
∞ X
n
(an + bn )x `e convergente
n=0
)
≥ sup(−Rm , Rm ) = Rm .
Infine, sia R1 6= R2 , per esempio R1 < R2 (analogamente si procede se R1 > R2 ). In questo caso Rm = min{R1 , R2 } = R1 . Sia R1 < x < R2 e proviamo che non converge. Infatti, se per assurdo convergesse, essendo
∞ X
(an + bn )xn
n=0
an xn = (an + bn )xn − bn xn , allora per l’algebra delle serie anche la serie
∞ X
an xn convergerebbe: assurdo perch´e
n=0
x > R1 . Quindi il raggio di convergenza R della serie
∞ X
(an + bn )xn `e R ≤ R1 = Rm .
n=0
Essendo R ≥ Rm , si ha che R = Rm = min{R1 , R2 }.
195
2.1 Somma e prodotto di serie di potenze
(2.17) Osservazione Si ha che: a) se R1 = R2 = +∞, evidentemente R = +∞; b) se i raggi delle due serie coincidono, pu` o succedere che il raggio di convergenza R della serie somma sia maggiore del loro comune valore. Infatti, se consideriamo ad esempio bn = −an , e se R1 ∈ (0, +∞) `e il raggio di convergenza della serie di potenze
∞ X
an xn , allora il raggio di convergenza della serie di potenze
n=0
∞ X
bn xn `e
n=0
evidentemente R2 = R1 e essendo an + bn = an − an = 0, la serie somma `e nulla e ha raggio di convergenza R = +∞ > R1 .
(2.18) Teorema e
∞ X
(Prodotto di Cauchy di serie di potenze) Siano
∞ X
an xn
n=0 n
bn x due serie di potenze con raggi di convergenza rispettivamente R1 e R2 .
n=0
∞ X
Allora il prodotto di Cauchy delle serie, cio`e la serie di potenze
cn xn , dove
n=0
cn =
n X
ak bn−k ,
k=0
ha raggio di convergenza R ≥ min{R1 , R2 }. Inoltre, per ogni x ∈ R con |x| < min{R1 , R2 } si ha che ∞ X
∞ X
n
cn x =
n
an x
n=0
n=0
!
∞ X
n
bn x
n=0
!
.
Dimostrazione. Sia Rm = min{R1 , R2 }. Se x ∈ R con |x| < Rm , allora le serie ∞ X
n=0
an xn e
∞ X
bn xn convergono assolutamente. Poich´e
n=0 n X
k
n−k
(ak x )(bn−k x
)=
k=0
n X
ak bn−k xn = cn xn ,
k=0
per il Teorema di Mertens sul prodotto di serie, la serie
∞ X
cn xn converge. In particolare
n=0
(−Rm , Rm ) ⊆
(
x∈R:
∞ X
n=0
n
)
cn x `e convergente .
196
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Quindi il raggio di convergenza R della serie
∞ X
cn xn `e tale che
n=0
(
∞ X
R = sup x ∈ R :
cn xn `e convergente
n=0
)
≥ sup(−Rm , Rm ) = Rm .
Infine, sempre per il Teorema di Mertens sul prodotto di serie, si ha che se x ∈ R con |x| < Rm , allora
∞ X
∞ X
cn xn =
n=0
n=0
2.2
an xn
!
∞ X
!
bn xn .
n=0
Integrazione e derivazione termine a termine per le serie di potenze
(2.19) Teorema
(di derivazione termine a termine per le serie di
potenze) Siano
an xn una serie di potenze e R ∈ (0, +∞] il suo raggio di
convergenza.
∞ X
n=0
Allora anche la serie di potenze
∞ X
nan xn−1 ha raggio di convergenza R e si ha
n=1
che ∀x ∈ (−R, R) :
∞ X
D
n
an x
n=0
!
=
∞ X
D (an xn ) =
n=0
∞ X
nan xn−1 ,
n=1
dove D `e l’operatore di derivazione.
Dimostrazione. Denotiamo con R1 il raggio di convergenza della serie Dimostriamo che R1 = R. Per assurdo supponiamo che R1 6= R. ∞ X
n=1
∞ X
nan xn−1 .
n=1
Se fosse R1 > R, allora esisterebbe x ∈ R con R < |x| < R1 tale che la serie nan xn−1 convergerebbe assolutamente. Poich´e |an xn−1 | ≤ |nan xn−1 | per ogni n ≥ 1,
per il Criterio del confronto anche
∞ X
an xn−1 convergerebbe assolutamente. Essendo
n=1 ∞ X
n=1
∞ ∞ X X n−1 |an x | = |an xn−1 |, an−1 x = |x| n
per il Criterio del confronto anche
n=2 ∞ X
n=0
|x| > R. Quindi R1 ≤ R.
n=1
an xn convergerebbe assolutamente: assurdo perch´e
197
2.2 Integrazione e derivazione termine a termine per le serie di potenze
Se fosse R1 < R, allora esisterebbe x ∈ R con R1 < |x| < R tale che la serie convergerebbe assolutamente. Sia t ∈ R tale che |x| < t < R. Quindi anche convergerebbe assolutamente. Poich´e
|x| lim(n + 1) n t
n
|x| |(n + 1)an+1 x | = (n + 1) t Essendo
∞ X
n=1
∞ X
n=0 ∞ X
an tn
n=0
|x| n t
≤ ε. Allora
ε |an+1 |tn ≤ |an+1 |tn+1 . t
∞ tX ε |a tn+1 , ε n=0 t n+1|
|an tn | =
per il Criterio del confronto anche
n
an xn
= 0,
fissato ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n ≥ n0 si ha (n + 1) n
∞ X
(n + 1)an+1 xn =
n=0
∞ X
nan xn−1 convergerebbe as-
n=1
solutamente: assurdo perch´e |x| > R1 . Quindi R1 ≥ R. Ne segue che R1 = R. Infine, applicando il Teorema di derivazione per serie (vedi Teorema (1.11)) alla serie di potenze
∞ X
an xn , si ha che
n=0
∀x ∈ (−R, R) :
D
∞ X
an xn
n=0
!
=
∞ X
D (an xn ) =
n=0
∞ X
nan xn−1 .
n=1
(2.20) Teorema
(di integrazione termine a termine per le serie di
potenze) Siano
an xn una serie di potenze e R ∈ (0, +∞] il suo raggio di
∞ X
n=0
convergenza.
∞ X
1 an xn+1 ha raggio di convergenza R e per n + 1 n=0 ogni x appartenente all’intervallo di convergenza si ha che Allora anche la serie di potenze
Z
x 0
∞ X
n=0
an t
n
!
dt =
∞ Z X
n=0
Dimostrazione. Poich´e an xn = D
0
x
n
an t dt =
1 n+1 n+1 an+1 x
∞ X
1 an xn+1 . n + 1 n=0
, dove D `e l’operatore di derivazione,
per il teorema precedente anche il raggio di convergenza della serie di potenze ∞ X 1 an xn+1 `e R. Inoltre, per ogni x appartenente all’intervallo di convergenza, n + 1 n=0
198
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
la serie di potenze
∞ X
an tn converge uniformemente nell’intervallo di estremi 0 e x, non
n=0
necessariamente in questo ordine. Applicando il Teorema di integrazione per serie (ve∞ X
di Teorema (1.10)) alla serie di potenze
n=0
all’intervallo di convergenza Z
0
x
∞ X
n=0
an t
n
an xn si ha che per ogni x appartenente
!
dt =
∞ Z X
n=0
0
x
n
an t dt =
∞ X
1 an xn+1 . n + 1 n=0
199
2.3 Approfondimenti: dimostrazione del Teorema di Abel
2.3
Approfondimenti: dimostrazione del Teorema di Abel
(2.3) Teorema
(di Abel) Siano
n=0
il suo raggio di convergenza. Se la serie di potenze
∞ X
n=0
∞ X
an xn una serie di potenze e R ∈ (0, +∞)
an xn converge anche in x = R (risp. x = −R), allora
converge uniformemente in ogni intervallo [−k, R] (risp. [−R, k]), con 0 < k < R. In particolare, se converge in x = ±R, allora converge uniformemente in [−R, R]. Dimostrazione. Consideriamo il caso in cui la serie converge in x = R (analogamente si procede nell’altro caso). Sia Sn (x) =
n X
ak xk la somma parziale n-esima della serie
k=0
di potenze. Dimostriamo che la successione (Sn ) `e di Cauchy uniformemente in [0, R], cio`e che ∀ε > 0 ∃n0 ∈ N : ∀n > n0 , ∀p > 0 :
kSn+p − Sn k∞ < ε,
dove kSn+p − Sn k∞ = sup |Sn+p (x) − Sn (x)|. x∈[0,R]
Poich´e la serie converge in x = R, allora la successione reale (Sn (R)) `e di Cauchy. Quindi fissato ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n > n0 e per ogni p > 0 si ha che n+p n+p n X X X |Sn+p (R) − Sn (R)| = ak Rk − ak Rk = ak Rk < ε. k=0 k=0 k=n+1
Sia x ∈ [0, R]. Si ha che
n+p n+p k X X x |Sn+p (x)−Sn (x)| = ak xk = ak Rk R k=n+1 k=n+1
Poniamo b0 = c0 = 0 e
∀j = 1, . . . , n : Osserviamo che
bj =
p X
j=1
x R
n+j
,
bj γj = bp cp −
= x
j=k−n
p n+j X x . an+j Rn+j R j=1
γj = an+j Rn+j ,
cj =
j X
γm .
m=1
p X
(bj − bj−1 )cj−1 .
j=1
Infatti, essendo γj = cj − cj−1 , si ha che bj cj − bj−1 cj−1 = bj cj − bj cj−1 + bj cj−1 − bj−1 cj−1 = = bj (cj − cj−1 ) + (bj − bj−1 ) cj−1 = bj γj + (bj − bj−1 )cj−1 .
200
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Poich´e p X
j=1
(bj cj − bj−1 cj−1 ) = (b1 c1 − b0 c0 ) + (b2 c2 − b1 c1 ) + · · · + (bp cp − bp−1 cp−1 ) = bp cp ,
si ottiene che p X
bj γj +
j=1
p X
(bj − bj−1 )cj−1 =
j=1
p X
j=1
(bj cj − bj−1 cj−1 ) = bp cp
da cui segue immediatamente che p X
j=1
Essendo bj =
x n+j , R
p X
bj γj = bp cp −
(bj − bj−1 )cj−1 .
j=1
γj = an+j Rn+j e j X
cj =
j X
γm =
m=1
m=1
an+m Rn+m = Sn+j (R) − Sn (R),
l’uguaglianza appena provata diventa p X
an+j Rn+j
j=1
=
x R
n+p
(Sn+p (R) − Sn (R)) −
x R
n+j p X x
R
j=1
n+j
−
=
x R
n+j−1 !
(Sn+j−1 (R) − Sn (R)) .
Quindi per ogni n > n0 e p > 0 si ha che
≤
|
x R
n+p
{z
}
<1
p n+j X x ≤ |Sn+p (x) − Sn (x)| = an+j Rn+j R j=1
|Sn+p (R) − Sn (R)) | + |
{z
<ε
}
< ε 1 +
Poich´e
R
j=1
n+j−1 p X x
x R
n
−
x R
n+1
R
+
x R
n+1
=
x R
−
R
j=1
n+j−1 p X x
j=1
=
n+j−1 p X x
−
n
−
x R
x R
n+j ! .
x R
n+j !
n+2
−
x R
−
n+j !
x R
≤ 2,
|
{z
}
<ε
=
x + ··· R
n+p
|Sn+j−1 (R) − Sn (R)| <
n+p−1
−
x R
n+p
=
2.3 Approfondimenti: dimostrazione del Teorema di Abel
201
per ogni n > n0 e p > 0 e per ogni x ∈ [0, R] si ha che |Sn+p (x) − Sn (x)| < 3ε. Ne segue che per ogni n > n0 e p > 0 kSn+p − Sn k∞ = sup |Sn+p (x) − Sn (x)| ≤ 3ε. x∈[0,R]
Poich´e lo spazio delle funzioni limitate in Ω munito della norma k · k∞ `e completo2 , allora la successione (Sn ) converge uniformemente in [0, R]. Quindi la serie di potenze converge uniformemente in [0, R]. Poich´e la serie di potenze converge uniformemente anche in [−k, k], per ogni 0 < k < R, ne segue che converge uniformemente in [−k, R]3 , per ogni 0 < k < R.
3 Uno spazio normato `e completo se ogni successione di Cauchy in questo spazio `e convergente (vedi Appendice F). 3
Si osservi che
sup
x∈[−k,R]
≤ max
sup , sup
x∈[−k,k] x∈[0,R]
.
202
2.4
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Serie di Taylor
(2.21) Definizione
Siano I ⊆ R un intervallo aperto, x0 ∈ I e f : I → R una
funzione di classe C ∞ su I. Si chiama serie di Taylor di f centrata in x0 la serie di potenze
∞ X 1
n! n=0
f (n) (x0 )(x − x0 )n ,
dove f (n) (x0 ) `e la derivata n-esima di f in x0 (con la convenzione che f (0) (x0 ) = f (x0 )). Se x0 = 0 la serie di Taylor `e anche detta serie di McLaurin.
(2.22) Osservazione Per la Formula di Taylor con il resto di Peano se x0 ∈ I e
f : I → R `e una funzione di classe C ∞ su I, allora per ogni n ∈ N si ha che
1 (n) f (x0 )(x − x0 )n + o ((x − x0 )n ) , n!
f (x) = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + · · · + =
dove
n X 1
k! k=0
f (k) (x0 )(x − x0 )k + o ((x − x0 )n ) ,
x → x0
x → x0 ,
n X 1
f (k) (x0 )(x − x0 )k `e il Polinomio di Taylor di f di grado (o ordine) n. k! k=0 Osserviamo che la somma parziale n-esima della serie di Taylor di f `e proprio questo
polinomio. Poich´e la serie di Taylor appare come una generalizzazione dello sviluppo di Taylor, `e lecito chiedersi se la serie di Taylor della funzione f converge a f , cio`e se per ogni x appartenente all’intervallo di convergenza della serie di Taylor di f si ha che f (x) =
∞ X 1
n! n=0
f (n) (x0 )(x − x0 )n .
In generale la risposta `e negativa, come mostra questo esempio. Sia f : R → R definita da f (x) =
(
1
e− x2
se x 6= 0
0
se x = 0.
Si prova facilmente che questa funzione `e di classe C ∞ su R con f (n) (0) = 0 per ogni n ∈ N. Quindi la serie di McLaurin di f `e ∀x ∈ R :
∞ X 1
n! n=0
f (n) (0)xn = 0.
203
2.4 Serie di Taylor
Ne segue che ∀x 6= 0 :
f (x) 6=
∞ X 1
n! n=0
f (n) (0)xn .
Siano I ⊆ R un intervallo aperto, x0 ∈ I e f : I → R una
(2.23) Definizione
funzione di classe C ∞ su I. Diciamo che f ` e sviluppabile in serie di Taylor e analitica in x0 ) se esiste δ > 0 tale che la serie di Taylor di f in x0 (o che f ` centrata in x0 converge in (x0 − δ, x0 + δ) a f , cio`e se ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) :
f (x) =
∞ X 1
n! n=0
f (n) (x0 )(x − x0 )n .
Diciamo che f ` e analitica in I se f `e analitica in ogni x0 ∈ I. La funzione dell’esempio precedente non `e analitica in 0. (2.24) Esempio La funzione f (x) =
1 1−x
`e analitica in 0. Infatti, f `e di classe C ∞ in
(−1, 1) e per ogni n ∈ N si ha che f (n) (x) =
n! (1 − x)n+1
f (n) (0) = n!.
=⇒
Quindi la serie di McLuarin di f `e ∞ X 1
n! n=0
f (n) (0)xn =
∞ X
xn
n=0
che essendo una serie geometrica con ragione x converge se e solo se x ∈ (−1, 1), e in tal caso ∀x ∈ (−1, 1) :
(2.25) Teorema
∞ X
xn =
n=0
1 = f (x). 1−x
Siano x0 ∈ R, δ > 0 e f una funzione di classe C ∞ su
(x0 − δ, x0 + δ). Supponiamo che esista M > 0 tale che ∀n ∈ N,
∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) :
|f (n) (x)| ≤ M.
Allora f `e analitica in x0 . Dimostrazione. Proviamo che esiste µ > 0 tale che per ogni n ∈ N e per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) (2.26)
|f (n) (x)| ≤ µ
n! . δn
204
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Poich´e lim n
n! = +∞, esiste n0 ∈ N tale che per ogni n > n0 si ha δn C = min
n! : n = 0, . . . , n0 , δn
ν = min{C, 1},
n! δn
≥ 1. Poniamo
µ=
M . ν
Poich´e n! ≥ ν, δn
∀n ∈ N,
ne segue che per ogni n ∈ N e per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) |f (n) (x)| ≤ M =
M M n! n! ·ν ≤ · n = µ n. ν ν δ δ
Mostriamo ora che f `e analitica in x0 , cio`e che la serie di Taylor di f in x0 converge in (x0 − δ, x0 + δ) a f . Come osservato in precedenza la somma parziale n-esima della serie di Taylor di f `e il Polinomio di Taylor di f di ordine n, n X 1
Pn (x) =
k! k=0
f (k) (x0 )(x − x0 )k .
Sia x ∈ (x0 − δ, x0 + δ). Per la Formula di Taylor con il resto di Lagrange, per ogni n ∈ N esiste tn compreso fra x0 e x (non necessariamente in questo ordine) tale che f (x) − Pn (x) =
1 f (n+1) (tn )(x − x0 )n+1 . (n + 1)!
Quindi |f (x) − Pn (x)| = per (2.26) ≤
1 (n+1) (tn ) |x − x0 |n+1 ≤ f (n + 1)!
1 (n + 1)! |x − x0 | µ n+1 |x − x0 |n+1 = µ (n + 1)! δ δ
Poich´e |x − x0 | < δ, si ha che
|x−x0 | δ
n+1
.
< 1 e di conseguenza
|x − x0 | lim n δ
n+1
= 0.
Per il Secondo criterio del confronto (sui limiti) si ha che per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) lim |f (x) − Pn (x)| = 0, n
cio`e che lim Pn (x) = f (x) da cui segue la tesi. n
205
2.4 Serie di Taylor
(2.27) Teorema
Sia
∞ X
an xn una serie di potenze con raggio di convergenza
n=0
R ∈ (0, +∞] e per ogni x ∈ (−R, R) sia f (x) =
∞ X
an xn la somma della serie.
n=0
Allora f `e di classe C ∞ su (−R, R) e per ogni n ∈ N si ha che f (n) (0) = n! an . In particolare f `e analitica in x0 = 0 e il suo sviluppo in serie di McLaurin `e ∞ X
an xn .
n=0
` una immediata conseguenza del Teorema di derivazione termine a Dimostrazione. E termine per le serie di potenze (vedi Teorema (2.19)).
Sviluppi in serie notevoli di McLaurin Gli sviluppi in serie notevoli di McLaurin sono quelli delle funzioni di cui sono gi` a noti gli sviluppi di McLaurin. 1) Si ha che ∀x ∈ R :
ex =
∞ X 1
n! n=0
xn .
Infatti, la funzione f (x) = ex `e di classe C ∞ su R e per ogni n ∈ N e x ∈ R si ha
che f (n) (x) = ex . Quindi se x0 ∈ R, per ogni δ > 0 si ha che ∀n ∈ N,
∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ),
(n) f (x) = ex ≤ ex0 +δ .
Per il Teorema (2.25) f `e analitica in x0 . Per l’arbitrariet` a di x0 si ha che f `e analitica in R. Inoltre, essendo δ > 0 qualunque, si ha che ∀x ∈ R :
f (x) = ex =
∞ X 1
n! n=0
f (n) (x0 ) (x − x0 )n =
∞ X 1
n! n=0
ex0 (x − x0 )n .
In particolare per x0 = 0 si ha ∀x ∈ R :
ex =
∞ X 1
n! n=0
xn .
Ne segue che, x=1
=⇒
∞ X 1
n! n=0
= e,
x = −1
=⇒
∞ X (−1)n
n=0
n!
1 = . e
206
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
2) Si ha che ∀x ∈ R :
sin x =
∞ X
(−1)n x2n+1 . (2n + 1)! n=0
Infatti, la funzione f (x) = sin x `e di classe C ∞ su R e per ogni n ∈ N e x ∈ R si ha che f
(n)
(x) =
(
(−1)k sin x
se n = 2k
(−1)k cos x
se n = 2k + 1.
Quindi |f (n) (x)| ≤ 1 per ogni n e per ogni x ∈ R. Per il Teorema (2.25) f `e
analitica in ogni x0 ∈ R. In particolare per x0 = 0 si ha f
(n)
(0) =
(
0
se n = 2k
(−1)k
se n = 2k + 1.
Quindi ∀x ∈ R :
f (x) = sin x =
∞ X 1
n=0
n!
f
(n)
3) Si ha che ∀x ∈ R :
cos x =
Infatti, la funzione f (x) = cos x `e di classe ha che f
(n)
(x) =
(
n
(0) x =
∞ X (−1)n
(2n)!
n=0 C ∞ su
∞ X
(−1)n x2n+1 . (2n + 1)! n=0
x2n .
R e per ogni n ∈ N e x ∈ R si
(−1)k cos x
se n = 2k
(−1)k+1 sin x
se n = 2k + 1.
Quindi |f (n) (x)| ≤ 1 per ogni n e per ogni x ∈ R. Per il Teorema (2.25) f `e
analitica in ogni x0 ∈ R. In particolare per x0 = 0 si ha f (n) (0) =
(
(−1)k
se n = 2k
0
se n = 2k + 1.
Quindi ∀x ∈ R :
f (x) = cos x =
∞ X 1
n! n=0
4) Si ha che ∀x ∈ R :
sinh x =
Infatti, per ogni x ∈ R ex − e−x 1 sinh x = = 2 2
∞ X (−1)n
n=0
(2n)!
∞ X
1 x2n+1 . (2n + 1)! n=0
∞ X 1
n=0
f (n) (0) xn =
n!
n
x −
∞ X (−1)n
n=0
n!
n
x
!
=
x2n .
207
2.4 Serie di Taylor
poich´e le due serie di potenze hanno lo stesso raggio di convergenza R = +∞, dal Teorema (2.16) e dall’Osservazione (2.17) segue che =
∞ 1X 1 (−1)n − 2 n=0 n! n!
xn =
5) Si ha che ∀x ∈ R :
cosh x =
Infatti, per ogni x ∈ R ex + e−x 1 cosh x = = 2 2
∞ X 1
n=0
n!
∞ X
1 x2n+1 . (2n + 1)! n=0
∞ X
1 x2n . (2n)! n=0
n
x +
∞ X (−1)n
n=0
n!
n
x
!
=
poich´e le due serie di potenze hanno lo stesso raggio di convergenza R = +∞, dal Teorema (2.16) e dall’Osservazione (2.17) segue che ∞ 1X 1 (−1)n = + 2 n=0 n! n!
xn =
∞ X
1 x2n . (2n)! n=0
6) Si ha che ∀x ∈ (−1, 1] :
log (1 + x) =
∞ X (−1)n−1
n=1
n
xn =
∞ X (−1)n
n=0
n+1
xn+1 .
Infatti, dall’Esempio (2.24) si ha che ∀x ∈ (−1, 1) :
∞ X 1 = xn . 1 − x n=0
Integrando termine a termine (vedi Teorema (2.20)) si ha che per ogni x ∈ (−1, 1) Z
0
Poich´e
Z
0
x
x
1 dt = 1−t
Z
∞ xX
tn dt =
0 n=0
∞ Z X
x
tn dt =
n=0 0
1 dt = − log (1 − x), si ha che 1−t ∀x ∈ (−1, 1) :
log (1 − x) = −
Osserviamo che per il Criterio di Leibniz la serie x = −1. Infatti, x = −1
=⇒
∞ X
∞ X
1 xn+1 . n + 1 n=0
∞ X
1 xn+1 . n + 1 n=0
∞ X
1 xn+1 converge anche in n + 1 n=0
∞ X 1 (−1)n+1 xn+1 = . n+1 n+1 n=0 n=0
208
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Poich´e per l’Osservazione (2.5) la somma g della serie `e continua in [−1, 1), essendo g(x) = − log (1 − x) per ogni x ∈ (−1, 1), si ha che g(−1) =
lim
x→(−1)+
g(x) =
lim [− log (1 − x)] = − log 2.
x→(−1)+
Quindi ∀x ∈ [−1, 1) :
log (1 − x) = −
Sostituendo −x al posto di x si ottiene ∀x ∈ (−1, 1] : In particolare
log (1 + x) =
∞ X (−1)n
n=0 ∞ X (−1)n
n
n=1
=−
n+1
∞ X (−1)n−1
n
n=1
7) Si ha che ∀x ∈ [−1, 1] :
arctan x =
Infatti, dall’Esempio (2.24) si ha che
∞ X
1 xn+1 . n + 1 n=0 ∞ X (−1)n−1
xn+1 =
n
n=1
xn .
= − log 2.
∞ X (−1)n
2n + 1 n=0
x2n+1 .
∞ X 1 = xn 1 − x n=0
∀x ∈ (−1, 1) : e sostituendo −x2 al posto di x si ottiene
∞ X 1 = (−1)n x2n . 1 + x2 n=0
∀x ∈ (−1, 1) :
Integrando termine a termine (vedi Teorema (2.20)) si ha che per ogni x ∈ (−1, 1) Z
x
0
Poich´e
1 dt = 1 + t2 Z
x 0
Z
∞ xX
n 2n
(−1) t
dt =
0 n=0
∞ Z X
x
n 2n
(−1) t
dt =
n=0 0
∞ X (−1)n
2n + 1 n=0
x2n+1 .
1 dt = arctan x, si ha che 1 + t2 ∀x ∈ (−1, 1) :
arctan x =
∞ X (−1)n
2n + 1 n=0
Osserviamo che per il Criterio di Leibniz la serie in x = ±1. Infatti, x = ±1
=⇒
∞ X (−1)n
n=0
2n + 1
x2n+1 .
∞ X (−1)n
2n + 1 n=0
x2n+1 = ±
x2n+1 converge anche
∞ X (−1)n
n=0
2n + 1
.
209
2.4 Serie di Taylor
Poich´e per l’Osservazione (2.5) la somma g della serie `e continua in [−1, 1], essendo g(x) = arctan x per ogni x ∈ (−1, 1), si ha che g(−1) =
lim
x→(−1)+
g(x) =
lim
x→(−1)+
π arctan x = arctan (−1) = − , 4
g(1) = lim− g(x) = lim− arctan x = arctan 1 = x→1
x→1
Quindi ∀x ∈ [−1, 1] :
arctan x =
∞ X (−1)n
2n + 1 n=0
π . 4
x2n+1 .
8) Si ha che
(1 + x)α =
∞ X
n=0
!
α n x , n
∀x ∈
(−1, 1) (−1, 1] [−1, 1]
R
α dove per ogni α ∈ R si ha che n
!
se α ≤ −1 se −1 < α < 0 se α ≥ 0, α 6∈ N se α ≥ 0, α ∈ N,
α(α − 1) · · · (α − (n − 1))
=
n!
se n ∈ N, n ≥ 1
α se n = 0. ! α n Consideriamo la serie di potenze x e determiniamo il suo raggio di conn n=0 vergenza. Consideriamo inizialmente α 6∈ N. Utilizziamo il Teorema del rapporto. ∞ X
Si ha che
α n+1 α n
α(α − 1) · · · (α − (n − 1))(α − n)
=
(n + 1)!
·
n! = α(α − 1) · · · (α − (n − 1))
α(α − 1) · · · (α − (n − 1))(α − n) n! = |α − n| . = · (n + 1) n! α(α − 1) · · · (α − (n − 1)) n+1
Quindi
lim n
α n+1 α n
= lim n
|α − n| = 1. n+1
Ne segue che il raggio di convergenza della serie di potenze `e R = 1. Quindi ! la serie ∞ X α n converge assolutamente in (−1, 1). Per ogni x ∈ (−1, 1) sia g(x) = x la n n=0 somma della serie. Derivando termine a termine (vedi Teorema (2.19)) si ha che per ogni x ∈ (−1, 1)
∞ X
!
α n−1 g (x) = n x . n n=1 ′
210
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Moltiplicando ad ambo i membri per 1 + x si ottiene !
∞ X
!
!
∞ ∞ α n−1 X α n−1 X α n n x = n x + n x = (1 + x)g (x) = (1 + x) n n n n=1 n=1 n=1 ′
!
α n poich´e per n = 0 si ha che n x = 0, si ottiene n !
∞ X
!
!
"
∞ ∞ X α α n X α α n = (n + 1) x + n x = (n + 1) +n n + 1 n n + 1 n n=0 n=0 n=0
Osserviamo che
!
!#
xn .
!
α α (n + 1) +n = n+1 n = (n + 1)
α(α − 1) · · · (α − (n − 1))(α − n) α(α − 1) · · · (α − (n − 1)) +n = (n + 1)! n!
= (n + 1)
α(α − 1) · · · (α − (n − 1))(α − n) α(α − 1) · · · (α − (n − 1)) +n = (n + 1) n! n! !
α α(α − 1) · · · (α − (n − 1)) =α =α . n n! Quindi ∀x ∈ (−1, 1) :
′
(1 + x)g (x) = α
∞ X
n=0
!
α n x = αg(x). n
In altri termini la somma della serie g soddisfa l’equazione differenziale (1 + x)g′ = αg, che `e del primo ordine a variabili separabili. L’unica soluzione costante `e g(x) = 0 per ogni x ∈ (−1, 1). Per g 6= 0, ricordando che x ∈ (−1, 1), le altre soluzioni sono date da
Z
1 dg = α g
Z
1 dx 1+x c∈R
log |g| = α log (1 + x) + c, log |g| = log [c(1 + x)α ], |g| = c(1 + x)α ,
g(x) = c(1 + x)α ,
c>0
c>0 c 6= 0.
Poich´e g(x) = 0 `e soluzione, tutte le soluzioni dell’equazione sono g(x) = c(1 + x)α ,
c ∈ R.
211
2.4 Serie di Taylor
Quindi la somma della serie `e una funzione della forma g(x) = c(1 + x)α , per qualche c ∈ R. Poich´e per x = 0 la somma della serie `e g(0) = 1, si ottiene c = 1. Quindi la somma della serie `e g(x) = (1 + x)α , cio`e α
∀x ∈ (−1, 1) :
(1 + x) =
∞ X
n=0
!
α n x . n
Inoltre si dimostra che per certi α 6∈ N la serie converge alla funzione somma u precisamente si ha che g(x) = (1 + x)α anche per x = −1 e/o per x = 1. Pi` x∈
(−1, 1)
se α ≤ −1
(−1, 1]
se −1 < α < 0
[−1, 1]
se α ≥ 0, α 6∈ N.
Osserviamo che per α = −1, sostituendo −x al posto di x, si ottiene lo sviluppo 1 1−x
in serie di McLaurin di
(vedi Esempio (2.24)).
Se α = m ∈ N, allora α n
∀n ≥ m + 1 : ∞ X
!
m = n
!
=
m(m − 1) · · · (m − (n − 1)) = 0. n!
!
α n Quindi la serie x ha solo un numero finito di termini non nulli. Pi` u n n=0 precisamente si ha che ∞ X
n=0
!
!
!
m α n X α n m 2 x = x = 1 + mx + x + · · · + m xm−1 + xm = (1 + x)m n n 2 n=0
che `e la formula del binomio di Newton applicato a 1 + x. Evidentemente in questo caso il raggio di convergenza della serie `e R = +∞.
(2.28) Esempio Utilizzando gli sviluppi in serie notevoli di McLaurin e i teoremi di derivazione e integrazione per serie applicati alle serie di potenze `e possibile determinare la somma di alcune serie numeriche. Per esempio, calcoliamo la somma della serie ∞ X
n=2
2n
1 . n(n − 1)
∞ X
xn . Per x = 12 si ottiene la serie numerica di n(n − 1) n=2 partenza. Si vede facilmente che il raggio di convergenza di questa serie `e R = 1 e che Consideriamo la serie di potenze
la serie converge anche in x = ±1. Quindi la serie di potenze converge puntualmente e
212
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
uniformemente in [−1, 1], e quindi puntualmente anche in x = 12 . Determiniamo ora la somma f della serie. Sia x ∈ [−1, 1]. Poich´e xn = n si ha che
Z
x
tn−1 dt,
0
∞ X
∞ X xn 1 = n(n − 1) n − 1 n=2 n=2
Z
x
tn−1 dt =
0
per il Teorema di integrazione termine a termine =
Z
0
∞ xX
1 n−1 t dt = − n − 1 n=2
=−
Z
0
∞ xX
h
0
∞ xX
(−1)n−2 (−t)n−1 dt = x n − 1 n=2
(−1)k−1 (−t)k dt = − k k=1 |
integrando per parti ix
= − t log (1 − t)
Z
0
−
{z
}
=log (1−t)
Z
x
0
k=n−1
Z
x
0
log (1 − t) dt =
Z
t dt = −x log (1 − x) + 1−t h
0
ix
= −x log (1 − x) + t + log |1 − t|
0
x
1−
1 1−t
dt =
=
= −x log (1 − x) + x + log (1 − x) = (1 − x) log (1 − x) + x. Le ultime tre righe hanno senso solo se x ∈ [−1, 1). Quindi per ogni x ∈ [−1, 1) la somma della serie `e f (x) = (1 − x) log (1 − x) + x. Poich´e per l’Osservazione (2.5) la somma f della serie `e continua in [−1, 1], si ha che f (1) = lim [(1 − x) log (1 − x) + x] = 1. x→1−
Quindi la somma della serie `e f (x) = In particolare per x =
1 2
(
(1 − x) log (1 − x) + x
se −1 ≤ x < 1,
1
se x = 1.
si ottiene ∞ X
n=2
1 2n n(n
1 = (1 − log 2). − 1) 2
213
2.5 Serie di potenze complesse
2.5
Serie di potenze complesse
Le serie di potenze possono essere introdotte in modo del tutto analogo anche nel campo
C dei numeri complessi. (2.29) Definizione
Siano z0 ∈ C e (an ) una successione di numeri complessi. Si
chiama serie di potenze centrata in z0 la serie di funzioni ∞ X
n=0
an (z − z0 )n ,
con la convenzione che 00 = 1. Si chiama raggio di convergenza della serie di potenze
∞ X
n=0
(
R = sup |z| :
∞ X
an (z − z0 )n l’entit` a
)
an z n `e convergente .
n=0
Poich´e la serie di potenze converge certamente in z = z0 , si ha che R ∈ [0, +∞].
Evidentemente la nozione di serie di potenze in C generalizza quella introdotta in R. Nel
caso di serie complesse, l’insieme di convergenza non `e pi` u un intervallo ma un intorno in C del centro della serie. (2.30) Teorema Siano
∞ X
n=0
(sull’insieme di convergenza)
an z n una serie di potenze in C e R ∈ [0, +∞] il suo raggio di convergenza.
Valgono i seguenti fatti: i) se R = 0, la serie
∞ X
an z n converge solo in z = 0;
n=0
ii) se 0 < R < +∞, la serie
∞ X
n=0
an z n converge assolutamente nell’insieme {z ∈
C : |z| < R} e uniformemente in ogni insieme {z ∈ C : |z| ≤ k}, con 0 < k < R; iii) se R = +∞, la serie
∞ X
an z n converge assolutamente in C e uniformemente
n=0
in ogni insieme {z ∈ C : |z| ≤ k}, con k > 0. Per le serie di potenze complesse continuano a valere i Teoremi della radice e del rapporto, dove in tal caso il simbolo | · | indica in modulo in C.
214
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
In modo del tutto analogo si introducono le serie di Taylor (a patto di definire la nozione di funzione olomorfa in luogo di quella di classe C ∞ ).
215
3 Serie di Fourier
3
Serie di Fourier
Nel seguito con il termine “integrabile” si intender` a “integrabile secondo Riemann”.
(3.1) Definizione
Siano A ⊆ R non vuoto, f : A → R una funzione e T 6= 0.
e periodica di periodo T se: Diciamo che f ` i) per ogni x ∈ A si ha che x + T ∈ A; ii) per ogni x ∈ A si ha che f (x + T ) = f (x).
Richiamiamo brevemente (senza dimostrarle) alcune propriet` a delle funzioni periodiche che saranno utili nel seguito.
(3.2) Proposizione
Sia A ⊆ R non vuoto. Valgono i seguenti fatti:
a) se f : A → R `e periodica di periodo T 6= 0, allora f `e periodica di periodo nT , per ogni n ∈ Z, n 6= 0; b) se f : A → R `e periodica di periodo T 6= 0, allora per ogni k ∈ R, k 6= 0, la funzione g(x) = f (kx) `e periodica di periodo
T k;
c) le funzioni costanti sono periodiche di periodo T 6= 0 qualunque; d) l’insieme dei periodi positivi di una funzione periodica f ha estremo inferiore nullo se e solo se f `e costante. Inoltre se f non `e costante, questo estremo inferiore `e anche minimo e viene detto periodo minimo di f ; e) se f : R → R `e periodica di periodo T > 0 ed `e integrabile nell’intervallo [0, T ], allora si ha che ∀a ∈ R :
Z
T
f (x) dx = 0
Z
a+T
a
f (x) dx =
Z
T
f (x + a) dx. 0
Introduciamo ora la nozione di serie di Fourier di una funzione periodica di periodo 2π.
216
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(3.3) Definizione
Sia f : R → R una funzione periodica di periodo 2π ed
integrabile nell’intervallo [−π, π]. Si chiama serie di Fourier di f la serie di funzioni a0 +
∞ X
an cos nx + bn sin nx ,
n=1
dove a0 , an , bn ∈ R sono detti coefficienti di Fourier di f e sono definiti nel seguente modo: Z
1 π f (x) dx, 2π −π Z 1 π an = f (x) cos nx dx, π −π Z 1 π bn = f (x) sin nx dx. π −π a0 =
∀n ≥ 1 : ∀n ≥ 1 : Si osserva che
f pari =⇒
bn = 0 per ogni n ≥ 1,
f dispari =⇒
an = 0 per ogni n ≥ 0.
In generale per una funzione periodica di periodo T 6= 0 si ha la seguente (3.4) Definizione
Sia f : R → R una funzione periodica di periodo T > 0
ed integrabile nell’intervallo [0, T ]. Si chiama serie di Fourier di f la serie di funzioni a0 +
∞ X
n=1
2πn 2πn x + bn sin x an cos T T
,
dove a0 , an , bn ∈ R sono detti coefficienti di Fourier di f e sono definiti nel seguente modo: a0 =
Z
∀n ≥ 1 :
1 T f (x) dx, T 0 Z 2 T 2πn f (x) cos x dx, an = T 0 T
∀n ≥ 1 :
2 bn = T
Z
0
T
2πn f (x) sin x dx. T
Poich´e le funzioni f (x), cos αx e sin αx sono integrabili in [−π, π] (risp. in [0, T ]), anche f (x) cos αx e f (x) sin αx sono integrabili4 in [−π, π] (risp. in [0, T ]) e quindi
217
3 Serie di Fourier
a0 , an , bn ∈ R, per ogni n ≥ 1. (3.5) Esempio Sia f : R → R la funzione ottenuta prolungando per periodicit`a a
tutto R la funzione g(x) = |x|, definita per ogni x ∈ [−π, π]. y y = g(x)
π
−3π
−2π
−π
O
2π
π
3π x
Figura 8.1: Grafico di f .
Scriviamo la serie di Fourier di f . Essendo f periodica di periodo 2π e pari, la serie di Fourier di f `e della forma a0 +
∞ X
an cos nx,
n=1
dove a0 =
1 2π
Z
π
1 π
f (x) dx =
−π
Z
π
x dx =
0
π 2
e per ogni n ≥ 1 an =
1 π
Z
π
f (x) cos nx dx =
−π
2 π
Z
π
x cos nx dx =
0
integrando per parti 2 = π =− =
1 x sin nx n
π 0
π
2 1 − cos nx nπ n
2 [(−1)n − 1] = n2 π
1 − n
(
=
0
Z
π
sin nx dx = 0
2 [cos nπ − 1] = n2 π
0
se n = 2m,
4 (2m+1)2 π
se n = 2m + 1,
m ∈ N.
Quindi la serie di Fourier di f `e ∞ π 4 X 1 − cos [(2n + 1)x]. 2 π n=0 (2n + 1)2 4
Si ricorda che se f e g sono integrabili in [a, b], allora anche f g `e integrabile in [a, b]. Infatti, 1 f (x)g(x) = (f (x) + g(x))2 − (f (x) − g(x))2 . 4
218
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(3.6) Osservazione Nell’esempio precedente abbiamo visto che la serie di Fourier della funzione f : R → R ottenuta prolungando per periodicit` a a tutto R la funzione g(x) = |x|, definita per ogni x ∈ [−π, π], `e
∞ 4 X 1 π − cos [(2n + 1)x]. 2 π n=0 (2n + 1)2
Ci poniamo le seguenti domande:
1) per quali x ∈ R questa serie converge?
2) per tali x la somma della serie `e f (x)?
3) la convergenza `e uniforme?
Osserviamo che per ogni n ∈ N, n ≥ 1, e ogni x ∈ R si ha che
1 1 ≤ cos [(2n + 1)x] . (2n + 1)2 (2n + 1)2
(3.7)
∞ X
1 converge, per il Criterio di Weierstrass la serie di Fourier (2n + 1)2 n=1 converge totalmente, e quindi anche uniformemente, assolutamente e puntualmente su Poich´e la serie
R. Quindi in questo caso abbiamo risposto a due delle tre domande che ci siamo posti. Nel prossimo paragrafo, vedremo che sotto opportune ipotesi `e possibile rispondere anche alla domanda 2) e, pi` u precisamente, `e possibile determinare la somma della serie (per la serie di Fourier in questione si veda l’Osservazione (3.19)).
219
3 Serie di Fourier
(3.8) Definizione
Siano f : R → R una funzione periodica di periodo 2π ed
integrabile nell’intervallo [−π, π] e n ∈ N, n ≥ 1. Si chiama polinomio trigonometrico di grado n associato a f la funzione Pn (x) = a0 +
n X
ak cos kx + bk sin kx
k=1
dove a0 , ak , bk sono i coefficienti di Fourier di f . Osserviamo che per ogni n ≥ 1 il polinomio trigonometrico Pn `e la somma parziale n-esima della serie di Fourier di f . Per ogni n ≥ 1 la funzione an cos nx + bn sin nx `e detta armonica n-esima di f . Se n = 1 la funzione a1 cos x + b1 sin x `e detta armonica fondamentale di f . Si chiama frequenza dell’armonica n-esima il numero reale
n 2π
(`e il reciproco del
periodo minimo dell’armonica). Si chiama ampiezza dell’armonica n-esima il numero reale ρn =
p
a2n + b2n .
Si chiama fase dell’armonica n-esima l’angolo ϑn rappresentato in Fig. 8.2.
an b
ρn
ϑn b
bn Figura 8.2: Fase dell’armonica. Evidentemente si ha che an = ρn sin ϑn ,
bn = ρn cos ϑn .
Sostituendo queste espessioni nella serie di Fourier di f si ottiene a0 +
∞ X
n=1
an cos nx + bn sin nx = a0 +
= a0 +
∞ X
n=1 ∞ X
n=1
ρn sin ϑn cos nx + cos ϑn sin nx =
ρn sin (nx + ϑn )
220
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
che `e l’espressione della serie di Fourier di f in termini di ampiezza e fase delle singole armoniche. Convergenza della serie di Fourier In virt` u della propriet` a b) della Proposizione (3.2) possiamo considerare solo le funzioni periodiche di periodo 2π ed enunciare i risultati per queste funzioni. Infatti, se f `e periodica di periodo T 6= 0, allora la funzione g(x) = f
T 2π x
`e periodica di periodo 2π.
(3.9) Definizione Sia f : [a, b] → R una funzione. Diciamo che f ` e continua a tratti se f `e continua, tranne che in un numero finito di punti di [a, b] in cui f presenta una discontinuit` a di prima specie (salto). Evidentemente ogni funzione continua su [a, b] `e anche continua a tratti. (3.10) Esempio La funzione segno definita sgn(x) =
−1
tratti su ogni intervallo [a, b] ⊆ R ma non `e continua su R.
se x < 0
0
se x = 0 `e continua a
1
se x < 0
(3.11) Definizione Sia f : [a, b] → R una funzione. Diciamo che f ` e di classe
C 1 a tratti se f `e derivabile con derivata continua, tranne che in un numero finito di punti di [a, b] in cui f ammette derivate laterali. Evidentemente ogni funzione di classe C 1 su [a, b] `e anche di classe C 1 a tratti. (3.12) Esempio La funzione f (x) = |x| `e classe C 1 a tratti su ogni intervallo [a, b] ⊆ R ma non `e C 1 su R.
(3.13) Teorema
Siano f : R → R una funzione periodica di periodo 2π e
continua a tratti nell’intervallo [−π, π], n ∈ N, n ≥ 1 e n X
Pn (x) = a0 +
ak cos kx + bk sin kx
k=1
il polinomio trigonometrico di grado n associato a f . Allora si ha che Z
π
−π
2
|f (x) − Pn (x)| dx =
Z
π
−π
|f (x)|2 dx − 2πa20 − π
n X
a2k + b2k .
k=1
221
3 Serie di Fourier
(3.14) Osservazione Nel Teorema precedente, essendo f continua a tratti nell’intervallo [−π, π], risulta che f `e integrabile in [−π, π], e quindi sono ben definiti i coefficienti di Fourier di f e di conseguenza anche il polinomio trigonometrico Pn associato a f . Inoltre, si dimostra che fra tutti i polinomi trigonometrici di grado minore o uguale a n, il polinomio trigonometrico Pn (x) = a0 +
n X
ak cos kx + bk sin kx `e quello che approssi-
k=1
ma meglio in media (o in norma quadratica) la funzione f . In termini pi` u espliciti si ha che se Qn (x) = α0 +
n X
αk cos kx + βk sin kx `e un polinomio trigonometrico (con
k=1
α0 , αk , βk ∈ R), allora Z
π
−π
|f (x) − Pn (x)|2 dx ≤
Z
π
−π
|f (x) − Qn (x)|2 dx.
Enunciamo (senza dimostrarli) i principali risultati sulla convergenza della serie di Fourier. (3.15) Teorema
(Convergenza quadratica o convergenza in media) Siano
f : R → R una funzione periodica di periodo 2π e continua a tratti nell’intervallo [−π, π] e Pn (x) = a0 +
n X
ak cos kx + bk sin kx
k=1
il polinomio trigonometrico di grado n associato a f (ovvero la somma parziale n-esima della serie di Fourier di f ). Allora la serie di Fourier di f converge quadraticamente (o in media) a f , cio`e lim n
Z
π
−π
|f (x) − Pn (x)|2 dx = 0.
Inoltre si ha che Z
π −π
|f (x)|2 dx = 2πa20 + π
∞ X
a2n + b2n .
n=1
Identit` a di Parseval
(3.16) Osservazione Dall’identit` a di Parseval segue immediatamente che se f : R →
R `e una funzione periodica di periodo 2π e continua a tratti nell’intervallo [−π, π], allora ∞ X
a2n + b2n converge e quindi che
n=1
lim an = lim bn = 0. n
n
222
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
L’identit` a di Parseval si pu` o anche scrivere nel seguente modo: 1 2π
Z
π
−π
|f (x)|2 dx = a20 +
∞ X a2n + b2n
n=1
2
.
Il primo membro rappresenta l’energia del segnale f mentre il termine generale della serie a secondo membro rappresenta l’energia della n-esima armonica. La formula stabilisce che l’energia del segnale f `e data dalla somma delle energie delle singole armoniche. (Convergenza puntuale) Siano f : R → R una funzione
(3.17) Teorema
periodica di periodo 2π, continua a tratti nell’intervallo [−π, π] e x0 ∈ R. Supponiamo che esistano f ′ (x− 0 ) = lim−
f (x) − f (x− 0) ∈ R, x − x0
(pseudo derivata sinistra di f in x0 )
f ′ (x+ 0 ) = lim+
f (x) − f (x+ 0) ∈ R, x − x0
(pseudo derivata destra di f in x0 )
x→x0
x→x0
+ dove f (x− 0 ) = lim f (x) e f (x0 ) = lim f (x). x→x− 0
x→x+ 0
1 + f (x− ) + f (x ) . 0 0 2 Inoltre, se f `e anche continua in x0 , allora la serie di Fourier di f calcolata in x0
Allora la serie di Fourier di f calcolata in x0 converge a
converge a f (x0 ). (3.18) Osservazione Se f `e derivabile da destra (risp. sinistra) in x0 , allora esiste la pseudo derivata destra (risp. sinistra) e coincide con la derivata destra (risp. sinistra) di f in x0 . In particolare, se f `e derivabile in x0 , allora esistono le pseudo derivate destra e sinistra e coincidono con la derivata di f in x0 . (3.19) Osservazione Abbiamo osservato in precedenza (vedi Osservazione (3.6)) che la serie di Fourier della funzione f : R → R ottenuta prolungando per periodicit` a a tutto
R la funzione g(x) = |x|, definita per ogni x ∈ [−π, π], cio`e
∞ π 4 X 1 − cos [(2n + 1)x], 2 π n=0 (2n + 1)2
converge puntualmente, ma anche uniformemente, su R.
Si ha che f `e continua su R, `e derivabile in ogni x 6= kπ, per ogni k ∈ Z, e ammette derivate laterali distinte in ogni kπ. Infatti, posto xk = kπ, si ha che k pari =⇒ D− f (xk ) = lim
x→x− k
f (x) − f (xk ) = −1, x − xk
D+ f (xk ) = lim
x→x+ k
f (x) − f (xk ) = 1; x − xk
223
3 Serie di Fourier
k dispari =⇒ D− f (xk ) = lim
x→x− k
f (x) − f (xk ) f (x) − f (xk ) = 1, D+ f (xk ) = lim = −1. + x − xk x − xk x→xk
Allora in ogni x ∈ R sono soddisfatte le ipotesi del Teorema (3.17), ed essendo f continua su R, si ha che per ogni x ∈ R la serie di Fourier di f in x converge a f (x). Quindi ∀x ∈ R :
f (x) =
∞ π 4 X 1 − cos [(2n + 1)x]. 2 π n=0 (2n + 1)2
In particolare in x = 0 si ha che la somma della serie di Fourier `e 0 = f (0) =
(3.20) Teorema
∞ π 4 X 1 − 2 π n=0 (2n + 1)2
=⇒
∞ X
1 π2 . = (2n + 1)2 8 n=0
(Convergenza uniforme) Siano f : R → R una funzione
periodica di periodo 2π, continua a tratti nell’intervallo [−π, π] e di classe C 1 a tratti nell’intervallo (α, β) ⊆ [−π, π]. Allora la serie di Fourier di f converge uniformemente a f in ogni intervallo [a, b] ⊆ (α, β). Inoltre, se f `e di classe C 1 a tratti nell’intervallo [−π, π], allora la serie di Fourier di f converge uniformemente a f in R.
(3.21) Osservazione La funzione f : R → R ottenuta prolungando per periodicit` a
a tutto R la funzione g(x) = |x|, definita per ogni x ∈ [−π, π], `e di classe C 1 a tratti nell’intervallo [−π, π]. In tal caso la sua serie di Fourier converge uniformemente alla
sua somma, che per quanto visto in precedenza `e proprio f , su tutto R, in accordo con quanto gi` a provato nell’Osservazione (3.6). (3.22) Osservazione In base ai Teoremi (3.15), (3.17) e (3.20) le convergenze quadratica, puntuale e uniforme della serie di Fourier di una funzione f dipendono esclusiva` quindi possibile stabilirle a priori, senza mente dalle caratteristiche della funzione f . E determinare la serie di Fourier di f . Per esempio, se f non `e continua su R, allora la serie di Fourier di f non converge uniformemente a f su R.
224
3.1
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Approfondimenti: serie di Fourier complesse
Le serie di Fourier si possono introdurre in modo del tutto analogo anche per funzioni complesse di una variabile reale. Premettiamo la seguente Sia f : [a, b] → C una funzione. Quindi per ogni x ∈ [a, b]
(3.23) Definizione
si ha che f (x) = Re (f ) (x) + iIm (f ) (x), dove Re (f ) , Im (f ) : [a, b] → R sono rispettivamente la parte reale e la parte immaginaria di f . Diciamo che f ` e integrabile su [a, b] se Re (f ) e Im (f ) sono integrabili su [a, b] e in tal caso si ha che Z
b
f (x) dx =
a
Z
b
Re (f ) (x) dx + i
a
Z
b
Im (f ) (x) dx. a
La nozione di serie di Fourier per una funzione complessa di una variabile reale periodica di periodo 2π `e la stessa introdotta per le funzioni reali. (3.24) Definizione
Sia f : R → C una funzione periodica di periodo 2π ed
integrabile nell’intervallo [−π, π]. Si chiama serie di Fourier di f la serie di funzioni a0 +
∞ X
an cos nx + bn sin nx ,
n=1
dove a0 , an , bn ∈ C sono detti coefficienti di Fourier di f e sono definiti nel seguente modo: Z
∀n ≥ 1 : ∀n ≥ 1 :
1 π a0 = f (x) dx, 2π −π Z 1 π an = f (x) cos nx dx, π −π Z 1 π bn = f (x) sin nx dx. π −π
Posto
c0 = a0 , ∀n ≥ 1 : ∀n ≥ 1 :
essendo cos nx =
einx + e−inx , 2
1 cn = (an − ibn ), 2 1 c−n = (an + ibn ), 2 sin nx =
einx − e−inx , 2i
225
3.1 Approfondimenti: Serie di Fourier complesse
si ha che a0 +
∞ X
an cos nx + bn sin nx = c0 +
n=1
∞ X
cn einx +
n=1
∞ X
c−n e−inx =
n=1
5
+∞ X
cn einx
n=−∞
che `e detta forma complessa o (esponenziale) della serie di Fourier di f . Si osserva che ∀n ∈ Z :
cn =
1 2π
Z
π
f (x) e−inx dx.
−π
La nozione di polinomio trigonometrico si introduce in modo analogo anche per le serie di Fourier complesse e, anche per queste serie di Fourier, continuano a valere i teoremi di convergenza quadratica, puntuale e uniforme. Inoltre in questo caso l’identit` a di Parseval diventa Z
π
−π
|f (x)|2 dx = 2π
∞ X
n=−∞
|cn |2 ,
dove | · | indica il modulo complesso.
5
Si `e posto formalmente −1 X
n=−∞
cn einx
= x
k=−n
∞ X k=1
c−k e−ikx .
226
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
Appendice F
Spazi normati
(1.1) Definizione
Sia V uno spazio vettoriale su R. Una norma su V `e una
funzione k · k : V → R che soddisfa le seguenti propriet` a: a) kvk ≥ 0 per ogni v ∈ V ; b) kvk = 0 se e solo se v = 0; c) kλvk = |λ|kvk per ogni λ ∈ R e v ∈ V ; d) kv + wk ≤ kvk + kwk per ogni v, w ∈ V . (Disuguaglianza triangolare) Per ogni v ∈ V il numero reale kvk `e detto norma di v. Lo spazio vettoriale V munito della norma k · k `e detto spazio normato. (1.2) Esempio La funzione modulo di Rn definita da ∀x = (x1 , · · · , xn ) ∈ Rn :
|x| =
q
x21 + · · · + x2n
`e una norma su Rn . (1.3) Esempio Sia Ω ⊆ Rm non vuoto. Denotiamo con B(Ω) l’insieme delle funzioni f : Ω → R limitate. Osserviamo che B(Ω) `e uno spazio vettoriale su R. La funzione k · k∞ : B(Ω) → R definita da ∀f ∈ B(Ω) :
kf k∞ = sup |f (x)| x∈Ω
` detta norma infinito (o norma del sup) di f . `e una norma in B(Ω). E 227
228
S. Lancelotti, Appunti di Analisi Matematica II
(1.4) Definizione
Siano V uno spazio normato munito della norma k · k e (vn )
una successione in V . Diciamo che (vn ) ` e di Cauchy in V se per ogni ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che per ogni n, m ≥ n0 si ha kvn − vm k < ε.
(1.5) Definizione
Siano V uno spazio normato munito della norma k · k, (vn )
una successione in V e v ∈ V . Diciamo che (vn ) converge a v in V (o che (vn ) ` e convergente a v in V ) se lim kvn − vk = 0. n
e il limite di (vn ) e scriviamo lim vn = v. In tal caso diciamo che v ` n
(1.6) Proposizione
Siano V uno spazio normato munito della norma k · k e
(vn ) una successione in V convergente a v ∈ V . Allora (vn ) `e di Cauchy in V . Dimostrazione. Sia ε > 0. Poich´e lim kvn − vk = 0, allora esiste n0 ∈ N tale che per n
ogni n ≥ n0 si ha kvn − vk < 2ε . Quindi per ogni n, m ≥ n0 si ha kvn − vm k ≤ kvn − vk + kv − vm k <
(1.7) Definizione
ε ε + = ε. 2 2
Sia V uno spazio normato.
Diciamo che V ` e completo (o di Banach) se ogni successione di Cauchy in V `e convergente in V .
(1.8) Esempio Ogni spazio normato di dimensione finita `e completo. In particolare per ogni n ∈ N, n ≥ 1, lo spazio Rn `e completo. Lo spazio normato B(Ω) dell’Esempio (1.3), che `e di dimensione infinita, munito della norma k · k∞ `e completo.