ALCHIMIA PRATICA La Trasmutazione delle Emozioni Negative Di Francesco Giacovazzo
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Uno studente Zen andò da Bankei e disse: “Maestro, non riesco a governare la mia collera. Come posso curarla?” “Mostrami questa collera” disse Bankei, “mi sembra qualcosa degna di essere vista da vicino.” “In questo momento non ce l’ho”, disse lo studente, “per cui non posso mostrartela.” “Allora” disse Bankei, “portamela quando ce l’hai.” “Ma non posso portartela nel momento in cui mi capita di averla” protestò lo studente, “sorge all’improvviso e sicuramente mi passerebbe prima di arrivare da te.” “In quel caso” disse Bankei, “non può essere parte della tua vera natura. Se lo fosse, me la potresti mostrare in qualsiasi momento. Quando sei nato non ce l’avevi, quindi dev’essere giunta a te dall’esterno. Ti suggerisco una cosa: quando sopraggiunge, colpisciti con un bastone fino a quando la collera non regge più, e scappa via.”
“Più a fondo vi scava il dolore, più gioia potete contenere.” Khalil Gibran Il piombo degli Alchimisti Ma cosa cercavano veramente gli alchimisti? Nelle loro solitudini, lavorando e rettificando le materie più impure dell’universo, cercando e affrontando i demoni senza nessuna pietà per se stessi? Quella Pietra Filosofale che gli avrebbe garantito l’eternità, una gioia senza limiti e la fine di ogni dolore. Gli alchimisti cercavano l’anima, quel centro di gravità permanente che è origine e sorgente di tutte le cose, e dà un senso alle loro vite. Noi abbiamo perso l’anima. In verità non ce ne siamo mai allontanati, piuttosto l’abbiamo dimenticata incastrandoci in una personalità ipertrofica che da essere un mezzo d’espressione del nostro Sé è diventata un despota, che si crede originale, unica e indipendente da quella luce che l’ha generata e vuole sopravvivere in tutti i modi a questa illusione. Questo è l’archetipo di Lucifero, di quella goccia dell’oceano che vuol sfidare il mare ma per quanto si sforzi di fare il male si ritroverà suo malgrado ad operare per il bene. Questo è un grande segreto che sanno gli alchimisti, i quali invece di combattere contro il male e rinforzarlo lo usano per svegliarsi, per purificarsi, per evolvere. Ecco perché l’alchimia vince la sfida del tempo ed è sempre attuale, ecco perché viene chiamata la Grande Opera, perché conosce le regole dell’Infinito e sa come trasmutare il buio, il piombo, in luce. Perché è questo che fa già la natura di suo se non ci mettiamo di mezzo.
L’Alchimista allora cerca il dolore, cerca le proprie debolezze non perché è un masochista o un pazzo ma perché sa che deve passare dall’inferno per arrivare in paradiso e, per quanto paradossale possa sembrare, questa è la via più sicura e più veloce. Molti presunti illuminati parlano di “luce”, di “Tutto è Uno”, di “Amore” e anche gli alchimisti lo fanno quando parlano di Alchimia Superior ma sanno che per ritrovarsi nell’Amore puro e nella gioia infinita devono necessariamente superare prima l’Alchimia Inferior. Attraversare il buio delle emozioni pesanti e del dolore per raffinare i sensi necessari a percepire e sopportare la bellezza del mondo. È possibile risvegliarsi improvvisamente e direttamente all’Amore infinito, per carità, ma sono casi molto, molto rari. La cosa più auspicabile sarebbe riuscire a percorre contemporaneamente entrambe le Vie Alchemiche: ossia vivere consapevolmente il dolore e allo stesso tempo nutrirsi letteralmente di Bellezza. E questo è un po’ l’intento folle di questo trattato. Parleremo del dolore, della sua anatomia, della sua funzione nel lavoro pratico su di sé e parleremo della felicità che può esistere insieme al dolore. Sembra paradossale ma tutta la vita lo è.
Tempo e dolore Tutto il lavoro dell’alchimista consiste nel costruire una dimora stabile per la sua anima e lo fa lavorando sulla propria macchina biologica, la sua officina alchemica. Il suo compito si esprime nello spostamento del centro di consapevolezza dalla mente al Cuore. Parallelamente agli sforzi sul ricordo di sé, che sono la base di tutta l’opera, l’alchimista dovrà portare avanti un lavoro di trasmutazione delle sue emozioni negative. Rabbia, invidia, gelosia, senso di sconforto, senso di inadeguatezza, paura, ansia, stress: sono il materiale su cui dobbiamo lavorare per fabbricarci nuovi sensi per l’anima. In ciò sta il senso di tutta l’Alchimia e per poterlo fare dobbiamo ricordarci sempre di noi. Tutte le volte che soffriamo ci stiamo dando una possibilità per risvegliarci dalla nostra meccanicità perché la sofferenza nasce da uno stato di sonno, da una mente disfunzionale che vuol racchiudere il mare della vita in un bicchiere di ragionamenti e soluzioni preconfezionate. Pensiamo troppo, viviamo troppo di rimorsi e aspettative e così perdiamo e sprechiamo l’unico tempo in cui possiamo essere davvero felici: il presente. Non può esistere dolore nel presente. Il dolore ha bisogno di un passato dove rifugiarsi e di un futuro dove muoversi.
“Tempo e dolore sono inseparabili.” Eckhart Tolle
La nostra mente è fatta di tempo: di ricordi, di memorie passate attraverso le quali cerchiamo di affrontare le sfide del presente e prevenire così il futuro. I nostri pensieri sono frutto del tempo: nascono dalle conoscenze e dalle nostre esperienze, che sono custodite nella memoria. La maggior parte delle nostre azioni quindi si basa sulla conoscenza, sul tempo, e rendono l’uomo uno schiavo del passato. Da qui, come vedremo, nasce il dolore. “Ogni negatività è causata da un accumulo di tempo psicologico e dalla negazione del presente. Disagio, ansia, tensione, stress, preoccupazione (tutte forme di paura) sono causati da un eccesso di futuro e da un’insufficienza di presente. Senso di colpa, rimorso, risentimento, rancore, tristezza, amarezza e ogni forma di mancato perdono sono causati da un eccesso di passato e da una insufficienza di presente. In definitiva vi è un solo problema: la mente legata al tempo.” Eckhart Tolle Rispondiamo al presente con il nostro passato e da qui nasce la prima forma di conflitto. Il passato non può cogliere la potenza dell’adesso, può solo ridurlo a un mezzo per continuare ad esistere. Ci vuole tutta la nostra intelligenza per comprendere fino in fondo questo concetto e l’intelligenza è pura presenza. “La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare.” Jiddu Krishnamurti
Come nasce il dolore
Partiamo dall’inizio. Perché soffriamo? Cosa accade da un punto di vista energetico? La sofferenza è una forma di resistenza al momento presente. Soffriamo quando creiamo un gap tra la realtà di ciò che è, e ciò che noi vorremmo che fosse. Soffriamo quando neghiamo ciò che è. La mia ragazza mi ha lasciato. Questo è un fatto, questa è la realtà, e ciò che è accaduto. Non c’è molto da dire, c’è solo da prenderne atto, accettarlo (che significa semplicemente e solamente riconoscerlo) ed esattamente come qualsiasi altro fatto rispondere partendo da questa accettazione. Ma noi, tutti noi, non rispondiamo alla realtà ma reagiamo ad essa, e questo significa solo una cosa: in profondità, dentro di noi, non abbiamo accettato l’accaduto. Sembra una cosa assurda e stupida ma è esattamente questo il meccanismo che è all’origine della sofferenza psicologica. Chiarisco subito un punto: stiamo trattando qui principalmente della sofferenza psicologica, non del dolore fisico. Sofferenza è dolore sono due cose diverse. Il dolore è naturale e necessario ed è una risposta fisiologica ad un trauma sia fisico che emotivo. Il dolore per sua natura ha un inizio, un picco ed una fine. Se riuscissimo a non ostacolarlo farebbe il suo corso naturale esattamente come un temporale e sparirebbe. Ma la mente ci ricama sopra una storia e da qui nasce la sofferenza che è innaturale e deleteria.
La sofferenza è il rifiuto del dolore. Ritorniamo all’esempio di prima. La mia ragazza mi ha lasciato: fa male, sento un vuoto dentro di me; questo è naturale. Questo è il dolore e durerebbe il tempo necessario per prendere consapevolezza dell’accaduto. Ma ecco che la mente comincia a farsi domande, a dare delle colpe, a giudicare il tutto e tra ciò che è e il ciò che secondo lei (la mente) dovrebbe essere si crea una resistenza, un contrasto, un’opposizione; l’inizio di un conflitto. Questo conflitto è a livello biologico una scarica elettrica nel nostro sistema nervoso, un’energia, un fuoco che mi brucia. Il nostro organismo è sostanzialmente una macchina bioelettrica, un conduttore di elettricità, e più è grande il conflitto, ossia più è la distanza tra ciò che è accaduto e la resistenza della mia mente, più alta e intensa è l’elettricità che si crea. Questa elettricità, questa energia, essendo un’alterazione rispetto allo stato normale del mio organismo, io la percepisco come dolore, sofferenza. Il dolore a livello organico è essenzialmente un fatto bioelettrico e come tale andrebbe trattato. Quando proviamo dolore, ci troviamo a dover affrontare uno sbalzo elettrico nel nostro organismo che ci mette a disagio e si fa sentire come una sensazione negativa a cui la mente attribuisce subito un nome. Così nasce l’emozione negativa. Emozione negativa = sensazione fisica di disagio + etichetta mentale. La mente non fa questo perché è cattiva o stupida ma semplicemente perché questo è il suo compito. La mente interpreta ciò che accade dentro di noi e fuori di noi attraverso
un database interno fatto di memorie, ricordi, conoscenze. Questo meccanismo è utile per la sopravvivenza ma disfunzionale come vedremo per le questioni esistenziali. La vita è sempre nuova e la mente è sempre vecchia. Ogni volta che interpretiamo il nuovo con il vecchio tradiamo la verità. È fondamentale e indispensabile interpretare il verde del semaforo per guidare o riconoscere il meccanismo di una porta per entrare, ed è necessario saper riconoscere un sintomo o una malattia per guarirla; sia chiaro. Ma è altrettanto importante riuscire a vedere un fatto nella sua interezza e purezza senza doverlo per forza distorcerlo con delle interpretazioni. Posso vedere un arcobaleno e perdermi nella sua bellezza senza dover capire necessariamente come si è formato e perché. Posso amare una persona, provare compassione senza nessun motivo in particolare. Anzi posso dire che per provare certe emozioni superiori la mente deve essere in uno stato di calma, di silenzio. E persino con il dolore, come vedremo, è indispensabile una mente lucida, vigile che veda il dolore per quello che è. “È forse la paura ad impedirvi di intraprendere una azione? In tal caso dovete riconoscere la paura, osservarla, rivolgerle la vostra attenzione, essere pienamente presenti di fronte ad essa. Così facendo spezzate il legame fra la paura ed il vostro pensiero. Non lasciate che la paura si innalzi fino alla vostra mente.” Eckhart Tolle
A cosa serve il dolore Abbiamo visto che la sofferenza sostanzialmente nasce da una forma di non accettazione della mente ad un fatto. Questo crea nel nostro organismo una resistenza elettrica, un picco di energia che il nostro corpo deve in qualche modo trattare e riportare in equilibrio. Abbiamo a disposizione una certa quantità di energia e questa energia è per l’Alchimista materia prima, piombo su cui lavorare. Questa energia, ricordiamocelo, è neutra: non è né positiva, né negativa. È la sensazione che provoca al nostro organismo che percepiamo come negativa, perché questo flusso di energia è troppo elevato. La mente a sua volta dà un’etichetta a questa sensazione e nasce l’emozione negativa. Andiamo un po’ più avanti. Ora ci troviamo a dover fronteggiare l’emozione negativa e la mente cosa fa? Quello che sa fare: interpreta. Va a ricercare nel suo database memorie che la riconoscono (quell’emozione) e noi cominciamo ad associare altri pensieri legati a quell’emozione negativa. Cominciamo a pensare in base a come ci sentiamo e questi pensieri vanno ad alimentare nuovamente l’emozione negativa creando un loop distruttivo. Mi sento a disagio, la mente mi dice che questo disagio è tristezza, comincio a pensare alla tristezza e mi ricordo di quando mio padre mi ha abbandonato all’asilo, mi sento più triste e penso alla mia ex che mi ha lasciato. Non mi sento più triste… SONO diventato TRISTE. Una sensazione fisica, un pensiero, un’emozione, sono diventati uno stato d’animo.
Trattare una sensazione e un’emozione con un pensiero è come voler spegnere un incendio con la benzina. Il dolore è un fatto bioelettrico e come tale andrebbe trattato. La mente deve mettersi al servizio di questa verità. La mente è il problema e non può essere la soluzione. Ecco perché Einstein disse: “Non possiamo trattare un problema partendo dallo stesso livello della mente che l’ha generato.” Spero ora sia più chiaro tutto questo. La mente può e deve avere un ruolo nel processo di guarigione ma non è quello certo di trovare una soluzione a livello di pensiero e ragionamento. Questo è il motivo per cui un certo tipo di psicanalisi è fallito. Portare una persona a elaborare e rielaborare un trauma non fa altro che rinforzare il loop emozione-pensiero e consolidare una storia che neurologicamente è un circuito sinaptico che continua a girare riproponendo lo stesso dolore. Compito dello psicologo o psichiatra dovrebbe essere quello di spegnere certi circuiti e aiutare il paziente a costruirsene di nuovi e funzionali. Un vero psicoterapeuta dovrebbe chiedersi non “cosa è successo e perché?” ma: “cosa hai dimenticato di te”, e soprattutto “dov’è che devi andare?” In questa prospettiva il dolore ha una funzione importante: Il dolore è un segnale che c’è un blocco e che non stiamo più percorrendo la nostra strada. Da questo punto in poi tutto è alchimia.
Come affrontare il dolore
“Quando c’è dolore, il sistema nervoso subisce un grande shock, è un enorme colpo sia per la parte fisiologica che per quella psicologica dell’essere. Di solito cerchiamo di vincere il dolore prendendo qualche sostanza, dandoci al bere o attraverso qualche forma di religione. Oppure diventiamo cinici e accettiamo le cose come inevitabili. Possiamo approfondire questa questione seriamente? È possibile non fuggire affatto dal dolore? Mio figlio è morto e c’è un dolore immenso, un grande shock, e scopro di essere veramente solo. Non posso affrontare questa cosa, non posso sopportarla, e cerco qualche fuga. Ci sono molti modi per fuggire da questo stato: mondani, religiosi o filosofici e questa fuga è uno spreco di energia. È possibile non fuggire di fronte a nessun dolore? Il dolore della solitudine, dell’angoscia, di uno shock, ma rimanere completamente con l’evento, con questa cosa chiamata sofferenza, è possibile? Possiamo sostenere qualsiasi problema, stare lì senza cercare di risolverlo, cercando di guardarlo e di tenerlo fra le mani come se fosse un bellissimo e prezioso gioiello? La bellezza di quel gioiello è talmente affascinante, talmente magnetica che continuiamo a guardarlo. Allo stesso modo, se potessimo tenere completamente il nostro dolore, senza il minimo movimento di pensiero o di fuga, l’atto stesso di non fuggire da quel fatto porta a un totale scioglimento di ciò che ha causato dolore.” Jiddu Krishnamurti
Il dolore è energia. Ogni volta che soffriamo stiamo affrontando un surplus di energia che in qualche modo dobbiamo gestire. Questa energia, ripetiamolo, in se non è né positiva, né negativa: è neutra. Solo che noi la percepiamo come dolore perché ha un’intensità molto elevata. Tutte le volte che si attiva questa energia, la nostra macchina biologica è sulla soglia di un risveglio. Normalmente la nostra macchina biologica – il nostro apparato psicofisico – lavora in modalità meccanica e semiautonoma mentre la nostra anima si dice che è addormentata. In realtà l’anima non è né sveglia né addormentata, è semplicemente presenza allo stato puro, ma non riesce a interagire con il nostro apparato psicofisico perché è questo ad essere addormentato nelle sue abitudini. Quando arriva uno shock, un evento imprevisto, l’apparato psicofisico tende a portarsi in stato di veglia in maniera spontanea. All’improvviso dobbiamo gestire un innalzamento del livello di energia che il nostro organismo percepisce come sofferenza. Il nostro sistema nervoso viene attraversato da una piena di corrente elettrica che non è abituato a sopportare. Immaginate un circuito elettrico tarato per supportare un certo voltaggio x di corrente che viene invaso da un voltaggio tre volte superiore: il corto circuito che si crea nel nostro organismo si chiama dolore. Ma a differenza di un sistema elettrico, il nostro sistema nervoso ha la capacità di adattarsi e gestire questa improvvisa scarica di energia, almeno fino ad un certo punto.
Un’impennata improvvisa di energia emozionale che può essere rabbia, paura ma anche euforia eccessiva, esaspera il sistema nervoso che deve subito incanalare e gestire quest’energia. Di solito noi pensiamo che la soluzione migliore sia fuggire o allontanarsi immediatamente dalla causa esterna scatenante ma così creiamo ulteriore resistenza mentale e solo un momentaneo abbassamento della frequenza vibratoria. In realtà se non opponessimo nessun tipo di resistenza mentale e permettessimo al flusso di energia emozionale di scorrere dentro di noi rimanendo testimoni silenziosi di noi stessi, il nostro sistema nervoso risolverebbe in maniera intelligente e rapida la marea elettrica emotiva. C’è un solo modo affinché il nostro sistema nervoso faccia tutto ciò: accettando e permettendo al dolore di esistere, senza nessuna resistenza. Il dolore è l’incapacità dei nostri binari energetici di supportare un certo quantitativo di energia. Un alchimista lavora direttamente sui suoi binari energetici aumentandone la capacità e la resistenza e come lo fa? Imparando ad affrontare volta per volta il dolore ogni volta che si presenta. Questa è la sua strategia, questo è il suo potere. Ad un alchimista non interessa cambiare il mondo fuori per adattarlo alle sue esigenze. L’alchimista lavora per adattare se stesso alle esigenze dell’universo e così diventa più forte. Se ho paura di prendere l’ascensore e decido di affrontare poco per volta la mia paura quest’ultima scemerà sempre di più. In realtà sarà il mio apparato psicofisico che si adatterà alla paura fino a trasmutarla in coraggio. Non c’è nessun segreto, nessuna formula magica. Il dolore deve essere accettato, deve essere osservato e vissuto senza giudizio.
La nostra consapevolezza silenziosa è la pietra filosofale che trasmuta ogni cosa in luce.
“Focalizzate l’attenzione sull’emozione dentro di voi. Accettate la sua esistenza. Non pensateci, non lasciate che l’emozione diventi pensiero. Non giudicate o analizzate; osservate. Diventate consapevoli delle sensazioni legate all’emozione, ma anche di Colui che osserva, l’Osservatore Silenzioso.” Eckhart Tolle
Se riusciamo ad accettare ed osservare ogni emozione negativa senza volerla cambiare, questa stessa osservazione la trasmuterà in energia pura. Tutto è una sola energia che vibra su diverse frequenze. Un’energia positiva vibra più velocemente di un’emozione negativa. L’alchimista è colui che brucia un’emozione negativa sul fuoco della propria consapevolezza aumentandone così la vibrazione e trasmutandola in un’emozione superiore. Così la paura diventa amore, la gelosia diventa passione, la rabbia impeto guerriero.
Il dolore del passato
Non tutta l’infelicità deriva da una resistenza al momento presente. Gran parte del nostro dolore viene dal passato ossia da quelle emozioni negative che non siamo riusciti a risolvere a suo tempo e che rimangono congelate nel nostro spazio di inconscio. Tutte queste emozioni irrisolte vanno a formare ciò che Eckhart Tolle chiama il Corpo di Dolore: “Qualsiasi emozione negativa che non sia completamente confrontata e vista per quello che è nel momento in cui nasce, non si dissolve completamente. Si lascia dietro un resto di dolore. […] I resti del dolore rimasto da una qualsiasi forte emozione negativa non affrontata, non accettata, e quindi non lasciata andare, si uniscono per formare un campo energetico che vive in ogni cellula del vostro corpo. […] Questo campo di emozioni vecchie, ma ancora molto presenti e che vivono in quasi tutti gli esseri umani, è il corpo di dolore. […] Il corpo di dolore è una forma di energia semiautonoma che vive nella maggior parte degli esseri umani, un’entità fatta di emozioni. Ha una sua intelligenza primitiva, non dissimile dalla furbizia animale, diretta principalmente alla sopravvivenza. Come tutte le forme di vita, periodicamente ha bisogno di nutrirsi, di prendere nuova energia, e il cibo che richiede consiste di energia compatibile con la propria, un’energia che vibra a una frequenza simile. Ogni esperienza emozionale dolorosa può essere usata come cibo dal corpo di dolore; ecco perché prospera con il pensiero negativo così come nel dramma delle relazioni. Il corpo di dolore è dipendente dall’infelicità.
Può essere uno shock quando comprendete per la prima volta che vi è qualcosa in voi che periodicamente cerca emozioni negative, cerca infelicità.” Eckhart Tolle
Il corpo di dolore è l’insieme delle ferite emozionali, di tutte quelle memorie che come parassiti circolano nel nostro inconscio e sono la causa di gran parte della nostra sofferenza. Ma vediamo da vicino come si formano. Sono un bambino e sto cantando nel salotto di casa mia a squarciagola. Con me c’è mia cugina che ride e si diverte. Rincasa mio padre tutto nervoso perché gli si è rotta l’auto e ha fatto ritardo al lavoro. Sbatte la porta e si butta sul divano. Io corro da lui e grido come un matto. Mio padre impulsivamente mi urla contro: “Stai zitto, cazzo che mi fai venire il mal di testa!” e mi molla un ceffone in pieno viso. La mia consapevolezza del momento è ovviamente limitata vista l’età e ciò mi impedisce di comprendere quanto sta accadendo e di rispondere adeguatamente. Il mio sistema mente-corpo allora cosa fa? Congela l’esperienza in una rappresentazione multisensoriale di tutto ciò che ho percepito con i miei sensi: il profumo che aveva mio padre, come era vestito, il suono della sua voce, il rumore dello schiaffo. In più si aggiungono le mie reazioni: paura, blocco del respiro, pianto inespresso. Tutto questo è una memoria congelata che come un asteroide orbiterà nella mia psiche. Questa memoria è fatta di energia emozionale, che viene letteralmente cristallizzata dalla mia limitata consapevolezza, per poterla gestire in qualche modo.
Essendo fatta di energia elettromagnetica questa memoria entrerà in risonanza con tutte le situazioni che ricordano seppur vagamente l’evento che l’ha generata e attiverà tutta la sua carica emotiva trattenuta. Perché fa questo? Per essere sciolta e guarita. Ecco perché attiriamo letteralmente certe situazioni dolorose nella nostra vita: per guarire le nostre ferite. Ed ecco perché la famosa “Legge dell’Attrazione” non sempre funziona. Se voglio qualcosa, la mia emanazione mentale collide con le mie memorie emozionali e queste ultime sono più forti dei miei desideri. La legge di Attrazione – meglio dire, La legge di Risonanza – funziona sempre che ci piaccia o no. Ma per realizzare i nostri desideri, dobbiamo prima guarire le nostre ferite e affrontare le paure che ne derivano perché queste hanno una carica magnetica molto più forte.
Guarire il corpo di dolore
“Il corpo di dolore vuole sopravvivere, al pari di ogni altra entità esistente, e può sopravvivere solo se vi induce a identificarvi inconsapevolmente con esso. Deve alimentarsi tramite voi. Si nutrirà di ogni esperienza che entri in risonanza con il suo stesso tipo di energia, ogni cosa che crei ulteriore dolore sotto qualunque forma: collera, capacità distruttiva, odio, afflizione, dramma emozionale, violenza, perfino malattia.” Eckhart Tolle In questo modo, come abbiamo visto, il corpo di dolore crea nelle nostre vite situazioni che riflettono la sua frequenza vibratoria, al solo scopo di trarne nutrimento. Il dolore può alimentarsi solo di dolore. La sua sopravvivenza dipende dalla nostra identificazione inconsapevole con esso, e soprattutto dalla nostra tendenza a evitarlo o reprimerlo. Se non lo affrontiamo saremo costretti a riviverlo ripetutamente. C’è quindi solo una possibilità. “Nel momento in cui lo osservate, ne avvertite in voi il campo energetico e vi rivolgete la vostra attenzione, l’identificazione è interrotta. Così avete raggiunto il potere di Adesso. L’inconsapevolezza lo crea; la consapevolezza lo trasforma in se stessa. San Paolo disse: 'Ogni cosa si rivela con l’esposizione alla luce, e tutto ciò che è esposto alla luce diventa a sua volta luce'. Se lo combattete creerete un conflitto interiore e pertanto ulteriore dolore. Osservarlo è sufficiente. Implica accettarlo come parte di ciò che esiste in quel
momento. Il corpo di dolore si compone di energia vitale intrappolata che si è staccata dal nostro campo energetico totale ed è diventata temporaneamente autonoma attraverso il processo innaturale di identificazione con la mente.” Eckhart Tolle
La consapevolezza è il rimedio, la consapevolezza è la risposta. La consapevolezza è il Segreto. Ecco dunque quello che possiamo e dobbiamo fare di fronte al dolore passato e presente: Focalizziamo l’attenzione sulla sensazione dentro di noi. Non permettiamo che la sensazione diventi pensiero. Non giudichiamo, non analizziamo, non creiamo un’identità su di esso. Rimaniamo presenti e osserviamo imperterriti ciò che accade dentro di noi. Diventiamo consapevoli non solo del dolore emozionale ma anche di “colui che osserva”, l’osservatore silenzioso. Questo è tutto ciò che occorre fare. Tutte le tecniche di rilascio ed equilibrio emozionale sono supplementari a questo e funzionano solo se applicate in concomitanza al lavoro di consapevolezza. Senza consapevolezza non esiste guarigione. Con consapevolezza e l’accettazione qualsiasi tecnica funziona.
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Dove il dolore finisce
Non la sentivo da quasi un anno. Mi telefona con voce esitante e mi chiede di vederci. Lei è una mia carissima amica che vive nel mio stesso paese ma che per lavoro e altri interessi ci siamo persi di vista. Ha un terribile dolore alla spalla destra ormai da quasi due anni; ha visitato ogni dottore, tentato ogni terapia farmacologica, psicologica, energetica e spirituale, provato diversi metodi, e meditazioni, persino l’autoipnosi. Aveva solo ricevuto un sollievo temporaneo. Sa che mi occupo di EFT – una tecnica di rilascio emozionale semplicissima e senza controindicazioni che unisce in sé i principi dell’agopuntura e della Psicologia Energetica – e vuole fare un tentativo; tanto, dice, ormai non ha più nulla da perdere. Vado a casa sua. Mi dice che il dolore è presente come un sottofondo costante e l’accompagna per tutta la giornata. Mi guarda, sorride; forse mi sfida. Le spiego brevemente cos’è l’EFT e la informo che non faccio miracoli e non mi interessa guarirla. Inarca le sopracciglia e crede sicuramente di aver capito male. Cominciamo il trattamento e le faccio fare un primo giro di picchettamento facendole ripetere la frase: “mi amo e mi accetto profondamente e completamente con questo dolore e mi do la possibilità di lasciarlo andare.” Le chiedo di descrivermi il dolore, che ha la forma di una palla fredda, di colore verde acido, con delle punte, che lentamente gira nella sua spalla. Dopo il primo giro le chiedo come va. I suoi occhi sono rigidi, impenetrabili: “sempre lo stesso, niente!” mi dice caustica.
Comincio un secondo giro con un’altra frase ma ad un certo punto mi fermo e, dopo qualche attimo di silenzio, le dico che non c’è niente da fare, non c’è possibilità che passi, che questo dolore se lo porterà tutta la vita. Mi guarda. Sostengo il suo sguardo. Vacilla, io no. “Perché?” mi domanda con tutta la frustrazione che ha in corpo. “Che cosa vuole da me?” I suoi occhi si inumidiscono. “Cosa succede se non puoi allontanare questo dolore? Cosa succede adesso?” le chiedo. “Mi sento finire”. “Finisci, allora”. Finalmente piange. “Che forma ha questo dolore? Che colore ha? Che sapore…” “Ancora!” “Sì, ancora!” “Che forma ha? Che colore? Che sapore? Che consistenza? Che succede se sta con te?” “È rotondo, pieno di aculei e si muove, puzza di acciaio ed è disgustoso.” “Lascialo muoversi, crescere, bruciare. Tanto non hai più nulla da perdere. L’unica cosa, respira…” Immediatamente un’ondata di panico sgorga nel suo corpo sotto forma di tremore. Un’atavica paura di essere sopraffatta, di morire, di impazzire. “Respira!” Il suo intero corpo trema freneticamente.
“Respira, respiriamo insieme, fidati di me.” Dopo qualche minuto, la paura si placa e lei chiude gli occhi. Il suo viso ora è disteso, le sue braccia abbandonate lungo i fianchi. Il dolore sembra sparito. Riapre gli occhi e mi fissa. Cos’è successo? Dove è andato il dolore? Comincia a cercarlo perlustrando l’intero suo corpo. “Già ti manca!” le dico e ridiamo insieme. Il dolore aveva trovato lo spazio necessario per esistere, fare ciò che doveva fare e andarsene. Siamo noi, senza volerlo, che lo tratteniamo ripudiandolo e così lo incastriamo nei muscoli, tra i tendini, nelle ossa, negli organi. Quanta rabbia, quanta paura, quanta disperazione, quanti “no” mai detti sono stati bloccati dentro di noi ogni volta che non ci siamo dati il permesso di provare ciò che sentiamo. Bisogna imparare a osservare ogni forma dolore senza nessuna intenzione di volerlo mandare via. Bisogna accoglierlo come un ospite, lasciarlo entrare senza chiudere la porta. Il dolore è energia che ha preso una configurazione caotica a causa della nostra inconsapevolezza e della nostra paura. Possiamo rimanere con il dolore, senza fuggirlo, tenendolo fra le mani come se fosse un ragno che potrebbe morderti? Ci vuole coraggio, lo so ma è l’inizio di ogni guarigione. Possiamo stare con il nostro dolore senza reprimerlo, senza razionalizzarlo, senza cercarne le cause, ma guardandolo come si guarda una tempesta in lontananza o un fulmine che spacca il cielo e fa ammutolire la terra? È possibile scorgere la bellezza nel dolore? Continuando ad osservarlo con curiosità, passione, senza il minimo movimento di pensiero o di fuga, l’atto stesso di
osservare, porta con sé serenità che, come un lenzuolo, inizia ad avvolgere il dolore. E questo è l’inizio della fine. Il dolore può prosperare solo dove c’è una qualsiasi forma di resistenza e la resistenza nasce dal rifiuto, dalla non accettazione di ciò che è. Quando riusciamo a stare con il dolore senza nessuna esitazione, quando lo abbracciamo con tutto noi stessi, il dolore comincia a diminuire. E inizia la pace che porta quell’amore che accetta ogni cosa senza condizioni. E dove c’è amore non ci può mai essere dolore.
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