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Gerhard Dorn e l'arcano della pietra vivente di Andrea Melis Filosofia meditativa di Gerhard Dorn
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Gerhard Dorn e l'arcano della pietra vivente di Andrea Melis Filosofia meditativa di Gerhard Dorn
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Gerhard Dorn e l'arcano della pietra vivente
Della vicenda umana di Gerhard Dorn conosciamo poco. Nato probabilmente in Belgio, visse durante la se conda metà del XVI secolo ed esercitò la professione me dica e di farmacologo, nonché l'at tività tiv ità di scrittor e di filo fi lo sofia ermetica ed alchimia, soprattutto in Germania ed in Svizzera. La sua presenza è segnalata a Basilea, a Franco forte e, probabilmente, a Strasburgo. Tuttavia il nome di Gerhard Dorn è prevalentemente le gato alla traduzione, alla diffusione ed alla fervente apo logia degli insegnamenti di Paracelso. Significativa mente, la sua opera più nota e citata è il Dictionarium Theofrasti Paracelsi (Francoforte 1584), una disamina esplicativa dell'assai complessa terminologia paracelsiana. Sarebbe però incauto trascurare Dorn, archiviando il corpus dei suoi scritti sulla scorta di un sommario giu dizio di epigonismo, seppure onesto e devoto. Molte delle sue opere sono assolutamente indispensabili per comprendere e apprezzare appieno la portata delle dottrine paracelsiane, per sottrarle all'ottuso riduttivismo
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positivista che non ha saputo vedere in esse nient'altro che una congerie di superstizioni da grimoire, un co acervo di evocazioni, formulari e teorie bislacche, cui non concedere molto più della divertita e distratta curio sità per un reperto esotico, legato ad un passato tanto fantastico quanto oscuro. Questo sprezzante e superficiale punto di vista è stato, ormai da tempo, messo abbondantemente in crisi dai 1 brillanti studi di Walter Pagel che ha dimostrato - pur mantenendosi rigorosamente entro una prospettiva sto riog rafi ca e filo log ica d'in disc utib ile vaglio scientifico l'estrema e articolata complessità, la ricchezza di pen siero, o anche solo di referenze filosofiche, mediche e na turalistiche, che l'opera di Paracelso rivela. Tuttavia il dato che anima il nostro interesse nei con fronti di Gerhard Dorn consiste primariamente in un aspetto assai peculiare dei suoi scritti, ovverosia la de scrizione puntuale, e preziosissima per trasparenza, che egli propone della prassi alchemica nel suo punto più de licato, laddove il linguaggio dell'ermetismo alchemico - che Dorn integra all'interno di un articolato orizzonte 2 filosofico platonizzante - con le sue visionarie prescrizio ni, s'interseca, sovrappone e avviluppa alla prassi ascetico-devozionale, facendosi metafora e simbolo d'un pro cesso, di un'ars practica, di natura anagogico-teurgica 3 , 1 Walter 2
Pagel, Paracelso, Il Saggiatore, Mi la no 1989. Sui pun ti di rife rime nto filo sofici del Dor n - che avremo modo di rilevare ed evidenziare più oltre, in svariate circostanze - ved. anche Jean Francois Marquet, "Philosophie et alchim ie chez Gerhard Dorn ", in Alchimie et Philosophie à la Reinassance, a cura di J.C. Mar go lin e S. Matto n, Lib rai rie Philosophique J. Vr in , Paris 1993, pagg. 215-221. 3 La teurgia è primariam ente esperienza del Divino. Così la definisce Gio vanni Reale, riecheggiando gli autori neoplatonici: "È la 'sapienza' e T'arte'
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volta a trasmutare spiritualmente le potenze psichiche dell'uomo e del cosmo in cui questi si rispecchia. Ciò che ha costituito secolare oggetto di contesa, ossia la legittimità stessa di un'interpretazione in chiave spiri tuale e interiore dei testi di alchimia, o almeno di una parte di essi, in Dorn diviene dato acquisito, dichiarato punto di partenza, evidente e acclarato come in pochis simi altri autori. E anche a voler ammettere che l'al chimia fisica non sia interamente riducibile a quella spi rituale, certamente, per Dorn, la prima non potrebbe mi ni ma me nt e sussistere senza la seconda. Così nel De Philosophia Meditativa e nel De Philosophia Chemica ad Meditativam comparata, che al primo fa se
guito costituendone un complemento logico, il raffronto fra processo alchemico e ascesi spirituale è proposto in costante e serrato contrappunto, dal titolo fino alla lim pida ricapitolazione conclusiva: "Come sette sono i gradi filosofici attraverso i quali all'intelletto si rivela l'accesso alle cose più alte, sette sono anche le operazioni alche miche principali, attraverso le quali l'artista può pervedella magia utilizzata per finalità di carattere mistico-religioso. Appunto queste finalità costituiscono le caratteristiche che contraddistinguono la teurgia dalla comune magia". "Il 'teurgo' differisce essenzialmente dal 'teo logo' perché mentre quest'ultimo si limita a parlare intorno agli dei, l'altro, invece, evoca gli dei e agisce su di essi, o, meglio, li fa agire sull'uomo" (G. Reale, "L'estremo messaggio spirituale del mondo antico nel pensiero meta fisico di Proclo", saggio introduttivo a: Proclo, / manuali, Rusconi, Milano 1985, pag. CLXXIX). Per un inquadramento ed un approfondimento sto rico-filosofico del concetto di teurgia ved. Hans Lewy, "The meaning and the history of the terms Theurgist' and 'Theurgy'", in Chaldaean Oracles and Theurgy, Études Augustiniennes, Paris 1978, pagg. 461 e sgg. Per un inquadramento generale dei fondamenti della teurgia ved. tra l'altro Gregory Shaw, Theurgy and the Soul, the Neoplatonism of Iamblichus, Pennsylvania State Univ. Press, 1995.
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nire a quell'arcano - 4che eccelle sopra ogni altro - della medicina universale" . L'iter di questo confronto è proposto con tale chiarezza da non richiedere dettagliate e sistematiche disamine preliminari del contenuto. Tuttavia ci soffermeremo su alcune questioni specifiche. Per collocare appropriatamente i due testi citati sopra, bisogna ricordare che essi costituiscono, in larga parte, una rielaborazione, a tratti minima e discreta, di un'o5 pera precedente del Dorn, il De Speculativa Philosophia , che li sussume entrambi. Inoltre, il De Philosophia Medi tativa e il De Philosophia Chemica ad Meditativam compa rata fanno parte di una summa teorico-pratica di scritti dorniani, raccolta nel Theatrum Chemicum6 accanto ad altre opere del nostro Autore, fra cui ricordiamo almeno il noto Congeries Paracelsicae. I titoli di questa summa sono collocati nell'ordine seguente: Physica Genesis, Physica Hermetis Trismegisti, Physica Trithemii, Philoso phia Meditativa, Philosophia Chemica, De Tenebrìs contra Naturam et Vita Brevi, De Duello Animi cum Corpore, De Lapidum Preciosorum Structura. I primi due trattati
sono, rispettivamente, un commento al primo capitolo della Genesi, e un commento alla Tabula Smaragdina, at tribuita tradizionalmente ad Ermete Trismegisto. Anche in questo caso, non mancano i punti di contatto e con front o fra i testi comm entati . Lat tanzi o aveva visto in Er mete Trismegisto un'annunciatore del Verbo giudaico4
Theatrum Chemicum, Argentorati 1659-1651, voi. I, pag. Th. Chem. 5 Abbiamo utiliz zato la Philosophia Speculativa, come
453. D'ora in poi
termine di con fronto testuale, per emendare alcuni refusi presenti nella redazione della
Philosophia
Meditativa.
I bi d. , voi . I, pagg. 326-490.
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cristiano, e secondo un paradigma diffusosi nel corso del XV secolo - assai caro anche a Ficino - Ermete Trismegisto sarebbe stato un contemporaneo di Mosè, convin zione rappresentata emblematicamente e figurativa mente finanche sul pavimento del Duomo di Siena: "Her mes Me rcu riu s Trismegistus contemporaneus Moyse"7. Ma torniamo alla Philosophia Meditativa. Quali sono dunque i sette gradini di questo itinerario spirituale e in cosa consiste il rapporto analogico con l'opus chemicum? "La putrefazione spagirica è assimilabile allo studio9 dei filosofi. Come i filosofi, attraverso lo studio, si dispon gono alla conoscenza, così gli esseri naturali, mediante la putrefazione, sono condotti alla soluzione, che a sua volta è raffrontabile alla conoscenza filosofica. Ed infatti così come grazie alla conoscenza filosofica si dissolvono i dubbi, non altrimenti, mediante la soluzione spagirica, si dischiudono i corpi metallici, per consentire l'estrazione dei loro sp ir it i. E ancora, come dall'amore medita tivo per gli studi sorge la frequenza e qu in di la fam ili ari tà con la saggezza, la somiglianza alla verità e la comunione con la vi rt ù, s imilm ente dalla frequente ripetiz ione della conge lazione che segue la soluzione, l'una sempre alternata al l'altra, le partì dei corpi naturali, per l'assiduità di tale operazione, acquisiscono un grado di affinità per pu rezza, così da poter accedere all'unione spagirica. Perciò, come per la frequenza n egli stu di filosofici si acuiscono le facoltà intellettive dei filosofi, così, con le abluzioni spagiriche, si possono sottilizzare persino le membra dei co rp i na tu ra li . Al lo stesso mo do in cu i i fil os ofi , attra7
Ved. i p r i m i cap it oli di Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione er
metica, Laterza, Bari 1985. 8 Studium indica qui una anche
una laboriosa disposizione di ardente de vozione, intensa vibrazione emotiva per l'oggetto cui ci si dedica.
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verso la virtù, si congiungono alla verità, parimenti gli elementi si compongono attraverso la miscela spagirica e la composizione. Grazie alla potenza si consolidano le virtù filosofiche, insediandosi per dignità, e in guisa ana loga gli spiriti sono insediati nei loro corpi attraverso la fissazione spagirica, in modo che non rifuggano il fuoco. Infine, come per mezzo del miracolo la filosofia adepta rende manifesta la Verità agli uomini, similmente la me dicina spagirica, grazie alla proiezione, svela la propria perfezione. In breve ti è stato rivelato tutto ciò che l'au tentica filosofia possiede in comune con l'arte spagirica 9 per quanto concerne le operazioni" . L'arcano sembrerebbe essere stato rivelato appieno, se non fosse che il versante alche mi co- spa gir ico di questa metafora cela a sua volta proprio la descrizione dei ter mini tecnico-pratici del processo lungo il quale si artico lano le singole operazioni dell'alchimia interiore. La con troparte psico-fisica dell'opus resta velata, anche se più d'uno spiraglio è stato dischiuso. Una delle vie d'accesso per tentare di s ciogliere questo enigma pratico consiste in un vero e proprio scambio delle "maschere". L'uomo deve essere in grado di introiettare in sé il mondo esterno, di assimilarlo alla propria soggettività - l'Unus Mundus di cui parla Dorn - per ri uscire, nel medesimo tempo, a obicttivare se stesso, agendo sulla propria compagine psico-fisica, proprio come se contemplasse un minerale, una pietra vivente 10 . 9
Th. Chem., voi. I, pag. 453. Corsivi nostri. Nella Philosophia Meditativa sono trattati i primi due gradi (putrefactio - studiwn e solutio - cognitio philosophica) che rappresentano il primo, difficilissimo scoglio dell'opus. I gradi successivi costituiscono l'oggetto della Philosophia Chemica. 10 II significato simbolico della pietra, nei testi alchemici, presenta molte pl ic i aspetti. Tra gl i alt ri , oltre ai rifer ime nti evangelici e bi bl ic i in generale,
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È in se stesso, prima d'ogni altro luogo, che l'alchi mista deve sperimentare l'unità cosmica. Il carattere pratico della conoscenza ermetica è costantemente riba dito da t u t t i gl i al ch im is ti . L'uomo, in quant o riassume in sé l'intero Creato, è, secondo Paracelso, quintessenza del cosmo. Nell'uomo, scienza ed esperienza si compe netrano, divengono tutt'uno attraverso il processo di 11 ide ntif ica zio ne con l'oggetto con osc iuto. Pagel , giu stapponendo alcuni frammenti tratti da Paracelso, così riassume questa concezione. "La conoscenza è expe rientia - qualcosa che conosciamo con certezza - con trariamente all'experimentum, che è, di per sé, pura mente 'accidentale'. [.. .] 'Al lorc hé o ri g li (ablauschen) per cogliere dalla scammonea la conoscenza che pos siede, essa verrà in te così come è nella scammonea, e allora avrai acquisito l'esperienza e insieme la cono scenza'. [...] 'Scientia, pertanto, è ciò che è in pieno ac cordo con la conoscenza conseguita tramite il giusto or dine della Natura'. 'La scientia è contenuta nell'oggetto in cui Dio l'ha depositata: Yexperientia è la conoscenza di casi in cui la scientia è stata messa alla prova'. [...] Mettendo la scientia alla prova in un esperimento, l'os servatore raggiunge un' iden tific azio ne con l'oggetto e questo rende possibile la comprensione dell'oggetto: ex perientia. Essa va molto più in profondità dell'essenza degli oggetti di quanto non faccia la percezione sensi bile. [ . . . ] ' . . . è la concordanza che rende l'uomo un inla pietr a è eletta a forma s imbo lica perché rappresenta, ontologicam ente, la manifestazione più "semplice" ed elementare dell'essere obiettivo nello spazio. Nell 'i mm ob il it à lapidea anche la dimensione temporale si assotti glia fin o a rendere l'oggetto virtu alm ent e partecipe dell'essere puro , no n soggetto al diven ire e alla trasfo rmazi one. La piet ra è qu in di , per eccel lenza, oggetto dell'osservazione. " Cit ., pagg. 54-55.
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tero: così egli conosce il mondo e da esso l'uomo stesso, essendo questi due una cosa sola, e non due. È questo che io metto a base dell'esperienza'". Dorn gli fa eco nella Philosophia Meditativa: "E non possiamo, muovendo da un dubbio qualsiasi, conse guire maggiore certezza se non facendo esperienza, né in mo do m ig li or e che facendola in no i stessi. Per cu i ve rificheremo le cose dette in precedenza intorno alla ve rità compiendo da noi stessi la prova". Ma il Creato non è soltanto ordine. La parola greca kosmos, infatti, significa sia ordine, sia ornamento. Se l'os servazione dell'ordine naturale conduce alla conoscenza della Legge, la contemplazione della bellezza, in quanto teofania, è esperienza - cardiaca più che cerebrale - amo rosa e unitiva, che prelude alla theosis, alla divinizza zione dell'uomo che sappia vedere nel Creato, e in se stesso in quanto ornamento del Creato, il manifestarsi del Divi no . È questo uno degli aspetti, tra l'altro no n pri vi di sublime poesia, che contraddistinguono l'"ingenuo stu pore" dell' alchimista di fronte alla Natura. Ecco perché i testi di alchimia invitano l'uomo a espe rire e conoscere dentro di sé i quattro elementi, i pian eti e i minerali, mentre descrivono metaforicamente la cono scenza di sé come un viaggio macrocosmico attraverso le qualitates.
L'uo mo, secondo Do rn , riceve il corpo dalla terr a e l'i n tell etto da l cielo . " I l cielo e la terr a sussistono insieme, così come il cielo e l'uomo. Tuttavia, poiché l'uomo è composto anche di terra, lo si deve conoscere a partire da essa e secondo essa. Ma bisogna giudicare il quate rnario (degli elementi) anche a partire dal cielo e secondo il cielo. Q ui nd i l'uom o, il cielo e la terra sono una cosa sola, ed ins ieme anche l'a ria e l'acqua. [. .. ] Al l' in te rn o del-
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l'u omo , e no n fu or i di l u i , esiste un tesoro gran dissimo . 11 mon do esterno diviene teatro13 dell'a ttività interiore, e l'esperienza del cosmo esteriore si "drammatizz a" e vi vi fica all'interno della 14 sfera mentale ed emotiva. Il poten ziale "psiche-delico" di tale operazione è enorme, e il punto d'e qui libri o sta pr op rio nel riuscire a far dimo rare il macrocosmo entro se stessi, finanche all'interno della dimensione "affettiva", mentre si opera, per converso e si multaneamente, una trasformazione di fredda e distac 15 cata oggettivazione del proprio io . È uno degli aspetti simbolici - beninteso non il solo - del cosiddetto "fuoco frigido", a cu i accennano riservatamente gl i alch imisti, e la cui accensione rappresenta forse la più difficile e mi steriosa delle opera zioni. "Bruciare con l'acqua" o "lavare col fuoco", "acqua ardente" sono ossimori usuali, mas sime dell'alchimia operativa che si incontrano di fre quente negli antichi trattati. Thomas Vaughan, nelle ul time righe dell'Aula Lucis, osserva lapidariamente: "Tutti sono in grado di far bollire l'acqua nel fuoco, ma se sapes sero come far bo llire il fuoco nell'acqua, la loro scienza f i sica andrebbe ben al di là della cucina". Ma questo capo volgimento orizzontale non è in sé sufficiente qualora non poggi saldamente su un vertice superiore. Il punto di Philosophia Speculativa, in Th. Chem., voi. I, pag. 274. II suffisso "tr" ne l sostantivo teatro (gr. Géaxpov) indica il mezzo, lo stru mento per ottenere qualcosa. Il teatro rappresenta quindi lo strumento per guardare (Gedco^cu) in modo attivo, contemplare. 14 Nel senso letterale del termine, rendere manifesta, rivelare all'esterno l'attività dell'anima (yvxfi), ma anche consentire che l'attività dell'Anima del Mon do si manife sti nel "piccolo mondo " interio re dell'alchi mista. 15 Così, nella Philosophia Meditativa, Dorn osserva: "Impara inoltre a cono scere da te stesso ciò che vi è in cielo e in terra, specialmente tutto ciò che è stato creato per te". E ancora: "No n potr ai realizzare quell'Uno che cerchi, traendolo dalle altre cose, se prima non sarai riuscito a fare di te stesso una cosa sola". 12
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vista di Dorn è inequivocabile: "Peraltro, qualora si cerchi di realizzare l'intellezione, si sappia anche che essa, come del resto la fede, è in realtà un dono gratuito di Dio". E questa Grazia, per Dorn come per tutti gli alchi misti, va ardentemente implorata. "Ancor più grande la follia di chi fosse tanto ignorante da credere che la Grazia di Dio possa essere ottenuta con la sola fatica, senza im plorarla prima. [...] Chiedere (veramente) significa do mandare non solo con la bocca ma col cuore e con tra sporto emotivo". Questo "vertice superiore" traccia la direzione stessa e l'"orientamento" del processo di trasmutazione. Per gli alc himis ti, sta all'u omo consentire che il sigillo spirituale s'imprima nell'esperienza, consacrandone il valore. Qua lora egli vi riesca, il teatro micro-macro-cosmico diverrà, per lo stesso uomo, scenario di una rivelazione divina 16 . Ecco allora un esempio descrittivo di questo capovolgi mento orizzontale, imperniato sull'asse verticale della di vinizzazione dell'uomo, in cui i contenuti interiori sono proiettati sullo scenario cosmico dei quattro elementi. "Per prima cosa devi mutare la terra del tuo corpo in acqua. Il tuo cuore impietrito, terrestre e fiacco, deve es sere reso tenero e attento, perché realizzi la conoscenza di Dio ma anche di se stesso. E ciò si compie imprimendo nel cuore - come sigilli apposti nella cera - im ma gi ni e vi sioni contemplative di natura spirituale. In seguito, dal l'acqua sia tratta l'aria: volgi il tuo cuore, contrito e umi16
Allorché, nel proporre un'interpretazione della concezione alchemica del cosmo, si trascuri di riconoscere il valore fondante di tale principio, l'intera alchimia tradizionale si ridurrebbe a un mero panpsichismo, esito fatale e inevitabile delle interpretazioni di segno "panpsicologistico" che sostitui scono, al Principio Primo, il principio - meramente umano - di individua zione psichica.
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liato, in alto nel cielo, verso il Creatore, emulando l'aria che tende sempre verso le regioni più alte. E mediante la preghiera bussa con vigore, perché ti sia spalancata la comprensione delle cose divine. Infine, l'aria si traduca in fuoco, e ciascun desiderio del tuo cuore, oramai levato in alto (sublimato), sia tramutato in amore - cui è assimi lato il fuoco, per l'ardore - di Dio e del tuo prossimo su questa terra, affinché questa fiamma non si estingua mai. E così accadrà che, per affinità, la tua diade, composta di spirito e corpo, sia congiunta in un solo17 ternario, attra verso i suddetti tre gradi del quaternario" . 17
Gerhard Dorn, Phisica Trithemii, in Th. Chem., voi. I, pag. 396. La dot trina degli elementi tramandata nei testi di alchimia pone solitamente agli estremi l'acqua (V) e il fuoco (A) in quanto contrari, e - in posizione inter media - la terra ( V) e l'aria (A ), a indicare due condi zio ni di "arresto" e fis sazione più o meno parziale rispetto alla direzione puramente discendente e ascendente. Dorn, al contrario, sembrerebbe porre agli estremi la terra e il fuoco, collocando l'acqua e l'aria in posizione intermedia. Questo "scambio" all'interno della dimensione inferiore è strettamente connesso al punto di vista che egli intende esprimere, ovverosia quello che più propriamente ca ratterizza ed esemplifica l'esperienza umana. A conforto di questa tesi si os servi l'identi tà di vedute rispetto al Timeo plat onico (32B), ove rinveni amo il medesimo ordine. Proclo, commentando l'impostazione platonica del pro blema, al principio del terzo libro del suo Commento al Timeo, rileva questa incongruenza, solo apparente - rimproverata a Platone anche da Teofrasto - e la giustifica proprio all'interno di una teoria epistemologica del cosmo, per cui terra e fuoco appaiono essere i cardini, rispettivamente sen sibile e visibile, dell'esperienza umana. Tornando a Dorn, se l'elemento terra contraddistingue la rigida fissità della forma in divid uata , del soggetto conoscente, la prim a immersion e nel l'elemento acqua simbolizza invece una "discesa agli inferi", esperienza della potenza selvaggia e impersonale delle energie che animano il Creato e della continuità micro-macro-cosmica, conoscenza del "drago", presa di contatto con la dimensione degli atavismi, dissoluzione dell'illusione del l'i o, e inol tre , per esprimersi nel linguaggio religioso, riconoscim ento del peccato ma anche apertura verso l'esperienza del Divino nel suo aspetto di immanenza. Gli stadi successivi sono la logica successione di un unico pro cesso ascendente di sublimazione (A) e ignificazione (A). Se rappresentas simo i quattro elementi colloc andoli sui pun ti estremi di una croce inscritta
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A questo punto il lettore potrebbe essere indotto a do mandarsi se questi riferimenti al cosmo non rappresen tino in realtà nient'altro che un appoggio metaforico per tracciare un iter sostanzialmente, o addirittura esclusiva mente, etico-devozionale. Bisogna innanzitutto tener conto che qualsiasi ascesi comporta, almeno nelle sue fasi pr el im in ar i, un severo lavoro di rim ozi one dei vi nc ol i concupiscibili e riferibili all'ego terrestre in genere. Per sino nell'ascesi buddista - tra le forme meno inclini a qualsiasi indulgenza sentimentalistico-moraleggiante - vi è una serie assai articolata e severa di prescrizioni che re golano l'etica interiore ed esteriore dell'adepto. Nel lin guaggio alchemico, questa purificazione e rettificazione preliminare è spesso designata con la mortificazione e con la rim ozi one delle im pu ri tà dai meta lli, da i pianet i che li simbolizzano, o anche dai due principi cardine: zolfo e mercurio. Nel De Duello Animi cum Corpore, Dorn contrappone talvolta all'impurità peculiare di ciascun pianeta una specifica v i r t ù cristiana. Questo fatto i l l u mina la ragione stessa della necessità di appoggiarsi a una prassi etico-devozionale. L'alchimia interiore è una "tecnica" di realizzazione spirituale che affiora in con testi relig iosi , sapienziali ed etnico -cul tura li assai etero genei. Il lavoro preliminare di purificazione e dissolu zione dei vincoli dell'io si appoggia necessariamente al patrimonio dottrinale, religioso ed ascetico-devozionale di ciascun contesto d'origine. È così per l'alchimia in amin una circonferenza (©), e ponessimo rispettivamente il fuoco e l'acqua ai vertici superiore e inferiore della croce, la terra e l'aria sulle braccia oriz zontali sinistra e destra, il percorso indiretto dalla terra al fuoco, transi tando attraverso gli altri due elementi, potrebbe simbolizzare la cosiddetta "via lunga" o "umida". In direzione contraria, il brusco e diretto passaggio dalla condizione tellurica a quella ignea, senza mediazioni o stadi inter medi, rappresenterebbe a sua volta la "via breve" o "secca".
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bito induista, taoista, islamico ed anche cristiano, ma in ogni caso il rapporto con l'osservanza di prescrizioni etico-religiose è di natura eminentemente funzionale. Si tratta comunque, nel caso delle prescrizioni etiche, di un mezzo, non di un fine, oppure, per essere più precisi, non del fine ultimo. Un parallelo più appropriato e "com pleto" potrebbe altresì essere proposto rispetto alla teurgia, specialmente in ambito neoplatonico e alessan drino. Al severo controllo del mos individuale si succe dono i riti preliminari di purificazione che culminano, a loro volta, nell'apoteosi misterica - e teurgica in senso proprio - e in un'illuminazione d'ordine superiore. Questa netta articolazione dei li ve ll i, nel testo di Do rn , si evidenzia attraverso un brusco iato, un evidente salto nel linguaggio espositivo e nella terminologia del testo. Il lungo e severo sermone di richiamo alla Verità, culmi nante in una prima ardente invocazione della Grazia, cede abbastanza im pr ovv isa me nte il passo a un'os cur a descrizione tecnica dedicata all'estrazione della quintes senza™, o spirito del vino, che per Dorn rappresenta "il solo, fra gli arcani della natura, grazie al quale gli spagiristi attinsero alle cose più alte". L'esposizione e l'uso dei te rm in i si fa qu i assai cri pti co, ingi ustificatamente inac cessibile, se si trattasse solo di un testo di devozione reli giosa. In realtà, dopo aver descritto abbastanza aperta mente le purificazioni preliminari e la "preparazione della materia" - operazioni poggianti anche sulla sfera etica del l'in div iduo ma non integralmente ri du ci bi li a 18
Ly nn Thor ndi ke scorge un debito di filiazio ne fra la concezione dorniana della quintessenza e gli scritti di Jean de Rupescissa e di Raimondo Lullo, ciascuno dei quali è autore di un Trattato sulla Quintessenza. Ved. Lynn Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, Columbia Univ. Press, New York 1941, v oi . V, pagg. 630 e sgg.
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essa, - l'esposizione delle tecniche di separazione dell'ani ma dalla compagine corporea non potrebbe essere propo sta con pari evidenza e chiarezza, trattandosi di pratiche - teurgiche appunto - potenzialmente assai pericolose. Si può tuttavia dedurre, dalla stessa struttura espositiva che procede per un cammino di costante "assottiglia mento" della materia, che il percorso tracciato descrive le graduali trasformazioni della coscienza, da uno stato "grezzo" e ottuso, vincolato alla dimensione assoggettata all'ego indi vi du al e, fin o alla realizzazione di stati superindividuali.
Che la descrizione dell'estrazione della quintessenza del vino da una natura vegetale rivesta un significato simbo lico è cosa che si può facilmente evincere sia dal contesto, sia grazie ad alcune precise e inequivocabili affermazioni del Dorn. Così nella Philosophia Speculativa: "Non sarà filosofo colui che negherà che il pane o il frumento detengano in sé uno spirito meno potente di quello del vino, seppure meno abbondante nel pane rispetto al vino. Se un tale spirito può essere separato artificialmente dal pane, quanto più naturalmente può avvenire la separazione di 19 esso nell'uomo?" .
E ancora: "Vediamo pertanto che il corpo e l'anima pos sono, in modo assai pertinente, essere paragonati ai giar dini e ai campi. [...] Possiedi il seme, il campo e l'acqua. No n ti manca nien t'al tro oltre il lavoro assiduo, inin ter rot to. Occorre che tu no n cessi ma i di rimeditare, nei tuo i 20 pensieri, le cose che ti sono state dette..." . Se nelle prime fasi dell'ascesi alchemico-spirituale la solutio riveste la valenza già segnalata di culmine del di Th. Chem., vo i. I, pagg. 267-268. Philosophia Chemica, in Th. Chem., voi. I, pag. 434.
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stacco dai vin co li con cupi scib ili, e pertanto coincide an che con una forma di rigenerazione etica dell'individuo, l'accesso a livelli di coscienza d'ordine superiore com porta un vero e proprio distacco dalla compagine corporeo-sensoriale e dalla coscienza ordinaria. È in questa chiave che va interpretato sia il fuggevole accenno a un certo veicolo come strumento per compiere la separa zione, sia la dottrina concernente la quintessenza del vino
filosofico.
L'allusione al veicolo come strumento di separazione cela uno degli arcani più inviolabili dell'opus alchemicospirituale. Per comprenderne e valutarne appieno l'im portanza, ci si deve riferire in primo luogo alla dottrina neoplatonica del veicolo dell'anima (òxrma) esposta so prattutto da Giamblico, Porfirio, Proclo, Sinesio, dagli Oracoli Caldaici, in parte dagli stessi stoici (7tvei>ua è il termine che questi impiegano preferibilmente) e an cora, diffusamente, sebbene in modo piuttosto fram mentario, dallo stesso Paracelso (corpo sidereo) e da Fi21 cino . Tale insegnamento, in ambito neoplatonico, si sviluppa principalmente come commento ad alcuni passi in cui Platone accenna alla dottrina dei veicoli22. Riassumendo, soprattutto a partire dalle osservazioni 23 svolte da Proclo , Gia mbli co e Por firi o, le fun zio ni del veicolo sono essenzialmente tre: 1) È la dimora sottile grazie alla quale l'Intelletto Trascendente si congiunge al corpo. 2) Al veicolo, in quanto intermediario e soglia fra la dimensione grossolana e quella soprasensibile, 21
Sulla concezione del corpo astrale nel Rin ascimen to ved. D.P. Walker, "The Astrai Body in Renaissance Medicine", in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXI, 1958, pagg. 119-133. 22 Timeo, 41 E; 44 E; 69 C; Fedro, 21A B; Fedone, 113 D. 23 In particolar modo nel quinto libro del Commento al Timeo e negli Ele menti di teologia.
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fanno capo la facoltà sensitiva e immaginativa. 3) Me diante esso, una volta purificato e mondato dai residui genesiurgici, grazie ai ri t i anagogico-teurgici, l'in tell etto individuale può elevarsi fino alla conoscenza delle po tenze divine. La rettifi cazione, o addi ri tt ur a la riconf iguraz ione e il ri-orientamento della sfera sensitivo-immaginativa, rap presenta l'obiettivo primario del processo 24- esposto in precedenza - di purificazione e separazione . A proposito della preghiera, strumento di purifica zione cui lo stesso Dorn attribuisce considerevole im portanza, Giamblico osserva: "Leva lentamente in alto i nostri sentimenti e il nostro pensiero [...] accresce l'amore divino, accende la scintilla divina della nostra anima, la purifica da ogni sentimento contrario, allon tana dal pneuma etereo tutto ciò che è incline alla gene 25 si ..." . Sulla fotagogia, fenomenologia luminosa di ori
gine divina, così si esprime: "Questa illumina con luce 24
L'argomento è stato ampiamente trattato da numerosi studiosi della tra dizione neoplatonica e la bibliografia è assai vasta. Per quanto concerne Giamblico, proponiamo all'attenzione del lettore almeno l'ottima disamina teoretica proposta da John F. Finamore, Iamblichus and the Theory ofthe Vehicle ofthe Soul, American Philological Association, Chico, California 1985. Sulla dottrina del "veicolo" al'interno della tradizione neoplatonica, suggeriamo senz'altro l'esauriente e approfondito lavoro di Maria Di Pas quale Barbanti, Ochema-Pneuma e Phantasia nel Neoplatonismo (aspetti psi cologici e prospettive religiose), CUECM, Catania 1998. A nostro modesto av viso, riteniamo anche che le valutazioni parzialmente contrastanti espresse da Porfirio e Giamblico sul destino del veicolo, sulla sua immortalità e, in generale, esprim enti il diverso rilievo a ttr ibu ito gli , possano rivelare una so stanziale eterogeneità nei ris pet tivi or ienta menti teosofici, ovverosia, in sin tesi, di propensione per una "via conoscitiva" che si dispiega attraverso la pura speculazione filosofica per il primo, e di una più schietta caratterizza zione iniziatica e magico-teurgica per il secondo. 25 Giamblico, / Misteri Egiziani, a cura di A.R. Sodano, Rusconi, Milano 1984, pag. 196. Corsivo nostro.
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divina il veicolo etereo e splendente che avvolge l'anima, per cui divine immagini colgono la nostra potenza im maginativa messe in movimento dalla volontà degli Dei" 26 . Qualsiasi riflessione intorno alla funzione teur gica del veicolo è indissociabile dai processi di purifica zione che costituiscono il cuore dell'antica arte telestica. Ne è ulteriore esempio tra gli altri il Commento ai 27 Versi d'Oro di Pitagora, redatto da Ierocle . L'uomo è og getto di almeno tre diverse forme di purificazione, che concernono rispettivamente Yanima razionale, attra verso la filosofia e le virtù, il veicolo, mediante i riti teurgici, e la componente fisico-vitale, attraverso l'ascesi corporea. La lunga e articolata trattazione della prassi catartica, poggiante sui precetti etici dei Versi d'Oro, culmina nella descrizione del veicolo purificato, la cui qualità è definita - come nel brano di Giamblico citato sopra - splendente (atìyoeiSèq). Il corpo luminoso riac quisisce le proprie ali, che aveva smarrito al contatto con la vi ta terrena. Lo "splendore" del veicolo ha signi fi cativi riscontri nella letteratura alchemica, in particolar modo nei frequenti rife ri me nt i ai fenomeni lu mi no si, fe nomeni cui puntualmente si accenna anche nelle pagine conclusive della Philosophia Meditativa. Ancora una vol ta il legame coi Misteri antichi e con la tradizione plato nica e neoplatonica si rivela più profondo di quanto po trebbe apparire. La purificazione del mercurio con la relativa rimozione dell'umidità superflua - a indicare il 26
Ib id ., pagg. 132-133. Corsivo nostro. La dottr ina del veicolo è anche accen nata in alcuni passi del Corpus Hermeticum, e specialmente in X, 13, 17, 18. 27 Hierocles, In Aureum Pythagoreum Carmen Commentarius, a cura di F.W. Koehler, Stuttgart 1974. Ved. anche il capitolo dedicato a Ierocle i Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma..., cit.
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"prosciugamento" dei vincoli - consente alla Luce 28 ed alla quali tà ignea nascosta di rivela rsi. L'eccesso di um i dità, che si riscontra al principio dell'opus, indica, nel ling uag gio erm etico, quello stato in cu i la coscienza "so lare" dell'adepto è sopraffatta dal desiderio, orientato verso le forme generate. Già in Eraclito troviamo un modo29 affine di rappresentare l'anima. Così lo cita Por firio : "Per le anime è piacere o morte diventare umide; e il piacere è per esse cadere nella nascita. [...] Viviamo la lo ro mo rte e vivo no la nostra morte". È evidente che il riferimento è ad una condizione decaduta dall'anima, sprofondatasi nel "pneuma torb ido ". Ed inf at ti , altrove (fr. 118 DK), Eraclito afferma icasticamente: "L'anima secca è la più saggia e la migliore". Il concetto di umi dità intesa come affezione negativa, inclinazione a smarrirsi nella generazione, è presente nella stessa tra dizion e neoplato nica. L o rinv eni amo anche in Plotino30 , in Porfirio e in Proclo. Porfirio, dopo aver spiegato come l'anima, mediante la fantasia eccitata dalle pas sioni del corpo, "regga il proprio fantasma" persino dal l'Ade, così qua lifi ca i "corp i" che veicolano l'anima: "Co sicché se (l'anima) è disposta in maniera più pura, le è congenere un corpo prossimo all'incorporeità, come l'e tere; se procede dalla ragione all'immaginazione, le è congenere un corpo di natura solare; se diviene fem minea e tende alla forma, prende allora una natura lu nare; se invece cade nei corpi, quando si produce la 28
A. Pernety, Dictionnaire Mytho-Hermétique, Paris 1758 s.v. Luce, afferma che la luce corrisponde àll'albificazione del mercurio, successivamente alla putrefazione. 29 De Antro Nympharum, 10. 30 Ved. il cap itolo dedicato a Plotino, e al "pneuma torbid o" in particolare, in M. Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma..., cit.
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forma in virtù di ciò che in essa era informe, si costi tuisce in umidi vapori e perde del tutto la conoscenza dell'ente, in uno stato di annebbiamento infantile. E uscendone, poiché ha ancora lo spirito impregnato di umidi vapori, si trascina un'ombra ed è pesante, dato che uno spirito siffatto tende per natura a cadere nelle profondità della terra, a meno che un'altra causa lo ri converta. [. .. ] Quando tenta di mischiarsi senza interru zione alla natura, la cui attività si svolge nell'umido e per lo più sottoterra, allora è impregnata di umidità. Quando invece tenta di allontanarsi dalla natura, di viene nitido splendore, senza ombre e senza nubi: l'umi dità infatti crea le nubi nell'aria mentre il nitore pro 31 duce dal vapore una nitida (a/òyfiv, splendente) luce" . 32 Proclo - anch'egli riferendosi a Eraclito e Porfirio a proposito dell'umidità dell'anima - riconduce all'arte dell'armonia, propria del "buon musico", la capacità di temperare e "distendere" gli "umori irascibili" e, per converso, di "contrarre" la rilassatezza propria della concupiscenza. Infine secondo Giamblico, Proclo e Macrobio, la so stanza del veicolo è tratta dall'etere, denominato in se guito anche quinto elemento e quintessenza, ossia da un princ ipio celeste, attivo, incorruttibile e relativamente indifferenziato rispetto ai quattro elementi 33. Per Paracelso, la quintessenza è la sede degli arcana, sottili virtutes agentes che caratterizzano ciascun ente. 31
Porfirio, Sentenze sugli intellegibili, a cura di Giuseppe Girgenti, Ru sconi, Milano 1996, cap. 29. 32 Proclo, Commentane sur le Timée, a cura di A.J. Festugière, Vrin, Paris 1966,1, 117,5-19. 33 Ved. Iamblichi Chalcidensis, In Platonis Dialogos Commentariorum Fragmenta, edited by J. Dillon, Leiden 1973. In Tim., fr. 84.
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Grazie a queste, si estrinseca la potenza causale degli astra, o principi seminali. Dorn, nella Clavis Totius Philosophiae Chemisticae de dica un intero paragrafo alle virtù della quintessenza del vi no . "... lo spiri to del vino, una volta estratto e separato del tutto dal suo corpo, per continuo moto circolatorio, ha la proprietà di estrarre ciascuno spirito dai rispettivi corpi, siano vegetali, minerali o animali, grazie alla sola infusione. [... ] I pr in ci pi at ti vi , separati dai ri spe tti vi principi passivi, agiscono su qualsiasi composto, lo dis solvono attraverso la penetrazione dello spirito agente e 34 ne separano lo spirito per unione di affinità : poiché le cose simili sono attratte da quelle simili - quando non siano ostacolate - lo spirito brama, per propria natura, di essere sciolto dai vi nc ol i del corpo e di far ri to rn o alla propria origine, ovverosia di essere riunito a ciò che gli è affine. Pertanto non deve meravigliare se la quinta virtù del vino e prima essenza attragga le virtù di tutte le cose infuse in essa e le disaggreghi dagli elementi per soluzione del vincolo naturale, nel momento in cui gli spiriti, per desiderio 35e azione, riescano a prevalere sulle componenti passive" . Per elucidare ulteriormente il senso di queste com plesse metafore, sarà bene precisare che la conoscenza
del "veicolo quintessenziale" per estrazione e separa zione altro non è che la suddetta realizzazione progres siva di stati int el le tti vi maggiormente de-indi viduali z zati rispetto alla coscienza corporea ordinaria, indivi duata e di natura plumbeo-tellurica. Il carattere univer sale e unitario della virtù celeste quintessenziale, punto su cui mol to insiste il Dor n, è indice inequivocab ile di 34
Per symbolisationem, dal greco CTU|a-(3dXA.co, por re Th. Chem., voi. I, pag. 217. Corsivo nostro.
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insie me, un ir e.
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questo status superindividuale in cui la coscienza speri menta la continuità e l'unità micro- e macro-cosmica 36 . Anche l'affine dot tr in a in dù degli "in vol ucr i" o "guaine" corporee non dovrebbe essere assolutamente intesa in senso letterale, ovverosia alla stregua di un "materia lismo rarefatto", ma in quanto metafora di gradi di co scienza collocati su una scala ascendente, il cui livello più basso è costituito dalla coscienza individuale ordi naria, soggetta al vincolo corporeo. Tuttavia, seppure potenzialmente reperibile ovunque, la quintessenza è assai difficile da estrarre. Dorn vuole suggerire quali possano essere i "punti d'accesso" meno impenetrabili, le "leve" per realizzare l'estrazione e la se parazione.
Si è detto che il veicolo dell'anima presiede, tra l'altro, alla funzione sensitiva e immaginativa. Se la purifica zione dei sensi coincide con l'ascesi corporale descritta nella prima parte della Philosophia Meditativa, l'ascesi immaginativa - già evidenziatasi anche nelle citazioni da Giamblico - rappresenta un argomento assai più de licato e complesso,37e per ciò stesso trattato in modo assai meno esplicito . 36
Si confrontino, ancora una volta, le parole di Proclo (In Tim., I l i , 355, 918): "(l'uom o) è un micro cosmo . In fa tt i, come l'Universo, egli dispone di un'intelligenza, una ragione ed un corpo divino, un corpo mortale, e le sue parti sono analoghe a quelle del Tutto. Donde alcuni affermano rettamente che la parte intel lett iva dell'uomo corrisponde per rango alla sfera delle stelle fisse, che nell'ambito della ragione, la facoltà contemplativa corrisponde a Crono, la facoltà di governo a Zeus, e che entro l'ambito irrazionale, la fa coltà irascibile corrisponde ad Ares, quella concupiscibile ad Afrodite, quella sensitiva al Sole, e quella vegetativa alla Luna, ed infine che il veicolo lumi noso corrisponde al cielo ed il corpo mortale al mondo sublunare". 37 Per un serio approfondimento del ruolo svolto dalla vis imaginativa nel l'opera alchemica non possiamo che rimandare agli ottimi scritti di Mino Gabriele. In Iconologia e immaginazione nel Sogno di Poliftlo (Conoscenza Re ligiosa, 1979, 1/2, pag. 106) egli osserva: "Immaginare significa 'agire con-
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Dorn, in molti dei suoi scritti, invita insistentemente il lettore a guardarsi dalle "false immaginazioni", o dal Serpente che introduce le proprie "fantasie" nel nostro 38 spirito incessantemente attivo . Egli è tuttavia altret tanto sollecito nell'incitare l'asceta a imprimere "nel cuore - come sigilli apposti nella cera - immagini e vi 39 sioni contemplative di natura spirituale" . E osserva inoltre: "Al corpo non è data la facoltà di speculare, mentre l'anima, al contrario, adopera le silenziose opesciamente dentro se stessi attraverso rappresentazioni'. Il termine è com posto dall'aggettivo latino imus (fondo, basso) e dal verbo agere (agire, gui dare), ed esprime un'azione interiore, in 'profondità', che è poi detta crea trice in quanto le immagini da essa create sono il risultato di una combina zione consapevole di elementi fantastici e non fantasiosi". Non è possibile soffermarsi oltre su un argomento di tale vastità, assai ri levante tanto nella letteratura gnostica, neoplatonica, ermetica e misticoreligiosa dell'Occidente (si pensi già solo a Bòhme), quanto in quella isla mica, persiana (impre scin dibil i gli sc ritti di Sohravardl) e nella disciplina tantrico-tibetana delle visualizzazioni (I Sei yoga di Nàropà) e il prezioso commento di Lama Tsongkhapa). Per ulteriori approfondimenti, oltre al saggio già citato, rinviamo al numero 1981, 2 (Immaginario e immaginale) della rivista Conoscenza Religiosa, contenente numerosi saggi sullo stesso argomento. Fra essi citiamo almeno quello di Antoine Faivre, L'immagina zione
fondamento mitico dell'immagine, pagg. 230-261, e quello di Mino Gabriele, L'immaginazione in un inedito trattatello seicentesco di Giulio Rutati, pagg. 223-229. Suggeriamo inoltre: Henry Corbin, L'imagination créatrice dans le soufisme d'Ibn Arabi, Flammarion, Paris 1958; Manuel Insolera, La trasmutazione dell'uomo in Cristo nella mistica, nella cabala e nell'alchimia, Arkeios, Roma 1996 e ancora Mino Gabriele, Alchimia e Iconologia, Forum, Udine 1997. 38 De Duello Animi cum Corpore, in Th. Chem., voi. I, pagg. 478-479. 39
creatrice,
funzione
magica
e
Passo già citato sopra. Ved. nota 16. Le parole di Dorn trovano perfetta corrispondenza in Sohravardì: "Quando l'immaginazione attiva è occupata nelle pratiche spirituali e si applica meditando alle scienze divine, essa è, allora, Albero benedetto (Corano, 24, 35), ove i rami sono altrettante specie di pensieri e su questi il frutto: luce di certezza. [...] D'altra parte, quando l'Immaginazione attiva [qui, la phdntasis], si esercita su quel ch'è oggetto di percezione sensibile, andando senza sosta da un capo all'altro dell'illuso rio ... Essa è, allora, 'albero maledetto' ...". Sohravardl, L'arcangelo pur pureo, Coliseum, Milano 1990, pagg. 85-87.
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razioni immaginative, che il corpo si impegna ad ese guire per imitazione del modello. La concezione è pro 40 pria dell'anima, l'esecuzione del corpo" . Anche nella Philosophia Meditativa il ruolo dell'immaginazione è ri badito "perché l' im ma ginare le cose dette in precedenza possa accendere in noi l'amore della verità". L'immagi nazione, orientata dal "magnete" del desiderio, retto a sua volta dalla volontà solare, è per un verso il grembo entro cui "matura" l'embrione del corpo luminoso, per un altro il luogo deputato al primo disvelarsi delle po 41 tenze celesti . 40
Philosophia Chemica, in Th. Chem., voi. I, pag. 413. Ancora una volta, unitamente a Paracelso, è entro la tradizione platonica e neoplatonica che possiamo collocare l'orizzonte teorico-filosofico della concezione dorniana dell'uomo e delle sue facoltà. Già in Platone, infatti, l'immaginazione (phantasia) si presta non solo ad essere ricettacolo di pul sioni incon tro lla bil i e di contenuti disarmonici ed irrazion ali. Al contrario, qualora l'anima dell'uomo sia opportunamente mondata, l'immaginazione si fa specchio dell'Intelletto e strumento della divinazione. (Ved. M. Di Pas quale Barbanti, Ochema-Pneuma..., cit., pag. 52 e sgg.). Giamblico segue fe delmente Platone e a proposito dell'esperienza immaginativa instillata nel l'uomo dall'alto scrive: "...la parte immaginativa dell'anima è ispirata dagli dei, perché non da sé, ma ad opera degli dei si sveglia alle forme diverse dalle immagini, soppressa totalmente l'umana abitudine". / misteri... cit., I l i , 133, 5-9. Questo veni r meno dell'"umana abitu dine" è parti colar mente evidente nell'esperienza onirica. Secondo Sinesio (De Insomniis, cap. 4) al l'abbassarsi della soglia dell'io cosciente, nel caso dell'anima purificata, pos sono far seguito esperienze anagogiche di autentica "incubazione divina". A tal proposito menziona dapprima un frammento degli Oracoli Caldaici (fr. 118): "Ad alcuni concesse di cogliere per apprendimento il simbolo della luce; altri, fin durante il sonno, fecondò della sua forza". Successivamente commenta: "Gli Oracoli Caldaici hanno bene suddiviso l'attribuzione del l'apprendimento. L'uno - dicono - viene istruito da sveglio, l'altro nel sonno; ma nella veglia è l'uomo che insegna, il dormiente invece lo feconda di sua forza il dio, così che l'apprendere equivale allora all'ottenere, fecondare es sendo qualcosa di più del solo insegnare". In ambito platonico e persiano, a Sinesio farà eco il linguaggio mistico-visionario di Sohravardl: "Anche certi sogni son doppi imaginali di quel che l'anima contempla nei mondi supe riori; ove non sian facezie del demone della phàntasis". E ancora: "La 41
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La funzione dell'immaginazione è di capitale impor tanza per lo stesso Paracelso. Egli rimarca in più di un'occasione come la fantasia non sia da confondere con l'immaginazione, la prima essendo priva di qual siasi potenza. L'immaginazione esprime, attraverso i 42 propri contenuti, gli orientamenti della volontà . Nel De virtute imaginativa così si esprime Paracelso: "L'uomo ha un laboratorio visibile, che è il suo corpo, e uno invisibile, che è la sua immaginazione. Il Sole emette una luce che, anche se impalpabile e inafferra bile, può scaldare al punto da accendere il fuoco per concentrazione; così l'immaginazione esercita i suoi ef fet ti sulla sfera che gli è pro pr ia e fa germinare e poi svi luppare forme tratte da elementi invisibili. Come il mondo non è altro che un prodotto dell'immaginazione dell'Anima Universale, l'immaginazione dell'uomo (che è un piccolo universo) può creare43le sue forme invisibili e queste possono materializzarsi" . Un altro discepolo di Paracelso, Martin Ruland 44 , defi nisce l'immaginazione "astrum in hominem, coeleste sive supracoeleste corpus". La definizione del Ruland rinvia alla pregnante teoria del pneuma phantastikón esposta parola 'sonno' designa uno stato in cui lo spirito si ritira dall'esteriore (l'es soterico) all'interiore (l'esoterico). Sul fedele - la cui immaginazione attiva persegua assidua meditazione del Malakùt - [. .. ] sorgeran Luc i: lampo che estasia l'una all'altra seguendo, per poi scomparire. Evento prodigioso che rapisce l'anima oltre la soglia del Mistero" (Sohravardl, L'arcangelo pur pureo, cit., pag. 65 e pag. 97). 42 Ved. Alexandre Koyré, Mistiques, spirituels, alchimistes du XVI siede alle ntano., Gall ima rd, Paris 1971, pagg. 95-100. 43 Cit. in Serge Hu ti n, La vita quotidiana degli alchimisti nel Medioevo, BUR, Milano 1991, pag. 203. 44 Lexicon Alchemiae, Frankfurt
1621, s.v. Imaginatio. Il Lexicon del Ru land riprende sistematicamente tutte le voci del Dictionarium dorniano, con l'aggiunta di ulteriori integrazioni.
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da Sinesio nel De Insomniis. Non bisogna nemmeno di menticare ciò che si è già evidenziato in precedenza: ì'astrum è un principio seminale, una potenza causale che estrinseca la propria potenza attraverso gli arcana. Questi dimorano a loro volta nella quintessenza. È inoltre da porre nel debito rilievo il fatto che per Ruland l'immaginazione sia un corpus, seppure di natura ce leste. Sotto la voce Corpora Supercoelestia, Ruland ag giunge che questi si conoscono attraverso l'immagina zione, non attraverso gli occhi corporei, e che sono i soggetti delle opere mirabili degli spagiristi. Ed ancora il Ruland ci soccorre nel definire cosa si debba inten dere per Meditatio: "... ogni qualvolta si intrattenga un colloquio interiore con qualcun altro, che tuttavia non è visibile. Per esempio con Dio, nell'invocarlo, o con se stessi, oppure col proprio Buon Angelo". Le allusioni alla virtù seminale dell'immaginazione non sono infrequenti nei testi di alchimia 45 . Valga per tutti l'esempio del Novum Lumen Chemicum del Sendivogius. La ricorrenza del termine immaginazione e la valenza tecnico-meditativa non può sfuggire al lettore. "Come la Natura è nel volere di Dio che la creò e la im pose ad ogni immaginazione, così la natura fece per sé il 46 seme, cioè il suo volere negli Elementi" . "(Prendi) un maschio vivo ed una femmina viva e con giungili insieme, perché immaginino tra 47sé lo sperma atto a procreare il frutto della loro Natura" . "Vi sono tutte queste cose e gli occhi degli uomini vol gari non le vedono, mentre gli occhi dell'intelletto e del45 Ved. g li 46
studi di Mi no Gabriele cita ti sopra. Mich ael Sendivogius, Novum Lumen Chemicum, in Jean-Jacques Bibliotheca Chemica Curiosa, Genève 1702, voi. 2, pag. 465. Manget, 47 Ib id ., pag. 468.
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l'immaginazione le percepiscono con una vista vera, ve rissima: infatti gli occhi dei sapienti vedono la natura 48 diversamente dagli occhi comuni" . "Prima di accingervi all'opera, immaginate diligente mente ciò che cercate e quale lo scopo ed il fine del vo 49 stro proposito ..." . "... vi è sempre abbondanza di sperma ad aspettare il seme che dall'immaginazione del fuoco lo conduce alla matrice attraverso il movimento dell'aria. Qualora lo sperma50 penetri privo del seme, di nuovo fuoriesce senza frutto" .
"In questo Elemento (l'aria) è immaginato un seme, per virtù del fuoco, che vincola (constringit) il mestruo 51 del mondo ..." . "Di ciò è esempio l'anima, che immagina cose profon dissime fuori dal corpo e che per queste è assimilata a Dio, che opera fuori del suo mondo e della natura, seb bene queste cose siano come una candela accesa al con fronto della luce meridiana, poiché l'anima imma gi na ma non esegue se non nella mente, mentre invece Dio realizza le cose nel momento stesso in cui le immagina. [. .. ] Pertanto Dio no n è incluso nel mon do se no n come l'anima nel corpo. Separata (dal corpo), ha il suo potere assoluto, così come l'anima di qualsiasi corpo ha la po testà assoluta e potenza autonoma di fare cose diverse da quelle che il corpo può concepire. Quindi, se vuole, (l'anima) ha la massima potestà sul corpo; diversamente 52 la nostra Filosofia sarebbe vana" . 48
Ibid., pag. Ibi d., pag. 50 Ibi d., pag. 51 Ib id ., pag. . " Ibid., pag. 49
471. 474. 480. 482. 484.
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Per concludere, è opportuno passare in rassegna alcuni tratti essenziali dell'anatomia microcosmica proposta dal Dorn. Dorn rispetta la tripartizione tradizionale della compa gine umana in spirito, anima e corpo, impiegando il ter mine animus come sinonimo di spiritus. La scelta è pro babilmente dovuta sia alla volontà di porre l'accento sulla complementarietà dinamica della diade animusanima, sia all'intenzione di non confondere il principio trascendente, infuso nell'uomo - spiritus - col principio vitale, spesso designato, nella letteratura alchemica più tarda, col medesimo nome. È significativo osservare l'equilibrio di generi che, esprimendosi in latino, si instaura all'interno di questa triade. Animus (o spiritus) appartiene al genere maschi le, anima a quello femminile, corpus al genere neutro. La sovversione dell'ordine armonico delle funzioni ir rompe nel momento in cui il principio femminile {ani ma) sia soggiogato al termine neutro {corpus), che a sua volta viene meno alla propria funzione di neutralità me diatrice - il "sale armoniaco", per esprimersi nel linguaggio alchemico - fra animus e anima, asservendo la seconda e imprigionando, oscurando il primo, vulne rato nella virtù di fecondazione spirituale dell'anima. È il "Re ammalato" delle visioni alchemiche e delle leggen de del ciclo del Graal, che giace passivamente finché l'uomo non sappia porre la retta domanda. Questa con dizione di paralisi, di arresto, di inversione rispetto al ritmo naturale entro cui si dispiega ogni virtus, è mira bilmente rappresentato in un'immagine simbolica trat teggiata dal Sendivogius nel dialogo53 del Novum Lumen Chemicum fra Saturno e l'Alchimista . Secondo il Sen53
Tractatus de Sulphure, cit.,
pag. 489.
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divogius, lo Zolfo (Oro allo stato potenziale, spiritus dormiente) è prigioniero per volere di sua madre (Mer curio, anima non fecondata) in un "carcere tenebrosis simo" di cui Saturno {corpus) è giudice e prefetto. Sa turno amministra la prigionia, ma non è il vero artefice. Il carattere di oscurità del corpo non è determinato da una qualità intrinsecamente e univocamente negativa - al contrario esso è, laddove assolva la propria funzio ne, il principio neutro per eccellenza - bensì da un'er rata collocazione gerarchica che perverte le rispettive funzioni. La sua giusta disposizione mediatrice rispetto alla diade animus-anima illumina la neutra telluricità del corpo - testimone e ministro delle avvenute nozze alchemiche fra animus e anima - innalzandola fino allo splendore del "corpo di gloria", specchio ed estrinseca zione manifesta dell'avvenuta congiunzione interiore. Nella prospettiva metafisico-tradizionale in genere, ed ermetico-alchemica in particolare, nessuna cosa creata può essere assolutamente malvagia. Il male nasce come incapacità a vedere, ignoranza, oscuramento. È frutto di un orientamento erroneo, di un per-vertere appunto la direzione e la disposizione dinamica delle cose. Tuttavia, l'impostazione del problema fatta valere da Dorn segue fedelmente il punto di vista platonico e neo platonico. Non dovrà pertanto indurre in errore il fatto che Do rn in di ch i l'an ima e non il corpo come ter min e medio. Per corpo, si intendono qui primariamente gli appetiti dell'anima rivolti alla sfera corporea, grosso lana e unilateralmente esperita. Si indica cioè, per esprimersi nei termini della dottrina induista e bud dista, l'aspetto concupiscibile, la bramosia (kàma) che investe la dimensione corporea. Questa brama non è altro che una condizione mentale. Non a caso, Dorn af ferma: "In realtà, esso (il corpo) non può cercare di otte-
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nere alcunché se non grazie alla facoltà dell'anima che muov e il corpo". L'anima, pertanto , è posta al centro di una contrapposizione di forze (spirito e corpo) che la traggono in direzioni diametralmente contrarie. Questa condizione di disordine centrifugo è il punto di par tenza dell'opus chemicum interiore, per cui la ricostru zione dell'ordine gerarchico "normale" è quella "fatica d'Ercole" che costituisce il passaggio obbligato verso la realizzazione degli stati di coscienza superiori. Poiché la cosmologia alchemica è una rappresenta zione eminentemente dinamica, si evidenzia qui, una volta di più, come le designazioni simboliche della triade spiritus, anima e corpus non possano essere as sunte univocamente, e mut in o invece il pr op rio sig nifi cato secondo il contesto descrittivo. Nel primo caso, l'equilibrio fra animus e anima, che si estrinseca centripetamente nel medio corporeo, parte cipa, nell'apparente stasi di tale triangolazione, al movi mento dinamico in direzione ascendente e spiraliforme, ossia a imitazione di un moto circolare cui sia stata im pressa una direzione ascendente, donde segue la stessa
trasmutazione dei corpi. Nel secondo caso, la disar monia gerarchica e funzionale dei termini consegna il microcosmo umano alla condizione di convulso dina mismo, orizzontale e centrifugo, che si traduce, sul piano verticale, in una paralisi, nell'arresto della forma univocamente fissata. In quello stato, la "pietra" non potrà che essere - per usare le parole di Paracelso - una pietra orfana, "... come pietre che hanno gli occhi ma non vedono, le orecchie ma non sentono, le narici ma non percepiscono i profumi. Munite di bocca e lingua non parlano e non gustano, hanno mani e piedi ma non
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operano e non camminano. [...]54 Trasmutatevi da pietre morte in vive pietre filosofiche" . Andrea Melis
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Philosophia Speculativa, cit.,
pag. 239.
Gerhard Dorn Filosofia meditativa
La filosofia meditativa è la volontaria separazione dal corpo dell' intel letto ben armonizza to, così che l'anim o 1 possa p iù facilmente rivolgersi alla conoscenza della Ve rità. Per meditare rettamente, è necessaria una buona disposizione del corpo, in modo che non sia d'ostacolo al l'intellezione 2 . Questa disposizione si ottiene in due modi : mediante la natura o grazie all'arte. La via naturale può essere propiziata attraverso il beneficio dell'arte, ed inoltre è possibile conseguire quanto, in un pr im o tempo, 1
Do rn impiega il termine animus come sinonimo di spiritus, primo ter mine della triade spirìtus-anima-corpus. 2 Traduco, qu i e altrove, mens (con cettualmente affine al greco voìJc.) con intellezione (ma si potrebbe parimenti rendere con intuizione intellettuale) giacché Dorn usa quasi sempre questo termine latino non già per indicare una facoltà, quanto piuttosto uno stato di coscienza qualificata verso la dimensione trascendente, un intus legere, un "leggere dentro", che penetra sino all'essenza delle cose, secondo la definizione di San Tommaso (S. Th., II, 2).
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fu in parte negato dalla stessa natura 3 . L'esercizio 4della ragione, la sobrietà del vitto e la medicina spagirica rap presentano gli strumenti principali, che si impiegano, a 5 questo fine, singolarmente o in associazione . L'intelletto dicesi ben armonizzato quando l'animo è congiunto all'anima, in un vincolo tale da consentire il controllo delle brame corporee e degli impulsi. La buona disposizione del corpo consiste nell 'immun ità dai vi zi che corrompono, e ciò riesce meglio quanto più le parti che compongono il corpo abbiano raggiunto e ottenuto uno stato di equilibrio. Meno il corpo desidera ciò che gli è proprio, più obbedisce all'intelletto. Qualsiasi cosa bramata dal corpo è corrotta. In realtà, il corpo non può cercare di ottenere alcunché se non grazie 3
L'Ars Regia, secondo un insegnamento frequentemente riproposto nei trattati ermetico-alchemici, è lo strumento atto a condurre al sommo com pimento ciò che la natura ha espresso solo parzialmente e in forma non compiuta. Il processo alchemico è, in questo senso, condotto "oltre la na tura", e in quanto agisce per retrogradazione contro l'impietramento delle forme individuate, esso è detto "contro natura". 4 L'aggettivo spagirico e il sostantivo spagina derivano dai verbi greci anàa, estrarre e àyeipco, unire. Molti autori di testi alchemici usano tale ter mine - spagiro, spagina - in senso spregiativo, a designare i "bruciatori di carboni" ossia coloro che cercano esclusivamente l'oro materiale anziché quello spiri tuale . D or n invece impiega il termine nella sua accezione etimo logicamente corretta, a indicare la tecnica dell'estrazione e della separa zione, di capitale importanza nell'opera alchemica, fisica e spirituale, co munque la si voglia intendere. Nella Philosophia Speculativa, testo dorniano anteriore alla Philosophia Meditativa, ma in larga parte quasi identico, Dorn, nei passi sovrapponibili dei due testi, usa il termine alchimia al posto di spagina, a conferma del significato di sinon imo che gli a ttribuisce. 5 Si profila subito quella tripartizione della disposizione umana - neces saria a conseguire la saggezza - in spagirica, morale e meditativa. Tale t r i partizione sarà apertamente enunciata e illustrata più avanti. A essa corri sponde in realtà una specie peculiare di medicina rivolta a ciascuna compo nente della triade spirito, anima e corpo. Si capisce come le prescrizioni etiche non siano da intendersi quali realizzazioni meramente morali, sibbene come disposizioni "tecnicamente" necessarie a rimuovere i vincoli.
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alla facoltà dell'anima che muove il corpo stesso. Questa, se non fosse degenerata rispetto alla propria natura origi naria, agirebbe semplicemente per discernimento del bene o del male. Ma dacché in essa, in precedenza, s'in sinuò la malizia, l'anima tende a soggiacervi a causa del corpo, a meno che non le opponga resistenza l'animo, che propende esclusivamente verso il bene. L'anima è posta fra il bene e il male. Possiede una pro pria facoltà di scelta del bene non certamente per sé ma attraverso il bene - così che ciò che fu tolto le è restitui to - e del male attraverso sé soltanto. Cedendo e venendo meno il bene, e non altrimenti, si afferma il male, ossia per la continua resistenza che l'anima, trascinata dal corpo, oppone allo spirito, orientato esclusivamente al 6 bene .
Per poter dedurre meglio queste cose a partire dal con cetto di animo, bisogna ora riflettere sul motivo per il quale affermiamo che l'uomo sia composto di tre parti. Spesso spirito e anima sono nominati senza distinzione. Noi stessi, del resto, non poniamo fra loro alcuna diffe 7 renza al di fuori degli aspetti accidentali . Quando l'ani6
Dorn riprende qui una nota argomentazione metafisico-teologica se condo la quale il male non è altro che privatio boni, privazione del bene, così come la tenebra, nel suo aspetto negativo, è mera assenza di luce. L'ar gomentazione, di origin e monis tica, m ir a a sconfessare ogni dualism o onto logico fra bene e male, relativizzando il secondo. Il tema, in Occidente, fu ampiamente trattato in ambito neoplatonico, ed è poi stato ripreso ampia mente dai Padri cristiani . Plotino (Enneadi, I, 8, 3 ) afferma: "Se ta li sono gli enti e tale è ciò che è al di là degli enti, il male non esiste né in quelli né in questo, giacché sia l'uno, sia l'altro è bene. Resta dunque che, se esiste, esiste in ciò che non è; e che sia una specie di non-essere e si trovi perciò nelle cose mescolate di non-essere o partecipanti al non-essere". Sant'Ago stino si esprime così: "Tutte le cose sono buone e il male non è sostanza perché se fosse sostanza sarebbe bene" (Confessioni, VII, 12). 7 II "corpo di gloria" rispecchia, sul piano della manifestazione, il frutto spirituale delle nozze fra animus e anima, o Sole e Luna. Nella mistica della
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ma segue il cammino dello Spirito Divino, e gli obbedisce rinunciando a se stessa, la chiamiamo animo o spirito, dal nome dello Spirito Divino cui è soggetta. Se al con trario essa oppone resistenza allo Spirito Santo che le im prime il segno della salvezza, ed anzi ama se stessa, smar rendosi, allora la definiamo semplicemente e soltanto anima. Non desideriamo che i nostri scritti siano intesi altrimenti, perché qualcuno poi non ci accusi ingiusta mente di empietà. Empietà da cui invece tanto dista l'a nimo, che al contrario tenta di ridurre con tutte le forze questa a sé.
Nell'u omo, l'animo è soffio di Vita Eterna. L'anima è or gano dell'animo - o spirito - così come il corpo è organo dell'anima che a sua volta è vita del corpo per unione na turale. Parimenti lo spirito è vita dell'anima per unione sovrannaturale. Se quindi l'anima, per consenso o as senso, aderisce maggiormente all'animo che al corpo, ne scaturisce l'intellezione e risorge l'uomo interiore, creato un tempo dal soffio di Vita Eterna a immagine di Dio 8 . Se al contrario l'anima aderisce maggiormente al corpo Cabala, Malkut, l'ultima Sefirah, rappresenta la terra, "il regno", ed è com plementare rispetto a Keter, "corona", prima espressione della Divinità nel suo aspetto trascendente. Il superamento di ogni differenza fra animus e anima sta qui a indicare il processo di androginazione spirituale. Nel Congeries Paracelsicae (Th. Chem., voi. I, pag. 509) Dorn afferma che Adamo non è altro che la "pietra animale", che "porta dentro di sé la sua invisibile Eva occulta". 8 II corpo è organo o funzione dell'anima nella misura in cui "esprime" l'at tività della sfera psichica (anima). L'anima, per converso è, sul piano natu rale, prin cip io animatore del corpo. Pa rimenti, l'a nima nella sua condizione di ric etti vità virginea è resa pregna per adombramento dello Spirito D ivino che la vivifica mediante "unione sovrannaturale". La resurrezione del l'uomo interiore è ricondotta a un'immagine di fecondazione spirituale del grembo psichico-animico. Questo passo, ricco di risonanze mariologiche, è coerente con la marcata inflessione devozionale dell'intero testo dorniano.
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piuttosto che allo spirito, non resta altro che l'uomo este riore e l'abisso delle tenebre esteriori contro natura. L'animo inoltre si compiace di tre cose: della ragione, dell'intelletto e della memoria. La ragione presenta all'in telletto l'immagine della speculazione e questo consegna agli arcani della memoria l'immagine che deve essere ser bata. La Ragione Prima è l'ordine inviolabile e perpetuo dell'Intelletto Eterno. L'uomo è reso partecipe di tale or dine principalmente per dono di Dio e, insieme, dell'intel letto e della memoria che può essere considerata, in un certo qual modo, alla stregua di un'arca che conserva en 9 trambi . L'anima consta di due facoltà, il movimento e la sensa zione. Il moto può essere naturale o accidentale. La sen sazione è la percezione rispettivamente della cosa vista, udita, gustata, odorata o toccata attraverso l'organo pre9
II processo di generazione triadica è riproposto anche all'interno dello stesso animo. La triade spirito, anima e corpo, o zolfo, mercurio e sale, è trasposta sul piano delle potenze intellettuali. La "ragione prima" è eviden temente superiore alla ragione discorsiva (òiàvoiot) e rappresenta il "fiore dell'intelletto" di neoplatonica memoria, fuoco interiore e divino (in greco, zolfo=^eton=divino), fulcro dell'esperienza unitiva. A esso spetta il ruolo solare e fecondante dello spiritus che impregna l'intellectus-anima con le i m m a g i n i d e l l a speculazione. Questo carattere di speculum (specchio) rife rito all'intelletto rafforza la funzione femminile, lunare e ricettivo-riflettente di quest'ultimo, nei confronti dell'attività solare e luminosa del Prin cipio.
La memoria è rappresentata alla stregua di "un'arca che conserva en trambi" (ragione e intelletto). Sappiamo che la nave e il carro, in quanto "veicoli", sono sovente impiegati come metafore del corpo. La memoria, come il corpo dell'uomo, rappresenta la concrezione "salina" del vissuto in dividuale, il punto di equilibrio, stabilizzazione e preservazione dell'espe rienza. Conosciamo parimenti la virtù di conservazione propria del sale, circostanza che rafforza la parentela simbolica fra memoria, corpo e sale. È però evidente che in questo specifico caso si allude al ricordo, alla fissa zione di un'esperienza dal carattere illuminativo, e quindi a una presentificazione dei contenuti spirituali, in breve al "sale della sapienza".
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posto. Perciò le membra corporee, grazie alle quali l'ani ma percepisce le sensazioni, sono propriamente dette or gani di senso. Inoltre la percezione dei sensi consegna alla memoria, mediante la rappresentazione delle cose presenti, il ricordo di quelle passate. Questa facoltà (sen sitiva) è comune agli uo mi ni e agli ani mali irraz ion ali. I n fatti trattengono nella sensazione soltanto quelle stesse cose che si mostrano nei contenuti percettivi presenti. 1 0 Altra è tuttavia la radice più nobile della memoria . Essa gestisce la suddetta memoria senza alcuna rappre sentazione mediatrice ma soltanto per il diligente e con tinuo movimento dello spirito mai ozioso, che oltretutto la mantiene perennemente giovane. La continuità della memoria accompagna lo sviluppo della ragione e questa 10
Dorn, ancora una volta seguendo Platone (Filebo, 34 A-C), distingue la funzione della memoria meramente "conservativa delle sensazioni" dalla parte più nobile, strumento della reminiscenza, unica dimensione conosci tiva atta a serbare, come lo stesso Dorn osservava poco sopra, "l'ordine in violab ile e perpetuo dell'Intell etto Eterno". In Plotino, l'irriducibile alterità di queste due caratterizzazioni della fa coltà memorativa è esasperata fino al punto di rottura. La contemplazione dell'Uno comporta che l'uomo dissolva il personale bagaglio di esperienza, con tutto il cumulo di sedimentazioni affettive e concupiscibili che esso com porta. "Tale è l'ombr a di Eracle nell'Ade: quest'ombra, nella quale - io penso - dobbiamo vedere noi stessi, ricorda le imprese compiute nella vita: poiché a quest'ombra appartenne soprattutto la sua vita [...]. Ma che cosa abbia detto l'Eracle vero, l'Eracle senz'ombra, questo non è detto. Ma che cosa potrebbe dire quest'anima una volta libera e sola?" (Enneadi, IV, 3, 27). (Al lettore che abbia familiarità con le metafore della letteratura ermetica non sfuggiranno le assonanze col linguaggio operativo dell'alchimia sia nel richiamo a Eracle, le cui fatiche designano le prime fasi della solutio alche mica, sia nell'immagi ne dell'ombra, ricollegabile pro pri o alla componente "fecciosa" e grossolana da rimuovere attraverso la solutio). La qualifica zione della memoria, sempre per Plotino, si rivela nell'orientamento che a essa si vuole imp rim er e. " I l rico rdo delle cose terrene la sospinge quaggiù, mentre quello delle cose celesti la trattiene lassù: in generale l'anima è e di venta ciò di cui si ricorda. Il ricordo è per noi un pensare o un immaginare ..." (IV, 4, 3).
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prerogativa appartiene esclusivamente all'uomo. Per tanto la sensazione è una facoltà animale, mentre la ra gione è propria dell'intelletto, sicché le bestie non inten dono se non per presenza della sensazione. Gli animali razionali, invece, intendono mediante l'intelletto mosso dalla ragione o mediante la sensazione, sia posterior 11 mente a questa sia simultaneamente . D'altra parte l'ani mo e il corpo sono realtà opposte e inconciliabili giacché non possono essere congiunti che per mezzo dell'anima 11
Questo indebo lime nto del vinc olo temporale, che caratterizza l'appren dim ent o speculativo e i processi me mo rat iv i - pri vil egi o della creatura umana - rappresenta un punto maggiormente significativo e pregnante di quanto si potrebbe ritenere. È una prima forma di inconsapevole "solu zione", sia rispetto ai v in col i spaziali, sia per quanto concerne l'irreversibile sequenzialità temporale dell'esperienza. L'alchimista fa intenzionalmente e immaginalmente leva sul proprio corpus d'esperienza psicofisica e affettiva, im pri me nd og li volon tariamen te dire zion i altre, fino alla dissoluzione siste matica dei vinc ol i. Si ri co rd i, a solo titol o di parziale esemplificazione con creta, e astenendoci da un pur doveroso approfondimento del più vasto tema della reminiscenza pitagorica e platonica, la disciplina della rimemorazione a ritroso, ossia una sorta di regressio indefinita, praticata dagli adepti del pitagorismo e tramandataci da Giamblico {Vita Pythagorica, XXI X, 164 e sgg.). Se il tempo presente è la dimensione privil egiata del desi derio (la componente concu piscibi le dell'anima, secondo Platone) e qu in di del flusso genesiurgico e centripeto rispetto all'Essere, è altresì vero che il punto di penetrazione del presente stesso, inteso come perfezione intempo rale, si realizza, nell'ambito dell'ascesi alchemica, mediante uno sviluppo bidirezionale ma solo apparentemente divergente, i cui poli sono costituiti per un verso dalla regressio ad uterum (o reincrudamento dei metalli fino allo stato indifferenziato) e, per un altro verso, dalla "maturazione" forzata - e vorticosamente accelerata rispetto al decorso temporale della Natura dei meta lli i nt er io ri mediante le "rotazioni", atte a completare la realizza zione di una forma nuova e perfetta in seguito alla dissoluzione della forma decaduta (ved. ancora la nota 3, sull'opera condotta "contro natura" e "oltre natura"). Questa controdirezionalità, paradosso sovrarazionale dell'al chimia, converge in realtà nel trascendimento del tempo stesso attraverso la perfectio intemporale (ved. nota 41) che può essere fatta coincidere, sul piano microcosmico -umano , al punto di congiungimento fra la rip rist ina zione del Paradiso terrestre e il principio dell'edificazione della Gerusa lemme Celeste.
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intermedia, partecipe di ciascuno dei due avversari. Dato che dei due estremi uno è perfetto e l'altro è imperfetto, se il moto avviene a partire dal termine perfetto, pas sando attraverso il termine medio, la perfezione giunge sino al termine imperfetto e viceversa. Dunque Dio pone insieme, sistematicamente, tutte le cose, perché da tre di vengano una cosa sola, ed Egli è effettivamente artefice di pace e unione, irrealizzabili12 ove non sussista contrappo sizione di almeno due cose . Due realtà sono sempre av verse finché non siano unificate mediante il ternario e rese amiche attraverso l'unità. L'animo esiste nel medesimo modo 13per tutti, ma non tutti lo assecondano alla stessa maniera . Perciò l'intelle zione non è pari né identica per tutti. Sono pochissimi coloro la cui anima sia congiunta con l'animo. Molti quelli che in misura differente sono partecipi dell'intelle zione. Ancor più sono quelli che, facendo dimorare l'a nima nel corpo e il corpo nell'anima, non conoscono l'a nimo né ascoltano i suoi moniti. Per essi non esiste al cuna intellezione, bensì follia anziché ragione e sapienza. L'intellezione è propiziata adeguatamente quando accade che l'animo e l'anima, in armonia, siano accolte dal corpo, in modo che da queste tre cose ne scaturisca una soltanto, inseparabile e consonante. Ma tale amicizia non può essere realizzata altrimenti che per mezzo della divisione, senza la quale non può compiersi l'unione. L'Uno è per propria natura unico, giacché quando resta tale non II mo do di porre il problem a richia ma palesemente il Timeo platonico e la teoria del medio proporzionale in esso esposta (31 B e sgg.). Questa con cezione prelu de a sua volt a alla teoresi sulla generazione dell 'An ima del Mondo. 13 Non sappiamo se Dorn fosse cattolico o protestante. Certamente questo e altri passi sono in netto contrasto con la dottrina protestante concernente la predestinazione. 12
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può essere cong iunto o unito ad altro. Se tutta via bisogna congiungerlo ad altro, occorre che quest'altro sia sepa rato traendolo dall'Uno, in modo che nulla esista oltre l'Uno. E poiché le parti dell'Uno sono contrassegnate dal l'Uno, ovverosia possiedono un legame di simpatia con esso, facilmente possono anche essere ricondotte all'Uno. Ciò avviene tanto più agevolmente quanto meno le parti sussistano separatamente dall'Uno, per scarso grado di affinità. Per questa ragione occorre che l'intelletto sia dis tolto dal corpo, così che entrambi possano in seguito di morare insieme. Poiché l'unione chiede di compiersi in maniera perfetta, bisogna, come dissi sopra, che il movi mento avvenga dalla parte perfetta in direzione di quella imperfetta, in modo che quest'ultima sia resa mig lio re. Grazie a questa possibilità di distogliere la14 mente dal corpo, che alcuni chiamano morte volontaria , l'animo e l'anima, congiunti insieme, acquisiscono la potestà e il dominio sul corpo, cosa che in precedenza non era possi bile al solo animo, dal momento che l'elemento medio - che rende possibile il movimento sovrannaturale (da ll'a nim o verso il corpo) - era ril utt an te. I ne mi ci no n 14
La dis cip lin a filosofica intesa come "morte vol ont aria " è ampiam ente descritta e trattata da Platone nel Fedone (64-68). Ne prop onia mo, a tito lo di esempio, un paio di passi. "Tu tti colo ro che pratican o la filosofia in modo retto rischiano che passi inosservato agli al tr i che la lor o autentica occupa zione non è altra se no n quella di mo rir e e di essere mo rt i. [...] E allora, n on è evidente, innanzi tutto, che il filosofo, diversamente dagli altri uomini, per quanto riguarda questo genere di cose, cerca di liberare l'anima dal corpo, q uant o pi ù gl i è possibile?". In Occidente, posteriormen te a Platone, la tradizione scritta intorno alla morte volontaria è assai cospicua. Trala sciando i ben not i precetti neotestamentari, in ambi to pi ù specificamente neoplatonico è Macrobio, nel Commento al Sogno di Scipione a dedicare svariate pagine a questo problema. Riecheggiando Platone e chiosando Plo tin o afferma tra l'altro : "Quelle anime che si sciolgono dai vin co li del corpo in vi rt ù della morte filosofica, mentre ancora permane il corpo, vengono in tro dotte nel cielo e nelle stelle" (I , 13, 10).
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possono essere riuniti che in virtù un elemento di separa zione, neutro rispetto a ciò che crea discordia, ma anche strumento di unificazione per quanto concerne la conci liazione di entrambi. Inoltre, e per la stessa ragione, ne risulta inficiata l'astronomia giudiziaria nel momento in cui ci insegna che gli astri possono far propendere verso qualcosa. In fatti gli astri non possono avere nessuna potestà sugli in telletti umani, per i quali sono stati creati, essendo questi ultimi creazione nobile e di gran lunga superiore. E anche se volesse, ciò che è meno nobile non potrebbe mai agire su ciò che è più nobile. Se invece il corpo umano prevale sull'anima e la assoggetta al corpo corruttibile, dal momento che i corpi degli astri sono più nobili di quelli degli uomini, non sarò io a negare che per simili corpi (gli astri) sia possibile imprimere le proprie pas 15 sioni sui corpi umani . In breve, la mente del saggio do15
La convinzione che gli astr i determi nino integralmente gli eventi umani, anziché essere immagine celeste delle virtualità latenti (fauste o infauste), è in realtà una "superstizione" prevalentemente moderna. Questa supersti zione, per quanto ciò possa apparire sorprendente, non ha riscontri nel l'astrologia tradizionale, almeno in quella non ancora "recisa" dalle proprie radici metafisiche, giacché, come si evince dalla stessa argomentazione del Dorn, proprio di errore metafisico si tratta. La polemica di Dorn è in realtà una ripresa di temi assai cari a Paracelso. Questi riteneva che l'immagine celeste fosse una "profezia", una "rappresentazione anticipata" dei compor tamenti umani. L'astrologia paracelsiana agisce soprattutto all'interno del teatro microcosmico. È l'uomo, attraverso la propria disposizione volitiva e immaginativa, a determinare l'orientamento causale degli astra che dimo rano nel suo firmamento psichico. I corpi celesti sono soltanto il simulacro materiale dei principi causali (astra) che l'uomo stesso concorre a determi nare. Mentre l'uomo spiritualmente differenziato è superiore alle cause astrali (vir sapiens dominabitur astris, ricorda Paracelso e ripete qui Dorn) l'uomo "tellurico", al contrario, precipita inesorabilmente in un circolo di succubanza. Per un verso egli è come un grembo entro il quale le "segna ture" astrali nefaste possono imprimersi e proliferare. Per un altro verso, la veemenza immaginativa dell'ente concupiscibile e irascibile di tale tipo
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minerà gli astri, quella dell'ignorante non sarà soggetta solo a questi bensì a tutte le cose inferiori e ad ogni tor mento. Saggio è co lu i che, una vo lta realizzata l'int elle zion e, sappia dimorare in essa. Ignorante invece è colui che ama il corpo nell'anima, o l'anima nel corpo, senza aver cura dell'animo, come testimonia la Parola Divina: chi ama la sua anima (nel corpo, si intende) in verità la perde, e chi 16 la odia (come sopra) la custodisce nell'eternità . Ama l'anima nel corpo colui che soggiace agli appetiti per versi. Al contrario ama il corpo nell'anima chi non sog giace a ta li ap petiti ma si diletta in vacue fantasie. Odia la sua anima nel corpo colui che sa frenare gli appetiti del cor po. Odia il corpo nell 'an ima co lu i che sa scacciare e sradicare imme diat ame nte i van i pensieri delle pro pri e fantasie. Tale è dunque l'it ine rar io per unificare p ri ma l'an ima e lo spi rit o in modo da realizzare l'intellezione. Questa, tut tavia, spesso è denominata anima o spirito, ma nominan done una no n escludiamo l'altro, dal momento che consi deriamo già comp iuta l'unificazione. Tuttavia bisogna ri levare che l'unione non è perfetta se non quand'è insepa rabile e in effetti possono essere posti insieme gli ele me nt i pr i m i di un'u nion e che in seguito non consegue il pr op ri o scopo. Perciò è possibile che l'intellezion e sia r i tenuta più o meno imperfetta. Coloro che hanno rag giu nto l'intellez ione perfetta sono poc his sim i, m o lt i d'uomo, determina a sua volta, sempre secondo Paracelso, un vero e proprio "avvelenamento degli astri" esaltandone l'aspetto infausto e l'inesorabilità dell'assoggettamento. Per ulteriori approfondimenti dell'opera e del pen siero di Paracelso, ved. W alter Pagel, Paracelso, Il Saggiatore, Milano 1989. 16 Allusione a Matteo, 10, 39: "Chi vuol serbare la vita, la perderà; e chi perde la vita per causa mia, la troverà".
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quelli che si sono avviati a essa, ancor più coloro che ne sono totalmente pr iv i. La buona disposizione del corpo, seppure non neces saria in assoluto, è assai utile per la vera contemplazione. Il corpo, a cagione della sua natura corrotta, il cui in flusso è totalmente malsano, vincola e ostacola l'anima, impedendole di percepire le azioni dello spirito. Alcuni godono in via naturale del dono di una mig liore predispo sizione a realizzare tale separazione, poiché accidental mente, in loro, nessuna, ovvero pochissima corruzione si aggiunse alla corruzione naturale. Meno inclini sono co loro che ostacolano la ragione, oltre che per l'originaria corruzione, a causa della propria negligenza e per condu zione dissoluta della propria vita. Tali sono coloro che, coinvolti nelle preoccupazioni mondane, ignorano le cose eterne extramondane. Ma tali sono anche coloro che abu sano oltre il lecito di quanto la natura ha donato loro. Se dunque una data cosa può costituire un ostacolo, la rimozione della stessa può invece rappresentare un gio vamento. E vi sono perciò alcune specie di medicina, che sono attivate dai loro stessi corpi mediante l'arte spagi17 rica, la pi ù nobile di tutte le arti . Queste (specie di medi17
1 passi seguenti espongono alcuni dei fondamenti della medicina omeo patica paracelsiana, che agisce sottilmente e per legame analogico, anziché per contrasto. Medico è colui che conosce e sa riconoscere le signaturae, le qualità specifiche impresse nelle sostanze, nei minerali e nelle erbe, in modo da poterne stabilire l'impiego terapeutico in ragione della signatura specifica di ciascun morbo . Pagel (cit., pag. 121) osserva anche: "La farma cologia paracelsiana è basata sulla separazione. Con questo si intende l'iso lamento della specifica vir tù - arcanum - che ha una specifica azione su una o pi ù malatt ie". Il legame di cont inu ità e corrispondenza fra macrocosmo e microcosm o è garante della scienza stessa delle segnature. Attraverso l'id en tificazione dell'arcanum sottile che caratterizza una sostanza specifica, il te rapeuta può agire miratamente sull'astrum (principio causale) del firma mento micro cosmi co affine a essa, in modo da ricom porr e quell' equi libri o il cui turbamento fu all'origine della forma patologica. La subtilitas del far maco esclude interventi devastanti sul piano fisiologico.
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cina), grazie alla naturale forza attiva, trattengono quanto è presente nel loro corpo, per natura e in seguito alla rimozione della componente passiva, e su un corpo estraneo possono compiere cose ancor più straordinarie di quanto la natura consentirebbe loro di ottenere sui propri corpi. Qualsiasi realtà naturale possiede forma e materia ed è volta a giungere alla perfezione entro l'ambi to del pro prio 18 genere, dal momento che il desiderio innato è causa principale di tutte le forme di perfezione. E poiché la na tura gode e si compiace nel congiungersi alla natura con simile, quando l'intelletto riesce a impo rsi con l'ausilio di una medicina affine a 19sé, il corpo è costretto ad adeguarsi a quella stessa natura . Parimenti se il corpo avrà il so pravvento, sostenuto dalle cose a lui affini che portano corruzione, sarà l'anima per prima a soccombere. Affinché tutto ciò non sembri assurdo a qualcuno, ag giungerò che qualsiasi nutrimento è mutato in sangue dell'essere nutrito, mantenendo la stessa natura complessionale dell'essere che è divenuto cibo. La natura ci for nisce l'esempio nel fatto che chi si nutre della carne di animali feroci spesso diventa a sua volta molto feroce. La 18
Si è già detto che la cosmologia alchemica consiste in una visione dina mica della Natura. Il desiderio innato è il principio di perfezione verso cui ogni forma tende, per cui, ad esempio, si ritiene che i metalli, nel grembo della terra, subiscano un processo di "maturazione" che li condurrà fino allo stato aureo. L'oro, qui nd i, è il "desiderio innato" dei m etal li. 19 II pr inci pio farmacologico della separazione è fatto valere da Dor n tanto sul piano corporeo, quanto su quello morale, psichico e spiritu ale. La disci plina medica è metafora, e addirittura parte stessa della terapeutica ani mica e spi ritua le. La separazione spagirica è il pri nci pio aureo dell'alch imia - tanto fisica che spirituale - per cui la restaurazione della forma originaria, cui è volto il processo di separazione, è la premessa per edificare una forma nuova e ancor pi ù nobile. Ma rt in Rula nd così definisce l'alch imia nel suo Lexicon Alchemiae (cit., pag. 26): "L'alchimia è la separazione della parte impura da una sostanza più pura".
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natura no n assume come nutri me nto nul l'al tro al di fuo ri di ciò che è più sottile. Ciò che è grossolano e feculento è rimosso ed espulso attraverso gli escrementi. Inoltre la natura espelle qualsiasi secrezione di nutrimento super fluo attraverso i pori, col sudore, attraverso la vescica o per mezzo delle lacrime. Questo indusse Paracelso ad affermare che ciascun membro del corpo possiede il proprio stomaco - in cui il nutrimento viene digerito - e che in esso avviene la sepa 20 razione del superfluo dal necessario . Se per debolezza dello stomaco di qualche mem bro , durante la cattiva di gestione, la superfluità non viene separata agevolmente, questo nutrimento eccedente fa sì che o la carne o le ossa di tale membro si dilatino oltre la dimensione naturale, generando un tumore, oppure gonfiandosi. Il medicame nto filosofico no n lascia traccia di alcunché di grossolano o superfluo. Ciascuna parte del corpo as sume l'intero medicamento e senza separazione lo tra sforma in natura simile a sé, priva di superfluità. Pari me nt i il medicamento im pr im e la pro pria natura i m mune da degenerazione e superfluità, convertendo ogni cosa in natura incorrotta. 20
Come si è ripetutamente osservato, la separazione è il principio spagiric o che guida l'int ero discorso dorni ano, p rin cip io esplicantesi anche sul pia no fisic o. A prop osi to dello stomaco, Paracelso osserva: "Quando som min is tr i una med icina , è lo stomaco che deve preparartela ed esso è un al chi mis ta. È possibile all o stomaco fare in modo che gl i astri accettino la med icin a, in ta l mod o essa viene diretta; se ciò no n avviene, essa resta nell o stomaco e fuoriesce con gli escrementi. [...] Ed ecco che ora l'alchimia è lo stomaco esteriore che prepara per l'astro quel che gli è proprio" (Liber Paragranum, cap. II I) . HArcheus è il prin ci pi o di organizzazione e specializ zazione delle forme viventi, che presiede alla funzione "digestiva" di estra zione e assimilazione della parte sottile del nutrim ent o. Il Vulcano è l'ele mento agente, il vero e pr op rio artefice alchemico della trasformazione per sottilizzazione.
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La natura incorrotta è un balsamo 21 naturale di lunga vit a, ins ito natural men te in ogn i corpo, simi le, nella na tura, al medicamento spagirico. Grazie a questo balsamo, il colore e l'umore natu ral i, o radic ali, per quanto è possi bile , sono preservati dalla corruzion e. Quando il balsamo viene a mancare, il corpo umano è affetto da lebbra, e quando esso si rafforza, per aumento, ciò che già era de generato per mancanza del balsamo, è espulso attraverso le secrezioni. Dunque il medicamento spagirico differisce da quello volgare finora impiegato per il fatto che il secondo, una volta condotto nello stomaco insieme col suo corpo e coi relativi malanni, è digerito e separato in modo non di verso rispetto agli altri cibi, con disagio e nausea natu rale. Il medica mento spagirico, con grande sollievo, al di là di ogn i digestione, si trasfo rma subito in um id o ra di cale caldo e balsamo, entrambi naturali. Occorre dunque che le tre parti principali del corpo fisico siano alimen tate e rigenerate grazie alle cose aff ini. Pertanto ne deriva che il cibo e la bevanda quotidiani sono assunti insieme coi pr opri co rpi , poiché sono naturalmente destinati a es sere non già medicamento ma nutrimento degli elementi. Infatti ciascun elemento è nutrito da un elemento affine, ma tutte le cose convengono insieme e si conservano in equilibrio grazie all'elemento etereo, a cui ci sforziamo di conformare il pi ù possibile il nostro balsamo e le compo nenti a esso associate. Vi è infatti nel corpo umano una sostanza affine all'etere che conserva e preserva in esso le altre parti elementari. Pertanto lo spirito del medica mento spagirico, cong iunto alla prop ria anim a e separato dal corpo grossolano e impuro, una volta che questo sia stato purif ica to e di nuovo ric ongiu nto al corpo per mez21
Per Paracelso il balsamo è ciò che preserva i corpi dalla corruzione.
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zo dell'anima, t rasmut a le pa rt i ment ali, e perfin o quelle sottili e vitali in una sostanza simile a sé, preserva anche il corpo fisico dalla degenerazione e protegge da ogni ma lanno. Non neghiamo che la nostra medicina sia corporea, ma 22 diciamo che essa è resa sottile , per opera dello spagirista, allorché il fisso sia reso volatile, e il volatile fisso. Certamente il corpo fisico non può essere curato da un corpo migliore di quello spagirico, né la mente umana può essere meglio ordinata di quanto possa esser fatto con la disposizione spagirica e meditativa, e in ogni caso 23 in seguito al dono della Grazia divina . Da tutte queste cose concludiamo che la filosofia medi 24 tativa consiste nel realizzare la separazione del corpo 25 mediante l'unificazione del mentale . E questa prima unificazione non è ancora sufficiente a creare il saggio, ma soltanto il discepolo intellettuale della Saggezza. La seconda unione dell'intelletto col corpo crea il Saggio, 26 che fin dalla prima unione spera e attende la terza 27 unione, completa e beata . 22 Spiritalis, 23
nel senso di sottile, non grossolana. È evident e, q ua lo ra sussistesse ancora la necessità di rim ar ca re tale as sunto, che la prassi alchemica fisica e quella spirituale, secondo il punto di vista paracelsiano e tradizionale in genere, non sono assolutamente scindi b i l i . Ógni acquisizione sul piano spirituale si riverber a necessariamente nella dimensione corporea, né la prima può realizzarsi grazie alle sole forze dell'uomo, senza l'intercessione divina. 24 E m e n d o superatione, del testo, con separatione, dal medesimo passo pro posto anche nella Philosophia Speculativa. 25 Ri tr ov ia mo anche nell'ascesi dello yoga questo iter di unificazione dei contenuti mentali, disposizione per cui la mente è detta essere "fissata su un solo punto" (ekàgra). La fissazione e concentrazione in un solo punto (ekàgratà) è anche una delle prime tecniche yoga per arrestare il flusso in controllato dei contenuti sensoriali e mentali. 26 E m e n d o separantem, del testo, con sperantem, dal medesimo passo pro posto anche nella Philosophia Speculativa. 27 Ovverosia, ovviam ente, l'unione con Di o.
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Voglia Dio Onni potente che tu t ti n oi possiamo divenire tali e che Egli sia uno ed unico in tutti. Peraltro, qualora si cerchi di realizzare l'intellezione, si sappia anche che essa, come del resto la fede, è in realtà un dono gratuito di Dio. E questo vale per tutte le virtù. Ciò non significa che non ci si debba impegnare per acquisirle, giacché Dio non esaudisce gli ignavi e i pigri, ma al contrario respinge 28 le loro preghiere al pari di bestemmie . Certamente, da parte degli uomini, grande sarebbe la follia nel chiedere il pane a Dio senza voler arare e produrre. Non sarebbe meno folle desiderare e attendere l'intelle zione senza sviluppare nessuna attitudine per acquisirla. Ancor più grande la follia di chi fosse tanto ignorante da credere che la Grazia di Dio possa essere ottenuta con la sola fatica, senza im plor arla pr im a. Dio colma i devoti con la sua benedizione, quando essi chiedono le cose migliori, e non esaudisce i negligenti anche se chiedono. Chiedere (veramente) significa domandare non solo con la bocca ma col cuore e con trasporto emotivo. Qu in di, pr im a di diri gerc i verso il pr im o grado della fil o sofia meditativa, ho ritenuto opportuno raccomandare ai discepoli sia l'im plorazione dell'ausilio di vin o, sia un fer vente zelo, nel disporsi interiormente a ricevere la Grazia. Fin qui si è detto di questa disposizione soltanto, e la Grazia deve essere veramente richiesta a colui che dona la luce, Dio Ottimo Massimo. E poiché di questa disposi zione, ottenuta mediante l'arte, tre sono le parti princi pali, ossia spagirica, morale e meditativa, si è reso neces sario, in questa trattazione, approfondire tale disposi 29 zione in ciascun ambito . 28
Questo esplicito attacco ai fondamenti della dottrina protestante è an cora più aperto e marcato rispetto alle precedenti allusioni. Ved. nota 13. 29 Ancora una volta Do rn ribadisce l'insc indib ile unit à dell'opus.
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È impossibile che l'uomo malvagio possegga quel te soro, nascosto ai figli della sapienza, e che invece l'uomo giusto sia scarsamente qualificato a cercarlo e ancor meno a trovarlo. Nel corpo umano è nascosta una certa sostanza metafisica, nota a pochissimi, che non abbi sogna di alcun medicamento, e che è essa stessa medica 30 mento puro . Invero, giacché essa è oppressa e ostacolata dalla degenerazione del propr io corpo e qu in di esprime a stento la pr op ri a vir tù , i filosofi scopriro no, grazie a una certa ispirazione divina, che questa v irtù e vigore celeste poteva essere liberata dai suoi vincoli, non tramite una qualità contraria, come insegnano i miscredenti, ma grazie a una affine. Quando ciò che corrispondeva a questa sostanza fu rinvenuto sia nell'uomo sia fuori di lui, i saggi ne dedussero che le cose simili fossero da raf forzare con quelle si mil i, con la pace piutto sto che con la guerra, e che le cose contrarie fossero da respingere me diante i contrari. Per ottenere, attraverso l'arte, la buona disposizione del corpo fisico ci avvaliamo del rimedio spagirico con cui evitiamo l'alterazione che sfocia nella digestione natu rale e nell'espulsione. Ciò avviene allo r quando la natura possa operare attraverso una forma raf forzata internamente. Questa è la preparazione del no stro corpo col metodo spagirico, grazie al quale, ostaco lando il processo di corruz ione, perven iamo pi ù facil mente alla separazione. Quindi il lettore attento conclu derà che, dalla filosofia meditati va in pri mo luogo, attra verso quella spagirica fino alla vera sapienza il cammino è assai sicuro. Procediamo dunque verso la separazione volontaria. Grazie alla sua completa preparazione, il corpo potrà esNuovo rif eri men to al balsamo (ved. nota 21).
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sere facilmente separato dalle altre parti, nel momento in cu i l'an ima, su consiglio dell'a nimo , gli neghi qualsiasi cosa esso desideri al di là della necessità fisica. In seguito a questa separazione, mediante la continua dedizione alla filosofia morale si ottiene la prima unione dello spi rito con l'anima. Ho dovuto anteporre l'esposizione di questi insegnamenti, così che gli studiosi attenti potes sero comprendere per quale ragione avessi messo in sieme la meditazione con la morale e con la fisica, e in quali modi esse debbano essere confrontate individual mente, ma anche affinché i lettori non potessero dire che io abbia collocato entro un labirinto di dubbi l'ingresso verso ciò che si deve poter intendere. Ma l'animo, che attende alla disciplina meditativa, ci in cita verso il pr im o grado della filosofia meditativ a. La di sciplina meditativa consiste nell'attenta ricerca del vero, e nell'oblio delle cose mondane, quantunque necessarie, secondo la Parola Divina: prima d'ogni altra cosa chie dete il Regno di Dio, senza preoccuparvi di ciò che dovete mangia re e bere, o degli ind um en ti. I nf at ti il vostro Padre che è nei Cieli sa che cosa occorre agli uomini. Tutte le cose di cui avete bisogno vi saranno date, qualora obbe 31 diate, de di ti soltanto alla Parola di Dio . Se quindi, per meditare realmente, occorre non curarsi anche delle cose necessarie, e allontanarle risolutamente da sé, ancor più, ogniqualvolta insorgano duran te la meditazione le preoc cup azioni mondane e i pensieri vani vo lt i alle cose in u tili che soffocano il buon seme, bisogna scacciarle v i r i l 32 mente con le parole del Signore che ci insegnò essere ef31 Parafrasi 32
di Matteo, 6, 25-34. Se nel discorso imme diatam ente precedente, rif eri to all'im plo razio ne della Grazia, Dorn ha messo l'accento sull'aspetto umido dell'opera - sul l'esaltazione del prin cip io mercuriale , lunare, ricettiv o e femmin ile nella sua
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ficacissime in ciò: allontanati subito da me, Satana33 , nulla mi accomuna a te, desidero essere interamente di Dio, c ui mi sono votato. Ma il premio dell'opera consisterà nel comprendere cosa sia vero e cosa necessario. Vero dunque è l'Essere da cui nulla è escluso, al quale nulla può essere aggiunto o ancor meno può esser contrario. Questo può essere sol tanto il Verbo di Dio , intorno al quale deve incentra rsi in teramente la nostra meditazione, se vogliamo conoscere tutt e le cose celesti e terrestri pi ù misteriose, pi ù u t i l i e le cite. Necessario è ciò di cui non possiamo assolutamente fare a meno, come il vi tt o e gl i in du me nt i per co pr ir ci . Superfluo, tutto ciò che è al di là della necessità. Mon dano è non soltanto tutto ciò, ma qualsiasi cosa sia sug gerita o insinuata dal diavolo per cupidigia corporea, come loglio fra il grano, il cu i scopo è far sì che ci allonta niamo dalla Verità divina per impedirci di dimorare in essa. Ma la Verità è Virtù eccelsa e Fortezza inespugna bile, c ui sono fedeli pochissimi amici, e che tuttavia inge nera terrore in innumerevoli nemici. Quasi tutto il 34 mondo la tratt a con estremo odio, mentre il solo Agnello Immacolato la difende come realtà insuperabile. Pegno indubitabile e certo per coloro che trovano rifugio in Essa, riparo assolutamente sicuro. Entro questo ba luardo giace l'autentico tesoro. Questo, non intaccato da tarli né saccheggiato dai ladri, sarà trasportato da qui, valenza di purezza devozionale - l'avverbio viriliter allude invece all'attiva zione del principio solare, maschile, aureo, emendato dalle lebbre sulfuree e coller ico- marz iali dell'ego autoreferente. La mar zia lit à contraffatta si tra sfigura nella "santa collera" verso il male. 33 Parafr asi di Matteo, 4, 10. 34 E m e n d o modus, del testo, con mundus, dal medesimo passo proposto anche nella Philosophia Speculativa.
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dopo la m orte, e conservato in eterno35 , in quel tempo in cu i tutt e le altre ricchezze dell 'inte ro mo nd o scom pari ranno e saranno destinate a divenire nulla, poiché dal nu lla furo no create. E pur tut tav ia esse paiono preziosis sime al volgo, giacché l'uomo animale non comprende cosa possa condurlo verso la rovina oppure verso la sal vezza. La Ve rit à è un tesoro perpetu o, cosa vi li ss im a per il mondo, disprezzata da molti, mentre invece i saggi non l'odiano affatto, e anzi l'apprezzano più dell'oro e delle gemme. Essa ama tutti, e tutti la respingono come ne mic a, rep erib ile ovunque ma rinv enu ta da po ch i o da nes suno quasi. Essa dice a tutti nelle strade: "Venite a me, voi tutti che cercate la strada, vi condurrò verso il vero sentiero". Questa è la cosa annunciata tanto solenne mente dai veri sapienti, che vince tutte le cose e che non è sconfitta da alcuna cosa. Penetra ogni corpo, ogni cuore duro, consolida ciò che è molle e rafforza in resistenza ciò che pure è già assai forte. Essa si palesa a tu tti no i ep pure no n la ved iamo. Parla ad alta voce dicendo: "Sono la Via della Verità, passate tutti attraverso me, giacché per giunge re alla vi ta no n vi è altr o che me, autentic a po rta d'accesso e transito". Ma non la vogliamo ascoltare. Pro mana un pro fum o di dolcezza ma no n lo percepiamo. Si offre a noi generosamente, giorno dopo giorno, nei ban chetti, attraverso un sapore gradevole, ma non la gu stiamo. Bla ndamente ci trae verso la salvezza, ma no i, r i luttanti e fingendo di non avvertire la sua spinta, pas siamo oltre. Qualsiasi cosa faccia, siamo come pietre che hanno gli occhi ma non vedono, le orecchie ma non sen tono, le nari ci ma no n percepiscono i pr of um i. Mu ni te di 35
Riferimento a Matteo, 19, 21; Marco, 10, 21; Luca, 18, 22.
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bocca e lingua non parlano e non gustano, hanno mani e piedi ma non operano e non camminano. Misero tale genere d'uomini che non è migliore delle pietre, ma di gran lunga più infelice, perché loro e non quelle dovranno rendere conto delle proprie azioni! "Tra smutatevi - dice la Verità - da pietre morte in uo min i viv i 36 e saggi . Io sono la vera medicina che rettifica e tra sforma le cose in ciò che erano prima della corruzione, e assai meglio ancora, e trasmuta le cose, da ciò che non sono, in quello che devono essere. Ecco che giorno e notte busso all'ingresso della vostra coscienza e non mi aprit e. Tutta via attendo mi te e no n mi allonta no da vo i, ma sopporto pazientemente le vostre ingiurie, deside rando, grazie alla pazienza, ricondurvi a essa con l'esor tazione. Venite dunque, venite, vi im pl or o ancora p iù i n sistentemente, qualora siate in cerca della saggezza. E ac quistate, senza pagare, né con l'oro o con l'argento o ancor meno con le vostre fatiche, ciò che vi è generosa mente rivelato". Voce sonora, dolce e gradi ta alle orecchie dei fi lo so fi. Oh, fonte inesauribile di ricchezze e giustizia per coloro che han no sete! Oh, sollievo im me dia to dai colp i in fe rt i da coloro che seminano desolazione! Che cosa chiedete olt re, m o rt a li in affanno? Perché vi acceca la fol li a, d al momento che tutto ciò che cercate fuori di voi in realtà desidera dimorare in voi stessi? Il vizio del volgo consiste propriamente in questo, che nel momento in cui disprezza le cose che gli apparten gono, desidera le cose estranee. Consideriamo di nostra proprietà ciò che usurpiamo e di cui ci appropriamo. Ed infatti da noi stessi non traiamo nulla di buono, ma se 36
Ved. Prima lettera di Pietro (2, 7). "Pure vo i, s im il i a pietre viv ent i, siate edific ati come edificio spi rituale" . Ved. nota 75.
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possiamo avere qualcosa di buono, lo riceviamo solo da Co lu i che è buo no. A l cont ra rio , qualsias i cosa vi sia di male in noi, ce ne appropriammo traendolo da un male estraneo, per disobbedienza. Null'altro appartiene al l'uomo al di là del proprio male. Ciò che possiede di buono lo ottiene non da se stesso, ma soltanto grazie al Bene, qualo ra sappia accoglierlo. La Vita, Luc e degli uo m i n i , br il la in noi , sebbene velatamente, così come nelle tenebre. Essa deve essere ottenuta non da noi stessi, sep pure dentro di noi, ma da Colui cui appartiene, che si degna di dimorare in no i, quando lo rendia mo possibile. Egli insediò qu i, in no i stessi, quella Luce, perché potes simo vedere il lume nel Suo Lume che ospita la Luce Inaccessibile, e perché primeggiassimo fra le Sue crea ture , rese si m i li a Lu i dal mom en to che ci donò la scin tilla della Sua Luce. La Verità va dunque ricercata no n in no i ma nell'imm a gine di Dio che è in noi. D'altronde, per poter definire la Verità in modo appena soddisfacente, domando che cosa sia presente nell' Uno , che pure non vi pa rte cipi o che gli si possa contrapporre, dacché nulla esiste oltre l'Uno stesso?
Chi potrebbe ignorare che nulla, che sia perfetto, sus siste al di là di quell'Uno soltanto, giacché non può essere diminuito o accresciuto, ma abbondando in virtù e po tenza può elargire doni a tutti coloro che ne hanno bi sogno, senza intaccare la propria abbondanza? Che cosa esiste, infatti, oltre quell'Uno soltanto che a ogni cosa concede d'essere ciò che è, ma che a sua volta non riceve l'essere da altri? E invece Esso è tutto l'Essere che può e deve essere, nulla gli si può opporre e nulla può esistere al di là dello stesso. Che cosa esiste realmente, oltre la Ve rità, dal momento che la sola Verità rappresenta quel l'Uno che solo è veramente.
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Il falso, invece, poiché non è altro che ciò che è con trario al vero, non necessario di per sé, non sussiste altri menti che per privazione della vera essenza e non è altro che ciò che veramente non è. Donde alcuni concludono che il peccato e la morte non siano alcunché, dal mo mento che non derivano dall'essere, ma dalla privazione 37 della vera essenza . Quindi il peccato è privazione del Bene e causa efficiente della morte, perché la morte è pri vazione di Vita, che è il fine del Bene. Dal Bene deriva il pung olo della Verità, su cui non prevarra nno gl i ar ti gl i della morte, e contro cui è arduo resistere per chic chessia, quantunque recalcitrante. Chiunque desideri ag giungere qualcosa alla Verità sarà costretto a sostituire, con qualche velame, qualcosa di falso al vero, perché la Verità, che si cinge del solo manto della perfezione, non teme di apparire senza velame. E se il nostro primo pro genitore non avesse abbandonato questo manto di giu stizia, non avrebbe neppure temuto di apparire nudo, quale in precedenza non appariva, e nemmeno poteva es sere, m un it o di tutt o il decoro della Verità . Privato dun que del manto perpetuo della Verità, si procacciò un falso ma nto di foglie d'albero, e rivelò da sé il pr op ri o errore quando, al cospetto del Signore disse: "Sono nudo, Si gnore". E Dio - mosso a pietà verso colui che, timoroso, riconosceva di aver perso la Verità, per disobbedienza, in cambio dell'abit o corr otto della felicità terrena - stabilì di donargli la veste nuziale della gloria eterna, mediante suo Figlio, che asserì e manifestò palesemente di rappresen tare per no i la Via della Verità e la Vita. Con la sua morte, di cui non ebbe timore, ci liberò dalla mort e perpetua cui tutti avremmo dovuto, giustamente, essere soggetti. Ve37
Ved. nota 6.
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dete fra te ll i quale sia il fr ut to della Verità , sì che anche nei co nf ro nt i dei suoi ne mi ci è benefica e mite , solo che la sappiano riconoscere. Tu tti peccam mo con Ada mo, ma sono poch issim i fra no i - quasi nessuno in realtà - coloro che confessano, assieme a lui, la propria nudità. E cia scuno al contra rio desidera no n solo apparire perfetto ma anche pretende d'esserlo, magari pur essendo il peggiore fra tutti. Così, anche vestito sfarzosamente, di lino scar latto e porpora, ancor più appare nudo. Dal primo desiderio del Progenitore ereditammo questo vi zi o, che la nos tra carne p i ù d'ogni altr a cosa desid eri, per diritto o col sopruso, sapere, conoscere, possedere ed essere adorata come un idolo. E questo è il più alto im pegno degli uo m in i di questo secolo, e per gli stessi, come fu per Adamo, è cosa rovinosa. Né mancano tra noi co loro che, dopo la caduta di Adamo, si dedicano alla parte peggiore, e non diversamente da quello, fuggendo il volto del Signore, cercano ansiosamente i segreti delle tenebre esteriori. Questa mancanza di fede, così come conduce alla disperazione, ancor più abbisogna poi di penitenza per far ri to rn o verso la luce della Ver ità. Al co nt ra rio la Verità non è soggetta ad alcuna potestà né ad alcun po tere mondano, perché niente le si può opporre, dal mo mento che è la vera e sola forza che supera la potenza del mo nd o inte ro. E se il corpo di col ui che possiede la Verità fosse fatto in mil le pezzi, nul la patirebbe il suo anim o che anz i godrebbe in quel ma rt ir io : quella sola è la V irt ù e la forza che pochi riescono a realizzare appieno. Per com pag ni ha la Giustizi a e la Pietà, congiunte per vin col o in separabile d'unione. La Pietà è Grazia concessa per vo lere divino, ed insegna a ciascuno a conoscere realmente se stesso. La Giustizia è in realtà la retribuzion e e la resti tuz ion e di og ni cosa a colui al quale spetta: chiunque pos sieda veramente queste V ir tù è pi ù ricco di tu tt i. In oltr e la
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Pietà apporta pace e misericordia, cose di cui avremo modo di trattare più ampiamente a suo tempo. Vediamo ora di cercare di comprendere cosa sia la ne cessità. Non possiamo essere completamente privi del v i t to e de g l i i n d um e n t i , c he p e r t a nt o , c o m e d ic e v a m o prima, sono cose assolutamente necessarie. Chiunque in vece, anche qualora possa disporne, può fare a meno sia delle delizie del cibo e delle bevande, sia del lusso e dello sfarzo degli indumenti. Queste cose, infatti, non sono ne cessarie, ma, al contrario, superflue. Pochissimi inoltre osservano la necessità filosofica: chi, che non sia folle, non fa fronte malvolentieri alla necessità volgare, e desi dera altresì essere privo soltanto di ciò che non può otte nere per diritto o per prepotenza? In realtà il volgo giu dica tutte le cose superficialmente e secondo le appa renze. E quasi nessuno è ricondotto al vero, nel momento in cui l'odiata Verità, con veste lacera, si rivela. In questa epoca, p i ù possono l'ab ito splendid o, i m o n i l i , le collan e e i gioielli rispetto alla stessa Verità e alla Saggezza. E non è singolare che nel mondo, assieme alla somma Sag gezza, sia stata creata la stoltezza, in realtà contro la Sag gezza? Le Sacre Scritture lo attestano. Gli uomini saggi di questo mondo celebrano la Verità stessa, Cristo e l'au tentica Saggezza, perché non sono cose estranee al mondo eppure lo trascendono. Barabba il ladrone, in f a t ti , a m a gg i o r r a g i on e f u s c e l t o , i n q ua n t o c o r r o t t o tratto fuori dal mondo. Perché dunque ci stupiamo se il mondo, nel momento in cui è fatto oggetto d'indagine as sieme alla stessa Verità, aborrisce sì come veleno gli uo mini esperti delle autentiche arti? Gli stessi saggi seguaci di quel mondo ammettono che la verità procura l'odio, e l'ossequio gli amici 3 8 . Se avessero sottinteso che FosseTerenzio, Andria, 68.
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quio sia preferibile solo allo scopo di propiziare il favore, potremmo scusarli come persone che si dolgano dell'odio della verità. E invece, con la loro dottrina, sembra soprat tutto che si comportino da parassiti per ambizione, piut tosto che voler consacrare liberamente gli uomini verso la virtù e la verità, senza speranza alcuna di lucro, o alla ricerca dell'altrui amicizia. E bisogna allora convincersi del fatto che le cose estranee alle nostre meditazioni deb bano essere allontanate come fermento diabolico. Ve 39 diamo che in questo secolo ferreo , qualora qualcuno si avvicini alla Luce in virtù di meditazioni autentiche - grazie alle insospettabili fonti dell'autentica filosofia - e inoltre faccia questo per beneficio comune, ebbene, qua lora non sia concorde con la falsa dottrina dei Greci 40 e dei miscredenti, costui soprattutto - poi che bevve il net tare di quell'ardore - è tenuto sprezzantemente a distanza dagli stessi miscredenti, dato che quella dottrina da filo sofi senza fede fu generata priva d'ogni fondamento. Di temi dunque, o uomini giudiziosi, come potrebbe acca dere che un miscredente sprovvisto d'ogni autentico lume possa portare ad altri la luce della Verità? Entrarono in possesso della conoscenza umana e mondana, che oggi, per somma stoltezza è tenuta in considerazione alla stregua di Dio, proprio perché non proviene da Dio. E tuttavia, ciascun genitore tormenta il figlio, nell'adole59
Allusione alla dottrina, esposta nella Teogonia esiodea, delle quattro età del mondo (oro, argento, bronzo e ferro) di cui l'ultima, quella del ferro ap punto, è la più buia. 40 Per Greci, Dorn intende i seguaci di Aristotele. Nella Philosophia Specu lativa, l'allusione ad Aristotele è anche resa violentemente esplicita (Th. Chem., voi. I, pag. 242). Allo stesso indirizzo, Paracelso aveva rivolto pole micamente la sua Philosophia ad Athenienses. Entrambi identificano nell'a ristotelismo, e in alcune propaggini della Scolastica medievale, i prodromi di una filosofia della natura puramente operativa, priva di fondamento me tafisico e spirituale, ovverosia ridotta a mero dominio del mondo materiale.
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scenza, perché la apprenda al meglio. E comunque, se ac cadesse che un falso filosofo conversasse con un saggio autentico, dedito alla meditazione, subito trasalirebbe in insulti, disprezzando ogni cosa buona e vera, solo che non l'avesse udita in precedenza dal proprio maestro: come se non vi fosse nulla di buono e vero oltre a quanto è scaturito da miscredenti che ignorano la Verità. Infatti, con l'ausilio del lume della Verità, si può realizzare, in un solo41anno o in un solo momento, l'intellezione specula tiva , più di quanto possa la fatica assidua e improba di un uomo privo di quel lume, qualora abbia cercato la luce presso coloro che ne sono totalmente privi. Ma vediamo quale sia la dottrina morale dei filosofi privi di fede. Questi ripongono il sommo bene42nel vivere agiatamente, ovverosia nella vir tù e nell'utilità . Ritengono che la v irt ù 41
D orn contrappone fieramente la conoscenza ill umi nat iva , intemp orale e realizzantesi per intuizione divina, agli esiti incerti e transitoriamente "umani" della ragione discorsiva, e, peggio ancora, della dialettica sofistica. La prima si dà esclusivamente entro quello che Paracelso chiama "tempo perfetto". " I l pentimento , infa tti , si colloca nell'eternità, cioè nello spiri to, e non nel passeggero, che è il corpo; esso, quindi, non è associato con una cifra che indica un anno, né con nume ri che contano buone azioni, t u tt i ter m i n i che appartengono a cose corporee e non sp iri tu ali . Lo spi rit o è per fetto e nessun limite è posto al tempo perfetto. Se lo spirito è nel penti mento anche solo per un momento, questo è sufficiente a causa della sua perfezione. Nelle azioni del corpo, invece, non basterebbe, poiché esso non è perfetto e con lo scorrere del tempo appare evidente che non può raggiun gere la perfezione" (citato in W. Pagel, cit., pag. 71). Il tempo perfetto altro non sarebbe, per esprimersi con Platone, che la realizzazione del tempo come immagine dell'eternità. 42 La polemica sembra ora spostarsi contro l'Epicureismo, assai generica mente inteso. La ragione di questa indistinta associazione di correnti filoso fiche ed etiche in realtà assai eterogenee, si motiva, nella prospettiva tradi zionale pr op ri a del Dor n, n el lo ro essere soltanto "filoso fia", ossia espres sione di punti di vista che non oltrepassano l'ambito soggettivo. La pole mica non è retoricamente antipagana, ma consapevolmente antiumanistica e antisecolare. Prova ne sia che dai bersagli polemici del Dorn sono esclusi, a tit ol o di esempio, Pitagora e Platone, e sono invece incluse le conventico le
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risieda preminente mente nell'ambire onor i e lo di , e sti mano utile produrre e conservare ricchezze per diritto o col sopruso, con la guerra e col sudore. È evidente che questi uomini si aspettano che dopo la loro morte non resti ai posteri che la fama, gli onori e l'ammirazione at traverso il ricordo delle loro gesta. Negando, e in parte ignorando la resurrezione, inventarono le mille favole raccolte in poe mi pr iv i d'ogni verità - verità di cui furono assolutamente all'oscuro - sulla rovina degli uomini e sulla loro stessa fine. Ecco per quale dottrina è necessario che coloro che mostrano di possedere competenza e titoli per qualsiasi arte e facoltà detestino i conoscitori delle 43 autentiche arti . E tuttavia, se l'esperienza pone dinnanzi ai loro occhi la verità, qualora essa non sia comprovata dall'opinione di coloro che mai ne fecero esperienza, ciò che è vero è ri fi ut at o in cambio del falso, mentre lo stolto, e chiunque affermi di voler professare la verità, è tenuto in grande considerazione. E qualora qualcuno svilisca giustamente gli au to ri vacui , tosto gl i alliev i di costoro addirittura minacciano gli uomini, o di supplizio, o di universitarie coeve, idealmente e concretamente eredi della miscredenza contro cui egli si scaglia. In altri scritti, specialmente quando tributa aper tamente pari venerazione alla rivelazione mosaica e alla Tavola Smeraldina attribuita a Ermete Trismegisto (ved. Physica Genesis e Physica Trismegisti, in Th. Chem., voi. I), Dorn mostra di aderire a una visione universale della Veri tà, col locantes i al di sopra della contingenz a storica, geografica e re li giosa. 43 Ars sine scientia nihil, così recitava un antico motto, ad intendere l'in consistenza conoscitiva di qualsiasi ars dissociata dalla scientia delle cause p r i m e e d e i f i n i u l t i m i , scientia che dovrebbe guidare e orientare l'impiego di qualsiasi techne. A tale proposito, vedi il magnifico saggio di Ananda K. Coomaraswamy, Ars sine scientia nihil, incluso nella raccolta // grande bri vido, Ad elp hi, Mi la no 1987. Questo insegnamento, comun que, era tut t'al tro che estraneo alla dottrina di Paracelso. Si vedano i trattati // fondamento della sapienza e L'invenzione delle arti, a cura di Bruno Cerchio, Il Leone Verde, Tori no 1998.
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quel gran disdoro, che chiamano cavalcatura dell'asino. E nel frattempo i medesimi non si avvedono del sollievo che provano nel cavalcare ogni giorno, attraverso i vicoli, i mostri sodomitici degli asini, generati contro natura per la maliz ia degli uo m in i e contro il precetto divin o, in os sequio al quale, un tempo, fu vietato che i pastori consen tissero di far accoppiare animali di specie diverse44 . E cosa potrà opporre la stessa Verità contro le loro minacce dal momento che, come affermano, essa procura l'odio verso i suoi assertori e l'amicizia verso gli adulatori che la tacciono? Poco, ma si addice al filosofo l'andare incontro alla morte piuttosto che negare la Verità. In tutte le circo stanze i cristiani la devono tenere come il più alto bene. Beati coloro ai quali è concesso dal Cielo di perseverare in essa fino alla fine, cosa che a pochissimi (ahimè) è data. Chiediamo a Dio che di questo solo ci renda parte44
1 mostri sodomitici sarebbero i muli, prodotti dall'accoppiamento di ca valle e asini. L'antica legge biblica vietava questo tipo di procreazione etero genea. "Non accoppiare animali di specie diversa, non seminare nel tuo campo semenze di specie diverse" (Levitico, 19, 19). Anche Eliano (La na tura degli animali, XII, 16) osserva: "Il mulo infatti non è una creatura della natura; potremmo definirlo un animale che l'intelli genza umana ha pro d o t t o , v a l e n d o s i s f r o n t a t a m e n t e d i m e z z i f u r t i v i e a d u l t e r i n i " . Q u es t a spunto polemico del Dorn, che a prima vista potrebbe essere riduttivamente letto come indice di oscura superstizione, ha invece un indirizzo simbolico ben mirato. La perversione, tanto sul piano materiale, quanto su quello intellettuale, dell'ordine stabilito per vol ontà divina, introduce un fattore arbitrario e luciferino di disordine e disgregazione del Cosmo. La trasgressione di un precetto concernente le species naturali e il fatale obnu bilamento, per confusione, delle qualità e delle segnature impresse nelle creature, è indice di una violazione assai più profonda e insidiosa che Dorn no n manca di adomb rare. Segnalata ancora da Eli ano (i bid .), la sterili tà dei muli - incapaci di riprodursi in quanto l'utero delle femmine sarebbe "ina datto a ricevere il seme" - potrebbe essere interpretata come l'esito inevita bile di qualsiasi generazione forzata e "mostruosa". Si rifletta anche sul si gnificato simbolico della proibizione, sancita dagli insegnamenti di alcune tribù pellerossa, di "violare" i campi con l'aratura.
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cipi. Così, come a proposito dell'ardore si dice che si ge neri nell'animo attraverso la volontaria separazione rea lizzata grazie alla meditazione, apprendiamo che l'opera spagirica deve realizzarsi alla stessa maniera attraverso essa. E infatti nell'opera spagirica è necessaria la ricerca della verità delle cose naturali, verità che si cela entro il loro lato nascosto. Pertanto, il vero centro spagirico de riva dalla natura delle cose generate. In esso si nasconde ogni virtù, la verità della cosa stessa, e la potenza da con durre in atto attraverso quest'arte. E perché ciò avvenga, è necessario che (le cose generate) siano divise nelle parti supe rior i e in fe ri or i, che entrambe vengano purifi cate, e che solo a quel punto si realizzi, attraverso i mezzi spagirici delle operazioni, la riduzione in unità, o unione. Qu in di il lavor o spagirico, cioè il pr i m o grado verso l'unione spagirica, consiste nella divisione della cosa, 45 ossia nella separazione . La separazione degli elementi è duplice, quella degli ele menti più puri dagli impuri, la sola separazione vera mente spagirica, e la separazione delle qualità dementali, nota e familiare a tutti. La46 natura, tuttavia, opera me diante la sola commistione con47due uniche operazioni, ossia l'alterazione e l'animazione . Tratteremo le singole operazioni in seguito, ma diciamo ora cosa sia la separa zione del puro dall'impuro. In certi corpi avviene me45 Ved. 46
note 4, 17 e 19. Come osservato in precedenza, l'aspetto "contronaturale" dell'alchimia consiste proprio nel far regredire ogni composto naturale fino allo stadio "prenatale". 47 Ovverosia, il movim ento nel tempo e nello spazio, determ inazi oni onto logiche di ciascun essere creato. Il lettore osserverà come, da questo punto in avanti, per un tratto consistente del testo, si evidenzi un brusco scarto nel registro espositivo, retorico e lessicale, scarto già segnalato nel nostro saggio introduttivo.
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diante i cor pi stessi, in alt ri grazie a un veicolo 48 . Sebbene in tutti i corpi generati dalla natura vi sia un'essenza ce 49 leste che chiamano quintessenza , in nessun corpo, come dicono i filosofi, è tanto abbondante quanto nel vin o. Per tanto lo scelsero per rendere più facile la separazione, e non perché la sostanza tratta dal suo corpo sia più po tente di quella estratta da qualsiasi alt ro corpo. In fa tt i la v irt ù è universale e differisce solo per la varietà dei sog gett i cu i aderisce. Una vol ta libera, rito rn a alla sua un ità . Questo è il solo, fra gli arcan i della natura, grazie al quale 50 gli spagiristi attinsero alle cose più alte . Del resto non bisogna lasciarsi fuorviare dalla parola "vin o", poiché ve 51 ne sono due, quello filosofico e quello volgare. Quello f i losofico può essere estratto da qualsiasi corpo naturale. Quello volgare si vende nelle taverne. Da qualsiasi corpo, se vorrai, separerai lo spirito e l'anima. Prima di tutto proviamo a insegnare qualcosa sul vino filosofico con l'aiu to di un esempio. Si prendan o dei52ch icc hi di grano, d'orzo, o di frumento di prima qualità , acqua di fonte o piovana, o un'altra qualsiasi in cui possano macerare per gon fia rsi . Li si ac cu mu lin o e lascino così finché , dopo qualche giorno, li si riscaldi e comincino a germinare. Quando saranno apparsi questi segni, li si distenda, così da lasciar evaporare, con l'essiccazione, l'umido super fluo. Dopodiché, siano triturati grossolanamente con una mola. Si riponga in un vaso di legno la farina ottenuta, la 48 Ved. saggio intr od ut tiv o, pagg. 21 e sgg. 49 Ved. saggio int ro du tti vo , pagg. 25 e sgg. 50 Ved. saggio int ro du tti vo , pagg. 26 e sgg. 51
A prop osi to del "vino dei Savi", Pernety afferma che esso è " i l loro me struo o dissolvente univ ersale, e la vite da cui si estrae è una vite che ha una sola radice" (Dictionnaire Mytho-Hermétique, Paris 1758, s.v. vino). 52 No n vi possono essere dub bi su l fatto che il passo si riferisca allegorica mente a una prassi di alch imi a spirituale (ved. saggio int ro du tti vo ).
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si cosparga d'acqua bollente 5 3 e si chiuda il vaso. 54Una volta che il liquido si sia raffreddato e abbia riposato , lo si coli con un setaccio, o con un sacco, in modo che sia intorbidato il meno possibile dalla farina. A questo punto, aggiungi alla medesima farina altra acqua bollente, come in precedenza, e filtra: ripeti questo processo di aspersioni e filtraggi, finché percepirai che tutta la sostanza dei grani è stata trattenuta in acqua, cosa di cui potrai renderti conto assaggiando infine l'acqua e la farina. Fai bollire tutto il liquido, cosicché, mediante evaporazione, rag giunga la consistenza del miele. In questo modo hai prepa rato il vino filosofico dal grano, che puoi ottenere da qual siasi altro seme, finanche dai più aridi, che possono essere separati grazie a sé medesimi mediante scottatura 5 5 . Si dice che questa separazione è realizzata per mezzo di un veicolo. Per il resto, da questo vino filosofico, attraverso la distillazione, separerai l'anima che, insieme allo spirito, asce ascend ndee in alto dal corpo, e subli su blimera meraii molte volte lo spiri sp irito to e 53
Ferventissima, nel
testo latino. Un altro dei paradossi teorici dell'alchimia consiste nel fatto che il mezzo per conseguire l'estrazione è, a sua volta,la prima sostanza da estrarre. La soluzione del paradosso è pratica e si fonda sul principio sperimentale secondo cui l'opus ha una progressione circo lare, cosa che lo stesso sviluppo spiraliforme del Caduceo suggerisce. Tanto l'immagine del vino, quanto quella deìi'aqua ferventissima, designano il pro cesso di congiunzione e androginazione del principio igneo con l'acqua, processo simboleggiato anch'esso dall'intrecciarsi delle due serpi lungo la verticale del Caduceo. L'ignificazione del mercurio (aqua ardens, termine con cui Raimondo Lullo definisce anche lo spirito quintessenziale del vino) corona la stabilizzazione del mercurio (inteso come coscienza dell'indiffe renziato), una volta che questo sia stato sottratto alla condizione di fissità (coscienza individuale) e liberato daH"'ombra". A proposito del fuoco erme tico, misterioso agente, indispensabile durante il corso dell'intero opus, Theobaldus de Hoghelande, nel De alchemiae difficultatibus, propone questo enigma: "Il nostro fuoco è spiaggia marina, sangue umano non com pletamente combusto e succo rosso d'uva" (Th. Chem., voi. I, pag. 180). 54 55
Quieverit.
Probabile allusione alla via secca che procede per diretta esposizione della materia al fuoco, senza l'intermediazione dell'acqua e del vaso.
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l'anima finché siano separati e liberati da ogni umore. Con un fuoco violentissimo, violen tissimo, ridu ri duci ci il corpo, che avrai lasciato lasciato ess essic icca care re all'ombra o dinanzi a un fuoco, in ceneri aridissime. Aggiunta acqua bollente, fai bollire tutto insieme per un bel po', e ot terrai ter rai una u na lisciva asperrima. Da es essa, una u na volta che abbia ripo rip o sato, inclinandola piuttosto dolcemente, separerai dalle ceneri la parte più chiara, trascurando la parte torbida. Aggiungendo - come in precedenza - altra acqua bollente alle ceneri, pre para altra lisciva. Una volta aggiuntala alla precedente, e dopo averla filtrata, ripeti l'intero procedimento per tutta la lisciva finché avrai constatato che nelle ceneri non è rimasto più nulla d'aspro. Farai passare la lisciva raccolta attraverso una manica di lino, il cosiddetto filtro, e la farai evaporare negli alam bicchi. Con ciò avrai ottenuto il nostro tartaro, sale della na 56 tura di tutte le cose . Questo potrà essere sciolto in acqua tar tarea tarea,, sopra una pietra di marmo, in un luogo umido umid o e freddo. fredd o. Quind Qui ndi,i, dopo d opo aver aver rettificato nel modo migliore, migli ore, come hai ap preso, la quintessenza dal vino filosofico o da un vino volgare di qualsiasi colore, purché sia schietto e assai forte, riduci questo succo alla massima semplicità attraverso continui e as 57 sidui m ot i di rotazi rotazione one . Completato il ciclo di rotazione, 56
Pernety (cit., s.v. tartaro) afferma che il sale di tartaro dei savi è il magi stero pervenuto al bianco. Ruland (cit., s.v. tartarus) lo definisce "calcolo del vino", ossia sedimento, concrezione del vino. Si ricordi la funzione di stabilizzazione e preservazione svolta dal sale. Il sale, in questa fase del processo, ha raggiunto una qualità nobilmente cristallina. 57 Non ci si deve far confondere e fuorviare dalla complessità della descri zione di queste fasi. L'intero processo, come già si è detto, non è che la ripe tizione - secondo i diversi gradi di raffinamento della materia su cui si agisce - di un'unica prassi rotatoria. Se si osserva l'uso dell'aggettivazione e la trasformazione qualitativa descritta dal Dorn, si possono isolare alcune costanti: a) l'acqua ardente che a intervalli regolari inumidisce e riscalda il composto; b) il grano, inizialmente "tritato grossolanamente" e via via ri dotto in farina e, infine, perfino in cenere; e) gli strumenti, sempre più raf fin ati , per sottilizzare (tritu razio ne prima, f iltrazione ed evapora evaporazion zionee poi).
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scorgerai di nuovo la parte pura, separata dall'impuro, li brarsi nell'aria, trasparente e di colore molto limpido 5 8 . Conservala, dopo averla separata dall'impuro con l'inclina zione59. A questo punto, vedrai il cielo spagirico, che potrai adornare di stelle inferiori, allo stesso modo in cui il cielo superiore è munito di stelle superiori. Stupi rà gli uo m in i p ri v i di fed fede, e, ch chee emulano i Fisi ci, il fatto che tocchiamo con le mani il cielo e le stelle, e ne gheranno, come per ogni altra cosa, tutto ciò che non co noscono. Poco importa quello che faranno. Nessun livore o invidia ostacolerà il nostro intento, per cui c'impegnamo a prestare aiuto a tutte le persone rette ed a coloro 58
Analogamente, Analogamente, Johannes De Monte-Snyder, nella Plana Recapitulatio, in Appendice alla Commentano de Pharmaco Catholico: "... finché da un com patto corpo solare, balzi fuori un certo corpuscolo traslucido e diafano, ciò che i Filosofi denominano vetrificazione. E quanto di più nobile Natura ed Arte possano realizzare e raggiungere". Il trattato segue il Chimica Vannus, Janssonius & Weyerstraet, Amsterdam 1666, pag. 69. Eu phra rate tess Si confrontino inoltre le parole del Dorn con quelle tratte dall' Euph di Thomas Vaughan, che che illu min an o alcun i dettagli "tecn ici" della mede mede sima operazione: "Dunque quel fuoco particolare e specificato, vita del chicco di grano, che è il magnete vegetale, attrae a sé il fuoco universale, o vita nascosta nell'acqua, e unitamente al fuoco esso attrae l'aria, che è il ve stimento o corpo del fuoco, che i Platonici chiamano 'Veicolo dell'Anima' e talvolta 'nembo di fuoco che discende dall'alto'. Qui risiede il fondamento dell'intero mistero dell'accrescimento e della moltiplicazione naturali, poiché il corpo del chicco di grano si accresce grazie all'alimento dell'aria, non semplice ma decomposta, aria che è trasportata dall'acqua è che è una sorta di sal salee dolce e volat ile. M a il fuoco, o vita del chicco di grano è for ti fi cata dal fuoco universale, e questo fuoco è contenuto nell'aria che penetra nell'acqua. A questo punto potremmo osservare che non è la sola acqua a condurre alla generazione o rigenerazione delle cose, ma l'acqua ed il fuoco, ovverosia acqua e spirito o acqua che ha la vita in sé" (The Works of Thomas Vaughan, edited by Arthur Edward Waite, repr. s. d., pag. 427). 59 Secondo Dorn - Dictionarium Theophrasti Paracelsi, Frankfurt 1584, s.v. inclinatio - l'inclinazione "è una forza della natura che rende manifesto nel l'uomo c iò verso verso cu i la sua sua vita è maggiormente inc line" .
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che si dedic ano alla Ver ità . Ma pro ced iam o oltre , così come abbiamo iniz iato . Possediamo dunqu e le stelle in fe ri or i, e cioè gl i i n d i vi d ui generati dalla natu ra nel mon do inferio re per con giu nz ion e deg li stessi i n d iv id u i col cielo, così come av viene per le stelle supe riori e gli elementi. Già sento la voce di molti che gridan o sdegnati contro di no i: "Ah ! Via di qui !", dicono. "Si tolgano di mezzo sim il i uomini, che affermano che il cielo possa congiungersi alla terra". Ma grid in o quanto p iù forte vogliano gridare. Saranno costretti ad ascoltare cose ancora più alte e straordinarie. Il cielo non è altro che materia celeste, forma universale che contiene in sé tutte le form e universali, dis tinte, e che tuttavia procedono da un'unic a forma universale. Per cu i, chiun que sappia che gl i in di vi du i, mediante l'arte spagirica, possono essere ricondotti al genere più ampio (uni versale), e che quindi possono anche assimilare speciali virtù, singole o molteplici, costui potrà facilmente indivi duare la medicina universale, in grado di guarire tutte le degenerazioni e le malattie, tanto nello specifico quanto 60 in generale e complessivamente . Ed essendo unic a l'origine principale di tutte le degene razioni e unica universalmente anche la fonte di tutte le cose che rigenerano, restaurano61e animano, chi, se non qualcuno privo di discernimento , dubiterebbe di una si mile medicina? 60
La realizzazione dell'intero magistero matura con sé sia l'esperienza del l'unità cosmica (fase ascendente) sia la conoscenza discriminativa degli astra o virtù seminali di tutti gli enti specifici (fase discendente). 61 Mente privus, l'uomo privo di discernimento, di intelletto. Si intende qui no n una priv azio ne bio-fisiolo gica, ma un' ina bili tà, una mancanz a di qua li ficazione per Yintellezione spirituale.
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E inoltre, una volta estratte, con un certo metodo, le qua lità degli elementi dalle cose che vivificano - preferibil mente da quelle che saranno dette in seguito - si rettifichi assai la loro sostanza di qualità ignea, alla stessa maniera del vino filosofico. In questo modo, il nostro mercurio sarà preparato per somma esaltazione. Così si potrà pre parare la mist ura di cielo nuovo, miele, celidonia, f io ri di rosmarino, mercuriale, giglio rosso, sangue umano ecc. col cielo di vino rosso o bianco, oppure di tartaro. Si può anche fare una mistura delle cose sopraelencate, ricondotte al loro cielo, e parimenti delle cose mescolate in misura proporzionata alle forme, secondo l'ordine del l'opera maggiore e secondo la pratica, per aggiungerle in seguito a perfezionamento dell'opera minore, di cui di remo. Quindi, si può ottenere anche un'altra miscela, sempre di cielo, con la chiave filosofica, per artificio di genera zione. In seguito, qualora si aggiunga la perfezione mi nore, secondo la proporzione dell'opera maggiore, si per verrà in tal modo alla perfezione maggiore, che accresce la propria specie, nelle sostanze esteriori, di due volte cinquemila 62 . Siccome queste cose sono comprensibili a stento per chi non possieda una piena conoscenza dei termini dell'arte, perverremo in seconda istanza 63 alla definizione di queste 62
Si riferisce al raddoppio della moltiplicazione della virtù quintessenziale grazie al compimento, in successione, dell'opus minor e dell'opus maior. 63 Dor n ri nvi a alla Philosophia Chemica (ad Meditativam comparata), che segue la Philosophia Meditativa. Se nella Philosophia Meditativa sono esposti i primi due gradi dell'opus, ossia Studium Philosophichum (putre factio) e Cognitio (solutio), la Philosophia Chemica espone i restanti cinque gradi: Amor Philosophichus (congelatio), Frequentia (abtutio), Virtus (com positio), Potentia (fixatio) e Miraculum (proiectio).
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cose, quando avremo concluso la trattazion e della cono scenza meditativa. La conoscenza medita tiva è la risoluzione 64 incontrover tib ile di qualsiasi opin ione concepita in to rn o alla verità, attraverso la certezza dell'esperienza. L'opinione è il pre sentimento incerto della verità, e concerne l'animo. L'esperienza è realmente la dimostrazione manifesta della verità, la soluzione e l'abbandono del du bbio. E no n possiamo, muo vendo da un dubbio qualsiasi, conseguire maggiore certezza se non facendone esperienza, né in 65 modo miglior e che facendola in no i stessi . Per cu i ve rif i chere mo le cose dette in precedenza in to rn o alla veri tà com piendo da noi stessi la prova. Dicemmo prima che la Pietà consiste nella conoscenza 66 di sé : da essa cominciamo anche a rivelare la cono scenza meditativa. Nessuno può davvero conoscere se stesso se prima non veda e sappia, con l'assidua medita zione e con lo studio delle Sacre Scritture, che cosa egli stesso sia, e ancor più da chi dipenda o a chi appartenga, per quale fine sia stato creato e ugualmente da chi sia stato creato e come. Una volta apprese queste cose, co mincia a sorgere la stessa Pietà che si riversa in due dire zi on i: verso il Creatore e verso la creatura. In fa tt i è im possibile che la creatura conosca perfettamente se stessa se non media nte il Creatore. Nu ll a in fa tt i proviene da sé soltanto. Chi dunque potrebbe comprendere l'effetto 64
La cognitio philosophica corrisponde alla solutio alchemica. "... così come con la soluzione si dissolvono i corp i, attraverso la conoscenza si r i solvono i dubbi dei filosofi" (Philosophia Speculativa, cit., pag. 270). 65 Sul rappo rto fra scientia ed experientia ved. saggio int rod utt ivo . 66 L'esposizione del D orn sembrerebbe qu i seguire l'acquisizione progres siva dei sette doni dello Spir ito Santo. Pri mo dono è il Timore di Dio, su cui poggia la Pietà (i n senso lati no, Pietas, rispetto ). La Pietà è a sua volta fon damento della Conoscenza.
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prima di conoscere con certezza la causa? Forse che cia scun pri n c ip io no n precede il medio e la fine, opp ure a partire dalla fine ci si può avvicinare a qualcosa? Dio, 67 qu in di è senza pr in ci pi o o fine , esiste per sé dall'eterno, co lmo d 'ogni gloria che pu r non volle possedere da solo. E stabilì, per semplice bontà, di farci compartecipi di essa, dinnanzi al suo cospetto, e di crearci a sua imma gine: primo esempio della sua bontà, mistero che non dob bia mo ignorare o trascurare superficialmente. Ma tuttavia, a stento un uomo solo conosce veramente tale arcano, e per parte nostra non permetteremo che add irit tur a gli in gr at i, gl i stolti e gli ignavi possano scrutare gli arcani divini attraverso i testi scritti. Ascoltate fratelli. Così come tutti siamo stati creati da un vilissimo fango, da tutti disprezzato e sdegnato, non diversamente, a causa della materia prima di cui siamo fatti, siamo più i n c l i n i verso un a cosa vil e che no n verso Col ui che ci creò, traend oci da cosa vile, esseri preziosi ssim i, or na ti d'ogni onore e gloria, di poco in fe rior i agli angeli. Vi stu pite, tu tt i quanti vo i che siete miseri mo rt al i come me, di colo ro che ad di ri tt ur a non credono sia accaduto che il Sommo Creatore di tutte le cose abbia scelto la più vile ma teri a fra tutt e, da cu i ha vo lut o tra rre l' ul ti ma e p iù perfetta creatura , trascurando tutte le cose p i ù preziose, come l'oro, le gemme e le altre cose di tal fatta, che co munqu e furo no fatte a vantaggio di quella sola creatura, e per sua u ti li tà . E in fa tt i, riconoscendo donde prove nia mo , ci asterremo dall'arroganza dell' orgo glio. E così facendo, nessuno di noi odi il povero, scelto da Dio, giacché anch'egli fa parte di quella stessa massa donde 67
Secondo la settima massima d ell'an onimo medievale Liber viginti quattuor philosophorum "Dio è pri ncipi o senza prin cip io, processo senza muta ment o, fine senza fine".
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provenimmo tutti. Pertanto accade che fra le persone nessuna sia più gradita a Dio di colui che ama la povertà e l'umiltà, nemico della rozza superbia. Del resto, nes suno può conoscere meglio il Creatore di quanto si possa conoscerlo attraverso le sue creature, così come si co nosce un artista osservando il suo lavoro. Vediamo dunque chi sia Colui che da cosa vile ha saputo tra rre qua nto vi sia di pi ù prezioso. No n può essere al tr i che Colui che creò entrambe. E nessun altro potè e potrà mai convertire l'acqua in vino se non Colui che creò l'acqua e il vi no . Anc or pi ù splend ida cosa fece co l tra smutare la terra in ani ma vivente, e add ir it tu ra , a su premo dono di beatitudine, creandoci a sua immagine e somiglianza, ci fece quel dono che procura salvezza a tutti coloro che riconoscono il dono stesso per azione della Grazia, e che lo sanno accettare. Ma cosa sarà dato a coloro che non lo accolgono? Certamente nulla? Co storo avranno sicuramente ciò che gli spetta, perché sia rispettata la giustizia. E spetta loro ciò che scelsero fin dal prin ci pi o, la dannazione. Il dono della salvezza eterna è gratuito per coloro che l'accolgono per azione della Grazia. Poiché il nostro valore è insieme vile e pregiato, qualcuno di noi s'interrogherà per quale di queste cose debba optare: la cosa è evidente di per sé e non richiede spiegazione. Basta riflettere per quale fine siamo stati creati. Di o Onnipotente creò il pr im o uomo a sua imm a gine e somiglianza, perché sussistesse a gloria di Dio e fosse immortale, senza affanni, di nulla indegno, sempre gioioso in Dio, non soggetto alle passioni terrene. E co munque non rendendosi conto di un dono tanto grande, (l'uomo) si abbrutì: sapeva di essere stato creato da Dio, saggio e perfetto, ma tuttavia non seppe permanere in quello stato di consapevolezza. Ponderiamo bene, dun que, quanto offra, in semplicità, la conoscenza del bene, e
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quanto male determini lo spregio di un dono tanto grande e della paro la di Dio , dal mom ento che da un imm ortale eterno è stato generato un moribondo. 68 Infatti chi muore della seconda morte sempre versa 69 nella lot ta della morte, e ma i riesce a morire . Donde la morte è detta perpetua, così come è detta eterna la vita che viviamo eternamente in Dio, giacché mai cessiamo di vivere. Dal momento che il nostro progenitore ci ha resi, insieme a sé, a un tempo ribel li a Dio e ai suoi avversari, Dio Onnipotente, mosso a misericordia, decise di infon dere in no i, che ci eravamo in duri ti , la pace di cui Eg li è artefice. Chi dunque saprà restare egualmente impietrito, qualora abbia rivolto l'animo al mistero della bontà di vina, al punto da no n sapersi rico nciliare col pro pr io ne mico, anche se gli avesse inflitto la peggiore delle offese? Chi fra i mortali non cercherebbe la riconciliazione con un nemico, sia che egli abbia arrecato offesa, sia che l'abbia subita? Allontanatosi per la sola ignoranza di se stesso, di D io , e persino di una creatura affine e vi cina , per questa stessa ragione colui che non conosce la Pace non può nemmeno abbracciarla. Infatti la Pace è radice di Misericordia. Pertanto, colui che non ha Pace, non praticherà la Misericordia e nemmeno saprà come conse guirla. Non bisogna nemmeno confondere Pace e Miseri68
È la morte dell'an ima di cui parla San Giova nni (Apocalisse, 2,11; 20,6; 20, 14) identificando in essa la dannazione eterna. San Francesco ri echeggia l'Apocalisse nella sua Cantica: "Laudato si tu mi Signore per sora nostra mo rte corporale, da la quale nullo homo vivente pò skappare. Guai a quel li ke morran no ne le peccata mo rta li, beati que lli ke se trovarano le tue santissime voluntati, ka la morte secunda noi farrà male". 69 II vam pir o è simb olo perfetto di questa condizione terrena di mor to vi vente. Mo rt o alla vera Vita, ma incapace dell'esperienza palingenetica della vera Morte, è condannato a suggere perpetuamente il succo della vita ter rena. Il sangue, in questo caso, rappresenta l'atavismo della sete psichica che alimenta se stessa.
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cordia, perché la Pace è causa della Mis erico rdia come la Pietà è causa della Pace. Qui nd i, qualora desideriamo co noscere se siamo o meno in pace con Dio, esaminiamo pr im a di tutto la coscienza per po i giudicare dal risu ltato se essa, nei riguardi del prossimo - fosse anche un ne mico, o chiu nque altro -, sia priva di sentim enti d'odio o d'invidia. Non dobbiamo forse tenere presente che il Su premo Creatore di tutte le cose concederà misericordia all'u omo - ver mic iatt olo schiavo del diavolo - in v ir tù del patto della Sua alleanza? Egli non attese che colui che aveva peccato contro di l u i si avvicinasse imp lorando m i sericordia, come sarebbe stato giusto, e al cont rar io Eg li stesso - contro cui pure era stato recato tutto l'oltraggio 70 di ingratitudine - chi am ò dolcemente l'autore del cr i mi ne , che si nascondeva e rifug giva il suo vo lto . N o n lo tra ttò co n asprezza e persino gli promi se Mis eri co rdia e Pace, per curare la ma lattia della sua empietà. Oh! m iseri mo rt al i, quale Mi se ric ord ia possiamo aspettarci di rice vere da Dio di fronte al quale non riconosciamo la nostra mise ria, n ei fa tti come nelle parole? Donde, di grazia, la Mi se rico rdia può essere mossa a compassione, se no n per l'autentica confessione del misfatto e mediante la con tri zione del cuore? Tuttavia, ogn i volta che no n ignoreremo la mis eria nostra e dei nos tri fra tell i, e la sapremo com pensare con equità, resi p iù ricc hi rispetto a tu tt i i beni di questo secolo, non ci reputeremo comun que pi ù ricch i di ricchezze divine in confronto a coloro che hanno comple tamente abbandonato i beni di questo mondo. Chi consi dera questi davvero cad uchi non soccorrerà - da fratello il povero, mettendo in comune i beni o le risorse concesse a lu i soltanto in questo mondo? Mo st rami una persona in 70
Rife rime nto al terzo capitolo della Genesi. c ( „n k t '
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grado di assimilare le cose dette e io ne farò un conosci tore degli arcani div in i. Dio n on volle ancora, nonostante tutt o, che il suo amore verso di noi si fosse palesato abbastanza. E quantunque la sua Giustizia ci incolpasse - e a essa certamente nulla mai può essere tolto, così come alla sua Misericordia ebbe ma ggi or rig ua rd o di no i che di suo Fi gl io , in cui Pace e Giustizia s'amano l'una 71con l'altra. Perché allora no n ci amia mo noi , resi uguali e frate lli in Cristo, dal momento che il Sommo Creatore di tutte le cose si degnò di amare noi, miseri vermicia ttoli, in suo Figlio, e di ren dere le creature ancor più magnifiche di pr ima, da miser rime che erano divenute un tempo, per la loro malvagità? Tu tti coloro, e quelli soltanto, che riconoscono Dio nel Fi glio, e ugualmente il Fig lio nel Padre attraverso lo Spiri to Santo, e non oppongono resistenza, riconoscono anche il fratello. Questi sono i veri e in du bi ta bi li fondamenti del l'autentica filosofia: ma poiché non sono ancora noti a tu tt i, è bene che mo lti li possano ascoltare, fino a quando negli an im i di alcu ni, ancora confusi, dimorerà il dubbio, 72 e perché l'immaginare le cose dette in precedenza possa accendere in noi l'amore della Verità. Per costoro, il premio di quest'opera consisterà, una volta compiuta l'esperienza in sé e da sé soltanto, nel venir meno di questa oscurità, in tale modo: ciascuno, una volta allonta nate dall'animo le cose mondane, tutte le preoccupazioni e t u tti gli al tr i pensieri che lo possano distrarre, pon deri bene in se stesso le cose7 3 che sono state dette, e una volta assaporatele, le mediti sempre più assiduamente, con 71
Emendo patres, del testo, con pares, d al medesimo passo proposto anche nella Philosophia Speculativa. 72 Sull'importanza della vis imaginativa, ved. saggio int rod ut tiv o. 73 Letteralmente, le "rum ini", ruminet. Secondo una significativa def ini-
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ani mo pur o. Così, poco a poco, attraverso i suoi occhi i n tel let tuali, percepirà, con grande gioia e in misura sempre maggiore, il lucci chi o di alcune scintille di div ino splen dore. E in seguito alla perseveranza nella meditazione os serverà l'accrescersi della luce, tanto che, successiva mente, si paleseranno tutte le cose che gli siano neces sarie, né, nella Verità, potrà ancora sussistere dubbio al cuno74 . Ma coltivando la Pietà e adeguandosi poco a poco alla Giustizia, mediante il rit o e il percorso esposti pr im a, conoscerà la tranquillità dell'animo, e dilettandosene comprenderà che in ciò risiede un godimento mille volte maggiore rispetto a quello corporeo. E tuttavia l'autenzione di Sant'Agostino, non priva di pregnanti risonanze all'interno della letteratura alchemica, la memoria "è come il ventre dell'anima". "Forse come dallo stomaco si fa risalire il cibo ruminandolo, così queste cose si prendono dalla memoria ricordandole" (Confessioni, X, 14). 74 È la "luce della Natura". L'espressione di Dorn non è metaforica, ma si riferisce a una precisa fenomenologia luminosa che sporadicamente si ma nifesta già nei primi gradi dell'ascesi alchemico-spirituale. Nel suo Com mento sulla Repubblica (II, 193, 22 e sgg.) Proclo accenna a un passo del mito di Er in cui si menziona la colonna di luce - dalla natura intermedia, fra il corporeo e l'incorporeo - che congiunge cielo e terra (616 B). Sebbene non si tratti esattamente del medesimo soggetto cui accenna in questo caso il Dorn, è nondimeno interessante riportare alcune delle osservazioni di Proclo. Egli afferma che tale luce non può essere osservata da chi dimora in questo mondo, "ma che è incorporea e si lascia percepire dalle anime - nella misura in cui si levano in alto - come vita dell'Universo, o qualcosa di affine. [...] Se ne conclude dunque che la sostanza di questa luce sia cor porea, ma che non possa essere vista dagli occhi mortali e che non abbia punti di corrispondenza con essi, che essa non può che essere vista me diante gli occhi dei corpi pneumatici luminosi, e soltanto quando questi occhi siano stati purificati, giacché, quando essi portano con sé qualche ri vestimento materiale, la luce non è più visibile in tutta la sua purezza". Procl o concl ude accentuand o il carattere attivo , n on passivo di questa espe rienz a visiva: "G li oc chi dei veico li psic hic i vedono senza pati re, ed è per un atto, non una passione, che essi vedono delle luci che gli sono congeneri". V e d . a n c h e i r i f e r i m e n t i a G i a m b l i c o e d a l l a fotagogia nel saggio intro duttivo.
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tica conoscenza non comincia prima che, una volta com piuto il confronto delle cose perenni e di quelle caduche, della vita e della rovina, l'anima scelga di congiungersi al l'animo, poiché ha tratto maggiore godimento da esso che dal corpo. Da questa consapevolezza sorge l'intelle zione, e la completa separazione volontaria dal corpo si compie nel momento in cui per un verso l'anima respinge la turpitudine del corpo, e per l'altro, contemporanea mente, desidera congiungersi alla magnificenza ed alla perpetua felicità dell'animo grazie a questo divino afflato. E trascura completamente ogni altra cosa per desiderare soltan to ciò che sembra essere stabi lito da Dio, per sua gloria e salvezza: che il corpo sia costretto ad obbedire e accondiscendere all'unione delle due parti già congiunte. Questa è quella mirabile trasmutazione filosofica del corpo in spirito e dello spirito in corpo, per cui il detto trasmessoci dai saggi "rendi volatile il fìsso, fìsso il vola tile, e otterrai il nostro magistero" deve essere intesa nel modo seguente: "rendi trattabile il corpo refrattario, così che esso, mediante la forza dell'animo congiunta a quella dell'anima, sia reso tenace nel sostenere tutte le prove". E infatti l'oro è messo alla prova col fuoco, grazie al quale si respinge tutto ciò che non è oro. Oh! splendido oro dei fi losofi, con cui si arricchiscono i fig li della filosofìa, e non già con quello coniato in moneta! Avvicinatevi, voi che andate in cerca di tali tesori con sforzo tanto incostante, e prima di cercare, fate conoscenza della pietra scartata 75 che è divenuta pietra angolare . È incredibile che si 75
Ne l Vangelo di Matteo (21, 42), Cristo è la pietra angolare che i costrut tori hanno scartato. L'immagine è desunta dal Salmo 118, 22, "La pietra scartata dai costruttori è fatta testata d'angolo". Il tema è riproposto da Luca (20, 17), da Marco (12, 10), Paolo (Efesini, 2, 20), negli Atti (4, 11) e nella Prima lettera di Pietro (2, 7). Ved. anche nota 36.
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possa desiderare qualcosa di sconosciuto e cercare ciò di cu i si igno ra la verità, poiché ciò non può offrire alcuna speranza di raggiungere quel che si cerca. Il saggio cerca solo ciò che ama, ma no n potrebbe amare ciò che non co nosce senza essere considerato folle, poiché la verità e l'amore per essa scaturiscono dalla conoscenza. Inv ano si danno da fare coloro che cercano i tesori nascosti della natu ra, nel mo me nto in cu i, percorr endo un'al tra via, tenta no di svelare le v i r t ù terrene median te le cose ter rene. Imp arate dunque a conoscere il cielo no n attraverso la terra, ma le vi rtù di questa mediante le v ir tù di quello. Nessuno infatti può ascendere al cielo che cercate senza che qualcuno possa discendere dal cielo che non cercate e lo i l l u m i n i . Cercate la medicin a in co rru tti bi le che tra sfo rmi i corp i da una condizione degenerativa fino all'au tentico e qu ili brio, e che li conservi bene a lungo.76 N o n po trete ma i reperire tale med icin a se non in cielo . Il cielo infatti, grazie alla sua virtù, mediante raggi invisibili, pe netra tutti gli elementi e le cose dementate, li genera e li nu tre . Questo feto, figlio di due genito ri, ossia degli ele menti e del cielo, ha in sé una natura tale da conservare, in potenza e in atto, la forza genitrice di entrambi. Che cosa resterà se non la pietra nella generazione spagirica? Impara inoltre a conoscere da te stesso ciò che vi è in cielo e in terra, specialmente tutto ciò che è stato creato per te. O ig no ri forse77che il cielo e gli elementi, un tempo, fossero una cosa sola , e che invece furono div isi per di vino artificio, affinché tu, e tutti gli altri enti naturali po teste generare naturalmente? Se hai appreso ciò, il resto si intende il luogo di tutti i principi seminali, gli astra. Questa precisazione smentisce qualsiasi lettu ra dualistic a dello scritt o di Do rn. La coscienza materiale è negativa solo se unilate ralme nte e sepa rativame nte intesa. 76
Per cielo
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