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ALBERTO GIANOLA
LA
FORTUNA
PITAGORA
DI
PRESSO
ROMANI
I
dalle orìgini fino al
tempo
di
Augusto
.>^ CATANIA FRANCESCO BATTUTO 1921
—
Editork
PROPRIETÀ LETTERARIA
J^-^ <^^
Catania
—
Stab. Tip. S.
Di Mattai
&.
C.
—
1921.
A
GIORGIO
E
GUSTAVO DEL VECCHIO FRATERNAMENTE
PREFA2IONB La
generalmente conosciuta
filosofia di Pitagora^ che è
appena in alcuni dei suoi punti fondamentali^ come metempsicosi^ Varmonia delle sfere^ la scienza meri^ l'astensione dai cibi carnei realtà
un
un complesso
assai vasto
e
e
dalle
la
nu-
dei
in
era
fave^
profondo di
dottrine^
morale,
ve?v e propìzio sistema di speculazione e di
la cui conoscenza ci è tuttavia possibile soltanto in pic-
cola parte^ sì per la scarsità dei
documenti
scritti
ori-
ginali, dovuta alla nota tradizione della segretezza i
più dei suoi cultori osservarono scrupolosamente,
per
le
amplificazioni^
che partorirono
le
le
sofia
falsificazioni
E però
ragionata speculazione^ a cui
ima conseguente tre da un lato delle verità
e
si
da essa chiarite
dei suoi insegnamenti.^ della
le
e
con
anime
filo-
vera
accompagnò^ parallela,
men-
col
fascino
V armonica
bellezza
di molti
conoscenza.,
che^
sì
seducendole
attrarre^
ma
fanatici^
logica ragione di vita,
potè
r assillante aculeo
di pseudo-
indubbio che tale
fu non dilettantismo di mistici
sì
invenzioni
e le
fantasie di tardi seguaci^
eruditi e di mistificatori.
e
che
cui
incontrò
pungeva
daW altro
—
VI
—
da parie di
ostacoli e derisioni
aristocrazie
interessate
o di volghi ignobili e sciocchi.
non creata interamente ex novo, nel seper opera di Pitagora^ del quale come
Divulgata.^ se colo sesto a.
C.
^
di Omero, alcuni misero perfino
fu
coltivata^
Magna
Grecia
in
e
dubbio
Vesistenxa^
che altrove, sulle rive dell' Ionio nella ^
Sicilia.,
nella Grecia ed
osteggiata., era.,
prima
in
di dove si
in
Roma.
sebbene
diffuse, Ricca.,
com'essa
di principii che oggi si direbbero idealistici e
ed accompagnandosi., come ho
sceridentali.,
detto.,
tra-
a una
sua particolare armonica concezione della vita individuale
e collettiva^
insomma
teorica^
tempo., essa era ben atta e scienza., politica e
e
pratica nello stesso
ad informare
di
se
religione
morale.^ consuetudini e leggi.
Essa fu da molti connessa non pure con anteriori antichissime dottriìie della Grecia^ deW Egitto^ delV India e perfin della Cina., dalle quali sarebbe in tutto o in parte derivata somiglianza, tone, in
con
e
ma
quali ebbe non
le
dubbi
molte parti ricalcata sulle sue orme. Conservata
mandata, senza
immune da
sussidio
il
delle scuole, essa ebbe sofi alessandrini,
della
elementi estranei, scrittura,
alimentò
le
rio e di altri molti, e diede origine a
più quali meno profonde ed
torno alla vita maestro. della
non
Da
ed
ai
segreto
di
teo-
Porfi-
molteplici
scrit-
attendibili,
in-
primi insegnamenti delV antico
essa infine tras.sero ispirazione alcuni
rinascenza,
filo-
altre
letto
speculazioni della
sofia neoplatonica e ?ieopitagorica di Plotino,
ture, quali
nel
e tra-
nuovo rigoglio per opera dei
quando, inalveatesi nel suo
correditi di pensiero,
dirsi
di
con la posteriore filosofia di Pla-
altresì
poi per lungo tempo
sofi
punti
e
del tutto spenta
qualche
anche
filo-
sua derivazione può oggi.
— Importantissimo
per noi Italiani,
na e
e
studiare la storia di questa
lo e
ìiarrarne
le
dottri-
vicende nei vari tempi
nei vari paesi: poiché^ sebbene molti abbiano fatto stu-
—
di e ricerche in proposito i
-
utilissimo sarebbe dunque^ massime
e
ricercarne
il
VII
lavori del Bitter
Chaignet
dello
pellina
(6),
(1)
(1),
dello Zeller (2), del
del
Mullach
del Cento fanti
Ferrari
del
(4) e
(9),
basterà ricordare^ fra tanti,
del
del Gognetti
(7),
Ferri (10) --
De Martiis
benché
e
(3),
Ca-
in Italia, del
e,
(5),
Gomperz
da
Heinrich Ritter, Oeschichte der Pythagor. Philosopkie,
(8),
tutti
Ham-
burg, 1826.
Eduard Zellbe, Pythagoras und die Pythagorassage, in Vortràge und Abhandlungen geschichtlichen Inhalts^ Leipzig, 1865 e (2)
voi.
P
Theod. Gomperz. Les penseurs de
la
Die Philosopkie der Oriechen (3)
ed.
alleni,
ecc..,
Grece, trad. de
la
2*
par A. Raymond, Paris, Alcan, 1904.
(4) A. E. Chaignet, Pythagoi^e ris,
pp. 279 e segg.
la philosopkie pythagor.,
et
Pa-
1873.
(5)
Fr. G. a. Mullach,
Fragmenta
cessoribus, in
De Pythagora eiusque philosoph.. graecor.
v.
dìseipulis et sucII,
Paris,
1881,
I-LVII. (6) Domenico Capellina, Delle dottrine dell'antica scuola pitago-
pp.
rica contenute nei Versi d'oro, in
Scienxe di Torino, serie (7)
II,
t.
Memorie
XVI
della
(Ì857), pp
R.
Aecad.
di
37-109.
Silvestro Centofanti, Studi sopra Pitagora (1846) nel volu-
me La
letteratura greca, Firenze,
Le Monnier, 1870 [Opere,
voi. I,
5p. 359 e segg). (8)
CoGNETTi
Accad.
delle
De
Martiis, L'Istituto Pitagorico, in Atti della R.
Scienxe di Torino, 24 (1888-89) e nel volume Socia-
lismo antico, Torino, Bocca, 1889, pp. 459-496. (9) Sante Ferraiu, La scuola e la filosofia pitagorica, in Rivista ital. di Ulosofia, 1890, I e II.
(10) L. Ferri,
Sguardo retrospettivo
alle
opinioni degl'Italiani
intorno alle origini del pitagorismo, in Atti della R. Accademia dei Lincei, Rendiconti, serie
4,
6,
1890, 1 pp. 532-547.
— questi e notizie^
da
ma
VITI
non
altri studiosi
— solo si siano raccolte molte
siano anche esaminate
si
discusse quistio-
e
ni importaìitissiìne^ pure troppe cose ancora rimangono
da chiarire
da risolvere
e
esterna del Pitagorismo;
esame
il
della
e
storia
chiamerò
ch'io
fors'anche^ riprendendone
contenuto, ossia tenendo V occhio alla
sua
i?i
sto-
ria interna, che è poi, per la filosofia, la sola importante,
qualche verità,
io penso,
già
acquisita
e
insegnata
dall'antico saggio, potrebbe dimostrarsi anche oggi
damente fondata
tale
e
da poter
vali-
resistere agli assalti del
nostro più acuto criticismo. Gli studi raccolti in questo volume furono già da
me
in gran parte pubblicati, dal 1904 in poi, o in opuscoli
ma
in Riviste;
poiché ho dovuto,
ricerche, modificare
ero giunto,
nuovi
e
alcune fatti
delle
mie
conclusioni alle quali
ho potuto
chiarire,
per aderire al desiderio
indotto, anche
corso delle
ìiel
e
alle
mi sono sollecita-
zioni di be7ievoli amici, a ristamparli tutti insieme.
Spero che
il
tenue contributo chHo porto
che or ora dissi esterna del Pitagorismo
alla
varrà
storia
almeno
a dimostrare che intorìio a queste importantissime dottrine non si è detto ancora tutto e che inolio ancora si
può indagare
e scoprire.
INTRODUZIONE Da
diverse tradizioni furono connessi
religiosi e politici di il
Pitagorismo
Pitagora le
si
molte
ne
(1);
i
piiì
città dell'Italia
fa meraviglia
che
antichi istituti
meridionale con alle
dottrine di
facessero risalire anche le prime istituzioni e
più antiche leggi di
Roma: Numa,
sacro legislatore
il
della città capitolin'a, fu ritenuto scolaro di Pitagora, e le
stesse leggi delle della
dodici tavole,
Magna Grecia
e
della
copiate dalle legislazioni
Sicilia,
che
alla
loro volta
traevano ispirazione, se non origine, dal Pitagorismo, fu-
rono
altresì
ricongiunte con questo.
Sarebbe indubbiamente assai utile e interessante poter determinare in che consistessero questi legami di dipen-
denza e
stabilire
con precisione
quali
furono
gl'influssi
dell'antica sapienza italica sulla formazione delle credenze
e degli istituti religiosi e della
(1) Seneca, di
per esempio, (Epist.
fondamentale legislazione
ad Lueilium^
90)
sull'autorità
Posìdonio, dice, parlando dei grandi legislatori dell'Italia:
non in
foro,
nec in consultorum
atrio,
sed
in
«Hi
Pythagorae
sanctoque secessu didicerunt jura, quae fiorenti lune per Italiani Oraeciae ponerent ».
ilio
Siciliae
1.
et
2
romana;
ma
sia fatto in
—
purtroppo, sebbene qualche lieve tentativo proposito,
non
è,
si
per ora, possibile una deter-
minazione neppure approssimativa.
Ma
insieme con questa azione, da alcuni ritenuta
tanto leggendaria, civile di flusso,
Roma,
su
determinando
che costituì l'anima della vita
ciò
esercitò
Pitagorismo
il
nel
sol-
corso
dei
un
secoli,
ulteriore
in-
attraverso
le
vicende della sua storia vasta e complessa, una corrente pensiero sua propria,
di
continua
o
interrotta,
palese o
recondita?
Di vera e propria tradizione scritta non ce,
non frammentarie;
se
invece
meno
di
scarsi indizi e
le conclusioni
con certezza sappiamo
ebbe
difficile
pensatori insigni e grandi uomini politici
menti famosi,
orali,
ma
Roma.
sapienza non di
second 'or-
grandi poeti e celebri letterati,
cittadini illustri,
sofia pitagorica,
non
che questi inna-
di queste nostre ricerche,
furono già uomini oscuri uè poeti o scrittori
ma
in
di
anticipando in parte
fin d'ora,
morati cultori di una così riposta e
dine,
restano trac-
una tradizione orale abbiamo
pochi seguaci che la dottrina pitagorica
Anzi noi possiamo rilevare
ci
non morta nella
;
cosicché la
filo-
scrittura o negli insegna-
viva e operante nelle menti di magistrati
come Appio Claudio
e
maggiore Scipione, nelle
il
come Ennio e Virgilio, nei cuori di cittadini nobilissimi, come Figulo, Yarrone e i Sestii, accompagnò in certo modo passo per passo il progredire della potenza e della grandezza di Roma; finché fantasie di poeti
poi, sopra la
eccellenti,
sua efficienza pratica e
prevalendo l'elemento speculativo, l'indole dei Romani,
era
il
la
che,
sua virtù fattiva data la naiura e
meno idoneo ad
all'antica razionalità delle dottrine lato fantasticherie e aberrazioni
allettarli,
e
sovrapponendosi da un
come
quelle di
un Apol-
—
3
Ionio di Tiana, e dall'altro frammischiaudosi elementi ete-
rogenei di origine greca, orientale e forse anche cristiana, essa
si
di
ritirò
nuovo nel
segretezza di
silenzio e nella
qualche scuola, illuminò appena
la vita
e
lo
di
spirito
qualche solitario amante della verità e del sapere, e
finì
per disperdersi e dileguare nelle acque torbide delle spe-
un Macrobio
culazioni di
Se
un Eulogio.
o di
mi sono indotto pertanto a raccogliere con
io
maggior diligenza possìbile
i
ricordi, le testimonianze, le
tracce, o. palesi o recondite, o tenui o larghe,
ha
lasciato
il
Roma,
intorno
al
gli
è che altri
si
Pais, e in storie
romana;
letteratura
e
ma
sé.
let-
studi di tro-
trovano bensì nelle opere
dello Zeller, dello Chaignet, del
del
lavori
mio tema non mi è accaduto
vare. Brevi cenni riassuntivi
Roma
che di
pensiero pitagorico nella storia e nella
teratura dell'antica esaurienti
la
MuUach,
nella Storia di
generali e particolari
della
in sostanza io ho dovuto fare lun-
ghe e pazienti indagini, per mettere insieme notizie sparse
qua
un
e là
po' dappertutto. L'importanza e
valore delle
il
mie ricerche non consistono dunque nella novità dei sultati,
ma
piuttosto nello svolgimento dato a
un tema
ri-
fin
qui appena malamente sfiorato da qualche erudito, nella quantità delle notizie raccolte e nell'ordinamento che ne
ho
fatto,
seguendo l'ordine cronologico;
stione spero anche di avere
maggiormente
bene, per la scarsità dei dati sui struire,
e
qualche quechiarita,
seb-
quali era concesso co-
non sempre abbia potuto giungere a conclusioni
definitive.
CAPITOLO PRIMO
leggendari
Inìzi
1.
Il
Pitagorismo e
le
monianze
G
prove.
Pitagora.
—
5.
Le
—
6.
Pitagorismo.
1.
— Che
storici
e
più antiche istituzioni di
—
3.
I
Roma.
—
carmina convivalia. XII tavole nei loro
leggi delle Il
carme pitagorico
di
—
2. Testi-
4.
Numa
rapporti
e
col
A. Claudio Cieco.
Roma
molte delle antiche istituzioni di
fossero
derivate dalla filosofia pitagorica fu riconosciuto ed am-
messo esplicitamente da Cicerone,
il
quale
del quarto libro delle Tusculane (§§ 2-4) «
nel
principio
lasciò
scritto
:
Pythagorae doctrina cum longe lateque flueret, pernia-
navisse mihi videtur in hanc civitatem, idqtce
cum
coniec-
tum quibusdam etiam vestigiis indicatur » A conforto dunque della sua opinione egli addusse due argomenti, uno congetturale e uno di fatto: « Quis tura probabile
est,
.
enim
est
qui putet,
— così
egli
Italia Graecia potentissimis et
Magna
continua
— cum fiorerei in
maximis urbibus, ea quas
primum
ipsius
Pythagorae,
deinde postea Pythagoreorum tantum nomen
esset, nostro-
dieta est,
in
eisque
rum hominum ad eorum
doctissimas voces aures olausas
—
6
Quin etiam arhitror propter Pythagoreorum admi' rationem Niimam quoque regem pytagoreum a posteriori-
fuisee f
bus
existimatum.
Nam
cum Pythagorae dìsciplinam
et
instituta cognoscerent regisque eius aequitatem et sapien-
tìam a maiorihus suis accepisseut^ aetates autem
pora ignorarent propter excelleret,
vetustatenij
tem
et
eum, qui sapientia
Pythagorae auditorem crediderunt fuisse
questa è la congettura; la constatazione
di
fatto
»
.
poi
E è,
che nelle istituzioni romane e in alcune antiche scritture vi
sono molte non indubbie tracce
alle istituzioni,
di
Pitagorismo. Quanto
egli trova materia di raffronto nell'uso dei
canti e della musica
«
:
Vestigia
autem Pythagoreorum,
quamquam multa colligi possunt, paucis tamen utemur.... Nam cum carminibus soliti illi esse dicantur et praecepta quaedam
occultius tradere et mentes suas a cogitationum
ad tranquillitatem traducere, gravissimus auctor in Originibus dixit Caio morem apud maiores hunc epuìarum fuisse ^ ut deinceps^ qui accubarent, canerent ad tibiam clarorum virorum laudes atque virtutes. Ex quo perspicuum est et cantus tum fuisse discriptos vocum sonls et carmina. Quamquam id quidem etiam XII tabulae declarant, condi iam tum solltum esse carmen ; intentione eantu fidibusque
quod ne
licer et fieri
ad
alter ius iniuriam^ lege sanxerunt.
Wec vero illud non eruditorum temporum argumentum est, quod et deorum puloinaribus et epulis magistratuum fides praecinunt, quod proprium eius fuit, de qua loquor, disciplinae » E quanto alle antiche scritture egli ricorda un carme di Appio Cieco, che a lui pare pitagoreo: « Mihi .
quidem etiam A.ppii Cacci carmen, quod valde Panaetius laudat epistula quadam, quae est ad Q. Tuberonem, Pythagoreum videtur^?.
E
finalmente conclude:
sunt in nostris institutis ducta ab
illis ;
<^
Multa etiam
quae praetereo,
.
—
7
ne ea, quae repperisse ipsi putamur^ aliunde didicisse
vi-
deamur». È davvero un peccato che Cicerone, per sentimento di orgoglio nazionale — che non doveva peraltro e forse anche per ragioni, se non essere soltanto suo
—
come oggi
di Stato,
utilità pubblica,
.
si
direbbe, almeno di prudenza e di
abbia creduto necessario di tacere intorno
a queste molte altre derivazioni d'istituti romani dal Pita-
come
gorismo, alle quali, volte; tanto
piii
che
è visto^ accenna per
si
egli^
e per le cariche da lui coperte,
e per la conoscenza che aveva della sacerdotale,
per la
in genere,
e,
cultura storica,
assai interessanti. Ci è forza
e,
secondo luogo, se
contro la sua
2.
per quanto
i
ci
si
presto
tardi,
generica,
e
offrano altri indizi prò
(1)
«
ai
Magna
temporihiis isdem
— quibus
e propagatosi in tutta l'Italia
Romani
pa
L. Brutus
dionale, dove si conservò poi per molti secoli,
rimanere ignoto
que-
di
Pitagorismo importato nella
i]
dice lo stesso Cicerone »
prove certo
suoi argomenti siano va-
Grecia nel sesto secolo avanti Cristo,
triam liberavit
e
tesi.
- Che in verità
— come
era bene in grado
documenti
affermazione categorica,
in
larga e profonda
dunque accontentarci
vedere, anzitutto, se e quanto lidi
scienza augurale e
sua
letteraria e filosofica,
di fornirci in proposito notizie,
sta sua
ben due
meri-
non dovesse
e dovesse esercitare su di loro,
qualche influsso
notevole,
è
ovvio,
e
le
presenti ricerche dimostrano appunto la cosa alla luce dei fatti.
Ma,
la
questione è ora di vedere se tale influsso
possa far risalire veramente ai tempi di
(1) Ibid. § 2.
Italia
«
Cfr. 1,
16, 8,
Superbo regnante
»
Pitagora
e
si
dei
dove è detto che Pitagora venne in
.
—
8
come Cicerone
credette, oppure,
come
credette Livio e con lui gli storici moderni, se esso
si sia
suoi primi seguaci,
per opera di neo-pitagòrici, dopo
fatto sentire soltanto,
Magna
conquista della Campania e della
interamente compiuta nel 265 questa azione sia stata
larga
così
lasciare molte ti^acce di sé negli
Roma,
di
o se
C.
a.
parte, se
profonda da dover
e
istituti politici e religiosi
prime manife-
sia esercitata solo sulle
si
che fu
Grecia, d' altra
e,
;
la
prime spe-
stazioni dell'arte musicale e letteraria e sulle
culazioni filosofico-religiose.
Due
ma
piccoli
fatti,
come
strino, anzitutto,
già
me
pare a
significativi,
che dimo-
generazioni
parecchie
dell'Arpinate, e precisamente fin dal secolo quarto
prima a.
C,
cioè prima della conquista dell'Italia meridionale, dovette
essere convinzione di molti in
sua dottrina e città.
Il
di
questi fatti
è
sannitica fu innalzata a Pitagora
Roma, per
volere
di Apollo,
poi sino ai tempi di Siila niti si
298
al
combattè in
290
C.
a.
;
che a Pitagora,
(1).
il
ai
lati
una
statua,
Ora
la
Comizio
del
che
vi sono ragioni
ci
è
Invento
ma
in
realtà
che
ci
attestata da
Pythagorae
et
et
vietino
di
;
farla
risalire
Cfr.
Plutaeco,
et
fatto,
la presa di Turis, di
Plinio,
il
an-
un
Eraclea
quale però non cita la
egli infatti (JV.
H.
XXXIV,
Alcibiadi in eornibus Comitii positas
Samniti Apollo Pythius iussisset fortissimo alteri sapientissimo simulacra celebri loco dicari »
(statuas), cum, bello
Oraiae gentìs
va dal
debba
fonte da cui ha attinto la notizia. Dice 26):
San-
si
poco posteriore, è che dopo La cosa
i
Pais crede che la cosa
che ad uno dei due periodi precedenti. L'altro
(1)
in
rimase
vi
guerra contro
ritenere avvenuta appunto in questi anni
non
la
che durante la guerra
tre periodi, l'ultimo dei quali
e
alla
molto
sue leggi fosse debitrice di
alle
primo
Roma
Numa^ VIIL
— e di Taranto (272
Andronico,
a.
che ne
e
C.)
-
9
con l'arrivo nella
divenne
il
poeta
città di Livio
ed
sacro
furono dichiarati cittadini romani, Pitagora e
Zaleuco
Ora perche mai sarebbero
(1).
stati
ufficiale,
suo alunno
il
concessi a Pi-
tagora due onori così distinti e di carattere pubblico,
se
non
la
Evidentemente
città?
benemerenze verso
fossero riconosciute le sue
si
tempi più antichi l'orgoglio
in quei
come più
nazionale non aveva ancora oscurato,
tardi,
il
senso della verità storica! Ciò premesso, veniamo ad esa-
minare
la possibilità degl'influssi pitagorici sulla
civiltà capitolina,
3.
—
secondo
le
più antica
prove che ce ne dà Cicerone.
carmina convivalia^ che, ormai disusati
I
ciceroniana, erano invece ancora in
seconda guerra punica (218-202
a.
uso C.)
al
e
nell'età
tempo
della
che risalivano,
come affermò Catone, a molte generazioni prima
di
lui,
furono certamente anteriori alla legislazione decemvirale,
che è della metà del secolo quinto: Cicerone dimostrare l'esistenza
di
musicali, e quindi di
una
tempi più antichi sieme con
la
di
infatti,
per
accompagnati da strumenti
canti
civiltà
abbastanza
Roma, ricorda
evoluta
nei
nel passo citato,
in-
testimonianza di Catone,
il
fatto
che
le leggi
comminavano gravi pene a chi avesse usato quei canti « ad alterius inkiriam » (2). Senonchè Cicerone, come appare da un altro passo dei suoi scritti,' delle dodici tavole
(1)
Symm.
Vedasi ep.
X,
il
framm. 5 nei Fragni. Hist. Graec.^
II,
p.
273
e
25.
« Nostrae duodecim tabulae^ quuni (2) Cfr. De rep. IV, fr, 12 perpaueas res capite sanxissent, in his hane quoque saneiendam pukiverunt, si quis occentavisset sive earmen condidisset quod in:
famiam XXVIII,
faeeret fìagitiumve alteri 2, 10-17.
»
e vedi
auche Plinio, Nat. Hist.
— audò anche più
Numa
del re
ritenendoli già
oltre,
Se così
(1).
—
10
è,
esistenti
a)
tempo
non avrebbe dunque dovuto
valere anche per essi l'obiezione che l'Arpinate moveva,
come
si
è veduto, alla leggenda
Pitagora? Neppure
stato scolaro di
canti egli
poteva
secondo
visse,
autore credeva, filosofo di
rone e
Samo. Cosicché o da
la analogia
—
valore storico
derivazione
la
Numa
se
ufficiale,
a cui
il
che
lui
Ji
nostro
cento anni innanzi la venuta
di
piti
fosse
di questi antichissimi
Pitagorici,
cronologia
la
Numa
re
il
ammettere
logicamente
dall'analoga costumanza dei istituì
che
del
raffronto istituito da Cice-
il
messa
in rilievo
e così dovrebbe ritenersi
non ha alcun senz'altro,
se
fosse indiscutibilmente fondata la cronologia della più antica storia di
—
Roma
,
oppure
~ come
è più
probabile,
in conformità dei risultati generali e particolari a cui
è
giunta la critica storica nell'esame delle primitive leggende
romane
— l'ipotesi
della derivazione dei canti dal Pitago-
rismo ha un fondamento di vero, e in
nere che fosse errata faceva risalire
al
(1)
De
mur
rite-
tradizione cronologica, in quanto
secolo
se, in
C.
a.
Quanto poi all'analogia
che consisteva essa? Semplicemente
orai. 111,51, 197: «Nikil est
nostris quam,
caso è da
secolo ottavo un'usanza che dovette essere
posteriore al seste
considerata in
la
tal
numeri atque
voces
;
autem tam eognatum mentibus qtiibus et excitamicr et ineendi-
ad hilaritatem et ad tristitiam vis carminibus est aptior ; et eantibus, non neglecta^ ut mihi videtur, a Numa rege doctissimo maioribusque ìiostris^ ut epularum sollemnium fides ac tibiae Saliorumque versus Indicarli ; maxime autem a Graecìa vetere celebrata ». Di questi canti poi Cicerone parla anche altrove, e cioè et
lenìmur
et
saepe deducimur
nel Brutus^ Tacito,
ed
ivi
Ann.
19,
languescimus
et
quorum Ula sumnia
75 e nelle Tusculane
3.
anche
10, Nonio ad assa voce
Val. Massimo
II,
1,
fi.
II, 20,
5,
vedano
2,
Yabbone, de vita pop. rom.^
Ili,
Si
I,
Kettner.
11
comune
nell'uso
deUa musica in occasione
del canto e
feste religiose e di banchetti pubblici,
nuto dei canti
che
stessi,
uni. cioè
gli
perarono come mezzo terapeutico e e gli altri invece, cioè
terico,
memoria
degli antichi eroi;
tramandare sotto menti in forma
il
i
di
non già nel contei
insegnamento esola
Pitagorici erano soliti
i
vincolo della segretezza certi insegna-
canzoni e riposare per mezzo
di
ado-
Pitagorici,
Komani, per esaltare
come
di
accompagnati dalla lira
le
meditazione, così gli antichi
menti
affaticate
Romani
di canti
dalla
lunga
solevano, al principio
dei banchetti, cantare al suono delle tibie le lodi e le virtù degli eroi, ed ebbero alle
mense
gistrati,
di far
precedere tanto
in onore degli dei, quanto ai banchetti dei
suono delle
il
lire,
Insomma,
dei Pitagorici. l'arte
anche l'usanza
le piìi
Roma
musicale in
che
il
si
fu
ma-
pure caratteristico
antiche manifestazioni del-
ebbero
per l'influsso diretto
del Pitagorismo.
4.
—A
quel
modo che
è dimostrata la possibilità che
si
siano derivate dal Pitagorismo queste antichissime manifestazioni dell'arte musicale,
come
verisimile
—
Cicerone
La
si
potrebbe anche riconoscere
— contrariamente
la notizia dei
notizia che
il
re
a ciò che
rapporti fra
Numa
Numa
ne pensava e
Pitagora.
Pitagora
sia stato scolaro di
è probabilmente anteriore al terzo secolo
a.
Pais afferma (1) che essa
risalire
stosseno,
.
Ma
una cronologia
versa da quella che fu
(1)
secondo
Storia di
deve forse far
;
anzi
i
Roma,
poi
della storia
consacrata
dalla
il
ad Ari-
in tal caso sarebbe necessario credere
questi conoscesse
ufficiale,
si
C.
romana
che di-
storiografia
computi della quale l'esistenza di Nu-
I*, p. 19 e 387.
12
ma
un
fu anteriore di oltre
Tanto è vero che quasi
secolo
tutti
gli
troviamo ricordata tale notizia
a quella di Pitagora.
presso
scrittori
— Cicerone,
i
quali
Dionigi d'^li-
—
carnasso, Diodoro Siculo, Livio, Ovidio, Plutarco, Plinio
notano e discutono variamente questa inconciliabilità cronologica, concludendo tutti press'a poco
De
nel
come
fa
Manilio
re piiblica di Cicerone, che dice la storia di queste
non sufficientemente provata dai pubblici annali quindi da ritenersi « un errore inveterato » (l). Ora che
relazioni
e
romano
dal punto di vista
o di scrittori romanizzanti così
dovesse concludersi, è troppo naturale: data la indiscutibile verità della tradizione e della relativa cronologia,
non
poteva esservi dubbio per loro sulla impossibilità per parte di
Numa
possibilità
non
esiste per noi,
Roma
delle origini di
come
tarda,
Ma
tale im-
che sappiamo come
la storia
essere stato alunno di Pitagora.
di
computi cronologici che a quella
i
scono siano
formazione relativamente assai
sia di
il
risultato di
si
riferi-
una lunga elaborazione
tradi-
zionale, quasi interamente destituita d'ogni verità,
siste
(1) Ciò.
contemporanei
i
di Cicerone,
De
re pubi. Il,
549); Livio
Plinio, Nat.
Roma, non rimane
di
Cfr. DioN. Halic. II,
si
l'ostacolo cronologico che, se
non
sus-
più oggi che la critica storica ha demolito l'antichis-
sima cronologia
p.
dunque
Tolto
era validissimo per
di
appartenenti talvolta a tempi succes-
di istituzioni
sivi e diversi.
un complesso
di
di
leggenda siano
della
figure
simboli rappresentativi
soltanto dei fatti
come molte
e infine
fondamento
I,
59
18 e
;
15, 28:
che
«Inveteratus ho77tinum errore.
Diod. Sic. Vili, 14 {.Exc. de vlrt. et vii.
XL, 29; Plut. iVwma
Hist. XIII, 27.
veda più innanzi,
altra obiezione
al cap.
—Quanto IX.
I,
3; YIII, 5 sgg.;
alla testimonianza di Ovidio
— quella sollevata da Livio,
rapporto fra
Numa
13
il
-«.
quale ritenne impossibile ogni
anche per ragioni di
e Pitagora
stanza e di lingua. Dice egli infatti «
«
«
:
di-
Auctorem doctrinae
Numae]^ quia non exstat alius, falso Samium Pythagoram edunt, quem Servio Tullio regnante Bomae, eius
[i. e.
« centum amplius post annos, in ultima Italiae ora circa «
Metapontum Heracleamque
et
« lantium studia coetus habuisse constai. « etsi «
Ex
quae fama
eiusdem aetatis fuisset^
aut quo linguae commercio
iuvenum aemu-
Crotona
quibus in
quemquam ad
Sabinos
f
cupiditatem
unus per
« discendi excivisset f quove praesidio
locis,
tot gentes
«
dissonas sermone moribusque pervenisset f suopte igitur
«
ingenuo
«
temperatum
animum
virtutibus
magis instructumque non tam peregrinis artibus quam
« disciplina tetrica ac tristi veterum «
opinor
fuisse
Sabinorum^ quo
ge-
quondam incorruptius fuit » (1). Ma nel storia, come giustamente osserva il De Mar-
nere nullmn
campo chi
(2),
della
è forse detta l'ultima parola sui rapporti che lega-
rono in antico
la civiltà della
Magna Grecia con
barbare popolazioni italiche del centro la esistenza
ammessa da Livio
ac tristis
presso
»
i
di
?
una
«
E
disciplina tetrica
cosa molto più problematica di quello che
Grecia nel secolo sesto?
Numa
e Pitagora
romano
La leggenda
più
parte
d' altra
Sabini dell'ottavo secolo
babile l'andata di qualche sabino o
le
dei
dovrebbe dunque, a parer
a.
non
non
C.
sia
nella
è
pro-
Magna
rapporti
fra
iiostro, accet-
come rispondente a verisimiglianza, e il regno di Numa, se questi è realmente esistito, o, in ogni modo,
tarsi
(1) Livio,
I,
18.
(2) Passi'scelti
da
Tito Livio
politiche e militari di
Roma
ad illustrare
le
istituzioni religiose^
antica, Milano, Vallardi, 1907 p. 65.
— il
formarsi di tutti quegli
la tradizione riportava
almeno sesto,
tempo
a
14
—
istituti
che
di carattere religioso
dovrebbe ritenersi posteriore
lui,
di Pitagora,
ossia
posteriore
al
secolo
appunto perchè dalla tradizione era tenuto in
stretto
al
rapporto di dipendenza dal Pitagorismo. In
sarebbe più necessario, come fa tata da Aristosseno
l'altra
tal
modo non
Pais, di ritenere inven-
il
notizia,
che
risale
appunto a
questo filosofo del quarto secolo, che parla genericamente
Romani accorsi ad ascoltar Pitagora (1), e piii facilmente si comprenderebbero alcuni dati della leggenda. di Numa, la scoperta dei famosi libri pitagorici di questo re, di
e
il
fatto
metta
che qualche scrittore, per esempio Ovidio, am-
senza neppure discuterla.
la realtà dei rapporti,
Raccontava ancora venerazione
per
il
la tradizione
che
Numa
ebbe tanta
suo maestro Pitagora, che volle
dare
un proprio figlio il nome di Mamerco, in onore dell'omonimo figlio del filosofo (2). Che significato può avere questo nuovo particolare ? Alcuni hanno creduto di scorgere in a
esso
un
tentativo da parte degli
risalire in tal
Se così il
fosse,
Mamertini
Emili
di far
modo le proprie origini al tempo di Numa. noi dovremmo allora ammettere che quando
particolare fu inserito nella leggenda,
questa non era ancora quella tivo sarabbe stato puerile.
Ma
ufficiale:
così
la
cronologia
altrimenti
veramente non
il
è,
di
tenta-
come
fu giustamente osservato dal Mtiller (3); probabilmente (lì npoo'^X'9'Ov S'aùxcp (cioè Pitagora), &<; cpvjoiv 'Apiaxógsvog,
il
xal
Asuxavol xal MsooàTiiot xal Hsuxéxioi xal 'Ptojjtalot. Così dice Porfirio nel Gap. 22 della Vita di Pitagora; e il medesimo affermano, senza citare Aristosseno, Diogene Laerzio (Vili, 14) e Giamblico {Vita Pythag, 241). Quanto al Pais, vedasi St. di Roma I^, p. 678-679 n. e altrove. P. Emilio I. (2) Plutarco, Numa YIII, 11 (3) Q. Ennius, Pietrob. 1884, p. 162 n. ;
-^ 15
non ebbe
particolare
un
—
altro ufficio
che
con
avvalorare
di
indizio di piii la leggenda. Un'altra notizia, a propo-
quale non è veramente fatta
sito della
di
Pitagora, è quella che
la
quale
Numa
ebbe
menzione alcuna
si riferisce alla
Musa
particolare venerazione
forse essa alla pratica del silenzio e della
Tacita, per
Allude
(1).
segretezza,
È
cui parla costantemente la tradizione pitagorica?
di
pos-
sibile.
E
che
re avrebbe fatto apparire dinanzi agli occhi di co-
il
miracolo della mensa carica di ricco vasellame,
il
loro che dubitavano delle sue
non ricorda
le
soprannaturali
facoltà
(2),
analoghe facoltà magiche attribuite a Pita-
gora dalla tradizione? Veramente queste due notizie, per il
loro
potrebbero
favoloso,
carattere
immaginaria, plasmata, in parte,
saggio di Samo.
non
è possibile
Ma il
un
di
libri
di
una
al
falsificazione,
191
Ora data
C,
a.
immagine a
conclusione
in
occasione di
nel capitolo seguente,
dobbiamo ammettere, con
noi
veramente
— la
antichi.
poi essi stati opera del saggio
Numa
come
necessariamente
già detto,
un'epoca posteriore
del
la realtà della scopei-ta
come vedremo
dizione, che questi libri fosseì'o
s'è
proiezione
della scoperta dei famosi
fatto
nel
sul Gianicolo.
e la inverosimiglianza,
credere
altro fatto, sulla cui verità storica
Numa, avvenuta
uno scavo
a
dubbio, sembra indurci
diversa; voglio alludere
a
Numa una
l'austera e quasi mistica figura di storica
indurci
dovrebbe al sesto
secolo
—
•
o
di
la tra-
Siano
cui esistenza, porsi
in
qualche altro
sapiente imbevuto di sapienza greco-italica, essi starebbero
sempre citò
(1)
a dimostrare che effettivamente
una qualche azione
Pitagorismo eser-
sull'antica civiltà capitolina.
Numa^ Vili. Hauc, U, 60.
Plutarco,
(2) DioN.
il
— Dal complesso
—
16
di queste
notizie
e
questi
di
possiamo dunque inferire che non solo rapporti fra
ed antica, vero
di
:
i
ma
due che
leggenda dei
la
legislatori dovette essere altresì essa
noi
fatti
difPusa
assai
ha un certo fondamento
guisa che se Cicerone la disse
di
inveteratus ho-
«
minum
error » noi possiamo senz'altro accettarne la vetu-
stà; e
quanto all'erroneità, essa fu probabilmente soltanto
un desiderio di uomini di stato e di eruditi animati da un eccessivo orgoglio nazionale. Per la qual cosa Ovidio, che pure scrisse dopo che diversi alla
leggenda
le
critiche
storici
accennate,
avevano mosso
potè
ben accettarla
senza discuterla affatto come una cosa ovvia e risaputa e fare in certo tribuite a rio (3),
5.
vole
modo dipendere
Numa
(2),
(1)
istituzioni religiose at-
le
persino la sua riforma del calenda-
dalla educazione pitagorica da lui ricevuta.
—Anche
alcune disposizioni legislative delle dodici
— che appartengono
alla
metà del quinto secolo
a.
C.
ta-
—
furono messe in relazione col Pitagorismo; cosa ben naturale,
se si pensi alla loro origine:
ricalcate sulle
orme
delle legislazioni della
che, alla lor volta, com'è cipii di
non erano esse
ben noto,
si
Magna
informavano
infatti
Grecia, ai prin-
quella dottrina? Ora questa, che sarebbe, per dirla
con Cicerone, semplice coniectura, ha poi
la
sua riprova
nel contenuto delle leggi stesse, quale può desumersi dai
frammenti che ce ne rimangono.
Infatti
in esse sancito s'ispirava al principio
(1) 3,
Metam-.
XV,
]-8,
479-484;
41-46. (2)
Metam. XV, 479-484.
(3) Fast.
1.
e.
Fast. Ili,
il
diritto punitivo
del taglione:
151-154;
«
Si
Pont. Ili,
— membrum
cum
rup{s)it^ ni
—
17
eo pacit^ tallo
està », dice
il
secondo frammento della ottava tavola, e questo principio,
come
che,
leggi di Zaleuco rici,
Demostene, ebbe largo svolgimento nelle
attesta
quali lo ricollegavano alla dottrina dei numeri. Dice
i
che
infatti Aristotile (2)
come
rata
era indubitatamente tolto dai Pitago-
(1),
porzione Zeller (3)
ma
inversa,
secondo
essi applicarono,
come notò bene
diretta,
l'offensore e
l'offeso,
il
critica
la
giudice
nel
;
aristotelica,
lo
che
criteri
i
commutativa ad un ordine in cui non può
della giustizia
aver luogo che la distributiva. Ora, dice
un suo breve
una pro-
perchè consisteva in
ràvTi7i;£7cov'9'ó(;,
— non — fra
da loro conside-
la giustizia era
studio
in qual
(4),
modo
si
il
Chiappelli in
determinasse dal
Pitagorismo e quali applicazioni avesse questa teorica del
non possiamo
taglione
né possiamo
dire,
quali elementi di essa penetrassero
quiudi
dodici tavole e
nelle
a quali trasformazioni andasse soggetta in
Roma.
tuttavia è possibile stabilire, sebbene solo in tivo.
Alla legge generale, nelle dodici tavole,
le leggi speciali:
(1)
Timocr. 744
jjiòv
prima
riguardava
di esse
yàp aòxó^t
« ò'^xoz
punto
modo negaseguivano la
diversa
tig òcp'S-aXiJLÒv
èdtv
vó|i.oo,
Un
àvTsxxócIjat itapaaxsiv xòv éauxoQ xal oò XP'^M-*''^^^
è%xó4>ì|7,
oswg
:
la
sapere
oòSs|Jtiac, àTceiÀTjaat xtg
Xéyexat
Sxt aòxoù èxxóc|^st zoùzo'* xòv
ritrovano in quello che dei Pitagorici,
il
1'
èy^d-pòg
§va
autore della
è/.'^-pcp
xt|i7j-
Iva Ixovxt òcpS-aX-
Le medesime parole si Grande Morale ci riferisce
».
ohe è una riprova del rapporto storico fra questi
e Zaleuco. (2)
Eth. Nic. Y, 8, 1132
xal xò
àvxt7C£7iov'9'òc
Icpaaav. è^pL^o'^xo
slvat
b.
1
(ed.
Susemihl)
ànXGòq dCxatov còaicep
yàp àuXwc
'^à
(3)
[\
(4)
Sopra alcuni frammenti
:
« Soxst 5s xtat oi
nuO-ayópsiot
SCxaiov xò dcvxtTCSTtovO'òc dcXXcp ».
360. delle
XII tavole
con Eraclito e Pitagora, in Areh. giuria,
voi.
nelle loro relazioni
XXXV. 2,
—
—
18
misura della pena per l'ingiuria recata a un libero o ad
uno schiavo fatta
Ora
(1).
non pare che avessero
Pitagorici
i
Grande Morale taglione, come quella
questa distinzione, se l'autore della
combatte
la dottrina pitagorica del
che non
può applicare incondizionatamente
si
poiché di quanto quello cede a questo, di tanto,
al libero,
se gli abbia fatto ingiuria, deve accrescersi
rispondente
E
(2).
come
il
degli dei per
uomini;
ma
distacco fra
— Abbiamo
corpo
Roma, dove
296
C,
a.
così
il
paresse
poemetto di
censore nel 312 e console nel
che,
uno
fu indubbiamente
storici più importanti e,
se
non
il
primo,
dei personaggi
certo
uno
dei
primi rappresentanti di una larga cultura. Orbene, che giudizio di Cicerone a sufficienza
E
rimasti.
i
in verità la famosa sentenza
(1) Si
veda
il
fr.
CCC, Magn. Mar.
Tipòg &7iavxag* oò
morale
di
Pitagora
3 della stessa tav. Vili [si] servo I,
«fahrum
GL
34, 1194,
a.
;
«
yàp laxi Stxaiov olxéx^
« xò
Si^
e
l'
Manu
poenani subito 35:
;
ci
sono
esse suae
non potrebbe esprimere meglio
della dottrina
fregit libero (2)
»
il
fosse errato parrebbero dimostrare
pochi frammenti che di quella poesia
quemque fortunae
damento
non
il
cittadini liberi e schiavi.
anche veduto come a Cicerone
Appio Claudio Cieco, e nel
il
era invece possibilis-
ispirato ai principii della filosofia pitagorica
307
quali
i
bensì
via della virtù, l'osservanza delle leggi e
sima, anzi necessaria, nella legislazione di
6.
era
più alto precetto etico era l'imitazione
il
rispetto verso tutti gli
il
pena cor-
carcere dell'anima, che vaga in una perenne
trasmigrazione, e
netto era
la
in verità siffatta distinzione
impossibile nel sistema dei Pitagorici, per era
servo o
al
il
fon-
altra, altis-
fustive si os
».
TotoaTov o5x èaxt
Tcpòg èXsud-spóv
xaOxóv » etc-
,
— come
sima,
dice
r interpretazione
il
—
19
Pascoli
se fosse certa la lezione e
(1),
«amicum cum
:
vides obliscere miserias;
aeque [idem tamen
inimicus sies; commentus nec libens
«tu dimentichi la tua miseria quando vedi un amico; ora sia tuo nemico "quello che tu vedi: ebbene, pensatamente, e non volenteneto] »^ che
tieri
il
come con
traduce:
Pascoli stesso
l'amico, tieni lo stesso contegno, tuttavia
»
è pure strettamente conforme alla dottrina pitagorica, che
insegnava amore e fratellanza
terzo infine
il
;
«
sui quem-
que oportet animi coìnpotem esse semper nequid fraudis stuprique ferocia pariat
»
non
,
e certo disforme dalle pra-
tiche e dagli esercizi spirituali degli adepti al Pitagorismo,
che dovevano acquistare padronanza assoluta non pure del proprio corpo,
per dirigerle
Non che
ma
al
anche
proprie
delle
attività
interiori,
bene.
apponeva dunque male Cicerone. Senonchè an-
si
intorno
all'autenticità
questo antico
di
poema, che
sarebbe una delle prime manifestazioni letterarie di Roma, si
sono sollevati dei dubbi.
che
fatto
Il
la notizia di esso
era data da Panezio in una sua lettera a Quinto Tuberone
ha indotto per esempio di
una
falsità
ai
Pais
falsificazione posteriore,
che andavano sotto
Romani
Roma
il
»
.
scolari di
Ma come
il
a pensare che
si tratti
da collegarsi con
le altre
(2) «
nome
di
Pitagora e su Pitagora cittadino di
è ciò possibile, se Aristosseno e
furono contemporanei?
E
se
Appio
come Campania
visse,
nel tempo in cui furono sottomesse la cania^
Aristosseno intorno
Appio
è certo, e la Lu-
che ragione c'è per negare che egli abbia potuto
conoscere quelle dottrine e da esse trarre ispirazione per
(1)
Lyra romana, Livorno, 1895,
(2) St.
di
Roma
I,
2, p.
671 n.
p.
XXXII.
E
20
—
come dubitare con qualche fondamento dell'autenticità dell'opera che un Panezio e un Cicerone, a distanza di tempo relativamente breve, attribuirono ad Appio stesso, tanto più che il medesimo Pais
il
suo poemetto?
poi
riconosce che l'efficacia della filosofìa tarentina
sopra
gli
uomini
di stato
di Pirro » ? L' ipotesi di
romani « dal tempo
una
si
di
esercitò
Appio
e
falsificazione, della quale poi
non si vedrebbe neppur chiaramente la ragione, non ci sembra dunque per nulla fondata; sì che noi possiamo con chiudere che la dottrina del filosofo di Samo, in conformità dei dati tradizionali, esercitò una qualche tanto sulla più antica civiltà di
Koma, a
C, quanto
prodotti
secolo
a.
dell' arte.
sui
primi
azione
partire dal sesto
del
pensiero e
CAPITOLO SECONDO Quinto Ennio e
1.
Ennio 3.
Il
e Catone.
6.
Ennio
e
il
snoì tempi
— 2. Ennio in Roma e
sogno degli Annali.
delle dottrine
i
il
circolo degli Scipioni.
Sua importanza per la diffusione Roma. 5. L' «Epicharmus ».
—
razionalismo.
—
—
pitagoriche in
7.
I
libri
di
Numa.
—
Stazio Cecilie e
Marco Pacuvio.
— 10.
I comici.
—
Culti
8.
Bacchici e sette orfiche in Italia nel principio del sec. II 9.
—
— 4.
a.
11.
C.
—
Caio
Lucilio.
1.
altro,
contribuì a diffondere in
Roma
conoscenza delle dottrine di Pitagora fu senza dubbio
la il
— Chi, più d'ogni
poeta Ennio (239-169
a.
C),
tura e della letteratura romana.
grande padre della
il
Nativo
di
Rudie,
fortemente ellenizzato fra Brindisi e Taranto, studiato in quest'ultima città, che era
cui
si
conservavano più pure
le
il
egli
cul-
paese
aveva
centro italico, in
tradizioni
pitagoriche.
Versato nel greco, nell'osco e nel latino, egli diceva scher-
zando
di
avere tre cuori
(1).
Nel 204
si
trovò a militare
in Sardegna fra gli ausiliari che Taranto aveva
(1) Gellio,
N. a., XVIII,
17.
mandato
— ai
Romani,
giovane
Come
Marco Porcio Catone, che era più cinque anni, fu invitato a recarsi a Roma.
spiega tale invito
Quali vincoli
?
questi due giovani, destinati a
trarono fra
—
e quivi da
di lui di
si
22
gli orrori di
sì
stabilirono fra
si
grandi cose, che
una guerra
di
si
incon-
conquista? Furono
vincoli di simpatia e di amicizia creati dalla
dezza d'animo e da comuni aspirazioni?
comune granerano essi
si
già conosciuti cinque anni prima, nel 209,
quando Catone
quindicenne fu in Taranto ospito del pitagorico Nearco
Questo mi sembra più probabile. D'altra parte scienza e colpire alle
il
intelletto
forte
l'animo
eletto e la
la
? (1).
profonda
Rudino dovettero certo mente aperta di Catone, che del
qualità pratiche del futuro
uomo
stato
di
univa
le
attitudini del poeta e dell'artista, del pensatore e del filosofo.
In virtù della sua sapienza Ennio dovette apparire
al nobile
Roma come
cittadino di
antiche gesta della città;
assai atto a cantare le
ed è forse per questo che Ca-
tone, ragionando con lui delle istorie primitive della patria e delle relazioni che essa ebbe con la
suggerirgli scrisse, e
l'idea
del
Magna
Grecia, dovette
poema, che quegli poi realmente
per la composizione di esso
ojffrirsi
di agevolar-
conoscenza dei documenti e dei materiali
gli la
promettergli tutto
il
suo aiuto
;
il
storici e
quale, e per la condi-
non poteva non apinestimabile. Al poeta d'altro
zione e per l'ingegno dell'offerente, parire ad Ennio prezioso e lato,
piena l'anima dell'antica sapienza della sua terra, di
quella sapienza che nessuno in somnis vidit priu'
(1)
quam sam
Plutarco, Gaio maior^ 4-5.
— Cioeeone,
21, 78. (2)
Annalee, VII.
fr.
discere coepit (2)
124 (Yalmagoi).
Caio maior, 12, 39;
— dovette balenare
come
suo canto
tempo
di farsi
stesso,
uno splendore radioso
in
illustrare col
—
23
imprese
le antiche
Roma
e, al
una sapienza scono-
banditore di
sciuta alla città che forse
di
l'idea di
suo spirito veggente presagiva
il
sarebbe stata nuova fucina di cultura e di sapere e maestra di
nuova
2.
civiltà alle
— Venuto metà
l'altra
in
più lontane generazioni!
Roma, Ennio sua
delia
dedicandosi totalmente agli
vita,
studi e alla poesia e a
vi passò quasi per intero
diffondere
della città l'amore del sapere.
un
circolo di studiosi,
cittadini e
da
essi
farsi
gioventìi
la
colta
Egli chiamò intorno a sé,
a formare
seppe
fra
influenti
piti
i
noti
e
amare ed onorare per
le
dell'animo e
cognizioni vaste e profonde, per la nobiltà
l'integrità del carattere, per la modestia della vita e d6i
costumi, per la dolcezza dei modi e del parlare. tarlo accorsero fra
Nasica,^
gli
Africano,
Scipione
altri
Aulo Postumio Albino
Nobiliore, e con tali amicizie
(1),
Marco
egli
Ad
e
ascol-
Scipione
Quinto Fulvio
seppe vivere
sempre
poverissimo e pur sempre sereno, mostrando così con ficacia dell'esempio,
ticate
che
erano realmente
verità da lui insegnate e pra-
le
le
più atte a dare la
pace. Se vogliamo credere a Gelilo, Elio Stilone soleva dire che
medesimo nei seguenti il
l'ef-
il
felicità e la
grammatico Lucio
Ennio fece
il
ritratto
di
sé
versi degli Annali, che descrivono
vero amico: Haece locutus vocat, quocum bene saepe libenter mensam sermonesque suos rerumque suarum comiter inpartit,
partem
(1)
Fu
«
magnam cum
trivisset de
lassus diei
summis rebus regundis
decemvir sacrorum
»
nel 173 a. C. (Livio, XLII,
10).
—
24
—
Consilio indù foro lato sanctoque senatu
275
;
quo res audacter magnas parvasque iocumque eloqueretur cuncta [simul] malaque et bona dictu evomeretj.si qui vellet, tutoque locaret; quocum multa volup [et] gaudia clamque palamque,
ingenium quoi nulla malum sententia suadet
280
ut faceret facinus levis aut malus ; doctus, fidelis, suavis homo, facundus, suo contentus, beatus, scitus, secunda loquens in tempore, commodus, verbum paucum, multa tenens antiqua sepulta, vetustas quem facit et mores veteresque novosque tenentem multorum veterum leges divomque hominumque,
285
prudenter qui dieta loquive tacereve posset ritratto tu vedi
In questo
(1).
l'immagine del vero sapiente
pitagorico, che sa trattare le faccende pubbliche e raccor gliersi nella meditazione,
che sa parlare con piacevolezza
tempo opportuno, che non commale, neppure per leggerezza, fedele nell'a-
e con facondia e tacere a
mette mai
il
micizia e servizievole^ contento del suo, felice, che infine
sa molte cose profonde e recondite,
camente chiuse nel fondo
ma
le
tiene
della sua anima, per
in balìa di inetti, e le svela soltanto a chi
si
ermeti-
non
darle
mostri atto
ad intenderle.
E
anche
possibile,
come osserva acutamente
che in questi versi Ennio abbia voluto tare
piii
Gellio,
ferunt, Q.
morum il
N. a. XII, 47:
Ennium
«
si
po-
«
vir
non minus
L. Aelium Stilonem dicere solitum
de semet ipso haec scripsisse picturamque istam
Enni factam esse ». I versi sono sefr. 194 dato dal Valmaggi (= vv. 294 ss. Mìjller
=
Baehrens). (2)
rappresen-
et ingenii ipsius Q.
testo
(2),
convenientemente quello che Macro-
bio scrisse dell'Emiliano, che cioè fosse
condo
altresì
Pascal
suoi rapporti col grande Scipione, del quale
i
trebbe dire assai
(1)
il
Antologia latina, Milano, 1899,
p.
16.
—
—
25
philosopMa quam virtute praecellens
pensiamo che Scipione fu forse
è accettabile se
pili
gliore dei discepoli del poeta,
considerazione da comporre
—
Scipio
A
—e
da
e l'ipotesi tanto
» (1);
fargli dire
quale
il
il
mi-
ebbe in tanta
lo
un poemetto
intorno a lui :
Sole exoriente supra Maeotis paludes est qui factis me aequiperare queat.
nemo
cuiquam
Si fas endo plagas caelestum ascendere
mi
E
maxima
soli caeli
est,
porta patet (2).
Cicerone stesso, appunto per la sua sapienza, oltre
che per
la
fama
non
delle sue imprese,
scelse
lo
protagonista del Sogno famoso col quale terminava
come il
De
Repuhlicaf
3.
— Di Ennio fu notissimo
incominciavano
gli
ai
Annales e
pena alcuni frammenti
Romani di cui ci
insieme con
(3)
sogno col quale
il
sono rimasti ap-
le
testimonianze di
Lucrezio, di Cicerone, di Orazio, di Persio e di altri
Somnium
(1)
In
(2)
Cicerone, Tuse. V, 49; Seneca,
Seipionis^
I,
3. e/),,
108 e
parlando appunto di Scipione:
nell'ep. 86, dice,
(4).
eaelum^ ex quo erat^ rediisse persuadeo
altri. «
Seneca poi,
animus
eius in
rtiihi ».
Vahlen Enn. poes. rei., Lipsiae, 2^ ediz. 1902, L. MuELLEE, Q. Enni carm. rei., Petrop. MDCCCLXXXV,
(3) Vedili in V. J.
pp. 4-6;
pp. 3-5, e nei Frag. poet. rovn. coli. Baehrens, Lipsiae, 1886. Vedi
anche p.
le
osservazioni del Mueller, Q. Ennius, Pietroburgo, 1884,
139 e seg. e
filai,
(4)
lo studio del
classica, III,
Lucrezio,
I,
259
112-126; Cicerone, Somn. Scip.,
16, 51; 27, 88; Orazio, sai.
Valmaggi pubblicato nel Bollettino di
e seg.
Ep.
II,
1,
52-54;
I,
Persio,
10; Aead, II, prol.
VI, 10-11; Schol. in Pers. prol. 2; VI, 9; Sehol.
Horat., Ep.
ad Aen.^
II,
Il,
1,
2
Cruq.
sg.,
in
52; Frontone, ep. IV, 12, p. 74 Nab.; Sergio,
274, ecc.
.
— Questo sogno che
mano
—
26
levò grande rumore nel
«
e di cui spesso
mondo
ro-
parlala, ora con serietà filosofica,
si
ora per ischerzo, tanto che divenne quasi proverbiale
»
(1),
doveva essere abbastanza lungo.
Al poeta addormentato monte Parnasso (2) il fantasma pian-
sarebbe apparso sul
gente
(3)
di
Omero
lunghe
a dargli
spiegazioni
intorno
all'ordine dell'universo (4), alle trasmigrazioni di ogni ani-
ma umana
un proprio
attraverso
ciclo
di vite (5)
sopravvivenza nelle caverne
d'Acheronte
intermedia
corpo
fra
l'anima
e
il
(6)
di
e alla
una forma
e a ricordargli le
mutazioni della propria anima, trasformatasi, dopo la morte del corpo, in
A. Pasdera,
(1)
p.
un pavone
e
(7)
rinata
appunto in
sogno di Scipione^ Torino,
Il
lui,
Loescher,
il
1890,
4 nota.
Nec fonte labra prolui eaballino Nee in sommasse Parnasso Memim., ut repente sic poeta prodi-
(2) Persio,
bicipiti
rem
Prol.
1
3
«
:
Ennium^ qui dicit sommando in Parnaso Homerum sibi dicent em quod e Schol. ad V. 21
»,
in suo esset eorpore (3)
*
«
tangit
se
vidisse
eius
anima
.
La ragione di questo pianto non è detta. Era forse pianto di il momentaneo ritorno a contatto con un essere terreno ? « rerum naturam expandere dictis ». Lucrezio, I, 126 « an contra nascentibus insinuetur (aniLucrezio, I, 113
gioia per (4)
:
(5)
ma)
»
(6)
:
e
116
:
« a?^
Lucrezio,
1,
pecudes alias insinuet se 120-123
:
».
Etsi praeterea tamen esse Acherusia
«
tempia Eìinius asternis exponit versibus eidem Quo ncque permaneant aniìnae ncque corpora nostra, Sed quaedam simulacro modis palleniia miris (7) Persio,
»
Sat. VI,
10
sg.
:
«
Cor iubet
hoc
Enni,
destertuit esse Maeonides Quintus pavone ex pythagoreo
postquam ».
Tertul-
meminit Homerus Ennio sommante » Hbid.^ e. 34: « perinde in pavo retunderetur Homerus, I, cfr. eiusd. de resurrectione^ sieut in Pythagora Euphorbus » liano, de an., e. 33:
«
pavum
se
;
;
G.
1,
e AcRON, in
carm.
tanzio in Theb. Ili, 484.
I,
28, 10; Persio, YI, 9, e schol.
;
Lat-
—
Messapo
discendente del re press'a poco,
non
per
l'
dell'
anima
di
due
tuale dei
Che sesto
a.
accenno
rudino.
Tale,
per
1'
ma
filosofiche,
incarnazioni
e
affermata parentela spiri-
poeti.
dall'
C.
dottrine
delle
alle ti-asformazioni
Omero, e
pavone
il
poeta
il
(1),
contenuto di questo sogno, notevolissimo
il
solo per l'esposizione
altresì
—
27
importato,
poi,
come sembra,
Oriente in Samo,
la patria
nel secolo
Pitagora,
di
avesse nella filosofia mistica di questo iniziato un'impor-
tanza considerevole, è certo (2):
per
la colorazione
lato,
al
penne
delle
e -
poiché era anche
simbolo del cielo
quale salivano dopo ogni morte corporea
le
—
stel-
anime
umane (onde l'espressione per me simbolica del fieri pavom usata da Ennio) (3), opportunamente fu scelto dal poeta e dalla tradizione che egli seguì, per accogliere
nima 4. il
di
—
l'a-
Omero, già ritenuto per samio, come Pitagora.
Il
fatto
che
il
grande poema storico degli Annales,
quale ebbe da parte
Romani un
dei
quello che noi tributiamo alla Divina
culto analogo a
Commedia, incomin-
ciava con tale sogno, ebbe grande importanza per la diffusione e conoscenza del pensiero
pitagorico
poiché, appunto per lo studio che del
(1) Servio, (2)
und
ad Aen. VII. 691
MuELLER, Q. Ennius^ Hausthiere, 2^ ediz.,
p.
p.
poema
Roma
in si
fece, fin
Silio Italico, XII, 393.
;
143 sg. Cfr. Hehn, Kulturpflanxen
309.
(3) Dall'interpretazione letterale data a tale espressione o
consimili nacque forse presso
;
gli
antichi
— uno
ad altre
dei primi fu Seno-
fane, contemporaneo di Pitagora, nei versi citati da Diogene Laer-
zio (YIT, 36)
non
i
quali peraltro
satirica — l'opinione
anche animale.
hanno un' intonazione scherzosa, se
che Pitagora credesse nella metempsicosi
~
28
—
dal secondo secolo a. C. nelle scuole di rettori ca (1) e
per
grammatica e
di
pubbliche letture di esso, ancora in
le
uso nelle città di provincia
tempi d'Aulo Gelilo
ai
dovette necessariamente mantenere viva in
(2), si
Roma
stessa
e in Italia la conoscenza di quella parte della dottrina di
Pitagora, che nel sogno
ricordava e che
si
delle principali di detto sistema.
sono
Difatti
—e
quenti nella letteratura posteriore
Roma
resto fu forse introdotta in
appunto dottrine per molti goriche, sia per
mezzo
fondamentale,
parte
— del
insegnavano
si
alle
della filosofia platonica
e
pita-
stoica,
diffusa e anteriore
era derivata almeno in
air apparire del neo-pitagorismo,
qualche
fre-
altro tramite,
rispetti somiglianti
una tradizione abbastanza
che, secondo
assai
quale
la
anche per
per mezzo dei Misteri, nei quali
sia cioè
una
noi le vedremo
della metempsicosi;
le allusioni alla teoria
poi
era
dottrine
dalle
pitagoriche
stesse.
5.
— Se
nel
poema
Ennio
di
alla filosofia pitagorica
non
ci è
vi
fossero
ampiezza
ma
Numa,
fors'anche illustrate
con
le
quelle del filosofo di Samo. In
prima volta sarebbe
stata
letteraria latina la notizia teriore,
che
il
solo notate
una
certa
sue leggi ed istituzioni e tal
caso da Ennio per la
inserita in un'opera storica e
gran re avesse avuto a maestro Pitagora
gramm.
2. 6,
(3)
è impro-
desunta dalla tradizione orale an-
(2) Noetes Attieae, XVI,
(1) SvETONio,
ma non non
somiglianze fra
le
:
fossero
babile che, a proposito di
accenni
dato conoscere dagli scarsi
e slegati frammenti che ce ne restano
incidentalmente,
altri
de
MuELLBB, Q. Ennius^
p.
1,
e
XVIII,
161 sg.
5.
(3).
—
—
29
In altro scritto invece noi sappiamo con
Ennio
ancora delle dottrine pitagoriche: e precisa-
trattò
mente ìieìVUpicharmuSy un poemetto
nome
così
valenti seguaci della scuola italica
lavoro poetico,
e che
il
dei più
in
questo
nostro scrittore finse un sogno:
videbar somniare
med ego
poeta comico Epicarmo
il
uno
Anche
(1).
dal
intitolato
del filosofo siciliano, che era tenuto per
Nam
che
certezza
esse
morluum
gli
comunicasse,
(2j
nelle
regioni infernali, dottrine di filosofia naturale suU 'origine e sulla
natura delle cose. Notevole, fra
nel quale
identifica
si
il
corpo alla
noto simbolismo mistico, l'anima .
.
al
gli altri,
terra
e,
è
il
verso
secondo
il
fuoco:
terra corpus est, et mentis ignis est (3).
.
Al qual proposito Yarrone,
citando,
un
altro verso dello
animalium semen ignis qui anima ac mens: qui caldor e caelo^ quod Mnc innumerahiles et immortales ignes. Itaque Epicharmus de mente umana dicit: stesso Ennio, scriveva:
istic est
(1)
«
de sole sumptus isque totus mentis est
Yahlen,
0.
e,
p.
XCII-XCIII
e cfr. L.
epich. p. 53. Yedasi anche lo studio del
(4).
Y. Schmidt, Quaest.
Pascal, Le opere spurie
Epicarmo e l'Epieharmus di Ennio in Biv. di fìlol. classica^ a. XLYIl, f. P, genn. 1919 pagg. 66 sgg. di
(2)
e di istrux.
Cicerone, Aead. pr.^ II, 16, 51.
YII, p. 764 P.
(3) Prisciano,
(I,
p.
335 K.).
Cfr. gli scolii al-
l'Eneide, YI, 724-732. (4)
De lingua
latina^ Y, 39. Cfr. Mueller, op.
Sul pitagorismo del poeta
v.
cit.,
p.
rica è quella che ricorda Cicerone {de divin.^ II, 62, 127)
posito dei sogni
noenum
:
« aliquot
necesse est ».
Ili sg.
a pag. 70. Un'altra sentenza pitago-
somnia
vera^ inquit Ennius^ sed
a pro-
omnia
— 6. sì
— Ma
che alle opere
oltre
letterarie,
è detto, ebbero efficacia fino al
le
secondo
quali,
come
secolo
dopo
Ennio
rivolse l'attività dell' ingegno, trasfondendovi
tesori della
sua sapienza, all'insegnamento orale; senza
che
l'esempio della sua vita intemerata spronò
Cristo, i
30 -™
dire poi all'
costante della virtù tutti quelli fra
esercizio
cittadini di
Roma
i
nobili
che accostandolo l'amarono. Egli
si stu-
diò di volgere le loro menti ad
una
libertà di pensiero e
ad una concezione individuale delle cose,
erano certo avvezzi
Abituando
ferrea.
i
Romani, educati
le loro
sotto
quale non
una
disciplina
intelligenze alle bellezze ed alle
sottigliezze della cultura greca,
insegnando in privato
dottrine di Pitagora, combattendo nel le superstiziose
alla
nome
Evemero
di
credenze popolari, e deridendo
le
i
sacerdoti
ignoranti, predicando infine che l'uomo ha da trovare in se stesso, nelle profondità dell'anima,
il
fondamento del
proprio valore, della propria libertà e della propria cità,
diede impulso a una vera rivoluzione
romano
nello spirito
(1)
:
sì
feli-
razionalistica
che fra quei valorosi soldati
e pratici legislatori cominciò ad essere tenuta in conto la cultura, ad esercitarsi la libera attività del pensiero anche in fatto di fede, e a formarsi un'aristocrazia vera e legit-
tima, fondata su ciò che
uomo ha
l'
di più sostanziale e
di proprio, cioè su l'intelligenza e sullo spirito.
Non
è improbabile che
appunto per questo Catone,
quale, sopra tutto e innanzi tutto, vedeva l'interesse e
bene
dello
Stato,
osteggiasse
il
il il
movimento a cui aveva
dato egli stesso involontario impulso e perseguitasse l'A-
(1) GiussANi,
Letterat.
anche su Ennio
il
romana^ Milano,
Yallardi, p. 90. Si veda
saggio critico del Lenchantin
rino, Bocca, 1915).
De Gubernatis
(To-
-
Bl
-
fricano (1); tanto che questi, avendo suscitato contro di sé
molte ire violente e molte accuse politiche,
gnosamente nella sua dove morì nel 183
7.
Literno, nella
di
villa
si
ritirò sde-
Campania,
(2).
Proprio in questi anni, facendosi uno scavo, furono
scoperti
i
famosi
Numa,
di
libri
quali, per
i
un caso
assai
strano, venivano molto
opportunamente a confermare
insegnamenti pitagorici
di
Ennio
(3).
La
notizia della sco-
perta risale, per quel che ci è noto, all'annalista
Emina,
il
quale, secondo ci riferisce
gli
Plinio
(4),
Cassio
narrava
come un impiegato di nome Cneo Terenzio, facendo dei lavori in un suo podere sul Gianicolo, avesse scoperta e
(1) V.
Livio,
XXXVIII,
(2) Sull'esilio e sulla
C. Pascal, Fatti f3) Si veda,
e
54.
morte
intorno a questi
die Bueeher des
di
leggende di
Numa^
Scipione Africano Maggiore vedi
Roma libri,
antica^ p. 85-96. lo
studio del Lasaulx, Ueber
negli Atti dell' Accademia di
Monaco
del
1849. (4) «
Nat. Eist. XIII, 84
= Hist.
Rom.
rell.
I,
p.
106-107 Peter:
Cassius B.em,ina^ vetustissimus auctor annalium,^ quarto eorum,
^ibro prodidit^
agrum suum, in lanieulo arcani in qua Numa qui Romae regna-
Cn. Terentium, scribam
repastinantem offendisse
In eadem libros eìus repertos P. Cornelio L. f. M. Bebio Q. f. Pamphilo coss. ad quos a regno Numae colliguntur anni DXXXV, et hos fuisse a charta^ maiore etiamnum mir acuto quod tot infossi duraverunt annis. Quapropter in re tanta ipsius Heminae verba ponam; mirabantur alii quomodo ìlli libri durare potuissent^ ille ita rationem reddebat : « Lapidem fuisse quadratum cireiter in medio arde vinctum, candelis quoque
vii situs fuisset.
Gethego^
versus. In eo lapide insuper libros inpositos fuisse., propterea arbitrarier tineas
non
phiae Pythagoricae
;
tetigisse: in his libris scripta erant philoso-
eosque combustos a Q. Petilio praetore quia
philosophiae scripta essent
».
.
— cosa di cui molti
e,
;
—
32
Numa, che conteneva
scavata la tomba del re lui
.
libri
i
meravigliarono, cotesti
si
carta s'erano perfettamente conservati
di
libri di
ma, come spiegava
;
stesso Terenzio, tale conservazione era dovuta al fatto
lo
che, essendo posti sopra
una
pietra quadrata che
quasi nel mezzo della tomba, erano rimasti
immuni
l'umidità, ed essendo spalmati di cedro, le tignole
avevano
I libri stessi poi
rosi.
per
sofìa pitagorica,
qual
la
contenevano
ragione
bruciati dal pretore Quinto Petillio.
secondo
(1),
ritto pontificio
e
pure, secondo
1'
contenenti
quale però detti
il
li
dopo
poco
stesso
racconto
erano sette di
libri
pitagorici.
altrettanti
di-
Quattordici erano
annalista C, Sempronio Tuditano (2)
Numa.
decreti di
i
non
Calpurnio Pisone Censorio Fru-
fece pure l'annalista X.
gì
dal-
scritti di filo-
furono
Lo
trovò
si
e
Secondo Valerio Anziate
infine (3) essi erano invece ventiquattro, dodici pontificali scritti in latino
e dodici di filosofia scritti in greco, e
Numa, ma
sarebbero trovati proprio nella tomba di
si
non in
un'arca adiacente.
Se
il
racconto è vario nei
(1) Plinio,
/.
=
e.
H. R.
tradii 0. Piso censorius
rell.
particolari,
I,
p.
122-123, P.
(2)
Plinio
(3) Plinio
=
e.
l.
tertio
Numae
/.
e.
:
«
:
primo commentari or um,^ sed
iuris pontifìcii totidemque Pythagoricos fuisse
decimo
tuttavia
«
questi
Hoc idem
libros septem
».
H. R. rell. I, p, 142-143 P decretorum fuisse » libros XII fuisse ipse Varrò
:
antiquitatum septimo. Antias secundo libros fuisse
«
Tuditanus
Humanarum XII
potiti fi-
cales latinos^ totidem graecos praecepta philosophiae continentes Cfr. p.
Plutarco,
Numa,
22
;
Livio,
240-241 P. Si noti però che
il
XL,
29,
Peter crede
^ =z H. R. (/.
e.
p.
Livio abbia citato per errore Valerio Anziate invece di
Pisone.
rell.
CC.)
»
I,
che
Calpurnio
33 ed
altri
autori (1) sono concordi nell'affermare sia la sco-
perta dei e di
durante
libri,
il
consolato di P. Cornelio Cetego
M. Bebio Panfilo (191
C), sia la loro pronta di-
a.
Cosicché non è
struzione per opera del pretore Petillio. possibile dubitare che
Senonchè
avvenuto.
fatto sia
il
ad affermare
critica pili recente si è affrettata
che
la
essi
dovettero essere un'abile falsificazione di qualche scrittore,
nuove idee pitagoriche,
fanatico delle
Roma
punto diffuse in
in quegli anni ap-
dal grande Ennio,
Scipione Africano e da
e accettate
illustri cittadini.
altri
Ma
da
ad una
grossolana falsificazione fatta in quei tempi medesimi noi
non vogliamo
Non
credere.
costantemente la
racconta
ci
tradizione pitagorica che base dell' insegnamento di questa dottrina
era
segretezza e
la
il
mistero
?
E
proprio
un
pitagorico avrebbe divulgato le dottrine della sua scuola, in un'opera così voluminosa, ricorrendo a
uno stratagemma
così poco serio, ed
momento che
ammetteva
la tradizione
leggi religiose di bile
che fra
anche così
i
Numa
inutile, dal
già
la filiazione degli istituti e delle
dal Pitagorismo ?
senatori romani,
i
Ed
è poi possi-
quali decretarono, su parere
del pretore, l'abbruciamento dei libri così miracolosamente scoperti,
non
vi fosse alcuno in
così grossolana mistificazione? i
libri
Poiché non
c'è
dubbio che
furono bruciati con la convinzione che essi fossero
realmente quelli del re sapiente
(1)
grado di comprendere una
V. ancora
(2),
e perchè contenevano,
testimonianze di Yarrone, conservataci da S. A-
le
gostino {De civ. dei^ YII, 34), di Livio (XL, 29, da cui ha desunto la
sua narrazione Lattanzio, Inst.
12), di
Festo
(p.
22) e del de vir. (2)
173 M. ili.
Livio osserva
diffusa che
Numa
=
p.
I, 22),
di
Valerio Massimo
182 Thewr.), di Plutarco
(I, 1,
{Numa,
3.
ohe questa convinzione
fosse stato discepolo di
derivò
Pitagora,
dall'
opinione
che
opinione 8.
34 Varrone^ la spiegazione degli
la testimonianza di
secondo
stituiti religiosi
Numa
di
institutum)^ fondati,
(cur quidque
come
sacris
in
fuerlt
su
quelli di tutte le religioni,
ragioni fisiche e filosofiche e sopra una concezione particolare della natura.
Ora, dice assai giustamente lo Chaignet
pretazione razionale ed
umana
questa inter-
(1),
delle credenze e delle
un
tuzioni religiose, togliendo ad esse un' origine e
damento sovrannaturale, avrebbe
«
del culto
religiones
«
(le
come condizione
esigendo,
pretore urbano e
il
a far scomparire sul rogo
il
E
che
non
pericolosi libri, nei quali era
i
(2);
1'
se pure
fu quello stesso per
già veduto. Cicerone
origine
non
il
il
piii
antichi istituti di
egli,
certo
(XL,
29).
(1) (2)
stino «
per
Pythag.
È
et
eivit.
demoniache
ragioni
»
Roma. Stando
cronologiche,
dei VII, 34),
Numa
il
mantiche
il
compose Senato
li
il i
al
chiama
quale
di tale di-
il
evocazioni di
racconto di Plu-
un
«
passo
suoi libri e poi
mendacio v. I, p.
di
li
»
136.
Ago-
S.
per quali
ragioni
fece seppellire
Né meno
in cui si parla delle arti
Numa.
ri-
Pitagorismo e
il
spiega
fece abbruciare.
capitolo seguente (35 j, » e delle
Stato,
volle troppo approfondire la
laphilos. pytkag.^ Parigi, Didier, 1874,
nella sua tomba, e
sante è
diritto
come abbiamo
quale^
interessantissimo a questo proposito
{De
del
motivo
cerca e la dimostrazione dei rapporti fra i
affrettarono^
si
romano, cardine e fondamento primo dello
dall'occultismo pitagorico
struzione
proprio a questo pen-
Senato,
filosoficamente provata ed attestata pontificale
Livio)
della propria esistenza, la fede
cieca e l'ignoranza superstiziosa.
sarono
più nelle
i
di cui parla
»
come
che,
di stato »
tutte le religioni dogmatiche, si esauriva per
pratiche
fon-
divulgandosi, tolta
certo,
ogni consistenza a quella religione
isti-
interes«
idro-
.
^
—
35
e per ordine suo sepolti con lui; la
massima
Numa
questi libri erano stati scritti da
tarco, infine,
pitagorica,
e ciò perchè,
non era bene
affidare
secondo conser-
la
vazione d'una dottrina segreta a caratteri senza
stesso
vita, an-
memoria di quelli che ne erano degni. E, per questa medesima ragione i Pitagorici romani
ziché alla sola forse,
non dovettero distruggere dottrine,
libri
i
allora,
scherno e di
— Nel
8.
molta
fare
stessi,
opposizione
riso,
come erano
gelosi
come sempre,
proposta di
alla
facilmente suscettibili di
male interpretate o fraintese
se
tempo in cui Ennio
si
Roma
l'
mente per introdurre
in
Magna
si
Grecia, di qui
adoperò così
diffondevano per
l'
e le sette orfiche, intimamente legate con le gli stretti
rapporti che vi erano fra le
segrete. Contro gli uni e le altre
consulti (2) e
si
si
Italia
culti
i
(1).
efficace-
sapienza
antica
netravano nella grande metropoli anche
per
loro
delle
della
e pe-
bacchici
pitagoriche
due
dottrine
pubblicarono senato-
istituirono tribunali (quaestiones de Bac-
chanalibus sacrisque noeturnis extra ordinem), che ne di-
(1)
Uno
scrittore israelita del secolo
duzione dell'opera
De jure naturali
Hebraeorum stampata
a
et
Londra nel I6l0, volendo
ogni sapienza viene dagli Ebrei o
i
Numa
libri
da
i
sostenere
ch.e
rivelazione
tre
depositari,
afferma invece
Pompilio era in segreto un adoratore del vero Dio, che lui lasciati e
morte erano Dio
dalla
piuttosto
volte rinnovata, di cui gli Ebrei erano
che
XYII, il Sklden, nell'introgentium iuxta diseìplìnam
scoperti solo parecchi
d' Israele,
e
che appunto per questo
distruzione, perchè racchiudevano la
secoli
dopo
la
sua
sua fede e la glorificazione del
la giustificazione della
il
condanna
Senato
ne
ordinò
la
della religione di Stato.
(2) Nel 186 se ne pubblicò per tutta l'Italia uno (scoperto nel 1692 in Calabria) che ordinava, fra le altre cose: * Bacas vir ne-
quis adiese velet eeivis
romanus neve nominus
latini
»
— mostrano
e Livio ci
la diffusione e la forza:
violento discorso che
vagi culti forestieri
nidus captas mentes ciazioni misteriose
—e
»
contro
C.
a.
E
(1).
pania,
ma
cialmente a Taranto, che come
d' oro,
al secolo
dice
dall' orto-
è già visto, era
Cam-
e
spe-
uno
dei
(3).
scoperte
lY
recentemente in Thiirium
C. (4),
ci
sino ad ora
non
conoscevano per
e
e altre al principio del
conservano l'eco di versi
sec. Ili a.
si
come
meridionale,
dell'Italia meridionale, presso l'antica
che risalgono alcune
religio -
ne fecero scoprire diversi
si
centri d'origine del Pitagorismo tavolette
^
perseguitati
focolari nell'Apulia, in tutta l'Italia
tombe
et externis
in parte dall' Etruria e dalla
le ricerche giudiziarie
delle
Tempsano
ben vero che queste asso-
questi culti sempre
romana venivano
il
seguaci dei mal-
— clandestinae conmrationes
dossia
Così
i
contra pravìs
«
:
riferisce
pretore Lucio Postumio
il
pronunciò nell'anno 186
Livio (2)
36 --
altro
orfici
che
che per una
cita-
zione di Proclo, neo-pitagorico del quinto secolo
XXXIX, 15. XXXIX, 9, 18, 41 XL, 19. « L. Postumius Livio XXXIX, 41
(5):
«
lo
(1) Livio, (2)
;
praetor, cui
Tarentum
provincia evenerat^ reliquias Bacchanalium quaestionis
cum omni
(3)
:
XL, 19
Duronio praetori^ cui provincia Apulia evenerat^ adiecta de Bacchanalibus quaestio est : cuius residua quaedam velut semina ex prioribus malis iam priore anno adparuerant ». exsecutus est cura » e
(4) Cfr. Kaibel, Inscr,
Alcuni
testi
da
lui
:
« L.
graecae Siciliae
omessi
si
et
Italiaè
n.
638-642.
trovano in Comparetti, Notixie degli
Journal of Hellenic Studies anche Comparetti Laminette orfiche edite ed
114 sg.
scavi^ 1880, p. 155 e nel
III, p.
Cfr.
illustrate^
Fi-
renze 19lO. (5)
Framm. 224 Abel:
quasi uguale al
fr.
«ótctcóte S'Sv^pcDTtog izpoXinx)
n. 642,
1
:
^àog
"^sXCoio »
« àXX' Ó7ióxa|j, ^^ux^ KpaXin-Q cpàog
— sono sfuggita
—
37
cerchio delle pene e delle tristezze (1) »,
al
grida in uno slancio di speranza l'anima che ha
pena
tutta intera la «
implorando
s'avanza verso
»,
subita
e che
delle sue azioni inique »
suo soccorso
il
«
ora
regina
la
dei luoghi sotterranei, la santa Persefone, e verso le altre divinità dell'Ade; essa
vanta di appartenere
si
«razza felice», e domanda ad esse che nelle
«
la
mandino ora
dimore degl'innocenti » e attende da esse
rola di salvezza
:
«
Tu
dea e non
sarai
In questi brani poetici, dice redazioni diverse d'un testo altre tavole,
la pa-
mortale
piìi
!
»
Gomperz, bisogna vedere
il
comune
che risalgono in parte
state trovate nelle stesse località
loro
alla
piti antico.
alla stessa epoca,
altre
;
Parecchie
sono
sono state scoperte
romana
poste-
riore: tutte prescrivono all'anima la sua strada nel
mondo
nell'isola di Creta (2) e datano dall'epoca
sotterraneo «
(3).
Ora è notevole
Libro dei Morti
»
le tre tavole di
che
il
125 del
cap.
egiziano contiene una confessione ne-
gativa dei peccati, che sembra
che
fatto
il
amplificazione di quello
1'
Turio condensavano in poche parole
(4).
In queste, come in quello, l'anima del defunto proclama
con enfasi YieXloio*.
la
Il
richiamato
1'
sua
«
purezza
Cioè
e solo
Kern (Aus der Anomia^
questa
su
Berlino,
alla
serie
delle
al
purezza
p. 87}
1890,
attenzione su queste ed altre coincidenze.
H. DiELS, nella raccolta dedicata (1)
»
Gomperz, Vienna, 1902,
rinascite
e
Y. Gomperz, Les penseurs de la Qrèce^
delle
esistenze
Paris, Alcan,
ha
Y. anche p.
l
sg.
terrestri.
1904,
v,
I,
pag. 141 sg. (2)
Y. JouBiN, Inscription crétoise relative à l'Orphisme, Bull.
de corr. héll. XYII, 121-124. (3)
p.
Y. qualche parallelo buddico in Rhys Davids, Suddhism,
161. (4) Cfr.
schrift
Maspéro, Bibl. Egyptol.
und
II,
469
sg. e Brttgsoh, Steinin-
Bibelwort. Y. anche Maspero, Hist. ancienne^ p. 191.
—
—
38
fonda la sua speranza in una felice immortalità.
nima
pretende di
dell' Orfico
inique
e quindi
»
riva, l'anima dell'
avere
espiato
Se
sa liberata dalla sozzura che ne de-
si
Egiziano enumera tutte
le
colpe che ha
saputo evitare nel suo pellegrinaggio terrestre. Pochi dice
Gomperz, nella
il
mi sono
tali
da meravigliarci
piii
incivilite,
non comune
vedono accanto
ho allontanato il
l'espressione d'un
e che ci
squisita delicatezza:
ai
alle colpe
«
latte dalla
il
messo
bocca del lattante
Non ho
povero più povero!...
Non sono
ho
Non ho
!...
trattenuto, l'operaio
stato fiacco!...
lo schiavo in cattivo aspetto presso
Non
il
Non Non ho
!...
suo padro-
lacrime a nessuno!....
fatto versare
contentata di proibire
il
la gioia!
Ho
:
«
Dappertutto, grida
cibato
chi aveva sete, vestito chi era
chi
aveva fame,
nudo
!
Ho
al viaggiatore in pericolo di arrivar tardi
giusta,
si
è
male; ha anche prescritto degli
beneficenza positiva
ho sparso
Ma
»
morale che scaturisce da questa confessione non
atti di
le
morale
sentimento
suo lavoro più del tempo stabilito nel contratto
ne!...
que-
di
può persino sorprendere per la sua Io non ho oppresso la vedova! Non
sono stato negligente!
la
del contenuto
e ai precetti di morale civile accolte da tutte
comunità
reso
fatti,
storia della religione e dei costu-
st'antica confessione, in cui si rituali,
a-
azioni
le
«
l'
dato
!»
il
morto,
dissetato
una barca anima
ET
dopo aver subito iiyiumerevoli prove, arriva
final-
mente nel coro degli dei. « La mia impurità, grida piena di gioia, mi è tolta, e il peccato che mi stava addosso l'ho gettato. Giungo in questa regione riosi.... »
«
Yoi che mi
state dinanzi^
dei già nominati, tendetemi
uno dei
vostri
!
»
le
degli
eletti
aggiunge rivolta
braccia....,
sono
glo-
agli
anch' io
—
-
39
Nessuna meraviglia quindi che di
Ennio, quasi
venuti
tutti
dal
tempo
del
scrittori
Roma
a
meno imbevuti
fossero più o
gli
mezzogiorno,
di così fatte dottrine.
Di un grande poeta comico. Stazio
morto nel
Cecilio,
168, che fece parte del collegium poetarum dell'Aventino e abitò in
Roma
nella stessa casa con Ennio, ci restano
troppo scarsi frammenti
contenuto
morale e
r intimità sua
possiamo
perchè
dell'opera
filosofico
col poeta
nulla del
dir
sua.
Certo
Rudie dovette esercitare un
di
qualche influsso sulla formazione del suo gusto
sua
però
della
e
arte.
Con Ennio
visse pure in
frequentando anch'egli
il
Roma, sino
alla
più tarda età,
circolo degli Scipioni,
Marco Pacuvio,
che, nato a Brindisi nel 220,
a Taranto dopo
il
140
e vi
mon
il
nipote
si ritirò
poi
Che
egli
novantenne.
dipendesse spiritualmente da Ennio, ne fanno fede, oltre
che l'esplicita dichiarazione
di
Pompilio
Pacvi diseipulus dieor ; porro
is fuit Enni^ clueor^
Emiius Musar um^ Pompilius i
due frammenti del suo Ghryses^
mostra falsi
.... nam
istis^
nel
primo
qui linguam
avium
quam
intellegunt,
ex suo,
magis audiendum quam ausoultandum eenseo
(1) pr.
Cic. de div.
impudentesque
Qui
arioli,
quali
abbiamo notata in Ennio:
plusque ex alieno iecorc sapiunt^
246, 9. Si confrontino
dei
e di parola, rispetto ai
la stessa libertà di spirito
sacerdoti, che già
:
(1)
;
terzo verso anche
pr. Nonio Sed superstitiosi vates Aut inertes aut insani aut quibus egestas
I, i
57,
181
versi di
;
il
Ennio
:
«
semitam non sapiunt^ alteri monstrant viam^ Quibus divitias pollicentur, ab eis draeumam ipsi petunt », e gli
imperai,
sibi
—
—
40
e nel secondo esprime intorno all'etere pitagorico, che troveremo
un concetto
anche in Virgilio:
affatto,
v
hoc vide^ circum supraque quod complexu continet terram.... solisque exortu capessit candorem, oecasu nigret,
id quod nostri eaelum memorante
Orai perhiheni àethera
:
omnia animai^ format^ alit\ auget^ creai, sepelit recipitque in sese omnia omniumque idem est pater, indidemque eadem aeque oriuntur de integro atque eodem occidunt. quidquid
mater
est hoe^
est terra;
ea parit corpus^
Istic est is lupiter'
quem
a'érem: qui ventus est
atque ex imhre frigus
et
dìco^
animam
(1).
nuhes; Ì7nber postea,
ventus post
:
aether adiugat
quem Or acci vocant aer denuo,
fit,
kaece propter luppiter sunt ista quae dico
tibi,
quia mortalis aeque turhas beluasque omnes iuvat. Il
passo, dice
il
Pascal {Antol. latina^ Milano, 1899,
p,
30 n.)
era libera traduzione del Crisippo euripideo, del quale è rimasto fr.
836 Nauck'; e trovò
Se
il
il
altro traduttore in Lucrezio II, 991-1005.
pensiero esposto da Euripide del Cielo o Giove nostro padre
e della Terra
madre
circa), fu peraltro
10.
risale
al
suo
maestro
Anassagora (500-430
indubbiamente abbastanza comune
— Questi versi ed alcuni
altri (2), se
fra
i
mistici.
sono per sé poca
cosa, tuttavia, tenuto conto della scarsità
dei
frammenti
Roma, mostrano una pensiero, che non può sfuggire neppure
superstiti di questi primi poeti di
certa continuità di
ad un esame superficiale. Così, per lasciare in disparte
altri
«
Qui sui quaestus causa
«
:
fìctas
suscitant
sententias »
Omnes dant consilium vànum atque ad voluptatem omnia (1)
Congiunse così questi versi
(citati in diversi
i
e
».
luoghi da Var-
HONE, Cicerone e Nonio) lo Scaligero. Questo concetto dell'aria poi ricorda (2)
i
versi dell' Epickarmus di Ennio
Y. per
es.
i
fr.
46
e
52 del Pascal
:
(p.
30
e 35).
—
—
41
versi di Accio, che ritornano sullo stesso concetto, e che si
possono anche spiegare con
greci
nonché
(1),
pensare
r influsso
dipendenza dai
suo concetto della
il
dottrine pitagoriche
alle
sia stato
la
—
quando
,
—
diretto o indiretto
leggiamo
come C), Tuna che
a.
Profecto ut quisque
minimo
fortunatam vitam
ut philosopki aiunt
verum haut
Ita est:
Spissum se
contentus fuit^
isti^
quibus quidvis sat
i
est iter:
est (3).
grammatici che
ci
raccolta di sentenze, piuttosto che
V.
(2)
Pascal
i
fr.
60 e 61 del Pascal (p.
42)
:
«
.
.
.
.
tribuit fortuna ordinem^
bonum
infirmai
annota
:
«
i
frammenti
avessero badato ci
piìi
avessero dato una
un catalogo
di arcaismi
si
non
a me regnum Fortuna atque quìit » e « Scin ut quem-
Numquam
ulta humilitas inge-
? »
(3) pr. Pbisciano III, isti
i
41) e le note.
(p.
nam
opes Eripere quivit^ at virtutem
eumque
cum magna miseria? (i)
hanno conservato
pensiero che alla forma e quindi
(1)
:
facile est venire ilio uhi sita est sapientia.
ajnsci haut possis nisi
di questo poeta (200 versi appena),
nium
de-
vixit m,axime^
e l'altra che così definisce la difficoltà del sapere
al
dei
:
ita
E
ne
sentenze
felicità consistere nella limitazione
afferma la
siderii
come non
virtìi (2),
queste di Sesto Turpilio (morto nel 103 ci
tragici
Cinici ?
425 Keil. »
Il
Pascal
(p.
67)
sl
Io credo piuttosto che qui
tatore di
Monandro, abbia alluso
ai Pitagorici, dei
(4) pr.
Nonio 392, 26 (Pascal,
p.
pkilosophi... il
poeta, imi-
quaU sappiamo quanto si siano burlati i comici ateniesi della commedia di mezzo, di cui Gellio {N. a. IV, il) potè scrivere: mediae comoediae proprium argumentum fuit Fythagoreorum exagitatio ». 67).
Si notilo
spissum..
che forse può intendersi in senso proprio, non traslato.
iter.,
.
— potremmo
e di idiotismi,
mente notevoli
42
forse
— citare
altri
passi
ugual-
e significativi.
Così veramente
notevoli
ignoti citate dal Pascal
(1),
sono
le
sentenze
di
comici
che certo non sarebbero fuor
luogo nei carmina aurea pitagorici e che riprendono motivi etici, già da noi accennati, proprii tanto del Pitadi
gorismo quanto
di altri sistemi posteriori:
2.
Sui quique mores fingunt fortunam hominihus, Non est beatus^ esse se qui non putat. (3)
3.
Is
1.
(2)
5.
minimo egei mortalis, qui minimum cupit. Quod vult habet^ qui velie quod satis est potest. (4) In nullum avarus bonus est^ in se pessimus. (5).
6.
Ab
4.
alio expectes alteri
quod
eum
feceris. (6)
7.
Beneficia in volgus
8.
perdenda sunt multa^ ut semel ponas bene. .... quid ? tu non intellegis
tantum
te
largiri institueris (7)
adimere gratiae quantum morae
adicis ? (S)
68 sg. Cic, Farad. 5, 35, che lo riferisce ad un sapiens poeta; esso ricorda la sentenza di A. Claudio su citata. Secondo alcuni si tratterebbe di un altro verso, che il Lachmann ricompone così suis fingitur fortuna cuique moribus. V. anche pr. Nepote, Vita Att. Il, 6 ed altri, di cui il Ribbeck, Gom. Fragm.^ p. 147. come (3) pr, Seneca, epist. 9, 21. Che la felicità e 1' infelicità, (1) pag. (2) pr.
:
dice questa sentenza, siano proiezioni subbiettive dello spirito o
non
cause esterne, è verità che i Pitagorici affermarono ripetutamente Cfr. PuBL. Siro I, 56, Q, 7 Meyer. (4) Questa e la precedente pr. Seneca, epist. 108, 11. Cfr. la prima sentenza di Turpilio su citata. (5) pr. Seneca, ejìist. 108, 9. (6) pr. Lattanzio, div. inst. I, 16, lO. Cfr. pr. Lampeid. Alex. Sever. 51 « quod tibi fieri non vis., alteri ne feceris » e nei Garm. l'effetto di
:
epigr. lat. 192, 3 Buecheler:
«
«^ab alio speres, alteri
quod feceris».
de benef. I, 2 cfr. Ennio pr. Cic. de benefacta male locata malefacta arbitror » (8) pr. Seneca, de benef. II, 5, 2. (7) pr. Seneca,
;
off.
18, 62:
—
43
—
Così pare degni di nota sono
quam
1.
Felicitas est
2.
Tutare amici eausam, potis
i
seguenti frammenti:
voeant sapientiam. es,
(1)
suscipe.
Obicitur erimen eapitis^ purga fortiter.
In amici causa es, imm,o Iniuriarum remedium, est
3.
Ma
certe potior es. {2} oblivio. (3)
queste sono quisquilie, che, se pur dimostrano una
Roma, non poscome indizi di una vera
certa diffusione del pensiero pitagorico in
sono tuttavia essere prese per se e propria tradizione locale.
Poiché per
le
dipendenze della
poesia e della letteratura latina dalla greca è da credere
che anche
gli
filosofiche,
fossero presi di sana pianta dalle opere che gli
accenni, spesso accidentali, a quelle dottrine
scrittori latini,
vano.
Il
massime
i
comici, o imitavano o traduce-
fatto tuttavia di trovarli frequenti
prettamente romane dimostra che
vano un contenuto ideale sono
—
le
anche in opere
dottrine
stesse
morale specialmente
allo spirito e ai bisogni del
popolo romano,
ave-
— conil
quale,
sopra ogni cosa, ebbe un profondo senso del giusto, che poi attuò nel suo mirabile sistema di leggi.
11.
— Infine, anche
(180-103
a.
C.)
noi
dalle poesie satiriche di Caio Lucn.10
potremmo
certo aver notizia del Pita-
gorismo, quale egli potè osservarlo praticato e seguito in
Roma
al
di satire,
tempo i
libri
suo, se ci restassero, dei suoi trenta libri
XXVIII
e
XXIX,
nei quali pare che si
occupasse principalmente di mettere in parodia e in derisione,
ed anche di sottoporre a critica
(1) QuiNTiL.
YI,
3,
97.
(2)
Charis. V, p. 253 P.
(3)
Seneca, epist.^ 94, 28.
seria, sì pel conte-
— nuto che per sistemi.
Ma
la forma,
i
44
—
.
opere
le loro
filosofi,
e
i
loro
disgraziatamente anche di questo poeta poco
o nulla ci resta. Anch'egli, bensì, libera dai pregiudizi volgari
come Ennio, ebbe mente
:
Ut pueri infantes credunt signa omnia ahena vivere
et
esse
homines^ sic
soinnia fèda
ist
vera putant^ credunt signis cor inesse in ahenis
sono versi del
1.
XV
frammento, forse del nobile fosse
il
E un
delle Satire.
(1)
altro bellissimo
libro IV, ci dimostra
quanto
alto e
concetto ch'egli ebbe della virtìi:
pretium persolvere rerum quis in versatnm\ quis vivimus rebus potesse, virtus est homini seire id quod quaeque valet res ; virtus seire homini rectum^ utile quid sit^ honestum^ quae bona, quae mala item, quid inutile, turpe, inhonestum ; virtus^ quaerendae fène^n rei seire modumque ; virtus^ divitiis pretium persolvere posse ; virtus^' id dare^ quod re ipsa debètur honori ; hostem esse atque inimicum hominum morumque malo rum, contra defensorem hominum morumque bonorum, Virtus, Albine, est
magnifècare hos, his bene
commoda
praeterea patriai
deinde parentum^ tertia
(1) fr. (1)
fr.
velle^
354 del Bàhrens 119 del Bàhr.
his vivere
prima
iam postremaque
= Latta.nzto.
= Latt.
VI,
amicum
;
putare^
I,
5, 2.
22,
nostra. (1)
13.
CAPITOLO TERZO
Sette e scuole pitagoricbe in
1.
Qenethliaei.
I
3.
1.
La scuola
— Da
—
Sant'Agostino
De
secolo a. C.
(1) ci è
Genethliaci
«
conservato,
stato
gente populi romani^
renascendis Jiominibus
quam
ut idem corpus
et
eadem anima
in corpor e aliquando, »
.
quidam scripserunt
il
esse
appellant TraXtyysveatav
j
CDXL^
quae fuerint coniuncta
eadem rursus redeant in coniun-
Chi erano mai questi
scrittori,
i
quali credevano
nella risurrezione dell'anima e della carne e
persino
del-
un passo per
hanc scripserunt confici in annis numero
;
etionem
I
dei Sestii.
noi importantissimo:
Graeci
nel
P. Nigìdio Figulo e la sua scuola segreta.
2.
l'opera Yarroniana
in
Roma
compimento
ne fissavano
nello spazio di quattrocento e qua-
ranta anni? Essi erano studiosi di discipline magiche ed astrologiche, a cui
si
davano anche
caldei e di matematici. II e I secolo a.
(l)
De
C,
civitaie dei,
i
nomi
di
Abbastanza numerosi in
magi^
di
Roma
nel
col decadere dei culti ufficiali e l'in-
XXII,
28.
-
dall'Egitto e dal-
divennero a grado a grado così potenti da trovarsi
l'Asia,
ad essere
persino
Poiché,
stato.
—
massimamente
di riti stranieri,
filtrarsi
46
qualche volta arbitri
come
interessante studio
dice
delle sorti dello
Pascal in un suo
il
geniale
svolgendo in particolare
(1),
metem-
della resurrezione dei morti (filiazione diretta della psicosi pitagorica) la fecero entrare in
e
la dottrina
un sistema
di loro
particolari teorie, la congiunsero con predizioni contenute
nei sacri oracoli della Sibilla, e presunsero anche di co-
noscere dall'osservazione delle
stelle
umani. Essi non partivano, come
il
corso degli eventi
gli aruspici e gl'indovini,
dal concetto che gli dei manifestassero la volontà loro per
mezzo
ma
di segni particolari,
armonico e regolato da leggi e da
« che tutto fosse
svolto,
dal concetto, razionalmente
rapporti immutabili nell'universo e che quindi, all'apparire di determinati fatti o
fenomeni dovesse normalmente
guire l'avverarsi di determinati eventi umani
aggiunge
il
Pascal,
«
un
»
.
Era dunque,
tentativo di giustificazione scien-
tratta dal fondo della dottrina pitagorica e platonica,
tifica,
della credenza popolare che la vita di ciascun
regolata dall' astro
davvero questi
che
aveva visto
lo
scienziati-filosofi
con argomenti razionali e le
si
nascere
»
.
fosse
Strani
sforzano di ribadire
superstiziose credenze del volgo! e che riescono tanto
C.)
(1)
Roma
La
il
Favorino
(li sec.
resurrezione della carne nel
del
AULO
siste-
loro edifizio logico (2), ancora saldo sulle sue basi
mondo pagano,
in Atene e
Roma
antica, Fi-
marzo 1901 e in Fatti e leggende di
renze, 1903 pp. (2)
far sentire a
bisogno di abbattere con una confutazione
il
matica
il
che
uomo
di ridurre a ragioni scientifiche
bene nel loro proposito da d.
se-
186 e segg.
Gellio, Noet. Att.
discorso di Favorino.
XVI,
1,
riporta quasi testualmente
—
—
47
a più di due secoli di distanza!
acconsentire col Pascal che quest'idea di
dano computato a quattro
non posso
Io in verità
110
di
secoli
un
anni
ciascuno
venisse ai Genetliaci dalla tradizione popolare:
menti che
stessa
piuttosto a credere
comune
fosse
italico-romana (1) e
mezzo
argo-
gli
Pascal porta a sostegno della sua affermazione
il
mi inducono l'idea
mon-
ciclo
il
contrario^
filosofia
alla
e cioè che
mistica
greco-
questa passasse poi al volgo
da,
per
dei responsi sibillini (2) e dei poeti che l'accolsero
e la diffusero per
popolo
il
Di più, un'altra credenza
(3).
notevolissima fu propria e del Sibillismo e dei Genetliaci la
credenza cioè che ultimo dio del ciclo mondano dovesse
essere
il
Sole od Apollo
verso e riportata
2)
invocò
peccato
(4)
che avrebbe
dell'oro, con
l'età
bruciato
gli
antichi
l'uni-
uomini
quell'Apollo che pure Orazio (Carm.
rinnovati alla vita; I,
:
perchè
venisse
redimere
a
l'umanità
dal
:
Tandem
venias^ precamur^
ISube candentes umeros amictus
Augur
(1)
Così Cicerone
Apollo.
ci
parla nel
scuola di astrologi per la quale
maggiore, (2) pr.
e cioè di
De
470000 anni
divin. II, 46, 97 di un' altra
estensione
1'
di
tempo era molto
!
Probo a Yirg. Ed. IV, 4
:
«
La
Sibilla
cumana ha
pre-
detto che dopo quattro secoli sarebbe avvenuta la palingenesi ». Virgilio, Ed. IV, lO Aen. VI, (3) Orazio, I, 2, v. 29 e sg. 748-751; Ovidio, Melavi. I, 89 sgg.; Persio, Sat. V, 47 sg. (4) Servio nel commento al v. 10 della IV ecl. di Virgilio riporta il seguente passo del quarto libro de diis di P. Nigidio Figulo « Quidam deos et eoì'um genera temporibus et aetatibus fdistinguunt)., inter quos et Orpheus; prim,um, regnum, Saturni^ deinde lovis^ tum Neptuni^ inde Plutonis ; nonnuUi etiam^ ut magi, aiunt Apollinis fore regnum,, in quo videndum est., ne ardorem sive illa ecpyrosis adpellanda est., dieant » Vedasi anche il Lobeck, Aglaophamus^ pag. 791 sgg. ;
;
:
.
-
— La
—
4:«
rigenerazione degli uomini e la conflagrazione del-
l'universo per virtù di Apollo
mente simbolica
— conflagrazione
e che tuttavia potè essere
alcuno come reale ed effettiva
(1)
aspettata
— furono
concetti paralleli ed uniti anche nel
probabil-
da
dunque due
dogma pagano,
e più
precisamente in quelle dottrine mistiche, nelle quali sap-
piamo quanta parte il
e che profonda significazione
mito apollineo e solare,
non
può
Veramente
stato creazione popolare?
e
E come
avesse
tutto questo essere
un
forse
po' troppo,
solo in fatto di mitologia e di credenze,
si
vuole
attribuire al popolo, a questo essere impersonale, così im-
maginoso e così balordo, denzone!
Non
così ricco di fantasia e così cre-
è assai più verosimile pensare a
una genesi
più elevata e razionale, a una creazione veramente intellettuale e filosofica, che,
passando dai
dai sapienti agi' ignoranti,,
l'essenza primitiva,
o,
si
dotti
agli
indotti,
materializza e degenera dal-
meglio ancora, acquista con moto
parallelo e continuo, nuovi aspetti e
nuove
significazioni
realistiche e concrete?
In ogni modo siamo così arrivati deformazioni che
Koma, uscendo
più
grossolane
pensiero pitagorico dovette subire in
dal segreto sacrario delle scuole dei saggi
e mescolandosi,
derivazione.
il
alle
in
Non
mezzo
al
popolo,
a credenze d'altra
è quindi meraviglia che siffatte credenze,
aberrazioni d'un pensiero originariamente profondo, fossero,
come vedremo più
innanzi; oggetto di riso nel teatro po-
polare, e d'altra parte
si
spiega assai bene
come
i
seguaci
del Pitagorismo dell'antica maniera, per sottrarre le loro
(1) d.
C,
passo dei Garm. Sih.JN^ 175 sgg., forso dell'Sl od 82 citato dal Pascal e che questi crede composto da qualche
Y.
il
terapeuta od esseno.
.
—
49 --
dottrine al ridicolo cui venivano esposte nei loro contatti col popolo, sentissero
bisogno di raccogliersi nuovamente
il
in segreto, nel silenzio delle loro case e delle loro scuole,
profanum
per meditare, lontano dal
vulgus,
V antica
sa-
pienza loro tramandata attraverso tante generazioni.
— Chi
2.
sopra ogni altro
un
sofìa di Pitagora, che, in
come complesso
estinta
ben
distinti
curò di far rivivere la
si
certo senso, poteva dirsi ormai
d'insegnamenti pratici
di teorie e
da quelli di altre scuole, fu un grande sapiente,
del quale in verità ben poco sappiamo,
amicissimo di Cicerone.
Nigidio Figulo: «
quidem dignae
«
investigator et diUgens
«
lutae videntur »
post
illos nobiles
ille
E
.
omnibus^ tum acer
«
invo-
Deniqiie sic ludico
ìiunc extitisse qui illam renovaret » il
105, già senatore nel
non
Cesare, forse
aver seguita la causa di
di
quae
ceteris artihus,
poi continuava:
P.
di
earum rerum quae a natura
nel 59, legato in Asia nel 52
Cicerone nel Timeo
(1)
parlando
Pythagoreos^ quorum disciplina exstincta
Nato forse verso
Griulio
cum
libero essente ornatus
quodam modo^
« est
scritto
lasciò
Fuit vir
«
contemporaneo e
quale appunto nel proemio del
Il
Timaeus seu de Universo
«
filo-
ir.
questa sua legazione con
pretoro
63,
e infine esiliato da C.
(1),
come ora vedremo, per Pompeo, morì in esilio nel 45 (2). soltanto,
1,
le
t.
Vili
parole
:
131 Bait.
p. «
ci
dà notizia
qui (Nigidius),
in Gilieiatn profieiscentem Ephesi expectavisset,
Romam,
me
eum.
ex lega-
tìone ipse decedens etc. ».
SvETONio
(2) a.
C.
ritur
«
:
».
fr.
85
Si noti che
nella tradizione che il
= Hieron.
ad Euseb. ckron. olimp. 183,4
Nigidius Figulus Pythagoricus
Pitagorismo e
di Nigidio,
lo
la
et
magus in
= 45
exsilio m^o-
ancora una volta vediamo qui congiunti, come riferisce a
si
Numa
e
come, del resto, sempre,
magia. S. Agostino (De
chiama
«
mathematicus
civ. dei
V,
3)
parlando
». 4.
— Per
suo sapere fu giudicato secondo
il
e benché
non
come
al
Giussani
il
e
solo Yarrone,
ai
scuciti
frammenti
egli scrisse
molto e
« che arrivava fino all'astruse-
di ricerche
dice
pochi
pure sappiamo che
(1),
con profondità
che
restino
ci
dei suoi scritti
ria »,
50 -—
cioè oltrepassava quel limite
(2),
di là del quale gli equilibrati
uomini comuni non ve-
dono che nebbie e fantasmi, immaginazioni e utopie. Sam-
come ci riferisce Macrobio (II, mus rerum naturaUum indagator », e MONico,
[Sat. YI,
8)
dice
lo
scipUnis egregius lo
»
,
«
12) lo disse « lo
maxi
stesso Macrobio
omnium bonàrum artlum
ìiomo
come
e così pure Cicerone,
di-
s'è visto,
giudicò acuto e diligente studioso dei più involuti feno-
meni
naturali, e precisamente di quelle ricerche e di quegli
che furono la cura
studi,
di
pochi solitari
d'
ogni tempo,
quasi sempre, forse a torto, misconosciuti dai più. Sant'AGOSTUso lo disse
mago
'.
Ora,
*
matematico
'
e
Svetonio
'
pitagorico e
che Nigidio fosse, o almeno tosse ritenuto
mago, dimostrano anche
altre testimonianze e dello stesso
SvETONio e di Apuleio e di Dione Cassio.
come cosa nota
a tutti che
il
Il
primo racconta
giorno in cui Ottaviano nac-
que, discutendosi in Senato intorno alla congiura di Catilina,
ed Ottavio, per causa appunto della moglie partoriente,
essendo arrivato un po' in ritardo, Publio Mgidio, conosciuta la causa dell'indugio e l'ora precisa del parto, affermò
che era nato uno che sarebbe stato signore ra
(3).
Una
di tutta la ter-
predizione, dunque, dovuta, secondo
(1) Cfr. NiGiDii
FiGULi
il
racconto
operum reliquiae collegit A. Swoboda, 1889. romana^ Vallardi, 1902, p. 230.
(2) Storia della Ietterai, (3)
SvETON., Aug. 94: a quo natus est die, cuni de Catilinae co-
niuratione ageretur
iti
Curia
et
Octavius ab uxDris puerperium
serius adfuisset, nota ac vulgata est res
P.
Nigidium comperta
— siche di essa (1.
XLY,
dio.
fa,
cap.
con qualche leggera variante, Dionb Cassio T),
alle
Apuleio a sua
elucubrazioni astrologiche di Nigi-
volta
riferisce
(1)
di
aver
Varrone che un certo Fabio, avendo smarrito
somma
di denaro,
letto in
una
andò da Nìgidio per consultarlo
forte
e questi,
per mezzo di fanciulli eccitati (instinctosj con sortilegi ed incantesimi (Carmine)^ ossia, tizzati
con parole o formule magiche,
stata sepolta la borsa altre il
gli
E
seppe dire dov'era le
aveva anche
Catone; ciò che fu pienamente confermato dai
dove mai aveva acquistate
il
nostro filosofo siffatte
astrologiche?
viaggio in oriente, fatto in gioventìi ? d'altro lato
Forse durante un
Non
sappiamo, seb-
sappiamo che appunto in oriente o nella
Grecia imparò che la terra ruota di un vasaio
si
muove con
la velocità della
(2).
morae causa, ut horam quoque partus
num
direbbe, ipno-
con una parte delle monete, che
conoscenze magiche ed
bene
si
erano state distribuite, e che una ne
filosofo
fatti.
coma oggi
terrarum orbi natum
acceperit, adflrmasse
domù
».
« Mernini me ajìud Varronem philosophum, virum accuratissime doctum atque eruditum, eum alia eiusm,odi, tum, hoc etiam, legere... item,que Fabium,^ cum
(1)
De magia
42, p. 53, 9 Krueg.
quingenios denarium perdidisset^ ad Nigidium consultum, venisse;
ab eo pueros cannine instinctos indicavisse^ ubi locorum defossa
crumena cum, parte eorum, celeri ut forent distribuii^ unum etiam denarium^ ex eo numero habere Catonem philosophum^ quem
esset
a pedissequo in stipem Apollinis accepisse Caio confessus est ». (2) Ciò si desume da una nota del Gommentum a Lucano (I, 639), dove è detto che Nigidio ebbe il soprannome di Figulo perchè « regressus a Oraecia dixii se didicisse orbem ad celeritaiem rotae fi.guli torqueri »• Del soprannome altri davano una ragione un po' diversa, in rapporto con la famosa obiezione dei due gemelli così se
spesso fatta agli astrologi e di cui fanno ricordo,
fra gli altri,
lo
.
Quanto
52
"->
opere di Nigidio, del quale sappiamo ancora
alle
che usava una dieta assai parca furono molte e di astrologia e
varia natura:
di
anche
di
(1),
possiamo dire che
egli
scrisse di filosofia,
filologia (2).
Di
lui
XIX
un'opera intorno agli dei in almeno
ricorda
si
nel quarto
libri,
dei quali, per esempio, trattava dei vari regni ed età degli
secondo Orfeo e
dei,
accennava penati
:
Magi,
i
e nel sesto
alla teoria etrusca delle quattro specie
e quelli degli
riti
celesti,
uomini
acquatici,
(3), cioè,
terrestri
probabilmente,
appena
matico Sp:rvio in una nota
Eneide (X, 175):
solus est post
Me
in
scripserunt
»
di Nìgidio,
i
.
il
gram-
N'igidius
cui libri intorno agli dei erano letti soltanto,
dice lo
stoico
Diogene presso
1.
dieci, lo dice
ci
Varronem ; licet Varrò praecellat in theoeommunihus litteriSy nam uterque utrumque La luce di Varrone dunque oscurò quella
come
N. A. XIV,
dell' oc-
quest'opera
restino così pochi frammenti,
slU.^
gli spi-
elementari
(gli
cultismo medievale) ed umani. Perchè di
Agostino
dei
di
quelli di Giove, quelli di Nettuno, quelli degl'In-
feri
logia^
decimo
nel
e
1,
Swoboda
26, lo
dagli investigatori della dottrina
(4),
(De divinai.
Cicerone
II, 43,
Gellio,
90),
PsEUDO Quintiliano {Deelam. Vili, 12) e
S.
e.
(1) IsiDOR.,
Origin.
XX,
2,
10: Nigìdius
:
nos ìpsi ieiunìa ien-
taeulis levibus solvimus. (2) Egli sostenne,
come
ci
attesta Gellio
N.
J..,
X,
ohe
4,
il
linguaggio è d'origine naturale e non convenzionale. (3)
Arnob. adv. nat.
gidius) rursus in libro
Ili, 40, p. 138, 5 seg.
VI
exponit
et
quens, genera esse Penatium quattuor alios Neptuni.^ inferorutn tertios,
inexplicable nescio quid dieens (4) P.
X, et
Reiff
:
«
idem
(Ni-
disciplinas etruseas se* esse lovis ex his
mortalium hominum
alios^
quartos.,
»
NiGiDU FiGULi operum reliquiae
coli,
emend. enarr. quae-
stiones nigidianas praemisit Ant, Swoboda, Vindob., 1889, p. 25,
—
—
53
più recondita, come, ad esempio, quel Cornelio Labeone,
uomo
assai
che visse nel terzo secolo
dotto,
Nigidio sono ricordati anche tre
un
(4) e
intorno alla divi-
intorno ai sogni
(3),
una Sphaera barbarica
(5),
nazione per mezzo delle viscere
una Sphaera graecanica
scritti
Di
d. C. (1).
(2) e
libro intorno agli animali ed
altri,
interamente o quasi
interamente perduti. Un'altra causa di questa perdita è spiegata in parte da
XIX,
Gellio (N. a.
mente che mentre nosciute da tutti
«
14, 8)
le
quale
il
ci
sapere precisa-
fa
opere di Varrone erano lette e co-
Nigidianae commentationes non proinde
in vulgus exibant et obscuritas subUlitasque
quam parum
utilis derelicta est »
Nigidio avevano
un
Dunque
.
earum tamgli
di
scritti
carattere piuttosto riservato e segreto,
erano poco intellegibili
ai
per la loro sottigliezza.
piìi
che significa cotesta oscurità
e sottigliezza
E
che è poi ab-
bandonata perchè poco utile? e da chi fu abbandonata? dai lettori o dagli scrittori in genere o dai cultori di quelle
Se noi pensiamo
stesse dottrine filosofiche ?
alla diffusione
delle
conoscenze pitagoriche, sempre maggiore dal tempo
della
morte
di
Figulo a quello in cui Gellio scriveva
colo II d. C.) e all'infinito zioni, di oracoli
che sempre
numero piìi
(1) Si
veda, intorno a
lui,
di predi-
di profezie,
chiaramente annunziavano
l'avvento di un'età nuova e di uomini migliori
siamo che fu questa appunto
(se-
l'età nella quale,
;
se
pen-
pochi de-
Kettner, Cornelius Labeo, Progr. Port,
dell'anno 1877. (2) Gellio,
N. A. XVI,
6,
12.
(3) Giov. LoR. Lido, de ostentìs
Serv. ad Georg.
I,
43 e
(5) Serv. ad Qeory.
I,
19.
(4)
I,
e.
45
2l8.
p. 95,
14
— 96,
3
Wachsm.
54 cenni dopo
Cristo apparso in oriente a dare la
il
parola divina agli uomini, in
peratori,
fece la sua apparizione
Apollonio di Tjana,
la strana figura di
vivo, che
Roma
nuova
il
Pitagora redi-
ebbe immagini e culto divino da parte degl'im-
non può
esservi
alcun
dubbio
:
Figulo
se
costretto ad insegnare in segreto e a pochi
fu
amici
fedeli
conoscenze che aveva, avvolgendole in oscure sottigliezze
le
nei suoi scritti noie)
(e,
non ostante
tale precauzione,
se lo stesso dovettero fare,
;
vedremo,
i
Sestii,
dopo
di lui,
ebbe molte
come
or ora
che furono ugualmente perseguitati; le Pitagora andarono tuttavia sempre più
vecchie dottrine
di
diffondendosi,
che fu permessa via via maggior libertà
sì
di parola e d'azione ai loro seguaci, che poterono
mente abbandonare in gran parte stero in cui si chiudevano e
segretezza e
la
finalil
mi-
simbolismo oscuro di cui
il
servivano prima.
si
Lucano nella sua Farsaglia
(I,
639
seg.) riferisce
oscura predizione di Nigidio, che^ com'egli dice, di
conoscere
gli
dei e
i
studiò
segreti del cielo e in queste co-
noscenze astrologiche fu superiore
Menfi
si
una
ai sapienti dell'Egizia
:
At Figulus, cui cura deos secret ac/ue caeli nosse fuit^ quem non stellarum Aegyptia Memphis acquar et visu numerisque moventibus astra^ aut hic errata
mundus
ait,
ulla sine lege per
incerto discurrunt sidera
et
aevum motu :
aut, si fata 7novent, orbi generique paratur
humano matura -lues Egli predisse dunque alla terra e agli uomini flagello, proprio
lui
facevano
i
come, prima
di lui,
Genetliaci. Ora,
pensare, a proposito di
siffatte
avevano
un vicino fatto e
con
dobbiamo noi veramente predizioni, che
si tratti
di
—
55
—
semplici manifestazioni sentimentali del desiderio di tempi
romani
migliori? Certo le condizioni dei cittadini
mondo, su cui
l'aquila di
gando sempre più
ma
le
sue
Roma andava
ali
del
e
stendendo e
allar-
insanguinate, erano assai
tristi;
sono troppe e troppo precise
d'altra parte le predizioni
talvolta e troppo vicine alla manifestazione del Cristiane-
simo, per
non dover pensare a qualche relazione, misteriosa
senza dubbio e in parte inesplicabile,
mente
ma
pure innegabil-
certa.
Comunque
sic^,
poiché, secondo le parole surriferite
Cicerone, con Nigidio Figulo
si
Roma un
iniziò in
di
vero
vediamo ora
e proprio risveglio delle dottrine pitagoriche,
in qual guisa egli tentasse questo rinnovamento dell'antica disciplina italica.
Noi possiamo desumerlo da altre testimonianze, le quali non solamente accennano a una vera e propria scuola, a
un sodaliciumy a una factiOy ma vi accennano che possiamo anche comprendere quale fine il stesso abbia avuto, o
almeno
tenuto da chi, forse
troppo tenero e
amico del nuovo ordine di Cesare, accoglieva,
scolii
sodalizio
in quale considerazione fosse
non
di cose creato in
disinteressato
Roma
dal trionfo
senza approfondirle uè vagliarle trop-
po, accuse vaghe e imprecise dell'antico
modo,
in
formulate contro
regime repubblicano. Si leggono
i
fautori
infatti
negli
bobbiensi all'orazione di Cicerone contro Vatinio
queste notevolissime notizie
:
«
Fuit autem
illis
(1)
temporibus
«
Wigidius quidam^ vir doctrina
«
praestantissimus, ad
conveiiiebant.
Haec
«
ab obtrectatoribus velati factio ininus probabili s
iacti-
«
tabatnr, qaamvis ipsi Pythagorae
(1)
V. tomo V, part.
2,
et
eruditione studiorum
quem plurimi
p.
317
sectatores
delI'Orelli.
existimari
56 «vellent», e altrove «
(1)
un
dice di
si
in sodalicium sacrile^ii Nigidiani
»
tale
che
si
iniziavano
misteri della filosofia pitagorica e forse anche vi ci
ablit
In casa sua dunqae
.
Nigidio radunava molte persone, che vi
cavano a pratiche mistiche, come
€
ai
dedi-
si
persuade la ciarlata-
neria di quel Yatinio, che, volendo farsi credere pitagorico e dottissimo, faceva evocazioni di morti e
a nefandità d'ogni genere
(2).
E
qua e le
i
abbandonava
questi convegni finirono
col suscitar dicerie, maldicenze,
furono degli ohtrectatoreSy
si
calunnie,
sospetti,
quali
e vi
andavano sussurrando
che quella era una setta riprovevole e sacrilega;
là
quali calunnie, credute tanto più facilmente quanto mi-
numero degli onesti in quei tempi così torbidi, furono forse un ottimo pretesto per legittimare l'allontanamento da Roma e l'esilio di un uomo d'antica tempra repubblicana. Che poi il tentativo di Nigidio avesse un nore era
il
carattere anche politico e che egli vagheggiasse, nella ricostituzione del sodalizio pitagorico e quindi nella eguaglianza sociale e nella felicità
sima
(1)
comunanza
dei beni,
il
(3).
E
così
il
sapientissimo mago,
PsEUD. CicER. in Sali. resp.
inaudita ac nefaria saera susceperis^
Gum puerorum
in Vatinium
mente, che
Il
lo
6,
14.
extis
Deos manes
Dal che
si
maestro pitago-
il
et
hominis doctissitni
praetendere....
cum
eum infernrum animas
eli-
rnaetare soleas » Cicesone,
può vedere,
sia
detto
incidental-
spiritismo non è un'invenzione moderna!
V. quanto afferma a proposito
rinnovamento umano negli
talia,
certis-
14.
5,
Tu qui te Pythagoriaum soles dieere (2) nomen tuis immanibus et barbar is moribus
(3)
ma non
umana, è cosa più che probabile,
«
cere,
sogno della nuova
gennaio 1902.
Le Monnier, 1903).
p.
di
lui e dei Sestii
scrittori di
Roma
il
Pascal
antica (Riv.
:
d'I-
98, poi nel voi. Fatti e leggende, Firenze,
— rico,
matematico P. Nigidio morì
il
stesso che ìp
nerne
—
57
Roma
intercedeva per
scopo di otte-
allo
lui,
Ma
richiamo in patria, l'amico Cicerone.
il
uomo
essere davvero tenuto per
tempo
nell'esilio, nel
assai pericoloso
doveva
il
sacri-
non ostante che i famigliari di Cesare e quelli ch'egli avea più cari ne parlassero con ammirazione e ne avessero alta stima, il divo lulio non si lasciò troppo lego Figulo, se,
commuovere, a favore del in verità in quel (o
momento
!
Gli è che
dalla
repubblica
repubblicano
fiero
trapasso
di
dello
l'interesse
meglio dall'anarchia) all'assolutismo
Stato e della giustizia aveva assai piccolo valore, di fronte interessi
agli
Tutto questo
e si
ambizioni dei
alle
rileva da
una
competitori.
singoli
fortunatamente con-
lettera,
Cicerone, dando notizia
servataci, nella quale
all' esiliato
delle pratiche ch'egli faceva indirettamente presso Cesare
e delle speranze che
nergli
aveva
di poter presto riuscire a otte-
perdono, dice cose
il
adopera
interessanti e
così
espressioni di così alta stima, che metterebbe conto davvero
che
riferissimo
la
tavia che
omnium
per
intero
et
gratta » e suo amicissimo,
(1) a.
È
la lettera
che accingendosi a conso-
e
13* del quarto libro :
«
Ad
familiares, dell'anno 46
Videor mihi prospicere pri-
mum
ipsius animuìn, qui plurimufn potest,
tuam
»,
questa era
la
propensum ad salutem
semplice illusione, creata in
lui
micizia che aveva per Figulo e dal desiderio che sentiva ritorno esilio.
eius
;
E
poiché in realtà sì
che
— come
(cioè di Cesare),
mirabiliter de te
et
tut-
lui
C. In essa dice bensì Cicerone
ma
accennare
Basti
come ad uomo « uni sanctissimo et maxima quondam a
egli si rivolge
doctissimo
(1).
il
povero
filosofo
et ii
quidein, et
qui
UH
omnium
—
«
familiares
iucundissimi sunt,
sentiunt » e di
vulgi voluntas vel potius consensus
suo
lasciato morire in
fu
aggiunge ancora Cicerone
loquuntur
dall' a-
del
»
piii « !
accedit
eodem
.
— opportuno
larlo crede
—
58
premettere
di
«
:
cultas vel tui vel alterius consolandi in te
umquam
in ullo fuit
exquisita
quadam
attingam:
cosicché
;
ratione
»;
animo ut maximo
«
neris, quae ab aliis
magnis
«
omnia optime
et
si
sis
nec ea solum memi-
virls accepistij sed illa etiam, si colliges^ et
ancora ci
omnium
se
si
sono rimasti e
ai titoli delle
opere ch'egli scrisse, pos-
trina e di conoscenze che ebbe e di cui
si
di dot-
fece maestro:
misticismo pitagorico, la dottrina dei numeri, la divina-
zione (quella che oggi le
pensa
contenuto dei frammenti che di questo sapiente
al
siamo formarci un'idea approssimativa del genere
il
»
eloquenti e perspicue parole
versi citati della Farsaglia, e
i
non
quae aecident, qualiacamque erunt,
se insieme con queste
ricordano
si
e concliiudendo termina
sapienter feres. Sed haec tu melius vel optime
Ora
est^
eam partem^ quae ab
quae ipse ingenio studiisque peperisti. Quae sperabis
summa
doctrina proficiscitur,
et
relinquam
tibi totani
col pregarlo
»
quidem fa^
at ea
si
direbbe chiaroveggenza) in tutte
sue forme, l'astrologia;
il
tutto espresso e significato in
un modo oscuro e involuto, forse per via fu poi una delle cause maggiori, se non tutte,
per la quale
le
poco a poco caddero
3.
—E
dopo
la
opere
maggiore
la
furono poco
lette
di
e a
nell'oblio.
morte del maestro, che ne fu dei suoi
seguaci? Probabilmente non a riunirsi; tanto
di lui
che
di simboli,
piìi
si
dispersero e continuarono
che non mancava certo
fra loro chi
potesse indirizzarli e illuminarli con la sua autorità e la
sua dottrina. ci fu in
In quegli
Roma
stessi
anni
un'altra setta, ch'io
infatti,
o poco
non dubito punto
dopo, fosse
continuazione di quella di Nigidio, o certo frutto dei suoi
insegnamenti:
voglio
alludere
alla
«
Sextiorum nova
et
— romani rohoris seda
»
quum magno impetu
coepisset,
mente
E
!
in verità
speculazioni filosofiche:
Roma
Inter initia sua,
«
extincta est
le
di attendere sul
a
anzi
quelli
serio
alle
della
imperiale offrivano troppi svaghi, troppi di-
di quei pochi,
i
tempo
ed ingrate
e voglia
Cosicché
!
gli
quali avrebbero pur voluto richia-
concittadini alla serietà d'una vita
i
Decisa-
ricchezze e la potenza
di dedicarsi a meditazioni gravi
mare
(1).
alla filosofìa,
vertimenti, troppe orgie, perchè vi fosse
sforzi
»
non potevano essere molti
Roma, desiderassero
in
nuova
quale però
tempi non erano favorevoli
i
certa filosofia che,
la
^
—
59
meno
più dignitosa, dovevano riuscire vani o sortire
fatua e
effetti
poco
duraturi.
Chi furono cotesti Sestii, notizie che ce
accenna Seneca? Le
ne sono rimaste sono assai scarse, ammirare, in tempi
cienti tuttavia a farceli
zione,
ai quali
come uomini
desiderosi
piii delle
infine, nei quali tanto
maggiori intorno
si
suffi-
di tanta corru-
gioie del pensiero
che di quelle dei sensi, amanti più della scienza che delle ricchezze e degli
ma
onori;
verità
e
della
come uomini
più risplende l'onesta virtù, quanto
addensano
le
tenebre del
vizio.
di essi,
di
nome
e
sempre con parole
di
profonda e sentita ammirazione,
il
più grande dei moralisti romani, Seneca, in quelle sue
Del primo
mirabili Lettere
a Lucilio piene
Quinto, parla specialmente,
di tanta filosofica
sapienza
che non
e così
degne d'essere studiate
siano
In una di queste, la novantottesima, volendo egli
!
provare
al
beni che
esempi
(1)
i
meditate
e
più
suo alunno che spesso molti disprezzarono quei più desiderano
di Fabrizio e di
come
fonti di felicità,
cita gli
Tuberone, e poi aggiunge che
Seneca, Quaest. nat. cap. ultimo.
il
60 padre Sestio, pur essendo nato in
un giorno governare
condizioni da dovere
tali
cosa pubblica, rifiutò
la
carioa di senatore, offertagli da Giulio Cesare
persino
la
poiché egli
;
non annetteva alcuna importanza ai pubblici onori, ritenendoli, come sono, troppo incerti e transitori (1). Una rinunzia di questo genere non era certamente cosa che tutti
sapessero e volessero fare in quei tempi di sfrenate
ambizioni
tanfo:
il
;
meno
e tanto
nostro
poi per ragioni filosofiche
ambiva per
Sestio
ornamento che non fosse visibile e
meno
ricercato,
ma
sua persona altro
la
laticlavio
il
Ma
!
ornamento meno
:
più dignitoso
e
più vero,
che fosse conquista della sua intelligenza e della sua virtù, che nessuno potesse riprendergli e che egli potesse
ramente trasmettere senza pericolo latrocinii,
manomissioni o
di
l'ornamento insomma della sapienza
non facendo,
fu acceso di tanto amore, che
progressi sufficienti a soddisfare appieno
un
derio, fu sul punto,
Come
degli onori,
chezze; anzi
si
non
per la quale
;
il
suo vivo desi(2).
neppure
fu avido
di
in sul principio,
giorno, di suicidarsi
ei
libe-
dolle
ric-
racconta di lui che, trovandosi in Atene,
ripetè quanto aveva già fatto
avendo previsto da
il
filosofo
Democrito,
certi segni astrologici
prima dell'epoca del raccolto
—
che
una
il
quale,
carestia d'olio,
la bellezza delle olive
faceva sperare sarebbe stato abbondante
— comperò a buon
Honores repulit pater Sextius, qui, ita natus ut rempuhlicam deberet capessere, latum clavum, divo lulio dante, non recepii; intelligehat enim, quod dari posset, et eripi posse ». (1)
€
(2)
Plutarco, « Del
virtù », § 5: «
modo
KaGànep
TióXst xtjjiàg xal
di conoscere
i
propri progressi nella
cpaol Ségxtóv xs xòv 'Pa)|iaIov àcpetxóxa
ipxàg 5ià cpiXoaocpiav èv
èv
x-^
aB
TiàXiv 5uo7ia'9-oQvxa xal
xp(tà\),e>foy
xtp
òè
Xóyt}) x^^®'^"^?
dXtyow Ssyjaat xaxa3aX«tv éaoxòv ix xivog Sti^poug
xàg
xqi cptXoaocpsIv
».
"^^
np{bzo)t,
—
61 "sopravvenuta
mercato tutto l'olio del paese, e poi,
mente
primi proprietarii
la carestia, restituì ai
real-
merce
la
acquistata, appagandosi d'aver provato così che gli sarebbe stato facile arricchirsi
Ma
che
uomo
quando
era Sestio
come diverso da
!
avesse coluto
lo
Che
(1).
scrittore vigoroso e ardito,
tanti filosofi
che scrivendo siedono in
cattedra, discutono, cavillano, e
non danno all'anima alcun
e
vigore perchè
Seneca -
role di
uno
non ne hanno si
!
sempre una gran fiducia in fortuna e
si
legge
avrebbe
si
leggere Sestio
— son pa-
sente ch'è pieno di vita e di vigore,
spirito libero e superiore,
d'animo, quando
A
uno che ha virtù
te stesso
il
la forza
suo
!
d'ispirarti
In qualunque stato
libro,
di lottare
si
sfiderebbe la
contro
qualsiasi
ostacolo! Poiché egli ha questo grande merito,
mostrandoti tutta la grandezza della ti
fa disperare di raggiungerla:
in alto, stare, sì
ma
felicità
egli la
in luogo accessibile a
che ammirandola tu speri
chi (2).
che,
pur
suprema, non
mette bensì molto la voglia
conqui-
Quale più
alta lode
Historia^ XVIII, 68, 9- 10 « Ferun primus Demoeritum, qui intellexit ostenditque curri terris caeli societatem, spernentibus hanc curam eius opulentissimis civium, Plinio,
(1)
Naturalts
:
praevista ohi cavitate ex futuro Vergiliarum or tu.... vìlitate
propter
spem
olivae,
mirantibus qui paupertatem,
et
quietem doctrinarum
in primis cordi esse. Atque ut apparuit causa,
rum
cursus, restituisse
nitentiae, fore. fecit (2)
magna tum
coemisse in toto tractu ornne oleum,
mercem anxiae
et
et
ei
sciebant
ingens divitia-
avidae dominorum, poe-
contentwm ita probasse opes sibi in facili, quum vellet, e romanis sapientiae adsectatoribus Atkenis
Hoc postea Sextius eadem ratione ». Seneca, Epistola
LXIY:
Sextii patris; magni, si quid
« Lectus
est
deinde liber Quinti
miài credis, viri, et, licet neget. Quantus in ilio, Dii boni, vigor est, quantum anim,i! Hoc non in omnibus philosophis invenies. Quorumdam, scripta clarum Stoici.
.
— per un uomo,
Seneca
E
—
62
questa entusiastica esaltazione fatta da
di
?
suoi insegnamenti poi quanto erano sentiti e pro-
i
fondi, altrettanto erano semplici ed eificaci.
dere un
uomo
della bruttezza dell'ira ? egli
vi si
veda
quel
modo anche
riflesso
fa
che
poi fagli intendere che s'ei vedesse a
;
l'orridezza dell'anima sua sconvolta ed
ne sarebbe
ebbe così
egli
ammaestrava:
uno specchio e
portalo, mentr'è adirato, innanzi a
agitata
Vuoi tu persua-
Della onestà e della virtù
atterrito (1).
alto e giusto concetto
che sostenne l'uomo
habent tantum nomen, cetera tant, cavillantur legeris
:
exsanguia sunt. Instìtuu7it, dìspunon faciunt animum, quia non habent. Quuni
Sextium, dices: Vivit,
dimittit tne
plenum
mentis sim;
ingentis
quum hune
vocare, libet exelamare
tum
:
supra hominem
est,
In quacumque positione
libet omnes casus proFortuna? congredere! para-
lego, fatebor tibi,
Quid
eessas,
animum induo, suam ostendat,
qui quaerit ubi se experiaiuT,
vides. Illius
ubi virtutem
liber est,
viget,
fiduciae.
Spumantemque davi pecora
inter inertia votis
Optai aprum, aut fulvum descendere monte leonem. Libet aliquid habere,
Nam
quod vincam,
hoc quoque egregium Sextius
beatae vitae ìuagnitudinem,
et
cuius patientia exereear.
habet,
quod
et
ostendet
Ubi
non Hoc idetn virtus tamen speres » « Quibusdam, ut ait
desperationem eius
faciet. Seies
illam, esse in excelsOy sed volenti penetrabilem. tibi
ipsa praestabit, ut illam admireris,
(1)
De
Seneca,
ira^
lib.
II,
oap. 36
et :
Sextius^ iratis profuit aspexisse speculum; perturbavit illos tanta
mutatio sui: velut in rem praesentem adducti non agnoverunt
se,
quantulum ex vera deformitate imago illa speculo repercussa reddebat ? animus si ostendi^ et si in ulta materia perlueere poset
set.,
intuentes
nos confunderet,
aier
maculosusqite,
distortus, et tumidus.
Nunc quoque
ossa carnesque,
impedimenta., effiuentis
stenderetur
et tot
? et e.
aestuans., et
tanta deformitas eius :
quid
si
est
per
nudus
o-
—
68
-
onesto non per altro essere inferiore
meno
per avere una virtù il
tempo
in cui
stabile e duratura
umana
Giove, che
ma
;
per tutto
conservi onesto essere altrettanto felice
si
quanto Giove, non essendovi tra la felicità
sommo
al
perfezione
la
e la divina differenza se
non
e
quindi
di durata.
Ond'è che egji potè veramente additare ai volonterosi il « Di qui si monta bel cammino della virtù ed esclamare :
qui: seguendo frugalità, temperanza^
alle stelle! di
tezza
»
— e non già (par quasi sottintendere) per decreto di
popolo
di senato
persuadendo che
mano.
la
(1)
for-
.
—
e potè confortare anche all'ascesa,
gli dei
aiutano
i
buoni stendendo ad essi
(1).
.
.
!
Seneca, Epistola LXXIII: « Solebat Sextìus dicere^ « lovem
plus non posse
^
quam honum
virum,^. Plura lupiter habet^ guae
non
praestet hominibus; sed inter duos honos
est
melior, qui lo-
non magis^ quam inter duosj quibus par saientia reest^ meliorem dixeris, cui maius speciosiusque navigium est. lupiter quo antecedit virum bonum! Diutius bonus
cupletior
:
gendi gubernaeulum
est.
Sapiens nihilo se minoris aestimat.^ quod virtutes eius spatio
Queniadmodum
breviore clauduntur.
senior decessiti
terminata
non
virtus
est beatior
est
:
etiam, si vincit aetate. ter
omnia
unus usus
habei; sea pertinet.^
ex
euius
duobus sapientibus^ qui intra pauciores annos
Deus non vincit sapiente ut felicitate^ Non est virtus maior^ quae longior. lupisìe
nempe
aliis tradidit
Ad ipsum
habenda.
quod utendi omnibus causa
aequo omnia apud alias videi contemnitque^
est:
quam
hie
sapiens tam
lupiter., et
hoc
magis suspicit., quod lupiter uti illlis non poteste sapiens non Credamus itaque Sextio monstranti pulcherrimum iter et clamanti : * Hac itur ad astra ! hae, secundum frugalitatem:, hac, secu7idum fortitudineyn ! » Non sunt Dii fastidiosi, non invidi ;
se
vult.
admittunt,
ad deos
et
ascendentibus
manum
porrigunt. Miraris
hominem
Deus ad homines venit\ immo., quod propius est., in Nulla sine Beo mens bona est. Semina in corporibus kumanis divina dispersa sunt; quae si bonus cultor excipit.^ ire?
hom.'ines venit.
'
.
64 Questa sicura fede, questa
virile forza di pensiero susci-
tatrice di virtù, era la nota caratteristica degli scritti Sestio,
di
quest'uomo profondo, che gravità romana,
in greco con
sapiente, cinto di tutte le
a
un
buone energie del suo animo, marcia compatto e
(1).
esercitando sui migliori uomini di
esempio quel Lucio Grassizio simìlia origini prodeunt;
di
paria
et
cui
his,
Svetonio
parla
sterilis
ac deinde creai purganienta prò frugihus
LIX
Roma, come per (2),
ex quibus erta sunt^ sur-
quam humus
gunt: si malus^ non aliter cat,
scrivendo
che paragonava l'uomo
in paese nemico,
esercito che,
pronto alla battaglia
Ed
e
filosofava
di
ac palustris^ ne-
»
Sextium ecce quam maxiìne lego^ (1) virum acrem^ graecis verbis^ romanis moribus philosophantem. Movit me imago ab ilio posila ire quadrato agmine exercitum^ ubi hostis ab omni parte suspectus est, pugnae paratum. Idem^ inquit^ sapiens facere debet; omnes virtutes suas undique expandat^ ut ubicumque infesti aliquid orietur, illic parata praesidia sint^ et ad nutum regentis sine tumultu respondeant. Qitod in Seneca, Epistola
:
«
:
exercitibus his^ quos imperatores
magni ordinant,
fieri
videmus^
imperium ducis simul omnes copiae sentiant^ sic dispositae, signum ab uno datum, peditem simul equitemque percurrat hoc aliquanto magis necessarium esse nobis Sextius ait. UH enim ut
ut
;
saepe hostem timuere sine
causa
;
tutissimumque
illi iter,
quod
tam superne utrumque trepidai latus ; sequuntur pericula^ et occurrunt\ ad omnia pavet ; imparata est^ et ipsis terretur auxìliis. Sapiens autem^ ad omnem incursum munitus non si ignomiest et intentus: non si paupertas^ non si luctus, nia^ non si dolor impetu?n faciat^ pedem referet. Interritus et contra illa ibii^ et inter illa. Nos multa alligante multa debilitante diu in istis vitiis iacuimus elui difficile est non enim inquinati sumus, sed infecti ». (2) Nel De illustr. grammat., § 18, rammenta di lui che « ad suspeetissimum
UH
meius
est,
fuit.
quam
Nihil siultitia pacatum habet
infra
:
;
Q.
Sextii philosophi
;
;
sectam
transiisse
dicitur
però invece di Q. Sextii leggono Q. Septimii.
^
.
Alcuni
codici
-- 65
-
questa sua efficace robustezza di pensiero, e affascinandoli
con
col vigore della sua persuasione e vita,
sdegnosa d'ogni
gere quella
«
viltà e d'ogni bassezza,
romani rohoris seda
»
,
sua
la nobiltà della
potè far sor-
abbiamo
di cui
fatto
già cenno e che, se fu subito soffocata, ebbe tuttavia dei
seguaci e prosecutori
isolati,
che fu maestro anche Dì
(1)
lui
Vedi anche Gellio, Seneca, parlando
Seneca
di
A.,
èi.
I,
suo
se al
di
vino,
institui.
Lucilio,
dai
dice
gii
sempre
VI,
lib.
Nella interessante
per
l'avere imparato ad astenersi ghi, dai profumi, dal
8.
di Alessandria,
Cornelio Gelso
(1),
Divin.
Lattanzio,
parla
come lozione
24.
§
epistola
come
(2),
108^
oltre
al-
dalle ostriche, dai fun-
bagni, e ad usar materassi duri,
aveva anche incominciato, da giovane, ad astenersi dalla carne, ciò per gli i
danni
di
tagora e tero
il
insegnamenti
di
Soxione^ che dimostrava
la
e
inutilità e
questo cibo, valendosi, oltre che degli argomenti di Pi-
anche
di Sestio,
di ragioni proprie.
passo di Seneca, che suona così
:
«
Riporto quasi per in-
Quonìam
coepi Ubi ex-
quantum maior impetu ad philosophiam iuvenis aeeesserhn, quam senex pergam^ ?ion pudebit fatevi^ quem mihi amorem ponere
Pytkagorae iniecerit Sotion. Docebat^ quare ille animalibus absiinuisset^ quae postea Sextius. Dissimilis utrique causa erat^ sed uirique magnifica. Rie etc... At Pythagoras Haee quum exposuisset Sotton
implesset argumentis suis:
et
aììimas in alia corpora atque alia
quam dicimus mortem? Non aqua
describi.,
Non et
credis^ inquit,
migrationem
esse
credis in his pecudibus ferisve aut
quondam hominis animum morari? Non cremundo, sed anulare regionem? nec tantum circuitus verti, sed ammalia quoque per vices
m,ersis illum
dis nihil perire in hoc caelestia
per eertos
et animos per orbem agi ? Magtii ista crediderunt viri. Itaque iudicium quidetn tuum sustine: ceterum omnia tibi integra ire.,
serva. Si vera sunt
abstinuisse
ista.,
animalibus innoeentia
est.,
frugalUas est. Quod istic credulitatis tuae àamnum est ? Alimenta tibi leonum et vulturum. eripio. His instinstus abstinere animalibus coepi., et anno peracio non tantum facilis erat m,ihi
si falsa
consuetudo., sed dulcis... (2) Quintiliano,
Cornelius
Celsus.,
Lib.
»
X,
1,
124: « Scripsit non parum multa non sine cultu ae nitore ».
Sextios secutus.,
— Fabiano
Papirio
quello di cui
tempo
si
neca^ rifiutò
il
pure, secondo
abbiamo
Cadice
di
«
divo lulio dante
»
suo
il
primo al
dice Se-
avrebbe
e
(3),
non sappiamo quando né per quanto tempo, l'altro,
altri.
come
surriferito passo di Plinio (4)
il
ed
che sarebbe vissuto
e anche di Cesare, se,
laticlavio
(2)
notizia furono due:
è parlato finora,
Augusto
di
Moderato
(1),
Sestii dei quali
I
—
66
dimorato,
Atene;
in
anch'esso di prenome Quinto, che pro-
figlio,
seguì l'insegnamento paterno, che fu ritenuto, sebbene a autore delle sentenze filosofiche note sotto
torto,
di Sesto pitagorico
nome
non sappiamo
della cui vita infine
(5),
il
assolutamente nulla. Ora, di qual dottrina furono maestri questi
un mondo
ricercatori di verità in
(1)
Seneca, Epist. C;
cf.
Seneca
gaudenti e
di
il
filosofi, solitari
retore
di tristi?
Con-
al lib> II delle
troversie^ prefaz. (2)
Questo
so per
tempo
filosofo pitagorico visse al
di
Nerone, fu famo-
suoi insegnamenti intorno alla scienza simbolica
i
dei nu-
meri, fu maestro di Lucio Etrusco (v. Plutarco, Quaest. Gonviv.
Vili, 7) e scrisse un'opera voluminosa intorno alla dottrina pita-
Vita di Pitag.
gorica (V. Porfirio,
33 ed. Nauck; Stefano Bi-
p.
zantino e Suida, sotto la voce Fàdeipa). Cfr. pure Porfirio, Vita di
Plotino (3)
che
20 e
e.
Epist.
fiorì ai
195. 1
=
1
S.
Gerolamo, Adv. Ruflnum
XCVIII
già citata.
(5)
rum
d.
C). Dobbiamo dunque ritenere il
70' a. C. e
Natur. Eist., XVIII, 68,
il
graecorum,
Parigi,
il
ne dice
Firmin-Didot,
lo
olimpiade
10.
Fragmenta philosophovoi.
116-117, e leggi, a proposito
oltre a ciò che
all'
nostro Sestio vis-
5 d. C.
Vedile nella collezione del Mìjllach,
voi. II (1881) pp.
esse,
III.
Sestio, filosofo pitagorico.,
tempi d'Augusto, parla Eusebio [Chron.,
suto press'a poco fra (4)
un
Di
stesso
anche l'esauriente discussione che
Mullach
fa lo
I
(1875)
p.
522
e
della paternità di
v. II,
pp.
Zeller, Die
XXXI
sg.),
Philosophie
der Qriechen^ voi. IV, III ediz. (Leipzg 1880), pp. 679 e 681 nota.
.
.
67 Essi ebbero intanto una propria dottrina psicologica, se,
come nima
riferisce
è
« bile, « il
«
Claudiano Mamerte
spiegarono che
(1)
una certa forza incorporea,
ilìocale e
l'a-
inafferra-
che, essendo capace senza spazio, assorbe e contiene
corpo
»
.
Ma
questo evidentemente è troppo poco per
E
determinare a che scuola essi appartennero.
ben vero
che Seneca, come abbiamo già veduto riferisce (nella Epistola
LXIY) che
era uno stoico;
«
volere o no
ma
quel
volere o no
«
dere che in realtà Sestio non
qualche altra testimonianza
proverebbero non solo
si
come
giorno l'esame di coscienza cibi carnei (4),
professava stoico. (2),
compren-
E
infatti
e tale lo
sue conoscenze astrologiche, dimo-
le
abitudini della sua vita,
padre Sestio
ci fa
»
dice pitagorico
lo
famosa esperienza
strate dalla
(licei neget), il
»
l'una e
dell'olio,
ma
alcune
altresì
quella di fare alla fine di ogni
(3)
l'altra,
quella
e
di
astenersi
dai
com'è ben noto, proprie dei
seguaci del Pitagorismo. Senonchè, riguardo a quest'ultima è da notare che Sestio
non
la giustificava,
come Pitagora,
« ... Eomanos etiam^ eosdemque (1) De statu anirnae, II, 8 philosophos testes citamus^ apud quos Sextius pater^ Sextius fìlius propenso in exercitium sapientiae studio apprime philosophati sufzt, atque hane super omni anima attulere sententiatft Incor:
.
omnis est anima et lUocalis atque indeprehensa quae sine spatio capax corpus haurit et continet-»
poralis, inquilini^ vis
quaedam
(2)
\
Y. pag. preced., nota
3.
.
Seneca, De ira^ lib. Ili, e. XXXVI, 2: « Faciebat hoc Sextius ut consuniTnato die^ quum se ad noeturnam qutetem. recepisset^ interrogaret animum suum Quod hodie malum tuum sanasti ? cui vitio obstitisti ? qua parte ntelior es? » (3)
:
A
questo proposito, oltre alla Up. CVIII di Seneca riportata si suol citare il passo, conservatoci da Origene, « (contra Celsum », lib. YIII, p. 397 ed. di Cambridge), che suona: « Il cibarsi di carni è indifferente, ma l'astenersene è più conforme a ragione ». Tale sentenza però è di Sesto pitagorico, non (4)
nella nota seguente,
già del nostro Sestio.
— esdottrina della metempsicosi,
cori la
Romani dovettero parer più
ai
astrusi
« gli
:
ma
con argomenti che
hanno
egli infatti insegnava,
uomini,
meno
ragionevoli, perchè
altri
«alimenti, senza bisogno di nutrirsi di sangue; e poi ci abitua alla crudeltà provando piacere nel divorar della
« si
«carne;
si
deve dunque ridurre
al
minimo
può
ciò che
concludeva dicendo che
«
alimentar la lussuria
«
varietà dei cibi è contraria alla salute e innaturale per
«
i
nostri corpi »
non furono ne
«
la
(1).
sembra quindi
Ci
e
»
ne
stoici
ma
pitagorici,
;
i
Sestii
ebbero un proprio
con prevalenza di
sistema, eclettico quasi senza dubbio,
elementi pitagorici
che
lecito di poter affermare
e che questo loro sistema
non fu ne
inorganico, né dubitoso (come quello degli accademici dell'ultima maniera) né materialista (come l'epicureo), sibbene
avvivato da una profonda fede, illuminato da una chiara luce spirituale e fondato su
convinzioni
piìi
o
meno
e su
un sistema d'ideo insomma,
opinioni precise e indubitabili;
che non era una
ben salde
piacevole distrazione o un'o-
ziosa occupazione dell' intelletto,
ma una
vera
e
propria
forza organizzatrice e ordinatrice della vita, e per ciò ap-
punto destinato a raccogliere pochi seguaci e a vivere per
tempo
assai breve, in quella sentina di ambizioni, di cordi violenze,
ruzioni,
grande
eitra
fieri^
che era divenuta la
nel trapasso dalla repubblica all'Impero.
Seneca, Epist. CVIII
(1)
torum
nem
Roma
di immoralità,
sanguinem
:
« hie {Sextius)
esse eredebat.
ubi in voluptatem esset
contrahendam materiam
homini
satis alimen-
et criiclelitatis
addueta
eonsuetudi-
laceratio. Adiciebat
esse luxuriae^ eolligebat bonae valetudini
contraria esse alimenta varia
et
nostris aliena eorporibus ».
CAPITOLO QUARTO
Pitagora e
le
sue dottrine negli scrittori latini
del primo secolo avanti Cristo.
I.
Lncrezio e
1.
Lucrezio e
il
il
poema
« Della
poema Della Natura.
—
a proposito di immortalità dell'anima e
2. di
Natura » Epicuro contro Pitagora metempsicosi.
cenni alla metempsicosi nel proemio del primo canto.
Ennio.
—
trina dell'
Il
—
3.
Ac-
sogno
di
Polemiche intorno all'anima nel terzo canto: la dot5. Argomenti epicurei contro la anima-armonia.
4.
—
preesistenza dell'anima e la metempsicosi.
—
6.
Insussistenza del
timore della morte nell'ipotesi della reincarnazione.
— Riassunto
e conclusione.
1.
rono
—
Poiché
si
è visto come, dopo Nigidio,
di restaurare in
Roma
il
culto del
i
Sestii cerca-
Pitagorismo, non
sarà certo inutile indagare quali tracce esso aveva lasciato di sé nella letteratura
romana
del primo secolo avanti Cristo,
siano esse vere e proprie trattazioni sistematiche o semplici notizie incidentali
:
così infatti
un'idea del giudizio che ne fecero
potremo non solo gli
scrittori
di
farci
quel
— tempo,
ma
ci
offrirà
si
—
70
anche
modo
il
esporne e chia-
di
rirne qualcuno dei punti più importanti o di metterne in
luce gli aspetti più notevoli. Certo, in un'età nella quale religiose e
Koma
i
più
le
più diversi sistemi di
svariate
credenze
affluendo
filosofìa
in
da ogni parte del mondo, e specialmente dalla Grecia
e dall'Asia, vennero a pocoJiniformandosi per vicendevole influsso e preparando cosf
non molto accogliere fede cristiana,
uno i come
non
doveva
terreno che
il
e far germogliare
il
seme
di
lì
a
nuova
della
sceverare e seguire uno per
è facile
massime poi
vari indirizzi di pensiero;
quelli che,
essendo molto antichi e avendo
la filosofia pitagorica,
avuto larga diffusione e gran numero di seguaci, trasmisero parte dei loro posteriori.
Ma un
principii
poco di diligenza e
metterà almeno di raccogliere latini dell'ultimo
cita
menzione
speculazioni filosofiche
alle
tutti
pazienza
di
quei passi di scrittori
periodo repubblicano nei quali
di
Pitagora,
e
di
luoghi in cui, senza nominarlo,
si
ci per-
esaminare
si
fa espli-
altresì
quei
accenna però a dottrine
e a pratiche di vita che appartennero indubbiamente, per
concorde consenso
dell'antichità,
al
sistema del filosofo di
Samo.
Incominceremo pertanto dal poema fu,
come
tutti
sanno,
il
più mirabile tentativo di elabora-
zione poetica in lingua latina di e precisamente del sistema
un sistema
ma
felici tentativi
greci
erano
bensì
da Appio Claudio, da Ennio, da qualche
per brevi trattazioni
;
sì
che Lucrezio
della grandezza del cantore degli
mare con legittimo orgoglio di
filosofico greco,
epicureo. Altri
di esporre in versi dottrine di filosofi stati fatti
Lucrezio, che
di
Annales
di essere
il
— pur
altro,
conscio
— potè ben
affer-
primo a tentare
esprimere poeticamente, nella lingua del Lazio e del-
71
r
Italia
romana, non ancora assueta
profondità,
alla
precisione
sottigliezze,
alle
linguaggio
del
alla le
filosofico,
speculazioni dei Greci.
poema Della Natura
Il
infatti
non
espone con
solo
ordine sistematico la complessa dottrina di Epicuro intor-
no air essere
delle cose in generale,
verso, ai moti e alle forme
infinità dell'uni-
all'
atomiche,
posizione e mortalità dell' anima, alle cause
delle sensa-
zioni e delle funzioni fisiologiche, alle origini del e della vita vegetale e animale,
meteorici e tellurici,
ma
sicuro fondamento
piti
i
alle
mondo
cause dei fenomeni
perchè abbiano
anche,
discute
com-
alla natura,
principii della dottrina epicurea,
opposte e diverse dottrine di altre scuole filosofiche, e
le
combatte sibili
le
argomentazioni contrarie e
obiezioni pos-
le
degli avversari.
Di questa opera dunque, costruttiva in quanto elabora fondamenti
su
nuovi, e polemica in quanto combatte e
distrugge principii
vecchi o diversi, è ben
naturale che
noi dobbiamo tener presente soprattutto la parte polemica,
per vedere se e quanto in essa
Epicuro
2.
— abbia tenuto
— Ora,
il
poeta
— e prima di lui
conto delle dottrine di Pitagora.
su due punti essenzialmente
il
poeta discute
e lotta ad oltranza contro indirizzi di pensiero diversi dal
suo
:
sulla teoria atomica e sulla teoria
dell'
anima.
E
a
proposito della prima combatte e confuta esplicitamente,
nominandoli, Eraclito, Empedocle, Anassagora. Del filosofo di
Samo invece non
fa
il
nome neppure una
qui ne in altra parte dei poema;
un
attento
ma
esame del poema stesso
scoprire dove e quando,
a combattere
i
pur
senza
ciò
non
non ci
dirlo, il
volta,
toglie
né che
permetta di poeta pensi
principii della filosofia pitagorica,
— È per
ben nota, in la
il
Epicuro ebbe
che
la disistima
verità,
matematica;
—
72
che parrebbe che dovesse farci esclu-
dere senza altro qualsiasi considerazione, da parte diluì,
per un sistema che
numerico
l'aspetto
aveva studiato e rappresentato sotto
mondo,
il
ma-
e nel quale le ricerche
tematico-musicali avevano tanta parte. In realtà però pos-
siamo escludere a priori soltanto questo: che Epicuro nesse presenti in qualche
modo
poema
del
conferma
Lucrezio
di
dottrine
E
suo sistema.
italica nella parte fisica del
dio
le
te-
della scuola infatti lo stu-
questa
senz' altro
induzione; tanto nella parte teorica che in quella polemica
due
dei primi
che contengono
canti,
esposizione e lo
1'
svolgimento dei principii epicurei intorno materia, e
manca
la teoria atomica,
al
aJffatto
mondo
e alla
qualsiasi ac-
cenno, anche indiretto e lontano, alle dottrine pitagoriche.
Ma
queste, oltre al
e dall'
mondo
governato dal numero
fisico,
armonia, abbracciavano anche
e dei), e quanto
all'anima,
questa
numerico
l'
prattutto
aspetto il
concetto della
pur considerando
attraverso
un
tempsicosi). Sotto
Pitagora dovette
anche
di
e musicale,
sviluppavano so-
sua eternità
non mai nata, perenne e immor-
perchè esistente ab aeterno^ essa vive, tale,
metafisico (anima
il
di vite terrene
ciclo indefinito
questo aspetto
:
pertanto
(me-
la filosofia di
pure essere tenuta in qualche conside-
razione da Epicuro, se scopo fondamentale della sua spe-
culazione fu di combattere
r
intelicità
umana, cioè
i
timore
il
degli dei, e se, per vincere
armi
della logica
il
mortalità dell'anima. alla filosofia
due grandi timori onde nasce
il
principio
Non
della
morte e quello
primo, difese con tutte le della
materialità
e della
risalivano forse in gran parte
pitagorica la dottrina
platonica e le specu-
lazioni stoiche intorno alla origine divina e all'immortali-
73 tà dell'
E
anima ?
pitagorica
la filosofia
spiegandole e chiarendole,
forse,
alle
non
credenze religiose degli uomini
uniformava
più inveterate su-
profonde convinzioni,
perstizioni, alle più
si
più
alle
diffu-se
?
Se Epicuro avesse avuto solo
lo
scopo della costruzione
teorica dei suo sistema, sarebbe stato sufficipnte che, accettata da
Democrito
cazione
mondo
al
mondo
al
fisico,
d'atomi
mortalità
tere
ripeterlo,
timore
il
dal pensiero
della
—
anima
un
morte del corpo.
alla
egli volle
anche soprattutto combat-
morte,
quale nasce, secondo
il
sopravviva. Ora,
lui,
dalle superstizioni religiose, e
alimentato
denza una ve n' era
infatti d'
più precisamente, del ne-
o,
—
dalle favole dei poeti e dei vati
l'anima
appli
trarne la conseguenza
per
dei suoi atomi
cessario dissolversi
Ma, giova
anima constava
i'
sensiferi),
dell'
1'
V estendesse, come fece realmente,
psichico (per lui
aggregato della
teoria atomica e fattane
la
fra le
che, morto
varie forme
— largamente
il
corpo,
di tale cre-
diffusa dalla religione,
dai misteri, da oscure predizioni sibilline, da filosofi e da
—
poeti
ad
secondo
esistere,
ma
la quale
cosi.
insomma
:
E
per
anima non
poteva, ad intervalli,
corpi e ritessere più d'
rena
1'
dremo) apparire ammissibile,
tempo
e nel perpetuo
vita ter-
credenza nella metempsi-
credenza, anche nei termini
questa
strettamente epicurei, poteva in
del
in nuovi
rivivere
trama della
volta la
l'antichissima
più
di
una
solo continuava
in
un
certo senso
quanto
dissolversi
cioè,
(come ve-
nell' infinità
e ricomporsi degli
atomi materiali, era ben lecito ammettere come possibile il
ricostituirsi
dell' identico
creasse di nuovo
il
conglomerato atomico che
medesimo
corpo e la medesima ani-
ma. Data dunque questa possibilità teorica, ohe Epicuro o
i
ri-
si
comprende
suoi seguaci dovessero esaminarla anche
— al
lume
—
74
conseguenze in rapporto
le loro
per dedarne
della logica interna del loro sistema,
due
alle
l'eternità dell'anima e del timore della
questioni del-
morte.
Tanto ciò è vero, che Lucrezio svolge appunto in modo ampio ed esaurientissimo tale ipotesi e
tale discussione
polemica, là dove vuol dimostrare la mortalità dell'anima e la vanità del
Ma
3.
del
prima
poema che
temere
di si
la
morte.
esaminare ed analizzare riallaccia
questa parte
così strettamente
con
la dot-
trina pitagorica, è necessario premettere che già al prin-
primo
cipio del
mio dove
il
libro, in
quel mirabile e tormentato proe-
poeta espone le ragioni,
della sua trattazione, è fatto
e opinioni intorno
all'
cenno
anima
e
ordine e
l'
la
delle varie
dell'
materia
credenze
importanza capitale
che la soluzione del problema psicologico ha, nel sistema epicureo, in ordine alla necessità di sradicare dall' animo
umano
E
timore della morte.
il
questo cenno, sia in se stesso, sia per
ad esso
si
collega del
importanza per
il
Per rassicurare dedicato
— che
famoso sogno
infatti
uomini commettessero vinto
anche
sempre
Aulide il
Ennio,
di
Memmio
—
al
quale
potrebbe dubitare, accettando atto
dimostra che anzi
d* Ifigenia in
ricordo che
ha pure
nostro tema.
epicurea, di commettere crezio
il
delitti
(vv.
timore
la
di scellerata
religione fu
80-101).
degli
dei,
E
poema
è
la dottrina
empietà, Lu-
causa
come
nefandi,
il
il
che
gli
sacrificio
poi soggiunge che,
può tuttavia
rimaner
quell' altro timore, che è alimentato dalle spaven-
tose favole dei poeti sulla vita d' oltretomba, da sogni e
da apparizioni, e trova ranza
umana
la
sua ragion
d'
essere nell' igno-
intorno alla vera natura dell' anima (vv. 102-
— 126).
con
Di qui pertanto
la
problema
dell'
essenza
dell'
anima
e della
sogni e delle visioni (vv. 127-135).
natura dei
E
il
dei e della mate-
degli
celesti,
— insieme
studiare
la necessità di
natura delle cose
— anche
ria
—
75
precisamente
nei versi
112-126
accenna
si
in
par-
ticolare alle varie dottrine intorno all'origine dell'anima e
muore
intorno alla sorte che le tocca quando Ignoratur enim quae
112
nata et
sit^
sii
il
corpo:
natura animai,
an cantra nascentihus insinuetur^
simul intereat nobiscum morte dir empia,
an tenehras Orci visat vastasque lacunas^ an pecudes alias divinitus insinuet se, Ennius ut noster ceeinit, qui priìnus amoeno
115
detulit ex Helicone perenni fronde
per gentis Italas kominuìu quae
coronam,
darà
clueret\
120
etsi praeterea tamen esse Acherusia tempia Ennius aeternis exponit versibus edens^ quo ncque permanent (1) animae ncque corpora nostra^ sed quaedam simulacra modis pallentia miris; unde sibi exortam semper fiorentis Homeri
125
commemorai speciem lacrimas effundere salsas coepisse et rerum naturam expandere diciis (2).
Quanto
all'
essa era nativa
(nata)-^
già fatta nel corpo al
(1)
sosteneva che
origine dell' anima, Epicuro
ma altri invece momento della
Mi pare qui perfettamente
la
credeva entrata
nascita (an contra
accettabile la lezione già proposta
dal GoBEL (permanent è coug. pres. da pcrmanare)^
ragionevole dere in qual tro
il
(2)
senso
In
correzione del
modo di
permaneant dato come
tale correzione urti,
che è
dai codici.
dice
il
Ne
la
più
so ve-
Giussani, con-
permanare.
questi versi,
come in
quelli che citerò
più innanzi, mi
attengo alla lezione e alla grafìa data dal Giussani (De tura, Torino, Loescher, 1896-1898;.
rerum na-
—
~
76
nascentibus insinuetur). Quanto alla sorte che al
morire del corpo
rea,
che r anima
corporei
opinioni invece erano
le
nebras Orci visat vastasque
ìacunos)
passasse per virtù divina nel
punto
corpo
divinitus insinuet
non erano
in contraddizione
che Ennio,
esponendo
se
Acherontei^
doppio
narrava
dell'
altresì
E dunque
gli
—
1'
esistenza
subito?
—
un doppio,
come
ed
— che,
piangendo
per questo accenno
alla
di
Pitagora,
esaurientemente
metempsicosi
4.
Ma non
fu propria di
(1)
libro,
La
—
altri
che nel terzo libro
di
—e
la teoria pitagorica della
(1).
v' è forse
cenno
d'
un' altra concezione che
Pitagora e dei suoi
della concezione dell'
crezio
a-
dottrina
Lucrezio dobbiamo trovare discussa in qualche modo lo è infatti
—
svelò l'essere delle cose.
evidente,
anche
del-
apparsa nel sogno
gli fosse
in
quella precisa-
psicologica epicurea in contrapposizione con quella di filosofi
pur
però discen-
ai quali
anima del divino Omero
mare lagrime,
è vero ap-
degli Annali,
un' ombra, come a dire
egli
animali (pe-
tanto
;
ammise
l'anima stessa, di mirabile pallore:
mente che
[te-
Le due ultime però
).
deva non già l'anima (questa passava
ma
la
;
pitagorica, che
di altri
famoso
la teoria pitagorica,
corpi),
l'epicu-
Averne
o
la
;
fra loro
nel sogno
dell'Ade e dei templi
altri
tre:
morte dirempta)
che scendesse all'Orco, o Ade
cudes alias
aspettava
dissolvesse col dissolversi degli atomi
intereat nobiscum
[simili
popolare,
si
1'
seguaci
;
voglio
dire
anima- armonia?
cosa, del resto, è tanto più evidente se
compose verosimilmente questa parte quando già aveva composto il terxo.
si
pensi clie Lu-
del
proemio del primo
Si
veda in proposito
la paziente e lucida analisi del Giussani voi. II, pag. 4-5).
È un
che
fatto
—
77
poeta, nel terzo canto, prima di ac-
il
cingersi a determinare la natura l'
anima
due
nelle sue
confuta una dottrina ni
— che
negava
•
materiale
distinzioni
—
dì
-
atomica del-
animus
od anima.,
certo ancor diffusa ai suoi gior-
esistenza dell' anima, o meglio le ne-
1'
gava una consistenza sua propria, non pure extracorporea,
ma
nel corpo stesso, concependola soltanto
come una
cie di
armonia delle funzioni organiche
98
sensum aniìni certa non esse in parte lo^atuìn^ vermn habitum quendam vitalem corporis esse^ karmoniam Orai quam dieunt^ quod faciat nus
100
eum
vivere
sic
chi,
prima
aveva svolto
di Epicuro,
cessità di confutarla ?
uno
all'
Pitagora e
cialmente, fra questi, Filolao
e air altro (1) la ne-
i
suoi seguaci,
concetto dell' anima-armonia;
il
concetto
non potesse avere pei Pitagorici
Platone, Fedone^ I,
4.
Dopo
e.
XXXVI
e
ma
che però tale
il
senso datogli
XLI - XLY;
Aristotile la svolsero
Aristotile, Del-
ancora, accettandola e
difendendola, Aristosseno talentino (Cicerone, Tuseulane.,
DiCEARCo
di
Messina (Cicerone, ibidem^
La
si
fa risalire
(2)
e spe-
avevano bensì accettato
(2),
e svolto
(1)
cosiffatta dot-
tempi di Platone e di Aristotile era
ai
tanto diffusa da far sentire
Vanima^
:
dicitur esse
et
che anche
trina,
eum
non est tamen haec pars ulta valentis, animi sensum non certa parte reponunt.
corporis,
Ora
:
sensu^ nulla curn in parte siet ìuens
ut bona saepe valetudo
spe-
I,
I,
l9)" e
20).
veramente a Parmenide e a Zenone d' Elea ma che debba riconoscersi anche come
(DioG. Laerzio IX, 29):
propria
Pitagora e di Filolao dimostrò
di
Philolaos., (p. la
espone
è
già
il
Boeckh nel suo
177); tanto è ciò vero che nel dialogo platonico chi
Simmia, discepolo
d,l
la riconosce per propria dottrina
Filolao, ed Echecrate pitagoreo {Fedone., e.
XXXVIII).
—
—
78
qui da T ucrezio e neppure quello datogli da Simmia nel dialogo di Platone, è appena necessario di dire,
accordava — nel
si
sistema
della metempsicosi, ossia con
e immortalità dell'
que
anima
quella scuola
di il
se esso
— con
l'altro
concetto della preesistenza L' ironia lucreziana dun-
stessa.
dei versi 131-135:
harmoniai
recide
...
fìomen^ ad organicos alto delatum Heliconi
—
sive aliunde ipsi porro traxere et in illam
tum
trastulerunt^ proprio quae
quid quid id
—
come
le
habeant.
est
argomentazioni
non contro
no volte
la
nomine egehat -
res
.
di Socrate nel
—
Fedone
ma
teoria di Pitagora,
era-
contro
quella interpretazione e limitazione materialistica di essa,
per cui r anima era ridotta a semplice funzione del corpo.
Ed
ben naturale che
è
—
così limitata e interpretata
combattessero, insieme con materialisti epicurei
:
gli
la
anche
gl'idealisti platonici,
poiché per
—
i
uni rappresentava la
negazione della essenza individuale e quindi della immordello spirito, e per gli altri, significava
talità
atomica
za di quella quarta sostanza
onde
riale)
essi
tre sostanze
mana (1) fin
essere
mani,
i
il
elementari
aria,
1'
corpo,
umano
—
anima
sostanziata
ecc.
:
sì
materia di
anima
u-
prima
di
è però,
atomica ed è parte
quel che ne siano parte
(Luce. Ili, 94-97) il
le altre
ma
nativa e mortale, di
diffonde per tutto
che ammettendo
1'
che Lucrezio,
ne più ne meno
piedi, gli occhi, si
è bensì
cezione dei moti e delle immagini lettuali
sostanza senso-
freddo e caldo)
comprende quindi
nel petto, di dove
inesisten-
concepivano costituita (insieme con
Per Epicuro
che vive
dell'
le
Si
(1).
(la
l'
—
e localizzata
corpo, è adibita alla re-
sensoriali e alle funzioni intel-
la teoria
dell'anima-armonia veniva a
cadere tutta la teoria psicologica degli atomi
sensiferi,
delle
im-
—
—
79
accingersi alla esposizione della teoria psicologica, confu-
non
tasse questa dottrina, che
ma
sua localizzazione nel corpo, a negarne
5.
1'
esistenza
Dimostrata
anima una
all'
veniva in ultima analisi
(1).
materialità dell'animo (vv. 94-416), Lu-
la
— ventotto
crezio passa a dar le prove
sua mortalità. Ora tono
negava
solo
un gruppo
vi è
— della
in tutto
che combat-
di queste
concetto della immortalità sotto l'aspetto non già
il
anima dopo
del persistere dell'
morte,
la
corpo e della
ma
del suo pree-
possibile
pluralità
delle sue esistenze terrene (vv. 668-710, 711-738,
739-766,
sistere alla nascita del
774-781).
Qui siamo evidentemente nel campo della metempsicosi, esaminare quest' altro centinaio
e occorrerà quindi
Veramente non
soltanto
della metempsicosi
—
stenza
pre-terrena
dell'
Stoici;
e inoltre,
dottrina
non
Pitagorici
i
ammisero, fra anima,
come ho
— con
la dottrina
ma anche
Platone e più volte,
già osservato
nelle
leggende
non
poesia, neir arte, e rafi'orzata se
magini, dei sogni, delle visioni, delle
un' esi-
gli antichi,
fu che la elaborazione filosofica d'
denza largamente diffusa
di versi.
gli
tale
una cre-
popolari, nella
derivata,
dagli in-
allucinazioni (anche
vere immagini materiali) che V anima riceve dal di fuori,
queste
ma non
produce essa stessa. (1)
Cicerone
appunto che esse
con
omnino animum^
ammalia vel
infatti,
essi
et
et
di
Aristosseno e
di
Dicearco, dice
teoria venivano a dimostrare « nihil
hoc esse
nomen totum
inane^ frustraque
animantes appellari, neque in homine inesse
animam
più sotto
parlando la loro
(31
nec in bestia 1:
omnino animum
«
»
{Ttcsc.^ I,
Dicearehus quidem esse dixerunt ».
21), e et
più
animum
esplicitamente
Aristoxenus.
...
nullum
— segnamenti
argomenti
gli
—
curezza
Ma il
che
religiosi di
impartivano nei Misteri. Sì che
s'
—
Lucrezio
—
80
possiamo affermarlo con
non sono esclusivamente contro
i
si-
Pitagorici.
poiché Pitagora, se anche trovò già nei Misteri e fra
popolo tale
credenza, e
se pure la
veramente
gliono, dall' Egitto, fu
quale
nario, dal altri,
mossero,
dobbiamo pur
così
primo che
il
veste filosofica, e su di essa fondò
dopo
c?ome vo-
derivò,
41
di
esaminare
le
diede
suo sistema dottri-
lui,
e
Platone e
ragioni
le
gli
del poeta
epicureo, che venivano, in sostanza, a battere in breccia
ed a scalzare uno dei capisaldi Gli argomenti che
della filosofia pitagorica.
Lucrezio adduce
contro
1'
opinione
della preesistenza dell'anima sono quattro, svolti in quattro
successivi e continui gruppi di versi, e rincalzati poi
dopo conchiusa questa parte fondamentale tazione
—
nella meravigliosa invettiva
—
della sua trat-
contro
timore
il
della morte. a) Il
mancanza
primo argomento
(vv.
668-676) è desunto dalla
in noi di ogni ricordo
alla nascita (1):
se la nostra
dell'
anima
e quindi è entrata nel corpo al
esistenza anteriore
è esistita un'altra volta
momento
della nascita
(2),
non siamo assolutamente in grado di ricordarci tempo trascorso e non serbiamo in noi qualche ri-
perche del
(1)
C
ricordanza colari di
rammentare che appunto ctalla realtà di tale rappresentata non già dalla reminiscenza di parti-
è bisogno di
—
una anteriore
vita terrena,
ma
dalla inoppugnabile e in-
controvertibile esistenza delle ideo innato
uomo dell' ì
—
Platone
anima
e
deduceva
la
necessità
quindi della sua immortalità
nella
mente
?
(Yedunsi
ciascun
di
d'un'anteriore
esistenza
nel
Fedone
capitoli l8-22ì. 2) E,
come
si
vede, io svolgiiuento
di
nel verso 113 del proemio al primo canto.
quel
che ha accennato
— membranza
—
81
delle nostre azioni
passate
Dunque l'anima
?
ha mutato così da potere perdere interamente vicende
ricordare le proprie
di
differisce
molto dalla morte
che r anima
Se così
?
si
gittima
dunque
soltanto che
mente passato
il
questa
—
esistita
1'
anima non è
dato pure che
—
il
non
fatto di
non
»
ma
;
essere
serbar
ha
della
sembrerebbe
preesistita
potesse
dimostra che ora essa
(personalità infatti
vita (1).
poeta non trae, dalla mancanza
del passato, la conclusione che «
:
concludere
prima è morta e che quella che abbiamo
di
noti che
memoria
non
questo
bisogna quindi
;
in questa vita è stata creata proprio in
Ora
è,
la facoltà
dice
material-
coscienza
cambiato
le-
del
personalità
è altro che persistere di
una me-
desima coscienza), cioè che è morta da quella che
era,
per
diventare un'altra. Praeterea si immortalis natura animai constai
670
et
in corpus nascentibus insinuatur,
cur super ante actam aetatem meminisse nequimus nec vestigia gestarum rerum ulla tenem^us
nani
si
tanto operest
omnis ut actarum
lete
iam
longiter errai;
quajjropter fateare necessest quae fuii ante interasse,
Insomma
et
quae nune
in questi versi
est
non
nunc si
esse
nega
siano preesistiti, e quindi che esistano
ponenti materiali
fl)
potestas,
exciderit retinentia rerum,
non, ut opinor, id a
675
animi mutata
?
dell'
anima,
Su questo argomeDto
della
ma
bensì
mancanza
di
creaiam.
la possibilità
in eterno si
nega
i
il
ogni ricordo,
che
compersi-
come
vedremo fra poco, Lucrezio ritorna ancora, prima con un semplice cenno (al v. 766) e poi più innanzi (vv. 845 e seguenti) accennando alla possibilità della rinascita dell'anima e del corpo.
—
—
82
della coscienza, che,
stere in eterno
dei quattro componenti
dai moti atomici
D'altra parte, continua
il
poeta, se
l'anima entra in noi quando,
formato
energia vitale delil
corpo,
vede che è cresciuta col corpo e con
si
immedesimandosi nel sangue, avviene proprio per tutto
come
vivere a sé
col corpo,
sce e
1'
dell'anima.
il
il
corpo,
contrario sì
—
ma
le
fa
—
membra
dovrebbe, non fusa
una prigione. Ora, poiché e cioè 1' anima é diffusa
in
—
che ogni parte di esso sente, e cre-
sviluppa col corpo stesso
si
usciamo
mondo, essa dovrebbe vivere non come
alla luce del
che
per Epicuro, deriva
—
segno é che non é
entrata in esso perfetta, e che, partecipando delle vicende del corpo, nasce (e quindi anche muore) con esso.
messo pure che, perfetta
E am-
e in sé raccolta all'atto di en-
•
trare nel corpo, si diffondesse poi subito in ogni sua parte
appena
equivarrebbe a uno
entrata, questo
dissolversi per
cambiar natura: insomma
un morire per rinascere
tosto altra
da
scomporsi e
equivarrebbe a quella di
prima
677-710).
(vv.
b)
Un
altro
argomento pare
al
onde pullula
dal fatto del formarsi dei vermi in
putrefazione. Se l'anima che
ta,
come pensava Epicuro, da
ma
primitiva,
(il
poeta di poter trarre
li
il
avviva non è costitui-
residui frammentari dell'ani-
che dimostra che l'anima stessa, potendo
frazionarsi, é peritura e mortale)
bisognerebbe
— ed
si
incarnino anime preesistenti; nel qual caso,
eccoci ancora alla metempsicosi
una
la stranezza
è partita, o esse
ammette-
— che nei vermi
re
pure a parte
cadavere
lasciando
che mille subentrino là di dove
stesse
si
formano
il
proprio
corpo
dalla materia putrescente, o lo trovano già fatto e vi en-
trano
;
ma
nella prima ipotesi
non
si
capirebbe perchè,
piuttosto che restar libere, dovessero affaticarsi spontanea-
.
mente
a rinchiudersi in
sariamente dovranno
ragionamento
—
83
un carcere corporeo, dove neces-
precedentemente
fatto
varrebbe
seconda
nella
soffrire;
può entrare, intrecciarsi ed espandersi in un formato senza snaturarsi
(vv.
non
un' anima
che
il
corpo
già
711-738).
quod si forte animus extrinsecus insinuari vermibus et privas in corpora posse venire eredis, nec reputas cur milia multa animarum conveniant unde una recesserit, hoc tamen est ut quaerendum, videatur et in discrimen agendum, utrum tandem animae venentur semina quaeque
720
725
vermiculorum ipsaeque sibi fabricentur ubi an quasi corporibus perfectis insinuentur at neque cur faciant ipsae quareve laborent dicere suppeditat, neque enim, sine corpore
morbis alguque fameque
sollicitae volitant
730
corpus enim magis his et
sint,
cum
sunt,
:
vitiis adfine laborat,
mala multa animus contage fungitur
eius.
sed tamen his esto quamvis facere utile corpus
cui subeant: at qua possint via nulla videtur.
haut igitur faciunt animae sibi corpora
735
nec
tamen
est
et
artus,
uiqui perfectis insinuentur
corporibus: neque enim poterunt suptiliter esse conexae, neque consensus contagia fient. c)
In terzo luogo, se veramente
perchè non
psicosi,
un'anima quella
di leone,
d'un
colombe feroci si
caratteri
questa
una colomba,
in
nascessero ?
Invece
leoni e avoltoi i
caratteri
ereditano e sono fisici.
nelle sue
molte eccezioni.
non
E
se,
vi
per
timidi,
cervi e
psichici delle
singole
costanti in
sarebbe
cervo o
e viceversa,
esse al pari
Se l'anima immortale mutasse solo
costanza
metem-
peregrinazioni,
per esempio, capitare in un
avoltoio
modo che ne specie
dovrebbe,
fosse la
ci
o,
d'altra parte è
almeno, 1'
i
dei
corpi,
soffrirebbe
anima che, mu-
—
—
84
tando corpo, muta carattere, allora vuol dire che essa non
rimane
stessa,
la
che cambia natura, insomma che muore
per rinascere un'altra
seminium
iam
et
leonum
triste
sequitur, volpes dolus,
a patribus datur et
789-751):
cur acris violentia
Dejiiqiie
740
(vv.
et
fuga cervi»
patribus pavor incitai artus^
omnia membris
cetera de genere hoc, cur
ex ineunte aevo, generascunt ingenìoque, certa suo quia serrane seminioque
si non,
745
vis aniìiti pariter crescit
cum
corpore toto
?
mutare soler et corpora, permixtis anirnantes moribus essent, eff'ugeret canis Hyrcano de semine saepe cornigeri incursum cervi, tremeretque per auras
quod
750
si
immortalis foret
et
columba,
aeris accipiter fugiens veniente
desiperentque homines, saperent fera saecla ferarum. illud enini falsa fertur ratione,
quod aiunt
immortalem animam mutato corpore flecti : quod m^utatur enim dissolvitur, interit ergo.
Se poi entro
limiti di
i
umana non ni
(1) Così,
anima
della specie
scono
ai
ciascuna
specie, e dire
che
un' anima
s'incarna successivamente in altro che in uomi-
allora
(1),
deli'
volesse invece sostenere la metempsicosi solo
si
a la
potrebbe sempre chiedere: perchè può, di
si
mio avviso, scuola
svolse
pitagorica:
umana, die
se quasi
seguaci di Pitagora
crezio accenna nei
1'
il
concetto
limitandolo
entro
i
confini
attribui-
interpretazione più lata a cui
versi or ora citati,
confusione
cioè
trasmigrazioni
tutte le testimonianze
tali
dimostrare che o sono esagerate per amor
sono errate per
delle
della
di
testimonianze
polemica o
metempsicosi
si
Lupuò
di satira,
pitagorica
con
quella egiziana od orientale in genere, o, in qualche caso, possono spiegarsi
ma
dando
nel corpo di
testimonianza di
un signifiv,ato simbolico al passaggio dell'aniun animale. In tale categoria rientra, per me, la Ennio che, nel sogno già citato degli Annali, fa-
—
—
85
momento che non
saggia che era, diventare sciocca, dal s'
è mai visto
ledro esperto
un fanciullo assennato né un piccolo pucome un robusto cavallo ? Forse che la men-
un corpo tenero, si fa tenera anch' essa ? Allora dunque non è immortale se, trasmutando corpo, perde in tal modo la vita e il sentimento di prima (vv. 758-766):
te in
Sin animas ire
hominum
dicent in corpora sem,per
humana, tamen quaerain cur
760
stulta qiieat fieri, nec
762
nec
prudens
esse
—
Infine
animam, quoniam mutata per artus
e
siamo
umoristico, di questa
preesistenza e la ridicola,
dice
il
fateare necesscst
fìt,
tcmto opere amittit vitam
d)
sensumque priorem.
argomentazioni
— non
metempsicosi poeta,
che ad ogni lì
lottino e
llb
oltremodo
non
e'
è fra le
e,
in
membra mor-
aspettino
che chi prima arriva a volo entri per
nessuna
contro la
accoppiamento e ad
gareggino a chi prima e
riesca a penetrare ? Se pure
ci sia fra loro
è cosa
sapore
di
pronte delle anime,
numero innumerevole, immortali e
chiusa,
alla
così
serie di
ogni parto di animali stiano
tali,
vis ?
fortis el^ui
tenero tenerascere eorpore ìnentem
iìi
confugient, quod si iavi
mortalem
sapienti
puer ullus,
sit
tam doctus equae pullus quam
scilicet,
765
e
di preferenza
anime
patto
il
prima e cosi non
lotta violenta (vv.
774-781)
:
Denique conubia ad Veneris partusque ferarum animas praesto deridieulum esse videtur, expeetare immortalis niortalia membra innumero numero, ceriareque praeproperanter
esse
cendo esporre
dall'
anche dire d'essere « cielo »). Perciò
Omero la dottrina di divenuta un pavone (« pavone
anima
di
credo
prettamente
pitagorica, e
Pitagora, »
qui
non
lo
fa
significa
stoica, la
dottrina della metempsicosi che svolge Virgilio nel sesto dell'Eneide.
—
prima potissimaque insinuetur
inter se quae si
non
—
86
animarum
forte ita sunt
;
foedera pacta,
ut, quae prima volans advenerit, insinuetur prima, neque inter se contendant virihus hilum.
780
6.
Qui terminano
accenni che Lucrezio fa alle cre-
gli
denze e dottrine pitagoriche
ma
:
poiché subito dopo,
quella parte di questo stesso terzo canto in cui
dimo-
si
stra la vanità del timore della morte, è formulata tesi della
resurrezione delia medesima anima
in
l'
ipo-
mede-
nel
simo corpo, e tale ipotesi -è stata da qualcuno identificata
con V analoga dottrina pitagorico-stoica della palingenesi,
dobbiamo esaminare anche questo passo.
dunque
Continuata e compiuta mortalità dell'anima,
conseguenza che 829).
la
il
poeta ne trae
morte non
Come non abbiamo
ci
chè una la
(e
mo
così
esisteva),
volta
(perchè
avvenuto
distacco
il
di
fra
non sentiremo più
infatti,
sembra,
si
828-
anima nostra
il
morti,
per-
corpo ed anima
questa) noi, che esistia-
solo per l'intima unione di entrambi,
come
l'
non sentiremo nulla dopo
questo punto conclusivo
(v.
sentito niente di ciò che è acca-
conseguente dissoluzione
e quindi
della
subito la legittima
riguarda per nulla
duto prima della nostra nascita
non
dimostrazione
la
(vv.
non esisteremo
830-840).
E
giunto a
poeta avrebbe potuto fermarsi,
fermò
una prima redazione
in
del poema, nella quale seguivano a questa dimostrazione i
versi 860-867
Senonchè
che la rincalzano.
tornandovi sopra fece
un'aggiunta in cui è formulata
suddetta ipotesi, che dobbiamo appunto esaminare
(1)
Accetto
senz' altro
le
conclusioni del Giussani,
terpretazione dei vv. 860-867, sto interessante brano. tata, voi. Ili, pp.
tardi,
piti
sì
Rimando
106-107.
per
la
perciò
composizione il
sì
(1).
per
di tutto
lettore all'opera
la
l'
in-
que-
già ci-
— Poiché
la separazione,
avvenuta
anche in
tal
dopo
che se pura,
anzitutto
essa è detto
in
—
87
l'aDima avesse facoltà
di sentire,
non riguarderebbe punto noi, quanto anima e corpo sono stretti in
caso la cosa
che siamo solo in
un'esistenza unica (vv. 841-844).
La
quale ipotesi peraltro (che
bene da
dal corpo) s'intende
che
tutto quel
staccata
poeta ha
il
perchè fuori del corpo l'anima neppure
sibile (1),
consistendo la morte, per
rompersi
nel
lui,
del
esiste,
legame
ed anima e nell'immediato dissiparsi degli ato-
tra corpo
appena rimasta priva del suo coibente.
di questa,
Ma
senta
non era assolutamente ammis-
detto precedentemente, che
mi
anima
1'
però
vi era
un'altra
ipotesi, la
quale
per di più
poteva apparire ad alcuno non del tutto in contrasto
come
la
cioè di
precedente
un
possibile
—
con
la dottrina
morte non
ci
della coscienza
Anche
tesi
appunto
questo
(1) Il
modo
il
riguarderebbe personale fra
;
in -questo caso però
affatto
le
per
l'
due esistenze.
interruzione
E
tale ipo-
poeta svolge nei versi 845 e seguenti, in
:
Giussani ha creduto invece di poter sostenere che l'ipotesi,
per quanto strana, non è però in contraddizione assoluta stratto
l'ipotesi
materialmente identico del
ricrearsi
nostro essere, anima e corpo. la
epicurea
—
—
con
la teoria
sembrano buone,
epicurea.
Ora a me
e perciò credo piuttosto
formulata un' ipotesi che è interamente
le
sue
—
ragioni
che qui Lucrezio
al di fuori
della
in a-
non abbia
dottrina
come poteva infatti pensare che una qualsiasi persistenza del sentire dell' anima fosse possibile, dopo il distacco dal corpo, se per lui l'anima non poteva assolutamente esistere fuori del corpo che la tiene unita ? Perchè dunque Lucrezio ha formulata l'inverosimile ipotesi ? Forse unicamente come ipotesi di transizione alla successiva; se pure non si tratta qui di un'argomentazione per absurdum. d'
Epicuro
:
—
—
88
materiem nostram collegerit aetas rursumque redegerit ut sita nunc est, atque iterum nobis fuerint data lumina vitac, pertineat quiequam tamen ad nos id quoque factum,
845
iVec, si
post ohitum
interrupta semel cum,
850
et
nune
nil
sit repetentia
ad nos de nobis
qui fuimus, neque iain de
nam cum
nostri;
ante
attinet,
nos adficit angor,
illis
immensi temporis omne
respicias
praeteritum spatium,, tum. motus m,ateriai
multimodis quam sint, facile hoc adcredere possis, semina saepe in eodem, ut nunc sunt, ordine posta haee eadem, quibus e nunc nos sumus, ante fuisse : nee m,emori tamen id quimus reprehendere mente :
855
inter
enim
iectast vitai
pausa, vageque
deerrarunt passim m,otus ab sensibus omnes.
Ora a prima vista
questa
.
apparire
dove
pur cenno della interruzione della coscienza. Tanto
fa
che
potrebbe
formulata nei versi 668-676,
identica a quella già si
ipotesi
è voluto da alcuno vedere in questi versi un'allu-
si
sione alla dottrina dei Genetliaci, nello spazio di
440 anni
il
quali credevano
i
medesimo corpo
sima anima rivivessero insieme
(1) e ciò
e la
che
mede-
dipendentemente
dalla dottrina della palingenesi universale che era propria
dei
Pitagorici e degli
punto
tratta
di questo,
parla del rinascere della
poiché
anima
neir altro però qui
nalità),
zio,
XXII,
si
in
e dell'identico corpo
si
non
si
versi
si
nuovi corpi,
parla del ricongiungersi (nell'
anima non ha mai perduto
invece
qui
mentre in quei
considera
primo a pensar questo è stato Munro, il quale cita il passo di
(1) Il il
1'
in verità
medesima anima
e nella dottrina dei Genetliaci dell'identica
Ma
Stoici.
il
caso di
l'editore S.
la
un caso
e
sua perso-
una duplice
inglese di Lucre-
Agostino {De
28) che ho già riportato al principio del Gap. III.
civ.
Dei
—
—
89
creazione ex novo per accozzamento
degli
atomi,
stessi
un iden-
considera la possibilità della rinascita d'
cioè
si
tico
aggregato atomico corporeo-psichico nel rispetto della
teoria epicurea.
Che poi
un'altra quistione (1);
mula r 7.
ma
legittimo e logico è
fosse
ciò
sta di fatto
che Lucrezio
armonia delle
ge col corpo,
smo umano
ma
funzioni organiche
che essa nasce e
2*)
ma
(teoria
di
distrug-
si
ha una propria ubicazione nell'organielementi (moto,
(nel petto) e risulta di quattro
caldo, freddo, sostanza atomica sensoriale)
che essa sopravvive
donde può
opi-
so,
che essa non esiste a
1*)
Aristosseno e Dicearco);
3*)
diverse
nostro poeta accenna a quattro
il
risulta dall'
uscire
per
epicu-
(teoria
corpo e scende nell'Ade,
al
apparire
agli
uomini
popolare); 4^) che essa,
non
è preesistita ad esso e
può incarnarsi più
mo mo
abbiamo ve-
Cosicché, per riassumere e concludere,
nioni intorno all'anima:
rea);
Epicuro.
ipotesi secondo la logica del sistema di
duto che
for-
(credenza
solo sopravvive al corpo, volte.
E
ma
abbia-
veduto come quest'ultima dottrina, della quale abbiafatto
modi
particolare
esame,
diversi: a) l'anima
teplici esistenze,
fu
intesa e interpretata
in
immortale passa attraverso mol-
cambiando specie animale
(teoria egiziana);
l'anima immortale passa attraverso molteplici esistenze,
h)
ma
entro
i
limiti della propria
specie e conservando
la
propria identità personale (teoria pitagorica-platonica-stoica); e)
l'anima può bensì rinascere, magari nell'identico corpo.
(1)
L'ha posta con
gina 105-106).
Ma
molta
sottigliezza
il
Giussani
{op.
cit.
pa-
veda anche quello che osserva in prop9SÌto il Pascal nel suo scritto « Morte e resurrezione in Luerexio » pubsi
blicata nella Riv. di Filologia classica dell'ottobre 1904 e ristam-
pato nel volume Oraecia capta, pag. 67 e seguenti.
90 senza però conservare la propria identità personale tesi
epicurea-lucreziana).
(1)
La
teoria b poi alla sua volta fu diversamente
pata, poiché vi era
bensì reincarnarsi,
che
si
ma
che
sosteneva
chi
in corpi
medesimo
reincarnasse nel
quale non pur
la
l'
anima
vano soggetti a periodici ritorni verso
si
distruggeva e
si
l'
svilup-
anima
potesse
sempre nuovi; chi invece corpo, e ciò
nenza a una dottrina più generale, condo
(ipo-
e
anzi
atti-
universale,
corpo
il
in
alla vita,
umano
ma
se-
anda-
tutto l'uni-
perfettamente identico
ricreava
stoici e genetliaci).
(pitagorici,
Con questa teoria però non veniva distrutta la credenza nell'Ade o Averne come luogo di espiazione, poiché, se anche l'anima riviveva, scendeva all' Ade un suo doppio (eidolon, simulacrum) che poteva anche riuscirne (e verosimilmente
distruggeva nell'atto che l'anima tornava
si
a nuova vita terrena) (Ennio).
Quanto
teoria
alla
abbiamo
pitagorica in particolare,
veduto che Lucrezio ne parla, in sostanza, in due luoghi: 1**)
nel proemio del primo libro (vv. 112-126)
nella
2")
;
confutazione dell'ipotesi della preesistenza dell'anima nel terzo libro (vv. 668-676, 720-738, 739-757, 758-766, 774-
non debbono ritenersi menti a Pitagora né il cenno alla 781); e che
armonia
come
(e.
Ili,
vv.
(1) Ipotesi la credo, e
mento per
la
845-859
lui capitale della
tale,
potuto pensare ad
mo
corpo.
una eventuale
dell'
anima-
della
rinascita,
di
Epicuro
;
che,
per potere opporre
interruzione della
coloro che, dal punto di vista della sua
riferi-
dello stesso libro.
non vera teoria
formula come
come
dottrina
98-135) né l'ipotesi
è formulata nei vv.
stanza, Lucrezio
affatto
stessa
rinascita
dell'
in sol'
argo-
coscienza
anche a
dottrina,
avessero
anima
col medesi-
II.
Frammenti
della dottrina di Pitagora desunti dalle opere di
Marco Terenzio Varrone.
M. Terenzio Varrone
1.
—
:
suoi
sua conoscenza
scritti pitagorici e
Frammenti della dottrina di Pitagora desunti dalle opere di Varrone: a) La leoria dei numeri e sue applicazioni. 6) Pitagora e i due fabbri, e) La teoria degli accordi musicali, d) La stessa applicata al corso dei pianeti: l'armonia delle sfere e del mondo, e) Sua curiosa estensione al decorso del puerperio, f) I numeri e la musica in relazione con le pratiche del Pitagorismo.
della vita.
—
3.
Altri accenni alla dottrina pitagorica:
aspetti delle cose e
divieto di
2.
mangiar
i
quattro elementi
fave.
~
4.
magia
;
Varrone
;
i
quattro
metempsicosi; scrittori
e gli altri
il
del
primo secolo av. Cristo.
1.
—
mo con ne
Veri e propri
trattati d' indole
certezza che compose
di Rieti,
il
pitagorica sappia-
Marco Terenzio Varro-
quale, nato nel 116 av. Cr.
,
morì
quasi
nonagenario nel 27. Eruditissimo in ogni campo del sapere, fu, appunto per questo, incaricato da Giulio Cesare di
mettere insieme ed ordinare in
blioteca, specialmente gli
diede agio
sue conoscenze
di
Roma una grande
opere latine e greche
di allargare e
enciclopediche,
;
approfondire ancor delle
quali
si
bi-
ciò che
più
le
valse per
— comporre innumerevoli
profane della lasciato
trattando dei più svariati
opere,
argomenti, occupandosi gliendo con cura
-
92
d'
ogni genere di ricerche, racco-
particolare
tutte
Quintiliano, un' opera
scritto
{praecepta sapientiae versibus prodigiosa attività e
di lui
di
tradidit)
messe
—
non meno
di
74 opere in 620
stano purtroppo che
scarsi avanzi
di opere
ricordano
si
— non
libri
ci re-
poco più di nove
(
ha sua
Della
(1).
una ricchissima
ci
in versi
filosofica
storiche, filosofiche, scientifiche
letterarie,
che
e dettando pure^ a quel
patria,
sacre e
tradizioni
le
li-
numerose citazioni, massime dei Santi Padri, che da Varrone attinsero largamente notizie d' ogni sorta. Sì che siamo quasi all'oscuro sul contenuto della maggior bri
)
e
parte dei suoi
appena
libri, e
toli
di alcuni,
largamente
numeri gine
contenevano
con miscela
filosofico
discussioni
nei quali
si
doveva :
(Atticus sive de nunieris)
{Tubero
seii
sono
samente ci
r
ma
il
ti-
meno
il
dell' ori-
Gallo o
libro de sae-
il
quale ne fosse
contenuto non sappiamo. Così,
i
Attico o dei
humana)
de origine
altro de philosophia;
1'
Tuberone o
il
delle meraviglie {Gallus de admiraìidis),
culis e
più o
trattare
tali
argomento
di
conosciamo
di notizie storiche,
di filosofia pitagorica
umana
appena
dei quali ci resta
di molti
Così dei suoi famosi Logistorici^ che era-
titolo.
il
no in 76
scritti,
d' altra
preciparte,
è rimasta notizia d' un' opera in nove libri intorno ai
principii dei
numeri
messa accanto (1)
sìiV
Attico già
intorno a Varrone
sur la
vie et les
(de principiis
si
ouvrages de
band I Heft, Leipzig, 1898.
la quale,
citato e alla testimonianza
veda l'opera
rerum divinarum pubblicati dall' Agahd nei JahrhUcher f.
numerorum),
Varron. nel 47 av. class.
di
Gaston Boissier, Etude
Per Cr.
i
libri si
Antiquitatum
consulti lo studio
Philologie^ 24*©^ Supplement-
—
—
93
che riferisce come Varrone
di Gellio (Notti Attiche 3,10), trattò in
maniera oltremodo
compiuta del numero
sette-
Varrò de numero septenario scripsit admodum conquisite)^ prova che il grande reatino dovette conoscere nario
(
profondamente
la teoria pitagorica
trina fondamentale dei
—
2.
numeri
È veramente un
resti quasi nulla,
e specialmente la dot-
(1).
che
peccato
giacché da esse,
di
avremmo
trarre molta luce a chiarimento di questa
che era
il
opere non
tali
forse potuto
famosa dottrina,
pernio della speculazione metafisica e simbolica
Pitagora. Qualche passo tuttavia che ce ne è rimasto,
di
vale a dimostrarci che larghe e geniali applicazioni potè
avere per opera del Maestro e dei suoi seguaci stessa,
nel
campo a)
rici
fu feconda
che
la teoria
di eccellenti e mirabili
scoperte
delle scienze sperimentali.
Poiché
non furono
tà dei numeri,
le
investigazioni matematiche
dei
Pitago-
soltanto rivolte alla ricerca delle proprie-
ma
anche fuori dei campi
e della geometria, trovarono le più
applicazioni nel vasto e infinito
nuove
campo
dell'
e
aritmetica piìi
larghe
dei fenomeni na-
turali.
Una
delle
prime
e
forse la più importante scoperta di
Pitagora fu dovuta a una in ogni tempo, sono state
di il
quelle felici intuizioni che, privilegio del genio; intendo
parlare della determinazione matematica degli accordi, che poi dalla musica, applicata a particolari fatti della natura,
Kathgeber {Orossgriechenland unti Pythagoras^ Gotha « Dem M. Terentius Varrò aus Reato, der scrisse aufgeklàrt iiber Pyihagoras war, bot sein Werk hobdomades Gele(1)
Già
il
1855, p. 423)
genheit zur
:
Erwàhnung dar
».
94 portò a molte
guardano
curiose
osservazioni
due diverse
le
settimino), e, applicata
armonia delle
dell'
come
un
di
all'
astronomia,
per
giorno
al
lasciò sfuggire
i
suoni
ne
Credendo che
più
erano
e si accorge
:
Allora volse esattezza
i
che
tutta la
due pesi e
martelli più o
meno
dei mar-
solo accordo.
un fenomeno, intorno
lavorava col
da
pensiero, e
per chiarirlo. Avvicipresso
il
loro lavoro e
prodotti dai colpi
diversa forza degli operai, fa che essi telli
un
diversità di tono
la loro
incudine,
così giustamente
nasceva
occasione
1'
osserva
che
l'
che, entrando ritmicamente nel
dell' altro,
natosi ai fabbri,
sopra
uno rispondevano
così la sensazione materiale di
si
nota
degl'intenditori. Pas-
ferro
quale già da qualche tempo
non
era
di lui,
cadenzati e armonici
suo cervello, di vari colpi
Ebbe
prima
accanìo a due fabbri che
istrada
dai suoni
quelli acuti dell'
a quelli gravi
universo
matematica degli ac-
determinazione,
semplicemente all'orecchio
egli fu colpito :
dell'
armonico (kósmos).
martellavano alternatamente un
telli
portò alla teorica
caso che fece volgere la mente speculativa
cordi musicali, la cui
sando un
ri-
termine e
(a
sfere e alla concezione
di Pitagora alla ricerca della teoria
affidata
che
quelle
parto
di
tutto perfettamente
Fu un
h)
specie
come
invece essa
sua
ciascuno.
di
dipendesse dalla
scambino
si
dipende
i
mar-
da questi.
con
attenzione a determinare
la loro differenza,
pesanti di quei due;
poi fece fare altri
ma
dai loro colpi
nascevano suoni diversi da quei primi e per
di
più non
intonati. e)
In
tal
modo
capì che l'accordo dei suoni doveva
nascere da un determinato rapporto matematico dei pesi,
che cercò subito
di calcolare; trovati
meri che corrispondevano
che ebbe
ai pesi dai quali
tutti
i
nu-
nascevano suo-
—
—
95
ni intonati, passò dai martelli alle corde musicali: prese
alcune budello di pecora o nervi di bue di eguale gros-
tendere per mezzo di pesi
facendole
sezza e lunghezza,
proporzionati a quelli di cui aveva fatto
terminato
mezzo
rapporto coi martelli
il
non
della percussione,
ma
solo trovò che le corde tese
corde
dalle
xeaaàptóv o
2:4
e di
èrul
xpiTov o supe?^ tertium), di 2
Per averne
(5tà Traawv).
3:4
:
il
primo, poniamo, lungo 6
terzo 9 e
due
il
quarto 12
ma
che
trovò
primo e
il
accordo diatessdron (6 accordo diapènte
(6
accordo diapason riuscì molto
(
:
6
:
:
8 =: 3
12
genialmente
:
^=i
alla
:
4);
3)
e
modo: ne
primo e
il
il
quale
il
lampada
scoperta non è molto Galilei,
il
secondo 8
e
il
terzo in
quarto in
il
modo
egli
determinazione matematica
perfezionare la teoria della musica. alla
lunghezza
In tal
(1).
degli accordi, ciò che permise in seguito
dusse
di
sonare a due a
primo
il
2:4)
5tà
armonizzavano in
secondo
il
=2
9
pollici,
poi facendoli
;
(
poi un'altra riprova,
fece preparare quattro di calibro uguale, il
sola
3 (5tà Tcévxe)
ripetè r esperienza con alcuni flauti, in questo
diversa,
una
precisamente
stavano in rapporto di
cui pesi
i
vibrare di
al
suoni armonici
ottenne altresì
e de-
risuonare per
fattele
;
da pesi uguali vibravano all'unisono di esse,
computo
il
E
il
di
estendere e
caso che lo con-
dissimile da quello per
dall'osservazione dei movimenti d'una
in chiesa, fu
tratto a investigare e scoprire
le
leggi della oscillazione del pendolo^ o da quello in virtù del quale
Newton,
scoprire le leggi
(1)
Vedasi
cROBio,
la
della
narrazione,
gravitazione
desunta da
Gomm. ad Somnium
die natali 10,7.
un pomo,
arrivò a
universale.
Tanto è
per la caduta di
varroniani, in
scritti
Scipionis,
II,
1,
Ma-
9 e Censorino, de
96 vero che
genio in ogni tempo e in ogni luogo sa trarre
il
partito dalle cose e dai fatti più semplici d)
E una
volta messosi su questa via,
non
serie di investigazioni
mente
fonda
fabbri all'incudine arrivò
ma
r universo
!
a scoprire
Poiché
armonia
applicando
e la
della vita e degli eventi
un moto
umani
due
e di tutto
calcoli al corso e
vaganti fra
era regolato
lui,
dì
pro-
dell'armonia
dei cieli
suoi
i
secondo
quali,
leggi
alle
alle distanze degli astri e dei pianeti
terra — dai
quella
dall'osservazione
non pure 1'
che mirabile
seppe escogitare
speculativa, che,
musicale,
!
— trovò che
essi
il
il
cielo
corso
avevano
euritmico, e intervalli coi rispondenti ai
toni, e
suoni, proporzionatamente alla loro tonalità, in tale accor-
da formare una dolcissima armonia, non però perce-
do,
da orecchio umano, per
pibile
la
sua forza che supera
la
facoltà del nostro udito.
Calcolate infatti le distanze dalla Terra a ciascun pia-
neta in stadi alla
Luna
ci
italici
di
625
che dalla Terra
piedi, trovò
sono circa 126000 stadi
;
e questo
sentava per lui r intervallo di un tono; dalla
Luna
rapprea
Mer-
curio (Stilbon) calcolò
una distanza uguale
un semitono;
Venere, altrettanto; da Venere fino
al
di qui a
Sole, tre volte tanto,
Sole quindi distava,
mezzo, formando dalla
Luna due
come a
secondo
così
toni e
dire
lui,
alla metà, ossia
un tono
dalla
e mezzo. Il
Terra tre toni e
un accordo diapente e mezzo, formando un accordo diatescon
essa
sdron. Dal Sole poi a Marte (Pyrois)
stimava
esserci
e-
guale distanza che dalla Terra alla Luna, ossia un tono; di qui
a Giove (Phaeton), la metà, ossia un semitono; da
Giove a Saturno, altrettanto, cioè ancora un semitono; qui finalmente al cielo delle stelle
mezzo tono
;
e
però
fisse, press'
da questo cielo
al
Sole
di
a poco un
poneva un
FIRMAMENTO 3
Q.
o o H
Saturno
Orbita di
II»
•e
K>
Giove
Orbita di
•d
•e
Wi
Mabte
Orbita di
e> o 8
»3 ti
SOLE
Orbita del
O-
•0
>
3
u
Q.
e
•«
O o
tt)
•0
u Orbita di
e
Vbnehe •0 cs Wi i)
d>
Mercurio
Orbita di
^
e-
Orbita della
©
LUNA
1
TJSKBà, 7.
— un
—
due toni e mezzo),
intervallo diatessdron (di cielo alla Terra
98
dallo stesso
e
diapason
intervallo in accordo
(di sei
toni) (1).
Per queste osservazioni
e)
che Pitagora dovesse convincersi che
fortuito,
e
ma
tumultuario,
di
universo tutto
nell'
numero, ossia che nulla
è regolato dal
ben naturale
e scoperte è
vi
è di casuale, di
tutto procede da leggi divine
da una determinata e determinabile proporzione
Sic-
(2).
'
ché dalla musica e
decórso del
della regolarità
Orbene,
turali.
astronomia passando, per esempio,
trov^ava nel
alla tisiologia,
una riprova
dall'
la curiosa
della dottrina dei
numeri
puerperio ancora
matematica dei fenomeni na-
applicazione
che Pitagora fece
più complesso e meraviglioso
al
dei processi fisiologici, cioè alla generazione, era
appunto
spiegata in una delle opere varroniane su ricordate (Tu-
bero seu de origine humana).
Queir acuto e profondo osservatore diato accuratamente
avendo
stu-
decorso delle due diverse specie di
il
parto, l'uno di sette
infatti
(settimino) e
Y
mesi
dieci
di
altro
lunari (a termine) che avvengono
rispettivamente 210 e
274 giorni
avendo
dopo
la concezione,
numeri corrispondenti due
parti,
seme
in sangue,
ma umana col
numero
ma
che
tro, cali.
compiono
si
si
i
ai i
e
giorni nei quali, per
ognuno
dei
—
del
mutamenti più importanti
che
il
parto settimino è in rapporto
6 e quello a termine col
numero
suddetti, tanto nell'
trovano nello stesso rapporto
Ed
i.
del sangue in carne, della carne in for-
— trovò
nùmeri
determinato
7;
non
uno quanto degli
solo,
nell'al-
accordi musi-
ecco in qual modo.
(1)
Censorino, de die natali, cap. 13.
(2)
Maorobio,
Oomm.
in
Somnium
Soip. Il,
U,
7 e 4,
14.
— Nel parto
sette mesi, per
di
V umore
fecondazione,
aspetto lattiginoso
sanguigno.
—
99
i
primi sei giorni dopo la
che è contenuto
nei successivi otto giorni è di aspetto
;
rapporto fra 6 e 8
Il
utero è di
nell'
come abbiamo veduto
è,
più volte, quello precisamente che forma accordo diatessd-
ron (6:8
= 3:4).
comincia
in cui
in carne
e
:
(6:9
= 2:
tiene
il
forma
trasformazione
la
il
formato
già
il
diapason
accordo
mero
i
quali
rapporto (6
12
:
14,
calcolo era basato sui
seme
in sei, e la
40 giorni
umore
in
che
quaranta settimane giorno giorni,
dell'ultima
poiché
il
settimana,
no veramente due numeri speciale importanza al
così
pari,
numero
in virtii delle sue molteplici
Macrobio,
Bmol. Vili,
75.
(1)
:
nu-
il
ossia
ragiona-
9 1/3, 10 1/2,
7,
frazione; 40 si
ha 274.
mutamento
iL
giorni anziché
già avvenuta
dopo
danno 280, cioè parto avviene nel primo
onde ne restano 274. Tanto
regolato da esso
Questi
moltiplicati per 7
ma
;
2).
analogo
numeri
corpo è
del
con 6
della gestazione,
dieci mesi
di
12
appunto
latteo avviene in sette
formazione
interi,
:
dà 280, da cui detraendo 6
Vale a dire che nel parto
(1)
1
.^r:
che sommati insieme danno 40 e una
moltiplicato per 7
del
di
ot-
si
insieme formano 35
210. Nel parto a termine invece, con il
seguenti
per 6 danno
moltiplicati
totale dei giorni, di durata
mento,
umore sanguigno
giorni
quattro numeri 6, 8, 9, 12 sommati giorni,
giorni,
secondo accordo diapènte
e
:
hanno 9
si
dell'
finalmente nei 12
3);
terzo
il
stadio
terzo
9 col 6 forma
il
corpo
Nel
ciò
Saturnal.
I,
bisogna il
detrarre sei
210 che
il
274
laddove Pitagora
dispari, tanto
osservazioni
dava
da ritenere
—
so-
—
che tutto è
non pertanto, osserva Censorino
13,
5
;
Solino, I, 39
;
Servio,
ad
— che riporta tutto questo
100
— non era i due dispari non si compie ne il
passo Yarroniano,
egli
qui in contraddizione con se stesso, perchè
273 sono bensì compiuti, ma 210^ né il 274" giorno in cui il parto avviene; in conformità precisamente di quanto ha fatto la natura sia riguardo alla durata dell' anno (365 giorni più una frazione)
209
e
che a quella del mese (29 giorni più una frazione) ;Non è trinseco
anche
il
e
se
caso di entrare
qui in
merito
alla veracità
siffatte
osservazioni.
errori
vi
di
sono,
bisogna
(1).
al valore in-
Poiché
naturalmente
tener
conto da un lato della diversità dei mezzi d'indagine e di
esperimento da oggi a ventisei secoli or sono, e pensare dall' altro
che molte delle applicazioni della teoria dei nu-
meri non dovettero neppure essere tagora,
ma
il
l'
opera diretta di Pi-
prodotto delle speculazioni dei suoi seguaci.
In ogni modo però risulta chiaro dal duto sin qui che
trovavano la loro base e servazione scientifica dei di
della metafisica,
f)
Se
non
ma
d'
essere nell' os-
naturali;
sì
che fu indub-
Pitagora e dei suoi discepoli quello di
aver dato un nuovo impulso alla scienza; dei tempi,
è ve-
ragion
la loro fatti
si
non rimanevano
speculazióni stesse
le
campate nell'aria e nelle nebulosità
biamente merito
poco che
e, fatta
ragione
fu merito piccolo.
la teoria dei
numeri trovava
così
mirabili
ri-
scontri nella natura e nei suoi fenomeni, è ben naturale
che
ad essa dovesse
degli uomini, steri
almeno
e alle profonde
pure
conformarsi
di quelli
verità del
che
si
la
iniziavano ai mi-
Pitagorismo. Ond'
esempio, che un'altra testimonianza varroniana
(l)
pratica
vita
Censorino, de die natali 9 e 11. Si confronti
passo di Gellio, Notti attiche, III, 10,
7.
ci
con
é,
per
ricorda
questo
il
detti i
numeri
tenevano conto
X
(216i=r 6
X
6
Ora questo
uno
è
verità se noi
gionevole, ciò il
tenuti
216
piìi di tre
così
righe
badano versi
volte tanto!
(1).
particolari che, presi a se,
di quei
fianco al riso e alla satira;
il
i
scrivere
nello
scrupolosamente volta
sola
non mai
6) e
prestano facilmente
tutto
una
comporre in
di
punto che persino
cubici, ai
Pitagorici ne
do
erano
considerazione in cui
particolare
la
101 -^
ma
in
non possiamo spiegarci la cosa in modo rapuò dipendere dal fatto che non conosciamo
complesso della dottrina e della vita
pitagorica
;
poiché è ben possibile che pratiche di questo genere rien-
amor
trassero nell' ambito del sistema per puro
ne e doll'euritmia,
anche
certa regola della
vita
;
al solo
se pure
gli
scopo di far
si
sottostare a
una
minimi e più insignificanti
atti
non
dell' ordi-
tratta,
qui e in
altri casi,
di
seguaci o di degenerazioni dei primitivi
esagerazioni dei
insegnamenti del Maestro.
Ma
senza soffermarci troppo su cosiffatte quisquilie, è
ben noto
d'altra parte
quanta parte avesse Pitagora, e
come
— ed è
musica nel
la
egli
ancora Varrone che parla
medesimo
se
sistema
ne
—
educativo di
dilettasse al punto,
che ogni sera prima di addormentarsi e ogni mattina
al
suo svegliarsi cantava, accompagnandosi con la cetra, per
meglio disporre
3.
—
1'
animo
Oltre a queste
indagini già fatte da
ai
suoi pensieri divini
notizie,
altri
(3),
che
io,
(2).
valendomi delle
ho cercato
di
esporre
si-
De arehiteetura V pr. p. 104, 1. Censorino, de die natali 12, 4. (2) Si veda nell' opuscolo di A. Schmekel, De Ovidiana Pytha(3) goreae doctrinae adumbratione (Giyphiswadensiae, MDCCCLXXXV) (1) ViTRirvio,
l'appendice a pagina 76 «
menta continens
».
Varronis Pythagoreae doctrinae frag-
stematicamente raggruppandole intorno numeri, altre se ne trovavano
dottrina dei
alla
opere
nelle
Yarrone,
di
intorno alla vita di Pitagora, intorno alla sua scuola e
ai
suoi seguaci e intorno ai principii del suo sistema.
Così Yarrone poneva di
Tarquinio Prisco
Anch'egli
Numa
primo
pere, e ricordandone
il
futuro
;
1'
come
ac-
cioè
filosofo,
maestro
di
amante del
sa-
il
Ferecide
faceva risalire
uso di pratiche magiche per indovinare
Calabria
nella
un
conservato
non
merito
Pitagora
a
pure accennava altrove
Turio (Sibari)
tempo
al
fosse stato suo scolaro a
attribuiva
essersi chiamato per
già a questo
Pitagora
e quindi implicitamente
(1)
cettava la tradizione che
Crotone.
esistenza di
1'
romano, esprimeva
Sant' Agostino ci ha
ammirazione
sua
la
cosa che Pitagora insegnava fossero perfetti, sapienti e
sua andata a
alla
quale Yarrone,
passo nel
altro
E
(2).
ai suoi
felici,
il
da vero
perchè
discepoli,
1'
ultima
quando già
era quella del governare
la cosa pubblica (3).
Appartiene
gua
latina
insegnava
un brano «
quinto
al libro
in cui
due essere
bene
i
dell'
e male,
«
notte.
«
e
«
si
«
vi è nel
«
che quasi tutte
«
poiché ne paò mai esservi stato
moto;
muove, spazio;
(1) S.
vita
quindi parimenti due ciò che sta il
fermo o
quando
movimento, azione; le
come
principii d' ogni cosa,
nito
E
alla lin-
Yarrone afferma che Pitagora
«
e infinito,
opera intorno
i
modi
di
essere
muove, tempo
e avvenire
cose siano
giorno e
muove, corpo;
si si
e morte,
;
:
il
stato
dove
ciò che
appunto perciò
quadripartite ed
tempo
fi-
se
eterne,
non prece-
Agostino, de civitate dei XYIII, 25.
(2) Ibidem, XYIII, 37 e YIII, 4; Tertulliano, dean. 28; Apol. 46. (3) S. ìlggstino, de ordine II, 20, 54.
:
— «
duto da moto,
«
un moto
«
corpo, perchè
r
altro
«
e'
è
«
e corpo,
<^
e
(lo
l'
—
—
l'uno
spazio)
tempo è appunto
se
altro
il
(il
corpo)
è
ciò
pili
le
due coppie
e azione »
si
muove
e
di principii
Altrove
(1).
spazio
:
ricorda Var-
ci
assunto
di Pitagora,
tardi da Aristotile, quello cioè che l'esistenza de-
anche
animali e però
gli
che
dove; né può mancare l'azione dove
rone un altro pensiero fondamentale poi
intervallo fra
l'
moto senza spazio e senza
né
;
movimento; onde
tempo
—
108
principio nel tempo,
non ha mai avuto
dell'uomo
parimenti faceva risalire a
sempre
sono
perchè
quella
lui
esistiti
teoria
(2).
E
dei quattro
elementi (terra, acqua, aria ed etere o fuoco) che comu-
nemente
si
genti, vissuto
un
secolo dopo
(3).
accenno
nelle opere varroniane qualche
Yabro, de Lingua Latina, Y, 11
(1)
omnium rerum m,otus
et
quod
status
et
locus;
dum. agitatur,
ut ideo fere
fit^
que
:
mortem.,
omnia
diem
stat aut
et
infinitum^
noctem.
et
agitatur,
quod
tempus;
alla teoria pita-
Pythagoras Samius ait
«
:
initia esse hina^ ut finitum
malum^ vitam
et
Empedocle di GirNon mancava neppure
suole invece attribuire ad
est
corpus
;
uhi
agitatur
in agitatu, aetio; quare
sint quadripartita et ea aeterna,
unquam tempus quin
fuerit
honum
Quare item duo,
quod nc-
motus, eius enim intervallum
quod alter um est quod moveiur, alterum uhi; ncque uhi agitatur, non actio ihi; igitur initiorutn quadrigae : locus et corpus, tempus et actio ».
tempus; ncque motus ubi non locus
(2)
Vaerò, de re rustica,
1,
3
:
«
et
corpus,
Sive
enim aliquod
fuit prin-
cipium generandi animalium, ut putavii Thales Milesius et Zeno Gittieus ; sive cantra principium horum exstitit nullum, ut credidii Pythagoras Samius et Aristoteles Stagirites\ necesse est humanae vitae a summa memoria gradatine descendisse » Cfr. Cen.
SORINO, de die natali, IV, 3. (3)
ViTRUVio,
de
architectitra,
V, 1
;
Servio,
ad Aeneid.
724; ad Geòrgie IV, 2l9; Ovidio, Metamorfosi, XV,
E
cfr.
Diogene Laerzio, VIII, 25.
VI,
237 e seg.
—
104
—
gorica deir eternità dell' anima (1) e alla sua dottrina della
metempsicosi
no
anteriori, essendo
sue vite
le
a conferma della quale ricordava persi-
(2),
Etalide, poi Euforbo, poi
Ermotimo
(3).
un
prima
stato
pescatore Pirro e finalmente
il
Altrove ancora Yarrone accennava
come
antichità,
alle pra-
del resto erano larga-
tiche di evocazioni dei morti, che
mente usate neir
certo
dimostra, fra
altre, la
le
rappresentazione di una scena di necromanzia dipinta in
un monumento cretese, scoperto da poco, che risale ai tempo pre-omerico (1500-1400 av. Cr.) della così detta civiltà
È
micenea o minoica
mancò
giar fave,
connesso
e con la
concezione
mortale
(1)
(2)
famoso
di parlare del
con
divieto
non
pitagorico di
man-
nella metempsicosi
credenza
la
Pitagora ebbe della vita post-
che
(5).
Symmaghus, Ep. I, 4. Vabro, Sat. Menipp.^
ed.
B
framm. 127
121, 26); Tertulliano, de mi. 27 e 34;
p.
Varrone
superfluo dire che
quasi
finalmente
(4).
ad
(= Nonio nat.
I,
Marcello,
19; S.
Ago-
stino, de cìv. dei 18, 45; Scholia in Lucan. p. 289, 11 e 304, 13.
(3) Tertulliano, de an. 28, 31 e
34; Sant'A&ostino, Trinit. XII,
24.
Sant'Agostino, de civ. dei VII, 35 « Quod genus divinatiòidem Varrò e Persis dicit allatum, quo et ipsum Numam, et postea Pythagoram philosophum usum fuisse commemorai ubi adhihito sanguine etìam inferos perhibet sciseitari et nekyoman(4)
nis
;
teian graeee dicit vocari di
necromanzia
I9l0) a p.
si
veda,
176 e relativa
Nekuia omerica del (5)
»
libro
Quanto
.
XXXV,
160.
rappresentazioni di scene
Omero (Bergamo
Drerup,
tavola a colori; e
XI
Tertulliano, Apol. 47
XVIII, 118,
alle
esempio,
per
si
ricordi la
famosa
dell'Odissea. ;
de anima,
33
;
Plinio, Nat.
Hist.
— 4.
— Tali che
rico,
si
a
un
di
-
106
presso le notizie di contenuto pitago-
possono far
risalire a
Varrone. Data l'esiguità
delle opere superstiti e la varietà degli autori
frammentarie,
rono raccolte, esse sono slegate e però da farci
ancora
una
volta
da cui
rimpiangere
la
ma
futali
perdita
quasi totale dell' enciclopedia varroniana, con la quale
perduto
è certo utili
per
sempre
un ricco tesoro
si
di notizie
e importanti per la storia del Pitagorismo nell'anti-
chità classica.
Ma
già sistematicamente raccolto
poiché dei materiale
da Yarrone, come delle sue speculazioni e delle
sue
ri-
cerche storico-filosofiche debbono essersi serviti non poco gli scrittori
così,
contemporanei o che vissero poco dopo
continuando a cercare
maste nelle opere tremo
di
altri
le tracce
scrittori
ricostruire e svolgere
dottrina di Pitagora e compiere
noscenza che Augusto.
ne ebbero
i
Pitagorismo
di
di questo
qualche così
altro il
di lui, ri--
tempo, po-
punto
della
quadro della co-
contemporanei
di Cesare e di
111.
-
Appio Olaadio Palerò
i.
Cicerone e
«
il
Somninm
Scipionis ».
—
2. Marco Tullio Appio Claudio Palerò e la seienxa augurale. - 3. Notixie Pitagorisìno. eonoscenxa del e la sua Cicerone intorno a Pitagora e alle sue dottrine desunte dalle opere cice4. // « Sogno di Scipione % : a) Suo carattere roniane. pitagorico e profetico; b) Contenuto e materia di esso: la via lattea; vita e morte; il suicidio; le sfere celesti e la loro armonia;
—
la terra e le sue
mortalità
1.
gli
amici di Marco Terenzio VarroDe è degno
di essere ricordato
sappiamo che
corpo; V im-
e
anima.
dell'
— Fra
xone; la gloria terrena; anima
fu
queir Appio Claudio Fulcro, del quale
augure, pretore
nei
57
C,
a.
console
nel 54, censore, governatore della Cilicia e legato in rapporti di amicizia
anche
con
Cicerone, di cui
restano
ci
diverse lettere a lui indirizzate.
Convinto che
mento non anche con
già 1'
teressi
dello
augure
C.
la scienza
nel
augurale avesse
desiderio o nel
il
suo fonda-
bisogno di giovare
ausilio potentissimo della religione
Stato
—
come
Claudio Marcello
un dono concesso dagli
dei
pensava
la
—
ma
agli
che
uomini,
l'
agii
altro
in-
grande
realmente fosse perchè
questi
.
-
—
108
fossero in grado di meglio intendere la loro volontà e di regolare, uniformandosi a questa, la propria condotta pubblica e privata
era solito far sortilegi,
(1),
meno
cazioni di morti (2); ne più né la tradizione
aveva
fatto
quel che avevano fatto
Pitagora, e Platone
discepolo
Numa
re
il
secondo
Questa
(4).
e di
(3)
Ferecide di Siro,
filosofo
il
di quello che,
antico
in
oroscopi, evo-
il
suo
convinzione
,
suffragata dalle dette pratiche della divinazione artificiale
Appio a scrivere
cui era dedito, dovette appunto indurre
quei suo
«
auguralis
liber
che dedicò
all'
'>
forse di carattere polemico,
,
amico Cicerone
(5). lì
quale fra T interpre-
tazione utilitaria e razionalistica di quelli che la pensavano
come
Marcello, e la fede ortodossa di coloro che la pen-
savano come Appio Claudio, ebbe un'opinione intermedia, in questo senso
:
che cioè una vera e propria
ma
arte augurale fosse già esistita in antico,
però non fosse più depositario, degli auguri, poiché, per
r abbandono
e la negligenza
sensio
Marcellum
fnam eorum
et
suo,
che di essa
cui
in
era
s'
L. II, 13, 32
:
«
sed est in conlegio
Appiutn, optimos augures, ynagna dis-
ego in libros
incidi),
quom
sciplina vestra quasi divinare mdeatur posse
Tusculane,
1.
era,
lasciata,
alteri
auspieia ista ad utilitatem esse reipublicae composita, (2) CiCEE.,
collegio
il
lungo tempo trascorso e per
il
(1) CicEBONE, de divìnatione,
vestro inter
tempo
al
scienza e
37
I, 16,
Appius nekyomanteia faciebat
».
»
inde ea, quae meus amicus
<
:
de divinat.
Cfr.
plaeeat
alteri di-
I,
30
10,
;
58,
132. (3) Si
cedano in S.
Città
Agostino,
di
Dio,
VII,
l.
i
capitoli
34 e 35.
R.
(4) CioEE.,
Tuscul,
(5) CicER.,
Ad
3, 2f 2.
I,
16,
familiares,
38
j
3,
4,
17, 39. 1
;
9,
3,
11,
4
;
Varrone,
R.
109 secondo
svanita
lui,
Dichiarazione
(1).
un augure momento.
essere fatta da
non
di tanta autorità,
per
è
certo
Sarebbe in verità molto interessante addentrarsi
nella
di lieve
ricerca di quel che fosse proprio la
che
questa,
chiamavano
i
questa
come
ra antica,
ebbe
o aruspicina, che tanta parte
greci,
nella vita privata e pubblica degli Elioni e degli antichi
ma
Italici;
questa trattazione mi porterebbe troppo
tano dal tema di cui ora sto
occupandomi.
ricerche abbastanza ampie, se
non proprio
E
lon-
del
resto
sod-
in tutto
disfacenti ed esaurienti, sono già state fatte in proposito
Basti dire pertanto che la mantica o arte
templum (onde con
zione), di
esame
la
cielo
trasse origine la parola contempla-
dei visceri
polmone,
(cuore,
fegato)
consultato-
interpretazione o ermeneutica dei sogni, con
considerazione dei fenomeni celesti (tuono, lampo, ful-
mine,
-
oracoli,
cogli
ecc.),
profetici
;
da voler
essere
un
(1) CicER.,
ritenuto
de legìbus
quin haec disciplina
et
1.
(2) Si
schììtz,
stesso 33
13,
illi (cioè
«
;
».
vedano, fra
Sogni
e
altri,
i
CiCEBONE,
alla divinazione)
divinatione,
:
che
il
jam
et
est,
vetustate
UH
;cioè
Appio) qui esse
33, 70.
11^
due importanti lavori del Bochsen-
cabala nelV antichità, de
(3)
Sed dubium non
Berlino 1868, e del
TANi-LovATELLi, Sogni e ipnotismo nelV antichità, (3i
il
Marcello) adsentior, qui negai
Cfr. de divinai. gli
augure
evanuerit
in nostro conlegio fuisse, neque
etiam nunc putat
Pitagora,
particolarissimo valore, tanto
egli
II,
carmi
e privati
da
praticata
ars auguruni
neglegentia. Ita neque
unquam
pubblici
coi
pure
che era
e
quale vi annetteva anzi
et
si
T osservazione
animali sacrificati a questo scopo (hostiae
riae\ con la
1'
divinatoria
un punto determinato del
del volo degli uccelli in
detto
— con
modi diversi
esercitava in forme e
(2).
L.
I,
3,
5
«
....
Roma
Cak-
1889.
huic rei (cioè
magnani auctoritatem Pythagoras,..
tribuit,
qui
.
no naturalmente non poteva pretendere senza
prova
di virtù profetica
ne diede
2.
infatti
— Altro
Negli
la tradizione,
Varrone
di
come
fu,
è noto,
Cicerone^ che visse dal 106 al 43
scritti
che in gran numero
a.
e alla sua filosofia
;
non però
C.
restano di lui fre-
ci
quentissimi sono gli accenni a Pitagora, alla sua
scuola
da farci pensare a una
tali
elaborazione personale e originale, o di
egli
non poche.
amicissimo
Marco Tullio
secondo
e,
;
dare qualche
approfondimento
all'
qualche parte delle dottrine pitagoriche. Seguace come
un
fu di
eclettismo
che
stava
fra
1
'
accademismo
e
lo
stoicismo dell' ultima maniera, iniziato ai misteri religiosi,
augure anch'
esso, appassionato se
non profondo
cultore
della filosofia greca, della quale si fece divulgatore fra
Romani, creando quasi ex novo per
dopo
essi,
mirabile
il
tentativo poetico di Lucrezio, la lingua filosofica,
anche
di
molte opere, nelle quali, con squisito
argomenti
trattò dei più svariati
arte,
morali, Cicerone ebbe senza dubbio
bastanza larga
dell'
antica
Roma
che avesse già avuto in guaci,
come
È
italica,
insigni
che
l'unica forse
divulgatori e see rinnovatori
Nigidio.
anche indubitato che molto
— oltre
— r amicizia
di
che
1'
gli
giovarono
assiduo studio
Varrone
per
tale
dei filosofi
gre-
e dello stesso Nigidio Figulo,
e la lettura dei loro scritti, per noi perduti.
etiam ipse augur «
senso di
conoscenza ab-
come Appio Claudio Cieco ed Ennio,
conoscenza ci
filosofia
una
autore
metasifici
sì
i
Neq^ue
vellet esse ».
Cfr.
I,
Ma non
39, 87 ed anche
per
45, 102
:
solum deorum voces Pythagoreì observitaverunt, sed etiam
hominum, quae vocant omina
»
—
Ili
—
collimavano in parecchi punti con
si
per
simbolismo
meno
prestavano assai
sofie
il
le
parti-
fatto
sistema di dottrine,
colari studi intorno a quel
sonali, tuttavia^
avesse
i'Arpiuate
questo possiamo dire che
che,
se
sue convinzioni per-
onde
erano
involute,
delle posteriori e piìi note
filo-
ad essere facilmente comprese dai profani e divulgate
artisticamente.
3.
le
— In ogni modo,
volendo raccogliere dalle sue opere
notizie che si riferiscono a
Pitagora e alla sua scuola,
dovrei prendere le mosse da quel passo delle (libro IV,
1-4) in cui
Tuscolane
Cicerone parla delle dottrine
pita-
goriche, della loro diffusione in Italia e delle
tracce che
esse lasciarono nelle istituzioni e nelle leggi dì
Roma.
poiché ne ho già discusso lungamente, rimando i
lettori
al
primo capitolo
Ma
senz'altro
di questo studio.
Di Pitagora Cicerone dice in due luoghi che fu discepolo di Ferecide
(1),
specialmente
per
la
suir eternità dell' anima, in quanto egli
stenza di un' anima
sue
la
umana
distinzione
(1)
(2).
natura di questa, Cicerone
-
fatta
De divinatione,
prima da Pitagora
I,
50, 112
;
1'
esi-
tutta
la
manifestazioni, e la deriva-
zione da essa di ogni anima
riguarda
insegnava
compenetrante
universale,
natura e ciascuna delle
sua dottrina
Tusculane
Syrius primuìn dixit anìmos esse
E
per
stesso
I,
16,
che
accettò la
da Platone
e poi
hominum
ciò
38:
«
—
Pherecides
sempiternos.
..
Rane
opìnionem discipulus Pytkagoras ìnaxime confirmavit ». « Pytkagoras censuìt aniI, 11, 27 (2) De natura deorum, mum esse per naturatn rerum omnem intentum et eonmeantem, ex quo nostri animi earperentur ». De seneetute 21, 78 « Au:
:
dieham, Pythagoram Pythagoreosque
numquam
dubitasse, quin
ex universa mente divina delibatos animos haberemus
».
— dell'
anima
due
in
filosofi
ponevano
tabile
costanza, e
origine
Per
la
sibilità
i
—
112
V una ragionevole, in cui questi
parti,
V
moti torbidi
sì
di accrescere
come
dell' ira
credenza V uno e
quale
traevano
del desiderio
ammisero
l'altro
conoscitive
forze
le
onde
irragionevole,
altra
immu-
una placida
cioè
la tranquillità,
specialmente nel sonno, quando a questo
la pos-
dello l'
spirito,
uomo
fosse
si
disposto opportunamente con particolare dieta e con
meditazione preparatoria
(2)
;
(1).
una
e credettero nella divinazione,
al
punto che Pitagora, come ho già ricordato, pretendeva
di
essere egli stesso profeta. Cicerone
seppe
viaggi di quest' ultimo nelle terre più lontane colloquio con
Leonte,
il
prima volta
chiamò
filosofo
si
capo dei
Fliasii,
anche
dei
del suo
(3),
per
in cui
la
della successiva venuta
(4),
in Italia, dei suoi studi di geometria e del sacrificio d'un
(1
)
Tusculane, IV,
5,
lO
«
:
Veterem
illarti
equidem Pytkagorae
anlìnum in duas partes dividunty alter ani rationis participem faduni alte-
pri/num, dein Platonis diseriptionem
sequar,
qui
y
rani expertem est
dos
in participe rationis ponunt
;
placidam quietarnque constantiam, in
cum
irae,
libro I,
Cfr. (2)
De
illa altera 'ruotus turbi-
ìnimicosque rat ioni
twìn cupiditatis, conirarios
in somnis certiora
II,
58,
videamus,
119:
«
Pythagoras
praeparatos
ad dormiendum jubent
;
ma
Sulle meditazioni serotino,
38
:
di altro
eommemorabant
(4)
eultu
quo
atque
faba quidem Pythagorei
genere,
venter infletur vedasi
De
».
senectule
Pythagorii quid quoque die dixissent, audissent, egissent, vesperì
»
;
e
sulla
astinenza
fronti de divinatione I, 30, 62 e II, 58, (3)
et Plato,.,
quodam
utiqus abstinere, quasi vero eo cibo mens, non
11,
».
39.
17,
divinatione,
victu proficisci
tranquillitatemy id
dalle
fave
si
con-
119.
TuseuL, IV, 19, 44; 25, 55; de fìnibus V, 19, 50; 29, 87. TuseuL, V, 3, 8 e segg. Cfr. sopra e vedi Diogene Laerzio,
Proemio, 12, che desume
la notizia
da un libro di Eraclide pontioo.
.
— bue
alle
Muse per aver
trovata la soluzione d'un teorema
dimora a Crotone
della sua
—
113
(2)
e a
Taormina in
Sicilia (3),
dimora
della sua operosa vecchiezza (4) e infine della sua
e della morte a
Quanto
Metaponto
(1),
(5).
oltre al noto
alla dottrina e alla scuola,
prin-
cipio autoritario dell' ipse dixit^ che biasima (6), e a quello
che ho accennato or ora della natura ricorda la teoria dei numeri il
e
(7),
1'
armonia del mondo e
culto della musica (8), l'astinenza dai sacrifìcii cruenti il
rispetto per gli animali, naturale e logica
del concetto pitagorico della vita (9),
il
dio (10) e infine la bella concezione
comunanza il
anima, Cicerone
dell'
di
mirabile e notissimo esempio di
oltre ai quali
(1)
De
nostro scrittore
il
nat. deorum, III, 36, 88.
dibile a Cicerone,
perchè Pitagora
una vittima neppure ad Apollo un altare. E non ha torto. (2) (3) (4) (5)
De De De De De
re publica II,
I,
rico di Crotone (7) Tuscul.,
altro
sa che non
non
non par
volle
sacrificare
bagnare
28; ad Atticum IX, 19, Vita Pythag
cre-
di
sangue
3.
122.
.
5, 10.
Per
la critica
veda nell'Appendice
ed
il
« Il
valore di questo
sodalizio pitago-
» I,
10, 20
Acad. pr.
;
II,
37, 118 e
Somnium
Sei-
12 e 18.
(8)
De
(,9)
ibid..
(11)
pitagorici.
finibus V, 2, 4.
si
(10)
e Finzia (12);
altri
La cosa per
gli altri
senectute 7, 23.
nat. deor.,
pionis,
ricorda
si
vera
dell' amicizia,
Damone
delio, per
consul. 3. Cfr. Giamblico,
principio autoritario
(6)
15,
divieto del suici-
che diede fra
e di vita (11),
spiriti
conseguenza
nat. deor., Ili, 11, 28
De De
;
Tuscul., Y, 39, 113.
88: de re pubi., Ili, prò Scauro, 4, 20, 73
Ili, 36,
senect.,
;
officiis, I, 17,
a2) Tuscul. Y,
56; de legibus,
I, 12,
11,
19.
5.
34; Tuscul., Y, 23, 66.
22, 63; de officiis, III, 10, 45; de finibus, II,
24-79; Cfr. Porfirio, V. P. 59. 8.
—
lU
e cioè Filolao di Crotone e
il
morte
Archita di
discepolo
contem-
(1).
Di quest'ultimo poi la
suo
Timeo ed Acrione
Taranto, Echecrate di Locri,
poranei di Platone
—
egli dice esplicitamente che,
prima
di Socrate,
dopo
recò in Egitto e poi in Italia
si
e in Sicilia per conoscere da vicino le verità scoperte da
Pitagora, e che stette molto con
procurarsi
commentarli
i
allora trasmesse solo
segretezza)
Magna
nella
lebre
con Pitagorici e
dottrine
le
del
oralmente e sotto
maestro,
fino
vincolo
della
il
appunto era più che mai ce-
e poiché allora
;
esponevano per
di Filolao (che
per la prima volta
iscritto
Archita e Timeo e potè
Grecia
nome
il
di Pitagora,
praticò
dedicò ai loro studi. Tanto che, pre-
si
ogni altro e volendo rappre-
diligendo egli Socrate sopra
sentarlo adorno di ogni virtù e sapienza, fuse insieme la
piacevolezza e la sottigliezza socratica con
oscurità del
1'
simbolismo pitagorico e nei suoi dialoghi fece parlare maestro in modo che, anche quando discuteva e di politica, si studiò di mescolarvi
e r armonia, alla
De De
(1) (2)
guisa di Pitagora
re pubi.,
I,
10, 16
:
harmoniam
studeat
cum
primum
in
libris
de moribus,
numeros tamen
Pythagorae more
ut dtcis, sed audisse
ista,
crate mortuo,
quale
poi
multis
locis
te
virtutibus
geometriam
eoniungere.
credo,
Aegyptum
et
de
Tum
et
Scipio
Tubero^ Platonem,
:
So-
discendi causa, post in Ita-
in Siciliani contendisse, ut Pythagorae inventa perdisceret,
et
eumque fuisse
In Platonis
<
Socrates, ut etiam
denique de republica disputet,
liam
geometria
la
Dal
(2).
morale
finibus, V, 29, 87.
ita loquitur
Sunt
numeri,
i
di
il
cwrn Arehyta Tarentino
et
et
pore in his Pythagoreis dilexisset
et
cum Timaeo Locro multum,
Philolai commentarios esse nanctum, quunique eo temlocis et
Pythagorae nomen
illum se
vigerci,
eique
omnia
tribuere
voluisset
et
hominibus
cum Socratem
studiis illis dedisse. Itaque ,
leporem
uniee
Socraticum
.
—
—
115
tolse di peso la dottrina ferecidea sull'eternità dell'anima,
aggiungendovi però
Un
suo una spiegazione razionale
di
complesso dunque di notizie, o meglio
superficiali e sconnessi, il
grado
uomini
di
conoscenza che
colti dell'età di
— Ma
4.
vi
è
del
poco
press'a
Pitagorismo
ebbero
gli
Cicerone.
un' opera di questo
un frammento
anzi
che rappresentano
(1).
di accenni,
fecondo
della sua opera "più
scrittore,
importante,
quale dobbiamo fermare un poco più particolarmente
sul la
nostra attenzione, per la molteplicità degli elementi pitagorici che
contiene:
famoso e
così
dire
il
;
Sogno di Scipione^
importanza per
di tanta
sia considerato in se stesso sia
stica,
ebbe
voglio
poiché intorno ad esso
si
la storia della
per
i
mi-
commenti che
affaticarono molti ingegni,
da Macrobio e da Eulogio, che ne fecero amplissima analisi
nel quarto secolo
suMilìtatemque sermonis
flurimarum artium
Wynn
Westcott, che
(2),
all'inglese
cum
obscuritate Pythagorae
gravitate contexuit
et
cum
illa
»
Platonem ferunt, ut Pythagoreos cognodidleisse Pythagorea omnia primumque de animorum aeternitate non solum sensisse idem quod Pythagoram sed rationem etiam attutisse » Cfr. De amicitia, IV, 13 « Neque enim adsentior iis, qui nuper haec disserere coeperunt, cum corporibus simul animos interire atque omnia m>orte deieri. Plus apud me antiquorum auctoritas valet, vel nostrorum m>ajo(1)
sceret,
TuscuL, I, 17, 39 in Italiam venisse :
«
et
.
:
Tum.... vel eoriim, qui in hac terra fuerunt magnamque Oraeciam, quae nunc quidem deleta est, tum florebat, institutis et praeceptis suis erudierunt, vel eius, qui Apollinis oraeulo sapientissimus est iudieatus, qui non tum hoc, tum illud, ut in plerisque, sed idem semper, animos hominuvi esse divinos, iisque, cum ex corpore excessissent, reditum in eoelum patere optimoque et iu~ stissimo cuique expeditissimum. Quod idem Scipioni videbatur » (2) AuRELii Maceobii Ambrosii Theodosii V. ci. et inlustris GomQuentarius ex Cicerone in Somnium Scipionis libri duo. - Favonii -
EuLoan
oratoris
Disputatio de somnio cos. Provinciae Bizacenae.
almae Karthaginis
nis, scripta Superio y. e.
Scipio-
—
—
116
non molti anni addietro ne pubblicò una traduzione cendolo senz'
(non so però con
altro,
di-
fondamento
quale
che non sia una semplice presunzione ipotetica) un fram-
mento
dei Misteri
Mi preme
a)
(1).
tuttavia di mettere subito in chiaro che,
affermando pitagorico
il
voglio con ciò asserire né che Cicerone
informative del sogno stesso da
bene che studi
so tici
come
il
fosse
un seguace
né che desumesse direttamente
di quella filosofia,
fatti
Gylden
pitagorici
scritti
le idee
poiché
:
recentemente da valentissimi
(2), il
messo in chiaro che
non
contenuto di questo sogno,
Corssen
(3), il
Pascal
cri-
hanno
(4),
fonti ciceroniane per la materia
di
esso furono o poterono essere Platone, Posidonio ed Eratostene.
Ma
sta di fatto che noi troviamo raccolti in esso
quasi
tutti
i
concetti suesposti,
che Cicerone stesso
seguaci
tribuiva a Pitagora e ai suoi
;
il
che
dimostra
ancora una volta, se pur ve ne fosse bisogno, che sofi posteriori fecero
at-
i
filo-
proprie e tramandarono l'uno all'altro
molte delle idee e degli insegnamenti della scuola crotoniate.
L' idea poi di valersi d'
sizione di principi della letteratura
filosofici
un sogno per
già era
fare un'espo-
venuta,
agli
albori
romana, a un grande scrittore e poeta,
pitagorico per giunta: voglio dire Ennio, del
quale
si
é
già veduto nel capitolo secondo. (1)
Somnium
Seipionis.
The vision
of Scipio
considered
as a
fragment of the Mysteries, London, 1899. (2)
et
Vestigia Platonis in Gieeronis
Somnio
Scipioìiis,
1848.
(3) De Posidonio Rhodio M. T. Gieeronis in l. I Tuscul. disp. in Somnio Seipionis auctore. Bonnae, 1878. (4) Di una fonte greca del « Somnium Seipionis » di Cicerone,
nei rendiconti della R.
Accademia
di Archeologia,
Lettere e belle
Arti di Napoli, 1902. Ripubblicato in « Oraecia Capta
Le Monnier, 1905.
»,
Firenze,
— ben
Sicché possiamo
—
117
pitagorica
dire
ispirazione di
l'
questo bellissimo frammento ciceroniano: tanto
bocca dello stesso
ora, per
abbiamo sentito or
che opinione Pitagora e
che
più
Cicerone,
suoi avessero intorno al sonno
i
nel
spirito
e alle forze conoscitive dello
riposo e nella
quiete del corpo.
Questo sogno,
secondo
poi,
Macrobio,
le osservazioni di
partecipava contemporaneamente di tutte e tre
fenomeni del sonno,
principali o profetiche dei
oracolo (oraculum
visione e sogno:
=^
oracolo,
in
xpr^pta-ctafió?),
quanto apparvero a Scipione addormentato Emilio Paolo e
forme
le
il
padre Lucio
padre adottivo Scipione Africano Mag-
il
uomini venerandi, che avevano anche coperto
giore,
ca-
riche sacerdotali, e gli predissero quello che egli avrebbe fatto
come generale
56 anni
come magistrato
e
visione (visio
;
sonno parve
=
Spajjta),
e la sua morte a
in quanto
durante
Emiliano di essere trasportato in cielo e
all'
più precisamente
nella
via
lattea,
— dove
avrebbe
dovuto tornare dopo morto a godervi
la felicità
da Dio
—e
ai
buoni reggitori degli
templare r universo e nelle sue cinque zone
nium 3= svelata
e
i
;
Stati
pianeti e la terra
sogno
propriamente
grande anima senza
chiarita
Tanto è vero che
il
di
commento
dell'
non meno lunga
(1)
e alla
Macbobio,
musica delle
1.
divisa
detto
{som-
I,
e.
3.
cose a
ermeneutica
(1).
i
sei libri della
Re-
è la dissertazione di Eulogio,
che verte specialmente intorno
numeri
stessa
interpretativo di Macrobio
è di gran lunga più esteso che tutti
pubblica, e
con-
Scipione non poteva essere
lume
il
poi
concessa
di lassù
perchè la profonda verità delle
ovetpo?),
lui dette dalla
il
alle
stelle.
qualità
mistiche dei
—
Volendo dunque Cicerone esaltare
b)
che
-
118
resero
-si
benemeriti
grandi uomini
i
patria e mostrare
della
quale
premio, dopo la morte, fosse dato alle loro virtù, cioè di ritornare alla loro patria celeste,
uno
Publio Cornelio Scipione
tribuno in Africa,
amico
Scipione
di
fu il
narrasse
agli
quando, essendo
grande
del re Massinissa,
ospite
Maggiore.
Uscita dal corpo durante si
lui fatto
che
Repub-
alla
Emiliano,
un sogno da
altri interlocutori
liano
immaginò
degli interlocutori dei dialoghi intorno
blica,
quello
sonno, V anima
il
un
trova trasportata, a
tratto,
dell'
nella via
Emi-
lattea,
dove, giusta le credenze dei Pitagorici, avevano loro sede
anime degli
le
vestirsi d'
eroi,
umana
carne,
legrinaggio quaggiù
Ascoltata
dall'
prima
tanto
di
scendere in terra a
come dopo aver
fatto
(1).
Africano
la
predizione delle sue imprese
e della sua morte, che sarebbe avvenuta
(1)
Somnium
5,
13
:
quando
Omnibus qui patriani
«
Harum
beati aevo sempiterno fruantur
hinc profeeti huc revertuntur cit.
p.
46) che
l'
».
anime
sua
locum,
ubi
rectores et conservatores
Al qual proposito osserva
il
Cors-
idea è forse presa dai Pitagorici. Infatti
a proposito dei versi 12-13 del detto che le
la
conservaverint,
adiuverinty auxerint, certuni esse in caelo defìnitum
SEN (op.
loro pel-
il
dei Proci
1.
XXIV
guidate da
della
Odissea,
Hermes
in
cui è
andavano
«
alle
porte del Sole e al popolo dei Sogni e poi giunsero nel prato degli asfodeli,
firio (àe
sono
dove abitano
le
anime, ombre dei trapassati
antro ISiympharum,
altro che,
e.
secondo Pitagora,
28) che
popolo
»
dei
anime che dicono
le
nel cerchio della via lattea. Poiché
il
il
scrisse Por-
sogni
non
raccogliersi
prato degli asfodeli
i
Pitago-
appunto lo immaginarono in quel cerchio. Anche Plutarco (de faeie in orbe lun., p. 943 G.) scrisse che le anime dei buoni si
rici
indugiavano per un certo tempo nella parte più tranquilla del cielo che chiamavano prati
dell'
Ade.
età avesse percorso
—
119
uno spazio
«
ciascuno di
quali, per ragioni proprie a
a lui predestinata
a conforto del suo triste destino
«
dove
lassù,
salito
che crediamo estinti ?»
— che
«
E come
come da un carcere siamo che
chiama
si
intensa commozione, «
Perchè
dunque,
anima
1'
ti
E
».
vivi
;
la
con
riveduta,
»
?
debbo
vita,
Perchè,
«
:
ingli
appartiene tutto l'uni-
ha prima liberato dal carcere corporeo, non l'adito a
sulla
che occupa
terra,
ed è stato dato ad
creato,
del
queste sedi beate. Gli uomini
dimorare
per
stati creati
centro
altri
gli
del padre, chiede ad essa
ancora sulla terra
può essere aperto
sono il
ti
Paolo,
risponde Scipione,
veramente
morte
viene risposto, se quel Dio a cui verso non
padre
padre e
questa è la vera
se
dugiarmi e vivere
è
vita,
pure sarebbe
egli
suo
gli
!
— quasi
liberandoci dai legami
anzi noi che siamo volati quassù
vostra,
era ritenuto
essi,
e saputo
(1),
anche
trovava
si
»
dunque, chiede, siete vivi tu e mio
corporei
(ognuno dei
compiuto col naturale succedersi degli
perfetto) avessero
somma
numeri
due
e rivoluzioni del sole e questi
anni la
di otto volte sette giri
essi l'animo,
originario di quei fuochi eterni che chiamate costellazioni e stelle e che, di
forma
menti divine, fanno
i
sferica e circolare,
loro giri e descrivono le orbite loro
con prestezza mirabile.
Perciò tu e
dovete trattenere l'animo vostro
non
disertare,
contro la volontà
dalla vita d' uomini, perchè
(1) ri
Somnium le
uomini
legami
nei di
gli
tutti
ve
chi
non sembri che
ragioni
;
e ciò,
naturalmente,
Y
e
pii
corporei e l'ha
data,
voi vogliate
12. Della pienezza o perfezione dei
8 e 7 parla a lungo Macrobio nei capitoli
partitamente le
4,
animati da
due nume-
VI, adducendone
secondo
le teorie e
speculazioni pitagoriche. Altrettanto dicasi di Eulogio.
— umano
sottrarvi al compito il
padre
perchè così vivendo
materia l'
anime che,
corporea,
globi,
cui
di
il
cioè
la pietà,
abitano la via lattea
che
gli
Saturno, di
sé tutti
gli
sualtri,
Griove, di Marte, del Sole,
Venere, di Mercurio, della Luna, nel mezzo dei quali immobile,
la
Terra
E
(3).
mentre osserva
i
è
altri,
o firmamento, lo stesso dio
fisse,
(2).
lo spettacolo
abbraccia
tiene uniti e racchiude in
cieli di
i
Perciò
.
roteare dei nove cerchi o meglio
il
esterno,
pili
quello delle stelle
premo che
(1) »
vive ed ora se-
già
Emiliano contempla estatico
universo stellato e
dell'
assegnatovi da Dio
aprirà la via per ritornare al cielo
si
fra quel santo stuolo di
Dalla quale poi
—
ad essere giusto ed a coltivare
lo esorta
parate dalla
120
di sta,
cieli roteanti,
ecco lo colpisce un' armonia solenne e dolce, quella cioè
che è prodotta dal movimento delle sfere e dal loro percuotere neir aria, onde
che insieme formano
secondo
la
novità
la
delle
Scipione distolga
Somnium,
(1)
(20,
producono suoni acuti e gravi,
sette accordi della lira (4)
7,
L' ammirazione
gli
15.
occhi
Cfr.
il
:
«
praesidio
Tutta questa concezione della terra
che
De
seneetute
concetto è di Pi-
questo
8,
id
est
dei,
de
16.
sferico, intorno al
immobile
nel
centro di
quale s'aggirano col firmamento
sette cieli planetarii, è prettamente pitagorica
;
il
pianeti
Gìjnther, Oeschichte der antiken Natur-
wissenschaft in Miiller's Handbuch V,
Somnium
i
e tale fu pure, se-
Martini, la scoperta della direzione del corso dei
e della eclittica. Vedasi
(4)
nel
statione vitae decedere ».
(3)
il
fa però
luogo già ricordato del
(2)
condo
chiarita
dalla terra, sì che l'Africano
Somnium,
un ambiente
non
Pythagoras iniussu imperatoris,
vetat et
già
proprio
:
per la grandezza e
cose che vede e ode
73) dove è detto esplicitamente che
tagora
ho
dottrina pitagorica, che
precedente.
capitolo
i
si
1.
10, 18-19. Cfr. Quintiliano, Insite, oratoria, I, 10, 12.
— mostra
gliene
parte a parte
:
onde
le zone,
circoli,
i
campo ben
e conclude che essa è
degli uomini
—
121
per la gloria
ristretto
la vanità della gloria stessa,
non può neppur durare anni mondani (1). « Se
spazio di
lo
uno
acque
le
la
quale
solo dei grandi
tu dunque, conchiude la grande
anima, vorrai mirare in alto e tenere volto
sguardo a
lo
questa dimora eterna, non curarti dei discorsi del volgo
né porre
la
uomini
bisogna che
:
blandizie
ti
speranza delle tue
premi
nei
azioni
tragga alla vera gloria
»
rarsi lo
uditi,
Emiliano
l'
con tutta r anima per
il
bene
le
Esaltato
(2).
spettacolo delle cose viste e dalle promesse, zioni, dai consigli
con
per sé stessa
la virtù
degli
sue
dallo
dalle predi-
promette di adopepatria e
della
1'
avo
conferma nel suo proposito dichiarandogli V immortaanima.
dell'
lità
è mortale
«
non
e che tu
;
non
Ricordati che
che
quello
sei
ma
tu,
tuo corpo
il
forma
codesta
corporea fa apparire: ciascuno é ciò che é l'anima sua,
non quella parvenza che può mostrarsi a tu sei DÌO; se divina è quella forza che
che ricorda, che prevede, che
Sappi che
dito.
anima, che sente,
regge e modera e muove
questo corpo, a cui è preposta, così come
il
sommo Dio
muove il mondo e come lo stesso Dio eterno muove il mondo per qualche rispetto mortale, così
regge, modera,
il
fragile
(1) Della
;
corpo è mosso
(3) te
animo
Somnium, Somnium,
ho accennato nel capitolo
:
sed
le
»
(3).
dottrine
terzo.
17, 25. 18,
26
:
«^
Tu
vero enìtere
mortalem sed corpus hoc; nee enini tu
declarat
sempiterno
durata di circa 12000 anni' comuni, secondo
dei Genetliaci, dei quali (2)
dall'
mens cuiusque
digito demonstrari potest.
is es,
is est quisque,
Deum
deus, qui viget, qui sentit, qui
te
et sic
non esse quem forma ista haheto,
non ea
igitur scito esse,
quae siquidem est figura,
meminit, qui providet,
qui tam
— «
Tu
—
122
esercita questo nelle più nobili cure:
sono
le
l'animo
cure spese
per
che in esse
bene
il
patria
della
adopera e
si
e nobilissime
volerà
esercita
si
onde
(1);
piti
velocemente in questa sede e dimora sua. Anzi tanto più presto vi verrà se, fin da quanto è chiuso nel corpo saprà
uscirne
e,
contemplando quel
carsene
il
più possibile.
si
abbandonano
schiavi di essi ai piaceri,
che è fuori di esso,
Perchè
e,
animi di quelli che
gli
corpo e
ai piaceri del
sotto l'impulso dei
violano
si
rendouo
quasi
obbedienti
desideri
divini e umani, usciti dal corpo
diritti
i
stac-
vanno svolazzando intorno
terra e
alla
non
ritornano a
questo luogo se non dopo aver trascorso in perenne agitazione molti secoli
»
(2).
E
concetti pitagorico-platonici
mundum
princeps
ille
parte mortaleni ipse
il
enunciazione di questi
1'
magnifico sogno finisce.
ex
quam quadam
corpus
animus
movet id corpus, cui praepositus
regit et tnoderatur et
kune
con
deus
deus
;
aeternus,
et
ut
sic
mundum
fragile
est
senipiternus movet ». (1)
Anche
un concetto pitagorico; come insegnamento ultimo ai
questo, è bene ricordarlo, era
tanto è vero che Pitagora, serbava suoi discepoli quello relativo
all'
esercizio
dei
pubblici
poteri.
V.
S. Agostino, de ordine II, 24, 54. « Hanc tu exerce optimis in rebus : sunt (2) Somnium, 21, 29 autem optimae curae de salute patriae, quibus agitatus et exercitatus animus velocius in hanc sedem et domum suam pervolabit. :
Idque ocius
faeiet,
eminebit foras se a corpore
et ea,
si
jam
tum,
cum
erit
inclusus in corpore,
quae extra erunt, contemplans
abstrahet.
Namque eorum animi,
quam maxime qui se corporis
voluptatibus dediderunt earumque se quasi ministros praebuerunt
impulsuque libidinum voluptatibus oboedientium deorum et hominum iura vìolaverunt, eorporibus elapsi circum terram ipsam volutantur nec hunc in locum nisi multis exagitati saeculis revertuntur
».
lY.
Mimi l.
—
Q. Orazio Placco
—
P. Virgilio Marone.
—
Riflessi pitagorici nel teatro popolare. sia oraziana filosofia.
—
La
4.
storia dell'
«
2.
metempsicosi, Euforbo.
fave,
:
ecloga.
—
Pitagora nella poe-
—
Virgilio e la
3.
—
Le Georgiche.
5.
sesto libro dell' Eneide.
—
7.
6.
La
Ragioni
artistiche di essa e suo valore per la determinazione del pensiero filosofico
1.
—
virgiliano.
Nel tempo del quale
è a credere
non
occupando
stiamo
ci
che la conoscenza del Pitagorismo
avesse
i
suoi riflessi soltanto negli scritti di prosa e di poesia del
genere di quelli che
abbiamo
già
pubblico eletto e relativamente limitato
gnamento fondamentale la
metempsicosi, e
il
pubblico, da
teatro popolare.
rono
i
mimi
di morti) di
a.
l'
dottrina di Pitagora,
come oggi oggetto
inse-
cioè
si
nel domi-
direbbe,
di satira e di riso
Fra quelle specie
è ricordata
Cicerone (105-43
una
essere
Decimo
che anzi
precetto dietetico dell'astinenza dalle
fave erano così entrati,
nio
della
;
un
destinati a
visti,
di farse
infatti
nel
che fu-
una Nekyomanthia (Evocazione
Laberio, C.) e del
che fu contemporaneo quale
satirica interpretazione della
Tertulliano
metempsicosi
:
di
ricorda
« Insom-
~ ma, se qualche secondo
filosofo
—
124
e la serpe
dalla
come
affermasse,
opinione di Pitagora, che
1'
donna, e in
1'
Laberio
dice
uomo
dal
si fa
tavore di questa
mulo
opinione
volgesse, con parola efficace, tutti gli argomenti possibili,
non incontrerebbe
1'
approvazione
rebbe forse anche a credere che nere dalle carni animali? Chi
di ci si
debba perciò
potrebbe
non comperare eventualmente
Laberio dunque
?
mente in
ballo in qualche farsa, della quale
»
(1).
sappiamo, la teoria di Pitagora
;
avrà
e
non
tirato
contrasto
1'
scherzosa-
nulla peraltro
neppur
è
difficile
una
situazione
ostinata
cocciutag-
pensare che gliene abbia data occasione
comica in cui fossero in
qualche suo
di
antenato
aste-
sicuro di
esser
manzo
del
non indur-
tutti e
un uomo e la velenosa malizia d' una donna. Il commento e le deduzioni ironiche circa l'astensione dalle gine
d'
carni che aggiunge forse la
alla
E
tempo, che
ci
voglio dire
;
{contemporaneo di
po' più giovane di lui)
:
dicon eh' egli un giorno, vedendo un cagnuol maltrattato,
Ebbe €
ma un
di
metempsicosi pitagorica
noti versi di un'elegia di Senofane
Pitagora,
quella che è
ricordano
prima testimonianza, in ordine
rimanga intorno i
Tertulliano
di lui pietà, poscia in tal guisa parlò
:
Cessa, ne bastonarlo, poiché vive in lui
r anima, che ravvisai, quando
(1)
Tertulliano, Apologia,
48:
1'
«
d' un amico ho udita guair » (2).
Age jam,
si
qui
adfirmet, ut ait Laherius de sententia Pythagorae,
ex m,ulOy colubram, ex muliere,
et
philosophus
hominem fieri omnia argu-
in eam, opinionem,
m,enta eloquii virtute distorserit, nonne consensum movebit infiget
etiam ah animalibus abstinendi propterea
habeat, ne forte
?
bubulam de aliquo proavo suo obsonet
(2) I versi ci furono
conservati da Diogene
et
fìdem,
persuasum, quis ?
»
Laeezio (Vili, 36)
— Anche
125
— come nel commento
in questi versi infatti,
di
attribuendosi a Pitagora la metempsicosi an-
Tertulliano,
che animale (per una falsa estensione però, come ho già
scherzosamente in mostra
ne mette
se
detto),
il
lato ri-
dicolo.
Di un
uno
è rimasto «
mimo
altro
dogma
dello stesso autore, intitolato
spunto
verso, in c«i
di
pitagorico », che molto probabilmente possiamo
Cicerone e Seneca
mimo,
hanno conservato
ci
di autore
sconosciuto,
argomento
del quale sarà forse stato
dogma 1'
accenna a un
si
ritenere che fosse la stessa metempsicosi
terzo
Cancer,
Pitagora e dei
di
astensione dalle fave
e prendendoli
da
lui,
ha
li
Né
intitolato
di
Faba
un (2),
la satira dello stesso
è davvero
anche Suida
citati
ricordo
il
riguardanti
precetti
(3).
Finalmente
(1).
il
vitto e
caso
il
me-
di
Xeno-
(sotto la voce
phanes). Si veda a proposito di essi e delle altre antiche testimo-
nianze pitagoriche che risalgono ad Eraclito, Empedocle, Ione, ecc. ciò
ha
che
scritto lo
questi versi
si
Zeller nei
985.
pag.
1889, n. 45,
Si è
Akad. messo in dubbio che
Siizungsber. d. preuss.
recentemente
riferiscano a Pitagora
GoMPERz (Penseurs de la Orèce,
;
ma
dubbi sembrano
tali
al
135 nota) infondati. Ed ha per-
p.
fettamente ragione. (1)
dogmam
docius
(2) Cicerone,
pag.
33 e 109,
ad AH. XVI, 13
mimum
res erat
deum
futurum fieri,
primo fabam, Eiv. di
e
?
»
e
3
:
Anal.
negli
nec pythagoream
:
«
videsne consulatum illum no-
si
mimum
è proposto
famam
vocabat, si hic factus
Seneca Apocoloc. 9
iam fabam
notare che da qualcuno del
98,
Bern. «
».
quem Curio antea apotheosin
strum,
fabam
679 P. e Anon.
Prisoiano. vi, 2, pag.
Helvet. dell' Hagen,
di
:
fecistis ».
leggere
in luogo del secondo.
o
olim
erit,
magna
Debbo tuttavia 8-aù[jia in
luogo
V. in proposito
gennaio 1913, pag. 75-76. D. Capocasale in un suo breve lavoro {Il mimo romano, (3) Monteleone, 1903, pag. 49) pensa che « forse vi si dovea mettere
la
filol.
class, del
— ravigliarsene,
che
solo
—
126
piccini e con che sciocche ragioni
dere della necessità di tale
—
2.
Del
amabilmente gioco
Che
trina pitagorica.
con vivo senso
gna
di
due
una
se in
—
dente che egli
stessi punti
conditi
—
da buon epicureo
non
ma
solo,
col
E
la
lo
Pascoli,
col
un
«
in azione la parentela che esiste
e r
dot-
lardo, è evi-
prendeva anche un consaguinea
«
di
(2).
prima parte della famosa ode
per dirla
della
infischiava del
si
po' in giro, facendo addirittura la fava »
prese
si
nostalgia le parche cenette di campa-
precetto del filosofo;
Pitagora
C.)
a.
delle sue satire rievocava
di fave e di erbaggi
fatte
persua-
di
(1).
Orazio (65-8
di questi
argomenti
cercava
si
astensione
anche
resto
con che
consideri
si
uomo, ed
passaggio
il
più che opinioni
del
begli spiriti, che gliele
come
delle suo idee,
dell'
severo
d'
Archita non pare,
attacco ai sistemi
—
anima
attribuirono
— tra
secondo Pitagora in
una fava
furono
filosofo,
per
filosofici
Ora queste,
».
stramberie di
certo
meglio
burlarsi
la fava
lui e
di
fece Orazio, per esempio.
(1) Si veda, per esempio,
il.
capitolo 43 della vita di Poefirionk.
Sat. II, 6, 63-64:
(2) Orazio.
quando faba Pythagorae cognata siwiulque satis 'pingui ponentur oluscula lardo ?
XJneta
Un'
altra scherzosa allusione vogliono vedere
preti d' Orazio nel v. 21 della
pisces seu
porrun
cidare non solo
che
anche
et
XII
Epist. del
in queste,
s'
di
più
caepe trucidas)^ dove riferendosi
ai pesci,
ma
come
anche nella
filosofia
—
e
con
porri e alle
ai
fava,
morti) verrebbe a prendersi un po' in
occupava
i
si
giro
lui la
1'
es.
il
il
verbo tru{quasi
cipolle
anime
amico Iccio
metempsicosi, alla quale verrebbe data una ben
Qualcuno peraltro (per
{veruni seu
trovassero
dottrina
inter-
degli
libro I
—
pitagorica
larga
dei
che della
estensione.
Ritter) nega ogni allusione.
— ammettono
che
—
127
sopravvivenza
la
Pythagorismo entrò nelle dottrine il
poeta
la terra e
del
Platone
? »
Te, o Archita, che misuravi
«
:
di
Matinata
lido di
ti
giova aver esplorato
1'
dove
aria,
È
morto
banchettava con
gli
di
il
Panto (Euforbo),
(dopo la sua
con
lo
anche dei,
il
ammesso
regno dei morti tiene anche che
scese
alF Orco
nuova incarnazione
della guerra trojana,
morte
(così
affermava
lui)
pelle (2); e tu (che eri
data
ne attende un' uguale
dobbiamo calcare una volta sola la via
il
modi
d'
commento
1900, voi.
autore
splendido
non
lo sai
senza più,
nera
alla
nervi e la
i
tutto
del
bene.-
fine e tutti
come
tu credi)
che conduce sotterra. Le furie offrono alcuno gra-
(1) Pascoli, altri
che
pitagoreo),
notte (e
volta
testimonianza
più
mallevadore della verace scienza del tutti
un' altra
non avesse concesso
un grande
figlio
il
parete del tempio
(dalla
niente
agli ar-
Pitagora), sebbene,
in
Micene)
argiva in
pur
e Titone, che fu tolto alla terra
tempo
Ma
e
presso
padre di Pelope, che
scudo che fece staccare
Giunone
di
mare
il
Tanimo destinato
e sollevato neir aria, e Minosse, che fu
cani di Giove, e
Dice
(1).
che l'uomo abita,
altri
e aver corso per la volta del cielo con
morire.
il
scarso dono di poca sabbia, e nulla
lo
il
a
quale
fermo
innumerabile arena, tiene ora
l'
sistemi
spirito,
opera
per
quasi personificati in Archytas,
infatti
dello
I,
Uode
Lyra romana, Livorno,
Giusti,
1895, p. 163.
intendere quest' ode, che è la 28* del dell'
lib.
I,
si
Per veda
Ussani, Le liriche di Orazio, Torino, Loescher,
pag. 119-L22, e in particolare d' Archita.
1'
opuscolo dello stesso
Roma, 1893. habentque
(2)
Tartara Panthoiden iterum Orco Demissurn, quamvis clipeo Trojana refixo
Tempora
testatus nihil ultra
Nervos atque cutem morti concesserat atrae.
— Marte
dita vista al bieco di
morte
naviganti
ai
mare
il
;
insaziabile è ministro
susseguono senza posa
si
;
—
128
fune-
i
vecchi che dei giovani, l'implacabile Proserpina
rali sì dei
non ebbe mai
rispetto ad alcun capo ».
E. evidente che qui Orazio, affermando recisamente che
senza distinzione, subiremo un egual
tutti,
e contrapponendo
tale,
al ricordo
volta
Panto
gliuolo di
—E
conto
come lo chiama altra buona alle spese del « fi-
fa doli' ironia bella e
(1),
3.
in particolare la sua affermazione
Pitagora redivivo
« di
le
»
,
».
Virgilio (15
tenne
mor-
destino
70-21
ott.
a.
C.j in qual
Esercitarono
pitagoriche ?
dottrine
19
sett.
esse
qualche influsso sul suo pensiero e lasciarono traccio sibili
neir opera sua, dal
quello che ce ne dice
hanno tramandato egli
i
—
momento che sappiamo stesso e per
egli
suoi biografi e commentatori
ebbe grande inclinazione agli
desiderio di tutta la sua vita fu
studi
quello
per
che
quello
ci
—
che
e che
filosofici
de-
potervisi
di
vi-
dicare di proposito ?
Nel tempo in cui Figulo rivivere in
sare che
Roma
uno
e
come
Sestii
tentarono
di
quello di Virgilio,
far
pen-
pitagorica, è possibile
la filosofia
spirito
i
cu-
colto,
rioso e naturalmente portato alle speculazioni filosofiche,
non ne abbia avuto conoscenza? Per me v' è
(1)
argomento
di dubbio,
ma
In uno degli Epodi (XV,
varie vite di Pitagora nel
arcana renati
»,
verso
21)
accenna
Orazio
« nee
te
non
con
ancora
Pythagorae
dove è da notare anclie
volta (II, 4, 3) Pitagora
solo
credo di poter dire anche
1'
tere segreto e misterioso della dottrina (arcana)
mina una
non
allusione al carat-
Nelle Satire no-
Socrate e con
nelle Epistole ricorda il sogno pitagorico di
alle
fallant
Ennio
(II,
Platone e 1,
52).
,
— a;
—
già
mo
come ho
Dicerone,
ì^i1^
129
pratiche e nei prin-
credette di ravvisare nelle
Pitagorismo Torigine
romane,
L
anche
;e
con Cicerone
Orbene
altri.
insieme e
(1)
le
lo
avranno creduto na-
alle
già
pita-
filosofia
ispirato
anche
il
uno dei moEneide. Questo mi par che
1'
affermare con certezza, anche indipendentemente
3same analitico
dell'
opera poetica di Virgilio
esame
procediamo a questo
—
rio
non
induzione,
ma dovremo
te
poeta
«
ne
tutti
alla
»
Fontano, quanda
studi
(1) Servio,
dei
Virgilio
giovinezza e fu avviato
«
la
disse esplici-
lo
conoscitore
filosofici
docta
ad Aen. VI, 752:
dieta
«
in
com'egli
epicureo, dal gran Sirene,
amore
molto
della
(2).
sanno, agli
prima
ancorché
senz'altro assentire al giu-
augurale e profondo
Pitagora
la di
il
—
che
;
confermata a posteriori
sarà
solo
)he di lui fece
r
potenza
degli Annali fu
la cui opera
quali fu condotta
i
;ro
meraviglioso
romane, dovette proprio in modo
a quale per di più aveva
Ennio^
opera
1'
che perciò fece lunghi studi intorno
re rivolgere la sua attenzione alla
i
con
Virgilio, che
origini e lo svolgersi della
e alle antichità
)
molte delle più antiche
di
mirò a rappresentare in un
giore r
e
precedenti
strato nelle
di lui
»
attese
essi
da un
lo
chiama.
egli
avrebbe
Qui bene consideret inveniet
omnem romanam historiarti ab Aeneae adventu usque ad sua tempora summatim celebrasse Virgilium, quod ideo latet quia eonfusus (2) «
come
est ordo,
etc. ».
Poeta auguralis pythagoricaeque doctrinae peritissimus
è detto in
una nota
al
Commento
di
Macrobìo
al
»
Somnium
Seipionis, nella edizione di Lione del 1670, pag. 66. 9.
— anche
rinunziato
Yano
proposito
tirannia sofo.
1'
gran
in
—
130
parte
alle
«
^
!
che queste tennero sotto la loro amabile
!
animo
suo,
e Virgilio fu poeta
Filosofia fu in lui solo in potenza
—
nel suo pensiero
ramente a chi
Muse
dolci
ne
che pur mediti
:
prima che i
germi
latenti
delinea abbastanza chia-
si
—
opera poetica
l'
filo-
sarebbero
certo cresciuti in fioritura d' arte, se fosse vissuto più a
lungo,
che, condotta a perfezione
sì
appagare
potuto finalmente
poesia filosofica di Lucrezio,
così noi
—
avremmo
—
virgiliano
lungamente
di poter attendere alla
accanto
forse,
alta e mirabile esposizione del
un poema
epicureo, l'
:
Eneide, egli avesse
desiderio
il
maturato e più volte espresso
1'
informato
al
poerna
materialismo
ai principi
del-
idealismo pitagorico-stoico.
L' avviamento epicureo eh' egli ebbe da Sirone, e l'ani-
che sentì per la grande
mirazione
qualche
sciarono bensì
neir opera
Georgiche
sua
ma
;
traccia, e
giovanile, nei in queste
arte di Lucrezio
non
stesse
posto. Sulla concezione epicurea,
ma con
(vv.
mondo che
31 e seguenti)
;
manifesta
si
filosofico
larghezza di movenze, è foggiata quella sull'origine del
bucolici e nelle
poesie già
abbastanza chiaramente un indirizzo
formale,
soltanto
poemetti
la-
affatto
op-
molta libertà e specie di teoria
Sileno espone nella sesta ecloga
ma dobbiamo ben
guardarci dal darle
un' importanza maggiore di quella che essa ha realmente, col trasferirla
da Sileno a Virgilio e col dedurne
che questi fosse epicureo
;
della poesia sono possibili fa parlare
secondo
i
poiché nel campo
ben
altre
personaggi che sono
criteri e leggi
lor
proprie.
dell' arte
finzioni,
figli
e
della sua
Non
perciò
solo,
1'
e
artista
fantasia
ma
alla
stessa stregua allora altri potrebbe ritenere specchio delle
idee e concezioni virgiliane la quarta ecloga, che fu scritta
— poco prima della sesta
—
131
anzi lo potrebbe a maggior
;
gione, anzitutto perchè in essa
poeta canta in persona
il
propria, in secondo luogo perchè
il
concetto che
tornerà insistente e sempre più preciso negli
Ma
steriori.
in verità
in quegli anni essere
l'
informa po-
scritti
pensiero di Virgilio non
il
ra-
doveva
ancora definitivamente orientato
e
formato.
—
4.
La quarta ecloga
quando
composta
fu
aveva ventinove anni, e precisamente
poeta
il
alla fine del
41
a.
C, allorché stava per entrare in carica Asinio Pollione, console designato per 1' anno successivo (1). Sulla interpretazione di questo carene, così stranamente
non
discusso, che
suggestivo,
davvero
bisogno
s'
è tanto
d'
una nuova discussione. Basti quindi accennare che dai
commentatori st'
si
sente
Cristo,
qualche accenno
anzi
fanciullo di cui
il
identificato col
alla
artistica
—
volta a tali profondità e tal forza di significazione
e
da
è
e'
grandi
nei
espressione
un
meravigliarsene,
—
Oeneralraente
poetica
41;
si
ma
composta
ritiene
essendo
la
la
nascita del
figlio di
non possa esservi ragione 11.
univer-
al
principio del 40, anziché
pace di Brindisi stata conchiusa in
quello
Pollione, Asinio Gallo
s'
intende
il
di
incertezza
futuro inibii che
;
scorcio
(che,
Servio, nacque appunto Pollione eonsule designato),
y.
tal-
acquista
carattere "di
tale
sul finire del 41, ed essendo avvenuta pure
meglio
giunge
che essa par quasi attingere inesauribilmente, dalle
alla fine del
anno
apparizione del
imminente venuta del Messia;
Non 1'
(1)
all'
celebra la nascita fu addirittura
si
Nazareno.
che r intuizione
salità,
vedere in que-
cristiani si credette di poter
ecloga, scritta in tempi così vicini
il
mi
pare
tanto più che in
accompagna
il
te
di
secondo
tal
che
modo
eonsule del
—
.
—
132
disposizioni dell'animo e dagli atteggiamenti del pensiero di
proprio
venuta
di Cristo
consapevolmente
abbia
Virgilio
Ma
sempre nuovi.
chi legge, aspetti e valori
profetizzato
per conoscenza che avesse
zioni messianiche,
questa è un' altra
dai critici in senso
non
quistione,
del tutto negativo
generalmente
si ritiene
di Pollione, a cui è dedicata
ormai venuta
l'
sia stato
ecloga
risoluta
(1).
un
fanciullo
Asinio Gallo,
—
la
predi-
delle
Certo è che, in occasione della nascita d'
— che
che poi
figlio
poeta affermava
il
ultima età (quella di Apollo) predetta dal-
1'
Cuma, e sul punto di iniziarsi da capo, incominciando dall' anno del consolato di Pollione (40 a. C), una nuova serie di generazioni umane, un nuovo anno mondano, col quale sarebbe tor-
l'
oracolo in versi della Sibilla di
nata sulla terra la vergine Astrea
bero tornati
r età
i
dell' oro)
(1) Il
Mancini
1903) ha scritto «
e
(p.
qualche modo
regno
del
suo commento
48/ io
«
:
non
Non
si
conoscenza delle
il
«
fotti
di
CoMPAEETTi,
Bucoliche (Sandron,
messianiche certo
qualcosa
per
tratteggiare
questa conoscenza sentisse insomma
l'economia del carme
».
Per
la
rinomanza che
gli ef-
Virgilio si
Cristiani con questa ecloga, per ha quale fu sollevato
alla dignità dei profeti il
alle
profezie
«
i
(ossia
può appunto escludere assolu-
pervenuta a Eoma, e che ne traesse
acquistò fra
Saturno
di
creda necessario) che Virgilio avesse
lo
«
suo puer, che
giustizia) e sareb-
« dall' alto cielo sarebbe fatta scendere
p. es., nel
tamente (sebbene
« in
tempi
beati
(la
che predissero la venuta
Medio Evo
Virgilio nel
di
Cristo, si veda
1896,
(Firenze,
I,
p.
133
e seg.) e gli scritti ivi citati. L' interpretazione cristiana di questa
poesia era già molto in voga presso gli scrittori del quarto secolo. Si vedano
anche i lavori Augusto e
nel secolo di
di
C. Pascal
La
:
Il culto
rf'
Apollo in
questione delV Ecloga
IV
Roma
di Virgilio
(Torino, 1888), ristampati nel volume Commentationes vergilianae
(Palermo, R. Sandron, 1903).
— una nuova progenie genies
uomini
d'
demittitur
caelo
alto).
nascente, avrebbe visto
«
»
7
(v.
Sì che
scomparire
con
ferrea » e crescere insieme e
—
133
ricevendo la vita degli dei
tutto
la
proallora
fanciullo,
il
del
«
gens
«
gens aurea »
avrebbe
veduto sulla
lui la
»
nova
jaw,
:
—
ancora
loro: nella giovinezza avrebbe veduto
con
mescolato
terra dei ed eroi e anch' egli si sarebbe
residui
tempo condizione nuove necessaria al ripetersi delle vicende umane) spedizioni marittime, come quella d' Argo, e nuove guerre, delle colpe delle età trascorse (e in pari
—
come
la trojana, finche poi nella
maturità avrebbe goduto
a pieno la felice pace della nuova si
già
allietavano e cielo e terra e mare.
Come
si
vede
da questo
mille miglia da Epicuro
E
!
fondo entusiasmo poetico
No, senza dubbio.
Una
?
d'
periodi della vita universale
che cos' è poi questa conce-
ammettevano
universo e
il
desimi eventi e delle stesse
Pensò dunque
pro-
sì
finzione del suo spirito?
—
Apollo
—
il
ultimo dei grandi
1'
rinnovamento del mondo
non
ma
solo,
teorie filoso-
anch' esse
rinnovarsi
il
ritorno alla vita
degli
stessi
ri-
periodico
ripetersi perfettamente identico dei
il
anime
con
tratta
che ho già avuto occasione di
fiche allora correnti e
dell'
Pura
ritorno dell'età dell'oro;
cordare,
lontani le
predizione dei carmi sibillini pro-
metteva certo con V età
il
siamo
accenno,
zione d' una palingenesi che Virgilio
e
quale
della
età,
me-
corpi e
(teoria pitagorico-stoica e dei genetliaci).
Virgilio, nel fingere
minciare dell'anno 40 designata dai carmi
si
che
proprio
iniziasse l'ultima età
sibillini,
a queste teorie ?
col
mondana
A me
che non se ne possa dubitare. Solo
ci si
se queir < altro Tifi
nave Argo che
»
,
quell' « altra
sporterà ancora gli eroici compagni »,
potrà
« le
altre
co-
pare
chiedere tra-
guerre »
— che «
si
rinnoveranno e «
—
134
grande Achille
il
sarà mandato a Troja», indichino eventi,
di tali
il
ritorno
al
l'identico
medesimo
punto
seppe
ma non
gnando
proprio
e popolare assegnava alla prima,
si
dotti
però
Virgilio alla seconda età dell' oro già
che
ad ammettere
1'
ipotesi che
il
l'
palingenesi.
E
la quale
cisamente
ancora
poeta
il
immaginazione come un l'anima universale
mondano
all'
posto sotto
»
smaglianti
,
<^
ora, poiché
magnum
rebbe che è
emanata
del
il
? (1).
nuova
progenie
mcrementum
»
(v.
pura e semplice
direttamente
più
che
il
pare,
non ostante
il
non parsua anima
da
Giove,
supremo
diverso parere di qualche
tatore (p, es. del Pestalozza), che l'
espressione
il
si
debba precisamente
suo senso proprio e letterale.
deum
49),
dell'Olimpo pagano, quel principio divino che è
Mi
— non
pensiero del poeta
fanciullo è chiamato « cara
lovis
dal-
nuovo anno o periodo
egida di Apollo
— nel
»,
sua
alla
anime emananti
di
Giove starebbe qui a indicare,
(1)
sua
della
a che cosa ebbe pre-
dovesse intendere altrimenti che la
si
in-
nova progenies
v'ha dubbio che appartenesse a questa suboles,
dotta
sarebbe piuttosto
Ebbe innanzi
?
flusso
inizio
1'
L' anima del fanciullo
spirtale:
imminente
la tradizione
parlando della
:
pensiero
il
asse-
avverarsi della teoria pitagorico-stoica della
eaelo demittitur alto
«
che,
poeta abbia raffigurato
e rappresentato in atto, coi colori arte divina,
potendo
ritorno di eventi
il
gli stessi. "Certo
quei medesimi, identici caratteri
vita
così vi-
decidere:
quei nomi simboleggiare genericamente simili,
della
pur
dei ricorsi storici. Il vecchio Servio infatti,
non
ripetersi
una generica legge
universale, oppure indichino soltanto
cino ai tempi del poeta,
che ancora
»,
l'
e
dio
anima
commendare
al-
—
135
~
dell'universo, secondo la teoria che "Virgilio
cora riprendere
tardi,
piìi
nel secondo
delle Georgiche, e
che doveva svolgere più compiutamente
ma
famosa
anima
storia dell'
«
dove, dall'ani-
là
Auchise, fa esporre ad Enea, giù
di
doveva an-
negli
Elisii,
la
».
Vero è che, come ho già
rilevato,
bisogna andar molto
cauti nella interpretazione di siffatti motivi poetici e nel-
r inferire da
essi
il
pensiero filosofico animatore
operante
neir artista; che questi può, indipendentemente dai assurgere per pura
normali,
cessi logici
pro-
intuizione
alla
visione totale o parziale di grandi verità. Nel caso nostro il
prendendo
poeta,
com'era
un
bensì lo spunto da
la predizione sibillina,
fatto
reale
ha forse raccolto intorno
ad essa reminiscenze d'altra origine ed aggiunti elementi
nuovi
pura elaborazione fantastica; ed espressioni poe-
di
tiche di tale natura sono per sé indeterminate e male
ad
prestano
essere
seste della logica.
analizzate
Non potevamo
almeno come indice
momenti
—
Da
rigide
tendenza mistico-idealistica,
di quella
dell' attività
le
però non tenerne conto,
che ancora e meglio doveva rivelarsi più cessivi
con
misurate
e
si
tardi,
in
suc-
poetica del nostro autore.
come quelle della sesta e quarta ecloga appar probabile dunque che prima dei trent'anni Virgilio non avesse ancora definitivamente orientato e fermato il suo pensiero e forse non lo aveva neppure orientato definitivamente quando dal 5.
ispirazioni così diverse e lontane
;
—
30
— compose
osservano
ancora da
37
di
al
forma con
il
le
un
poema
immagini e concetti per questi ultimi,
i
Georgiche lato
;
poiché in
queste
si
somiglianze di pensiero e si
incontrano
basti
ricordare,
bellissimi versi del quarto
libro (219-
lucreziano, e dall'altro
stoico-pitagorici.
Mi
~ 227), nei quali
il
136
—
poeta accenna, senza ancora accettarla
come propria, ma con evidente simpatia, la concezione panteistica (che fu prima di Pitagora e poi di Platone e degli stoici) secondo la quale
non è che una
viventi
spirito divino
1'
anima
parte, più o
di tutti gli esseri
meno
grande,
dello
che, suscitando in mille forme la vita, per-
vade e penetra tutto
universo, e a cui tutto ritorna.
1'
His quidam signis atque kaec exempla secuti esse apibus partem divinae mentis et haustus
220
aetherios dixere
deum namque
:
ire per
omnia,
terrasque traefusque maris eaelumque profundum. Hine peeudes, armenta, viros, genus omne ferarum^ quemque sibì tenues naseentem arcessere vitas ;
225
seilieet
hue reddi deinde ae resoluta referri
omnia, nec morti
numerum
sideris in
filosofo,
Il
mente dità
le
il
atque alto succedere eaelo.
come
pensiero
ma
sue riserve;
di altri (quidam...
poeta evidente-
il
vi aderisce, e l'altezza dell'arte ci dice la profon-
adesione
dell'
che uno
ma
esponendo
ancora
dixere)^ fa
esse locum, sed viva volare \
sentimentale.
di questi versi
mirabili
Virgilio lo ha ripreso tal
Non (il
solo
;
non
222)
quale dalla
ma
fatto
il
è nuovo,
quarta
ecloga
31), lega idealmente questa col passo delle Georgiche.
(v.
L'
animo
di
lungo prima
Yirgilio
il
la dottrina di
Sirone e
suo temperamento prima e poi
via via
si
ondeggiato certo a
di aderire a quelle idee contro le quali ave-
vano combattuto
ma
dunque
ha
vennero elaborando in
1'
le
lui col
arte di Lucrezio;
convinzioni che
maturare degli
anni e degli studi dovettero riportarvelo fatalmente
ché quando,
iniziati gli studi
tutto nelle ricerche
romane,
si
trovò
di
per
intorno alle
1'
;
sic-
Eneide, immergendosi
origini e alle
fronte al Pitagorismo,
che
antichità la leg-
—
—
137
genda collegava colla sacra figura del re Numa, che aveva ispirato anche l' arte di Ennio e che aveva in queanni
gli
come Nigidio
cultori
come
e
i
egli do-
Sestii,
vette sentirsi preso tutto quanto da quelle idee e assimi-
ancora più profondamente, tanto che ad esse volle
larle
poi dare anche più precisa e più degna espressione là proprio dove
il
attinge la più alta romanità e acquista
poema
medesimo tempo
nel
-- Al
6.
carattere di universalità.
principio del sesto libro dell'Eneide, che
si
riteneva generalmente dagli antichi contenesse la più pro-
fonda dottrina virgiliana, Servio credette di dover premetqueste
tere
quale
nella
Tutto Virgilio è pieno di scienza,
parole:
«
tiene
primo luogo questo
il
Omero
parte principale è tolta da
canto
XI
mente
senza allegoria), molte sono prese dalla
molte provengono dall'alta sapienza dei
hanno
egizi; talché parecchi
scuna
di
sti trattati
quello,
tali
del
storia,
e
teologi
scritto interi trattati
su cia-
filosofi
cose che trovansi in questo libro». Di que-
peraltro a noi
certo
non ne
interessante
assai
del quinto secolo
;
nemmeno
è giunto alcuno,
punto
dal
nostro tema, che scrisse Macrobio,
ci
Nékyia
(cioè dalla
Alcune cose sono dette semplice-
dell' Odissea).
(cioè
di cui la
libro,
1'
del
vista
di
grammatico
erudito
che
poiché dei suoi Saturnali,
pure
restano in buona parte, è andata perduta proprio quella
parte in cui dell'
conteneva
si
opera virgiliana
(1) Il
compito
(1).
E un
esame
di tale
se
Saturnaii, Eustaxio, filosofo per ci fa
sapere Macrobio stesso
l'I.
della filosofia sopra ogni altro di Eustazio era la
prima
esame
l'
i
I,
del
valore
peccato, perchè Macrobio,
1'
era assunto, nei
dialoghi
suoi tempi assai erudito, e.
V)
;
dei
come
anzi, per la superiorità
ordine di cognizioni,
di tutte,
filosofico
come appare da
1'
ciò
esposizione
che è detto
— come
—
138
neo-platonico, avrà certo
menti
pitagorico-platonici
messi in rilievo
pensiero di Virgilio,
del
(I,
44)
6,
il
è certo
il
antico ha fatto
terque quaterque beati,
riconosce
come
caso di andar cercando,
(2),
ogni
in
del
Somnium
commento
neir espressione la dottrina pitagorica dei numeri
Non
ele-
al
quale, per esempio, ricordando nel
Scipionis
gii
(1).
qualche
espressione, in ogni
parola
questo mirabile libro, al quale doveva ispirarsi Dante
di
Alighieri,
sensi più reconditi, le
i
immaginare
e di
Ma
comporlo.
le
astruse
piti
intenzioni più riposte del poeta
è di quelli che
pienza dei
nel
sopra un punto in particolare, che è come
chiave di volta di questo canto e che
la
allegorie,
ha
Servio
indubbiamente
provenire
detto
dall'alta sa-
noi fermeremo la nostra
filosofi e teologi egizi,
attenzione.
Enea, con l'
1'
anti-inferno o limbo
dei neonati, dei suicidi) e ai
amore
nel tilo
;
(1)
dello
stesso
dovuta
e si deve far risalire al il
al-
ma
è
decisamente
dei
morti per causa
libro
il
Tartaro
seguente è mu-
degli
in cui questi
scrittori cri-
tendevano ad
nium perìHssimus (I, omnium diseiplinarum
solo è dotto in ogni
infallibile.
dice nullius disciplinae expers
(2j
il
allo zelo
tempo
anime
carattere profetico-cristiano di Virgilio.
Por Maorobio, Virgilio non
sapere,
i
lasciato a sinistra
Senonchè
I.
1.
le
ingiustamente,
campi dolorosi (dove sono
e la mutilazione è forse
accentuare
(dove sono
condannati a morte
e famosi guerrieri),
XXIV
e.
stiani,
lo
è sceso
Inferno. Passata la palude Stigia sulla barca di Caronte,
attraversato
d'
Cu ma
la scorta della Sibilla di
15,
12)
(I,
Nel commento 6,
genere
Saturnali
(I,
di
Somnntm
44) e diseiplinarum
così nei
;
al
om-
16, 12)
:
peritus.
Per esempio Elio Donato,
il
quale
attribuiva a Virgilio
un
sapere straordinario e cercò nei suoi versi dottrine risposte e scopi filosofici
ai
quali certamente
non aveva pensato mai.
—
—
139
(dove subiscouo. le pene più orribili le anime di tutti co-
modo hanno
loro che in qualche
e divine) è giunto nell'
sono
il
ampio
Elisio,
pianure
liete
che
felicissimo regno dei beati
amoena mrecta
locos laetos et
fortunatorum nemorum sedesque heatas.
630
una luce perpetuamente serena
Quivi, in
anime dei beati
le
umane
violato le Jeggi
ed
poeti, filosofi
rono
ameni
e per
sulle rive di
ameni
ruscelli,
abitudini ed occupazioni terrene
quale Enea chiede notizie per guida.
Il
padre
d'
d'
Enea
:
valli,
alla
una
fra
esse
stava in
gli
al
offre
si
momento
quel si
Museo,
è
Anchise e che
loro
le
ad
trovavano chiuse
valle verdeggiante, destinate a ritornare
passando in rassegna fra esse
terrena,
vita
in prati ed in bo-
continuando
osservare con attenzione le anime che nel fondo di
sacerdoti,
benemeriti della umanità) trascor-
colli
su
la vita
schetti,
artisti,
per la patria,
morti
(eroi
e fiammante,
quelle
che dovevano rincarnarsi nei suoi discendenti, per conoscerne
il
destino, le vicende,
il
opere future.
carattere, le
At pater Anchises penitus eonvalle virenti
animas superumque ad lumen ituras omnemque suorum forte recensebai numeruni carosque nepotes fataque fortunasque virum 7noresque manusque.
680
inclusas
lustrabat studio recolens
Avviene tro,
dopo
il
fra padre e figlio
quale
un commoventissimo incon-
Enea vede da un
lato della
bosco appartato e cespugli pieni di suoni e (il
fiume
dell' oblio)
che lambisce
intorno a questo una infinita
quelle
il
valle
fiume Lete
placide
sedi e
moltitudine di anime
lazzanti e che riempiono tutta la pianura
del
un
loro
svosus-
— surro, simile al ronzio
meriggi fiori
estivi,
addensano intorno
e si
ne chiede
stupito,
la ragione,
onde del fiume Lete
tempo
in loro per lungo
sereni
e
L' eroe,
(1).
fiume
che
di
sia
affollano
si
così
:
alle quali è alle
candidi gigli
ai
nei
prati,
numeE il padre subito gli risponde « Le dovuto per destino un altro corpo,
rosi sulle sue rive.
bevono
padre
al
pei
posano su ogni sorta
si
uomini quelli che
quello, e che
anime
che fanno
quando
le api,
—
140
il
acque che sigilleranno
le
ricordo degli
affanni e
della
vita trascorsa »:
animae, quibus altera fato corpora debentur, Lethaei ad fluminis unda'm 715
seeuros latices
Queste anime
(i
re
longa oblivia potant.
appunto
enumerandogli e scendenti
et
egli
indicandogli
Albani e
Silvio a Marcello
il
esse
fra
eroi
gli
giovane)
accinge a mostrargli,
si
tutti
gloriosi di
perchè
s' allieti
essere finalmente giunto alle spiaggie d' Italia. subito gli chiede
:
«
padre,
deve
si
che alcune anime di qui tornino
suoi
i
di-
Roma da con
lui di
Ed Enea
dunque credere
alla luce
del cielo e
ri-
tornino una seconda volta nell' impaccio del corpo ? qual
mai assurdo desiderio lici ?
»
della
vita
terrena
hanno
:
anne aliquas ad caelum hinc ire puiandum sublimis animas iterumque ad tarda reverti corpora ? quae lueis miseris iam dira cupido ? pater,
720
(1)
le infe-
Nella concezione orfica pare che
lingenesi fossero chiamate api (Sabbadini).
;
donde
le
la
anime destinate
est
alla pa-
ragione della similitudine
— Ed mata
141
—
ecco subito Anchise esporgli quella eh* io ho chia-
dell'anima
la storia
:
anima
« Anzitutto un' interiore forza spirituale la terra,
mari, la luna,
i
genza infusa per la
gran mole
il
sole,
tutte le sue
dell'
le
compenetra
agita e
parti
un' intelli-
e
stelle,
cielo,
il
universo. Di qui gli uomini e gli ani-
mali che vivono sulla terra, che volano
per
muovono negli abissi del mare nima universale disseminate nello
particelle dell'a-
si
etereo e origine celeste lue corporea
e
aria^
hanno
spazio,
ma, più o meno,
;
membra
le
essi,
:
1'
che
vigore
inceppa
li
terrene e periture
li
la
ottun-
dono. Oud' è che essi vanno soggetti a timori e desideri, a gioie e dolori cere, le
anime disconoscono
che, anche vita,
chiuse nelle tenebre e in
e,
non
si
le lasciano
quando nel
il
onde derivano. Tanto
cielo
male
ogni
stacca tuttavia dalle infelici
sozzure corporee
le
meravigliosi. Perciò
pagano con supplizi infezioni alcune
si
il
altre
nel fuoco. Tutti subiamo da
immerse
oceanici
?),
il
senso
sozzura
etereo e
il
il
un
altre
Elisio
tanto restiamo nelle sue liete pianure,
volgere d'anni, compiuto
in
morti la nostra
quale passiamo nell' ampio
traccio d'ogni
:
delle cui
purificano rimanendo sospese ed espo-
abisso d' acqua (negli abissi
la
tempo
sottoposte a pene e
delle passate colpe
fio
ste all' azione dei venti,
dopo
sono
né
devono ne-
cessariamente crescere nel loro intimo per lungo
modi
la
molte delle
;
quali anzi; avendole profondamente intaccate,
in
car-
trapasso le abbandona
dì del
interamente
cieco
tempo
;
profondo bruciando espiazione,
e pochi
finche
prescritto,
sol-
un lungo cancella le
contratta nel corpo e lascia puro
fuoco
della
semplice
aura.
Tutte
queste invece, quando son volti mille anni, sono chiamate
da Dio in gran numero
al
fiume Lete, perchè, immemori
— rivedano
del passato,
la
142 volta
— del
cielo e
comincino a
sentire di nuo^vo la volontà di rincarnarsi nei corpi
«
725
v.
Principio caelum ac terras camposque liquentis
lucentemque globum lunae Titanìaque astra totamque infusa per artus
spiritus intus alit
mens inde et
730
agitai molem et magno se corpore miscet. hominum pecudumque genus vitaeque volantum
quae marmoreo
feri
monstra sub aequore pontus.
igneus est oUis vigor et caelestis origo
seminibus, quantum non noxia corpora tardant terrenique liebetant artus moribundaque membra.
hinc metuunt cupiuntque, dolent gaudentque, neque auras dispiciunt clausae tenebris et carcere caeco.
735
740
supremo cum lumino vita reliquit, non tamen omne malum miseris nec funditus omnes corporeae excedunt pestes, penitusque necesse est multa diu concreta modis inolescere miris. ergo exercentur poenis veterumque malorum supplicia expendunt. aliae panduntur inanes
quin
et
suspensae ad ventos,
aliis
sub gurgite vasto
infectum elicitur scelus aut exuritur igni
quisque suos patimur manis
mittimur Elysium
745
;
et
;
exinde per
;
amplum
pauci laeta arva tenemus,
donec longa dies, perfecto temporis orbo,
concretam exemit labem purumque relinquit aetherìum sensum atque aurai simpliois ignem. has omnis,
iibi
mille rotam volvere per annos,
Lethaeum ad fluvium deus evocai agmine magno, 750
scilicet
immemores supera ut convexa revisant
rursus et incipiant in corpora velie reverti
Qui non siamo più vaghi e imprecisi,
una 729)
ma
di fronte all'
evidentemente a concetti
esposizione
teoria, nella quale è riaffermato il
».
alta e
solenne di
anzitutto (vv.
725-
concetto di uno spirito immanente nell' universo,
di carattere divino e intelligente,
di cui
tutti gli
esseri
— animati cioè
—
—
143
uomini e bruti
—
sono delle manifestazioni
medesimo concetto che abbiamo
il
veduto
già
;
nel
quarto delle G-eorgiche, e perfettamente identico a quello
che Cicerone, come stro
di
Pitagora
divina ed
concepita
(1).
Di
perfetta
in
un
degli
animali,
e negli
materia
la
un
carcere,
errori,
del
e
loro
peso,
un impe-
delle
passioni,
Sicché la vita è
traviamenti.
dei
colpe,
con
antitesi
dimento, e che è la causa delle
uomo
nell'
corpo, che è per l'anima
mae-
forza spirituale, di origine
piti la
che è
eterea,
attribuiva a Ferecide,
è visto,
s'
un
male
Anche questo concetto di un dualismo o antagonismo fra spirito e materia non ò nuovo ed appartenne già anch' esso all' antica filosofia pitagorica, come s' è pure veduto (2). Ma se la vita è un male per tutti, 730-734).
(vv.
per
malvagi e per
i
bono
all'
La
purificarsi delle infezioni corporee.
avviene
infatti
però
buoni, tutti, dopo la morte,
i
eterni,
mezzo
per
pene e
di
che debbono subirsi per
il
purificazione
tormenti,
di
deb-
non
tempo necessario
espiazione perfetta.
Ne
sono mezzi
i
tre elementi
del fuoco (quelli stessi che si
dell' aria,
tutte
le
anime
passano
beatitudine, dove alcune poche,
furono in terra felicità,
non
sia
i
migliori,
il
Ci
i
il
(2) Cicerone,
nell' Elisio,
degli
tempo
ma
Somnium
1,
luogo di
che
eletti
che dura fintantoché
—
prescritto si
li,
tempo
terrena e
27 e De Senectute 21, 78.
Seipìonis,
?,
assai
esaurisca e scom-
loro attaccamento alla vita
De Natura Deorum
espiazione pu-
rimangono a godere una serena
lungo, quanto è necessario perchè paia da sé
1'
quelle
anche questa non eterna, compiuto
acqua e
adoperavano appunto nelle
cerimonie simboliche dei misteri). Dopo rificatrice
dell'
15 e altrove.
il
ri-
—
umane
cordo delle belle opere
natura
primitiva
la
solversi in seno
sono
all'
—
144
—
(1)
eterea e spirituale e
con
delle convalli confinanti
1'
r
si
anni
dopo
la
non
seconda
guente espiazione negli elementi,
all'
tutte in attesa di convertirsi
puro
in
lo
numero delle ad un massimo di due
limitato
Ma
un modo
in
fino al
r anima
in cui
momento
di involuzione
;
il
il
si
che
Né
etere e
—
una con
sarebbe
dallo
l'
dal
le
mo-
universale
spirito
panteistico e spirito,
ai
che
anche
appena accensvolti 1'
i
compiu-
ultima
premi d'oltretomba
prime, foggiata secondo
processo
il
parte
(vv.
735-
(vv.
748-
principi del-
Orficismo e del Pitagorismo.
(1) le
come
inde-
della resur-
747) e che espone la dottrina della metempsicosi 751), sia,
terra.
ricongiunge ad esso, è perfet-
concetto
pene e
o
prevalenza
dell' esistenza,
ciclo
può dubitare
si riferisce alle
spirito,
esistenze terrene sarebbe
ed evoluzione dello
si
resteranno
Elisio, vi
nati nel quarto delle Georgiche, sono qui
tamente.
ri-
morte e conse-
nel secondo
stacca
si
in cui
tamente conchiuso
,
quando
o nell' altro la teoria
rezione è assai chiara e
mento
—
una del bene
del male e finito.
il
dice, se
nuovamente sulla
se parte di esse dovrà ritornare
Nel primo caso
chiamate
fiume Lete
del
queste ultime anime, destinate a nuova vita,
torneranno poi ancora,
una
in
incarnano in nuovi corpi.
intende peraltro, poiché Anchise
s'
dis-
invece, e
vengono
Elisio,
purificatrici
Non
altre
mille
da Dio a bere nelle acpue oblio della vita trascorsa e
nuovo
di
anima universale. Le
gran maggioranza, trascorsi
la
per riprendere poi
Appunto per
tale attaccarne nto,
esse continuano
occupazioni a cui attendevano sulla terra.
nell' Elisio
— —
7.
Sarebbe
oltremodo
certo
questi principii fino
—
145
conseguenze logiche, e
ultime
alle
chiederci, per esempio, se in tale concezione
emanazione
di
una volta
nisse
anime
delle
tanto, o
intervalli, o ininterrottamente.
vedrebbe allora che, non
Si
(perchè in
tal
anime individuali
in
volta tanto delle
sarebbe
un
seguita in
processo
il
universale avve-
dallo spirito
ad
svolgere
interessante
potendo col
caso,
seno
continuo
ritornare
anima
all'
ne
universa,
momento
determinato
una
ne
avvenire
scom-
la
parsa della vita dalla terra), né ininterrottamente (parche
numero
sempre
essendo
caso,
in tal
non
dei cattivi che
punto sarebbe prevalso male),
ma dovendo
tervalli,
r idea
infinitamente
un
quello dei buoni, a
irrimediabilmente
considerarsi
di tale
maggiore
certo
terra
sulla
come avverantesi ad
processo
d'
emanazione
il
si
il
in-
ricolle-
accennata dei grandi anni mon-
gherebbe
alla teoria già
dani
Così ancora, poiché dall' anima universale ema-
(1).
nano non
bruti, ci si
anche quelle dei
potrebbe chiedere che cosa dovesse avvenire
di queste, alla
modo
ma
solo quelle degli uomini,
morte dei loro corpi.
E
si
vedrebbe come,
problema da qualcuno, potrebbe esser nata appunto l'ipotesi —- quasi
dal
(1)
in cui dovette esser risolto questo
Ognuno
di questi
anni o periodi
della
vita
diviso in dieci mesi (di mille anni ciascuno) e ogni il
particolare influsso d'
filosoficamente,
come
una
universale
mese era
delle divinità maggiori, concepita forse,
aspetto, manifestazione, atteggiamento,
nazione particolare del dio universale. La durata però stessi era coli
;
computata anche
era sotto
altrimenti,
ma sempre
e in ciascun anno, che si iniziava
di
degli
emaanni
parecchi se-
con un processo
sempre anime e quel che abbiamo visto
identico di emanazione, ritornavano sulla terra le stesse si
ripetevano
gli
stessi eventi.
Si ricordi
più su (§ 4) parlando della quarta ecloga. 10.
— unanimemente
Ma
una metempsi-
d'
(1).
prescindendo da queste considerazioni, che
terebbero potuto
con
—
attribuita a Pitagora
anche animale
cosi
—
146
come
dire,
si
questa
concilia
e del Tartaro ? esiste
È :
evidente che una
che
1'
ha
ci
storia
rappresentazione precedente
tutta la
damentale
che Virgilio
di là di quello
al
ci por-
voluto o
dell'
anima
dell' anti-inferno
contraddizione
fon-
anime nel prein-
esistenza delle
feruo e le punizioni evidentemente eterne che subiscono quelle dei malvagi nel Tartaro
con
le
non
si
possono accordare
pene temporanee per mezzo dei
tre elementi. Sic-
ché noi siamo indotti a pensare che nella rappresentazione virgiliana dell' oltre tativo
mal
riuscito
tomba
— per
debba forse vedere un ten-
si
la
mancata elaborazione ultima
poema, impedita dalla immatura morte
del
fondere insieme quella che
di
polare e
E
il
di Virgilio
rappresentazione
era
gestiva e profonda ha d' altra parte
un
sappiamo che Virgilio compose
la voglia di credere
anche
quello della
storia
che
essa
del
stata
sia
1'
non
insieme,
Eneide a vorrebbe
scritta a parte,
tempo anteriore a poema, e poi opportuna-
indipendentemente e composizione
in
inserita in questo, allorché
il
poeta
—
artista,
Qualcuno cioè potrebbe aver pensato che le incarnazioni anima fossero non tutte necessariamente in corpo umano, (1)
l'
anche le
sug-
compiuto e perfetto, e
senso
pezzi staccati, che poi collegava
mente
po-
concetto o rappresentazione filosofica del poeta.
poiché, considerata in sé stessa, questa
fors'
fi-
del-
ma
in corpi d'animali, terrestri, acquatici od aerei, secondo che
colpe precedenti fossero da espiare
r altro elemento
uno
—
:
e la vita
nell'uno piuttosto che
animale avrebbe perciò
stato di vita intermedio fra
due
vite
umane.
nel-
rappresentato
—
cittadino nello stesso
losofo,
per esaltare
valersi,
—
147
grandezza
la
rappresentazione dei grandi trina della metempsicosi,
—
tempo
concepì l'idea
di
Patria e per
la
della
Roma,
della
dot-
antichissima e largamente
dif-
di
spiriti
fusa e conforme alle credenze religiose dei
Ennio
tadini e già consacrata dall' arte di
parrebbe neppure
arrischiato
Natura
quale Virgilio già
al
condo canto delle Georgiche dirittura
principio
il
eh' esso avrebbe svolta
si
iniziavano appunto con
messa
una finzione
in
stesso o
(1).
1'
In
se-
ad-
madre
idea
1'
eh' egli
certo
della
ve-
dot-
dunque
tale, ipotesi
mezzo
un
il
e forse
esposizione
bocca ad Anchise non
poetica,
della
come abbiamo
cui Annali,
i
trina della metempsicosi teoria
475-494),
principio ed idea
:
prese e imitò da Ennio, duto,
quel
di
(vv,
poema
del
dovesse
si
poema pensava quando finì
un brano
proprio vedere in essa
concit-
Anzi non mi
?
che
pensare
il
suoi
la
sarebbe
soltanto
artisticamente
perfetto
per ottenere una grande e suggestiva efficacia di rappre-
ma
sentazione,
esprimerebbe
cezione di Virgilio,
il
(1) Molti raffronti fra
dei Saturnali;
ultimo di quel
risultato
Ennio
ma, per dire
e Virgilio
Omero ad Ennio.
1'
fa
non
la verità,
rapporti formali o sostanziali fra e quella di
genuina e schietta
la
esposizione di
Potrebbe
darsi
contra^^to
Macrobio
vi è
con-
nel
l.
VI
cenno alcuno di Anchise ad Enea
tuttavia
che
se ne
parlasse in quella parte dei Saturnali che è andata perduta e nella
quale appunto
si
conteneva
1'
esame
del valore filosofico dell'opera
virgiliana fatto da Eustazio. D' altra parte però è indubitabile effettiva
somiglianza
sono indubbie alcune arcaismi che
un
si
di
contenuto fra
trovano in Virgilio
altro indizio d' imitazione
mentat. vergilianae,
i
due squarci
analogie di pensiero
p.
{ollis,
enniana.
143 sgg.) ha
—
fra
i
poetici,
due
poeti.
una come
E
gli
aurai) potrebbero essere
Anche
dimostrato
il
Pascal (Gom-
che
Virgilio
ha
derivato la sua esposizione dottrinale dal proemio degli Annales.
—
148
a cui abbiamo accennato fra e
il
l'
— idealismo pitagorico-stoico
materialismo epicureo, sarebbe insomma
mento
filosofico.
testamento
Mirabile
sciava in eredità alle
più lontane
suo testa-
il
davvero,
generazioni
che l'
la-
alta
e
sublime espressione artistica d'una teoria che, sorta agii albori del pensiero nelle più
smessa l'
di
altra,
remote età
dall'
Oriente
all'
Occidente,
più sacra e più recondita,
tra-
s'
illuminò
dell' arte.
al-
con cura
custodita
come
la verità
ancora una
già nei miti immortali di Platone, alla
poesia e
uomo,
generazione in generazione da una civiltà
gelosa nel mistero dei santuari, insegnata
come
dell'
luce
volta,
della
V.
U
Pitagora e
1. •
La
sne dottrine nella poesia di Ovidio.
Numa
tradizione di
scolaro di Pitagora in Ovidio.
canto
il
XV
ciali; 3.
Metamorfosi
delle
flusso universale
Pitagora profeta della grandezza di
Ovidio e
—
1.
condo
vegetarianismo
;
materia e trasformazioni
della
Pitagorismo.
il
—
esposizione ovidiana.
Ho
la
5.
già parlato
quale
re
il
—
4.
Na-
2.
a.
C.
;
cosmiche e soe d'Augusto.
Fonti e valore
storico
—
della
nel
Numa
cap. I della
tradizione, se-
Pompilio sarebbe stato scotutte le testimonianze
là
ho anche accennato a quella che ne
di questa tradizione,
Ovidio (43
Roma
metempsicosi
;
Conclusione.
laro di Pitagora. Raccogliendo
fa
—
tura, estensione, contenuto degli insegnamenti pitagorici secondo
17
-
d. C.)
nel quindicesimo e ultimo
canto delle Metamorfosi (vv. 1-8, 479-484). Essa ha una
importanza specialissima e merita ratamente
dalle altre
zione stessa
il
non profonda, pili
poeta
anche si
di essere studiata sepa-
per questo, che della tradi-
vale per fare
tuttavia molto estesa
organica che
ci
—
un'esposizione, se la
più estesa e la
rimanga nella letteratura romana
—
150 della tìlosofia pitagorica, specialmente in attinenza a
due
punti fondamentali di essa: l'astensione dai cibi carnei e
metempsicosi.
la
Dice dunque Ovidio
1S\
(vv.
che,
scomparso Romolo,
cercò subito chi potesse addossarsi un peso tanto grave
si
Roma, succedendo a un tal re, e che una fama non menzognera designò all'impero Numa, com'era
governo
il
di
già famoso per la sua giustizia, per
non
pratutto, per la sua sapienza: che,
perfezione
i
riti
della
abbracciando con ed essendo
sua gente, la
so-
solo conosceva a
Sabina, ma,
gente
scrutare
più ardui problemi della
i
natura, aveva abbandonato la nativa Curi e
a Crotone
e,
anima più larghi concepimenti
la vasta
avido di
sua pietà,
la
era recato
si
:
Quaeritur interea qui tantae pondera niolis Sustineat, tantoque queat succedere regi.
Destinai imperio elarum praenuntia veri
Fama Numam. Non 5
Oentis habet ritus Goncipit,
Iluius
et
quae
amor
:
ille
satis cognosse
animo maiora capaci rerum naiura requirit.
sit
curae, patria Guribusque relictis,
Fecit, ut Herculei penetraret
Quivi insegnava Pitagora
—e
ad hospitis urbem.
segue appunto nei versi
60-478, l'esposizione delle dottrine di questo or ora esamineremo di
le
—e
Numa
ne ascoltò
che ritornò in paCria e prese
Roma, insegnando arti
Sabinae
al
le
filosofo,
lezioni;
i
riti
della pace:
tn patriam remeasse Acoepisse
Numam>
ferunt.,
di
sacrificali e
Talibus atque aliis instructo pectore dictis
480
dopo
governo
le redini del
popolo del Lazio
che
ultroque petitum
populi Latiaris kabenas:
Goniuge qui felix nym^pha ducibusque Gamenis
—
—
151
Sacrificos docuit ritus, gentemque feroci
Adsuetam
Come
—
vede
si
bello
pacis traduxit ad artes.
e l'ho
già
rilevato,
—
Ovidio non
come cosa ovvia e risaputa^ la tradizione che faceva di Numa un discepolo di Pitagora, ma vien pure in certo modo a mettere in connessolo accetta senza discuterla,
sione
di
Numa
e
dipendenza l'
le istituzioni
educazione
da
pitagorica
attribuite a
religiose
ricevuta
lui
;
per
quanto con l'accennata collaborazione della ninfa Egeria e delle
Camene
la
leggenda abbia certamente voluto rapl'elemento
ebbe
presentare la parte che
creazione degl'istituti religiosi romani del riodo regio
(1).
indigeno nella piìi
antico pe-
poeta pertanto, non tenendo conto dei
Il
dubbi e delle critiche messe innanzi da qualche erudito, preferì seguire senz'altro la
tradizione leggendaria,
pur Cicerone aveva chiamata inveteratus hominum e ciò
non tanto perchè
rabilmente
modo
il
mente,
le
Lo
la
stesso
alla possibilità
Numa
più che mai viva nella coscienza i
quali
il
poeta scriveva
(2),
recente rinascita del Pitagorismo in
mas-
Roma.
Ovidio, in altro luogo {Fast. Ili, 151-154) accenna
che
la
dal filosofo di
riforma del
Samo
abesse duos Sive hoc a
sit
me-
Metamorfosi, quanto perchè, molto probabil-
dei contemporanei, per
(1)
offriva mi-
gli
conclusione d'un poe-
naturale
piìi
la tradizione era
sime dopo
ei-ror;
di esporre quella dottrina della
tempsicosi ch'era la
ma come
siffatta tradizione
che
:
calendario
stata
sia
ispirata a
Pompilius menses senPrimus Samio doctus, qui posse renasci Nos «
putat, Egeria sive monente sua ». (2)
Un
ultimo accenno alla medesima
tradizione
terza elegia dei terzo libro delle Pontiche, dove
il
si
legge nella
poeta,
immagi-
sogno all' Amore di cui si professa maestro, lo rimprovera di essersi comportato verso di lui ben altrimenti da quello che fecero altri discepoli verso i loro maestri Eumolpo
nando
di parlare in
:
verso Orfeo, Achille verso Chiroue,
Numa
verso Pitagora., ecc.
:
— 2.
—
In Crotone
dunque scuola Pitagora; il Samo, aveva abbandonato spon-
mal sopportando
la patria,
era governata, e s'eia dato a
Per virtù
di questi
-
teneva
quale, nativo dell'isola di
taneamente
152
elevarsi
per quanto fossero lontani nella
60
che
la
immensità
natura ha negato
alla
vista degli
Samon
et
ortu Satnius
;
occhi dell'intel-
sed fugcrat
uomini»:
una
dominos^ odioque tyrannidis
Sponte erat. Isque^
licet caeli
Mente deos adiit
quae natura nogabat
et
mente,
dello spazio
gli
hic,
filosofia.
la
con
Vir fuit
Et
con
e scrutare
celeste, fino agli dei letto ciò
tirannide onde
profondi studi di
egli potè
«
la
eocul
regione remotos^
Visihus humanis^ oculis ea pectoris hausit.
Ecco
subito, in questi
magnifici versi,
messo
in evi-
denza Pitagora, e determinata con molta precisione e con grande
efiìcacia rappresentativa
cismo, fondato sopra la
la
natura del suo misti-
l'esercizio assiduo
profonda intensità del meditare,
dell'intelletto e
per giungere alla vi-
sione e alla comprensione delle più alte verità. 65
Cumque animo
70
In medium discenda dahat, coetusque silentum Dictaque mirantum magni primordia mundi Et rerum causas et, quid natura, docebat Quid deus, unde nives^ quae fulminis esset origo, luppiter an venti discussa nube tonarent^
et vigili
perspexerat oinnia cura
:
Quid quateret terras, qua sidera Ed quodcumque latet.
lege fnearent,
At non Chionides Eumolpus in Orphea talis In Phryga nee satyrum talis Olympus erat ; Praemia nec Chiron ab Achilli talia eepit, Pythagor aeque ferunt noti nocuisse Numam. Nomina neu referam longutn collecta per aevum, Discipulo perii solus ab ipse meo. ;
— E
in questi altri versi ecco
filosofo
il
—
impartiva
accennata
parimenti
la vastità e larghezza
grande chiarezza che
153
all'attonita
dei discepoli e che abbracciavano
degl'insegnamenti, silenziosa schiera
e
« le
con
origini primordiali
dell'universo, Je cause della materia e l'essenza della nadelle nevi e del fulmine,
tura e della divinità, l'origine del tuono e del
terremoto
corso degli
insomma,
astri:
e le leggi tutti
i
Egli 'per primo, aggiunge ancora
molta dottrina, zione
ma
il
problemi più reconditi
della filosofia naturale e della scienza
barsi di carne, sconsigliando
onde è regolato
bensì
il
»
(1).
poeta,
astensione
tale
senza riscuotere la
vietò di ci-
con
meritata approva-
:
Primusque anitnalia mensis primus quuni talibus ora Docta quidem solvit, sed non et eredita, verbis.
Arguii imponi
Ed
ecco appunto
il
:
filosofo
combattere, in prima per-
sona, l'uso delle carni (vv. 75-95) e descrivere l'oro,
quando
gli
uomini
non conoscevano
l'età del-
ancora tale
uso (vv. 96-142); e poi, ispirato dalLi divinità, eccolo accingersi,
con più alto
afilato
poetico, a trattare questioni
più ardue e a svelare più riposti misteri
:
Et quoniam deus ora movet, sequar ora moventem Rite deum, Delphosque meos ipsumque recludarn
145
Aethera
augustae reserabo or acuta mentis.
et
Magna, nee ingeniis evestigata priorum, Quaeque diu latuere, canam. luvat ire per
il) I
vv. 67-71, cke
riassumono
sono manifestamente
ispirati
tamorphoses
et leurs
p.
197;
d'
Ovide
la
supposta
da Lucrezio, dice
fisica il
alta
pitagorica,
Lafaye, Les mé-
modèles grecs, Paris, Alcan, 1904,
masi accordano pure benissimo
coi principii dello stoicismo.
—
L54
Astra
\
Nube
vehi, validique
iuoat terris
et
—
inerti sede relieta
umeris insistere Atlantis^ Palantesque homines passim ac rationis egentes
150
Despectare procul^ trepidosque obitur/ique timentes Sic exhortari, seriemque evoltere fati.
E
«
poiché sento
seguirò gl'impulsi del dio che e vi svelerò
rito,
schiuderò
gli
per
di parlarvi
miei
i
mi
ispirazione
parlare
fa
divina,
secondo
arcani e lo stesso etere
e
il
vi
oracoli fin qui nascosti nel profondo della
mia mente. Vi canterò cose grandi, né mai scrutate
dalle
menti dei padri, e che per lungo tempo restarono occulte.
Mi
piace andare tra le sublimi stelle
donata
la terra e
tare da
una nube
e poggiare sulle
lontano
trepido timore la morte,
alla rivelazione
uomini
vigoroso
del
sparsi
qua e
che aspettano
essi,
con queste
con
e schiudere
parole...
»
della metempsicosi, la cui cono-
scenza appunto deve distruggere della morte
spalle
infondere coraggio
la visione del loro destino
Siamo
gli
irragionevoli, e ad
ancora
abban-
questa inerte dimora, lasciarmi traspor-
Atlante e guardare da là e
mi piace
;
negli
uomini
il
timore
:
genus attonitu7n gelidae formidine ìnortis ! et nonnina vana timetis, Materieni vatum^ falsique perieula mundi? (1) Corpora, sive rogus fiamma, seu tabe vetustas
Quid Styga, quid tenebras 155
Abstulerit^
mala posse pati non
ulla putetis,
^
Morte careni animae; semperque priore relieta Sede novis domibus vivunt habitantque reeeptae.
(1)
Cade ovvio a questo punto
Georgiche
(II,
490-492)
il
raffronto coi famosi versi delie
:
rerum eognoscere caussas, Atque metus omnis et inexorabile fatum
Felix, qui
potuit
Subiecit pedibus strepitumque Acherontis avari,
—
—
155
schiatta attonita per lo spavento della fredda morte
«
Che temete
Stige, la tenebra e
lo
tasie di poeti e
crediate
che
i
corpi, o
sua fiamma, o
il
mali di sorta,
E
li
vani, fan-
Non
inesistente?
abbia distrutti
rogo con
il
possano
tempo con
la putredine,
quanto
anime, esse non muoiono
alle
more che nuovamente
accolgono
le
tempo
corpo d' Euforbo. Poi segue,
soffrire
e
160-164) d'es-
guerra
della
nel
troiana,
specificatamente chiarita
piìi
ed espressa, la dottrina della metempsicosi animale,
garmente attribuita a Pitagora
;
».
in prova di ciò Pitagora ricorda (vv.
sere vissuto ancora, al
la
e abitano in di-
sede, vivono
una
sempre, abbandonata
E
mondo
d'un
pericoli
nomi
suoi
i
!
vol-
:
Omnia mutantur, nìhil interit errai et illìne Hue venit^ hine illuc, et quoslibet occupai artus Spiritus: eque feris humana in corpora transita
165
:
Inque feras noster, nec tempore deperii ullo, Utque novis facilis signatur cera figuris, Nec manet ut fuerat^ nec formas servai easdem,
170
Sed iarnen ipsa eadeni
est;
animam
semper eandem
sic
Esse^ sed in varias doceo migrare fèguras. «
Tutto
rando
trasmuta,
si
muove
e si
nel corpo che pi
umani
che
si
gevano
si
di là a
assolutamente
Pitagora, dimostrando che
morire è
passaggio
i
dell'
anima d'una
il
tale e definitivo della personalità per si
compone.
la
molle
del timore della
opposte
soltanto
forma
in altra
cioè Epicuro, dimostrando che
onde l'anima
er-
dunque giun-
filosofi
medesima conseguenza pratica (inanità il
va
passa nei cor-
E come
né mai vien meno.
morte) partendo da premesse
tro,
fiere
sogliono riferire ad Epicuro. Entrambi alla
spirito
qui, di qui a là, e s'incarna
presceglie; e dalle
e viceversa,
Lo
niente muore.
:
1'
uno, cioè
trasformazione, o
di vita
corporea; l'al-
morire è annientamento il
to-
disgregamento degli atomi
156 cera
foggia in nuove figure,
si
sì
che, pur
non restando
quale era prima e non conservando le stesse forme, tut-
sempre
tavia è
pre
un
ciò
carne
nuovo
argomento
questo punto
astenersi dall'usar
Pitagora
la trattazione di
passa a dimostrare
filosofo
per
sem-
varii aspetti » (1).
173-175).
(vv.
A il
medesima, senonchò passa sotto
la
Da
così vi dico che l'anima ò
la stessa,
divenire incessante di tutto
1'
evoluzione
creato
il
allarga,
e
perpetua e
il
si
:
Et quoniam magno feror aequore plenaque ventis Vela dedi : nihil est tato, quod perstet, in orbe.
Cuncta fluuni, omnisque vagans formatur imago. «
E
poiché, aperte le
non
mare, sappiate che
vele
E
si
navigo in alto
vento,
immobile
vi è nulla di
l'universo. Tutto fluisce, e
mutevole aspetto
al
in tutto
foggia incessantemente ogni
».
questa nuova
con
proposizione illustra
serie di esempi, tratti dai
fenomeni
celesti,
darsi delle stagioni, dalla vita dell'uomo
e
una lunga avvicen-
dall'
dalle vicissi-
tudini degli elementi (vv. 179-251).
Ma
natura non
la
menti regolari, versali
;
le
determinati da leggi
organici
osservano
cause
:
immutabili
questi
(1) Questa,
ma
fenomeni straordinari
prima parte deiresposizione
bilmente modellata sul
«
impreviste, che
di cui
alessandrino,
Sogno
»
degli
ed uni-
noi, nei corpi inor-
trasformazioni
con curiosità,
e descritti nel periodo
è già visto.
spettacolo di muta-
solo lo
compiono anche intorno a
si
ganici e negli
saggi
ci offre
essi
ignorano
— spesso
in
opere
i
elencati intitolate
ovidiana è molto proba-
Annali
di
Ennio
di cui si
— —
157
—
da Pitagora, non senza qualche anacronismo, nei vv. 252-417 (i vv. 307-336
Paradoxa
Ovidio
fa esporre
li
corsi d'acqua^ mirabiiia
riguardano
le proprietà
fontium
fiuminum)^ a cui fanno seguito
et
di certi
altri
(vv.
418-
452), che descrivono le rivoluzioni avvenute nelle società
umane, sino già da
al
un oracolo Nune
fin dal
quoqiie
d'Augusto,
principaio
glorioso
tempo
predetto
della caduta di Troia
Dardaniam fama
est
:
eonsurgere Rotnam^
Appenninigenae quae proxiyna Thybridis undis Mole sub ingenti rerum fundamina pomi.
Haec igitur forviam crescendo mutata
Immensi caput
435
et
olim
orbis erit. Sic dicere vates
Vaticinasque ferunt sortes
Dixerat Aeneae^
cum
res
:
quantumque recordor,
Troia?ia labaret^
Prìamides Helenus /lenti dubioque salutis : (1) « Nate dea^ si nota satis praesagia nostrae Mentis habes^ non tota cadet te sospite Troia.
440
fiamma
libi ferrumque dabunt iter: ibis, et una Pergama rapta feres, donec Troiaeque tibique Externum patria contingat am,ieius arvum, Urbem etiam cerno Phrygios debere nepotes, Quanta nec est nec erit nec visa prioribus annis. Hanc aia proceres per saecula longa potentem^ Sed doininam rerum de sanguine natus Tuli Efficiet. Quo cum tellus erit u>sa, fruentur
445
Aetheriae sedes^ caelumque erit exitus
illi ».
Raec Helenum eecinisse penatigero Aeneae Mente mem,or refero, cognataque moenia laetor Crescer e, et utiliter Phrygibus vieisse Pelasgos. Così Pitagora è fatto profeta
tenza d'Augusto,
(1)
La
come con
analogo
sola predizione che troviamo
Enea, nei poemi omerici,
si
306-308), e fu riprodotta da
della divina e fatale po-
legge nel
procedimento,
accennata, e.
XX
a
nel
proposito di
&q\V Iliade (vv. 302,
Virgilio {Aen., IH, 97-98).
.
— .158 poema
-^
virgiliano la dottrina pitagorica della metempsicosi
è assunta
mezzo
quale
futura grandezza di
artistico
per
predizione della
la
Rom3.
Nei pochi versi che seguono (453-478) Pitagora finalmente ritorna al punto di partenza e conchiude « Poi:
ché tutto cambia, poiché
anima passa
mo mo
le
—
Analizzato
ovidiana, vien
di
così
fatto
nostri congiunti ?
il
Ne
contenuto
naturalmente
fu egli per avventura
manda
la vita
:
nostra
di
»
esposizione
della
chiedersi quale sia
di fronte
un seguace
al
Pitagorismo.
A
?
questa do-
negativamente senz' om-
noi possiamo rispondere
bra di esitazione
la
uccidendole non faccia-
se,
r atteggiamento del poeta
stato
vita
anche animali, non uccidia-
corpi,
sangue
il
termine della
può sapere
bestie; chi
scorrere
3.
nuovi
in
al
e l'operosità poetica di Ovidio,
anche nel periodo posteriore
alla
composizione delle Me-
tamorfosi, furono in antitesi troppo stridente con gl'inse-
gnamenti e
la pratica
pensare che quelle dottrine
egli
pitagorica,
fosse dedito con
d' altra
;
per poter
una certa insistenza maggiore
le
pare
del suo
evidente,
come
nel
delle Tristezze
(1)
fervore a
ricerche e speo
almeno
pensiero su quella filosofia se
non
solo
nell'
opera sua
ha fatto così larga parte, con una esposizio-
ne quasi sistematica, ma essa,
le
Che però una certa simpatia,
culazioni astruse.
sia stata,
qualche
parte Ovidio non ebbe certo tem-
pra di filosofo né eccessivo amore per
ci
immaginare
ìrist,, III,
citato
altre
luogo
volte ancora
dei Fasti e
accenna ad
in alcuni versi
(1).
.3,
59-64:
Atque utinam pereant anhnae cum eorpore hostrae^ Effugiatque avido» pars mihi nulla rogos.
— E si
—
159
deve ritenere
Roma
che era stata operata in
Nigidio
da
metà del secolo (onde abbiamo già ne riscontrino
traccie se
cerone e
che
quan te
visto
notizia sia dalle opere degli
generazione precedente
tempo
al
fece sorgere la scuola dei Sestii
alla
prima
nella
e quali
nella letteratura dell' età di Ci-
Yarrone), e
di
del Pitagorismo,
rinascita
della
l'effetto
del poeta
predilezione
quasi certamente poi questa
scrittori
appartenevano
che
dalla viva voce
sua, sia
alla
poeta
che Ovidio potè averne
sì
:
stesso del
e dagli scritti di qualcuno dei nuovi seguaci.
—
4.
proponendosi
Gli studiosi infatti che,
ne delle fonti
di
quest'ampia trattazione ovidiana del Pi-
tagorismo, hanno cercato
determinare
il
riconosciuto
che
sostanza
state
le
opere varroniane
narum
e
sopratutto
si
Gallus^
Samii sunt rata
Inter Sarmaiicas
Romana
si
rito, gì'
fiamme
dieta senis,
del
nessuna parte
di
Samo,
1'
ombra
ombre
stranea tra feroci anime
di
mostra che,
pensiero della morte,
di fronte al
stanza ancora incerto fra
morti
».
Sarmati Il
«
dell' aria e
costretta a vagare fra le
dei
« 1'
e
anima
col
suo essere sfugga
rogo, poiché diversamente, egli dice,
insegnamenti del vecchio
la
erit.
del
immortale, vola alto nelle vuote regioni
mavano
admirandis)
augura che abbiano ragione coloro che
corpo morta fanno » e che alle
de
vagabitur umbras^
Ferque feros manes kospita semper poeta
essere
Antiquitates rerum divi-
(le
dialogo
il
debbono
fonti
tali
hanno
morte carens vacua volai altus in aura
Spiritus, et
Il
poter quindi
per
di risolverla,
valore storico della trattazione stessa,
in
Nam
la questio-
di
se
lo
spi-
sono veri
un Romano sarà sempre un'e-
sarà
passo è importante, perchè il
poeta era in
so-
coloro che negavano e quelli che affer-
immortalità dell'anima.
— oppure
gli scritti
—
160
Nigidio, o dei
di
loro discepoli Papirio Fabiano e Sozione
Sicché, qualunque
si
anche dei
(1).
messe innanzi,
accetti delle ipotesi
sta di fatto che le fonti a cui Ovidio
moìto anteriori a
od
Sestii,
ha attinto non sono
lui.
D'altra parte, anche tenendo conto del fatto che Ovidio,
più poeta che
non
filosofo,
mento con rigore
intese certo di trattar l'argo-
metodo
di
nendosi scrupolosamente
scientifico e
a questo o
filosofico,
a quell'autore
atte-
ma
;
che avrà usato di una certa libertà e indipendenza, e che (pur valendosi, se
vuole
si
uno
di
o più
modelli, oltre
che dei ricordi e delle cognizioni sue personali) avrà seguito
soprattutto
della
materia
il
sentimento
suo
dogmatica a recare
nella
nei limiti
atti
non poco
forse aggiungendo,
efficacia
sua propria intenzione;
di
strare,
si
giovandosi
artistico,
forma
genuina
estetica
all'
soltanto
opera sua e
sopprimendo o modificando è
riusciti
tuttavia
per esempio, che certe intrusioni nel
sistema pi-
tagorico di principii appartenenti ad altri sistemi
a quelli
di
Eraclito e di
imputabili ad Ovidio, negli scrittori
Empedocle
ma dovevano
dai quali
— già
egli attinse (2).
mo-
a
— come
non sono essere
affatto
avvenute
La sua
esposi-
opere seguenti Hottingee, De (1) Si vedano in proposito le Pythagora omdiano \ìn Opuseula philologica, Leipzig 1817, pag. 100-107); A. ScHMEKKL, De omdiana Pythagoreae doctrinae adum:
hratione, Gryphiswad, 1885 e Berlin,
Die Philosophie der mìttleren Stoa,
1892, pag. 434, 451, ecc. (dove sono modificate in parte
conclusioni dell'opera precedente); G. Lafaye, op. (2)
Per Eraclito
eraclitea nelle
si
veda
C
Pascal,
La
cit.,
cap.
le
X.
dottrina pitagorica
e la
Metamorfosi ovidiane^ Mantova, 1909 ripubblicato
volume Scritti varii di Letteratura Latina, 1920, p. 207; e per Empedocle il volume dello stesso autore Graecia capta Firenze, Le Mounier, 1904, pag. 129-15]. nel
^
— zione del sistema
documento
di
—
161
Pitagora acquista pertanto
di
storico, in
quanto che, supplendo in parte cognizioni
alla deficienza delle nostre
opere di Yarrone,
alla perdita delle
m
di
mostra molto approssimativamente
ci
valore
il
proposito, dovuta
Nigidio, dei Sestii,^ in
che consistesse
neo-pitagorismo romano del primo secolo avanti Cristo.
il
5.
—
L'esame che abbiamo
tura latina
maggior
dalle
fioritura
ma
che
e
il
il
di
il
non
ha dimostrato
ci
Roma
solo che
sesto canto dell'
Ennio,
di
Eneide
:
il
Pita-
abbastanza largamente
pagine che quei tempi
sogno
lettera-
della sua
secolo
sono alcune
pitagorica
d'ispirazione
delle pili eloquenti
mandate, come
compiuto della
origini fino a tutto
gorismo fu nelle varie età conosciuto,
così
sogno
il
hanno
ci
di
tra-
Scipione
dobbiamo concludere
sicché
che nelle idee che quel sistema svolse era implicita una
grande e mirabile
di
virtìi
esaltazione poetica ed artistica.
Se riflettiamo d'altra parte che quelle
idee
esercitarono
notevole influsso nel sorgere delle più antiche istituzioni
romane,
e
che contro di esse mossero guerra invano
l'arte
titanica di Lucrezio, la satira maliziosa di Orazio, la forza
Augusto
politica di Cesare e di
(nella lotta contro
dalizio di Nigidio Figulo e la scuola dei
Sestii),
so-
il
dobbiamo
tenere per certo che in esse fosse insita una grande forza di
resistenza e quella specie di malìa fascinatrice che su-
scita le pili alte energie morali.
gono quanto maggiore è e che le trasforma
degli individui
venute da
sì
e
il
Se
le
idee tanto
sentimento che
le
val-
piii
accompagna
in forze vive cioè operanti nella vita
dei
lontane
popoli,
le
scaturigini
molteplici, alte manifestazioni
concezioni pitagoriche, e
d'arte,
assurte a così varie, di pensiero,
di
mo-
li.
—
162
—
romana, ebbero certo valore
ralità nel periodo della civiltà
altissimo.
Che
se poi, uscendo fuori dai
pensiamo,
alla forza di resistenza
loro persistere attraverso
i
scere con sempre
successivo
—
Roma
nei
e
alterno rina-
momenti
di più
Magna Grecia con
nella
Atene con Platone,
neo-platonici, in
che esse mostrarono, al
rinnovato vigore
intensa attività spirituale
nostro tema,
secoli e attraverso tante vicis-
situdini del pensiero, ai loro
tagora, in
limiti del
in Alessandria
Pi-
coi teosofi
con Ennio e con Virgilio, in Co-
stantinopoli con l'imperatore Giuliano, nell'Italia dell'ul-
timo rinascimento con Giordano Bruno che oggi ancora esse ranti
con
la
vivono
forza della fede
nell'
—e
Oriente
se riflettiamo asiatico, ope-
milioni di coscienze, e
in
che accennano per diversi segni, in questa nuova primavera dell'idealismo, a risorgere anche nel tale (1), noi
possiamo
con
sicurezza
non furono apparizione fugace ed individuale,
ma
mondo
occiden-
affermare che esse
effimera d'un pensiero
parole di quel linguaggio eterno che sgorga
perenne dalle più profonde radici dell'anima umana.
(1) Si veda,
per esempio, tanto per citare
scienza, V opera di
W.
Mackenzie
Alle fonti
Formiggini, 1912) e la recensione che
Mattino
di
Bologna del
7
marzo 1912.
io
ne
un magnifico
libro di
della vita (Genova, feci nel
Giornale del
APPENDICI
I.
p:
U P H O R B o s.
Pubblicato a.
nella
XXXIX,
Rivista Ligure
di
Scienze
fase. 2 (marzo-aprile 1912)
,
Lettere
Genova.
ed
Arti^
1.
La di
Eùphorbos
figura di
—
Eùphorbos.
—
1.
Y'è
Eùphorbos
forse di
figlio
muor giovane
alcuno per
— 2.
mura
il
agli dei,
morto nel
se,
Fusa nel vivo dell'
:
al
grave è per
i
per Greci
Me-
non
il
fortissimo
una
ventura
la
immortalità dell'Iliade,
di
un grande
solo
di
ma
pensiero e di una
pensiero e alla vi+a di Pitagora.
eroe
la figura dei giovinetto
Quando,
degli anni
del divino
indistruttibile metallo della
antica gesta, nel
resca.
fior
suo nome, come ora vedremo, legato
al ricordo
più grande vita
mero,
il
Poiché ve-
?
Trojani,
i
tradusse
la
immortale ne
di lasciare altresì
per sempre
mano
»
che per
famoso ver-
il
Leopardi
il
della sua Troja per
Eùphorbos ebbe
spiritual vita
quale, meglio
ch'ai cielo è caro
nelao, dopo aver ferito, primo fra
Patroclo,
Pitagora rincaraazione
Panto, possa ripetersi
colui
ramente fu caro sotto le
nell' Iliade.
Altre incarnazioni di Pitagora.
commediografo, che
so dell'antico «
3.
momento l'
il
d'
0-
appare, nel racconto
più acuto dell' azione guer-
disdegno
ostinato
poesia
pericolo nella
di
Achille
,
più
memoranda giornata
del combattimento presso alle navi, Patroclo, indossate le
armi dell'amico e ricondotti
i
Mirmidoni
alla
battaglia,
— verso
tramonto
l'ora del
ha
del dio gli
suoi di fronte ad
coi
in tre assalti egli ha uccisi
:
ma
nemici,
»
trova
si
Ettore, che Apollo protegge « tre volte nove
—
166
quarto assalto un colpo
al
lo
scudo, slacciata la corazza:
II.
XVI, 805 Smarrito
cor,
il
membra, fermossi
fiaccate le valide
con
e titubò. Di dietro allor
la
punta de l'asta
un
infra le spalle, al dosso, Io colse da presso il
Pantoide Euforbo, che
con
cadere
tolto l'elmo, infranta la lancia, fatto
tutti
vinceva
sul cocchio e al
la lancia e
gli
muover
trojano,
eguali
degli agili piedi,
ed anche allor, venuto appena sul carro, sbalzati
810
venti nemici avea, di guerra già prode campione.
Primo ne
vibrò con
ei
scrollò
lo
;
un colpo su Patroclo auriga
asta
1'
;
poi corse indietro e tornò ne la mischia,
tratta fuor da le carni la lancia di frassino; incontro
815
Patroclo, ancor che ignudo,
ei
già
Patroclo allor, stordito dall'urto
anco a
Ma
amiche schiere traeva, fuggendo
1'
com' Ettore vide dal ferro piagato
Patroclo generoso,
820
non attese a di Febo e da
presso sotto a
venne
gli
il
:
s'
ritrarsi
un
colpo, lo giunse
fuori n' uscì da l'opposto la punta.
Quei con fragor giù cadde, e grave fu
(1) I versi
l'asta,
morte.
la
aprì tra la mischia,
d'asta vibratogli
e,
r addome
varco
l'assalto (1).
come
814-815 trovo segnati
il
spurii
Danai.
lutto de'
nella quinta edi-
zione del DiNDORF, curata dallo Hentze" (Lipsia, 1890), sulla traduzione.
è stata condotta la presente
Ma non mi
proprio necessario inquadrare fra parentesi rici
la
pur nell'apparente disordine dei
pronta ritirata
di Patroclo
1'
asta
del ;
l'
giovinetto
i
trojano, poi
il
il
del giovine, è quella del suo ;
fermata
questa,
il
prima
poeta (cantore in1'
ardito colpo
rapido sottrarsi alla vendetta di Pa-
poeta
cora un particolare descrittivo
:
trarre dalle carni
nanzi a un pubblico di ascoltatori), dopo accennato
troclo
sia
due versi, così ome-
particolari accennati
idea preponderante per
quale
pare ohe
(lo
si
riprende
p3r aggiungere an-
sforzo dello strappare dalla fe-
rita la lancia) e per rincalzare l'idea della fuga di fronte a Patroclo,
—
Suir eroe atterrato Ettore caduto ne rintuzza
il
ucciso la Moira e
Eùphorbos d'Achille, battaglia,
mo
del
il
cocchio d'Achille.
cadavere di Patroclo di lucido
cui
il
XVII, 9 Pronto
di
Panto
il
e spoglio
figlio,
non
fosse Eùphorbos. Poiché
tare questa fuga di
come
Ed
fer-
ecco ancora
luogo ad uno dei
esperto nel' asta
(1),
delle armi, era
piìi
s'avvide
atto di viltà
sempre un
un più esperto guerriero che
per
voluto certo rappresen-
Omero non ha !
Panto, come dimostrerà fra poco
lao.
rotondo scudo,
il
e fattosi subito innanzi
della difesa
troppo temibile nemico, anche
innanzi l'A-
:
ch'era atterrato Patroclo,
ferito
fa
bronzo, tenendo davanti
dà
intervento
begli episodi della battaglia
si
accostarsi.
d'uccidere chiuncfue osi
che, pur
degli uomini,
e,
e
Menelao, armato
Eùphorbos,
II.
«
hanno
lo
imminente per mano
fine
morto, in sua difesa, la lancia e
al
ma
rimane supino in mezzo al campo di mentre Ettore insegue Automedonte, che cerca
muore
guardia
tride
che
dei:
Latona
di
e predettagli la
»;
schernisce,
lo
orgoglio, affermando che la vitto-
1'
figlio
il
di portare in salvo
A
vanta e
si
stata merito suo, sì degli
non è
ria
—
167
È
tutt'altro che vile
Sicché non mi pare corrispondente né
role del testo omerico la traduzione che dà
Anzi dal corpo ricovrando
duello con
impari
nell'
allo spirito il
il
il
Monti
di
né
figlio
Mene-
alle
pa-
questo passo:
ferro
Si fuggi pauroso, e nella turba Si confuse il fellon, che di Patroclo
Benché piagato
Non (1) L'epiteto
e già dell'armi
ignudo {IL
sostenne la vista.
(eummelies) non é certo ozioso
ha detto che Eùphorbos primeggiava (XVI, 809), e che « con l'asta acuta
fra
i
:
XVI, 1146-1150)
infatti già
coetanei
«
con
la
il
poeta
lancia
»
» ha ferito Patroclo (XVI, 806 XVII, lo), come con l'asta dà un colpo J' ultimo !) nello scudo di Menelao (XVIi, 43-45).
e
168 Menelao
disse al figlio d'Atreo, al prode guerrier
Menelao, divino germoglio, signor
«
vanne, abbandona
Prima 15
me
di
giunse con
1'
lascia eh' io
che
la
il
nessuno,
20
m'
al furor
ti
strappi
il
Trojani,
fra'
mio ferro
biondo figliuolo d'Atreo
il
alleati,
de la mischia:
abbia dunque quest'inclito onor
dolce vita dal petto
cruento (1).
le spoglie gì' illustri
mezzo
:
gran genti,
».
:
Bello davver, gran Giove, con tanta insolenza vantarsi
Certo mai fu
il
qual de'
Ne
figli
di Pauto, esperti
ne
l'asta,
è la boria
!
ad Iperènor tuo, rettor di cavalli, già valse
me
e disse
Or
!
furor di pantera o leone
'1
cor superbo, alter di sua grande possanza,
giovinezza
di
grande
sì
cignal feroce, a cui nel fiorissimo petto
di
gonfiasi
25
Teucri o
fra'
asta Patroclo, in
Bieco d'ira rispose «
morto, qui lascia
di
non
ei
Danai
più, te
che sprezzante affrontommi
allor
fiore,
il
fra'
il
più dispregevol guerriero
dico, da' suoi propri piedi
'1
ad allietar ritorna la cara consorte e
i
parenti
!
portato, !
Così la tua baldanza, se pur d'affrontarmi tu ardisci,
30
rintuzzerò.
Ma
dov'è folta
la turba.
Disse così,
ma
«
io
ancor
e nel segreto
e
i
Oh
quello ne pur gli die retta e rispose
-
e
che per
fra le
man
Ma non s' io
me
talamo tu n'hai vedovata
genitor nel lutto e in !
ancor tu
me
dei miseri avrebbe
lo gittassi
:
il
la
il
dici
vantando
-
sposa, gittasti
cordoglio
!
una
tregua,
portandomi in Troja,
a Panto e a la diva Frontide!
più a lungo, ornai,
m' abbia saldo
'1
muto cordoglio
se la tua testa io stesso e l'armi
40
».
Or, Menelao divino, trar dunque dovrò gran vendetta
pel fratel eh' uccidesti
35
consiglio a ritrarti
ti
Chi è saggio prevede l'evento
s'
indugi a far prova con l'armi
core o pieno di vile paura
».
Detto così, die un colpo nel tondo perfetto suo scudo,
ma non
lo
franse
il
ferro
;
bensì
gli
si
torse la
nel poderoso usbergo. S' avventa secondo con
(1)
Le armi
1'
punta asta
di Patroclo, sciolte e fatte cadere dal colpo d'Apollo,
giacevano in terra poco lungi dal cadavere.
~
—
169
l'Atride Menelao, pregato in suo cor Giove padre,
45
mentre quei
e,
arretra,
s'
coglie a la fossa del collo;
il
dentro spinge con forza calcando
la
mano
pesante,
e dall'opposto n' esce pel tenero collo la punta.
Cadde, die un tonfo e V armi su lui con fragor risonare
50
insanguinar
s' i
chiome, che simili aveva a
le
capelli ricciuti, eh' avvinti eran d'oro e d' argento.
Come
un
talora
che molt' acqua
bello, pien di rigoglio, e poi, di tutti
i
nutre
florido arbusto d'ulivo si
in solitario loco, allor
55
;
Grazie, (1)
le
un
venti,
ma piombando
come
l'
vi sgorghi,
agita
il
soffio
velo di candidi fior lo ricopre, (2;
improvviso un vento con turbine grande
dalla fossa lo schianta e a terra disteso lo abbatte;
Panto
tale di
figlio,
il
esperto ne
l'
asta, Eiiforbo
l'Atride Menelao uccise e spogliava de l'armi,
—
Come
60
allor eh'
un robusto leone cresciuto
da pascolante gregge rapì
(1)
la
monti
fra'
*
giovenca più bella,
Cioè ricciute, come dice nel verso seguente, e non bionde^ co-
me ha
interpretato alcuno, per es.
daro Nem>. 5
fine.
ghi ricci spioventi
il
Koppen, forse ricordando Pin-
Le Grazie furono sempre rappresentate con lunnelle arti plastiche
sì
e figurative,
nella let-
sì
(cfr. Omero, Inno ad Apollo, 194 sg. e Stesicoro, Si veda XIII neìV Antol. della melica greca di A. Taccone).
teratura dei Greci
—
fr.
scherzosamente Luciano, noi Sogno,
in proposito quello -che
a Micillo
:
«
mi sembra che Omero per questo abbia detto
«
mili alle Grazie, perchè
«
trecciate infatti con
«
dentemente, molto (2)
Accenna
forse
1'
fioritura
annuale
;
cosi
come
—
fra
venti,
i
s'
soffi il
ma
di tutti
marzo si
e
1'
i
venti
aprile
rivestono
l'asta
di
d'ulivo, che poi
il
Menelao, troncando
to forte ed ardimentoso, fa cadere
già
argento
»:
si-
in-
—
»
la sta-
le
piante
anche della loro
anzi parmi che accenni qui proprio alla prima
fioritura* del bell'arboscello ta,
d'
pregevoli e desiderabili » (XIII).
poeta coi «
incurvano bensì sotto
tue chiome
le
avvinte eran d'oro e
« e
oro e rilucendo con esso apparivano, evi-
piiì il
«
gione di primavera, quando s'
fa dire
questi, fra le altre cose dice al suo gallo-Pitagora:
il
intesseva intorno al suo capo.
primo turbine schianla vita
del giovinet-
serto di fiVite
speranze che
—
—
170
cui la cervice infranse tenendola forte co' denti,
facendola a brani,
poi,
intorno a
65
ma
cani, villan, pastori,
non regge
il
che
cor,
viscere ingolla col sangue
le
da lunge,
lui,
farglisi
tutti
così Jiessun de' Teucri
—
nnuovon con grande frastuono
si
presso ad alcuno
fa scolorir la
li
ha l'alma nel petto
paura; sì
ardita,
eh' osi affrontar da presso la forza del gran Menelao,
E di
questi agevolmente porterebbe via
Eùphorbos, se non
splendide armi
le
impedisse Febo Apollo,
glielo
quale, presentatosi ad Ettore sotto
il
aspetto di Mente, lo
1'
consiglia a desistere dall' inutile inseguimento dei cavalli
d'Achille e ad accorrere invece là dove or Menelao frattanto,
89
figlio
il
pugnace d'Atreo,
corso a difender Patroclo, uccise
Pantoìde Euforbo e spento
il
Ettore
pronto,
infatti,
si
n'
toglie
terra e
sangue che sgorga dalla
il
neo con
magnifiche armi,
orribili grida,
non osando da
miglior de' Trojani, valido ardire.
il
fa largo tra
r uno che
le
il
ha
e Menelao,
le
1'
schiere, vede
altro
ferita,
disteso in
irrompe fulmi-
riconosciutolo subito,
solo tenergli testa, lascia a malincuore
corpo di Patroclo e
si
ritira
qualcuno in soccorso. Così portar via con sé
verso egli
i
suoi,
per chiamare
non ha potuto neppure
sul suo cocchio la preziosa armatura;
della quale tuttavia dovette certo impadronirsi più
quando
il
tardi,
Trojani sconfitti furono costretti a rinchiudersi
i
entro le mura.
E
non sarà
stato quello
il
meno
glorioso
trofeo di guerra che avrà riportato con se a Micene.
2.
—
Ma
Eùphorbos, morto
rificato già dalla divina arte d'
di così bella
morte e glo-
Omero, non rinacque per
avventura, dopo quattro secoli, a nuova vita e ad opere
non meno
belle e gloriose?
—
—
171
Poiché alcune antiche testimonianze dato che Pitagora, italica, l'assertore «
cosi,
il
hanno traman-
ci
fondatore della scuola
celeberrimo
più famoso della dottrina della metempsi-
nel tempio di
Hera Argiva, veduto uno scudo portava e
«
bronzo, disse che quello
«
da Menelao
«
staccato lo scudo, vi videro
«
d'Eùphorbos
E
degli
realmente inciso
uno
Così afferma
».
era stat^ tolto
gli
Eùphorbos.
quando era
di
scoliaste
Argivi,
nome d'Omero il
XVII, 28) e così altri, fra gli antichi scrittori, ricoraccennano la cosa. Chi non rammenta infatti, tanto dano per citare i piìi noti, quella famosa ode d'Archita, dove (//.
Orazio afferma appunto, non senza una sottile ironia, che
regno dei morti tiene anche
il
figlio
di
Panto, sceso
«
il
«
all'Orco un'altra volta, sebbene, con lo scudo, che fece
«
staccare, data testimonianza dei tempi della guerra troja-
« na, «
i
non avesse concesso
nervi e la pelle? »
nera morte niente più che
alla
buon Orazio,
Il
(1)
tra scettico
ed epicureo, non ebbe evidentemente molta fede nella metempsicosi e
Anche
si
Ovidio,
burlò un poco di
che
nell'
ultimo
da Pitagora stesso
fa esporre
le
ero
io il
—
sì lo
figliuol di
(1) Orazio,
Garm.
rammento
Pitagora redivivo!
—
» (2)
canto delle Metamorfosi
sue dottrine, lasciò espli-
facendo dire
cito ricordo della tradizione,
Ben
«
al filosofo
:
nei dì della guerra di Troja
Panto, Euforbo, cui stette nel petto
I,
28 vv. 9-13
:
habentque Tartara Panthoiden iterum Orco
Demissum, quamvis clipeo Trojana refixo Tempora testatus, nihil ultra Nervos atque cutem morti concesserat atrae. (2J Id.
Epod. VI, 21:
«
nec te Pythagorae fallant arcana renati »
172 la grave lancia infissa,
Riconobbi
non
or
E
man .del
per
molto in Argo nel tempio sacrato
è
ancora due secoli dopo raccogliendo in una
firio^
più giovine Atride,
scudo, che già la sinistra mia tenne,
lo
il
«
vita che
«
ma
«
rivelò con prove
«
figlio di
«
gnandosi mirabilmente con
1'
anima
si
E
Come
di sé stesso
un
venti,
ma piombando
accompa-
le Grazie,
eh' avvinti eran d'oro e d'argento.
bello, pien di rigoglio, i
E
e poi,
acqua
come
si
nutre
vi sgorghi,
agita
1'
il
soffio
velo di candidi fior lo ricopre,
improvviso un vento con turbine grand®
dalla fossa lo schianta e a terra disteso lo abbatte tale di
Panto
il
figlio,
esperto ne
r Atride Menelao uccise
< «
Poiché quel che
Euphorbos
(1)
Ovidio,
frigio,
si
che
si
—
1'
;
asta, Eiiforbo
e spogliava de l'armi.
racconta
Metamorph. XV,
Ipse ego
pri-
la lira, quelli di preferenza:
talora iTn florido arbusto d'ulivo
tutti
precedente
dei versi omerici cantava,
in solitario loco, allor che molt'
55 di
ricordava
un tempo
chiome, che simili aveva a
le
ricciuti,
caj)elli
i
d' allora.
Por-
indubitabili d'essere stato Euphorbos
Panto.
insaguinàr
s'
corpo
«
lui la
loro aveva vissuto già
di essere legata nel
50
questi
recavano da
(1)
molte notizie
biografia
intorno a Pitagora, lasciò scritto che
a molti di quelli che
».
filosofo neo-platonico
breve
«
Giuno
di
dello
scudo di questo
trovava in Micene, nel bottino
vv. 160-164:
nam memini
—
Trojani tempore
belli
Panthoìdes Euphorbus eram, cui pectore quondam Haesit in adverso gravis basta minoris Atridae.
Cognovi clipeum, laevae gestamina nostrae,
Nuper Abanteis tempio lunonis
in
Argis,
— «
—
173
trojano dedicato a Giunone Argiva, lo
passo
sotto si-
come cosa ben nota » (1). La tradizione dunque era assai diffusa Tra gli antichi. Ora quale ne sarà stata 1' origine? Un'invenzione pura e semplice ? Potrebbe anche essere; nel qual caso dovrem«
lenzio
mo
evidentemente pensare a qualche discepolo o seguace
del Maestro,
il
quale, per confermarne meglio la dottrina
immaginato
della metempsicosi, avesse
cercando
storiella,
poi di accrescerle
autore lo stesso Pitagora.
il
tava spesso ?
i
col farne
autorità
invenzione sarebbe nata da
delicati e soavi versi
Anche questo
è possibile.
semplice e forse più ovvio tasticando
la
appassionato lettore d' Omero, recitava e can-
filosofo,
bos
sana pianta
udito or ora narrare da Porfirio, che
abbiamo
quel che
l'
di
—
in ipotesi
i
Ma
a
morte
me
d'
Eùphor-
pare molto più
— senza andare vanamente fan-
credere senz'altro alla concorde
testimonianza degli antichi. Vi
ché che trascenda
della
limiti
è forse nella cosa alcun-
della
credibilità e della vero-
simiglianza? Pitagora non credeva davvero alla metempsicosi, e
non era anzi questo
il
pernio della sua psicologia
e della sua morale, e convinzione (non pura ipotesi speculativa) profonda,
seguaci
?
Dunque
certa,
e
ben possibile che
virtù taumaturgiche glioso,
anzi
il
inoppugnabile
(tanto che nella
egli,
sua e dei suoi il
quale aveva
sua vita
il
meravi-
miracoloso, ebbe gran parte)^ egli, che tante
profonde e misteriose cose aveva imparato nei suoi viaggi in Egitto e nell' Oriente, esercitando quelle
magiche
(1)
ai vita,
PoRPHTRii,
si
lo
spirito in
quelle sue
me-
Vita Pythagorae^ 26, 27. Così presso Luciano nei
Dialoghi dei morti questi
profondando
sue pratiche
(20),
quando Eaoo presenta Pitagora
rivolge subito a lui con le parole:
a
Menippo,
«Salve, o Eùphorbos
».
— —
ditazioni
corpo ed
—
174
così intense, che erano quasi
—
estasi vere e proprie
credesse
,
nel suo passato la storia della propria notizia
~
non proprio
se
sua scuola,
agi' intimi,
.
più
ai
turbe
alle
—
attribuire a Pitagora stesso,
non
credibile
Insomma per me
inventare
qualche nuovo
di siffatti racconti si
malafede in un
uomo
un apostolato
tutta
men che
particolare o
può proprio
credere —
naturalmente anche
sue vite
alle di
ma
esistenza,
dunque
stesso Maestro. Il quale
la
accenno
seguaci avrà forse potuto aggiunge-
immaginare qualche nuova
prima
1'
nulla di inammissibile e
lo zelo dei
:
re qualcosa, gari
ha
qualcuno dei
anziché allo spirito inven-
tivo di qualche zelante discepolo,
anteriori
ne desse
e
agi' iniziati della
da
perfetti,
leggere
di
anima
quali poi la cosa sarà stata divulgata.
r
astrazioni dal
potè
far
l'
origine
risalire
realmente
ma-
allo
dire e
poiché non é ammissibile
di tanta autorità,
bene
di verità e di
la cui vita fu
— di
essere stato
Eùphorbos.
Ma
in
modo
tal
—
si
potrebbe
accettiamo per vero quello che
1'
osservare
—
se noi
antichità concorde ci ha
tramandato, che cioè Pitagora credette e diede a credere di essere stato
giovinetto figlio
il
conseguenza che storica d' d'
egli
Panto, ne verrebbe di
avrebbe anche creduto nella realtà
Eùphorbos, non già iato dalla feconda fantasia
Omero, ma vissuto
sto ? Chi
di
in carne ed ossa.
mai dei Greci del
E
che per que-
sesto secolo avanti Cristo
per non dire di quelli dei secoli posteriori
-
- non
—
credette
nella realtà della guerra trojana, e dubitò della esistenza di
Agamennone,
Ettore, di tutta dell'
Odissea?
stione
Né
omerica
di
Achille,
di
la bella schiera
Menelao,
di
degli eroi dell' Iliade e
la critica storica demolitrice,
erano nate
Ulisse, di
né
la qui-
ancora, e Federico Augusto
— Wolf doveva
tardare ancora ventiquattro secoli a nascere
e a lanciare pel
—
mondo
Di Pitagora
mostruo-
la stupefacente teutonica
Prolegomeni ad Omero
sità dei suoi
3.
—
175
gli ''antichi
(1)
!
conobbero
anche
altre
incarnazioni, anteriori e posteriori. Soggiunge infatti Porfirio,
un poco più innanzi
«
:
Affermava
di essere già vis-
prima Eù-
« suto precedentemente, dicendo d' essere stato «
phorbos, poi Etàlide, in terzo luogo Ermótimo, poi Pirro
«
e allora Pitagora.
«
immortale e riesce, in chi
«
dell'antica sua vita
Con »
che dimostrava che sia
purificato,
Ma Diogene
(2).
conservato in proposito una testimonianza
Pontico
rebbe ad Eraclide
—
sippo ed Aristotile) Porfirio
non
la
anima è
1'
ricordarsi
a
ci
—
risali-
che
(discepolo di Platone,
quale
Eùphorbos
solo perchè fa di
da
differisce
Speu-
quella di
seconda
la
carnazione, essendo stata la prima quella di Etalide,
anche perchè
riferisce
anziché a Pitagora,
1'
ha
Laerzio
in-
ma
ad Ermótimo (terza incarnazione),
che sarebbe
episodio dello scudo,
Veramente si é incominciato già da qualche tempo ~ anche in Germania ad essere un po' meno radicali in fatto di negazioni. E a quel modo che il Beloch, per esempio, ammise come (1)
—
possibile che
del
mondo
mosse
«
fra gì'
innumerevoli eroi venerati nelle diverse parti
greco ve ne fosse qualcuno che in realtà
sulla
terra
carne ed ossa
in
{Ornerò^ Bergamo, 1910)
Agamennone, Menelao,
afferma
in altre figure dell' epopea, reali
(2)
l.
e,
(p.
231 e
sulla
d'esser
(de
disposto a vedere in
anche
storica
»
in (p.
della
Priamo
e
226). Gli
spedizione
seg.).
45. Della cosa discussero
come Tertulliano
«
persone storiche realtà
una volta si il Drerup
p. 121), così
(I,
Nestore, Ajace, forse
rimangono però gravi dubbi contro Troja
»
anima
anche
gli
scrittori
cristiani,
28, 31, 34), Lattanzio {Epit. Instit.
dio. 36), Sant'Agostino {Irinit. XII, 24).
— inoltre stato appeso nel
Ma
tempio
e
non a Micene.
«
Dice Eraclide Pontico che
«
se d' esser già stato
«
raes
E
(1).
« gli eventi.
Etalide e ritenuto gli disse
da vìvo
Che
parole di Laerzio
le
egli (Pitagora)
F immortalità
conservare
di
Apollo a Branchidas,
di
ecco senz' altro
che Hermes
« volesse, tranne «
~
176
e da morto
pertanto in vita
afPermava di
si
egli chiese
e
«
Che
ed Euphorbos
nelao
«
Etalide e di aver avuto da
;
memoria.
la
Meun tempo
e fu ferito da
diceva d' essere stato
te
Hermes quel dono
« dava le trasformazioni dell'anima com'erano
piante ed animali
quali
«
e attraverso
«
che cosa l'anima avesse sofferto nell'Ade,
«
attenda le altre anime.
«
la
«
volendo dare una prova
«
chidas ed entrato
sua anima
passò
Menelao
« che
vi
nlel
E
in
ti)
Dobbiamo
passata, e
e qual sorte
che quando Euphorbos morì
Ermòtimo, che
tempio
d'
sua volta,
alla
suo, andò a Bran-
dell'esser
aveva appeso,
forse in
e ricor-
avvenute,
fosse
Apollo mostrò
ormai
stando solo la parte esterna d'avorio
«
di tutti
ricordava di tutto,
Euphorbos
in seguito rinacque
che
dono
il
ricordo
il
dopo che fu morto conservò egualmente
«
Her-
di
figlio
di scegliere quel
onde
:
:
lo
scudo
imputridito, re(2).
E
che quan-
questa ipotetica discendenza da Hermes,
dio dei misteri, vedere significata la iniziazione di Pitagora alle
il
Mi par probabile; se pure non dobbiamo vedere altra comune tradizione che faceva di Pitagora
dottrine ermetiche?
come
in ciò,
un
«
figlio
noli'
d'Apollo
»,
delle
espressioni
del
linguaggio
mistico
fraintese. (2)
di
Pausania,
Micene, dice
dov' era
nella
descrizione che
ben chiaro che nel
la statua
della
dea, vi era
scudo, quello che Menelao scriptio
Graeciae
II,
descrive nell' opera
«
già tolse ad
17, 3).
sua
ci
ha
lasciata dell' Heraion
pronao del tempio,
a destra,
anche appeso in voto uno
Euphorbos in
Ora, poiché sappiamo
Ilio ».
(De-
che Pausania
proprio quel che ha visto coi suoi occhi
—
-
177
«
do Erraótimo morì, rinacque Pirro pescatore di Delo
«
e di
nuovo
si
ricordava tutto
come
:
Eùpborbos, poi Ermótimo,
« Etalide, poi
poi
«
che quando Pirro morì, rinacque Pitagora e
«
va
di tutto
quel che
sentir Gelilo anzi suti fra
il
s'
due
i
quarto e
è detto »
Non
(1).
ma
solo,
terzo secolo avanti Cristo
il
ricorda-
a
— vis-
Clearco e Dicearco
filosofi
E
Pirro. si
;
prima
fosse stato
— avreb-
bero lasciato scritto che Pitagora rivisse ancora altre tre
come Pirandro,
volte,
una
E e
come
bella etera chiamata Alce
r anima
così
avendo
d'
(2).
Eùphorbos, essendo vissuta otto chiusa
sperimentato,
il
ciclo assegnatole
—
sale ? (3) o
dopo aver
dal suo proprio destino
gran mare
tornata a dissolversi nel
volte-
nel carcere corporeo, le
più varie condizioni d' esistenza, sarà essa
compiuto
come
Calliclea e finalmente
dell'
non avrà continuato ancora a
na carne, indefinitamente, secondo
-—
anima univervestirsi
la favola di
d'uma-
Luciano?
una sua indicazione guidò lo Schhemann alla scoperta delle famose tombe dei re nel foro di Micene), avrà egli veduto quell'antichissimo logoro avanzo, o una copia in bronzo fattane fare di poi, o addirittura un qualunque scudo che i sacerdoti del (tanto che
tempio
abbiano appeso in tempi tardivi a ricordo e testimonianza
vi
notissima tradizione? Pausania in metà del secondo secolo dopo Cristo.
ogni
dell'antica nella 2^ (1)
visse
Diogene Laerzio, Vili, 4-5.
(2) Gellio, «
modo
Noctes
ipsum, sicut celebre
Attieae, IV, 11 est,
:
«...
Euphorbum primum
«
haec remotiora sunt bis, quae Glearchus
«
riae tradiderunt, fuisse
«
deinde feminam
«
Alce
eum
pulchra
.
Pythagoram vero
fuisse, dictitasse;
ita
Dicaearchus memo-
et
postea Pyrandrum, deinde Callicleam,
facie
meretricem,
cui
nomen
fuerat
».
(3) Se,
come
principii a cui
è probabile,
informa
republica (X, 615)
—
Platone ha desunto dal Pitagorismo
la teoria
secondo
la
delle
pene
d'
oltretomba nel
i
De
quale chi aveva commesso ingiu12.
—
—
«
Lungo sarebbe
«
sofo (Pitagora redivivo
a dire
-
178
così
parla
suo gallo
il
fìlo-
— in
anche questo!)
«
qual forma r anima mia venisse via da Apollo volando, ed entrasse in corpo di uomo, e qual pena sofferisse in tal guisa...
«
Mentre
«
«
Eùphorbos combattei a Troja, e quivi ucciso da Menelao, dopo qualche tempo ne venni a stare
«
in Pitagora
«
casa, aspettando
«
r
«
(domanda Micillo
«
Aspasia, femmina di mondo, di Mileto
«
Aspasia qual
eh' io era
;
ma
fra
tempo
Mnesarco
che
—
abitazione....
un
1'
Ma quando al
uomo
non ebbi
altro
mi apparecchiasse
(1)
spogliasti di Pitagora
ti
suo gallo) di che
o qual
—
V
e
— Di
vestisti?
ti
—
.
nuova donna
— E dopo diventasti? — .
.
figliuolo di Giove, qual differenza!
«
Grate, cinico.
«
Di femmina
«
verello, poi satrapo, poi cavallo, poi gazzera, poi ranoc-
mondo,
di
filosofo
« chio, e mille altre cose che «
Ma
un
altro
doveva
subire
—
dieci
colpe della prima
—
poi
re,
mai a
volte
un
dirle tutte.
sopra le
quella
medesima
dieci vite
per scontare
bisognerebbe veramente ammettere
tende bene, dal punto di
vista di
Pitagora e
po-
me
da
(vita
ingiustizia e occorreva quindi lo spazio di le
Poi
finirei
gallo spesso
sopra tutto fui
stizia verso
non
!
della
(s'
in
sua dottrina)
almeno altre due vite. — Per il luogo platonico e le relazioni che esso può avere avuto con il dogma cristiano della resurrezione si veda ciò che ha scritto il Pascal nella Rassegna Contemporanea del dicembre 1911 (ripubblicato in Credenze d'oltretomba^ II, pa-
gina 199). (1) le
Padre
di Pitagora.
Si noti poi che qui
altre note incarnazioni del filosofo.
II, 21) egli dice:
«
Ma
In quel tempo appunto
« Soveria nell' isola dei Beati) Pitagora di «
finita la
« periodi
settima mutazione, vissuto dell'anima,
ed
ammetterlo con
altrove ci
Samo, che
ciso d'
«
marlo Pitagora od Euforbo
gli
altri beati,
».
il
ma non
città di
aveva
allora
compiuti
lato destro. si
sul-
{Vera Historia^
venne (nella
le sette vite,
aveva d'oro tutto
«
Luciano sorvola
i
sette
Fu
de-
sapeva se chia-
—
179
— a pove-
«
altre
amatissima) servendo ad
«
relli,
a ricchi uomini; e finalmente vivo in tua compa-
«
gnia, facendomi beffe cotidianamente di
«
reli
«
non
E
della tua povertà, e piangi e sai
i
lucianea
con l'amabile arguzia
d'
Luciano, Il Sogno o
il
Gallo
ai
te, i
re,
che
ti
ricchi perchè
possiamo ben chiufiglio di
bos;
mi sembra
delle opere di
resto scherza
(secondo
la
traduzione di Ga-
in parecchi altri luoghi su
inutile riferirli; basterà vedere
Luciano.
Panto,
celesti.
sparo Gozzi). Si legga tutto questo piacevolissimo dialogo. stro autore del
que-
(1).
Eùphorbos
quale fu veramente molto caro
(1)
ammiri
mali che comportano... »
dere questa singolare istoria il
altri molti, a
Il
no-
Eùphor-
un qualunque indice
II.
IL
SODALIZIO PITAGORICO DI CROTONE.
Edito nel 1904 dalla ditta Nicola Zanichelli di Bologna. Tradotto e pubblicato in The Theosophieal n.
219-20 (nov.-dic. 1905).
Review (Londra)
voi.
XXXVII,
1.
Oggetto del presente studio. --
— 3.
dalizio pitagorico.
—
rata.
che
vi
L
—
Suo
5.
si
Una
—
—
che
r antichità anche prima
dell'
Samo, dopo aver
nelle regioni d'
Oriente — in
—
filosofo di
viaggiato
Fenicia, nella Babilonia, in
India
e in particolare nell'
E-
e ^ver presa quivi conoscenza delle dottrine se-
grete che nello
concorde nel-
apparizione del neo-pitagori-
il
gitto
Sua du-
degl'insegnamenti
diffusa e
fu
smo, narra che
nell'
Natura
6,
— 4.
Conclusione.
7.
tradizione
Caldea, nella Persia,
formazione del So-
Carattere e scopi di esso.
ordinamento.
impartivano.
Origiiae o
2.
saggi ed
i
stesso
(604-520
tempo
a. C.)
sacerdoti vi professavano, proprio
i
in cui fiorivano nella
e nell'India
Cina Lao-Tse
Gotamo Buddho (560-480)
(1)
venne a Crotone, una
delle più fiorenti fra le città della
Magna
acquistato
Grecia, dove,
ammiratori,
istituì
punto intendo ora
un celebre
subito
largo seguito di
Sodalizio.
di esporre le origini,
Di questo apla
durata
costituzione, valendomi delle notizie abbastanza
e la
numerose
e particolareggiate, perchè possiamo farcene un' idea esatta.
(1) Cfr.
le
De Lorenzo 22 ediz.
contenute nel cap. I
osservazioni
suU' Bidia e
1919).
il
Buddhismo
dello studio di G.
antico (Bari, Laterza, 1904,
—
184
che ce ne hanflo lasciato, fra Porfirio
GiambJico
(2),
(3),
nonché, incidentalmente,
gli
Diogene Laerzio Clemente Alessandrino
gli altri,
scrittori
delle quali poi si servirono, in
con
criteri
meno
più o
—
come
tofanti, lo Zeller,
ed
il
Krische
Cognetti
il
o
de
meno
larga,
moderni del-
discutibili, gli storici
la filosofia greca in generale e del
in particolare,
piii
(4),
maggiori,
classici
misura
(1),
movimento pitagorico
(5),
lo
Chaignet,
Cen-
il
Schuré
Martiis, lo
(6)
altri.
—
2.
Quanto SiìVorigme
LXIP
corde narra che verso la
poco
dopo
da numerosi discepoli
pagnato
Samo
(8),
Olimpiade
(530
che ve
lo
C.)
a.
o
accom-
Pitagora, giunto a Crotone, forse
(7)
con-
dell' Istituto, la tradizione
seguirono da
cominciò a tenere in pubblico discorsi
da
tali
conquistare subito la simpatia degli uditori, accorrenti in
gran numero ad ascoltare Vitae
(1)
et
sua parola ispirata
placìta clarorum philosophorum
(3)
De vita Pythagorae. De pythagorica vita.
(4)
Stromat.
(5)
De
(2)
la
YIII
e.
I.
passim.
libri,
a Pythagora in urbe
soeietatis
1.
che
(9),
Orotoniatarum conditae
scopo politico commentano^ Gotting, 1831. (6)
Les Qrands
Initiès,
Laterza, 1905). Per
Paris 1902, pp. 267 sgg. Ed.
gli altri
ital.
(Bari,
autori v. note a p. 186 e 192.
(7) Variano dal 529 al 540 le date proposte relativamente all' anno della sua partenza da Samo; la prima data è ammessa dall' Ueberweg,
Qrundr. I,
16,
1'
altra
è in
Bernhardy,
arrivo in Crotone,
il
Orundr.
Grande Orèee) Bernhardy crede che
pag. 755. Il Lenormant {La
all'
si
I,
d. gr. Liti.
sta pel 532.
p.
Quanto
nel 540 Pitagora vi
trovasse già. (8)
GlAMBL. 29.
(9)
V. Porfirio
Cfr.
GlAMBL.
l.
e.
/.
30.
e.
20, che riferisce la notizia da
Nicomaco e
^
—
185
predicava verità non mai udite prima
d'allora in quella
regione e da quegli uomini. Accolto con molta deferenza tanto dal popolo quanto dalla parte aristocratica, che al-
mani
lora aveva nelle
il
V entusiasmo sudai suoi ammira-
per
governo,
sua predicazione, fu eretto
scitato dalla
—
homakoeion un ampio edificio in marmo bianco nel quale egli potesse inseod uditorio comune (1) gnare comodamente le sue dottrine ed essi ridursi a vivere sotto la sua guida. La tradizione, quale la troviamo
tori
—
presso Giamblìco e presso Porfirio,
aggiunge
del
si
trovavano suscitandone
conoscenza
che venuti a
avrebbero manifestato ed
egli,
al
suo insegnamento^
mossi
tamente,
al
dalla
e
(2),
senatori
i
;
Consiglio dei Mille, vi ottenne
approvazione da essere invitato
tale il
venuto dinanzi
ammirazione
ai
sentirlo anch' essi
desiderio di
il
l'
magistrati
i
parti-
avrebbe parlato
colari: Pitagora, entrato nel ginnasio,
giovani che vi
altri
pubblico
rendere
a
quale infatti molti accorsero pronfama,
subito
dilBFusa
per tutto
il
paese, della grande austerità d' aspetto, della dolce soavità
d'eloquio, della profonda
Via
restiero.
via,
la
ragionamenti del
novità di
sua autorità crebbe in
modo che
fo-
egli
potè esercitare nella città una vera dittatura morale; poi
(1) Si noti
che
(2)
che Clemente (Strom.
I,
lo) lo identifica con quella
suo tempo chiamavasi Ecclesia, cioè alla Chiesa cristiana.
al
V. in Giamblìco op.
cit.
37-57 un largo sunto
scorso, che ci dà un' idea di quello che fosse terico di Pitagora.
Zeller
fra
il
La
diversità notata
a
l'
questo di-
di
insegnamento
questo proposito
dallo
racconto di Giainblico e quello di Porfirio non mi pare
sufficiente per trarne,
com'
egli fa,
l'
induzione che
il
discorso
ferito dal
primo non può essere stato preso da Dicearco,
secondo
ad ogni
;
esso-
modo
ri-
citato dal
è fuori di dubbio che Dicearco stesso lo co-
nosceva, se potè dire che conteneva « molte belle cose
».
186 si
allargò, diffondendosi nei paesi vicini della
tania, ad Imera, a Girgenti; dalle colonie
anche sessi
;
vennero a
(1)
discepoli di
lui
dalle
ambo'
i
e piìi celebri legislatori di quelle regioni, Zaleuco,
Numa
Caronda, sì
Roma
da
greche,
dei Messapii ed
Peucezi,
dei
Gre-
Reggio, a Ca-
cia e nella Sicilia, a Sibari, a Taranto, a
tribù italiche dei Lucani,
Magna
ed
altri,
che per merito suo
r ordine, la modo, dice
libertà,
avrebbero avuto per maestro sarebbero
si
costumi
i
Lenormaiit
il
lizzare l'ideale
nazionale^
l'
(4),
ristabiliti
e le leggi «
egli potò
sotto
l'
ò inesatto, poiché,
egemonia
di
In questo
giungere a rea-
Crotone, non ;
il
ostante la
che peraltro
come vedremo, l'intendimento
nazionale,
ma
di Pi-
predicazione non fu
tagora nella sua azione e nella sua
giunge un
dovunque
d'una Magna Grecia composta in unione
diffeirenza di razze degli Elleni italioti »
politico
(3).
(2),
essenzialmente umano. Forse, ag-
altro scrittore (5),
non
fu
estranea all'acco-
glienza avuta dal filosofo ed al successo da lui riportato,
una persona con
la
quale egli doveva
rapporto quand'era a Samo, tonese Democede.
Ma
cioè
essersi trovato in
celebre medico ero-
il
senza dubbio, più che a conoscenze
personali, l'approvazione ottenuta da Pitagora in Crotone
e l'entusiasmo da lui suscitato in tutta la
(1) DiOG. (2)
21
;
Magna
Grecia
VITI, 15; PoEF. 22 ecc.
V. Seneca, 90, 6 che
cita
Posidonio
;
Diog. Vili, 16; Forf.
GiAMBL. 33, 104, 130, 172; Eliano, Var. Hist. Ili, 17
;
Diod.
XII, 20. (3)
V.
DioG. Vili, 3;
Porf.
21 sg
,
54;
Giambl. 33,
50,
132,
214; Cic. Tusc. V, 4, 10; Diod, ìragm. p. 554; Giustino XX, 4; Dione Crisost. or. 49, p. 249 Plut. c. princ. philos. I, 11, p. 776. ;
Op. ciL,
V.
(5) Cognetti
De
(4)
I,
p. 75,
Martiis, Socialismo antico^ (Torino, 1889Ì p. 465.
—
—
187
furono piuttosto l'effetto da un lato delle
virtù intrinse-
che delle sue dottrine e del suo insegnamento, e ed
tenderlo
moto
na
sempre
durante
sia
In queste
(1).
il
attitudini
misticismo
il
seguaci,
di
medio evo e
sta la ragione del rapido diffondersi
goriche, che furono accettate
che molti
(2),
i
quasi universalmente
lui,
:
pita-
tanto
profonda scienza del di penetrare
desiderosi
e,
suo sistema
più addentro nella conoscenza del di cui
mezzogiorno
migliori per intelligenza e per elevatezza
accostarono a
si
moder-
nell' età
delle dottrine
morale, presi d'ammirazione per la
Maestro,
ogni
ed
nei tempi
sia
popoli del
dei
a in-
un generale e pron-
fra loro
un gran numero
to assenso e
più antichi,
Poiché
apprezzarlo.
idealistico trovò
quelle genti
attitudine di
tro della disposizione e
dall' al-
filosofico,
intravvidero ed intuirono la vastità e la compren-
sione, si ridussero a poco rati nella
sua
a
poco a vivere con
d'azione
orbita
e
lui,
atti-
pensiero da quella
di
spontanea simpatia che hanno sempre esercitato sugli tri
tutti
i
grandi apostoli
Così fu formato
(1) Così p.
es.
il
dell'
umanità.
Sodalizio,
il
ridionale,
(di
Pitagorismo
si
fece poi paladino e
si
XYI
M.
E.^
lib.
mantenne sempre vivo
dove penetrò in
vo splendore nei sec.
poi aperto
ca-
appunto dalla Calabria, con l'abate Gioac-
chino da Fiore (V. Tocco L'Eresia nel
Del resto
quale fu
del
l'idea religiosa di cui
valiere S. Francesco, partì
al-
e
Roma XVII
con Ennio) e con
Scuola
la
li,
eie
nell' Italia vi di
II).
Me-
sorse a nuo-
Bernardino
Campanella e il Bruno— Cfr. David Levi, Giordano Bruno^ Torino, 1888 pp. 124 sgg. (2) Porfirio op. cit.^ 20 sgg., racconta che più di duemila cit-
Telesio, dalla quale uscirono, fra gli altri,
tadini con le mogli e
sero mettendo in
i
figli
comune
i
si
raccolsero
il
nell'
Homakoeion
e vis-
loro beni e reggendosi con statuti dati
loro dal filosofo, che veneravano
come un
Dio.
l'accesso a tutti
sua
— 188 — buoni — uomini
i
filosofica famiglia
Oriente e
egli
come
un grande
accompagnata dalla giungeva
si
scienze, a queir
iniziato
or-
dei
Misteri.
armonia magica
della
a quella scienza delle dell'
anima e
dell' intel-
Pitagorici consideravano
i
gorica ha perciò un'importanza
notevole tentativo
mezzo
e per
;
pratica, delle sciq^ze unite alle
lentamente
con l'universo, che
piti
e alla
città modello, sot-
l'arcano della filosofia e della religione.
il
:
accennato,
è
s'
conoscenza
una piccola
scientifica e
to la direzione d'
letto
nelle quali
dell' Egitto,
un'accademia
vi
—
divenne ad un tempo un collegio d'educazione,
L'istituto
arti,
(1)
visto attuato nelle scuole del-
aveva probabilmente preso
teoria
donne
Maestro diede quel medesimo
il
dinamento che aveva forse l'
e
La
come
scuola pita-
grande, perchè fu
assai
d' iniziazione
laica
sintesi an-
:
ticipata dell' ellenismo e del cristianesimo, essa innestò frutto della scienza sull'albero della vita, e
e viva
di quell'attuazione interna
può dare
la fede
3.
— Secondo
(1) Sulle
alle
forme
impartito un
i
nomi
di
Vili, 41 sg.
;
ma
d'im-
esempio
della
(2).
dottrina pita-
e agli effetti esteriori di essa,
certo
gran
luce su molti
diverso
e desiderabile fatti.
ed avevano
doveri del loro sesso.
Ad
uno
esse era
iniziazioni pa-
Giamblioo, op.
eit.
267,
17, tutte chiarissime—-Cìt. ihid. 30, 54, 132; Dioo. PoRF. i9 sg. ecc. —V. anche Schure, op. cit. pa-
gine 379 sgg. (2)
costitutivi
insegnamento particolare
rallele, adattate ai
dà
la fecondità dell'
donne pitagoriche sarebbe opportuno
studio, che darebbe
verità che sola
della
che fu data maggiore importanza all'uno
all'altro degli elementi
gorica
conobbe quin-
profonda; attuazione efiìmera,
portanza capitale, perchè ebbe
il
ScHURÈ op.
cit.
p.
314.
189 fu
che
criterio
il
portarono nel giudicare per
gli studiosi
quali intendimenti
filosofo
il
avesse voluto creare questo
Sodalizio.
Alcuni non ne videro che l'intento politico;
condo
il
Krische,
meramente
ebbe
la società
«
di restaurare, consolidare e. accrescere
degli ottimati
morale e
mem-
suoi
i
buoni ed onesti, affinchè, se fossero chiamati
bri
uno
altri scopi,
rendere cioè
di coltura: di
l'altro
scopo
lo
potere decaduto
il
subordinati a questo, due
e,
se-
così,
al reg-
gimento della cosa pubblica, non abusassero del loro pocon l'opprimere
tere
che
provvedeva
si
suo stato
la plebe,
benessere,
suo
al
e di far studiare
;
accingessero al governo
la
comprendendo
questa
e
contenta al
stesse
non
perchè
dello Stato,
che
coloro
filosofia a
si
può
si
un governo buono e sapiente se non da chi sia ed erudito » (1). Ora quanto sia incompiuta ed im-
aspettare colto
perfetta questa opinione del Krische apparirà dal seguito
non furono
del nostro studio. Gli intenti del riformatore politici soltanto,
né
il
anche
morali,
e religiosi
filosofici
suo insegnamento voleva mirare solo a Crotone,
Magna
alla
ma
^Wuomo
Grecia, sibbene
in generale
;
il
;
o
con-
tenuto politico che esso poteva avere era quindi appena una parte, e
neppure
scientifico e
Altrimenti,
(1) etc.
l.
e.
V. II,
giustamente
nota
—
Cfr.
di
un larghissimo sistema
che abbracciava
filosofico,
p 101 p.
la principale,
non
lo Zeller,
giudizio
il
tutto
del
lo scibile.
spieghe-
si
Meinees, Hist. d. scienc.
]85 e quello molto strano del Mommsen, St. di
antica^ Roma-Torino 1903, v.
I,
p.
124
sg.
:
«
Siffatte
«
oligarchiche informavano la lega solidaria degli
«
fregiata del
«
classe dominatrice
«
della classe servile ecc.
nome
di Pitagora
;
essa ingiungeva
come divina, di »
!
trattare
«
Roma
tendenze
Amici
»
(?),
di venerare la
come
bestie quei
— rebbe
l'
e
rica,
indirizzo fisico e matematico della scienza pitago-
teurgo,
il
In realtà
mi
che
fatto
il
a Pitagora il
testimonianze
le
mostrano in
ci
profeta,
una scienza univ
impartendo
più rigorosa disciplina
Stato, (1).
spirito e nei costu-
una cultura
loro
facendo ad essi
ersale, sia
di
riformatore morale
il
mirava ad elevare nello
egli
antiche intorno
piti
più che l'uomo
lui
sapiente e
il
suoi discepoli, sia
i
—
190
dell'animo e delle
e
praticare la
Con
passioni.
questo egli otteneva anche lo scopo, eminentemente civile
sempre più facilmente
e umanitario, di migliorare via via e largamente
i
cittadini
discepolo portava poi
€ pubblica,
trina in quella acquistata,
conseguenza
tra
i
primi ad
famigliari,
la parola e
compiersi a poco
approfittare
direttamente, se ne
moralità e la dot-
parenti, gli amici.
i
nel governo
dottrine essendo stati
la
diffondendola con
di ciò dovette
mutamento anche che
i
poiché ogni
tutti,
necessariamente fuori della scuola,
nella sua vita domestica
con l'esempio
uomini
e gli
della
e a
tesoro
.far
probabilmente facevano
a poco
per
città,
indirizzo razionale e
L' alleanza quindi fra
osserva ancora
lo
il
me
;
vogliamo anche affermare
PhiL
d,
Oriech.
stato
pr. Dioc.
P
p.
328.
nuove
o
indirettamente, nel governo
una più rigorosa
non
la
ma
ragione,
che
moralità.
che
il
suo
il
6;
i
Sodalizio co-
che non
indirizzo religioso,
una conseguenza
Vili,
l'effetto
chiamava a sé
e se la tradizione ci rappresenta
V. Eraclito
fatto
ottimati, questi
un' associazione politica, ciò è vero a patto
ci)
un
Pitagorismo e l'aristocrazia, come
Zeller, fu
etico e scientifico sia
in
gli
parte,
dell'indirizzo generale della scuola
migliori
il
delle
se erano privati cittadini, dovettero portare
un nuovo
E
Erodoto IV, 95
della posi-
— Zeller,
D.
191 zione che
invece fu proprio
Grote
il
che
(1),
e
poiché
membri
suoi
attivi
pi-
religioso
attivo e spadroneggiante,
avevano appunto
zione dei Gesuiti coi quali, dice,
i
1'
di
ufficio
contempla-
non furono che
del filosofo
d'uomini,
una idea
il
le i
scientifica e manifestarono
appena qualche ombra
di vero;
In
».
riti
1'
esso costituiva anzi
segnamento
esoterico, e
vigliosa dottrina dei trattò
punto
di
numeri che ad
ii\
la
filosofiche,
unica
forme
nelle
derivata
si
nella
stessa
!)
loro adesione
senza dubbio
il
pernio di tutto
di
partenza della mera-
lo simboleggiava;
meno
tendere
l'
in-
ma non
strane e irrazio-
ai
suoi seguaci,
sì
che in Egitto, in
insegnava nei Misteri e nelle scuole sua
e nei simboli
dalla
(?
tutto questo vi è
di quella stessa dottrina religiosa
Oriente e in Grecia
fantasie reli-
esagerazione ha tolto la
fantasie più o
nali ch'egli volesse dare
bene
punto
il
seguaci
suoi germi
all'autore. Il concetto religioso ci fu
in Pitagora,
i
privato e scelto nucleo
suo canone etico,
con particolari osservanze e
mano
insomma
lui
che abbracciarono
di fratelli^
giose del Maestro,
un
«
Pitagorici presentano
i
una notevole somiglianza. Secondo
si
perchè
attendevano agli studi; proprio come nella organizza-
tivi
d'
carattere
disse di
la
governo e sul governo, mentre
influire nel
;
natura della società
la
tempo
ad un
ed esclusivo, i
politico
contrario.
il
Assai diversamente giudicò tagorica
campo
pitagorici presero nel
i
—
sostanza
—
esteriori
benché diversa
perché
tradizione, e, per
dovunque
quanto mistica,
fondata tuttavia saldamente sopra una verace e controllabile esperienza.
(]
los,
)
Hist. of.
I,
p.
Il
paragonare
poi
Oreeee^ T. IV, p. 544;
365 sgg.
il
cfr.
sodalizio stesso alla
Ritter,
Oeseh. d, Phi-
192 setta gesuitica, è
un
errore, che dimostra
ben poca penetrazione nello
tuto fare simile raffronto rito
che informava quell' antichissimo
dicarlo dalle sole gì' intenti
non
apparenze
ma
settarii,
uno
sare infine l'opera di
istituto
esteriori,
Più vicino
al
vero è
seppe vedere
to egli
tendimento morale
è
un giu-
un disconoscerne
plrofondamente umani, uno
svi-
dei pili grandi pensatori e apo-
giudizio del Lenormant, in quan-
il
sotto le fo'^m^ della religione
Pitagora
di
ma
(1);
e compiuto, perchè rispondente a tutti
storico italiano,
ci età
modello, la
i
dati di fatto la-
Sodalizio diede
una
Centofanti, col definirlo
il
quale,
« condizioni della civiltà
se
in-
l'
ancora più giusto
è quello che del
sciatici dalla tradizione,
«
;
spi-
che r umanità abbia avuto.
stoli
uno
in chi ha po-
So-
intendeva a migliorare
comune
le
e aspirava ad occupare
«
una parte nobilissima
«
pubblica, coltivava ancora le scienze, aveva
«
morale e religioso e promoveva ogni buona arte a per-
«
fezionamento
«
quanto
lui si
è
e meritata nel governo della cosa
delV
la virtualità
umana natura
accordarono press' a poco
ler (4), per
il
quale
associazioni analoghe
la scuola si
« per
giato su motivi religiosi
or
il
«
lo
Chaignet
»
(2).
Con
(3) e lo Zel-
distingueva da tutte
suo indirizzo morale
»
le
pog-
guidato da sani metodi d'edu-
Duncker quindi scriscon molta verità che Pitagora fu « non solo il Maestro d' una nuova sapienza, ma altresì il predicatore di una
cazione e di istruzione scientifica. se
tanto larga
secondo un' idea
del vivere
uno scopo
(1)
Op.
(2)
Studi sopra Pitagora,
renze,
Git. l,
Il
p. 83.
Le Monnier), Opere^
nel p.
401
voi.
La
Letteratura greca
sg.
(3) Pythagore et la philos. pythag. I, p. 98. (4) Die Philos. der Orieehen V" p. 328.
(Fi-
— nuova
vita,
«
tore d'
una nuova fede
come
intesa
un
fondatore di
«
il
»
culto nuovo e
tempi
e ai
bandi-
il
;
come
poiché,
fondo esoterico della dottrina aveva
il
va
tale novità ,
Soltanto
(1).
relativa ai luoghi
ho detto sopra,
~
193
ori-
gini assai remote.
—
4.
Se tale era dunque
l'
intento della Società pita-
gorica, se al di sopra di ogni altra considerazione
e
quella di riformare interiormente gli uomini
Samo pose
di
con ciò
grande
il
di modificare
—
anche
necessariamente
—
le
condizioni esterne della vita individuale e sociale, se egli
mirò a costituire una religione fondata sul sentimento interiore e
non
esterne del culto, alle quali
sulle pratiche
ben raramente ed in pochi corrisponde un'adeguata conoscenza e persuasione, e che perciò acquistano un valore
mera superstizione
di
dogmatico,
formalismo
e di vuoto
era troppo naturale che la nuova istituzione scitare
i
timori degli elementi
crotouese ed
e sopra
italiota,
stocratici ignoranti
conservatori della società tutto
che ne erano
e morale,
za intellettuale
le ire
di quegli ari-
stati esclusi
dei sacerdoti
e
dovesse su-
per deficien-
che vedevano
allontanarsi dalla religione tradizionale e quindi sfuggire al loro
dominio tanta parte
gioventìi. re,
E
le
—
la
parte migliore
dulità nel volgo e pronto aiuto
nuove idee vedevano sonali; tanto pili
d'idee
co e sociale,
(5)
—
della
calunnie che tutti costoro seppero sparge-
dovevano purtroppo trovare, come sempre,
vimento
—
lesi o
— come
che
tocchi
delle
in tutti coloro che dalle
minacciati
che
facile cre-
i
loro interessi per-
accade in ogni nuovo moe
trasformi
incertezze,
degli
l'assetto politierrori, delle de-
Qeseh. d, Alter. VI, p. 636. 13.
—
—
194
bolezze, della violenza partigiana di qualcuno fra gli adepti
e fautori della Società avranno
mettendole in
partito,
Ma
dottrine.
È
tore.
di
avversari
gli
nuove Cilene,
tal
sua crassa ignoranza e per la sua
la
non potè essere ammesso a
inettitudine
delle
ricordo di un
espresso
che per
aristocratico,
rilievo,
tosto cercato di trarre
questo noTi è fatto ricordo da nessun au-
invoce
fatto
ben
far parte del So-
dalizio interno, e che
«
minciò a brigare fra
malcontenti, a spargere voci calun-
i
pien d' ira e di corruccio
niose, a mettere in cattiva luce
segreta della
Società,
continuando
sprezza e quella tenacia che
vemente molti.
le
gli
cerimonie e la
lotta
1'
con
»
co-
azione
quell'a-
veniva dall'orgoglio gra-
offeso e dalla certezza di essere spalleggiato
da
Egli in questo modo, favorito com' era anche dalla
sua elevata condizione sociale e dalle idee democratiche, allora penetrate
mente
nella
Magna
una
dendosi fra
popolo, facilmente ingannato dalle apparen-
il
dette poi luogo ad il
filosofo
il
moto
ed
i
non vedeva
una vera
e propria
suoi seguaci (500
fu effettivamente
moto
di
(1)
sommossa contro Così che, se
venne
il
reggi-
dalla parte
sacerdozio ufficiale
(1).
decreto di proscrizione bandì senz' altro Pitagora, die, ospitalità a Caulonia ed a Locri,
fu accolto in Metaponto, dove morì ;
che mistero,
popolo contro
dell' aristocrazia e dal
dopo aver cercato invano po
altro
a. C. circa).
arivStocratico, l'ispirazione tuttavia
meno buona
Sovrano
forte opposizione, che, allargandosi e diffon-
ze esteriori sotto alle quali
Un
cui seppe abil-
trarre vantaggio, potò creare nel Consiglio
dei Mille
mento
Gi'ecia da
ed una
fiera
non molto tempo do-
persecuzione fu iniziata contro
V. in proposito ciò che dice con molta verità
op. cit. p.
4l6 sgg.
il
i
pitago-
Centofanti,
—
195
parte uccisi e parte
rici,
— anch' essi
cacciati
bando e
in
profughi nelle terre vicine.
La durata
quarant' anni
che
pili
dunque
del Sodalizio fu
tuttavia
;
1'
non
assai breve, di
efficacia
dell'
insegna-
mento pitagorico durò per lungo tempo attraverso i secoli (1) e la sua fiamma non si spense mai, conservata religiosamente e religiosamente trasmessa di generazione in generazione dagli eletti a cui fu affidato via via
cro deposito (2)
che
cosicché
;
mantenne, e
si
il
il
fondo delle dottrine esoteri-
tempi successivi in grande o in
i
sa-
pic-
cola parte poterono conoscerle.
5.
— Nel
quella degli
sodalizio
si
distinguevano due classi di adepti;
ammessi ad un grado
di
iniziazione (disce-
poli genuini o famigliari) e quella dei novizi o semplici
uditori (acustici o pitagoristi); ai
in corrispondenza coi
volta in varie classi, forse gradi,
pitagorei,
(pitagorici,
primi, distinti alla loro
fisici,
diversi
matematici, sebastici) e
discepoli diretti del Maestro, era fatto l'insegnamento eso-
segreto; gli
terico
potevano assistere solo
AmsTOTiLE
ci
fa
sapere (Polii. V, lO) che
\q sissitie italiche,
anteriori a tutte le altre,
duravano tuttavia
per la congiunzione loro
coi posteriori istituti pitagorici.
TOFANTi, op. ni. p. 383 e cfr. Cognetti (2.)
alle le-
esoteriche, di contenuto esr^enzialmente morale (3), e
ziorìi
(1)
altri
Pitagorismo appare nel
Il
dioevalo e
moderna
in tutti
i
De
nel suo secolo; certo
mondo romano
V. Cen-
cit. p.
466.
e noli' Italia
meLa
Martiis, op.
periodi di risorgimento filosofico.
repubblica utopistica di Platone come quella del Campanella ripro-
ducono molto da vicino
l'
ideale di vita che fu realmente praticato
neir istituto Crotonese. !3;
V. Clem. Stromat. V. 575
PoRF. 37 LOisoN,
;
D
;
Ippol. Eefut.
GiAMBL. 72, 80 sg., 87 sg.; Gell.
Anecd.
II, 216.
-
I, 9,
I,
2,
Cfr.
p.
8,
14
;
anche Yil-
Secondo uno scrittore dal quale attinse
19t)
non erano ammessi
alla
dice la tradizione,
lo
presenza
come
Pitagora, ma,
di
sentivano, talvolta, parlare da die-
un velario che lo nascondeva ai loro occhi. Prima di ottenere l'ammissione non solo ai gradi
tro
ma
niziazione,
ed esami
anche
bisognava subire prove
al noviziato,
rigorosissimi,
diceva Pitagora,
poiché,
ogni legno era adatto per farne un
come
to,
che
narra Aulo Gelilo
ci
attestasse
della
d'i-
(1),
Mercurio
non
«
anzitut-
»;
un esame fisionomico
buona disposizione
morale
attitudini intellettuali del candidato (2);
e
se questo
delle
esame
era favorevole e se le informazioni procurate intorno alla
moralità
e
ammesso
senz'altro e gli
anteriore
vita
erano
soddisfacenti,
egli
un determinato
era prescritto
periodo di silenzio (echemythia), che variava, secondo
due
individui, dai gli
ai
cinque
anni, durante
i
quali
era lecito che di ascoltare ciò che era detto da
senza mai chiedere spiegazioni questo come
delle passioni
prove
di
egiziana, consisteva
assai il
difficili,
rici,
i
i
altri,
desideri
rigorosa e praticata
prese dall'iniziazione
in
distinti
matematici, Pitagorici, Pitagorei e pitagoristi
aggiunge che
non
noviziato (parashevé). a cui erano
gh adepti erano
Fozio (Cod. 349),
nella piìi
e dei
gli
osservazioni. In
fare
nel lungo meditare e
severa disciplina
per mezzo
nò
era
;.
Sebastici, politici,
e lo stesso scrittore
discepoli diretti di Pitagora erano
discepoli di questi pitagorei e
i
discepoh
chiamati pitago-
essoterici o novizi
Roeth (II, pag. 455 sg., 756 sg., 823 sg., 966; b 104) deduce che i membri della piccola scuola pitagorica erano chiamati pitagorici e quelli della grande pitagorei ed a rapitagoristi.
Dal che
il
;
gione, purché
non
discepoli essoterici,
mo
si
identifichino questi ultimi con
ma
bensì
si
i
pitagoristi o
considerino come gh iniziati di pri-
grado.
(1)
Noci. Att.
I,
(2)
OmaiNE
Pitagora inventore della
fa
9. «
fisionomica
».
—
—
197
appena avevano imparato,
sottoposti gli acustici. Costoro col
lungo tirocinio,
tare e
il
due cose
le
ammessi
erano
tacer e,
piti
fra
matematici
i
domandare, ed
potevano parlare e
allora soltanto
cioè l'ascol-
difficili,
(1)
e
anche
scrivere su ciò che avevano udito, esprimendo liberamen-
Nel tempo stesso che imparavano ad
te la loro opinione.
accrescere la potenza delle loro facoltà psichiche,
sapienza sta,
faceva a grado a grado più elevata e più va-
si
deìV Essere assoluto,
sino a giungere all'intelligenza
immanente
neil'
universo
e
segnava
sofica,
e che
terico,
otteneva
la fine
titolo
il
zione epoptica, cioè (sehastikós)
il
;
nell'
cima
questa che era la più alta
nerahile
loro
la
uomo
arrivava a
della speculazione tutto
di
chi
:
l'
filo-
insegnamento eso-
corrispondente a
questa inizia-
di perfetto (teleìos) e di
titolo
oppure chiamavasi
ve
per eccellenza
nomo. L' obbligo essenziale che
imponeva
si
e della segretezza
quello del silenzio (2)
senza eccezione per parenti o per sino
i
(Ij
considerati
che innalzavano ad
gnomonica,
superiore, per
mezzo
la
(2)
essi nell' interno dell' isti-
medicina^
delle quali si
eccelse vette della scienza LiANO,
umana
la
musica ed
elevavano
e divina.
-
alle
cioè la geo-
altre d' ordine
più sublimi ed
Sulla medicina v. E-
Var. Hist. IX, 22.
V. Tauro
pr. Gellio,
L e; Diog. Vili, 10;
15; Clem. Strom. V, 580 A; Ippol. Refut.
71 sg., 94; 3;
trapelare qualche
Così chiamati dalle discipline che professavano,
tnetria^ la
altri,
come indegni di apparcome morti dagli altri
cosa agli estranei, erano espulsi
confratelli,
verso gli
amici. Tanto che per-
già iniziati, se avessero lasciato
tenere alla Società e
agli adepti era
Plut,
De
cfr.
21 sg.; Filop.
curios. p. 309.
De
an.
D
5
I, 2,
b;
Apul. Fior. p. 8,
Luciano,
II,
14; Giamel. Vii. auct.
— un
tuto
cenoiafio
quindi la fermezza con stodire
il
È
(1).
rimasta famosa e proverbiale quale
la
Pitagorici sapevano cu-
i
segreto su tutto ciò che riguardava la scuola
Allo stesso
modo
spirituale, finiva col fatto
come morto
considerato
era
avendo dato buone speranze aveva
—
198
inferiore
bene notarlo, dovettero essere
Tali casi però, ò
assai rari, poiché
ghezza del tempo di prova che precedeva
un grado a un impossibili
o
altro di
aveva appunto
limitare
al
concetto che
al
nascere dalla sua capacità.
pur
chi,
sua elevatezza
di sé e della
mostrarsi
(2).
la lun-
passaggio da
il
scopo di rendere
lo
minimo gl'inganni
e le de-
lusioni.
L'essere stato accolto fra iniziazione
non obbliga^^a
i
novizi ed anche la ricevuta
per nulla
alla vita cenobitica.
Molti anzi, o per la loro condizione sociale o perchè non
sapessero rinunziare
(1)
A
interamente
mondo
al
questo proposito sappiamo da Clemente (^S^row. V, 574 D),
che riferisce una tradizione ben nota, come
punto
dell'
avere
fatto conoscere la
con un suo famoso scritto in tre
Diogene
Laerzio
tab,; GiAMBL.
V. Plut.
PSEUDO Liside
246
17;
sg.
Menagio
Numa^ 22;
pr.
libri,
Cantra Celsurn
Th. Canterus,
segreta
fu cacciato
(199),
III,
p.
Var. Leet.
Aristocle
142 e
II,
Edseb. pr.
p.
p.
anche dalla
67 Can-
2.
I,
ev.
XI,
1;
3,
GiAMBL. 75 sg. e Diog. VIII 42; Giambl. 226
sg.,
un anonimo
pr.
(ViLLOisoN, Aneed. II, p. 216); Porf. 58; in DioG.
del Maestro
del quale ci parlano
VIII, 50.
Cfr.
Platon.,
zione di Neante su Empedocle e Filolao, e
Timycha sopportarono
tagliò la lingua, piuttosto
jS'p. il
314, l'afferma-
II,
racconto dello stesso
Giambl. 189 sg.) secondo
scrittore e di Ippoboto (pr. lia e
Ipparco, a causa ap-
dottrina
(VITI, lo) e Giamblico
Scuola. Cfr. Oeigune,
(2)
o per altre
i
più crudeli
tormenti e
che rivelare a Dionigi
gione dell'astinenza dallo fave. Così Timeo
ferma che Empedocle e Platone furono
(pr.
esclusi
pitagorico, perchè accusati di « logoklopia
il
».
il
quale Myl1'
ultima
Diog. Vili, 54) dall'
si
vecchio la raaf-
insegnamento
-
—
199
ragioni, continuavano la loro vita ordinaria, che natural-
mente informavano
con
acquisite, diffondendo così il
bene
questi
i
membri
appunto
di cui
attivi^
alle
ci
Erano
mirava.
parlano alcune testimo-
vivevano sempre
nianze; gli altri invece, gli speculativi^
perfetto accordo con
nell'Istituto, dove, in
conoscenze
pratica e con la parola
la
l'insegnamento
cui
a
morali e
ai principii
tutte le altre
pratiche e leggi dell'Istituto stesso, le quali miravano sopratutto a
scomparire
far
ogni
forma
egoismo e
di
di
orgoglio individuale, era praticata un'assoluta comunione di beni. verità
E non
(1),
è poi così strano da doversene negare la
che uomini dati a speculazioni filosofiche e remorali, e che
ligiose e a pratiche
uno scopo unico, mettessero il
in
vantaggio dell'insegnamento
vivevano insieme' per
comune e per
loro beni, per
i
la
diffusione delle
Che cosa poteva trattenere i discepoli interni^ non legati più dai vincoli del mondo, da questa comunione di beni ? E quanto agli esterni, non è naturale
loro idee.
pensare che, per acquistata nel
la virtù della
comune insegnamento,
spontaneamente tutte
(1)
Secondo
Diog.
X, Il
lo
Zeller
y.
sue sostanze,
le
lo
e di TiMKO di
secondo Fozio (Lex.
v.
testimonianze
Taurom.
le
Ma
cfr.
anche
gli
ibid.^
di
dell'amore
e
ciascuno anzi
tutto se
Epicuro
(o
Magna
Grecia
I,
Krische
2 p.
{l.
fu
la
anche,
comu-
troppo re-
sono
Schol. in Fiat. Phaedr. p. 312 Bekk., e
12; Porf. 20;
e. p.
me-
Diocle) pr.
Vili, 10) che
testimonianze che troviamo in Dioo. VILI, IO; Gell.
Refut.
mettesse
Koinà) introdurre da Pitagora
nità dei beni fra gli abitanti della centi.
fratellanza
I,
9;
Giamrl. 30, 72, 168, 257 ecc.
Ippol.
—
Il
27) crede che fonte di questa tradizione sia stata
una falsa (?) interpretazione della nota massima « le cose degli amici sono comuni »; il che mi pare ben poco fondato, se si pensi che non è neppur corto che questa massima appartenesse in modo particolare ai pitagorici (Aristot.
FAh. Nic. IX,
8,
1168 b
0).
-
—
200
desimo a disposizione dei suoi confratelli
?
noi sappiamo che
particolari segni
riconoscimento
di
mone
usavano
Pitagorici
i
~ come
(2)
incisi sulle loro tessere,
(4),
—
stica del saluto (5)
dei quali
conoscersi ed aiutarsi subito a
per essere accolti, fuori
sia
altre scuole consimili,
come La poli
vita che si
che
rimanevano
vi
che ognuna
di
che
permanenza
^3)
V. gU Sckol,
(4)
Krische
(5)
Luciano, De Salut.^
(6)
Per questo, e forse per
l'
alle
sufficiente-
si
tra-
pen-
p.
Nuvole
di
554; Diog. Vili, 21.
p.
Aristofane 611,
249 Dind.
I,
44. e.
5.
altre analogie
(come quella
cui ci parla Diog. VIII,
15)
si
è
delle a-
paragonato
Istituto pitagorico con altre società segrete dei nostri
un cenno fuggevole nel Dici, de génér.^ Firmin-Didot, Paris, 1862, t. 41, col. 243-244: « Les
tempi. V. su questo biogr.
e
ci
rigorosamente prescritte, erano
GiAMBL. 238.
da alcuno
disce-
esse aveva la sua giustificazione razio-
V. DioD. Siculo Exeerpt. Val. Wess.
di
da quei
che nessuno
precise
(2)
dunanze notturne
Grecia
neo-pitagorici e per le
(1)
e.
Magna
intende facilmente, se
si
nale e che, salvo alcune
l.
adepti di
(6).
nell' istituto
con norme il
(7);
nei loro bisogni
e là nelle opere dei più antichi autori.
Tutto era ordinato sgrediva mai
servirsi sia per
così nella
narrazioni dei
le
qua
notizie sparse
in
caratteri-
Crotone, dagli
numerose
infatti
e lo gno-
(3)
forma
la
vicenda
di
conduceva
e
dovevano
nella Grecia e nell'Oriente
mente nota per
si
pentagono
il
Ed
(1).
proposito
souvenirs de collège formaient sans doute pour ce lien sacre qu' on a depuis voulu
les
pythagoriciens
assimiler à je ne sais quelle
Francs-ma^ons ». che cita Nicomaco e Diogene (autore
société de Roseeroix ou de (7)
PoBF. 20, 22 sg.
libro sui prodigi); Giambl.
68
sg.,
96
sg.,
165, 256.
d'
un
—
—
201
date più in forma di redola o
comando (1). Di buon mattino, dopo
di vero
che
di consiglio,
e proprio
levata del sole,
Ja
cenobiti
i
alzavano e passeggiavano per luoghi tranquilli e silen-
si
ma
senza parlare ad alcuno pri-
fra templi e boschetti,
ziosi,
avere ben disposto
di
zione ed
il
Poi
raccoglimento.
animo con
loro
il
medita-
adunavano nei templi
si
in luoghi simili, ad imparare
la
—
insegnare
ad
e
ché ciascuno era e maestro e discepolo
(2)
—
poi-
e pratica-
vano continuamente particolari esercizi per acquistare padronanza delle passioni
pando
in
modo
e
dominio dei sensi, svilup-
il
memoria
speciale la volontà e la
coltà superiori e più riposte
dello
spirito.
piaceri normali
zia forzata ed obbligatoria ai
e le fa-
Non
carne
tava peraltro né di mortificazione della
e
trat-
si
rinun-
delia vita,
di altre simili aberrazioni fratesche e conventuali:
ne
tagora voleva soltanto che ognuno di assoggettare
fosse
sto
mento
il
libero
interiore
:
spirito,
nelle
sue
operazioni e nel suo svolgi-
ma
il
genere
corpo doveva
:
lo
ali'
all'
e alle bevande. In generale
aria
:
onde
bella
del
mantenuto
uno
gli esercizi
aperta,
e
stru-
gin-
le prescri-
igiene e specialmente ai cibi i
pasti erano
(1) Il rispetto alia libertà individuale era
che, e forse la più
essere
spirito avesse
possibile
fatti
zioni minuziose intorno
tale
modo che que-
per
allo
perfetto quant' er
nastici d' ogni
grado
mettesse in
si
Pi-
corpo
sano e bello, perchè in esso
mento
la
una
assai
parchi,
delle caratteristi-
metodo pedagogico pitagoreo. V. su
metodo F. Cramek, Pythag. quomodo educaverit atque
insti-
siuerit (1833). (2)
Anche questa
tuando
i
era una sapiente e razionale disposizione, abi-
discepoli alla virtù attiva.
—
—
202
I puro necessario, eJiminaudo tutto ciò che potesse offuscare la serena funzione dello spirito ed aggravare
ridotti al
stomaco. Pane
inutiluiente lo
cotte e crude, poca carne
ed animali, raramente
durantB
il
secondo pasto
il
miele
e
e solo di
mattino, erbe
al
determinate
qualità
pesce e pochissimo vino la sera quale doveva essere ter-
il
(1),
minato prima del tramonto, ed era preceduto da passeg-
non
giate,
solitarie,
pili
bagno. Terminato alle tavole in
il
ma
a gruppi di due o tre, e dal
pranzo,
numero
di
i
commensali, riuniti intorno
meno,
dieci o
trattenevano a
si
discorrere piacevolmente, a leggere ciò che
no prescriveva,
di poesia e
buona musica che disponeva gli animi una dolce armonia interiore. Poiché « di vigore, è
e però
rale,
(1)
La
composte
la
a.
ci
compieva
XV.
1,
costante unità
a
i
suoi effetti
ci
nell'anima perfetta-
parla di assoIui;a astinenza dalle
un puro vegetaria-
potremmo
65
p.
Ma non
716 Gas.
possiamo
assolutamente obbhgatoria per
tale dieta fosse
trimenti non
onde
attestano Eunosso pr, Porf. 7 ed Onesicreto (sec.
C.) pr. Strab.
mare che
musica,
anche un metodo' d'igiene intellettuale e mo-
tradizione più diffusa
come
gioia e ad
alla
carni, dal vino e dalle fave. Pitagora forse era
no,
più anzia-
prosa, e ad ascoltare della
di
tutte le parti del corpo sono
il
spiegarci
tutti
IV
affer:
al-
come mai alcune testimonianze
parlino di certe qualità di carne rigorosamente proibite. Probabil-
mente P astinenza
dalle carni e dal vino
fosse prescritta nel
modo più formale
(
quella delle fave pare
e categorico) fu
un semplice
uso, derivante dal. bisogno o dal desiderio di manteaer sempre sveglio lo
sano
—
spirito e di il
corpo e
rendere
meno
meno
forti le
tirannico
sue
—
esigenze.
trasmigrazione delle anime non entrava
pur conservandolo
La
dottrina della
per nulla in tale divieto
;
poiché essa aveva un significato e un valore assai diverso da quello
normalmente
attribuitole,
derivazione dall' Egitto.
secondo
la
comune credenza
della sua
.
— mente
203
—
disciplinata di ciascun pitagorico
cavano
durante
iiifìno,
»
semplici ceri-
giornata, alcune
la
Non man-
(1).
monie religiose, piii precisamente simboliche, che servivano a mantenere sempre vivo e presente in ognuno il culto ed il rispetto di quell'Essenza da cui emanava e a cui doveva
—
Maestro
—
tornare
secondo
principio animico e sostanziale di
il
del
mistica
dottrina
la
ciascun
individuo umano. Altre testimonianze dell'uso di
cia,
Quanto
non
slìV
non
solo
bianche !2) e di capelli lunghi
vesti
obblUjo
da alcuna testimonianza
ò dato
molte che
figli
di
Cento FANTI, op.
i2)
GiAMBL. 100, 149
cit.
RoHDE, Rh, Mas.
forse presa
ove sono determinate
alle altre
(1)
cfr.
(3)
—
desunse forse
che
XXVI,
mediatamente
Apollo??..
FlLOSTR.
l.
19
;
ma
nel
le
»;
ciò
proibito
:
32, 2;
I,
i
piìi ri-
— la
notizia da
la
3 5 sg., 47).
Nicomaco
Aristosseno, da cui è
notizia contenuta nel § lOO,
V.
Elian(.,
non
De Magia e
56;
XTI. 32.
(Iht.
C.
primo
i^he
di
questi luoghi è detto
Pitagorci
«
si
solo
.
che
Vili,
e Diog.
da alcuni
si
tenevano lontani dall'amore carna-
che non significa punto che
anche qui probabilmente
si
l'amore stesso
trattava di
tica liberamente voluta dai più degli adepti.
tato è detto
Teano,
norme
le
veramente Clem. Strom. IH, 435 C.
(4) Egli cita
affermava
di
è
390.
p.
parlava che dei Pitagorici del suo teuipo. V. Apul. Filostb.
ma
(4),
Pitagora, dalla quale questi avrebbe avuto
ed
(5)
parlano
ci
(3).
parla lo Zeller,
di cui
celibato
del
contrario anzi a quelle
moglie
parlano di astensione dalla cac-
ci
semplicemente che Pitagora
abbandonasse a pratiche sessuali
«
fosse loro
una semplice pra-
Nel secondo luogo
non
si
seppe mai che
cisi
»
Ermesianatte pr. Ateneo XllI, 599 a; Diog. Vili, 42; Porf. GiAMBL. 132, 146, 265; Clem. Paedag. Il, e. 0, p. 204; Strom. I, 309, IV, 522 D.; Plut. Coniug. praec. 31, p. 142 Stob. Eel. I, 302; Fiorii. 74, 32, 53, 55; Fiorii. Monac. 268-270 (Stob. (5)
19
;
;
Fior. ed. Mein. IV,
289
sg.);
Teodoreto, Semi. 12.
— guardo
al
—
dedicarsi all'amore
—
ciò che è piìi importante
della dottrina del filosofo, per e
I
tempo più opportuno per
e contrario poi
cra,
—
204
quale
il
la
(1);
allo spirito
famiglia era sa-
doveri ad essa inerenti erano indicati con molta
i
precisione ed accuratezza, massime nell'insegnamento fatto alle
donne. Anche
che una pratica dei
interamente
alle
celibato
il
insomma non
dovette essere
ferventi discepoli,
piìi
quali,
i
dediti
speculazioni filosofiche ed agli studi, cre-
dettero forse di trovare
nei
vincoli di famiglia
un
osta-
colo alla libertà dei loro studi e delle loro meditazioni.
6.
—
Queste, in breve
notizie che
le
storia esterna dell' Istituto e del suo
Per quello che riguarda biamo dunque veduto
restano della
ci
ordinamento interno.
in particolare l'insegnamento, ab-
che
era
esso
duplice
e che per
ammessi a quello chiuso o segreto era necessario
essere
aver dimostrato, con lunghi anni di prova, di esserne degni e di avere tutte
Chi non dava l'
tali
insegnamento
garanzie poteva usufruire soltanto delo
esoterico
bolismo e alla portata di
comune, privo
tutti, di
erano
vate
di
sotto
il
iniziati
—
teoriche
velo di particolari e
schematiche,
che, conosciute dai
e
formule
i
discepoli esote-
profani,
pratiche
non rivelavano (2).
—
simboliche,
quali avevano
le
loro senso riposto e metaforico
(1)
ogni sim-
gradatamente a forme sempre
conoscenze
ricordare
di
carattere essenzialmente
Abbiamo anche accennato che
morale. rici
necessarie a riceverlo.
attitudini
le
Con
il
,
piìi
ele-
nascoste facili
da
vantaggio
per nulla
il
ciò si voleva evi-
DioG. vili, 9.
(2) L'
Arte Mnemonica
dei precursori del
Beuno
di
e
Eaimondo Lullo
maestro
di
(sec.
Gioacchino
XIII-XIV), uno
da.
Fiore, di Cor-
— tare
il
—
205
pericolo che conoscenze d'ordine superiore fossero
menti inette
date in balia a
appunto per questo,
comprenderle,
a
divulgassero
le
con
poi
le
quali,
restrizioni,
limitazioni e imperfezioni derivanti dalla loro intelligenza
inadeguata e così nascesse
discredito e
il
dottrine fondamentali e su tutto
l'insegnamento.
e tale
»
ridicolo sulle
dunque che
terio usato neir impartirle era
vesse dir tutto a tutti
il
criterio
le
conoscenze
può certo reputarsi di
orgoglio
alla capacità
segno
illogico o
intellettuale
:
anzitutto
si
cri-
do-
aristocratico
— del
pro-
individuale,
non
nel senso più ampio e più bello della parola
porzionare
non
«
—
Il
di
vana
ò
accaduto in ogni
superbia e
tempo che dottrine intrinsecamente buone abbiano via via perduto, col troppo diffondersi, gran parte della loro perfezione
ed
primitiva
abbiano
finito
o
con V andare sog-
gette ad ogni sorta di travestimenti e di inquinamenti od
anche col perdere pur conservando mali di esso
;
affatto
il
loro
contenuto
sostanziale,
manifestazioni esterne e
le
in secondo luogo
i
non essendo mai
all'individuo più di quello che le sue facoltà le
segni for-
naturali
sue conoscenze effettive potessero comportare, e
gimento delle facoltà
stesse
procedendo
chiesto
secondo
e
lo svol-
quella
progressione che la natura pone nell' esplicarle e secondo i
gradi della superiorità
loro nell' ordinata
ed
armonica
conformazione della persona umana, non veniva ad essere turbato in sì
nessun momento quell' equilibrio, nel quale
conteniperano in armonia perfetta
le varie
attitudini di
stesso
una pace
indisturbata e una fiducia in se medesimo, che
non dava
ciascuno, e ne nasceva
per
l'
individuo
NELio Agrippa, del Paracelso ecc., ebbe lo stesso carattere di una.
simbolica universale,
intelligibile ai
soli iniziaci.
— mai luogo
—
206
scoraggiamento e
allo
vita era quindi
sconforto. Tutta la
allo
sottoposta alla legge
stematica e c(mtiuua,
e delle
d'un' educazione
individuali face-
attitudini
vano uno studio diligente, coscienzioso ed incessante che erano
piti
quelli
in alto nell' ascesa verso la perfezione.
Nei rapporti degli adepti
suprema
ni era legge
si-
l'
con
fra loro e
amore, e
questo
sovrano tra quelle anime, avide soltanto derose di attuare quant' ò possibile in l'ideale di giustizia
che
aspirazione di tutti
i
mento invece era
è,
attraverso
i
gli
uomi-
altri
regnava
infatti
ben© e
di
desi-
questa vita quel-
perenne
secoli, la
buoni. Nella scuola e nell' insegna-
principio autoritario che prevaleva
il
;
quando corrisponda a una
principio razionale
e
vera gradazione
merito e di valore individuale, e per
di
nulla insopportabile, vivificato dall'
giusto
quando l'insegnamento
amore reciproco
avvia per
quisto di
la
un
animato
fra discepoli e maestri,
e quelli abbiano in questi fiducia e stima si
sia
Chi
illimitata.
stiada del sapere e vuole arrivare all'ac-
ha sempre
conoscenze
qualsiasi sistema di
nozione imperfetta e inadeguata delle verità che impara, finche
non
sia giunto a
necessario
;
sono mai
sufficienti
e
le verità
comprenderne per intero stesse,
a costituire
imparate che siano, non
tutte le nozioni,
come
si
è già detto,
la
lato,
di
non
Ma
vi si
poiché
potevano di
meno
es-
era
loro conoscenza, anteriore a quella delle lo-
ro ragioni intrinseche ed ideali,
gnamento
ciò
non
se
loro realtà.
sere intese da tutti pienamente e
necessaria
sapere,
il
unisca l'esperienza positiva della
non
l'ordine
esse senza
il
non era possibile
l'inse-
E
d'altro
principio d'autorità.
non potendo questa medesima
rata a lungo dai discepoli, se alla
accompagnata anche
la
persuasione,
autorità essere tolle-
simpatia non
nata dal
si
fosse
riconosci-
207
mento sperimentale era giustissimo
di altre
verità
prima soltanto apprese,
priocipio di coordinare l'insegnamento
il
teorico ed
il
pratico.
volentieri
e
senza
Oud' è
che
gli
accettavano
adepti
discutere le dottrine che gli
iniziati
superiori insegnavano in forma di precetti brevi, semplifacili,
ci,
rità
simbolici, sìa perchè erano rafforzate dall'auto-
suprema
del Maestro da cui
perchè
derivavano, sia
gradatamente era anche insegnato a ciascuno
il
metodo
per verificarle praticamente da se medesimo. Uipse dixit era pertanto,
come
dice benissimo
il
Centofanti
«
(1),
la
non ancora
parola dell'autorità razionale verso la classe
condizionata alla visione delle verità più alte e non partecipante al
vedere in
sacramento
?>7/r>
Pitagora
della
mentre
Società »,
«valeva appunto
poi
il
meritata ini-
la
ziazione all'arcano della Società e della scienza ».
7.
—
Resterebbe ora da
dire in
l'insegnamento impartito con un prudente, quale era
la
che cosa
metodo
nuova parola
così rigoroso e
che Pitagora portò
fra quelle popolazioni, così piena di fascino
tante nobili intelligenze
ed
consisteva
ammaliare
da persuadere
tanti
cuori,
e a
quale spirito era informato un. sistema educativo, che non
ma
solo sui giovani,
anche sugli uomini aveva tanto po-
tere da trasformarne la natura morale e tutta la costitu-
zione psichica.
na pitagorica è
Ma
poiché questa esposizione della dottri-
già stata fatta
da molti
dire che eèsa, riprendendo ed ampliando
(1) (2)
Op. cit. p 405. Puoi vederla esposta assai
fanti e dello ScHURÈ il
;
bone nei
(2), il
citati
basti qui
pensiero
il
reli-
lavori del Cento-
per quanto a quost' ultimo manchi in parte
necessario corredo di prove e di testimonianze.
—
—
208
gioso che la tradizioDe leggendaria personificò
coordinava
in
Orfeo,
un sistema vasto e compiuto, e che, essendo fondata su un sapere sperimentale e accompagnata da un ordinamento razionale di tutta la vita, mirava a perfezionare gli individui, non solo con le
ispirazioni
orfiche
l'approfondirne e l'estenderne
anche essenzialmente la ricchezza
con
conoscenze teoriche,
le
ma
l'accrescerne a grado a grado
forze interiori,
delle
in
per lo sviluppo
tenuto con lunghe e pazienti pratiche
(1)
— delle
—
ot-
facoltà
latenti del riposto ego divino, principio sostanziale di ogni attività dell*
(1)
uomo.
Erano pratiche magiche che
scuole mistiche e che non solo
per
i
profani,
i
particolari e s.egreti.
tiche V. Plut. sg.;
X,
3,
4
8,
36, 60 sgg.,
GiAMBL.
degni di fede ev.
Numa
Per
;
». Cfr.
acquistava con cognizioni ed esercizi
si
le
in tutte le
se ;
di
era altro che un'arte, che
usavano del resto
non apparentemente e della natura e chi abbia una conoquesti studi sa bene che la magia non
limiti
scenza anche superficiale
si
eccedevano,
testimonianze
sull'
Apul. De Magia 3l 142, dove
sì
parla
anche Ippol. Refut.
I,
uso
;
di 2,
queste pra-
di
23
Porf. «
p.
sgg.,
34
antichi scrittori
10
Aristot. p. Eliano II, 26 e lY, 17 ecc.
,
Euseb. pr.
NDICE DEL VOLUME
........
Prefazione
'ag
Introduzione Capitolo peimo
:
Inizii
secondo
» »
TERZO
:
:
Quinto Ennio e
QUARTO
:
— Lucrezio e II. — Frammenti
le
il
poema
di
21
C.
.
Natura
.
Pitagora e
Ovidio
45
»,
»
69
»
ivi
M. Terenzio Varrone
»
—
»
.
.... — Cicerone e
Orazio Fiacco
»
107
P. Virgilio
sue dottrine nella
le
91
il
........
Marone V.
Scipionis
— Mimi — Q.
a.
« Delia
Appio Claudio Pulcro
Somnium
—
»
della dottrina di Pitagora de-
sunti dalle opere di
IV.
5
sue dottrine negli scrit-
primo secolo
.
«
.
»
>>
Pitagora e
I.
III.
suoi tempi
1
C
tori latini del
—
i
.
»
Sette e scuole pitagoriciie in Rojna nel
I secolo a. »
leggendarii e storici
VII
123
poesia
,
»
149
»
163
Appendici
— Eitphorhos II. — Sodalizio I.
Il
.
.
.
.
.
pitagorico di Crotone
•
...» .
.
.
181
ERRATA-CORRIGE tg.
6
rigsi 2
pytagoreum
pythagoreum
»
8
»
ultima
Turis
Turio
->
15
»
!3
fatto
fatta
»
16
>
14
persino
e persino
»
26
»
27
permaneant
permanont
»
34
*
34
stituiti
istituti
»
40
»
16-21
Queste 6 righe sono rimaste inter nel testo, mentre andavano in pie di pagina •
»
44
»
6
ist
isti
»
47
»
10
per
fra
»
53
»
15
intellegibili
intelligibili
»
»
»
ultima
Geory.
Georg.
»
61
»
19
ferun
ferunt
»
»
»
22
prae vista
praevisa
»
63
»
26
aequo
aeque
»
»
»
27
ilUis
illis
»
65
»
18
maior
maiore
»
66
9
32
Mullach
»
»
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»
67
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70
»
7
a poco
a poco a poco
»
72
»
3
senza altro
senz'altro
V.
Mullach
(v.
Leipzig «
Centra
i
B
21^ G5
Gianola, Alberto La fort-una de Pitagora presso i Romani dalle origini fino al tempo di Augusto
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