«L’anthropologie ne peut être principe de l’étude de l’Homme ; ce sont au contraire les activités relationnelles humaines […] qui peuvent être prises pour principe d’une anthropologie à édifier» G. Simondon, L’individuation, p. 297
Gilbert Simondon è uno dei riferimenti immancabili di Gilles Deleuze. La sua opera, oggetto di una recente riscoperta, è di respiro enciclopedico: potremmo dire che si tratta di un filosofo della scienza, ma forse è più corretto affermare che si tratta di un pensatore “classico” (nel senso in cui anche Deleuze si definiva tale) che ha voluto porre il problema filosofico per eccellenza – quello dell’essere – all’altezza delle acquisizioni della scienza contemporanea. La domanda chiave della filosofia -che cos’è l’essere? può forse tradursi all’interno della concettualità di Simondon nella domanda che cos’è un processo di individuazione? apportando, di conseguenza, una radicale riforma del modo di concepire l’individualità a tutti i livelli: fisico, chimico, biologico, psichico e collettivo. In questo breve scritto forniremo solo alcuni elementi utili a comprendere come Simondon, nel corso della sua ricerca, arrivi ad affrontare anche il problema dell’ “individuazione umana” (espressione già di per sé, come vedremo, altamente problematica) sempre e soltanto a partire dal problema più generale dell’individuazione dell’essere. Perciò sarebbe tanto inutile cercare nel testo di Simondon una filosofia dell’uomo, quanto risulta invece illuminante il suo pensiero nel tentativo di avvicinarsi ad una comprensione non “essenzialista” di quel campo misto di forze regolari e di eccezioni incalcolab i l i
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che potremmo provvisoriamente chiamare “l’umano”. Tra i diversi approcci che si possono tentare alla questione, abbiamo scelto di partire dal modo in cui Simondon tratta il problema della relazione tra l’uomo e l’animale in Deux leçons sur l’animal et l’homme1. É qui che Si-
mondon traccia una breve storia dell’operazione filosofica che ha portato a costruire il concetto di “animale” in relazione oppositiva a quello di “uomo”, ma è anche qui che egli apre invece alla propria concezione dell’ “individuazione umana” per comprendere a fondo la quale si richiederebbe l’introduzione di alcuni concetti, che generalmente Simondon costruisce attorno a termini derivati dalle scienze fisiche, la cui complessità non può essere costretta entro lo spazio del presente lavoro2.
1 G. SIMONDON, Deux leçons sur l’animal et l’homme, Paris, Ellipses, 2004. Il testo contiene la trascrizione della registrazione delle due lezioni introduttive di un corso da tenuto da Simondon nell’anno accademico 1963-64 all’Università di Poitiers.
2 Per entrare davvero nel gioco della concettualità operante all’interno del pensiero di Simondon, sarebbe necessario avere presente almeno i concetti di Préindividuel, Métastabilité, Résonance interne, Information, Transduction, e le coppie concettuali Sujet/Individu, Interindividuel/Transindividuel. Il che è ovviamente qui impossibile. Neppure spiegheremo il significato del termine “Transindividuel”, per la comprensione del quale il presente scritto funge – appunto – solo da introduzione. Rimandiamo comunque, quali “guide” alla lettura (anche politica) del pensiero di Simondon, a M. COMBES, Simondon. Individu et collectivité, pour une philosophie du transindividuel, Paris, P.U.F., 1999, o al più recente lavoro in due volumi di J.H. BARTHÉLÉMY, Penser la connaissance et la technique après Simondon, e Penser l’individuation: Simondon et la philosophie de la nature, Paris, L’Harmattan, 2005.
Perciò tenteremo un’altra strada: dopo aver ripercorso le due pagine folgoranti in cui Simondon traccia una genesi del concetto filosofico di “animalità” e ne delinea gli effetti, getteremo uno sguardo su come il concetto di “istinto” sia stato modellato nelle scienze dell’uomo quale strumento eminente per la costruzione di un’antropologia del tutto funzionale alla neutralizzazione di quanto vi è di aleatorio, singolare e imprevedibile nell’umano, nell’animale e - seguendo Simondon davvero fino in fondo - nell’essere stesso. Lasceremo infine aperta una finestra sulle possibili conseguenze di ordine politico della decostruzione di una tale antropologia. Ecco dunque, in breve, l’argomentazione di Simondon. Già nel pensiero antico vi è una chiara gerarchizzazione del rapporto uomo-animale, che però rimane sempre pensato sullo sfondo dell’unica physis entro la quale l’uno e l’altro sono inscritti: c’è differenza di natura tra uomo e animale come tra animale e pianta, ma si tratta di una differenza gerarchica tra esseri che appartengono alla stesso continuum, tra i quali non c’è perciò una vera eterogeneità ontologica. Soltanto a partire dall’introduzione di un principio di ordine trascendente - l’anima del pensiero cristiano - si inizia una radicale separazione teorica dell’uomo dall’animale che culmina nel concetto cartesiano di res cogitans. Dunque nella modernità la ragione non è più soltanto una facoltà il cui esercizio è ciò che differenzia l’uomo dagli altri
esseri appartenenti alla stessa natura, ma - quanto l’anima per il pensiero cristiano - è segno di una differenza ontologica costitutiva: l’uomo, perlomeno nella sua attività “spirituale”, viene considerato come portatore o partecipe di una “altra natura”, gerarchicamente superiore rispetto a quella che invece accomuna ogni altro essere, vivente e non vivente. Da questo momento in poi “l’animalità” potrà essere pensata sempre e soltanto in opposizione differenziale rispetto ad un uomo qualificato dal possesso di un’anima-ragione, fino a fare dell’animale «une espèce d’être de raison, c’est-a-dire un être fictif qui est avant tout ce qui n’est pas l’homme […] une espèce de contretype de la réalité humaine idéalement constituée»3. Con questa duplice
operazione di riduzione scompare la possibilità di individuare il piano specifico dello psichico nell’animale quanto nell’uomo: nell’animale in quanto riconsegnato al puro “vitale” privo di pensiero, nell’uomo in quanto assegnato alla metafisica o alla teologia. Ma il problema centrale, secondo Simondon, non sta tanto nel modo in cui - all’interno del pensiero cristiano prima e moderno poi - viene caratterizzata e fissata su un supporto trascendente (un’altra “natura”, direttamente o indirettamente divina) l’essenza razionale dell’uomo, quanto piuttosto nell’esito storico di una tale considerazione “essenzialista” dell’animalità. Infatti i secoli XIX e XX rovesciano il razionalismo meccanicista non per dire «que l’animal est un être raisonnable et un être qui a une intériorité, un être qui a une affectivité, un être qui est conscient et qui par conséquent a une âme», ma per affermare paradossalmente
Deux leçons cit., p. 61. Si tratterà insomma nient’altro che di un’immagine derivata, secondo Simondon buona soltanto per il pensiero classificatorio: per problemi (come ad es. quelli delle forme di vita di incerta collocazione tra il vegetale e l’animale o della difficile qualificazione dei primati rispetto all’uomo) che sorgono e cadono assieme alla pretesa “essenzialista” che le classificazioni astratte operanti nelle scienze della natura abbiano fondamento nella realtà.
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che «le contenu même de la réalité que vous mettiez dans la notion d’animalité, ce contenu-là permet de caractériser l’homme»4. Quell’antica operazione epistemologica di inversione sembra allora arrivare a proiettare i propri effetti paradossali sopra la ricerca scientifica contemporanea: proprio quando, nell’orizzonte della causalità sistemica post-meccanicista, questa si dichiara svincolata da ogni presupposto metafisico, la concezione cristiano-moderna dell’animale continua ad abitare i presupposti di ogni ricerca sull’uomo, poiché «se trouve être généralisée et universalisée au point de permettre de penser les conduites humaines elles-mêmes»5. Insomma, anche eliminato
il riferimento alla trascendenza e riassorbito lo studio dell’uomo nell’ambito delle scienze naturali, il problema ereditato non è affatto dissolto ma sedimentato: in questo modo infatti, credendo di poter cogliere - liberi da presupposti metafisici - l’uomo nella sua concretezza, si finisce piuttosto per studiarlo come animale “astratto”, cioè definito dall’appartenenza specifica (dunque dalla configurazione genetica e dai pattern comportamentali da essa determinati) e dal principio dell’adattamento alle condizioni ambientali, dissolvendo la questione della singolarità del desiderio in un’articolata analisi dei bisogni6.
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Ivi, p. 62.
Ivi, p. 61.
6 Qui ci sembra il caso di evocare almeno due traiettorie nelle quali questa riflessione ha un seguito: G. DELEUZE – F. GUATTARI, Capitalisme et Schizophrénie, tome 2: Mille Plateaux, Paris, Minuit, 1980, dove il debito simondoniano è evidente ed esplicito (sulla questione del “divenir-animale” si veda in particolare il cap. 10); e J. Derrida che se pure, come afferma Stiegler, «n’ait jamais cru bon de lire Simondon» (B. STIEGLER, Mécréance et Discredit, Paris, Galilée, 2006, p. 45), imposta tuttavia la questione in modo molto simile: «Il me semble que la manière dont la philosophie, dans son ensemble, et en particulier depuis Descartes, a traité la question dite de “L’animal”, est un signe majeur du logocentrisme […] Il s’agit là d’une tradition qui ne fut pas homogène, certes, mais hégémonique, et a tenu d’ailleurs le discours de l’hégémonie. Or ce qui résiste à cette tradition prévalente, c’est tout simplement qu’il y a des vivants, des animaux, et dont certains ne relèvent de ce que ce grand discours sur l’Animal prétend leur prêter ou leur reconnaître. L’homme en est un, et irréductiblement singulier, certes, on le sait, mais il n’y a pas l’Homme versus l’Animal».
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L’operazione concettuale di Simondon consiste nel sezionare il concetto comune di istinto ricavandone da una parte il concetto di “tendenza” biologico-culturale e dall’altra quello di un “istinto” questa volta tutto pensato in termini di singolarità. Ed è proprio in questo senso che l’uso improprio del concetto di “istinto” da parte delle scienze umane gli appare invece funzionale al mantenimento di quel modello astratto dell’animalità che permette l’inscrizione e la progressiva riduzione dell’ambito dell’ ”umano” come denuncerà proprio in quegli anni Foucault - alla “giusta misura” delle pratiche di potere.7 Ma seguiamo il testo di Simondon. Nella sua opera fondamentale L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information dedica gran parte del capitolo “Insuffisance de la notion de forme spécifique : notion d’individu pur ; caractère non univoque de la notion
J. DERRIDA – E. ROUDINESCO, De quoi demain… Dialogue, Paris, Flammarion, 2001, p. 108. Qui come altrove Derrida riporta tale questione alla discussione del problema della fondazione dei diritti umani. Cfr. Ivi, p. 307, riportate in nota dallo stesso Derrida, le indicazioni bibliografiche riguardanti lo sviluppo di questa tematica nella sua opera.
7 Cfr. In particolare M. FOUCAULT, Les mots et les choses, Paris, Gallimard, 1966. Simondon è, tra l’altro, impegnato nell’ambizioso progetto di produrre un’assiomatizzazione funzionale alla costruzione di una “teoria unificata” delle scienze umane, simile a quanto – a suo parere – sta avvenendo nel campo delle scienze “dure”, come dichiara in una conferenza del 1960: «Il existait une physique et une chimie séparées: il existe maintenant une physico-chimie, et nous voyons les correlations entre physique et chimie devenir de plus en plus fortes. N’y aurait-il pas dans les deux extrêmes, c’est-à-dire entre la théorie des groupes, qui est la sociologie, et la théorie de l’individu, qui est la psychologie, à rechercher un moyen terme qui serait précisément le centre actif et commun d’une axiomatisation possible ?» in G. SIMONDON, L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information, Grenoble, Millon, 2005, p. 533.
d’individu”8 all’analisi dei concetti di “tendenza” e “istinto”, che definiscono, nell’individuo vivente, «deux fonctions qui pourraient ne pas être représentées ensemble dans l’être», due funzioni che, differenziate nelle forme di vita meno complesse, negli animali superiori esercitano una funzione contemporanea e paradossale, per nulla integrata: «A l’alternance du stade individuel et de la colonie fait place, chez les espèces supérieures, la simultanéité de la vie individuelle et de la société, ce qui complique l’individu, en mettant en lui un double faisceau de fonctions individuelles (intinct) et sociales (tendances)». A Simondon risulta relativamente semplice caratterizzare le “tendenze” degli esseri viventi in relazione alle categorie classiche di adattamento e integrazione sistemica: «étant du continue et par conséquent du stable, sont intégrables à la vie communautaire, et constituent même un moyen d’intégration de l’individu», ma quando si trova invece a dover definire gli istinti, non può farlo che qualificandoli in modo complementare alle tendenze, cioè come “discontinui”, “instabili ” e “non integrabili dalla vita comunitaria”. Ciò che qui interessa a Simondon non è certo costituire una dualità di principi complementari che definiscano una volta per tutte la sfera del vivente-psichico, quanto piuttosto cogliere “un’operazione di individuazione” (qui l’individuazione biologica) come pro-
cesso mai unitario e mai compiuto, attraverso gli altri processi di individuazione che essa incrocia e attraverso la descrizione delle tensioni che continuano a persistere nell’individuo concepito come esito parziale di quei processi9. Per fare ciò, segue il suo metodo consueto: indica dei poli estremi, pu-
ramente teorici, entro i quali costruisce un campo di forze che ha la funzione di rendere conto delle stratificazioni dell’essere al livello in cui si trova di volta in volta in gioco. Qui Simondon tratta dell’individuo in quanto risultante da un processo di individuazione biologica e incrociante un possibile processo di individuazione psichica, quindi di un uomo o di un animale superiore: «une analyse psychique doit tenir compte du caractère complémentaire des tendances et des instincts dans l’être que nous nommons individu et qui est, dans toutes les espèces individuées, un mixte de continuité vitale et de singularité instinctive, transcommunitaire». Ed è proprio qui che Simondon punta sulla netta differenziazione della nozione di “istinto” da quella di “tendenza” per denunciare il modo in cui «les communaités humaines édifient tout un système de défense contre les pulsions instinctives, en cherchant à définir les tendances et les instincts en termes univoques, comme s’il étaient de même nature». Ma perché le comunità umane devono neutralizzare gli istinti, e in che cosa consiste questo “sistema di difesa” delle comunità nei confronti degli istinti? Si tratta evidentemente di un tema già abbondantemente noto in ambito antropologico e che Simondon stesso riprende in altri luoghi,10 si tratta cioè di rilevare come i comportamenti rituali all’interno di una comunità abbiano la funzione di costruire il legame sociale e il senso di appartenenza/esclusione che caratterizza la comunità, riconducendone i comportamenti dei membri ad attività codificate e riconoscibili di adesione o di trasgressione parziale che non ne possano intaccare l’equilibrio omeostatico. Ma ciò che Si-
Per non appesantire il testo si è scelto di non riportare alcun riferimento per tutte le citazioni che, in seguito, si riferiranno a tale capitolo. Cfr. L’individuation cit., pp. 167-171.
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9 Operazione conoscitiva analoga (“analogia” è un altro termine chiave in Simondon che qui non spiegheremo) a quella che varrà, naturalmente, come valeva per l’individuazione fisica e chimica, anche per quella psichica e collettiva.
10 Costituendo l’opposizione: comunità-interindividuale/società-transindividuale. Cfr. L’individuation cit., pp. 243-245.
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mondon ci porta ad ipotizzare è ben altro: forse l’antropologia stessa fa parte di questo insieme di rituali propiziatori per mezzo dei quali le comunità costruiscono il legame sociale, perché disconosce l’aspetto paradossale del vivente-psichico (e dell’uomo) e tenta di costruire la visione della vita comune espungendo da essa l’elemento aleatorio che invece ne è costitutivo, proprio quello che qui Simondon introduce attraverso la nozione di “istinto”: «il faut reconnaître l’aspect de dualité de l’individu, et caractériser par sa fonctionnalité transcommunitaire cette existence des pulsions instinctives». Gli istinti (sempre al plurale, perché non si tratta propriamente di una “categoria”, ma del nome comune che indica ciò che risulta non categorizzabile in maniera continua) infatti «se manifestent généralement par leur caractère de conséquence sans prémisses», «peuvent même être en apparence dévitalisants, parce que il ne font partie de la continuité quotidienne de l’existence», costituiscono ciò che sfugge non solo ogni controllo comunitario, ma anche ogni possibile previsione. É chiaro allora come la costruzione di un’antropologia che riduca gli istinti a semplici variazioni sul tema delle diffuse tendenze omeostatiche interne a una comunità, è un’operazione epistemologica che costituisce un esorcismo irrinunciabile rispetto a istinti che sono l’aspetto visibile, nel comportamento del vivente, di una aleatorietà la cui presenza costitutiva in ogni ordine dell’essere impedisce la chiusura definitiva di qualunque processo di individuazione, anche comunitario. Ecco che allora una filosofia vitalista antropocentrica incapace di vedere l’aleatorietà inquietante, propria dell’essere stesso, all’opera anche nell’individuazione “umana” - bisognosa di un’immagine confortante dell’essenza dell’uomo, non può che tentare di schiacciare il concetto di istinto su quello di tendenza: «Ce n’est pas le vitalisme proprement dit qui a conduit à confondre les instincts et les tendances, mais un vitalisme fondé sur une inspection partielle de la vie, et qui valorise les formes les plus
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proches de l’espèce humaine, en constituant un anthropocentrisme de fait, plus encore qu’un vitalisme proprement dit». E poiché il desiderio sessuale è punto di particolare intensità dell’intersezione dei piani biologico e psichico, non è un caso che proprio al suo carattere esemplare faccia riferimento Simondon, ribadendo la necessità di differenziare la nozione di istinto da quella di tendenza, per non lasciar scomparire dall’orizzonte della scienza l’elemento propriamente singolare e aleatorio dell’individuazione che costitutivamente eccede la determinante specifica e culturale dei bisogni: «c’est là qu’est l’erreur […] les manifestations de l’instinct sexuel sont par exemple traitées comme le témoignage de l’existence d’une tendance, et on vient alors à parler d’un besoin sexuel ; le développement de certaines sociétés incite peut-être à confondre besoins et tendances dans l’individu, car l’hyperadaptation à la vie communautaire peut se traduire par l’inhibition des instincts au profit des tendances». Per Simondon è fondamentale preservare l’ambito dell’aleatorio, cioè del “desiderio” 11, dalla sua riduIl termine desiderio, qui utilizzato come indicatore dell’elemento singolare costitutivo della soggettività e irriducibile al gioco, per quanto complesso, complesso dei bisogni, è di derivazione lacaniana. Simondon non ne fa uso. È da notare però come Simondon ricorra spesso al termine “pulsione”, evocando la pulsione di morte freudiana nella sua versione ortodossa. La sua critica a Freud verte principalmente sulla seguente argomentazione: la “dottrina di Freud”, non distinguendo nettamente gli istinti dalle tendenze, «laisse subsister l’idée que l’individu peut aboutir à une intégration complète par l’intégration du surmoi, comme si l’être pouvait découvrir une condition d’unité absolue dans le passage à l’acte des ses virtualités» L’individuation cit., p. 170. Probabilmente Simondon non si interessava al lavoro in corso da parte di Lacan sul concetto freudiano di “pulsione di morte”, che forse non muoveva in una direzione tanto differente, in particolare nei suoi Seminari dal VII all’XI. La critica della psicanalisi freudiana (presente in particolare ne L’individuation cit., pp. 167 segg. e pp. 307 segg.), i riferimenti a Jung e l’elaborazione della nozione di “subconscio emotivo”, sono comunque - nell’opera di Simondon - questioni molto complesse che meriterebbero senz’altro un lavoro approfondito. L’abbozzo di un tale lavoro si può trovare in P. CHABOT, La philosophie de Simondon, Paris Vrin, 2003, pp. 107-123; B. ASPE, «La pathologie au lieu du transindividuel» (in Aa.Vv., Gilbert Simondon: une pensée opérative, ed. J. Roux, Univ. Saint-Etienne, Saint-Etienne, 2002); J. GARELLI, «La remise en cause de l’inconscient freudien par Merleau-Ponty et Simondon, selon deux notes inédites de Merleau-Ponty» (in Aa.Vv., Chiasmi International, n°7 : “Merleau-Ponty. Vie et Individuation”, Vrin / Mimesis / Memphis U.P., 2005). 11
zione a campo di indagine che, pur nella sua complessità, risulti interamente riconducibile all’articolazione di linee di tendenza: ciò che rischierebbe di fare dell’indagine psicologica un’analisi dei bisogni in perfetta congruenza con il “trend”, appunto, di un’economia di mercato che concepisce l’uomo quale «individu, qui est incorporé à la communauté par les besoins nutritifs, défensifs, et par ce qui fait de lui un consommateur et un utilisateur». É dunque perché il filtro ancora attivo del pensiero filosofico cristiano e moderno non ci permette di pensare “l’animalità”, che oggi risulta così difficile pensare adeguatamente “l’umano”? Questa sembra essere in effetti la risposta di Simondon: «C’est-à-dire que c’est par une universalisation de l’animal que la réalité humaine se trouve recouverte»12. La sua filosofia ci promette invece di pensare l’uomo non più sotto la condizione del pensiero cristiano-moderno dell’animalità: non più, insomma, per mezzo di un’astra-
zione costruita in opposizione ad un’altra astrazione. Ma per poterlo fare occorre produrre un discorso capace di seguire i processi costitutivi della realtà a tutti i livelli, non considerando i singoli “individui” - dal fotone agli animali superiori in quanto appartenenti a generi e specie, ma come momenti di quelli che Simondon chiama “processi di individuazione” di volta in volta singolari e irripetibili: ciò in cui consiste precisamente, a nostro parere, l’ispirazione fondamentale del suo lavoro. Nella filosofia di Simondon non è mai distillata un’essenza, tantomeno dell’umano; ci sono invece processi di individuazione che costituiscono l’essere in tutte le sue modalità: fisica, chimica, biolo12
Deux leçons cit., p. 61.
gica, psichica, sociale. I confini tra i diversi domini sono fluidi ma sempre legati a condizioni strutturali ed evenemenziali. In questo monismo fatto di relazioni e di processi strutturati ma discontinui non è mai unitaria la collocazione di un “individuo” (fisico, chimico, biologico, psichico, sociale) all’interno di un dominio, e questo vale anche per l’ambito dell’umano: né un’essenza né una conformazione genetica possono garantire l’appartenenza a qualcosa che non è dato che come strato, legato ad altri, e in sé teso dal duplice operare di tendenze omeostatiche e di istinti destrutturanti. Se qualcosa può servire a caratterizzare l’ambito dell’umano in questa prospettiva apertamente antiumanistica, è soltanto la capacità dell’individuo, la possibilità ad esso sempre strutturale (in quanto solo parzialmente costituito), di accedere ad un’individuazione collettiva ulteriore
rispetto a quella - ritenuta “originaria” e stabile - tutta interna alla comunità di appartenenza13. Tale possibilità non è connaturata ad alcuna essenza, né in alcun modo destinale, ma legata ad una decisione sempre singolare e costitutiva, che, parte integrante della storia del soggetto nei suoi effetti incalcolabili, ci appare più che mai il caso di connotare politicamente nominandola - in opposizione ad ogni tentativo di rintracciarne le cause negli ordinari bisogni che si presumono “umani” desiderio. In altro luogo lo studio della funzione “disadattiva” dell’emozione, consentirà a Simondon di sottolineare in modo esplicito la funzione politica dell’istinto, in quanto spinta sempre ulteriore rispetto alla semplice funzione di adattamento all’originaria comunità di appartenenza. Simondon conclude così il suo discorso: «Elle [l’émotion] est une mise en question de l’être en tant qu’individuel, parce qu’elle est pouvoir de susciter une individuation du collectif qui recouvrira et attachera l’être individué». L’individuation cit., p. 314.
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