HUGO RAHNER è stato uno dei patrologi e degli storici della Chiesa più fecondi del secolo. Nato a Pfullendorf-Baden nel 1900 ed entrato nella Compagnia di Gesù nel 1919, compì gli studi filosofici e teologici a Valkenburg (Olanda) e a Innsbruck; nel 1931 si laureò in storia a Bonn e successivamente ottenne la libera docenza in patrologia, storia della Chiesa antica e storia dei dogmi. Dal 1937, tranne brevi intervalli, insegnò queste materie a Innsbruck. Al momento della morte, sopravvenuta nell'autunno del 1968, la sua bibliografia contava circa 750 titoli, in gran parte dedicati ai padri della Chiesa e a sant'Ignazio di Loyola.
H U G O RAHNER
SIMBOLI DELLA CHIESA L'ecclesiologia dei Padri
SAN PAOLO
Titolo originale dell'opera: Symbole der Kirche. Die Ekkksiologie der Väter Otto Müller Verlag, Salzburg 1964 Versione dal tedesco di Lucio Pusci e Alfonso Pompei
Prima edizione 1971 Seconda edizione reprint 1994
Imprimatur Sorae, die 3-X-1970 Blasius Musco, Ep.
EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 1995 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino
N O T A ALLA SECONDA EDIZIONE REPRINT
Nel procedere a questa nuova edizione abbiamo ben volentieri raccolto l'osservazione di un attento recensore della Civiltà Cattolica, il quale notava: «Il titolo originale del volume: Symbole der Kirche. Die Ekklesiologie der Väter, è stato inopportunamente rovesciato dai traduttori ο dagli editori, dandogli una portata diversa. Del resto biso gna dire che gli uni e gli altri hanno compiuto con molta coscienza la parte loro, così che il volume riuscirà una lettura gradevole e sommamente istruttiva per coloro che, volendo salire un poco più in alto nella conoscenza di certe verità della fede...» (A. Ferma, 1972, II, p. 291). Ora il titolo italiano traduce fedelmente il tedesco. Nessun'altra variazione è stata introdotta.
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Da quando S. Paolo (Ef 5,32) ha annunziato la rivelazione del mysterium magnum nei rapporti tra Cristo e la Chiesa, si può sempre rilevare nel corso della storia dei dogmi l'intonazione cristiana e la profondità di pensiero d'un qualsiasi sistema teologico dal modo in cui le singole tesi si connettono fra loro e con l'intero corpo dottrinale della Chiesa. C'è voluto molto tempo, dall' elaborazione teologica da parte dei Padri della Chiesa e dall'inizio dell'alta Scolastica fino allo schema ' De Ecclesia ' del Concilio Vaticano II, perché la teologia sistematica, rendendosi progressivamente più consapevole delle proprie funzioni, riconoscesse all' ecclesiologia il ruolo che le è congeniale tra la cristologia e la dottrina della grazia h Oggi dobbiamo prendere in esame la dommatica ecclesiale dei Padri, per confrontare con essa il nostro pensiero e i nostri discorsi sulla Chiesa. La teologia simbolica della Chiesa, proposta dai Padri, acquista ai nostri giorni un significato completamente nuovo, giacché, seguendo gli orientamenti del Concilio, i nostri sguardi sono oggi rivolti, pieni di speranza, alla Chiesa Orientale. La Chiesa esprime il suo pensiero 1 J. RANFT, Die Stellung der Lehre von der Kirche im dogmatischen System, Aschaffenburg 1927.
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teologico con parole nuove. Essa si palesa come ' sacramento originario 2. I rapporti della Chiesa con Cristo e la sua Croce 3, Chiesa e Parusìa 4, la riflessione sulla teologia del Simbolo5: tutto ciò va interpretato alla luce della teologia simbolica dei Padri, la cui ricchezza è stata finalmente riscoperta e apprezzata. J. Ranft ha così caratterizzato questa ecclesiologia patristica : « Il significato della dottrina sulla Chiesa in quanto sovrana unità della fede, attuata da una forza determinata, e in un certo senso stabile, particolarmente per quanto riguarda i rapporti fra la Chiesa e Cristo, illumina tutta la letteratura dei primi tempi»®. Per la teologia francese contemporanea, che segue il medesimo indirizzo, basti ricordare i nomi di Henri de Lubac, Yves Congar e Jean Daniélou. L'opera che presentiamo vuol essere un contributo alla riscoperta della dottrina patristica sulla Chiesa. Essa raccoglie i frutti d'una ricerca di quasi trent'anni ed è scritta secondo lo spirito del grande teologo della Chiesa Ireneo : « Si deve amare profondamente tutto ciò che appartiene alla Chiesa e bisogna comprendere bene la tradizione della verità » 7 . I singoli capitoli constano di proposizioni oggi difficilmente comprensibili, che, raccolte e presentate, inquadrate nel complesso della dottrina in base al tempo di 2
O. SEMMELROTH, Die Kirche als Ursakrament, Francoforte 1953. J. D A N I É L O U - H . VORGRIMLER, Sentire Ecdesiam, Friburgo i.B. 1963 (vers, ital., Ed. Paoline, R o m a 1964). 4 R. SCHNACKENBURG, Kirche und Parusie: Gott in Welt, Festgabe für Karl Rahner, vol. I, Friburgo i.B. 1964, pp. 551-578 (vers. ital. in Orizzonti attuali della teologia, Ed. Paoline, R o m a , I, 1966). 5 Κ. RAHNER, Zur Theologie des Symbols : Schriften zur Theologie, vol. IV, Einsiedeln 1962, 3 ed., pp. 275-311 (vers. ital. in Saggi sui sacramenti e sulla escatologia, Ed. Paoline, R o m a , 2 ed., 1969). 6 Op. cit., p. 29s. ' Adversus haereses 3,4,1. 8
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composizione e al contenuto, formano una completa teologia simbolica della Chiesa. Sulle orme del mio Maestro Franz Joseph Dölger, si parlerà dei rapporti fra i simboli paleocristiani della Chiesa e l'antichità ellenistica, sì da poter meglio comprendere la dommatica dei Padri nel suo significato genuinamente cristiano. Due vie conducono, com'è noto, a questo traguardo. Si può esporre in forma monografica l'ecclesiologia dei singoli Padri, come è stato fatto per Ippolito, Ireneo, Origene, Agostino, tanto per menzionarne alcuni. Ma per la storia dei dogmi è certamente più indicata l'altra via, benché molto più ardua : sviluppare, cioè, la dottrina sulla Chiesa percorrendo tutta intera la teologia dei Padri, a cominciare da Paolo e dal martire Ignazio fino all'evoluta ecclesiologia p. es. di Beda ο alla teologia simbolica del secolo XII. In questo libro abbiamo voluto percorrere anche noi questa via. In tal modo pos siamo più facilmente seguire l'evolversi della storia dei dogmi, il fiorire e lo spegnersi della comprensione del significato soteriologico della Chiesa. Non si deve tuttavia eludere con questo metodo l'incrociarsi qua e là di immagini e di parole, che, anzi, ci consente di toccare con mano, pur nel mondo dei simboli e delle immagini, la verità dommatica del ' grande mistero ' del rapporto fra Cristo e la Chiesa. Descrivendo questa teologia simbolica delle origini, portiamo un contributo anche a quella esegesi pneumatica che si cerca oggi di riscoprire, e quindi a quella interpretazione della Scrittura da parte dei Padri e del primo medioevo, che non aveva la pretesa di essere un'esegesi nel senso moderno della parola, ma solo una dommatica espressa attraverso le immagini bibliche. Noi tenteremo di presentare quest'antica teologia cristiana sul rapporto tra la Chiesa e Cristo e la sua Croce in quattro
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immagini fondamentali: la Chiesa come grembo materno per la vita terrena di Cristo ; la Chiesa come Vergine posta sopra la Luna in rapporto sponsale col Sole, Cristo; la Chiesa, sorgente dell'acqua viva, che sgorga dalla ferita del costato di Cristo; e infine la Chiesa come Nave della salvezza, che in virtù della Croce ha iniziato il suo viaggio verso l'estremo approdo. Laddove i Padri hanno sviluppato dietro il velo delle immagini la loro teologia, noi troviamo una tal ricchezza di simboli e di verità espresse attraverso i simboli, che potrebbero forse rendere ancor più vive le nostre odierne proposizioni dommatiche sull'apologetica e il diritto ecclesiastico. Il complesso dei simboli della Chiesa, che la teologia del primo millennio ci ha conservato, potrebbe rinnovare completamente il nostro pensiero teologico intorno alla Chiesa, che per lungo tempo è stato piuttosto sterile. Già nel secondo secolo Ireneo aveva paventato un tal pericolo d'essiccazione della nostra teologia sulla Chiesa ed aveva scritto al riguardo delle parole che noi assumiamo in questa prefazione come motto dell'intero libro : « Ov'è lo Spirito di Dio, là è anche la Chiesa ed ogni grazia. Ma chi non accoglie lo Spirito della verità, non riceve nemmeno l'acqua limpida che scaturisce dall'amore di Cristo » 8 . Il ' grande mistero ' esistente tra la Chiesa e Cristo è, infondo, il mistero trinitario, che cela nel suo seno ogni altro mistero della divina rivelazione. Anche la relazione che intercorre fra il Padre eterno e la Chiesa, tra il Verbo crocifisso e la Chiesa, tra lo Spirito della glorificazione, che promana dalla Croce, e la Chiesa, possiamo esprimerla felicemente con le parole di Ireneo, in cui si può ritrovare tutto ciò che noi intendiamo raccogliere in un complesso di simboli. Il testo di Ireneo e ancor • Adv. haer. 3,24,1.
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più apprezzabile, perché risale al periodo in cui sia nella teologia sia nella predicazione il mistero della Chiesa era inteso con la stessa sensibilità dei primissimi tempi della Chiesa : « Un solo Dio è il Padre, che è al di sopra di tutto, la ragione di tutto, e in tutto. Il Padre è al di sopra di tutto, ed è anche il capo di Cristo. La ragione di tutto è il Verbo, e questi è il capo della Chiesa. E in tutti noi è lo Spirito, quell'acqua viva che il Signore concede a quanti sinceramente credono in Lui e lo amano » 9. HUGO RAHNER, SJ.
* Adv. haer. 5,18,2.
LA NASCITA DI DIO LA DOTTRINA DEI PADRI DELLA CHIESA SULLA NASCITA DI CRISTO DAL CUORE DELLA CHIESA E DEI CREDENTI
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Lo studio col quale iniziamo l'esposizione dell'ecclesiologia dei Padri è stato scritto da circa trent'anni (1935). da quando, cioè, cominciò l'edizione critica delle opere di Eckhart, nella cui mistica dottrina si attribuisce palesemente un ruolo importante alla nascita di Dio nel cuore dell'uomo in grazia. Pubblichiamo ora questa ricerca, anzitutto perché la figura teologica della nascita di Dio non solo reca un valido contributo all'esatta conoscenza della dottrina patristica sulla grazia, ma soprattutto perché appare decisamente fondamentale per tutta l'ecclesiologia dei Padri della Chiesa. Così noi veniamo a toccare una questione teologica che oggi si ripropone con tanta insistenza: in qual modo i ' molti ' - per usare le parole di Origene - costituiscono l'unico corpo della Chiesa? Quale rapporto sussiste fra l'anima singola - Origene la chiama volentieri anima ecclesiastica - e la Chiesa? Ci riferiamo a quel fatto meraviglioso che Metodio ha definito come « l'accedere alla Chiesa di ciò che nel battesimo è rinato ». Noi potremo dimostrare che si tratta d'una vecchia tesi della Chiesa primitiva sulla grazia. Fin dai primordi della teologia patristica ci si è orientati verso questa theologia coràis. Possiamo riassumere così la dot-
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trina della santificazione dell'uomo ad opera della grazia che porta il cuore fino a Cristo: la speciale inabitazione di Cristo, compiuta attraverso la grazia, nel cuore dei credenti, che dal battesimo sono stati uniti nella Chiesa come in un sol corpo, è una misteriosa riproduzione e continuazione della nascita eterna del Logos dal Padre e della nascita temporale dalla Vergine. Per la grazia battesimale Cristo vien generato nei nostri cuori dalla Chiesa e con lo sviluppo della vita nella grazia si compie sempre più pienamente questa nascita di Dio. Questa dottrina è in stretto rapporto con la concezione della Chiesa come Vergine-Madre e mediatrice di salvezza nella nuova creazione, che tramite la grazia battesimale assimila l'uomo a Cristo. La dottrina della nascita di Cristo dalla Chiesa e dal cuore dei credenti insegna, però, che il principio della meravigliosa unità in Cristo non è precisamente il fatto che i singoli uomini in grazia siano membra del Corpo di Cristo, ma bensì Cristo stesso, che è unico e identico in tutti e che tutti raccoglie nell'unità del suo Corpo, che è la Chiesa. Nella descrizione della Donna dell'Apocalisse, Metodio da Filippi scrive : « La partoriente, che genera il Logos virile nel cuore dei credenti, è la nostra Madre, la Chiesa » 1. La teologia della nascita di Cristo dalla Chiesa culmina nella dichiarazione quasi dialettica, secondo la quale la Chiesa, appunto perché genera il Corpo mistico di Cristo, genera se stessa. In questo senso già si esprimeva Ippolito Romano: «Il Verbo è generato dai Santi; generando incessantemente ι Santi, il Verbo viene a sua volta generato 1
Symp. 8, n (GCS Methodius, p. 93, 9s).
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dai Santi ». E, sul finire della teologia patristica, Beda scrive l'espressione più significativa circa l'ecclesioiogia dell'antichità cristiana, riunendo insieme, nel suo commento al dodicesimo capitolo dell'Apocalisse, gli elementi essenziali dell'evoluzione storica di questo concetto : « Benché il serpente le sia avverso, la Chiesa genera eternamente Cristo; infatti la Chiesa genera quotidianamente se stessa in quanto Chiesa, che in Cristo assoggetta a sé tutto il mondo » 2 . La descrizione dello sviluppo storico di questa theologia cordis dei Padri, che fa del cuore dei credenti e del grembo materno della Chiesa il teatro della nascita di Dio, esige ora alcune premesse. Erede dell'antica psicologia, la teologia dei Padri della Chiesa fa sua la convinzione che il cuore è donatore di vita; e s'accorda perfettamente con le credenze popolari, che il linguaggio della S. Scrittura porta a nostra conoscenza. Il cuore è il centro propulsore della vita dell'uomo. Perciò esso vien formato nell'atto stesso della concezione, essendo la fonte del calore, della vita, e dell'intelligenza : « Conceptum igitur - dice Lattanzio Varrò et Aristoteles sic fieri arbitrantur ... et primum quidem cor hominis efHngi quod in eo sit et vita o m nis et sapientia » 3. Il cuore è la ' sede della sapienza ', ' IPPOLITO, In Dan. 1,10, 8 (GCS Hippolyt I, i, p. 17, iós). Cfr.
A. HAMEL, Kirche bei Hippolyt von Rom, Gütersloh 1951, p. 56s. Il testo di BEDA in Explanatio Apocalypsis, 2,12: PL 93, 166 D: « Semper Ecclesia, dracone licet adversante, Christum parit. Nam et Ecclesia quotidie gignit Ecclesiam, mundum in Christo regentem ». 3 De opificio Dei 12, 6 (CSEL 27, p. 44, ioss). Cfr. op. cit. 10, 11 (p. 34, 17): «Cor quod sapientiae domicilium videtur»; 10, 26 (p. 38, 8): «Pectus plenum rationis a caelo datae». Cfr. anche GREGORIO NISSENO (PG 44, 828 A; 159 A): πηγήν τίνα τοϋ έν ήμίν θερμοϋ τήν καρδίαν φασίν.
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(ΙεΙΓήγεμονικόν, come già affermava Filone 4 , e dopo di lui Origene : « Cor in quo est mens et principale intellectus » 5 . Ambrogio, accettando fedelmente questa idea, considera il cuore ' recessus sapientiae ', l'oasi misteriosa in cui la sapienza si rifugia 6. La contrastata questione dell'antica psicologia sulla sede della sapienza - se sia il cervello ο il cuore - è dibattuta vivacemente anche dai Padri della Chiesa, che s'adattano al m o d o d'esprimersi della S. Scrittura. Così scrive Girolamo: « Sensus in corde est, habitaculum cordis in pectore, quaeritur ubi sit animae principale: Plato in cerebro, Christus monstrat esse in corde » 7 . Grazie a questo fondamento psicologico, il cuore diventa in genere il simbolo dell'intimità, del misterioso segreto nascosto nell'uomo, dell' 'uomo interiore', e prima di tutto della sua sapienza, dei suoi più segreti pensieri e desideri, della vita interiore 8 . Era tuttavia 4 De spec. leg. ι, 214 (Cohn V, p. 52, 6.13.23. Cfr. anche V, p. 51, 2 2 ) : ο ί κ ο ς τ ο έτερον τ ω ν λ ε χ θ έ ν τ ω ν ε σ τ ί ν ε γ κ έ φ α λ ο ς ή κ α ρ δ ί α . 5 Lommatzsch XII, ρ. 165. 6 De paradiso 15, 74 (CSEL 32, ι, p. 333. 3 θ ·
' Epist. 64,
ι
(CSEL 54, p.
587 8ss).
Cfr.
GREGORIO N I S S E N O ,
De hominis opificio e. 12 (PG 44, 156 C D ) ; LATTANZIO, De opificio Dei e. 16 (CSEL 27, p. 5iss). 8 Cfr. CLEMENTE AL., Strom. 5, I, 12 (GCS Clemens II, p . 334, 7s): καρδία γαρ ή ψυχή άλληγορεϊται ή την ζωήν χορηγήσασα. ORIGENES, Sel. in Psalm. (PG 12, 1216 A). Altri testi di Origene, in cui vien proposto lo stesso parallelismo tra ή γ ε μ ο ν ι κ ό ν e κ α ρ δ ί α , cfr. in K. RAHNER, Coeur de Jesus chez Origene ? in Revue d'Ascétique et de Mystique 15 (1934) 171SS. - GIROLAMO, In Ieremiam (PL 24, 709 C) : « Cor autem in Scripturis sanctis pro sensu et anima debemus accipere ». Cfr. anche CASSIODORO, In Ps. 103, 15 (PL 70, 733 C ) . Il cuore come sede degli intimi desideri: CIPRIANO, De lapsis e. 27 (CSEL 3, 1, p. 257, i6ss). Il cuore come simbolo dell'uomo interiore: G R E GORIO NISSENO (PG 46, 397 A) : ó ε σ ω ά ν θ ρ ω π ο ς κ α τ ά το κ ρ υ π τ ό μ ε ν ο ν τ η ς κ α ρ δ ί α ς νοούμενος. Il cuore come simbolo delT-rjγ ε μ ο ν ι κ ό ν : GREGORIO N I S S E N O
(PG 44,
937D;PG87/2,
1649 D ) .
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naturale - proprio per le suaccennate antiche credenze sull'origine del cuore - che anche il sorgere dei λόγοι, dei pensieri e dei desideri venisse descritto come una nascita dal cuore; un concetto, questo, il cui significato è fondamentale non solo per i primi tentativi di speculazione psicologica sulla Trinità 9 , ma anche per la dottrina sulla nascita del Logos dal cuore, che è l'oggetto di questo studio. Il cuore è quel luogo segretissimo, ove si genera in noi la sapienza, nasce in noi per spirituale generazione il λόγος, il conceptus, come plastica 10 mente lo esprime la lingua latina . La dottrina del verhum cordis, che già in Agostino occupa un posto di rilievo u e che nella versione di Agostino è giunta • Cfr. M. SCHMAUS, Die psychologische Trinitätslehre des hl. Augustinus, Münster 1927, p. 22ss. 10 FILONE, De fuga et inventione 52 (Cohn III, p. 121, 17): (σοφίαν) τ ο ϋ -9-εοΰ ... γ ε ν ν ώ ν τ α έν ψ υ χ α ΐ ς . - De congressu erud. grat. 4 (Cohn III, ρ. 73, 5). - PLINIO, nat. hist. 11, 138 (Mayhoff II, 328, ls): « In corde nascitur superbia ... ». - MACROBIO, Salumai. 1, 18: « Conceptu mentis Consilia nascuntur ». - GIUSTINO, Dial. e. Tryph. 61, 8 (Otto, p. 214, 3ss): λ ό γ ο ν γ ά ρ τ ί ν α π ρ ο β ά λ λ ο ν τ ε ς λ ό γ ο ν γ ε ν ν ώ μεν. - D I O N I G I ALESS. (Feltoe, The letters and other remains of Dionysius of Alexandria, Cambridge 1904, p. 190): α π ό ρ ρ ο ι α γ α ρ νοϋ λ ό γ ο ς κ α ι ... ά π ο κ α ρ δ ί α ς δ ι α σ τ ό μ α τ ο ς έ ξ ο χ ε τ ε ύ ε τ α ι . - GREGORIO Ν Α Ζ . , Or. theo). 4 (PG 36. 129 A). - BASILIO, Homil. 16, 3 (PG 31, 477 B C ) . - Ps. GREGORIO NISSENO, Orat. in Faciamus hominem (PG 44, 1333 D ) : γ ε ν ν ά τ α ι γ α ρ ό λ ό γ ο ς έν τη κ α ρ δ ί α γέννησίν τ ί ν α ά κ α τ ά λ η π τ ο ν . - CIRILLO ALESS., De Trinitate dial. 2 (PG 75, 772 A B ) ; Thesaurus, assertio 4 (PG 75, 56 AB). - M A R I O VITTORINO, Comm. in ep. ad Eph. (PL 8, 1236 C ) : « Quasi partu quodam mentis cogitatione prorumpit velie concept u m » ; De generatione Verbi 26 (PL 8, 1033 Β). - È importante citare qui un testo di AMBROGIO, poiché esso è in stretto rapporto con l'idea, più tardi sviluppata, della nascita di D i o : De Cain et Abel 1, i o , 47 (CSEL 32, 1, p. 377, 4ss): «Est quaedam virtus animae quae velut quodam vulvae gemtalis secreto cogitationum nostrarum suscipere semina conceptus fovere partusque solet edere ». 11 Cfr. M. SCHMAUS, op. cit., p. 33iss. - Se ne può avere un esempio in Serm. 119, 7 (PL 38, 675) od anche in Semi. 120, 3 (PL 38, 677).
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fino al periodo classico della Scolastica12, ha la sua fonte nella speculazione greca intorno al Logos, e questa a sua volta nell'antica dottrina di cui abbiamo parlato, secondo la quale il cuore è il luogo di nascita del Logos umano. Per questi motivi diviene già comprensibile l'interpretazione assai antica della rivelata 13 inabitazione di Cristo nel cuore del credente, in senso fortemente realistico, come il ' venir generato ' dell'eterno Logos. Più avanti vedremo che l'immagine tanto cara ai primi cristiani, il « portare Cristo nel cuore » u , ha condotto direttamente alla dottrina che stiamo esaminando. Ma a quest'ultima formulazione si giunse attraverso un 12 Cfr. TOMMASO, S. Theol. I, q. 27, a. 1 e; q. 34, a. 1 e. Intorno a questa dottrina sul verbum cordis in Tommaso cfr. DENIFLE, Archiv f. Lit. u. Kirchengesch. d. Mittelalters 2 (1886) 574 nota 1. 13 Cfr. Ef. 3,17: κατοικήσαι τον Χριστον δια της πίστεως έν ταΐς καρδίαις υμών. - Gal. 2,20; Giov 14, 23; Didachè 10,1 (Funk-Bihlm., p. 6, 12s): 0¾ κατεσκήνωσας έν ταΐς καρδίαις υμών. Lettera di Barnaba 16, 8 (Funk-Bihlm., p. 30, 23s): πάλιν έξ άσχής κτιζόμενοι. διό έν τω κατοικητηρίω ημών αληθώς ό θεός κατοικεί έν ήμϊν. IGNAZIO, Ad Magri. 12 (Funk-Bihlm., p. 92, 2): Ίησοϋν γαρ Χριστον έχετε έν έαυτοϊς. Atti di Apol lonio (Anakcta Boll. 14 (1895) 291): Βλεπούσης γαρ καρδίας εστίν ό Λόγος τοϋ Κυρίου. Odi di Salomone (Rendei Harris, Cambridge 1909, p. 129) : « Ai Beati la gioia viene dal loro cuore, e la luce da colui che vive in essi ». 14 Questo più significativo linguaggio si trova già in IGNAZIO, Ad Ephes. 9, 2 (Funk-Bihlm. p. 85, 15): Χριστοφόροι. Più tardi s'interpretò in questo senso anche il nome di Ignazio, θεοφόρος, come dice il Martyrium Colbertinum (Funk Π, 1901, p. 278, 12: θεο φόρος ... ό Χριστον έχων εν στέρνοις. Cfr. anche CLEMENTE ALESS., Strom. 7, 13, 82 (GCS Clemens 3, p. 58, 25s): θειος άρα ό γνωστικός και ήδη άγιος θεοφορών και θεοφορούμενος. Cfr. anche CLEMENTE, EXC. ex Theod. 27, 6 (GCS III, ρ. ιι6, isss): το θεοφόρον γίνεσθαι τον άνθρωπον προσεχώς ενεργουμενον ύπο τοϋ Κυρίου καΐ καθάπερ σώμα αύτοϋ γινόμενον. Simil mente Strom. 4, 12, 104 (GCS III, p. 484, 19). - Ciò è assai chiaro in IRENEO, come si dirà più oltre.
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particolare sviluppo d'idee, cui dobbiamo ora necessariamente accennare. Nell'incipiente speculazione sulla Trinità si considerò il concetto della nascita dei λόγοι dal cuore come uno psicologico vestigium Trinitatis, raffigurante l'origine eterna del Logos dal Padre. Si tratta d'un'idea primitiva, che fu poi seguita fino agli inizi della teologia speculativa: l'eterno Padre genera dal suo cuore il Logos. S'applicano a questa dottrina le parole del Salmo 44: έξηρεύξατο ή καρδία μου λόγοι αγαθόν. Ciò si può constatare già in Giustino e Teofilo d'Antiochia 15 . Anche Tertulliano afferma che il Logos vien generato dal cuore del Padre : « Quasi de vulva cordis ipsius, secundum quod et Pater ipse testatur : eructavit cor meum verbum bonum » 16. In questo senso si esprimono anche Ippolito, Dionigi Alessandrino, e Metodio 17. Quanto poi si fosse divulgata quest'idea, lo dimostra chiaramente la protesta di Origene contro i ' molti ' che, per la parentela con la dottrina gnostica dell'emanazione, sostenevano una tanto pericolosa interpretazione18. La tesi, però, in stretta connessione col testo classico addotto per la 15 GIUSTINO, Dial. e. Tryph. 38, 6, 7 (Otto II, p. 130). - TEOFILO ANTIOCHENO, ad Auto!. 2, 10, 6 (Otto Vili, p. 78s) : έν τοις 'ιδίοις σπλάγχνοις έγέννησεν αυτόν μετά της έαυτοϋ σοφίας έξερευξάμενος. Cfr. ibid. 2, 22, 8 (Otto VIII, p. 118): λόγον ένδιά•9-ετον έν καρδία θεοϋ. 16
TERTULLIANO, Adv. Praxeam c. 7 (PL 2,161 C); e. 11
(PL 2,
166 Β). Cfr. anche CIPRIANO, Test. 2, 3 (CSEL 3, p. 64, 17). 17 IPPOLITO, in Cani. Cantic. 17, 1: «Il Logos, che il Padre genera dal cuore» (GCS Hippolyt I, 1, p. 358, 18); Antichr. 26 (GCS Hippolyt I, 2, ρ. 18, 21): Λόγος έκ καρδίας πατρός προ πάντων γεγεννημένος. - DIONIGI ALESS. (in Atanasio, De sent. Dionysii 23: PG 25, 481 A), ed. Feltoe, p. 196s. - METODIO, De sanguisuga 1, 4 (GCS Methodius, p. 478, 8). 18 In Ioann. I, 24; 1, 38 (GCS Origenes IV, p. 29, 22ss; p. 49, 20ss). Cfr. anche Select, in Psalm. (PG 14, 1427 C).
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generazione del Verbo, si rifugiava nel Salmo 109,3 : εκ γαστρός προ εωσφόρου έγέννησά σε. Nel medesimo tempo in cui i due testi erano ritenuti convergenti nella direzione delle suaccennate teorie, si parlava con molta facilità anche dell' utérus cordis19. Nella speculazione antiariana sulla generazione del Logos, questa antica esegesi acquista un nuovo significato. Così Ambrogio lo riassume : « Ex utero generavit (Pater) ut filium, ex corde eructavit ut Verbum » 20 . Gregorio da Elvira: « Filium ... de utero cordis Dei credimus esse natum » 21 . E nell'Altercano Simonis et Theophili si legge: « Pater ex utero cordis sui genuit (Filium) » 22 . Ambrogio ha dato di questa nascita del Logos dal Padre una descrizione singolare, già preparata da Ippolito - ciò che avrà, come vedremo, un profondo influsso sulla storia della mistica. E la dottrina del ' Verbo saltante ' 23, che ' balza ' dal cuore del Padre e di qui nel cuore della Vergine e nel cuore del credente: 18 Cfr. ORIGENE, Comm. in Cant., prol. (Vili, p. 65, 24) : « Venter animae ». - LATTANZIO, De opificio hominis io, io (CSEL 27, p. 34, 17s) : « Cor duos intrinsecus sinus habet ». - AMBROGIO, De Noe 6, 14 (CSEL 32, 1, p. 423, lóss): «Duo uteri cordis». 20 De virginibus 3, 1, 3 (Florilegium patr. 31, p. 65, 5s: PL 16, 221 A). - Già ATANASIO rende così il testo: Ep. de decr. Nicaen. 21
(PG 25, 453 C). Prima di lui ALESSANDRO D'ALESSANDRIA in un de-
creto sinodale (PG 18, 576 A). E quest'uso rimase nella letteratura antiariana, insieme col parallelismo col Salmo 109,3, gii attuato da TEOFILO ALESS. - Cfr. 21
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GREGORIO NISSENO
(PG 45,
1281 A).
GREGORIO DA ELVIRA, De fide ortodoxa 2 (PL 20, 35 D).
Altercatio Simonis et Theophili (CSEL 45, p. 8, 14s). Cfr. ibid.,
p. io, n. 2. - Ps. - TEOPILO D'ANTIOCHIA, Comment, in Evangel. 4,
2 (Otto Vili, p. 318). 23 Cfr. IPPOLITO, in Cant. Cantic. (GCS Hippolyt 1, p. 347, I4ss). Cfr. N. BONWETSCH, Studien zu den Kommentaren Hippolyts zum Buch Daniel und Hohen Liede, Texte und Unters. N. F. I, 2, Lipsia 1897, p. 9s.
23
INTRODUZIONE
« Verbum de corde Patris saliens ... ergo et nunc salit et currit de corde Patris super sanctos suos » 2 4 . Da Ambrogio quest'antichissima tesi della teologia ippolitiana penetra, attraverso Gregorio Magno, nei commenti medievali al Cantico dei Cantici 25 . Dato che anche Agostino fa propria l'esegesi del Salmo 44,2 26 , e che il concetto della nascita del Logos dal cuore paterno ha influenzato lo stesso linguaggio degli inni antiariani 2 7 , il primo medioevo 28 ha ereditato facilmente anche questa mistica e tanto benefica idea - e noi sappiamo bene quale significato ha avuto ciò per la formazione del pensiero e del linguaggio della m i -
24 Expos, in Ps. 118, Serm. 6, 6 (CSEL 62, p. 112, iss). Cfr. anche De Isaac vel anima 4, 31 (CSEL 32, 1, p. 661, ioss). 25
GREGORIO M., Homil. in Evangelia 29, io (PL 76, 1219 AB).
Cfr.
PATERIO
100,
646 D ) ;
STADT (?)
(PL
79,
907 Β ) ; B E D A
WALAFRIED (PL
117,
(PL
304 D ) .
113,
(PL 91, 1138D);
ONORIO
1225 D ) ;
ALCUINO
AIMONE
D'AUTUN
(PL
DI
(PL
HALBER
172,
389 D;
390 Β). - Sui testi mistici del medioevo, che hanno subito l'influsso di questi Autori, cfr. R . SEEBERG, Zeitschrift für kirchl. Wissensch. und kirchl. Leben 1888, p. 102s; N. BONWETSCH, op. cit., p. 10. 28 Cfr. Enarr. in Ps. 44, 4 (PL 36, 4 9 6 ) . - P s . - AGOSTINO, Sermo ai Catechumenos (PL 40, 698 A). 27 Un Inno di ILARIO è intitolato : « Tu Dei de corde Verbum » (Blume, Analecta hymnica 51, p. 264). L'inno è entrato anche nei libri liturgici irlandesi: cfr. The Irish Liber Hymnorum (ed. Bernard and Atkinson, Henry Bradshaw Society 13, London 1898) I, p. 36. A ciò si riferisce anche l'Inno « Ab ore Verbum prolatum » : cfr. B L U ME, Analecta hymnica 51, p. 82; M. FÉROTIN, Le Liber Ordinum, Parigi 1904, p. 195. - Cfr. anche l'inno di P R U D E N Z I O : « C o r d e natus ex parentis ante mundi originem » (Blume, Analecta hymnica 50, p. 25). 28 Così ARNOBIO il Giovane (PL 53, 587 C ) . FULGENZIO DA R U S P E : « V e r b u m eructatum de corde Patris» (PL 65, 727 C ) ; SCOTO ERIUGENA, Homil. in Prolog. Joannis (PL 122, 287 Β ) ; ALDHELM: « Corde Patris genitum » (PL 89, 239 C ) . Cfr. anche l'opposizione contro questa esegesi in PIETRO LOMBARDO, Comment, in Psalm. 44 (PL 191, 438 D ) .
INTRODUZIONE
stica medievale ; i testi, che Richstätter 29 cita per la devozione al ' cuore paterno ', sono soltanto l'ultima eco della storia di quelle idee, di cui noi ora ci occupiamo. Abbiamo tracciato le linee entro le quali deve essere ora inquadrata la storia delle idee intorno alla nascita del Logos nel cuore dell'uomo. I presupposti sono chiari: da un lato le andche credenze in cui il cuore era considerato il luogo di nascita dei logoi, e dall'altro la verità rivelata dell'inabitazione di Cristo nel cuore. Per il fatto che il Logos procede per eterna generazione dal cuore del Padre, e poiché è certo che il credente viene rigenerato nel battesimo, dalla Vergine-Madre che è la Chiesa, ad una vita di somiglianza con Cristo, si può ben comprendere come sia emerso nel corso della teologia antica il concetto della nascita del Logos nel cuore del credente.
29 K. RICHSTÄTTER, Die Herz-Jesu-Verehrung des deutschen Mittelalters, Ratisbona 1924, 2 ed., p. 264SS. Qui si cita Ps. - ANSELMO (PL
158, 956) e BERNARDO DA CHIARAVALLE (PL 185, 444), ed anche una
serie di testi di mistici tedeschi.
Ι.
LA PREPARAZIONE DELLA DOTTRINA NELLA TEOLOGIA PIÙ ANTICA
Le tracce che conducono direttamente alla prima vera testimonianza sulla dottrina della nascita di Dio nel cuore dell'uomo provengono dalla teologia battesimale della Chiesa primitiva. Nella rigenerazione battesimale viene concesso il principio nuovo della vita deiforme; l'inabitazione di Cristo nel cuore sta in naturale rapporto con la ricostituzione della vita deiforme nel battesimo. Il nuovo ' tipo ', per il quale le nostre anime vengono trasformate in ' anime di bimbi ', è - come si legge nella Lettera di Barnaba - la somiglianza col Verbo incarnato, che ha preso stanza nei nostri cuori 1 . La trasformazione si compie dunque secondo il modello della somiglianza con Cristo 2. 1 Lettera di Barnaba 6, n, 15 (Funk-Bihlmeyer p. 17, gss): έπεί ουν άνακαινίσας ημάς ... έποίησεν ήμας άλλον τύπον. ώς παιδιών εχειν τήν ψυχήν ... ότι αυτός έν σαρκΐ εμελλεν φανεροϋσ&αι καΐ έν ήμϊν κατοικεΐν. ναός γαρ άγιος, αδελφοί μου, τω κυρίω το κατοικητήριον ημών της καρδίας. 2 Per una raccolta di testi sull'argomento, cfr. A. HAKNACK, Die Terminologie der Wiedergeburt und verwandter Erlebnisse in der ältesten Kirche, Texte und Untersuchungen 42, 3, Lipsia 1918, p. 97SS. La raccolta è certamente incompleta e l'interpretazione dei testi assai soggettiva, per non dire di più.
26
L ' E C C L É S I O L O G I A D E I PADRI
Si può considerare quest'opera da due punti di vista. Se si esamina più attentamente l'immagine della nuova vita di grazia, la si viene a intendere come una ' copia del Logos , come già Taziano l'interpretava 3 : la grazia del battesimo è una raffigurazione del Logos, come il Logos è a sua volta un'immagine del Padre. In tal m o d o la grazia diviene in noi μοίρα θεοΰ, il divino in n o i : noi veniamo rigenerati a immagine del Logos. Il bat tezzato è - riportiamo un'affermazione di Clemente Alessandrino 4 - la terza copia ', ossia l'immagine del Logos, il quale è l'immagine del Padre; noi siamo l'immagine del Logos che abita in noi. Molto presto, tuttavia, quasi affrettando i tempi, si son diretti gli sguardi al Logos inabitante, e si è considerata la grazia battesimale come un modellarsi del Logos stesso (quasi primi indizi della distinzione tra grazia creata e increata). La somiglianza col Logos, operata dalla grazia, è intesa come uh effetto del Logos inabitante in noi; per questo motivo, facendo appello alla dottrina dell'unità del Corpo mistico di Cristo, si potè definire la nuova vita semplicemente come un formarsi della vita di Cristo medesimo. « Noi stessi scrive Clemente Alessandrino 4 -, noi siamo divenuti per Iddio, grazie a Cristo, un inviolabile e sacro dono, poiché in questo u o m o portiamo l'immagine di Dio, 3 TAZIANO, Or. ad Grate. 5, 6 (Otto VI, p. 26, 9ss): καΐ κ α θ ά π ε ρ ό Λ ό γ ο ς , έν ά ρ χ η γ ε ν ν η θ ε ί ς , ά ν τ ε γ έ ν ν η σ ε τ η ν κ α θ ' ή μ α ς π ο ί η σ ι ν ... ο ύ τ ω κ ά γ ώ , κ α τ ά τ η ν τ ο υ Λ ό γ ο υ μ ί μ η σ ι ν ανα γ ε ν ν η θ ε ί ς , κ α ί , τ η ν τ ο ϋ α λ η θ ο ύ ς κ α τ ά λ η ψ ι ν π ε π ο ι η μ έ ν ο ς . Cfr. anche ivi 7, ι (Otto VI, p. 30, 4s): Il Logos è κ α τ ά τ η ν τ ο ϋ γ ε ν ν ή σ α ν τ ο ς α υ τ ό ν Π α τ ρ ό ς μ ί μ η σ ι ν . Il Divino in noi è una ' parte di D i o ' , μ ο ί ρ α θ ε ο ϋ : ivi 7, 3 (p. 30, 7). Questa speculazione sulla ' parte di Dio in noi ' avrà ancora una lunga storia. 4 CLEMENTE ALESS., Strom. 7, 3, 16 (GCS 3, p. 12, 22ss).
LA PREPARAZIONE DELLA DOTTRINA NELLA TEOLOGIA PIÙ ANTICA 27
un'immagine che dimora in noi, ci è familiare, condivide i nostri sentimenti e il nostro dolore » 5 . Origene si riferisce espressamente all'unità del Corpo di Cristo e della Chiesa, quando dice ' cristiformi ' i battezzati 6 . La parola μορφή e μορφοΰσθαι porta spontanea mente, soprattutto per il richiamo al testo di S. Paolo 7 Gal 4,19 , ad interpretare questo formarsi di Cristo in noi come uno sviluppo fino alla nascita, un farsi del Logos nei nostri cuori. Il μορφοΰσθκι, di Cristo signi fica anzitutto e soprattutto il suo divenire u o m o , il 8 farsi b a m b i n o . Perciò Clemente Alessandrino può esclamare : « L'uomo col quale il Logos coabita (il battezzato) ha la forma del Logos (μορφήν έχει, τήν τοϋ Λόγου), diventa bello, perché simile a Dio. Si, diventa Dio, perché Dio vuol così. Ο mistero evidente : Dio nell'uomo, e l'uomo ' dio ' ! » 9 . La rappresenta zione del ' divenir bambino ' del Logos nel cuore del credente fu naturalmente propiziata da un concetto che abbiamo già menzionato: il Logos è un bimbo, in quanto vien generato dal cuore del Padre. Il Logos è il ' pargoletto del Padre ' 10 , a imitazione del quale 5
Protr. 4, 59, 2 (GCS i, 46, isss). Adv. Cels. 6, 79 (GCS Origenes 2, p. 150, 27SS; p. 151, 2): ότι Χριστός επιδεδήμεκε γνόντες θεωροϋμεν ότι δι'αύτον πολ λοί Χριστοί γεγόνασιν ... ώς είναι εν σώμα Χριστον και τήν Έκκλησίαν. Cfr. anche Comm. in Cani. 2 (GCS Origenes 8, Bährens p. 167, 22s). - Homil. in Ezech. 6, 9 (Vili, p. 387, 22): «Et Christos nos vult facere Deus ». - Comment, injoh. 6, 6, 4 (IV, p. 115, i6s).Frammento del Comm. in h. (PG 13, 217 A). 7 Τέκνα μου οΰς πάλιν ώδίνω μέχρις ού μορφωθή Χριστός εν ύμΐν.. Cfr. il μεταμορφοϋσθαι, 2 Cor 3.18 e Rom 12,2. 8 Cfr. GIUSTINO, Apol. ι, 5, 4 (Otto I, p. 20, ι ) : τοϋ Λόγου μορφωθέντος και άνθρωπου γενομένου. « Paia. 3, ι, 5 (GCS ι, p. 22ss). 10 Paia, ι, 5, 24 (GCS ι, ρ. 104, 22): ό υιός νήπιος τού ΠατρόςCfr. ivi (p. 104, 6ss) τον κύριον ονομάζει παιδίον ... το πνεΰ6
28
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
noi nel battesimo diveniamo ' bambini ', riceviamo il ' modello del bambino '. Già nell'antichità l'originaria designazione di Cristo come παις θεού, modellata Süll' 'ebed del Vecchio Testamento, aveva il significato di ' figlio di Dio ', e sottraeva la parola ' servo ' a qualsiasi sospetto di subordinazianismo u . Di qui venne appunto l'idea, come abbiamo già detto, dell'eterna nascita dal Padre, tanto che fin da Afraate il versetto del Salmo 109,3 veniva così tradotto: «Ex utero ab antiquo te puerum genui » 12. E si univa al significato di παις il concetto dell'immutabile eternità del Figlio, cui compete un'eterna giovinezza e bellezza. Il Logos è ' bambino ' perché è principio e fine di tutte le cose 13 . I battezzati, invece, sono bambini perché hanno rivestito l'immortalità del Logos 14 : essi partecipano ora dell'eterna giovinezza e bellezza del Logos. Così dice Clemente Alessandrino : « Noi possediamo la giovinezza che non invecchia, ... poiché deve essere sempre nuovo chiunque partecipa del nuovo Logos. Ciò che partecipa dell'eternità deve divenire simile all'Immortale, μ α . ιδού π α ι δ ί ο ν έ γ ε ν ν ή θ η ή μ ϊ ν ... τ ί ούν τ ο π α ι δ ί ο ν τ ο νήπιον ού κ α τ ' εικόνα ήμεΐς οι νήπιοι. 11 Cfr. Α. HARNACK, Die Bezeichnung Jesu als ' Knecht Gottes ' und ihre Geschichte in der alten Kirche: SB. der Berliner Ak. der Wiss. 192U, p . 2 1 2 . 12 AFRAATE, Demonstr. 17, 9 (Parisot I, p. 804). Cfr. I. O R T I Z DE URBINA, Die Gottheit Christi bei Afrahat (Orientalia Christiana 31, 1), R o m a 1933, p . 81s; Fr. LOOFS, Theophilus von Antiochien Adversus Marcionem und die anderen theologischen Quellen bei Irenäus (Texte u. Unters. 46, 2), Lipsia 1930, p. 264, nota 2. 13 CLEMENTE ALESS., Paid. 1, 6, 36 (GCS 1, p. n i , 14s): ί ν α δ ή σ α φ ώ ς ό Λ ό γ ο ς α μ φ ω δειχθ-η, ά λ φ α καΐ ώ , α ρ χ ή κ α ί τ έ λ ο ς Cfr. su questo argomento Religionsgespräch am Hof der Sassaniden (Texte u. Unters. 19, 3, Lipsia 1899, p. 13, 17s): κ α λ ε ί τ α ι , δε το άσπορον βρέφος αρχή καί τέλος 14 CLEMENTE ALESS., Paid. ι, 6, 32 (Stählin ι, p. 109, 16).
LA PREPARAZIONE DELLA DOTTRINA NELLA TEOLOGIA PIÙ ANTICA 29
sì che per noi il riferimento all'età infantile significa la primavera della vita, in quanto la verità è in noi eterna ... la sapienza fiorisce incessantemente, resta sempre identica, né subisce mutazione alcuna » 15 . Il Logos è, quindi, il ' perfetto bambino ' 16, il ' Logos infantile ' 1 7 , che è venuto nei nostri cuori per renderci partecipi, nel battesimo, della sua eterna giovinezza, in quanto noi riproduciamo il suo ' modo di vivere ', come Clemente dice espressamente : « Ο inafferrabile mistero! Egli ci ordina ... di riprodurre il modo di vivere di Cristo, di conservare Cristo degnamente e il più a lungo possibile nel nostro intimo, di rinchiudere il Salvatore nel nostro cuore (τον Σωτήρα ένστερνίσασθ-αι.) » 18 . Per questo il Logos infantile è divenuto anche bimbo umano, affinché attraverso il battesimo potesse abitare nei nostri cuori: attraverso il battesimo che la Vergine-Madre, la Chiesa, ci conferisce. È dunque esattamente in ordine a questi concetti sul Logosbambino che Clemente indica la Chiesa come la ' portatrice del Logos ', essendo appunto la Chiesa l'unione di tutti quelli che divengono partecipi del Logosbambino : « C'è pure una sola Vergine-Madre, ed è per me motivo di gioia il poterla nominare : la Chiesa ... Essa riunisce i suoi figlioli per nutrirli con un latte santo, per mezzo del Logos in forma di bimbo. Perciò essa 15
Paia, ι, 5, 20 (GCS I, p. 102, 2ss). " Paia. 1, 5, 24 (GCS 1, p. 104, 14s). 17 Paia. 1, 6, 42 (GCS i, p. n j , 16). 18 Ivi, n. I2ss. - Anche nella teologia di IPPOLITO la grazia batte simale viene interpretata come un'immagine della bellezza del Logos giovanile: cfr. il suo scritto sulle benedizioni di Giacobbe (Texte u. Unters. 38, 1, p. 39, 7ss): ό τ ι έν τη α ν α γ ε ν ν ή σ ε ι τ ο ϋ ύ δ α τ ο ς κ τ ώ ν τ α ι την χάριν και καλλονήν τοϋ Λ ό γ ο υ , 8ς ήν ωραίος κ ά λ λ ε ι π α ρ ά τ ο υ ς υιούς τ ώ ν α ν θ ρ ώ π ω ν .
30
L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
non serba un latte materno: quale latte materno porta questo bel bambino, il Corpo di Cristo, che le è sommamente proprio, e con il Logos nutre i suoi figlioli » 1 9 . Il medesimo pensiero è suggerito dall'antica Sibilla cristiana in un passo assai ricco d'insegnamenti: « Disse il Signore del mondo al suo figliolo: noi due vogliamo creare una natura mortale, nella quale imprimiamo la nostra immagine ... e memore di questo discorso il Logos discese nel creato, portando la sua fedele immagine nella Vergine casta, che battezza con acqua » 2 0 . La Vergine è la Chiesa, che porta il Logos-bambino. In questo quadro possiamo ora inserire anche la dottrina di Ireneo sul portare Verbum 21 - così questa ritrova il senso reale che aveva nell'antichità cristiana e che la traduzione latina ha alquamo attenuato; e questa tipica dottrina di Ireneo si inquadra convenientemente anche nella teologia più antica, a cominciare dai χροστοφόροι di Ignazio. Anche per Ireneo ' portare il Logos ' significa serbarlo nell'intimo, nel cuore, dal m o m e n t o che nel battesimo ci è stata impressa l'im19 Questa traduzione del testo alquanto corrotto segue la congettura assai probabile di O. FALLER (Gregorianum 6 (1925) p. 434). La traduzione di O. STÄHLIN (Bibl. d. Kirchenväter, Clemens von Alexandrien I, Kempten 1934, p. 242) non è esatta, secondo il contesto. Faller completa in ή ν ε γ κ ε Γ ήν esistente, che non avrebbe altrimenti alcun senso. Così la Vergine Chiesa diventa la portatrice del Logos; e ciò s'inserisce nel giro dei concetti che ora stiamo esaminando. 20 Sibilla 8, 265-273 (GCS Geffcken p. 159): 265, ε ί π ε ν ò π α ν τ ο κ ρ ά τ ω ρ · π ο ι ή σ ω μ ε ν , τ έ κ ν ο ν , ά μ φ ω εικόνος η μ έ τ ε ρ η ς μ π ο μ α ξ ά μ ε ν ο ι βρατα φ ϋ λ α . 270, γ ν ώ μ η ς oùv τ α ύ τ η ς μ ε ά ν η μ έ ν ο ς έ ς κ τ ί σ ι ν ή ξ ε ι ά ν τ ί τ υ π ο ν μ ί μ η μ α φ έ ρ ω ν εις π α ρ θένον ά γ ν ή ν ύ δ α τ ι φ ω τ ί ξ ω ν . Cfr. F. J. DÖLGER, lchthys I, Münster 1928, p. 98. 21 Cfr. P. GÄCHTER, Unsere Einheit mit Christus nach dem hl. Irenäus in ZkTh 58 (1934) 506s.
LA PREPARAZIONE DELLA DOTTRINA NELLA TEOLOGIA PIÙ ANTICA 31
magine dell' ' uomo celeste ' 22 ; Γ ' u o m o può essere figlio di Dio ' solo nella comunione col Logos che si fa bambino : « Filius Dei hominis filius factus ut per eum adoptionem percipiamus, portante nomine et capiente et complectente Filium Dei » 2 3 . La frequenza dell'espressione, e soprattutto la parola ' abbraccio ' del Figlio di Dio, indica già chiaramente come dobbiamo intendere i molti altri testi sul portare Filium Dei. Questo portare vien detto espressamente anche di Maria 2 4 . In netta antitesi con lo stesso Ireneo si considera come apice dell'Incarnazione il ' far posto in sé al Logos ' da parte dell'uomo: εις τοϋτο ό Λόγος άνθρωπος ίνα άνθρωπος τον Λόγον χωρήσας και την υίοθεσίαν 25 λαβών υιός γένηται θεού . Difficilmente andiamo errati, se collochiamo in que sto contesto, specialmente con la summenzionata spe culazione di Clemente Alessandrino sulla Chiesa (ed 22 Adv. haer 5, 11, 2 (Harvey II, p. 349): « Quando autem iterum (portavimus) imaginera caelestis? Scilicet quando ait: abiuri estis credentes in nomine Domini et accipientes eius spiritimi ». 23 Adv. haer. 3, 16, 3 (Harvey II, p. 84). 21 Adv. haer. 5, 19, 1 (Harvey II, p. 376): «Per angelicum sermon e m evangelizata est ut portaret D e u m obediens eius verbo ». 25 Adv. haer. 3, 19, Ι (Harvey II, p. 103). - Secondo noi s'inse risce qui a proposito anche un altro testo di IRENEO, finora riferito esclusivamente al ' farsi bambino ' nel seno della Santa Vergine (cfr. P. GÄCHTER, op. cit., p. 513), ma che sembra indicare in detto significato il ' farsi bambino con noi ', per crescere in noi e con noi nel cuore del credente. Il testo sta in Adv. haer. 4, 38, 2 (Harvey II, p. 295): κ α ι δια τ ο ΰ τ ο σ υ ν ε ν η π ί α ζ ε ν Χ ί ο ς τ ο ϋ θ ε ο ϋ τ έ λ ε ι ο ς ώ ν , τ ω ά ν θ ρ ώ π ω , ού δι'έαυτον, ά λ λ α δια το τοΰ ά ν θ ρ ω π ο υ νήπιον ο ύ τ ω χ ω ρ ο ύ μ ε ν ο ς , ώ ς ά ν θ ρ ω π ο ς αυτόν χ ω ρ ε ϊ ν ή δ ύ ν α τ ο . Dal σ υ ν ε ν η π ί α ζ ε ν si deduce chiaramente che questo ' farsi bambi no ' avviene nel senso del nostro umano ' esser bambini ' ( δ ι α το τ ο υ ά ν θ ρ ω π ο υ ν ή π ι ο ν ) , sì che l'inabitazione in noi si compia nel m o d o significato da questa particolare condizione del bambino. Il testo è dunque in perfetta consonanza con le affermazioni di C L E MENTE ALESS. in Paedag. 1, 6.
32
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
anche la teologia ugualmente precisa del discepolo di Ireneo, Ippolito), le tanto discusse2e affermazioni di Ireneo sulla nuova nascita dalla Vergine immacolata: « Come può l'uomo trasformarsi in Dio, se Dio non viene prima negli uomini? Ma come potrà l'uomo abbandonare la generazione mortale, se non in virtù della nuova generazione, che Dio ha attuato, in modo meraviglioso e incomprensibile, qual segno della salvezza, dalla Vergine per mezzo della fede? » 27. Queste parole si comprendono se riferite alla Vergine Maria e alla generazione fisica di Cristo. Ma anche qui il modello ci porta immediatamente alla copia, alla Vergine-Madre, alla Chiesa. Infine, Ireneo riferisce alla Chiesa, al « purissimo seno materno che partorisce gli uomini a Dio » 28, le espressioni che direttamente riguardano Maria. In questo modo, esattamente con la tipologia di Ireneo e col parallelismo Adamo-Cristo, che tutto informa, anche il rapporto Eva-Maria-Chiesa è visto nel suo insieme in ordine al fine dell'opera della salvezza, ossia in ordine alla nascita incessantemente rinnovantesi dei figli di Dio riuniti in un sol corpo: quindi, in breve, alla nascita del Cristo mistico dal seno materno della Chiesa. Si noti che queste antiche speculazioni cristiane intorno alla nascita del Logosbambino sono da ascriversi chiaramente ai contorcimenti dottrinali dello gnosticismo, e che possiamo forse scorgere proprio nella dottrina gnostica anche la parte di concetti ellenistici. 211 Cfr. P. GALTIER, La vierge qui nous régénère in Recherches de science religieuse 5 (1914) 136. - F. VERNET; Dictionnaire de théologie catholique VII, Parigi 1922, e. 2485SS. 27 Adv. haer. 4, 33, 4 (Harvey II, p. 259). 28 Adv. haer. 4, 33, 11 (Harvey II, p. 266).
LA PREPARAZIONE DELLA DOTTRINA NELLA TEOLOGIA PIÙ ANTICA 33
È caratteristico per la gnosi, specialmente per quella di Valentino e dei suoi discepoli, il fatto che essa riduca l'aspetto storico-umano della persona e dell'opera di Cristo ad una singolare spiritualità, che concerne solo l'esistenza primordiale del Logos e fa della redenzione un'unione pneumatica dell'anima col Logos 29. Il Logos che discende nelle anime è l'eterno giovanile uomo celeste 30. Quella di Valentino è una visione tipica del Logos: questi gli appare come un bimbo appena nato, che alla domanda ' chi sei ? ' risponde : ' io sono il Logos ' 3 1 . Secondo questa dottrina, quindi, l'Incarnazione non si compie « solo una volta, il Logos prende corpo continuamente nell'umanità: là il Logos s'è fatto uomo, dove a qualche uomo s'è aperta la gnosi di Dio, e s'è avvertito il sentimento che l'anima è con Dio una cosa sola » 32. In questo quadro sono da inserirsi anche i molti racconti di altre visioni del bello e raggiante Logos-bambino, caratteristiche delle gnostiche storie degli Apostoli 33 . 29 Così ERACLIO, discepolo di Valentino, in ORIGENE, In Ioannem comment. 2, 21, 137 (GCS Origenes 4, p. 77, 25): οιονεί τ α ύ τ ο ν ν ο μ ί σ α ς ε ί ν α ι τον Λ ό γ ο ν κ α ι τ ο υ ς π ν ε υ μ α τ ι κ ο ύ ς . Cfr. J . Ρ . STEFFES, Das Wesen des Gnostizismus und sein Verhältnis zum katholischen Dogma, Paderborn 1922, p. 157s. 30 IPPOLITO, Elenchos 6, 35 (GCS Hippolyt 3, p. 164, 24 e p. 165. ι ) . Cfr. A. HiLGENFELD, Die Ketzergeschichte des Urchristentums, Lipsia 1884, p. 469s. 31 IPPOLITO, Elenchos 6, 42 (GCS Hippolyt 3, p . 173, 22ss): κ α ι γαρ Οΰαλεντΐνος φάσκει εαυτόν έωρακέναι π α ϊ δ α νήπιον άρτιγέννητον, οδ πυθόμενος ε π ι ζ η τ ε ί τίς άν είη, ό δε ά π ε κ ρ ί ν α τ ο λ έ γ ω ν , ε α υ τ ό ν ε ί ν α ι τ ο ν Λ ό γ ο ν . Per la stessa descri zione in Eraclio, cfr. HILGENFELD, op. cit., pp. 499, 501, 504. 12 STEFFES, op. cit., p. 162. 33 Per la raccolta dei testi cfr. HARNACK, Die Bezeichnung Jesu als Knecht Gottes, p. 215SS.
34
L'ECCLÉSIOLOGIA D E I PADRI
Qui - e certamente anche in Clemente Alessandrino, per quanto concerne il suo linguaggio - si può pensare a influssi ellenistici. La tarda speculazione greca sul « sorridente fanciullo divino » Dioniso 34, ma specialmente la raffigurazione di Aio, venerato proprio in Alessandria, come un fanciullo 35, e le idee della religiosità ermo-poseidonica sul Dio inabitante nel nostro intimo 3 6 : tutto ciò può aver contribuito allo sviluppo delle dottrine gnostiche sul Logos-bambino che nasce in noi. Ma queste hanno influito certamente poco sul formarsi delle concezioni propriamente cristiane; perciò la dottrina della nascita di Dio nel cuore è da considerarsi di origine genuinamente cristiana 37. 34 Cfr. H. HEYDEMANN, Dionysos' Geburt und Kindheit (= Hallisches W i n k e l m a n n p r o g r a m m i o ) , Halle 1885, p. 38s; O. KERN, Orpheus. Eine religionsgeschichtliche Untersuchung, Berlino 1920, p. 5iss; H. GRESSMANN, Götterkind und Menschensohn: Deutsche Literaturzeitung 1926, e. 1977SS. 35 Cfr. H. GRESSMANN, Tod und Auferstehung des Osiris (Der alte Orient 24, 1), Lipsia 1923, p. 23. - Contro, E. N O R D E N , Oie Geburt des Kindes, Lipsia 1924, p. 28, nota 5. - Sulla festa del 25 Dicembre in Alessandria, in cui Elio era venerato come bambino (cfr. M A C R O B I O , Saturn. 1, 18, i o : « Parvulus videtur hiemali solstitio ... parvus et infans ») cfr. FR. BOLL in SB. der Heidelberger Ah. 1910, p. 40ss; E. N O R D E N , op. cit., p. 26. - Sulla festa del natale di Dioniso il 6 Gennaio nell'isola di Andros, cfr. FR. C U M O N T , Le Natalis invidi. Extrait des Comptes rendus des séances de l'Académie des Inscr. et Belles Lettres,
1 9 1 1 , p . 292SS. 36 Una raccolta degli antichi testi su queste concezioni religiose si trova in H. LEISEGANG, Der heilige Geist, Lipsia 1919, p. 104SS. 37 Nell'esegesi storico-religiosa si è soliti citare per Gal 4, 19 alcuni testi provenienti dalla mista religiosità ellenistica. Fra questi la nota sentenza di un PAPIRO, una preghiera ad ERMA : « Vieni in me, ο Erma, come il b i m b o nel seno materno. Tu sei io e io sono Tu ... poiché
io sono la tua copia»; K E N Y O N GREEK PAPYRI I, 116. Cfr. ivi I, 102:
« Entra nell'anima di questo bimbo, affinchè essa si modelli sulla Tua immortale forma ». Un altro testo, tratto da un papiro magico, su u n uso magico del latte: κ α ΐ λ α β ώ ν τ ο γ ά λ α σύν τ ω μ έ λ ι τ ι
LA PREPARAZIONE DELLA DOTTRINA NELLA TEOLOGIA PIÙ ANTICA 35
Siamo così giunti a quel punto dell'antica teologia cristiana, in cui per la prima volta appare una precisa testimonianza della dottrina della nascita di D i o : in IPPOLITO R O M A N O . La sicurezza e la frequenza con cui
questo concetto qui si presenta mostra chiaramente che noi ci troviamo dinanzi a una dottrina assai anteriore alla sua prima casuale testimonianza. Ciò giustifica le suesposte interpretazioni degli antichi testi cristiani.
πριν α ν α τ ο λ ή ς ή λ ι ο υ κ α ι ε σ τ α ι τ ι ενθ-εον ε ν τ ή σ ή κ α ρ δ ί α . Κ. PREISENDANZ, Papyri graeci magici I, p . 4, 20s. Cfr. K. WYSS, Die Milch im Kultus der Griechen und Römer (Religionsgesch. Vers. u. Vorarb. 15, 2), Bonn 1914, p. 56. Quale rapporto possa avere questo testo, come anche il precedente, con un ' mistero della rigenerazione ', non si sa. Tuttavia l'apparente somiglianza col genuino pensiero cristiano si può stabilire in base a testi sicuri tratti dal CORPUS H E R M E TICUM. Cfr. 13, 3 (Scott I, p. 240, 14SS): ό ρ ώ τι έν έ μ ο ί ά π λ α σ τ ο ν ίδέαν γ ε γ ε ν ν η μ έ ν η ν έξ έ λ έ ο υ &εοϋ ... κ α ί ε ΐ μ ι νϋν ούχ 6 πριν, ά λ λ ' έ γ ε ν ν ή θ η ν έν νώ κ α ί δ ι α λ έ λ υ τ α ί μοι το π ρ ώ τ ο ν είδος. Ivi 13, 8 (Scott Ι, ρ. 244, I5s): χ α ί ρ ε λ ο ι π ό ν , ώ τ έ κ ν ο ν , ά ν α κ α θ α ι ρ ό μ ε ν ο ς τ α ΐ ς τ ο ϋ θ ε ο ΰ δ υ ν ά μ ε σ ι ν , π ά ρ ε ι σ ι γ α ρ εις σ υ ν ά θ ρ ω σ ι ν τ ο ϋ Λ ό γ ο υ . Ma questi testi partecipano della co m u n e incertezza della datazione dell'intero Corpus. N o n a torto si potrà supporre un influsso cristiano.
2.
LA D O T T R I N A NELL'ANTICA TEOLOGIA GRECA
IPPOLITO è discepolo di IRENEO X . Ciò è per noi
di grande interesse, perché la dottrina del discepolo ci consente così di conoscere e completare quella del maestro. In Ireneo non è ancor completamente chiaro se con piena ragione si possa affermare il transito dalla nascita del Logos dalla Vergine Maria alla nascita del Corpo mistico di Cristo dalla Vergine-Madre Chiesa. La soluzione ci è data da Ippolito. Secondo la teologia di Ippolito, uno solo è il ' Figlio di Dio ', il Logos incarnato, il quale riunisce tutti quelli che credono in lui nell'unico e perfetto ' u o m o ', ossia nell'unico Corpo mistico del Logos, che ha assunto la nostra comune natura 2 : πάντας υιούς θεοϋ κατκρτίσαι θέλων και τους πάντας αγίους εις Ινα τέλει,ον άνθρωπον κ α λ ώ ν . L'accesso alla misteriosa unità dell'unico 1 Cfr. H. ACHELIS, Hippolytstudien (TU 16, 4), Lipsia 1897, p. 27. Sulla teologia della Chiesa in Ippolito, cfr. A. HAMEL, Kirche bei Hippolyt von Rom, Gütersloh 1951, pp. 56-59, 202-205. I n tutta quest'opera vien presentato assai bene, al termine dei singoli capitoli, il rapporto tra Ippolito e Ireneo. 2 De Antichr. 3 (GCS Hippolyt i, 2, p. 6, i6s).
38
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
' uomo
avviene nel battesimo e si compie quando
' noi tutti ' diveniamo l'unico ' Israele ', cui è dato di ' vedere Dio ' in quella visione di D i o che per natura compete solamente al Logos, poiché questi è l'unico 3-
π α ι ς θ-εοϋ . εις γαρ ό τοϋ θ-εοϋ πους,
δι'οδ
καί
ήμεΐς τυχόντες την δια τ ο ϋ αγίου Πνεύματος ανα γέννησαν, εις τον Ινα τέλειον καί έπουράνιον άνθ-ρωπον
οι
l'unigenito
πάντες della
καταντησαι Vergine
dà
έπιδυμοΰμεν. all'eterno
E
solo
Padre il ba-
cio della perfetta unione con D i o ; con lui, invece, e in lui tutti coloro dei quali il Logos è il primogenito 4 . 3 lui (p. 6, 17-19). - Il vero ' Israele ', quello che ' vede Dio ' (per questo significato, che risale a Filone, cfr. FR. WUTZ, Onomastica sacra (Texte u. Unters. 41, 1), Lipsia 1914, pp. 88. 526. 583) è μόνος ό παις καί τέλειος άνθρωπος Χριστός: Contr. Noet. 6 (PG io, 812 A). Ippolito colloca il fine della redenzione nella visione di Dio attraverso l'associazione al ' Figlio di Dio per natura '. Questo concetto appare però alquanto sbiadito nella sua dottrina della redenzione sulla terra, in cui si ha una tendenza assai marcata a considerare l'atto redentore del Verbo incarnato esclusivamente in rapporto al principio della visione di Dio nella fede. Di qui anche il suo concetto della Chiesa: la Chiesa è una 'comunità d'istruzione'. E ciò ben s'accorda con la dottrina che veniamo esponendo. Infatti, se il Logos « è generato nell'atto conoscitivo del Padre » (εννοηθείς άπογεννα, cfr. nota seg.), così anche la rigenerazione in noi, che ne è l'immagine, è anzitutto un ' conoscere ' nella fede. Lo dimostra chiaramente il testo principale (cfr. nota 7): la Chiesa, ammaestrando tutti i popoli, genera nel suo cuore il Logos. - Per la dottrina del παις θεοϋ quale unico ' Israele ', cfr. anche la speculazione su Adamo-Cristo, derivata da Ireneo: Elenchos io, 33 (GCS Hippolyt 3, p. 291, I9ss): τούτον εγνωμεν έκ παρθένου σώμα άνειληφότα καί τόν πάλαιαν άνθρωπον δια καινής πλάσεως πεφορηκότα. Antìchr. 26 (GCS Ι, 2, ρ. 19, is): άνθρωπος έν ά^θρώποις έγεννήθη άναπλάσσων δι' έαυτοϋ τον ' Α δ ά μ . 4 Segnungen Jakobs 7 (Texte u. Unters. 38, ι), Lipsia 1911, p. 18, 3ss: ώς ουδείς ανθρώπων στόμα άγιον προσοισει πατρί ή μόνος ό πρωτότοκος έκ της παρθένου γενόμενος. Cfr. anche Texte u. Unters. 26, ι, Lipsia 1904, Ρ· 9, ι iss. - Si noti fin d'ora, per la comprensione delle idee che veniamo esponendo, che la dot-
LA DOTTRINA NELL'ANTICA TEOLOGIA GRECA
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Or come il perfetto uomo Gesù Cristo secondo la sua fisica natura umana è stato generato dalla Vergine e secondo la natura divina (κατά πνεύμα) dal cuore del Padre in una generazione spirituale5, così pure la rigenerazione dei credenti, che è un'immagine della generazione del Logos: da Dio e dalla Vergine. Qui appare completamente chiaro il parallelismo MariaChiesa. Ippolito dice espressamente che il piccolo Giovanni ha sussultato nel seno materno per preannunziare la futura meravigliosa rigenerazione da ' Spirito e Vergine '. La Vergine che porta in seno il Logos è però la Chiesa 6.
trina dell'unico uomo Cristo ebbe un peso determinante per la mistica del periodo successivo, addirittura fino ad ECKEHART; infatti la dottrina di IPPOLITO si trasmette da M E T O D I O a GREGORIO DI NISSA e da questi a MASSIMO CONFESSORE, la cui mistica si introduce poi, tramite SCOTO ERIUGENA, in Occidente. 5 Elenchos io, 331 (GCS III, p. 289, 3s): ο ύ τ ο ς ούν μ ό ν ο ς κ α ί κ α τ ά π ά ν τ ω ν θεός Λ ό γ ο ν π ρ ώ τ ο ν εννοηθείς άπογεννα. Antichr. 26 (GCS Ι, 2, ρ. ι 8 , 2ΐ e ρ. 19, ι ) : Χ ρ ι σ τ ό ς ... ε π ο υ ρανίων βασιλεύς, δτι Λ ό γ ο ς έκ κ α ρ δ ί α ς π α τ ρ ό ς προ π ά ν τ ω ν γ ε γ ε ν ν η μ έ ν ο ς ή ν , ε π ι γ ε ί ω ν δε, ότι κ α ί ά ν θ ρ ω π ο ς έ ν ά ν θ ρ ώ π ο ι ς έ γ ε ν ν ή θ η . - Contr. Noet. 16 (PG io, 825 Β ) : π ώ ς έ γ ε ν ν ή θ η κ α τ ά π ν ε ύ μ α ; ivi 4 (PG i o , 809 Α ) : ότι ό ν τ ω ς μ υ σ τ ή ρ ι ο ν οικονομίας έκ πνεύματος άγιου ήν ούτος ό Λ ό γ ο ς καί π α ρ θ έ ν ο υ ένα υίον θ ε ο ϋ ά π ε ρ γ α σ ά μ ε ν ο ς . - Ivi 17 (PG io, 828 Α): καί παρών έφανέρωσεν εαυτόν έκ παρθένου καί α γ ί ο υ πνεύματος καινός άνθρωπος γενόμενος. 6 Antichr. 44 (GCS Ι, 2, ρ. 28, 20ss): ί ν α κ α ί τ ο ι ς έτι έν κ ο ι λ ί α μητρός νηπίοις ϋπάρχουσιν έ π ι δ ε ί ξ η την έσομένην α ΰ τ ο ϊ ς δια π ν ε ύ μ α τ ο ς α γ ί ο υ κ α ί π α ρ θ έ ν ο υ κ α ι ν ή ν γ έ ν ν η σ ι ν . L'interpreta zione di questo testo, alquanto diffìcile, nel senso della nascita battesimale potrebbe essere avvalorata dall'espressione κ α ι ν ή γ έ ν ν η σ ι ς . Il parallelismo con la nascita del Logos da Maria è così immediatamente espresso. Antichr. 45 (GCS I, 2, p. 28, 23s): έ ν ο ρ ώ ν τ ο ν έν κ ο ι λ ί α π α ρ θ έ ν ο υ σ υ ν ε ι λ η μ μ έ ν ο ν θ ε ο ύ Λ ό γ ο ν . Anche qui, dun que, Maria ' portatrice del Logos ' è modello della Vergine-Madre Chiesa che genera il Logos.
40
L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
Grazie a questi concetti teologici fondamentali formulati da Ippolito, è ora ben intelligibile il testo in cui per la prima volta si parla della nascita del Logos nel cuore. Riferendosi alla visione del XII capitolo dell'Apocalisse, Ippolito dice : « Benché in questo mondo sia perseguitata dagli infedeli, la Chiesa non ha mai cessato di generare dal suo cuore il Logos. Essa ha partorito, come si dice, un figlio maschio, cui spetta il dominio su tutti i popoli, il virile e perfetto Cristo, il Figlio di Dio, Dio e Uomo ... e la Chiesa, generandolo continuamente., ammaestra tutti i popoli » 7 . Cristo, dunque, il Logos incarnato, è colui che la Chiesa partorisce incessantemente, quello ' unico Cristo ' che in sé porta tutti i popoli all'unità. Noi sappiamo che Ippolito ha scritto un'apologia dell'Apocalisse contro Caio e gli ' Alogi ' 8 . Questa esegesi della visione apocalittica del Logos ha dunque un significato particolare. Nessun dubbio che noi ci troviamo qui dinanzi a una dottrina già molto diffusa. Ippolito è pure il primo testimone per la dottrina secondo la quale il rapporto tra Cristo e la Chiesa si estende anche alle anime singole o, meglio, nella Chiesa si compie ciò che essenzialmente ha luogo nella grazia dei ' molti ' 9 . Perciò non c'è da stupirsi se ciò che è 7 Antichr. 61 (GCS I, 2, p. 41, i8ss; p. 42, ι ) : ότι άεί ού παύεται ή εκκλησία γεννώσα έκ καρδίας τον Λόγον καίτοι έν κόσμω ύπο άπιστων διωκόμενη, καί ετεκεν, φησίν, υίον άρσενα, δς μέλλει ποιμαίνειν πάντα τα έθνη, τον άρσενα καί τέλειον Χριστόν, παΐδα θεού, θεόν και άνθρωπον ... δν άεί τίκτουσα ή εκκλησία διδάσκει πάντα τα ϊ θ ν η . 8 Cfr. Ο. BARDENHEWER, Gesch. d. altk. Lit. II, 2, Friburgo 1914, p. 569. 8 Cfr. in Cani. Cantic. (GCS Hippolyt I, i, p. 372, 29ss): la Chiesa sposa e sorella di Cristo; così pure p. 353 e 369. - La Chiesa: ivi, pp.
LA DOTTRINA NELL'ANTICA TEOLOGIA GRECA
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stato detto della Chiesa s'applica ora anche alla nascita del Logos nell'anima. Nel Commentario a Daniele, Ippolito dice 10 : « La bocca del Padre ha fatto uscire da sé un Verbo puro, ed un secondo Verbo n appare di nuovo generato dai Santi: generando continuamente i Santi, egli stesso vien generato a sua volta dai Santi ». In ogni modo la relazione con la generazione battesimale si deduce chiaramente dal testo: il Logos genera i Santi e in ciò consiste la sua singolare nascita nel cuore del credente. Possiamo completare anche da un altro lato questa dottrina genuinamente ippolitiana, ma evidentemente attinta, nel suo complesso, dalla tradizione. I due capitoli conclusivi della Lettera a Diognete, che probabilmente non fanno parte della medesima Lettera e che prima venivano indicati come frammento d'uno scritto di Ippolito, contengono anche la nostra dottrina, e in 356. 360. 369, ecc. - Cfr. anche nell'edizione completa del Commentario al Cantico dei Cantici (Texte u. Unters. 23, 2, Lipsia 1903), Ρ- 33, 29s· 10 In Daniel. 1, io, 8 (GCS I, 1, p. 17, i6ss). Per il concetto dell'inabitazione del Logos nel cuore del credente, cfr. in IPPOLITO an cora il Comm. in Cant. Cantic. 15, 1 (Texte u. Unters. 23, 2, p. 63s), ove Maddalena, baciando i piedi di Gesù (Giov. 20,17), dice: «Io non Ti lascio finché non T'ho introdotto nel mio cuore, non volendo staccarmi dall'amore di Cristo. Infatti, preparandogli di fatto una dimora nelle viscere (nell'intimo), essa s'assicurò l'amore di Cristo ». In Cant. Cantic. 19 (GCS I, 1, p. 363, 35): «Fissare Cristo nell'uomo interiore ». - Così Ippolito perviene anche ad un altro concetto, che più tardi, come vedremo, ha conseguito un particolare significato in connessione con Mat 12,50 (δστις γαρ &Μ τοιήση το θέλημα τοϋ πατρός μου ... αυτός μου ... μήτηρ εστίν): chi in virtù della grazia conduce una vita secondo Dio, diventa Madre di Cristo. Cfr. In Cant. Cantic. 19 (GCS I, 1, p. 372, 16): chi porta su di sé la croce di Cristo, diventa ' Madre di Cristo '. 11 II testo del Commentario non è stato trasmesso con esattezza. Presumibilmente si deve leggere : « Una seconda (altra) volta ».
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
uno stile così tipicamente ippolitiano, che si è voluta vedere anche in questo una prova della provenienza di questi brani da Ippolito 12. Nell'undicesimo capitolo si legge che i credenti hanno appreso dal Logos i misteri del Padre e che appunto per questo il Logos è venuto quaggiù 13 : « Per questo (il Padre) mandò il Logos : affinché fosse conosciuto dal mondo. Questi è colui che esisteva dall'inizio, apparve come nuovo, e si trovò ch'era il Vecchio, e che nasce sempre nuovo nei cuori dei Santi. Egli è l'Eterno, del quale è detto (Sai 2,7) che ' oggi egli è il Figlio '. Per lui viene arricchita la Chiesa e aumentata la grazia che si sviluppa nei Santi ». 12 Così C H R . BUNSEN, Hippolytus und seine Zeit, ν. I, Lipsia 1852, p . 199s. Cfr. anche N . BONWETSCH, Der Autor der Schlusskapitel des Briefes an Diognet (Nachrichten der kgl. Gesellschaft der Wissensch. zu Göttingen, phil. - tust. Klasse, 1902), p. 631. - N o n ha avuto successo il tentativo dell'Archimandrita CARPATHIUS (in ZhTh 50 (1926) 336) di colmare lo spazio mancante tra il cap. io e il cap. 11 con un testo d'un manoscritto arabico pubblicato da A. M A I (Spicilegium Romanum 3, p. 704s), e provare così l'autenticità del capitolo conclusivo. Il brano suddetto n o n è che un frammento derivante da IRENEO, noto già da molto tempo, che inoltre nel Mai è deturpato da un grossolano errore di traduzione. Cfr. H. JORDAN, Armenische Irenäusfragmente (Texte u. Unters. 36, 3, Lipsia 1913), p p . 69.73. - Cfr. anche P. ANDRIESSEN, L'Epilogue de l'Epitre à Diognhte in Recherches de Théologie ancienne et médiévale 14 (1947) 121-156. - Per lo stato attuale della questione, cfr. l'edizione critica della Lettera a Diognete: H. J. M A R R O U , Sources chrétiennes 33, Parigi 1951, pp. 219-227. Marrou ritiene che entrambi i capitoli conclusivi appartengono al medesimo autore dei precedenti, che è tuttavia « in stretto rapporto con Ippolito ο almeno con la sua epoca ».
« Lettera a Diognete t i , 2 (Funk-Bihlmeyer p. 148, 25SS): ού χ ά ρ ι ν α π έ σ τ ε ι λ ε Λ ό γ ο ν , ί,/α κ ό σ μ ω φ α ν η ... ο ύ τ ο ς ό ά π ' ά ρχής, 6 καινός φανείς και π α λ α ι ό ς ευρεθείς και π ά ν τ ο τ ε ν έ ο ς έν α γ ί ω ν κ α ρ δ ί α ι ς γ ε ν ν ώ μ ε ν ο ς , ο δ τ ο ς ό ά ε ί , ό σήμερον υιός λογισθ-είς δ ι ' ο δ π λ ο υ τ ί ζ ε τ α ι ή Ε κ κ λ η σ ί α καΐ χ ά ρ ι ς άπολουμένη έν άγίοις πληθύνεται.
LA DOTTRINA NELL'ANTICA TEOLOGIA GRECA
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Il testo è importante soprattutto per l'adeguata conoscenza dello svolgimento storico della dottrina, perché qui appunto per la prima volta non soltanto è presentata esplicitamente la nascita del Logos quale principio della nuova vita nel battesimo, ma vien considerata espressamente come nascita del Logos anche la permanenza morale della grazia battesimale, lo ' sviluppo della grazia '. Di qui segue ancor chiaramente che la nascita è ' sempre nuova '. E ciò non solo in quanto dal battesimo vengono generati sempre nuovi Santi, ma anche perché il Logos, per l'aumento della grazia, prende nelle singole anime una forma sempre nuova. Questo concetto ci porta a ORIGENE, dal quale ebbe quella formulazione classica che doveva poi sopravvivere per diversi secoli. Nella sua dottrina della grazia Origene ha dato grande rilievo specialmente alle aspirazioni morali e ascetiche, all'ascesa interiore. Proprio per questo motivo è importante rilevare che in Origene il progresso morale come ogni incremento della vita di grazia si fa sempre risalire al fondamento reale, ossia alla grazia battesimale 14. Ed è giusto notarlo qui, trattandosi appunto della sua dottrina sulla nascita del Logos nel cuore dei credenti. Con evidente compiacimento, infatti, questa tesi viene applicata alla vita morale in senso stretto. L'essenziale è, anche per Origene, la nuova nascita nel battesimo. Nella trasformazione dell'anima nell'immagine del Logos inabitante sta il primo principio della nuova vita divina. 14 Per la descrizione dettagliata di questi concetti e delle loro motivazioni (da ricercarsi soprattutto in una posizione antignostica di Origene), cfr. il nostro articolo Taufe und geistliches Leben bei Origenes in Zeitschrift für Aszese und Mystik η (1932) 205ss.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
Nel battesimo comincia quindi l'inabitazione del neonato Logos nell'anima 15 . Qui per la prima volta emerge nella storia della vita interiore quella mistica domanda, che d'ora in avanti non verrà più cancellata : « Che giova a me se Cristo è nato dalla Vergine Santa, ma non nel mio intimo?»: ri γάρ μοι όφελος ει έπιδεδήμεκεν ό Λόγος τω κόσμω, εγώ δε οώτον ούκ ε χ ω ; 1 6 « Quid enim tibi prodest, si Christus quondam venit in carne, nisi ad tuam quoque animam venerit? Ore mus ut illius cotidie nobis adventus fiat et possimus dicere: vivo autem iam non ego, vivit vero in me Christus » 17 . In una commovente preghiera Origene ha una volta esclamato in una Omelia : « Omnipotens dominator Deus, praesta, ne umquam accidat nobis, 15 II suaccennato concetto di Ippolito (ciò che prima si verifica nella Chiesa, Sposa e Madre di Cristo, si verifica ugualmente nell'anima) è già interamente elaborato in Origine: esso è alla base della sua spiegazione del Cantico dei Cantici. ' Chiesa ' è, secondo lui, « coetus omnium sanctorum, quasi omnium una persona, congregata ex multis animabus ». Cfr. Comment, in Cant. ι (GCS Vili, p. 90, 5s e p. 153, 15). Perciò l'anima, a somiglianza della Chiesa, è ' Sposa di Cristo ' e genera a lui figli spirituali. L'idea della maternità spirituale della Chiesa, che s'esprime specialmente nel battesimo, può essere qui solo accennata in quanto si riferisce alla nascita delle singole membra del Corpo mistico di Cristo, benché, come abbiano già detto, essa sia in stretta relazione con la dottrina della nascita di Cristo. Cfr. Comment, in Cant., Pról. (GCS Vili, p. 74, 145s): la Chiesa è Sposa di Cristo « ut concipiat ex eo castam filiorum generationem, utpote concepii ex semine quidem Verbi Dei, editi vero genitique vel ab immaculata Ecclesia vel ab anima solo Verbi Dei amore flagrante ».
16 In Ieremiam homil. 9, 1 (GCS Origenes III, p. 64, 7s). Cfr. MEISTER ECKEHART (Pfeiffer, p. 3, 6ss): «Ez sprichet sanctus Augustinus, daz disiu geburt iemer geschehe. So si aber in mir nieht geschihet, waz hilfet mich daz ? Aber daz si in mir geschehe, dâ lit ez allez ah ». Altri testi su questo argomento in E. UNDERHILL, Mystik, Monaco
1928, p. 161. 17
In Lucam homil. 22, 1 (GCS Origenes IX, p. 144, ioss).
LA DOTTRINA NELL'ANTICA TEOLOGIA GRECA
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ut Jesus Christus, posteaquam surrexit a mortuis, rursus moriatur in nobis... quid mihi prode est, si in me et in meo corde non vivit et si in me opera vitae non perficit? » 18. Il concetto fondamentale di questa dottrina ascetica della grazia è dunque la discesa del Logos nel corpo della Vergine e la continuata ripetizione della nascita nel suo Corpo mistico 19. Nel battesimo le anime vengono rimodellate in ' immagine dell'immagine di Dio ' 20. L'anima assume le belle sembianze dell'eterno Logos 21. Fin dal battesimo essa reca in sé Γ ' immagine 18
In Uh. Iudic. homil. 2, 2 (GCS Origenes VII, p. 473, ióss). In Lucam homil. 12 (GCS IX, p. 84, 5ss) : « Audite pastores ecclesiarum, pastores Dei, quod semper angelus eius de coelo descendat et annutiet vobis quoniam natus est vobis hodie Salvator qui est Christus Dominus ». - Cfr. anche Homil. in Cant. 2, 4 (GCS VIII, p. 48, I5ss), dove si dice che la discesa di Gesù si ripete continuamente. 20 In Lucam homil. 8 (GCS IX, p. 56, 8ss) : « Si considerem Dominum Salvatorem imaginem esse invisibilis Dei et videam animam meam factam ad imaginem conditoris ut imago esset imaginis... unusquisque nostrum ad imaginem Christi formans animam suam... quando igitur grandem fecero imaginem imaginis, id est animam meam ... tunc imago Dei grandis efficitur et ipse Dominus, cuius imago est, in nostra anima magnificatur ». Cfr. De Oratione 22, 3 (GCS II, p. 348, 24ss): είκών/ ούν εικόνος οι άγιοι τυγχάνοντες, εικόνος οΰσης υίοϋ. Ivi (ρ. 349, 8s): μεμορφωμένος κατά τον μονογενή Λόγον. 21 Come nella dottrina della ' immagine dell'immagine ', così in quella del ' bel Logos ', ORIGENE riferisce solo quel che aveva già insegnato CLEMENTE ALESSANDRINO. La bella forma del Logos, impressa nell'anima, vien fatta risalire espressamente al battesimo, in cui ha inizio l'inabitazione del Logos. Così ORIGENE fa parlare l'anima : « Habeo tamen pulchritudinem meam mecum ; namque et in me est illud primum quod ad imaginem Dei in me factum est; et nunc accedens ad Verbum Dei recepì speciem meam ..., ' formosa ' sum, suscepi enim in me Filium Dei, recepì Verbum carnem factum, accedi ad eum, qui est imago Dei... et facta sum formosa ». Comment, in Cant. 2 (GCS Vili, p. 114, Qss). Che la bellezza del Logos promani dal battesimo è detto ancora espressamente a p. 155, 11. Cfr. anche 19
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dell' uomo celeste ', e per questa mirabile trasformazione diviene il tempio dell'inabitante Trinità divina 22. Dacché riposa nel più profondo e segreto ricettacolo del cuore 23, l'eterno Re passeggia nell'ampio spazio del cuore, per rivelare all'anima i misteri del suo adventus 24 . p. 141, 3 1 : το κ α τ ' ε ί κ ό ν α θ ε ο ΰ κ ά λ λ ο ς . Logos ed eterna bellez za: Comment, in Cant. (GCS Vili, p. 90, 18; p. 175, 9; p. 176, 13 ...). Anche Origene dimostra che su questa idea ha influito la speculazione ellenistica, come abbiamo già veduto in Clemente. Il Logos è bello in quanto è la Sapienza di Dio, e ' i sapienti sono belli ', come dicono anche i sapiente* saeculi (cfr. Comment, in Cant., GCS Vili, p. 233, 2ss). " Comment, in Cant., Prol. (GCS Vili, p. 67, 6): « Q u i portât imaginera caelestis secundum interiorem h o m i n e m ». - Per la conseguente inabitazione della Trinità, cfr. ivi (p. 69, 28ss) e Comment, in Cant. 2 (p. 165, 9ss). " Comment, in Cant. 2 (GCS Vili, p. 165, 2s): «Habet ergo rex iste, qui est Sermo Dei, in ea anima quae iam ad perfectum venerit, recubitum suum ». Egli riposa in coloro « qui tantam Verbo Dei cordis sui latitudinem praebent ut etiam in iis deambulare dicatur » {ivi, p. 164, 27SS). - Diamo qui intenzionalmente testi tratti dal C O M MENTARIO AL C A N T I C O DEI C A N T I C I , giacché in Origene si perfeziona, per influsso dell'antica psicologia, quel m o d o d'esprimersi che ha inciso poi profondamente nel linguaggio della mistica posteriore. Qui, nella psicologia ellenistica dell' ή γ ε μ ο ν ι κ ό ν , del principale cordis, del ' segreto fondamento del cuore ', i posteri hanno trovato gli esempi del tipico linguaggio mistico. Favorite dalla versione latina di R U F I N O , queste idee sono penetrate agevolmente nella mistica latina. Nella ' parte più intima dell'anima ' (cfr. ORIGENE, ivi, p. 139, 8: «cordis secreta»; ο ρ. 108, 25.30: «Christi arcanus et reconditus sensus »), la Chiesa, ο l'anima, abbraccia il Logos in essa inabitante: « Principale cordis, in quo Ecclesia Christum vel anima Verbum Dei desiderii sui vinculis alligatum tenet et adstrictum » (ivi, p. 170, 14s). 2t In Lucam homil. 21 (GCS IX, p. 141, ioss): « Intrinsecus via praeparanda est D o m i n o et in corde nostro rectae et aequales semitae componendae, haec est via per quam ingressus est Sermo Dei qui in h u m a n i cordis capacitate consistit. M a g n u m est cor hominis et spatiosum et capax, si tamen m u n d u m fuerit... ». Ivi, (p. 142, 6ss) : « Praepara viam D o m i n o ... ut absque offensa ulla deambulet in te Verbum Dei et donet tibi mysteriorum suorum adventusque noti-
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La teologia dell'inabitazione di Cristo nel cuore conduce nella medesima direzione che abbiamo potuto rilevare in Ippolito. È però tipicamente origeniano che questa grazia quiescente sia intesa qual principio immanente della vita che sempre urge: l'inabitante Logos vuol crescere, deve di giorno in giorno divenire più grande 25. Ciò porta immediatamente a concepire il progresso morale come una riproduzione dello sviluppo del Logos-bambino nel seno della Vergine: il suo
adventus nell'anima è un mistico concepimento e una nascita santa. Nel battesimo il Logos è accolto nel cuore del credente: il concepimento e la nascita si ripetono sempre incessantemente nel cuore, nel desiderio intenso degli effetti della grazia fino al vertice tiam ». - Cfr. anche Homi!, in Cani. 2, 3 (GCS Vili, p. 45, 27ss) : « Quis ita beatus est ut habeat hospitem in principali cordis, in medio uberum, in pectore suo, Sermonem Dei ? ». - In Lucam homil. 20 (GCS IX, p. 132, uss): «Si quis vestrum Dei Patris est, habet in medio sui Iesum». lui 15 (GCS IX, p. 103, 25SS): «Tu quoque si vis tenere Iesum et amplexari manibus... ducem habeas Spiritum veniasque ad templum Dei (ad Ecclesiam) ». - Comment, in Cant. 1 (GCS Vili, p. 102, 8s): «Trahit enim unaquaeque anima et absumit ad se Verbum Dei pro capacitatis et fidei suae mensura ». 25 In Lucam homil. 20 (GCS IX, p. 135, 21s): «In nobis est ut ad mensuram perveniamus aetatis corporis Christi ». — Con piacere Origene applica a ciò le parole di Lue 2,52 (« Iesus proficiebat »). Cfr. Comment, in Cant., Prol. (GCS VIII, p. 85, 14): «Propter nos et in nobis ipse dicitur proficere ». Così pure ivi, p. i n , 18 e p. 164, os. Cfr. W. VÖLKER, Das VoUkommenheitsideal des Origenes, Tubinga I93i> P- 99s, dove però i documenti che testimoniano per la nascita mistica del Logos nel cuore del credente sono molto radi. L'anima, in conseguenza dell'inabitazione del Logos, deve crescere ogni giorno, poiché è il Logos medesimo che vuol crescere. Comment, in Cant. 3 (GCS Vili, p. 193, ioss): « Animae ... quae cotidie innovantur ad imaginem eius qui creavit eas; quia enim per innovationem sui imaginera in se réparant Filii Dei». Ivi 4 (GCS Vili, p. 233, 22s): «Nec diceret (Verbum) eam speciosam nisi videret imaginem eius renovari de die in diem ».
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
della visione di Dio 26, in cui vedremo il Padre come ' figlio , modellato nel Figlio. Richiamandosi a un passo dell'Esodo, Origene dice : « Mulier praegnans dicitur anima quae nuper concepir Verbum Dei. De tali autem conceptione legimus et in alio loco scriptum (Is 26, 18): a timore tuo, Domine, in utero concepimus et peperimus... formatas infans potest videri Sermo Dei in corde eius animae, quae gratiam baptismi consecuta est vel quae evidentius et clarius verbum fidei concepit » 27. Anche in Origene, come in Ippolito, si esibisce la nascita del Logos nel cuore come ricezione della grazia nel battesimo, onde accedere alla visione di Dio : un accoglimento del verbum fidei. Come una volta fu Maria ad accogliere il Logos con la ' parola della fede ', così ora anche la Chiesa, e per suo tramite l'anima, deve divenire, a somiglianza di Maria, ' portatrice del Logos', deve partorire nel suo cuore il Logos: ciò che una volta si compì in Maria per opera dello Spirito Santo, deve ripetersi misticamente nel Corpo di Cristo 28. Così la Chiesa, come anche l'anima, in 26 Cfr. In loannem comment. I, 16 (GCS Origenes IV, p. 20, 15SS): τότε γαρ (= in cielo) μία πραξις εσται τών προς θεόν δια τον προς αυτόν Λόγον φ&ασαντων ή τοϋ κατανοεϊν τον &εόν, ίνα γένωνται οΰτως εν τή γνώσει τοϋ πατρός μορφωθ-έντες πάντες ακριβώς Υιός, ώς νϋν μόνος ό υιός εγνωκέ τόν πατέρα. Un identico concetto, che riecheggia del resto quello di IPPOLITO, cfr. in Comment, in Cant. 3 (GCS Vili, p. 215, iss): « Solus namque Christus est qui vidit vel agnoscit Patrem ». Ma in Christo revelante possono vederlo anche i puri, i battezzati. 27 In Exod. homil. io, 3 (GCS Origenes VI, p. 248, oss; p. 205,
2iss). 28 Homil. in Cant. 2, 6 (GCS Vili, p. 51, 5ss): « Nativitas Christi ab umbra sumpsit exordium. Non solum autem in Maria ab umbra eius nativitas coepit, sed et in te, si dignus fueris, nascitur Sermo Dei». -
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questa spirituale generazione diviene Madre di Cristo : Dio ' apre il seno materno ' della Chiesa e dell'anima ad una misteriosa nuova generazione 2 9 . Si ha la chiara impressione che Origene n o n ha bisogno di tante giustificazioni per questa dottrina, alla quale i suoi uditori erano evidentemente avvezzi. Essa è basata sul doppio senso di λόγος : la parola della fede giunge nei cuori degli ascoltatori (qui è palese l'influsso della menzionata psicologia antica), nei quali si trasforma nel λ ό γ ο ς : con la parola Cristo entra nel cuore per lasciarsi in esso modellare. È tipico in questa dottrina il ricorso ai due testi di Is 26,18 e Gal 4,19, che d'ora in avanti compariranno sempre insieme nella storia di questa idea 3 0 . Tali concetti sono raccolti insieme da Origene in uno dei passi più belli delle sue prediche, dov'egli parla del compito del sacerdote di ' seminare la parola di Dio ' nei fedeli 3 1 : « Qui
L'idea del concepimento ' mediante l'audizione della fede ' è importante per la comprensione dell'evoluzione dottrinale sulla quale stiamo indagando. In Agostino è proprio il fondamento della dottrina della nascita di Dio. Che Maria abbia concepito nell'ascolto (concezione attraverso l'orecchio), è una tesi cara soprattutto alla teologia siriaca, quindi evidentemente molto antica e da spiegarsi, secondo noi, solo in rapporto all'equivalenza fra ' dire ' e ' generare '. Cfr. F. J. DOLGEE, Ichthys, v. I, Münster 1928, p. 94s. 29 Selecta in Genesim (Lommatzsch Vili, p. 79; PG 12, 124 C): ανοίγει μήτραν έπί άγιων γεννήσει, κατά δε τον πνευματικόν νόμον ψυχής ανοίγει μήτραν, ϊνα γέννηση θεοϋ Λόγον ή έσομένη αύτοϋ μήτηρ. 30 Cfr. in Gen. homü, 12, 3 (GCS Origenes VI, p. 109, 8ss); In Num. homi!, 20, 2 (GCS VII, p. 188, 9ss); Comment, in Gant. 3 (GCS VIII, p. 213, 3ss); In Exod. homil. 10, 3 (GCS VI, p. 248, 9ss). Più tardi soprattutto in Metodio e Ambrogio e per loro tramite nella mistica medievale - un esempio classico per il perdurare storico-spirituale d'un'esegesi della Scuola alessandrina, assolutamente inconciliabile col senso letterale di Is 26,18. 31 In Lev. homil. 12, 7 (GCS VI, p. 466, 17SS).
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI
PADRI
autem sunt qui seminant? Qui verbum Dei in Ecclesia proférant... ipsis committant secreta mysteria, ipsis verbum Dei et arcana fidei proloquantur, ut in ipsis Christus formetur per fidem. Aut nescis quia ex isto semine verbi Dei, quod seminatur, Christus nascitur in corde auditorum? Hoc enim et Apostolus dicit: donec formetur Christus in vobis. Concipit ergo anima hoc verbi semine et conceptum format in se Verbum, donec pariât spiritum timoris Dei. Sic enim per prophetam dicunt animae sanctorum: a timore tuo, Domine, concepimus in utero et parturivimus et peperimus; spiritum salutis tuae fecimus super terram. Iste est sanctarum animarum partus, iste conceptus, ista sunt sancta coniugia, quae conveniunt et apta sunt magno pontifici Christo Jesu Domino nostro cui gloria et Imperium in saecula saeculorum ». È altamente significativo che il pastore d'anime Origene richiami sempre l'attenzione su questo fatto: che anche la meravigliosa nascita del Logos nel cuore non offrirebbe al credente nessun vantaggio, se non si ripetesse continuamente nel progresso morale. Origene prepara così chiaramente quel passaggio dalla generazione del Logos nel battesimo e nella fede alla generazione di Cristo nelle buone opere, che ha un sì profondo significato per la mistica posteriore. Se il Logosbambino - così pensa Origene - non cresce, ne consegue un aborto32. Il semen divinum nell'anima deve 32 Comment, in Matth., Ser. 43 (GCS Origenes X, p. 86s): « Quoniam sunt et aliquae animae concipientes generationes, manifestavit propheta dicens (Is 26,18): sicut enim in praegnantibus formatur et fìguratur semen, sic et in anima, quae suscipit Verbum, paulatim formatur et fìguratur conceptio Verbi in ea. Et hoc puto dicere Paulum ad Galatas (4,IS>)> quod simile est tamquam si dicat: donec formetur
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essere protetto da una vita senza peccato, Cristo deve crescere sempre più nel cuore 33 . La nascita di Dio, che ogni giorno assume una forma nuova, si manifesta soprattutto nella preghiera: qui s'avvera la profezia di Isaia sul concepimento per opera dello Spirito Santo 34 . Ma anche le altre opere et manifestetur Verbum in vobis. In epistola ad T i m o t h e u m dicit item salvadam mulierem per filiorum generationem ... quae est autem haec mulier nisi anima quae Verbum concipit Dei et veritatis et parit opera bona similia Christo ? ». Segue una più lunga spiegazione di come l'anima può nuovamente perdere il Logos per un aborto. Cfr. anche In Ex. homil. i o , 4 (GCS VI, p. 250, 23SS); Selecta in Psalmos (PG 12, 1357 C). 33 La più recente e tanto feconda idea del seinen divinum in nobis è ugualmente ben fondata in Origene. Cfr. In Ex. homil. 8, 6 (GCS VI, p. 231, 5ss): il seme divino rimane in noi « c u m Verbum Dei servantes in nobis non peccamus ». Ciò viene poi riferito alle opere cristiformi nel nostro cuore: In Gen. homil. 1, 4 (GCS VI, p. 6, 15). Per la crescita di Cristo nell'intimo del cuore, cfr. in lerem, homil. 14, io (GCS III, p. 114, i6ss); in Lev. homil. 12, 2 (GCS VI, p. 456s). Cfr. soprattutto il passo, importante per la dottrina di ECKEHART, di Selecta in Psalmos, homil. 4 sul Salmo 36 (PG 12, 1357 B), dove O r i gene riunisce insieme i due concetti del semen divinum e della generazione del cuore : « T u m deinde ingressus sermo Dei in animas vestras et haerens in corde vestro formaret mentes vestras secundum speciem Verbi ipsius ... et per hoc ipse Christus formaretur in vobis, tunc vere efficeremini semen iusti ». 34 De oratìone 13, 3 (GCS Origenes II, p. 327, 8s): ( ψ υ χ α ί ) ά π ο τοϋ αγίου Π ν ε ύ μ α τ ο ς δια επιμόνου ευχής κυήσασαι. Me diante la preghiera e la fecondazione dello Spirito Santo l'anima di venta ' madre ', n o n rimane infeconda: ivi, p. 328, 13s: μή έ γ ε ν νέσ-θ-αι ά γ ο ν ο ν ή σ τ ε ϊ ρ α ν τ ή ν ψ υ χ ή ν . - Questo ' portare lo Spirito ' da parte dell'anima ha lo stesso significato di ' portare Cristo '. Cfr. F. J. DÖLGER, Christqforos als Ehrentitel in Antike und Christentum 4 ( x 933) 76· - Già in ERMA, Mand. 11, 6 (Funk I, p. 508, 26) Cristo è detto π ν ε υ μ α τ ο φ ό ρ ο ς . Cfr. anche IRENEO, Adv. haer. 4, 20, 6 (Harvey II, p. 217) : « Videbitur Deus ab hominibus qui portant Spir i t u m eius et semper adventum eius sustinent ». È significativo il racconto di EUSEBIO: il padre del piccolo Origene baciava spesso il petto del figlio dormiente, nel quale vedeva un santuario del divino Spirito: Cfr. Hist. eccl. 6, 2, 11 (Schwartz, p. 522, ioss): έ π ι σ τ ά ν τ α
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buone sono trasformate in opere dell'inabitante Logos 3 5 . Perciò si ripete in esse ogni giorno la nascita eterna del Logos dal Padre, in quanto per le opere buone che derivano dalla grazia battesimale la nostra ' filiazione ' si rinnova continuamente. Questo è il senso delle parole che Origine ha scritto nella conclusione della sua nona Omelia sul libro di Geremia, e che hanno avuto una eco straordinaria nella mistica tedesca 3 6 . Egli dice che il battezzato peccando ritorna al suo ' primo padre ', il diavolo, perché, come dice Giovanni, chi pecca sempre è figlio del diavolo. E prosegue 3 7 : « Beato colui che sempre è generato da δέ ήδη πολλάκις καθεύδοντι τω παιδί γυμνώσαι μέν αύτοΰ τα στέρνα φασίν, ώσπερ δε θείου πνεύματος ένδον έν αύτοϊς αφιερωμένου φιλήσαι τε σεβάσμιος. Anche Origene preferisce vedere nel profeta un ' generante ' in virtù dello Spinto Santo: cfr. In Ezech. homil. 4, 5 (GCS Origenes VI, p. 366, I7ss); Select, in Ezech. 14, 20 (Lommatzsch XIV, p. 216). Non si deve in nessun modo supporre in questa teoria di Origene sulla preghiera, che pure, come vedremo, ebbe grande influenza, un influsso dell'incipiente neoplatonismo, benché PLOTINO abbia una volta adoperato una locuzione simile, dicendo che l'anima a contatto con l'altra vita « diventa gravida se vien fecondata da Dio » : Ennead. VI, 9, 9 par. 63. 35 De oratione 22, 3 (GCS II, p. 348, i8s): (τα έργα) ύπο τοϋ μονογενούς Λόγου μεμορφωμένα κατ'αύτόν. La trasforma zione avviene nel cuore, poiché il cuore è la fonte e il principio di tutte le opere buone, in perfetta consonanza con l'antica psicologia: ivi (p. 348, 15): ή καρδία ή των καλών έργων π η γ ή και αρχή. 38 È un'espressione di Origene (cfr. appresso, p. 135), prediletta da ECKEHART. Solo ora noi possiamo valutare questa dottrina di Origene nel quadro di tutta la sua teologia sulla nascita di Dio. Origene non intende qui in nessun modo negare la nascita avvenuta una volta nel battesimo, ma solo ribadire che questa nascita deve attuarsi sempre di nuovo in una vita morale. Ed è assai significativo pure il passaggio dalla nascita eterna del Figlio alla nascita del giusto. 37 In lerem, homil. 9, 4 (GCS III, p. 70, uss): μακάριος ό άεί γεννώμενος ύπο τοϋ θεοϋ, ού γαρ άπαξ έρώ τον δίκαιον γεγεννήσθαι ύπο τοϋ θεοΰ, αλλ άεί γεννάσθαι κ α θ ' έκάστην
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Dio. N o n una volta sola, dico, il giusto vien generato da Dio, ma viene generato in ogni opera buona, poiché in siffatta opera Dio genera il giusto ... Or se il Redentore viene generato continuamente, e può perciò esclamare : ' Egli mi genera prima di tutti i monti ' 38 (non: ' m i ha generato prima di tutti ι m o n t i ' , m a : ' mi genera prima di tutti i monti '), se dunque in ogni tempo il Redentore è generato dal Padre, Dio genera in lui anche te, purché tu conservi sempre lo spirito della figliolanza, in ogni opera buona, in ogni buon pensiero; e in virtù di questa generazione tu sei un ' sempre generato ' figlio di Dio in Cristo Gesù ». Nell'esame critico della dottrina di Origene, che tanto influsso ha avuto sulla storia di queste idee, si deve ricordare che essa, non ostante il moralismo, è costruita sulla base dell'antica dottrina cristiana della grazia e della conversione (che si compie realmente nel battesimo) dell'anima nella forma del Logos e della conseguente associazione al Corpo mistico di Cristo. Il rilievo è di notevole importanza anche per la comprensione della dottrina di M E T O D I O DA FILIPPI, alla quale ora ci rivolgiamo, che ancor più di Origene ha conservato il realismo della grazia, che fu caratteristico di Ireneo e di Ippolito e perciò della tradizione dell'Asia minore. Ma la preghiera battesimale delπραξιν άγαθήν, έν η γενν$ τον δίκαιον ό θ ε ό ς . . . (n. 2iss): ει oSv ό σωτήρ άεί γεννάται και δια τοϋτο λέγει προ δε πάντων βουνών γεννά με (ουχί δέ· προ δέ πάντων βουνών γεγεννηκέν με, άλλα- προ πάντων βουνών γενν^ με) καί αεί γεννάται ό σωτήρ ύπο τοϋ πατρός, οΰτως καί σύ έάν εχης το της υιοθεσίας πνεύμα, άεί γεννά σε έν αύτώ ό θεός κ α θ ' έκαστον έργον, κ α θ ' εκαστον διανόημα, καί γεννώμε νος ούτως γίνη άεί γεννώμενος υιός θεοϋ έν Χριστώ Ίησοϋ. 38
Prov.
8,25.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
YEuchologium di SERAPIONE DI THMUIS può probabil-
mente dimostrare che anche in Egitto la conversione dell' anuria nella forma del Logos era un concetto fondamentale della dottrina della grazia 3 9 : μόρφωσον πάντας τους άναγεννωμένους τήν θ-είαν κκί άρρητον σου μορφήν. Proprio perché Metodio è l'erede del realismo mistico di Ireneo 40 (ed anche di Ippolito), la sua teoria, così chiaramente formulata, sulla generazione di Dio perpetuantesi e rinnovantesi ogni giorno nella vita morale, manifesta il profondo influsso di Origene. Infatti, nello sviluppo di questo concetto teologico permane, dopo Origene, l'idea che l'avvenuta generazione del Logos attraverso la grazia battesimale va inscindibilmente congiunta con la quotidiana rigenerazione, col formarsi del Logos nel cuore sino all'elevazione mistica, dove più tardi Eckehart vedrà attuarsi la generazione di Dio in m o d o perfetto. L'aspetto morale della dottrina della nascita di Dio ha assunto anche in Metodio una forma classica. Come il ' ben vivere ' è veramente un perpetuarsi della generazione eterna del Logos dal Padre e di quella temporale dalla Santa Vergine, così ogni peccato è un frustrare questa santa nascita. Il concetto mistico del ' che giova a me ', che già Origene aveva contrapposto ad ogni libertinismo gnostico-volgare della grazia, ritorna espressamente in Metodio 4 1 . È una ' mezza ipocrisia ', 38 SERAPIONE, Euchologium 19 (Funk, Patres Apost. II, p. 182). Cfr. F. J. DÖLGER, Ichthys I, 2, p. 98s. 40 Cfr. Ν. BomvETSCH, Die Theologie des Methodius, Berlino 1903, p. 140SS. 41 Che Metodio si sia occupato della dottrina degli gnostici ap pare da Sytnpos. 8, 10 (GCS, p. 93, 5ss).
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egli dice, credere fedelmente nella nascita del Logos dalla Santa Vergine e nello stesso tempo impedire col peccato la medesima nascita nel c u o r e 4 2 : « N o n è esatto proclamare l'incarnazione del Figlio di Dio nella Santa Vergine, se non si confessa che egli viene anche nella Chiesa come nel suo Corpo. Ciascuno di noi deve ammettere non solo la sua parusia nel corpo santo generato dalla Vergine Immacolata, ma anche un'identica parusia nello spirito di ognuno di noi ». Bisogna dunque, aggiunge, plasmare la propria vita secondo questa fede, con le buone opere, poiché la nostra carne a motivo dell'inabitazione di Dio non è più ' carne ', ma dimora di Dio, innestata con Cristo sull'albero della vita. Tutto considerato, quindi, la virtù è sempre un modellarsi di Cristo nel cuore di colui che fa parte della Chiesa. Chiesa e anima formano essenzialmente un tutt'uno in virtù dell'inabitazione di Cristo. Questo formarsi del Logos ha però il senso specifico di μορφοϋσ&οα. Appunto in Metodio appare chiaramente che il testo di Paolo Gal 4,19 va acquistando per questa dottrina della grazia un significato sempre più pregnante : « In verità - dice Metodio altrove 43 - è assai difficile trovare qualcuno che sia modellato sul Figlio di Dio con pazienza, coraggio, amore, e con tutte le altre virtù ... con lo Spirito che è in cielo e si nutre di santi pensieri». Il μεμορφωμένος dei testi principali greci traspare sufficientemente nitido anche in questo testo, che ci è stato trasmesso soltanto in lingua slava. Nel suo processo formativo l'anima ritorna a quella bellezza che il bel Logos le aveva donato nella crea42
De sanguisuga 8, 2.3 (GCS, p. 486, 19SS). « De lepra i8, 4 (GCS, p. 474, 5-11).
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zione dell'uomo e che ora le restituisce nella redenzione. Qui pure ritroviamo i concetti tipicamente origeniani della bellezza della Sapienza eterna del Logos giovanile 44 : « Se ognuno di noi di giorno in giorno si rinnova ... diventa vergine e perviene, tramite la Sapienza, alla sua bellezza originaria; adorno, come d'auree catene, di amore, fede, pazienza, purezza, dopo essere stato purificato s'unisce a Cristo. Perciò ' le vergini ti amano ', e lui, come si legge nel Cantico dei Cantici, ama le vergini, le anime giovani e, nello Spirito, pure ». Metodio parla già in perfetta consonanza con le espressioni del Symposion, di cui subito ci occuperemo. Le ' anime giovani ' sono precisamente quelle divenute giovani nella partecipazione al giovane Logos, al Logosbambino, che vien generato nel cuore. Infatti questo intimo processo di trasformazione non è che una riproduzione dell'origine eterna del Logos dal cuore del Padre. Ancora nel medesimo senso dell'antica psicologia, della quale abbiamo parlato all'inizio, ogni conoscenza religiosa, come ogni bontà, è una generazione dei λόγοι dal cuore e attraverso quest'intima genera zione vien plasmato nel cuore il Logos-Cristo. Così scrive espressamente Metodio nell'introduzione alla sua opera De sanguisuga 45 : « Fiducioso nel Signore che ha il potere di generare in me il Verbo, io mi reco al lavoro, ed oso dire: ' dal mio cuore è sgorgata una buona parola '. Benché il profeta abbia detto questo del Padre " Ivi, 15, 6-7 (GCS, p. 470, 16-21). 45 De sanguisuga 1, 4-6 (GCS, p. 478, 6ss). Anche il passo di Is 26,18, già conosciuto da Origene, è qui citato con chiara allusione a Gal 4,19.
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e del Figlio, tuttavia lo Spirito Santo produce anche in quanti sono degni e puri una parola buona e pensieri divini. Perciò, ο anima ... trasformati in Cristo, che è in te, affinché anche tu possa esclamare: ' dal mio cuore è sgorgata una buona parola '». Abbiamo visto che anche secondo Metodio la Chiesa è anzitutto la madre del Logos : Cristo viene ' nella Chiesa come nel suo Corpo '. Questo avviene effettivamente in quanto la ' parusia di Cristo nello spirito di ciascuno di noi ' si ripete di continuo. Ciò che ha condotto Metodio alla spiegazione più profonda della nascita di Dio nel cuore del credente è la questione del rapporto fra la Chiesa e l'anima singola. L'ottavo sermone del Symposion spiega la visione apocalittica della donna che partorisce il figlio maschio 46. Nel medesimo senso di Ippolito, la Chiesa è qui presentata come la Madre dei rigenerati dal battesimo, la Genitrice dei Pneumatici, assimilati a Cristo nella trasformazione del battesimo e così riuniti in una mistica unità : « La Chiesa accoglie di continuo quelli che si salvano nel Logos, fa di essi l'immagine e la forma di Cristo » 47 . Metodio affronta volutamente 46 Apoc 12,2-5: έν γ α σ τ ρ ί έ χ ο υ σ α . . . κ α ΐ ε τ ε κ ε ν uiòv άρσεν. Symposion 8, 4ss (GCS, p. 85, 23SS). La speculazione sulla Chiesa ' Vergine ', la genitrice che sta sulla luna, porta a problemi ecclesiologici della Chiesa primitiva, che verranno presentati in una successiva questione sulla Chiesa qual Vergine sulla luna. Tali questioni sono assai importanti anche per lo sviluppo dottrinale della teoria della nascita di Dio. 47 Symposion 8, 6 (GCS, p. 88, ioss): (ή ε κ κ λ η σ ί α ) ώ δ ί ν ο υ σ α κ α ι ά ν α γ ε ν ν ώ σ α τ ο υ ς ψ υ χ ι κ ο ύ ς εις π ν ε υ μ α τ ι κ ο ύ ς , καθ-' δ ν λ ό γ ο ν κ α ί μ ή τ η ρ ε σ τ ί ν ... κ α ι τ ο υ ς π ρ ο σ φ ε ύ γ ο ν τ α ς τ ω Λ ό γ ω φ ή σ ε ι ε ν α ν τ ι ς σ υ λ λ α β ο ϋ σ α ν άεί τ η ν έ κ κ λ η σ ί α ν κ α ί τ η ν κ α θ ' όμοιωσιν ίδέαν αυτούς καί μόρφωσιν μορφοϋσται τοϋ Χρίστου.
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l'obiezione secondo la quale la visione dell'Apocalisse si riferisce alla nascita del Gesù storico dalla Vergine santa 48 . La partoriente è piuttosto la Chiesa, la Madre del Cristo mistico; e il figlio maschio che essa genera è 1 unico Corpo mistico di Cristo : « Io sono del parere che si dovrebbe dire: ' la Chiesa genera il bambino ', giacché i battezzati ricevono i connotati, la natura e il carattere umano di Cristo, e la forma stessa del Logos viene in essi impressa e generata attraverso la Pistis e la Gnosis perfetta, sì che in ognuno vien generato spiritualmente Cristo. La Chiesa è perciò gravida e in doglie finché Cristo non viene formato e generato in noi, ed ognuno dei Santi, aderendo a Cristo, viene generato come Cristo » 4 9 . In questa esegesi la teologia realistica dell'Asia m i nore, rappresentata da Ireneo e Ippolito, si concilia con quella più spiritualistica di Origene. Ciò è importante per il posto occupato da Metodio nella storia di « Symp. 8, η (GCS, p. 89s). 49 Symp. 7, 8 (GCS, p. 90, 6-14): έ γ ώ γ α ρ τον αρσενα τ α ύ τ η γεννάν είρήσθαι ν ο μ ί ζ ω την εκκλησία^, ε π ε ι δ ή τους χ α ρ α κ τήρας και τήν έκτύπωσιν καί τήν άρρενωπίαν είλικρινώς του Χρίστου προσλαμβ'άνουσιν οι φωτιζόμενοι, τ ή ς κ α θ ' όμοίωσιν μορφής έν αύτοϊς έκτυπουμένης του Λ ό γ ο υ και έν αΰτοΐς γεν νώμενης κατά τήν ακριβή γνώσιν καί πίστιν, ώστε έν έκάστω γ ε ν ν δ σ θ α ι τον Χ ρ ι σ τ ο ν ν ο η τ ώ ς . κ α ι δ ι α τ ο ΰ τ ο ή ε κ κ λ η σ ί α σ π α ρ γ χ καί ώδίνει, μέχριπερ αν ό Χριστός έν ή μ ϊ ν μ ο ρ φ ω θ ή γεννηθείς; ό π ω ς έκαστος τ ω ν ά γ ι ω ν τ φ μετέχειν Χρίστου Χ ρ ι σ τ ό ς γ ε ν ν η θ ή . Α. HAENACK a proposito di questo testo scrive (Dogmengeschichte, 1, 4, p. 788) che la speculazione di Metodio n o n è altro che « la punta avanzata del realismo ecclesiale verso il soggettivismo della mistica monacale ». Ciò è però inesatto, secondo quanto abbiamo finora detto sulla storia di questa idea. N o n solo in O r i gene, infatti, ma perfino in Ippolito, rappresentante del realismo ecclesiale, abbiamo potuto riconoscere lo stretto rapporto di questa dottrina con la morale e della Chiesa con l'anima. - Cfr. anche FR. LOOFS, Dogmengeschichte, Halle 1906, p. 228s.
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queste idee, poiché proprio da Metodio la linea spiritualistica s'è estesa formalmente ai grandi padri della Chiesa greca ed anche alla teologia occidentale, come diremo appresso. È già perfettamente chiaro che il fondamento della nascita di Dio è la realtà della nascita del Logos nella grazia battesimale. Questa grazia diviene feconda ' nella perfetta pistis e gnosis ', nella quotidianamente nuova conformazione e nascita dell'anima. ' Generare ', in questa teologia ancora una volta comprensibile solo attraverso l'antica psicologia, significa ' testimoniare ', conoscere, accogliere il Logos nella fede e nell'intelligenza. Così si spiega l'esegesi antignostica, che Metodio dà della variante, conosciuta anche da Clemente e Origene 5 0 , di Le 3,22, che così riferisce le parole pronunziate dal Padre durante il battesimo di Gesù: έ γ ώ σήμερον γεγέννηκα σε 5 1 . Ciò non significa, secondo Metodio, che Gesù è divenuto Figlio di Dio nel battesimo (come insegnava la gnosi), ma va tradotto : « Finora tu sei stato in cielo, prima di tutti 50
CLEMENTE, Paidagogos 1, 6, 25 (GCS I, p. 105, 6). - ORIGENE,
In Ioan. comment. 1, 29 (GCS Origenes IV, p. 37, 7). - Ma già in GIUSTINO troviamo questa variante: Dial. cum Tryphone 88 (Otto II, p. 324s). Essa era assai diffusa specialmente in Occidente e in una serie di manoscritti, soprattutto D. Cfr. nota 52. 51 Sai 2,7. - Il testo odierno di Lue 3,22 dice: σύ εϊ ό υιός μου ό αγαπητός έν σοι ευδόκησα (cfr. Mat 3, 17)· Π problema esegetico sulla lezione da preferirsi rimane qui insoluto. Tuttavia la citazione delle parole del Salmo 2,7, che come è noto hanno avuto un significato specifico nella cristologia più antica (cfr. At 13,33; Ebr 1,5; 5,5), ha prodotto riguardo al battesimo una vera storia d'idee, una speculazione antignostica sul significato del battesimo di Cristo, importante anche per la nostra questione. - Per la teologia patristica e gnostica intorno al battesimo di Gesù, cfr. A. ORBE, La Unciòn del Verbo (Estudios Valentinianos, 3), Roma 1961.
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i tempi; ora però ho voluto generarti anche per il mondo, cioè, ovviamente, (ho voluto) far conoscere chi non era ancora conosciuto » 52 . Perciò, come il battesimo fu per Cristo in un certo senso ' l'inizio ' della nascita, così ora per il Corpo mistico di Cristo il battesimo è l'inizio della nascita di Dio. Ma solo l'inizio. Questa nascita battesimale deve poi perpetuarsi in una sempre più ampia conoscenza della verità divina. Qui appare in tutta la sua evidenza il rapporto (assai importante per l'ulteriore sviluppo della dottrina) fra la nascita battesimale, che avviene una volta sola, e quella nascita del Logos che si compie ogni giorno. 52 Symp. 8, 9 (GCS, p. 91, I2ss): το δε , , έ γ ώ σήμερον γ ε γ έ ν ν η κ ά σ ε " ότι π ρ ο ό ν τ α ή δ η προ τ ώ ν α ι ώ ν ω ν , λ έ γ ε ι , έ ν τ ο ι ς ούρανοϊς, έ β ο υ λ ή θ η ν κ α ι τω κ ό σ μ ω γεννήσαι, δ δή έστι π ρ ό σ θ ε ν ά γ ν ο ο ύ μ ε ν ο ν γ ν ω ρ ί σ α ι . La giustapposizione γ ε ν ν ή σ α ι = γ ν ω ρ ί σ α ι è fondamentale per la teologia antignostica del battesimo di Cristo, comprensibile, del resto, solo alla luce della suaccennata psicologia antica, in cui l'esser pensato equivale a un cottemi, ossia ad un esser concepito e generato. E ciò fin da GIUSTINO, dagli inizi della speculazione cristologica articolata sul testo del Salmo 2,7 riferito al battesimo di Gesù; questo era interpretato come ' nascita ' nel senso che Cristo ' vien generato per il m o n d o ', viene manifestato. Nascita equivale qui ad una ε π ι φ ά ν ε ι α . Cfr. GIUSTINO, Dial. 88, 24 (Otto II, p. 234s) : τ ό τ ε γ έ ν ε σ ι ν α ύ τ ο ϋ λ έ γ ω ν γ ί ν ε σ θ α ι τ ο ι ς άν-8-ρώποις έ ξ δ τ ο υ ή γ υ ώ σ ι ς α ύ τ ο ϋ έ μ ε λ λ ε γ ί ν ε σ θ α ι . L'eco di questa interpretazione della nascita come epifania è più vistosa nella teologia latina: nascita è qui la demonstratio della filiazione divina di Cristo. Cfr. LATTANZIO, Inst. diu. 4, 15, 2 (CSEL 19, p. 329, I2s) : « De secunda nativitate qua se homimbus in carne monstravit ». ILARIO, In Psalm, comm. 2, 29 (CSEL 22, p. 59, 8ss) : « Natus autem rursum ex baptismo et t u m Dei filius ut et in ipsum et in aliud nasceretur ». De Trin. 8, 25 (PL 10, 254 Β) : « Sed omnis haec fidei nostrae fuit demonstratio ». In Matth. comm. 2, 6 (PL 9, 927 Β) : « Fi lius Dei auditu conspectuque monstratur ». AMBROSIASTER, Quaestiones Novi Testamenti 54 (PL 35, 2252): « Demonstratur t a n t u m m o do».
LA DOTTRINA NELL'ANTICA TEOLOGIA GRECA
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Queste avrebbero potuto essere parole di Eckehart 5 3 : « E chiaro : chi tra gli uomini non ha percepito ancora la sapienza di Dio, adorna d'ogni splendore, in costui Cristo non è ancor nato, ossia non si è ancora rivelato, non ancora manifestato, non ancora apparso. Ma se a costoro s'apre il mistero della grazia, se si convertono alla fede, allora anche per essi Cristo vien generato nel pensiero e nell'intimo. Ben a proposito quindi si dice che la Chiesa forma e genera sempre nei battezzandi il Logos virile ». Metodio, che raccoglie nella sua dottrina il meglio della teologia della Chiesa primitiva dell'Asia minore e l'eredità di Origene, ha esercitato un influsso determinante su GREGORIO DI NISSA e MASSIMO CONFESSORE.
E dunque in questa direzione che proseguiremo la nostra indagine storica. Metodio (e con lui Ippolito) ha influito però anche sull'esegesi della visione dell'Apocalisse che è diventata comune soprattutto ad opera di TICONIO (diremo appresso quant'essa sia importante per la dottrina medievale della nascita di Dio). L'espressione con la quale Metodio conclude l'ottavo sermone del Symposion traccia le linee direttive per la
53 Symp. 8, 9 (GCS, p. 91, 14-21): άμέλει τοις μ η δ έ π ω τ ω ν άν-9-ρώπων συνησθημένοις την πολυποίκιλον σοφίαν τοϋ θεοϋ δ Χριστός ούδέπω γεγέννηται, όπερ εστίν ούδέπω έγνώσθη, ούδέπω πεφανέρωται, ούδέπω έφάνη. ει δέ αϊσθ-οιντο και οδτοι της χάριτος τα μυστήριον, τότε δή κα'ι αύτοϊς, οπότε επέστρεψαν και έπίστευσαν, κατά τ η ; γνώσιν καί την σύνεσιν γεννάται, διό καί προσηκόντως έντεϋθεν ή εκκλησία τον άρσενα Λόγον έν τοΐς άγνιζομένοις άεί μορφοϋν λέγεται καί γενναν.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
futura teologia della nascita di Dio 54 : « La Genitrice che genera il Logos virile nei cuori dei credenti e, come abbiamo detto, la nostra Madre, la Chiesa».
64 Symp. 8, n (p. 93, gss): ή δε γεννήσασα και γεννώσα τον άρρηνωπον έν ταΐς καρδίαις των πιστευόντων Λόγον ... ή μήτηρ ημών έστιν ... ή εκκλησία. Come in Origene, così in Metodio la teologia della nascita del Logos ritorna a questo concetto: le anime perfette, nelle quali il Logos s'è interamente formato, diventano ' Chiesa ', capaci di trasmettere la vita del Logos anche ad altre anime. Le singole anime sono anche qui immagini della ' portatrice del Logos ', della Chiesa. Cfr. Symp. 3, 8 (GCS, p. 37, 13SS): « Divenute Chiesa, esse cooperano ora alla generazione ed educazione di altri figli, poiché nel seno della loro anima, come in un seno materno, formano la volontà del Logos ».
3· L A D O T T R I N A NELLA D O M M A T I C A E MISTICA G R E C A CLASSICA
La dottrina della nascita di Dio, così tipica nella teologia della grazia della Chiesa primitiva, ha avuto in Metodio la sua forma quasi definitiva. Ippolito e Origene s'incontrano e si perpetuano in lui. Fin dal quarto secolo la cristologia, e con essa la dottrina della grazia, percorre nuove vie, e la teoria della nascita di Dio passa sullo sfondo. Solo nella dommatica di CIRILLO ALESSANDRINO, che già aderisce consapevol-
mente al realismo dei Padri preniceni, essa ha ritrovato un senso classico. La teoria della nascita di Cristo nel cuore dei credenti ritorna da questo momento nel suo campo specifico, ossia nella teologia mistica, alla quale è formalmente legata in virtù di tutta la sua struttura, come abbiamo già potuto costatare nell'esposizione delle sue origini. Nessun'altra tesi della dottrina della grazia della Chiesa primitiva è altrettanto adatta ad esprimere la realtà della grazia sperimentata dai mistici nel ' segreto del cuore '. N o i dobbiamo quindi studiare la storia di questa teologia del cuore in due direzioni: in quella dommatica, che va attraverso i Cappadoci fino a Cirillo Alessan-
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L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
drino, e in quella mistica in cui GREGORIO NISSENO, fedele discepolo di Metodio, è il teologo più rappresentativo. Sarà soprattutto questa teologia mistica della nascita di Dio a influire, da Gregorio e per il tramite di Massimo Confessore, sul mondo occidentale, fino al Maestro Eckehart. È fondamentale per la dommatica della nascita di Dio, specialmente nei Padri cappadoci, la teoria da essi attentamente elaborata dell'immagine di Dio impressa originariamente e poi di nuovo, per merito di Cristo Verbo incarnato, nell'uomo \ Come già abbiamo rilevato, c'è ancora, e precisamente in questi Padri, la speculazione psicologica sulla Trinità, assunta dalla filosofia ellenistica, in cui la nascita dei λόγοι dal cuore è considerata come immagine della processione eterna del Logos dal Padre 2 . In questa dommatica è del tutto naturale (e ciò fu solo facilitato dalla dottrina della nascita del Logos nel cuore, già nota all'antica tradizione) l'interpretazione del principio della somiglianza col Logos, concessa nuovamente nel battesimo, come nascita di Cristo nel cuore e trasformazione del cuore in Cristo attraverso la grazia. Tuttavia non si deve negare che la dommatica di questi Padri, in stretta coerenza con la teologia paolina, non parla tanto d'una vera nascita di Cristo nel cuore, quanto d'una μόρφωσες, ossia d'un processo di formazione che non tiene in 1 Cfr. specialmente gli scritti sullo stato originale dell'uomo: BASILIO, Oratio 1.2 (PG 30, ioss. 37ss): περί της τοϋ άνθρωπου κατασκευής ; GREGORIO NISSENO (PG 44, 125SS) : περί κατασκευής άνδ-ρώπου; PSEUDO-GREGORIO (PG 44, I327ss): περί τοϋ τι έστι το κατ' εικόνα θεοΰ και κ α θ ' όμοίωσιν. 2 Cfr. Μ. SCHMAUS, Die psychologische Trinitätslehre des hl. Augustinus, Münster 1927, p. 59ss.
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eccessiva considerazione l'unità fisica del Cristo mistico, ma introduce nella speculazione con sempre maggior chiarezza la funzione del donum creatum della grazia. Secondo la dottrina di GREGORIO NAZIANZENO il « felice ritorno che noi compiamo » 3 , il ritorno alla somiglianza con Dio, è un rinnovato dono della somiglianza col Logos, che ci vien concesso nella nascita del Logos dalla Vergine Santa. Questo è il grande segreto del Natale: «La discesa del Logos affinché noi ascendiamo a Dio, o, meglio, ritorniamo a Dio », e diveniamo così « con-generati con Cristo, noi che eravamo morti in Adamo » 4. Si ripete perciò sempre la nascita di Cristo in tutti quelli che nel battesimo sono fatti partecipi della somiglianza col Logos. Dal momento dell'incarnazione, infatti, l'eterno Logos è χωρητός, 'ricevibile' dagli uomini; la grazia batte simale consiste in questo, che l'anima accoglie in sé, in una nuova inabitazione, il «Logos che sempre viene» 5 , tutto il Logos 6 . In questo modo l'anima diventa θ-εοειδής, conformata alla bellezza del Logos. La nascita di Cristo nel cuore deve ora produrre (su questo insiste tanto il predicatore Gregorio) una vita cristiforme. È un apporto notevole alla storia di questo concetto il discorso all'esattore delle tasse Giuliano: * Or. 38, 4 (PG 36, 316 A): δεϊ γάρ με παθεϊν τήν καλήν άντιστροφήν. 4 lui: τοϋτο εστίν ήμϊν ή πανήγυρις ... έπιδημίαν θεοΰ προς ανθρώπους 'ίνα προς ·&εον ένδημήσωμεν ή έπανέλδωμεν, ούτω γαρ ειπείν οίκειότερον ... καί ώσπερ έν τφ Α δ ά μ άπεθάνομεν, οϋτως έν τω Χριστώ ζήσωμεν Χριστφ καί συγγενώμενοι. 5 Or. 39. Ι0 (PG 3<5, 345 Β ) : θεοειδεϊς εργαζόμενοι καί ήκοντα τον Λόγον υποδεχόμενοι. ' Or. 40, 34 (PG 36, 408 C): èàv δλον είσδέξη τον Λόγον.
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Gregorio lo esorta ad esercitare il suo ufficio ' con Cristo ', in omaggio al Logos, nato in Betlemme proprio in occasione d'un censimento tributario : « Con Cristo descrivi le tasse, con Cristo rifletti, con la testa prendi le tue decisioni. Cristo nasce ancora per te e sempre s intrattiene con gli uomini » 7 . E nella sua predica di Natale esprime un pensiero che noi abbiamo già incontrato e che apparirà ancora spesso in seguito 8 : « Voi donne siate vergini, affinché possiate diventare madri di Cristo!». S'allude qui a Mat 12,50: colui che fa la volontà di Cristo è la ' sua madre ' e genera Cristo nel suo cuore. Abbiamo anche un'altra predica dei Padri cappadoci, che ha dato a questo concetto, appena accennato da Gregorio, un'impronta classica. Quasi ogni parola ci fa pensare a Metodio, ma dimostra a un tempo quanto fosse viva una volta anche nelle prediche popolari la dottrina della nascita di Dio, ed offre il miglior ' Or. 19, 13 (PG 35, 1057 D): σύν Χριστώ γράφεις, σύν Χριστώ ταλαντεύεις, σύν τη κεφαλή δοκιμάζεις, μετά τοϋ Λόγου λογίζη. Χριστός άρτι γεννάται σοι ... καί άνθρώποις συναναστρέφεται. 8 Or. 38> ι (PG 36. 3Γ3 Α): γυναίκες παρθενεύετε, ίνα Χριστού γένησδε μητέρες. - La teologia dei Cappadoci intro duce questo concetto della nascita del Logos-bambino nella dottrina, ardita ma ben articolata, della divinizzazione, della ' deificazione ' dell'uomo. La deiformità, concessa all'uomo originariamente, vien restituita nella nuova inabitazione di Cristo nel cuore. Cfr. GREGORIO NAZ., Or. 2, 22 (PG 35, 432 Β): το κατ'ε'ικόνα τηρησαι ... είσοικίσαι τε τόν Χριστον έν ταϊς καρδίαις δια τοϋ Πνεύματος καί το κεφάλαιον, -9-εον ποιησαι. La nascita del Logos-bam bino è anche secondo ANFILOCHIO D'ICONIO (cfr. Or. in Nat. Dom. (PG 39, 40 A): ώ παιδίον ουρανού παλαιότερον) la causa della nostra trasformazione in Dio: -σύμμορφος τοις δούλοις ό Δε σπότης γέγονεν ίνα οι δούλοι γένωνται σύμμορφοι πάλιν θεού. Ivi (PG 39, 41 A).
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commento al breve accenno della predica di Natale di Gregorio : « O g n i anima. diventi dunque nel suo intimo madre dì Cristo. Ma come potrà diventare madre di Cristo? Ogni anima reca in sé Cristo come in un seno materno. Se essa non si trasforma attraverso una vita santa, non può esser chiamata madre di Cristo. Mentre ogni volta che tu accogli in te la parola di Cristo e le dai forma nel tuo intimo, come in un seno materno, la trasformi in te con la riflessione, puoi allora esser chiamato madre sua. Così tu comprendi che in ciascuno di noi vieti formato Cristo, che le nostre anime, come dice Paolo (Gal 4, 19), possono diventare madre di Cristo, ossia madre della parola di Cristo. ' Tu eserciti la giustizia? Vedi, hai formato in te Cristo. Hai fatto un'elemosina? Vedi, tu hai riprodotto in te l'immagine della verità '» 9 . E assai rilevante in questo testo l'influsso dell'antica psicologia sulle parole del predicatore. Un giuoco continuo con la parola λόγος, comprensibile solo se si tengono presenti i testi che parlano della formazione dei λόγοι nel cuore. Anche qui ' insegnare ' diventa ' generare ', e il predicatore della divina parola è il formatore di Cristo, del Verbo, negli uditori. BASILIO 9 PS.-CHISOSTOMO, De caeco et Zachaeo 4 (PG 59, 605) : γενέσθ-ω τοίνυν πάσα ψυχή μήτηρ Χρίστου κατά διάθεσιν. Π ώ ς μήτηρ Χρίστου; πάσα ψυχή ώδίνει έν αύτη τον Χριστον. έάν δε μή μεταμορφωθή τη εύσεβεία, μήτηρ Χρίστου καλεϊσθαι ού δύναται, όταν λάβης λόγον Χριστού και πλάσης αυτόν έν τή διάνοια σου. καί ώσπερ έν μήτρα τφ λογισμώ μετα μόρφωσης, καλή μήτηρ αύτοϋ. καί ίνα μά-9-ης δτι έν έκάστω Χριστός μορφοϋται καί μήτηρ Χριστού γίνεται, λέγω δή του λόγου τοϋ Χριστού, έκαστου ημών ή ψυχή, λέγει Παύλος (Gal 4,19)· είργάσω δικαιοσύνην; έμόρφωσας έν τή ψυχή Χριστον. έπέδωκας έλεημοσύνην; έμόρφωσας τον χαρακτήρα της αληθείας.
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ha espresso molto bene questo concetto 10. E sempre di più, come è stato già notato, il testo di Gal 4,19 diventa il testo probatorio della teoria della nascita di Dio. E poiché i maestri dello spirito, i Padri, sono soltanto gli araldi dell'unica Maestra, la Chiesa, anche questa più recente teologia ritorna al pensiero già elaborato da Ippolito, secondo il quale la Chiesa, col suo insegnamento, con la ' parola della grazia ', genera Cristo nei credenti e li associa in qualità di membra all'unico Cristo mistico, restituendo loro attraverso la grazia battesimale la perduta conformazione originaria al Logos. Questa ecclesiologia è raccolta in tutta la sua ricchezza in una frase delle Costituzioni apostoliche. Ci troviamo così nell'ambiente teologico di Antiochia, donde proviene anche CRISOSTOMO, che ha espressioni tanto profonde sulla nostra ' identità di nascita ' n con Cristo : « La Chiesa è la figlia dell'Altissimo ed è in doglie per voi, mentre con la parola della grazia forma in voi Cristo, del quale diventate, unendovi a lui, membra sante e predestinate. Così 10 BASILIO, Hom. in Ps. 33 (PG 29, 369 AB): και γάρ τέκνον έστΙ πνευματικόν τοϋ διδασκάλου ό μαθητής, ό γαρ παρά τίνος τήν μόρφωσιν της ευσέβειας δεχόμενος ούτος οιονεί διαπλάττεται παρ' αύτοϋ καί είς σύστασιν άγεται ώσπερ καί ύπό της κυοφορούσης τα εν αύτη διαμορφούμενα βρέφη, όθεν καί. Παύλος ολην τήν έκκλησίαν τών Γαλατών, ...πάλιν άναλαμβάνων καί μορφών άνωθεν έν αύτοϊς τον Χριστον τέκνα έλεγε. 11 CRISOSTOMO, In ep. ad Galatas comm. 3 (PG 61, 656): τον υίον ϊ χ ω ν έν έαυτώ καί προς αυτόν αφομοιωθείς είς μίαν συγγένειαν καί μίαν ίδέαν ήχ&ης. Riferendosi a Mat 12,50, anche Crisostomo riproduce l'antica dottrina della maternità spirituale dell'anima: cfr. Homil. 45 in Matth. (PG 57, 466). Questo luogo è importante per il successivo sviluppo della dottrina, giacché divenne familiare al medioevo grazie alla Catena di S. Tommaso. Cfr. appresso, p. 108, nota 3.
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voi diventate perfetti nella fede (in virtù del battesimo), a immagine di colui che v'ha creati » 12 . È indicativo per la formazione di questa tesi nella teologia di CIRILLO ALESSANDRINO, che ora anche la dottrina dello Spirito Santo e della sua azione santifìcativa dell'uomo viene inserita in quella della nascita di Dio. In tal modo il ruolo del Logos, ancora preminente nella teologia prenicena, viene circoscritto, mentre la teoria del LogosSpirito 13, caratteristica della prima speculazione cristiana, è portata da Cirillo ad una formulazione classica: è lo Spirito Santo che compie in noi l'opera divina della santificazione, come fu il medesimo Spirito a formare, mediante l'adombrazione della Vergine Santa, il corpo del Verbo incarnato. Lo Spirito Santo modella i nostri cuori a immagine del Logos, forma in noi Cristo, restituisce all'anima la conformità col Logos, una volta perduta. Questa, in poche parole, è per Cirillo la dottrina della grazia. Le espressioni di Cirillo sono anche un commento a Gal 4,19. Infatti proprio da Cirillo il significato di μορφοϋσθκι e μορφή è portato fino alle estreme conseguenze teologiche. E tutto ciò in una prudente e ponderata forma domma18 Const. Apost. 2, 61, 5 (Funk I, Paderborn 1906, p. 177, 20ss): αΰτη (ή εκκλησία) γαρ θυγατήρ εστίν τοϋ ύψιστου ή ώδινήσασα ύμας δια τοϋ λόγου της χάριτος και μορφώσασα έν ύμϊν τον Χριστόν, οΰ μέτοχοι γενόμενοι Ιερά μέλη έστε καΐ εκλεκτά... έν πίστει τετελειωμένοι έστε έν αΰτω κατ' εικόνα τοϋ κτίσαντος ύμας. - Cfr. anche le anafore delle Costituzioni apostoliche 8, 12, 31 (Funk I, p. 50(5, 26s), in cui si espone il rap porto fra la nascita dalla Vergine e la ' conformazione ' originaria : και γέγονεν έν μήτρα παρθένου ό διαπλάσσων πάντας τους γεννωμένους. 13 Cfr. F. J. DÖLGER, Ichthys I, 2, Münster 1928, p. 74SS. Così pure quanto ha scritto, contro la ' Spirito-cristologia ' di FR. LOOFS, I. ORTIZ DE URBINA, Die Gottheit Christi bei Afrahat, Roma 1933, p. 8oss.
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tica, che la dottrina di Cirillo sulla formazione del Logos senza dubbio può essere considerata come l'apice della speculazione greca intorno alla grazia u. Nel presentare questa dottrina ci piace richiamare subito l'attenzione su uno dei capitoli più belli del Commentario di Cirillo al Vangelo di S. Giovanni 15 . Poiché lo Spirito Santo - così vi si legge - è Γόμοίωσις φυσική del Figlio, e questi είκών ακραιφνής του Πατρός, lo Spirito che Cristo ha inviato nei nostri cuori com pone in noi la forma divina della somiglianza col Figlio, fa di noi tutti, nella mistica unità del Corpo di Cristo, l'unico uomo celeste Gesù Cristo, l'unico celeste Adamo. La dottrina dell' « unico uomo celeste Gesù Cristo », conosciuta già da Ippolito, viene ora nuovamente introdotta nella teologia 16. Ciò che particolarmente ci interessa è questo: lo Spirito Santo produce in noi il principio della nuova vita di identità con Cristo, una vera generazione di Cristo nel cuore 17. Cirillo ha spiegato chiaramente nel suo commentario a Isaia la frase di Is 44,21 : και έπλασα σε παΐδά μου 1 8 : 14 Sulla dottrina della grazia di Cirillo, cfr. E. MERSCH, Le corps mystique du Christ, ν. I, Lovanio 1933. Ρ· 4 I 5ss: Saint Cyrille d'Ale xandrie, l'incarnation et le corps mystique. - J. MAHÉ, La sanctification d'après S. Cyrille d'Alexandrie in Revue d'histoire ecclésiastique 10 (1909) 30.469. 15 In Ioan. comm. 11, 11 (Pusey II, p. 729SS. Cfr. specialmente p. 731, 8ss). Cfr. l'identica dommatica classica in CIRILLO, De Tri' nitate dialogus 7 (PG 75, 1089 AB). 18 Per la documentazione, cfr. MERSCH, op. cit., p. 438SS, 441SS. 17 In Ioan. comm. 4, 2 (Pusey I, p. 520, iss) : δέδωκε τοιγαροϋν υπέρ της απάντων ζωής το ϊδιον σώμα ό Χριστός, ένοικίζει δέ πάλιν ήμΐν δι' αύτοϋ την ζωήν ... έξελαύνει γαρ τον θάνατον, όταν έν τοις άποθνήσκουσιν γένηται, καΐ εξίστησιν τήν φθοράν αφανίζονται Λόγον τελείως ώδϊνον έν έαυτω. 18 In Is. comm. 4, or. 2 (PG 70, 936 BC): πλάττεται γαρ έκα στος έν γαστρί της έαυτοϋ μητρός ... πλάττεται δέ καί ε'ις
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« Ognuno di noi viene formato nel seno di sua madre. Allo stesso modo ciascuno è costituito figlio di Dio, mentre viene spiritualmente trasformato, e la bellezza della virtù, la bellezza dello Spirito Santo, riveste le anime dei singoli uomini. Essi vengono così trasformati in Cristo per la partecipazione nello Spirito Santo alla bellezza modellata per prima su Cristo (Gal 4,19). Cristo è dunque formato in noi, in quanto lo Spirito Santo ci inserisce in un processo di formazione divina attraverso la santificazione e una vita retta. Così, proprio così, viene impresso nelle nostre anime il carattere della natura di Dio Padre: lo Spirito Santo, come ho già detto, santificandoci ci conforma a Cristo ». Nelle due idee di αγιασμός e δικαιοσύνη è riassunto quel che già prima risultava specialmente dalla teologia di Metodio, per influsso di Origene; cioè che la nascita di Dio è fondata veramente sulla ' santificazione ' battesimale, ma deve ripetersi incessantemente in una vita di ' rettitudine '. Cirillo lo dice espressamente: se uno perde la grazia santificante, deve ripetersi in lui il processo di trasformazione in Dio, affinché Cristo possa nuovamente vivere in lui 1 9 : παϊδα θεοΰ διαμορφούμενος νοητώς ... το έκ της τών αρετών εύκοσμίας ταϊς τ ώ ν ανθρώπων έπισυμβαίνον ψυχαίς. τοϋτο κάλλος άν νοιοϊτο το πνευματικόν, πλάττονται δε και οίον έν Χριστώ δια μετοχής τοϋ αγίου Πνεύματος εις είδος το προς αυτόν (Gal. 4. 19)· μορφοϋταί γε μην έν ήμϊν ό Χριστός, ένιέντος ήμϊν τοϋ αγίου Πνεύματος θείαν τινά μορφωσιν, δι'άγιασμοΰ καί δικαιοσύνης, οϋτω γαρ, οϋτω ταϊς ήμετεραις έμπρέπει ψυχαΐς ό χαρακτήρ της ύποστάσεος τοϋ θεοϋ καί πατρός, άναμορφοϋντος ήμας, ως εφην, τοϋ αγίου Πνεύματος δι'άγιασμοΰ προς αυτόν. 19 Responsio ad Tiberium io (Pusey III, p. 593, 9-22): μεμορφώμεθα δε προς αυτόν ... κατ' άρετήν καί άγιασμόν. αγιον γαρ το θείον καί άπάσης αρετής αρχή καί π η γ ή γένεσις.
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« Noi siamo trasformati in lui mediante la santificazione e la virtù. Infatti l'essenza della natura divina è santa, e perciò principio, fonte e forza primigenia d'ogni virtù. Ed anche il saggio Paolo, scrivendo ai Galati (4^9), insegna che la configurazione divina dell'uomo dev'essere così intesa. Cristo vien dunque formato in noi mediante la santificazione operata dallo Spirito, attraverso la chiamata alla fede in lui. Ma in quanti non vivono secondo la fede, lo splendore di questa conformazione divina è andato perduto. Per questi si esige quindi un nuovo parto spirituale, una generazione interiore, affinché possano nuovamente portare le sembianze di Cristo ». Il modello di questa nascita di Dio che si ripete continuamente nel cuore del credente è anche per Cirillo l'incarnazione del Logos nella Vergine Santa. La santificazione dell'uomo è di conseguenza una continuata riproduzione nel Corpo mistico di Cristo della nascita del medesimo Cristo da Maria 20 : «Da quando δτι δε πρέποι αν οΰτω νοεΐσθαι μάλλον το κατ' εικόνα θεοϋ γενέσθαι τον ανθρωπον, διδάξει καΐ ό πάνσοφος Παϋλος τοις εν Γαλατία λέγων ... μορφοϋται μεν γαρ έν ήμϊν δι' άγιασμοΰ τοΰ δια Πνεύματος, δια κλήσεως της έν πίστει της εις αυτόν, έν δέ γε τοις παραβα'ινουσι την πίστιν ούκ έκλάμπουσιν ol χαρακτήρες ύ γ ι ώ ς . δια τοΰτο χρήζουσιν ετέρας ώδΐνος πνευματικής καί άναγεννήσεος νοητής, ίνα ... πάλιν άναμορφωθεϊεν εις Χριστόν. 20 De àogmatum solutione 3 (Pusey III, p. 556, 5-8; p. 557, 10-13): επειδή δέ γέγονεν άνθρωπος ό μονογενής τοϋ θεοϋ Λόγος, άγια πάλιν ή άνθρωπου γέγονεν φύσις άναμορφουμένη προς αυτόν δι'άγιασμοΰ καί δικαιοσύνης ... όταν γαρ εαυτούς πιστούς καί άγιους τηρήσωμεν, τότε (ό Χριστός) έν ήμϊν όραται μορφούμενος καί ταϊς ήμετέραις διανοίαις τους έαυτοϋ χαρακτήρας νοητώς έναστράπτων. Ι due testi (note 19 e 20) furono in seguito raccolti da un compilatore, sotto il nome di Ci rillo, nell'opuscolo Aàversus anthropomorphitas (PG 76, 1084 A; 1086
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l'unigenito Verbo di Dio s'è fatto uomo, anche la natura umana è diventata santa, poiché s'è conformata a lui in santità e rettitudine di vita. Se dunque noi conduciamo sempre una vita devota e santa, Cristo si forma in noi e in modo spirituale fa risplendere nel nostro intimo i tratti caratteristici della sua natura ». Se la dottrina della nascita di Dio ha ancora un significato nella teologia greca posteriore lo deve sostanzialmente alla dommatica di Cirillo, di cui ci stiamo occupando. Per la sopravvivenza della dottrina è particolarmente importante l'apporto di PROCOPIO DA GAZA a motivo della sua Catena Patrum. La trasformazione dell'anima a immagine del Logos per opera dello Spirito Santo è anche secondo lui una restituzione della perduta identità col Logos 21 . La Chiesa è la mediatrice di questa funzione materna: essa è colei che trova nelle acque il « neonato bambino Cristo », ossia lo dà ai credenti nel battesimo 22. Mediante la fede l'anima accoglie in sé il Logos per dargli forma 23. Questa generazione interiore è tratta testualC). - Anche in altro luogo Cirillo parla della santificazione e della conformazione dell'anima a Cristo, e sempre appellandosi a Gal 4,19. Cfr. In Ioann. comm. 2, 1 (Pusey I, p. 220, 144SS); ivi 5, 2 (Pusey I, p. 696, iss). 21
PBOCOPIO DA GAZA, In Gen. Comm. 2 (PG 87,1, 145 A) : per
opera dello Spirito Santo, infuso una volta negli uomini, si riceve nuovamente la λαμπρούς χαρακτήρας της -9-εΐας φύσεως, τοϋτο δέ έστι το δι'υίοϋ τ?) λογική κτίσει χορηγουμενον πνεύμα, και διαμορφοϋν αυτήν εις είδος το άνωτάτω, του τέστιν το S-εΐον. 22 In Ex. comm. 2 (PG 87,1, 517s). 23 Sul testo di Es 21,22 che abbiamo già incontrato nell'esegesi di Origene, PROCOPIO dice (cfr. GCS Origenes VI, Bährens, p. 248, nota al n. 9): έΌικε δέ σημαίνειν την συλλαβοϋσαν ψυχήν δια πίστεως τόν Χριστον καΐ τον θείον έν έαυτη διαπλάττουσαν Λόγον κατά το (segue Is 26,18).
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mente da Cirillo 24 . È interessante notare come, in conseguenza della riscoperta bizantina delle opere di Aristotele, per la prima volta nella storia di questa idea emerga ora anche l'uso della definizione aristotelica di generare. ANASTASIO SINAITA dice che la somiglianza con Dio, alla quale una volta fummo chiamati e che ci viene restituita nel battesimo, è un ulteriore atto della virtù generativa dell'inabitante Cristo, giacché la vita genera sempre una vita a sé simile 25. Si tenga presente, infine, un interessante opuscolo, in cui pure hanno avuto notevole risonanza i concetti fin qui accennati. Si tratta del De effectu baptismi del monaco 26 GIROLAMO DI GERUSALEMME . In forma quasi esageratamente soggettivistica vi si prova la virtù sacramentale del battesimo dagli effetti sensibili che produce nell'intimo dell'uomo in grazia. L'inabitazione di Cristo, ottenuta con la grazia battesimale e attuata come in Maria per opera dello Spirito Santo, si manifesta 24 In Gen. comm. 2 (PG 87/1, 148 A): έπεί καί νϋν ουκ έσμέν ϊ ξ ω τοϋ είναι κ α θ ' όμοίωσιν αϋτοϋ. είπερ εστίν άληθες ώς έν ήμϊν μορφοϋται (Χριστός) δια τοϋ άγιου Πνεύματος (segue Gal 4,19)- δταν γαρ εαυτούς άγιους τηρήσωμεν, τότε καί έν ήμΐν όραται μορφούμενος. 25
ANASTASIO SINAITA, In Hexaemeron, 1. VI (PG 89, 931 C D ) :
« Id quod est, ' ad similitudinem ' ii soli habent qui seipsos recrearunt ea vitae institutione quae est ex virtute, qui Deum habent in se inhabitantem et gratia quodammodo sunt veluti Christi, in divinitate simul et humanitate... (932 A) Vides quod post sanctum baptisma dicit Ioannes (1 Giov 3,2), vitam quae ex virtute agitur generare quod est ad similitudinem. Quod quidem si fuerit manifestatum in corde, illum videbitis in ipso ei conformato et assimilato, quantum capit et potest homo ». " GIROLAMO DA GERUSALEMME, De effectu baptismi (PG 40, 86oss).
La ricezione dello Spirito è qui, come in PROCOPIO, descritta ancora una volta col passo di Is 26,18; το θείον πνεϋμα έν γαστρί, nel profondo del cuore, indica la stessa inabitazione di Cristo nell'intimo, descritta da Paolo in 2Cor 13,5 (816 AD).
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nella gioia intima, in un mistico ' sussulto ', si agita come il bimbo nel seno materno. Da queste interne emozioni Girolamo dimostra che solamente il battesimo cristiano concede la vera inabitazione di Dio. In ogni caso questo opuscolo teologico, pur non eccessivamente profondo, ci fa sapere di qual gradimento godesse nell'ambiente monacale la dottrina della nascita di Dio. Si deve però ascrivere alla maggior presenza della dottrina propriamente mistica della nascita di Dio la teoria perfezionata da GREGORIO NISSENO, alla quale dobbiamo ora rivolgerci a conclusione della dottrina patristica greca. In Gregorio s'incontrano Origene e Metodio 27. Ma più chiaramente che nel passato il concetto della nascita di Dio nel cuore viene ora studiato in una precisa direzione. Non più la trasformazione battesimale sta in primo piano, e nemmeno la semplice trasformazione morale nella vita virtuosa. Con Gregorio la dottrina della nascita di Dio diventa ideale di perfezione, mistica. Questo tacito cambiamento lo si può già riscontrare là, dove Gregorio, in perfetta consonanza con la teologia dei Cappadoci, parla della trasformazione sa2 ? Non esige nuove prove la dipendenza, spesso testuale, di Gregorio da Origene. Cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. d. altk. Lit. Ili, p. 192. - La dipendenza di Gregorio da Metodio è stata dimostrata da N. BONWETSCH nella sua edizione berlinese delle opere di Metodio, p. X. - Per la mistica di Gregorio Nisseno, cfr. W. VÖLKER, Gregor von Nyssa als Mystiker, Wiesbaden 1955, p. 220s (Mystik der Gottesgeburt). - Per una versione tedesca dei testi dal commentario di Gregorio al Cantico dei Cantici, cfr. H. U. VON BALTHASAR, Der versiegelte Quell, Salisburgo 1939. - Per la mistica di Gregorio in genere, cfr. E. VON IVÄNKA, Vom Piatonismus zur Theorie der Mystik (Zur Erkenntnislehre Gregors von Nyssa) in Scholastik 11 (1936) 163-195. A. LIBSKE, Die Theologie der Christusmystik Gregors von Nyssa in ZkTh 70 (1948) 49-93; 129-168; 315-340.
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cramentale del battesimo. Nelle sue parole ci sembra di sentire nuovamente Clemente ed Origene. Per Gregorio, della scuola platonica, questo modellarsi di Cristo nell'anima è una misteriosa comunicazione della bellezza spiritualizzata del Logos, l'anima è ' immagine dell'immagine ', esige la luminosa bellezza spirituale del vivente Logos, una volta perduta nel paradiso 28. Nel profondo del cuore viene restaurata tale bellezza, vien generato Cristo. E quest'ultima bellezza può essere acquisita solo mediante un totale distacco dalle cose materiali. La trasformazione attraverso la grazia battesimale è anche qui il fondamento della mistica 29. Ma, seguendo la mentalità platonica, la generazione interna è per Gregorio interamente realizzata, totalmente ' data ', solo se è perfetta : solamente allora Cristo è nato nel cuore. L'anima deve diventare ' portatrice ' del Logos, deve rendersi cosciente di questa vita divina nel suo intimo, poiché « vivo è il Verbo di Dio e viva è l'anima che lo ha ricevuto dentro di sé ». Le acque della divina processio devono gonfiarsi nell'anima dei28 Cfr. l'opera tanto caratteristica per la religiosità di Gregorio: Περί τελειότητος (PG 46, 269 D) : ϊνα σε ποιήση πάλιν εικόνα θεού καί αυτός ύπο φιλανθρωπίας εγένετο είκών τοϋ θεοϋ τοϋ αοράτου, ώστε τη Ιδία μορφή, ήν άνέλαβεν, έν σοΙ μορφωθήναι, καί σέ πάλιν δι' έαυτοϋ προς τον χαρα κτήρα τοϋ αρχετύπου συσχηματισθήναι κάλλους, ε'ις το γενέσθαι δπερ ής έξ αρχής. È caratteristico il parallelismo fra άμορφον e άκαλλές (265 B). L'immagine di Dio vien restaurata in noi nel ε'ικών τοϋ θεοϋ ή δια παρθένου έπιδημήσασα. In tal modo, secondo il pensiero alessandrino, noi diventiamo ' im magine dell'immagine ' (272 Β): ώστε γενέσθαι ή μας της εικόνος εικόνα. 29 Cfr. Comm. in Cant. 13 (PG 44, 1053 C), dove si dice che nel battesimo Cristo vien generato sempre nei suoi fratelli.
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forme 30. Qui per la prima volta possiamo percepire con tutta evidenza come la viva e personale esperienza mistica faccia propria la dottrina della nascita di Dio ereditata dalla tradizione, e quanto questo elemento dell'esperienza mistica incida sul nostro concetto. « Avere nell'intimo il Cristo vivente » è il tema mistico della spiritualità di Gregorio. Se l'anima porta in sé Cristo con rispetto, è già φορεΐον del Logos 3 1 . Cristo è la borsetta di mirra posata sul cuore; il Logos dimora nel cuore come in un palazzo 32 . L'anima deiforme porta in sé come in processione l'immagine divina: è 30 Comm. in Cant. 9 (PG 44, 977 C): ζών ό Λόγος τοϋ θεοϋ, ζή και ή τον Λόγον δεξαμενή ψυχή. Si deve chiaramente al l'influsso del pensiero platonico la predilezione di Gregorio per l'im magine dell'anima deiforme come effluvio dell'eterna sorgente, della fonte del Padre, donde scaturisce il Logos per trascinare anche l'anima, attraverso una misteriosa partecipazione, in questo flusso eterno. Ciò contribuisce anche alla successiva evoluzione dei concetti intorno alla nascita di Dio, come abbiamo già visto in MASSIMO CONFESSORE. Poiché il procedere del Logos è la sua nascita, la partecipazione dell'anima non è che un partecipare a questa eterna nascita, Veructare Verbum bonum nell'anima creata. Il Padre è (cosi diceva già Platone) ' Fonte della bontà ' : cfr. il terzo Sermone teologico di GREGORIO NAZIANZENO, che si riferisce espressamente a Platone (PG 36, 76 C). La stessa cosa dice anche GREGORIO NISSENO, Epist. 26 (PG 46, 1108 A): ό των α γ α θ ώ ν απάντων θεός και τοϋ σωτήρος πατήρ ή της άειζωΐας π η γ ή . Perciò ogni virtù è un prender parte alla virtù originaria del Logos, la purezza dell'anima ' è ' la purezza del Logos. Nel περί τελειότητος (PG 46, 248 D) egli scrive: άλλ' ό μεν πηγάζει, ό δέ μετέχων άρύεται. La dottrina platonico-cristiana dell'anima quai μοίρα τοϋ θεοϋ, θεία απόρροια, già apparsa in
CLEMENTE ALESSANDRINO, Strom. 5, 13, 89 (GCS II, p. 384, n. 3ss),
perviene così da Gregorio a Massimo e da questi in Occidente. 31 Comm. in cant. 7 (PG 44, 912 AB): ό ζώντα έχων έν έαυτω τον Χριστον ούτος κυρίως φορεΐον λέγεται και γίνεται τοϋ έν αύτω φερομένου καί ύπ' αύτοΰ βαστοζομένου. 32 Comm. in Cant. (PG 44, 828 A) : αυτός ό κύριος στακτή γενόμενος έγκειται i-t τω άποδέσμω της συνειδήσεως, αύτη μου τη καρδία έναυλιζόμενος.
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nuovamente pervenuta a quello stato di santità in cui si trovava ' in principio ', nel paradiso 33. La vita spiritualizzata, verginale e divina del primo uomo nel paradiso è per Gregorio il punto di partenza non solo della sua dommatica 34, ma anche e soprattutto della sua mistica. Per la grazia dell'inabitante e vivente Logos l'anima aspira ora alla vita santa; l'ascesa mistica ha come meta quella vita che una volta andò perduta, ma che è stata riportata sulla terra dal Logos nato dalla Vergine. Da ciò si può ben comprendere quale importanza rivesta la verginità nella mistica di Gregorio 35. Poiché il Verbo incarnato è il modello originale d'ogni virtù, la sua vita deve riprodursi nell'ascesa dell'anima: « Ciò che accadde una volta fisicamente nella Vergine Maria, quando la pienezza della divinità rifulse in Cristo attraverso la Vergine, si compie anche in tutte le anime che sull'esempio del Logos vivono una vita verginale » 36. 33 Tract, in Psalm. 2, il (PG 44, 544 Β): τότε δια τον της αρετής τύπον έμμορφοΐ ήμϊν τον Χριστον. οΰ κατ' εικόνα έξ αρχής τε ήμεν και πάλιν γινόμεθα. - Sermo in occursum Do mini (PG 46, 1153 Β): οΰτως ήμας άναγκαϊον μεταμορφουμένους ... τής θείας εικόνος τήν όμοίωσιν, κατά το έφικτον άνθρώποις, έν έαυτοϊς περιφέροντες. 34 Cfr. specialmente i due studi: A. KRAMPF, Der Urzustand des Menschen nach der Lehre des hl. Gregor von Nyssa, Würzburg 1889; FR. HILT, Des hl. Gregor von Nyssa Lehre vom Menschen, Colonia 1890. 35 Cfr. J. STIGLMAYR, Die Schrift des hl. Gregor von Nyssa ' Über die Jungfräulichkeit ' in Zeitschrift für Aszese und Mystik 2 (1927) 334359; cfr. specialmente p. 347: verginità e stato paradisiaco; p. 346: verginità e mistica. - W VÖLKER, op. cit., pp. 254-259 (Verginità). 36 De Virginitate 2 (PG 46, 324 B) : όπερ γαρ έν τή άμιάντψ Μαρία γέγονε σωματικώς, τοϋ πληρώματος τής θεότητος έν τφ Χριστώ δια τής παρθένου έκλάμψαντος, τοϋτο και επί πάσης ψυχής κατά Λόγον παρθενευούσης γίνεται.
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' Verginità ' è nella mistica di Gregorio l'efìetto più naturale della nuova vita paradisiaca, e si identifica con l'άφθαρσία donata dallo Spirito Santo, con la sapienza e la trasfigurazione che il Logos ci ha portato con la sua nascita dalla Vergine. Solo per la sua media zione noi « siamo nati da Dio ». Così Gregorio, proprio richiamandosi alle parole di Giovanni, può dire: « Solo da Dio viene questa nascita. Essa si compie quando uno riceve nell'intima vita del cuore, come in materno concepimento, l'incorruttibilità dello Spirito. Egli produce sapienza e giustizia, santità e purezza interiore. Ognuno può così diventare madre di colui che è tutto ciò per natura, come dice lo stesso Signore (Mat 12,50) » 37. La produzione delle virtù è dunque veramente una generazione di Cristo nella viva profondità del cuore, perché Cristo è il modello d'ogni virtù. Perciò ogni progresso verso il vertice della mistica è una sempre nuova nascita di Cristo, uno sviluppo del Logosbambino nell'intimo dell'uomo. Gregorio, in perfetto accordo con Origene 38 , l'ha ben descritto nel suo Commentario al Cantico dei Cantici 39 : « Il bimbo 37 ZW 13 (PG46, 380 D): έκ θεού μόνου ή γέννησις γίνεται, τοϋτο δε γίνεται, όταν συλλαμβάνη μέν τις εν τφ ζ ω τ ι κ φ της καρδίας τήν άφθαρσίαν τοϋ Πνεύματος, τίκτει δε σοφίαν και δικαιοσύνην, άγιασμον ωσαύτως και άπολύτρωσιν. παντί γαρ εξεστι μητέρα γενέσθαι τοϋ ταύτα βντος, καθώς φησί που ό Κύριος ότι... (Mat 12,50). - Si parla della Chiesa quai μήταρ della generazione battesimale anche in Or. de dettate filli (PG 46, 573 B). - Sulla funzione essenziale della Chiesa nella dottrina della perfezione di Gregorio, cfr. W. VÖLKER, Gregor von Nyssa als Mystiker, Wiesbaden 1955, pp. 100-103. 38 ORIGENE, Comm. in Cant. 2 (GCS Origenes VIII, Bährens,
p . 1 7 1 , 13SS). 39 Comm. in Cant. 4 (PG 44, 828 D): το γαρ γεννηθέν ήμϊν παιδίον 'Ιησούς, ό έν τοις δεξαμένοις αυτόν διαφόρως προ-
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che ci è nato è Gesù, il quale in quanti lo accolgono cresce in diversa misura in sapienza, in età e in grazia. Egli non è infatti eguale in tutti. In proporzione alla quantità di grazia di quanti ne possiedono la forma e alla capacità da parte di questi di accoglierlo, Cristo appare bambino, in fase di sviluppo, ο perfetto ». Questa teologia mistica ha esercitato un influsso determinante sulla dottrina d'un uomo che è tra i capisaldi sia della mistica bizantina sia di quella occidentale. Si tratta precisamente di MASSIMO CONFES40 SORE . La constatata dipendenza di Massimo da Gregorio ha una particolare incidenza sulla nostra questione, poiché ci mostra che in lui, classico interprete dello Pseudo-Dionigi Areopagita, i concetti relativi alla nascita di Dio non derivano dalla filosofia neoplatonica, ma da un influsso genuinamente cristiano dell'antica tradizione, pervenuta a lui tramite il Nisseno 41 . Ed κόπτων σοφία τε και ηλικία και χάριτι, ούκ έν πασιν ό αυτός έστιν, άλλα προς το μέτρον τοϋ έν ω γίνεται, καθώς ίίν ό χωρών αυτόν ίκανώς εχη, τοιούτος φαίνεται, ή νηπιάζων, ή προκόπτων, ή τελειούμενος. Così si comprende anche il concetto dell'aborto, da noi già riscontrato in ORIGENE, e che Gregorio, come Origene, presenta ancora in relazione ai due passi Is 26,18 e Gal 4,19. Cfr. Homil. 6 in Eccles. (PG 44, 701 D): έμοί δοκεΐ τόκος ώριμος και ούκ άμβλωθρίδης είναι, δταν, καθώς φήσιν Ή σ α ί α ς , έκ τοΰ θείου τις φόβου κυοφορήσας δια τών της ψυχής ώδίνων τήν ιδίαν σωτηρίαν γέννηση... (704 Α) και πάλιν εαυτούς άμβλίσκομεν ... δταν μη μορφωθή έν ήμϊν, καθώς φήσιν ό 'Απόστολος, ή τοΰ Χρίστου μορφή. 40 Cfr. Μ. ΤΗ. DISDIER, Les fondements äogmatiques de la spiritualité de St. Maxime in Echos d'Orient 29 (1930) 296. - È stato dimostrato da Μ. VILLER (AUX sources de la spiritualité de St. Maxime in Revue d'Ascétique et de Mystique 11 (1930) 156; 239) che per la dottrina spirituale di Massimo è da tenersi in considerazione, insieme con Gregorio Nisseno, anche EVAGRIO IL PONTICO. 41 Cfr. H. U. VON BALTHASAR, Kosmische Liturgie, Das Weltbild Maximus ' des Bekenners, Einsiedeln 1961.
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è strano che non troviamo una precisa testimonianza della teoria della nascita di Dio negli scritti dell'Areopagita. Anche nello Pseudo-Dionigi la rigenerazione battesimale è detta θεογενεσία. Ciò significa però sempre ' nascita da Dio ' 42 . Il ' vivificante processo di trasformazione ', per il quale nel battezzato si realizza l'immagine di Dio, richiama certamente a un'espressione simile della teologia dei Cappadoci e ricorda soprattutto Cirillo Alessandrino. Nel pensiero dell'Areopagita, ambientato prevalentemente nello spiritualismo di Plotino, il concetto della nascita di Dio dal cuore era tuttavia ancor lontana dall'affermata inabitazione 42 Cfr. specialmente il capitolo sul Battesimo: Eccl. Hier. 2, 2, 7 (PG 3, 396). Il fonte battesimale è qui il ' seno materno in cui vien concepito il figlio ', μήτρα της υιοθεσίας (396 C). L'interiore formarsi e il crescere del catecumeno è paragonato allo sviluppo del bambino nel seno materno, paragone proposto già da ORIGENE e GREGORIO NISSENO (PG 44, 596 A). La vita interiore del battezzando si forma attraverso il ' paterno insegnamento ' del sacerdote ; cfr. Eccl. Hier. 3, 6 (PG 3, 433 A): και ζωοποιοϊς μορφώμασιν διαπλαττόμενοι προς τήν έκ θεογενεσίας άρχιζώον καΐ άρχίφωτον και μακαρίαν προσαγωγήν. È qui che si sente chiaramente l'antica teologia del μορφοϋσθαι, sotto l'influsso di Gal 4,19. Qui ancora si trova il concetto della ' bellezza ' interiore, già presente in Origene e in Gregorio Nisseno, e tanto caro al platonismo. Cfr. Eccl. Hier. 3, 7 (PG 3, 436 C): καί άρχετύποις κάλλεσι το θεοειδες ημών μορφώσασα. Cfr. anche Eccl. Hier. 2, 3, 8 (PG 3, 404 C): το άνείδεον ειδοποιείται, το άκοσμον κο σμείται. E però significativo che la vera cristiformita può essere raggiunta solo nell'eternità (ληξις χριστοειδής, PG 3 592 Β, 553 D). Un maggiore influsso della tradizione propriamente cattolica si ha nelle Omelie pneumatiche dello PSEUDO-MACARIO. Cfr. Homil. 18, 7 (PG 34, 640 A), dove si dice che l'inabitazione personale di Cristo si ottiene precisamente con la rigenerazione battesimale: οι γαρ καταξιωθέντες τέκνα γενέσθαι θεοϋ καί έκ Πνεύ ματος άγιου άνωθεν γεννηθήναι καί τόν Χριστον έχοντες έν έαυτοϊς έλλάμποντα καί άναπαύοντα αυτούς.
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di Cristo nel cuore. E non ci si sbaglia se si scrive la stessa cosa anche riguardo alla religiosità monofisitica : questo non era l'ambiente adatto per la teologia interiore della nascita di Dio, sì intimamente legata all'umanità di Cristo. Massimo non ha solo il merito d'aver ' cattolicizzato ' l'Areopagita. Egli ha anche incorporato nel suo sistema mistico l'antica dottrina della nascita di Dio. La sua theologia cordis è il degno coronamento della teoria greca della nascita di Dio. La struttura più interna di questa teologia mistica è costituita dalla bipartizione dell'intera storia umana. La storia religiosa si svolge in due eoni: il primo eone è θεοϋ προς άνθρωπου κατάβασις, ossia preparazione e compi mento della prodigiosa incarnazione del Logos; il se condo eone: άνθ-ρώπου προς θεον άνάβασις, la divi nizzazione dell'umanità nel Logos 43 . L'entelechia di questo avvenimento è l'amore, la cui natura è il ' trasformare': per amore il Logos ha assunto la μορφή dell'uomo; e la partecipazione del medesimo amore fa sì che l'uomo venga elevato alla meravigliosa partecipazione della natura divina del Logos. Tale è la άντίδοσις σχετική prodotta dall'amore tra il Logos e l'uomo 4 4 . 43
Cfr. specialmente Quaest. ad Thalass. 22 (PG 90, 317SS). Epist. 2 ad Ioannem de cantate (PG 91, 401 AB): θεός εμφα νίζεται κατά την ιδιότητα της αρετής εκάστου δια φιλανθρωπίαν μορφούμενος ... έργον γαρ της αγάπης τελειοτατον και της κατ' αυτήν ενεργείας πέρας δι' άντιδόσεως σχετικής ... θ-εον μέν τον άνθρωπον ποιεΐν, άνθρωπον δε τον θεον χρηματίζειν καί φαίνεσθαι. - È assai interessante il fatto che Massimo abbia introdotto quest'antica teologia paolina del μορφοϋσθαι an che nella teologia mistica e proprio in contrasto con lo Pseudo Dionigi, che parla volentieri dell'έξις χριστοειδής nella sua spi44
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In questo fatto è essenziale la ripetizione mistica a mo' d'άνάβασις di ciò che avvenne una volta storicamente nella venuta del Logos. È qui, in questo sistema mistico, che la nascita di Dio trova il suo vero significato. L'idea della nascita di Dio nel cuore dell'uomo è stata inserita per la prima volta da Massimo in un sistema religioso unitario 45 . Massimo si è pronunziato su questo argomento là, dove spiega le parole di iCor 10,11 : «Sopra di noi è venuta la fine degli eoni » 46 . Egli dice 47 che, in quanto redenti, noi ci troviamo nel ' secondo eone ' : la realizzazione del primo eone, l'incarnazione del Logos, continua in noi r che, partecipando dell'amore trasformante del Logos, per l'amore che si produce nella virtù « subiamo la divinizzazione » e cooperiamo così continuamente all'incarnazione del Logos. Tale processo è iniziato in noi già qui sulla terra, ma avrà nell'eternità il suo compimento. Ed è in questo senso che la ' fine degli eoni ' ritualità marcatamente monofisitica. Massimo dà a questa teologia dionisiaca una forma più cattolica anche in questo punto. Nei suoi Scholia al Capitolo dello Pseudo-Dionigi sul battesimo egli propone espressamente il battesimo come ' conformazione ' (PG 4, 122 C): δθεν μορφοϋται ό εσω άνθρωπος προς κρείττονα εξιν. 45 J. BACH, Die Dogmengeschichte des Mittelalters, ν. Ι, Vienna 1874, p. 17, ha ottimamente raccolto questi pensieri di Massimo, distinguendo un duplice processo, il primo, « l'incarnazione, decisa in principio e realizzata storicamente nella pienezza dei tempi; l'altro,, la deificazione dell'uomo, fondata sull'incarnazione di Dio e in per fetta concomitanza con questa ... In tal senso Massimo non parla soltanto d'un'incarnazione storica di Cristo nel tempo, ma anche d'un'incarnazione permanente, sempre attuale. La redenzione è per lui l'incessante e sacramentale processo di divinizzazione ο processo di pneumatizzazione etica dell'anima nata dalla carne ». 46 έγράφη δε προς νουθεσίαν ημών, εις ους τα τέλη τ ώ ν αιώνων κατήντηκεν. 47 Quaest. ad Thalass. 22 (PG 90, 320 Β).
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è già sopra di noi 4 8 : « Attraverso le virtù Dio vuole sempre diventare uomo in quanti ne sono degni. È perciò beato chi con la sapienza può attuare nel suo intimo questa incarnazione di Dio. Egli realizza così la pienezza del mistero dell'incarnazione, ottiene la divinizzazione, e in tale incessante divinizzazione non verrà mai per lui una fine». Non v'è dubbio che Massimo veda l'inizio di questa mistica incarnazione nell'intimo dell'uomo soprattutto in un fatto mistico specifico, che può prendere il nome di amore, sapienza, virtù, ο processo di deificazione. È tipico il suo modo d'esprimersi assai frequente sulla venuta del Logos ' nel profondo del cuore ' 49 , nella ' segretezza del cuore ', dove la voce del Signore chiama 50 . Solo in questa interpretazione squisitamente mistica della nascita di Dio trovano una spiegazione le espressioni ardite, presentate con ' formule prudenti ' 51, sulla ταυτότης 48 Ivi (PG 90, 321 Β): δι' ών (αρετών) ό θεός άεί θέλων έν τοϊς άξίοις άνθρωπος γίνεται, μακάριος οδν ό μεταποιήσας δια σοφίας έν έαυτώ τον θεον άνθρωπον καί τοϋ τοιούτου μυστηρίου πληρώσας τήν γένεσιν πάσχων τώ γενέσθαι τη χάριτι θεός, ότι τοϋ άεί τοϋτο γίνεσθαι πέρας ού λήψεται. 49 Cfr. Quaest. ad Thalass. 56 (PG 90, 584 C) : ένοικοϋντα τον Λόγον τω βάθει της καρδίας. - Quaest. 18 (PG 90, 306 D ) : δικαιωθήσονται δια τήν εις το βάθος της ψυχής κατά τήν κάθαρσιν τοϋ Λόγου διάβασιν. - Quaest. (PG 90, 284D): τους ζώντας μεν ουδαμώς ιδίαν ζωήν ζώντα δέ τον Χριστον έν έαυτοϊς κατά μόνην έχοντας τήν ψυχήν. 50 Quaest. ad Thalass. 47 (PG 90, 424 C): κατά το κρυπτον της καρδίας ... Λόγος ένοικων δια της πίστεως. sl Per la successiva indagine sul linguaggio mistico del MAESTRO ECKEHART è molto importante considerare il linguaggio altrettanto ardito e solo in pochi casi temperato da formule prudenti, col quale si sono espressi i Padri greci sulla ' deificazione ' dell'uomo. Riportiamo qui alcune di queste formule - e se ne potrebbero addurre
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προς &εόν dell'anima, ο sulla misteriosa ' identità ' con Dio. Rientra così nella sua teologia il concetto della nascita di Dio nella rigenerazione battesimale. In lui appunto possiamo trovare per la prima volta una distinzione perfetta fra le due nascite, la nascita dalla grazia battesimale e la nascita che si attua nell'esperienza mistica 52 . Per Massimo, che era un mistico, la misteriosa continuazione dell'incarnazione si realizza anzitutto nella mistica elevazione dell'uomo. Proprio l'oscurità di questa mistica visione di Dio lo induce a produrre un concetto che per ' i più ' sarebbe rimasto incomprensibile, benché sia saturo di verità: il Logos è ancora in noi nella vita di quaggiù come nella segretezza del seno materno; per noi e in noi è diventato bambino, giacché noi siamo ancora allo stato infantile e perciò incapaci d'una piena visione di Dio 5 3 . tante - desunte in modo speciale dai tre classici mistici della ' deificazione ' : da GREGORIO NISSENO, la cui formula preferita è κατά το έφικτον άνθρώποις (PG φ, 1153Β); dall'AREOPAGITA ώς έφικτον άνδράσιν (PG 3> 4°4 C); da MASSIMO κατά χάριν (PG 90, 888 C; 91, 1084 C); ει θέμις ειπείν (PG 96, 889 Α); ώς έφικτόν έστι ά ν θ ρ ώ π ω (PG 90, 888 C). - Sulla mistica ' iden tità ' dell'anima con Dio, cfr. specialmente Ambiguorum liber (PG 91, 1253 D), dove MASSIMO dice che l'anima è diventata attraverso la grazia είκών τοϋ Λόγου « ο, se la parola non suonasse troppo difficile ' ai molti ' », καΐ ταυτον αύτω μάλλον κατά τήν χάριν ή άφομοίωμα, τυχόν δε και αυτός ό Κύριος. Altri passi sulla ταυτότης προς τον θεον κατά χάριν, cfr. in PG 90, 3 2 4 C ; 332s; PG 91, 704 D. 52 Quaest. ad Thalass. 6 (PG 90, 280 C): διττός έν ήμϊν της έκ θεοΰ γεννήσεως ό τρόπος· ό μέν πασαν δυνάμει παροϋσαν τοις γεννωμένοις διδούς τήν χάριν της υιοθεσίας· ό δε κατ'ένέργειαν δλην παροϋσαν και τήν τοϋ γεννωμένου πασαν προς τον γεννώντα θεον προαίρεσιν, γνωμικώς μεταπλάττουσαν εΐσάγων. 53 Ambiguorum liber (PG 91, 1068 AB): έν μήτρα γάρ καΐ ήμεϊς καί ό θεός Λόγος έσμέν .. έν τη παρούση της ζωής κατασ-
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Il concetto dell'inabitazione del Logos-bambino diviene qui un espressione dell'esperienza mistica. Il Logos è in noi figlio della fede ', generato solamente nella perfetta visione di Dio. Come una volta il Logos ha prodotto la fede in Maria, divenendo suo figlio in virtù di questa fede verginale, cosi la stessa cosa si ripete nell'anima in grazia: il Logos è la causa prima della visione mistica possibile nella fede. Ma in tal modo egli diviene ' figlio dell'anima ', s'incarna in modo mistico nelle ' virtù ' 5 4 . Il vecchio motivo del ' divenire madre di Cristo ' dell'anima viene trasferito nella mistica propriamente detta. Ancor più chiaramente Massimo espone questa teucra nel suo Commentario al Pater noster. L'anima che con pazienza e mitezza si prepara alla grande grazia, porta in sé, nella misura in cui l'uomo ne è capace, la perfetta immagine del grande Re Cristo, la trasformazione nello Spirito Santo 55 . Essa ascende così alla pura e immediata visione, s'avvicina al Logos soprannaturale 56. Staccata da tutto ciò che è terreno, dalla schiaτάσει è μεν άμυδρώς ώς εν μήτρα ... δι'ήμας τους νηπιάσαντας ταΐς φρεσΐ και ό θεός Λόγος ένηπίασεν. 54 Quaest. ad Thalass. 4° (PG 90, 400 C) : come il Logos abbia creato Maria e poi sia divenuto suo figlio, ούτως έν ημΐν πρότερον την πίστιν δημιουργήσας ό Λόγος ύστερον γίνεται της έν ήμΐν πίστεως υιός, έξ αύτης κατά την πράξιν ταΐς άρεταΐς σωματούμενος μήτηρ δε τοϋ Λόγου καθέστηκεν ή αληθής και αμόλυντος πίστις. 55 Expos, or. dorn. (PG 90, 888 BC) : 'ίνα γένηται της θείας χαρακτηρ βασιλείας, ώς έφικτόν έστιν άνθρώπω, φέρων έν έαυτω τοϋ φύσει κατ' ούσίαν ώς αληθώς μεγάλου βασιλέως Χρίστου κατά τήν χάριν άπαράλλακτον τήν έν πνεύματι μόρφωσιν. 68 Ivi, 888 D: συγγίνεσθαι τω ύπερουσίω Λ ό γ ω δι' απλής καί άμεροϋς θεωρίας.
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vitù di se stessa, l'anima splende come dimora luminosa dello Spirito Santo, poiché ha ricevuto in sé, secondo le sue possibilità, l'intera natura di Dio 57 : « Mediante questa grazia Cristo vien generato sempre in essa misticamente, prende corpo in quelli che vengono salvati. In tal modo egli fa dell'anima che lo genera una madre vergine ». Massimo ha riportato in tutti i particolari questa teologia mistica nei suoi Ambigua, commentario ai luoghi difficili di Gregorio Nazianzeno, che doveva poi assumere una notevole importanza, grazie alla versione di Scoto Eriugena, per la mistica occidentale. Massimo si riferisce alle parole di Gregorio, in cui l'anima in grazia è detta μοίρα θεοϋ 5 8 . Noi siam ' parte ' di Dio, spiega Massimo, perché la forma essenziale della nostra anima preesisteva dall'eternità nel Logos di Dio 5 9 . Perciò ogni uomo che viene all'esistenza, avendo in sé una virtù divina, partecipa della virtù increata, del Logos: il Logos medesimo è infatti il più profondo fondamento d'ogni virtù. La virtù è *' Ivi, 889 BC: ίνα μη δουλωθη ό λόγος (ανθρώπου) φ φυσικώς το της θείας εικόνος έγκέκραται σέβας, πεΐθον την φυχήν μεταπλασθήναι κατά τήν γνώμην προς τήν θείαν όμοίωσιν ... ώς Πνεύματος αγίου παμφαές οίκητήριον, δλην δεχόμενον, εί θέμις ειπείν, της θείας φύσεως, κατά το δυνατόν, τήν έξουσίαν της γνώσεως ... καθ'ήν (χάσιν) άεί θέλων Χριστός γεννάται μυστικώς, δια των σωζόμε νων σαρκούμενος· και μητέρα παρθένον άπεργαζόμενος τήν γεννώσαν ψυχήν. 58 Cfr. GREGOHIO ΝΑΖ., Or. de amore pauperum η (PG 35, 865 C): ή βούλεται μοΐραν ήμας οντάς θεοϋ καΐ άνωθεν 'ρεύσαντας ... προς αυτόν άεί βλέπειν; 69 Ambiguorum liber (PG 91. 1081C): μοίρα ουν έσμεν καΐ λεγόμεθα θεοϋ δια το τους τοϋ είναι ημών λόγους έν τω θ ε ω προϋφεστάναι. È sotto l'influsso dell'aristotelismo, del resto, che Massimo dà a questa speculazione quel sapore panteistico.
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quindi un entrare-nella-visione del Logos. Ma già dall'incarnazione la virtù è un perpetuarsi dell'incarnazione del Logos. Così si spiega la meravigliosa reciprocità d'effetto: nella deificazione dell'uomo il Logos s'incarna, e l'uomo diventa Dio nell'incarnazione del Logos. È qui il mistico segreto del perpetuo venire del Logos nel cuore dell'uomo : « Che il Logos di Dio vuol sempre e in tutti gli uomini attuare il mistero della sua incarnazione » 60. Questa realtà è perfetta nel mistico. Il processo di deificazione trova in lui la sua espressione terrena più sublime 61 . 60 Ivi, 1081 D: ουσία της έν έκάστω αρετής ό εις ύπάρχειν Λόγος τοϋ θεοΰ. (1084 C): και δι'αυτών (λόγων έν θεώ) εαυτόν μεν τω θ ε ώ μόνω δι'δλου ενθεμένος, τον δέ θεον μόνον έαυτώ δι'δλου έντυπώσας τε και μορφώσας, ώστε καΐ αυτόν είναι τε χάριτι καί καλεϊσθαι θεον, καΐ τον θεον εΐναί τε συνκαταβάσει καί καλεϊσθαι δι'αυτόν άνθρωπον καί της άντιδιδομένη έπί τούτω διαθέσεως δειχθήναι την δύναμιν, τήν καί τον άνθρωπον τω θ ε ώ θεοϋσαν διά το φίτλόθεον, καί θεον τω άνθρώπω δια το φιλάνθρωπον άνθρωπίζουσαν καί ποιούσαν κατά τήν καλήν άντιστροφήν τον μεν θεον άνθρωπον δια τήν τοϋ άνθρωπου θέωσιν, τον δέ άνθρωπον θεον δια τήν τοϋ θεοΰ άνθρώπησιν. βούλεται γαρ άεί καί έν πασιν ό τοϋ θεοΰ Λόγος καί θεός τής αύτοΰ ενσωματώσεως ένεργεΐσθαι το μυστήριον ... (1097 D) καί τοΰτό έστι τής προς ανθρώπους τοϋ θεοΰ μυστικωτάτης επιδημίας το μυστήριον. Massimo, inoltre, ha portato nella mi stica anche il concetto, a noi già noto da Gregorio Nazianzeno, del ' patire il santo ritorno ' (πάσχειν τήν καλήν άντιστροφήν) : è il medesimo processo del πάσχειν το γενέσθαι τη χάριτι θεός (PG 9°, 321 Β), tratto evidentemente dalla mistica dell'Areopagita ; cfr. De div. nom. 2, 9 (PG 3, 648 B) : παθών τα θεια. 61 Anche questo è stato riassunto in modo eccellente da J. BACH, op. cit., p. 33: « Il vigore della redenzione storica si realizza nell'uomo come perdurare della nascita di Cristo nell'anima verginale, nel mistico processo della θέωσις. Cristo è l'ύπόστασις d'ogni grazia e d'ogni virtù nella vita dell'anima umana. Secondo questa ύπόστασις Cristo deve venir continuamente generato nella mistica vita morale della santificazione d'ogni membro genuino della Chiesa. Lo scopo
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Mistica e nascita di Dio sono d'ora in avanti inscindibilmente congiunte dovunque esercita un particolare influsso la teologia mistica di Massimo, il quale ha portato al pieno sviluppo i princìpi dottrinali già esistenti in germe in Origene e in Gregorio Nisseno. Ciò è avvenuto effettivamente in Scoto Eriugena e nel Maestro Eckehart. Se ciò si debba attribuire a una dipendenza letteraria ο (come ci sembra verosimile per il Maestro Eckehart) a quella parentela spirituale che in ogni tempo ha legato i mistici fra loro, potremo definirlo solo dopo aver descritto lo sviluppo di questa dottrina nella teologia patristica latina.
dell'opera di Cristo, la meta d'ogni mistica è questa: che Cristo divenga tutto in tutti ».
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Il passaggio alla teologia dei Padri latini non significa l'inizio d'un nuovo corso storico dell'idea che andiamo studiando. Infatti Origene e Ippolito, ai quali in Oriente si sono ispirati Metodio e Gregorio, sono stati maestri anche per l'Occidente. Essi sono i magistri di AMBROGIO. La dipendenza del vescovo di Milano da Origene è troppo nota e non esige qui una dimostrazione diretta. Del resto si potrà subito dedurre dalla dottrina della nascita di Dio quanto sia reale tale dipendenza. Meno considerata, invece, ma pur tanto importante è la dipendenza di Ambrogio da Ippolito *. Ed anche ciò ha la sua conferma nella dottrina della nascita di Dio, ed è ancor più evidente alla luce dell'antichissima dottrina, notoriamente ippolitiana, del ' Verbo 1 N. BONWETSCH dà una prova esauriente di questa dipendenza da Ippolito nella sua edizione della piccola opera di Ippolito recentemente scoperta (Texte und Unters. 26, I, Lipsia 1904) e nell'edizione completa del commentario di Ippolito al Cantico dei Cantici (Texte und Unters. 23, 2, Lipsia 1903). Alcuni documenti sulla presente questione in ZkTh 59 (1935) 77-79·
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saltante ' che dal cuore del Padre viene nel cuore del credente 2. La predilezione di Ippolito per la dottrina della nascita del Logos dal cuore del Padre si riflette chiaramente nelle opere di Ambrogio 3. Con l'antica speculazione romana di Ippolito si raccoglie in Ambrogio anche l'eredità di Origene e poi quella di Filone, ossia la tesi dell'antica psicologia sulla virtù generativa del cuore 4. In Ambrogio si trovano tutti gli elementi della teoria che abbiamo fin qui esposta. E se nelle opere di Ambrogio essi non hanno avuto una precisa sistematizzazione, ciò si deve all'originalità della sua produzione letteraria: quando s'imbatte in concetti teologici particolarmente suggestivi, Ambrogio si limita a copiare quanto i dotti predecessori gli offrono. E siccome i suoi scritti hanno un notevole valore probativo per la vitalità della tradizione, da essi noi possiamo facilmente dedurre, a prescindere dall'eventuale testimonianza letteraria, di quale intensità sia stato l'influsso della tradizione per quanto riguarda la dottrina della nascita di Dio. Si deve certamente all'influsso dell'esegesi di Origene se anche Ambrogio ha considerato le parole di Is 26,18 e Gal 4,19 qual fondamento dei suoi concetti sulla virtù generativa del cuore. Quella forza generativa di pensieri che egli, d'accordo con l'antica a Cfr. sopra p. 22S. * Per le prove di IPPOLITO e AMBROGIO, date sopra a p. 2is, cfr. anche i passi del Commentario di Ippolito al Cantico dei Cantici (Texte und Unters. 23, 2), p. 26, 26; p. 31, uss: «Il Figlio è nato per generazione da David e dal cuore del Padre»; p. 31, 3iss: «Il mio cuore - dice il Padre - ha generato il Verbo, mentre da Davide è stato generato l'uomo ». - Ciò è descritto da Ambrogio. Sui suddetti testi cfr. anche De Virginitate 11 (PL 16, 282 B). 4 Cfr. sopra p. 20S.
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psicologia, attribuisce all'intimo dell'anima, cioè al cuore, si esprime ora anche in senso religioso. La mens, ossia l'anima in grazia, genera i buoni pensieri 5 : « Quid autem sanctius mente, quae dat bonarum semina cogitationum, quibus aperit vulvam animae conclusam pariendi sterilitate, ut possit illas invisibiles generationes edere, utero videlicet spiritali, de quo dicit Isaias (segue Is 26,18) ». L'intimo, il cor intelligibile6, è il luogo segretissimo in cui si compie il parto spirituale. In questo luogo segreto vive Cristo. Ivi è il suo soggiorno preferito: «In corde amat esse Christus» 7 . L'essenza della vita spirituale è dunque l'intima unione col Logos: il crescere e morire del Verbo eterno nel nostro cuore; la morte spirituale è un distacco dell'anima dalla sua vita interiore, dal Verbo divino : « Vivit igitur Dei Verbum et maxime in animis vivit piorum... Moritur nobis, si a nostra anima separetur ... mors enim vera est Verbi et animae separatio»8. È indicativo per l'origine di questi concetti il fatto che Ambrogio parli una volta 9 espressamente del Λόγος παρ&ενικός dimorante nel l'anima: questi è il Logos che per eterna generazione verginale procede dal cuore del Padre 10 ed ha ora trasformato con la sua inabitazione l'anima del cre5 De Abraham 2, 11, 78 (CSEL 32, 1, p. 630, I2ss). • Ivi (p. 630, 17). ' De virginitate 19 (PL 16, 298 D). - Cfr. anche Epist. 41, 12 (PL 16 1116C): « Ambulat Christus in pectoribus singulorum ». » De fuga saeculi 2, 13 (CSEL 32, 2, p. 173, uss). • Epist. 31, 2 (PL 16, 1066 B). 10 Sulla generazione eterna dalla natura verginale del Padre cfr. anche De fide ad Gratianum 4, 8 (PL itì, 63413), dove viene spiegato il testo del Sai 109, 3 : « Uterus paternae arcanum substantiae interiusque secretum ».
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dente in teatro della sua vita mistica: « Nostris enim meritis Verbum Dei nobis aut vivit aut moritur, nam si bona studia atque opera nostra sint, vivit atque operatur in nobis Dei Verbum » n . È interessante vedere come questi concetti sulla mistica sopravvivenza del Logos nel cuore del credente abbiano nel pratico Ambrogio, non ostante l'identità delle fonti, uno sviluppo completamente diverso rispetto al contemporaneo Gregorio Nisseno. La nascita di Dio si realizza sempre, secondo Ambrogio, nell'ordinaria vita morale del credente; d'un sistema mistico, invece, nessuna traccia. Anche la rigenerazione battesimale non è posta in rapporto con la nascita del Logos dal cuore. C'è solo un pensiero predominante: con una vita buona e onesta il cristiano deve conservare in sé l'inabitante Cristo; chi accoglie nel seno materno del cuore i " buoni pensieri ', genera Cristo. Si deve ad Ambrogio se d'ora in poi, fino al medioevo, non emergerà più l'interpretazione dommatica e mistica della nascita di Dio, ma solo quella ascetica. Che il principio della vita dell'inabitante Logos sia una vera nascita, Ambrogio lo dice espressamente. Cristo è il bimbo generato dallo spirito che ha il timore di Dio : « Christus ipse est et puer quem parturit qui in utero suae mentis accepit spiritum salutis » 12 . Questa generazione è il principio animatore d'un'interiore crescita del Logos-bambino nel cuore (anche qui il maestro è Origene) 13 : « Quae tanti forma sit partus demonstrat 11
Epist. 32, 2 (PL ι ό , 1066 A). Enarr. in Ps. 47, io (PL 14, 1150 B ) . 13 Cfr. sopra p. 47S. N o n è da escludersi che qui abbia esercitato un certo influsso anche il Commentario al Cantico dei Cantici di 12
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Apostolus dicens (Gal 4,19). In liane formam (Christi) tota mentis nostrae coalescant viscera et in ilio genitali alvo animae nostrae Christus refulgeat. Partus noster fides sit... his quaedam cordis nostri imbuatur infantia, instituatur pueritia, iuvenculescat adulescentia, senecta canescat » 14 . Inspirandosi ancora chiaramente ad Origene, Ambrogio paragona la perdita della grazia a un aborto. Il testo del commentario a Luca, dove questo concetto è presentato nei dettagli, è sotto molti aspetti degno di nota. Esso riunisce insieme quel che Ambrogio ha scritto altrove, e contiene tutti gli elementi della storia della nostra idea, ma nel tipico stile di Ambrogio. Il concepimento del Logos-bambino mediante una vita di rettitudine e di virtù, il « divenire madre di Cristo » nel compimento della volontà di Dio, l'imitazione della Vergine Maria nel concepimento interiore per opera dello Spirito Santo: tutto ciò è stato sempre presente nella tradizione. In Ambrogio riaffiora ancora una volta, e il commentario a Luca ha contribuito moltissimo, per il suo rilevante influsso fino al medioevo, al perpetuarsi dell'idea. Ecco le parole di Ambrogio 15 : «Sunt enim et quae de Dei timore concipiunt quae dicunt : ' de timore tuo concepimus et parturivimus ' (Is 26,18}. Sed non omnes pariunt, non omnes perfecti, non omnes possunt dicere: ' peperimus spiritum salutis in terra ', non omnes Mariae, quae de Spiritu Sancto Christum concipiant, Verbum pariant. Sunt enim quae abortivum excludant Verbum antequam pariant, sunt quae in utero Christum habeant sed nondum formave14 15
De Cairi et Abete, 1, 2 (CSEL 32, 2, p. 378, uss). In Lue. comm. io, 14.25 (CSEL 32, 4, p. 464S).
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rint, quibus dicitur (segue Gal 4,19). Fac voluntatem Patris, ut Christi mater sis. Multae conceperunt Christum et non generaverunt. Ergo quae park iustitiam, Christum parit, quae parit sapientiam, Christum parit, quae parturit verbum, Christum parturit». Queste parole di Ambrogio non sono però caratteristiche soltanto per il nesso con la tradizione; esse sono indicative anche della direzione in cui si è evoluto il concetto della nascita di Dio nella teologia e nella spiritualità latina. La teologia della nascita di Dio non vien più presentata in una profonda speculazione mistica, come presso i greci, e nemmeno in così stretto rapporto con la processione eterna del Logos dal cuore del Padre; ma sempre più e con crescente insistenza nel contesto etico-morale delle ' buone opere ' e nella veste ' mariana ', già evidente nelle surriportate parole di Ambrogio. Maria, tipo della Vergine-Madre, della Chiesa; Maria, modello dell'anima vergine; il mistero del Natale, principio della vita spirituale: questi saranno d'ora in avanti i concetti fondamentali. Nell'anima, dice Ambrogio, si ripete il mistero di Betlemme: generando spiritualmente Cristo nel cuore, essa diventa la ' Casa del pane ' 1 β : « Omnis itaque anima quae recipit panem illum descendentem de caelo domus panis est... incipit ergo concipere anima et formari in ea Christus quae recipit adventum eius ». In questa interiore generazione di Cristo, l'anima del credente imita la Vergine Maria, vien chiamata ' Maria ', come una volta la Maddalena fu chiamata Maria dal Signore 17 solo quand'ella si rivolse a l u i : « Quando converti " Epist. 70, 13.16 (PL 16, 1237 B; 1238 A ) . 17 De virginitate 4, 20 (PL 16, 271 B ) .
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incipit, Maria vocatur, hoc est nomen eius accipit quae parturit Christum; est enim. anima quae spiritualiter parturit Christum». Ciò è di capitale importanza per la conoscenza del pensiero medievale sulla nascita di Dio, poiché è soprattutto Ambrogio (e dopo di lui Agostino) ad indicare la direzione del successivo sviluppo dell'idea, tanto che il modo in cui questi due parlano della nascita di Dio è lo stesso in cui ne parlerà poi il medioevo. Precisamente in questa svolta della storia della dottrina che stiamo ora studiando, nella restrizione (se così possiamo esprimerci) all'aspetto morale e devozionale, nel sorgere del culto mariano, nell'insistenza sull'avvenimento storico del Natale, possiamo osservare il lento costituirsi della spiritualità del primo medioevo. Ciò vale soprattutto e in primo luogo per il più grande discepolo di Ambrogio, AGOSTINO. È significativo il fatto che la teologia della nascita di Dio, tanto apprezzata dalla speculazione dei Padri greci, non abbia avuto invece in Agostino una eco adeguata. Questo complesso dottrinale svolge in ogni caso un ruolo di secondaria importanza nel pensiero agostiniano intorno al Corpo di Cristo, alla Chiesa, e alla grazia. Proprio là, dove ci si sarebbe aspettato un più facile consenso alla mistica continuazione della nascita eterna del Logos dal Padre, cioè nelle riflessioni di Agostino sull'eterna e incessante nascita del Logos - come avvenne in Origene, Gregorio Nisseno e soprattutto Massimo, - non se ne ha invece nessuna traccia18. Nella sua ecclesiologia Agostino s'avvicina 18 Cfr. Epist. 238, 4 (CSEL 57, p. 552, 16): « Semper gignit Pater et semper nascitur Filius ». - Cfr. anche Enarr. in Ps. 2, 6 (PL
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maggiormente alla dottrina della nascita di Dio nel cuore de credente. Questo è un tema tanto caro ad Agostino: la Chiesa, feconda e verginale madre del credente 19. Ma il suo pensiero è rivolto esplicitamente solo alle membra Christi, che dalla Madre Chiesa ricevono la vita divina nella rigenerazione battesimale. Tuttavia, riferendosi alla dottrina dell'unità del Corpo mistico di Cristo (sulla quale non possiamo ora indugiare), egli dice espressamente che la Chiesa è Madre di Cristo 20. Manca però, come abbiamo potuto costatare, l'altro antico concetto, tanto apprezzato dal tempo di Ippolito: la Chiesa che forma e genera il Cristo mistico nel cuore dei credenti 21. 36, 71 A). - Tract. in Ioann. 2 1 , 3.5 (PL 36, 1565SS). - Questi testi sono importanti perchè ad essi più tardi si riferisce espressamente ECKEHART. Per tutta la questione cfr. M. SCHMAUS, Die psychologische Trinitàtslehre des hi. Augusiinus. p. 130S. 11 Cfr. FH. HOFFMANN, Der Kirchenbegriff des hi. Augustinus, M o naco 1933, p. 264S; 494. 20 Enarr. in Ps. 127, 12 (PL 37, 1685): «Mater quomodo, nisi quia ipse Christus est in christianis quos christianos per baptismum quotidie parit Ecclesia ». - Il medesimo concetto in Serm. io, 2 (PL 38, 92). Agostino richiama due volte il passo di Mat 12, 50, del cui antichissimo uso siamo già a conoscenza. Il luogo classico di Agostino per questi concetti è contenuto nell'opera De virginitate, in cui questa ecclesiologia di Agostino ha trovato la sua espressione più bella. Cfr. De Virg. 5 (CSEL 41, p. 239, 14S): «Mater eius est tota Ecclesia, quia membra eius, id est fideles eius, per Dei gratiam ipsa utique parit ». Sermo 213, 7 in tradìtione Symboli 2 (PL 38, 1064): «Sic et Ecclesia et parit et virgo est. Et si consideres, Christum parit, quia membra eius sunt qui baptizantur ». 21 Al contrario si dice in De uiiginitaSe 5 (CSEL 4 1 , p. 239, 15SS) che l'anima, operando negli altri la salvezza mediante l'amore, diviene in questo m o d o ' madre di Cristo ' : « Item mater eius est omnis anima pia, faciens voluntatem Patris eius fecundissima cantate, in iis quos parturit, donec in eis ipse formetur ». - Qui si sente ancora una volta l'antica teologia, in consonanza con Gal 4,19. Altrove Agostino attenua questo farsi di Cristo nell'intimo del credente: cfr. Epist. 82, 4 (CSEL 34, p. 355, ios).
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Agostino parla molto di più - e ciò si deve certamente all'influsso di Ambrogio e alla tradizione oratoria latina - dell'aspetto etico-morale della nascita di Dio. Nell'inizio e nello sviluppo della vita intcriore, nel profondo del ' cuore ', dove dimora l'eterno Verbo di Dio, nella tipicamente agostiniana interiorità del cuore, si compie la nascita mistica di Cristo. Il cuore del credente, immagine del corpo verginale di Maria, è il luogo in cui anima e Verbo s'incontrano. Questo è il gran tema che ha tanto impegnato Agostino, come egli stesso ha riconosciuto nelle immortali parole delle Confessiones : « Ut redeamus hinc ad eam in illud secretimi, unde processit ad nos, in ipsum primum virginalem uterum, ubi ei nupsit humana creatura, ut redeamus ad cor et inveniamus eum » 22 . Anche in Agostino è soprattutto il mistero del N a tale che gli fa pronunziare sulla nascita di Dio nel cuore quelle parole che sono rimaste vive e operanti in tutti i tempi. Maria è il grande modello di tutte le anime credenti ; ciò che una volta si compì in lei storicamente, deve ripetersi spiritualmente nei cuori. Nella vita m o rale del credente deve essere riprodotta specialmente 22 Confessiones 4, 12, 19 (CSEL 33, p. 79, 6ss). - I testi agostiniani in favore dell'inabitazione del Verbo eterno nel cuore del credente sono innumerevoli. Cfr. Enarr. in Ps. 36, Sermo 3, 12 (PL 36, 390) : « Liberai a laqueo Verbum Dei in corde, liberat a via prava Verbum Dei in corde... tecum est cuius Verbum a te non recedit ». Così pure Sermo 117, 17 (PL 38, 671); Sermo 190, 3 in Natal. Dom. 7 (PL 38, 1008); Traci, in Ioann. 50, 2 (PL 35, 1759). Ha esercitato un profondo influsso sulla teologia del cuore della mistica tedesca specialmente un'espressione di Agostino del De vera religione 39 (PL 34, 154) : « Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat Veritas ». ECKEHAET cita questo testo con particolare piacere. Cfr. anche M. SCHMAUS, op. rif., p. 309 sulla mistica agostiniana sull'intimo dell'anima.
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la fede, per la quale Mafia divenne Madre del Verbo: « Fides in mente, Christus in ventre » 23. L'incarnazione mediante la fede della Vergine è il primo principio della vita divina in noi. « Verbum caro factum est prò nobis, ut a matre procedens habitaret in nobis » 24 : questo è il tema trattato sempre e con molta eloquenza nelle sue prediche di Natale. La nascita interiore di Cristo nel cuore dei credenti deve essere il principio dell'ascesa interiore : « Ecce habemus infantem Christum, crescamus cum eo » 25. Agostino si rivolge espressamente alla massa dei suoi uditori: questo fatto interiore è per lui solo un'espressione della crescita spirituale, indispensabile a tutti i cristiani. Siamo qui lontani da ogni mistica, ma proprio da ciò possiamo rilevare il realismo ed anche l'antichità della popolare dottrina agostiniana della grazia : « Quod miramini in carne Mariae, agite in penetralibus animae. Qui corde credit ad iustitiam, concipit Christum. Qui ore confitetur ad salutem, parit Christum. Sic in mentibus vestris et fecunditas exuberet et virginitas perseveret » 26. Affioa3 Sermo 196, 1 in Nat. Dom. 13 (PL 38, 1010); De virginitate 3 (CSEL 41, p. 237, I7ss): « Sic et materna propinquitas nibil Mariae profuisset, nisi felicius Christum corde quam carne gestasset ». - Enarr. in Ps. 67, 21 (PL 36, 826): «Illa virgo Christum... spiritualiter credendo concepii ». 24 Sermo 195 in Nat. Dom. 12 (PL 38, 1019). 25 Sermo 196, 3 in Nat. Dom. 13 (PL 38, 1020). - Anche in Agostino ricorre una volta, insieme con la citazione di Gal 4,19, l'interpretazione della figura dell' ' aborto ' trasmessa da Ambrogio e Origene. Cfr. Enarr. in Ps. 57, 5 (PL 36, 678) : « Nascuntur inter viscera Ecclesiae quidam parvuli et bonum est ut formati exeant ne abortu labantur ». Ma anche qui si tratta solamente della nascita delle membra di Cristo. Cfr. anche la bella esposizione del rapporto tra il Natale e la rigenerazione battesimale, in Tract. in Ioann. 2, 15 (PL 35, 1395). ·· Sermo 191, 4 in Nat. Dom. 8 (PL 38, i o l i ) .
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ratio chiaramente le parole del Commentario a Luca di Ambrogio. Quasi con le medesime parole anche lo Ps.-Crisostomo ha spiegato ai fedeli questa nascita morale di Dio 27. Tutto ciò risale infine alla teologia di Origene sulla nascita di Dio dalle ' buone opere '. In contrasto con la sublime speculazione di Gregorio Nisseno e di Massimo, qui s'avverte il senso popolare dell'antica teologia della nascita di Dio. Così predicano i sacerdoti. I mistici però han parlato in altro modo. L'idea della verginità spirituale, predicata da Agostino ai suoi fedeli, è di particolare importanza anche per la dottrina della perfezione. E sotto questo aspetto è significativo specialmente il concetto della maternità spirituale in ordine a Cristo, di cui conosciamo ormai la storia. Agostino ha presentato questo ideale di verginità nel suo opuscolo De virginitate: Maria, Chiesa, Vergine: nel medesimo ordine si perpetua nei tempi la maternità rispetto a Cristo 28 . Difficilmente si va errati se proprio qui si vede ancora una volta l'influsso del grande ammiratore della verginità, Ambrogio. Gli stessi concetti sono espressi anche da Agostino nelle sue prediche di Natale, come esortazione diretta alle vergini: « Exultate virgines Christi, consors vestra est mater Christi... verumtamen si verbi eius memineritis sicut meminisse debetis ( Mat 12,50): estis edam vos matres eius, quia voluntatem facitis Patris eius. Hunc (Christum) fide concipite, operibus edite. Ut quod egit uterus Mariae in carne Christi, agat cor vestrurn 27
Cfr. sopra, ρ. 6η. De virginitate 5 (CSEL 41, p. 239, 6s): «Et ipsae (virgines) cum Maria matres Christi sunt, si Patris eius faciunt voluntatem », Ivi, 6 (CSEL 4.1, p. 240, I7s): « Quia voluntatem Patris faciunt, Christi spiritaliter matres sunt ». 28
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in lege Christi » 29. Rimane ancora l'idea della nascita di Dio dalle ' buone opere ', pervenuta ad Agostino da Origene per il tramite di Ambrogio. L'anima diviene genitrice di Cristo nella fede, nel compimento del bene, nell'adempimento della volontà del Padre. Solo una volta Agostino si riferisce apertamente al fondamento della vita morale, alla grazia battesimale, mettendo il mistero della nascita di Cristo in rapporto con la rigenerazione battesimale. È la descrizione più bella e a un tempo più agostiniana della nascita di Dio nel cuore del credente 30 : « Nemo dubitet renasci, Christus natus est... fiat itaque in cordibus nostris misericordia eius. Portavit eum mater in utero; portemus (et nos) in corde. Gravidata est virgo incarnatione Christi; gravidentur pectora nostra fide Christi. Peperit (virgo) Salvatorem; pariat (anima nostra salutem, pariamus) et laudem. Non simus steriles, animae nostrae fecundae sint Deo ». Tali concetti e parole caratterizzano in questo momento la predicazione nell'Occidente cristiano. Agostino è il Maestro anche per quanto riguarda la dottrina della nascita di Dio. Ma nel medioevo molti testi presi da prediche post-agostiniane furono attribuiti direttamente al grande Maestro. Per questa ragione dobbiamo ora prendere in esame la continuazione del pensiero agostiniano, per poterne valutare l'influsso sul primo medioevo. 28
Sermo 192, 2 in Nat. Doni. 9 (PL 38, 1012). Sermo 180, 3 in Nat. Dom. 6 (PL 38, 1006). Pubblicato nuovamente secondo un'altra tradizione manoscritta da G. MOBIN, Sancti Augustini Sermones post Maurinos reperti (Miscellanea Agostiniana, i), Roma 1930, p. 211. Nel nostro testo sono poste tra parentesi le parole non contenute nei manoscritti di Morin. 30
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Più efficacemente forse di qualche predica può aver favorito il conservarsi dell'idea il fatto che essa venne accolta anche nei testi liturgici. Specialmente l'antica liturgia spagnola ha tratto dal pensiero di Agostino il concetto, sempre più ' medievale ', di Maria qual modello sublime della Chiesa e dell'anima credente. Ivi così si prega 31 : « Quod praestitum est carnaliter sed singulariter tunc Mariae, nunc spiritaliter praestetur Ecclesiae: ut te fides indubitata concipiat, te mens de corruptione liberata parturiat, et semper anima virtute Altissimi obumbrata contineat. Ne discedas a nobis sed procedas ex nobis ». Si ha la medesima cosa in due preghiere della vigilia pasquale 32 : anche qui Maria è il tipo della vergine e feconda Chiesa, come era stata descritta spesso e con espressioni profonde nella teologia agostiniana 33. Alla luce di queste fonti, della liturgia gallicana e degli scritti di Agostino, si devono chiarire anche quelle allusioni che troviamo di frequente negli scritti dei vescovi gallici. Così, ad esempio, quando CESARIO D'ARLES scrive : « Gaudeat Christi Ecclesia quae ad similitudinem beatae Mariae mater divinae prolis effi31
Le Liber Mozarabicus Sacramentorum (ed. M. Férotiti), Parigi
1 9 1 2 , c o l . 54, 32SS. aa
Ivi, p. 250, 7ss: «Filii lucis oriuntur quos maturino partu per gratiam spiritalem hac nocte progenerai Mater Ecclesia sine corruptione concipiens et cum gaudio pariens, exprimens in se utique formatti Virginis Genitricis absque ullo humanae contagionis fecunda conceptu ». - Cfr. il prefazio del Sabato Santo del GREGOHIANUM (Muratori II, col. 313): «Filii lucis oriuntur quos exemplo dominicae Matris sine corruptione sancta Mater Ecclesia concipit ». Sarebbe interessante studiare queste preghiere nel loro rapporto con la teologia agostiniana e con quella più antica. 33 Cfr. ancora Enchiridion 34, io (PL 40, 249) : « Ecclesia quae imitane eius Matrem quotidie parit membra eius et virgo est ».
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citur » 34 . Dal medesimo ambiente provengono le prediche conosciute come pseudo-agostiniane, sia che si debbano a MASSIMO DA TORINO Ο a CESARIO Ο a qualche altro vescovo. Forse non v'è nulla di più indicativo per il contenuto di tali prediche che una breve frase d'un sermone natalizio: « Hodie natus est non sibi Christus sed mihi »35. Qui s'avverte chiaramente il passaggio al medioevo: s'annunzia infatti quella virile e commovente interiorità, che sempre più accentua l'egocentrismo del mistero nel ricordo delle parole di Origene: « Che giova a me se Cristo è nato, ma non in me? ». Con sempre maggior frequenza si dice che il Figlio di Dio s'è fatto uomo per abitare nell'intimo del nostro cuore : « Hic prò nobis natus est, hic etiam, si digne agatis, habitat in vobis » 3e . Una vita cristiana senza peccato ne è la condizione. Ed anche ciò è caratteristico per la storia dell'idea. Così leggiamo in una di queste prediche popolari: «Portemus ergo et nos Deum in casto corpore, quem Virginis casta membra portaverunt... ut semper Christum in corde nostro portare possimus, castos ac puros nos exhibeamus ab omni peccato, ut Christus habitare possit in nobis. Qui enim Christum non habet in se, christianus non potest dici » 37. Il concetto della nascita di Cristo s'è ora tramutato in un ' avere ' ο ' portare ' internamente il Signore. In un'altra di queste prediche si può ancor meglio rilevare non soltanto lo stile agostiniano, ma anche l'antico 34 36 36 31
Homi!, de paschate 3 (PL 67, 1048 B ) . Serm. 124, 1 (PL 39, 1992). Serm. 371, 4 (PL 39, 1661). Serm. 125, 4 (PL 39, 1994).
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concetto della nascita di Dio, che comincia nel battesimo e dà forma nella vita spirituale allo sviluppo interiore del Verbo di Dio. Il testo è perciò degno d'attenzione, poiché secondò noi si riferiscono principalmente ad esso i richiami che nel medioevo cercano in Agostino una garanzia per la dottrina della nascita di Dio. Ancora una volta, come già in Origene e in Ambrogio, la giustificazione interiore e la crescita spirituale sono interpretate come nascita e crescita dello stesso Logos. E ciò, possiamo dire, per l'ultima volta. Infatti quanto verrà detto successivamente nella storia di questa idea (con la sola eccezione del Maestro ECKEHART, il cui ruolo specifico in tale storia è per altro comprensibile solo in questo quadro), non è che ripetizione ο allu sione all'antico parallelismo fra la crescita spirituale e la nascita e crescita del Verbo di Dio nel cuore. Ecco il testo di questa bellissima predica natalizia postagostiniana 38 : « Exultemus ergo, carissimi. Ab hodierno die crescunt dies. Crede in Christum et crescit in te dies. Credidisti? Inchoatus est dies. Baptizatus es? Natus est Christus in corde tuo. Sed numquid Christus natus sic remansit? Crevit, ad iuventutem pervenit; sed in senectutem non declinavit. Crescat ergo et fides tua, vetustatem nesciat. Sic pertinebis ad Christum Filium Dei, in principio Verbum apud Deum, Verbum Deum carnem factum, ut habitaret in nobis... ad illum pertinuit propter nos nasci, ad nos pertineat in ilio renasci ».
s
» Serm. 370, 4 (PL 39, 1659). - Esattamente in senso agostiniano, anche la verginità vien qui messa nuovamente in rapporto con la nascita di Dio. Cfr. Serm. 121, 2 (PL 39, 1988) : β Beata virginitas desinit esse iam mortis anelila, quia illum intra se gestat in mente, quem Maria portavit in ventre ».
5· LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO
Per una più esatta conoscenza delle fonti patristiche dalle quali dipende la mistica medievale e soprattutto il Maestro Eckehart, è importante indicare il cammino che conduce direttamente fino al tempo dei mistici. Le linee direttive possono essere tracciate in base alle opere dei Padri della Chiesa oppure mediante la concatenazione di singoli testi patristici. Molto più importante è ancor sempre il vivo contatto con l'ininterrotta tradizione, che solo faticosamente possiamo però ricostruire nella sua totalità, attingendo alla letteratura del periodo che intercorre fra l'epoca patristica e l'inizio della Scolastica. Dobbiamo ora indicare nei minimi particolari queste linee direttive fino alle fonti immediate del Maestro Eckehart. Il lento costituirsi della spiritualità del primo medioevo segue inizialmente il cammino segnato dalla dottrina agostiniana dell'interiorità del cuore. GREGORIO MAGNO ripete i concetti agostiniani del Verbo eterno 1, 1 Cfr. GREGORIO M., Moral. 5, 28 (PL 75, 706a): * Verbum absconditum in corde». Homìl. in Evang. 15 (PL 76, H32B); Moral. 19, 3 (PL 76, 99 B): Moral 16, 36 (PL 75, 1143 A).
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dimorante nel profondo del nostro cuore. Egli s'impossessa soprattutto dell'esegesi di Mat 12,50, divenuta fondamentale per opera di Agostino. ' Madre di Cristo ', secondo lui, è in modo particolare l'anima che forma e genera Cristo nel cuore del prossimo 2 : « Sed sciendum nobis est quia qui Christi frater et soror est credendo, mater efficitur praedicando; quasi enim parit Dominum quem cordi audientis infuderit. Et mater eius efficitur si per eius vocem amor in proximi mente generatur '». Questo testo è importante specialmente perché è stato accolto, insieme con quello del Crisostomo 3 , nelle Catene di S. Tommaso d'Aquino ed è così divenuto familiare al medioevo, non escluso Eckehart, che s'è servito con piacere della Glossa di Tommaso. L'antichissimo concetto della nascita di Dio nel cuore dei credenti, presente già in Origene e Ippolito, è diventato per questa via patrimonio comune della spiritualità medievale. Ancor più ha contribuito BEDA alla diffusione di questa antica esegesi, ricevuta da Gregorio, di Mat 12,50 4 , soprattutto perché per suo tramite tale concetto è giunto a RABANO MAURO 5 , e da Rabano la 2
Homil. in Evang. 3 (PL 76, io8tì D). Cfr. sopra, p. 68, nota 11. 4 Expos. in Lue. 4 (PL 92, 480 BC) : « Omnes qui idem Verbum spiritaliter auditu fidei concipere et boni operis custodia vel in suo vel in proximorum corde parere et quasi alere studuerint, asseverans (Salvator) esse beatos ». 5 Comm. in Matlhaeum 4, 12 (PL 107, 937 D) : « Isti sunt mater mea qui me quotidie in credentium animis generant ». - Certamente anche il Commentario a Luca di Ambrogio, in cui viene spiegato il luogo parallelo a Mat 12,50, Lue 8,21, ha contribuito alla formazione di questa esegesi mistica, che ha esercitato un sì potente influsso sulla 3
LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO
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teologia della nascita di Dio nel cuore dei credenti è entrata nella Glossa ordinaria6, alla quale s'è potuta poi collegare la mistica del primo medioevo. Proprio su queste basi ha costruito la sua mistica RICCARDO DI S. VITTORE, aiutato anche dall'antica psicologia trasmessa da Agostino e di cui conosciamo ormai la storia. La nascita di Cristo nel proprio cuore e nel cuore altrui è il compimento della volontà del Padre celeste7 : « Verbum Patris, Filius Patris est voluntas Patris. Item voluntas hominum quid aliud est nisi quaedam proles mentis? Si igitur eadem est voluntas tua et voluntas Patris, veritas sapientia voluntas corde concipitur et corde generatur. Si igitur idem vis, idem sapis quod Pater, eundem Filium habes quem Pater... Potes Christum gignere in corde tuo et in corde alieno. Intellectu gignitur, consensu concipitur, affectu nascitur ». Quanto profonda sia stata l'impressione prodotta da questa teoria mistica lo si può desumere dal fatto che le parole che abbiamo riportate sono del trattato De interiori domo, compreso fra gli scritti di BERNARDO DI CHIARAVALLE, ma il cui autore è ignoto 8. Noi sappiamo che Eckehart conosceva bene le opere di Riccardo di S. Vittore. In queste si può già riconoscere una delle fonti immediate della sua dottrina della nascita di Dio 9 . storia dell'interiorità. Ambrogio dice: «Propeest enim Verbum in corde tuo, intus igitur Verbum, intus est lumen » (CSEL 32, 4, p. 247, I3s). 11 Glossa ordinaria su Mat 12,50 (PL 114, 129 D). - Cfr. anche GOTTFRIED BABION, Enarr. in Matth. 12 (PL 162, 1368 D). 7
Adnotationes mysticae in Ps 28 (PL 196, 297 CD). Tjactatus de interiori domo 39 (PL 184, 516 D). * È ugualmente importante per lo sviluppo di queste idee anche la storia dell'esegesi del testo di Is 26,17.18, citato in questo contesto 8
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È ancor più facile mostrare il cammino che l'interpretazione mariana della generazione spirituale di Dio ha percorso dal tempo di Agostino, in cui tale espressione è assai frequente, fino al medioevo. È sempre BEDA che più d'ogni altro favorisce il perpetuarsi anche di questa teologia agostiniana. Maria, la ' portatrice del Logos ', che va sui monti con l'eterno Logos nel cuore, è il modello dell'anima che genera Cristo nel proprio cuore 10 : « Typicum pariter exemplum tribuens, quod omnis anima quae Verbum Dei mente concipit statini excelsa cacumina gressu conscendat amoris ». Il tema della storia della spiritualità medievale è così presentato in perfetta consonanza con le agostiniane prediche di Natale. La generazione di Dio dalle ' buone opere ' si tramuta lentamente in generazione dalla ' interiorità ' n. Quanto fossero diffusi tali concetti lo si può rilevare da una lettera di papa GREGORIO II all'imperatore bizantino Leone. Vi si legge infatti 12 : fin da Origene e Ippolito. Abbiamo già visto che il testo si dimostra qual testo classico in favore della nascita di Dio solo sulla base dei L X X e in relazione a Gal 4,19. Questo significato si è conservato, Se EUSEBIO nel suo Commentario a Isaia (PG 24, 276 C) spiega così l'affermazione sul Logos generato nel cuore: τ ο ν γ α ρ μ ο ν ο γ ε ν ή σου Λ ό γ ο ν ένδον εν τή ε α υ τ ώ ν ψ υ χ ή , la spiegazione del testo con tenuto nei L X X è : ο ΰ τ ω ς ε γ ε ν η θ η μ ε ν τ φ Ά γ α π η τ ω σου. M a fu di rilevante importanza per la mistica occidentale la conservazione di questa esegesi ad opera di GIROLAMO, sotto l'evidente influsso di Origene; cfr. Comm. in Is. 8, 26 (PL 24, 302 B C ) . Si spiega quindi perfettamente perché questo testo, specialmente in rapporto con Gal 4,19, sia riemerso anche nella mistica della nascita di Dio del primo medioevo. Cfr. P S . - A I M O N E D I HALBERSTADT (PL 116, 841 D ) ; ISACCO DELLA STELLA RICCARDO 10
DI
(PL 194, S.
1712C);
VITTORE
(PL
GUERRICO 196,
(PL
185,
123 B;
38 A ) ;
1216 D ) .
Expos. in Lue. 1 (PL 92, 320 B). Alla diffusione di questa teologia patristica ha contribuito anche il cosiddetto CLAVIS MELITONIS, che delle parole praegnans e pariens 11
LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO
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« At is qui caelo descendit Deus et in uterum sacrac Virginis... intravit, inhabitet in corde tuo ». UGO DI S. VITTORE propone in un suo sermone, sulla base dell'interiore concepimento e generazione di Cristo, il sistema ascetico dell'ascesa dalla fede alla visione di Dio nell'eternità 13. La mistica agostiniana della nascita ha avuto un grande sviluppo in BERNARDO DI CHIARAVAIXE. Questi per la prima volta ha svolto chiaramente e ampiamente il concetto, più tardi assai apprezzato, dell'avvento spirituale di Cristo nel profondo dell'anima 14 . Ogni giorno Cristo vien nuovamente generato nei cuori. « Quotidie videtur et nasci, duna fideliter repraesentamus eius nativitatem » 15 . Il discepolo di Bernardo, GUERRICO ha riprodotto questa dottrina in una omelia: De Verbi incarnatione in Maria et in anima fidelils. Vi troviamo l'espressione più alta della mistica mariana modellata da Agostino e Ambrogio. Maria è l'esempio morale dell'interno dell'anima: dà la seguente spiegazione : « Praegnantes, animae fidelium Verbum Domini nuper concipientes et necdum in opere parturientes » e « Pariens, aure cordis fìdei concipiens et in confessione vel opere generans » (Spicilegium Solesmense III, Parigi 1855, p. 125). 12 Epist. 12 (PL 89, 521A ). 13 Sermo in Antiurti. Dom. (PL 177, 933S). Cfr. anche Quaest. in Epist. Pauli 191 (PL 175, 478 CD). 14 Cfr. Sermones in Adventum Domini, specialmente Sermo 3, 4 (PL 183, 45 BC) e Sermo 5, 2 (PL 183, 51 C). 15 Serm. in Vigil Nat. 6 (PL 183, 112 D). - Cfr. R. LINHAHDT, Die Mystik des hi. Bernhard von Clairvaux, Monaco 1923, p. 192SS: la mistica della nascita di Cristo. 18 Serm. de Annuntiatione B. Virginis 2 (PL 185, 122 D). Anche Isacco della Stella, appartenente al medesimo ambiente di Bernardo, ha esercitato un notevole influsso, e le sue prediche ricordano i toni eckehartiani. Ritorna ancora l'antica questione mistica del « Che giova a me?»: cfr. Serm. in Pentecost. (PL 194, 184 C): « Parum erat, dilectissimi, ut Filius Dei nobis daretur sicut scriptum est: parvulus
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« Ut plenius noveris conceptum Virginis non solum esse mysticum sed moralem, quod sacramentum est ad redemptionem, exemplum quoque tibi est ad irnitationem ». Per avere una misura dell'influsso di questa teologia dell'interiorità sulla mistica classica della grande Scolastica è necessario leggere il trattato di S. BONAVENTURA, De quinque festivitatibus pueri Iesu, specialmente il capitolo: Quomodo Filius Dei in mente devota spiritualiter nascatur17. Con le parole e i concetti di Agostino e di Beda viene offerta al medioevo tutta la ricchezza dell'antica dottrina della nascita di Dio. Anche l'opuscolo De humilitate Iesu Christi18, attribuito a S. Tommaso, è una eco di tale mistica. Il suo autore richiama espressamente le surriportate parole di Beda: Maria è l'esempio d'ogni anima santa, che nel proprio cuore forma e genera il Verbo eterno : « Notandum quod beata Virgo post conceptionem tria legitur fedatus est nobis, - nisi etiam Spiritus Sanctus nobis donaretur ... et haec est Christi prò nobis, de nobis, in nobis natdvitas; quam accepit prò nobis, contulit etiam nobis, ille per Spiritum Sanctum hominis filius de Maria Virgine, nos per eumdem Spiritum Dei fìlii de Ecclesia virgine». - Cfr. anche Serm. io (PL 194, 1725 A): « Gratia est igitur mater quae parit intus in cordibus nostris Iesum ». - Serm. 7 (PL 194, 1715D): «O beata anima quae numquam obliviscitur nec dimittit puerum Iesum, ... crescat, frater, in te Dei Filius, qui iam formatus est in te ». 17 Opusculum 4 de quinque festivitatibus pueri Iesu (Quaracchi VIII, p. 88ss). Cfr. anche p. 88, nota 1 per un'ottima descrizione delle fonti e dei testi paralleli. 18 Opusculum 53 (ed. Romana <5o) De humanitate Iesu Christi Domini nostri (ed. Parm. XVII, Parma 1864, p. 193). - Per la questione della provenienza di questa bella opera, in cui la cristologia di S. Tommaso viene elaborata in una forma mistica, cfr. M. GRABMANN, Die Werke des hi. Thomas von Aquin (Beitràge z. Gesch. d. Phil. u. Theol. d. Mittelalters XII, 1/2), Miinster 1931, p. 347.
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cisse per quae tria designantur mystice, quibus quaelibet anima sancta post conceptum spiritualem Verbi Dei debet insistere ». Nel medesimo ambiente spirituale è vissuto Eckehart. Pur senza introdurci ora nella questione delle sue fonti immediate, possiamo qui individuare con certezza una di queste. Ma dobbiamo seguire anche da un altro punto di vista lo svolgersi fino al medioevo dell'antica tesi patristica della nascita di Dio. E tale aspetto non è meno importante di quello indicato dalla dottrina 'natalizia' di Agostino. L'abbiamo già detto prima: si tratta della storia dell'esegesi del dodicesimo capitolo dell'Apocalisse, la storia del significato di mulier praegnans. IPPOLITO ci ha dimostrato quanto sia antica la figura della Chiesa che partorisce il Cristo mistico : altrettanto antica quanto quella, più storica, della sinagoga, descritta da VITTORINO DI PETTAU 19. Così pure la protesta di Metodio ha mostrato che assai presto si è pensato a una interpretazione in ordine alla nascita storica da Maria 20. La teologia occidentale ha seguito su questo punto le tracce di TICONIO, contemporaneo di Agostino 21. Sappiamo inoltre dal Commentario di BEATO che Ticonio ha stimato almeno degna di considerazione la sobria descrizione di Vittorino 22 . Favorita dalla teologia agostiniana della Chiesa in quanto Corpo " Comm. in Apoc. (CSEL 49, p. 106, iss). 80 Cfr. sopra, p. 545. ai Per quanto riguarda TICONIO cfr. W. NEUSS, Die Apokalypse des hi. Johannes in der altspanischen una altchristilchen Bibel-IUustration 1, Miinster 1931, p. 5ss. 22 BEATO, In Apocalypsim 6, 4 (ed. H. Sanders, Roma 1930), p. 460.
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mistico di Cristo, l'indagine si concentra ora principalmente sulla Chiesa. Il tema di questa esegesi è proposto da GENNADIO DI MARSIGLIA nella sua nona omelia sull'Apocalisse (testo attribuito nel medioevo ad Agostino) : « Semper enim in cruciatibus parit Ecclesia Christum per membra » 2 3 . Beato l'inserisce testualmente nel suo libro e lo illustra con una esegesi, certamente non sua, di Mat 2,4: Erode cerca di uccidere il neonato bambino, come Satana perseguita il sempre nascente Cristo: « Sic in Herode ostensum est Christum iugiter nasci atque ab eo semper requiri... cura enim iam natura cognosceret, non dixit: ubi Christus natus est, sed : ubi nasceretur » 24 . PRIMASIO dice la stessa cosa : « Recte hic caput Ecclesiae Christus in singulis membris dicitur nasci » 25 . Questa interpretazione è solidamente fondata nella teologia latina. In tal m o d o s'è data nuova vita ad una dottrina antichissima. È eloquente soprattutto il fatto che il ' venir sempre generato ', Γάεί della ' quoti diana ' nuova nascita di Cristo nel cuore dei credenti, tanto accentuato da Ippolito e da Metodio (e per essi dalla teologia classica greca), si è conservato anche nella teologia latina (non si è detto però abbastanza chiaramente se debba spiegarsi proprio con questo fatto, insieme col quotidie della suddetta mistica della nascita, Γ ' immer ', ' allezìt ', ' àne unterlàz ', che il Maestro Eckehart ha accentuato con tanta energia). Si può infatti vedere che questa stessa esegesi sulla na23 Cfr. Ps. AGOSTINO, Homil. in Apoc. 9 (PL 35, 2434)· - Per la provenienza di questa Omelia da GENNADIO DI MARSIGLIA, cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. der altkirch. Lit. IV, p. 597S. 24 In Apoc. 6, 26-29 (ed. Sanders, p. 464). 25 In Apoc. 3 (PL 68, 873 D ) .
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scita del Cristo mistico dalla Chiesa ha esercitato un influsso profondo fino alle immediate fonti di Eckehart 26 . C'è inoltre l'influsso, già accennato in Agostino, della forma medievale, in lento sviluppo, della mariologia. Ci si occupa nuovamente della questione se la visione dell'Apocalisse si riferisca ο no a Maria. Ma l'influsso dell'interpretazione tradizionale è troppo forte, tanto che si verifica una combinazione singolare che agisce poi insieme col filone ' natalizio ', di cui abbiamo parlato, sul primo medioevo. Così scrive BERENGARIO: «Eius membra, quem beata Maria Virgo peperit, quotidie Ecclesia parit, quia Christus cum omnibus membris suis unus Christus est » 27. Questa interpretazione è poi tramandata da ALCUINO 28 e soprattutto dallo PS.-AIMONE DI HALBERSTADT. Aimone esamina attentamente la questione : « Ecclesia cuius et Mater Domini membrum erat... ipsa autem beata Dei genitrix in hoc loco personam gerit Ecclesiae. Neque enim omnia quae hic narrantur iuxta litteram beatae Virgini specialiter congruere possunt, sed electorum Ecclesiae secundum mysticam narrationem generaliter 26 Cfr. B E D A (PL 93, 1 6 6 D ) : « Semper Ecclesia dracone licet adversante Christum parit ». - Il senso qui inteso da Beda appare dall'interpretazione originale, secondo la quale la Chiesa genera se stessa: « N a m et Ecclesia quotidie gignit Ecclesiam m u n d u m in Christo
r e g e n t e m » . - ANSELMO D I L A O N (PL 162, 1543 B ) : « I n utero id est
in memoria latet aliquid sicut in utero habens Verbum Dei »; (1544 A ) : « Ecclesia parit Christum quia immittit ipsum in singulis mentibus fidelium ». - Per la dottrina medievale è importante anche R U P E R T O DI D E U T Z , che nel suo libro De Victoria Verbi Dei 3, 10.12 (PL 169, 1277. 1279) ha riprodotto l'antica dottrina agostiniana. Cfr. anche il suo In Apoc. contiti. (PL 169, 1043 A). 27 PL 17, 877 A. 28 In Apoc. comm. (PL 100, 1153 D ) : «Illa (Maria) caput peperit, haec (Ecclesia) membra capitis gignit ».
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conveniunt, in qua quotidie fit hoc signum, quia quotidie concipitur in ea Christus et nascitur » 29. Aimone richiama l'attenzione anche sul noto passo di Mat 12,50. La dottrina della nascita di Dio dalle buone opere, basata su un'interiorità che imiti Maria (come è apparso in Agostino), assume quella forma classica che s'è fortemente impressa nella teologia del primo medioevo. RICCARDO DI S. VITTORE - tanto per nominare solo uno dei testimoni -, citato spesso dal Maestro Eckehart, cosi raccoglie nella sua esegesi dell'Apocalisse i concetti agostiniani: « Sancta Ecclesia totis viribus laborat ut faciendo voluntatem summi Patris mater fiat Christi et eum pariat. Sancta nimirum Ecclesia quae Patri sunt placita perficiendo mater Christi emcitur, quia concipit eum, fecundante eam gratia per fidem, parturit per bonam voluntatem, parit per bonam actionem » 30. In tal modo l'eredità dell'antica teologia perviene anche alla Scolastica, di cui il Maestro Eckehart è un discepolo genuino. ALBERTO MAGNO dice 3 1 : « Christum parit Ecclesia quotidie per fidem in cordibus auditorum». Dalla connessione di questa teologia apocalittica con l'interiorità mariana ispirata ad Agostino potremo facilmente comprendere la teologia medievale della nascita di Dio. Ma prima di esporla è necessario mettere »· In Apoc. comm. 3, 12 (PL 117, 1081 AB). Il Commentario è da attribuirsi certamente ad AIMONE D'AUXERRE. - Anche RUBERTO
DI DEUIZ ripete la medesima interpretazione di Maria, tipo della Chiesa (PL 169, 1043 A) : « Mulier signum erat Ecclesiae totius, cuius beata Virgo Maria portio maxima, portio est optima prò felieitate uteri proprii ». 30 In Apoc. I. IV, 1 (PL 196, 799 AB). 31 In Apoc. comm. 12, 5 (Borgnet 38, p. 656). - Cfr. W. SCHERER, Des s. Albertus Magnus Lehre von der Kirche, Friburgo 1928, p. 3SS.
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in evidenza un altro fermento della sua evoluzione. In seno a questa teologia quasi esclusivamente agostiniana e ambrosiana si verifica un fatto strano: la teologia mistica di Gregorio Nisseno e di Massimo Confessore sulla nascita del Logos viene introdotta da un teologo direttamente nel pensiero occidentale. Tale fatto, importante per la storia della mistica e della spiritualità occidentale, è accaduto quando GIOVANNI SCOTO ERIU32 GENA ha tradotto in latino gli AMBIGUA di MASSIMO , e da queste fonti ha tratto la sua speculazione ostinatamente personale e non del tutto esente da errori 33 . E ciò che è più importante, proprio per la storia della nostra idea, è che Giovanni Scoto non era il solitario uomo bizzarro e incompreso, le cui teorie sarebbero state presto dimenticate. Secondo noi egli ha continuato a vivere grazie alla dottrina della nascita di Dio: il medioevo scolastico, e quindi il Maestro Eckehart, ha avvertito la presenza di questa nuova mistica sistematica, che affonda le sue radici nell'antica teologia cristiana. Ma per qual via? Questo è certo un grosso problema 34 . 33 Sul significato di questa versione cfr. soprattutto gli studi di J. DRASEKE, Maximus Confessor und Johannes Scotus Erigenti in Theo}. Studien u. Kritiken 84 (1911) 20. 204; Gregorius von Nyssa in den Anfiihrungen des Johannes Scotus Erigena, ivi 82 (1909) 330. - H. V. SCHUBERT, Geschichte der christlichen Kirche im Friihmittelalter, Tubinga 1921, p. 463SS e 241S. - H. U. VON BALTHASAR, Kosmische Liturgie, 2 ed., Einsiedeln 1961, p. 19. 33 Per la teologia di Scoto, nei limiti della presente questione, cfr. gli studi di J. BACH, Dogmengeschichte des Mittelalters, v. I, Vienna 1876, pp. 264-314; G. BUCHWALD, Der Logosbegriff des Johannes Scotus Eriugena, Lipsia 1884; Hermann DORRIES, Zur Geschichte der Mystik. Eriugena und der Neuplatonismus, Tubinga 1925; F. VERNET, Erigerle in Dict. de Théol. cath. 5, Parigi 1913, ce. 401-434. 34 Cfr. appresso, p. 125S e 133S, dove si cerca di dare una soluzione alla presente questione.
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Tuttavia, prescindendo da tale questione, la dottrina di Eriugena è interessante, perché è il primo tentativo da parte di un pensatore occidentale di incorporare le antiche teorie della nascita di Dio nel sistema mistico della deificazione dell'uomo. Nemmeno la Scolastica classica l'ha più fatto prima di Eckehart. Massimo è per Eriugena il grande Maestro, il venerabile magister et divinus philosophus35. Le sue parole sull'anima qual ' porzione di Dio ', sulla venuta del Logos qual centro di tutta la storia dei rapporti fra Dio e l'uomo, sulla bipartizione dei saecula e sulla continuazione incessante dell'incarnazione nei cuori dei credenti: tutto ciò e stato trasmesso all'Occidente dalle traduzioni di Eriugena 3e . Questi s'è ispirato a Massimo 3E De divisione naturile 2, 4 (PL 122, 531 A); 5, 38 (955 C). Naturalmente si adduce sempre AGOSTINO a garanzia della dottrina. Così pure AMBROGIO (cfr. PL 122, 936 C; 935 C; 1000 A; 1008 C). Eriugena è certamente il primo a riconoscere la dipendenza di Ambrogio da Origene: cfr. De div. nat. 4, 16 (815 C). Egli è stato anche il primo in Occidente a studiare le opere dello stesso Origene, almeno per quanto riguarda l'opera περί άρχων e il Commentario alla let tera ai Romani: cfr. specialmente De div. nat. 4, 27 (922C ; 929 C). Si deve attribuire a questo studio l'errore fondamentale del libro De divisione naturae, cioè la dottrina erigeniana dell'apocatastasi, per la quale Eriugena trova una conferma negli scritti del venerato GREGORIO NISSENO. Cfr. soprattutto De div. nat. 5,27(9225). Da ciò non potè dissuaderlo nemmeno l'appassionato studio di EPIFANIO DI SAIAMINA, del quale aveva letto VAncoratus. Per tutta la questione, cfr. J. DRASEKE, Johannes Scotus Eriugena und dessen Gewdhrsmdnner in seinem Werke De divisione naturae (Studien zur Geschichte der Theologie und der Kirche LX, 2), Lipsia 1902. 3 · Cfr. la lettera indirizzata a Carlo il Calvo, che Eriugena premette alla sua traduzione. Uno dei temi principali dell'opera, egli dice, è quello della venuta della Bontà divina e il ritorno del creato mediante la deificazione : « Quomodo praedicta quidem divina in omnia processio αναλυτική dicitur, hoc est resolutio; reversio vero θέωσις, hoc est deificatio » {Mon. Gemi. Epist. VI, p. 162, n. 22ss: PL 122, 1196 A). - La frase principale di Massimo sulla continuazione eterna
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anche nella sua teologia della nascita di Dio. Infatti pure in Eriugena la deificazione dell'uomo mediante l'incarnazione del Logos - mistero della grazia che trascende ogni conoscenza - è il pensiero dominante di tutto il sistema. « Ut ergo superai omnem intellectum quomodo Dei Verbum descendit in hominem, ita superai omnem rationem quomodo homo ascendit in Deum » 37 . È certo per un gusto esageratamente platonico del sistema che Scoto trascura una parola che in Massimo è sempre presente : il Logos è disceso θ-έλων, liberamente e per amore 3 8 . Proprio qui Eriugena s'è imbattuto nel pericolo d'un sistema che considera la venuta del Logos come un necessario processo cosmogonico. La forza della tradizione, tuttavia, è tanta e l'autenticità della fede in Eriugena è cosi fuor di dubbio, che possiamo stimare anche il suo sistema, nel comdella nascita di Dio (cfr. sopra p. 83S) nella traduzione di Eriugena suona così : « Vult enim semper et in omnibus Dei Verbum et Deus suae incorporationis operari mysterium » (PL 122, 1206 C). 37 De div. nat. 2, 23 (576 C). Eriugena riferisce espressamente l'ascesa dell'anima umana per la virtù divinizzante del Logos incarnato anche alla mistica visione di Dio che si ottiene quaggiù con la grazia. Cfr. In Ioann. comm. (PL 122, 319 D): « Exitus ergo eius a Patre humanatio est, et reditus eius ad Patrem hominis, quem accepit, deificatio ». Cfr. anche Homil. in Prol. Ioan. (295 C) : « Ad hoc siquidem Verbum in carnem descendit, ut in ipsum caro, id est homo, credens per carnem in Verbum ascendat... non propter se ipsum Verbum caro factum est, sed propter nos, qui nonnisi per Verbi carnem potuissemus in Dei filios transmutari; solus descendit, cum multis ascendit; de hominibus fedt deos, qui de Deo fecit hominem ». 88 Cfr. sopra p. 82. Massimo dice ciò consapevolmente; il suo raffinato senso teologico intuisce nell'AREOPAGiTA, suo garante, il pericolo proveniente da PLOTINO e GIAMBUCO, quello cioè di confondere nell'unico sistema delle processioni divine l'azione libera della venuta del Logos e la necessità della sua processione dal Padre. Dalla medesima accusa si deve difendere anche la dottrina del Maestro ECKEHAET.
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plesso, come una fedele riproduzione della classica dottrina dei Padri greci. Fin dalla venuta del Logos nella nascita dalla Vergine, Cristo è l'unico uomo perfetto che raccoglie in sé tutta la natura umana. La teologia di Ippolito del εις άνθρωπος τέλειος 3 9 , giunta a Massimo tramite Cirillo Alessandrino, vien qui pro posta ancora una volta 4 0 . Poiché in questo vir perfectus et unus4*1 è contenuta (in senso platonico) tutta la natura umana 42, per la nascita dalla Vergine e la morte in croce tutti gli uomini sono stati teoricamente redenti, di diritto e nella speranza : « Spe, non re ; fide, non specie; argumento, non generaliter » 43 . Nell'unico Cristo essi sono riuniti in un solo Corpo, la Chiesa 44 . In virtù di tale unità la ' deificazione ' dell'uomo si sviluppa secondo la medesima legge che vige per l'unico 3!
Cfr. sopra p. 37S. Naturalmente si fece sentire anche l'influsso di AGOSTINO, cui si deve appunto la dottrina dell'unico uomo Gesù Cristo. Cfr. specialmente De peccai, mentis et remissione 1, 31 (PL 44, 144) e GREGORIO MAGNO, Moral. 27, 15, 30 (PL 76, 416 C): due testi die attraverso la Catena di S. Tommaso d'Aquino fecondarono anche la mistica tedesca, come si vedrà meglio appresso, p. 140, nota 18. 41 De div. nat. 5, 38 (995 A): «Christus cum toto et in toto suo corpore quidam perfectus et unus vir, caput in membris et membra in capite s. Cfr. anche De div. nat. 4, 1 (743 AB), dove si dice che l'amore ardente delle tre Persone divine ci ' trasforma ' nell'uomo perfetto Cristo : « Ex informitate quadam imperfectioms nostrae post primi hominis lapsum in virum perfectum, in plenitudinem aetatis Christi (nos) educant. Vir autem perfectus est Christus ». 42 Cfr. soprattutto De div. nat. 5, 25 (91OSS). Nel capitolo 5, 27 (92iss) appare la relazione, già evidente in Origene, delle poco chiare idee sull'unità della natura assunta dal Logos con la dottrina dell'apo40
catastasi. - Cfr. G. BUCHWALD, op. cit., p. 54ss; J. BACH, op. cit., p. 309. 43
De div. nat. 5, 25 (913 A). Per il concetto della Chiesa in Eriugena, cfr. H. DORRIES, op. cit., p. 83SS. - Sono di particolare importanza i luoghi De div. nat. 5, 38 (IOIIS); 4, 20 (835SS); In Ioan. comm. (PL 122, 326 B-D). 44
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e perfetto uomo, Cristo : « Impium est negare quod factum est in capite, in membris futurum esse » 45 . L'ascesa al Padre eterno, dal quale procede il Logos in questo è fondata la deificazione dell'uomo -, è l'ascesa dell'unico Cristo. « Unus itaque Christus corpus cum membris ascendit in Patrem » 46. Lo svolgimento storico della redenzione è dunque un formarsi del medesimo Verbo incarnato. Sempre, ogni giorno, Cristo edifica la sua Chiesa, il suo Corpo 47 . « Solamente se diviene partecipe della vita di Cristo nella Chiesa e Cristo prende forma in lui, l'uomo è capace di santità » 48 . Si rinnova qui l'antica teologia della μόρφωσις έν πνεύματι nell'intimo dell'uomo 4 9 : « Nemo ascendit in Christo ad Patrem, nisi qui ex Spiritu nascitur, ut conformis fiat imaginis Filii Dei, id est ut Christus in ilio formetur et unum cum Chri sto sit ». È però la più intima legge esistenziale del Logos ad esigere ch'egli riceva la natura divina per generazione, che proceda dal cuore del Padre (ritorna in Eriugena anche questo antico concetto). Il Logos procede dal misterioso ' seno materno ' del Pa45
De div. ned. 2, 23 (575 C). " In Ioan. comm. (319 D): « Omnes quos salvavit, in ipso ascendimi, nunc per fidem in spe, in fine vero per speciem in re ... solus itaque descendit et solus ascendit, quia ille cum omnibus suis membris unus Deus est, unicus Filius Dei. In ipso enim omnes credentes in ipsum unum sunt; unus itaque Christus, corpus cum membris, ascendit in Patrem ». « De div. nat. 5, 38 (994 D). 43
J. BACH, op. cit., p. 312.
** In Ioan. comm. (320 C). - Cfr, i versi greci del poema De Verbo incarnato 34.35 (Mon. Germ. Poetae latini III, p. 538s) : ών τέλος, ων αρχή πάντων, ών 8ντα τα είσΐν, ών αγαθός καΐ καλός, κάλλος, μορφών τε χαρακτήρ.
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dre 5 0 : «Ex corde, hoc est ex secretis sinibus Dei et Patris Filius nascitur » 51. Quindi tutto ciò che deve il proprio essere al Logos ο che in lui ο per lui è stato creato, deve essere una continuazione di quella nascita eterna, specialmente nei cuori di quanti nella Chiesa son divenuti le membra viventi del Logos incarnato 52. Giacché tale unione col Cristo mistico ha nel battesimo il suo principio, nella nascita da Dio e dalla Chiesa 53, il 50 De div. nat. 2, 20 (558 B): « Uterum He intellige secretos paternae substantiae sinus, ex quibus Unigenitus Filius, qui est Verbum Patris, natus est, et de quibus semper nascitur et in quibus, durn semper nascitur, semper manet ». 41 De div. nat. 2, 33 (611 B). - Cfr. anche Homil. in Prol. Ioan. (PL 122, 287 B) : « Et quid eructavit cor suum? Ipse exponit: Verbum bonum dico, Verbum bonum loquor, Filium bonum gigno. Cor Patris est sua propria substantia, de qua genita est Filli propria substantia ». - Lo stesso concetto ricorre in De div. nat. 2, 20 (557 A). — De Verbo incarnato 26.46 (Mon. Gemi. Poet. lat. Ili, p. 538: PL 122, 1251 B): « Verbum cuncta creans natum de pectore Patris, quem Pater occultum gremio velabat opaco ». S! Secondo la dottrina di Eriugena la rivelazione di Dio nella natura creata è già una ' teofania ', splendore della presenza divina, vera continuazione dell'eterno dicere Verbum. Homil. in Prol. Ioan. (293 C) : « Caelestis Pater si Verbum suum loqui cessarit, effectusVerbi, hoc est universitas condita non substiterit. Universitatis namque conditae substitutio est et permanens Dei Patris locutio, hoc est, aeterna et incommutabilis sui Verbi generatio ». - Cfr. anche De div. nat. 2, 20 (556 CD). - In misura molto maggiore la rivelazione che Iostesso Cristo ha portato è una continuazione della generazione eterna. Cfr. De div. nat. 3, 9 (642 B): «Verbum... ipsum est Patris dicereet dictio et sermo, sicut ipse ait in Evangelio: et sermo quem locutus sum vobis non est meus sed ipsius qui misit me. Tamquam apertediceret: ego, qui sum sermo Patris, qui locutus sum vobis, non sum meus, sed loquentis in me Patris et ex secretis substantiae suae sinibus me gignentis ». - Questa generazione si perpetua così nei singoli uomini soprattutto all'apice della mistica esperienza di Dio; anch'essa si verifica nel segreto del cuore, nell'intimo : « In secretissimis sinibus memoriae»: De div. nat. 2, 23 (579 C). 53 In Ioan. comm. (315 B). Per la teologia del battesimo in Eriugena cfr. anche i passi del Commentario 308 A, 310 C, 311 A.
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battesimo è pure la vera nascita del Logos nel cuore del credente. È assai significativo che in Eriugena appaia ancora una volta il significato della rigenerazione battesimale. Egli non l'ha certamente appreso dalla teologia postagostiniana del suo tempo, ma si tratta d'una genuina eredità dell'antica teologia, pervenutagli direttamente da Gregorio e da Massimo. In detto sistema il battesimo è la vera continuazione della processione eterna dal Padre e della nascita del Logos dalla Santa Vergine 54 : « Dum enim unusquisque fidelium baptismatis subit sacramentum, quid aliud ibi peragitur nisi Dei Verbi in eorum cordibus de Spirito Sancto conceptio atque nativitas. Quotidie igitur Christus in utero fidei veluti castissimae Matris visceribus et concipitur et nascitur et nutritur ». La nascita del Logos nel battesimo è però solo il principio della vita spirituale55; si svolge quindi nel cuore la misteriosa e sempre più intensa vita del Verbo eterno, che in esso vuol prender forma. Il cuore è il luogo dell'ascesa al Padre, della divinizzazione fino all'esperienza mistica : « Ipse Christus in cordibus diligentium sequentiumque se ascendit » 56. Si ripete ogni 54
De div. nat. 2, 33 (611 CD). Eriugena ripete insistentemente che la grazia battesimale è solo un ' inizio ', il principio del processo generativo che deve giungere a compimento nell'ascesa al Padre per Cristo nello Spirito Santo. Cfr. Homil. in Prol. Ioan. (293 B) : « Per generationem gratiae, quae datur in baptismate, in mundum veniunt invisibilem ... in mundum qui desursum est ascendentes, filii Dei fieri inchoantes ... in mundum virtutum totis viribus ascendere inhiantes ». - In Ioan. comm. (313 B): « Grafia baptismatis purgantur inchoantes per Spiritum in Christo renasci». - Ivi (318 A): « Redit ad Patrem per eumdem Filium nascentes ex se (Spiritu) in divinam filietatem reducens ». «· De div. nat. 5, 38 (999 B). 65
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giorno nel cuore del credente la mistica rappresentazione della vita e della morte di Cristo; tutta la vita virtuosa fino alla limpida visione e all'amore ardente è per Eriugena solo « l'energia del Capo, la cui vita pneumatica prende forma nell'umanità come nelle proprie membra » 57 . « Itaque in suis fidelibus Christus quotidie moritur ... Agnus Dei in cordibus fidelium mactatur et mactando vivificatur » 58 . E poiché secondo Eriugena l'intima essenza d'ogni virtù è la virtù increata del Logos, anche l'ascesa interiore dell'anima, la trasformazione del cuore, è un ' farsi ' di Dio 59. In tal senso, dice Eriugena, si potrebbe anche parlare d'un vero feri del Logos - ciò non è che quanto ha detto Massimo della mistica incarnazione del Logos, e non deve essere perciò inteso nel senso d'un evoluzionismo panteistico 60. Il formarsi e il crescere del Verbo incarnato è però, 57
58
J. BACH, op. ut., p. 309.
In locai, comm. (312 AD). Riferendosi a Massimo, Eriugena vede nella stessa creazione naturale un misterioso ' farsi ' del Logos: De div. nat. 3, 16 (671 C): « Quomodo autem et qua ratione Dei Verbum in omnibus quae in eo facta sunt, fit, mentis nostrae aciem fugit ». - Fanno parte di questa speculazione espressioni che suonano addirittura come ' eckebartiane ' e che potrebbero nascondere dei concetti panteistici, se a ciò non si opponessero altrettante espressioni inoppugnabili - proprio come in Eckehart. Cfr. De div. nat. 3, 17 (678 C): « Debemus intelligere Deum et creaturam non duo a seipsis distantia sed unum et idipsum. Nam et creatura in Deo est subsistens et Deus in creatura mirabili et ineffabili modo creatur, seipsum manifestane, invisibilis visibilem se faciens ». - Ciò si connette col concetto del Logos ' natura omnium ' (non in senso panteistico), forma originaria di tutto il creato. Eriugena può qui ben riferirsi a BASILIO, Homil. 8, 1 in Hexaem. (PG 29, 164 D): άλλ'ό θείος Λόγος φύσις εστί τ ω ν γινομένων. Cfr. De div. nat. 3, 21 (648 C). In questo luogo per un giudizio su Eriugena bi sogna certamente attenersi a quanto è stato detto sopra, p. 119, nota 38. 80 Una volta Eriugena affida alle parole del suo avversario questa idea fondamentale : « Quomodo enim supra omnia Deus invisibilis, ss
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secondo Eriugena, un continuo nascere. Egli condensa in queste parole tutta la sua dottrina della santificazione dell'uomo per opera del Verbo incarnato 61 : « Divina natura fieri dicitur, dum in iis, qui fide, spe et caritate ceterisque virtutibus reformantur, mirabili atque ineffabili modo innascitur, sicut Apostolus de Christo ait loquens : qui factus est in nobis sapientia a Deo ». Solo ora, dopo aver esposto la teologia di Eriugena sulla nascita di Dio, possiamo adeguatamente valutare il pensiero di quei teologi che si considerano come fonti immediate del Maestro Eckehart. La mistica del secolo XII, di decisiva importanza per la formulazione definitiva della mistica della nascita di Dio, non può esser compresa, sacondo noi, senza l'apporto di Eriugena. Già M. JACQUIN aveva richiamato l'attenzione sul fatto che ogni volta che si è fatta un'indagine sulla mistica cistercense s'è dovuto costatare l'influsso della incorporalis, incorruptibilis, potest a seipso descendere et se ipsum in omnibus creare ut sit omnia in omnibus ? "De div. nat. 3, 20 (684 B). E alludendo a Giov. 1,3 risponde (684 C): «In omnibus fit, sine quo nihil esse potest ». - Questo fieri è infatti una continuazione dell'intima natura del Logos : il Verbo è essenzialmente ' generato ' ; quindi ogni sua riproduzione nel creato è un nascere, e per questo un ritorno al principio originario della generazione, al Padre. Cfr. Homil. in Prol. Ioan. (287 A) : « Nam ipsius ex Patre generatio ipsa est causarum omnium conditio ... per generatìonem quippe Dei ex Deo principio facta sunt omnia ». - Per la dottrina di Eriugena sull'universalità della venuta del Logos, cfr. De div. nat. 5, 38 (999 CD); 3, 20 (684 A). - In loan. comm. (319 CD). - Per il sistema cristologico di Massimo Confessore, cfr. H. U. VON BALTHASAR, Kosmische Liturgie, 2 ed., Einsiedeln 1961, pp. 204-273. 61 De div. nat. 1, 12 (454 A). - La nascita di Dio, della quale si parla nel testo, attuantesi nella creazione della soprannatura, è posta ancora in rapporto col ' farsi ' della natura divina attraverso la rivelazione nella natura creata.
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teologia criugeniana62. E. GILSON ha dato anche lui il suo contributo alla questione, dimostrando l'influsso immediato di Eriugcna sulla mistica di S. Bernardo il pensiero di Massimo si perpetua nella mistica della Scuola di Bernardo grazie alla versione degli Ambigua 63. Senza inoltrarci ora in uno studio dettagliato, ricordiamo in genere che questo influsso s'era fatto sentire soprattutto in relazione alla teologia della nascita di Dio, della quale ci stiamo occupando. La sistematica con la quale Ugo di S. Vittore costruisce con i concetti agostiniani un'intera mistica della nascita di Dio, è dovuta certamente alla speculazione di Eriugena, che Ugo chiama il ' teologo moderno ' 6 4 , e del cui commentario all'Areopagita si è largamente servito 65. Anche il summenzionato testo classico di Riccardo di S. Vittore ci rammenta Eriugena 6e . Poiché, secondo Jacquin, si studiava Scoto con particolare diligenza soprattutto nei chiostri cistercensi67, è ovvio che la straordinaria predilezione per la sistematica della nascita di Dio, ben " M. J A C Q U I N , Vinfluence doctrinale de Jean Scot au début du XlIIe siede in Revue des sciences pini, et théol. 4 (1910) 106. - Cfr. anche M. GHABMANN, Die Geschichte der scholastischen Methode, v. I, Friburgo 1909, p. 206. 83 E. GILSON, Maxime, Erigine, S. Bernard: Aus der Geisteswelt des Mittelalters, Munster 1935, p p . 188-195. - Si tratta d'un testo di BERNARDO, De diligendo Deo io (PL 182, 991 AB), preso quasi alla lettera da SCOTO, De div. nat. 1, io (PL 122, 450 A) e proveniente in ultima analisi da MASSIMO. 84 Erud. didasc. 3, 1 (PL 176, 865). - R I C C A R D O DI S. VITTORE ne ha fatto una descrizione in Excerpt. prior. 24 (PL 177, 202). 65 Expos. in cael. hierarch. Dionysii 2 (PL 175, 945 C ) . I passi fondamentali del De div. nat. di Scoto sono riportati da GILSON, op. cit., p . 192. ·· Cfr. sopra, p. 109. Il parallelismo fra Logos e voluntas Patris ricorda da vicino SCOTO, De div. nat. 3, 17 (PL 122, 672 D ) . "
M. J A C Q U I N ,
op. cit.,
p.
106.
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riconoscibile negli scritti mistici di questo ambiente, è da mettere in relazione con l'influsso del pensatore irlandese. ISACCO DELLA STELLA dipende evidentemente da lui 68 . Ancor più chiaramente possiamo individuare lo spirito di Scoto nella teologia di GUARNIERO DI ROCHEFORT. La sua speculazione sul Logos deriva da Eriugena69. A proposito della dottrina delle teofanie egli cita due volte esplicitamente il suo Maestro Scoto 70 e fa propria anche la teoria tanto cara ad Eriugena, secondo la quale la stessa creazione della natura è in fondo un efflusso della generazione eterna del Logos 71. Guarniero è dunque un classico testimone della vitalità con la quale in questo ambiente anche la dottrina della mistica nascita di Dio si è introdotta nel sistema teologico che fa iniziare con l'incarnazione del Logos l'ascesa dell'uomo deificato72. Il quotidie di Agostino si congiunge qui col quotidie di Eriugena : « Formatur in nobis quotidie per devotionem operis... per devotionem quotidie formatur in fideli corde » 73. Il ' sempre generato Logos ' 7 4 perpetua nel cuore del credente · • ISACCO DELLA STELLA, De anima (PL 194, 1888 B). - Anche ALANO D I LILLA subisce l'influsso di Scoto. Cfr. M . BAUMGARTNER,
Die Philosophie des Alanus ab Insulis, Miinster 1896 (Beitrage z. Gesch. d. Phil. d. Mittelalters II, 4), p. 13S. ·· GUARNIERO, Semi, de Nativ. Domini 5 (PL 205, óoos). '" Serm. in Epiph. 2 (PL 205, 631 B ) . " Serm. in Appar. Doni. 8 (PL 205, 627 A B ) : «Illa nativitate qua plasmavit nos, secundum quam aeternaliter natus est de Patte sine matte ... per potentiam qua natus est de Patre aeternaliter, nati sumus temporaliter ». 72 Serm. de Nat. Dom. 6 (PL 205, 613 B ) : «Voluit ergo Deus fìlius hominis fieri, ut homines essent filii Dei ». ,3 Serm. in Appar. Dom. 8 (PL 205, 627 D, 628 A). 74 Cfr. la sua speculazione ispirata in tutto ad AGOSTINO, ma che ricorda anche alcuni passi del Commentario a Giovanni di Eriugena.
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la sua nascita dalla Vergine : « Virgo turbata concepit, impraegnata est et parturivit. Exemplum dedit tibi ut tu turberis timore, concipias tamen cogitatione, impraegneris dilectione, delectatione parturias in salutis operatione »75. A questo punto dobbiamo ricordare ancora una volta RICCARDO DI S. VITTORE. Questi, che fu poi letto avidamente da Eckehart, è il teologo in cui tutta la ricchezza della spiritualità agostiniana s'unisce al vigore della sistematica, che possiamo facilmente spiegare con l'influsso del pensiero eriugeniano. È significativo che nella teologia di Riccardo la generazione battesimale abbia nuovamente una funzione determinante nella costituzione della vita spirituale. Nell'impenetrabile profondità del cuore l'anima si unisce al Logos 76 . L'inabitazione di Cristo nel cuore è essenzialmente un effetto della generazione battesimale; la gratta mater genera in noi la nuova vita, l'inabitante Cristo 77 . Da quel Essa è certamente importante per la speculazione mistica sul sempre nascente Logos. Serm. de Nat. Dom. 5 (PL 205, 602 D). 75 Serm. de Nat. Dom. 6 (PL 205, 614 C). Anche qui si ha una chiara allusione al testo di Is 26,18. '« RICCARDO DI S. VITTORE, Degradibus caritatis 4 (PL 196,1206 C) : « Profundum est cor hominis et inscrutabile, homo enim secretus sibi est quod solus sui ipsius noscat quod interius ». In questa segreta intimità del cuore umano ha luogo l'abbraccio col Logos. Secondo le più recenti indagini, (cfr. Lexikon f. Theologie und Kirche Vili, Friburgo 1963, e. 12935) il libro ' De gradibus caritatis ' non è di Riccardo. " Explic. in Cantic. 6 (PL 196, 422 A) : « Mater nostra est gratia Spiritus quae spiritualiter nos regenerat, cuius domus est humana mens in qua eadem gratia suscipitur. In hanc domum Dilectum cupit introducere ut sicut hunc invenit ita cum ilio maneat et inhabitet... manet in illa anima Christus, qui virtutes eius possederit ». - Per questa inabitazione cfr. anche l'antica dottrina del ' Verbo saltante ' (ivi 475 A), e quella dell'ascolto interiore del Logos che parla (473 D).
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momento ogni spiritualità diventa un quotidiano nascere di Cristo, uno sviluppo effettivo della grazia battesimale : « Per Spiritum Sanctum in hoc sacramento datum deposita vetustate quotidie renovamur in cognitione et amore Dei »78. Ciò non è, tuttavia, che il quotidiano ripetersi del mistico avvento del Logos: « Quotidie enim in devotis venit, quia eos renovat et gratiam in eis cumulat » 79. Principio di questa crescita interiore è l'amore. Riccardo spiega l'ascesa mistica in un sistema di gradi d'amore: il più alto è quello della fecondità, in cui si verifica la nascita di Dio, caratteristica della mistica propriamente detta 80 . Ed è qui indicativo il riapparire dei due antichissimi testi di Is 26,18 e Gal 4,19. Nessun dubbio che Riccardo sia l'erede della theologia cordis dei Padri della Chiesa 81 . Questo processo spirituale si spiega dal fatto che Cristo vien formato nel cuore : « Ad hoc ergo iuvari se petit anima et eo usque proficere, quatenus Christus formetur in ea et vivat iam non ipsa, sed vivat in ea Christus » (421 C). 78 De superexcellenti baptismo Christi (PL 196, 1017 A). Anche qui troviamo delle idee sulla relazione tra il battesimo e il corpus Christi (1014 B-D) e sull'inabitazione di Cristo nel cuore: « Fides enim Christi in corde tuo, Christus est in corde tuo » (1016 B). - Di questo opuscolo sul battesimo di Cristo solo il prologo si può attribuire con sicurezza a Riccardo. La parte principale proviene invece da GUALTIERO DI S. VITTORE.
'» Expl. in Cantic. 32 (PL 196, 495 C). 80 De quattuor gradibus violentile caritatis (PL 196, 1216 D, 1217 A). Cfr. Expl. in Cantic. 23 (PL 196, 473 D) : « Anima cum in gratia creverit et pietatem conceperit, tunc mater fit». - Cfr. G. DUMEIGE, Richard de St. Victor et l'idée chrétienne de la charité, Parigi 1952. 81 Si considera come propagatore delle idee di Eriugena specialmente ONORIO D'AUTUN, che nella sua opera Clavis physicae presenta un estratto dal De divisione naturae. Cfr. A. ENDRES, Honorius Augustodunensis, Kempten-Monaco 1906, p. 64SS. Poiché il Clavis physicae è ancora inedito, non si può qui fare un confronto. Nel commentario di Onorio al Cantico dei Cantici (PL 172, 433 B) qualche descrizione
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Un altro aspetto caratteristico di questo nuovo sviluppo della teologia della nascita di Dio è l'unione della nascita mistica di Dio con la teoria delle età del mondo 82 ed anche in ciò ci si può riferire ad Eriugena, che nel suo sistema ha collocato arditamente l'incarnazione di Cristo al centro della storia del mondo. La triplice nascita del Logos definisce la partizione di tutta la storia : l'origine eterna dal Padre, la nascita temporale dalla Vergine e quella mistica dal cuore del credente. Con ciò s'accorda pure la nota dottrina di Bernardo sui tre avventi di Cristo, il secondo dei quali, quello mistico, corrisponde alla nascita di Dio nel cuore. Un'allusione a questa triplice nascita si ha nelle tre Messe di Natale. In tal forma anche Innocenzo III (ovviamente nel periodo dei suoi studi parigini) ha accolto la suddetta dottrina. « Christus enim per affectum concipitur, per efFectum nascitur » 83 : così egli s'esprime con le parole della mistica di S. Vittore. Fu lui principalmente a introdurre questa spiegazione delle tre Messe di Natale nella letteratura spirituale. Questa triade dovrebbe simboleggiare la triplice nascita di Cristo : « Divinam ex Patre, carnalem ex matre, spiritualem in mente. Ex Patre nascitur Deus, de matre natus est caro, in mente
della incamatio e della deificatio ricorda un po' Eriugena. Per il resto la sua descrizione ricalca gli stessi concetti che abbiamo riscontrato in Riccardo di S. Vittore. 82 Sulla teoria delle tre età del m o n d o e la sua relazione alle tre messe di Natale, cfr. O N O R I O D ' A U T U N (PL 172, 729 D; 645); U G O DI S. VITTORE (PL 177, 441 CD ; 877 C D ) ; G I O V A N N I BELETH (PL 202,
76s); D U R A N D O , Rationale de officiis domin. etfest., Lione 1574, P- 276; PIETRO LOMBARDO (PL 191, 1217). 83 Serm. de Nat. Dom. 3 (PL 217, 461 B). Ivi (460 D ) , si allude a Mat 12,50.
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nascitur spiritus » 84 . La dottrina di Innocenzo non è importante solo perché ricomparirà nella mistica di 85 TAULERO , ma anche e soprattutto perché essa è entrata con le medesime caratteristiche nella teologia di S. Tommaso d'Aquino. La speculazione propriamente mistica sulla nascita spirituale di Dio non ha lasciato altrimenti nessuna traccia nella teologia dell'Aquinate S6. In un sol luogo Tommaso parla esplicitamente della nascita di Dio, nel medesimo senso della teoria (a lui ben nota dagli scritti di Innocenzo ο forse anche appresa dai circoli ascetici) della triplice nascita simboleggiata nelle Messe di Natale : « Alia (nativitas) autem est temporalis, sed spiritualis, qua scilicet Christus oritur tamquam lucifer in cordibus nostris » 8 7 . In 81 Ivi (459s). Sull'avvento mìstico nell'anima cfr. Serm. in Adventum Domini 4 (PL 217, 329 BC). 85 Cfr. la famosa predica di TAULERO ' Le tre nascite ' (Die Prediteti Taulers, a cura di FEHD. VETTEE, Berlino 1910, p. 7ss). La mistica della nascita di Dio in Taulero è impregnata dell'agostiniana ' spiritualità del Natale ', di cui abbiamo parlato, in misura maggiore rispetto alla mistica del Maestro Eckehart, che annoda più chiaramente la sua speculazione alla nascita eterna del Logos ed è perciò più affine a Scoto e a Riccardo di S. Vittore. 86 Prescindiamo qui dalla teologia della grazia dell'Aquinate, dalla quale la successiva mistica della nascita di Dio è stata arricchita in modo sostanziale. Anche secondo Tommaso la grazia è una trasformazione dell'anima in immagine del sempre nascente Logos. Cfr. specialmente Summa Theol. I, q. 43, a. 5, ad 2: «Anima per gratiam conformatur Deo. Unde ad hoc quod aliqua persona divina mittatur ad aliquem per gratiam, oportet quod fiat assimilatio illius ad divinam personam quae mittitur per aliquod gratiae donum ... Filius autem est Verbum, non qualecumque, sed spirans amorem ». Cfr. anche Summa Theol. I, q. 43, a. 6 ad 2, dove si trova un concetto tanto significativo per la storia della spiritualità: la differenza fra la missio Filli, che è avvenuta una sola volta, e la ripetizione incessante del progresso ascetico che ne consegue. Si crede che in questo luogo l'Aquinate avesse in mente la teoria mistica del sempre nascente Logos. *' Summa Theol. Ili, q. 83, a. 2 ad 2.
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una predica natalizia, che però difficilmente appartiene all'Aquinate, ritorna ancora la medesima dottrina: « Circa nativitatem sciendum hic, quod triplex est eius nativitas, aeternalis ex Patre, temporalis ex matre, spiritualis ex corde. Hoc significant tres missae in die nativitatis » 88.
88 Sermo de Nat. Dom. (Opera omnia, ed. Vivès, Parigi 1876, tom. 29, p. 287). Cfr. M. GHABMANN, Die Werke des hi. Thomas von Aquin, Miinster 1931, p. 329SS.
6. LA QUESTIONE DELLE FONTI DI ECKEHART
Solo ora, dopo aver esposto la lunga storia della teologia della nascita di Dio, possiamo convenientemente discernere l'eredità della tradizione e i beni allodiali della mistica del Maestro Eckehart. Una cosa è certa: il contributo specifico di Eckehart non sta nel contenuto, ma nella forma geniale, nella magnifica intonazione con la quale ha posto la teologia della nascita di Dio al centro, accuratamente definito, della sua mistica. L'idea gli è pervenuta da diverse fonti, è antichissima e, come abbiamo visto, è uno degli elementi essenziali della mistica cristiana di tutti i tempi. Essa è perciò così adeguata alla definizione fondamentale del fenomeno mistico, che nel corso della sua storia è posta sempre al centro, ogni qual volta i mistici costruiscono un sistema teologico in base alle loro esperienze interiori. La linea storica di questa affinità ideale va da Origene a Massimo per il tramite di Gregorio Nisseno, e di qui a Scoto Eriugena e ad Eckehart. Alla luce di queste considerazioni s'attenua l'importanza delle tante piccole questioni sull'indicazione precisa delle fonti dalle quali il Maestro Eckehart ha desunto la sua dottrina della
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nascita di Dio. Possiamo tuttavia contribuire alla soluzione del problema delle fonti di Eckehart, sempre importante per la storia della spiritualità. In ogni caso si dovrà definire se esiste tutta intera la produzione latina di Eckehart. Noi abbiamo preso come base l'opera preferita di Eckehart, il Commentario a Giovanni, per indicare le linee entro le quali si può svolgere una feconda ricerca delle fonti 1 . Non ci inoltreremo qui nello studio del contenuto della dottrina eckehartiana della nascita di Dio, che per ora è meglio lasciare da parte 2. Il nostro cammino attraverso la storia di questa dottrina ci indica chiaramente quanto sia stata giusta la condanna ecclesiastica delle proposizioni eckehartiane sulla nascita di Dio, così come sono. Ma è pure certo, soprattutto dopo l'autodifesa del Maestro 3, che egli ha voluto intendere 1 Poiché dell'edizione critica del commentario latino a Giovanni del Maestro Eckehart, del 1936-1953, non sono usciti che 4 fascicoli (MEISTER ECKEHART, Die ìateinischen Werke, v. Ili, Stoccarda 19361953, Expositio S. Evangeli! secunium Iohannem), noi citeremo secondo il manoscritto Cod. 21 della Biblioteca dell'Ospedale di Cues, Folio 8 7 v b - i 3 4 v a . 2 Un'ottima esposizione della dottrina eckehartiana della nascita di Dio è stata fatta da H. PIESCH nell'opera di O. K A R R E R - H . PIESCH, Meister Eckeharts Rechtfertigungsschrift vom Jahre 1326, Erfurt 1927, pp. 25-51. Cfr. anche Ò. KARRER, Meister Eckehart. Das System seiner religiiisen Lehre und Lebensweisheit, Monaco 1926, p. 339SS. - J. B E R NHARDT, Die philosophische Mystik des Mittelalters, Monaco 1922, p. I91ss. - M. PAHNKE, Meister Eckeharts Lehre von der Geburt Gottes itti Gerechten in Archiv JUr Religionswissenschaft 23 (1925) PP· 15,252. A. DEMPF, Meister Eckehart, cine Einfiihrung in sein W e r k , Lipsia 1934, pp. 213,218. - K. "WEISS, Die Seelenmetaphysik des Meister Eckehart in Zeitschrift fiir Kirchengeschichte 52 (1934) p. 467; cfr. specialmente l'appendice, p. 521, sulla generatio e ììfiliatio. * Per l'autodifesa dell'anno 1326 cfr. l'edizione di G. T H É R Y : in Archives d'histoire doctrinale etlittéraire du moyen àge 1 (1926) pp. 129-268. A. DANIELS, Eine lateinische Rechtfertigungsschrift des Meister Eckehart
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la sua dottrina della nascita di Dio assolutamente nel senso dell'antica tradizione dei Padri a lui ben nota. Ciò dà per molti versi all'indagine sulle fonti della teologia della nascita di Dio il carattere d'una difesa della sua dottrina. Noi riprendiamo qui e completiamo quel che lo stesso Eckehart ha fatto, preoccupandosi di portare in propria difesa le auctoritates dei Padri della Chiesa. L'altra questione è senza dubbio quella dell'(«/Z«550 di Origene su Eckehart, perché qui si incontrano la fine e il principio della suesposta storia dell'idea. Con evidente piacere Eckehart si richiama alla nona Omelia di Origene su Geremia, in cui si parla della nascita continua e incessante del Logos eterno nel cuore del credente 4. Egli aveva conosciuto questo testo special(Beitràge z. Gesch. d. Phil. d. Mittelalters 23, 5), Munster 1923. - Queste dichiarazioni di Eckehart vanno completate con gli atti del processo ad Eckehart di Avignone, recentemente rinvenuti. Cfr. FR. PELSTER, Ein Gutachten aus dem Eckehartprozess in Avignon. Aus der Geisteswelt dei Mittelalters (ed. M. Grabmann), Munster 1935, p p . 1099-1124. Per la nostra questione hanno una particolare importanza gli articoli 20-23 (PP· 1118-1121). 1 Cfr. sopra, p. 52. Nelle opere di Eckehart giunte fino a noi il passo è citato nel Commentario all'Ecclesiastico (DENIFLE, Meister Eckeharts lateinische Schriften und die Grundanschauungen seiner Lehre in Archiv f. Lit.-u. Kirchengesch. d. Mittelalters 2 (1886) p. 572, 4.14; 595, iss). - G. T H E R Y , Ausgabe des Sapienz- kommentars in Archives d'histoire doctrinale 3 (1928) 379, 10; 389, 5. - Fr. PFEIFFER, Meister Eckehart, Lipsia 1857, p. 147, 31SS. - Apologia (Théry, p. 265; Daniels, p. 62, 24S). - In loatt. comm., Cues fol. 108 va: «Origenes super ilio: inventa est coniuratio Ier. XI sic ait: felix ille qui semper a Deo {fol. 108 va) nascitur. N o n enim dicam iustum semel ex Deo natum, sed per singula virtutis opera semper a D e o nascitur. N a m et in divinis Filius semper natus semper nascitur ». - In tutti questi luoghi si tratta del passo da noi già conosciuto della IX omelia di Origene su Geremia (GCS Origenes III, p. 70, u s s ) , tradotto da GIROLAMO (cfr. PL 25, 637 A B ) e utilizzato anche da R A B A N O M A U R O (PL I H , 892C ).
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mente dalla Glossa ordinaria6; questo è però assai apprezzato anche nella Scolastica6. Nella sua autodifesa Eckehart parla anche d'un altro testo di Origene. Si tratta della dottrina del semen divinum in cnima, quindi d'una tesi che sta in stretto rapporto con la dottrina della nascita di Dio. In difesa della sua quattordicesima proposizione, tratta dal libro Benedictus Deus, Eckehart si richiama espressamente alla « doctrina Origenis in omelia super 26 » 7. DANIELS ha voluto vedere in ciò una prova a favore dell'omelia 26 di Origene sul libro di Giosuè 8 . Ma al luogo indicato non si parla affatto del « semen divinum in anima ». Secondo noi è in questione un solo testo di Origene, che Eckehart ha potuto' conoscere nella versione di Rufino: è l'omelia sul salmo 36. Il passo, donde è tratta la proposizione incriminata di Eckehart, così suona : « Der same gottes ist in uns. Hetti er einen guoten anwiser und flissicen wercman, so neme er des bas zuo und wiichse uf
- Per quanto riguarda l'influsso di Origene sulla teologia del primo medioevo, cfr. H. DE LUBAC, Exégèse medievale, v. I, Parigi 1959, pp. 198-219, 221-304: L'Origene latin. Lecture d'Origene au Moyen Àge (vers. ital., Esegesi medievale, Ed. Paoline, R o m a 1962). 5 PL H 4 , 26 C. β
È citato da PIETRO LOMBARDO, Sent. I, 9, 11 (PL 192, 548).
DENIFLE (Archiv, P. 572, nota 4) osserva che il passo è citato spesso dagli Scolastici, e indica S. TOMMASO D ' A Q U I N O , Summa Theol. I, q. 42, a. 2 ad 4. Q u i si allude però ad un altro passo, ritenuto un testo di Origene, ma che deriva da SCOTO ERIUGENA; cfr. appresso, nota 12. 7
8
T H E R Y , p.
191
e 206.
DANIELS, p.
7,
8;
p.
65,
35.
DANIELS, p. 7, nota 3. Viene indicato il testo di PG 12, 945 Β ed anche un altro testo dell'Omelia I di Origene sulla Genesi, dove tuttavia si parla solo in termini generali dell'inabitazione di Cristo nell'intimo del credente. Da quanto è stato detto sopra, p. 43SS, sulla dottrina di Origene appare che la documentazione addotta da Daniels non è stata scelta felicemente.
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zuo gotte, des same er ouch ist » 9. Ma questo è esattamente il concetto espresso da Origene nell'omelia sul salmo 36: « Et quid aliud semen iusti dignum est putare nisi discipulum iusti qui suscepto semine generatur ad vitam aeternam? Tum deinde ingressus sermo Dei in animas vestras et haerens in corde vestro formaret utique mentes vestras secundum speciem Verbi ipsius ... et per hoc ipse Christus formatur in vobis, tunc vere efnceremini semen iusti » 10 . Il testo, di tanto rilievo per la dottrina di Origene, concorda dunque perfettamente con Eckehart: per la provvida cura del maestro dello spirito, del ' flissicen wercmans ' il seme di Dio si sviluppa nell'anima. Eckehart si sentì legato all'eredità di Origene anche in un altro punto importante della sua dottrina della nascita di Dio. Ma così egli è diventato, senza saperlo, l'erede di GIOVANNI ERIUGENA. Si riteneva allora comunemente che l'omelia di Scoto sul prologo giovanneo fosse un'opera di Origene n . Anche Tommaso d'Aquino cita una volta nella Summa un passo di questa presunta • Estratto dal Buch der gòttlkhen Tróstung (ed. da P H . STRAUCH, Bonn 1910), p. 43, 12-17. Cfr. T H B S Y , Archives 1, p. 167, in cui sono presentati i luoghi principali. 10 Homil. in Ps. 36 (PG 12, 1357 AB). Nel manoscritto dell'autodifesa di Soest si dovrebbe però ammettere un errore di ortografia. Ciò risulta dal fatto che nel medesimo luogo (a prescindere da tanti altri) è errata anche la citazione di Seneca e di Cicerone, forse a causa di un'inesattezza da parte dello stesso Eckehart. - È degna di nota anche la reviviscenza della dottrina tipicamente origeniana dell'anima immagine dell'immagine: cfr. PFEIFFER, p. 315, 35; KARRER-PIESCH, Rechtfettigungsschrifì, p. 158, nota 46. 11 Cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. d. altk. Ut., ν. ΙΙ/2, p. 139.
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opera di Origene 12 e spesso nella sua Catena accoglie testi tratti dalla suddetta omelia 13. Eckehart è venuto a conoscenza di tale omelia soprattutto attraverso la Catena di Tommaso; ma alcuni passi del commentario a Giovanni dimostrano che egli l'ha letta anche nel suo insieme 14. In ogni caso abbiamo dunque in questo luogo un contatto diretto fra i due teologi geniali, le cui opere dimostrano anche per altri motivi delle affinità degne di nota. La dottrina dell'unico uomo perfetto Cristo, nel quale solamente noi siamo ' figli ', è in così stretta 12 Stimma Theol. I, q. 42, a. 2 ad 4. DENIFLE (Archiv, p. 572, nota 4) ritiene che anche queste parole di Tommaso siano un richiamo al testo dell'omelia su Geremia. In realtà si tratta di un richiamo ad un testo di Scoto Eriugena (PL 122, 287 B). 13 Cfr. soprattutto le citazioni intorno al primo capitolo del vangelo di Giovanni, specialmente Giov. 1,9.10, che sono presentate in genere con l'indicazione, ' Origenes in Homilia '. 14 Cfr. p. es. il commentario a Giovanni (Cues fol. 91 vb) su Giov 1,4: « (Et vita erat lux hominum): Origenes vero dicit: per li hominum intelligitur universa natura rationalis ». Ciò può riferirsi solamente all'omelia di SCOTO (PL 122, 290 A) : « Lux itaque hominum Dominus noster Iesus Christus qui in humana natura omni rationali et intellectuali creaturae seipsum manifestavit ». - Un altro esempio (fol. 94 vb su Giov 1,13) : « Per voluntatem carnis vero feminam intellegit ». Cfr. SCOTO (PL 122, 297 B) : « Caro quippe femineum sexum saepe significat ». - Fol. 99 vb e 123 rb : « Semper fuit et est Pater, semper Filius fuit et est, semper natus semper nascitur; (Ps 109) Filius meus es tu, ego hodie genui te, genui quia natus, hodie quia nascitur, propter quod et ' sinus ' dictus est Patris ». - Cfr. SCOTO, in Prol. Ioan. (302 D) ; De àiv. nat. 2, 20 (553 AB). Gli esempi potrebbero essere moltiplicati, ma resta il fatto che noi non possiamo trascurare nell'indagine sulle fonti della mistica di Eckehart la dottrina dell'omelia di Scoto su Giovanni. I due concetti caratteristici di questa omelia (cfr. sopra, p. U9s; p. 122, nota 52), cioè la tesi dell'unità del ' Figlio ' per il quale solamente noi possiamo ascendere al Padre, e quella della continuazione della generazione eterna del Logos nell'opera della natura e della grazia, hanno un'importanza rilevante per la mistica eckehartiana della nascita di Dio.
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connessione con la teologia di Scoto, che non possiamo spiegare solo alla luce della teologia dell'unico uomo Cristo, di ispirazione agostiniana, la dottrina eckerhatiana, in modo particolare il significato specifico di questo concetto nella mistica di Eckehart. Anche se non possiamo per ora addurre nessuna prova che Eckehart abbia letto l'opera De divisione naturae di Scoto, ο almeno la Clavis physicae di Onorio d'Autun, tuttavia secondo noi egli ha conosciuto ugualmente il sistema eriugeniano dell'ascesa mistica, soprattutto attraverso Riccardo di S. Vittore, oppure dalla mistica cistercense 1 5 . In un altro punto ancora della teologia della nascita di Dio, in verità non molto importante, ma assai significativo, Eckehart è erede della tradizione dei Padri: nel concepire il cuore come centro vivificatore dell'uomo, luogo segreto e insondabile dell'incontro col divino. Egli cita al riguardo un testo di Macrobio, in cui il sole è detto ' cuore del mondo ' 1 6 . Il cuore è la parte più intima anche nel Padre eterno, dal cui 15 La denominazione del Logos come voluntas Patris, che sopra, p. 109, abbiamo detta tipica di Riccardo di S. Vittore, ritorna anche in Eckehart e ricorda perciò Riccardo. Cfr. In Ioan. comm. (fol. 94 ve) : « Parum enim mihi est Verbum caro factum prò nomine in Christo, supposito ilio a me distincto, nisi (fol. 94 bv) et in me personaliter, ut et ego essem filius Dei... et fortassis hoc est quod oramus nottante Domino Matth. 6: fiat voluntas tua ... id est sicut in Christo, celo, voluntas Patris facta est ut esset Filius, voluntas enim Patris ut Pater naturaliter est generare et habere Filium, sic in terra, id est in nobis terram habitantibus fiat voluntas Patris, ut simus filii Dei ». 16 In Ioan. comm. (fol. 131 vb): «Per latus, ubi cor latet, affectiones designantur, operatur enim Iesus, in anima si est; si renuit operari in eo non est», (fol. 132 rb): «Humana vita... consistit in quadam mocione que a corde diffunditur in singula membra corporis, cor enim specialiter in homine respondet soli inter planetas. Sol enim medius planetarum, cor celi, mens mundi... ut Macrobius ait et subdit : hoc est sol in aethere quod in animali cor ».
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cuore vien generato il Logos. Nel ' cuore dell'anima ' avviene la nascita mistica di Cristo 17. Considerando la ricca storia della theologia cordis possiamo ora stabilire donde derivino ultimamente i concetti della mistica eckehartiana. Di più difficile soluzione è la questione della dipendenza di Eckehart dalla teologia della nascita di Dio di AGOSTINO, poiché Eckehart nella sua ottima conoscenza degli scritti agostiniani accenna molto più che altrove alle tesi del Vescovo di Ippona e inoltre cita assai spesso anche da opere che egli credeva agostiniane, ma che in realtà provengono dall'ambiente della mistica bernardiana 18. 17
Citiamo solo uno degli innumerevoli testi : « Also wirdit daz ewige wort gesprochin innewendic in deme herzin der sele, in deme innirsten, in dem lutirsten, in deme heubiste der sele, daz ist in vornunftigkeit, da geschihit di gebort inne » (Ph, STRAUCH, Paradisus animae intelligentis, Berlino 1919, p. 14, 18-21). 18 Riguardo alla citazione di Agostino rimandiamo all'indagine, la migliore esistente, di KARRER, Meister Eckehart, e a KARRER-PIESCH, Rechtfertigungsschrifi. Cfr. anche il commentario di Eckehart alla Sapienza, in G. THÉRY, Archives d'histoire doctrinale 3 (1928) p. 321-433 ; 4 (1929) p. 233-394. Un esempio del modo di citare da Agostino lo troviamo in PFEIFFER, p. 151, 13: « Sant Augustinus sprichet, daz got alle zit geborn werde an unterlaz in der sele ». Questo è un richiamo alle speculazioni agostiniane sull'eternità della nascita del Logos, cui lo stesso Eckehart si riferisce nella sua apologia (Théry, p. 238; Daniels, p. 51, I5ss), citando Confessiones 11, 13, 16 (PL 32, 815). Cfr. anche In Ioan. comm. (fol. 89 rb) : « Semper fuit Pater, semper habuit Filium »; (fol. 89 va) : « Semper nascitur et semper natus est ». Per un'altra citazione, che si ritiene provenga da Agostino (cfr. KARRER, M. Eckehart, p. 1363; KARRER-PIESCH, Rechtfertigungsschrifi, p. 29): « Quando l'anima viene accesa dall'amore di Dio, Dio vien generato nell'anima », penso che si possa affermare la sua derivazione da uno scritto della mistica bernardiana, anche se finora non è stato provato con certezza. - Per la dottrina agostiniana del ' Figlio unico ' nel quale solamente possiamo ascendere al Padre, cfr. la citazione nel commentario a Giovanni (fol. 109 rb), che Eckehart ha tratto dalla
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In genere Eckehart è profondamente preso da quella che noi abbiamo definito interiorità agostiniana. Con piacere si richiama ai testi del De vera religione e delle Confessiones 19. Naturalmente gli è stata di particolare gradimento la speculazione di Agostino sulla generazione eterna del Logos: « Semper nascitur et semper natus est, semper fuit Pater et semper habuit Filium ». Questo è il fondamento teologico della sua mistica. Il semper egli lo estende, come era ovvio, alla nascita di Cristo perpetuantesi nel cuore dell'uomo, riferendosi anche in ciò ad Agostino, benché questi non abbia mai espresso tale idea 20 . Eckehart ricorda perfettamente anche i concetti a noi già noti dalle prediche natalizie di Agostino. Le ' buone opere ', « partus et proles animae sanctae », che egli cita da Agostino 21, ricordano in genere l'ascetica agostiniana della nascita di Cristo nelle buone opere, ma sono pure una ripetizione della mistica tipicamente cistercense e vittorina, Catena di Tommaso d'Aquino. Si cita espressamente il passo di GKEGORIO MAGNO, di cui abbiamo parlato sopra, p. 120, nota 40: « Quia nos unum cum ilio iam facti sumus... is qui in celo semper est, in nobis ad celum cottidie ascenditi»; ed è qui estremamente significativo che Eckehart aggiunga di proprio l'espressione ' in nobis '. 19 Cfr. il commentario a Giovanni su Giov 1,1 («In principio erat Verbum »), dove viene spiegato l'in (fol. 89 va) : « De primo istorum quod notat li ' in ' est inesse et intimum esse... patet eciam in primo effectus Dei foras, quod est esse intimum, secundum illud Augustini: intus eras et ego foras; patet hoc tercio in ipsis potenciis animae que quanto diviniores et perfectiores tanto intimiores... intimum enim et primum uniuscuiusque racio est; Verbum autem Logos sive racio est». lui (fol. 123 rb) su Giov 14,10 (Pater in me manens) : « In me, ad denotandum quod Deus ipse illabitur essencie anime. Iterum etiam, ipse manet in abditis, intimis et supremis ipsius anime. AUGUSTINUS, De vera religione: Noli foras ire...». 20 Cfr. sopra, p. o8s. 21 Apolog. (Théry, p. 265 ; Daniels, p. 52, 28s). Cfr. sopra, p. 99S.
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che noi abbiamo appreso soprattutto da Riccardo di S. Vittore. È ancor più chiara la derivazione agostiniana dell'idea della nascita di Cristo dall'anima verginale, molto importante per l'intera storia della mistica e che pure in Eckehart ha avuto una espressione ricca di significato 22. La fonte classica è qui il libro di Agostino De Virginitate. Qual fonte principale della mistica eckehartiana della nascita di Dio non si dimentichi infine la tradizione propria del suo Ordine, dalla quale provengono opere tipicamente ' eckehartiane ' e profondamente radicate nell'antica tradizione, come l'opuscolo De humanitate lesu Christi. Sarebbe particolarmente utile, inoltre, una accurata indagine sui rapporti fra Eckehart e la Scuola vittorina, la cui incidenza fu notevole per la teologia mistica insegnata a Parigi, alla quale deve tanto anche la mistica domenicana 23. 22 Apolog. (Théry, p. 264; Daniels, p. 62, l6ss): « Quotienscumque fit illa generatio tunc parit ipsa (anima) illum unigenitum Filium propter hoc multo plures sunt fìlii quod pariunt virgines... ». Cfr. PFEIFFER,
p. 44, 15.19; p. 265, 14SS. KARRER-PIESCH, p. 131S. 83
Dall'apologia appare quanto spesso Eckehart si richiami a
BERNARDO. Cfr. KARRER-PIESCH, pp. 79.84.86 ecc. - Si dovrebbe
rettificare anche il giudizio pronunziato da J. Bernhardt sulle discrepanze tra Eckehart e Bernardo. Cfr. Jos. BERNHARDT, Bernhardische uni Eckehartische Mystik in ikren Beziehungen una Cegensàtzen, KemptenMonaco 1912, p. 56. - Non è più sostenibile nemmeno il giudizio di Bernhardt sulla mistica eckehartiana della nascita di Dio, ora che abbiamo presente tutta la storia dell'idea. Bernhardt dice (p. 45): « L'idea centrale della sua mistica, la nascita di Dio nei giusti, deve essere vista nel rapporto alla sua cristologia; in tal modo diviene subito evidente che la sua mistica non è affatto specificamente cristiana ». - Anche E. SEEBERG vede proprio nella dottrina della nascita di Dio il punto in cui Eckehart si sarebbe allontanato sostanzialmente dalla dottrina della grazia della Chiesa. Cfr. Deutsche Evangelische Erziehung 46 (1935) p. 159, dove Seeberg condensa in poche parole la dottrina eckehartiana della nascita di Dio: «Se tutto, se anche la
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Come ultimo risultato della nostra indagine possiamo affermare che la teologia mistica del Maestro Eckehart sulla nascita di Cristo nel cuore del credente, nella sua geniale ed oscura originalità e malgrado il linguaggio del Maestro che l'intervento della Chiesa ha in ogni modo rettificato, si inserisce interamente nella lunga storia di questa idea, profondamente radicata nell'antica teologia e spiritualità cristiana. E proprio in questa storia si verifica ciò che oggi sempre più chiaramente risulta dalla dottrina di Eckehart : il ' senso fondamentalmente cattolico ' 24 della sua mistica della nascita di Dio. Cosi anche la storia successiva della teologia mistica del cuore, cui d'ora in avanti non si può più pensare senza il riferimento esplicito ad Eckehart, si congiunge con la teologia dei Padri della Chiesa ed offre insieme con essa una vera storia dell'interiorità: per merito del Maestro Eckehart e della mistica tedesca si conserva per tutti i tempi la spiritualità di Origene, di Massimo e di Agostino.
grazia si ritira dall'anima, allora nell'anima vien generato il ' Figlio '». Il Maestro irride tutti quei tentativi di spiegazione che trascurano la premessa più importante: la conoscenza totale e perfetta della dottrina scolastica della grazia. E questa è radicata nella tradizione universale. 2 ' Cfr. FR. PELSTER, Ein Gutachten aus dem Eckehart-Prozess in Avignon, Aus der Geisteswelt des Mittelalters, Miinster 1935, p. 1107S. - Cfr. HERMA PIESCH, Meister Eckharts Ethik, Lucerna 1935. Dalla dottrina della nascita di Dio qui esposta esaurientemente e corredata d'uno studio sulle fonti (pp. 273; 73ss) si traggono le medesime conclusioni alle quali, d'altra parte, è giunto anche il nostro lavoro: la fedeltà essenziale del Maestro alla tradizione cattoUca dei Padri della Chiesa.
MYSTERIUM LUNAE
INTRODUZIONE
L'antica teologia sulla Chiesa e i suoi rapporti con Cristo, con la grazia e con la risurrezione, non si esprime solamente là, dove i Padri scrivono di proposito e direttamente, quasi a mo' di tesi, della Chiesa. L'aspetto più profondo dell'antica dottrina della Chiesa è celato sotto una teologia simbolica, una speculazione allegorica i cui inizi risalgono principalmente alle origini della Scuola teologica alessandrina. Al primo contatto dell'esegesi scritturistica, teologicamente trattata, con le concezioni religiose ellenistiche sono nate delle idee le quali, custodite e conservate gelosamente dalla Scuola alessandrina e dagli autori occidentali Ambrogio e Agostino, continuano ancor oggi a vivere, in forma manifesta ο sopita. Per comprendere tutta la bellezza dell'ecclesiologia patristica e così rendere feconda la teologia odierna, la si deve rilevare da un attento esame di questa complessa simbologia. Ciò però significa che si deve cercare di stabilire quale fosse, prima ancora del periodo della poesia allegorico-teologica dei Padri, la fisionomia dei princìpi fondamentali sulla Chiesa, la grazia e la risurrezione, quali i loro rapporti e la forza interiore, donde ogni simbolismo ha tratto origine. L'entelechia è infatti antecedente ad ogni attività corporea, come l'idea precede ogni immaginazione
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INTRODUZIONE
simbolica. Nel nostro caso si tratta della tradizione dommatica sulla natura del mistero, conservata nella viva predicazione, e che dobbiamo ricavare solo dalle opere scritte individuandola sotto la veste del simbolismo. Il mistero è questo: Cristo e la Chiesa. Parlando della ' nascita di Dio ' abbiamo già cercato di abbozzare una tesi ecclesiologica nella sua evoluzione storica 1. Spiegando il mistero di Cristo e della Chiesa secondo una figura tanto cara ai Padri, si è giunti alla conclusione che la Chiesa è la genitrice del Cristo mistico. Come abbiamo allora annunziato 2, in questa continuazione e sviluppo del medesimo pensiero si deve indicare in qual modo l'ecclesiologia patristica si è immaginato il rapporto tra Chiesa e Cristo, Chiesa e grazia, Chiesa e risurrezione della carne alla fine dei tempi. Per descrivere questi concetti l'antica teologia attinge alla forza sicura e incontestata d'una fede saldissima, fondata sulla Scrittura e sulla tradizione apostolica, nelle immagini e nei paragoni ricavati dalla semplice osservazione della natura e ancor più dalla scienza e dalle concezioni religiose del periodo tardoellenistico, il cui vigore simbolico e il cui significato noi non possiamo però comprendere pienamente se non tentiamo di ricostruire questo mondo di immagini, col quale l'antica teologia è venuta a contatto, illuminandosi - « quasi confricato incalescit », direbbe GREGORIO MAGNO 3 .
Senso di Dio e poesia si ispirano fin dalle origini al cielo stellato. Al tempo in cui i primi Padri comin1
La nascita di Dio; cfr. sopra, pp. 14-143. Cfr. sopra, p. 57, nota 46. Cfr. H. RAHNER, Grieschische Mythen in christlicher Deutung, Zurigo 1957, 2 ed., pp. 125-224. 3 Homil. in Evang. 11, 1 (PL 76, 1115 A). 2
INTRODUZIONE
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ciarono a costruire la loro ecclesiologia, il ' sole invitto ' e la ' luna rugiadosa ' erano oggetto di sommo interesse non solo per il pensiero volgare, ma anche per la scienza astrologica di Alessandria e per le strutture sincretistiche della religiosità ellenistica. La timida e incipiente speculazione della Chiesa primitiva, entrata in questo mondo con i testi biblici dell'opera dei sei giorni e con le misteriose parole dei salmi, in forza delle convinzioni dommatiche fondamentali già esistenti sul mistero di Cristo e della Chiesa e incoraggiata dall'ambiente vede fin dall'inizio nella speculazione ellenistica sui rapporti tra sole e luna, luna e fecondità della terra, un positivo sviluppo dei passi scritturistici, per sè solo indicativi, ed una più comprensibile spiegazione dei misteri. Non che sia stata tracciata anche una sola linea importante del cristianesimo genuino in seguito all'asserito accoglimento dei concetti ellenistici. Al contrario, proprio il poco impegno col quale si cercò di esprimere i propri concetti attraverso le idee ricevute dall'esterno indica quanto si fosse convinti e sicuri delle proprie cose. La prima espressione, ambientata nell'antica esegesi cristiana dell'Exaemeron e che ci introduce nel ricco mondo dell'ecclesiologia patristica, è questa: « Questi astri, sole e luna, sono latori e immagini d'un grande mistero. Il sole, cioè, è l'immagine di Dio, la luna è l'immagine dell'uomo » 4. Essa è la semplice linea melodica del canto corale della teologia lunare dei Padri, che AGOSTINO così compendia: « Ex ea caelesti creatura sicut ex multa terrestri sacramentorum figurae ad infor4
TEOFILO ANTIOCHENO, Ad Autolycum 2, 15 (Otto VIII, p. 100,15).
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mationes mysticas adsumuntur » 5. Dal complesso dottrinale dell'ecclesiologia lunare sì possono trarre tre concetti fondamentali, senza che sia necessario dare alcun ulteriore ritocco alla struttura di base. Questi concetti li troviamo nel simbolismo escogitato dai greci per spiegare i fenomeni celesti che hanno come protagonisti Elio e Selene: Selene è morente, generante, raggiante. E morente nell'oscurità dell'incontro con lo sposo nel novilunio; maternamente produce la vita nel suo progressivo illuminarsi dopo la morte del novilunio; è raggiante nella sua sempre nuova conquista dello splendore del plenilunio. Alla luce di questo lume celeste e del suo misterioso destino, alla fecondità della speculazione ellenistica su Elio e Selene i Padri della Chiesa si sono ispirati ed hanno tradotto il mistero ' Dio e uomo ', simboleggiato da Elio e Selene, nella sua espressione tipicamente cristiana, ossia nel mistero ' Cristo e Chiesa '. La Chiesa è per loro la sposa « bella come la luna », in cui ha compimento il mistero dello sposo e fratello : una realtà spirituale per la quale il Creatore ha voluto che esistesse un modello e una prova nel sole e nella luna. La Chiesa è dunque, tanto per abbozzare il primo concetto, la vera Selene rivestita della luce del divino Logos. In un incessante ripetersi dell'atto di rinunzia proprio dell'amore coniugale essa va incontro al nascondimento, all'invecchiamento, alla soppressione della sua visibilità terrena, per attuare, proprio in questo amoroso annientamento, la più intima unione con lo sposo. A questo punto i Padri esprimono sulla teologia della morte della Chiesa visibile dei concetti che, tolti 5
Epist. 55, 6, 11 (CSEL 34, p. 182, 8s).
INTRODUZIONE
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dal complicato simbolismo comprensibile solo alla luce della mitologia astrale ellenistica, fanno parte della loro più profonda speculazione sulla Chiesa. A questa parte diamo il titolo: la Chiesa morente. In secondo luogo la Chiesa, fecondata dalla virtù generativa di Dio, è madre, genitrice di vita. Come Selene in virtù dell'annientamento subito nell'incontro con Elio diviene madre degli esseri viventi sulla terra, soave donatrice della fruttifera acqua lunare, sorgente notturna della rugiada, così la Chiesa, morendo in Cristo, proprio nel quotidiano annientamento della sua visibilità terrena, nel mistico occultamento della sua unione con Cristo, riceve la forza per generare la vita spirituale, diviene la sorgente della spiritualmente pregnante acqua battesimale, donatrice della rugiada della grazia, che essa spande nel silenzio notturno della vita terrena. La Chiesa conduce i figli che ha generato alla santa libertà nei prati puri ed eterei siti sulla luna, li libera da ogni soggezione demoniaca esistente al di sotto della luna. Indichiamo perciò questa seconda parte col titolo: la Chiesa partoriente. Durante la notte e nel periodo della sua crescita la Chiesa cammina verso quel giorno in cui ogni morire e pellegrinare cessa, e si attua la parola del Salmo: « Donec auferatur luna ». Come Selene con passione repressa e un sempre rinnovato slancio gira intorno ad Elio e il suo morire si tramuta immancabilmente nella pienezza dello splendore del suo plenilunio, così la Chiesa è modello e anticipazione della futura risurrezione della carne, e sarà una volta la trasfigurata unità del glorioso genere umano risuscitato, lo splendore della spirituale luce del plenilunio nel nuovo cielo.
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INTRODUZIONE
Il titolo di questa terza parte è pertanto: la Chiesa raggiante. La Chiesa morente, partoriente e raggiante; la Chiesa come sposa, madre e regina; la Chiesa nel suo rapporto con Cristo, con la grazia e con la risurrezione della carne: è questo, tratto dalla simbologia della teologia lunare, il contenuto dell'ecclesiologia dei Padri che deve essere ora sviluppata. Ed è pure, ci sembra, il frutto di questa ricerca, che dovrebbe portare a un arricchimento della nostra odierna teologia ecclesiale. Prima di cominciare l'esposizione dei tre concetti è necessario indicare da quale ambiente abbiamo tratto la teologia lunare dei Padri. Abbiamo già detto che questa teologia è nata dal contatto fecondo dell'esegesi scrittUristica con la 'religiosità lunare ' in parte di indole popolare e in parte di ispirazione ellenistica. In entrambe le fonti dobbiamo dunque ricercare le origini della teologia lunare, che avrà in seguito un grande sviluppo. Anzitutto nell'antica esegesi scritturistica. La spiegazione dell'Exaemeron di TEOFILO ANTIOCHENO indica la via delle prime conquiste. Di fatto l'esegesi dell'opera dei sei giorni è rimasta sempre, in tutta l'epoca patristica, il principale stimolo per lo sviluppo della teologia di ' Cristo Sole ' e della Chiesa qual ' luna spirituale '. Così in ORIGENE 6 e AMBROGIO 7, e in tutti i seguaci della Scuola alessandrina, che già nella Genesi avevano visto la prefigurazione del mistero di Cristo e della Chiesa; in CIRILLO 6
ORIGENE, Homit. in Genesim 1, 5-7 (GCS Origenes VI, pp. 7-10)· 7 AMBROGIO, Hexaemeron 4, 1, 1-9, 34 (CSEL 32, 1, pp. 110140).
INTRODUZIONE ALESSANDRINO 8 ,
AMMONIO
9
e
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ANASTASIO
IL
SINAI-
10
TICO , che al termine della patristica greca ha dato un grande impulso alla teologia lunare. D'altra parte la teologia lunare viene notoriamente respinta dall'esegesi dell'Exaemeron formatasi in seno alla Scuola Antiochena, così in BASILIO 11 , come in TEODORETO DI CIRO
12
, PS.-EUSTACHIO
13
e CRISOSTOMO
14
. È di somma
importanza per l'origine dell'ecclesiologia lunare il fatto che Ambrogio, che per il resto dipende quasi testualmente da Basilio, abbia invece preso da tutt'altra fonte gli elementi allegorici, chiaramente isolati, contenenti la profonda speculazione lunare 15 . AGOSTINO, cui si deve attribuire tutto quanto nel medioevo latino ricalca le orme dell'antica teologia lunare, percorre lo stesso 8 Cfr. l'interessante capitolo dell'introduzione al Glaphyra in Genesim (PG 69, 13ss.). 9 Questo A M M O N I O , il cui commentario all'Exaemeron ci è noto solamente attraverso ANASTASIO SINAITA, non deve essere scambiato con lo scoliaste alessandrino A m m o n i o (cfr. PG 85, 1361SS). Per il tramite di A m m o n i o la dottrina di Cirillo Alessandrino fu poi ricevuta da Anastasio il Sinaitico; cfr. PG 89, 860 C, e BARDENHEWER, Geschichte der aitkirchl. Literatur, ν. IV, ρ. 86. 10 In Hexaemeron 4 (PG 89, 889-914). 11 Homil. in Hexaemeron 9, 6 (PG 29, 117-148). 12 Quaestionum in Genesim Interr. 14-15 (PG 80, 93s). 13 Comment. in Hexaemeron 4 (PG 18, 717-724). 14 Homil. in Genesim 6 (PG 53, 54-61). - Sermones in Genesim 2 (PG 54, 586-590). 15 Le aggiunte mistico-allegoriche, che Ambrogio ha tratte senza dubbio dalla tradizione alessandrina ο dalle opere di Ippolito e alle quali ora ci riferiamo, sono soprattutto: Hexaemeron 4, 2, 7 (CSEL 32, 1, p. 115, 4ss) e 4, 5, 22 (p. 128, i8ss). In Basilio le fasi lunari (in riferimento ad Eccli 27,12) hanno solo il significato simbolico della mutevolezza della vita umana (Homil. 6, 10: PG 29, 141 C D ) . Ciò viene ripreso da Ambrogio, ma trasferito in una teoria mistica (4, 8, 31 : p. 137, iss). Ambrogio applica audacemente al misterioso significato del grande mysterium celato nella luna un testo ricevuto direttamente da Basilio, dove però connota unicamente una visione della luna p r o -
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INTRODUZIONE
cammino di Ambrogio 16 , anche se nella ' spiegazione letterale della Genesi ' 17 diffìcilmente sembrerebbe lasciar posto ad allegorie mistiche. Ancora nella Scuola alessandrina si compila un preciso canone dei luoghi scritturistici, al quale si ricorre per la spiegazione del mistero di Cristo e della Chiesa risultante dall'interpretazione della Genesi. Una classica raccolta di tali testi si ha in Agostino 18 . Ma già in Origene 19 possiamo costatare quanto quelle espressioni, tratte prevalentemente dai salmi, avessero un valore esplicativo nel senso della Scuola ed evidentemente in forza della tradizione. Provengono dai salmi i passi che nella versione dei L X X son divenuti determinanti anche per la patristica latina: Sal 10,2: ήτοίμασαν βέλη εις φαρέτραν τοϋ κατατοξεϋσαι εν σκοτομήνη ... Sal 7 M - 7 : παί συμπαραμενεί τω ή λ ί ω καί προ της σελήνης γενεάς γενεών ... καί πλήθος ειρήνης έως ο δ ανταναιρεθ-ή ή σελήνη' Sal 88,38: καί ώς ή σελήνη κατηοτισμένη εις τόν αιώνα. Sal 103,19: έποίησεν σελήνην ήλιος έγνω την δύσιν αύτοϋ.
εις
καιρούς,
ό
fondamente spirituale e al di fuori d'ogni considerazione sensibile (Homil. 6, 11: PG 29, 145 A): queste le parole di Ambrogio: «Noli ergo Lunam oculo tui corporis aestimare, sed mentis vivacitate » (p. 137. 18s). 16 Così specialmente nella sua teologia lunare delle Enarrationes in Psalmos, che esporremo appresso dettagliatamente. Cfr. anche la lettera 55 ad Ianuarium. 17 De Genesi ad Litt. 2, 13-18 (CSEL 28, pp. 51-62). 18 Epist. 55, 6, 10 (CSEL 34, p. 180). 19 Così nel commentario a Giovanni 6, 55 (GCS Origenes IV, p. 164, 20s), dove Sai 71, 4.5 vien già interpretato in ordine alla Chiesa.
INTRODUZIONE
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Sai 120,6: ημέρας ό ήλιος ού συγκαύσει σε, ούδε ή σελήνη τήν νύκτα.. Sai Ι35)9 της νυκτός.
:
τ
ή
ν
σελήνην και τα άστρα εις έξουσίαν
Vi sono ancora alcuni altri testi che riemergono, sempre nel senso della tradizione, allorquando i Padri intendono parlare della teologia ecclesiale. Agostino dice espressamente : « Sunt et alia testimonia scripturarum, quae nobis ingerunt per commemorationem lunae Ecclesiae signifìcationem » 2 0 . Sono fra questi soprattutto i tre seguenti: Cant 6,io: καλή ώς σελήνη, εκλεκτή ώς ό ήλιος, e, come era da attendersi, la visione apocalittica della donna in cielo con la luna ai suoi piedi: Ap 12,1: και ή σελήνη ύποκάτω τ ώ ν 21 π ο δ ώ ν α υ τ ή ς . Infine Eccli 27,12: ό δε άφρων ώς σελήνη άλλοιοϋται, un passo che deve la sua inser zione nella teologia lunare all'interpretazione, risa lente ai tempi di Origene e Girolamo, della parola ' Gerico ' come ' luna ' 2 2 . Da questo prospetto risulta che la ricca teologia dei Padri intorno alla Chiesa qual luna spirituale non può esser nata esclusivamente dalle parole della Scrittura. Al contrario, la ' prova scritturistica ' articolata su tali testi presuppone una simbologia già evoluta, che può 20
Epist. 55, 6, 10 (CSEL 34, p. 181, 12-14). La storia della spiegazione della visione dell'Apocalisse, c. 12, in senso ecclesiologico è stata esposta nel capitolo della ' Nascita di Dio '. Per la teologia lunare è di fondamentale importanza la versione del dodicesimo capitolo dell'Apocalisse fornita da M E T O D I O DI FILIPPI. aa Cfr. GIROLAMO, De nominibus hebricis (PL 23, 795.841). Breviarium in Ps. 136 (PL 26, 1230). - Cfr. anche AGOSTINO, Enarr. in Ps. 60 (PL 36, 728); Enarr. in Ps. 88 (PL 37, 1134). - PRIMASIO, In Epist. ad Hebr. comment. 11 (PL 68, 769). 21
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INTRODUZIONE
trovare una spiegazione adeguata solo nel complesso dottrinale ellenistico. Premettiamo perciò ai tre capitoli della nostra indagine un conciso compendio delle antiche concezioni, che abbiamo prima indicate come ' religiosità lunare ' e che illuminano, sia pure solo dall'esterno, la nostra questione. Solo così ci sarà possibile comprendere la simbologia dei Padri della Chiesa ed esclamare con Ambrogio : « Veramente beata sei tu, ο luna, che hai avuto il merito di tanto significato. Io ti credo beata non per il tuo novilunio, ma perché sei il tipo della Chiesa » 23.
23 Hexaemeron 4, 8, 32 (CSEL 32, 1, p. 138, 20s): «Beata piane, quae tantum insigne meruisti! Unde te non tuis numeniis, sed typo Ecclesiae beatam dixerim. In illis enim servis, in hoc diligeris ». Quest'ultima frase di Ambrogio spiega quanto verrà detto appresso: l'annientamento della luce lunare nel novilunio per la vera e spirituale Selene, la Chiesa, non è più una necessità assoluta, ma prova dell'amore scambiato con lo sposo. La traduzione di Niederhuber (BKV, 2, Ambrosius I, p. 163) attenua il senso della frase: « Nel primo rapporto tu sei solo la nostra serva, nell'ultimo la nostra diletta ».
Ι.
LA CHIESA MORENTE
La Chiesa è il mistero in cui si concreta visibilmente sulla terra il modulo di vita del Logos : l'annientamento cui segue la glorificazione. Essa è la sempre morente, dalla cui morte scaturisce la vita in una verginale fecondità. Nelle leggi che regolano l'eterno alternarsi del misterioso morire e rinascere della luna i Padri han perciò veduto un simbolo perfetto del principio vitale della Chiesa. Anch'essa viene illuminata dalla luce del sole eterno, ma sempre muore, invecchia e si estingue, per andare così incontro al divino Elio con amore sponsale: « Sed ut propinquet ad Solem », dice S. Agostino. Per rinverdire quel mondo di idee in cui visse la teologia patristica dobbiamo solo ricordare come fosse rappresentato nell'ambito delle scienze naturali e del pensiero religioso dell'antichità meno remota il rapporto tra Elio e Selene. Assumeremo quindi dalla mitologia lunare ellenistica quei concetti di cui si può provare la sopravvivenza nell'allegorismo patristico ο che hanno un'importanza rilevante per la teologia dei Padri e 1 per la sua comprensione . 1 Vengono qui ricordati solo gli studi espressamente citati ο i cui risultati rappresentano un contributo diretto alla comprensione della
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L'ECCLÉSIOLOGIA
DEI
PADRI
Indicheremo pure in qual misura antiche concezioni vivono ancora nel pensiero della Chiesa e quale sia la loro importanza, non per il contenuto dottrinale, ma per la forma simbolica dei concetti.
teologia lunare dei Padri. In quasi tutte queste opere, tuttavia, si accenna appena al perpetuarsi nell'antica letteratura cristiana delle antiche credenze intorno alla luna. L'opera fondamentale è ancora: W. H. ROSCHER, Selene und Verwandtes, Mit einem Anhange von N. G. POLITIS über die bei den Neugriechen vorhandenen Vorstellungen vom Monde (Studien zur griech. Mythologie und Kulturgeschichte, 4), Lipsia 1890. - Sul medesimo argomento: Nachträge zu Selene und Verwandtes, Lipsia 1895. - Sono assai ricchi di citazioni e di materiale illustrativo anche i seguenti articoli: W. H. R O S C H E R , Mythologisches Lexikon, ν . II, 3119-3200 ( M O N D G Ö T T I N ) ; ν . IV, 642-650 (SELENE); ν . Ι, 558-608 (ARTEMIS di Τ Η . SCHREIBER), e ν . Ι, 1885-1910 (HEKATE). -
Cosi pure gli studi più recenti contenuti negli articoli della Realenzyklopädie der klassischen Altertumswissenschaft di P A U L Y - W I S S O W A K R O L L : ν . II Α Ι
(1921) 1136-1144 (SELENE di F. S C H W E N N ) ; XIII,
2 (1927) 1808-1811 (LUNA di G. W I S S O W A ) ; XVI, 1 (1933) 76-105 ( M O N D di W . G U N D E L ) ; ivi 107-113
( M O N D G O T T H E I T di E. W Ü S T ) ;
II, 1 (1896) 1336-1440 (ARTEMIS di Κ. W E R N I C K E ) ; VII, 2 (1912) 2769-2782 (HEKATE di J . HECKENBACH). - Sono particolarmente utili anche i seguenti: F. B O L L - Α . BEZOLD, Sternglaube und Sterndeutung (3 ed. a cura di W . GUNDEL), Lipsia 1926 (Aus N a t u r und Geisteswelt, 638); Η . GRESSMANN, Die hellenistische Gestirnreligion, Lipsia 1925 (Beihefte zum Alten Orient, 5); F. BOLL, Die Erforschung der antiken Astrologie in Neue fahrbücher f. d. klass. Altertum 11 (1908) 104SS; J. R Ö H R , Beiträge zur antiken Astrometeorologie in Philologus NF 37 (1928) 259SS; F. C U M O N T , Die orientalischen Religionen im römischen Heidentum, 3 ed., Lipsia 1931; F. C U M O N T , Le mysticisme astral dans l'antiquité in Bulletin de l'Académie royale de Belgique, Classe des Lettres 5 (1909) 256SS; P. CAPELLE, De luna, stellis, lacteo orbe animarum sedibus (Diss.), Halle 1917; E. PFEIFFER, Studien zum antiken Sternglauben, Lipsia 1916 (Stoicheia 2); K. R E I N H A R D T , Kosmos und Sympathie, Lipsia 1926; W. KROLL, Die Kosmologie des Plinius in Abhandl. d. schles. Gesellschaft f. vaterl. Kultur 3 (1930) 1ss; R. EISLER, Weltenmantel und Himmelszelt, Religionsgeschich. Unters, zur Urgeschichte des antiken Weltbilds, 2 voll., Monaco 1910.
LA CHIESA MORENTE
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1. LA M I S T I C A L U N A R E ELLENISTICA
Nella Philosophiae Consolatio BOEZIO innalza al firmamento un canto sublime, in cui si esprime ancora, come in un'eco, quanto l'antichità fin dai tempi dei presocratici e di Aristotele aveva saputo dire intorno al rapporto fra Elio e Selene 2 : « Ο stelliferi conditor orbis qui perpetuo nixus solio rapido caelum turbine versas legemque pati sidera cogis, ut nunc pleno lucida cornu totis Fratris obvia flammis condat Stellas Luna minores, nunc obscuro pallida cornu Phoebo propior lumina perdat ». Con le sue fasi, evidenti anche alla più semplice osservazione naturale, e con la sua danza incessante intorno ad Elio, Selene, come disse una volta PLINIO, è sempre stata sacra per gli ingenia contemplantium 3. Il pensiero greco, senza dubbio erede della religiosità pre-greca, considerava Selene come astro femminile, e successivamente la si è detta sposa e sorella di Elio. 2 Philosophiae Consolatio I, 5, 1-9 (CSEL 67, p. 13s). - Secondo J. GALDI, (Bollettino di Filologia classica (Torino) 36 (1929) 129), Boezio dipende qui dalla cosmologia mistica di Poseidonio. - Cfr. l'edizione italiana della Philosophiae Consolatio di Boezio: testo con introduzione e traduzione di E. RAPISARDA, Catania 1961, p. 2 1 : « Ο dell'empireo stellato Artefice, che su perpetuo trono assiso, muovi con veloce turbinio il cielo e costringi le stelle a sottostare a leggi, onde la luna, or luminosa nel plenilunio, accogliendo in pieno i raggi del fratello, oscura le minori stelle, ed or, allorché si trova vicino al sole, perde ogni splendore, sbiadita nelle oscure corna ». 3
Nat. hist. 2, 9, 41 (Mayhoff 1, p. 139, 7ss).
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PADRI
La luce della luna, come mostra l'osservazione naturale d'ogni giorno, è più tenue e per così dire più materna di quella del sole splendente, ed è perciò di somma importanza per il prospero sviluppo della natura. In una intuitiva e naturale simbologia si è quindi designata la luce di Selene come muliebre, benevola, materna. E di EMPEDOCLE la frase, non scordata dai greci, come ci attesta Plutarco che ce l'ha conservata 4: "Ηλιος οξυβελής ηδ'ίλάεφα Σελήνη. La parola ίλάειρα suona qui come ιλαρός ο anche ϊλαιος. La luce della luna, dunque, al contrario dei pungenti dardi della luce solare, è serena e splendente a un tempo, è, secondo una indovinata traduzione, ' graziosa ' 5 . Per ARISTO6 TELE la luna è un ' piccolo sole ' , per TEOFRASTO, 7 invece, un ' sole più debole ' . Questa interpretazione della ' luce muliebre ' della luna è diventata tradizionale nella Scuola degli stoici ed è così entrata nella teosofia religiosa popolare dei tempi successivi. Si adorava Selene come astro dalla luce femminilmente dolce e maternamente feconda, che riceve i raggi virili e forti di Elio, li addolcisce amorevolmente e li trasmette alla terra : « Debiles namque et magis femineos emittens 4 DIELS, Fragmente der Vorsokratiker (citeremo VS 4 ), 21 Β 40; PLUTARCO, De facie in orbe Lunae 2 (Bernardakis V, p. 403, 10). 5
6
"W.
GUNDEL,
RE
XVI,
1,
c.
87,
55;
e.
103,
53s.
De gener. anim. 4, 10 (777b 25s): γ ί ν ε τ α ι γ α ρ ώ σ π ε ρ ά λ λ ο ς ή λ ι ο ς ε λ ά τ τ ω ν . . Cfr. anche ARISTOTELE, Meteor. 3, 5 (376 b 25s), dove si dice, per spiegare la pioggia lunare, che la luna in contrasto col Sole è ούκ άεί π λ ή ρ η ς , ασθενεστέρα τε τ ή ν φύσιν ώ σ τ ε κ ρ α τ ε ϊ ν τ ο ϋ αέρος. La stessa cosa si ha in ANASSIMENE (VS 4 3 A 18). Cfr. anche R E XVI, 1, c. 102 (W. GUNDEL) e J. R Ö H R , Beiträge zur antiken Astrometeorologie in Philologus NF 37 (1928) 259. 7 De ventis 3, 7 ("Wimmer III, p. 100): οίον γ α ρ α σ θ ε ν ή ς ήλιος έστι.
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splendores necnon serenos aut rore praeditos optime lactat enutriendo et adaugendo », scrive FILONE nel suo libro sulla provvidenza 8. E APULEIO rivolge alla luna questa invocazione : « Ista luce feminea conlustrans cuncta moenia et umidis ignibus nutriens laeta semina et solis ambagibus dispensans incerta lumina » 9. Anche il neoplatonico PRISCIANO dice che la luna è « debole e perciò feconda » 10. Selene è dunque un « femineum ac molle sidus », come nota PLINIO riassumendo il pensiero antico 11. Attraverso questa rappresentazione della femminea e feconda luce della luna si sviluppa una seconda serie di concetti, che stimola a sua volta nuove speculazioni mistiche sulla natura. Fin dal tempo dei presocratici negli ambienti scientifici greci e nella religiosità mitologico-astrale si disputa vivacemente sul tema: se la luna ha luce propria od è illuminata dal sole. Anche in AGOSTINO questo pro e contro, eredità della tradizione della scuola greca 12 , ritorna espressamen8 De Providentia 2, 77 (Aucher, p. 96). Cfr. anche M. TECHERT, La notion de la sagesse dans les premiers sièdes de notre ère in Archiv für Philosophie und Soziologie 39 (1929) ff. 1-2. - J. BRÉHIER, Les idées philosophiques et religieuses de Philon d'Alexandrie, Parigi 1925, ρ. 119ss. 9 APULEIO, Metamorph. 11, 2 (Giarratano (1929), p . 296, 23SS; Hildebrand I, p. 984). Cfr. anche PLUTARCO, De fade in orbe Lunae 25 (Bernardakis V, p. 456, 9ss) : ύ γ ρ ό τ η τ ο ς δε π ο λ λ ά κ α ι θ η λ ύ τ η τ ο ς . Cosi pure in M A C R O B I O , Saturnalia 1, 17, 53 (Eyssenhardt, p. 98, 27ss) e VIRGILIO, Georg. 3, 337: «Et saltus reficit iam roscida luna». 10 PRISCIANO, Solutiones eorum de quihus dubitavit Chosroes Persarum Rex, q. 6 (ed. in appendice alle opere di Plotino, a cura di Creuzer e Moser, Parigi 1855, p. 571). 11 PLINIO, Nat. hist. II, 101, 223 (Mayhoifl, p. 215, 9s). La stessa cosa dice CORNUTO, Theol. graecae comp. 32 (Lang, p. 66, 12-15). 12 Agostino dice espressamente d'aver imparato da bambino a scuola questa astronomia: « In studiis puerilibus didici » (Epist. 55, 4, 6: CSEL 34, p. 175, 10). Cfr. anche LUCREZIO, De rerum natura V, 705-736
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te 13· Per meglio comprendere l'evoluzione del pensiero patristico è importante notare che si afferma sempre di più la convinzione che la luna sia illuminata dal sole. È stato determinante l'intervento di PLATONE, che nel Cratilo attribuisce per primo ad Anassagora questo concetto scientifico-naturale: δ εκείνος νεωστί έλεγεν δτι ή σελήνη άπο του ήλιου έχει τό φως 1 4 . Anche IP POLITO ROMANO riepiloga molto bene la dottrina lunare di Anassagora : « La luna non possiede una luce propria, ma la riceve dal sole » 15 . È certo che il tentativo di Berossos di spiegare la luna e le sue fasi con delle ipotesi (alle quali allude, come sembra, anche Agostino) 16 , descrivendo la luna come un globo per metà illuminato e per metà buio che nella sua rivoluzione ci offre lo spettacolo delle fasi lunari, non ha goduto più d'alcun credito 17. I Padri della Chiesa preferiscono affermare che Selene riceve la sua luce da Elio, rivestendosi così
(Diels); ARNOBIO, Adv, nationes 2, 61 (CSEL 4, p. 97, 8s), dove vien portata come esempio delle dispute scolastiche la questione : « Alieno ex lumine an propriis luceat fulgoribus luna? ». 13 AGOSTINO, Epìst. ss, 4.7 (CSEL 34, p. 176, 20 - p. 177, 16). Enarr. in Ps. 10, 3 (PL 36, 131-133). - De Genesi ad litt. 2, 15 (CSEL 28, p. 57> 9ss)· Sulla conservazione di queste due antiche idee trasmesse da Agostino, cfr. EUGTPPIO, EXC. ex operibus Augustini 126 (CSEL 9, p. 428, i8ss); ISIDORO DI SIVIGLIA, De natura rerum 18 (PL 83, 990ss); PIETRO LOMBARDO, Commetti, in Ps. io, 3 (PL 191, 148s). 14 PLATONE, Kratylos 409 A; cfr. VS 4 46 A 75. 77. 15 IPPOLITO, Elendtos 1, 8, 8 (GCS Hippolyt III, p. 14, 7s): το δε φ ω ς τήν σελήνην μή ίδιον έχειν ά λ λ α ά π ο τοΰ ηλίου. 1 6
AGOSTINO, Enarr. in Ps. 10, 3 (PL 36, 131s). Secondo BEROSSOS
Selene è ή μ ί π υ ρ ο ς , come sappiamo da CLEMEDE, Κ υ κ λ ι κ ή θ ε ω ρ ί α μ ε τ ε ώ ρ ω ν 2, 4 (Ziegler, Lipsia 1891, ρ. 18ο, 22). L'esperimento della palla descritto a scopo dimostrativo da Agostino ci ricorda chiaramente queste idee. » Cfr. P^E VI, 2, e. 2338, 41SS (F. BOLL) e R E XVI, I, c. 84, 16ss
(W.
GUNDEL).
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come d'una veste nuziale 18. Qui già si vede il riferimento alla simbologia della Chiesa, che altrimenti non si sarebbe formata senza il concetto predominante della provenienza della luce lunare dal sole. Selene è dunque illuminata dalla luce dell'astrofratello. La danza che essa intreccia intorno ad Elio, l'avvicinamento e l'allontanamento viene interpretato nella filosofia naturale, esposta in forma poetica, come un giuoco amoroso tra Elio e Selene. Già PARMENIDE l'aveva inciso in un'espressione poetica, dicendo che Selene « con lo sguardo cerca sempre timidamente i raggi di Elio » 19. PLUTARCO ha citato questo verso, e l'antica religiosità lunare, quale risulta dai libri di preghiere composti soprattutto da FIRMICO MATERNO (che dipende da Cicerone e da Poseidonio), parla compiaciuta della timidezza con cui la luna si piega rispettosamente sotto i raggi del sole trionfante, dello sposo e fratello, decantato anche nel summenzionato 18 Quando parlano del ' rivestirsi della luce del sole ', i Padri della Chiesa si servono senza dubbio dell'espressione in uso presso il popolo. Cfr. BASILIO, Homil. 6, 3 in Hexaemeron (PG 29,124 A): το περικείμενον φως άποτιθεμένη καί προσλαμβάνουσα πάλιν. - Ps.-EusTAZio, Hexaemeron 4 (PG 18, 717 D): ένδουμένη
γαρ π ω ς το ήλιακον φ ω ς . - In GREGORIO NISSENO si incontra
l'immagine, già descritta da EMPEDOCLE (VS4 21 A 30), della luna come specchio liscio e lucente: De anima et resurrectione (PG 46, 32s). Le antiche credenze sulla provenienza della luce lunare hanno incontrato un interesse notevole anche nell'apologetica cristiana. Cfr. EUSEBIO, Praep. evang. 15, 26.29 (PG 21, 1377s), dove si parla delle diverse idee dei presocratici. 19 VS4 18 Β 15: άεΐ παπταίνουσα προς αύγας ήελίοιο, ci tato da PLUTARCO, Aetia Rom. 76 (Bernardakis II, p. 296, 23) e De fade in orbe Lunae 16 (Bernardakis V, p. 427, 11). A proposito del gioco amoroso di Selene intorno a Elio cfr. anche MACROBIO, Com. in Somnium Scipionis I, 18, 10 (Eyssenhardt, p. 556, 31ss); PLINIO, Nat. hist. 2, 9, 45 (Mayhoff I, p. 140, ioss) e CORNUTO, Theol. graecae comp. 32 (Lang, ρ. 66, 9-12) ; (Lang, ρ. 72, 2ss).
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
poema di Boezio. La stessa cosa si ha nella preghiera al Sole di Finnico e nell'inno alla luna: « Radios luminis quasi Solem venerata submittit, ut fraternis ignibus rursus ornata ... renata fulgidi splendoris ac renovata luminis ornamenta circumferat. Tuque Luna, quae in postremis caeli regionibus collocata ad genitalium sem i n u m perennitatem menstruis semper aucta luminibus Solis augusta radiatione fulgescis » 20 . L'incontro tra Elio e Selene diventa così il σύνοδος nel duplice significato del termine: luna nuova e unione sponsale. Di qui la virtù generativa della luce lunare. Selene fugge e cerca lo sposo. Seguendo il profondo senso mistico della natura, PLUTARCO esclama: κκί γαρ αυτήν την Σελήνην ερωτι τοϋ ' Η λ ί ο υ περιπολεί άείν καί συγγιγνεσθ-αι όρεγομένην άπ'άυτοΰ το γονιμώ21 τατον . Pur senza inserirla nella sua scienza naturale, ARISTOTELE aveva già tracciato le linee di questa mistica lunare, dicendo che la luna può esercitare un influsso sulla natura grazie alla sua unione con la luce solare: δια την προς τον ήλιον κοινωνίάν και την μετάληφιν την τοϋ φωτός 2 2 . Per questo motivo il giorno del sinodo lunare era considerato in Atene fra i più propizi alle nozze, come ci dice PROCLO negli Scoli ad Esiodo 2 3 . 20 FIHMICO MATERNO, Mathetn. 1, 4, 9 (Kroll-Skutsch I, p. 13, 10ss); Mathem. 1, 10, 14 (Kroll-Skutsch I, p. 38, 10-13). 21 PLUTARCO, De facie in orbe Lunae 30 (Bernardakis V, p. 472, 8ss). 22 ARISTOTELE, De gener. anim., 4, 10 (777 b 24s). 23 PROCLO, Scoli al " Ε ρ γ α xcci ήμέραι di ESIODO, V. 780 (Poetae min. graeci, ed. Th. Gaisford, Lipsia 1823, p. 3ss): 'Αθηναίοι τάς προς σύνοδον ημέρας έξελέγοντο προς γάμους και τα θ-εογάμια έτέλουν τότε, φυσικώς είναι πρώτον οίόμενοι γάμον της Σελήνης ούσης προς 'Ηλίου σύνοδον. Sul 'Ιερός γάμος cfr. RE Suppl. VI (1935) ce. 107-113 (A. KLINZ).
LA CHIESA MORENTE
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Elio è la forza originaria della natura, che solamente dona, mentre Selene è la natura che maternamente riceve e in virtù di questa ricezione nuovamente elargisce: και λαμβάνει και δίδωσι 2 4 . Al momento del sinodo, nel novilunio, Selene scompare come annien tata, declina e muore, diventa povera e il suo splendore vien quasi ' distrutto '. Essa ha però intrapreso un misterioso dialogo con Elio, il mistico discorso delle armonie pitagoriche delle sfere 25. Allorché poi da questa unione amorosa con Elio essa esce ad una luce di giorno in giorno più bella e radiosa, diviene il principio materno d'ogni crescita. Elio e Selene sono perciò i συνεργοί της φύσεως, dei quali parlano CLEMENTE 24 P L U T A R C O , Defacie in orbe Lunae 3 0 ( B e r n a r d a k i s V , p . 4 7 2 , 8 ) . 25 CICERONE, De nat. deorum 3, 11, 27 (Plasberg, p . 128, 15): ivi 2, 40, 103 (Plasberg, p. 90, 9). Il lento morire di Selene nel lento cammino verso il sinodo con Elio, la sua morte nell'oscuramento del novilunio, nel linguaggio popolare dell'antichità, anche cristiana, si esprime con φ θ ί ν ο υ σ α , λ ή γ ο υ σ α σ ε λ ή ν η , ecc. Cfr. RE XVI, 1, c. 98, 33SS (W. GUNDEL). COSÌ BASILIO parla della σ ε λ ή ν η λ ή γ ο υ σ α : Homil. in Hexaem. 6, 3 (PG 29, 121 D ) ; AMBROGIO parla dei ' dolori ' della Luna: Exameron 4, 8, 31 (CSEL 32, 1, p. 137, 7). E come A P U LEIO aveva parlato della Luna nascens et senescens (Fior. 18; H e l m p. 37, lös), così pure TERTULLIANO, Apol. 48 (Oehler II, p. 293, ios): « L u x cotidie interfecta resplendet... sidera defuncta vivescunt». Ed espressamente parla della luna: De resurrectione carnis 12 (Oehler II, p. 482, 9s) : « Ornantur et specula Lunae quae menstruus numerus attrìverat ». Si trattava, come appare chiaramente da SEVERIANO DI GABALA (Or. 3 : PG 56, 453), d'un'espressione popolare: σήμερον γεννάται. Σ ε λ ή ν η ; così pure l'espressione ' morte di Selene ', come in TEOFILO D ' A N T I O CHIA, Ad Autol. 2, 15 (Otto VIII, p. 102, 1s): «ή δε Σ ε λ ή ν η κ α τά μ ή ν α φ θ ί ν ε ι καί. δ υ ν ά μ ε ι α π ο θ ν ή σ κ ε ι ». Per comprendere bene l'ulteriore sviluppo della ' teologia della morte della Chiesa ' è importante tener presenti fin d'ora queste raffigurazioni vive della pietà popolare dell'antichità. Cfr. ancora RE VI, 2 (1909), c. 2332,
14SS (F. B O L L ) .
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
ALESSANDRINO e FILONE 26. Selene è « humanorum corporum Mater» 27, signora della vita: τοϋ βίου κυριωτάτη 2 8 . Nel periodo storico in cui i primi Padri della Chiesa cominciarono a evolvere la loro teologia, tutti questi concetti, provenienti originariamente dall'antica mito logia lunare, nei culti delle maggiori divinità materne dell'ellenismo erano riuniti in uno strano miscuglio. I libri di PLUTARCO su ' la faccia del disco lunare ' e ' Iside e Osiride ', le speculazioni teologiche di POSEIDONIO, la mistica astrale del ' Sogno di Scipione ', di MACROBIO, di APULEIO e di FIRMICO MATERNO : queste opere e idee ci mostrano come si esprima una devozione alla maternità divina della luna, integrativa della religione dell'invincibile Elio, nel culto della divina Iside ο della ' Celeste ' di Cartagine 2 9 . Questo culto 26 CLEMENTE, Stromata 5, 6, 38 (GCS Clemens II, p . 352, 6 ) ; FILONE, De vita Moysis 2, 152 (Mangey I, p . 653). 27
FIRMICO M A T E R N O , Mathem. 5, praef.
(Kroll-Skutsch II, p . 3,
2-6) : « Vosque, perennium siderum cursus, Luna etiam h u m a n o r u m corporum Mater, et tu, ο o m n i u m siderum princeps, qui menstruis Lunae cursibus lumen adimis pariter et reddis, Sol O p t i m e Maxime ». 28 PLUTARCO, Defacie in orbe Lunae 26 (Bernardakis V, p . 463, 13s). 29 Lo era soprattutto l'egiziaca ISIDE, che nel tardo periodo elle nistico era assai venerata come materna divinità lunare. Cfr. G. LAFAYE, Histoire du culte des divinités d'Alexandrie hors de l'Egypte, Parigi 1884, p. 254s. - F. ZIMMERMANN, Die ägyptische Religion nach der Darstellung der Kirchenschriftsteller und die ägyptischen Denkmäler, Paderborn 1912. F. C U M O N T , Die orientalischen Religionen im römischen Heidentum, 3 ed., Lipsia 1931, pp. 68-93. - Per una sintesi cfr. C. K E R N , Die Religion der Griechen, v. III, Berlino 1938, ρ. 138ss. - Iside è venerata come la grande materna divinità lunare, che qual « sposa e sorella di Osiride » riceve nel sinodo, insieme con la sua luce, la fecondità in ordine alla generazione di ogni vita. Cfr. PLUTARCO, De Iside et Osiride, 43 (Bernardakis II, p. 516), ed EUSEBIO, Praep. evang. 1, 9 (PG 21, 65 AB) e 3, 11 (PG 21, 208 B C ) . Ci possiamo fare un'idea molto precisa di questa religiosità lunare attraverso le cosiddette
LA CHIESA MORENTE
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ellenistico della madre ha avuto un'eco anche nelle teosofie della gnosi cristiana, divenendo assai pericolosa per il cristianesimo. La testimonianza più singolare al riguardo è offerta dal culto di Elena-Selene, di cui ci informano le Recognitiones pseudo-clementine: «Igitur post obitum Dosithei Simon accepit Lunam, cum qua usque ad praesens circuit, ut videtis, decipiens turbas et asserens semetipsum quidem Virtutem esse de superioribus coelis deductam eandemque, cunctorum Genitricem asserit esse Sapientiam»30. In questo aretalogie di Iside giunte fino a noi, preghiere a m o ' di litanie rivolte alla dea oppure lodi di sé stessa che si mettevano in bocca alla medesima divinità. Cfr. W. Peek, Der Isishymnus von Andros und verwandte Texte, Berlino 1930. - Ν . T U R C H I , Fontes mysteriorum aevi hellenistici, R o m a 1923, p . 179SS. - The Oxyrrhynchos Papyri, ed. GREENFELL-HUNT, IX (1915), n. 1380. - In una di queste litanie di Iside (Dittenberger SIG 1267) si dice: έ γ ώ η λ ί ο υ κ α ι σ ε λ ή ν η ς π ο ρ ε ί α ν σ υ ν έ τ α ξ α (lin. 19s); έ γ ώ γ υ ν α ί κ α καΐ ά ν δ ρ α σ υ ν ή γ α γ α , έ γ ώ γ υ ν α ι ξ ί δ ε κ ά μ η ν ο ν β λ έ φ ο ς ε ν έ τ α ξ α (lin. 20s). - Sulla relazione tra la religiosità lunare e il culto cartaginese della ' V i r g o Caelestis', cfr. RE III, 1 (1899) e. 1250, 16ss (F. C U M O N T ) ; A. v. DOMASZEWSKY, Virgo Caelestis' in Abh. z. röm. Rei. (Lipsia 1909) 148-150. Proprio da ciò si comprende la premura con la quale nella predicazione della fede cristiana si contrapponeva a questo culto della ' Vergine celeste ' l'amore per la vergine Chiesa. SALVIAMO DI MARSIGLIA dice espressamente che il ' n o m e meraviglioso ', dato ingiustamente a questa divinità africana, conviene molto di più alla Chiesa: De gubernatione Dei 8, 2 (CSEL 8, p. 195, 1s; 22s): « Cui ideo, ut reor, veteres pagani tam speciosae appellationis titulum dederunt, ut quia in eo non erat numen, vel n o m e n esset... nam etiam ipsam q u o d a m m o d o Ecclesiae salutationem idolo praestiterunt ». - Per il culto di Selene a Cartagine cfr. anche la nota in PLUTARCO, Defacie in orbe Lunae 26 (Bernardakis V, p. 463, 13). - F. J. DÖLGER, Virgo Caelestis pluviarum polUcatricis, Die Himmelskönigin von Karthago auf dem Löwen in Antike und Christentum 1 (1929) 98-100. 30 Recognitiones 2, 12 (PG I, 1254 A). Cfr. RÖSCHER, Myth. LexI, 2, c. 1977 (R. ENGELMANN) ; RE VII, 2 (1912) c. 1513s (W. BOSSUET). - W. H E I N T Z E , Der Clemensroman und seine griechischen Quellen ( T U 40, 2), Lipsia 1914. Anche nei sistemi dei neoplatonici la materna Selene
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DEI
PADRI
ambiente spirituale i Padri della Chiesa hanno escogitato le loro speculazioni sulla Chiesa, vera vergine Luna. All'immagine della ' vezzosa e amorosamente materna grazia ' 31 delle rappresentazioni di Iside care a tutto l'impero, i Padri contrappongono la grandiosa immagine della Madre Chiesa. Il principio originario della vita spirituale non è più Iside, esaltata da PLUTARCO 32 qual ' principio femminile di tutta la natura ', ' principio passivo d'ogni generazione ', che nel suo ' amore radicato nel Primo e nel Sommo ' s'avvia alla viva intuizione e qual ' sposa e sorella ' 33 di Osiride, per la sua virtù generativa, diventa ' madre del mondo ' ; la vera Luna è invece la Chiesa. L'apologeta cristiano 34 ATENAGORA ha espresso bene ciò che allora si pensava e il modo di pregare la madre universale Iside occupa un posto di primo piano, come sappiamo dai Discorsi di G I U LIANO
L'APOSTATA
(Or.
4,
149 D;
150 A;
154 D)
e
da
GIAMBLICO
(attraverso lo scritto di Proclo sul T i m e o di Platone, 258 F). Secondo quest'ultimo, Selene ha il λ ό γ ο ς φ ύ σ ε ω ς κ α ί μ η τ ρ ό ς π ρ ο ς γ έ νεσιν. Cfr. R E II Α 1 (1921), e. 1141, 25ss (F. SCHWENN). 31 Così F. C U M O N T , Die orientalischen Religionen im römischen Heidentum, 3 ed., Lipsia 1931, ρ. 7ΐ. 32 PLUTARCO, De Iside et Osiride 53 (Bernardakis II, ρ. 527ss): ή γ α ρ " Ι σ ι ς ε σ τ ί μ ε ν τ ο τ η ς φ ύ σ ε ω ς -8-ήλυ κ α ί δ ε κ τ ι κ ο ν άπάσης γενέσεως. 33 Cfr. l'aretalogia di Iside conservataci da D I O D O R O , Bibl. hist. I, 2 7 (Vogel Ι , ρ . 43, I2s): έ γ ώ ε ί μ ι γ υ ν ή κ α ί α δ ε λ φ ή Ό σ ί ρ ι δ ο ς β α σ ι λ έ ω ς (cfr. anche in Dittenberger SIG 167 l'introduzione, p . 390). La stessa cosa dice l'apologeta ARISTIDE, Apol. 12, 2 (J. GEFFCKEN, Zwei griech. Apologeten (Sammlung wissenschaftl. K o m m e n tare, Lipsia 1907), Ρ· 18, is; in specie C o m m . p. 74). Cfr. F. ZIMMER MANN, Die àgypt. Religion nach der Darstellung der Kirchenschriftsteller, Paderborn 1912, p. 19ss. 34 ATENAGORA, Leg. pro Christianis 22 (J. GEFFCKEN, op. cit., p. 140, 12s; in specie C o m m . p. 210). Si ha la stessa cosa anche nell'inno a Iside conservato dagli Oxyrrhynchos Papyri (Turchi, p. 179SS) : w . 184-185: σ ύ π ά ν τ ω ν υ γ ρ ώ ν κ α ί ξ η ρ ώ ν κ α ί ψ υ χ ρ ώ ν έ ξ ώ ν ά π α ν τ α σ υ ν έ σ τ η κ ε ν εύρέτρια π ά ν τ ω ν έ γ ε ν ή θ η ς .
LA CHIESA MORENTE
169
nell'ecumene ellenistica. Questa è φύσις αιώνος έξ ής πάντες Ιφυσαν και δι'ής πάντες είσίν. L'ultima espressione del pensiero greco non saranno tuttavia le ostentate aretologie della madre Iside, ma l'inno di lode alla Madre Chiesa, spirituale Selene, lasciatoci da ANASTASIO IL SINAITICO
35
.
2. LA DOMMATICA LUNARE IN ORIGENE
La religiosità lunare greca era all'apice del suo sviluppo quando la teologia cristiana si assunse il compito di organizzare in un sistema scientifico, col contributo del pensiero greco, la materia conservata nella tradizione della fede; quando l'apologetica cristiana, prima timidamente e poi, specialmente con ORIGENE, apertamente si pronunciò contro l'adorazione della luna 36 . Dalla Sacra Scrittura e dalla tradizione apostolica i primi teologi avevano appreso il μέγα μυστήριον (Ef 5,32) dell'unione fra Cristo e la Chiesa. L'approfondimento di questo mistero e lo sviluppo dei suoi vari aspetti era da principio una delle componenti essenziali del pensiero cristiano. In ciò fu assai gradito l'apporto delle idee come anche delle congetture che nell'ultimo periodo del pensiero greco, da quando cioè il vecchio Platone aveva accolto nella sua Accademia un fore35 ANASTASIO SINAITA, In Hexaemeron 12 (PG 89, 1072SS). Vedi sotto, p. 204s. 36 Cfr. ARISTIDE, Apol. 6, 3 (Geffcken, op. cit., p. 9, 25ss); T A ZIANO, Or. adv. Graec. 9.10 (Otto VI, pp. 40-48); ATENAGOEA, Leg. 6 (Geffcken, op. cit., p. 124, 25ss); ORIGENE, C. Cels. 5, 10-13 (GCS Origenes II, pp. 9-14).
170
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
stiero caldeo 37 , si pascevano sempre più beatamente nell'osservazione del cielo stellato e dei due astri Elio e Selene. Alla luce di questa mistica astrale, vista però in una prospettiva cristiana, anche il contenuto dei ' testi lunari ' dell'Antico Testamento conseguì un significato più profondo nell'incipiente allegorismo della Scuola alessandrina. E quand'anche l'affermazione di TEOFILO ANTIOCHENO sul μέγα μυστήριον ascoso nel
sole e nella luna fosse tale da dimostrare che il suddetto allegorismo teologico s'era formato già molto prima, per noi oggi è tuttavia evidente che lo sviluppo della teologia lunare cristiana ebbe luogo in Alessandria e, se si eccettuano poche tracce, non in CLEMENTE, ma nelle opere di ORIGENE. Origene è divenuto un gran nome nell'ambiente scientifico di Alessandria, in cui alcuni decenni prima Tolomeo aveva prodotto la sua opera di fama universale, l'Almagesto e il Tetrabiblos, ove spirava ancora l'aria della mistica astrale di Poseidonio 38. Se nelle omelie di Origene sentiamo spesso parlare con accenti piuttosto forti contro la falsa sapienza dei ' Caldei ' 39, ciò ci mostra non solo il continuo pericolo che i cri37 Academicorum philosophorum index Herculanensis, c. 3, pp. 39-41 (ed. S. Mekler, Berlino 1902, p. 13). - Cfr. E. DES PLACES, Platon et l'astronomie chaldéenne in Annuaire de l'Institut de philologie et d'histoire orientales et slaves 4 (1936) 137; IDEM, Les dernières années de Platon in VAntiquité classiaue 7 (1938) 187. 38 Cfr. FR. BOLL, Studien über Claudius Ptolemäus. Ein Beitrag zur Geschichte der griechischen Philosophie und Astrologie in Jahrbuch f. klass. Philologie, Suppl. 21 (1894) 51; IDEM, Die Entwicklung des astronomischen Weltbildes im Zusammenhang mit Religion und Philosophie in Kultur der Gegenwart III, 3, 3, Lipsia 1921; Κ. GRONAU, Poseidonios und die jüdisch-christliche Genesisexegese, Lipsia-Berlino 1914. 39 Cfr. In Ieremiam homil. 3, 4 (GCS Origenes VIII, p. 314, ioss); In Ezech. Homil. 2, 3 (VIII, p. 333, 25ss).
LA CHIESA MORENTE
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stiani avvertivano in queste allettanti religiosità astrali, ma anche l'interesse dello stesso Origene alla ' scienza matematica '. « Non le finezze della letteratura greca, né lo splendore della filosofia, né la matematica dei Caldei possono separarci dall'amore di Cristo », così in una sua vibrante esclamazione 40. Per comprendere la sua ecclesiologia occorre quindi innanzi tutto stabilire in qual modo abbia agito in lui la religiosità astrale dell'ambiente. Origene vive interamente immerso nell'atmosfera dei greci, in cui il mondo, secondo i principi aristotelici, vien diviso in sfere. Nello spazio santamente puro e splendente che si estende al di sopra delle celesti sfere di fuoco, vibra Selene 41 nell'orbita assegnatale dal Creatore, « invariabilmente, con sicurezza, continuamente e in silenzio » 42 ; là essa esegue insieme con gli altri astri « la danza che allieta l'universo » 43 . È noto che Origene, figlio autentico del pensiero greco e fedele seguace di Platone, attribuisce agli astri una vita miste40 In Iudic. homil. 2, 3 (VII, p. 477, 4ss). Cfr. In Num. homil. 1, 2 (VII, p. s, 8ss) e Periarchon 3, 3, 2 (V, p. 257, 255s.). 41 In Ioan. comment. 13, 40 (GCS Origenes IV, p. 266, 15SS): τέσσαρες είσιν σφαΐραι των τεσσάρων στοιχείων αί ύποκείμεναι τη αί-9-ερίω φύσει, έν μέσω μεν και κ α τ ω τ ά τ ω της γης, περί αυτήν δε ή τοϋ οδατος, και τρίτη ή τοϋ αέρος, τετάρτη δη ή τοϋ πυρός, μεθ'ήν ή της σελήνης καί έξης. - Basilio respinge in modo quasi sprezzante queste teorie dei greci sul sistema planetario e sulla ' deliziosa musica ' delle sfere: cfr. BASILIO, In Hexaem. homil. 3, 3 (PG 29, 57 CD). Cfr. anche ORI GENE, Periarchon 2, 3, 6 (GCS Origenes V, p. 122, 22ss). 42 ORIGENE, De oratione 7 (GCS Origenes II, p. 216, 7s). 43 Ivi (p. 316, 10s): περί τοΰ έφ'ήμΐν των έν ούρανω σωτηρίως τω παντί πορευοντων αστέρων. - Cfr. anche ORIGENE, Exh. mart. 13 (GCS Origenes I, p. 13, 28): ήλιος καί σελήνη καί ό τών αστέρων χορός.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
riosa 44, in un certo senso una libera volontà del tutto rassegnata allo spirito creatore di Dio, guida dell'universo 45. E pure risaputo che egli, primo fra i pensatori cristiani, ha tentato di battezzare, per così dire, queste speculazioni greche, ed ha assegnato agli astri un angelo qual forza motrice 46. Nel suo sistema teologico, che comprende anche le leggi del cielo stellato, Origene dice sovente che Sole e Luna prendono parte in modo mistico anche al peccato che si compie nel mondo 47 e che entrambi per questo motivo ' gemono ' e attendono la trasfigurazione dei figli di Dio 48 . E se noi non rivolgiamo loro, come a qualcosa di divino, la nostra preghiera - così dice nella polemica contro la platonizzante teologia astrale di Celso -, ciò non è affatto perché li consideriamo « sprezzantemente come un nulla » 49. Al contrario, anche il cristiano guarda con la più profonda riverenza al sole e alla luna, a queste ' opere meravigliose ', che non ci sentiamo di reputare, con Anassagora, come semplici ' globi incandescenti ' 50. Noi siamo infatti persuasi che gli astri, 44 ORIGENE, Periarchon I, 7, 2-5 (GCS Origenes V, pp. 86-94). Cfr. anche F. J. DÖLGER, Sol Salutis, 2 ed., Münster 1925, ρ. 159s. Origene era perfettamente cosciente di n o n aver nessun sostegno per questa idea nella tradizione ecclesiastica; cfr. Periarchon, praef. io (GCS Origenes V, p. 16, 7s) : « De sole autem et luna et stellis, u t r u m animantia sint an sine anima, manifeste n o n traditur ». 45 De oratione 7 (GCS Origenes II, p. 315, 27SS). 46 In Ieremiam homil. io, 6 (GCS Origenes III, p. 76, 22s). 47 Pariarchon I, 7, 4 (GCS Origenes V, p. 90, 23ss); ivi, 2, 8, 3 (V, p. 161, 12ss). 48 Periarchon 1, 7, 5 (V, p. 91, 11ss); C. Cels. 5, 13 (II, p. 14, 18ss ) . 49 C. Cels. 5, 13 (GCS Origenes II, p. 14, 9s): δ τ ι ή λ ι ο ν κ α ι σελήνην και αστέρας έγούμε&α είναι το μηδέν. 50 C. Cels. 5, 11 (GCS Origenes 2, ρ. 12, 6s): ο ύ δ ' ' Α ν α ξ α γ ο ρ ε ίως μύδρον διάπυρον λέγοντες εϊναι τον ήλιον και σελήνην. Su questa idea di Anassagora cfr. V S 4 46 A 77.
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essendo coinvolti nel peccato e nel gemito della crea tura, partecipano anche dei benefici della redenzione e in una santa preghiera « cantano un inno al Dio del l'universo tramite il suo Unigenito» 5 1 : πειίτόμενοι δε καί αυτόν ήλιον καί σελήνην και αστέρας ευχεσθ-αι τφ επί πασι θεώ δια τοΰ Μονογενούς αύτοϋ. In base a questa cristiana mistica celeste, esposta con i migliori sentimenti, è chiaro che Origene vede nella natura e nel moto degli astri, svolgentesi secondo leggi immutabili, un simbolo insinuato dallo stesso Creatore in ordine all'unico grande mistero. Selene è per lui la ' celeste regina ' 52, illuminata dalla luce del sempre splendente Logos, del ' vero Sole '. È perciò simbolo della Chiesa: nel fenomeno delle fasi lunari è raffigurato simbolicamente il mistero della Chiesa luminosa e morente. Per l'ambiente intellettuale in cui muove i suoi primi passi la teologia lunare della Chiesa è significativo che, come abbiamo già detto, il primo accostamento fra luna e Chiesa abbia avuto luogo nel commento di Origene all'Exaemeron. Quel che in Teofilo Antiocheno era il mistero ' Dio e uomo ', nella Scuola alessandrina si evolve nel mistero ' Cristo e la Chiesa ', in cui ogni altro mistero è contenuto : « Sicut sol et luna magna luminaria dicta sunt esse in firmamento caeli, ita et in nobis Christus et Ecclesia » 53 . 51
C. Cels. V, 11 (II, p. 12, uss). Periarchon i, 7, 3 (GCS Origenes V, p. 89, 6s). Così secondo Ger 51, 17.19 (LXX), in cui questa indicazione è data per bocca delle donne ebree dedite al culto delle stelle: «Apud leremiam sane etiam ' Regina caeli ' luna esse nominatur ». 53 In Gen. homil. 1, 7 (GCS Origenes VI, p. 8, 18s). 52
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L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
Con questa espressione di Origene il coro degli antichi teologi cristiani intona il suo mistico canto, conservatosi fino al medioevo, alla Madre Chiesa qual vera Selene: 'Εκκλησία τροπικώτερον Σελήνη λεγο μένη 5 4 . Già qui, con la discrezione caratteristica di Origene, s'accenna ad un complesso di concetti sublimi, e in poche frasi si offre agli occhi del nostro spirito l'immagine del cosmo soprannaturale, così come Origene lo vede. Nel ' cielo del nostro cuore ' 55, ossia nel regno di Dio, del quale il firmamento visibile è solo una pallida immagine, splendono i due grandi luminari, il sole e la luna, cioè Cristo e la Chiesa. « Sicut autem sol et luna illuminant corpora nostra, ita et a Christo atque Ecclesia illuminantur mentes nostrae » 56. Riflesso della luce lunare della Chiesa, quasi mediatori dello splendore proveniente dal sole, sono le stelle, gli Apostoli. Illuminata direttamente da Elio, Selene domina infatti su tutte le stelle. « Totis fratris ob via flammis condat Stellas Luna minores » : cosi cantava Boezio, riecheggiando a sua volta la religiosità naturale di Poseidonio, come avvenne anche nelle più antiche esegesi cristiane dell'Exaemeron e nelle semplici omelie di Origene. Questo è l'ordine fisso, santo e pacifico del cosmo spirituale: Cristo è il sole, la Chiesa è la luna, gli Apostoli le stelle. Vien poi la terra buia delle nostre anime, illuminate in misura della loro capacità ricettiva e dello zelo col quale esse cercano la luce (eco di Platone agli inizi della dottrina cristiana della grazia) : « Verum non 54
In Ioan. commetti. 6, 55 (GCS Origenes IV, p. 164, 21). ·» In Gen. homil. 1, 7 (VI, p. 8, 21): «In cordis nostri coelo». ·· Ivi (VI, p. 9, 2s).
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aequaliter omnes, qui vident, illuminantur a Christo, sed singuli secundum eam mensuram illuminantur, quam vim luminis recipere valent » 57 . Ma se un'anima s'avvicina al sole in sempre più ripida ascesa e riceve in tal modo una quantità sempre maggiore dell'effluvio di luce, può allora accadere, anche quaggiù, che essa partecipi, oltre che della luce di Cristo, anche della ' voce illuminante ' (espressione misteriosa e contraddittoria) del Padre invisibile : « Iste non solum Christi lumine, sed etiam Patris ipsius illuminabitur voce» 58 . In poche parole Origene descrive, proprio all'inizio della spiegazione della Genesi, il mondo delle anime in cui ora si svolge il dramma della Selene spirituale. Ciò che egli, descrivendo la natura del cosmo, ha detto delle sfere elementari lanciate da Selene nello spazio santo dell'etere, viene qui applicato al mondo soprannaturale: la vera Selene, la Chiesa, riflette la luce dell'Elio della giustizia e conduce le anime dall'oscurità della terra alla luce risonante, alla vox illuminans della divina musica delle sfere, al Padre. Nel suo Commentario a Giovanni, Origene indica la medesima struttura di base per l'universo dello spirito. Come gli Apostoli sono ' luce del mondo ', secondo le parole del Signore, così la Chiesa è κόσμος τοϋ κόσμου, illuminata da Cristo, luce originaria del mondo: δτε μεν Χριστός φως τοϋ κόσμου εστί, τάχα της Εκκλησίας εστί φως 5 9 . 57
Ivi (VI, ρ. 9. 10s)Ivi (VI, p. 10, 4s)In Ioan. commetti. 6, 59 (GCS IV, p. 167, 26s). Origene lotta qui contro la speciosa mistica ecclesiale dello gnostico Eraclio, ripor tando al loro vero significato le proposizioni sulla Chiesa « mondo nel mondo ». 58 59
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
Il cosmo pneumatico è retto dalle medesime leggi vigenti nel firmamento tra Elio e Selene. Questo concetto segna un certo progresso nel sistema teologico della dommatica ecclesiale di Origene. La luna, illuminata dal sole, va incessantemente incontro alla morte, ma questa morte è la trionfante unione con la luce immutabilmente sfolgorante del sole. Identica è la legge fondamentale della vita del sole della giustizia, apparso visibilmente sotto le spoglie carnali, come anche della vita della Selene spirituale, della Chiesa: all'annientamento segue immancabilmente il trionfo, all'oscuramento l'illuminazione. Origene ha esposto questi concetti in un capitolo difficile, ma denso di dottrina, del Commentario a Giovanni 60. Dopo aver parlato delle lotte e delle vittorie dei martiri cristiani, afferma che ogni martirio non è che un'imitazione di colui che col proprio annientamento ha vinto la morte e conquistato il mondo. Gli Apostoli e i Martiri (lodati subito appresso come ' luci del mondo ') sono anche ' spazzatura e rifiuto ' del mondo 61 e per questo imitatori del grande Vincitore, che si è abbassato fino alla più profonda umiliazione. È questo il fondamento della gioia cristiana, che trionfa nella persecuzione e nell'annientamento della Chiesa: και θ-αρρεΐν γοϋν θ-λιβόμενοι εν τω κόσμω διδασκόμε&α, τήν αίτίαν τοϋ θ-αρρεΐν μανθάνοντες ταύτην είναι, το νενικησθαι τον κόσμον και δηλονότι ύποτετάχθ-αι τ<ρ νικήσαντι αυτόν 6 2 . 60
In Ioan. comment. 6, 55 (GCS Origenes IV, ρ. 163, 34ss). Ivi (IV, ρ. 164, 1ss): τάδε κ α λ ώ ς περί των μαρτύρων εϊρηται περικαθαρμάτων τοϋ κόσμου γινομένων, καί πάν των περίφημα λεγομένων δια ταϋτα τ ω ν αποστόλων. 62 Ivi (ρ. 164, 13ss). 61
LA CHIESA MORENTE
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La vittoria sul m o n d o è dunque già conquistata, i popoli sono stati strappati alla tirannia di Satana, il ' Sicofante è umiliato ' 63 da colui che ha umiliato se stesso. Ora risuona nella mente di Origene il salmo che preannunzia questa vittoria messianica, cioè Sal 71,12: δτι έρρύσατο π τ ω χ ο ν εκ χειρός δυνάστου καί πένητα, φ ούχ υπήρχεν βοηθός. Egli ha presente l'immagine che descrive nel medesimo salmo la gloria del futuro e luminoso regno della pace, in cui Cristo sarà il sole sempre splendente, e la Chiesa, che mai più si oscurerà, sarà Selene sempre luminosa nel chiarore dell'eterno plenilunio: ούτος δη ό σωτήρ τ α π ε ινώσας συκοφάντην δια τοϋ εαυτόν τεταπεινωκέναι, συνπαραμένει τω νοητω ή λ ί ω προ της λαμπρότατης 'Εκκλησίας τροπικώτερον Σελήνης λεγομένης, τ υ γ 64 χάνων γενεών γενεαΐς . Nel sistema teologico di Origene la Chiesa è quasi omnium una persona, ο coetus omnium sanctorum 6 5 . La legge fondamentale della Chiesa deve dunque riflettersi nella vita spirituale e nel destino delle singole anime. La partecipazione all'annientamento dell' U o m o - D i o e alla conseguente vittoria, la morte della Selene pneumatica nella lumi nosa oscurità dell'unione con Cristo, l'ascesa fino agli spazi della ' risonante illuminazione del Padre ' : tutto ciò accade nel misterioso cosmo della vita interiore. Cristo, infatti, come Origene spesso ripete dando una interpretazione cristiana a un concetto di Filone 66 , è 63
Ivi (p. 164, 19s). Citazione da Sal 71,4.: καί ταπεινώσει
συκοφάντην. 64
65
Ivi, (ρ. IÓ4, 19-22). In Cani, commetti. 1 (GCS Origenes VIII, p. 90, 5s).
66 FILONE, De piantai. 28 (II, Wendland, p. 139, 16): τα εν τφ άνθρώπω τ φ βραχεί κοσμορ. Cfr. anche ORIGENE, In Gen. homil. ι,
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
un microcosmo, in cui è presente tutto ciò che accade nel firmamento visibile: « Nec mireris quod haec intra te esse dicimus; intellige te alium mundum esse in parvo et esse intra te solem, esse lunam, esse etiam stellas... dubitasne esse intra te solem et lunam, ad quem dicitur quia lux es mundi?» 67 . L'interesse teoXs<( logico di Origene si orienta quindi, pur senza allontanare lo sguardo dalla Chiesa, direttamente verso l'anima singola, nella quale vede riflesso il presente e il futuro della Chiesa : quel che si verifica nella Chiesa riluce nel destino spirituale delle anime. Nel sistema origeniano la teologia lunare si trasforma in dottrina ascetica. La meta spirituale verso la quale è protesa la Chiesa e in essa ogni singola anima è l'ideale descritto dalle surriportate parole del Sal 71,5: συμπαραμένειν τω ήλίω. Finché noi siam pellegrini quaggiù e giriamo come Selene intorno al Sole che ci illumina, ci trasforma ed oscura continuamente, non siamo entrati ancora nella mistica unità, nel santo e tranquillo disco solare. Per i ' giusti ' (per i veri gnostici, in senso origeniano) l'unico traguardo ascetico da raggiungere anche qui sulla terra è quello di essere un uomo interiormente uno e indiviso. La brama di questa spirituale coerenza si ispira alle parole di 1Re 1,1: «Erat vir unus ». Con le medesime parole Origene tesse le lodi del suo ideale ascetico 68. Noi peccatori siamo interiormente divisi, scissi in tante parti dalle passioni, mai in pace e coerenti con noi stessi : « Vides, quomodo 11 (GCS Origenes VI, p. 13, 21) e le citazioni da FILONE e da ARSTOTELE, ivi riportate nella nota. 67 In Lev. homil. 5, 2 (GCS Origenes Vili, p. 336, 22ss). 68 In Hb. Reg. homil. 1, 4 (GCS Origenes Vili, p. y-7)-
LA CHIESA MORENTE
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ille, qui putatur ' unus ' esse, non est unus, sed tot in eo personae videntur esse, quot mores, quia et secundum scripturas ' insipiens sicut luna mutatur ' »69. Anche Selene, finché è in rapporto con la terra, è ' una e molteplice', dice ancora Origene: « Unde et Luna, cum videatur una esse per substantiae immutationem, tarnen semper a semet ipsa alia est semperque diversa et sic etiam in ipsa constat quod una multae sint »70. La brama del giusto corre però verso l'immutabile unità interiore che egli conquista al ' vertice della virtù ' 71, ma alla quale il suo desiderio già tende, al fine di annullare fin d'ora mediante l'ascesi il contrasto fra lo spirito e la carne. Qui si palesa dunque specialmente il traguardo ascetico: diventare una sola cosa col Padre, con l'originaria ed eterna luce, al ' vertice d'ogni virtù ', dove cesserà la mutevolezza lunare della nostra natura terrena ed il Logos sarà ' presso il Sole '. La via che conduce a questa cima è l'assimilazione al Sole della giustizia apparso sotto le spoglie carnali. Quanto più l'anima, e quindi la Chiesa, s'avvicina a questo Sole, si perde in lui, muore in Cristo, tanto più essa partecipa ancor qui della luce unificante, del ' divenire-un-solospirito ' nell'unione sponsale con Cristo (1Cor 6, 17). Origene ha esposto la sua teologia della morte, ossia della morte della Chiesa, in un'omelia della quale 69 Ivi (VIII, p. 5, 28ss). Qui appare per la prima volta la citazione, in seguito tanto comune, da Eccli 27,11 LXX (Vulg. 27,12). 70 Ivi (p. 6, iss). 71 Ivi (p. 6, 24ss) : « Sic et imitator Dei iustus, qui ad imaginem eius factus est, ' unus ' etiam ipse, cum ad perfectum venerit, appellatur, quia et ipse, cum in ' virtutis summa ' constiterit, non mutatur, sed ' unus ' permanet semper ».
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
vogliamo offrire il testo (nella parte che concerne la nostra questione), per strappare cosi all'oblìo uno dei capitoli più belli della teologia lunare dei Padri 72 . Origene parla di quelle feste giudaiche che sono state abolite dalla Nuova Legge, ma delle quali dobbiamo ancora riconoscere, in base al testo sacro, il valore simbolico. Ciò vale anche per la festa del ' Novilunio ' (Num 28,11): «Tertia festivitas ponitur ' neomeniae ' dies, in quo offertur et hostia. ' Neomenia ' autem dicitur nova luna. Est ergo et ista festivitas, cum luna innovatur. Nova autem dicitur, cum soli proxima fuerit effecta et valde ei coniuncta, ita ut sub claritate eius lateat. Sed mirum fortasse videatur, immo superfluum lex divina mandare. Quid enim religioni conducit lunae novae, ita est cum coniungitur soli et adhaeret ei, observare festivitatem? Haec si secundum litteram. considerentur, non tam religiosa quam superstitiosa videbuntur ... sed et neomenia umbra futurorum est... diximus quod neomeniae festivitas appellatur, cum luna innovari coeperit et Soli proxima fieri penitusque coniuncta. Sol iustitiae Christus est; huic si luna, id est Ecclesia sua, quae lumine ipsius repletur, iuncta fuerit et penitus ei adhaeserit, ita, ut secundum verbum Apostoli ' qui se iungit Domino, unus cum eo spiritus fiat ', tunc festivitatem neomeniae agit; tunc enim nova efficitur, cum abiecerit veterem hominem, et induta fuerit novum, qui secundum Deum creatus est, atque ita merito innovationis sollemnitatem, quae est ' neomeniae ' festivitas, geret. Tunc denique est, quando neque videri neque comprehendi humanis ad'a In Num. homil. 23, 5 (GCS Origene» VII, p. 217, 7 - p. 218, 11).
LA CHIESA MORENTE
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spectibus potest. Anima enim, cum totam se sociaverit Domino et in splendorem lucis eius tota concesserit nihilque omnino terrenum cogitat, nihil mundanum requirit nec hominibus piacere studet, sed totam se sapientiae lumini, totam calori Sancti Spiritus mancipaverit, subtilis et spiritalis effecta, quomodo cerni ab hominibus aut humanis potest conspectibus apprehendi? Animalis namque homo intelligere et discernere non potest spiritalem. Et ideo dignissime diem festum aget et hostiam neomeniae Domino, utpote per ipsum innovata, iugulabit ». Com'era accaduto solo in Agostino, ci giunge qui in senso spirituale e cristiano l'eco del pensiero antico intorno a Selene e al suo amoroso annientamento nel sinodo col sole. La mistica della notte dei sensi, della totale oscurità della sapienza, dell'ardore ricreante dello spirito, vien presentata ora per la prima volta. L'ascesi dell'anima è solo il riflesso della teologia della morte della Chiesa. Il morire alle cose visibili, il rinnovarsi nell'invecchiamento, il perdersi nell'oscura chiarezza: ecco i paradossi di questa teologia. Ciò si applica ugualmente alla Chiesa e alle singole anime. Dimenticare quel che è terreno e diventare luminoso e spirituale: è ancora un richiamo al pensiero greco 73 . Ma che questo accade solamente se l'anima offre un' hostia neomeniae, se ' immola ' se stessa, poteva dirlo soltanto 73
Anche Elio e Selene, nella fase d'attesa della definitiva redenzione, hanno una forma eterea e materiale a un tempo, hanno crassa et pinguia corpora, quindi non ancora quella luminosa trasparenza che, secondo il pensiero di Origene anche qui di ispirazione genuinamente greca, costituisce l'essenza della glorificazione, sia per i luminari del cielo che per i corpi umani. Cfr. Periarchon 1, 7, 4. e 5 (GCS Origenes V, p. 91, 2 e p. 92, 10 unitamente con le note).
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un cristiano come Origene. Ciò avviene - dice Origene nel Commentario a Giovanni 74 - solo nell'identificazione dell'anima con colui che ha conseguito la vittoria quale ' Agnello ' e che annientandosi ha superato l'annientamento. « Sub claritate eius latet ». La Chiesa scompare nel bagliore della luce di Cristo. Con questi concetti, mistica eco cristiana di quelle antiche tradizioni che Boezio ha sintetizzato nel verso « Phoebo propior lumina perdit», Origene raggiunge il vertiginoso culmine, quasi eterea regione in cui il respiro vien meno, della sua teologia dello sviluppo della Chiesa. Egli avverte pure di esprimere concetti troppo audaci: Τολμητέον γαρ λέγειν τήν άλήθ-ειαν 75 : così incoraggia sé stesso a portare fino in fondo le ' azzardate congetture del suo spirito. Questa escatologia lunare ha come due dimensioni: storica e mistica. Anzitutto Origene parla del destino finale della Chiesa. Il misterioso morire della Chiesa 74 In Ioan. comment. 1, 22 (GCS Origenes IV, p. 27, 21ss) e 1, 32 (IV, p. 42, 2ss). 75 Ivi 1, 25 (IV, p. 31, 23S). Per il pensiero teologico di Origene è altamente significativo che egli adoperi in ben determinati punti delle sue elucubrazioni l'indicazione ' rischio della verità ', la parola τολμητέον. Così nel Commentario a Giovanni, dove afferma che si potrebbe anche osare sostenere che l'ineffabile grandezza e divinità del Logos del Padre appare maggiormente nell'annientamento della morte che non nel suo diritto divino all'identità di natura con Dio: τολμητέον γαρ ειπείν πλείονα καί θειοτέραν καί αληθώς κατ'εικόνα τοϋ Πατρός τήν αγαθότητα φαίνεοθαι τοϋ Χρισ τού, δτε εαυτόν έταπείνωσε γενόμενος υπήκοος μέχρι θ α νάτου. Origene parla ancora di ' ardire ' quando affronta i con cetti della traboccante gioia di Dio Padre nell'abbracciare con amore il suo unigenito Logos: In Ioan. comment. 32, 28 (IV, p. 473, 25ss). Cfr. anche In ls. homil. 6, 1 (GCS Origenes VIII, p. 269, 2s) : « Si tamen audenter expedit dicere ». - IH Ieremiam homil. 12, 2 (GCS Ori genes III, p. 88, 17): ει δε βούλει τολμηρότερόν με ειπείν.
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si risolve nel fatto che essa, assorbita dallo splendore del Cristo glorioso e rifulgente di nuovo splendore, diviene come superflua e si getta nel nulla della sua oscurità. Come nel cosmo visibile Selene e le stelle stanno sempre ferme nelle loro ' statìones ' 76, ma scompaiono al sorgere del sole, così avverrà alla fine dei tempi quando sorgerà il sole Cristo : « Ut splendor lunae et micantia caeli sidera, priusquam sol oriatur, in stationibus suis rutilant, orto vero sole absconduntur, sic lumen Ecclesiae, ut lumen lunae, priusquam oriatur lumen illud verum Solis iustitiae, resplendet et clarum est ante homines, cum autem Christus venerit, ante eum contenebrescet » 77 . Ciò che accade alla fine dei tempi è però fin d'ora misticamente reale. È questo l'ardito pensiero escatologico della mistica lunare della Chiesa, comprensibile ora e giustificabile solo con la particolare sottigliezza del sistema origeniano. Si dà pure, egli dice, un mistico ' divenir superfluo ' della Chiesa. Nella spiegazione di questo concetto Origene parte ancora una volta dalle parole del Signore 78 agli Apostoli: υμεΐς έστε το φως τοϋ κόσμου . Gli Apostoli son dunque veramente ' identici ' al Signore, che ha chiamato anche sé stesso φως τοϋ κόσμου 7 9 . Quali eletti mediatori della luce divina essi risplendono per cosi dire di luce propria, che proviene tuttavia interamente da Cristo tramite la Chiesa. Ma questa, che a sua volta sembra splendere di luce propria, in realtà è solo illuminata dal sole: è la vera Selene, che 76
Sulle ' statìones ' lunari cfr. RE XVI, 1 (1933) c. 96s (W.
GUNDEL). 77 78 79
In Ezech. homil. 9, 3 (GCS Origenes VIII, p. 411, 22ss). Mat s,14. ORIGENE, In Ioan. comment. 1, 25 (IV, p. 31, 8s). Giov 8,12; 9,5. ORIGENE, In Ioan. comment. 1, 25 (IV, p. 30, 17).
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riceve amorevolmente la sua luce dal sole Cristo. La Chiesa e gli Apostoli trasmettono la luce solare di Cristo alla terra buia, ossia agli uomini, che per il loro infimo posto nel cosmo spirituale non possiedono nessuna sorgente luminosa': το δ'άνάλογον σελήνη και αστροις ύπολαμβάνομεν είναι περί τήν νύμφην Έ κ κλησίαν και τους μα&ητάς. έχοντας οίκεΐον φως ή άπα του άληθ-ινοϋ ηλίου έπίκτητον, ΐνα φωτίσωσι μη δεδυνημένους πηγήν έν αύτοίς κατασκευάσαι φωτός 8 0 . Ma vi sono tuttora degli uomini tanto spi ritualizzati che nel loro intimo comincia ad aprirsi il varco la sorgente luminosa dell'illuminazione imme diata di Cristo. Or si ripete ancora una volta e misticamente nel mondo delle anime, nel κόσμος νοητός, ciò che accade nel firmamento del κόσμος αισθητός 8 1 , finché dura il ' mondo dei sensi ' 82 . Cristo è la sola sorgente luminosa, possiede la sua luce in virtù dell'origine dal Padre 80
In Ioan. commetti, 1, 25 (IV, p. 31, 10-14). Ivi (IV, p. 30, 29ss): φως δή κόσμου αίσθητόν ό ήλιος έστιν, και μετά τοϋτον ούκ άπαδόντως ή σελήνη καΐ οι αστέρες τω α ΰ τ φ ονόματι προσαγορευθήσονται. 82 Cfr. ORIGENE, Sekcta in Psalm. 71, 7 (PG 12, 1524 C ) : σελήνης γαρ αναιρουμένης αναιρείται χρόνος δέ άναιρεθέντος τέλος έξει ό αισθητής κόσμος. Come Origene rileva, in senso plato nico, nell'In Ioan. comment. 1, 26 (IV, p. 31, 29-33), il mondo dei sensi è essenzialmente ' falso ' e semplicemente ' vero ' nelle sue funzioni indicative (in quanto si tratta d'una riproduzione) rispetto al mondo dello spirito, immutabilmente vero, in cui si può penetrare fin da quaggiù: έστι δέ ό Χριστός φως τυγχανων κόσμου, φως άληθινον προς άντιδιαστολήν αισθητού, ούδενος αισθητού οντος αληθινού, άλλ' ουχί επεί ούκ άληθινόν το α'ισθητόν, ψεϋδος το αίσθητόν. δύναται γαρ άναλογίαν ϊχειν το αίσθητόν προς το νοητόν, ού μην το ψεϋδος ύγιώς παντός κατηγορεϊσθαι τοϋ ούκ αληθινού. 81
LA CHIESA MORENTE
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per generazione di luce, è il πρωτογέννητον φ ω ς che risplenderà alla fine dei tempi, quando il m o n d o sensibile si dissolverà, ma che fin d'ora viene infuso nel centro spirituale del cuore degli ' illuminati ', per i quali ha già avuto inizio la fine dei tempi e la dissoluzione del mondo dei sensi. Fin d'ora Cristo è la sola luce che risplende nel più profondo hegemonikon dell'uomo 8 4 : ó δε Σ ω τ ή ρ ε λ λ ά μ π ω ν τοις λογικοίς και ήγεμονικοίς, 'ίνα αυτών ό νους τα 'ίδια ορατά βλέπγ], τοΰ νοητοϋ κόσμου έστι φως, λ έ γ ω δε τ ω ν λογικών ψυχών τ ω ν εν τω αίσθ-ητικώ κ ό σ μ ω . In questa luce che illumina lo spirito, l'anima, sciolta dal corpo, vede tutte le altre verità: ò δε Σ ω τ ή ρ φώς ών τοΰ κόσμον φωτίζει ού σώματα άλλα άσωμ ά τ ω δυνάμει τον άσώματον νουν, 'ίνα ως ύπο ηλίου έκαστος ημών φωτιζόμενος καί τα άλλα δυνηθ-η βλέπειν νοητά 8 5 . Nella medesima luce si perde, in quanti possono ricevere lo splendore del Logos, la luce riflessa della luna e delle stelle. Chi è illuminato dalla ' luce primigenia ' non ha più bisogno di Apostoli e Profeti, né di Angeli e Potestà, perché è già αύτω τω πρωτογεννήτω μαΟ-ητευόμενος φωτί 8 6 . L'ecclesiologia di Origene, che attinge all'oùpavta γράμματα 8 7 , libro sugli astri del cielo, s'innalza così sulla mistica sfera dei pianeti fino al Padre invisibile, alla ' luce risonante ', alla ' generazione della luce '. Di proposito ci siam fermati a lungo nell'esame del sistema ecclesiologico di Origene, perché tutto ciò 83 84 85 86 87
In Ivi Ivi Ivi
Ioan. (IV, (IV, (IV,
comment. 1, 25 (IV, p. 31, 2 j ) . p. 30, 34 - p. 31, 2). p. 31, 17-20). p . 31, 25).
ORIGENE, Fragm. ex Gen.
(PG 12, 84 B ) .
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
che nella teologia e nella mistica latina e greca verrà successivamente detto intorno alla Chiesa qual Selene spirituale va riportato direttamente ο indirettamente ad Origene.
3. LA MISTICA LUNARE GRECA PIÙ RECENTE
Se seguiamo la storia successiva dell'ecclesiologia lunare formulata così sottilmente da Origene, costatiamo subito che questo complesso dottrinale non svolge affatto nel sistema teologico dei Padri greci un ruolo d'importanza apprezzabile. I testi che citeremo appresso nel corso di questo studio non devono quindi lasciare l'impressione che tale dommatica allegorica sia stata oggetto di particolare attenzione. Si danno due sole eccezioni. Proprio queste ci indicano che le idee di Origene e della Scuola alessandrina intorno alla Chiesa considerata come spirituale Selene si dovettero evidentemente conservare nella tradizione scolastica orale dell'interpretazione allegorica della Scrittura, e più chiaramente di quanto non appaia dalle casuali testimonianze delle opere scritte. Tali eccezioni sono costituite da METODIO DI FILIPPI (parleremo della sua singolare, per non dire stravagante, ecclesiologia nella seconda parte di questo studio) e ANASTASIO IL SINAITICO, che sul finire della patristica greca, nel sec. VII, presenta tutti quei concetti che abbiamo già incontrato in Origene e Metodio in un sistema tanto evoluto e complesso, che proprio dalla sua opera possiamo rilevare quanto si fosse tenacemente consolidata la tradizione scolastica alessandrina. Nell'esegesi allegorica della Genesi, del Cantico dei Cantici e dell'Apocalisse, senza
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dubbio si è parlato più volte della Chiesa qual luna spirituale e nell'apologetica cristiana, come anche nelle questioni sul computo della Pasqua, si è tenuta in considerazione, poco ma con sufficiente chiarezza, l'antica sapienza intorno alla natura e alle fasi lunari assolutamente necessaria per la comprensione dell'ecclesiologia lunare. Infine nell'esame critico d'una tradizione storico-spirituale non si deve mai dimenticare la forza del linguaggio figurato, che una volta costituito si è poi trasmesso spontaneamente da scuola a scuola, da preghiera a preghiera. Nelle feste degli Apostoli noi oggi preghiamo col Breviario romano: « Quorum doctrina Ecclesia fulget ut sole luna ». A stento si può però percepire la provenienza di questa preghiera dalla teologia di Origene ; anche il ' come ' rimane qui un elemento completamente oscuro. E nostro compito ora esporre in breve sintesi quali furono le sorti della teologia lunare da Origene ad Anastasio. Dai frammenti dell'opera di DIONIGI D'ALESSANDRIA, posteriore a Origene, il περί φύσεως conservato da Eusebio, appare chiaro quanto sia rimasto vivo nella Scuola d'Alessandria l'interesse per l'astronomia lunare 8 8 . Lo stesso ANASTASIO, in perfetta consonanza con l'antica apologetica cristiana, contro l'adorazione di Elio e Selene si esprime con dei concetti la cui formulazione ne dimostra l'uso effettivo nel linguaggio allegorico cristiano 8 9 . Ci è noto inoltre da Eusebio che 88
EUSEBIO, Praep. evang. 14, 25 (PG 21, 1276 CD). ATANASIO, Or. c. Gentes 27 (PG 25, 53 C) : ήλιος μεν γαρ τω συμπαντι οΰρανω συμπεριφέρεται καί εμπεριέχεται, καΐ έκτος της έπείνου κυκλοφορίας ούκ αν ποτέ γένοιτο, σελήνη δέ και τα άλλα άστρα μαρτυροϋσι τήν παρά ηλίου γινομένην αύτοϊς έπικουρίαν. 88
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DEI
PADRI
vissuto nel medesimo ambiente di Alessandria e partecipe di quell'amore per l'astronomia che abbiamo costatato in Origene, studiando il computo della Pasqua parla del plenilunio pasquale e allude chiaramente al suo significato allegorico: come la luna piena di Pasqua è in posizione diametralmente opposta al sole e riceve come in uno specchio la luce di Elio, così i cristiani nella Pasqua guardano a viso aperto come in uno specchio la dottrina e la passione di Cristo: ένστήξεται μέν ή σελήνη τήν εναντίαν και διάμετρον τω ήλίω στάσιν, ώσπερ οδν εξεστιν εν ταίς πανσέληνοις όραν ... άνακεκαλυμμένω δε προσώπω λοιπόν ήδη Χριστον και τα τοΰ Χρίστου άεί κατοπτρίζεσθ-αι μαθ-ήματά τε και παθήματα 9 0 . Tutto ciò sta a dimostrare che gli elementi, come atmosfera in cui potè prosperare l'allegoria lunare della Chiesa, esistevano già e che non occorreva se non uno spirito aperto perché i concetti forniti da Origene potessero nuovamente rivivere nel pensiero sublime della teologia alessandrina. Tale è stato METODIO DI FILIPPI che, malgrado i tanti altri punti di contrasto con Origene, ha attinto a piene mani alle fonti alessandrine. Noi dovremo esporre più dettagliatamente la sua teologia lunare nella seconda parte; qui possiamo solo indicarne i temi principali. Nella visione romantica, quasi fantastica, dell'ottavo sermone del suo Symposion, che solo un greco autentico poteva scrivere, vien presentato anzitutto lo ANATOLIO D'ALESSANDRIA,
90
Dall'opera
di
ANATOLIO
D'ALESSANDRIA
Περί
Πάσχα:
in
EUSEBIO, Hist. eccl. 7, 32, 18. 19 (GCS Eusebius II, 2, p . 724, 16-18; p . 726, 2s).
LA CHIESA MORENTE
189
splendore di Selene come simbolo della verginità: «È così, come quando la luna inonda il cielo del suo splendore e tutta l'aria comincia a risplendere, le nubi entrano di soppiatto, improvvisamente, da ponente e coprono a un tratto il chiarore della luna, ma non possono più oscurare completamente questa luce, perché subito l'impeto del vento le spazza via. Così anche voi, mie care vergini, dovete essere per il mondo la luna della purezza » 91. Come attratta dall'immagine della radiosa Selene, appare ora davanti alla vergine in questione l'immagine maestosa della ' grande donna ' dell'Apocalisse, con la luna ai piedi, la vera Selene spirituale. La Chiesa è in primo luogo la γυνή μεγάλη 9 2 . Conforme all'antica Selenologia è detta δύναμις καθ'έκυτήν 9 3 , forza per sé stante, che domina gloriosamente sulla natura, ' forza d'illuminazione ' : ή παρορμωμένη φωτίζεσθαι δύναμις 9 4 . Metodio considera la Chiesa come spirituale Selene intesa in senso plato nico, con le caratteristiche che le sono proprie nel mondo sensibile. Lassù, nel regno immutabile del mondo ideale delle forme, esente da qualsiasi variazione, essa è fin d'ora la forza celeste, della quale l'espressione terrena della Chiesa non è che una pallida immagine: « Questa forza illuminante è la Chiesa, e i suoi figli accorreranno 91 METODIO, Symposion 8, 4 (GCS Methodius, p. 85, 12-17). Quanto all'immagine delle « streghe invidiose che vengono dal buio occidente », delle νεφέλοα ποθέν έκ δυσμών ύποδραμοϋσαι βάσκανοι, che ricordano i παθήματα της σελήνης durante l'ecclisse lunare. Cfr. RE VI, 2 (1909) e. 2332 (' Finsternisse ' di
FR. BOLL). 92 93 94
Symposion 8, 5 (ρ. 87, 19). Ivi (ρ. 87, 1). Ivi (ρ. 87, 4)·
190
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a lei da tutte le parti dopo la risurrezione. Essa esulta perché è avvolta dalla luce che non conosce tramonto, perché lo splendore del Logos la riveste come d'un abito da sposa» 9 5 . Come Selene nel mondo della natura, la Chiesa è dunque circonfusa dalla luce del Logos, dal φ ω ς άνέσπερον di quel sole che mai tramonta, secondo l'allusione del salmo 71,5. La poesia greca della notte del plenilunio rivive ora nella descrizione che Metodio fa della Chiesa e della sua immutabile bellezza : « Pura e immacolata, immutabile bellezza essa irradia, una bellezza per nulla inferiore allo splendore delle stelle del cielo. C o m e vestito indossa la ' stessa 96 luce ' » . Essa è la vera Selene che « dalla luce raggiante del suo plenilunio ha allontanato impaurite tutte le nubi invernali » 97 ed è entrata nell'eterna primavera del suo pasquale πληροσέληνος. Nella seconda parte del nostro lavoro vedremo in che m o d o la teologia di Metodio evolve questo ideale cristianamente platonico della Chiesa in una dommatica della grazia. E utile richiamare fin d'ora l'attenzione sul fatto che il concetto della luce pasquale del pleni lunio spirituale prepara le due tesi - che esporremo appresso - della nascita dalla grazia e della gloriosa 95 Ivi (p. 87, 12-15): Εστίν ή 'Εκκλησία, ής τα τέκνα πασσυδί έν τω βαπτίσματι μετά τήν άνάστασιν πάντοθεν προς αυτήν ήξει καταθέοντα αύτη, δεχόμενη τε το φως το άνέσ περον, τήν λαμπρότητα στολής σχήματι περιβεβλημένη του Λόγου, ήδεται. 96 Ivi (ρ. 87, 19-22): γυναίκα μεγάλην, καθαρον καΐ αχραντον δλον καί μόνιμον κάλλος και ουδέν ελαττουμενον της λαμπρότητος των φώτων άθοστίλβουσαν και αντί μεν στολής αυτό φώς ήμφιεσμένην. 97 Symposion 8, 12 (ρ. 96, 16ss): τής πληροσελήνου τής εαυτής τάς νεφέλας τάς δυσχειμέρους άπωσαμένη.
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risurrezione. L'annuale ricorrenza del plenilunio di Pasqua, splendente nel fulgore del Sole della giustizia che sorge dalla tomba, aveva reso sempre più stretto il nesso dommatico tra Chiesa, grazia e risurrezione. ATANASIO ha almeno accennato a ciò nella sua prima lettera pasquale 98 e in un frammento del Commentario ai Salmi ha lodato la Chiesa come fulgente nella luce solare di Cristo, augusto trono del Sole 99. E GREGORIO NAZIANZENO, che nel secondo sermone teologico aveva innalzato un inno al sole, lodando Elio, con l'entusiasmo dei greci, come il corifeo degli astri alla cui luce smagliante Selene e le stelle scompaiono, che è « bello come uno sposo e forte come un gigante » e, come disse Platone, è nel regno dei sensi quel che Dio è nel regno dello spirito 100, Gregorio, dicevamo, in una delle sue poesie più belle, in un canto pasquale, ha espresso su Elio e Selene i concetti dei quali si diletta il cristiano nella festa della risurrezione 101 : 98
Epist. in fest. Pasch, 1, 1 (PG 26, 1360 Β ) . Frammenti dal commentario ai Salmi, Sal 88,38 (PG 27, 592 A) : καΐ ό θ ρ ό ν ο ς α ύ τ ο ϋ ό ή λ ι ο ς ε ν α ν τ ί ο ν μ ο υ . Θρόνος Χ ρ ί σ τ ο υ έννόει τ η ν Έ κ κ λ η σ ί α ν . ε π α ν α π α ύ ε τ α ι γ α ρ α ύ τ η ε σ τ α ι ο δ ν , φησίν, ή Ε κ κ λ η σ ί α Χριστού κ α τ α σ τ ρ ά π τ ο υ σ α κ α ι φ ω τ ί ζουσα την ύπ'ούρανόν και μένουσα διηνεκώς ώσπερ ό ήλιος καί ή σελήνη. 100 GREGORIO Ν Α Ζ . , Oratio theologica 2, 29 (PG 36, 68 C D ) : ήλιος κορυφαίος χοροϋ πλέον τους άλλους αστέρας ά π ο κ ρύπτων φαιδρότητι, καλός ώς νυμφίος, τ α χ ύ ς ώς γ ί γ α ς κ α ί μ έ γ α ς . Si ha qui anche una citazione da Platone (che n o n viene però esplicitamente nominato), alquanto modificata (cfr. PLATONE, Poli'. VI, 19, 508 C ) : τ ο ϋ τ ο έν α ί σ θ η τ ο ϊ ς ή λ ι ο ς δ π ε ρ έν ν ο η τ ο ϊ ς θ ε ό ς : Or. theol. 2, 30 P ( G 36, 69 A). Cfr. anche le espres sioni qui adoperate, tratte dall'astronomia lunare: σύ δε ε γ ν ω ς σ ε λ ή ν η ς λύσιν κ α ί π ά θ η κ α ί μ έ τ ρ α φ ω τ ό ς κ α ί δ ρ ό μ ο υ ς (PG 36, 69 B C ) . 99
101
1326).
GREGORIO Ν Α Ζ . , Poemata de seipso 1, 38, ν ν . 15-18 (PG 37,
192
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
σοι μεν, άναξ, Φαέθων ύψίδρομος άστρα καλύπτει κύκλον ύπερτέλλων εμπυρον ώς σύ νόας. σοι ζώει φθινύθει τε άμοιβαδίς όμμα το νυκτός Μήνη, πλησιφαής αύθις επερχόμενη. C o m e abbiamo avvertito nell'introduzione, non pos siamo attenderci dagli scritti teologici dei Cappadoci una più ampia informazione sulla simbologia lunare. E ciò nemmeno dalle aggiunte che un pensatore mistico come GREGORIO NISSENO ha portato all'opera sull'Exaemeron del suo fratello BASILIO 102 . Nelle sue omelie sul Cantico dei Cantici Gregorio non giunge fino al sesto capitolo, dove l'esegesi di Cant 6,9 richiama tanto da vicino la Chiesa. E poiché anche a causa della difettosa trasmissione di Origene non possediamo nessuna spiegazione di questo capitolo tanto importante per la mistica ecclesiale, ci è possibile percepire la forza della tradizione iniziata da Origene solamente in T E O DORETO DI C I R O . Teodoreto è certamente un fedele seguace dell'esegesi scritturistica antiochena, e per questo nel suo commentario alla Genesi e nella spiegazione 102 GREGORIO NISS., Apologeticus in Hexaemeron (PG 44, 116ss). Gregorio ci dice almeno che cosa egli pensi della natura della luna. Sono in realtà gli stessi concetti che in Origene abbiamo indicato come principi fondamentali del suo allegorismo. Il corpo di Selene, considerato nell'insieme dei suoi elementi, somiglia piuttosto ad una materia non-spirituale, ma come condensata, e in ragione di questa affinità di compattezza con la terra il suo splendore è limitato: esso è perciò quanto mai adatto a ritrasmettere i raggi del sole: ύλικώτερόν τε και παχύτερον ... το σεληναϊον σώμα φημι, προς το κατώτερον κατεσπάσθ-η, και τον περίγειον χώρον περιπολεί, την μέν γαρ οίκοθεν λαμπηδόνα ή της ουσίας παχύτης απήμβλυνε. Anche in un passo di quest'opera Gregorio parla del rapimento spirituale - tanto significativo per la sua mistica -, che ha portato Paolo fino al ' terzo ' cielo, quando la sua anima entrò nel beato e armonioso mondo dell'etere attraversando tutte le sfere degli elementi cosmici (PG 44, 121 CD).
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dei Salmi è d'una sobrietà quasi scoraggiante. Al contrario invece nel commentario al Cantico dei Cantici. Secondo il concetto da lui espresso nella prefazione e diretto evidentemente contro il razionalismo di Teodoro di Mopsuestia, siamo qui in grado di scoprire il misterioso significato mistico 103 . Teodoreto ricalca fedelmente le orme di Origene: ci sembra di sentire parola per parola da Teodoreto quanto ha scritto Origene sull'ecclesiologia 104. La sposa, che spunta « come l'aurora », è la Chiesa terrestre il cui compito è quello di segnalare la venuta del Sole divino 105. Ma quando con la gloriosa venuta di Cristo avrà inizio il giorno solare dell'immortalità, la Chiesa sarà allora « bella come la luna ed eletta come il sole ». La bellezza da plenilunio della Selene spirituale è descritta con parole che possono essere comprese solo alla luce dell'antica tradizione della mitologia astrale e che provengono, come pensiamo, da Origene. Ciò è comprovato esplicitamente dalla testimonianza di coloro « che sono competenti in materia d'astronomia ». Nel suo pieno splendore Selene non è μηνοειδής, ού διχοτόμος ουδέ άμφίκυρτος, άλλα τελεία πανσέληνος, ουδέν ατελές έχουσα, πάντα τον κύκλον πεφωτισμένον 103
TEODORETO DI CIRO, Comment. in Cani., praef. (PG 81, 52 D;
53 A): άσμα των φσμάτων προσαγορεύεται το βιβλίον, δτι τα μείζω τοϋ θεοϋ άγαθότητος εί'δη διδάσκον ήμας, και τα ένδότατα καΐ άδυτα καί άγιων άγια της θείας ήμϊν φιλανθρωπίας άποκαλύπτον μυστήρια. 104 Cfr. W. RIEDEL, Die Auslegung des Hohenliedes in der jüdischen Gemeinde und der griechischen Kirche, Lipsia 1898, pp. 86-95; L. W E L SERSHEIMB, Das Kirchenbild der griechischen Väterkommentare zum Hohen Lied in Zk Th 70 (1948) 393-449. 105 Comment. in Cant. 4, 9 (PG 81, 176 C.)
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δεικνύουσα 1 0 6 . « Or gli astronomi dicono che Selene riceve la sua luce dai raggi di Elio. Se si volta appena rispetto al sole, non riceve più che una piccola fascia di luce; se invece è in posizione frontale rispetto ad Elio, allora lo guarda bene in faccia e ritrae in sé come in uno specchio il volto di Elio, ne viene interamente illuminata e nel suo corpo non v'è più nulla che non risplenda » 107 . Ciò si verifica anche nella Chiesa non appena spunta l'interminabile giorno solare. La Chiesa è detta - le parole sono quasi le stesse di Origene un σύστημα των εν άρετη τετελειωμένων ψυχών, l'unione delle anime perfettamente iniziate ai misteri e che « a viso aperto contemplano come in uno specchio la gloria del Signore » (2Cor 3,18). La Chiesa diventa così la luna piena sempre splendente, diviene (si allude qui alle parole del profeta Is 30,26) il sole medesimo, la cui luce suscita θάμβος, un estatico stupore: και γίνεται δλη φωτοειδής ώς έοικέναι σελήνη και, σε λήνη εκλεκτή, τουτέστι πεπληρωμένη. Οΰ μόνον δέ σελήνη εοικεν, άλλα και ήλίω θάμβος έμποιοϋντι τοις όρώσιν 1 0 8 . Come in Metodio, lo sguardo di questa ecclesiologia si innalza subito verso le sante regioni della glorifica zione finale. Ma Teodoreto è un discepolo spirituale di Origene, troppo fedele perché non rivolga lo sguardo 106
Ivi (PG 81, 177 A). Ivi (PG 81, 177 A): φασί δέ την σελήνην οί περί ταΰτα δεινοί ύπο των ηλιακών άκτίνων ύποδεχομένην το φως, βραχύ μέν λαμβάνειν φώς, 8ταν βραχύ μοριον αυτής βλέπη τον ήλιον. δταν δέ κατάντικρυς γενομένη δλον θεωρη τον ήλιον, οϊόν τι κάτοπτρον δλον αύτοϋ τον δίσκον έκματτομένη, δλη φωτίζεται και ουδέν τοϋ σώματος μέρος άφώτιστον καταλείπει. 108 Ivi (177 Β). 107
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anche alla Chiesa terrena, che è solo una pallida immagine della Chiesa celeste e che deve morire prima di essere interamente illuminata. Nella notte di questa fase terrena essa è come il carezzevole chiarore lunare che illumina il cammino al viandante 109. La Chiesa terrena è però la semplice ' aurora ' che preannunzia la pace intramontabile del giorno; la sua bellezza è seminascosta: έκ μέρους γαρ αυτής επί τοϋ παρόντος το κάλλος γινώσκεται 110. Ma al sopraggiungere del giorno del Signore la gloria della Chiesa sarà perfetta; « investita in pieno dalla luce del Signore, essa illumina coi suoi raggi tutto il mondo » e - così suona il paradosso tanto significativo, pienamente comprensibile solo alla luce dell'origeniana teologia della morte - proprio nell'essere investita dalla luce solare del Logos cessa di essere luna: ού μόνον δέ έστι ή νύμφη ώς εκλε κτή σελήνη, άλλα και ώς ήλιος αναστραφεί έν τω μέλλοντι βίω 111. La Chiesa è dunque la vera ' Selene ' : ascosa nella sua luce, che è la luce del Logos, profondamente immersa nel θάμβος, ossia nella mistica contemplazione del suo ultimo destino. Abbiamo chiamato finora ' teologia della morte ' questa interpretazione della natura intima della Chiesa. Che non si tratti qui d'an arbitrario trasferimento di concetti moderni nella dommatica dei Padri della Chiesa, ma d'un effettivo contenuto spirituale dell'ec clesiologia patristica, è dimostrato chiaramente da C I RILLO ALESSANDRINO, che raccoglie l'eredità dommatica di Ori gene, purificata dal vigore della speculazione 109 110 111
Ivi (177 B). Ivi (177 C ) . Ivi (180 A ) .
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post-nicena che non l'ha però spogliata dei bellissimi e sublimi concetti. Riguardo al contenuto dommatico fondamentale della mitologia lunare della Chiesa è importante rilevare che esso viene arricchito con intelligente abilità di altri simboli. In altri termini per comprendere tutta la profondità e la bellezza della patristica ' teologia della morte ' non possiamo ora contentarci di trovare delle testimonianze a favore della simbologia lunare, ma nel vasto e smisurato campo di tutta la simbologia dei Padri dobbiamo scoprire gli elementi dominatici presenti in ogni allegoria. Il principio fondamentale della teologia della morte della Chiesa è questo: la Chiesa deve morire per poter vivere, deve nascere per poter generare, deve scomparire nell'oscurità di Cristo per poter risplendere eternamente; essa è sposa nell'estasi del suo abbandono, madre nella modestia del suo sviluppo terreno, regina nel rivestirsi della luce del « Dio tutto in tutte le cose ». Questo è il canto funebre della Chiesa. Così si esprime Cirillo : « Intoniamo il canto di lode per la morte della Chiesa, per quella morte che ci riconduce alla sorgente della vita santa e in Cristo»: επαινέσω μεν δη οδν τον τοιούτον της 'Εκκλησίας θάνατον εις αρχάς αναφερόντα ζωής της άγιας τε και εν Χριστώ 1 1 2 . Come Rachele morì nel dare alla luce il suo ultimogenito - dice Cirillo in un'allegoria che a un primo esame può sembrare discordante dalla simbologia lunare, ma che in realtà ben vi si accomoda -, così la Chiesa muore alla sua esistenza terrena nel generare la vita eterna. Questo morire significa fin d'ora la morte al mondo e la crescita nella misteriosa vita in Cristo: 112
CIRILLO ALESS., Glaphyrorum in Genesim 6 (PG 69, 329 C).
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κόσμω μεν άποθανοϋσα δια το μη άνέχεσ&αι φρονεΐο τα αύτοΰ, &εω δε ζ ώ σ α πνευματικώς έν Χριστώ 113 δια πολιτείας ευαγγελικής . Certo essa rimane an cora nel m o n d o , perché è rivestita di carne: ma è compresa nel mistero di Cristo, e nel m o n d o non si può ancora effettivamente riconoscere il suo ' interiore splendore solare di Cristo ' - l'allegoria della madre morente entra qui in contatto diretto col concetto della Selene illuminata dalla luce del sole: ει γαρ και έστιν έν κ ό σ μ ω δια την έν σαρκί ζωήν, άλλ'οιονεί κρύπτεται το έν κ ό σ μ ω λαμπρον ούκ έχουσα, μο114 νονουχί δε και συνετάφη Χριστώ . La dialettica della Chiesa si conclude anche in Ci rillo con l'oscuro, ma pur chiaro paradosso: la Chiesa è circonfusa dalla luce divina di Cristo, che è l'unica luce nel regno delle anime. C'è dunque una sola luce: in quest'unica luce splende tuttavia anche la Chiesa, che non è però Cristo stesso. Dato che questa luce quaggiù è ancora velata, essa risplende solo per quelli che la raccolgono e da veri mistagoghi sanno donarla. Ma solo quando comincerà la vera vita la Chiesa risplenderà eternamente e cesserà a un tempo di splendere, vivrà eternamente come anche sarà eternamente superflua: nella luminosità della visione di Dio, rifulgente senza veli nel volto di Cristo, la Chiesa viene oscurata e nello stesso tempo illuminata. « C o m e nessuno può spegnere il sole e la luna del cielo visibile, così nessuno fra gli uomini può oscurare lo splendore della Chiesa, ossia la sua luce solo spiritualmente percettibile. Essa 113 114
Ivi (PG 69, 329 BC). Ivi (PG 69, 329 C).
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risplenderà eternamente come il sole e la luna » 115 . Ciò significa ancora che l'eterno splendore della luce spirituale in Cristo non ha più bisogno né del sole né della luna, siano essi visibili ο invisibili : το δε γε θείον χαί νοητον (φως) ... ασβεστον εσται καί άκατάληκτον καί άειφανές, ώστε μήτε ηλίου μήτε σελήνης Ιν χρεία κατεστηκέναι τον έκαστου νουν προς φωτισμον ή ανάβλεψιν 1 1 6 . Cirillo ha esposto la dommatica della Chiesa morente in un dialogo che, scevro d'ogni simbolismo, ci restituisce allo stato puro la teologia della morte: «La Chiesa cesserà forse di esistere alla fine dei tempi e la sua luce verrà spenta, per così dire, da una morte? Noi rispondiamo: quando tu senti la parola ' Chiesa ', sappi che ti si parla della santa comunità dei credenti. La sua morte, conforme al principio vitale dell'esistenza visibile e carnale, è un andare là, 115 CIRILLO ALBSS., Fragni, ex Comment. in Psalm., Sal 88,37.38 (PG 69, 1213 D). Il testo di questo frammento è quasi alla lettera lo stesso che si incontra in ATANASIO (cfr. sopra, nota 99). Se contro si può leggere in Cirillo ancora un'altra espressione, che qui citiamo: ώσπερ ουδείς èv ούρανοϊς τον ήλιου καί σελήνης κύκλον σβέσαι δυνήσεται, ούτως ουδείς έν άν&ρώποις αμαυρώσει ποτέ τάς της 'Εκκλησίας αΰγάς, ήτοι την λαμπρότητα την νοητήν. φαίνει δε άεί καθάπερ ό ήλιος καί ή σελήνη. La provenienza del frammento è incerta. Ma anche se non si potesse qui pensare ad Origene, in realtà che cosa ha in comune questo testo con Atanasio? 116
CIRILLO
ALESS.,
In
Is.
comment.
60,
20
(PG
70,
1345 CD;
1348 A). - Cfr. anche quanto scrive TEODORETO DI CIRO sul medesimo passo (PG 81, 469 Β): ό μέλλων β ί ο ς . . . γαρ ούτε ηλίου ούτε σελήνης χρήζει, αυτό γαρ έχει τοϋ θεοϋ το άρρητον φως. Cfr. infine quanto afferma EUSEBIO DI CESAREA sul destino finale dei due luminari del cielo, che nella rigenerazione, alla fine dei tempi, conseguiranno certamente un'esistenza spiritualizzata: οι φωστήρες ετέραν κρείττονα λήξιν ώσπερ τινός παλιγγενησίας τευξόμενοι: In Is. comment. 13, 10 (PG 24, 188).
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dove noi conseguiremo il diritto di cittadinanza e la vita in Cristo ; la sua morte è la svolta per una trasformazione in ciò che v'è di meglio in tutto il creato. La morte di Rachele significa dunque veramente la morte spirituale in Cristo per la moltitudine dei credenti, ossia per la Chiesa; una morte che ci introduce in un'altra vita, dalla debolezza ci conduce alla forza, dal disprezzo all'onore, dalla corruzione all'immortalità, dalla finitezza del tempo all'eternità della vita divina » 117. In tal modo l'esegesi allegorica ha portato i teologi alessandrini, rimasti fedeli all'alto insegnamento di Origene, a una profondità dommatica mai raggiunta dagli antiocheni attraverso il solo senso letterale. Sul finire dell'epoca patristica greca un ultimo erede del pensiero origeniano ci ha trasmesso il principio basilare di questa mistica teologia scritturistica. Si tratta di ANASTASIO, monaco sinaitico : « Et ideo excutientes spicam Scripturae ab extrinsecus imposito operculo litterae Mosaicae, primam rationem, granum, inquam, quod est abscon117 Glaphyrorum in Genesim 4 (PG 69, 224 D; 225 A): πεπαύσεται δε οδν ή Ε κ κ λ η σ ί α κατά καιρούς, καί σβεσθήσεται S-ανάτω τρόπον τινά; προς δέ τα τοιάδε φαμέν. Έ κ κ λ η σίαν δταν ακούσης, τήν τ ω ν πιστευόντων άγίαν πληθύν ϊσθι τοι λέγειν, ή το έκτεθνάναι κατά τόπον ζωής της έν κόσμω καί σαρκικής, οδός έστιν προς έπίδοσιν της έν Χριστφ πολιτείας καί ζωής καί μεταστάσεως τρόπος είς τα άμείνω καί υπερκείμενα. Se in Cirillo la luna vien presen tata non solo come simbolo della notte terrena, ma anche del demonio, principe delle tenebre, colui ' che presiede alla notte ', ciò avviene in perfetta consonanza con la teologia dello sviluppo terreno della Chiesa, simboleggiata in Selene. Questa è però anche una prova della quasi arbitraria applicazione dell'allegorismo lunare. Cfr. Glaphyrorum in Exodum 2 (PG 69, 424 CD) e CIRILLO, Ep. in fest. Pasch. 1, 2 (PG 77, 408 C).
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sum intra frumentum, nempe Christum inquirimus » 118. Nella sua spiegazione della creazione dei due astri, del sole e della luna, questo è certamente l'asserto principale. Nella Sacra Scrittura ci è stato rivelato tutto ciò perché potessimo comprendere l'unico mistero, il mistero di Cristo e della Chiesa : « Res omnes praefigurabant Christum et eius Ecclesiam ». Non che abbia voluto svuotare il senso letterale del racconto della creazione: «Ergo corporaliter quidem dicit Scriptura de iis, quae a Deo vere convenienter litterae facta sunt creaturis». Ma è certo che l'espressione letterale nasconde il divino frumento del mistero : « Per ipsa autem citra ullum mendacium praesignificans totum mysterium Christi et Ecclesiae » 119. Anastasio dice che il planisfero del mondo dello spirito è prefigurato nel firmamento visibile. Nella sua esegesi si richiama esplicitamente alla teologia più antica, a PAPIA DI GERAPOLI, a PANTENO e a CLEMENTE, primi luminari della Scuola alessandrina, ad AMMONIO, per il cui tramite era giunta fino a lui la teologia di Cirillo Alessandrino 120. Tra i suoi ispiratori non mancano nemmeno 118 ANASTASIO SINAITA, Anagogica Contemplatiti in Hexaemeron 4 (PG 89, 891 A). Quest'opera di grande importanza e straordinariamente ricca ci è ora accessibile solo attraverso una versione latina assai precaria e di cui non conosciamo la data. Vanno eccettuati solamente alcuni frammenti greci provenienti dalle Catene e il dodicesimo libro con l'inno finale alla Chiesa, ugualmente pubblicato nel testo originale. Cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. d. altk. Literatur, ν. V, Friburgo 1932, ρ. 4iss. 119 Ivi (PG 89, 894 D e 895 A). 120 Ivi (PG 89, 860 C). Come fonte si adduce qui principalmente
PAPIA DI GEHAPOLI e la sua opera ' Epistethios ', che a nostro avviso
è per altro del tutto sconosciuta. Se veramente non si trattasse d'una illusione di Anastasio, avremmo una chiara prova dell'antichità dell'esegesi allegorica della Chiesa (che abbiamo già incontrato, in ogni caso, in Teofilo d'Antiochia).
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e GREGORIO NISSENO 121 . Nel Commentario di Anastasio all'Exaemeron rivivono dunque ancora una volta i concetti della teologia astrale dei Padri. Prima che Dio creasse i due grandi luminari del cielo, il mondo era illuminato da una luce velata. Al quarto giorno, invece, nel giorno della perfezione, cominciarono a risplendere i due luminaria magna, Cristo e la Chiesa, che erano stati annunziati dalla luce indistinta dei primi tre giorni : « Mundo annuntiantes adventum Solis Christi Dei et eius coniugis Ecclesiae... illuxit Sol, nempe Christus, et coniux eius Luna, nempe Ecclesia » 122. Da questi due luminari ricevono la luce anche le stelle, come dicono gli astronomi che studiano il cielo visibile: « Rursus auten invenimus Lunae et stellis lumen suppeditari a Sole, ut docent qui maxime sunt in externa versati philosophia, re nobis significante quod a Christo, qui cadit sub intelligentiam, illustratur Ecclesia et Sanctorum luminaria » 123. Questo è dunque l'ordine ipercosmico : Cristo, Chiesa, Apostoli. E in senso inverso: la luce irradiata dagli Apostoli e dai Santi ridonda sulla Chiesa, spirituale Selene, che a sua volta la riversa sul Sole Cristo, il quale esercita il suo potere in cielo e riporta tutta la luce alla sua sorgente principale, al Padre eterno: « Habet alium quoque principatum seu principium hic BASILIO
121
Ivi (858 C; 873 D; 897B; 899BC). Ivi (895 BC). Cfr. anche 891 D; 892 A: « In profundis nocturnae et caliginosae impietatis tenebris vita adhuc agebatur, priusquam illucesceret multitudo Apostolorum et doctorum, lucidae inquam quae sunt in terris stellae, et priusquam orietur Christus Sol iustitiae cum eius coniuge Luna, nempe Ecclesia ». 123 Ivi (897 A). 122
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caelestis Sol Christus. Ipse enim primus incaepit et viam nobis ad Patrem muniit ac paravit sublato sursum nomine » 124. Cristo è il Sole che sorge nella nascita dalla Vergine, per tramontare di nuovo nel suo ritorno al Padre. Durante la notte della sua assenza egli ci illumina mediante il secondo luminare del cielo, « creata per presiedere alla notte », la Chiesa : « Mihi videtur, quod et verbis et rebus et figuris aptum et accommodatum est exemplum Solis et Lunae ad Christum et Ecclesiam. Nam cum fecisset Deus haec duo luminaria, magnum, nempe Solem, statim fixit ad ortum firmamenti, Lunam autem ad occasum, nos docente hoc exemplo, quod in principio adventus Christi, ipso Christo splendente in carne super terram, Christi non splendebat Ecclesia. Adhuc enim stabat in occasu peccati» 125. Così anche Anastasio conclude quel tipo di ecclesiologia che abbiamo propriamente indicato come ' teologia della morte '. Ora comincia la ' notte ', durante la quale la Chiesa risplende, una notte che finisce non appena il chiarore lunare diventa ' superfluo ', quando cioè il Sole Cristo esce definitivamente dal suo nascondimento nel Padre: «Cum autem Christus occidens in caelis accessisset ad Patrem, tunc orta est Luna, tunc ostendit operationem, tunc dominata est tenebrie noctis, tunc illuminavit eos qui erant in tenebris, tunc principatus et potestates et principes tenebrarum huius saeculi conculcavit... et ideo dicitur facta esse a Deo in principatus seu principia noctis, ut quae post 124 125
Ivi (902 A; cfr. anche 896 D; 897 A; 898 B ) . Ivi (903 A).
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occasum Solis nempe Christi, ab ipso illuminetur inaspectabiliter, quomodo etiam luna a sole » 126 . Lo splendore della Chiesa durante la notte terrena è dunque un riflesso del ' Cristo tramontato ', un continuo mutare e oscurarsi, la morte terrena e la risurrezione della spirituale Selene. « Unde tamquam Luna quaedam per aversionem et privationem seu lucis defectum obscuros haeresum defectus et afflictiones inimicorum subit Ecclesia, animi deliquium fere patiens et tamquam recipiens » 127. La Chiesa riproduce quindi lo splendere e il tramontare del Sole Cristo, lo splendore della sua vita terrena e il tramonto della morte terrena e del suo perdersi nell'oscurità della luce del Padre. Come Selene nel mondo visibile, anche la Chiesa è sorella e sposa di Elio, consorte, compagna di ventura; con lui compie il cammino in cielo per illuminare le stelle della notte, ossia i fedeli riuniti nella Chiesa. In questa congiunzione pneumatica, nell'opera amorosa e comune dei due grandi luminari, è fondata tutta la vita spirituale, che promana dal Padre e al Padre ritorna. Anche qui si attua in modo misterioso la legge che Dio ha dato alla natura delle stelle del cielo: «Dicunt enim, qui res Solis et Lunae diligenter investigarunt, quod ab his duobus luminaribus administratur et gubernatur ac dependet universa quae est sub caelis creatura » 128. L'annientamento nella morte dell'astro « che presiede alla notte », l'abbandono amoroso al ' fratello e spo126 127 128
Ivi (903 B). Ivi (903 BC). Ivi (903 CD).
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so ' 129, contiene la forza occulta del meraviglioso sviluppo, la virtù generativa della vita spirituale, come vedremo nella seconda parte di questo studio sviluppando le linee qui appena accennate della teologia di Anastasio. Al termine del suo Commentario all'Exaerneron, Anastasio ha raccolto in un bellissimo inno alla Chiesa tutti gli elementi teologici che aveva ampiamente trattati nell'opera. In esso ogni parola sembra esprimere la simbologia dommatica di tutta la patrìstica greca. In verità si tratta dell'ultima voce che nell'ambito del pensiero greco-cristiano abbia parlato di Elio e Selene, creati per prefigurare il grande mistero, cioè Cristo e la Chiesa, cui era orientata, pur con idee poco chiare, anche la religiosità greca. Non eclissarti mai nell'oscurità del novilunio, ο sempre raggiante Selene! Rischiaraci il sentiero nell'impenetrabile divina oscurità delle Sacre Scritture ! Non cessare mai, ο sposa e compagna di viaggio del Sole Cristo, che qual consorte lunare t'avvolge con la sua luce, non cessare mai di inviarci da lui i tuoi raggi luminosi, perché egli (Cristo) da sé e per tuo tramite doni alle stelle la sua luce e le infiammi di te e per te! Μή λίποις ή έκλειψης ώ άειφανής Σελήνη 129 Ivi (896 C). Se della Chiesa si predica lo stesso rapporto spon sale di Eva con Adamo, essa è detta pure « sposa e sorella » di Cristo, come nella natura Selene è « sposa e sorella » di Elio : « Soror eius (sponsi Solis) Luna, nempe Ecclesia». - 898 A: la natura umana è detta ' luna ', perché nell'Incarnazione ha sposato il Sole Cristo.
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καθ-οδηγοΰσα ή μας έν τη νυκτί της θ-είας των γραφών παννυχίας και άκαταληψίας. Μη κατάληξης ώ σύζυγε μαί σύνδρομε τοΰ σοϋ άμφιφώτου σεληνάνδρου Η λ ί ο υ Χρίστου. Μή τήν έξ αύτοϋ άντΐνα ήμΐν καταπέμπουσα δπως έξ αύτοϋ δια σοϋ καταφωτίσας πολλούς φωστήρας εκ σοϋ έξανάψοι σοι 1 3 0 .
4. LA TEOLOGIA LUNARE IN OCCIDENTE
Ci trasferiamo ora in Occidente, dove AMBROGIO DI MILANO ha introdotto decisamente la tradizione alessandrina nella teologia e nell'esegesi scritturistica. Può darsi che egli non abbia sempre assegnato alle idee di ORIGENE lo stesso posto che esse hanno nel sistema, che ne abbia assunte alcune in modo troppo superficiale, e che non abbia trovato dappertutto il giusto equilibrio tra la forma teologica di Filone e Origene e quella di Basilio. In ogni caso Ambrogio si è dimostrato molto sensibile, oltre che all'ambiente 130 Ivi (PG 89, 1076 CD). Il testo dell'inno non è stato trasmesso fedelmente, sì che il primo editore, ANDREA DACERIO (Londra 1682), ha annotato alcuni emendamenti che si era giustamente proposto di introdurre. Anche noi abbiamo apportato due emendamenti, i quali illuminano assai bene, con variazioni minime e solidamente fondate nella paleografia, il testo altrimenti quasi del tutto incomprensibile. L'assurdo αθεΐας (per spiegare il quale il primo editore ha dovuto apportare ben tre correzioni) lo cambiamo in θείας (ν. 2) e καταδήσης in κατάληξης (ν. 4): in tal modo il καταπέμπουσα, che da lì dipende, può esprimere il solo significato possibile.
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e alla ' moralità ' in senso genuinamente romano, anche alle finezze della speculazione e dell'allegorismo della Scuola alessandrina. In tal modo la teologia origeniana della Chiesa morente, della luna spirituale, ha trovato in lui un'espressione così fedele a quella classica, che in essa lo stesso Origene s'è perpetuato fino al medioevo. Ambrogio, che era un pastore d'anime, ha avuto anche un'altra importante ragione per accogliere le contestazioni dell'antico culto del Sole e della Luna, già esaurientemente recensite da Origene e dagli apologeti cristiani, e per mettere a confronto questo culto col simbolismo cristiano di Cristo qual vero Sole e della Chiesa, stella a lui sposa e sorella. Egli predicava infatti in un tempo in cui il culto del Sol invictus e della divinità materna della luna, promosso da Aureliano e più tardi ancora da Giuliano l'Apostata e arricchito d'una sublime dommatica dalla teosofia neoplatonica, rappresentava per il cristianesimo un serio pericolo 131, tanto più che il cristianesimo era allora indebolito dall'enorme afflusso di elementi mediocri dal paganesimo ed era lacerato dalle furenti lotte degli ariani. Non è dunque casuale il fatto che Ambrogio nelle sue prediche sull'opera dei sei giorni canti con tanto entusiasmo le lodi del vero Sole Cristo e che proprio qui esponga dettagliatamente la sua ecclesiologia alla luce della simbologia lunare. Nella lettera che scrisse per confutare i motivi addotti da Simmaco per la restaurazione nazionale del culto degli dèi ereditato dai romani, Ambrogio, in 131 Cfr. J. NOIVILLE, Les origines du Natalis invidi in Revue des études anciennes 38 (1936) 145; FR. CUMONT, Die orientalischen Religionen im römischen Heidentum, 2 ed., Lipsia 1931, pp. 104. 186ss.
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aperta opposizione al culto universale delle divinità materne 132 , parla della forma della Chiesa e la mette a confronto con la luna : « Luna ipsa qua propheticis oraculis species Ecclesiae figuratur, cum primum resurgens in menstruas reparatur aetates, tenebris noctis absconditur, paulatimque cornua sua implens vel e regione Solis absolvens splendore fulgoris irrutilat » 133 . Ambrogio intende qui affermare che tutte le cose sulla terra, anche il culto pagano dell'impero romano, hanno il loro periodo di fioritura e quello della decadenza. La stessa luna spirituale, la Chiesa, segue questo destino : essa rinnova però di continuo la sua luce e la sua giovinezza per una nuova nascita e per il ripetersi incessante della sua risurrezione. Né la ' Celeste ' di Cartagine, né Venere ο Diana, ma solamente la Chiesa, sposa e sorella del Sole Cristo, è la sempre Vincitrice. Ambrogio dà inizio alla sua ecclesiologia con l'esposizione dei fenomeni naturali che hanno per protagonisti il sole e la luna. Al principio dell'esegesi del quarto giorno della creazione il suo spirito si eleva con un inno al sole, in cui (proprio come nell'inno a Selene di ANASTASIO) la parte più bella del pensiero antico viene a ispirare un godimento della natura illuminato dalla fede cristiana. Per la situazione spirituale di quegli anni, quando la festa del Natale subentrava al culto 132 AMBROGIO, Epist. 1, 18, 30 (PL 16, 980 B): « Unde igitur exemplum, quod currus suos simulato Almonis in flumine lavat Cybele? Unde Phrygii vates et semper invisa Romanis non aequae Carthaginis numina? Quam Caelestem Afri, Pothram Persae (!), plerique Venerem colunt, pro diversitate nominis non pro numinis varietate ». 133 Epist. 1, 18, 25 (PL 16, 979 Β).
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del Sol invictus 134 e il grande papa LEONE inveiva contro l'intempestivo accoglimento da parte dei cristiani di cerimonie del culto del sole 135, è significativo che Ambrogio cominci il suo canto al sole con le parole del filosofo platonizzante SECONDO 1 3 6 : «Il sole è l'occhio del mondo, l'allegrezza del giorno, bellezza del cielo, fascino della natura, gioiello del creato ! ». Ma quest'inno di lode si trasforma subito in un inno a Cristo: « Quando vedi il sole, pensa al suo Signore; quando lo ammiri, loda il suo creatore. Se già il sole è sì amabilmente radioso, quanto dev'esser buono colui che è il ' Sole della giustizia ' ! » 137 . La stessa cosa dice anche della luna. E fondamentale nella teologia lunare di Ambrogio la spiegazione dei fenomeni naturali che riguardano la stella-sorella dell'invitto Elio. Ambrogio - com'egli stesso più volte riconosce - attribuisce queste sue idee « ad egregi maestri che ci hanno preceduto nel tempo ο nell'uffi 138 cio », ed anche « a uomini dotti e cristiani » . E noi 134 Cfr. F. J. DÖLGEE, Sol salutis, 2 ed., Münster 1925, pp. 3ss. i86ss; B. BOTTE, Les origines de la Noèl et de l'Epiphanie, Lovanio 1932; K. PEÜMM, Zur Entstehung der Geburtsfeier des Herrn in Ost und West in Stimmen der Zeit 69 (1939) 213SS. 135 LEONE MAGNO, Sermo 27, 4 (7 in Nativitate Domini) (PL 54, 218s). 136 Fragmenta Phil. Graec. (Mullach I, p. 518, 25SS; p. 513, 12); AMBROGIO, Hexaemeron 4, 1, 2 (CSEL 32, 1, p. III, 21s): «Oculus est enim mundi, iucunditas diei, caeli pulchritudo, naturae gratia, praestantia creaturae ». 137 Hexaemeron 4, 1, 2 (p. I I I , 22-25): « Sed quando hunc vides, auctorem eius considera, quando hunc miraris, lauda ipsius creatorem. Si tarn gratus est sol consors et particeps creaturae, quam bonus est Sol ille iustitiae ». 138 Ivi, 4, 3, 11 (ρ. 118, 1s): «Ut peritiores probaverunt, qui nobis vel aetate vel munere praecurrerunt ». Ivi, 4, 7, 30 (ρ. 135, 9s): « Nonnulli etiam docti et christiani viri allegaverunt ».
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sappiamo che egli allude soprattutto a Basilio, benché possa qui trattarsi anche di Origene e di Ippolito. Da queste fonti deriva appunto la sua interpretazione dei fenomeni lunari che subito esporremo per comprenderne il simbolismo che vi è celato. In astronomia è fondamentale il fatto che la luna riceva la sua luce dal sole : la luna è « sposa e sorella » del sole : « Similia de lunae ratione conveniunt, quae de consorte eius ac fratre memoravimus, siquidem in id se induit ministerium in quod et frater, ut inluminet tenebras » 139. La luna presiede alla notte; nell'ordine cosmico è subordinata al sole, ma è a sua volta superiore alle stelle. Ambrogio descrive la costituzione gerarchica del mondo degli astri con le parole d'un'antica poesia: « In misura della bellezza che gli astri hanno ottenuto dal Creatore ... l'oscurità della notte viene rischiarata dallo splendore della luna e delle stelle e il cielo s'illumina per il bagliore dei luminari ardenti, come se fosse cosparso di fiori... Giustamente è stata chiamata la perla del cielo; le stelle sono invece un nobile minerale. Quanto maggiore è il loro splendore, tanto più siamo loro obbligati » 140. In questa gerarchia cosmica la luna viene così ad occupare una posizione intermedia fra il sole e le stelle. E ' sposa del sole ', proprio come tutta la natura, che sta rispetto al sole in rapporto di passività e d'amore; luna e natura sono ' consors solis ' 141. Nella luna si ha quindi il modello di ciò che avviene poi nella natura 139
Ivi, 4, 7, 29 (p. 134, 13-15)· Ivi, 4, 2, 5 (ρ. 114, 1-8). Ivi, 4, i, 2 (p. 111, 24): «Sol consors et particeps creatu re ». lui, 4, 7, 29 (p. 134, 13): «De consorte eius (lunae)». 140
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intera: nella sua relazione al sole e nel conseguente mutare e ' soffrire ' essa è simbolo delle umane cose. In realtà i mutamenti costatabili dallo sguardo sono solo apparenti: la luna conserva infatti sempre le medesime dimensioni, sia per gli indiani sia per i lontani britanni : « Lunae globus aequalis est omnibus » 142 . « Solo una diminuzione di luce, non della sostanza corporea, subisce la luna quando mensilmente sembra deporre la sua veste di luce per riceverla quindi nuovamente dal sole... La grandezza del disco lunare è sempre quella visibile nel plenilunio. Ma a causa dell'oscuramento prodotto dall'ombra, la luna somiglia ancor più ad una vedova in lutto » 143. La luna patisce dunque le sue ' p e n e ' , secondo una legge misteriosa: « La luna soffre per te, per volere di Dio è diventata succuba; la luna non muta per libera volontà, sospira ed è in doglie a causa della sua mutevolezza, aspetta con sempre rinnovato e ardente desiderio la tua redenzione, per essere infine libera dalla schiavitù che grava su ogni creatura - e tu poni solo ostacoli alla tua redenzione, e perciò anche alla sua liberazione ! » 144. Con queste ultime parole Ambrogio chiarisce in qual modo il fenomeno cosmico della luna sia coinvolto nel mistero dei cristiani, i quali si riferiscono a quello anche per spiegare la liberazione finale del mondo delle stelle del cielo. «Luna pro te laborat»: così il predicatore introduce la natura e l'esistenza della luna nell'ambito di quelle verità che sono a lor volta prefigurate in tali fenomeni: «Unde si miraris 14a 143 114
Ivi, 4, 6, 25 (p. 132, 20s). Ivi, 4, 2, 7 (p. 115, 15-22). Ivi, 4, 8, 31 (p. 137, 7-15).
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quomodo defectum Luna patiatur, cum tantam vim mutationis habeat suae, considera et in eo magnum esse mysterium » 145. Il mistero simboleggiato dalla luna e dalle sue pene è spiegato da Ambrogio in perfetta consonanza con la dottrina origeniana del dolore mortale della Chiesa. Teologia origeniana, più presisamente, perché proprio qui, in seno ai concetti scientifici sulla natura, assunti da BASILIO, Ambrogio inserisce la sua allegoria mistica, di cui in Basilio non abbiamo trovato traccia alcuna. La teologia ambrosiana della Chiesa morente sì articola chiaramente in tre concetti principali. Le ' pene della luna ' sono anzitutto un'immagine del grande e fondamentale mistero cristiano dell'incarnazione e kenosi del Logos. « La luna decresce per dare alle cose la loro pienezza » 146. Questa legge fondamentale dei fenomeni lunari, che chiariremo meglio appresso in base alla teologia di Ambrogio, è stata imposta all'astro celeste da colui che volle in tal modo preannunziare' la legge propria della redenzione. Ambrogio ha espresso queste idee in forma quasi innica e con l'inimitabile pregnanza caratteristica del suo linguaggio, le ha descritte con parole mai più superate» nemmeno da Agostino, e rappresentano quel che di più bello i Padri hanno detto in lingua latina sulla teologia della morte della Chiesa 147 : 145
Ivi, 4, 8, 31 (p. 136, 6-8). Ivi, 4, 8, 32 (p. 137, 19). 147 Ivi, 4, 8, 32 (p. 137, 19-27): «La luna decresce per ricolmare di vita gli elementi. Questo è dunque il grande mistero. Ciò è stato ad essa concesso da colui che a tutti ha donato la grazia. L' ha annientata, per poi nuovamente riempirla. Colui che annientò pure 146
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«Minuitur Luna ut elementa repleat. Hoc est ergo grande mysterium. Donavit hoc ei qui omnibus donavit gratiam. Exinanivit eam ut repleat Qui etiam se exinanivit ut omnia impleret. Exinanivit se ut descenderet nobis, Descendit nobis ut ascenderet omnibus... Ergo annuntiavit Luna mysterium Christi ». Nel mistero dell'umiliazione di Dio, della sua discesa nell' incarnazione, è radicato anche il mistero della Chiesa. Fin dal momento dell'incarnazione la Chiesa è la ' amata Chiesa ', la sposa, che solo in compagnia dell' ' astro-fratello ', qual luna spirituale cammina nella notte della vita terrena, e nel suo crescere e morire imita la kenosi dello sposo, fino al giorno in cui verrà pienamente illuminata e circonfusa dalla luce del Logos, quando « non son più io che vivo, ma Cristo in me ». « Non è cosa da poco la luna, che Cristo ha scelto come suo simbolo e che rappresenta l'immagine dell'amata Chiesa... Giustamente la Chiesa somiglia alla luna: anch'essa risplende su tutto il mondo e illuminando le tenebre del tempo presente esclama: 'la notte è trascorsa, s'avvicina ormai il giorno ' ! » 148. Ma finché la Chiesa percorre le vie del cielo nella notte, essa deve condividere le pene della luna. « Anche la Chiesa, come la luna, perde e riacquista il suo splense stesso per riempire tutte le cose. Si annientò per discendere fino a noi, discese fra noi per essere per tutti l'ascesa. La luna annunzia quindi il mistero di Cristo ». 148 Ivi, 4, 8, 32 (p. 138, 1.7-10): «Non mediocris (luna) in qua signum posuit suum, quae typum habet dilectae Ecclesiae... et merito sicut luna Ecclesia, quae toto mundo refulsit et tenebras saeculi huius inluminans dicit : nox praecessit, dies adpropinquavit ».
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dore, ma proprio nel decrescere aumenta » 149. In questa frase è celata tutta la dialettica della teologia della morte: «Sed defectibus suis crevit et his meruit ampliari, duna persecutionibus minuitur et confessorum martyriis coronatur ». Nel diminuire, essa cresce, poicbé l'estinguersi della luna è un appressarsi all'unione amorosa col sole, l'avvicinarsi alla ' superfluità ' nel suo assorbimento nella luce del sole. L'arte oratoria di Ambrogio s'innalza qui nuovamente ad altezze sublimi e il canto al sole si tramuta in inno alla Chiesa 150 : « Questa è la vera luna. Dall'intramontabile luce dell'astro fraterno ottiene la luce dell'immortalità e della grazia. Infatti la Chiesa non rifulge di luce propria, ma della luce di Cristo. Trae il suo splendore dal sole della giustizia, per poter poi dire: Io vivo, però non son più io che vivo, ma vive in me Cristo! Veramente beata tu sei, ο luna, chè sei stata degna di tanto onore! ». Ambrogio fa quindi un passo avanti nello sviluppo di questo tema principale. Se finora l'incarnazione e la sua kenosi è stata il grande mysterium che si compie nella Chiesa, ora appare evidente che per le parole del salmo 103,19 la conseguenza dell'incarnazione è la 141 Ivi, 4, 8, 32 (p. 138, 12-15). È quanto s'era già detto prima del grande mysterium delle fasi lunari, ma con l'accentuazione del contrasto : « Tum deinde minuitur et augetur ut minor sit cum resurgit nova, cum sit imminuta cumuletur. In quo grande mysterium est » : ivi, 4, 7, 29 (p. 134, 24-26). In questo ' crescere nel diminuire e diminuire nel crescere ' è nascosto il grande mistero del valore simbolico della luna rispetto alla Chiesa. 150 Ivi, 4, 8, 32 (p. 138, 15-20): «Haec est vera Luna, quae de fraterni sui luce perpetua sibi lumen immortalitatis et gratiae mutuatur. Fulget enim Ecclesia non suo, sed Christi lumine et splendorem sibi arcessit de Sole iustitiae, ut dicat: vivo autem iam non ego, vivit autem in me Christus. Beata piane, quae tantum insigne meruisti ».
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morte di croce e l'annientamento della Chiesa è una morte mistica. « Fecit lunam in tempora. Sol cognovit occasum suum». Ambrogio, cercando una garanzia nelle tradizioni cristiane, crede che anche il mistero celato in queste parole abbia in Cristo e nella Chiesa la sua spiegazione. «Il sole conobbe il suo tramonto»: ciò va applicato alla morte vivificante di Cristo sulla croce, indicata da lui stesso come la « glorificazione ». « Agnovit Christus proprii corporis passionem, qui ait: Pater, venit hora, clarifica Filium tuum, ut illo occasu suo omnibus donaret vitam aeternam, qui perpetuae mortis urgebantur occasu » 151 . A questa morte vivificante prende ora parte anche la Chiesa. « Infatti, a somiglianza della luna, essa sembra decrescere, mentre non diminuisce affatto. Ombre scure possono nasconderla; essa non può però svanire. Diminuisce a causa della caduta dell'uno ο dell'altro nelle persecuzioni, ma solo per conseguire nella confessione dei martiri la pienezza del suo splendore, affinché, irradiata dalla gloria del sangue vittoriosamente sparso per Cristo, effonda su tutta la terra la sempre più fulgida luce della sua devozione e della sua fede » 152 . Dalla mortalità terrena della Chiesa Ambrogio deduce le istanze ascetiche, delle quali intesse, da pastore d'anime e genuino rappresentante della prassi romana, i suoi trattati teologici. Il desiderio di progresso nella virtù e la lotta contro l'istintiva mutevolezza del sen151
Ivi, 4, 2, 7 (p. 115, 5-9). Ivi, 4, 2, 7 (p. 115, 10-14): «Nam videtur sicut Luna deficere, sed non deficit. Obumbrari potest, deficere non potest, quae aliquorum quidem in persecutionibus discessione minuitur, ut martyrum confessionibus impleatur et effusi pro Christo sanguinis clarificata victoriis maius devotionis et fidei suae toto orbe lumen effundat ». 152
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cimento, il « divenire sciocco come la luna » 153 vien posto nella teologia lunare come un invito alla fiducia nella Chiesa, che sola può rischiarare le tenebre della vita 154. Ma un ultimo concetto, che Ambrogio deve I ancora enunciare, ci introduce nei misteri della Chiesa a un livello più profondamente dommatico. Questo suo morire è pur sempre, ora come alla fine dei tempi, un peregrinare verso la gloria, verso il pieno splendore, il plenilunio dell'eterna Pasqua e dell'intramontabile primavera dell'eternità. La sua vita terrena e il suo insegnamento è un risplendere sempre crescente fino al giorno della pace, in cui ogni nemico verrà sconfitto : « Luna autem Ecclesia est quae spiritualibus et evangelicis praedicationibus in abundantia pacis, ut Propheta dicit (Sal 71,7), extollitur. In Christo ergo ventilabimus inimicos nostros » 155. La Chiesa è ancora nell'ombra; questa è tuttavia fin d'ora una ' ombra di salvezza ', l'ombra che dal corpo di Cristo e dalla sua croce cade sulla Chiesa e cela in sé la luce della futura risurrezione: « Umbra quidem, quia corporis est, umbra, quia crucis, sed umbra salutis, quia in ea erat peccatorum remissio et resuscitatio mortuorum ». 153 Ivi, 4, 8, 31 (p. 136, 22ss). - Epist. 1, 37, 5 (PL 16, 1085 A); Explan. Psalm. 36, 64 (CSEL 64, p. 123, 18-21). 154 Explanatio Psalmorum 35, 26 (CSEL 64, p. 68, 10-15): «Non mirum ergo, si errat vestigium, ubi oculus non habetur. Praecedat oculus, ut pes sequatur. Quomodo ergo in tenebris viator incedes? Cito pes offendit in nocte si quasi quidam mundi oculus viam luna non monstret. Et tu in nocte es saeculi, monstret tibi Ecclesia viam, ex alto te iustitiae sol illuminet, ut lapsum timere non possis ». - Cfr. anche ciò che AMBROGIO scrive sull'ordinamento divino esistente nella Chiesa ed articolato in Cristo-Chiesa-Santi, proprio come soleluna-stelle nell'ordine cosmico: De institutione Virgìnis 2 (PL 16, 307 C); De sacramenti 6, 25 (PL 16, 460 C). 155 Explanatio Psalmorum 43, 19 (CSEL 64, p. 277, 15-19).
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Ben s'adatta alla Chiesa l'annunzio : « L'inverno è ormai trascorso, sbocciano i fiori, è già il tempo del raccolto ! » 156. Come i pagani raffigurano la loro luna come una dèa raggiante che sulla quadriga tirata dai tori corre verso le altezze del cielo, così la Chiesa, sostenuta dalla potenza del Signore, è la vera luna, la cui falce luminosa, ricevendo sempre nuova luce, si riempie dello splendore del sole: « (Christus) est taurus quo Ecclesia figuratur in Luna tunc plenior, cum velut cornibus nixi taurinis spatium totius orbis includit » 157. La scadenza del plenilunio pasquale, preannunziata ogni anno dalla Chiesa in Alessandria, è per Ambrogio un simbolo del mistero della Chiesa, avviata al plenilunio pasquale dell'eternità: « Quia ad huiusmodi sollemnitatem vel Ecclesiae perfectio vel clarae fidei plenitudo quaeratur, sicut dixit Propheta cum loqueretur de Filio Dei, quia sedes eius sicut sol in conspectu meo et sicut luna perfecta in aeternum manebit » 158. L'inno di lode alla Chiesa morente ', intonato da Origene e cantato da Cirillo Alessandrino e dal Monaco del Sinai nell'immortale espressione della lingua greca, risuona anche in Occidente. E come AGOSTINO era stato una volta rapito dall'armonia degli inni ambrosiani 159, così il vescovo Agostino canta ora anche l'inno della Chiesa morente nella luce del Sole Cristo 156
Hexaemeron 4, 5, 22 (p. 129, 19s; p. 130, 6-8). 157 De Patriarchìi 3, 13 (CSEL 32, 2, p. 131, 24ss). Per le raffigurazioni d'epoca cristiana della luna sul carro tirato dai tori, cfr. Dict. d'ardi, chrét. et de Liturgie, v. IV, c. 1143, fig. 3769 (Dittico d'avorio di Sens) e vol. III, c. 835, fig. 2644 (illustrazione iniziale della Bibbia di Carlo il Calvo). 158 Epist. I, 23, 4 (PL 16, 1028 A). 159 AGOSTINO, Confessiones 9, 6 (CSEL 33, p. 208, 3ss).
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e l'introduce nella teologia che il suo genio ha modellato per i secoli successivi. Abbiam visto che ad opera di Ambrogio il simbolismo lunare cristiano viene incorporato nella dommatica della Pasqua più di quanto non sia accaduto nella teologia orientale. Anche Agostino parte da questo medesimo concetto. Nella sua epistola 55 ad Januarium 160, di notevole interesse per la storia della dommatica liturgica, vengono anche tracciate le linee fondamentali della teologia della Chiesa morente, che egli espone poi al popolo cristiano nelle prediche popolari e nei contatti diretti. Bisogna quindi presentare anzitutto gli estremi di questa teologia. La Pasqua è la festa del mistero fondamentale della Chiesa; non una semplice commemorazione della morte e risurrezione di Cristo, ma il giorno in cui questo mistero penetra direttamente nella nostra vita personale. La Pasqua non è affatto ' ricordo della passione ', ma 'passaggio' dalla morte alla vita: «Nam etiam vocabulum ipsum, quod Pascha dicitur, non graecum, sicut vulgo videri solet, sed hebraeum esse dicunt, qui linguam utramque noverunt. Neque enim a passione, quoniam πάσχει,ν graece dicitur pati, sed ab eo, quod transitur, ut dixi, a morte ad vitam, hebraeo verbo res appellata est » 1 6 1 . La Pasqua è dunque un ' passaggio ' nello stesso senso in cui Cristo è passato dalla morte alla vita, dalla tomba al Padre. Ciò si compirà pure alla fine dei tempi nella Chiesa universale, che ora vive il peregrinare della sua vita mortale; 160 AGOSTINO, Epistula 55: Ad inquisitiones Januarii liber secundus (CSEL 34, pp. 169-213). 161
Ep. 55, 1, 2 (p. 170, 2 1 ; p . 171, 5).
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s'attua invece fin d'ora misteriosamente nei singoli cristiani nel lento annientamento dell'uomo ' esteriore ' e nel sorgere della luce sempre più fulgida dell' ' uomo interiore '. In ciò consiste appunto il mistero pasquale che ogni anno si ripete, il mistero del « mensis novorum: haec igitur innovatio vitae nostrae est quidam ' transitus ' de morte ad vitam » l62 . Il mistero pasquale della vita cristiana è percepibile nella luna piena di Pasqua e nel mutare della medesima. Agostino inserisce proprio qui le nozioni di astronomia lunare apprese da bambino e rilevate poi negli autori cristiani. Noi conosciamo già la sua opinione sulla provenienza della luce lunare. Checché possa dirsi al riguardo - così egli conclude la sua indagine -, una cosa è certa: nella luna si compie un grande e a prima vista assurdo mistero ed in questa singolare contraddizione si riflette il mistero di Cristo e della Chiesa. « Illud certe manifestum est... quod Luna non augeatur ad oculos nostros nisi a Sole recedendo neque minuatur nisi ad Solem ex parte alia propinquando » 163. Dall'aporia dei fenomeni lunari, trasferendoci dal campo visibile a quello invisibile, dobbiamo attuare, sotto la guida dello Spirito Santo, l'ascesa agli spiritualia sacramenta della Chiesa 164. È caratteristico nella teologia di Agostino il fatto che questi non incontri il principio della sua ecclesiologia guardando alla forma esterna della Chiesa, ma racchiuda tutto il mysterium paschale del ' passaggio dalla morte alla vita ' nell'intimo dell'uomo. Il mistero della vita che scaturisce dalla morte si compie nella 162
Ep. 55, 3, 5 (p. 174, 10s. 20). Ep. 55, 4. 7 (p- 177. 13-16). l64 Ep. 55, 5. 9 (p. 179, 13-20).
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santità del cuore; la Chiesa, avviata allo splendore del plenilunio pasquale, prende forma nelle anime. In siffatta dommatica le dimensioni cosmiche e le coppie di situazioni antitetiche sotto-sopra, terra-firmamento, tenebre-luce, morte-vita, ben s'adattano alle dimensioni dello spirito : l'eccelso diviene l'intimo ; « in interioribus ac superioribus suis » 165 l'anima attua il ' passaggio ' dalla morte alla vita in un ' abbandonare in fretta ' l'esteriorità, nella morte dell'uomo vecchio e nel ritorno all'interiorità, che è a un tempo una ' ascesa ' verso le altezze più sublimi, dove il Sole della giustizia rifulge nell'intimo. Il mistero pasquale si evolve così in un permanere cum Sole, che è essenzialmente un superamento della « sciocca mutevolezza della luna » 166. La mistica teologia lunare dell'interiorità è portata da Agostino (in un contrasto assai significativo con l'esegesi morale di Ambrogio su Eccli 27,12) nel grande complesso della dottrina della salvezza, sì che in questo punto vengano come a distinguersi le tre linee: quella cosmico-spirituale, l'interiorità dell'anima, e la visione storico-dommatica della salvezza : « Quis ergo est ille stultus, qui tamquam luna mutatur, nisi Adam, in quo omnes peccaverunt? » 167. La struttura teologica fondamentale della dommatica della Chiesa è dunque questa : il destino di Adamo nel suo svolgimento storico sino alla fine dei tempi si compie nel cielo del soprannaturale, interamente celato negli abissi dell'interiorità. Il passaggio dalla morte alla vita è come un trasferirsi 165
Ep. 55, 5, 8 (p. 178, 13). Cfr. Eccli 27,11 (LXX): διήγησις ευσεβούς δια παντός σοφία. La versione latina è più ampia: «Homo sanctus in sapientia manet sicut sol». - Ep. SS, 5, 8 (p. 177, 17SS). 167 Ep. ss, 5. 8 (p. 178, 8-10). 166
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interiormente e spiritualmente nella luce del Sole. La conseguenza del peccato oiriginale di Adamo per il genere umano è che l'anima ha come perduto il suo contatto cosmico con la fonte della luce, con l'incommutabilis sapientia 168 assisa sulla volta del cosmo dello spirito; l'anima è precipitata 'in basso', nella 'esteriorità ', e così il suo ' intimo ' non è più il suo ' eccelso '. Nella redenzione operata da Cristo essa ritrova però la Pasqua, il ' passaggio ' dalla morte alla vita, e può perciò ' ritornare ' all'interiorità, avendo Cristo addossato su di sé la rovina dell'uomo ' esteriore ' ; può quindi ' ascendere ' alla regione dell'immutabile sapienza, può riempirsi della luce dell'eterno sole, che in essa risplende sempre di più. Questa dommatica dell'interiorità, arricchita di tutti i tesori dell'intuizione agostiniana, è riassunta nelle seguenti parole: «Allontanandosi dal Sole della giustizia, ossia dall'intima contemplazione dell'immutabile verità, l'anima umana rivolge alle cose terrene tutte le sue premure. Così però si oscura sempre di più in essa la parte interiore e quella superiore. Ma se si avvia a ritornare a quell'incommutabile sapienza, allora tanto più si dissolve l'uomo esteriore quanto più essa s'avvicina alla Sapienza con amore ardente: ' l'uomo interiore si rinnova di giorno in giorno ' (2 Cor 4,16). Tutta la luce dello spirito, che prima era rivolta al basso, tende verso l'alto e in qualche modo vien sottratta alle cose terrene, affinché
188 Ep. 55, 5, 8 (p. 178, 14; cfr. anche p. 178, 11s: « Contemplatio Ìncommutabilis veritatis »). L'immutabilità della sapienza superiore, troneggiante al di sopra d'ogni mutazione, è senza dubbio in rapporto con l'antica raffigurazione cosmica del mondo, che il neoplatonismo ha nuovamente inserito in una forma di religiosità.
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l'uomo muoia sempre di più a questo mondo e la sua vita si racchiuda con Cristo in Dio » 169. Di qui l'ecclesiologia agostiniana avanza ancora d'un passo. Se il destino delle singole anime, definito dal peccato originale di Adamo e dalla redenzione mediante il ' passaggio ' di Cristo dalla vita alla morte, è un ' passaggio ' dalla morte alla vita, e la luna ne è il simbolo (« Propter ipsam conversionem ab exterioribus ad interiora de luna similitudo adsumitur ») 170, allora solamente, poiché il dramma della redenzione si svolge nella comunità, nella Chiesa, l'anima vien detta dalla Scrittura e dalla Tradizione ' luna spirituale '. « Ecclesia vero adhuc in ista mortalitate carnis constituta propter ipsam mutabilitatem Lunae nomine in Scripturis significatur » 171. Agostino riunisce qui insieme i testi scritturistici, a noi già noti dalla tradizione alessandrina e addotti sempre più spesso anche da Ambrogio, per ricavarne un'immagine precisa della natura della Chiesa, e non senza notare espressamente che, oltre a questi, vi sono ancora molti altri testi scritturistici che ci « presentano la Chiesa simboleggiata nella luna, poiché la Chiesa in questa vita mortale, 169 Ep. 55, 5, 8 (p. 178, 10-20): «Anima quippe humana recedens a Sole iustitiae, ab illa scilicet interna contemplatione incommutabilis veritatis, omnes vires suas in terrena convertit et eo magis magisque obscuratur in interioribus ac superioribus suis. Sed cum redire coeperit ad illam incommutabilem sapientiam, quanto magis ei propinquat affectu pietatis, tanto magis exterior homo corrumpitur, sed interior renovatur de die in diem omnisque lux illa ingenii, quae ad inferiora vergebat, ad superiora convertitur et a terrenis quodam modo aufertur ut magis magisque huic saeculo moriatur et vita eius abscondatur cum Christo in Deo ». 170 Ep. 55, 5, 9 (p. 179. 19s). 171 Ep. 55, 6, 10 (p. 180, 4-6).
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oppressa dalle preoccupazioni e dalla fatica, cammina ancor lontano da quella Gerusalemme, i cui abitanti sono gli Angeli santi » 172. Quaggiù la Chiesa va pellegrina nell'oscurità e nel pianto, come spiega il salmo 10,3 173· Tuttavia genera fin d'ora i testimoni dell'immutabile verità, che essa cela nel suo seno: è «testis in caelo fidelis » (Sal 88,38) 174. La Chiesa è perciò oscura e splendente a un tempo, fino al giorno in cui raggiunge la pienezza della pace e la luna si spegne (Sal 71,7), quando la morte verrà trasformata in vita 175 . Questo peregrinare verso il sole, la sua ' Pasqua ', significa però per la Chiesa un sempre più evidente annientamento. Come Gerico, che significa ' luna ' 176, venne distrutta dai sette squilli di tromba, così pure la Chiesa deve essere annientata dal settemplice soffio dello Spirito : « Ogni desiderio temporale, tutte le speranze di questa vita mortale » 177 devono dissolversi, affinché la Chiesa possa giungere alla libertà dello spirito e andare incontro al giorno della sua definitiva ' superfluità ' : « quoadusque interficiatur luna ». 172
Ep. 55, 6, 10 (p. 181, 12-16). Ep. 55, 6, 10 (p. 180, 10-12): «Oscura videtur Ecclesia in tempore peregrinationis suae inter multas iniquitates gemens ». 144 Ep. 55, 6, 10 (p. 180, 14s): «Propter nuntios fidelissimos veritatis, quos ubique parit Ecclesia, dicitur Luna testis in caelo fidelis ». 175 Ep. 55, 6, 10 (p. 180, 17-20): « Quoadusque interficiatur Luna, id est abundantia pacis in tantum crescet, donec o m n e m mutabilitatem mortalitatis absumat, tunc novissima inimica destruetur mors... ». 176 Ep. 55, 6, 10 (p. i 8 i , 5s). Agostino riproduce qui una esegesi proveniente senza dubbio da Alessandria e accolta da Girolamo e dalla Onomastica sacra. Cfr. GIROLAMO, De notninibus hebraicis (PL 23, 795); P S . - G I R O L A M O , Breviarium in Psalmos 136 (PL 26, 1230); Onomasticum Coislianum 169, 62 (Ρ. DE LAGARDE, Onomastica sacra, v. II, Gottinga 1882, 199; cfr. anche ivi, 226 e 204). 177 Ep. SS, 6, 10 (p. 181, 8s). 173
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Agostino sviluppa ancor meglio questa teologia della morte della Chiesa nelle sue prediche sui Salmi, come spiegazione di quei medesimi passi dei Salmi che nel capitolo della sua Epistola ad Januarium aveva presentato quali testi classici della teologia lunare. Egli espone di nuovo le due antiche teorie sulla provenienza della luce lunare, le quali (conservatesi poi per tutto il medioevo) vengono inserite nella sua dommatica 178, conforme alla frase che aveva rivolto a Gennaro : « Ex ea cadesti creatura sicut ex multa terrestri sacramentorum figurae ad informationes mysticas adsumuntur » 179. La luna è il simbolo della Chiesa. Se essa ha luce propria e così le sue fasi mostrano che si tratta d'una sfera per metà di fuoco e per metà oscura, si ha in ciò un simbolo profondo per la natura della Chiesa peregrinante. Anche questa è per metà oscura e per metà luminosa: oscura nella realtà corporea della sua manifestazione storica, luminosa invece nell'irradiazione intima della sua luce propria, che solo Dio vede e che qualche volta anche quaggiù è visibile nelle opere dei credenti 180. Se poi la luna riceve la sua luce dal sole, essa è ancor più un simbolo della Chiesa : « Luna intelligitur Ecclesia, quod suum lumen non habeat, sed ab Unigenito Filio Dei, qui multis locis in Sanctis Scripturis allegorice Sol est appellatus » 181. Le fasi della luna, determinate da un prestito di luce, sono perciò il simbolo del destino della Chiesa, che ugualmente soffre ed è in pena sospirando la sua redenzione. La Chiesa 178 179 180 181
Enarratio in Ps. 10, 3 (PL 36, 131-133). Ep. 55, 6, 11 (p. 182, 8-10). Enarr. in Ps. 10, 3 (PL 36, 132 Β ) . Enarr. in Ps. 10, 3 (PL 36, 132 D ) .
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
è ancora nella situazione dell'obscura luna, come Agostino ha letto il passo di Sal 10,3 nel suo antico testo africano dei Salmi 182. Essa è oscura nel principio, modesto e nascosto agli occhi del mondo, della sua storia. È coperta dall'ombra dei peccati dei suoi membri, che le vengono rinfacciati come motivo di disonore. Il disco lunare della Chiesa è imporporato dalla morte dei suoi martiri 183. La Chiesa visibile diventa lo scandalum, perché il suo destino è una riproduzione di colui che nello scandalum crucis ha effettuato il ' passaggio ' pasquale dalla morte alla vita 184. Agostino risale dunque dalla teologia della Chiesa morente alla teologia del ' sole morente '. La cosa inaudita del messaggio cristiano, che per i deboli sarà sempre motivo di scandalo, è la predica sul corpo di Cristo umiliato e crocifisso : questa verità ' scotta ' ai piccoli spiriti. Ma a chi accetta sempre questa predica della Chiesa ben convengono le parole misteriose del salmista : « Per diem sol non uret te neque luna per noctem» (Sal 120,6). La morte corporale di Cristo si compie misticamente nel corpo della Chiesa. In ciò consiste l'identificazione della luna col sole: «Parvulis praedicatur humilitas Christi et caro Christi et crucifixio Christi... et ideo non relinquuntur in nocte parvuli, quia ipsa caro Christi caput Ecclesiae est. Quisquis ibi non scandalizatur in ipsa Ecclesia et carne Christi, a Luna non uritur » 185. Dallo scandalo della 182 Sal 10,3 (LXX): τοϋ κατατοξεϋσαι έν σκοτημήνη το υς εύδεΐς τη καρδία:. La Volgata traduce solo ' i n obscuro', mentre nel testo africano di Agostino si legge ' in obscura luna '. 183 En. in Ps. 10, 4 (PL 36, 133 BC). 184 Enarr. in Ps. 120, 12 (PL 37, 1614-1616). 185 Enarr. in Ps. 120, 12 (PL 37, 1615 C).
LA CHIESA MORENTE
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visibilità del corpo di Cristo e della Chiesa visibile si comincia a decidere sulla morte e la vita, sull'ultimo destino pasquale dell'anima e della Chiesa: « Quisquis in Ecclesia et in carne Domini, et in his quae pro nobis temporaliter gesta sunt, non errat, non uritur a Luna » 186. La visibilità del corpo di Cristo è però la sua morte in croce. Con la forza sempre più penetrante del suo pensiero teologico Agostino s'introduce nell'ultimo mistero della teologia della morte della Chiesa. Il suo genio si ispira alle parole di Sal 103,19 (abbiamo già visto in Ambrogio che da questo testo si è sviluppato tutto un complesso di idee) : « Fecit lunam in tempora, sol agnovit occasum suum ». Al tramonto del sole, la luna s'innalza nel cielo notturno. Ma il vero Sole ' conosceva ' e ' approvava ' il suo tramonto : « Christus agnovit passionem suam. Occasus Christi, passio Christi. Quid est : Agnovit : Approbavit, placuit ei » 187. Su questa volontaria rinunzia è fondata la Chiesa, la vera luna, che d'ora in avanti è « posta a segnare i tempi ». In essa si perpetua il dolore mortale di Cristo; essa è la morente, colei che scompare. È la luna che invecchia e si spegne. Tutto questo vale però soltanto ' per il tempo '. Ma verrà il giorno - a ciò allude il Salmista quando dice : « Ortus est sol » 188 - in cui non si verificherà più nessun tramonto né invecchiamento alcuno. Ciò avverrà quando la luna sarà di nuovo presso il sole : « Fecit Lunam in tempora. Intelligimus spiritualiter Ecclesiam crescentem de minimo et ista mortalitate vitae quodammodo senescentem: sed ut propinquet ad 186 187 188
Enarr. in Ps. 120, 12 (PL 37, 1615 CD). Enarr. in Ps. 103, sermo 3, 21 (PL 37, 1374 CD). Enarr. in Ps. 103, sermo 3, 23 (PL 37, 1376 BC).
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
Solem! ... Hic enim temporaliter transit Ecclesia: non enim hic erit semper ista mortalitas, augeri et minui aliquando transibit » 189. Con questo concorda perfettamente quella che abbiamo indicata propriamente come la teologia agostiniana del ' transitus '. Il transitus paschalis, il mistero pasquale del ' passaggio', per Agostino è prefigurato anzitutto in Cristo come « transire de hoc mundo ad Patrem » (Giov 13,1) e vien poi riprodotto nella Chiesa secondo le parole del Signore : « Qui credit in me, transit de morte ad vitam » (Giov 5,24) 190. E come Cristo prima della sua morte è stato lasciato solo come un isolato ' chicco di grano, ma dopo la risurrezione è stato moltiplicato ' nella sua Chiesa; così pure la Chiesa: dalla solitudine della sua morte terrena passerà alla vivificante molteplicità dell'eternità: « Singularis eras, Domine Jesu, donec transires; agnosco in alio Psalmo vocem tuam qua dixisti: singularis ego sum donec transeam. Singularis ergo eras, donec transires, singularis eras, cum agnovisti occasum tuum: sed ab occasu in ortum transisti, ortus es, splenduisti, clarificatus es, cum in caelum ascendisti » 191. Per la Chiesa è però una mirabile contraddizione la fine della mutevolezza terrena e l'eterno ' restare col sole ' 192 : viene ' assorbita ' nella luce eterna e nello stesso tempo ' resterà ' come un'eterna luna piena. Il testo di Sai 71,7, di cui Agostino dà ai suoi ascoltatori un'interpretazione tanto profonda, basandosi sul 189
Enarr. in Ps. 103, sermo 3, 19 (PL 37, 1373 BC) . Ep. 55, 1, 2 (CSEL 34. P· 171. 5-14). 191 Enarr. in Ps. 103, sermo 3, 26 (PL 37, 1377 D). 192 Enarr. in Ps. 71, 8 (PL 36, 906s). Cfr. soprattutto la spiegazione mistica della parola συμπαραμενεΐ, del testo dei LXX. 190
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testo greco, racchiude il mistero della contraddizione: άνταναφεθ-η significa tanto tollere quanto extollere, scomparire ed essere esaltato. « Hic ergo, si ' auferatur ' dictum intellexerimus, quid erit ' donec auferatur ' nisi efficiatur ut non sit? » 1 9 3 . La Chiesa, quindi, non esisterà più, perchè non esisterà più nessuna mutevolezza mortale, ma solo un'immortale e immutabile coesistenza col sole. La medesima parola significa anche ' esaltazione ' e perciò si deve dire che la Chiesa risplenderà eternamente nella gloriosa luce del plenilunio: « Sin vero vocabulo lunae non mortalitas carnis per quam nunc transit Ecclesia, sed ipsa omnino Ecclesia significata est, quae permaneat in aeternum, ab hac mortalitate liberata, ita dictum accipiendum est: orietur in diebus eius iustitia et abundantia pacis donec extollatur luna, tamquam diceretur: ... fiet pax in tantum crescens et abundans, donec Luna extollatur, id est elevetur Ecclesia, per gloriam resurrectionis cum illo regnatura » 194. Con l'esposizione dell'ecclesiologia lunare di S. Agostino abbiamo definito la forma, divenuta poi classica per tutto il medioevo, dell'allegorismo ideato per la prima volta da Origene e trasmesso da Ambrogio al mondo occidentale. Quel che viene appresso non è che un'eco di Ambrogio e di Agostino 195 . I concetti 193 Enarr. in Ps. 71, 10 (PL 36, 908 AB). Già prima in Ep. 55, 6, 10 (CSEL 34, p. 180, 18) Agostino aveva tradotto ο letto in altra ver sione: « Quoadusque interficiatur luna». 194 Enarr. in Ps. 71, 10 (PL 36, 908 C). 195 Solo GIROLAMO costituisce un'eccezione, in quanto in lui è in qualche modo percepibile lo schema già indicato da Origene. Egli espone la teologia della Chiesa che diminuisce e va incontro al plenilunio dell'eternità, e ciò con riferimento a Sai 71,5 e Cant. 6,9, citando pure gli antichi astronomi e perfino un verso della Georgica
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
vengono raccolti in glosse e citazioni. Al massimo il grande schema fondamentale tracciato da Origene riluce ancora una volta nel Commentario al Cantico dei Cantici attribuito a Tommaso d'Aquino 196. Il medioevo non ha assegnato nessun ruolo, né spirituale né sistematico, alla teologia della Chiesa morente, come, in genere, all'ecclesiologia. di Virgilio: Comment. in Isaiam 18, 66 (PL 24, 674 C D ) . Cfr. anche il suo In Amos comment. (PL 25, 1029 C ) . - C o n gli stessi concetti e le stesse parole di Ambrogio e di Agostino predica poi MASSIMO DI T O R I N O , presentando ai suoi fedeli, contro la loro superstizione lunare, il mistero della vera luna, della Chiesa (PL 57, 486.488). Soprattutto ISIDORO DI SIVIGLIA, De natura rerum 18, 4.6 e 21, 3 (PL 83, 991 C; 994 B ) , trasmette, insieme con le antiche cognizioni - derivate in gran parte dal misticismo astrale di Macrobio - sulle fasi astronomiche della luna, anche le affermazioni di Ambrogio e di Agostino. Sotto questa luce si deve spiegare la predilezione dell'arte carolingica per le raffigurazioni del sole e della luna vicino alla croce; il sole, infatti, ' si vergogna ' di vedere il Signore crocifisso, come già aveva detto Girolamo (PL 25, 1082 C; PL 26, 212 A), e la luna è ' in pena ', ' sospira ' in vista della redenzione, si copre il capo perché il sole tramonta, come abbiamo letto in A m b r o g i o e in Agostino. Anche nella Disputatio iudaei cum christiano di GISLEBERTO DI WESTMINSTER la luna è presentata accanto alla croce : « Fugientem semipuellam lugubrem semumque lucis suae cornu occultantem» (PL 159, 1034 Β ) . Cfr. L. HAUTECOEUR, Le Soleil et La Lune dans les crucifixions in Revue archéologique 2 (1921) 13; J. PVEIL, Christus am Kreuz in der Bildkunst der Karolingerzeit, Lipsia 1930, ρ. 98ss. 196 Cfr. W . VREDE, Die beiden dem hl. Thomas von Aquin zuge schriebenen Kommentare zum Hohen Liede, Berlino 1903. - N e l sesto capitolo (edito in Opera Omnia S. Thomae Aquinatis, Parma 1863, v. XIV, p. 377) è compendiata molto bene la tradizione patristica: « Ecclesia pulchra est ut Luna quia claritate Sponsi sui illuminatur et eius gratia resplendet. Sive pulchra est ut Luna in praesenti vita, ubi aliquando concessa sibi pace et securitate crescit, aliquando adversitatibus obscurata decrescit. Electa ut Sol in alia vita, ubi perpetuo splendebit visione Conditoris sui ». - Cfr. anche H. RIEDLINGER, Die Makellosigkeit der Kirche in den lateinischen Hohenliedkommentaren des Mittelalters, Münster 1958; IDEM, Maria und die Kirche in den marianischen Hohenliedkommentaren des Mittelalters in Maria et Ecclesia 3 (1959) 242-289.
LA CHIESA MORENTE
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Nella seconda parte di questo studio dobbiamo esporre la misteriosa vita soprannaturale che scaturisce dalla morte della Chiesa in Cristo e che si sviluppa attraverso la grazia battesimale e l'illuminazione dell'anima: «Luna vero habente gubernationem et administrationem auctoritatis aquae et Spiritus Sancti, qui a Christo Ecclesiae tamquam Lunae donatus est donec rursus exortus fuerit Christus Sol iustitiae » 197.
1,7 ANASTASIO SINAITA, Anagogica contemplano in Hexaemeron 4 (PG 89, 903 D).
2.
LA CHIESA PARTORIENTE
«Υδραγωγός έν συνόδω ή Σελήνη» 1 : «Nel no vilunio Selene diviene dispensatrice d'acqua ». In queste parole, tratte dall'antica tradizione, EUSEBIO coglie i concetti che introducono alla seconda parte del nostro studio. Nel sinodo, nell'amorosa oscura ed annientante unione con Elio, Selene diventa ' dispensatrice d'acqua ' e riceve cosi dal sole la virtù di alimentare e promuovere sulla terra ogni crescita, diviene regina e madre di tutto ciò che nasce sulla terra. La speculazione lunare dell'ellenismo nei suoi molteplici aspetti ha avuto anche in questa parte un notevole influsso sulla teologia dei Padri della Chiesa. I Padri hanno intonato il loro canto funebre alla Chiesa solo per poterne poi celebrare con maggior slancio ed eloquenza la fecondità materna e la forza vivificante. Il concetto dommatico che questa parte della simbologia lunare sottintende non è che la struttura fondamentale della teologia, quale ci appare già dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere paoline: la vita dell'anima trae 1
EUSEBIO, Praep. evang. 3, 12 (PG 21, 209 A).
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L ' E C C L É S I O L O G I A D E I PADRI
origine dalla morte di Gesù, datore di spirito, come la risurrezione segue alla croce e all'esaltazione della croce. Il principio vitale della Chiesa è la continuazione mistica della vita di Gesù, della vita spirituale che segue alla morte. E come Gesù nella sua esaltante morte di croce si rivelò qual Messia datore dello Spirito ed esaltato in virtù della sua morte riversò sulla carne l'acqua viva dello Spirito: così ora anche la Chiesa per la sua continua comunione con la morte di Cristo è mediatrice dello Spirito, la grande ' dispensatrice d'acqua ' nel mondo, la madre universale della vita. Già da questa struttura dommatica fondamentale si può capire come mai lo sguardo dei Padri, attratto dai simboli, si levi ancora verso Selene, chiamata a chiarire con i suoi misteriosi rapporti ο influssi il mistero della Chiesa. Non più per il solo rapporto con Elio, Selene è un'immagine della Chiesa, sposa di Cristo; essa è pure materna mediatrice tra l'intensa e sfolgorante luce del sole e la terra buia; è dispensatrice della notturna rugiada, signora e madre di tutto ciò che nasce e cresce. La luna è quindi un simbolo appropriato della Chiesa, materna mediatrice, dispensatrice della vivificante acqua battesimale, signora e madre d'ogni generazione spirituale. A proposito di questa simbologia, che nelle concezioni e nelle espressioni della Sacra Scrittura non trova più nessun riscontro, è necessario, più ancora che per la prima parte di questo lavoro, dare uno sguardo generale alla mitologia lunare ellenistica.
LA CHIESA PARTORIENTE
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1. ANTICHE FONTI
Nel quadro cosmico dell'antichità Selene è un astro che, pur appartenendo alla sfera dei luminari del cielo invariabilmente sospesi al di sopra del mondo, è tuttavia ' vicinissimo alla terra ' ed ha quindi in sé qualcosa di umano, è più di tutti gli altri vicino alla realtà terrena. Lo scritto L'anima del mondo, erroneamente attribuito a TIMEO DI LOKROI, chiama la luna ποτιγειοτάτα 2. Nelle speculazioni dei PITAGORICI sull'armonia delle sfere questo concetto svolge un compito impor 3
tante . POSEIDONIO e gli ultimi PLATONICI l'hanno
perfezionato: Selene è la grande mediatrice tra il puro mondo spirituale delle stelle fisse e il buio mondo della sensibilità terrena. Essa è il μέσον nell'armonia della sinfonia universale, perché in considerazione della sua posizione intermedia tra il divino e il terreno comunica tutte le grazie e i beni che vengono effusi sulla terra dal supremo reggitore del mondo, come dice APULEIO in perfetto accordo con lo scritto pseudoaristotelico Il mondo 4. Il compito di Selene è dunque, 5 per usare una parola di PLUTARCO, il συναρμόττειν . Qui trova la sua spiegazione anche la singolare specu lazione degli STOICI, che designavano Elio come il 2 PS.-TIMEO DI LOKROI, Περί ψυχας κόσμου (Mullach II, ρ. 40). - Cfr. anche CRISIPPO (Arnim II, p. 169, 7s): διατείνειν τήν άπ'αυτής (σελήνης) δύναμιν εις τα περίγεια. 3 Cfr. Ε. PFEIFFER, Studien zum antiken Sternglauben (Stoicheia II), Lipsia 1916, ρ. 119ss. 4 APULEIO, De mundo 25 (Hildebrand II, p. 401); cfr. anche ivi 27 (II, ρ. 408). 5 PLUTARCO, De Iside et Osiride 54 (II, Bernardakis, p. 528, 8s).
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
' cuore del mondo ' 6 e Selene come il ' fegato ', il ' filtro dell universo ' 7. Come il fegato occupa una posizione intermedia tra il cuore e le viscere, dice 8 PLUTARCO, così Selene tra il sole e la terra . Egli ha tratto questo concetto da SENOCRATE, secondo il quale Selene è mediatrice tra l'Olimpo e la terra 9. Si verifica quindi tra il lontano celeste Elio e l'oscura terra un misterioso scambio di rapporti vitali, mediati dalla luna. Selene rappresenta come il ' milieu ' di questa possibilità di vita per tutto quel che nasce e cresce sulla terra, quella vivificante e delicata atmosfera di cui parla CICERONE: « Illud nescio quid tenue, quod sentiri nullo modo, intelligi autem vix potest, quae a Luna ceterisque sideribus caeli temperatio fiat » 10. La semplice osservazione della natura, sulla quale erano fondate le concezioni scientifiche dei popoli primitivi, ha potuto già notare che la crescita delle piante e degli animali sulla terra, i fenomeni dell'alta e bassa marea, le condizioni fisiologiche della donna, hanno un qualche rapporto con i fenomeni lunari. E se nelle chiare notti di luna cade la feconda rugiada, se il mare s'ingrossa in singolare concomitanza con la luna, per il pensiero 6 PLUTARCO, De facie in orbe Lunae 15 (V, Bernardakis, p. 424, 24ss): ήλιος καρδίας ϊχων δύναμιν. Sol cor caeli: MACROBIO, Somn. Scip. I, 20, 6 (Eyssenhardt, p. 553, 20ss). - Sol cor mundi: CALCIDIO, Comment. in Tim. Plat. (Mullach II, p. 204). - Cfr. anche K. REINHARDT, Kosmos und Sympathie, pp. 331.338. 7 Cfr. L. BRÉHIER, La cosmologie stoicienne a la fin du paganismi in Revue de l'Histoire des Religions 63 (1911) 1ss. 8 PLUTARCO, De facie in orbe Lunae 5 (V, Bernardakis, p. 407, 10ss). 9 Cfr. E. PFEIFFER, op. cit., p. 120s; J. KROLL: Breslauer Abhadlungen V, 7 (1894) 108s. - Sulle speculazioni degli gnostici intorno al μέσον cfr. A. BAUMSTARK: Z.f. d. mutest. Wiss. 13 (1912) 307.312. 10 CICERONE, De divinatione II, 45, 94 (Müller, p. 230, 22-25).
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mitologico degli antichi era perfettamente chiaro che Selene esercita il potere sulle acque. La riflessione scientifica si è impossessata di queste immaginazioni soprattutto nel sistema cosmico degli Stoici. Selene esercita il suo dominio sulle acque anzitutto perché si nutre del ' vapore acqueo ' della terra. Così affermano già CLEANTE 11 e CRISIPPO 12 e dopo di loro PLUTARCO 13 e CICERONE 14. Da questa necessità vitale deriva alla vicina luna l'affinità di natura con l'acqua. Essa è però vicina anche al sole e riceve quindi da Elio gli acuti ed essiccanti raggi, che si mescolano con l'acqua terrena; e così Selene emette nel chiarore notturno anche la fruttifera rugiada, ' umida e calda ' a un tempo 15. Con questo concetto ci veniamo a trovare proprio al centro della mitologia lunare ellenistica. Nel sistema pitagorico delle relazioni elementari la combinazione ' umido-caldo ' svolge un ruolo essenziale, qual fondamento d'ogni vita 16. Anche Selene è composta di 11
CLEANTE (in CICERONE, De nat. deorum III, 14, 37) ; (Armin I,
ρ. 112, 20). 12
In STOBEO (Wachsmuth I, p. 219, 24-26. Cfr. anche Arnim II, ρ. 199, 31)- - Anche PORFIRIO, De antr. nymph. 11 (Nauck, p. 64, 3-5), riproduce questa tesi degli stoici: τοις... άπο της Στοάς ... τρέφεσ·9·αι έδόκει σελήνην έν των πηγαίων και ποταμίων υδάτων. 13 PLUTARCO, De /acte in orbe Luttae 25, (V, Bernardakis, ρ. 457, 23) ; De Iside et Osiride 41 (II, Bernardakis, ρ. 514, 15-18). 14 CICERONE, De nat. deor. II, 16, 43 (Piasberg p. 65, 10ss); III, 14, 37 (Piasberg p. 132, 3). 15 Cfr. PLUTARCO, De fade in orbe Lunae 25 (V, Bernardakis, p. 452, 24s e p. 453, 1-11). 18 Così si esprimeva già il pitagorico FILOLAO (VS4 32 A 18), che deduce dalla combinazione di caldo e umido anche la distruzione finale della terra: το μην έξ ουρανού πυρός ρυέντος, το δέ έξ ύδατος σεληνιακού, περιστροφή τοϋ αέρος άποχυθέντος καί
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
freddo e di caldo, d'aria umida e di fuoco, perché se da una parte si nutre del vapore acqueo della terra, dall'altra riceve il fuoco ardente di Elio 17. L'acqua lunare è perciò ' tiepida ' e quindi vivificante 18. Quanto è stato costatato da ARISTOTELE e TEOFRASTO nell'osservazione scientifico-naturale della ' umida luce ' della luna 19, vien portato nella Stoa 20, e soprattutto in posEiDONio e PLUTARCO, ad un significato misticonaturale: secondo loro, proprio per questa natura caldoτούτων είναι τάς αναθυμιάσεις τροφας τοϋ κόσμου. Cfr. l'esposizione dettagliata di questa speculazione pitagorica in IP POLITO, Elenchos 1, 2 (GCS Hippolyt III, ρ. η, 4-13); ivi 1, 9 (GCS Hippolyt IH, p. 15, 20-24).- Riguarda il medesimo tema anche quanto vien detto in CLEMENTE ALESS., Protr. 1, 5, 1 (GCS Clemens Ι, ρ. 6, 3-6), sull'armonia dell'universo risultante da ' caldo e umido ', da lidia e dorica melodia. ' Caldo e umido ' è fecondo ; secondo PLUTARCO, De Iside et Osiride 33 (II Bernardakis, p. 505, 10-16), il cuore è perciò ' caldo e umido ', e l'Egitto col suo caldo-umido e fecondo fango del Nilo è il ' cuore del mondo '. Cfr. infine IPPOLITO, Elenchos 5, 7 (GCS Hippolyt III, p. 80, 2s), dove si parla della gnosi naasseniana del Nilo, fecondo per il suo umido calore. Cfr. A. HERMANN, Der Nil und die Christen in Jahrchbu f. Antike und Christentum 2 (1959) 30-39. 17 PARMENIDE (VS4 18 A 37) dice che la luna è συμμιγή ... τοϋ τ'αέρος καί τοϋ πυρός; cosi pure POSEIDONIO (Arnim II, ρ. 198; i8s). - FILONE, De somniis I, 145 (Wendland, p. 236, p.6); APULEIO
De mundo 16 (Hildebrand II, ρ. 379) : « Selas autem Graeci vocant incensi aeris lucem ». 18 Sull' ' acqua lunare ' cfr. H. USENER, Kleine Schriften (Prof. Haupt und die Lukanscholien), v. II, Lipsia 1913, ρ. 252. Cfr. Lucani Commenta Bernensia, ed. Η. Usener, Lipsia 1869, pp. 47, 17 - 48, 5. 19 ARISTOTELE, Probi. 24, 14 (937 b 3): (το ΰδωρ) υγραίνει ώσπερ το της σελήνης φως. De gener. anim. 4. 10 (777 b 26-28): διό συμβάλλεται (ή σελήνη) εις πάσας τάς γενέσεις καί τε λειώσεις· καί γαρ θερμτήτες καί ψύξεις ... ποιοΰσι τας γενέσεις. - TEOPRASTO, De caus. plant. 4, 14, 3 (Wimmer, ρ. 263, 36ss): καί πανσελήνοις δε μαλλον (έρυσίβη γίνεται) δτι συ νεργεί καί ή σελήνης θερμότης καί δλως ό άήρ υγρότερος 20 Cfr. ZENONE (Arnim Ι, ρ. 34. ΙΜ3>. Per la dottrina della Stoa sulla tiepida acqua lunare, cfr. RE XVI, 1 (1913) e. 104, 20ss (W.
GUNDEL).
LA CHIESA PARTORIENTE
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umida la luce lunare è un principio generativo, luce ' femminile ', ' fuoco tenero '. Plutarco parla espressamente del ' calore umido ' della luce lunare e l'attribuisce alla ' feconda e femminile umidità ' 21. Egli (e molti altri dopo di lui) insiste specialmente sul fatto che la luce lunare riscalda e inumidisce ' lentamente ' (ήρεμα) 2 2 . PLINIO ripete gli stessi concetti. Il calore solare divora l'acqua, ma la luna la rigenera : « Aquas sole devorante, luna pariente » 2 3 . Al contrario di quella del sole, la luce della luna è calda ed umida: «E contrario ferunt Lunae femineum ac molle sidus atque nocturnum solvere umorem et trahere, non auferre » 24 . Ciò ritorna naturalmente e nella medesima forma nel ripetitore di Plutarco, MACROBIO, che parla del « lunare lumen, in quo non est manifestus calor sed occultus tepor, magis difFundit humecta » 25. Nell'obiezione egli fa esporre ancor meglio dal suo Eustazio la teoria stoica della caldo-umida luce lunare, cui è dovuto il crescere e il corrompersi dei corpi terrestri : il potere di spandere l'umidità non deriva solo dal poco calore della luna, «sed nescio quae proprietas, quam Graeci ιδίωμα 21 PLUTARCO, De facie in orbe Lunae 2$ (V, Bernardakis, p. 456, 7ss) : il calore della luna non è πυρώδης άλλα μαλακή και ύδροποιός. Dalla luna non esce un calore essiccante, ma una luce « femmi nilmente morbida e umida », in cui prosperano le piante, nascono gli uomini, si gonfia l'oceano (ivi, p. 456, 9-16) : ΰγρότητος SI πολλά καΐ Φηλύτητος, αυξήσεις φυτών ... εύτοκίαι γυναικών. Cfr. anche De facie in orbe Lunae 21 (V, p. 443, 4ss): il calore lunare non è scottante, ma umido e innocuo: ού διακαούς ουδέ μανικούς πυρός άλλα νοτεροϋ καΐ άβλαβους. 22 PLUTARCO, Quaest. conv. 3, 10, 2 (IV, Bernardakis, ρ. 133, 6s): την γάρ σελήνην ήρεμα χλιαίνουσαν άνυγραίνειν τα σώματα. 23 PLINIO, Nat. hist. XX, 1, 1 (Mayhoff III, p. 302, io). 24 Ivi, II, 101, 223 (Mayhoff Ι, ρ. 215, 9ss). 25 MACROBIO, Sat. VII, 16, 18 (Eyssenhardt, p. 461, 24ss).
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vocant et quaedam natura inest lumini, quod de ea defluit, quae humectet corpora et velut occulto rore madefaciat, cui admixtus calor ipse lunaris putrefacit cameni, cui diutule fuerit infusus » 26. Nel medesimo senso anche FILONE parla della ' luce femminea ' di Selene, che spande la feconda rugiada e come una madre nutre tutti i viventi col suo latte, riscaldando lentamente e teneramente tutto ciò che cresce 27. Ora comprendiamo perché anche APULEIO ha potuto parlare del ' fuoco umido ' della ' femminea luce lunare ' 28. Connettendolo col paragone fatto da Filone fra l'acqua lunare e il latte materno, possiamo percepire il senso di quanto NONNOS nei suoi Dionysiaca dice con slancio poetico di Selene : « Quando Mene spande nuovamente in alto l'umido bagliore dei corni raggianti e dal padre Elio vien munto l'originario fuoco » 29. Quanto il poeta ha qui espresso nella sua lingua è stato inciso da TOLOMEO nel Tetrabiblos in un adagio pacificamente accolto 26
Ivi (p. 462, 3-9). FILONE, De prov. II, 77 (Aucher p. 96: Arnim II, ρ. 200, 4-9): « Lunae phasibus speciatim fructus nocte quodam m o d o maturescere videntur; debiles namque et magis femineos emittens splendores necnon serenos (aut rore praeditos) optime lactat enutriendo et adaugendo; quandoquidem nimius violentusque calor exsiccando arescere facit; qui vero absque exustione est, leniter ac paulatim calefaciendo solet perficere ». 27
28 APULEIO, Metamorph. XI, 2 (Hildebrand Ι, ρ. 985, 8): « Umidis ignibus nutriens laeta semina ». Dall'insieme delle idee qui esposte intorno al ' fuoco umido ' della luna, risulta chiaramente che la lezione undis, presentata da Helm, 3 ed. (1931), è errata; quella giusta è invece umidis (ignibus), offerta da Giarratano (1929). 29 N O N N O S , Dionysiaka V, 162-166 (Ludwich Ι, ρ. II2). - Cfr. anche GIOVANNI LIDO, De mensibus II, 7 (Wünsch ρ. 23, 20s), il quale informa che i fisici ascrivevano il secondo giorno della creazione a Selene, perché questa è ' umida e calda ' : ύ γ ρ α ι ν ο ύ σ η τε ά μ α καί μ ε τ ρ ί ω ς θερμαινούστ).
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per ben quindici secoli, secondo il quale la natura caldoumida della rugiada è dovuta alla posizione intermedia di Selene tra la terra e il sole: ή σελήνη το μεν πλέον έχει της δυνάμεως έν τφ ύγραίνειν ... κεκοονώκηκε δε ήρεμα καί τοϋ θ-ερμαίνειν30. Un particolare 30
TOLOMEO, Tetrabiblos 1, 4 (ed. Basii., 1535, ρ. Ι7). - Natural mente fanno parte di questo contesto tutte le antiche rappresentazioni letterarie e artistiche della Selene-Luna in relazione con l'acqua, con le fonti e con l'oceano. Cfr. la documentazione in W. H. ROSCHER, Mythol. Lex. II, 2 (1894/97) cc. 3119-3200 (Mondgöttin) e in ROSCHER, Selene und Verwandtes, ρ. 44ss. - Soprattutto Iside, considerata dèa lunare, ha rivestito le caratteristiche, originariamente niente affatto d'indole egiziana, di Signora dell'acqua fecondatrice e del mare. Oltre alle testimonianze raccolte da Roscher, cfr. anche l'iscrizione di Iside, proveniente da Chio in Bitinia (CIG 3724): «Ti saluto... beata dèa e madre, Iside dai molti nomi, che il cielo ha generato sulle lucenti onde del mare ... che qual divina signora regge la terra e i mari, che tutto vede. Tu hai donato agli uomini molte cose buone ». Cfr. RE IX, 2 (1916) cc. 2112.2116s ('Isis' di ROEDER). - Accenniamo qui infine solo brevemente ai concetti intorno alla ' nave lunare ', strettamente legati alla relazione tra Selene e l'acqua. Già ERACLITO aveva descritto la luna come una barchetta (VS4 12 A 12); RE XVI, c. 80, 36ss (W. GUNDEL). Sulle raffigurazioni babilonesi della luna come barca, cfr. H. USENER, Die Sintflutsagen, Bonn 1899, pp. 130. 133; P. D. CHANTEPIE DE LA SAUSSAYE, Lehrbuch der Religionsgeschichte, 4 ed., Tubinga, Α. Bertholet e E. Lehmann, 1925, ν. Ι, ρ. 546. - Sulla luna, considerata nei misteri ellenistici come nave luminosa, cfr. R. REITZENSTEIN, Die hellenistischen Mysterienreligionen, Lipsia 1927, p. 54. - Sul mistero di Iside e la navigazione, cfr. APULEIO, Metamorph. XI, 16 (Hildebrand Ι, ρ. 1041). - Elio e Selene si servono delle navi per le loro rivoluzioni, perché traggono la propria esistenza e il nutrimento dall'acqua: PLUTARCO, De Iside et Osiride 34 (II, Bernardakis, p. 505, 17-19). - Tutto ciò può aver contribuito alla formazione della dottrina, tanto importante per la cosmografia dei manichei e la loro dottrina della redenzione, che definiva la luna come nave luminosa fatta di « acqua buona ». Su queste idee ci informa ampiamente AGOSTINO. Cfr. Epist. 55, 4, 6 (CSEL 34, p. 175, 17 p. 176, 9); Liber de haeresibus 46 (PL 42, 35): « Naves autem illas, id est duo caeli luminaria, ita distinguunt, ut Lunam dicant factam ex bona aqua, Solem vero ex igne bono ». Cfr. RE Suppl. VI (1935) e. 255, 30SS (' Manichäismus ' di POLOTSKI).
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aspetto del dono dell'acqua da parte della luna è rappresentato dall'idea, tanto cara al pensiero greco, di Selene guai dispensatrice della notturna rugiada. Le vivificanti e feconde gocce di rugiada, che cadono scivolando silenziosamente nella radiosa notte del plenilunio, devono aver insinuato nel pensiero mitologico che questa rugiada proviene dall'abbondanza dell'acqua lunare. Nelle chiare notti di luna la rugiada cade dolcemente sulla terra assetata. Δροσό βολεί γαρ ταΐς πανσελήνους μάλιστα, dice PLUTARCO 3 1 . Non altri menti PLINIO : « Ne noctibus quidem nisi serenis et omni aura quiescente, quoniam neque in nube neque in flatu cadunt rores » 3 2 . Da Macrobio sappiamo con più precisione che tutto ciò è in stretto rapporto col plenilunio come anche col sinodo del novilunio : « Aer ipse proprietatem lunaris humoris et patitur et prodit. Nam cum Luna piena est vel cum nascitur (et tunc enim a parte qua sursum suspicit piena est) aer aut in pluviam solvitur aut si sudus sit multum de se roris emittit » 33 . Su questo tema MACROBIO cita un verso del lirico ALCMANE 34, che già Plutarco ci aveva conservato nel medesimo contesto 35, e che ci indica come abbia assunto un'espressione mitica la volgare osservazione naturale dell'origine dell'acqua lunare dal sinodo tra Elio e Selene. La rugiada, ossia la sua personificazione in Erse, è figlia di Zeus e di Selene: 31
PLUTARCO, Quaest. conv, II, 10, 3 (IV, Bernardakis, p. 136, 7s). PLINIO, Nat. hist. 18, 292 (Mayhoff III, p. 224, 4-6). MACROBIO, Sat. VII, 16, 18 (Eyssenhardt p. 463, 17ss). 34 Ivi: « Unde et Alcman Lyricus dixit rorem aeris et Lunae filium». 35 PLUTARCO, De facie in orbe Lunae 25 (V, Bernardakis, p. 456, 19). 32 33
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οία Διός θ-υγάτηρ "Ερσα τρέφει και Σελάνας δίας 3 6 . ' Rugiadosa ' è dunque un nome proprio di Selene, che è δοοσόεσσα 37 e roscida 3 8 . Dalla sovrabbondanza dell'acqua ' superiore ' ο ' celeste ' 39 essa manda la notturna rugiada. Selene è fatta veramente di celeste rugiada, come indica ancora la tarda definizione di MARZIANO CAPELLA: « (Luna) est globosum tenerumque corpus ex superiori roris levitate compactum instar speculi praenitentis adiaculati fulgoris » 40 . Da questo si può meglio comprendere perché il mistagogo Lucio nelle Metamorfosi di APULEIO ha potuto dire d'essersi svegliato, dopo l'apparizione notturna di Selene, « marino rore respersus » 41 . Dalla rugiada lunare proviene il miele, sacro ad Artemide 42, come pure la perla 43 . La vivificante rugiada svolge senza dubbio un ruolo 36 ALKMAN, fragni. 43 (Anthol. lyr. Graeca II, 5: Diehl, 1 ed., ρ. 23). Cfr. RE VIII, 1 (1912) cc. 1146-1149 ('Herse ' di SITTIG). 37 NONNOS, Dionysiaka 40, 376; 44, 221 (Ludwich II, ρ. 307. 393). 38 VIRGILIO, Georg. IH, 337 (Ribbeck I, p. 157). - Così anche STAZIO, Theb. I, 338 (II, 2, Klotz, p. 19): «Ronferà... biga (Titanis) (i. e. Lunae) ». 38 Sul concetto dell' ' acqua sopraceleste ' cfr. K. KERÉNYI, Astrologia Platonica in Archiv für Religionswissenschaft 22 (1923) 245.255; R. EISLER, Weltenmantel und Himmelszelt, Monaco 1910, v. II, p. 623. 40 MARZIANO CATELLA, De nuptiis Phil. II, 169 (Eyssenhardt p. 46, 8-11). 41 APULEIO, Metamorph. XI, 7 (Hildebrand I, p. 1006, 3). Cfr. anche ivi XI, 23 (Hildebrand Ι, ρ. 1071, i ) : «Purissime circumrorans abluit ». 42
Cfr. W. H. ROSCHER, Selene, p. 49, n. 199. - W. H. ROSCHER,
Nektar und Ambrosia, Lipsia 1883, p. 13ss. - Luna-miele nella liturgia mitraica: cfr. F. CUMONT, Die Mysterien des Mithra, ed. ted. a cura di G. Gehrich e K. Latte, 3 ed., Lipsia 1923, p. 100. 43 Cfr. H. USENER, Die Perle. Aus der Geschichte eines Bildes in Theol. Abhandlungen, K. Weizsäcker... gewidmet, 1892, p. 205 = H. USENER, Vorträge und Aufsätze, ed. Dieterich, Lipsia 1907, ρ. 222.
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L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI
importante anche nel culto di Iside 44 . Leggiamo in LUCIANO che i fantastici abitanti della luna si nutrono della rugiada lunare 45. Dalla pura osservazione naturale della caduta notturna della rugiada si sviluppa così tutto un mondo di mistiche raffigurazioni, fondate sul fatto che la caldo-umida acqua lunare è ' produttiva di vita ', come dice PLUTARCO nel suo opuscolo su Iside e Osiride: τήν μεν γαρ σελήνην γόνιμον το φώς και ύγροποιον εχουσαν ευμενή και γοναίς ζώων και φυτών είναι βλαστήσεσιν 4 6 . Ora ci appare più chiaro perché Selene, come abbiamo già spiegato nella prima parte, è l'inizio e il principio materno d'ogni crescita sulla terra: essa dona l'acqua feconda. In un inno babilonese al dio lunare Sin si cantava che questi era il « corpo materno che tutto genera » 47. Lo stesso concetto riaffiora (anche se alimentato da altre fonti ) nel pensiero greco. Secondo ARISTOTELE, Selene è il principio d'ogni generazione e crescita: συμβ 48 άλλεται εις πάσας τάς γενέσεις και τελειώσεις . Nell'unione sponsale con Osiride, Iside diviene « madre 44 Cfr. PORFIRIO, De abstinentia 4, 9 (Nauck, p . 242, 3-10), dove si parla dell'ugna ignita nel culto di Serapide e di Iside. Per quanto riguarda l'acqua divina del Nilo conservata nelle urne, la festa della navigazione della Ploiaphesia, il refrigerium dell'acqua viva nel culto di Iside, cfr. F. CUMONT, Die orientalischen Religionen im römischen Heidentum, 3 ed., A. Burckhardt-Brandenberg, Lipsia 1931, pp. 88. 89s. 251, nota 113. 45 LUCIANO DI SAMOSATA, Icaromenippus 13 (II, Jacobitz, p. 409, 18s). 46 PLUTARCO, De Iside et Osiride 41 (II, Bernardakis, p. 514. 2-4). 47 Cfr. H. ZIMMERN, Babylonische Hymnen und Gebete in Auswahl (Der alte Orient VII, 3), Lipsia 1905, ρ. II. - Su Sin in quanto divi nità lunare cfr. "W. RÖSCHER, Myth. Lex. IV (1909-1915) cc. 895 .912. 48 A R I S T O T E L E , De gen. anim. 4, 10 (777 b 26s).
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del mondo », come afferma PLUTARCO 49 . E nelle preghiere di FIRMICO MATERNO la luna è humanorum corporum Mater 50. Negli intricati racconti degli astrologi e degli interpretatori dei sogni si dà alla luna il significato di ' madre ', ο ' nascita ', ο ' forma del corpo ' 5 1 . Tutto ciò che vive su questa terra proviene dalla luna. La luna è « mortalium corporum et auctor et conditrix » 52 . Quest'idea fondamentale, che abbiamo solo accennato, presenta un ulteriore sviluppo: da Selene dipende soprattutto la crescita delle piante e degli animali. Bassa ed alta marea, minerali e pietre preziose, semina e raccolto, la scelta dei giorni propizi per importanti come ordinarie imprese: nelle credenze popolari come nelle dotte astrologie tutto vien fatto dipendere dalla luna e dalle sue fasi. La marea che segue il ritmo della luna, i molluschi che crescono nell'acqua quando la luna è in fase crescente, la semina che prospera se viene compiuta con la luna crescente: di questi problemi tutta l'antichità si è interessata con grande passione. Di ciò son pieni i trattati di agricoltura, di ricette mediche, e specialmente tutti gli opuscoli segreti degli astrologi. Come dice GUNDEL, si tratta in questo caso d'una «verità catechistica delle astrologie oracolisti49 PLUTARCO, De Iside et Osiride 43 (II, Bernardakis, p. 516,11s). Cfr. J. PASCHER, 'Οδός βασιλική. Der Königsweg zur Wiedergeburt und Vergottung bei Philon von Alexandreia, Paderborn 1931, p. 85. 50 FIRMICO MATERNO, Math. V, praef. (Kroll II, p. 3, 2s). 51 ARTEMIDORO, Oneir. 2, 36 (Hercher, p. 135, 16). Selene è qui espressamente designata come φύσει υγρά: 2, 36 (ρ. 136, 8) e 1, 8ο
(ρ. 81, 27). Cfr. anche FIRMICO MATERNO, Math. II, 19, 13 (Kroll I,
p. 65, 9-11) : « Sane patrem et in viri et in mulieris genitura Sol ostendit, matrem Luna ». 52 MACROBIO, Somn. Scip. 1, 11, 7 (Eyssenhardt, p. 528, 2Ss).
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che» . CICERONE ha raccolto nelle seguenti parole la concezione comune di questa mistica lunare derivata dalla filosofia naturale degli stoici: « Multa ab ea (luna) manant et fluunt quibus et animantes alantur augescantque et pubescant maturitatemque adsequantur quae oriuntur terra » 54. È importante presentare qui espressamente questo comune senso della natura, perché ci troviamo di fronte ad un concetto in parte scientificonaturale e in parte mitologico, apprezzato come pochi altri dal pensiero volgare della tarda antichità e contro il quale i Padri della Chiesa hanno condotto una lotta appassionata, per quanto essi non abbiano assunto da questo mondo di idee proprio gli elementi non sospetti, per trarne la loro simbologia dommatica della Chiesa. Dobbiamo intanto estrarre da questa mitologia lunare soprattutto un'idea che presenteremo nei dettagli, perché contribuisce in modo rilevante alla comprensione dell'ecclesiologia patristica: Selene è la signora di tutte le nascite. Fin dalla mitologia pitagorica Selene è il corpo celeste dal quale nascono le anime 55. Queste speculazioni hanno « interessato sempre per tutta l'antichità i filosofi, i poeti, i romanzieri e i mistici» 56 . Si potrebbe ottimamente definire questa tesi dell'antica mistica lunare con le parole di VARRONE: «Luna enim 53
54
Cfr. RE XVI, 1 (1913) c. 105, 7s (W. GUNDEL).
CICERONE, De nat. deor. II, 19, 50 (Plasberg, p. 69, 29-31). Per un'ulteriore documentazione cfr. oltre che W. H. ROSCHER, Selene, p. 61ss, anche RE 1 (1894) cc. 39-41 (' Aberglaube ' di RIESS) ; P. WENDLAND, Philos. Schrift, über die Vorsehung, Berlino 1892, pp. 70. 71, note 1 e 3 ; E. ROHDE, Der griechische Roman und seine Vorläufer, Lipsia 1914, ρ. 245, nota 1. 65 Così per primo FERECIDE (VS4 71 Β 6). " RE XVI, 1, c. 78, 25s (W. Gundel).
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nascentium dux » 57. E fa parte della sapienza degli stoici anche quanto leggiamo in CICERONE: «Luna... graviditates et partus adferat maturitatesque gignendi » 58. Od anche : « Ortus nascentium Luna moderatur » 59. Così invece CRISIPPO: durante il plenilunio le donne possono concepire: επειδή κατά μέν τας πανσελήνους νύκτας ... εύτοκώταται γίνονται, αϊ γυναίκες 6 0 . Ε SENECA ne dà conferma: « Num dubium est... quin ad huius (Lunae) cursum fecunditas humana respondeat? » 61. Questa idea è presente anche nell'antica astrologia orfica: quando Zeus si unisce con Selene produce questa materna azione generativa 62. Perciò in un periodo successivo la dèa Artemide, che originariamente non aveva alcun rapporto con la luna, è divenuta la dèa lunare 63 . Da essa dipende il figliare e il partorire come anche l'educazione dei bimbi: è la Λοχεία, la Lucina invocata dalle madri incinte 6 4 . E a ciò ben s'accorda anche l'etimologia del nome "Αρτεμις = Άεροτέμις, che troviamo in Macrobio 65 e che viene 57
VARRONE, De ling. lat. 5, 69 (Goetz-Schoell, p. 22, 16). CICERONE, De nat. deor. II, 46, 119 (Plasberg, p. 97, 23s). 59 CICERONE, De divinatione II, 43, 91 (Müller, ρ. 229, i l ) . 60 CRISIPPO negli Scoli omerici su Φ 483 (Arnim II, ρ. 212, 35-37)· 61 SENECA, De beneficiis IV, 23, 1 (I, 2, Hosius, p. 101, 2s). 62 Orphicorum fragmenta 286 (Kern 289). 63 Cfr. RE II, I (1896) c. 1354 (Artemide, divinità lunare). 64 EUSEBIO, Praep. evang. 3, 11 (PG 21, 204 A): Λοχία τε ή "Αρτεμις, καίπερ οδσα παρ-9-ένος, δτι ή της νουμηνίας δύναμις προσθετική εις το τίκτειν. Sul parallelismo Artemide-Selene, cfr. anche ORIGENE, Exh. martyr. 46 (GCS Origenes I, p. 42, 8). Cfr. pure RE II, 1, cc. 1. 1347s e 1343 (Artemide, dèa dell'acqua fruttifera e della natività). - Fin da VARRONE, De ling. lat. 5, 69 e PLUTARCO, Quaest. Rom. 77, si ha la denominazione di Lucina e Luna. Cfr. RE XIII, 2 (1927) c. 1651 (' Lucina ', di K. LATTE). 65 MACROBIO, Sai. VII, 16, 18 (Eyssenhardt, p. 642, 24SS). 58
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poi ripresa dai Padri della Chiesa 6 6 . Lo stesso si dica di Anaitide 67 e soprattutto di Iside. Nelle aretologie essa vien lodata ο si loda da se stessa come la forza sublime che unisce gli sposi e nella rivoluzione lunare fa crescere il frutto dell'amore 6 8 . Come abbiamo già visto, la forza maternamente operante di Selene è riconosciuta anche dalle ultime speculazioni del neo-platonismo. Perfino GIOVANNI LYDOS, un raccoglitore cristiano di vecchie notizie, può darci dei ragguagli su questa teoria e dice su ciò l'ultima parola: αρχή γενέσεως Σελήνη 6 9 : «Selene è principio generativo».
2. LA DOTTRINA DEI PADRI DELLA CHIESA
Per un'adeguata comprensione della teologia dei Padri della Chiesa intorno alla materna fecondità della Chiesa dobbiamo porci dinanzi a tutto quel mondo di idee che abbiamo appena presentato. Non che ogni singolo tratto di tale mitologia lunare abbia avuto il suo posto nel pensiero dommatico-simbolico dei Padri. Ma è certo che noi possiamo convenientemente valutare lo sviluppo e i lineamenti di tutte queste credenze 66
CLEMENTE ALESS., Strom. 5, 6, 37 (GCS Klemens 2, p. 351,
I2ss); EUSEBIO, Praep. evang. 3, 11 (PG 21, 204 A), come citazione da PORFIRIO; ANASTASIO SINAITA, Hexaemeron 1 (PG 89, 866 C). 67
Cfr. RE I, 2 (1894) c. 2030s (F. CUMONT); W. H. ROSCHER,
Mytk. Lex. I, 1 (1884/1886) ce. 330-334 (E. MEYER); F. CUMONT, Die orientalischen Religionen, ρ. 133. 68 Aretalogia di Iside, di Ios (Dittenberger, Sylloge 3, 1267): έ γ ώ γυναίκα και άνδρα συνήγαγα, έ γ ώ γυναιξί δεκάμηνον βρέφος ενέταξα. 69
GIOVANNI LIDO, De mensibus 4, 80 (Wünsch, p. 133. 8).
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solo se ne consideriamo la popolarità e la vividezza nel pensiero volgare come in quello scientifico. In favore di queste concezioni BASILIO si richiama espressamente alla Sacra Scrittura, che alla luna « attribuisce una così straordinaria e singolare forza» 70 . Ma se si prescinde forse da Sal 120,6, dove si parla dell'ardente attività notturna della luna, e dai due passi di Mat 4,24 e 17,15, in cui vien nominato il ' mal lunatico ', non si può trovare nella Sacra Scrittura nessuna testimonianza per quella specifica attività della luna, cui abbiamo accennato. L'ambiente dal quale deriva il simbolismo è genuinamente greco. Da un punto di vista negativo ciò risulta già dall'aspra polemica condotta fin dall'inizio dai Padri contro un'esagerata e idolatrica stima dell'influsso della luna sulla generazione e sulla vita. Già TEOFILO ANTIOCHENO vede nell'antica esegesi cristiana dell'Exaemeron una prova sicura: Dio ha creato i due luminari del cielo, il sole e la luna, nel quarto giorno, le semenze e le piante, invece, nel terzo giorno, e ciò per indicare che queste ultime non devono affatto - come pensavano gli ' stolti filosofi ' - la propria origine al sole e alla luna 71. Ciò indica assai bene anche quanto fossero vive allora le idee di cui abbiamo parlato. BASILIO ricorre al medesimo argomento: il sole e la luna non sono affatto «i creatori delle piante che germogliano sulla terra»; il sole è «più giovane dell'erba e dei ve70
BASILIO, Hexaemeron, hom. 6, 10 (PG 29, 144 B). TEOHLO ANTIOCHENO, Ad Autol. 2, 15 (Otto VIII, p. 100): επειδή ό θεός προγνώστης ών ήπίστατο τάς φλυαρίας τ ω ν ματαίων φιλοσόφων, 6τι ήμελλον λέγειν άπα των στοιχείων είναι τα της γης φυόμενα. 71
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getali» 72 . AMBROGIO lo ripete quasi testualmente 73. Il fatto che anche lo PS.-EUSTAZIO 74, CRISOSTOMO 75 e SEVERIANO DI GABALA 76 abbiano parlato di ciò espressamente sta a dimostrare che se si è fatto notare il pericolo d'un culto idolatrico dell'influsso lunare, non si è trattato in nessun caso d'una pura espressione letteraria, ma d'una esigenza apologetica vivamente sentita. I Padri erano preoccupati proprio di questo, di liberare cioè dalle superstizioni pagane le credenze popolari dell'influsso della luna sulla generazione e la crescita. D'altra parte era però naturale per il pensiero volgare come per quello scientifico-naturale che la luna esercitasse un misterioso influsso sulla nascita e la crescita di tutti gli esseri viventi sulla terra. Perciò i Padri studiarono con particolare diligenza le conclusioni delle scienze naturali, per dimostrare che l'influsso della luna non è una prova della natura divina di questa, ma piuttosto un segno della divina sapienza del Creatore, che ha dato alla luna questa ' grande forza ' 77. È a questo punto che tutta la ricchezza della mitologia lunare della tarda antichità entra nell'ambito del pensiero patristico. In Basilio e in Ambrogio comincia a esprimersi Plutarco. 72 BASILIO, Hexaemeron, hom. 5, 1 (PG 29, 96 Β): χόρτου καΐ βοτάνης νεώτερος. - Hom. 6, 2 (PG 29, 120 C). 73 AMBROGIO, Hexaemeron 3, 6, 27 (CSEL 32,1, p. 76, 25 - p . 77, 8) : « (Sol) iunior est herbis, iunior faeno ». 7 4 75 76
PS.-EUSTAZIO, Hexaemeron (PG 18, 713 C). CRISOSTOMO, In Gen. homil. 6, 4 (PG 53, 58s. 61). SEVERIANO GABAL., De mundi creatione Or. 3, 2 (PG 56, 448s).
77 BASILIO, Hexaemeron, hom. 6, io (PG 29, 144 B) : ύπερφυές τι ήν καί ύπερέχον δμυνάει. AMBROGIO, Hexaemeron 4. 8, 31 (CSEL 32, 1, ρ. 136, 6s): « Cum tantam vim mutationis habeat suae ».
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Le disquisizioni a noi note dalle Quaestiones convivales di PLUTARCO, e che ritornano poi quasi testualmente in MACROBIO, erano presenti anche al vescovo BASILIO nel momento in cui questi preparava la sua sesta omelia suH'Exaemeron. « Anch'io penso - egli dice - che i mutamenti della luna influiscano non poco sulla struttura degli animali e sullo sviluppo della vegetazione. Gli organismi reagiscono diversamente a seconda che la luna è calante ο crescente. Con la luna calante essi sono esili e vuoti, ma quando la luna cresce e s'av vicina al momento del plenilunio anch'essi riacqui stano la loro pienezza, e ciò proprio perché la luna effonde impercettibilmente nell'intimo degli esseri viventi una umidità mista a calore » 78. Ciò viene poi illustrato coi noti esempi di Plutarco. Se possiamo prestar fede alla tradizione, ancor prima di Basilio ATANASIO aveva espresso questi concetti sulla luce tiepida della luna, maternamente nutriente ed effusa qual celeste latte materno su tutto ciò che cresce sulla terra. Così pure FILONE D'ALESSANDRIA 7 9 . Anche EUSEBIO accoglie nella sua Praeparatio evangelica la concezione stoica dell'esigenza dell'acqua da par-
78 BASILIO, Hexaemeron, hom. 6, 10 (PG 29, 144 A) : οίμαι δέ και τη των ζ φ ω ν κατασκευή καί τοις λοιποϊς τοις άπο γης φυομένοις μη μικράν ύπάρχειν έκ της κατά σελήνην μεταβολής την συντέλειαν ... διότι ύγρότητά τίνα -9-ερμότητι κεκραμένην επί το βάθος φθάνουσαν λεληθότως ένίησι. 79 Cfr. sopra, ρ. 238, nota 27. - ATANASIO (?), Fragmente in Matthaeum (PG 27, 1388 D e 1389 AB) : ούσα γαρ (ή σελήνη) κατά φύσιν υγρά ... γαλακτοφαής ..., τή ύγρότητι καί τη ψυχρία πάντα τα φυτά ... ώς μήτηρ γνήσια δια της νυκτός έναγκαλιζομένη άναζωπυρεΐ ... 8&εν καί γαλακτοφαής έστιν, δτι, ώς μήτηρ τφ γάλακτι τρέφει το νήπιον, οΰτω και αΰτη τή πιότητι καί τή δρόσω μεγαλύνει τά σύμπαντα.
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te di Selene ο il pensiero di FILOLAO sull'acqua lu nare 8 0 . Come si vede, le antiche credenze intorno alla luna sono familiari anche ai Padri della Chiesa. L'autore del Commentario all'Exaemeron dello Pseudo-Eustazio ripropone espressamente l'antica dottrina, secondo la quale ogni germoglio sulla terra deve essere spiegato con la combinazione ' caldo-umido ' ο ' fuoco-acqua ' 8 1 . Della luna egli può affermare che essa ' trattiene e addolcisce ' i potenti raggi del sole e spande su tutti i viventi un umore caldo-umido 82. TEODORETO DI CIRO nel suo commentario ai Salmi insiste maggiormente sulla proprietà combustiva della luce lunare, cui egli crede che sia ovvio attribuire il dolce influsso dell'acqua lunare 83. E ancora l'apologeta armeno EZNIK DI KOLB, spiegando in modo semplice le espressioni della filosofia e dell'astrologia greca, si scaglia violentemente contro le credenze dei greci, che attribuiscono alla luna un influsso esagerato sul mare, sugli animali e sulle semenze 84.
80 EUSEBIO, Praep. evang. 15, 29.36 (PG 21, 1380 A; 1385 C; cfr. anche 1393 C). 81 PS.-EÜSTAZIO, Hexttemeron (PG 18, 713 C): νοτίδας γάρ συμμέτρως και θερμήν έχούσης της γης, το σπέρμα εις αυτήν καταβάλλεται.. Cfr. la figura letteraria in BASILIO, Hexaemeron, hom. 5, 3 (PG 29, 100 C): δταν εις γήν καταπέση το σπέρμα συμμέτρως νοτίδος και θερμής εχουσαν. 82 PS.-EÜSTAZIO, Hexaemeron (PG 18, 721 CD). 83
TEODORETO DI CIRO, Comment. in Ps. 120, 6 (PG 80, 1880 A) :
φασί την σελήνην μη μόνον ύγραν άλλα καΐ θερμήν είναι και καίειν ομοίως τω ήλίω τα σώματα. 84 EZNIK DI KOLB, Wider die Häresien (trad. ted. dall'armeno di S. Weber: Bibliothek der Kirchenväter 57, Monaco 1927, p. 137); cfr. ivi 1, 2 (ρ. 28).
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Una cosa appare ora chiara: questi concetti intorno alla luna erano tanto familiari ai Padri, che non dobbiamo meravigliarci se anche un tal complesso di credenze viene introdotto nella simbologia della ChiesaSelene. Ciò che ci colpisce è piuttosto il fatto che questo avvenga solo in misura modesta, e che non se ne parli affatto in Origene, il grande ideatore della simbologia cristiana, né in Agostino. Indagando sull'evoluzione di questa parte della nostra simbologia lunare noi ci troviamo a camminare per vie secondarie della patristica. Qui possiamo però conoscere meglio e più intimamente l'ambiente spirituale dell'ecclesiologia lunare, che già per altri motivi suscita vivo interesse. Dal modo in cui emerge e si perpetua l'idea di cui ci stiamo occupando, si deduce pure che non si tratta evidentemente dell'intuizione isolata d'un estraneo, ma d'una tesi incorporata studiosamente nella dommatica simbolica. Fu METODIO DI FILIPPI, nel suo Symposion - un vero antiquario della simbologia ellenistico-cristiana -, a sviluppare per la prima volta la teologia della Chiesa maternamente generante, a immagine della Selene donatrice d'acqua 85 . Le idee fondamentali le abbiamo già presentate nella prima parte. Ora la simbologia va avanti con passi arditi. Lo ' splendore pneumatico del plenilunio ' della Chiesa, il continuo crescere fino all'eterna pienezza, lo si consegue nell'incessante generazione dei figli spirituali, dei neofiti. L'attitudine a tale maternità soprannaturale deriva sempre alla Chiesa dall' unione nel novilunio col Sole Cristo, che sulla croce ha annientato sé stesso in un'estasi mistica, per 85
METODIO, Symposion 8, 6 (GCS Methodius, p. 88, 5-24).
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risorgere poi in una luce intramontabile. La Chiesa è dunque ' luna crescente ' ; cresce nei neofiti e in virtù della morte di Cristo, che si rinnova sempre misticamente : « Di giorno in giorno essa cresce in grandezza, in bellezza e in pienezza, grazie all'amoroso abbraccio del Logos che ancor oggi viene da noi e va in estasi quando noi celebriamo l'anamnesi della sua passione; in nessun altro modo la Chiesa potrebbe accogliere i fedeli e generarli al mondo in virtù del lavacro della rigenerazione » 86. Anche nell'interpretazione dell'ottavo sermone noi dobbiamo partire da questa teologia dell'estasi della morte in croce, che Metodio espone nel terzo sermone del Symposion. Il senso è qui perfettamente identico, benché sia ora più chiaro il nesso con l'ecclesiologia lunare : « Nello splendore del suo plenilunio spirituale la Chiesa illumina il neofita di sempre nuova luce nella ricorrenza dell'anamnesi della Passione, fino al gran giorno in cui sorgerà il sole e la luce perfetta» 87 . Il nesso dei concetti può apparir chiaro solo se ricordiamo che la morte di Cristo in croce vien considerata come ' tramonto del Sole ' (Sal 103,19) e che si è anche affermato che questo tramonto del Sole significa l'inizio della notte e il sorgere del luminare celeste « che presiede alla notte », ossia della Chiesa qual Selene spirituale. Perciò dall'annientamento di Cristo che tramonta, dall'unione con lui e dalla riproduzione continua 86
Ivi 3, 8 (p. 35, 20-24). Ivi 8, 6 (p. 88, 21-24): τήν πνευματικήν αύτοϊς πανσέληνον κατά τήν περίοδον τοϋ πάθ-ους καΐ τήν άνάμνησιν νέαν άεί παραφαινούσης, εστ'αν ή αυγή καί το φώς το τέλειον άνατείλη της μεγάλης ημέρας. 87
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di tale annientamento la Chiesa trae l'attitudine alla generazione e alla donazione dell'acqua. Si potrebbe ancora ricorrere, come alla chiave per la comprensione della teologia battesimale di Metodio, all'antichissimo detto greco: «Selene diventa dispensatrice d'acqua nel sinodo ». Grazie a quest'antica tradizione il testo, altrimenti incomprensibile, diventa chiaro, e possiamo anche percepirne la sublime bellezza. Riportiamo qui i passi più importanti, che dànno una spiegazione della visione apocalittica della donna sulla luna: « Essa sta sopra la luna. Con la luna - così io penso (la Scrittura) vuole indicare in modo figurato la fede di coloro che sono stati redenti dalla rovina in virtù del lavacro battesimale. Infatti la luce di Selene ha una certa affinità con l'acqua tiepida. E tutto ciò, nella cui sostanza v'è dell'acqua, dipende da Selene. La Chiesa, dunque - e Selene ne è una figura significativa - presiede alla nostra fede e alla nostra adozione a figli; e finché tutti i popoli non si saranno convertiti, essa patirà le doglie materne e generando trasformerà gli Psichici in Pneumatici. In questo senso essa è una vera madre » 88. « Tutto ciò che ha con l'acqua un qualche rapporto, dipende dalla luna ». Con questa frase riassuntiva di tutta la speculazione lunare greca, Metodio introduce la sua teologia del battesimo, scorgendo in essa anche un'espressione simbolica delle sue intuizioni dommatiche sui rapporti tra Chiesa e rigenerazione battesimale. Ancor più l'antica tradizione della tiepida acqua lunare gli offre l'opportunità di inserire questa tesi della mito88
Ivi 8, 6 (p. 88, 5-11).
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logia lunare ellenistica nella sua dommatica simbolica. E non è del tutto impossibile che sia stato spinto a ciò direttamente dalla prassi liturgica di riempire il fonte battesimale d'acqua tiepida nel battesimo per immersione 89. Più ancora vi ha contribuito il fatto che nel pensiero ellenistico il composto ' caldo-umido ' ha la proprietà della fecondità. C'era inoltre una credenza, 89 Cfr. F. J. DÒ'LGER, Aqua ignita. Wärmung und Weihe des Taufwassers in Antike und Christentum 5 (1936) 175-183. - Cfr. PS.-IPPOLITO, Fragm. in Cant.: TU 23, 2c (1902) p. 101, 25; lo Spirito Santo = « r i scaldandoci con l'acqua del fonte battesimale ». Si ricordi anche la antica spiegazione, derivante da raffigurazioni apocrife ma senza dubbio connessa con concetti della mitologia naturale ο con le pratiche liturgiche: il ' fuoco straordinario ' che divampa dall'acqua durante il battesimo di Gesù. Cfr. GIUSTINO, Dial. 88 (Otto II, p. 320) e le ulteriori testimonianze ivi contenute. Fra queste è di particolare interesse per il nostro assunto soprattutto il passo estratto dal racconto del battesimo di una liturgia siriaca (p. 321, nota 9 ) : « Q u o tempore adscendit ab aquis, Sol inclinavit radios suos ». Il fuoco nell'acqua battesimale è dunque luce solare: per questo l'acqua è fruttifera. Cfr. anche PL 12, 155 e PL 19, n o . - All'idea della ' tiepida ' acqua battesimale può aver condotto anche il fatto che si credeva che l'acqua battesimale fosse stata già ' scaldata ' dallo Spirito che si librava sull'acqua all'inizio della creazione. Fin da quando BASILIO, Hexaemeron, hom. 2, 6 (PG 29, 44 AB), richiamandosi all'autorità di Efrem Siro, aveva spiegato il librarsi dello Spirito sulle acque come « riscaldamento produttivo di vita », come un ' covare ', quest'idea era divenuta patrimonio comune, come sappiamo da AMBROGIO, Hexaemeron 1, 8, 29 (CSEL 32, 1, p. 28, 24SS), da GIROLAMO, Quaest. hebr. (PL 23, 939 A) e da AGOSTINO, De Gen. ad litt. 1, 18 (CSEL 28, p. 26, 25SS). Ciò s'accorda molto bene con la teoria greca sugli elementi, per la quale l'aria, il pneuma, è ' calda e umida ' (cfr. BASILIO, PG 29, 89 C ; AMBROGIO, CSEL 32, 1, p. 72, 5-8). Si può infine ricordare la mescolanza dell'acqua col balsamo che si pratica nella consacrazione dell'acqua battesimale. Secondo un'antica interpretazione, che si può rilevare spesso anche nella letteratura patristica, l'olio è ' caldo e umido ', ha una stretta affinità col fuoco, e perciò riscalda. Anche per questa ragione si può dunque dire che l'acqua battesimale, mescolata con l'olio dello Spirito, è ' tiepida '. - Anche il celeste mare di cristallo dell'Apocalisse è « mescolato col fuoco » (Apoc. 15,2).
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anticamente molto diffusa e accolta poi anche nella simbologia cristiana del battesimo, secondo la quale l'elemento dell'acqua, soprattutto sotto l'influsso del calore del sole e della luna, è già di per sé produttivo di vita, onde i credenti sono i ' pesciolini ' generati verginalmente dal mare della Chiesa90 - come nel quinto giorno della creazione, dopo la creazione del 90 Q u i si può accennare e documentare solo brevemente questa idea fondamentale per la teologia della Chiesa e del battesimo. Si dovrebbe scrivere un'intera ' teologia dell'acqua ' della Chiesa primitiva, a cominciare dalle laudes acquae di TERTULLIANO (De bapt. 3). Ciò si avrà in parte nello studio che seguirà, ANTENNA CRUCIS, col quale sia la presente ricerca sia quella sulla ' nascita di Dio ' verrà integrata con una sintesi di ecclesiologia patristica. - O g n i vita deriva dall'umido, dall'acqua spiritualmente riscaldata: questa è la prima massima di ogni teologia patristica del battesimo, ed è connessa con le antiche concezioni. Cfr. quanto dice IPPOLITO, Elenchos 1, 8 (GCS Hippolyt III, p. 14, 24) di Anassagora: ζ φα δέ τ ή ν μ η ν α ρ χ ή ν έν ύ γ ρ φ γ ε ν έ σ θ α ι , μ ε τ ά τ α ϋ τ α 8 έ έ ξ α λ λ ή λ ω ν . L a sua idea persona le, che fu poi accolta universalmente nella spiegazione dell'Exaemeron nella Chiesa antica, si trova in Elenchos io, 33 (p. 289, 20-22): έ ξ ύ δ α τ ο ς δ έ ζ ω α ... ε ί ν α ι ... ο ύ τ ω γ α ρ έ κ έ λ ε υ σ ε ν ό θ ε λ ή σ α ς θ ε ό ς γ ό ν ι μ ο ν ε ί ν α ι τ ή ν ύ γ ρ α ν ο ύ σ ί α ν . Ciò era già presente, velatamente, nelle famose frasi di TERTULLIANO, De baptismo 1 (CSEL 21, p. 201, 13s): « I n aqua nascimur nee aliter quam in aqua permanendo salvi sumus»; De bapt. 3 (p. 203, i o s ) : «Primus liquor quod viveret edidit, ne m i r u m sit in baptismo, si aquae animare n o verunt ». - Cfr. anche le parole, certo retoriche ma n o n per questo meno significative, di BASILIO, Hexaemeron, hom. 7, 1 (PG 29, 148 B) : π ο τ α μ ο ί ε ν ε ρ γ ο ί , λ ί μ ν α ι γ ό ν ι μ ο ι , ή θ ά λ α σ σ α ώ δ ι ν ε . - Tale concetto ha un'espressione di particolare bellezza in SEVERIANO G A BALO, De mundi creatione Or. 4, 2 (PG 56, 458): π ρ ώ τ ο ι ς ε π ι τ ρ έ π ε ι (θεός) τ ο ι ς ο δ α σ ι ζ ω ο γ ό ν ο ν π ρ ο ε ν έ γ κ α ι φ ύ σ ι ν , ί ν α μ ά θ η ς π ό θ ε ν ή ρ ί ζ α τ η ς ζ ω ή ς . Ciò va congiunto con un'applicazione, densa di significato, al battesimo. - Cfr. anche l'affermazione di A N A STASIO SINAITA (PG 89, 893 D ) , secondo la quale i pesci possono nascere nell'acqua anche per generazione verginale. E infine le parole di A M BROGIO sul mare quale « amoroso seno materno » per i pesci. Queste parole vengono applicate alla Chiesa: Hexaemeron 5, 3, 7 (CSEL 32, 1, p. 145, 19); 5, 3, 8 (p. 146, I9ss); 5, 4, 10 (p. 147, 20). E AGOSTINO, De Gen. ad litt. 1, 5 (CSEL 28, p. 9, 20-23).
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sole e della luna, dalle acque ricevettero la vita gli animali acquatici. Vien perciò spontaneo perfezionare ed esprimere così il concetto: la luna spirituale, dalla cui tiepida acqua e dalla cui forza dominante sul mare e su ogni produzione e generazione deriva la vita sulla terra, è la Chiesa, che nel ' fuoco ed acqua ' 91 del battesimo produce la nuova vita. Essa è dunque la virginea e materna Selene che presiede al nostro battesimo : « Necessariamente essa presiede al battesimo (come la luna), perché è la madre dei battezzati» 92. La Chiesa è la ' energia ' 93, che esercita sull'acqua soprannaturale il medesimo influsso che ha Selene sul piano cosmico : « Tutto ciò, nella cui sostanza v'è dell'acqua, dipende da Selene ». Col noto giuoco di parole che leggiamo nel Cratilo di Platone, la Chiesa vien detta ' Selene ' ossia νέον σέλας, poiché con la ' nuova luce ' essa trasforma i ' neofiti ' in ' neofotisti ' 94. È questa un'altra spiegazione, densa di significato, del battesimo, tratta dall'antichissima espressione φώτισμα, originariamente derivata senza dubbio soprattutto dal concetto del Sol iustitiae. Il battesimo è insieme illuminazione e generazione. Perciò la Chiesa non è soltanto ' forza illuminativa ' 95, ma anche ' genitrice dei bat91 Così FIEMICO MATERNO, De errore prof. rei. 2 (CSEL 2, p. 77, 13) chiama l'acqua battesimale. Egli trova il fondamento della sua affermazione in quel che abbiamo detto nella nota 89 : « Illam (aquam) quam despicis ignitam venerandi Spiritus maiestate decoratur » : l'acqua battesimale è ' riscaldata ' dallo Spirito. 92 METODIO, Symposion 8, 6 (ρ. 88, 17s). 93 Ivi (ρ. 88, 19): ή περί το λουτρον αυτής ενέργεια. 94 Ivi (ρ. 88, 19); PLATONE, Kratylos (409 Β). - Cfr. ancora VEtymologicum Magnum (Gaisford, p. 709, 25): Σελήνη, παρά το σέλας νέον έ'χειν. ή παρά το σέλας άεί εν εχειν. 95 Ivi 8, 5 (ρ· 87, 4): ή ϊ ά ρ παρορμωμένη φωτίζεσθαι δύναμις.
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tezzati ' 9 6 ; in altre parole è la Selene spirituale che 1 1
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trasmette la luce del soie e produce a un tempo la vita con la sua acqua fresca, ma anche riscaldata dal sole. L'altro teologo che ha sviluppato questa dottrina della maternità della Chiesa, certamente nella scia di un'antica tradizione (a noi attualmente inaccessibile) dell'esegesi dell'Exaemeron, è ANASTASIO SINAITA. Anastasio è ben consapevole del divario esistente tra la sua spiegazione mistica della Genesi e il carattere sobrio e scientifico di Basilio, Eustazio e Crisostomo. Qui egli dimostra chiaramente di non voler essere considerato un origeniano 97 . Questo fatto ci spinge però a cercare proprio nell'esegesi alessandrina il seme della sua ecclesiologia lunare. Ma non sappiamo a quale profondità sia nascosto questo seme. Conosciamo solamente la straordinaria e meravigliosa fioritura della dommatica ecclesiale di questo monaco sinaitico, il cui profumo contiene tutto quanto prima di lui è stato detto intorno a Selene nell'ambito del pensiero greco e cristiano. L'esistenza terrena della Chiesa, la ' notte ' di questo mondo nella quale splende Selene, ha avuto inizio al momento della morte di Cristo, quando dal sangue del suo cuore è stata generata la Chiesa, e al tramontar del sole s'è levata la luna. E sarà così fino al giorno in cui il Sole della giustizia risplenderà per sempre 9 8 . 96 97
98
Ivi 8, 6 (p. 88, 18): τ ο υ ς λ ο υ ο μ έ ν ο υ ς γ ε ν ν ώ σ α . ANASTASIO
SINAITA,
Hexaemeron
η
(PG 89,
968 B C ) .
Ivi 9 (PG 89, 1002) : « Per hoc discimus quod in Christi morte exorta est et in lucem processit Ecclesia, quae quidem est costa. Q u a m obrem Christus quoque post m o r t e m punctus in uno latere, tamquam ex scaturigine emisit sanguinem et aquam; hoc est mysterium et regencrationem Ecclesiae per ignem et aquam ». Anche qui dunque l'acqua battesimale è designata come ' aqua ignita ', naturalmente in riferimento al 'battesimo di f u o c o ' di Mat 3,11.
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Nel corso di questa notte, nella quale Cristo, annientando se stesso, ha concesso alla Chiesa il dominio, si evolve la vita; tutto ciò che accade nel mondo non è che un nascere e rinascere, finché la notte non finisce: « Ut nos per ipsam (Ecclesiam) generemur et regeneremur, donec promota sit et praeterierit nox huius saeculi, et rursus exortus fuerit Christus Sol iustitiae » 99. Tale notturno nascere e crescere ha il suo primo principio nella virtù dell'acqua battesimale che la Chiesa, luna spirituale, effonde. Quale sia il rigore dommatico con cui Anastasio in tutta la sua simbologia delinea la struttura fondamentale della rivelazione cristiana, lo si può desumere da quanto egli dice : « Nam in caelis quidem primas partes et primum locum Sol accepit, quoniam super omnem principatum et potestatem Christus (qui est Sol intelligìbilis) est in coelis, ut qui sit ostium et introducens ad Patrem. In terra autem, ubi humiliavit seipsum servi formam accipiens, voluntarie dedit primas partes tamquam proprio suo corpori Ecclesiae: dico autem mysterio baptismatis. Quomodo enim in caelis ostium nostrum et via ad Patrem est Christus, ita etiam in terra ostium nostrum et via ad Patrem est baptisma, ad Christum per Ecclesiam » 100. Dietro a questa gerarchia dommatica - acqua battesimale, Chiesa, Cristo, Padre - riluce il mondo soprannaturale, di cui quello naturale è solo una pallida immagine: sulla terra l'acqua, principio vitale, alla quale presiede la materna Selene, che esercita il suo potere su tutte le acque e che a sua volta è dominata dalla penetrante e radiosa luce di Elio; al di là di questo 99 100
Ivi 4 (PG 89, 903 D). Ivi 5 (PG 89, 913 CD).
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mondo c'è invece la ' luce inaccessibile ' del placido etere, il Padre Eterno. La struttura di questa, dommatica cosmica, a noi già nota dalla prima parte, nel venir applicata alla terra s'arricchisce d'un nuovo elemento: l'acqua della terra, dalla quale procede ogni forma di vita, sta sotto il dominio della materna Selene, mediatrice, vicina alla terra e piena di luce celeste: essa è sotto il potere della Chiesa. Elio è sfolgorante e il suo calore è essiccante: Cristo è il fuoco che viene sulla terra, brucia ogni peccato, fa maturare e seccare il raccolto della terra, e infine ' battezza ' in acqua calda 101. D'altra parte anche Selene illumina e bagna : « Luna autem, nempe Ecclesia, illuminat praedicans Trinitatem, humectat autem praebens baptismum » 102. Selene ha « il dominio su tutte le acque », la Chiesa possiede l'acqua dello Spirito Santo, cui si deve appunto la rigenerazione : « Luna vero habente gubernationem et administrationem auctoritatis aquae et Spiritus Sancti, qui a Christo Ecclesiae tamquam Lunae donatus est et creditus... ut nos per ipsam generemur et regeneremur » 103. Se dunque « i maestri della scienza del sole e della luna » affermano che « da questi due luminari dipendono e sono governate tutte le creature che si trovano sotto la volta celeste » 104, ciò vale in un senso più profondo anche per la vita in seno alla Chiesa: la vita vien prodotta e conservata dall'amorosa azione congiunta del 101
Ivi Ivi 103 Ivi latina è in bra certo. 101 Ivi 102
4 (PG 89, 900 A; 903 D). 4 (PG 89, 900 A). 4 (PG 89, 903 D). - Disgraziatamente il testo della versione questo punto disordinato. Qui citiamo solo quel che sem4 (PG 89, 903 C).
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Sole e della Luna (il simbolismo lunare passa qui direttamente, ma in assoluta coerenza, nel campo ' uomodonna e Adamo-Eva ') : « Et quomodo per virum et mulierem nascitur unum corpus, ita indiscriminatim per haec duo luminaria natum est corpus populi fidelis, Ecclesia, et ita aperte impletur illud: erunt duo in carnem unam, et quod omnis caro constat ex quattuor elementis Solis et Lunae » 105. A questo punto la dommatica di Anastasio prosegue con un infinitamente complesso, quasi barocco, intreccio delle tre linee: uomo-donna, Adamo-Eva, SoleLuna. Noi lo lasciamo da parte e volgiamo ora il nostro sguardo all'aspetto propriamente teologico della generazione battesimale. L'acqua battesimale, dipendente dalla luna, è produttrice di vita perché è a un tempo calda e fresca. Infatti nel ' seno materno ' del fonte battesimale è discesa la calda luce del Sole per il tramite della materna Selene. Portando il pensiero simbolico 105 Ivi 4 (PG 89, 905 C ) . La struttura della creatura, risultante dall'unione di elementi cosmici, dal composto ' caldo-umido ', è il simbolo della soprannatura. C o m e 1' ' acqua infuocata ' è nella Licia il simbolo dell'unione della divinità con l'umanità in Cristo (ivi 3 : PG 89, 887 D ) , così anche la vita di grazia prodotta dal battesimo è un composto, risultante dal calore solare di Cristo e dall'acqua lunare della Chiesa: « Q u o m o d o enim ex duabus corporeis facultatibus constat externus h o m o noster, nenipe ex Sole illuminante et sicco, et ex humido et illuminante, nenipe Luna: ita etiam ex iisdem duabus rebus spiritualibus regeneratur et formatur h o m o noster internus, qui ex Luna quidem, nempe Ecclesia, nascitur per aquam et Spiritum » (ivi 4: PG 89, 911 D; 912 A). - Concetti perfettamente identici si hanno in M A C R O B I O , Somnium Scipionis 1, 19, 23 (Eyssenhardt, p. 551, 20-26). - Per il medesimo motivo la ' t i e p i d a ' acqua egiziana, il fruttifero Nilo, è simbolo di Cristo e della vita del battesimo (cfr. PG 89, 879 Β ; 886s; cfr. anche gli entusiastici Encomia Aegypti
di ANASTASIO: PG 89, 977-979). - A. HERMANN, Der Nil und die Chri
sten in Jahrbuch f. Antike und Christentum 2
(1959)
30-69.
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in un naturalismo da noi appena percettibile, Anastasio afferma : « Tamquam semen hominis Sole praebente suam lucem in utero piscinae suae coniugis, nempe Lunae, quae est Ecclesia » 106. La vita dello spirito vien generata da quest'acqua calda. Tutto dipende quindi dalla Chiesa. La Chiesa presiede ad ogni nascita dal battesimo : « Lumen in principatum noctis, hoc est, quando nascentium infantium acceptura erat principatum ... quae apud nos Luna est Ecclesia » 107. Questa teologia del battesimo si rivela nella stessa spiegazione della parola ' Selene '. Non nel solo senso indicato da Platone Selene è σέλας νέον, lux nova 108; in senso cristiano essa è ora ' luce dei rigenerati ' : « Etenim ipsum eius (Lunae) nomen significat gratiam, nempe baptismatis regenerationem. Σελήνη interpretatur σέλας νηπίων, id est fulgor infantium et omnium qui generantur utpote quod ab utero alia sit piscina. Σέλας enim est lux. Aut rursus Lunae fulgor est puerascens, propterea quod perpetuo generatur et regeneratur; quae quidem est perpetua regeneratio lucis baptis 109 matis » . La spirituale Selene è dunque la signora della vita, la ' madre della vita ', come Eva 110. E se 106 Hex. 4 (PG 89, 905 D ) . La Chiesa è perciò il grande mare, prima scuro, ma ora acqua luminosa (880 A; 334 D; 879 D ) , dalla quale per generazione verginale, come pesciolini, nascono i cristiani (914 B; 915 D; 916 B; 918 C) e nei cui abissi riposano le perle dei misteri cristiani prodotte dalla luce solare, ossia dallo splendore del Padre (880 A; 917 A). 107 Ivi 4 (PG 89, 902 B C ) . 108 Ivi 4 (PG 89, 90s A). 109 Ivi 4 (PG 89, 900 B C ) . 110 Ivi 4 (PG 89, 905 D ) : «Eva interpretatur Vita. Vita autem est etiam Ecclesia, exhibens perpetuam baptismatis regenerationem et vitam, quae est per aquam et Spiritum, cuius Luna est causa, describens gratiam baptismatis ».
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nella natura si può osservare un'attività generativa e qualche trasformazione nella vita che dipende dalla luna, si tratta solo d'un simbolo della vita soprannaturale. Anastasio estrae dalle antiche fonti una grande quantità di notizie intorno all'influsso della luna: è particolarmente loquace quando parla dell'Ibis egiziano, degli occhi delle scimmie che diventano più grandi quando la luna è in fase crescente, della pietra di Lychnis e del pesce che i Galli chiamano clopia, dell'alta e della bassa marea 111. Tutto ciò ha unicamente valore di simbolo : « Cum ergo et corpora mutentur et aquae crescant et decrescant in Lunae mu~ tationibus, haec mihi transferas ad seriem allegoriae et videbis omnia omni ex parte congruere. Nam cum crescit et promovetur Ecclesia, simul etiam crescunt coetus populorum fidelium » 112. Ciò vale pure per il mistico decrescere della Chiesa nella persecuzione e nell'eresia: il mare dei credenti continuamente s'ingrossa e diminuisce, perché l'acqua del battesimo è sempre sotto il dominio della spirituale Selene : « Discat ergo omnis homo, quod in his aquis et per haec duo caelestia luminaria, dico autem Christum et Ecclesiam, consistunt, administrantur et conservantur tam ea quae sunt in caélis quam quae sunt in terra » 113. Non andiamo errati se affermiamo che in tutta la letteratura patristica il simbolismo teologico della maternità della Chiesa non ha avuto una descrizione più particolareggiata. Basta però uno sguardo alla patristica latina dell'Occidente per costatare che questa parte 111 ll2 ll3
Ivi 4 (PG 89, 904 ABC). Ivi 4 (PG 89, 904 BC). Ivi 4 (PG 89, 905 BC).
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dell'ecclesiologia lunare si è perpetuata anche per altre vie. A indicarci, pur con scarsi accenni, la direzione in cui si è operato il passaggio dalle nozioni dell'antica Selenologia alla simbologia cristiana è ancora una volta AMBROGIO. Solo da lui il medioevo ha potuto ricevere questo antichissimo retaggio del pensiero greco e cristiano. Agostino, invece, non parla affatto di queste cose. Nella prima parte abbiamo già visto donde venga la spinta per il successivo sviluppo dell'ecclesiologia di Ambrogio: la luna si annienta per riempire tutte le cose : « Minuitur Luna ut elementa repleat » 114. Qui sta il grande mysterium di Cristo ; infatti il fecondo annientamento che riempie tutte le cose non è che una imitazione di Cristo : « Exinanivit eam, ut repleat, qui etiam se exinanivit, ut omnia repleret » 115. Il misterioso nesso tra annientamento e fecondità viene meglio spiegato con l'aiuto delle antiche scienze naturali. Ora risuona di nuovo al nostro orecchio quanto avevano già detto Plinio, Cicerone e Plutarco. Nel regno della natura la luna svolge una funzione simile a quella dell'astro fratello e sposo : « Siquidem in id se induit ministerium, in quod et frater: ut illuminet tenebras, foveat semina, augeat fructus » 116. Ma il suo ' potere di trasformare ' 117 è diverso da quello dell'energia solare. Ciò che il sole assorbe durante il giorno col calore della sua luce penetrante ed essiccante, la luna lo restituisce durante la notte spandendo la feconda 114
AMBROGIO, Hexaemeron 4, 8, 32 (CSEL 32, 1, p. 137, 19).
115
Ivi (p. 137, 21s). Ivi 4. 7. 29 (p. 134. 14-16). Ivi 4, 8, 31 (p. 136, 7)·
116 117
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
rugiada: « Nata et ipsa Luna larga roris adseritur. Denique, cum serenior nox est et Luna pernox, tunc largior ros fertur arva perfundere » 118 . Questa è l'antichissima dottrina della tiepida acqua lunare. Ambrogio si richiama qui all'esperienza (l'esempio che egli adduce - uno che dorme all'aperto e che al mattino si sveglia irrorato dalla rugiada lunare - è preso però da Plutarco) e all'opinione di alcuni dotti cristiani 119, fra i quali è senza dubbio Basilio. Lo si dimostra con gli esempi in voga presso gli antichi. I molluschi del mare e il midollo degli alberi, alta e bassa marea, rugiada e pioggia: tutto risente del crescere e decrescere della luna. Ci sembra invece che in Ambrogio manchi l'applicazione di tali concetti alla Chiesa. A questa il Vescovo di Milano accenna qua e là, come quando a proposito della rugiada lunare cita da Cant 5,2 le parole dello Sposo Cristo alla Sposa, la Chiesa 120, ο quando suc118
Ivi 4, 7, 29 (p. 134, 18-20). Ivi 4, 7, 30 (p. 135, 9s). 120 Ivi 4, 7, 29 (p. 134, 22-24). In un altro passo sul medesimo testo (« caput meum repletum est rore ») Ambrogio dà una spiegazione più precisa, indicandoci chiaramente il rapporto tra luna e rugiada, come pure il simbolismo in ordine alla Chiesa: De virginitate 12 (PL 16, 284 A): « Sicut enim ros caeli nocturnas amovet siccitates, ita ros Domini nostri Iesu Christi nocturnis et saecularibus tenebris aeternae vitae stillavit humorem ». - Il simbolismo cristiano della ' rugiada della grazia ', dell' ' acqua rinfrescante dello Spirito ', di particolare importanza anche per la formulazione della preghiera liturgica, è in stretto rapporto con le antiche raffigurazioni della luna dispensatrice della rugiada, benché si debba aggiungere espressamente che ebbe un peso rilevante anche l'influsso di diversi passi scritturistici (Gen 27,28; Deut 32,2; Giud 6,37; Cant 5,2; Sai 71,6; Dan 3,50), che dovevano presupporre un'indentica osservazione della natura. La simbologia della rugiada si sviluppa in due tempi. Prima l'incarnazione stessa viene interpretata come discesa della celeste rugiada 119
265
LA CHIESA PARTORIENTE
cessivamente avverte che la ' pienezza degli elementi ' ha luogo nella Chiesa, vera luna. Il riferimento alla Chiesa diviene esplicito in un sol luogo, allorché Ambrogio racconta una delle sue esperienze personali dell'attività pastorale d'ogni giorno. Durante un periodo di siccità anche i cristiani vicini al Vescovo dicevano: « Ecce neomenia dabit pluviam » 121. Il significato pieno di questa espressione è certamente identico a quello del motto greco : « Nel sinodo Selene diviene dispensatrice d'acqua ». La stessa cosa ha predicato più tardi MASSIMO DI TORINO in una forma chiaramente intonata ad Ambrogio : « Grandis ergo ratio Lunae, immo grande mysterium: exinanivit se lumine, ut universa recreet humore et imbre » 122. Ambrogio racconta perciò di aver gioito « perché la pioggia non cadde finché non fu mandata in seguito alla preghiera della Chiesa. dalle ' a c q u e superiori', dall'etereo cielo cristallino: ciò avviene nel silenzio e inavvertitamente come la discesa della rugiada nelle notti del plenilunio. Cfr. ORIGENE (GCS Origenes VII, p p . 511s. 513. 514); IPPOLITO (TU 23, 2, p. 47, e i testi paralleli in Ambrogio); M E T O D I O (GCS Methodius, p. 488, 12-15); GIROLAMO (PL 26, 1028 C ) ; T E O DORETO
(PG
80,
1433 A ) ;
AMBROGIO
(PL
16,
1067 A ) ;
PS.-AIMONE
(PL 116, 435 Β ) : PIETRO LOMBARDO (PL 191, 661 C D ) . - La celeste
rugiada vien poi posta in relazione con la grazia dello Spirito, a noi concessa mediante l'incarnazione che è opera dello spirito. Lo Spirito, come è detto quasi testualmente già da IPPOLITO nel suo commentario al Cantico dei Cantici ( T U 23, 2, p. 48), è « in aestu temperies », acqua rinfrescante, poiché egli è rugiada dell'acqua del cielo superiore, fatta evaporare dal calore delle stelle. Cfr. ORIGENE (PG 14, 1038 C). - Lo Spirito come rugiada «che rinfresca le anime»: O R I GENE (GCS Origenes I, p. 28, 19-21 ;) CLEMENTE ALESS. nell'inno ai pedagoghi v. 50 (GCS Clemens Ι, ρ. 292; cfr. anche II, p. 170, 9); Eclog. proph. 8 (GCS Clemens III, p. 138, 33). - Questa rugiada della grazia vien donata esclusivamente dalla Chiesa: ILARIO (PL 9, 749 B C ) . 121 123
Hexaemeron 4 7, 30 (p. 135, 14-19)MASSIMO D I T O R I N O ,
Homil.
101
(PL
57,
487 C ) .
266
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
Questa è una prova chiara che non ci si deve attendere la pioggia in coincidenza con l'inizio della fase crescente della luna, ma per la misericordiosa preveggenza del Creatore ». Qual vera luna, la Chiesa è dunque anche la grande dispensatrice della rugiada e la madre universale, che genera alla vita mediante il sacramento del battesimo. MASSIMO DI TORINO raccoglie ancora una volta la simbologia prima descritta da Ambrogio, presentando alcuni concetti in forma ancor più chiara di quanto non abbia fatto il grande Vescovo di Milano : « Recte piane Lunae comparatur Ecclesia, quoniam et ipsa nos lavacri rore perfundit et terram corporis nostri baptismatis rore vivificat » 123. Ma d'ora in poi l'intima forza di questo simbolo resta inoperosa. Certo si conserva fino al medioevo il concetto della luna dispensatrice d'acqua, che tramite BEDA e ISIDORO DI SIVIGLIA si ricollega alle antiche fonti, cioè a MACROBIO, IGINO e PLINIO 124 . Ma non si parla più d'un'applicazione simbolica di questo concetto alla Chiesa. In GREGORIO MAGNO si incontra una sola volta un richiamo propriamente teologico-morale alla tiepida acqua lunare 125. 123
Ivi (PL 57, 488 Β).
1 2 1
ONORIO DI AUTUN, De imagine mundi 1, 69 (PL 172, 138 C):
« (Lunae) corpus est ... natura igneum sed aqua permistum, unde et proprium lumen non habet, sed in modum speculi a Sole illuminatur. Et ideo Luna, id est a luce nata nominatur ». Cfr. anche I, 62 (PL 172, 137 C): « Ros de aere venit quando aquis gravatus rigore noctis et Lunae splendore distillat ». BONAVENTURA, In II Sent. d. i4> p. 2, a. 2 (ed. Quar. II, p. 360 b) : « Unde quia Luna ex virtute sibi indita cum adiutorio luminis aspectum habeat super humorem, ideo per suam innuentiam humidum augmentat et ad eius praesentiam excrescunt maria ». 125
GREGORIO M., Moralin in Job 22, 7 (PL 76, 221 BC).
LA CHIESA PARTORIENTE
267
Nella Clavis Melitonis si ha pure qualche accenno, e nei supplementi di TOMMASO DI CHANTIMPRÉ la luna è detta humorum mater e si allude a Maria Mater gratiarum126. Qualcosa di analogo si potrebbe trovare anche in altri scritti teologici del medioevo 127. C'è infatti chi ha studiato nuovamente la simbologia della maternità della Chiesa, vera luna. Si tratta precisamente di ISIDORO DI SIVIGLIA, il grande intermediario fra il pensiero antico e dell'antichità cristiana e il medioevo: « Item sicut Luna larga est roris et dux humentium substantiarum, ita Ecclesia baptismi et praedicationum. Et quemadmodum Luna crescente crescunt omnes fructus atque ea minuente minuuntur, non aliter intelligimus Ecclesiam, in cuius incremento proficimus cum ipsa » 128. Sotto il vivo e continuato influsso di questa antica ed anche cristiana tradizione che abbiamo cercato di illustrare, nei rilievi del campanile del Duomo di Firenze è stata rappresentata la luna, verginale e materna dispensatrice dell'acqua viva che scaturisce da una fonte, e signora del mare del tempo, che ne segue le leggi: Domina aquae 129. E DANTE ha descritto l'ascesa dello spirito alla sfera della ' prima stella ', ossia della luna, sempre vicina alla terra ma anche celeste ed eterna, non solo in virtù dell'incomparabile potenza del suo genio poetico, ma anche in base all'antichissima tradizione. Entrando nella santa atmosfera della ' eterna 126
CLAVIS MELITONIS 3, 6 (ed. Pitra, Spicil. Solesm. II, p. 65). Cfr. VINCENZO DI BEAUVAIS, Speculum naturale 16, 10 (Strasburgo 1474); ALANUS AB INSULIS, Liber de distinctionibus (PL 210, 842 CD; 843 AB). I27
128
ISIDORO DI SIVIGLIA, De natura rerum 18, 6 (PL 83, 992 AB).
129
Cfr. KÜNSTLE, Ikonographie der christlichen Kunst, ν. Ι, Friburgo
1928, p p . 140s. 168ss.
268
L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
margherita ', qualcosa di misterioso lo circonda come una nube interamente irrorata di luce, come acqua limpida attraversata dagli infuocati raggi del sole 130. È questo un simbolo mirabile della divina unione alla quale l'anima umana tende ardentemente nel suo cammino dall'oscurità della terra alla purissima luce del Padre Eterno: « Per entro sé l'eterna margherita Ne recepette com'acqua recepe Raggio di luce, permanendo unita ».
130
Paradiso II, 31-36.
3·
LA CHIESA RAGGIANTE
Il materno generare della Chiesa, il suo crescere e diminuire, il ripetuto appressarsi allo splendore del plenilunio nell'orbita dell'annientamento mortale di Cristo, che continuamente si rinnova, ha un solo scopo : avvicinarsi al « sorgere della luce perfetta in quel grande giorno », come dice METODIO, il finale permanere cum Sole, che per Agostino è l'essenza della speranza cristiana. Il mistero della Chiesa visibile e terrena è di : ordine escatologico. La sua natura terrena può essere percepita solo mediante uno sguardo al suo fine ultimo, o, meglio, a partire dal fine ultimo. La meta del mistero della Chiesa è la risurrezione della carne, che prende l'avvio dalla rigenerazione battesimale operata dalla Chiesa e alla quale la Chiesa, attraverso tutti i simboli battesimali, orienta lo sguardo dei fedeli come alla ultima e prima verità '. La risurrezione della carne è dunque per l'antica ecclesiologia cristiana la spiegazione ultima, appassionatamente elaborata e difesa, del mistero in Cristo e nella Chiesa. Ma essa è anche la verità più discussa nel sublime ideale dell'antica spiritualità. Riferendosi direttamente alle idee sulla natura della Chiesa, AGOSTINO dice : « In nulla re sic contradicitur
270
L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
fidei christianae quam in resurrectione mortuorum » 1. Egli vede nella ripetizione continua delle fasi lunari un simbolo estremamente chiaro della risurrezione finale. È dunque per continuare e concludere l'esposizione dell'ecclesiologia patristica che noi ora presentiamo, qual breve compendio dell'antica simbologia lunare cristiana, il nesso tra Chiesa e risurrezione della carne, indicando insieme da quali immagini della luna anche quest'ultima tesi della dottrina ecclesiologica cristiana ha tratto il suo valore simbolico 1a. Gli antichi pagani e cristiani nutrivano una sacra simpatia per i fenomeni del cielo stellato. Sappiamo da Basilio e da Ambrogio che i fenomeni cosmici del mutamento e dell'ecclisse della luna portano tristezza 2. Non solo i pagani, ma anche i cristiani fino all'inizio del medioevo seguivano commossi il fenomeno dell'ecclisse lunare e lanciavano all'astro sofferente nella notte il grido pieno d'angoscia: Vince Luna 3. Si trat1
AGOSTINO, Enarr. in Ps. 88, $ (PL 37, 1 1 3 4 C ) . Riguardo alla suesposta (parte 2) simbologia della ' natura umida della luce lunare ' dobbiamo ora aggiungere che già ORIGENE, In Evang. Matth. 13, 6 (GCS Origenes X, p. 193, 18s) l'aveva presentata come opinione degli antichi medici. Cfr. A. HARNACK (TU 42, 4, p. 103) e soprattutto F. J. DÖLGER, Der Einfluss des Origenes auf die Beurteilung der Epilepsie und Mondsucht im christlichen Altertum in Antike und Christentum 4 (1934) 95-109. Dölger cita qui (ρ. ι ο ί , nota 43) u n passo da FILOSTORGIO, Hist. Eccl. 8, i o (GCS Philostorgius, p. i n , I2ss), in cui si dice la stessa cosa. 1
a
2 BASILIO, Hexaemeron, h o m . 6, io (PG 29, 141 D) : ει δέ λ υ π ε ί σε ή σ ε λ ή ν η . - AMBROGIO, Hexaemeron 4, 8, 31 (CSEL 32, ι, ρ .136, 22s) : « N a m si te Lunae contristat occasus quae se semper reparat ac reformat ». 3 Questo era anche il rimprovero dell'egiziano SCENUTE D'ATRIPA ai suoi concittadini pagani che adoravano il Sole e la Luna dicendo: « Salve, ο Sole! Vinci, ο Luna! » Cfr. F. J. DÖLGER, Sol salutis, 2 ed., Münster 1925, ρ. 51, nota 2. La stessa espressione è condannata pure
LA CHIESA RAGGIANTE
271
tava evidentemente d'una superstizione profondamente radicata, contro la quale i Padri hanno condotto una lotta instancabile. Ma proprio la tenace resistenza con la quale alcune credenze s'erano conservate dimostra la presenza in esse di qualcosa di più profondo. Qui vivono ancora le antiche e mai del tutto scordate immaginazioni, alle quali solo il pensiero e la preghiera dei greci ha saputo imprimere una forma precisa: il destino della notturna Selene è un simbolo del destino dell'anima umana; al di là della luna e della sua mutevolezza votata al dolore v'è il regno tranquillo e immutabile dello spirito, donde derivano le anime e al quale queste desiderano ardentemente ritornare; quaggiù, al di sotto della luna, tutto è buio, infestato di demoni e succubo a un cieco destino. Se voghamo comprendere il simbolismo per il quale la teologia patristica ha considerato la luna come figura della futura risurrezione e santità, dobbiamo cercare di precisare le linee di questa tesi cosmica e mistica dell'antica religiosità lunare. E stato specialmente PoSEIDONIO a inserire la selenologia aristotelica in un sistema mistico-naturale di indole popolare 4. Selene in un Capitulare carolingio: Indiculus superstitionum et paganiarum 30: De Lunae defezione, quod dicunt: Vince, Luna! (MG Leg. II, 2, ρ. 83). Cfr. CESARIO D'ARLES, Serm. 52, 2, 3 (ed. Morin I, p. 221); Serm 13, 5
(Morin I, p. 65). 4 Cfr. quanto IPPOLITO, Elenchos 1, 4 (GCS Hippolyt III, p. 9, 22ss) presenta come opinione di ERACLITO : « Tutto lo spazio che ci circonda è pervaso dal male, che si estende dalla terra fino alla luna, ma non va oltre, perché lo spazio che sovrasta la luna è completamente puro ». - La tesi di ARISTOTELE è diventata fondamentale. Ecco come la presenta IPPOLITO, Elenchos 7, 19, 2 (GCS Hippolyt III, p. 194, 3ss): 6 κόσμος εστί κατά ' Αριστοτέλην διηρημένος εις μέρη πλείονα και διαφέροντα και ϊστι τοϋ κόσμου μέρος τοϋ-9·'
272
L'ECCLÉSIOLOGIA DEI
PADRI
è considerata come la stella del cielo che nello spazio cosmico segna il confine tra le regioni della terra e del cielo. Tale escatologia lunare vien poi rifinita nel sistema filosofico-mistico della tarda Stoa e dei Neopitagorici e nella religiosità misterica. Nella regione sublunare c'è l'aria 'buia', tutto è mortale e debole 5 , con la sola eccezione dell'anima spirituale, che ha origine dallo spazio che sta al di là della luna, dall'etere, dal fuoco. CICERONE ha insegnato queste cose nel Somnium Scipionis : « In infimo orbe Luna radiis Solis accensa convertitur. Infra autem iam nihil est nisi mortale et caducum, praeter animos munere deorum hominum generi datos, supra Lunam sunt aeterna omnia » 6. 7 8 9 PLUTARCO e APULEIO , come pure FILONE , che tanto ha influito sul pensiero cristiano, contemplando il cielo illuminato dalla luna provano gli stessi sentimenti. Al di là della luna, ' dietro la luna ', dove comincia la όπερ εστίν άπο της γης μέχρι της σελήνης άπρονοητον, άκυβέρνητον, ... το δε μετά τί)ν σελήνην έν πάση τάξει repovoiqt καί κυβερνήσει τεταγμένον. - Cfr. Ρ. WENDLAND, Philos Schrift über die Vorsehung, Berlino 1892, ρ. 68, nota I. Ancora Ρ. WENDLAND nell'apparato critico al testo di Ippolito (GCS Hippolyt III, p. 194)· - E, PFEIFFER, Untersuchungen zum griechischen Stern glauben, Lipsia 1916, ρ. ii9ss. 5 Per tutta la questione cfr. F. J. DÖLGER, Die Sonne der Gerechtigkeit und der Schwarze, Münster 1918, p. 50s. 6 CICERONE, Rep. VI, 4, 17 (Müller, p. 374, 4-8). 7 PLUTARCO, Quaest. conv. IX, 14, 2 (IV, Bemardakis, p. 384, 15 p. 385, 1). 8 APULEIO, De mundo 2 (Hildebrand II, p. 344) : « Ultima omnium Luna, altitudinis aetherae principia disterminans, quae divinas et immortales vivacitates ignium pascens ordinatis ac semper aequalibus invectionibus solvitur atque reparatur ». 9 FILONE, De spec. leg. I, 85 (Cohn-Wendland V, p. 32); De vita Moys. 2, 121 (Cohn-Wendland IV, p. 228).
LA CHIESA RAGGIANTE
273
' metafisica ' 10, tutto è pieno del sanctus aether 11, tutto è immortale e divino, santo e immutabile 12. MACROBIO, tanto apprezzato nel medioevo, afferma : « Omnia haec quae de summo ad Lunam usque perveniunt, sacra, incorrupta, divina sunt, quia in ipsis est aether semper idem nec umquam recipiens inaequalem varietatis aestum. Infra Lunam et aer et natura permutationis pariter incipiunt et sicut aetheris et aeris ita divinorum et caducorum Luna confinium est » 13. Solo l'anima è originaria di lassù, come scintilla che si stacca dall'etere, goccia d'acqua cristallina proveniente dal cratere del cielo 14. La regione al di là della luna, anzi 10 IPPOLITO, Elenchos 7, 19, 4 (GCS Hippolyt III, p. 194, 15-17). Cfr. W. JÄGER, Studien zur Entstehungsgeschichte der Metaphysik des Aristoteles, Berlino 1912, ρ. I77ss. 11 APULEIO, De mundo 3 (Hildebrand II, p. 344). 12 Cfr. ancora CICERONE, De nat. deor. II, 21 56 (Piasberg, p . 70, 28ss); IPPOLITO, Elenchos 1, 20, 6 (GCS Hippolyt III, p. 25, 2s). La gno si di Bardesane ha incorporato nel suo sistema la divisione aristotelica ; cfr. IPPOLITO, Elenchos 7, 24 (GCS Hippolyt III, p. 202, 2-5). EZNIK DI KOLB raccoglie queste idee in breve sintesi nel suo trattato contro le eresie, 3, 4 (BKV 2 57, p. 131): «I pitagorici e i peripatetici insegna no ... a considerare immortale tutto ciò che è nella luna e al di sopra della luna, mortale, invece, tutto ciò che si trova al di sotto di essa ». 13 M A C R O B I O , Somn. Scip. 1, 21, 33 (Eyssenhardt, p. 566, 15-21). Dipende in buona parte da Macrobio, nel nono secolo, lo P S . - B E D A , De mundi caelestis terrestrisque constitutione (PL 90, 88iss). 14 L'anima come ignis aetherius; cfr. M A C R O B I O , sopra nota 13. L'anima come gutta caelestis, λ ί β α ς ούρανία caduta sulla terra dalla ' fonte della luce ' ed ora nuovamente restituita alla fonte: SINESIO 01 CIRENE, Hymn. 3, v. 713SS (PG 66, 1603). - Sul platonico κ ρ α τ ή ρ {Timaios 41 D; Leg. VI, 773 D ) , dal quale defluiscono le anime, cfr. ARNOBIO, Adv. nat. 2, 25 (CSEL IV, Reifferscheid, p. 68, 14-17); 2, 52 (p. 89, 3-5). - Su questo celeste κ ρ α τ ή ρ e il ' celeste corno della luna ', cfr. IPPOLITO, Elenchos 5, 8, 4 (GCS Hippolyt III, p . 89, 25) e R. REITZENSTEIN-H. SCHAEDER, Studien zum antiken Synkretismus aus Iran und Griechenland, Lipsia 1916, ρ. I05ss; E. PFEIFFER, Unter suchungen z. griechischen Sternglauben, p. 126, nota 1; W . PASCHER,
Ο δ ό ς β α σ ι λ ι κ ή , Paderborn 1931, ρ. 108.
274
L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI
la stessa luna, è dunque la patria alla quale l'anima desidera far ritorno. Selene è la ' terra olimpica ' 15, la terra aetheria 16, l'ultima divinorum 17, che, pur a noi vicina, appartiene tuttavia interamente al campo dell'immortalità, in quanto composta di ' fluida luce ' e di ' etereo fuoco ' 18. Lassù salgono le anime dei buoni e di quanti vengono purificati attraverso i misteri. Esse sostano nell'aria tranquilla che circonda la luna, finché non saranno degne d'ascendere ancor più in alto, nel cielo dell'etereo fuoco 19. Ben diversa è la situazione nell'oscuro spazio sottostante la luna. Qua dimorano i demoni 20. È particolarmente significativa la descrizione che ne fanno ARISTO15
PLUTARCO, Defacie in orbe Lunae 21 (V, Bernardakis, p. 443, 22). M A C R O B I O , Somn. Scip. 1, 19, 8 (Eyssenhardt, p. 549, 4). 17 Ivi, 1, 21, 28 (p. 565, 23). 18 Ivi, (p. 459, 14ss). 19 Sulle raffigurazioni orfico-pitagoriche di Selene come la patria delle anime e della beatitudine, cfr. PLUTARCO, Defacie in orbe Lunae 28 (V, Bernardakis, p. 466s) ; LUCANO, Bell. civ. IX, vv. 5-9 (Housman, p. 255). - Le fonti per la medesima dottrina nella Stoa sono raccolte in ARNIM, Stoic. vet. fragm., v. II, p. 8i2ss. - Cfr. TERTULLIANO, De anima 54 (ed. J. H. Waszink, Amsterdam 1933, p. 180, e il commentario corrispondente p. 280). - Anche in GIAMBLICO il beato regno degli spiriti è situato tra la luna e il sole. Cfr. G I O V A N N I L I D O , De mensibus 4, 149 (Wünsch, ρ. 167, 23-26). - Per l'intera questione cfr. E. R O H D E , Psyche (9 e i o ed., Tubinga 1925) ν . II, ρ ρ . 131. 1953Ι9· 32°; Ε. NORDEN, Ρ. Vergilius Maro, Aen. VI, 3 ed., Lipsia 1926, ρρ. 23-26; R . REINHARDT, Kosmos und Sympathie, Monaco 1926, p . 308SS. - Sul viaggio lunare delle anime cfr. E. R O H D E , Der griechisch? Roman und seine Vorläufer, 3 ed., Lipsia 1914, ρ. 288, nota 2; W. B o u s SET, Die Himmelsreise der Seele in Archiv f. Religionswiss. 4 (1901) 235. - Sul viaggio lunare secondo gli Ermetici cfr. RE Vili (1912) e. 812 (KROLL). 16
20 Sulla regione dei demoni al di sotto della luna cfr., oltre alle due opere di F. J. DÖLGER (sopra, note 3 e 5), anche R. HEINZE, Xenocrates, Lipsia 1892, p. 192; E. R O H D E , Psyche, ν. II, ρ. 319> nota 3; J. KROLL, Gott und Hölle, Lipsia 1932, ρ. 58ss.
LA CHIESA RAGGIANTE
275
TELE e la STOA: tutto quanto si trova al di sotto della luna è soggetto al dominio del fato, dell'inesorabile destino 21. In questa convinzione è radicata l'angosciata brama degli antichi di conoscere, mediante la scienza occulta dell'astrologia, le leggi della rivoluzione degli astri, per svincolarsi così dall'ineluttabile dominio del fato 22. I culti misterici non potevano promettere ai loro fedeli niente di più gradito che la libertà dal destino. La luna, nella persona di Iside, è colei che « impedisce gli influssi nocivi delle stelle » ; il devoto di Iside vien liberato dalle spire del fato per la bontà della materna dèa 23. L'adepto della religione ermetica crede di potersi librare al di sopra della sfera del destino come uomo saggio e perfetto 24. In occasione dell'oscuramento di Selene nel novilunio si cerca di venirle in aiuto, scacciando col rumore lo stormo dei demoni sublunari e augurando la vittoria alla ' sofferente ' Selene, evidentemente nel timore che anche la stella che delimita la beata regione dell'eterea pace possa essere colpita da 21 Per la negazione aristotelica della preveggenza al di sotto della luna cfr. T A Z I A N O , Or. ad Graec. 2, 8 (Otto VI, p. 10); C L E MENTE ALESS., Protr. 5, 66, 4 (GCS Clemens Ι, ρ. 51, 2s); Strom. 5,
! 3 , 90 (GCS Clemens III, p. 385, IQSS); IPPOLITO, Elenchos 7, 19 (GCS
Hippolyt III, p. 194, 6) : TEODORETO, Therapeut. 6 (PG 83, 957 A) ; ivi 5 (PG 83, 941 A). Cfr. anche RE VII (1912) ce. 2622-2645 ('Heimermene ' di W . GUNDEL) ; W . GUNDEL, Beiträge zur Entwicklungsgeschichte der Begriffe Ananke und Heimarmene, Giessen 1914. 22 Sul rapportò tra astrologia e fede nel fato cfr. F. C U M O N T , Die orientalischen Religionen im römischen Heidentum, 3 ed., Lipsia 1931, ρ. IÓ2SS. - Ivi, p. 298, nota 61, si ha pure una sintesi della letteratura apologetica cristiana contro la fede nel fato. 23 APULEIO, Metamorph. 11, 25 (Hildebrand Ι, ρ. 1078, 13s); l i , 6 (Ι, ρ. 1005, 9)· Cfr. Ο . KERN, Die Religion der Griechen, v. III, Berlino 1938, ρ. 141. 24 Cfr. R E Vili (1912) e. 812 (KROLL).
276
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qualche sventura 25. Con la magìa si cerca di tirar giù la luna, per impossessarsene e partecipare così della sua forza ultramondana e della sua libertà dal dominio del destino 26. Si portano piccole lune d'oro come ornamento e difesa contro i demoni, e vengono date in dono per il compleanno, dato che la luna presiede al nostro destino e da essa dipende ogni generazione 27. Si spiega poi che la lunula d'avorio che i patrizi romani appendevano alla scarpa è « simbolo della vita futura sulla luna, e che dopo la morte le anime avranno di nuovo la luna ai loro piedi » 28, saranno quindi nello spazio tranquillo che sovrasta la luna. Le idee religiose 25 PLUTARCO, De facie in orbe Lunae 29 (V. Bernardakis, p. 468, i6ss). Il rumore che si fa durante l'ecclisse lunare è diretto contro i demoni della regione sublunare. - Per l'intera questione cfr. W. ROSCHER, Selene, p. 89SS; RE VI (1909) cc. 2331-2337 ('Finsternisse'
di B O L L ) . 26 La magia delle donne ' tessaliche ', l'attrarre in basso la luna, era una delle pratiche magiche più diffuse nell'antichità, fin nel cuore
del cristianesimo. Cfr. BASILIO (PG 29, 145 A) ; AMBROGIO (PL 16,
1027 C; CSEL 32, 1, p. 138, 22ss); EUSTAZIO (PG 18, 721 D ) ; A G O STINO, Civ. Dei i o , 16 (CSEL 40, p. 474, 26s): la luna viene invitata a scendere sulla terra per « effondere la sua forza sulle erbe », come si legge in una citazione da L U C A N O . - Sulle pratiche chimiche di questa magìa lunare ci informa IPPOLITO, Elenchos 4, 37 (GCS Hippolyt III, p. 62, I9ss). Per tutta la questione cfr. ancora W. ROSCHER, Selene, pp. 85-89. - Sul perpetuarsi di questa magìa lunare fino all'epoca carolingica, cfr. R A B A N O M A U R O , Homil. 42 (PL n o , 78-80). D A C L IX, 2 (Parigi 1930) ce. 2707-2715 ( ' L u n a ' di LECLERCQ). 27 PLAUTO, Epidicus 640 (Goetz-Schoell, I, 3, p. 124): « N o n meministi me auream ad te afferre natali die lunulam ? » 28 CASTORE DI R O D I , fragni. 25 (ed. C. Müller, Parigi 1845, p. 181), il quale, secondo Plutarco, « ha spiegato in senso pitagorico gli usi r o m a n i » : σ ύ μ β ο λ ο ν τ η ς λ ε γ ο υ μ έ ν η ς ο ί κ ή σ ε ω ς έ π ί τ η ς σελήνης καί δτι μ ε τ ά την τελευτήν α δ θ ι ς αί ψυχαί την σ ε λ ή ν η ν ύ π ο π ό δ α ς έ ξ ο υ σ ι ν . Cfr. anche C . Α. LOBECK, Aglaophamus (Königsberg 1829), v. I, p. 169; H. BLÜMNER, Die römischen Privataltertümer, Monaco 1911, p. 224s.
LA CHIESA RAGGIANTE
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della tarda antichità - con le quali anche la Chiesa ha dovuto esprimersi - in molti casi erano indubbiamente rozze superstizioni astrologiche, ma anche, sempre in un clima altamente spirituale, un vivo sentimento dell'unione con la divinità e dell'ardente desiderio dell'aldilà. Tale sentimento s'accende alla vista del cielo illuminato da Selene e dal suo coro di stelle. « Nella notte scintillante di stelle lo spirito si inebria della luce che il fuoco dell'etere gli irradia; sulle ali dell'entusiasmo esso s'innalza sul sacro coro degli astri e ne segue gli armoniosi movimenti; ' diviene partecipe della loro immortalità e ancor prima della morte si intrattiene con gli dèi ' » 29. A tale brama, che nella sua inquietante ed opprimente incertezza è tanto commovente, dà ora una risposta la chiara e ferma professione di fede della Chiesa nella risurrezione della carne. L'incontro dello spiritualismo greco della tarda antichità col dogma della risurrezione della carne, professato dalla Chiesa con tanta fermezza, è uno dei capitoli più avvincenti del confronto fra il cristianesimo e il mondo antico 30. Come abbiamo già visto, AGOSTINO ha fatto notare che i pagani han guardato con molto interesse alla sopravvivenza dell'anima separata dal corpo, mentre non hanno potuto credere alla sopravvivenza del corpo 31. 29
F. CUMONT, Die orientalischen Religionen im römischen Heiden-
tum, ρ. 163. L'ultimo testo citato è di VETTIO VALENTE 9, 8 (Kroll,
p. 242, 16). Cfr. anche F. CUMONT, Le mysticisme astrai in Bull. Acad. Belgique (1909) 279SS. 30 Cfr. K. PRÜMM, Der christliche Glaube und die altheidnische Welt, Lipsia 1935, ν. II, pp. 355s. 476s; K. PRÜMM, Christentum als Neuheitserlebnis, Friburgo 1939, pp. 449-465. 31 AGOSTINO, Enarr. in Ps. 88, 5 (PL 37, 1134D): « Nam de animi immortalitate multi etiam philosophi gentium multa disputa-
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
A distanza di secoli la situazione era dunque ancora identica a quella di cui si lamentava Paolo nell'Areopago di Atene agli inizi della predicazione cristiana 32. Anche nel pensiero della tarda antichità, specialmente nell'ambito della religiosità misterica, si sono conservate però delle tracce d'una vaga idea della risurrezione dei corpi 33. Qui s'inserisce la predicazione della Chiesa. Ben presto nei tanti trattati degli antichi teologi cristiani intorno alla risurrezione della carne si volge lo sguardo al cielo stellato, luminoso simbolo dell'aldilà. Selene è il grande esempio della risurrezione che si compie nella Chiesa e in tutti quelli che vengono generati dal suo seno materno. Già il Veggente di Patmos aveva insegnato a considerare la Chiesa come la grande donna che sta sulla luna, al di sopra d'ogni mutevolezza, della corruttibilità terrena, della legge del fato, sopra il ' regno dello spirito di questo mondo ' 34. verunt, et immortalerà esse animum humanuni pluribus et multiplicibus libris conscriptum memoriae reliquerunt. Cum ventum fuerit ad resurrectionem carnis, non titubant, sed apertissime contradicunt, et contradictio eorum talis est, ut dicant fieri non posse ut caro ista terrena possit in caelum ascendere. Ideo Luna ista perfecta in aeternum, et adversus omnes contradictores testis in caelo fidelis ». 32 At 17, i8ss. Cfr. anche 1 Cor 15,12. 33 Cfr. K. PKÜMM, Der christl. Glaube, ν. II, ρ. 367s. 34 Apoc 12,1: γυνή περιβεβλημένη τον ήλιον και ή σελήνη ύποκάτω των ποδών αυτής. Non è qui il caso di recensire gli innumerevoli tentativi d'una spiegazione storico-religiosa della visione, né è possibile indicare quanto siano state diverse le spiegazioni date nel corso dell'antica esegesi cristiana. Cfr. l'esposizione sintetica di E. B. ALLO, Saint Jean. L'Apocalypse, 2 ed. Parigi 1921, pp. 167-179 (Exc. 26 : Les prétendues origines juives ou astronomiques ou mythologiques de la vision du ch. XII). - Benché anche nell'Antico Testamento si parli della luna come simbolo della mutevolezza e della stoltezza (mentre il sole viene indicato come simbolo dell'immutabile sapienza), cfr. Ecdi 27,11, tuttavia per la spiegazione della visione
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La prima cosa che la Chiesa, in un senso completamente diverso da quello delle religioni misteriche, prometteva ai suoi neofiti era la libertà dal destino delle stelle. « Noi siamo al di sopra del fato e conosciamo non i demoni dei pianeti, ma il solo infallibile Signore del mondo ! » 35. Tutti gli astri, infatti, come si legge nella lettera a Diognete, « serbano fedelmente i misteri del Logos e Selene obbedisce al comando del Logos » 36. Questa liberazione avviene nel battesimo. Nel capitolo sul battesimo, nella sua prima Apologia, GIUSTINO afferma che « i battezzati non son più figli della costrizione » 37. CLEMENTE ALESSANDRINO ci ha conservato negli Excerpta ex Theodoto delle frasi che dimostrano quanto fosse viva l'interpretazione del battesimo come liberazione dalle catene del destino. L'acqua pneumatizzata del battesimo estingue l'incendio della στοιχεία, la provvidenza di Cristo prende il posto del fato sublu nare, che non ha leggi: μέχρι τοΰ βαπτίσματος ή ειμαρμένη αληθής, μετά τοϋτο ούκέτι άλη-9-εύονσιν οι αστρολόγοι 3 8 . dell'Apocalisse ci si può pure riferire (ciò che finora non è stato fatto in misura sufficiente), a tutto il complesso di idee che abbiamo esposto sopra. Cfr. soprattutto la citazione da CASTORE DI RODI, sopra, nota 28. 35 TAZIANO, Or. adv. Graec. 9 (Otto VI, p. 42): ήμεις δε και ειμαρμένης έσμέν ανώτεροι, κα!. αντί πλανητών δαιμόνων ένα τον απλανή δεσπότην μεμα-9-ήκαμεν. 36 Ed. ad Diogn. 7 (Otto III, ρ. 184): οδ (τοΰ Λόγου) τά μυστήρια πιστώς πάντα φυλάσσει τα στοιχεία ... φ πει θαρχεί ή σελήνη νυκτί φαίνειν κελεύοντι. 37 GIUSTINO, Apol. Ι, 6ι (Otto Ι, ρ. ι66): δπως μη ανάγκης τέκνα μηδέ άγνοιας μένωμεν άλλα προαιρέσεως καί επισ τήμης. 38 Exc. ex Theodoto 78, ι (GCS Clemens ΠΙ, ρ. 131, 15s)- Cfr. anche ivi 74 (ρ. 130, 18-22): 81 (ρ. 131, 31 - ρ. 132, 9).
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L'ECCLÉSIOLOGIA
DEI
PADRI
Quanto sia stretto il nesso tra la rappresentazione della Chiesa come vera Selene, liberatrice dal fato, e l'apologetica contro la fede nel fato, appare dal fatto che i Padri della Chiesa nella spiegazione dell'Exaemeron confutano tutti, senza eccezione, la teoria del fato degli astri. Suona come un canto di gioia il grido che METODIO ripete di continuo al termine del suesposto capitolo sulla luna: ούκ άρα γένεσις, ούκ άρα ειμαρ μένη 3 9 . Non Elio e Selene, che secondo le credenze dei pagani cambiano la nostra terra « in una vita divina mente beata, tranquilla, non offuscata dal dolore e dalla cattiveria » e che sono anche la ragione delle azioni caduche e peccaminose, ma il Signore del cielo, il Si gnore della nostra libera volontà stabilisce il nostro destino 40 . Il cristiano battezzato è πάσης ανάγκης έκτος 4 1 . ORIGENE 4 2 e, più tardi, CRISOSTOMO 43 dicono che la provvidenza di Dio riguardo ai suoi fedeli non si estende solo ' fino alla luna '. I Padri inveiscono contro la magìa lunare 44. Secondo AMBROGIO, i maghi che con le loro arti occulte tentano di tirar giù dal cielo la luna, sono simbolo della potenza demoniaca che vuol rimuovere la vera Luna, la Chiesa, 39 M E T O D I O , Symposion 8, 15. 16 (GCS Methodius, p. 103, 11s; p . 105, 15; p . 106, 9; p . 109, 3 . 7 ; p . 110, 15). 40 Ivi 8, 15 (p. 104, 1-5); 8, 16 (p. 105, 1-3). 41 Ivi 8, 13 (p. 98, 17-20): α υ τ ο κ ρ ά τ ο ρ α κ α ι α ΰ τ ε ξ ο ύ σ ι ο ν τον λ ο γ ι σ μ ο ν ε ί λ η φ ό τ α ς κ α ι π ά σ η ς α ν ά γ κ η ς έ κ τ ο ς εις τ ο α ύ τ ο δ ε σ π ό τ ω ς αίρεΐσ&αι τ α ά ρ έ σ κ ο ν τ α , ο ύ δ ο υ λ ε ύ ο ν τ α ς ε ι μ αρμένη και τ ύ χ α ι ς . 4 2
ORIGENE, Comm. in ep. ad Rom. 3 (PG 14, 927 Β ) .
4 3
CRISOSTOMO, Expos, in Ps. 134, 3 (PG 55, 392 A).
4 4
Cfr. le d u e prediche di MASSIMO D I T O R I N O , De defectione
Lunae (PL 57, 483-490), nelle quali vien raccolto da Ambrogio e da Agostino quanto l'apologetica cristiana aveva prodotto contro la magia lunare.
LA CHIESA RAGGIANTE
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dalla sua statio, dalla stabilità del suo posto in cielo. Ma la Chiesa è esente da ogni potere demoniaco, perché prende parte al mistero dell'immutabilità di Cristo : « Nihil incantatores valent ubi Christi canticum cotidie decantatur » 45. Infatti, come dice Ambrogio con una espressione piuttosto ardita, la Chiesa, la spirituale Selene, ha il suo grande e unico ' mago ', Cristo, che è stato ' esaltato ' e ha così reso vano ogni ' egiziaco scongiuro ' 46. La Chiesa rimane eternamente al suo posto in cielo. Non saranno più le lune apotropeiche portate dalle donne a proteggere dai demoni quaggiù, sotto la luna; il cristiano anche nel portare questi ornamenti pensa alla Chiesa che è la vera luna : « Habent mulieres in Lunae similitudinem bullulas dependentes, quas nos ad Ecclesiae ornamenta transferimus quae illuminatur Sole iustitiae » 47. Se l'antica teologia cristiana vede nella luna e nei suoi mutamenti una figura della finale risurrezione della carne, ciò non è solo per una facilmente comprensibile similitudine suggerita dalla natura; qui si muove tutto quel mondo di idee, da cui erano eccitati gli antichi nella contemplazione della notturna luminosità di Selene. La miglior prova di ciò sta nel fatto che l'accostamento tra luna e risurrezione appare quasi sempre nell'immediato contesto del rifiuto del culto divino di Selene. L'intento specifico del sistema apologetico dei Padri è dunque quello di trasformare la 48
AMBROGIO, Hexaemeron 4, 8, 33 (CSEL 32, 1, p. 139, 4s). Ivi (p. 139, 5-9): «Habet (Ecclesia) incantatorem suum D o minum Iesum ... et Aegyptiorum ferale licet Carmen inmurmuret, in Christi nomine hebetatur ». - La stessa cosa si ha in MASSIMO DI 46
T O R I N O (PL 57, 4S8 BC). 47 GIROLAMO, In Is. commetti. 2 (PL 24, 70 D ) .
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
venerazione di Selene, profondamente radicata nell'uomo antico, nella gioia per la verità che la rivelazione cristiana ha manifestato intorno al destino finale dell'uomo. La lotta contro l'adorazione della divina Selene comincia già con l'Apologia di ARISTIDE 48. Evidentemente è altrettanto antico anche il principio apologetico: Selene è l'immagine dell'uomo mortale e il simbolo della sua futura risurrezione. TEOFILO ANTIOCHENO parla chiaramente della ' risurrezione di Selene ' e ricorre al fenomeno delle fasi lunari per mostrare che Selene muore continuamente per poi risorgere: tutto questo è una figura della nostra risurrezione 49. In modo analogo ragiona anche TERTULLIANO : « Reornantur et specula Lunae quae menstruus numerus attriverat » 50. Nel profondo pensiero e negli scritti di Tertulliano il regolare alternarsi in cielo dell'oscura morte e della vita luminosa degli astri rappresenta in sintesi la legge dialettica dell'universo, in cui si riflette il mistero della risurrezione della carne: « Semel dixerim, universa condicio recidiva est. Quodcumque conveneris, fuit. Quodcumque amiseris, nihil non iterum est. Omnia in statum redeunt, cum abscesserint. Omnia incipiunt cum desierint. Ideo finiuntur, ut fiant. Nihil deperit, nisi in salutem. Totus igitur hic ordo revolubilis rerum, testa48 ARISTIDE, Apol. 3, 2; 6, 3 (GEFFCKEN, Zwei griech. Apol., p. 6, 3-9; p. 9, 25). Cfr. anche GIUSTINO, Apol. II, 5 (Otto I, p. 208s); EP. AD DIOGN. 7, 2 (Otto III, p. 144). 49 TEOFILO ANT., Ad Autol. 1, 13 (Otto Vili, p. 40): κατανόησαν την άνάστασιν της σελήνης, την κατά μήνα γενομένην, π ώ ς φθίνει, αποθνήσκει, άνίσταται πάλιν. - Ivi 2, 15 (Otto Vili, ρ. 102): έπειτα άναγενναται και αΰξει είς δείγμα της μελ λούσης έσεσθαι αναστάσεως. 50 TERTULLIANO, De resurr, carnis 12 (Oehler Π, ρ. 482, 9s; PL 2, 810 B).
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tio est resurrectionis mortuorum » 51. Per questa ragione i Padri, spiegando la risurrezione della carne, ricorrono spesso anche al simbolo della Selene che muore e sempre rinasce 52 . Questo concetto è stato sviluppato soprattutto da SEVERIANO DI GABALA. Rigenerazione e risurrezione della carne sono, come dice il Signore in Mat 19,28, un solo mistero. Selene è la figura della carne mortale; la nostra vita trascorre come le fasi astronomiche della luna. « Oggi nasce la luna », esclamiamo nel vedere il rinnovato splendore della luna. Così pure l'uomo: « Noi nasciamo, cresciamo, giungiamo alla piena maturità, superiamo l'apice della vita, a poco a poco svaniamo, invecchiamo, moriamo, scendiamo nella tomba». Ma in noi si compie il mistero di Selene: άλλα πάλιν γεννάται, επειδή καί ημείς μέλλομεν άνίστασ&αι, καί μένει ήμας γέννησις άλλη ... εγ γυάται ή σελήνη τήν άνάστασιν 5 3 . La luna è quindi « garanzia della nostra risurrezione ». In essa Iddio, come dice TERTULLIANO, ha voluto prefigurare il mi51
Ivi (Oehler II, p. 482, 20ss; PL 2, 810 BC).
52
Cfr. CIRILLO DI GERUS., Catech.
18,
io (PG 33,
1028 CD):
Tò γαρ της σελήνης σώμα παντελώς έκλείπον, ώς μη δ' ότιοϋν φαίνεσθαι λοιπόν, πάλιν άναπληροϋται καί εις δπερ ήν αποκαθίσταται ... σύ ό άνθρωπος ... τη τών νεκρών άναστάσει μη άπιστήσης· άλλ'δπερ έπι της σελήνης βλέπεις, τοϋτο καί περί σεαυτοϋ πιστεύσης. - GREGORIO NISS., De ani ma et resurrectione (PG 46, 32 CD): EZNIK DI KOLB, Wider die Häresien ι, 3 (BKV2 57, p. 30): «Perché (si deve adorare) la luna, che mese per mese decresce e muore e poi di nuovo comincia a vivere, per offrirvi un'immagine della risurrezione?». - PS.-CIPRIANO, Carmen de resurrectione mortuorum, vv. 126-132 (CSEL 3, 3, p. 313; cfr. ed. J. H. Waszink, Fior. Patr. Suppl. 1, Bonn, 1937, p. 67SS); Giov. DAMASCENO, De fide ortodoxa 2, 7 (PG 94, 897 A). 53
SEVERIANO GABAL., De mundi constitutione Or. 3,5 (PG 56,453 C).
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stero della perfezione cristiana prima ancora di rivelarlo nella Sacra Scrittura 54. Anche AGOSTINO ha presente la luna quando spiega ai suoi fedeli i segreti del cielo stellato, e dirige il loro sguardo alla beata regione al di sotto della quale si trova « la dimora di quest'aria buia » e nella quale « brillano radiose le stelle ed abitano i santi Angeli » 55. L'estinguersi e il rinnovarsi della luna, come egli espressamente afferma, è « anche per gli uomini semplici una chiara figura della Chiesa, nella quale si crede nella risurrezione dei morti » 56. Il continuo mutare della luna raffigura assai bene la natura mortale del nostro corpo. Ma solo alla fine dei tempi, quando « il nostro trono sarà come il trono del Sole » (Sal 88,38), quando il corpo mistico di Cristo sederà sul trono di Dio, solo allora anche « la luna sarà perfetta, un fedele testimone in cielo » : « Similis est ergo caro ista Lunae, quae omni tempore et omni mense patitur augmenta et decrementa; sed erit caro ista nostra in resurrectione perfecta et testis in caelo fidelis » 57. All'invecchiamento di questo mondo succederà l'eterna giovinezza della rigenerazione e della risurrezione. Agostino esprime gli stessi concetti che riprenderà più tardi ANASTASIO SINAITA: la Chiesa è fin d'ora rivestita della giovinezza che non invecchia, la vera Selene non tramonta mai, non muore, ma è eternamente giovane : « Similiter etiam typica Luna peribit; vera autem Luna Ecclesia, quam prius praedi54 TERTULLIANO, De resurr. carnis 12 (Oehler II, p. 4S3; PL 2, 811 A). 55
AGOSTINO,
Semi.
122
(PL 38,
1091 Β ) . - Cfr.
F. J.
DÖLGER,
Die Sonne der Gerechtigkeit uni der Schwarze, Münster 1918, p. 50. 51 AGOSTINO, Enarr. in Ps. 10, 3 (PL 36, 133 A ) . 57 Ivi 88, 5 (PL 37, 1134B).
LA CHIESA RAGGIANTE
285
cavit et annuntiavit nocturna, non veterascet » 58 . Come l'aquila nel suo vigore giovanile continuamente si rinnova e vola sicura verso le luminose altezze dov'è il sole, così pure la Chiesa e i fedeli. Questo mistero è prefigurato nella luna, splendente nel cielo che copre la terra. Il significato simbolico della luna vien così trasferito dalla natura mortale del corpo all'immortale splendore della Chiesa, eternamente gloriosa con Cristo. Ciò ha inizio nel giorno in cui la Chiesa « viene esaltata, per regnare con Cristo nel fulgore della risurrezione della carne » 59 . La Chiesa ha potuto così dirigere lo sguardo dei suoi fedeli al beato regno del « mondo dell'aldilà », dove splende unicamente l'etereo fuoco di Cristo. E ciò in un senso più profondo e più vero rispetto a quello inteso dalla religiosità antica. CLEMENTE ALESSANDRINO, indotto dalle idee di Platone, così descrive la santa regione sovrastante il cielo delle stelle fisse: « Un luogo attraente e tranquillo, la pacifica dimora dei Santi» 6 0 . Questo luogo è la ' Casa del Padre ', nella quale entra il giusto dopo la morte, librandosi al di sopra delle sfere, completamente ricolmo della tranquilla e immutabile luce 61 , della luce originaria che Dio ha fatto risplendere all'inizio della creazione e con la quale nel
58
59
ANASTASIO SINAITA, Hexaemeron 4 (PG 89, 911 D ) .
AGOSTINO, Enarr. ira Ps. 102, 9 (PL 37, 1323s): « Erit post senectutem tamquam iuvenis aquila ... volat exceisa sicut antea, fit in ea quaedam resurrectio ... sicut et Luna ponitur, quia deminuta et quodam m o d o intercepta rursus nascitur et impietur, et significat nobis resurrectionem ». - Cfr. il canto primaverile sulla luna di Pasqua che si prepara per la risurrezione del Signore e si veste di luce radiosa : PS.-AGOSTINO, Semi. 164 App. (PL 39, 2067). Cosi pure GAUDENZIO DI BRESCIA, Sermo 3 in Pascha (PL 20, 861 B C ) . 60 CLEMENTE ALESS., Strom. 5,14,106 (GCS Clemens II, ρ. 397, 11ss). 61 Ivi 7, io, 57 (GCS Clemens HI, p. 42, 13-15).
286
L'ECCLESIOLOGIA DEI
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quarto giorno ha plasmato i due luminari del cielo 62. Questa è la luce dell'eterno ' Padre dei lumi ', dal quale procedono Cristo e la Chiesa, ' luminari di questo mondo ', e al quale ritornano ora definitivamente. La « città eterna non ha più bisogno del sole e della luna», dice l'Apocalisse; e i Padri applicano l'espressione al compimento della salvezza di Dio in Cristo e nella Chiesa 63. Il dramma della storia della salvezza ritorna così al principio, donde tutto procede, ossia al Padre eterno, alla fonte della luce. Questa purissima luce del Padre mediante il Sole Cristo illuminerà eternamente la Chiesa, immortale Selene, e i Santi, celeste coro di stelle, così come la luce del sole attraverso il dolce e materno splendore della luna terrena illumina le stelle. È ancora una volta il Poeta della Divina Commedia a descrivere, in una geniale sintesi del pensiero antico e della simbologia cristiana qui esposta, il trionfo di Cristo. Cristo gli appare come il Sole immortale che irradia la sua luce su « migliaia di lucerne », come la luna nello splendore della mezzanotte invia sorridendo la sua luce al « coro delle ninfe », ossia alle stelle 64 : « Quale nei plenilunii sereni Trivia ride tra le ninfe eterne, Che dipingono il ciel per tutti i seni, Vid'io sovra migliaia di lucerne, 62 Cfr. BASILIO, Hexaemeron, hom. 6, 2. 3 (PG 29, 121 A-D) ; AMBROGIO, Hexaemeron 4, 3, 8.9 (CSEL 32, i, p. 116, 3-26); S E VEEIANO GABAL., De mundi constitutione Or. 3, 2 (PG 56, 448 D; 449 A ) ; ANASTASIO SIN., Hexaemeron 4 (PG 89, 897 C D ) . 63 Apoc 21,23; 22,5- - Cfr. AMBROGIO, Expl. Ps. 38, 18 (CSEL 64, p. 198, 12s); 47. 15 (p. 536. 10-13). 64 Paradiso XXIII, 25-30.
LA CHIESA RAGGIANTE
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Un Sol che tutte quante l'accendea, Come fa il nostro le viste superne ». Con uno sguardo retrospettivo al ricco mondo d'idee del simbolismo lunare del quale la teologia patristica ha rivestito la sua ecclesiologia, veniamo a conoscere una delle tesi più significative dell'antica dommatica cristiana. Abbiam potuto vedere inoltre un esempio concreto e ben determinato di come e con qual criterio si sia stabilito il contatto tra l'antichità e il cristianesimo: l'antica teologia cristiana, seguendo il suo specifico criterio di conoscenza fondato sulla divina rivelazione e sulla tradizione apostolica, si è servita liberamente, grazie alla potenza della speculazione greca, del pensiero antico, come per rivestire di questo i misteri cristiani. ORIGENE riunisce in una sintesi mirabile l'aspirazione dei greci all'ascesa ai beati spazi al di là della luna e la dottrina cristiana intorno al mistero della visione di Dio. Nell'Esortazione ai martiri egli invita gli ' amici dell'eterno Padre ' a prepararsi al celeste viaggio, nel quale passeranno attraverso tutte le sfere volando sui misteri della terra e del cielo stellato : « Io ho la ferma certezza che Dio custodisce e conserva presso di sé come in un tesoro cose molto più belle di quelle che Elio e Selene ed anche il coro degli angeli hanno vedute: le farà conoscere allorché ogni creatura sarà libera dalla schiavitù del nemico nella libertà della gloria dei figli di Dio » 65. 65 ORIGENE, Exh. mart. 13 (GCS Origenes I, p. 13, 23 - p. 14, 2): πέπεισμαι γαρ δτι ών εϊδεν ήλιος και σελήνη καί ό των αστέρων χορός άλλα καί αγγέλων άγιων ... πολλω μείζονα ταμιεύεται καί τηρεί παρ'έαυτω ό Φεος ίνα αυτά φανέρωση, δταν πάσα ή κτίσις έλευ&ερωθ-ή άπο της δουλείας τοϋ έχθροϋ εις την έλευθερίαν της δόξης των τέκνων τοϋ &εοϋ.
FLUMINA DE VENTRE CHRISTI L'ESEGESI PATRÌSTICA DI GIOV. 7, 37. 38
PREMESSA
Il presente studio, inserito ora nell'opera generale, è stato pubblicato per la prima volta nel 1941. SI tratta d'una ricerca storico-esegetica. Ma i risultati raggiunti, come anche i testi che adduciamo per la storia di queste idee sono così essenziali per la conoscenza della dommatica dei Padri sulla salvezza operata dall'acqua viva uscita dalla piaga del costato di Cristo, che si spiega da sé perché questo saggio sia stato inserito nel presente libro. È un impegno precipuo dell'ecclesiologia patristica quello di pone in risalto l'origine della Chiesa dal cuore del secondo Adamo addormentatosi nella morte e la mistica unità tra il corpo di Cristo e la Chiesa. Ne è una prova l'espressione di Ireneo : « Chiunque lo voglia, può ricevere dalla Chiesa l'acqua viva » 1. Nella teologìa di Ippolito, dì Cipriano e dì Ambrogio, il corpo di Cristo e la sorgente dalla quale sgorgano i sacramenti che formano la Chiesa. Proprio perché si tratta qui d'una parte della storia dell'esegesi, sarà possìbile vedere più chiaramente quali elementi dominatici siano effettivamente presenti anche dietro l'interpretazione della Scrittura, e in che modo si manifesta nell'ecclesiologia quella tendenza piuttosto psicologico-morale, ispirata ad Origene, in opposizione ad una dommatica 1
Adv. haer. 3, 4, 1 (Harvey II, 15).
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realistico-sacramentale che in questa indagine storico-esegetica indichiamo giustamente come teologia dell'Asia minore e che ha avuto la sua espressione più bella nella dottrina di Ireneo. Inoltre i risultati della nostra ricerca, per quanto concerne la formulazione del testo di Giov 7,37.38, hanno avuto una conferma nell'Enciclica ' Haurietis aquas ' di Pio XII, del 15 maggio 1956 2. E dalle più recenti indagini sulla questione appare ugualmente quanto sia importante questo studio per la dottrina della grazia e della Chiesa 3.
2
AAS 48 (1956) 310. Cfr. J. MÉNARD, VInterpretation patristique de Jean 7,38 in Revue de VUniversité d'Ottawa 25 (1955) 5-25; D. M. STANLEY, Front his heart will flow rivers of living waters: Cor Jesu, Commentationes in Litteras Encydicas Pii XII ' Haurietis Aquas ', voi. I, Roma 1959, pp. 509-542. 3
INTRODUZIONE
La promessa dell'acqua viva, annunziata dal Signore Gesù Cristo al popolo nel gran giorno della festa dei Tabernacoli in occasione della solenne libazione con l'acqua 1, ha avuto fin dai primissimi tempi dell'esegesi cristiana due interpretazioni opposte. Questa duplice spiegazione è motivata da una diversa trasmissione del testo di Giov 7,37.38. Infatti il senso delle parole dipende dall'interpunzione e dalla differente delimitazione colometrica delle proposizioni. Diremo meglio che le varianti nella trasmissione del testo han dato luogo fin dall'inizio ad una contrastante spiegazione del suddetto passo. M. J. LAGRANGE nel suo commento al Vangelo di S. Giovanni 2 ha raccolto tutta la materia finora elaborata intorno alla presente questione. Nella sua ricostruzione del testo egli decide per un'interpunzione che differisce da quella tradizionale: έάν τις δίψα έρχέσθω προς με κκί πινέτω ό πιστευων ε'ις έμέ. κα&ώς είπεν ή γραφή· ποταμοί έκ της κοιλίας αύτοϋ ρεύσουσιν ύδατος ζώντος. 1 Cfr. Η. STRACK-P. BIIXERBECK, Kommentar zum Neuen Testa ment aus Talmud und Midrasch, Monaco 1924, v. II, pp. 490-493 ; 799-805. 2 M.-J. LAGRANGE, Évangite sehn Saint Jean, Parigi 1936, 5 ed., pp. 214-217.
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INTRODUZIONE
Già dal primo sguardo appare chiaro che la nuova interpunzione cambia sostanzialmente anche il senso delle parole. Non dall'intimo del credente sgorgano fiumi d'acqua viva, ma Cristo vuole invitare il popolo a non desiderare tanto l'acqua terrena, e ad attingere piuttosto da quella fonte che dona l'acqua promessa nella S. Scrittura; questa fonte è il Messia, che sta in mezzo al popolo. Il senso dell'espressione è dunque questo: dall'intimo del Messia, dal suo corpo umano, sgorgheranno fiumi d'acqua viva. Cristo si manifesta come datore dello Spirito, e lo Spirito è la sintesi di tutti i beni della redenzione messianica, che scaturiscono dal corpo di Cristo, ossia dalla sua ' glorificazione ', dalla morte in croce. La frase che ora inizia con καθώς deve essere quindi riferita al Messia. In tal modo viene a cadere il concetto significato dalla pre cedente interpunzione, che cioè l'acqua dello Spirito sgorghi anche dall'intimo del credente, che quindi il credente possa essere considerato come una sorgente dello Spirito messianico. Si scioglie così anche la difficoltà principale dell'esegesi tradizionale per quanto riguarda i passi dell'Antico Testamento, in cui la suddetta prerogativa sarebbe affermata del credente dell'era messianica. Viene infine rimossa la difficoltà dommatica dell'enunziato, secondo il quale il credente può diventare a sua volta una fonte dello Spirito Santo. Or si pone però in modo imperativo la domanda: siamo autorizzati a staccarci dalla lezione finora comune e molto meglio attestata dai manoscritti ed anche dai Padri, e ad introdurre un'interpunzione che muta così profondamente il senso del passo di Giov 7,37.38? Lagrange ammette, per sé, la possibilità e il profondo
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significato dell'interpretazione tradizionale del testo. Per la sua ricostruzione del testo e quindi per la sua nuova interpretazione egli si richiama a GRILL 3, Loisy 4 , WETTER 5 - testi in verità non molto degni di fiducia; ma anche alle accurate ricerche di ROBINSON 6 e TURNER 7. Da questi autori raccoglie le testimonianze dei Padri che possono provare che l'interpretazione quella da lui preferita - del testo in ordine a Cristo invece che ai credenti è conosciuta fin dall'antichità. Egli distribuisce così le teorie esegetiche della patristica su questo testo: l'Oriente, sotto la guida di ORIGENE, si sarebbe pronunziato sempre per la spiegazione e l'interpunzione tradizionale, e questa tesi per il preminente influsso di Origene sarebbe poi passata a GIROLAMO ed AGOSTINO, divenendo così comune nel medioevo e nei tempi moderni. La primitiva esegesi latina avrebbe dato invece la preferenza, sia per il testo giovanneo sia per la sua interpretazione, all'altra tesi, ora riproposta anche dal Lagrange. Le testimonianze patristiche addotte da Lagrange sono quelle familiari da tanto tempo alla scienza esegetica : IRENEO 8, IPPO3 JULIUS GRILL, Untersuchungen über die Entstehung des vierten Evangeliums, ρ. I, Tubinga 1902, ρ. 16, n o t a 1 ; ρ. Π, Das mysterienevangelium des hellenistischen Christentums, Tubinga 1923, pp. 105-107. 4 A. LOISY, Le quatrième Evangile, Parigi 1921 (2 ed.), pp. 270-273. 5 G. Ρ. WETTER, Der Sohn Gottes, Eine Untersuchung über den Charakter und die Tendenz des Johannesevangeliums (Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments. Neue Folge, Heft 9), Gottinga 1916, p. 55ss. 11 J. A. ROBINSON, The Passion of St. Perpetua. The Letter of the Churches of Vienne und Lyons (Texts and Studies I, 2), Cambridge 1891, p. 98. 7 C. H. TURNER, On the punctuation of St. John 7,37.38 in Journal of Theological Studies 24 (1923) 66-70. 8 Adv. haer. 5, 18, 2 (Harvey II, 374); 3, 24, 1 (Hervey II, 13LS).
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LiTO 9 , la lettera sui martiri di Lione 10, CIPRIANO 11, PS.-CIPRIANO
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e AMBROGIO
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.
La nostra ricerca comincia qui. Innanzi tutto non è nostra intenzione dare una giustificazione esegetica dell'una ο dell'altra interpretazione del testo. Vogliamo solo presentare nel modo più completo possibile il materiale patristico che riguarda la storia dell'interpretazione di Giov 7,37.38. Dai testi patristici, trasmessi finora indiscriminatamente, non è possibile stabilire quale tesi sia stata quella originaria e perciò più esatta. È molto meglio cercare di ordinare i testi in un quadro storico e genetico. Un facile esempio ci mostra per quali vie sia stato trasmesso nei secoli il testo di Giov 7,37-38, fin dagliinizi dell'esegesi scritturistica cristiana. Nel nostro caso (tanto per accennarlo in anticipo) come si sia cercato di interpretare tale testo nella tradizione dell'Asia minore, che si ricollegava direttamente allo stesso Giovanni, e come mai la spiegazione contestata sia stata quasi dappertutto predominante grazie all'autorità di Origene. Ci si presenta anche l'occasione di accrescere in modo considerevole rispetto a quelli addotti da Lagrange e dai precedenti studi - il numero dei testi patristici coi quali s'avvalora la nuova interpretazione. Il presente saggio ha quindi 9
Comment. in Dan. 1, 17 (GCS Hippolyt I, 1, p. 29, n s ) . EUSEBIO, Hist. eccl. 5, 1, 22 (GCS Eusebius II, 1, p. 410, 10-13 ) . 11 Testini. 1, 22 (CSEL 3, 1, p. 58, 8-10); Epist. 63, 8 (CSEL 3. 2, p. 706, 16ss); Epist. 73, 11 (CSEL 3, 2, p. 786, 3). 12 De montihus Sina et Sion 9 (CSEL 3, 3, p. 115, 9-15); De rebaptismate 14 (CSEL 3, 3, p. 86, 14-19). 13 De Spiritu Sancto 3, 20, 154 (PL 16, 812 B C ) . Dell'insufficiente forza probativa del testo di A m b r o g i o , come anche della posizione storica e del valore degli altri testi patristici summenzionati, tratteremo espressamente nel secondo capitolo del presente studio. 10
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il solo scopo di portare un contributo alla conoscenza del pensiero dei Padri per quanto riguarda l'esegesi, la storia e l'arte dell'interpretazione, e infine la pressante questione del senso più antico e profondo della mirabile autorivelazione di Cristo qual fonte dello Spirito, somma di tutti i doni messianici. Il nostro studio si articola in due capitoli. Nel primo si espone e si ricercano le origini di quella tradizione patristica che si è espressa a favore dell'interpretazione ed interpunzione del testo finora comune: il credente, dopo aver bevuto Cristo alla sorgente, diventa egli stesso la sorgente dell'acqua dello Spirito per gli altri; in ciò Cristo vede il compimento d'una profezia dell'Antico Testamento. Qui s'impone però la risposta a due questioni fondamentali: 1. Che cosa significa realmente, e senza ricorrere al linguaggio figurato, l'espressione : il credente diviene egli stesso fonte d'acqua viva? 2. Secondo il pensiero dei Padri, in qual punto dell'Antico Testamento questo concetto è espresso in termini espliciti, od anche solo accennato? Nel secondo capitolo si espone invece la tradizione patristica favorevole all'altra interpretazione ed interpunzione del testo, e se ne ricerca la provenienza. Anche qui dobbiamo rispondere a due domande: 1. Quali sono le origini della tesi secondo cui Cristo in questo luogo ha rivelato se stesso qual fonte dell'acqua viva che sgorga dal suo intimo? 2. Dov'è preannunziato questo fatto nelle profezie dell'Antico Testamento? Ne risulterà che di fatto l'interpunzione e l'interpretazione del testo proposta da Lagrange si dimostra più attendibile in ragione d'un aggancio immediato alla tradizione giovannea e quindi per il suo contenuto
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teologicamente molto più apprezzabile. La prova patristica sarà presentata per la prima volta qui in modo esauriente. Per agevolarne l'analisi, tracceremo anzitutto le linee della storia dell'esegesi tradizionale di Giov 7,37.38.
Ι.
LΑ TRADIZIONE ALESSANDRINA
ORIGENE è il primo esegeta cristiano a interpretare Giov 7,38 nel senso d'un traboccamento, nell'intimo del credente, dell'acqua bevuta dalla fonte che è Cristo. Prima di lui non si trova nella Chiesa primitiva nessuna testimonianza scritta in favore di questo significato. Ma in Origene l'esegesi di Giov 7,37.38 è così precisa e in tale formulazione penetra tanto profondamente, per il potente influsso esercitato dall'autorità esegetica del maestro, nell'esegesi scritturistica della patristica greca e latina, che qui dobbiamo necessariamente estendere la nostra indagine, per individuare il posto esatto che questa interpretazione di Giov 7,37.38 occupa nel complesso dottrinale teologico-ascetico del grande Alessandrino. Dobbiamo dire anzitutto qual significato Origene attribuisca alle parole del Signore 1. Quindi, secondo lo schema annunziato, si dovranno indicare i passi scritturistici ai quali, secondo Origene, si allude in Giov 7,38 2. Sarà così possibile, sulla base dei risultati dei primi due punti, descrivere la storia successiva di questa interpretazione nella patristica greca e latina 3.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
1. - La parte centrale della teologia e dell'ascesi origeniana è costituita dalla dottrina della riproduzione nell'anima cristiana della vita trinitaria di Dio, donataci nel Verbo Incarnato 1. Questa vita si sviluppa dalla fede e diviene matura nella gnosi, nella visione del Padre ingenito, a noi possibile solo nel Logos. In ciò Origene segue fedelmente Clemente Alessandrino e trasferisce anche alcuni temi del pensiero di Filone nella genuina dottrina del cristianesimo. La sua gnosi è però più personale, più calda, quasi più ascetica: per un preponderante interesse pastorale e speculativo (e quindi anche esegetico), Origene affronta con particolare impegno le questioni della vita spirituale soggettiva e personale. Nel presentare la sua dottrina della partecipazione soggettiva alla vita divina nella fede e nella gnosi, egli mostra una chiara preferenza per quella tesi caratteristica che potremmo propriamente designare come ' teologia dell'acqua viva ' 2. Dalla fonte dell'unica sostanza divina - così insegna Origene 3 - nascono nella vita intima della Divinità tre fiumi, il Padre, il Logos, lo Spirito. La fonte del mistero trinitario, come sigillata da tutta l'eternità, mediante la comunicazione dello Spirito da parte di Cristo (Origene cita qui 1 Cor 2,10) è stata aperta e si è riversata sull'umanità redenta attraverso la rivelazione del mistero che era nascosto 1 Cfr. W. VÖLKER, Das Vollkommenheitsideal des Origenes (Beiträge zur historischen Theologie, 7), Tubinga 1931; A. LIESKE, Die Theologie der Logosmystik bei Origenes (Münsterische Beiträge zur Theologie, 22), Münster 1938. 2 Per la teologia filoniana dell'acqua viva cfr. H. LEWY, Sobria ebrietas. Untersuchungen zur Geschichte der antiken Mystik (suppl. 9 a Zeitschrift für die neutest. Wissenschaft), Giessen 1929, pp. 9. 3990ss. 3 Homil. in Num. 12, 1 (GCS Origenes VII, ρ. 95, 10 - ρ. 96, 6 ) ·
LA TRADIZIONE ALESSANDRINA
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in Dio. Per l'uomo in grazia significa che nella sua anima si riproduce ora attraverso la grazia la vita trinitaria. E ciò se l'uomo risponde alla rivelazione con la fede, se con fede beve l'acqua dello Spirito sgorgante da Cristo, la comunicazione della conoscenza divina che si attua attraverso i quattro fiumi dei Vangeli 4. Per Origene, quindi, come anche per la genuina tradizione greca, aqua viva equivale ad aqua doctrinae 5. La fede non è che un'incipiente gnosi, l'acqua dello Spirito rifluisce verso la sorgente, nel Padre ingenito; qual fons vitae, Cristo ci dona ' acqua paterna ' 6. Qui si inserisce un concetto che completa esattamente la teologia dell'acqua viva, l'intellettuale gnosi cristiana. Se l'acqua viva è lo Spirito, e il possesso dello Spirito è la conoscenza dei misteri manifestatici in Cristo, con un continuo progresso nella conoscenza (quindi, in perfetta consonanza con la teologia di CLEMENTE ALESSANDRINO, lungo il cammino dalla fede alla gnosi), l'intimo gonfiarsi delle ' acque della gnosi ' diviene così imponente che le acque straripano e lo gnostico cristiano diventa mistagogo per gli altri e comunica le sue profonde cognizioni, ossia diviene fonte dello Spirito per gli altri. Origene ha letto queste cose in Giov 7,37.38. Questo concetto si inserisce senza difficoltà nel suo sistema ascetico-teologico della gnosi cristiana. Secondo la sua esegesi, quindi, il Signore (Giov 4,14 e 7,37) non solo ha invitato a bere dalla 4 Cfr. GCS Origenes VI, p. 75, 28; P- 106, 5; p. 116, 2; VII, p. 100, 19s; VIII, p. 450, 18. 5 Cfr. espressioni come : aqua doctrinae (VII, p. 90, 8) ; fons scientiae (VI, p. 119, 18); pocula caelestis doctrinae (VIII, p. i n , 4); ποταμοί των θεωρημάτων (Π, p. 91, 6s). 6 In Ieremiam homil. 18, 9 (ΠΙ, ρ. 163, 29s).
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sorgente, che è egli stesso, ma ha espresso anche un altro concetto, che è uno sviluppo del primo: il 'credente ' che beve diventa a poco a poco un ' sapiente ', una ' fonte ', e a sua volta trabocca 7. Queste affermazioni devono essere documentate unicamente con i passi in cui Origene parla espressamente di Giov 7,38. Le fonti principali sono costituite dalle Omelie sull'Exateuco, nelle quali egli (nella scia di FILONE) spiega i ' misteri delle fonti '. Già la prima Omelia sulla Genesi invita i credenti a riprodurre misticamente nel loro intimo la ' divisione delle acque ' (Gen 1,6.7). Infatti con l'intensificarsi della partecipazione intellettuale alle ' acque superiori ', ossia alla vita divina, scaturiscono le acque interiori, che defluiscono dal corpo del credente: « Studeat unusquisque vestrum divisor effici aquae eius, quae est supra et quae est subtus, quo scilicet spiritalis aquae intellectum et participium eius quae est supra firmamentum, flumina de ventre suo educat aquae vivae salientis in vitam aeternam» 8 . Questo è il motivo dominante dello sviluppo sinfonico della teologia spirituale di Origene che è qui ancora agli inizi. Il primo gradino della scala che conduce al vertice della comunicazione gnostica dello Spirito è la purificazione ascetica: bisogna innanzi tutto eliminare il fango e le pietre dalla sorgente che è nascosta nell'intimo. Come Isacco fece scavare nuovamente i pozzi (Gen 26,18), così fa ora Cristo, il vero Isacco, venuto alle nostre sorgenti : « sed nunc, quoniam venit noster 7 Cfr. A. LIESKE, Theologie der Logosmystik, pp. 84-98: il mistico del Logos nella Chiesa visibile. Cfr. soprattutto p. 96. 8 In Gen. hotnil. 1, 2 (VI, p. 3, 24 - p. 4, 1).
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Isaac, suscipiamus eius adventum et fodiamus puteos nostros, abiciamus ab eis terram, purgemus eos ab omnibus sordibus et a cunctis cogitationibus luteis et terrenis, et inveniemus in iis aquam vivam, illam quam dicit D o m i n u s : qui credit in me flumina de ventre 9 eius fluent aquae vivae » . Attuata questa purificazione, nei credenti cresce Γ ' intelligenza ' dei divini misteri racchiusi nella Scrittura, ed essi stessi diventano ' mae stri ' per gli altri : « Videntes tanta haec mysteria in scripturis divinis esse latentia proficitis in intellectu, proficitis in spiritalibus sensibus. Incipietis etiam ipsi esse doctores et procedent ex vobis flumina aquae vi 10 vae » . Ascoltando con fede la spiegazione della Scrit tura nella Chiesa, si alimenta ogni giorno di nuova forza l'acqua che zampilla nell'intimo. Origene: n o n si stanca mai di raccomandare la partecipazione alla litur gia della parola di D i o e di biasimare l'assenteismo 1 1 . C o m e Isacco, il cristiano deve abitare presso il puteus visionis (Gen 25,11; LXX), attingere da Cristo l'acqua viva, che diventa poi visione e come sorgente d'acqua viva sgorga dall'intimo 1 2 . Nella dodicesima omelia sul libro dei N u m e r i O r i gene compendia la sua dottrina mistica intorno alla sorgente interiore, indagando sul contenuto pneuma* Ivi 13, 3 (VI, p. 118,21-26); 12, 5 (VI, p. 112,26 - p. 113,4). 10 Ivi 13, 4 (VI, p. 119, 3-5). 11 Ivi 11, 3 (VI, p. 105, 24 - p. 106, 7); io, 3 (VI, p. 96, 15-29). 12 Ivi 11, 3 (VI, p. 105, 3-24); Comment. in Cant. 3 (VIII, p. 206, 15-22): «Si qui sunt capaciores Verbi Dei, qui ab Iesu aquam sibi datam biberunt, et haec jarta est in iis fons aquae vivae salientis in vitam aeternam, in his scilieet, in quibus Verbum Dei crebris sensibus et copiosis velut perennibus ebullit fluentis... digrùssime salire Verbum Dei dicitur et exsilire factus in iis per affluentiam doctrinae fons aquae vivae salientis in vitam aeternam ».
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tico di tutti i passi della Scrittura in cui si parla di pozzi, da Abramo fino a Cristo presso il pozzo di Giacobbe 13. Il credente, purificando la sua vita interiore e penetrando nella profondità dei misteri, vi trova la sorgente, cioè Gesù Cristo, che scaturisce dalla fonte della Divinità. Ma non basta: il credente trova in sé 'fiumi d'acqua', la cui pienezza trabocca nella gnosi: «In alio autem Evangelii loco iam non fons neque puteus, sed amplius aliquid dicitur. Qui credit, inquit (Christus), in eum, sicut Scriptura dicit, flumina de ventre eius procedent aquae vivae. Vides ergo quia qui credit in eum, non solum puteum, sed et puteos, et non solum fontes, sed et flumina habet intra se » 14. Perciò - continua ancora Origene - il Redentore ha promesso ai suoi discepoli ' fiumi d'acqua ', dei quali essi stessi saranno la sorgente. Ciò dovrebbe avvenire in ogni anima umana : « Ita et anima hominis quae ad imaginem est Dei, potest in se habere et producere ex se et puteos et fontes et flumina» 15. 13
In Num homil. 12,1: «De puteo et cantico eius» (VII, p. 93, 23-25) : « Et ideo conveniens puto de aliis Scripturae locis puteorum congregare mysteria ». Ivi (VII, p. 94, 10-17). 14 Ivi (VII, p. 94, 20-24). 15 Ivi (VII, p. 96, 10-12). - Questa capacità del pneumatico di dare a sua volta l'acqua dello Spirito è la perfetta identificazione col vivificante Logos, l'attuazione più perfetta quaggiù della configurazione dell'anima al Logos. Cfr. In Gen. homil. 13, 3 (VI, p. 118, 16s): «Vide ergo quia forte etiam in uniuscuiusque nostrum anima est puteus aquae vivae, est quidam caelestis sensus et imago Dei latens ». Per il potere di dispensare l'acqua dello Spirito lo gnostico diventa un uomo ' regale •', il solo in grado di donare, a imitazione dell'unto Logos, l'acqua viva, cioè di ' insegnare '. Cfr. In Num. homil. 12,2 (VII, p. 100, 21-28) : « Vere enim reges et vere principes habendi sunt, qui possunt... de interiori petra, ubi Christus est, spiritales sensus velut aquam vivam proferre. Hoc ergo facere decet eos solos,
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Origene descrive infine l'ascesa dell'anima verso la gnosi in una profonda esegesi dell'oracolo di Balaam (Num 24,6). I giardini del paradiso, piantati presso i corsi d'acqua, sono le conoscenze pneumatiche dei misteri nascosti sotto il velo della parola ; i fiumi sono invece gli scritti evangelici e apostolici, che traggono origine dalla fonte che è Cristo, dall'acqua dello Spirito; questi cresce poi nei credenti cui è stato concesso e li riconduce al Padre, donde tutto procede : « Quamvis et Salvator noster fluvius sit, qui laetificat civitatem Dei, et Spiritus Sanctus non solum ipse fluvius sit, sed et his, quibus datus fuerit, flumina de ventre eorum procedant, et Deus Pater dicat: me dereliquerunt fontem aquae vivae, ex quo scilicet fonte flumina ista procedunt » 16. In tal modo Origene inserisce il testo di Giov 7,38 nel sistema teologico accuratamente elaborato dell'ascesa gnostica. I fiumi d'acqua viva che scaturiscono dall'intimo del credente sono per lui simbolo dell'incessante ascesa verso le vette della conoscenza di Dio: l'anima, simile a Dio, non può mai rassegnarsi a un pigro riposo, « sed semper a bonis ad meliora et iterum ad superiora a melioribus provocatur » 17. Se poi l'interiore forza della gnosi trabocca, il credente diventa allora mistagogo, maestro dei segreti della Scrittura, comunicatore della gnosi. È questo, secondo Origene, il senso di Giov 7,38 18. qui vel reges sunt vel principes... decet enim eos docere ceteros, qui prius ipse fecerit ipsa quae docet ». - Cfr. anche LIESKE, op. cit., p. ioos: la teologia della configurazione al Logos. " In Num. homil. 17, 4 (VII, p. 161, 2-12). " Ivi (VII, p. 160, 25s). ls Ciò è comprovato dalle altre citazioni di Giov 7,37.38 nelle Opere complete di Origene. Noi ne diamo qui solo un breve rag-
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Solo per completare il quadro della teologia del1 acqua viva è necessario parlare brevemente anche d'un altro passo, in cui ritorna ancora Giov 7,38. Apparirà in seguito che Origene, in contrasto con la suesposta tesi da lui solo formulata in base a un allegorismo fìloniano-cristiano, si ricollega qui chiaramente a una tradizione di tutt'altra provenienza, cui si deve l'interpunzione della quale parleremo nella seconda parte. Da quanto abbiamo detto, risulta abbastanza chiaramente che, secondo Origene, la fonte dalla quale il credente deve attingere e dalla quale deve fluire in noi l'acqua paterna dello Spirito è il Verbo incarnato. Sia da PAOLO (I Cor 10,4) 19 che da FILONE 20 Origene
ha conosciuto la raffigurazione del Messia come roccia dalla quale scaturisce l'acqua. Questa roccia diede già una volta la sua acqua viva, quando fu percossa dalla verga di Mosè. Così pure Cristo : « Sed haec petra, guaglio. In Ioan. commetti., fragm. 36 (IV, p. 511, 22-25); fragm. 121 (IV, p. 568, n s ) : nel battesimo in Spirito ed acqua ha il suo fondamento la partecipazione, da parte dell'anima, dell'acqua dello Spirito che scaturisce dal Logos. - In Is. homil. 7, 3 (Vili, p. 283, 11-23): quest'acqua zampilla nell'intimo dal venter attimae, dal cuore, ricolmo di Spirito, del fedele che ha bevuto dal Pleroma Christi (Giov 1,16). Sull'esegesi origeniana di κοιλία = venter animae = cor = ήγεμονικόν, Cfr. Comment. in Cant., Prol. (Vili, p. 65, 24); In Lue. comment., fragm. 37 (IX, p. 251, 23s); Selecta in Psalm. 3, 5 (PG 12, 1124C); Selecta in Psalm. 97, 8 (PG 12, 1557 A); In Ezech. homil. 13, 4 (Vili, p. 450, 2-6); Schol. in Cani. 5, 14 (PG 17, 276 B); De oratione 30 (II, p. 395, 8s); C. Celsum 6, 20 (II, p. 91, 5-7). 19 Per l'esegesi origeniana di 1 Cor 10,4 cfr. In Gen. homil. io, 3 (VI, p. 96, 28); In Ex. homil. io, 2 (VI, p. 253, 3); In Num. homil. 12, 2 (VII, p. 100, 23); Injosue homil. 5, 5 (VII, p. 318, io); In Ezech. homil. 13, 4 (Vili, p. 450, 8ss); De princ. 4, 2 (V, p. 316, 8. 25); In Ioan. comment. 6, 46 (IV, p. 155, 24-26); Homil. 1 in Ps. 36, 3 (PG 12, 1326 A). 20
Cfr. H. LBWY, Sobria ebrietas, p. 84, nota 2; p. 30. - STRACK-
BIIXERBECK III (Monaco 1926), pp. 406-408.
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nisi fuerit percussa, aquas non dabit; percussa vero, fontes producit. Percussus enim Christus et in crucem actus Novi Testamenti fontes produxit... nisi enim ille fuisset percussus et exisset de latere eius aqua et sanguis, omnes nos sitim verbi Dei pateremur » 21 . Dal corpo di Cristo sgorgano quindi le acque del Nuovo Testamento. Queste immagini sono tanto familiari ad Origene, che gli si presentano anche in altri contesti esegetici. Così nella spiegazione del Cantico dei Cantici, dove si parla del ' petto del Signore ', alla cui fonte l'anima si ristora : « Ex fontibus scilicet sapientiae et scientiae quae de eius uberibus profluunt » 22 . Si ha lo stesso concetto nell'esegesi di Geremia 18,3 (LXX), dove Origene spiega la strana espressione ' mammelle della roccia '. Qui la roccia è Cristo, dal cui petto scaturisce l'acqua dello Spirito, Γ 'acqua del Padre ', l'acqua fresca che scende dal Libano dei divini misteri. Non possono bere quest'acqua dello Spirito coloro che non conoscono ο non riconoscono il Padre di Cristo, i giudei e gli eretici (Origene ha qui presente Marcione), perché non ascoltano colui che sta nel tempio e grida: chi ha sete, venga a me e beva! 23 . Con quest'ultimo concetto l'esegesi di Origene entra in un clima spirituale notevolmente diverso da quello che abbiamo presentato. Cristo è la roccia, il trafitto in croce, la fonte dell'acqua viva, colui che i giudei 21
In Ex. homil. 11, 2 (VI, p. 254, 4-9). Comment. in Cani. 1 (Vili, p. i n , 3s). Per questo l'Apostolo Giovanni, che ha bevuto i fluenta Evangelii dal petto del Signore, è, secondo Origene, il modello dell'uomo pneumatico che insegna. Cfr. H. RAHNER, De dominici pectoris fonte potavit in ZkTh 55 (1931) 103-108. 23 In leremiam homil. 18, 9 (III, p. 162, 22 - p. 163, 19). 22
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hanno disprezzato (Ger 2,13): tutte queste idee derivano, come vedremo appresso, da tutt'altra fonte e non hanno nulla in comune con la dottrina tipicamente origeniana ispirata a Filone. Ma nello stesso pensiero di Origene si possono distinguere bene le due linee. In un passo in cui egli parla solo di Cristo, Giov 7,38 gli si presenta in forza d'una differente tradizione proveniente dal di fuori. Nel Commentario al Cantico dei Cantici, spiegando Cant 1,12, afferma che Cristo per la Chiesa e per le singole anime è diventato ' nardo profumato '. Ciò significa l'unzione dello Spirito, nello stesso senso in cui Cristo è diventato per noi anche ' sorgente d'acqua ' : « Quemadmodum fons est et flumina aquae vivae de eo procedant » 24 .
Sebbene affascinato dalla teologia spiritualistica dell'ascesi gnostica, con la quale la sua esegesi di Giov 7,38 si armonizza assai bene, Origene ha intravisto dunque anche la possibilità d'un'altra spiegazione: che Giov 7,38 sia in stretto rapporto con Giov 19,34 25. 2. - Dobbiamo ora rispondere all'altra domanda: in qual punto dell'Antico Testamento Origene ha individuato la 'Scrittura' di cui parla Giov 7,38? Origene non s'è occupato espressamente di questo problema (se non, forse, nella parte che è andata perduta del suo Commentario a Giovanni, in cui spiega precisamente il settimo capitolo). Tuttavia dai suoi scritti si può percepire quasi con certezza quanto si sia inte24
Commetti, in Cant. 2 (Vili, p. 167, 20s). Oltre al testo classico (sopra, nota 21), cfr. anche In Ioan. comment. 2, 8 (IV, p. 62, 23s); C. Celsum 2, 69 (I, p. 191, 8ss); In Lev. homil. 8, io (VI, p. 411, 1-9). 25
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ressata la Scuola alessandrina a questa difficoltà, su cui ancor oggi si discute. Nella teologia origeniana dell'acqua viva incontriamo infatti frequentemente e con un significato ben determinato un passo dell'Antico Testamento, ricorrente insieme con Giov 7,38. E questa non è certo una coincidenza fortuita. Si tratta di Prov 5, 15.16 (LXX): πίνε ύδατα άπο σων α γ γ ε ί ω ν και άπα σών φρεάτων π η γ ή ς μη ύπερεκχείσθ-ω σοι τα ύδατα εκ της σης π η γ ή ς εις δε σας πλατείας διαπορευέσθω τα σα ύδατα. Origene sa benissimo, e l'ha notato espressamente 26 negli Esapli , che i LXX si allontanano qui dal testo ebraico per l'inserimento d'una negazione. In u n ' o m e lia egli parla chiaramente di questa diversa lezione: «Et n o n supereffundantur tibi aquae extra tuum fontem, quamvis in aliis exemplaribus legerimus: et effundantur tibi aquae extra tuum fontem » 2 7 . Espone quin di la sua teologia della sorgente interiore, di cui ab biamo parlato, e nota: «Igitur secundum ea quae in Proverbiis scripta proposuimus, ubi putei simul cum fonte nominantur, accipiendum est verbum Dei puteus quidem, si profondi aliquid mysterii tegit, fons autem, si ad populos abundat et effluit » 2 8 . E questo è precisamente il senso di Giov 7,38. Origene conosce certamente anche il senso letterale del passo che si riferisce alla fedeltà coniugale 29 . Ma anche qui, nella disputa con Celso, richiama l'attenzione sul signifi26
PG 16, 2, 1311-1314. In Num. homii. 12, 1 (VII, p. 94, 2-4). " Ivi (VII, p. 94, 26-29). 87
!
* C. Celsum 4, 44 (I, p. 316s). Cfr. anche FILONE, De fuga et
invent. 36 (III, p. 153SS).
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cato mistico che ha in tutta la sua ' teologia della sorgente dell'acqua '. In questo senso aveva inteso il testo anche il suo maestro CLEMENTE 30. Sappiamo inoltre che anche nella prima esegesi post-cristiana dei giudei si dava a Prov 5, 15.16 un identico significato mistico che, prescindendo dal senso letterale, probabilmente sotto l'influsso di idee filoniane, si serve della distinzione tra cisterna e sorgente per descrivere il traboccare della conoscenza della Torà. RABBI AQIBA (morto e. 135 d. C.) dice: «Vedi, Prov. 5,15 così invita: bevi acqua dalla tua cisterna. All'inizio una cisterna non può dare da sé stessa neppure una goccia d'acqua, ma dà solo quel che vi si immette. Così pure lo studente non sa se non quel che ha imparato. ' E acqua corrente dalla tua fonte ' : paragona colui che studia a una fonte (si comporta infatti allo stesso modo): come la fonte fa scorrere da ogni parte l'acqua viva, così dallo studente derivano poi i discepoli e i discepoli di questi » 31 . Nel medesimo senso che abbiamo rilevato nella dottrina di Origene, anche RABBI MEIR (C. 150 d. C.) riunisce
insieme i due concetti: chi conosce profondamente la Torà è un uomo ' regale ' ed anche una fonte zampillante per gli altri 32 . E Midr., Sai 1,18, insegna che la conoscenza della Torà cresce nell'intimo del saggio fino al punto di traboccare : « Oggi una Halakha e domani ancora un'altra Halakha, finché non prorompe con impeto come una sorgente » 33. 30
Strom. I, 1, io, 1 (GCS Clemens II, ρ. 8, 4); II, 2, 8, ι (II, ρ. n ö ,
31s).
sl
Siphre su Deut. 11, 22, 28 (84a): STRACK-BILLERBECK II, p. 493·
82
Aboth 6, is: STRACK-BILLERBECK II, p. 493.
ss
Midrasch su Sai ι,ι8
(9a): STRACK-BILLERBECK II, p. 493.
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Rafforzata con idee filoniane, questa è anche l'esegesi di Origene su Prov. 5, 15 e Giov 7,38. « Temptemus facere etiam illud, quod Sapientia commonet dicens: bibe aquas de tuis fontibus et de tuis puteis, et sit tibi fons tuus proprius. Tempta ergo et tu, ο auditor, habere proprium fontem; ut et tu, cum apprehenderis librum scripturarum, incipias etiam ex proprio sensu proferre aliquem intellectum et secundum ea quae in ecclesia didicisti, tempta et tu bibere de fonte ingenii tui... si enim suscepisti in te verbum Dei, si accepisti ab Iesu aquam vivam et fideliter accepisti, fiet in te fons aquae salientis in vitam aeternam »34. Origene dice an cora espressamente che questo bere della conoscenza del la Scrittura cresce fino al punto di traboccare come una sorgente. Egli unisce insieme con Prov 5,15.16 i due testi, fusi in uno solo, della promessa dell'acqua da parte di Cristo (Giov 4,14 e 7,38): «Qui credit in me, fiet in eo fons aquae salientis in vitam aeternam » 3 5 : il bere con fede diventa fonte d'acqua per altri, il credente diviene maestro. Sarebbe questo il concetto espresso in Prov 5,16, e a ciò si sarebbe riferito Gesù in Giov 7,38: « Bibe aquam de tuis vasis et de tuis puteis, et in tantum fodiamus, ut superabundent aquae putei tui in plateis nostris, ut non solum nobis sufììciat scientia scripturarum, sed et alios doceamus et alios instruamus, ut bibant homines » 3e . Andiamo dunque errati se affermiamo che Origene ha visto in Prov 5,15.16 i luoghi della Scrittura cui si 34
In Gen. homil. 12, 5 (VI, p. 112, 15-21; p. 113, 1-3). In Gen. homil. 7, 5 (VI, p. 75, 20-23; P· 76, 7s). 38 In Gen. homil. 13, 4 (VI, p. 121, 6-10). - Fragm. ex comment. in Prov. 5,15 (PG, 17, 137 CD). 85
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allude in Giov 7,38? Una cosa è assolutamente certa: che lo hanno inteso così quelli che hanno derivato da Origene le proprie teorie esegetiche e per i quali l'interesse alle opere di Origene era molto maggiore di quanto non lo sia oggi per noi : AMBROGIO e GIROLAMO. Questi hanno dato all'accostamento di Prov 5,15.16 e Giov 7,38 la spiegazione classica dell'esegesi latina, e così hanno anche procurato alla loro interpretazione di Giov 7,37.38 un'autorità quasi esclusiva37. 3. - La storia successiva di questa interpretazione di
Giov 7,38 non è che il perpetuarsi d'un origenismo decadente. Il superbo edificio della speculazione teologica dell'Alessandrino va in rovina, ma qualche pietra della sua costruzione viene conservata 38. Così anche l'interpretazione di Giov 7,38. Da molte testimonianze 37 Dalle surrecensite citazioni di Giov 7,37.38 nelle opere di Origene appare già sufficientemente chiaro quale fosse la struttura del testo giovanneo, ο come lo stesso Origene dividesse il testo mano scritto. Non è perciò necessario portare ulteriori prove. Anche se per le Omelie ammettiamo la possibilità d'un ritocco da parte di Rufino e di Girolamo, è tuttavia certo che Origene ha sempre inteso ό πιστεύων εις έμέ come soggetto dell'espressione ποταμοί έκ της κοιλίας αύτοϋ ... 38 Portiamo solo alcuni esempi : la mistica della ' sobria ebrietas ' (cfr. H. LEWY, Sobria ebrietas, p. 119-128), trasmessa ai posteri sia da Gregorio Nisseno sia da Ambrogio; la dottrina della ' nascita di Dio ', che per la medesima via è giunta fino alla mistica medievale, sia bizantina che latina (cfr. sopra, pp. 44-54) ; la teologia lunare di Origene (cfr. sopra, pp. 169-186). Si potrebbero aggiungere ancora molti altri concetti della teologia mistica, di grande interesse anche dal punto di vista esegetico (come la sua interpretazione del Cantico dei Cantici) : tutti sono giunti fino al medioevo attraverso l'unico grande canale del pensiero origeniano: Ambrogio in Occidente, il Nisseno in Oriente. Cfr. anche M. VILIER e K. RAHNER, Aszese and Mystik in der Väterzeit, Friburgo 1939, 72-80.
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della letteratura patristica, in verità assai disperse e individuabili solo con difficoltà, si possono chiaramente rilevare le due direzioni in cui si è sviluppato il pensiero origeniano : nella Scuola alessandrina e nell'esegesi latina iniziata dai seguaci di Origene, Ambrogio e Girolamo, ci si attiene all'interpretazione originaria di Origene. Ma tra l'una e l'altra, evidentemente senza alcuna dipendenza dalla Scuola alessandrina, c'è l'esegesi della Scuola antiochena, che tuttavia non ne differisce eccessivamente. Or bisogna penetrare nell'intimo di questa complicata, ma, almeno nelle linee fondamentali, chiara storia della suddetta esegesi. Ci poniamo ancora due domande : come si sia evoluta l'interpretazione del testo e come sia stata risolta la questione delle fonti veterotestamentarie del passo. a) Anzitutto la tradizione alessandrina. Con straordinario piacere ATANASIO fa ricorso a Giov 7,37.38 nelle sue lettere di Pasqua 39 . Malgrado la cattiva trasmissione latino-siriaca di queste encicliche, si può costatare che Atanasio legge il testo proprio come lo leggeva Origene e come ancor oggi lo si legge nei manoscritti della Bibbia che si ricollegano direttamente ad Alessandria. Nella sua spiegazione del testo si riflette pure la chiarezza della cristologia elaborata da Origene. Non più ' Logos e gnosi ', ma ' DioCristo e fede '. Nell'esegesi di Giov 7,37.38 si potrebbe quindi rilevare propriamente un certo mutamento ed anche una stasi. Cristo-uomo è diventato datore dello 3 » Ep. in fest. Paschae 1, 3 (PG 26, 1362 B ) ; 3, 1 (PG 26, 1380 A ) ; 20, 1 (PG 26, 1 4 3 i B ) .
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Spirito perché è Dio 4 0 . Come Dio, egli è la roccia che dà l'acqua 41 . « Nunc autem Spiritum unicuique donat aitque: si quis sitit veniat ad me et bibat. Qui in me credit, ut inquit Scriptura, flumina viventium aquarum de ventre eius fluent. Haec de nomine dici nequeunt, sed de vivente Deo, qui vere vitam tribuit, qui Spiritum Sanctum donat » 42 . In questa esegesi tipicamente antiariana Cristo è il datore dello Spirito, dona la vita ai suoi discepoli mediante la virtù divina nascosta sotto i veli della natura umana, ma pur sempre presente, e dispensa l'acqua dello Spirito, la possibilità di credere : « Qui credit in me, sicut dicit Scriptura, flumina de ventre eius fluent aquae vivae. Quamobrem ipse discipulos semper alebat verbis suis, credentes scilicet, vitamque ipsis propinquitate divinitatis suae conferebat » 43 . Anche DIDIMO non fa che dare una nuova forma alle idee fondamentali di Origene, in una teologia dello Spirito ancor più ricca di quella elaborata da Atanasio. Da Cristo, ' santa fonte ' 44, sgorga l'acqua viva, lo Spirito Santo 45 . Questi però scaturisce anche dall'intimo, dal ' corpo pneumatico ' di chi ha conseguito una traboccante conoscenza di Dio: « Quam qui perceperit (scientiam Dei) habet in semetipso fontem aquae salientis in vitam aeternam, 40
Ep. ad Serapionem I, 23 (PG 26, 584 BC). Ep. in fest. Paschae 14, 3 (PG 26, 1421 A). 42 Fragm. ex Ep. in fest. Paschae 44 (PG 26, 1441s). 43 Ep. in fest. Paschae 7, 7 (PG 26, 1394 B). 44 De Trinitate 2, 27 (PG 39, 757 A), dove anche con una citazione dagli scritti ermetici si dice che lo Spirito proviene dalla fonte, che è Cristo: άπα της αγίας πηγής έξήρτηται. 45 Ivi 2, 2 (PG 39, 456 BC); 2, 6, 21 (PG 39, 553 BC). 41
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ita ut fluant de intelligibili eius ventre flumina aquae vivae » 46 . Dalle opere di CIRILLO ALESSANDRINO si può facilmente dedurre quanto sia reale la dipendenza dall'esegesi di Origene. Infatti, benché una cristologia pienamente evoluta ne segni una netta superiorità rispetto ad Origene, il suo Commentario a Giovanni subisce in molti punti l'influsso della tradizione della Scuola origeniana. Ciò è ancor più significativo per il fatto che noi possediamo tutta intera l'esegesi di Cirillo su Giov 7,37.38 47. Qui, come già in Origene, si dà a Giov 7,38 il significato d'una nuova e continua rivelazione di Cristo: non solo il Signore invita a bere dalla sua fonte, ma anche chi beve abbondantemente e con fede diventa a sua volta sorgente d'acqua per altri cuori. Il credente viene arricchito di tanta grazia, che non solo soddisfa pienamente la propria sete di Spirito, ma riceve pure la forza di comunicarsi con liberalità ad altri cuori: ταΐς έτέραις καρδίοας έπικλύζειν 48 δύνασθαι, . Questo traboccare è Γ ' insegnamento ' delle verità della fede cristiana. È quanto accadde negli Apostoli, negli Evangelisti e nei Dottori della Chiesa, che hanno spiegato la rivelazione del Nuovo Testamento. Di tutti coloro ai quali lo Spirito Santo ha dato la grazia si dice quindi che sono ' ammaestrati ' e ' in possesso del Logos '. I ' fiumi dal corpo ' significano 46 Enarr. in Ep. ludae (PG 39, 1817 AB). - Cfr. E. KLOSTERMANN, Über des Didymus von Alexandrien In epistolas canonkas enarratio (Texte und Untersuchungen 28, 2), Lipsia 1905; F. ZÖPFL, Didymi Alexandrini in Epistolas canonkas brevis enarratio (Neutest. Abh. IV, 1), Münster 1914, P- 95. 3-7· *' In Ioan. comment. 5 (PG 73, 745 C-749 D). 48 Ivi (PG 73, 748 D).
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perciò την δια Πνεύματος διδακτήν και ελλόγιμον χάριν 4 9 . Anche in altri punti della sua grande opera Cirillo offre la medesima esegesi. Questo ' traboccare ' è per lui sempre Γ ' insegnamento dei misteri ', la χωρηγία των θείων μαθημάτων 5 0 , la ' celeste e pura mistagogia , che ci viene concessa attraverso l'acqua viva dello Spirito, proveniente dal fiume che è Cristo S1. Il medesimo orientamento si è conservato in tutti i Padri greci appartenenti all'area dell'esegesi alessandrina. CIRILLO DI GERUSALEMME interpreta Giov 7,37 ai suoi catecumeni nel senso del bere l'insegnamento divino della Scrittura; e in Giov 7,38 vede la promessa del traboccare « non d'acque terrene, ma di quell'acqua viva che (con l'insegnamento) porta le anime alla luce: ού ποταμοί αισθητοί... άλλα ψυχάς φωταγωγουντες », della sorgente interiore che riversa le sue acque su quelli che «ne sono degni»: ύδωρ άλλόμενον επί τους άξιους 5 2 . Gli stessi concetti ricorrono in EUSEBIO, per il quale l'acqua che scaturisce dal corpo del credente è ancora Γ ' insegnamento ' : το ύδωρ της σωτηρίου και ευαγ γελικής διδασκαλίας 5 3 . Non altrimenti la teologia dei Cappadoci. Benché dell'omelia sul salmo 45, attribuita a BASILIO, non sia provata incontestabilmente l'autenticità (dipende certamente da Eusebio), possiamo tuttavia scorgere in essa " Ivi (PG 73. 749 A). Ivi 2 (PG 73, 300 C). In Is. comment. 5, 2 (PG 70, 1220 A). Cfr. anche ivi 5, 6 (PG 70, 1440 C ) ; 4, 2 (PG 70, 920 D ; 922 A ) . 52 Catech. 16, 11 (PG 33, 932 C ) . 53 Demonstr. evang. 6, i 8 , 48-50 (GCS Eusebius VI, p. 283, 11-29; PG 22, 465 C). 50 51
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una lontana eco dell'esegesi di Origene. L'acqua dello Spirito che ci viene donata in Cristo, il cui fiume ' allieta la città ', zampilla in noi come conoscenza dei misteri in immagini e similitudini ; la nostra sete verrà perciò placata del tutto nella visione di D i o 5 4 . Nel famoso terzo sermone teologico di GREGORIO N A ZIANZENO ritorna ancora la spiegazione data da Atanasio e D i d i m o : è una prova della divinità di Cristouomo il fatto che questi possa dire: chi ha sete, venga a me e beva. E ancora: Cristo ha pure promesso che gli stessi credenti diverranno fonte dello Spirito 5 5 . L'acqua della dottrina origeniana scorre purissima soprattutto nella sublime mistica di GREGORIO N I S SENO, per il cui tramite anche la teologia bizantina ha potuto conoscere l'interpretazione del testo di Giov 7,38 56 . Con vivo entusiasmo Gregorio parla di Cristo, fonte dell'acqua dello Spirito; il Verbo incarnato è per lui semplicemente ' la fonte '. Si avverte facilmente anche la presenza di idee platoniche, soprattutto quando parla della ' fonte d'ogni bene ', e dice: κ α θ ώ ς εν τ φ Ε ύ α γ γ ε λ ί ω φησίν ή Π η γ ή · εΐ τις δίψα έρχέσ&ω προς με και πινέτω 5 7 . Ι fiumi d'acqua che si riversano su di noi da questa fonte sono le parole vivificanti del la dottrina del N u o v o Testamento 5 8 . Ma l'organo che 54
Homil. in Ps. 45, 5 (PG 29, 421 C ) . Orai. 29 (theologica 3) 20 (PG 36, 100 C ) . 56 SIMEONE I L GIOVANE, Divin. amor, liber 17 (PG 120, 889 B ) ; NICETA STETATO, Gnosticorum capii, centuria 3, 55 (PG 120, 1 1 3 7 A B ) ; MATTEO CANTACUZENO, Comment. in Cani. 5, 12 (PG 152, 1056 A D ) ; GIOVANNI CALECA, In tertiam ieiuniorum Dominicam (PG 150, 266 B ) ; MARCO EREMITA, De baptismo (PG 65, 1 0 0 1 B ) ; N O N N O , Paraphr. in Ioannem (PG 43, 812). « In Cant. homil. 8 (PG 44, 914 D ) ; Homil. 11 (1004 C ) . 58 Homil. 1 (PG 44, 777 D; 780 A). 85
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trasmette a noi uomini tale dottrina è Γ ' intimo del l'anima ', il ' cuore puro ', il δι,ανοητικον της ψυχής 5 9 , la κοιλία di cui parla Giov 7,38. In un'esegesi perfet tamente modellata su quella di Origene, Gregorio presenta nelle sue omelie sul Cantico dei Cantici la mistica dell'acqua viva e la psicologia mistica del 'profondo dell'anima'. Il ' c o r p o ' di Giov 7,38 è, secondo lui, l'organo ricettivo dei divini insegnamenti: το διανοητικον της ψυχής, φ έναπέθετο ο Χριστός τα θεία μαθήματα 6 0 . Da questa fonte interiore scatu riscono anche i nostri concetti e si comunicano agli altri. Il mistico somiglia dunque perfettamente allo sposo, ivi presentato come ' fonte d'acqua viva '. Lo stesso mistico si identifica ora col Logos : « Fonte come la Fonte, vita come la Vita, acqua come l'Acqua»; egli diventa « serbatoio d'acqua viva » per gli altri. Questo è il senso di Giov 7,38 61 . b) Di fronte all'interpretazione origeniana di Giov 7,38, presenta ora un interesse notevole l'indagine sulla spiegazione che è stata data del medesimo testo dall'esegesi antiochena. Finora ci si è sempre riferiti al CRISOSTOMO, la cui esegesi di Giov 7,37.38, tanto diversa rispetto alla tradizione alessandrina, ha attratto l'attenzione degli studiosi fin dall'antichità. Ma un confronto col commentario a Giovanni (conservato solo in siriaco) di TEODORO DI MOPSUESTIA mostra chiaramente che in en58
Ivi 9 (PG 44, 964 D). «° Ivi 14 (PG 44, 1073 D; 1076 A). 61 Ivi 9 (PG 44, 977 B-D). Cfr. anche Oratio in baptismum (PG 46, 593 A-C). - Cfr. W. VÖLKER, Gregor von Nyssa als Mystiker, Wiesbaden 1955, pp. 269-274, 219-224.
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trambi si ha la medesima interpretazione del testo giovanneo, appresa quindi certamente dal loro maestro DIODORO. Con una sobrietà tipicamente antiochena, in contrasto con l'esuberante speculazione teologica degli alessandrini, Teodoro rileva anzitutto, a proposito dell'infusione dello Spirito Santo promessa in Giov 7,38, che non si tratta qui del bere e dello sgorgare dello Spirito di Dio personificato, ma degli effetti dello spirito, della grazia partecipata (oggi diremmo piuttosto creata). In cai senso egli adopera il testo di Giov 7,38 già nella disputa coi macedoniani62 e lo espone dettagliatamente nel suo commentario a Giovanni. Se ne deduce prima di tutto che il testo gli si presenta con la medesima interpunzione della tradizione alessandrina. Ciò è confermato anche dal confronto con la lezione del testo fornita dalla Pesitta e dal Diatessaron63. Teodoro conduce così la sua esegesi: « Qui egli (Cristo) intende dire: chi crede in me ... sarà ricolmo di grazia, come d'un fiume che non solo non si secca, ma diventa in lui una fonte che alimenta il credente ed è utile anche a molti altri. Così gli Apostoli, dopo aver ricevuto lo Spirito, sono stati di grande utilità per molti altri in ragione di quanto avevano ricevuto. Noi dobbiamo sapere anche questo: con l'espressione ' Spirito Santo ' egli (Cristo) indica spesso non la Persona dello Spirito Santo e la sua natura, 8S
Controverse avec les Macédoniens 26 (PO IX, p. 266, 12-14). The Syriac New Testament according to the Peshito Version, Londra 1875: Giov 7,37.38. Si può anche tradurre così: «In chiunque crede in me, come dice la Scrittura, usciranno dal suo corpo fiumi d'acqua viva ». - Tatiani Evangeliorum Harmoniae arabice, ed. A. Ciasca, Roma 1888. Anche qui si legge: «Come dice la Scrittura», e invece di « acqua viva » si ha « acqua dolce ». 63
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ma la sua azione e la sua grazia. E qui s'è inteso dire proprio questo: egli parla della grazia che gli Apostoli avrebbero successivamente ricevuta e che per loro tramite sarebbe stata trasmessa ad altri. Ciò non era quindi ancora avvenuto, poiché la grazia in colui che la riceve ha un principio e poi cresce; e quanto spesso diminuisce pure a causa della cattiveria di chi la riceve ! » 64 . Il medesimo concetto è espresso anche in un frammento, giunto fino a noi, dell'originale greco del Commentario a Giovanni 65 . L'interesse di questa esegesi deriva in egual misura dalla sobrietà scevra d'ogni misticismo e dall'identità con la tradizione di estrazione origeniana. Anche qui il ' traboccare ' è inteso come ' insegnare per giovare ad altri ' ; ma ciò limitatamente agli Apostoli, ai quali è diretta la promessa di Gesù, e solo in ordine all' 'azione di grazia ', contro ogni ' gnostica ' pienezza di Spirito. Identica è l'esegesi del CRISOSTOMO. Secondo lui, in Giov 7,38 si parla della « grazia traboccante e donata senza invidia »: το δα ψιλές και. άφθ-ονον της χάριτος 6 6 . Anche per lui questo traboccamento ha luogo princi palmente negli Apostoli, nella sapienza di Stefano, nell'autorità della parola di Pietro, nella forza di Paolo. Anch'egli rifugge da qualsiasi mistico riferimento ai credenti. Gli esegeti del periodo bizantino hanno rice" In Ioatmem comment. (ed. siriaca di A. B. Chabot, Parigi 1897, p. 179s). •5 Fragni, in Ioan. 7 ,38 (PG 66, 749 C D ) . - Si ha la stessa cosa anche nel suo commentario al Credo niceno (sir.): Woodbrooke Studies 5 (1932) 232. ·« Homil. 51, 1 (PG 59, 283s).
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vuto dal Crisostomo l'interpretazione di Giov 7,38 sotto questa forma 67 . e) È invece di gran lunga più significativa per l'evoluzione storica dell'esegesi a noi oggi familiare di Giov 7,38 la tradizione latina, soprattutto quella che ha avuto inizio con AMBROGIO. In realtà il Vescovo di Milano è l'Origene latino non per il livello speculativo del suo pensiero teologico, ma per la sua fedele adesione all'arte esegetica di Filone e per la straordinaria conoscenza delle opere dello stesso Origene. A questi egli deve il meglio della sua produzione letteraria; e in Ambrogio l'esegesi del primo medioevo apprende il metodo di Filone e di Origene. Ambrogio dà quindi all'interpretazione di Giov 7,37.38 una forma definitiva. Qual concetto fondamentale, appare in Ambrogio la dottrina di Cristo Uomo-Dio, fonte dello Spirito Santo; e ciò in uno sviluppo storico-dommatico identico a quello che abbiamo rilevato in Didimo d'Alessandria, dalla cui opera De Spiritu Sancto Ambrogio ha notoriamente copiato 68. Dalla fonte originaria della Trinità, dal Padre ingenito, scaturisce il Verbo. Da ·' Cfr. TEOFILATTO (PG 123, 1342) e gli Scholia vetera (PG 106, 1251). « Per la teologia dello Spirito in AMBROGIO, soprattutto sulla processione dello Spirito dal Figlio e sul dono dello Spirito da parte della gloriosa umanità di Cristo, cfr. De Spiritu Sancto 1, 16, 161 (PL 16, 741 Β) : « Quis autem dubitet flumen esse vitae Dei Filium, de quo aeternae vitae flumina profluebant? » - 1, 4, 66 (PL 16, 720 D; 721 A ) ; 1, io, 119 (PL 16, 732 C ) ; 1, 7, 92. 93 (PL 16, 726 C ; 727 AB). - La dottrina dipende da ATANASIO, Epist. ad Serapionem 1, 19 (PG 26, 573s) e 3, 3 (PG 26, 628s); e naturalmente anche da D I D I M O . Cfr. E. STOLZ, Didymus, Ambrosius, Hieronymus in Theol. Quartalschrift 8 7 (1935) 371-
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entrambi sgorga Γ ' acqua viva ', lo Spirito. Questo Spirito, poi, discende in tutta la sua pienezza nell'uomo Gesù, nel quale sosta tranquillamente. Dall'umanità gloriosa di Cristo lo Spirito vien quindi donato agli uomini credenti. A questo punto ha inizio l'esegesi di Giov 7,38 La regione spirituale donde scaturisce l'acqua dello Spirito donata da Cristo è, come in Origene, il profondo dell'anima, la νους (come Ambrogio dice testual mente, adoperando la parola greca) 6 9 , il principale70, l'ambiente interiore e spirituale che Cristo in Giov 7,38 ha indicato con κοιλία, venta. In un'esegesi genuina mente filoniana, presa quasi testualmente dall'Ales sandrino 7 1 , Ambrogio considera questo ' profondo del l'anima ' come il ' paradiso ' in cui scorre il quadruplice fiume del Logos : « Est et fluvius qui de Eden exit et circuit universam terram, Verbum Dei quo paradisus intelligibilis inrigatur et omnis anima vocatur ad gratiam Christi dicente ipso Dei Verbo: si quis sitit, veniat ad me et bibat. Cui ego dedero aquam, flumina de ventre eius fluent aquae vivae » 7 2 . Nelle sue lettere sempre dense di considerazioni esegetiche - ad amici desiderosi di imparare, Ambrogio sviluppa ancor più ampiamente la sua dottrina. Nel suo allegorismo è «9 De paradiso 3, 12 (CSEL 32, 1, p. 272, 5). '» Epist. 45, 3 (PL 16, 1 1 4 2 C ) ; Epist. 45, 7 (PL 16, 1143 A); Expl. Ps. 39, 22 (CSEL 64, p. 228, 8-12) : « Hic ergo credentium venter est in quo Spiritus Sanctus operatur et e u m semine spiritali implere consuevit, sicut testificatur in Evangelio Dominus Iesus, qui air. qui credit in me, sicut dicit Scriptura, flumina de ventre eius fluent aquae vivae ». - Per la storia del concetto di ' principale ' in Ambrogio, cfr. sopra, pp. 18. 91-96. 71 Cfr., p. es., Leg. alleg. 1, 14 (I, p. 72, 14SS; Cohn). 72 Expl. Ps. 45, 12 (CSEL 64, p. 337, 26 - p. 338, 2).
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caratteristico il fatto ch'egli trasferisca tutte le affermazioni e i fatti storici dell'Antico Testamento nell'ambito della spiritualità cristiana. Ecco perché il paradiso e i suoi fiumi non sono che il ' profondo dell'anima ' : « Ex quibus colligitur, paradisum ipsum non terrenum videri posse, non in solo aliquo, sed in nostro principali, quod animatur et vivificatur animae virtutibus et infusione Spiritus Sancti» 73 . Il ragionamento continua: l'acqua viva offerta da Cristo è ' Spirito ', cioè il complesso della rivelazione del Nuovo Testamento, i quattro fiumi dei Vangeli. Nel credente è invece l'acqua viva della dottrina, della conoscenza del Vangelo, della celeste istruzione : « Aqua caelestis doctrinae, humor verbi dominici, ubertas divinae cognitionis » 74. Al tempo di Gesù e (come Ambrogio spiega in un passo assai interessante per la storia dei tentativi compiuti nell'ambito dell'impero cristiano per una conversione degli ebrei) anche ai nostri giorni gli ebrei hanno disprezzato quest'acqua viva. Ma se un ebreo si converte, l'istruzione del battesimo lo sospinge verso l'acqua dello Spirito : « Fonte sapientiae certatim repleri desiderant, quem ante fugere gestiebant. Quem fontem? Audi dicentem: si quis sitit, veniat ad me et bibat. Qui credit in me, sicut dixit Scriptura flumina de ventre eius fluent aquae vivae » 75. Quanti bevono dalle fonti del Nuovo Testamento possono a loro volta diventare fonte per altri, maestri dei misteri cristiani - è ancora la teologia di Origene. 73
Epist. 45, 3 (PL 16, 1142 C). De Noe et arca 19, 70 (CSEL 32, 1, p. 464, 19s. 25-27); De Isaac et anima 1, 2 (CSEL 32, 1, p. 643, 2). 75 De Noe et arca 19, 70 (CSEL 32, 1, p. 465, 1-5). 74
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Essi sono i « fiumi che levano il loro frastuono » (Sai 92,3). Tali sono gli Apostoli, innanzi tutto, ma anche tutti coloro nei quali scorre l'acqua dello Spirito: « Sunt enim flumina, quae de ventre eius fluent, qui potum a Christo acceperit et de Spiritu Dei sumpserit ». Si diventa così ' apostoli ' : « Ita et iste incipit evangelizare Dominum lesum » 76. Nella lettera sull'interiorità Ambrogio ricorda in modo commovente al suo amico Ireneo che, bevendo con fede dalla sorgente che è Cristo, può anch'egli diventare come gli Apostoli e i Profeti, che hanno riversato quest'acqua sugli altri. Accade che « fluent ei aquae de suis vasis et puteorum suorum fontibus (Prov 5,15) vel de ventre eius aquae vivae, spiritales videlicet quas fidelibus suis Spiritus Sanctus ministrai, qui etiam animam tuam dignetur rigare, ut abundet in te fons aquae salientis in vitam aeternam »77. Questi sono i fiumi che scaturiscono dall'intimo di quanti bevono dal Nuovo Testamento: « Quoniam qui de Novo Testamento biberit non solum flumen est, sed etiam flumina de ventre eius fluent aquae vivae, flumina intellectus, flumina cogitationis, flumina sapientiae »78. Chi è così ricolmo di grazia comincia a parlare in virtù del ' Verbo ' per istruire gli altri : « Hi sunt fluvii qui aure percipiunt verbum Dei et locuntur, ut verbum infundant pectoribus singulorum »79. È evidente che dal pulpito del Vescovo di Milano come nella sua esegesi è Origene che parla. Il testo 76 Epist. 2, 2 (PL 16, 879 C; 880 A). Cfr. anche Hexameron 3, 2, 6 (CSEL 32, 1, p. 62, 14-17). " Epist. 29, 24 (PL 16, 1060 D ) . ' 8 Epist. 63, 78 (PL 16, 1210 C ) . '· Expl. Ps. 48, 4 (CSEL 64, p. 363, 15-23).
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di Giov 7,37.38 a lui presente è quello dei manoscritti greci, con questa sola variante: che Ambrogio (come, del resto, molti altri antichi codici latini giunti fino a noi) in Giov 7,38 legge « sicut dixit Scriptura », invece di dicit80. L'esegesi è modellata perfettamente su quella di Origene; solo la dottrina, tanto cara ad Origene, dell'ascesa del cristiano dalla fede alla gnosi vien portata su un piano propriamente dommatico. Tutto il medioevo ha poi compreso e letto il testo in questo modo. In un sol punto del suesposto sistema teologico, proprio come in Origene, sembra emergere anche in Ambrogio l'influsso d'un'altra interpretazione di Giov 7,38, e nella seconda parte di questo studio vedremo che in realtà Ambrogio conosceva bene anche questa esegesi. Parlando di Cristo qual fonte dell'acqua del paradiso, egli dice: «Erat fons qui inrigaret paradisum. Qui fons nisi Dominus Iesus Christus, fons vitae aeternae sicut Pater? Quia scriptum est: quoniam apud te est fons vitae; denique: flumina de ventre eius fluent aquae vivae» 81 . Giov 7,38 vien qui interpretato in ordine a Cristo medesimo. Ciò potrebbe anche intendersi come un libero adattamento delle parole della Scrittura. Ma, come si vedrà, si può qui percepire realmente un'eco dell'altra tradizione, completamente diversa, di cui parleremo appresso. Una cosa è certa: dovunque nella sua esegesi si abbia una dipendenza da Origene e da Didimo, Ambrogio ricorre per il testo e il suo significato alla tra80 Cfr., p. es., CSEL 32, 1, p. 62, 16; p. 465, 4; CSEL 64, p. 119. 23; p. 228, 11. Leggono ' dixit ', p. es., i codici a, b, e d. 81 De paradiso 3, 13 (CSEL 32, 1, p. 272, 9-12).
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dizione alessandrina. Ciò vale anche per il passo tratto dall' opera De Spirita Sancto, che si suole addurre come prova per l'interpunzione preferita da LAGRANGE. Per dimostrare che lo Spirito Santo possiede la natura divina, Ambrogio dice - nel suddetto luogo - che questi scaturisce da Dio come fiume d'acqua viva: « Hic est utique fluvius, de Dei sede procedens (Apoc 22,1), Spiritus Sanctus, quem bibit qui credit in Christum, sicut ipse ait: si quis sitit veniat ad me et bibat: qui credit in me, sicut dicit Scriptura, flumina de ventre eius fluent aquae vivae. Hoc autem dicebat de Spiritu. Ergo flumen est Spiritus » 82 . Testo e interpretazione rimangono dunque nell'ambito dell'esegesi fin qui esposta. Né è esatto quanto Lagrange 83 rimprovera ai Maurini, d'aver mutato cioè arbitrariamente l'interpunzione della citazione biblica: Ambrogio, infatti, cita sempre allo stesso modo in tutti i passi da noi presentati. Anche GIROLAMO interpreta Giov 7,38 nel senso di Origene. Lo dimostreremo in seguito, quando tratteremo espressamente delle sue ricerche, ormai classiche, per individuare le fonti veterotestamentarie della citazione. In più la sua esegesi ha questo : non manifesta nessuna tendenza a inserirsi nella speculazione pneumatica degli Alessandrini. Tuttavia nel suo commentario a Geremia egli cita due volte Giov 7,37.38 nel senso 82
De Spiritu Sancto 3,20, 154 (PL ιό, 812 BC). Evangile sehn St. Jean, 5 ed., p. 215, nota: «Le dernier cité est Ambroise, qui a pratiqué l'autre coupure, mais qui est clair dans De Spiritu Sancto III, 20, 154, malgré la fausse ponctuation dans Migne ». Migne però pubblica solo il testo maurino nella sua esatta divisione. 83
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suddetto 84 . Si può però facilmente provare che anche Girolamo conosce le altre interpretazioni. L'ulteriore storia della spiegazione di Giov 7,38 nella patristica latina non è che una debole eco, qualche volta quasi impercettibile, di Ambrogio e Origene. Quanto sia stato potente l'influsso di Origene, malgrado l'abisso spirituale e linguistico che divideva il genio alessandrino dai pur bravi Vescovi del tardo periodo latino, risulta direttamente dalla questione dell'esegesi di Giov 7,38. Origene rivive nella nuova elaborazione latina del testo, compiuta da Rufino e Girolamo. Un ignoto vescovo della cerchia di Agostino, copiando la decima omelia di Origene sulla Genesi, ne accoglie anche l'interpretazione di Giov 7,3885. CESARIO D'ARLES adopera parola per parola Γ undicesima omelia dell'Alessandrino sul libro del l'Esodo, e fa suo quanto vi si legge a proposito della roccia donatrice d'acqua, nonché l'esegesi di Giov 7,38 86. L'interpretazione origeniana di Giov 7,38 è rimasta ancor più viva per la mediazione di Ambrogio, pur tenendo conto della tipica trasformazione ambrosiana della gnosi nella fede e dell'ascesa pneumatica in una tendenza morale alla virtù. L'esegesi di Giov 7,38 può essere dunque riportata a due espressioni tipiche, raccolte dalla tarda latinità e trasmesse poi al medioevo: 1) i fiumi d'acqua (che scaturiscono) dall'intimo del credente ' sono le acque della conoscenza del Nuovo Testamento e il loro strari81
In Ieremiam comment. 3, 76 (CSEL 59, p. 214, 1-5); 6, 24 (p.
+00, 2 3 ) . 85 86
PS.-AGOSTINO, Semi. 9, 4 (De Rebecca) (PL 39, 1757 Β). Serm. 103, 3 (Morin I, 1, p. 409, 11-19).
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pamento è la dottrina e l'istruzione; 2) Γ ' acqua (che sgorga) dall'intimo ' sono le virtù, quelle soprattutto che, traboccando, possono recar beneficio al prossimo. Vediamo intanto la prima spiegazione: Giov 7,38 indica il traboccamento della conoscenza della S. Scrittura nella dottrina e nell'istruzione. Ciò ha luogo anzitutto negli Apostoli, ma anche negli uomini saggi dei nostri tempi, nei vescovi soprattutto, che sono incaricati dell' istruzione dei credenti. L' ' acqua viva ' è, secondo GIROLAMO, la doctrina Salvatoris : « Sicut enim qui biberit de doctrina eius, habebit in se fontem viventem, sic qui crediderit in eo, iuxta id quod Scripturarum vocibus continetur, flumina aquae viventis egredientur de ventre illius »87. In un'esegesi del versetto del salmo «levano i fiumi il lor frastuono» (Sai 92,3), tratta interamente da Ambrogio, anche AGOSTINO riporta il concetto secondo il quale gli Apostoli e i discepoli del Signore fanno scaturire dal proprio intimo il fiume della dottrina : « Ergo facta sunt flumina currenda de ventre discipulorum, cum acceperunt Spiritum Sanctum » 88. Oltre a ciò non si nota in Agostino un interesse specifico per il testo. Egli conosce indubbiamente anche le interpretazioni (sempre nella versione ambrosiana) di Giov 7,38: il fiume d'acqua che scaturisce dalla roccia 89 e i fiumi del paradiso 90 . Anche per la sua teologia Giov 7,38 dimostra che nella figura dell'acqua viva è stato promesso lo Spirito 91 . Non si 87 In Zach. comment. 3, 14, 8 (PL 25, 1528 C). Cfr. anche la Mantissa di Girolamo su Giov 7,38 (PL 30, 581 A). 88 Enarr. in Ps. 92, 7 (PL 37, 1187s). 89 Ivi 77, 13 (PL 36, 993 BC). 90 De Genesi contra Manichaeos 2, 24, 37 (PL 34, 216 A). 91 De doctrina Christiana 3, 25, 36 (PL 34, 79 Β).
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trova però in Agostino nessuna traccia d'una trattazione sistematica, come si ha invece in Origene e in Ambrogio. E questo è importante per la conoscenza dell'ultima fase dello sviluppo storico-patristico dell'esegesi di Giov 7,38: rimane ancora il significato della ' dottrina ' : gli Apostoli sono considerati il modello del dono dell'acqua viva e i vescovi ne sono gli imitatori. Soprattutto Giovanni, che dal petto del Signore ha bevuto « i fiumi d'acqua del Vangelo », è il modello ideale, come scrive PAOLINO DI NOLA: « Iohannes, qui solus in pectore recumbebat, unde geminos in alveum cordis sui traxerat fontes, quos in orbem idem postea revelationis et evangelii praeco diffudit » 92 . Ma si deve dire la stessa cosa anche dei vescovi, successori degli Apostoli. Ed è assai interessante osservare come Giov 7,37.38 sia assunto a frase ' convenzionale ' nelle espressioni di cortesia che i vescovi della tarda latinità reciprocamente si scambiavano. Il vescovo GAUDENZIO DI BRESCIA, dopo Γ ' umile rugiada ' della sua predica, invita il vescovo consacrante Ambrogio di Milano a prendere la parola, per far scorrere le acque della sua conoscenza della Scrittura: «Loquetur enim Spiritu Sancto, quo plenus est, et 93 flumina de ventre eius fluent aquae vivae » . E PAO LINO DI NOLA, in un'orazione in stile classico all'incom parabile Agostino, luce del suo tempo, scrive: « Os enim tuum fistulam aquae vivae et venam fontis aeterni merito dixerim, quia fons in te aquae salientis in vitam 98 Epist. 21, 2 (CSEL 29, p. 150, 9-12). Per le altre testimonianze cfr. H. RAHNER, De dominici pectoris fonte potavit in ZkTh 55 (1931) 107s. 93 Tractatus 16, 9 (CSEL 68, p. 139, 16-22).
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aeternam Christus effectus est. Cuius desiderio sitivit in te anima mea et ubertate tui fluminis inebriari terra mea concupivit » 94 . RURICIO imita quasi esageratamente tale espressione di cortesia tra vescovi in una lettera a un vescovo amico, riferendosi espressamente a Giov 7,38 95. Alla base di tutto c'è questo concetto comune: nel venter spiritualis, nel ' più intimo ricettacolo del cuore ' le acque della dottrina traboccano a beneficio del prossimo: « Qui cum sincerum vivo de fonte liquorem gustarint, ipsi profundent flumina ab alvo cordis et irriguas praebebunt fratribus urnas ». Così il Carmen de Providentia rende in forma poetica il contenuto di Giov 7,38 96 . Anche APONIO esprime gli stessi concetti nel suo Commentario al Cantico dei Cantici, che ha esercitato successivamente un notevole influsso. La rugiada (Cant 5,2) della grazia divina forma dei fiumi nell'intimo del cuore : « Ros iste descendat in te, per cuius roris venam fontes et flumina de tuo corde procedant » 97. Queste acque sono i « dieta Apostolorum, qui rivuli aut fontes intelliguntur »98. L'esegesi del ' seno del cuore ' dal quale scaturiscono le acque della ' santa predica ' è stata fissata definitivamente da GREGORIO MAGNO. « Quia enim de mente fidelium sanctae praedicationes defluunt, quasi de ven" Epist. 4, 2 (CSEL 29, p. 20, 4-8). 85 Epist. 2, 34, 1 (CSEL 21, p. 418, 5-14). 88 PS.-PROSPERO, Carmen de Providentia 971 (PL 51, 638 D ) . Cfr. anche PAOLINO DI N O L A , Carmen 33, 21, 22 (CSEL 30, p. 339). 87 Comment. in Cant. (ed. di H. Bottino e J. Martini, R o m a 1843) 8 (p. 143). 88 Ivi 8 (p. 156).
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tre credentium aquae vivae flumina decurrunt » ". I seguaci medievali di Gregorio hanno trascritto con vivo piacere la sua esegesi di Giov 7,38 10 °. In BRUNO DI SEGNI noi possiamo ancora sentire l'ultima debole eco del canto corale dell'esegesi origeniana 101. Ed ora l'altra spiegazione: Giov 7,38 si riferisce al traboccare delle opere dello Spirito, delle virtù, a beneficio del prossimo. Già ILARIO intende il testo in tal senso 102. Il maggior contributo vien però da AGOSTINO, che nei suoi trattati sul Vangelo di Giovanni applica il testo all'amore del prossimo. Egli ripete ancora una volta la dottrina, fondata nella psicologia di Origene e resa poi comune da Ambrogio, del venter come base del cuore : « Venter interioris hominis conscientia cordis est » : così suona il famoso detto, ripetuto con tanta frequenza nel corso della storia della spiritualità medievale. Ci si pone quindi la domanda: « Quid est fons et quid est fluvius qui manat de ventre interioris hominis?». E si ode l'altrettanto classica risposta: « Benevolenza, qua vult consulere proximo » 103 . Qui ci si ferma. EUCHERIO 104 e GREGORIO MAGNO 105 applicano Giov 7,38 alle virtù, fede, speranza e carità. Il medioevo non fa che ripetere le parole di Agostino 106. E TOM" In Ezech. homil. 10, 6 (PL 76, 888 Β ) ; Moral, in Job 18, 37 (PL 76, 7 0 Β ) ; Moral. 11, 10 (PL 75, 9 6 0 Β ) . 100 Così già PATERIO (PL 79, 1077 D ) , e più tardi ALULFO (PL 79, 1246 Β). 101 In Ioan. comment. 1, 7 (PL 165, 511 Β ) . 102 Tract. in Ps. 64, 14 (PL 9, 421 Β ) . 103 Tract. in Ioannem 32, 4 (PL 35, 1643 C D ) . 104 Formulae 3 (CSEL 31, p. 20, 19s). 105 Moral, in Job 15, 16 (PL 75, 1091 Β ) . I0 » Cfr. BEDA (PL 92, 732 C ) ; ALCUINO (PL 100, 850 C; 851 B ) : RUPERTO DI D E U T Z (PL 169, 521 BC).
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MAso D AQUINO raccoglie quest'ultima debole espressione dell'esegesi patristica di Giov 7,38 nelle seguenti parole: « Qui proximo festinat consulere et diversa dona gratiarum recepta a Deo aliis communicare, de ventre eius fluent aquae vivae » 107. d) Alla completezza della storia della tesi esegetica che abbiamo fin qui esposta manca ancora la risposta alla seconda domanda: qual è, nel tempo successivo ad Origene, la posizione dell'esegesi patristica riguardo al passo dell'Antico Testamento che ha il suo riscontro nella promessa dell'acqua sgorgante dall'intimo del credente ? Abbiam visto che Origene aveva pensato a Prov 5, 15.16, anche se non si può più dimostrare che egli abbia in qualche posto motivato sul piano teorico la sua opinione. Si può tuttavia desumere chiaramente da Girolamo e da Ambrogio che tale sia stata in realtà la tesi di Origene. Ma questi due esegeti, nei quali è tanto sensibile l'influsso origeniano, non sono stati i primi ad avvertire l'importanza del problema della citazione scritturistica di Giov 7,38. Già molto tempo prima troviamo altri tentativi di soluzione. Così in CIRILLO DI GERUSALEMME, che ha composto la sua
Catechesi durante la quaresima del 348. Finora si è creduto che questo modo di risolvere la difficoltà fosse una caratteristica del Crisostomo e lo si indicava come tipicamente antiocheno. Ma è della stessa opinione anche Cirillo di Gerusalemme: lo deduciamo dal fatto che questa è una dottrina insegnata a Cesarea. Cirillo Comment. in Ioannem, e. 7, lect. 5 (ed. Parma, X, p. 437/·
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sintetizza così il testo scritturistico : ό πιστεύων εις έμέ καθώς ειπεν ή γραφή, e lo spiega: chi crede in me, come la Scrittura invita a credere, chi dunque non crede in modo solo superficiale, ma riflette attentamente sulle profezie dell'Antico Testamento sul Messia, questi potrà sperimentare il fluire dei fiumi d'acqua viva dal proprio intimo: ό πιστεύων εις έμε ούχ απλώς άλ λα καθ-ώς εΐπεν ή γραφή - ανέπεμψε σε εις τήν πάλαιαν διαθ-ήκην - ποταμοί εκ της κοιλίας αύτοϋ ρεύσουσιν ύδατος ζώντος 1 0 8 . Questa tesi è stata accolta dai maestri della Scuola Antiochena. Anche su ciò il Commentario a Giovanni di TEODORO DI MOPSUESTIA offre un ampio ragguaglio. « Alcuni - vi si legge - hanno applicato il ' come dice la Scrittura ' al vero Verbo, ed han cominciato a cercare dove sia scritto : ' fiumi scaturiranno dal suo corpo .' Ma noi non dobbiamo metterlo in relazione col Verbo divino. Infatti, poiché nella divina Scrittura si leggono molte profezie sul Messia, esortanti alla fede in lui (come è detto anche in un altro passo: ' questa Scrittura mi rende testimonianza' (At 10,43?)), dobbiamo dire: chiunque segue la Scrittura e crede in me, sarà ricolmo di grazia come d'un fiume, che non solo non si secca, ma diventa una fonte che alimenta lui stesso ed è utile anche a molti altri » 109 . Della medesima opinione è il CRISOSTOMO, per il cui tramite l'esegesi bizantina ha dato questa spiegazione del testo: «E in qual punto la Scrittura dice: ' fiumi scaturiranno dal suo intimo'? In nessuna parte. Che significa dunque: chi crede in me, come dice la Scrittura ' ? - questa è 108 109
Catech. 16, 11 (PG 33, 932 G). In Ioan. comment. (Chabot, p. 180).
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infatti l'esatta interpunzione, perchè la frase: ' fiumi scaturiranno ... ' è da intendersi unicamente come una sentenza di Cristo » u o . CIRILLO ALESSANDRINO percorre un'altra via. Anch'egli aveva cercato invano un testo corrispondente nell'Antico Testamento. Per eludere la difficoltà aveva ideato una spiegazione, ancor oggi condivisa da molti esegeti, secondo la quale Cristo non ha inteso citare un passo scritturistico esattamente determinato, ma in genere tutte quelle profezie nelle quali la salvezza messianica è annunziata come il prorompere dell'acqua viva: έρμηνεύσας δε μάλλον το προς δ ι ά ν ο ι α ν m . Anch'egli si richiama a Is 58,11, ed è persuaso che questo testo significhi la stessa cosa che vien promessa in Giov 4,14. Solamente che la parola γραφή in Giovanni indica sempre un preciso testo della Scrittura (cfr. Giov 2,17; 6,31; 7,42; 10,35; 12,14; 13.18; 19,24; 19,36.37)· Ciò era noto anche agli antichi esegeti cristiani. La ricerca della γραφή cui si richiama Giov 7,38 non poteva per ciò avere una facile conclusione. Quanto più andava imponendosi l'interpretazione di Origene, tanto più si doveva appurare la validità del riferimento a Prov 5, 15.16. Non è affatto inutile richiamare l'attenzione sullo stesso CIRILLO di Gerusalemme, che, non ostante la suesposta lezione, accenna anche a Prov 5,15 n 2 . Ma quest'idea si afferma anche in AMBROGIO. Abbiamo 110 111 111
Homilia in loannem (PG 59, 283). In Ioan. comment. 5 (PG 73, 749 C). Catech. 16, 11 (PG 33, 932 C). - Cfr. anche l'esegesi di DIDIMO
su Prov 5,15 (PG 39, 1629 A) e quella di PSOCOPIO DI GAZA (PG 87,
I, 1264 D; 1265 A).
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già visto che in una sua lettera vengono fusi insieme Prov 5,15 e Giov 7,38: «Fluent ei aquae de suis vasis et de puteorum suorum fontibus, vel de ventre eius aquae vivae » 113 . Ambrogio sostiene tale tesi perché nella sua versione latina Prov 5,16 suona così (conforme al testo ebraico e a quello letto da Origene in alcuni manoscritti dei LXX) : « Et superfluant tibi aquae de tuo fonte » 114 . Sarebbe assai lungo enumerare ed esaminare le tante testimonianze che si possono cogliere dalle opere di Ambrogio 115. Dovunque egli nella sua teologia ispirata ad Origene e a Filone parla dell'acqua viva sgorgante dalla fonte dell'uomo interiore, ricorre immancabilmente il testo di Prov 5,15.16. In realtà si tratta d'uno dei testi preferiti dall'esegeta milanese, che lo cita per lo più in relazione, logica ο immediata, con Giov 7,38. Tuttavia nemmeno Ambrogio ci offre una trattazione teorica del problema: in ciò non era evidentemente un esegeta in senso propriamente filologico e critico. Dall'esattezza della sua straordinaria conoscenza della Scrittura e di Origene si può però desumere che anche Ambrogio, come il suo maestro alessandrino, ha risolto la questione del ' passo scritturistico ' di Giov 7,38 rimandando a Prov 5,15.16. Uno solo era in grado di offrire una descrizione teoretica e completa della questione: GIROLAMO. Sem113
Epist. 29, 24 (PL i 6 , 1060 D ) . De Isaac et anima 4, 24 (CSEL 32, I, p. 658, 5s). Cfr. Hexameron 3, 12, 49 (CSEL 32, 1, p. 91, 24s); De Jacob et beata vita 1, 7, 29 (CSEL 32, 2, p. 22, 24ss); ivi 2, 4, 17 (CSEL 32, 2, p. 42, i s ) ; De paradiso 3, 13 (CSEL 32, I, p. 272, iós); De Isaac et anima 4, 22 (CSEL 32, 1, p. 656, 18s) ; ivi 5, 40 (CSEL 32, 1, p. 666, is) ; Epist. 37, 18 (PL 16, 1088 C ) ; Expl. Ps. 45, 3, 4 (CSEL 64, p. 331, 14 - p . 332. Η ) · 114 115
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bra che anche a lui, che conosceva tanto bene la tradizione della Scuola di Cesarea, non fosse affatto sconosciuta la soluzione data dapprima da Cirillo di Gerusalemme. Infatti nel suo Commentario a Zaccaria egli scrive: « Sic qui crediderit in eo (Christo) iuxta id quod Scripturarum vocibus continetur, flumina aquae viventis egredientur de ventre illius » 116 . Egli rende dunque il testo proprio secondo l'insegnamento della Scuola antiochena. Si tratta però d'un fatto del tutto isolato, che ha luogo nella spiegazione del libro di Zaccaria scritta solo nel 406. Il problema ha per Girolamo un'importanza molto maggiore, tanto che ad esso egli ha dedicato tutta la vita. Secondo Girolamo, Giov 7,38 e la sua misteriosa citazione scritturistica è uno di quei richiami del Nuovo al Vecchio Testamento, che non si devono cercare nella versione dei LXX, ma per la cui verificazione si deve ricorrere al testo originale ebraico. Tali sono Mat 2,15; Mat 2,23; Giov 19,37; 1 Cor 2,9; Giov 7,38 117. È noto che si rimproverava a Girolamo d'aver scalzato con la sua nuova versione l'autorità dei LXX. Richiamandosi alle suddette citazioni bibliche che si possono riscontrare nel testo ebraico, non invece in quello dei LXX, lo studioso di Betlemme si difende con successo. Giov 7,38 ha qui un peso decisivo: « Christus Dominus noster, utriusque Testamenti conditor, in Evangelio secundum Ioannem qui credit, inquit, in me, sicut dicit Scriptura, flumina de ventre eius lle
In Zach. comment. 3, 14, 8 (PL 25, 1528 C). Epist. 57, 7. 8 (CSEL 54, pp. 512-518); Apologia adv. libros Rufini 2, 25 (PL 23, 449 A); Praefatio in Pentateuchum (PL 28, 149 A); Praefatio in librum Paralipomenon (PL 28, 1326 A). 115
LA TRADIZIONE ALESSANDRINA
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fluent aquae vivae. Utique scriptum est, quod Salvator scriptum esse testatur. Ubi scriptum est? Septuaginta non habent. Apocrypha nescit Ecclesia. Ad Hebraeos igitur revertendum est, unde et Dominus loquitur et discipuli exempla praesumunt » U 8 . Consapevole della vittoria conseguita, Girolamo pone ai suoi critici questa domanda : « Interrogemus ergo eos, ubi haec scripta sint; et cum dicere non potuerint, de libris hebraicis proferamus » 119. Al vivo interesse suscitato dal problema fa però seguito una soluzione deludente. Per Giov 7,38 si deve trovare in pratica un passo dell'Antico Testamento, il cui senso sia stato alterato dai LXX. Una volta Girolamo ha omesso del tutto (conscio della validità della sua esegesi contro le critiche degli ignoranti) di indicare i passi corrispondenti 120 . In un'altra parte, invece, si riferisce in genere ai Proverbi: in Proverbiis121. Ciò ha strappato all'esegeta MALDONADO l'esclamazione: « Utinam eadem indicasset opera, ubinam hoc testimonium in Hebraicis libris reperiretur ! » 122. Qui giova però ricordare quanto abbiamo sia visto in Origene, L'autore degli Esapli sapeva bene che Prov 5,16 nei LXX suona diversamente che non nel testo ebraico. 118 Praef. in Paralip. (PL 28, 1326 A). Già ai tempi di Girolamo si è pensato alla possibilità che la citazione di Giov 7,38 si riferisse a uno scritto apocrifo perduto: opinione, questa, che ha ancor oggi dei seguaci. 118 Praef. in Pent. (PL 28, 149 A). 120 PL 28, 1326 A. Nella lettera 57 a Pammachio egli evita di parlare del testo. Se ne parla invece dettagliatamente nelle altre quattro citazioni, esistenti solo in ebraico. Ciò dà l'impressione che Girolamo non fosse completamente sicuro della propria posizione circa Giov 7,38. 1,1 PL 28, 149 Β. 12a G. MALDONADO, Commentata in S. quattuor Evangelistas (ed. C. Martin, 3 ed., Paderborn 1863), ν. Π, ρ. 666.
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
E Girolamo ha studiato profondamente gli Esapli. Nella sua traduzione dei Proverbi ha reso l'espressione in modo chiaramente diverso dai LXX: « Deriventur fontes tui foras ». Crediamo dunque (contro il riferimento, arbitrariamente stabilito da Vallarsi, a Prov 18,4) che Girolamo abbia pensato al testo di Prov 5,15.16, tanto familiare, grazie ad Origene, alla letteratura del tempo 123. Così pensa pure uno degli esegeti più versati nella patristica, il Cardinale FRANCESCO TOLEDO, che nel suo Commentario a Giovanni offre un'eccellente panoramica sui diversi tentativi di soluzione di questo problema nell'antica esegesi cristiana. Egli pensa che Girolamo abbia avuto in mente proprio l'idea di Origene, espressa soprattutto nella dodicesima omelia sui Numeri 124 . Girolamo aveva conosciuto queste omelie e ne aveva fatto tesoro: le aveva tradotte il suo amato e odiato amico Rufino 125. In tal senso hanno interpretato Girolamo i migliori esegeti dei tempi successivi. RUPEETO DI DEUTZ dice: « Scriptura Proverbiorum est, quae sic dicit sensu eodem, verbis paululum diversis... nam quod hic dixit: 'si quis sitit veniat ad me 123 Si deve però aggiungere che anche per Prov 18,4 esiste una piccola divergenza tra i LXX e la versione di Girolamo: nei LXX si legge ύδωρ βαθύ λόγος έν καρδία ανδρός, ποταμός δε άναπηδύει και π η γ ή ζωής. Girolamo, invece, traduce: «Aqua profunda verba ex ore viri et torrens redundans fons sapientiae ». Ma Prov 18,4 non ha, per le idee di cui abbiamo esposto la storia, la stessa importanza di Prov 5,15.16. Solo una volta in Ambrogio (CSEL 64, 332, 12) il testo ci è pervenuto nell'antica forma latina: «Aqua alta verbum in corde viri ». 124 FRANCESCO TOLEDO, Commentarti in S. Iohannis Evangelium, Colonia 1589, p. 706. 125 Cfr. GIROLAMO, Epist. 33, 6 (CSEL 54, p. 257, 9); RUFINO, Prologo alla versione delle omelie sui Numeri (GCS Origenes VII, p. is).
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et bibat ', hoc ibi dictum est: ' bibe aquam de cisterna tua et fluenta putei tui'. Et quod hic subiunxit: ' flumina de ventre eius fluent aquae vivae ', hoc ibidem sic subiunctum est: ' deriventur fontes tui foras '» 126. TOMMASO D'AQUINO è dello stesso parere : « Quod ut ipse (Hieronymus) dicit, de Proverbiis scriptum est ». E cita appresso Prov 5,15.16 127. Abbiamo così concluso la prima parte della nostra indagine. L'evoluzione storica della prima interpretazione di Giov 7,37.38 nell'esegesi patristica appare ai nostri sguardi chiara in ogni sua fase. Il risultato è però alquanto deludente. Ad entrambe le domande che abbiamo poste sull'esegesi patristica di Giov 7, 37.38 si dà una risposta tutt'altro che esauriente. Anzitutto per quanto concerne il significato: Giov 7,37.38 ha avuto solo in Origene un'interpretazione teologicamente rilevante; ma questa è fin dalle radici viziata dalle proprietà pneumatiche della gnosi origeniana. Le rettifiche portate da Ambrogio alla dottrina di Origene non riproducono quindi fedelmente il grande modello : attraverso Ambrogio l'esegesi di Giov 7,37.38 è scivolata sul piano della pura edificazione. D'ora in poi le misteriose parole del Signore non hanno più un 1!i Comment. in Ioannem 7 (PL 169, 521 Β). - Cfr. l'uso di Prov 5,15.16 nel medesimo contesto già in AGOSTINO, Epist. ad catholicos de seda Donatistarum 23, 65 (CSEL 52, p. 313, 4-8), dove il testo, insieme con Giov 7,38, svolge un ruolo di rilievo nelle argomentazioni dommatiche dei donatisti. Cfr. anche AGOSTINO, Contra Cresconium 2, 13, 16 (CSEL 52, p. 376, 19s). È di grande interesse infine il fatto che i donatisti abbiano cercato la citazione di Giov 7,38 anche nel profeta Isaia : cfr. AGOSTINO, Adv. Fulgentium Donatistam 2 (CSEL 53, p. 290, 3-18). Anche GREGORIO MAGNO nel medesimo contesto indica una volta Prov 5,15: Regula pastor. 3, 24 (PL 77, 95 C). 1,7 Comment. in Ioannem e. 7, lect. 5 (ed. Parma, X, p. 437).
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valore rilevante; vengono considerate semplicemente come una promessa delle grazie necessarie per poter comunicare al prossimo la dottrina cristiana e l'aiuto della carità. Non è più compito del presente studio indicare come mai tale incertezza nell'interpretazione sia giunta fino alla più recente esegesi cattolica. È però certo che tutte le volte che le parole del Signore sono state applicate ai credenti, lo si è fatto sempre all'insegna dell'esegesi patristica di Giov 7,37.38. Dobbiamo dire la stessa cosa a proposito della risposta alla nostra seconda domanda. Possiamo costatare che quasi tutti i tentativi dell'odierna esegesi di trovare nell'Antico Testamento il testo corrispondente hanno un riscontro nella patristica e la dichiarazione rassegnata del Cardinale TOLEDO vale anche per le antiche ricerche sulla Scrittura : « Laborant Doctores anxie hoc testimonium in Scriptura quaerentes; sunt autem variae eorum sententiae » 128 . Considerando la cosa solo oggettivamente, la tesi di Origene e la relativa indagine critica di Girolamo sulla Bibbia non hanno avuto successo. È degna di nota solo l'opinione di Cirillo Alessandrino. Questi è seguito oggi da molti esegeti. Giov 7,38 non allude, secondo tale opinione, ad un determinato passo della Scrittura, ma all'insieme delle profezie dell'Antico Testamento; e si dovrebbe qui pensare piuttosto a l s 5 8 , n e a tutti quei passi nei quali la salvezza messianica è annunziata nell'immagine dell'acqua zampillante. Si deve quindi consentire col LAGRANGE, che giudica forzato il riferimento a Prov 5,15, rinunziando a dare un'indicazione in qualche Commetti, in S. Johannis Evang., Colonia 1589, p. 706.
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modo soddisfacente del testo : « il demeure, que la doctrine du disciple devenue une source d'eau vive paraìt étrangère à l'Ancien Testament » 129. Con ciò non è forse dimostrato che l'esegesi patristica (e moderna) di Giov 7,37.38, condotta sotto l'influsso determinante di Origene, ha preso una strada sbagliata che l'ha allontanata notevolmente dal senso originario del testo? In altre parole: l'indagine finora compiuta costituisce lo sfondo ed anche il movente per lo studio della seconda interpretazione, tanto diversa dalla prima sia per la struttura del testo che per il suo significato.
ls
* Évangile sehn S. Jean, 5 ed., p. 2ÓI.
2.
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Due volte, in Origene e in Ambrogio, abbiamo incontrato un'interpretazione di Giov 7,38, tale da farci presumere che il testo possa essere stato applicato fin dall'antichità allo stesso Cristo. Infatti l'espressione « fiumi d'acqua viva scaturiscono dal suo corpo », applicata a Cristo, dice molto più che un semplice giuoco di parole della S. Scrittura. Ma è ciò sufficiente perchè si possa prudentemente affermare che tale interpretazione è quella originaria? In effetti si deve produrre anche per questa tesi un'organica descrizione della sua storia, andando oltre le citazioni patristiche finora presentate in modo incompleto e senza nesso. Cercheremo di seguire a ritroso questa storia dalla prima sicura testimonianza della nuova interpretazione fino a quei circoli teologici che erano ancora chiaramente a diretto contatto con la teologia giovannea dell'Asia Minore (1). Si dirà quindi che questa interpretazione ha tratto notevole vantaggio dalla struttura del testo dell'antica versione latina di Giovanni, onde ebbe nuova vita in tutti quei Padri che trassero la loro teologia da detta
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versione (2). Malgrado il potente influsso dell'interpunzione e dell'esegesi affermatasi nel frattempo per merito di Origene, il vigore dell'antica tesi latina è tanto, che si fa sentire, pur palesandovi una certa incongruenza, perfino in quei Padri della Chiesa che seguono generalmente l'esegesi di Origene, soprattutto in Ambrogio e Girolamo. D'ora in poi essa non vien più dimenticata del tutto (3). Ma solo di recente, grazie agli studi patristici e critico-testuali, essa ha goduto nuovamente di quella stima che le compete in ragione dell'antichità e della profondità del pensiero teologico, soprattutto per quanto riguarda la Chiesa. La storia di questa esegesi, cosi abbozzata, offrirà infine indicazioni molto importanti per la soluzione del problema circa il passo dell'Antico Testamento, al quale si richiama Giov 7,38. In futuro anche l'arte dell'interpretazione esegetica dovrà quindi necessariamente muoversi nella direzione indicata dalla storia di questa tesi. Ne risulterà infatti che in Giov 7,37.38, così inteso, noi abbiamo uno dei temi centrali, assai profondo e d'una singolare bellezza, della teologia giovannea. 1. - Il riferimento di Giov 7,38 alla fonte dello Spirito che scaturisce dall'intimo dello stesso Cristo lo troviamo per la prima volta nel più antico scritto propriamente esegetico della letteratura cristiana: nel Commentario a Daniele di IPPOLITO ROMANO. Esso è incorporato nel complesso della sua teologia spirituale, che possiamo giustamente stimare come prezioso retaggio della dottrina romana antica. Ippolito ha scritto infatti questo commentario e le altre opere, dalle quali noi ora attingiamo, nello spirito del suo
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tempo, proprio nel periodo in cui il giovane Origene si trovava a Roma 1 . Dobbiamo qui esporre brevemente questa teologia spirituale, per poter convenientemente valutare il significato e l'origine della citazione di Giov 7,38 nel commentario a Daniele. La Chiesa è, per Ippolito, il paradiso, il giardino chiuso in cui zampilla la ' fonte sigillata ', dalla quale nasce il quadruplice fiume dell'acqua viva, « la legge dei Profeti e degli Apostoli, i quali bevono eternamente l'acqua viva che procura la pace nella vita eterna: questa è la vera dottrina della linfa vitale promanante dallo Spirito Santo e con la quale vien saziata l'umanità. E accaduto che ' la terra fu ricolma d'ogni conoscenza' (Is 11,9) di Cristo, come i mari e la terra sono ricoperti dalle acque» (Cant 4,15) 2. I fiumi della rivelazione del Nuovo Testamento scaturiscono però dal Signore Gesù Cristo, dal suo ' petto '. « Le mammelle di Cristo non sono che i due Testamenti » 3 , dice Ippolito con un'altra immagine, diversa ma indicante sempre il medesimo concetto. Acqua, latte, vino, simboleggiano infatti sempre la stessa cosa: la bevanda spirituale offerta da Cristo e che scorre nella dottrina dei due Testamenti. È la ' bevanda dell'immortalità ', che dagli Apostoli si riversa nella Chiesa attraverso la dottrina e il battesimo ; è Γ acqua 4 della grazia ' che promana da Cristo . 1
Cfr. R. CADIOU, La jeunesse d'Origene, Parigi 1935, pp. 62-68. Comment. in Cant. (GCS Hippolyt I, 1, p. 374, 3-9); In Dan. comment. 1, 17 (GCS I, 1 p. 28, 16-17); De Antichristo 1 (GCS I, 2, P· 3, ?s)· - Per la dottrina di Ippolito sulla Chiesa cfr. A. HAMEL, Kirche bei Hippolyt von Rom, Gütersloh 1951. 3 Comment. in Cant. (I, 1, p. 344, 5s). 4 Fragm. in Ruth 2, 9. 14 (GCS I, 2, p. 120, 8-10). 2
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Ma in che modo l'acqua viva scaturisce da Cristo? Dal suo ' petto ', come abbiamo già visto. E ciò significa: dal suo ' corpo ', dalla sua umanità. Ippolito lo deduce da due simboli fondati nella Bibbia. La ' santa carne di Cristo ' è la roccia spirituale5 (iCor 10,4), dalla quale fluisce l'acqua viva; Cristo è la ' vera roccia ' 6 . Nel paragonare il corpo umano alla roccia gli si impone però l'altro concetto, fondamentale per la sua cristologia: dalla roccia spaccata dell'umanità del Signore, dal suo costato aperto, scaturisce la sorgente della vita 7 . Il Crocifisso è «fonte d'acqua per tutti gli assetati », sulla croce s'è « aperta per noi la fonte dell'acqua dolce dello Spirito » 8 . L'acqua e il sangue che escono dall'aperto costato di Cristo sono i simboli dello Spirito e del fuoco (Giov 19,34 e 1,33; Mat 3,11), sono i «due fiumi che promanano dal suo costato e purificano, lavandoli, i popoli »9. Ippolito vede qui dunque il mistero dell'avvenimento descritto così enfaticamente da Giovanni: il corpo senza vita 5 Fragni, in Prov. 24, tìi (GCS I, 2, p. 167, ios). « Commetti, in Cant. (GCS I, 1, p. 351, 5s). 7 PG 59, 744 A. - Nel 1941 pensavamo, in base alla documentazione allora accessibile, che la citazione non fosse che un passo d'una riscoperta omelia pasquale di Ippolito inserita tra le omelie erroneamente attribuite a Crisostomo. Nel frattempo è emersa la prova che questa omelia anonima non può essere attribuita a Ippolito, benché subisca l'influsso dell'opera di Ippolito sulla Pasqua, ricordata in Eusebio VI, 22. Cfr. l'edizione critica di P. NAUTIN, Une homélie inspira du traité sur la Pàqiie d'Hippolyte in Sources chrétiennes 27 (1950) 181. A p. 99, nota 2, Nautin esamina inoltre espressamente i testi autentici di Ippolito, che ci mostrano quanto sia stato facile per questo teologo il simbolismo del flusso d'acqua viva sgorgante dal costato di Cristo. Le conclusioni, per quanto riguarda l'ecclesiologia di Ippolito, restano pertanto invariate. 8 Ivi (PG 59, 743 B-D). 9 De Antichristo 11 (GCS I, 2, p. io, 18-20).
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del Redentore, malgrado e in virtù della morte, possiede una forza vivificatrice : νεκρόν τε ον το σώμα ... μεγάλην έχει ζωής έν αύτω δύναμιν ... ώς ήμΐν δε τα της ζωής αΐτια προχεΐν δύνασθ-αι10. La piaga del co stato di Cristo o, come Ippolito più semplicemente dice in un altro passo, il ' corpo del Signore ' u è la fonte della vita, della ' santa acqua '. « Nel sangue dell'Uomo noi abbiamo l'acqua dello Spirito » 12 : così può essere brevemente descritta la teologia di queste prediche pasquali. Ma l'unità di quanti sono stati riuniti insieme dall'acqua viva dello Spirito è rappresentata dalla Chiesa 13 - il processo ideale torna così alle origini -, dalla Chiesa qual paradiso in cui scorrono i fiumi che scaturiscono dal corpo del Redentore ed irrigano tutta la terra. E questo il contesto in cui ora per la prima volta appare Giov 7,38: «Scorre un fiume d'acqua perenne e da questo si dipartono quattro fiumi che scorrono per tutta la terra. La stessa cosa avviene nella Chiesa. Infatti Cristo, essendo egli il fiume, attraverso i quattro Vangeli viene annunziato in tutto il mondo e scorrendo per tutta la terra santifica tutti quelli che credono in lui, come dice anche il Profeta : ' fiumi scaturiscono dal suo corpo '» 14. 10
Frammento dell'omelia sui due ladroni ,2 (I, 2, p. 211, 7-12). lui, fragm. 1 (I, 2, p. 211, 3s): αμφότερα παρέσχε το του Κυρίου σώμα τω κόσμω, αίμα το ιερόν και ΰδωρ το άγιον. 12 Homil. in Pascha 2 (PG 59, 727 Α): έπείπερ εις εν ήλθε τό τε αίμα και το πνεϋμα, ίνα δια τοϋ ομογενούς ήμΐν αίμα τος το μή ομογενές ήμΐν Πνεϋμα το άγιον λαβείν δυνηθώμεν. Che non subisca l'influsso di Ippolito? 13 Cfr. De Antichristo 3 (I, 2, p. 6, 17-20); In Dan. Comment. 1, 17 (I, i, p. 28, 18s). - A. D'Aiis, La théologie de S. Hippolyte, Parigi 1936, pp- 38s. 192s. 14 In Dan. comment. 1, 17 (I, 1, p. 29, 11-16). 11
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Il Profeta è l'Apostolo Giovanni, così comunemente indicato all'epoca di Ippolito nella tradizione dell'Asia Minore 15 . E noi già sappiamo, dal contesto teologico di Ippolito nel quale bisogna inquadrare la citazione di Giov 7,38, che si tratta d'una teologia ispirata alla dottrina della prima lettera di Giovanni (5,6.8) : lo Spirito è venuto a noi con l'acqua e il sangue, non con l'acqua soltanto (quindi nessuna discesa dello Spirito), ma anche col sangue (quindi per la morte umana e reale) del Messia. È forse impossibile intravedere ancor qui in Ippolito le linee della teologia giovannea conservata in una viva tradizione? Ippolito è discepolo di IRENEO DI LIONE; questi a sua volta è discepolo di POLICARPO, dal quale ha udito le parole di colui che « ha toccato con mano » (iGiov 1,2) la Parola della vita 16 . Qui si deve dunque indagare. Dobbiamo anzitutto costatare che la teologia ippolitiana dell'acqua viva è modellata fin nei dettagli su quella di IRENEO. Questi però l'ha appresa a Smirne direttamente dalla bocca di Policarpo, e, com'egli stesso afferma, « l'ha impressa non sulla carta, ma nel suo cuore » 1 7 . Lo Spirito Santo, sintesi di tutti i doni salvifici del N u o v o Testamento, è l'acqua viva che, 15 Così già GIUSTINO, Dial. 81, 14; 82, 1 (Otto II, p. 296, is. 7s); PoLicsATE D'EFESO [in EUSEBIO, Hist. eccl. 3, 31, 3 (GCS II, i , p . 264 17)]. Cfr. T H . Z A H N , Apostel und Jünger Jesu in Asien (Forschungen zur Gesch. d. neutest. Kanons, VI) Lipsia 1900, ρ. 2 ΐ ο , nota 2. - Altre testimonianze di Ippolito sono raccolte dallo stesso T H . Z A H N , Ge schichte des neutest. Kanons, ν. Ι, Erlangen 1892, ρ. 203, nota ι; ρ. 2θ6 nota 2; Η . RAHNER, Zeit sdir. f. kath. Theol. 55 (1931) 103s. 18 IRENEO, Epist. ad Florin. [EUSEBIO, Hist. ecd. 5, 20, 6 (GCS II, 1, p. 484, 4-10)]. - Sull'influsso di Ireneo su Ippolito cfr. H. ACHELIS, Hippolytstudien (Texte und Untersuchungen 16, 4), Lipsia 1897, ρ. 27. " Ivi (GCS II, ι, ρ. 484, 12).
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secondo Is 43,19-21, scorre su tutta la terra dacché Cristo ha effuso su di noi lo Spirito e gli uomini hanno accolto con fede quest'acqua : « Fideffi quae est in Christo qua annuntiavit... et in terra inaquosa flumina Spiritus Sancti adaquare genus electum Dei quod acquisivit » 1 8 . Giov 7,38 fa già qui la sua comparsa: bere l'acqua viva equivale a ' credere '. Infatti i fiumi che scaturiscono da Cristo sono i due Testamenti, dei quali il primo preannunzia l'efflusso dello Spirito, mentre l'altro ne rivela la realtà: il medesimo Logos e lo stesso Spirito dominano entrambi i Testamenti 1 9 . Ora, da quando il Verbo si è fatto carne, noi possediamo lo Spirito in ' una nuova forma ' : « nove effusus est in nos ... ex quo qui credunt Deo et sequuntur Verbum eius, percipiunt eam quae est ab eo salutem » 20 . Chi ci dona quest'acqua è il Signore Gesù Cristo, esaltato nella passione : « Egli fa scorrere grossi fiumi, manda sulla terra lo Spirito Santo, secondo la promessa, fatta per bocca dei Profeti, di effondere alla fine dei tempi lo Spirito sulla faccia della terra » (Gioele 3,1; At 2,17; Is 43,20) 21 . L'acqua dello Spirito giunge al credente tramite la Chiesa, in cui è fedelmente custodita la rivelazione dei due testamenti. Essa ci offre la ' bevanda della vita ' 22 . La ragione della purezza della dottrina della 18 Adv. haer. 4, 33, 14 (Harvey II, p. 268, 29 - p. 269, 1); 4, 14, 2 (II, p. 185, 22): «Vere enim aquae multae Spiritus Dei». 19 Ivi 4, 33, 15 (II, p. 269, 3-27): l'apologia è condotta interamente contro Marcione. - Cfr. J. HÖH, Die Lehre des hl. Irenäus über das Neue Testament, Münster 1919, pp. 86-89. 20 Ivi (Π, ρ. 269, I0-I3). 21 Epideixis 2, 89 (BKV2 Irenäus II, p. 642, Weber). 28 Adv. haer. 3, 4, 1 (II, p. 15, 17s).
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Chiesa - e quindi della dottrina apostolica -, sulla quale ha tanto insistito Ireneo di fronte all'apparente prescrizione delle eresie gnostiche, è questa: che la Chiesa medesima viene continuamente plasmata e irrorata dall'acqua viva dello Spirito. Come l'acqua trasforma in pane la farina di frumento, così ' l'acqua che viene dal cielo ' plasma la Chiesa23. E poiché questa è il corpo di Cristo, l'espressione concreta di tutta l'opera redentiva di Cristo, « integrum corpus operis Filii Dei » 24, è chiaro che l'acqua dello Spirito viene a noi dal ' Corpo di Cristo '. La teologia di Ireneo si compendia a questo punto in una semplice riflessione: la Chiesa è il corpo di Cristo; si riproduce dunque in essa, come ricapitolazione della vita e del corpo fisico di Cristo, quanto una volta e nel modo più sublime si è compiuto nel Redentore medesimo 25. Ciò significa che l'acqua viva dello Spirito vien profusa in noi dal corpo umano del Signore, dal ' pieroma ' della sua pienezza di Spirito (Giov 1,16.33), e quindi dalla forza spiritualizzante della sua morte reale in quanto uomo. La natura umana del Signore possiede lo Spirito in tutta la sua pienezza; in lui lo Spirito ha posto definitivamente la sua ' dimora ', per così ' abituarsi ' a restare tra gli uomini 26. Il suo corpo umano è la 23
Ivi 3, 17, 2 (II, 92s). Ivi 4, 33, 15 (II, p. 269, 6s). 25 Cfr. G. BAEEILLE in Dict. de Théol. cath., v. VII, Parigi 1922, e. 2425SS; L. SPIKOWSKI, La doctrine de L'Eglise dans S. Ir ènee, Strasburgo 1926; A. BENGSCH, Heilsgeschichte und Heüswissen. Eine Untersuchung um Struktur und Entfaltung des theologischen Denkens im W e r k ' Adversus haereses ' des Irenäus von Lyon, Lipsia 1957. 26 Adv. haer. 3, 17, 1 (II, p. 92s); Epideixis 1, 41 (Weber p. tìios). 24
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' roccia pneumatica ' donde scaturisce l'acqua della sua pienezza di Spirito : « In pieno deserto egli fece scaturire dalla roccia un grosso fiume; e la roccia era egli stesso. Ed ha aperto dodici sorgenti, ossia la dottrina dei dodici Apostoli » 27 . La sua natura umana era pure assetata; ma giacché la sua pienezza di Spirito era fondata sulla divinità, l'assetato potè essere a un tempo anche sorgente : « Ut sitivit sic et bibere fecit olim Iudaeos, petra enim erat Christus, ita nunc credentibus Jesus dat ut bibant aquas spiritales quae scaturiunt in vitam aeternam » 28 . Ancora una volta possiamo riscontrare una perfetta consonanza fra Giov 7,38 e Giov 4,14. Ma in rapporto diretto con la raffigurazione di Cristo come sorgente spirituale che scaturisce dalla roccia è qui inteso anche il compimento simbolico della promessa dell'acqua: in virtù della morte in croce e dall'aperto costato di Cristo viene offerta a noi l'acqua viva. Contro ogni forma di docetismo, Ireneo afferma insistentemente la realtà della morte in croce 29 . Ma è altrettanto persuaso che il Morto sulla croce è « la vita che pende davanti ai nostri occhi » (Deut 28,66) 30. Perciò il flusso di sangue ed acqua che esce dal costato di Cristo, oltre ad essere segno della morte reale, è anche simbolo della potenza divina: nel sangue vien dato a noi lo Spirito; e come il sangue è segno dell'autenticità della natura umana 27
Epideixis 2, 46 ("Weber p. 161). Syr. fragni. 29 (Harvey II, p. 458; J. JORDAN, Texte und Untersuchungen 36, 3, ρ. 6os); Aàv. haer. 4, 14, 3 (II, ρ. ι86, gs); Gr.fiagm. 40 (Π, ρ. 5θ8. 2s). 29 Aàv. haer. 4, 33. 2 (II, ρ. 258, is). 30 Ivi 4, io, 2 (II, ρ. 174, 7-11); 5. I&> 3 (Π, Ρ· 375. 3s); Epideixis 2, 79 (Weber ρ. 637). 28
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in Adamo, così l'acqua è simbolo della divinità, per la quale Cristo, « ricapitolando in sé tutta la natura corporea, reca a noi la salvezza » 31. Cristo è dunque «sofferente e datore di vita», «inchiodato alla croce, ma anche fonte d'acqua viva » 32 . Quest'uomo è il Logos; perciò il suo corpo è datore dello Spirito : « Unum et idem cum semper sit Verbum Dei, credentibus ei fontem acquae in vitam aeternam dans » 33. Come la teologia di Ippolito, anche quella di Ireneo ritorna ora al punto di partenza, alla Chiesa. L'acqua dello Spirito, promessa da Cristo e poi data simbolicamente nel fiume sgorgato dalla ferita del costato, vien concessa al credente mediante l'infusione dello Spirito per opera della Chiesa, di cui lo Spirito è la forza coesiva 34 . Noi tutti - così egli afferma - siam diventati una cosa sola nello Spirito; ma l'acqua dello Spirito, che ci unisce, viene da Cristo : « In omnibus autem nobis Spiritus (est) et ipse est aqua viva quam praestat Dominus in se recte credentibus » 35 . Non v'è dubbio: Ireneo cita Giov 7,38, e l'espressione è applicata direttamente a Cristo. Nella Chiesa s'è compiuta questa effusione dello Spirito. Là dov'è lo Spirito v'è pure la Chiesa, e viceversa; e la Chiesa è il corpo pneumatico di Cristo, dal cui corpo umano scaturisce l'acqua limpida dello Spirito. Alla Chiesa è perciò affidata l'acqua dello Spirito : « Ubi enim Ecclesia, ibi et Spiritus Dei, et ubi Spiritus Dei, illic Ecclesia et 31 32 33 34 35
Adv. haer. 3, 22, 2 (II, p. 122, 13-16). Syr.jragm. 29 (II, p. 459, 20s; Jordan p. 59s). Adv. haer. 4, 36, 4 (II, p. 279, 22s). Epideixis 1, 41 (Weber p. 611). Adv. haer. 5, i 8 , 2 (II, p. 374, 5-7).
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omnis gratia. Spiritus autem veritas. Quapropter qui non participant eum, neque a mamillis matris nutriuntur in vitam, neque percipiunt de corpore Christi procedentem nitidissimum fontem » 3e . Questo è il senso di Giov 7,38. Anche Ippolito ha citato allo stesso modo : « Fiumi scaturiscono dal suo corpo ». È significativo per la teologia di Ireneo e ben si connette con la sua dottrina della ricapitolazione il fatto ch'egli consideri qui come una sola cosa il corpo mistico e il corpo umano di Cristo (proprio come la Vergine e la Vergine Chiesa sono per lui una cosa sola in ordine alla generazione del corpo di Cristo) 37. Precisamente da questo duplice senso della citazione di Giov 7,38 appare chiaro che Ireneo ha riferito il testo espressamente al corpo del Signore. Ciò si può dedurre ancora con certezza da un frammento etiopico delle omelie, in cui Cristo è paragonato semplicemente alla fonte che, secondo Giov 4,14, zampilla per la vita eterna; ma si parla anche dei 'credenti' di Giov 7,38.39: « Lo stesso Cristo nostro Signore ci ha offerto l'acqua dello Spirito Santo, a noi che abbiam creduto in colui che zampilla per la vita eterna » 38. Questo frammento d'una predica di Ireneo ci conduce ancora più indietro nello studio delle testimonianze storico-esegetiche, cioè fin nel cuore della Chiesa di Lione, che definiva il suo presbitero Ireneo: ζηλωτής 36 Ivi 3, 24, 1 (II, p. 132, 2-7). Solo con questo approfondimento della teologia dello Spirito in Ireneo si può costatare in qual misura si tratti qui d'una 'innegabile' (LAGRANGE, ρ. 214, nota) citazione di Giov 7,38. 37 Cfr. P. GALTIER, La vierge qui nous régénère in Recherches de science religieuse 5 (1914) 136. - Cfr. sopra, p. 31. 38 J. JORDAN, Texte und Untersuchungen 36, 3, ρ. 105.
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της διαθήκης Χρήστου 3 9 . Nella Chiesa di Lione Giov 7,38 doveva dunque avere questo significato. Così si doveva leggere nel Vangelo di Giovanni. Ed anche se la parentela del codice Beza (D), proveniente da Lione, col testo evangelico di Ireneo non è così stretta, come han creduto Nestle 40 e Sonter 41 , non si può però affatto negare che D dipenda in buona misura dal testo di Ireneo e che noi da entrambi possiamo ricostruire in modo abbastanza preciso il testo giovanneo in uso nella Chiesa di Lione 42 . D rende così il testo di Giov 7,37.38: εάν τις διψά έρχέσθω και πινετω ό πιστεύων εις έμέ καθώς εΐπεν ή γραφή ποταμοί έκ της κοιλίας αύτοΰ ρεύσουσιν ύδατος ξώντος 4 3 . È evidente che dopo έρχέσθω è stato omesso προς με, e non v'è dubbio che πινέτω va insieme con ó πιστεύων εις έμέ. Ma ciò significa che con καθώς comincia la nuova frase. Con altrettanta chiarezza si desume la stessa cosa dalla partizione colometrica del versetto fornita dall'amanuense del codice D, il quale 39 Lettera a papa Eleuterio (EUSEBIO, Hìst. eccl. 5, 4, 2: GCS Eusebius II, 1, p. 434, 4). 40 E. NESTLE, Einführung in das Neue Testament, Gottinga 1909, ρ. 72. 4 1
W. SANDAY-C. Η. TURNER, Novum Testamentum S. Irenaei
(Old Latin Biblical Texts 7), Oxford 1923, p. civ. 42 Cfr. B. KRAFT, Die Evangelienzitate des hl. Irenäus (Biblische Studien 21), Friburgo 1924, pp. 107-112. 43 Codex Bezae Cantabrigiensis phototypice, tom. I, fol. 132 b, Cambridge 1899. - Cfr. anche E. A. LOWE, Codex Beza and Lyons in Journal qf Theol. Studies 25 (1924) 270; O. HIRSCHFELD, Zur Geschichte des Christentums in Lugdunum, Sitzungsberichte der preuss. Akademie der Wiss. 1895, p. 381.
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intenzionalmente e conforme al senso della frase ter mina la prima riga (non ostante l'ampiezza dello spa zio ancora disponibile) dopo έρχέσθω ; e così anche dopo έμέ. È dunque patente l'intenzione di renderne chiaro il senso in vista della lettura pubblica. Con κ α θ ώ ς comincia l'altra frase. Dal racconto del martirio, inviato nell'Asia Minore dalla Chiesa di Lione e di Vienna, veniamo a sapere che in realtà Giov 7,38 era riferito a Cristo. E ciò in un contesto teologico strettamente connesso con la dottrina spirituale di Ireneo. L'acqua viva dello Spirito, che il credente beve da Cristo e che gli vien data nella fede e nel battesimo, ha, secondo Ireneo, il potere di « identificarci con Dio » 4 4 , ossia di conformare il credente a Cristo. Or come in Cristo questa « acqua porta allo spargimento del sangue » e « lo Spirito alla croce », cosi pure nella Chiesa e nei singoli credenti: la nuova infusione dello Spirito spinge al martirio e l'acqua viva che scaturisce da Cristo diventa ' acqua parlante ' nell'intimo del credente, allorché lo Spirito rende testimonianza dinanzi a « re e giudici » 4 5 . Lo stesso concetto viene espresso nella lettera della Chiesa di Lione. Il πνεϋμα το πατρικόν sollecita al 44
Adv. haer. 3, 17, 2 (II, p. 92, 26s): « Unde et Dominus pollicitus est mittere se Paracletum qui nos aptaret Deo ... assuescens habitare in genere humano et requiescere in hominibus et habitare in plasmate Dei, voluntatem Patris operans in ipsis et renovans eos a vetustate in novitatem Christi ». Cfr. P. GAECHTER, Unsere Einheit mit Christus nach dem hl. Irenäus, in Zeitschr. f. kath. Theol. 58 (1934) 503-532. 45 Adv. haer. 4, 33, 9 (II, p. 263, 19 - p. 264, 14). - Mat 10,18-20 è citato esplicitamente in Adv. haer. 3, 18, 5 (II, p. 98, 26s); 3, 17, 1 (II, p. 92, 11s).
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martirio 46 . Ma questo Spirito è « l'amore che promana da Cristo » e « che comincia a parlare nel cuore », è « l'amore del Padre e la gloria di Cristo », come si legge in una citazione esplicita da un inno 4 7 . Dal racconto del martirio del diacono Santo da Vienna risulta che l'azione dello Spirito Santo orienta l'animo coraggioso, «duro come roccia», alla confessione della fede; il martire è come una roccia dalla quale defluisce l'acqua viva. Dalla « celeste sorgente dell'acqua viva che scaturisce dal corpo di Cristo » l'acqua si riversa nel martire come «rugiada e forza»: αυτός δέ παρέμενεν άνεπίκαμπτος και ανένδοτος, στερρός προς τής όμολογίαν, ύπο της ουρανίου πηγής του ύδα τος της ζωής του έξιόντος εκ τής νηδύος τοϋ Χρίσ του δροσιζόμενος καί ένδυναμούμενος 4 8 . « Egli restò imperturbabile e irremovibile nella sua confessione, poiché era stato irrorato e rinvigorito dalla celeste fonte della vita che promana dal corpo di Cristo ». Si ha qui un evidente richiamo anche ad Apoc 22,1. Il fiume non vien fatto però scaturire dal trono di Dio e dell'Agnello, ma dal ' corpo di Cristo '. Si tratta evidentemente d'una libera citazione di Giov 7,38. Non è affatto necessario spiegare il νηδύς come una traduzione posteriore di ' venter ', come se allo autore della lettera fosse stata veramente presente una antica versione latina, quasi precorritrice del codice " Mart. Lugli. (GCS Euscbius II, 1, p. 414, 23-25). 47 Ivi (p. 410, i8s): μηδέν φοβερον δπου Πατρός α γ ά π η , μηδέ άλγεινον δπου ή Χρίστου δόξα-Cfr. anche ρ. 422> i6s. Questo Spirito che spinge al martirio, l'acqua viva della grazia bat tesimale, è qui detto anche ' bianco abito da sposa ' (p. 420, 24S), proprio come in IRENEO, Aàv. haer. 4, 36, 6 (II, p. 281, 30ss). 18 Mart. Lugd. (GCS Eusebius II, 1, p. 410, 10-13).
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d 49 . Deve trattarsi piuttosto d'un'allusione a Giov 7,38. Ma qui ha un'importanza decisiva il fatto che una tale raffigurazione del corpo di Cristo qual fonte dell'acqua viva non sarebbe stata possibile se Giov 7,38 non fosse stato inteso allo stesso modo nella predicazione e nel testo giovanneo. Ma han pensato così anche i cristiani di Filomelio e di Efeso, ai quali appunto la lettera è indirizzata? Questa esegesi non ci riporta forse in quell'ambiente donde, ottant'anni prima del martirio dei cristiani dell'Asia Minore a Lione, era uscito il Vangelo di Giovanni? Certo, per questi anni decisivi le rare fonti non ci possono fornire una prova decisiva, almeno che non si possa percepire con sufficiente evidenza l'immediatezza del passaggio della tradizione da Giovanni a Policarpo e da questi a Ireneo. Possiamo tuttavia avere un'ultima conferma dell'esattezza della nostra ipotesi dagli scritti d'un teologo che ha trovato la fede nella stessa Efeso e al quale Ireneo deve molto: GIUSTINO.
Nel dialogo di Giustino col giudeo Trifone ricorre di continuo l'antica esegesi romana e quella dell'Asia Minore. Il dialogo, infatti, ebbe luogo in Efeso verso la fine della guerra di Bar-Kochba, nell'almo 135, e circa vent'anni più tardi Giustino gli diede a Roma la sua odierna forma letteraria. Ciò risulta anche dalla struttura del testo del suo Nuovo Testamento, affine *" Cosi J. A. R O B I N S O N , Texts and Studks I, 2, Cambridge 1891, p. 98. Dobbiamo rilevare che anche R U F I N O nella sua versione di EUSEBIO riproduce il passo in questo m o d o : « Caelestibus aeternisque fontibus qui procedunt de ventre Iesu » (GCS Eusebius II, 1, p. 411, I3s).
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a quella del testo di Ireneo e chiaramente fedele al l'antico testo romano 5 0 . Nelle Apologie, come anche nel Dialogo, Giustino ha citato Giov 7,38 ο almeno vi ha alluso esplicitamente. Nella sua opera possiamo però trovare si numerosi elementi in favore della tesi qui esposta, da vedervi una sicura conferma dell'origine della nostra esegesi nell'Asia Minore. Cristo medesimo è la sorgente dell'acqua viva zampillante nel deserto della conoscenza di Dio: πηγή ύδατος ζώντος παρά θ-εου εν τη έρήμω ... άνέβλυσεν οδτος ό Χριστός 5 1 . Queste acque scaturiscono da lui, che è ' roccia spirituale ' 5 2 , la ' caverna ' dalla quale (Is 33,16) esce T'acqua fidata'53. Nella loro incredulità i giudei hanno disprezzato quest'acqua viva. In tale contesto Giustino inserisce anche Ger 2,13, in cui Dio si rivela come la messianica ' fonte d'acqua viva ' contrapposta alle ' cisterne ' dei giudei 54 . Solo i credenti, divenuti gli ' eredi ', possono bere di questa acqua. « Voi (giudei) non potete capire che noi siam figli eredi; voi non potete bere infatti dalla fonte viva della Divinità, ma solo dalle cisterne aperte, che non possono trattenere l'acqua » 55. 50 Cfr. E. LIPPELT, QtiaefuerintJustini Martyris ' Α π ο μ ν η μ ο ν ε ύ μ α τ α , Halle J901, p. 95S; B. KHAFT, Die Evangelienzitate d. hi. Irenaus, p . 97S. - Sull'influsso di Giustino su Ireneo, Ippolito e Tertulliano, cfr. A. HARNACK, Gesch. à. altchrist. Lit., v. I, Lipsia 1893, p . iooss. 51 Dial. 69, 6 (Otto, Corpus Apologetarum I, 2, p. 250, 9s). 62 Ivi 34, 2 (p. 112, 19); 76, 1 (p. 270, 15-18); 90, 5 (p. 330, n s ) ; 113, 6 (P- 404, 11-13)53 Ivi 70, I (p. 252, 3-6) ; 78, 6 (p. 280, 5-13). " Ivi 14, 1 (p. 50, 28-34); !9> 2 (p. 66, 20-22); 114, 20 (p. 408, 14-16). 55 Ivi 140, 1 (p. 492, 10-13). Cfr. l'esatta corrispondenza in IRENEO con la citazione di Ger 2,13 e l'esplicita allusione a Giov 7,38: Adv. haer. 3, 24, 1 (II, p. 132, 7-9).
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A questo punto ci imbattiamo in un mondo di idee della massima importanza per l'ulteriore sviluppo dell'esegesi di Giov 7,38. La teologia dell'acqua viva, nella forma in cui è pervenuta a Giustino dalla tradizione dell'Asia Minore, non è che un'apologia contro il giudaismo; e senza dubbio fin dai primissimi tempi del cristianesimo della Diaspora, nella controversia con i giudei ellenisti (che è stata anche il movente per il Vangelo e per la prima lettera di Giovanni) si sono formati determinati gruppi di citazioni bibliche e di concetti, che da questo momento ricorrono di continuo. E dimostreremo appresso che qui va inserita anche l'interpretazione di Giov 7,38. Prima ancora di Giustino, la LETTERA DI BARNABA 56 ha citato nel medesimo contesto Is 33,16 e Ger 2,13: si dimostra contro i giudei che la promessa dell' ' acqua (che scaturisce) dalla roccia ' e della ' fonte dell'acqua viva ' si è compiuta in Cristo. Così pure in Giustino, che vede il compimento di questa promessa nel Crocifisso : in ' acqua e sangue ' i credenti vengono rigenerati alla nuova vita. I cristiani sono la ' seconda generazione ', in contrapposizione ai giudei considerati come il ' primo popolo '. I cristiani sono rinati da « acqua, fede e legno della croce », come già si leggeva anche nella Lettera di Barnaba 57 . Come una volta Mosè per mezzo del legno fece scaturire l'acqua dalla roccia, così « anche noi siamo ... purificati dal nostro Cristo mediante la morte in croce e il bagno nella acqua» 58 . La croce è l'albero piantato (Sai 1,3) presso *• Barnabae epist. 11, 2-7 (Funk I, p. 73, 3-13). *' Ivi 11, 1 (p. 72, 1). « Dia/. 86, 1 (p. 310,23 - p. 312,1); 86, 6 (p. 314, 7-9).
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le sorgenti - anche questo concetto fa parte dell'antico schema delle dispute coi giudei, come la stessa Lettera di Barnaba può dimostrare59. Giustino chiama Cristo semplicemente ή καλή πέτρα 6 0 , come ancor prima iCor 10,4 aveva supposto a tutti noto tale significato di Es 17,6. Giustino parla (proprio come farà più tardi anche la lettera della Chiesa di Lione) del martirio come d'un dissetarsi con l'acqua viva che sgorga dalla roccia che è Cristo. Il Crocifisso, infatti, in quanto ' trafitto ' (Zac 12,10; Giov 19,37), come Giustino preferisce chiamare Cristo 61 , è il grande modello del martire : « E per noi motivo di grande gioia correre incontro alla morte per il nome della gloriosa roccia, che fa scorrere l'acqua viva nei cuori di coloro che amano in essa il Padre universale e che disseta tutti quelli che bevono l'acqua della vita » 62 . Roccia e corpo di Cristo son dunque, secondo Giustino, il principio fontale della nuova vita, dal battesimo fino al martirio: dal corpo di Cristo sgorga l'acqua che ci rigenera. Or ci sembra di vedere una sicura conferma
" Ivi 86, 4 (p. 312, 22-25); Barnabite epist. 11, 6 (p. 72, 15-19). Cfr. J. D A N I Ì L O U , Théologie àu Judéo-Christianisme, Tournai 1958, pp. 294-303. «· Dial. 114, 2 (p. 408, 9). "• Nella genuina dottrina giovannea della glorificazione del Messia - e quindi dell' ' avvento ' messianico nelle due parusie, quella del sangue e quella della gloria - nella crocifissione e in conseguenza della crocifissione del suo corpo u m a n o : Zach 12,10; Giov 19,37; Apoc 1,7; Dial. 14, 8 (p. 54, i8s); 32, 2 (p. 106, 17S); 64, 7 (p. 230, 4s); 118, 1 (p. 422, 3s); Apol. I, 52 (Otto I, 1, p. 142, 2). 02 Dial. 114, 4 (p. 408, 8-11): ώς καΐ χαίρειν αποθνήσκοντας δια το όνομα το της καλής πέτρας καΐ ζών ΰδωρ ταΐς καρδίαις των δι'αύτοϋ άγαπησάντων τον πατέρα τ ω ν δλων βρυούσης, και ποτιζούσης τους βουλομένους το τής ζωής ύδωρ πιεΐν.
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dell'inserzione di Giov 7,38 nel suddetto contesto, perchè Giustino ha fatto una volta convergere in un medesimo concetto πέτρα e κοιλία: noi cristiani siamo il nuovo Israele che discende da Cristo; noi siamo infatti « usciti dalla caverna del suo corpo come da una roccia spaccata»: ημείς εκ της κοιλίας του Χρίστου λατομηθ-έντες ίσραηλιτικόν το άληθινόν έσμεν γένος β 3 . Fin qui ci è dunque possibile pervenire nell'indagine intorno a questa linea esegetica, donde proviene la prima chiara citazione di Giov 7,38 attestata da Ippolito. D'ora in avanti, come abbiamo già osservato, le rare fonti della prima metà del secondo secolo, se si eccettuano solo poche tracce, non ci forniscono elementi utili 64 . Dobbiamo citare ancora esplicitamente solo »s Ivi 135, 3 (p. 480, 4-6). 84 Nella letteratura del secondo secolo cfr. la presenza di idee cristiane nel TESTAMENTUM JUDAE 24, 4 (Charles II, p. 324), dove è detto che il Messia è fonte della vita: « αΰτη ή π η γ ή πάσιν παρεχούση ζωήν ». Cfr. FL. SCHLAGENHAUFEN in Zeitschr. f. kath. Theol. 51 (1927) 486, nota 4. - Vanno qui inseriti in qualche modo anche due concetti tratti dagli ORACOLI SIBILLINI, dove si dice che nell'era messia nica (senza dubbio in senso cristiano) « scaturiranno delle sorgenti », perché lo Spirito ha posto in Gesù, nel battesimo, la sua dimora : OR. SIBYLL. 6, 8 (GCS Geffcken, p. 130) ; nel battesimo il Glorificato laverà i credenti con le acque della fonte inestinguibile: OR. SIBYLL. 8, 315 (GCS Geffcken, p. 162). - Con prudenza si devono infine inserire nel nostro contesto le O D I DI SALOMONE. È interessante il modo in cui Od. l ì , 5. 6 collega il concetto della roccia con quello della sorgente: « Io stavo fermo sulla roccia della verità, dove egli stesso mi aveva posato. Acqua parlante giunse alle mie labbra dalla fonte del Signore » (E. HENNECKE, Neutestamentliche Apokryphen, 2 ed., Tubinga 1924, p. 447). Cfr. H. LEWY, Sobria ebrietas, p. 83S. - Od. 30 si richiama chiaramente a Giov 4,14; in 30, 5 si dice espressamente che quest'acqua sgorga dal Signore: «Essa (l'acqua) defluisce dalle labbra del Signore, dal cuore del Signore scaturisce la sua fonte » (Hennecke, p. 463S). Ma l'interpretazione del passo non è affatto concorde (' Signore ' = Uomo-
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un'altra testimonianza. Questa dimostra infatti che la tradizione dell'Asia Minore è in stretto rapporto con la dottrina della prima lettera di Giovanni. Un frammento di APOLLINARE DI GERAPOLI parla, nella polemica antigiudaica già accennata in Ireneo, dell'umano e del divino in Cristo, per dimostrare che il potere messianico di Cristo, quello di donare l'acqua viva, si manifesta nel sangue della sua morte reale in croce: dal corpo del ' trafitto ' sgorga Γ ' acqua dello Spirito ' : ó την άγίαν πλευράν έκκεντηίτείς, ό έκχέας εκ της πλευράς αύτοϋ τα δύο πάλιν καθ-άρσια, ύδωρ και αίμα, λόγον και πνεύμα 6 5 . Così, partendo da Ippolito qual primo teste, abbiam condotto questa esegesi di Giov 7,38 fin nell'ambiente che era a diretto contatto con la primitiva tradizione efesina. Non è compito del presente studio determinare fino a qual punto essa si inserisca nella teologia degli scritti giovannei. Ma le linee di questa tesi esegetica sono già tanto chiare, che ci consentono di affermare che essa s'accorda perfettamente con i principi basilari della cristologia della prima lettera giovannea e del quarto Vangelo. Vogliamo ora rilevare brevemente i punti in cui le conclusioni fin qui raggiunte sono in contrasto con la tradizione proveniente da Origene. Dio, ο Padre?); cfr. R . HARRIS, The Odes and Psalms of Salomon, Cambridge 1912, p . 128; W . FRANKENBERG, Das Verstàndnis der Oden Salomons (suppl. 21 a Zeitschr. f. alttest. Wissensch.), Giessen 1911. Per il carattere difficilmente definibile di questi inni, che han subito senza dubbio anche l'influsso gnostico, sarà meglio rinunziare ad essi nell'esposizione della storia esegetica di Giov 7,38. LAGRANGE è dello stesso avviso: p. 215, nota. " 5 Frammento 4 da Π ε ρ ί τ ο ϋ π ά σ χ α (Otto, Corpus Apologetar u m IX, p . 487).
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a) Cristo non è tanto il Logos (in senso filonianoorigeniano), quanto piuttosto il Messia, Γ Uomo-Dio. b) Perciò egli non viene considerato come il datore dell'acqua della dottrina e della gnosi, ma come colui che è stato esaltato nella sua reale natura umana, il datore dello Spirito, ossia dell'acqua, sintesi di tutti i doni messianici. e) Più chiaramente che non nella tradizione origeniana, ciò significa che quest'acqua è vivificante non solo perchè si riversa in noi dalla fonte principale del Padre e attraverso il Logos, ma perchè è divenuta vivificante nel sangue. Il senso di tutta questa esegesi non può essere meglio espresso che con le parole di iGiov 5,6: «Egli è Gesù il Messia, che è venuto in acqua e sangue » - un concetto, questo, che non appare mai in tutta la tradizione origeniana (eccettuati naturalmente i casi in cui - come vedremo - l'esegesi efesina esercita il suo influsso su quella origeniana). d) Da ciò risulta che κοιλία non significa più l'intimo dell'anima nel senso della psicologia filoniana, e nemmeno il mistico ' cuore ' di Origene, ma il ' corpo ' del vero uomo Cristo, in tutto il vigore del realismo della cristologia* dell'Asia Minore. Ne consegue che il risultato più importante di questa esegesi è l'aver stabilito uno stretto rapporto tra Giov 7,38 e Giov 19,34. Cristo è la ' roccia spirituale ' dalla cui trafitta κοιλία scaturisce l'acqua viva; è il Messia che porta a compimento ciò che Mosè aveva compiuto una volta in modo figurato: fa sgorgare l'acqua della vita dalla roccia del suo corpo umano ucciso.
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e) Infine, da quanto abbiamo detto appaiono già le linee, benché ancora non del tutto chiare, da cui deve risultare la risposta alla domanda: dove si è cercato di vedere la ' Scrittura' di cui parla Giov 7,38? Sono ora in causa tutte quelle profezie che presentano la salvezza messianica come acqua zampillante nel deserto e annunziano Dio stesso qual fonte della vita. Incontriamo qui Ger 2,13, Is 33,16 e Is 43,19, che fanno parte dello schema primitivo delle dispute coi giudei. Ai suddetti testi va aggiunto Zac 12,10, in cui è contenuta la promessa dell'acqua e la profezia del ' trafitto '. 2. - Abbiamo così delineato una teoria esegetica ricca di contenuto spirituale, teologicamente profonda e di antichissime origini. Come il codice D dimostra, assai presto essa ha trovato il suo fondamento nella struttura del testo anche dopo il tramonto della generazione della viva tradizione efesina. L'antica versione latina di Giov 7,37.38 trasmette questa esegesi dell'Asia Minore ai Dottori della Chiesa d'Africa proprio nel medesimo periodo in cui comincia ad affermarsi l'interpretazione del passo secondo il significato e la struttura del testo suggerita da Origene. Dalla teologia africana dobbiamo quindi iniziare lo studio della seconda fase della storia di questa esegesi. Già la versione di Ireneo, esistente in Africa verso il 250, si fonda su un testo latino della Bibbia del tutto ββ identico a quello del codice d . Cosi è reso nel codice d il passo di Giov 7,37.38: ·« Cfr. R. HARRIS, A Study of Coàex Bezae: Texts and Studia 3. (1891) i6óss; B. KRAFT, Die Evangelienzitate des hi. Irenaus, p. 105.
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« si quis sitit venia (n)t et bibat qui credit in me sicut dixit scriptura flumina de (ve)ntre eius fluent aquae vivae » 67. Anche qui si omette dunque ' ad me' dopo il verbo ' veniat ', e si legano insieme ' bibat ' e ' qui credit in me '. Che il testo debba esser letto così appare ancor più chiaramente dal Codice Palatino (e), contenente anch'esso un testo africano. Dopo ' me ' vien posta qui un'interpunzione: « Si quis sitit veniat et bibat qui credit in me. sicut scriptum est flumina de ventre eius fluent aquae vivae » Μ . Dai Testimonia di CIPRIANO veniamo a sapere che questi non leggeva diversamente Giov 7,37 - non ostante che Hartel voglia arbitrariamente introdurre, contro la lezione dei migliori manoscritti, la ' moder na ' (meglio, origeniana) interpunzione, ch'egli ha trovato in un manoscritto di dubbio valore. « Si quis sitit veniat et bibat qui credit in me ». Questa raccolta di passi scritturistici antigiudaici, che Cipriano ha ri cavato senza dubbio dalle fonti più antiche 69 (Giustino, " 68
M
CODEX BEZAE CANTABRIGIENSIS, Cambridge 1899, v. I, fol. 133. EVANGEMUM PALATINUM INEDITUM, e d . C. TlSCHENDORF 1 8 4 7 .
Cfr. R. HARRIS, Tesiimonies, v. I, Cambridge 1916. Harris vuol riportare questi Testimonia contro Judaeos fino ai mistici Logia del proto-Matteo. Per la critica cfr. A. D'ALÉS, La Théologie de Si. Cypritn, Parigi 1922, p. 50.
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Lettera di Barnaba), ci conduce, anche per quanto riguarda il pensiero teologico, nell'ambiente in cui s'è formata l'esegesi di Giov 7,38. Cristo è la ' fonte d'acqua viva ' perché in lui, nel quale si compiono tutte le profezie dell'Antico Testamento, lo Spirito Santo ha posto la sua dimora (Giustino, Ireneo) 70 , perché egli è la ' roccia spirituale ' che dona l'acqua nel deserto, e perché è il ' trafitto ' che dal proprio corpo fa scaturire i fiumi dell'acqua dello Spirito. Anche in TERTULLIANO tutti questi concetti formavano un complesso organico, benché non troviamo nemmeno in lui nessuna citazione esplicita di Giov 7.37-38. Giustino e Ireneo son le fonti della sua dottrina. Lo Spirito ha posto in Cristo la sua dimora (Is 11,1.2). Dacché lo Spirito vien dato ai credenti solo da Cristo, esso non è più con i giudei 71 . L'uomo Gesù è Γ ' ef fusore ' dello Spirito del Padre : « Hic interim acceptum 72 a Patre munus effudit Spiritimi Sanctum » . In lui si compie non solo Giov 3,1, ma anche e soprattutto Ger 2,13, la grande promessa della ' fonte d'acqua viva ' : « Indubitate nos recipiendo Christum fontem aquae vitae (habemus) » 73 . Cristo è la roccia dalla quale una volta, nel deserto, scaturì l'acqua; dalla croce sgorga ora l'acqua della nuova santificazione *· GIUSTINO, Dial. 87, 3 (I, 2, p. 31ÓS); IRENEO, Adv. haer. 3, 18,1 (II, p. 925). Cfr. anche A. VON UNGESN-STERNBEKG, Der traditionelle alttestamentliche Schrifìbeweis de Christo und De Evangelio in der alien Kirche bis zur Zeit Eusebius von Caesarea, Halle 1913. 71 Adv. Marcionem }, 8 (CSEL 47, p. S98s); 3, 17 (CSEL 4.7, p. 40+s). 78 Adv. Praexeam 30 (CSEL 47, p. 288, 7s). 73 PS.-TBRTULLIANO, Adv. Judaeos 13 (PL 2, 635 BC). Questo scritto è tertullianeo almeno nello spirito, giacché gli ultimi capitoli del libro non sono che una compilazione.
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nello Spirito, l'acqua battesimale74. Alludendo evidentemente a Giov 7,39, Tertulliano racconta in che modo lo Spirito fu donato per la prima volta dopo la ' glorificazione ' del Signore, dopo la santificazione dell'acqua in virtù del sangue75. L'acqua dello Spirito « scaturì allorché egli (Cristo) venne trafitto», quando fu colpita la roccia : « Haec est aqua quae de comite petra populo defluebat. Si enim petra Christus, sine dubio aqua in Christo baptismum videmus benedici »7e. Un documento classico, che conferma l'esattezza delle nostre conclusioni, ci viene da CIPRIANO. Si tratta senza dubbio d'un'esegesi di Giov 7,37.38 allora già tanto comune. Ciò permise pure che tutto il complesso di argomentazioni originariamente antigiudaiche venisse trasferito nel problema appassionatamente dibattuto della validità del battesimo degli eretici. Solo là dov'è la Chiesa si trova l'acqua viva dello Spirito: cosi Cipriano modifica l'antica teologia di Ireneo. C'è infatti una sola Chiesa e un solo Cristo. La Chiesa è il paradiso, nel quale solamente scorrono i quattro fiumi dei Vangeli: esattamente come in Ireneo e Ippolito 77 . Per la conoscenza dei temi tanto cari una volta ai circoli teologici che s'erano ispirati all'esegesi romana e all'antico testo latino della Bibbia assume un particolare significato il fatto che in Cipriano è citato nel medesimo contesto anche Giov 7,37.38. Come Ippolito 74 Aàv. Marcionem 3, 5 (p. 382, 20. 2 8 : su Is 41,19); 5, 5 (p· 587, i s : su 1 C o r 10,4); 5, 7 (p. 595, 25 - p. 5 9 6 , 1 ) ; Aàv. Jud. 13 (PL 2, 63 ss). ,s De baptismo 20 (CSEL 47, p. 210, 24S). ™ Ivi 9 (p. 202, 16-18). " Cfr. sopra, p. 347S.
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nel Commentario a Daniele, così ragiona anche Cipriano : « Ecclesia paradisi instar exprimens arbores frugiferas intra muros suos intus inclusit... has arbores rigat quattuor fluminibus id est evangeliis quattuor, quibus baptismi gratia salutari et cadesti inundatione largitur. Numquid de Ecclesiae fontibus rigare potest qui intus in Ecclesia non est? Numquid paradisi potus salubres et salutares impertire cuiquam potest qui perversus et a semetipso damnatur et extra paradisi fontes relegatus aruit et aeternae sitis siccitate defecit? Clamat Dominus ut qui sitit veniat et bibat de fluminibus aquae vivae quae de eius ventre fluxerunt » 78 . ; Qui ritorna apertamente il duplice significato, caratί teristico in Ireneo, di ' Corpo di Cristo ': l'acqua viva ' sgorga de ventre Christi, ossia tanto dal corpo fisico di Cristo quanto dalla Chiesa. Cipriano infatti sog giunge subito: « Quo venturus est qui sitit, utrumne ad haereticos ubi fons et fluvius aquae vitalis omnino non est, an ad Ecclesiam? ... aqua Ecclesiae ' fidelis ' (Is 33,16) et salutaris et sancta ... ». Le acque fidate ' della profezia di Isaia defluiscono quindi dalla Chiesa, fondata sulla roccia, e sono le acque del battesimo. Tuttavia la sorgente dell'acqua dello Spirito è sempre il corpo umano del Signore. Quanto Isaia ha preannunziato intorno all'acqua che scorre nel deserto e alla « roccia spaccata donde scaturiscono fiumi » (Is 43,18-21 ; 48,21), ha il suo compimento nel Cristo trafitto (Giov 19,34), come il Signore stesso aveva annunziato nel giorno solenne della festa (Giov 7,37.38): « Si sitierint, inquit (Isaias), per deserta, adducet illis aquam, de pe-
" Epist. 73, i o , 11 (CSEL 3, 2, p. 785, 16 - p. 786, 4).
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tra producet illis, findetur petra et fluet aqua et bibet plebs mea. Quod in Evangelio adimpletur, quando Christus qui est petra finditur ictu lanceae in passione. Qui et admonens quid per prophetam sit ante praedictum clamat et dicit: si quis sitit veniat et bibat qui credit in me. Sicut Scriptum dicit: flumina de ventre eius fluent aquae vivae » 79. Tutto ciò non è che un'eco di Ireneo e di Giustino. Senza dubbio Cipriano deve questi concetti, che del resto erano noti alla teologia della Chiesa africana già prima di Cipriano, al suo ' maestro ' Tertulliano. Ce lo dimostra un trattato dal titolo De montibus Sina et Sion, d'autore ignoto, risalente probabilmente al tempo stesso di Tertulliano. Anche questo trattato proviene dalla tradizione antigiudaica ed ha forse subito l'influsso di Ireneo 80. Il monte Sion, contrapposto al Sinai dei giudei, è il simbolo della novità cristiana che abbraccia tutte le cose; è soprattutto il simbolo della croce di Cristo qual sintesi di tutta la dottrina cristiana. Dalla croce issata sul monte Sion vien dunque la ' legge ' (Is 2,3), e questa legge la portava ' in seno al suo corpo ' colui che morì sul monte Sion (Sai 39,9: nell'antica versione latina: lex tua in medio ventris mei; Vulg.: in medio cordis mei). Dal venter Christi nasce la Chiesa, in cui si perpetua il mistero della Passione: infatti dal costato del Signore uscì acqua e sangue e di qui fu formata la Chiesa. L'intero testo, che 81 HARNACK dice « una sublime concezione teologica » , " Epist. 6}, 8 (CSEL 3, 2, p. 706, 16 - p. 707, 2). " Cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. à. àltk. Lit., v. II, 2 ed., Friburgo 1914, p. 492S; C. H.' TURNER, in Journal of Theol. Studies 7 (1906) 597; P. CORSSEN in Zeitschr.f. d. neutest. Wiss. 12 (1911) 1-36. 81 Texte und Untersuchungen 20, 3, Lipsia 1900, p. 142.
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suona così (e possiamo ancora una volta percepire la consonanza con Giustino e Ireneo) : « Lex Christianorum crux est sancta Christi Filii Dei vivi, elicente aeque proprietà: lex tua in medio ventris mei. Percussus in lateris ventre, de latere sanguis et aqua mixtus profusus afHuebat, unde sibi Ecclesiam sanctam fabricavit, in quam legem passionis suae consecrabat, dicente ipso: qui sitit veniat et bibat qui credit in me. Sicut scriptum est, flumina de ventre eius fluebant aquae vivae » 82 . Queste parole sono state scritte dall'ignoto africano nel medesimo periodo in cui in Alessandria ο in Cesa rea Origene, noto ormai fin nella reggia di Siria, spie gava lo stesso testo di Giov 7,38. Ma qual differenza nell'interpretazione esegetica! Non si possono tuttavia indicare, con Lagrange, le due interpretazioni sempli cemente come ' orientale ' e ' occidentale ' 8 3 . Infatti l'esegesi ora comune nell'Occidente latino ha sì la sua origine a Roma, ma Ippolito l'apprende da Ireneo e questi, insieme con Giustino, dalla tradizione dell'Asia Minore, dove « sono sepolti i grandi luminari dell'Asia», come POLICRATE DI EFESO afferma con orgoglio 84 , i Presbiteri che hanno ascoltato direttamente le parole di Giovanni, discepolo del Signore. Ciò si può rilevare anche dalla vividezza che questo complesso 8a
De montibus Sina et Sion 9 (CSEL 3, 3, p. 115, 9-15). Cft. anche
Evangile selon S. Jean, 5 ed., p. 214, nota: « C'est l'opinion d'Origene et, semble-t-il, de tout l'Orient, qui a reagì sur l'Occident dès le temps de Jerome et d'Augustin ; depuis elle ne semble pas avoir été contestée ». 84 Dalla lettera a papa Vittore, EUSEBIO, Hist. eccl. 3, 31, 3 (GCS Eusebius Π, p. 264, 11).
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sistema esegetico riguardante Giov 7,38 ha conservato fino a tutto il quarto secolo, illuminato dalla teologia di Cipriano e dall'antico testo latino della Bibbia. Già al tempo di Cipriano un ignoto teologo, anche egli d'origine africana, aveva inserito nella sua teologia del battesimo la promessa contenuta in Giov 7,38. È l'autore del De rebaptismate, scritto contro Cipriano, ma la cui linea esegetica è perfettamente la stessa. Evidentemente la si era appresa nelle scuole in cui veniva insegnata la dottrina della S. Scrittura. Parlando della efficacia del battesimo di sangue, afferma che tale battesimo è salutare perché dal costato del Signore uscì acqua e sangue: « Cum utraque haec ex uno atque eodem fonte procedant fiumana baptismatis dominici, ut omnis qui sitit veniat et bibat, sicut scriptura dicit: flumina de ventre eius currebant aquae vivae. Quae flumina primum apparuerunt in Domini passione, cuius de latere perforato lancea militari sanguis et aqua manavit » 85. Le più recenti indagini ci hanno consentito di determinare con maggior precisione rinflusso dell'esegesi di Giustino su Tertulliano e prima di lui su Ireneo come pure sulla teologia del terzo secolo. Tutti dipendono dall'opera (ora perduta) scritta da Giustino contro Marcìone. Lo si può provare anche dal poema pseudo-tertullianeo Adversus Marcionem66. Qui riappare non solo la dottrina della nascita della Chiesa dalla ferita del costato di Cristo, ma ritorna esplicitamente anche l'esegesi, presentata da Ireneo, Ippolito " De rebaptismate 14 (CSEL 3, 3, p. 87, 14-19). *· Cfr. M. MULLEK, Untersuchungen zum Carmen adversus Maràonitas (Diss.), Wiirzburg 1936, p. 83SS.
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e Cipriano, della Chiesa qual paradiso in cui scorre il quadruplice fiume dei Vangeli, le dodici fonti degli Apostoli, che traggono origine dal corpo di Cristo: «Discite de fonte fluvium manare perennem, qui nutrit lignum (bis seni gratia fluctus), exit et in terram ventosque in quattuor orbis, tot fluit in partes fontis color et sapor unus. Sic et apostolico decurrit Ecclesia verbo ex utero Christi, Patris omni gratia piena sordida diluere et sata mortua vivificare » 87 . Il κοιλία Χρίστου di Giustino è qui reso poeticamente con uterus Christi. Entrambe le espressioni possono essere ora comprese solo nel quadro dell'antica ed estremamente realistica esegesi della κοιλία di Giov 7,38. Ancora come in Giustino, viene pure detto che nel flusso dell'acqua viva ha origine la ' nuova gene razione ', che si verifica qualcosa di simile alla nascita questo concetto è trattato da Is 43,19-21. Questo testo è in stretto rapporto con Giov 7,38, e il concetto che li unisce è la presentazione del corpo di Cristo come sorgente dell'acqua che produce la vita, come roccia aperta. Roccia e sorgente erano pensate in così stretto rapporto, che già Giustino 88 e poi Tertulliano 89 ritenevano che perfino la circoncisione del 'primo popolo', praticata con coltelli di pietra (Gios 5,2), avesse avuto il suo compimento nel battesimo con l'acqua del Signore sgorgante dalla roccia. " Carmen adversus Marcionem II, vv. 38-44 (secondo il testo presentato criticamente da M. MULLER, op. cit., p. 12: commento a p. 44). - La Chiesa che nasce dal costato di Cristo: ivi 2, 4 (ivi, p. 13; anche PL 2, 1064 C; 1067 BC); ora anche in CChr. Tertullian II, 1428. M Dial. 113, 6, 7 (I, 2. p· 404, 5 - n ) ; 114, 4 (p. 406, I7s). " TERTULLIANO, Adv. Judaeos 9 (PL 2, 622 B).
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Or tutto questo sistèma teologico primitivo riemerge nella disputa coi giudei inserita nel secondo libro delle Consultationes Zacchaei et Apollonii90. L'autore legge la profezia e il compimento della circoncisione con coltelli di pietra nei tre passi ormai classici: Is 43,18-21; Is 48,21; Giov 7,38. Nella sua edizione MORIN non ha notato che non è citato Num 20,8, ma bensì Is 48,21, e precisamente secondo il medesimo testo citato da Cipriano; inoltre è riportato insieme anche Giov 7,38: «Et iterum: si sitierint per desertum, adducet illis aquam de petra; findetur petra et fluet aqua, et bibet plebs mea. Et tertio: flumina de ventre eius fluent aquae vivae »91. Non è però qui nostro compito determinare se l'autore dell'opuscolo delle Consultationes sia realmente FIRMICO MATERNO, come Morin ha cercato di dimostrare 92. Per quanto riguarda la teoria esegetica in questione non è affatto evidente che anche Firmico Materno nella sua apologia contro le religioni pagane abbia parlato della sorgente d'acqua che scaturisce dalla ' roccia spirituale ', ossia da Cristo 93 ; e ciò nemmeno là dov'egli riproduce l'antica lezione latina di Giov 7,38 per additare, contro l'uso misterico del culto di Attis, l'acqua viva promessa da Cristo: « Ait enim in Evangelio cata Iohannem... qui in me crediderit non sitiet umquam (6,35). Item in sequenti80 Consultationes Zacchaei et Apollonii 2, 8 (ed. G. Morin, Florilegium Patristicum 39, Bonn 1935, pp. 63-65). 91 Ivi (ρ. 64, 29-31). 92 G. ΜΟΗΓΝ, Ein zweites christliches Werk des Firmicus Maternus in Hist. Jahrbuch 37 (1916) 229-266. Di contro: A. REATZ, Das theohgische System dei Consultationes Zacchaei et Apollonii, Friburgo 1920; B. AXELSON, Ein drittes Werk des Firmicus Maternusì Lund 1937; G. MORIN, in Jahrbuch f. Liturgiewiss. 13 (1936) 185. 93 De errore prof. rei. 27, 3 (CSEL 2, p. 120, 32 - p. 121, 1).
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bus hoc idem simili modo significai, ait enim: si quis sitit veniat et bibat qui credit in me» 9 4 . L'ultima testimonianza di rilievo dell'antica letteratura patristica latina è contenuta nel cosiddetto Tractatus Origenis de libris S. Scripturarum. Le diatribe circa l'autore di queste omelie sono ormai cessate ed oggi si ritiene comunemente che l'autore sia GREGORIO DI 95 ELVIRA. A noi sembra che le obiezioni di WEYMANN 96 e MERK siano state sufficientemente confutate. In ogni caso è certo che l'ignoto autore dipende dal De Trinitate di Novaziano e in buona parte anche da Giustino, Tertulliano, Ippolito e Ireneo. Cristo è la fonte zampillante dello Spirito Santo. Ripetendo Novaziano parola per parola, l'autore spiega che la fonte dello Spirito è interamente in Cristo, dal quale si riversano in noi tutti i fiumi dei doni dello Spirito 97 . In Novaziano questo concetto è solo più marcato : « Totius Sancti Spiritus in Christo fonte remanente... Spiritu Sancto in Christo affluenter habitante» 98 . Cóme vedremo in Ambrogio, è certo che qui si ha presente la citazione del Vangelo degli Ebrei, nota da Girolamo. Nel Tract. XV l'autore parla del battesimo e presenta, proprio come Tertulliano, le prefigurazioni della virtù dell'acqua battesimale che ·« Ivi 18, 7 (CSEL 2, p. 104, I3-I7>- Cfr. E. J. MARRTIN, The biblical text ofFirmicus Matemus in Journal of Theol. Studies 24 (1922/23) 318-325. *6 K. WEYMANN in Archiv ftir lateinische Lexikographie und Grammatik 11 (1900) 545-578. ·* A. MERK in Zeitschr.f. kath, Theol. 35 (1911) 775-783 ; H. KOCH, Zu den Quellen Gregors von Elvira und der Tractatus Origenis in Zeitschr. f. Kirchengeschichte (1932) 238-272. ·' Tractatus 20 (ed. A. BATIFFOL, Parigi 1900, p. 210, 5 - p. 212, 6). " De Trinitate 29 (PL 3, 944 B).
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scaturisce dal legno della croce. Il legno gettato da Mosè nelle acque amare (Es 15,25) è simbolo della croce : « Lignum etenim illud dominicae passionis mysterium perspicue demonstrabat, qua indulcatas baptismatis aquas possent sitientes salubriter bibere; unde et ipse Dominus stans in tempio dicebat: qui sitit veniat et bibat aqua virtutem gratis » ". Son qui citati insieme Giov 7,38 e Apoc 21,6; 22,17. Ciò è altamente significativo per l'esattezza con cui era vista la linea unitaria della teologia giovannea dell'acqua viva nel Vangelo e nell'Apocalisse. Ma c'è di più. Cristo è la roccia spirituale che dal suo corpo trafitto ha effuso in noi l'acqua dello Spirito. « Sic populus in eremo cum sitis periculum pateretur, tunc Moyses virga, id est ligno, petram percussit et fluxerunt fontes aquarum, quo factum esse sacramentum baptismatis indicabat. Petram enim illam figuram Christi habuisse probat beatus Apostolus cum dicit; bibebant enim de spiritali sequenti petra, petra autem erat Christus. Petram ergo illam imaginem dominicae carnis habuisse nulla est dubitatio: quae caro, crucis ligno percussa, aquam vivam sitientibus tribuit, sicut scriptum est: flumina de ventre eius procedent. Dicebat hoc itaque de Spiritu Sancto, quem credentes accepturi erant. Et proinde aquae illae, de petra productae, flumina de ventre Christi in sacramento baptismatis manantia et ad salubre sitientium poculum de Christi latere cursura, iam tunc typica praefiguratione monstrabant » 10 °. Con ciò si connette immediatamente la nota teologia di Tertulliano: la Chiesa che nasce dal costato di Cristo, ·· Tractatus 15 (p. 164, 20-25). 100 Ivi (p. 165, 5-16).
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nell'acqua dello Spirito e nel sangue della redenzio ne " ι . Il Trattato è come un ultimo canto della primitiva teologia efesina, che ha trovato la sua espressione più bella nell'antica esegesi latina di Giov 7,38. D'ora in avanti va affermandosi irresistibilmente l'interpretazione origeniana. Si deve però osservare che anche nell'esegesi alessandrina di Giov 7,38 - sotto l'evidente influsso dell'Itala e della teologia di Ippolito - interferiscono di continuo gli elementi dell'esegesi dell'Asia Minore. 3. - L'ulteriore sviluppo storico di questa esegesi può essere definito propriamente come il periodo della fusione e della spiegazione delle due grandi linee interpretative, cioè di quella efesina e di quella alessandrina. Abbiamo già visto che Origene nel suo sistema, anche se solo come ipotesi, istituisce un rapporto tra il significato di Giov 7,38 e Giov 19,34102· Tenendo ora presente quanto abbiam detto dell'origine dell'esegesi dell'Asia Minore, appare chiaro che anche il passo classico dell'undicesima omelia di Origene sull'Esodo si inserisce perfettamente in questa tradizione. Nella traduzione di Rufino essa ha contribuito notevolmente affinché il rapporto fra Giov 7,38 e 19,34 non venisse più del tutto dimenticato. Ne è una prova il modo 101
Ivi (p. 165, 16 - p. 166, 2). Cfr. TERTULLIANO, De anima 43, io
(ed. J. H. WAZSINK, Amsterdam 1933, p. 152, 12-15: commento a p. 263S). - La dottrina della nascita della Chiesa dalla ferita del costato di Cristo ha una sua particolare storia esegetico-patristica delle fonti, che qui non prendiamo in esame. Essa trasse grande vantaggio dall'esegesi di Giov 7,38 e 19,34, e a sua volta influì su questa. 102 Cfr. sopra, cap. I, p. 308.
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in cui CESARIO D'ARLES, nel sec. VI, si serve di questa famosa omelia di Origene, copiandola (senza però nominare il teologo) e sviluppandola. Ma anche queste aggiunte sono importanti perché contengono, oltre al testo di Origene, una testimonianza esplicita dell'interpretazione di Giov 7,38: ORIGENE
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CESARIO
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« Sed haec petra nisi fuerit « Sed haec petra nisi percussa percussa aquas non dabit: perfuerit aquas omnino non habet; cussa vero fontes producit. Perpercussa vero fontes producit et cussus enim Christus et in crucem flumina, sicut in Evangelio legiactus Novi Testamenti fontes mus: qui credit in me, flumina produxit ». de ventre eius fluent aquae vivae. Percussus enim Christus in cruce Novi Testamenti fontes eduxit ».
A Cesario poco importa che il suo testo giovanneo non s'adatti a questa esegesi, laddove egli riferisce il qui credit in me Λ flumina de ventre eius fluent, applicando così tutta l'espressione al Crocifisso. Ma proprio questa incongruenza presenta l'aspetto più significativo del periodo che dobbiamo ora attentamente considerare. Le due diverse lezioni - quella latina antica e quella della Volgata - sono fra loro contrastanti, come lo sono le due diverse interpretazioni, oppure sono giustapposte, ma non connesse fra loro. Il primo teologo che dobbiamo qui prendere in considerazione per il quarto secolo è MARIO VITTO-
RINO, retore africano a Roma, la cui conversione fu « motivo di giubilo per la Chiesa » 105 . Vittorino, evi105
In Ex. homil. 11, 2 (GCS Origenes VI, p. 354, 4-9). Serm. 103, 3 (Morin I, 1, p. 409, 11-19). AGOSTINO, Confessiones 8, 2, 4 (CSEL 33, p. 173, 13). 1M Aàv. Arium 1, 8 (PL 8, 1044 B). L'interpunzione nel Migne è arbitraria. Io non ho potuto disporre dell'edizione critica delle opere antiariane di M. Vittorino, edite da J. Woehrer, Wilhering 1910-12. 101 105
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dentemente in ragione dei suoi rapporti con la Chiesa africana, viene a conoscere anzitutto l'antico testo latino di Giov 7,37.38. Così cita nella sua opera contro Ario : « Si quis est qui sitit veniat et bibat qui credit in me, quemadmodum dixit scriptura, flumina ex ventre ipsius manant aquae viventis » 106 . Ma conosce pure (se si può prestar fede alla tradizione manoscritta e alla fedeltà critico-testuale dell'edizione di Gallandi riprodotta dal Migne) la lezione ormai comune della tradizione alessandrina: « Qui sitit veniat ad me et bibat; qui credit in me, sicut dixit scriptura, flumina de ventre eius fluent aquae vivae » 107 . Il senso del testo era assai difficile per Vittorino, il quale conosceva molto meglio i teoremi dei neoplatonici 108 che non i problemi teologici. Tuttavia egli è il primo e l'unico fra tutti gli antichi scrittori cristiani che si sia posto coscientemente il problema della compossibilità delle due interpretazioni. Infatti Giov 7,37.38 è per lui di somma importanza nella speculazione trinitaria contro gli ariani. Nel suo pensiero d'ispirazione platonica, la Trinità è fons, flumen, irrigatici109, e Cristo è fons vitae, fiuvius, fontana vitae n o , ed in questo inscindibile rapporto del fiume con la sorgente egli vede l'immagine più appropriata dell'ομοούσιος del Concilio di Nim cea . Il Logos vien quindi ad essere datore di Spirito 107 Adv. Arium 4, 6 (PL 8, 1117 B). Ma Vittorino aggiunge qui espressamente: « I t e m ipse de se ita dicit ». 108 Cfr. P. HENRY, Marius Vktotinus a-t-il hi les Enneades de Piotini in Recherches de science relig. 24 (1934) 432-449. 109 Hymnus 3 àe Trinitate (PL 8, 1143 C ) ; Hymn. 1 (1141 D ) . 110 Adv. Arium 1,25 (PL 8,1058 D ) ; 1, 32 (1065 D ) ; 1,47 (1077 A ) ; 2, 12 (1097 D ) ; 4, 31 (1140C). 111 De όμοουσί<>> non recipiendo 4 (PL 8, 1 1 4 0 C ) .
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allo stesso modo in cui dal fiume si originano i ruscelli. Chi comunica lo Spirito è precisamente il Logos incarnato, il cui corpo è ricolmo di Spirito: «Ex ipso (Spiritu) concipitur Christus in carne, ex ipso sanctificatur in baptismo Christus in carne. Ipse est in Christo qui in carne, ipse datur Apostolis a Christo qui in carne est, ut baptizent in Deo et in Christo et in Spiritu Sancto » 112 . In quest'ultimo senso si deve ora intendere anche Giov 7,38. L'espressione significa che lo Spirito viene infuso da Cristo nei credenti in misura così abbondante che questi, a lor volta, diventano venter, ossia dispensatori dell'acqua per altri: «Est illud quidem dictum de ilio qui accipit Spiritum, qui accipiens Spiritum efficitur venter, effundens flumina aquae viventis » 113 . Vittorino inserisce però subito anche l'altra interpretazione a lui ben nota. Questa, anzi, si presta molto meglio per la prova - per la quale egli intendeva servirsene - dell'ομοούσιος delle tre Per sone divine : « Sed rursum iterum flumina Spiritus, venter autem ex quo flumina Iesus. Iesus enim est Spiritus (2Cor 3,17). Iam ergo Iesus venter de quo flumina Spiritus. Sicut enim a gremio Patris et in gremio Filius (Joh 1,18), sic a ventre Filii Spiritus. Όμοούσιον ergo tres, et idcirco in omnibus unus Deus » 1 1 4 . La fusione delle due interpretazioni si presenta in modo ancor più singolare in GIROLAMO che, tanto nel suo testo giovanneo quanto nell'indagine cri112 113 111
Adv. Arium 3, 18 (PL 8, 1113 C D ) . Ivi 1, 8 (PL 8, 1044 B ) . Ivi (1044 C).
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tica sulla questione della citazione veterotestamentaria di Giov 7,38, dà la preferenza all'interpretazione origeniana. Anche in lui si può però notare quanto profonda fosse l'impressione lasciata dall'antica immagine di Cristo-Roccia dal cui aperto costato sgorga l'acqua viva. Dal grande commentario a Isaia possiamo anzitutto dedurre che anche l'esegeta betlemita riconosceva uno stretto rapporto tra Is 48,21 e Giov IO »34 115· Anche in questa teologia, che non presenta per il resto nessuna originalità, Cristo è la roccia percossa col legno della croce e dalla quale scaturisce l'acqua viva 116 . La glorificazione, che in Giov 7,39 è il presupposto per l'effusione dello Spirito, consiste esclusivamente nella morte in croce : « Necdum enim erat Spiritus datus quia Iesus non fuerat glorifìcatus, hoc est non erat crucifixus »117. Entra nel medesimo contesto anche l'esegesi antigiudaica di Sai i,3 : la croce è l'albero della vita piantato presso i corsi d'acqua e dalla sola croce trae origine tutta l'acqua : « Ex ilio enim fonte procedunt omnia flumina » u 8 . Un prezioso contributo a questa interpretazione viene infine dal fatto che anche Girolamo cita in genere il testo secondo l'antica versione latina: « Qui sitit veniat et bibat », e quindi omettendo ad me dopo veniat. Si spiega così perché Girolamo, illustrando ai suoi monaci di Betlemme il passo di Sai 77,15.16, 115
In h. Comment. 13, +8 (PL 24, 4Ó3 BC). Ivi 14, 51 (PL 24, 483 AB). Cfr. anche la dottrina di Girolamo sullo ' Spirito riposante ' in Cristo : Tractatus de principio Marci (ed. G. MORIN, Anecdota Maredsolana III, 2, p. 326, 19 - p. 327, 15). 117 Tractatus in Psalm. 149 (Morin, p. 313, 9-12). 118 lui 1 (Morin, p. 5, os). 116
LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE
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abbia loro presentato l'antica e fidata esegesi: « Interrupit petram in deserto; interrupta nobis est petra in heremo. Percussa est petra et fluxerunt aquae; illa petra quae dicit: qui sitit veniat et bibat, de ciiius ventre fluxerunt flumina » 119 . È pure possibile che qui il Santo esegeta prescinda volutamente dalle sue conclusioni criticamente esegetiche intorno al significato di Giov 7,38. Nell'omelia su Sai 97,8 Girolamo spiega il testo in modo così vago, che non si può stabilire con certezza quale delle due interpretazioni egli intenda proporre 120. Una cosa è però certa: l'esegesi secondo la quale Giov 7,38 preannunzia in senso mistico lo sgorgare dell'acqua dalla ferita del costato del Signore era la ' più pia ', in ogni caso quella in cui i monaci dell'Occidente riponevano maggior fiducia. Ciò è attestato dallo stesso Girolamo. In una lettera al suo amico Rufino d'Aquileia egli dà notizia d'un comune amico di nome Bonoso, il quale s'era ritirato in una delle isole dalmate consacrandosi alla vita ascetica. Il monaco,, dice Girolamo, non gioisce più per il fascino naturale del rincorrersi delle onde del mare, ma beve l'acqua viva dalla ferita del costato del Signore : « Nulla euriporum amoenitate perfruitur, sed de latere Domini aquam vivam bibit » 121 . RUFINO ha ben compreso questo linguaggio. Noi già lo conosciamo: nella lettera sui Martiri di Lione, in Eusebio, Rufino traduce la frase έκ της νηδύος τοϋ Χρίστου con de ventre Iesu. Egli s'è servito con tanto zelo dei Tractatus Origenis, che lo si può ritenere co119
Ivi ηη (Moria, p. 65, 20-22). 120 /,,,- g7 (Morin, p. 148, 13-24). 1 2 1
Epist. 2, 4 (CSEL 54, p. 16, 7s).
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
me l'autore stesso delle belle omelie 122 . Perciò non ci meravigliamo nel leggere queste parole nel suo commentario al Simbolo Apostolico: « Scribitur Iesus in latere percussus aquam simul et sanguinem profudisse. Hoc quippe mysticum est: ipse enim dixerat, quia flumina de ventre eius procedent aquae vivae » 123 . Ci veniamo così a trovare nell'Italia settentrionale, dove ci è stata appunto conservata la preziosa testimonianza del Codex Vercellensis124. Al contrario del Veronensis, esso contiene esplicitamente Υ ad me dopo veniat, et autorizza quindi a leggere insieme qui aedit in me e sicut dixit Scriptura, ad intendere perciò l'espressione nel senso indicato da Origene. Abbiamo già visto che sotto il potente influsso esercitato dal Metropolita AMBROGIO in questo ambiente, il testo veniva interpretato proprio così. Ma ora si deve osservare, per la storia dell'esegesi di Giov 7,38 che precisamente in Ambrogio, che pure ha incorporato coscientemente l'interpretazione origeniana nella sua teologia ascetica, emerge anche l'altra esegesi. Ambrogio dunque, che più d'ogni altro ha contribuito al perpetuarsi dell'interpretazione alessandrina fino ai nostri giorni, è l'ultimo grande testimone anche per l'esegesi efesina. Cominciamo con un passo, finora del tutto trascurato non solo perché presenta serie difficoltà di i« Così H. BREWER, Uber Zeit und Verfasser der sog. Tractatus Origenis (Forschungen zur christl. Literatur- utid Dogmengeschichte IX, 2), Paderborn 1909, p p . 155-165. 123 Commetti, in Symbolum Apost. 23 (PL 21, 361 C). JS4 Codex Vercellensis, ed. A. GASQUET (Collect. bibl. Latina 3), R o m a 1914, p. 174.
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interpretazione, ma anche perché è stato trasmesso in un testo criticamente erroneo nell'edizione maurina riprodotta dal Migne. Nell'opera De Spiritu Sancto Ambrogio intende dimostrare la divinità dello Spirito Santo. Dopo aver provato che nella S. Scrittura l'immagine del ' fiume ' rappresenta di solito lo Spirito, egli fa a sé stesso l'obiezione dei pneumatomachi, secondo la quale proprio dalla disparità tra fonte e ruscello si può desumere l'inferiore dignità dello Spirito Santo rispetto al Figlio e al Padre. Ambrogio si preoccupa di dimostrare che nella S. Scrittura anche lo Spirito è detto sovente ' fiume ' : « Sed ne quis forte tamquam pusillitatem Spiritus redarguat et hinc velit quamdam facere distantiam magnitudinis, quod aqua portio videatur esse fontis exigua... discant non solum aquam sed etiam flumen dictum Spiritum Sanctum, secundum quod lectum est: flumina de ventre eius fluent aquae vivae. Hoc autem dicebat de Spiritu ... »125. A questo punto si inserisce il testo, che vuol essere un'interpretazione esegetica di Giov 7,38.39. In base ai manoscritti, in contrasto col testo inaurino, il passo si deve leggere così: «Ergo flumen est Spiritus Sanctus et flumen maximum, quod secundum Hebraeos de Iesu fluxit internis, ut ore Esaiae accepimus prophetatum » 12e . Che cosa significa qui secundum Hebraeos? I Maurini ritengono che l'allusione a Isaia abbia per oggetto precisamente Is 66,12. Perciò Ambrogio avrebbe inteso il ' fiume della pace ' come simbolo dello Spirito Santo. Ma allora qual significato ha secundum Hebraeosì 125
De Spiritu Sancto i, 16, 156 (PL 16, 74.0 A ) . ! " Ivi 1, Itì, 157 (PL 16, 740 B).
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In parecchi luoghi delle sue opere Ambrogio accenna alle diverse lezioni nelle versioni dell'Antico Testamento; egli conosce Simmaco e Aquila, e le varianti dei LXX rispetto al testo ebraico sono giunte a sua conoscenza sicuramente, perché egli disponeva d'un esemplare degli Esapli 127 . Secundum Hebraeos potrebbe dunque indicare anche qui un riferimento di questo genere. Solo per Is 66,12 non si parla affatto d'una tale variante al testo, che avrebbe resa necessaria una precisa indicazione. Per la soluzione della difficoltà può ora venirci in aiuto solo la storia dell'esegesi di Giov 7,38 che abbiamo fin qui esposta. Già in Giustino, e poi in Ireneo, Tertulliano, Origene e Novaziano 128 , incontriamo l'antica dottrina secondo la quale lo Spirito Santo è disceso in tutta la sua pienezza in Cristo per rimanervi definitivamente, compiendo così tutte le profezie dell'Antico Testamento e costituendo a un tempo nel Nuovo Testamento il principio fontale dell'effusione dei doni dello Spirito sui credenti. È questo il πνεΰμκ μένον di Giov 1,32.33, preannunziato in Is 11,2. La storia patristica di questa esegesi è stata esaurientemente esposta da K. Schlutz 129 . NOVAZIANO, come abbiamo già visto, li7 Ciò è comprovato dalle innumerevoli citazioni da Aquila, Simmaco e Teodozione (cfr. l'indice analitico di CSEL 64, p. 42is; CSEL 62, p. 537), che Ambrogio certamente non ha tratto solo di volta in volta da Origene. Bxpos. in Ps. 118, 8, 2 (CSEL 62, p. 150, 2s): ' secundum hebraeos ' indica anche la differenza delle lezioni. - Per i manoscritti riguardanti il nostro testo mi ha dato cortesemente il suo consiglio il miglior conoscitore della tradizione ambrosiana,
O.
FALLER.
128 Cfr. sopra, pp. 359. 364S. - ORIGENE, In Num. homil. 6, 3 (GCS Origenes VII, p. 325). 1!> K. SCHLUTZ, Isaias 11, 2 in den ersten uier christlichen Jahrhundertcn (Alttestamentliche Abhandlungen XI, 4), Munster 1932.
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LA TRADIZIONE DELL* ASIA MINORE
ha espresso il concetto con le parole: «Totius Sancti Spiritus in Christo fonte remanente » 130 . Or sappiamo che Girolamo, il quale non l'ha dedotto solo dalle sue personali ricerche ma anche dal Commentario a Isaia (per noi perduto) di Origene, che il Vangelo dei Nazareni, il cosiddetto Vangelo degli Ebrei 131 , ha espresso quasi con le medesime parole la dottrina dello « Spirito riposante in Cristo » : « Descendit fons omms Spiritus Sanai et requievit super eum » 132 . Le citazioni di quest'opera apocrifa vengono introdotte da Girolamo con il lemma secundum Hebraeos133. Noi non intendiamo affatto affermare che Novaziano alluda precisamente a tale citazione, benché sia possibile ch'egli abbia conosciuto, probabilmente tramite Origene, il suddetto libro. Origene però l'ha conosciuto di certo 134. E si può ben presumere che nel suo Commentario a Isaia fosse inclusa anche questa citazione, dato che Girolamo s'è servito di essa ampiamente. Possiamo perciò asserire che verosimilmente anche Ambrogio dipende dall'origeniano Commentario a Isaia. Do130
De
Trinitate 29
(PL
3,
944 B).
Cfr.
K.
SCHLUTZ,
op.
cit.,
pp. 69-71· 131 Cfr. A. SCHMIDTKE, Nette Fragmente und Untersuchungen zu den Juden-christlkhen Evangelien (Texte und Untersuchungen 37, 1), Lipsia 1911; K. S C H I U T Z , op. cit., p p . 20-24; T H . Z A H N , Gesch. d.
neutest. Kanons II, 2, Erlangen 1892, p. 689S; J. SCHADE, Hieronymus und das hebràische Matthausoriginal in Bibl. Zeistchrifl 6 (1908) 36OS. 133
133
GIROLAMO, In Is. comment. 4 (su Is 11, 2) (PL 24, 145 B ) .
Comment. in Michaeam 2 (su Mich 5,7) (PL 25, 1221D); De viris illustribus 2 (PL 23, 611 B ) ; In Matth. comment. 4 (su Mae 26,16) (PL 26, 206 B ) ; In Is. comment. 11 (su Is 40,9) (PL 24, 405 A). Girol a m o s'è servito certamente, in Cesarea, dell'esemplare di Origene. Cfr. T H . Z A H N , Geschichte des neutestamentl. Kanons II, 2, pp. 656. 666. 134 In Ieremiam homil. 15, 4 (GCS Origenes III, p. 128, 2?s); In Ioannem comment. 2, 12 (IV, p. 67, I9s); In Matth. comment. 15, 14 (X, p . 389. I5s).
386
L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
po questa premessa (che è solo un'ipotesi, anche se confortata da molte buone ragioni), il passo enigmatico del De Spirita Sancto appare perfettamente chiaro. Ambrogio intende dire: «Lo Spirito Santo è dunque un fiume, e precisamente il grandissimo fiume che, secondo il Vangelo degli Ebrei, scaturisce dall'intimo di Gesù, come è stato preannunziato profeticamente per bocca di Isaia ». Il ' grandissimo fiume ' dovrebbe quindi equivalere al totus fons di Novaziano ed anche ufons omnis Spiritus Sancii della citazione dal Vangelo degli Ebrei. Possiamo ora dire con certezza che l'autenticità della lezione de Iesu internis, contro quella maurina de Iesu in tetris, conferma l'esattezza dell'interpretazione di Giov 7,38 nel senso indicato dalla tradizione efesina. E possiamo provarlo con una serie di testimonianze, finora trascurate, tratte dagli scritti di Ambrogio. Esse dimostrano chiaramente che al Vescovo di Milano, pur strettamente legato alla tradizione origeniana, era ben accetta anche l'altra esegesi. Ancora una volta Giov 7,38 viene messo in relazione con l'allegoria dei quattro fiumi del paradiso, e si spiega che tale rapporto si è dimostrato sulla croce, quando è stato promesso il paradiso al ladrone, quando dal costato di Cristo è scaturito il fiume che scorre per tutta la terra: «Post passionerà Domini quid aliud sequi debuit, nisi quia de corpore Domini flumen exivit, quando de latere eius aqua fluxit et sanguis, quo laetificavit (Sai 45,5) animas universorum, quia ilio flumine lavit peccatum totius mundi » 135. L'alle-•"· Expl. Ps. 45, ia (CSEL 64, p. 337, 23-26).
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goria ritorna poi, come abbiam già visto, sulla linea della tradizione origeniana. In una spiegazione quasi artificiosa del nome Betsabee, interpretato in senso filoniano come filia piena e puteus iuramenti, Io Ps.Ambrogio introduce i seguenti concetti. Betsabee, qual sposa di Salomone, è la figura della Chiesa sposa del vero Re della pace e perciò è in senso proprio figura della caro Christi, della natura umana con la quale il Logos s'è unito sponsalmente nell'incarnazione. La carne di Cristo è filia piena, ossia piena di Spirito Santo: « Eadem (caro) piena... quia piena Spiritu Sancto. Iesus enim plenus Spiritu Sancto regressus est a lordane (Lue 1,4; Giov 1,33). Eadem etiam ' puteus iuramenti ' ... et bene puteus, quia flumina de ventre eius fluent aquae vivae »13e. L'ignoto autore di questa seconda apologia di Davide ragiona qui proprio come Ambrogio, ed anche il parallelismo fra Lue 4,1 e Giov 7,38 circa la pienezza di Spirito ha un preciso riscontro in Ambrogio. Nella sua spiegazione dei Salmi egli applica a Cristo quanto vien detto dell'albero piantato presso i corsi d'acqua (Sai 1,3): la natura umana di Cristo, piantata come una pianticella nel seno della Vergine, non può mai inaridirsi perché ha in sé, in tutta la loro pienezza, i fiumi dello Spirito : « Non enim potuit arescere ista plantatio, quae habebat ubertatem in se manentem (Joh 1,33) gratiae spiritualis. Denique: ' plenus Spiritu Sancto Iesus regressus est a lordane ' (Lue 4,1). Hi sunt decursus aquarum de quibus 136 Apologia David altera io, 51 (CSEL 32, 2, ρ. 394, 23- 395, 4). L'ignoto compilatore dipende qui sicuramente da Ambrogio. Cfr. la nota seguente.
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
dicit in Evangelio : ' flumina de ventre eius fluent aquae vivae ' » 137 . Nello spirito dell'antica tradizione anche Ambrogio vede nel racconto di Giov 19,34 l'effettuazione del dono dell'acqua dal corpo di Cristo. Cristo crocifisso, assetato, trafitto, roccia aperta dalla quale scaturisce l'acqua, realizza quanto ha promesso in Giov 7,38. « Tunc itaque sitiebat, quando de latere suo restinctura sitim omnium, vivae aquae flucnta fundebat. Denique scriptum est: 'flumina de ventre eius fluent aquae vivae '» 138 . In uno dei passi più belli della spiegazione dei salmi il pensiero dell'oratore milanese si eleva fino alle vette della mistica - « tempus est ut inseramus et mystica »139 - per invitare con un commovente appello i suoi fedeli a bere l'acqua viva, a bere dai fiumi dei due Testamenti, dal traboccante calice della sapienza. Ma - egli pensa - poiché in entrambi i Testamenti della divina rivelazione è uno solo in ultima analisi colui che parla, cioè Cristo, il Verbo incarnato, ne consegue che noi beviamo dalla fonte che è Cristo stesso : « Bibe Christum quia petra est quae vomuit aquam, bibe Christum quia fons vitae est, bibe Christum., quia flumen est, cuius impetus laetificat civitatem Dei, bibe Christum, quia pax est, bibe Christum quia flumina de ventre eius fluent aquae vivae » 140 . Questo inno ambrosiano è come il canto d'addio dell'esegesi patristica di Giov 7,37.38, che ebbe quali "' Expl. Ps. I, 35 (CSEL 64, p. 31, 19-25). "» Ivi 61, 14 (CSEL 64, p. 3S1, 19-22). "· Ivi i, 33 (CSEL 64, p. 28, i 2 ) . 110 Ivi 1, 33 (CSEL 64, p. 29, 18-22).
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primi promotori i ' grandi luminari dell'Asia ', gli stessi discepoli dell'Apostolo Giovanni. Certo non verrà più dimenticata la dommatica sublime intorno al corpo umano del Signore che ci ha donato Γ ' acqua nel sangue ' e dalla cui ferita del costato scaturisce la grazia battesimale per la quale vien plasmata la Chiesa 1 4 1 . Va però sempre più in oblio questo particolare significato di Giov 7,38. Ci si abitua invece, sotto l'influsso di Agostino, ad interpretare il testo nel senso dell'amore traboccante per il prossimo. Da Ambrogio, poi, si accoglie la spiegazione dei quattro fiumi delle virtù cardinali che nascono nell'intimo del credente 142 . Origene e la sua spiegazione spiritualistico-morale ha trionfato sulla più antica e dommaticamente più profonda esegesi, che ha avuto inizio 141
Qui indichiamo solo i luoghi in cui Giov 7,38 è citato ο almeno
inteso chiaramente. BASILIO, De Spiritu Sancto 14 (PG 32, 121 C) ; PS.-ATANASIO, De Trinitate et Spiritu Sancto 19 (PG 26, 1213 A-D).
Alla diffusione contribuirono sostanzialmente due libri popolari, il PHYSIOLOGUS e il CLAVIS MELITONIS. Physiologus 30 (LÀUCHBRT,
p. 2tìos; nuova edizione critica di F. SBORDONE, Milano 1936, p. 98, 3-6; p. 99, 4-7) racconta che il cervo uccide i serpenti dei crepacci con l'acqua che fa uscire dalla sua bocca. Ciò sarebbe un simbolo di Cristo, che ha dato a noi dal suo costato le acque celestiali, l'acqua della sapienza, « come si legge nel TEOLOGO », ossia in Giovanni. Clavis Melitonis 17 (ed. PITRA, Analecta Solestn. II, 1884, p. 11) : « Venter Christi lavacrum regenerationis ex quo electos suos per adoptionis gratiam in filios regenerat». AGOSTINO, Serm. 352, 3 (PL 39, 1951/53); AMBROGIO, In Lucam comment. io, 48 (CSEL 32,4, p. 473,24 - p. 474,3) ; PACIANO, Epist. 3, 3 (PL 13, 1065 A): « Apud nos aqua viva est ipsa quae salit a Christo ». MESSALE DI BOBBIO, Contestatio in Missa ieiunii (PL 72, 485 A) : « Lancea latus eius aperuit, aquas vivas evomuit, unde simul bibit omnis credulitas gentium, quae numquam sitiet in aeternum ». GELASIANUM, Preghiera della notte di Pasqua (WILSON, p. 89) ; PS.-COLOMBANO, Instr. 13, De fonte vitae (PL 80, 254 B). 14! Expl. Ps. 45, 12 (CSEL 64, p. 338, 2-4); De paradiso 3, 14 (CSEL 32, 1, p. 273, 13 - p. 274, 2).
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nello stesso ambiente di Giovanni e di cui abbiamo esposto la storia. Dopo queste considerazioni sull'esegesi efesina di Giov 7,37.38 possiamo finalmente rispondere alla seconda domanda: come è stato interpretato il riferimento all'Antico Testamento circa la profezia che annunzia lo sgorgare dell'acqua dal corpo di Cristo? Abbiam visto che non ci si è mai occupati espressamente di questo problema: solo Girolamo aveva dovuto affrontarlo per esigenze critiche. La risposta deve quindi emergere dall'evoluzione storica di questa tesi esegetica. Giov 7,38 è inserito fin dai primissimi tempi in uno schema ben definito di luoghi scritturistici facenti parte della forma primitiva di confronto fra la teologia cristiana e il giudaismo. Già nella lettera di Barnaba e in Giustino abbiamo potuto costatare la giustapposizione di Ger 2,13 e Is 33,16. A questi Ireneo aggiunge Is 43,19-21, e Cipriano Is 48,21. Il concetto fondamentale è sempre lo stesso: i giudei hanno disprezzato l'acqua viva che sgorga dalla ' fonte della vita ', come era stato loro predetto da Dio. Perciò essi non possono più bere l'acqua dello Spirito, la quale è in tutta la sua pienezza nel Messia (Is 11,2) e che dal Messia viene elargita nella stessa maniera in cui una volta Mosè nel deserto fece scaturire l'acqua dalla roccia (Is 48,21). Ciò si connette perfettamente con la dottrina cristologica degli Atti degli Apostoli, secondo la quale Cristo è Γ ' altro Mosè ' (At 3,22; 7,37; Deut 18,15.19). Ben s'inquadra pure con l'attesa del popolo ebraico, per cui il Messia avrebbe dovuto ripetere in forma più perfetta i due grandi doni di Mosè, ossia il pane celeste della manna e l'acqua viva
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dalla roccia 143 . Perciò è assai significativo che il popolo tutt'e due le volte, dopo la promessa della manna e quella dell'acqua viva, abbia esclamato: « Questi è veramente il Profeta» (Giov 6,14; 7,41). Si può da ciò concludere che fin dal giorno solenne della festa dei Tabernacoli, nel ricordo dell'acqua viva scaturita nel deserto, si sia pensato che fosse da riferirsi al Signore stesso la promessa del dono messianico dell'acqua, che avrebbe avuto il suo compimento dopo la glorificazione di Cristo? Si può vedere nel testo un riferimento generico a tutti quei passi dell'Antico Testamento in cui si parla dell'acqua sgorgata dalla roccia nel deserto? Certo, la tradizione antigiudaica più antica, che possiamo riportare fin quasi al tempo in cui visse l'Apostolo Giovanni, è stata di questo parere. Anche l'altro concetto è però ugualmente antico, e già in Giustino possiamo trovarlo in tutta la sua chiarezza: l'acqua messianica dello Spirito vien dispensata dal ' trafitto ' Crocifisso, in cui si compie quanto è detto in Zac 12,10. A ciò aveva accennato lo stesso Evangelista in tono solenne. L'acqua sgorgante dal corpo di Cristo crocifisso sarebbe a sua volta un ση μείον, un fatto indicativo e simbolico rispetto a quello promesso in Giov 7,38 e che ha il suo compi mento effettivo nell' ' effusione ' dello Spirito da parte del Messia definitivamente glorificato (At 2,33; Gioe 3,1). Le promesse dell'acqua dalla roccia, dell'acqua dal corpo di Cristo, e dell'effusione dello Spirito su tutta la natura umana sarebbero così dunque in imme145 Cfr. STRACK-BILLERBECK, Komm. ζ. Ν. Τ., v. I, p. 86s; ν. Π, p . 4 8 1 . - FL. SCHLAGBNHAUFEN i n Zeitschr.f. kath. Theo/. 51 (1927) 492s.
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diato reciproco rapporto, e in iCor 10,4 e 12,13 vi sarebbe solo un accenno, di immediata intelligibilità per i Corinzi, a tale rapporto. Questo è certo: Giov 7,38 è stato inteso in tal senso da tutta la tradizione che abbiamo passato in rassegna. I flumina de ventre Christi sono ' Spirito ', che vien donato nell'atto della glorificazione del corpo di Gesù, nel momento in cui dal suo costato scaturisce l'acqua, divenuta santificante nel sangue. Si compie così Γ ' avvento ' messianico: in sangue ed acqua, in Logos e Pneuma, come dice Apollinare, il quale ha appreso il concetto dalla lettera del ' Profeta ' che posò il capo sul petto del Signore. Quanto sia rimasta viva questa tradizione, almeno nella teologia antigiudaica che Giustino ha ereditato dalla Chiesa primitiva e che poi è passata da lui a Ireneo e Tertulliano e da questi ai Tractatus Origenis, alle Consultationes Zacchaei e a Rufino, possiamo desumerlo da un passo dell'opera Contro Iudaeos di ISIDORO DI SIVIGLIA. ESSO dipende dal Commentario di Rufino al Simbolo Apostolico, ed è perciò in immediato rapporto con la tradizione efesina che per il resto era stata già interamente dimenticata. Isidoro, nello stile dell'antichità classica, così scrive a proposito dell'acqua sgorgante dalla ferita del costato di Cristo: «Item de eadem aqua quae de latere eius profluit, Propheta alius sic dicit: ' Flumina aquae viventis egrediuntur de ventre illius ', aquae scilicet baptismatis quae credentes vivificant et quae sitientibus largiuntur » 144 . 144 Contra Judacos i, 48, 2 (PL 83, 490 C; 491 A). Cfr. anche le sue Quaestiones in Vet. Tesiam., Gen 3,2 (PL 83, 216 C): Cristo come fiume del Paradiso. Quaest. in Exod. 24, 1, 2 (PL 83, 299 AB): Cristo qual roccia dispensatrice d'acqua. Nella sua edizione dei Tractatus Origenis, Batiffol ha dimostrato che Isidoro s'è servito di essi.
LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE
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Fin qui è giunta la nostra indagine sulla storia patristica dell'esegesi di Giov 7,37.38. Se si eccettuano solo poche tracce, il medioevo ha ignorato completamente l'interpretazione più antica, quella che abbiamo esposta in questa seconda parte 145. Solo oggi si torna a riconoscere il valore autentico dell'esegesi efesina. Fu soprattutto l'esegesi del pietismo tedesco dei secoli XVII e XVIII, in aperto contrasto col razionalismo luterano, a dare un'espressione di sublime bellezza all'immagine del Signore glorificato che fa scaturire dal proprio intimo i fiumi dell'acqua viva 146 . Nella 145 Cfr. inoltre RUPERTO DI DEUTZ, In Ioannem commetti. 7 (PL 169, 523 C), in cui Giov 7,38 è inteso espressamente anche in ordine alla gloriosa umanità di Gesù : « Eadem immortali carne resumpta eidem Patri suo prò nobis assistit. Abhinc de ventre ipsius qui hoc ipsum loquitur diceris: qui credit in me: fulmina de ventre eius fluent aquae vivae, de ventre inquam, id est de profonda divinitate eius, coeperunt duo vivae aquae flumina, id est huius Sancii Spiritus duo data ». GERHOH VON REICHERSBERG, De investigatione Antichristi (Clm 439, inedito ; cfr. J. BACH, Die Dogmengeschichte des Mittelalters, v. II, Vienna l87S, P- 50ós) trae da Giov 7,38 la prova della processione dello Spirito dal Figlio: la natura umana di Cristo è infatti fonte dell'acqua viva. 1M Cfr., p. es., T H . GOODWIN, Moses et Aron seu ciuiles et ecclesiastici ritus antiquorum Hebraeorum, 6 ed. con note di J. PvEiTZius, Brema 1722, p. 299S: « Locus Joh 7,38 multis tormento est. Sed duplex expositio difficultatem omnem solvit. (Segue la spiegazione consueta e quindi quella più antica): Si dicimus versum Joh 7,37 forsan male distinctum et separatum a versu 7,38 atque sic legi debere: si quis sitit veniat ad me et bibat qui credit in me. Quemadmodum dicit Scriptura, fluvii aquae viventis manabunt ex ventre ipsius (scilicet •&εαν·9ρώπ(ΰ Messiae, ex cuius adaperto latere aqua profluxit), hoc vero dixit de Spiritu... ». - L'esegesi pietistica ha poi accolto questo concetto. Cfr. H. A. FRANCKE, Das eigentliche Pfingstgeschafte des HI. Geistes, welches istjesum Christum bei den Menschen zu uerklàren, Halle 1724, p. 515; J. JAC. RAMBACH, Auserlesene una heihame Worte des Herrn Jesu, v. II, Jena 1731, p. 75: Gesù, fonte dell'acqua viva (con una documentazione scientifica sull'esegesi del sec. XVII) ; M. F. Roos, Die Lente una Lebensgeschichte Jesu Christi des Sohnes Gottes
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
più recente esegesi i fautori della seconda interpretazione vanno continuamente aumentando. Nell'ambito dell'esegesi cattolica un contributo essenziale in favore di questa tesi è rappresentato dall'opera di Lagrange. La storia delle due interpretazioni qui esposte, che ha chiarito le oscure e sublimi parole del Signore, può in ogni modo contribuire a rendere più oggettivo il giudizio sui due tipi d'esegesi. Essa è come un paradigma, che entro un campo ben delimitato traccia nella fitta selva dell'esegesi patristica i sentieri per i quali anche altri e ugualmente preziosi tesori della tradizione della Chiesa, a cominciare fin dalle origini, si sono conservati ο si sono perduti. Dalla travatura marmorea che sovrasta le otto co lonne classiche di porfido di cui papa Sisto III (432-440) ha abbellito il battistero della Basilica Lateranense, il sublime poema del battesimo, composto da Leone Magno, notifica ancor oggi che cosa si pensasse una volta dell'acqua della vita sgorgante dal corpo di Cristo " 7 : Fons hic est vitae qui totum diluii orbem sumens
de
Christi
vulnere
principium.
nach den vier Evangelien (prima edizione 1776), Tubinga 1847 (2 ed.), p. I2s. - A questa tradizione pietistica aderiscono anche esegeti del sec. XIX, soprattutto R. STIEE, Die Reden des Herm Jesu, insonderheit nach Johannes, v. IV, 3 ed., Barmen 1870, pp. 631-373. - Per una sin tesi cfr. B. WEISS, Das Johannes evangelium (commento al Nuovo Testamento di A. W. MEYER), V. II, 9 ed., Gottinga 1902, p. 255. "' Inscriptiones latinae christianae veteres, v. I, p. 289, n. 1516 (Diehl). Cfr. F. J. DOLGER, Die Inschrifi im Baptisterium S. Giovanni in Fonte an dei Lateranensischen Basilika aus der ZeitXystus III. (432-440) und die Symbolik des Taufbrunnens bei Leo dem Grossen in Antike uni Christentum 2 (1930) 252-257.
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LA CONTINUAZIONE DELLA DOTTRINA NELLA TEOLOGIA LATINA
Il passaggio alla teologia dei Padri latini non significa l'inizio d'un nuovo corso storico dell'idea che andiamo studiando. Infatti Origene e Ippolito, ai quali in Oriente si sono ispirati Metodio e Gregorio, sono stati maestri anche per l'Occidente. Essi sono i magistri di AMBROGIO. La dipendenza del vescovo di Milano da Origene è troppo nota e non esige qui una dimostrazione diretta. Del resto si potrà subito dedurre dalla dottrina della nascita di Dio quanto sia reale tale dipendenza. Meno considerata, invece, ma pur tanto importante è la dipendenza di Ambrogio da Ippolito *. Ed anche ciò ha la sua conferma nella dottrina della nascita di Dio, ed è ancor più evidente alla luce dell'antichissima dottrina, notoriamente ippolitiana, del ' Verbo 1 N. BONWETSCH dà una prova esauriente di questa dipendenza da Ippolito nella sua edizione della piccola opera di Ippolito recentemente scoperta (Texte und Unters. 26, I, Lipsia 1904) e nell'edizione completa del commentario di Ippolito al Cantico dei Cantici (Texte und Unters. 23, 2, Lipsia 1903). Alcuni documenti sulla presente questione in ZkTh 59 (1935) 77-79·
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saltante ' che dal cuore del Padre viene nel cuore del credente 2. La predilezione di Ippolito per la dottrina della nascita del Logos dal cuore del Padre si riflette chiaramente nelle opere di Ambrogio 3. Con l'antica speculazione romana di Ippolito si raccoglie in Ambrogio anche l'eredità di Origene e poi quella di Filone, ossia la tesi dell'antica psicologia sulla virtù generativa del cuore 4. In Ambrogio si trovano tutti gli elementi della teoria che abbiamo fin qui esposta. E se nelle opere di Ambrogio essi non hanno avuto una precisa sistematizzazione, ciò si deve all'originalità della sua produzione letteraria: quando s'imbatte in concetti teologici particolarmente suggestivi, Ambrogio si limita a copiare quanto i dotti predecessori gli offrono. E siccome i suoi scritti hanno un notevole valore probativo per la vitalità della tradizione, da essi noi possiamo facilmente dedurre, a prescindere dall'eventuale testimonianza letteraria, di quale intensità sia stato l'influsso della tradizione per quanto riguarda la dottrina della nascita di Dio. Si deve certamente all'influsso dell'esegesi di Origene se anche Ambrogio ha considerato le parole di Is 26,18 e Gal 4,19 qual fondamento dei suoi concetti sulla virtù generativa del cuore. Quella forza generativa di pensieri che egli, d'accordo con l'antica a Cfr. sopra p. 22S. * Per le prove di IPPOLITO e AMBROGIO, date sopra a p. 2is, cfr. anche i passi del Commentario di Ippolito al Cantico dei Cantici (Texte und Unters. 23, 2), p. 26, 26; p. 31, uss: «Il Figlio è nato per generazione da David e dal cuore del Padre»; p. 31, 3iss: «Il mio cuore - dice il Padre - ha generato il Verbo, mentre da Davide è stato generato l'uomo ». - Ciò è descritto da Ambrogio. Sui suddetti testi cfr. anche De Virginitate 11 (PL 16, 282 B). 4 Cfr. sopra p. 20S.
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psicologia, attribuisce all'intimo dell'anima, cioè al cuore, si esprime ora anche in senso religioso. La mens, ossia l'anima in grazia, genera i buoni pensieri 5 : « Quid autem sanctius mente, quae dat bonarum semina cogitationum, quibus aperit vulvam animae conclusam pariendi sterilitate, ut possit illas invisibiles generationes edere, utero videlicet spiritali, de quo dicit Isaias (segue Is 26,18) ». L'intimo, il cor intelligibile6, è il luogo segretissimo in cui si compie il parto spirituale. In questo luogo segreto vive Cristo. Ivi è il suo soggiorno preferito: «In corde amat esse Christus» 7 . L'essenza della vita spirituale è dunque l'intima unione col Logos: il crescere e morire del Verbo eterno nel nostro cuore; la morte spirituale è un distacco dell'anima dalla sua vita interiore, dal Verbo divino : « Vivit igitur Dei Verbum et maxime in animis vivit piorum... Moritur nobis, si a nostra anima separetur ... mors enim vera est Verbi et animae separatio»8. È indicativo per l'origine di questi concetti il fatto che Ambrogio parli una volta 9 espressamente del Λόγος παρ&ενικός dimorante nel l'anima: questi è il Logos che per eterna generazione verginale procede dal cuore del Padre 10 ed ha ora trasformato con la sua inabitazione l'anima del cre5 De Abraham 2, 11, 78 (CSEL 32, 1, p. 630, I2ss). • Ivi (p. 630, 17). ' De virginitate 19 (PL 16, 298 D). - Cfr. anche Epist. 41, 12 (PL 16 1116C): « Ambulat Christus in pectoribus singulorum ». » De fuga saeculi 2, 13 (CSEL 32, 2, p. 173, uss). • Epist. 31, 2 (PL 16, 1066 B). 10 Sulla generazione eterna dalla natura verginale del Padre cfr. anche De fide ad Gratianum 4, 8 (PL itì, 63413), dove viene spiegato il testo del Sai 109, 3 : « Uterus paternae arcanum substantiae interiusque secretum ».
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
dente in teatro della sua vita mistica: « Nostris enim meritis Verbum Dei nobis aut vivit aut moritur, nam si bona studia atque opera nostra sint, vivit atque operatur in nobis Dei Verbum » n . È interessante vedere come questi concetti sulla mistica sopravvivenza del Logos nel cuore del credente abbiano nel pratico Ambrogio, non ostante l'identità delle fonti, uno sviluppo completamente diverso rispetto al contemporaneo Gregorio Nisseno. La nascita di Dio si realizza sempre, secondo Ambrogio, nell'ordinaria vita morale del credente; d'un sistema mistico, invece, nessuna traccia. Anche la rigenerazione battesimale non è posta in rapporto con la nascita del Logos dal cuore. C'è solo un pensiero predominante: con una vita buona e onesta il cristiano deve conservare in sé l'inabitante Cristo; chi accoglie nel seno materno del cuore i " buoni pensieri ', genera Cristo. Si deve ad Ambrogio se d'ora in poi, fino al medioevo, non emergerà più l'interpretazione dommatica e mistica della nascita di Dio, ma solo quella ascetica. Che il principio della vita dell'inabitante Logos sia una vera nascita, Ambrogio lo dice espressamente. Cristo è il bimbo generato dallo spirito che ha il timore di Dio : « Christus ipse est et puer quem parturit qui in utero suae mentis accepit spiritum salutis » 12 . Questa generazione è il principio animatore d'un'interiore crescita del Logos-bambino nel cuore (anche qui il maestro è Origene) 13 : « Quae tanti forma sit partus demonstrat 11
Epist. 32, 2 (PL ι ό , 1066 A). Enarr. in Ps. 47, io (PL 14, 1150 B ) . 13 Cfr. sopra p. 47S. N o n è da escludersi che qui abbia esercitato un certo influsso anche il Commentario al Cantico dei Cantici di 12
GREGORIO
NISSENO.
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Apostolus dicens (Gal 4,19). In liane formam (Christi) tota mentis nostrae coalescant viscera et in ilio genitali alvo animae nostrae Christus refulgeat. Partus noster fides sit... his quaedam cordis nostri imbuatur infantia, instituatur pueritia, iuvenculescat adulescentia, senecta canescat » 14 . Inspirandosi ancora chiaramente ad Origene, Ambrogio paragona la perdita della grazia a un aborto. Il testo del commentario a Luca, dove questo concetto è presentato nei dettagli, è sotto molti aspetti degno di nota. Esso riunisce insieme quel che Ambrogio ha scritto altrove, e contiene tutti gli elementi della storia della nostra idea, ma nel tipico stile di Ambrogio. Il concepimento del Logos-bambino mediante una vita di rettitudine e di virtù, il « divenire madre di Cristo » nel compimento della volontà di Dio, l'imitazione della Vergine Maria nel concepimento interiore per opera dello Spirito Santo: tutto ciò è stato sempre presente nella tradizione. In Ambrogio riaffiora ancora una volta, e il commentario a Luca ha contribuito moltissimo, per il suo rilevante influsso fino al medioevo, al perpetuarsi dell'idea. Ecco le parole di Ambrogio 15 : «Sunt enim et quae de Dei timore concipiunt quae dicunt : ' de timore tuo concepimus et parturivimus ' (Is 26,18}. Sed non omnes pariunt, non omnes perfecti, non omnes possunt dicere: ' peperimus spiritum salutis in terra ', non omnes Mariae, quae de Spiritu Sancto Christum concipiant, Verbum pariant. Sunt enim quae abortivum excludant Verbum antequam pariant, sunt quae in utero Christum habeant sed nondum formave14 15
De Cairi et Abete, 1, 2 (CSEL 32, 2, p. 378, uss). In Lue. comm. io, 14.25 (CSEL 32, 4, p. 464S).
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rint, quibus dicitur (segue Gal 4,19). Fac voluntatem Patris, ut Christi mater sis. Multae conceperunt Christum et non generaverunt. Ergo quae park iustitiam, Christum parit, quae parit sapientiam, Christum parit, quae parturit verbum, Christum parturit». Queste parole di Ambrogio non sono però caratteristiche soltanto per il nesso con la tradizione; esse sono indicative anche della direzione in cui si è evoluto il concetto della nascita di Dio nella teologia e nella spiritualità latina. La teologia della nascita di Dio non vien più presentata in una profonda speculazione mistica, come presso i greci, e nemmeno in così stretto rapporto con la processione eterna del Logos dal cuore del Padre; ma sempre più e con crescente insistenza nel contesto etico-morale delle ' buone opere ' e nella veste ' mariana ', già evidente nelle surriportate parole di Ambrogio. Maria, tipo della Vergine-Madre, della Chiesa; Maria, modello dell'anima vergine; il mistero del Natale, principio della vita spirituale: questi saranno d'ora in avanti i concetti fondamentali. Nell'anima, dice Ambrogio, si ripete il mistero di Betlemme: generando spiritualmente Cristo nel cuore, essa diventa la ' Casa del pane ' 1 β : « Omnis itaque anima quae recipit panem illum descendentem de caelo domus panis est... incipit ergo concipere anima et formari in ea Christus quae recipit adventum eius ». In questa interiore generazione di Cristo, l'anima del credente imita la Vergine Maria, vien chiamata ' Maria ', come una volta la Maddalena fu chiamata Maria dal Signore 17 solo quand'ella si rivolse a l u i : « Quando converti " Epist. 70, 13.16 (PL 16, 1237 B; 1238 A ) . 17 De virginitate 4, 20 (PL 16, 271 B ) .
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incipit, Maria vocatur, hoc est nomen eius accipit quae parturit Christum; est enim. anima quae spiritualiter parturit Christum». Ciò è di capitale importanza per la conoscenza del pensiero medievale sulla nascita di Dio, poiché è soprattutto Ambrogio (e dopo di lui Agostino) ad indicare la direzione del successivo sviluppo dell'idea, tanto che il modo in cui questi due parlano della nascita di Dio è lo stesso in cui ne parlerà poi il medioevo. Precisamente in questa svolta della storia della dottrina che stiamo ora studiando, nella restrizione (se così possiamo esprimerci) all'aspetto morale e devozionale, nel sorgere del culto mariano, nell'insistenza sull'avvenimento storico del Natale, possiamo osservare il lento costituirsi della spiritualità del primo medioevo. Ciò vale soprattutto e in primo luogo per il più grande discepolo di Ambrogio, AGOSTINO. È significativo il fatto che la teologia della nascita di Dio, tanto apprezzata dalla speculazione dei Padri greci, non abbia avuto invece in Agostino una eco adeguata. Questo complesso dottrinale svolge in ogni caso un ruolo di secondaria importanza nel pensiero agostiniano intorno al Corpo di Cristo, alla Chiesa, e alla grazia. Proprio là, dove ci si sarebbe aspettato un più facile consenso alla mistica continuazione della nascita eterna del Logos dal Padre, cioè nelle riflessioni di Agostino sull'eterna e incessante nascita del Logos - come avvenne in Origene, Gregorio Nisseno e soprattutto Massimo, - non se ne ha invece nessuna traccia18. Nella sua ecclesiologia Agostino s'avvicina 18 Cfr. Epist. 238, 4 (CSEL 57, p. 552, 16): « Semper gignit Pater et semper nascitur Filius ». - Cfr. anche Enarr. in Ps. 2, 6 (PL
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maggiormente alla dottrina della nascita di Dio nel cuore de credente. Questo è un tema tanto caro ad Agostino: la Chiesa, feconda e verginale madre del credente 19. Ma il suo pensiero è rivolto esplicitamente solo alle membra Christi, che dalla Madre Chiesa ricevono la vita divina nella rigenerazione battesimale. Tuttavia, riferendosi alla dottrina dell'unità del Corpo mistico di Cristo (sulla quale non possiamo ora indugiare), egli dice espressamente che la Chiesa è Madre di Cristo 20. Manca però, come abbiamo potuto costatare, l'altro antico concetto, tanto apprezzato dal tempo di Ippolito: la Chiesa che forma e genera il Cristo mistico nel cuore dei credenti 21. 36, 71 A). - Tract. in Ioann. 2 1 , 3.5 (PL 36, 1565SS). - Questi testi sono importanti perchè ad essi più tardi si riferisce espressamente ECKEHART. Per tutta la questione cfr. M. SCHMAUS, Die psychologische Trinitàtslehre des hi. Augusiinus. p. 130S. 11 Cfr. FH. HOFFMANN, Der Kirchenbegriff des hi. Augustinus, M o naco 1933, p. 264S; 494. 20 Enarr. in Ps. 127, 12 (PL 37, 1685): «Mater quomodo, nisi quia ipse Christus est in christianis quos christianos per baptismum quotidie parit Ecclesia ». - Il medesimo concetto in Serm. io, 2 (PL 38, 92). Agostino richiama due volte il passo di Mat 12, 50, del cui antichissimo uso siamo già a conoscenza. Il luogo classico di Agostino per questi concetti è contenuto nell'opera De virginitate, in cui questa ecclesiologia di Agostino ha trovato la sua espressione più bella. Cfr. De Virg. 5 (CSEL 41, p. 239, 14S): «Mater eius est tota Ecclesia, quia membra eius, id est fideles eius, per Dei gratiam ipsa utique parit ». Sermo 213, 7 in tradìtione Symboli 2 (PL 38, 1064): «Sic et Ecclesia et parit et virgo est. Et si consideres, Christum parit, quia membra eius sunt qui baptizantur ». 21 Al contrario si dice in De uiiginitaSe 5 (CSEL 4 1 , p. 239, 15SS) che l'anima, operando negli altri la salvezza mediante l'amore, diviene in questo m o d o ' madre di Cristo ' : « Item mater eius est omnis anima pia, faciens voluntatem Patris eius fecundissima cantate, in iis quos parturit, donec in eis ipse formetur ». - Qui si sente ancora una volta l'antica teologia, in consonanza con Gal 4,19. Altrove Agostino attenua questo farsi di Cristo nell'intimo del credente: cfr. Epist. 82, 4 (CSEL 34, p. 355, ios).
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Agostino parla molto di più - e ciò si deve certamente all'influsso di Ambrogio e alla tradizione oratoria latina - dell'aspetto etico-morale della nascita di Dio. Nell'inizio e nello sviluppo della vita intcriore, nel profondo del ' cuore ', dove dimora l'eterno Verbo di Dio, nella tipicamente agostiniana interiorità del cuore, si compie la nascita mistica di Cristo. Il cuore del credente, immagine del corpo verginale di Maria, è il luogo in cui anima e Verbo s'incontrano. Questo è il gran tema che ha tanto impegnato Agostino, come egli stesso ha riconosciuto nelle immortali parole delle Confessiones : « Ut redeamus hinc ad eam in illud secretimi, unde processit ad nos, in ipsum primum virginalem uterum, ubi ei nupsit humana creatura, ut redeamus ad cor et inveniamus eum » 22 . Anche in Agostino è soprattutto il mistero del N a tale che gli fa pronunziare sulla nascita di Dio nel cuore quelle parole che sono rimaste vive e operanti in tutti i tempi. Maria è il grande modello di tutte le anime credenti ; ciò che una volta si compì in lei storicamente, deve ripetersi spiritualmente nei cuori. Nella vita m o rale del credente deve essere riprodotta specialmente 22 Confessiones 4, 12, 19 (CSEL 33, p. 79, 6ss). - I testi agostiniani in favore dell'inabitazione del Verbo eterno nel cuore del credente sono innumerevoli. Cfr. Enarr. in Ps. 36, Sermo 3, 12 (PL 36, 390) : « Liberai a laqueo Verbum Dei in corde, liberat a via prava Verbum Dei in corde... tecum est cuius Verbum a te non recedit ». Così pure Sermo 117, 17 (PL 38, 671); Sermo 190, 3 in Natal. Dom. 7 (PL 38, 1008); Traci, in Ioann. 50, 2 (PL 35, 1759). Ha esercitato un profondo influsso sulla teologia del cuore della mistica tedesca specialmente un'espressione di Agostino del De vera religione 39 (PL 34, 154) : « Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat Veritas ». ECKEHAET cita questo testo con particolare piacere. Cfr. anche M. SCHMAUS, op. rif., p. 309 sulla mistica agostiniana sull'intimo dell'anima.
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la fede, per la quale Mafia divenne Madre del Verbo: « Fides in mente, Christus in ventre » 23. L'incarnazione mediante la fede della Vergine è il primo principio della vita divina in noi. « Verbum caro factum est prò nobis, ut a matre procedens habitaret in nobis » 24 : questo è il tema trattato sempre e con molta eloquenza nelle sue prediche di Natale. La nascita interiore di Cristo nel cuore dei credenti deve essere il principio dell'ascesa interiore : « Ecce habemus infantem Christum, crescamus cum eo » 25. Agostino si rivolge espressamente alla massa dei suoi uditori: questo fatto interiore è per lui solo un'espressione della crescita spirituale, indispensabile a tutti i cristiani. Siamo qui lontani da ogni mistica, ma proprio da ciò possiamo rilevare il realismo ed anche l'antichità della popolare dottrina agostiniana della grazia : « Quod miramini in carne Mariae, agite in penetralibus animae. Qui corde credit ad iustitiam, concipit Christum. Qui ore confitetur ad salutem, parit Christum. Sic in mentibus vestris et fecunditas exuberet et virginitas perseveret » 26. Affioa3 Sermo 196, 1 in Nat. Dom. 13 (PL 38, 1010); De virginitate 3 (CSEL 41, p. 237, I7ss): « Sic et materna propinquitas nibil Mariae profuisset, nisi felicius Christum corde quam carne gestasset ». - Enarr. in Ps. 67, 21 (PL 36, 826): «Illa virgo Christum... spiritualiter credendo concepii ». 24 Sermo 195 in Nat. Dom. 12 (PL 38, 1019). 25 Sermo 196, 3 in Nat. Dom. 13 (PL 38, 1020). - Anche in Agostino ricorre una volta, insieme con la citazione di Gal 4,19, l'interpretazione della figura dell' ' aborto ' trasmessa da Ambrogio e Origene. Cfr. Enarr. in Ps. 57, 5 (PL 36, 678) : « Nascuntur inter viscera Ecclesiae quidam parvuli et bonum est ut formati exeant ne abortu labantur ». Ma anche qui si tratta solamente della nascita delle membra di Cristo. Cfr. anche la bella esposizione del rapporto tra il Natale e la rigenerazione battesimale, in Tract. in Ioann. 2, 15 (PL 35, 1395). ·· Sermo 191, 4 in Nat. Dom. 8 (PL 38, i o l i ) .
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ratio chiaramente le parole del Commentario a Luca di Ambrogio. Quasi con le medesime parole anche lo Ps.-Crisostomo ha spiegato ai fedeli questa nascita morale di Dio 27. Tutto ciò risale infine alla teologia di Origene sulla nascita di Dio dalle ' buone opere '. In contrasto con la sublime speculazione di Gregorio Nisseno e di Massimo, qui s'avverte il senso popolare dell'antica teologia della nascita di Dio. Così predicano i sacerdoti. I mistici però han parlato in altro modo. L'idea della verginità spirituale, predicata da Agostino ai suoi fedeli, è di particolare importanza anche per la dottrina della perfezione. E sotto questo aspetto è significativo specialmente il concetto della maternità spirituale in ordine a Cristo, di cui conosciamo ormai la storia. Agostino ha presentato questo ideale di verginità nel suo opuscolo De virginitate: Maria, Chiesa, Vergine: nel medesimo ordine si perpetua nei tempi la maternità rispetto a Cristo 28 . Difficilmente si va errati se proprio qui si vede ancora una volta l'influsso del grande ammiratore della verginità, Ambrogio. Gli stessi concetti sono espressi anche da Agostino nelle sue prediche di Natale, come esortazione diretta alle vergini: « Exultate virgines Christi, consors vestra est mater Christi... verumtamen si verbi eius memineritis sicut meminisse debetis ( Mat 12,50): estis edam vos matres eius, quia voluntatem facitis Patris eius. Hunc (Christum) fide concipite, operibus edite. Ut quod egit uterus Mariae in carne Christi, agat cor vestrurn 27
Cfr. sopra, ρ. 6η. De virginitate 5 (CSEL 41, p. 239, 6s): «Et ipsae (virgines) cum Maria matres Christi sunt, si Patris eius faciunt voluntatem », Ivi, 6 (CSEL 4.1, p. 240, I7s): « Quia voluntatem Patris faciunt, Christi spiritaliter matres sunt ». 28
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in lege Christi » 29. Rimane ancora l'idea della nascita di Dio dalle ' buone opere ', pervenuta ad Agostino da Origene per il tramite di Ambrogio. L'anima diviene genitrice di Cristo nella fede, nel compimento del bene, nell'adempimento della volontà del Padre. Solo una volta Agostino si riferisce apertamente al fondamento della vita morale, alla grazia battesimale, mettendo il mistero della nascita di Cristo in rapporto con la rigenerazione battesimale. È la descrizione più bella e a un tempo più agostiniana della nascita di Dio nel cuore del credente 30 : « Nemo dubitet renasci, Christus natus est... fiat itaque in cordibus nostris misericordia eius. Portavit eum mater in utero; portemus (et nos) in corde. Gravidata est virgo incarnatione Christi; gravidentur pectora nostra fide Christi. Peperit (virgo) Salvatorem; pariat (anima nostra salutem, pariamus) et laudem. Non simus steriles, animae nostrae fecundae sint Deo ». Tali concetti e parole caratterizzano in questo momento la predicazione nell'Occidente cristiano. Agostino è il Maestro anche per quanto riguarda la dottrina della nascita di Dio. Ma nel medioevo molti testi presi da prediche post-agostiniane furono attribuiti direttamente al grande Maestro. Per questa ragione dobbiamo ora prendere in esame la continuazione del pensiero agostiniano, per poterne valutare l'influsso sul primo medioevo. 28
Sermo 192, 2 in Nat. Doni. 9 (PL 38, 1012). Sermo 180, 3 in Nat. Dom. 6 (PL 38, 1006). Pubblicato nuovamente secondo un'altra tradizione manoscritta da G. MOBIN, Sancti Augustini Sermones post Maurinos reperti (Miscellanea Agostiniana, i), Roma 1930, p. 211. Nel nostro testo sono poste tra parentesi le parole non contenute nei manoscritti di Morin. 30
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Più efficacemente forse di qualche predica può aver favorito il conservarsi dell'idea il fatto che essa venne accolta anche nei testi liturgici. Specialmente l'antica liturgia spagnola ha tratto dal pensiero di Agostino il concetto, sempre più ' medievale ', di Maria qual modello sublime della Chiesa e dell'anima credente. Ivi così si prega 31 : « Quod praestitum est carnaliter sed singulariter tunc Mariae, nunc spiritaliter praestetur Ecclesiae: ut te fides indubitata concipiat, te mens de corruptione liberata parturiat, et semper anima virtute Altissimi obumbrata contineat. Ne discedas a nobis sed procedas ex nobis ». Si ha la medesima cosa in due preghiere della vigilia pasquale 32 : anche qui Maria è il tipo della vergine e feconda Chiesa, come era stata descritta spesso e con espressioni profonde nella teologia agostiniana 33. Alla luce di queste fonti, della liturgia gallicana e degli scritti di Agostino, si devono chiarire anche quelle allusioni che troviamo di frequente negli scritti dei vescovi gallici. Così, ad esempio, quando CESARIO D'ARLES scrive : « Gaudeat Christi Ecclesia quae ad similitudinem beatae Mariae mater divinae prolis effi31
Le Liber Mozarabicus Sacramentorum (ed. M. Férotiti), Parigi
1 9 1 2 , c o l . 54, 32SS. aa
Ivi, p. 250, 7ss: «Filii lucis oriuntur quos maturino partu per gratiam spiritalem hac nocte progenerai Mater Ecclesia sine corruptione concipiens et cum gaudio pariens, exprimens in se utique formatti Virginis Genitricis absque ullo humanae contagionis fecunda conceptu ». - Cfr. il prefazio del Sabato Santo del GREGOHIANUM (Muratori II, col. 313): «Filii lucis oriuntur quos exemplo dominicae Matris sine corruptione sancta Mater Ecclesia concipit ». Sarebbe interessante studiare queste preghiere nel loro rapporto con la teologia agostiniana e con quella più antica. 33 Cfr. ancora Enchiridion 34, io (PL 40, 249) : « Ecclesia quae imitane eius Matrem quotidie parit membra eius et virgo est ».
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citur » 34 . Dal medesimo ambiente provengono le prediche conosciute come pseudo-agostiniane, sia che si debbano a MASSIMO DA TORINO Ο a CESARIO Ο a qualche altro vescovo. Forse non v'è nulla di più indicativo per il contenuto di tali prediche che una breve frase d'un sermone natalizio: « Hodie natus est non sibi Christus sed mihi »35. Qui s'avverte chiaramente il passaggio al medioevo: s'annunzia infatti quella virile e commovente interiorità, che sempre più accentua l'egocentrismo del mistero nel ricordo delle parole di Origene: « Che giova a me se Cristo è nato, ma non in me? ». Con sempre maggior frequenza si dice che il Figlio di Dio s'è fatto uomo per abitare nell'intimo del nostro cuore : « Hic prò nobis natus est, hic etiam, si digne agatis, habitat in vobis » 3e . Una vita cristiana senza peccato ne è la condizione. Ed anche ciò è caratteristico per la storia dell'idea. Così leggiamo in una di queste prediche popolari: «Portemus ergo et nos Deum in casto corpore, quem Virginis casta membra portaverunt... ut semper Christum in corde nostro portare possimus, castos ac puros nos exhibeamus ab omni peccato, ut Christus habitare possit in nobis. Qui enim Christum non habet in se, christianus non potest dici » 37. Il concetto della nascita di Cristo s'è ora tramutato in un ' avere ' ο ' portare ' internamente il Signore. In un'altra di queste prediche si può ancor meglio rilevare non soltanto lo stile agostiniano, ma anche l'antico 34 36 36 31
Homi!, de paschate 3 (PL 67, 1048 B ) . Serm. 124, 1 (PL 39, 1992). Serm. 371, 4 (PL 39, 1661). Serm. 125, 4 (PL 39, 1994).
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concetto della nascita di Dio, che comincia nel battesimo e dà forma nella vita spirituale allo sviluppo interiore del Verbo di Dio. Il testo è perciò degno d'attenzione, poiché secondò noi si riferiscono principalmente ad esso i richiami che nel medioevo cercano in Agostino una garanzia per la dottrina della nascita di Dio. Ancora una volta, come già in Origene e in Ambrogio, la giustificazione interiore e la crescita spirituale sono interpretate come nascita e crescita dello stesso Logos. E ciò, possiamo dire, per l'ultima volta. Infatti quanto verrà detto successivamente nella storia di questa idea (con la sola eccezione del Maestro ECKEHART, il cui ruolo specifico in tale storia è per altro comprensibile solo in questo quadro), non è che ripetizione ο allu sione all'antico parallelismo fra la crescita spirituale e la nascita e crescita del Verbo di Dio nel cuore. Ecco il testo di questa bellissima predica natalizia postagostiniana 38 : « Exultemus ergo, carissimi. Ab hodierno die crescunt dies. Crede in Christum et crescit in te dies. Credidisti? Inchoatus est dies. Baptizatus es? Natus est Christus in corde tuo. Sed numquid Christus natus sic remansit? Crevit, ad iuventutem pervenit; sed in senectutem non declinavit. Crescat ergo et fides tua, vetustatem nesciat. Sic pertinebis ad Christum Filium Dei, in principio Verbum apud Deum, Verbum Deum carnem factum, ut habitaret in nobis... ad illum pertinuit propter nos nasci, ad nos pertineat in ilio renasci ».
s
» Serm. 370, 4 (PL 39, 1659). - Esattamente in senso agostiniano, anche la verginità vien qui messa nuovamente in rapporto con la nascita di Dio. Cfr. Serm. 121, 2 (PL 39, 1988) : β Beata virginitas desinit esse iam mortis anelila, quia illum intra se gestat in mente, quem Maria portavit in ventre ».
5· LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO
Per una più esatta conoscenza delle fonti patristiche dalle quali dipende la mistica medievale e soprattutto il Maestro Eckehart, è importante indicare il cammino che conduce direttamente fino al tempo dei mistici. Le linee direttive possono essere tracciate in base alle opere dei Padri della Chiesa oppure mediante la concatenazione di singoli testi patristici. Molto più importante è ancor sempre il vivo contatto con l'ininterrotta tradizione, che solo faticosamente possiamo però ricostruire nella sua totalità, attingendo alla letteratura del periodo che intercorre fra l'epoca patristica e l'inizio della Scolastica. Dobbiamo ora indicare nei minimi particolari queste linee direttive fino alle fonti immediate del Maestro Eckehart. Il lento costituirsi della spiritualità del primo medioevo segue inizialmente il cammino segnato dalla dottrina agostiniana dell'interiorità del cuore. GREGORIO MAGNO ripete i concetti agostiniani del Verbo eterno 1, 1 Cfr. GREGORIO M., Moral. 5, 28 (PL 75, 706a): * Verbum absconditum in corde». Homìl. in Evang. 15 (PL 76, H32B); Moral. 19, 3 (PL 76, 99 B): Moral 16, 36 (PL 75, 1143 A).
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dimorante nel profondo del nostro cuore. Egli s'impossessa soprattutto dell'esegesi di Mat 12,50, divenuta fondamentale per opera di Agostino. ' Madre di Cristo ', secondo lui, è in modo particolare l'anima che forma e genera Cristo nel cuore del prossimo 2 : « Sed sciendum nobis est quia qui Christi frater et soror est credendo, mater efficitur praedicando; quasi enim parit Dominum quem cordi audientis infuderit. Et mater eius efficitur si per eius vocem amor in proximi mente generatur '». Questo testo è importante specialmente perché è stato accolto, insieme con quello del Crisostomo 3 , nelle Catene di S. Tommaso d'Aquino ed è così divenuto familiare al medioevo, non escluso Eckehart, che s'è servito con piacere della Glossa di Tommaso. L'antichissimo concetto della nascita di Dio nel cuore dei credenti, presente già in Origene e Ippolito, è diventato per questa via patrimonio comune della spiritualità medievale. Ancor più ha contribuito BEDA alla diffusione di questa antica esegesi, ricevuta da Gregorio, di Mat 12,50 4 , soprattutto perché per suo tramite tale concetto è giunto a RABANO MAURO 5 , e da Rabano la 2
Homil. in Evang. 3 (PL 76, io8tì D). Cfr. sopra, p. 68, nota 11. 4 Expos. in Lue. 4 (PL 92, 480 BC) : « Omnes qui idem Verbum spiritaliter auditu fidei concipere et boni operis custodia vel in suo vel in proximorum corde parere et quasi alere studuerint, asseverans (Salvator) esse beatos ». 5 Comm. in Matlhaeum 4, 12 (PL 107, 937 D) : « Isti sunt mater mea qui me quotidie in credentium animis generant ». - Certamente anche il Commentario a Luca di Ambrogio, in cui viene spiegato il luogo parallelo a Mat 12,50, Lue 8,21, ha contribuito alla formazione di questa esegesi mistica, che ha esercitato un sì potente influsso sulla 3
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teologia della nascita di Dio nel cuore dei credenti è entrata nella Glossa ordinaria6, alla quale s'è potuta poi collegare la mistica del primo medioevo. Proprio su queste basi ha costruito la sua mistica RICCARDO DI S. VITTORE, aiutato anche dall'antica psicologia trasmessa da Agostino e di cui conosciamo ormai la storia. La nascita di Cristo nel proprio cuore e nel cuore altrui è il compimento della volontà del Padre celeste7 : « Verbum Patris, Filius Patris est voluntas Patris. Item voluntas hominum quid aliud est nisi quaedam proles mentis? Si igitur eadem est voluntas tua et voluntas Patris, veritas sapientia voluntas corde concipitur et corde generatur. Si igitur idem vis, idem sapis quod Pater, eundem Filium habes quem Pater... Potes Christum gignere in corde tuo et in corde alieno. Intellectu gignitur, consensu concipitur, affectu nascitur ». Quanto profonda sia stata l'impressione prodotta da questa teoria mistica lo si può desumere dal fatto che le parole che abbiamo riportate sono del trattato De interiori domo, compreso fra gli scritti di BERNARDO DI CHIARAVALLE, ma il cui autore è ignoto 8. Noi sappiamo che Eckehart conosceva bene le opere di Riccardo di S. Vittore. In queste si può già riconoscere una delle fonti immediate della sua dottrina della nascita di Dio 9 . storia dell'interiorità. Ambrogio dice: «Propeest enim Verbum in corde tuo, intus igitur Verbum, intus est lumen » (CSEL 32, 4, p. 247, I3s). 11 Glossa ordinaria su Mat 12,50 (PL 114, 129 D). - Cfr. anche GOTTFRIED BABION, Enarr. in Matth. 12 (PL 162, 1368 D). 7
Adnotationes mysticae in Ps 28 (PL 196, 297 CD). Tjactatus de interiori domo 39 (PL 184, 516 D). * È ugualmente importante per lo sviluppo di queste idee anche la storia dell'esegesi del testo di Is 26,17.18, citato in questo contesto 8
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È ancor più facile mostrare il cammino che l'interpretazione mariana della generazione spirituale di Dio ha percorso dal tempo di Agostino, in cui tale espressione è assai frequente, fino al medioevo. È sempre BEDA che più d'ogni altro favorisce il perpetuarsi anche di questa teologia agostiniana. Maria, la ' portatrice del Logos ', che va sui monti con l'eterno Logos nel cuore, è il modello dell'anima che genera Cristo nel proprio cuore 10 : « Typicum pariter exemplum tribuens, quod omnis anima quae Verbum Dei mente concipit statini excelsa cacumina gressu conscendat amoris ». Il tema della storia della spiritualità medievale è così presentato in perfetta consonanza con le agostiniane prediche di Natale. La generazione di Dio dalle ' buone opere ' si tramuta lentamente in generazione dalla ' interiorità ' n. Quanto fossero diffusi tali concetti lo si può rilevare da una lettera di papa GREGORIO II all'imperatore bizantino Leone. Vi si legge infatti 12 : fin da Origene e Ippolito. Abbiamo già visto che il testo si dimostra qual testo classico in favore della nascita di Dio solo sulla base dei L X X e in relazione a Gal 4,19. Questo significato si è conservato, Se EUSEBIO nel suo Commentario a Isaia (PG 24, 276 C) spiega così l'affermazione sul Logos generato nel cuore: τ ο ν γ α ρ μ ο ν ο γ ε ν ή σου Λ ό γ ο ν ένδον εν τή ε α υ τ ώ ν ψ υ χ ή , la spiegazione del testo con tenuto nei L X X è : ο ΰ τ ω ς ε γ ε ν η θ η μ ε ν τ φ Ά γ α π η τ ω σου. M a fu di rilevante importanza per la mistica occidentale la conservazione di questa esegesi ad opera di GIROLAMO, sotto l'evidente influsso di Origene; cfr. Comm. in Is. 8, 26 (PL 24, 302 B C ) . Si spiega quindi perfettamente perché questo testo, specialmente in rapporto con Gal 4,19, sia riemerso anche nella mistica della nascita di Dio del primo medioevo. Cfr. P S . - A I M O N E D I HALBERSTADT (PL 116, 841 D ) ; ISACCO DELLA STELLA RICCARDO 10
DI
(PL 194, S.
1712C);
VITTORE
(PL
GUERRICO 196,
(PL
185,
123 B;
38 A ) ;
1216 D ) .
Expos. in Lue. 1 (PL 92, 320 B). Alla diffusione di questa teologia patristica ha contribuito anche il cosiddetto CLAVIS MELITONIS, che delle parole praegnans e pariens 11
LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA FINO AL MEDIOEVO
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« At is qui caelo descendit Deus et in uterum sacrac Virginis... intravit, inhabitet in corde tuo ». UGO DI S. VITTORE propone in un suo sermone, sulla base dell'interiore concepimento e generazione di Cristo, il sistema ascetico dell'ascesa dalla fede alla visione di Dio nell'eternità 13. La mistica agostiniana della nascita ha avuto un grande sviluppo in BERNARDO DI CHIARAVAIXE. Questi per la prima volta ha svolto chiaramente e ampiamente il concetto, più tardi assai apprezzato, dell'avvento spirituale di Cristo nel profondo dell'anima 14 . Ogni giorno Cristo vien nuovamente generato nei cuori. « Quotidie videtur et nasci, duna fideliter repraesentamus eius nativitatem » 15 . Il discepolo di Bernardo, GUERRICO ha riprodotto questa dottrina in una omelia: De Verbi incarnatione in Maria et in anima fidelils. Vi troviamo l'espressione più alta della mistica mariana modellata da Agostino e Ambrogio. Maria è l'esempio morale dell'interno dell'anima: dà la seguente spiegazione : « Praegnantes, animae fidelium Verbum Domini nuper concipientes et necdum in opere parturientes » e « Pariens, aure cordis fìdei concipiens et in confessione vel opere generans » (Spicilegium Solesmense III, Parigi 1855, p. 125). 12 Epist. 12 (PL 89, 521A ). 13 Sermo in Antiurti. Dom. (PL 177, 933S). Cfr. anche Quaest. in Epist. Pauli 191 (PL 175, 478 CD). 14 Cfr. Sermones in Adventum Domini, specialmente Sermo 3, 4 (PL 183, 45 BC) e Sermo 5, 2 (PL 183, 51 C). 15 Serm. in Vigil Nat. 6 (PL 183, 112 D). - Cfr. R. LINHAHDT, Die Mystik des hi. Bernhard von Clairvaux, Monaco 1923, p. 192SS: la mistica della nascita di Cristo. 18 Serm. de Annuntiatione B. Virginis 2 (PL 185, 122 D). Anche Isacco della Stella, appartenente al medesimo ambiente di Bernardo, ha esercitato un notevole influsso, e le sue prediche ricordano i toni eckehartiani. Ritorna ancora l'antica questione mistica del « Che giova a me?»: cfr. Serm. in Pentecost. (PL 194, 184 C): « Parum erat, dilectissimi, ut Filius Dei nobis daretur sicut scriptum est: parvulus
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« Ut plenius noveris conceptum Virginis non solum esse mysticum sed moralem, quod sacramentum est ad redemptionem, exemplum quoque tibi est ad irnitationem ». Per avere una misura dell'influsso di questa teologia dell'interiorità sulla mistica classica della grande Scolastica è necessario leggere il trattato di S. BONAVENTURA, De quinque festivitatibus pueri Iesu, specialmente il capitolo: Quomodo Filius Dei in mente devota spiritualiter nascatur17. Con le parole e i concetti di Agostino e di Beda viene offerta al medioevo tutta la ricchezza dell'antica dottrina della nascita di Dio. Anche l'opuscolo De humilitate Iesu Christi18, attribuito a S. Tommaso, è una eco di tale mistica. Il suo autore richiama espressamente le surriportate parole di Beda: Maria è l'esempio d'ogni anima santa, che nel proprio cuore forma e genera il Verbo eterno : « Notandum quod beata Virgo post conceptionem tria legitur fedatus est nobis, - nisi etiam Spiritus Sanctus nobis donaretur ... et haec est Christi prò nobis, de nobis, in nobis natdvitas; quam accepit prò nobis, contulit etiam nobis, ille per Spiritum Sanctum hominis filius de Maria Virgine, nos per eumdem Spiritum Dei fìlii de Ecclesia virgine». - Cfr. anche Serm. io (PL 194, 1725 A): « Gratia est igitur mater quae parit intus in cordibus nostris Iesum ». - Serm. 7 (PL 194, 1715D): «O beata anima quae numquam obliviscitur nec dimittit puerum Iesum, ... crescat, frater, in te Dei Filius, qui iam formatus est in te ». 17 Opusculum 4 de quinque festivitatibus pueri Iesu (Quaracchi VIII, p. 88ss). Cfr. anche p. 88, nota 1 per un'ottima descrizione delle fonti e dei testi paralleli. 18 Opusculum 53 (ed. Romana <5o) De humanitate Iesu Christi Domini nostri (ed. Parm. XVII, Parma 1864, p. 193). - Per la questione della provenienza di questa bella opera, in cui la cristologia di S. Tommaso viene elaborata in una forma mistica, cfr. M. GRABMANN, Die Werke des hi. Thomas von Aquin (Beitràge z. Gesch. d. Phil. u. Theol. d. Mittelalters XII, 1/2), Miinster 1931, p. 347.
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cisse per quae tria designantur mystice, quibus quaelibet anima sancta post conceptum spiritualem Verbi Dei debet insistere ». Nel medesimo ambiente spirituale è vissuto Eckehart. Pur senza introdurci ora nella questione delle sue fonti immediate, possiamo qui individuare con certezza una di queste. Ma dobbiamo seguire anche da un altro punto di vista lo svolgersi fino al medioevo dell'antica tesi patristica della nascita di Dio. E tale aspetto non è meno importante di quello indicato dalla dottrina 'natalizia' di Agostino. L'abbiamo già detto prima: si tratta della storia dell'esegesi del dodicesimo capitolo dell'Apocalisse, la storia del significato di mulier praegnans. IPPOLITO ci ha dimostrato quanto sia antica la figura della Chiesa che partorisce il Cristo mistico : altrettanto antica quanto quella, più storica, della sinagoga, descritta da VITTORINO DI PETTAU 19. Così pure la protesta di Metodio ha mostrato che assai presto si è pensato a una interpretazione in ordine alla nascita storica da Maria 20. La teologia occidentale ha seguito su questo punto le tracce di TICONIO, contemporaneo di Agostino 21. Sappiamo inoltre dal Commentario di BEATO che Ticonio ha stimato almeno degna di considerazione la sobria descrizione di Vittorino 22 . Favorita dalla teologia agostiniana della Chiesa in quanto Corpo " Comm. in Apoc. (CSEL 49, p. 106, iss). 80 Cfr. sopra, p. 545. ai Per quanto riguarda TICONIO cfr. W. NEUSS, Die Apokalypse des hi. Johannes in der altspanischen una altchristilchen Bibel-IUustration 1, Miinster 1931, p. 5ss. 22 BEATO, In Apocalypsim 6, 4 (ed. H. Sanders, Roma 1930), p. 460.
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mistico di Cristo, l'indagine si concentra ora principalmente sulla Chiesa. Il tema di questa esegesi è proposto da GENNADIO DI MARSIGLIA nella sua nona omelia sull'Apocalisse (testo attribuito nel medioevo ad Agostino) : « Semper enim in cruciatibus parit Ecclesia Christum per membra » 2 3 . Beato l'inserisce testualmente nel suo libro e lo illustra con una esegesi, certamente non sua, di Mat 2,4: Erode cerca di uccidere il neonato bambino, come Satana perseguita il sempre nascente Cristo: « Sic in Herode ostensum est Christum iugiter nasci atque ab eo semper requiri... cura enim iam natura cognosceret, non dixit: ubi Christus natus est, sed : ubi nasceretur » 24 . PRIMASIO dice la stessa cosa : « Recte hic caput Ecclesiae Christus in singulis membris dicitur nasci » 25 . Questa interpretazione è solidamente fondata nella teologia latina. In tal m o d o s'è data nuova vita ad una dottrina antichissima. È eloquente soprattutto il fatto che il ' venir sempre generato ', Γάεί della ' quoti diana ' nuova nascita di Cristo nel cuore dei credenti, tanto accentuato da Ippolito e da Metodio (e per essi dalla teologia classica greca), si è conservato anche nella teologia latina (non si è detto però abbastanza chiaramente se debba spiegarsi proprio con questo fatto, insieme col quotidie della suddetta mistica della nascita, Γ ' immer ', ' allezìt ', ' àne unterlàz ', che il Maestro Eckehart ha accentuato con tanta energia). Si può infatti vedere che questa stessa esegesi sulla na23 Cfr. Ps. AGOSTINO, Homil. in Apoc. 9 (PL 35, 2434)· - Per la provenienza di questa Omelia da GENNADIO DI MARSIGLIA, cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. der altkirch. Lit. IV, p. 597S. 24 In Apoc. 6, 26-29 (ed. Sanders, p. 464). 25 In Apoc. 3 (PL 68, 873 D ) .
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scita del Cristo mistico dalla Chiesa ha esercitato un influsso profondo fino alle immediate fonti di Eckehart 26 . C'è inoltre l'influsso, già accennato in Agostino, della forma medievale, in lento sviluppo, della mariologia. Ci si occupa nuovamente della questione se la visione dell'Apocalisse si riferisca ο no a Maria. Ma l'influsso dell'interpretazione tradizionale è troppo forte, tanto che si verifica una combinazione singolare che agisce poi insieme col filone ' natalizio ', di cui abbiamo parlato, sul primo medioevo. Così scrive BERENGARIO: «Eius membra, quem beata Maria Virgo peperit, quotidie Ecclesia parit, quia Christus cum omnibus membris suis unus Christus est » 27. Questa interpretazione è poi tramandata da ALCUINO 28 e soprattutto dallo PS.-AIMONE DI HALBERSTADT. Aimone esamina attentamente la questione : « Ecclesia cuius et Mater Domini membrum erat... ipsa autem beata Dei genitrix in hoc loco personam gerit Ecclesiae. Neque enim omnia quae hic narrantur iuxta litteram beatae Virgini specialiter congruere possunt, sed electorum Ecclesiae secundum mysticam narrationem generaliter 26 Cfr. B E D A (PL 93, 1 6 6 D ) : « Semper Ecclesia dracone licet adversante Christum parit ». - Il senso qui inteso da Beda appare dall'interpretazione originale, secondo la quale la Chiesa genera se stessa: « N a m et Ecclesia quotidie gignit Ecclesiam m u n d u m in Christo
r e g e n t e m » . - ANSELMO D I L A O N (PL 162, 1543 B ) : « I n utero id est
in memoria latet aliquid sicut in utero habens Verbum Dei »; (1544 A ) : « Ecclesia parit Christum quia immittit ipsum in singulis mentibus fidelium ». - Per la dottrina medievale è importante anche R U P E R T O DI D E U T Z , che nel suo libro De Victoria Verbi Dei 3, 10.12 (PL 169, 1277. 1279) ha riprodotto l'antica dottrina agostiniana. Cfr. anche il suo In Apoc. contiti. (PL 169, 1043 A). 27 PL 17, 877 A. 28 In Apoc. comm. (PL 100, 1153 D ) : «Illa (Maria) caput peperit, haec (Ecclesia) membra capitis gignit ».
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conveniunt, in qua quotidie fit hoc signum, quia quotidie concipitur in ea Christus et nascitur » 29. Aimone richiama l'attenzione anche sul noto passo di Mat 12,50. La dottrina della nascita di Dio dalle buone opere, basata su un'interiorità che imiti Maria (come è apparso in Agostino), assume quella forma classica che s'è fortemente impressa nella teologia del primo medioevo. RICCARDO DI S. VITTORE - tanto per nominare solo uno dei testimoni -, citato spesso dal Maestro Eckehart, cosi raccoglie nella sua esegesi dell'Apocalisse i concetti agostiniani: « Sancta Ecclesia totis viribus laborat ut faciendo voluntatem summi Patris mater fiat Christi et eum pariat. Sancta nimirum Ecclesia quae Patri sunt placita perficiendo mater Christi emcitur, quia concipit eum, fecundante eam gratia per fidem, parturit per bonam voluntatem, parit per bonam actionem » 30. In tal modo l'eredità dell'antica teologia perviene anche alla Scolastica, di cui il Maestro Eckehart è un discepolo genuino. ALBERTO MAGNO dice 3 1 : « Christum parit Ecclesia quotidie per fidem in cordibus auditorum». Dalla connessione di questa teologia apocalittica con l'interiorità mariana ispirata ad Agostino potremo facilmente comprendere la teologia medievale della nascita di Dio. Ma prima di esporla è necessario mettere »· In Apoc. comm. 3, 12 (PL 117, 1081 AB). Il Commentario è da attribuirsi certamente ad AIMONE D'AUXERRE. - Anche RUBERTO
DI DEUIZ ripete la medesima interpretazione di Maria, tipo della Chiesa (PL 169, 1043 A) : « Mulier signum erat Ecclesiae totius, cuius beata Virgo Maria portio maxima, portio est optima prò felieitate uteri proprii ». 30 In Apoc. I. IV, 1 (PL 196, 799 AB). 31 In Apoc. comm. 12, 5 (Borgnet 38, p. 656). - Cfr. W. SCHERER, Des s. Albertus Magnus Lehre von der Kirche, Friburgo 1928, p. 3SS.
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in evidenza un altro fermento della sua evoluzione. In seno a questa teologia quasi esclusivamente agostiniana e ambrosiana si verifica un fatto strano: la teologia mistica di Gregorio Nisseno e di Massimo Confessore sulla nascita del Logos viene introdotta da un teologo direttamente nel pensiero occidentale. Tale fatto, importante per la storia della mistica e della spiritualità occidentale, è accaduto quando GIOVANNI SCOTO ERIU32 GENA ha tradotto in latino gli AMBIGUA di MASSIMO , e da queste fonti ha tratto la sua speculazione ostinatamente personale e non del tutto esente da errori 33 . E ciò che è più importante, proprio per la storia della nostra idea, è che Giovanni Scoto non era il solitario uomo bizzarro e incompreso, le cui teorie sarebbero state presto dimenticate. Secondo noi egli ha continuato a vivere grazie alla dottrina della nascita di Dio: il medioevo scolastico, e quindi il Maestro Eckehart, ha avvertito la presenza di questa nuova mistica sistematica, che affonda le sue radici nell'antica teologia cristiana. Ma per qual via? Questo è certo un grosso problema 34 . 33 Sul significato di questa versione cfr. soprattutto gli studi di J. DRASEKE, Maximus Confessor und Johannes Scotus Erigenti in Theo}. Studien u. Kritiken 84 (1911) 20. 204; Gregorius von Nyssa in den Anfiihrungen des Johannes Scotus Erigena, ivi 82 (1909) 330. - H. V. SCHUBERT, Geschichte der christlichen Kirche im Friihmittelalter, Tubinga 1921, p. 463SS e 241S. - H. U. VON BALTHASAR, Kosmische Liturgie, 2 ed., Einsiedeln 1961, p. 19. 33 Per la teologia di Scoto, nei limiti della presente questione, cfr. gli studi di J. BACH, Dogmengeschichte des Mittelalters, v. I, Vienna 1876, pp. 264-314; G. BUCHWALD, Der Logosbegriff des Johannes Scotus Eriugena, Lipsia 1884; Hermann DORRIES, Zur Geschichte der Mystik. Eriugena und der Neuplatonismus, Tubinga 1925; F. VERNET, Erigerle in Dict. de Théol. cath. 5, Parigi 1913, ce. 401-434. 34 Cfr. appresso, p. 125S e 133S, dove si cerca di dare una soluzione alla presente questione.
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Tuttavia, prescindendo da tale questione, la dottrina di Eriugena è interessante, perché è il primo tentativo da parte di un pensatore occidentale di incorporare le antiche teorie della nascita di Dio nel sistema mistico della deificazione dell'uomo. Nemmeno la Scolastica classica l'ha più fatto prima di Eckehart. Massimo è per Eriugena il grande Maestro, il venerabile magister et divinus philosophus35. Le sue parole sull'anima qual ' porzione di Dio ', sulla venuta del Logos qual centro di tutta la storia dei rapporti fra Dio e l'uomo, sulla bipartizione dei saecula e sulla continuazione incessante dell'incarnazione nei cuori dei credenti: tutto ciò e stato trasmesso all'Occidente dalle traduzioni di Eriugena 3e . Questi s'è ispirato a Massimo 3E De divisione naturile 2, 4 (PL 122, 531 A); 5, 38 (955 C). Naturalmente si adduce sempre AGOSTINO a garanzia della dottrina. Così pure AMBROGIO (cfr. PL 122, 936 C; 935 C; 1000 A; 1008 C). Eriugena è certamente il primo a riconoscere la dipendenza di Ambrogio da Origene: cfr. De div. nat. 4, 16 (815 C). Egli è stato anche il primo in Occidente a studiare le opere dello stesso Origene, almeno per quanto riguarda l'opera περί άρχων e il Commentario alla let tera ai Romani: cfr. specialmente De div. nat. 4, 27 (922C ; 929 C). Si deve attribuire a questo studio l'errore fondamentale del libro De divisione naturae, cioè la dottrina erigeniana dell'apocatastasi, per la quale Eriugena trova una conferma negli scritti del venerato GREGORIO NISSENO. Cfr. soprattutto De div. nat. 5,27(9225). Da ciò non potè dissuaderlo nemmeno l'appassionato studio di EPIFANIO DI SAIAMINA, del quale aveva letto VAncoratus. Per tutta la questione, cfr. J. DRASEKE, Johannes Scotus Eriugena und dessen Gewdhrsmdnner in seinem Werke De divisione naturae (Studien zur Geschichte der Theologie und der Kirche LX, 2), Lipsia 1902. 3 · Cfr. la lettera indirizzata a Carlo il Calvo, che Eriugena premette alla sua traduzione. Uno dei temi principali dell'opera, egli dice, è quello della venuta della Bontà divina e il ritorno del creato mediante la deificazione : « Quomodo praedicta quidem divina in omnia processio αναλυτική dicitur, hoc est resolutio; reversio vero θέωσις, hoc est deificatio » {Mon. Gemi. Epist. VI, p. 162, n. 22ss: PL 122, 1196 A). - La frase principale di Massimo sulla continuazione eterna
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anche nella sua teologia della nascita di Dio. Infatti pure in Eriugena la deificazione dell'uomo mediante l'incarnazione del Logos - mistero della grazia che trascende ogni conoscenza - è il pensiero dominante di tutto il sistema. « Ut ergo superai omnem intellectum quomodo Dei Verbum descendit in hominem, ita superai omnem rationem quomodo homo ascendit in Deum » 37 . È certo per un gusto esageratamente platonico del sistema che Scoto trascura una parola che in Massimo è sempre presente : il Logos è disceso θ-έλων, liberamente e per amore 3 8 . Proprio qui Eriugena s'è imbattuto nel pericolo d'un sistema che considera la venuta del Logos come un necessario processo cosmogonico. La forza della tradizione, tuttavia, è tanta e l'autenticità della fede in Eriugena è cosi fuor di dubbio, che possiamo stimare anche il suo sistema, nel comdella nascita di Dio (cfr. sopra p. 83S) nella traduzione di Eriugena suona così : « Vult enim semper et in omnibus Dei Verbum et Deus suae incorporationis operari mysterium » (PL 122, 1206 C). 37 De div. nat. 2, 23 (576 C). Eriugena riferisce espressamente l'ascesa dell'anima umana per la virtù divinizzante del Logos incarnato anche alla mistica visione di Dio che si ottiene quaggiù con la grazia. Cfr. In Ioann. comm. (PL 122, 319 D): « Exitus ergo eius a Patre humanatio est, et reditus eius ad Patrem hominis, quem accepit, deificatio ». Cfr. anche Homil. in Prol. Ioan. (295 C) : « Ad hoc siquidem Verbum in carnem descendit, ut in ipsum caro, id est homo, credens per carnem in Verbum ascendat... non propter se ipsum Verbum caro factum est, sed propter nos, qui nonnisi per Verbi carnem potuissemus in Dei filios transmutari; solus descendit, cum multis ascendit; de hominibus fedt deos, qui de Deo fecit hominem ». 88 Cfr. sopra p. 82. Massimo dice ciò consapevolmente; il suo raffinato senso teologico intuisce nell'AREOPAGiTA, suo garante, il pericolo proveniente da PLOTINO e GIAMBUCO, quello cioè di confondere nell'unico sistema delle processioni divine l'azione libera della venuta del Logos e la necessità della sua processione dal Padre. Dalla medesima accusa si deve difendere anche la dottrina del Maestro ECKEHAET.
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plesso, come una fedele riproduzione della classica dottrina dei Padri greci. Fin dalla venuta del Logos nella nascita dalla Vergine, Cristo è l'unico uomo perfetto che raccoglie in sé tutta la natura umana. La teologia di Ippolito del εις άνθρωπος τέλειος 3 9 , giunta a Massimo tramite Cirillo Alessandrino, vien qui pro posta ancora una volta 4 0 . Poiché in questo vir perfectus et unus4*1 è contenuta (in senso platonico) tutta la natura umana 42, per la nascita dalla Vergine e la morte in croce tutti gli uomini sono stati teoricamente redenti, di diritto e nella speranza : « Spe, non re ; fide, non specie; argumento, non generaliter » 43 . Nell'unico Cristo essi sono riuniti in un solo Corpo, la Chiesa 44 . In virtù di tale unità la ' deificazione ' dell'uomo si sviluppa secondo la medesima legge che vige per l'unico 3!
Cfr. sopra p. 37S. Naturalmente si fece sentire anche l'influsso di AGOSTINO, cui si deve appunto la dottrina dell'unico uomo Gesù Cristo. Cfr. specialmente De peccai, mentis et remissione 1, 31 (PL 44, 144) e GREGORIO MAGNO, Moral. 27, 15, 30 (PL 76, 416 C): due testi die attraverso la Catena di S. Tommaso d'Aquino fecondarono anche la mistica tedesca, come si vedrà meglio appresso, p. 140, nota 18. 41 De div. nat. 5, 38 (995 A): «Christus cum toto et in toto suo corpore quidam perfectus et unus vir, caput in membris et membra in capite s. Cfr. anche De div. nat. 4, 1 (743 AB), dove si dice che l'amore ardente delle tre Persone divine ci ' trasforma ' nell'uomo perfetto Cristo : « Ex informitate quadam imperfectioms nostrae post primi hominis lapsum in virum perfectum, in plenitudinem aetatis Christi (nos) educant. Vir autem perfectus est Christus ». 42 Cfr. soprattutto De div. nat. 5, 25 (91OSS). Nel capitolo 5, 27 (92iss) appare la relazione, già evidente in Origene, delle poco chiare idee sull'unità della natura assunta dal Logos con la dottrina dell'apo40
catastasi. - Cfr. G. BUCHWALD, op. cit., p. 54ss; J. BACH, op. cit., p. 309. 43
De div. nat. 5, 25 (913 A). Per il concetto della Chiesa in Eriugena, cfr. H. DORRIES, op. cit., p. 83SS. - Sono di particolare importanza i luoghi De div. nat. 5, 38 (IOIIS); 4, 20 (835SS); In Ioan. comm. (PL 122, 326 B-D). 44
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e perfetto uomo, Cristo : « Impium est negare quod factum est in capite, in membris futurum esse » 45 . L'ascesa al Padre eterno, dal quale procede il Logos in questo è fondata la deificazione dell'uomo -, è l'ascesa dell'unico Cristo. « Unus itaque Christus corpus cum membris ascendit in Patrem » 46. Lo svolgimento storico della redenzione è dunque un formarsi del medesimo Verbo incarnato. Sempre, ogni giorno, Cristo edifica la sua Chiesa, il suo Corpo 47 . « Solamente se diviene partecipe della vita di Cristo nella Chiesa e Cristo prende forma in lui, l'uomo è capace di santità » 48 . Si rinnova qui l'antica teologia della μόρφωσις έν πνεύματι nell'intimo dell'uomo 4 9 : « Nemo ascendit in Christo ad Patrem, nisi qui ex Spiritu nascitur, ut conformis fiat imaginis Filii Dei, id est ut Christus in ilio formetur et unum cum Chri sto sit ». È però la più intima legge esistenziale del Logos ad esigere ch'egli riceva la natura divina per generazione, che proceda dal cuore del Padre (ritorna in Eriugena anche questo antico concetto). Il Logos procede dal misterioso ' seno materno ' del Pa45
De div. ned. 2, 23 (575 C). " In Ioan. comm. (319 D): « Omnes quos salvavit, in ipso ascendimi, nunc per fidem in spe, in fine vero per speciem in re ... solus itaque descendit et solus ascendit, quia ille cum omnibus suis membris unus Deus est, unicus Filius Dei. In ipso enim omnes credentes in ipsum unum sunt; unus itaque Christus, corpus cum membris, ascendit in Patrem ». « De div. nat. 5, 38 (994 D). 43
J. BACH, op. cit., p. 312.
** In Ioan. comm. (320 C). - Cfr, i versi greci del poema De Verbo incarnato 34.35 (Mon. Germ. Poetae latini III, p. 538s) : ών τέλος, ων αρχή πάντων, ών 8ντα τα είσΐν, ών αγαθός καΐ καλός, κάλλος, μορφών τε χαρακτήρ.
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dre 5 0 : «Ex corde, hoc est ex secretis sinibus Dei et Patris Filius nascitur » 51. Quindi tutto ciò che deve il proprio essere al Logos ο che in lui ο per lui è stato creato, deve essere una continuazione di quella nascita eterna, specialmente nei cuori di quanti nella Chiesa son divenuti le membra viventi del Logos incarnato 52. Giacché tale unione col Cristo mistico ha nel battesimo il suo principio, nella nascita da Dio e dalla Chiesa 53, il 50 De div. nat. 2, 20 (558 B): « Uterum He intellige secretos paternae substantiae sinus, ex quibus Unigenitus Filius, qui est Verbum Patris, natus est, et de quibus semper nascitur et in quibus, durn semper nascitur, semper manet ». 41 De div. nat. 2, 33 (611 B). - Cfr. anche Homil. in Prol. Ioan. (PL 122, 287 B) : « Et quid eructavit cor suum? Ipse exponit: Verbum bonum dico, Verbum bonum loquor, Filium bonum gigno. Cor Patris est sua propria substantia, de qua genita est Filli propria substantia ». - Lo stesso concetto ricorre in De div. nat. 2, 20 (557 A). — De Verbo incarnato 26.46 (Mon. Gemi. Poet. lat. Ili, p. 538: PL 122, 1251 B): « Verbum cuncta creans natum de pectore Patris, quem Pater occultum gremio velabat opaco ». S! Secondo la dottrina di Eriugena la rivelazione di Dio nella natura creata è già una ' teofania ', splendore della presenza divina, vera continuazione dell'eterno dicere Verbum. Homil. in Prol. Ioan. (293 C) : « Caelestis Pater si Verbum suum loqui cessarit, effectusVerbi, hoc est universitas condita non substiterit. Universitatis namque conditae substitutio est et permanens Dei Patris locutio, hoc est, aeterna et incommutabilis sui Verbi generatio ». - Cfr. anche De div. nat. 2, 20 (556 CD). - In misura molto maggiore la rivelazione che Iostesso Cristo ha portato è una continuazione della generazione eterna. Cfr. De div. nat. 3, 9 (642 B): «Verbum... ipsum est Patris dicereet dictio et sermo, sicut ipse ait in Evangelio: et sermo quem locutus sum vobis non est meus sed ipsius qui misit me. Tamquam apertediceret: ego, qui sum sermo Patris, qui locutus sum vobis, non sum meus, sed loquentis in me Patris et ex secretis substantiae suae sinibus me gignentis ». - Questa generazione si perpetua così nei singoli uomini soprattutto all'apice della mistica esperienza di Dio; anch'essa si verifica nel segreto del cuore, nell'intimo : « In secretissimis sinibus memoriae»: De div. nat. 2, 23 (579 C). 53 In Ioan. comm. (315 B). Per la teologia del battesimo in Eriugena cfr. anche i passi del Commentario 308 A, 310 C, 311 A.
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battesimo è pure la vera nascita del Logos nel cuore del credente. È assai significativo che in Eriugena appaia ancora una volta il significato della rigenerazione battesimale. Egli non l'ha certamente appreso dalla teologia postagostiniana del suo tempo, ma si tratta d'una genuina eredità dell'antica teologia, pervenutagli direttamente da Gregorio e da Massimo. In detto sistema il battesimo è la vera continuazione della processione eterna dal Padre e della nascita del Logos dalla Santa Vergine 54 : « Dum enim unusquisque fidelium baptismatis subit sacramentum, quid aliud ibi peragitur nisi Dei Verbi in eorum cordibus de Spirito Sancto conceptio atque nativitas. Quotidie igitur Christus in utero fidei veluti castissimae Matris visceribus et concipitur et nascitur et nutritur ». La nascita del Logos nel battesimo è però solo il principio della vita spirituale55; si svolge quindi nel cuore la misteriosa e sempre più intensa vita del Verbo eterno, che in esso vuol prender forma. Il cuore è il luogo dell'ascesa al Padre, della divinizzazione fino all'esperienza mistica : « Ipse Christus in cordibus diligentium sequentiumque se ascendit » 56. Si ripete ogni 54
De div. nat. 2, 33 (611 CD). Eriugena ripete insistentemente che la grazia battesimale è solo un ' inizio ', il principio del processo generativo che deve giungere a compimento nell'ascesa al Padre per Cristo nello Spirito Santo. Cfr. Homil. in Prol. Ioan. (293 B) : « Per generationem gratiae, quae datur in baptismate, in mundum veniunt invisibilem ... in mundum qui desursum est ascendentes, filii Dei fieri inchoantes ... in mundum virtutum totis viribus ascendere inhiantes ». - In Ioan. comm. (313 B): « Grafia baptismatis purgantur inchoantes per Spiritum in Christo renasci». - Ivi (318 A): « Redit ad Patrem per eumdem Filium nascentes ex se (Spiritu) in divinam filietatem reducens ». «· De div. nat. 5, 38 (999 B). 65
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giorno nel cuore del credente la mistica rappresentazione della vita e della morte di Cristo; tutta la vita virtuosa fino alla limpida visione e all'amore ardente è per Eriugena solo « l'energia del Capo, la cui vita pneumatica prende forma nell'umanità come nelle proprie membra » 57 . « Itaque in suis fidelibus Christus quotidie moritur ... Agnus Dei in cordibus fidelium mactatur et mactando vivificatur » 58 . E poiché secondo Eriugena l'intima essenza d'ogni virtù è la virtù increata del Logos, anche l'ascesa interiore dell'anima, la trasformazione del cuore, è un ' farsi ' di Dio 59. In tal senso, dice Eriugena, si potrebbe anche parlare d'un vero feri del Logos - ciò non è che quanto ha detto Massimo della mistica incarnazione del Logos, e non deve essere perciò inteso nel senso d'un evoluzionismo panteistico 60. Il formarsi e il crescere del Verbo incarnato è però, 57
58
J. BACH, op. ut., p. 309.
In locai, comm. (312 AD). Riferendosi a Massimo, Eriugena vede nella stessa creazione naturale un misterioso ' farsi ' del Logos: De div. nat. 3, 16 (671 C): « Quomodo autem et qua ratione Dei Verbum in omnibus quae in eo facta sunt, fit, mentis nostrae aciem fugit ». - Fanno parte di questa speculazione espressioni che suonano addirittura come ' eckebartiane ' e che potrebbero nascondere dei concetti panteistici, se a ciò non si opponessero altrettante espressioni inoppugnabili - proprio come in Eckehart. Cfr. De div. nat. 3, 17 (678 C): « Debemus intelligere Deum et creaturam non duo a seipsis distantia sed unum et idipsum. Nam et creatura in Deo est subsistens et Deus in creatura mirabili et ineffabili modo creatur, seipsum manifestane, invisibilis visibilem se faciens ». - Ciò si connette col concetto del Logos ' natura omnium ' (non in senso panteistico), forma originaria di tutto il creato. Eriugena può qui ben riferirsi a BASILIO, Homil. 8, 1 in Hexaem. (PG 29, 164 D): άλλ'ό θείος Λόγος φύσις εστί τ ω ν γινομένων. Cfr. De div. nat. 3, 21 (648 C). In questo luogo per un giudizio su Eriugena bi sogna certamente attenersi a quanto è stato detto sopra, p. 119, nota 38. 80 Una volta Eriugena affida alle parole del suo avversario questa idea fondamentale : « Quomodo enim supra omnia Deus invisibilis, ss
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secondo Eriugena, un continuo nascere. Egli condensa in queste parole tutta la sua dottrina della santificazione dell'uomo per opera del Verbo incarnato 61 : « Divina natura fieri dicitur, dum in iis, qui fide, spe et caritate ceterisque virtutibus reformantur, mirabili atque ineffabili modo innascitur, sicut Apostolus de Christo ait loquens : qui factus est in nobis sapientia a Deo ». Solo ora, dopo aver esposto la teologia di Eriugena sulla nascita di Dio, possiamo adeguatamente valutare il pensiero di quei teologi che si considerano come fonti immediate del Maestro Eckehart. La mistica del secolo XII, di decisiva importanza per la formulazione definitiva della mistica della nascita di Dio, non può esser compresa, sacondo noi, senza l'apporto di Eriugena. Già M. JACQUIN aveva richiamato l'attenzione sul fatto che ogni volta che si è fatta un'indagine sulla mistica cistercense s'è dovuto costatare l'influsso della incorporalis, incorruptibilis, potest a seipso descendere et se ipsum in omnibus creare ut sit omnia in omnibus ? "De div. nat. 3, 20 (684 B). E alludendo a Giov. 1,3 risponde (684 C): «In omnibus fit, sine quo nihil esse potest ». - Questo fieri è infatti una continuazione dell'intima natura del Logos : il Verbo è essenzialmente ' generato ' ; quindi ogni sua riproduzione nel creato è un nascere, e per questo un ritorno al principio originario della generazione, al Padre. Cfr. Homil. in Prol. Ioan. (287 A) : « Nam ipsius ex Patre generatio ipsa est causarum omnium conditio ... per generatìonem quippe Dei ex Deo principio facta sunt omnia ». - Per la dottrina di Eriugena sull'universalità della venuta del Logos, cfr. De div. nat. 5, 38 (999 CD); 3, 20 (684 A). - In loan. comm. (319 CD). - Per il sistema cristologico di Massimo Confessore, cfr. H. U. VON BALTHASAR, Kosmische Liturgie, 2 ed., Einsiedeln 1961, pp. 204-273. 61 De div. nat. 1, 12 (454 A). - La nascita di Dio, della quale si parla nel testo, attuantesi nella creazione della soprannatura, è posta ancora in rapporto col ' farsi ' della natura divina attraverso la rivelazione nella natura creata.
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teologia criugeniana62. E. GILSON ha dato anche lui il suo contributo alla questione, dimostrando l'influsso immediato di Eriugcna sulla mistica di S. Bernardo il pensiero di Massimo si perpetua nella mistica della Scuola di Bernardo grazie alla versione degli Ambigua 63. Senza inoltrarci ora in uno studio dettagliato, ricordiamo in genere che questo influsso s'era fatto sentire soprattutto in relazione alla teologia della nascita di Dio, della quale ci stiamo occupando. La sistematica con la quale Ugo di S. Vittore costruisce con i concetti agostiniani un'intera mistica della nascita di Dio, è dovuta certamente alla speculazione di Eriugena, che Ugo chiama il ' teologo moderno ' 6 4 , e del cui commentario all'Areopagita si è largamente servito 65. Anche il summenzionato testo classico di Riccardo di S. Vittore ci rammenta Eriugena 6e . Poiché, secondo Jacquin, si studiava Scoto con particolare diligenza soprattutto nei chiostri cistercensi67, è ovvio che la straordinaria predilezione per la sistematica della nascita di Dio, ben " M. J A C Q U I N , Vinfluence doctrinale de Jean Scot au début du XlIIe siede in Revue des sciences pini, et théol. 4 (1910) 106. - Cfr. anche M. GHABMANN, Die Geschichte der scholastischen Methode, v. I, Friburgo 1909, p. 206. 83 E. GILSON, Maxime, Erigine, S. Bernard: Aus der Geisteswelt des Mittelalters, Munster 1935, p p . 188-195. - Si tratta d'un testo di BERNARDO, De diligendo Deo io (PL 182, 991 AB), preso quasi alla lettera da SCOTO, De div. nat. 1, io (PL 122, 450 A) e proveniente in ultima analisi da MASSIMO. 84 Erud. didasc. 3, 1 (PL 176, 865). - R I C C A R D O DI S. VITTORE ne ha fatto una descrizione in Excerpt. prior. 24 (PL 177, 202). 65 Expos. in cael. hierarch. Dionysii 2 (PL 175, 945 C ) . I passi fondamentali del De div. nat. di Scoto sono riportati da GILSON, op. cit., p . 192. ·· Cfr. sopra, p. 109. Il parallelismo fra Logos e voluntas Patris ricorda da vicino SCOTO, De div. nat. 3, 17 (PL 122, 672 D ) . "
M. J A C Q U I N ,
op. cit.,
p.
106.
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riconoscibile negli scritti mistici di questo ambiente, è da mettere in relazione con l'influsso del pensatore irlandese. ISACCO DELLA STELLA dipende evidentemente da lui 68 . Ancor più chiaramente possiamo individuare lo spirito di Scoto nella teologia di GUARNIERO DI ROCHEFORT. La sua speculazione sul Logos deriva da Eriugena69. A proposito della dottrina delle teofanie egli cita due volte esplicitamente il suo Maestro Scoto 70 e fa propria anche la teoria tanto cara ad Eriugena, secondo la quale la stessa creazione della natura è in fondo un efflusso della generazione eterna del Logos 71. Guarniero è dunque un classico testimone della vitalità con la quale in questo ambiente anche la dottrina della mistica nascita di Dio si è introdotta nel sistema teologico che fa iniziare con l'incarnazione del Logos l'ascesa dell'uomo deificato72. Il quotidie di Agostino si congiunge qui col quotidie di Eriugena : « Formatur in nobis quotidie per devotionem operis... per devotionem quotidie formatur in fideli corde » 73. Il ' sempre generato Logos ' 7 4 perpetua nel cuore del credente · • ISACCO DELLA STELLA, De anima (PL 194, 1888 B). - Anche ALANO D I LILLA subisce l'influsso di Scoto. Cfr. M . BAUMGARTNER,
Die Philosophie des Alanus ab Insulis, Miinster 1896 (Beitrage z. Gesch. d. Phil. d. Mittelalters II, 4), p. 13S. ·· GUARNIERO, Semi, de Nativ. Domini 5 (PL 205, óoos). '" Serm. in Epiph. 2 (PL 205, 631 B ) . " Serm. in Appar. Doni. 8 (PL 205, 627 A B ) : «Illa nativitate qua plasmavit nos, secundum quam aeternaliter natus est de Patte sine matte ... per potentiam qua natus est de Patre aeternaliter, nati sumus temporaliter ». 72 Serm. de Nat. Dom. 6 (PL 205, 613 B ) : «Voluit ergo Deus fìlius hominis fieri, ut homines essent filii Dei ». ,3 Serm. in Appar. Dom. 8 (PL 205, 627 D, 628 A). 74 Cfr. la sua speculazione ispirata in tutto ad AGOSTINO, ma che ricorda anche alcuni passi del Commentario a Giovanni di Eriugena.
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la sua nascita dalla Vergine : « Virgo turbata concepit, impraegnata est et parturivit. Exemplum dedit tibi ut tu turberis timore, concipias tamen cogitatione, impraegneris dilectione, delectatione parturias in salutis operatione »75. A questo punto dobbiamo ricordare ancora una volta RICCARDO DI S. VITTORE. Questi, che fu poi letto avidamente da Eckehart, è il teologo in cui tutta la ricchezza della spiritualità agostiniana s'unisce al vigore della sistematica, che possiamo facilmente spiegare con l'influsso del pensiero eriugeniano. È significativo che nella teologia di Riccardo la generazione battesimale abbia nuovamente una funzione determinante nella costituzione della vita spirituale. Nell'impenetrabile profondità del cuore l'anima si unisce al Logos 76 . L'inabitazione di Cristo nel cuore è essenzialmente un effetto della generazione battesimale; la gratta mater genera in noi la nuova vita, l'inabitante Cristo 77 . Da quel Essa è certamente importante per la speculazione mistica sul sempre nascente Logos. Serm. de Nat. Dom. 5 (PL 205, 602 D). 75 Serm. de Nat. Dom. 6 (PL 205, 614 C). Anche qui si ha una chiara allusione al testo di Is 26,18. '« RICCARDO DI S. VITTORE, Degradibus caritatis 4 (PL 196,1206 C) : « Profundum est cor hominis et inscrutabile, homo enim secretus sibi est quod solus sui ipsius noscat quod interius ». In questa segreta intimità del cuore umano ha luogo l'abbraccio col Logos. Secondo le più recenti indagini, (cfr. Lexikon f. Theologie und Kirche Vili, Friburgo 1963, e. 12935) il libro ' De gradibus caritatis ' non è di Riccardo. " Explic. in Cantic. 6 (PL 196, 422 A) : « Mater nostra est gratia Spiritus quae spiritualiter nos regenerat, cuius domus est humana mens in qua eadem gratia suscipitur. In hanc domum Dilectum cupit introducere ut sicut hunc invenit ita cum ilio maneat et inhabitet... manet in illa anima Christus, qui virtutes eius possederit ». - Per questa inabitazione cfr. anche l'antica dottrina del ' Verbo saltante ' (ivi 475 A), e quella dell'ascolto interiore del Logos che parla (473 D).
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momento ogni spiritualità diventa un quotidiano nascere di Cristo, uno sviluppo effettivo della grazia battesimale : « Per Spiritum Sanctum in hoc sacramento datum deposita vetustate quotidie renovamur in cognitione et amore Dei »78. Ciò non è, tuttavia, che il quotidiano ripetersi del mistico avvento del Logos: « Quotidie enim in devotis venit, quia eos renovat et gratiam in eis cumulat » 79. Principio di questa crescita interiore è l'amore. Riccardo spiega l'ascesa mistica in un sistema di gradi d'amore: il più alto è quello della fecondità, in cui si verifica la nascita di Dio, caratteristica della mistica propriamente detta 80 . Ed è qui indicativo il riapparire dei due antichissimi testi di Is 26,18 e Gal 4,19. Nessun dubbio che Riccardo sia l'erede della theologia cordis dei Padri della Chiesa 81 . Questo processo spirituale si spiega dal fatto che Cristo vien formato nel cuore : « Ad hoc ergo iuvari se petit anima et eo usque proficere, quatenus Christus formetur in ea et vivat iam non ipsa, sed vivat in ea Christus » (421 C). 78 De superexcellenti baptismo Christi (PL 196, 1017 A). Anche qui troviamo delle idee sulla relazione tra il battesimo e il corpus Christi (1014 B-D) e sull'inabitazione di Cristo nel cuore: « Fides enim Christi in corde tuo, Christus est in corde tuo » (1016 B). - Di questo opuscolo sul battesimo di Cristo solo il prologo si può attribuire con sicurezza a Riccardo. La parte principale proviene invece da GUALTIERO DI S. VITTORE.
'» Expl. in Cantic. 32 (PL 196, 495 C). 80 De quattuor gradibus violentile caritatis (PL 196, 1216 D, 1217 A). Cfr. Expl. in Cantic. 23 (PL 196, 473 D) : « Anima cum in gratia creverit et pietatem conceperit, tunc mater fit». - Cfr. G. DUMEIGE, Richard de St. Victor et l'idée chrétienne de la charité, Parigi 1952. 81 Si considera come propagatore delle idee di Eriugena specialmente ONORIO D'AUTUN, che nella sua opera Clavis physicae presenta un estratto dal De divisione naturae. Cfr. A. ENDRES, Honorius Augustodunensis, Kempten-Monaco 1906, p. 64SS. Poiché il Clavis physicae è ancora inedito, non si può qui fare un confronto. Nel commentario di Onorio al Cantico dei Cantici (PL 172, 433 B) qualche descrizione
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DEI
PADRI
Un altro aspetto caratteristico di questo nuovo sviluppo della teologia della nascita di Dio è l'unione della nascita mistica di Dio con la teoria delle età del mondo 82 ed anche in ciò ci si può riferire ad Eriugena, che nel suo sistema ha collocato arditamente l'incarnazione di Cristo al centro della storia del mondo. La triplice nascita del Logos definisce la partizione di tutta la storia : l'origine eterna dal Padre, la nascita temporale dalla Vergine e quella mistica dal cuore del credente. Con ciò s'accorda pure la nota dottrina di Bernardo sui tre avventi di Cristo, il secondo dei quali, quello mistico, corrisponde alla nascita di Dio nel cuore. Un'allusione a questa triplice nascita si ha nelle tre Messe di Natale. In tal forma anche Innocenzo III (ovviamente nel periodo dei suoi studi parigini) ha accolto la suddetta dottrina. « Christus enim per affectum concipitur, per efFectum nascitur » 83 : così egli s'esprime con le parole della mistica di S. Vittore. Fu lui principalmente a introdurre questa spiegazione delle tre Messe di Natale nella letteratura spirituale. Questa triade dovrebbe simboleggiare la triplice nascita di Cristo : « Divinam ex Patre, carnalem ex matre, spiritualem in mente. Ex Patre nascitur Deus, de matre natus est caro, in mente
della incamatio e della deificatio ricorda un po' Eriugena. Per il resto la sua descrizione ricalca gli stessi concetti che abbiamo riscontrato in Riccardo di S. Vittore. 82 Sulla teoria delle tre età del m o n d o e la sua relazione alle tre messe di Natale, cfr. O N O R I O D ' A U T U N (PL 172, 729 D; 645); U G O DI S. VITTORE (PL 177, 441 CD ; 877 C D ) ; G I O V A N N I BELETH (PL 202,
76s); D U R A N D O , Rationale de officiis domin. etfest., Lione 1574, P- 276; PIETRO LOMBARDO (PL 191, 1217). 83 Serm. de Nat. Dom. 3 (PL 217, 461 B). Ivi (460 D ) , si allude a Mat 12,50.
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nascitur spiritus » 84 . La dottrina di Innocenzo non è importante solo perché ricomparirà nella mistica di 85 TAULERO , ma anche e soprattutto perché essa è entrata con le medesime caratteristiche nella teologia di S. Tommaso d'Aquino. La speculazione propriamente mistica sulla nascita spirituale di Dio non ha lasciato altrimenti nessuna traccia nella teologia dell'Aquinate S6. In un sol luogo Tommaso parla esplicitamente della nascita di Dio, nel medesimo senso della teoria (a lui ben nota dagli scritti di Innocenzo ο forse anche appresa dai circoli ascetici) della triplice nascita simboleggiata nelle Messe di Natale : « Alia (nativitas) autem est temporalis, sed spiritualis, qua scilicet Christus oritur tamquam lucifer in cordibus nostris » 8 7 . In 81 Ivi (459s). Sull'avvento mìstico nell'anima cfr. Serm. in Adventum Domini 4 (PL 217, 329 BC). 85 Cfr. la famosa predica di TAULERO ' Le tre nascite ' (Die Prediteti Taulers, a cura di FEHD. VETTEE, Berlino 1910, p. 7ss). La mistica della nascita di Dio in Taulero è impregnata dell'agostiniana ' spiritualità del Natale ', di cui abbiamo parlato, in misura maggiore rispetto alla mistica del Maestro Eckehart, che annoda più chiaramente la sua speculazione alla nascita eterna del Logos ed è perciò più affine a Scoto e a Riccardo di S. Vittore. 86 Prescindiamo qui dalla teologia della grazia dell'Aquinate, dalla quale la successiva mistica della nascita di Dio è stata arricchita in modo sostanziale. Anche secondo Tommaso la grazia è una trasformazione dell'anima in immagine del sempre nascente Logos. Cfr. specialmente Summa Theol. I, q. 43, a. 5, ad 2: «Anima per gratiam conformatur Deo. Unde ad hoc quod aliqua persona divina mittatur ad aliquem per gratiam, oportet quod fiat assimilatio illius ad divinam personam quae mittitur per aliquod gratiae donum ... Filius autem est Verbum, non qualecumque, sed spirans amorem ». Cfr. anche Summa Theol. I, q. 43, a. 6 ad 2, dove si trova un concetto tanto significativo per la storia della spiritualità: la differenza fra la missio Filli, che è avvenuta una sola volta, e la ripetizione incessante del progresso ascetico che ne consegue. Si crede che in questo luogo l'Aquinate avesse in mente la teoria mistica del sempre nascente Logos. *' Summa Theol. Ili, q. 83, a. 2 ad 2.
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una predica natalizia, che però difficilmente appartiene all'Aquinate, ritorna ancora la medesima dottrina: « Circa nativitatem sciendum hic, quod triplex est eius nativitas, aeternalis ex Patre, temporalis ex matre, spiritualis ex corde. Hoc significant tres missae in die nativitatis » 88.
88 Sermo de Nat. Dom. (Opera omnia, ed. Vivès, Parigi 1876, tom. 29, p. 287). Cfr. M. GHABMANN, Die Werke des hi. Thomas von Aquin, Miinster 1931, p. 329SS.
6. LA QUESTIONE DELLE FONTI DI ECKEHART
Solo ora, dopo aver esposto la lunga storia della teologia della nascita di Dio, possiamo convenientemente discernere l'eredità della tradizione e i beni allodiali della mistica del Maestro Eckehart. Una cosa è certa: il contributo specifico di Eckehart non sta nel contenuto, ma nella forma geniale, nella magnifica intonazione con la quale ha posto la teologia della nascita di Dio al centro, accuratamente definito, della sua mistica. L'idea gli è pervenuta da diverse fonti, è antichissima e, come abbiamo visto, è uno degli elementi essenziali della mistica cristiana di tutti i tempi. Essa è perciò così adeguata alla definizione fondamentale del fenomeno mistico, che nel corso della sua storia è posta sempre al centro, ogni qual volta i mistici costruiscono un sistema teologico in base alle loro esperienze interiori. La linea storica di questa affinità ideale va da Origene a Massimo per il tramite di Gregorio Nisseno, e di qui a Scoto Eriugena e ad Eckehart. Alla luce di queste considerazioni s'attenua l'importanza delle tante piccole questioni sull'indicazione precisa delle fonti dalle quali il Maestro Eckehart ha desunto la sua dottrina della
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nascita di Dio. Possiamo tuttavia contribuire alla soluzione del problema delle fonti di Eckehart, sempre importante per la storia della spiritualità. In ogni caso si dovrà definire se esiste tutta intera la produzione latina di Eckehart. Noi abbiamo preso come base l'opera preferita di Eckehart, il Commentario a Giovanni, per indicare le linee entro le quali si può svolgere una feconda ricerca delle fonti 1 . Non ci inoltreremo qui nello studio del contenuto della dottrina eckehartiana della nascita di Dio, che per ora è meglio lasciare da parte 2. Il nostro cammino attraverso la storia di questa dottrina ci indica chiaramente quanto sia stata giusta la condanna ecclesiastica delle proposizioni eckehartiane sulla nascita di Dio, così come sono. Ma è pure certo, soprattutto dopo l'autodifesa del Maestro 3, che egli ha voluto intendere 1 Poiché dell'edizione critica del commentario latino a Giovanni del Maestro Eckehart, del 1936-1953, non sono usciti che 4 fascicoli (MEISTER ECKEHART, Die ìateinischen Werke, v. Ili, Stoccarda 19361953, Expositio S. Evangeli! secunium Iohannem), noi citeremo secondo il manoscritto Cod. 21 della Biblioteca dell'Ospedale di Cues, Folio 8 7 v b - i 3 4 v a . 2 Un'ottima esposizione della dottrina eckehartiana della nascita di Dio è stata fatta da H. PIESCH nell'opera di O. K A R R E R - H . PIESCH, Meister Eckeharts Rechtfertigungsschrift vom Jahre 1326, Erfurt 1927, pp. 25-51. Cfr. anche Ò. KARRER, Meister Eckehart. Das System seiner religiiisen Lehre und Lebensweisheit, Monaco 1926, p. 339SS. - J. B E R NHARDT, Die philosophische Mystik des Mittelalters, Monaco 1922, p. I91ss. - M. PAHNKE, Meister Eckeharts Lehre von der Geburt Gottes itti Gerechten in Archiv JUr Religionswissenschaft 23 (1925) PP· 15,252. A. DEMPF, Meister Eckehart, cine Einfiihrung in sein W e r k , Lipsia 1934, pp. 213,218. - K. "WEISS, Die Seelenmetaphysik des Meister Eckehart in Zeitschrift fiir Kirchengeschichte 52 (1934) p. 467; cfr. specialmente l'appendice, p. 521, sulla generatio e ììfiliatio. * Per l'autodifesa dell'anno 1326 cfr. l'edizione di G. T H É R Y : in Archives d'histoire doctrinale etlittéraire du moyen àge 1 (1926) pp. 129-268. A. DANIELS, Eine lateinische Rechtfertigungsschrift des Meister Eckehart
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la sua dottrina della nascita di Dio assolutamente nel senso dell'antica tradizione dei Padri a lui ben nota. Ciò dà per molti versi all'indagine sulle fonti della teologia della nascita di Dio il carattere d'una difesa della sua dottrina. Noi riprendiamo qui e completiamo quel che lo stesso Eckehart ha fatto, preoccupandosi di portare in propria difesa le auctoritates dei Padri della Chiesa. L'altra questione è senza dubbio quella dell'(«/Z«550 di Origene su Eckehart, perché qui si incontrano la fine e il principio della suesposta storia dell'idea. Con evidente piacere Eckehart si richiama alla nona Omelia di Origene su Geremia, in cui si parla della nascita continua e incessante del Logos eterno nel cuore del credente 4. Egli aveva conosciuto questo testo special(Beitràge z. Gesch. d. Phil. d. Mittelalters 23, 5), Munster 1923. - Queste dichiarazioni di Eckehart vanno completate con gli atti del processo ad Eckehart di Avignone, recentemente rinvenuti. Cfr. FR. PELSTER, Ein Gutachten aus dem Eckehartprozess in Avignon. Aus der Geisteswelt dei Mittelalters (ed. M. Grabmann), Munster 1935, p p . 1099-1124. Per la nostra questione hanno una particolare importanza gli articoli 20-23 (PP· 1118-1121). 1 Cfr. sopra, p. 52. Nelle opere di Eckehart giunte fino a noi il passo è citato nel Commentario all'Ecclesiastico (DENIFLE, Meister Eckeharts lateinische Schriften und die Grundanschauungen seiner Lehre in Archiv f. Lit.-u. Kirchengesch. d. Mittelalters 2 (1886) p. 572, 4.14; 595, iss). - G. T H E R Y , Ausgabe des Sapienz- kommentars in Archives d'histoire doctrinale 3 (1928) 379, 10; 389, 5. - Fr. PFEIFFER, Meister Eckehart, Lipsia 1857, p. 147, 31SS. - Apologia (Théry, p. 265; Daniels, p. 62, 24S). - In loatt. comm., Cues fol. 108 va: «Origenes super ilio: inventa est coniuratio Ier. XI sic ait: felix ille qui semper a Deo {fol. 108 va) nascitur. N o n enim dicam iustum semel ex Deo natum, sed per singula virtutis opera semper a D e o nascitur. N a m et in divinis Filius semper natus semper nascitur ». - In tutti questi luoghi si tratta del passo da noi già conosciuto della IX omelia di Origene su Geremia (GCS Origenes III, p. 70, u s s ) , tradotto da GIROLAMO (cfr. PL 25, 637 A B ) e utilizzato anche da R A B A N O M A U R O (PL I H , 892C ).
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mente dalla Glossa ordinaria6; questo è però assai apprezzato anche nella Scolastica6. Nella sua autodifesa Eckehart parla anche d'un altro testo di Origene. Si tratta della dottrina del semen divinum in cnima, quindi d'una tesi che sta in stretto rapporto con la dottrina della nascita di Dio. In difesa della sua quattordicesima proposizione, tratta dal libro Benedictus Deus, Eckehart si richiama espressamente alla « doctrina Origenis in omelia super 26 » 7. DANIELS ha voluto vedere in ciò una prova a favore dell'omelia 26 di Origene sul libro di Giosuè 8 . Ma al luogo indicato non si parla affatto del « semen divinum in anima ». Secondo noi è in questione un solo testo di Origene, che Eckehart ha potuto' conoscere nella versione di Rufino: è l'omelia sul salmo 36. Il passo, donde è tratta la proposizione incriminata di Eckehart, così suona : « Der same gottes ist in uns. Hetti er einen guoten anwiser und flissicen wercman, so neme er des bas zuo und wiichse uf
- Per quanto riguarda l'influsso di Origene sulla teologia del primo medioevo, cfr. H. DE LUBAC, Exégèse medievale, v. I, Parigi 1959, pp. 198-219, 221-304: L'Origene latin. Lecture d'Origene au Moyen Àge (vers. ital., Esegesi medievale, Ed. Paoline, R o m a 1962). 5 PL H 4 , 26 C. β
È citato da PIETRO LOMBARDO, Sent. I, 9, 11 (PL 192, 548).
DENIFLE (Archiv, P. 572, nota 4) osserva che il passo è citato spesso dagli Scolastici, e indica S. TOMMASO D ' A Q U I N O , Summa Theol. I, q. 42, a. 2 ad 4. Q u i si allude però ad un altro passo, ritenuto un testo di Origene, ma che deriva da SCOTO ERIUGENA; cfr. appresso, nota 12. 7
8
T H E R Y , p.
191
e 206.
DANIELS, p.
7,
8;
p.
65,
35.
DANIELS, p. 7, nota 3. Viene indicato il testo di PG 12, 945 Β ed anche un altro testo dell'Omelia I di Origene sulla Genesi, dove tuttavia si parla solo in termini generali dell'inabitazione di Cristo nell'intimo del credente. Da quanto è stato detto sopra, p. 43SS, sulla dottrina di Origene appare che la documentazione addotta da Daniels non è stata scelta felicemente.
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zuo gotte, des same er ouch ist » 9. Ma questo è esattamente il concetto espresso da Origene nell'omelia sul salmo 36: « Et quid aliud semen iusti dignum est putare nisi discipulum iusti qui suscepto semine generatur ad vitam aeternam? Tum deinde ingressus sermo Dei in animas vestras et haerens in corde vestro formaret utique mentes vestras secundum speciem Verbi ipsius ... et per hoc ipse Christus formatur in vobis, tunc vere efnceremini semen iusti » 10 . Il testo, di tanto rilievo per la dottrina di Origene, concorda dunque perfettamente con Eckehart: per la provvida cura del maestro dello spirito, del ' flissicen wercmans ' il seme di Dio si sviluppa nell'anima. Eckehart si sentì legato all'eredità di Origene anche in un altro punto importante della sua dottrina della nascita di Dio. Ma così egli è diventato, senza saperlo, l'erede di GIOVANNI ERIUGENA. Si riteneva allora comunemente che l'omelia di Scoto sul prologo giovanneo fosse un'opera di Origene n . Anche Tommaso d'Aquino cita una volta nella Summa un passo di questa presunta • Estratto dal Buch der gòttlkhen Tróstung (ed. da P H . STRAUCH, Bonn 1910), p. 43, 12-17. Cfr. T H B S Y , Archives 1, p. 167, in cui sono presentati i luoghi principali. 10 Homil. in Ps. 36 (PG 12, 1357 AB). Nel manoscritto dell'autodifesa di Soest si dovrebbe però ammettere un errore di ortografia. Ciò risulta dal fatto che nel medesimo luogo (a prescindere da tanti altri) è errata anche la citazione di Seneca e di Cicerone, forse a causa di un'inesattezza da parte dello stesso Eckehart. - È degna di nota anche la reviviscenza della dottrina tipicamente origeniana dell'anima immagine dell'immagine: cfr. PFEIFFER, p. 315, 35; KARRER-PIESCH, Rechtfettigungsschrifì, p. 158, nota 46. 11 Cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. d. altk. Ut., ν. ΙΙ/2, p. 139.
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opera di Origene 12 e spesso nella sua Catena accoglie testi tratti dalla suddetta omelia 13. Eckehart è venuto a conoscenza di tale omelia soprattutto attraverso la Catena di Tommaso; ma alcuni passi del commentario a Giovanni dimostrano che egli l'ha letta anche nel suo insieme 14. In ogni caso abbiamo dunque in questo luogo un contatto diretto fra i due teologi geniali, le cui opere dimostrano anche per altri motivi delle affinità degne di nota. La dottrina dell'unico uomo perfetto Cristo, nel quale solamente noi siamo ' figli ', è in così stretta 12 Stimma Theol. I, q. 42, a. 2 ad 4. DENIFLE (Archiv, p. 572, nota 4) ritiene che anche queste parole di Tommaso siano un richiamo al testo dell'omelia su Geremia. In realtà si tratta di un richiamo ad un testo di Scoto Eriugena (PL 122, 287 B). 13 Cfr. soprattutto le citazioni intorno al primo capitolo del vangelo di Giovanni, specialmente Giov. 1,9.10, che sono presentate in genere con l'indicazione, ' Origenes in Homilia '. 14 Cfr. p. es. il commentario a Giovanni (Cues fol. 91 vb) su Giov 1,4: « (Et vita erat lux hominum): Origenes vero dicit: per li hominum intelligitur universa natura rationalis ». Ciò può riferirsi solamente all'omelia di SCOTO (PL 122, 290 A) : « Lux itaque hominum Dominus noster Iesus Christus qui in humana natura omni rationali et intellectuali creaturae seipsum manifestavit ». - Un altro esempio (fol. 94 vb su Giov 1,13) : « Per voluntatem carnis vero feminam intellegit ». Cfr. SCOTO (PL 122, 297 B) : « Caro quippe femineum sexum saepe significat ». - Fol. 99 vb e 123 rb : « Semper fuit et est Pater, semper Filius fuit et est, semper natus semper nascitur; (Ps 109) Filius meus es tu, ego hodie genui te, genui quia natus, hodie quia nascitur, propter quod et ' sinus ' dictus est Patris ». - Cfr. SCOTO, in Prol. Ioan. (302 D) ; De àiv. nat. 2, 20 (553 AB). Gli esempi potrebbero essere moltiplicati, ma resta il fatto che noi non possiamo trascurare nell'indagine sulle fonti della mistica di Eckehart la dottrina dell'omelia di Scoto su Giovanni. I due concetti caratteristici di questa omelia (cfr. sopra, p. U9s; p. 122, nota 52), cioè la tesi dell'unità del ' Figlio ' per il quale solamente noi possiamo ascendere al Padre, e quella della continuazione della generazione eterna del Logos nell'opera della natura e della grazia, hanno un'importanza rilevante per la mistica eckehartiana della nascita di Dio.
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connessione con la teologia di Scoto, che non possiamo spiegare solo alla luce della teologia dell'unico uomo Cristo, di ispirazione agostiniana, la dottrina eckerhatiana, in modo particolare il significato specifico di questo concetto nella mistica di Eckehart. Anche se non possiamo per ora addurre nessuna prova che Eckehart abbia letto l'opera De divisione naturae di Scoto, ο almeno la Clavis physicae di Onorio d'Autun, tuttavia secondo noi egli ha conosciuto ugualmente il sistema eriugeniano dell'ascesa mistica, soprattutto attraverso Riccardo di S. Vittore, oppure dalla mistica cistercense 1 5 . In un altro punto ancora della teologia della nascita di Dio, in verità non molto importante, ma assai significativo, Eckehart è erede della tradizione dei Padri: nel concepire il cuore come centro vivificatore dell'uomo, luogo segreto e insondabile dell'incontro col divino. Egli cita al riguardo un testo di Macrobio, in cui il sole è detto ' cuore del mondo ' 1 6 . Il cuore è la parte più intima anche nel Padre eterno, dal cui 15 La denominazione del Logos come voluntas Patris, che sopra, p. 109, abbiamo detta tipica di Riccardo di S. Vittore, ritorna anche in Eckehart e ricorda perciò Riccardo. Cfr. In Ioan. comm. (fol. 94 ve) : « Parum enim mihi est Verbum caro factum prò nomine in Christo, supposito ilio a me distincto, nisi (fol. 94 bv) et in me personaliter, ut et ego essem filius Dei... et fortassis hoc est quod oramus nottante Domino Matth. 6: fiat voluntas tua ... id est sicut in Christo, celo, voluntas Patris facta est ut esset Filius, voluntas enim Patris ut Pater naturaliter est generare et habere Filium, sic in terra, id est in nobis terram habitantibus fiat voluntas Patris, ut simus filii Dei ». 16 In Ioan. comm. (fol. 131 vb): «Per latus, ubi cor latet, affectiones designantur, operatur enim Iesus, in anima si est; si renuit operari in eo non est», (fol. 132 rb): «Humana vita... consistit in quadam mocione que a corde diffunditur in singula membra corporis, cor enim specialiter in homine respondet soli inter planetas. Sol enim medius planetarum, cor celi, mens mundi... ut Macrobius ait et subdit : hoc est sol in aethere quod in animali cor ».
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cuore vien generato il Logos. Nel ' cuore dell'anima ' avviene la nascita mistica di Cristo 17. Considerando la ricca storia della theologia cordis possiamo ora stabilire donde derivino ultimamente i concetti della mistica eckehartiana. Di più difficile soluzione è la questione della dipendenza di Eckehart dalla teologia della nascita di Dio di AGOSTINO, poiché Eckehart nella sua ottima conoscenza degli scritti agostiniani accenna molto più che altrove alle tesi del Vescovo di Ippona e inoltre cita assai spesso anche da opere che egli credeva agostiniane, ma che in realtà provengono dall'ambiente della mistica bernardiana 18. 17
Citiamo solo uno degli innumerevoli testi : « Also wirdit daz ewige wort gesprochin innewendic in deme herzin der sele, in deme innirsten, in dem lutirsten, in deme heubiste der sele, daz ist in vornunftigkeit, da geschihit di gebort inne » (Ph, STRAUCH, Paradisus animae intelligentis, Berlino 1919, p. 14, 18-21). 18 Riguardo alla citazione di Agostino rimandiamo all'indagine, la migliore esistente, di KARRER, Meister Eckehart, e a KARRER-PIESCH, Rechtfertigungsschrifi. Cfr. anche il commentario di Eckehart alla Sapienza, in G. THÉRY, Archives d'histoire doctrinale 3 (1928) p. 321-433 ; 4 (1929) p. 233-394. Un esempio del modo di citare da Agostino lo troviamo in PFEIFFER, p. 151, 13: « Sant Augustinus sprichet, daz got alle zit geborn werde an unterlaz in der sele ». Questo è un richiamo alle speculazioni agostiniane sull'eternità della nascita del Logos, cui lo stesso Eckehart si riferisce nella sua apologia (Théry, p. 238; Daniels, p. 51, I5ss), citando Confessiones 11, 13, 16 (PL 32, 815). Cfr. anche In Ioan. comm. (fol. 89 rb) : « Semper fuit Pater, semper habuit Filium »; (fol. 89 va) : « Semper nascitur et semper natus est ». Per un'altra citazione, che si ritiene provenga da Agostino (cfr. KARRER, M. Eckehart, p. 1363; KARRER-PIESCH, Rechtfertigungsschrifi, p. 29): « Quando l'anima viene accesa dall'amore di Dio, Dio vien generato nell'anima », penso che si possa affermare la sua derivazione da uno scritto della mistica bernardiana, anche se finora non è stato provato con certezza. - Per la dottrina agostiniana del ' Figlio unico ' nel quale solamente possiamo ascendere al Padre, cfr. la citazione nel commentario a Giovanni (fol. 109 rb), che Eckehart ha tratto dalla
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In genere Eckehart è profondamente preso da quella che noi abbiamo definito interiorità agostiniana. Con piacere si richiama ai testi del De vera religione e delle Confessiones 19. Naturalmente gli è stata di particolare gradimento la speculazione di Agostino sulla generazione eterna del Logos: « Semper nascitur et semper natus est, semper fuit Pater et semper habuit Filium ». Questo è il fondamento teologico della sua mistica. Il semper egli lo estende, come era ovvio, alla nascita di Cristo perpetuantesi nel cuore dell'uomo, riferendosi anche in ciò ad Agostino, benché questi non abbia mai espresso tale idea 20 . Eckehart ricorda perfettamente anche i concetti a noi già noti dalle prediche natalizie di Agostino. Le ' buone opere ', « partus et proles animae sanctae », che egli cita da Agostino 21, ricordano in genere l'ascetica agostiniana della nascita di Cristo nelle buone opere, ma sono pure una ripetizione della mistica tipicamente cistercense e vittorina, Catena di Tommaso d'Aquino. Si cita espressamente il passo di GKEGORIO MAGNO, di cui abbiamo parlato sopra, p. 120, nota 40: « Quia nos unum cum ilio iam facti sumus... is qui in celo semper est, in nobis ad celum cottidie ascenditi»; ed è qui estremamente significativo che Eckehart aggiunga di proprio l'espressione ' in nobis '. 19 Cfr. il commentario a Giovanni su Giov 1,1 («In principio erat Verbum »), dove viene spiegato l'in (fol. 89 va) : « De primo istorum quod notat li ' in ' est inesse et intimum esse... patet eciam in primo effectus Dei foras, quod est esse intimum, secundum illud Augustini: intus eras et ego foras; patet hoc tercio in ipsis potenciis animae que quanto diviniores et perfectiores tanto intimiores... intimum enim et primum uniuscuiusque racio est; Verbum autem Logos sive racio est». lui (fol. 123 rb) su Giov 14,10 (Pater in me manens) : « In me, ad denotandum quod Deus ipse illabitur essencie anime. Iterum etiam, ipse manet in abditis, intimis et supremis ipsius anime. AUGUSTINUS, De vera religione: Noli foras ire...». 20 Cfr. sopra, p. o8s. 21 Apolog. (Théry, p. 265 ; Daniels, p. 52, 28s). Cfr. sopra, p. 99S.
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che noi abbiamo appreso soprattutto da Riccardo di S. Vittore. È ancor più chiara la derivazione agostiniana dell'idea della nascita di Cristo dall'anima verginale, molto importante per l'intera storia della mistica e che pure in Eckehart ha avuto una espressione ricca di significato 22. La fonte classica è qui il libro di Agostino De Virginitate. Qual fonte principale della mistica eckehartiana della nascita di Dio non si dimentichi infine la tradizione propria del suo Ordine, dalla quale provengono opere tipicamente ' eckehartiane ' e profondamente radicate nell'antica tradizione, come l'opuscolo De humanitate lesu Christi. Sarebbe particolarmente utile, inoltre, una accurata indagine sui rapporti fra Eckehart e la Scuola vittorina, la cui incidenza fu notevole per la teologia mistica insegnata a Parigi, alla quale deve tanto anche la mistica domenicana 23. 22 Apolog. (Théry, p. 264; Daniels, p. 62, l6ss): « Quotienscumque fit illa generatio tunc parit ipsa (anima) illum unigenitum Filium propter hoc multo plures sunt fìlii quod pariunt virgines... ». Cfr. PFEIFFER,
p. 44, 15.19; p. 265, 14SS. KARRER-PIESCH, p. 131S. 83
Dall'apologia appare quanto spesso Eckehart si richiami a
BERNARDO. Cfr. KARRER-PIESCH, pp. 79.84.86 ecc. - Si dovrebbe
rettificare anche il giudizio pronunziato da J. Bernhardt sulle discrepanze tra Eckehart e Bernardo. Cfr. Jos. BERNHARDT, Bernhardische uni Eckehartische Mystik in ikren Beziehungen una Cegensàtzen, KemptenMonaco 1912, p. 56. - Non è più sostenibile nemmeno il giudizio di Bernhardt sulla mistica eckehartiana della nascita di Dio, ora che abbiamo presente tutta la storia dell'idea. Bernhardt dice (p. 45): « L'idea centrale della sua mistica, la nascita di Dio nei giusti, deve essere vista nel rapporto alla sua cristologia; in tal modo diviene subito evidente che la sua mistica non è affatto specificamente cristiana ». - Anche E. SEEBERG vede proprio nella dottrina della nascita di Dio il punto in cui Eckehart si sarebbe allontanato sostanzialmente dalla dottrina della grazia della Chiesa. Cfr. Deutsche Evangelische Erziehung 46 (1935) p. 159, dove Seeberg condensa in poche parole la dottrina eckehartiana della nascita di Dio: «Se tutto, se anche la
LA QUESTIONE DELLE FONTI DI ECKEHART
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Come ultimo risultato della nostra indagine possiamo affermare che la teologia mistica del Maestro Eckehart sulla nascita di Cristo nel cuore del credente, nella sua geniale ed oscura originalità e malgrado il linguaggio del Maestro che l'intervento della Chiesa ha in ogni modo rettificato, si inserisce interamente nella lunga storia di questa idea, profondamente radicata nell'antica teologia e spiritualità cristiana. E proprio in questa storia si verifica ciò che oggi sempre più chiaramente risulta dalla dottrina di Eckehart : il ' senso fondamentalmente cattolico ' 24 della sua mistica della nascita di Dio. Cosi anche la storia successiva della teologia mistica del cuore, cui d'ora in avanti non si può più pensare senza il riferimento esplicito ad Eckehart, si congiunge con la teologia dei Padri della Chiesa ed offre insieme con essa una vera storia dell'interiorità: per merito del Maestro Eckehart e della mistica tedesca si conserva per tutti i tempi la spiritualità di Origene, di Massimo e di Agostino.
grazia si ritira dall'anima, allora nell'anima vien generato il ' Figlio '». Il Maestro irride tutti quei tentativi di spiegazione che trascurano la premessa più importante: la conoscenza totale e perfetta della dottrina scolastica della grazia. E questa è radicata nella tradizione universale. 2 ' Cfr. FR. PELSTER, Ein Gutachten aus dem Eckehart-Prozess in Avignon, Aus der Geisteswelt des Mittelalters, Miinster 1935, p. 1107S. - Cfr. HERMA PIESCH, Meister Eckharts Ethik, Lucerna 1935. Dalla dottrina della nascita di Dio qui esposta esaurientemente e corredata d'uno studio sulle fonti (pp. 273; 73ss) si traggono le medesime conclusioni alle quali, d'altra parte, è giunto anche il nostro lavoro: la fedeltà essenziale del Maestro alla tradizione cattoUca dei Padri della Chiesa.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
martirio 46 . Ma questo Spirito è « l'amore che promana da Cristo » e « che comincia a parlare nel cuore », è « l'amore del Padre e la gloria di Cristo », come si legge in una citazione esplicita da un inno 4 7 . Dal racconto del martirio del diacono Santo da Vienna risulta che l'azione dello Spirito Santo orienta l'animo coraggioso, «duro come roccia», alla confessione della fede; il martire è come una roccia dalla quale defluisce l'acqua viva. Dalla « celeste sorgente dell'acqua viva che scaturisce dal corpo di Cristo » l'acqua si riversa nel martire come «rugiada e forza»: αυτός δέ παρέμενεν άνεπίκαμπτος και ανένδοτος, στερρός προς τής όμολογίαν, ύπο της ουρανίου πηγής του ύδα τος της ζωής του έξιόντος εκ τής νηδύος τοϋ Χρίσ του δροσιζόμενος καί ένδυναμούμενος 4 8 . « Egli restò imperturbabile e irremovibile nella sua confessione, poiché era stato irrorato e rinvigorito dalla celeste fonte della vita che promana dal corpo di Cristo ». Si ha qui un evidente richiamo anche ad Apoc 22,1. Il fiume non vien fatto però scaturire dal trono di Dio e dell'Agnello, ma dal ' corpo di Cristo '. Si tratta evidentemente d'una libera citazione di Giov 7,38. Non è affatto necessario spiegare il νηδύς come una traduzione posteriore di ' venter ', come se allo autore della lettera fosse stata veramente presente una antica versione latina, quasi precorritrice del codice " Mart. Lugli. (GCS Euscbius II, 1, p. 414, 23-25). 47 Ivi (p. 410, i8s): μηδέν φοβερον δπου Πατρός α γ ά π η , μηδέ άλγεινον δπου ή Χρίστου δόξα-Cfr. anche ρ. 422> i6s. Questo Spirito che spinge al martirio, l'acqua viva della grazia bat tesimale, è qui detto anche ' bianco abito da sposa ' (p. 420, 24S), proprio come in IRENEO, Aàv. haer. 4, 36, 6 (II, p. 281, 30ss). 18 Mart. Lugd. (GCS Eusebius II, 1, p. 410, 10-13).
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d 49 . Deve trattarsi piuttosto d'un'allusione a Giov 7,38. Ma qui ha un'importanza decisiva il fatto che una tale raffigurazione del corpo di Cristo qual fonte dell'acqua viva non sarebbe stata possibile se Giov 7,38 non fosse stato inteso allo stesso modo nella predicazione e nel testo giovanneo. Ma han pensato così anche i cristiani di Filomelio e di Efeso, ai quali appunto la lettera è indirizzata? Questa esegesi non ci riporta forse in quell'ambiente donde, ottant'anni prima del martirio dei cristiani dell'Asia Minore a Lione, era uscito il Vangelo di Giovanni? Certo, per questi anni decisivi le rare fonti non ci possono fornire una prova decisiva, almeno che non si possa percepire con sufficiente evidenza l'immediatezza del passaggio della tradizione da Giovanni a Policarpo e da questi a Ireneo. Possiamo tuttavia avere un'ultima conferma dell'esattezza della nostra ipotesi dagli scritti d'un teologo che ha trovato la fede nella stessa Efeso e al quale Ireneo deve molto: GIUSTINO.
Nel dialogo di Giustino col giudeo Trifone ricorre di continuo l'antica esegesi romana e quella dell'Asia Minore. Il dialogo, infatti, ebbe luogo in Efeso verso la fine della guerra di Bar-Kochba, nell'almo 135, e circa vent'anni più tardi Giustino gli diede a Roma la sua odierna forma letteraria. Ciò risulta anche dalla struttura del testo del suo Nuovo Testamento, affine *" Cosi J. A. R O B I N S O N , Texts and Studks I, 2, Cambridge 1891, p. 98. Dobbiamo rilevare che anche R U F I N O nella sua versione di EUSEBIO riproduce il passo in questo m o d o : « Caelestibus aeternisque fontibus qui procedunt de ventre Iesu » (GCS Eusebius II, 1, p. 411, I3s).
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L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI
a quella del testo di Ireneo e chiaramente fedele al l'antico testo romano 5 0 . Nelle Apologie, come anche nel Dialogo, Giustino ha citato Giov 7,38 ο almeno vi ha alluso esplicitamente. Nella sua opera possiamo però trovare si numerosi elementi in favore della tesi qui esposta, da vedervi una sicura conferma dell'origine della nostra esegesi nell'Asia Minore. Cristo medesimo è la sorgente dell'acqua viva zampillante nel deserto della conoscenza di Dio: πηγή ύδατος ζώντος παρά θ-εου εν τη έρήμω ... άνέβλυσεν οδτος ό Χριστός 5 1 . Queste acque scaturiscono da lui, che è ' roccia spirituale ' 5 2 , la ' caverna ' dalla quale (Is 33,16) esce T'acqua fidata'53. Nella loro incredulità i giudei hanno disprezzato quest'acqua viva. In tale contesto Giustino inserisce anche Ger 2,13, in cui Dio si rivela come la messianica ' fonte d'acqua viva ' contrapposta alle ' cisterne ' dei giudei 54 . Solo i credenti, divenuti gli ' eredi ', possono bere di questa acqua. « Voi (giudei) non potete capire che noi siam figli eredi; voi non potete bere infatti dalla fonte viva della Divinità, ma solo dalle cisterne aperte, che non possono trattenere l'acqua » 55. 50 Cfr. E. LIPPELT, QtiaefuerintJustini Martyris ' Α π ο μ ν η μ ο ν ε ύ μ α τ α , Halle J901, p. 95S; B. KHAFT, Die Evangelienzitate d. hi. Irenaus, p . 97S. - Sull'influsso di Giustino su Ireneo, Ippolito e Tertulliano, cfr. A. HARNACK, Gesch. à. altchrist. Lit., v. I, Lipsia 1893, p . iooss. 51 Dial. 69, 6 (Otto, Corpus Apologetarum I, 2, p. 250, 9s). 62 Ivi 34, 2 (p. 112, 19); 76, 1 (p. 270, 15-18); 90, 5 (p. 330, n s ) ; 113, 6 (P- 404, 11-13)53 Ivi 70, I (p. 252, 3-6) ; 78, 6 (p. 280, 5-13). " Ivi 14, 1 (p. 50, 28-34); !9> 2 (p. 66, 20-22); 114, 20 (p. 408, 14-16). 55 Ivi 140, 1 (p. 492, 10-13). Cfr. l'esatta corrispondenza in IRENEO con la citazione di Ger 2,13 e l'esplicita allusione a Giov 7,38: Adv. haer. 3, 24, 1 (II, p. 132, 7-9).
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A questo punto ci imbattiamo in un mondo di idee della massima importanza per l'ulteriore sviluppo dell'esegesi di Giov 7,38. La teologia dell'acqua viva, nella forma in cui è pervenuta a Giustino dalla tradizione dell'Asia Minore, non è che un'apologia contro il giudaismo; e senza dubbio fin dai primissimi tempi del cristianesimo della Diaspora, nella controversia con i giudei ellenisti (che è stata anche il movente per il Vangelo e per la prima lettera di Giovanni) si sono formati determinati gruppi di citazioni bibliche e di concetti, che da questo momento ricorrono di continuo. E dimostreremo appresso che qui va inserita anche l'interpretazione di Giov 7,38. Prima ancora di Giustino, la LETTERA DI BARNABA 56 ha citato nel medesimo contesto Is 33,16 e Ger 2,13: si dimostra contro i giudei che la promessa dell' ' acqua (che scaturisce) dalla roccia ' e della ' fonte dell'acqua viva ' si è compiuta in Cristo. Così pure in Giustino, che vede il compimento di questa promessa nel Crocifisso : in ' acqua e sangue ' i credenti vengono rigenerati alla nuova vita. I cristiani sono la ' seconda generazione ', in contrapposizione ai giudei considerati come il ' primo popolo '. I cristiani sono rinati da « acqua, fede e legno della croce », come già si leggeva anche nella Lettera di Barnaba 57 . Come una volta Mosè per mezzo del legno fece scaturire l'acqua dalla roccia, così « anche noi siamo ... purificati dal nostro Cristo mediante la morte in croce e il bagno nella acqua» 58 . La croce è l'albero piantato (Sai 1,3) presso *• Barnabae epist. 11, 2-7 (Funk I, p. 73, 3-13). *' Ivi 11, 1 (p. 72, 1). « Dia/. 86, 1 (p. 310,23 - p. 312,1); 86, 6 (p. 314, 7-9).
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
le sorgenti - anche questo concetto fa parte dell'antico schema delle dispute coi giudei, come la stessa Lettera di Barnaba può dimostrare59. Giustino chiama Cristo semplicemente ή καλή πέτρα 6 0 , come ancor prima iCor 10,4 aveva supposto a tutti noto tale significato di Es 17,6. Giustino parla (proprio come farà più tardi anche la lettera della Chiesa di Lione) del martirio come d'un dissetarsi con l'acqua viva che sgorga dalla roccia che è Cristo. Il Crocifisso, infatti, in quanto ' trafitto ' (Zac 12,10; Giov 19,37), come Giustino preferisce chiamare Cristo 61 , è il grande modello del martire : « E per noi motivo di grande gioia correre incontro alla morte per il nome della gloriosa roccia, che fa scorrere l'acqua viva nei cuori di coloro che amano in essa il Padre universale e che disseta tutti quelli che bevono l'acqua della vita » 62 . Roccia e corpo di Cristo son dunque, secondo Giustino, il principio fontale della nuova vita, dal battesimo fino al martirio: dal corpo di Cristo sgorga l'acqua che ci rigenera. Or ci sembra di vedere una sicura conferma
" Ivi 86, 4 (p. 312, 22-25); Barnabite epist. 11, 6 (p. 72, 15-19). Cfr. J. D A N I Ì L O U , Théologie àu Judéo-Christianisme, Tournai 1958, pp. 294-303. «· Dial. 114, 2 (p. 408, 9). "• Nella genuina dottrina giovannea della glorificazione del Messia - e quindi dell' ' avvento ' messianico nelle due parusie, quella del sangue e quella della gloria - nella crocifissione e in conseguenza della crocifissione del suo corpo u m a n o : Zach 12,10; Giov 19,37; Apoc 1,7; Dial. 14, 8 (p. 54, i8s); 32, 2 (p. 106, 17S); 64, 7 (p. 230, 4s); 118, 1 (p. 422, 3s); Apol. I, 52 (Otto I, 1, p. 142, 2). 02 Dial. 114, 4 (p. 408, 8-11): ώς καΐ χαίρειν αποθνήσκοντας δια το όνομα το της καλής πέτρας καΐ ζών ΰδωρ ταΐς καρδίαις των δι'αύτοϋ άγαπησάντων τον πατέρα τ ω ν δλων βρυούσης, και ποτιζούσης τους βουλομένους το τής ζωής ύδωρ πιεΐν.
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dell'inserzione di Giov 7,38 nel suddetto contesto, perchè Giustino ha fatto una volta convergere in un medesimo concetto πέτρα e κοιλία: noi cristiani siamo il nuovo Israele che discende da Cristo; noi siamo infatti « usciti dalla caverna del suo corpo come da una roccia spaccata»: ημείς εκ της κοιλίας του Χρίστου λατομηθ-έντες ίσραηλιτικόν το άληθινόν έσμεν γένος β 3 . Fin qui ci è dunque possibile pervenire nell'indagine intorno a questa linea esegetica, donde proviene la prima chiara citazione di Giov 7,38 attestata da Ippolito. D'ora in avanti, come abbiamo già osservato, le rare fonti della prima metà del secondo secolo, se si eccettuano solo poche tracce, non ci forniscono elementi utili 64 . Dobbiamo citare ancora esplicitamente solo »s Ivi 135, 3 (p. 480, 4-6). 84 Nella letteratura del secondo secolo cfr. la presenza di idee cristiane nel TESTAMENTUM JUDAE 24, 4 (Charles II, p. 324), dove è detto che il Messia è fonte della vita: « αΰτη ή π η γ ή πάσιν παρεχούση ζωήν ». Cfr. FL. SCHLAGENHAUFEN in Zeitschr. f. kath. Theol. 51 (1927) 486, nota 4. - Vanno qui inseriti in qualche modo anche due concetti tratti dagli ORACOLI SIBILLINI, dove si dice che nell'era messia nica (senza dubbio in senso cristiano) « scaturiranno delle sorgenti », perché lo Spirito ha posto in Gesù, nel battesimo, la sua dimora : OR. SIBYLL. 6, 8 (GCS Geffcken, p. 130) ; nel battesimo il Glorificato laverà i credenti con le acque della fonte inestinguibile: OR. SIBYLL. 8, 315 (GCS Geffcken, p. 162). - Con prudenza si devono infine inserire nel nostro contesto le O D I DI SALOMONE. È interessante il modo in cui Od. l ì , 5. 6 collega il concetto della roccia con quello della sorgente: « Io stavo fermo sulla roccia della verità, dove egli stesso mi aveva posato. Acqua parlante giunse alle mie labbra dalla fonte del Signore » (E. HENNECKE, Neutestamentliche Apokryphen, 2 ed., Tubinga 1924, p. 447). Cfr. H. LEWY, Sobria ebrietas, p. 83S. - Od. 30 si richiama chiaramente a Giov 4,14; in 30, 5 si dice espressamente che quest'acqua sgorga dal Signore: «Essa (l'acqua) defluisce dalle labbra del Signore, dal cuore del Signore scaturisce la sua fonte » (Hennecke, p. 463S). Ma l'interpretazione del passo non è affatto concorde (' Signore ' = Uomo-
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L'ECCLÉSIOLOGIA
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PADRI
un'altra testimonianza. Questa dimostra infatti che la tradizione dell'Asia Minore è in stretto rapporto con la dottrina della prima lettera di Giovanni. Un frammento di APOLLINARE DI GERAPOLI parla, nella polemica antigiudaica già accennata in Ireneo, dell'umano e del divino in Cristo, per dimostrare che il potere messianico di Cristo, quello di donare l'acqua viva, si manifesta nel sangue della sua morte reale in croce: dal corpo del ' trafitto ' sgorga Γ ' acqua dello Spirito ' : ó την άγίαν πλευράν έκκεντηίτείς, ό έκχέας εκ της πλευράς αύτοϋ τα δύο πάλιν καθ-άρσια, ύδωρ και αίμα, λόγον και πνεύμα 6 5 . Così, partendo da Ippolito qual primo teste, abbiam condotto questa esegesi di Giov 7,38 fin nell'ambiente che era a diretto contatto con la primitiva tradizione efesina. Non è compito del presente studio determinare fino a qual punto essa si inserisca nella teologia degli scritti giovannei. Ma le linee di questa tesi esegetica sono già tanto chiare, che ci consentono di affermare che essa s'accorda perfettamente con i principi basilari della cristologia della prima lettera giovannea e del quarto Vangelo. Vogliamo ora rilevare brevemente i punti in cui le conclusioni fin qui raggiunte sono in contrasto con la tradizione proveniente da Origene. Dio, ο Padre?); cfr. R . HARRIS, The Odes and Psalms of Salomon, Cambridge 1912, p . 128; W . FRANKENBERG, Das Verstàndnis der Oden Salomons (suppl. 21 a Zeitschr. f. alttest. Wissensch.), Giessen 1911. Per il carattere difficilmente definibile di questi inni, che han subito senza dubbio anche l'influsso gnostico, sarà meglio rinunziare ad essi nell'esposizione della storia esegetica di Giov 7,38. LAGRANGE è dello stesso avviso: p. 215, nota. " 5 Frammento 4 da Π ε ρ ί τ ο ϋ π ά σ χ α (Otto, Corpus Apologetar u m IX, p . 487).
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a) Cristo non è tanto il Logos (in senso filonianoorigeniano), quanto piuttosto il Messia, Γ Uomo-Dio. b) Perciò egli non viene considerato come il datore dell'acqua della dottrina e della gnosi, ma come colui che è stato esaltato nella sua reale natura umana, il datore dello Spirito, ossia dell'acqua, sintesi di tutti i doni messianici. e) Più chiaramente che non nella tradizione origeniana, ciò significa che quest'acqua è vivificante non solo perchè si riversa in noi dalla fonte principale del Padre e attraverso il Logos, ma perchè è divenuta vivificante nel sangue. Il senso di tutta questa esegesi non può essere meglio espresso che con le parole di iGiov 5,6: «Egli è Gesù il Messia, che è venuto in acqua e sangue » - un concetto, questo, che non appare mai in tutta la tradizione origeniana (eccettuati naturalmente i casi in cui - come vedremo - l'esegesi efesina esercita il suo influsso su quella origeniana). d) Da ciò risulta che κοιλία non significa più l'intimo dell'anima nel senso della psicologia filoniana, e nemmeno il mistico ' cuore ' di Origene, ma il ' corpo ' del vero uomo Cristo, in tutto il vigore del realismo della cristologia* dell'Asia Minore. Ne consegue che il risultato più importante di questa esegesi è l'aver stabilito uno stretto rapporto tra Giov 7,38 e Giov 19,34. Cristo è la ' roccia spirituale ' dalla cui trafitta κοιλία scaturisce l'acqua viva; è il Messia che porta a compimento ciò che Mosè aveva compiuto una volta in modo figurato: fa sgorgare l'acqua della vita dalla roccia del suo corpo umano ucciso.
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L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
e) Infine, da quanto abbiamo detto appaiono già le linee, benché ancora non del tutto chiare, da cui deve risultare la risposta alla domanda: dove si è cercato di vedere la ' Scrittura' di cui parla Giov 7,38? Sono ora in causa tutte quelle profezie che presentano la salvezza messianica come acqua zampillante nel deserto e annunziano Dio stesso qual fonte della vita. Incontriamo qui Ger 2,13, Is 33,16 e Is 43,19, che fanno parte dello schema primitivo delle dispute coi giudei. Ai suddetti testi va aggiunto Zac 12,10, in cui è contenuta la promessa dell'acqua e la profezia del ' trafitto '. 2. - Abbiamo così delineato una teoria esegetica ricca di contenuto spirituale, teologicamente profonda e di antichissime origini. Come il codice D dimostra, assai presto essa ha trovato il suo fondamento nella struttura del testo anche dopo il tramonto della generazione della viva tradizione efesina. L'antica versione latina di Giov 7,37.38 trasmette questa esegesi dell'Asia Minore ai Dottori della Chiesa d'Africa proprio nel medesimo periodo in cui comincia ad affermarsi l'interpretazione del passo secondo il significato e la struttura del testo suggerita da Origene. Dalla teologia africana dobbiamo quindi iniziare lo studio della seconda fase della storia di questa esegesi. Già la versione di Ireneo, esistente in Africa verso il 250, si fonda su un testo latino della Bibbia del tutto ββ identico a quello del codice d . Cosi è reso nel codice d il passo di Giov 7,37.38: ·« Cfr. R. HARRIS, A Study of Coàex Bezae: Texts and Studia 3. (1891) i6óss; B. KRAFT, Die Evangelienzitate des hi. Irenaus, p. 105.
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« si quis sitit venia (n)t et bibat qui credit in me sicut dixit scriptura flumina de (ve)ntre eius fluent aquae vivae » 67. Anche qui si omette dunque ' ad me' dopo il verbo ' veniat ', e si legano insieme ' bibat ' e ' qui credit in me '. Che il testo debba esser letto così appare ancor più chiaramente dal Codice Palatino (e), contenente anch'esso un testo africano. Dopo ' me ' vien posta qui un'interpunzione: « Si quis sitit veniat et bibat qui credit in me. sicut scriptum est flumina de ventre eius fluent aquae vivae » Μ . Dai Testimonia di CIPRIANO veniamo a sapere che questi non leggeva diversamente Giov 7,37 - non ostante che Hartel voglia arbitrariamente introdurre, contro la lezione dei migliori manoscritti, la ' moder na ' (meglio, origeniana) interpunzione, ch'egli ha trovato in un manoscritto di dubbio valore. « Si quis sitit veniat et bibat qui credit in me ». Questa raccolta di passi scritturistici antigiudaici, che Cipriano ha ri cavato senza dubbio dalle fonti più antiche 69 (Giustino, " 68
M
CODEX BEZAE CANTABRIGIENSIS, Cambridge 1899, v. I, fol. 133. EVANGEMUM PALATINUM INEDITUM, e d . C. TlSCHENDORF 1 8 4 7 .
Cfr. R. HARRIS, Tesiimonies, v. I, Cambridge 1916. Harris vuol riportare questi Testimonia contro Judaeos fino ai mistici Logia del proto-Matteo. Per la critica cfr. A. D'ALÉS, La Théologie de Si. Cypritn, Parigi 1922, p. 50.
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Lettera di Barnaba), ci conduce, anche per quanto riguarda il pensiero teologico, nell'ambiente in cui s'è formata l'esegesi di Giov 7,38. Cristo è la ' fonte d'acqua viva ' perché in lui, nel quale si compiono tutte le profezie dell'Antico Testamento, lo Spirito Santo ha posto la sua dimora (Giustino, Ireneo) 70 , perché egli è la ' roccia spirituale ' che dona l'acqua nel deserto, e perché è il ' trafitto ' che dal proprio corpo fa scaturire i fiumi dell'acqua dello Spirito. Anche in TERTULLIANO tutti questi concetti formavano un complesso organico, benché non troviamo nemmeno in lui nessuna citazione esplicita di Giov 7.37-38. Giustino e Ireneo son le fonti della sua dottrina. Lo Spirito ha posto in Cristo la sua dimora (Is 11,1.2). Dacché lo Spirito vien dato ai credenti solo da Cristo, esso non è più con i giudei 71 . L'uomo Gesù è Γ ' ef fusore ' dello Spirito del Padre : « Hic interim acceptum 72 a Patre munus effudit Spiritimi Sanctum » . In lui si compie non solo Giov 3,1, ma anche e soprattutto Ger 2,13, la grande promessa della ' fonte d'acqua viva ' : « Indubitate nos recipiendo Christum fontem aquae vitae (habemus) » 73 . Cristo è la roccia dalla quale una volta, nel deserto, scaturì l'acqua; dalla croce sgorga ora l'acqua della nuova santificazione *· GIUSTINO, Dial. 87, 3 (I, 2, p. 31ÓS); IRENEO, Adv. haer. 3, 18,1 (II, p. 925). Cfr. anche A. VON UNGESN-STERNBEKG, Der traditionelle alttestamentliche Schrifìbeweis de Christo und De Evangelio in der alien Kirche bis zur Zeit Eusebius von Caesarea, Halle 1913. 71 Adv. Marcionem }, 8 (CSEL 47, p. S98s); 3, 17 (CSEL 4.7, p. 40+s). 78 Adv. Praexeam 30 (CSEL 47, p. 288, 7s). 73 PS.-TBRTULLIANO, Adv. Judaeos 13 (PL 2, 635 BC). Questo scritto è tertullianeo almeno nello spirito, giacché gli ultimi capitoli del libro non sono che una compilazione.
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nello Spirito, l'acqua battesimale74. Alludendo evidentemente a Giov 7,39, Tertulliano racconta in che modo lo Spirito fu donato per la prima volta dopo la ' glorificazione ' del Signore, dopo la santificazione dell'acqua in virtù del sangue75. L'acqua dello Spirito « scaturì allorché egli (Cristo) venne trafitto», quando fu colpita la roccia : « Haec est aqua quae de comite petra populo defluebat. Si enim petra Christus, sine dubio aqua in Christo baptismum videmus benedici »7e. Un documento classico, che conferma l'esattezza delle nostre conclusioni, ci viene da CIPRIANO. Si tratta senza dubbio d'un'esegesi di Giov 7,37.38 allora già tanto comune. Ciò permise pure che tutto il complesso di argomentazioni originariamente antigiudaiche venisse trasferito nel problema appassionatamente dibattuto della validità del battesimo degli eretici. Solo là dov'è la Chiesa si trova l'acqua viva dello Spirito: cosi Cipriano modifica l'antica teologia di Ireneo. C'è infatti una sola Chiesa e un solo Cristo. La Chiesa è il paradiso, nel quale solamente scorrono i quattro fiumi dei Vangeli: esattamente come in Ireneo e Ippolito 77 . Per la conoscenza dei temi tanto cari una volta ai circoli teologici che s'erano ispirati all'esegesi romana e all'antico testo latino della Bibbia assume un particolare significato il fatto che in Cipriano è citato nel medesimo contesto anche Giov 7,37.38. Come Ippolito 74 Aàv. Marcionem 3, 5 (p. 382, 20. 2 8 : su Is 41,19); 5, 5 (p· 587, i s : su 1 C o r 10,4); 5, 7 (p. 595, 25 - p. 5 9 6 , 1 ) ; Aàv. Jud. 13 (PL 2, 63 ss). ,s De baptismo 20 (CSEL 47, p. 210, 24S). ™ Ivi 9 (p. 202, 16-18). " Cfr. sopra, p. 347S.
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nel Commentario a Daniele, così ragiona anche Cipriano : « Ecclesia paradisi instar exprimens arbores frugiferas intra muros suos intus inclusit... has arbores rigat quattuor fluminibus id est evangeliis quattuor, quibus baptismi gratia salutari et cadesti inundatione largitur. Numquid de Ecclesiae fontibus rigare potest qui intus in Ecclesia non est? Numquid paradisi potus salubres et salutares impertire cuiquam potest qui perversus et a semetipso damnatur et extra paradisi fontes relegatus aruit et aeternae sitis siccitate defecit? Clamat Dominus ut qui sitit veniat et bibat de fluminibus aquae vivae quae de eius ventre fluxerunt » 78 . ; Qui ritorna apertamente il duplice significato, caratί teristico in Ireneo, di ' Corpo di Cristo ': l'acqua viva ' sgorga de ventre Christi, ossia tanto dal corpo fisico di Cristo quanto dalla Chiesa. Cipriano infatti sog giunge subito: « Quo venturus est qui sitit, utrumne ad haereticos ubi fons et fluvius aquae vitalis omnino non est, an ad Ecclesiam? ... aqua Ecclesiae ' fidelis ' (Is 33,16) et salutaris et sancta ... ». Le acque fidate ' della profezia di Isaia defluiscono quindi dalla Chiesa, fondata sulla roccia, e sono le acque del battesimo. Tuttavia la sorgente dell'acqua dello Spirito è sempre il corpo umano del Signore. Quanto Isaia ha preannunziato intorno all'acqua che scorre nel deserto e alla « roccia spaccata donde scaturiscono fiumi » (Is 43,18-21 ; 48,21), ha il suo compimento nel Cristo trafitto (Giov 19,34), come il Signore stesso aveva annunziato nel giorno solenne della festa (Giov 7,37.38): « Si sitierint, inquit (Isaias), per deserta, adducet illis aquam, de pe-
" Epist. 73, i o , 11 (CSEL 3, 2, p. 785, 16 - p. 786, 4).
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tra producet illis, findetur petra et fluet aqua et bibet plebs mea. Quod in Evangelio adimpletur, quando Christus qui est petra finditur ictu lanceae in passione. Qui et admonens quid per prophetam sit ante praedictum clamat et dicit: si quis sitit veniat et bibat qui credit in me. Sicut Scriptum dicit: flumina de ventre eius fluent aquae vivae » 79. Tutto ciò non è che un'eco di Ireneo e di Giustino. Senza dubbio Cipriano deve questi concetti, che del resto erano noti alla teologia della Chiesa africana già prima di Cipriano, al suo ' maestro ' Tertulliano. Ce lo dimostra un trattato dal titolo De montibus Sina et Sion, d'autore ignoto, risalente probabilmente al tempo stesso di Tertulliano. Anche questo trattato proviene dalla tradizione antigiudaica ed ha forse subito l'influsso di Ireneo 80. Il monte Sion, contrapposto al Sinai dei giudei, è il simbolo della novità cristiana che abbraccia tutte le cose; è soprattutto il simbolo della croce di Cristo qual sintesi di tutta la dottrina cristiana. Dalla croce issata sul monte Sion vien dunque la ' legge ' (Is 2,3), e questa legge la portava ' in seno al suo corpo ' colui che morì sul monte Sion (Sai 39,9: nell'antica versione latina: lex tua in medio ventris mei; Vulg.: in medio cordis mei). Dal venter Christi nasce la Chiesa, in cui si perpetua il mistero della Passione: infatti dal costato del Signore uscì acqua e sangue e di qui fu formata la Chiesa. L'intero testo, che 81 HARNACK dice « una sublime concezione teologica » , " Epist. 6}, 8 (CSEL 3, 2, p. 706, 16 - p. 707, 2). " Cfr. O. BARDENHEWER, Gesch. à. àltk. Lit., v. II, 2 ed., Friburgo 1914, p. 492S; C. H.' TURNER, in Journal of Theol. Studies 7 (1906) 597; P. CORSSEN in Zeitschr.f. d. neutest. Wiss. 12 (1911) 1-36. 81 Texte und Untersuchungen 20, 3, Lipsia 1900, p. 142.
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suona così (e possiamo ancora una volta percepire la consonanza con Giustino e Ireneo) : « Lex Christianorum crux est sancta Christi Filii Dei vivi, elicente aeque proprietà: lex tua in medio ventris mei. Percussus in lateris ventre, de latere sanguis et aqua mixtus profusus afHuebat, unde sibi Ecclesiam sanctam fabricavit, in quam legem passionis suae consecrabat, dicente ipso: qui sitit veniat et bibat qui credit in me. Sicut scriptum est, flumina de ventre eius fluebant aquae vivae » 82 . Queste parole sono state scritte dall'ignoto africano nel medesimo periodo in cui in Alessandria ο in Cesa rea Origene, noto ormai fin nella reggia di Siria, spie gava lo stesso testo di Giov 7,38. Ma qual differenza nell'interpretazione esegetica! Non si possono tuttavia indicare, con Lagrange, le due interpretazioni sempli cemente come ' orientale ' e ' occidentale ' 8 3 . Infatti l'esegesi ora comune nell'Occidente latino ha sì la sua origine a Roma, ma Ippolito l'apprende da Ireneo e questi, insieme con Giustino, dalla tradizione dell'Asia Minore, dove « sono sepolti i grandi luminari dell'Asia», come POLICRATE DI EFESO afferma con orgoglio 84 , i Presbiteri che hanno ascoltato direttamente le parole di Giovanni, discepolo del Signore. Ciò si può rilevare anche dalla vividezza che questo complesso 8a
De montibus Sina et Sion 9 (CSEL 3, 3, p. 115, 9-15). Cft. anche
Evangile selon S. Jean, 5 ed., p. 214, nota: « C'est l'opinion d'Origene et, semble-t-il, de tout l'Orient, qui a reagì sur l'Occident dès le temps de Jerome et d'Augustin ; depuis elle ne semble pas avoir été contestée ». 84 Dalla lettera a papa Vittore, EUSEBIO, Hist. eccl. 3, 31, 3 (GCS Eusebius Π, p. 264, 11).
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sistema esegetico riguardante Giov 7,38 ha conservato fino a tutto il quarto secolo, illuminato dalla teologia di Cipriano e dall'antico testo latino della Bibbia. Già al tempo di Cipriano un ignoto teologo, anche egli d'origine africana, aveva inserito nella sua teologia del battesimo la promessa contenuta in Giov 7,38. È l'autore del De rebaptismate, scritto contro Cipriano, ma la cui linea esegetica è perfettamente la stessa. Evidentemente la si era appresa nelle scuole in cui veniva insegnata la dottrina della S. Scrittura. Parlando della efficacia del battesimo di sangue, afferma che tale battesimo è salutare perché dal costato del Signore uscì acqua e sangue: « Cum utraque haec ex uno atque eodem fonte procedant fiumana baptismatis dominici, ut omnis qui sitit veniat et bibat, sicut scriptura dicit: flumina de ventre eius currebant aquae vivae. Quae flumina primum apparuerunt in Domini passione, cuius de latere perforato lancea militari sanguis et aqua manavit » 85. Le più recenti indagini ci hanno consentito di determinare con maggior precisione rinflusso dell'esegesi di Giustino su Tertulliano e prima di lui su Ireneo come pure sulla teologia del terzo secolo. Tutti dipendono dall'opera (ora perduta) scritta da Giustino contro Marcìone. Lo si può provare anche dal poema pseudo-tertullianeo Adversus Marcionem66. Qui riappare non solo la dottrina della nascita della Chiesa dalla ferita del costato di Cristo, ma ritorna esplicitamente anche l'esegesi, presentata da Ireneo, Ippolito " De rebaptismate 14 (CSEL 3, 3, p. 87, 14-19). *· Cfr. M. MULLEK, Untersuchungen zum Carmen adversus Maràonitas (Diss.), Wiirzburg 1936, p. 83SS.
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e Cipriano, della Chiesa qual paradiso in cui scorre il quadruplice fiume dei Vangeli, le dodici fonti degli Apostoli, che traggono origine dal corpo di Cristo: «Discite de fonte fluvium manare perennem, qui nutrit lignum (bis seni gratia fluctus), exit et in terram ventosque in quattuor orbis, tot fluit in partes fontis color et sapor unus. Sic et apostolico decurrit Ecclesia verbo ex utero Christi, Patris omni gratia piena sordida diluere et sata mortua vivificare » 87 . Il κοιλία Χρίστου di Giustino è qui reso poeticamente con uterus Christi. Entrambe le espressioni possono essere ora comprese solo nel quadro dell'antica ed estremamente realistica esegesi della κοιλία di Giov 7,38. Ancora come in Giustino, viene pure detto che nel flusso dell'acqua viva ha origine la ' nuova gene razione ', che si verifica qualcosa di simile alla nascita questo concetto è trattato da Is 43,19-21. Questo testo è in stretto rapporto con Giov 7,38, e il concetto che li unisce è la presentazione del corpo di Cristo come sorgente dell'acqua che produce la vita, come roccia aperta. Roccia e sorgente erano pensate in così stretto rapporto, che già Giustino 88 e poi Tertulliano 89 ritenevano che perfino la circoncisione del 'primo popolo', praticata con coltelli di pietra (Gios 5,2), avesse avuto il suo compimento nel battesimo con l'acqua del Signore sgorgante dalla roccia. " Carmen adversus Marcionem II, vv. 38-44 (secondo il testo presentato criticamente da M. MULLER, op. cit., p. 12: commento a p. 44). - La Chiesa che nasce dal costato di Cristo: ivi 2, 4 (ivi, p. 13; anche PL 2, 1064 C; 1067 BC); ora anche in CChr. Tertullian II, 1428. M Dial. 113, 6, 7 (I, 2. p· 404, 5 - n ) ; 114, 4 (p. 406, I7s). " TERTULLIANO, Adv. Judaeos 9 (PL 2, 622 B).
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Or tutto questo sistèma teologico primitivo riemerge nella disputa coi giudei inserita nel secondo libro delle Consultationes Zacchaei et Apollonii90. L'autore legge la profezia e il compimento della circoncisione con coltelli di pietra nei tre passi ormai classici: Is 43,18-21; Is 48,21; Giov 7,38. Nella sua edizione MORIN non ha notato che non è citato Num 20,8, ma bensì Is 48,21, e precisamente secondo il medesimo testo citato da Cipriano; inoltre è riportato insieme anche Giov 7,38: «Et iterum: si sitierint per desertum, adducet illis aquam de petra; findetur petra et fluet aqua, et bibet plebs mea. Et tertio: flumina de ventre eius fluent aquae vivae »91. Non è però qui nostro compito determinare se l'autore dell'opuscolo delle Consultationes sia realmente FIRMICO MATERNO, come Morin ha cercato di dimostrare 92. Per quanto riguarda la teoria esegetica in questione non è affatto evidente che anche Firmico Materno nella sua apologia contro le religioni pagane abbia parlato della sorgente d'acqua che scaturisce dalla ' roccia spirituale ', ossia da Cristo 93 ; e ciò nemmeno là dov'egli riproduce l'antica lezione latina di Giov 7,38 per additare, contro l'uso misterico del culto di Attis, l'acqua viva promessa da Cristo: « Ait enim in Evangelio cata Iohannem... qui in me crediderit non sitiet umquam (6,35). Item in sequenti80 Consultationes Zacchaei et Apollonii 2, 8 (ed. G. Morin, Florilegium Patristicum 39, Bonn 1935, pp. 63-65). 91 Ivi (ρ. 64, 29-31). 92 G. ΜΟΗΓΝ, Ein zweites christliches Werk des Firmicus Maternus in Hist. Jahrbuch 37 (1916) 229-266. Di contro: A. REATZ, Das theohgische System dei Consultationes Zacchaei et Apollonii, Friburgo 1920; B. AXELSON, Ein drittes Werk des Firmicus Maternusì Lund 1937; G. MORIN, in Jahrbuch f. Liturgiewiss. 13 (1936) 185. 93 De errore prof. rei. 27, 3 (CSEL 2, p. 120, 32 - p. 121, 1).
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bus hoc idem simili modo significai, ait enim: si quis sitit veniat et bibat qui credit in me» 9 4 . L'ultima testimonianza di rilievo dell'antica letteratura patristica latina è contenuta nel cosiddetto Tractatus Origenis de libris S. Scripturarum. Le diatribe circa l'autore di queste omelie sono ormai cessate ed oggi si ritiene comunemente che l'autore sia GREGORIO DI 95 ELVIRA. A noi sembra che le obiezioni di WEYMANN 96 e MERK siano state sufficientemente confutate. In ogni caso è certo che l'ignoto autore dipende dal De Trinitate di Novaziano e in buona parte anche da Giustino, Tertulliano, Ippolito e Ireneo. Cristo è la fonte zampillante dello Spirito Santo. Ripetendo Novaziano parola per parola, l'autore spiega che la fonte dello Spirito è interamente in Cristo, dal quale si riversano in noi tutti i fiumi dei doni dello Spirito 97 . In Novaziano questo concetto è solo più marcato : « Totius Sancti Spiritus in Christo fonte remanente... Spiritu Sancto in Christo affluenter habitante» 98 . Cóme vedremo in Ambrogio, è certo che qui si ha presente la citazione del Vangelo degli Ebrei, nota da Girolamo. Nel Tract. XV l'autore parla del battesimo e presenta, proprio come Tertulliano, le prefigurazioni della virtù dell'acqua battesimale che ·« Ivi 18, 7 (CSEL 2, p. 104, I3-I7>- Cfr. E. J. MARRTIN, The biblical text ofFirmicus Matemus in Journal of Theol. Studies 24 (1922/23) 318-325. *6 K. WEYMANN in Archiv ftir lateinische Lexikographie und Grammatik 11 (1900) 545-578. ·* A. MERK in Zeitschr.f. kath, Theol. 35 (1911) 775-783 ; H. KOCH, Zu den Quellen Gregors von Elvira und der Tractatus Origenis in Zeitschr. f. Kirchengeschichte (1932) 238-272. ·' Tractatus 20 (ed. A. BATIFFOL, Parigi 1900, p. 210, 5 - p. 212, 6). " De Trinitate 29 (PL 3, 944 B).
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scaturisce dal legno della croce. Il legno gettato da Mosè nelle acque amare (Es 15,25) è simbolo della croce : « Lignum etenim illud dominicae passionis mysterium perspicue demonstrabat, qua indulcatas baptismatis aquas possent sitientes salubriter bibere; unde et ipse Dominus stans in tempio dicebat: qui sitit veniat et bibat aqua virtutem gratis » ". Son qui citati insieme Giov 7,38 e Apoc 21,6; 22,17. Ciò è altamente significativo per l'esattezza con cui era vista la linea unitaria della teologia giovannea dell'acqua viva nel Vangelo e nell'Apocalisse. Ma c'è di più. Cristo è la roccia spirituale che dal suo corpo trafitto ha effuso in noi l'acqua dello Spirito. « Sic populus in eremo cum sitis periculum pateretur, tunc Moyses virga, id est ligno, petram percussit et fluxerunt fontes aquarum, quo factum esse sacramentum baptismatis indicabat. Petram enim illam figuram Christi habuisse probat beatus Apostolus cum dicit; bibebant enim de spiritali sequenti petra, petra autem erat Christus. Petram ergo illam imaginem dominicae carnis habuisse nulla est dubitatio: quae caro, crucis ligno percussa, aquam vivam sitientibus tribuit, sicut scriptum est: flumina de ventre eius procedent. Dicebat hoc itaque de Spiritu Sancto, quem credentes accepturi erant. Et proinde aquae illae, de petra productae, flumina de ventre Christi in sacramento baptismatis manantia et ad salubre sitientium poculum de Christi latere cursura, iam tunc typica praefiguratione monstrabant » 10 °. Con ciò si connette immediatamente la nota teologia di Tertulliano: la Chiesa che nasce dal costato di Cristo, ·· Tractatus 15 (p. 164, 20-25). 100 Ivi (p. 165, 5-16).
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nell'acqua dello Spirito e nel sangue della redenzio ne " ι . Il Trattato è come un ultimo canto della primitiva teologia efesina, che ha trovato la sua espressione più bella nell'antica esegesi latina di Giov 7,38. D'ora in avanti va affermandosi irresistibilmente l'interpretazione origeniana. Si deve però osservare che anche nell'esegesi alessandrina di Giov 7,38 - sotto l'evidente influsso dell'Itala e della teologia di Ippolito - interferiscono di continuo gli elementi dell'esegesi dell'Asia Minore. 3. - L'ulteriore sviluppo storico di questa esegesi può essere definito propriamente come il periodo della fusione e della spiegazione delle due grandi linee interpretative, cioè di quella efesina e di quella alessandrina. Abbiamo già visto che Origene nel suo sistema, anche se solo come ipotesi, istituisce un rapporto tra il significato di Giov 7,38 e Giov 19,34102· Tenendo ora presente quanto abbiam detto dell'origine dell'esegesi dell'Asia Minore, appare chiaro che anche il passo classico dell'undicesima omelia di Origene sull'Esodo si inserisce perfettamente in questa tradizione. Nella traduzione di Rufino essa ha contribuito notevolmente affinché il rapporto fra Giov 7,38 e 19,34 non venisse più del tutto dimenticato. Ne è una prova il modo 101
Ivi (p. 165, 16 - p. 166, 2). Cfr. TERTULLIANO, De anima 43, io
(ed. J. H. WAZSINK, Amsterdam 1933, p. 152, 12-15: commento a p. 263S). - La dottrina della nascita della Chiesa dalla ferita del costato di Cristo ha una sua particolare storia esegetico-patristica delle fonti, che qui non prendiamo in esame. Essa trasse grande vantaggio dall'esegesi di Giov 7,38 e 19,34, e a sua volta influì su questa. 102 Cfr. sopra, cap. I, p. 308.
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in cui CESARIO D'ARLES, nel sec. VI, si serve di questa famosa omelia di Origene, copiandola (senza però nominare il teologo) e sviluppandola. Ma anche queste aggiunte sono importanti perché contengono, oltre al testo di Origene, una testimonianza esplicita dell'interpretazione di Giov 7,38: ORIGENE
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CESARIO
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« Sed haec petra nisi fuerit « Sed haec petra nisi percussa percussa aquas non dabit: perfuerit aquas omnino non habet; cussa vero fontes producit. Perpercussa vero fontes producit et cussus enim Christus et in crucem flumina, sicut in Evangelio legiactus Novi Testamenti fontes mus: qui credit in me, flumina produxit ». de ventre eius fluent aquae vivae. Percussus enim Christus in cruce Novi Testamenti fontes eduxit ».
A Cesario poco importa che il suo testo giovanneo non s'adatti a questa esegesi, laddove egli riferisce il qui credit in me Λ flumina de ventre eius fluent, applicando così tutta l'espressione al Crocifisso. Ma proprio questa incongruenza presenta l'aspetto più significativo del periodo che dobbiamo ora attentamente considerare. Le due diverse lezioni - quella latina antica e quella della Volgata - sono fra loro contrastanti, come lo sono le due diverse interpretazioni, oppure sono giustapposte, ma non connesse fra loro. Il primo teologo che dobbiamo qui prendere in considerazione per il quarto secolo è MARIO VITTO-
RINO, retore africano a Roma, la cui conversione fu « motivo di giubilo per la Chiesa » 105 . Vittorino, evi105
In Ex. homil. 11, 2 (GCS Origenes VI, p. 354, 4-9). Serm. 103, 3 (Morin I, 1, p. 409, 11-19). AGOSTINO, Confessiones 8, 2, 4 (CSEL 33, p. 173, 13). 1M Aàv. Arium 1, 8 (PL 8, 1044 B). L'interpunzione nel Migne è arbitraria. Io non ho potuto disporre dell'edizione critica delle opere antiariane di M. Vittorino, edite da J. Woehrer, Wilhering 1910-12. 101 105
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dentemente in ragione dei suoi rapporti con la Chiesa africana, viene a conoscere anzitutto l'antico testo latino di Giov 7,37.38. Così cita nella sua opera contro Ario : « Si quis est qui sitit veniat et bibat qui credit in me, quemadmodum dixit scriptura, flumina ex ventre ipsius manant aquae viventis » 106 . Ma conosce pure (se si può prestar fede alla tradizione manoscritta e alla fedeltà critico-testuale dell'edizione di Gallandi riprodotta dal Migne) la lezione ormai comune della tradizione alessandrina: « Qui sitit veniat ad me et bibat; qui credit in me, sicut dixit scriptura, flumina de ventre eius fluent aquae vivae » 107 . Il senso del testo era assai difficile per Vittorino, il quale conosceva molto meglio i teoremi dei neoplatonici 108 che non i problemi teologici. Tuttavia egli è il primo e l'unico fra tutti gli antichi scrittori cristiani che si sia posto coscientemente il problema della compossibilità delle due interpretazioni. Infatti Giov 7,37.38 è per lui di somma importanza nella speculazione trinitaria contro gli ariani. Nel suo pensiero d'ispirazione platonica, la Trinità è fons, flumen, irrigatici109, e Cristo è fons vitae, fiuvius, fontana vitae n o , ed in questo inscindibile rapporto del fiume con la sorgente egli vede l'immagine più appropriata dell'ομοούσιος del Concilio di Nim cea . Il Logos vien quindi ad essere datore di Spirito 107 Adv. Arium 4, 6 (PL 8, 1117 B). Ma Vittorino aggiunge qui espressamente: « I t e m ipse de se ita dicit ». 108 Cfr. P. HENRY, Marius Vktotinus a-t-il hi les Enneades de Piotini in Recherches de science relig. 24 (1934) 432-449. 109 Hymnus 3 àe Trinitate (PL 8, 1143 C ) ; Hymn. 1 (1141 D ) . 110 Adv. Arium 1,25 (PL 8,1058 D ) ; 1, 32 (1065 D ) ; 1,47 (1077 A ) ; 2, 12 (1097 D ) ; 4, 31 (1140C). 111 De όμοουσί<>> non recipiendo 4 (PL 8, 1 1 4 0 C ) .
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allo stesso modo in cui dal fiume si originano i ruscelli. Chi comunica lo Spirito è precisamente il Logos incarnato, il cui corpo è ricolmo di Spirito: «Ex ipso (Spiritu) concipitur Christus in carne, ex ipso sanctificatur in baptismo Christus in carne. Ipse est in Christo qui in carne, ipse datur Apostolis a Christo qui in carne est, ut baptizent in Deo et in Christo et in Spiritu Sancto » 112 . In quest'ultimo senso si deve ora intendere anche Giov 7,38. L'espressione significa che lo Spirito viene infuso da Cristo nei credenti in misura così abbondante che questi, a lor volta, diventano venter, ossia dispensatori dell'acqua per altri: «Est illud quidem dictum de ilio qui accipit Spiritum, qui accipiens Spiritum efficitur venter, effundens flumina aquae viventis » 113 . Vittorino inserisce però subito anche l'altra interpretazione a lui ben nota. Questa, anzi, si presta molto meglio per la prova - per la quale egli intendeva servirsene - dell'ομοούσιος delle tre Per sone divine : « Sed rursum iterum flumina Spiritus, venter autem ex quo flumina Iesus. Iesus enim est Spiritus (2Cor 3,17). Iam ergo Iesus venter de quo flumina Spiritus. Sicut enim a gremio Patris et in gremio Filius (Joh 1,18), sic a ventre Filii Spiritus. Όμοούσιον ergo tres, et idcirco in omnibus unus Deus » 1 1 4 . La fusione delle due interpretazioni si presenta in modo ancor più singolare in GIROLAMO che, tanto nel suo testo giovanneo quanto nell'indagine cri112 113 111
Adv. Arium 3, 18 (PL 8, 1113 C D ) . Ivi 1, 8 (PL 8, 1044 B ) . Ivi (1044 C).
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tica sulla questione della citazione veterotestamentaria di Giov 7,38, dà la preferenza all'interpretazione origeniana. Anche in lui si può però notare quanto profonda fosse l'impressione lasciata dall'antica immagine di Cristo-Roccia dal cui aperto costato sgorga l'acqua viva. Dal grande commentario a Isaia possiamo anzitutto dedurre che anche l'esegeta betlemita riconosceva uno stretto rapporto tra Is 48,21 e Giov IO »34 115· Anche in questa teologia, che non presenta per il resto nessuna originalità, Cristo è la roccia percossa col legno della croce e dalla quale scaturisce l'acqua viva 116 . La glorificazione, che in Giov 7,39 è il presupposto per l'effusione dello Spirito, consiste esclusivamente nella morte in croce : « Necdum enim erat Spiritus datus quia Iesus non fuerat glorifìcatus, hoc est non erat crucifixus »117. Entra nel medesimo contesto anche l'esegesi antigiudaica di Sai i,3 : la croce è l'albero della vita piantato presso i corsi d'acqua e dalla sola croce trae origine tutta l'acqua : « Ex ilio enim fonte procedunt omnia flumina » u 8 . Un prezioso contributo a questa interpretazione viene infine dal fatto che anche Girolamo cita in genere il testo secondo l'antica versione latina: « Qui sitit veniat et bibat », e quindi omettendo ad me dopo veniat. Si spiega così perché Girolamo, illustrando ai suoi monaci di Betlemme il passo di Sai 77,15.16, 115
In h. Comment. 13, +8 (PL 24, 4Ó3 BC). Ivi 14, 51 (PL 24, 483 AB). Cfr. anche la dottrina di Girolamo sullo ' Spirito riposante ' in Cristo : Tractatus de principio Marci (ed. G. MORIN, Anecdota Maredsolana III, 2, p. 326, 19 - p. 327, 15). 117 Tractatus in Psalm. 149 (Morin, p. 313, 9-12). 118 lui 1 (Morin, p. 5, os). 116
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abbia loro presentato l'antica e fidata esegesi: « Interrupit petram in deserto; interrupta nobis est petra in heremo. Percussa est petra et fluxerunt aquae; illa petra quae dicit: qui sitit veniat et bibat, de ciiius ventre fluxerunt flumina » 119 . È pure possibile che qui il Santo esegeta prescinda volutamente dalle sue conclusioni criticamente esegetiche intorno al significato di Giov 7,38. Nell'omelia su Sai 97,8 Girolamo spiega il testo in modo così vago, che non si può stabilire con certezza quale delle due interpretazioni egli intenda proporre 120. Una cosa è però certa: l'esegesi secondo la quale Giov 7,38 preannunzia in senso mistico lo sgorgare dell'acqua dalla ferita del costato del Signore era la ' più pia ', in ogni caso quella in cui i monaci dell'Occidente riponevano maggior fiducia. Ciò è attestato dallo stesso Girolamo. In una lettera al suo amico Rufino d'Aquileia egli dà notizia d'un comune amico di nome Bonoso, il quale s'era ritirato in una delle isole dalmate consacrandosi alla vita ascetica. Il monaco,, dice Girolamo, non gioisce più per il fascino naturale del rincorrersi delle onde del mare, ma beve l'acqua viva dalla ferita del costato del Signore : « Nulla euriporum amoenitate perfruitur, sed de latere Domini aquam vivam bibit » 121 . RUFINO ha ben compreso questo linguaggio. Noi già lo conosciamo: nella lettera sui Martiri di Lione, in Eusebio, Rufino traduce la frase έκ της νηδύος τοϋ Χρίστου con de ventre Iesu. Egli s'è servito con tanto zelo dei Tractatus Origenis, che lo si può ritenere co119
Ivi ηη (Moria, p. 65, 20-22). 120 /,,,- g7 (Morin, p. 148, 13-24). 1 2 1
Epist. 2, 4 (CSEL 54, p. 16, 7s).
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me l'autore stesso delle belle omelie 122 . Perciò non ci meravigliamo nel leggere queste parole nel suo commentario al Simbolo Apostolico: « Scribitur Iesus in latere percussus aquam simul et sanguinem profudisse. Hoc quippe mysticum est: ipse enim dixerat, quia flumina de ventre eius procedent aquae vivae » 123 . Ci veniamo così a trovare nell'Italia settentrionale, dove ci è stata appunto conservata la preziosa testimonianza del Codex Vercellensis124. Al contrario del Veronensis, esso contiene esplicitamente Υ ad me dopo veniat, et autorizza quindi a leggere insieme qui aedit in me e sicut dixit Scriptura, ad intendere perciò l'espressione nel senso indicato da Origene. Abbiamo già visto che sotto il potente influsso esercitato dal Metropolita AMBROGIO in questo ambiente, il testo veniva interpretato proprio così. Ma ora si deve osservare, per la storia dell'esegesi di Giov 7,38 che precisamente in Ambrogio, che pure ha incorporato coscientemente l'interpretazione origeniana nella sua teologia ascetica, emerge anche l'altra esegesi. Ambrogio dunque, che più d'ogni altro ha contribuito al perpetuarsi dell'interpretazione alessandrina fino ai nostri giorni, è l'ultimo grande testimone anche per l'esegesi efesina. Cominciamo con un passo, finora del tutto trascurato non solo perché presenta serie difficoltà di i« Così H. BREWER, Uber Zeit und Verfasser der sog. Tractatus Origenis (Forschungen zur christl. Literatur- utid Dogmengeschichte IX, 2), Paderborn 1909, p p . 155-165. 123 Commetti, in Symbolum Apost. 23 (PL 21, 361 C). JS4 Codex Vercellensis, ed. A. GASQUET (Collect. bibl. Latina 3), R o m a 1914, p. 174.
LA TRADIZIONE DELL ASIA MINORE
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interpretazione, ma anche perché è stato trasmesso in un testo criticamente erroneo nell'edizione maurina riprodotta dal Migne. Nell'opera De Spiritu Sancto Ambrogio intende dimostrare la divinità dello Spirito Santo. Dopo aver provato che nella S. Scrittura l'immagine del ' fiume ' rappresenta di solito lo Spirito, egli fa a sé stesso l'obiezione dei pneumatomachi, secondo la quale proprio dalla disparità tra fonte e ruscello si può desumere l'inferiore dignità dello Spirito Santo rispetto al Figlio e al Padre. Ambrogio si preoccupa di dimostrare che nella S. Scrittura anche lo Spirito è detto sovente ' fiume ' : « Sed ne quis forte tamquam pusillitatem Spiritus redarguat et hinc velit quamdam facere distantiam magnitudinis, quod aqua portio videatur esse fontis exigua... discant non solum aquam sed etiam flumen dictum Spiritum Sanctum, secundum quod lectum est: flumina de ventre eius fluent aquae vivae. Hoc autem dicebat de Spiritu ... »125. A questo punto si inserisce il testo, che vuol essere un'interpretazione esegetica di Giov 7,38.39. In base ai manoscritti, in contrasto col testo inaurino, il passo si deve leggere così: «Ergo flumen est Spiritus Sanctus et flumen maximum, quod secundum Hebraeos de Iesu fluxit internis, ut ore Esaiae accepimus prophetatum » 12e . Che cosa significa qui secundum Hebraeos? I Maurini ritengono che l'allusione a Isaia abbia per oggetto precisamente Is 66,12. Perciò Ambrogio avrebbe inteso il ' fiume della pace ' come simbolo dello Spirito Santo. Ma allora qual significato ha secundum Hebraeosì 125
De Spiritu Sancto i, 16, 156 (PL 16, 74.0 A ) . ! " Ivi 1, Itì, 157 (PL 16, 740 B).
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In parecchi luoghi delle sue opere Ambrogio accenna alle diverse lezioni nelle versioni dell'Antico Testamento; egli conosce Simmaco e Aquila, e le varianti dei LXX rispetto al testo ebraico sono giunte a sua conoscenza sicuramente, perché egli disponeva d'un esemplare degli Esapli 127 . Secundum Hebraeos potrebbe dunque indicare anche qui un riferimento di questo genere. Solo per Is 66,12 non si parla affatto d'una tale variante al testo, che avrebbe resa necessaria una precisa indicazione. Per la soluzione della difficoltà può ora venirci in aiuto solo la storia dell'esegesi di Giov 7,38 che abbiamo fin qui esposta. Già in Giustino, e poi in Ireneo, Tertulliano, Origene e Novaziano 128 , incontriamo l'antica dottrina secondo la quale lo Spirito Santo è disceso in tutta la sua pienezza in Cristo per rimanervi definitivamente, compiendo così tutte le profezie dell'Antico Testamento e costituendo a un tempo nel Nuovo Testamento il principio fontale dell'effusione dei doni dello Spirito sui credenti. È questo il πνεΰμκ μένον di Giov 1,32.33, preannunziato in Is 11,2. La storia patristica di questa esegesi è stata esaurientemente esposta da K. Schlutz 129 . NOVAZIANO, come abbiamo già visto, li7 Ciò è comprovato dalle innumerevoli citazioni da Aquila, Simmaco e Teodozione (cfr. l'indice analitico di CSEL 64, p. 42is; CSEL 62, p. 537), che Ambrogio certamente non ha tratto solo di volta in volta da Origene. Bxpos. in Ps. 118, 8, 2 (CSEL 62, p. 150, 2s): ' secundum hebraeos ' indica anche la differenza delle lezioni. - Per i manoscritti riguardanti il nostro testo mi ha dato cortesemente il suo consiglio il miglior conoscitore della tradizione ambrosiana,
O.
FALLER.
128 Cfr. sopra, pp. 359. 364S. - ORIGENE, In Num. homil. 6, 3 (GCS Origenes VII, p. 325). 1!> K. SCHLUTZ, Isaias 11, 2 in den ersten uier christlichen Jahrhundertcn (Alttestamentliche Abhandlungen XI, 4), Munster 1932.
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LA TRADIZIONE DELL* ASIA MINORE
ha espresso il concetto con le parole: «Totius Sancti Spiritus in Christo fonte remanente » 130 . Or sappiamo che Girolamo, il quale non l'ha dedotto solo dalle sue personali ricerche ma anche dal Commentario a Isaia (per noi perduto) di Origene, che il Vangelo dei Nazareni, il cosiddetto Vangelo degli Ebrei 131 , ha espresso quasi con le medesime parole la dottrina dello « Spirito riposante in Cristo » : « Descendit fons omms Spiritus Sanai et requievit super eum » 132 . Le citazioni di quest'opera apocrifa vengono introdotte da Girolamo con il lemma secundum Hebraeos133. Noi non intendiamo affatto affermare che Novaziano alluda precisamente a tale citazione, benché sia possibile ch'egli abbia conosciuto, probabilmente tramite Origene, il suddetto libro. Origene però l'ha conosciuto di certo 134. E si può ben presumere che nel suo Commentario a Isaia fosse inclusa anche questa citazione, dato che Girolamo s'è servito di essa ampiamente. Possiamo perciò asserire che verosimilmente anche Ambrogio dipende dall'origeniano Commentario a Isaia. Do130
De
Trinitate 29
(PL
3,
944 B).
Cfr.
K.
SCHLUTZ,
op.
cit.,
pp. 69-71· 131 Cfr. A. SCHMIDTKE, Nette Fragmente und Untersuchungen zu den Juden-christlkhen Evangelien (Texte und Untersuchungen 37, 1), Lipsia 1911; K. S C H I U T Z , op. cit., p p . 20-24; T H . Z A H N , Gesch. d.
neutest. Kanons II, 2, Erlangen 1892, p. 689S; J. SCHADE, Hieronymus und das hebràische Matthausoriginal in Bibl. Zeistchrifl 6 (1908) 36OS. 133
133
GIROLAMO, In Is. comment. 4 (su Is 11, 2) (PL 24, 145 B ) .
Comment. in Michaeam 2 (su Mich 5,7) (PL 25, 1221D); De viris illustribus 2 (PL 23, 611 B ) ; In Matth. comment. 4 (su Mae 26,16) (PL 26, 206 B ) ; In Is. comment. 11 (su Is 40,9) (PL 24, 405 A). Girol a m o s'è servito certamente, in Cesarea, dell'esemplare di Origene. Cfr. T H . Z A H N , Geschichte des neutestamentl. Kanons II, 2, pp. 656. 666. 134 In Ieremiam homil. 15, 4 (GCS Origenes III, p. 128, 2?s); In Ioannem comment. 2, 12 (IV, p. 67, I9s); In Matth. comment. 15, 14 (X, p . 389. I5s).
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L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
po questa premessa (che è solo un'ipotesi, anche se confortata da molte buone ragioni), il passo enigmatico del De Spirita Sancto appare perfettamente chiaro. Ambrogio intende dire: «Lo Spirito Santo è dunque un fiume, e precisamente il grandissimo fiume che, secondo il Vangelo degli Ebrei, scaturisce dall'intimo di Gesù, come è stato preannunziato profeticamente per bocca di Isaia ». Il ' grandissimo fiume ' dovrebbe quindi equivalere al totus fons di Novaziano ed anche ufons omnis Spiritus Sancii della citazione dal Vangelo degli Ebrei. Possiamo ora dire con certezza che l'autenticità della lezione de Iesu internis, contro quella maurina de Iesu in tetris, conferma l'esattezza dell'interpretazione di Giov 7,38 nel senso indicato dalla tradizione efesina. E possiamo provarlo con una serie di testimonianze, finora trascurate, tratte dagli scritti di Ambrogio. Esse dimostrano chiaramente che al Vescovo di Milano, pur strettamente legato alla tradizione origeniana, era ben accetta anche l'altra esegesi. Ancora una volta Giov 7,38 viene messo in relazione con l'allegoria dei quattro fiumi del paradiso, e si spiega che tale rapporto si è dimostrato sulla croce, quando è stato promesso il paradiso al ladrone, quando dal costato di Cristo è scaturito il fiume che scorre per tutta la terra: «Post passionerà Domini quid aliud sequi debuit, nisi quia de corpore Domini flumen exivit, quando de latere eius aqua fluxit et sanguis, quo laetificavit (Sai 45,5) animas universorum, quia ilio flumine lavit peccatum totius mundi » 135. L'alle-•"· Expl. Ps. 45, ia (CSEL 64, p. 337, 23-26).
LA TRADIZIONE DELL'ASIA MINORE
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goria ritorna poi, come abbiam già visto, sulla linea della tradizione origeniana. In una spiegazione quasi artificiosa del nome Betsabee, interpretato in senso filoniano come filia piena e puteus iuramenti, Io Ps.Ambrogio introduce i seguenti concetti. Betsabee, qual sposa di Salomone, è la figura della Chiesa sposa del vero Re della pace e perciò è in senso proprio figura della caro Christi, della natura umana con la quale il Logos s'è unito sponsalmente nell'incarnazione. La carne di Cristo è filia piena, ossia piena di Spirito Santo: « Eadem (caro) piena... quia piena Spiritu Sancto. Iesus enim plenus Spiritu Sancto regressus est a lordane (Lue 1,4; Giov 1,33). Eadem etiam ' puteus iuramenti ' ... et bene puteus, quia flumina de ventre eius fluent aquae vivae »13e. L'ignoto autore di questa seconda apologia di Davide ragiona qui proprio come Ambrogio, ed anche il parallelismo fra Lue 4,1 e Giov 7,38 circa la pienezza di Spirito ha un preciso riscontro in Ambrogio. Nella sua spiegazione dei Salmi egli applica a Cristo quanto vien detto dell'albero piantato presso i corsi d'acqua (Sai 1,3): la natura umana di Cristo, piantata come una pianticella nel seno della Vergine, non può mai inaridirsi perché ha in sé, in tutta la loro pienezza, i fiumi dello Spirito : « Non enim potuit arescere ista plantatio, quae habebat ubertatem in se manentem (Joh 1,33) gratiae spiritualis. Denique: ' plenus Spiritu Sancto Iesus regressus est a lordane ' (Lue 4,1). Hi sunt decursus aquarum de quibus 136 Apologia David altera io, 51 (CSEL 32, 2, ρ. 394, 23- 395, 4). L'ignoto compilatore dipende qui sicuramente da Ambrogio. Cfr. la nota seguente.
388
L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
dicit in Evangelio : ' flumina de ventre eius fluent aquae vivae ' » 137 . Nello spirito dell'antica tradizione anche Ambrogio vede nel racconto di Giov 19,34 l'effettuazione del dono dell'acqua dal corpo di Cristo. Cristo crocifisso, assetato, trafitto, roccia aperta dalla quale scaturisce l'acqua, realizza quanto ha promesso in Giov 7,38. « Tunc itaque sitiebat, quando de latere suo restinctura sitim omnium, vivae aquae flucnta fundebat. Denique scriptum est: 'flumina de ventre eius fluent aquae vivae '» 138 . In uno dei passi più belli della spiegazione dei salmi il pensiero dell'oratore milanese si eleva fino alle vette della mistica - « tempus est ut inseramus et mystica »139 - per invitare con un commovente appello i suoi fedeli a bere l'acqua viva, a bere dai fiumi dei due Testamenti, dal traboccante calice della sapienza. Ma - egli pensa - poiché in entrambi i Testamenti della divina rivelazione è uno solo in ultima analisi colui che parla, cioè Cristo, il Verbo incarnato, ne consegue che noi beviamo dalla fonte che è Cristo stesso : « Bibe Christum quia petra est quae vomuit aquam, bibe Christum quia fons vitae est, bibe Christum., quia flumen est, cuius impetus laetificat civitatem Dei, bibe Christum, quia pax est, bibe Christum quia flumina de ventre eius fluent aquae vivae » 140 . Questo inno ambrosiano è come il canto d'addio dell'esegesi patristica di Giov 7,37.38, che ebbe quali "' Expl. Ps. I, 35 (CSEL 64, p. 31, 19-25). "» Ivi 61, 14 (CSEL 64, p. 3S1, 19-22). "· Ivi i, 33 (CSEL 64, p. 28, i 2 ) . 110 Ivi 1, 33 (CSEL 64, p. 29, 18-22).
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primi promotori i ' grandi luminari dell'Asia ', gli stessi discepoli dell'Apostolo Giovanni. Certo non verrà più dimenticata la dommatica sublime intorno al corpo umano del Signore che ci ha donato Γ ' acqua nel sangue ' e dalla cui ferita del costato scaturisce la grazia battesimale per la quale vien plasmata la Chiesa 1 4 1 . Va però sempre più in oblio questo particolare significato di Giov 7,38. Ci si abitua invece, sotto l'influsso di Agostino, ad interpretare il testo nel senso dell'amore traboccante per il prossimo. Da Ambrogio, poi, si accoglie la spiegazione dei quattro fiumi delle virtù cardinali che nascono nell'intimo del credente 142 . Origene e la sua spiegazione spiritualistico-morale ha trionfato sulla più antica e dommaticamente più profonda esegesi, che ha avuto inizio 141
Qui indichiamo solo i luoghi in cui Giov 7,38 è citato ο almeno
inteso chiaramente. BASILIO, De Spiritu Sancto 14 (PG 32, 121 C) ; PS.-ATANASIO, De Trinitate et Spiritu Sancto 19 (PG 26, 1213 A-D).
Alla diffusione contribuirono sostanzialmente due libri popolari, il PHYSIOLOGUS e il CLAVIS MELITONIS. Physiologus 30 (LÀUCHBRT,
p. 2tìos; nuova edizione critica di F. SBORDONE, Milano 1936, p. 98, 3-6; p. 99, 4-7) racconta che il cervo uccide i serpenti dei crepacci con l'acqua che fa uscire dalla sua bocca. Ciò sarebbe un simbolo di Cristo, che ha dato a noi dal suo costato le acque celestiali, l'acqua della sapienza, « come si legge nel TEOLOGO », ossia in Giovanni. Clavis Melitonis 17 (ed. PITRA, Analecta Solestn. II, 1884, p. 11) : « Venter Christi lavacrum regenerationis ex quo electos suos per adoptionis gratiam in filios regenerat». AGOSTINO, Serm. 352, 3 (PL 39, 1951/53); AMBROGIO, In Lucam comment. io, 48 (CSEL 32,4, p. 473,24 - p. 474,3) ; PACIANO, Epist. 3, 3 (PL 13, 1065 A): « Apud nos aqua viva est ipsa quae salit a Christo ». MESSALE DI BOBBIO, Contestatio in Missa ieiunii (PL 72, 485 A) : « Lancea latus eius aperuit, aquas vivas evomuit, unde simul bibit omnis credulitas gentium, quae numquam sitiet in aeternum ». GELASIANUM, Preghiera della notte di Pasqua (WILSON, p. 89) ; PS.-COLOMBANO, Instr. 13, De fonte vitae (PL 80, 254 B). 14! Expl. Ps. 45, 12 (CSEL 64, p. 338, 2-4); De paradiso 3, 14 (CSEL 32, 1, p. 273, 13 - p. 274, 2).
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
nello stesso ambiente di Giovanni e di cui abbiamo esposto la storia. Dopo queste considerazioni sull'esegesi efesina di Giov 7,37.38 possiamo finalmente rispondere alla seconda domanda: come è stato interpretato il riferimento all'Antico Testamento circa la profezia che annunzia lo sgorgare dell'acqua dal corpo di Cristo? Abbiam visto che non ci si è mai occupati espressamente di questo problema: solo Girolamo aveva dovuto affrontarlo per esigenze critiche. La risposta deve quindi emergere dall'evoluzione storica di questa tesi esegetica. Giov 7,38 è inserito fin dai primissimi tempi in uno schema ben definito di luoghi scritturistici facenti parte della forma primitiva di confronto fra la teologia cristiana e il giudaismo. Già nella lettera di Barnaba e in Giustino abbiamo potuto costatare la giustapposizione di Ger 2,13 e Is 33,16. A questi Ireneo aggiunge Is 43,19-21, e Cipriano Is 48,21. Il concetto fondamentale è sempre lo stesso: i giudei hanno disprezzato l'acqua viva che sgorga dalla ' fonte della vita ', come era stato loro predetto da Dio. Perciò essi non possono più bere l'acqua dello Spirito, la quale è in tutta la sua pienezza nel Messia (Is 11,2) e che dal Messia viene elargita nella stessa maniera in cui una volta Mosè nel deserto fece scaturire l'acqua dalla roccia (Is 48,21). Ciò si connette perfettamente con la dottrina cristologica degli Atti degli Apostoli, secondo la quale Cristo è Γ ' altro Mosè ' (At 3,22; 7,37; Deut 18,15.19). Ben s'inquadra pure con l'attesa del popolo ebraico, per cui il Messia avrebbe dovuto ripetere in forma più perfetta i due grandi doni di Mosè, ossia il pane celeste della manna e l'acqua viva
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dalla roccia 143 . Perciò è assai significativo che il popolo tutt'e due le volte, dopo la promessa della manna e quella dell'acqua viva, abbia esclamato: « Questi è veramente il Profeta» (Giov 6,14; 7,41). Si può da ciò concludere che fin dal giorno solenne della festa dei Tabernacoli, nel ricordo dell'acqua viva scaturita nel deserto, si sia pensato che fosse da riferirsi al Signore stesso la promessa del dono messianico dell'acqua, che avrebbe avuto il suo compimento dopo la glorificazione di Cristo? Si può vedere nel testo un riferimento generico a tutti quei passi dell'Antico Testamento in cui si parla dell'acqua sgorgata dalla roccia nel deserto? Certo, la tradizione antigiudaica più antica, che possiamo riportare fin quasi al tempo in cui visse l'Apostolo Giovanni, è stata di questo parere. Anche l'altro concetto è però ugualmente antico, e già in Giustino possiamo trovarlo in tutta la sua chiarezza: l'acqua messianica dello Spirito vien dispensata dal ' trafitto ' Crocifisso, in cui si compie quanto è detto in Zac 12,10. A ciò aveva accennato lo stesso Evangelista in tono solenne. L'acqua sgorgante dal corpo di Cristo crocifisso sarebbe a sua volta un ση μείον, un fatto indicativo e simbolico rispetto a quello promesso in Giov 7,38 e che ha il suo compi mento effettivo nell' ' effusione ' dello Spirito da parte del Messia definitivamente glorificato (At 2,33; Gioe 3,1). Le promesse dell'acqua dalla roccia, dell'acqua dal corpo di Cristo, e dell'effusione dello Spirito su tutta la natura umana sarebbero così dunque in imme145 Cfr. STRACK-BILLERBECK, Komm. ζ. Ν. Τ., v. I, p. 86s; ν. Π, p . 4 8 1 . - FL. SCHLAGBNHAUFEN i n Zeitschr.f. kath. Theo/. 51 (1927) 492s.
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diato reciproco rapporto, e in iCor 10,4 e 12,13 vi sarebbe solo un accenno, di immediata intelligibilità per i Corinzi, a tale rapporto. Questo è certo: Giov 7,38 è stato inteso in tal senso da tutta la tradizione che abbiamo passato in rassegna. I flumina de ventre Christi sono ' Spirito ', che vien donato nell'atto della glorificazione del corpo di Gesù, nel momento in cui dal suo costato scaturisce l'acqua, divenuta santificante nel sangue. Si compie così Γ ' avvento ' messianico: in sangue ed acqua, in Logos e Pneuma, come dice Apollinare, il quale ha appreso il concetto dalla lettera del ' Profeta ' che posò il capo sul petto del Signore. Quanto sia rimasta viva questa tradizione, almeno nella teologia antigiudaica che Giustino ha ereditato dalla Chiesa primitiva e che poi è passata da lui a Ireneo e Tertulliano e da questi ai Tractatus Origenis, alle Consultationes Zacchaei e a Rufino, possiamo desumerlo da un passo dell'opera Contro Iudaeos di ISIDORO DI SIVIGLIA. ESSO dipende dal Commentario di Rufino al Simbolo Apostolico, ed è perciò in immediato rapporto con la tradizione efesina che per il resto era stata già interamente dimenticata. Isidoro, nello stile dell'antichità classica, così scrive a proposito dell'acqua sgorgante dalla ferita del costato di Cristo: «Item de eadem aqua quae de latere eius profluit, Propheta alius sic dicit: ' Flumina aquae viventis egrediuntur de ventre illius ', aquae scilicet baptismatis quae credentes vivificant et quae sitientibus largiuntur » 144 . 144 Contra Judacos i, 48, 2 (PL 83, 490 C; 491 A). Cfr. anche le sue Quaestiones in Vet. Tesiam., Gen 3,2 (PL 83, 216 C): Cristo come fiume del Paradiso. Quaest. in Exod. 24, 1, 2 (PL 83, 299 AB): Cristo qual roccia dispensatrice d'acqua. Nella sua edizione dei Tractatus Origenis, Batiffol ha dimostrato che Isidoro s'è servito di essi.
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Fin qui è giunta la nostra indagine sulla storia patristica dell'esegesi di Giov 7,37.38. Se si eccettuano solo poche tracce, il medioevo ha ignorato completamente l'interpretazione più antica, quella che abbiamo esposta in questa seconda parte 145. Solo oggi si torna a riconoscere il valore autentico dell'esegesi efesina. Fu soprattutto l'esegesi del pietismo tedesco dei secoli XVII e XVIII, in aperto contrasto col razionalismo luterano, a dare un'espressione di sublime bellezza all'immagine del Signore glorificato che fa scaturire dal proprio intimo i fiumi dell'acqua viva 146 . Nella 145 Cfr. inoltre RUPERTO DI DEUTZ, In Ioannem commetti. 7 (PL 169, 523 C), in cui Giov 7,38 è inteso espressamente anche in ordine alla gloriosa umanità di Gesù : « Eadem immortali carne resumpta eidem Patri suo prò nobis assistit. Abhinc de ventre ipsius qui hoc ipsum loquitur diceris: qui credit in me: fulmina de ventre eius fluent aquae vivae, de ventre inquam, id est de profonda divinitate eius, coeperunt duo vivae aquae flumina, id est huius Sancii Spiritus duo data ». GERHOH VON REICHERSBERG, De investigatione Antichristi (Clm 439, inedito ; cfr. J. BACH, Die Dogmengeschichte des Mittelalters, v. II, Vienna l87S, P- 50ós) trae da Giov 7,38 la prova della processione dello Spirito dal Figlio: la natura umana di Cristo è infatti fonte dell'acqua viva. 1M Cfr., p. es., T H . GOODWIN, Moses et Aron seu ciuiles et ecclesiastici ritus antiquorum Hebraeorum, 6 ed. con note di J. PvEiTZius, Brema 1722, p. 299S: « Locus Joh 7,38 multis tormento est. Sed duplex expositio difficultatem omnem solvit. (Segue la spiegazione consueta e quindi quella più antica): Si dicimus versum Joh 7,37 forsan male distinctum et separatum a versu 7,38 atque sic legi debere: si quis sitit veniat ad me et bibat qui credit in me. Quemadmodum dicit Scriptura, fluvii aquae viventis manabunt ex ventre ipsius (scilicet •&εαν·9ρώπ(ΰ Messiae, ex cuius adaperto latere aqua profluxit), hoc vero dixit de Spiritu... ». - L'esegesi pietistica ha poi accolto questo concetto. Cfr. H. A. FRANCKE, Das eigentliche Pfingstgeschafte des HI. Geistes, welches istjesum Christum bei den Menschen zu uerklàren, Halle 1724, p. 515; J. JAC. RAMBACH, Auserlesene una heihame Worte des Herrn Jesu, v. II, Jena 1731, p. 75: Gesù, fonte dell'acqua viva (con una documentazione scientifica sull'esegesi del sec. XVII) ; M. F. Roos, Die Lente una Lebensgeschichte Jesu Christi des Sohnes Gottes
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
più recente esegesi i fautori della seconda interpretazione vanno continuamente aumentando. Nell'ambito dell'esegesi cattolica un contributo essenziale in favore di questa tesi è rappresentato dall'opera di Lagrange. La storia delle due interpretazioni qui esposte, che ha chiarito le oscure e sublimi parole del Signore, può in ogni modo contribuire a rendere più oggettivo il giudizio sui due tipi d'esegesi. Essa è come un paradigma, che entro un campo ben delimitato traccia nella fitta selva dell'esegesi patristica i sentieri per i quali anche altri e ugualmente preziosi tesori della tradizione della Chiesa, a cominciare fin dalle origini, si sono conservati ο si sono perduti. Dalla travatura marmorea che sovrasta le otto co lonne classiche di porfido di cui papa Sisto III (432-440) ha abbellito il battistero della Basilica Lateranense, il sublime poema del battesimo, composto da Leone Magno, notifica ancor oggi che cosa si pensasse una volta dell'acqua della vita sgorgante dal corpo di Cristo " 7 : Fons hic est vitae qui totum diluii orbem sumens
de
Christi
vulnere
principium.
nach den vier Evangelien (prima edizione 1776), Tubinga 1847 (2 ed.), p. I2s. - A questa tradizione pietistica aderiscono anche esegeti del sec. XIX, soprattutto R. STIEE, Die Reden des Herm Jesu, insonderheit nach Johannes, v. IV, 3 ed., Barmen 1870, pp. 631-373. - Per una sin tesi cfr. B. WEISS, Das Johannes evangelium (commento al Nuovo Testamento di A. W. MEYER), V. II, 9 ed., Gottinga 1902, p. 255. "' Inscriptiones latinae christianae veteres, v. I, p. 289, n. 1516 (Diehl). Cfr. F. J. DOLGER, Die Inschrifi im Baptisterium S. Giovanni in Fonte an dei Lateranensischen Basilika aus der ZeitXystus III. (432-440) und die Symbolik des Taufbrunnens bei Leo dem Grossen in Antike uni Christentum 2 (1930) 252-257.
ANTENNA CRUCIS
i
Ι.
ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE
A prima vista, il titolo Antenna Crucis potrebbe sembrare non troppo chiaro, ma, dopo tutto, si vedrà che esso è un'abbreviazione capace di esprimere il senso generale che domina da capo a fondo tutto ciò che segue. Sotto questo titolo, infatti, presentiamo una serie di studi utili all'ecclesiologia patristica. Ciascuno di essi è completo in sé, tutti però concorrono, in ultima analisi, ad una presentazione dell'antica simbolica cristiana della Chiesa come nave. Già F. J. DOLGEB definiva uno studio della simbolica antica e cristiana della nave come qualcosa di desiderabile : « La simbolica della nave nell'antichità e nel cristianesimo deve essere ancora scritta » 1 . Perciò, conformemente al suo 1 Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p. 286, nota 3. - Nella medesima opera (p. 272-286) egli ci fornisce il migliore schizzo elaborato sino ad oggi di una simbolica della nave, sotto il titolo : « La nave della Chiesa in viaggio verso l'oriente. Π viaggio dell'anima verso il porto della pace eterna ». - Ricordiamo qui anche gli altri tentativi di espo sizione della simbolica cristiana della nave da noi usati, anche se ab bastanza scarni. HIERONYMUS ALEANDER, Navis Ecclesiam referenti* symbolum in veteri gemma annulari insculptum, Roma 1626 - M. A. BOLDETTI, Osservazioni sopra i Cimiteri de' santi Martiri e antichi ai-
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ideale scientifico, saranno forniti qui alcuni lavori preliminari, con l'intenzione però, nello stesso tempo, di inoltrarci, al di là del ristretto lavoro filologicoarcheologico, nelle concatenazioni dommatiche, le sole che diano ai singoli studi parziali di « Antichità e cristianesimo » la loro piena giustificazione teologica. I risultati di questa simbolica nautica, che ora intendiamo esporre, rappresentano un ulteriore sviluppo della dommatica patristica della Chiesa, che noi abbiamo già incontrato nei precedenti capitoli di questa opera. Nello studio sulla Nascita di Dio riuscimmo a cogliere le relazioni tra Chiesa e grazia: la Chiesa genera e forma in noi il Cristo mistico 2. La serie di articoli Mysterium Lunae e il capitolo Flumina de ventre Christi andarono anche più a fondo: la fertilità soprannaturale della Chiesa si rivela come ripetizione della morte e della gloria di Cristo 3 . In Antenna Crucis stimi, Roma 1720, v. I, p. 360SS. - T H . MAMACHI, Origine; et antiquitates christianae (ed. Roma 1846), v. HI, p. 68ss. - FR. MUNTER, Sinnbilder uni Kunstvorstellungen der alien Christen, Altona 1825, p. 92S. FR. NORK, Der Mystagog oder Deutung der Geheimlehren unii .Feste der christlichen Kirche, Lipsia 1838, p. H2ss. - F. PIPER, Mythologie der christlichen Kunst von der dltesten Zeit bis in 16. Jahrhundert, Weimar 1847, v. I, parte I, p. 2i8ss. - J. KREUSER, Christliche Symbolik, Bressanone 1868, p. 253SS. - R. GARRUCCI, Storia dell'arte cristiana. Prato 1872, v. I, p. 202ss. - FR. X. KRAUS, Realenzyklopàdie der christi. Altertiimer, Friburgo 1886, v. II, p. 729SS (J. WILPERT). - C. M. KAUFMANN,
Die sepulkralen Jenseitsdenkmàler der Antike und des Urchristentums, Magonza 1900, p. 178SS. - J. SAUER, Symbolik des Kizchengebàudes, Friburgo 1902, p. ioos; edizione speciale dei supplementi alla seconda edizione, Friburgo 1924, p. 393. - H. LECLERCQ, Navire, in Dici. d'Archéol. chrét. et de Lit., v. XII, 1, Parigi 1935, col. 1008-1119. Per la più recente letteratura su « Nave (Arca) = Kirche » cfr. più sotto a p. 871, nota 1. 1 Cfr. sopra a p. 13-143. * Cfr. sopra a p. 145-287; 289-394.
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questa dommatica fa un passo ulteriore: vedremo che la croce di Cristo è il mistero, carico di significati, della Chiesa, della sua essenza, del suo destino, della sua meta eterna. La teologia dei Padri della Chiesa ha avviluppato tutto ciò nei concetti simbolici in voga sin dai primordi, concetti che vedevano nella Chiesa quella grande nave, a cui è affidata la nostra eterna salvezza: Chiesa è navigazione verso il portus salutis. Chiesa è viaggio pericoloso e, allo stesso tempo, meraviglioso: pericoloso, perché non è ancora giunto in porto; meraviglioso, perché è luogo unico di sicurezza in mezzo al mare procelloso. Questa nave della Chiesa è costruita con il legno della Croce, e il suo ritorno in patria è garantito dall'albero con il quale il pennone della vela, postogli di traverso, forma la la croce: antenna crucis. Come si vede dunque noi abbracciamo un vasto e confusamente complesso capitolo di antica simbolica cristiana e lo riconduciamo ai suoi concetti dominatici fondamentali, iniziando dalla teologia del secolo, quando il martire GIUSTINO scriveva: « Non si può veleggiare attraverso il mare, se sulla nave il tropaion della croce, l'albero, non è intatto » 4 , e risalendo sino al primo medioevo, quando, nel canto di Ezzo risuona ancora una volta tutta l'antica tradizione cristiana, riassunta in accenti tedeschi: Ο crux Salvatori? tu sei la nostra asta della vela 4 Apologia, I, 55, 3. 4 (ed. OTTO I, 1, p. 150, l.'ijs). Cfr. per que sto F. J. DÒLGER, Die Some der Gcrechtigkeit uni der Schwarze. Miinster 1918, p. 137, nota 4.
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questo mondo è il mare il regno dei cieli è la nostra patria.
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La simbolica patristica della Chiesa come nave è molto utile alla dommatica per esprimere l'incertezza e la certezza della salvezza, fondate sul legno della croce e che sussistono nella Chiesa finché questa sarà in pieno viaggio sul mare del mondo. Per comprender questa simbolica nel suo divenire storico, dobbiamo distinguere, come abbiamo fatto già negli studi del Mysterium lunae, tra ciò che proviene dalla Bibbia e lo sviluppo chiarificativo derivante semplicemente dalla cultura antica. Qui senza dubbio questa simbolica trae la sua forza principale dalle due immagini bibliche delia Chiesa: l'arca di Noè e la Jbarca di Pietro. La nostra esposizione doveva muovere, pertanto, dalla storia patristica di questi due simboli, il secondo dei quali oggi è ancora straordinariamente vivo nel pensiero ecclesiale. Questa esposizione sarebbe già di per sé estremamente ricca, sia quanto a contenuto, sia quanto ad influsso. « Dies me deficiet si omnia arcae sacramenta cum Ecclesia componens edisseram », dice persino un GEROLAMO non troppo abituato al pensiero allegorico e . Questo sviluppo sorprendentemente ricco della teologia biblica della nave già basta da solo a mostrarci l'influsso determinante che la cultura del mondo nautico ellenistico-romano del Mediterraneo ha esercitato sulla formazione e sulla popolarità della * Kkinere deutsche Gedichte des XI. una XII. Jahrhunderts, a cura di A. WAAG, Altdeutsche Textbibliothek voti H. Paul, v. io. Halle 1916 p. 15S. • Dial. aàv. Luciferianos, 22 (PL 23, 176 C).
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simbolica nautica. Si vedrà, in un prossimo studio, che ancor oggi negli scritti dei Padri della Chiesa si ode rumoreggiare quel mare intorno al quale era adagiato il mondo antico e sul quale i messaggieri di Cristo portavano ai popoli il carico di grazia del Vangelo, e « si vedono le magnifiche navi, che fanno spiccare sull'onda azzurra le loro bianche vele, quali colombe che volteggiano lontane sul mare » 7. In queste superbe triremi e nei mercantili alessandrini carichi di granaglie, l'occhio del cristiano, avido di simboli, vedeva l'immagine della sua Chiesa. Albero e pennone erano per lui il segno della croce salutato segretamente e con riverenza; tutta l'attrezzatura della vela e l'equipaggiamento, dai contenitori per acqua dolce ammassati nella stiva, sino alla più alta vela dell'albero, tutto era interpretato simbolicamente, andando al di là di qualsiasi immagine biblica. Già IPPOLITO è un validissimo testimone di ciò 8 . Ma anche l'orrore, caratteristico degli antichi, al cospetto del mare insidiosamente cattivo, di fronte al pericolo di un viaggio in mare, che provoca l'ira della divinità, dinanzi allo sfortunato naufragio, i cui effetti si sentono sino nell'ai di là: tutto ciò esercita un influsso, anche se non come convincimento, tuttavia come stato d'animo, sulla teologia patristica della Chiesa. Anche la Chiesa è 7 AMBROGIO, Exameron, 4, 6, 26 (CSEL 32, i, p. 133, 1. 14-17). Cfr. anche il passo proveniente da un ignoto apocrifo in IPPOLITO, De Antichristo, 15 (GCS Ippolito, 1, 2, p. 12, 1. 8s): λευκανεΐ τήν Φαλάσσαν άπο των ιστίων των πλοίων αύτοϋ. 8 De Antichristo, 59 (GCS Ippolito, 1, 2, ρ. 39. 1. 12 - ρ. 40, 1. 9)· Questa esposizione fondamentale verrà trattata più a fondo dopo, in parte per correggere ciò che viene detto, a sua spiegazione, da F. J. DÓLGER, Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p. 274SS.
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il grande rischio di un viaggio per mare, il cui esito è ancora angosciosamente incerto: la Chiesa è la nave perigliosa, senza la quale, però, non c'è salvezza, sulla quale soltanto scampiamo alle fragorose tempeste e alle seducenti tentazioni del viaggio della vita sino all'ingresso nel porto sicuro : sostenuti dal « legno », ossia dalla croce, guidati dal « legno », ossia dall'albero della croce. « Transivit navis et venit in patriam. Sed ad patriam non nisi per navem. Navigavimus enim, si attendamus fluctus tempestatesque huius saeculi. Nec dubito quod ideo non mergimur quia crucis ligno portamur », dice AGOSTINO 9. Perciò, il cristiano solca il mare cattivo di questo mondo con pericolosa sicurezza soltanto quando si stringe all'albero della sua nave: quando abbraccia la croce del Signore, che si erge in mezzo alla Chiesa. Garanzia di felice approdo non è la « mistica » infruttuosa contemplazione dell'altra riva dell'eternità, come sostenevano i platonici, ma l'umile abbraccio dell'albero da parte del cristiano che, pur vedendo confusamente con i deboli « occhi » della fede, proprio per questo è fermamente stretto ad esso, come dice ancora una volta con profondità un AGOSTINO: «Instituit lignum quo mare transeamus. Nemo enim potest transire mare huius saeculi nisi cruce Christi portatus. Hanc crucem aliquando amplectitur et infirmus oculis; et qui non videt longe quo eat, non ab illa recedat et ipsa illum perducet » 10 . Ora proprio questo è il punto ove subentra il nostro studio che, non soltanto è primo, ma nello stesso • Augustini tractatus seu sermones inediti, a cura di G. MOKIN, Kempten-Monaco 1917, p. 125. 10 Tractatus in Ioannem, 2, 2. 3 (PL 35, 1389S).
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tempo deve anche avere il carattere di un'intonazione. Di fronte al cristiano che naviga verso il porto dell'eternità, che, per sfuggire ai pericoli e approdare sicuro in patria, si tiene stretto all'albero della croce, la riflessione simbolica del cristiano educato ellenisticamente si sentiva trasportata con il ricordo verso il più celebre tra i navigatori, verso Ulisse, che, per sfuggire alle seduzioni delle sirene, si fece legare all'albero della nave. Questo mito omerico era familiare ai Padri sin dai tempi della loro formazione scolastica. Essi lo applicarono anche là, dove non si tratta più di una spiegazione allegorica cristiana. Gerolamo ci dipinge vivacemente il suo viaggio per mare da Porto Romano a Reggio, quando, con la mente piena di ricordi antichi, attraversa lo stretto di Sicilia, nel quale, sin dai tempi remoti, si pensava che fosse la sede delle sirene : « In Scyllaeo littore paululum steti, ubi veteres didici fabulas et praecipitem pellacis Ullyssis cursum et Sirenarum cantica et insatiabilem Charybdis voraginem» 11 . In un contesto spassoso, SINESIO DI C I RENE, vedendo sulla sua nave uno schiavo che avevano dovuto legare sul ponte di coperta per impedirgli di andarsi a scolare gli otri di vino nella stiva, si ricorda di Ulisse legato 12. Già ORIGENE, nella polemica con Celso, cita il mito omerico 13 ; e, nella polemica umanisticamente cortese del pagano LIBANIO con il vescovo Basilio, questo retore vi prende lo spunto per indirizzare un garbato complimento all'uomo di 11
Apologia adv. libros Rufini, 22 (PL23, 473 B). " Epistola 32 (PG 66, 1361 B). 13 Adv. Celsum, 2, 76 (GCS Origenes, I, p. 198, 1. 20); cfr. anche 5, 6^ (GCS Origenes, Π, ρ. 67, 1. 21-25).
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Cesarea14, mentre lo stesso BASILIO, nello scritto ai giovani e in una sua lettera, fa risuonare tali motivi in un senso più pregiudizievole15. Ancora Boezio presenta la sua matrona, la consolatrice Filosofia, nell'atto di allontanare dal giaciglio di Boezio le Sirene, con le famose parole, citate volentieri nel medioevo : « Sed abite potius sirenes usque in exitum dulces, meisque cum musis curandum sanandumque relinquite » 16 . Questo mito dell'antichità, così familiare a tutte le persone colte, apre alla simbolica patristica della Chiesa un ricco mondo di allegorie. Ne parleremo ora, per Cogliere, dietro il velo delle immagini, la profonda teologia della Chiesa e della croce, a partire dalla quale i Padri si impadroniscono della forza dell'immagine mitologica. Lo faremo seguendo tre direzioni di pensiero: i. Il cristiano come navigatore in viaggio verso la patria celeste; 2. La tentazione delle sirene e il suo significato allegorico nella tradizione cristiana; 3. Il cristiano, quale nuovo Ulisse, che, legato all'albero della croce, supera la tentazione.
1. IL CRISTIANO COME NAVIGATORE IN VIAGGIO VERSO LA PATRIA CELESTE
Il viaggio per mare è, per designare in breve lo statò d'animo dell'uomo antico dell'ambiente medi11 Lettera di Libanio a Basilio, presentata come lettera 345 della collezione di lettere di Basilio (PG 32, 1089 B). 15 Ad adolescente*, 2 (PG 31, 568 D; 569 A). - Epist. 147 (PG 32, S9óD). '· Philos. Consol., 1, i, il (CSEL 67, p. 3, 1. I3s).
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terraneo, «meraviglioso e pericoloso per la vita nello stesso tempo». Per ben comprendere la simbolica cristiana della nave, è importante far rivivere qui questo atteggiamento, servendoci di alcune testimonianze scelte tra tante: anche la Chiesa infatti è come una nave, che si trova in viaggio verso il cielo: un viaggio meravigliosamente audace e, allo stesso tempo, pieno di pericoli. In una quartina dell'Anthologia Graeca, il poeta si augura di condurre una vita calma, pacifica, sulla terraferma, contrariamente a quella del mercante spinto verso la morte dalla passione del guadagno : « Non l'ondeggiare del mare, né la spumeggiante tempesta portano la morte, ma la meschina e gretta ricerca di guadagni nei commerci. Mi sia concessa dunque una vita modesta a terra. Si godano pure gli altri il guadagno ricavato dalla navigazione che combatte contro la tempesta » : ούτε σε πόντος βλεσσε και ου πνείοντες αήτοα άλλ' άκόρητος έρως φοίταδος έμπορίης εϊη μοι γαίης ολίγος βίος, έκ δε θ-αλάσσης 17 άλλοισιν μελέτω κέρδος άελλομάχον . È da questo stato d'animo quasi romantico che prende le mosse un delizioso brano di una predica di AGOSTINO, che si potrebbe senz'altro designare co17 Anthologia Graeca, 7, 586 (ed. BECKBY, II, 345) : « Non il mare, né i venti minacciosi ti distrussero, bensì l'indomabile cupidigia del mercante, che lo attira al largo. Possa la terra concedermi di vivere modestamente, il cuore trascini gli altri verso il guadagno ottenuto combattendo il mare». - Cfr. SiNESio DI CIRENE, De providentia, s (PG 66, 1273 A) : descrizione dell'età aurea, quando non si viaggiava ancora con navi attraverso il mare infido. Con versi presi dai Feno-
meni di ARATO.
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me un antico canto di marinai. Il predicatore presenta le singole professioni civili nell'atto di esaltare i propri pregi, per poter poi esprimere più efficacemente la nullità di tutto ciò che è terreno. Il navigatore dice: « Navigare et negotiari magnum est! Scire multas provincias, lucra undique capere, non esse obnoxium in civitate alicui potenti, semper peregrinari, et diversitate nationum animum pascere, et augmentis lucrorum divitem remeare» 18 . Quale inganno, pensa Agostino a proposito di questa canzonetta di marinai: « Uno naufragio nudus exibis ! » Il suo più giovane contemporaneo, il poeta pagano AVIBNO, ha così espresso il ribrezzo antico per il fragoroso mare notturno e per i suoi insidiosi pericoli, e il vivo desiderio della costa sicura: «Tum quoque si piceam spectaris surgere noctem informem taetris tellurem ut vestiat alis litus ama, solers fuge caerulea tegmina noctis exitiurnque sali rabidique pericula ponti »19. Battere il « mare infido » servendosi di tutte le arti nautiche inventate dall'ingordigia dello spirito umano, è sempre parso agli antichi una temerità che provoca l'ira degli dei. « Provocazione della morte », così la chiama Plinio il Vecchio. Egli, trattando della coltura del lino, giunto al centro della sua dissertazione di botanica, introduce molto pateticamente urta considerazione sulla inaudita temerità di coloro che da queste piante ricavano tele da impiegare come vele di navi: « Audax vita, scelerum piena! Aliquid seri ut " Enarr. in Psalm. 136, 3 (PL 37, 1762 D). " ARATO, II, v. 673-676.
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ventos procellasque recipiat?» E non si è contenti di una sola vela: al di sopra delle antenne si deve porre ancora una vela di cima, a poppa si aggiunge una vela anteriore (Γanemone, di cui agli Atti 27,40), per invocare così, in tutti i modi possibili, la morte: « Ac tot modis provocari mortem » 20 . Lo stesso concetto risuona commovente nel coro del secondo atto della Medea di SENECA, che inizia con le frasi: « Audax nimium qui freta prius rate tam fragili perfida rupit » 21 . Questa impresa è temeraria soprattutto perchè il navigatore giuoca con la morte, la guarda direttamente negli occhi, non solo con l'arte di governare le vele, ma già conia fragilità del materiale'usato per costruire la nave, questo «pezzo di legno scavato»: «Et prope tam letum quam prope cernit aquam», dice OVIDIO negli Amores 22 . Di qui proviene l'espressione proverbiale, secondo cui il navigatore sarebbe separato dalla morte soltanto dallo spessore della nave, da quattro dita. Così GIOVENALE: « I nunc ait ventis animum committe, dolato confisus Ugno, digitis a morte remotus quattuor aut septem, si sit latissima taeda » 23 . Gregorio Nazianzeno, che ci ha dipinto in modo così incomparabile la grande esperienza avuta da gio" Nat. fluì., 19, I, § 1. al Medea, 30IS. - Cfr. anche ORAZIO, Carni., I, 3, 25S.: «Audax omni perpeti gens humana ruit per vetitum uefas ! ». Qui, come pure in PROPERZIO, III, 7, nel famoso canto di Peto si esprime il medesimo sentimento romantico-letterario del mare. Cfr. A. LESKY, Thalatta. Der Weg det Griechen zum Meer, Vienna 1947. " Amores, II, 11, 26. 23 Satire, 12, 57-S9.
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vane accademico, il suo naufragio tra Alessandria e Rodi 24 , in uno slancio poetico canta il « mare nudo » privo di misericordia, simbolo della vita umana, sul quale viaggia il navigatore, sempre sul punto di incontrare la «gelida morte»: ώς άεΐ κρυεροΐο παρεσταότος θ-ανάτοιο 25 . Eppure, fa parte di questo quadro dello antico sentimento del mare anche la gioia per la temeraria navigazione: questo sentimento eroico viene attribuito anche agli dei, i quali benedi cono questo coraggio con il successo. La solenne pre ghiera, in cui prorompe STAZIO nel suo Propempticon a Mezio Celere, inizia con le parole: «Di quibus audaces amor est servare carinas saevaque ventosi mulcere pericula ponti, sternite molle fretum, placidumque advertite votis condlium, et lenis non obstrepat unda precanti » 2 6 . Di qui nasceva la persuasione, che soltanto con l'aiuto degli dei sia possibile una felice navigazione. Lo si può avvertire nella teodicea stoica e persino in quella cristiana, là dove è affrontata la questione come mai i cattivi spesso siano così fortunati, come mai gli dei accordino ai tiranni e ai ricchi mercanti una fortunata navigazione. LATTANZIO narra che il beffardo Dionisio di Siracusa si sarebbe vantato dicendo : « Videtisne, quam prospera sacrilegis navigatio ab ipsis diis immortalibus tribuatur?» 27 . I nomi che si davano alle navi esprimono chiaramente questa fiducia nella 14 Oratio 18, 31 (PG 35, 1024S.) - Carmina, Π, 1. 1, vv. 307-319 (PG 37, 993s). - Carmina, Π, 1, 11, w. 124-174 (PG 37, 1037-41). *» Carmina, I, 2, 31, w. 1-4 (PG 37, 91OS.) si Silvae, 3, 2. w. 1-4. !7 Div. Instit., 2, 4, 25. 26 (CSEL 19, p. 112, 1. 2-tì). C&. CICERONE, De nat. deor., 2, 34, § 83.
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vittoria, questa fiducia di poter giungere, sostenuti dalla protezione divina, nel porto della patria: i nomi di navi che ricorrono più frequentemente nei testi (oltre ai nomi propri di dei, come ad es. anche in Atti 28,11), sono Νίκη, Σωτηρία, Τροπαία, Fides, Pietas, Salus, Triumphus 2 8 . Come dovette essere facile, sin dai tempi remoti, per i popoli navigatori della cultura mediterranea, assumere nella simbolica tutto questo mondo di arti e di esperienze nautiche. La traversata della vita: dai tempi di PLATONE se ne parla con nu merosissime variazioni 29 . Sarebbe impossibile schiz zarne qui un quadro anche soltanto approssimativo. Il viaggio verso il porto della morte fa parte della etica della stanchezza della vita di SENECA : « In hoc procelloso mari navigantibus nullus portus nisi mortis » 3 0 . In questo viaggio sul « mare infido » 3 1 , l'uomo è spinto da seduzioni di ogni specie verso la strada sbagliata: « Chiunque attraversi questa vita presente come su di una nave », dice l'Anonimo della Διήγησης, è circondato dalle sirene delle tentazioni 32 ; egli viene sbattuto qua e là dal mare purpureo dell'erotico, canta 33 FILODEMO in un epigramma . Morte e soddisfazione sono contenute nella navigazione. Ancora una volta è GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ, che nelle sue poesie piene di finissima immaginosità, appartenenti alla tarda *» Cfr. E. CARTAULT, La trière Athénienne, Parigi 1881, p. io8ss. RE, Suppl. V, 1931, col. 946, 1. 55SS (F. MILTNER). M PLATONE, Leges, 803 B. Cfr. ad esempio ancora Anthologia Graeca, io, 65. 30 Dialogus ad Heìviam matrem de consolatione, 12, 9, 7. 31 PLINIO IL GIOV. ,Panegyricus Traiani, 66, 3. 33 'Επίτομος διήγησις εις τάς καθ·' "Ομηρον πλάνας τοϋ 'Οδυσσέως, § 12. 33 Anthologia Graeca, 10, 21 (BECKBY, III, 486).
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grecità, esprime questo sentimento : « Questo lo uccide il mare, l'altro dispiega la sua vela splendente e attraversa il mare, lieto ammirando questo grande sepolcro dei naufraghi » 3i. Ora, questa nave pericolosa, eppur navigante in fretta verso il porto della patria, per gli antichi cristiani è la Chiesa. Negli empori di Porto Romano, di Alessandria e di Efeso non si poteva trovare un simbolo più bello della situazione della Chiesa peregrinante nel suo « essere tra » la certezza della salvezza, che essa offre in mezzo al letale mare del mondo, e il pericolo derivante dal non essere ancora giunta nel porto celeste. Essa ha coraggiosamente e definitivamente tirato su la sua ancora e si è allontanata da terra: ma tutta la sua speranza si trova al di là delle onde, là dove l'eternità allarga le braccia come le mura maternamente protettrici di un porto. IPPOLITO ha esposto tutto ciò con una simbolica ricca di immagini. Come la nave non lascia orme dietro di sé nel suo incedere, così avviene anche alla Chiesa, che si muove attraverso questo mondo come attraverso un mare; essa lascia le sue speranze dietro di sé sulla terraferma, poiché essa ha già riposto tutta la sua vita in cielo 35. Per esprimerci con il linguaggio teologico di CLEMENTE ALESSANDRINO, dietro di essa c'è la συνήθεια, l'antica 34 Carmina, I, 2, 1, De virginitate, w. 684SS (PG 37, 574A). Carni., 2, 1, 23 (PG 37, 1282 A ) . 35 Frammento 3 sui Prov., 3019 (GCS Ippolito, I, 2, p. 165). 38 Sulle benedizioni di Giacobbe, 20, in Texte u n d Untersuchungen 38, Lipsia 1912, p. 35, 1. 11-18. - Cfr. AMBROGIO, De Patriarchis, 5, 27 (CSEL 32, 2, p. 140, 1. 5-7): «Praesto sit Ecclesia t a m q u a m portus salutis, quae expansis bracchiis in gremium tranquillitatis suae vocet periditantes l o c u m fidae stationis ostendens ».
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vita e costumanza pagana, e dinanzi ad essa c'è ancora soltanto il « porto del cielo, verso il quale lo Spirito Santo ci fa confluire » 37. Si tratta dunque di cosa genuinamente greca e allo stesso tempo profondamente cristiana, quando Clemente paragona la vita della fede all'antica impresa di un viaggio per mare : « Come nei viaggi per mare, l'allontanarsi dalla rotta normale, anche se può arrecare danno ed esporre al pericolo, è tuttavia una sorta di gioia seducente, allo stesso modo anche noi, nel viaggio della nostra vita, non dovremmo lasciare dietro di noi la cattiva costumanza, piena di passioni, irreligiosa, e rivolgerci alla Verità?» 38 . È per questo che spesso il cristiano porta sul sigillo del suo anello una immagine di nave con le vele spiegate, di una nave che viaggia verso il cielo 39 ; è per questo che Clemente, nella preghiera del Logos del Pedagogo, invoca « la bonaccia del santo Pneuma, in cui possiamo attraversare la risacca del peccato per giungere al sacro sbarco del regno di Dio » 40 . Il pericolo deve esserci; senza ondeggiamenti e tempeste la nave della Chiesa non può mai giungere alla patria riva dell'ai di là, dice ORIGENE: ού γαρ γυνατον μή πειρασμούς ύπομείναντας κυμάτων καΐ άνεμου εναντίου εις το πέ ραν φθ-άσαι 4 1 . Conseguentemente, i1 pensiero dei teo37
Protrepticon, 12, 118, 4 (GCS Clemente, I, p. 83, 1. 26s). Prctr., io, 89, 2: (I, p. 66, 1. 12-15). 38 Paidagog., 3, i l , 59, 2: (I, p. 270, 1. 7s). I modi di leggere qui variano, ναϋς ούριοδρομοΰσα oppure ούρανοδρομοϋσα, cioè una nave che viaggia « con vento favorevole nella vela » ο « verso il cielo ». 40 Paidagog., 3, 12, ιοί, ι (I, p. 291, 1. 4-6). 11 Commentarti in Evangelium secundum Matthaeum, il (GCS Origenes, X, p. 43, 1. 285). - Cfr. anche Homiliae in Josue, 19, 4 (GCS Origenes, VII, p. 413, 1). 7-9: la traversata del « mare salato » è « vitae huius undas et turbines superare et evadere omnia, quae in hoc mundo 88
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logi dei primi tempi della Chiesa va verso il mito di Ulisse che naviga alla volta della patria. La sua navigazione è un simbolo della vita cristiana, anche se si tratta di una «fabula fida non facta», come nota MASSIMO DI T O S I N O 4 2 . Inoltre, ONORIO DI AUTUN predica che gli insegnamenti del mito di Ulisse sono «mystica quamvis per inimicos Christi scripta» 43 . Dalla massa delle testimonianze patristiche, che potrebbero essere addotte per la rappresentazione del viaggio della vita del cristiano attraverso il mare del mondo, saranno menzionate qui soltanto quelle, che provengono immediatamente dal tema cristiano di Ulisse. È quasi naturale che la prima applicazione della leggenda di Ulisse si incontri in CLEMENTE ALESSANDRINO. Egli ha cornato per Ulisse la designazione, cne poi ritorna spesso, di « vecchio di Itaca ». Il navigatore che scruta l'orizzonte per scorgervi il fumo che si leva dalla patria terra, è per lui il simbolo di quell'uomo, che, nel viaggio della vita, non pensa al porto della pace eterna, ma soltanto al guadagno terreno. Non prò incerto sui et lubrico marinis fluctibus comparantur ». - Per la simbolica della « vita come traversata pericolosa » cfr. ancora C I PRIANO, Ad Donatum, 3 (CSEL 3, ι, ρ. 5,1. 1-4). - GREGORIO NAZIANZENO, Oratio 37, 1 (PG 36, 284 B). - AGOSTINO, Enarrationes in Ps. 103,
4. 5 (PL 37, 1380-81): sul mare «pauroso» e sulla nave della Chiesa che naviga su di esso e che tuttavia non affonda, ma veleggia verso la « terra della tranquillità ». - GREGORIO MAGNO, Homilia 24, 2 (PL 76 1184D, 1185A): «Quid enim mare nisi praesens saeculum sigimi, quod se causarum tumultibus et undis vitae corruptibilis illidit? Quid per soliditatem littoris nisi Illa perpetuitas quietis vitae aeternae figuratur? » - Cfr. anche Homilia 11, 4 (PL 76, 1116 BC). - Moralia, 17, 30 (PL 76, 31 D; 27, 18: 471 C ; 29, 12: 489 C). " Homilia 49 (PL 57, 340 B). ** Speculum Ecclesiae, Homilia in Septuagesimam (PL 172, 855 D).
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così i cristiani. « Noi abbiamo riposto la nostra speranza nel Dio vivente..., gli altri invece (così egli continua con un'immagine tolta in prestito a Platone44) si abbarbicano al mondo come certe specie di alghe alle rocce del mare, e non si preoccupano dell'immortalità, poiché, come il vecchio di Itaca, anch'essi non aspirano alla verità e alla patria celeste e alla luce veramente esistente, ma soltanto al fumo »45. Alla fine del Protreptico, ancora una volta la sua mente ritorna al mito del navigante Ulisse, che le maliarde sirene vogliono stornare dal viaggio verso la patria. Qui il vecchio di Itaca diventa il modello del cristiano, e le sirene l'incarnazione della dolce ma letale συνήθ-εια. Se il cristiano si comporta come Ulisse, egli entrerà nel porto del cielo; «vedrai allora il mio Dio e sarai consacrato a quei santi misteri e potrai gustare ciò che è nascosto in cielo, che né orecchio ha udito né è mai venuto nel cuore di un qualsiasi uomo »46. Il mito di Ulisse e delle sirene è ancor più vivo per romano, per il fatto che egli, come più tardi Gerolamo e anche Metodio, stando ali antica tradizione greca, vedeva nello stretto del mar di Sicilia il luogo ove le sirene cantarono al rimpatriante, che passava veleggiando, il loro canto dolce e letale. La Chiesa è per IPPOLITO il porto tranquillo; i flutti agitati el mare sono le dottrine degli eretici: « Questo mare è pieno di animali feroci ed è difficilmente transitabile, è qualcosa come il mar di Sicilia, di cui si tramanda il racconto secondo cui vi si trova il monte delle sirene. IPPOLITO
44
PLATONE, Polii, io, 6n D.
*» Protreptkon, 9, 86, 2 (I, p. 6+, L 26-31). " Protreplicon, 12, 118, 4 (I, p. 83, I. 27-30).
I
414
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
Stando ai poeti greci, Ulisse veleggiò verso di esso» 47 . Il cristiano deve imitarlo in ciò e deve agire allo stesso modo: soltanto così raggiungerà «il porto tranquillo ». Da allora in poi, ogni volta che il mito omerico viene interpretato cristianamente, si parla del mare infido del mondo, su cui il cristiano e la Chiesa debbono viaggiare per poter raggiungere la patria. Si sente l'eco del pensiero antico, quando AMBROGIO dice: « Quod autem mare abruptius quam saeculum tam infidum, tam mobile, tam profundum, tam immundorum spirituum flatibus procellosum? » 48 . Oppure, quando GEROLAMO scrive : « Et nos patriam festinantes mortiferos sirenarum cantus surda debemus aure transire» 49 . MASSIMO DI TORINO predica a proposito del « cursus melioris vitae », il ritorno « ad patriam »50. Neppure il primo medioevo ha dimenticato il mito omerico rivestito cristianamente51. È come se si trattasse di un'ultima eco del mondo omerico del mediterraneo rumoreggiante, quando in una predica di papa Innocenzo III ascoltiamo un bel canto di dolore, tutto soffuso del tedio del mondo, rivolgersi 41 Elenchos, 7, 13, 1-3 (GCS Ippolito, III, p. 190,1. 21 sino a p. 191, e. n ) . Per la localizzazione del racconto delle sirene in Sicilia, in particolare nell'arcipelago delle Sirenuse ο sulla terraferma che sta di fronte ad esso con il Monte delle Sirene, cfr. le testimonianze anti che in G. WEICKER, Der Seelenvogel in der alien Literatur una Kunst, Lipsia 1902, p. óoss; p. 40; p. 73. - RE III A, 1, col. 308, 1. 17-45. Λί Expositio in evangelium secundum Lucam, 4, 2 (CSEL 32, 4, p. 141, 1. 1-3). 49 Capituìationes libri Josue, praef. (PL 28, 464 B). 50 Homilia 49 (PL 57, 339 CD). 51 Cfr. soprattutto DUNGAL SCOTO, Epist. 6 (MGH Epist. IV, p. 581, 1. 9-13): «Ut non in huius formidando saeculi pelago navigantes... Serenarum loetiferi cantus vos oblectent ».
ULISSE ALL ALBERO DELLA NAVE
415
al « mare amaro di questo mondo » con i suoi dolci incantesimi delle sirene 52 .
2. LA T E N T A Z I O N E DELLE S I R E N E
Grazie all'immortale canto di Omero, il mito della tentazione di Ulisse ad opera delle sirene è diventato bene comune di tutte le culture che, in qualche modo, sono formate dallo spirito greco, oppure continua a sopravvivere un pò miseramente oggi, come già nel periodo ellenistico, nella sbiadita immagine fantasiosa delle « sirene » come simbolo di bellezza incantatrice mortale. Non c'è da meravigliarsi dunque se i Padri, avidi di simboli, si servano anche del mito delle sirene nella sfera della loro rappresentazione della navigazione cristiana verso la patria celeste. L'incalcolabile massa di testimonianze letterarie e di rappresentazioni artistiche di ogni genere appartenenti al periodo ellenistico ci mostra tuttavia quanto sia stato popolare, e quanto abusato, il racconto delle sirene e il loro significato allegorico nell'ambiente in cui viveva il giovane cristianesimo. La scienza dell'antichità si è occupata alacremente e con buoni risultati dell'origine e del cambiamento di interpretazione della raffigurazione prettamente greca delle sirene 53 . Ma in questo lavoro, " Sermo 2 2 : PL 217, 555; Sermo 6 (PL 217, 617 C ) . 63 Cfr. G. W E I C K E H , De Sirenibus quaestiones selectae (Diss.), Lipsia 1895. - Opera principale: G. W E I C K E R , Der Seelenuogel in der alteri Literatur und Kunst, Lipsia 1902. - W . H. ROSCHER, Lex. d. griech. u. ròm. Mythologie, IV (1909-15) col. 601-639. - RE III A, 1 (Lipsia, 1927), col. 288-308 ( Z W I C K E R ) . - RE XVII, 2 (Lipsia 1937). col. 1972^1976 (E. WtìsT). - DAREMBERG-SAGLIO, V (Parigi 1911), p. 574-583·
416
LECCLESIOLOGIA. DEI PADRI
la sopravvivenza di questo motivo nella letteratura cristiana dall'antichità sino ad oggi, è stato trattato soltanto superficialmente. E ciò che è stato esposto nelle opere di archeologia cristiana attorno all'interpretazione cristiana del mito omerico in una lista, ormai da tempo stereotipa, di testi patristici continuamente ripetuti, sino alla recente opera di J. WILPERT sugli antichi sarcofaghi cristiani, non basta per comprendere l'interessantissimo itinerario percorso dall'interpretazione cristiana del mito 5 4 . Occorre pertanto leggere i testi patristici con la maggiore completezza possibile, per mostrare se e in qual modo i Padri si rifacciano ad un'allegoria precristiana delle sirene già esistente e in qual modo la simbolica cristiana si sviluppi indipendentemente da essa. Il carattere originario, derivante dall'antichissima religione greca, delle |Jgg9jvjg, che etimologicamente vuol dire « affascinanti », « incantatrici », era quello di spettri vampirei, che vivono di sangue 55 . Questa loro natura fu trasformata, ad opera della poesia omerica,
54 Per l'allegoria cristiana delle sirene cfr. J. KREUSER, Christliche Symbolik, Bressanone 1868, p. 271S. - R. GARRUCCI, Storia dell'arte cristiana, Prato 1872, v. 1, p. 258SS: Ulisse alle Sirene. - FR. X. KRAUS, Realenzyklopàdie der christl. Alteriiimer, Friburgo 1886, v. II, p. 520S (DE WAAL). - FR. X. KRAUS, Roma sotterranea. Die ròmischen Katakomben. Ene Darstellung der neuesten Forschungen, Friburgo 1873, p. 311. - La simbolica cristiana delle sirene è riassunta brevemente
in G. WBICKER, Der Seelenvogel, p. 83S. - ICE III A, 1, col. 300, 1. 34-
55. - RE XVII, 2, col. 1974, 1· 32-39· - G. KOHL, Das Melusinenmotiv, in Niederdeutsche Zeitschrift fiir Volkskunde, 1933, p. 185. J.WILPERT, I sarcofaghi cristiani antichi, Roma 1929-1935, testo p. 14-16, Immagini, v. I, tavole XXIV e XXV. 55 Cfr. G. WEICKER, Der Seelenvogel, p. 2ss. - Per l'etimologia cfr. RE III A, 1, col. 289, 1. 18 sino a col. 290, 1. 30.
OLISSE ALL ALBERO DELLA NAVE
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e ancor più per merito di ESIODO ed ALCMANE, ma soprattutto mediante la commedia burlesca attica: TERTULLIANO però parla ancora delle « fauci sanguinose » delle sirene56. Sotto l'influsso di OMERO, ciò che affiora in primo giano non è più il cruento «incanto», in senso realmente feroce, come si vede ad esempio nel grande vaso greco orientale di Berlino 57 , bensì il fascino del loro canto e deljoro aspetto. Senza alcun dubbio qui subentrò un antichissimo elemento della erotica che è già caratteristico degli spettri e che contribuì alla vittoria di quella interpretazione, che vede nelle sirene delle donne incantevolmente belle, di cui soltanto gli artigli stanno ancora ad indicare la fatalità dei loro incantesimi58. Così sin dall'inizio nella rappresentazione delle sirene si riscontra questo duplice e in un certo senso piccante momento: quel che vi è di più incantevole in esse è, precisamente, anche ciò che vi è di più pericoloso. Esse sono dolci e fatali, celestiali e infernali. Ciò appare immediatamente chiaro in PLATONE: egli ha fatto delle sirene degli esseri che prorompono nel canto delle sfere del mondo celeste 59, che hanno « piedi leggiadri ed ah dorate », come dice un frammento genuinamente platonico di EURIPI-
56 Apologet., 7, 5 (CSEL 69, p. 19,1. is). - Anche IPPOLITO chiama le sirene «bestie orride, cattive»: Elenchos, VII, 13, 1 (GCS Ippolito, III, p. 190,1. 27). Cfr. WBICKEH, p. 6, nota 1. 57
R i p r o d u z i o n e in WBICKER, p . 6,
fig.
ι, e ROSCHER, Lex. d.
Myth., v. II, col. 1847. 58
W E I C H E R , p . 37SS.
59
Republ., 617 B. - Ciò esercitò un profondissimo influsso sull'immagine mistico-cosmica del m o n d o della tarda antichità. Cfr. PLUTARCO, Quaest. conv., 9, 14, 6. - M A C R O B I O , Somnium Scipionis, 2, 3, 1. - W E I C K E R , p. 56. - RE III A, 1, col. 289, 1. 14-30.
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
che ci è stato trasmesso da CLEMENTE ALESSANDRINO 60 . Contemporaneamente, però, anche in Platone esse sono degli esseri ctonici appartenenti al mondo inferiore 6 1 : παρθένοι χ&ονος κόραι, le chiama ancora una volta EURIPIDE . COSÌ pure il loro canto è un «seducente canto » di sorprendente bellezza63, e tuttavia è anche un « canto dell'Ade », un canto fatale 64. Nel periodo ellenistico poi, la sapienza scolastica alessandrina, con una elaborazione euemeristica e nello stesso tempo morale simbolica, ha trasformato le sirene semplicemente in Etere, che irretiscono l'incauto con i loro canti eroticamente eccitanti65. Questa interpretazione viene espressa meravigliosamente in una figura di sirena raffinatamente ingenua, che adornava un sarcofago ellenistico egiziano66 : un pezzo questo, che riDE,
62
" Stremata, 4, 26, 172, 1 (II, p. 324, 1. 21-23). Clemente aggiunge qui una specie di applicazione cristiana di questa preghiera greca per ottenere l'ascesa verso Giove con le ali delle sirene: « Ma io prego che lo Spirito di Cristo mi fornisca di ali per volare verso la mia Gerusalemme ». - Per le sirene quali trasportatrici psicopompiche di anime cfr. lo PS.-CALLISTENE, Historia AUxandri Magni, 2, 40 (p. 90, M U L L E R ) , ove le sirene sono guide verso la μ α κ α ρ ί ω ν χ ώ ρ α . Sirene trasportatrici di anime: cfr. le riproduzioni in W E I C K E R , p. 7, fig. 4 e
5. - RE III A,
1,
col.
297,
1.
4-6;
ROSCHER, IV,
611.
" Cratilo, 403 D . - W E I C K E H , p . 58S.
"
Elena,
i68s.
* a PLATONE, Simposio, 216 Α . ; Fedro, 259 A. - SENOFONTE, M e
morai)., 2, 6, 11, 31. 64 SOFOCLE, fr. 777: Φ ό ρ κ ο υ κόρας &ροοϋντε τ ο υ ς " Α ι 8 ο υ ν ό μ ο υ ς . Q u i le sirene sono fighe di Forci, secondo il pensiero genuino di Esiodo ; cfr. WEICKEH, p . 49. Altrove esse sono le figlie di Acheloo : cfr. WEICKER, p . 4tìs; p . 66s. - LIBANIO le chiama cosi nella lettera a BASILIO citata sopra, alla nota 14 (PG 32, 1089 B ) . - Cfr. anche RE III A, 1, col. 295, 1. 19-35. 65
Così già nel frammento della commedia delle Sirene di E P I -
CARMO, che è conservato in ATENEO, VII, 277 F, cfr. W E I C K E R , p . 54.
Più tardi diviene comune; cfr. i testi in W E I C K E R , p. 71, nota 3. » 8 Rirpoduzioni in W E I C K E R , p. i8os, fig. 90 e 91.
ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE
419
corda in qualche m o d o certa produzione del nostro roccocò. Per questo, nei suoi Incredibili, ERACLITO, seguendo la tradizione alessandrina, chiama le sirene semplicemente έταΐραι ευπρεπείς, ed è qui che ci si è fermati 6 7 . Ora cosa c'è di più facile del trasformare le sirene, mediante un'allegorismo rarefatto, in simboli del piacere sensuale? PROCLO lo ha fatto nei suoi c o m menti a Platone, conformandosi totalmente al m o d o di pensare platonico: per lui le sirene omeriche, gli esseri ctonici del platonico Cratilo, non sono altro che dei semplici simboli del piacere mondano e delle soddisfazioni sensuali, con le quali l'anima viene incatenata al m o n d o 6 8 . Parallela a questa linea di sviluppo ne corre anche un'altra, che ha avuto altrettanto peso nella formazione della susseguente nuova interpretazione cristiana. Già nell'antichissima credenza popolare, impiegata poi da O m e r o , le sirene sono « onniscienti », conoscono tutti i nomi dei passanti, la loro scienza è sovrumana, addirittura mostruosa 6 9 . Questa caratteristica del loro essere mitico, favoloso, è restata loro, e si ricollega, assieme con il loro canto seducente, ad un tipo di sirene, che mette in primo piano il loro aspetto positivo anche più di quanto non faccia quello a cui abbiamo accennato più sopra 7 0 . In base a ciò, ora si potranno chiamare « sirene » i grandi poeti e i dotti, per esaltare nello stesso tempo la loro sorprendente sapienza e la loro incantevole facondia. Così O m e r o ·' De inaedibilibus, 14. - RE III A, 1, col. 42-48. 68 Comment. in Platonis CtatyL, 157 e Commetti, in Rempubl., 34, io. - W E I C K E R , p. 59. ·· W E I C K E R , p. 38S. 70 W E I C K E R , p. 83.
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L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI
è una sirena, come pure Pindaro 71 . Lo stesso Aristotele riceve questa onorificenza, anche se soltanto da 72 GIULIANO l'apostata : ciò fa parte, in forma stereotipa, delle frasi di cortesia della tarda grecità, come sappiamo da SINESIO DI CIRENE 7 3 e dal bizantino MANUELE FI74 75 LES . Ma già OVIDIO parla delle « doctae sirenes » e 76 CICERONE ne dà una spiegazione allegorica .
Con ciò abbiamo tracciato le due linee fondamentali dell'allegoresi precristiana delle sirene. In esse si inserisce ora, senza soluzione di continuità, anche la spiegazione cara ai Padri della Chiesa, ed è solo a partire da esse che si deve valutare se e come l'allegoria cristiana abbia introdotto qualcosa di nuovo, e in qual modo il mito così espressivo si agganci al pensiero genuinamente cristiano. La ragione per cui i Padri hanno preferito trarre dalla ricchezza dell'avventura odissaica il mito delle sirene per servirsene nella simbolica della navigazione cristiana, non sta soltanto nella popolarità di questo motivo durante il periodo ellenistico. È piuttosto proprio lo strano duplice aspetto delle sirene, questi esseri belli e ad un tempo pericolosi, demoni dalla scienza profonda e allo stesso tempo stimolatori dei sensi, che si prestava ad esprimere i loro concetti genuina77 mente cristiani del καλός κίνδυνος , della naviga" Anthologia Graeca, IX, 184; XIV, 102 (BECKBY HI, 114; IV, 222). Altri documenti in W E I C K E R , p. 83, nota 5. »« In Herad., 237 B. ' a Epist. 138 (PG 66, 1529 A ) . '« Carni., 11,1 (MARTINI, p. 21). Cfr. R E III A, 1, cpl. 298,1. 10-14. '· Metamorph., 5, 535. 7 » De finibus, 5, 49" CLEMENTE ALESSANDRINO, Protreptuon, i o . 93, 2 (I, p. 68, 1. 17S). Clemente conia questa espressione cosi significativa per la sua
ULISSE ALL'ALBERO DELLA NAVE
421
zione « meravigliosa e nello stesso tempo pericolosa » della Chiesa. Qui la Chiesa inizia a profilarsi dinanzi a noi, da principio in modo poco chiaro, nelle sue grandi linee, come l'opposto pericolo del bello e dell'incantevole proprio della sapienza mondana e della gioia sensuale, come la comunità, radunata inseparabilmente su di una nave, costituita da coloro che debbono veleggiare al di là di ogni sapienza e bellezza, e che giungono in patria mediante il solo « legno » della nave : per mezzo della croce. Il mito delle sirene dei Padri della Chiesa è come una clamide, gettata addosso leggermente ed elegantemente, che avvolge e sottolinea ciò che è essenzialmente cristiano. Che sia così, è chiaro anche dal secondo motivo che spinge i Padri ad impiegare allegoricamente il racconto delle sirene: anche la SACRA SCRITTURA parla di sirene78. Da un osservazione accidentale, che AMBROGIO fa in una delle sue omelie su Luca, veniamo a sapere che qua e là si era scandalizzati per l'impiego indiscriminato di miti omerici nella predicazione cristiana. Ambrogio si giustifica citando Is 13,21, e nota: «Pertanto, anche se il Profeta non avesse parlato delle sirene, nessuno dovrebbe scandalizzarsi di ciò (dell'impiego del racconto delle sirene) : anche la Scrittura infatti è a coteologia in un altro contesto biblico, poiché qui dice : « È magnificamente pericoloso aggregarsi alle schiere del Signore» (cfr. in Zeitschrifi fiir kath. Theol. SS (1931) 252), ma il pensiero teologico è del tutto identico a quello espresso con l'immagine della bella e pericolosa traversata della fede. 78 Ma soltanto nella versione dei LXX (e in molti passi del Teodozione): Giob 30,29. - Is 13,21.22; 34,13; 43,20. - Ger 27 (50), 39. Mich 1,8. - Cfr. anche 4 Mac 15,21.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
noscenza di giganti e della valle dei titani »79. Ora, in tutti i luoghi citati, i LXX traducono l'ebraico tannìm oppure (Is 13,21) benòt γα anàh ( = « sciacalli » e «figli dello struzzo femmina ») con Σειρήνες. Sarebbe molto interessante studiare più a fondo in che modo i traduttori ellenistici siano giunti alla strana traduzione dei nomi ebraici di animali, che non erano scientificamente familiari per essi80. Ad ogni modo, i magnifici passi, soprattutto quelli di Is 13,21.22 sulla devastazione di Babilonia, di Giobbe 30,29 sulla solitudine della lontananza di Dio, di Is 34,13 sulla devastazione di Edom, esercitarono sui lettori greci dei LXX la più profonda impressione proprio a causa delle orribili e spettrali sirene. Gerolamo ha tradotto tutti questi passi non più con « sirenes », ma con « dracones » e « struthiones », ad eccezione di Is 13,22: «Et sirenae in delubris voluptatis » ; in tutta la Volgata questo è l'unico caso in cui viene impiegata questa parola. Egli giustifica esplicitamente questa sua divergenza dai LXX, e proprio da ciò si vede che egli con la sua traduzione (effettivamente anch'essa erronea) non sfugge però completamente all'immagine delle sirene regnante in tutte le menti: « Sirenae autem ' thennim » vocantur quae nos aut daemones aut monstra quaedam vel certe dracones magnos interpretabimur, qui cristati sunt et volantes » 81 . E al passo, ove anch'egli conserva la parola «sirene» (Is 13,22), fa notare: «Et sirenae requiescunt in delubris voluptatis, quae dulci et morti*· Exposilio in evangelium secundum Lucani, 4, 2 (CSEL 32, 4, p. 139,1. 12-16). Cfr. Gen 6,4. - Deut 2,20 (Volg.). - 2 Re 5,22 LXX. 80 Quel che WEICKER, p. 78S e RE III A, 1, col. 300, 1. 3ss dice a proposito di ciò, non è sufficiente. 81 Commentarti in Isaiam, 13, 21 (PL 34, 159 C).
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fero Carmine animas pertrahunt in profundum, ut saeviente naufragio a lupibus et canibus devorentur » 82 . Anche ORIGENE, del resto, si è occupato della natura delle sirene bibliche. Secondo lui, esse sono πονηρά πνεύματα,, di cui narra « il mito pagano »: esse tentano con piaceri sensuali i naviganti che passano 83 . Così pure EUSEBIO 84 , lo PS.-BASILIO 85 , e, dipendentemente da questi, ESICHIO 86 e SUIDA 8 7 . È da notare la sobria critica con cui CIRILLO DI ALESSANDRIA afferma che queste sirene bibliche sono, propriamente parlando, uccelli solitari, e tuttavia sono simboli adatti a significare i poeti e i logografi greci 88 . Dipendentemente da lui, 89 PROCOPIO ripete la medesima cosa . Sulla base di questo sfondo biblico, la sopravvivenza del mito delle sirene nella letteratura patristica era ormai assicurata. Se si da uno sguardo alla massa di interpretazioni patristiche del motivo delle sirene, si può affermare, senza esitazione alcuna, che nei più antichi scritti della letteratura cristiana troviamo in primo piano quel tipo di interpretazione che considera le sirene 8! Ivi (PL 24, 216 B ) . - Cfr. anche ivi su h 43,20 (PL 24, 432 C ) : « Pro draconibus quos Theodotio solus, ut in Hebraeo scriptum est, appellavit ' thannim ', reliqui Sirenas interpretati sunt, ammalia portentuosa, quae dulci Carmine atque mortifero navigantes Scyllaeis canibus lacerandos praecipitabant ». È migliore però la sua traduzione con dracones. 83 Frammento 96 su Lam 4,3 (GCS Origene, III, p. 270, 1. 9-14). 84 Commentarti in Isaiam, 13, 21 (PG 24, 189 D ) ; su Is 43,20 (PG 24, 400 D ) . 85 Comm. in Isaiam, 274 (PG 30, 6 0 : A) : Σ ε ι ρ ή ν ε ς ό μ ε ν εξω-9-εν λόγος παραδέδωκε γυναικάς τινας μελωδοϋσας. 86 Lexicon (ed. J. ALBERTI, Leida 1766), ν. II, ρ. 1165. 87 Lexicon (ed. G. BERNHARDY, Halle-Braunschweig 1853), v. II, p. 724S. 88 Comm. in Isaiam (PG 70, 908 d; 748 A; 364 D ) . »· P G 87, 2, 2090 A ; 2396 A. Cfr. anche TEOFILATTO (PG 126, 1064 C ) .
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come demoni « dalla scienza profonda », e quindi vede in esse un simbolo della scienza pagana, e più precisamente dei grandi rappresentanti di questa. Al vertice si trova CLEMENTE DI ALESSANDRIA. Abbiamo già veduto che egli, alla fine del Protrepticon, rileva che il cristiano, durante il viaggio di sua vita, deve veleggiare oltre i pericoli della συνήθεια pagana : « Fug giamo dunque Γ ' abitudine ', fuggiamola come si fuggono le sirene, di cui ci parla il mito » 90 . Certo anche qui la sirena è già un « animale grazioso », come pure è il simbolo del « piacere », che, con la sua « musica mondana », spinge lo spavaldo acheo verso la morte. Ma con il concetto dementino di συνήθεια (che meriterebbe uno studio più approfondito), questa allegoresi ci fa entrare soprattutto nella sfera dello intellettuale, nel grande problema dell'Alessandrino: Fede e scienza, abitudine, considerata come antico errore, e Chiesa, quale personificazione della visione nuova e gratuita di Dio, insomma ci fa penetrare nel cuore stesso della genuina teologia cristiana. Συνήθεια è l'insieme dell'antico, del pagano, dell'idolatrico e dell'immoralità connessa con esso (dunque, in un certo senso, l'immagine intellettuale della sirena pensata come persona). La verità cristiana è amara e acerba come un farmaco, la « costumanza » è dolce e titillante 91 . La fede ne rende Uberi, la costumanza « rende servi e incatena » 92 . Essa è (secondo una espressione di Euripide) « futile sogno ingannevo,0 Protrepticon, 12,118, ι (I, p. 83,1. IJS). La sirena è un πορνίδιον ώραΐον, ηδονή, πανδήμ<ρ τερπόμενον μουσική. " Protrepticon, 10, 109, Ι (Ι, ρ. 77, 1· 29)· ·· Protrepticon, 10, 99, ι (Ι, Ρ- 72, 1. 2); ίο, ιοί, ι (Ι, ρ. 73. 1. 6).
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le » 93, è « veleno mortale » 94 , « vacua sciocchezza » 95. Il Logos ci ha liberati dai legami della costumanza 96, noi le siamo sfuggiti come un neonato che si svincola dal seno materno per entrare nella luce della vita 97 , noi siamo sottratti alla costumanza mediante l'acqua del battesimo 98 , e con ciò siamo chiamati a veleggiare, ritti sulla « carena della nave » " del Logos, verso il porto celeste, verso la visione dei misteri divini, come dei veri gnostici. Da questa teologia della συνήθεια appare immedia tamente chiaro il modo profondamente cristiano in cui ci si poteva servire del mito delle sirene, per visua lizzare delle verità più profonde. Ora, però, Clemente, con finezza umanistica, conferisce a questo fermo rigetto delle sirene anche una piega tutta sua. Ai suoi tempi infatti c'erano dei cristiani, i quali rifiutavano radicalmente e con tetra serietà, qualsiasi rapporto con la sapienza greca, e ciò, come sembra, richiamandosi esplicitamente al mito di Ulisse. Ciò non è ammissibile per la teologia di Clemente riguardante i rapporti tra fede e scienza. Costoro, egli dice, temono la filosofia greca come uno « spettro » ">ò. Essi si comportano come i cqm•3 Protrepticon, io, iot, 3: I, p. 73, 1. 15S. Cfr. EURIPIDE, Ifigenia in Tauride, 569. - Clemente nota qui espressamente, che noi abbiamo rinunciato alla «abitudine»: τη συνήθεις αύτη άποτάξασθαι. Qui egli pensa certamente alla « apotaxis » che si compie nel battesimo. Cfr. in Zeilschrifì fiir kath. Tfieolcgie 55 (1931) 254.. 14 Protrepticon, io, 89, 2 (I, p. 66, 1. 16). " Protrepticon, 4, 46, 1 (I, p. 35, 1. I2s); io, 109, 3 (I, p. 78, 1. 7). ·· Paidagogos, 1, 1, 2 (I, p. 90, 1. io). ·» Sfrontata, 3, 16, 101 (II, p. 242, 1. 2is). »8 Protrepticon, io, 99, 3 (I, p. 72, 1. 7-9). »· Paidagogos, 1, 1, I (I, p. 90, 1. 4). 100 Straniata, 6, io, 80, 5 (II, p. 472, 1. 2).
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pagni di Ulisse, si tappano le orecchie e non vogliono udire assolutamente nulla della pericolosa sapienza. Qui Clemente difende semplicemente il « meraviglioso pericolo » della fede ecclesiastica, che non ha bisogno di questa cieca paura : « Sembra che la maggior parte di coloro che si sono votati al nome (di cristiani), somiglino ai compagni di Ulisse, poiché, senza alcuna comprensione per una buona cultura, si dedicano alla dottrina della fede, e così la loro nave oltrepassa non soltanto le ' sirene ', ma anche qualsiasi genere di ritmo e di melodia, essendosi essi tappate le orecchie mediante il rifiuto di qualsiasi scienza, perché sanno che essi non troverebbero più la via di casa una volta che avessero prestato, anche per un solo momento, ascolto alla sapienza greca » 101 . Non così si comporta il vero gnostico: per un certo tempo egli indugia con calma in queste cose della cultura filosofica greca, cose che lo favoriscono nella fede, in quanto gli sono utili per assicurare la dottrina della fede e lo aiutano a « tornare alla casa paterna della vera filosofia » 102 . Lo gnostico non viene reso vacillante « né dai discorsi fallaci, né dal piacere che fa perdere la testa »103. Egli sa distinguere bene tra « muse e sirene », come fu capace di fare il vecchio Pitagora 104 . Ma soltanto pochi sono capaci di ciò, soltanto gli elet101
Stornata, 6, n, 89, 1 (I, p. 476, 1. 14-18). Ivi: II, p. 476, I. 24S: ώς άπιέναι οίκαδε δύνασθαι επί τήν άληθ-ινή φιλοσοφίαν. 108 Sfrontata, 6, 10, 81, 3 (β, Ρ· 472,1. I2s); λόγος e ηδονή sono qui i termini perfettamente corrispondenti al doppio aspetto delle sirene. 104 Straniata, 1, io, 48, 6 (II, ρ. 32, l. 8). Cfr. per questo TEODOHETO, Graec. affect. cur., 8, 1 (PG 83, 1008 A). 102
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ti sanno farlo. « Basta che uno solo abbia superato le sirene » 105 . Del resto, questa visione liberale di Clemente è di provenienza più antica. Il Discorso ai Greci dello PS.-GIUSTINO, che si può datare ancora al secondo secolo, indica come motivo del rigetto della « rapsodia omerica » anche i seguenti concetti: « Il figlio di Laerte di Itaca è diventato propriamente famoso soltanto per una cattiva qualità. Il modo in cui egli superò navigando le sirene ci mostra chiaramente però che egli era totalmente digiuno della vera sapienza: egli, infatti, non era in grado di tapparsi le orecchie soltanto con la sapienza » 106 . Questa sorprendente argomentazione presuppone dei concetti simili a quelli espressi da Clemente: il cristiano deve passare oltre le sirene, non con le orecchie tappate, ma con il « sapiente dono del discernimento », con la αγαθή φρόνησις. Noi parleremo più diffusamente di questo giudizio su Ulisse. Ma nella sirenologia patristica in genere non si era affatto di apertura così liberale. Nel terzo secolo, l'Esortazione ai Greci, anch'essa erroneamente attribuita a GIUSTINO, parla pure del « saggio dono del discernimento », con cui un cristiano sa giudicare tra il « retto onore di Dio » e le « lusinghiere favole » della sapienza greca. Gli stessi Platone e Aristotele vengono presentati qui come delle seducenti sirene : « Nessuno tra coloro che sanno discernere, preferirà la bella UH Ivi (II, p. 32, 1. io). Cfr. anche le esposizioni di Stromata, 2, 2, 9, 7 (II, p. 118, 1. 8-io), ove il «potere sovrumano» del canto delle sirene viene paragonato alla forza della fede, che ci obbliga alla confessione t quasi contro la nostra volontà ». 10s Orario ad Gentiles, 1 (OTTO, ΙΠ, 2, p. 4, 1. 11 sino a p. 6, Li).
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eloquenza di questi due alla salvezza della sua anima, ma, conforme a quella vecchia favola, egli si tapperà le orecchie con cera, e così riuscirà a sfuggire al dolce pericolo delle sirene che lo minaccia. I due sunnominati uomini, infatti, ci presentano i loro lusinghieri discorsi sotto forma di esca appetitosa (qui si sente il motivo culinario del racconto delle sirene presente nella commedia attica) 107 , e cercano in tal modo di stornare molti dal vero onore di Dio » 108 . È così che le sirene diventano il simbolo della dottrina pagana. Esse, come dice METODIO DI FILIPPI, cantano agli uomini il « canto del sepolcro » che risuona dolcemente: noi però abbiamo orecchie soltanto per il canto della dottrina dei divini misteri 109 . I nostri teologi, così ancora il retore ZACCARIA, non cantano in modo così seducente come il vostro Platone e gli altri sapienti di Grecia, «i quali, con il piacere del loro canto, imitano le sirene omeriche e incantano le orecchie del compiacente ascoltatore, per punirlo poi con la morte. Perciò, io esalto quell'eroe di Itaca, che non permise che accadesse una cosa così rovinosa, ma con il suo dono del discernimento vinse l'astuzia delle sirene » n o . Come si vede, ora Ulisse è il modello dei cristiani: un cangiamento significativo questo, di cui parleremo ancora più diffusamente. Servendosi dunque della « cera omerica», il cristiano deve rendersi sordo alle favole 107
Cfr. per questo WEICKEH, Der Seelenvogel, p. 53-55. Cohortatio ai Gentiles, 36 (OTTO, III, 2, p. 116, 1. 20 sino a p. 118, 1. 3)· 10» De autexusio, 1, 1 (GCS Metodio, p. 145, 1. 3 sino a p. 147, 1. 20). - Cfr. anche METODIO, De resurrectione, 28, 1 : GCS Metodio, p. 256, 1. 21 sino a p. 257, 1. 2. 110 De opificio mundi (PG 85, 1037 A). 108
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g r e c h e m . BASILIO dà ai suoi discepoli un eguale consiglio 112 . E CIRILLO ALESSANDRINO, come abbiamo già accennato, chiama « sirene » i maestri del paganesimo greco: Ελλήνων δεισιδαιμονίας οι διδάσκαλοι, ποιηταί τε και λογογράφοι 1 Ι 3 . Si tratta semplicemente di un ovvio sviluppo del cosiddetto « tipo dottrinale » dell'allegoria delle sirene, del quale abbiamo parlato sin qui, quando ben presto si comincia a vedere sotto l'immagine delle sirene, non soltanto la « costumanza » della sapienza greca pagana, ma anche il pericolo dell'eresia in seno al cristianesimo. La più antica testimonianza di ciò viene fornita da IPPOLITO DI ROMA 114 . Per questi, i dogmi degli eretici gnostici sono come il mare battuto dalla tempesta, nel quale si trovano le isole delle sirene. Per lui, le sirene sono delle « orribili, cattive bestie », che con la loro voce gentile allettano i passanti ad accostarsi. Anche Ippolito ora dà un consiglio che è di grande interesse per la teologia del « pericoloso ». Quelli tra i cristiani che sono « deboli » debbono tapparsi le orecchie con la cera, e così « supereranno con la nave i dogmi dell'eresia ». Soltanto al forte, dunque, viene riservato il modo con cui Ulisse, ascoltando, ma legato, superò il pericolo. Per merito del popolare FISIOLOGO, l'applicazione delle sirene agli « eretici e ipocriti nella Chiesa », è divenuta universalmente no111
Ivi (PG 85, 1073 B). Ad adolescente;, 2 (PG 31, 568 D; 569 A). Cfr. anche Epist. 1, 1 (PG 32, 221 A). 113 Cammentarius in Isaiam prophetam (PG 70, 908 D). 114 Elenchos, 7, 13, 1-3 (GCS IPPOLITO, III, p. 190, 1. 21 sino a p. 191, 1. 11). 112
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ta 115 . Può darsi che GEROLAMO si rifaccia al Fisiologo, fiorito probabilmente in Cesarea poco prima del suo soggiorno in Palestina, quando dice: « Lugebunt quasi filiae sirenarum, dulcia enim sunt haereticorum carmina et suavi voce populos decipientia. Nec potest eorum cantica praeterire nisi qui obturaverit aurem suam et quasi surdus evaserit » 1 1 6 . Colui che, secondo la parola dell'Apostolo (2Tim 4,3.4), ascolta le favole degli eretici con orecchie lusingate, dice lo PS.-DIONISIO, « deve essere considerato come uno vinto dalle sirene », poiché si è « dimenticato del ritorno in patria » n 7 . La tentazione delle sirene dei pagani e degli eretici si rivela sino nel suo più intimo come imitazione di di quel primo inganno degli uomini che Satana mise in opera, come dice esplicitamente Υ Ammonizione ai 118 pagani . In ultima analisi dunque, secondo METODIO le sirene di O m e r o sono gli allettamenti e le arti dei d e m o n i 1 1 9 . Da tutto ciò si vede quanto fortemente e quanto insistentemente la teologia patristica sia restata consapevole del centro propriamente dommatico anche in questi settori più periferici dell'allegoria. Il mito delle sirene è soltanto una veste della consapevoli physiologus, 13 (p. 245S, LAUCHERT). L'edizione critica di S. SBORDONE (Firenze-Milano 1936) porta nel testo (p. 51-53) il commentario sinora più completo con testimonianze patristiche, sul mito delle sirene. Ma anche qui i testi sono messi in fila senza scelta. Per la storia dell'origine del Physiologus cfr. M. WELLMANN, Der Physiologus. Eine religionsgeschichtlichnaturwissenschaftliche Untersuckung (Philologus, Supplemento XXII, 1, Lipsia 1930). 115 Commentarti in Michaeam prophetam, 1, 1 (PL 25, 1158C). 117 Commeniarius in Isaiam prophetam, 276 (PG 30, 604 C). 8 " Cohortatio ad Gentiles, 36 (OTTO III, 2, p. 118, col. 3s). 119 Simposio, 8, 1 (GCS Metodio, p. 81, 1. i6s). - Cfr. anche EUSEBIO, Comm. in Isaiam, al v. 43,20 (PG 24, 400 D): θέλγουσαι ήδοντ; καΐ ίίσμασι δαιμονικοΐς τάς των ανθρώπων ψυχάς.
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lezza, vissuta con passione, secondo cui il cristiano, nel suo viaggio verso il porto dell'eternità, è posto di fronte alla scelta sovranamente libera, ma anche mortalmente pericolosa, tra fede e miscredenza. È sulla barca della Chiesa, però, che si compie questa scelta, e ciò, come vedremo ancora, stando legati all'albero di questa barca ecclesiastica: alla croce. Ci rimane ancora da accennare alla seconda linea di sviluppo della allegoria cristiana delle sirene. Qui le sirene verranno considerate piuttosto come delle etere incantatrici, e quindi come simboli del piacere sensuale, che può mettere in pericolo la salvezza del cristiano durante il suo viaggio. Questo modo di vedere è certamente più recente di quello delineato più sopra, ma è quello che ha avuto il sopravvento. Già IPPOLITO era stato consapevole di questo duplice carattere delle sirene: egli distingue chiaramente tra i due pericoli che esse rappresentano per il cristiano. Oltre alla seduzione per mezzo di eresie, esse possono «incitare facilmente alla libidine con il loro soave canto » 120 . Ma è AMBROGIO che, per primo, contribuisce all'affermazione di questa interpretazione. Secondo lui, le sirene di cui parlano la Sacra Scrittura e la gentilis historia, significano il « piacere mondano » : «Earum autem interpretatio haec est: Voluptas vocis et quaedam adulatio. Ita ergo saeculi voluptas nos quadam carnali adulatione delectat ut decipiat » 121 . Di qui segue una sottile distinzione, importante per l'ascesi di Ambrogio. Non è stato il pericolo della riva in quanto tale che espone il navigante al pericolo "" Elenchos, 7, 13, 3 (GCS IPPOLITO, IH, p. 191, 1- 8). L 1
" Explanatio in Ps. 43, 75 (CSEL 64, p. 315, 1. 11-17).
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di morte, ma soltanto il dolce canto delle sirene: così, non è la carne in quanto tale che è peccaminosa, ma soltanto i suoi stimoli e le sue attrattive sfrenate. « Dolce e fatale », questa è, d'ora in poi, la formula impiegata per indicare il piacere carnale, che storna il cristiano dal suo cammino verso la patria. Secondo le Sante Scritture, le sirene abitano, sempre al dire di Ambrogio, in « Babilonia » (Ger 27,39), ossia nel « disordine del piacere mondano » : « Et Hieremias de Babylonia memoravit quod habitabunt in ea fìliae Sirenum, ut ostenderet Babylonis, hoc est saecularis confusionis illecebras, vetustae lasciviae fabulis comparandas: quae velut scopuloso in istius vitae littore dulcem resonare quandam sed mortiferam cantilenam ad capiendos animos adolescentium viderentur »122. Il pericolo, che minaccia il cristiano, è dunque il « malfamato naufragio del piacere», il cui modello è il mito dell'Odissea: « Famosum illud voluptatis naufragium » 123 . Nello stesso senso si esprime SIDONIO Apollinare a proposito di un giovane convertito, che, a causa delle tentazioni erotiche, si tappò le orecchie con « cera oddissaica » e così sfuggì alle « meretricia blandimenta » delle sirene 124 . GEROLAMO, tanto infiammato per l'ascesi e per la verginità, considerava il mito delle sirene, al quale dovette pensare durante il suo viaggio ascetico verso la Palestina, un simbolo impiegato volentieri. Non ascoltate il canto delle sirene di Goviniano, egli consiglia alle sue vergini, questo « concionator volup1,1
De fide ad Gratianum, 3, 1, 4 (PL 16, 590 C). Expositio in euangelium secundum Lucam, 4, 2 (CSEL 32, 4, p. 139. 1. 20). "* Epist. 9, 6 (PL 58, <520 C). 123
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tuosissimus : immo quasi sirenarum cantus et fabulas clausa aure transite » 1 2 s . Ed alla vedova Fulvia scrive che essa dovrebbe scacciare dalla sua pia casa tutte le suonatrici di canti mondani : « Quasi mortifera sirenarum carmina proturba ex aedibus tuis » 126 . Breve è il piacere dei sensi, dice il proverbio ascetico : « Quid mihi et voluptati quae in brevi perit? Quid cum hoc dulci et mortifero cannine sirenarum? » 127 . Nel quinto secolo, le sirene vennero completamente trasformate nel simbolo irreale del piacere sensuale. Lo sottolinea in modo esplicito PAOLINO DA NOLA : « Nam quod ìllae Sirenae fuisse figuntur, id revera sunt inlecebrae cupiditatum et blandimenta vitiorum. Habent enim in specie lenocinium, in gustu venenum, quorum usus in crimine, pretium in morte numeratur » 128 . SINESIO scrive in una lettera: ^κουσα δε τοϋ των σοφών και άλληγοροϋντος τον μϋθ-ον. Σειρήνας γαρ αύτάς αίνίττεσ&αι τάς άπολαστικάς ήδονάς 1 2 9 . GIULIANO DI ALICARNASSO chiama il canto 130
delle sirene semplicemente « canto di animali » . L'allegoria si allontana sempre più dal terreno della cultura vivente che la sosteneva, e si rifugia nell'anonimità morale-ascetica. Ma è da notare quanto popolare rimanga il mito almeno in questa forma, soprattutto nel mondo delle rappresentazioni erudite della tarda 135
Adversus Jovinianunt, i, 4 (PL 23, 215 B). « Epist. 54, 13 (CSEL 54, p. 479, 1. 6). i« Epist. 22, 18 (CSEL 54, p. 167,1. 10-12). Cfr. anche Epist. 82,5 (CSEL 55, p. 112, 1. 8-10)). "» Epist. 16, 7 (CSEL 29, p. 121, 1. 18-22). '*» Epist. 145 (PG 66, 1541 A). 130 Commento a Giob 30, 29 (ed. H. USENER, in Rhein. Museum f. Phil., N. S., (1900) 324). 12
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antichità latina, come, ad esempio, in CASSIODORO 131, in SIDONIO 132 e più tardi nell'erudizione dei poeti carolingi, come in un DUNGAL 133, Ο in un ALDELMO 1 3 4 . Così, le antiche sirene si trasformano, presso LEANDRO DI SIVIGLIA, in dame mondane, il cui inutile chiacchierio deve essere evitato dalle monache 135. Un contemporaneo di BERNARDO DI CHIARAVALLE dice ancora : « Cantus sirenarum sunt verba saecularium mulierum » 136 . E nell'istruzione che ONORIO di AUTUM
dà per la rianimazione di noiose prediche, viene ampiamente trattato anche il mito delle sirene. Esse rappresentano le tre tentazioni del piacere mondano: il « duca Ulisse », che le supera vittoriosamente, è come un grande modello mistico del cristiano 137. Tutto ciò è ramgurato in modo semplice e profondo nel libro di immagini di HERRAT DI LANDSPERG: vi si può vedere,
rivestito di una ferrea armatura, simile ad un buon cavaliere, il « duca Ulisse » legato al suo albero mentre supera con la nave le pericolose sirene: «Dux Ulysses praeternavigans iussit se ad malum navis ligare... et sic periculum illaesus evasit » 138. 131
Variar., 2, 40 (MGH, Auct. ant., 12, p. 71, 1. 22-31). Carme 9, 163 (MGH, Auct. ant., 8, p. 222). Epistola 6 (MGH, Epist., 4, p. 581, 1. 9-13). 134 De virginitate, 40 (MGH, Auct. ant., 15, p. 292, 1. 17S.) Chartae, 1 (MGH, Auct. ant., 15, p. 508, 1. 6-9). 135 Regina, 1 (PL 72, 881 D; 882 A). 136 De modo bene vivendi, 57 (PL 184, 1285 D ) . - Per la sopravvivenza della rappresentazione delle sirene nell'antico francese cfr. R E III A, 1, col. 305. 13 ' Speculum Ecclesiae, Homilia in Septuagesimam (PL 172, 855 s). 133 Hortus deliciarum (ed. STEAUB-KELLER, Strasburgo 1879-99), testo p. 435; immagini, tavv. 58 e 57. - Per la sopravvivenza della rappresentazione delle sirene nella sfera della lingua tedesca cfr. il dizionario di G E I M M , X, 1, Lipsia 1905, p. 1230SS. - Ci piace rilevare 132
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Certamente, la storia dell'allegoria cristiana delle sirene non è un notevole pezzo di storia delle idee teologiche. Essa proviene, però, da un contesto cristiano molto profondo, che, ad ogni modo, noi abbiamo potuto indicare. Ciò verrà messo in piena luce, se ora introdurremo nelle linee già disegnate ciò che la simbolica patristica ebbe a dire intorno al passo principale del mito omerico: l'astuzia odissaica di farsi legare all'albero. Qui, infatti, si trova il nocciolo più intimo, intorno al quale si è depositata la teologia del pericolo meraviglioso e della salvezza mediante il legno della croce.
3. IL CRISTIANO COME ULISSE
Premettiamo subito: ciò che stiamo per trattare ora, non si situa troppo perfettamente all'interno della cornice che noi abbiamo tracciato per questo primo studio sul tema generale « Antenna Crucis ». Infatti appauna testimonianza sin qui completamente ignorata. L'esegeta CORNELIO A LAPIDE nel suo commento a Is 13,22, citando ciò che Ambrogio ha saputo dire nel suo commento al vangelo di Luca a proposito delle sirene, narra che anche nella sua patria frisone è stata catturata « ancora ai nostri tempi » una sirena del mare, metà fanciulla e metà pesce, la quale è vissuta per lungo tempo tra gli uomini appendendo persino a cucire: Commetti, in Isaiam 13,22 (Opera, ed. Vivès, Parigi 1866, v. io, p. 282). Si tratta certamente di una elaborazione poetica germanica, di cui abbiamo già un esempio in NOTKERO IL TEDESCO (I, 12, 25, PIPER): Sirenes sunt meretier, fone dero sange intslafent die verige etpatiuntur naufragium. Cfr. anche UGO DI S. VITTORE (PL 177, 78 BC) : de Sirenarum natura. - VINCENZO DI BEAUVAIS, Specutum naturale, 32, 121 (ed. Strasburgo 1483). ALANO AB INSULIS, De planctu naturae (PL 210, 437 Β ; 46i D) ; Liber parabolarum (PL 210, 586 C). - DANTE,
Purgai. XIX, 19. - Altre testimonianze medievali in PvE III ,A I, col. 306S.
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rirà chiaro che l'impiego cristiano del racconto omerico di Ulisse legato (e proprio in questo punto l'allegoria patristica va essenzialmente oltre tutti i modelli antichi) è pensabile soltanto a condizione che l'albero della nave, che rappresenta la Chiesa, sia il simbolo della croce. Noi tratteremo questa allegoria in modo esauriente quanto alla sua origine e quanto alla sua storia. Qui anticiperemo dunque soltanto questo: l'antico cristiano vedeva nell'albero della nave, che il suo occhio scorgeva quotidianamente veleggiare sul mare, un'immagine, anzi una copia fìsica della croce di Cristo, proprio perché albero e antenna si intersecavano in forma di croce, e così raffiguravano la « crux immissa » dinanzi all'occhio cristiano. Senza questo albero e senza la vela fissata all'antenna, la nave non può muoversi in mezzo alle onde; così neppure la Chiesa può giungere al porto della patria eterna senza il « legno della croce » : tutto ciò è patrimonio dell'antico pensiero teologico, come sappiamo da GIUSTINO 139 e TERTULLIANO
140
,
da MINUCIO
141
ed IPPOLITO
142
.
139 Dialog., 138, 2 (OTTO II, 1, p. 486, 1. 23). - Apol., 1, 55, 2 (OTTO I, p. 150,1. 10-14) · ciò è già riconoscibile nelle cose fisicamente visibili: ώς και έκ των ύπ'δψιν πιπτόντων δείκνυται · κα τανοήσατε γαρ πάντα τα έν τω κόσμω, εί άνευ τοϋ σχή ματος τούτου διοικείται ή κοινωνίαν έχειν δύναται. 140 Cfr. Ad nat., 1, 12 (CSEL 2θ, ρ. 8ι, 1. 27 sino a ρ. 82, 1. $). Adversus Mauionem, 3, 18 (CSEL 47, ρ. 406, 1. 21-26). - Adversus Judaeos, io (PL 2, 626 C). Ovunque il parallelismo antenna^crux è fondamentale. Cfr. anche De idoloìatria, 24 (CSEL 20, p. 57,1. 16), ove vien detto che la nave della fede naviga attraverso gli scogli dell'idolatria, con « vele gonfiate dallo Spirito, immune da pericoli, se prudente»: velificata Spiritu Dei fides navigai, tuta si cauta. i" Ottavio, 29, 8 (CSEL 2, p. 43, 1. 10-15). 14! Frammento 4 su Gen 8,1 (GCS Ippolito, I, 2, p. oos). - De Antichristo, 59 (GCS IPPOLITO, I, 2, p. 39, 1. 12 - p. 40, 1. 9). - Frammento 3 su Prov 30,19 (ivi, p. 165).
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Anche il perfezionamento del significato cristiano del mito odissaico deriva ora la sua forza dalla validità di questa rappresentazione allegorica. Il cristiano, che sulla nave della Chiesa veleggia verso la patria, che è circondato dai pericoli delle sirene che ne mettono in forse la salvezza, e cioè dai pericoli dell'infedeltà (o dell'eresia) e del piacere sensuale, deve comportarsi come il sagace Ulisse e legarsi con fortissimi lacci al suo albero, Ta croce: così sfuggirà a qualsiasi pericolo di naufràgio e giungerà in patria. Con l'allegoria del legarsi all'albero l'interpretazione cristiana penetra più fortemente che non con quella delle sirene, in pensieri veramente teologici, non sottintesi in modo alcuno nell'allegoria ellenistica di Ulisse: il paragone « albero=croce » è certamente soltanto cristiano 143. Comunque, esso fu sostenuto dal favore di cui godevano le rappresentazioni del navigatore legato all'albero 144. Basti, ad esempio, considerare soltanto il vaso a figure rosse proveniente da Vulci (British Museum), con le sue antenne a forma di croce chiaramente disegnate e con Ulisse legato, verso il quale le sirene guardano sbalordite 145 . Anche i cristiani polis Prescindendo da certe similitudini nautiche e di cultura generale nell'antichità ellenistica, che erano favorevoli al paragone simbolico. Ciò verrà dimostrato meglio più sotto. 114 Cfr. per questo A. BOLTE, De monumentis ad Odysseam pertinentibus, Berlino 1882. - FR. MUIXER, Die antiken Odyssee-IUustrationen, Berlino 1913. - G. WEICKES, Der Seelenvogel, Lipsia 1902, p. 162-165; p· 183; p. 204-206. La più completa raccolta di tutte le raffigurazioni del mito trovate sino ad oggi, in E. WusT, RE XVII, 2 (1937). col. 1974, 1. 6oss.
i « Riproduzione in WBICKER, p. 165, fig. 85. - DARBMBERG-
SAGLIO, IV, 1 (1904), col. 37, fig. 5288. - ROSCHER, Lex. Myth., IV, col. 605. - Cfr. per questo anche, testo e riproduzione in A. KOSTER, Das antike Seewesen, Berlino 1923, p. 97. - J. KROMAYER e G. VBITH,
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tevano vedere disegnato su piatti e vasi, su lampade, carnei e stampi per focacce, questo mito popolare e familiare a tutti. Senza dubbio essi guardavano queste immagini di navi con lo stesso spirito con cui MiNUCIO FELICE scriveva: « Signum sane crucis naturaliter visimus in navi, cum velis tumentibus vehitur, cum expansis palmulis labitur ... ita signo crucis aut ratio naturalis innititur aut vestra religio forma tur » 146 . E quelli di loro che erano colti, pensavano al legno della croce, allorché leggevano i famosi versi della Odissea : άλλα με δεσμω δήσατ' έν άργαλέω 8φρ' έμπεδον αύτόθ-ι μίμνω ορθόν έν ίστοπέδη, έκ δ'αΰτοΰ πείρατ' άνήφθω. « Essi permisero a me solo di ascoltare le voci, tuttavia mi legano con stretti legacci, affinché rimanga fermo, ben saldo all'albero e lasci che i cavi ne siano garanti » 147 . Prima però di esporre i testi patristici, dobbiamo occuparci del contrastante giudizio sul saggio Ulisse, che si trova presso i Padri. Vi abbiamo già accennato brevemente più sopra. Si tratta di una eco, sin qui non presa in considerazione, del contrastatissimo giudizio sull'astuto Laertide, che si riscontra nella cultura ellenistica. È noto che PLATONE ed EPICURO (anche se per motivi diversi), hanno esercitato una taglientissima critica sulla teologia omerica e soprattutto Heerwesen una Kriegfuhrung der Griechen und Romer, Monaco 1928, tav. IO, riprod. 44. - Un'altra rappresentazione di un lekythos attico è facilmente accessibile in E. BETHE, Die griechische Dichtung, Handbuch d. Literaturwissenschaft, Postdam 1929, p. 39, fig. 33. "· Ottavio, 29, 8 (CSEL 2, p. 43, 1. 10-15). "' Odissea XII, 160-62.
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sull'incerta etica delle astuzie odissaiche. La Stoa invece e, soprattutto, i neoplatonici hanno difeso Omero servendosi di tutte le arti allegoriche 148 . Le Allegorie Omeriche di ERACLITO e le allegorie dell'Iliade di PROCLO ne sono un esempio tipico. Per esse, Ulisse non è lo sfacciato mentitore, ma il più saggio tra tutti coloro che conoscono l'arte di vivere. Se PLATONE lo chiama ancora, per disprezzo, il σοφώτατος 1 4 9 , per PLAUTO è già il tipo del saggio consigliere: semplicemente meus Ulixes150. Questo duplice giudizio si trova, ora, anche nell'allegoria cristiana di Ulisse, e precisamente in base al punto di vista della vittoriosa libertà cristiana consapevole della propria forza. Già il Discorso ai Greci dello PSEUDO-GIUSTINO deride la cera omerica e chiama questa astuzia una « famosa depravazione » 1B1. Clemente d'Alessandria rimprovera al «vegliardo di Itaca » di essere sensibile soltanto al « fumo » della patria terrena 152 : qui dunque, Ulisse non è modello per i cristiani, ma piuttosto il tipo dell'uomo di quaggiù, proprio come presso lo Pseudo-Giustino è tipo dei greci disperatamente privi di qualsiasi saggezza ultraterrena. Ciò è ancor più chiaro in METODIO, che per l'appunto chiama Ulisse «vecchio di Itaca». Qui egli è precisamente l'antitipo di ogni saggezza e libertà cristiana: «Il vecchio di Itaca voleva, come X4t Per la letteratura complessiva e per una ricca citazione di fonti sulla questione, cfr. in E. WtìsT, RE XVII, 2 (1937) col. 1913-1916. »*· Polit., 3, 390 A. 150 Menaechmi, 902. 161 Oratio ad Gentiles, 1 (OTTO III, 2, p. 4,1.1 IS : δ γαρ ' Ιθακήσιος Λαερτιάδης έκ κακίας άρετήν ένεπορεύσατο. Solo ZWICKER richiama brevemente l'attenzione su questo notevole cambiamento di giudizio cristiano su Ulisse, in RE III, A (1927) col. 300, 1. 48-55. «a Protrepticon, 9, 86, 2 (I, p. 64, 1. 29-31).
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narra il mito dei Greci ascoltare il canto delle sirene, poiché questo era estremamente dolce di suono e licenzioso. Perciò egli veleggiò oltre la Sicilia legato, e tappò le orecchie dei suoi compagni. Non perché egli fosse geloso che essi ascoltassero le sirene, e neppure per semplice piacere di essere legato, ma soltanto perché la fine di quei canti significava morte per tutti gli ascoltatori: tale infatti era, secondo i Greci, la natura di quel canto delle sirene ». « Non cosi noi cristiani », continua Metodio, « Noi non ascoltiamo il ' canto fatale ' delle sirene, ma gli inni dei profeti, i quali terminano non con la morte, ma con la ' salvezza eterna '». Dinanzi a questo coro divino non c'è bisogno di tapparsi le orecchie né di farsi legare : « Da noi non ci sono sirene siciliane né legami odissaici né cera versata nelle orecchie, da noi c'è soltanto perfetta libertà da qualsiasi legame, chiunque vuol può venire qui ad ascoltare liberamente ». 153 . Qui si sente certamente quel rifiuto dell'applicazione delle allegorie omeriche, contro cui si indirizzava Clemente Alessandrino nella sua lotta contro la semplice fede dei cristiani non istruiti, e che Ambrogio subodorava ancora nei suoi uditori. Anche questa allegoria negativa non si è imposta, ma quella opposta, quella che vedeva in Ulisse il modello della sapienza, e solo per questo la spiegazione cristiana della simbolica dell'albero della nave ha potuto affermarsi. Il navigatore di Itaca è 153 De autexusio, i, i-4( GCS Metodio, p. 145, 1. 3 sino a p. 145, ]. 16). Così la testimonianza di Metodio si distingue realmente dalla linea delle citazioni patristiche in favore di una interpretazione simbolica cristiana di Ulisse. Ma il modo in cui Metodio argomenta, suppone tuttavia la popolarità dell'allegoresi omerica interpretata cristianamente.
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così anche per i Padri della Chiesa, a cominciare ancora una volta da Clemente Alessandrino154, il Providus Ithacus155, il sapiens Ithacus156. PAOLINO loda la astutia Ulixis 157, e la tarda antichità patristica, come pure il devoto Medioevo, hanno letto le bizzarre etimologie di FULGENZIO, che deriva il nome di Ulixes da όλων ξένος = « omnium peregrinus, et quia sapientia ab omnibus mundi rebus peregrina est, ideo astutior Ulixes dictus est» 1 5 8 . Ancora ONOKIO D'AUTUN dice: « Ulixes dicitur sapiens » 1 5 9 . Nel patetico capitolo conclusivo dell'esortazione ai pagani di Clemente di Alessandria ci viene conservata la più antica testimonianza dell'allegoria cristiana di Ulisse. Il testo suona così 160 : παράπλει τήν ωδήν, θάνατον εργάζεται." εάν εθέλης μόνον, νενίκηκας τήν άπώλειαν καΐ τω ξύλω προσδεδεμένος άπάσης εσγ] της φθ-ορας λελυ μένος, κυβερνήσει σε ό λόγος του S-εοΰ καΐ τοις λιμέσι καθ-ορμίσει των ουρανών το πνεΰμα το άγίον. «Passa oltre al canto (delle sirene), esso produce morte. Se vuoi, puoi diventare vittorioso della corru zione, e, legato al legno, sarai immune da qualsiasi "* Stromata, 6, i l , 89, 1, 2 (II, p. 476, 1. 24-26). DUNGAL SCOTO, Epist. 6 ( M G H Epist., 5, p . 581, 1. 11). 150 CASSIODOKO, Variar., 2, 40 ( M G H Auct. ant., p. 71, 1. 30). 157 Epist. 16 (CSEL 29, p. 121, 1. 2is). 158 Fabulae secundum philosophiam moraliter expositae, 2, 8. - Cfr. RE XVII, 2, col. 1910, 1. 18-22. - RE VII, 1 (1910), col. 215SS. ìsa PL iy2, 857 A. - Per lo studio più recente sulla mitologia di Ulisse nel medioevo, soprattutto in Dante, cfr. G. RABUSE, Die tetzte Irrfahrt des Dantischen Odysseus, in Festschrift jiir Walter Heinrich Graz 1963, p. 99-126. - AISCHA HELL, Odysseus bei Dante, in Deutsches Dante-Jahrbuch 38 (i960) 87-91. - Per ulteriore bibliografia cfr. in G. RABUSE. 1,0 Protrepticon, 12, 118, 4 (I, p. 83, 1. 24-27). 155
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naufragio. Il Logos di Dio guiderà la tua nave e lo Pneuma che è santo ti farà giungere al porto del cielo ». In questo brano appaiono chiaramente le linee fondamentali della teologia che sta dietro a tutta l'allegoresi. Se, come abbiamo veduto, le sirene sono la personificazione della συνήθ-εια, a cui si è rinunciato nel battesimo, ora ne viene messo in evidenza l'opposto: la salvezza è possibile soltanto perché il cristiano ha un legno a cui è legato mentre sta su una nave, di cui il Logos è « carena » e « timoniere » e che si trova in alto mare diretta verso il porto dell'eternità. Il cristianesimo è dunque essere legato alla libertà, come suggerisce la terminologia molto spirituale del detto: προσδεδεμένος - λελυμένος. Il cristianesimo : non è più questione di scaltrezza odissaica, ma di i«buona volontà»; è inoltre un viaggio «trinitario»: ί timoniere il Logos, vento nella vela lo Spirito, méta > la Patria celeste cori la sua iniziazione definitiva ai mistèri eterni: τελεσθήση μυστερίοις και των έν ούρανοϊς απολαύσεις άποκεκρυμμένων 1β1 . Che Cle mente, con la breve espressione « legno », voglia si gnificare semplicemente la croce di Cristo, lo si ri cava chiaramente dalla sua abituale terminologia teo logica. Per lui ξύλον significa sempre la croce 1 β 2 , esattamente come, per la più antica teologia prima di lui, nella LETTERA DI BARNABA 163 e nell'apologeta 181
Ivi (I, p . 83, 1. 28s). Paidagogos, 1, 5, 23, 1 (I, p. 103, ]. 28). - Protrepticon, 12, 119, 3 (I, p. 84, 1. 19). - Sfrontata, 1, 24, 164, 4 (II, p. 103, 1. 6). - Ivi, 2, 4, 19, I (II, p . 122, 1. l 6 ) . 1113 Lettera di Barnaba, 11 e 12 (FUNK, I, p. 71-75). « Acqua e legno » (croce) costituiscono un tipo dottrinale, che appartiene ai più antichi di tutta la teologia cristiana. Cfr. per questo « Flumina de ventre Christi », sopra a p. 359S. 1,1
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. Noi siamo salvati mediante « l'acqua e il legno » : mediante il battesimo che produce salvezza in virtù del legno della croce, oppure, parlando con l'immagine: mediante il legno della nave che ci trasporta attraverso il mare del mondo. « Il legno contiene in sé il mistero della croce », dice GIUSTINO 165. Così, qui Clemente è nella stessa direzione in cui era precisamente Giustino nel paragonare il legno della croce con l'albero della nave: il cristiano deve essere come il reduce Ulisse, legato al legno. Che qui abbiamo a che fare con un topos dottrinale primitivo, lo si deduce dal fatto che anche IPPOLITO DI ROMA, certamente indipendente da Clemente, espone la medesima allegoria. Anche per lui l'astuzia del saggio Ulisse è modello di una sublime sapienza, che è possibile soltanto a pochi cristiani. Se egli dunque dà alla maggior parte di questi il consiglio di tapparsi le orecchie a somiglianza dei compagni di Ulisse, quando ascoltano le dottrine ereticali degli gnostici, ciò non vale per i forti nella fede: questi piuttosto, come Ulisse, debbono ascoltare, ma legati alla croce: GIUSTINO
(φασί) τον 'Οδυσσέα κατακηρώσαι τάς άκοάς των εταίρων, εαυτόν δέ τω ξύλω προσδήσαντα παραπλεϋσαι ακινδύνως τάς Σειρήνας κατακούσαντα της τούτων ωδής· δ ποιήσαι τοις έντυγχάνουσιν συμ βουλεύω και τα ώτ« κατακηρώσαντας δι' άσθ-ένειαν διαπλεΰσαι τα των αιρέσεων δόγματα ... ή εαυτόν τ£> ξύλω Χρίστου προσδήσαντα πιστώς πατα184
1. 2). 1,5
Dialog., 138, 2 (OTTO, Π, ι, ρ. 486, 1. 2ο sino 1 ρ. 488, Ivi (ρ. 486, 1. 23)·
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κούσαντα μή ταταχ-9-ηναι., πεποιθότα φ προσέσφιγκται, καί έστηκέναι òpS-ώς166. « Ulisse tappò con la cera le orecchie dei suoi compagni di viaggio, ma fece legare se stesso al legno, e così superò vittorioso e senza pericolo le sirene, nonostante ne ascoltasse il canto. Anche io consiglio di agire così a tutti coloro che si trovano in una situazione identica: quindi, ο tapparsi le orecchie con la cera, memori della propria debolezza, e così veleggiare attraverso gli insegnamenti delle eresie ... ο farsi legare con fede al legno di Cristo e così ascoltare senza timore alcuno, fidando in esso (legno), al quale si è legati e restare dritti in piedi». Qui alcune caratteristiche diventano anche più marcate che presso Clemente. L'albero della nave viene chiamato espressamente « legno di Cristo ». E la parola conclusiva prima di έστηκέναι ορθώς, l'adesione « ortodossa » alla fede, è un giuoco pieno di spirito con le parole omeriche: ορφ' ... μίμνω όρθ-òv έν ίστοπέδη. Lo «splendido pericolo» del cristiano per fetto consiste dunque nel fatto che egli certamente ascolta, ma non segue: non in superba fiducia di sé, ma contando sulla forza della croce. Dopo che, come abbiamo mostrato sopra, M E TODIO non viene più preso in considerazione come teste dell'esemplarità di Ulisse legato (per troppo tempo il passo è stato citato in tal senso senza guardare troppo da vicino), è interessante percepire ancora in AMBROGIO una eco di quel dubbio ellenistico circa la virtù dell'astuto uomo di Itaca. Senz'altro egli è per Am"· Elenchos, 7, 13, 2, 3 (GCS IPPOLITO, III, p. 191, 1. 3-11).
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brogio semplicemente il saggio: ma il fatto che egli abbia dovuto farsi legare, diventa per Ambrogio, nel suo dotto trattato all'imperatore Graziano, il segno di quanto debole sia anche il più saggio quando non ha il Cristo. « Quam (cantilenam Sirenum) sapiens etiam ab ipso poeta graeco inducitur quasi quibusdam prudentiae suae circumdatus vinculis praeteriisse. Ita difEcile iudicatum est ante adventum Christi etiam fortiores non posse capi speciosae deliciis voluptatis » 167 ! Ma nelle Omelie per la spiegazione del vangelo di Luca, Ambrogio è più benigno verso l'astuzia di Ulisse: in queste egli è per lui il modello del come il cristiano debba sfuggire il pericolo delle sirene, costituito dal piacere terreno: di questo solo pericolo infatti, e non più di quello del paganesimo ο dello gnosticismo, si tratta da ora in poi; e proprio queste parole di Am brogio non furono più dimenticate anche nel medioevo. Dopo che Ambrogio, come abbiamo mostrato sopra, si è giustificato per l'impiego del mito, spiega l'allegoria cristiana del racconto omerico. Di nuovo risuona il canto di lode della libertà cristiana, anche se con notevole variante: il vir religiosus non si deve tappare le orecchie, ma renderle libere per la voce di Cristo: « Non claudendae igitur aures sed reserandae sunt, ut Christi vox possit audiri, quam quisque perceperit naufragium non timebit ». Invece nell'astuzia propria di Ulisse si ricela un mistero: il cristiano si deve far legare alla croce di Cristo, per non subire naufragio. « Non corporalibus ut Ulixes ad arborem vinculis adligandus, sed animus ad crucis lignum spiritualibus nexibus vinciendus, ne lasciviarum moveatur illece1,7
De fide ad Grati.inum 3, I, 4 (PL 16, 590 C).
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bris cursumque naturae detorqueat in periculum voluptatis » 168. Ulisse è nuovamente il simbolo dell'unione cristiana di libertà e di obbligazione: ascoltare attentamente la voce di Cristo, essere legato alla croce di Cristo. Spinto dal suo modello Ambrogio, il vescovo di Torino MASSIMO ha trattato di questo tema in tutta una sua omelia al popolo. Anche questa è stata sino ad ora citata in tutte le esposizioni dell'allegoria cristiana di Ulisse. Ma evidentemente essa non è stata letta con attenzione: poiché si è totalmente trascurato di notare, con quanta profondità e con quanto interesse per lo sviluppo del tipo dottrinale, Massimo maneggi il tutto. Non è più il cristiano che, a somiglianza dell'Ulisse legato, deve legarsi alla croce, ma Ulisse legato all'albero della nave è figura di Cristo stesso. Dopo aver esposto la « favola mondana » di Omero, il predicatore continua : « Si ergo de Ulysse ilio refert fabula, quod eum arboris religatio de periculo liberavit: quanto magis praedicandum est quod vere factum est, hoc est, quod hodie omne genus hominum de mortis periculo crucis arbor eripuit? Ex quo enim Christus Dominus religatus in cruce est, ex eo nos mundi illecebrosa discrimina velut clausa aure transimus ». Cristo stesso dunque è Γ « Ulisse crocifisso », pensa argutamente, ma con acutezza teo logica, Massimo. Infatti solo perché egli fu legato alla croce, è stata data anche all'uomo la sola possibilità di raggiungere la patria sulla nave della Chiesa. Così il Cristo legato al « legno » nel giorno stesso della 1,8 Expositio in evangelium secundum Lucani, 4, 2 (CSEL 32, 4, p. 140, 1. 4-10).
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sua morte ha posto in salvo nella patria del paradiso il naufragante ladrone. Solo se è legato al legno al quale è legato Cristo, anche il cristiano può salvarsi. « Arbor enim quaedam in navi crux est in Ecclesia, quae inter totius saeculi blanda et perniciosa naufragia incolumis sola servatur. In hac ergo navi quisquis aut arbori crucis se religaverit aut aures suas scripturis divinis clauserit, dulcem procellam luxuriae non timebit... ergo Dominus Christus pependit in cruce, ut omne genus hominum de mundi naufragio liberaret » 169 . Non si potrebbe pensare che qui un vero e proprio crocifisso sta già dinanzi agli occhi del predicatore torinese? 170 In ogni caso si vede quanto vivamente egli, pensando alla forma di croce rappresentata dalalbero e dall'antenna, pensasse inoltre al Cristo inchiodatovi. « Ο uomo, questa croce è il tuo timoniere », predica GERMANO DI COSTANTINOPOLI, « perciò non temere i marosi minacciosi del mare di questa vita... La croce sarà per te un modello di infrangibile forza, affinché tu inchiodi la tua carne alla crescente riverenza per il crocifisso... così giungi con immane vittoria nel porto del riposo »m ! Lo stesso pensiero si percepisce, come già abbiamo affermato all'inizio, dietro le parole con le quali AGOSTINO loda l'umile abbraccio della croce, eretta come un albero al centro della nave 169
Homilia 49, De passione et cruce Domini, 1 (PL 57, 339 D; 340 B). Si pensi alle ampolle di Monza, alla gemma della croce nel British Museum ed alla porta di Santa Sabina. Cfr. J. REIL, Die friihchristlichen Darstellungen der Kreuzigung Christi, Lipsia 1904, p. 54-57; p. 59S. - K. KUNSTLE, Ikonographie der christlichen Kunst, Friburgo 1928, v. I, p. 446-453. 1,1 Homilia in vivificarti crucem (PG 98, 240 CD). 170
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della Chiesa 1 7 2 . Anche GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ sembra aver pensato al mito omerico quando, nel suo poema alla verginità, parla della crociera della vita : « L'anima è in viaggio d'alto mare e la tempesta è tremenda. Perciò io tremo sino nel profondo di me e mi avvinghio tanto più a Cristo, a nient'altro, a Cristo, mio casto anelito: egli solo infatti è immobilmente fermo »173. PAOLINO DA NOLA, così amante dei simboli, ha radunato come in un mosaico di antica bellezza tutti ι pensieri sino ad allora isolati, che illustrano il mito cristianamente interpretato di Ulisse legato all'albero della nave. Qui la nave della Chiesa attraversa mae stosa i flutti di questo mondo, costruita con legno incorruttibile; e, con amorevole proprietà di linguaggio, viene sviluppata la simbolica delle singole componenti nautiche della nave, timone e governo, vela e albero, gomene e antenna. L'albero è per lui simbolo della croce; ed è qui che egli ricorre al racconto omerico: «Et arbor illis est ,,virga de radice Jesse", quae totam corporis nostri quadriremen regit et cui si iuxta illam poeticam fabulam in profetica ventate nectamur, voluntariis adstricti nexibus et obstructis non cera sed fide neque corporis sed cordis auribus, contea mundi varias ad capiendum pares ad nocendum illecebras tuti et innocui scopuli voluptatum quasi saxa Sirenum praetervehimur. Adstringamur autem huic arbori fune validissimo, vincti in spe, fide, caritate, credentes cor-
171 Tractatus in loannem, 2, 2, 3 (PL 35, 1389S). "" Carmina, 2, 1, De Virginitate, vv. 582-585 (PG 37, 566 A). Anche qui con la designazione di Cristo quale Ιμπεδος ci sembra che sia presente una allusione ad Omero XII, 161 ορφ'ϊμπεδον ...
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dibus et oribus confìtentcs individuami Trinitatem, quae est spartum triplex quod non rumpitur. Hoc sparto et opera nostra texantur, quo et rudente fidei nostrae arbor erigatur caritatis antenna et vitae nostrae vela sinuentur » 174 . Paolino termina la sua teologia nautica con un inno di lode, che si potrebbe porre, come appropriatissima interpretazione, tra le chiare immagini che ci sono state conservate nelle catacombe: navi che navigano a vele spiegate verso il cielo, verso il faro dell'eternità 175. Se Gesù aiuta ed ogni tempesta tace, allora la nave della nostra vita potrà giungere in porto con un prezioso pesante carico, adornandosi di corone di vittoria dopo tutti i pericoli : « Christus quasi naves suarum onerarias opum deducat in portum salutis, victricibus fluctuum pnppibus virides laetus imponat coronas» 176 ! Le immagini nell'Hortus deliciarum di ERRATO DI dimostrano 177 quanto sia stata popolare anche nel primo medioevo, così avido di simboli, la drammatica storia del dux Ulisses legato all'albero della nave. L'albero della nave a cui è legato Ulisse è designato molto appropriatamente come antenna della croce. Il modello immediato di Errato è senza dubbio LANDSPERG
1,4
Epistola 33, 30 (CSEL 29, p. 186, 1. 19 - p. 187, 1. 4). Bellissima quella visibile su una lastra sepolcrale della ditta Victora del Cimitero Gordiani, in O. M A R U C C H I , / monumenti del Museo cristiano Pio-Lateranense, Milano 1910, tav. 58. Anche in O. M A R U C C H I - F . SEGMULLER, Handbuch der christl. Archàologie, Einsiedeln 1912, p. 218, fig. 65. - Cfr. F. J. DOLGEK, Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p . 285. 1,6 Epistola 23, 30 (CSEL 29, p. 187, 1. 23-25). 177 Hortus deliciarum (ed. STRAUB-KELLER, Strasburgo 1879-99, tavv. LVII e LVIII). La scritta, che parla del Dux Ulisses, è certamente presa da Onorio. 175
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Onorio d'Autun, che a sua volta ha attinto soprattutto al commentario di Ambrogio al vangelo di Luca. Con lui concludiamo questo nostro primo studio sulla teologia dell' « Antenna crucis ». Onorio dà il consiglio di condire le prediche al popolo con storie appropriate: « Nam huiuscemodi verbis eis fastidium tollis ». Così pressappoco con l'esempio di Ulisse legato : « Ulixes dicitur sapiens. Hic illaesus praternavigavit, quia christianus populus vere sapiens in navi Ecclesiae mare huius saeculi superenatat. Timore Dei se ad arborem navis, id est ad crucem Christi ligat. Sociis cera, id est incarnatione Christi, auditum obsigillat, ut a vitiis et concupiscentiis cor avertant et sola caelestia appetant. Sirenes submerguntur, quia concupiscentiae ab eis vigore spiritus praemunitur. Ipsi illaesi evadunt periculum, quia per victoriam ad Sanctorum perveniunt gaudia » 178. Con ciò abbiamo ora il materiale patristico per la questione, sorta recentemente a causa del grande sarcofago di WILPERT, se nelle esposizioni cristiane del mito di Ulisse legato si tratti soltanto di un'assunzione di opere d'arte originariamente pagane, oppure di una creazione genuinamente cristiana. Un'approfondita trattazione archeologica di questo problema andrebbe oltre i limiti di questo lavoro. Tuttavia, da quanto si è detto finora, si possono dedurre anche alcune conoscenze fondamentali per questo. Già è apparso continuamente che le rappresentazioni sin qui ritrovate del mito di Omero stanno su sarcofaghi esclusivamente di origine cristiana: la raffigurazione ci è stata preservata soltanto su coperchi di sarcofaghi del terzo 178
Specuhim Ecclesiae (PL 172. 857 A).
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secolo, in modo bellissimo su quello di Lucio Furio Turanio (Museo di San Callisto) e su quello di Aurelio Romano (proveniente da Aguzzano, ora al Museo delle Terme) 179 . WEICKER sostiene che è un puro caso che sino ad ora non si siano trovate raffigurazioni sepolcrali indubbiamente pagane del mito Ulisse-Sirene, poiché quelle cristiane sarebbero senza dubbio delle sculture assunte solo posteriormente e derivanti da opere pagane, ο in ogni caso completamente dipen denti da queste 1 8 0 . Della stessa opinione era dia G. B. DE Rossi 1 8 1 . Ciò è senz'altro credibile, solo che si pensi alla massa di rappresentazioni non sepolcrali del mito e, d'altro lato, si tengano presenti due cose: il ruolo importante assunto, nella credenza ellenistica di quel tempo, dalla raffigurazione delle sirene, e la presenza, su sarcofaghi pagani, del mito, molto meno frequente, poiché pensato non in modo popolare ma in modo culturalmente enologico, della disputa delle sirene con le muse 182 . Per conseguenza, è senz'altro probabile che dei nobili cristiani del terzo ο quarto secolo potevano servirsi di modelli pagani per l'orna mento di sarcofaghi, poiché questi erano familiari ai 17 > J. W I L P E R T , / sarcofaghi cristiani antichi, R o m a 1929, parte illustrata, v. 1, tav. X X V , 3 ; X X I V , 7. - F. X. KRAUS, Roma sotterranea, Friburgo 1873, p. 311, fig. 47. - Enumerazione dei sarcofaghi di
Ulisse anche in B O L T E , op. cit., p. 345. - MULLER, p. 49. - W E I C K E R ,
p. 205S. 180
1,1
W E I C K E R , Der Seelenvogel, p. 205.
La croce d'oro rinvenuta nella basilica di S. Lorenzo, in Bollettino di archeologia cristiana 1 (1863) 35S.: «Quelle sculture sono pagane e rappresentano Ulisse legato all'albero della sua nave, che ode il canto delle Sirene. Gli antichi nell'età anteriore alla pace loro data da Costantino spesso comprarono nelle officine degli scultori sarcofaghi già preparati ». IB» WEICKER, Der Seelenvogel, p. 76; p. 2o6s.
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marmisti, e poiché il mito aveva subito una notevole trasposizione interpretativa nel pensiero cristiano. Da ciò nasce però l'ulteriore questione: quali sono i caratteri della suddescritta allegoria che debbono spiegare il fatto che proprio (e soltanto) sui sarcofaghi si dava valore alla rappresentazione di Ulisse? WILPERT applica il mito alla distinzione tra vera e falsa dottrina : dunque nella direzione del tipo più intellettuale, la cui provenienza è stata da noi spiegata più sopra 183 . Ma donde viene allora lo speciale significato sepolcrale del mito? Io penso che qui si debba ricorrere meno al « dottrinale » nella sua opposizione al « morale », che non alla origine generale dell'allegoria. Noi abbiamo visto che anche in Clemente e Ippolito, nonostante l'accento preponderante sul dottrinale, le sirene hanno conservato il loro carattere ellenistico di animali seducenti. Non bisogna dunque mettere l'accento su questa distinzione contenutistica: ma sulla teologia, da cui soprattutto ai Padri poteva venire in mente il pensiero di assumere il mito e spiegarlo cristianamente. Questa teologia però è essenzialmente escatologica: la vita del cristiano è paragonabile ad una traversata* è « meraviglioso pericolo », ha come meta il « porto del cielo », come diceva CLEMENTE 184 , la αιώνιος σωτηρία, co 185 me scriveva Metodio . La Chiesa è una ναϋς ουρα 18β νό δρομοϋσα . «Crucis arbor ...hominem patriae repraesentat »,
183
predicava
MASSIMO 1 8 7 .
E
AGOSTINO:
I sarcofaghi cristiani antichi, R o m a 1929, testo p. 14. Protrepticon, 13, 118, 4 (I, p. 83, 1. 26s). H5 £>e autexusio, 1, 2 (GCS Metodio, p. 146, 1. 6; 1, 6: p. 147, 1. 7s). 188 CLEMENTE, Paidagogos, 3, 11, 59, 2 (I, p. 270, 1. 8). 187 Homilia 49 (PL 57, 339 C ) . 184
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« Gubernator est Christus in ligno Crucis suae... perducentur ad terram quietis » 188. « In portum salutis », così terminava la sua esposizione PAOLINO 189. Ed è solo come la eco di questo grido di giubilo proveniente dal desiderio dell'aldilà della simbolica cristiana, quando ALDELMO scriveva : « Quatenus garrulo Sirenarum Carmine spreto ratis recto cursu ad portum patriae prospere perducatur. » 19 °. E. DUNGAL: «Ut velut ille providus Ithacus... divino agitante spiraminis flatu ad supernae portum patriae perveniatis » 1 β 1 . E dunque precisamente lo stesso processo mentale, che in qualche modo spinse Clemente Alessandrino a cristianizzare il mito omerico dandogli un nuovo significato, e Lucio Furio Turanio a far ornare il sarcofago della sua pace sepolcrale con il mito omerico. Con ciò abbiamo dinanzi a noi il primo armonico pezzo di antica teologia dei rapporti tra Chiesa e croce. Quasi naturalmente ci si presenta ora il compito ulteriore, di liberare questa speculazione dall'involucro della sua simbolica e di fare degli studi intorno alle sue profonde connessioni in una ricerca sull'allegoria della nave della Chiesa formata dal legno della croce. Ma, dal mito cristiano di Ulisse legato all'albero della nave, ci è già apparso chiaramente (e i sarcofaghi romani del terzo secolo lo dimostrano) che l'allegoria apparentemente così distante e che sembra quasi artificiosa proviene da profondità genuinamente cristiane. Τοις λιμέσι ουρανών, diceva all'inizio della storia di 1 , 8 189 190 191
Enarrationes in Ps. 103, 5 (PL 37, 1381 A ) . Epistola 23, 30 (CSEL 29, p. 187, 1. 24). Chartae, 1 ( M G H Auct. ant., 15, p. 508, 1. 8s.) Epistola 6 ( M G H Epist., 4, p. 581, 1. I2s.)
Il
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
questa odissea cristiana il simbolico della Chiesa primitiva, Clemente. E il simbolico del medioevo, Onorio, la concludeva con le parole: «Ad Sanctorum perveniant gaudia » !
2.
IL MARE DEL MONDO
Nella parte precendente, che è stata come di intonazione 1, si poterono delineare soltanto contorni esteriori della teologia della Chiesa, che è alla base del simbolismo nautico dei Padri. Ora bisogna cercare di sviluppare, in conformità alle fonti, l'allegoria della Chiesa quale nave veleggiante sul mare di questo mondo, e ricercarne l'origine biblica e classica. Infatti, solo allorché il materiale sinora radunato soltanto alla buona ο in modo superficialmente affrettato ne gli studi sul simbolismo artistico e letterario, sarà presentato in modo sostanzialmente completo e soprattutto geneticamente ordinato, si potrà mostrare quale teologia si nasconda dietro i fenomeni di questo ricco mondo di simboli. Solo a partire da ciò, bisogna risottolinearlo continuamente, questa nostra ricerca sfuggirà il pericolo di un isterismo patristico ο archeologico vano e non impegnativo. Si tratta qui, per noi, della faticosa scoperta della dialettica dommatica, in cui la teologia patristica concepiva l'essenza della Chiesa. 1
Cfr. sopra a p. 397-454.
456
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
Come la « nascita di Dio » dalla Madre Chiesa è un essere generato per morire e la vita divina può giungere alla virilità dell'eternità soltanto attraverso il pericolo di un « aborto »2 ; come la Chiesa quale « Mistero della luna » giunge alla fertilità e all'eterno splendore soltanto attraverso la morte del sinodo 3 : così avviene anche ora nel campo simbolico della teologia nautica della Chiesa. L'esistenza terrena della Chiesa è paragonabile ad una traversata marittima: la Chiesa è essenzialmente dell'ai di là, sempre in viaggio verso una patria non ancora raggiunta; questo viaggio si fa per mare, su un elemento pericoloso e avverso alla nave; la Chiesa è soltanto una piccola nave di legno, ma proprio per questo può affrontare fieramente il mare. La teologia dialettica che si nasconde dietro questo tesoro di immagini della dommatica patristica si esprime sempre attraverso coppie di opposti: la Chiesa è certa della salvezza e tuttavia ancora in pericolo di salvarsi; certa di arrivare, ma non ancora giunta; piccola nave sul pauroso mare di questo mondo dominato dal diavolo, ma certa di vincere nonostante questa precarietà. Infatti essa è la nave costruita con il « legno della croce », il « piccolo legno, a cui si affidano le anime umane » 4. Con ciò però è enunciata, per via di immagini, la sua più intima essenza, poiché la Chiesa è, nella storia nel mondo, la continuazione e il compimento di quella 2
Cfr. sopra a p. 50s, 95s. Cfr. sopra a p. 15OS. 1 Sap. 14,5: έλαχίστω ξύλω πιστεύουσιν άνθρωποι ψ υ χ ά ς . Più avanti daremo una più esatta interpretazione di questo testo e della storia della sua esposizione. 3
457
IL MARE DEL MONDO
vittoria, che Cristo conseguì contro il « principe di questo mondo » sul « legno ». Legno e mondo, nave e mare, Cristo e satana: in ciò risiedono le tensioni teologiche, di cui questa simbolica patrista è come carica. Per comprendere pienamente questa dialettica, è necessario, in primo luogo, esporre a fondo l'allegoria del mare del mondo. In essa infatti i Padri radunano tutte le potenze avverse a Dio e che perciò minacciano anche la Chiesa. Noi dobbiamo conoscere questo mare, prima di abbordare la nave della Chiesa che lo solca maestosa. Ciò è importante per questo simbolo: infatti siccome il paragone tra mare e mondo^ anche oggi ci è familiare e vicino, si potrebbe ritenere che è una cosa facile dimostrarlo dalle fonti patristiche, ricorrendo ad esempio ai noti passi di GREGORIO: « Quid enim mare nisi praesens saeculum signat » 5 , 6
ο di AGOSTINO : « Mare saeculum est » , ο del medio
evo simbolista : « Mare eleganter praesens saeculum signifìcat »7. Ma come spiegare la costanza caratteristica di questa allegoria? Forse soltanto per il fatto che « le terre bagnate dalle acque del bacino mediterraneo sono particolarmente inclini a concepire la vita sotto l'immagine della navigazione»8? Oppure prendendo come base i modelli biblici della Chiesa, l'arca di Noe e la barchetta di Pietro ? Ο piuttosto come 5 Homilia 24, 2 (PL 76, 1 1 8 4 D ) ; Moralia, 17, 30 (PL 76, 31 D ) ; 18, 18 (PL 76, 471 D ) ; 19, 12 (PL 76, 489 C ) . • Enarrationes in Ps. 92, 7 (PL 37, 1 1 8 8 D ) . - Cfr. H. R O N D E T , Le Symbolisme de la Mer chez S. Augustin, in Augustinus Magister, Parigi 1954, v - 2 . P· 691-701. ' ALANUS AB INSULIS, Liber in distinctionibus (PL 210, 850 D ) . 8 FR. J. DÒLGER, Sol Salutis, Miinster, 1925, 2 ed., p. 273.
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L'ECCLÉSIOLOGIA
DEI
PADRI
effetto posteriore di un topos costante nell'antica retorica? Tutto ciò è certamente esatto, come dimostreremo. Ma tutto ciò non basta a spiegare perché mai il mare divenne- il concetto del « mondo » quale elemento votato al diavolo e perciò insidiante la Chiesa. Il nostro studio dunque si deve proporre in prima linea il compito di trovare la radice della simbolica del « mare del mondo ». Dando uno sguardo d'insieme alla massa di testimonianze antiche e patristiche che abbiamo adunato all'uopo, è risultato chiaro che per l'origine di questo simbolo dobbiamo ben distinguere l'uno dall'altro due campi: i. Il semplice naturale paragone tra mare e vita, che era ovvio per le genti della cultura mediterranea ed ha anche influenzato le immagini della Sacra Scrittura. Noi intitoliamo questa parte con le parole: Il mare amaro. In esse infatti si può raccogliere in breve ciò che l'antica retorica, la poetica e la mitologia della natura, e anche la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa, asserirono intorno al mare e in cui essi videro un simbolo appropriato della amarezza della vita terrena. 2. Bisogna però distinguere nettamente da questa un'altra serie di raffigurazioni, che ha un'importanza incomparabilmente più grande per la simbolica marinara schiettamente cristiana e senza la quale non riusciamo a comprendere la teologia della nave della Chiesa sul mare del mondo : il mare come luogo della potenza oscura, demoniaca, antidivina, dunque il lato più religioso del paragone tra mare e mondo. E ciò sia nell'antichità ellenistica, sia nell'antico cristianesimo. « Profundum maris sedem intelligimus inferni », dice un ILARIO 9, e con ciò vuol • Tractatus in Ps. 68, 28 (CSEL 22, p. 337, 1. 6).
IL MARE DEL MONDO
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enunciare una frase significativa dal punto di vista della storia della religione, frase che raduna in sé, ciò che fu sempre pensato intorno al mare, elemento demoniaco nell'antichità e nel cristianesimo primitivo. Noi intitoliamo questa parte con le parole: il mare cattivo.
i. IL M A R E A M A R O
Era naturale per l'uomo di mare dell'antichità e del cristianesimo primitivo paragonare la vita al mare e dipingere le disgrazie della vita, soprattutto il dolore, le tempeste delle passioni, l'avverso destino, con immagini offerte dal quotidiano spettacolo del mare e della esperienza dei viaggi marinari. Per quanto egli amasse « il suo mare » 10 , su cui vedeva le navi a vela 12 volteggiare come petali n ο come colombe , già negli antichi aveva di gran lunga il sopravvento l'orrore dinanzi all'enigmatico e « amaro mare ». Perciò i beati tempi antichi, il Κρόνου βίος 1 3 , quando l'uo mo temerario, in cerca di guadagno, non aveva ancor posto piede sul legno della nave, divengono l'incarna zione di una vita priva di passioni e di preoccupazioni. 10 Cfr. ad esempio PLATONE, Fedro, 113 A : ή π α ρ ' ή μ ϊ ν θ ά λ α σ σ α . - CESARE, De bello gallico, $, 1 : mare nostrum. Per l'insieme, cfr. : V. BURR, Mare nostrum, in Wiirzburger Studien ,1932, p. 119SS., p. I28ss. - Per la mitologia pregreca del mare cfr. O. KAISER, Die mythische Bedeutung des Meeres in Agypten, Ugarit und Israel, Berlino 1959. 11 CATONE, Or. fragm., 1, 8: mare velis florere videres. - LUCREZIO, 5. 1142· J2 AMBROGIO, Hexaemeron, 4, 6, 26 (CSEL 32, 1, p. 133, 1. i6s). 13 I Saturnia regna della mitologia romana. Cfr. per l'insieme R E XI (1922) col. 20o6s; col. 2009S (POHLENZ).
460
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
Ancora nel quinto secolo SINESIO DI CIRENE ci ha descritto questo stato d'animo con i bei versi di ARA14 TO . In TIBULLO si legge qualcosa di simile. Prima le cose erano veramente belle, ora invece c'è soltanto tempesta e morte: « Nunc mare nunc leti mille repente viae » 15 . Già qui il mare diventa un elemento in qualche modo nemico dello spirito umano: una 0-άλασσα χαλεπή oppure πικρά 1 6 , un « mare saevom » 1 7 , che l'uomo può vincere soltanto con una coraggiosa impresa. « Mare audendo vincere », dice 18 VIRGILIO . Ma questa audacia è propriamente sempre un tremebondo affidarsile all'infido elemento, una imitazione di quel primo ardimentoso, che ha inventato la nave: «Qui fragilem truci commisit pelago ratem primus », è detto nella bella ode di ORAZIO 20 . Non si è certo mancato di paragonare spesso, in senso traslato, la vita ad una traversata veramente audace, la cui bellezza il codardo cittadino non può comprendere. Seneca cita in proposito un detto del suo maestro, il 14 De providentia, 2, 5 (PG 66, 1273 AB). ARATO qui parla esplicitamente della χαλεπή θάλασσα. 15 Elegia I, 3, 49S. " TUCIDIDE, 4, 24.. - χαλεπή è il mare nello stesso senso della raccapricciante insopportabilità degli dei quando si rendono visibili: cfr. ad es. PLATONE, Rep., 502 D; Iliade, 20, 131. - Cfr. anche ORAZIO, Ode 1, 28, 18: « exitio est avidum mare nautis ». 17 LIVIO ANDRONICO, Carmin. fragm. 22. - « Mare saevum » spesso
in SALLUSTIO e in OVIDIO. 18
VIRGILIO (?), Catalepton, 9, 48. Cfr. ad esempio SENECA, Agamennone, 106 : « Mari credere cumbam». - Columella, 1, praef. 4: « Navigia mari concredere». PETRONIO, Sat., 83: «Qui pelago credit magno se foenore tollit». In SINESIO ci è stato conservato un proverbio greco, che esprime lo stesso pensiero: μηδείς πλέων έθ-άρσησε: Epist., 4 (PG 66, 1337 A). 20 Ode I, 3, ios. 19
IL MARE DEL MONDO
461
cinico DEMETRIO 21 : « Hoc loco mini Demetxius noster occurit qui vitam securam. et sine ullis fortunae occursionibus mare mortuum vocat » 22 . Ma ciò è rara eccezione. L'orrore dinanzi al « tremendo » mare è di gran lunga superiore negli antichi: «Insano terque quaterque mari », dice PROPERZIO 23. L'essere messo inevitabilmente in balia dell'elemento si esprime continuamente, nelle fonti antiche, nei due concetti: il mare è incostantemente infido e amaro : « Mare infìdum » e « Mare amarum » 24, e proprio queste due immagini, come si dimostrerà in seguito, sono divenute fondamentali per la simbolica cristiana del mare. Partendo da questa fase, l'applicazione delle immagini percorre tutti i gradi, dalla scialba comparazione retorica sino al simbolo concretamente vivente della morte. Era corrente nell'antica retorica paragonare l'inizio e la fine di una grande orazione, di una poesia, di una ricerca filosofica, con il salpare e l'approdo di una nave. « Tamquam in rate in mari immenso nostra vehitur oratio », dice CICERONE 25. L'oratoria cristiana ha volentieri imitato ciò, essa naviga sulT « immane sl Cfr. su di lui ZELLEE, Phil. d. Griechen, 3 ed., v. 4, p. 766. RE IV (1901) col. 2843S. - Il concetto del « temerario viaggio marino » è frequente anche nella filosofia popolare cinica. 22
23
SENECA, Epist. 67, 14.
Elegia 7, 6. Sul concetto di « m a r e pauroso» cfr. le citazioni nel Thesaurus linguae latinae, 8 (1939) p. 379, 1. 6iss. - Q u a n t o al « mare amaro », nelle nostre letture abbiamo rilevato: SENECA, Nat. quaest., 3, 4, 5; STAZIO, Silv., 2, 2, 18. - Sul « mare infido », cfr. PETRONIO, Sat. 1 1 5 , 8 . O V I D I O , Pont., 4, io. - PROPERZIO, Elegia 7, 26: « fallit portus et ipse fidem ». 25 Tuscul., 1,73. - Cfr. anche O V I D I O , Ars am„ 1, conci.: hic teneat nostras ancora iacta rates. 24
462
L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
mare delle meditazioni divine » 26, essa sa che i misteri della Trinità, a somiglianza del mare, possono essere solcati soltanto con grandi navi 27. Dante vi si è ancora inspirato nel noto canto iniziale del Paradiso 28. L'immagine sensibile diviene ancor più plastica, allorché già gli antichi paragonano il popolo e l'umore popolare con il mare 29 , cosa che, mediante la simbolica presentata nell'Apocalisse 17,5, è divenuta corrente anche nella teologia cristiana ^ Ma tutto ciò non è che linguaggio figurato degli oratori. Noi entriamo nell'ambito dell'antico pensiero richiesto dalla nostra questione, soltanto quando gli antichi, nel loro ansioso mormorio, bisbigliano di un « amaro mare ». Come la sapienza popolare parla volentieri della « vita cattiva » - χαλεπον ό βίος 3 1 , così parla dell'onda amara del fato, «cui le nere navi, che » GREGORIO NISSENO, In Cantica Canticorum, h o m . 12 (PG 44, 1016B). 27
GREGORIO N A Z . , Poemata, 1 , 1 , 1 (PG 37, 397). - BASILIO (PG 3 1 ,
555 C ) ; LEANDRO (PL 72, 891 D ) . Cfr. anche CLAUDIANO M A M E R T O ,
De statu animae, 1, 1 (CSEL 11, p. 23, 1. 16): «Pelagus disputationis ». Ad esso corrisponde quindi la immagine del « mare errorum * (ivi, p. 175,1. 22) ; ancor più chiaramente in VINCENZO DI LÉRINS, Commonitorium, 20 (PL 50, 666 B) : « Amaros illos turbulentosque errorum fluctus ». 28 Paradiso, II, 1-15. 29 CATULLO, Carmen 64, 270-278. - O R A Z I O , Epist. II, i, 20oss. L I V I O , 28, 27, 11. - CICERONE, Oratio prò Cn. Piando, § 15. 30 Per dare soltanto alcune citazioni: ILARIO, Tractatus in Psalmum 123, s (CSEL 22, p. 594, 1. 5); Tractatus in Psalmum 143, 15 (CSEL 22, p. 822, 1. i8s) : « Aquas populos dici usuata cognitio est ». G A U D E N Z I O D I BRESCIA, Sermo 5 (PL 20, 876 A ) . - C R O M A Z I O , Tracta-
tus 17 in evangelium s. Matthaei, 4, 3 (PL 20, 339 B). - Cfr. anche RUPERTO
DI
DEUTZ
(PL
167,
648 A B ) .
-
INNOCENZO
ΠΙ
(PL
217,
555 Q . 3 1
PLATONE, Conuiuio,
176 D . - SENOFONTE, Memor., 2,
1,
1.
IL MARE DEL MONDO
463
solcano il mare, non possono sottrarsi »32. SOFOCLE nell'Antigone ha dipinto meravigliosamente l'insostenibile sorte dell'uomo maledetto da Dio, con l'immagine dell'onda spumeggiante che viene dal Nord tracio 33 . Anche ESCHILO parla dell'onda del male 3 4 ; OVIDIO ci ha cantato le sventure della sua storia personale con le stesse immagini 35. Il saggio, che si pone il fato sotto i piedi, è simile al barcaiolo, a cui neanche i flutti del mare possono più fare del male. Richiamandosi a Platone e Plutarco, BOEZIO ha espresso questo pensiero così : « Non ti devi meravigliare », dice la consolatrice Filosofia, richiamandosi alla sorte dei grandi, come Socrate, Platone, Zenone e Seneca, « se sul mare della vita siamo preda di rumoreggianti tempeste, noi, il cui supremo ideale è di evitare il male » 3e . E Boezio aggiunge i versi mai dimenticati nel Medioevo 37 : « Quisquis composito serenus aevo fatum sub pedibus egit superbum non illum rabies minaeque ponti versum funditus exagitantis aestum movebit ». Cosi qui il mare è già immagine sensibile di una potenza temibile, superiore, a cui è commessa la vita dell'uomo, e che solo a pochi è dato di vincere. In seguito la forza dell'immagine continuerà ad esercitare il suo influsso. L'uomo nobile e saggio ha in sé *· SOFOCLE, Antigone, 952-954. - Cfr. per questo anche ORAZIO, Ode II, 16, 21 : « Scandii aeratas vitiosa naves cura ». 33 SOFOCLE, Antigone, 584-592. 34 Sette contro Tebe, 758. 35
31
Tristia, 2, 99-102; I, 1, 41S.
De consolatione Philosophiae, 1, 3, 11 (CSEL 67, p. 6, 1. 24-26). " Ivi, 1, metrum 4 w. 1, 2, 5, 6, io (CSEL 67, p. 7).
464
L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
la γαλήνη 3 8 ; la calma silenziosa del mare; lo stoico conoscitore dell'arte di vivere aspira sempre al « mare calmo delle passioni », come narra FEDRO 3 9 nella gra ziosa favola del marinaio, e come risuona ancora in 40 METODIO DI FILIPPI e in BOEZIO 4 1 . Con ciò si viene a dire però che l'« uomo cattivo » è come un mare amaro, sbattuto dalla tempesta, un « mare acerrumum » 42 . I vortici della passione amorosa lo sbattono qua e là: e di ciò è tutta ripiena l'antica poetica: « Non mare ullum tam profundum quam amor » 43 . Tre mali ci sono al mondo: il mare, il fuoco e la donna, 38
Cfr. il concetto della γ α λ ή ν η dell'anima in ESCHILO, Agamen
none, 740. - SOFOCLE, Elettra, 899. - PLATONE, Leg., 791 A. 39
Fabulae, 4, 16. Q u i il sophus gubernator dà il meglio della sua saggezza pratica risultante dalle sue esperienze nautiche (vv. 9s): «Parce gaudere oportet et sensim queri, totam quia vitam miscet dolor et gaudiuni ». - Cfr. O R A Z I O , Ode, 2, 16 ,26s: «Amara lento temperet risu ». - Tutto ciò però è anche una valida dottrina filosofica vitale, come sentiamo dire dal racconto di Eusebio sull'arte «nautica» di vivere, di ARISTIPPO DI CIBENE, in Praep. evang., 14, 18 (PG 21, 1257 A ) . 40 Symposium, 11 (GCS Metodio, p. 138, 1. 16): γ α λ ή ν η τ ω ν π α θ η μ ά τ ω ν ; cfr. anche la combinazione ζ ά λ η e γ α λ ή ν η in Sympo sium, 11 (GCS, p. 139,1. 4s), e De resurrectione, 2, 25, 5 (GCS, p. 381, 1. 13): γ α λ ή ν η κ α ι ν η ν ε μ ί α κ α κ ώ ν . - Per l'ideale cristianizzato della γ α λ ή ν η spirituale, cfr. anche le annotazioni di ORIGENE all'inizio del sesto libro del suo c o m m e n t o al vangelo di Giovanni, ove egli narra delle tempeste di Alessandria che sconvolgono la sua stessa vita, e del suo sforzo di conservare la γ α λ ή ν η dell'anima (GCS ORIGENES I, p. 27, 1. 4). - Cfr. anche la sua ammonizione ai martiri, in Exhortatio mari., 31 (GCS ORIGENES I, p. 27, 1. 16). 41
De consoìatione Philosophiae, m e t r u m 7 (CSEL 67, p. 19S). PLAUTO, Asinaria, 134; Trucukntus, 568; - CATULLO, 25, I2s. O V I D I O , Tristia, 1, 11, 34. 43 FRONTONE, Epistolae (p. 18, 7 Naber). - Cfr. il frammento di TEOGNIDE sul matrimonio come viaggio di mare, in CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, 4, 2, 14 (GCS CLEMENTE II, p. 434, 1. ss). O V I D I O , Ars Am., 2, 9s. - Anche PROPERZIO, Elegia 11, 5 rientra in questo ordine di idee. 42
IL MARE DEL MONDO
465
dice MENANDHO 44. Certamente dietro a tutte queste immagini poetiche c'è un buon pezzo di manierismo ellenistico, ma proprio da ciò possiamo concludere quanto sia stata familiare anche al pensiero popolaresco il paragone mare=passione amara 45 . OVIDIO, che a suo tempo con la sua Arte amatoria aveva voluto essere « l'Argonauta di Amor » 46, vede il mediterraneo invernale, sul quale egli viaggia andando in esilio, come simbolo della morte : « Quocumque adspexi nihil est nisi mortis imago » 47 . Così per gli uomini antichi il viaggio della vita termina nel « porto dell'Ade, che non si può placare con alcun sacrificio » 48, come dice SOFOCLE nell'Antigone, nel « porto della morte » 4S>. Queste voci del simbolismo naturale antico debbono risuonarci nell'orecchio, se ora vogliamo valutare di quali fonti si pasce la simbolica cristiana del « mare della vita ». Avvalendosi dello stesso pensiero naturale, anche la Sacra Scrittura parla con elevata « MENANDRO (?), Monostichoi, 231. 15 L'impiego dell'immagine si affievolisce naturalmente nella semplice opposizione dolce-amaro (che certamente viene alimentata anche da altre rappresentazioni); ma dietro di essa c'è spesso il pensiero dell'acqua marina amara mescolata soltanto qua e là con correnti dolci. Cfr. Thesaurus linguae latinae, 1 (1900) col. 1819, 1. 4iss. Qui sarebbe prezioso un più ampio studio della simbolica, che avrebbe importanza anche per le raffigurazioni cristiane, soprattutto per quella della « morte amara » e per quella del « dies illa magna et amara valde ». « Ars arti., 1, 6-8. " Tristia, 1, 11, 23. Per il viaggio invernale atrtaverso il Mediterraneo, cfr. Tristia, 1, 11, 3-8. 18 Antigone, 1284: δυσκάθαρτος " Α ι δ ο υ λιμήν. 49
SENECA, De consol, 12, 9, 7. - Cfr. ENNIO, Fragm. 42 (VAHLEN) :
il sepolcro come « portus corporis ». - VIRGILIO, Eneide, 7, 596 : « annisque in limine portus». - Apocalisse di Baruch (GCS, p. 334): «La nave è vicina al porto, e la vita alla fine ».
466
L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
bellezza di immagini del mare e del suo mormorio: il potere del Creatore sulla natura (Giobbe 9,8; 36,30; Sai 64,8; 88,10; 92,4 ecc.) e sui popoli pagani (Is 5,30), l'assalto dei nemici (Sai 45,3), l'urlare del popolo e delle orde guerriere (Ger 50,42; 51,55), l'infuriare degli empi (Is 57,20), il peso dell'amaro dolore (Tren 2,13), e la pena dei morti (Sai 68,3), il nulla della vita umana (Eccli 18,8; 40,11): tutto ciò viene veduto nell'immagine del mare. Il mare è il luogo nelle cui profondità vengono sepolti i peccati (Mieli 7,19), dal cui fondo sorge la belva nemica di Dio (Apoc 13,1), gli empi vengono paragonati ai suoi « flutti salati » (Giuda 13), anzi una volta viene data una esplicita spiegazione allegorica mare=popoli e pagani (Apoc 17,15). Questa massa di immagini marine bibliche ha certamente avuto un grande influsso nella forma di pensiero della teologia patristica. Tuttavia noi ci troviamo qui soltanto in mezzo ad una immaginosità molto semplice e naturale, in base alla quale non può essere spiegata la complessa e spesso elucubrata simbolica dei Padri della Chiesa. Al contrario: anche qui accerteremo ciò che già abbiamo considerato come legge nello studio sul « Mysterium Lunae », e cioè che la tendenza simbolica dei Padri 50 , da spiegarsi in primo luogo sulla base del pensiero ellenistico, si serve abbondantemente anche di passi scritturistici e trova in essi un simbolismo più profondo, quasi che esso fosse originariamente insito nella parola di Dio. La simbolica patristica del « mare della vita » deriva dunque la sua forza in primo luogo dalla cerchia di 50
Cfr. sopra a p. is+s, 162S.
467
IL MARE DEL MONDO
rappresentazioni sopra delineate. Il « mare amaro e infido » è per essa, allo stesso modo che per gli antichi pagani, immagine sensibile della vita terrena con le sue passioni e la sua ordinazione alla morte. Noi possiamo osservare che proprio quei Padri, che debbono la loro formazione alla retorica ellenistica, si servono con preferenza di queste immagini. Già CLEMENTE 51 ALESSANDRINO parla della ζάλη τ ω ν ε π ι θ υ μ ι ώ ν e questa parola si richiama a SOFOCLE, dove Aiace si
vede circondato « dal rotante vortice dell'onda del l'ira
52
omicida » .
ORIGENE
per
primo,
per
quanto
possiamo vedere, ha coniato da ciò la parola classica 53 della -8-λασσα τοϋ β ί ο υ . Il « mare salato » è per lui immagine sensibile dei « flussi e del vortice di questa vita » 54 . Poiché essa è « amara e incostante », un « elementum profundum et liquidum », e perciò i m magine della « amara et fluxa praesentium rerum v o luptas » 5 5 . Proprio allo stesso m o d o anche per G R E GORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ, nella sua fine oratoria e poetica
greca, il mare della vita è « infido e amaro »: το ά λ μ υ pòv καί ά σ τ α τ ο ν 5 β . E come rumoreggia questo 51
Paidagogos, 2, 2, 22 (GCS CLEMENTE, I, p. 169, 1. 22). SOFOCLE, Aiace, 352: otov άρτι κϋμα φοινίας ύπο ζάλης άμφίδρομον κυκλεΐται. 53 Homiliae in Jeremiam, 18, 5 (GCS OROGENE, III, p. 156, 1 22). - Homiliae in Leviticum, 7, 7 (GCS VI, p. 391, 1. 27): «In mari vitae ». M Homiliae in Josue, 19, 4 (GCS VII, p. 413, 1. 7-9): « Transire mare salsum vitae huius, undas et turbines superare et evadere omnia quae in hoc mundo prò incerto sui et lubrico marinis fluctibus comparantur ». S5 Homiliae in Exodum, 6, 3 (GCS VI, p. 195, 1. 12-14). «· Oratio 29, 9 (PG 35, 1240 A). - Cfr. anche Oratio 37, 1 (PG 36, 284 B) : έντοϊς άστάτοις καί άλμυροΐς τοϋ βίου κύμασιν, Carmina, 2, ι, 73. ν. ι: vita come cattivo viaggio di mare verso il 62
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
greco « mare dell'amarezza » nelle belle immagini marine delle OMELIE DI MACARIO 57 ! Senza dubbio questo topos appartiene alla tarda tradizione retorica della antichità. Quando il retore di Cartagine, CIPRIANO, descrive la sua conversione, designa la sua vita mondana con le parole : « Cuna in salo iactantis saeculi mutabundus ac dubius vestigiis oberrantibus fluctuarem vitae meae nescius » 58. Ed è latino retorico, quando AGOSTINO chiama il mare : « Profunde curiosum, procellose tumidum, instabiliter fluvidum » 59 , quando ne prende l'amarezza e la perfidia come immagine sensibile dell'umanità peccatrice, delle bramosie dell'anima della perfidia, dell'infedeltà60. Ancora per 61 CESARIO DI ARLES il mondo è un « pelagus luxuriae » , 62 un mare pieno di « amara salsedine » . E ISIDORO fa derivare la parola mare da amarum63, tanto naturale è diventato ciò in base al pensiero trasmesso dall'antichità. Con ciò questa simbolica diventa corrente anche nel medioevo. Il mondo è un « mare amarum » 64. sepolcro (PG 37, 1420). - 2, 1, 1, v. 21 (PG 37, 971 A ) : θ ή ρ ε ς κ α ι ά γ ρ ι ο ν ο ϊ δ μ α θ α λ ά σ σ η ς . Ciò ricorda il famoso coro di SOFOCLE, Antigone, 337. 57 Homilia 5, 6 (PG 34, 508 A) : π ι κ ρ ά θ ά λ α σ σ α . Lo stesso in Homilia 44, 6: PG 34, 781 D. 58 Ad Donatum, 3 (CSEL 3, 1, p. 5, 1. 1-4). *· Confessiones, 13, 20 (CSEL 33, p. 366, 1. i6s). Q • Ivi, 13, 20 (p. 367, 1. 7; p. 368, 1. 5). - Enarratio in Ps. 103, sermo 4, 4 (PL 37; 1380 C ) . 11 Sermo 66, 1 ( M O R I N I, p . 270, 1. 17). >* Sermo 136, 5 ( M O R I N I, p . 538, 1. 28s): «Mare mundus iste accipitur ... plenus amaritudine et salsugine». 63 EtymoL, 13, 14, 1 (PL 82, 483 C ) : «Proprie autem mare appel latimi eo quod aquae eius amarae sunt ». 61 Cfr. ad es. B. R A B A N O M A U R O , Commentarti in Matthaeum, 3, 4 (PL 107, 863 C D ) , e con le stesse parole R E M I G I O D I AUXERRE, Homil. 9 (PL 131, 914 D ) : « M a r e allegorice est mundus amarus ». -
IL MARE DEL MONDO
469
2. IL MARE CATTIVO
La semplice vicinanza alla natura del linguaggio immaginoso antico e biblico, ο la tradizione retorica non possono essere da sole l'unica ragione della, co stante caratteristica del simbolo cristiano « mare=mondo cattivo ». No, limitarsi al mondo -d'idre sin qui descritto non basterebbe neppure per chiarire la sim bolica dell'ambiente ellenistico pagano. Noi sentiamo già che anche l'antico orrore non cristiano dinanzi al temibile mare proviene da profondità religiose: ma ciò comporta per noi il dovere di interrogare all'uopo la demonologia ellenistica. Solo quando avremo fatto ciò, si potrà precisare su basi storiche il grande ambiente culturale, da cui si formò la simbolica cristiana del mare cattivo; allo stesso tempo però ci sarà, così, la possibilità di valutare, se e in qual misura l'elaborazione patristica di questa teologia in se stessa puramente biblica (mare=mondo) sia stata influenzata dal pio timore dinanzi al mare, che noi dobbiamo ora accettare nel pensiero e nelle preghiere della tarda antichità. L'anticristiano CELSO nella Vera parola si faceva beffe della dottrina cristiana del diavolo e la denominava, con concezione tipica del tardo stoicismo, un errore ateo, secondo cui essi (i cristiani) creano un avversario di Dio e lo chiamano diabolos ο in ebraico satan, secondo cui dunque l'altissimo Dio ha il suo INNOCENZO III, Sermo 22 (PL 217, 555 C): « Sicut enim mare semper est turbulentum et amarum, ita saeculum in amaritudine semper et turbatione consistit ».
470
L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
oppositore ed è impotente 65 . È da notare che Celso ritiene questo dogma dei cristiani come una copia caricaturale di antichi miti e all'uopo cita da FERECIDE il mito della lotta tra Kronos e Ofioneo, la lotta dei Giganti contro Zeus e i miti egiziani della lite tra Tifone e Osiride 66 . Ora ciò è molto istruttivo per la demonologia marittima dell'antichità, che ci si presenta qui. Nella spiegazione dei miti della tarda grecità la rara duplice figura dell'avversario degli dei Ofione 67 , che nelle fonti appare sia come primo tra gli dei originari, sia però, poi, anche come uno dei Titani che combattono contro Zeus, è stata designata unanimemente come simbolo della potenza contraria agli dei, che prima del governo degli dei buoni ha dominato il mondo e si è sempre rizzato contro i Celesti. Egli è la personificazione del άτρύγετος πόντος, dell'infruttuoso flutto nero del mare, che all'inizio ha coperto il mondo, anzi è persino generato da quest'acqua e quindi è il signore originario del mondo ancor privo di dei. Questa dottrina" orfica, che fu trasmessa mediante Ferechide ai Pitagorici e in cui certamente si ritrovano anche rappresentazioni orientali semitiche, viene arricchita nel pensiero ellenistico con speculazioni, che si rifanno al significato etimologico di «Ofioneo» q «Ofione»: egli e Γοφις, il serpente originario, che domina il mare del mondo. La sua figura di serpente quindi si collega più tardi • 5 ORIGENE,
C.
Celsum,
6, 42
(GCS
ORIGENE, II, p.
n o , 1. 20-
26). ·' Ivi, 6, 42 (II, p. i n , 1. 13-23). Cfr. RE Vili (1939) col. 643-646 (E. W U S T ) . - EUSEBIO, Praep. eu. I, i o , 50 (PG 21, 88). 17
IL MARE DEL MONDO
471
con quella dell'avversario degli dei, Tufon-Seth 68. Che questo mito piacesse ad un cristiano del terzo secolo, lo vediamo nella replica che ORIGENE indirizza a Celso: al contrario, egli dice, il mito del serpente Ofione o, dominatore del mare, sarebbe soltanto una eco di ciò che la Sacra Scrittura, che è più antica di Ferecide, Eraclito e Omero, dice in Mosè a proposito ,del serpente. Ofioneo è per lui Γδφις del quarto capitolodelia Genesi 69 , e contemporaneamente il diabolos .dèi libro di Giobbe, che per antichità supera anche Mose 70 . Origine si richiama inoltre esplicitamente all'ultimo capitolo del libro di Giobbe, ove Dio « parlò dal temporale e dalle nuvole, dicendo le parole che si riferiscono al Drago » 71 . Vedremo più in là quale grande importanza abbiano avuto per la formazione della simbolica marittima cristiana i capitoli 40 e 41 di Giobbe. Ora però Celso riferisce espressamente, citando il frammento di Fericide, che Ofioneo sarebbe stato scagliato nel mare dopo la battaglia con Kronos: « Quello tra i due (contendenti), che è scaraventato nell'oceano, sarà il vinto, l'altro però, che ha abbattuto l'avversario e così vinto, possiede il cielo » 72 . ·· U. v. W I L A M O W I T Z , Der Glaube der Hellenen, Lipsia, 1931, v. 1, p. 266, nota 3. - K. KUSTER, Die Schlange in der griechischen Kunst una Religion, in Religionsgesch. Versuche und Vorarbeiten 13,2, Gicssen 1913· M C. Celsum, 6, 4 3 : (Π, p. 113, 1. 17-19). 70 Ivi, p . 114, 1. 1-3. 71 lui, 1. 9-12. 72 Ivi, 6, 42: p. i n , 1. 17-19. FEHECIDE qui chiama l'oceano Ω γ η ν ό ς proprio come nell'altro frammento conservato da C L E MENTE ALESSANDRINO, Stromata, 6, 2, 9
(GCS CLEMENTE, II, ρ. 429,
1. 2). - Cfr. per ciò anche RJE XVII (1937) col. 2310 (F. GISINGBH).
472
L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
La sede di Ofioneo nemico degli dei è dunque la profondità del mare. La mitologia latina ha perciò senz'altro identificato Ofioneo con Oceanus73. Con ciò giungiamo ad un ulteriore momento della demonologia marittima ellenistica74. Oceano e le figure a lui simili di Orco e Nettuno sono i dominatori del cupo flutto marino. Secondo IGINO, Crono ha affondato in mare Orco e Nettuno 75 . Oceano, il « Signore del mondo », « arbiter orbis » 7e, è per conseguenza bandito nel mare, e perciò il mare, quale elemento in qualche ihodo nemico degli dei, è il regno della morte e delle tenebre 77. Un'apparizione in sogno di Oceano significa 73
Mythographi latini, i, 204. II materiale mitografico completo su Oceano, in RE XVII (i937) col. 2349-23131 (H. HERTER). 75 Fabulae, 139. - Per Oceano ( Ω γ ή ν ) come uno dei titani cfr. 7i
anche ESCHILO, Prometeo, 2 8 9 ; 291. - O V I D I O , Fast., 5, 8 1 . - R E VI A 2
(1937) col. 1507, 1. 64SS. 76 Anthologia latina (RIESE), 718. 77 Soltanto qualcosa del ricco materiale che si potrebbe citare. La « casa di Oceano » ha il suo ingresso nell'estremo Occidente (= te nebre): ESCHILO, Prometeo, 301 (cfr. per questo R E XVII, col. 2350, 1. 14-19). Su una tavola magica di Adrumeto, Oceano è ritratto in una navicella con la scritta: Oceanus Noctivagus; cfr. la riproduzione nella Revue Archéologique, 1902, p. 347, n. 55. Anche le maschere di Oceano così frequenti sui sarcofaghi portano questo carattere originario ctonio, cfr. RE XVII, col. 2360. - Lo Stige, l'acqua stagnante dell'Ade, è un braccio laterale, ossia, in linguaggio mitologico, una figlia di Oceano. Cfr. ESIODO, Theog., 361. - VIRGILIO, Georgiche, 4, 480 ; Eneide, 6, 439. Ci sono « onde tenebrose », come poetava TIBULLO : « At scelerata iacet sedes in nocte profunda abdita quae circum flumina nigra sonant», Elegia 1, 3, 67S. Gfr. anche Elegia 3, 3, 32S. - Così il Tartarus diventa comunemente il « R e g n o delle tenebre», la prigione dei Titani, che sta al di sotto del mare più basso, alle « radici del mare » (PLATONE, Fedro, 112 A) ; cfr. le pezze d'appoggio per il « nero Tartaro », in W A S E R , nel Mythol. Lexikon di R O S C H E R , v. 5, col. 121, 1. 23S. Questa onda oscura, che bagna il T a r taro (noi pure preghiamo ancora con queste antiche espressioni: ne absorbeat eas Tartarus, ne cadant in obscurum, ove absorbere significa
IL MARE DEL MONDO
473
la morte, dice ARTEMIDORO nelle Oneirokritika78. Lo oceano è dunque paragonato al mondo infernale e, quando Elios a sera si getta nel mare, si tratta di una discesa nel mondo inferiore, le cui porte si trovano nell'estremo occidente dell'oceano 79. Nel mito di Elios che fa il bagno nel mare, mito studiato a fondo da F.J. DÒLGER 80 , si muovono queste opposte coppie dualistiche: Elios-Oceano=Luce-tenebre, cielo-inferno, sole-mare, Dio-Demonio. Queste convinzioni si ritrovano ancora dietro le forme della religiosità tardoromana che vede il Sol invictus discendere ogni giorno nel mare del tenebroso mondo inferiore e al mattino (mane) lo saluta di nuovo come risorto dal regno dei « Mani » tenebrosi 81 . Oceano-Nettuno diventa simbolo dei flutti marini, delle « aquae mundi», come « bere a sorsate, assorbire »), è l'opposto, dualisticamente pensato, della luminosa isola celeste dei beati: PLATONE, Gorgia, 23SS. - V I R GILIO, Eneide, 6, 54OSS. - Perciò l'uomo avido di salvezza lascia dietro di sé i peccati bagnandosi in Oceano: O V I D I O , Metamorfosi, 13, 950SS. Ci sono però dei delitti che neanche l'acqua di Oceano può lavare: CATULLO, 88, 5S. 78 Oneirokritika, 2, 39. Cfr. anche 2, 34. - F. N I N C K , Philologns, Supplemento 16, 2, p. 47S.
'* ESCHILO, Frammento 192. - APULEIO, Met., 9, 22. - TEOCRITO,
2, 163. - Per la rappresentazione artistica della discesa di Helios in Oceano cfr. F. J. DOLGER, Sol Salutis, 1925, 2 ed., p. 345, fig. 5, e la compilazione completa in RE XVII, col. 2357, 1. siss. - La maschera di Oceano nelle catacombe di Callisto dovrebbe essere spiegata allo stesso m o d o che le maschere di Oceano dei sarcofaghi, la cui riproduzione è in J. W I L P E R T , Die Katakomben Roms, Friburgo 1903, parte illustrata, tavola 134, 1; testo, p. 32. - Per l'allegoria di Oceano è i m portante il fatto che, sul dipinto descritto da Giovanni di Gaza, Oceano era ritratto come un mostro marino (cfr. RE XVII, col. 2357,. 1. 53ss). Cfr. per il tutto anche H. SCHMIDT, jona. Eine Untersuchung zur vergleichenden Religionsgeschichte, Gottinga 1907, p. 168-172: il viaggio del dio Sole nell'Ade. 80 Sol Salutis, 1925, 2 ed., p. 342SS; p. 357. 81
M A C R O B I O , Sat.,
1,
13.
474
L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
informa ancora AGOSTINO 82. A lui sono destinati i Neptunalia, nei quali si prega il tremendo mare di accordare un buon viaggio 83 . Contro questo timore pagano di fronte al mare, i Padri della Chiesa dovettero combattere una dura battaglia, come spiega AGOsnNO in un passo delle sue omelie sui salmi 84 , molto importante per la storia della religione: le statue di Nettuno sono il simbolo del mare a cui è stata rivolta la preghiera, e quando la tempesta percuote le assi della nave, si impreca contro l'immagine di Nettuno. Persino una predica ancor più tardiva, derivante, dall'ambiente di CESARIO D'ARLES, ammonirà seriamente i cristiani contro questo devoto timore del mare 85 . Non c'è da meravigliarsi, allora, se anche soltanto in base a ciò il cristiano già vedeva il mare come sede dei demoni, come l'elemento consegnato al diavolo. '· De civitate Dei, 7, 16 (CSEL 40, 1, p. 324, 1. 19). Cfr. CICERONE, De natura deorum, 3, 5 1 : «Nostri quidem duces mare ingredientes immolare hostiam fluctibus consuerunt ». - Cfr. RE 16 (1535) col. 2520, 1. 50ss. - Sui nettunali cfr. ivi, 252IS. 84 Enarrationes in Ps. 113, sermo 2, 3-5 (PL 37, 1483S). Sul parere dell'antichità colta, presentato qui da Agostino, secondo cui la statua di Nettuno sarebbe soltanto una rappresentazione simbolica dell'elemento del mare, cfr. anche ATANASIO, Vita Antonii, 76 (PG 26, 949B). Proprio per questo Agostino ammoniva i suoi cristiani di non pregare sul mare : « N o n tunc exaudiri vos arbitremini quando super mare oratis, i m m o detestamini tales orationes » ; in Tractatus in Ioannem, 10, Ι (PL 35, 1467 B). È un parallelismo storico religioso con l ' a m m o nizione di Leone Magno ai cristiani, affinché si guardino dall'accogliere con i saluti abituali il « Sole invitto » : Homilia 27, in Nativitate Domini, 7, 4 (PL 54, p. 2i8s). 85 P S . - A G O S T I N O , Homilia de sacrilegi;, 3 : « Si quis Neptunalia in mare observat... sciat se fidem et baptismum perdidisse ». - Cfr. R. BOESE, Superstitiones Arelatenses e Caesario collectae, Marburgo 1909, p . 76S. 83
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Queste nozioni debbono tuttavia essere ancora approfondite. Il mare amaro, di cui gli antichi e i Padri della Chiesa parlavano così volentieri, è in se stesso sin dall'origine in qualche modo avverso agli dei e perciò « cattivo ». CLEMENTE ALESSANDRINO 86 ci ha informato del mito pitagorico, che chiamava il mare un « pianto di Kronos » : lo ha desunto da PLUTARCO, e la stessa cosa ci fa sapere la vita di Pitagora di PORFIRIO 87. «La convinzione dei pitagorici, secondo cui il mare sarebbe un pianto di Kronos, sembra egualmente indicare che il mare racchiude in sé qualcosa d'impuro, qualcosa che non dovrebbe essere », aggiunge PLUTARCO; per questo i savi dell'Egitto non solo aborriscono il mare e il sale e non parlano con i piloti, poiché questi viaggiano sul mare e derivano da esso il loro sostenimento, ma aborriscono anche i pesci e vedono in essi l'immagine dell'odio. Che siffatti miti fossero altamente vivi e che ricorressero facilmente nelle considerazioni sul mare nemico, sul mare « amaro », lo possiamo vedere ancora nella cosmogonia della gnosi valentiniana. Il mare è originato dalle lagrime della suprema emanazione opposta a dio, dal frutto nefasto della Sophia : « Expavit enim et extimuit et contristata est, et ex his passionibus concepit et edidit. Hinc fecit coelum et terram et mare et omnia quaecumque sunt in eis, ob quam causam omnia infirma esse et fragilia et caduca et mortalia, quaecumque sunt ab ipsa facta ... ex tristitia et lacrimis numida fontium, "> Stromata, 5, 8, 50 (GCS CLEMENTE, II, p. 360, 1. 21).
" PORFIRIO, Vita Pythagorae, 41. - PLUTARCO, De Iside et Osiride, 32. - Cfr. per il mito delle lagrime di Cronos, RE XI (1922) col. 1988, 1. 19-26.
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DEI
PADRI
fluminum materia marisque ». Così il racconto dello 88 PS.-TERTULLIANO , il quale prende da IRENEO e dal Syntagtna di IPPOLITO. Il mare amaro di lagrime è dunque qui giustamente il simbolo di ciò che è lontano da Dio, del principio cattivo, del corruttibile e del votato alla morte, precisamente, della vita corporea terrena. Dal racconto di PLUTARCO sui miti di Tifone impariamo ancor di più. Se Osiride significa la frugifera acqua del Nilo e Iside la buona terra, ne segue che Tifone è la personificazione del male, ossia del mare, in cui il Nilo fluisce. L'amaro sale marino è « schiuma di Tifone »89. Questo tenebroso nemico del luminoso Oro e del buon Osiride diventa simbolo della potenza antiumana dei flutti marini, egli è il dio della tempesta mugghiente, che improvvisamente sbatte il mare (si pensi al « vento tifonico », che sconquassò la nave di Paolo, in Atti 27,14); Tifone diventa l'incarnazione di ogni potenza avversaria degli dei, 88
PS.-TERTULLIANO,
De
haeret.,
4
(PL
2,
69 A).
Cfr.
IRENEO,
Adversus haer., 1, 2, 3 (HARVEY I, p. i6s). - Di ciò fan parte anche le rimanenti mitologie del sistema gnostico a noi note, la cui conoscenza è importante per giudicare la simbolica marina dei Padri della Chiesa (cfr. sotto, alla nota 119). Nel sistema degli Oriti, la parte antidivina dell'Essere si forma mettendo insieme gli elementi: equa, tenebrae, abyssus, chaos, come riferisce IRENEO, Adu. haer., 1, 30, 1 (HARVEY I, p. 227). Q u i dunque Yabyssus di Gen 1,2 diventa il simbolo della massima distanza da Dio. I Setiani esprimono la loro dottrina dualistica, opponendo l'Oscuro allo Pneuma-Luce, e lo descrivono così: «L'Oscuro poi è un'acqua terribile, ΰ 8 ω ρ φ ο β ε ρ ό ν » , IPPOLITO, Elenchos, S, 19, 5 (GCS Ippolito, III, p. 117, 1. l i ) . È in questa «acqua oscura, terribile, amara e putrida », che discende la potenza redentrice. - Cfr. H. JONAS, Gnosis una spà'tantiker Geist, Lipsia 1934, v. 1, p. 358SS. - RE XVIII (1939) col. 654-058 (G. B O R N K A M M ) . 88 De Iside et Osiride, 32. - Per Tifone come simbolo dell'amaro mare cattivo e come « N e r o », cfr. anche F. J. DÒLGER, Die Sonne der Gerechtigkeit und der Schwarze, Mtìnster 1918, p. 37; p. 65.
IL MARE DEL MONDO
477
raffigurata nel coccodrillo e nell'ippopotamo 90 , i due nemici dell'uomo che si agitano tra i flutti dell'acqua (anche ciò diventa importante per l'interpretazione cristiana dei due capitoli di Giobbe). Ed è un passo importante per la storia delle religioni, quello in cui Plutarco condensa il significato del mito di Tifone: « A Tifone bisogna ascrivere tutto ciò che in genere la natura contiene di rovinoso ed effimero » 91. Tifone, quale dominatore e simbolo del mare, quale misteriosa bestia marina, è il cattivo demonio. Ora comprendiamo meglio ciò che Plutarco nei simposi fa raccontare dal suo ospite Lucio circa l'odio dei sapienti egiziani contro il mare : « Il mare è un elemento, che non ha alcun legame con noi, anzi è nemico della natura dell'uomo, addirittura il massimo nemico e avversario » 92 . Le antiche speculazioni intorno all'origine dell'amarezza dell'acqua del mare 9 3 racchiudono dunque un'interpretazione mitologica religiosa. Questa si trasferisce anche agli animali sorti dall'acqua del mare : « essi sono stupidi e ciechi per la provvidenza, spinti, come in un inferno, nello spazio titanico abbandonato dagli dei, ove ragione e forza intellettiva sono completamente spente »9i. Tutte le cose che hanno rapporto di dipendenza con il mare 90
Cfr. RE A 2 (1923) col. 1900, 1. 24SS. De Iside et Osiride, 45: παν δσον ή φύσις βλαβερον καΐ φ-8-αρτικον ί-χει μόριον τοϋ Τυφώνός έστιν. Sulle tarde scritte dei templi egiziani, Tifone viene chiamato « Vigliacco, Ribelle, Sco stumato»: RE II A 2, col. 1919, 1. 5s. 92 Quaestiones convivales, 8, 7. 13 Cfr. PS.-PLUTARCO, De placitis philos., 16: sull'origine e l'ama rezza del mare. - LUCREZIO, 5, 488S: « Tarn magis expressus salsus de corpore sudor augebat mare manando composque natanteis ». 94 De soltertia animalium, 34. 81
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sono in qualche modo demoniche e antidivine, poiché i demoni sono stati affondati dagli dei nelle profondità del Ponto, come dice Plutarco in una citazione da EMPEDOCLE : « La forza dell'Etere li persegue sino nelle profondità del Ponto »95. Sappiamo dall'apologia di APULEIO, precisamente dalle sue menzogne rivestite di belle parole, quale ruolo sostenessero l'amara acqua del mare e in genere le « res marinae » 96 nell'antica magia e come il cavalcare il coccodrillo quale simbolo di ogni potenza tifonica del demonio rappresentasse il dominio del mago sul mare diabolico97. Per questo il pensiero antico dice a proposito di un uomo dal cuore duro, caduto sotto il dominio di una forza demoniaca : « Ti ha generato il mare » 98. Qui si trovano 96
De Iside et Osiride, 29. APULEIO, Apol., 32. - Incantesimo per impedire la tempesta m a rina quale effetto demoniaco, APULEIO, Metam., 1, 3 : « Magico susurramine mare pigrum colligari ». - Acqua amara di mare nell'incantesimo : grande papiro di incantesimi di Parigi, 223S. - Il mago può calmare il mare: PS.-IPPOCHATE, De morbo sacro, 1. - T u t t o ciò che è contenuto nel mare, le res pelago quaesitae, le marinae illecebrae, sono adatte all'incantesimo: APULEIO, Apol., 30. - Cfr. A. A B T , Die Apologie des Apuleius von Madama una die antike Zauberei, Giessen 1908, p. 131. 97 Π cavalcare il coccodrillo, questo n u m e r o di effetto dell'antico mago, è il segno della dominazione su Tifone. Cfr. LUCIANO, Philopseudes, 34. - R. REITZENSTEIN, Hellenistische Wundererzàhlungen, Berlino 1906, p. 5, fig. 3. - A. A B T , Die Apologie des Apuleius, p. 53. Sul cavalcare il coccodrillo presso i monaci cristiani, cfr. sotto, alla nota 112. 88 Ad imitazione del verso di O M E H O , Iliade, 16, 34: γ λ α υ κ ή δέ σε τ ί κ τ ε θ-άλασσα. Citato in PLUTARCO, De sollertia animalium, 34: « Anche O m e r o a proposito di un u o m o dal cuore d u r o e poco co mitale, dice molto bene: ' ti creò il tenebroso flutto marino ', poiché il mare n o n genera alcuna bestia amichevole e dolce ». - Cfr. l'imitazione in VIRGILIO, Eneide, 4, 366. - SILIO, Punica, 1, 638 (a proposito di Annibale): β Q u e m insana freta genuere». - CATULLO, 64, 155: « Q u o d mare conceptum spumantibus exspuit undis ?» - O V I D I O , Heroid., 38. 96
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le fonti della paura del mare cattivo, che è così diffusa ancora nell'epoca cristiana: il mare è la sede dei demoni, dei δαίμονες ένύδριοι" e degli «di aquatiles » 10°, che si possono bandire ο consultare con la magia idromantica. In piena epoca carolingia sarà necessario combattere ancora contro di essa 101. Se si aggiunge ora anche tutto ciò che nella tarda antichità, che i Padri della Chiesa dovette affrontare, era comunemente conosciuto sulle relazioni di Osiride con il mare, su Venere come dea sbocciata dal mare, sui Tritoni come demoni marini, allora si comprende che già solo per questo i Padri vedevano il mare come la sede della potenza diabolica. Ciò è una eco delle rappresentazioni pie e della superstizione della fine della antichità. « Non habet unda deos », canta disperato PROPERZIO 102 . La morte in mare è perciò infelice, e durante la tempesta marina la fervente preghiera dell'uomo antico si rivolge agli dei eterici, che abitano sopra le stelle 103 . ·* Testimonianze per questo in A. A B T . Die Apologie àes Apuleìus, p. 183, nota 4. 100 Così vengono chiamati i demoni marini nelle iscrizioni latine: nel pensiero cristiano essi divengono poi degli spettri marini: cfr. RE XVI (1935) col. 2534S (S. W E I N S T O C K ) . - Cfr. più sotto, alla nota 166. 101
Cfr. R A B A N O M A U R O , De magicis artìbus:
PL
no,
1098 A :
« Est enim hydromantia in aquae inspectione umbras daemonum evocare et imagmes ludificantes eorum videre ibique ab eis aliqua audire». R a b a n o ha preso ciò letteralmente da ISIDORO, Eiymoh, 7, 9, 12 (PL 82, 312 A), e questi a sua volta da AGOSTINO, De civitate Dei» 7, 35 (CSEL 40, 1, p. 351, 1. 5-7) e da SERVIO, Aen., 3, 359. A. A B T , Die Apologie des Apuleius, p. 171. >" Elegia 3, 7, 18. 103 O V I D I O , Tristia, 1, n, 2 i s : « Ipse gubernator tollens ad sidera palmas exposcit votis i m m e m o r artis opem ». O R A Z I O , Ode 2, 16, 1-4. - PETRONIO, Satyricon, 99 : « Adoratis sideribus intro navigium ». Cfr. anche la gradevole preghiera per la protezione contro il « mare
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Etere e fondo marino, cielo e inferno, dio e demonio: il fondamento religioso del timore del mare presso gli antichi si può riassumere in queste opposizioni dualistiche. Ora sarebbe facile, ma anche erroneo, connettervi immediatamente l'esposizione della dottrina cristiana del mare come sede del diavolo. Ciò produrrebbe l'impressione così spesso provocata dalla scuola della storia delle religioni, secondo cui la demonologia cristiana sarebbe soltanto l'ultima, sebbene genuina eco della pietà ellenistica104. Qui, come in nessun altro posto, viene a proposito la chiara distinzione, che F. J. DÒLGER 105 già sottolinea in un altro contesto e che è stata dimostrata giusta da K. PRUMM nelle sue opere così ben documentate sulle fonti 106 : la netta distinzione tra il convincimento dogmatico assodato biblicamente e tradizionalmente, e il rivestimento, condizionato dalla storia del tempo (qui dunque della raccapricciante», personificazione del fato: Angiologia Latina (RJESE), 718, vv. 25-27: « Da Pater ut tute liceat transmittere cursum perfer ad optatos securo in littore portus me comitesque meos ». Anche GREGORIO DI NISSA ci ha dato un ragguaglio del come questa preghiera per il « buon viaggio » abbia preso l'aspetto cristiano : In Cantica Canticorum, Homilia 12 (PG 44, 1014). - Anche AGOSTINO, Sermo 75, 4 (PL 38, 476 A). 104 Sulla demonologia platonica e cristiana cfr. la confutazione di Apuleio fatta da AGOSTINO, De civitate Dei, 8, 15 (CSEL 40, 1, p. 369S); 9, 3 (p. 409S). Ulteriore bibliografia in A. A B T , Die Apologie des Apuleius, p. 178, nota 5. - J. TAMBURINO, De antiquorum daemonismo, Giessen 1909. 105 Sol Satutis, 1925, 2 ed., p. 354, nota 4. 10 · Cfr. la sintesi della demonologia antica e cristiana secondo le distinzioni essenziali: Religionsgeschichtliches Handbuch, R o m a 1954, p. 386-392.
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tarda antichità), che dai Padri viene posto attorno al nucleo cristiano con immagini e allegorie. Un esempio: nella dottrina dei demoni contenuta nella vita di Antonio scritta da ATANASIO, dottrina che poi è stata normativa durante vari secoli, incontriamo dei caratteri cosi tipicamente « egizi » nella linea delle mitologie suesposte, che sembrano senz'altro coprire il nucleo cristiano. Il diavolo vi appare nella forma del pauroso animale marino, descritto da Giob 40 e 41 107. Ma da quanto tempo e a quali condizioni la magnifica descrizione della natura che si trova in Giob viene applicata ai demoni? L'άρχων δαιμονίων di Antonio ha in ogni caso i tratti caratteristici di Tifone. E lo stesso Atanasio una volta presenta il suo monaco che parla esplicitamente di επίβουλου Τυφώνος 1 0 8 , come pure di Poseidone quale incarnazione simbolica del mare. Si tratta di antica sapienza proveniente da Ales sandria. Il mare è il περίπατος 1 0 9 del diabolico demone, egli sparge un terribile puzzo di pesci messi sotto 110 sale : insomma, come vero Tifone, come domina tore del mare salato avversario degli dei e degli empi pesci. Antonio possiede un potere mistico sui cocco l u drilli , come viene narrato spesso anche di altri monaci 1 1 2 . In tutto ciò abbiamo dei rivestimenti della consapevolezza, in sé genuinamente cristiana, del do107
Vita Anlonii, 24 (PG 26, 877 C ) . Ivi, 75 (948 B). ίυί, 24 (88o A) secondo Giob 41,24 LXX. 110 Ivi, 63 (933 A). 111 Ivi, 15 (865 C ) . 112 Cfr. la cavalcata del coccodrillo del monaco Eleno: R U F I N O , Hist. monachorum, 11 (PL 21, 430 B-D). - Vitae Patrum, 8, 59 (PL 73, 1 1 6 7 D ; 1168 A). - Potere sui coccodrilli: Vita Pachomii, 1, 19 (PL 73, 241 C D ) . - Vitae Patrum, 8, 150 (PL 73, 1215). 108
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minio su satana che noi comprendiamo soltanto in base alla demonologia marittima ellenistica suddescritta 113 . Ma il solo fatto che esse si formino e che poi abbiano potuto conservarsi così fortemente presuppone la presenza di un fondamento biblico-teologico della simbolica marittima, che risulta indipendentemente e con grande chiarezza dai racconti evangelici, dal linguaggio immaginoso aramaico del Signore stesso e che da Paolo e da Giovanni venne elaborata nella vera teologia dell'opposizione tra « mondo » e regno di Dio, tra Cristo e Belial, tra il duce della vita e il dominatore della morte. Cristo ha descritto la sua Chiesa come il regno della grazia restituita, come una realtà ancora minacciata in questo « mondo », in guerra con il diavolo. L'opposto della sua Chiesa fondata sulla roccia sono le «porte dell'inferno» (Mat 16,18). In un'altra serie di immagini egli stesso ha dato l'interpretazione autentica dell'allegoria: «Il campo è il mondo, il nemico che semina è il diavolo» (Mat 13,39.39). La stessa cosa vale per le sue parabole del mare. Se il regno di Dio è una « rete da pesca » (Mat 13,47), e gli apostoli sono «pescatori di uomini» (Mat 4,19: Mar 1,17), Cristo ha certamente pensato ο forse anche detto: « Il mare è il mondo ». Mondo inizialmente non ancora in senso di nemico di Dio, ma solo come incarnazione di tutti gli uomini, nei quali il Regno di Dio si deve attuare. Poi però con eguale certezza, già in Gesù, « mondo » nel senso del fatto che questa attuazione si verifica soltanto combattendo contro la potenza nemica di Dio, la quale è all'opera nel mondo. lla
Vitae Patrum (PL 73, 808 A; 1000 C; PL 74, 207 A).
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« Mondo » dunque, soprattutto nel senso classico del vangelo di Giovanni: come tenebre (Giov 1,5; 9,4.5; 12,46; iGiov 2,8 ecc.), come nullità (iGiov 2,17), come elemento che si trova ancora in possesso del demonio (Giov 12,31; iGiov 5,19), ma tuttavia già vinto (Giov 16,33; iGiov 5,4). Noi restiamo dunque nella concezione delle parabole del vangelo, se al posto del mondo mettiamo « mare » e vediamo il mare come elemento diabolico tenebroso, antidivino e pur sempre potente, come simbolo dei popoli che stanno ancora sotto il dominio della potenza cattiva. In tal senso l'Apocalisse ha inteso il mare, dai cui flutti emerge la grande prostituta (Apoc 17,1.15). Possiamo ancor più approfondire tutto ciò: La Sacra Scrittura stessa ce ne dà il diritto. Uabyssus, la misteriosa profondità del mare, è il luogo, in cui i demoni sono stati relegati, come immagine della massima lontananza da Dio. Abyssus dice il più delle volte la profondità abissale del mare, il « cuore del mare » (Sai 45,3), come risulta da una massa di testi (Giob 28,i4;38,i6; Sai 41,8; 77,15; 103,6; 105,9; Giov 2,6; Eccli 34,8;' Is 51,10): lo scrittore veterotestamentario pensa sempre all'abyssus del flutto originario (Gen 1,2). Ora i demoni pregano esplicitamente Cristo « di non ordinar loro di ritornare nell'abisso» (Le 8,31). Il grande « corruttore », il demone Apollion, viene su .dall'abisso (Apoc 9,11). Il diavolo stesso, la grande bestia, che conduce la guerra contro i santi, emerge dall'abisso (Apoc 11,7; 17,8). E a queste immagini bibliche che si collega dunque la simbolica marina dei Padri, quando parla del mare tenebroso, lontano da Dio, come sede del diavolo
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e dei demoni. E qui si inserisce allora una elaborazione della simbolica, che attinge anche dal tesoro ellenistico sopra esposto e fornisce il quadro d'insieme dell'allegoria patristica del cattivo diabolico mare, sul quale la nave della Chiesa veleggia verso il porto dell'eternità. Il mare è la sede dei demoni. L'abisso è il mare del mondo, l'oceano su cui la terra galleggia: « Abyssus circumdat universam terram quam dicunt Oceanum, » predica ai suoi monaci GEROLAMO 114. E già prima di lui ILARIO dice la stessa cosa: « Hanc (terram) enim infernae vastitudinis demersa et inmensa abyssus sustentat »115. Il mare è l'avanzo di quell'abyssus che una volta copriva la terra ; TERTULLIANO 116 lo chiama tristis abyssus, e « triste » è questo mare in opposizione allo Spirito che volteggia su di esso 117. Molto importante è ciò che AMBROGIO nota nella sua esegesi sulla opera dei sei giorni. Egli parla del vortice abissale 114 Tractatus in Psalmum 103 ( M O R I N , p. 163, 1. 30s). - Per queste rappresentazioni geografico-mitologiche di Oceano quale mare che bagna il m o n d o e quale portatore della terra cfr. RE XVII (1937) col. 2308-2389 (F. GISINGER). - CASSIODORO dice la stessa cosa nel suo Comm. in Ps. 134, 6 (PL 70, 963 B ) . - C h e questa opinione sia stata anche più tardi una questione disputata, lo dimostra A R N O B I O JUNIOR, Comment. in Ps. 103 (PL 53, 475 D ) . 115 Tractatus in Psalmum 2, 32 (CSEL 22, p. 61, I. 13S). lle De baptismo, 3 (CSEL 20, p. 203, 1. 2). 117 Adversus Hermogenem, 32 (PL 2, 227S). Nella sua opera De anima, SS (CSEL 20, p. 387,1. 22-27), Tertulliano comunque si difende dall'accusa di cercare il regno dei morti negli abissi sotterranei dell'acqua, e chiama questo abisso sotterraneo dell'acqua mundi sentina: la « feccia della nave del m o n d o », così si potrebbe tradurre meglio questa espressione. Tertulliano preferisce vedere il regno dei morti piuttosto nella fossa terrae quale « abisso profondamente nascosto nelle viscere della terra » ; certamente egli vi è spinto dal fatto che anche nel linguaggio della Scrittura spesso abyssus significa la stessa cosa di cor terrae (Sai 70,20; Mat 12,40; R o m 10,7; Ap. 9,2).
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che copriva tutta la terra, del « mare minaccioso », dell'abisso tenebroso. Quindi dice: «Non enim malas intelligendas arbitror potestates, quod Dominus earum malitiam creaverit, cum utique non substantialis, sed accidens sit malitia quae a naturae bonitate deflexerit» 118 . Qui è chiaro che nella rappresentazione del tenebroso mare primitivo egli e i suoi fedeli, senza volerlo, hanno in mente la simbolica delle forze antidivine dei demoni, una simbolica, che egli non respinge, ma che vuole soltanto proteggere contro il dualismo manicheo non cristiano119. Per AGOSTINO, l'abisso è di fatto l'incarnazione della sfera di potere lasciata al diavolo e ai demoni dopo la loro caduta, ossia la profondità del mare e le regioni delle tenebre aeree 120 . Per lui abisso è la « profunditas aquarum 118
Hexaemeron, i, 8, 28 (CSEL 32, 1, p. 27, 1. 4; 1. iós; 1. 27ss). Ambrogio attinge qui in primo luogo da Basilio, il quale si oppone direttamente al pericolo di un'antica concezione dualistica dell'abisso tenebroso: Hexaemeron, Homilia 2, 4 (PG 29, 36ss). L'abyssus non è qualcosa come la « personificazione di tutte le potenze avverse» (37 B), ma soltanto il semplice flutto tenebroso che ricopre tutta la terra (37 A). Ogni applicazione alle potenze demoniache sarebbe gnostica e manichea (36 D), perciò bisognerebbe abbandonare qualsiasi allegoria del mare tenebroso dell'abisso (40 C). - Di qui si vede quanto questa simbolica fosse viva in Occidente e in Oriente ancora alla fin del quarto secolo, non soltanto come eco della gnosi, ma in virtù delle concezioni~che sono state esposte più sopra. Cfr. per questo anche ARNOBIO JUNIOR, Comment. in Ps. 103 (PL 53, 477 D): « Notandum tamen quia Deo dicitur: illic draco quem formasti, quia Manichaei dicunt principem tenebrarum a se habere principium ». 120 Enarrationes in Psalmum 1481 9 (PL 37, 1943). - Nel loro insieme quale contrapposto della beata regione dello spirito, l'« oscuro regno dell'aria » e il « tenebroso flutto marino » appartengono allo stesso complesso e sono come un unico abisso. Cfr. per questo AGOSTINO, De Genesi ad Iitteram, 3, 10 ^CSEL 28, p. 73, 1. 12-19); 11, 26 (CSEL 28, p. 359,1. 11-14); Epist. 102, 20 (CSEL 34, p. 562,1. 14-16); Sermo 112 (PL 38, 1091): qui si dice esplicitamente che le nebbie si 119
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impenetrabilis » 1 2 1 (Isidoro ripete questa definiziona 1 2 2 ), è il simbolo più appropriato della potenza infernale, che fu scaraventata in queste profondità: ma con ciò è anche il simbolo degli uomini, che mediante i peccati si danno nelle mani del diavolo : « Abyssum dicit profunditatem peccatorum, per iudicium Dei fiunt in profundo, merguntur in ultima »123. La Città di Dio esprime profondamente questo pensiero, e nello stesso tempo anche l'ondeggiare, per così dire, della simbolica: l'abisso è sia il luogo fisico, in cui sono stati confinati i demoni, come pure il simbolo spirituale della profondità della lontananza da Dio, in cui si vede sprofondato il « mare abissale degli uomini cattivi » 124 . Il pensiero secondo cui il mare sarebbe il luogo della pena del diavolo, è tuttavia molto più antico. Già ORIGENE lo ha espresso chiaramente: « Il diavolo viene relegato nell'abisso, nel mare, come luogo di pena a lui appropriato » 12S . Egualmente TER126 TULLIANO . Ancora in Gregorio Magno il mare è la profondità della morte eterna, « aeternae mortis profunda » 127 , e nello stesso tempo simbolo delle profondità del cuore umano, che è inabissato nella lonformano in questo regno demoniaco dell'aria : « U b i nebula conglob a t a »; cfr. il demonio come nebulo (sotto, alla nota 173) e la β nebbia demoniaca» (nota 172). - Anche GKEGORIO M A G N O parla perciò di un «affondamento» del diavolo nell'aria: «In hoc caliginoso aere demersi»: Mot alia, 4, 6 (PL 75, 643 B). 121 Enarrationes in Psalmum 4 1 , 13 (PL 36, p. 473 B ) ; 4 1 , 14 (p. 478 B C ) ; 105, 9 (PL 37, 1410D). 122 Etymol., 13, 20, 1 (PL 82, p. 489 A B ) . 123 Enarrationes in Psalmum 35, io (PL 36, p. 384 D; 349 B). 124 De civitate Dei, 20, 7 (CSEL 40, 2, p. 442, 1. 3-8). 125 Comment. in Matthaeum, 16, 26 (GCS Origene, X, p. 563, 1. 24-26). 126 Adversus Marcionem, 4, 20 (CSEL 47, p. 485, 1. 27). 12 ' Homilia 11, 4 (PL 76, 1116B).
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tananza peccaminosa da Dio, la « profondità oscura dell'abisso, che è il genere umano » 128 . L'amarezza di questo oscuro fondo dell'acqua è il simbolo dei popoli lontani da Dio, dei cuori, che si sono votati al mondo diabolico 129 . In auesto abisso abita Satana, il Serpente 130. Ora diventa comprensibile in forza di quali concezioni fondamentali la simbolica del mare abbia potuto progredire e rafforzarsi con espressioni bibliche, nelle quali il sacro testo, preso in se stesso, non voleva in alcun modo enunciare simili pensieri. Qui bisogna ora appurare cosa ha letto l'allegoria patristica nelle due bestie acquatiche di Giob 40 e 41, poiché questo complesso di idee è divenuto importante per la nostra allegoria della nave della Chiesa. Behemoth e Leviathan sono, sin dagli inizi dell'esegesi, immagini del diavolo: è degna di nota, a questo proposito, la protesta che CMSOSTOMO presenta contro la spiegazione allegorica di questo capitolo di Giobbe m . AGOSTINO, al contrario, quale erede e ad un tempo quale trasmettitore dell'esegesi allegorica, che attraverso Ambrogio risale a Filone e a Origene, dice che il « santo Giobbe ha parlato con parole mistiche e profondamente misteriose» del diavolo, del « re di tutte le cose che si trovano nell'acqua » 132 , significato sotto le immagini di Behemoth e di Leviathan, a ciò si aggiungono le espressioni scritturistiche sul drago nei flutti del mare (Sai 73,13; 103,26; 148,7), la cui applicazione al diavolo 128
Moralia, 33, 9 (PL 76, 682 D). »» Moralia, 29, 15 (PL,76, 491D; 492 AB); 28, 19 (476S). »· Moralia, 18, 42 (PL 76, 77 AB). ,al Fragmentum in Job 41, io (PG 64, 653 B). 132 Enarrationes in Psalmum 103, sermo 4, 9 (PL 37, 1384 D): « Et ipse lex omnium quae in aquis sunt », una citazione da Giob 41,25 secondo i LXX e l'Itala.
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fu ad ogni modo facilitata per via del drago nominato nell'Apocalisse (Apoc 12, 3.4.7.9; 13,4), che viene espressamente identificato (Apoc 20,2) con l'antico serpente, il diavolo e Satana. Il diavolo è in un primo momento il mostro marino, che si chiama Leviathan e che nell'allegoria patristica viene indicato come cetus, come il mostruoso « cetaceo » così singolare anche per l'antichità 133 . La Volgata legge in Giob 3,8 Leviathan, mentre i LXX hanno μέγα χήτος 1 3 4 . Dunque, ciò che nel capitolo conclusivo di Giobbe viene detto del Leviathan, va inteso della balena come simbolo di Satana. Questa è già tradizione affermata presso ORIGENE 1 3 5 : anch'egli nelle sue omelie sulla Genesi affronta gli stessi problemi che si ritrovano più tardi in Basilio e Ambrogio. Che Dio abbia creato a fianco alle creature buone anche quelle « cattive », ossia la balena e i serpenti marini, 133 Cetus è espressione comune per indicare « pesce gigantesco » è può significare un grande delfino, pescecane ο balena. Cetus quale accompagnatore dei demoni marini: VIRGILIO, Eneide, 5, 822. DRACONZIO, Romulea, 7, 148. - Cfr. anche PLINIO, Nat. Hist., 36, 4, 13. - I Padri della Chiesa raccontano ciò che nelle antiche fonti c'era di meraviglioso sulla balena: Cfr. BASILIO, Hexaemeron, 7, 4 (PG 29, p. 156 B C ) ; AMBROGIO, Hexaemeron, 5, i o , 28 (CSEL 32, 1, p. 162, 1. 4-14); 5, 11, 32 (CSEL 32, 1, p. 166, 1. 15-19). - La balena, balaena britannica, è simbolo del gigantesco, in opposizione all'elegante delfino: cfr. GIOVENALE, Satir., i o , 14. È possibile però che il cetus sia stato sentito anche come simbolo dell'opposto del «nostro delfino», Cristo; cfr. CLAVIS MELITONIS, Spicilegimn Solesmense, Parigi 1855, v. 3, p. 519, 535, 558. - PAOLINO DA N O L A , Epistola 20, 6 (CSEL 29, p. 147, 1. 21); 20, 7 (p. 148, 1. 9). 134 Appoggiato da Is 27,1 L X X : δ ρ ά κ ω ν δ φ ι ς , che la Volgata traduce con Leviathan; cfr. GEROLAMO, Comm. in Isaiam, 8 sul 27,1 (PL 24, 306 A) e Comment. in Amos, 3, 9 (PL 25, 1088 A). 135 Homil. in Genesim, 1, i o (GCS ORIGENE, VI, p. 11, 1. 17 sino a p. 12, 1. i o ) .
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è per lui un misterioso indizio che proprio Dio abbia voluto permettere l'esistenza di Satana e dei demoni come prova per i cristiani : come « amarezza » da cui deriva, attraverso la vittoria ascetica, la dolcezza. È fuori questione che qui la « grande balena » è il simbolo del diavolo, ed è tipico per questa esegesi corrente ormai, che vengano citati anche Sai. 103,26 e i capitoli di Giobbe. ORIGENE dà lo stesso significato anche ad altri passi136. Quanto questo risultasse comprensibile ai cristiani egiziani, è chiaro dalle direttive per la preghiera, date da Origene 137 : bisogna pregare spesso per essere liberati dalle fauci della « balena » come Giona: una preghiera veramente primitiva del cristianesimo, come ci mostra la nota preghiera contenuta nelle Orationes pseudociprianiche ; una preghiera così comprensibile, quando è messa in rapporto con le care raffigurazioni popolari del mostro giovanneo: « Eicias me de morte ad vitam » 138 . DIDIMO ha dato questa interpretazione alessandrina a Giob 3,8: mediante la discesa del Dio fatto uomo è stato vinto il diavolo quale mostro di questo mare del mon131 Homil. in Levit., 8, 3 (VI, p. 397, 1. 23 sino a p. 398, 1. 2): « Dominus qui interfecturus erat cetum istum diabolum ». - Comment. in ep. ad Romano:, 5, io (FG 14, 1051 A): Cetus è qui il simbolo della morte e del diavolo, ma Cristo discese in lacum (Sai 27,1) e in cotruptionem (Sai 29,10), per sconfiggere il grande pesce diabolico. - A proposito di ciò è interessante quel che hanno riferito CELSO e ORIGENE a proposito del « serpente che circonda il mondo » secondo il diagramma degli gnostici Ofiti; questo simbolo di Oceano e di Caos da essi era chiamato « Leviathan » :cfr. Contra Cehum, 6, 25 (GCS ORIGENE, II, p. 95, 1. 3-17). - RE XVIII (1939) col. 657, 1- 42ss. - Cfr. anche quanto riferisce IPPOLITO, Elenchos, 5, 19 (GCS IPPOLITO, III, p. 120, 1. 14), ove questo serpente viene chiamato «primogenito dell'acqua». 137 De oratione, 13, 4 (GCS ORIGENE, II, p. 329, 1. 1-11). 138 PS.-CIPRIANO, Oratio 2 (CSEL 3, 3, p. 147, 1. ios).
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do 139. AMBROGIO gli fa eco: « Nam feralem illum cetum, diabolicum scilicet, ultimis temporibus venerabili corporis sui passione prostratum perculit et afflixit » 140. Neppure GEROLAMO fa eccezione. Proprio nella sua spiegazione allegorica i simboli animali del diavolo quale mostro marino sono adunati insieme: « Qui draco proprie in hebraico sermone appellatur Leviathan. Ipse est cetus magnus, de quo, quod a Christo capiendus sit, mystico in Job sermone narratur: qui magnum cetum capturus est». Questo è, così egli continua, Satana, l'« aspis », il « draco in mare : quem Dominus interficiet spiritu oris sui habitatorem quondam maris, falsorum et amarorum fluctuum » 141 . Tale esegesi doveva imporsi e GREGORIO MAGNO l'ha resa indimenticabile per tutto il medioevo con i suoi Moralia su Giobbe: «Diabolus est vitam votans cetus » 142 , Ciò viene espresso convenientemente anche nella Vita del monaco egiziano Ammuno, che sostiene una battaglia con il drago e scongiura la belva "· Fragm. in Job (PG 39, 1129D). 140 De fide ad Gratianum, 5, 2, 3 (PL i6, 655 C). - Cfr. anche Commetti, in evangelium Lucae, 4, 40 (CSEL 32, 4, p. 159, 1. 10-16): le parole di Giobbe sono una profezia « eo quod diabolum tamquam procellosi saeculi istius cetum Dominus Noster Iesus Christus oppressit... ergo in tentatione sanctus Job mysteria loquebatur, qui enim vincèbat saeculum, Christum videbat ». 141 Comment. in Isaiam, 8 sul 27,1 (PL 24, 306 AB; 307 B). 142 Moralia, 33, 9 (PL 70, 682 D). - Moralia, 8, 23 (PL 75, 824 BC, 825 B). - Moralia, 34, 18 (PL 76, 737 AB). - Cfr. per ciò PS.-GERO-
LAMO, Comment. in Job, 40 (PL 26, 786 D) : Leviathan est diabolus in aquis. - AGOSTINO, Enarrationes in Psatmum 68, sermo 6 (PL 36, 846 AB) ; Enarrationes in Psalmum 73, 14 (PL 36, 938s). - RABANO MAURO, AUegoriae (PL 112, 893 C; 895 A). - RUPERTO DI DEUTZ, Comment.
in Ioannem (PL 168, 1184S; 119»). - INNOCENZO ΙΠ, Sermo 29: PL 217, 588 A-C.
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con le parole: «Perimat te Christus filius Dei qui perempturus est cetum magnum» 1 4 3 ! Immediatamente congiunta a tutto ciò va vista inoltre la simbolica del diavolo come « drago del mare », che Dio fa abitare nell'abisso del mare (Sai 148,7), per «giocare» con esso (Sai 123,26; Giob 40,24), per ucciderlo nell'acqua (Sai 73,14). L'allegoria patristica ha continuamente letto in queste frasi profondi misteri della volontà salvifica di Dio e tutto diviene comprensibile solo se si accetta l'idea fondamentale del diavolo quale bestia nel mare del mondo. Nel pensiero antico, il « drago » è un mostro, che vive nell'acqua, un grande pesce velenoso, una specie di serpente marino 144. Mediante l'identificazione con il serpente del Paradiso terrestre e quindi con Satana (Apoc 20,1), queste rappresentazioni poterono essere applicate al diavolo. Lo fa già TERTULLIANO 145, come pure ORIGENE 146. Questo mostro marino è dunque il vero nemico della Chiesa, che come una buona nave veleggia sul mare di questo mondo. AGOSTINO predica perciò: «Magnum secretum et tamen quod nostis, dicturus sum: nostis inimicum Ecclesiae quendam draconem »147. E cioè, così egli continua, il diavolo, F« antico serpente », che giace insidioso ed astuto
113
RUFINO, Hist. monadi., 8: (PL 21, 421 D). Cfr. PLINIO, Nat. hist., 9, 82; 26, 31. - Parimenti, riferisce le opinioni del suo tempo AGOSTINO, Enarrationes in Psflmum 148, 9 (PL 37, 1943 C). - PHIMASIO, Commetti, in ApocaL, 3 (PL 69, 862 C). ISIDORO, Etymol., 12, 6, 42 (PL 82, 455 B). - Cfr. anche Dictionnaire d'Archéol. chrét. et de Liturgie, Parigi 1921, v. 4, col. 1537-40. 145 Aiversus Marcionem, 4, 24 (CSEL 47, p. 502, 1. 20). 14i Homil. in Exodum, 4, 1 (GCS ORIGENE, VI, p. 171, 1. i8s). 14 ' Enarrationes in Psalmum 103, sermo 4, 6 (PL 37, 1381 B). 144
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in questo mare del mondo. Il mare è la sua sede: « Ao cepit locum quendam suum in hoc mari magno et spatioso ». « Calpestare la sua testa » è per Agostino lo stesso che « il viaggiare sicuro sul mare », in cui abita il decaduto principe dei demoni 148 . Anche a Gerusalemme i candidati al battesimo di CIRILLO lo sapevano : « Il drago però abitava, come sappiamo da Giobbe, nell'acqua »lia. La stessa cosa è confidata ai monaci di GEROLAMO, quando lo zelante predicatore penitenziale li apostrofa così: «Anche tu una volta eri un drago e tenebre erano sul tuo abisso, tu eri un drago, tu eri un figlio delle tenebre » 150 . È molto ricco di conseguenze ciò che Gerolamo nota circa l'esegesi dei Giudei ai «passi del drago» contenuti nei Salmi: anch'essi sostenevano che un drago abita nel mare, ossia nell'Oceano, e che esso si manifesta alla fine del giorno, quando il mare mugghia. Non così l'esposizione cristiana: per essa il drago nel mare è un simbolo del diavolo nel mondo 1B1 . Quando ora vien detto che il capo di questo drago è stato fracassato nel mare (Sai 73,14) e quando in Giobbe (40,20) sta scritto che solo Dio può estrarre con un amo il Leviathan dalla profondità, abbiamo qui le radici di due aspetti di questa esegesi del « diavolo nel mare», che dobbiamo ancora delineare breve148
Ivi, 4, 7-9: (1382S). "· Catech., 3, 11 (PG 33, 441 AB). lt0 Tractatus in Psalmum 148 (Morin, p. 310, 1. 7-11). - Ivi, 1. I2s: < Licet in hebraeo non habet dracones sed habeat Thanninim, quod interpretatur cete. Dicitur autem cetus infinitae esse magnitudini;. Denique ipse cetus in abyssis esse dicitur ». 151 Tractatus in Psalmum 103 (MORIN, p. 167, 1. 18-22). - A M BROGIO, Epistola 1, 30, 11 (PL 16, 1064 B). - CESARIO, Sermo 136, 5 (MORIN, I, p. 539, 1. 8s).
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mente. Abbiamo già visto come l'esegesi alessandrina veda la vittoria su Satana data con l'incarnazione e la passione. Ciò diventa ora plastico mediante una rappresentazione primitiva, che è restata viva sino nel cuore del medioevo: Cristo si calò nella profondità del mare diabolico come l'uncino di un amo, nella sua forma visibile di uomo, non riconoscibile quale Dio dal dominatore di questo mare, dal grande mostro marino. La sua natura umana era simile all'esca, che Satana cercava di afferrare ed alla quale egli stesso fu preso, per cui da quel tempo è impotente. Questa discesa di Cristo nella « amarezza » del terrestre 1S2 (un perfetto parallelo alle allegorie della discesa contenute nel canto della redenzione degli Atti di Tommaso, e alla discesa nell'« Egitto terreno, oscuro, occidentale ») 153 era così familiare agli antichi cristiani, che possiamo limitarci a poche prove. AMBROGIO la fa cantare ai suoi fedeli154, RUFINO l'aveva appresa dalle prediche di GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ e cosìl a predicava ai catecumeni: « Sicut piscis... de profondo educitur, ita et qui habebat mortis imperium, rapuit quidem in morte corpus Iesu non sentiens in eo hamum divinitatis inclusum; sed ubi devoraverit, haesit ipse continuo et disruptis inferni claustris velut de profondo extractus trahitur, ut esca ceteris fiat » 15e . Attraverso 152
AMBROGIO, De instit. virginis, 5, 34 (PL 16, 314 A). Cfr. per ciò F. J. DOLGER, Sol Salutis, 1925, 2 ed., p. 22OSS. 154 Hymnus 12,7. Analecta hymnka 50 (1907) p. 16: « H a m u m sibi mors devoret ». 16S Oratio 39, 13 (PG 36, 349 AB). Traduzione di R O T I N O (CSEL 46, p. 124, 1· I4s). 15 · Explan. symboli, 16 (PL 21, 354 D ) . A ciò era favorevole la traduzione dell'Itala di Ez 32,3 : « Extraham te in h a m o meo » (Volg. : 153
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lo sviluppo che GREGORIO MAGNO diede all'immagine 157, designando la genealogia degli antenati di Gesù come « lenza dell'amo », anche il medioevo 158 ha compreso questa simbolica secondo il paragone « mare=mondo amaro-diabolico »: lo dimostra YHortus deliciamm di ERRATO. L'altra allegoria, che fu elaborata nel suddetto contesto, è la simbolica della vittoria sul drago nella traversata del Mar Rosso: In bel modo questa teologia marittima dei Padri abbraccia ora tutte le espressioni della Sacra Scrittura riguardanti l'evento storico salvifico del passaggio degli Israeliti attraverso il Mar Rosso, e le mette in rapporto con la simbolica del mare come elemento diabolico (Gios 24,7; Sai 77,13; 113,3; 105,7,9; 135,13; Sap 10,18.19; 19,7; Is 43,i6; iCor 10,1.2). Ciò fu basato sulle parole di Ez 29,3 e 32,2, in cui Dio ordina di parlare al Faraone d'Egitto come al « grande dragone, che giace tra le correnti », come al « drago nel mare ». Con ciò il re d'Egitto diventa l'immagine del diavolo, poiché egli è « tenebroso » e « abita nell'acqua ». Per ORIGENE ciò ha già un signi« In sagena mea »). - FIRMICO MATERNO, De err. prof, rei, 21, 2 (CSEL 2, p. n o , 1. i o s ) : « Nequissimus hostis generis humani est tortuosus draco qui h a m o ducitur ». - G A U D E N Z I O , Sermo 5 (PL 20, 875 C ) . 157 MoraUa, 33, η (PL 76, 680 B C ) . - Moralia, 33, 9 (682 D; 683 A). 153 ISIDORO, De ecdesiasticis officiti, 1, 30, 2 (PL 83, 765 A). Sentent., 1, 14 (PL 83, 567 C ) . - O N O R I O D I AUGUSTA, Speculimi Ecclesiae (PL 172, 906 AB) : « Per mare hoc saeculum insinuatur, quod voluminibus adversitatum iugiter elevatur. In hoc diabolus circumnatat ut Leviathan ». Cristo lo ha estratto con la lenza della sua genea logia umana. La stessa cosa in PL 172, 1002 D ; 937 B C . - ERRATO trasse da Onorio i suoi pensieri per i testi e le immagini deWHortus deliciarum. - HERMANN VON PVEICHENAU, Leviathan perforans maxillam hamo, in Analecta hymnica 50 (1907) p. 312.
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ficato del tutto ovvio 159. Il Faraone, che avversa il popolo di Dio e muore nell'acqua, è il diavolo affondato nel mare 160. E dal momento che già per FILONE 161 il transito del Mar Rosso significa un « passaggio dalla passione all'ascesi », si spiega come mai A M BROGIO, si faccia eco della figurazione del diavolo come signore del mare ivi contenuta, trasformandola cristianamente e applicandola a Satana, che regna sul mare di questo mondo e che tuttavia proprio in esso sarà anche distrutto 162. Anche questa allegoria è restata viva a lungo 163 . Con ciò abbiamo spiegato la simbolica cristiana e tuttavia adornata con tutti i colori del pensiero della tarda antichità, a partire dalla quale ILARIO potè scrivere : « In his enim quae in mari repunt ea quae in infernis degunt docentur, cum profundum maris sedem intelligamus inferni » 164. A questo punto siamo finalmente in grado di vagliare con mano sicura l'intrigata massa di testimonianze patristiche riguardanti l'applicazione teologica e ascetica dell'allegoria del mare. Essa verrà delineata "· Homiliae in Exodum, 4, 1 (GCS ORIGENE, VI, p. 171, 1. i8s); 5, 5 (p· 190, 1. 11-20). 180 Cfr. per questo F. J. DOLGER, Das Durchzug durai das Rote Meer als Sinnbild der chrisilichen Taufe, in Antike und Christentum 2 (1930) p. 63-69. IDEM, Die Sonne der Gerechtigkeit und der Schwarze, Miinster 1918, p. 53S. - J. D A N I É L O U , Saaamentum Futuri, Parigi 1950, p. 152-176. 181 De sacrificiis Abelis et Caini (I, p. 227, 1. 16 C O H N ) . - Altri testi probativi di Filone sono indicati da F. J. DOLGER, in Antike und Christentum 2 (1930) p. 67. 1,1 Hexameron, 1, 4, 14 (CSEL 32, 1, p. 12, 1. 15-21). 163 ILARIO, Tractatus in Psalmum 134, 19 (CSEL 22, ρ. 706, 1. 1215). - ZENONE, Tractatus 54 (PL 11, 510 A). - PS.-PROSPERO, De pro miss, et praed. Dei, 1, 38 (PL 51, 746S). - ISIDORO, Allegoriae (PL 83, 108 B ) . - RUPERTO D I D E U T Z , In Exodum, 2, 29 (PL 167, 637 B ) . lea Tractatus in Psalmum 68, 28 (CSEL 22, p. 337, 1. 3-6).
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almeno nelle linee maestre, poiché solo quando udiamo il « mare cattivo » dell'antichità cristiana rumoreggiare sino ai suoi ultimi e quasi impercettibili batter d'onda, possiamo comprendere quale profonda importanza abbia acquistato la simbolica della fortunata nave della Chiesa e del « piccolo legno » della croce. Poiché il mare è la sede della potenza diabolica, in senso fisico come in senso traslato simbolico, i vortici e le rumorose tempeste, che minacciano la nave, sono opera del diavolo e dei demoni. Questo duplice senso viene espresso già in una lettera di GEROLAMO. Egli aspira alla solitudine del deserto, vuole fuggire le tempeste del mare dell'esistenza, ma, tra lui e il beato « porto della solitudine », c'è la pericolosa traversata sul mare che obbedisce al diavolo : « Diabolus maria undique circumdat et undique pontum » 165 . I minacciosi vortici sono diabolici, poiché nell'acqua abita il demonio come «variopinto serpente», che spande lontano un puzzo insopportabile e minaccia le navi di naufragio. Lo stesso linguaggio ritroviamo in epoca avanzata del cristianesimo nella Vita Genovefae 166. E nei famosi racconti del miracolo marino di san Nicola il medioevo vede ancora il diavolo e come egli som con forza nella vela della nave minacciata dalle fauci del mare 167. Qui si era avuto dunque il "» Epistola 2, 4 (CSEL 54, p. 12, 1. 1-5). MGH Rer. Mer. ΠΙ, p. 230, 1. 5-8. - Cfr. anche il drago delle sorgenti, che deve viaggiare verso l'abisso: Convento Afrae, 7 (MGJH Rer. Mer. Ili, p. 60, 1. IJS). " ' Cfr. K. MEISEN, Nikolauskult uni Nikoìausbrauch im Abendland, Dusseldorf 1931, p. 245-249: la leggenda della tempesta di mare. Legenda aurea (GRABSSE, p. 23S.). - ONORIO DI AUGUSTA, Speculiti» Ecclesiae (PL 172, 1034 BC). - Su una vetrata del duomo di Friburgo 186
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punto di aggancio per una simbolica infinitamente ricca di sviluppi. In senso traslato, il mare diabolico è l'umanità abbandonata al diavolo, la massa dei popoli pagani, come abbiamo già mostrato sopra. Essi sono sferzati da Satana, il « Signore del mare », poiché sono acque « mondane », flutti non redenti, demoniaci. ILARIO così predica : « Recte significari aquas populos intelligimus ... aquae terrestres sunt trepidae, terrenae, tenebrosae, absorbere nos volentes, animis in ira concitatis et toto diabolici furoris impetu commotis »168. Questo produce ora i suoi effetti non solo nelle tempeste del « mare beluino ed amaro », che vengono mandate ai singoli cristiani dal «Principe di questo mondo »169, ma soprattutto alla nave della Chiesa, che deve navigare sopra questa potenza elementare demoniaca. « Navem adaeque Ecclesiam debemus accipere in salo mundi istius constitutam, quae crebris ventorum fluctibus, id est tentationum plagis et verberibus fatigatur, quam turbidi fluctus id est huius saeculi potestas conantur ad saxa perducere » 17 °. Qui è chiaro quanto perfettamente tutta questa simbolica sappia costruirsi all'interno dei grandi contesti della teologia biblico-paolina dell'opposizione tra regno di Cristo e mondo del diavolo. Il mare di questo mondo è « cattivo » proprio perché sta « sotto le potenze delle il diavolo viene raffigurato mentre soffia nella vela della nave di Nicola. - Cfr. anche gli inni a Nicola del secolo X, ove si parla della «diabolica tempesta marina», in Analecta hymnka 22 (1895) p. 206, 207. 209. 169
Tractatus in Psalmum 123, 5 (CSEL 22, p. 594, 1. 4-9).
1M
GREGORIO NAZIANZENO, Carmina, 2, 1, 1, vv. 21, 31 (PG 37,
p. 97is). 1,0
PS.-AMBSOGIO, Sermo 46, 4, io (PL 17, 697 A). - POMERIO,
De vita contemplativa, 1, 16 (PL 59, 431 CD; 432 A).
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tenebre », come dicono le Omelie di Macario m. Il diavolo come dominatore dell'aria tenebrosa e del mare tenebroso, di questo abisso antidivino, di cui parla Agostino, sparge sul mare di questo mondo la nebbia ottenebrante, « daemonum nebulae », come spiega CRISOLOGO 172, e « daemonum turbines ». Egli stesso è un nebulo 173, un ribaldo ventoso, che inganna il navigante. E poiché egli è « tenebroso » in quanto signore del flutto tenebroso (in senso assolutamente identico si potrebbe anche dire, nel linguaggio simbolico dei Padri : egli è « occidentale », « egiziano », « fatale ») 174, per questo è suo scopo spingere la nave della Chiesa nelle fauci della morte, « in aeternae mortis profonda », come dice GREGORIO MAGNO 17S e come scrive ancora, con vocabolario patristico, DUNGAL SCOTO parlando di coloro che non veleggiano nella nave fatta con il legno della Croce: « Quid ergo restat homini sine nave salutiferae crucis procellosum huius saeculi mare transeunti? Nihil, ut est arbitrandum, aliud nisi remaneat in mediis necatus fluctibus et cum terris Aegyptiis in profundum demergatur infer1,1
Homilia 44, 7 (PG 34, p. 748 B). "· Sermo 20 (PL 52, 254 B). 3 " AGOSTINO (?), Sermo 356, 5 (PL 39, 1649 A). 1,4
Cfr.
per ciò
ORIGENE
(GCS
VII,
ρ.
509, l.
13-17); LATTANZIO
(CSEL 19, p. 142S; p. 41, 1. i6ss). - F. J. DÒLGER, Sol Salutis, 1925 2 ed., p. 337SS; Die Sonne der Gerechtigkeit, p. 44SS. 175 Homilia 11, 4 (PL 76, ρ. 1116Β). - Perciò l'abisso del mare, in quanto sede del diavolo quale « dominatore della morte », è anche ad un tempo sede della morte stessa. Cfr. ILARIO, Tractatus in Psalmum 68, 5 (CSEL 22, p. 317, 1. 2s): « N a m cum profunda maris inferiora sint terrae, necesse est in profundo maris, id est in inferioribus, sedem mortis ostendi ». N o n si deve forse spiegare in questo senso, unitamente a Sai 27,1 (cfr. sopra, nota 136) l'espressione della liturgia funebre: « Libera eas... de profundo lacu »?
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ni » 176. Più in là bisognerà indicare con precisione la ragione per cui, secondo questa simbolica, la nave della Chiesa non può affondare : precisamente perché essa è costruita con il legno di quella croce, che ha vinto il « Principe di questo mondo » (noi possiamo dire ora : il « Principe di questo mare »). Tuttavia al mare diabolico è stato lasciato un potere sulla nave ecclesiale: il viaggio sicuro della Chiesa è pur sempre paurosamente pericoloso. Qui torna di nuovo a risuonare il tema fondamentale del « viaggio meraviglioso, perché pericoloso », ora però piuttosto dal punto di vista del mare diabolico. « Ecclesia multis tamquam. bona navis fluctibus saepe tunditur », dice AMBROGIO 177. Noi possiamo raccogliere in tre grossi gruppi il potere diabolico del mare, che urta contro la Chiesa in questo mondo: i pericoli del paganesimo, delle eresie e delle tentazioni; sempre però e in ultima analisi è il diavolo, che agita i flutti di queste tre minacce contro la nave della Chiesa. Già Tertulliano parlava dei banchi di sabbia e dei flutti, degli incagli nascosti e delle spiagge basse dell'idolatria e coniava qui la famosa espressione della fede, che, sotto l'inspirazione dello Spirito Santo, veleggia sicura ma cauta tra questi pericoli : « Fides navigai tuta si cauta » 178 . Nella sua spiegazione della nave della Chiesa quale veicolo entusiasticamente pericoloso, ORIGENE mostra come il diavolo, quale « padre delle tenebre », agiti i flutti, e, simile ad uno « pneuma del male », faccia spirare contro la nave il « vento l,
« Adversus Claudianum (PL 105, 489 A). De incarnationis dominiate sacramento, 5 (PL 16, 827 B). 178 De idololatria, 24 (CSEL 20, p. 57, 1. 15S). 1,7
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contrario » (Mat 14,24) e come questi flutti diabolici tendano continuamente ad un solo scopo: un naufragio nella fede ο almeno nei costumi. Quando esplode questa tempesta, il cristiano dovrebbe pregare contro la «trinità» diabolica di Satana, contro il padre delle tenebre, contro suo figlio, l'anticristo, contro il suo pneuma nemico di Cristo 17B . Inversamente, è altamente significativo per la forza espressiva dell'allegoria del mare, il modo in cui i Padri concepiscono la vittoria della fede in Cristo descrivendola come una bonaccia sopravvenuta improvvisamente dopo il muggire dei flutti diabolici. ILARIO ne dà una spiegazione eloquentissima : come il « drago nel mare » fu ucciso, gli animali inferiori del suo mare furono turbati e poi cessarono di emettere il loro fragoroso muggito; adesso non si ode più alcun mormorio dell'indovino, niente strillare di baccanti, nessun vibrare degli idoli bronzei, nessun canto sacrificale pagano; Cristo ha portato alla tranquillità questo mare 180 . Il corrispondente di questo canto trionfale della Chiesa. veleggiante sul mare lo troviamo in AGOSTINO, e noi lo comprendiamo soltanto se sentiamo risuonare tutto ciò che è stato detto sinora intorno al mare della potenza infernale: « Tutti quelli che piangono sul fatto che ora i templi degli idoli sono chiusi, gli altari rovesciati e le statue "· Comment. in evangelium s. Matthaei, 11 (GCS X, p. 44,1. 4ss). Per questo i pagani sono, simbolicamente, « amara acqua di mare » : AGOSTINO, Enarrationes in Psalmum 103, sermo 4, 4 (PL 37, 1380 C): 4 Video enim adhuc in mari isto formidoloso nondum credentes : ipsi enim versantur in amaris aquis et sterilibus ». - ILARIO, In Matthaeum, 8, 4 (PL 9, 960 AB). - GEROLAMO, Comment. in Habacuc, 1, 2, 12 (PL 25, 1299 B). 180 Tractatus in Psalmum 64, io (CSEL 22, p. 242, 1. 1-9).
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spezzate, sul fatto che si sono anche create leggi che perseguitano il culto degli idoli come crimine capitale, tutti quelli che vi piangono sopra: ecco, essi sono ancora nel mare » 181 . GREGORIO MAGNO combatte ancora gli ultimi avanzi del paganesimo, i mathematici e gli academici, e designa la loro dottrina con una espressione presa da Isaia (11,15): «Lingue del mare d'Egitto»: che significa «sapienza mondana, che è oscurata dalle tenebre del peccato ». Ora però, così continua il suo canto di giubilo, «tutte le dottrine dell'errore sono state ridotte al silenzio, poiché il Signore ha estratto dal mare il Leviathan mediante l'amo della sua incarnazione » 182. Ma il diavolo quale signore del mare suscitò nuove tempeste contro la nave della Chiesa, dopo che i flutti dell'idolatria si erano calmati: questo è un pensiero, con il quale i Padri spesso hanno iniziato la storia delle eresie cristiane. Fu TEODORETO a dare l'espressione classica a questa idea 183. Dopo la morte dei persecutori dei cristiani, «i quali avevano scatenato contro la Chiesa una tempesta simile ad un uragano che sorge improvviso », sopravvenne la pace. « Ma il demonio, sempre e poi sempre cattivo e invidioso, non poteva sopportare la vista della nave della Chiesa che continuava il suo viaggio sospinta dolcemente da un vento favorevole, e fece di tutto per spingerla al naufragio, essa che pure ha per pilota il Signore di tutte le cose ». Ora con questo pensiero tutto il vocabolario già ben coniato della simbolica del « mare diabolico » si tra181 188 188
Enarrationes in Psalmum 103, sermo 4, 4 (PL 37, 1380 D). Moralia, 33, io (PL 76, 684 AB). Hist. ecclesiast., 1, a, 5 (GCS TEODORETO, p. 5, 1. 17-20).
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sferisce dalla polemica contro il paganesimo all'apologia contro le eresie. Ciò è particolarmente chiaro in un esempio: IPPOLITO aveva spiegato nella sua esegesi di Gen 49,13 («Zàbulon abiterà sulle rive del mare »), che ciò si riferisce alla Chiesa che è giunta ormai al porto tranquillo della verità, mentre i pagani si agitano ancora « nel mondo come su un mare sconvolto dalla tempesta » 184 . Ora AMBROGIO trascrive tale pensiero, ma ne cambia lievemente il senso, sostituendo ai pagani gli eretici : « Hic ergo ' Zàbulon iuxta mare ' inquit, ut videat aliorum naufragia ipse immunis periculi, et spectet alios fluctuantes in freto istius mundi, qui circumferuntur omni vento doctrinae, ipse fidei radice immobilis perseverans, sicut est sacrosancta Ecclesia radicata atque fundata in fide, spectans haereticorum procellas »18S. In questo modo di dire d'origine paolina, in cui si parla del « naufragio della fede» (iTim 1,19) e delle «tempeste della dottrina » (Ef 4,14), s'inserisce ora, in forza dell'antico tesoro d'immagini, soprattutto la polemica contro gli ariani. Se METODIO aveva già detto precedentemente 186 che gli eretici si davano la falsa apparenza di saper maneggiare artisticamente la vela e il timone della nave della Chiesa, così continua EFREM nella sua seconda orazione sulla fede in polemica contro gli ariani: « Il mare è grande e se tu lo vuoi scandagliare, sarai agitato dalla rabbia delle sue onde. Una sola ondata può trascinarti via... e gettarti su un incaglio ... la 184 Le benedizioni di Giacobbe, 20 ( T U 38, Lipsia 1912, p. 35, 1. 11-18). 185 De patriarchis, 5, 26 (CSEL 32, 2, p. 139, 1. 18-23). IÌ« £) e resurrectione, 28, 2 (GCS M E T O D I O , p. 257, 1. 6s).
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nave è diretta dai timoni e tuttavia può affondare nei flutti, ma la tua fede non affonda ... solo il nostro Signore può rimproverare le onde. Se dunque nel tuo spirito infuria la fantasticheria, rimproveralo e spiana le onde, poiché come la tempesta agita il mare, così la fantasticheria scuote lo spirito ... Il Signore rimproverò le onde, il vento allora cessò e la nave scivolò via calma » 187 . Nelle lettere di BASILIO si parla spesso di ciò. Egli scrive alla Chiesa di Nicea restata immune dall'arianismo : « L'incendio delle tempeste ereticali non vi ha scosso, incendio che causa affondamento e naufragio alle anime deboli » 188 . Ed egli stesso si presenta come una roccia contro la quale si spezzano le ondate dell'eresia : « Voi sapete bene tuttavia, che noi, simili alle rocce contrapposte in mezzo al mare, dobbiamo intercettare la tempesta scatenata delle onde ereticali, cosi che queste si spezzino contro di noi e non inondino la terra che è dietro di noi » 189 . Si legga inoltre la descrizione delle condizioni della Chiesa, paragonabili ad un naufragio, nella lettera di BASILIO ad Atanasio 190 , l'altro pilota nella tempesta dell'arianesimo, oppure in quella ai vescovi dell'Occidente: «La situazione qui è scossa, reverendi fratelli, e nelle tempeste che sono sorte l'avversario vuole prostrare la Chiesa come una nave, che deve combattere in aperto mare contro gli assalti sempre rinnovati delle onde » 1β1 . Proprio in queste lettere di un uomo così 187 Sermo 2, 2, De fide {Opera omnia syriace et latine, R o m a 1743, v. 3, p- isas). 188 Epistola 28, 1 (PG 32, 305 C ) . "· Epistola 203, 1 (PG 32, 737 B C ) . 1M Epistola 82 (PG 32, 460 AB). 1,1 Epistola 90, 1 (PG 32, 473 A).
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educato classicamente e cristianamente si vede come il linguaggio retorico e ad un tempo teologico della simbolica del mare sia stato portato sino all'estremo. Ora comprendiamo perchè BASILIO poteva parlare delle « onde salate ed amare dell'errore » 192 , nelle quali quasi affonda la nave della Chiesa. Dietro a ciò vi è certamente la convinzione che il « mare amaro » significa anche il « mare diabolico ». Nello stesso tempo GEROLAMO 193 ha attestato espressamente che questa era una simbolica comunemente nota: « Quod autem ipse (diabolus) tenebrarum et amaritudinis significetur nominibus crebrius legimus ». Per questo anche per lui l'eresia è un'amarezza diabolica: « Sed et hoc possumus dicere, quod omnia contraria dogmata veritati amarae sint et sola dulcis veritas ». E tuttavia: la buona nave della Chiesa non può andare a fondo, essa veleggia, come spiega già AGOSTINO, tra le eresie di Ario e di Sabellio come tra Scilla e Cariddi : « Ex una parte saxa navifraga, ex alia parte vorago navivora »194. Questa immagine presa dalla mitologia classica195, che Agostino trasferisce esplicitamente nello stretto tra la Sicilia e l'Italia, risveglia nello spirito dei Padri le latranti foche di Scilla, che dalle amare profondità del mare minacciano le 182
Epistola 161, a (PG 32, 629 C). Comment. in Isaiam proph., 2 a proposito di 5,20 (PL 24, 86 D ) . Ora comprendiamo meglio cosa volesse dire V I N C E N Z O DI LÉRINS con le sue parole sugli « amaros turbulentosque errorum fluctus » (sopra, alla nota 27). 184 Sermones inediti Gueìf., sermo 11, 4 ( M O R I N , p. 476S.) 185 Sui canes marini cu. LUCREZIO, 5, 892. - VIHGILIO, Eclogae 6, 77 : « Timidos nautas canibus lacerasse marinis ». - VIRGILIO, Eneide, 3, 432. - SALVIANO, De gubernatione Dei, 11, 58 (CSEL 8, p. 121, 1. 5s). - ISIDORO, Etymoi, 12, 6, 5 (PL 82, ρ. 451Α). 183
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navi: e anche ciò diventa per essi il simbolo degli « Oppositori », che non possono tuttavia aver presa alcuna sulla nave della Chiesa, poiché essa è costruita con il legno della croce: « Obtrectatores omnino contemnendi sunt, quia canes marini sunt. De profundo amaritudinis latrare possunt, mordere non possunt. Sed quamdiu mordere non possunt? Quamdiu in navi sedes. Quid est: quamdiu in navi sedes? Quamdiu crucem Christi tenes, ab eius navicula non recedis » 196 . Noi possiamo seguire quella magnifica e semplice simbolica fondamentale sino a queste estreme ramificazioni del linguaggio figurato dei Padri: il mare è il mondo sottoposto a Satana, la nave è la Chiesa costruita con il legno della croce, che quindi attraversa tranquilla tutte le tempeste del diavolo. Questa simbolica, per quanto sembri attingere alla cultura e all'educazione antica, è sempre e soltanto un leggiero velo, che i Padri mettono attorno alle verità fondamentali del cristianesimo; fissare questi due interessi e distinguerli con cautela: proprio questo è il compito di ogni ricerca intorno ai rapporti tra antichità e cristianesimo. Ciò può essere reso ancor più chiaramente con un'ultima immagine, che allo stesso tempo porta di nuovo in se stessa una sublime idea teologica. Proprio perché l'eresia non vuol essere più soltanto « mare » ma anche « nave », l'allegoria patristica del mare raffigura la lotta diabolica dell'eresia contro la nave della Chiesa anche come una battaglia navale del grande pirata, il Diavolo. Si legga in proposito la descrizione piena di spirito antico e cristiano, 1β · PS.-AGOSTINO, Sermo 72, 3 (PL 39, 1885 C D ) . - GEROLAMO, Comment. in Ezech. 6, praef. (PL 25, 165 D ) .
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI
PADRI
della battaglia navale tra la Chiesa e la flotta degli ariani, che ci ha regalato BASILIO 197. È il « cattivo demonio », che, come scaltro pirata, insidia la nave della Chiesa, dice CRISOSTOMO 198 ; e la retorica bizantina ne ripete le parole 199. Anche in Occidente si predica così; un imitatore di Agostino dice: « In hoc sane procelloso et turbulenti mari etiam diabolus aspirane bacchatur armata classe terribilis, et circumquaque commeatus obsidet innocentium »200. Ma anche qui fiducia: egli è soltanto un « nebulo et pirata» 201 . Una terza minaccia infine sorge contro la nave della Chiesa dal diabolico mare della « cattiveria », dei peccati, delle tentazioni. Qui soprattutto il naufragio e l'affondamento nei flutti tenebrosi e amari di Satana minacciano il cristiano, se egli non resta sul legno della croce. Ciò si trovava già nella simbolica tradizionale della scuola alessandrina. Nell'inno ai pedagoghi, Clemente canta « il mare del male » 202 e parla della nave dell'anima, che deve aver come pilota il Logos, se non vuole affondare nel naufragio dei vizi 203 . Nella sua elevata preghiera al Logos, egli chiede di poter giungere sicuro attraverso la « risacca 187 Se Spiritu Sancto, 30, 76. 77 (PG 32, 2i2s). - Cfr. per questo l'allegoria della nave che da parte ariana viene opposta ai cattolici: Opus imperfectum in Matthaeum, Homilia 23 (PG 56, 755 BC). m Homilia in illud Vidi Dominum, 3 (PG 59, 1 1 4 D ) . 1,9 GERMANO, Sermo in crucem vivificam, 3 (PG 98, 240 D ) . 200 PS.-AGOSTINO, Sermo 72, 2 (PL 39, 1885 A-D). 201 AGOSTINO (?), Sermo 356, 5 (PL 39, 1649 A). 202 Inno sui pedagoghi, v. 25 (GCS CLEMENTE I, p. 292). 203 Paidagogos, 1, 7, 54 (GCS I, p. 122, 1. 12-14). - Per l'idea ascetica del « naufragio » dell'anima cfr. Paidagogos, 2, 2, 22 (GCS I, p. 169, 1. 21) e 3, 7, 37 (p. 258,1. 4s). - il « demone marino Proteo » è il simbolo della passione: Paidagogos 3, 1, 2 (GCS I, p. 236, 1. 8-10).
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dei peccati » 204 al mare calmo del santo Pneuma. Proprio così anche ORIGENE: per lui il mare è simbolo del piacere sensuale : « Profundum et liquidum elementum est amara et fluxa praesentium. rerum, voluptas » 205 . E se pertanto, secondo l'antica tradizione, il mare è « amaro e incostante », METODIO ci dà l'altro lato del timone greco-cristianizzato dinanzi al « terribile » mare : « Quella temibile e insopportabile acqua del mare spirituale non affonda i corpi, ma le anime di coloro, che non hanno il Logos per pilota » 206. Le prove potrebbero moltiplicarsi, ma esse direbbero sempre la stessa cosa: l'amaro e tenebroso mare è simbolo delle tentazioni diaboliche, il peccato è naufragio 207 dell'anima, è amaritudo aeterna come conseguenza dell'aver gioito della dulcedo temporalis208. La « vita mondana », nel senso profondamente teologico che gli ha dato soprattutto AGOSTINO, è paragonabile all'abisso amaro e tenebroso del mare : « Vita saecularis *>* Paidagogos, 3, 12, 101 (GCS I, p. 291, 1. 5). 205 Homiliae in Exodum, 6, 3 (GCS ORIGENE VI, p. 195,1. 12-14). TERTULLIANO, De baptismo, 12 (CSEL 20/ p. 212, 1. 3s). - CIPRIANO,
De patientia, 16 (CSEL 3, 1, p. 409, 1. 9-11). "' De sanguisuga, 4 (GCS METODIO, p. 481, 1. 18-21). !07 Qui ancora alcune testimonianze per questa immagine del « naufragio », che, come dimostreremo più tardi, divenne poi importante per la dottrina dommatica della penitenza come « secunda tabula in naufragio»: AMBROGIO, Explan. in Psalmum 36, 28 (CSEL 64, p. 94,1. 6s) : « Virtutis naufragium ». - PAOLINO, Epistola 16,7 (CSEL 29, p. 122, 1. 2) : « Naufragium salutis ». - Epistola 1,9: CSEL 29, p. 7, 1. 25, e Carmen 24, 82 (CSEL 30, p. 209): « Naufragium in fide». CESARIO, Sermo 66, 1 (MORIN I, p. 270, 1. 17) : « Naufragium castitatis ». - GREGORIO MAGNO. - Regula pastoralis, 4 (PL 77, 128 A) : « Naufragium vitae ». aos Enarrai, in Psalmum 101, sermo 2, 2 (PL 37, 1306 A). - GREGORIO MAGNO, Regula pastoralis, 1, 2 (PL 77, 16 B): «Per profundum maris extrema damnatio designatur ».
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
quaecumque est in profundo malorum, secretimi unde erumpit omnis haec amarissima impietas » 209 . A modo di conclusione presentiamo la traduzione di un canto cristiano greco della fine dell'era patristica, che è conservato nelTAnthologia graeca 2 1 °: Il cattivo nemico eccita in noi il flutto minaccioso del piacere sensuale, il mare ne flagella nel fragore della tempesta, e la navicella del nostro spirito si capovolgerà per il peso dell'acqua, affonderà nel vortice delle onde. Ο Cristo, tu mio riposo, comanda al vento e alle onde, conducimi tu al porto sicuro e fa affondare il mio nemico! Ora noi conosciamo bene il mare amaro e demo niaco, dalle cui profondità la Chiesa pesca i suoi molteplici e bei pesci, essendo essa la barca di Pietro m. Ora conosciamo il mare, sui cui flutti la buona barca della Chiesa veleggia verso il porto del riposo e corre 208
Annot. in Job (PL 34, 874 AB). Anthologia Graeca, 1, 118 (BECKBY I, p. 158). 211 ORIGENE, Homiliae in Ieremiam prophetam, 18, 5 (GCS ORIGENE III, p. 156,1. 21-23): σαγήνην άεΐ βάλλεσ&οα επί την θάλασσαν τοϋ βίου τούτου και συνάγονται 1χ·9·ύες παντόδαποι. - GERO LAMO, Epistola 71, ι (CSEL 55» Ρ· 2 · ί· 2-6): «Te quoque quasi pulcherrimam auratam traxit ad litus. reliquisti amaros fluctus, salsos gurgites, et Leviathan regnantem in aquis ... contempsisti ». - M E 210
TODIO, De sanguisuga, 5 (GCS METODIO, p. 483, 1. 5s): i discepoli
di Cristo pescano gli uomini dalla profondità dell'errore. - PAOLINO, Epistola 20, 6: (CSEL 29, p. 147, 1. 23-25): « Quia tu misisti hamum ad me profundis et amaris huius saeculi fluctibus extrahendum ». GREGORIO MAGNO, Homilia 11, 4 (PL 76, ρ. 1116Β): «Per Ecclesiam quisque ad aeternum regnum a praesentis saeculi fluctibus trahitur, ne aeternae mortis profunda mergatur ».
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vittoriosa, poiché è costruita con il legno della croce, poiché porta con sé eretta, come albero, la croce, su cui si è compiuta la vittoria sul « dio di questo mondo », il Signore del mare. In ulteriore studio ci resta da mostrare pertanto in che senso la Chiesa sia « nave di legno », l'arca in mezzo al diluvio universale, la barchetta di Pietro. AMBROGIO, l'erede dell'allegorismo alessandrino e il trasmettitore di queste ricchezze al medioevo, conclude così questa esposizione della simbolica del mare : « Nec enim vilis est navis, quae ducitur in altum, hoc est ab incredulis separatur. Cur enim navis eligitur in qua Christus sedeat, turba doceatur, nisi quia navis Ecclesia est, quae pieno dominicae crucis velo Sancii Spiritus flatu in hoc bene navigat mundo» 2 1 2 ?
212
De virgimiate, 18, 188 (PL i6, 297 B).
3·
LA NAVE DI LEGNO
In hoc bene navigai mundo. In queste parole AMBROGIO * riassumeva l'essenza e il destino della Chiesa, e in esse parla tutta la fierezza di un cristiano romano, che paragona la sua Chiesa alle buone navi del periodo imperiale di pace, le quali da Alessandria, Costantinopoli e Cartagine andavano verso il Portus Romanus: « No, non è spregevole la nave della Chiesa, che naviga in alto mare, con le vele all'albero della croce, che si gonfiano al vento dello Spirito Santo » ! Un mezzo secolo dopo, in piena migrazione di popoli, « quando popoli rudi e feroci si misero in marcia e tutta la terra era un relitto » 2, il medesimo amore per la Chiesa trovò tuttavia identiche parole di speranza invitta. In una predica, PIETRO CRISOLOGO volge uno sguardo retrospettivo ai primi quattro secoli della storia della Chiesa : « Non appena Cristo era salito sulla nave della sua Chiesa, per poter da allora in poi attraversare il mare del mondo, le tempeste dei po1
De virginitate, 18, 118 (PL 16, 297 B).
1
PIETRO CRISOLOGO, Sermo 20 (PL 52, 256 A).
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
poli pagani si scatenarono, il turbine dei giudei, gli uragani dei persecutori, le nuvole tempestose della plebe, la nebbia dei demoni, si levarono, e tutto ciò con tale violenza, che tutto il mondo fu un solo temporale. Le onde dei re spumeggiarono, sibilarono i flutti dei poteri, risuonò il grido rabbioso degli schiavi, il vortice dei popoli fece mulinello, gli scogli dell'incredulità emersero dalla profondità, mugghiarono le rive della cristianità, i rottami della nave dei ' traditori ' vagarono confusamente d'ogni intorno. Tutto il mondo era un solo pericolo e un solo naufragio ... la navicella di Cristo ora è lanciata alta verso il cielo, ora è gettata nel terribile abisso; ora si fa guidare dalla forza di Cristo, ora si fa spingere dall'angoscia e dalla paura; ora è coperta dai flutti del dolore, ora si libra alta come sulle ali della conoscenza della fede. Noi però, ο fratelli, gridiamo continuamente: Signore, aiutaci, affondiamo » 3 ! 4 Tunditur, non mergitur . « Essa è sconvolta, ma non affonda » : qui è contenuta la legge fondamentale della Chiesa, rivestita della simbolica navale. Cercheremo di renderci conto di questa teologia riandando lo sviluppo della simbolica patristica della Nave della Chiesa. La Chiesa è continuamente in pericolo, eppure è l'unico luogo della sicurezza. Essa si trova continuamente nella tempesta e, come una nave provata in mille modi, viene sollevata in alto, spinta verso il 3
Senno 20 (PL 52, 2 5 4 B - 2 5 6 A ) . PIETRO CKISOLOGO, Sermo 21 (PL 52, 258 A). - Lo stesso pensiero è espresso da IPPOLITO, De antichristo, 59 (GCS IPPOLITO I, 2, p. 39, 1. I3s): χ ε ι μ ά ζ ε τ ο α μ ε ν ά λ λ ' ο ύ κ ά π ό λ λ υ τ α ι . - AGOSTINO, Ser mo 13, 2 Wilmart ( M O R I N , Sermones post Maurinos reperti, p . 713, 1. 6) : « P r e m i potest, mergi non potest ». 4
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precipizio, spesso mezza distrutta, e ciò che vi è di marcio in essa (per parlare con Gregorio Magno) 5, viene espulso accuratamente; eppure essa continua il viaggio nel fiero sentimento del sicuro approdo nel porto della pace. L'ecclesiologia simbolica dei Padri ripone continuamente il fondamento ultimo di questa dottrina nei due pensieri attinti dal semplice paragone con il mondo nautico: sulla prua della nave della Chiesa siede Cristo come pilota, mentre la nave è costruita con il legno della croce, ossia con l'esiguo elemento, che solo può sfidare tutte le tempeste. L'autore delle Omelie di Macario lo ha espresso così: «Già nel mondo delle cose visibili nessuno può con la propria forza solcare e scavalcare il mare. Per questo egli deve avere il leggiero, lo snello veicolo, che è costruito con legno, e proprio per questo soltanto può stare sull'acqua. Così è impossibile ad un'anima galleggiare sul mare amaro del peccato e sul pericoloso abisso delle cattive potenze delle passioni tenebrose ... E come una nave ha bisogno, inoltre, di un buon pilota per poter fare un viaggio felice, ... così non è possibile attraversare felicemente il mare cattivo delle potenze tenebrose senza il pilota celeste Cristo » 6 . Dietro la sorprendente ricca simbolica dei Padri della Chiesa c'è dunque sempre l'atteggiamento teologico fondamentale: la Chiesa è la «nave buona» proprio perché è guidata da Dio e perché rappresenta la continuazione della vittoria ottenuta da Cristo sul legno della Croce 6 Epistola i, 4 (PL 77, 447): « Vetustam navim vehementerque confractam indignus ergo infirmusque suscepi - undique enim fluctus mtrant et quotidiana ac valida tempestate quassatae putridae naufragium tabulae sonant ». « Homilia 44, 6 (PG 34, 781 D); 44, 7 (784 B).
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
contro ogni forza nemica di Dio. Lo Ps.-Ambrogio ha annunciato questo mistero trinitario della Chiesa in una predica ai suoi fedeli, e con queste sue parole noi saliamo ora sulla « nave della Chiesa », che è sul punto di intraprendere il viaggio meravigliosamente pericoloso sul « mare del mondo » : « Navem adaeque Ecclesiam debemus accipere in salo mundi istius constitutam... quae etsi undarum fluctibus aut procellis saepe vexatur, tamen nunquam potest sustinere naufragium, quia in arbore, id est in cruce, Christus erigitur, in puppi Pater residet gubernator, proram Paracletus servat Spiritus » 7. Qui sorge subito il problema dell'origine e del costituirsi della simbolica antica cristiana della « nave della Chiesa ». Mentre rimandiamo il fondamento biblico, che certamente fu il determinante e il primo ad esser preso in considerazione, ai capitoli sulla Chiesa come arca di Noe 8 e come barca di Pietro 9, spostiamo qui la questione in primo piano sulla parte dell'allegoria antica, che deve essere spiegata con la cultura della nautica. Cercheremo di articolare il ricco materiale in tre punti sempre attenti a che la chiarezza della linea non scompaia dietro la massa di documenti: I. La simbolica della « nave della Chiesa », come si presenta nei grandi cataloghi navali della teologia patristica. II. L'antica simbologia navale e il suo influsso nell'allegoria cristiana. III. Il mistero teologico fondamentale della simbolica cristiana della nave della Chiesa: la sua incertezza della salvezza e la sua sicurezza della ' Sermo 46, 4 (PL 17, 697 AB). 8 Cfr. più avanti, a p. 865-938. a Cfr. più sotto, a p. 809-863.
LA NAVE DI LEGNO
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salvezza consiste nel fatto che essa è una nave di legno, costruita con il legno della croce. i . I L C A T A L O G O N A V A L E DELLA T E O L O G I A P A T R I S T I C A
È importante per la comprensione di tutto ciò che segue occuparci in primo luogo un pò di nautica antica e paleocristiana 10. Dobbiamo familiarizzarci con la conoscenza che l'uomo antico aveva della costruzione navale, della denominazione delle parti di una nave, delle cose necessarie per un felice viaggio u . 10 Per la bibliografìa riguardante la simbolica cristiana della nave cfr. sopra, a p. 397, nota 1; e più sotto, a p. 865, nota 1. 11 Per l'archeologia navale dell'ANTiCHiTÀ abbiamo impiegato le seguenti opere: A. B O E C K H , Urkunden iiber das Seewesen dei attischen Staates, Berlino 1840 (ν. 3 0 della Athenischen Staatshaushaitung). -
A. KOSTER, Das antike Seewesen, Berlino 1923. - IDEM, Studien zur
Geschichte des antiken Seewesen, in Kìio, Beitrage zur alten Geschichte, fascicolo 32, quaderno 19, Lipsia 1934. - J. KROMEYER e G. V E I T H , Heerwesen una Kriegsfuhrung der Griechen uni Rómer (Handbuch der Altertumswissenschaft, v. 4, 3, 2), Monaco 1928. - F. R U H L M A N N , Beitrage zur Geschichte, Kultur, Technik und Schiffahrt, Lipsia 1891. A. NEUBURGER, Die Technik des Altertums, Lipsia 1919. - FR. M O L L , Der Schiffbauer in der bildenden Kunst, Berlino 1930 (= Deutsches Museum, Abhandlungen und Berichte, v. 2, p. 153-177). - H. BALMER, Die Romfahrt des Apostels Paulus und die Seejahrtskunde in romischen Kaiserzeitalter, Berna-Miinchenbuchsee 1905. - P. GAUCKLER, Un catalogue figure de la batellerie grécoromaine. La mosaìque d'Althiburus, in Monumenti et Mémoires Piot 12 (1905) p. 113-54. - C H . D A R E M BERG e E. SAGLIO, Dictionnaire des Antiquités, Parigi 1904, v. 4, parte 1 col. 24-40. - A. BAUMEISTER, Denkmàler des klassischen Altertums, Monaco-Lipsia 1888, v. 3, p. 1593-1639. - FR. M I L T N E R , Seewesen, in R E , Suppl. V (1931), col. 906-962. Anche qui ampia bibliografia per l'archeologia generale della nautica. - FR. MILTNER, Nautai, in RE XVI, 2 (1935) col. 2029-2033. - E. ASSMANN, Segei, in RE II A, 1 (1921) p. 1049-1054. - U n o sguardo vivente nella tecnica dell'antica marineria era offerto dai due modelli di una nave da guerra e di una nave mercantile romane ricostruite sulla base di studi archeologici,
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
L'uomo dell'antichità marinara considerava le sue navi non soltanto con gli occhi del mercante calcolatore, ma con quelli dell'artista, per così dire dell'innamorato. Cicerone ne ha parlato quando, affermando che ciò che è veramente utile è sempre anche bello e viceversa, non sa addurre miglior esempio al riguardo, che quello di una buona nave, di cui egli enumera le singole parti con una certa abbondanza : « Quid tam in navigio necessarium quam latera, quam cavernae, quam prora, quam puppis, quam antennae, quam vela, quam mali? Quae tamen hanc habent in specie venustatem, ut non solum salutis sed etiam voluptatis causa inventa esse videantur » 12. Nello stesso spirito, i Padri della Chiesa hanno contemplato le navi sul mare che essi chiamavano « mare nostro » in un senso molto più profondo che non l'impero romano. Perciò noi presentiamo subito qui, separati dal circostante contesto del brano dottrinale ο oratorio, i cataloghi con cui essi spiegano la simbolica delle singole parti della nave. Apparirà più in là che essi lo fanno astraendo completamente dai pensieri teologici che debbono essere chiariti con tale simbolica, spinti solo da un'antica tradizione retorica. Ma il semplice fatto che essi lo facciano, mostra già quanto sia stata viva la rappresentazione della Chiesa come nave sin dai primissimi tempi. IPPOLITO DI ROMA è il primo che ci scompone la simbolica, in se stessa molto più antica, della nave e che erano visibili alla MOSTRA AUGUSTE* in Roma: riproduzioni nel Catalogo, Mostra Augustea della Romanità, Roma 1937, 4 ed., tav. 51, 52, 53. 12
CICERONI, De oratore, 3, 46, § 180.
LA NAVE DI LEGNO
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della Chiesa in singole immagini nautiche chiaramente distinte tra di l o r o 1 3 . 1 3
IPPOLITO, De Anticristo, 59 (GCS IPPOLITO, I , 2, ρ. 39, l. 12 -
p. 40, 1. 9). - La prima e migliore esposizione di questo testo in FR. J. DÓLGER, Sol Saluiis, Miinster 1925, 2 ed., p. 277S, che tuttavia in seguito dovrà essere completata e in parte corretta. - Cfr. A. H A M E L , Kirche bei Hippolyt vonRom, Giitersloh 1951, p. 57s; p. 199S. - Per una provvisoria comprensione dei principali concetti della nautica simbolica diamo qui le designazioni greche del catalogo di Ippolito: κ υ β ε ρ ν ή τ η ς = timoniere. Sul suo posto cfr. PLATONE, Rep. 6, (488 E ) ; PLUTARCO, Praec. ger. reipub., 13 (807 B ) ; R E XVI, 2, col. 2 0 3 1 , 1. 29SS.
π ρ φ ρ α e π ρ ύ μ ν α = prua (parte anteriore) e poppa (parte poste riore) della nave, in latino prora e puppis. A poppa era il posto del timoniere, dove egli accudiva al suo servizio e dava i suoi ordini con la m a n o levata. Cfr. per questo la rappresentazione di Cristo come timoniere sul n o t o frammento di sarcofago di Spoleto in Firenze (Sol Salutis, p. 282S). ο ϊ α ξ , in latino clavus — sbarra del timone, con cui il timoniere manovra i timoni per lo più accoppiati = π η δ ά λ ι α , gubernacula. Cfr. RE Suppl. V, col. 941, 1. 63SS. Di qui spesso anche = semplice mente timoni. ν α ϋ τ α ι , nautae = marinai. Sotto questo n o m e debbono compren dersi, in opposizione agli έρέτοα, remiges, gli uomini di equipaggio, a cui è affidata la cura delle vele. σ χ ο ι ν ί α , funes = qui certamente le cosiddette ύ π ό ζ ω μ α , la legatura della nave con forti cinghie. Cfr. RE Suppl. IV (1924) col. 776-782 ( R . HARTMANN). C o n σ χ ο ϊ ν ο ς ο κ ά λ ο ς , funis viene designato anche, come mostre remo più tardi nella simbolica, le gomene che tengono fermo l'albero ο l'antenna, in particolare il cavo dell'ancora, oppure il cavo di guida della nave di salvataggio (cfr. At 27,32). Per la legatura del corpo della nave cfr. At 27,17. α ν τ λ ί α = sentina, l'acqua che si raccoglie nel locale più basso della nave. - Q u i però può essere significato soltanto il contenitore di acqua dolce portato nel ventre della nave, Γύδροθ-ήκη che si t r o vava nelT ί ί ν τ λ ο ς ; ciò contro RE Suppl. V, col. 920, 1. 24ss. Altrimenti la simbolica dell'acqua battesimale non avrebbe alcun senso. ο θ ό ν η = vela, oppure anche Ιστίον ο ι σ τ ί α , in latino oltre che velum anche carbasus ο Unum. Nell'antichità la vela era generalmente bianca, per questo da Ippolito viene detta « biancolucente »: cfr. RE II A 1, col. 1054, 1. 27SS.
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
Mondo Chiesa Cristo Trofeo della croce Oriente e Occidente della direzione del viaggio celeste I due timoni I due Testamenti La gomena L'amore di Cristo II contenitore d'acqua dolce •• II Battesimo La bianca vela Lo Spirito Santo La legge di Cristo L'ancora di ferro Gli angeli custodi I rematori Gli Ordini dei Profeti, La vela superiore deldei martiri e degli apol'albero maestro stoli, che riposano in cielo La scala che porta La croce come segno della forza della passioall'antenna ne di Cristo
Mare Nave L'esperto pilota Albero Prua e poppa
Sappiamo che Ippolito, nella sua esegesi e nella sua retorica, amava una siffatta minuziosa spiegazione di un'immagine presentata dalla Bibbia e dalla Tradizione (una contrimmagine di tale simbolica navale, spinta sino ai dettagli particolari è, per portare soltanto χ λίμα ξ = scaletta della nave per salire a bordo, poi rimpiazzata dalla αποβάθρα = passerella; climax tuttavia è certamente anche la scala di corde che porta in cima all'albero e all'antenna. Ciò che dice a questo proposito FR. J. DOLGER, Sol Salutis, 1925, 2 ed., p. 277, nota 3; p. 278, nota 1, viene confermato figuratamente con le immagini di navi del mosaico di Altiburo. ψίφαρος = in latino siparum ο suparum = la vela di cima, che viene appesa tra l'antenna e la punta superiore dell'albero.
LA NAVE DI LEGNO
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un esempio, la sua allegoria della vigna nello scritto Sulle benedizioni di Giacobbe) 14. Nella Roma dell'inizio del terzo secolo, a cui appartengono certamente i costruttori navali delle catacombe, sembra che l'allegoria della nave della Chiesa sia stata particolarmente popolare. Ce lo mostra il secondo catalogo, che presentiamo qui: è contenuto nella Lettera di papa Clemente all'apostolo Giacomo, premessa come introduzione alle Omelie pseudoclementine, e che tuttavia fu scritta certamente a Roma dopo il 200. Proprio questo catalogo, con il suo influsso sulle Costituzioni Apostoliche e mediante la sua posteriore assunzione tra i falsi pseudoisidoriani, esercitò un certo influsso sul pensiero simbolico dei tempi posteriori. « Le cose della Chiesa in genere », così comincia il 14° capitolo della lettera, « sono paragonabili ad una grande nave che trasporta sul mare agitato dalla tempesta uomini di diversi luoghi, che vogliono tutti abitare l'unica città del Regno buono » 15. Quindi segue il catalogo delle somiglianze: Proprietario della nave Timoniere a poppa
= Dio = Cristo
14
Benedizioni di Giacobbe, 25 (TU 38, p. 38, 1. 25 - p. 39, 1. 3). Epistola Clementis ad lacobum, 14, 15 (PG 2, 49 AC; 52 A). Cfr. più avanti, p. 817 ss. - Questo catalogo contiene ancora qualche altro termine nautico, che per la simbolica è indispensabile: πρ<ρρεύς, in latino proreta = il sottotimoniere, che ha il suo posto a prua, osserva la direzione del viaggio ed è in tutto sottoposto al timoniere. Secondo SENOFONTE, Oiconomha, 8, 14, egli è il «diacono del timoniere»; secondo ARISTOTELE, Poìit., 3, 4 (1276B) è «il migliore strumento del timoniere ». τοίχαρχος = sorvegliante delle due fila di rematori. Cfr. RE XVI, 2, col. 2030, 1. 6oss. ναυστολόγος ο ναυτολόγος = il preposto all'ingaggio dei 15
marinai. Cfr. STRABONE, 8, 6, 15 (KRAMER 183, io) e ANTHOLOGIA GRAECA, 9, 415 (BECKBY 3, 258). La traduzione di DÒLGER, Sol Sa-
520
L'ECCLESIOLOGIA
Sottotimoniere a prua Marinai Sorveglianti sui rematori Arruolatori dei marinai e dei passeggieri I passeggieri L'abisso del mare I venti contrari Le tempeste da terra Banchi e scogli Fondali bassi Pirati Mal di mare Naufragio Porto ,
DEI
PADRI
= Vescovo = Presbiteri = Diaconi = = = = = = = = = = =
Catecheti La comunità dei fratelli Il mondo Le tentazioni Gli errori I persecutori Gli uomini cattivi Gli ipocriti Purificazione dai peccati I peccati La città del gran Regno
Queste spiegazioni sono presenti al compilatore delle Costituzioni Apostoliche ove egli, ampliando notevolmente la didascalia, paragona ad una nave ben ordinata la comunità radunata sotto la guida del vescovo nella chiesa 16. Da semplice simbolo consistente in un'immagine spirituale, essa è già diventata qui la «nave della chiesa » nel senso in cui noi oggi parliamo ancora di « navata ο nave della chiesa », in opposizione al lutis, 2 ed., p. 282, nota 3, con « ordinatore della nave, a cui incombe l'istruzione dei viaggiatori », n o n è appropriata. Egli doveva piuttosto regolare la paga dei marinai, sotto la guida del pentecontarca ( R E XVI, 2, col. 2032, 1. 6ss); per questo nello PS.-CLBMENTB si dice: οι ν α υ σ τ ο λ ό γ ο ι τ ο υ ς μ ι σ θ ο ύ ς ύ π ο μ ι μ ν η σ κ έ τ ω σ α ν (PG 2, 49 C ) . 18
CONSTITUTIONES
APOSTOLICAE, 2, 57, 2-4; 9-11
(FUNK I, p. 159;
1. 17; p. I Ó I , 1. 7; p. 163,1. 6-14). - A p. 163,1. 13, il diacono che esercita la sorveglianza generale del culto e mantiene l'ordine, viene chiamato anche πρ<<>ρεύς: dunque totalmente nell'antico significo del « diacono », che obbedisce al « timoniere » e al vescovo.
LA NAVE DI LEGNO
521
presbiterio, ove siedono il vescovo e il clero. La chiesa fisica è diventata qui come una nave che viaggia verso l'Oriente, proprio come in Ippolito la prua della nave della Chiesa significava l'Oriente 17 . Persino le pastoforie18 portate ai due lati dell'edificio della chiesa " De antichristo, 59 (GCS Ippolito I, 2, p. 39,1. i6s). - Cfr. FR. J. DOLGER, Sol Salutis, 2 ed., p. 278. 18 Le due « pastoforie » ai due lati della navata della chiesa sono gli spazi destinati l'uno alla conservazione dell'eucaristia (Cfr. Constitutiones Apostolicae, 8, 13, 17: ed. FUNK I, p. 518, 1. 7), l'altro per i libri liturgici e i paramenti, dunque si tratta bene del « Diakonikon » del Sinodo di Laodicea, can. 21 ( M A N S I , II, p. 567). - Cfr. A. J. B I N TBRIM, Denkwiirdigkeiten der christkatholischen Kirche, Magonza 1826, v. 2, parte 2, p. 140-143; Magonza 1827, v. 4, parte 1, p. 139S. - Ora però le Costituzioni Apostoliche (p. 159,1. 22ss) dicono che le due pastoforie si troverebbero « ai due lati della chiesa verso oriente » e perciò lo spazio longitudinale della chiesa sarebbe simile ad una nave : ó ο ί κ ο ς ί σ τ ω ε π ι μ ή κ η ς ... δ σ τ ι ς έΌικεν νηΐ. Malgrado tutti i miei sforzi n o n sono mai riuscito a localizzare i π α σ τ ο φ ό ρ ι α come parte della nave. Per la designazione del volume della chiesa quale « nave », come facciamo ancora nella nostra lingua (nave ο navata della chiesa), ha contribuito ad ogni m o d o la suaccennata spiegazione simbolica del vano della chiesa come nave. Se vi abbia contribuito anche una con fusione popolare tra ν α ϋ ς e ν α ό ς , non oserei deciderlo. Per il pre sente problema cfr. il materiale che viene dato sotto la voce navis come « parte dell'edificio della chiesa » in DUCANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Parigi 1845, v. 4, p. 611. Così pure in W. G K I M M , Deutsches Worterbuch, Lipsia 1899, v. 9, p. 58, n. 15. - C o m u n q u e è degno di nota il fatto che la designazione ν α ο φ ύ λ α ξ = guardiano del tempio (cosi in EURIPIDE, Ifigenia in Tauride, 1284; ARISTOTELE, Polii. 6, 6, 1322 B) significa egualmente anche guardiano della nave, c o m e si legge in un frammento di Sofocle: ώς ν α ο φ ύ λ α κ ε ς ν υ κ τ έ ρ ο υ ν α υ κ λ η ρ ί α ς π λ ή κ τ ρ ο ι ς ά π ε υ θ ύ ο υ σ ι ν ούρίαν τρόπον, Fragm. 143 (Tragic. Graecorum Fragmenta, ed. N A U C K , p. 163). J. SAUER, Symbolik des Kirchengebàudes und seiner Ausstattung, Friburgo 1924, 2 ed., p. 100, 393. 422 non dà alcuna spiegazione dell'origine dell'espressione « nave della chiesa ». In MASSIMO CONFESSORE incontriamo una spiegazione mistica dell'edificio ecclesiastico come « nave della chiesa ». Cfr. perciò H. U. VON BALTHASAR, Kosmische Liturgie, Einsiedeln 1962, 2 ed., p. 373-375.
522
L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
vengono spiegate come parti della nave. Il catalogo delle somiglianze si limita qui ai seguenti simboli: Pilota Marinai Sorveglianti dei rematori Passeggieri Arruolatori
= = = = =
Vescovo Presbiteri Diaconi L'assemblea dei fratelli Diaconesse.
Lo PS.-ISIDOEO si servì più a fondo dei modelli pseudoclementini nella prima lettera di papa ANACLETO da lui compilata 19 . Egli presenta quasi lo stesso catalogo della lettera di Clemente a Giacomo. Da ciò si può già giudicare, perché il medioevo, così incline al simbolismo, non poteva dimenticare totalmente questo antichissimo linguaggio patristico per immagini ; questo, infatti, era circondato dallo splendore di una tradizione quasi apostolica, e, per il diritto ecclesiastico d'Oriente e d'Occidente, era una chiara immagine adatta a rappresentare i santi Ordini della Chiesa, cominciando dal vescovo sino all'ultimo passeggiero, « il laico che con tutta tranquillità e ordine prende il suo posto » 2 0 . È così che vediamo che il gusto per cataloghi navali più ο meno esaurienti si prolunga attraverso tutta la letteratura patristica dell'Oriente e dell'Occi dente. N o i scegliamo soltanto alcuni pezzi particolar mente indicativi. In Oriente, una predica che va sot to il nome di CRISOSTOMO, dà un catalogo esplicativo del paragone della nave 21 : 19
Epistola Anacleti, i, 2 (PL 130, 6os). Constitutiones Apostolkae, 2, 57 (FUNK I, p. 161, 1. Js). - Similmente già, ma non con l'espressione « laici », nella Epistola Clemetitis, 15 (PG 2, 49 C ) . 21 Sermo in viuificam Crucem (PG 50, 817 AB). 20
r
LA NAVE DI LEGNO
Pilota a prua Pilota a poppa Nave
Legno del timone Vela Buon vento Rematori Passeggieri
523
= Il Padre celeste = Cristo = La fede nei due Testamenti esistente nella Chiesa = La santa croce = La grazia di Dio = Lo Spirito Santo = Gli apostoli e discepoli di Cristo = I profeti
In Occidente, Ambrogio soprattutto ha esaltato la Chiesa come buona nave, con una simbolica che percorre tutte le sue opere. In una predica sull'opera dei sei giorni, egli conclude le sue spiegazioni sul mare e sul suo significato con parole, da cui noi estraiamo qui le immagini conduttrici: « Successuum flamine prospero ligno currere tuto portu consistere fidei ignorare naufragia saeculi fluctus gubernator Dominus Jesus » 22. Quanto un PIETRO CRISOLOGO seppe valorizzare il tesoro di immagini della simbolica navale, ce lo hanno mostrato già le parole citate all'inizio di questo capitolo. In un discorso per l'inizio del tempo del digiuno, egli paragona queste settimane che preparano alla gioia della festa pasquale, alla navigazione della vita, usando i seguenti simboli: !!
Hexameron, 3, 5, 24 (CSEL 32, 1, p. 75, 1. 11-16).
524
L ' E C C L É S I O L O G I A D E I PADRI
« Gubernante Christo flante Spiritu in crucis arbore vela tendamus sapientiae remis virtutum funibus gubernaculis disciplinae evictis voluptatum spumis vitiorum fluctibus criminum procellis scopulis peccatorum delictorum naufragia Paschae portum gaudia resurrectionis intremus » 23 . Ciò che qui si riferisce asceticamente e liturgicamente ai singoli cristiani, è anche sorte generale della nave della Chiesa, sul cui cassero siede il buon pilota Cristo, che il Crisologo loda in una lingua che ricorda quasi i prefazi romani: « Mare, hoc est mundum, corripit tranquillat orbem reges mitigat potestates placat sedat fluctus componit populos Romanos emcit christianos » 24. A questi cataloghi, che potrebbero essere moltiplicati in molti modi, noi aggiungiamo ora due esempi, che negli studi fatti sino ad ora furono lasciati da parte. L'ingegnoso autore arianizzante dell'Opus imperfectum " Sermo 8 (PL 52, 308 B C ) . S4 Sermo 20 (PL 52, 225 A).
LA NAVE DI LEGNO
525
in Matthaeum dipinge la nave degli « eretici », ossia dei cattolici, con l'albero della croce lesionato, con le sue vele cascanti, a cui manca il soffio dello Spirito, che naviga verso il naufragio della morte eterna senza pilota. Di fronte a ciò, egli pone la vera nave di Dio, la Chiesa dei fedeli, che scivola sicura sopra il mare del mondo. Il suo catalogo dei raffronti è simile a quello di IPPOLITO: « Mare saeculum intelligitur navis est Ecclesia Filium Dei habet gubernatorem fluctus sunt peccata et tentationes venti autem spirituales nequitiae gubernaculum fides remiges sunt angeli portat navis choros omnium sanctorum erecta in medio arbore crucis vela fidei evangelicae suspendens flante Spiritu Sancto ad portum paradisi deducitur » 25. Nello stesso ordine di pensieri, papa Ormisda, in una lettera del 5 luglio 519 al patriarca Giovanni di Costantinopoli, dipinge il vescovo come il buon timoniere della sua Chiesa. Il vescovo è posto da Cristo come « rector navis ». Egli deve fare attenzione ai venti contrari, agli « spiritus diabolicae contumaciae ». La sua preoccupazione per la Chiesa consiste nel tener in mano il timone, il « clavus dominicae ratis », ed è così che egli deve guidare la nave sino alla pace del porto promesso, « ad promissi portus tranquilla » 26. u
Opus imperfeclum in Matthaeum, Homilia 23 (PG 56, 755). '« Collectio Avellana, 169 (CSEL 35, p. 625, 1. 21 - p. 626, 1. 3).
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
Con questi esempi 2 7 preliminari abbiamo chiarito in ogni caso quanto sia stata pensata e amata la simbolica della nave della Chiesa in tutta la teologia patristica. A queste fonti attinse il medioevo. Ciò che noi leggiamo in un REMIGIO DI AUXERRE 28 ο nelle alle 2 9
gorie di ALANO DI LILLA e ancora nelle « prediche navali » d i BERNARDINO DA SIENA 3 0 addirittura sovrac
cariche di terminologia nautica, è una eco degli scritti dei Padri della Chiesa. Certamente la facilità con cui vennero accettate queste immagini dipende dal fatto che la tecnica navale dell'antichità, considerata nel suo insieme, restò la stessa sino al tardo medioevo. Ma proprio ciò ci impone il dovere di conoscere questa nautica, se vogliamo conoscere la ricchezza delle concezioni teologiche che si nasconde sotto il manto dell'antica simbolica cristiana. N o n era infatti soltanto lo spettacolo quotidiano delle grandi navi nei porti delle loro città, che spingeva gli antichi cristiani al continuo paragone con la nave della loro Chiesa. Sin dai tempi antichissimi, nelle scuole dei retori, presso i poeti e nel linguaggio dei politici, si era formata una simbolica nautica, i cui paragoni spesso già molto consunti, le cui locuzioni, dal tragico coturno dei drammatici sino 27
Per altri cataloghi cfr. ad esempio AMBROGIO, Explanationes
iti Psalmum 47, 13 (CSEL 64, p . 355, 1. 8-16); PAOLINO DA N O L A ,
Epistola 23, 30 (CSEL 29, p. 186,1. 9- p. 187,1. 25) ; CESARIO D'ARLES, Sermo 136, 6 ( M O R I N I, p. 538, 1. 26 - p. 539, 1. 8). - J. DANIÉLOU,
Les Symboles chrétiens primitifi, Parigi 1961, p. 68 richiama l'attenzione sul fatto che anche EPIFANIO, Panarion, 61, 3-4 (PG 41, 1041S), presenta un catalogo completo dei simboli nautici. sa Homilia 9 (PL 131, 914 D - 916 B). Remigio attinge qui, parola per parola, da R A B A N O M A U R O (PL 107, 863 C D ) . 29 30
3
Liber in distinctionibus dictionum theologicarum (PL 210, 8505., 872). Sermones, 33-37 per la quaresima (Opera omnia, Venezia 1745,
p. 105SS).
LA NAVE DI LEGNO
527
al proverbio popolare, si presentavano in immagini sempre nuove prese dal mondo della navigazione. Tutto ciò è assunto ora dalla predicazione e dalla teologia cristiane, per essere applicato all'amata nave della Chiesa. 2. L'ANTICA SIMBOLICA DELLA NAVE
Lo sguardo dato al catalogo navale della teologia patristica ci ha già mostrato che questo sviluppo del simbolo non può in alcun modo essere spiegato solo a partire dai modelli biblici della Chiesa, l'arca di Noe e la barca di Pietro. Qui vige piuttosto una legge, che noi possiamo osservare continuamente nella teologia simbolica: le semplici immagini bibliche, come quelle della vite, della perla, della veste nuziale, dell'acqua viva, della luna, portano in sé una forza embrionale che poi viene posta in atto attraverso il contatto con il mondo saturo d'immagini della tarda antichità greca, e che dispiega una tale ricchezza, che bisognerebbe scrivere tutta una storia per ciascuna di queste immagini. Lo stesso si dica ora anche della nave della Chiesa. La piccola barca del pescatore di Galilea diventa una grande nave rulleggiante. Questa tendenza a svilupparsi è osservabile del resto anche nell'ambiente estracristiano della simbolica. Un parallelo alla storia della nostra immagine si trova in qualche modo nella maniera in cui la barchetta di Caronte, il quale nella rappresentatività originaria del simbolo trasporta le anime sull'Acheronte remando faticosamente, è diventata in LUCIANO una nave statale. Nel Cataplus, Caronte descrive il suo mezzo di trasporto allo psicopompo Mercurio, che gli ha portato più di trecento anime in una
528
L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
sola volta : « La mia nave è apparecchiata nel miglior m o d o per la traversata. L'acqua della chiglia è stata svuotata, l'albero rizzato, la vela spiegata, i remi sono appesi alle correggie. Nulla impedisce di ritirare l'ancora e di salpare» 3 1 . E un'altra volta, Luciano presenta Caronte che dipinge i pericoli di questo viaggio marino sull'Acheronte con tutte le sue tempeste e con l'angoscia degli inquieti passeggieri 32 . Tutto ciò aveva certamente un'intenzione spiritosa in Luciano ed ha certamente fatto questa stessa impressione all'antico lettore. Ma ciò indica tuttavia che la forza immaginativa del simbolo tende sempre a passare dal semplice al ricco, e che era dunque possibile che l'allegoria cristiana dell'arca e del piccolo peschereccio potesse diventare quella nave della Chiesa, che ci ha descritto Ippolito. Sono state dunque l'osservazione della tecnica navale e l'antica tradizione retorica a spingere verso questa evoluzione. Pertanto, noi dobbiamo esporre in primo luogo la ricchezza di questa simbolica navale ellenistica, a partire dalla quale diventa comprensibile lo sviluppo cristiano di questa immagine. Qui è importante rifarci ancora una volta al fondamento spirituale originario, da cui deriva l'allegoria della nave come comunità di destino per la vita e per la morte. Quindi presentiamo i tre gruppi principali della simbolica navale, che furono escogitati dagli antichi e che ebbero importanza per la formazione della simbolica ecclesiale. La forma originaria della simbolica navale, da cui possiamo comprendere perché il navigatore della cul31 32
LUCIANO, Cataplus sive Tyrannus, ι ( R E I T Z , p . 620). LUCIANO, Charon sive Contemplante;, 3 ( R E I T Z , p . 493s).
LA NAVE DI LEGNO
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tura mediterranea si rivolga continuamente alle immagini prese dalla navigazione, è quell'atteggiamento che si compone di terrore e di audacia e che si può benissimo designare con i termini del καλός κίνδυνος 3 3 , del « pericolo di morte meravigliosamente audace ». Che l'uomo abbia cominciato a pensare di traversare il mare cattivo su un legno scavato, è cosa talmente inconcepibile per l'uomo antico, che egli vede le origini della navigazione in eventi mitici, ripieni di terrore divino. La storia degli argonauti 34 e il mistero di Iside 35 ripongono l'inizio della navigazione umana in un passato oscuro, vicino agli dei. E l'antico navigatore vede la prima nave degli audaci mortali, la nave Argo, brillare come una costellazione nel cielo notturno 36. La navigazione è divenuta per così dire un peccato originale, poiché nell'« età aurea » della perduta felicità umana ancora non si viaggiava per mare. In quei tempi, come dice ANTIFILO in un bello epigramma, si vedeva « il mare ancora lontano come un Ade » : ed è per questo che egli chiama la prima 37 nave anche Τόλμα, « l'Audace » . Ma l'uomo non 33
Cfr. sopra, a p. 420, nota 77. M A N I L I O , Astronomica, 5, 32-56. - R E II, 1 (1895) col. 743-787: Argonautai. - RE II, 1 ,col. 721-723 : Argo. 54
3 5
IGINO, Fabulae, 277. - Anthologia latina, 743 ( R I E S E II, p. 215). -
FULGENZIO AFRICANO, Mythologicon, 25. - CASSIODORO,
Var.,
5,
17
(PL 69, 6 5 7 C ) . - W . H. ROSCHER, Lexikon der griechischen unii ròmischen Mythologie, 1890-1897, v. 2, p. 474-490. 38 ARATO, Phainomena, 341-351. - A V I E N O , Aratus, 756-768. IGINO, Fabulae, 14. - Cfr. le costellazioni carolingie nelle mappe celesti ancora ispirate allo spirito antico: A. GOLDSCHMIDT, Die deutsche Buchmalerei, v. I, Die karolingische Buchmalerei, Firenze-Monaco 1928, p. 19, tavv. 14 e 80. 37 ANTIFILO DI BISANZIO, Epigramma 23 (= Anthologia graeca, 9, 29, BECKBY, v. 3, p. 28). Cfr. K. MULLER, Die Epigramme des Anti-
530
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
può più liberarsi da questo audace peccato. « Cattivo è il mare, e la navigazione è una cosa audace e temeraria », dice ALCIFRONE nelle sue lettere pescatone, e chi va per nave, è un « vicino della morte » 38. Ma il guadagno è importante, le terre straniere attirano, ed è dolce entrare nel porto con il cassero ornato di fiori. Nelle sentenze del « silenzioso » ateniese SECONDO, che ebbero un così grande influsso sino al medioevo, viene riecheggiato questo sentimento nelle risposte alla domanda «Cos'è un navigatore?»: «Egli è su questa terra soltanto un ospite, un disertore della terraferma, un combattente contro le tempeste, un gladiatore del mare. Egli è continuamente incerto di salvarsi, è un vicino della morte, ma anche un ardente amante del flutto marino: θανάτου γείτων, θαλάσσης εραστής 3 9 . Ciò si trasferisce alla stessa nave : questa è « una casa senza fondamento, un qualcosa di galleggiante un sepolcro sempre aperto, una morte navigante » 40 . E tuttavia : quando l'uomo antico vede la solida nave con le vele gonfie, egli non conosce alcun simbolo più bello di tutte le speranze. Le νηες ούριο δρομοΰσαι sono, per philos von Bysanz, Berlino 1935 (= Neue deutsche Forschungen, Sezione Klassische Philologie, 2), p. 6os. Antifilo ha una grande predilezione per epigrammi desunti dalla simbolica nautica; cfr. le esposizioni di MULLER, p. I I S . 38 ALCIFRONE, Epistolae piscatoriae, 1, 3 (SCHEPERS, p. 4s). Così a p. 5, 1. i o : φ ε ύ γ ω μ ε ν τ η ν π ρ ο ς -9-άνατον γ ε ι τ ν ί α σ ι ν . - Cfr. per ciò il frammento delle elegie di SOLONE, I, 43-46: « N o n pensando all'anima, né alla vita », è il pericoloso viaggio intrapreso soltanto per brama di guadagno (Anthologia Lyrìca Grana, Lipsia 1936, v. 1, Sez. 1, p . 26). 39 SECONDO, Sententiae, 18 (MULLACH, Fragm. Phil. Graec, v. 1, P· 515)· - Cfr. J. B A C H M A N N , Das Leben una die Sentenze» des Philosophen Secundus des Schweigsamen, Halle 1887. 40 Sententiae, 17 (MULLACH I, p. 514).
LA NAVE DI LEGNO
531
la simbolica dei sogni di ARTEMIDORO 41 , segni premonitori di felicità terrestre, come pure, per CLE42 MENTE ALESSANDRINO , immagini della speranza cristiana. Artemidoro ci dà, in un altro passaggio, tutto un catalogo di simboli navali: viaggio liscio significa il bene; tempesta significa pericolo; ancora e porto predicono riposo; l'albero significa il signore; il naufragio preannuncia la morte 4 3 . Così nell'antica simbolica navale si mescolano continuamente terrore e audacia. « Chi va per mare, è ipocondriaco ο povero ο vorrebbe morire», dice ΓAntologium di STOBEO 4 4 ;
« miserabile è la vita sul mare » ; e (da un frammento di EURIPIDE): «beato colui che dopo un viaggio fortunato è tornato a casa ed ha portato a terra il carico della nave ; eppure egli va di nuovo per mare ! ». Navigare è un giuocare con l'orribile Tyche, e « l'abete scavato » non salva l'uomo, quando il destino non vuole, dice DIONE CRISOSTOMO nei suoi discorsi sul destino 45 . La tomba del naufrago Peto serve di monito a tutti i navigatori che la vedono : « Et quotiens Paeti transibit nauta sepulchrum, dicat: et audaci tu timor esse potes » 46 . Ma questo non è che un lato della simbolica. L'uomo antico, nonostante ogni timore, loda l'audacia del navigatore; questa è per lui un segno della presenza della divinità nell'uomo. Fu POSEIDONIO che 41
ARTEMIDORO, Oneirokritika, 2, 68
(HERCHER, p.
159, 1. 25 -
p. ióo, 1. 1). 42 CLEMENTE, Paidagogos, 3, 11, 59 (GCS I, p. 270, 1. 7. - Cfr. sopra, a p. 411, nota 39). 43 ARTEMIDORO, Oneirokritika, 2, 23 (HERCHER, p. 115-117). 44 STOBEO, Anthologium, 4, 17 (HENSE, p. 400-405). 45
D I O N E CRISOSTOMO, Oratio 64, D e fato, 2, i o (DE B U D E , V. 2,
p. 190, 1. 23S). 4 · PROPERZIO, Elegia 3, 7, 27S.
532
L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
espresse spesso questo pensiero nella sua dottrina sull'uomo così pregna di religiosità : noi ne sentiamo ancora l'eco in NEMESIO 47 : « Chi può mai esprimere a parole l'alta dignità dell'uomo? Egli cammina sul mare, penetra nel cielo con il suo pensiero, osserva il movimento delle costellazioni » ! La stessa cosa esprime, attingendo in vero da Poseidonio, anche CICERON E 4 8 . Per questo l'uomo antico ha dato ai suoi bravi battelli preferibilmente dei nomi superbi, come Audacia, Speranza, Gioia : se noi percorriamo i nomi di navi raccolti da A. BOECKH dalle fonti ateniesi, rileviamo come tutto ciò sia una specie di anticipazione di quanto i cristiani diranno un giorno della nave della loro Chiesa: Salvezza, Grazia, Faro, Beata, Vittoriosa, Vergine, Colomba, Salvatrice, Previdenza, Aiuto e Pace, sono i nomi delle navi greche 49 . La nave è pensata sempre al femminile ; in Aristofane50 viene chiamata « Vergine » e ne dà una lunga spiegazione; poiché, egli dice, il navigatore greco è dedito alla sua nave come ad una persona amata. L'antichissima sacra nave di Teseo, con cui ogni anno si festeggiava la Teoria di Delos, e le cui assi fradicie venivano accuratamente sostituite, diventa per PLUTARCO il simbolo eloquente dell'organismo umano, che si rinnova continuamente con freschezza giovanile51. L'opposto 47 NEMESIO, De natura hominis, i, 75 (PG 40, 533 A), Cfr. W. JAEGER, Nemesios von Emesa, Berlino 1914, p. 134. 48 CICERONE, De natura deorum, 2, 6o, § 152; 61, § 153. 41 A. BOECKH, Urkunden iiber das Seewesen des attischen Staates, 1840, p. 84-93. 50 ARISTOFANE, Equites, 1300-1315. 51 PLUTARCO, An seni sit republ. ger., 6 (768 F; 187 A). - Teseo, 23. Su altre navi sacre della pietà ateniese cfr. A. Boeckh, Urkunden, p. 76-78.
LA NAVE DI LEGNO
533
di ciò viene espresso nell'epigramma di MELEAGRO, che presenta gli amanti che invecchiano come « vecchie fregate » e paragona le singole membra del loro corpo divenuto deforme con singole parti della nave 52. Solo uh greco poteva scrivere qualcosa di simile. La letteratura antica è dunque come intessuta di simbolica navale. L'amore è come un ardito pericoloso viaggio per mare 5 3 ; il furbo greco e il romano «girano la vela verso il vento » 54 ; la morte viene verso di noi « a gonfie vele » 55. Mentre noi oggi parliamo di segare il ramo su cui uno siede, l'uomo antico invece parla di « forare il fondo della nave » 56 . La rinuncia alla battaglia è detta « ammainare le vele »57 : insomma, la sapienza antica dei proverbi non si stanca di ricorrere a paragoni navali, e così, mentre noi oggi diciamo « dalla A alla Ζ », l'antichità invece diceva a prora ad puppim 58. 52
Anthologia Graeca, $, 204 (BECKBY, I, p. 346). Cfr. gli epigrammi di ANTIFILO, Anthologia Graeca, 9, 415. Anche in APULEIO, Metamorph., 2, li l'amore è concepito come viaggio di mare, in cui l'amica porta il cibo a Lucio con le parole «hac enim sitarchia navigium Veneris indiget sola ». - PS.-OVIDIO, Epistula Sapphus, v. 215 : « Gubernabit residens in puppe Cupido ». - GEROLAMO, Epistola 128, 3 (CSEL 56, p. 159, 1. 4-6): matrimonio come pericoloso viaggio di mare. 54 PLAUTO, Epid., 49: « Utcumque in alto ventus est... exin velum vortitur ». - Si tratta delle stesse parole di PINDAHO citate da PLUTARCO, De fortuna Romanorum, 4 (318 A), secondo cui l'incostante « manovra sempre un duplice timone ». 55 QUINTILIANO, Dedam., 12, 16 : « Plenis velis mors venit ». 5 " CICERONE, Pro Scauro, 45 (cfr. QUINTILIANO, Inst. orai., 8, 6, 47) : « Navem perforare in qua ipse naviget ». - GEROLAMO, Epistola 7, 5 (CSEL 54, p. 30, 1. 4s). 53
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ORAZIO, Carmina, 2, io, 22. - CICERONE, Ad Atticum, 1, 16, 2.
CICERONE, Ad familiares, 16, 24, 1. - Cfr. per tutto ciò che si riferisce ai proverbi nautici A. OTTO, Die Sprkhworter und sprichwórtlichen Redensarten der Rómer, Lipsia 1890, p. 288s; p. 239S.
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Sullo sfondo di questa simbolica c'è l'orgoglio dell'uomo antico per la sua « buona nave », la cui costruzione ideata e il cui governo impresso dallo spirito umano hanno sconfitto il mare minaccioso. La nave è dunque il simbolo appropriato di una comunità di destino, in cui ne va della vita e della morte, della vittoria ο della sconfitta: il fondo della nave è impenetrabile, ma è separato di un solo pollice dall'elemento ferale; la sua fortuna non dipende dalla bellezza della costruzione e dell'armamento, ma solo dalla funzionalità delle sue parti; il viaggio tranquillo è condizionato dalla disciplina e dalla coesione quasi gerarchica di tutti i passeggieri e soprattutto dell'equipaggio. Queste affermazioni potrebbero essere dimostrate con una massa di documenti. Qui ci limitiamo a illustrare il valore simbolico del concetto « nave buona ». SENECA lo ha così descritto : « Navis bona dicitur non quae pretiosis coloribus pietà est nec cui argenteum aut aureum rostrum est... sed stabilis et firma et iuncturis aquam excludentibus spissa, ad ferendum incursum maris solida, gubernaculo parens et non sentiens ventum » 59. Si può addirittura prender parte alla gioia che l'uomo greco aveva per le sue navi, quando L U CIANO presenta la curiosa popolazione ateniese che accorre verso il porto ad ammirare la grande nave da grano proveniente dall'Egitto, che è appena entrata in porto: ήλίχη ναϋς, «che nave meravigliosa!», gri dano i topi di terraferma, a cui i marinai mostrano tutte le particolarità, dalla carena alla purpurea vela di cima, e che tuttavia è guidata unicamente dal pilota, un vecchio stroppio che « all'elegante piccolo manuSENECA, Epistola ad Lucilium, 76, 13.
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brio » piega il gigantesco timone 6 0 . La nave antica è un m o n d o a sé, un cosmos con propria legalità dal momento in cui la gomena dell'ancora viene sciolta. « Nave » è comunità di destino. « In eadem es navi », dice CICERONE, quando parla dell'ineluttabile uguaglianza del comune destino 61 . Ed egualmente LIVIO : « In eodem velut navigio participes sunt periculi » 6 2 . Per questo la buona nave è il simbolo appropriato del « viaggio della vita » in tutti i suoi eventi. È soltanto una eco della gioia marina veramente greca, quando GREGORIO NAZIANZENO descrive la fortunata nave, quasi allo stesso modo che Seneca : « N o n sia la tua nave colorata con graziosi colori, né brilli di bellezza civettuola, se deve sopportare le forti scosse del mare. N o , una buona nave è ben inchiodata ed è a prova di mare e solidamente connessa dal costruttore: soltanto così essa taglia le onde » 63 . Gregorio parla qui della nave della vita umana: ma ciò segna già il passaggio alla simbolica della nave della Chiesa. Il cristiano sa bene che la sua Chiesa è la comunità di destino, dalla cui bontà e dalla cui buona tenuta dipende la vittoria contro il mare cattivo. Soltanto questa « buona nave » può solcare le onde delle passioni e le tempeste degli errori che mettono in pericolo la salvezza. BASILIO DI SELEUCIA, con una re-
torica ricca d'immagini, ha descritto la buona nave della Chiesa, mentre attraversa gli urli delle onde con 80
LUCIANO, Navigium seu Vota, 4, 5 ( R E I T Z , p. 250S).
" CICERONE, Ad familiares, 2, 5, 1. " L I V I O , 46, 22, 13. • 3 GHEGOEIO N A Z I A N Z E N O , Carmina, 1, 2, 9, vv. 141-144 (PG 37,
678S). - Eguale quadro della « nave buona » in Carni., 2, I, 17. vv. 5-8 (PG 37, 1262).
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PADRI
vele scoppiettanti e gomene cigolanti 64 . E AMBROGIO chiama la Chiesa espressamente la « buona nave » : « Nam cum Ecclesia multis tamquam bona navis fluctibus saepe tundatur, adversus omnes haereses debet valere Ecclesiae fundamentum » 65. Essa è « la nave che porta il popolo » 66 ; all'interno delle sue assi protettive si svolge la vita salutifera di Gesù67, essa è la mulier fortis, di cui è scritto : « Navigane per mare saeculi huius » 68. È la nave che tiene bene in mare, sulla quale il pericoloso rischio della fede può essere affrontato senza subire naufragio. « Ο tu sublime pericolo, tu che c'insegni dove soltanto è gettata l'ancora della salvezza. Mare in tempesta, su di te soltanto noi impariamo cosa significhi credere » 69 ! Da questo atteggiamento, che abbiamo chiamato la forma originaria della simbolica navale, per il fatto che esprime il pensiero allegorico con immagini sempre nuove, risultano soprattutto tre ordini di immagini, la cui storia dobbiamo ora esporre, poiché tutti e tre sono di particolare importanza per la formazione e per la comprensione della simbolica della nave della Chiesa: gli antichi parlano di nave dello Stato, di nave dell'anima, di nave del mondo, e a loro volta i cristiani 64
BASILIO DI SELEUCIA, Oratio 22 (PG 85, 265 A). AMBROGIO, De incamationis dominkae sacramento, 3, 34 (PL 16, 827 B). 66 CASSIODORO, Expositio in Psalterium, al Sai 103,26 (PL 70, 737 D ) . t7 CRISOLOGO, Sermo 21 (PL 52, 257 D; 258 A). 68 SALONIO DI GINEVRA, Expositio mystica in Parab. Salomonis, su Prov 31,14 (PL 53, 990 B). 86
β ί
BASILIO
DI
SELEUCIA,
Oratio
22
(PG
85,
κινδύνου διδάσκοντος ποϋ τ η ς σωτηρίας ή ασσα παιδευτήριον π ί σ τ ε ω ς ;
267 A ;
269 A ) :
ώ
ά γ κ υ ρ α ... θ ά λ
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diranno che la Chiesa come buona nave è l'attuazione e l'incarnazione di Polis, di Psyche e di Cosmos. In primo luogo, il navigatore greco ha dinanzi a sé la nave dello Stato; di ciò esiste ancora una eco nel nostro pensiero, quando parliamo dì governatori ο del timone dello Stato. Con la simbolica della nave come comunità di destino ben ordinata, saggiamente guidata da un solo uomo, protetta contro un pericolo incombente, i naviganti Greci erano portati spontaneamente a vedere nelle loro navi un simbolo appropriato della Polis, del patrio Stato. Questa immagine si è conservata con forza e con straordinaria tenacia dalle prime fondazioni delle città-stato greche sino all'epoca dell'impero bizantino. Delineiamo brevemente le linee principali di questa ricca storia di idee. La testimonianza più antica di simbolica navale politica ci è conservata in due frammenti di ALCEO DI MITILENE 70 , che ERACLITO ha custodito nelle sue Allegoriae Homeri71. « Nave dello Stato nella tempesta », così potrebbe intitolarsi il poema, in cui Alceo esprime la sua aristocratica avversione verso la tirannia di Myrsilo su Lesbo (dopo il 612 a. C ) . Da Alceo dipende il frammento dell'elegia di TEOGNIDE 72 , come pure la lingua nautica dei tragici classici. Ma è ORAZIO soprattutto che ha amato e imitato Alceo. Allo scoppiare della battaglia decisiva tra Ottaviano e Antonio, egli compose il famoso carme sulla 70 ALCEO, Frammento 18 e 19 (Anthologia Lyrica Gaeca, 1936, v. 1, Sez. 4, p. 150). 71
ERACLITO, Quaestiones Homerkae, 5 (OELMANN, p. 6s).
" TEOGNIDE, Eleg a Simonide, v. 671-682 (Anthologia Lyrica Graeca, v. 1, Sez. 2, p. 46). Cfr. J. KROLL, Theognisinterpretationen (= Philologus, Supplemento 29, 1), Lipsia 1936, p. 134, nota 322.
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nave dello Stato romano : « Ο navis referent in mare te novi fluctus? Ο quid agis? Fortiter occupa portum » 7 3 ! Nelle scuole dei retori, questo poema divenne poi per così dire il modello classico dell'allegoria navale dello Stato, come sappiamo dalla definizione che dell'allegoria diede Quintiliano: 'Αλληγορία quam inversionem interpretantur aut aliud verbis, aliud sensu ostendit, aut edam interim contrarium. Prius fit genus plerumque continuatis translationibus, ut ' ο navi re ferent in mare te novi fluctus...' totusque ille Horati locus, quo navem prò re publica, fluctus et tempestates prò bellis civilibus, portum prò pace atque concordia dicit » 74. Tuttavia il pensiero antico, più che dalla tradizione lirica e retorica, fu formato dal serio ideale dello Stato dei tragici greci, che rivestono continuamente i loro pensieri con immagini navali. La Polis è la nave amata, sul cui cassero siede il « pilota dello Stato » e porta la responsabilità sociale della salvezza, per il felice viaggio della cosa comune. I versi iniziali dei Sette contro Tebe di ESCHILO risuonano come un motivo guida, che da allora viene continuamente variato: « Cittadini di Cadmo, a tempo debito deve elevare la sua parola colui che sul ponte della Polis veglia e guida il timone delle leggi; mai il suo occhio può chiudersi stanco nel sonno»! 75 . L'arte politica è una nautica: την πάλιν " ORAZIO, Carmina, i, 14. - ORAZIO conosce bene ALCEO, cfr. Carni., 1, 32, 5 ss. 74 QUINTILIANO, Instit. orai., 8, 6, 44. - Ivi, 8, 6, 45-50, ove sono adunate le molte allegorie nautiche di Cicerone. ,s ESCHILO, Sette contro Tebe, vv. 1-3. Cfr. anche Le supplici, 344S; Eumenidi, 16, 765; Agamennone, 802. - EURIPIDE, Oreste, 795.
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ναυστολεΐν 76 , ναυκληρεΐν πόλι,ν 77 son diventate espressioni comuni. Solo se ascolta il divino veggente, il re può dirigere rettamente la nave della Polis, dice Tiresia a Creonte nell'Antigone78. E SOFOCLE dipinge meravigliosamente la nave dello Stato in mezzo alla tempesta, sul modello di Alceo e Pindaro 79 . Il contributo maggiore all'affermarsi di quest'ordine di immagini è venuto dal fatto che la simbolica nautica ha trovato una vasta applicazione anche nella filosofia vera e propria dello Stato elaborata dai Greci. Alla sommità c'è PLATONE, il quale, nei suoi viaggi per mare, che l'ardente desiderio di creare uno Stato ideale gli fece intraprendere tre volte verso la Sicilia, conosceva naturalmente l'eccellente applicabilità dei procedimenti nautici al pensiero politico. Sono stati i disordini politici della sua patria ateniese a dettargli quelle parole : « Molti Stati affondano come navi che fanno acqua, sono già affondati e affonderanno in futuro, e questo per la cattiveria del pilota e dell'equipaggio, che nelle grandi cose possiedono la più grande stupidità » 80 . È risaputo, che secondo Platone i filo' 6 EURIPIDE, Suppl., 474. " ESCHILO, Sette contro Tebe, 653. ,s SOFOCLE, Antigone, 994. Indi il proverbio : « tener dritto il timone », ossia « compiere imperturbato il proprio dovere » ; ISIDORO DI SIVIGLIA cita ancora a questo proposito alcune parole di E N N I O : « D u m clavum rectum teneam navemque gubernem » (PL 82, 667 A). - In CICERONE appare per questo la forma greca: ό ρ θ α ν τ ά ν ν α ϋ ν : Ad Quintum fratrem, 1, 2, § 13. Cfr. anche QUINTILIANO, Deci., 2, 17, 24 e SENECA, Epist. 85, 33. Così pure CICERONE, Ad jamiliares, 12, 2 5 , 5. 78 SOFOCLE, Edipo Re, 22-24; Antigone, 162S. - Cfr. FR. D O R N SEIFF, Pindars SUI, Berlino 1921, p. 65, ove è riportata una serie di altri esempi della poesia greca sulla « nave dello Stato in tempesta ». »° Polii., 302 A.
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sofì dovrebbero reggere gli Stati. Nel Gorgiassl, egli dipinge le virtù del pilota filosofo; così fa pure nel Politikos 82 e in modo più esauriente nella Repubblica 83, ove la subordinazione, necessaria in una nave ben guidata, ponendo tutti sotto l'unico naukleros, opera la salvezza, mentre al contrario (come era spesso il caso in Atene), ogni perdizione viene dal fatto che il naukleros non comprende nulla ed ogni marinaio vuol essere un pilota. Anche nelle Leggi ritorna il paragone, questa volta però applicato anche al corpo umano, che viene appunto guidato come una nave: anima e testa sono per così dire timoniere e capo timoniere: l'anima con la ragione, la testa con gli occhi e le orecchie. Ambedue debbono ben collaborare e così deve succedere anche in un buon Stato tra governatore e collaboratori nel governo. Così soltanto ci sarà salvezza, salute e benessere84. Anche per ARISTOTELE, questa disciplina e questa subordinazione navale è un ottimo simbolo di tutte le virtù civili del cittadino, le quali, nonostante la diversità di funzioni politiche e di diritti politici, hanno soltanto un unico scopo comune: il felice viaggio, e cioè il buon « viaggio » dello Stato 85. DEMOSTENE lo ha detto in alcuni famosi passi del suo discorso Sulla corona e nella terza Filippica dinanzi ai volubili Ateniesi, nei suoi paragoni navali si sente 81
Gorgia, 67 (511 A). ·« Polit., 296 D. " Repub., 488 A/E. - Cfr. anche Leggi, io (902 D ) . - Alcibiade, 1 (117 C D ; 119 D; 124 E, 135 A). - Repub., 389 C: naufragio dello Stato. 84 Leggi, 12, io (961). - Cfr. Polibio, 6, 44, 3-7, ove sotto l'immagine della nave viene dipinto l'ordinamento politico degli Ateniesi. 85 ARISTOTELE, Polii., 3, 4 (1276 B). Cfr. anche 7, 6 (1327 AB).
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il rovente timore del patriota per la nave dello Stato minacciata dalla tempesta86. Le stesse cose dice Plutarco nei suoi scritti politici, 87 tutti intessuti di immagini prese dalla nautica platonica, composti in un periodo in cui i Greci già sedevano come « passeggieri tranquilli » nella grande nave dello Stato romano. Roma come nave: qui ci troviamo nel punto dello sviluppo delle idee, in cui ben presto i cristiani parleranno, in un senso del tutto diverso, di una nave, il cui pilota siede sul cassero della sede romana e guida il veicolo veleggiante attraverso l'ecumene. PLUTARCO, da cittadino romano del mondo, ne La fortuna dei Romani ha descritto la costruzione della buona nave della grandezza romana : « Una nave mercantile, una galena viene costruita con molti colpi violenti, con la sega, i martelli, i chiodi, le asce. Quando è terminata, deve restare ferma per un certo tempo ancora, sinché la connessione sia divenuta stabile e i cavicchi si siano ben conficcati. Quindi la si lascia scendere in acqua con le giunture ancor lente e cedevoli, di modo che per lo scuotimento si allenterà e la nave comincerà a far acqua. Proprio così succede nel caso di Roma » 88. Abbiamo già ascoltato con quali parole ORAZIO, in un'ora difficile della politica romana, cantò la fradicia nave dello Stato, mentre CASSIO DIONE presenta Mecenate che, in un finto discorso, descrive la nave dello 86 DEMOSTENE, Oratio 18, r94 (discorso della corona); Oratio 9, 128 (terza Filippica, 3, 69). - Cfr. J. STRAUB, De tropis et figuris quae inveniuntur in orationibus Demosthenis et Ciceronis, Wurzburg 1883, p. 54s. « PLUTARCO, Praec. rei pubi, gerendae 13 e 15 (807 B C ; 812 C ) . Agide, 1 (795). 88 De fortuna Romanorum, 9 (321 DE).
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Stato romano sballottolata dalla tempesta89. Senonché la fierezza dei Romani prevale sulla magnifica nave della loro respublica. « Io non ho timore della nera nuvoletta sul tuo volto », dice fieramente CICERONE nel suo discorso contro L. Pisone, « io, che così a lungo ho guidato la nave dello Stato »: « Qui in maximis turbinibus ac fluctibus rei publicae navem gubernassem salvamque in portu conlocassem» 90. Per un uomo cosi amante di Roma, non ci potrebbe essere un compito più elevato di questo : « Clavum tanti Imperli tenere et gubernacula rei publicae tractare » 91 . Anche LATTANZIO loda i buoni imperatori che dopo il governo di terrore di Domiziano guidarono il timone dello Impero : « Multi ac boni principes Romani Imperli clavum regimenque tenuerunt » 92 . « Guida di nuovo tu il mio timone », supplica Roma nel panegirico, rivolgendosi all'imperatore Massimiano93. Anche gli imperatori divenuti cristiani restano pieni di questa consapevolezza di dover guidare il timone della nave del mondo. Ciò è importante per la formazione dell'ideale politico dei successori di Costantino, poiché essi vedono che ora un'altra e migliore nave attraversa l'Impero: la Chiesa. Il problema politico che ne deriva può essere condensato precisamente nelle seguenti parole: è la Chiesa che è come un passeggiero della ·· CASSIO DIONE, Hist. Romanorum, 52, 16, 3, 4. 80 CICERONE, Or. in L. Pisonem, § 20. 91 Or. prò P. Sestio, § 20. Cfr. anche ivi, § 46; «Rei publicae navem ». La stessa cosa anche in Oratio prò S. Rascio, 51 ; De domo sua ai pont., 24. »' LATTANZIO, De mortibus persecuiorum, 3, 4 (CSEL 27, p. 117, 1. 14S). •3 Panegyricus (a Massimiano e Costantino dell'anno 307), 6, 11, 4.
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nave dello Stato, oppure è lo Stato che è un « laico seduto tranquillo» sulla nave della Chiesa? Costantino, nel Discorso alla santa assemblea, si è rivolto alla vergine Chiesa con le parole, che noi comprendiamo soltanto nell'antico modo greco di pensare la nave come donna e come vergine: «Ascolta ora, ο piena di ogni vergi nità purissima, tu che sei divenuta in parte la padrona di questa nave, ο Chiesa, tu alma madre di una schiatta debole e inesperta » 9 4 . Contro di ciò però alla fine del pomposo discorso, che nel 335 Eusebio tiene all'imperatore nel palazzo di Costantinopoli, risuonano le parole che parlano dell'imperatore come padrone della nave dell'universo, parole che non furono più dimenticate : « L'imperatore siede eccelso sul trono come sapiente pilota, egli ha cura del braccio del timone, egli governa la nave verso una certa rotta, egli guida tutti i suoi sudditi con buon vento verso il porto sicuro e senza tempesta » 95 . È ben risaputo come Costantino e i suoi figli si sentissero padroni anche della nave della Chiesa, come « vescovo dei vescovi », pilota della nave dello Stato, il cui albero e labaro è la Croce e i cui tranquilli passeggieri debbono essere anche i cristiani. Questa onnipotenza ierocratica dello Stato ha trovato la sua espressione immaginifica sulle mo·.* EUSEBIO, Constantini oratio ai sanctum coetum, 2 (GCS Eusebio, 1, p. 155, 1. 2is): όίκουε τοίνυν, άγνείας παρθενίας τ'έπήβολε ναύκληρε, 'Εκκλησία, άωρου τε καί άδαοϋς ήλιχίας τιθήνη. La trasmissione manoscritta della frase ad ogni modo non è completamente chiara, poiché secondo PG 20, 1237 A (nota 94) tali parole potrebbero riferirsi anche al vescovo della comunità ecclesiale, pensata come presente, e non alla Chiesa. Noi preferiamo però il testo critico di SCHWARTZ. 95 EUSEBIO, Laus Constantini, io (GCS EUSEBIO, I, p. 223, 1. 1215).
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nete 96 della dinastia costantiniana. L'imperatore sta vittorioso al centro della nave statale, a poppa c'è un genio alato, la Fortuna Romanorum ο un angelo custode, che tiene la barra del timone: l'imperatore tiene in mano il labaro che è piantato come un albero e la òtì-όνη 97 con i segni di Cristo, sull'antenna. « Gubernacula orbis regere », così il Codice di Giustiniano descrive l'ufficio imperiale98. E nella fiera vita, che COSTANTINO IL PORFIROGENITO dedica al suo antenato Basilio, l'impero romano è denominato la « nave del mondo », e nota esplicitamente che tra le assi di questa nave si trova anche la Chiesa99. Se dunque dinanzi agli occhi dell'uomo greco ci sono, come una buona nave, lo Stato quale cosa comune ben ordinata, l'impero romano come già, a suo tempo, la città commerciale di Alessandria con la sua nave di Iside per simbolo 10 °, oppure, in epoca ·* Cfr. per ciò J. MAURICE, Numismatique constantinienne, Parigi 1911, v. 2. - Riproduzioni di monete costantiniane con la nave statale in FH. MUNSTER, Sinnbilder und Kunstvorstellungen der alteri Christen, Altona 1825, tav. 3, fig. 70: una moneta di rame di Costantino. J. GRETSER, De Cruce, Regensburg 1734, v. 3, p. i8s: monete di C o stantino. * 7 «Tela da vele» (= ό-9-όνη): cosi già EUSEBIO, Vita Constantini, 1, 38, 2 (GCS Eusebio, I, p. 22, 1. 6) chiama il pezzo di stoffa che pende dall'unica antenna della nave simile ad una trave trasversale (= κ έ ρ α ς , ivi, e p. 2i, 1. 32) del labaro. 88 Cod.Justiniani, 3, 1, 14, I. - Nello stesso periodo anche FACONDO DI ERMIANA parla dell'imperatore come di colui « qui m u n d i regebat gubernacula » : Pro defensione trituri capitulorum, 2, 2 (PL 67, 562 B ) . " Theophanes continuatus, s, 32 (PL 109, 277 B). Vedi la tradu zione in J. HERGENROTHER, Photius, Regensburg 1867, v. 2, p. 18. 100 Così sull'antico rilievo di avorio dell'ambone di Enrico II nel d u o m o di Aquisgrana: Iside con la nave quale simbolo della città di Alessandria. Cfr. G. LAFAYE, Histoìre du eulte des divinités d'Alexandrie, Parigi 1884, p. 293S. - Riproduzione in Propylàen-Kunstgeschichte, Potsdam 1929, v. 6, p. 192.
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più antica, Tiro la città dominatrice dei mari, che Ezechiele101 descrive con l'allegoria della nave lussuosa, a più forte ragione sarà agli occhi del cristiano greco la sua Chiesa, questa viaggiatrice del mondo, l'unica vincitrice del « mare cattivo », la Polis di Dio, la mistica nave commerciale! Con quanto vigore la forza rappresentativa di questo simbolo si applichi anche a quelle creazioni di ordine sociale che possiedono una importanza piuttosto subordinata, ce lo mostra in qualche modo TEODORETO, che applica tutti i simboli nautici alla ben ordinata entità domestica, che è il fondamento primo di ogni ordinamento civile 102. In questa « Oikonomia », proprio come nella cosa statale ben ordinata, egli vede una riproduzione della provvidenza di Dio, che ha ordinato la realtà umana in base ad un piano e secondo un fine 103. Con ciò passiamo al secondo dei tre grandi ordini di immagini navali: la nave dell'anima. La sua esatta conoscenza è importante per la formazione della simbolica della nave della Chiesa proprio perché con essa entriamo in una sfera religiosa: infatti, quando l'uomo antico parla della nave dell'anima, egli intende formulare con questo mezzo una teologia organica dell'uomo come di un microcosmo creato da Dio: l'uomo è quasi una nave divenuta vivente e, perciò anche una Chiesa in miniatura. La psicologia antica, soprattutto per influsso di ci rappresenta il rapporto tra corpo e anima con il paragone divenuto famoso : « Sicut nauta in PLATONE,
101 10E 103
Ez 27, 5-2. TEODORETO, Oratiti de pwvidentia, 7 (PG 83, 676 B-D). TEODOKETO, Ovatto de providentia, 2 (PG 83, 576 AB).
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navi ». Dopo che TOMMASO D ' A Q U I N O ha ritenuto opportuno trarre questa immagine da Platone 1 0 4 , la filosofia scolastica designa la psicologia platonica con tale immagine e vi trova l'espressione adatta a designare l'opposizione con la dottrina aristotelica dell'anima come « forma corporis ». Ora, per quanto possiamo vedere, è certo che Platone non ha mai espresso l'idea con queste precise parole. TOMMASO prende l'espressione da ARISTOTELE e poi, perlomeno la metafisica dei platonici che vi sta dietro, da NEMESIO, che conosce nella traduzione di Burgundio di Pisa 105 . Tuttavia la dottrina platonica del rapporto tra anima e corpo si può benissimo rivestire con questa similitudine nautica. E il concetto quindi ha avuto una storia ellenistica e cristiana, che qui dobbiamo riassumere brevemente, essendo essa importante anche per la simbolica della nave della Chiesa. Alla base di ciò troviamo, in primo luogo, il semplice paragone del corpo umano con una nave. Basta soltanto rappresentarsi con la fantasia il formarsi di una nave antica, quando la chiglia è stata montata e le assi di legno si ergono come costole da ambo i lati: ciò è parso agli antichi come il formarsi di un uomo. Questo paragone quindi fu caro anche alla fisiologia degli antichi. LATTANZIO, attingendo a fonti 104 T O M M A S O D ' A Q U I N O , De anima, a. i, e; Stimma contra Gentile!, 2, 57 e 58. Cfr. anche Summa theol., p. I, q. 76, a. 3 e. 105 ARISTOTELE, De anima, 2, 1 (413 A ) : «Si dubita ancora se l'anima sia realmente la realtà del corpo, al m o d o in cui il navigatore lo è della nave ». - Cfr. anche De anima, I, 3 (406 A) e 2, 4 (416 B). NEMESIO, De natura hominis, 3 (PG 40, 592-608): De iunctione corporis et animae. - B. DOMANSKI, Die Psychologie des Nemesius, in Beitrà'ge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters, 3, 1, Miinster 1900, p. x i i ; p. 33S; p. 58ss.
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greche 106, ha paragonato la struttura del corpo umano ad una nave: la colonna vertebrale è come la carena, il capo è, per così dire, la sede del pilota, che guida il tutto : « In summo vero constructionis eius, quam similem navali carinae diximus, caput conlocavit, in quo esset regimen totius animantis » 107 . Anche PLATONE ha già in mente la medesima cosa nel Timeo, dove, nel mito della formazione del corpo, lo scheletro, simile ad un'ancora e alle gomene, serve ad attaccare l'anima al suo corpo e a tenervela unita 108. Persino i poeti si nutrono di queste rappresentazioni che, come si vede, sono veramente frequenti. Abbiamo già accennato alla poesia di MELEAGRO: in essa, la colonna vertebrale degli antichi amanti è l'albero della nave, le spalle ossute sono l'antenna, le bianche ciocche sono una vela strappata109. Nelle Metamorfosi di OVIDIO la cosa si presenta in modo ancor più grazioso là dove Cibele trasforma le navi di Enea in Naiadi. Il cassero diventa testa (proprio come in Lattanzio), il timone le gambe, la carena si trasforma in colonna vertebrale, le coste della nave restano le costole dell'uomo e le antenne si trasformano in braccia 110. Questa rappresentazione della nave vivente del corpo esercita un molteplice influsso nella formazione della simbolica della nave della Chiesa. Indicheremo 10e Cfr. per questo S. BRANDT, Uber die Quellen voti Laktanz' Schifi De opificio Dei, in Wiener Studien 13 (1891) p. 276SS, soprattutto sulle fonti antiche comuni con Nemesio. 107 LATTANZIO, De opificio Dei, 5 (CSEL 27, p. 20, 1. 5-7) ,e le fonti fornite qui. 10 » Timeo, 34 (73 D ) . 40 (85 E). 109 MELEAGRO, Poesia a Tintarione = Anthologia Graeca, v. 5,
p.
204 110
(BECKBY I,
p.
346).
O V I D I O , Metamorf., 14, S49-554-
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DEI
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più sotto, quando tratteremo dell'Arca di Noe, come questa figura della Chiesa era strutturata come « un corpo umano » U1 : dimostreremo, cioè, che le immagini del corpo mistico e della nave sono interscambiabili. Ma siccome nella Chiesa quale insieme organico dei redenti, non avviene nulla che non avvenga anche nella singola anima, per questo la simbolica cristiana parla continuamente anche della navicula animae, la navicella dell'anima, o, più precisamente, della nave del corpo, che è guidata dalla forza dell'anima come da un pilota. Anche ciò è pensato totalmente in senso platonico. Nel Filebo PLATONE dice che l'anima del mondo è il pilota del tutto e da questo sono guidate anche le anime particolari precipitate nei corpi 112 . La caduta delle anime brillanti come una luce è paragonabile, secondo Plotino, alla caduta su di una nave che affonda. « Esse si trovano nel corpo come il marinaio che durante la tempesta si concentra ancor più nel servizio della sua nave e, senza rifletterci so111 AMBROGIO, Hexameron, 6, 9 (CSEL 31, p. 258, 1. 23 - p. 259, 1. 11). - Cfr. anche P S . - A C O S T I N O , Sermo 75, 4 (A. M A I , Nova Patrum Bibliotheca, R o m a 1852, v. 1, p. 149), ove nella descrizione del cieco nato si dice che egli si serve delle mani come di un timone : « Manus quae quasi... remi totam molem corporis gubernabant ». - F R O N T I N O , Strategematon, 3, 13, 6 (GUNDERMANN, p. 108, 1. 5s) dice, a p r o posito di un soldato nuotante, che egli usa le sue gambe come timone : « Cruribus velut gubernaculis dimissis ». - Ciò è importante per la simbolica cristiana che tratteremo più in là, simbolica cioè della forma di croce del corpo umano, che rappresenta la nave della Chiesa. Cfr.
PHYSIOLOGUS,
40
(LAUCHERT,
ρ.
269;
SBORDONE,
ρ.
124,
l.
2-5).
-
DURANDO, Rcitionale divinorum offUiorum, 1, 14, Napoli 1859, p. 14: « Dispositio autem Ecclesiae materialis m o d u m humani corporis habet ». 112 PLATONE, Filebo, 30 Α : τ α ύ τ η ν δε είνοα τ ή ν ψ υ χ ή ν τ η ν δ ι α κ υ β ε ρ ν ώ σ α ν το π α ν κ α ι μ ε ρ ι κ ά ς ψ υ χ ά ς . Cfr. per ciò anche NEMESIO
209 A).
(PG 40,
580 C),
e lo
PS.-GREGORIO DI NISSA
(PG 45,
208 D;
LA NAVE DI LEGNO
549
pra, si dimentica di se stesso così che facilmente viene trascinato in fondo con la nave che sta affondando » 113. In un altro passo delle Enneadi, Plotino affronta ulteriormente il problema, del come anima e corpo cooperino tra di loro : « Ma in quale modo l'anima viene nel corpo? ... Quando si afferma che l'anima è nel corpo come un pilota sulla nave, ciò in tanto è vero, in quanto l'anima viene concepita come separata dal corpo, ma il modo del s'uo essere nel corpo non è ancora spiegato. Poiché il pilota non è in tutta la nave, cosi come l'anima è in tutto il corpo » 114 . Nonostante queste considerazioni dedicate alla critica della psicologia platonica, l'antichità restò fedele a questo simbolo nautico, e così anche i cristiani, e ciò è divenuto importante per la teologia e l'ascesi. Nella predica Sull'anima e il corpo tramandata soltanto in siriaco e che probabilmente appartiene ad ALESSANDRO DI ALESSANDRIA, la cooperazione tra anima e corpo viene concepita come quella in atto tra nave e pilota. La morte è perciò la dissoluzione della nave, per così dire un naufragio (di ciò si parlerà con precisione più sotto) : « Sicut gubernatore depulso mergitur navigium, ita vinculis animae injectis corpus eius dilapsum est seu in mortem demersum, quod navi usuvenit gubernatore depulso » 115 . Proprio così GREGORIO DI NISSA dipinge la morte 116. Morire è naufragio (gli elementi del corpo si dissolvono, o, per parlare uà P I O T I N O , Enneadi, 4, 3, 17, 91. 114 P I O T I N O , 4 , 3 , 2 1 , 1 0 9 - 1 1 1 . 115
ALESSANDRO D'ALESSANDRIA, Sermo de anima et corpore, 3 (PG 18,
590 D; 591 A). - Cfr. per ciò, O. PERLER, Recherches sur le Peri Pascha de Méliton, in Recherches de Science reiìgieuse 51 (1963) ρ. 407-421. 1 1 J
45 B).
GREGORIO D I NISSA, De anima et resurrectione, 7, 3 (PG 46,
550
L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
con PLATONE U 7 , i rottami della parte corporea galleggiano sull'Acheronte: un'espressione, che l'imperatore COSTANTINO ripete ancora nel suo Discorso alla santa assemblea U 8 . In esso, pensieri filosofici si mescolano ai miti della barca delle anime di Caronte 119 . La morte è l'ultima traversata, la barchetta di Caronte è, per così dire, l'ultimo sostituto della nave dell'anima schiantatasi nella morte. Qui entrano certamente in discorso rappresentazioni egiziane della nave della morte; per lo meno il nome e la figura di Caronte, secondo DIODORO 120, sono di origine egiziana. Nella tarda antichità e ancora nel vocabolario stesso dei cristiani, Caronte è semplicemente la morte m . Morire dunque è un viaggio verso l'ai di là. Quale influsso abbia continuato poi ad esercitare questo mito, è chiaro dalle rappresentazioni della navicella della 117
PLATONE, Fedone, 62 (114). EUSEBIO, Constatami Oratio ad sanctum coetum, 9 (GCS EUSEBIO, I, p. 164, 1. 20-22). 119 Cfr. il materiale in RE IH, 2 (1899) col. 2176-2178 (G. W A SEH). - Caronte in quanto barcaiuolo delle anime è allo stesso tempo signore dell' « acqua cattiva » dell'Acheronte dell'ai di là, di cui abbiamo già parlato nello studio sul « mare cattivo ». Cfr. V I R G I L I O , Eneide, 6, 299 : « Portitor has horrendus aquas et flumine servai ». Già in base a ciò egli è messo in rapporto con la morte, come dicono molto bene i noti versi di O R A Z I O , Ode 2, 3, 25ss: « Omnes eodem cogimur ... sors exitura et nos in aeternum exilium cumbae ». O p p u r e PROPERZIO, Elegia 2, 28 : « Una ratis fati nostros portabit amores, caerula ad infernos velificata lacus ». 120 D I O D O R O , Biblioth., I, 92, 96. 1!l Così in FULGENZIO AFRICANO, Expositio Virgilianae continentiae (HELM, p. 98; 1. 14-18. PRUDENZIO, Hamartigenia, 502S (CSEL 61, p. 147), ove Caronte è identificato con satana quale signore della morte. Cfr. anche PRUDENZIO, Contra Symmachum, 1, 386 (CSEL (Si, p. 233), ove Caronte è lo spicopompo dei gladiatori. - NICEFORO BRIENNIO, Hist., 1, 2 PG 127, 41 B). - Altre indicazioni in RE III 2, col. 2178, 1. 6-14. 118
LA NAVE DI LEGNO
551
anima che si ritrovano ancora in LUDOLFO DI SASSO
NIA 1 2 2 , oppure nella vita di Ita di Wezzikon 1 2 3 , ο ancora dalla raffigurazione della nave dell'anima sul portale di Notre-Dame di Sémur 124 . Ben più importante di questo aspetto escatologico dell'idea della nave dell'anima è quello psicologico, in linguaggio cristiano, quello ascetico; in esso, infatti, la navicula animae non è altro che un caso particolare della grande nave della Chiesa. Anche nella dottrina stoica della vita, dipendentemente dalla psicologia platonica, si ritiene che il principio dirigente è l'anima che si trova al timone del corpo. Secondo CRISIPPO 125 è il « Logos » (pensato stoicamente), che guida l'essere vivente ragionevole, così come si guida una nave. Ciò viene spiegato ultelat LUDOLFO DI SASSONIA, Vita Christi, i, 46 (incunabolo, H A I N 10293). 123 Vita delle suore di Toss (edizione tedesca di M. W E I N H A N D L , Deutsches Nonnenleben = Katholikon, II), Monaco, 1921, p. 143S. Ricordiamo anche il noto canto ecclesiastico: « Quando la mia navicella si volgerà verso il porto dell'eternità », su cui richiama l'attenzione FR. J. DOLGER, Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p. 285. La r a p presentazione della nave dell'anima e della morte come ingresso nel porto, verrà ripresa più sotto, nel capitolo Arrivo in porto. Q u i ci limitiamo ad accennare al sonetto di MICHELANGELO: « Giunto è già il corso della vita mia con tempestoso mar per fragil barca al coraun porto ... ». Cfr. C. FREY, Die Dichtung des Michelangelo Buonarroti, Berlino 1897, p. 236 e 486. - Michelangelo forse imita qui il sonetto di Francesco PETRARCA: « Passa la nave mia colma d'oblio per aspro mare » : cfr. Le rime di Fr. Petrarca, ed. di G. CARDUCCI e S. FERRARI, Firenze 1920, p. 273S. 124 Sulla rappresentazione della nave dell'anima, cfr. F. PIPER, Mythologie der christlichen Kunst, W e i m a r 1847, v. 1, 1, p. 219. - E. MALB, L'art religieux du XHIe sihle en France, Parigi 1925, p. 305 tuttavia, interpreta questa rappresentazione in m o d o completamente diverso. lis A R N I M , Stokorum veterum fragmenta, 1903, v. 3, p. 95,1. 10-12.
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
riormente in PLUTARCO, ove la stessa parte dirigente dell'anima è di nuovo un ben pilotato timone, in confronto è Dio, che è il padrone della nave di tutti gli spiriti: l'anima buona è come una grande nave da carico, che si lascia guidare da un lieve cenno di Dio come da un piccolo timone 126 ; l'anima umana ha l'orecchio fine come un esperto pilota e deduce dai minimi segni la grande divinità, così come un competente navigatore prevede le forti tempeste da piccolissimi segni premonitori 127 . Il Logos degli stoici diventa il sensus dell'arte di vivere dei Romani, la calma filosofica, che in ogni circostanza della vita dirige la propria nave : « Philosophia sedet ad gubernaculum, et per ancipitia fluctuantium dirigit cursum », dice SENECA 128. In tal senso dunque la tarda forma romana del platonismo riprende il pensiero antico: l'anima è precipitata nel corporeo, per dirigerlo come una fragile nave. « Animus ad regimen et ad gubernationem terrenae fragilititatis immissus est » 129 . Lo ripete ancora, con un concetto stoico divenuto cristiano, AMBROGIO nella sua lode dell'anima, che si conclude con le parole: « Quid est caro sine animae gubernaiie PLUTARCO, De genio Socratis, 20 (588 F). - Cfr. C. REINHARDT, Poseidonios, Monaco 1921, p. 466. 127 PLUTARCO, De genio Socratis, 12 (582 A). - Sui rapporti di questo scritto e di quello di CICERONE, De divinatione con la mantica di Poseidonio, cfr. I. HEINEMANN, Poseidonios' metaphysische Schrifien, Breslavia 1928, v. 2, p. 324SS. 1!s SENECA, Epistola ad Lucilium, 16, 3. 129
F I R M I C O M A T E R N O , Mathes.,
1, 4, 4. - M A N I L I O , Astron.,
1,
15, 1: «Animus cuncta (corporis et animae) gubernat dispensatque hominem ». - Cfr. TERTULIANO, Ad nationes, 2, 2 (CSEL 20, p. 9, 1. I3s). - LUCREZIO, 5, 560: «Vis animae quae membra gubernat ».
553
LA NAVE DI LEGNO
culo » 130 ? E GEROLAMO, nelle prediche sui salmi, ammonisce i monaci in ascolto : « Chi di noi è una nave costruita così solidamente, da poter sfuggire a questo mondo, senza subire naufragio ο senza incappare negli scogli? No, egli deve avere il sensus come pilota, se vuole raggiungere la salvezza » 1 3 1 . Così nel pensiero cristiano il Logos filosofico diventa inavvertitamente la ragione illuminata dalla fede e questa ben presto diventa a sua volta precisamente il Logos Cristo quale vero pilota dell'anima. « In una nave ben organizzata il pilota guida e ordina ogni cosa, ora ammonisce gli uni, ora istruisce gli altri. Così succede al cuore, che ha per pilota la ragione e la coscienza « 132 . Lo PSEUDO-MACARIO, che così parla, lo ha letto in CLEMENTE ALESSANDRINO 133 . Ciò che egli vuol dire in ultima analisi, lo dice un'altra delle sue omelie: « Guai ad una nave che non ha pilota, essa viene sbattuta dalle onde e dai flutti del mare ed affonda. Guai ad un'anima, che non ha in sé il vero pilota Cristo; essa viene trascinata sul mare amaro delle te130 AMBROGIO, Hexameron, 6, 6, 39 (CSEL 32, 1, p. 230, 1. 24). Cfr. anche Ada Archelai, 22 (19), 6, 7 (GCS EGEMONIO, p. 34,1. 19-26), ove viene spiegata la somiglianza del corpo umano con una nave e dell'anima con il timone : « Similis videtur esse homo navi, quae instructa ab artifice et in mare deducta est quamque navigare impossibile est sine gubernaculis, quibus regi et flecti possit in quaecumque loca voluerit gubemator eius. Et quia eodem artifice indigeat corpus gubernaculorum quo et totius navis, nulli dubium est; sine gubernaculis enim otiosum erit omne navis opus, corpus illud immensum. Ita ergo animam corporis gubernacula dicimus, regentur autem utraque arbitrii atque animae libertate, quo velut gubernatore utimur ». 131 GEROLAMO, Tractatus in Psalmum 103 (MORIN, p. 167,1. 15-17). 133 PS.-MACASIO, Homiliae pneumaticae, 15, 33 (PG 34, 597 CD). 133
CLEMENTE ALESSANDRINO, Sfrontata, 2,
11,
51,
5. 6
(GCS
CLEMENTE, 2, p. 141, 1. 4-6): νους e λογισμός quale timoniere del l'anima, con rinvio a Prov. 11,4 LXX, prendendo da FILONE.
554
L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
nebre dalle onde delle passioni e, vessata dai cattivi spiriti, la sua sorte è Γ affondamento » 1 3 4 . Cosi si co stituisce un vocabolario ascetico, che, con immagini sempre nuove, parla della « nave dell'anima », della « nave del cuore », della « navicella della vita ». E ciò soprattutto sotto l'influsso di AGOSTINO. Cristo abita nei nostri cuori come in una navicella : « Quoniam Christus in cuiusque corde per fidem est, significatum est nobis quia eius cor tamquam navis in huius saeculi tempestate turbatur, qui fidem suam obliviscitur » 135 . Per conseguenza la rappresentazione della « navicella dell'anima » conduce immediatamente anche a quella della « nave della Chiesa » : poiché è un assioma fondamentale della teologia cristiana antica, che nella Chiesa si compie in primo luogo tutto ciò che poi avviene sempre, nella partecipazione alla Chiesa, in ogni singola anima. Per limitarci ad una sola indicazione, questo è il principio espositivo fondamentale nell'esegesi del Cantico dei Cantici sin dai tempi di Ippolito e Origene. Ciò vale ora anche qui: l'anima e la Chiesa sono guidate dallo stesso pilota della salvezza, dal Logos Cristo. La « nave del cuore » di Agostino è la « nave di Pietro » 136. 134 P S . - M A C A R I O , Homiliae pneumalkae, 28, 2 (PG 34, 712 B C ) . C£r. anche Homilia 44, 7 (PG 34, 784 B). 136 AGOSTINO, Enarrationes in Psalmum 45, 6 (PL 36, 517 C ) . 136 Già nel passo di Agostino citato sopra, la simbolica passa insensibilmente dalla « nave di Pietro » della Chiesa alla navicella del cuore. La stessa cosa si verifica in Enarrationes in Psalmum 34, 3 (PL 36, 324 C) : « Navis tua, cor tuum, Jesus in navi, fides in corde ». PIETRO CRISOLOGO, Sermo 20 (PL 52, 255 C ) : « Dormientem in nobis
C h r i s t u m . . . excitemus ». - CESARIO D I ARLES ( M O R I N I, 2, p . 751,
1. 20-28; e I, 1, p. 239, 1. 2), ove la « navicula animae nostrae » è identificata immediatamente con la nave della Chiesa. - Per l'idea della
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555
Nella Teofania siriaca EUSEBIO dice delle parole, che ci mostrano chiaramente con quale concatenazione di idee la simbolica della « nave dell'anima » passa al terzo dei nostri tre gruppi, all'allegoria della nave del mondo : « Il Logos di Dio è soltanto Uno secondo la sua essenza, ma è molteplice secondo le sue potenze, ed è lui che abbellisce l'universo. Così pure nell'uomo c'è certamente soltanto «n'anima ο una sola potenza logica, ed essa è la plasmatrice di tutte le arti: essa insegna a costruire e pilotare le navi e osserva il percorso delle stelle » 137. Qui Eusebio trasferisce la dottrina platonica dell'anima del mondo come pilota del tutto, al suo Logos pensato subordinatamente, e le singole anime sono in cambio soltanto delle immagini speculari del Logos. Come l'anima guida la sua piccola nave del corpo, così la Parola guida la grande nave dell'universo con la sua forza semplice e molteplice. «navicella dell'anima», cfr. anche AGOSTINO, Sermo 83, 1 (PL 38, p. 424), ove anima e Chiesa vengono nuovamente nominate insieme: « Navigantes sunt animae in Ugno saeculum transeuntes. Etiam navis illa Ecclesiam figurabat ». - GREGORIO DI NISSA, In Cantica Canticorum, homilia 12 (PG 44, 1 0 1 6 B ) : ή δε έ μ ψ υ χ ο ς α ΰ τ η ν α ΰ ς Ε κ κ λ η σ ί α . La nave dell'anima in quanto guidata dal timoniere del Logos, dalla ragione: BASILIO, Ad iuvenes, 2 (PG 31, s6s B), e 5 (31, 577 C ) . - La nave dell'anima, che deve essere preservata pura, così come una nave deve avere delle assi senza scorticature: M E T O D I O , Simposio, 11 (GCS M E T O D I O , p. 130, 1. 24S). - CLEMENTE ALESSANDRINO, Quis dives, 8, 5 (GCS CLEMENTE III, p. 165, 1. 12-14). - Per il pensiero simbolico del medioevo, cfr. BERENGZ DI TREVIRI, Liber de mysterio Ugni dominici (PL 160, 897 D; 988 A ) : «Navicula mentis nostrae ». - P S . - U G O DI S. VITTORE, Allegoriae, 3, 4 (PL 175, 805 C ) : «(Jesus) in navim ad illos ascendit, quando sanctam Ecclesiam per gratiam intrans fideles conerà quaelibet adversa m u n i t » . - Ivi, I, 13. 14 (PL 175, 641 B ) ; e. 642 D) : l'arca di N o è come Chiesa e come anima. 137 EUSEBIO, Teofania siriaca, 1, 30, 31 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 51, 1. 24-31).
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
Qui vengono espressi gli stessi pensieri poseidonici, che già abbiamo incontrato in NEMESIO e in CICERONE: mediante la sua partecipazione al Logos, l'uomo, nonostante la sua debolezza corporea, è essenzialmente al di sopra degli animali, poiché è diventato un essere « logico », che mostra la sua spiritualità, simile a quella del Logos, nella capacità di costruire e guidare delle navi. « Un animale irragionevole ha mai inchiodato una nave, e gli è mai venuto soltanto in mente la meravigliosa arte del pilotaggio delle navi » ? 138 Ciò appartiene chiaramente ad un preciso topos della apologia cristiana e certamente anche stoica. Nel suo quarto discorso sulla provvidenza divina, lodando le mani dell'uomo, questi strumenti dello spirito, TEODORETO designa l'arte di costruire le navi precisamente come opera della « sapienza donata da Dio » 139. Qui parla naturalmente l'antico timore del « mare cattivo » : infatti la grandezza dello spirito umano, partecipe del Logos del mondo, consiste precisamente nel fatto che con la sua nave vince l'elemento avverso, proprio come penetra nel «buon elemento», il cielo, mediante la conoscenza della astrologia. Poiché il Logos, di cui egli è partecipe, è il pilota dell'universo, il cosmos é una grande nave. È nel potere logico stesso dello spirito umano, con cui egli costruisce le navi, il riconoscere dalla regolarità e bellezza del mondo l'unico Dio creatore del mondo. Anche questo pensiero appartiene ai luoghi comuni spesso enunciati dell'antica apologetica. Già PLUTARCO dice che colui che paragona la divinità 138 EUSEBIO, ivi, i, 47 (GCS 3, 2, p. 64, 1. 25s). - Cfr. anche Laus Comtantini, 12 (GCS I, p. 233, 1. 14-26).
LA NAVE DI LEGNO
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alle cose terrestri, è come colui che confonde la nave con il pilota : « In nulla egli si distinguerebbe da colui che prende l'albero, la velatura e l'ancora per il pilota » 140 . Ciò va contro la dottrina dell'immanenza degli Stoici, che fanno del loro Logos del mondo il principio vitale immanente a tutte le cose. L'apologetica cristiana si può impossessare di ciò, per raffigurare la perfetta trascendenza di Dio ed allo stesso tempo però anche la sua cura per le cose create, la quale tutto dirige: il pilota non è mai la nave stessa, e tuttavia la sorte della nave dipende dalla sua guida sempre vigile. « Chi, affondando, divinizza le forme mutevoli degli elementi », dice ATENAGORA, « è simile ad uno che scambia per il pilota la nave su cui viaggia. E tuttavia: come una nave, sia essa anche la meglio equipaggiata, non serve a nulla senza il pilota, così gli elementi, per quanto essi siano bellamente ordinati, non servono a nulla senza la provvidenza divina. La nave da sola non viaggerà, gli elementi senza il loro padrone non si muoveranno » 141 . Ciò risuona ancora quasi alla lettera in EUSEBIO : « Chi chiama dei le creature di Dio, agisce stupidamente così come uno che chiama pilota la nave » 142. Dietro a questi argomenti c'è dunque la rappresentazione dell'universo come la grande nave guidata dal Logos. « E dalla nave noi abbiamo concluso al padrone della nave », dice GREGORIO DI NISSA 143 . Nei 139 110 111
TEODORETO, Oratio de Prouidentia, 4 (PG 83, 616 B-D). PLUTARCO, De Iside et Osiride, 66 (377 B). ATENAGORA, Supplicata, 22 (OTTO, VII p. 114S).
"> EUSEBIO, Teofania siriaca, 2, 47 (GCS III, 2, p. 100, 1. 19). 143
GREGORIOXII NISSA, De anima et resurrectione,2, 3 (PG 46, 24 A).
- EUSEBIO, Teofania siriaca, 1, 1 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 39, 1. I2ss).
558
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due versi di ARATO, che precedono immediatamente quello citato da PAOLO nell'Areopago 144 , il poeta dice, che « ogni mare e tutti i porti sono pieni di Zeus » 145. L'Apostolo interpreta e cristianizza questo antico senso di Dio, quando dice che Dio è per così dire tangibile per tutti. Già PLATONE aveva concluso dall'ordine cosmico all'esistenza e alla sapienza dell'Anima del mondo 1 4 6 . Ciò viene ripreso da POSEIDONIO nella polemica contro la materializzazione stoica, e la eco dei suoi scritti metafisici ci viene conservata nel paragone, usato dallo scritto pseudoaristotelico Περί κόσμου: «In breve dunque bisogna dire: ciò che il pilota è nella nave, il guidatore sulla carrozza, il maestro del coro nella danza, la legge nella Polis, ciò è Dio nel mondo » 147 . Si sa che APULEIO ha riportato queste parole alla lettera: «Postremo quod est in triremi gubernator, in curru rector, praeceptor in choris, lex in urbe, dux in exercitu, hoc est in mundo Deus » 148 . Con ciò questi platonici dell'ultima ora vogliono soprattutto sottolineare che Dio è nell'ai di là, come PLUTARCO si esprime contro gli Stoici: se gli dei fossero soltanto il principio stesso del movimento delle cose, « essi non sarebbero neppure alla 141
At 17,27. 28.
145
A R A T O , Phainomena, w . 3s.
148
Così almeno EUSEBIO, Teofania siriaca, 2, 26 (GCS III, 2, p. 92, 1. 2-4), crede che debba essere spiegata la dottrina platonica dell'anima del m o n d o . Egli si fonda però su P S . - P L A T O N E , 986 C ; cfr. anche EUSEBIO, Praep. evangelica, 1, 16, 1 (PG 21, 888 A). 147 Ps.-ARISTOTELE, De mundo ( 4 0 0 Β ) : δ π ε ρ έν ν η ί κ υ β ε ρ ν ή τ η ς ... τ ο ϋ τ ο θ ε ό ς έν κ ό σ μ φ . Cfr. W .
CAPELLE, Die
Schrift
von
àer Welt, ein Beitrag zur Geschichte der griechischen Popularphilosophie, in Neue Jahrbiicher 15, 1905, p. 529-568. - I. HEINEMANN, Poseidonios' metaphysische Schriften, Breslavia 1921, v. 1, p. 126S. 148
A P U L E I O , De mundo, 35.
LA
NAVE
DI LEGNO
559
pari con i cocchieri ο i piloti, separati e liberi, ma somiglierebbero alle statue legate ai vasi, inclusi e incu neati nella materia » 1 4 9 . Qualcosa di simile risuona ancora nell'argomentazione di LATTANZIO, quando pa ragona la nave dell'anima alla nave del mondo : « Si regit (Deus), non utique sicut mens corpus regit, sed tamquam domum dominus, navem gubernator, au riga currum, nec tamen mixti sunt iis rebus quas regunt » 150 . Dall'altra parte, c'è la scuola platonica dell'ultimo periodo (e poi la neoplatonica), ambedue divenute così importanti per l'apologetica cristiana, dedite appunto ad esprimere, con il paragone Dio-pilota, la sua amorosa cura per la nave del mondo. Regere et guhernare, questa è la formula che torna così spesso per esprimere tale cura (e non si sbaglia certamente di molto se la si ode ancor risuonare persino nella nostra lingua liturgica). « Est Deus aliquis, qui regat, qui gubernet », dice Cicerone 151 . Regere : ciò si riferisce al mondo come Polis, come « organismo statale dell'universo », secondo un'espressione di MINUCIO FE148 PLUTARCO, De defectu oraculorum, 29 (426 B). i5o LATTANZIO, Div. Instit., 7, 3, 6 (CSEL 19, p. 588, 1. 19-22). Epitome, 2 3 (CSEL 19, p. 677, 1. 3-5). lal CICERONE, De natura deorum, 1, 52. - Qui si sente chiaramente l'eco della duplice immagine che Cicerone, come lo PS.-ARISTOTELE e APULEIO, potrebbe aver desunto da POSEIDONIO: del pilota (rector) e del timoniere (gubernator). Cfr. anche TERTULLIANO, Apol., 17, 7 (CSEL 69, p. n i , 1. 2s), ove vengono presentati i platonici e la immanenza attribuita al provvido governatore del mondo, nonostante tutta la loro trascendenza: «Intra mundumPlatonici (dicunt esseDeum) qui gubernatoris exemplo intra id maneat quod regat ». - AMBROGIO, De Cam et Abel, 1, 1, 4 (CSEL 32, 1, p. 340, 1. I3s) 1 Dio è il pilota del m o n d o , a cui si assoggetta l'anima buona, « Deo defert et eius tamquam parente atque rectoris subdit omnia gubernaculo ». - Di qui spesso l'uso di «navigli rector», SENECA, Utah, 6, 6; «gubernaculo rector», VIRGILIO, Eneide, 5, 176.
560
L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
152
; gubernare : ciò si riferisce all'universo come nave di Dio, la quale viene guidata dalla silenziosa onnipotenza della provvidenza. « Mundum Deus tacita ratione gubernat », dice nell'Astronomica MANI153 LIO . MINUCIO FELICE unisce i due concetti: « Providentia mundus regitur et unius Dei nutu gubernatur » l s 4 . Città, corpo, nave: tutti e tre i concetti dicono sempre e soltanto una cosa intorno al mondo come cosmos, e cioè che questo organismo viene diretto e governato, sino nelle sue minime particolarità, dal Dio che tuttavia sta completamente nell'ai di là. « Totum enim hoc mundi corpus ... cum omnis rationis gubernaculo inventum est », dice TERTULLIANO 155. Egli vuol dire la stessa cosa che prima di lui aveva già scritto SENECA : « Cuius (Dei) gubernaculo moles ista mundi dirigitur » 156 . Tutta questa simbolica viene espressa forse nel modo più vivo nel Jupiter tragoedus di LUCIANO, ove lo spiritoso dicitore cerca di spiegare al Padre degli dei, che la grande nave del mondo non è affatto guidata da Dio. Senza provvidenza, tutto ciò che avviene nel corso del mondo è certamente splendido, ma è senza senso : « Il cavo delLICE
152
M I N U C I O FELICE, Ottavio, 17, 2 (CSEL 2, p. 21, 1. i9s). M A N I L I O , Astronomica, 1, 251. 154 M I N U C I O FELICE, Ottavio, 20, 2 (CSEL 2, p. 28, 1. 8s). Cfr. anche 18, 5 (p. 23, 1. 22s). 155 TERTULLIANO, Apol., 11, 5 (CSEL 69, p. 31, 1. 7-11). L'espressione « mundi corpus » fa pensare agli A C T A ABCHELAI, ove la nave della natura dell'uomo viene detta « corpus illud immensum » (cfr. sopra, nota 130). Si vede bene che i concetti di mondo, corpo, città, nave, sono interscambiabili e rappresentano sempre la stessa cosa: precisamente ciò che si concretizza in senso pieno nella Chiesa. 150 SENECA, Epistola ad Lucilium, 107, io. - Cfr. AGOSTINO, De civitate Dei, 4, 31 (CSEL 40, 1, p. 205,1. 2s): « (Deus) m o t u ac ratione m u n d u m gubernat ». 153
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l'albero della nave è teso sul cassero, le due gomene della vela sono fissate alla prua. Le ancore sono veramente di oro, l'ornamento della prua di piombo, la parte della nave che pesca in acqua è dipinta graziosamente, al di sopra dell'acqua tutto è grigio e pulito. I marinai sono pigri ragazzacci, e un altro che si p o trebbe muovere con grande agibilità sull'antenna, viene impiegato per svuotare l'acqua dalla stiva ». Gli risponde Giove : « Senza pilota dunque una nave non può condurre a termine il suo viaggio. Eppure tu credi che l'universo sia senza guida e che possa giungere senza pilota?» 1 5 7 . Perciò nell'apologetica di E U SEBIO, conforme ai concetti del platonismo dell'ultimo periodo, il Logos viene ancora designato come il pilota della nave del m o n d o : il Logos è stato costituito dal Padre del tutto, dal creatore del mondo, pilota del cosmos, κυ βερνήτης τοϋ παντός 1 5 8 . « La Parola tiene le redini e conduce il m o n d o su una dritta via verso la meta e guida secondo il cenno del Padre la grande nave del m o n d o universo », egli dice nella Teofania siriaca 1 5 9 , pensiero ripreso nell'estratto da lui compilato e che è conservato nella Laus Constantini : 6 Λόγος παρικω πνεύματι το μέγα τοϋ σύμπαντος κόσμου πηδαλιούχων σ κ ά φ ο ς 1 6 0 . «Al cenno del Pa dre » : il Padre sta dunque sulla prua della nave del 157
LUCIANO, Jupiter tragoedus, 46-49 ( R E I T Z , 693-698). EUSEBIO, Laus Constantini, 11 (GCS EUSEBIO I, p. 227, 1. 8). 159 EUSEBIO, Teofania siriaca, 1, 25 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 47, 1. 25 - p. 48, 1. 1). 180 EUSEBIO, Laus Constantini, 12 (GCS 1, p. 231, 1. 26s): - Cfr. T E O D O R I T O , Oratio de Providentia, 1 (PG 83, p. 564 C D ) : κ υ β έ ρ ν α γ α ρ την κτίσιν ό π ο ι η τ ή ς και ού κ α τ έ λ ι π ε ν άκυβέρνητον δ πεποίηκε σκάφος 158
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
CIRTA 166. E la pietà divenuta cristiana prorompe con sicurezza totalmente nuova nell'antico canto corale alla provvidenza divina. Basti leggere il secondo discorso di TEODORETO sulla provvidenza, per essere impressionato da questo gradevole accordo di fede cristiana e di antica pietà in una massa di simboli nautici 167. Senza πρόνοια la vita umana è come una nave carica in alto mare, dice GREGORIO DI NISSA 168. E AGOSTINO ha così espresso il senso cristiano della sicurezza nella nave del mondo : « Sì, ο Signore, tu siedi al timone di tutte le cose, tu che le hai create » 1 6 9 ! Nelle prediche sui Salmi 17 ° egli dà una viva descrizione della stoltezza dell'antichissimo desiderio dell'umanità, di essere soltanto per un momento « il buon Dio », 0, per dirla secondo l'antico modo di pensare, di avere il timone dell'universo nelle mani: « Vult autem Deum excutere de gubernatione huius mundi et ipse tenere gubernacula creaturae et distribuere omnibus dolores et laetitias, poenas et praemia. Infelix anima ! » Questa sicurezza cristiana ha il suo più profondo fondamento nella certezza che il destino della nave del mondo è guidato dal Padre del Signore Gesù Cristo e quindi questo destino è legato al felice viaggio della nave della Chiesa. Nella teologia dei Padri, infatti 1,6
FRONTONE DI CIRTA, Ad Antoninum Augustum (NABER, ρ. 232,
1. 22S.
187 TEODORETO, Oratio de Providentia, 2 (PG 83, 576 A-D). Anche più bello in Graec. aff. curatio. Sermo 6, 1 (PG 83, 956 AB). - Cfr. anche GREGORIO NAZIANZENO, Carmina, 1, 2, 34, v. 265 (PG 37.. 964 A) : « La provvidenza è il timone con cui Dio governa l'universo ». 188 GREGORIO DI NISSA, De anima et resurrectione, 14, 7, (PG 46 120 A). - Un pensiero simile in BASILIO, Ad iuvenes, 5 (PG 31, 577 C). 188 AGOSTINO, Confessioni, 6, 7, 12 (CSEL 33, ρ. 125, l. i5s). 170
AGOSTINO, Enarrationes in Psalmum 120, io (PL 37, p. 1638 A).
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la Chiesa è la sorte anche del divenire cosmico, come abbiamo dimostrato più sopra nella parte intitolata Mysterium lunaem : anche la resurrezione degli elementi fisici è connessa al compimento del mistero cristiano nella Chiesa. Alla fine dei tempi ci sarà soltanto una nave dell'umanità, la nave del mondo è diventata così la nave della Chiesa, e tutto ciò che si trova al di fuori di questa nave, può essere soltanto rottami e naufragio. Allo stesso modo che la luce della luna terrestre si annulla nello splendore della Chiesa quale luna celeste, così la nave del mondo si rivelerà come nave della Chiesa, quando il « mare cattivo » si sarà ritirato e la salvatrice guidata dalla « Provvidenza » resterà sulla montagna ad Oriente, sull'Ararat celeste172. La meraviglia dinanzi al cielo stellato e il rischio meravigliosamente pericoloso del viaggio per mare, questi due segni dell'uomo ripieno di logos, sono per i cristiani simboli del futuro. GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ intona il suo poema con un inno
all'Eterno Padre, rettore della nave del mondo, e al Logos, che guida il mondo e lo sostiene nel capovol gimento : « Lo so bene, debole è certamente la nave sull'immane mare, deboli sono le ali per colui che va all'assalto del cielo folgorante. Così anch'io sono debole, quando il mio spirito si eleva alla lode della divinità, 171
Cfr. sopra, p. 273-293. "* IPPOLITO, Frammento arabo su Gen 8,1 (GCS IPPOLITO, I, 2, p. 91). - FR. DOLGEH, Sol Salutis, 2 ed., p. 274..
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
persino i cori celesti comprendono che non sono degni di cantarlo, lode sia alla legge di Dio e al timoniere dell'universo » 173 . Questo il medesimo sentimento platonico divenuto cristiano, come lo esprime la Consolatio di BOEZIO: l'uomo ancora vagante sui flutti terreni guarda con nostalgia verso Dio, il pacifico abitatore dell'ai di là, che tuttavia guida le cose con il « timone della sua bontà », e lo prega per avere un felice viaggio in questa vita, per il calmo e santo rivolgimento degli elementi 174 e per un beato approdo nel porto: « Oh, abbi misericordia del dolore della terra, a cui è legato l'ordinamento del mondo: non piccola parte di una così potente opera, l'uomo, lotta sul mare del destino. Come il timoniere doma i flutti irruenti, così tu domini l'infinito tutto, tieni insieme fermamente anche la terra » 175. Con ciò anche la storia spirituale dell'antica allegoria della nave del mondo sfocia nella storia della nave della Chiesa. Il destino cosmico della nave del mondo dipende, in ultima istanza dal felice viaggio della nave della Chiesa. Questo è ora l'aspetto, espresso simbolicamente, di quella che era la più sorprendente e la più profonda persuasione dell'antica apologetica " • GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ, Carmina, ι, ι, w . 1-5 (PG 37, 397).
1,4 BOEZIO, De consolatione Philosophiae, 3, 12, 17 (CSEL 67, p. 74, 1. 13-17; 1. 22): «Per se regit omnia quem bonum esse consensimus, et hic est veluti quidam clavus atque gubernaculum quo mundana machina stabilis atque incorrupta servatur ... davo bonitatis ». " s BOEZIO, De consolatione Philosophiae, poesia 5, w . 42-48 (CSEL 67, p. 15).
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cristiana : il mondo è stato creato solo per la Chiesa futura, e la fine del mondo, questo naufragio degli elementi, comincerà soltanto quando la Chiesa avrà terminato il suo viaggio che sin da ora ha la certezza di un felice esito 17e. Ciò risuona ancora nella preghiera del SACRAMENTARIUM LEONIANUM, che è passata an-
che nel nostro messale : « Da nobis, quaesumus Domine, ut et mundi cursus pacifìce nobis tuo ordine dirigatur et Ecclesia tua tranquilla devotione laetetur »177. La espressione mundi cursus è desunta dal linguaggio nautico 17S : essa significa « rotta del mondo », e tale viaggio pacifico è condizionato dalla tranquilla devotio nella nave della Chiesa, in cui i laici, ossia anche lo Stato, l'impero, con tutti i suoi compiti politici e sociali, « siede tranquillo » 179 . Qui risuona ancora una volta 1!
« Cfr. ARISTIDE, Apol., 16, 6 (BKV, 2 ed., 12, p. 53). - G I U -
STINO, Apol., 2, 7 (Otto, I, p. 216). - TERTULLIANO, Apol., 31, 3; 32, 1 (CSEL 69, p. 80; 1. 11 - p. 81, 1. 7). 1,7 L. A. M U R A T O R I , Liturgia Romana vetus, Venezia 1748, p. 397; cfr. C. MOHLBERG, Das frdnkische Sacramentarium Gelasianum in alamannischer Uberlieferung, Miinster 1918, p. 146. - MISSALE R O M A N U M , Oratio della quarta domenica dopo Pentecoste; qui la struttura oppure la scelta delle orazioni è condizionata dalle relative pericopi del vangelo (Lue 5,1-11) sulla nave di Pietro. 1,6 Per una massa di esempi riguardanti l'uso nautico di cursus, cfr. Thesaurus linguae latinae, 1906-1909, v. 4, col. 1535, p. 82ss. Trasformato simbolicamente in CICERONE, Republ., », 4 5 : « In gubernanda re publica moderantem cursum (tenere) ». - In GEROLAMO nel quadro della mistica navigazione dell'asceta attraverso il « Mar R o s s o » : Epistola 125, 3 (CSEL 56, p. 121, 1. 14): «Felix cursus». 1,9 L'immagine dei passeggiai che « siedono tranquilli », già esposta in L U C I A N O , Caronte, 3 ( R E I T Z 943), riceve un senso di nuovo conio nell'allegoria della nave della Chiesa. Cfr. Epist. Clementis (PG 2, 49 C; G C S PS.-CLEMENTINE I, p. 17, 1. 7-8): οί έ π ι β ά τ α ι εδραίοι επί τ ω ν ιδίων κα&εζόμενοι τ ό π ω ν . - COSTITUZIONI APOSTOLICHE, 2, 57 (FUNK I, ρ. ι 6 ι , 1. 6 ) : οί λ α ϊ κ ο ί κ α θ ε ζ έ ς ^ ω σ α ν
μ ε τ ά π ά σ η ς η σ υ χ ί α ς κ α ι ε υ τ α ξ ί α ς . Π testo della lettera pseudo-
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L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
ciò che abbiamo sentito inizialmente nella predicazione di PIETRO CRISOLOGO sulla nave della Chiesa: Cristo, il timoniere di questa nave che viaggia attraverso tutta la terra, ha calmato le onde del mondo (e mondo, per l'uomo antico, significa impero) e mediante la Chiesa gli ha assicurato un viaggio tranquillo: « Sedat fluctus, componit populos, Romanos efficit Christianos ». CRISOSTOMO ha espresso quasi dialetticamente lo strano paradosso di questa divina Provvidenza, che agita il mare cattivo di questo mondo e per questo ha costruito fortemente la nave della Chiesa : « Proprio in ciò sta la meraviglia, che il flutto tempestoso non solo non affonda la nave, ma che la nave ha calmato la tempesta » 180 . Così per gli antichi cristiani, la nave statale del loro impero squassata da tutte le tempeste, la nave mondiale di tutte le terre, che al suo sguardo raffigurano il cosmos guidato da Dio, si trasforma nell'immagine della nave della Chieclementina suona così nella traduzione di R U F I N O (PG Z, 49) : « C u m quiete et silentio epibatae, id est laici, in suis unusquisque resideat locis ». - Anche gli « epibatae » (nel linguaggio marinare viene evidentemente usata la parola straniera greca) entrano quindi nell'ascetica nautica, come indica la lettera di AGOSTINO ad un monaco (Epistola 216, 6: CSEL 57, p. 402, 1. 9-14): « A m o t a . . . procella navis propositi nostri epibatis quietis onusta intra stationem tutissimi portus secura consistat et in ilio portu, intra quem iam non erit metuendum vitae navigium, mercium indiscrepans accipiat pretium placitarum ». Ciò viene applicato alla Chiesa che veleggia verso il porto dell'eternità da AKNOBIO J U N I O R , Ccmment. in Psalmum 103 (PL 53, 477 D ) :
« Ibi naves transeunt, solae Ecclesiae universarum provinciarum, quae epibatas ducunt ad regna coelorum, a civitatibus terrenis ad civitatem Jerusalem matrem nostrani. Q u i autem sine nave fuerit in hoc mari magno inventus, inveniet draconem, qui formatus est ad illudendum eis ». 180 CRISOSTOMO, In insaiptionem Actorum, Homilia 2, 1 (PG 51, 78 A).
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sa. In perfetta armonia con ciò sta l'esuberante gioia di EUSEBIO per la tolleranza di Costantino, quando scrive nella Teofania siriaca : « Tutta l'Asia, l'Europa, la Libia e l'Egitto, che prima non erano altro che una nave presa nella tempesta, che venti e tempeste impetuose hanno colto contemporaneamente da tutti i lati e che scompare qua e là nell'uragano, vengono pilotate ora con gioconda serenità, brillante calma e pacifica gioia, e riconoscono l'unico timoniere dell'universo » 1 8 1 . È lo stesso pensiero che nel Sacramentarium Leonianum si eleva dalla nave quale bellissima preghiera della cristianità antica per ottenere Γεΰπλοια: « Exaudi nos, Domine Deus noster, et Ecclesiam tuam inter mundi turbines fluctuantem clementi moderatione moderare, ut tranquillo cursu portum pcrpetuae securitatis inveniat » 1 8 2 . La Chiesa è dunque polis, psyche e cosmos del m o n d o : la nave buona della salvezza, che il Logos dirige e in cui si compie il destino finale delle anime, dello Stato, della creazione. Il simbolo della nave vuole dire ma su un piano completamente diverso, la stessa cosa che si afferma della relazione tra cittadino e Stato, tra corpo e anima, tra u o m o e cosmos: è una inscindibile comunità di destino, in cui il singolo nella sua esistenza è sempre in relazione con la consistenza del tutto, e tuttavia egli stesso conduce a termine questa consistenza. Ma ora sopravviene il meraviglioso: questa 181 182
EUSEBIO, Teofania siriaca, 2, 76 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 114). MURATORI, 448. - GREGORIO DI NISSA, In Cantica Canticorum,
homilia 12 (PG 44, 1016 A) : εύχήν ποιούνται της ναυτιλίας προοίμιον, θεον γίιίεσθαι κα&ηγέμονά φασιν της εύπλοίας. Η. RAHNER, Euploia, in Perennità*. Festschrift fiir Thomas Michels, Munster 1963, p. 1-7.
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comunità inscindibile è, per così dire, « fragile », ossia, in rapporto ai suoi compiti straordinariamente pericolosi, essa è fatta di un materiale da nulla: essa è una « nave di legno ». Spirito immortale si è unito con materia caduca. Lo stato si compone di assi che diventano marce, come canta Orazio. Secondo la simbolica di PLUTARCO, l'organismo dell'unità psicosomatica dell'uomo si deve paragonare alle coste della nave sacra di Teseo, che debbono essere sempre rimpiazzate, e finisce nei rottami platonici della morte. Il cosmos si costruisce con gli elementi che tendono sempre alla dissoluzione, e la sua fine è il naufragio. Questa è però, di nuovo in un senso superiore e pur sempre lo stesso, la legge fondamentale nella nave della Chiesa; essa è una costruzione di πνεΰμα e ξύλον 1 8 3 . Il misterioso paradosso della sua essenza soprannaturale sta nel fatto che questa nave sarà sempre una salvezza per « la natura che affonda nel naufragio », proprio per il fatto che essa è fatta di legno (e cioè, per il fatto che la più fiera pretesa e la vera capacità di sicuro approdo si fondano sulla umilissima consistenza del suo essere). La Chiesa, infatti, è costruita con il legno della croce. Ne parleremo ancora. Ciò avverrà nel quadro dell'ardito concetto, che PROCLO DI COSTANTINOPOLI ha enunciato in una predica sull'ascensione di Cristo, fissando l'occhio nell'eterna dimora, nel cui porto termina il viaggio della Chiesa e del cosmos : « Dov'è ora, ο Satana, ο pirata, il tuo
1 8 3
Cfr. GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ, Oratio theol, 2, 27 (PG 36,64 A),
ove l'uomo che viaggia per mare è chiamato « nautilus abitante la terra », che può compiere il meraviglioso miracolo della navigazione soltanto perché viene tirato e portato « da legno e pneuma ».
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avverso agire? La croce che tu hai piantato per il nostro pilota, è divenuta salvezza per la natura naufraga e la conduce sino al porto del cielo. Canta ora un canto di gioia invece di un canto di tristezza, canta di nuovo, ο Terra » 1 8 4 . 3. LA N A V E DI L E G N O DELLA C R O C E
La teologia cristiana antica non si accontenta di lodare nella realizzazione della salvezza da parte di Cristo il fatto che essa fu compiuta in un modo, che era esattamente il contrario della salvezza, della vita e della vittoria, e cioè nella morte di croce del Signore, che sembra essere una vittoria della morte e di Satana: «Ut qui in Ugno vincebat, in Ugno quoque vinceretur » 185 . Noi entriamo in questo settore del paradosso soprannaturale, quando trattiamo il simbolo nautico, che esprime la medesima verità. Anche la nave della Chiesa, sulla quale noi, in virtù della morte di Cristo, possiamo compiere il viaggio vittorioso at184 PROCLO DI COSTANTINOPOLI (?), Sermo de Ascensione Domini, 2 (PG 65, 833 B C ) . 185 MISSALE R O M A N U M , Praefatio de sancta Cruce. - Questa contrapposizione dei due Ugna, del paradiso e della croce, appartiene al più antico tesoro teologico. IRENEO dice : « Ut q u e m a d m o d u m per lignum facti sumus debitores Deo, per lignum accipimus nostri debiti remissionem » : Adv. haer., 5, 17, 3 (HARVEY II, p. 371). E similmente in un passo conservatoci ancora in greco: έ π ε ί γ α ρ Sia ξ ύ λ ο υ ά π ε λ ά β ο μ ε ν α υ τ ό ν (se. τ ο ν Λ ό γ ο ν ) , δ ι α ξ ύ λ ο υ π ά λ ι ν φανερον τ ο ι ς π ά σ ι ν έ γ έ ν ε τ ο : Adv. haer., 5, 17. 4 (HARVEY Π, ρ. 37 2 )- È interessante il m o d o in cui Origene altera il testo R o m 5,12: δ ι α ξ ύ λ ο υ θ ά ν α τ ο ς κ α ι δ ι α ξ ύ λ ο υ ζ ω ή , Adversus Celsum, 6, 36 (GCS ORIGENE II, ρ. 105, l. 3zs). - Quasi allo stesso m o d o GIOVANNI D A
MASCENO, De fide orthodoxa, 4, 11 (PG 94, 1132 C ) , FILOTEO D I C O S T A N TINOPOLI (PG
154, 724 D;
725 A) e AVITO DI VIENNE
(PL 59,
314 B ) .
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
traverso il cattivo mare del mondo, è fabbricata con l'umile e spregevole legno della croce, che ci ha procurato la vittoria. Morte e vita, umiltà e splendore sono immediatamente affiancati in questa nave, allo stesso modo in cui sulla nave costruita dallo spirito umano, morte e vita sono separate soltanto dalle assi dello scafo. Proprio per questo il viaggio sulla nave della Chiesa è ad un tempo così meraviglioso e così pericoloso. Il cristiano è in un senso molto più alto quel navigante, di cui i Detti di Secondo affermavano che è un « vicino della morte e tuttavia un amante del mare »186. Dobbiamo mostrare ora in qual modo si formi questo paradosso della mortale magnificenza a partire dalla suddescritta forma originaria della simbolica navale. Dopo di che spiegheremo in qual modo questa immagine viene illustrata dall'antica teologia cristiana del « legno della croce ». Solo allora saremo in condizioni di comprendere i molteplici simboli nautici, che ci vengono offerti dai Padri della Chiesa, quando parlano della nave della Chiesa costruita con il legno della croce. Qui ci si svela il profondissimo mistero teologico dell'antica ecclesiologia cristiana e soltanto così siamo in grado di penetrare, mediante il mondo velato delle immagini della simbolica, nel regno della pura dogmatica. Abbiamo già accennato più sopra che l'atteggiamento dell'anima dell'uomo antico dinanzi al viaggio 186
Cfr. sopra, p. 517. Un simile concetto è espresso anche da
ANARCHIDE, conservato in DIOGENE LAERZIO, I , 104 (HICKS I, p. 108):
« Quando gli fu chiesto se i vivi siano più numerosi dei morti, egli rispose: E quelli che viaggiano su nave, tra chi dovrò contarli ?»
LA NAVE DI LEGNO
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per mare è un insieme di orrore e di amore, ed abbiamo mostrato come da ciò si sviluppi quella complessa simbolica nautica, ogni qual volta il Greco simboleggia con l'immagine della nave un comune destino di morte e di vita. Dietro di ciò c'era lo stupore sempre nuovo dinanzi al rischio di viaggiare sul mare cattivo con un legno così spregevole. Ora cercheremo di presentare più da vicino questa opposizione; poiché è in questa dialettica simbolica delle due immagini « mare cattivo » e « nave di legno », che si trova il punto di contatto per la comprensione della dialettica dommatica, che noi ci sforziamo di mettere a nudo. Trovarsi così a contatto diretto con la morte, era una esperienza sempre nuova per l'uomo antico, che andava in mare. « Domani il pauroso viaggio giunge a termine », dice il navigante in un epigramma di ANTIHLO, « ma appena detto ciò, il mare diventa per lui Ade e lo inghiotte. Dunque, non dir mai ' domani '» 187 . Questo pensiero diventa più assillante ancora mediante l'immagine, per il fatto che si può, per così dire, misurare la vicinanza della morte dallo spessore delle assi dello scafo, che stanno tra uomo e mare (vi abbiamo già accennato nella ricerca iniziale su Ulisse all'albero della nave18S). L'immagine è come carica di contraddizioni: l'uomo che viaggia per mare sembra disperatamente posto in balìa di « un piccolo legno » e gettato nella terrificante notte marina; il pericolo diventa tanto più grande, quanto più carica è la nave; e tuttavia su questo spregevole la
' ANTIFILO, Epigramma 17 {Anthologia Graeca VII, 630, BECKBY II,
368). 188
Sopra, p. 407.
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legno egli si sente come trasportato dalle mani della Provvidenza. Così canta PROPERZIO a proposito del suo amico Peto naufrago : « Hunc parvo vidit nox improba ligno, Paetus ut occideret, tot coiere mala » 189. Qui è espressa l'opposizione, poeticamente sentita, tra piccolo legno ed essere in balia di un potente destino. Allo stesso modo parla DIONE CRISOSTOMO in uno dei suoi discorsi sulla Tyche : « Gli uomini non affidano le loro anime al capriccioso pino né all'opera delle vele, e non li salva un pezzo di legno d'abete, ma soltanto Tyche » 190 . L'uomo non può abbandonare il viaggio per mare, lo esige il guadagno, per amore del quale ha inventato l'arte del veleggiare. Per amore di questo guadagno egli « ha scavato il legno », dice ANTIFILO nella poesia a noi già nota sulla nave detta « l'Ardita » 191 . E GIOVENALE^ di rincalzo, insiste nel vedere le navi pesantemente cariche vicinissime alla morte : « Qui navem mercibus implet ad summum latus et tabula distinguitur unda » 192 . L'audace, per citare nuovamente GIOVENALE, ha fiducia proprio nel « legno svuotato », ma non per questo è meno vicino alla morte : « Dolato confisus ligno digitis a morte remotus quattuor aut septem, si sit latissima taeda » 193 . Questa sembra essere stata una maniera di dire proverbiale. La si incontra infatti anche in un detto di ANARCHIDE conservato in DIOGENE LAERZIO: «Quattro dita deve avere lo spessore delle assi della nave, e 18
* PROPERZIO, Elegia 3, 7, 53S.
180
181
D I O N E CRISOSTOMO, Oratio 64 (DE B U D E II, p . 190, 1. 23-25).
ANTIFILO, Epigramma 23 (= Anthologia Graeca IX, 29, BECKBY III, 28). 192 GIOVENALE, Sat., 14, 288s. 1 " lui, 12, 58S.
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di tanto pure il navigante è separato dalla morte » 194 . Ma l'uomo, anche se c'è una terrificante tempesta, non rinuncia ad andare in mare. Ciò è dipinto drammaticamente in ARATO: Quando Helios sta nella costellazione del Capricorno, allora vengono i terribili venti del sud, ma gli uomini viaggiano egualmente sull'onda purpurea del mare eccitato, essi hanno lo sguardo puntato verso il porto che indica la terraferma 19S : ήμε&'έπ' αιγιαλούς τετραμμένοι- οι δ'ετι πρόσω κλύζονται ολίγον δια ξύλον "Αιδ'έρύκει. Su questo sfondo le parole del Libro della Sapienza diventano più vive : « Poiché la nave la inventò l'amore del lucro e un artefice la fabbricò con la sua abilità ... perciò anche ad un minuscolo legno affidano gli uomini le loro vite e traversando i marosi su una chiatta si salvano » 196. Έλαχίστω ξύλω: in queste parole della Sacra Scrittura la simbolica cristiana trovò contenute tutte le profondità della futura opera di salvezza e le espose anche secondo le idee del sentimento antico, che noi stiamo descrivendo. Si tratta continuamente della sorprendente opposizione tra la piccola spregevole materia del legno e la salvezza che mediante il legno viene elargita al navigante. « L'uomo, solo tra tutti gli esseri della terra », dice Eusebio, « affida la sua vita al piccolo pezzo di legno di un albero, guida la nave sul dorso del mare, si affida alla profondità dell'umido elemento e respinge la morte che gli sta a fianco, mentre guarda alto verso il cielo e rimette al pilota dell'universo 194
DIOGENE LAERZIO, I, 103
195
ARATO, Phainomena, v. 297S. Sap. 14,2. 5.
196
( H I C K S , I, p. 108, 1. 1-3).
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
la salvezza dei naviganti » 197. Il piccolo pezzo di legno sta dunque tra morte e vita: nessun altro simbolo potrebbe esprimere meglio la situazione dell'esistenza umana e di quella soprannaturale. Come il legno scavato della nave si interpone tra mare amaro e beata quiete nel porto, così pure deve dirsi del mistero della vita cristiana. « Come dall'unica natura del legno sono costruite tutte le navi, così le anime dei cristiani vengono rese capaci dall'unico Pneuma della luce celeste, che promana dalla divinità, di sorvolare su ogni perversità » 198 . Qui si sente il risvolto dialettico dell'umile natura del legno della nave cristiana: come il legno solo regge sul mare, così solo il Pneuma è l'elemento del rimpatrio vittorioso sul mare. Ξύλον e πνεϋμα garantiscono l'approdo nel porto dell'eternità; il legno della mistica nave è, per così dire, legno pneumatico. Infatti esso è legno della croce, che, dopo la morte del Signore, è diventato distributore di Spirito, così come (per portare un altro esempio della teologia patristica), dopo il battesimo nel Giordano, attraverso il contatto salvifico, dell'acqua con il corpo umano di Dio, ogni acqua diventò elargitrice di Spirito e le fonti battesimali si chiamano « Giordano ». Questo effetto soprannaturale del legno si avvera sempre in due sensi : esso è « pochezza del legno » e perciò « meraviglia del legno » ; esso è « piccolo legno », e perciò « legno prezioso, mediante il quale è stata operata la nostra salvezza » 199 . Queste parole del Libro della 187
EUSEBIO,
Teofania siriaca, i, 54
(GCS EUSEBIO III, 2, p. 66,
1· 35-31)· 198 P S . - M A C A R I O , Homiliae pneumatiche, 44, 6 (PG 34, 784 A). "» Sap. 14,7 L X X : ε ύ λ ό γ η τ α ι γ α ρ ξύλον δ ι ' ο δ γ ί ν ε τ α ι δι καιοσύνη.
LA NAVE DI LEGNO
577
Sapienza, che applicano l'allegoria della piccola nave di legno all'Arca di Noè, è diventata per i Padri della Chiesa una mistica predizione del legno della croce. Nel primo naufragio della natura, Dio, pilotando l'Arca, ha salvato le anime sul « piccolo legno ». Il legno della croce e la nave della Chiesa, con esso costruita, ci salvano dal secondo e finale naufragio; ma sempre è presente la grande meraviglia: questa salvezza del cosmos avviene sul piccolo legno: διασώζων ... έν μικρω ξύλω τον κόσμον, dice GREGORIO ΝΑΖΙΑΝΖΕΝΟ 2 0 0 ; ed AGOSTINO esprime lo stesso pen
siero nella Civitas Dei, nel capitolo su Noe, che ebbe tanto influsso nella simbolica del medioevo, con que ste parole : « Arca procul dubio figura est peregrinantis in hoc saeculo civitatis Dei, hoc est Ecclesiae, quae fit salva per lignum, in quo pependit mediator Dei et hominum, homo Christus Jesus » 2 0 1 . Da qui lo sguardo dell'antica teologia cristiana si allarga di nuovo e loda ciò che avvenne nell'Arca di Noe e in tutte le navi, che in questo processo dialettico sono un modello appropriato della Chiesa. Una predica sulla croce, che presumibilmente appartiene a GIUSEPPE DI TESSALONiCA, contiene il bel grido di giubilo dei mistici navigatori : « Salve, ο croce santa, sapienza di tutti i piloti navali. Per te noi abbiamo ricevuto una buona guida di viaggio, ed ora gli uomini, con poco legno, possono guidare i mercantili pesantemente carichi e farli tornare nel porto » 2 0 2 . 2 0 0
GREGORIO D I Ν Α Ζ Ι Α Ν Ζ Ό , Oratio 4,
18
(PG 35,
545 C ) . Cfr.
anche Oratio 43, 70 (PG 36, 592 B ) . 201 AGOSTINO, De civitate Dei, 15, 26 (CSEL 40, 2, p. 116,1. 23-26). 202 Oratio in venerandam crucem (in J. GRETSER, De sancta Cruce, Ratisbona 1734, v. 2, p. 86 D ) . La predica si trova anche, ma sen-
578
L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
Questa teologia della nave appena esposta, che aveva cose così grandi da dire intorno al « piccolo legno », ci ha già mostrato che il pensiero simbolico dell'antico cristiano, quando si nominava la parola ξύλον, riandava quasi spontaneamente a ciò che si era compiuto sul legno della croce e alla nave della Chiesa
guidata dal timone fatto con quel legno. Ma possiamo ancora trattare più a fondo la cosa, considerandola nei diversi suoi aspetti. Dal tutto risulterà un problema, che da lungo tempo è discusso tra gli archeologi e che ultimamente è stato ancora una volta trattato da FR. J. DOLGER.
Dopo che R. GARUCCI 203 , citando un solo passo dello PS.-AMBROCTO, del quale parleremo con più precisione, ha tratto il paragone « Nave » = « Cristo crocifisso », J. WILPERT 204 lo ha contraddetto definendo tale paragone « non frequente » nell'antica letteratura cristiana. Contro di ciò insorse DOLGER, che citando un altro passo di IPPOLITO 205 , definiva a sua volta il giudizio di Wilpert come « affrettato » 206 . Noi possiamo appianare ora questo piccolo conflitto archeologico, solo se, attraverso pazienti ricerche, moltiplicheremo i testi sino a far tacere ogni contradizione. Ne risulterà che il paragone « Nave = Cristo crocifisso » è stato giustamente difeso, sebbene senza materiali sufficienti, da Dolger contro Wilpert. za il passo citato qui, tra le predich: dello PS.-CHISOSTOMO (PG 59, 675S). 203 Storia dell'arte cristiana, Prato 1872, ν. ι, p. 204. 204 In Fn. X . KRAUS, Reaìenzjkhpadìe der chrìstUchen Altertiimer, Friburgo 1886, v. 2, p. 730. 205 IPPOLITO, Frammento 4 su Gen 8,1 I0
{GCS IPPOLITO I, 2,
· Sol Salutis, 2 ed., p. 275; nota 5 di p. 274.
p. 91).
LA NAVE DI LEGNO
579
Sullo sfondo di questa simbolica si trova l'antica teologia cristiana del « legno ». Ne abbiamo già parlato altrove 20? , perciò qui ne diamo soltanto il riassunto. La designazione della croce del Signore semplicemente con ξύλον fa parte del vocabolario teolo gico degli albori della simbolica cristiana. Negli Atti degli Apostoli Gesù è già l'« appeso al legno » 208 : e ciò, come possiamo vedere da Paolo 209, è il compimento, nella storia della salvezza, delle parole di Deut 21,23 · κρεμάμενοι επί ξύλον. Allo stesso modo parla la Prima Lettera di Pietro 2 1 0 ; e POLICARPO se ne è impossessato alla lettera 2U . Inoltre si può dedurre dalla lettura della Lettera di Barnaba, che l'antica teologia simbolica cristiana si sforza di trovare dei modelli profetici dello ξύλον della croce soprattutto là dove si parla del « legno » ; il concetto che risuona costantemente è la dialettica, che la salvezza è stata effettuata proprio mediante un elemento così spregevole : che Cristo è diventato Re e Signore « sulla croce ». « Ma cosa significa la porpora e il legno ? », si chiede la Lettera di Barnaba richiamandosi a Num 19,6 e Lev 14,4. « Che la regalità di Cristo proviene dal legno e che coloro che confidano nel legno vivranno in eterno » 212 . Ecco il mondo teologico da cui, nei primi tempi, forse già nel primo secolo, si formò l'interpolazione al Sai. 95,10: «Dio regnerà dal legno ». 207 208 209 210 211 812
Cfr. sopra, p. 442S. - Flumina de venire Christi, sopra, p. 359ss· At 5,30; 10,39; !3. 2 9· Gal 3,13. 1 Piet 2,24. POLICARPO, Epistola ad Philipp., 8, 1 (FUNK I, p. 304). LETTERA DI BARNABA, 8, 5 (FUNK I, p. 62); cfr. anche 12, 1
(p. 74) con la citazione di 4Esd 4,33; 5,5.
580
L ' E C C L É S I O L O G I A D E I PADRI
La si incontra già in GIUSTINO, che designa l'assenza di questo άπο τοϋ ξύλον come una falsificazione giudaica della Scrittura 2 1 3 . L'antica traduzione latina contiene l'aggiunta : « Dominus regnavit de ligno », come sappiamo da TERTULLIANO 2 1 4 e dall'anonimo autore dello scritto De montibus Sina et Sion 2 1 S ; ancor oggi ce ne vien tramandato l'eco negli inni alla croce di VENANZIO 2 1 6 . Ora però è importante per la simbolica della nave, che a questo paragone ξύλον = σταυρός si aggiunse ben presto anche l'immagine del « legno della nave », mediante il quale noi siamo stati salvati. E di nuovo Giustino che costruisce tutta una teologia dell'« acqua, della fede e del legno », spinto senza dubbio dalla Lettera di Barnaba. Come una volta l'umanità fu salvata nell'Arca, così Cristo salva la nuova stirpe dei redenti : « Cristo è divenuto il nuovo inizio di un'altra stirpe, che è rigenerata mediante lui nell'acqua, nella fede e nel legno: mediante il legno cioè, che contiene in sé il mistero della croce, così come una volta Noe fu salvato su un legno, che lo portò sulle acque » 217. Qui è già chiaro ciò che più in là esporremo con maggior precisione: «legno» è semplicemente la « nave », l'elemento che, nonostante la sua pochezza, salva: il piccolo legno della grande vittoria sul mare cattivo. Quanto siano rawi213 GIUSTINO, Dialogus Tryph., 73, 1 ( O T T O II, p. 260). Cfr. anche Apol., 1, 41 ( O T T O I, p. 118). 211 TERTULLIANO, Adversus Marcionem, 3, 19 (CSEL 47, p. 408, 1. is). - Adv. Judaeos, 10 (PL 2, 628 B). 215 De montibus Sina et Sion, 9 (CSEL 3, p. 113, 1. 13S). 216
VENANZIO
FORTUNATO,
Misceli.,
2,
6 (PL
88,
p . 96 A ) ; Ana-
lecta hymnica, 50 (1907) p. 74. ·" GIUSTINO, Dial. Tryph., 138, 6 ( O T T O II, p. 486).
LA NAVE DI LEGNO
581
citiate qui le immagini, lo si può vedere ancora da Agostino, che, nell'esegesi sul Sai. 95,10 cita precisamente l'interpolazione : « regnavit a Ugno Deus », e poi, in una caratteristica discussione con Circumcellione così continua : « De cruce Christi regna, si a ligno regnaturus es. Nam lignum hoc tuum ligneum te facit : lignum Christi te per mare traicit » 218. Oppure, per citare un teste molto più recente, il quale però, proprio perché sembra essere cosi lontano da quei tempi, mostra che la forza di quella simbolica seguita ad avere un influsso: il bizantino NICEFORO CALLISTO XANTOPULOS, nella dedica della sua storia della Chiesa all'imperatore Andronico II (ca. 1325,) con un pensiero genuinamente bizantino designa l'imperatore come pilota della « nave del mondo », come un nuovo Noe e Mosé, i quali con il loro « legno » simboleggiavano la nave della cristianità : « Essi hanno vinto i flutti del male con la nave ed il legno, hanno così prefigurato la nave meravigliosa e meravigliosamente navigante, che viene guidata dall'albero costruito con il legno della croce, e hanno salvato il seme di un nuovo mondo » 219 . ξύλον è ad un tempo croce e nave : il « beato legno, mediante il quale ci è venuta la salvezza », è una parola che, nel Libro della Sapienza, viene detta dell'Arca di Noe e che da tutta la simbolica patristica viene applicata al legno della croce. La lingua poeticamente elevata dei Greci parla sia del legno della nave, come 218 AGOSTINO, Enarrationes in Psalmum 95, 11 1234 B). !1 » Historiae Ecclesiasticae dedicatio (PG 145, 580 BC).
(PL 37
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L ' E C C L É S I O L O G I A D E I PADRI
ad esempio un Frammento di ESCHILO 220, che canta il « santo legno » degli argonauti, sia anche del legno della croce, come il verso dell'antica SIBILLA cristiana citato sino al periodo bizantino: «O beato legno, su cui Dio fu steso, la terra non ti tratterrà, no, tu vedrai la casa del cielo, quando il tuo occhio di fuoco lampeggerà, ο Dio » 2 2 1 . Ma noi possiamo spiegare questo paragone « nave= legno della croce » non solo a partire da questo punto di vista della pura teologia simbolica: se disponessimo soltanto di questa coincidenza fondata sul valore sim bolico del concetto « legno », bisognerebbe ritener valido il giudizio emesso da FR. J. DOLGER: « L'arca è intesa qui come simbolo della croce di Cristo; il legno che salva e la croce che salva sono messi a confronto sotto il punto di vista del legno. Il paragone ci sembra oggi un pò ricercato, poiché il concetto legno è pur sempre un termine di paragone abbastanza lontano » 222 . Noi dobbiamo qui fare ulteriori ricerche. Di fatto il mondo dell'antica nautica ci fornisce tutta una serie di termini di paragone, che soli rendono comprensibile come potesse diventare ovvio per gli antichi cristiani il paragone « Chiesa=nave di legno della croce ». Il primo di questi punti di paragone è il seguente: l'antica nave è stata costruita con lo stesso legno con cui fu fabbricata la croce di Cristo. Qui ci troviamo in un curiosissimo settore del grande terreno della 220
di
ESCHILO, Frammento 20 (Tragicorutn Grate. Fragmenta, a cura
N A U C K , 2 ed., p. 8). 2ai ORACULA SYBILLINA, 6, 26-28: G C S , p . 132. - Citato da N I C E -
FOEO SANTOPULO, Hist. Eccles., 8, 29 (PG 146, 112 C). »« Sol Satutis, 2 ed., p. 273.
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antica simbolica cristiana, in cui la conoscenza dell'antica tecnica navale si è inscindibilmente congiunta con la più esagerata allegoria. Era un'esigenza della ingegneria navale, esigenza così spesso indicata nella letteratura antica, di costruire navi ben connesse a prova di mare servendosi del durevole legno delle diverse conifere che erano disponibili nell'ambiente mediterraneo. Già nelle Leggi di PLATONE viene spiegato che 2 2 3 lo Stato ideale deve rinunciare alla navigazione che corrompe i costumi, a questa « vicinanza del mare dal sale amaro » (come dice Platone citando ALCMANE); e ciò sarebbe ottimamente giustificato dalla mancanza di « abeti bianchi, di abeti rossi, di cipressi e di pini » nel quadro della vita greca. Qui abbiamo l'enumerazione, divenuta poi classica, del materiale adatto alla costruzione delle navi: ελάτη = l'abete bianco; πεύκη = l'abete rosso; κυπάριττος = il cipresso; πίτυς = il pino silvestre. Noi vediamo già in Ez 27,5 che il legno dei cedri e gli slanciati abeti del Sanir vengono impiegati per la costruzione di navi, anche se, come mostrano le differenze tra LXX e Volgata, le denominazioni si mescolano un poco: GEROLAMO lo fa notare in una sua lettera : « Pro abietibus autem et cupressis in Hebraeo ponitur ' barusim ', quod magis abietes quam κυπα ρίσσους significat » 2 2 4 . Il berSs masoretico viene reso dai LXX con κυπάρισσος oppure con πεύκη, più raramente con πίτυς, da Gerolamo per lo più con abies. Ad ogni modo vediamo da ciò con quale materiale si costruivano le navi anticamente: si tratta aas
PLATONE, Leggi, 4, 1 (705 C ) .
224
GEROLAMO, Epistola 106, 65 (CSEL 55, p. 281, L 19$).
584
L ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
sempre dei tre legni di abete, pino e cipresso. Ciò può essere dimostrato con una massa di testimonianze. L'abete, in primo luogo, viene per lo più usato per costruire l'albero della nave, data la sua altezza; così dice già TEOFRASTO 225 ; così si riscontra anche poeticamente in VIRGILIO 226 e scientificamente in PLINIO : navium malis antemnisque propter levitatem praefertur abies 227 . Per la costruzione della solida carena invece viene usato costantemente il legno di pino (πεύκη, πίτυς ο pinus), se non addirittura il costoso e più duro legno di cipresso. VIRGILIO esalta le selve d'Italia, perché forniscono legno per le costruzioni navali : « Dant utile ìignum navigiis, pinos domibus cedrum cupressosque » 228 . L'epigramma di un poeta sconosciuto, conservato nell'Anthologia Graeca, fa così parlare l'abete: « Una volta ero un abete abbattuto dalla tempesta. Perché costruite con me ancora una nave? Eppure io ho già affrontato naufragio e tempesta su terra ferma» 229 . VEGEZIO scrive 230 : «Ex cupresso... contexitur navis ». La stessa cosa ripetono poeti e tecnici 231 . Ancora in una lettera del re Teodorico al prefetto Abbondanzio, scritta da CASSIODORO, viene ordinata la costruzione di mille navi da carico e si fa sperare il pagamento degli abeti e dei cipressi necessari 232 . E importante, per la simbolica che se ne 225
TEOFRASTO, Hist. plant., 5, 7, 5. VIRGILIO, Georgiche, 2, 68; Eneide, 5, 663. - Cfr. anche LIVIO, 28, 45, i o . 226
227
P L I N I O , Nat. hist., 16,
228
VIRGILIO, Georgiche, 2, 4425.
229
ANTHOLOGIA GRAECA IX,
230
VEGEZIO, Epitoma rei militarli, 4, 34.
23i V I T R U V I O , 2, 9, 232
195. 105
(BECKBY III,
12. - MARZIALE, 6, 49, 5.
CASSIODOSO, Variar., 5, 16 (PL 69, ójós).
70).
LA NAVE DI LEGNO
585
ricava, sapere su quali ragioni tecniche si fonda la scelta di questi precisi legni per la costruzione di navi. Per l'abete lo abbiamo già visto: esso è il tipo dell'albero svettante e tuttavia elegante. Così già in O M E RO 2 3 3 ; e proprio così si ripete ancora in Gregorio di Nissa, 234 , ove il testo dei L X X in Cant 5,11 contiene il paragone tra lo sposo e lo snello abete nero, Yabies nigra, di cui già parla VIRGILIO 2 3 5 . Ciò va detto però anche delle altre specie di conifere. BASILIO le enumera quasi con le stesse parole di Platone 2 3 6 . E ad Ambrogio, che echeggia queste parole, viene in mente spontaneamente anche la disponibilità del legno dell'abete: « Hinc pinus, hinc cypressus in alta se extulerunt cacumina, cedri et piceae convenerunt. Abies quoque non contenta terrenis radicibus atque aerio vertice edam, casus marinos tuto subitura remigio nec solum ventis, sed etiam fluctibus certatura processit » 237 . Ma oltre a ciò questi legni hanno una seconda proprietà che li rende particolarmente adatti alla nautica: essi sono immarcescibili, per così dire eterni. « Maxime aeternam putant cupressum cedrumque », dice P L I NIO 2 3 8 . Ciò risuona nella simbolica cristiana. « Ο Amato, nel cipresso i fiori non cadono mai, in esso il tuo ritratto è eterno, ed esso resta eguale inverno ed estate », dice IPPOLITO 233
239
e AMBROGIO lo ha tra-
Iliade, 5, 560; Odissea, 5, 239. GREGORIO DI NISSA, In Canticum Canticomm, homilia 13: P G 44, 1056 C. a3S VIRGILIO, Eneide, 8, 579. 238 BASILIO, Hexaemeron, 5, 6 (PG 29, 105 B). 837 AMBROGIO, Exameron, 3, 11, 47 (CSEL 32, 1, p. 90, 1. 15-19). 238 P L I N I O , Hist. nat., 16, 207. 23» IPPOLITO, Commetti, in Cant. Canticomm, 16 (Texte und Untersuchungen, 23, 2, Lipsia 1902, p. 49, 1. 6-8). 834
586
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
scritto 240 . Perciò gli antichi tecnici sottolineano ripetutamente la speciale disponibilità del legno di cipresso per la costruzione delle navi. 241 . Tutto ciò rende comprensibile come mai possiamo generalmente costatare nel linguaggio antico un impiego perfettamente sinonimo dei nomi di queste specie di alberi per dire « nave ». EURIPIDE nel coro delYAlcesti usa ελάτη per designare semplicemente la nave di Caronte: «Questo abete a due remi»: πολύ δη, πολύ δη, γυνοακ' αρίσταν, λίμνοζν Άχεροντίαν πορεύσας έλάτ$ δισκόπω 2 4 2 . In Accio la parola ahies è sinonimo di nave 243 . Notissimo è l'impiego di pinus per dire nave 244 . In ANTIFILO la nave viene chiamata brevemente π ε ύ κ η 2 4 5 . Si tratta semplice mente di una forma derivata da ciò, quando a volte l'organo principale della nave, il timone di legno, viene chiamato semplicemente ελάτη, come in OME 246 247 RO , ο pinus, come in LUCANO . L'idea fondamen240 AMBROGIO, Explanationes in Psalmum 118, Sermo 4, 20 (CSEL 62, p. 77, 1. 17S). - Cfr. anche O N O R I O DI AUGUSTA (PL 172, 965 C). 241 Molti testi probativi in DAREMBERG-SAGLIO, III, 2 (1904; col. 1628 B. 242 EURIPIDE, Akesti, 442-444. Cfr. anche Le Fenici, 208s. 213 A c c i o , Franlm. trag. 331 (Tragic. Romcmorum Fragmenta, a cura di O. RIBBECK I, p. 179). 244 ORAZIO, Epodi, 16, 57. - O V I D I O , Metamorfosi, 14, 88. - V I R GILIO, Eneide, i o , 206. - PRUDENZIO, Psychomach., 121 (CSEL 61, P- 175). 245 Antnologia Gratta IX, 306 (BBCKB-ÌT ΙΠ, 190). 246 Odissea, 12, 172. - Iliade, 7, 5. 247 LUCANO, Pharsalia, 3, 531. - D a tutto ciò che abbiamo esposto sin qui in appoggio al significato nautico di ξ ύ λ ο ν , risulta che il para gone tra « legno » e « nave » doveva essere molto naturale. Molte associazioni di parole dedotte da ciò nella letteratura greca si spiegano dunque così. ESIODO, Opera et dies, 808 parla di ν ή ι α ξ ύ λ α . In ERODOTO la battaglia navale viene chiamata ξ ύ λ ω ν ά γ ω ν , Vili, 100, 2. - P L U -
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tale è sempre la stessa: il miracolo della nave che trasporta gli uomini consiste nel fatto che è in grado di traversare il mare cattivo con del legno leggero, cresciuto su alti monti, incorruttibile e lavorato dallo spirito umano, il legno dell'abete, del pino e del cipresso. È qui che si inserisce ora la simbolica cristiana e s'intreccia inscindibilmente con la scienza nautica dell'antico costruttore di navi: il cristiano conosce anche un altro «legno», che per l'appunto è composto di abete, di pino e di cipresso, il santo legno della croce, che solo lo salva dai flutti del mare cattivo. Per far rivivere tutta la ricchezza della simbolica cristiana antica, dovremmo presentare la straordinaria storia del « triplice legno della croce » 248. Ma ciò ci condurrebbe troppo lontano; dobbiamo accontentarci di accenni, che sono necessari per la comprensione del paragone tra nave e Cristo crocifisso. Si tratta qui, TARCO presenta Aristide che parla così di una vittoria navale: νενικήκατε θαλασσίοις ξύλοις, Arisi., 324 C. - Anche il modo di esprimersi bizantino conosce l'uso della parola ξύλον per « nave ». Così ad esempio in GIOVANNI SCYLITZA, Excerpta hist. (PG 122, 384 B), ove le grandi navi, in opposizione alle chiatte, vengono denominate semplicemente ξύλα μακρά. - Oppure in TEOFANE (ediz. di Bonn, 1839, 610, 8), che chiama il mare brulicante di navi θάλασσα ολόξυλος. 248 Cfr. per ciò A. MUSSAFIA, Sulla legenda del legno della croce, in Sitz. - Ber. d. Wiener Akademie, Hist. Phil. Classe, 1869, Ρ- 165-216- F. KAMPESS, Mittelalterliche Sagen von don Paradiesbaum und dem Hotz des Kreuzes Christi (1897). - BACHTOLD-STAUBLI, V, 487-508. - Della vecchia bibliografia, che però in molti casi è più informata quanto alla patristica, ho usato : J. LIPSIUS, De Cruce libri tres ad sacram projanamque historiam utiles, Anversa 1629. - H. KIPPING, Liber sìngularis de Cruce et Cructariis, Brema 1671. - CL. SALMASIUS, Epistola de Cruce, Leida 1646. - O. ZOCKLES. Das Kreuz Christi. Religionsltistorische und kirchlich-archaologische Untersuchungen, Giitersloh 1875.
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senza dubbio, di un antichissimo brano di allegoria cristiana; essa avrà il punto di congiunzione nell'esegesi del Cantico dei Cantici (al 5,11 LXX), come lascia supporre la parola che viene immediatamente dopo e che probabilmente proviene da Ippolito e Origene. In una predica anonima trasmessa in CRISOSTOMO vien detto (con allusione a Is 60,13 LXX) a proposito della croce del Signore, che è composta di « cipresso, pino e cedro » 249. Comunque da allora, l'espressione « triplice legno della croce » è preferita nell'allegoria greca. I salvati, dice ANASTASIO SINAITA, sono il frutto dell'albero dei tre legni : « Fructum ferentes veluti in trium arborum ligno ... Cristum invocantes, qui in Crucis ex tribus arboribus confectae ligno recubuerat et obdormierat » 250. Qui le immagini si intrecciano: il « Cristo dormiente sul triplice legno » è quello stesso che una volta si addormentò sul legno della nave; legno della croce e legno della nave sono una sola cosa, perché costruite dallo stesso materiale del triplice legno. In un poema allo sposo dormente sulla croce, il bizantino NICOLAOS KAIXIKLES canta il triplice legno: «E il legno è di pino e di cipresso e di cedro » 251. Ma anche il primo medioevo, così avido di simboli, ne sa qualcosa. Lo Ps.-Beda si esprime proprio così (anche se con un ampliamento dovuto alla menzione della tavoletta di bosso della scritta posta sulla croce) : « Crux Domini de quattuor lignis facta est, quae vocantur cypressus, cedrus, pinus et **· PS.-CKISOSTOMO, Oratio de adoratione Crucis, 3 (PG 59, 839 C). M0
M1
ANASTASIO SINAITA, Hexaemeron, 5 (PG 89, 917 C).
Carmen in Cfiristum dormientem in Ugno (in J. GRETSEB, De S. Cruce, Ratisbona 1734, v. 3, p. 347).
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buxus, sed buxus non fuit in cruce nisi tabula de ilio ligno supra frontem Christi » 252. Così si poteva leggere nelle opere allegoriche del medioevo: questa antichissima simbolica cristiana trovò la migliore risonanza nello scritto, attribuito a BONAVENTURA: La mistica vite 253 .
Dunque, la croce costruita dal triplice legno è nello stesso tempo anche la nave della salvezza costruita con il medesimo legno; Cristo è l'abete svettante del Cantico dei Cantici, poiché la sua croce si eleva alta e poiché egli si è addormentato sul legno per la nostra salvezza. Quanto siano stati ovvi questi simboli per il cristiano antico, lo vediamo in Ambrogio, che aggiunge immediatamente dopo il testo dell'Itala Cant 5,11 («crines eius abietes nigrae»; comprendiamo la profondità di questa illogicità allegorica soltanto in base a quanto esposto sopra) : « Et bonae ex abiete naves Tharsis, quae fluctibus supernatent mundi et tutum remigium salutis exhibeant » 254. Tutto ciò diventa ancor più chiaro da una spiegazione veramente pregnante di PAOLINO DA NOLA, la cui allegoricità si nota a prima vista e che deve essere letta in tutto il suo contesto per avere un'idea della tenue eleganza di quella ricchezza d'immagini. Ne riportiamo un periodo. Paolino parla del fatto che nei modelli della storia della salvezza si mescolano sempre « bianco e nero », piccolo e grande, peccaminoso e divino. Ora, egli vede ciò espresso anche nei « neri abeti » (in 3 lss
P S . - B E D A , Excerptbnes Patrum (PL 94, 555 D ) . BONAVENTURA (?), Vitis mystica, 46 (Opera, Quaracchi, t. 8, p. 224S·, PL 184, 732 D ) . »" AMBROGIO, De Spiritu Sancto, 2, Prologus 14 (PL 16, P· 74<5 A ) · 253
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PADRI
Reg 5,8 Itala: «Abietes bonae et nigrae adducentes naves Tharsis »), con cui vengono costruite le navi. Questi abeti neri ma buoni sono come la sposa del Cantico dei Cantici, che è nera ma bella, e perciò è modello della Chiesa : « Illae abietes nigrae et bonae adducentes naves Tharsis secundum eius forniam sunt, quae fusca pariter et decora est. Ipsius enim et membra sunt sancii, qui sicut et palmes florentes et cedri multiplicabiles, ita et abietes nigrae et bonae sunt, quia in Ecclesia, hoc est Dei monte verticibus meritorum eminent, ut abietes in suis montibus; et sicut illae aptae navibus contexendis, ita illi principes populi de monte legis ut a Libano excissi arcam Domini sive navem, hoc est Ecclesiam, per huius mundi diluvia navigaturam edolatis verbo Dei gentibus texuer runt et in compagem caritatis fide stringente coniunctam fluctus mundi istius imputribiliter secare docuerunt » 255. L'antica tecnica della costruzione navale rende comprensibile il paragone tra nave e croce anche a partire da un secondo termine di paragone. La buona nave non è costruita soltanto con i legni nobili, di cui abbiamo parlato, ma è anche tenuta insieme da chiodi di ferro. «Legno e chiodi»: questo è il riepilogo continuamente ripetuto di ogni sicurezza, che protegge la nave contro i flutti del mare cattivo. «Legno e chiodi » : ciò è però anche un riassunto di quanto significa la morte di croce. Non si tratta affatto di una allegoria puramente cristiana; era un paragone corrente già nell'antico pensiero estracristiano. Nel libro 2S5
1. 8).
PAOLINO DA N O L A , Epistola 23 (CSEL 29, p. 185,1. 24 - p. 186,
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dei sogni di ARTEMIDORO si dice : « Essere crocifisso (in sogno) significa qualcosa di buono per il navigante. Poiché, sia la croce che la nave vengono fatti con legno e chiodi e l'albero della nave è certamente simile ad una croce » 256 PLUTARCO ha descritto il formarsi della fortunata nave statale dei Romani e come essa fu costruita con seghe, martelli e chiodi 257 ; TEODORETO ci dà una descrizione eguale della nave dell'arca, costruita da Noe con legno e chiodi 258 . Sappiamo dall'antica pratica magica, che si esercitavano arti magiche sia servendosi dei chiodi della croce di un condannato, sia con i chiodi di una nave in rovina. PLINIO narra il pezzo di legno e i chiodi di una croce allontanano la febbre: «In quartanis fragmentum davi a cruce involutum lana collo subnectunt, aut spartum a cruce » 259 . E LUCIANO 2fi0 parla di un anello magico, che fu lavorato con un chiodo di croce, evidentemente per lo stesso scopo del talismano fabbricato con un chiodo di nave ricordato da APULEIO 261. Tutto ciò indica, ad ogni buon conto, quanto siano 2
" ARTEMIDORO, Oneirokritika, II, p. 53 (HERCHER, p. 152, 1. 4-6).
2i? 258 259 260
PLUTARCO, De fortuna Romanomm, 9 (321 D). TEODORETO, Orario de Providentia, 7 (PG 83, 681 A). PLINIO, Nat. hist., 28, 11, 46. LUCIANO, Philopseudes, 17 (REITZ, IH, 45). Cfr. per questo
FR. J. DOLGER, Vita Macrinae. Per eiserne Fingerring mit der Kreuzpartikel, in Antike und Christentum 3 (1932) p. 109, nota 62. - A. HOLDER, Inventio S. Crucis, Lipsia 1889, p. 50SS. 261 APULEIO, Metamorph., 3, 17 (HELM, p. 65, 1. ss). Il testo però qui è certamente corrotto, così che la lettura infelicium navium durantibus clavis non è sicura. Cfr. per ciò A. ABT, Die Apologie des Apuleius von Madama und die antike Zauberei, Giessen 1908, p. 85 ss. - Tuttavia anche il cosiddetto DIOSCURIDE LATINO, 5, 98 (ed. STADLER, Romanische
Forschungen 12, 1902, p. ió2ss) parla di un rimedio medicinale fatto con chiodi di nave : « Conficitur de acutis id est de clavis navium ».
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vicine, nel pensiero simbolico, la nave e la croce co struite con legno e chiodi. Quando dunque i simbolisti cristiani lodano la buona nave della Chiesa ο dell'ani ma, fanno notare spesso che essa è costruita con « legno e chiodi », e proprio per questo può affrontare il mare. « Clavante ferro firma ugni robora, aevo terente solverai », così Paolino da Nola quando canta 262 la nave, che per lui simboleggia il viaggio sicuro della salvezza, che i cristiani compiono verso il porto della eternità. La nave della vita non sia un'imbarcazione di lusso dipinta di rosso, canta GREGORIO DI ΝΑΖΙΑΝΖΌ, ma sia costruita con ferrei chiodi e perciò capace di stare in mare: έσθ-λήν γόμφοισιν εΰπλοον εύ άραρυϊαν χείρεσι ναυπηγοϊο 2 6 3 . Ciò che si dice della nave della vita è però innanzitutto diventato realtà sulla nave della Chiesa. La Chiesa è la nave, che trae la sua forza dal legno e dai chiodi, e precisamente dal legno e dai chiodi della divina morte in croce. La Chiesa è la nave degli apostoli, buona e adatta al mare, che TEODORO PRODROMO canta con le belle parole: « Ο beata ascia, ο selva divina sui monti, ο felici boscaioli, ο gloriose dita del costruttore /di nave! Questa navicella avete costruito, essa ha forti ed ora viaggia per mare: /chiodi, Dio vi si è imbarcato, il Maestro, che da essa /eleva la sua voce » 264 . J
· 2 P A O L I N O DA N O L A , Carmen 24, 103S: (CSEL 30, p. 210). GREGORIO D I ΝΑΖΙΑΝΖΌ, Carmina, 1, 2, 9, w . 143S (PG 37, 678). Cfr. la medesima descrizione anche nel Carm. 2, 1, 17, vv. 5-8: (1262). 284 TEODORO PRODROMO, Tetrastkka in Novum Testamentum (PG 133, 1185B). 263
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Abbiamo così riassunto i pensieri preparatori, che hanno portato alla equazione tra nave e croce, di cui ci occuperemo ora. E l'antico concetto della buona nave, fatta di legno e di chiodi, la quale ricorda talmente la croce, che ispirò allo Ps.-AMBROGIO le parole : « Christus est navis, in qua ascendunt omnium credentium animae, quae ut tota firmitas in fluctibus habeatur, de ligno fabricatur et de ferro configitur, hoc est Christus in cruce » 265 . Con questo concetto della nave della Chiesa, che è costruita con la materia della croce, con « legno e chiodi di ferro », siamo penetrati nel più intimo dell'antica allegoria cristiana della nave. Qui si svela il pensiero fondamentale della ecclesiologia patristica, che si nasconde in tutti i simboli della Chiesa: la Chiesa é una continuazione della vita umano-divina e del destino di Cristo, essa vive della vita procurata dalla morte di Dio; la sua storia sul mare cattivo del mondo è soltanto la mistica continuazione della vittoria mortale sulla croce. Nessun altro simbolo poteva esprimere ciò meglio dell'allegoria della nave della Chiesa, che è costruita con il legno e con i chiodi della croce. Se sviluppiamo questo pensiero embrionale dell'allegoria della nave, notiamo esplicitamente che si tratta soltanto di quella parte dell'allegoria generale, che deriva immediatamente da quanto detto sin qui, ossia, noi parliamo ora della nave costruita con il legno della croce e del suo timone rica2,5 PS.-AMBBOGIO, Sermo 47, 2 (PL 17, 700 A). Questo è l'unico passo addotto dal GASUCCI per dimostrare l'eguaglianza « naveCristo crocifisso ». DOLGES ve ne aggiunge un secondo, come dicevamo già, un frammento di IPPOLITO (cfr. sopra, nota 205). Qui l'arca di Noè viene paragonata con Cristo crocifisso, ambedue tornano verso Oriente. Cfr. sotto, a p. 902SS.
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vato dal legno della croce, e non dell'albero di questa nave, che, a sua volta, è particolarmente un simbolo della croce salvifica, del quale parleremo più in là. Occorre distinguere le due serie di immagini del corpo e dell'albero ligneo della nave, anche se ambedue sono simboli della croce. Proprio ciò è un segno caratteristico della forza che pervade i simboli dell'antica teologia della croce; infatti essa non si serve soltanto dell'immagine della croce come albero, che (da un punto di vista puramente visuale) gli è molto più vicina, ma vede semplicemente nello stesso legno della nave, come suo elemento umile e tuttavia veramente capace di galleggiare, il legno della croce. « Legno e chiodi » : quivi era, come abbiamo mostrato, il punto di incontro del paragone tra croce e nave della Chiesa. Possiamo renderlo anche più chiaro mediante una serie di testimonianze. Nel libro contro Celso, ORIGENE ci ha conservato un testo di questo suo avversario, che dimostra come l'antica teologia cristiana del legno della croce si rispecchi in una caricatura pagana. Celso ha sentito parlare molto, evidentemente anche in ambienti gnostici, della venerazione dei cristiani per il « legno della vita » : « Ovunque presso di essi si trova il legno della vita e la resurrezione della carne operata dal legno, poiché, come credo, il loro Maestro fu inchiodato ad una croce ed esercitava l'attività di servitore » 266. Ciò non è altro che una vaga idea di ciò che l'antica teologia aveva da dire circa « il legno e i chiodi ». In questi due concetti si riassume quanto si diceva sulla passione 2M ORIGINE, Contra Celsum, 6, 34. (GCS ORIGENE II, p. ,203, 1. 20-22).
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salvifica del Signore: si confronti all'uopo il modo in cui ALESSANDRO DI ALESSANDRIA parla del mysterium del legno e dei chiodi 267 . Questo modo di parlare diventa ancor più chiaro in un accenno alla simbolica nautica che si trova in TEODORETO. Per questi la croce è Γ'ίκριον: precisamente le assi della nave, a cui il Signore fu inchiodato: τφ ίκρίω τον Σωτήρα προσήλωσαυ 2 6 8 . Non c'è dubbio che a questa parola rara, desunta dalla nautica familiare a coloro che erano dotti in cose di Omero 269 e che il Teodoreto qui applica alla croce, si commette la rappresentazione della nave costruita con le assi del legno della croce. Noi già sappiamo quanto volentieri Teodoreto abbia parlato della Chiesa come seconda arca della salvezza e come nave del mondo. Questa è esattamente la medesima concatenazione di pensieri che incontriamo in Occidente in VENANZIO FORTUNATO, quando, nel suo inno alla croce, canta il dulce lignum e i dulces clavos, per esprimere, subito dopo, dei simboli nautici : « Atque portum praeparare nauta mundo naufrago » 27 °. Mentre qui la croce è pensata co267 ALESSANDRO DI ALESSANDRIA, De anima et corpore, 5 (PG 18, 598 C). MB TEODORETO, Interpretatio in Psalmum 58, 8 (PG 80, 1308 C). Lo stesso confronto di ϊκριον con ήλοι nella descrizione della pas sione di Gesù: Graec. afferei, curatio Vili (PG 83, 1012 A) e Interpr. in Psalm. 108, 4 (PG 80, 1756 B). - IPPOLITO, Benedizione di Giacobbe 8 (Studi e Testi 38, 1, p. 22, 1. 5): επί ξύλου προσηλωθείς. Μ · Odissea, 5, 163; 12, 414· - Cfr. anche Erodoto, 5, 16. - SUIDA (a cura di BERNHARDY, Halle 1843) 1, 2, col. 978, 1. iós: ϊκρια ορθά ξύλα ή σανιθώματα της ναός. - Per il significato nautico di ϊκριον cfr. anche A. BOECKH, Seewesen des attischen Staates, p. 105. 270
VENANZIO FORTUNATO, Misceli, 2, 2 (PL 88, 89 A) ; Anaìecta
Hymnìca, 50, p. 71. - Il testo del verso, che si giustifica soltanto con i manoscritti, suona così : « Nauta mundo naufrago », e non come oggi si canta al Venerdì Santo : « Arca mundo naufrago ».
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me la nave del buon pilota che salva il mondo, in un'altra poesia Venanzio la canta come timone di legno, che Cristo ha immerso nel mare cattivo e così ha salvato il mondo : « Velis das navita portum, tristia submerso mundasti vulnera davo » 271. Da questa eguaglianza « nave della Chiesa = Cristo crocifisso », che è espressa dai concetti esposti sino ad ora, è evidente la maniera strana, ma come appare chiaro assolutamente logica, in cui l'antica simbolica cristiana applica alla passione di Cristo in croce tutto ciò che avviene al Cristo navigante. Ci sono due tendenze innanzitutto, che, dai tempi di Origene sino all'alto medioevo, hanno spinto a riunire continuamente in uno nave e croce. Ascendit in naviculam, sta scritto di Cristo (Mat 8,23; 13,2; 15,39; Lue 8,22): e questo termine, in se stesso totalmente navale, del « salire »,272 in forza della simbolica descritta più sopra richiama alla mente dell'esegeta simbolico il « salire » sulla croce. E inoltre sta scritto (Mar 4,38): «Et erat ipse in puppi super cervical dormiens ». Cristo a poppa e dormiente: ciò doveva di nuovo essere applicato al pilota dell'universo, che sulla croce si addormentò nella morte. Già in ORIGENE questa è chiaramente un'esegesi corrente, poiché egli giunge a parlarne in contesti diversi, come se parlasse di una spiegazione universalmente nota: il Cristo che dorme in mezzo 2.1
2.2
VENANZIO FORTUNATO
(?), Misceli., 2, 4
(PL 88, 93 A).
Per ascendere navim come espressione tecnica nautica, cfr. i testi probativi nel Thesaurus linguae latinae, 1901, v. 2, col. 755,1. 46SS. - Ivi si è pensato naturalmente alla κλίμαξ = scala della nave, ο alla αποβάθρα = passerella, attraverso cui si sale all'altezza della parete di bordo. Ambedue però diventano simboli della croce costruita con legno. Doveva quindi essere tanto più naturale, usare ascendere per la nave e nello stesso tempo per la croce.
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alla bufera marina è colui che dorme sulla croce e la tregua della tempesta è la pace del mondo operata mediante la morte di croce 273. Tutto ciò viene raccolto in modo impressionante nel commento a Marco, falsamente ascritto a GEROLAMO, che appartiene all'inizio del quinto secolo e contiene una massa di precise ed allo stesso tempo antichissime allegorie. L'autore romano, com'è chiaro, è un buon conoscitore della nave antica: egli sa che, a poppa, la parete era rialzata per il pilota, per proteggerlo con assi di legno dal cattivo tempo, anzi, che gli si costruiva colà una tenda di cuoio 274, come si può vedere ancor oggi nelle immagini di navi scolpite sulla colonna di Traiano a Roma. In una siffatta poppa, così egli continua nella sua elucubrazione, ha dormito Cristo. Ciò esprime un profondo mistero : « Puppis mortuis pellibus vivos continent et fluctus arcet et ligno solidatur: id est cruce et morte Domini Ecclesia salvatur. Cervical corpus Domini est, cui divinitas sicut caput inclinata est. Puppis initium Ecclesiae est, in qua Dominus dormit morte corporali » 275 . « La poppa è l'inizio della Chiesa » ; egli avrebbe potuto di egualmente bene: la morte di croce è l'inizio del mysterium, che esiste tra Cristo e la Chiesa, tra il pilota e la sua sposa, la nave verginale. Per amore di questo mistero Dio è divenuto uomo, o, in simbolo nautico : per questo egli è « salito sulla nave ». Lo ha 273 ORIGENE, In Canticum Cantkorum, 2, 12 (GCS ORIGENE Vili, p. 58, 1. 17-23); cfr. anche ivi, 2, 9 (p. 55, 1. 16-21). »'« Cfr. RE Suppl. V (1931) col. 933, 1. 24-33. 275 PS.-GEROLAMO, Commetti, in Evang. Marci, 4 (PL 30, p. 605 A). - Cfr. G. MORIN, Un Commentare sur S. Marc de la première moitié du Ve siede, in Revue Bénédictine 27 (1910) p. 352-362.
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espresso AMBROGIO nella sua esegesi in Lue 8,22 : « Itaque qui se intelligeret propter divinum in terras venisse mysterium Ecclesiaeque conventum, relictis navim ascendit parentibus. Neque enim quisquam poterai hunc mundum enavigare sine Christo » 276. Salire sulla nave di legno, senza cui non possiamo attraversare il mare cattivo, è salire sulla croce, è essere inchiodato al legno. E cosa che sorprende sempre, quanto stiano vicine queste immagini nel pensiero dell'antichità cristiana, una volta che abbiamo messo a nudo queste nervature altrimenti così nascoste. Serva a ciò ancora un esempio tratto da AMBROGIO. Nella lode inneggiante al santo legno della croce, che egli inserì nel libro sullo Spirito Santo, c'è la misteriosa opposizione tra umile legno e forza che salva il mondo, che gli strappa le parole : « Ο divinum Crucis illius sacramentum, in qua haeret inurmitas, virtus libera est, amguntur vitia, eriguntur tropaea! Unde quidam sanctus ait: confige clavis a timore tuo carnes meas (Ps. 118,120) non ferreis clavis, ait, sed timoris et fidei ». Questa idea del legno e dei chiodi di ferro suscita immediatamente il ricordo di iPiet 2,24, e questo a sua volta (in forza delle allegorie del « legno » della croce) l'immagine della nave costruita con legno e chiodi; e per questo, Ambrogio continua immedia tamente : « Lignum igitur illud crucis velut quaedam nostrae navis salutis vectura nostra est, non poena. Alia enim salus non est nisi vectura salutis aeternae » 2 7 7 .
J,
"« AMBROGIO, Expositio Evangelii steunàum Lucam, 6, 39 (CSEL 32, ρ. 248, 1. 5-8). a " AMBROGIO, De Spiritu Sancto, i, 9, n o (PL 16, 730 C).
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In base a ciò comprendiamo meglio ora la teologia di AGOSTINO, che esercitò un così grande influsso sulla simbolica successiva. Potremmo comporre dalle sue prediche una vera teologia del legno: Agostino è continuamente impressionato dall'enorme sproporzione tra il piccolo legno e la grande vittoria sul mare, ossia della umiltà della morte di croce e della magnificenza della redenzione. Eppure sul legno della nave della Chiesa noi siamo sicuri e ciò soltanto perché essa è costruita con il legno della croce. « Ad patriam qua ituri sumus? Per ipsum mare, sed in ligno. Noli timere periculum : lignum te portat, quod continet saeculurn » 278 ! E ancor più chiaramente in una predica : « Opus est ut in navi simus, hoc est, ut in ligno portemur, ut mare hoc transire valeamus, Hoc autem lignum, quo infirmitas nostra portatur, crux est Domini, in qua signamur et ab huius mundi submersionibus vindicamur » 279 . Nella esposizione del vangelo di Giovanni, Agostino dà a questa teologia della nave del Crocifisso una forma, che (come abbiamo già esposto più sopra) rappresenta già il passaggio dalla allegoria della nave lignea a quella dell'albero della nave; ma anche qui c'è il principio del tutto generale: « Instituit lignum quo mare transeamus. Nemo enim potest transire mare huius saeculi nisi cruce Christi portatus » 28 °. È il cantico della certezza cristiana della salvezza, la quale si fonda sulla umiltà della croce, quando Agostino in una delle sue prediche esclama: « In patria torna la nave. Ma in patria soltanto sulla 278 AGOSTINO, Enarrationes in Psalmum 103, sermo 4, 4 (PL 37, 1380 CD).
>'· AGOSTINO, Sermo 75 ,2 (PL 38, 475 BC). 280
AGOSTINO, Tractatus in Ioannem, 2, 2, 3 (PL 35, 1389).
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nave. Noi siamo dei naviganti, quando guardiamo le onde e le tempeste di questo mondo terreno. Ma non mi viene alcun dubbio: noi non affondiamo, poiché siamo portati dal legno della croce » 281. Anche l'Oriente cristiano conosce questa allegoria. Un'omelia del poeta siriaco GIACOMO DI SARUG, Sui ladri giusti, loda con abbondanza di immagini la fede incrollabile del buon ladrone. Quindi dice: « Sebbene le onde cercassero di distruggere la sua nave, per affondarla, tuttavia, con forte colpo di timone, egli sfuggì al mare del dubbio. Sebbene le onde infuriassero come un flutto tempestoso, tuttavia, con il legno della croce, egli giunse al porto della salvezza e non affondò » 282. La retorica bizantina, che con tanta vivacità loda continuamente la croce vivificante, è addirittura inondata di simboli nautici ed è impossibile dare uno sguardo che abbracci tutte le testimonianze (basti leggere, ad esempio, le prediche di oratori bizantini raccolte dall'erudito JAKOB GRETSER 283 nella sua opera gigantesca sulla croce). « Oh potessimo noi attraversare questo mare stando sulla croce, la croce ci conduce alla vittoriosa salvezza, la croce ci protegge da ogni vento contrario », così SOFRONIO DI GERUSALEMME 284. E ANDREA DI CRETA, che ebbe tanto influsso sul vocabolario della liturgia greca e, con ciò, di quella russa, così saluta la croce in un inno al « benedetto legno » : 281 AGOSTINO, Tractatus 29, 7 de Martha et Maria {Tractatus sive sermone: inediti ex Cod. Guelf., a cura di G. M O R I N , Kempten-Monaco 1917, p. 125, 1. 21-24. 282 Testo siriano di S. LADERSDORFER, in BKV, 2 ed., v. 6, Ausgewitlten Schriften der syrischen Dichter, Kempten-Monaco, 1912 p. 370. 2,3 Esse occupano tutto il secondo volume dell'opera De Sancta Cruce, Ratisbona 1734. 284 SOFRONIO, Oratio 4 in exaltationem Crucis (PG 77, 3, 3305).
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« Ο croce, tu ci sei timoniere sul mare, tu sei anche porto nella tempesta » a 8 5 . « Io ti saluto, croce santa, sicurezza e riposo di tutti coloro che viaggiano in mare: poiché mediante il tuo modello simbolico (la nave) viene placata l'onda del mare che strepita ed urla e s'innalza come un monte » 286. E per citare una voce medievale di Bisanzio, FILOTEO : « La croce vivificante ci conduce come nave senza alcun pericolo, senza che neppur ci bagniamo, sul mare delle passioni, la croce fa tacere ogni tempesta e rende tutto chiaro e calmo » 287 . Sembra di sentire la supplice preghiera della liturgia bizantina. Una di queste invocazioni risuona così nel libro di preghiera del cosiddetto OKTOICHOS : « Guardando il mare della vita che s'innalza nell'ondata delle tentazioni, io invoco, affrettandomi verso il tuo calmo porto: porta la mia anima su dalla rovina, ο misericordioso! Sovrano crocifisso, che me diante i chiodi hai tolto la maledizione che gravava su di noi... Santissima Signora, che hai generato il Signore quale pilota dei mortali, calma la selvaggia e tremenda tempesta delle mie passioni e dà la quiete al mio cuore » 288 . Come si vede, queste preghiere vivono e respirano proprio nell'antica tradizione cristiana della nave del Crocifisso, e tuttavia, proprio come i loro modelli bizantini, esse sono trasferite nella commovente sfera 2SS ANDREA DI CRETA, In exallationem Crucis (PG 97, 1020 D ; 1021 A; 1033). 288 PS.-CRISOSTOMO (forse Giuseppe di Tessalonica), il cui testo si trova soltanto in J. GRETSER, De S. Cruce, v. 2, p. 86 D. 287 FILOTEO DI COSTANTINOPOLI, Oratio in Staurokynesin (Gretser, v. 2, p. 276 C). 288 Oktoichos ο Parakletike della Chiesa ortodosso-cattolica del l'Oriente, di A. MALTZEW, Berlino 1904, v. 2, p. 3405.
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soggettiva della piccola nave della vita squassata dalle passioni. La tarda antichità occidentale ha preferito conservare la tradizione oggettiva della nave della Chiesa, che è costruita con il legno della croce. Anche in ciò Agostino è restato il modello; si osserva anche, però, che la gioia della resurrezione, espressa negli antichi Simboli, cresce sempre più sino alla teologia anglosassone e carolingia, che non era affatto una semplice trascrizione scolastica da Gregorio e da Agostino (un'affermazione questa, che è importante per l'esatta storia della teologia simbolica cristiana, e che sino ad ora non è neppure accennata nei compendi). Così, anche l'allegoria della nave costruita con il legno della croce conosce qui una nuova fioritura. Già CASSIODORO, che intende però suddividere in piccoli ruscelli la corrente agostiniana289, andando oltre Agostino, sottolinea il significato teologico del simbolo : « Naves autem merito significantur Ecclesiae, quae periculosos fluctus mundi per lignum gloriosae crucis evadunt portantes populos qui signo fidei crediderunt » 290 . BEDA, dandogli degli sviluppi originali, espone tutto ciò come una miniatura finemente dipinta, allo stesso modo in cui, più tardi, preferi rappresentarlo l'arte carolingia : « Egli era però a poppa e dormiva su di un cuscino. I discepoli veleggiavano e Cristo era addormentato. Ciò significa che ai credenti, che vogliono sottomettersi questo mondo e aspirare nello spirito alla calma del regno futuro e che viaggiano verso di esso nel buon vento dello Spirito santo ο con il colpo 289
CASSIODORO, Expositio in Psalterium, praefatio (PL 70, 9 B). "° CASSIODORO, Expositio in Psalt. 103, 26 (PL 70, 737 D); cfr. Expos. in Ps. 106, 23 (PL 70, 772 C).
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di timone del proprio sforzo, tutto d'un tratto le onde infide del mondo cadono sulle spalle come a gara: l'ora della passione del Signore è venuta all'improvviso su di loro. E con ragione si dice che ciò avvenne di sera: poiché, non solo il sonno del Signore, ma anche l'ora della diminuzione della luce doveva raffigurare il tramonto mortale del vero sole. Così dunque il Cristo sali sulla poppa della croce, per addormentarvisi nella morte: e già salgono intorno a lui i marosi di coloro che lo bestemmiano, come tempeste marine sollevate dai demoni » 291 . « Ascendente ilio puppim crucis»: in queste poche parole è racchiusa la tradizione dei primi tempi. Sembra di udire come una eco di Ippolito, quando RABANO MAURO paragona
ad un navigante il Cristo che, morendo in croce, torna in Patria. Ascendo, vale a dire il « salire » sulla piccola nave, nonché il dirigersi verso il porto della eternità neh"ascensio dell'Ascensione, l'uno e l'altro però riuniti nel « salire » sulla croce : « Navicula crux Christi est, sicut in Evangelio: ' ascendit Jesus in naviculam et transfretavit et venit (in fines Magedan) ' quod ascendens Christus crucem exivit de hoc mundo M1 BEDA, Expos. in Marci Evangelium, 2 (PL 92, 174 C). - La più antica raffigurazione della tempesta di Mat 8,23. 24 ci è stata conservata su una rilegatura in avorio del secolo VI; cfr. J. WESTWOOD, Fidile Ivories in the South-Kensington-Museum, Londra 1876, tav. VI. Sul tipo di raffigurazioni della tempesta di Reichenau, cfr. K. KUNSTLE, Ikonographie der christlichen Kunst, Friburgo 1928, p. 390. - Una raffigurazione squisita, piena di tutta la simbolica dell'antichità, nel Codex aureus di Echternach: cfr. A. GOLDSCHMIDT, Deutsche Buchmalerei, Firenze-Monaco 1928, v. 2, tav. 60. - La vivacità del racconto di Marco, assieme al cuscino sotto la testa di Gesù dormente, l'antenna a forma di croce dell'albero della nave e le vele sbattute dal vento sono stati fissati nell'immagine della tempesta dell'evangeliario della abbadessa Hitda di Meschede : riproduzione in Propylàen-Kunstgeschichte, Potsdam 1929, v. 6, p. 322.
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et venit ad coelestem patriam » 292. Questa nave della croce è la nave della Chiesa, come qui spiega Rabano Mauro e (spesso citando letteralmente Beda e Cassiodoro) in molti altri passi delle sue opere 293 . Poiché la sicura capacità di salvezza della Chiesa si fonda soltanto sulla forza della morte di croce. Ancora nel medioevo, per citare un esempio tra tanti, Anselmo di Laon ha riassunto tutto ciò nella bella espressione: « Navicula quam ascendit Christus, intelligitur arbor beatae passionis, cuius auxilio fideles adiuti transcensis mundi fluctibus quasi ad stabilitatem, ad habitationem patriae caelestis perveniunt securi littoris » 294 . Ciò risuona ancora attraverso gli inni del tardo medioevo, ove esaltano la santa croce quale nave della salvezza: « Crux est navis, crux est portus, crux est fortis armatura et protectio secura, conterens daemonia » 295 . Oppure nell'inno pubblicato da MONE : « Tu scala, tu ratis, tu crux desperatis tabula suprema » 296 . Qui si annuncia già ciò che poi tratteremo più a fondo: Γ « ultima tavola della nave » della penitenza, di cui la teologia parla sin dai tempi di TERTULLIANO, in
fondo pezzo Chiesa tempo 2,2
è una tavola del legno della croce, un ultimo della partecipazione salvifica alla nave della costruita con il legno della croce. Se a suo l'antica simbolica navale parlava del desiderio
R A B A N O M A U R O , Allegoriae in Scripturam (PL 112, 1005 A). R A B A N O M A U R O , De universo, 20, 39 (PL m, 554 C ) ; Comment. in Matthaeum, 3, 8 (PL 107, 863 C D ; 865 B-866 C ) . mt ANSELMO DI LAON, Enarr. in Matthaeum, 8 (PL 162, 1324 D; 1325 A). 295 Laudismus de S. Cruce, 1, 18 (forse di BONAVENTURA), in Analecta Hytnnka 50, p. 572. ·"· Hymnus de S. Cruce, 108 (del sec. X V ) , in F. J. M O N E , Lateinische Hymnen des Mittelalters, Friburgo 1853, v. 1, p. 142. 293
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ardente con cui i naviganti, questi « vicini della morte, innamorati del mare», non stornavano il loro volto dal porto arridente - έπ'αίγιαλούς τετραμμένοι, li chiamava ARATO - ciò si verifica ora, in tutt'altro senso, nella nave della Chiesa che veleggia verso le terre dell'eternità e il cui legno portante è ad un tempo « morte e vita », legno della vita e legno che è l'unica parete che ancora ne separa dalla morte, legno della croce. O N O R I O DI A U T U N , riassumendo la tradizione anteriore, ha espresso tutto ciò in una predica sulla Passione : « Navicula est sanctae crucis vexillum, qua de salo huius saeculi per Christi passionem vehimur ad tutae stationis tranquillam. In liane Dominus ascendit, d u m prò mundi salute crucem subiit » 297 . Ci troviamo dinanzi ad uno sviluppo dell'immagine del pilota crocifisso, che veglia e dorme sulla poppa lignea della croce, quando l'antica simbolica cristiana parla anche del timone, che è costruito con il legno della croce. Come abbiamo già veduto, anche il pensiero antico parla del sorprendente miracolo compiuto dallo spirito umano, che riesce a manovrare una grande nave con un legno tanto piccolo. Nella lignea impugnatura del timone prende corpo, per così dire, l'opposizione tra il minuscolo mezzo e il grande effetto; e ciò che si dice della natura della nave costruita con legno, vale ancor più del πηδάλίον, del clavus, che viene manovrato dal pilota. Dio ha fatto crescere la materia del legno, dice BASILIO, affinché l'uomo costruisca con esso i timoni delle sue navi 2 9 8 . Al concetto ξύλον si collega quindi quasi automaticamente 297 O N O R I O DI AUGUSTA, Speculimi Ecclesiae, D e Dominica Passionis (PL 172, 912 B C ) . »·· BASILIO, Hexaemeron, 2, 2 (PG 29, 32 D ) .
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
anche la simbolica del pilota timoniere (vedemmo già che nel catalogo navale dello PS.-CRISOSTOMO 2?9, legno del timone e legno della croce venivano eguagliati, e che GIUSEPPE DI TESSALONICA ricorreva dalla medesima allegoria300, là dove parlava della gigantesca nave mercantile, che viene guidata dal piccolo legno della croce). Qui ci troviamo però di fronte ad una simbolica molto più antica. Essa si può già incontrare in IPPOLITO. Questi a proposito del passo di Prov. 30,19 LXX, in cui si parla del mistero dei « solchi tracciati dalla nave che viaggia per mare » (τρίβους νηος ποντοπορούσης), dice che ciò si verifica nella Chiesa : « Durante questa vita terrena, la Chiesa è in viaggio come su di un mare; nella speranza in Cristo essa viene guidata dalla croce »301. Il termine di paragone è naturalmente il « legno del timone ». Nel medesimo senso vanno intese perciò le invocazioni alla santa croce presenti nei Greci dell'ultimo periodo patristico le quali chiamano il legno della salvezza semplicemente « timoniere dei naviganti », come ad esempio nello PS.-CRISOSTOMO 302 , oppure nell'esclamazione retorica, che si trova nella predica di un anonimo, anch'essa attribuita più tardi a CRISOSTOMO: ποίον πλοΐον το μή πεδαλιουχούμενον 303 ύπο του σταυρού ? In una predica sulla croce di GERMANO DI
COSTANTINOPOLI i simboli nautici ven-
2
"> PS.-CRISOSTOMO, Sermo in vivificam Crucem (PG 50, 817 B). Testo in GRETSER, De S. Cruce, v. 2, p . 86 D .
300
301 I P P O L I T O , Frammento 5 4 ( G C S I P P O L I T O I, 2 , p . 176, 1. 16 s i n o
a p . 177, 1· i ) . 302 PS.-CRISOSTOMO, Sermo in vivificam Crucem (PG 50, 819 A). Così pure in ANDREA DI CRETA, Oratio 1 in Exaltat. Crucis (PG 97, 1021 B). 303 Cfr. i testi in GRETSER, De S. Cruce, v. 2, p. 142 Β ; ρ. 395 D.
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gono ancora una volta riassunti in una immagine audacemente dipinta: « Cadi in ginocchio dinanzi a questo legno, è il tuo timone! Se tu sarai guidato da esso, ο uomo, non devi temere i vortici minacciosi del mare di questa vita, poiché tu hai un Maestro, che ti conduce sino alla terra incrollabilmente ferma, ma solo allorché avrai inchiodato la tua carne, con timore incessante, a colui che è inchiodato sul legno della croce » 304 . Anche qui è l'opposizione tra i flutti del mare cattivo della vita e il piccolo timone fatto con legno di croce, che ancora una volta riveste con simboli la profondità teologica. La medesima dialettica è espressa ancor più bellamente in una frase che è stata attribuita sia a CRISOSTOMO, che a GIOVANNI DAMASCENO 3 0 5 : «Gesù andò in nave sul mare. Dio in una barchetta! Allora ciò era necessario, Gesù aveva bisogno del legno per un giorno. Io però ho ricevuto legno eterno, un buon legno, e se mi servo di questo legno della croce come timone, viaggio sicuro sui cavalloni spirituali della peccaminosità ». Θεός εν σκάφη: in queste due parole si riassume la dialettica teologica del simbolo della nave costruita col legno della croce, e con ciò, essa ritorna al nudo avvenimento biblico, quando Gesù salì su una barca, la barca di Pietro, per insegnare e per mettere a tacere la tempesta marina. Partendo da ciò, l'abbondanza della simbolica nautica dei Padri, nutrita di antichità, si era lasciata andare sino alla sua sorprendente ricchezza, senza mai dimenticarsi della parte più intima 304 aM
GERMANO, In vivificarti Crucem (PG 98, 240 C D ) . PS.-CRISOSTOMO, Hornilia in Parasceven (PG 50, 811 D;8i2D).
- G I O V A N N I DI DAMASCO
(PG 96,
590 C ) .
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PADRI
del mistero teologico, che, per rispetto, veniva rivestito con allegorie : Dio sul legno. Al mistero del « mare cattivo » corrisponde il mistero della « nave buona ». Belial e Cristo, morte e vita, naufragio e approdo, è sempre la stessa contrapposizione di pensieri, la drammaticità della storia della salvezza, in cui la teologia patristica impara a contemplare gli eventi dell'opera redentrice di Cristo. Cristo è divenuto il timoniere della nave della Chiesa; il «morto sulla croce » è il timoniere della salvezza. AGOSTINO afferma nell'esposizione sui Salmi : « Il tremendo però è il mare, poiché in esso ci sono rettili innumerevoli. In questo pauroso mare io vedo dei rettili negli uomini che non sono ancora venuti alla fede; essi si rotolano ancora in acqua amara e infruttuosa. Ma guarda, ci sono anche navi, che viaggiano sul mare, guarda, proprio in mare, che è così pauroso, galleggiano navi e non vanno a fondo. Queste navi sono le Chiese, che veleggiano in mezzo alla tempesta, negli uragani della tentazione, attraverso le onde di questo mondo, in mezzo ad animali grandi e piccoli. Poiché il loro pilota è Cristo con il legno della sua croce, egli le conduce alla patria terra della tranquillità » 306 ! La croce è il più profondo mistero della Chiesa. Esprimerlo era il senso dell'allegoria della « nave di legno ». Ci troviamo di fronte ad una eco della simbolica agostiniana, quando Beda scrive a proposito del mistero della croce della Chiesa : « Iuxta allegoriam mare tenebrosus amarusque saeculi praesentis aestus accipitur. Navicula autem, quam ascendit Dominus, nulla melius quam sacratissimae passionis ipsius in306
AGOSTINO, En. in Psalmum 103, sermo 4, 4, 5 (PL 37, 1380S).
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telligitur arbor. Cuius beneficio quique fìdeles adiuti, transcensis mundi fluctibus ad habitationem patriae caelestis quasi ad stabilitatem securi littoris perveniunt » 307.
307
BEDA, Expositio in Marci evangelium, 2 (PL 92, 173 C).
4·
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Dopo questi studi prevalentemente preparatori sulla simbolica patristica della Chiesa, è ora di riprendere la ναυπηγία allegorica, affinché, per dirla con ARISTOFANE !, « il colpo d'ascia rimbombi attraverso tutto il cantiere navale ». Il titolo generale che abbiamo dato a questo studio dice già che stiamo per penetrare nel punto centrale: nell'esposizione dell'allegoria, così cara agli antichi cristiani, della croce del Signore come trofeo della vittoria costruito con l'albero e l'asta della vela, ossia del buon viaggio verso il porto della salvezza. La nave della Chiesa infatti « ha al centro il segno della vittoria contro la morte, ossia la croce del Signore, che essa porta sempre con sé », dice IP2 POLITO . Senza questo intimo tratto della simbolica cristiana della nave, non potremmo comprendere l'alegoria di « Ulisse all'albero della nave » 3. Il capitolo sulla Chiesa come « nave di legno » ci ha portati ancor 1 2
3
VOGEL, I I 5 7 (COULON III, p. 80). De Antichristo, 59 (GCS IPPOLITO I, 2, p. 39, 1. IJS).
Cfr. sopra, p. 437, nota 143.
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L'ECCLÉSIOLOGIA
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PADRI
più vicino al centro. Segue perciò l'esposizione della parte dottrinale dell'antenna della croce, dato che, come le stesse assi della nave, così anche l'albero è costruito con « legno e chiodi », ed ambedue dunque fanno pensare al Signore inchiodato al legno della croce 4. Solo a partire da questo centro che ora dobbiamo presentare, il mondo complesso di questa simbolica diventa semplice e chiaro; e solo a partire da questo centro riusciremo a comprendere il significato teologico di questo mondo d'immagini. La pienezza e l'uso appropriato di tali immagini nautiche veniva capito senza difficoltà dall'antico cristiano, che, in ragione del suo ambiente culturale, era pur sempre un uomo navigatore. GEROLAMO, ad esempio, sapeva di essere compreso quando denominava il segno della croce semplicemente « l'antenna della croce » 5 . Ma noi cristiani posteriori, che abbiamo perduto il contatto con la cultura antica e quindi abbiamo perduto anche la sensibilità per il significato dei simboli, non possiamo fare a meno di farci istruire faticosamente nel cantiere dei Padri della Chiesa intorno all'albero e all'antenna. Il risultato di questi sforzi rende felici. Solo così l'antica teologia cristiana diventa per così dire « plastica », colorata, vicina alla vita, nutrita del4 Cfir. sopra, a p. 593SS. * Epistola 14, 6 (CSEL 54, p. 53, 1. 1). - Cfr. per questo gli articoli postumi, pubblicati da T h . Klauser, di F. J. DOLGER, Beitràge zur Geschichte des Kreuzzehhens, in Jahrbuch ftir Antike uni Christentum 1 (1958) p. 5-18; 2 (1959) p. 15-29; 3 (i960) P· 5-16; 4 (1961) p. 5-17. Questo lavoro di Dolger nacque senza che l'autore potesse prendere visione del lavoro, pubblicato per la prima volta nel 1953, e che ora noi presentiamo per la storia del segno della croce. Gli articoli del Dolger sono anche importanti per il capitolo seguente sul « mistico Tau ».
LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA
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l'inesauribile freschezza dei simboli, dietro a cui si schiudono le profondità della dottrina senza immagini. I Padri della Chiesa, quando volevano insegnare l'importanza determinante che la croce ha per la salvezza, non potevano scegliere alcun simbolo più appropriato dell'immagine della nave della Chiesa, che porta nel suo centro l'albero della croce. Iniziamo dunque di nuovo la nostra naupegia. Ci può accadere qui come a GREGORIO DI NISSA, che dipinge la costruzione di una buona nave con conoscenza nautica: « Uno mette insieme la chiglia, un altro si dà da fare per erigere le assi. Chi costruisce la prua e chi la poppa. Questi si affatica attorno all'albero e quegli intorno all'antenna» 6 . Noi abbiamo già tirato su l'ossatura della nave della Chiesa. Adesso ci daremo da fare intorno all'albero ed al suo pennone teso, da cui svolazzano le vele, nelle quali soffia il vento dello Spirito. Πλήρεσιν ίστίοις, dicevano con un proverbio gli antichi, volendo dire « con tutte le forze e con tutto 7 il cuore » . Iniziamo dunque il viaggio « a vele spie gate », « a gonfie vele ». i. ALBERO DELLA NAVE E ANTENNA NELLA TECNICA E NELLA LETTERATURA DELL'ANTICHITÀ
Cerchiamo in primo luogo di cogliere le nozioni tecniche che la nautica ci fornisce sull'albero e sul pennone della nave; poiché senza di esse anche la simbolica cristiana nella sua ammirevole pregnanza ci « Centra fatum (PG 45, 165 C). ' SUIDA, Lexicon, voce ίστίον (Lexicographi Graeci, Lipsia 193 1 . v. 1, 2, p. 672).
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resterà incomprensibile. Ammettiamo che, anche dopo aver studiato diligentemente la ricca letteratura sulla nautica antica8, non conosciamo l'uso tecnicamente appropriato dei termini (e di conseguenza non lo supponiamo nel lettore), che per il cristiano antico era evidentemente ancora un bene comune della sua cultura. L'odierno interprete dei passi dottrinali nautici dei Padri della Chiesa resta, in un modo ο in un altro, sempre un « terraiuolo ». Ma i particolari essenziali debbono essere chiaramente delineati, poiché, senza di essi, si perderebbero di vista i tratti, più belli della spiegazione dell'allegoria cristiana della croce. Le premesse necessarie di tecnica navale che ora esporremo, ci aguzzeranno la vista, per poter vedere, ciò che vedeva il cristiano MINUCIO FELICE: « Noi vediamo quasi spontaneamente il segno della croce su di una nave, quando avanza a gonfie vele» 9 . E naturaliter qui significa « come spontaneamente », comprensibile a vista, nel mondo visibile della cultura che ci circonda. C'è in primo luogo, quale sinonimo e punto centrale di tutta la nave, l'albero (ίσιος, malus, arbor). L'antica nave ha quasi sempre un solo albero. Nelle navi mercantili esso è piantato saldamente, nelle navi da guerra è abbassabile e può essere conservato in un contenitore a forma di canale (ίστοδόκη). Esso viene fissato sul pavimento della nave con forti funi, vicino al punto di attacco, mediante cunei di legno e chiodi: 8 Cfr. l'elenco sopra, a p. 515, nota 11. - La più ricca informazione sulla tecnica e sul vocabolario navale ci viene fornita da POLLUX nel suo Onomastkon 1, 82-95 (= Lexicographi Graeci, a cura di E. BETHE, Lipsia 1900, v. 9, p. 26-32). • Ottavio, 29, 8 (CSEL 2, p. 43, 1. IOS): « Signum sane crucis naturaliter visimus in navi, cum velis tumentibus vehitur ».
LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA
615
tutta la salvezza della nave è fondata nella solida stabilità dell'albero. Esso, soprattutto quello delle pesanti navi da carico, che servivano al commercio marittimo (corbita), produceva una profonda impressione sulla fantasia degli antichi. OVIDIO mette in bocca a Galatea il racconto del mostruoso ciclope, che siede sul promontorio con il bastone di pastore tra i piedi, e questo bastone è come un pino, con cui generalmente si fa l'albero di una nave: «Cui postquam pinus, baculi quae praebuit usum, ante pedes posita est, antennis apta ferendis » 10 . E in un frammento di LUCILIO si narra la stessa cosa a proposito del Ciclope omerico, che portava un bastone simile ad un albero di nave, un verso questo che il mosaicista ha aggiunto alla rappresentazione di una corbita nelle figure di navi di Altiburo: «Et porro huic maius bacillum quam malus navi e corbita ullast » u . L'albero veniva costruito per lo più con una sola pianta, generalmente con un abete rosso ο un abete bianco (e la stessa cosa si dica per l'antenna), come c'informa PLINIO: « Navium malis antennisque propter levitatem praefertur abies » 1 2 . Nel le Metamorfosi di APULEIO, Lucio è tutto attonito dinanzi allo splendore della nave dedicata a Iside e ammira l'albero slanciato : « Iam malus insurgit, pinus rotunda, splendore sublimis » 13 . Per questo la concatenazione di pensiero di malus e arbor è inscindibile, e l'albero 10
Metamorph. 13, 782S (EHWALD, p. 411).
11
LUCILIO, Fragni. 15, 1. 482S (MARX, p. 33). P. GAUCKLEE, Un
Catalogne figure de la batellerie gréco-romaine. La mosatque d'Althiburus (= Monumenti et Mémoires Piot, XII), Parigi 1905, p. 113-154. DACL, 12, col. 987SS. 12 Nat hist., 16, 195 (MAYHOFF III, p. 50, 1. 17S). Altro materiale riguardante l'albero della nave, cfr. sopra, p. 581-591. 13
Metemorph., n, 16 (HELM, p. 278, 1. 24S).
616
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della nave spesso viene denominato semplicemente arbor14. Si pensi a VIRGILIO, alla descrizione del tiro al piccione, che Enea organizza per il suo equipaggio: una colomba è sospesa come un bersaglio là sull' « albero » della nave 15 . E quando nell'arte figurativa si voleva « anticheggiare », allora, come è il caso della nave di Teseo in Ercolano, l'albero e l'antenna erano rappresentati come degli alberi non digrossati16. Una nave ben equipaggiata, soprattutto i veloci velieri, oltre all'albero maestro avevano un solido albero di trinchetto fissato trasversalmente alla prua, che serviva anche da gru e portava la vela anteriore (ιστός, κάτιος, άκάτιον, artemon); è per questo che questo secondo albero veniva chiamato semplicemente akation. Con la sua piccola antenna messa di traverso nelle antiche raffigurazioni somiglia ad una croce che adorna la nave. Tuttavia, era ancora più impressionante a vedersi la forma di croce che risultava dall'incrocio dell'albero maestro con la stanga della vela ο pennone. Ci sembra quasi di rivivere l'antico procedimento costruttivo na vale, quando udiamo OMERO dipingere la costruzione della leggendaria imbarcazione di Ulisse : « Come un uomo, versato in costruzione, arrotonda sagacemente ed arcua il corpo della sua potente nave da carico, allo stesso modo il sublime Ulisse costruiva potente la sua imbarcazione. Egli elevava assi e le fissava con molta e forte tensione, e completava il tutto con possenti 14 Cfr. i testi per il significato nautico di arbor nel Thesaurus linguae Latinae, 1901, v. 2, col. 427, p. 57-77. 16 Eneide, }, 504 (JANELI, p . 198). 16 Cfr. H. BALMEH, Die Romfahrt des Apostels Paulus una die Seefahrtkunde im Romischen Kaiserzeitalter, Berna 1905, p. 181.
LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA
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travi, vi drizzò quindi l'albero con un conveniente pennone» 17 . Al verso 253, Omero impiega l'espressione ί'κριον e έπίκριον per indicare l'albero e il pen none (più sopra abbiamo già indicato l'impiego cristiano di questo vocabolario antico nella simbolica della nave e della croce) 18 . Il pennone della vela posto di traverso all'albero maestro è chiamato quasi generalmente dai Greci κεραία, a volte anche ίστοκεραία. Questa parola ri vela da sola il suo significato originario: il pennone che si estende a destra e a sinistra dell'albero, somiglia alle corna (κέρατα) di un animale. Si può anche dimostrare che nel gergo nautico il pennone della vela si chiamava anche semplicemente κέρας. È dunque questa ampia keraia, che stende la sue braccia tremanti al vento, come sfidando tempesta e mal tempo, simile alle antenne degli insetti e dei gamberi, che in Aristotele vien chiamata per l'appunto κεραία 1 9 . E pro prio qui si cela la radice dell'ulteriore e strana storia di questa espressione nautica. I Romani chiamavano questo pennone trasversale dell'albero maestro con una parola la cui origine etimologica ancora non è spiegata, antemna, usata per lo più al plurale antemnae, e più tardi ingentilito un poco in antennae 20. Di qui " Odissea, 5, 248-253. - Cfr. per questo H. RAHNER, Griechùche Mythen in christlicher Deutung, Zurigo 1957, 2 ed., p. 468. 1B Cfr. sopra, p. 594S. 19 Hist. art. IV, 2, 5 (edizione DIODOT, Parigi 1854, v. 3, p. 59). 20 Cfr. per questo A. WALDE, Lateinisch-etymologisches Wórterbuch, Heidelberg 1938, 3 ed., p. 54. - A. ERNOUT e A. MEILLET, Dictionnaire
etymologique de la langue latine, Parigi 1931, 3 ed., p. 66. I due autori sono dell'opinione che antemna è di origine incerta, ad ogni modo non latina (forse etnisca?). - L'etimologia popolare si trova in ISIDORO, Etymol, 19, 2, 7 (PL 82, 666 B) : « Antemnae dictae quod ante amnem sint positae ».
618
L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
le lingue romanze hanno designato il pennone della vela con « antenna », in dialetto siciliano con « ntinna » 21 ; e più tardi la scienza della natura ha tradotto con « antenne » la designazione aristotelica degli organi della sensibilità degli insetti 22 . Così è avvenuto che negli ultimi tempi si designano con il termine « antenna » i dispositivi di recezione delle onde, i quali sono tesi come le antenne degli insetti e delle navi: tutti sappiamo quanto questa parola sia radicata oggi nella vita quotidiana, talmente che a prima vista sentiamo una certa difficoltà, quando questo nostro studio ora incomincia a parlare dell' « antenna della croce ». Questo pennone ο antenna di una grande nave era dunque per gli antichi l'oggetto di una meraviglia quasi timorosa: poiché tutta la funzione della vela dipendeva dalla sua bontà e manovrabilità, e dalle vele dipendeva la vita e il felice approdo. La grande antenna di una nave di circa 200 tonnellate era lunga sino a 12 metri, e le antenne della nave di lusso descrittaci da ATENEO, aveva circa 25 metri di apertura 23. Per questo i costruttori di navi greci puntellavano le antenne d'ambo i lati con brache che scorrevano sulla cima dell'albero ed erano ormeggiate a prua e a poppa 21
Cfr.
W.
MEYER-LUEKE in una
recensione
di
G.
KORTING,
Lateinisch-romanisches Worterbuch, in Zeitschriflfur die òsterr. Gymnasien 42 (1891) p. 766. 22 Cfr. HATZFBLD-DARMESTETTER, Dktionnaire general de la Ungile francaise, v. 1, p. 104 « Antenne ». Qui rinviamo a E. MARALDI, Mémoires de VAcadémie des sciences, 1712, p. 136, il quale dice che TEODORO GAZA avrebbe applicato nel sec. XV l'espressione nautica antenna alle corna sensibili degli insetti - Cfr. anche GRIMM, Deutsches Worterbuch, Lipsia 1905, v. 10, 1, col. 97S: Segelstange. M A. KOSTER, Studien zur Geschichte des antiken Seewesens (= Klio, Beitràge zur alien Geschichte, Beiheft 32, N. S.> fase. 19), Lipsia 1934, P- 50.
LA CROCE COME ALBERO E ANTENNA
619
(κεροίακες). L'antenna era ricavata per lo più da un solo albero oppure anche da due cime artisticamente saldate insieme. Essa era fissata all'albero con ormeggi (αγκοίνη, cinquina), ma in modo tale che potesse essere orientata e, soprattutto all'insorgere di una tem pesta, potesse essere calata facilmente. « Calare l'anten na»: questo era un punto capitale dell'arte della vela, che salvava la vita. Le vele vengono ripiegate con corde ed anelli che sono fissati all'antenna (τοπεΐα). Essa è girevole in una specie dì fuso posto sulla cima dell'albero, a seconda della direzione del vento; questo fuso direzionale si chiama κεροΰχος ο κεραιοϋχος, in latino ceruchus: « Stilus est quidam in caput arboris, ad quem venti probantur vel ad quem antemnae reguntur » 2 4 . La parte dell'albero che sta al di sopra dell'antenna, la cima, si chiama καρχήσιον, carchesium. Esso corona tutta la struttura e porta a volte una specie di coffa ο gabbia (θ-ωράκιον ο κατάρτιος). Con questo carchesium la nave maestosa giunge per cosi dire sino all'etere celeste, e ad esso vengono appese, mediante gomene, le estremità esterne delle antenne; per questo il commentatore di LUCANO descrive il carchesium con le parole : « Ligna quae antemnam tenent aut certe quid est in summum arboris » 25 . E APULEIO non dimentica mai di menzionarle, quando descrive una nave con il suo superbo albero : « Navem procero malo, insigni carchesio, splendentibus velis » 26 , o: «Pinus rotonda, splendore insignis, sublimi car** Scholia in Lucani bellum civile (H. USENER, Commenta Bernensia, Lipsia 1869, v. 1)), 8, 177. "
Ivi,
s,
4.18.
-
Cfr.
MACROBIO,
Sat.,
p. 337, 1. 10-12. ae Florida, 23 (HELM, p. 43, 1. iss).
ì
s,
21,
s
(EYSSENHARDT,
620
L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI
chesio conspicua » 27. Le estremità esterne dell'antenna sono dette άκροκέραια, cornua. Dal ponte al vertice dell'albero corre una scala di corda. Essa è chiaramente visibile sulle immagini di navi di Altiburo 28. Infine, soprattutto nei velieri rapidi, per aumentare la recezione del vento, viene messa in opera una controvelaccia ο gabbiaiuola (σίφαρος, supparum, detto a volte anche παράσειον) tra l'antenna e la cima. Ha la forma di un triangolo ottuso, la cui base corrisponde al grande pennone e i cui lati convergono verso l'asse del fuso del carchesion.
Tutto sommato: albero e antenna sono la sostanza di una buona nave. Non si fanno risparmi nella loro costruzione, ed un uomo amante del mare ha conser vato scritto sulla stele del koptos per la posterità, quante buone drachme egli ha pagato per l'albero e l'antenna w. La loro essenza è condensata dall'antica leggenda: « Dedalo ha inventato l'albero della nave e l'antenna » 30 . Dopo aver fatto conoscenza con i più importanti concetti che l'antica nautica ci fornisce sull'albero e sull'antenna, è indispensabile per la comprensione dell'allegoria cristiana dell'antenna della croce, tastare, per così dire, nella letteratura latina e greca, lo stato d'animo, che riempiva l'uomo antico alla vista delle navi, che, forti dell'albero e dell'antenna portatrice della vela, solcavano l'amato e temuto Mediterraneo. "' Metamorph., I l , 16 (HELM, p. 278, 1. 24S). ** La migliore riproduzione in D A C L , 12, 1, col. 993, fig. 8771. Ciò in aggiunta a FR. J. DOLGER, Sol Saintis, Munster 1925, 2 ed., p. 277, nota 3. s » W. DITTENBERCER, Orientis Graeà lnsaìptiones selectae, Lipsia 1905, v. 2, p . 418. » P L I N I O , Nat. hist., 7, 209 (SILLIG Π, p. 66, 1.
12).
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Tutti i libri del mondo spirituale ellenistico e romano sono pieni di racconti su viaggi di mare, tempeste marine e guerre navali, e l'antica mitologia, dalla nave degli argonauti sino ad Ulisse ed Enea, vive e si muove in questa gioia, mista a timore, per il « mare nostro ». Noi abbiamo cercato di capire questo stato d'animo già nel capitolo su II mare del mondo 31. Thalatta 32, questo era il grido caro ai Greci, e noi dobbiamo riascoltarlo continuamente, ora che cominciamo a parlare dell'albero « incrociato dall'antenna della vela », in cui s'incarna la salvezza e l'audacia dell'uomo che va per mare. Poiché questo mare è stato vinto dall'arte della vela che è dono divino. La riverente ammirazione per la nave si concentra ad un tempo sull'albero e sull'antenna; e la loro intersezione, che forma l'immagine di una croce, è come un magico incanto che attraeva l'uomo, che conosceva qualcosa dei mitici misteri del mare. Iniziamo con uno sguardo panoramico alla narrativa dei viaggi marini. « Tutto sommato », così il chiacchierone di LUCIANO riassume la sua ammirata descrizione della grande nave egiziana nel Pireo, « che grande albero. Quale immensa antenna esso porta, e di quali sartie c'è bisogno per tenerlo fisso. E quale grazioso ornamento è, sulla cima dell'albero, il gran velaccio lucente come fuoco. Tutto ciò mi sembra meraviglioso » 33 . E poi si fa raccontare dal pilota in qual modo la nave si salvò durante la tempesta not" Cfr. sopra, a p. 455-509. 32 Cfr. per ciò A. LESKY, Thalatta. Der Weg der Griechen zum Meer, Vienna 1947. 83 Navigium seu vota, 5 (JACOBITZ III, p. 215, 1. 14.S; 1. 22s).
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turna, quando uno dei divini Dioscuri si era posato, sotto forma di lucente stella, sul carchesion dell'albero 34. Lo stato d'animo del viaggio tranquillo è fissato in modo appropriato in PETRONIO : « Tutta la nave risuonava di canti. Una tregua di vento sopravvenuta improvvisamente aveva rallentato il corso. E così, l'uno cercava di prendere gli scattanti pesci con una forca di zinco, un altro attirava le guizzanti prede con ami lusinghieri. Gli uccelli marini si erano posati persino sull'antenna, e ora una testa ingegnosa li metteva sotto coperchio con panierini di vimini » 35. Anche Luciano ci narra di questo dolce far niente tipicamente greco durante la navigazione tranquilla, là dove ricorda al suo amico quelle ore di ricreazione : « Bighellonavamo dunque attorno all'albero della nave e guardavamo verso l'alto; facevamo il conto delle toppe di cuoio sulle vele, ammiravamo un marinaio che si arrampicava sui cavi e poi, senza alcun timore, faceva ginnastica ritto in piedi lungo l'antenna » 36 . VEIXEIO PATERCOLO ci narra del viaggio per mare compiuto da Cesare dalla Bitinia a Roma, per assumervi l'ufficio di Pontefice Massimo. Per timore dei pirati, Cesare si serve di una piccola nave, ma il timore gli fa 34 Navigium, 9 (p. 216, 1. 25S). Cfr. K. JAISLE, Die Dioskuren ah Retter zur See bei Griechen una Rdmem uni ihr Fortkben in christlichen Legenden, Tubinga 1907. 35 Saturae, 109, 6 (BUECHELEE, p. 79, 1. 6-11). 38 Navigium, 4 (JACOBITZ III, p. 214, 1. 25-29). Cfr. O V I D I O , Metamorph., 3, 615S (EHWALD, p. 82), ove, a proposito del marinaio Ditti, vien detto che nessuno sapeva arrampicarsi così bene sulle antenne e calarsi nell'attrezzatura delle vele: « Q u o non alius conscendere summas ocior antemnas prensoque rudente relabi ». - U n a raffigurazione antica di marinai che si spostano lungo le antenne si vede in DAREMBERG-SAGLIO, Diclionnaire des Antiquités, 1904, v. 4, 1, p. 39, fig. 5293.
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vedere i fantasmi : da qualche parte lungo la costa adriatica egli vede nella luce del crepuscolo una selva, e crede di vedere la fila ben ordinata degli alberi e delle antenne di una flotta : « Mox intellexit frustratum esse visum suum, arborumque ex longinquo ordinem antemnarum praebuisse imaginem » 37. Questo complesso di paura di Cesare è molto istruttivo per la nostra simbolica: vi si vede con evidenza immediata quanto fosse viva nella psiche dell'uomo antico l'equiparazione di malus e arbor, e allo stesso tempo come egli fosse inevitabilmente incline a identificare « antenna » con nave e flotta. Per il senescente Seneca fu un'ora deliziosa quando, pacato e ad un tempo nervoso, attendeva sulla spiaggia di Pozzuoli l'arrivo del postale alessandrino, e poi ne parlava all'amico Lucilio : « Oggi giunsero improvvisamente in vista le navi di Alessandria, che si ha cura di mandare avanti per annunciare l'entrata in porto della flotta che segue. Le chiamano naves tabellariae. Tutta Pozzuoli è radunata sul ponte di approdo, e dalla forma delle vele si riconoscono immediatamente, in mezzo alla massa di navi, quelle alessandrine: esse sole cioè possono issare il controvelaccio (siparum), che altrimenti tutte le navi portano in cima all'albero. Niente infatti favorisce il corso della nave quanto questa parte superiore della vela: di li la nave viene maggiormente spinta. Quando pertanto il vento aumenta e diventa più forte, come si desidera, allora si cala l'antenna, poiché più in basso la forza del vento è minore » 3S. Viceversa, l'alzamento. della vela sull'antenna significa " Historia Romana, 2, 43, 2 (HALM, p. 57, 1. 24ss). Epistolae ad Luàlium, 77, 1, 2 (HBNSE, p. 269)·
38
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la gioiosa e speranzosa partenza. Nessun romano poteva dimenticare i versi, con cui Virgilio descrive il tentativo di approdo in Italia progettato da Enea, ma reso vano dal Fato, e come i naviganti, dopo la preghiera di Anchise, ripartono e lasciano i luoghi infidi abitati dai Greci: « Haud mora. Continuo perfectis ordine votis cornua velatarum obvertimus antemnarum Grajugenumque domos suspectaque liquimus [arva » 39. Quanto è suggestivo tutto ciò : « Noi girammo i corni delle antenne rivestite di vele ». Oppure, più in là, alla fine del quinto libro, al momento di partire per il viaggio definitivo verso la promessa Italia: nell'atto di issare le antenne, si riflette l'immagine della grande speranza che riempie il pio Enea, e già si presenta il felice approdo alle foci del Tevere: « Iubet ocius omnis adtolli malos, intendi brachia velis » 40 . « I corni si librano regolari, spinti in avanti e indietro ; la flotta cessa di rumoreggiare contro il vento », cosi è tradotto da Voss il verso conclusivo : « Una ardua torquent cornua, detorquentque : ferunt sua flamina classem » 41 . I poeti cristiani della tarda latinità hanno imitato questi bei versi virgiliani, come fa ad esempio ENNODIO, quando parla delle vele crepitanti nei cernali
42
,
ο
come
leggiamo
in
APOLINNAKE
SIDONIO,
che così descrive il felice approdo : « Solvit antemnas, 3
" Eneide, 3, 548-550 (JANELL, p. 157). Eneide, 5, 828S (JANELL, p. 207) ; la lettura remis invece di velis è difficilmente preferibile, poiché brachia non sono i bracci del timone, ma delle antenne. 41 Eneide, 5, 83 is (JANELL, p. 208). « Carmina, 1, 7 (PL 63, p. 319 B). 40
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alta vela, palmulam ponit manus » 43 . Così in R u TILIO NAMAZIANO, quando descrive il placido viaggio verso la patria, ed all'aurora innalza le sue antenne, « quando la rosea aurora guida verso l'alto il suo tiro a due » : « Lutea protulerat sudos aurora iugales ; antemnas tendi littoris aura iubet » 44 . In drammatica opposizione con ciò abbiamo le antiche descrizioni delle tempeste marine sul raccapricciante mare: quando il lampo si dirige verso l'antenna, quando il vento urlante sfracella i pennoni delle vele, allora non c'è più salvezza. Anche qui si parla sempre dell'antenna, poiché in essa si incarna fortuna e pericolo. Il modello è il naufragio di Ulisse: « Vela e pennone precipitano lontano nelle onde » 45 . Νeli'Agamennone di SENECA, Euribate narra la storia della flotta distrutta nello Ionio (simile al racconto della tempesta in ESCHILO) 4 6 , che avanza impotente con gli alberi spezzati : « Nec rectus altas malus an47 temnas ferens sed trunca toto puppis Ionio natat » . E PLAUTO presenta il vecchio Carnide che, nei rin graziamento a Nettuno, descrive il pericolo corso, il modo in cui « i venti tempestosi ringhiavano come veri cani contro la nave, la pioggia e i flutti e gli scrosci ruppero l'albero e spezzarono le antenne » 4 8 . « Navi gare con antenna priva di vela » è terribile, dice L U 49 CIANO . GIOVENALE descrive con pomposa oratoria 43 41 45 48 47 48 4>
Epistola 9, 16, v. 5s ( M G H Auct. Antiq. 8, p. 171). De reditu, 511S (Poetae latini minores, V, BAHRENS, p. 22). Odissea, 5, 317. Agamennone, 635-660 ( W I L A M O W I T Z , p. 206). Agamennone, 505S (RICHTER, p. 260). Trinummus, 835-837 (GOETZ-SCHOELL II, p. 44) Toxaris, 19 (SOMMERBRODT II, 2, p. 6 3 , 1 . 23S: ά π ο φ ι λ ή ς τ η ς
κεραίας π λέοντας).
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la navigazione attraverso la tempesta notturna, quando il lampo guizza attorno all'antenna50. Orazio canta le « scricchiolanti antenne » 51 , e, dopo di lui, CLAUDIO CLAUDIANO, con imitazione alquanto scolastica: «La nave con l'antenna rotta è colpita al ventre, è un giocattolo in balia del vento e dei cavalloni » 52 . Dopo la morte di Pompeo la flotta romana cade in un gravissimo pericolo, durante il quale a nulla più serve neppure l'alzare la vela al punto più alto delle antenne 53. L'imperatore Caracalla durante il viaggio verso l'Asia deve salire su di una nave di salvataggio, poiché il vento tempestoso ha distrutto le antenne della sua nave 54 . In quei tempi si leggevano tutte queste cose con il più vivo interesse; i racconti di tempeste marine erano sempre ricercati; e quando SINESIO DI CIRENE nella sua lettera sulla tempesta marina racconta della « cigolante antenna » 55 , ο quando GREGORIO DI Ν Α ΖΙΑΝΖΌ canta il suo « spaventoso pericolo e la tempe sta urlante », che « fischia acuta nei cavi dell'antenna » *6, si tratta ormai di uno stile divenuto in qualche modo manierato. 50 Satur., 12, 19 (HOUSMAN, p. n o ) : « Subitusque antemnas impulit ignis ». - Cfr. per questo anche il caso giuridico, di cui i Digesti, 14, 2, 6 (MOMMSEN, p . 188), ove si narra di una nave il cui albero e antenna furono bruciati dalla folgore: « Ictu fulminis deustis armamentis et arbore et anteluna ». 51 Carni., 1, 14, 5 (KLINGNBR, p . 17): «Et malus celeri saucius Africo antemnaeque gemant... ». 52 Panegyrkus de sexto consulatu Honorii, Carmen 24, 138S (MG Auct. Antiqu., i o , ρ 240). 53 LUCANO, De bello civili, 9, 328 (Hosicus, p. 273). 64 ELIO SPARZIANO (Script. Hist. August.), Caracalla, 5, 8 ( H O H L I, p. 187, 1. 20-22). 55 Epistola 4 (PG 66, 133.7 A). 56 Carmina, 2, 1, 1, v. 316S (PG 37, 994).
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C'è di più: albero e antenna delle navi da guerra esercitano un ruolo importante anche nella stesura della storia; noi ci accontentiamo qui di alcuni accenni, che servono a comprendere il particolare stato d'animo, che provava l'uomo antico alla vista degli ampi pennoni delle sue navi da battaglia. Nell'assedio di Tiro fu determinante per Alessandro Magno l'aver costruito una specie di rocca servendosi di alberi e antenne della flotta riuniti per comporre delle passerelle 57. Nella tattica di Cesare contro le navi dei Galli, fu una buona idea mozzare i cavi delle antenne del nemico 58 . Un rapido innalzamento e abbassamento dei pennoni era indispensabile per qualsiasi vittoria 59 . Noi udiamo addirittura lo schiantarsi delle antenne e « l'implacabile sibilare della tempesta nella velatura », quando Sino ITALICO canta il pericolo di Annibale così decisivo per le sorti di Roma 6 0 . Ed è come un idillio, quando LIVIO può informarci, come Annibale, fuggendo verso Oriente, appresta un pasto ai suoi ospiti all'ombra dei pennoni calati e delle tele delle 57 C U R Z I O R U F O , Hist. Alexandre, 4, 3, 14 (HEDICKE, p. 51,1. 24). U n a cosa simile racconta anche L I V I O , 30, i o , 5 (MULLER III, p. 362S) a proposito di Scipione. Cfr. anche la tattica con le antenne armate di delfini nella guerra navale tra Siracusa e Atene, in T U C I D I D E , Bell. Petop., 7, 41, 2 ( W E I L , p. 167). ss De bello gallico, 3, 14; 15 ( Κ ι ο τ ζ Ι, ρ. 74, l. I4ss): «Funes qui antemnas ad malos destinabant... quibus abscissis antemnae neces sario concidebant ». 59 CESARE, De bello Alexandrino Commetti., 45, 2, 3 (KLOTZ III, p. 34, 1. 13-16) : « Antemnis ad m e d i u m m a l u m demissis... demittique antemnas iubet (Octavius) et milites armari; et vexillo sublato q u o pugnandi dabat signum ... ». 80 Punica, 17, 225S (BAUER II, p . 171): « Ecce intorta noto veniensque a rupe procella antemnae immugit stridorque immitte ruoent u m sibilat... ».
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loro vele : « Et vela cum antemnis ex navibus corrogari, ut umbra coenantibus in littore fieret » 6 1 . Albero e antenna sono per l'appunto semplicemente morte e vita, sofferenza e piacere, naufragio ο salvezza; essi sono uno di quegli inesplicabili simboli, in cui si raf figura l'ultima dialettica dell'essere umano. Di qui viene che ora anche nella mitologia antica l'albero e la sua antenna vengono per così dire consacrati. Il viaggio originario degli Argonauti è stato sempre inteso nella letteratura antica come prototipo del destino umano. VALERIO FLACCO così dipinge, come su di un affresco pompeiano, la nave sacra degli uomini primitivi presa nella furiosa tempesta : « Nel nero cielo lampeggia, le folgori precipitano dinanzi alla tremante nave, l'antenna vacillante già lambisce con il corno sinistro l'acqua furiosa » 62 . Egual sorte tocca, a tutte le navi mitologiche. Paride viaggia per mare con la rapita Elena, e la sua nave viene sbattuta sul lato dalle onde, « così che si direbbe che i cavi dell'antenna tocchino le stelle » e3 . Presso l'albero e il banco del timone Agamennone amoreggia con Cassandra, così suppone la gelosa Clitemnestra in ESCHILO 64 . Con festosa sontuosità i Greci celebrano la fèsta delle Panatenee, in cui si espone sull'albero e sull'antenna il sacro peplo di Atena 65 . E tutti conoscevano il mito della santa nave di Teseo, che venendo da Creta annuncia salvezza ο perdizione con vela 61 33» 48, 5 (MuiLES, p. 136, 1. 27s). ·* Argonauticon, 1, 622-624 (KRAMER, p . 23). 63 DRACONZIO, Romulea, 8, 389S (MG Auct. Antiqu., p . 166): » D u m s u m m a ceruchis sidera putatit et nihil superesse fatetitur ». " Agamennone, 1442S (WILAMOWITZ, p . 234). 65 Cfr. W . DITTENBERGER, Silloge, 3 ed., p . 374, 1. 14-16.
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bianca ο nera sull'antenna. CATULLO lo ha cantato con i bei versi: « Funestam antennae deponant undique vestem, candidaque intorti sustollant vela rudentes » 66 . Nella metamorfosi del re Ceico in alcione, i versi di OVIDIO dipingono la tempesta marina e si ode per l'appunto il grido del timoniere, che ordina di abbassare le antenne: « Ardua iamdudum. demittite cornua, rector clamat, et antennis totum subnectite velum» 6 7 ! Ed è come un bel commiato da questo mondo del mito nautico, quando CLAUDIO CLAUDIANO, con barocca sontuosità di parole, termina il canto di festa per il consolato di Stilicone con la descrizione della nave dionisiaca : « Edera cinge le tavole, vite si arrampica su per l'albero, e i divini serpenti inebriati si attorcigliano attorno alle antenne » 68. Mentre l'uomo antico in base al mito vede nell'antenna uno strumento e simbolo della sua sorte, questa 86 Carmina, 64, 234S (KROLL, 2 ed., p. 174). Quando KROLL nel suo commento dice che β antennae sono i pennoni, che la nave aveva in grande numero, cosicché da undique non bisogna concludere che c'erano molte navi », si inganna. Va infatti corretto così: « Certamente Catullo parla soltanto di una vela, ossia, secondo il modo dei poeti dell'ultimo periodo, non si è fatto un'immagine completamente chiara ». In verità è Kroll, e non Catullo, che non si è fatta un'immagine chiara: il plurale antennae significa le due metà del pennone, ai cui lati (undique) viene appesa l'unica vela (vestem). - Vestis quale vela è importante per noi più sotto; Kroll rinvia qui anche a LUCREZIO, 6, 114S (BAILEY, p. 518) : « Ubi suspensam vestem verberibus venti versant ». 67 Metamorpk., 11, 482S (EHWALD, p. 342). 88 De consolato Stilichonis III (= Carmen 24, 366S) (MG Auct. Ant. X, p. 233). Cfr. l'immagine della nave di Dionisio avviluppata dai pampini di un pergolato, sul piatto di Exechia (riproduzione in A. KOSTEK, Das antike Seewesen, Berlino 1923, p. 125), con la sua antenna bellamente messa a forma di croce. Del resto la poesia di Claudio rispecchia lo spirito mitologico del settimo inno omerico, di cui ci dà una traduzione A. LESKY, Thalatta, p. 102-104.
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immagine nautica e la sua tecnica entrano anche nel mondo sentimentale e perciò concettualmente profondo dei paragoni etici. Con ciò nel nostro viaggio attraverso la letteratura greca e latina giungiamo al punto, ove la simbolica cristiana vi si inserisce senza soluzione di continuità. Il coro dell'Eumenide di ESCHILO usa per la prima volta l'immagine dell'antenna affondata, immagine divenuta poi indimenticabile per tutti i Greci: « Colui che volontariamente, senza costrizione, non resta infelice, [si mostra retto, egli non affonderà completamente nella miseria. Eppure io dico ad alca voce: Trasgressore, [sfacciato, ostinato, così ricca la tua nave avanza contro il giusto, di beni - si abbasseranno presto [piena le tue vele, quando il duro pericolo s'impadronisce delle antenne sfracellate»69. Forse Aristofane ha pensato a questi versi, la aove nelle Rane fa cantare dal coro l'ammonizione a parlare con cautela, e ciò nell'immagine della vela ammainata alle antenne: « Guardati, ο cuore superbo, di parlare contro di lui con ira. No, vanne alla deriva con le vele < " Eumenidi, 550-557 (WILAMOWITZ, p. 312). Gli ultimi due versi: δταν λάβη πόνος θραυομένας κεραίας non sono resi
esattamente da J. G. DHOYSEN (ed. W. NESTLE, Stoccarda 1939, p.
321): «Quando dura sventura colpisce gli alberi fracassati». Per questo abbiamo tradotto « alberi » con « antenne », poiché la nave ha soltanto un albero, mentre le due parti del pennone che sporgono dall'albero giustificano anche qui il plurale, come già in Catullo.
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ammainate, vanne alla deriva completamente ad aspettare, [rassegnato, quando puoi captare buon vento e prendere una buona direzione»70. Lo stesso pensiero troviamo in PLUTARCO, quando narra del saggio timoniere, che, al levarsi del vento di tempesta, « prega per la salvezza e ricorre agli dei salvifici; ma dopo la preghiera afferra il legno del timone e abbassa le antenne. Poiché dio è certamente una speranza per i valorosi, ma non un pretesto per i timidi » 71. Gli dei salvifici sono i Dioscuri (Castores), ai quali era consacrata anche quella nave, su cui viaggiava Paolo (Atti 28,11). Già Luciano ci fa sapere che essi si posarono sulla cima dell'albero della nave come fuoco lucente. Essi sono la personificazione della salvezza, che ci si attende dall'albero e dall'antenna. Perciò STAZIO nel suo Propempticon a Mezio Celere li implora, affinché si posino con buona stella sull'antenna della nave: «... proferte benigna sidera, et antennae gemino considite cornu, Oebalii fratres » 72 . !0 Rane, 997-1003 (COULON, IV, p. 133). - Versione di J. G. DROYSEN, Lipsia 1891, 3 ed., v. 2, p. 298. 71
De superstitione, 169 Β (BERNARDAKIS I, p. 414, 1. 21-23 ; P·
415, 1. I2s). Cfr. anche Praec. rei pubi, gerendae, 807 C (BERNARDAKIS V, p. 83, 1. 21). '3 Silvae, 3, 2, v. 9s (VOLLMER, p. 123). Cfr. perciò anche il Frammento 78 di ALCEO, di cui viene data una trascrizione da A. LESEY Thalatta, p. 146 - PLUTARCO, De defectu oracuhrum, 426 BC. - "· J. DOLGBR, Dioskuroi, in Antike una Christentum 6 (1950) p. 27^ss· K. JAISLE, Die Dioskuren als Retter zur See bei Griechen una Rómem una ihr Fortleben in christlichen Legenden, Tubinga 1907.
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Pure a questa santa antenna pensa OVIDIO nella tristezza del suo esilio di Tomi, quando scongiura l'amico in Roma di condurre una vita dignitosa e di evitare le tempeste invernali della superbia cortigiana: « Effugit hibernas demissa antenna procellas, lataque plus parvis vela timoris habent »73. E qui si ricorda con nostalgia del suo periodo romano di splendore, quando la nave della sua vita avanzava ancora con le vele spiegate all'antenna : « Dum tulit antennas aura secunda meas» 74 . Questa stoica calma dell'arte di vivere, questa « ascesi dell'antenna calata », ha trovato forse la sua più bella espressione nei cori di SENECA. L'arte di manovrare l'antenna può essere segno della superbia indomita, con cui gli uomini osano viaggiare per il mare infido, come dice nel lamento del coro della Medea: « Nunc antennas medio tutas ponere malo: nunc in summo religare loco, cum iam totos avidus nimium navita flatus optat et alto rubicunda tremunt suppara velo » 75. Ma anche viceversa: l'abbassare la vela significa modestia e umile saggezza. Proprio in opposizione all'atroce esplosione di dolore di Edipo, Seneca fa cantare dal coro il canto della vita tranquilla : « se il fato mi permettesse di forgiarmi la vita a mio piacere, allora io riceverei soltanto un lieve zeffiro nella vela, 73
Tristia, 3, 4, v. 95 (EHWALD-LEVY, p. 62). Tristia, 5, 12, v. 40 (EHWALD-LEVY, p. 139). " Medea, 323-328 (RICHTEK, p. 130).
74
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così che le mie antenne non tremerebbero nella dura tempesta »: « Fata si liceat mini fingere arbitrio meo, temperem Zephyro levi vela, ne pressae gravi spiritu antennae tremant » 76. Si potrebbero addurre ancora molte testimonianze, che parlano della vitalità con cui l'immagine dell'albero e dell'antenna si manifesta in sempre nuove forme nel pensiero mitico ed etico dell'antichitàηη. Ciò che è stato citato è comunque sufficiente per percepire lo stato d'animo in cui affonda le radici anche la simbolica cristiana dell'antenna della croce. Qui bisogna tracciare con più esattezza ancora un ultimo sviluppo: esso ci condurrà sino alla porta del mondo simbolico cristiano e ci è comprensibile soltanto a partire da ciò che abbiala sin qui esposto circa la tecnica e la letteratura della nautica dell'antenna. Dobbiamo cioè mostrare più da vicino che già per l'uomo antico del periodo precristiano la vista dell'albero della nave attraversato dall'antenna era un '· Edipo Re, 882-886 (RICHTER, p. 234). " Cfr. ad es. SOLINO, Collectanea,
52, 42
(MOMMSEN, p . 191
1· 3-7), ove, a proposito della balena, si riferisce che il suo corpo gigantesco « si erge al di sopra delle antenne delle navi ». - A V I E N O , Carmina, 2, 669-678 (HOLDER, p. 32), tempesta marina ed esortazione all'amore della terra: « Iam solve vaga carbassa malo, iam prolixarum iaceat rigor antemnarum ». - In Lucrezio, « l'infido mare » ricoperto da fracassate assi di nave e da antenne sfracellate, è l'immagine stessa del caos degli atomi: De rerum natura, 2, 553-560 (BAILEY I, p. 264). L'immagine dell'alta antenna s'incontra anche nella retorica. F R O N TONE D I C I R T A , Epistola 1, 2 (NABER, p . 98) loda l'oratoria dell'im-
peratore Antonino e dice che egli parla non soltanto dai rostra, ma anche dall'alto dell'antenna.
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richiamo al legno patibolare della croce, anzi, che egli poteva rappresentarsi quasi naturalmente nelle aste estese dell'antenna una vita crocifissa78. La nave ben costruita è per il Greco e per il Romano come una persona amata (ne abbiamo già parlato esaurientemente) 79 ; senza volerlo, si paragonano le singole parti della nave alle membra dell'uomo. Così le antenne diventano naturalmente le braccia, che possono essere estese in forma di croce all'albero del corpo. Così parlano persino i giuristi, come ad esempio che, in una perizia giuridica delle «membra» di una nave, dice : « Omnia autem quae coniuncta navi essent veluti gubernacula, malus, antemnae, velum, quasi membra navis esse »80. Così parlano soprattutto i poeti. In VIRGILIO le antenne sono semplicemente brachia%1. Nei vecchi amanti di MELEAGRO, le nodose spalle sono simili alle antenne 82 ; e in OVIDIO, Cibele trasforma le navi di Enea in Naiadi e le antenne diventano braccia83. Solo così comprendiamo come ARTEMIDORO possa dire nel libro dei sogni: Quando i naviganti sognano di avere il capo reciso, ciò significa la perdita dell'antenna: άπολεΐσ&αι τοϋ πλοίαν την 84 ίστοκεραίαν σημαίνει . Qui, l'interprete dei sogni veramente non resta nell'immagine: egli avrebbe ALFENO,
™ Cfr. sopra, a p. 436. Cfr. sopra, a p. 545-553-
79 M
A L I E N O , Digest., a i , 2, fragni. 44 (MOMMSEN, p . 281).
81
Eneide, 5, S29 (JANELI, p . 207).' Anthologia Gratta, 5, 204, v. 3 (BECKBY I, p . 346). 83 Metamorph., 14, 554 (EHWALD, p . 442): «Lina comae molles, antennae brachia fiunt». , a
8 4
Oneirokritika, 1, 3S
(HERCHER, p . 37, 1.
5).
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dovuto esprimere con «capo» tutta la struttura della cima dell'albero assieme alla coffa. Che di fatto si pensasse così, ce lo mostra un'altra spiegazione, che, assieme a questa, esercitò anche un grande influsso, poiché in essa risuona l'origine primitiva della parola κέρας e κεραία, che portò a parlare di « corna » dell'antenna : « Un toro in sogno significa per i naviganti tempesta e minaccia di naufragio, poiché l'antenna subirà una sfortuna. Il toro infatti rassomiglia con il suo capo e le sue corna alla vela e alla coffa dell'albero » 85 . Certamente questo è un modo di parlare manierato dei maghi, ma così pensava anche l'uomo della strada e il commerciante marittimo. Essi vedono nell'albero e nell'antenna un essere vivente, una forma di croce, che ha significato magico, e in sogno si vedono precisamente inchiodati a questa croce. « Essere crocifisso significa, nell'insieme, bene per il navigante. Poiché la croce, proprio come la nave, è composta di legno e di chiodi. E la struttura intorno all'albero è simile ad una croce », dice ancora ARTEMIDORO 86. Solo a partire da ciò comprendiamo il giuoco di parole tra il tiranno Megapente e lo schiavo Cinisco, che viaggiano verso l'ai di là sulla barca dei morti di Caronte, ove scompaiono tutte le differenze terrestri di classe: « Non sai quanto poco mancò che ti facessi inchiodare alla croce a causa delle tue insolenze contro di me»? E lo schiavo rispose, come se ciò fosse cosa evidente: «Per questo adesso sei tu che vieni 85
Oneirokritika, 2, 12 (HERCHER, p. 102, 1. 5-8). Oneirokritika, 2, 53 (HERCHER, p. 152, 1. 4-6): και γ α ρ έκ ξ ύ λ ω ν κ α ΐ ή λ ω ν γ έ γ ο ν ε ν ό σ τ α υ ρ ό ς ώ ς κ α ΐ τ ο π λ ο ΐ ο ν καΐ η κατάρτιος αυτοΰ όμοία εστί τ ω σ τ α υ ρ ω . sa
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inchiodato all'albero » 87 . Dunque albero e antenna sono precisamente « croce ». Per questo FESTO può dire semplicemente, quando parla della contrammezzana (supparum) : « Et in nautis nunc supparos appellarmi vela linea in crucem expansa » 88 . Antenna e croce appartengono allo stesso genere. E qui comincia la simbolica cristiana. 2. ALBERO E ANTENNA COME SIMBOLO DELLA CROCE CRISTIANA
È GBEGOMO DI NISSA a darci la migliore spiegazione dell'espressione di MINUCIO FELICE a proposito della forma di croce riconoscibile naturalità; ossia con naturalezza, conforme ai sensi, nelle navi. Egli parla del mistero della croce, che domina nascostamente tutta la natura e dice: «Possiamo imparare ciò dai marinai; il legno che si pone di traverso all'albero della nave e da cui si svolge la vela, è chiamato antenna (κεραία), ed essi derivano questa designazione ver bale da ciò che appare sensibilmente all'occhio 89 (σχήμα) » . Prima di esporre questa parte dottrinale della teo logia dei Padri, ci sia permesso inserire qui una parola di giustificazione del metodo con cui sin qui abbiamo presentato ciò che « abbiamo imparato dai marinai ». 87 LUCIANO, Cataplus sive Tyrannus, 13 (SOMMERBRODT I, 2, p. 70, ]. 16-21). Cfr. perciò lo schiavo legato all'albero della nave, che fa pensare ad Ulisse: SINESIO, Epistola 32 (PG 46, 624S). 88 FESTO, De verbomm significatu (LINDSAY, p. 406, 1. 15-18). U testo n o n è riferito del tutto chiaramente, ma il significato è inequivocabile. 89 Oratio ι (PG 46, 624S).
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Se si vogliono comprendere veramente sino alle loro ultime radici le profonde relazioni della simbolica patristica con l'ambiente antico, non ci si può mai accontentare di lavorare soltanto con alcune allusioni a raffronti letterari, ma bisogna piuttosto cercare di cogliere quello che abbiamo chiamato « lo stato d'animo nautico », il senso della vita, comune ai cristiani e ai pagani dell'antichità, che viene fornito loro dall'ambiente nautico. Qui dominano dei rapporti reconditi, per lo più non enunciati, e soltanto se siamo in grado di accordarli tra loro, Γ « illogicità » dei simboli, spesso incomprensibile quando ci arrestiamo alla superficie della pura citazione letteraria, diventa in qualche modo comprensibile. Solo per questo è stato necessario accumulare le pezze d'appoggio e di scodellare la cornucopia dei frutti della lettura, e non perché ci aspettassimo ora che ogni elemento dell'antica simbolica nautica trovasse la sua corrispondenza cristiana. Contro questo nostro metodo si potrebbe citare l'ironia di ARISTOFANE a proposito del poeta Agatone: « Costruire un pezzo nei cantieri dell'arte : egli forma già l'ossatura dello scafo, egli già pialla qui, già congiunge là, incolla detto su detto, vi spalma sopra la vernice»90. Ciò sarebbe tuttavia ingiusto. Solo il « concordanza », che costruisce su una noscenza faticosamente acquisita delle antiche e cristiane, favorirà la nostra
metodo della profonda cotestimonianze comprensione
"> Thesmophoriazusen, 53-56 (COUION IV, p. 19S; dalla traduzione tedesca di J. G. DROYSEN, Lipsia 1881, 3 ed., v. 3. P· lf! ' 5 ''
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delle relazioni tra « antichità e cristianità ». Per citare già qui soltanto due esempi, che dobbiamo presentare per l'appunto documentati: quando i Padri della Chiesa primitiva leggono in Abacuch 3,4 la frase: « E le corna sono nelle sue mani », quasi naturalmente (cosa oggi incomprensibile e artificiosa per noi) viene alla loro mente il ricordo nautico, che le estremità dell'antenna erano chiamate cornua, e dinanzi agli occhi del loro spirito già l'immagine del Crocifisso, che estende le sue braccia sulle antenne, come il Salvatore inchiodato all'albero della nave della Chiesa. Oppure, quanto nella benedizione di Giacobbe (Gen 49,6) essi leggono a proposito del « toro », li porta spontaneamente, proprio come il sognatore di Artemidoro, a pensare alle « corna » del toro, che sono come le antenne dell'albero della nave, e il corso dei loro pensieri si indirizza subito verso i simboli nautici dell'antenna della croce. Oggi cosideriamo tutto ciò come un giuoco sublime, come un'allegoresi intrecciata di misteriose associazioni di parole. Dovremmo al contrario pensare che una faticosa ricostruzione e rintracciamento di queste strane relazioni, ci condurrebbero diritto in quel mezzo della teologia patristica, che resterà sempre inaccessibile a chi l'abborda soltanto letterariamente dal di fuori: ci condurrebbero cioè là dove una dommatica simbolica già completamente costituita, anche se non ancora maturata in idee astratte (e perciò divenuta forse arida), si cela dietro il mondo delle immagini e si sviluppa con sempre nuova freschezza. A partire da questo possesso interiore, i Padri ο impiegano i simboli of ferti dalla « natura » per spiegare ο accennare con « di mostrazione piena di logos e con un'immagine che
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dà all'occhio » (come dice GIUSTINO) 91, le verità della rivelazione (la quale per lo più parla proprio con «immagini»). La stessa cosa avviene anche nel mondo delle immagini nautiche, in mezzo al quale ora ci troviamo. Albero e antenna compendiano la nave, la sua salvezza ο la sua perdita. L'antenna portatrice della vela è garanzia di buon viaggio come pure d'altissimo pericolo, luogo di riposo della divinità salvifica e, ad un tempo, esposto a tutti i fulmini. La « nuda antenna » con le sue vele lacerate dalla tempesta ο bruciate dai fulmini è inizio di naufragio, il legno intatto dell'albero della nave è certezza della vittoria sul mare infido e sulle sue potenze demoniache: Tropaia è il nome che i Greci danno volentieri alla loro buona nave 92 . Ma albero e antenna sono come una croce. Per questo il cristiano trasferisce ora al legno della croce del Salvatore questa dialettica simbolica, che anch'egli, da genuino navigatore, percepisce alla vista delle navi. Egli, infatti, già sa dalla dottrina salvifica della Bibbia, che incarnazione ο morte di croce del Signore sono sempre due cose : « Caduta e resurrezione » (Lue 2 >34·)> « pazzia per coloro che si perdono, e forza per i salvati» (iCor 1,18). Con lo sguardo fisso alla teo logia della croce, della grazia e della Chiesa, attiva dietro i simboli, presentiamo ora il dimenticato in segnamento dei Padri circa ΓAntenna Crucis. n
Apologia, i, 55, 13 (OTTO I, 1, p. 152): δια λόγου καΐ σχή
ματος φοανουμένου.
" Cfr. A. BOECKH, Urkunden iiber das Seewesen des attischen Staates, Berlino 1840, ρ. 92.
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Albero e antenna come tropaion. Nella letteratura cristiana, incontriamo il primo accenno di una dottrina della antenna della croce proprio in quel capitolo di Giustino, che abbiamo citato più sopra. E proprio dalla forma vagamente allusiva con cui l'apologeta ne parla, possiamo desumere che si tratta di un topos già noto e che apparteneva agli elementi fondamentali della dottrina del « mistero della croce » 93 . Si tratta di dimostrare che la figura della croce si manifesta misteriosamente già nelle « cose sensibili » e che « non c'è nulla al mondo che possa essere fatto funzionare ο possa avere coesione senza questa figura » 94 . L'ele mento dell'opposizione dialettica, necessario per il mi stero, consiste nel fatto che la croce spregevole eppure impressa su tutte le cose ordinarie, è il « più grande simbolo della forza e del dominio ». Giustino si richiama qui a ciò che ne ha detto precedentemente, quando, nel dimostrare la croce in base ai profeti, spiega le parole di Isaia (9,6) riguardanti il « dominio regale, che riposa sulle sue spalle », come predette della croce, « sulla quale egli, inchiodato, adagiò le sue spalle » 95 . Potere regale e legno del disonore costituiscono un tutto, allo stesso modo in cui ora, nel 83 Cfr. perciò H. R A H N E R , Griechische Mythen in christlkher Deutung, Zurigo 1957, 2 ed., p. 73-100: il mistero della croce. - Per una origine accettabile precristiano-giudaica del simbolo della nave della Chiesa, cfr. E. PETERSON, Das Schiff als Symbol der Kirche. Die Tat des Messias im eschatologischen Meeressturm in der jiidischen und altchristlichen Uberlieferung, in Theologische Zeitschrift (Basilea) 6 (1950) p. 77-79- - Sviluppo e critica parziale di testi in K. GOLDAMMER, Das Schiff der Kirche. Ein antiker Symbolbegriff aus der politischen Metaphorik in eschatologischer und ekklesiologischer Umdeutung, in Theol. Zeitschrift (Basilea) 6 (1950) p. 232-237. ·* Apologia, 1, ss, 2 ( O T T O I, 1, p. i s o ) . 85 Apologia, 1, 35, 2 ( O T T O I, 1, p. 104).
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simbolo desunto dalla nautica, salvezza e albero sono intimamente connessi: 8-άλασσα μεν γαρ ού τέμνε ται, ην μη τοϋτο το τρόπαιον, δ καλείται ίστίον, 96 εν τη νηι σώον μ ε ί ν η . «Il mare non può essere solcato, quando questo segno di vittoria, che è chiamato vela, non resta illeso ». Ora, non è semplice interpretare questo testo, utilizzato più tardi da Tertulliano e da Minucio Felice. Innanzitutto, esso suppone che la croce sia chiamata semplicemente tropaion, τρόπαιον, segno di vittoria. Su ciò siamo stati ben documentati da FR. J. DÒLGER, il quale ha ricondotto sino a Paolo (Col 2,5) le radici di questa teologia della croce vittoriosa, che in seguito venne sviluppata con tanta ricchezza 97 . Tropaion è il palo di legno a cui si appendono, su di una stanga trasversale, le armi del nemico, nel luogo ove questi si è dato alla fuga. Già questo arnese di legno forma dunque la figura della croce e sembra perciò un albero con la sua antenna. Si pensi soltanto al peplo di Atena che viene svolto dalla mistica antenna della nave per essere esposto. Se dunque Giustino poteva già supporre che la croce era chiamata semplicemente tropaion, l'ampliamento al paragone nautico con l'albero diveniva spontaneo. La meraviglia è tanto maggiore, in quanto poi non segue la parola ιστός, ma ίστίον: il tropaion è la vela, che pende dall'antenna. N o n è lecito dire con DÒLGER 98 che al posto di « vela » qui sarebbe meglio porre «albero». Al contrario: la soluzione del significato del testo sta proprio nel fatto ·· Apologia, i, 55, 3 (OTTO I, 1, p. 150).
»' FR. J. DÒLGER, Die Sonne der Gerechtigkeit una der Schwarze,
Munster 1918, p. 133-138. 98 Ivi, p. 137, nota 4.
i
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che parla di « vela », e Giustino evidentemente ha voluto dire di più di quanto racchiudeva in una sola parola: tutta la storia ulteriore del significato, da noi qui presentata, ci darà ragione. La « santa » tela della vela, che pende giù dall'antenna dell'albero, è in se stessa il tropaion; viceversa: la perdizione comincia per il fatto che la tela della nave si strappa ο viene bru ciata. Ma che la vela stessa possa essere chiamata tro paion, diventa comprensibile soltanto quando Giu stino, alla fine di questo capitolo, presenta il secondo simbolo della forza della croce che si riflette in umili segni sensibili : « Anche i simboli, a voi familiari, an nunciano la forza di questa figura della croce, voglio dire i vexilla e tropaia, con cui ovunque si svolgono i vostri cortei e con cui voi mettete in mostra le im magini visibili della potenza e del dominio, anche se lo fate senza essere consapevoli del loro significato » ". In questi stendardi infatti, il cui drappo pende dal legno trasversale della stanga della bandiera, si perce pisce chiaramente la forma di croce che si trova sotto il rivestimento, questo tropaion dei soldati è un simbolo sensibile della croce dei cristiani, e tale è ora pure il caso di una nave (anche se inizialmente ciò viene detto solo mentalmente) : la « santa tela della vela » per questo è intatta e intanto è vittoriosa nel solcare il mare, in quanto pende da questa intatta impalcatura di legno risultante dall'albero e dall'antenna. ·" Apologia, i, 55, i o . il ( O T T O Ι, i, p. 152). - Del resto già C I CERONE (Orator, 45, § 153) accosta con una strana etimologia velum e vexillum. Lo fa notate K. GOLDAMMER, op. cit., p. 235 e rinvia ad un testo di AMBROGIO, che noi discuteremo più a fondo in seguito (De virginitate, 18, 118: PL 16, 297).
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Giustino non espone ancora, il significato di questa nave che ha riportato vittoria grazie alla virtù del segno della croce. Importante, tuttavia, indicare i m m e diatamente la stretta parentela dei simboli dei vexilla e dei tropaia con il simbolo nautico dell'albero: è qui, in effetti, che affonda le sue radici la teologia della nave vittoriosa della chiesa, che stiamo per esporre. Prima però TERTULLIANO ci spiegherà questa connessione logica di tropaion e antenna, che in Giustino è semplicemente presupposta. La pungente ironia con cui l'Africano difende i cristiani dall'accusa di essere, crucis religiosos, adoratori della croce, ci ha regalato il capitolo 16 dell'Apologetkum e i passi paralleli nel primo libro Ad nationes. Anche voi pagani romani, così si svolge il filo del ragionamento della risposta, pregate, senza saperlo, delle croci, ο per lo meno dei tronchi di legno, che per così dire costituiscono una parte (la più importante) della croce, quando li piantate al suolo : « Pars crucis est omne robur quod erecta statione defìgitur » 1 0 °. Se pertanto le cose stanno così, continua ironicamente Tertulliano, noi cristiani preghiamo almeno tutta una croce, ossia, « nella peggiore delle ipotesi, pur sempre un dio completo e integro ». Questa allusione un pò oscura deWApologeticum diventa comprensibile per noi grazie ai passi paralleli del libro Ad nationes e proprio qui si illumina il mondo di immagini dell'oratoria nautica : « Pars crucis et quidem maior est omne robur quod erecta statione defìgitur. Sed nobis tota crux imputatur, cum antemna scilicet sua et cum sedilis excessu » : « Ci si rimprovera una croce intera, significa: con l'antenna e con il legno ">" Apologeticum, 16, 7 (CSEL 69, p. 43, 1. 315).
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d'appoggio che gli sta dinanzi » 101 . L'artista si procura un tale sostegno di legno quando impasta l'argilla attorno a questa croce per fare un primo abbozzo della futura statua, e il medesimo sostegno di legno in forma di croce porta gli stendardi e i tropaia dei soldati romani; una forma di croce è all'interno dello « scheletro » degli dei e delle bandiere di vittoria : «Diximus originem deorum vestrorum a plastis de cruce induci. Sed et victorias adoratìs in tropaeis, cum cruces intestina sunt » 102 . Che in tutte queste rappresentazioni del tropaion e del suo sostegno ligneo si tratti in ultima analisi di immagini nautiche, è dimostrato non soltanto da tutto il paragone con Yantemna del tronco della croce che si presenta quasi spontaneamente nel capitolo Ad nationes, ma ora anche dall'uso che fa, nelTApologeticum, della parolai iphara, di cui in seguito parleremo più ampiamente : « Siphara illa vexillorum et cantabrorum stolae crucum sunt » 103. Questa parola rara spesso è stata compresa male ed è stata tradotta erroneamente. Si dimostrerà in seguito che qui possiamo senz'altro dire: «Le contrommezzane delle bandiere e degli stendardi non sono altro che rivestimenti di croci ». Tertulliano pertanto si rappresenta l'impalcatura dei tropaia semplicemente come albero e antenna trasversale, alla cui cima sventolano le contrommezzane, proprio come su di una nave. Possiamo inserire ancora una linea amplificatrice in questa nota fondamentale nautica presente in tutta 101 loa 103
Ad nationes, ι, 12 (CSEL 20, p. 81, 1. 27 - p. 82, 1. 5). Apologeticum, 16, 7 (CSEL 69, p. S3, 1. 34s). Apologeticum, 16, 8 (CSEL 69, p. 43, 1. 38s).
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la serie di immagini. Anche Tertulliano, come già prima di lui Giustino, parla qui delle forme della figura della croce inscritte nella natura visibile, e le trova ora, oltre che nel sostegno ligneo costituito da albero e antenna, anche nelle forme del corpo u m a n o : la tacita et secreta linea crucis è visibile nel corpo, poiché la testa è eretta, la rotondità delle spalle sporge, e l'uomo, quando allarga le braccia, imita la forma della croce 1 0 4 . È naturale pertanto, che, dinanzi alla figura dell'albero incrociato dall'antenna, si pensi ad una figura di uomo legato alla croce: abbiamo visto più sopra quanto fosse familiare questa rappresentazione per l'uomo pagano dell'antichità navigante. « I vostri tropaia non hanno soltanto la forma di una semplice croce, ma riproducono l'aspetto di un uomo crocifisso {adfixi hominis faciem imitantur), dice MiNUCIO FELICE
105
, e proprio qui egli continua con le
parole che già conosciamo: « N o i vediamo quasi naturalmente (naturaliter) il segno della croce sulla nave, quando questa avanza a gonfie vele ». N o n c'è alcun dubbio, e ciò risulterà ancor più chiaro in seguito, che l'antico cristiano, dinanzi alla forma di croce dell'albero e dell'antenna, si rappresentava il Salvatore crocifisso, che (così possiamo finahnente prolungare la linea che inizia sin da Giustino) porta sulle antenne delle sue spalle la vittoriosa regalità e così assicura ai naviganti la salvezza raffigurata nella tela intatta della vela. Siamo così giunti a quel testo di IPPOLITO, di cui abbiamo già parlato nell'elenco del catalogo nautico 104 105
Ad nationes, I, 12 (CSEL 20, p. 82, 1. 13-16). Ottavio, 29, 7 (CSEL 2, p. 43, 1. 9s).
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della teologia patristica106. In esso la teologia della croce come tropaion della vittoria viene esposta con una precisione nautica sino ad ora ignorata. Prendiamo dalla massa delle immagini simboliche di questa teologia della nave soltanto ciò che sta in diretta relazione con la nostra questione (ma apparirà chiaro che solo adesso, dopo aver fatto conoscenza con la tecnica e la simbolica delle immagini nautiche dell'antichità, possiamo dare una esatta spiegazione del testo, ossia, che siamo in grado di correggere la trasmissione letteraria del testo alla luce della nostra conoscenza nautica). Nel suo libro sull'Anticristo, Ippolito tratta delle persecuzioni a cui verrà sottoposta la Chiesa degli ultimi tempi. Collegandosi alle parole di Isaia (18,1 LXX) a proposito delle « ali delle navi », egli parla dei cristiani come della « generazione perseguitata e calpestata dall'Anticristo e dagli infedeli » degli ultimi giorni. « Le ali delle navi : cioè le Chiese. Il mare è il mondo, sul quale la Chiesa, come una nave sul mare, viene sbattuta qua e là nella tempesta e tuttavia non affonda. Poiché essa ha con sé Cristo, l'esperto timoniere». Qui inizia il testo, che dobbiamo studiare più da vicino per la nostra teologia dell'antenna della croce. Estraiamo perciò i passi che vi appartengono dal contesto (ambiente) dei rimanenti simboli nautici, che saranno presentati in seguito: φέρει δε έν μέσω και. το τρόπαιον το κατά τοϋ θανάτου, ώς τον σταυρόν τοϋ κυρίου μεθ'έαυτής βαστάζουσα ... οθόνη δέ ταύτη λαμπρά πάρεστιν ώς το πνεϋμα το άπ'ούρανών, δι,'οδ σφραγίζονται ol πιστεύοντες τω θ ε φ ... κλΐμαξ δε έν αύτη εις 106
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υψος επί το κέρας άνάγουσα ώς είκών σημείου πάθους Χρίστου, έλκουσα τους πιστούς εις άνάβασιν ουρανών, ψίφοφοι δε έπί το κέρας εφ' ύψηλοϋ ένούμενοι ώς τάξεις προφητών μαρτύρων τε καί 107 αποστόλων εις βασιλείαν Χρίστου άναπαυόμεναι . « Essa porta nel suo mezzo anche il segno della vittoria, che è contro la morte, poiché essa porta ritta con sé la croce del Signore ... Gli è stata data anche una vela lucente di bianco, ciò significa lo Spirito, che è dal cielo, nel quale vengono segnati i credenti in Dio ... In essa c'è una scala di corda, che conduce su in cima all'antenna, come segno sensibile della passione di Cristo, ed essa conduce i credenti all'ascesa verso il cielo. Le vele di cima però, che si riuniscono al vertice sopra l'antenna, sono come gli ordini dei profeti, dei martiri e degli apostoli, che qui si riposano sino all'ingresso nel regno di Cristo ». La traduzione che diamo fondandoci sul testo critico di ACHELIS e che si differenzia in diversi punti non trascurabili da quella di V. GRÒNE 1 0 8 e di FR. J. DOLGER 109 , è già giustificata mediante il materiale che abbiamo presentato nella prima parte del nostro studio. L'albero è tropaion e croce ad un tempo : segno di vittoria contro la morte per acqua, come fu già compreso in Giustino; croce, perché attraversato dall'antenna, come era ovvio per l'uomo antico. L'albero sta « ritto », ciò risuona nell'enfatico βαστάζουσα, con cui viene rafforzata l'espressione φέρει. ο·9·όνη signi fica « stoffa della vela », ma allo stesso tempo anche 107 De Antichristo, 59 (GCS IPPOLITO I, 2, p . 39, 1. I5s; p . 40, 1. 1-7). «a BKV, 1 ed., Ippolito, Kempten 1873, p. 54S. 109 Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p. 277S.
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« stoffa di bandiera », come mostreremo più chiaramente in seguito: qui risuonano dunque gli stessi pensieri, che, in direzione inversa, in Tertulliano e Minucio nella descrizione dei vexilla e tropaia fecero filtrare il vocabolario nautico. Che κλΐμαξ qui sia la scala di corda che conduce in cima all'albero, lo ha già osservato DÒLGER 110, e noi più su ci siamo richiamati, inoltre, appositamente anche ai mosaici navali di Altiburo. Il significato profondo della simbolica teologica, che si cela nell'immagine della scala di corda, deve essere visto nel fatto che questa conduce « in alto, sopra l'antenna ». Essa può dunque essere simbolo della passione di Cristo, che egualmente conduce i credenti « sopra l'antenna della croce », in cielo. Tutti questi paragoni nautici possono essere compresi nella loro precisa esemplarità, e quindi nella loro portata dommatica, solo se non li condanniamo soltanto come idee strane non obbliganti ο come contorte allegorie, ma le spieghiamo in base alla conoscenza tecnica nau tica, che era ancora ovvia per gli antichi. L'antenna, cioè la croce, è per così dire il punto di separazione nel destino terrestre e definitivo della Chiesa: tutto ciò che sta « al di là dell'antenna » è sin da ora « cielo », riposo e viaggio felice, luce e salvezza definitiva. Qui è riposta la dialettica dommatica dell'essenza della Chiesa: essa è agitata dalla tempesta, ma non va mai a fondo. Essa è una nave che porta una croce, ma questa croce è tropaion della vittoria sicura sul mare del mondo e contro la morte spirituale. « La sua prua 110
Ivi, p. 277, nota 3.
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è l'Oriente » u l , essa viaggia verso il Sole nascente, il Cristo glorificato degli ultimi tempi. Qui comincia la nostra spiegazione testuale e simbolica dell'ultima frase dell'allegoria nautica della Chiesa di Ippolito e qui diventa forse comprensibile come soltanto una certa amorosa immedesimazione col mondo meraviglioso dell'antica nautica rende intelligibile un'espressione cristiana. È con la simbolica delle vele di cima, che Ippolito conclude la sua teologia dell'immagine della Chiesa. Testo e significato erano sin qui in pessime condizioni. Già COMBEFIS si è trovato nell'incertezza circa il senso del paragone con gli ψίφαροι, e ciò nonostante tutto l'apparato scientifico, che egli ha esibito all'uopo 1 1 2 . GRÒNE, e KAUFMANN che lo s e g u e m traducono dunque la frase: «I segni distintivi posti sull'albero sono la serie dei profeti, dei martiri e degli apostoli, che si riposano nel regno di Cristo». DÒLGER trascrive così: « gli ψ ί φ α ρ ο ι 1 1 4 (pali ο cavi), che partendo dalla stanga trasversale sono riuniti in alto, sono gli ordini dei profeti, dei martiri e degli apostoli, che sono giunti al riposo nel regno di Cristo » 1 1 5 . Egli si è lasciato certamente guidare in questa traduzione dalla tradi111 De Antichristo, 59 (GCS I, 2, p. 39, 1. 17): ή μεν π ρ φ ρ α α ν α τ ο λ ή . Cfr. anche IPPOLITO, Frammento 4 su Gen 8,1 (GCS I, 2, p. 9is). - DÒLGER, Sol Salutis, 2 ed., p. 278. 112 PG io, p. 780, nota 22. 113 BKV, 1 ed., IPPOLITO, Kempten 1873, p. 55. - C. M. H A U F MANN, Die sepulkralen Jenseitsdenkmàler der Antike und des Christentums, Magonza 1900, p. 183. 114 Lo iota qui aggiunto nel testo pubblicato da DOLGEK (p278, 1. 1) è evidentemente uno sbaglio di stampa. 115 Sol Salutis, 2 ed., p. 278, 1. 1-4.
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zione errata dell'antica traduzione slava di Ippolito, che rendeva ψίφοφοι con « pali » 1 1 6 . Per la precisa traduzione, che sola ci manifesta la finezza del simbolo nella sua profondità teologica, dobbiamo occuparci ancora una volta e un pò più da vicino dell'antica tecnica navale e del mondo poetico che vi è collegato. La parola ψίφαροι, del testo d'Ippolito non è riscontrabile in nessun altro luogo in tale forma ed è palesemente una forma verbale corrotta della tradizione manoscritta 117 . Bisogna senza alcun dubbio dire σίφοφοι,: ossia, qui si parla delle contrommezzane, che erano usate al di là dell'antenna in cima all'albero, soprattutto nei velieri veloci, il sipharum ο supparum dei Romani (Tertulliano già ne parlava e con questa parola designava la « stoffa della vela » appesa all'impalcatura lignea in forma di croce dei tropaia e degli stendardi festivi). « Quando il tempo è buono e il vento è debole, tra la cima dell'albero del mercantile, prolungata oltre il pennone, e le due metà del pennone si dispiegano due (sul rilievo Torlonia 118 anche tre) vele di cima a forma di triangolo (siparum, sipharum, supparum, probabilmente una parola orientale, derivante forse dall'ebraico siphrah, detto di cielo sereno, dunque vela per tempo belXle
GCS IPPOLITO I, 2, p. 40, nota alla 1. 7. Cfr. E. A. SOPHOKLES, Greek Lexikon of the Roman ani Bizantine periods, Cambridge 1914, p. 1181: «Ippolito PG io, 780 A ha erroneamente ψήφαροι per σίφοφοι ». - G. ANAGNOSTOPULOS, Λέξικον της ελληνικής γλώσσης, Atene, 1933. alla voce σίφάρος descrive la contrommezzana secondo la mentalità antica, quale τρίγωvov έκπεταννύμενον υπέρ την άνωτάτην κεραίαν. 1X8 Riproduzione in A. BAUMEISTER, Denkmàler des klassischen Altertums, Monaco-Lipsia 1888, v. 3, fig. 1688. 117
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lo) » 119 . Ciò era noto ancora ad ISIDORO DI SIVIGLIA : « Siparum, genus veli unum pedem habens, quo iuvari navigia solent in navigatione, quoties vis venti languescit» 120 . E cita un verso di Lucano: «Navita... summaque tendens sipara, velorum perituras colligit auras » : « Il marinaio ... dispiega la vela di cima portata nel punto più alto e raccoglie i venti che fanno afflosciare le vele » m. Gli Scholia di Lucano ci hanno conservato una preziosa allusione a questo verso : « Sipara velorum: velum dicit quale habent navigia tentum super antemnam, quod formatum est quasi delta graeca » 122 . Questa vela di cima è dunque anche qui « al di là dell'antenna » ed ha la forma triangolare della lettera delta. Anche queste contrommezzane per lo più doppie sono stese su un sostegno ligneo, e noi già sappiamo che questo arnese di legno era spesso denominato semplicemente « croce » : « Supparos appellamus vela linea in crucem expansa » 123 , e qui ancora una volta diventa chiara la ragione per cui un Tertulliano poteva chiamare le armature lignee degli stendardi « croce », e le stoffe delle bandiere siphara. Questa vela, posta al di sopra della grande antenna, sulla punta suprema dell'albero, è la prima a brillare al sorgere del sole, e per questo Seneca poetava : « Et alto rubicunda tre-
lls R E II, A, ι (1921) col. 1051, 1. 58ss (ASSMANN). - Cfr. anche R e III, A, 1 (1927) a suparium ( H U G ) . - Per σ ί φ α ρ ο ς cfr. L. MEYER, Handbuch der griechischen Etymologie, Lipsia 1902, v. 4, p. 26s. - Per supparum cfr. A. WALDE, Lateinisches etymotogisches Wórterbuch, Heidelberg 1910, 2 ed., p. 756. - FORCELLINI, Prato 1771, v. 5, ρ. 77 1 · 1M Orig., 19, 3, 4 (PL 82, 668 A). 121 Bellum civile, 5, 427-429 (Hosius, p. 140). 122 Scholia in Lucani bellum civile (USENER, p. 171, 1. 3-7)· 123 FESTO, De verborum significatu (LINDSAY, p . 406, 1. 15-18).
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munt sipara velo » m, « brilla infuocata », come diceva L U C I A N O 1 2 5 ; promette viaggio rapido, come ci narra SENECA a proposito dei postali alessandrini a Pozzuoli 126 . Per questo, nell'antica simbolica, essa significa anche viaggio felice. STAZIO COSÌ prega le divinità salvifiche del viaggio marino : « Vos summis adnectite sipara velis, vos Zephyris aperite sinus » 127 . In EPITTETO esse sono simbolo della riuscita fuga a gonfie vele dinanzi al pericolo 128 ; in FRONTONE, il simbolo di un retore che sovrasta tutti gli a l t r i m . Insomma, i sipara sono la personificazione della salvezza per mare irradiata dalla luce del sole e le sue linee triangolari convergono verso la punta più alta dell'albero e sembrano non saper più nulla del pericolo di tempesta dell'antenna in forma di croce che si trova al di sotto di esse. Sono insomma il segno della fortuna; per questo Properzio canta: «Iungite extremo felicia lintea malo » 130 . Dobbiamo immedesimarci in tutto ciò e tenerlo presente allo spirito, quando leggiamo, ora, l'ultima frase della simbolica ecclesiale di Ippolito: Un punto dopo l'altro diventa chiaro nella sua profondità allegorica, e tutta una teologia escatologica si nasconde dietro la semplice immagine della vela di cima. Gli ψίφαροι si trovano « al di là dell'antenna », essi sono 124
Medea, 327S (BJCHTER, p. 131). 1» Nauigium, s ( R E I T Z III, p. 252). 1M Epist. ad Lucilium, 77, I, 2 (HBNSE, p. 269, 1. 235). 127 Silvae, 3, 2, 27S (VOLLMER, p. 125). lss Epicteti dissertationes ab Amano digestae, 3, 2, 18 ( S C H E N K I , p . 216). 1M Epistola i, 2 (NABER, p. 97, 1. 9-13). 130 Elegie, 3, 21, v. 13 (ROTHSTEIN II, p. 143).
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dunque in primo luogo simbolo del mistero dell'ai di là, che già ricolma la Chiesa veleggiante sul mare del m o n d o . Essi « si incontrano in cima » : questo ένούμενοι (che dunque si rivela come l'unica lettura possibile del testo trasmesso in m o d o non chiaro), corrisponde precisamente al iungite di PROPERZIO ed all'affermazione degli Scholia di Lucano circa la forma di delta della vela di cima. Ma in Ippolito, questa forma triangolare riceve una spiegazione simbolica che solo ora diventa comprensibile: il Tre della vela di cima significa il numero trinano degli « ordini » dei profeti, dei martiri e degli apostoli. Nella menta lità della teologia primitiva cristiana ciò significa: sono gli ordini di quei membri della Chiesa, che già sono entrati nella regione tranquilla « al di là dell'antenna a forma di croce », anche se (e questa è l'esigenza di tutto lo scritto di Ippolito sull'Anticristo) la venuta trasfigurata finale del Signore, il definitivo levarsi del sole che viene dall'Oriente (e la nave della Chiesa viaggia verso di esso), non è ancor giunto. Per questo, con il semplice, ma significativo impiego dell'accusativo greco, egli dice che questo triplice ordine dei membri glorificati della Chiesa « si riposano nel regno di Cristo », e cioè, finché tutta la nave della Chiesa non sarà entrata nel porto del riposo, essi sono ancora « in attesa del regno di Cristo ». C o n ciò, la teologia del mistico albero quale tropaion della vittoria della croce ha trovato la sua più profonda spiegazione. Antenna è la croce, ma il medesimo albero, che porta il pennone della croce posto ancora in pericolo, termina nei /elida lintea della contrommezzana, che già brilla infocata per il sole che sorge. Poiché
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la Chiesa è sempre ambedue le cose: persecuzione e vittoria, viaggio tempestoso e approdo anticipato, che si spera vittorioso 131 . Se dovesse essere accettata la frase della tradizione testuale, che dopo άναπαυόμενοι aggiunge ancora: τοϋ διωγμού καΐ της θ-λίφεως 1 3 2 , allora essa conterrebbe un rafforzamento dell'immagine ricapitolativa dell'antenna della croce: «al di là dell'antenna » non c'è più persecuzione e dolore, ma soltanto quiete e regno. In poche parole: la croce sulla nave della Chiesa è tropaion, segnale che indica la direzione verso la vittoria. In base a ciò è sintomatico che il raddoppiamento, in certo qual modo l'essere veduta Funa nell'altra, di queste due serie di immagini desunte dal mondo militare e dal mondo navale, seguiti ancora a vivere: albero e antenna raffigurano sia la croce sulla nave, sia anche il sostegno ligneo degli stendardi militari; l'elemento comune è la simbolica della vittoria sia contro il mare nemico, « cattivo » e « demoniaco », sia contro il nemico dell'esercito assalitore. In una predica greca, che a torto è stata attribuita a METODIO DI FILIPPI, l'autore enumera i simboli della croce sparsi nel mondo visibile (ciò fa parte ora del topos letterario e lo incontreremo spesso) e dice : « Così noi pensiamo che anche gli imperatori terreni si sono appropriati di quel segno a forma di croce per disperdere le potenze cattive e fecero erigere in tale forma quel segno, che nella lingua romana si chiama vexillum. Obbedendo volentieri a questo segno, il mare si lascia at131 l3i
Cfr. sopra, a p. 512S. GCS IPPOLITO I, 2, p. 40, nota alla 1. 9.
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traversare dagli uomini con navi » 133 . Il testo ci mostra che qui ci troviamo già nell'ambiente dell'imperialità cristianizzata: chi non penserebbe qui immediatamente al labaro di Costantino? In effetti, ascoltando Eusebio circa l'origine di questo segno di vittoria cristiano, ci colpisce immediatamente il vocabolario nautico in esso usato: l'asta di legno dorata è come l'albero, e gli viene aggiunta, come stanga trasversale, un'antenna, così che il tutto assomigli ad una croce: ύψηλον δόρυ χρυσω κατημφιεσμένον κέρας εΐχεν έγκάρσιον, σταυρού σχήματι πεποιημένον 1 3 4 . Che questa spiegazione nautica del labaro sia giusta è confermato dalla ulteriore affermazione riguardante lo stendardo, che fluttua appeso all'antenna: «All'antenna trasversale (του πλαγίου κέρως), che è apposta alla lancia lignea (δόρυ), è appesa, fluttuante, una specie di stoffa di vela (οθόνη τις) dall'alto in basso » 1 3 5 . Già abbiamo ricordato più sopra, come gli imperatori cristiani, soprattutto Costantino e Costanzo, si facessero rappresentare sulle immagini delle monete come i detentori della vittoriosa nave dello Stato, sulla quale essi si ergono con il segno vittorioso della croce concepito come albero e antenna 136. Da ora in poi i retori cristiani avranno pensato a questo segno, quando, in un linguaggio immaginoso che risuona quasi manierato, esaltano la croce come tropaion contro le potenze demoniache, come segno della vittoria contro 133
Homitia de Cruce Christi (PG 18, 400 C). Vita Constantini, I, 31 (GCS EUSEBIO Ι, ρ. 2i, 1. 31-33). Qui bisogna fare attenzione al fatto che la parola δόρυ ha un significato concomitante nautico come « legname da costruzione per nave ». 135 Vita Constantini, 1, 31 (GCS, p. 22, 1. 5-7). 13e Cfr. sopra, a p. 543S. 134
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gli spiriti del terrestre, come difesa contro la morte 137. Il senso nautico non sempre è restato vivo in essi. Leggiamo tuttavia in AMBROGIO, e precisamente in uno scritto dedicato all'imperatore, del tropaion della croce in una connessione immediata con la simbolica della buona nave della Chiesa: « Ο divinum crucis illius sacramentum, in qua haeret infirmitas, virtus libera est, affìguntur vitia, eriguntur tropaea ! » Quindi segue il testo che già abbiamo citato una volta : « Lignum igitur illud crucis velut quaedam nostrae navis salutis vettura est, non poena; alia enim salus non est nisi vettura salutis aeternae » 138. Anche qui dunque il tropaion della croce è pensato come albero e antenna della nave, e c'è « salvezza » solo quando questo tropaion sta intatto sulla nave. Ciò diventa comprensibile per l'occhio anche al di là della parola scritta, nella poesia che il tornitore di parole PUBLILIO O P TAZIANO PORFIRIO ha dedicato all'imperatore Costan137 Così ad esempio in PROCLO (PG 50, p. 849 A ) ; P S . - M E T O D I O (PG 18, 400 B). 13S De Spiritu Semcto, 1, 9, 108-110 (PL 16, 730 B C ) . - Q u i si tratti certamente di una eco del tema fondamentale che fu toccato già da Giustino : l'albero « intatto » della croce è l'unica garanzia per la « salvezza » del viaggio in mare. Imitando Ambrogio, MASSIMO DI T O R I N O COSÌ dice nella sua Homilia 50 (PL 57, 342 B ) : « Sicut autem Ecclesia sine cruce stare non potest, ita et sine arbore navis infirma est ». E poco prima (p. 341 C) quasi con le identiche parole di Giustino : « Grande ergo crucis est sacramentum, et si intellìgamus, per hoc signum etiam mundus ipse salvatur: n a m c u m a nautis scinditur mare, prius ab ipsis arbor erigitur, velum distenditur, ut, cruce Domini facta, aquarum fluenta rumpantur, et hoc dominico secuti signo p o r t u m salutis petunt ». In un'altra omilia, che già conosciamo come la Predica di Ulisse di MASSIMO (cfr. sopra, a p. 446s), egli dice quindi precisamente : « Arbor enim in navi crux est in Ecclesia, quae inter totius saeculi blanda et perniciosa naufragia incolumis, sola servatur»: Homilia 49 (PL 57, 339 D ) .
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tino 139 . In sé questo poema è già da un punto di vista letterario insopportabilmente artificioso. Ma ciò non basta: il poeta ha scelto in tal modo le sue parole e i suoi versi, che certe lettere dei suoi esametri, se vengono dipinte di rosso, attraversando verticalmente le righe, possono essere lette come un nuovo verso, e questo verso inoltre, con le sue lettere così dipinte, rende l'immagine di una nave. Siamo tuttavia debitori al poeta aulico, il quale per questo artifizio quasi incredibile ricevette una graziosa lettera di ringraziamento dall'imperatore: vediamo così quanto sia stata viva nell'epoca costantiniana la rappresentazione nautica del tropaion dell'antenna a croce. La poesia comincia con questi versi: « Constantine decus mundi lux aurea saecli quis tua mixta canat mira pietate tropaea ? » Questo segno celeste è precisamente l'antenna a croce della nave, che si può contemplare nei nuovi versi (e questi in lingua greca) risultanti dalle lettere dipinte in rosso e scritte per dritto e per traverso lungo il corso degli esametri. Il verso greco così suona, in un linguaggio volutamente omerico : « Ora il marinaio può disprezzare con sicurezza le tempeste marine, ora anche R o m a rassicurata in buona speranza può disprezzare tutte le tempeste » 1 4 0 . Questa poesia in immagine è l'ultimo sviluppo di quelle parole del tropaion della croce che Giustino aveva scritto quasi "· Ptmegyiricus Constantio Augusto dictus IV (PL ly, 397S). - Cfr. M. SCHANZ, Geschichte der romischen Literatur, Monaco, 1904 v. 4, p. 10-13. 140 τ ή ν ναϋν άεί κέ 8έ ίίρμενον είνοικίζεηι οΰροις τεινόμενον σής αρετής άνέμοις.
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due secoli prima. Albero e antenna sono divenuti i tropaea della pace costantiniana: da ora in poi si spera per la nave della Chiesa un viaggio vittorioso attraverso il mare del mondo, che per un momento è calmo 141. Quale opposizione con le speranze escatologiche della ecclesiologia di Ippolito! Ma anche questo grande gesto, con cui il celeste e il terrestre, dogmatica e storia vengono riuniti in un unico simbolo, ci dimostra l'inesauribile vitalità, con cui gli antichi cristiani sapevano trasformare i simboli nautici del loro ambiente nell'immagine amata dell'antenna della croce.
L'antenna delia croce sulla nave dell'anima. Nell'esposizione della allegoria del tropaion considerato come antenna a croce abbiamo dunque scoperto l'elemento fondamentale, in ogni caso più antico ed essenziale, della simbolica nautica della croce. Vedemmo come la teologia patristica giri attorno a questo simbolo, dalla prima delineazione del paragone in Ippolito, concepita con occhi acuti e con un ancor fresco amore teologico per l'immagine, sino al linguaggio figurato dei tardi retori divenuto un logoro topos. Andando oltre mostreremo ora in qual modo questa dommatica della croce e la pia devozione (adorazione) del santo segno della redenzione, nella forza ancor sempre viva del pensiero nautico, si sia inserita nella dottrina del destino soprannaturale della Chiesa e dei suoi membri, o, parlando per immagini, in qual modo la nave della Chiesa possa attendersi un « buon viaggio » 141
Cfr. sopra, a p. 500S.
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e un felice approdo per sé e per i suoi « passeggeri » 142, soltanto se l'albero e l'antenna della croce restano intatti. La sua sussistenza e l'arrivo in cielo, infatti dipendono soltanto dalla croce. Il cristiano può sollevare lo sguardo verso questa antenna a croce solo se si trova sull'unica nave della salvezza; soltanto le vele issate su questa antenna ricevono il Pneuma che riconduce in patria; solo dalla cima di quest'albero egli può già sin da ora, come un marinaio di vedetta, scorgere il porto e la « città del grande Regno » 143 . Così per la dommatica e per l'ascesi del fortunato viaggio cristiano della vita sulla nave della Chiesa, la rappresentazione dell'antenna della croce costituisce la simbolica fondamentale che abbraccia tutte le immagini. In primo luogo si tratta di captare anche per l'ambiente cristiano quello stato d'animo dell'antico navigante, che pervade i racconti marinareschi greci e le loro imitazioni romane: abbiamo cercato di delinearlo nella prima parte di questa ricerca ed A. LESKY 142
Cfr. sopra, a p. 520S, 567, nota 179. Cfr. PS.-CLEMENTE, Epist. ad Jacobum, 13 (PG 2, 49 A). La trasformazione - a cui abbiamo accennato sopra - dalla pace della bonaccia pensata escatologicamente alla pace terrena di Costantino, corrisponde qui al cambiamento di significato della « città del buon regno » nello PS.-CLEMENTE, nella esaltazione della Città di Bisanzio quale «città del buon R e » nello P S . - M E T O D I O : PG 18, 380 A. - Per il motivo nautico del marinaio che è in osservazione sulla punta più alta dell'antenna, cfr. anche AMBROGIO, Hexaemeron, 6, 9, 59 (CSEL 32, 1, p. 250, 1. 5-9): «In mari quoque positus si quis terrae adpropinquare se conicit, in ipsa mali fastigia et celsa antemnarum cornua voti explorator ascendit et adhuc invisibilem reliquis navigantibus eminus terram salutat ». - Egualmente in GEROLAMO, Epistola 125, 3 (CSEL 56, p. 121, 1. I2s): « Ductor in summa mah arbore». 143
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ce ne ha informato ottimamente nel suo libro 144 . Noi lo facciamo per dimostrare che dinanzi allo spettacolo sempre nuovo delle navi, il simbolo dell'antenna della croce mai impallidì neppure per i cristiani della tarda antichità, e solo lentamente si atrofizzò in un topos trasmesso tradizionalmente. Nel poema del Legno della vita, che è stato falsamente attribuito a Cipriano, ma che tuttavia risale al terzo secolo, la croce viene così cantata: « Arboris haec species uno de stipite surgit et mox in geminos extendit brachia ramos, sicut piena graves antemnae carbasa tendunt » 145. Albero e albero della nave, come già nell'antichità, vengono nuovamente veduti come una sola cosa; le braccia della croce ricordano al poeta quasi naturalmente le brachia delle antenne che si estendono e su cui si sciorinano le stoffe tirate delle vele (carbasa). Per il cristiano che leggeva la poesia, questo era un paragone corrente: ogni nave sul mare gli ricordava la croce del Signore. Ciò diventa palpitante in una poesia di PAOLINO DA NOLA, ripiena di gioia marina ellenistica. Egli descrive il viaggio per mare, che il suo amico, il vescovo Niceta, intraprese nell'Oriente greco: «Tu penetrerai nel mare pacificamente esteso, e la tua nave è equipaggiata con il segno della salvezza, l'antenna della croce ti rende vittorioso e avanzi sicuro attraverso onde e tempeste » : « Ibis inlabens pelago iacenti et rate armata titulo salutis 144 A. LESKY, Thalatta, Vienna 1947, p. 251-303: la nuova vita di mate dell'ellenismo. 115 De Pascha, v. 7-10 (CSEL 3, p. 305).
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Victor antemna crucis ibis undis tutus et austris » 146. Augura all'amico un teìice approdo: poi i marinai cantano la loro canzoncina del timone (celeuma) e il vescovo grida così forte l'Amen sul mare, che i cetacei (cete) spaventati si dileguano e i gentili delfini si accostano giocherellando: una poesia piena di quello spirito marinaro ellenistico, che LESKY ci ha dipinto 147, ma trasferito qui nel mondo cristiano dei simboli. PAOLINO ci ha regalato anche altri di questi quadri di genere nautico, come nella lettera sul pericolo corso in mare da un vecchio divenutogli amico, il quale si trova solo sulla nave che fa acqua e tuttavia riesce a manovrare da esperto la vela anteriore (artemon) : è importante notare, per la comprensione dello stato d'animo cristiano verso il mare, che Paolino racconta tutto ciò perché come dice esplicitamente, vuol dare un equivalente cristiano dei racconti pagani di viaggi marini, specialmente del viaggio degli Argonauti 148 . Oppure l'altro racconto del naufrago Marziano, che nel suo viaggio da Narbona a Centumcellae (Civitavecchia), salvò soltanto la vita e il suo caro codice con le lettere di Paolo. La nave era marcia e faceva acqua, ma nel naufragio i cristiani furono tutti salvati, poiché essi portavano in se stessi il vexillum crucis 149. La simbolica nautica, che riempiva il pio navigante 148
Carme 17, ios-108 (CSEL 30, p. 86). - Ivi, 117-124 (p. 87). A. LESKY, Thalatta, p. 139-141; p. 267: lo stato d'animo marino a cui partecipano il mostro favoloso κήτος, cete, e i delfini. Per l'applicazione di questo motivo nella mistica marina cristiana, cfr. sopra, p. 488-494. 148 Epistola 49 (CSEL 29, 39OSS). 14 ' Carmen 24, 141 (CSEL 30, p. 211). 147
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cristiano alla vista dell'antenna della nave, ci diventa ancor più comprensibile, quando leggiamo in GREGORIO DI TOURS la narrazione del diacono, che salpa
da Roma con tutto un sacro carico di Reliquie; egli sale ad Ostia sulla nave, che parte per Marsiglia e controlla le apparecchiature per la partenza : « Et ingressus navem erectis velis ac per illuni antemnae, quae modulum crucis gestat, apparatum extensis, flante vento, pelagum altum arripiunt » 150 . Si sentono ancora risuonare i versi del poeta romano, quando Venanzio Fortunato nella vita di san Martino dipinge una tempesta marina nel mar Tirreno: « Nutat pinus iners, rapiuntur signa ceruchis levis et antemnae coeuntia cornua frendunt »151. Qui si pensa all'antenna della croce, come dimostrano anche le frasi piene di ricordi nautici della letteratura antica, con le quali GREGORIO DI TOURS descrive la tempesta marina del vescovo Baldovino di Tours: neppure la sacra antenna, questo simbolo della croce, sembrava reggere, solo la presenza taumaturgica di san Martino, che si annunciava con il profumo d'incenso, portò la salvezza : « Sed nec antenna residet quae beatae crucis signaculum praeferebat » 152 . Questo è lo spirito simbolico, con cui ora l'antico cristiano riempie il ricco mondo d'immagini della sua dottrina del viaggio della vita sulla nave della Chiesa, della fede, della grazia e degli sforzi ascetici. 150 De gloria martyntm, 82 (PL 71, 779 C; MG Scriptor. Merov. I, p. 544, 1- 4)· 151 Vita Martini, IV, 408S (PL 88, 418). 152 De miracuHs Martini, 1, 9 (PL 71, 922 BC; MG Script. Merov. I, p. 594, 1. 8s).
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Noi oggi siamo colpiti dalla naturalezza con cui in quei tempi si parlava dell'antenna della croce: non era neppure necessario spiegare a lungo l'immagine, quasi allo stesso modo in cui i moderni usano al figurato, senza ulteriore spiegazione, la parola « antenna » quando parlano ad esempio di un uomo poco dotato di sensibilità, dicono che egli per certe cose non ha « antenna ». Ciò è chiaro in GEROLAMO, in un pomposo brano letterario sull'ascesi descritta con terminologia nautica. Egli scrive al suo amico Eliodoro sul punto di rinunciare agli ideali monastici per una più comoda vita nel mondo e lo inette in guardia contro l'apparente calma dei venti della buona sistemazione terrena: in realtà la tempesta già lo minaccia ed egli dovrebbe armare la nave della sua vita : « Anche se il liquido mare ti sorride come un liscio stagno, anche se soltanto la pelle del calmo elemento è increspata da un alito; questo specchio liscio ha i suoi monti nascosti, nascosto nel suo interno il pericolo incombe minaccioso, nel suo interno risiede il nemico. Sciogli la velatura, appendi la vela! La croce dell'antenna sia impressa sulla fronte: poiché la calma del mare è in verità tempesta!» 153 . E poi canta all'amico il gioioso canto del timone (celeuma) sulla beata pace della solitudine monastica. Da quanto detto sino ad ora, siamo in grado 153 Epistola 14, 6 (CSEL 54, p. 525): «Expedite rudentes, vela suspendite. Crux antemnae figatur in frontibus: tranquillitas ista tempestai est ». - Che l'antenna della croce venga « fissata » sulle «fronti» degli uomini, è cosa che resta inclusa nel paragone nautico tra la figura umana e una nave: il corpo eretto è come l'albero della nave, gli occhi sono per così dire « la coffa di guardia » al di sopra dell'antenna: ad ogni modo, così ha spiegato la cosa AMBROGIO nel testo riferito più sopra, alla nota 143, e che egli predicò esplicitamente nella descrizione della figura umana. Cfr. Sopra, a p. 54$ss-
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di comprendere la fine eloquenza con cui Gerolamo si esprime qui : « Crux antemnae figatur in frontibus », egli dice, e non come dovremmo veramente attenderci, « crucis antemna ». Egli può per l'appunto supporre che anche per il suo amico è cosa naturale, il vedere l'antenna di una nave come se fosse una « croce » ; e pertanto dire semplicemente: La tua nave, pronta ad affrontare la tormenta, ha anche bisogno di una buona antenna, e questa è il segno della croce impresso sulla fronte. Questo segno infatti è vittoria contro il nemico nascosto nel mare del mondo, che suscita le tempeste spirituali 1 5 4 . Le immagini dell'ascetica navale si congiungono naturalmente con il simbolo dell'antenna come tropaion. Ciò diventa ancor più chiaro in una predica sull'Epifania, che un tempo è stata attribuita a ORIGENE 155 e che vaga ancora attraverso i codici latini, come un bene privo di padrone 1 5 6 ; M O R I N 157 potrebbe aver ragione, quando la rivendica a MASSIMO DI T O R I N O . Il suo contenuto è un canto di
lode alla croce, che fu data all'uomo deificato nella Epifania come segno della vittoria e che (qui risuonano Giustino e Tertulliano) si può ritrovare misteriosamente nascosta in tutte le cose della natura: « Illius 154
Cfr. sopra, p. 483SS. : il mare come sede del nemico maligno. 155 Pubblicato per la prima volta nell'edizione di Origene curata da JAKOB MERLINUS, Parigi 1512, v. 2, senza numerazione delle pagine. Su questa raccolta di Omelie cfr. D. HUETIUS, Origenianorum liber III, Appendix 5 (PG 17, 12775). 156 Così tra le prediche di GEROLAMO (PL 30, 200s) e tra le omelie di MASSIMO DI T O R I N O (PL 57, p. 545s). 157 S. Augustim sermones post Maurino* reperti, R o m a 1930, p. 744. M O S I N lascia aperte qui anche altre possibilità. L'assegnazione non è ancora completamente sicura. N o i citiamo il testo della predica secondo l'edizione di Massimo.
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crux nostra Victoria est, illius patibulum noster triumphus. Gaudentes levemus hoc signum: in humeris nostris victoriarum vexilla portemus ». Dei segni della croce della natura fa parte ora anche l'antenna della nave con le sue « corna » : « Antennae navium, velorum cornua sub figura nostrae crucis volitant ». Anche qui la concatenazione delle immagini giunge sino al mondo militare, per poi finire, come in Gerolamo, nell'ascesi del segno della croce fatto piamente: « Sed et tropaea ipsa et victoriae triumphorum ornatae cruces sunt. Quas non solum in frontibus sed et in animabus quoque nostris habere debemus » 1 5 8 . La nave dell'anima è soltanto una copia della nave della Chiesa, che in virtù dell'antenna della croce va incontro alla vittoria. Per questo AMBROGIO dice concisamente : « Quia navis est, quae pieno dominicae crucis velo Sancii Spiritus flatu in hoc bene navigat m u n d o » 1 5 9 . Si legga inoltre il capitolo nautico della spiegazione dei salmi di A m brogio : anche qui il « buon viaggio » del cristiano è assicurato dall'albero della croce : « Bene autem navigane qui in navibus Christi crucem sicut arborem praeferunt atque inde explorant flabra ventorum » 1 6 0 . La sorte ascetica della nave dell'anima è soltanto un caso particolare della nave della Chiesa, su cui sta la 159
PL 57, ρ. 540 Β. in» De virginitate, 18, 118 (PL 16, 297 B). - Crucis velum nella sua abbreviazione sineddocale ci è già noto dal testo di GIUSTINO (cfr. sopra alla nota 99) e doveva essere tradotto semplicemente con « vela all'antenna della croce ». 160 Explan. Psalm. 47, 13 (CSEL 64, p. 355, 1. 8-10). L'espressione « inde explorant flabra ventorum » è, dal punto di vista nautico, tecnica e richiama alla funzione del ceruchus, di cui gli Scholia di Lucano ci hanno detto : « inde venti probantur ».
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croce; lo abbiamo già indicato più sopra 1 6 1 . «Sotto l'immagine della nave dobbiamo intendere la Chiesa, che naviga sul mare di questo mondo », dice lo Ps.AMBROGIO, e il vento della tempesta è «l'essere frustato dalle tentazioni ». Il naufragio non deve essere temuto, sino a che l'albero della croce resta in piedi: « Quia in arbore, id est in cruce, Christus erigitur » 162 . Cristo stesso è l'Ulisse legato all'albero della nave, come abbiamo già visto 163 , e il cristiano sulla nave della Chiesa lo imita, come continua volentieri P A O LINO DA N O L A , nel solco delle immagini del mito omerico : « Essi legano la vela del loro cuore con i legami dell'amore, come con l'attrezzatura delle vele, all'antenna della Croce » : « Cordis sui velum vinculis caritatis ut funibus ad antemnam crucis stringunt » 1 6 4 . E ancor più energicamente quando parla dell' « antenna dell'amore » : « C o n il cordame della nostra fede viene eretta, come albero della nave, l'antenna dell'amore, su cui possiamo stendere le vele della nostra vita », « rudente fidei nostrae arbor erigatur caritatis antenna, et vitae nostrae vela sinuentur » 1 6 3 . Nei racconti ascetici dei Padri del deserto incontriamo un brano, che risuona come un'ultima eco di quelle rassegnate massime stoiche, che ricordavano di abbassare l'antenna e di parare i colpi dei venti : « Quando gli uomini vanno in mare », dice l'asceta Sindetica, dilal
Cfr. sopra, pag. 554. Sermo 46, 4, io (PL 17, 697 B). Qui precisamente la figura del crocifisso all'albero della nave. 163 Sopra, a p. 446S. - H. R A H N E R , Griechische Mythen in christlicher Deutung, Zurigo 1957, 2 ed., p. 482S. 181 Epistola 23, 30 (CSEL 29, p. 186, 1. i8s). 1M Epistola 23, 30 (CSEL 29, p. 187, 1. 35). Ii2
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spiegano le vele e cercano il vento favorevole al viaggio. Ma poi il vento contrario irrompe su di essi. Ora i marinai immediatamente non offrono più alcuna superficie a questo vento contrario insorgente, oppure contro il vento, e così ritrovano nuovamente il corso giusto. Così anche noi andiamo contro il cattivo spirito del vento, mentre erigiamo la croce per nostra vela: e così evitando il pericolo che viene da questo m o n d o , portiamo la nostra navicella in porto »166. « Crucem prò velo erigamus»: questa breve frase racchiude tutta la storia della simbolica dell'antenna della croce. Le testimonianze bastano per ora: anche in questo capitolo rileviamo un certo sdrucciolamento verso la maniera retorica, come ad esempio nelle limate e ampollose frasi di Proclo : « Alte s'innalzan le onde : ma il pilota è dal cielo. Duramente infuria il turbine: ma la nave porta una croce (άλλα σταυροφόρον το πλοΐον). Strepitano le raffiche l'una contro l'altra: ma la chiglia della nave è rafforzata per l'eternità » 1 6 7 . FR. J. DOLGER, in un suo studio postumo 168 , ha espresso l'opinione che la designazione della nave come « portatrice di croce », che incontriamo nella predica bizantina dello P S . - M E T O D I O 1 6 9 (nel contesto di un florilegio retorico, che dipinge la conclusione della predica come un approdo della « nave portatrice di croce »), dimostra che le navi dei Greci divenuti cristiani portavano semplicemente al posto delle « divinità salvili» De vitis Patrum, 5, 7, 18 (PL 73, p. 896 D). »' Oratio 17, 5 (PG 65, p. 813 B). 168
FR. J. DOLGER, Dioskuroi, in Antike una Christentum 6 (1950) p. 284. - Cfr. sotto, alla nota 205. 9 " De Simeone et Anna, 13 (PG 18, 377 D ) .
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fiche » una volta venerate, una croce come segno della nave. Potrebbe trattarsi di una forma oratoria divenuta comune e, come vedemmo, già usata da Proclo, la cui origine va spiegata in base alla teologia dell'antenna della croce, proprio come in CRISOSTOMO, il quale parla della croce, che ora si può vedere su mare e su navi 17 °. Il fidato simbolo dell'albero della nave, che è la santa croce, risuona ancora, senza bisogno di lunghe spiegazioni, in Agostino, nei suoi pensieri sull'umiltà del cristiano, che non scruta verso l'ai di là, come fanno i Platonici con la teoria della loro mistica visione, ma aspira sicuro all'approdo, poiché sulla nave della vita egli tiene strettamente abbracciata la c r o c e m . Un predicatore sconosciuto lo ha imitato : « Qui hoc mare magnum et spatiosum, in quo sunt reptilia, quorum non est numerus, absque naufragio transire desiderai, crucem sequatur, crucem teneat, et eam non deserai, donec ad optatum salutis portum perveniat » 172 . Concludiamo il capitolo dell'ascesi della nave dell'anima e della sua antenna della croce, con i pii versi tratti dal poema di VENANZIO FORTUNATO sulla verginità: « Opto per hos fluctus animas tu Christe guarbore et antenna velificante Crucis, [bernes ut post emensos mundani gurgitis aestus in portum vitae nos tua dextra locet » 173 . "' Centra Judaeos, 9 (PG 48, 826 B). 1,1 Tractatus in Ioannem, 2, 2, 3 (PL 35, 1389S). - De Trinitale, 4, 15, 20 (PL 42, gois). - Enanationes in Psalmum 31, 4 (PL 36, 259S), ove si parla del giusto maneggio della vela di prua (artemon). "* PS.-AGOSTINO, Sermo 247, 7 (PL 39, 2204 A). "3 Miscellanea, 8, 6 (PL 88, 267 C).
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« Guida, ο Cristo, ti prego, le anime attraverso [queste onde con l'albero e l'antenna ornata di vele della croce, sino a che la tua mano destra dopo la risacca [del terreno vortice ci accordi il riposo nel porto della vita eterna ».
L'influsso dell'antenna della croce sul vocabolario sim bolico e sull'arte. E naturale che un simbolo così popolare e così saldamente affermato produca i suoi effetti su altre immagini simboliche, che nella loro origine immediata non hanno nulla a che fare con il m o n d o nautico: ciò avviene secondo le leggi psicologiche del pensiero allegorico, di cui abbiamo già parlato. Solo in base alla storia letteraria del simbolo dell'antenna della croce sin qui esposta possiamo ora affrontare il problema archeologico di sapere se e in qual misura anche l'arte cristiana abbia dato una forma visiva a questo simbolo. Parliamo perciò in primo luogo di una serie di rappresentazioni simboliche della teologia della croce e della Chiesa, su cui solo più tardi ha esercitato il suo influsso l'elemento nautico dell'antenna del mistico albero della nave: e proprio con ciò, partendo da un lato completamente inatteso, dimostreremo quanto sìa stato grande l'influsso esercitato dall'immagine dell'antenna della croce. C'è innanzitutto l'immagine della Chiesa coniata da Paolo, quale sposa di Cristo « senza macchia né ruga» (Ef 5,27). E. VON DOBSCHUTZ ha dimostrato, con grande erudizione, che durante il periodo patristico questa espressione scritturistica è stata intesa dalla
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Chiesa e, più tardi, particolarmente dalla Chiesa di R o m a m . Ma egli non ha preso in considerazione una linea per cosi dire laterale di questa storia, la quale scorre, nascosta, in alcuni dimenticati rivoli del mare dell'allegoria patristica; e proprio di questa particolare tradizione ci dobbiamo occupare ora, poiché essa diventa comprensibile soltanto in base al nostro simbolo nautico dell'antenna della croce. L'uomo antico, soprattutto il latino, nella parola ρυτίς, ruga, udiva non soltanto il significato proprio di « ruga », ossia piega della pelle, ma anche « piega della tela ». Così Petronio, a proposito della biancheria di tela, portata troppo a lungo, dice : « Vestes quoque diutis vinctas ruga consumit » 175 . E questa è ia ragione per cui un cristiano latino, leggendo le parole di Paolo, pensa naturalmente anche alla « tela della vela », che si gonfia fresca e bianca sull'antenna a forma di croce delle sue navi. Noi pensiamo ancor una volta alle vela in crucem expansa di FESTO. E così la ruga paolina riceve un significato nautico. AGOSTINO predica in un modo che a prima vista sembra completamente incomprensibile e sorprendente : « Non vis habere rugam ? Extendere in crucem. Non enim tantum opus est ut laveris [ciò in relazione alla precedente macula] sed etiam ut extendaris, ut sis sine macula aut ruga. Per lavacrum enim auferuntur peccata: per extensionem fit desiderium futuri saeculi, propter quod Christus crucifìxus est » 176. Agostino non ci dice due cose, ma, se il testo deve 174 E. v. DOBSCHUTZ, Das Decretum Gelasianum in kritischem Text hercmsgegeben una tmtersucht, iti TU 38, + (1912) p. 236S. "* Saturai, 102, 12 (BUECHELER, p. 73, 1. 14). "* Sermo 341, 11 (PL 39, 1501 A).
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avere un senso, dobbiamo chiederci quali siano queste due riserve inespresse: come può mai il credente, che non vuol aver alcuna ruga, essere « steso sulla croce » ? E perché mai questa « estensione » significa Γ « aspira zione verso la futura epoca del m o n d o , per cui Cristo è stato crocifisso »? Per la seconda domanda potremmo rimandare a Fil 3,13 (ad ea véro quae sunt priora extendens meipsutn), e queste parole certamente risuonano qui in qualche m o d o . Ma Vextendere in crucem, detto senza ulteriori spiegazioni, resta incomprensibile, se non lo spieghiamo nel significato simbolico nautico, come «venir steso sull'antenna della croce». C'incoraggia a ciò un Anonimo latino, che spesso ha imitato Agostino. In una predica, che viene ottimamente intitolata Discorso sulla nave della Chiesa, egli parla delle tempeste delle onde della persecuzione, che vengono scatenate contro la navicella della Chiesa dai potenti di questo m o n d o : « Super naviculam Christi grandis unda consurgit. Sed in his tentationibus erigatur antenna, ut suspensa arbori crucem Christi figuret, hanc christianus respiciat et non deficiat ». Conformemente alla tecnica navale, ciò è detto in m o d o del tutto plastico e giusto : « Sia innalzata l'antenna, affinché, appesa all'albero della nave, rappresenti figuratamente la croce di Cristo ». A questa antenna si appende ora la vela da tendere, la tela lucente di bianco, che non ha alcuna ruga : « Huic ergo antennae, id est, cruci Christi, simplex conversatio et pura confessio tamquam candentia vela religentur. Et haec vela nostra fluctibus abluantur, vestique tendatur, ut sine macula et ruga inveniatur » 1 7 7 . "' P S - A G O S T I N O , Sermo 72, 2 (PL 39, 1884S). Per vesf i.s = vela cfr. sopra, a p. 62S, nota 65.
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Così dunque va interpretato il rinvio agostiniano. Nel medioevo ci si è ancora serviti dell'immagine della tela stesa sulla croce, senza pensare tuttavia alla sua precisa origine dal simbolo dell'antenna a forma di croce a cui è sospesa la vela. Così CASSIODORO si ricorda solo vagamente delle parole di Agostino : « Sed ut quidam ait: maculas nostras lavit in sanguine, rugas etiam tetendit in cruce » 1 7 8 . Anche l'introduzione alla Storia dei Franchi, con la sua teologia patristica della Chiesa promanante dal lato trafitto del Crocifisso, dice: « Lymphis ablutam propter maculam, in cruce extensam propter rugam » 179 . Ancora BEDA 18 ° (se sua è questa spiegazione dei salmi) ed un'opera attribuita a torto ad U G O DI SAN VITTORE 181 riprendono la similitudine di Agostino : « veste » significa la Chiesa, che è stesa sulla croce: «Ecclesia tensa in cruce, ut non habeat peccati maculam et duplicitatis rugam ». Una seconda serie di immagini proviene parimenti da un gruppo di espressioni bibliche, che, per via della psicologia associativa dell'allegoresi, può essere abbracciato con lo sguardo in un solo simbolo: nel simbolo dei « corni » del Redentore apparso sotto forma umana. Quando i Padri leggono nelle « Benedizioni di Giacobbe » (Gen 49,6 LXX), tanto care a tutti gli allegoristi, che Simeone e Levi avrebbero « snervato il toro con la loro arroganza », essi interpretano ciò della morte del Crocifisso : « Avete ucciso l'autore 1,8 179 180 181
Commenta Psalterii, praefatio 13 (PL 70, 18 D ) . GREGORIO DI TOURS, Historia Francorum, 1, 1 (PL 71, 163 D). In psalmum 44 (PL 93, 721 B). Miscellanea, 3, 16 (PL 177, 694 A).
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della vita, come se si fosse trattato di un toro », dice IPPOLITO 182 . Allo stesso m o d o egli spiega le parole della benedizione di Mosé alla discendenza di Giuseppe : « La sua bellezza è come un toro primogenito » (Deut 33,17). In questa rappresentazione del «cornuto» si inserisce quella immagine tipologica prefigurativa del Salvatore, che è l'ariete, il quale « pende con le corna dal groviglio di spine» (Gen 22,13) e v i risuonano le parole di Abacuc : « Corna sono nelle sue mani » (Ab 3.4)· Ci si ricordi ora, che nella lingua nautica le estremità esterne dell'antenna vengono chiamate κέρατα e cornua, in totale conformità con il significato, desunto dal regno animale, della parola κεραία, che designa le corna distese per sentire. Già ARTEMIDORO ha pa-
ragonato la struttura dell'antenna alle corna di un toro. Cornu per i latini è semplicemente « antenna », come afferma il Glossario: antenna, κέρας, ìà est c o r n u 1 8 3 ; si pensi per esempio a quella descrizione della nave da guerra con le sue superbe vele, che ci viene fornita da Sino ITALICO: veìoque superbo capaci quum rapidum hauriret Borean, et cornibus omnis confligeret flatus 1 8 4 . La facilità con cui si poteva passare, con il pensiero, dalle cornua dell'antenna alle corna del toro, può essere rafforzata inoltre da rappresen-
"• Sulle benedizioni di Giacobbe, 14 (TU, 38, 1 (1912), p. 30, 1. 9). - Cfr. per ciò anche TU 26, 1 (1904) p. 22. - Frammento 13 su Gen (GCS Ippolito I, 2, p. 57). - AMBROGIO, De patriarchis, 13 (CSEL 32, 2, p. 131). 183 Thesaurus ghss. emend., alla voce antenna (G. G O E T Z ) . - D A REMBERG-SAGLIO, Dictionnaire des Antiquités, Parigi 1887, v. 1, 2, col. 1511 A. 184 Punica, 14, 388-390 (BAUER II, p. 96).
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tazioni mitiche : « Taurus » era, in ricordo del ratto di Europa da parte del Toro, un'insegna navale molto 185 popolare (ποφάσημον, insigne) ; e Gerolamo ancora si sentiva spinto a registrare questo avvenimento « eu ropeo » nella sua cronaca mondiale : Europa a Cre188 tensibus rapta est navi cuius fuit insigne Taurus . In ogni caso, dobbiamo immergerci con il pensiero in questo m o n d o ronzante di relazioni e sensazioni, se vogliamo comprendere come mai un TERTULLIANO, nella sua polemica contro Marcione e i Giudei, possa applicare a Cristo le parole di Deut 33,17, e ciò con similitudini spiccatamente nautiche. In Giuseppe, al quale toccava questa benedizione, è prefigurato il R e dentore: Sed Christus in ilio significabatur, taurus oh utramque dispositionem, aliis ferus ut iudex, aìiis mansuetus ut salvator, cuius cornua essent crucis extima. Nani et in antemna, quae crucis pars est, extremitates cornua vocantur187. La stessa cosa si ritrova, sinanche un pò spiegata, nell'estratto, pure presentato dallo stesso Tertulliano nello scritto contro i Giudei: cuius cornua essent crucis extrema. Nani et in antemna navis, quae crucis pars est, hoc extremitates vocantur 188 . E se nella benedizione di Mosé, Giuseppe viene chiamato unicornis, anche ciò si adempie nell'immagine della croce: unicornis autem mediae stipitis palus; con ciò si esprime l'albero della nave, come già sappiamo dalle riflessioni di Tertulliano attorno ai supporti lignei degli stendardi. Il Cristo crocifisso pende dunque dalle 186 Cfr. per ciò FR. J. DOLGER, Dioskuroi, in Antike imd Chrìstentum 6 (1950) p. 277. 186
Testo in G C S
187
Adversus Marcionem, 3, 18 (CSEL 47, p. 406, 1. 21-26). Adversus Judaeos, io (CSEL 70, p. 303, 1. 47-49).
188
EUSEBIO VII,
1,
p.
53.
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« corna » dell'antenna della sua croce. Questa immagine resta profondamente impressa in seguito, anche se spesso la nota nautica non vi risuona affatto. Il C r o cifisso è Γ « ariete bicornuto nel roveto », quando ad 189 crucis cornua clavomm confixione pendebat . E questo segno dell'Affisso alle corna della croce è, come il tropaion sulla nave della salvezza, il segno onorevole della vittoria, che contrassegna misteriosamente tutto il mondo nelle quattro direzioni: Cristo il Crocifisso è il grande « cornuto », che rende vano l'appello mistico al bicornuto Pan, come dice FIRMICO MATERNO in una preghiera innica al Crocifisso: Tu, Christe, mundum ac terram extensis manibus, tu caeleste sustentas irnperium, tuis immortalibus adhaeret humeris salus nostra 190 . Tutto il mondo appunto è modellato dalla croce come tropaion, onde AGOSTINO può semplicemente dire, richiamandosi ad Ab 3,4: Cornua in manibus eius sunt, quid est nisi tropaeum crucis m . Ι suoi discepoli ne hanno ripetuto le parole sino al Medioevo 1 9 2 . A proposito di questa allegoria, ISIDORO DI SIVIGLIA fa notare che si tratta ancora come di un ricordo dell'antica imma gine fondamentale dell'antenna: crux cornua habet: sic enim duo Ugna compinguntur in se, cum speciem crucis reddunt193. N o i pensiamo anche, che la reminiscenza 189 PS.-AGOSTINO, Sermo 6, 5 (PL 39, 1750). Anche qui il rinvio ad Is 9,6, ossia il trofeo che riposa sulle sue spalle come dominio. 180 De errore prof, rei., 21, 3-6 (CSEL 2, p . n o s ) . - Cfr. anche E. STOMMEL, Σ η μ ε ί ο ν έ κ π ε κ τ ά σ ε ω ς , in Rómische Quartalschrift 48 (1953) P· 21-42. 191 De civitate Dei, 18, 32 (CSEL 40, 2, p. 313, 1. 22s). 182 Cfr. ad esempio FAUSTO DI R I E Z (CSEL 21, p. 297, 1. 19-21); MASSIMO DI T O S I N O (PL 57, 3 5 6 B ) ; R A B A N O (PL 112, 903 B ) ; R u PERTO DI DEUTZ (PL 167, 1618 B). 193 Quaestio in Vetus Testamenti)!», 18, io (PL 83, 251 B).
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dei suoni nautici della parola κέρας è ancora vivente, quando i Padri greci parlano della croce quale « corno della Chiesa ». A ogni modo, ciò vale di una lode innica alla croce che lo PS.-CRISOSTOMO prende a cantare, servendosi completamente del vocabolario del tropaion : « La croce del Signore si è trasformata in un'arma della vittoria, che sostiene un tropaion, in un'arma dell'Imperatore, contro cui non ci si solleva più, in un'antenna della Chiesa ('Εκκλησίας κέρας), salvezza dei credenti » 1 9 4 . Accenniamo ancora, almeno nelle linee esterne, ad un'ultima serie di immagini, che si forma a partire dalla rappresentazione fondamentale del tropaion del l'antenna a forma di croce (per una più precisa esposizione rimandiamo al prossimo capitolo, dato che il tema è troppo ricco e troppo importante per la comprensione delle immagini patristiche, sino all'arte medievale). Si tratta della strana dottrina del mistico segno della lettera Tau, che Dio, secondo Ezechiele (9,4), ordinò di disegnare sulla fronte dei salvati. Questo segno alfabetico risulta però in greco come se fosse formato da due stanghe : Γ « asta », che nello stesso tempo rap presenta un iota, ed una piccola asta trasversale, che gli viene scritta sopra: ancora una volta, l'almanaccare 164 Oratio in crucis adorationem (PG 52, 836). - Cfr. già T E O D O RETO, Interpr. Psalmi 91, 11 (PG 8 0 , 1 6 2 0 B ) : το κ έ ρ α ς τ ο ϋ σ τ α υ ρ ο ύ δ π λ ο ν κ α τ ά π α θ ώ ν καΐ δ α ι μ ό ν ω ν . - Traducendo « antenne della Chiesa » siamo certamente consapevoli che κ έ ρ α ς in senso biblico p u ò significare anche « corno », dunque « forza ». Ma noi pensiamo che proprio la vicinanza di pensiero e di immagine del simbolo del trofeo della croce condiziona l'antica rappresentazione nautica dell' « antenna intatta » della Chiesa.
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nautico dei Padri della Chiesa è già nella sfera dell'albero della nave con la sua antenna. Ancor più: proprio questa lìnea trasversale, che trasforma lo iota in tau, è chiamata dai Greci κεραία, e ciò, già in base al suono della parola, ricorda l'antenna che è posta di traverso all'albero e con esso forma il segno della croce. Per i Greci il segno tau significa il numero trecento. E qui converge tutto un complesso di ricordi scritturistici: trecento era la sacra cifra della misura dell'arca, la nave della salvezza (Gen 6,15); trecento erano gli uomini con cui Gedeone strappò la vittoria (Giud 7,6.7). In Ezechiele pertanto il tau sulla fronte dei salvati significa trecento. Questo segno però risulta da iota e dalla keraia, e il Signore stesso ha detto che nessuno iota e nessuna cheraia della legge passerà (Mat 5,18); tutto ciò dunque è un richiamo al mistero del segno salvifico della vittoria, che è la croce in forma di albero e antenna. E finalmente: questa semplice forma fondamentale di croce che colpisce gli occhi nella sua figura a quattro pezzi in linea orizzontale e in linea verticale, ricorda all'allegorista le parole di Paolo circa l'altezza, la profondità, la larghezza e la lunghezza (Ef 3,18) dell'amore di Dio che diviene visibile sulla croce. Questo tropaion che sovrasta tutto il cosmos, che raduna i quattro elementi, che tiene insieme i quattro confini della terra, è la croce. A nostro parere non sussiste alcun dubbio che il pensiero fondamentale, che raduna questi simboli, lontani l'uno dall'altro, nell'unità di una teologia della croce, è la rappresentazione verbale di κεραία come segno al fabetico e come antenna, sia anche dalle allegorie, già immerse nel nautico, della nave della salvezza dell'arca
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di Noe costruita con legno di croce (anche su di ciò un capitolo proprio apporterà in seguito le prove opportune) . In uno dei più antichi trattati, che si occupano esplicitamente dell'allegoria dell'Arca, GREGORIO DI ELVIRA dice: «Mensura vero arcae trecentorum cubitorum longitudo figuram dominicae crucis evidenter ostendit: trecenti etenim apud Graecos tau littera signantur, quae littera cum unum apicem quasi arborem erectam facit, alterum vero ut antemnam in capite extensam, crucis utique habitum demonstrabat » 195 . Dall'accenno di Gregorio ai Greci, già si vede che questa allegoria si è formata in primo luogo nella Chiesa orientale, poiché soltanto per il Greco è cosa comprensibile passare dal numero trecento alla simbolica della forma della lettera tau; inoltre per i Greci, alla vista della lettera alfabetica tau, è più facile concepire, in base alla somiglianza della parola κεραία, la linea trasversale come un'antenna. Gregorio di Nissa lo ha esposto esplicitamente in connessione con la allegoria nautica (conosciamo già parzialmente il passo) 19e : « La linea della lettera tirata dall'alto in basso rappresenta un iota. Il trattino, che vi si scrive sopra di traverso, è chiamato κεραία: e ciò può essere appreso già dai marinai, poiché il legno, che viene posto di traverso all'albero della nave e da cui si fa pendere la tela della vela, è detto κεραία. Ciò indica, come un'immagine enigmatica e una somiglianza, la figura della croce » 197 ; oppure come egli continua in un altro 1,5
De arca Noe ( W I L M A R T , p. io, 1. 188-192). "· Cfr. sopra, a p. 636. 1,7 Oratio 1 (PG 46, 624 D; 625 A). Cfr. il medesimo concetto anche in C R O M A Z I O , In Matthaeum, 5, 18 (PL 20, 344 A ) ; così pure in PS.-GEROLAMO, In Marctim, 15 (PL 30, 638 A ) : « Navis per maria
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passo: in ciò vediamo l'altezza, la profondità (l'iota) la larghezza e la lunghezza (antenna) del mistero della croce 1 9 8 . La sapienza latina dei retori imita i Greci in questa arte delle parole. Così nei suoi Idilli, A U SONIO presenta la lettera tau, che parla così: « Malus ut antemnam fert vertice sic ego sum Tau » 1 9 9 . Ciò appartiene esattamente anche al patrimonio della teologia latina della croce. È nuovamente GREGORIO DI ELVIRA, che ne parla nella spiegazione allegorica dei trecento eroi di Gedeone : « Trecenti enim apud Graecos tau littera signantur. Quae littera cura unum habeat apicem quasi arborem passionis erectam, aiterum in capite quasi antemnam extensam, crucis utique manifestum signum ostendit » 200 . Come si vede bene, Gregorio ripete se stesso con questa piccola trovata tanto cara all'allegoresi. PAOLINO DI N O L A potrebbe averlo appreso da lui. Egli esalta il mistero della figura della croce con questi versi: « Forma crucis gemina specie componitur : et antemnae speciem navalis imagine mali [nunc sive notam Graecis solitam signare trecentos explicat existens, cura stipite figitur uno, quaque cacumen habet, transverso vecte iuga[tur » 201 . Basti quanto abbiamo detto. A partire di qui la dottrina del mistico Tau come segno della croce vitantenna cruci similata suffiatur. Tau littera signum salutis et crucis describitur ». 198 Centra Eunomìum, 5 (PG 45, 696 B C ) . Cfr. anche Catech. magna, 32, 2 (PG 45, 81 B). 188 Idyllia, 12 (PL 19, 901 D ) . M0 Tractatus Origenis, 14 (BATIFFOL, p. 153, 1. 6-10). 201 Carmen 19, 6i2-6itì (CSEL 30, p. 139).
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toridsa ha conosciuto un ricco impiego sino al medioevo. Un fastoso discorso bizantino sul tropaion della santissima croce parla ancora dell'antenna posta di traverso, che trasforma l'incorruttibile iota della Legge nel Tau del segno salvifico della croce 202 . Prima di chiudere questo studio, ancora un breve cenno ad alcuni vantaggi che esso può offrire all'archeologia dell'antica simbolica cristiana della nave, anche se, come è stato detto più sopra, non osiamo emettere un giudizio definitivo sulle molteplici questioni dell'interpretazione archeologica, neppure in rapporto alla scultura nautica: il nostro compito consiste nel presentare modestamente sì, ma, ove possibile, anche esaurientemente, il materiale letterario agli archeologi. Bisogna ammettere che la materia sin qui presentata si distingue ad esempio, dalla povertà patristica con cui Wilpert ha dimostrato la sua spiegazione dell'immagine della nave raffigurata nella cappella del sacramento del cimitero di Callisto 203 . Per quanto ci è dato sapere, anche negli ultimi tempi non si è scritto nulla di definitivo sull'archeologia dell'immagine della nave; un grande contributo fu portato da G. STUHLFAUTH e Fu. J. DOLGER, che danno un catalogo delle rappresentazioni navali su sepolcri 204 ; nei suoi studi postumi, Dolger fornisce delle integrazio202 TEOFANE CERAMEO, Homilia 4 in exaltationem Crucis (PG 132, 201 B C ) . 203 J. W I L P E R T , Die Malereien der Katakomben Roms, Friburgo 1903, testo p. 419-421: parte illustrata, tav. 39, 2. 204 G. STUHLFAUTH, Das Schiff ah Symbol der altchristlichen Kunst, in Rivista di Archeologia Cristiana 19 (1942) pp. m - 1 4 1 . - FR. J. DOLGER, Sol Salutis, Mìinster 1925, 2 ed., p. 282-286.
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ni 205 . L'archeologia odierna dovrebbe farsi istruire ancor più dalla patrologia 206 . Nel campo dei simboli nautici dell'arte cristiana antica, gli studiosi dei secoli XVI e XVII ne sapevano molto di più, anche quanto a documentazione patristica, benché soltanto oggi sia possibile utilizzarla criticamente. Si pensi soltanto ad un BOLDETTI ο all'inesauribile MAMACHI 2 0 7 .
Abbiamo così indicato in quale direzione sembra andare, a nostro parere, il risultato dei due capitoli sull'antenna della croce. In primo luogo abbiamo indicato come vadano interpretate le immagini dei sarcofaghi con Ulisse all'albero della nave 208 . In seguito presenteremo il materiale riguardante la simbolica della navicella di Pietro; la storia dei testi accompagnerà le rappresentazioni in immagini, dal rilievo del sarcofago di Spoleto sino alla Navicella di Giotto 209 . Nello studio sulla nave della Chiesa costruita col legno della croce, abbiamo esaminato la questione archeologica discussa da GARRUCCI sino a DÒLGER, e cioè se la nave rappresenti Cristo. La simbolica dell'antenna della croce, qui documentata, dovrebbe aver risolto MS Diosfewroi. Das Rziseschiff des Apostels Paulus una seine Schiitzgótter, in Antike und Christentum 6 (1950) p. 276-285. - Cfr. la nota posta all'inizio di questo lavoro, ove vengono citati gli studi di Dolger sulla storia del segno della croce. 20 « C o m e caso esemplare citiamo qui J. FINK, Nòe der gereckte, Miinster 1955. Cfr. la recensione di questo lavoro fatta da H. R A H N E R , in Zeitschrift /tir katholische Theologie 80 (1958) p. 446-451. 207 M. A. BOLDETTI, Osservazioni sopra i Cimiteri de' santi Martiri e antichi cristiani, R o m a 1720, v. 1, p. 36OSS. - T H . M A M A C H I , Origines et antiquitates christianae, R o m a 1846, v. 3, p. 68ss. Per altri studi più antichi sull'archeologia della nave della Chiesa, cfr. sopra, a p. 397, nota, 1. 208 Cfr. sopra, p. 45OSS.
209 V e d i p i ù a v a n t i ,
p.
817S;
863.
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
la questione. Ciò che l'antichità e il cristianesimo dicono sulla « forma umana » dell'albero e dell'antenna e suìYadfixi hominis facies (per parlare con M I N U C I O FELICE) 2 1 °, che l'antico cristiano naturalmente collega alla croce dell'antenna della sua nave, appartiene alla preistoria dell'archeologia, in molti punti ancora così oscura, della rappresentazione plastica del crocifisso. In m o d o simile abbiamo esposto almeno gli inizi e il compendio di quella rappresentazione, così importante anche archeologicamente, del segno della croce come mistica lettera alfabetica Tau (l'esposizione completa nel capitolo seguente). A partire di qui (dunque, dalla forma della croce come antenna e anche come Tau), sarà abbordata la questione della forma della crux commissa ο itnmissa, di cui si è già occupato nel secolo XVII il lettissimo H. KIPPING, che, a proposito della croce, dice: «Patibulum hoc antenna est alio nomine, quia expanditur transversa, uti in malo navis » 2 n . La lista patristica dei segni della croce presenti nella « natura » (essa inizia con Giustino, e giunge, attraverso Tertulliano e Minucio Felice, sino a Gregorio di Elvira, per fare soltanto alcuni nomi) : ali di uccello, figura umana nuotante, stendardo, timone del carro, e altri, soprattutto però la forma dell'albero della nave con la sua antenna: è una lista nota all'archeologia antica ed ha trovato una rappresentazione in una bella incisione in rame in JUSTUS LIPSIUS 212 . 110 Cfr. A. GHILLMEIEE, Der Logos am Kreuz, Monaco 1956, p. 68, nota. z. 211 H. KIPPING, Liber singularis de Cruce et Cruciami, Brema 1671, P- 124· 212 JUSTUS LIPSIUS, De Cruce libri tres ad sacram profanamqm historiam uliles, Anversa 1629, p. 27.
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Nel suo studio sulla simbolica della croce nell'antichità, CLAUDIUS SALMASIUS ha scritto brevemente e con esattezza : « Lignum est in summo mali transversarium, e quo dependent vela vel quibus vela involuta sunt. Extremas partes antennae cornua vocari notant Grammatici. Propter illa duo cornua, quae sunt extremitates vel extremae partes, κεραία Graecis dicitur anten na » 2 1 3 . Si pensi, per limitarci ad un esempio, alla corniola nel Museo Kircheriano, della quale hanno scritto GARRUCCI 2 1 4 e ZÒCKLER 215. La forma arcaica semplice, in cui è rappresentata l'antenna della croce su questa immagine di nave, non lascia alcun dubbio, che abbiamo a che fare con quella simbolica, che cercammo di dimostrare letterariamente. Persino l'ucello che sta sull'antenna è spiegabile in senso escatologico sepolcrale: si pensi agli uccelli che in PETRONIO si posano sull'antenna della nave che entra pacificamente in porto (l'uccello dell'anima sull'antenna della navicella della vita significa pace e arrivo nell'approdo dell'ai di là. La stessa cosa vale certamente di una pietra tagliata del Britisch Museum, che riproduce una croce sulla prua della nave (galère, trirème, une croix à la proue, les voiles carguées) 216 ; è il nostro artemon, la vela anteriore e a forma di croce, per significare 213
C L . SALMASIUS, Epistola de Cruce (allegata a THOMAS B A R -
THOLINUS, De latere Christi aperto dissertatio, Lugduni Batavorum 1646, p . 233). 214 R. GARRUCCI, Appendice di notizie archeologiche, in La Civiltà Cattolica 28 (1857) p. 731-739. 215 O. ZÒCKLER, Das Kreuz Christi. Religiongeschichtliche uni kirchlicharchdoiogische Untersuchungen, Giitersloh 1875, p. 143. Cfr. ora G. STUHLFAUTH, op. cit., p. 124 e 134S, sulla genuinità dubbia di questa gemma. »· D A C L VI, 1 (1924) col. 836, fig. n. 5045.
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il « rapido » viaggio della nave della vita. Pensiamo ad AGOSTINO, che rimprovera l'uomo, che tiene abilmente in mano ì'artetnon, e che tuttavia non giunge all'approdo. FR. FICORONIUS ha descritto e spiegato un'altra gemma con rappresentazione cristiana della nave; qui albero e antenna sono rappresentati senza accessori nautici come croce, per così dire il simbolo nella forma più pura, e la spiegazione dice appropriatamente: « Crux illa navi superposita nihil aliud est quam ipsius navis malus cum antenna transversa, unde carbasa suspenduntur » 217 . Dai risultati del nostro studio possiamo ora anche correggere la descrizione che viene data dagli archeologi, quando parlano della famosa lanterna navale di Valerio Severo Eutropio negli Uffizi di Firenze. WILPERT nella Kraus'schen Realenzyklopàdie ha detto : « La chiara forma di croce dell'albero qui è riconoscibile soprattutto per il fatto che la scritta: Dominus legem dat... proprio come il titolo della croce, è fissato sull'asse trasversale del pennone della vela » 218 . Ciò corrisponde esattamente alla descrizione data più tardi nell'opera sui mosaici romani: « L'albero porta una vela con la scritta: Dominus legem dat»219. In realtà, la scritta non è sulla vela, ma là dove gli antichi immaginavano che si trovasse il carchesium ο anche la vela di cima; e questa è, come vediamo, una simbolica evidentemente voluta: la scritta con la benedizione che il Signore dà dall'altezza dell'ai di là, si 117 FRANCISCUS FICOHONIUS, Gemmile antiquae litteratae aliaeque rariores, Roma 1757, p. 105, alla tavola XI, fig. 8. !l8 FR. X. KRAUS, Real-Enzyklopàdie der christlichen AHertùmer, Friburgo i88<5, v. 2, p. 731. ,1 * J. WILPERT, Die ramisene Mosaiken und Malereien, Friburgo 1916, testo, v. 1, p. 731.
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trova sulla cima della nave, che noi conosciamo, sin dai tempi d'Ippolito, come la raffigurazione dell'esser giunti nell'eterno. Perciò possiamo interpretare l'antenna a forma di croce, chiaramente visibile sulle immagini sepolcrali di navi, la cui lista ci è stata presentata da STUHLFAUTH, come simbolo della salvezza che è elargita definitivamente al morto. Siamo alla fine della nostra navigazione attraverso la simbolica patristica dell'antenna della croce. Anche nel medioevo non si è dimenticato ciò che i Padri della Chiesa avevano detto a proposito di questo mistero dell'immagine della croce. La navicella della Chiesa è semplicemente la croce del Signore: navicula aux Christi, dice RABANO 22 °, e la forma di croce del simbolo è comprensibile ora che conosciamo le fonti di questo mondo d'immagini. « La croce viene rappresentata con nave e con legno », diceva NICEFORO CALLISTOS nella dedica della sua storia della Chiesa, noi navighiamo su questo mare cattivo del mondo « con una vela appesa alla croce » (τω σταυρικω 221 διακυβερνών ίστίω) . Nella liturgia bizantina l'ini zio del digiuno solenne viene celebrato con queste parole : « Forniti di ali mediante la vela della croce, 222 dirigiamo la nave salvifica durante questo periodo » . In BEDA la Chiesa è semplicemente Γ « albero della passione » : « Navis est sacratissimae passionis ipsius 220 AUegoriae in S. Scripturam (PL 112, 1005 A). - Cfr. anche Commcnt. in Matthaeum, 3, 8 (PL 107, 863 CD). - De Universo, 20, 39 (PL i n , 554 C). *2» Eccl. historiae dedicatiti (PG 145, 580 C). 22! Testo presso J. GEETSEH, De S. Cruce, Ratisbona, 1734, v. 3, P- 334-
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
arbor » 223 . Così quasi alla lettera, anche in ANSELMO DI LAON 224 . In modo ampio e indimenticabile per il tardo medioevo, O N O R I O D ' A U T U N ha esposto la simbolica dell'albero della croce ed ogni parola che egli dice proviene dalla tradizione patristica, ancora una volta compresa in m o d o nuovo dalla tendenza simbolica di questo grande conoscitore di simboli. Il salire di Cristo sulla navicella (Mat 8,23: ascendente eo in naviculam) ha per lui lo stesso significato dell' « innalzamento » dell'albero della croce in mezzo alla Chiesa (come un ultimo eco di Ippolito) : « Navicula est sanctae crucis vexillum, qua de salo huius saeculi per Christi passionerà vehimur ad tutae stationis tranquillum. In hanc Dominus " ascendit ", dum prò mundi salute crucem subit » 225 . Questo vexillum è egualmente, secondo la sua forma nautica, la mistica lettera alfabetica T a u 2 2 6 . Croce è semplicemente albero della nave e con questa immagine si presentano ancora una volta tutte le immagini nautiche, che abbiamo conosciuto nel corso di questo studio : « Haec crux etiam malus navis Ecclesiae dicitur, in quam velum fidei appenditur, honorum operum rudentibus hinc inde tenentibus: et sic Ecclesia ligno vecto flamine Spiritus Sancii turgentes mundi fluctus secura transnavigat et optatum perennis vitae portum gaudens applicat » 227 . Iniziammo più sopra 228 il nostro studio sulla « Nave della Chiesa » con un catalogo nautico 223
Expositio in Marcum, 2 (PL 92, 173 D ) . Enarr. in Matthaeum, 8 (PL 162, 1324 D; 1325 A). Speculimi Ecclesiae (PL 172, 912 BC). "· Speculum Ecclesiae (911 B; 945 B). 227 Speculum Ecclesiae (944 D ) . 228 Cfr. sopra, a p. 315-325. 224
225
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dei paragoni patristici: in Onorio tutto viene ancora una volta messo a fuoco come in uno specchio ustorio, che fa risplendcre i raggi della dottrina patristica, le cui espressioni tecniche ISIDORO DI SIVIGLIA ha cercato di raccogliere 2 2 9 : « Marc est hoc saeculum multis amaritudinibus turbidum. Navis est Christiana religio. Velum fides. Arbor crux. Funcs opera. Ventus Spiritus Sanctus. Portus aeterna requies » 2 3 °. Dovrebbe essere esatto dire che i versi del cosiddetto EZZOLEICH, che secondo la tradizione manoscritta dovrebbero essere considerati come inseriti nel canto fiorito nel 1065, risalgono immediatamente al modello di Onorio 2 3 1 . I due semplici richiami di J. KELLE al catalogo simbolico-nautico dell'Opus imperfectum in Matthaeum232 a noi già noto da quanto detto sopra, e a BEDA 2 3 3 non bastano più ora, dopo il materiale presentato qui, per scoprire le fonti della poesia. C o m e vediamo, la tradizione è più ricca e più viva. Proprio per la nostra strofa, inoltre, il rinvio alla poesia di Rabano De laudibus sanctae crucis non è utile, poiché questi simboli nautici non vi vengono nominati. Il testo dei versi, qui presi in considerazione, è il seguente: « Ο Crux Salvatoris du unser segelgerte bist. disiu werlt elliu ist daz meri, min trehtìn segei unte vere, «· Etymol, 19, 1-3 (PL 82, 661-669). Scala caeli maior, 1 (PL 172, 1230 C ) . 231 Sitzunberichte der Akademie der Wissmschajten Wien, Hist. phil. Klasse 129 (1893) p. 35 (E. KELLE). 233 Opus imperfectum in Matthaeum, Homilia 23 (PG 56, 755). Cfr. sopra, a p. 525. 233 Expositio in Marcum, 2 (PL 92, 174). 230
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diu rehten werch unser segelseil, di rihtent uns dì vart heim » 234 . (Dalla trascrizione in buon tedesco, data da A. Salzer, abbiamo il seguente testo): Ο Croce del Salvatore, tu sei il nostro pennone. Questo mondo è il mare, ο mio Signore, tu sei vela e barcaiuolo, le opere buone sono le gomene, che guidano il nostro viaggio verso la patria 2 3 5 . Proprio il paragone delle buone opere con le go mene della vela potrebbe far pensare precisamente a Onorio, ove dice: funes opera. Conciò, I'EZZOLEICH chiude, come un'ultima melodia, il bel coro dei Padri, che ci hanno cantato la lode della « verga della vela della croce ». Era un pensiero caro alla tarda retorica antica terminare una predica ο una poesia con il pensiero di una felice navigazione. L'ignoto bizantino, a cui dobbiamo il bel discorso su Simeone ed Anna, guida « la nave crociata del discorso » nel porto dell'Amen 2 3 6 . L'an glosassone ALDELMO termina la sua poesia sulla vergi nità con l'immagine dell'antenna, che adesso viene abbassata con le funi della vela. E con queste sue pa234 Testo, in Kleinere deutsche Gedichte des XI. urici XII. Jahrhunderts, a cura di A. W A A G , Halle 1916, p. 15S. - Per l'espressione « Segelgerte» cfr. J. DIEMER, Deutsche Gedichte des 11. und 12. èahrhunderts, Vienna 1849, p. 312, 12. - M. LEXER, Mittelhochdeutsches Worterbuch, Lipsia 1876, v. 2, p. 846. 235 A. SALZER, Illustrìerie Geschichte der deutschen Literatur, Vienna (s. d.), v. 1, p. 117S. !3t PG 18, 377 D .
i.A CROCE COME ALBERO E ANTENNA
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role concludiamo anche noi il nostro viaggio, che abbiamo iniziato « a vele spiegate »: « Turgida ventosis deponens carbasa malis antemnasque simul solvens de parte rudenftum » 237 .
37
I
De Virginitate, 2807S (MG Auct. Antiqu. 15, p. 467).
5IL MISTICO TAU
Chi ci ha seguito sin qui sugli intricati sentieri della simbolica patristica dell'antenna crucis, ha compreso che solo così possiamo giungere ad una conoscenza veramente precisa della teologia della croce, che si nasconde dietro a queste immagini. Ciò ci incoraggia a seguire sino alle ultime diramazioni, una pista laterale ancor più tortuosa dell'allegoresi patristica: la dottrina del significato mistico della lettera greca Tau. Abbiamo già accennato più sopra alla connessione di questa simbolica con quella dell'antenna della croce e in quella occasione abbiamo promesso una trattazione esauriente 1. La presentiamo qui, anche se sembra allontanarci per un momento dalla tematica nautica della nostra ricerca: in realtà, tutte le deviazioni di questo mo1 Cfr. sopra, a p. 676S. - Cfr. perciò, E. DINKLER, Zur Geschichte des Kreuzessymbols, in Zeitschrift ftir neologie una Kirche 48 (1951) 148-172. - IDEM, in Neutestamentliche Studienfiir R. Bultmann, Berlino 1954, p. 110-129: l'invito di Gesù a portare la croce. - A. GRIIXMEIER, Der Logos am Kreuz, Monaco 1956, p. 76, nota 30. - J. R I V I È R E , « Trois cent dix-huit», in Recherches de Théol. Ancienne 6 (1934) 349367. - Per tutto ciò che segue rimandiamo ancora una volta al lavoro postumo di FR. J. DOLGER, Beitrdge zur Geschichte des Kreuzzeichens, in Jahrbuch fiir Antike una Christentum I (1958) 13-17.
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vimentato labirinto ritornano in modo sorprendente al punto di partenza. La lettera Tau (corrisponde al semitico Taw) nella cultura greca indica anche il numero trecento. Essa con siste di una linea basilare, simile allo iota, e del trattino trasversale postovi sopra che veniva chiamato κεραία; esso richiama sia nell'ìminagine che colpisce l'occhio, come pure nel suono orale, l'Albero della nave e la sua antenna trasversale e, per conseguenza anche la croce. Di qui la facilità con cui un Gregorio di Nissa 3 e i Greci che lo seguono 3 vedevano nella forma della lettera Tau un simbolo della croce. Perciò anche le parole del Signore (Mat. 5,18), secondo cui neppure uno iota ο una keraia della legge passeranno, venivano applicate al mysterium della croce, proprio perché iota e keraia, messe insieme, costituiscono il Tau, che sembra una croce e, con ciò, un albero e un'antenna. Pensiamo ad AUSONIO, che metteva queste parole in bocca al Tau: « Come l'albero della nave porta la sua antenna trasversale, così io sono il Tau » 4 . Dato che anche nella Volgata Latina le parole di Mat 5,18 han conservato l'antico suono (Iota unum aut unus apex non praeteribit), ai Padri latini viene in mente talvolta una spiegazione simbolica, che tacitamente presuppone la consapevolezza che dalle due lettere, dallo iota e dall'apex, risulta un Tau, che è simile al segno della croce. Così un CROMAZIO DI AQUILEIA: «In hoc iota vel apice 5 Cantra Eunomium 5 (PG 45, 696 BC). - In resurrectionem Oratio 1 (PG 46, 624 D).
" TEODORBTO, Historia Etcì., 4, 9, 15 (GCS, p. 246, 1. 1). - TEO-
FANE CERAMEO, Homilia 4 in Exaltationem Crucis (PG 132, 201 BC). TEODORO PRODROMO, 4
Miscellanea
(PG
133, 1234 B).
Idyll., 12 (PL 19, 901D) = Technopaegnion 12 (MG Auct Anticju., 5, 2, 138).
IL MISTICO TAU
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legis etiam sacramentum crucis possit intelligi, quia iota et apex quandam in se imaginem crucis ostendunt, quae a lege ac prophetis praedicata nulla ratione poterai praeteriri »5. Allo stesso tempo l'immagine della lettera Tau spinge chiunque sia stato educato grecamente a pensare, assieme all'antenna della croce, anche al numero 300; e immediatamente si aprono tutte le porte dell'arte del ragionamento dell'allegoresi: i 300 gomiti dell'Arca (Gen 6,15), i 318 servi di Abramo (Gen 14,14), i 300 uomini di Gedeone (Giud 7,6), i 300 denari dell'unguento prezioso (Mar 14,5): tutto diventa allusione alla croce come mistico segno Tau, la lettera della salvezza. Che oltre a ciò, spesso risuoni insieme anche la rappresentazione nautica del Tau come albero con antenna, lo abbiamo già veduto più sopra in PAOLINO DA NOLA β e in GREGORIO DI ELVIRA 7 . Ciò diventa anche più chiaro presso l'Anonimo spirituale del secolo V, che ha composto il Commento al Vangelo di Marco falsamente attribuito a Gerolamo. In una serie di immagini, corrente già sin dai tempi di Minucio Felice, egli vede il segno del mistero della croce scolpito in tutta la struttura del mondo: nelle quattro direzioni celesti che si intersecano a vicenda, nel volo degli uccelli, nella figura dell'uomo che nuota, nella nave con la sua antenna e nella lettera alfabetica Tau : « Navis per maria antenna cruci similata sufflatur, Tau littera signum salutis et crucis describitur » 8 . 5
Tractatus in Matthaeum, 6 (PL 20, 344 A). » Carmen 19, p. 612-616 (CSEL 30, p. 139). 7 Tractatus Origenis, 14 (BATIFFOL, p. 153, 1. 6-10). - De arca Noe ( W I L M A R T , p. i o , 1. 188-192). 8
i
P S . - G E R O L A M O , In Marcum, 15 (PL 30, 638 A ) .
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Da ciò vediamo: le due serie di immagini dell'antenna della croce, che sembra un Tau, e della lettera alfabetica Tau, che nella sua somiglianza alla croce significa anche trecento, stanno l'una fianco all'altra. Nautica e gematria divenuta cristiana (di cui subito parleremo più a fondo) si condizionano a vicenda. Ma ora dobbiamo seguire il m o d o in cui la simbolica della croce della lettera Tau diventa indipendente e perde la connessione con la simbolica nautica, per alimentarsi a tale scopo a fonti diverse e nuove del pensiero antico. Questo processo si sviluppa sotto il potente influsso di un'immagine profetica, che attrasse lo sguardo dei teologi simbolici della patristica e della scolastica primitiva con la stessa irresistibilità dell'immagine dell'albero e della croce, vista nel loro ambiente culturale. E la visione di Ezechiele profeta (9,4) che vede lo scrittore celeste vestito di lino e ode il comando divino: « Vanne attraverso al centro della città, attraverso E1 centro di Gerusalemme, e disegna un T a w sulla fronte degli uomini, che sospirano... ». I L X X traducono questo testo quasi parafrasandolo: δίελθε μέσην τήν Ίηρουσαλήμ καΐ δος το σημεϊον επί τα μ έ τ ω π α τ ω ν ανδρών τ ω ν καταστεναζόντων. E Gerolamo, più precisamente : « Transi per mediam civitatem in medio Jerusalem et signa tau super frontes virorum gementium ». Ma Origene già leggeva in Aquila e Teodozione, in opposizione ai L X X , che in luogo del ση μείον sen za significato si traduce meglio con t a u 9 . Così anche nell'Itala di quando in quando si è tradotto volentie-
9
Setecta in Ezechielem, 9 (PG 13, 800 D ) .
IL MISTICO TAU
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ri il Cesto : « Transi mediarti Jerusalem et scribe signum tau in frontibus virorum qui germini » 10 . La forza immaginifica di questa visione di Ezechiele penetra adesso nel mondo della teologia della croce, che sino ad ora è stato nautico, si nutre di esso, ma si rende indipendente sotto l'influsso determinante della tarda gematria giudaica e dei simbolismi greci della lettera Tau. Presenteremo ora questo sviluppo della spiegazione patristica di Ez 9,4. Naturalmente non si son mai dimenticate le connessioni originarie del significato del mistico Tau con la simbolica nautica. Ancora RABANO MAURO lo sapeva nel suo libro De laudibus sanctae crucis, ripieno del tesoro di immagini patristico, quando si rivolge così alla croce: « Ezechiel vero T, tau litteram, tuam effigiem similantem, super frontes virorum gementium et dolentium esse positam asseverat... sic tu quoque, sancta crux, virtus firma, laus praecipua et navis seu portus fidelissimus in sublevando totius orbis naufragium » n. Così pure nella poesia corrispondente alle sue artificiose figure della croce: « Hiezechiel cernit visu Tau signum eruere plebem atque crucis ducentis ad instar, sic tu, sancta salus, virtus es visa prophetis es placita superis, crux, huic es navita mundo » 12. 10
P. SABATIER, Bibliorum Saaorum Latinae Versiones antiquae, Reims 1743, v. 2, p. 769. 11 De laudibus s. Crucis, 2, 26 (PL 107, 291 BC). 12 lui, 1, figura 26 (PL 107, 251 B). - Η. Β. MEYER, Crux, decus es mundi. Alkuins Kreuz- und Osterfrommigkut, in Paschatis Soìemnia. Festschrifi fiir J. A. Jungmann, Friburgo 1959, p. 96-107.
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I. LE FONTI PROFANE DELLA SIMBOLICA DEL MISTICO TAU
Per comprendere lo sviluppo della simbolica del mistico segno Tau elaborata dai teologi cristiani, dobbiamo rifarci alla storia dell'alfabeto ebraico. Quale segno ha scolpito il celeste scrittore di Ezechiele sulle fronti degli uomini di Gerusalemme? « Scrivi Taw sulle fronti », così suona il comando. Il Taw ebraico, l'ultima lettera dell'alfabeto, significa « segno ». Nel significato originario dell'antica scrittura sinaitica, « marchio di giudizio », più tardi anche « segno fatto con il fuoco » e « segno di accreditamento di un atto pubblico» (Giob 31,35) 13 . I LXX traducono perfettamente la parola di Ez 9,4 con ση μείον, ma così facendo attutiscono un pò il significato enfatico di Taw; bisognerebbe infatti dire: « Scrivi una lettera-taw sulle fronti ». Ciò ci conduce alla vera fonte della spiegazione patristica di questo testo. L'antichissimo segno alfabetico Taw, infatti, nella sua forma primitiva, in opposizione allo sviluppo posteriore dell'alfabeto ebraico, era semplicemente una specie di segno di croce, nella forma di un + ο di un X. Ce lo dimostrano le cosid dette lettere di Lachis scritte verso il 590 a.C, con il loro alfabeto fenicio-ebraico del periodo preesilico, in cui il Taw è reso costantemente con X 14. Il segno fe13 Cfr. Encyclopaedia Judaka, Berlino 1928, v. 2, p. 404-407. The Jewish Encyclopedia, Nuova York 1906, v. 7, col. 68; Nuova York 1901, v. 1, col. 439-454: sviluppo dell'alfabeto ebraico antico e samaritano. 14 H. TOECZYNER, The Lachish Letters (The Wellcome Archeologica! Research Expeditìon to the Near East), Londra-New York-Toronto 1938, p. 220 (sviluppo dell'alfabeto ebraico), spiegazione a p. 185-187.
IL MISTICO TAU
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nicio corrispondente a Taw, al contrario, è reso per lo più con -K simile al Taw maccabaico 15. GEROLAMO sapeva ancora qualcosa della storia dello sviluppo dell'antico segno di croce Taw nel nuovo segno quadrato dell'alfabeto ebraico. Nel suo commento ad Ez 9,4 egli dice, difendendo il significato cristiano della lettera in questione: «Et ut ad nostra veniamus: antiquis Hebraeorum litteris quibus usque hodie utuntur Samaritani, extrema tau littera crucis habet similitudinem, quae in christianorum frontibus pingitur et frequenti manus inscriptione signatur » 16 . Egli dimostra la giustezza della spiegazione cristiana del segno di Ezechiele (come segno di croce scolpito sulla fronte), appellandosi esplicitamente alla forma di scrittura di tale lettera, nel frattempo divenuta antiquata, in aperta opposizione alle spiegazioni della simbolica rabbinica a lui contemporanea, di cui parleremo più avanti. In ciò gli fa eco un Anonimo più recente, forse BEDA, quando annota occasionalmente : « Volo noveritis, quia hucusque apud Samaritanos Tau littera similitudinem crucis habet, quamquam apud Hebraeos corrupta sit. Ideoque per Tau, quód interpretatur « signa », intelliguntur illi qui signaculum crucis in fronte et in corde ferunt et per fidem passionis Christi credunt se salvari posse » 17 . 18 Cfr. RE 1, 2 (1894) col. 1612-1616 (SZANTO) per l'origine fenicia del Tau greco. 111 Comment. in Ezechiekm, 3, 9 (PL 25, 88s). 17 PS.-GEROLAMO, In Lament. Jeremiae traci. (PL 25, 792 BC). Del resto, questa questione della distinzione tra modo di scrivere il Tau nella scrittura ebraica antica e in quella quadratica sostiene ancora una volta (sempre richiamandosi a Gerolamo) una parte quasi buffa nella dotta disputa del cardinal Bellarmino con i suoi avversari calvinisti, che combattevano il culto cattolico della croce fondato sull'esegesi dei Padri ad Ez 9,4. Cfr. per ciò, J. GRETSEH, Mantissa ad Tomum I. de s. Cmee, Ratisbona 1734, p. 45s; p. 79.
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Non era tuttavia soltanto la forma sensibile di croce dell'antica lettera alfabetica Taw, che spingeva i cristiani a vedere in questo « segno » una prefigurazione della santa croce. Senza dubbio l'arte interpretativa giudaica più recente si era già forgiata una propria spiegazione per ogni lettera dell'alfabeto. Essa costituiva uno dei fondamenti per ogni ricerca di un significato recondito : « Dio ha creato il mondo con le 22 lettere dell'alfabeto », come dice il Talmud 18. Ad ogni modo, da Origene sino ad Ambrogio e a Gerolamo, ne ascoltiamo ancora l'eco spesso interrotta e un pò confusa. Taw, per l'arte interpretativa giudaica, non è soltanto l'immagine della lettera che sta per « segno », ma anche conclusione e fine del santo alfabeto, e inoltre inizio della parola Torà, dunque incarnazione della Legge santa. Confrontiamo ora tutto ciò con la massa di spiegazioni del Taw presso i Padri: nelle liste di spiegazioni, ad esempio, degli Onomastica sacra l'interpretazione insiste su σημεΐον ο σημεία, in latino 19 signum oppure signa . Ambrogio fa questa annotazio ne : « Littera Tau quae latina interpretatione significat «erravit»; alia interpretatio habet « consummavit ». Vicesima et secunda littera est quae apud Hebraeos ultima » 2 0 . GEROLAMO, piuttosto incerto, inclina verso 21 il significato di « signa » . Ma tutto ciò è tradizione molto tardiva e in qualche modo già fissata. Possiamo, u Ber. 55a. Cfr. la precisa esposizione nella Berlino 1931, v. 7, col. 170-179. 18 Fa. W O T Z , Onomastica Sacra (Texte una Lipsia 1915, p. 220s; p. 677. so Expositio Psalmi 118, homilia 22, 1-4 (CSEL 21 Epistola 30, 5 (CSEL 54, p. 246, 1. 11; p. minibus hebraicis (PL 23, 828).
Encyclopaedia Judaka, Untersuchungen, 41), 62, p. 488,1. 13-15). 244, 1. 7s). - De no-
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invece, cogliere ancora più da vicino l'opposizione polemica tra spiegazione cristiana della lettera e spiegazione tardo-giudaica, in un significativo testo di ORIGENE. Occupandosi della esposizione di Ez 9,4, il dotto scritturista alessandrino si è sforzato di interrogare anche i contemporanei talmudici circa il significato del Taw di Ezechiele. Alcuni dicevano che Taw, come ultima lettera dell'alfabeto, significa semplicemente la « perfezione » : una seconda spiegazione, data da un altro giudeo, affermava che, in quanto lettera iniziale della parola Torà, significava la totalità della Legge. « Un terzo, invece, che apparteneva a coloro che già credevano in Cristo, diceva che l'antico modo di scrivere le lettere alfabetiche presentava il Taw in una evidente forma di croce e che quindi qui ci troviamo dinanzi ad una profezia del segno, che più tardi tra i cristiani doveva essere impresso sulla fronte, come lo fanno i credenti, ogni volta che danno inizio ad un lavoro e particolarmente prima della preghiera e della santa lettura » 22 . Per noi è particolarmente importante, il richiamo del giudeo battezzato agli αρχαία στοιχεία, ossia al modo, ormai antiquato, di scrivere il Taw in forma di croce, che da Gerolamo viene detto samaritano. Possiamo facilmente dedurre che gli interpreti talmudici si richiamavano alla forma moderna del Taw, divenuta quadratica, per escludere una spiegazione del segno ezechieliano accolta volentieri dai cristiani. Non fac ciamo nessuna ingiustizia a Gerolamo, quando diciamo che egli si è appropriato con gioia di questa piccola scoperta di Origene, garantita da un dotto rabbino. Anche Eusebio sarà ben cosapevole del fatto che l'arte 22
Selecia in Ezechietem, 9 (PG 13, 801 A).
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cristiana della interpretazione delle lettere alfabetiche è un'eredità della scuola ebraica, ed anch'egli spiegherà il Tau come segno che sta per σημεία 2 3 . A proposito della forma arcaica di croce della let tera Taw e della sua spiegazione talmudica bisogna ora considerare ancora una terza fonte, che è importantissima per l'origine dell'allegoresi patristica: la magia alfabetica greca 24 . In conformità alla sua origine dall'alfabeto fenicio, la lettera greca Tau veniva per l'appunto scritta in forma di croce, ad ogni modo ben presto anche nella forma Τ di una specie di crux commissa. Non era dunque difficile neppure per i greci vedere nel Tau l'immagine sensibile di una croce, e con ciò sentirla come la raffigurazione della fine della vita e della vergognosa morte degli schiavi. Ciò è per noi vividamente percepibile nel meraviglioso libretto di LUCIANO DI SAMOSATA sul Processo delle lettere. In esso, il Sigma si lamenta che nella pronuncia ellenistica spesso viene cacciato e rimpiazzato dal prepotente Tau, che adesso si dice comunemente Glotta invece del tradizionale Glossa, Thalatta invece di Thalassa. Perciò il giudizio sul povero Tau è distruttivo: esso è degno della medesima morte, di cui presenta l'immagine sensibile. « Poiché i tiranni hanno costruito a immagine di questa lettera Tau quel legno, su cui crocifiggono gli uomini condannati a morte » 25. Lo vediamo : Tau 23 Praeparatio evangelica, n, 6 (PG 2 1 , 861 A ) ; io, 5 (PG 2 1 , 789 A ) . " Cfr. soprattutto FR, DORNSEIFF, Das Alphabet in Mystik uni Magie (Stoicheia, 7), Lipsia-Berlino 1922 (1925, 2 ed.). as Iudtcium vocalium, 12 (HEMSTERHUYS-REITZ, I, p. 97S). - Per la genuinità dell'opuscolo, cfr. CHRIST-SCHMID-STAHLIN, Geschichte der griechischen Literatur, Monaco 1924, v. 2, 2, p. 719S. — Luciano giustifica il lamento sul cattivo Tau anche con il fatto che il mitico
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qui è immagine della croce, dunque figura di una cattiva fine della vita; e qui ci viene in mente la simbolica, ormai familiare ai Greci, dell'albero con la sua antenna come croce. Allo stesso tempo però il Tau era anche il segno numerico per indicare 300. In tal modo la magia delle lettere, influenzata dalle speculazioni numeriche dei pitagorici, racchiudeva in questo segno ogni sorta di rari significati. 300 è composto infatti da tre volte 100, e 100 è dieci volte io, dieci poi è il numero semplicemente perfetto, Γάριθ-μος τέλειος 2 6 . In ORIGENE questa speculazione entra nel
l'ambiente cristiano, là dove l'Alessandrino si sforza di trovare il significato mistico dei 300 gomiti dell'arca di Noè 27. Così il Tau, questo segno della fine della vita e della morte degli schiavi, diventa, in una dialettica profonda, l'incarnazione della vita e del compimento. In questo, però, la magia greca delle lettere alfabetiche coincideva con la spiegazione talmudica del Taw come fine e compimento della legge. Tau è trecento, e con ciò morte e vita in un uno, fine e compimento nel segno di una croce. La tarda allegoresi giudaica delle lettere alfabetiche si è appropriata di questa speculazione dei numeri, comprensibili di per sé soltanto ad un Greco, e ne ha tratto il sistema della sua gematria talmudica 28 . L'essenza di questa complicata interpreCadmo riportò con sé dalla Fenicia queste lettere per darle ai Greci: « Gli uomini piangono e si lamentano della loto sorte, essi imprecano contro C a d m o , poiché egli Ila introdotto il Tau tra le lettere dell'alfabeto ». Per C a d m o come inventore della scrittura e importatore delle lettere fenicie cfr. anche ISIDORO DI SIVIGLIA, Oratio 1, 3, 6 (PL 82, 76 A). 26 Cfr. RE II, 1 (1895), col. 1087, 1. 54SS (HUI.TSCH). 27 Homilia 2, 5 in Genesim (GCS ORIGENE VI, p. 34s). 28 Cfr. Encyclopaedia Judaica, Berlino 1931, v. 7, col. 170-179·
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fazione delle lettere delle parole della Sacra Scrittura consiste nel fatto che le lettere di Certe parole bibli che vengono trasportate nel loro valore numerico greco, ο viceversa, nel fatto che dei dati numerici bi blici vengono cambiati in parole significative, per pe netrare così dietro i presunti misteri degli annunci divini che vi si nascondono. FR. DORNSEIFF ci ha regalato uno studio erudito sull'origine della gematria talmudica 2 9 . E qui incontriamo una delle fonti essenziali dell'allegoresi patristica. Già è chiaro nello Ps. BARNABA, che l'esegesi e la catechesi antica cristiana si son servite sin dall'inizio di questo sistema gematrico, per sostenere la spiegazione cristiana della Bibbia nelle controversie con i Giudei. L'influenza di questa magia delle lettere parzialmente giudaica e in parte pitagorica diventa ancor più chiaramente percepibile nella sfrenata mistica alfabetica degli gnostici, come ad esempio in quella di Markos, di cui ci riferisce TERTULLIANO 30 . Ad ogni buon conto costatiamo questo fatto: la lettera Tau era per gli uomini del mondo culturale greco-romano l'immagine sensibile della morte e della vita ad un tempo. FR. DÒLGER 31 lo ha dimostrato per il Tau come segno simbolico della vita, e se crediamo ad una notizia, senza dubbio sporadica, contenuta in ISIDORO 29 Das Alphabet in Mystik uni Magie, p. 9iss. - Sul Tau come croce cfr. ivi p. 23S. ; p. 109S. 30 De praescrìptione haereticorum, 50 (PL 2, 70 A). Cfr. H. L E I SEGANG, Die Gnosìs, Lipsia 1924, p. 39ss. ~ Sulla magia alfabetica dei Greci cfr. D A C L 1 (1907) col. 1268-1288 (H. LECLERCQ). 31 Antike una Christcntum 1 (1929) p. 49.
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, un Tau posto dietro il nome del soldato nelle liste militari romane significava che il soldato in questione era ancora in vita. Ma non possiamo trascurare di prestar attenzione al doppio suono del Tau: esso significa vita ed allo stesso tempo morte, poiché non si può non vedere che ha precisamente l'aspetto di una croce. Soltanto qui diventa finalmente comprensibile ciò che lo Ps. - GEROLAMO diceva a proposito del Tau come simbolo della croce : « Tau littera signum salutis et crucis describitur » 33 . Qui risuona chiaro il suo duplice significato dialettico: Tau è segno di salvezza, e ciò è conforme al modo di pensare greco; Tau però è anche croce, e questo i cristiani lo hanno saputo sin dall'inizio. Vita e morte si nascondono nel medesimo segno. In tal modo ci diventano comprensibili anche le notizie cristiane, che spiegano la croce ansata, ritrovata nelle rovine dei templi egiziani e che ha l'aspetto di un Tau, come segno della « vita eterna ». SUIDA si richiama per questo alla testimonianza degli Egiziani convertitisi al tempo dell'imperatore Teodosio e la stessa cosa riferiscono gli storici SOCRATE, SOZOMENE E RUFINO 34. Croce è Tau DI SIVIGLIA
32 Oratio i, 24, 1 (PL 82, 100 A ) : « I n breviculis quoque milit u m nomina continebantur ... T, Tau nota in capite versiculi posita superstitem designabat ». - Cfr. anche R U F I N O , Apologia in Hieronymum, 2, 36 (PL 21, 615). Questa specie di Tau, che per Isidoro era segno della vita, è per lui anche segno di m o r t e : « Τ figuram demonstrans dominicae crucis, unde et Hebraice ' signum ' interpretatur; de qua dictum est in Ezechiele angelo: transi per medium et signa T a u » (PL 82, 76 B ) . - La lettera & significa m o r t e : ARTEMI-
DORO, Oneìrokritika, 4, 24 33 34
(HERCHER 217, 1. 14).
PL 30, p . 638 A . SUIDA, Lexicon, alla voce σταυροί,
Cambridge
1705,
v.
3, p. 369. - SOCRATE, Historia eccl., 5, 17 (PG 67, 608 A B ) . - S O Z O
MENE, Hist. eccl, 7, 15 (PG 67, 1457 A). R U F I N O , Hist. Eccl., 2, 29
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DEI
PADRI
e raffigura la vita ventura, che ci viene donata mediante la morte umana del Dio crocifisso. Abbiamo così indicato le fonti essenziali, cui la spiegazione cristiana della croce come segno del mistico Tau attinge sin dall'inizio. Questa simbolica rappresenterà per più di mille anni uno dei più cari topoi dell'allegoresi e sopravviverà ancora nell'arte del primo medioevo.
2 . L A T E O L O G I A P A T R I S T I C A DELLA C R O C E C O M E MISTICO T A U
L'interpretazione del Tau, segno alfabetico del numero 300, come croce del Signore si trova per la prima volta in BARNABA 35, ma vi è già così radicata e proposta come cosa così naturale, che possiamo pensare che si tratta di un punto dottrinale corrente nella catechesi cristiana della fme del primo secolo. La sua origine va ricercata nella spiegazione talmudica del Taw e nelle esigenze della polemica antigiudaica. Ad ogni modo PH. HAUSER, fa una supposizione seducente, quando designa l'annotazione finale di Barnaba (« Nessuno ha mai ascoltato da me una dottrina più eccellente, ma io so che voi ne siete degni ») 36, come un (PL 21, 537 AB). - CORNELIO A LAPIDE nella sua esegesi ad Ez 9,4 si riferisce ancora a queste e simili notizie, quando dice : « U n d e et Aegyptii Serapidis pectori tau inscribebant quasi signum futurae vitae ». Egli si richiama per questo alle dotte ricerche fatte da JAKOB GRETSER, De s. Cruce, Ratisbona 1734, v. 1, p. 80-82. 35 Ps.-Barnaba, 9, 8: (BIHLMEYER, p. 21, 1. 12-20). 31 Ivi, 9, 9 (p. 21, 1. igs).
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tiro che l'autore intende giocare alla Haggada 37 . La sua lettera polemizza con i difensori giudei e giudeo cristiani della necessità salvifica della circoncisione. Per dimostrare che questa veniva sempre intesa solo in senso spirituale, egli adatta artisticamente (non si sa se di proposito oppure in base ad un manoscritto della Bibbia in suo possesso), il testo del Genesi, collegando Gen 14,14 e Gen 17,23.24 alla proposizione: «E Abramo ne circoncise 18 e 300 della sua casa». Poi inserisce una spiegazione genuinamente geometrica di questi dati numerici, messi cosi in fila l'uno appresso all'altro : « Sappiate che la Scrittura qui dice in primo luogo 18, e poi, con una nuova interruzione, 300. Diciotto è (come segno numerico) iota, lo stesso che io; Età, lo stesso che 8: e qui hai l'inizio del nome di Gesù (Jesus). E poiché nel Tau la croce doveva indicare la grazia futura, egli aggiunge trecento. Egli indica Gesù, dunque, nelle prime due lettere, e la croce nell'ultima». Non è impossibile che questa interpretazione cristiana del numero 318 del racconto dei 318 servi di Abramo (Gen 14,14. - Gen 17,23 parla certamente della circoncisione dei servi, ma non più del loro numero) sia diretta contro la geometria giudaica del tempo, che si era impadronita anch'essa di questo misterioso numero e lo aveva spiegato nel senso di Eleazaro e della γνώσις 3 8 . Ad ogni modo, da que37 PH. HAUSER, Der Barnabasbrief neu untersucht und neu erklart (Forschungen zur christl. Literatur- und Dogmengeschichte 11, 2), Paderbon 1912, p. 6os. - Cfr. anche le annotazioni sempre valide a Barnaba 9,8 in C. J. HEFELE, Das Sendschreiben des Apostels Barnabas, Tubinga 1840, p. 83SS. - P. MEINHOLD, Geschichte und Exegese im Barnabasbrief, in Zeitschrift jiir Kirchengeschichte 59 (1940) p. 271S. 38 Cfr. FK. DORNSEIFF, Das Alphabet, p. 109, nota 5.
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sto momento il numero 318 appartiene anche agli elementi fondamentali della scienza cristiana dei numeri su cui si dilunga un testimone importantissimo come il complicato capitolo degli Sfrontata di CLEMENTE 39 ALESSANDRINO . Esso, sempre in diretta dipendenza da Barnaba, ma ripieno della mistica pitagorica dei numeri e di geometria giudaica, afferma: «Dopo che Abramo aveva udito che Lot era caduto prigioniero di guerra, fissò il numero dei propri servi a 318, si recò con essi sul campo e sconfisse un grandissimo numero di nemici. Ora si dice che il segno numerico usato per il 300 sia, in base alla sua forma, un'allusione al semeion del Signore, che invece lo Iota e la Età alludono al nome del Salvatore. Ciò significa, dunque, che coloro i quali appartengono ad Abramo quanto alla redenzione, ossia che hanno fatto ricorso al Semeion e al Nome, sono diventati padroni di coloro che avevano fatto dei prigionieri di guerra e dei molti pagani increduli, che li seguivano. Il numero 300 però, è anche il terzo numero cento, e il numero io viene considerato generalmente come un numero perfetto » 40 . A noi sembra, come dimostrerebbe questo testo di Clemente, che l'eguaglianza di Tau = 300 = segno di croce, anche se qui e in Barnaba viene usata per l'interpretazione dei servi di Abramo, abbia tuttavia la sua vera origine nella spiegazione di Ez 9,4. Proprio perché Clemente nel suo testo dei LXX in questo passo legge soltanto ση μείον e non Tau, ma, come è chiaro, comprende questa parola come segno della croce, risulta che egli ora anche qui e spesso a
» Straniata, 6, 11, 84-95 (GCS II, p. 473-480). « Sfrontata, 6, 11, 84, 2-$ (GCS II, p. 473, 1. 21-31).
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altrove, al posto di σταυρός scrive semplicemente ση μείον κυριακόν ο soltanto ση μείον, poiché così viene compreso da tutti. Anche il numero 300, che riferisce in bracci la misura dell'arca, è per lui un simbolo del ση μείον. Il segno dunque è semplicemente la « croce ». Per questo, nella nostra traduzione del testo suddetto, abbiamo preferito che rimanesse « semeion», al contrario di Stàhlin, che, giustamente, ma intepretando, traduce costantemente questa parola per mezzo di « croce ». Se per giunta ammettiamo che Clemente con gli uomini armati nominati alcune volte per la dottrina del mistico Tau (« Dicono » 41 ο « Ci sono alcuni, che dicono ») 4 a , andando oltre la lettera di Barnaba, intende i catecheti cristiani, allora ne ri sulta che qui abbiamo a che fare con un topos della teologia della croce antigiudaico appositamente creato: la misura dei gomiti dell'arca, il numero dei servi di Abramo e la segnazione con il segno del Tau, erano i tre modelli classici della salvezza futura nella croce. Per mille anni, essi restarono nel ricordo dei maestri della fede e degli esegeti sempre strettamente congiunti tra loro. Per convincersene basti leggere una sola volta, immediatamente dopo le testimonianze della Chiesa primitiva, la predica di Pier Damiani sull'innalzamento della croce, nella quale l'arca, i servi di Abramo e il segno del Tau stanno inscindibilmente l'uno accanto all'altro 4 3 . Questo gruppo di testi si aggrega abba stanza presto due altri «passi»: il numero trecento dei soldati di Gedeone (Giud 7,7.8) e il numero trecento " Ivi, p. 473, 1. 24. 42 Ivi, p. 475, 1. 11. •3 Sermo 48, De exaltatione s. Crucis (PL 144, 769S).
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del prezzo per l'unguento prezioso (Par 14,5; Giov 12,5). Che in questa esegesi del segno Tau si tratti degli elementi fondamentali della primitiva teologia cristiana della croce, ce lo dimostrano anche le testimonianze di CIPRIANO, che hanno conservato come è noto il più antico materiale della catechesi antigiudaica 44 . Anche se Cipriano legge nel suo vecchio testo latino della Bibbia in Ez 9,4: « Et notabis signum super frontes virorum qui ingemunt», egli interpreta queste parole come passo dimostrativo per il principio teologico : « Quod in hoc signo crucis salus sit omnibus qui in frontibus notentur». Anche il testo di Origene già citato ci ha mostrato con quale interesse si cercava di trarre spiegazione cristiana da Ez 9,4 contro le interpretazioni del dotto giudaismo contemporaneo. Origene ci assicura esplicitamente, che egli ha appositamente interpellato gli scritturisti giudei « se avessero una tradizione dottrinale circa il significato del Tau » (in Ez 9,4) : zi χι πάτριον περί τοϋ ταυ εχοιεν λέγειν μάθημα 4 5 . Percorriamo ora le testimonianze di questa teologia patristica della croce, separando i singoli gruppi gli uni dagli altri e tralasciamo l'interpretazione dei 300 gomiti dell'Arca di Noè che considereremo in un capitolo a parte. Iniziamo con l'interpretazione della visione di Ezechiele; essa infatti è il punto di partenza di tutta l'allegoresi del « segno » Tau come raffigurazione sensi41 Testimonia, 2, 22 (CSEL 3, p. 90, 1. 7-9). - Cfr. anche Ad Demetrianum, 22 (CSEL 3, p. 367, 1. ós). - Per l'età delle fonti dei Testimonia cfr. sopra, a p. 364SS. « PG 13, 800 D.
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bile della croce. Già abbiamo interrogato ORIGENE. Prima di lui e indipendentemente da lui, incontriamo in Tertulliano la testimonianza, secondo cui qui si tratta chiaramente di un topos dottrinale conosciuto a tutta la Chiesa, in cui la teologia si sforza continuamente di dimostrare che la fede cristiana in un Messia sofferente fu predetta già dalla Scrittura dell'Antico Testamento. È quel che ora dimostra anche Tertulliano contro la cristologia spiritualistica di Marcione. Il cristiano sofferente e segnato con un segno di croce è soltanto l'imitatore del Cristo crocifisso: lo dimostra anche la visione di Ezechiele del « segno Tau ». Il testo biblico, che Tertulliano cita qui, suona (in opposizione ai Testimonia di Cipriano) : « Pertransi medio portae in media Hierusalem et da signum Tau in frontibus virorum ». Ciò facilita l'accettazione dell'esegesi, che proveniva dalla Chiesa e dalla cultura greca e che diventa comprensibile soltanto se si sa che il segno alfabetico del numero 300 è precisamente il Tau. Di qui, ora, in Tertulliano (e così più tardi in quasi tutti i Padri latini) il richiamo esplicito al greco : « Ipsa est enim littera Graecorum Tau, nostra autem T, species crucis, quam portentebat futuram in frontibus nostris apud veram et catholicam Hierusalem » 46. La stessa cosa ripeterà l'esegesi contro i Giudei 47 . Come si vede, anche qui si tratta di fondare esegeticamente l'antica usanza cristiana, di segnare la fronte con il segno della croce, poiché con questo uso i cristiani intendevano separarsi da qualsiasi concezione giudaica ο pagana. 4 « Adversus Martionem, 3, 22 (CSEL 47, p. 416, 1. 2-7); PL, 2, 353 A). " Adversus Judaeos, n (PL 2, 631 A).
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Lo faceva notare già ORIGENE. La stessa cosa attesta GEROLAMO, ove parla della fronte da segnare con la croce : « Facies quam corporis partem in Ezechiel Dominus iubet Tau litterae impressione signari» 48 . Se teniamo presente che l'interpretazione del Tau come signutn ο signa è la più frequente nei Padri e si richiama costantemente ad Ez 9,4, allora diventa comprensibile perché mai la segnalazione con il segno della croce sia stata chiamata semplicemente signutn ο signatio: qui risuona la conoscenza del mistico Tau e proprio a partire di qui diventa ancora una volta chia ro, perché mai Gerolamo abbia potuto parlare semplicemente della crux antemnae49. Le due immagini fanno intimamente parte dei fondamenti del pensiero allegorico. Per questo nel dibattito tra Chiesa e Sinagoga dello Ps. - Agostino, la Ecclesia rinvia ad Ez 9,4 (con il testo: notabis signutn...) e dice alla Sinagoga: « Vides ergo signum mihi datum et insigne crucis » 50. La stessa cosa riscontriamo nella cosiddetta Altercatio Simonis et Theophili51 e nel Tractatus Origenis di GRES2 GORIO DI ELVIRA . Anzi persino nei momenti dominatici culminanti della polemica di AGOSTINO con l'ecclesiologia dei Donatisti, questa signatio svolge il ruolo importante di un segno invisibile non corporeo, che distingue tra buoni e cattivi, come viene promesso nella « Epìstola 18, 1 (CSEL 54, p. 75, 1. 13). 48 Cfr. sopra, a p. 662s. - Per il segno della croce come signum Tau cfr. FR. X. KRAUS, Rsalencyklopàdie der christlichen Altertiimer, Friburgo 1886, v. 2, p. 226. 5 » PL 42, 1135 A B . sl CSEL 45, p. 34, 1. 12-15. 52 Tractatus 4 (BATIFFOL p. 36, 1. 23-26).
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visione di Ezechiele . Ma anche la semplice predicazione non dimentica di inculcare ai fedeli questa dottrina del mistico Tau, come fa ad es. l'Anonimo (forse si tratta di Massimo da Torino, come vedemmo 54 più sopra), al quale dobbiamo un'omelia pseudo-origeniana : « Denique in Ezechiele propheta cum omnes qui missus fuerat angelus occidisset, et interfectio coepisset a sanctis: illi tantummodo reservarentur quibus T, Tau litterae (id est crucis) pictura signaverat » 55 . In forza di questo segno Tau i salvati si distinguono dai giudei, dai pagani e dagli eretici e diventano consapevoli dell'elezione della grazia e della vittoria su tutti i demoni. Non andiamo affatto errati, se sentiamo risuonare anche qui la conoscenza del segno Tau come segno dei soldati sopravvissuti e della vita ventura; infatti proprio in questo contesto il suddetto predicatore esplode in un grido di giubilo: «Exsultemus itaque, fratres carissimi, et ad crucis instar similitudinem sanctas in caelum levemus manus. Cum sic nos daemones armatos viderint, opprimentur ». Dal consolidamento di questa interpretazione del Tau di Ezechiele diventa comprensibile ora come anche l'interpretazione geometrica piuttosto complicata, data dallo Ps. - Barnaba ai 318 servi di Abramo abbia potuto conservare la sua popolarità. Anche qui i latini si richiamano sempre al valore numerico 300 del Tau, evidente soltanto per i Greci. L'ignoto autore dello " Brevkulus collatioms catti Donatistis, 3, 17 (CSEL 53, p. 67, 1. 11-14). - Contra epistolam Parmeniani, 2, 3, 6 (CSEL 51, p. 50, 1. 4; 3, 2, l i ; p. 112, 1. 2-5). - Psalmus contra partem Donati, v. 164 (CSEL 51, p. io). 64 Cfr. sopra, a p. 6645. 55 PL 30, 221 A; PL 57, 546 AB.
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scritto, ebbro di mistica dei numeri, De Pascha computus (redatto prima del 243 in Africa), parla dell'in terpretazione mistica del Tau per ben tre volte. In primo luogo spiega : « CCC autem apud Graecos per unam litteram notantur, quae dicitur Tau, et manife ste demonstrat omnibus Tau crucis signum » 56 . Poi impiega questa sapienza greca dei numeri per l'inter pretazione dei 318 servi del centenario Abramo: « Propter centenariam nativitatem triplicavit C et fecit si gnum Tau, quibus et adiecit XVIII id est ιη in nomine Jesu » 57 . Questo Africano non ha attinto certamente la sua sapienza numerica direttamente da Ps. - Barnaba ο da Clemente; quella dottrina doveva essere ormai di casa nella didattica della sua patria. Oggi non sap piamo se Origene ne abbia parlato nei libri perduti dei suoi commenti alla Genesi. Se sì, non ci meravigliamo più che l'antichissima dottrina affiori con un certo rilievo in AMBROGIO; ma se non proviene da Origene (e, come si comprende, questa volta Filone non ha potuto aggiungere nulla all'interpretazione, dato che si tratta precisamente di una geometria genuinamente cristiana), allora risulta tanto più chiaro, quanta deve essere stata la popolarità di questo topos nella antica teologia cristiana della croce. I servi di Abramo sono il « tipo » dei futuri credenti, il loro numero richiama la croce e il nome di Gesù, la loro vittoria è la vittoria della grazia dell'elezione: « Numeravit autem trecentos decem et octo, ut scias non quantitatem numeri, sed meritum electionis expressum. Eos enim
" De Pascha computus 20 (CSEL 30, p. 267, 1. 5-7). 57 De Pascha computus io (p. 257, 1. 9s). - Cfr. anche ivi, 18 (p. 265. 1- 25), ed 1 Ut 22 (p. 268, 1. I i s ) .
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adscivit quos dignos in numero indicavit fidelium, qui in Domini nostri Jesu Christi passionem crederent. Trecentos enim Τ graeca littera signifìcat, decem et odo autem IH Jesu exprimit nomen » 58. Molto ingegnosamente Agostino si è servito dell'origine greca della spiegazione del mistico Tau = croce, come di una allusione alla forza soprannaturale della croce che abbraccia tutti i popoli, poiché « Greci » in opposizione a « Giudei » significa, secondo il modo di parlare dell'apostolo Paolo, semplicemente tutti gli uomini; e poi prosegue con l'interpretazione allegorica dei 318 servi di Abramo : « Quorum numerus, quia trecenti erant, signum insinuat crucis propter litteram Τ graecam, qua iste numerus significatur ; per quam. etiam gentes magis in Crucifixum credituras praefiguratum est, quod littera graeca est. Unde Paulus omnes gentes signifìcat, cum dicit : Judaeo primum et Graeco (Rom 2,9.10), saepe ita commemorans circumcisionem et praeputium, quod in linguis gentium graeca ita excellat, ut per hanc omnes decenter significarentur » 59 . Per quelli tra i Padri che erano greci, una simile annotazione esplicita non era certamente necessaria, poiché nella figura della lettera Tau, come pure nel loro modo di segnare i numeri, la Croce stava immediatamente dinanzi ai loro occhi. Per questo MASSIMO C O N FESSORE (prendendo a prestito da CLEMENTE ALESSANDRINO) può interpretare i 318 servi di Abramo per la croce e per il nome di Gesù, poiché il Tau già presentava nella sua stessa forma di scrittura la figura della 58 59
De Abraham, 1, 3, 15 (CSEL 32, 1, p. 513, 1. 7-13). Quaestiones in tieptateuchum, 7, 37 (PL 34, 804 D; 805 A).
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croce: το ταυ γράμμα σταυρού τύπος εστίν, εν τω σχήμκτι σώζων τοϋ σταυρού την εκτυπώσω. Così negli Scholia alla sua stessa opera 60. Nel relativo pezzo dell'opera principale, Massimo presenta la stessa interpretazione del Tau come segno di trecento e di croce, « perché la lettera Tau ebbe l'onore, per grazia, di ricevere la forma della croce ». E collegandosi a ciò, formula il principio fondamentale gemetrico di questa mistica delle lettere divenuta cristiana : « La Scrittura abbastanza spesso rivela il significato da esse inteso mediante la forma di scrittura delle lettere, e ciò per coloro, che hanno un senso purificato a tal scopo » 61 . Questa ultima annotazione ricorda la frase conclusiva dello Ps. - Barnaba e mostra che la mistica dei numeri è stata considerata come una specie di conoscenza gnostica. Così anche il numero dei 318 servi di Abramo è considerato « grande Mistero ». Quanto fosse popolare tale allegoresi della vittoria della croce di Abramo e dei suoi 318 uomini, ce lo mostrano in fine due applicazioni parziali, una ascetica e una storica. Abramo, con il numero dei suoi servi, ha vinto cinque re, e in ciò è divenuto un « tipo » per l'uomo cristiano, che, in virtù del mistico segno della croce, combatte vittoriosamente i cinque sensi. Lo dice PRUDENZIO, quando, nell'introduzione alla psicomachia, compone i versi, in se stessi oscuri e così dottamente commentati più tardi da un Faustino Arevaio, ma che alla luce della tradizione dottrinale sin qui rilevata, diventano chiarissimi. •° Quaestiones ad Thalassium, 55 (PG 90, 565 D). " PG 90, 545 AB.
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« Si quid trecenti bis novenis additis possint, figura noverimus mystica » 62. Questa figura mistica è il Tau della croce e il nome di Gesù nascosto nel numero misterioso. La stessa cosa afferma Fausto di Riez, quando in una lettera parla occasionalmente della vittoria della grazia sui vizi provenienti dai cinque sensi, che ora siano in grado di combattere nella forza della croce e del nome di Gesù: «Ita per adiutorium Domini et per crucem suam has quinque principalium vitiorum expugnare studeamus inlecebras. Per crucis enim signum et per sacrum Jesu nomen apud Graecos era utriusque supputationis imprimitur » 63 . Ancor più interessante per noi è l'influsso di questa dottrina su un evento della storia della Chiesa : il concilio di Nicea e i suoi supposti 318 vescovi partecipanti 64 . Il numero 318, noto dai racconti dei testimoni, ha forse in un secondo tempo fatto in modo che I'allegoresi dei 318 servi di Abramo sia stata usata per la sua spiegazione, oppure è successo il contrario, che cioè, proprio sotto l'influsso di questa dottrina popolare sin dai tempi antichi, il numero dei sinodali, già variamente dato dai contemporanei, sia stato arrotondato nel mistico numero 318? Ad ogni modo è significativo, e fa pensare alla seconda delle sunnominate possibilità, il fatto che la spiegazione «mistica» dei 318 vescovi niceni cominci molto presto. Ne parla ** Psychomachia, Praefatìo, v. 57S (CSEL 61, p. 169). - Π commento di AREVALO è riprodotto in PL 59, 712SS. " Epistola 9 ad Ruridum (CSEL 21, p. 214., 1. 5-8; Mon. Germ. Auct. ant., 8, p. 268, 1. 11-15). " Cfr. per la questione storica C. J. HEFBLB, Conciliengeschichte, Friburgo 1873, v. 1, p. 291S. - J. P. KTRSCH, Die Kirche in der antiken griechisch-romischen Umwelt, Friburgo 1930, p. 377, nota 54.
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già papa
come pure il suo contemporaneo Per AMBROGIO, COSÌ avido di allegorie, il numero niceno è pieno di misteri e la dottrina dello Ps.-Barnaba conosce ancora una volta una splendida resurrezione, quando il vescovo di Milano la presenta all'imperatore Graziano compromesso dall'arianesimo. I 318 Padri di Nicea sono i vincitori di questa battaglia veramente abramica : « Tamquam Abrahae electi iudicio, consona fidei virtute victores, velut tropaeum, tot orbe subactis perfidis, extulerint »67. Sentiamo risuonare qui, come già precedentemente nell'antenna crucis, la teologia della croce come trofeo; poiché, immediatamente prima, Ambrogio così si esprime : « Anche Abramo ha condotto in battaglia 318 ed ha tolto i loro trofei agli innumerevoli nemici vinti; nella croce e nel nome di Gesù egli ha meritato il suo trionfo ». E più sotto, ancora una volta, riferendosi immediatamente al numero 318 dei Padri conciliari : « Non humana industria, non composito aliquo trecenti decem et octo episcopi ad concilium convenerunt. Sed ut in numero eorum per signum suae passionis et nominis Dominus Jesus suo probaret se adesse concilio : Crux in trecentis, Jesu nomen in decem et octo est sacerdotibus »68. Più tardi Fausto di Riez ripeterà queste idee : è sempre la supputatio graeca, che svela dietro il numero il mistero significato : « Et ideo sacer numerus diximus, quod trecenti mera supputatione graeca signum crucis, LIBERIO 65 ,
66
ILARIO .
« 5 Cfr. in SOCRATE, Hist. eccl., 4, 12 (PG 67, 492 C ) . ·« Liber de Synodis, 86 (PL io, 538 B). " De fide ad Òratianum, Prologus 1 , 1 , 3 e 5 (PL 16, 528 B; 529 B ) . " Ivi, 1, 18, 121: p. 556 A B .
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decem et octo vero Jesu adorandum nomen ostendunt » 69. A questi due gruppi classici dell'allegoresi della croce come mistico segno Tau, si aggiunge abbastanza presto un ampliamento : l'interpretazione dei trecento combattenti di Gedeone (Giud 7,7; 7,16). Ciò è comprensibile, poiché ci troviamo dinanzi una situazione simile alla guerra di Abramo e l'allegoria del simbolo numerico Tau come immagine della croce era già troppo consolidata, perché i Padri della Chiesa primitiva, così avidi di simboli, non la introducessero anche nell'interpretazione della scelta dei 300 uomini di Gedeone. La prima testimonianza la incontriamo in ORIGENE 70 . Ma è significativo che il numero 300 non viene interpretato per il Tau della croce, bensì (nel senso della mistica filosofica dei numeri, che prevale anche in Clemente) quale concetto del compimento, poiché 300 è eguale a tre volte 100, e 100 a dieci volte io, dunque, trinità e compimento vengono significati nel numero dei guerrieri di Gedeone. Ma ben presto l'esegesi tradizionale, rafforzata da Ez 9,4, si impadronisce anche del racconto di Giud 7,7. La poesia pseudotertullianea ADVERSUS MARCIONEM, che in molte citazioni ha conservato del materiale antichissimo dell'opera perduta di Giustino, dice di Gedeone, non senza il richiamo, già comune presso i Latini, all'origine greca dell'allegoria: «... praedonum stravit acervos « , FAUSTO DI R I E Z (= Ps.-Pascasio), De Spiriti! Sancto, praefatio (PL 62, 9 D ; io A). 70 Homilia 9, 2 in Juiic. (GCS ORIGENE VII, p. 521, 1. 6s).
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trecento equite - numerus Tau littera graeca Tau signum crucis et comu praeconia vitae » 71. Fortunatamente nel decimoquarto trattato dei cosiddetti Tractatus Origenis ci è stata conservata anche una predica dal linguaggio popolare su questo tema allegorico. Essa parla del tantum saaamentum, di questo misterioso numero dei guerrieri di Gedeone; e noi ne conosciamo già un testo : « Trecenti enim apud Graecos tau littera signantur. Quae littera, cum unum habeat apicem. quasi arborem passionis erectam, alterum in capite quasi antemnam extensam, crucis utique manifestimi signum ostendit » 72 . Gedeone è « tipo » di Cristo, i suoi 300 soldati sono il modello esemplare dei pochi segnati nella elezione misericordiosa di Dio (Mat 20,16; 22,14), la battaglia è immagine della guerra contro le legioni dei demoni; la discesa nella valle dei nemici è simbolo della discesa di Cristo all'inferno alla testa dei 300 vincitori nella croce: «Per crucem Dominus velut cum trecentis viris descendit, quia trecentos in crucis imagine signari iam supra monstravimus, ut innumerabilem numerum hostium, id est legiones daemoniorum, exterminaret et perderei » 73 . Un pò dopo, il predicatore non si lascia sfuggire l'altra simbolica dei 300 accennata da Origene: che Gedeone suddivida la sua schiera in tre centinaia, è una allusione alla Trinità, poiché la vera fede nella Trinità consustanziale è possibile soltanto nella forza della 71 Carmen advttsus Marcionitas, 3, v. 90. 92. 97 (CChr TERTULLIANO II, p. 1436). Cfr. l'edizione critica di M. MULLER, Untersuchungen zum Carmen adversus Marcionitas, Ochsenfurt-Wiirzburg 1936. - Cfr. anche sopra, p. 363S. ,a Tractatus Origenis, 14 (BATIPFOL, p. 153, 1. 6-10). " Ivi (p. 153, 1. 21 sino a p. 154, 1. 3).
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croce (qui risuonano intenti antiariani, che già conosciamo dall'allegoria dei 318 Padri conciliari): «Quia necesse erat ut imago crucis, per quam trecenti in Tau littera figurantur, Trinitatis distributione constaret. Nemo enim vincit nisi qui Pattern et Filium et Spiritum Sanctum aequali potestate et indifferenti virtute crediderit » 74 . Verso la fine di questa inesauribile predica sul « mysterium » della battaglia di Gedeone, appare chiaro quanto siano strettamente connessi, nel pensiero immaginoso di questi allegoristi, i tipi misticonumerici. Nel giubilo retorico per questa vittoria conquistata nel segno della croce, gli viene in mente il ricordo dell'altra vittoria, ossia di quella dei 318 servi di Abramo, che sconfissero i cinque re: «O fortissimum bellum, ο admirabile praemium et praedicanda Victoria, ut innumerabilem numerum hostium tre centi homines, qui signum crucis numero suo signabant, debellarent! Sic et Abraham quinque reges barbaros cum exercitibus eorum cum trecentis decem et octo vernaculis vicit ». E ritorna, accuratamente chia rita, l'antica gematria del numero 318: «Qui numerus vernaculorum trecentis constitutus signum, ut saepe dictum est, crucis perspicue lineabat. In decem et octo autem nomen Jesu evidenti ratione monstrabo : decem et octo anim apud Graecos iota et cappa (leggi: età) signantur, quibus litteris nomen Jesu scribitur » 75 . GREGORIO DI ELVIRA, a cui i Tractatus Origenis van attribuiti, è contemporaneo di AMBROGIO, che, forte precisamente della tradizione dottrinale e conformemente alla teologia della croce che intesse i suoi pen74 75
Μ (ρ. 157, 1. 9-11)· Ivi (ρ. 158, Ι. 14 sino ρ 159. 1 3)·
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sieri spiega l'allegoria degli uomini di Gedeone, poiché tutto ciò che è successo nell'Antico Testamento è « mysterium » in riferimento a Cristo : « Praevidit ergo mysterium sanctus Gedeon. Denique trecentos elegit ad praelium, ut ostenderet non in numero multitudinis sed in sacramento crucis m u n d u m ab incursu graviorum hostium liberandum » 76 . È di grande interesse appurare una buona volta in qual modo questo topos sia stato trasmesso oltre, anche se attraverso una semplice trascrizione. Il testo di Ambrogio appena citato ritorna infatti alla lettera in una predica pseudoagostiniana, che Morin per primo ha dimostrato essere proprietà genuina di CESARIO DI AELES 77 . Soltanto che il predicatore gallo aggiunge ancora una volta la m o tivazione quasi mai tralasciata dai Latini : « Trecenti enim in graeca T, Tau, similitudinem crucis ostendunt ». E alla fine della predica riassume il tutto nell'insistente insegnamento, che indica quale valore si fosse riposto, anche catecheticamente, in questa allegoria: « Gedeon, fratres dilectissimi, typnm gessit Domini Salvatone. Et quia trecenti secundum graecum computum crucem faciunt, ita tunc Gedeon in trecentis viris Judaeorum populum de crudelissimis gentibus eripuit, quomodo Christus per mysteryum crucis totum genus humanum de potestate diaboli liberavit » 78 . Da ora in poi ciò resta indimenticabile anche per il pio medioevo. La mistica numerica della lettera Tau, desunta dall'antica Chiesa greca, esposta ininterrottamente ai ,e
De Spiritu Sancto, I, I, 5 (PL 16, 705 A).
"
PS.-AGOSTINO, Sermo, 36, 3(PL 39, I 8 I 6 S ) . - CESARIO DI ARLES,
Sermo 117, 3 ( M O R I N I, p. 467, 1. 1-4). 78 Sermo 117, 6 ( M O R I N I, p. 468, 1. 16-20).
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Latini, appartiene ai brani più popolari dell'allegoresi. AGOSTINO riassume tutto ciò brevemente nelle sue prediche sui Salmi: « 300 in quo numero crucis signum est propter Tau litteram quae in graecis numerorum notis trecentos significat »79 Solo la forma della lettera Tau, più precisamente della lettera latina Τ che gli corrisponde, presenta qua e là agli interpreti alcune difficoltà. Ci volle infatti del tempo prima che nella Chiesa latina ci si abituasse a vedere la croce non come una crux commissa, ma come crux immissa. Così è anche importante, archeologicamente, ciò che alla fine dell'epoca patristica GREGORIO MAGNO sa dire nella sua interpretazione, per il resto tradizionale, dei soldati di Gedeone e che il medioevo gli ha spesso attribuito. Il Tau, così egli, indicherebbe soltanto la somiglianza con una croce e di per sé si dovrebbe aggiungergli ancora il trattino superiore, che è al di sopra del trattino trasversale, poiché soltanto così rappresenterebbe una vera croce : « Notandum vero est quia iste trecentorum numerus in Tau littera continetur, quae crucis speciem tenet. Cui si super transversam lineam id quod in cruce eminet, adderetur, non iam crucis species, sed ipsa crux esset »80. Come si vede, la sensibilità per così dire « greca » per l'allegoria è al tramonto, e Gregorio non sa più nulla dell'origine, ancor così ben nota a Gerolamo, del segno di croce Tau dal modo cruciforme di scrivere il Taw « samaritano ». " Enarr. in Psalm. 67, 32 (PL 36, 833 B). 80 Moralia in Job, 30, 25 (PL 76, 566 A).
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In fine, per concludere, un richiamo ad uno sviluppo posteriore, soltanto raramente ripreso, dell'allegoria del segno trecento della mistica Tau. Lo incontriamo in IPPOLITO, e comprendiamo questa oscura spiegazione soltanto alla luce della tradizione delineata più sopra, che in ultima analisi promana da Ez 9,4. Ippolito parla dell'unguento prezioso di Mar 14,4. e Giov 12,5, che si sarebbe potuto vendere per trecento denari : « Esso costava alla vendita trecento sicli. Ο uomini, ciò che è stato detto indica una certa immagine ! E dunque, chi era questo unguento, se non Cristo stesso? Questo prezzo in sicli non designa forse ancor prima della passione i patimenti stessi? » 81 . L'eguaglianza 300 = croce, qui sottintesa, viene presupposta come nota. AMBROGIO ha imitato quest'allegoria, quando parla del prezioso unguento della Maddalena e vede nel suo prezzo un « tipo » della croce : « Trecentorum autem aera crucis insigne declarat » 82 . Con ciò abbiamo terminato la nostra scorsa attraverso l'allegoresi patristica del mistico segno Tau. Quanto fosse popolare e vivo questo punto dottrinale, lo si può dedurre ancora dalla sua sopravvivenza nel primo medioevo, su cui vale la pena gettare uno sguardo. Può anche darsi che nei Padri ci sia ancora qualche accenno al significato del Tau come segno della croce e del numero simbolico 300 e molto sarà sfuggito al nostro studio. Ovunque gli antichi allegoristi incontrino il numero 300, riaffiora immediatamente la tendenza a trovarvi il mistero di Ezechiele. Così MASSIMO " Commetti, in Cani. Canticorum, 2 (Texte und Untersuchungen, 23, 2, Lipsia 1902, p. 33, 1. 17-22). •" Comment. in Lucam, 6, 30 (CSEL 32, 4, p. 244, 1. 9).
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viene spinto a tracciare la sua teologia del Tau, come segno che indica 300 e il mistero della croce, dai dati numerici del popolo che ritorna dalla cattività babilonese e che Neemia (7,66) fa ammontare a 42*360 persone: egli vi intesse sopra un capitolo ricolmo di antica mistica dei numeri sui misteri di questo numero, il cui punto centrale è la interpretazione di 300 83 . In quell'allegorista del secolo XII, particolarmente interessato a queste cose, che fu BERENGOSO DI TREVIRI, incontriamo la mistica interpretazione dei trecento sicli, che Giuseppe egiziano donò al fratello Beniamino (Gen 45,22), e subito segue la nostra allegoresi del mistico Tau, perché Giuseppe poteva compiere questo mistero soltanto alla luce delle profezie del futuro : « Haec est illa lux quam interioribus oculis eius spiritualiter insedit, dum Benjamin fratti suo trecentos argenteos dedit, ut vos, dilectissimi fratres, in eisdem argenteis nihil aliud intelligere debeatis nisi mysterium crucis et fidem sanctae Trinitatis. Haec est illa lux quae per trecentos numeros, qui continentur in urterà Tau, fìguram crucis quotidie nobis ostendit in imagine Jesu» 84 . Vediamo di qui (qualunque sia la fonte, a cui ha attinto questa interpretazione) ciò che pensava il pio uomo di quei giorni, quando guardava all'immagine della croce del Signore: egli vi vedeva sempre il segno Tau e il mistero della redenzione che vi si nasconde. CONFESSORE
Il primo medioevo trovava l'ingresso più facile in questo mondo di idee, per il fatto che Isidoro di Siviglia, che aveva letto tutti i testi dei Padri, aveva ri83 84
Quaestiones ad Thalassium, 55 (PG 90, S36ss). De mysterio Ugni dominici (PL 160, 993 C).
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levato accuratamente e radunato vari filoni dell'allegoresi del mistico Tau. Ancora una volta sfilano dinanzi ai nostri occhi i servi di Abramo, gli uomini di Gedeone e l'angelo che segna il mistico Tau 85. Per lui, tutto è un rinvio al mysterium della croce: « Gedeon qui cum trecentis viris perrexit ad praelium, typum Christi gestavit, qui in signo crucis de mundo victoriam reportavit. Trecentorum enim numerus in Tau littera continetur, per quam crucis species ostenditur »86. Isidoro e, dopo di lui, la Glossa ordinaria sono i punti focali, in cui si concentra l'allegoria dei Padri per irradiare sul medioevo la sua luce. Mediante essi, l'allegoresi medievale resta consapevole di ciò che già si trovava negli Onomastica sacra dell'antichità cristiana e sa benissimo che per i Greci Tau significa signum 87. A sua volta signum per essi è sempre semplicemente il segno della croce. Oltre a ciò, ci sono gli allegoristi del periodo carolingio e poi quelli del XII secolo, così eruditi negli scritti dei Padri, che sanno citare i testi per lo più senza notarne la fonte. Così ad esempio, parla un DUNGAL, 88 (restando nel contesto nautico della antenna crucis e della traversata della vita, che avviene in virtù della croce), per esporre la sua dottrina del mistico Tau con le parole di Gerolamo, che anche BEDA ha conosciuto, come vedemmo allo inizio. PASCASIO RADBERTO sviluppa la teologia della croce partendo dal concetto che il Tau è l'ultima let8S Per ricordare qualche passo (PL 83, 230 B. 231 A. 239 A 534 B C ) . 8 « Allegoriae, 76 (PL 83, 111 B).
*' Cfr. ad esempio R A B A N O M A U R O MIGIO D'AUXERRE, (PL 131, 145 A). 88
Advetsus Ckudium
(PL
(PL 105, 488 D).
ni,
1183 B ) . - R E -
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tera dell'alfabeto greco e con ciò il « segno » di tutta la salvezza e del compimento 89 . Infatti cosi afferma nella sua frase, che rivela ancora una volta la legge fondamentale di questa mistica dei numeri: « Omnes litterae signa sunt verborum, verba rursus signa sunt rerum». BERENGOSO DI TREVIRI, senza citare la fonte, fa sue le parole di Gregorio Magno, ove interpreta i servi di Gedeone e la segnazione di Ezechiele come Tau della croce 90 . Lo Ps. - UGO DI SAN VITTORE spiega allegoricamente gli uomini di Gedeone con le parole desunte da Agostino, sempre senza citare la fonte 91 . RUPERTO DI DEUTZ prende parola per parola da Gregorio la sua allegoria dei 318 servi di Abramo, senza fare il nome di Gregorio 92. La cosa è evidente : i Padri sopravvivono. La dottrina del mistico Tau trova forse la sua più bella applicazione in Innocenzo III. Le sue parole sono come il commiato dalla comprensione della recondita bellezza di questa teologia patristica della croce. Scrivendo al Katholicos dell'Armenia a proposito della crociata, che deve salpare da Venezia, egli la vede in spirito come i segnati con il segno Tau in Ezechiele93. E nell'allocuzione al Concilio Lateranense IV del 1215 riprende ancora una volta i concetti dell'allegoria, di cui ora conosciamo la storia: « Hinc transire praecipitur per mediam civitatem et signare Tau super frontes virorum gementium et dolentium. 89 90 81 92
Expositio in Lament. Jeremitte, 1 (PL 120, n o o s ) . PL 160, 1005 B C . Miscellanea, 1, 181 (PL 177, 579 BC.) In librum ludic, 11 (PL 167, 1038 C ) . - Cfr. anche PL 167,
380 D. 381 A. - Inoltre i versi di ILDEBERTO DI LE M A N S sul mistico
segno di croce del Tau. 93 Epistola 46 (PL 214, 1012A).
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Tau est ultima littera hebraici alphabeti, exprimens forman crucis, qualis erat antequam Domino crucifixo Pilatus titulum superponeret » 94 . Si osservi come venga superata la difficoltà, che affiora sin dal tempo di Gregorio, di conciliare la forma di croce del Tau con la forma divenuta usuale della croce come crux immissa; il trattino che si eleva al di sopra della stanga trasversale e che toglie alla croce la sua forma originaria di Tau, viene spiegato come il pezzo del titolo della croce che si eleva al di sopra della stanga trasversale del Tau. In un altro passo, ciò da a questo papa, amante della liturgia, la possibilità di immettere nell'ambito dell'antica teologia del mistico Tau la lettera Τ (del Te igitur clementissime Pater), con cui è adornato ora il Canone dei messali; Innocenzo vi vede un'ordinazione della divina provvidenza: «Et forte divina factum est prowidentia, licet humana non sit industria procuratum, ut ab ea littera Τ Canon inciperet, quae sui forma signum crucis ostendit et exprimit in figura. Τ namque mysterium crucis insinuat, dicente Domino per prophetam: signa Tau in frontibus virorum gementium» 9 5 . Ciò potrebbe costituire la ragione per cui l'arte di dipingere i libri nel medioevo abbia dato alla Τ della prima parola del Canone l'immagine della croce e molto presto l'abbia posta spontaneamente sulla pagina opposta a quella ove ini zia tale preghiera.
" Sermo 6 (PL 217, 676 BC; Ó77A). •s De sacro altaris mysterio, 3, 2 (PL 217, 84OS).
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3. LA CROCE COME MISTICO TAU NELL'ARCHEOLOGIA
Dalla storia letteraria dell'allegoria del segno della croce come mistico Tau sorge ora una serie di domande, imposteci dalla indagine archeologica e storicoartistica della rappresentazione della croce. Naturalmente qui ci accontenteremo di porre in più chiara luce solo questo ο quel punto del materiale archeo logico illustrato dagli specialisti96. La storia letteraria, che, gli archeologi sino ad ora non avevano a loro dispo sizione con questa completezza, ci sarà di valido aiuto. In primo luogo è importante per una più precisa conoscenza dello sviluppo archeologico della rappresentazione della croce, ricordare le testimonianze che abbiamo presentato dopo il dubbio di Gregorio Magno circa la genuina e completa forma di croce della lettera Tau: esse non sono soltanto delle trascrizioni letterarie, ma dimostrano chiaramente che la comprensione immediata della simbolica del Tau doveva necessariamente sfuggire al medioevo a causa della forma di croce usata da esso. Questo problema non esisteva ancora per il cristiano antico al quale la aux commissa era molto più familiare che non al tempo in cui la rappresentazione della croce ritenuta da tutti come « storica », portava di solito la scritta della croce ο persino " Per l'archeologia della croce come mistico segno del Tau cfr. J. GHETSEK, De s. Cruce, Ratisbona 1734, v. I, p. iss (alla sua erudi zione attingono gli autori del sec. XIX). - R. GARRUCCI, Storia del l'arte cristiana, Prato 1881, v. I, pp. 155-158. - J. B. DE ROSSI Roma sotteranea, Roma 1877, v. 2, tav. XXIX sino a XLIV. - J. WILPEET, La croce sui monumenti delle catacombe, in Nuovo Bullettino, 1902, tav. VII, n. I, 3 e 4. - C. M. KAUPMANN, Handbuch der chrìstlichen Archaologie, Paderborn 1922, 3 ed., p. 269S. - FR. J. DÓ'LGER, Ichthys, 1, 1928, p . 321.
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il corpo del crocifisso, e perciò la crux immissa era la forma che veniva quasi esclusivamente in mente. Senza addentrarci più a fondo nella storia archeologica per molti aspetti complicata di questo sviluppo, ci limitiamo a notare che, per quel che ne sappiamo, non si è prestato sufficiente attenzione a questa difficoltà sorta dal tempo di Gregorio, e che è di grande importanza per lo sviluppo della storia dell'arte della forma della croce. Basandosi sulla somiglianza tra Tau e croce, così naturale per il cristiano greco e continuamente inculcata ai cristiani latini, varie opere d'arte dell'antichità cristiana e varie rappresentazioni, su cui gli archeologi sono discordi, potrebbero essere più coraggiosamente interpretate nel senso di una croce rappresentata consapevolmente, anche se in modo misterioso. Le pietre sepolcrali delle catacombe, sbarrate con una Τ chiaramente dipinta, delle quali dava notizia già il DE Rossi 97( significano (lo possiamo dire senza timore, oggi) la vita aeterna nell'immagine della mistica croce del Tau. La stessa cosa possiamo dire a proposito della rappresentazione della croce con il segno Tau, che troviamo su sculture, come ad esempio per una corniola del Museo Kaiser Friedrich di Berlino, che FR. DÒLGER ha interpretato 98 ; lo stesso si dica della corniola, già menzionata in connessione con Γantenna crucis: GARRUCCI, già cento anni fa, ha riconosciuto lo stretto legame dei due simboli, di quello nautico dell'antenna e di quello mistico letterario del Tau (e noi possiamo confermarlo ora in base alla storia letteraria da noi esposta) : L'albero e l'antenna sono congiunti per modo 97 98
Cfr. anche D A C L I, 2, col. 2010, n. 561. - Col. 2022, a. 578. Ichthys I (192S) p. 321.
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che per la terza volta (si può vedere sulla stessa carinola, al fianco del vero Tau, anche un'asta dell'ancora in forma di Tau) ci rappresentano il Tau " . WILPERT cita altri esempi di croci significate con la lettera Tau. Tutto ciò è ben noto agli archeologi e non è il caso di insistervi. Ben altrimenti stanno le cose quanto al problema, che - se la nostra modesta conoscenza archeologica non c'inganna - sino ad oggi non è stato mai impostato e risolto con precisione. Si tratta del significato da dare al raro segno alfabetico, che nelle rappresentazioni antiche cristiane così spesso si trova sul lembo del mantello ο della toga di Cristo ο di uomini biblici ο di martiri 10°. WILPERT era propenso a vedervi sol tanto dei semplici ornamenti. A nostro avviso, non c'è dubbio (se si conosce la mistica delle lettere nell'antichità cristiana), che qui si tratta di segni, che ricevono la spiegazione del loro significato dal mondo della simbolica gematrica dell'alfabeto, in cui ci ha introdotti il « topos » del mistico Tau. In questa ricerca noi partiamo dal fatto che molti di questi segni sono evidenti segni della croce: così, ad esempio, sull'orlo del mantello di Mosé nella forma del Tau samaritano + 101, così sul mantello dell'angelo di Tobia ss La Civiltà Cattolica 28 (1857) p. 737S. - Cfr. sopra, a p. 683, nota 214. 100 II materiale più fàcilmente ritrovabile in J. WILPERT, Die Malereien der Katakomben Roms, Friburgo 1903, testo p. 355; tavola 40, 2 (Cristo con il segno iota) ; tav. 54, 1 (santo con iota) ; tav. 60 (Mosé con iota); tav. 101 (idem); tav. 98 (Mosé con tau), per nominarne soltanto alcune. - Cfr. anche J. WILPERT, Die romischen Mosaiken una Malereien, Friburgo 1916, tavola 102 (Cristo con iota ο zeta). 10 ! Die Malereien der Katakomben, tav. 122, 1.
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come croce uncinata chiaramente disegnata 102 . Ora le rimanenti lettere che spesso appaiono sugli abiti sono lo Iota, il Gamma, la Zeta e il Tau. Queste lettere non potrebbero essere un simbolo del segno della croce? Il significato loro comune non sarebbe la signatio con il segno della salvezza e della vita? Quanto alla marcatura con un Tau chiaramente visibile, quale quella sul mantello di Mosè, la domanda dovrebbe senz'altro ricevere una risposta affermativa. Ora noi osiamo affermarlo anche per tutte le altre lettere. Ci incoraggia a ciò, anche se potremmo sbagliarci in questo nostro entusiasmo per i simboli, un testo piuttosto tardivo di RABANO Μ ALTRO, la cui opera De laudibus crucis è piena di conoscenze, svanite per noi posteri, della gematria e della mistica delle lettere dell'antichità cristiana. Rabano presenta una lista delle lettere dell'alfabeto greco, le quali sono tutte un segno simbolico della croce: e, molto sorprendentemente, sono proprio le stesse lettere, che incontriamo sugli antichi dipinti cristiani: « Quattuor igitur sunt litterae quae crucis effigiem conficiunt, Γ videlicet, Ζ, Τ et 103 X » . Quindi esse vengono interpretate anche nel senso dei testi patristici secondo il loro valore numerico valido nella gematria cristiana: Gamma è lo stesso che tre e significa la fiàes Trìnìtatis. Zeta è lo stesso che sette e significa la spes fidelium. Tau è lo stesso che trecento e significa la caritas, che si manifesta nella morte di croce di Dio : « Caritas quoque per Tau exprimitur quae sanctae crucis tenet imaginem ». La lettera Chi, infine, è Io stesso che mille e significa la aeterna beatitudo. 10a 103
Ivi, tav. 212. R A B A N O , De laudibus Crucis, I, fig. 14 (PL 107, 205 B C ) .
IL MISTICO TAU
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Se si pensa inoltre, che lo Iota, che ricorre spesso proprio sulle immagini catacombali, nell'alfabeto greco sovente è lo stesso che Zeta e per giunta, assieme alla Età, come vedemmo (e anche questa lettera s'incontra nelle marcature di vestiti), rappresenta precisamente anche il valore numerico diciotto e dunque l'inizio del nome di Gesù; e se aggiungiamo inoltre ciò che RABANO stesso sapeva quanto alla simbolica della lettera Chi 1 0 4 e più tardi ONORIO DI AUTUN poteva ancora dire: «Littera Chi prima in nomine Christi decem significat et formam crucis exprimit » 105 : allora non dovrebbe essere più troppo arrischiato vedere nei rari segni alfabetici dell'antica arte cristiana la simbolica del « signum » della croce e dei suoi effetti redentivi. Questo testo di Rabano, sino ad ora trascurato, non dovrebbe dunque aprirci una strada verso la spiegazione di quei segni alfabetici, nei quali la viva conoscenza dei simboli degli antichi artisti cristiani ha veduto il segno dei salvati nella croce, da Abramo e Mosè sino ai martiri? Noi poniamo ad ogni buon conto la domanda. Un ultimo problema dell'archeologia e della storia dell'arte del segno della croce riceve ora una risposta ancor più precisa, dopo che abbiamo presentato la storia dei testi del mistico segno Tau. È noto che già nell'antichità cristiana le architravi dei santuari e delle abitazioni erano volentieri adornate di un segno di croce, senza dubbio in ricordo della marcatura delle porte con il sangue dell'agnello pasquale, come fu prescritto agli Israeliti in Egitto da Es 12,7.7.13. FR. J. DOLGER ha dato questo significato ad un'antica be104 PL 107, 284 D . « s PL 172, 878 D .
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riedizione cristiana di una porta, conservata su un papiro, contenente una formula del sangue di Cristo 106. E J. WILPERT ha richiamato l'attenzione sul segno di croce tracciato con minio nella forma del Chi greco, che si vede sull'ingresso dell'ipogeo in San Callisto 107. In base alla storia del mistico segno Tau ora comprendiamo più chiaramente la forma in cui si è escogitata per lo più questa marcatura con la croce: l'allegoria dal racconto di Ez 9,4 influisce anche sulla conformazione di queste croci delle porte. Si benedicono case e chiese con il Tau. Bisogna pensare a un uso veramente reale, quando ZENO DI VERONA dipinge la Chiesa come un tempio consacrato a Dio, sulle cui porte si eleva il segno della croce nella forma del mistico Tau: « Et patentes semper duodecim portae, quas ab hostili defendit impulsu in modum Tau litterae prominens lignum » 108 . Così possiamo farci un'idea anche dei segni di croce posti sulle abitazioni profane dei cristiani, che, secondo quanto riferisce CIRILLO ALESSANDRINO, l'imperatore Giuliano l'Apostata ha visto dovunque: è semplicemente il « semeion », secondo il testo dei LXX di Ez 9,4 109. E che sia così, lo dimostra la predica di un'anonimo Greco sulla croce come semeion, là dove l'oratore dice: «Per questo noi dipingiamo con grande zelo questo semeion sulle case, sui muri e sulle porte 10 * Fu. J. DOLGER, Ein Tursegen mit der Blut-Christi-Formel und cine Blut-Christi-Littmei, in Antike una Christentum 5 (1936) p. 248-254. «" Die Malereien der Katakomben Roms, testo, p. 495S., fig. 46. 108 De spirituali aedificatione domus Dei, 1, tr. 14, 3 (PL 11, 358 A). 109 Contro Julianum, 6 (PG 76, 797 A). - Cfr. anche PAOLINO DA N O L A , Epistola 32, 12 (CSEL 29, p. 287, 1. 26-28).
733
IL MISTICO TAU
110
della città sulla fronte e sui cuori » . Non è altro che il Tau. Anche questo (parallelamente al rinnovamento allegorico su esposto, avvenuto nei secoli XI e XII) non è stato completamente dimenticato nel medioevo. Quanto ADAMO DI SAN VITTORE afferma poeticamente nella sua sequenza della croce era ancora cosa nota: « Nulla salus est in domo nisi cruce munit homo superliminaria » m . Questa marcatura delle porte con la croce è una signatio con il mistico segno del Tau. Perciò la leggenda scritta intorno al cavaliere romano scolpito sulla porta d'ingresso della chiesa di Holzkirchen, comprensibile soltanto in base alla nostra storia dei testi, suona così: « Aedibus in nostris sit Tau tua dextera Chri[ste » 112 . E ancora all'inizio del secolo XVI un monaco cistercense di Bobenhausen pone sulla porta della sua cella il Tau con le parole: « Tau super has postes signatum terreat hostes » 113. 110 Ps.-Crisostomo, Homilia de adoratione Crucis (PG 52, 838 A; 841 C ) . - Cfr. anche CRISOSTOMO, Adversus Judaeos, 9 (PG 48, 826 A). 111 Sequenza della Croce, Strofa 6 (ed. FRANZ WELLNER, Adam voti St. Victor, Sàmtliche Sequenzen, Vienna 1937, p. 144. 112 Reso noto da FR. J. DOLGER, in Antike und Christentum 5 (1936) p. 251. 113
Egualmente in
DOLGER,
op.
cit.
734
L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
Un inno del secolo XII alla santa croce canta parimenti in ricordo della protezione degli Israeliti contro l'angelo sterminatore elargita mediante la marcatura con il sangue dell'agnello: «Per te salvatur Israel ab hostis exterminio praesignavit Ezechiel sub Tau te mysterio » 114 . In questo senso l'arte romanica di preferenza ha rappresentato la marcatura delle architravi delle porte degli Israeliti con il mistico Tau, allo stesso modo la marcatura degli eletti in Ezechiele 115. Sul medaglione di una vetrata di Saint Denis c'è la scritta, che riassume tutta la nostra storia testuale in un'immagine visibile e leggibile: Signum Tau116. 114 Analecta Hymnka, 43, Lipsia 1903, p. 22. - Cfr. pet ciò un altro Inno, anch'esso del secolo XII, in cui viene descritta la figura umana nella sua somiglianza con la croce: «Est quoque Tau vivifico insignitus signaculo, prodens per hoc quod proprius sit Crucifixi servulus ». MONE, Lateinische Hymnen des Mittelalters, Friburgo 1853, ν. ι, p. 313. 115 Per la rappresentazione della signatio ezechieliana con il segno di croce del Tau, cfr. W. NEUSS, Das Buch Ezechiel in Theologie una Kunst bis zum Ende des 12. Jahrhunderts, Miinster 1912, fig. 66, p. 260. Cfr. anche p. 32, nota 6; p. 108; p. 134, nota 1. - Una rappre sentazione non ricordata da Neuss è quella di cui E. G. MILLAR, Les prtndpaux manuscripts a peinture du Lambeth Paìace à Londres, Parigi 1924, tav. 7. - Per la segnatura degli Ebrei con la lettera tau cfr. in E. MALE, L'art religìeux du Xlle siede en Frante, Parigi 1928, 3 ed., p. 160. il ° Riproduzione in E. MALE, op. cit., p. 155, fig. 122 e 123. Cfr. anche una rappresentazione un pò più tardiva appartenente al periodo gotico in E. MALE, L'art religieux du XlIIe siede en Frante, Parigi 1931, p. 143 e 158.
IL MISTICO TAU
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È stato un lungo sentiero, quello di cui abbiamo riscoperto le traccie in questo capitolo quasi dimenticato dell'allegoresi patristica; esso ci ha apparentemente portati lontano dal tema fondamentale dell'antenna crucis. Ma in realtà soltanto ora ci troviamo proprio al centro di quel mondo di simboli costituito, in ultima analisi, da rappresentazioni nautiche. Poiché tutto gira misteriosamente attorno al popolare mistero della croce e cerca di esprimerlo in migliaia di immagini, che dicono sempre e soltanto una cosa: la salvezza è nel legno della croce del Signore, dunque, parlando per immagini, nel legno della nave, nell'albero e nell'antenna, proprio come nel mistico segno Tau. Si tratta della scientia Crucifixi, di cui PAOLINO DA NOLA scrisse, dove raduna ancora una volta tutte le nostre immagini, per poi trasferirle al simbolo nautico, a cui sarà dedicato un capitolo specifico: alla nave della salvezza, che qui è l'arca di Noè, le cui misure ancora una volta portano il mistero del segno Tau. Così, come Abramo consegui la vittoria nella forza del segno Tau, allo stesso modo le misure dell'arca del mistico Noè assicurano la vittoria e la vita eterna : « In sacramento crucis, cuius figura per litteram Tau numero trecentorum exprimitur, adversarios principes debellavit: cuius mysterii virtute trecentis in longum texta cubitis superava arca diluvium, ut nunc Ecclesia hoc saeculum supernavigat. Ita et nos non nostris opibus aut viribus freti sed unica Crucifixi scientia elevemus ad ipsum oculos nostros» 117 . Le due cose vanno insieme: la nave della Chiesa, che viene prefigurata nell'arca, e il mistico segno Tau, in cui veniamo salvati. Anche "' Epistola 24, 23 (CSEL 29, p. 222, sino a p. 223,1. 7).
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
il poeta del tempo romano le vede insieme in un'unica immagine : « Ligno crucis fabricatur arca Noe qua salvatur mundus a miseria. Carnem nostrani sic confige vitiisque crucifige Signo Tau nos inscribe » 118 .
118
Attuicela Hymnka 8, Lipsia 1890, p. 29S.
6.
IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA
La dommatica patristica della salvezza dell'anima, della sua certezza e della sua precarietà, è racchiusa nell'immagine della nave della Chiesa, che è costruita col legno della croce e il cui albero con l'antenna costituisce la figura salvifica della croce. Sinora siamo andati alla ricerca delle orme di questa teologia simbolica. Ora, secondo quanto avevamo promesso 1, dovremmo parlare dei due prototipi biblici di questa nave sicura e ad un tempo in pericolo: dell'arca di Noè e della nave di Pietro, che occupano ambedue un posto importante nella teologia patristica della Chiesa e, a partire da questa, anche nell'antica archeologia cristiana. Ma prima di soddisfare a questa promessa, è necessario indicare ancor più precisamente ove sia il pericolo mortale, verso cui si dirige il cristiano, quando si affida per la vita e per la morte alla nave della Chiesa, sicura, ma pur sottoposta a tempeste. Infatti solo in questa dialettica nautica di pericolo e di approdo, di naufragio e di tavola di salvezza, di tempesta di onde e di 1
Cfr. sopra, p. 735.
738
L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
porto tranquillo, espressa in immagini, si comprende la dommatica che vi sta dietro e che dice come la salvezza è certa ed incerta ad un tempo, la fede è giustificante e tuttavia si può perdere per propria colpa, la grazia del battesimo una volta perduta può essere recuperata mediante la penitenza. Siamo così giunti a quel settore della teologia simbolica, in cui si è formata la dottrina della penitenza come secunda post naufragium tabula, rimasta famosa sino al Concilio di Trento. La tavola della salvezza recuperata ancor una volta nella penitenza è, come già accennavamo più sopra, « una tavola del legno della croce, un ultimo pezzo della partecipazione salvifica alla nave della Chiesa costruita con il legno della croce » 2 . « Tu crux desperatis tabula suprema », cantava il m e d i o e v o 3 : e si tratta di una eco lontana della teologia simbolica, che ora cominciamo a spiegare. Questa tavola della penitenza è Γΐκριον, l'asse di legno, a cui il Signore fu inchiodato e che porta « il m o n d o divenuto naufrago » sino al porto tranquillo. Essa è il « piccolo legno, a cui gli uomini affidano le loro anime » (Sap 14,5 L X X ) 4 . Pertanto ricominciamo la nostra traversata patristica e cerchiamo di esplorare il settore nautico della antica teologia cristiana della penitenza. Per comprendere la ricchezza di questo mondo patristico di immagini, e in esso la dommatica patristica della Chiesa, è necessario anche qui dimostrare con la letteratura antica quanto fosse familiare ai naviganti greci e r o mani la realtà, e quindi anche il significato simbolico, 2 8 4
Cfr. sopra, p. 604. F. J. M O N E , Lateinische Hymnen des Mittelelters, 1853, v. 1, p. 142. Cfr. sopra, p. 575; 595.
IL
NAUFRAGIO
E
LE
TAVOLE
DELLA
SALVEZZA
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del naufragio e della tavola della salvezza: soltanto per questo trarremo dal materiale sterminato della letteratura classica alcuni elementi più importanti, che ci permetteranno di passare poi a commentare l'espressione immaginifica e familiare anche a Paolo, del « naufragio nella fede»: τί\ιες περί τήν πίστιν έναυάγησκν (Tim 1,19)· Infatti per comprendere questa espressione e la spiegazione datane dai Padri della Chiesa è necessario conoscere quel mare, sul quale Paolo subì per ben tre volte naufragio (2Cor 11,25) ed una volta salvò la vita su tavole e rottami di nave (At 27,44).
1. IL NAUFRAGIO Quando l'imperatore Nerone era alla ricerca di mezzi per sbarazzarsi di sua madre Agrippina, il liberto Aniceto gli diede il consiglio di inscenare un naufragio. Poiché, così diceva il consigliere : « Nihil tam capax fortuitorum quam mare» 5 . Ciò vuol dire: in mare può succedere di tutto, il mare è il luogo di ogni sventura. Quanto ne fosse convinto l'uomo antico, lo abbiamo già spiegato più sopra 6. Il marinaio, proprio perché ama i flutti marini, è sempre un « vicino della morte » 7. Egli si sente esposto, impotente, alle insidie del mare cattivo e tuttavia non può permettersi di rinunciare continuamente al temerario ed economicamente vantaggioso viaggio. Qui il naufragio fa parte degli avvenimenti quotidiani, anzi, come si esprime NEMBSIO, delle conseguenze logicamente calcolate dalla 1
T A C I T O , Annales,
6
Cfr. sopra, p. 459-468. Cfr. sopra, p. 530.
7
14, 3
( H A L M , I, p. 284, 1.
16).
740
L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
libera determinazione di affidarsi ad una nave 8. Questa mentalità dell'uomo antico ci è stata dipinta vividamente da A. LESKY 9 . Essa viene espressa nel modo più immediato nei numerosi epigrammi sui naufraghi, che ci sono conservati nell'Anthologia Graeca 10. Il naufragio non porta soltanto morte, ma per lo più anche la perdita, cosi raccapricciante per l'uomo antico, di un luogo di sepoltura u. Il cadavere dell'annegato nuota nudo e freddo tra le onde, diventa pasto degli empi pesci 12 ed anche se gli si erige un monumento sulla riva, si tratta pur sempre di un monumento vuoto, nella cui scritta il morto si lamenta : « Ο se non fosse mai esistita alcuna nave veloce » 1 3 . Questi epigrammi sono certamente dei semplici prodotti di una maniera letteraria, ma nella loro profusione risuona anche la voce della triste esperienza degli abitanti delle coste, i quali, quasi ogni giorno esperimentano che· il mare sospinge a terra i cadaveri dei naufraghi e invitano i tristi e cogitabondi uomini della terra così sicura a piangere la vita fugace 14 . Qui giace, nudo e insepolto B De natura homims, 38 (PG 40, 756 A). * A. LESKY, Thalatta. Der Weg der Griechen zum Meer, Vienna 1947, p. 188 sino a p. 214. Cfr. soprattutto i pensieri sul naufragio in Archiloco (p. 198) e Simonide (p. 202). Da Lesky mi sono stati suggeriti anche: J. KAHLMEYER, Seesturm und Sckijfbruch ah Bild im antiken Schrifttum (Dissertation), Greifswald 1934. - J. DE SAINTD E N I S , Le lòie de la mer dans la poesie latine, Parigi 1935. 10 Anthologia Graeca, 7, 263-279; 282-294; 494-503; 51°; 539; 584-587; 651-654. N u o v a edizione di H. BECKBY, Monaco 19571958, 4 voli. - Cfr. anche LESKY, p. 326, nota 344, con richiamo a Zeitschrift fùr katholische Theologie 6$ (1941) p. 126S. 11 LESKY, p. 36; p. 284S. 12 Anthologia Graeca, 7, 273-276; 294; 506. 13 Ivi, 271. 14 Ivi, 277.
IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA
741
il ricco commerciante viaggiatore, il rischioso viaggio termina con la morte, il padrone della nave, una volta così temuto, spesso non ha trovato neppure una tavola di salvezza nella sua stessa nave. In PETRONIO, dopo un naufragio, lo schiavo Eumolpo trova sulla spiaggia il cadavere del dispotico padrone della nave, Licas, e dice tra le lagrime : « Q u i paulo ante iactabas vires imperii tui, de tam magna nave ne tabulam quidem naufragus habes ». E vi aggiunge dei pensieri funebri morali: « Ite nunc, mortales, et magnis cogitationibus pectora implete » 15 ! L'ultima conseguenza di ciò, secondo lui, è questa: nessuno è sicuro di fronte alla morte, si può perire dovunque, che tutto l'essere umano non è altro che un unico naufragio : « Si bene calculum ponas, ubique naufragium est » 1 6 . Questo è bene comune dell'antichità ed allo stesso m o d o pensano gli oratori cristiani, che non si lasciano sfuggire questa immagine impressionante: AMBROGIO parla del « rapido dirottamento del navigante, che nella caccia al guadagno subisce misero naufragio » 17 . E AGOSTINO predica ai pescatori d'Ippona, che hanno visto spesso cose simili: «Naufragi forte negotiatoris corpus in littore inspexeris, reddis lacrimas miseratus et dicis: Vae huic nomini, propter aurum perdidit animam suam » 1 8 ! Ciò fa parte dell'esperienza quotidiana. Si legga inoltre la poesia di PAOLINO DA N O L A sul naufragio del
suo amico Marziano 19 , oppure la lettera consolatoria di GREGORIO M A G N O ad un suo conoscente salvato dal 15
Saturai, 115 (BtìCHLER, p. 85, 1. 17-19). Ivi (p. 85, 1. 275). " De offuiis, 1, 49, 243 (PL i o , 95 B ) . 18 Sermo 344, 7 (PL 39, 1517). 19 Carmen 24 (CSEL 30, p. 21OS.)
16
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
pericolo del mare 2 0 , ο ancora l'iscrizione funeraria cri stiana di una fanciulla annegata in mare : « Eufronia Eufronii fìlia et maris naufragio enecta » 21 . Cosi, ogni viaggio per mare è un'impresa rischiosa, paragonabile a quel mitico primo viaggio umano sulla nave Argo, che era chiamata anche « l'Ardita », Τόλμα 2 2 . Di qui l'uomo antico derivava un pensiero, che sarà importante più tardi per la nostra teologia simbolica: Chi, dopo un naufragio superato fortunatamente, si arrischia ancora una volta a salire su un legno che viaggia per mare, deve ascrivere un nuovo affondamento soltanto alla sua temerarietà, poiché egli tenta i Celesti. « Chi va due volte per mare, dia la colpa soltanto alla sua temerarietà», dice un epigramma 23 . Lo σχέτλιοε, ossia l'uomo criminosamente audace, vi trova un ναυηγος τάφος, dice DIOSCURIDE 2 4 . Subire due volte naufragio, è morte quasi sicura. « Improbe Neptunum accusai qui iterum naufragium facit», dice un proverbio di PUBLILIO SIRO al tempo di Nerone, che fu lungamente citato 25. Ciò è pensato in modo genuinamente romano, e ancora in AMBROGIO torna questo timore 20 Epistola g, 73 ( M G Epistolae II, p. 91, 1. 26). Cfr. anche il racconto del naufragio nei Diahgi, 3, 36 (PL 77, 3045). 21 E. D I E H L , Inscriptiones latinae velerei christianae, Berlino 1925, v . 1, p . 294, n. 1540. 22 Cfr. sopra, p. 529. - Fu. KXINGNER, Catuììs Peleus-Epos, in Bayr. Akademie d. Wiss., Hist.-Phil. Klasse, Monaco 1956, quaderno 6, p. 9s. 23 Anthologia Graeca, 7, 264. 24 DIOSCURIDE, Epigr., 21, 5 (Anthologia Graeca, ed. JACOBS, I, p. 249). Cfr. anche SENECA, Ad Lucilium epistola, 81, 2 (HENSE, p. 307, 1. 9s.) : « dopo un naufragio si tenta di nuovo il mare ». 25 Minor Latin Poets (The Loeb Classical Library, ed. W I G H T -
D U F P , Londra, HARDT,
p.
158,
1935, p . 3-11). - MACROBIO, Set., 2, 7, 11 1.
5).
(EYSSEN-
IL
NAUFRAGIO
E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA
743
quasi romantico del secondo naufragio : « Utique accusatis crebra naufragia: quis vos navigare compellit? Mare non ad navigandum Deus fecit sed propter elementi pulchritudinem. Denique qui non navigat nescit timere naufragium » 26. Pensiamo che bisogna tener a mente questo pio timore dell'uomo antico di fronte a un secondo disastro in mare, quando più in là leggeremo nell'antica teologia cristiana della penitenza, che la salvezza è « difficilmente » sperabile sulla tavola della penitenza, dopo il naufragio della grazia battesimale. Δυσκόλως γαρ ζήσεταΛ, si dice in una famosa frase del Pastore di ERMA
2 7
. E non senza ragione TERTUL
LIANO giunge a parlare, proprio nel suo libro sulla penitenza, di questo comportamento dell'uomo che viaggia per mare: « Molti, che furono salvati una volta dal loro naufragio, danno da allora in poi il loro sa luto definitivo alla nave e al mare. Essi onorano i doni di Dio, ossia la loro vita corporea, ricordandosi del 28 passato pericolo » . A partire da questa realtà del naufragio spesso esperimentato, ora ci diventa comprensibile anche l'antica simbolica, che vede in questa disgrazia un'immagine sensibile della disposizione dell'uomo alla necessità di morire. «È terribile morire tra le onde»: questa espressione di ESIODO ci dà una specie di preludio 29 . Un epigramma dello PS.-TEOCRITO dice: «Sii, ο uomo, parsimonioso con la vita. Non partire mai più per nave in un brutto momento: anche cosi la vita sarebbe sol*· De Helia et ieiunio, 19, 70 (CSEL 32, 2, p. 453, 1- 7). " Mandatum, 4,
3, 6
( F U N K I, p. 480, 1.
8).
*• De poenitentia, 7, 5 (Corp. Christ. I, p. 333, 1. 14-17). 2
" Erga, 687 e 691
( M A Z O N , p. 111).
744
L'ECCLÉSIOLOGIA DEI
PADRI
tanto corta » 30 . Dunque, dal momento che il navigatore sta sempre tra vita e morte e ad ogni istante il mare potrebbe diventare per lui la porta dell'Ade (lo abbiamo esposto già con più precisione) 31 , il naufragio diventa giustamente l'immagine appropriata della m o r te. In un canto di morte pressoché innico, AMBROGIO dice : « Mare mergit naufragos, exspuit nudos, vestitos exuit, insepultos relinquit » 32 . Conformemente a questo modo di pensare costante nell'antichità, la morte di suo fratello Satiro, che si spense a terra dopo un naufragio superato felicemente, diventa per lui un naufragium in terra33. Vita e morte del viaggiatore stanno sotto l'incomprensibile legge del fato, di Tiche e delle crudeli stelle, nelle cui costellazioni si legge il naufragio incombente 34 . U n o dei più lambiccati detti della scuola di Democrito chiedeva : « Donde viene che il buon pilota a volte incorre naufragio e un uomo coraggioso soggiace a Tiche ? » 35 . Si legga inoltre in LUCIANO DI SAMOSATA la lagnanza, impressionante per la sua comicità, che l'uomo, alle prese con il destino, porta dinanzia a Giove, a riguardo della nave del mondo, regolata così insensatamente dagli dei, la quale è in babà di mille naufragi 36 . Tyche rende ricco il commer-
30 Anthologia Graeca, 7, 534. Cfr. l'edizione di Teocrito a cura di C. GALLAVOTTI, R o m a 1946, p. 240. 31 Cfr. sopra, p. 529SS. 32 De Tobia, $, 16 (CSEL 32, 2, p. 526, 1. 75). 33 De excessu fratris Satyri, 1, 27 (CSEL 73, p. 224, 1. 2-6). 34
VETTIUS VALENS, Anthologiarum, 4, 13
FIRMICO M A T E R N O , Mathes.,
6,
39,
2
(KROLL, p . 182, 1. 6 ) . -
(KROLL-SKUTSCH, II, p. 205,
1. 12-14). 35 H. DIELS, Fragmente der Vorsokratiker, Berlino 1935, 5 ed., p . 2 2 2 , 1. 29S. 33
Juppiter tragoedus, 47 (JACOBITZ, II, p. 374S).
IL
NAUFRAGIO
E
LE
TAVOLE
DELLA SALVEZZA
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dante viaggiatore e mendico il naufrago; lo dice lo stoico ZENONE, quando la disgrazia per mare gli lasciò soltanto il frusto mantello quasi come camicia da morte: « Suvvia, Tyche, così tu ci rendi costoso il povero mantelletto » ! I Padri cappadoci ameranno ancora queste parole dell'antica sapienza 37. E si comprende come il naufragio abbia sostenuto un grande ruolo nell'oniromanzia ellenistica. Innumerevoli visioni in sogno significano un futuro naufragio, come sappiamo da ARTE38 MIDORO ; e il sogno di una disgrazia per mare significa grave disgrazia e morte 39. Se si sogna che tutta la testa viene tosata, ciò significa naufragio, ma senza esito mortale, « poiché, nel pericolo marino, gli uomini si prendono cura di farsi tagliare i capelli» 40 . Si tratta di quei fortunati disgraziati che, nel momento del massimo pericolo, consacrano i loro capelli agli dei: naufragorum ultimum votum, lo chiama PETRONIO 41, poiché essi « propriamente » sono già diventati preda della morte e dell'Ade e quindi, dopo la salvezza sulla tavola sacrificano i loro capelli ai Celesti 42 ; allo stesso modo, più tardi, il monaco cristiano si raserà, quando darà 37 BASILIO, Epistola 4, 1 (PG 32, 257 A ) . - GREGORIO D I Ν Α ΖΙΑΝΖΌ, Poem. moralia, 2, i o , vv. 236-242 (PG 37, p . 697). 38 Così per es. il fendersi del bocchiere; Oneirokritika, 1, 66 ( H E R CHER, p. 61, 1. 8s); un animale infuriato significa naufragio a causa della rottura dell'antenna: 2, 12 (p. 102, 1. 6 ) ; un pes:e nel letto: 2, 18 (p. i n , 1. i o ) ; uno schiavo che balla: I, 76 (p. 69, 1. 6s); un bue n e r o : 5, 56 (p. 264, 1. 9 ) ; Afrodite Anadiomène: 2, 37 (p. 142, 1. 21).
38
Oneirokritika, 2, 23
40
Ivi, 1, 22 (p. 24, 1. 1-5).
41
Saturae, 103 (BUCHELER, p. 74; 1. 14S).
42
(HERCHER, p.
117, 1. 2).
Per il sacrificio dei capelli dei naufraghi cfr. FR. J. DOLGER, Ichthys, Miinster 1922, v. 2, p. 301. - RE VII, 2, col. 2106. - In A T A NASIO la notizia che gli Sciti sacrificano alle divinità i naufraghi (PG 25, 49 B).
746
^'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
inizio alla vita di penitenza e lascerà dietro di sé il naufragio del mondo cattivo. Dunque anche presso i Padri della Chiesa si ammette in modo del tutto generale che colui che va per mare, si trova già in mezzo al mondo sotterraneo 43 , in una specie di morte anticipata, e perciò la morte del peccato è un vero naufragio della vita, come dice AMBROGIO : « Denique iustis mors quietis est portus, nocentibus naufragium putatur » 44. Sempre in previsione della teologia patristica del naufragio nella Chiesa tentiamo ora di approfondire ancor più questa simbolica, tentando di inserire l'eguaglianza mors=naufragium nella dialettica delle estreme contrapposizioni. Viene in primo luogo l'antica e quasi prenautica disposizione di spirito dell'uomo antico, divenuta più tardi romantica, che dalla stabile riva guarda il mare e i rottami delle navi affondate con orrore e ad un tempo con gratitudine per la propria sicurezza. « Quanto è bello guardare il mare dalla terraferma », dice già un frammento di ARCHIPPO 45 . La poesia romana se ne è fatta eco. LUCREZIO scriveva : « Suave mari magno turbantibus aequora ventis ,e terra magnum alterius spectare laborem » 46 . ORAZIO si augura di poter vivere solitario a Lebedo e di li contemplare il rabbioso Nettuno stando su suolo sicuro 47. Il valente marinaio aveva poca comprensione per questa visione egoisti43 GREGORIO NAZIANZENO, Poem. moralia, 2, 16, 20 (PG 37, 780 A). Per la nave dell'Ade cfr. Zeitschrift fiir kath. Theologie 66 (1942) p. 217. - FR. CUMONT, LUX perpetua, Parigi 1949, p. 283-286. 44 De bono mortis, 8, 31 (CSEL 32, I, p. 730, 1. 22s). 45
Frammento 43 (KOCK I, p. 688); STOBEO, Fior., 59, 8 (HENSE
II, p. 402). 46
47
Rer. nat., II, 1
(MARTIN, p. 43).
Epistola 1, 11, 10 (KIESSLING-HEINZE III, ρ. 103). - Cfr. An tologia Graeca 7, 586; sopra, a p. 405.
IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA
747
ca e così si formò il detto romano per condannare colui che è facile a dare consigli : « E terra ne gubernaverit » 48 ; esso risuona ancora in GREGORIO NAZIANZENO 49 , nella sua forma greca. In un momento tempestoso della politica romana, quando dovette lasciare la nave dello Stato che affondava, CICERONE ha gridato : « Nunc vero, cum cogar exire de navi, non abiectis sed ereptis gubernaculis, cupio istorum naufragia e terra intueri » 50 . L'elemento dialetticamente opposto a ciò è rappresentato da un pensiero, che per l'uomo antico divenne la personificazione di ogni pericolo e di ogni disgrazia: anche in porto sicuro si può incorrere in naufragio. Ναυηγοί δ'είσΐν εσω λιμένος, si legge in un epigram ma della Anthologia Graeca s l . Così accadde, come scrisse POLIBIO, agli Ateniesi, quando dopo tante vittorie mandarono tutto in rovina con le lotte intestine 52 . Colare a fondo nel porto era un motivo particolarmente popolare nell'epigrammatica nautica 53 . E il proverbio romano diceva ad un uomo ancor dissoluto in età avanzata : « Navem in portu mergis » 5i. Anche i teologi cristiani dei primi tempi utilizzano queste contrapposizioni, quando d'un lato dipingono la sicurezza della salvezza con Γ « approdo » nel porto 48
LIVIO,
44,
22,
14
(WEISSENBORN-MULLER,
p.
138,
1.
ns).
49
Epistola 138 (PG 37, 276 B). Cfr. anche AGOSTINO, De civitate Dei, 22, 24 (CSEL 40, 2, p. 648, 1. 12-18). 50 Epistola ad Atticum, 2, 7, 4 (ORELL, III, p. 408, 1. 13-15). 51 EMILIANO N I C E O , Epigr. 3, 6 (Anthologia Graeca, ed. JACOBS, Π, ρ. 251). 62 POLIBIO, Histor., 6, 44 (BUTTNER-WOBST, II, p . 294, 1. 26-28). 63 Anthologia Graeca, 7, 625; 9, 34; 36; 106; 398; 11, 248) - K. MULLER, Die Epigramme des Antiphilos von Bysanz, Berlino 1935, p . 70.
64
LESKY,
p.
286.
A. O T T O , Die Sprichwórter dei Ròmer, Lipsia 1890, p. 284S.
und
sprkhwortlichen
Redensarten
748
L'ECCLESIOLOGIA D E I PADRI
sicuro, e d'altro lato la catastrofe nella fede di coloro che sono colati a picco proprio in questo porto. « In portu, ut dicitur, naufragami», aggiunge GEROLAMO nella polemica sull'Origenismo 55 . E papa CELESTINO scrive alle Gallie, durante i tumulti pelagiani, sollevati da alcuni sacerdoti : « Conantur saepe naufragio mergere quos intra portum stantes statio facit fida securos. Fides quippe est omnium statio » 56 . Certamente, predica AGOSTINO, persino nel calmo porto della Chiesa bisogna temere ancora la tempesta e il naufragio, poiché non ci è stata ancora donata la sicurezza : « Ubi ergo securitas si nec in portu?» 57 . A partire da questa simbolica diventa anche comprensibile, che l'immagine riceva soprattutto quella forma filosofico-morale, che più tardi sarà nuovamente presente in Paolo e nei Padri della Chiesa. L' « affondato » morale è naufrago. Già PINDARO canta, con una freschezza letteraria non ancora consunta, il naufragio della vita 58 . Nel periodo ellenistico questo diventa un potos moralizzante. Nel trattato di KEBES intitolato « Pinax » si dice, a proposito degli uomini che vengono cacciati per la loro mancanza di autodominio e per la loro millanteria: ώς ναυάγουσιν εν τω βίω και πλανώνται καΐ άγονται κατακεκρατημένοι ώσπερ ύπο
πολεμίων 5 9 ! FILONE DI ALESSANDRIA dipinge il
pericoloso viaggio della nave delle anime sulle onde del piacere e della ricchezza, che all'inizio sembra an55 Centra loannem Hieros., 37 (PL 23, 390 A). Cfr. anche Adversus Rufinum, 2, 15 (PL 23, 437 C ) . 58 Epistola 2 1 , 1 (PL 50, 529 A ) ; MANSI, 4, p . 455. 57 Enarr. in Psalmum 99, io (PL 37, 1277). M Isthm., 1, 35S (SCHROEDEE, p. 231). Cfr. LESKY, p. 210. " Pinax, 24, 2 (PRAECHTEH, p . 20, 1. 11-13).
IL NAUFRAGIO
E
LE TAVOLE DELLA SALVEZZA
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dare bene, ma poi finisce in un naufragio morale, « quando con tutta la nave dell'anima diamo negli scogli e subiamo naufragio » 60 . Proprio l'uomo che, dopo una vita calma dell'anima, affonda ancora, da vecchio, a causa di tardive passioni, è per lui un naufrago in porto 61 . In LUCIANO Epicuro difende un discepolo, che si è sottratto alle regole della filosofia stoica e « nuota desideroso di quiete » 62 verso il porto come da un naufragio. La sorte toccata a Creso e a Dionisio è un naufragio del fato e3 . Si potrebbero citare ancora molti altri brani: l'immagine diventa trita e ritrita. Si pensi soltanto al fatto che per naufragio della coscienza si intendeva soprattutto la sconfitta nell'amore sensuale. Così prega il giovane, agitato dall'infelice passione, rivolgendosi a Venere ciprigna, che impera sulle onde : « Se tu, ο Ciprigna, salvi coloro che veleggiano sul mare: salvami, ο amata, poiché io, pur stando a terra affondo in un naufragio » 64. Così, Cleopatra divenne per Cesare scoglio di naufragio65, e nella sapienza dei proverbi generalmente si trova : « Naufragium rerum est mulier male fida marito » 65. Gli uomini però ebbero cura, come vediamo in FIRMICO M A TERNO, di attribuire i loro vizi ad una determinata cow
De mut. nominum, 215 ( C O H N - W E N D L A N D , III, p. 193S).
" De somniis, 2, 147 ( C O H N - W I N D L A N D , III, p. 282, 1. 19). Bis accusatus, 21 (JACOBITZ, III, p. 16, 1. 3).
62
63
Somnium seu Gallus, 23 (JACOBITZ, II, p. 394, 1. ss). Anthologia Graeca, 5, 11 (BECKBY, I, p. 246). Impudicizia come naufragio ; le ragazze peripatetiche sono « navi pirate di Afrodite » : Anthologia Graeca, 5, 44 (BECKBY, I, 264). Cfr. anche LESKY, p. 279-281. 65 PLUTARCO, De fortuna Romanorum, 7 (319 F). 66 Dalle cosiddette Sentenze di Catone, in Anthologia Graeca (ed. 84
RIESE,
p.
716).
750
L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
stellazione e di scusare così il loro « naufragium pudoris et existimationis » 67 . Tutto ciò aiuta a conoscere più da vicino l'ambiente, in cui anche Paolo parla, così naturalmente, di « naufragio nella fede » provocato da una coscienza soffocata. Per la comprensione della teologia dei Padri, soprattutto di Tertulliano, è significativo che questo mondo d'immagini divenga vivente ancora una volta nella lingua giuridico-politica di CICERONE. Qui Catilina e i suoi compagni sono il typus delle « esistenze naufragate ». Di qui l'appello alla gioventù romana : « Contra illam naufragorum eiectam ac debilitatam manum florem totius Italiae ac robur educite » 6 8 ! Il filosofo politico è certo che « i più gravi e dolorosi naufragi » avvengono quando uomini pessimi ricevono in mano il timone di R o m a 6 9 . Anche nel campo del diritto privato, in Cicerone, parlare di naufragio del potere del denaro è una immagine continuamente i m piegata 70 (e anche, come mostreremo, della tavola di salvezza, che conduce ancora i naufraghi in porto). <" Mathes., 6, n (KROLL-SKUTSCH, II, p. 94, 1. 9s). - Quando T A C I T O , Annales, 14, 11 ( H A L M , I, p. 289, l. I2s) chiama Agrippina una mulier naufraga, non significa solo il destino mortale che l'attende, ma anche la sua moralità discutibile. - Cosi « naufragio » diventa la trita immagine di qualsiasi disgrazia. APULEIO, 6, 5 parla del naufragium fortunae dell'anima ; un pranzo non riuscito è naufragato: PLUTARCO, Mar., 622 B; un recipiente scoppiato (ESCHILO, frammento 180) ο u n carro sfracellato (DEMOSTENE, 61, 29) sono « affondati ». Cfr. per ciò, KITTEL, Wórterbuch ζ. Ν. T., v. 4, p. 895S. - A propo sito di un pazzo si diceva con un proverbio : β La nave viene implo rando aiuto verso l o scoglio»: SUIDA, (GAISFORD, II, 940). 8 8
In Catilinam, 2, n (ORELL, II, 1, p . 683, 1. 17S).
6 9
De inventione, I, 4 (ORELL, I, p . 90, 1. 6).
™ Pro C. Rabirio, 9 (ORELL, II, 1, p . 653, 1. 225). - Pro Sulla, 14 (II, 2, p. 767, 1. 15). - Verr., 5, 50, 131 (II, 1, p. 423, 1. 13). - Sext. Rose, 50, 147 (II, 1, p. 170,1. 75.). - Risone, 4, 9 (II, 2, p. 1069,1. 31). -
IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA
751
Il modo in cui, nelle pagine precedenti, abbiamo presentato l'antica simbolica del naufragio, abbisogna forse di quella giustificazione, che già abbiamo tentato più sopra 71 . Noi non vogliamo presentare qui un erudito cumulo di testi, ma un esauriente materiale di fonti in vista di quel « consenso », che solo ci permette di riconoscere se nell'applicazione dell'immagine nella teologia patristica ciò è semplice somiglianza spiegabile con la storia culturale e con l'ambiente, cioè soltanto tradizione letteraria, oppure se tutto il topos sta al servizio dell'espressione immaginifica di una conoscenza completamente nuova della verità. Quando, ad esempio, C. SPIC nel suo Commento alle Lettere Pastorali, a proposito di iTim 1,19 presenta soltanto qualche comunissimo accenno desunto dalla psicologia dell'antichità, espressa con termini nautici, notando che l'immagine del naufragio è «une métaphore courante dans la philosophie grecque », con ciò le parole di Paolo non possono essere sufficientemente chiarite nel loro logorante impiego letterario e nel loro profondo significato reale 72. Cerchiamo dunque di presentare la teologia patristica del naufragio nei suoi capitoli tematici fondamentali in modo che non solo diventi più chiara l'estensione FIKMICO MATERNO, Mathes.,
I, 7, 25
(KROLL-SKUTSCH,
I, p.
25, 1.
18) sui naufragi politici di Siila. 71 Cfr. sopra, a p. 636S. 7a C. SPICQ, Les Èpitres Pastorale*, Parigi 1947, p. 49S. - Altri commenti a i T i m 1,19 che portano materiali antichi: J. J. W E T S T E NIUS, Novum Testamentum Graecum, Amsterdam 1752, v. 2, p. 231. "W. LOCK, A criticai and exegetical Commentary on the Pastora! Epistles, Edimburgo 1924, p. 19. - M. DIBELIUS, Die Pastoralbriefe, Tubinga I93I, P- *i· - KITTEL, Theol. Wòrterbuch zum NT, Stoccarda 1942, v. 4, p. 895S.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
della sua parentela letteraria con l'antichità, ma si delinei anche il posto in cui va inserito il tema dottrinale, così importante per la teologia penitenziale, della secunda post naufragium tabula.
Di fondamentale importanza per quanto segue, è qui innanzitutto la dommatica dei Padri, che noi chiamiamo la simbolica cosmico-sacramentale del naufragio. In questo tema dottrinale risuona l'antico orrore del mare e dei suoi letali pericoli, che ora, però, è trasferito nella conoscenza rivelata dell'essenza dell'uomo mortale e peccatore, e quindi della salvezza sacramentale nella nave della Chiesa, che è sicura e, ad un tempo, in pericolo. Questa teologia giunge sino alle radici della contingenza creata del mondo e dell'uomo. Tutto ciò che non esiste da se stesso è « naufragante », soprattutto l'uomo al momento della nascita e della morte. AMBROGIO lo ha espresso in una frase melanconica, il cui esile suono è percepibile solo in base al « consenso » che abbiamo cercato di raccogliere sopra dalle antiche fonti. La terra, apparentemente così solida, che Dio creò il terzo giorno e separò dall'acqua, è in realtà come un'isola galleggiante, la cui contingenza creata il predicatore difende contro i filosofemi greci di un mondo eternamente esistente: « Essa viene descritta immersa nell'acqua, come se in certo qual modo sin dai suoi inizi fosse stata destinata a subire naufragio » 73. Anche la natura corporea umana partecipa di questo « essere posta in pericolo » dato con l'essenza, e ciò è espresso ancora una volta nel modo più tangibile con l'immagine del naufragio: « Hexaemeron, ι, η, 27 (CSEL 32, 1, p. 26, 1. is). - Ivi, 3, 1, 1: P- 59, 1- " ·
IL
NAUFRAGIO E
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l'antropologia patristica ne è piena. La nascita dal seno materno è paragonabile al momento in cui i naufraghi vengono gettati nudi sulla terra ferma : « Quos naufragos in hanc vitam quidam naturae fluctus exspuit » 7 4 . La stessa cosa vale per la morte, che viene descritta platonicamente come separazione di spirito e corpo che distrugge la persona. Già PLATONE ha plasmato l'immagine, indimenticabile per i Padri, dei rottami del corpo vaganti sull'Acheronte 75 , e l'imperatore COSTANTINO, che lo ha imitato nel discorso « All'assemblea dei santi », lo ha corretto cristianamente : « Le anime dei cattivi vagano sui flutti dell'Acheronte e del Piriplegetonte come relitti di un naufragio sbattuti continuamente qua e là » 7 6 (si pensa, senza volerlo, alle visioni infernali di Dante). Ma già ALESSANDRO DI ALESSANDRIA (spinto forse da uno scritto di MELITONE DI SARDI), dipinge la morte come naufragio 77 e G R E GORIO DI NISSA nella psicologia della morte del suo dialogo platonizzante con Macrina, si pone l'obiezione, se anche dopo la morte le anime debbono restare unite con elementi corporei che in qualche modo una volta sono stati i loro : « Un marinaio, quando la sua nave si sfracella nel naufragio, non può nuotare su tutti i rottami sparsi intorno qua e là. Egli afferrerà piutto74
De obitu Theodosii, 26 (CSEL 73, p. 384, 1. n s ) . Fedone, 62 (114). Ad sanctum Coetum, 9 (GCS EUSEBIO I, p. 164, 1. 20-22). Morte come naufragio anche in TERTULLIANO, De anima, 52, 4 (Corp. Christ. II, p. 859, 1. 32-35): « N o n secus naufragia sunt vitae etiam tranquillae morcis eventus. Nihilo refert integram abire corporis navem an dissipatam, d u m animae navigatio evertatur ». 77 Sermo de anima et corpore, 3 (PG 18, p. 590S). - Cfr. O. P E R LER, Recherches de Science religieuse 51 (1963) p. 407-421. 75 78
754
L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
sto il più vicino di essi » 78. Dietro a ciò si trova naturalmente tutta la dottrina della « nave dell'anima », che noi abbiamo già esposto più sopra79. Morte è anche semplicemente naufragium aetatis80. E le umane sorti, che si trovano tra nascita e morte, consistono anch'esse nell'incessante pericolo del naufragio nel « mare cattivo di questo mondo ». Così nella teologia della morte di AMBROGIO : « Nam si laudari ante gubernator non potest quam in portum navem deduxerit, quomodo laudabis hominem, priusquam in stationem mortis successerit? Et ipse sui est gubernator et ipse vitae huius iactatur profundo; quamdiu in salo isto, tamdiu inter naufragia » 81. Ora però il cristiano sa bene che in questa naufragabilità della natura umana votata alla morte e del cosmos, si cela un'altra catastrofe: il peccato originale dei protoparenti. Questo evento della storia della salvezza è il naufragio soprannaturale e le tempeste che lo causarono si aggirano pur sempre sulla terra della stirpe adamitica. Noi lo chiamiamo morte, peccato e giudizio; ma, ciononostante, è data anche nuova salvezza in quell'uomo che « comanda al vento e alle onde » (Mar 4,40) e che sulla nave della Chiesa salva gli uomini dal naufragio. Tutto ciò, nel linguaggio nautico dei Padri, significa: originariamente c'era soltanto terra ferma ο porto sicuro della quiete e dell'impassi bilità. Adamo incorse nel naufragio in mezzo al porto. Da allora la salvezza è data soltanto in una nuova e ' a De anima et resurreciione, 7, 3 (PG 46, p. 45 D ) . " Cfr. sopra, a p. 546-550. 80 E N N O D I O , Epistola 1 (CSEL 6, p. 40, 1. 9). - Carmen 1, io, 275 (CSEL 6, p. 540). 81 De bona mortis, 8, 35 (CSEL 32, 1, p. 734, I. 5-9).
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ferma guida del pilota dell'universo: nell'Arca, nella Legge, nella Chiesa. TEODOHETO nel settimo discorso Della provvidenza ha così espresso questa conseguenza del naufragio del peccato originale, e ciò era comprensibile per ogni cristiano greco : « Dopo che la nostra natura umana si era infranta contro il peccato come contro gli scogli, e l'anima spirituale, circondata e sommersa dai flutti delle passioni, abbandonato il corpo, lo lasciò trascinare qua e là come una nave senza zavorra, allora furono necessarie le nostre leggi, che come un'ancora tenevano ferma la nave e abilitavano il nocchiero a raccogliere le sue forze e a riafferrare il timone » 8a . CRISOSTOMO sa esporre ancor più plasticamente il medesimo pensiero teologico. Egli si appropria di un paragone, di cui già abbiamo parlato sopra: l'uomo antico parla volentieri di «foratura del corpo della nave » come di un'azione particolarmente perfida. Poiché è soltanto questa tavola che lo separa precisamente dalla morte 83 . Ora, ciò avvenne in Paradiso. « Ecco Adamo », predica Boccadoro, « in mezzo al porto subisce un naufragio (εν λιμένι παθόντα ναυάγιον) ». E perché ? Il perfido diavolo lo indusse al peccato, « come quando un uomo cattivo fora il corpo della nave con un piccolo chiodo e vi lascia scorrere dentro tutto il mare » 84 . Ora il viaggio salvifico del cristiano continua grazie alla bontà redentrice di Dio, in mezzo ad ogni sorta di tempeste, sulla nave sicura di giungere in porto, ossia allo stato originale della guarigione paradisiaca del corpo e dell'anima. Ma an8a 83 si
i
De providentia, sermo 7 (PG 83, 672 AB). Cfr. sopra, a p. 533. Daemones non gubernare mundum, 1 (PG 49, 247 BC).
756
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
che in questo viaggio incombe il naufragio, ossia, il singolo uomo può « cadere in mare », vale a dire nella stessa sorte, che toccò al naufragato Adamo. Perciò TEODORETO conchiude il suo nono discorso sulla provvidenza con l'espressione, anch'essa familiare ad ogni greco conoscitore del mare: «Riconciliatevi dunque con il vostro Creatore, affinché egli vi governi come suoi amici e non debba gettarvi come nemici in mare dalla sua nave » 8 5 . E PAOLINO DA N O L A in un
dittico dipinge nel naufragio del suo amico Marziano la salvezza e la perdizione del giudizio finale. Nella disgrazia marina dell'amico erano affondati gli infedeli e quelli che già prima erano venuti meno alla Chiesa mentre i cristiani si erano salvati: ciò è per lui un simbolo del giudizio finale, e gli fa dire del capitano, che per primo aveva subito naufragio nella fede ed era affondato per p r i m o : « Nauarchus ipse, perditae princeps ratis pereuntibus primus fuit namque ante pelago quam periret naufragus iam mente naufragaverat » 86 . Soltanto la sicura nave della salvezza, che Dio stesso ha costruito, salva l'uomo redento dal naufragio cosmico ed escatologico: è la nave della Chiesa, che è stata presagita nell'Arca di Noè. Ne parleremo più ampiamente in seguito, quando esporremo la teologia patristica dell'arca. Qui ci sia permesso accennare che la simbolica del diluvio universale come seconda catastrofe del naufragio del mondo, permea tutta la dot85
De Prouidentia, sermo 9 (PG 83, 740 B). •e Carmen 24, w. 151-154 (CSEL 30, p. 211).
IL NAUFRAGIO E
LE TAVOLE DELLA SALVEZZA
757
trina dei Padri. Essa comincia con ORIGENE, per il quale l'arca è la salvezza in orbis naufragio 87. Ma proprio questo naufragio nell'acqua del « cataclisma » è l'inizio della nuova salvezza, separazione dei salvati nella nave da coloro che annegano nei marosi, salvezza e perdizione (questa dialettica è ineliminabile dalla teologia dei Padri) mediante « l'acqua ». Per questo secondo DIDIMO il diluvio universale è simbolo della purificazione del mondo nel battesimo 88 . E GREGORIO DI ELVIRA riassume tale dottrina (già nota mediante Tertulliano) 89 , con le parole: «In cataclysmo nemo naufragium orbis evasit nisi qui in arca Noe meruit reservari quae typum Ecclesiae portendebat »90. Il medesimo pensiero percorre la teologia del passaggio del Mar Rosso: ciò che ivi per gli Israeliti fu salvezza, è divenuto naufragio per l'esercito del Faraone. « In eadem aqua baptismatis, in qua nos liberamur, Pharao, id est diabolus, naufragio perit» 91 . Il non battezzato è un naufrago, poiché dietro di lui c'è il naufragio del peccato di Adamo. Nel battesimo egli viene preso sulla tavola di salvezza della nave della Chiesa, ossia sulla prima tavola della salvezza»; a sua volta il risanamento penitenziale, a volte ancor necessario dopo il battesimo, diventa « seconda tavola » dopo il naufragio. L'acqua salutifera del battesimo è il mare, di cui ZENONE DI VERONA predica : « Non quod naufragos facit, sed " Homilia in Ezechielem, 4, 8 (GCS ORIGENE Vili, p. 369, 1. 25). 88 De Trinitate, 2, 14 (PG 39, 696 AB). 89 De baptismo, 8, 4 (Corp. Christ. I, p. 283, 1. 27). 90 Tractatus Origenis, 12 (BATIFFOL, p. 139, 1. 21-23). Cfr. anche BEDA (PL 91, 85 C ) . • l Tractatus Origenis, 9
50 (CSEL 72, p. 80).
Ϊ
(BATIFFOL, p. 102, 1. 7s). - AHATOH, 2,
75S
L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
quod naufragos ad vitata suavem perducat » 9 2 . E ΟτTATO DI MILEVI può affermare : il battesimo è « peccatorum naufragium » 93. La salvezza, pertanto, viene dall'acqua e dal legno. Il battesimo nell'acqua pone il salvato sulla nave della Chiesa, che è costruita con il legno della croce, e persino la seconda tavola salvifica della penitenza confeferisce salvezza soltanto perché è costruita con lo stesso legno della nave. Teologicamente ciò significa: la salvezza penitenziale è un rinnovamento della salvezza avvenuta nel battesimo, è nuova partecipazione alla nave della Chiesa, è arrivo in porto. Il legno della croce è « salvezza per la natura naufraga », dice PROCLO 94 , e la stessa cosa ripete RABANO con una immagine nautica : « Crux portus est in totius orbis naufragio » 95 . Il felice successo finale di questo salvataggio dal naufragio cosmico è la resurrezione dei corpi, il portus consummationis gloriae, la fida statio, di cui parla AMBROGIO in una predica traboccante di immagini marine: solo là non c'è più alcun naufragio96. Così, come anche per la buona nave della Chiesa in quanto tale non c'è più alcun affondamento, poiché su di essa è eretto l'albero della croce : « Numquam potest sustinere naufragium, quia in arbore, id est in cruce, Christus erigitur » e7 . " Tract., i, 14, 3 IPL 11, p. 357 A). •3 Cantra Parmenitmum, 5, 1 (CSEL 26, p. 121, 1. 20s). •4 Sermo de Ascensione Domini, 2 (PG 65, 833 C). ·* De laudibus crucis, 2, 26 (PL 107, 291 C ) . " Explan. in Psalmum 47, 13 (CSEL 64, p. 355, 1. 5-15). " PS.-AMBROGIO, Sermo 4.6, 4, io (PL 17, 697 AB). Cfr. sopra, p . 514.
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Questa simbolica sacramentale del naufragio ha ora anche un aspetto teologico-morale : e qui giungiamo al punto più intimo della dottrina della Penitenza come « seconda tavola dopo il naufragio », che esporremo più avanti. Finché, cioè, il cristiano non è giunto definitivamente nel porto della trasfigurazione, la sua salvezza è in pericolo nonostante le risorse marittime della nave della Chiesa. Nella teologia nautica dei Padri ciò è detto in due immagini, che spesso si compenetrano (poiché la salvezza è sempre una faccenda sociale consistente nell'appartenenza alla Chiesa ed è una faccenda pur sempre personale consistente nella libertà della propria decisione): il cristiano può « cadere in mare » venendo meno alla fede ; oppure : la nave dell'anima del singolo cristiano può subire naufragio con il peccato. Invece c'è soltanto una salvezza: venire ripreso a bordo nella pace con la Chiesa, oppure afferrare la tavola della penitenza e cosi nuotare faticosamente verso il porto della salute. Ambedue le immagini significano teologicamente la medesima cosa. Il loro punto cumune è la forza salutifera del « legno », sia che con esso si indichi la nave, oppure la tavola. Poiché ambedue salvano soltanto nella virtù della croce. Parliamo perciò in primo luogo del naufragio della fedess, poiché proprio questo simbolo, a causa dell'espressione paolina (iTim 1,19), è divenuto classico ed occupa anche il primo posto dal punto di vista della teologia penitenziale, dato che tutti i problemi della antica storia cristiana della penitenza sono sorti proprio dinanzi al problema della possibilità di salvezza di un cristiano, che abbia rinnegato la fede. Cfr. sopra, p. 501-507.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
Si comprende che sin dall'inizio (e poi continuamente) l'immagine paolina abbia dato la spinta alla teologia patristica del naufragio nella fede. Che iTim 1,19 appartenesse all'elemento fondamentale dell'antica dottrina cristiana della possibilità di una caduta nella fede, ce lo dimostra l'interessante argomentazione di ORIGENE". Celso si era fatto un'immagine romantica della Chiesa primitiva come di un piccolo porticciuolo raccolto in unità. Contro di ciò, Origene dimostra che la « gnosi » è esistita come eresia sin dall'inizio (egli mescola un pò volontariamente iTim 6,20.21 con iTim 1,19) e che essa è stata la ragione della caduta dei due discepoli di Paolo. Ciò diventa ancor più chiaro, quando si legge l'esegesi sofisticata del montanista TERTULLIANO su iTim 1,19: per giunta tutta la sua argomentazione presuppone una dottrina già completamente formata della « nave della Chiesa », che faceva parte della primitiva catechesi cristiana del battesimo. Al rigoroso montanista sta a cuore dimostrare, che la caduta nella fede dei due uomini di Efeso è stato il peccato irremissibile della blasphemia; per questo Paolo li avrebbe consegnati a Satana: « Unde et naufragos eos iuxta fidem pronuntiavit, non habentes iam solacium navis Ecclesiae. Illis enirn venia negatur qui de fide in blasphemia impegerunt » 10 °. La caduta dalla fede è, secondo Tertulliano, paragonabile al paganesimo. Poiché fides in senso pieno è la stessa cosa che la nave della Chiesa, che con vele gonfie di Spirito corre attraverso gli scogli. Chi cade giù da questa nave è come un naufrago definitivo; egli va a fondo nella ""> Adversus Celsum, 3, 11 (GCS ORIGENE Ι, ρ. 2ΐι). 100 De pudkitia, 13, 19, 20 (Corp. Christ. II, p. 1305, 1. 73S).
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profondità, a cui non può più sfuggire : « Inter hos scopulos et sinus, inter haec vada et freta idololatriae velificata spiritu fides navigat, tuta, si cauta, secura si attonita. Ceterum inenatabile excussis profundum est, inextricabile inpactis naufragium est » 101 . Questo è il Tertulliano montanista, che (come vedremo più sotto) ha rigettato la dottrina del suo periodo cattolico della salute conseguibile ancora sulla tabula post naufragium. Dalla teologia della polemica penitenziale dopo la persecuzione deciana appare chiaro che in quel tempo (in parte come eredità tertullianea) ci si richiama consapevolmente alla dottrina della nave della Chiesa, per dedurre la possibilità di una riconciliazione dei lapsi, oppure per negarla. In una lettera a papa Cornelio, secondo Cipriano tutti gli scomunicati sono semplicemente dei naufragi102 ; per il confessore romano Celerino la caduta nella fede è naufragium mortale 1 0 3 . L'ex-vescovo Evaristo, come riferisce Cipriano a R o m a , avrebbe cercato di trascinare altri al mortale naufragio: « Veritas ac fidei naufragium factum circa quosdam sui similes paria naufragia concitare » 1 0 4 . Del resto vediamo in EUSEBIO che nell'Oriente greco si pensava con le stesse immagini divenute come dei luoghi retorici comuni. Coloro che sotto Diocleziano avevano abbandonato la Chiesa, cosi egli dice, sarebbero « stati indotti in tentazione mediante la persecuzione e avreb101
De idololatria, 24, 1 (Corp. Christ. II, p. 1124, 1· IS-18). Epistola 59, 11 (CSEL 3, p. 678, 1. 20). "s Epistola 21, 2 (CSEL 3, p. 530, 1. 24). «* Epistola 52, 1 (CSEL 3, p. 616, 1. i8s). 102
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bero subito completo naufragio nella loro salute, per essersi gettati volontariamente nei flutti »105. All'inizio del secolo quarto l'immagine del naufragio nella fede è precisamente un motivo ricorrente della storia delle eresie. Tipo degli ariani negatori di Cristo sono i perfidi Judaei : poiché, secondo un'espressione di AMBROGIO, i naufragia Judaeorum consistevano nel negare Cristo come nocchiero mandato da Dio l o e . Ciò era già stato espresso da ORIGENE con un'altra immagine nel commento al Cantico dei Cantici. Lo inverno è passato: ciò significa la primavera, in cui si ricominciano i viaggi per mare, e pertanto il periodo d'inverno con le sue tempeste marine era il periodo dei Giudei: « Israel turbine incredulitatis correptus naufragio fidei submersus est » 107 . E tanto più dolorosamente si avverte, dopo la tempesta della persecuzione, l'ondata della polemica ariana, che fa quasi affondare la nave della Chiesa. Le interminabili discussioni degli eretici richiamano alla mente di AMBROGIO Scilla e Carriddi con i loro famosa naufragia 108. « Quotidianamente ci minacciano i pericoli del naufragio » 109 . Con fine sensibilità morale-psicologica il vescovo di Milano vede la causa di questo pericolo in cui è posta la fede, nella struttura quasi naufragante dell'uomo, composto di anima e di corpo : « Fides titubavit et caro coeperat sentire naufragium. Quod non improprie dictum est, 105
Hist. Eccles., 8, 2, 3 (GCS EUSEBIO, II, p. 742). ιοβ £,e Patriarchis, 5, 27 (CSEL 32, 2, p. 139, 1. 23S). 107 Comment. in Cantic. Ctmt., 4 (GCS OHIGENE Vili, p . 226, 1· 3-5). 108 De fide ad Cratianum, 3, 1 (PL 16, 589 D ) ; 1, 6 (PL 16, p. 539 A). ,M De Cairi et Abeì, 2, 9, 37 (CSEL 32, ι, p. 408, 1. 4).
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quia caro navis est animae » 110 . Di qui l'uomo sente continuamente l'incombente naufragio del cuore : « Atque in se ipso grave esse naufragium, in suo corpore tempestatem » U 1 . Durante queste tempeste, Basilio si ricorda dei beati tempi della Chiesa primitiva. Infatti, così egli chiede al vescovo Acolio di Tessalonica, cosa esperimentiamo noi oggi? « Nient'altro che dei solenni naufragi nella fede » 112 . E tutto il suo dolore va verso il grande Atanasio : « Ovunque la Chiesa si dissolve nei suoi pezzi», ovunque c'è la confusione delle navi che si trovano in porto, ovunque incombe il naufragio a causa della tempesta politica dall'esterno e a causa della incapacità dei vescovi all'interno 113. Viene spontaneamente in taglio il quadro drammatico di PIETRO CRISOLOGO, che abbiamo già ricordato una volta: « Le spiagge della cristianità urlano, i rottami del naufragio dei caduti vanno alla deriva tutt'attorno » 114. E ci porta a pensare alla figura anticamente notissima del cadavere di un naufrago che va alla deriva nudo e freddo sulle onde, quando nello spirituale AMBROSIASTER troviamo così spiegata l'espressione di iTim 1,19: «Qui deserentes fidem naufragi facti sunt, id est nudi veritate aut privati vita » 115 . In AGOSTINO, 110
De interpell. Job et David, 1, 5, 15 (CSEL 32, 2, p. 220,1. 16-18). Ivi, 4, 8, 30 (p. 291, 1. I2s). » l a Epistola 164, 2 (PG 32, 637 A). 113 Epistola 82 (PG 32, 460 AB). 114 Sermo 20 (PL 52, 254S). Cfr. sopra, 511S. 115 In epist. ad Timotheum, 1, 1 (PL 17, 465 C ) . - Cfr. anche G E ROLAMO, Epistola 22, 38, 1 (CSEL 54, p. 203, 1. 3s). - Π pericolo de] naufragio nella disputa con gli Ariani: ILARIO, De Trinitate, 7, 3 (PL io, 200 C ) ; 6, 5 (197 C ) ; 12, 1 (434 C D ) . - PS.-AGOSTINO, Ser111
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in modo speciale, la polemica antieretica è svolta totalmente attraverso l'immagine nautica del naufragio nella fede. Di fronte alle questioni sul libero arbitrio, sulla salvezza dei bambini non nati, sulla Chiesa pura e peccatrice, l'uomo può subire naufragio come Pelagio e i Donatisti 116 . « Pelagius maluit per naufragium miserabile exire quam temerarium cursum velis depositis et remis suae disputationis inhibitis provida deliberatione frenare » 117 . Anche nel porto delle opinioni del grande Cipriano si può ancora subire naufragio, come egli obietta ai Donatisti, 118 a proposito dei quali, consapevole della propria vittoria, annota: «Tota causa Donatistarum penitus naufragavit » 119. La certezza cristiana di salvarsi va paragonata con questo mortale e quotidiano pericolo del disastro: vogliamo dire, cioè, la certezza del cristiano che si trova sulla nave della Chiesa ο nel porto della Chiesa. Nave e porto: sono due cose che vanno sempre insieme e che, nella loro diversità dialettica, significano la sicurezza contro il naufragio. Infatti la Chiesa è sempre ambedue le cose: essa è sempre in pericoloso viaggio ed è nello stesso tempo sempre giunta già al porto. AMBROGIO ha esposto in un capitolo questa inscindibile dualità dell'esistenza cristiana 12 °. L'uomo antico mo 119, 11 ( M A I I, p. 258), ove la Chiesa viaggia come una buona nave tra i due pericoli di Sabellio e di Ario : « Gubernet Catholica Ecclesia inter utrosque fidei suae navigium, quoniam timendum est in utroque naufragium ». - CRISOLOGO, Sermo 21 (PL 52, 257 B; 258 B). 118 Epistola 55, 13 (CSEL 34, p. 183, 1. 12). - De natura et origine animae, 1, 7 (CSEL 60, p. 308, 1. 7). 117 De natura et origine animae, 2, 13 (CSEL 60, p. 353, 1. 13-15). 118 Epistola 93, 39 (CSEL 34, p. 483, 1. 25S). 111 De baptismo, 5, 1 (CSEL 51, p. 262, 1. is). 120 De Jacob, 1, 6, 23. 24 (CSEL 32, 2, p. i8s): « A d d e quia nescit naufragia qui semper in portu tranquillitatis est» (p. 19, 1. 7s).
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diceva : « Quanto è bello guardare il mare dalla terra ferma » ; ora questo atteggiamento è trasferito dalla teologia cristiana simbolica all'umile sicurezza dell'uomo « sbarcato ». IPPOLITO spiega l'espressione della benedizione dei Patriarchi (Gen 49,13): «Zàbulon abiterà sulle rive del mare », applicandola alla Chiesa come porto sicuro in ogni naufragio dei pagani 121 . AMBROGIO lo imitava quasi alla lettera. Zàbulon, questo tipo dei salvati, si trova sulle rive del mare, « ut videat aliorum naufragia ipse immunis periculi ». Tale è la Chiesa : « Sicut est sacrosancta Ecclesia radicata atque fundata in fide, spectans haereticorum procellas et naufragia Judaeorum, quoniam gubernatorem quem habuerant abnegaverunt » 122 . Naturalmente è possibile che le Chiese particolari subiscano naufragio, soprattutto quando i persecutori riescono ad indurre in caduta il vescovo quale pilota della nave; CIPRIANO, in una lettera a papa Cornelio, lo ha additato precisamente come un pericolo incombente del diavolo : « Ut gubernatore sublato atrocius atque violentius circa Ecclesiae naufragia grassetur » 123. Ma la Chiesa universale non conosce naufragio, dice fieramente AMBROGIO : « Spectat aliorum naufragia ipsa immunis et exors periculi » 124 . 121
Le benedizioni di Giacobbe, 20 (TU 38, 1912, col. 35, 1. 11-18).
122 £> e Patriarchis, 5, 27 ( C S E L 3 2 , 2, p. 139, 1. 1 9 - p . 140, 1. 2 ) . 123
Epistola 59, tì (CSEL 3, p. 674, 1. is). De Abraham, 2, 3, 11 (CSEL 32, 1, p. 573, i. -js). Ciò vale anche della singola anima, in quanto resta tempio di Dio e così può essere paragonata alla Chiesa (ivi, p. 573, 1. 3s). Perciò il cristiano deve pregare per evitare il naufragio, fidei ignorare naufragia: Hexaemeron, 3, 5, 24 (CSEL 32, 1, p. 75, 1. 13S). - Il cristiano battezzato in questa sicurezza è paragonabile anche ad un'isola, su di cui è salvo da ogni naufragio: De interpell. Job et David, 4, 9, 34 (CSEL 32, 2, p. 294). 184
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Essa è nave, che viaggia sicura, e porto; e il cristiano sa bene che tra questa buona nave del legno della croce e il porto della salvezza definitivamente assicurata per il singolo, per quanto spesso e per quali peccati che siano, egli abbia perduto la salvezza del battesimo, ha sempre la mediazione della tavola di salvezza della Penitenza. AGOSTINO ha fatto sperare ancora questa possibilità finale persino per il naufrago Pelagio : « A fide catholica naufragavo:, nisi paenitendo refecit, quod fregit » 125 . Il singolo cristiano dunque, che deve pilotare la nave della propria anima, ossia la sua decisione salvifica personale, anche se sostenuta dalla grazia, sta quaggiù sempre in pericolo di naufragio e deve stare all'erta ; così afferma Agostino « Navis tua cor tuum. Jesus in navi, fides in corde. Si meministi fidei tuae, non fluctuat cor tuum: si oblitus es fidem tuam, dormit Christus - observa naufragium » m . Ora, come sappiamo dall'antica storia cristiana della penitenza, non è soltanto la caduta nella fede che viene paragonata ad un naufragio. La medesima disgrazia salvifica si verifica in quello che viene chiamato peccato mortale. Ci sia permesso parlare brevemente anche di ciò, (così, fin da ora proponiamo ciò che è espiabile con la penitenza e che deve essere espiato aggrappandosi alla tavola della salute che salva dal naufragio). Già iTim 1,19 lascia intendere che la causa più profonda del naufragio nella fede è stata la deviazione volontaria della «buona coscienza» (άγαθ-ή συνείδησις). «Cupi digia » nel senso più ampio della parola è, anche per TERTULLIANO, il motivo morale per ogni caduta nella l
" De natura et origine animae, 2, 13 (CSEL 60, p. 353, 1. 23$). Enarr. in Psalmum 34, 3 (PL 36, 324 C D ) .
m
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fede: « Inprimis cupiditatem radicem omnium malorum, qua quidem inretiti circa fidem naufragium sunt passi » 127 . Anche nel catalogo nautico col quale lo Ps. CLEMENTE descrive la nave della Chiesa, naufragio viene identificato semplicemente con peccato 128. Si tratta della tradizione della filosofia morale alessandrina, che abbiamo costatata in Filone, quando anche CLEMENTE ALESSANDRINO parla preferibilmente di questo aspetto morale del naufragio. Alcoolismo e « voluttuosità » nel senso ampio della parola, preparano il cristiano al « cattivo naufragio » dell'anima 129, proprio come Tertulliano (forse influenzato da Clemente), nella sua rigorosa invettiva contro le arti muliebri, predica sulla forma naufraga delle frivole dame cartaginesi130. È di nuovo la sottile psicologia morale di AMBROGIO che parla, quando egli definisce la gioventù dell'uomo come l'età del naufragio morale 131 e, nell'interpretazione allegorica del diluvio universale, paragona l'inabissamento del mondo nei flutti alle tempeste, che sorgono in noi dall'opposizione tra spirito e carne : « Magna igitur naufragia quando mentis pariter et corporis sensuumque omnium turbo et procella miscentur » 132 . 127
De idoiolatria, n, ι (Corp. Christ II, p. i n o , 1. IOS). PS.-CLEMENTE, Epistola ad Jacobum, 15 (PG 2, 52 A). Cfr. sopra, p. 519S. 123 Paidagogos, 2, 2, 28 (GCS CLEMENTE I, p . 173, 1. 14); - 2, 2, 22 (p. 169, 1. 21); - 3, 7, 37 (p. 258, 1. 4). 130 De cultu feminarum, 2, 9, 2 (Corp. Christ. I, p. 258, 1. 4). 131 De ìnterpell. Job et David, 1, 7, 21 (CSEL 32, 2, p. 225,1. 1-5); 1, 7, 23 (CSEL 32, 2, p. 226,1. 10-12). - Viceversa, il vecchio sapiente è giunto nel porto della tranquillità e là n o n può subire più naufragio : De Jacob, 2, i o , 44 (CSEL 32, 2, p. 60, 1. I4s). Leggerezza e loquacità come naufragio della pudicizia: Expl. in Psalmum 36, 28 (CSEL 64, p. 94, 1. 6s). 132 £)e Noe et arca, 14, 49 (CSEL 32, ι, ρ. 447, l. 12-14). 128
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PADRI
Ne abbiamo già parlato più sopra nel capitolo sulla ' Nave dell'anima ' 133. Così in una lettera pasquale (che ci è stata conservata nella corrispondenza di Gerolamo), il patriarca TEOHLO DI ALESSANDRIA ammonisce
i suoi fedeli, buoni conoscitori del mare : « Ne diffèramus tumentibus carnis fluctibus liberati inter diversa voluptatum bine inde naufragia clavum tenere virtutum et post grandia maris pericula tutissimum caelorum intrare portum » 134 . Detto con immagine antica (anche di ciò parlammo all'inizio del nostro studio) 135 : il cristiano è come un Ulisse preso tra i pericoli delle Sirene, e perciò dobbiamo essere sempre in attesa del pericolo del naufragio morale : « Ne sollicitati delectatione mortifera in criminum saxa rapiamur et scopulo mortis adfixi naufragium salutis obeamus » 136 . Questa teologia del naufragio morale trovò un'ultima forma nel linguaggio ascetico della letteratura monastica. Il cristiano, che ha rinunciato al « mondo perverso », è in modo del tutto speciale lo « sbarcato » ; la pace del convento e del deserto è il suo beato porto di pace. Se egli, come dice lo Ps. MACARIO, è caduto in acqua nudo come un naufrago, lo ha fatto per salvare la sua vita eterna 137. Ma, così pensa lo sperimentato GEROLAMO, egli può incontrare ancora il naufragio 133
Cfr. sopra, p. 545-552. « Epistola 98, 1 (CSEL 55, P· 185, 1. 15-17). 135 Cfr. sopra, p. 404SS. ia « PAOLINO DA N O L A , Epistola 16, 7 (CSEL 29, p. 122, 1. is). Cfr. PIETRO CRISOLOGO, Sermo 8 (PL 52, p. 208 C ) : «Delictorum naufragium ». Per l'impiego medievale di naufragium e naufragus quale concetto di « fallito », affondato, arenato, cfr. D U C A N G E , Giossarium, Niort, 1885, v. 5, p. 578. 137 P S . - M A C A R I O , Omelia 5, 6 (PG 34, 508 A). - Cfr. sotto, a p. 955-959ia
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persino sulle strade della grande città 138 . E ci sembra sentire il detto di Agostino sulla navicella dell'anima, che citammo più sopra, allorché lo Ps. - MACARIO ammonisce : « Guai alla nave che non ha più nocchiero ! Essa verrà sbattuta qua e là dalle onde del mare e andrà a fondo. Guai ad un'anima che non ha in sé Cristo il vero nocchiero! Essa verrà trascinata alla deriva dalle onde delle passioni sul mare amaro delle tenebre, la sua sorte finale è la rovina » 139 . Anche l'uomo pneumatico non è sicuro della sua salvezza, ossia, nell'antica simbolica, anch'egli può ancor subire naufragio pur essendo in porto. « Egli credeva di essere già approdato in porto tranquillo. Ed ecco che le onde si levano contro di lui, così che egli si ritrova di nuovo in mezzo al mare e viene trasportato là dove si ha dinanzi agli occhi ancora soltanto mare, cielo e morte » 1 4 0 . Soltanto l'obbedienza sottrae a questo pericolo, senza la υπακοή, insegna CLIMACO, il naufragio minaccia continuamen te il m o n a c o 1 4 1 . Ancora nel medioevo, O N O R I O DI
AUTUN, nel suo piccolo trattato sulla vita monastica, presenta al monaco il pericolo di subire naufragio nel porto 1 4 2 . Abbiamo così indicato i caratteri fondamentali della simbolica antica e patristica del naufragio. Vi si può già riconoscere in qualche m o d o il posto, ove va situata l'immagine della tavola della salvezza. Esporremo ora dettagliatamente la storia e il senso di questo sim13* Epistola 125, 9 (CSEL 56, p. 128, 1. I I ) . Cfr. anche Tractatus in Psalmum 103 ( M O R I N , p. 167, 1. 15-17). 13» Homilia 28, 2 (PG 34, 712 B). i« Homilia 38, 4 (PG 34, 760 D ) . i" Scala, 4. (PG 88, 680 D ) . i" De vita claustrali (PL 172, 1247 A B ) .
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PADRI
bolo. Ci ripromettiamo di dare in tal m o d o un contributo alla dottrina dogmatica della penitenza, che si cela dietro queste immagini. La nota espressione della tabula post naufragium, dopo una lunga preistoria antica, entra nella dottrina patristica della penitenza, viene scoperta in Gerolamo e ha fortuna nei manoscritti della scolastica primitiva, viene trasmessa dal Lombardo ai principi della Scuola e sarà infine dommaticamente consacrata nei Canoni tridentini. Nella conchiglia pietrificata di questo simbolo patristico udiamo ancora il mormorio del mare greco.
2. LA T A V O L A DELLA SALVEZZA
Anche la tabula post naufragium ha la sua preistoria, la cui conoscenza ci dà la possibilità di comprendere più profondamente il valore dogmatico dell'immagine patristica. N o n c'è alcun simbolo più appropriato per l'esistenza dell'uomo ondeggiante tra vita e morte, che questo misero pezzo di legno, che sta tra il mare cattivo e il navigante. « Soltanto una tavola ci separa dalla morte », si diceva 143 . « Essa è larga soltanto quattro dita e di tanto noi siamo separati dal naufragio » 144 . « N o n una tavola di pino spessa tre dita salva l'uomo, ma soltanto Tyche » 145 . Lo abbiamo esposto sopra 146 . « Tabula distinguitur unda », diceva Giovenale 147 . 143
ALCIFRONE, Epistolae ptscatoriae, 3
(SCHEPERS, p . 4s). LESKY
p . 274. 1,4 ARCHITA in Diogene Laerzio, 1, 103 (HICKS I, p. 108, 1. 1-3). 145
14i 147
D I O N E CRISOSTOMO, Oratio 64 ( B U D E II, p .
Cfr. sopra, a p. 40US.; 573. Sat., 14, 289 (Friedlander, p. 570).
190, 1. 23-25).
IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA
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La storia letteraria della nostra tabula inizia con le storie classiche di "viaggi marini, l'Odissea e la saga degli Argonauti. Nei canti dei naufraghi di questa storia si tratta sempre della salvezza degli eroi su una tavola di legno della nave lamentevolmente spezzata. Questo legno salvatore in Omero è un pezzo degli assiti con cui Ulisse costruisce la sua zattera (σχεδία) (V.323), oppure un pezzo della carena (XIX,278), oppure un tavolone (δόρυ), su cui il naufrago si getta come su di un cavallo (V,37o), ο infine un pezzo dell'albero spaccato, che Zeus Kronios offre benigno (XIV,3ii). Il legno della salvezza è un pezzo delle pareti della nave, di cui parla il canto: « Acqua scatenata strappava gli assiti (σανίδες) dalla chiglia» (XII,420ss). Queste sono le parole della storia primitiva della tabula naufraga. Ritorno e felicità di Ulisse sono decise su queste tavole del supremo pericolo di vita. Ciò ci ricorda (in una digressione, che mostra quanto fosse cara e vicina all'uomo navigatore questa immagine) l'altra classica storia di avventura e di naufragio, Sindbad il Navigatore, il quale racconta : « Io combattevo per la dolce vita, fino a che Allah l'Onnipotente mi gettò sul cammino una tavola della nave, a cui mi afferrai e su cui mi issai » 148 . La letteratura ellenistica degli Argonauti ha imitato il canto omerico. APOLLONIO RODIO fa salvare i quattro figli di Phrisso da rabbiosa tempesta marina su un vigoroso pezzo di trave (κρατερω δούρατι) 1 4 9 . Ai tempi dei Romani si venerava ancora una tavola dell'antica nave leggen148 Die Erzàhlungen aus den tausend una ein Ndchten (ed. FELIX P. GKEVE), Lipsia 1908, v. 7, p. 158S. 14s Argonautka, 2, 1120S (MEECKEL, p. 259).
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI
PADRI
darla degli Argonauti come vera tabula salutis. l'ha così cantata:
MAR-
ZIALE
« Fragmentum quod vile putas et inutile lignum haec fuit ignoti prima carina maris. Saecula vicerunt. Sed quamvis cesserit annis sanctior est salva parva tabella rate » 150 . I rottami di nave erano quindi per gli antichi non soltanto un passato mitico, ma un presente quotidiano, spesso temibile. Il mare sputa tutto sulla terra, dice STRABONE: sugaro, cadaveri umani e tavole di nave 151. Si credeva che simili rottami di antichi naufragi si trovassero pietrificati nel tempio di Ammone in Egitto 152 . I Tessali, come narra ERODOTO 153, si costruivano una parete con i tavoloni di navi naufragate. E, con una forza immaginifica intramontabile, ESCHILO canta nei Persiani la memorabile battaglia navale di Salamina: « ... non si poteva più vedere il mare, pieno di rottami e di morti » 154 . Cosa farai in un naufragio, chiede EPITTETO, quando l'albero si sfascia e tu levi grida verso gli dei? « Non afferrerai un pezzo di legno e non ti porrai su di esso » 155 ? SENECA nelle Troadi conta con stoica saggezza di un naufrago che fu rigettato nudo sulla terra, ma si consola al pensiero, che è una disgrazia accaduta 150
Epigr., 7, 19 (FRIEDLANDEK I, p. 482S). Geogr,, 1 (MULLER-DUBNER, p. 44, 1. 43). Ivi (p. 41, 1. 5). 153 Hist., 7, 191, 1 (KAIXENBERG II, p. 230, 1. 7s). i54 persimit 4195 (MURRAY, p. 69). 155 Dissert., 2, 19, 16 (SCHENKL, p. 192, 1. 9). 151
152
IL NAUFRAGIO E LE TAVOLE DELLA SALVEZZA
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a moltissimi, come attestano le tabulae gettate qua e là a riva sulle coste: « Qui secans fluctum rate singulari nudus in portus cecidit petitos aequior casum tulit et procellas mille qui ponto pariter carinas obrui vidit tabulasque latus naufraga » 156 . Ciò che il romano chiama tabula, presso i greci era denominato σανίς (anche gli Atti degli Apostoli, nel descrivere il naufragio, si servono di questa espres sione (27,44), che la Volgata traduce con tabulae). In LUCIANO le σανίδες sono i tavoloni bagnati che con ducono giù verso la αντλία, la sentina, verso l'ambien te inferiore della nave 1 5 7 . Su una simile σανίς si è salvato una volta un naufrago sulle coste tessaliche, ma era appena giunto a terra nella notte della tempesta marina, che un leone lo dilaniò : « Ο flutto marino, come sei più fidato che la terra ferma » ! esclama l'epigrammista 158. In TERTULLIANO, come mostreremo più sotto, incontriamo anche la parola planca, ed anche questa significa rozzo tavolone 159. Ora colui che veniva salvato da un naufragio su di una simile tabula, era sempre uno reso insperatamente alla vita ed era pieno di ΐ5β i^ Ttoadi, 1030-35 (HERMANN, p . 99). - Cfr. anche Ercole Oet., n j s : « N o n puppis lacerae fragmina conligit, ut litus medio speret in aequore ». " ' Jupiter trag., 48 (JACOBITZ II, p . 374, 1. 3is). 158 Anthologia graeca, 7, 289 (BECKBY II, p . 172). 159 U n termine altrimenti raro. In PALLADIO, De re rustica, 1, 21 (SCHMITT, p. 24) significa i tavoloni con cui si ricoprivano le scu derie : « Plancae roboreae supponantur stationibus equorum ».
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
riconoscenza verso i Celesti. Sappiamo da GIOVENALE che i naufraghi salvati votavano a Iside delle raffigurazioni della disgrazia 160. Il povero diavolo, che veniva sputato nudo sulla terra ferma, elemosinava qualche moneta, mostrando una raffigurazione del naufragio 161. Egli cerca consolazione presso i compagni della medesima sventura, come dimostra un frammento di PETRONIO:
« Naufragus eiecta nudas rate quaerit eodem percussum telo qui sua fata legat » 162 . Perciò MARZIALE mette in guardia contro quei mendicanti, che mostrano un pezzo di rottame di un naufragio avvolto nella lana e con molte parole chiedono la elemosina : « Nec fasciato naufragus loquax trunco » 163. Ciò era talmente risaputo, che Orazio poteva servirsene immaginosamente, là ove descrive come se si fosse salvato a stento dal naufragio dell'amore: prova di ciò sarebbe la tabula votiva, che egli ha offerto al potente dio del mare appendendola alla parete del santo tempio assieme alle vesti bagnate: «... me tabula sacer votiva paries indicat uvida suspendisse potenti vestimenta maris deo » 164. 160 Sat., 12, 22-28 (FRIEDLANDER, p. 513). G. LAFAYE, Histoire du eulte des divinités d'Alexandrie hors de l'Egypte, Parigi 1884, p. 20OS, narra delle piccole navi votive consacrate a Iside, che furono trovate presso S. Maria in Navicella a R o m a . 181 Giovenale, Sat., 14, 301S (FRIEDLANDER, p. 571). 162 Frammento 32 (BUCHELER, p. 121). 103 Epigr., 12, 57, 12 (FRIEDLANDER II, p. 249). 184
Ode I,
5,
13-16
(KIESSLING-HEINZE, I, p.
33).
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La tabula post naufragium era l'ultima cosa che restituiva tuttavia la vita al naufrago. E così ora possiamo comprendere meglio, quando, nelle Saturae di PETRONIO, Eumalpo si rivolge al cadavere di Lichas, il padrone della nave rigettato sulla spiaggia, con le parole : « De tam magna nave ne tabulam quidem naufragus habes » 165 . Da quanto detto si comprende che dalla forza della viva esperienza navale poteva sorgere anche un'immagine oratoria popolare e espressiva. Gli antichi parlano continuamente della tavola della salvezza. La σχεδία, il pezzo di legno salutifero della zattera di Ulisse, ha ricevuto nel Fedone di PLATONE una nuova indimenticabile forza simbolica. Adesso è la filosofia, che diventa l'audace ma pericoloso viaggio marino dell'uomo che pensa: anche in essa si danno dei naufragi, dai quali ci riconduce a terra, non più una buona nave, ma una semplice tavola di legno. Il saggio « deve lasciarsi dire come vanno le cose, anche se ciò nella vita attuale è molto diffìcile ο impossibile, oppure lo deve trovare egli stesso, oppure ancora se ciò fosse impossibile, deve assicurarsi almeno la migliore e irrefutabile dimostrazione umana e su di essa, come su di una zattera (ώσπερ επί σχεδίας κινδινεύοντα διαπλεϋσαι τον βίον), pilotare fiducioso attraverso la vita, nel caso che qualcuno non abbia la ventura di veleggiare, sicuro e senza pericoli, su una forte nave, ossia una parola quasi divina » 166 . Un frammento di EURIPIDE, conservatoci da PLUTARCO, dice soltanto con
una debole applicazione dell'immagine : « Persino su 166 1 8 i
Sat., 115, 13 (BUCHELEH, Fedone, 85 D.
p.
8 j , 1.
17S).
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L'ECCLÉSIOLOGIA
DEI
PADRI
di un giunco tu puoi viaggiare per mare, se dio lo vuole » 167 . LUCIANO lo ha imitato 168. Tale salvezza è propriamente un dono divino. Tahulam naufrago dare è anche per il Romano il concetto figurato di un beneficio che salva la vita, la cui incomparabilità consiste in un sorprendente contrasto con la pochezza del piccolo pezzo di legno. La tavola ha più valore di un patrimonio. Lo ha detto SENECA: « Dedi ubi patrimonium-sed ego naufrago tahulam » 169 ! In un esercizio retorico di declamazione dello Ps. QUINTILIANO si narra che ad una città affamata, dopo lunga esitazione, viene mandato un mercantile carico d'ogni bene, che però trova soltanto dei morti. Questo è un naufragio nel porto; invece del piccolo aiuto, che avrebbe salvato la vita, giunge ora un tesoro divenuto inutile : « In portu naufragami fecimus et frumentum ad ancora perdidimus... naufrago tabulani abstulisti, mortuo applicas navem » 17 °. L'immagine fa dunque parte dell'arsenale dei retori. VALERIO MASSIMO narra che a Bologna un galante signore fu colto in flagrante e fu denunciato per adulterio, ma potè salvarsi con una fuga difficile: egli ha trovato una tavola giuridica di salvezza nel minaccioso naufragio : « Inter maximos et gravissimos infamiae fluctus emersit, tamquam fragmentum naufragii leve admodum genus defensionis amplexus » m . Questo è l'ambiente spirituale e letterario, in cui ora comprendiamo, come la nostra tabula 1,7 De Pythiae oraculis, 22 (POHLENZ-SIEVEKING IH, p. 49,1. 11) = EURIPIDE, frammento 397. 1S3 Hermot., 28 (JACOBITZ I, p. 352, 1. 23s). 168 De beneficiis III, 9 (Hosius, p. 57, 1. 26). 170 Dedam. 12, 23: Pasti cadaveris (ed. Bipontina III, p. 273). 171 Facta et dieta memorabilia, 8, 1, 12 (KEMPF, p. 371, 1. iós).
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naufragii potesse penetrare anche nella retorica filosofica, morale e giuridica di CICERONE e non c'è alcun dubbio che proprio da questo ambiente anche TERTULLIANO e LATTANZIO, i retori e moralisti cristiani, abbiano desunto l'immagine della tavola della salvezza. Nel libro Sui doveri Cicerone, seguendo il modello di Ecatone, propone il seguente caso: cosa succede, quando un naufrago saggio e uno stolto si disputano l'unica tavola della salvezza? « Si tabulam de naufragio stultus arripuerit, extorquebitne eam sapiens, si potuerit ? » Ecatone ha definito la cosa immorale e ne ha trattato a fondo nel sesto libro della sua opera : « Quid, si una tabula sit, duo naufragi eique sapientes, sibi uterque rapiat an alter cedat alteri»? 172 . Il caso morale viene quindi discusso ulteriormente e ci mostra che per questi uomini antichi era naturale fissare l'attenzione su questi eventi quotidiani (non altrimenti avverrà in Tertulliano e Gerolamo). LATTANZIO a sua volta ha ripreso direttamente da Cicerone il medesimo problema : « Sed concedamus posse fieri quod proponit philosophus: quid ergo iustus faciet, si nactus fuerit aut in equo saucium aut in tabula naufragum ? Non invitus confiteor : morietur potius quam occidat » 173. Questa è la soluzione cristiana del caso della tabula naufragii. Concludiamo questo viaggio attraverso la preistoria della tabula con una frase della storia tempestosa della politica romana al tempo di Cesare. CICERONE va in giro gloriandosi dell'amicizia con il temuto potente, che gli è restata come unico bene nel naufragio della politica e se ne ricorda con amara commozione: «Et " a De offiàL·, 3, 29, 30 (OHELL IV, p. 73IS). "» Div. Inst., 5, 17, 20 (CSEL 19, p. 455, 1. 14-16).
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L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
mehercule cum Caesare suavissimam coniunctionem haec enim me una ex hoc naufragio tabula delectat » 174. Passando ora a descrivere la storia cristiana della tabula naufragii, dobbiamo affermare sin dall'inizio: non la teologia greca, ma soltanto quella latina si è servita di questa immagine in un contesto dogmaticamente importante sotto l'influsso determinante di TERTULLIANO, che ha reso popolare tale simbolo nautico nella dottrina penitenziale. Ciò conferma il nostro assunto, che qui, da un punto di vista della storia letteraria, si tratta di un tema ereditato dalla retorica romana, che abbiamo incontrato in Cicerone e Quintiliano. È perciò tanto più importante stabilire che cosa abbia inteso dire effettivamente la teologia penitenziale latina, quando parlava della tabula naufragii. Si tratta, come si sa dagli studi sulla storia antica della penitenza cristiana17S, della difficile questione, che in tutti i tempi ha occupato le menti dei teologi: può un cristiano riacquistare la salvezza perduta dopo il battesimo a causa del peccato? Detto ora in termini nautici: c'è ancora per lui una salvezza, quando per sua colpa è « caduto in mare » dalla nave della Chiesa oppure quando la nave dell'anima della sua fede e della sua moralità è andata perduta nel naufragio del pec" 4 Epistola ad Attìcum, 4, 18, 3 (OKELL HI, p. 464, 1. 2$s). 1,5 Per la teologia penitenziale di Tertulliano ricordiamo il recente studio in J. QUASTEN, Patrology, Utrecht-Antwerpen 1953, v. 2, p. 301S; 314S; 335. - Cfr. B. POSCHMANN, Paenitentia Secunda. Die kirchliche Busse im altesten Christentum bis Cyprian una Origenes, Bonn 1940, p. 283-34S. - K. R A H N E R , Zur Theologie der Busse bei Tertullian (Festschrìft fur Karl Adam), Dusseldorf, 1952, p. 139-167 (vers. ital. in La penitenza della Chiesa, R o m a , 2 ed., 1969). - J. GROTZ, Die Entwicklung des Bussstufenwesens in der vomizànischen Kirche, Friburgo 1955, p. 343-370.
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cato? C'è anche in questa sfera della salvezza eterna un qualcosa di simile ad una tavola, che faccia da mediatrice tra morte e vita? Gerolamo ha formulato acutamente la risposta in una lettera che parla della tabula naufragii : « Non c'è cosa intermedia tra morte e vita. Le due cose stanno tra di loro in netta opposizione; e tuttavia vengono connesse insieme mediante la penitenza » 176 . Iniziamo dunque con l'esposizione della simbolica nautica nella teologia penitenziale di TERTULLIANO. LO sappiamo già: è il Tertulliano ancora cattolico, che parla e può parlare della tabula della penitenza. Cosa abbia pensato di questa questione da montanista, ce lo ha indicato la sua esegesi di iTim 1,19: dopo il naufragio nella fede, per il peccatore non c'è più speranza di ottenere la salvezza che viene data attraverso la Chiesa 177. Ben altrimenti parla nel suo periodo cattolico; l'opuscolo della penitenza ne è il classico testimone. Nel quarto libro incontriamo per la prima volta nella letteratura cristiana l'immagine della tavola della salvezza. In questa prima parte dell'opera si tratta, com'è risaputo, dei sentimenti penitenziali prebattismali del catecumeno, i quali preparano a ricevere effettivamente la remissione dei peccati nel battesimo. A tale scopo Tertulliano predica (e non si può perdere di vista questo carattere omiletico del libro, ragion per cui, anche l'immagine della tabula appartiene agli elementi fondadamentali della catechesi battesimale latina) : « Ergo paenitentia vita est, quae proponitur morti. Eam tu, peccator...ita invade, ita amplexare, ut naufragus alicuius "· Epistola 122, 3 (CSEL 56, p. 66, 1. 2s). i" De pudicitia, 13 (Corp. Christ. II, p. 13055).
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tabulae fidem. Haec te peccatorum fluctibus mersum prolevabit et in portum divinae clementiae protelabit » 178. « Così, come un naufrago si affida ad un qualsiasi pezzo di legno »: ricordiamo l'esperienza che l'uomo antico aveva del naufragio e del salvataggio, per sentire quanto fosse eloquente questa immagine per i catecumeni dell'Africa. Il naufragio, che qui viene supposto, è in ultima analisi il peccato originale di Adamo, da cui derivano tutti i peccati degli uomini non redenti. Adamo infatti viene chiamato poi espressamente « stirpis humanae et offensae in Dominum princeps » 179 . La tempesta marina, che provoca continuamente il naufragio, è lo stato di peccaminosità dopo il peccato originale : « Tot et tanta delieta humanae temeritatis a principe Adam auspicata » 18 °. Il porto della misericordia divina è la salvezza mediante il battesimo e in questo porto si giunge dopo il naufragio sulla tavola dei sentimenti della penitenza. Questa « prima » tabula post naufragium è dunque la penitenza prebattismale. Lo vediamo: le immagini provenienti dal campo nautico si compenetrano l'un l'altra. Questa prima tavola della salvezza porta come immediatamente al porto salvifico, in una sicurezza apparentemente definitiva. In questa abbreviazione retorica dell'immagine, non si parla della nave della Chiesa sulla quale (secondo la dottrina di Tertulliano riferita altrove) 181 si viene 178
De paenitentia, 4, 2, 3 (Corp. Christ. I, p. 326, 1. 6-12). "· De paenitentia, 12, 9 (Corp. Christ., I, p. 340, 1. 395). 180 De paenitentia, 2, 3 (Corp. Christ. I, p. 322, 1. 8s). 181 Per il simbolismo della nave di TERTULLIANO, cfr. De baptismo, 12 (Corp. Christ. I, p. 288, 1. 38-43): « Navicula illa figuram Ecclesiae praeferebat ». - De pudicitia, 13, 20 (Corp. Christ. II, p. 1306, 1. 1): « Solarium navis Ecclesiae». - L'uomo come nave: De
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presi mediante il battesimo. Ma così il problema della teologia penitenziale diviene tanto più acuto: anche questo salvato nel porto del battesimo può come dimostra l'esperienza, subire ancora naufragio. Come può allora conciliarsi la possibilità di una rinnovata salvezza con l'unicità definitiva dell'arrivo in porto? Può uno « sbarcato » subire ancora naufragio nel porto ? D'altra parte è cosa certa per Tertulliano che mediante il battesimo « la chiave del perdono » 182 fu chiusa una volta per sempre. Qui s'inserisce la sua dottrina della paenitentia secunda. Solo una volta ancora Dio porge al peccatore battezzato il rimedio della penitenza presente nella Chiesa. In linguaggio nautico: al cristiano divenuto nuovamente naufrago nel porto del battesimo, Dio ancora una volta invia una tavola salvifica quale secunda, immo iatn ultima spes183. È l'exomologesi, la penitenza sacramentale che riconcilia alla Chiesa e riconduce nuovamente al porto. Tertulliano ne parla a partire dal settimo libro. Egli lo fa però con esitazione, per evitare che i cristiani si lascino andare facilmente all'immoralità a causa di questa possibilità di remissione rinnovata ο rinnovabile a piacere. Proprio questa strana esitazione diviene più comprensibile mediante la immagine della tabula post naufragium offerta ancora una volta da Dio. Il cristiano dovrebbe essere veramente come un navigatore, che non sfida il cielo con naufragi provocati più volte (da quanto detto sopra conosciamo quest'atteggiamento dell'uomo antico). Siamo sfugresurr. carnis, 60, 6 (Corp. Christ. II, p. 1009, 1. 30-35). De anima, 52, <5 (p· 859). - Altri ricordi nautici: De corona (p. 1051, 1. 15S). Adversus Vaientimanos, 12, 2, 3 (p. 763, 1. 7-11). «a De paenitentia, 7, io (Corp. Christ. I, p. 333, 1. 35). 183 Ivi, 7, 2 (p. 332, 1. 4s).
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giti una volta al naufragio dell'anima salvandoci sulla tavola della penitenza battismale; una sola esperienza può bastare, poiché tutte quelle ulteriori significherebbero tentare Dio : « Evasimus semel : hactenus periculosis nosmetispsos inferamus etsi iterum evasuri vidertiur. Plerique naufragio liberati exinde repudium et navi et mari dicunt » 1 8 4 . Tuttavia, anche il Tertulliano già severo sin da allora non può passare sotto silenzio il potere di rimettere i peccati per lo meno una volta, dato da Dio nella Chiesa. Se il battesimo era la « prima » tavola della salvezza, ora l'exomologesi è la seconda tavola su cui possiamo salvarci. L'una e l'altra vengono numerate come prima e seconda in base al loro rapporto col naufragio del peccato originale e dei peccati postbattismali dei cristiani derivanti dalla colpa di Adamo. Anche questi peccati infatti, non sono altro che nuove partecipazioni al delictum di Adamo, all'unico decisivo naufragio dell'umanità. E la salvezza è precisamente soltanto una: il ritorno nel porto, ossia: divenire insieme ad Adamo un restìtutus in paradisum 185 . Battesimo e penitenza sono dunque le dune humanae salutis quasi plancae lse. Proprio in questa contrapposizione tertullianea delle due tavole quali simboli del battesimo e della penitenza, c'è un punto di inserzione per molti problemi teologici che solo molto più tardi furono ripresi, ο che, quando sono stati trattati nell'antichità cristiana, non lo furono con l'ausilio dell'immagine delle tabulae 187 . 184
Ivi, 7, 4. 5 (p. 333, 1. 13-16). Ivi, 12, 9 (p. 340, 1. 40S). 186 Ivi (1. 3 S s). 187 Cfr. i testi patristici in P. GALTIER, De Paenitentia, Parigi 1931, P- 97-100. 185
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Le cose stanno così: se, a partire da Tertulliano, seguiamo il motivo della tabula post naufragium attraverso la teologia dei Padri, costatiamo che essa viene usata raramente e che quel punto di vista della teologia penitenziale non svolge il compito, che, in base a Tertulliano, ci si sarebbe aspettato. Giò dipende da due motivi. Primo: la mentalità nautica va perdendosi presso i Padri della « terra ferma » e con essa anche la comprensione di questa immagine, alimentata dalla vita, al punto che il comune simbolo del naufragio resta un semplice topos letterario. L'espressione della tabula sopravvive al massimo nella sapienza dei proverbi ο presso l'uno ο l'altro Padre, la cui retorica deriva dalla scuola di Cicerone. Secondo: a questa immagine, con siderata dal punto di vista della storia del dogma, è collegata troppa di quella « irrepetibilità » dell'antica prassi penitenziale cristiana, prassi che per Tertulliano e per il periodo che va sino alla fine dell'antichità era ancora naturale in diversa misura. Per questi motivi l'ulteriore storia della nostra tabula si sviluppa così: il simbolo diventa ancora una volta vivido in GEROLAMO, che non ha mai dimenticato la scuola retorica romana: affiora qua e là dove si può supporre l'influsso immediato di Tertulliano; ma, in tutto il periodo carolingio e prescolastico (per quanto abbiamo potuto appurare dopo faticose ricerche), non viene mai usato. Solo nella scolastica primitiva, con il suo nuovo e profondo interesse per i problemi di teologia sacramentaria, fu nuovamente scoperta (e precisamente in Gerolamo) e ricevette nella teologia penitenziale quell'importanza, contro cui Lutero e Calvino elevarono la loro protesta. Per conseguenza la tabula naufragii ebbe il dovuto ri-
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conoscimento anche nel Concilio di Trento e nelle opere dei teologi posttridentini viene citata come una classica glossa antica. Descriviamo in breve questo sviluppo. La teologia penitenziale del quarto secolo aveva dovuto difendersi contro la negazione della possibilità della remissione dei peccati capitali fatta dai Novaziani, la cui dottrina in ultima analisi aveva lo stesso spirito di quella del montanista Tertulliano. Senza dubbio in queste polemiche ci si ricordava anche della possibilità, sostenuta dal Tertulliano cattolico, di una salvezza possibile almeno una volta al peccatore battezzato sulla « seconda tavola della salvezza ». Nell'opera classica di questa polemica contro i Novaziani, il libro De paenitentia di AMBROGIO, non si incontra (per quanto gli sia vicino in molti passi) l'immagine della tabula. Ma che questa non fosse stata dimenticata, lo dimostra la prima lettera di P A CIANO DA BARCELLONA, che si occupa a fondo della dottrina penitenziale dei Novaziani. In fondo Paciano si trova ancora sulle posizioni del cattolico Tertulliano: parla con esitazione della possibilità di una sola remissione penitenziale e si augura che questa penitenza sacramentale non sia mai necessaria: « De paenitentia vero Deus praestet, ut nullis fidelibus necessaria sit, nemo post sacri fontis auxilium foveam mortis incurrat » 18S . Tuttavia Dio ha lasciata aperta questa possibilità ed essa va difesa con ogni premura contro la superba iustìtia dei Novaziani. Se la remissione penitenziale è un dono che Dio concede nella Chiesa, la remissione mediante il sacerdote è operazione di Dio : · « Non largiEpistola i, s (PL 13, 1055 C ) .
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mur ista de nostro » 189 . E qui Padano si ricorda dell'immagine della tabula (forse in dipendenza da Tertulliano, ma più probabilmente dalla sapienza dei proverbi dell'uomo antico, di cui parlammo più sopra). Naufrago tabularti dare : questa era a suo tempo per Seneca la personificazione della bontà che dona: naufrago tabularti eripere, questa era in Cicerone e Lattanzio la personificazione della mancanza di misericordia. Di questa mancanza di cuore spirituale sono colpevoli i Novaziani, così fieri della loro purezza dai peccati, quando negano la possibilità della penitenza. Invece il cristiano cattolico (la cui natura « cattolica » Paciano loda in questa lettera) non deve più peccare dopo il battesimo, ma qualora pecchi, va incoraggiato a sottomettersi alla penitenza, poiché ha ancora la tavola, che i Novaziani gli vogliono sottrarre : « Pigeat sane peccare, sed paenitere non pigeat. Pudeat periclitari, sed non pudeat liberari. Quis naufrago tabulam, ne evadat, eripiet » 190 ? Che nell'espressione tabula naufragii spesso si tratti di una reminiscenza dalla letteratura classica, ce lo dimostra una lettera di PAOLINO DA NOLA in un contesto che con la vera storia della penitenza non ha nulla a che vedere. Un suo amico di nome Giovio, un colto fantasticone, sentiva la tempesta del mare di questa vita come effetto di un triste fato. Paolino lo tranquillizza, dimostrandogli ch'egli non sa vedere la meraviia>
Ivi (1056 A).
190
Ivi (p. 1056 A). Cfr. per ciò B. POSCHMANN, Die abendlin-
dische Kirchenbusse im Ausgang der christlichen Altertums, Monaco 1928, p. 144-147. - E. GOILER, Analekten zur Bussgeschichte des vierten Jahrhunderts, in Rom. Quartalschrifi 36 (1928) p. 245-261. - Che PACIANO sia stato influenzato da TERTULLIANO, lo dimostra per un altro passo B. POSCHMANN, Paenitentia Secunda, p. 323, nota 2.
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gliosa struttura di questa « nave del mondo » (mirabilem illam navis iactatae salutem) 191. Il cristiano invece la sa scorgere, ma soltanto quando sfugge ai flutti del mare del mondo ed evita le tentazioni dei lotofagi e delle sirene, come un Ulisse spirituale sulla tavola della salvezza. Infatti ovunque ci minaccia il naufragium salutis. Qui si inserisce il ricordo del pezzo di legno, su cui si salvò Ulisse: è la tabula della salvezza, che il cristiano deve afferrare. Questo legno salva soltanto nella forza della croce di Cristo: così Paolino trasfigura la immagine antica in una profondamente cristiana. Egli scrive all'amico: « Atque utinam vel nudis nobis ex istius mundi salo liceat evadere, si in tempore isto quo in fragilitate corporea et possessionum lubrico tamquam in, navigli fatiscentis infida compage fluitamus... fidem salutarem qua in virtute Christi Dei vexillo crucis nitimur, quasi tabulam perfugii meminerimus invadere » 192. Già Tertulliano aveva parlato del invadere tabulam; forse Paolino se ne ricorda. In ogni caso egli parla chiaramente di penitenza che salva dal naufragio utilizzando l'immagine del legno della croce, con il quale la nave della Chiesa è costruita. Della salvezza penitenziale su questa tavola parla anche l'autore, ancora sconosciuto (forse si tratta di 193 NICETA DI R_EMESIANA) , di una ammonizione ad una vergine caduta, che per i suoi peccati si era assoggettata alla penitenza a vita. Essa viene cosi esortata dal vescovo : « Sed tu quae iam ingressa es agonem pae191 1M 193
n. 651.
Epistola 16, 6 (CSEL 29, p. 120, 1. 3s). Epistola 16, 8 (p. 122, 1. 3-9). Cfr. Clavis Patrum Latinorum, Steenbrugge,
1951,
ρ.
ιό,
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nitentiae, insiste misera. Fortiter inhaere tamquam in naufragiis tabulae, sperans per ipsam te de profundo criminum liberari. Inhaere paenitentiae usque ad extremum vitae, nec tibi praesumas ab humana die veniam dari » 1 9 4 . Proprio da questa testimonianza vediamo che l'immagine della tavola della salvezza si regge in piedi ο cade in dipendenza dalla prassi penitenziale antica di un perdono dato soltanto una volta. La distinzione dei peccati capitali dalle altre trasgressioni cristiane si de linea anche nella simbolica nautica penitenziale: quel li sono un naufragio, questi sono soltanto la nave del l'anima che si è messa a far acqua. Così, comprendiamo le prediche penitenziali di CESARIO DI ARLES e i suoi paragoni marittimi. Egli ammonisce i cristiani a rattoppare continuamente la nave dell'anima, quando si è rotta a causa della superbia ο si è messa a imbarcare acqua a causa della sensualità 195. Altrimenti vi penetrano « le onde del peccato » 196 . Ma c'è anche un vero naufragio, soprattutto nel peccato capitale della lussuria, e da questa disgrazia ci salva ancora una volta soltanto la tavola proveniente dalla nave che, essendo stata costruita da Dio stesso, ha una vivificante partecipazione alla fecondità salvifica della Chiesa: essa porta il peccatore al portus paenitentiae, ove gli viene restituita vita e salvezza. « Qui se cognoscit de litore continentiae tempestate libidinis in pelago luxuriae fuisse iactatum et castitatis incurrisse naufragium, peccatorum con-
1.4
De lapsu virginis consecratae, 8 (PL 16, 397 A).
1.5
Sermo 56, 2 (MORIN I, p. 239).
194
Sermo 196, 4 (MORIN I, p. 751). Sermo 136 (p. 576).
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fessionem velut tabulam fractae navis velociter adprehendat » 197 . Abbiamo già accennato, che in GEROLAMO, sotto lo influsso della retorica romana, soprattutto di Quintiliano e di Cicerone 198, l'immagine della tabula torna in tutta la sua freschezza non solo in connessione con la dottrina penitenziale, ma, ampliando molto di più il suo significato, anche come trito proverbio popolare. Gerolamo, che nei suoi viaggi marittimi si ricorda volentieri delle avventure di Ulisse e di Enea, ama le immagini e i paragoni nautici 199 . Il mugghio del mare e lo squallore del naufragio corrispondono al suo temperamento passionale. Mentre le onde della polemica origenista erano ancora alte, egli si ricorda della propria educazione: in gioventù ha amato caldamente Origene, mentre poi lo ha avversato con uguale calore come doromaticamente sospetto. In una lettera agli amici romani Pammachio e Oceano dipinge questo periodo giovanile e il pericolo del naufragio nella fede, in cui venne a trovarsi a causa di Origene. Egli ne ha fatto in certo qual modo penitenza, avendo riconosciuto questi peccati scientifici di gioventù; nessuno dovrebbe seguirlo nei peccati, bensì imitare la 19 ' Sermo 66, ι (p. 270). Per la dottrina penitenziale di Cesario cfr. C . VOGEL, La discipline pénitentielle en Gante des origmes a la fin du Vile siede, Parigi 1952, p. 79-148. 1,8 Cfr. in QUINTILIANO, 8, 6, 44-50 (RADERMACHER, ρ. 124-126) la raccolta di paragoni nautici di Cicerone, ove tra l'altro afferma che il linguaggio poetico a volte dice anche abietes invece di tabellae: 8, 6, 20 (p. 117, 1. 25). La nostra tabula dunque va identificata con quel legno di abete, con cui si costruivano le pareti della nave e la croce. 198 Apologia adversus Rufinum, 22 (PL 23, 473 B ) . Altre immagini nautiche nelle lettere di GEROLAMO: EJJ. 123, 14. 15 (CSEL 56, p. 89, 1. 7; p . 91, 1. 17). _ Ep. 125, 9 (p. 128, 1. 11).
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sua conversione: e proprio qui gli sovviene la sapienza sentenziosa della tavola nel naufragio. « Secunda post naufragium tabula est, culpam simpliciter confìteri. Imitati estis errantem, imitamini et correctum » 20 °. Teniamolo bene a mente: questo è il linguaggio di Gerolamo nel suo contesto vivo, che poi, come un fossile pietrificato, mediante il Decretum Gratiani doveva sopravvivere nella dottrina penitenziale della scolastica primitiva sotto forma di glossa di una auctoritas. Nella sua origine immediata esso non ha nulla a che vedere con la teologia della penitenza: un classico esempio, questo, dell'avventura verbale di un cosiddetto « luogo patristico ». Tuttavia, dal modo in cui Gerolamo usa qui l'espressione, possiamo dedurre che essa gli è pervenuta dall'ambito della teologia penitenziale cristiana. Egli infatti parla della « seconda » tavola dopo il naufragio: cosa che, in verità, si comprende soltanto nel contesto della dottrina penitenziale, che conosciamo da Tertulliano e che certamente continuava ancora a vivere nella catechesi battesimale. Che sia così, ce lo dimostrano chiaramente altre lettere di Gerolamo. Nella sua poderosa missiva alla vergine Demetria, anch'egli parla della possibilità che ha il battezzato di compiere la penitenza. Ammette anche lui che per il cristiano battezzato non ci dovrebbe essere più alcuna penitenza, e in particolar modo quando si tratta di una vergine consacrata. Ma ora sentiamo quella che è forse l'eco più pura della catechesi battesimale : « Veruna nos ignoremus paenitentiam, ne facile peccemus. Illa quasi secunda post naufragium miseris tabula sit: in virgine »° Epistola 84, 6 (CSEL 55, p. 12S, 1. Ss).
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integra servetur navis» 201 . Cosi la sua parola ammonitrice si rivolge (con la stessa problematica dell'opuscolo dello Ps. - AMBROGIO ad una vergine caduta), ad una fanciulla in Gallia, che viveva in circostanze moralmente dubbiose con un chierico sotto uno stesso tetto e di cui si parlava molto. Il predicatore della penitenza l'ammonisce di ristabilire la sua fama almeno mediante un matrimonio pubblico, poiché questa è l'ultima e migliore maniera di far penitenza: « Si corrupta es, cur non palam nubis? Secunda post naufragium tabula est, quod male coeperis saltem hoc remedio temperare » 202 . Un brano ancor più oscuro della storia della teologia del peccato nel cristianesimo antico è la lettera, che Gerolamo scrive allo scellerato diacono Sabiniano. Anche qui la possibilità di penitenza appare come grazia concessa ancora una volta, però Dìo parla così al peccatore utilizzando Amos 1,3: «Io porgo al caduto la mia mano e lo supplico, lui che si è imbrattato con il suo proprio sangue, di purificarsi con le lagrime della penitenza. Se egli non compie la penitenza e dopo il naufragio non vuole afferrare la tavola salvifica (quodsi nec paenitentiam vult agere etfracto navigio tabularti, per quam salvati poterai, non retentai), allora io sono costretto a dirgli: ' Non debbo io, dopo tre ο quattro sue defezioni, volgere il mio sguardo lontano 203 da lui?' » . Ricordiamo un ultimo testo di Gerolamo, che fu conosciuto più tardi mediante la Glossa interlinearis e che, a causa della sua oscurità procurò molti rompicapo ai teologi dell'alta scolastica. Essa proviene *01 Epistola 130, 9 (CSEL 56, p. 189, 1. 3-6). Epistola 117, 3 (CSEL 55, p. 425, 1. 13-15). 203 Epistola 147, 3 (CSEL 56, p. 317, 1. n s ) . Ma
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dal commento a Isaia. Is 3,9 paragona i peccati di Gerusalemme a quelli dei sodomiti, che si macchiavano senza vergogna: « Et peccatum suum quasi Sodoma praedicaverunt nec absconderunt ». Gerolamo nota : « Secunda enim post naufragium tabula est et consolatio miseriarum impietatem suam abscondere » 204. Il testo, con un ragionamento un pò tortuoso, vuol dire: l'inizio di un ritorno penitente comporterebbe almeno di non commettere più pubblicamente i peccati come facevano i sodomiti. E poiché parla di penitenza, Gerolamo pensa all'espressione a lui familiare, della tavola della penitenza; il che prova, una volta ancora, che si tratta di un luogo comune della catechesi, di cui più tardi non ci si ricorda più, dato che la connessione originaria delle sue piaticele salutis, il battesimo e la penitenza, non viene più vista cosi chiaramente nella dottrina dommatica. Non si ha più alcuna sensibilità per la espressività dell'immagine, che vede nelle due tavole un pezzo della nave della Chiesa, che, essendo costruita con il legno della croce, conferisce una forza salvifica alla tabula della penitenza. Sembra di udire come un'ultima eco dell'antica dottrina cristiana della tabula post naufragium, allorché GREGORIO MAGNO, alla fine della sua Regala pastoralis, invoca la « tavola della preghiera » e dice umilmente : « Alios ad perfectionis litus dirigo qui adhuc in delictorum fluctibus versor. Sed in huius, quaeso, vitae naufragio orationis tuae me tabula sustine, ut quia pondus proprium deprimit, tui meriti manus me levet » 205. Commetti, in Isaiam, 2, 3 (PL 24, 65 D). Regala pastoralis, 4 (PL 77, 128 A).
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La teologia, un tempo così avida di simboli, da Isidoro di Siviglia sino alla scolastica primitiva non sa nulla del nostro simbolo, almeno per quel che ne sappiamo. In tutte la sue esposizioni di teologia penitenziale, che esercitarono tanto influsso, Isidoro non lo ha mai registrato, anche se sarebbe stato naturale farlo precisamente là, dove egli parla della relazione tra battesimo e penitenza (lacrimae poenitentium apud Deum prò baptismate reputantur 206, come aveva già detto Gregorio Magno) 207. Anche nell'elogio della penitenza, che non appartiene certamente ad Isidoro, non si riscontra alcuna espressione presa dal mondo simbolico nautico 208. Solo nel quarto libro pseudoisidoriano delle Sententiae si dice con un concetto a noi ben noto sin dall'antichità : « Peccata experti saltem post naufragium mare metuant » 209 . E nel cosiddetto Lamentum paenitentiae, anch'esso non attribuibile a Isidoro, l'uomo peccatore cosi prega : « Placeat, Christe, damnatum reparare naufragum de interitus errore » 210 . Ma anche su queste onde sommesse del grande mare dell'antichità e dei ?adri non galleggia alcuna tabula. Nei commenti appartenenti ai cinque secoli che vanno sino all'inizio della scolastica primitiva, quando si giunge al passo del naufragio in iTim 1,19 sarebbe naturale incontrarvi il concetto della tavola della penitenza. ATTONE 2 n cita semplicemente (senza far nomi) "· De eccl. officiis, 2, 17 (PL 83, 805 A). - Sententiae, 2, 12. 13 (PL 83, 613-617). - Etymol., 6, 71-79 (PL 82, 258S). «" Homilia, io (PL 76, 1114B). 208 De numeris, 14 (PL 83, 1300 BD). MS Sent. IV, 55 (PL 83, U87 CD). al ° Lamentum, vv. 293-295 (PL 83, 1261). Anche la lunga Oratio prò correptione vitae (PL 83, 1261-1274) non contiene l'immagine. al1 Expositio in epistolam I ad Timotheum (PL 134, 667 C).
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l'Ambrosiaste; lo Ps.-Aimone 212 dà una libera parafrasi dello stesso autore. Ma neppure una parola della tabula naufragii. Così, nella storia del nostro simbolo assistiamo ad una vera rigenerazione, quando verso il 1140 GRAZIANO scrive il suo Decretimi e nel capitolo De paenitentia, attingendo alla sua imponente conoscenza delle opere patristiche (bisognerebbe studiare più a fondo quali sono le sue fonti) 213, vi cita un'espressione, proveniente proprio da una lettera di Gerolamo, che a dir la verità non ha nulla a che fare con la teologia della penitenza : « Secunda post naufragium tabula est culpam simpliciter confkeri» 214. Con ciò veniva spalancata una porta, che non si doveva più chiudere. Tanto più che Graziano, nell'ulteriore esposizione del suo diritto penitenziale, cita ancora una volta Gerolamo (anche con la falsa indicazione « in Malachia ») 215 e con ciò stesso indica la sfera nella quale resterà l'espressione della tabula naufragii, cioè la questione teologica del rapporto tra battesimo e penitenza : « Ut quod facit baptisma hoc faciat poenitentia » 216. 2 " PL 117, 787 D. C£r. anche ERVEO DI B O U H G - D I E U (PL 181,
RABANO 1412 B).
(PL
112,
587 C D ) .
-
213 Cfr. P. A N C I A U X , La théologie du sacrement de Pénitence au Xlle siede, Lovanio 1949, p. n o s . 214 De paenitentia, dist. 1, e. 72 (FRIEDBESG I, p. 1179). 215 In realtà l'espressione si trova in GEROLAMO, Comment. in Os., 3, 12 (PL 25, 928 C ) . Alla stessa dottrina aderisce anche Comment. in Sophon., 1, io (PL 25, 1349 A ) : «Per has enim duas portas, baptisnii et paenitentiae, in Ierusalem, id est in Ecclesiam Dei, vel introitus vel retroitus est ». 218 De paenitentia, dist. 1, e. 74 (FRIEDBERG I, p. 1179). Per la teologia del naufragium della penitenza citiamo anche « Augustinus ad Felicianum»: De paenitentia, dist. i, e. 81 (FRIEDBERG I, p. 1181):
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Una « accensione iniziale » qviasi contemporanea a Graziano e forse già da lui conosciuta, si ebbe quando dalla scuola di ANSELMO DI LAON uscì la Glossa che ebbe tanta importanza per la teologia posteriore 217 . Riferendosi ad Isaia 3,9, la Glossa interlinearis cita, senza farne il nome, l'espressione a noi già nota del commento a Isaia di Gerolamo : « Secunda post naufragium tabula est impietatem abscondere » 218 . E nella glossa marginale ad Ezechiele 16,52 [porta confusionem tuam) viene detto : « Porta confusionem : secunda post naufragium tabula est, cum peccaveris erubescere » 219 . Le parole vengono citate ancora una volta anonimamente, ma, immediatamente dopo, in una seconda glossa viene nominato Gerolamo in una frase presa dal' suo commento ad Ezechiele 220 . Questo bastò a rendere indimenticabile la nostra tabula nel contesto della teologia della penitenza. Nel breve lasso di tempo che va sino all'apparizione delle Sentenze di Pietro Lombardo, possiamo elencare almeno cinque citazioni dell'espressione tabula naufragii, ora nuovamente conosciuta, le quali si trovano nella teologia dei maestri prelombardiani, che sono così importanti per comprendere bene il Maestro delle Sentenze. « Quid enim interest ad naufragium utrum non grandi fiuctu navis opperiatur an paularim subrepans aqua in sentinam submergat ». È una frase di AGOSTINO, Epistola 265, 8 (PL 33, 1089 A; CSEL 57, p. 646, 1. 10-13). 217 Per le recenti questioni sull'origine della Glossa (Anselmo di Laon e sua scuola) cfr. P. ANCIAUX, op. cit., p. 105, nota 3. - B. SMALLEY, The Study of the Bible in the Middle Ages, Oxford 1952. 218 L'edizione secondo cui citiamo il testo della Glossa è: Biblia sacra cum Glossa interlineari, ordinaria et Nycolai Lyrani Postilla, Venezia 1588. Il nostro passo: v. IV, fol. n v . al » Voi. 4, fol. 233V. SM Comment. in Ezechielem, 16, 52 (PL 25, 155 D ) .
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Il testo più antico si trova nella Summa Sententiarum, la cui paternità è discussa : « Est enim poenitentia secunda tabula post naufragium, quia post baptismum, si quis vestem innocentiae peccando amittit, per poenitentiam recuperare poterit » 221. Si osservi la connessione della nostra immagine con quella della « veste dell'innocenza»: vi si coglie la mutua dipendenza dei singoli autori. Nella cosiddetta Ysagoge in theologiam si legge: « Redeuntibus enim ad Deum semper necessarium est penitencie sacramentum. Et hec est post naufragium tabula secunda. Si quis enim post baptisma innocentiae vestem culpa aliqua amisit, non nisi penitencia recuperabit » m . UGO DI SAN VITTORE 223 e R O 224 BERTO PULLUS trattano in modo autonomo di questa immagine. Nelle Sententiae divinitatis si dice : « Postquam. tractavimus de sacramento altaris et baptismi, sequi tur consequenter de paenitentia. Est enim secunda tabula post naufragium, parasceve ante pascila. Si contingit aliquem peccatis inquinari post baptismum amissa veste innocentiae, adhaereat huic tabulae et ducet eum per mare istud undosum ad litus aeternae patriae » 225. 221
Summa Sententiarum, 6, io (PL 176, 146 C). Ysagoge in theologiam, II (ed. A. LANDGRAF, Ecrits théohgiques de fecole d'Abélard, in Spicilegium Sacrum Lovaniense, fase. 14, Lovanio 1934, p. 209, 1. 8-12). 223 Miscellanea, 5, 62 (PL 177. 789 CD). 224 Sententiarum, 5, 30 (PL 186, 851 D): « Secundum post naufragium nobis refugium eonstituitur confessici ». 225 Sententiae divinitatis, 5, 4 (ed. B. GEYER, in Beitràge zur Ceschichte der Philosophie des Mittelalters, VII, 2/3, Miinster 1909, p. 142*). Geyer indica come fonte YEpistola 130, 9 di GEROLAMO. Ma questo passo (di fatto non fuori posto qui) per quanto io sappia non è mai citato in tutta la letteratura delle Sentenze; bisogna riconoscere alle parole della Glossa ο del Decreto di Graziano. 222
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Il Lombardo è pertanto già preparato, quando nelle Sentenze, base della teologia della grande scolastica, parla della tabula naufragii. Nel Collectanea alle lettere di Paolo si ricorda a proposito di iTim 1,19 dell'espressione di AGOSTINO, già citata in Graziano, riguardante la nave della fede, che, a causa della tempesta oppure a causa di lenta infiltrazione delle acque nella sentina, può affondare 226. Il testo più importante per il futuro si trova però nel libro delle Sentenze. Gerolamo vi viene citato rettamente : « Est enim, ut ait Hieronymus, secunda tabula post naufragium (poenitentia), quia si quis vestem innocentiae in baptismo perceptam peccando corruperit, poenitentiae remedio reparare potest. Prima tabula est baptismus, ubi deponitur vetus homo et induitur novus. Secunda poenitentia, qua post lapsum resurgimus, dum vetustas reversa repellitur et novitas perdita resumitur » 227. Da questo testo si vede che l'espressione della tabula viene trasmessa (senza altra citazione più precisa) semplicemente come auctoritas di Gerolamo e che così viene fissato il posto preciso del suo valore teologico: il fatto che questa sia la « seconda » tabula della salvezza, indica appunto il rapporto sacramentale tra battesimo e penitenza, visto nello sfondo dell'unico naufragio che deriva dal peccato originale di Adamo. È precisamente ciò che abbiamo visto già in Tertulliano e che ora viene inserito in tutta la problematica della speculazione della scolastica primitiva sull'essenza della remissione sacramentale dei peccati. 226
Collectanea in epistolas Pauli (PL 192, 90 A; 334 D ) . Liber Sententiarum, IV, 14 (QUARACCHI, 1916, v. 2, p. 819; PL 192, 868s). 227
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Si andrebbe troppo lontano, se volessimo far parlare tutti i teologi della teologia penitenziale postlombardiana della scolastica primitiva. Essi riferiscono quasi tutto il testo delle Sentenze, spesso anche con un interessante commento 228. Potrebbe essere utile citare alcune testimonianze sin qui inedite 229 . La Summa del PBEPOSITINO dice : « Diximus de baptismo et confirmatione. Sed quia penitentia est secunda tabula post naufragium, de ea subiciendum est, primo quid sit sacramentum in penitentia et quid res sacramenti » 230 . Come si vede, la designazione tertullianea della tavola come « secunda », ora serve soltanto a giustificare il posto che la penitenza ha nella serie dei sette sacramenti. Citiamo la Somma del Maestro U D O soltanto per mostrare che per lo più ci si atteneva letteralmente al lombardo : « Post hec de penitentia est agendum, que dicitur secunda tabula post naufragium. Prima tabula est baptismus, ubi vetus homo deponitur, et novus induitur. Secunda est penitentia, id est qua post lapsum resurgimus, dum vetustas depellitur et novitas perdita resumitur». ROBERTO COURSON insegna nella sua Summa : « Unde Ieronimus : penitentia est secunda ta228 Cfr. ANCIAUX, op. cii., p. 98, nota 6; p. 141, note 1-4.; p. 356, note 1-3; p. 386; p. 497. Indichiamo le testimonianze più i m -
portanti:
MAGISTER
BANDINUS
(PL
192,
1097 C).
-
GANDOLFO
DI
BOLOGNA, (J. DE WALTER, Magistri Gandulphi Bononiensis sententiarttm libri quattuor, Vienna-Breslavia 1924, p. 458S). - PIETRO COMESTOR (R. M. M A R T I N , Pierre le Mangeur De Sacramentis, in Spicilegium Sacrimi Lovaniense, 17, Lovanio 1937, p. ( A N C I A U X , op. cit., p. 95, nota 1).
59*)- - R A D U L F O ARDENTE
229 Ne siamo venuti a conoscenza grazie zione del vescovo ausiliare Dr. A. Landgraf 230 Somma (Cod. lat. 353 della Biblioteca gen, fol. 5ov). Cfr. anche due altri manoscritti p. 98, nota 6.
alla gentile comunica(Bamberga). Universitaria di Erlanin ANCIAUX, op. cit.,
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buia post naufragium, cura baptismus sit prima tabula, qua pervenitur ad portum salutis » 231 . GOFFREDO DI POIITERS solleva il problema tipico per la scolastica primitiva, se cioè si possa ο si debba far penitenza sa cramentale anche dei peccati veniali, e la dottrina che insegna non essere obbligatoria la loro confessione vie ne corroborata con l'espressione : « Secundum hanc assignationem penitentia secunda tabula est post naufra gium. Sed cum non fiat naufragium per veniale, non est necesse ut per venialia homo ascendat secundam tabulam. Et ita non est necessarium peniteri de venialibus » 2 3 2 . La summa Ne ad mensam, dipendente da Gandolfo di Bologna, aggiunge al testo del Lombardo una propria spiegazione alquanto contorta, applicando la parola « tabula » anche nel senso di « immagine ». L'immagine di Dio, che era data nel battesimo e che a causa del peccato era stata deturpata, viene restau rata nella penitenza : « Penitentia dicitur secunda tabula, quia imago, quam aliquis post baptismum per peccatum deformavit, per penitentiam reformabitur et reparabitur » 2 3 3 . Per lo sviluppo storico sono di gran lun ga più interessanti le spiegazioni di ALANO DI LILLA, che evidentemente disponeva di conoscenze, che non erano a portata di mano degli altri scolastici primitivi. In una rimarchevole esposizione della dottrina penitenziale di Origene e di Ambrogio, egli si ricorda, prendendole dal Lombardo, anche delle parole del monaco 231 Somma (Cod. patr. 127 della Biblioteca Statale di Bamberga, fol. tìp). 232 Somma (Cod. lat. 220 della Bibliothèque de la Ville, Bruges, fol. u s v ) . 233 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. Plut. 20,
Cod. 38, fol. 77. Cfr. anche ANCIAUX, p. 364.
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di Betlemme: «Poenitentia vero est quasi secunda post naufragium tabula. Primum enim naufragium est in originali peccato, contra quod valet baptismus; secundum, naufragium est in actuali peccato, contra quod est secunda tabula, scilicet poenitentia » 2 3 4 . Nelle Theologicae Regulae egli è in grado di riferire quell'antica usanza dei naufraghi, che abbiamo appreso da Giovenale e Marziale, di dipingere cioè il disastro sulla tavola che aveva salvato il superstite e di rendere così più redditizio l'accattonaggio: « Quandoque qui nauf r a g a n t e in mari confugientes ad aliquem navis tabulatum ipso perducuntur ad portum. Primo naufragus in originali (peccato) confugit ad baptismum. Si iterum naufragatur actuali peccato, tabulam poenitentiae ». E qui aggiunge : « Naufragi enim solent tabulam secum ferre in qua naufragii describitur totus eventus, quo viso homines ad misericordiam moti consueverunt sic naufragis subvenire. Similiter per baptismum Deus omnibus subvenit primo, secundo per poenitentiam » 2 3 5 . Giungiamo nel settore dell'alta scolastica. Quanto alla dottrina della tabula naufragii, la dottrina penitenziale dei grandi Maestri non aggiunge nulla al Lombardo, soprattutto perché lo fanno per lo più nell'ambito dei commenti al Maestro delle Sentenze, che da ora in poi si moltiplicheranno 236 . Tuttavia in essi incontriamo una migliore critica dell'origine letteraria dell'immagine e TOMMASO ne tratta in un articolo specifico : « U t r u m paenitentia sit secunda tabula post naufragium ». I grandi scolastici inoltre parlano della taa31
Contra haereticos, i, 48 (PL 210, 353 D). Theologicae regulae, 112 (PL 210, 680 B). Cfr. FR. STEGMULLER, Repertorium Commetitanomm in Sententias Petri Lombardi, Wiirzburg 1947, v. 1. a3s
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vola della salvezza anche nelle loro opere esegetiche. Come esempio di questa sopravvivenza del nostro simbolo nell'alta scolastica, citiamo ALBERTO MAGNO. Nella sua Postilla ad Isaia così spiega Is 3,9: « Hic dicit Glossa interlinearis : secunda post naufragium tabula est impietatem abscondere. Contra hoc est, quod dicit alia Glossa Matth. 3,2 super illud: ' poenitentiam agite ' : prima tabula post naufragium est innocentia, secunda paenitentia237. Adhuc Ezech. 16,52 super illud : ' porta confusionem tuam ' Glossa : secunda tabula post naufragium est, cum peccaveris, erubescere... Ad hoc dicendum, quod Glossa quae hic ponitur male posita est. In originali enim dicit Hieronymus sic: ' Secunda post naufragium tabula est paenitentia a38 et consolatio miseriarum est impietatem suam abscondere '. Tamen si quis eam sustinere vult, sicut iacet, quod prò certo dicitur est, quod prima tabula post naufragium primi peccati, cuius naufragii causa in nobis est originale, est innocentia. Quae tabula si frangitur per actuale, secunda tabula, per quam evadimus, est paenitentia » 239. Tommaso d'Aquino spiega la dottrina del Maestro delle Sentenze con il pensiero, felicissimo dal punto di vista nautico-simbolico, della navìs integra della grazia battesimale. Se la penitenza, cioè, è una tavola per i a " Nella nostra edizione citata sopra, la Glossa marginale a Mat 3,2 non contiene nulla delle parole riguardanti la tabula naufragii, ma soltanto la dottrina (citata senza fare il nome) presa da Agostino, riguardante la triplice penitenza: Sermo 351, 2 (PL 39, 1537). 238 Si faccia attenzione: proprio le parole che per Alberto qui sono determinanti «paenitentia et» non si trovano in Gerolamo. Se Alberto se le sia create da solo, ο se le abbia trovate nella sua Glossa, è cosa che non possiamo appurare. 235 Opera omnia, Miinster 1952, v. 19, p. 53, 1. 66-84.
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naufraghi, così egli conclude, allora essa evidentemente non è necessaria per la salvezza a coloro che non hanno subito alcun naufragio nella grazia : « Illi qui prospero itinere mare navigant prima tabula sustentantur, scilicet ipsa navi integra ». La ' prima tavola e la nave ' sono la stessa cosa: questo era stato invero anche il pensiero della simbolica patristica. Pertanto bisogna dire: «Ergo baptismus est prima tabula, et paenitentia secunda. Baptismus liberat a peccato originali, quod est primum naufragium ». Ciò viene espresso con maggior esattezza in un'immagine nautica così descritta: « Gratia baptismalis per quam in Ecclesia collocamur, cuius figura fuit arca Noe, dicitur prima tabula ante naufragium. Sed quia per peccatum mortale naufragium passis... non restat aliquod remedium nisi paenitentia, ideo paenitentia tabula secunda dicitur » 240. Anche Tommaso aveva letto nel passo del Lombardo l'espressione di Gerolamo e allora si ricorda della seconda citazione del medesimo simbolo nella Glossa. Non c'è dubbio che proprio questa citazione della Glossa, presa dal commento di Gerolamo al libro di Isaia, presentava nella disputa scolastica alcune difficoltà, poiché si trattava sempre di una auctoritas, che non poteva essere trascurata. La cosa si fece acuta nell'Aquinate, poiché nella sua edizione della Glossa egli leggeva che il peccata abscondere è la seconda tavola della salvezza, e non (come stava nel testo di Gerolamo) Yimpietatem abscondere. D'altra parte già nella scolastica primitiva c'era stato 240 In IV Sent., dist. 14, q. 1, a. 2, 4. - Cfr. anche dist. 2, q. 1, a. 3, ad 5. - Dist. 15, q. 4, a. 1, 1: sulla Glossa di Gerolamo ad Is 3, ove Tommaso legge: peccata abscondere, invece di impietatem abscondere. - Per il significato cfr. L. BILLOT, De Ecclesiae Sacramenti;, II, 7, Roma 1929, p. 35.
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il tentativo di mettere il sacramento della penitenza, nella serie dei sette sacramenti, immediatamente dopo il battesimo, servendosi dell'espressione ' secunda ' tabula. Queste obiezioni spinsero Tommaso a scrivere un articolo proprio nella Terza Parte della Summa, di cui abbiamo dato il titolo 241 . Cosa vuol dire dunque, che il ' peccata abscondere ' è la tabula secunda post naufraghimi
I maestri della Scuola, nella loro riverenza verso Yauctoritas, non si peritavano di pensare che questa espressione sia venuta in bocca a Gerolamo, che dettava speditamente, come un modo di dire proverbiale non propriamente adatto. La risposta un pò tortuosa, con cui Tommaso cerca di spiegare la citazione patristica, mostra che egli era in difficoltà: si limita a dire che il peccato, che avviene occultamente e non sfacciatamente in pubblico, è già una specie di primo inizio di penitenza. La seconda obiezione era anche più pesante: Perché la penitenza è la ' secunda ' tabula, se il suo posto reale viene dopo i tre sacramenti dello stato di grazia integro, il battesimo, la confermazione e l'Eucaristia? A questa domanda risponde nella Summa con la teologia simbolica della navis integra. I primi tre sacramenti « pertinent ad navem integram, id est ad statum integritatis, respectu cuius paenitentia dicitur secunda tabula ». E così suona poi la soluzione generale nel corpo dell'articolo, la cui forza è tutta simbolica nautica dell'epoca patristica e che, nello stesso tempo, è come la chiusura classica della nostra storia, in seguito non più dimenticata, : « Nani sicut primum remedium mare transeuntibus est, ut conserventur in navi integra, secundum autem remedium est post navem fractam, ut !41
Summa theolo%ka, III, q. 84, a. 6.
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quis tabulae adhaereat. Ita etiam primum remedium in mari huius vitae est quod homo integritatem servet; secundum autem remedium est, si per peccatum integritatem perdiderit, quod per paenitentiam redeat ». Andremmo nuovamente lontano, se volessimo seguire la storia della nostra tabula anche attraverso i commenti alle Sentenze dell'alta e tarda scolastica.' Ci limitiamo a richiamare l'attenzione su di un capitolo nautico-simbolico di BONAVENTUHA, che ancora una volta è pieno della luce patristica, che abbiamo cercato di far rivivere in questo capitolo. Anche Bonaventura è alle prese con la spiegazione del testo della Glossa preso da Gerolamo e lo fa anch'egli in un articolo speciale, il cui titolo suona così: « Utrum paenitentia habeat rationem tabulae » 242. In esso applica mare, nave, naufragio e tavola al mistero teologico della unitas ecclesiastica, in cui soltanto c'è salvezza. Ancor più chiaramente si esprime nell'esposizione del testo principale del Lombardo, per cui non possiamo tralasciare di riportare questa ricca eco della simbolica patristica: «Mare est mundus iste secundum illud Psalmi: hoc mare magnum. Navis per quam homo transit super undas huius maris, est gratia Spiritus Sancti, vel navis est Ecclesia quae iuncta est glutino caritatis secundum illud Proverbiorum ultimo: facta est quasi navis institoris. Naufragium vero fuit corruptio et fractio in Adam, in qui fractione omnes filii eius iactati sunt super undas huius maris per concupiscentiam et per poenam. Ab hoc naufragio primo liberatur homo per baptismum. qui restituit innocentiam et gratiam perditam, 142 In IV Sent., dist. 22, a. 3, q. 2 (Opera omnia, Quaracchi, 1889, t. 4, p. 584S).
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et ideo est prima tabula. Et quia frequenter relinquunt plures gratiam baptismalem et illam tabulam, per quam liberantur in undis maris et per illam amplius non possunt se defendere: ideo indigent secunda, et haec est paenitentia. Utraque tamen dicitur tabula, quia sustinet ne quis periclitetur per culpam, non tamen ita ponit in tuto, sicut erat homo in statu innocentiae » 243 . Ciò che qui trovò la sua espressione nella classica chiarezza di una teologia ancora riscaldata dai Padri, risuona anche nei pii canti dell'alto medioevo: « Ο crux, inter pericula tu naufraganti tabula 2 4 4 . Tu scala, tu ratis, tu, crux, desperatis tabula suprema » 2 4 5 . Come epilogo della storia della tabula naufragii indi chiamo brevemente la ragione per cui il Concilio di Trento si servì in forma solenne dell'antica immagine della tavola della salvezza per parlare del sacramento della penitenza. L'espressione, consacrata dal Lombardo e dalla Glossa, svolse in tutta la tarda scolastica il ruolo che aveva avuto in Tommaso e in Bonaventura: era zia jn ly Sent. dist. 14, p. 1, dub. 1 (Opera, t. 4, p. 328S). - In DUNS SCOTO (In IV Sent., dist. 14, q. 4, n. 6-7) il termine tabula viene impiegato per spiegare la causalità strumentale del sacramento della penitenza. Poiché altrimenti non si vedrebbe « quomodo sacramentum paenitentiae posset esse secunda tabula, quia numquam liberaret naufragum a periculo submersionis ». Cfr. per ciò J. GALTIEB, De paenitentia, Parigi 1931, p. 128. 214 Analecta Hymnica, 43, p. 22 (da un prosarlo parigino del secolo XIII). 245 F. J. MONE, Lateinische Hymnen des Mittelalters, Friburgo 1853, ν. ι, ρ. 142 (Inno alla s. croce, manoscritto di San Gallo, sec. XV).
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un'espressione tecnica corrente, di cui ci si serviva quasi senza accorgersene allorché si parlava del rapporto tra battesimo e penitenza. Non fa meraviglia che questa dottrina, rinvigorita dalla pietà penitenziale a volte un pò esuberante del tardo medioevo, potesse provocare l'opposizione dei riformatori: LUTERO si considerò sempre come un acerrimo avversario dell'ascetico Gerolamo e dell'importanza che egli dava alle opere 24e . Lutero, vedeva nella designazione della penitenza sacramentale come tavola della salvezza, una minaccia all'initerabilità del battesimo. E così già nel De captivitate babylonica Ecclesiae esprime tutto il suo sdegno contro la citatissima espressione di Gerolamo e, per conseguenza, contro la dottrina sacramentale degli scolastici ivi contenuta: « Simul vides quam periculosum, immo falsum sit opinari, poenitentiam esse secundam tabulam post naufragium, et quam perniciosus sit error putare per peccatum exidisse vim baptismi et navem hanc esse illisam. Manet illa solida et invicta navis, nec umquam dissolvitur in ullas tabulas, in qua omnes vehuntur qui ad portum salutis vehuntur quae est veritas Dei in sacramentis promittens... verum navis ipsa permanet et transit integra cursu suo; quod si qua gratia ad navem reverti potest, nulla tabula, sed solida ipsa nave feretur ad vitam » 247. Questo teologumeno, il quale male interpreta il pensiero di Agostino sulla grazia che elegge e che assicura la salvezza, dimostra quanto sia radicata nella dottrina di Lutero sulla grazia anche la negazione della penitenza come sacramento e quindi delle parole ·*· Cfr. H. GRISAH, Luther, Friburgo 1911, v. 1, 427. 247
D. M A R T I N I LUTHERI, Opera Latina, ed. H. S C H M I D T , Franco-
forte, 1868, v. 5, p. 59.
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di Gerolamo. Con linguaggio ancor più chiaro e vigoroso egli lo afferma nel Grande Catechismo Tedesco: «Per questo San Gerolamo ha scritto che la penitenza è la seconda tavola, con cui dobbiamo galleggiare e arrivare, dopo che la nave, su cui salimmo e viaggiavamo, quando venimmo al cristianesimo, si è sfasciata... Ma tale affermazione è sbagliata: la nave, infatti, non si sfascia, poiché essa è ordinazione divina e non cosa nostra » 248. Anche CALVINO era della stessa opinione e afferma facendo esplicito riferimento alla formulazione della teologia penitenziale del Lombardo: « Questo sacramento mendace fu poi anche descritto da essi col debito elogio e definito la seconda tavola dopo il naufragio. Infatti quando uno ha macchiato coi peccati la veste dell'innocenza, ricevuta nel battesimo, la può restaurare nuovamente mediante la penitenza. E questo è, essi dicono, una sentenza di Gerolamo ! Tale sentenza può provenire da chi vuoi, ma non potrai mai, assolvere il suo autore dall'accusa di essere ateo, quando viene interpretato secondo la concezione dei romani » 249. Anche MARTIN KJEMNITZ 250 si richiama a Lutero. Per questo il Concilio di Trento fu costretto a riformulare con chiarezza la dottrina cattolica della giustificazione del peccatore battezzato e della necessità del sacramento della penitenza distinto dal battesimo: tale dottrina fu proposta per mezzo dell'interpretazione della tabula post naufragium. La salvezza che il cristiano peccatore riacquista viene esaminata 248 Martin Luthers katechetische deutsche Schriften (ed. J. K. IHMISCHÉR, Erlangen 1832, v. 1, p. 141. 21!> Institutiones christianae, 4, 19, 7 (Edizione tedesca di O. W E B E R , Neukirchen 1938, v. 3, p. 599). 250 Examinis Concila Tridentini, Francoforte 1585, v. 2, p. 44S.
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nella sesta sessione : « Hic enim iustificationis modus est lapsi reparatio, quam ' secundam post naufragium deperditae gratiae tabulam ' sancii Patres apte nuncuparunt » 251. Chi siano stati questi santi Padri, la nostra ricerca ora ce l'ha mostrato in una misura sconosciuta al Concilio (che pure in prima linea pensava a Gerolamo) Tuttavia il nostro inventario patristico certifica che i periti del Concilio hanno descritto l'essenza della giustificazione, che viene restituita nella penitenza, proprio secondo il sentimento della Chiesa antica. Ciò vale in egual misura della dottrina, circa il rapporto tra battesimo e penitenza, definita nella quattordicesima sessione, che ancora una volta sottolinea col linlinguaggio dei Padri l'intrinseco rapporto esistente tra penitenza e battesimo, poiché chiama la penitenza ìaboriosus quidam baptismus252 : ma proprio questo è, con un'altra immagine, ciò che si voleva esprimere con il simbolo delle due tavole della salvezza. Il canone infatti lo riconosce: « Si quis sacramenta confundens, ipsum baptismum poenitentiae sacramentum esse dixerit, quasi haec duo sacramenta distincta non sint, atque ideo poenitentiam non recte secundam post naufragium tabulam appellari: Anathema sit» 253 . SUAREZ ha difeso la dottrina del Concilio con la ricchezza della sua cultura patristica254, e BELLARMINO ha mostrato contro Lutero, che la « pericolosa espressione di Gerolamo » viene male interpretata, quando vi si vede l'espressione di una decadente teologia penitenziale : « Et inde gra«" Sessio VI, e. 14 (Denz. 807). Sessio XIV, e. 1 e 2 (Denz. 894. 895). Sessio XIV, canone 2 (Denz. 912). 264 De paenitentia, disp. I, 4 (Opera omnia, Parigi 1861, v. 22, P· 3)MZ 253
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vissime invehuntur in eos qui dicunt poenitentiam esse tabulam naufragii, quasi non liceat ad ipsam navim baptismi amplius redire » 255. Con ciò abbiamo terminato questo capitolo della teologia della « nave della Chiesa ». Molto più penetrante si farà questa teologia espressa con termini simbolici, quando tratteremo i due grandi modelli biblici della nave della Chiesa: la barca di Pietro e l'Arca di Noè. Ambedue sono « navi della salvezza » e ambedue sono ancor oggi vive nella nostra mentalità simbolica, per altri versi talmente impoveritasi.
*** Controvers., De Sacramento paenitentiae, I, 12 (Napoli 1857, v. 3, p. 6oos).
7·
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Il simbolo della nave di Pietro, ancor oggi vividamente eloquente, ha una storia lunga e ricca. Ha inizio coi primordi della teologia, nelle Ps. - Clementine, e va sino alla dottrina di Innocenzo III. Lungo questo tortuoso cammino diventa una vera storia del simbolo del primato romano. Che la Chiesa nella sua totalità venga identificata con la navicella di Pietro e che questo simbolo ecclesiale, inizialmente universale, si concretizzi poi nell'identificazione della Chiesa romana con la nave di Pietro, fa di questo simbolo, preso dalla dommatica nautica dell'antichità, un caso particolarmente istruttivo dello sviluppo dell'ecclesiologia patristica e medievale. Il pensiero e, se così si può dire, lo stato d'animo fondamentale della dottrina della Chiesa come nave di Pietro esprime nuovamente la dialettica - quasi dimenticata nel pensiero teologico odierno e che più sopra abbiamo riconosciuto * come la convinzione pro1
Cfr. sopra, a p. 5Hss.
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fonda che sta dietro il mondo dei simboli - secondo cui la nave della Chiesa è continuamente sbattuta dalle tempeste, ma non va mai a fondo. Il pericolo del mare è la sua storia: il viaggio fortunato è la promessa che le viene dalla fede. La Chiesa è sempre e soltanto navìcuìa ο navicella del Pietro peccatore. Noi dovremo scrivere precisamente la storia dommatica di questo diminu tivo quando afFermiamo che anche la nave della Chiesa romana è soltanto una barca di legno, simile al « piccolo legno » a cui è affidata la nostra salvezza. Il timoniere della navicella è Cristo, che grida al pilota Pietro la parola salvifica dottrinale e pastorale. Anche le tavole della salvezza della navicella romana sono costruite con il legno della croce. Già IPPOLITO, il teologo dell'antica Roma cristiana, ha visto questa antinomia di minaccia e sicurezza, radicata nell'essenza più profonda della Chiesa : « La Chiesa è come una nave in alto mare: essa è certamente scossa da tempeste, ma non va a fondo», χειμάζεται 2 μεν, άλλ'ούκ άπόλλυται . Ciò era vero per i giorni della persecuzione statale; ma anche AGOSTINO poteva affermare ai tempi della malsicura calma, quando il grande numero di cattivi pesci appesantiva la nave della Chiesa : « Premi potest, mergi non potest » 3. In seguito non si dimenticherà più la densità di significato della bella espressione «tunditur, non mergitur», che PIETRO CRISOLOGO aveva coniato a proposito della navicella di Pietro 4. E BEDA, nello spiegare il pericolo ma* De antichristo, 59 (GCS IPPOLITO I, 2, p. 39, 1. I3s).
' Sermo 13, 2 Wilmart (G. MORIN, Augustini Sermones post Maurìnos reperti, Roma, 1930, p. 713, 1. 6). 4 Sermo 21 (PL 52, 258 A).
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rino, in cui si troveranno gli Apostoli dirà : « Così anche la Chiesa naviga attraverso le tempeste verso la sua meta; poiché essa attende Cristo, per giungere con il suo aiuto al porto della quiete: laborat, sed non mergitur » 5. Nelle pagine che seguono portiamo avanti lo studio della simbolica della nave della Chiesa6, cercando di far vedere lo sviluppo storico di un simbolo parziale, che è sopravvissuto sino ad oggi a partire dal mondo, per altro così dimenticato, della nautica sacra dei Padri della Chiesa: la Chiesa come navicella di Pietro. Non si tratta della storia di un'allegoria di secondaria importanza, che i Padri hanno elaborato sull'espressione biblica di Luca 5,3. Il frutto di questo studio è dommaticamente importante. Da esso apparirà come nella spiegazione esegetica e nell'applicazione politica dell'immagine biblica della navicella di Pietro si manifesta lo sviluppo della coscienza del primato romano, che costatiamo nella storia dell'interpretazione, certo più interessante teologicamente, di Matteo 16,18 7, ο che si manifesta nella storia del nome designante l'ufficio: 8 papa , come pure nel cambiamento di significato della Mater Ecclesia da Paolo (Gal 4,26) sino alla Chiesa romana come « Madre di tutte le Chiese » nello Ps. s
Expositio in Ioannem, 6 (PL 92, 709 D). * La nave di legno; cit. sopra, p. 511-609. ' Cfr. E. CASPAR, Primatus Vetri, Eine philologisch-historische Untersuchung iiber Urspriinge àer Primatslehre, Weimar 1927. - P. BÀTIPFOL, Cathedra Petri. Etudes d'histoire ancienne de l'Eglise, Parigi 1938. 8 P. BATTITOI., Papa, Sedes Apostolica, Apostolatus, in Rivista di Archeologia cristiana 1 (1925) p. 99-103. - H. LECLERCQ, Papa, in Dictionnaire d'Archeologie chrétienne et de Liturgie 13 (Parigi 1937)
col. 1097-im.
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Isidoro e in Gregorio VII 9 . Per comprendere l'importanza teologica della storia di questo simbolo è quindi necessario premettere un'avvertenza. Lo sviluppo dell'immagine e della verità in essa racchiusa va dalla Chiesa universale alla Chiesa Romana particolare. Non nel senso che Roma, lentamente e a ragion veduta, avrebbe usurpato ciò che prima era detto invece della Chiesa cattolica. Il processo si è sviluppato piuttosto nel senso che nella Ecclesia Romana, come in una personificazione e come nella parte centrale e nel capo, si è manifestata nel modo più chiaro l'essenza della Chiesa universale. Cattolico e romano vengono riconosciuti come sinonimi con una chiarezza che aumenta lentamente, pur essendo già presente sin dall'inizio. Anche se tale convinzione non viene espressa sin dall'inizio in un linguaggio teologico riflesso, tuttavia anche qui si applica la norma fondamentale di ogni studio della storia del domma: Il fatto che una cosa non sia stata annunziata espressamente prima, non significa che sia contraddittoria e ciò che si forma lentamente può imporsi a lungo andare, purché non manifesti alcuna contraddizione, purché nel vivo svolgimento dei fatti diventino chiare quelle certezze che erano 8 J. LEBBETON, Mater Ecclesìa, in Recherches àe scìence reììgieuse 2 (1911) p. 572S. - H. KOCH, Cathedra Petri. Neue Untersuchungen iiber die Anfànge der Primatslehre, Giessen 1930, p. 78-89. La storia dello sviluppo del simbolo della mater ecclesia delineata dal Koch viene però pesantemente deformata a causa dell'impiego di una lettera falsificata a papa Ilario. Cfr. per ciò H. RAHNER, Die gefdlschten Papstbriefe aus dem Nachlass uon Jerome Vignier, Friburgo 1935, p. 132. - J. C. PLUMPE, Mater Ecclesia. An Inquiry into the Concepì of the Church as Mother in early Christianity, Washington 1943. - H. RAHNER, Mater Ecclesia. Lobpreis der Kirche aus dem ersten Jahrtausend, Einsiedeln 1944.
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presenti già prima in nuce. In questo modo, ciò che viene detto durante il corso dello sviluppo della riflessione circa la posizione di primato del vescovo romano, non è stato mai enunciato in opposizione ο in sfavore della Chiesa universale. E ciò neppure in Cipriano, nonostante tutte le arti interpretative messe in opera da UGO KOCH 10 : a questi manca anche quel fine senso della storia del dogma, con il quale si può percepire ciò che cresce vitalmente come qualcosa che c'è sempre stato ; egli, infatti trascura il fondamento dommatico. Applicando questi principi alla storia del simbolo, che qui studiamo, diciamo: se la Chiesa universale è la navicella di Pietro, dalla quale il Signore istruisce gli uomini, ciò va detto in particolare della Chiesa romana ove siede, come pilota, il successore di Pietro, Delineeremo dunque la storia di questo simbolo della Chiesa nel suo lento restringersi a Roma e al suo primato. Percorreremo un lasso di tempo di mille anni, tra papa Callisto e papa Innocenzo III, dalla navicella Petri di Agostino alla navicella di Giotto nell'atrio di San Pietro, dall'antico onice cristiano di Pietro di Alessandro n sino ai giorni, in cui i papi sigillano le loro lettere con l'anello del pescatore. In questa storia spiccano due linee, che sono intimamente intrecciate e si rafforzano vicendevolmente e che tuttavia sono distinguibili l'una dall'altra: la spiegazione esegetica della navicella di Pietro in Luca, e l'impiego, nel campo della politica ecclesiastica, di questa immagine per dimostrare il primato romano. 10 Cyprian und der romische frimai. Bine kirchen- und dogmengeschichtliche Studie (Texte und Untersuchungen, 35, 1), Lipsia
1910.
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Cfr. per ciò F. J. DOLGER, Ichthys, Miinster 1943, v. 5, p. 285-291.
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I. LA STORIA DELLA SPIEGAZIONE ESEGETICA DEL SIMBOLO
Il testo da cui prese il via la simbolica della Chiesa come navicella di Pietro, si trova in Luca 5,3: έμβάς δέ εις εν τ ω ν πλοίων, δήν Σίμωνος, ήρώτησεν αυτόν άπα της γης έπανκγαγεΐν ο λ ί γ ο ν καθίσας δέ έκ του πλοίου έδίδασκεν τους όχλους. La Vol gata traduce la parola πλοίο ν con navis e poi con navicula, ma già l'antica traduzione latina non fa alcuna distinzione tra questi due termini e così nella lingua dei Padri ha preso cittadinanza l'espressione navicula Petri. In un solo passo, per- quanto io veda, un imitatore di Agostino 12 in una predica su Matteo 14,22 parla della Chiesa come navicella, un diminuitivo corrisponde più esattamente al biblico πλοιάριον di Mar 3,9 3 Giov 6,23, e che poi, molto più tardi, risuona nella lingua e nell'arte italiana come designazione della piccola nave ecclesiale di Pietro. I Padri della Chiesa sogliono vedere volentieri assieme questa nave di Pietro di cui Lue 5,3 e l'altra nave guidata da Pietro, che venne messa a dura prova nella tempesta marina (Mat 8,23-27; 14,27-33; Mar 4,36-39; 6,45-52; Lue 8,22-25; Giov 6,16^21). Ma che queste narrazioni dei pericoli e dei successi della navicella dell'Apostolo siano state applicate alla Chiesa sin dagli esordi dell'Esegesi, non ha certamente alcun fondamento in Lue 5,3. In verità, come abbiamo già accennato nei precedenti studi qui interviene la simbolica della cultura nautica che era tanto familiare all'antico cristiano, e che lo circondava da ogni parte: la Chiesa è per l'appunto la «buona " Sermo 72, 2 (PL 39, 1884).
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nave », così il cosmo, lo Stato e l'anima possono essere paragonati ad una nave. Una cosa feconda l'altra: interpretazione biblica e simbolica profana, nota a tutti, si uniscono, per esprimere la storia e il destino della Chiesa nell'immagine della nave. Abbiamo già visto più sopra, in Giustino e in Minucio Felice, che si tratta di un antico tema della simbolica teologica. Qui rileviamo pertanto solo ciò che sembra provenire immediatamente dai riferimenti biblici. Nell'opuscolo di TERTULLIANO sul battesimo, la barca degli apostoli viene per la prima volta paragonata alla Chiesa, in connessione con la questione dogmatica, se anche gli apostoli siano stati battezzati. Tale applicazione simbolica viene chiaramente presentata come una cosa normale : « Ceterum navicula illa figuram Ecclesiae praeferebat, quod in mari, id est in saeculo, fluctibus, id est persecutionibus et temptationibus, inquietatur, Domino per patientiam velut dormiente, donec orationibus sanctorum inquietatur, Domino per patientiam velut dormiente, donec orationibus sanctorum in ultimis suscitatus compescat saeculum et tranquillitatem suis reddat » 13. C'erano a quel tempo i cristiani, che pensavano seriamente che gli apostoli fossero stati battezzati durante la tempesta marina. Tertulliano polemizza contro di essi; questo brano dottrinale biblico (egli pensa evidentemente soprattutto a Mar 4,37-39) ha già la sua inequivocabile interpretazione: la navicella è la Chiesa, la tempesta marina la persecuzione e la tentazione, il Signore che dorme è l'Addormentato sulla croce 14, gli apo13
De baptismo, 12 (CSEL 20, p. 212, 1. 2-7). L'espressione « Domino per patientiam velut dormiente » si riferisce al sonno della morte sulla croce e non può quindi essere tradotta con KEIXNER (BKV, 2 ed., v. 7, p. 290) : « Mentre il Signore, 14
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stoli supplicanti sono i santi che impetrano sulla nave della Chiesa, la calma del mare raffigura l'eternità. Si tratta di un'interpretazione, che, nella sua ricchezza, suona come un capitolo dell'antica catechesi battesimale e ricorda il grande tema dottrinale della nave della Chiesa, che poco dopo sarà ripreso in Roma da IPPOLITO 15 e che, più tardi, risuona nell'anonimo spirituale di Roma del quinto secolo 16. Che la navicella degli Apostoli raffigurasse la Chiesa, era cosa naturale per l'esegesi dei Padri e sarebbe semplicemente una pedanteria presentarne tutte e singole le testimonianze. Ecclesiae est instar navis, dice ILARIO nella spiegazione della tempesta marina, « e quando noi saliamo sulla navicella di Cristo, ossia sulla Chiesa, siamo minacciati dalla tempesta di ogni sorta di pericoli; infatti sappiamo che ora nella sua pazienza, dorme ». - Cfr. anche GEROLAMO, Comment. in Matthaeum, i, 9 (su Mat 8,24): «Imperio ac sacramento passionis suae liberat suscitantes ». Ciò proviene certamente dalla parte perduta del commento di Origene al vangelo di Matteo. - L'interpretazione che vede nel sonno di Cristo sulla nave il sonno della morte sulla croce ci sembra assicurata dalla serie di testimonianze patristiche, che abbiamo già presentato sopra a p. 596S. e a p. 607S., ed in cui l'« ascendere navem » fu sempre interpretato come riferimento alla m o r t e sulla croce. Cfr. ORIGENE, Omelie sul Cantico dei Cantici, 2, I2(GCS Vili, p. 58, 1. 17-23). Cfr. per ciò H. R A H N E R , Euploia, in Perennità*. Festschrift fiir Thomas Michels, Munster 1963, p. 3, nota 21. - Ps.GEROLAMO, Comm. in Marcum 4 (PL 30, 605 A). - BEDA (PL 92, 174 C ) . - O N O R I O D I A U T U N (PL 172, 912 B C ) . - Per Tertulliano qui
si tratta della sorte escatologica della nave della Chiesa, come d i m o stra l'espressione « in ultimis ». E. PETERSON, Friihkirche, Judentum, und Gnosis, Friburgo 1959, p. 92, e REEOULÉ, in Sources Chrétiennes 35 (1952) p. 84, respingono l'interpretazione del « per patientiam » tertullianeo come riferentesi alla morte del Signore. 15 De antichristo, 59 (GCS IPPOLITO, I, 2, p. 39S). - Cfr. sopra, p . 516S. 18 PS.-GEROLAMO, Commentarium in Marcum, 4 (PL 30, 605S). Cfr. sopra, p. 597S-
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noi siamo una preda ricercata da onde e da vento » 17 . Nello stesso contesto GEROLAMO fa suo, trascrivendolo alla lettera, un dubbio di ORIGENE 18, che è tipico delle difficoltà allegoriche, in cui si dibatteva l'esegesi della navicella della Chiesa : « S i , se noi sapessimo che cosa significa nella nostra lingua la parola ' Genesareth ', allora comprenderemmo anche meglio che Gesù, sotto il ' tipo ' degli apostoli e della navicella, libera la Chiesa dal naufragio della persecuzione, la fa navigare presso le coste e la conduce alla quiete del porto » 1 9 . Tutto ciò si riferisce tuttavia alla Chiesa in generale, e cioè alla navicella, il cui pilota è Cristo, e che viene guidata dagli apostoli : si pensi a quella rappresentazione della nave della Chiesa sul rilievo del sarcofago di Spoleto, sulla quale Gesù come pilota impartisce con la mano levata gli ordini ai quattro evangelisti che remano 20 . Noi compiamo un passo ulteriore nella storia della spiegazione, quando la nostra attenzione viene concentrata su quelle testimonianze, che si occupano di Pietro come proprietario della navicella: qui infatti ha la sua radice lo sviluppo da cui risulterà l'applicazione, strettamente limitata, alla Chiesa di R o m a . Iniziamo con un testo, la cui origine e la cui interpretazione fu molto discussa sino ai nostri giorni, e che noi abbiamo già ricordato una volta più sopra 2 1 . È la lettera dello Ps.-Clemente all'apostolo Giacomo, che come introduzione all'Omelie Clementine, va sicuramen" Commentarium in Matthaeum, 7, 9 (PL 9, 957 B). 18 Commetti, in Matthaeum, 11,6 (GCS OHIGENE X, p. 43, 1. 6s). 19 Commetti, in Matthaeum, 2, 14, 34 (PL 26, 104 B). M Puproduzione in R. GARRUCCI, Storia dell'arte cristiana, Prato 1879, v. 5, tav. 395, 6. - Cfr. F. J. DOLGER, Sol Salutis, Miinster 1925, 1925, 2 ed., p. 278S. 21 Sopra, a p. 519S.
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te datata al terzo secolo. HARNACK aveva spiegato con buone ragioni che deve essere stata composta a Roma 22 . Ciò è stato poi combattuto aspramente, soprattutto da C. SCHMIDT 23 e da H. KOCH 24. Ma H. WAITZ ne ha difeso l'origine romana 25 e ci sono buone ragioni per attenerci a questa spiegazione: non è la regione ad oriente del Giordano che ci ha regalato questo rimarchevole brano dottrinale, ma Roma stessa. E ciò soprattutto se, come C. CASPAR ha giustamente sostenuto, la datazione della lettera, proposta anche da Harnack, va posta dopo il 260 : « Questa lettera, in cui Pietro parla della sua cathedra romana, non può essere stata composta prima della coniazione della Cathedra Petri ad opera di Cipriano, ossia prima del cinquantesimo anno del terzo secolo. Essa ne rappresenta facilmente la più antica testimonianza letteraria su territorio romano » ae . Tuttavia ciò non è veramente pro22 Die Chronologie der altchristlkhen Literatur bis Eusebius, Lipsia 1904, v. 2, p. 53OS. 23 Studiai zu den Pseudo-Clementinen (Texte und Untersuchungen, 46, i ) , Lipsia 1929, p. 91-124. - Cfr. i due precedenti studi: H. W A I T Z , Die Pseudoklementinen (Texte und Untersuchungen, 25, 4), Lipsia 1904, p. 2ss. - H. HEINTZE, Der Klemensroman und seine griechischen Quellen (Texte und Untersuchungen, 40, 2), Lipsia 1914, p. 36ss. 24 Cathedra Petri, Giessen 1930, p. 29, nota 1; p. I73s; p. 184. ** Die Pseudoklementinen und ihre Quellenschriften, in Zeitschrift fiir die neuetst. Wiss. 28 (1929) p. 27ISS. - Per le fonti e la dottrina delle Pseudoclementine cfr. J. DANIÉLOU, Théologie du Judéo-Christianisme, Parigi 1958, p. 71-76. - H. J. SCHOEPS, Théologie und Geschichte des Judenchristentums der Pseudoklementinen, in Neutest. Studien f. R. Bultmann, Berlino 1954, p. 35-51. - Per l'origine e la datazione della lettera, cfr. ora la introduzione all'edizione delle Omelie, di J. IHMSCHER: GCS Ps.-Clementine I (Berlino, 1953), p. 7. Irmscher sostiene che lo scritto fondamentale, e dunque anche la lettera di Clemente a Giacomo, sono originarie della Siria intorno al 200-230. 28 Primatus Petri, W e i m a r 1927, p. 74, nota 2. - Geschichte des Papstums, Tubinga 1930, v. 1, p. 75.
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babile, poiché l'espressione cathedra del vescovo romano si trova già nel Frammento Muratoriano; e se hanno ragione coloro che attribuiscono il Muratorianum a Ippolito romano 27 , possiamo tranquillamente situare anche l'origine della lettera di Giacomo nei primi decenni del terzo secolo, vicino alla teologia di Ippolito, con la cui simbolica della nave della Chiesa mostra una così stretta parentela. La lettera presenta l'apostolo Pietro che così parla nel consacrare Clemente : « Io consacro vescovo anche questo Clemente, a cui affido la mia cathedra della dottrina» (φ την έμήν των λόγων πιστεύω κα&έδραν) 2 8 . Più tardi Rufino ha sottolineato ciò in modo anche più marcato nella sua traduzione: « Cui soli meae praedicationis et doctrinae cathedram credo » 29. Clemente rifiuta di accettare questa dignità e Pietro continua: « Se temi il pericolo del peccato e non prendi su di te il governo (τήν διοίκησι-ί] della Chiesa, guarda hene che pecchi Tnaggiormente, nel caso che, sebbene in grado di farlo, non voglia venire in aiuto agli uomini timorati di Dio, ovunque essi si trovino in viaggio di mare e in pericolo » 3 0 . La cattedra del vescovo ro mano diventa qui, nel pensiero simbolico, il seggio del pilota, che guida il minacciato battello della Chiesa. Ciò viene sviluppato quindi nel discorso di Pietro con un'immagine altamente espressiva e non c'è alcun »' A. VON HARNACK, Uber dm Verfasser und dm Uterarischtn Charakler des Muratorischen Fragments, in Zeitschrift f. d. neutest. Wiss. 24 (1925) p. 1-16. - M. J. LAGRANGE, L'auteur du Canon de Muratori, in Revue Biblique 35 (1926) p. 83-88. »
e.
2
(PG 2,
36 A;
GCS PS.-CLEMENTINE I, p. 6, 1.
20
ios).
Riprodotta in Migne PG 2, 35 D. - G C S PS.CLEMENTINE I, p . 6, 1. 26s. 30
e.
3,
5
(PG 2,
37 Β ; GCS PS.-CLEMENTINE I, p.
75).
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dubbio, che qui abbiamo a che fare con un tema dottrinale, che applica alla Chiesa romana l'antico topos della Chiesa come navicella di Pietro: « Se voi conservate l'unità di pensiero, allora potrete dirigervi verso il porto della calma, là dove si trova la pacifica città del grande regno. Tutta l'essenza della Chiesa somiglia ad una grande nave, che in tutte le tempeste alberga in sé quegli uomini di diversa origine, che soltanto ad una cosa aspirano, abitare nella città del buon regno. Perciò, Dio sia per voi come il proprietario della nave. E il pilota sia l'immagine di Cristo. Il pilota di prua rappresenti il vescovo, i marinai di ciurma i preti, i sorveglianti dei rematori i diaconi, gli arrolatori i catechisti, i viaggiatori poi la massa dei fratelli ... Perciò i compagni di viaggio debbono sedere ordinatamente e calmi ai posti loro assegnati, affinché la nave non venga scossa dal disordine e si pieghi sul lato. Gli arrolatori debbono esigere il salario. I diaconi non debbono trascurare ciò che fa parte del loro ufficio. I preti, come buoni marinari pieni di zelo, debbono fornire a ciascuno il necessario. Il vescovo, come pilota di prua (πρφρεύς), sia vigilante e gridi unicamente al timo niere la risposta dell'ordine ripetuto (άντιβαλλέτω). Cristo, poi, come salvatore, sia amato come il timo niere e venga spiegato fedelmente soltanto ciò che egli dice. Tutti poi debbono pregare Dio per un viaggio felice... Voi tutti lo sapete: il vescovo porta il più grande peso tra di voi. Poiché ciascuno di voi deve portare soltanto il proprio affanno: egli invece porta e il suo e l'affanno di tutti gli altri. Tieni dunque la presidenza (προκαθ-έσθ-ητι), ο Clemente, pronto a soccorrere ognuno, per quanto tu possa, poiché tu porti le cure di
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tutti. Sii coraggioso e porta tutto con animo: tu sai, infatti, che quando approderai al porto della tranquillità, Dio ti donerà la pienezza del bene e la ricompensa incorruttibile. Poiché per la salute spirituale di tutti gli uomini ti sei sobbarcato alla grande fatica... E voi, miei cari fratelli e conservi, obbedite al presidente della verità ( τ φ προκαθ-εζωμένω αληθείας) in ogni cosa. Lo sapete infatti: chi lo contrista, non riceve Cristo, la cui cattedra gli è stata affidata. E chi non riceve Cristo, sia per voi come uno che ha rinnegato il Padre: egli sarà gettato fuori dal buon regno » 31 . Sotto l'involucro dell'immagine di questo testo c'è una dottrina chiara, si potrebbe quasi dire, un brano di diritto canonico: poiché soltanto così si spiega la appropriatezza di questa simbolica divenuta già quasi di maniera. Quando HARNACK 32 sosteneva che proprio questa ricca elaborazione della comunità ecclesistica, presupposta da tale simbolica, sarebbe una prova in favore della datazione a dopo il 260 (e proprio questa fissazione tardiva servì tanto a HUGO KOCH nella sua artificiosa storia dell'espressione cathedra Petri) e aggiungeva che essa si distinguerebbe considerevolmente dal capitolo più arcaico sulla nave in Ippolito, si vede bene che egli è già prigioniero della sua ipotesi dello sviluppo del Primato. Basti soltanto confrontare l'ordinamento ecclesiastico di Ippolito con la costituzione della comunità del nostro brano; qui ci troviamo nell'ambito, così vivamente operoso e ben strutturato dal punto di 31 e. 13, 3; 14, 1-3; 15, 1-3; 16, 1-5; 17,1-2 (PG 2, 4 9 A - 5 3 A; G C S , p. 16-19). 32 Die Chronologie d. altchristl. Literatur, v. 2, p. 530, nota 1 (di P- 529).
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vista del diritto ecclesiastico, della Chiesa romana del periodo di pace sotto gli imperatori siri. Anche Harnack, nonostante tutto, deve affermare che « le attribuzioni del vescovo, secondo il nostro scritto, sono quelle che si sono sviluppate al tempo di Callisto. Il vescovo ha oltre al potere magisteriale, il pieno potere delle chiavi (secondo Mat 16,19). Egli detiene nella comunità il posto del massimo dottore della verità e del medico ». Pertanto il nostro testo è la prima testimonianza, in cui la Chiesa di Roma è considerata come la buona nave di Pietro. Clemente siede sulla cattedra di Pietro e questa è la cattedra di Cristo. Espresso in simboli nautici, ciò rappresenta con molta proprietà il posto del « Vicario di Cristo » : il vescovo romano è il proreta della nave della Chiesa, il pilota in seconda ο il pilota di prua, che deve soltanto ripetere gli ordini gridati dal pilota che siede sulla sua Cattedra a poppa. Egli è per così dire l'eco di Cristo; e ciò è anche ben pensato all'antica, poiché, come vedemmo più sopra, già in Senofonte e Aristotele il profeta è concepito come il « diacono e lo strumento animato del pilota » 33 . Con ciò però viene assegnato al vescovo romano un potere ministeriale, che si estende in qualche modo su la Chiesa universale. « Per la salvezza di tutti gli uomini » egli si è sobbarcato a questa fatica e in rapporto a lui si decide la salvezza di tutti: chi lo ripudia, viene « gettato fuori dal buon regno ». Egli è il « presidente della verità », cosi come cento anni prima Ignazio aveva salutato la Chiesa romana come « colei che presiede alla carità», una prova, questa, del valore dommatico di questo προκαθίζεσθ-οα, per la cui interpretazione " Cfr. sopra, a p. 519, nota 15.
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si è disputato tanto. Cristo a poppa, Pietro e il suo successore a prua: questa è, i simboli nautici, la dottrina della Chiesa antica sul primato. Qui echeggia sommessamente Mar 4,38: Cristo siedeva a poppa. La navicala è divenuta una nave di mare, dalla cui cathedra Cristo istruisce i popoli: καθίσας δε έκ τοϋ πλοίου έδίδασκεν τους όχλους (Lue 5,3)· Questa cathedra doctrinae è affidata a Pietro e a Clemente. Il simbolo della nave della lettera di Clemente ha conosciuto una strana storia. In Oriente, le Costituzioni Apostoliche l'hanno ulteriormente sviluppato'34. In Occidente, attraverso la traduzione di RUFINO, è restato indimenticabile sino al momento in cui lo PSEUDO-ISIDORO se ne impossessò come di un testo adatto alla dimostrazione di una dottrina del Primato romano, che si era sviluppata lentamente sino alla piena maturità. Isidoro fa ripetere tutto il capitolo dalla fittizia lettera di papa Anacleto 35. E in un'altra lettera presenta lo stesso papa che dice: « Ecclesiae in qua Apostolus residens docuit, quodammodo nos gubernacula tenemus » 36 . Ora il papa siede a poppa, mentre in Clemente vi siedeva Cristo, il pilota; ma ciò non significa che nel frattempo si era radicata la pretesa romana; si tratta di uno sviluppo di quella identificazione giusta, che era già alla base della identificazione di gubemator e proreta. Il papa governa il timone della Chiesa: questa è un'immagine che fu continuamente impiegata molto tempo prima dei Deaetali di Isidoro, 34
Constitutiones Apostolkae, 2, 57, 2-4.; 9-11 (FUNK I, p. 159-163). Epistola Anadeti, e. 2 (PL 130, 6os). P. HINSCHIUS, Deaetales Pseudo-Isidorianae, Lipsia, 1863, p. 67. 311 PL 130, 67 D; Hinschius, p. 75,-Cfr. anche l'Epistola Alexandre, I (PL 130, 98 D ; Hinscius, p. 103). 35
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nello sviluppo organico dell'antica dottrina romana, come, mostreremo meglio nella seconda parte di questo lavoro. Il Sacramentario Leoniano così prega per il vescovo di Roma morto : « Quem in corpore constitutum Sedis Apostolicae gubernacula tenere voluisti, in electorum numero constitue sacerdotum » 37 . La collezione di canoni del cardinal Deusdedit è ancora sotto l'influsso dell'immagine della Lettera di Clemente conosciuta mediante Isidoro. Nel Prologo a papa Vittore III (1087) egli difende appunto la genuinità delle lettere in cui si trovano questi testi nautici, e li applica alla nave della Chiesa come navicula Petti provata dalle tempeste : « Haec Ecclesia, etsi interdirmi adversis mundi flatibus opprimitur, meritis tamen principum apostolorum, qui in ea vivunt et praesident, non obruitur » 38. Ciò che abbiamo presentato sino ad ora circa la storia del simbolo della nave di Pietro, era appena accennato dall'espressione biblica e deve la sua ricca elaborazione piuttosto alla forza dell'immagine della nautica profana, che era così adatta ad esprimere la dottrina del primato. Ora torniamo alla storia della spiegazione vera e propria del paragone evangelico. Se fin dai primordi dell'esegesi allegorista l'equiparazione della navicella di Pietro in Lue 5,3 con la Chiesa è stata tanto popolare, allo stesso modo gli espositori, così amanti dei simboli, preferirono applicare al destinò della Chiesa la pesca miracolosa di Pietro e dei compagni accorsi in suo aiuto. La Chiesa non 37 38
MURATORI, Ι, ρ. 453.
V. W. GIAITWEIX, Die Kanonensammlung des Kardinah Deusdedit, Piderbom 1905, p. 2s. - Anche nel Decretum di GRAZIANO la Lettera di Clemente viene citata molto spesso.
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è soltanto a prova di tempesta, non è soltanto cattedra di Cristo insegnante, ma è il veicolo carico di pesci viventi del pescatore di Galilea, Pietro. È chiaro che vi contribuì anche il fatto che il cristiano veniva paragonato ad un pesce, proveniente da altri settori dell'antica simbolica cristiana. Si aggiunga a ciò la straordinaria incisività delle parole del Signore, che parlano di «pescatori di uomini» (Mat 4,19; Mar 1,17; Lue 5,10). La ricca simbolica di questa pesca apostolica si trova già pienamente elaborata in ORIGENE 39. Dipendentemente da quest'ultimo, METODIO DI FILIPPI 40 e 41 GEROLAMO spiegano la pesca come l'opera degli apostoli che, dalla nave della Chiesa, attirano gli uomini dai cattivi flutti del mare alla rete della nuova vita. « Anche oggi viene ancor gettata la rete della pesca », dice CIRILLO DI ALESSANDRIA, « ed è Cristo che la riempie. Poiché egli chiama alla conversione gli uomini che nuotano nella profondità del mare, ossia nell'amarezza e nelle onde del mondo » 42 . Ma anche qui la spiegazione va dal generale al particolare: ciò che gli apostoli eseguono, è l'opera eseguita da Pietro, e ciò che vale della nave della Chiesa, si rende manifesto in Roma. EUSEBIO, con la particolare sensibilità che aveva per la storia, ci ha lasciato una spiegazione, che neppure nell'Oriente greco è stata 3 » Homiliae in Jeremiam, 16, 1 (GCS ORIGENE III, p. 131-133; 18, 5: p. 156S). C o n speciale considerazione per Pietro quale pescatore evangelico: Comment. iti evemgelium Matthaei, 13, io (GCS ORIGENE X, p. 207, 1. 30ss). - Cfr. per ciò F. J. DOLGER, Ichthys, Miinster 1922, v. 2, p. 30ss. - Homiliae in Leviticum, 7, 7 (GCS VI, p. 391, 1. 27ss). 40
41
De sanguisuga, 5, 3
(GCS METODICI, p. 483, 1. 1-8).
Epistola, 71, 1 (CSEL 55, 2, 1. 2-6). Altri testi, sopra a p. 508, nota 211. 42 Commetti, in Lucani (PG 72, 553 D ) .
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più dimenticata. Mosé e i profeti, così egli spiega il Vangelo, « hanno lavorato tutta la notte e non hanno preso nulla ». Ma ciò che essi non poterono fare, « lo ha compiuto proprio quel Simone, l'uomo di Galilea, il povero, il barbaro quanto a lingua. Lo dimostrano le Chiese, ancor oggi luminose, che sono più piene di pesci spirituali che non quella navicella: quella di Cesarea in Palestina, di Antiochia in Siria, e la Chiesa nella città di Roma » 43 . Qui si sente risuonare la fiera consapevolezza del vescovo di Cesarea, che pone la sua Chiesa come una buona navicella di Pietro a fianco alle altre due Chiese di Pietro: è la stessa fierezza, con cui più tardi CRISOSTOMO, nella «Palaia» dell'antica basilica di Antiochia, che si credeva fondata dagli apostoli, tiene la sua scintillante predica sulla tempesta marina della navicella di Pietro ed esalta la valentia di questa nave con le parole di Matteo 16,18 44 . Da Antiochia Pietro si recò a Roma, « il pescatore ha conquistato la città imperiale » 45. E « Pietro, che una volta gettò la sua rete in un mare, ecco, ha pescato il mondo »46. Mostreremo in seguito che questi toni romani della spiegazione scritturistica si uniscono al linguaggio politico ecclesiastico, che dall'Oriente, scompigliato dalla tempesta, passa a Roma. E proprio in questo contesto è un fatto degno di nota che un BASILIO DI SELEUCIA, il quale a Calcedonia sottoscrive il Tomus di Papa Leone, spiega con parole retoriche il vangelo del pescatore di uomini: «Potremo guadagnare le anime de43 Teofania siriana, 6, 6 (GCS EUSEBIO III, 2, p. 173, 1. 2^-34; PG 24, 627 C). 44 Homilia in Inscriptionem Adomm, 1 (PG 51, 78 AB). 45 Expositio in Psalmum 48, 6 (PG 55, 232 A). *· in illuà Vidi Dommum, Homilia 4, 3 (PG 56, 123 C).
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gli imperatori con il nostro linguaggio di barcaioli ? », così egli fa chiedere dagli apostoli. Eppure il loro viaggio vittorioso va verso Roma : « E Roma depone il diadema imperiale, per gettarsi nella polvere dinanzi all'annuncio della croce » 47 . L'Occidente latino ha elaborato con particolare amore precisamente il tema dottrinale di Pietro pescatore di uomini. Esso viene sviluppato mediante l'immagine di Pietro pescatore con amo, desunta da Mat 17,26: «Va al mare e getta l'amo». Qui nella spiegazione allegorica la persuasione del potere magisteriale di Pietro esercita un ruolo sin dall'inizio. Infatti l'amo è la parola di Dio, come dichiara AGOSTINO : « Sic enim est sermo Dei et sic esse debet fìdelibus: tamquam pisci hamus. Tunc capit quando capitur » 48. Pietro è il pescatore, a cui viene affidato l'amo: questa immagine dice la stessa cosa dell'immagine del pilota di prua che grida e del presidente della verità. « Destinatus enim ad praedicationem Petrus et piscator hominum factus, doctrinae hamum misit in saeculo, quo appositi sibi dulcedine vagos ex eo flucruantesque protraheret », dice ILARIO 49. Ed è una eco di Origene, che dipinge appropriatamente la morte e la rianimazione del pesciolino preso all'amo di Pietro, quando AMBROGIO arringa i cristiani : « Noli igitur, ο bone piscis, Petri hamum timere: non occidit, sed consecrat » 50 . Amo, rete e la sbarra del timone: tutto raffigura che Pietro "' Oratia 30, 1 (PG 85, 336 A; 337 A ) . 48 Traci, in Ioannem 42, 1 (PL 35, 1700. Cfr. sopra, p. 2923). *» Comment. in Matthaeum 17, 13 (PL 9, 1018 A). 50 Exameron, 5, 6, 16 (CSEL 32, 1, p . 151, 1. 19S). - Cfr. ZENONE DI VERONA, Tract. II, 13, 2 (PL 11, 430 B ) . - Per tutto ciò anche F. J. DOLGER, Ichthys, Munster 1943, v. 5, p. 313SS.
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anche oggi, e per giunta per tutta l'umanità, è la personificazione della doctrina. « Ipse est apostolicus piscator electus - così predica Pietro Crisologo - qui ad se turbas errorum fluctibus mersas hamo sanctitatis invitat, et doctrinae suae rete concludit ad fidem hominum multitudine copiosam » 51. Ancora una volta riecheggia la dottrina origenista della mistica morte e vita dei pesciolini, che vengono portati nel chiuso della nave della Chiesa, quando MASSIMO DI TORINO così si esprime in un'omelia a proposito della pesca apostolica : « Navis Ecclesiae liberatos de turbine homines animat, cuna capescat, animat intra se, inquam, Ecclesia, et velut intermortuos vivificat ». Il capo nel peschereccio della Chiesa è Pietro : « Velut saucios ergo mundi turbinibus et praefocatos saeculi fluctibus homines vivificaturus dicitur Petrus, ut qui mirabatur refertam naviculam palpitantium piscium numero, viventium onustam Ecclesiam hominum multitudine plus miraretur » 52. La mano, che una volta ha guidato l'amo, sta ora al clavus, alla barra del timone della nave, dalla quale viene intrapresa la pesca di tutto il genere umano : questa è la teologia del primato, che ARATORE espone nella sua parafrasi poetica degli Atti degli Apostoli. Egli dedica la sua opera a papa Vigilio, proprio nel periodo in cui le onde particolarmente tempestose sbattono qua e là la navicella di Pietro: «Ma Pietro, che una volta camminò con piede asciutto in mezzo alle onde, ha preparato alle nostre navi un porto sicuro »S3. I versi sul pescatore di uomini suonano così: 51
Sermo 107 (PL 52, 498 B). - Sermo 28 (PL 52, 279 B). «» Sermo 95 (PL 57, 723 B-D). 53 Lettera dedicatoria metrica a Papa Virgilio, ·ν. 135 (PL 68, P- 77 A).
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« Primus apostolico, parva de puppe vocatus, agmine Petrus erat, quo piscatore solebat squamea turba capit: subito de littore visus, dum trahit, ipse trahi meruit: piscatio Christi discipulum dignata rapit, qui retia laxet humanum captura genus: quae gesserai hamum ad clavum est translata manus... » 54. È dunque perfettamente naturale che la teologia del primo medioevo e che i papi consapevoli del loro ufficio si servano volentieri di questa immagine del pescatore romano di uomini. Infatti la Glossa Ordinaria dice espressamente che questa promessa del Signore era indirizzata in maniera speciale a Pietro : « Hoc ad ipsum Petrum specialiter pertinet, cui exponitur, quid captura significet piscium. Sed sicut tunc per retia pisces, sic per verba aliquando capiet homines, in quo Petrus est typus totius Ecclesiae » 55 . Papa NICOLA I, per nominare soltanto uno dei grandi, saluta un vescovo franco come suo collaboratore nella pesca delle anime 56 . E quando nell'alto medioevo, dopo i giorni del grande Innocenzo, i papi cominciano a sigillare le loro lettere con ì'anulus piscatoris, probabilmente per la prima volta sl De actibus Apostolorum, versi 69-75 (PI- 69, 97S). Secondo il Protocollo aggiunto (PL 68, 55 A) Arator ha letto questi versi nell'aprile del 544. nella chiesa di S. Pietro ad Vincula dinanzi al papa e al popolo. - Nell'ultimo verso alcuni manoscritti danno la lezione « clavum » invece del « davem » che si legge nel Migne. Che si debba leggere « clavum » è assodato sia dallo spirito nautico di questo brano, sia perché così si rende molto meglio il giuoco di parole hamumclavum. 55 Su Lue 5,10 con un'espressione di Beda (PL 114, 256 C). 58 Epistola 82 (PL 119, 918 C). - Cfr. anche AIMONE, Homilia de sanctis, 1 (PL 118, 751 B).
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sotto Clemente IV in una lettera del marzo 1265 57, si tratta soltanto dell'ultima conseguenza, sopravvissuta sino ad oggi, della teologia del primato che si cela nel simbolo di Pietro pescatore e padrone della nave. Giungiamo così al punto centrale della spiegazione allegorica della pericope lucana riguardante la nave di Pietro. L'immagine della nave carica di pesci del pescatore di uomini si tinge di dramma nella pericope della tempesta marina. Tutto diventa quasi dialettico: la Chiesa è carica, ma con ciò va quasi a fondo ; ci sono due navi, e tuttavia solo una è la nave di Pietro; c'è tempesta, ma in pari tempo enorme successo. È Ambrogio che, nella sua forte oratoria antitetica, fa risonare i motivi fondamentali, di cui per mille anni si percepirà la eco nell'esegesi allegorica. Ci troviamo di fronte ad un classico esempio del modo in cui il testo di un Padre della Chiesa ha influenzato la liturgia, l'oratoria e il diritto ecclesiastico del primo medioevo. Ancor oggi la Chiesa universale nella preghiera delle ore della quarta domenica dopo la Pentecoste, legge l'omelia di Ambrogio sulla navicella di Pietro. Cerchiamo ora di mettere in risalto i pensieri fondamentali della teologia della Chiesa e del Primato, che si celano sotto la pienezza dell'immagine impiegata da Ambrogio. Sin dall'inizio l'essere e il destino della Chiesa sono espressi nell'irriducibile antitesi di pericolo e di sicurezza, di minaccia e di preda: «Et ideo ascendit (Christus) in Petri navem. Haec est illa 87 A. POTTHAST, Regesta Pontificum Romanorum, Berlino 1875, p. 1544, n. 19051: « N o n scribimus tibi nec famujaribus nostris sub bulla, sed sub piscatoris sigillo, quo R o m a n i Pontifices in suis secretis utuntur». - M A N S I , 23, p. 1124. - Cfr. anche A. STIEGLER, Lexikon f. Theo!, una Kircke, 1960, v. 4, col. 157: Fischerring.
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navis, quae adhuc secundum Mattheum fluctuat, secundum Lucam repletur piscibus, ut et principia Ecclesiae fluctuantis et posteriora exuberantis agnoscas: pisces enim sunt qui hanc enavigant vitam. Ibi adhuc discipulis Christus dormit, hic praecipit »58. Il mistero umano-divino del Cristo dormiente e tuttavia imperante come Signore, continua nella Chiesa. Il suo inizio storico è pericolo marino, il suo sviluppo è ricco bottino: in ambedue i casi però essa è la navicula Vetri, nave del Pescatore, che solleva i pesci viventi dal mare del mondo. Ambrogio suppone l'identità della Chiesa con la nave di Pietro come cosa nota agli uditori; così pure si dica dell'immagine del cristiano come pesciolino: si tratta di un antico simbolo. Ciò che egli vi aggiunge come pensiero proprio, è la dialettica degli opposti. Il pesciolino, che viene catturato dalla rete, deve morire per poter vivere (vi si sente sommessamente parlare Origene), l'acqua è per il battezzato tomba ed ad un tempo rinascita, come Ambrogio ha spiegato ai fedeli nei giorni di Pasqua59. Ma è nella nave di Pietro che avviene questo mistero : « Et bene apostolica instrumenta piscandi retia sunt, quae non captos perimunt, sed reservant et de profundo ad lumen extrahunt, fluctuantes de infimis ad superna transducunt »60. Viceversa, questo ricco bottino del pescatore a sua volta è molto pericoloso per la Chiesa: un pensiero questo, che ha fatto profonda impressione su Agostino. « Questa grande quantità suscita in me 68 Expositio evangeli! secundum Lucani, 4, 68 (CSEL 32, 4, p. 174, 1. 4-9). 58 De mysteriis, 4, 21 (CSEL 73, p. 97). - De sacramento, 3, 3 (CSEL 73, p. 38s). •° Expositio Lucae, 4, 72 (CSEL 32, 4, p. 176, 1. 6-8).
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preoccupazioni; la navicella potrebbe affondare a causa del proprio peso; ci debbono essere anche degli errori, affinché i buoni vengano provati » 61 . Proprio in ciò consiste la preoccupazione del timoniere Pietro : « Ecce alia sollicitudo Petri, cui sua iam praeda suspecta est » : « Tuttavia, da uomo perfetto, egli sa preservare i pesciolini messi al sicuro, come sa prendere quelli che guizzano ancora non presi. Egli li prende nella parola; egli li consacra alla parola » 62. È così che Ambrogio sviluppa la teologia del primato. La nave che, secondo Matteo, è minacciata dalla tempesta marina, porta anche Giuda, ma la navicella, che pesca un così ricco bottino, appartiene soltanto a Pietro. « Non turbatur ista quae Petrum habet, turbatur illa, quae Judam habet » 63. Certo si tratta di pura allegoria dell'indipendente Ambrogio: ma così facendo egli tenta soltanto di inserire nella pericope la sua persuasione dogmatica della sicurezza della navicella di Pietro. Egli predica infatti in un periodo in cui, nelle ultime tempeste dell'arianesimo, combatte unitamente assieme a papa Damaso per la cattedra di quel Pietro che insegna in Roma. Dobbiamo situare la sua parola in questo contesto : « Ergo non turbatur haec navis, in qua prudentia navigat, abest perfidia, fides spirat. Quemadmodum enim turbari poterai, cui praeerat is, in quo Ecclesiae firmamentum est?» 64 . Il suo sguardo si rivolge al tempo presente, in cui i pericoli della perfidia ariana, sempre in agguato, cercano di svuotare il mi81
Ivi, 4, 77 • ! Ivi, 4> 78 3 « Ivi, 4, 70 " Ivi, 4, 70
(P· (p(p. (p.
177. 1. 24s) 178. 1. 4-7). 175, 1. is). 175, ). 6-9).
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stero della divinità di Cristo. Unica sicurezza in queste tempeste marine è la navicella di Pietro. Anche se l'ordine di gettare le reti è stato rivolto a tutti gli apostoli, tuttavia solo a Pietro son rivolte le parole : « C o n duci verso l'alto ». E questo ' alto mare ' è la dottrina secondo cui Cristo è Dio. « Soli tamen Petro dicitur: due in altum, hoc est in profundum disputationum. Quid enim tana altum quam altitudinem divitiarum videre, scire Dei filium et professionem divinae generationis adsumere ? » Verso questo alto mare di Dio esce con sicurezza soltanto la nave petriana della Chiesa: «In hoc altum disputationis Ecclesia a Petro ducitur » 65 . Dietro l'immagine si nasconde quindi la medesima convinzione del primato dottrinale del successore di Pietro, che abbiamo trovato nella lettera dello Pseudo-Clemente. Ritorna nuovamente Mat 16,18, quando Ambrogio chiama il timoniere Pietro firmamentum Ecclesiae. La nave di Pietro è simbolo dell'unità della Chiesa e i collaboratori dell'« altra navicella », che Ambrogio applica alla sinagoga, vengono qua per mettere al riparo assieme a Pietro la pesca. In Pietro la Chiesa è diventata una: « Ad navem Petri, hoc est ad Ecclesiam, convenerunt, ut implerent ambas naviculas. Omnes enim in nomine Jesu gemi flectunt, sive Judeaus sive Graecus : omnia et in omnibus Christus » 66 . Questa dottrina non è stata mai dimenticata, dal momento che PAOLO DIACONO stabilì il capitolo del commento a Luca come lettura per quella domenica dopo Pentecoste, che aveva come pericope evangelili"', 4. 71 (p- 175. 1- Ϊ Ι - Ι 4 ) · Ivi, 4, 77 (p. 177, 1. 20-23).
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L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
ca Lue 5,1-11 67 . Oggi nel messale romano è la quarta domenica dopo Pentecoste, alle cui orazioni scritturistiche abbiamo accennato più sopra 68 . Nel primo medioevo questa pericope, e con essa anche la lezione ambrosiana, cadeva in una domenica ante natale Apostolorum69, e gli studi hanno accertato che proprio la vicinanza della festa di San Pietro ha esercitato un influsso su questa scelta 70 . N o i possediamo ancora una predica sul capitolo quinto di Luca, tenuta nel quinto secolo da un imitatore di Ambrogio, la quale ci mostra in che modo la dottrina del primato del successore di Pietro viene suggerita dal commentario a Luca del vescovo di Milano : « Hanc igitur solam Ecclesiae navem ascendit Dominus, in qua Petrus magister est constitutus, dicente Domino : super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam. Quae navis in altum saeculi ita natat, ut pereunte mundo omnes quos suscipit servet illaesos » 71 . Può anche darsi che l'omelia vada attribuita al vescovo MASSIMO DI TORINO. Essa sarebbe in ogni caso conforme alla dottrina del primato insegnata da questo fedele seguace di Ambrogio. Egli, infatti, in " PL 95, 1369 C. Cft. ST. BEISSEL, Entstehung der Periiwpen des Rómischen Messbuchs, Friburgo 1907, p. 148. 68 Cft. sopra, p. 558, nota 147. 69 T H . KLAUSER, Das Ròmische Capitolare Evangeliorum (Liturgiegeschichtliche Quellen imd Forschungen, 28), Miinster 1935, v. 1,
p.
30,
n.
140;
p.
178,
n.
168.
- In PAOLO D I A C O N O ,
Lue
5,iss e
l'omilia di Ambrogio per la prima domenica sono letti « post natale Apostolorum » : cfr. BEISSEL, op. cit., p. 149 e 152. ,0 Cfr. anche A. VOGEL, Der Einfluss voti Heiligenfesten auf die Perikopenwahl an den Sonntagen nach Pfingsten, in Zeitschrifì fiir kathoHsche Theologie 69 (1947) p. 100-118. 71 PS.-AMBROGIO, Sernio 37, 5 (PL 17, 678 AB). Stampato anche tra le omilie di MASSIMO DI T O R I N O , Sermo 94 (PL 57, 722 A).
LA NAVICELLA DI PIETRO
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una sua predica così si esprime a proposito di Pietro: « Quantum igitur meriti apud Deum suum Petrus erat, ut eipost naviculae parvae remigium totius Ecclesiae gubernacula traderentur » 72. Comunque stiano le cose, una cosa è certa: sia il commento a Luca di Ambrogio, sia la predica del suo imitatore, hanno profondamente influenzato la dottrina e il vocabolario teologico del medioevo. Infatti sono entrati nel Decretimi di GRAZIANO 73 e ANSELMO DI LUCCA si richiama ad ambedue
i testi nella sua collezione di canoni, quando dimostra la tesi : « Quod navis beati Petri non turbatur », e quando spiega la proposizione: « Quod Petrus a soliditate fidei petra dicitur et in navi eius omnes tuti sunt » 74. Con il richiamo, di origine pseudo-ambrosiana, alla Chiesa come unica nave della salve2za, un tema dottrinale dell'antica teologia simbolica cristiana viene introdotto nell'allegoria della navicella di Pietro, che ora intendiamo per l'appunto ricordare brevemente: la Chiesa è l'arca di Noe e fuori delle sue tavole salvatrici c'è soltanto naufragio e affondamento. Ciò che colpisce, è il fatto che soltanto Pietro è paragonato a Noe, ambedue sono i « timonieri di una nuova epoca del mondo »75. « Sicut enim Noe arca naufragante mundo cunctos quos susceperat incolumes reservavit, ita Petri Ecclesia conflagrante saeculo omnes quos amplectitur repraesentabit illaesos »76. Da Gregorio Magno sino a 72
Homiìia 70 (PL 57, 399 A).
" C.
II, q.
4, e.
2
(FRIEDBERG I,
p.
422).
71
Collectio Canonum, I, 37 (a cura di FR. THANER, Innsbruck 1906, p. 22). - I, 69 (p. 36). 75 76
CRISOLOGO, Homiliit 163 (PL 52, 628 D. 629 A ) . Ps.-AMBROGIO Ο MASSIMO (PL 57, 722 A).
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L ' E C C L E S I O L O G I A D E I PADRI
Bonifacio Vili vi si vide un simbolo della Chiesa, fuori della quale non c'è salvezza 77. La storia ulteriore dell'allegoria dogmatica della navicella di Pietro può essere riassunta rapidamente, tanto numerose son ora le testimonianze. Ovunque risuonano le parole di Ambrogio. Dagli amboni degli ultimi Padri della Chiesa e nelle aule scolastiche dei monaci carolingi, ovunque echeggia la lode alla Chiesa e a Pietro, il suo buon timoniere. La Chiesa è la nave di Pietro provata dalla tempesta, di cui AGOSTINO predica: « Quia etsi turbatur navis, navis est tamen. Sola portat discipulos et recipit Christum. Periclitatur quidem in mari, sed sine illa statini peritur » 78. Pietro è il ' tipo ' e la personificazione della nave della Chiesa: « Gestat enim Petrus Ecclesiae plerumque personam » 79. Il mare raffigura il mondo presente; Pietro Apostolo è il tipo dell'unica Chiesa »80. Le due navi sul lago di Genesareth diventano il simbolo della Chiesa dei giudei e dei pagani 81 , proprio come in Ambrogio. La nave di Pietro viene caricata sino quasi ad affondare con la enorme massa di cattivi cristiani82, ancor più che al tempo di Ambrogio. Ma viene il giorno, in cui Cristo glorificato starà sulla riva dell'eternità, per tirare a terra " Cfr. ad esempio GREGORIO M A G N O (PL 76; 982 C D ) . - Ps.ISIDORO (PL 130, 191 A). - INNOCENZO III (PL 215, 278 C; 622 D ) . -
BONIFACIO Vili nella Bolla Ausculta fili, in C. J. HEPELE, Conciliengeschichte, Friburgo 1890, v. 6, p. 325. - Per i testi antichi in favore della simbolica arca-Chiesa, cfr. F. J. DOLGBR, Sol Salutis, Miinster 1 9 2 5 , 2 e d . , p. 78
273SS.
Sermo 75, 3 (PL 38, 475). '" Sermo 75, 9 (PL 38, 478). «0 Sermo 76, 1 (PL 38, 479). 81 Tractatus de sexta feria Paschae ( M O R I N , p. 488S). 82 Sermo 13, 2 Wilmart ( M O R I N , p. 713).
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per sempre la navicella, la Ecclesia gloriosa 83. A causa dei Santi, che appartengono inseparabilmente al mistico Corpo di Cristo, il timone della Chiesa fu affidato a Pietro in mezzo alle tempeste di questo mare terreno 84. Un ignoto discepolo di Agostino, che ci ha lasciato una predica piena d'immagini marine, esclama: « Navicellam. quippe istara, fratres, Ecclesiam cogitate, turbulentum mare, hoc saeculum ». Cristo è il vigile timoniere sulla nave di Pietro, perciò l'approdo è certo : « Naviget ergo, carissimi, naviget haec dominica navis inter procellas saeculi Christo protegente secura, Deo donante sollicita » 85 . Tutto ciò è così ben noto ai credenti, che Gregorio Magno ha appena bisogno di accennarvi : « Per navem Petri quid aliud quam commissa Petro Ecclesia designatur ? » 86. Attraverso la collezione di excerpta di PATEHIO (e di Bruno), questa domanda retorica giunge al medioevo 87 . Beda riallacciandosi alla nota spiegazione di Ambrogio, dà ancora una volta a questa simbolica una più decisa colorazione romana. La navicella di Pietro è la figura dell'antica Chiesa dei giudei : « Navis Simonis est Ecclesia primitiva... de qua Christus docebat turbas, quia de auctoritate Ecclesiae docet usque hodie gentes »88. Questo usque hodie, con lo sguardo rivolto verso l'autorità dottrinale romana, viene continuamente ritrascritto nel 83
Sermo 248, 3 (PL 38, 1159S). - Sermo 250, 3 (PL 38, 1155S). Tractatus in Joannem, 124, 7 (PL 35, 1976). Sermo 72, 2. 3 (PL 39, 18845). 86 Moralia in Job, 17, 26 (PL 76, 28 A). Cfr. anche l'omelia 24, 3, 4 (PL 76, 1 1 8 5 B - D ) : il concetto agostiniano delle due navi, la Chiesa terrestre e quella gloriosa di Pietro : « Ipsi quippe sancta Ecclesia est commissa ». 87 Expositio super Lucam (PL 79, 1060 A; 1206 B). 88 Expositio in Lucani, 2, 5 (PL 92, 302 C ) . 84
85
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medioevo 89 . Lo vediamo chiaramente nello P S . - A I M O NE DI HALBERSTADT : « Navis Simonis primitiva Ecclesia ex Judaeis collccta, quae ideo Simonis dicitur, quia specialiter ei est commissa. Illi enim a Domino dicami est: tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam » 9 0 . La stessa cosa va detta della Chiesa dei pagani: anche la sua certezza di salvarsi riposa sulla roccia, che ha a sua volta in Cristo la sua forza sostenitrice 91 . Così la navicella della Chiesa non può mai affondare, nonostante tutte le tempeste degli eretici: « Mergi non potuit, quia Christum in fondamento habuit, ipso dicente: super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam » 92 . Gesù insegna soltanto dalla nave di Pietro: ciò indica l'unica ecclesiastica dottrina, che deve essere annunziata dai predicatori 9 3 , e il fatto di Pietro che discende dalla sua navicella, per andare incontro a Gesù si ripete ogni volta che un maestro inviato da R o m a espone la parola di Dio : « quoties quilibet sanctus doctor de gremio Matris Ecclesiae, ubi fuerit educatus, pia condescensione perrexit ad illos, qui foris erant, ut eis viam salutis ostenderet » 94 . Siamo così giunti alla seconda parte della nostra ricerca, in cui udiremo l'eco politico-ecclesiastica di tale esegesi. Citiamo ancora due testimoni per concludere la storia esegetica del simbolo; essi infatti, più chiara89
Cfr. ad esempio SMARAGDO DI ST. MIHIEL (PL 102, 375 D). -
W E R N E R DI SAN B I A G I O
(PL 157,
1045 C ) ; B R U N O DI SEGNI
(PL 165,
374 B). 80 Homilia 117 (PL 118, 626 A). 91 Ivi (626 B). Qualcosa di simile anche in BEDA (PL 92, 383 A). 9! Ivi (628 Β). Cfr. anche Homilia de Sanciti, 3 (PL 117, 762 B). 9 3
Ivi (626 B). Anche in PASCASIO RADBERTO, Expositio in Mat-
thaeum, 5, 8 (PL 120, 359 D ) . 9 a
ANSELMO DI CANTERBURY (?), Homilia 3 (PL 158, 600 C D ) .
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mente che gli altri, mostrano come si applicava il risultato della spiegazione occidentale della pericope lucana per gridare all'altra barchetta, all'Oriente separato, la parola ammonitrice di Pietro: la storia dell'esegesi della nave di Pietro, che ora possiamo abbracciare con uno sguardo, ci dimostra che si tratta di uno sviluppo spiccatamente latino-occidentale, a cui la tardiva esegesi greca e quella bizantina non prendono più parte. ANSELMO DI HAVELBERG, nelle discussioni con Niceta di Nicodemia sull'unità della Chiesa e sul primato del vescovo romano (avvenuta nel 1135), esalta Pietro come il buon timoniere della Chiesa, a cui il Signore ha detto: «Tu però rafforza i tuoi fratelli » (Lue 22,32). « Ac si aperte dicat : tu qui hanc gratiam accepisti, ut aliis in fide naufragantibus semper in fide immobilis et constane permaneas » 95. Il secondo documento è come il brillante epilogo della nostra storia, scritto da Innocenzo III in un momento drammatico per la storia papale, quando le schiere della quarta crociata erano entrate nella Hagia Sophia di Bisanzio e per un momento sembrò che la cristianità greca dovesse essere ricondotta all'unità della nave di Pietro. Il 21 gennaio 1205 il papa scrive al clero di Costantinopoli una lettera piena di gioia sulla ricostituita « unità » e ogni parola di essa è come il frutto maturo della storia del nostro tema: « Sicut per mare saeculum, ita per navem Ecclesia et per rete praedicatio designatur. Navis ergo Simonis est Ecclesia Petri, quae benedicitur una, quia catholica Ecclesia una est, quam Christus commisit Petro regendam, ut unitas divisionem excludat » 96 . Cristo che si " Dialogi, 3, 5 (PL 188, 1214S). " 6 Epistola 203 (PL 215, 512-517). POTTHAST, n. 2382.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
mette sulla nave di Pietro, per istruire di li i popoli, significa : « Sedens docebat de navicula turbas, quia extunc fecit Petrum stabilem sedem habere, sive in Laterano, sive in Vaticano ». A Pietro fu indirizzato il comando: «Due in altum et laxa retia in capturam». Queste parole si son di nuovo adempiute ora e con sommesso orgoglio Innocenzo getta il suo sguardo sulle Chiese occidentali ed orientali, dalla Livonia, alla Bulgaria, sino all'Armenia: veramente la nave di Pietro è in alto mare, mentre Innocenzo getta le reti : « Hoc unum audacter affirmo, quia laxavi retia in capturam ». Bisogna leggere la lettera spassionatamente, per carpire di frase in frase l'eco della teologia di Agostino e di Ambrogio sul primato del timoniere romano. Questa è la buona nave, che mille anni prima il cristiano romano sotto Callisto ha esaltato e che da allora è andata attraverso tempeste e alte onde, così che le sue fracide tavole scricchiolavano, come una volta si lamenta il grande Avversario all'inizio del suo pontificato 97. Adesso apprenderemo, in che modo il temporale politico ecclesiastico minaccia la nave di Pietro. Ma anche qui restano valide le parole : « Tunditur, non mergitur ».
2. L'IMPIEGO POLITICO-ECCLESIASTICO DEL SIMBOLO
Anche questa linea della storia del simbolo si sviluppa secondo le medesime leggi della spiegazione dommatica: l'immagine è usata in primo luogo in genere, in quanto viene applicata, in un contesto " Epistola i, 4 (PL 77, 447 A).
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politico e giuridico ecclesiastico, alla Chiesa come nave degli Apostoli e alle Chiese particolari, che vengono rappresentate come le navi a prova di mare, pilotate dal vescovo in veste di timoniere. Tra queste « naviculae Apostolorum. » la Chiesa di Roma è la nave del primo tra i pescatori. Con crescente autocoscienza i successori di Pietro riconoscono il proprio compito di reggere i « gubernacula totius Ecclesiae », e i colleghi nell'episcopato lo riconoscono volentieri. Quando percorriamo con lo sguardo le testimonianze di questa storia, allora, dal modo in cui Roma si serve della collaborazione episcopale dei timonieri apostolici e dal modo in cui, a loro volta, questi, specialmente nelle tempeste delle eresie e della politica, si rivolgono di continuo al capo timoniere della nave di Pietro, diventa chiaro il convincimento teologico, presente dietro queste immagini e parole nautiche. Non resta alcun posto per una « presunzione romana » storicamente dimostrabile. Il lento formarsi della teologia del primato è una crescita vivente: essa avviene secondo una legge esistente sin dall'inizio, e cioè in forza di una convinzione sempre presente, la quale, sebbene inizialmente soltanto implicita, è presente come dato storico afferrabile ed enunciabile. Il primato del vescovo romano non è sorto da un oscuro impulso, né come semplice risultato di fatto di fattori storici molto meno ancora come risultato imposto da un'abile politica d'interessi. K. HOLL ha ragione quando scrive : « La Chiesa cattolica non può mai impegnarsi in una considerazione storica, che pone all'inizio dello sviluppo un semplice impulso, un'idea, un seme non sviluppato... la Chiesa cattolica deve mettere già come punto di partenza del-
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PADRI
la storia del cristianesimo qualcosa di formato, qualcosa di relativamente compiuto »98. Questo qualcosa di compiuto, che va tenuto presente nel caso del lento divenire del primato, è il tema di cui ci occupiamo ora esponendo l'applicazione politico-ecclesiastica del simbolo della nave di Pietro, sullo sfondo della conoscenza ormai acquisita dal suo sviluppo esegetico. Il pensiero fondamentale, che si estende attraverso testimonianze del millennio che va tra Callisto e Innocenzo III. non è determinato tanto dal racconto biblico di Luca 5, quanto piuttosto dalle pericopi della tempesta marina, che sbatte qua e là la nave di Pietro. La Chiesa è la nave, che, sotto una immane minaccia, naviga attraverso il « mare cattivo del m o n d o » : persecuzione politica dall'esterno ed eresie dall'interno la pongono in pericolo di naufragare. Lo abbiamo già esposto sopra basandoci su innumeri testi della teologia patristica ". I vescovi e i teologi, specialmente nei momenti di pericolo, esaltano la navicella degli Apostoli così atta alla navigazione. GEROLAMO ne ha scritto in quel tornante drammatico, quando si placò la tempesta rabbiosa degli ariani con la morte improvvisa dell'imperatore Costanzo, la grande « bestia ». Era come dopo la tempesta nel mare di Galilea (Mat 8,26): tutto in una volta si fece gran calma : « Periclitabatur navicula Apostolorum, urgebant venti, fluctibus latera tundebantur, nihil iam supererai spei: Dominus excitatur, imperat ventis, bestia moritur, tranquillitas rediit » 1 0 °. In tale tempesta lo sguardo dei marinai e dei ss Gesammelte Aujsàtze zur Kirchengeschkhte, Tubinga 3. P- 455· "" Cfr. sopra, p. 499-507. 100 Dialogus adversus Luciferianos, 19 (PL 23, 172S).
1938, v.
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passeggeri va verso la poppa, ove il timoniere governa e ha in suo potere l'unico gubernaculum che salva, poiché tiene in mano, impugnandolo con calma, il clavus (οΐαξ), il manico ligneo del timone. Costui, nella nave della Chiesa, è il vescovo: egli è l'uomo, a cui è stato elargito il dono spirituale della κυβερνήσις (iCor 12,28) 1 0 1 , ed è stato costituito guhernator della Chiesa ο come proreta del divin timoniere, Cristo. In questo linguaggio simbolico navale è contenuta la persuasione giuridico-ecclesiastica della posizione del vescovo. Scegliamo nella massa di testimonianze che si potrebbero portare in favore di ciò, qualcuna delle più significative. Il vescovo, in collaborazione con i sacerdoti, è il timoniere della nave, come spiega" già CIPRIANO in una lettera 102. In uno scritto al suo vescovo, Agostino, che era ancor semplice sacerdote, riconosce che egli non è capace di assumere neppure questo « secondo posto » sulla nave della Chiesa d'Ippona guidata da Aurelio: « Ut secundus locus gubernaculorum mihi traderetur, qui remum tenere non noveram » 103 . TEODORETO ci riferisce, a proposito della Chiesa di Antiochia, che il vescovo Alessandro vi « dirigeva il timone » 104 ; e, a proposito di Stefano vescovo della medesima città divenuto eretico, ricorda : « Egli teneva in mano il timone di quella Chiesa e guidava la navicella verso l'affondamento » 105. Questo diventa sempre più un linguaggio giuridico sacro e quindi levigato, si potrebbe 101 Cfr. il materiale patristico in G. KITTEL, Theol. Wòrterbuch z. Neuen Testament, Stoccarda 1938, v. 3, p. 1036 (BEYEH). loa Epistola 14, 1 (CSEL 3, 2, p. 510, 1. 2s). 103 Epistola 21, 1 (CSEL 34, 1, p. 50, 1. 6s). 104 Historia ecclesiastica, $, 35 (GCS TEODORETO, p. 337, 1. 14S). 105 Histor. eccles., 2, 9 (GCS, p. 119, 1. I2s).
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anche dire lontano dall'immagine, come, ad esempio, quando LEONE MAGNO parla degli « episcopalia gubernacula » 1 0 6 , ο EUCHERIO della « dioecesis gubernatio » 1 0 7 , proprio come aveva già detto CIPRIANO 108. Lo si vede anche nella traduzione che RUFINO dà al testo di Eusebio: in esso narra che papa Alessandro ha ricevuto l'ufficio come quinto vescovo dopo Pietro (την έπισκοπήν ύπολαμβάνει); Rufino traduce la frase con le seguenti parole : « Plebis guberanacula sortitus est » 1 0 9 . Il concetto dell'ufficio episcopale è « Navim Ecclesiae gubernare » 110 . Rivolgiamo ora l'attenzione alla Chiesa romana. Anche qui, conformemente alla tendenza antica del simbolismo cristiano, si parla del vescovo come timoniere della propria nave, esattamente come a Cartagine ο ad Antiochia. Ma ciò che colpisce, che è interessante per la storia giuridica del primato e che dimostra chiaramente come la priorità del timoniere romano sulla nave della Chiesa non può essere una usurpazione, è il fatto, ampiamente documentabile, che Roma non ha mai contrastato la posizione dei singoli vescovi come capi nave (servendosi, ad esempio, dell'argomento, apparentemente ovvio, che sulla nave della Chiesa ci può essere soltanto un timoniere); al contrario i papi romani hanno sempre salutato i loro fratelli nel ministero come i timonieri delle loro Chiese. Nel sarcasmo con cui TERTULLIANO burla il ricco armatore Mario» Epistola 12, io (PL 54, 654 B). 107 108 109 110
Instructiones, 2 (CSEL 31, p. 160, 1. 13). Sententiae episcoporum, praefatio (CSEL 3, i, p. 416, 1. io). Historia ecclesiastica, 4, 1 (GCS EUSEBIO, 2, 1, p. 301, 1. 5s). Così in CESARIO DI ARLES, Suggestio humilis (ed. MALNOEY,
Bibliothèque de Γ Ecole des Hautes Etudes 103, 1894, p. 305).
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cione, che in Roma vuol spacciarsi come il nauclerus della comunità e come successore dei pescatori della barca galilaica, ascoltiamo già come una eco e una reminiscenza della gubernatio episcopale m . CIPRIANO, proprio nelle sue lettere indirizzate a Roma, si sforza di far suo il linguaggio nautico sacro, di cui ci si serviva volentieri nelle lettere che giungevano dalle rive del Tevere. Nella commovente autodifesa, che al tempo dello scisma di Fortunato egli indirizzò a papa Cornelio, spiega che gli assalti contro l'unità episcopale della Chiesa cartaginese venivano in ultima istanza dal diavolo: questi ha suscitato le tempeste marine, che minacciano la nave della Chiesa, poiché, quando si riesce ad eliminare il timoniere, allora il naufragio è inevitabile : « Ille qui Christo adversarius et Ecclesiae eius inimicus ad hoc Ecclesiae praepositum sua infèstatione persequitur, et gubernatore sublato atrocius atque violentius circa Ecclesiae naufragia grassetur » 112. Il simbolo viene applicato in maniera realistica anche quando Cipriano afferma che i cinque apostati consacrati dall'antivescovo veleggiarono con nave veloce alla volta di Roma, per diffamare il vescovo legittimo presso il papa : « Essi sono partiti con il loro carico di bugie alla volta di Roma, questi compagni di naufragio, come se dietro di essi non potesse veleggiare a sua volta anche la verità » 113 . La consapevolezza che Cipriano ha di se stesso si manifesta nella sua fierezza: a Cartagine, e questa è la Chiesa, c'è soltanto un timoniere ora, poiché l'unità di questa Chiesa è 111 112 113
Adversus Mardonem, 4, 9 (CSEL 47, p. 44.0, 1. 16-19). Epistola 59, 6 (CSEL 3, 2, p. 673, 1. 20 - p. 674, 1. 2). Epistola 59, 11 (p. 678, 1. 20s).
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DEI
PADRI
l'unità di tutta la Chiesa, e ciò che avviene contro un vescovo, viene fatto a tutta la Chiesa. Ogni vescovo è sulla sua nave il magister navis inviato da Dio. Mai è venuto in niente ad un vescovo di R o m a di negarlo, per innalzare la propria sede. Papa Anastasio I, che è uno dei costruttori della dottrina del primato, durante i disordini suscitati dalla polemica di Origene, scrisse al vescovo di Milano e lo informò su ciò che Teofilo, vescovo di Alessandria, aveva fatto in questa questione così importante per la purezza della fede. Ma non si attribuisce il diritto di decisione, bensì loda la vigilanza del timoniere alessandrino : « Magister providus navis hora tempestatis et periculi magnani patitur animi iactationem, ne procellis atque asperrimis fluctibus navis elidatur in saxa. Pari animo vir sanctus et honorabilis Theophilus, frater et coepiscopus noster, circa salutis commoda non desinit vigilare, ne Dei populus per diversas Ecclesias Origenem legendo in magnas incurrat blasphemias » 1 1 4 . Tuttavia, nonostante il riconoscimento dei diritti dei vescovi e nonostante la gioia con cui è accettato il servizio della loro collaborazione sulla nave della Chiesa, nella scelta dei simboli nautici, che si riscontrano nelle lettere del papa, si percepisce una delicata sensibilità per la posizione unica del vescovo di R o m a : nello sfondo infatti c'è sempre la figura di Pietro, che nella Chiesa universale è il primo timoniere; e i vescovi, a cui le lettere erano indirizzate, non lo hanno contestato, dal momento che volevano restare nell'unità della navicuìa Petri. Dal punto di 114
Epistola 2, ι
(PL 20, 74A), JAFFÉ 276 M A N S I , V.
3, p . 945.
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847
vista della storia dello sviluppo del primato, tutto ciò diviene chiaro soprattutto all'inizio del quinto secolo, allorché gli imperatori orientali si misero a favorire l'ascesa della Chiesa episcopale della capitale situata sul Bosforo e dopo che dall'Oriente si levarono le tempeste delle eresie cristologiche. Chi è il timoniere responsabile, che manovra il manico del timone della nave di Pietro, per guidarla sicura attraverso ogni tempesta? Questa è la questione giuridica, contenuta nell'immagine simbolica, di cui ora cominciamo ad occuparci. In queste tempeste, R o m a diventa consapevole della sua posizione stabilita da Dio, il papa difende il suo posto sull'alta poppa della nave della Chiesa, ma sempre in m o d o da lasciare intatti i diritti dei vescovi. La situazione diventò incandescente nella controversia sui diritti di vicariato della diocesi di Tessalonica, ove Bisanzio e R o m a si urtarono a vicenda. Nel marzo del 422 papa BONIFACIO scrive a Rufo di Tessalonica un'ammonizione, affinché conservi il suo Vicariato sull'Illiria concesso da R o m a : infatti il beato Apostolo Pietro stesso si batterà come suo difensore. « Nolo perturbatione maris conciti terrearis. In nullo te turbo, in nullo penitus procella vexabit. N o n patitur ille sedis suae perire privilegium, te laborante, piscator. Omnis tumor fluctuum, omnis procella cessabit, eo favente, nisibus tuis, cui soli mare pervium fuit » U 5 . Con fine diplomazia e dommatica chiarezza, il Vicario del Papa viene designato come « collaboratore » di Pietro e del suo successore. Del tutto simile è il modo di esprimersi di una lettera con 115
Epistola 13, 1 (PL 20, 775 B). JAFFE, 363. M A N S I , V. 8, p. 754. -
C&. E. CASPAK, GeschicHte àes Papsttums, Tubinga 1930, ν. ι, ρ. 37tìs.
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L'ECCLESIOLOGIA
D E I PADRI
cui, cinque anni dopo, papa SIMPLICIO concede al vescovo Zeno di Siviglia i diritti di Vicario papale. Zeno è degno dell'ufficio, perché, da buon pilota, sa guidare la navicella della propria Chiesa: «Plurimorum relatu comperimus, dilectionem tuam fervore Spiritus Sancti ita navis ecclesiasticae gubernatorem existere, ut naufragii detrimenta Deo auctore non sentiat » U 6 . Dall'Oriente si levano le tempeste dell'eresia e minacciano di affondare la nave della Chiesa. Papa CELESTINO è al suo posto con Cirillo di Alessandria e quando, dopo la grave crisi del Concilio di Efeso, le dottrine ereticali dell'infido pilota di Costantinopoli, Nestorio, furono sconfitte e la pace fu restaurata, una lettera piena di gioia giunge al nuovo vescovo della città imperiale orientale, che lo saluta come il timoniere della nave tanto gravemente minacciata·. « Ancora ti sbattono qua e là le onde sollevate da Nestorio e ti minacciano i flutti ammucchiati in alto e le tempeste. Resisti con ogni vigilanza e poni cura come maestro della nave che ti è stata affidata, nel migliore dei modi, per la salvezza di coloro che sono nelle tue mani. Calma di nuovo il mare, su cui navighi, abbi cura che la nave, da te guidata, mediante la tua arte, dopo tutte le tempeste, viaggi sicura ». Nestorio è affogato nel naufragio, poiché si arrogava l'ufficio di un pilota maestro. « Ma tu, prendi in mano il legno del timone della nave affidatati »: « Sume gubernacula notae tibi navis eamque, ut didicisse te a tuis prioribus novimus, rege. Obsiste undis, quas 118
Epistola 21 ( T H I E L , ρ. 213S). JAFFÉ, 590. M A N S I , V . 7, p . 972. -
E. CASPAR, Geschichte des Papsttums, Tubinga 1933, v. 2, p. 14 e p. 766.
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ille ventus, qui et a navi vectores abegerat, sed omnibus inimicus excivit, omni eam laterum cupiens compage dissolvere ». Ma anche in questo notevole riconoscimento del timoniere bizantino, il papa fa risuonare la dottrina di Pietro, l'unico timoniere di tutta la nave : « Segui quel pescatore, che con i piedi cammina sul mare, per poter giungere a Cristo nostro Signore » 117 . L'Oriente non ha mai voluto comprendere pienamente questo linguaggio delicato e fermo ad un tempo. Subito dopo il trionfo del potere magisteriale di Roma, che è contrassegnato dal Tomus dommatico di Leone e dal Concilio di Calcedonia, scoppia lo scisma di Acacio, primo annuncio della futura separazione. In Roma tiene il timone papa Felice II, e il suo magnanimo ispiratore è Gelasio, il futuro papa 118. Nel marzo del 483 parte la prima lettera per Acacio, tutta piena del sentimento romano per la grandezza del successore di Pietro, il quale sa che è a proposito della nave della Chiesa che sono dette le parole: Le porte dell'inferno non possono annientarla e quanto più violenta è la tempesta, tanto più alta sarà portata la nave. A questo punto la lettera adotta « un fiero linguaggio nuovo, con un sottotono minaccioso » 119. Il naufragio minac117
Epìstola 24 (PL 50, 547 B C ) . JAFFÉ, 387. M A N S I , V. 5, p. 269.
E. SCHWAKTZ, Ada Cotte, oec, 1, 2, p. 90, 1. 19-28. 118 Cfr. H. K O C H , Gelasius im kirchenpolitischen Oienst seiner Vorganger, der Pdpste Simplicius und Felix IH, in Sitzungsberichte der Bayrischen Akademie der Wissenschaften, Phil. hist. Klasse, v. VI, Monaco 1935. - H. R A H N E R , Kirche und Staat im fruiteti Christentum, Moncao i960, p. 222. - Cfr. W. HAACKE, Die Glaubensformel des Papstes Hormisdas im Acacianischen Schisma (Analecta Gregoriana, 20), R o m a 1939. P- 8, nota 33. "· E. CASPAR, Geschichte des Papsttums, v. 2, p. 28.
850
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eia l'infedele timoniere della nuova R o m a : « U b i prospiciendum est, ne Ecclesiam, quae nullis potest obrui molibus procellarum, quicumque submergere nititur in huius saeculi pelago fluctuantem, ipse potius gubernatione salutari in profonda deiectus, illa praevalente, mergatur » 1 2 0 . La gioia era tanto più grande, per il fatto che dopo anni di apprensione la pace tra R o m a e Bisanzio poteva essere conclusa. Il 9 Luglio del 519, papa ORMISDA invia il suo primo scritto di saluto al successore episcopale dell'inglorioso naufrago Acacio e rafforza nel patriarca imperiale la coscienza episcopale: « Ricordati che sei il timoniere della nave, che ti fu graziosamente affidata da Cristo, e non ti far strappare di mano il timone della nave del Signore » : « Memento nunc clementer te adsignatae a Christo navis esse rectorem. Fac cogites diabolicae contumaciae spiritus quieti itineris secura turbantes, nec te lateant fluctus tempestatis incertae, quos evigili mente prospicias et erecta in Deum ratione compescas. Nulla tibi commissi negotii negligentia clavum dominicae ratis extorqueat » 121 . Quanto lealmente, e ad un tempo saggiamente, O r misda, il papa della classica teologia del primato 1 2 2 , sa applicare qui la simbolica della nave della Chiesa! Giovanni di Costantinopoli è effettivamente il signore sulla propria nave, ma (così bisogna intendere), soltanto su quella che Cristo gli ha affidato. E tuttavia la sua Chiesa è ratis dominica nel pieno senso della parola, 120
H.
Epistola 2, 7 (THIEL, p . 237). JAFFÉ 592. M A N S I , V. 7, p . 1028. -
RAHNER,
ivi,
p.
224S.
i" Epistola 80, 3 ( T H I E L , p. 880). Avellana, 169 (CSEL 35, p. 625, 1. 21-26). JAFFÉ, 820. CASPAK, V. 2, p. 1 , 1
163. HAACKE, ρ. 75.
Cfr. anche HAACKE, p . 122-150. A p . 2-8 p a r k del ruolo
importante esercitato dalla formula di Ormisda sul Concilio Vati cano I.
LA NAVICELLA DI PIETRO
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appartenente alla stessa unica nave, che Pietro guida da R o m a . Cerchiamo ora di comprendere anche dal lato opposto lo sviluppo della consapevolezza del primato alla luce del nostro simbolo e cioè: nelle espressioni che parlano del posto speciale, del posto di guida all'interno della nave della Chiesa, come fu formulato spesso da parte di R o m a rivolgendosi al mondo cattolico. La controprova di ciò è la eco, che dalle Chiese episcopali risponde al timoniere romano riconoscendo i suoi diritti di capo; e proprio qui si trova la migliore dimostrazione in favore del primato giuridico. È questo comandare con piena consapevolezza dell'ufficio, è questo gioioso riconoscimento che sono precisamente il mistico άντιβάλλειν tra il vicario del timoniere Cristo e i suoi proretae episcopali, appello e controappello, comando e risposta dalla poppa alla prua della nave di Pietro 1 2 3 . N o n andiamo errati, quando consideriamo il bel capitolo navale presente nella lettera dello P S . - C L E MENTE come un'espressione del sentimento ecclesiale ro mano, il quale, al tempo di papa Callisto, viene già ad assumere la forma concreta di esigenza de facto del primato. Basterà aspettare soltanto qualche altro decennio e ciò che nella lettera di Clemente forse sembrava ancora un'allegoria non obbligatoria, nelle lettere del clero romano diventa chiaro linguaggio giuridico latino. Dopo la morte di papa Fabiano (250), mentre la sede era vacante, NOVAZIANO, a nome del clero romano, scrive a Cartagine una lettera riguar123
Cfr. la traduzione che abbiamo dato più sopra (p. 820) al-
Γ ά ν τ φ α λ λ έ τ ω della lettera dello PS.-CLEMENTE.
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dante la disciplina penitenziale. In modo misurato e nella piena e ferma consapevolezza di parlare per tutta la Chiesa, vi vengono tracciate le linee direzionali. HARNACK ammirava la grandezza romana di questa lettera e il modo « in cui il clero romano teneva in mano il timone della Chiesa e delle Chiese, anche se gli mancava il vescovo » 124. È necessario, come è detto nella lettera al vescovo Cipriano, è necessario per la salvezza della Chiesa che la severità penitenziale venga regolata in modo unitario, nel ricevere i caduti è necessaria la « debita severitas divini rigoris » : « Quam qui remiserit, instabili rerum cursu erret semper necesse est, et huc atque illuc variis et incertis negotiorum tempestatibus dissipetur et quasi extorto de manibus consiliorum gubernaculo navem ecclesiasticae salutis inlidat in scopulos, ut adpareat non aliter saluti ecclesiasticae constili posse, nisi si qui et contra ipsam faciunt quasi quidam adversi fluctus repellantur et disciplinae ipsius semper custodita ratio quasi salutare aliquod gubernaculum in tempestate servetur » 125 . Come si vede, Roma ha saldamente in mano il timone della questione penitenziale, ed è esatto, quando E. CASPAR, a proposito delle righe appena citate della lettera, dice che in esse « la fermezza e la fierezza romana trovano una piena ed imponente espressione » 126 . Questo clero, da cui veniva scelto il papa, era informato del posto che, 124 Die Briefe des rò'mischen Klerus aus der Zeit des Sedivacanz im Jahre 350, in Theobgische Ahhcmdlungen C. Weizsàcker gewidmet, Lipsia 1892, p. 1-36. - Dogmengeschichte, Tubinga 1909, 4 ed., v. 1, p. 491. 125 N e l corpus delle lettere di CIPRIANO, Epistola 30, 2 (CSEL 3, 2, p. 549s)· 126 Geschichte des Papsttums, v. 1, p. 65.
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secondo la tradizione primitiva, compete alla Chiesa romana, e, immediatamente dopo la frase riguardante il timone della salvezza ecclesiastica e dell'antica disciplina penitenziale, scrive : « Questa non è una decisione nuova, emessa ora per la prima volta, né un improvvisato mezzo di aiuto, a cui ora la prima volta avremmo fatto ricorso contro i cattivi. Al contrario, presso di noi è antica la severità, antica la fede, antica la disciplina, che è scritta, altrimenti l'Apostolo non avrebbe pronunciato su di noi una così alta lode con le parole : « La vostra fede è lodata in tutto il mondo » (Rom 1,18), se questa forza non avesse le sue radici già in quei tempi » 127. Non ci meravigliamo, quando incontriamo nuovamente questo linguaggio giuridico investe nautica negli scritti di Damaso: questo vescovo romano infatti è uno dei grandi nella storia del primato. È lui che ha reso classica l'espressione Sedes Apostolica, in uso sino ad oggi per indicare i diritti papali 128 , ed è lui (con un altro simbolo biblico, la cui storia meriterebbe di essere studiata) che conia per l'unità della Chiesa e delle Chiese l'indimenticabile espressione di « una sola stanza nuziale », in cui alla Chiesa di Roma spetta il primo posto 129. « Poiché è da qui che i diritti della comunità degna di onore vanno a tutte le Chiese » 13 °. "' Epistola 30, 2 (CSEL 3, 2, p. 550). 1M
Cfr. H . R A H N E R , Kirche uni Staat,, p . 105-107. - E. CASPAR,
Geschichte ies Papsttums, v. 1, p. 242S. 12! N e l terzo capitolo del Deaetum Celasianum, che fu edito dal Sinodo romano sotto Damaso nell'anno 3 82. Testo in E. VON D O B SCHUTZ, Das Deaetum Gelasianum in kritischem Text (Texte und U n t e r suchungen, 38, 3), Lipsia 1912, p. 7. - Cfr. E. CASPAR, Geschichte ies Papsttums, v. 1, p. 2473 e p. 598s. - H. R A H N E R , ivi, p. 109. 130
AMBROGIO, Epistola 11, 4 (PL 16, 946 A).
854
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Egli interviene con forza nei disordini ereticali dei suoi giorni, soprattutto nelle questioni su Apollinare. Dietro richiesta dei chierici di Beirut, manda in Oriente una lettera che ci è stata conservata soltanto in greco: « Fa anche a noi il massimo onore, reverendi fratelli, che il vostro amore mostri il debito rispetto alla Sede Apostolica (τη αποστολική καθέδρα). Anche se il santo apostolo, stando in trono, ha insegnato, (καθεξόμενος έδίδαξε), soprattutto (τα μάλιστα) in questa santa Chiesa, allo stesso m o d o in cui noi dobbiamo mano vrare rettamente il timone affidatoci (τους ο'ίακας ίθ-ύνειν), tuttavia confessiamo di non essere all'altezza di questo onore. Ci sforziamo però in ogni maniera di poter giungere alla fama della sua santità » 1 3 1 . Q u e sta è la navicella di Pietro : quella in cui Cristo « sedette ed insegnò » (κα&ίσας έδίδασκεν Lue 5,3), quella in cui Pietro sedette e insegnò (καθ-εζόμενος έδίδαξε) e questa è la Cattedra apostolica di Damaso di R o m a . Dalla prua dell'unica nave egli insegna e guida le Chiese del m o n d o . Si vede ancora dalla lettera, con cui papa Innocenzo I nell'anno 401 annuncia la sua ascesa al Pontificato all'Oriente greco, quanto fosse corrente dovunque la simbolica nautica e quanto naturalmente il vescovo romano si considerasse come il pilota timoniere della Chiesa universale: egli sarebbe stato eletto dopo la morte di papa Anastasio, « ne eius Ecclesia sine rectoris gubernaculo remaneret » 1 3 2 . E come una eco di questa lettera, ciò che CRISOSTOMO nel 407, durante l'esilio, circondato da peste, 131 In TEODOHETO, Historia Ecclesiastica, 5, io (GCS TEODORETO' p. 295, 1. 7-10). JAFFE, p. 234. 132
Epistola
1
(PL 20,
464 D ) . JAFFE,
285.
M A N S I , V.
8, p .
750.
LA NAVICELLA DI PIETRO
855
fame e spade, scrive al vescovo di R o m a , unico rifugio del diritto ecclesiastico in mezzo al dispotismo statale, al quale papa Innocenzo aveva resistito invano nel caso della tragedia del vescovo costantipolitano. Ora assume significato politico ecclesiastico ciò che Boccadoro aveva predicato una volta a proposito di Pietro il pescatore e della sua navicella: lassù, nell'antica R o m a , siede al timone l'uomo che solo ha diritto di dirigere la nave di tutta la Chiesa attraverso le onde minacciose. Ciò che gli scrive il proscritto Crisostomo è più che retorica, è la più profonda convinzione del fedele u o m o di Chiesa : « I buoni timonieri lo imitano sempre e sono continuamente vigili, quando le onde si alzano, quando il mare si gonfia, le acque spumeggiano e la notte profonda irrompe ». L'immutato amore e cura del papa è come il molo protettore del porto, in cui la navicella della sua vita, sferzata dalla tempesta, sta al riparo: l'attaccamento del papa al diritto è per il vescovo perseguitato « m u r o e sicurezza e porto resistente alla tempesta», τοϋτο ήμΐν τείχος, τοϋτο ασφάλεια, τοϋτο λιμήν ακύμαντος 1 3 3 . Ancora una volta: qui non si tratta di semplice retorica non impe gnativa ο di linguaggio immaginoso, ma siamo nel campo di quelle solenni confessioni del primato della Sede Apostolica, che sempre, nei periodi di pericolo politico ecclesiastico, dall'Oriente si dirigevano verso R o m a . Durante le tempeste della medesima tirannia civile di cui cadde vittima il Crisostomo, un vescovo
133 PG 52, p. 535 B. MANSI, V. 3, p. 1113S. Pei un cauto apprez zamento di queste testimonianze dei vescovi orientali sul primato di Pietro, cfr. CHR. BAUR, Johannes Chrysostomus uni seine Zeit, Mo naco 1929, v. 1, p. 29OS.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
orientale così scrisse al papa, dopo gli orrori del latrocinio dì Efeso : « La sede Apostolica di Roma sin dall'inizio ha avuto cura di difendere colui, a cui viene fatta ingiustizia » 134 . Ciò in linguaggio piano e senza immagini, è la stessa cosa che, con simbolo nautico, aveva voluto dire il Crisostomo, quando aveva chiamato la Chiesa di Roma il porto sicuro dalle tempeste. Quanto sia giusta questa spiegazione canonica giuridica e dommatica, che attribuiamo al simbolo, appare chiaramente alla fine del tempestoso quinto secolo, quando il genio politico ecclesiastico di papa Gelasio riassume la dottrina del primato: è lo sviluppo e la chiarificazione della dottrina ciprianea e culmina nell'immagine, parimenti già impiegata da Cipriano, di Roma come porto sicuro della nave della Chiesa 135. « Dodici erano gli Apostoli, è certo, e tutti erano muniti della stessa dignità e dello stesso merito (paribus mentis parique dignitate suffulti). Eppure: sebbene tutti fossero illuminati dalla medesima luce spirituale, tuttavia fu volontà di Cristo che soltanto uno di essi fosse il capo (princeps) e con meravigliosa disposizione lo guidò verso la Signora dei popoli, verso Roma: affinché Cristo qui, nella più degna, nella prima tra tutte le città, guidi Pietro il più alto locato, il primo. A questa Sede, che egli stesso ha benedetto, egli concede con promessa divina che le porte dell'inferno non prevarranno mai su di essa e che in tal modo sia il più sicuro dei porti per tutti gli uomini, che si trovano in pericolo marino (ut a portis inferi numquam prò Domini promissione vin-
134 A cura di T H . MOMMSEN, Notes Archiv li (1886) p. 364. Cfr. H. R A H N E R , Kirche una Staat, p. 230. »« Epistola 68, 3 (CSEL 3, 2, p. 746, 1. 8-12).
LA NAVICELLA DI PIETRO
857
catur, omniumque sit fluctuantium tutissimus portus). Chi sta all'ancora in questo porto può contare su un approdo beato ed eterno (beata et aeterna statione gaudebit) » 136 . Anche papa NICOLA I, facendo sua la dottrina e il vocabolario gelasiano, ha esaltato la Chiesa romana come l'unico porto salvifico in mezzo ad ogni tempesta ; verso di essa tutti i vescovi piloti guidano i minacciati vascelli, poiché qui è la Cattedra di Pietro : « Sedes illius cui divino oraculo dictum est: tu aliquando conversus confirma fratres tuos » 137. Il pensiero cattolico dei fratelli nell'episcopato era così cosciente del potere giuridico del vescovo di Roma espresso in queste immagini, che, nei turbini e nelle tempeste di quei secoli agitati, persino i capi di opposti partiti si rivolgevano alla Sede di Pietro per consiglio ed aiuto; anzi, c'è ancor dì più: vescovi coraggiosi ο semplici chierici, spinti da apostolica franchez za, si permettevano di difendere la minacciata unità della navicella di Pietro, quando il pilotaggio della poppa romana sembrava loro troppo debole. Così due seguaci della cristologia nestoriana moderata si rivolgono a papa Sisto III (433) per protestare contro il simbolo dell'unione di Cirillo. Quando E. CASPAR 138 afferma che questo « ardente grido di aiuto rivolto a Roma » non avrebbe nulla a che vedere con la dottrina papale di Pietro, egli trascura precisamente l'espressione determinante della lettera. I vescovi dì Tiana e Tarso, che cercavano aiuto, riconoscono apertamente 13
' Tractatus 2, io (THIEL, p. 530). Lo stesso concetto già in
SISTO III, Epistola 1, 4 (PL 50, 583 A ) . JAFFÉ, 390. M A N S I , V. 5, p .
375l3
' Epistola 28
138
(PL 119,
813). JAFFÉ, 2716.
Geschichte des Papsttums, v. 1, p. 418.
858
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che il vescovo di R o m a è il pilota di tutta la nave della Chiesa e che egli « preserva il mondo dal naufragio » in mezzo ai pericoli, tesi dall'astuzia dei « pirati »: « Nostrum quidem est, qui triplices multiplicesque patimur tempestates et paene in piratas incidimus, ad eum clamare, qui a Deo productus est gubernator » 1 3 9 . Il peso di questa dommatica che si nasconde nel simbolo del pilota unico e supremo della navicella di Pietro doveva rivelarsi in quei frangenti tempestosi, in cui la nave venne minacciata da discordia e debolezza dall'interno. Nei disordini, che si ebbero in R o m a tra il 499 e il 501 dopo l'elezione di papa SIMMACO, si voleva trarre in giudizio il timoniere romano dinanzi al foro di un potere giudiziario sinodale ο al foro p o litico. C o n questo ammutinamento veniva sollevata la questione fondamentale di tutto l'ordinamento giuri dico ecclesiastico. Il papato trovò un difensore in E N NODIO DI PAVIA, che prese parte al Sinodo romano del 501 in qualità di accompagnatore del vescovo Lorenzo di Milano: in lui infatti la dottrina gelasiana di Pietro era ancora viva. Dalle vette retoriche della sua confutazione di un libello di quei giorni, che metteva in ridicolo il papa e il confuso disordine della nave di Pietro, egli presenta il Principe degli Apostoli che si leva a parlare per difendere la navicella, sulla quale tutti sghignazzano : « Antiquo adhuc utor reti post hominem, et inrisam a sapientibus saeculi cumbulam non reliqui; illa me per m u n d i freta sustentat, ditat probatum in captione hominum rete, quod cernitis » 140 . Allo stesso "» E. SCHWARTZ, Ada cerne, oec, v. 1, 4, p. 145, 1. 28-30. M A N S I , v. 5. p. 893. 110 Libellus prò synodo (= Epistola 49) MG Auct. antiqu. VII, p. 63, 1. 8-10. CSEL 6, p. 319, 1. 13-16).
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tempo, dalla più famosa bocca dell'episcopato restato fedele a R o m a , viene una difesa del primato papale, la cui dignità era intaccata in Simmaco; è in questa difesa che si trova la famosa espressione riguardante l'unità giuridica tra papato ed Episcopato, che sarà ripresa nel Concilio Vaticano I : « N o i sentiamo che lo stato di tutti vacilla, quando lo stato del Capo supremo {Princeps) viene scosso sotto i colpi delle accuse. Se negli altri vescovi qualcosa si mette a vacillare, si può sempre riparare; ma quando il papa della Città eterna viene posto in discussione, allora si vedrà andar vacillante non soltanto un vescovo, ma l'ufficio stesso episcopale ». E AVITO DI VIENNE che ha coniato queste parole. Per
la nostra storia però è significativo leggere anche il contesto in cui si trovano: poiché è proprio lì che il significato dogmatico della simbolica della nave di Pietro diventa più immediatamente afferrabile. Il papa è e rimane l'unico gubemator e magister della nave di Pietro e al di sopra della sua parola autoritativa non c'è alcun altra istanza terrena. Il testo, le cui singole parole sono spiegate dalla storia del simbolo esposta precedentemente, suona così: « At si papa urbis vocatur in dubium, episcopatus iam videbitur, non episcopus, vacillare. Notis bene, inter quas haeresum tempestates, veluti ventis circumflantibus fìdei puppi ducamur. Si nobiscum huiuscemodi pericula formidatis, expedit, ut gubernatorem vestrum participato labore tueamini. Alias autem, quae ultio est, si nautae sine magistro fuerint » 1 4 1 . Questo appello all'ordinamento giuridico ecclesiastico acquista maggior significato per il fatto che è indirizzato a laici influenti, ai senatori 141
Epistola 34 (MG Auct. antiqu. VI, 2, p. 6$, 1. 4-8).
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
Fausto e Simmaco, ossia a quei « passeggeri » nella nave della Chiesa, che - per usare l'immagine della lettera di Clemente - « debbono restare seduti ai loro posti calmi e ordinati»; nessun dubbio che, in ultima analisi, con ciò si intendeva parlare del potere politico che, in Bisanzio e nella regina Teodorica, si arrogava il regime della Chiesa. Eppure: dalla zona dei semplici marinai, nelle ore del pericolo marino, possono levarsi anche appelli verso la poppa romana del timoniere, appelli che non risuonano inascoltati, quando sono espressi da vera preoccupazione per la Chiesa. Qualche decennio più tardi, la nave della Chiesa, guidata dal debole papa Vigilio, va attraverso le gole delle onde, e l'Occidente, di per sé così fedele al papato, si crede per lungo tempo autorizzato a protestare scismaticamente contro la politica del tentennante Vigilio nella questione dei Tre Capitoli. Nell'Italia settentrionale soprattutto questo rifiuto, nato da un amore adirato, dura sino all'inizio del settimo secolo; ed è stato il grande monaco irlandese COLOMBANO, che ha indirizzato al papa Bonifacio IV uno scritto ammonitore, pieno del riconoscimento fondamentale del primato, ma anche pieno di schietta critica, in cui si trova l'espressione : « Vigila, quaeso, papa, vigila, et iterum dico, vigila: quia forte non bene vigilavit Vigilius ». Nella medesima lettera egli si rivolge al papa come mistico timoniere e pilota di poppa, come vigile marinaio della navicella di Pietro: «Ego enim libere eloquar nostris utpote magistris ac spiritualis navis gubernatoribus ac mysticis proretis dicens: Vigilitate, quia mare procellosum est... totius elementi nimirum undique consurgentis et undique commoti mysticae navis naufragium in-
861
LA NAVICELLA DI PIETRO
tentat. Ideo addo tumidus nauta clamare: vigilate, quia aqua intravit in Ecclesiae navem et navis periclitatur » 142. Non è affondata questa nave di Pietro idonea alla navigazione, le cui tavole già il predecessore di Bonifacio, il grande Gregorio, udì scricchiolare, quando la tempesta longobarda e le pretese bizantine la sbatterono qua e là e fecero credere che la fine dei tempi fosse venuta 143. Nel mezzo millennio che va dal primo al settimo Gregorio, la Chiesa è stata gettata attraverso le gole delle onde ed è stata sollevata a superbe altezze; ma fu sempre la sicurezza di giungere in porto, che diede al timoniere romano animo e coraggio per resistere, nella tempesta e nella calma, sulla poppa della cattedra papale. E così anche la storia politico-ecclesiastica del nostro simbolo, come quella della sua interpretazione esegetica, giunge nel primo e nell'alto medioevo a quell'applicazione alla nave di Pietro della Chiesa Romana, che nelle fonti di quel periodo ha trovato una espressione così immaginosamente bella e così profondamente dommatica, oggi ancor viva nel nostro pensiero, per altri versi così spoglio di immagini, quando parliamo della barca di Pietro. Della santa Madre, la Chiesa di Roma, Gregorio VII parla come di navicella quasi naufraga e lasciata in balia di ogni tempesta, in mezzo ai temporali della lotta delle investiture 144. Suona amaramente tragico, quando anche 142 Epistola Cfr. per ciò, H. Friìhmittel alter, 143 Epistola 144
5, 2 (MG Epistolae III, p. 171S.; PL 80, 275 AB). VON SCHUBERT, Geschichte der christlichen Kirche im Tubinga 1921, p. 2125. 1, 4 (PL 77, 447 A).
Reg. I, 25 (PL 148, 309 C ) . JAFFÉ, p. 4796. - E. CASFAH, Das
Resister Gregors VII., Berlino 1920, p. 42, 1. 28-33. -
Re
g-, I> 42 (PL
148, 322 D ) . JAFFÉ, 4819. CASPAR, p. 64, 1. 31-33. - Reg., I, 148, 320 D ) . JAFFÉ, 4813. CASPAR, p. 61, 1. 29-32.
39
(PL
862
L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
l'antipapa imperiale WIBERTO prende le armi traditrici contro Gregorio con le parole : « Hac itaque necessitate compulsi, ne beati Petri navicula tot pertubationum fluctibus et paene ad naufragium discrimen inflexa laberetur, ad arma nos convertimus » 1 4 5 . Imperatore e antipapa sono affondati nel naufragio, ma la nave del successore di Pietro naviga verso il porto. INNOCENZO IH lo ha annunciato dalla vetta del potere occidentale del papato, non soltanto in quella lettera piena di orgogliosa gioia per la vittoria, con cui abbiamo conclusa la prima parte di questa storia, ma anche durante le pericolose tempeste, che gli eretici del suo tempo preparavano alla nave di Pietro : « Anche se la navicella del Pescatore viene trascinata qua e là dai flutti marini e percossa ovunque dalle tempeste sferzanti, essa confida tuttavia nella protezione di Colui che sollevò dal profondo Pietro che camminava sulle onde, e piena di sicurezza fa assegnamento sulle parole: Le porte dell'inferno non supereranno la Chiesa » 146 . Infatti questa nave è, nello stesso tempo, la sposa del divin pilota Cristo, l'unica imbarcazione della salvezza eterna: per quanto gli imperatori e gli antipapi si rallegrino della loro apparente vittoria, soltanto la Chiesa vince. Nel bel mezzo della lotta contro la strapotenza del Barbarossa e contro l'antipapa imperiale, Alessandro III si affida alla parola del Signore, che ha promesso alla Chiesa : « Io sono con voi sino alla fine del mondo ». « Procul dubio Ecclesiam suam in suo statu et ordine, licet ad instar naviculae Petri fluctuare aliquando videatur, perpetuo faciet permanere. Christus, auctor et cal4s 14e
Epistola s (PL 148, 833 B). JAPPÉ, 5330. MANSI, V. 20, p. 596. Reg., VII, 76 (PL 215, 358 A). POTTHAST, 2229.
LA NAVICELLA DI PIETRO
863
put Ecclesiae, eam veluti unicam sponsam suam. p r o vida gubernatione tuetur et navcm egregii piscatoris, licet saepe et saepius quatiatur a fluctibus, non permittet naufragium. sustinerc » 147. Mentre il medioevo terminava tra le tempeste e papa Bonifacio Vili ancora una volta riassumeva l'insegnamento della verità del primato della Chiesa Romana, nell'atrio di San Pietro Giotto nel 1208., per incarico del cardinal Stefaneschi, dipingeva la sua immortale navicella 14S . Ancor oggi l'immagine può essere veduta come un prezioso saluto proveniente dal medioevo, in mezzo allo sfarzo barocco delle generazioni posteriori. Ciò che essa vuol dire, lo ha detto al mondo, in nome di papa Bonifacio Vili, un altro cardinale negli anni in cui essa veniva eseguita. Oggi come sempre quelle parole si possono applicare al vescovo, che ha la sua cattedra in San Pietro e di lì dirige la nave del santo pescatore del lago di Genesareth: « Nella Chiesa, che è la nave di Cristo e di Pietro, c'è un solo timoniere e un solo capo, i cui ordini debbono essere obbediti da ognuno » 149 .
147
Epistola 1 (PL 200, óy B C ) . JAFFÉ, 10584.
148
Cfr. C. V I T Z T H U M e W. F. VOLBACH, Die Molerei uni Plastik
des Mittelalters in Italien (Handbuch der Kunstwissenschaft), Potsdam 1924, p. 258S. - C. H. WEIGFXT, Giotto. Des Meisters Gemàlde (Klassiker der Kunst in Gesamtausgaben, 29), Stoccarda 1925, p. Xlls., riproduzione I. Quivi, a p. XIII, anche la riproduzione della Navicella di Andrea da Firenze nella cappella spagnola di S. Maria Novella in Firenze. - Su di una moneta di papa Niccolò V è riprodotta una nave, con il papa che siede al timone tenendo in mano una bandiera crociata, e la scritta dice: Ecclesia. Riproduzione nel Lexikon fiir Theologie u. Kirche (1935), v. 7, col. 588. 149 II cardinale di Porto nel discorso in difesa di Bonifacio Vili (agosto 1302). Testo in C. H. VON HEFELE, Conciliengeschichte, Friburgo 1890, v. 6, p. 342.
L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA
La dottrina cLom.rn.ati.ca dei Padri della Chiesa, espressa nel simbolo della nave e soprattutto nel simbolo della navicella di Pietro, trapassa ora nella ricca storia del paragone tra l'arca di Noe e la Chiesa 1. Quanto siano vicine le due immagini ci è noto; il 1 Tra la più importante, e soprattutto più recente bibliografia sulla teologia e l'archeologia dell'arca di N o è cfr. F. X. KEAUS, Realenzyklopàdie der christlichen Alterttimer, Friburgo 1886, v. 2, p. 499501. - C. M. KAUFMANN, Handbuch der christlichen Archàologie, Pad e r b o m 1922, 3 ed., p. 301-303. - Realenzykìopddie f. Antike u. Christentum, 1950, v. 1, p. 597-602 (FR. SCHMIDTXE). - E. PETERSON, Das Schiff als Symbol der Kirche in der Eschatologie, in Theol. Zeitschrifl (Basilea), 6 (1959) p. 77-79. - IDEM, Friihkirche, Judentum und Gnosis, Friburgo 1959, p. 92-96. - K. GOLDAMMER, Das Schiff der Kirche. Eifi antiker Symbolbegriff aus der politìschen Metaphorik in eschatologischer und ekklesiologischer Umdeutung, in Theol. Zeitschrifl (Basilea) 6 (i95°) p· 232-237. - IDEM, Navis Ecdesiae. Eine unbekannte altchristiiche Darstellung der Schiffallegorie, in Zeitschtifi f. d. ntl. Wissenschaft 40 (1941) p. 76-86. - D A C L 1 (1907) 2709-2732, Arche. - D A C L XII ( I Q 35) 1397-1400, Noe. - D. FORSTNEH, Die Welt der Symbole, Innsbruck, 1961, p. 542S. - J . FINK, Noe der Gerechte in der friihchristlichen Kunst, Miinster 1955. - J. DANIÉLOU, Théologie du Judéo-Christianisme, Tournai 1958, p. 317-339. - IDEM Les Symboles chrétiens pritnitifs, Parigi 1961, p. 65-76: Le navire de l'Eglise. - IDEM, Sacrametttum futuri, Parigi 1950, p. 55-94. - IDEM, Déluge, Baptème, Jugement, in Dieu
866
L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
raffronto tra la navicella di Pietro e l'arca di Noe era già presente nella teologia dei Padri, quando parlavano della necessità della Chiesa in ordine alla salvezza2. Cercheremo di spiegare i caratteri fondamentali della teologia simbolica dell'arca di Noe come esemplare della Chiesa quale unico messo salvifico. A questo scopo è necessario rifarci, come già GIROLAMO a suo tempo, alla polemica, cosi importante per la storia dei dommi, vivant 8 (1947) p. 97-112. - H. U. VON BALTHASAR, Sponsa Verbi, Einsiedeln 1961, p. 225SS. - L. B U D D E , Die retiende Arche Noes, in Rivista di Archeologia Cristiana 32 (1956) p. 41-58. R. H O O Y M A N , Die Noedarstellung in der Jrtihchristlkhen Kunst, in Vigiliae Christianae 12 (1958) p. 113-135. - H. DE LUBAC, Exégèse Medievale, Parigi, 1959, v. 1, 2, p. 463SS; Parigi 1961, v. 2, p. 317-328 (vers. ital. R o m a , 1962). - G. STRECKER, Das Judenchristentum in den Pseudokletnentinen, Berlino 1958, p. 105S; p. 113S. - A. PARROT, De'luge et Arche de Noe, Neuchàtel 1952. - P. LUNDBERG, La Typologie baptismaìe dans Vancienne Eglise, Lipsia-Uppsala 1942. a Cfr. P S . - A M B R O G I O , Sermo 37, 5 (PL 17, 678). Lo stesso discorso si trova anche sotto il n o m e di Massimo di Torino come Sermo 94 (PL 57, 722) : « Questa nave di Pietro galleggia sulle alte onde, in modo che nell'affondamento del mondo, si salva incolume tutto ciò che essa prende su di sé. La prefigurazione di questa nave possiamo vederla nell'Antico Testamento. C o m e infatti l'arca di Noe, nel naufragio del m o n d o , conservò incolume tutto ciò che essa prese su di sé, così la Chiesa di Pietro, quando il m o n d o brucerà, presenterà incolume a Dio tutto ciò che essa conserva e protegge. Quando il giudizio sarà passato, Cristo porterà alla Chiesa di Pietro la gioia della pace ». - Cfr. PS.-AMBROGIO, Commento all'Apocalisse, 3, 6 (PL 17, 814S). - CRISOLOGO, Homilia 163 (PL 52, 628s): N o è e Pietro sono i padroni della nave dell'ultima epoca (yectores novi saeculi). - Il paragone tra N o è e Pietro riceve nel medioevo un significato politico. Cfr. PS.-ISIDORO
(PL 130,
191 A). - INNOCENZO III
(PL 215, 278 C). -
Ancora in un m o m e n t o di altissima emozione politica, BONIFACIO Vili si richiama, nel suo scritto al re francese, all'immagine dell'arca: « Mediante il battesimo tu sei entrato nell'arca del vero Noe, fuori della quale nessuno verrà salvato, ossia nella Chiesa cattolica, questa unica sposa di Cristo, in cui il vicario di Cristo e successore di Pietro detiene il primato » (Cfr. J. HEFELE, Conciliengeschichte, v. 6, p. 325 ; Bullarium Magnum, v. 9, p. 121).
L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA
867
suscitata contro l'ecclesiologia dei vescovi, che combattevano fanaticamente adunati attorno a Lucifero di Cagliari. Essi cercavano di fondare la loro dottrina della salvezza nella Chiesa, settariamente unilaterale, richiamandosi all'arca di Noe. Gerolamo, che conosce il mondo del simbolismo dell'arca di Noè come esemplare della Chiesa con le sue numerose applicazioni tipologiche, scrive: « Dies me deficiet, si omnia arcae sacramenta cum ecclesia componens edisseram » 3. In una situazione simile a questa, nella lotta contro il rigorismo dei Donatisti in Africa, AGOSTINO scrive : « Nessuno di noi dubita, che con l'arca di Noe, senza menomare la fede nei fatti narrati, è anche presignificata la Chiesa. Ciò potrebbe certamente sembrare a qualcuno come una intromissione del pensiero puramente umano, se l'Apostolo Pietro non avesse già accennato alla stessa cosa nella sua lettera » 4. E in questo contesto narra della predica di un vescovo donatista in Ippona, il quale difende la sua dottrina dell'invalidità del battesimo fuori della Chiesa richiamandosi al fatto che l'Arca fu resa impermeabile dal di fuori con pece 5 . Da questi due esempi desunti dalla storia del domina del IV secolo si vede chiaramente sino a che punto la spiegazione tipologica persino di piccole allusioni contenute nel racconto della Genesi porgesse l'occasione per esprimere una convinzione dommatica già da tempo fermamente stabilita dalla tipologia. Ancora Lutero nel 3
Dialogus adversus Luciferianos, 22 (PL 23, 176 C ) . De untiate Ecclesiae, 5, 9 (PL 43, 397). - Questa applicazione di iPet 3,20 alla Chiesa si trova anche in GEROLAMO, Adversus Iovinianum, 1, 17 (PL 23, 236 B). Cfr. Fu. J. D O L C E » , SO! Salutis, Munster 1925, 2 ed., p. 273. 6 PL 43, 397S. - Cfr. CIPRIANO, Epistola 73, 21 (CSEL 3, p. 759): « Salus extra Ecclesiam non est ». 4
868
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
suo opuscolo sul battesimo dell'anno 1523 esprimeva nella seguente preghiera la sua dottrina del battesimo e della Chiesa, conforme al pensiero della teologia medievale, che a sua volta si era formata sulla teologia simbolica dei Padri della Chiesa : « Onnipotente, sempiterno Dio, che con il diluvio universale hai annegato il mondo incredulo e, secondo la tua grande misericordia, hai salvato il credente Noe... hai santificato e istituito il Giordano e tutte le acque mediante il beato diluvio ... affinché mediante questo salutare diluvio venga inondato e sommerso ciò che (nel battezzato) è contratto da Adamo ... venga separato dal numero degli infedeli, conservato asciutto e sicuro nell'arca della cristianità » 6. Nella nostra trattazione studieremo più da vicino le origini della simbolica dell'arca seguendo lo schema, che già sta alla base della più antica teologia del II secolo : la salvezza ci viene elargita mediante « legno ed acqua ». Ciò significa che l'acqua del battesimo è divenuta salvifica mediante il legno della croce; viceversa: il diluvio è acqua mortifera ed allo stesso tempo conserva la vita nel legno dell'arca. Nelle ricerche più recenti si è giustamente rilevato che il simbolismo del1 arca ha la sua origine già nella teologia del tardo giudaismo, in cui Noe e la sua famiglia vengono intesi come esemplari del « resto di Israele »7, e, per conse• Citato da P. LUNDBERG, La typologie baptismale, p. 1, nota 1. Eccli 44, 17: «Noè il giusto fu trovato perfetto e al tempo dell'ira egli divenne denaro di riscatto. A causa di lui un resto della terra sopravvisse e a causa del patto fatto con lui il diluvio cessò ». Per la teologia del « resto di Israele », che non possiamo indugiarci ad esporre ulteriormente e che tuttavia, a nostro avviso, è di somma importanza per la ecclesiologia della Chiesa primitiva, cfr. ThWNT, 7
L'ARCA D I N O È COME NAVE D E L L A SALVEZZA
869
guenza, l'arca rappresenta l'esemplare della comunità dei salvati sul « tenue legno » 8 . Noi siamo convinti, che nell'antica teologia cristiana l'arca non sia stata tanto il tipo del legno della croce e del battesimo, ma sin dall'inizio sia stata primariamente il tipo della Ecclesia9. La precedente trattazione sulla nave costruita col legno della croce ci ha mostrato quanto ci mancasse poco all'identificazione tra arca e Chiesa e ad estendere il paragone dell'arca all'acqua battesimale e al legno della croce. Solo a partire dal tipo arca=Chiesa comprendiamo il significato che questo simbolo ebbe nella storia del dogma e nelle polemiche intorno alla dottrina ecclesiastica della penitenza e della salvezza durante il terzo e quarto secolo, come già abbiamo cercato di indicare nel capitolo sulla « Tavola nel naufragio ». Dopo un breve studio sull'origine di questa teologia simbolica nelle ultime fonti giudaiche esporremo in primo luogo la teologia della Chiesa antica, in cui l'arca è il modello della comunità ecclesiale presa nel suo significato salvifico, vedremo poi i rapporti dell'arca con il legno della croce della salvezza e con l'acqua del battesimo, l'arca insomma come modello della Chiesa, come grembo materno della vita per la generazione ventura, che promana da Noè come da un nuovo Adamo e trova il suo vertice nella storia v. 4, p. 200-221. - H. H A A G , Bibel-Lexikon, Einsiedelti 1951, p. 1427. J. DANIÉLOU, Sacramentttm Futuri, Parigi 1950, p. 6os. - R. DE V A U X , Le reste d'Israel d'après les prophètes, in Revue Biblique 42 (1933) p. 526-539. - G. VON R A D , Theologie des Alien Testamentes, Monaco 1962, v. 2, p . 34S.; p . 175S. s Sap 10,4. 8 F. J. DOLGBR, Sol Salutis, p. 273, nota 2, dice che il paragone tra arca e Chiesa è una « interpretazione posteriore ». Cfr, LTJNDBERG, p. 86-90.
870
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
della salvezza, nel Noe della nuova generazione, che è Cristo. Soltanto descrivendo in modo ordinato la dottrina simbolica della Chiesa, della croce e del battesimo comprendiamo l'influsso che ebbe nella storia dei dogmi la dogmatica patristica della salvezza e della Chiesa che si cela dietro le immagini del racconto genesiaco. A noi pare cosa più importante mettere in luce l'influsso di questa simbolica nella storia del dogma, che non limitarci a raccogliere testi patristici generici.
i. L'ARCA DI NOÈ NELLA TEOLOGIA GIUDEO-CRISTIANA DEI PRIMI TEMPI Per comprendere il m o n d o di immagini e di convincimenti, da cui siamo in grado di far rivivere primordi cristiani della simbolica dell'arca e della Chiesa, prendiamo le mosse da una « Meditazione sull'arca di N o e » del tardo giudaismo, sino ad oggi non ancora valorizzata troppo. Questa strana tradizione nasce dalle parole di Gen 8,4 (LXX): «L'arca si adagiò sui monti dell'Ararat » (Volg. : montes Armeniae). Rifacendosi a Berossos e ad altre fonti giudaiche, GIUSEPPE FLAVIO ci informa : « Il luogo dove l'arca si posò, dagli Armeni è chiamato Apobaterion, ossia Uscita, e sino ad oggi vi si mostrano i resti di legno ( λ ε ί ψ α ν α ) » 1 0 . Inoltre ricorda che già Nicola di Damasco parlava dei λείψανα τ ω ν ξύλων dell'arca e che si usavano dei frammenti della pece dell'arca come mezzi magici benefici (προς τους αποτροπιασμούς). Queste reliquie dell'arca era10
Antiquitales, 1, 3, 5 (NIESE I, p. 2iss).
L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA
871
no note anche all'antica teologia cristiana. Ce ne informa TEOFILO DI ANTIOCHIA: «Gli avanzi dell'arca vengono mostrati sino ad oggi sui monti dell'Armenia » n . Un frammento probabilmente non autentico del commento di IPPOLITO DI ROMA al libro della Genesi dice che l'arca era approdata sul monte di Kardu e che « nessun uomo sa cosa ci sia sul monte, eccetto che sulla cima, ove c'è ancora una parte dell'arca di Noe » 12 . Anche IPPOLITO lo ha appreso dalle Antichità di Giuseppe : « Le dimensioni e i resti dell'arca vengono mostrati ancor oggi sul monte, che si chiama Ararat » 13. Per il predicatore CRISOSTOMO, le reliquie dell'arca sui monti armeni sono come un simbolo reificato dell'ira divina che perdura : « Non son forse le reliquie dell'arca conservate sino ad oggi sul monte per essere nostro ammonimento? » 14. La stessa cosa predica anche BASILEIO DI SELEUCIA 1S e GEROLAMO menziona le reliquie
(vestigia) dell'arca sull'Ararat16. In qual modo questa conoscenza della strana archeologia della tarda tradizione giudaica abbia influenzato l'esegesi mistica del medioevo, lo vediamo in RABANO MAURO, che cita alla lettera il testo di Giuseppe 17. In BEDA questa strana storia diventa un modello della salita ascetica de11
Ad Autolycum, 3, 19 ( O T T O Vili, p. 232).
12
GCS
13
IPPOLITO
I,
2,
91,
23S.
-
90,
29.
Elenchos, io, 30 (GCS IPPOLITO III, p. 286, 1. i6s). 14 De perfetta cantale, 7 (PG 56, p. 288 A). 15 Oratio 6, In N o e 4 (PG 85, 100 B). 10 De situ et nominibus lacorum Hebraicorum, 1 (PL 23, 859 A). Secondo la leggenda armena, Giacomo di Nisibi nei suoi viaggi missionari portò con sé una reliquia dell'arca. Cfr. E. T E R - M I N A S SIANTZ, Die armenische Kirche ( T U N.F. XI, 4, 9 ) ; cfr. J. FINK, Noe der Gerechte, Miinster 1955, p. 98, nota 453. 17 Comment. in Genesim, 2, 8 (PL 107, 519S).
872
L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
gli uomini, che nell'arca della Chiesa giungono all'eterno approdo attraverso la navigazione della vita: « Ma l'arca andò a posarsi sui monti di Armenia, allo stesso modo in cui l'uomo, che disprezza la tentazione dello splendore mondano e in questo pellegrinaggio plasma la sua vita, si accosta in spirito alla gioia celeste » 18 . L'immagine allegorica del riposo finale è popolare nel medioevo : « Arca requievit in montibus Armeniae, et sancta Ecclesia requiescet in sublimitate vitae aeternae » 19 . La storia antica della simbolica cristiana dell'arca di Noè può essere illuminata ancora da un altro lato. I cristiani appartenenti alla cultura ellenistica erano proclivi a pensare al racconto del diluvio della mitologia greca, alla storia di Deucalione e della sua salvezza in un'arca 20. Sappiamo da ORIGENE che il motteggiatore Celso si divertiva sulla « strana cassa, che conteneva tutto » e definiva il racconto biblico di Noè come una 18 Hexaemeron, 2 (PL 91, 99 B ) . " P s . - U c o Di S. VITTORE, Allegatine in Vetus Testamentum, 1, 13 (PL 175, p. 642 B). - Il « riposo » dell'arca sul monte Ararat si rifa naturalmente a Gen 8,4 ( L X X ) : καΐ έκά-8-ισεν ή κ ι β ω τ ό ς ε π ί τ ά δρη τ α ' Α ρ α ρ ά τ . Cfr. per ciò D A C L XII, 1397-1400. Alcuni testi chiariranno meglio la cosa. Il Libro dei Giubilei 5,28 (CHARLES II, 21) afferma: « L'arca si diresse ivi e approdò sulla vetta del Lubar, uno dei monti dell'Ararat ». - Caverna dei tesori siriaca, 19, 6 (RIESSLER 964): «L'arca navigò per 150 giorni verso quel luogo e giunse in un sito calmo sul monte Kardo». - AMBROGIO, De Noe et arca, 17, 60 (CSEL 32, 1, p. 457): « T u n c ergo sedit arca super m o n t e m Q u a rati ». - Circa la leggenda dell'approdo dell'arca in Apameia di Frigia, che portava il n o m e di κ ι β ω τ ό ς , cfr. J. F I N E , op. cit., 9. 15. 30. 104. Oracula Sybillina, 1, 261-267. - Per le monete di N o e di Apameia cfr. anche T H . RLAUSER, in Jahrbuch d. Antike u. Christentum 4 (1961) p. 142S. 20 J. D A N I É L O U , Sacramentum Futuri, 70. - R A C III (1957) p. 784-794. - P A U L Y - W I S S O W A , 5 (1903) p. 261-276.
L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA
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superficiale imitazione del mito di Deucalione 21. Anzi, già molto tempo prima nell'antica teologia e apologetica cristiana, l'ellenistico Deucalione viene paragonato al biblico Noè. GIUSTINO argomenta in modo conforme alle idee della teologia giudeocristiana, quando difende l'ardita afférmazione secondo cui Dio ritarda la catastrofe della conflagrazione universale soltanto a causa del seme dei cristiani cosi come anticamente trasformò la catastrofe del diluvio universale nella salvezza « del solo Noe e dei suoi (ιόν μόνον συν τοις ιδίοις), cioè di quell'unico salvato, che da noi si chiama Noe, mentre voi lo chiamate Deucalione » 22. È vero che ORIGENE ripudia questa identificazione alquanto semplicista delle due catastrofi diluviali; tuttavia nella più antica spiegazione della Genesi, TEOFILO DI ANTIOCHIA con una artificiosa etimologia identifica Noe con Deucalione 23 , rifacendosi a FILONE DI ALESSANDRIA, il quale aveva scritto : « Il Creatore volle che uno stesso uomo fosse ad un tempo l'ultimo della stirpe dannata e il primo anche di quella innocente. Gli Elleni lo chiamano Deucalione, ma i Caldei Noè » 24 . In tal modo Filone indica i fondamenti, in base ai quali più tardi la teologia cristiana parlerà della posizione salvifica di Noè come padre di una nuova stirpe e della importanza salvifica della Chiesa come grembo mater" Adversus Celsum, 4, 41 (GCS ORIGENE I, p. 314S). - I, 19 (GCS 1, p. 70, 1- 25). 22 Apologia, 2, 7,2 ( O T T O I, 1, p. 216). 23 Ad Autolycum, 3, 18; 19 ( O T T O Vili, p. 230-232). - 2, 30 (p. 144)· 24 De praemiis etpoenis, 23 ( C O H N , 5, p. 3405). - Cfr. anche Martyrium Pionii, 4, 23 (KNOPF, p. 45, 1. 15). - PS.-CLEMENTE, Homilia 2, 16 (PG 2, 85 D ) . - FiLASTHio, Haer., 122 (Corp. Christ. IX, p. 286). B E D A conosce ancora il paragone tra N o è e Deucalione (PL 91, 86 C ) .
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L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
no della nuova vita. Sembra di sentire un motivo conduttore greco che annuncia la futura spiegazione cristiana dell'arca, quando Luciano di Samosata, usando una immagine platonica, denomina l'arca di Deucalione « la scintilla vivente dell'umana posterità » 25. Per comprendere con più precisione le origini e le fonti dell'antica teologia cristiana dell'arca di Noe come « tipo » della Ecclesia, è necessario rifarsi alle opere della teologia giudeo cristiana. E certamente esatto dire che negli scritti del cristianesimo primitivo l'arca appare come modello in primo luogo della croce e poi del battesimo, ma non è esatto affermare che l'esemplarità dell'arca nei confronti della Ecclesia è di origine posteriore. Noi siamo dell'opinione che, come eredità della teologia del tardo giudaismo, la simbologia dell'arca applicata alla Chiesa come comunità di salvezza rappresenta la forma originaria e quindi uno dei temi più antichi della teologia del primo e del secondo secolo. Tra i primi elementi costitutivi di questa teologia simbolista includiamo qualcosa di quell'evento storico, che J. DANIÉLOU definisce come uno dei più importanti fattori nel nascere della riflessione teologica : « Molto presto la Chiesa, riflettendo su se stessa, diventa consapevole della propria esistenza come dato teologico » 26. La Chiesa è l'arca, in cui la famiglia dei salvati S5
Timon, 3 (RETZ Ι, ρ. 106): "ζωπυρόν τι τοϋ ανθρωπίνου
σπέρματος. Cfr. PLATONE, Leggi, 3 (667 Β). Ζβ
J. DANIÉLOU, Théologie du Judéo-Chrisiianisme, p. 317. Per il processo della cosiddetta concretizzazione del simbolo dell'arca in nave e Chiesa, cfr. J. DANIÉLOU, Les Symboles chrétiens primitifs, Parigi 1961, p. 74SS. Ciò ha avuto un influsso anche sull'archeologia dell'arca e della nave come Chiesa. J. FINE, Noe der Gerechte, 16, dice: « L'arte figurativa, a differenza della letteratura, non conosce l'arca come simbolo a sé, che rappresenta la Chiesa ». Contro di ciò è L.
L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA
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scampa al diluvio universale e supera il giudizio del fuoco finale, così come una volta il giudizio dell'acqua divenne salvezza per l'arca di Noè. Già nei libri sapienziali si riscontrano quasi tutti gli elementi per la teologia di Noe e dell'arca che si avrà nel tardo giudaismo e nel cristianesimo primitivo. Ciò che allora avvenne nel modello, si verifica nel destino del popolo d'Israele. « Noè venne trovato perfetto e giusto; al tempo dell'ira egli è divenuto riconciliazione. Mediante questo Noè « fu preservato un resto (κατάλειμμα) per la terra, quando il diluvio esplose. Un patto eterno fu stipulato con lui, di non distruggere più tutta la carne mediante il diluvio » (Eccli 44,17.18). Sin da ora bisogna rilevare, perché saranno fondamentali più tardi, i seguenti elementi di questa riflessione sulla esemplarità di Noè: è il solo Noe, che viene salvato, ma con lui e per causa di lui prima la sua famiglia, che raffigura il « resto di Israele », il quale, come sola e unica comunità salvifica, diventa partecipe della salvezza dal diluvio. A ciò il libro della Sapienza aggiunge un secondo elemento: questa salvezza escatologica viene concessa al resto salvato, mediante l'arca di legno, mediante « l'insignificante legno » ( Si' εύτελοϋς ξύλου, Sap 10,4), onde la speranza del mondo riposa su una tavola di legno (έπί σχεδίας). Sia lodato BUDDE, Die rettende Arche Noes, in Rivista di Archeologia Cristiana 32 (1956) p. 50: «L'identificazione, sempre dimostrabile letteraria mente, dell'arca con la Chiesa è menzionata per la prima volta con certezza anche nell'arte figurativa dal mosaico di Mopsuestia ». K. GOLDAMMER, in Theol. Zeitsch. 6 (1950) p. 233 dice della simbolica della nave rispetto alla Chiesa : « Se il significato ecclesiologico della nave nel pensiero cristiano possa essere affermato già prima di Tertulliano ed Ippolito, come pensano Peterson e Rahner, mi sembra dubbio, ο per lo meno non sicuro ».
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dunque il legno, mediante il quale ci viene la giu stificazione (Sap 14,6.7). Per valutare l'importanza di questa teologia del re sto di Israele per la nostra simbolica, bisognerebbe spie gare qui tutta la dottrina del κατάλειμμα 2 7 . Accen niamo soltanto ad un punto, che risulta importante per l'applicazione teologica dell'arca alla Chiesa. Gen 7,23 (LXX) dice: καΐ κατελείφ&η μόνος Νώε και οι μετ'άυτοΰ εν τ^ κιβωτω. Noe «soltanto» viene salvato, ma questo « soltanto » si riferisce anche alla sua famiglia, che viene tenuta insieme mediante le ta vole lignee dell'arca e che quindi richiama alla mente la futura comunità di salvezza della Chiesa. Anche la Chiesa viene costruita e pilotata dall'unico Cristo-Noè, e ciò in virtù del legno della croce, mediante il quale l'ondata, altrimenti letale, può essere attraversata sino all'approdo sull'eterno Ararat. Gli avvenimenti che avranno luogo nei giorni della parusia finale del Figlio dell'uomo assomigliano ai « giorni di Noè ». L'avvenimento decisivo della salvezza è l'entrata di Noe nell'arca, nella quale soltanto il resto di Israele raggiunge la salvezza (Mat 24,37.38; Lue 17,26.27). La lettera agli Ebrei (11,7) dice a proposito di Noe che egli ha costruito l'arca είς σωτηρίαν του οΐχου αύτοΰ, cioè per la comunità dei salvati, che nella 2Pet 2,5 viene 2S chiamata il numero otto di Noe (ογδοον Νώε) . Noe diventa il modello dell'unico giusto, Cristo; e, a 27
Cfr. sopra, nota 7. " Ο γ δ ο ο ς è detto Noè in quanto ottavo nell'enumerazione dei padri delle origini a partire da Adarno, ma anche a causa del numero otto dei salvati nell'arca (iPet 3,20). LUTERO ha tradotto «selbacht» (= assieme con otto); DANIÉLOU, Sacramentimi Futuri, p. 66: « lui huitième ». Per la simbolica del numero otto cfr. F. J. DÒLGER, 28
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causa della giustizia di uno solo, l'arca diventa il seno materno di una vita nuova e mai più minacciata in futuro da un diluvio universale, la vita che supererà l'ultima prova giudiziaria, il diluvio universale del fuoco 29. Questi sono, naturalmente a brevi tratti, i pensieri fondamentali correnti ai primordi della teologia giudeo-cristiana. Ora sia che questa simbolica venga riferita immediatamente al legno della croce oppure al battesimo, in ogni caso l'idea essenziale di queste allegorie sta nel rapporto dell'arca alla Ecclesia come comunità di salvezza del resto israelitico salvato. È quanto ora dimostreremo con una serie di testi, per lumeggiare in qualche modo l'ambiente nel quale è sorto il « tipo » Arca=Ecclesia 30. Nel farlo non affrontiamo a fondo il problema di sapere quali opere del primo e secondo secolo siano di origine genuinamente giudaica, oppure rimaneggiate in senso cristiano, ο più in Antike una Christentum 4 (1934) p. 153-187. - H. RAHNEK, Griechische Mythen in christlicher Deutung, Zurigo, 1957, 2 ed-, p. 107-111, ove a p. 108 viene presentato il capitolo determinante di G I U S T I N O , Dialogo 138, 1, nella traduzione tedesca. - Le Ps.-Clementine, 1, 29 (PG i, 1223S) dicono: « Unus tamen tunc inventus est iustus, nomine Noe, qui in arca liberatus... mundi habitator effectus est ». - R i c o gnizioni, 4, 12 (PG 1, 1320 B), dicono a proposito del diluvio quale battesimo del m o n d o cattivo: « Q u o mundus purificationem acciperet et is, qui ad posterioritatem generis fuerat reservatus, per aquam mundus effectus m u n d u m denuo repararet ». - Nel testo slavo del Libro di Henoch, 35 (CHARLES II, p. 453) Dio parla così: « Io lascio d'avanzo un giusto con tutta la sua casa e dal suo ceppo sorge una nuova generazione». 29 Nella cosiddetta Vita di Adamo ed Eva, 49 (CHARLES II, p. 152), Eva morente dice ai figli : « Quando io e il vostro padre disobbedimmo al comandamento di Dio, l'arcangelo Michele ci disse: ' Il nostro Signore a causa dei vostri peccati porterà il suo giudizio d'ira sui vostri discendenti, prima con l'acqua e poi con il fuoco ' ». Cfr. 2Piet 3,6. 30 Cfr. E. PETERSON, Fruhkirche, p. 92-96.
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semplicemente giudeocristiane31. In ogni caso oggi possiamo riconoscere come opere genuinamente cristiane la Ascensio Isaiae, il Libro di Enoch e soprattutto il Testamento dei 12 Patriarchi, il cui autore è torse un Esseno convertito proveniente dall'ambiente spirituale di Qumran 32 . Nello Scritto di Damasco 1,4 il pensiero fondamentale è che alla fine dei giorni il resto di Israele verrà salvato : « Poiché si ricordò del patto con i Patriarchi, lasciò un resto in Israele » 33. La comunità dei fedeli di Qumran sente di essere lei stessa questo resto, che verrà salvato prima del giudizio del fuoco, pur trovandosi ancora « in mezzo alle acque della menzogna » 34, e si sente scelta sin dagli antichi giorni come la comunità risparmiata per i meriti di Noe. Il patto di Dio con i Patriarchi comincia dunque con Noè, ma viene distrutto dalla cattiveria dei figli di questo ultimo e loro discendenti, così che il patto si restringe ad Abramo e a Giacobbe : « I figli di Noè sbagliarono e perciò vennero sterminati » 35. Nel rotolo degli Inni Hodayot, « il maestro della giustizia » viene paragonato con il timoniere di una nave presa nella tempesta; alcuni elementi di questo inno poeticamente bello po31
J. DANIÉLOU, Théologie iu Judéo-Christianisme, p. 17-30. lui, p. 24. - R. DE JONGE, The Testamenti of the 12 Patriarchs, Asseti 1953. 33 Saìtto di Damasco, 1, 4, edizione francese di A. D U P O N T SOMMER, Les écrits esséniens découverts près de la Mer Morte, Parigi I9S9> P· 137· - Edizione tedesca di J. M A I E R , Die Texten vom Toten Meer, Monaco-Basilea i960, ν. ι, ρ. 46. 32
3 4
Scritto di Damasco, i , 15 (MAIER, p . 47); 2, 7-8 (p. 48).
35
Ivi, 3, 1 (p. 49).
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trebberò derivare dal paragone della comunità con l'arca di Noe: « Io divenni come un pilota sulla nave nell'imperversare dei mari. I suoi cavalloni e tutte le sue onde infuriavano contro di me. Scroscia l'antica onda ed io gemo, e la mia anima giunge alle porte della morte. E io divenni come uno che giunge in una città fortificata, munita di altissimo muro, per la salvezza. Ed io mi rallegro della tua verità, ο mio Dio » M. Si vede che l'immagine della comunità salvifica quale nave si trasforma immediatamente nell'irnmagine della Città di Dio, come poco prima aveva cantato il « Maestro della Giustizia » : « Essi mi resero simile ad una nave in alto mare e simile ad una città fortificata di fronte al ne[mico » 37 . La comunità è paragonabile ad una nave e ad una fortezza. A buon diritto, noi poniamo questi due canti della navigazione della comunità pilotata dal « Maestro della giustizia » in rapporto con il significato salvifico dell'arca, proprio come più tardi ritroviamo in Ippolito romano il medesimo passaggio dalla immagine dell'arca a quella di una nave capace di affron36
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tare il mare 38. Il diluvio universale come « tipo » del giudizio universale fa parte dei temi fondamentali della escatologia del tardo giudaismo 39. Nella teologia del primo libro della Sibilla incontriamo Noe come araldo della penitenza40. Qui l'arca viene chiamata esplicitamente una « casa di legno », che viene guidata con la « celeste arte del pilotaggio » attraverso i flutti del giudizio sino all'approdo in Frigia (Apameia) 41. L'appartenenza al numero otto dei salvati è il prerequisito per superare felicemente il secondo giudizio finale at38 Cfr. F. J. DOLGER, Sol Salutis, 2 ed., p. 273S. - Il raffronto dell'arca con una città è frequente anche nella teologia cristiana: ORIGENE, Adversus Celsum, 4, 41. - BASILIO DI SELEUCIA (PG 85, 97 C): πλείουσα πόλις. - Cfr. anche la descrizione dell'arca come nave sbattuta dalla tempesta: Sibilla, 1, 225-229 (ed. A. KUKPESS, Sybillinische Weissagungen, Monaco, 1959, p. 44). " P. GRELOT, L'eschatologie des Esséniens, in Revue de Qumran 1 (1958) p. 113-131. - P. VOLZ, Die Eschatologie der jùdischen Gemeinde, Tubinga 1934, 2 ed., p. 3. - P. LUNDBERG, Typologie baptismale, p. 109, nota 1. 40 Noè come araldo della penitenza, già nella Lettera di Clemente, 7, 6. - Cfr. la relazione di acqua (diluvio) e fuoco (giudizio finale), in PS.-MELITO (OTTO, IX, p. 132). - Per Noè quale predicatore di penitenza tra i due giudizi cfr. anche Sibilla, 1, 128S (KURFESS, p. 38): Dio disse a Noe: Κήρυξον μετάνοιαν, δπως σωθώσιν άπαντες. Anche qui viene sottolineato (ν. 125) che Noè soltanto era giusto e perciò fu salvato. 41 L'arca come «casa di legno»: Sibilla, 1, 133; 212. - La predica penitenziale di Noe: Sibilla, 1, 150-198. - La celeste arte nautica di Noè: Sibilla, 1, 257-259: «Ma mentre l'arca navigava sulle onde rumorose, spingendola con immortale pilotaggio qua e là sulle onde del flutto marino ». La posterità di Noè riceve il compito di trasmettere di generazione in generazione la giustizia. - Per la celeste τέχνη ο arte del pilotaggio cfr. Sap 14,6, ove si dice che l'arca è guidata dalla divina πρόνοια e ciò senza che Noè conosca l'arte del pilotare: άνευ τέχνης.
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traverso il fuoco 42. Dio parlò a Noe quale pilota di quella casa di legno salvatrice dicendogli che non sarebbe affondata « sino a che un giorno ogni generazione umana verrà al giudizio, poiché il giorno del giudizio aspetta tutti » 43 . Nel terzo libro della Sibilla la attesa del giudizio finale si fa ancora più chiara, là dove la nuora di Noè predice profeticamente la sorte, che a causa dei meriti del solo Noè sarà riservata a tutta la famiglia : « Il mondo era sommerso dalle acque e un solo uomo gradito era rimasto, che nella casa costruita con legno abbattuto continuava il viaggio sui flutti marini, affinché il mondo si popolasse di nuovo » 44 . Noe è precisamente l'« unico » tra tutti i salvati, poiché i rimanenti uomini che viaggiano sull'arca sono stati salvati soltanto a causa sua: «Solo Noe, tra tutti gli uomini, fu scampato » 45 . L'esegesi biblica del tardo giudaismo e, al suo seguito, la teologia giudeocristiana accentuano il fatto che a causa del solo Noè fu salvata tutta la sua casa. Così GIUSEPPE FLAVIO : « Noè fu salvato insieme ai suoi familiari, perché Dio lo amava a causa della giustizia e perché da lui doveva uscire 42 Cfr. LATTANZIO, De ira Dei, 23, 4 (CSEL 27, 1, p. 126), che cita la Sibilla, 4, 51-52 (KURFESS, 114): «Alia quoque Sybilla per indignationem Dei adversus iniustos per cataclysmum priore saeculo factum esse dixit, ut malitia generis humani extingueretur » ; subito dopo, 23, 5, per il giudizio finale nel diluvio del fuoco, cita Sybilla 4, 159-161 (KURFESS, 118): «Simili modo deflagrationem postea futuram vaticinata est, qua rursus impietas hominum deleatur». 13 Sibilla, 1, 273S (KURFESS, 46). Noè abbandona l'arca per « ottavo » (8γδοος), ossia come inizio di una nuova generazione: Si
billa, 1, 281 (KURFESS, 46). 44 Sibilla, 3, 823-828 (KURFESS, H O ) ; Verso 824: καί τις άνήρ μόνος έλείφθη. 45 Sibilla, 7, 8 (KURFESS, 150): έκ πάντων μοϋνος.
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un'altra stirpe che fosse libera dai vizi » 46 . La stessa affermazione si trova nel libro sulle antichità bibliche dello PS.-FILONE : « Noe era un grande uomo e nella sua generazione era senza macchia. Perciò fu accetto al Signore ». Il diluvio di acqua sarebbe modello dell'avvenimento escatologico finale, il diluvio universale di fuoco : « Dopo quel giudizio finale, il mondo si placa e la morte scompare; nessuno, che sia stato giustificato in me, resta impuro; allora un'altra terra e un altro cielo saranno la dimora permanente » 47 . Così il solo Noe, come il solo Adamo e il solo seme di Abramo diventano figura esemplare dell'unico Cristo, che è sempre uno nella molteplicità di coloro che, con lui e per lui, vengono salvati. Nella teosofia di Filone di Alessandria Noe diviene la fine del mondo peccaminoso e per questo l'inizio di un nuovo mondo, il « punto angolare dei due mondi » 48 . In Filone Noe è sempre il δίκαιος, il nuovo inizio di una schiatta innocente, « il giusto Noe, che nella grande inondazione proseguì salvo il suo viaggio sulle onde » 49 . Per questo Filone, « Antiquitates, i, 3, 2 (NIESE, I, 18, 1. 20s): μ ε τ ά τ ω ν ο ι κ ε ί ω ν . " PS.-FILONE, Libro dell'antichità biblica, 3, 4 (RIESSLER, 738); 3, 9-10 (RIESSLER, 7395). Cfr. per ciò la teologia del duplice giudizio nell'acqua e nel fuoco in 2Piet 3,12. 13. P u ò essere interessante vedere qui come anche nella teologia simbolica del primo medioevo il colore blu significa il diluvio universale che non viene più ripetuto, il colore rosso il giudizio finale mediante il fuoco, che ancora n o n è giunto: R A B A N O (PL H O , J45SS), si serve per ciò delle parole di G B E GORIO M A G N O (PL 76, 865SS). Cfr. anche H. B. MEYER, Zur Symbolik friihmittelalterlicher Majestasbilder, in Das Munster 14 (1961) p. 80, 83. 48 J. D A N I É L O U , Sacramentum Futuri, p. 61. " De migratione Abraham 125 ( C O H N - W E N D L A N D , II, p. 292), N o è come primo giusto ( π ρ ώ τ ο ς δ ί κ α ι ο ς ) : De congressu eruditianis gratta, 17 ( C O H N - W E N D L A N D , III, p . 90, l. 14). Altri passi su N o e giusto ( Ν ώ ε δ ί κ α ι ο ς ) in C O H N - W E N D L A N D , IH, p. 59, 1. 17. -
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in base a Gen 5,29 rende l'etimologia del nome di N o e come άνάπα,υοις, in ciò seguito dai Padri della Chiesa 5 0 . Il Libro di Enoch, che, come sappiamo da TERTULLIANO 51 , fu così importante per l'antica teologia cristiana, parla dell'arca come casa di legno, da cui scaturisce una nuova generazione. Essa, a motivo di Noè, verrà conservata attraverso tutte le generazioni del m o n d o 5 2 . Il diluvio universale e la salvezza degli eletti chiudono la prima tappa della storia della salvezza, « ed in essa un solo u o m o viene salvato. D o p o quella data, l'ingiustizia aumenta ed una legge viene stabilita per i peccatori » 5 3 . Il patto di Dio con gli uomini viene concluso con Abramo, che verrà dato agli uomini come « pianta della giustìzia » per preparare alla giustizia definitiva. In tono profetico Enoch annuncia al nipote N o è : «Dio ha stabilito il tuo n o m e tra i santi, ti salverà tra tutti gli abitanti della terra. Egli ha stabilito che la tua posterità regni ed abbia grande onore » 5 4 . E in occasione della nascita di Noe afferma : « Viene un grande diluvio, ma questo figlio resterà superstite sulla terra, e i suoi tre figli saranno salvati con
N o e come inizio della generazione innocente: De praemus et poenis, 23 ( C O H N , V, p. 34OS). 50 Leg. allegor., 3, 77 ( C O H N , I, p. 129, 1. 22). - De Abraham, 27 ( C O H N , IV, p. 7, 1. 8 ) : ά ν ά π α υ σ ι ς ή δ έ κ α τ ο ς ; cfr. anche Quoà deterius, 121 ( C O H N , I, p. 285, 1. 25-30). 51 De cultu feminarum, 1, 3 (Cor. Christ. I, p. 346S). 52 Henoch 10, 3 (CHARLES II, p. 193). 53 Ivi, 93, 4 (II, p. 263). Del medesimo diluvio finale mediante il giudizio di fuoco parla Henoch 91, 1-17 (II, p. 26is). 54 Henoch 63, 12 (CHARLES II, p. 231). Per la teologia della Chiesa quale fonte di acqua viva è importante l'espressione del medesimo capitolo, nella profezia di Enoch al nipote N o e ; vien detto : « E dalla tua posterità promanerà una fonte di acqua della giustizia e della santità senza misura e per sempre ».
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lui. Chiamalo con il nome di Noe, poiché egli resta superstite e con i suoi figli verrà salvato dalla rovina » 55. Nei frammenti latini di una Apocalisse di Noe, Enoch proclama il posto del patriarca nella storia della salvezza : « Mittet Deus cataclismum aquae, ut deleat omnem creaturam ... et ipse vocabitur Noe, qui interpretatur requies, quia requiem praestabit in arcam» 56 . Anche nel Libro dei giubilei la persona di Noe presenta il medesimo significato escatologico: « Soltanto Noè trovò grazia dinanzi agli occhi del Signore. Tutti affogarono eccetto il solo Noe, poiché la sua persona trovò grazia in favore dei suoi figli, i quali furono salvati dal diluvio a causa di lui. Tutto ciò che si trovava sulla terra, fu annientato, eccetto coloro che si trovavano con lui nell'arca» 57 . Nel quarto libro di Esdra, il salvato prega Dio, accentuando l'unicità di Noe, per causa del quale soltanto i pii vengono salvati : « Come una volta la morte discese su Adamo, così l'onda sugli abitanti del mondo. Tu hai lasciato soltanto un superstite tra di essi, Noe e la sua casa, tutti i pii che da lui provenivano »58. Noè occupa il centro della teologia del tardo giudaismo e di quella giudeo-cristiana come esemplare dell'unico Messia futuro, a causa del quale i suoi saranno salvati nell'arca. Nel punto centrale c'è 55
Henoch, 106, 15-18 (CHARLES, II, p. 279). Frammento dall'Apocalisse di Noè, Henoch, 106, 1-19 (CHARLES, II, p. 278S). " Libro dei Giubilei, 5, 5; 19; 6, 2 (CHARLES, II, p. 20s). Nella benedizione di A b r a m o a Giacobbe, il Patriarca dice: «L'altissimo Dio ti diede tutte le benedizioni, con cui egli mi ha benedetto e con cui ha benedetto N o e ed A d a m o , affinché essi riposino sulla santa cima del tuo seme per tutte le generazioni in eterno » : Libro dei Giubilei, 22, 13 (CHARLES, II, p. 45S). 58 IV Esdra, 1, 9-11 (CHARLES, II, p. 562). 56
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l'arca di Noe come simbolo della Chiesa quale comunità definitiva della famiglia salvata nell'unico Noe. Nel libro siriaco dell'inizio del quinto secolo cristiano, che porta il nome di Grotta del tesoro 59, troviamo nuovamente riuniti gli elementi della teologia giudeo-cristiana su Noe e sull'arca. Noè e la sua famiglia, con il loro numero otto sono la personificazione del « resto »60. Noè e i suoi figli hanno preso sull'arca il cadavere di Adamo, per salvare, se così vogliamo esprimerci, la grazia che una volta era stata data ad Adamo e preservarla per l'epoca futura della grazia dell'unico e vero Adamo 61 . « L'arca era chiusa e sigillata e su in cima al tetto c'era un angelo del Signore come piIota » 62 . Il viaggio è diretto verso il paradiso, « porto e luogo di angeli » 63. « Il cadavere di Adamo era posto in mezzo all'arca, poiché vi erano rappresentati tutti i misteri della Chiesa » 84. Dopo il diluvio, Noè e i suoi figli deposero il cadavere del protoparente nel punto centrale del mondo, ossia sul monte Golgota 65 . Si tratta certamente di una speculazione teologica di un'epoca relativamente tardiva, ma essa dimostra ancora una volta le connessioni esistenti tra arca e Chiesa, che si erano andate formando sin dai primordi della riflessione sulla Chiesa. La Chiesa come unica arca della salvezza è costruita con il legno della croce. Essa 58
I. O R T I Z DE UHBINA, Patrologia Syriaca, R o m a 1958, p. 88. La caverna dei tesori siriaca, 16, 6 (RIESSLER, p. 960). 61 Ivi, 16, 14 (p. 960). 82 lui, 18, 14 (p. 963). Cfr. la π ρ ό ν ο ι α quale timoniere della arca: Sap 14,3. - Σ ο φ ί α quaie pilota dell'arca: Sap 10,4. - Providentia divina quale timoniere dell'arca: CHISOSTOMO (PG 48, 1037). 83 Caverna dei tesori siriaca, 17, 15 (p. 962). 84 Ivi, 18, 3 (p. 962). 85 Ivi, 22 e 23 (p. 967-969). ,0
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sola somministra il sacramento dell'acqua, poiché, portata dal « misero legno » vince precisamente l'acqua. Ancor oggi la Chiesa prega nella consacrazione dell'acqua lustrale : « Ut unius eiusdemque elementi mysterio et finis esset vitiis et origo virtutibus ». In una interpolazione cristiana dell'Apocalisse di Baruch, presumibilmente del secondo secolo, si accenna acutamente al medesimo rapporto sacramentale di Noe nei riguardi di Cristo e dell'arca come « tipo » dei misteri della Chiesa. Il salvato Noè viene incaricato da Dio di piantare una vite, che era stata trascinata via dal paradiso terrestre mediante il diluvio: «Alzati, Noe, e pianta la vite ... La maledizione, che gli è attaccata, sarà trasformata in benedizione, e ciò che verrà ottenuto da essa, diventerà sangue di Dio » m .
2. L ' A R C A C O M E N A V E DELLA SALVEZZA NELLA T E O L O G I A DELLA CHIESA A N T I C A
Come già abbiamo accennato, negli studi più recenti sul simbolismo dell'arca è stato detto che la tipologia più antica non paragona l'arca alla Chiesa, bensì alla croce e al battesimo; e ciò avverrebbe precisamente in quel settore della primitiva teologia giudeocristiana, che a buon diritto è stata denominata « Salvezza mediante il legno e l'acqua »67. Croce e battesimo sarebbero dunque gli elementi originari, che inβ ί
Apocalisse greca di Baruch, 4, 15 (CHARLES, II, p . 536).
" Cfr. per ciò LUNDBERG, p. 167-200; soprattutto a p. 186. J. DANIÉLOU, Théologie tìu Juiéo-Christianisme, p. 289-315; soprattutto p. 300 s. Le due liste, date da ambedue gli autori, della relazione tipologica di acqua e legno provengono certamente da un'antichissima serie di Testimonia riguardanti la croce. DANIÉLOU la chiama
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contriamo nella 2Pet 2,s e nella iPet 3,20s, ed ai quali Giustino, nel Dialogo con Trifone, ha dato una forma che probabilmente possedevano già da un pezzo. Noi invece pensiamo che l'elemento originario di questa tipologia presentava l'arca come presagio della comunità salvifica degli ultimi tempi, quindi la nave della Chiesa, la cui efhcenza salvifica unica nel naufragio del mondo, risiede nel fatto che essa è costruita con il legno della croce e che nel sacramento del battesimo trasforma l'acqua della distruzione del mondo in acqua della salvezza. I tre elementi della tipologia dell'arca sono dunque la Chiesa, il legno della croce e l'acqua battesimale, ma in modo tale che il presagio della Chiesa come comunità di salvezza radunata nell'arca va presupposto, se si vuole comprendere il riferimento al legno della croce e all'acqua del battesimo. Verso la fine dell'antica teologìa cristiana la cosa era ancora ben nota a un imitatore di Agostino e noi mostreremo più chiaramente che si trattava qui di un tema essenziale della catechesi battesimale. In una predica sulle prefigurazioni della Chiesa, che, come vera Madre dei viventi, è promanata dalla ferita del costato dell'AdamoCristo dormente sulla croce, egli dice : « Ecclesia intra arcam diluvio exundante servata crucis beneficium et baptismatis mysterium praesignavit » 68. a buon diritto un « état archai'que de la théologie» (p. 301). Cfr. per ciò anche alcuni recenti lavori sulla storia del simbolo della croce: L. D O I G N O N , Le salut par le jet et le bois chez Irenée, in Recherches de Science Religieuse 43 (i95S) P· 535-545- - E. DINKLER, Zur Geschichte des Kreuzsymbols, in Zeitschrift ftir Théologie u. Kirche 48 (1956) p. 148-172. - J. CARCOPINO, Le mystère d'un symbole chrétien, Parigi 1955, P- 69-76. 88 P S . - A G O S T I N O , Sermo 230, 1 (PL 39, 2171). - Il medesimo testo in
MASSIMO
DI
TORINO
(PL
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Perciò cominciamo con la tipologia dell'arca rispetto al legno della croce. Si tratta di un tema fondamentale della teologia sacramentale dei Padri, a cominciare da Giustino sino alla teologia delle omelie su Noe di CRISOSTOMO69, nell'esposizione della Genesi di CIRILLO DI ALESSANDRIA70 e nel piccolo trattato di 71 GREGORIO DI ELVIRA sull'arca di Noe. . BASILIO DI SELEUCIA, in una delle sue prediche sul patriarca ha precisato lo spirito teologico simbolico con cui i Padri concepivano il mistero dell'arca nell'opposizione dialettica tra salvezza e perdizione, tra la salvezza dal naufragio del diluvio universale, che si estende a tutto il mondo e l'umile insignificante legno della croce : « Ο paradossale nave della salvezza (σκάφος ποφάδοξον σωτηρίου), immagine umbratile del legno della croce, tu mostri a coloro che navigano per mare, quanto sia necessaria la croce; tu salvi nell'acqua e ci strappi dal le acque ... Ritratto dell'intero mondo è l'arca. Essa è una città navigante, essa porta come nel seno materno tutta la creazione, porta in sé come un embrione il cosmo intero, è il corpo materno di tutte le diverse creature » 72 . « Noe fu salvato come timoniere in mezzo al naufragio di tutto il mondo »73. La storia dell'arca di Noe, scrive CIRILLO DI ALESSANDRIA, è una immagine e un « tipo » della salvezza restituita in Cri" Homiliae 22-29 (PG 53, 185-273). Glaphyra in Genesim, 2, 1 (PG 69, 49-68). Edizione di A. WILMART, in Revue Bénédictine 26 (1909) p. 1-12. - Cfr. J. SINT, Die Arche ah Typ der Kirche im Traktat ' De arca Noe ' des Gregorius voti Elvira (dissertazione non stampata), Innsbruck 1946. 72 Oratio 6 in Noe (PG 85, 97 C; 101 A). 73 Oratio 14 (PG 85, 184 B). Cfr. CRISOSTOMO, Homilia 12, 3 in Matthaeum (PG 57, 205 B). 70 71
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sto , 4 . Il diluvio universale diventa il battesimo, Noè diventa modello di Cristo. La parola conclusiva di questa teologia simbolica fu scritta per l'Occidente da AGOSTINO, quando ancora una volta egli vede i rapporti della Chiesa con il legno della croce prefigurati nell'immagine dell'arca: «Procul dubio arca figura est peregrinantis in hoc saeculo civitatis Dei, hoc est ecclesiae, quae fit salva per lignum, in quo pependit mediato! Dei et hominum, homo Christus Jesus » 75 . Il primo paragone chiaro tra l'arca e la salvezza donataci nel legno della croce e nell'acqua del battesimo dal vero Noè-Cristo, l'incontriamo nel dialogo di GIU76 STINO . Cristo, quale primogenito, è allo stesso tempo l'inizio di una nuova generazione, così come Noè fu il giusto, nella cui arca furono raccolte le otto anime, il cui numero rappresenta l'ogdoas, ossia il numero otto del giorno della resurrezione di Cristo che fu inizio dei novissimi e primordio della eterna generazione. Solo nell'arca di Noè il vero popolo evita il giudizio futuro. Tutti i posteri di Noè sono stati radunati nell'arca di Noè per costituire una sola comunità domestica (συνοικία). Già qui troviamo quindi il pensiero che la salvezza venne elargita a Noè e mediante lui alla comunità domestica, che si trovava nell'arca. Conseguentemente GIUSTINO può dire a proposito di Cristo quale novello Noè : « Egli è divenuto l'origine prima di una novella generazione, che mediante lui è rigenerata dall'acqua, dalla fede e dal legno, che porta in sé il mistero della croce, cosi come una volta Noè
'* P G 69, 49 C . "> De Civitate Dei, 15, 26 (CSEL 40, 2, 116). " Dialogo con Trifone, 138 139 ( O T T O I, 2, 486-492).
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venne salvato sul legno, navigando sulle acque, assieme ai suoi (μετά των ίδιων) ». La tipologia dell'arca e del legno della croce ci pone nel bel mezzo dell'antica dottrina cristiana della redenzione. Ciò giustifica il tentativo di sviluppare ancor più profondamente la staurocentrica dell'arca rispetto alla croce. Il pensiero dommatico viene espresso attraverso una contrapposizione dialettica di immagini. In fondo si tratta sempre della tensione sacramentale tra il piccolo esemplare e l'immane realtà salvifica. Lo vediamo ad esempio, quando nel Pastore di Ermas la Chiesa viene chiamata la costruzione, le cui fondamenta stanno sull'acqua 77 : ο quan do nella teologia giudeo-cristiana l'invisibilità della comunità salvifica viene contrapposta alla grandezza della Chiesa, che in un vero senso è coeva con la creazione e quindi era sempre là, ove la storia di Dio con la generazione umana entrava in una nuova fase78. Anche la natura salvifica dell'arca viene compresa soltanto quando si pensa alla futilità delle sue tavole e con tutto ciò non si dimentica che la salvezza dell'universo viene operata dal suo « spregevole legno » (Sap 14,7). Essa infatti viene lodata precisamente quale « legno » mediante il quale ci venne la giustificazione ». I Padri greci hanno sempre considerato il piccolo legno di Noe come modello del legno insignificante della croce il quale, proprio perché tale, è redentore dell'universo. Efrem chiamava l'arca la « terra di legno » 79 . AMBRO" Hermas Visio, I, 3, 4 (FUNK, p. 422). 78 Anche qui nella simbolica dell'arca agitiamo una questione essenziale dell'antica ecclesiologia cristiana, la questione del senso della Chiesa preesistente. Cfr. per ciò J. BEUMER, Die altchristliche Idee einer praexistenten Kirche, in Wissenschaft uni Weisheit, 9 (1942) p. 13-22. - J. D A N I É L O U , Théohgie, p. 3185. 79 Carmina Nisibena, 1, 1 (BKV, 2 ed., EPHREM, p. 254).
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Gio applica Sap 14,7 al legno benedetto 8 0 . La stessa cosa fanno una omilia sulla croce, che sta tra le opere di C R I S O S T O M O 8 1 e una predica di TEODORO DI S T U -
DION 8 2 . P. LUNDBERG e J. DANIELOU hanno detto lo
essenziale circa i primordi di questa teologia dei rapporti tra legno e acqua, ossia tra croce e acqua 8 3 . Già nella lettera dello Ps.-Barnaba c'è un midrasch giudaico, che echeggia il quarto libro di Esdra, ove, a proposito del tempo della redenzione, vien detto : « Dagli alberi di legno colerà sangue » 8 4 . N o n ci sbagliamo se leggiamo la interpretazione di queste parole nella lettera di Barnaba come indicante l'importanza salvifica escatologica dell'arca quale modello del legno della croce. Infatti alla domanda circa il momento in cui tutte le cose saranno compiute, Barnaba risponde : « Quando il legno riposa e sta dritto e quando dal legno gocciola sangue » 75 . D o v r e m m o parlare più a lungo del significato tipologico dell'arca di Noe rispetto alla futura redenzione, espresso nelle innumerevoli testimonianze, che designano N o e come il primo giusto e ad un tempo come l'uomo dell'ottava ο decima generazione dopo Adamo e profeta rispetto alla Chiesa. Ma è giocoforza limitarci ad indicare gli elementi fondamentali. Per AMBROGIO, N o è è il modello del Crocifisso e perciò anche della 80
Sermo 8 sul Salmo 118 (CSEL 62, p. 164, 1. 6ss). P G 52, 839 C . P G 99, 696 C. 83 Cfr. nota 67. 84 IV Esdra, 5, 5 (CHARLES II, p. 569). 85 Lettera ài Barnaba, 12, 1 (BIHLMEYER-SCHNEEMELCHER, 25, 1. 2s). - N o n andremmo certamente errati se mettessimo in relazione con l'arca e il suo approdo anche il legno che « riposa e risorge ». Altre testimonianze in favore di ciò, in J. DANIELOU, Théologie, p. 81 a!
29OS.
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Chiesa : « Per crucem et sanguinem credimus Christi, cuius Noe gratiam in typo ecclesiae figuratam spirituali cognitione praesensit » 86 . AGOSTINO vuole che nell'istruzione battesimale si parli del modello dell'arca : « Nel mistero del diluvio (dilitvii sacramento), in cui i giusti furono salvati in virtù del legno, viene presignificata la Chiesa futura, che il suo Re e Dio Cristo ha salvato mediante il mistero della croce dall'affondamento in questo tempo del mondo » 87 . FIRMICO M A TERNO scrive : « La stirpe umana venne salvata dal diluvio mediante un'arca di legno. Così pure la salvezza è stata elargita a tutti gli uomini mediante il legno della croce e perciò il legno della croce sostiene tutto in cielo, rafforza le fondamenta della terra e conduce gli uomini, che si lasciano mettere in croce, alla vita eterna » 88 . Una preghiera della liturgia armena per la Epifania suona così: « Tu, ο Dio, hai salvato il giusto Noe dal flusso dell'acqua nell'arca simile alla croce (in the crosslike ark) » 89 . L'insignificante legno dell'arca salva l'umanità e la povera croce della redenzione diventa il segno cosmico, che tiene eternamente insieme cielo e terra. Non possiamo dilungarci a trattare la dottrina simbolica patristica della croce, che come l'arca che viaggia verso tutte le direzioni, penetra nelle quattro direzioni celesti e forma le coordinate del cosmo 90. 88
Comment. in Lucam, HI, 23 (CSEL 32, 4, p. 114, 1. 18-22). « De catechizandis rudibus, 19, 32 (PL 40, 334 B). 88 De errore prof, rei., 27 (CSEL 2, p. I20s). «· CONYBEARE, 45. - Cfr. LUNDBEHG, ρ. i86s. - Arca come croce anche presso GIOVANNI DAMASCENO M
(PG 96, 624 B).
Per la teologia della croce come segno cosmico, cfr. le testi monianze in J. DANIÉLOU, Théologie, p. 303-315: La aoix cosmique. Egualmente in H. RAHNER, Griechische Mythen, p. 73-89. Il più bell'inno di lode alla croce che abbraccia tutto l'universo, si trova nel-
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È la teologia, che Ireneo ha già in mente, quando scrive che Dio ha dato a Noè le dimensioni dell'arca e che in ciò sono significate misteriosamente le dimensioni del mondo per la seconda generazione91. Il secondo riferimento dell'arca di Noe all'opera salvifica in Cristo è, secondo il modo di vedere di competenti studiosi, il più originario, poiché garantito dalle parole di iPet 3,20; si tratterebbe cioè della esemplarità dell'arca riguardo all'acqua del battesimo cristiano. Noi pensiamo che l'arca fu concepita in primo luogo come tipo della Chiesa, ossia della comunità dei salvati per i meriti dell'unico Noè-Cristo, e quindi che il suo rapporto con il battesimo è « posteriore » ; tuttavia riconosciamo che la tipologia rispetto al battesimo svolge sin dall'antichità una parte fondamentale, che ritroveremo soprattutto nella polemica sul battesimo degli eretici. Che questo problema sia stato intravisto anche nella spiegazione esegetica dell'arca, ce lo dimostrano le parole di AGOSTINO nell'opuscolo sull'unità della Chiesa : « Nulli nostrum dubium est per arcam Noe, salva rerum gestarum fide, ut deletis peccatoribus domus iusti a diluvio liberaretur, etiam ecclesiam fuisse figuratam. Quod forte humani ingenii coniectura videretur, nisi hoc Petrus Apostolus in epistola sua diceret » 92. Noi non possiamo fornire qui molto di nuovo rispetto al materiale già presentato da Lundberg e Daniélou 93. L'immagine del diluvio dell'acqua che ucYOmelia pasquale molto discussa, che si voleva attribuire ad IPPOLITO (PG 59, 743). - Sourees Chrctiennes 27, Parigi, 1950, p. 177S. 91 Adversus haer., 4, io, 1 e 16, 2 (HARVEY II, p. 172; p. 190). " De untiate Ecclesiae, 9 (PL 43, 397 B). 03 P. LUNDBERG, Tipologie, p. 98-116: Le déluge et le Baptème. - J. DANIÉLOU, Sacramentum Futuri, p. 74-78.
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ride e che ad un tempo salva in virtù del legno, appartiene al fondo originario della riflessione arcaica sulla tipologia « acqua e legno ». L'efficacia dell'acqua viene dalla croce. Gli ολίγοι ο gli « otto » designano la comunità dei salvati nella Chiesa dal giudizio finale e perciò la comunità di coloro che attraverso il battesimo sono stati destinati alla salvezza definitiva. Battesimo e chiesa, dunque, già si corrispondono e non possiamo parlare della tipologia dell'arca rispetto al battesimo, senza pensare alla croce e alla Chiesa e, inoltre, al diluvio finale del giudizio di fuoco. Alla fine del quarto secolo, EPIFANIO chiama l'arca di N o e un m o 94 dello della π α λ ι γ γ ε ν ε σ ί α mediante il b a t t e s i m o . Il diluvio universale, come abbiamo già ascoltato nella catechesi battesimale di Tertulliano, è un bagno purificatore dei peccati per tutto il mondo e ciò precisamente per il fatto che, per via del giusto Noe, dall'arca uscì la futura generazione di coloro che credono in Cristo e nella virtù del legno della sua croce. Acqua, legno e Chiesa sono quindi connessi tra di loro tipologicamente e teologicamente, e tuttavia è una questione inevitabile precisare quale dei tre elementi sia quello originario. Nelle Quaestiones in epistolas S. Pauli, falsamente attribuite ad Anastasio e probabilmente bizantine, si riuniscono gli elementi della suesposta teologia della nave, il cui albero è la croce, che riunisce i credenti nella Chiesa e che, attraverso le tempeste, si dirige verso il porto celeste : « Tre volte l'umanità ha sofferto naufragio spirituale ( μ υ σ τ ι κ ώ ς ) : la prima volta a causa del peccato originale, la seconda volta nel diluvio di Noe e la terza volta quando trasgredì la ·* Ancoratus, 96 (PG 43, 189).
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Legge, finché Cristo venne come timoniere delle anime, eresse l'albero della croce e diresse la nostra nave attraverso le onde sino in cielo » 9 5 . Si vede come la immagine della nave trapassa nell'immagine dell'arca di legno della croce e nell'immagine del vero N o é Cristo, tanto che l'autore ha potuto anche dire, che « il primo battesimo è stato il diluvio universale per l'estirpazione di ogni peccato » 9 6 . Nei Titilli composti da AMBROGIO, il sacramento del battesimo viene assimilato alla discesa della colomba sull'arca di Noe e il suo frutto è la pace, che viene data in seno alla Chiesa: « Arca Noe nostri typus est et spiritus ales qui pacem populis ramo praetendit olivae » 97 . Nel commento a Luca, Ambrogio interpreta così questi versi : « Arca ista quae sola fuit diluvii immunis typus est pacis Ecclesiae » 98 . Quanta parte occupino nel fondo originario dell'antica catechesi battesimale cristiana la teologia del battesimo e i suoi rapporti alla arca di Noe, lo abbiamo già mostrato con le parole della catechesi battesimale di CIRILLO DI GERUSALEMM E 9 9 e lo possiamo intuire nelle vivaci domande della catechesi battesimale di AMBROGIO. Il vescovo di Milano conclude per l'appunto la teologia dell'« acqua
« Quaestio, 105 (PG 28, 761 A). 86 Quaestio, 101 (PG 28, 760 A). 97 Titulus 19: Testo in Ramisene Quartahchrift io (1896) p. 221. 98 Comtnent, in Lucani, 2, 92 (CSEL 32, 4, p. 95). 89 Catech., 17, io (PG 33, 981 A). - Caverna dei tesori siriaca, 19, 13 (RIESSLER, p. 964), ove le due colombe dell'arca vengono identificate con i due Testamenti: « La prima non trovò riposo nel popolo contrario a Dio, nel secondo (Testamento) invece la colomba si adagiò tranquilla sul popolo attraverso l'acqua del battesimo ».
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e del legno», divenuta quasi un «tipo» arcaico, con il rinvio al mistero dell'arca e chiede agli ascoltatori : « Tu vedi l'acqua, tu vedi il legno, tu vedi la colomba, quali dubbi hai ancora su questo mistero? ... Il legno è quel legno, a cui fu inchiodato il Signore Gesù, quando patì per noi » 1 0 °. Vediamo come i tre elementi stiano incessantemente insieme: legno della croce, acqua del battesimo, arca della Chiesa. Perciò Ambrogio alla fine riassume così : « In diluvio quoque fuit iam tunc figura baptismatis » 1 0 1 e nel commento a Luca scioglie una lode magistrale al mistero dell'acqua, la cui virtù salvifica viene presignificata dal diluvio universale : « Ο aqua, quae sacramentum Christi esse meruisti... tu incipis prima, tu comples perfecta mysteria... ο aqua, quae h u m o aspersimi sanguine ut praesentium lavacrorum figura praecederet, orbem terrarum lavasti » 1 8 2 . Il mistero della salvezza, che Cristo morente sul legno della croce ci ha procurato e che la sciò scorrere simbolicamente nell'acqua della ferita del costato, viene accennato anche da GEROLAMO in una delle sue lettere : « Il mondo ha peccato e non verrà purificato se non nell'inondazione mediante l'acqua del diluvio, allorché la colomba dello Spirito Santo venne a Noe - come più tardi su Cristo nel Giordano - ad annunciare all'universo la pace con il ramoscello dell'olio nutriente e illuminante » 1 0 3 . In un'altra lettera, Gerolamo suppone la conoscenza del rapporto tipologico tra diluvio universale e battesimo, e chiama il di-
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De mysteriis, 3, io, 11 (CSEL 73, p. 92s). De sacramento, 1, 6, 23 (CSEL 73, p. 25). 102 Commetti, in Lucam. i o , 48 (CSEL 32, 4, p. 473, 1 7-11). ""> Epistola 69, 6 (CSEL 54, p. 6Sgs). 101
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luvio « il bagno purificatore dell'universo dopo il naufragio di tutta l'umanità » 1 0 4 . GAUDENZIO DA BRESCIA, imbevuto dello spirito delle traduzioni latine di O r i gene, predicava : « Nei giorni del santo N o e la Provvidenza purificò con il diluvio il mondo insozzato da innumerevoli peccati, distrusse il male e dopo riedificò il mondo » 105 . Parleremo ancora una volta del diluvio universale quale battesimo salvifico dell'universo, quando approfondiremo il significato storico-dommatico del raffronto tra diluvio e battesimo. Un testo poetico dell'ultimo periodo della patristica latina dimostra quanto la teologia dell'arca, del battesimo e della Chiesa, comune sin dal tempo di Tertulliano, sia coerente. In un'opera sugli Atti degli Apostoli, poco rilevante dal punto di vista teologico, troviamo questi versi: « Ecclesiae speciem pracstabat machina quondam temporibus constructa N o e quae sola recepii omne genus clausique ferens baptismatis instar cum vaga lethales pateretur turba procellas ad vitam convertit aquas » 106 . U n o sguardo alla storia del testo della consacrazione dell'acqua battesimale 1 0 7 mostra che la cono104
Epistola i o , ι (CSEL 54, P· 35. 1. io). Tractatus io, 3 (CSEL 68, p. 93, 1. 30-32). - Per la relazione tra arca e battesimo, cfr. anche CIRILLO DI ALESSANDRIA (PG 77, 976 Β ; PG 69, 65 B) - D I D I M O (PG 29, 697). - CRISOSTOMO: PG 48, 1037S. - O T T A T O MILEVITANO (CSEL 26, p. 8, 1. is). 10 « De actibus apostolorum (PL 68, 148). " " Cfr. H. SCHEIDT, Die Taufwasser-Weihegebete (=Liturgische Quellen una Forschungen, 29), Miinster 1935, p- 80. - Lo studio più recente per il testo della consacrazione romana dell'acqua battesimale di S. B E N Z , in Revue Béiédictine 66 (1956) p. 218-255; soprattutto, p. 226. 105
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scenza patristica di questa applicazione simbolica dell'arca di Noè al sacramento del battesimo restò viva proprio a motivo della trasmissione riverente di questi testi. Nella consacrazione dell'acqua battesimale contenuta nel Messale Romano ricorre quest'espressione da noi citata ma che ora rivela meglio il suo significato teologico : « Deus qui nocentis mundi crimina per aquas abluens regenerationis speciem in ipsa diluvii effusione signasti, ut unius eiusdemque elementi mysterio et finis esset vitiis et origo virtutibus ». E molto istruttivo vedere che, immediatamente dopo, si parla anche della tipologia dell'arca quale seno materno di una nuova progenie « Respice Domine in faciem Ecclesiae tuae et multiplica in ea regenerationes tuas ». Questa opposizione dialettica, secondo cui mediante la medesima onda che distrusse il peccato, viene ricevuta la vita in virtù del legno, viene espressa anche nel Messale di Bobbio: « Exuis nos mortem et induis nos vitam » 108. Nel Testamentum Domini arabico, l'innocente Noè viene designato come colui, per la cui innocenza il diluvio divenne salvezza : « Dio ha salvato dall'acqua del diluvio quegli uomini, che erano all'interno dell'arca, a causa dell'innocente Noe » 109 . Nella consacrazione greca dell'acqua per l'Epifania c'è una preghiera che, muovendosi nell'ambito della teologia della fine del secondo secolo, si esprime così: « Ma tu, ο nostro Dio, sei colui che, nell'acqua e nello spirito, rinnovi la natura umana invecchiata a causa dei peccati. Sei stato tu, che hai distrutto i peccati nell'acqua del diluvio, per 1 M Messale di Bobbio (MURATORI, V. 2, ρ. 849S). - E. A. LOWE, The Bobbio Missal, Londra, 1920, p . 72S. - SCHEIDT, p. 58. i m SCHEIDT, p . 44. - A. BAUMSTARK, Eine iigyptische Mess - uni Tauflitutgie, i n Oriens Christianus 1 (1901) p . 39. - LUNDBERG, p. IOS.
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amore di Noè » n 0 . La stessa cosa leggiamo in un cantico di lode all'acqua, scritto da OPTATO MILEVITANO : « Ο aqua, quae, ut purum, faceres orbem, lavasti terram » 1 1 X . Infine nella consacrazione spagnola dell'acqua battesimale risuona ancora una volta l'antica dialettica cristiana del diluvio, il cui effetto viene riprodotto dalla grazia del fonte battesimale: « Una eademque es: salus fidelium et ultio criminum » 1 1 2 . Nel suo opuscolo sul battesimo Tertulliano condensa in una breve sentenza tutto ciò che riguarda la teologia battesimale e i suoi tipi: « Numquam sine aqua Christus » 113 . II rapporto tipologico dell'arca al legno della croce e all'onda del battesimo può essere compresa, a nostro avviso, soltanto se ammettiamo, quale elemento originario dell'antica simbolica cristiana, il rapporto dell'arca alla Chiesa in genere, anche là dove questo rapporto non viene enunciato esplicitamente. Per questo soltanto adesso parliamo dell'arca come simbolo della Chiesa. « Nessun tema è più frequente presso i Padri quanto il simbolismo dell'arca di Noè come modello della Chiesa, nel cui grembo gli uomini vennero risparmiati dal giudizio di Dio mediante l'acqua » m . Il concetto fondamentale di questa ecclesiologia escatologica vede nel diluvio il modello del giudizio che verrà alla fine nel fuoco; la morte e la resurrezione del Signore sono l'anticipazione della beatitudine finale 110
SCHEIDT, p. 24; p. 26. - CONYBEAKE, p. 418.
III
CSEL 26, p. 153S. FÉHOTiN, p. 30S. - SCHEIDT, p. 98. De baptismo, 9, 4 (Cor. Christ., TERTULLIANO I, p. 284, 1.
112 113
16). 114
IDEM,
J. DANIÉLOU, Sacrameiitiim Futuri, p. 55; cfr. anche p. 80-82. Thcohgie du Judéo-Christianisme, p. 317-339.
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o, in termini biblici, dell'approdo sul monte Ararat; la storia di questa salvezza procede per mezzo dell'arca, ossia nella Chiesa. Il primo testo dell'antica letteratura cristiana, che chiama esplicitamente l'arca modello della Chiesa, è stato individuato nel cap. 8 dell'opuscolo DI TERTULLIANO sul battesimo. Ma la prima lettera di Clemente dimostra che, a partire dalla teologia giudeocristiana, il paragone tra arca e Chiesa era frequente già molto prima di Tertulliano. Lo scopo dottrinale di questo scritto, come è risaputo, è il richiamo alla concordia in seno alla comunità di Corinto. L'autore si ricorda in modo naturale dell'arca di Noe come esempio della concorde coabitazione di tutti gli esseri viventi : « Noe fu trovato fedele mediante il suo obbediente servizio (δια της λειτουργίας) e annunciò al mondo la rinascita; è a causa Ai lui che il Signore salvò tutti gli esseri viventi, che con concordia entrarono nell'arca » 115 . L'arca della concordia è evidentemente la comunità di Corinto. Proseguendo nella medesima linea di pensiero Tertulliano definisce perciò il diluvio universale « il battesimo dell'universo » 116. Come la colomba dello spirito scese su Gesù dopo il battesimo, così discende sopra i cristiani. Questo ragionamento che faceva parte degli antichi elementi della catechesi battesimale, richiama l'immagine dell'altra colomba, che annuncia alla famiglia di Noe la fine del diluvio : « Conformemente alla medesima disposizione, la colomba dello Spirito Santo volteggia sulla 115 Lettera di Clemente, 9, 4 (FUNX-BIHLMEYEH, p. 40, 1. 7-9. Cfr. un'interpretazione simile in B. KNOPF, Handbucn zum NT. Dii Apostolkhen VMer, Tubinga 1920, p. 59. 11» De baptismo, 8; 4 (CSEL 20, p. 207, 1. 25s).
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terra, ossia sulla nostra carne, quando, dopo la vecchia vita di peccato, usciamo dal bagno battesimale; essa apporta la pace con Dio; essa è stata mandata dal cielo, ove la Chiesa è la figura dell'arca » U 7 . Secondo la teologia di IRENEO, il paradosso dell'arca quale modello della Chiesa consiste nel fatto che è sempre il Signore a mandare l'acqua letale del diluvio e l'acqua vivente della Chiesa. Questo pensiero si trova già in GIUSEPPE FLAVIO, il quale designa come « paradoxon » il fatto che l'acqua del diluvio sia stata principio di salvezza per alcuni 118 . Occorre pertanto considerare un po' più da vicino la ecclesiologia di Ireneo, poiché ha esercitato un grande influsso sulla ecclesiologia dei secoli posteriori e allo stesso tempo contiene nel modo più chiaro gli elementi della teologia giudeo-cristiana del II secolo. La Chiesa può essere paragonata all'arca costruita con legno immarcescibile 119. Nella Demonstratio, Ireneo richiama espressamente l'attenzione sulla unicità di Noe, a noi già nota dalla teologia giudeo-cristiana, nella quale è stata preannunciata l'unicità del redentore Cristo: « Quando attraverso il diluvio il giudizio di Dio venne sul mondo, nella decima generazione dopo la creazione del mondo, si trovò un unico giusto, Noe. Mediante 117 De baptismo, S, 4 (CSEL 20, p. 207, 1. 28 - p. 2C8, 1. 1): qui il testo viene reso secondo la lezione di un'unica trasmissione: « de caelis, ubi Ecclesia est arca figurata ». Nel testo di Cor. Ckrist. I, p. 283, 1. 77 si trova: « Dal cielo, ove si trova la chiesa raffigurata dall'arca ». - Secondo la teologia biblica di Tertulliano, Noè è, assieme ad Adamo, una prefigurazione di Cristo e della Chiesa, e cioè del « Christus monogamus in Spiritu, unam habens Ecclesiam sponsani » : De monogamia, 5, 4-7 (Cor. Christ., II, p. 1235, 1. 44-48). 118 Antiquitates, 2, 16, 5, § 347. - Per il medesimo concetto del paradosso del diluvio che uccide e che salva nella teologia di Ireneo, cfr. J. DANIÉLOU, Sacramentum Futuri, p. 71. 118
Adv. haer., 3, 24, 1 (HARVEY II, p. 131).
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la sua giustizia, egli trovò salvezza per sé, per sua moglie e per i suoi figli, rinchiusi nell'arca » 12 °. Come il messaggio di Cristo è contenuto nei quattro vangeli, così la preparazione della salvezza operata da Dio ha conosciuto quattro testamenti: il patto con Noè, con Abramo, con Mosé e con Cristo m . La funzione determinante che vi esercita il diluvio universale e la salvezza sul legno dell'arca, è espresso nel miglior modo nel simbolo della fede, quando Ireneo parla della lettera di Clemente e ricorda esplicitamente il diluvio intercorrente tra Adamo e Abramo : « Unum Deum omnipotentem, factorem caeli et terrae, plasmatorem hominis, qui induxerit cataclysmum et advocaverit Abraham » 122. In seguito al diluvio l'unico salvato, Noe, rappresenta la continuazione ininterrotta del seme adamitico ed ha, nella storia della salvezza, il compito di conservare il « tipo primitivo dell'uomo, la figura di Adamo » 123. L'arca è come l'albero del paradiso, la immagine della caduta e della redenzione della stirpe di Adamo in virtù del legno 124 . Allorché Dio gli diede l'incarico di costruire l'arca, « Noe ricevette la misura del mondo per la seconda generazione » 125. Noè dunque, per questa dommatica biblico-teologica, è come il secondo Adamo e il modello di Cristo, che costruisce l'arca della Chiesa come nave della salvezza prima del cataclisma definitivo del giudizio finale. Con120
Demonstratio, i, 2, 19 (BKV, 2 ed., IRENEO, II, p. 596). Adv. haer., 3, 11, 8 (HARVEY II, p. 50). Adv. haer., 3, 3, 3 (HARVEY II, p. 11). 123 Adv. haer., 4, 36, 4 (HARVEY II, p. 279). Ci ricordiamo delle espressioni della Caverna dei tesori siriaca a proposito del cadavere di Adamo nell'arca e della sua inumazione sul monte Golgotha. 124 Adv. haer., 5, 16, 3 e 5, 17, 4 (HARVEY II, p. 368; p. 371). 125 Adv. haer., 4, 16, 2 (HARVEY, II, p. 190). 121
122
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seguentemente in un frammento siriano di Ireneo, il Logos viene chiamato il « pilota dell'arca di Noe » : « Hic (Logos) enim est qui Noemo fuit nauta, ipse direxit Noemum in navi » 126 . Ciò richiama alla mente le parole della Caverna siriana dei tesori: « Sul tetto dell'arca c'era l'angelo del Signore quale pilota » 127 . Di grande importanza, soprattutto per Ambrogio e per la formazione di testi liturgici, è stata la teologia dell'arca che si trovava in IPPOLITO DI ROMA, il quale ha senza dubbio raccolto pensieri della primitiva teologia simbolica giudeo-cristiana soprattutto mediante Ireneo. Nel commento al Cantico dei Cantici, Ippolito dice esplicitamente che Noe fu giustificato e fu salvato nell'arca in virtù del Redentore futuro 128. Forse il più bel brano teologico della tipologia dell'arca rispetto a Cristo e alla croce si trova nei frammenti ippolitiani sul Pentateuco (lasciamo da parte il problema della loro autenticità). In essi l'arca diventa una grande nave a prova di mare : « La nave si sollevò dai piedi del monte santo, l'acqua la trasportò, ed essa solcò il mondo in tutte e quattro le direzioni, tracciando una croce e dirigendosi dal monte santo verso occidente, in su verso il nord e quindi verso il sud; dopo ritornò verso oriente e si posò sul monte Kardu. Ciò allude alla croce; e l'arca, ossia la nave, è il Cristo atteso; l'arca infatti era la fonte della salvezza di Noe e dei suoi figli e degli animali domestici, delle belve e degli uccelli, poiché Cristo morì per noi in croce e ci ha salvati da satana e dal peccato ... e come l'arca ritornò verso la
* Frammento siriaco di Ireneo, 30 (HARVEY II, p. 461S). Cfr. sopra, nota 62. 188 Comment. in Cani. Cani., 2 (TU 23, p. 29, 1. 5-11).
127
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PADRI
l'oriente e si posò sul monte Kardu, così Cristo compì il suo faticoso viaggio e tornò in cielo, nel seno del Padre, e sedette sul trono glorioso alla destra di questi » 129 . Molti brani di questi frammenti di Ippolito ritornano nella Caverna dei tesori siriaca, ove è detto: « E l'arca volò sulle onde con le ali del vento, da oriente verso occidente, da nord verso sud, e così descrisse una croce sull'acqua » 130. La seconda omelia di ORIm GENE sulla G e n e s i vede ancora più chiaramente nell'arca una nave costruita dal vero Noe Cristo e nel diluvio l'immagine degli avvenimenti del giudizio escatologico 132. Il vero Noe della storia della salvezza è Gesù Cristo, che salva il suo popolo nell'arca della Chiesa, da lui costruita quale « architectus Ecclesiae » 133 : « Spiritualis Noe Christus in arca, id est in Ecclesia sua » 134. Segue un'artificiosa ed elegante allegoresi delle dimensioni dell'arca, già accennata a suo tempo da Ireneo, e della quale qui non intendiamo trattare a fondo, anche se, al dire di Origene, in essa sono con129 Frammenti arabi al Pentateuco IV iti Gen 8,1 (GCS IPPOLITO 2, p. 91). 130 Caverna dei tesori, 19, 5 (RJESSLER, p. 964). 111 GCS ORIGENE VI, p. 22-39. - Per la sua allegoresi dell'arca, Origene si richiama sia alla tradizioned ell'insegnamento ecclesiastico (quae nobis sunt a maioribus tradita: p. 22, 1. 18), sia alla tradizione giudaica (hebraicarum traditionum: p. 29, 1. is). 132 G C S VI, p. 30, 1. 7: « F o r m a m tenens finis illius qui vere futurus est mundi ». Indi rinvia espressamente a Lue I7,26s. Una riguardevole allegoresi alessandrina accenna al futuro diluvio di fuoco. L'arca di N o è è costruita in forma piramidale come simbolo della futura purificazione del m o n d o mediante il fuoco, Così già
I,
in CLEMENTE ALESSANDRINO,
Stromata, 6,
11,
86
(GCS CLEMENTE II,
p. 475,1. 5). - ORIGENE, Homilia 1 in Genesim (GCS VI), p. 23,1. 18). " 3 GCS VI, p. 33, 1. 17S. 151 G C S VI, p. 34, 1. 29S.
L'ARCA DI NOÈ COME NAVE DELLA SALVEZZA
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tenute molte prefigurazioni della Chiesa 135. Ciò che intendiamo mettere in evidenza è il rapporto dell'arca e della Chiesa con Cristo, poiché « anche al nostro Noè, l'unico veramente giusto e perfetto, e cioè al nostro Signore Gesù Cristo, fu impartito l'ordine di costruirsi l'arca dalle dimensioni piene di celesti misteri. Il vero Noè è nostro Signor Gesù Cristo ; se ' Noè ' significa ' riposo ', oppure ' giusto ', diciamo che soltanto Gesù è tale » 136 . Da tutto ciò vediamo ancora una volta che il rapporto tra arca e croce e, più precisamente, tra arca e Chiesa, sono inscindibili. È impossibile condensare anche nei suoi soli elementi principali la messe dei pensieri patristici riguardanti la tipologia dell'arca rispetto alla Chiesa. Agostino si richiama esplicitamente a Origene per la tipologia dell'arca e delle sue dimensioni 137 . Nelle celebri parole della Città di Dio, che tanto influsso esercitarono sulla tipologia, AGOSTINO esalta l'arca come modello della Chiesa, come « compagine molto ben connessa » e unitaria che abbraccia puri e impuri sino al momento della loro separazione alla fine della storia 138 . Nello stesso periodo, DIDIMO DI ALESSANDRIA riassume per la teologia
greca tale tipologia: «Il diluvio, che ha purificato il 135 In connessione con Eph 3,18 le dimensioni dell'arca vengono spiegate qui (p. 33s) nelle loro quattro direzioni cosmiche. Un'allegoresi questa, che avrà ancora una ricca storia. 136 GCS VI, p. 30, 1. 7-19; p. 31, 1. 6s e 15S: « Ingentium sacramentorum figurae»; p. 34, 1. 4:. - « Mensurae caelestibus sacramentis repletae»: p. 30, 1. 19. 137 Quaestiones in Heptateuchum, 1, 4 (CSEL 28, p. 5s). - De Civitate Dei, 15, 27 (CSEL 40, 2, p. 120,1. 4). - Ancora BEDA si richiama ad Origene (PL 91, 92 A), cosi pure REMIGIO DI AUXEHBE (PL 75 A). - Cfr. per ciò H. DE LUBAC, Exéghe Medievale, Parigi, 1959, v. 1, 2, p. 463-465 (vers. ital., Roma, 1962). 133 De Civitate Dei, 15, 27 (CSEL 40, 2, p. 122, 1. 11-16).
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mondo da una peccaminosità esistente da molto tempo, è come una profezia del battesimo; e l'arca che salvò gli uomini raccolti nel suo interno è il modello della santa Chiesa e l'immagine della nostra buona speranza che su di essa si fonda » 139 . Ricordiamo ancora una volta il già menzionato scritto latino, il trattato di GREGORIO DI ELVIRA sull'arca, poiché in esso si incontrano e fondono le ecclesiologie di Giustino, Ireneo, Origene e Cipriano, che di qui giungeranno alla teologia del primo medioevo, passando attraverso Isidoro di Siviglia. L'arca e le sue tavole incorruttibili diventano l'immagine della Chiesa, che resta con Cristo nel suo splendore finale: « Arca est Ecclesia semper cum Christo mansura ». Noe, inteso come « quiete » e come « giusto », è il modello di Cristo. Le dimensioni dell'arca vengono interpretate sulla base del numero 300, simbolo della croce. I 30 bracci sono immagine della vita di Gesù, la costruzione dell'arca sino al vertice significa che la natura umana, assunta dalla Parola Eterna, è il fine supremo e il significato più profondo della redenzione mediante il legno della croce 14 °. Anche nel Tractatus Origenis egli espone la tipologia dell'arca nei confronti della Chiesa, restando pienamenla<
140
DIDIMO, De Trinitate, 2, 14 (PG 39, 696 AB).
Edizione di A. WILMAET, in Revue Bénédictine 26 (1909) p. 1-12: tldeo in unum cubitum arcae fabrica consummatur, quia in uno Christi torpore et in gratta passionum eius omnis plenitudo trai Ectlesiae redigendo* (1. 159-161). - « Usque ad unum cubitum, id est usque ad mensuram suscepti kominis qttem induit Dominus » (1. 148-150). - Anche Agostino, che paragona le dimensioni dell'arca con la statura del corpo umano, passa immediatamente a parlare del corpo del Verbo incarnato : « Mensurae ipsae longitudini! et Iatitudinis eius (arcae) significai corpus humanum in cuius ventate ad homines praenuntìatus est venturus et venti*: De Civitate Dei, 15, 27 (CSEL 40, 2, p. uós).
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te fedele al pensiero del maestro alessandrino: «In cataclysmo nemo naufragium orbis evasit nisi qui in arca Noe meruit reservari quae typum Ecclesiae portendebat » 141 . In base a quanto detto sin qui, ci sembra importante sottolineare il cristocentrismo della ecclesiologia patristica, elaborata a partire dal tipo dell'arca. Crediamo che proprio questa sia la migliore eredità della teologia giudeo-cristiana del primo e secondo secolo e cioè il concetto così spesso enunciato della unicità di Noe e della salvezza data agli altri uomini radunati nell'arca, salvezza che viene concessa loro soltanto a cagione di Noe. La tipologia della dommatica patristica descrive così la posizione unica del Messia quale vero Noe. Come già diceva Giustino, Cristo e la sua Chiesa sono la fine dell'antica stirpe del peccato e il nuovo inizio della vita data soltanto in lui, della nuova ed eterna generazione, che è salvata nell'arca della Chiesa. Cristo è Noè 1 4 2 . Anche EFREM SIRO ci ha conservato questa eredità della teologia siriana : « Noe offri il sacrificio ed arrestò i flutti ». In ciò egli è divenuto il modello di Cristo. La poetica preghiera efre141
Tractatus Origenis, XII (ed. P. BATITFOL, Parigi 1900, p. 139,
1. 21-23). 142
Qualche altro testo: PS.-IPPOUTO (PG io, 857 C). - EPIFANIO
(PG 41, 647 AB). - CIRILLO ALESSANDRINO (PG 69, 67 AB). - CRISOSTOMO (PG 48, 1037 CD; PG 57, 205). - PROCLO (PG 65, 760 C). - GIOVANNI DAMASCENO (PG 96, 6245). - AGOSTINO. Centra Fau-
stum, 12, 16 (CSEL 25, p. 345). - Viceversa anche Ambrogio chiama Noe « aedificator Ecclesiae», in Commetti, in Lucam, 3, 48 (CSEL 32, 4, p. 135, 1. 23). - Del resto ciò è già una tradizione della teologia del tardo giudaismo. Il libro di Enoch, 71, 14 dice di Noe: «Tu sei il figlio dell'uomo, che è stato generato alla giustizia ». Cfr. per ciò H. GRESSMANN, Der Messias, Gottinga 1929, p. 350; p. 356; p. 378. - Cfr. anche LUNDBERG, p, 75. - DANIÉIOU, Sacramentum Futuri, p. 64-66.
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miana è rivolta direttamente a Cristo : « La tua croce solcherà il mare. La tua grazia creò una terra di legno e l'arca generò nuova vita sul monte ». « L'arca scivolò via sulle onde, portata dal tuo amore » 143 . IPPOLITO DI ROMA enuncia la tipologia di Noe nei confronti di Cristo con un'espressione quasi contraddittoria, con cui Noe viene detto il pio ed amato da Dio, che è salvato « solo » e ad un tempo con tutta la sua famiglia : μόνος άμα γυναικί και τέκνοις 1 4 4 . Γη queste due parole μόνος άμα, « solo, ma insieme », è contenuto tutto il mistero dell'importanza salvifica della Chiesa. La salvezza è stata promessa soltanto a Noè, ma in pari tempo anche a coloro che vengono salvati mediante il legno dell'arca. Nell'opuscolo chiamato Caena, falsamente attribuito a Cipriano, Noe viene paragonato a Cristo, e l'entrata nella nave di legno alla salita del legno della croce : « Includitur Noe, suffigitur Christus » 145 . Nella catechesi battesimale di CIRILLO DI GERUSALEMME la tipologia di Noè rispetto a Cristo viene spiegata ai semplici fedeli secondo la tradizione primitiva: « Come a quegli (Noè) fu elargita la salvezza per mezzo di legno e di acqua, ossia come inizio di una nuova generazione, così pure lo Spirito Santo di143
Carmina Nisibena, ι, ι (BKV, a ed., EFREM I, p. 2525; p. 254). Elenchos, io, 30 (GCS IPPOLITO III, p. 286, 1. i6s). - Questa dialettica tra « solo » e « insieme » si fonda naturalmente sulle parole di Gen 7, 1 LXX: σύ καΐ πας ό οίκος σου, e viene continuamente espressa nella teologia dei Padri. Cfr. ad esempio ORIGENE, Homiliae in Ezechielem, 4, 8 (GCS 8, p. 369, 1. 25) : solus cum filiis suis. - AGO STINO, Contra Faustum, 12, 15 (GCS 25, p. 345, 1. 19-24): «Che Noè assieme ai suoi (ipse cum suis) raggiungessero il numero otto, significa che in Cristo si è manifestata la speranza della nostra resurrezione, poiché egli risuscitò dai morti l'ottavo giorno ». 145 TU, Nuova Serie, 4, 3D, p. 13. - Cfr. per ciò J. FINK, Noe der Gerechte, p. 98, nota 453. 144
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scese sul vero Noe, il creatore di una nuova stirpe ... affinché sia chiaro che è lui stesso che sul legno della croce ha salvato i credenti » 146 . Una predica indebitamente attribuita a Gregorio il Taumaturgo, e che dipende dalla suesposta dottrina di Cirillo di Gerusalemme, afferma : « Dio Padre aprì le porte del cielo e inviò lo Spirito Santo sotto forma di colomba sul capo di Cristo quale nuovo Noe, il buon pilota della natura naufraga » 147. Cristo solo è la vera quiete (Mat 11,28), il vero Noè, come dice ILARIO nel suo trattato sui misteri : « Erit ergo huic Noe Dominus noster, qui Verbum caro factum est, comparatus » 148 . E ANASTASIO SINAITA dice a proposito di Noe e della sua arca, che essi prefiguravano il Cristo futuro : « Quae quidam est verus et ccrtus typus Christi » 149 . L'influsso esercitato dal confronto tra arca e Chiesa, che torna continuamente nella catechesi battesimale e nella dommatica ecclesiale dei Padri, si spiega col fatto che molto presto anche la Chiesa particolare ο Chiesa episcopale viene designata come arca del vero e spiri146
Cattai., 17, io (PG 33, 981 AB). In S. Theophaniam, 4 (PG i o , 1188 C ) . Per il problema del l'origine di questa predica cfr. BARDENHEWER, V. 2, p. 332. 148 Tractatus mysteriorum, 1, 13 (CSEL 65, p. 13, 1. ios). - Cfr. 1, 13 (p. 14, 1. I s ) : «Christus oh imminens iudicium in dottrinai et ecclesiae suae arcam filios et genitos recondit ». - Per la teologia del solus Noe cfr. ad esempio ancora GREGORIO D I ELVIRA, De arca, 1. 24-26; «Ipse solus cum d o m o sua salvatus est». - CIPRIANO, De ìapsis, 19 (CSEL 3, p. 251): «Solus iustus inventus est in terris ». Cfr. per ciò J. FINK, Noe der Gerechte, p. 72. - AMBROGIO, De qfficiis, 1, 25 (PL 16, 50 B) : « Solus ex omnibus superstes ». - ISIDORO DI SIVIGLIA, Quaest. in Vet. Test., 7 (PG 83, 230 C ) : « Solus Christus iustus atout perjectus... sicut Noe Me cum suis per lignum et aquam salvatur, sic familia Christi per baptìsmum et crucis passìonem salvatur ». - N o è come re in prefigurazione di Cristo, cfr. in J. FINK, Noe, p. 97, nota 448. 149 Hexaemeron, 5 (PG 89, 914S). 147
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tuale Noe, Cristo. In una lettera GEROLAMO paragona la Chiesa romana all'arca di Noè 150. Nell'orazione funebre per il proprio padre, GREGORIO NAZIANZENO, dopo aver detto che la Chiesa episcopale di Nazianzo è un'arca, così continua : « Il vescovo trasformò la sua Chiesa in una nuova Gerusalemme, e come il grande Noe, padre di questo mondo nuovo, la trasformò in una seconda arca navigante sulle onde » 1S1. La medesima immagine torna nel discorso in lode di Basilio : « A Noe fu data l'arca e la semenza di un secondo mondo, afEdata al legno e salvata di mezzo alle acque ... Così Basilio trasformò la sua città nell'arca della salvezza, che navigò leggera sulle onde delle eresie » 152. Citiamo ancora alcuni testi presi dalla tarda latinità patristica: nella Vita di san Remigio, la Chiesa di Remis viene chiamata arca e il suo timoniere diventa un vero Noe: « In eo quod inter amarissimos huius saeculi fluctus rneritorum atque virtutum, orationum ac praedicationum remigiis sanctam ecclesiam ad portum aeternae salutis gubernavit, sicut Noe qui arcam praesignantem ecclesiam in diluvio rexit » l 5 3 . Anche nella biografia di Cesario di Arles, il vescovo viene lodato come un nuovo Noè, proprio perché fondò nella sua città epi150 Epistola, 15, 2 al papa Damaso (CSEL 54, p. 64, 1. 39). Egli dice a proposito della Chiesa romana : « Chi n o n abita nell'arca di Noè, affonderà nei giorni del diluvio ». - Anche per Ambrogio la Chiesa è paragonabile all'arca: De Noe et arca, 19, 70 (CSEL 32, 1, p. 464, 1. 22s). 151 Oratio 18, 17 (PG 35, 1005 B ) . "· Oratio 43, 70 (PG 36, 592). - Cfr. anche GREGORIO N A Z I A N ZENO, Cantra Iulianum, 1, 18 (PG 35, 545): « N o e venne salvato e salvò in una piccola nave il mondo, i semi dei popoli ». - Per l'arca come simbolo della Chiesa universale, cfr. PG 37, 1243 A. I5S Vita Remigli, 30 (MG Script. Merov. Ili, p. 327, 1. 4-7).
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scopale un convento per donne, simile ad un'arca: « Quasi recentior temporis nostri Noe » 154 . Come si vede, l'immagine dell'arca si stringe sino a divenire, nella pietà del primo medioevo, un simbolo molto usitato e perciò logoro. La ecclesiologia patristica è interessante anche da un altro punto di vista, a motivo di un'immagine, che già abbiamo incontrato spesso nella teologia del tardo giudaismo e in quella giudeo cristiana, e che qui va studiata data la sua importanza. L'arca di Noe è divenuta il principio della nuova stirpe dei salvati, poiché essa, a somiglianza di un seno materno, conteneva i germi della nuova vita innocente. Su questa base la teologia dei Padri ha sviluppato uno dei suoi temi dottrinali più profondi: la dommatica del seno materno della Chiesa, da cui promanano i figli di una nuova stirpe salvati nel battesimo 155 . Già le omilie dello PS.-CLEMENTE parlano dell'arca come inizio della nuova progenie 15e . FILONE designava la sorte della famiglia di Noe come il nuovo principio di una stirpe innocente 157. Nel IV Libro dei Maccabei, un giudeo alessandrino del primo secolo paragonava l'eroica madre dei Maccabei all'arca : « Essa era simile all'arca di Noè nel diluvio che sommergeva l'universo; conteneva in 154
Vita Caesarii, i, 35 (MG Script. Merov. Ili, p. 470, 1. 7s). Per la dottrina del fonte battesimale, e quindi dell'arca come seno materno, dobbiamo ricordare quanto abbiamo detto più sopra a proposito del carattere muliebre della nave nella cultura ellenistica. - Cfr. anche H. R A H N E R , Griechische Mythen, p. 114-117. 15 « PS-CLEMENTE, Homilia 8, 17 (PG 2,236 C ) ; (GCS P S . - C L E M E N TINE I, p. 128, 1. 21-25): ένί τ ι ν ι δ ι α κ α ί ψ όίμα τ ο ι ς λ ο ι π ο ΐ ς . N o è in quanto δ ί κ α ι ο ς anche in Homilia 17, 4 (PG 2, 385 C ) ; Homilia 18, 13 (PG 2, 416 A). 157 De praemiis et poenis, 23 ( C O H N V, p . 340S). - Legendae allegoricae, 3, 24 ( C O H N I, p. 129). 155
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sé il mondo vivente e resisteva a ondate gigantesche » 158 . Nel « Libro dei Giubilei » Noe viene chiamato « padre della stirpe pia » 159 : Ci troviamo quindi sempre nella linea di questa teologia della salvezza che ha inizio in Noe e i suoi, quando GIUSTINO afferma le stesse cose a proposito di Cristo considerato come novello Noe, e fa iniziare il compimento della salvezza con la rigenerazione dell'acqua nella virtù del legno della croce: Cristo è αρχή πάλιν άλλου γέν ους 1 6 0 . Attingendo immediatamente da Filone, ORI GENE dice che Noe è il progenitore di tutti i nati dopo il diluvio e che l'arca raccoglie in sé tutti gli esseri viventi. Nella seconda omilia sulla Genesi, asserisce che la dimensione dell'arca è cosi grande da poter contenere tutto il mondo : « Quae vere totius mundi reparanda germina et universorum animantium capere potuerint rediviva seminarla » 1 β 1 . Spieghiamo quindi brevemen te il significato che ha nella storia della salvezza l'arca quale seno materno e la funzione che svolge come ini zio e modello della comunità dei rinati in Cristo, la Chiesa, che, per dirla con IRENEO 162 , conserva per sempre in se stessa il « germe della giustizia ». Data la dipendenza spesso anche letterale di AMBROGIO da Filone, è evidente quale sia la ragione precisa per cui gli stia tanto a cuore il parlare di questa esemplarità di Noè rispetto alla nuova stirpe. Noè è auctor generationis futura;, il progenitore di tutti gli uomini futuri, che, as158
1S8
4 Macc 15, 3is
(CHARLES II, p.
681. - RIESSLER, p . 724).
Libro dei Giubilei, io, 3-6 (CHARLES II, p. 28). »° Dialogus, 138, 6 ( O T T O II, p. 486). lel Homiliae in Genesin, 2, 2 (GCS ORIGENES VI, p. 29, 1. <>-I2). - Adversus Ceìsum, 4, 41 (GCS ORIGENE I, p. 314): N o è quale seme di tutti i viventi. 1,2 Demonstratio, 1, 2, 18 (BKV, 2 ed., IRENEO, II, p. 545).
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sieme alla sua famiglia salvata, come « resto della stirpe passata, fu generato più per il mondo che non per se stesso » 163 . Nel suo opuscolo su Noe e l'arca, egli così scrive : « In diluvio per arcam Noe servatae sunt reliquiae generis humani ad seminarium reparationis et renovationis futurae » 164 . Egli paragona Noe a Cristo quale costruttore della Chiesa. « Quando si tratta della genealogia di nostro Signore, non si può omettere di menzionare Noe, poiché il costruttore della Chiesa lo aveva mandato innanzi come progenitore della stirpe umana, come colui che ha istituito la Chiesa nel prototipo » 165 . « Noe il giusto è il seme di tutte le cose future » 166 . GREGORIO NAZIANZENO chiama l'arca e tutto ciò che vi era dentro « il seme del secondo mondo, il legno di poco conto, che contiene la salvezza sulle onde » 167 . Noe è il modello di Cristo, « poiché salva tutto il mondo su di un miserabile legno » 168 . Servendosi dell'immagine della scintilla, a noi già nota, Crisostomo, generalmente così contrario alle spiegazioni allegoriche, parla dei μυστήρια dell'arca come mo dello esemplare delle cose future, compiutesi in Cristo. 163
De qfficiis, i, 25,121 (PL 16, 59). De Noe, 5, 11 (CSEL 32, i, p. 421, 1. 2-4). Per le « reliquiae generis humani » si pensa anche senza volerlo a ciò che già dicevamo a proposito delle reliquie dell'arca. 1115 Comment. in Lucani, 3, 48 (CSEL 32, 4, p. 135SS). - Cfr. N o è nella genealogia di Cristo in Lue 3, 26. 1M Cfr. AMBROGIO, In Psalmum 39, 6 (PL 14, 1060 A) : « Noe iustus semen futurorum». - Cfr. ancora De Noe, 1, 1 (CSEL 32, 1, p. 413, 1. ss) : « N o e , quem Dominus Deus ad renovandum semen h o m i n u m reservavit, ut esset iustitiae seminarium ». 197 Oratio 43, 70 (PG 36, 592 Β ) : κ ό σ μ ο υ δ ε υ τ έ ρ ο υ σ π έ ρ μ α τ α ξ ύ λ ω μ ι κ ρ φ σ ω ζ ό μ ε ν α . - Orario 4. 18 (PG 35, 545 C ) : τ ο ϋ δευτέρου κ ό σ μ ο υ π α τ ή ρ . iea Oratio 28, 18 (PG 36, 49 A). - Oratio 18, 17 (PG 35, 1006 Β). 164
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« Noè è la scintilla della nostra stirpe, una scintilla in mezzo alle onde marine. Perciò l'arca non può subire naufragio, poiché imbarca, quale timoniere, il Signore di tutte le cose. La Chiesa dunque è simile all'arca, e Noè significa Cristo, e la colomba lo Spirito Santo. E come l'arca salva in mezzo alle onde coloro che sono in lei, così la Chiesa salva tutti gli erranti » 169 . Noè è il principio e la radice di quelli che sono nati dopo il diluvio 17°. Questa dommatica della necessità salvifica della Chiesa e di Cristo novello Noè, pervade le omelie che Boccadoro ha tenuto su Noè e l'arca m. Ma poiché ora questa salvezza viene data agli uomini nella Chiesa soltanto mediante la rigenerazione dal sacramento del battesimo, per questo i Padri greci paragonano volentieri il sacramento del battesimo e quindi l'arca con il seno materno ( μ ή τ ρ α ) 1 7 2 : «L'arca di Noè divenne, nel naufragio, il seno materno della nuova vita » 173 . E siccome il numero di coloro che si salvarono nell'arca era di otto, e otto rappresenta il giorno della resurrezione di Cristo, la croce e la resurrezione divengono 169 Hotnilia de Lazaro, 6, η (PG 48, 1037S). - Cfr. anche l'umilia penitenziale 7, 1 (PG 49, 336s). - Homilia 22 in Genesim (PG 53, 187 A). 1,0 Homilia 26 in Genesim (PG 53, 236). Noè qui viene chiamato ζύμη τις καΐ αρχή καΐ ρίζα. 171 Homiliae 22-29 '« Genesim (PG 53, 185-273)· "• Per la dottrina greca della vasca battesimale come μήτρα, cfr. PS.-DIONIGI, Hierarchia ecclesiastica, 2, § 7 (PG 3, 396 C): μήτρα υίο&εσίας. - CRISOSTOMO, Homilia 26, I In Ioannem (PG 59, 153 B): « Pertanto ciò che è il seno materno per l'embrione, ciò procura al credente l'acqua. Nell'acqua egli viene trasformato e formato ». Cfr. H. RAHNER, Griechische Mythen, p. iiós. 173 PROCLO, Oratio 2 in S. Andream (PG 65, 824 C) : « Guarda come l'arca nel naufragio diventa seno materno della vita ». Già conosciamo l'espressione di una predica di BASILIO DI SELEUCIA, che chiama l'arca l'embrione e il seno gravido della creazione (PG 85, 97 C).
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la vera rigenerazione della nuova stirpe, al cui capo, quale nuovo Noe, c'è il Cristo 174. È ancora una volta GIOVANNI DAMASCENO che conclude e trasmette questa ecclesiologia riccamente immaginifica : « Noè ha salvato nell'arca le virtù seminali del secondo cosmo, e cosi è diventato il principio di una nuova stirpe, quale tipo di Cristo, che sul legno della croce ha salvato la nuova stirpe » 175 . Per accennare alla continuità di questa dottrina sino alla teologia bizantina, ricordiamo ancora una predica di MACARIO CRISOCEFALO per l'esaltazione della croce: In mezzo al naufragio dell'universo, l'arca rappresenta il tipo della croce; perciò salvò i semi germinali di una nuova stirpe, che ebbe inizio l'ottavo giorno, nella Pasqua del Signore, quale principio dell'eternità senza fine, che è già presente in Cristo e che fu preannunciata nel mistero dell'arca 176. Tale simbolica dell'arca come inizio prefigurativo della nuova progenie dei salvati nella Chiesa, restò viva anche presso i Padri latini. GEROLAMO parla di Noe come della « secunda radix humano generi » 177 . Così a suo tempo aveva detto anche ORIGENE. Noe è « quodam modo secundi rursus orbis creator » 178 . Cassiodoro riunisce come in un mosaico le immagini che ormai ci sono tanto familiari. Per lui la Chiesa è l'arca di Noè quale 1,4 Cfr. ASTEKIO, Sermo in Psalmum 6 (PG 40, 488 BD). - Cfr. per ciò J. DANIÉLOU, Saaamentum Futuri, 79. Del resto in ASTERIO (PG 40, 448 C) si trova anche il paragone dell'arca con il sepolcro di Cristo, in cui il Signore riposa e perciò diventa Noè, ossia άνάπαυσις, così come nella leggenda il corpo del primo Adamo riposava nell'arca. "» Homilia 4> 25 in Sabb. Sanctum (PG 96, 624 B). " · PG 150, 181 BC. "* Aduersus Iovinianum, 1, 17 (PL 23, p. 236 B). "· Homiliae in Ezechielem, 4, 8 (GCS Vili, p. 369, 1. 27).
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seno materno della vita; perciò, come in un inno, egli così le parla : « Tu attraversi sicura il mare di questo tempo terrestre e la tremenda tempesta delle eresie, poiché sei simile a quell'arca di Noe che porta palesemente in sé la tua immagine. Tu attraversi il tempo seguendo una rotta senza pericoli per i credenti, senza che ti sovrasti la minaccia di un nuovo diluvio universale; e ciò che si trova al di fuori del tuo seno vitale, non può che finire in un mortale naufragio » 179. Il poema Contro Marciane, dipendente da Tertulliano, afferma che Noè fu preservato, assieme con la sua famiglia, in mezzo al mortale pericolo delle onde, per dare inizio ad una seconda generazione : « Promeruit tantis ereptus mortis ab undis et cum prole sua servatus in altera gente » 180 . Né la teologia della tarda latinità si è dimenticata della dottrina dell'arca quale seno materno della nuova generazione in Cristo. Leggiamo infatti nella esposizione del gallico CIPRIANO sulla Genesi: « Arca venturisque parens servabat semina saeclis, naufragio secura suo » 181 . Anche nell'introduzione alla 178 Expositio in Psalterium, Praef. 17 (PL 70, 23 A B ) : «Quidquid enim repcritur praeter vitale gremium tuum mortiferum constai esse naufragium ». - Cfr. per ciò H. R_AHNER, Mater Ecclesia, Einsiedeln 1944, p. 119. - Cfr. anche Expositio in Psalmum 118 (PL 70, 901 A). Expositio in Psalmum 131 (PL 70, 950 B). - Il paragone tra nave (arca) e seno materno viene richiesto in latino dalla somiglianza delle parole alveus=alveo ο carena, e alvus=seno materno. Cfr. ENNODIO, Dictio 13, il (CSEL 6, p. 467, 1. 7s), ove, a proposito del fonte batte simale, vien detto : « Mater virgo sacri fontis alvus effudit ». - V I T TORE D I VITA, Historia 2, 50 (CSEL 7, p . 43, 1. 231): « Crispantem benedixit alveum fontis ». - In greco ά μ φ ι μ ή τ ρ ι ο ν significa il ventre della nave e il seno materno. Cfr. POLLUX, Onomastikon, i, 87 (ed. DINDORF, Lipsia 1824, p. 26). - Cfr. anche PG io, 777, nota 1. 180 Carmen adversus Marcionitas, III, p. 23-28 (Cor. Christ. T E R TULLIANO II, p. 1434). 181 Heptateuchos, Genesis 295S (CSEL 23, p. 12).
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storia ecclesiastica dei Franchi, scritta da GREGORIO DI TOURS, si legge: «Non dubito che quest'arca sia stata il modello della madre Chiesa; la Chiesa infatti attraversa le onde e gli scogli di questo tempo terreno e ci salva dai mali minacciosi, portandoci nel suo seno materno e circondandoci con un pio abbraccio (materno gestamine fovens pio amplexu) 182. Qui bisogna almeno accennare ad un'ultimo tratto della teologia dell'arca. Generalmente FILONE DI ALESSANDRIA paragona l'arca al corpo umano: την κιβωτον λέγω δε το σώμα 1 8 3 . Oppure, in un altro passo: «L'ar ca è un simbolo del corpo umano, che attraversa ineluttabilmente i selvaggi e furiosi semi di corruzione delle passioni » 184 . Questo aftievolimento della tipologia dell'arca in favore di un moralismo psicologico è caratteristico di Filone, e quindi anche di Ambrogio, dato che il suo opuscolo sull'arca dipende quasi esclusivamente da Filone e generalmente diluisce l'esemplarità dell'arca in una antropologia moralizzante 185. Anche per lui, le dimensioni dell'arca, date da Dio a Noe, sono un richiamo all'armonia delle dimensioni del corpo umano : « In (arcae) exaedificatione descriptam humani figuram corporis » 186. Più precisamente: l'arca 182
Hist. Frane, i, 4 (PL 71, 164 B). De conf. ling., 105 ( C O H N - W E N D L A N D II, p . 249, 1. 6). 184 De plantatione, 43 ( C O H N - W E N D L A N D II, p. 142, 1. 11-13). - Quod deterius, 170 ( C O H N I, p. 296). 185 Tuttavia Ambrogio interrompe a volte il suo trattato un pò troppo filosofico con inserzioni per cosi dire « sacramentali », dovute certamente all'influsso di Ippolito. C o m e esempio ricordiamo l'inno di lode alla resurrezione della carne, prefigurata dall'arca: De Noe, 13, 45 (CSEL 32, 1, p. 442S). ise £>e N 0 E I g^ !j (CSEL 32, 1, p. 422, 1. is). - Cfr. Exameron, 6, 9, 72 (CSEL 32, 1, p. 258, 1. 23S): «Denique etiam in Genesi arca N o e ad fabricam humani corporis ordinatur ». 183
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è il simbolo del principale animae, άεΙΓήγεμονικόν, del centro più intimo del cuore umano; è quindi il simbolo dell'isolamento morale della persona umana, che, a somiglianza dell'arca, manovra in mezzo al diluvio del pericolo morale. L'arca è il « principale cordis vel animae ... foris diluvium, foris periculum » 187 . Ma proprio qui si impone anche l'interpretazione « sacramentale » della tipologia dell'arca. E stato soprattutto AGOSTINO ad accettare la dottrina di Ambrogio dell'arca come simbolo del corpo umano, elevandolo però al corpo del Verbo Incarnato 188. L'arca è il simbolo del corpo umano salvifico di Cristo. Anche in questa suprema identificazione di Chiesa e Corpo di Cristo, possiamo applicare all'ecclesiologia dei Padri la famosa espressione di Tertulliano : « Caro salutis est cardo » 189. Soltanto se supponiamo questa identificazione tipologica tra arca e corpo di Cristo, comprendiamo meglio una dottrina immediatamente connessa con la devozione diffusa sin dai tempi di Giustino, Ireneo e Ippolito, e quindi popolare nell'antica tradizione del18
' De Noe, i l , 38 (CSEL 32, 1, p. 437, 1. 5-12). De Civitate Dei, 15, 26 (CSEL 40, 2, p. 116,1. 25-p. 117, 1. 1): « Mensurae arcae significant corpus h u m a n u m , in cuius ventate ad homines praenuntiatus est venturus et venit». - Contra Faustum, 12, 14 (CSEL 25, p. 344, 1. 4 ) : Le dimensioni dell'arca raffigurano il corpo di Cristo (quia in corpore h u m a n o Christus adparuit). - Cfr. AGOSTINO, Epistola 187, 38 (CSEL 57, ρ. 115, l. 20s): il corpo u m a n o è tempio di Dio, t quod templum quamdiu sicut arca N o e in hoc saeculo fluctuat, fit quod in psalmo scriptum est: Dominus diluvium 188
inhabitat».
-
GREGORIO
DI ELVIRA,
De Noe
(WILMART
2,
p.
64S):
l'arca è « corpus Christi integrum ». - La medesima teologia cristocentrica della simbolica dell'arca ancora in BEDA, Hexaemeron, 2, (PL 9 1 , 88s). 1,8 De resurrectione mortuorum, 8, 2 (Cor. Chris., TERTUIXIANO Π, ρ. 931, 1. 6s).
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l'Asia Minore: la devozione alla ferita del costato trafitto del Crocifisso, considerata come fonte della vita della Chiesa, che di là promana. Ne abbiamo già parlato nel capitolo sulla fonte promanante dal corpo di Cristo. Quanto le due linee siano vicine lo vediamo in IRENEO, il quale dice a proposito della Chiesa: «Lo spirito Santo ha racchiuso la fede in un vaso preziosissimo e conserva giovanile il vaso, in cui si trova la fede. Nella Chiesa si trova la comunità con Cristo, ossia lo Spirito Santo, l'arca incorruttibile, la scala celeste per andare verso Dio ... Dove è la Chiesa, là è anche lo Spirito di Dio, e dove è lo Spirito di Dio là è anche la Chiesa ... Coloro però che non accolgono lo Spirito della verità, non ricevono la zampillante fonte di acqua che promana dal corpo di Cristo » 19 °. L'acqua viva della grazia cola dal fianco di colui che è morto sulla croce: ciò porta involontariamente l'uomo pio dei primi tempi a pensare alla porta dell'arca. Nel più recente studio su Ippolito è stata attirata la attenzione sull'importanza che ha in quella teologia il mistero del sangue e dell'acqua sgorganti dal costato di Cristo 191. Ancora una volta, alla fine della teologia greca, GIOVANNI DAMASCENO, nella sua profonda predica sul Sabato Santo, riassume il mistero del Verbo Eterno addormentato sulla croce; egli si serve dell'immagine dell'arca che ci porta a pensare alla leggenda, dommaticamente importante, di Adamo morto racchiuso nell'arca, ed allo stesso tempo richiama alla menl '° Adv. haer., 3, 24, 1 (HARVEY Π, p. 131S). - La lettura di Harvey « arrha incorruptelae » deve essere certamente mutata in « arca ». 191 Nell'edizione critica dell'omelia pasquale falsamente attribui ta a Ippolito (Sources chrétiennes, 27, Parigi 1950, p. 99, nota 2), P. NAUTDJ raccoglie i testi delle fonti dagli scritti autentici di Ippolito.
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te l'antiteticità del redentore morto e salvatore : «Noe era rinchiuso nell'arca e così salvò il seme per il secondo mondo e divenne la sorgente di una nuova generazione: proprio in ciò egli è divenuto il tipo del Cristo sepolto, che lava i peccati con il sangue e con l'acqua, che colano dal suo costato trafitto, e che quindi, mediante il legno della croce, ha redento tutta la nostra stirpe ed è diventato la guida verso una nuova vita e verso una nuova forma di esistenza » 192 . Questa spiegazione della porta situata sulla fiancata dell'arca fu portata a conoscenza della pietà occidentale attraverso la cristologia di Agostino e da quel tempo fa parte degli elementi originari della devozione patristica al cuore trafitto del Signore. Nella Città di Dio AGOSTINO così spiega le parole di Gen 6,16: « L'arca aveva sul fianco una porta: ciò significa palesemente quella ferita, che la lancia aprì nel costato del Crocifisso; attraverso questa porta, infatti, entrano tutti coloro che vengono a Cristo, poiché da essa sono sgorgati i sacramenti, mediante i quali i fedeli sono iniziati ai misteri » 193 . A questo punto Agostino si richiama esplicitamente alla dottrina, che aveva già esposto nell'opera contro il manicheo Fausto. L'arca si restringe in alto, egli dice, sino a misurare un solo piede, « così come la Chiesa è radunata nell'unità del Corpo di Cristo. Che sul fianco dell'arca sia stata praticata una porta d'ingresso significa che nessuno può entrare visibilmente nella Chiesa senza il sacramento della remissione dei peccati (battesimo), il quale sgorgò dal l
" Homilia in Sabbatum Sanctum, 25 (PG 96, 624 BC). "» De Ciuitate Dei, 15, 26 (CSEL 40, 2, p. 117, 1. 11-14).
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costato squarciato di Cristo » 194 . Le parole che forse esercitarono il maggior influsso nella storia della devozione alla ferita del costato del Signore si trovano nelle prediche di Agostino sul vangelo di Giovanni; esse vedono il mistero nella immagine di Adamo dormente e della porta praticata sulla fiancata dell'arca : « Bisogna aprire la porta della vita, da cui scorrono i sacramenti della Chiesa, senza i quali nessuno va alla vita vera ... Abbiamo un'immagine di ciò nel fatto che a Noè fu ordinato di praticare una porta sulla fiancata dell'arca, attraverso la quale dovevano entrare gli animali non destinati a perire; in ciò veniva prefigurata la Chiesa » 195 . Il vescovo AVITO DI VIENNE verso l'inizio del secolo VI, imita in questo punto il maestro Agostino. In una predica sulla passione del Signore prende lo spunto dalle parole del Salmo 131,8 {Surge, Domine, in requiem tuam, tu et arca sanctificationis tuaé), le mescola
stranamente con le parole riguardanti l'arca approdata in cima al monte e le applica al corpo del Redentore crocifisso ; poi così continua : « Ancor oggi riconosco tutto ciò in nostro Signore, il quale attraverso la morte di croce giunge al suo riposo, lui e l'arca della sua santificazione, ossia la sua carne. Io riconosco, dico, sul fianco di quest'arca il nostro ingresso in quel luogo ove la fonte dell'acqua viva si nascose nel corpo del morente » 196 . Noè è Cristo. Perciò, nel suo poema sul diluvio universale, Avito, parlando del patriarca, afferma : « Tu sei il secondo progenitore proveniente dalla stirpe annientata. Per mezzo della tua paternità, 191
Contra Faustum, 12, 16 (CSEL 25, p. 345, 1. 28- p. 346, 1. 1). Tractatus in Ioannem, 120, 2 (PL 35, 1935 AB). Sermo 2 de Passione Domini (MG Auct. antiqu. VI, 2, p. 106, 1. 2-4). 195
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dopo il primo progenitore, il mondo viene nuovamente popolato » 197. E nel medesimo poema : « Il mondo è stato salvato dalle onde mediante il legno vivificante della croce ». Il Liber de promissionibus, che non appartiene a Prospero di Aquitania, bensì ad un discepolo cartaginese di Agostino, dice a proposito del Redentore crocifisso : « Appeso al legno della croce, egli emise il suo sangue prezioso dalla ferita del costato come dalla porta dell'arca » 198. Per dimostrare l'influsso esercitato da Agostino sulla pietà del primo medioevo, accenniamo ancora all'esposizione della tipologia dell'arca contenuta nel commento di BEDA alla Genesi: « È giusto che Noe venga descritto nell'atto di praticare una porta sul fianco dell'arca; questa infatti indica chiaramente la porta che venne aperta dalla lancia del soldato nel costato del Signore e Redentore pendente dalla croce » 199 . Ancor all'inizio del secolo X ascoltiamo nel commento di REMIGIO DI AUXERRB alla Genesi l'antica spiegazione escatologica dell'arca e della porta : « Misticamente Noe significa l'uomo giusto e anche, secondo il nome e secondo le opere, il perfetto, il Cristo. Il suo nome infatti viene interpretato come riposo, poiché alla fine delle fatiche di questo mondo, Cristo condurrà gli eletti al riposo eterno. La porta sulla fiancata raffigura la ferita del costato di Cristo, da cui è venuta la Chiesa con i suoi sacramenti del sangue e dell'acqua » 200. Nella predica sulla passione, composta da un benedettino di nome Drogone (113 7), 1,7
Carmen IV de diluvio mandi, v. 257S (MG Auct. Antìqu. VI, 2, P- 245)· 198 Liber de promissionibus, 1, 7, 11 (PL 51, 739 BC). 199 Hexaemeron, 2 (PL 91, 90 A). ,M Comment. in Genesim, 6, io (PL 131, 75 BC).
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questa bella teologia simbolica si rivolge con una preghiera a Cristo : « Aprici, ο Signore, aprici la porta del tuo costato, ossia della tua arca. Tu sei il vero Noè, l'unico che Dio, tuo Padre, trovò giusto al suo cospetto. Facci penetrare in te attraverso la porta del tuo costato, che è la fede della tua Chiesa » 201 .
1. L'IMPORTANZA DELL'ARCA COME NAVE DELLA SALVEZZA NELLA STORIA DEL DOGMA
Di fronte alla pia interiorità della devozione alla ferita del costato del Signore sta l'applicazione che della simbolica dell'arca viene fatta nella storia del dogma e nella simbolica ecclesiale. La dottrina dell'arca come simbolo della Chiesa una ed unica, nella quale soltanto l'uomo raggiunge la salvezza definitiva, ha acquistato via via importanza nel corso dell'antica storia cristiana del dogma. Come avvenne per i simboli della nave di Pietro e della tavola della penitenza, cosi anche l'esegesi allegorica dei racconti della Genesi riguardanti l'albero e il viaggio dell'arca ha esercitato un profondo influsso sulla formazione delle convinzioni dommatiche riguardanti l'essenza e il destino della Chiesa. Realtà e immagine, qui come altrove, sono strettamente connesse in un preciso rapporto: non c'è "» Sermo de Passione Dominka (PL 166, p. 1527 BC). - Cfr. anche PL 184, p. 753-55. - Per gli inizi della devozione del primo medioevo al cuore di Gesù, che si forma da questo simbolo della porta dell'arca, cfr. J. LECLERCQ, Le Sacré-Coeur darti la tradition bénédktine au moyen~age, in Cor lesti, Commentationes in Litteras Encyclkas Pii XII Haurietis aquas, Roma 1959, v. 2, p. 7-10. - IDEM, Drogon et S. Bernard, in Revue Bénédktine 63 (1943) p. 124-128.
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dubbio infatti che se anteriormente alla formazione di una immagine c'è sempre una convinzione dommatica, che sceglie appunto l'immagine appropriata, è anche vero che a volte, a causa di un allegorismo eccessivo, l'immagine ha aperto la via a spiegazioni non sempre giustificabili. E così che l'arca esercita un ruolo determinante nella discussione teologica sul peccato in seno alla Chiesa, sulla possibilità di salvezza al di fuori della Chiesa e inoltre nella questione della validità del battesimo degli eretici. Queste questioni sono strettamente connesse tra loro: la Chiesa è una Chiesa dei peccatori, in linguaggio simbolico, è un'arca, che accoglie anche animali immondi e selvatici, ed è allo stesso tempo la unica Chiesa dei salvati ai quali la grazia della redenzione viene elargita soltanto all'interno di essa. La soluzione di questa aporia fu cercata già a suo tempo da AGOSTINO, là dove paragona la Chiesa all'arca, che è ancora in viaggio e tuttavia è già arrivata sul monte dell'eternità 202. E risaputo che il problema dell'appartenenza alla Chiesa restò sempre vivo sino al dibattito del Vaticano I proprio per via del simbolo dell'arca. Nei progetti della dottrina ecclesiologica che furono 202 De Ciuitate Dei, 15, 27 (CSEL 40, 2, p. 122, 1. 11-18). - La dottrina di Agostino passa chiaramente da un atteggiamento rigoristico ad una grandiosa soluzione del problema. Nel Cantra Fatistum, 12, 20 (CSEL 25, p. 349,1. 2-5) sviluppa la dottrina secondo cui molti che furono battezzati al di fuori dell'arca, in quanto manca loro almeno il ramoscello di ulivo, ritrovano poi la via del ritorno nell'arca, come avvenne alla colomba. Giungono cioè ad appartenere all'unico Noe, alla famiglia di Cristo, che in ultima analisi consiste in quell'amore, che la teologia odierna chiamerebbe il votum baptismi. Lo sguardo di Agostino, quando paragona la città di Dio con l'arca, va sempre verso la fine del pellegrinaggio : « La nostra città di Dio, che è straniera in questo mondo come in un diluvio universale»: De civitate Dei, 15, 26 (CSEL 40, 2, p. 117, 1. 24S).
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accantonati nel 1870, e che in seguito non vennero più ripresi, si afferma esplicitamente : « Non può ricevere la giustificazione e la vita eterna colui che, separato per propria colpa dall'unità della fede e dalla comunità della Chiesa, si allontana dalla vita. Se uno non è in quest'arca, perirà nella tempesta del diluvio » 203 . Si tratta della medesima dottrina enunciata già da Pio IX nel 1854: « È verità di fede che al di fuori della Chiesa apostolica romana nessuno può essere salvato, poiché essa è la sola arca della salvezza e chiunque non entra in essa, perisce nel diluvio. Dobbiamo tenere però con pari certezza che chiunque viva in una ignoranza invincibile della vera religione, non andrà soggetto a questa colpa dinanzi al Signore » 204. Il simbolo della arca diventa così l'immagine della proposizione : « Fuori della Chiesa, non c'è salvezza » 205. Qui possiamo solo accennare alle linee principali di questo complesso problema della storia del domma. Si tratta di sapere come mai il semplice paragone della Chiesa con l'arca, così caro alle catechesi battesimali del periodo primitivo, abbia prodotto un'impressione così profonda, che i migliori maestri della teologia, cominciando da Origene 206 203
Coli. Lac, 7, 569· Allocutio « Singultiti quadam » del 9 Dicembre 1854: Denz. 1647. - Per l'esposizione dommatica di questo problema, cfr. K. R A H N E R . L'appartenenza alla Chiesa, in Saggi sulla Chiesa, ediz. Paoline, R o m a 1966, p. 6ass. 205 Cfr. per ciò J. BEUMER, Extra Ecclesiam nulla salus, in Lexikon j'ùr Theologie una Kirche, Friburgo 1959, 2 ed., v. 3, col. 132OS. Q u i si dice effettivamente: « Il principio si rifa all'immagine dell'arca di N o e ». 209 Homilia injosue 3, 4 (GCS ORIGENE Vili, p. 304-306); Homilia 6, 4 (p. 320). - Cfr. per ciò H. U R S VON BALTHASAR, Sponsa Verbi, Einsiedeln 1961, p. 225-227. 204
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sino alla Chiesa papale del medioevo 207, non si siano potuti accordare sulla retta interpretazione dommatica del simbolo. Diamo anzitutto uno sguardo al problema della Chiesa dei peccatori. È noto che la storia letteraria dell'arca come nave della salvezza inizia con le parole di TERTULLIANO, che furono scritte sotto le prime impressioni della problematica montanista sulla santità della Chiesa : « Facciamo attenzione che, per rimanere fedeli all'immagine dell'arca, non permettiamo che nella Chiesa ci siano anche dei corvi, dei nibbi, dei lupi, dei cani e dei serpenti. Se l'arca è il suo prototipo, allora al suo interno non ci sono degli idolatri. Nessun animale dell'arca è un tipo dell'idolatria. E ciò che non c'era nell'arca, non deve esserci neanche nella Chiesa » 208. Come si vede la speculazione dommatica sulla possibilità che nella Chiesa ci siano dei peccatori si serve dell'immagine degli animali impuri e selvatici salvati nell'arca sia per dimostrare l'impossibilità di mettere insieme Chiesa e idolatri, e sia, in un senso contrario, per ammettere la possibilità di membri peccatori della Chiesa finché questa è in cammino. Poco tempo dopo udiamo in IPPOLITO DI ROMA che papa Callisto si serve so? Nello scisma papale e al Concilio del 1139, BERNARDO DI CHIARA VALLE parlò in tono conciliante a Pietro di Pisa : « Noi vogliamo entrare tutti in quest'arca e abitarvi con sicurezza ». Cfr. HEFELE, Conciliengeschichte, Friburgo 1886, v. 5, p. 440. - Sono note le parole della bolla « Unam Sanctam » di papa Bonifacio Vili (Denz. 468) : « Ai tempi del diluvio ci fu infatti soltanto un'arca, quella di Noe, che era immagine esemplare dell'unica Chiesa, che si restringeva in alto sino alla dimensione di un solo piede ed aveva soltanto un Noe come pilota e timoniere; fuori di questa Chiesa, cosi leggiamo, ogni essere sulla terra fu annientato ». 208 De idololatria, 24 (CSEL 20, p. 58, 1. 4-8). - Per il significato di questo passo cfr. F. J. DÒLGER, Sol Salutis, 2 ed., p. 275.
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delle medesime immagini per la questione della riammissione dei settari: « Anche la parabola dell'erba cattiva, egli dice, si deve riferire a ciò [alla possibilità di membri peccatori all'interno della Chiesa], Lascia pure che la gramigna cresca assieme al frumento, ossia i peccatori nella Chiesa. Si, egli diceva, anche l'arca di Noe è una similitudine per la Chiesa; in essa si trovavano cani e lupi e corvi, tutto il puro e l'impuro, e così deve essere nella Chiesa » 209. Anche Ippolito, nella sua esposizione positiva della fede, accetta la tradizione riguardante Noe propria della teologia giudeo-cristiana e di Ireneo, e, come vedemmo già, richiama l'attenzione sul fatto che Noè solo con i suoi fu salvato : « Noè era sommamente pio e amico di Dio, e perciò egli solo con la moglie e i figli e le loro mogli sfuggì al diluvio, essendo stato salvato in un'arca, le cui dimensioni e i cui resti sono mostrati ancor oggi sul monte detto Ararat » 210. Nel III secolo la medesima problematica si ripresenta contro la dottrina rigorista di Novaziano riguardante la santità della Chiesa. Nel trattatello Contro Novaziano, attribuito falsamente a Cipriano, l'autore spiega : « In quell'arca, che ai tempi di Noè fu costruita dalla divina Provvidenza prima del diluvio, erano racchiusi non soltanto gli animali puri, 20i Elenchos 9, 12 (GCS IPPOLITO III, 250, 1. 4-7) : per l'interpretazione di questo testo e il suo significato per la storia della penitenza del secolo III, cfr. E CASPAR, Geschichte des Papsttums, Tubinga 1930, v. I, p. 24S. - A. D'ALÉS, La théologie de S. Hippolyte, Parigi 1906, p. 217-227. - K. VON PSEYSWG, in Zeitschrift /tir katholische Théologie 43 ( I 9 I 9) P- 358-362. - B. POSCHMANN, Poenitentia secunda, Bonn 1940, p. 342-367. - J. GROTZ, Die Entwicklung des Bussstufenwesens in der vornicànischen Kirche, Friburgo 1955, p. 392-396. - A. HAMEL. Kirche bei Hippolyt von Rom, Gutersloh 1951, p. 77-81. 210 Elenchos, io, 30 (GCS IH, p. 286).
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ma anche gli impuri... Soltanto quest'arca, assieme con quelli che vi erano racchiusi dentro, fu salvata in mezzo all'acqua. I rimanenti, invece, che non vennero trovati al suo interno, affogarono a causa del diluvio » 211. Questa divisione degli animi all'interno dell'arca che naviga ancora attraverso il mare del mondo, si estende sino ai figli di Noe, come possiamo leggere nella Didascalia siriana e quindi nelle Constitutiones Apostolicae: « Poiché nell'arca di Noe sono stati salvati e benedetti due dei suoi figli, mentre Cam, figlio di Noè, non lo fu, ma la sua posteriorità fu maledetta » 212. L'immagine degli animali puri e impuri ha esercitato un ruolo anche nella teologia del IV secolo. GEROLAMO, ad esempio, che pure aveva scritto con precisione dommatica: « Si quis in Noe arca non fuerit, perit regnante diluvio » 213, tuttavia nella polemica con Gioviniano parla dell'arca come tipo della Chiesa in cui vivono i vari animali 214. Il medesimo problema tormenta lo spirito di Agostino. Nel famoso capitolo della Città di Dio egli trova la soluzione nella struttura escatologica della esistenza della Chiesa 215. Nelle prediche sul vangelo di Giovanni così parla ai discepoli: « Se l'arca prefigura 211
Ad Novatianum, 2 (CSEL 3, p. ss, 1. 1-5). Didaskalia, 2, 14, 9 (FUNK, I, p. 52, 1. 5s). - Constitutiones Apostolicae, z, 14, 8 (FUNK 1, p. 53, 1. I2s). « 3 Epistola 15, 2 (CSEL 54, p. 64, 1. 3s). 214 Adversus Iovinianum, 1, 17 (PL 23, p. 236 B ) ; 2, 22 (PL 23, p. 317 A). - Cfr. il problema della riammissione di coloro che erano stati battezzati come Ariani: Adversus Luciferianos, 22 (PL 23, p. 176 A), con rinvio al mistero del numero otto in 1 Piet 3, 20. 2 5 i De Civitate Dei, 15, 27 (CSEL 40, 2, p. 122, 1. 14-16): «I popoli hanno già riempito la Chiesa, puri e impuri, sino alla divisione finale, ed hanno preso posto nella ben strutturata compagine della sua unità». - Cfr. anche Centra Faustum, 12, 15 (CSEL 25, p. 345, 1. 9) : « in Ecclesiac sacramentis et boni et mali versantur ». 212
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la Chiesa, voi vedete bene che nel diluvio di questo mondo la Chiesa contiene ambedue i generi, i corvi e i colombi » 216 . Ed in una predica sul Salmo 103 impiega l'immagine dei diversi animali dell'arca per vedervi una prefigurazione di tutti i popoli, che verranno salvati nell'arca per il tempo finale. In tal modo il problema della simbolica degli animali impuri nell'arca viene affievolito un poco 2 1 8 e PROSPERO DI AQUITANIA potrà dire a proposito del medesimo versetto del Salmo 103,16: gli animali dell'arca «rappresentano tutti i popoli che vengono chiamati all'unità nella Chiesa » 219. Il simbolo dell'arca riveste grande importanza anche in un altro problema della dommatica della Chiesa 216
Tract. in Ioannem, 6, 2 (PL 35, 1426 A). "' Enarrationes in Psalmum 103, Sermo 3, 2 (PL 37, 1358). 216 Detto più chiaramente, secondo una soluzione non rigoristica, come quella prospettata da Agostino nell'opera Centra Faustum. (cfr. sopra nota 202). - Un'altra soluzione, pedagogico-salvifica, del problema dei peccatori nella Chiesa, è accennata da O S I C E N E : gli animali selvatici potrebbero essere stati addomesticati un poco alla volta nell'arca: « Q u o r u m ferocitatis saevitiam nec fìdei dulcedo mollivit » (GCS ORIGENE VI, ρ. 30, l. 34). 219
Espostilo super Psalmum 103, 11 (PL 51, 291 C ) . - N o n c'è
da meravigliarsi che GREGORIO D I ELVIRA, da c o m p a g n o di c o m b a t -
timento di Lucifero di Cagliari, cerchi di dimostrare il suo rigorismo anche con il simbolo dell'arca. Cfr. Tractatus Origenis, 12 (ed. BATIFFOL, p . 139, 1. 2 i s ) . - De arca Noe (ed. W I L M A R T , 1. 88-91):
« Cosi come nessuno potè sfuggire al diluvio delle acque, ad eccezione di chi era nell'arca, così nel giorno del giudizio divino nessuno sfuggirà, eccetto colui che è albergato dall'arca della Chiesa cattolica ». Ed alla fine del trattato ammonisce i cristiani ( W I L M A R T , 1. 211-215): « Vedete dunque, cari fratelli, che nella costruzione di quell'arca tutto fu detto in previsione del sacramento della Chiesa santissima, e l'uomo non può sfuggire altrimenti al naufragio di tutto il m o n d o , così come nel diluvio nessuno scampò all'infuori di quelli che l'arca albergava in se stessa». - Cfr. la dottrina di Agostino anche in B E D A (PL 9 1 , 91 C D ,· 223 D ) . 10 — L'ecclesiologia dei Padri
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antica: nella storia della penitenza del III secolo e nel problema ad essa connesso della validità del battesimo amministrato dagli eretici. Quanto sia importante la storia del sacramento della penitenza per la spiegazione iconografica delle immagini dell'arca nella Chiesa antica, ce lo ha mostrato JOSEPH FINK 220. L'argomentazione della maggior parte dei teologi del III secolo quanto a questo problema è molto semplice: Se l'arca significa la Chiesa, allora chiunque ne è fuori non verrà salvato, e perciò non si può neanche amministrare validamente il battesimo al di fuori dell'arca. Noi ci ricordiamo della predica piuttosto ingenua sulla pece dell'arca, tenuta dal vescovo donatista che cercava un fondamento biblico alla sua dottrina dell'invalidità del battesimo degli eretici : « Eandem arcam Noe ideo bituminatam intrinsecus ne aquam emitteret suam; ideo autem edam extrinsecus, ne admitteret alienam » 221. Egli avrebbe potuto richiamarsi anche a CIPRIANO, la cui dottrina dell'invalidità del battesimo degli eretici è nota. Così, ad esempio, nella lettera 74, ove l'arca è additata come una personificazione del mistero dell'unità ecclesiale: «Poiché, come in quel battesimo del mondo, con il quale fu lavata l'antica peccaminosità, chi non era nell'arca di Noe neanche potè essere salvato mediante l'acqua, così anche oggi non può essere salvato mediante il battesimo, chi non è battezzato dentro la Chiesa, la quale, a somiglianza dell'unica arca, è fondata sull'unità del Signore » 222. Le parole di Ci220 J. FINK, Noe der Gerechte in der fruhchristlichen Kunst, Miirister-Colonia 1955, P· 70-85. 221 AGOSTINO, De unitale Ecclesiae contra Donatisias, s, 9 (PL 43, 397 C ) . 2 « Epistola 74, 11 (CSEL 3, 1, p. 809, 1. 10-14).
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priano, non più dimenticate fino ad oggi, dimostrano la fruttuosità, ma anche la pericolosità di una teologia dell'immagine che chiede troppo all'immagine : « Habere non potest Deum patrem, qui ecclesiam non habet matrem. Si potuit evadere quisquam qui extra arcam Noe fuit, et qui extra ecclesiam foris fuerit evadit » 223 . Per la conoscenza di questa teologia battesimale, che era così scottante quasi esclusivamente nella Chiesa latina occidentale, ha una particolare importanza la lettera, che il vescovo Firmiliano scrisse a CIPRIANO dall'Asia Minore: «Poiché l'arca di Noè non era altro che un mistero rispetto alla Chiesa di Cristo e poiché a suo tempo l'arca ha salvato soltanto coloro che si trovano all'interno di essa, mentre tutti coloro che ne erano fuori annegarono, ci viene insegnato chiaramente che dobbiamo fare ogni sforzo per l'unità della Chiesa » 224 . Ora questa unità viene data soltanto nel bagno unico e salvifico del battesimo. Nella difesa dell'eresia ariana del IV secolo ritorna la medesima argomentazione, ma semplificata. Il partito del vescovo LUCIFERO DI C A GLIARI, a cui apparteneva anche Gregorio di Elvira, non è d'accordo con la politica dommatica canonica, apparentemente troppo rinunciataria, di papa Liberio e degli uomini dell'attempato Atanasio. Questo partito degli oltranzisti luciferiani, per giustificare il proprio rigorismo, si richiama al simbolo dell'arca. Lucifero 223 De untiate Ecclesiae, 6 (CSEL 3, ι, ρ. 214, 1. 23-25). *2* Conservato nella trasmissione latina tra le lettere di Cipriano, come Epistola 75, 15 (CSEL 3, 1, p. 820, 1. 13-23). - Cfr. anche Epi stola 69, 2 (CSEL 3, 1, p. 751, 1. 10-18). - Sull'influsso dell'immagine dell'unica arca di Noè sulla dommatica nella polemica sul battesimo degli eretici cfr. E. ERNST, Die Stellung der romischen Kirche zur Ketzertauffrage, in Zeitschrift fiir katholische Tlteologie 29 (1905) p. 81 ; p. 276.
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grida agli eretici: « Ut enim illi positi extra arcarti saivari non potuerunt, ita nec vos, sed sic sitis interituri, nisi credentes in unicum Dei filium. eius in sancta Ecclesia fueritis commorantes nobiscum » 225. Richiamandosi a Cipriano, FULGENZIO DI RUSPE tratta dello stesso problema: l'eretico battezzato validamente, il quale non si trova nella Chiesa visibile, appartiene a coloro che annegano fuori della Chiesa. « L'acqua uccide, mentre solleva verso il cielo tutti coloro che essa trova nell'arca. L'acqua solleva l'arca in alto verso il cielo, ma ciò che si trova al di fuori, lo inghiottisce e lo uccide » 226. Ci voleva, lo diciamo ancora una volta, il genio di un AGOSTINO, che sapesse concordare la simultaneità dell'esistenza terrena della Chiesa con il suo approdo escatologico nel porto. Chiunque è stato battezzato validamente, è « dentro » ; e viceversa, ci sono molti che sembrano stare nella Chiesa, ma in realtà ne sono già fuori 227. Questa divisione degli spiriti diventerà palese soltanto il giorno dell'approdo, anche se essa si attua già « dentro », in ogni momento dell'esistenza terrena dell'arca. Richiamandosi alla lettera 73 di Cipriano, AGOSTINO, nel suo trattato sul battesimo contro i Donatisti, così scrive con la sua inimitabile densità di concetti : « Eadem quippe arcae unitas eos salvos fecit, in qua nemo nisi per aquam salvatus est... Si non per 225 De s. Athanasio, 2, 18 (CSEL 14, p. 181, 1. 6-10). - La replica di Gerolamo è consapevole della difficoltà del problema : « Iste scrupulus multos titillat »: Dialogus adversus Luciferianos, 21 (PL 23, 175 D). 226 De remissione peccatorum, i, 20; 21 (PL 65, p. 543S). Cfr. anche ILARIO, Tractatus in Psalmum 146, 12 (PL 9, p. 874 B). - GEROLAMO, Epistola 22, 38 (CSEL 54, p. 204). - GAUDENZIO DI BRESCIA, Sermo 8 (CSEL 68, p. 74, 1. 4-8). 227 De imitate Ecclesiae contra Donatistas, 5, 9 (PL 43, 397 B D ) . - Breviculus collationis cum Donatistis, 9, 16 (PL 43, 633 AB).
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aquam, quomodo in arca? Si non in arca, quomodo in ecclesia? Si autem in ecclesia, utique in arca: et si in arca, utique per aquam » 228. Terminiamo qui l'indagine sulla tipologia dell'arca nei confronti di Cristo e della Chiesa. Ciò che ora segue, meriterebbe d'essere attentamente considerato: si tratta infatti della sopravvivenza di tale dottrina nel primo medioevo, a partire da ISIDORO DI SIVIGLIA229 sino al trattato De arca Noe di UGO DI S. VITTORE 230 . Anche in questo caso si vedrebbe che, con la fine del XII secolo nella teologia occidentale muore la capacità di comprendere la teologia simbolica patristica, che non trova più posto nella scolastica nascente. Molto più ricchi sono i cinque secoli della ecclesiologia dei carolingi e dei primi benedettini, che attinsero a piene mani nei tesori patristici, raccolti da ISIDORO DI SIVIGLIA. In essa, la proposizione fondamentale della tipologia dell'arca è sempre l'espressione di Isidoro: «Ma Noe, in tutto ciò che egli è e compie, rappresenta soltanto Cristo » 231. « Noe significa quiete e in ciò egli è l'immagine esemplare del Signore, nella cui Chiesa trovano la quiete coloro che vengono salvati dal diluvio di questo mondo come in un'arca » 232. Leggiamo ancora in Ugo di S. Vittore: «La Chiesa è l'arca che l'ultimo Noe, ossia nostro Signor Gesù Cristo, guida 228
De baptismo cantra Donatistas, 5, 28, 39 (PL 43, 196 C ) . Cfr. soprattutto le sue Quaestiones in Vetus Testamentum, in Genesim 7 (PL 83, 229-235). 230 De arca Noe Libri IX (PL 176, 617-681). Ivi soprattutto la sezione De arca Noe morali, i, 4 (PL 176, 629-634). - H. DE LUBAC, Exégèse medievale, Parigi 1961, v. 2, p. 317- 328 (vers. ital., R o m a 1962). 231 PL 83, 229. 232 PL 83, 102 A. 229
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come un timoniere e conduce al porto attraverso le onde di questa vita; egli la riconduce mediante se stesso ed a se stesso » 233. La dottrina più brillante e più indipendente della tipologia dell'arca si trova nella esposizione della Genesi 234 e nello Hexaemeron 23s di BEDA VENERABILE. Anche qui l'affermazione fondamentale è questa: «Ma Noè raffigura in tutto Cristo che ci redime nel legno e nell'acqua, ossia mediante la croce e il battesimo » 236. L'arca della Chiesa è l'unica salvezza tra i due giudizi divini, quello dell'acqua del diluvio e quello del fuoco del giudizio finale, tra il blu e il rosso dell'arcobaleno 237. Con una spiegazione svincolata dalla tipologia di Origene 2S8 e dalla sua ricca allegoresi delle dimensioni dell'arca e della loro riduzione all'unica dimensione del corpo umano di Cristo, Beda riprende e arricchisce la dottrina dei Padri, distinguendo accuratamente tra la spiegazione escatologica e quella sacramentale ecclesiologica dei misteri dell'arca 239. Nello sfondo della sua dottrina brilla un'immagine interiore e profondamente pensata della Chiesa. Poco prima dell'opera teologica di Beda, l'anglosassone Caedmon 2 4 0 , un figlio di contadini, aveva cantato le sue »»» PL 176, 629 D . «4 In Cenesim, 5-8 (PL 91, 221-226). " 5 Hexaemeron, 2 (PL 91, 85-106). »»· PL 91, 222 A. 237 PL 9 1 , 1 1 0 B . ·"· PL 91, p . 109 C D ; PL 91, 92 A. ,M PL 91, 86 B C . - La stessa teologia ecclesiologica dell'arca è espressa da B E D A brevemente e chiaramente in una delle sue omelie: Homitia i, 14 (Cor. Chris. 122, p. 100, 1. I59ss). 240 Resta ancora a vedersi se la Vita di Noè, trasmessa tra le poesie di Caedmon, sia veramente sua. La poesia sull'arca di N o è , ad ogni m o d o , è una ragguardevole testimonianza della permanenza e del cambiamento dell'allegoresi patristica. Cfr. per ciò C. W. G R E I N , Dichtungen der Angelsachsen, Heidelberg 1930, 2 ed.
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rozze allitterazioni nella spiegazione della Genesi; e nella poetica merovingia del VII secolo si incontrano gli aspri versi su Noè e sull'arca, che attestano il cristocentrismo di tutta la dottrina simbolica di quei tempi: « Noe iustus Dominus arcam iussit fieri. Arcae per diluvium guberantor quis fuit? Benedictus Dominus Christus Dei filius » 241 . L'inizio e la coscienza della teologia carolingia sono caratterizzati dall'introduzione al primo libro dei Libri Carolini, nei quali Carlo Magno è lodato come pilota dell'arca, che è la nave della Chiesa 242. Nelle sue domande e risposte sulla Genesi, ALCtnNO, servendosi della mediazione di Beda, presenta alquanto scolasticamente l'eredità patristica e anche nelle sue poesie giunge a parlare di Noe come padre della nuova stirpe e come riposo per il mondo, sempre secondo il pensiero agostiniano 243 . Bisognerebbe dire la stessa cosa anche per RABANO MAURO 2 4 4 , TEODULFO DI ORLEANS 2 4 5 , ER246 MENRICO DI EIXWANGEN e altri poeti carolingi. La lil
Ritmo Merovingio 25, v. 13-18 (MG Poetae Latini IV, 2, p.
649).
z4 * Cfr. la traduzione tedesca in HEFELE, Conciliengeschkhte, v. 3, P- 699. a4a Interrogationes et responsione* in Genesim, 101-137 (PL 100, p. 527-532)· - Carmina, 69, v. 45-48 (MG Poet. Lat. I, p. 289). ! " Comment. in Genesim, 2, 6 (PL 107, 515-18). - Una poesia
di RASANO SU Noè: cfr. in MG Poet. lat. II, p. 195. 215
Carmen 21, 13S (MG Poet. lat. I, p. 478). "· MG Epist. V, p. 539, 1. 353; p. 558, 1. 37SS. - Cfr. anche la poesia di MILO (MG Poet. lat. Ili, p. 620).
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L'ECCLÉSIOLOGIA
D E I PADRI
tematica è ovunque la medesima. Due ulteriori fasi di questo ultimo sviluppo degli elementi patristici stanno ad attestare il passaggio al pensiero propriamente medievale. L'arca di Noe diventa l'immagine dell'anima interiore, come dice un mistico del secolo XII : « Arca est anima. In arca debemus salvari, ad ipsam redeuntes, ipsam intrantes, sicut scriptum est : redite ad cor » 247. Un'altra interpretazione medievale si collega ai pensieri che abbiamo già recensito presso i Padri a proposito dell'arca come seno materno della nuova vita: l'arca significa il seno materno della santa Vergine, da cui fu generata la nuova vita in Cristo. Così già in un inno del secolo X di Reichenau 248. Così pure nell'opera di un discepolo di Bernardo di Clairvaux : « Come dunque mediante quell'arca tutti sfuggirono al diluvio, così mediante Maria tutti sfuggono al naufragio del peccato » 249 . Del resto, questa applicazione mariologica dell'allegoresi dell'arca è frequente anche nella teologia bizantina 250. L'immagine di Maria come arca della salvezza fu ed è ancor oggi ravvivata nella teologia per il fatto che nella bolla « InefFabilis Deus » del 1854, Pio IX chiama la Madre di Dio arca della salvezza 251. La storia della tipologia dell'arca è esattamente un riflesso dello sviluppo della teologia di mille anni, da 247 P S . - U G O DI S. VITTOHE, Allegoriae in Vetus Testamentum, I, 14 (PL 175, 642 D). 248 F. M O N E , Lateinische Hymnen des Mittelalters, Friburgo 1853, v. 2, p. 386. 148 Sermo de Beata Maria Virgine (PL 184, 1017 C D ) . 250
Cfr.
GIOVANNI
DAMASCENO
(PG
96,
712 C.)
-
PROCLO
(PG
65, 760 C ) . 251 Cfr. A. BEA, Das Marienbild des Alteri Bundes, in P. STRATER, Katholische Marienkunde, Paderborn 1952, 2 ed-, ν. ι, ρ. 39.
L'ARCA DI N O È COME NAVE DELLA SALVEZZA
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Origene sino a Bonaventura. All'inizio di questa storia, Origene ha così ammonito i suoi fedeli « Ex ipsa arca mysterium magnum, quod in Christo et in Ecclesia impletur agnosce » 252. Alla fine del periodo romanico, un orante scrisse i versi, che poi risuoneranno nella mistica francescana della croce di Bonaventura e riecheggiano ancora una volta tutta la bellezza della teologia patristica (già li conosciamo in parte): « Ligno crucis fabricatur arca Noe qua salvatur mundus a miseria. Servos tuae crucis, Christe, mundi maris due per triste, Crucifer, naufragium » 253. Così la nostra esposizione della mistica dell'immagine della nave della Chiesa passa nella escatologia propriamente detta, nell'immagine del beato approdo della Chiesa nel porto del riposo eterno. Agostino ha concluso la tipologia dell'arca con una delle più grandiose espressioni, con lo sguardo alle ultime cose e all'inizio dell'eternità, a partire dal quale soltanto si comprende la storia dell'arca e di coloro che si salvano in essa : « Il fatto che la colomba fu nuovamente rilasciata da Noè sette giorni dopo e non ritornò, rappresenta la fine del mondo, quando per i santi giunge il riposo, non più soltanto nel sacramento della speranza, nel quale durante l'epoca presente la Chiesa si amalgama, bevendo continuamente ciò che sgorga dal costato tra"· GCS Origene VI, p. 38, 1. 3S. "' Analecta Hymnica, 8 (Lipsia, 1890), p. 29S.
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L'ECCLESIOLOGIA DEI PADRI
fitto di Cristo: ma nel vero compimento della salvezza eterna, quando il regno verrà consegnato a Dio Padre, ove noi, nella luminosa visione della Verità immutabile non avremo più bisogno di misteri corporalmente visibili» 254 .
·»* Centra Faustum, 12, 20 (CSEL 25, p. 349, 1. 5-12).
9L'ARRIVO IN P O R T O
Ciò che ora segue nello studio da noi posto sotto il titolo generale di « Antenna Crucis », è come un epilogo e contiene la parola definitiva, senza cui non si comprenderebbe quanto siamo andati dicendo sin qui: la dommatica della escatologia della Chiesa, espressa con l'immagine del beato approdo, del porto e dell'ancoraggio dell'eternità. Quanto sia importante la teologia della Chiesa come nave, che è ancora in viaggio e, non di meno, dopo la morte in croce di Dio e la sua resurrezione, è già giunta in senso vero e proprio, lo vediamo dalla massa di pensieri patristici, che siano andati presentando attorno a questo tema nelle pagine precedenti. La Chiesa è la nave che solca il cielo, che veleggia attraverso il mare del mondo, che è certa di arrivare, perché Cristo non soltanto ci ha elargito il legno della croce per costruirla, ma, mediante la sua resurrezione, ha anche compiuto anticipatamente il mistero dell'« arrivo nel porto » l. Egli ha affidato tale mi1 Questo il titolo di una liturgia siriaca. Cfr. A. RUCKEH, Die t Ankunft im Hafen » des syrisch-jakobitischen Festrituals una vertvandte Riten, in Jahrbuch fiir Liturgiewissenschafì 3 (1923) p. 78-92. Cfr. sotto, alla nota 73.
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stero alla Chiesa, la quale pertanto è sicura della salvezza ; i suoi membri, nel mistero pasquale, si sentono sempre certi della salvezza e si preparano a diventare partecipi del paradiso e del riposo nel porto dell'eternità. I Padri hanno visto questo destino della Chiesa raffigurato, come in una bella immagine, nel racconto di Noè e della sua famiglia (Gen 8,15-18): dopo l'approdo dell'arca sul monte Ararat, cosi dice Agostino, Noe e i suoi figli raffigurano l'arrivo alia pace finale della perfetta città di Dio 2 . Nella ecclesiologia di BEDA tale immagine è un tipo del mistero esistente tra Cristo e la Chiesa, che si svela nel suo significato più profondo soltanto a partire dalle ultime cose 3 . Già per CLEMENTE ALESSANDRINO lo scopo del viaggio cristiano della vita è l'approdo nella città di Dio 4. Secondo la tradizione del giudeo-cristianesimo, alla quale hanno richiamato la nostra attenzione il PETEHSON5 e il D A NIFXOU 6 , questo momento escatologico dell'approdo nel « porto del riposo » è già accennato nel Testamento di Neftali, ove la nave di Giacobbe raffigura la comunità salvifica ecclesiale, che viene salvata nonostante il il naufragio: « E quando la tempesta cessò, la nave toccò terra e fu in pace » 7. In questa teologia simbolica delle origini, il porto è la raffigurazione dell'άνάπαυσις ; esso raffigura contemporaneamente anche il battesimo, che in virtù della morte di croce già anticipa la possibilità finale di salvezza e fa della Chiesa il porto sem2
Cantra Faustum, 19, 21 (CSEL 25, p. 350, 1. 2-6). PL 91, 226 B . Paidagogos, 3, 12, 101 (GCS CLEMENTE I, p. 291, 1. 4-6). 5 Friihkirche, Judentum una Gnosis, Friburgo i960, p. 92-96. * Les symbotes chrétiens primitifs, Parigi 1961, p. 68-70. ' Testamentum Nephtali, 6, 1-9 (CHARLES II, p.338). 3 4
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pre sicuro 8. Dio ha preparato la città di Gerusalemme come luogo di riposo per l'arca 9 . Nel paragone navale contenuto nella lettera di Clemente a Giacomo, il tema fondamentale della simbolica patristica del porto della salvezza viene così delineato : « Se siete d'accordo, allora potete essere portati al porto della salvezza, là dove è la città pacifica del grande Re » 10. La città della pace è Gerusalemme, Cristo ne è il « buon Re » u . e i fedeli abitanti vengono esortati alla preghiera e al buon viaggio, « affinché, viaggiando a gonfie vele, possiate dirigervi con minor pericolo verso il porto della città sperata » 12. Non sarà male pertanto se chiariremo innanzitutto il simbolo del porto del riposo e dell'approdo nell'eternità dopo la traversata di questa vita, servendoci della simbolica ellenistica. Ancora una volta, come abbiamo fatto per Ulisse e per la tavola della salvezza dopo il naufragio, passeremo in rassegna le testimonianze che ci permetteranno di comprendere perché mai, nelle loro prediche e catechesi, i Padri della Chiesa parlino così volentieri e così insistentemente dell'approdo nel porto dell'eternità. Tutto ciò che è connesso con il porto e con i suoi moli protettivi (in greco λιμήν e δρμος) era di vitale importanza per il navigante dell'antichità. Per questo 8 Cfr. i testi in P. LUNDBEHG, La typologie baptismale dans l'ancienne Eglise, Uppsala 1942, p. 75-85. 8 J. DANIÉLOU, Sacramentum Futuri, Parigi 1950, p. 78S. 10 Epistola Ckmentis, 13, 3 (GCS PS.-CLEMENTINE I, p. 16, 1. 3s; PG 1, 49 A). 11 Ivi, 4, 3 (I, p . 9, 1. 1). la Ivi, 14, 6 (I, p. 17, 1. 5-7).
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egli giunse persino a personificare il porto 13. C'è nell'Anthologia Graeca una graziosa poesia sul porto di Pozzuoli, ove un giorno era approdato anche Paolo con la nave alessandrina consacrata a Castore e Polluce (Atti 28,11-13). Il molo del porto è imponente e se ne vanta con queste parole : « Io accolgo la flotta del mondo. Guarda sopra di te verso Roma: credi che io abbia il porto che basti alle sue dimensioni? » 14 . Nelle sue lettere, CASSIODORO, loderà il porto di Roma, dove si cominciano a gustare le deliciae romanae 15 ; e anche Crisostomo scrivendo, con un linguaggio biblico (di cui conosciamo già le espressioni), a papa Innocenzo, parlerà della Chiesa di Roma come molo protettore nella tempesta 16. Di qui si comprende come l'uomo antico parli continuamente della traversata della vita e quindi del porto del riposo e della morte. Già SOFOCLE paragonava il porto al rassicurante seno materno 17. Nave e porto sono inseparabili; per questo ESCHILO parla del giubilo della nave giunta nel porto sicuro (δρμω ναϋν θρασυν&ήνοα) 1 8 . Lo stato d'animo del navigatore dell'antichità rivive nel modo più immediato nelle poesie aell'Anthologia Graeca. Incappato nel pericolo, il timoniere prega Giove di concedergli un buon viaggio (εΰπλοια:): «Danne anche ora un viaggio propizio, sii oggi il mio salvatore e conducimi 13 Cfr. W H. ROSCHER, Lexikon der griechischen uni romischen Mythologie, Lipsia 1894, v· 2, 2, p. 2130S. 14 Anthologia Graeca VII, p . 379 (BECKBY, Monaco 1957, v. 2, p. 222). " Var., 7, 9 (PL 79, 715 A B ) . " P G 52, p . 535 B. - M A N S I , V. 3, p. 11135. 17 Oed. T., 1208. 18 Supl., p. 772.
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dal pericolo al porto della tranquillità » 19 . Oppure in un inno a Τύχη : « Le navi, che il tuo aiuto salva dal mare ondoso, trovano consolante rifugio e tranquillità nel silenzio del porto » 20. Abbiamo già citato più sopra 21 la bella poesia di PALLADE sulla traversata della vita, ma la presentiamo di nuovo qui, nella seguente traduzione: « La vita è un viaggio sul mare. Tutto attorno sono appostati i pericoli, e spesso una tempesta di vento ci colpisce peggio di un naufragio in mare. Altezzosa siede al timone della vita Tyche, la dea; noi veleggiamo nel blu come sulle onde del mare. Alcuni viaggiano felici, altri ne sbatte la bufera, tutti però andiamo sottoterra, alla fine, verso il medesimo porto » 22 . Al medesimo Pallade dobbiamo i la rinuncia e la rassegnazione stoica: tener dinanzi agli occhi, quando più no le parole del cristiano sicuro del di là:
versi in cui parla versi che bisogna tardi si ascolteransuo arrivo nell'ai
« Io sto al di là della speranza e della felicità, le vostre bugie non mi possono più ingannare: finalmente son giunto in porto » 23 . 19
9, 9 (BECKBY, v. 3, p. i<5).
» 9, 788 (p. 452). 21 Cfr. sopra « Ulisse all'albero della nave », p. 409, nota 29. aa
io, 65 (BECKBY, V. 3, p. 509).
" 9, 172 (p. 108).
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In SENECA notiamo lo stesso atteggiamento espresso sotto l'immagine della traversata dell'anima, quando egli ammonisce l'amico Paolino : « Tienti lontano dalla massa e ritraiti dalla confusione nel porto tranquillo » 2 4 . Lo stesso ideale di un al di là che finisce nella pace del porto viene espresso negli scritti neoplatonici, ad esempio nella vita di Plotino, ove l'oracolo di Apollo dice di lui: « Via dall'ondeggiamento che agita le m e m bra, con una forte spinta dello spirito nuota verso la sabbia della calma riva » 2 5 . Qualcosa di simile si trova in APULEIO a proposito del porto della tranquillità 26 . L'immagine del porto della tranquillità nella letteratura antica si materializza nell'immagine del porto della morte. « Ahimè, ο porto dell'Ade, ο implacabi le », leggiamo nell'Antigone di SOFOCLE
27
. Frequente è
il tema della tragicità della morte per naufragio sopraggiunto nel porto stesso. Un epigramma su di una nave affondata termina così: « E a cosa giova anche giungere in porto ... poiché morta è la ciurma, morta! Soltanto dei naufraghi son giunti in porto » 2 8 . Come abbiamo già visto, questa immagine fu ripresa quasi alla lettera dai R o m a n i : « In portu naufragium fecimus » 2 9 . C I CERONE dice : « Sepulcrum vocat Ennius portum corporis » 30 . E SENECA : « In hoc procelloso mari, navigan24
De breuitate vitae, 18. PORFIRIO, Vita Plotini, 128 (edizione di HARDER, V, ρ. 192). ae Metamorfosi, 11, 15: «Et maximis actus procellis ad p o r t u m quietis et aram misericordiae tandem venisti ». - Cfr. W. W I T T M A N N , Das Isisbuch des Apuleius, Stoccarda 1938, p. 78S. 27 Antigone, 1284. 28 Anthologia graeca, 9, 218 (BECKBY, III, p . 132). Cfr. anche VII, p . 625; p. 630; p. 639. 29 PS.-QUINTILIANO, Declam., 12, 23. - Cfr. sopra, p. 74.8. 20 Tusculanae, 1, 44. 25
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tibus nullus portus nisi mortis » 3 1 . Sempre Seneca can ta nell'Agamennone il placido porto del riposo eterno (« portus aeterna placidus quiete ») 3 2 . Qui interviene nuovamente la dialettica, che sente il mare come un essere vivificante e letale ad un tempo : « Io cerco di conservare la mia vita in mare, in mare sono andato a cercare la morte » 3 3 . In questo stato d'animo pessimista l'antico naviga tore lascia trapelare qualche barlume di speranza. Nei momenti del supremo pericolo si rivolge agli dei: la sua preghiera implora Γεΰπλοια. Altrove abbiamo già esposto e dimostrato quanto fosse importante il tema del buon viaggio per comprendere la simbolica patristica 34 . Ricordiamo ancora due altre immagini, che sono egualmente importanti per comprendere la ecclesiologia escatologica dei Padri: il simbolo del faro e l'immagine della bonaccia, che i Greci chiamavano γαλήνη e i Romani serenitas. Già F. ]. DÒLGER, nell'interpretare le raffigurazioni delle catacombe, che ornavano le lapidi mortuarie con un faro e con la nave che naviga verso di esso, aveva accennato a questa simbolica: «Il viaggio è diretto verso il faro. Il faro raffigura la meta, la luce celeste, la gloria, la luce perpetua » 35. L'esemplare di tutti i fari dei porti antichi era il Pharos del porto di Alessandria. Già OMERO aveva cantato l'isola, su cui si eleva la torre con il segnale di fuoco : « Isola in mezzo al mare rumoreggiante con 31
Dialogus ad Helviam, 12, 9, 7. Agamennone, 589-592. 33 Angiologia graeca VII, p. 287 (BECKBY II, p. 170). ' 4 H. R A H N E R , Euploia: in Perenitas. Festgabe fiir Th. Michela, Miinster 1963, p. 1-7. 35 Sol Salutis, Miinster 1925, 2 ed., p. 285. 32
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fracasso, vicina all'Egitto, essa, è chiamata Pharos... Là è un porto sicuro » 36 . Nell'Anthohgia Graeca c'è un distico sul faro di Smirne e un altro sul Pharos di Alessandria 37. Nei glossari latini il faro viene descritto come « altum aedificium vel turris vel facula vel speculatoria supra mare, ubi portus est » 38. Iside è la « regina phari » 39. Non si va certamente errati, dicenc ο che nella terza visione di Erma la « torre sul mare, fatta di belle pietre quadre », è un faro. L'interpretazione della visione dice: «La torre sono io, la Chiesa. E perché fui costruita sulle acque? Perché la vostra vita fu salvata e sarà salvata con l'acqua » 40 . La simbolica del faro non esercita alcun ruolo ulteriore nella letteratura cristiana antica. Soltanto BASILIO, citando evidentemente un proverbio greco, afferma una volta che il ricevere una lettera lo ha tanto rallegrato, « come quando i naviganti vedono tra le onde il faro, che diffonde il suo segno luminoso (πυρσον έν πελάγει) » 4 1 . Al contrario, un altro gruppo di immagini ha eserci tato un grande influsso prima sulla mentalità greca e poi nella simbolica cristiana. I navigatori dell'antichità pregavano, soprattutto nel primo viaggio di primavera, per ottenere γαλήνη, ossia mare tranquillo. A. LESKY, che su questo soggetto ha raccolto accuratamente il 3 * Odissea, 4, 355S. - Altri testi probativi in P A U L Y - W I S S O W À , Reaknzykbpadie, 12, 2 (1925) col. 2150-2152. 37 IX, 671 (III, p. 400); 9, 675 (III, p. 402). - Sul Faro di Alessandria cfr. IX, 674 (HI, p. 402); IX, 60 (III, p. 44). 38 Corpus Glossariorum latinorum, Lipsia 1894, v. 5, p. 619, 1. 38. 33 STATIO, Silv., 3, 2, v. 102. 40 Visio 3, 2, 4; 3, 3 e 5 (FUNK I, p. 436; p. 438). 41 Epistola 2, 100 (PG 32, 504 C). - Cfr. GREGORIO DI NISSA (PG 44, 301 D) : i « segni di fuoco » che danno la direzione giusta ai naviganti.
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materiale della letteratura greca, dice: «La γαλήνη, il mare calmo, non agitato da alcun soffio -di vento, era cara ai Greci della fine dell'antichità » 42 . Il mito inventò persino una personificazione di « Galena », facendone una figlia di Pontos e una dispensatrice sempre sorridente della sospirata bonaccia » 43 . Nelle poesie alla primavera, raccolte nell'Anthologia, si parla spesso del sorriso di Galena: «Calmo sorride il mare (γαληναίη δε θάλασσα μειδιάει) » 4 4 . Così già cantava ESCHILO nel sublime inno a Prometeo : « Ο soffio di aria leggera dei santi dei, voi fonti di ruscelli, sorrisi smisurati della fluttuante onda marina » 4 5 ; e così predica ancora GREGORIO NAZIANZENO nella medesima poesia ellenistica, parlando della primavera pasquale, in cui « ci sorride la bonaccia » 46 . L'immagine di Galena fu intagliata anche su di un berillo, come sappiamo da un epigramma 47 . Per esprimere ciò a cui aspirava la sapienza greca e specialmente quella stoica, e che la teologia cristiana interpretò poi come l'attesa finale del porto celeste e della sua serena tranquillità, non c'era dunque simbolo più appropriato dell'immagine di Galena 48. Nel libro dei sogni di ARTEMTDORO, il porto significa fortuna e 48 A. LESKY, Thalatta. Der Weg der Griechen zum Meer, Vienna 1947, p. 158. - Cfr. anche ivi, p. 229S. su γαλήνη in Eschilo ed Eu ripide. « LESKY, p. 247. - Anthologia Graeca V, 156 (Ι,' ρ. 320); VII, 668 (II, p. 392). 44 Anthologia Graeca X, 6 (III, p. 476). 45 Prometeo incatenato, 89S. « Oratio 24, 5 (PG 35, 1176A). 47 Anthologia Graeca IX, 544 (III, p. 332). 48 Cfr. sopra « Mare del mondo », p. 464, nota 38 : le antiche te stimonianze sulla γαλήνη spirituale; nota 40: testimonianze cristia ne sullo stesso atteggiamento.
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tranquillità 49. In un distico di MELEAGRO si parla di Galena sul mare ondoso dell'amore 50 ; e il poema di un discepolo stoico di Epitteto così dipinge la tranquillità spirituale dell'uomo dell'ai di là: « Chi ha adempiuto la volontà esigente di Epitteto, il sapiente, veleggia con serena tranquillità e calma sul mare [della vita; quindi termina il viaggio della vita sulle onde e giunge al vertice del cielo, sii fino alla contem[plazione delle stelle » 51 . In questa sapienza della tarda antichità tocchiamo con mano l'ideale della tranquillità dell'anima, di cui aveva già scritto PLATONE 52 . E questo è il mondo ideale, a cui si ricollega la dottrina cristiana della serenitas animae, che dobbiamo ora far oggetto della nostra considerazione. Recentemente è stato dimostrato che persino l'antico titolo imperiale di γαληνότης e serenitas si è trasformato nel titolo principesco di Serenissimus, per esprimere così il sorridente favore che il sacro imperatore elargisce in dono 53. Ma la teologia simbolica cristiana poteva riallacciarsi anche alla γαλήνη di cui parla il Nuovo Testamento (Mat 8,26; Mar 4,39; Lue 8,24). CIPRIANO ha scritto una delle più belle espressioni in questo settore sinora quasi dimenticato della 49
Oneirokritika, 2, 23 (HERCHER, p. 117). Anthologia Graeca V, 155 (I, p. 320). 51 Anthologia Graeca IX, 208 (III, p. 128). sa Leg., 791 A. - Cfr. ad esempio ESCHILO, Agamennone, 740. 53 H, : HOFMANN, Serenissimus. Ein furstliches Prddikat in funfzehn Jahrhunderten, in Historisches Jahrbuch 80 (1961) p. 240-251. 50
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antica simbolica cristiana, quando così descrive il vero cristiano : « Si enim christianus a furore et contentione carnali tamquam de maris turbinibus excessit, tranquillus ac lenis in portu Christi esse iam coepit » 54. Di qui comprendiamo come soprattutto nella teologia greca si parli della γαλήνη della primavera pasquale. EUSE BIO, in una predica pasquale perfettamente intonata a una poesia primaverile aél'Anthologia, scrive: « Galena già rende calma l'acqua ai naviganti » 5S. Anche la predica pasquale di un discepolo di Agostino menziona la bonaccia sorridente, epressa nel giubilo pasquale primaverile, in cui la Chiesa, come una buona nave, salpa verso le rive eterne : « Mira serenitas mundo arridet » 56 . Persino la pace della Chiesa, che iniziò dopo la tempesta degli errori ariani, viene sentita dai Padri come γαλήνη e «serenitas» 57 . Lo stesso BEDA vedrà ancora nel porto della Chiesa la « aeterna serenitas » 58. Sotto l'immagine della nave che approda e del porto che salva, lasciando da parte gli altri elementi caratteristici di questa ricca simbolica, si cela l'escatologia patristica della Chiesa. La Chiesa è la nave costruita con il legno della croce, che, dopo la passione pasquale, è in viaggio ed è sicura di giungere in virtù della morte del Signore: si tratta della medesima dialettica, 64 De borio patientiae, 16 (CSEL 3, p. 409, 1. 9-11). - Cfr. C A M P BELL BONNER, Desired Haven, in Harvard Theoì. Review 34 (1941) p. 49-67. 55 De sol. paschali, 2 (PG 24, p. 696 D) : cfr. H. R A H N E R , OesterHche Fruhlingslyrik bei Kyrillos von Alexandreia, in Paschatis Solennità, Friburgo 1959, p. 68-75. 56 Sermo 164 (PL 39, 2067). 57
GREGORIO DI Ν Α Ζ Ι Α Ν Ζ Ό ,
Oratio 42, 20
(PG 36, 481 D ) .
-AM
BROGIO, Camment. in Lucani, i o , 32 (CSEL 32, 4, p . 450, 1. 14S). 58 PL 92, 710.
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che più sopra abbiamo presentato sotto l'immagine della Selene morente. In ogni momento del suo viaggio terreno la Chiesa è un « sacramentum futurae vitae », e il cristiano, il compagno di viaggio su questa nave vittoriosa, giunge al porto della illuminazione finale, soltanto per il fatto che egli, assieme con il Signore, sopporta la pena di morte su questa terra. C I PRIANO predicava così ai fedeli questa mutua compenetrazione di presente e futuro nell'esistenza cristiana: «Il regno di Dio, fratelli dilettissimi, è molto vicino. La ricompensa della vita eterna e la gioia dell'eterna salvezza, la felicità intramontabile e il possesso del paradiso una volta perduto già si preannunciano con il passaggio imminente del mondo. Il celeste già fa seguito al terrestre, il grande al piccolo, l'eterno al transitorio. Deve temer la morte soltanto colui che non vuole camminare con Cristo ... Noi servi di Dio avremo pace piena e indisturbata tranquillità, solo quando ci saremo allontanati dalla tempesta di questo mondo e saremo entrati nel porto della patria e della sicurezza eterna, quando avremo scontato quaggiù la pena di morte che ci incombe e saremo giunti all'eternità; questa infatti è la pace immortale, questa è tranquillità duratura, questa è stabile, ferma ed eterna sicurezza » 59. Questo canto di lode, magistrale anche dal punto di vista della retorica, elevato alla tranquillitas escatologica, dimostra quanto fosse familiare ai Padri il paragone tra morte e porto. Negli Atti di Giovanni leggiamo che, come il pilota è sicuro soltanto in porto, così la fede è M
De mortalitate, 2 e 3 (CSEL 3, 1, p. 298, 1. 7-14; p. 299,1. 5-9).
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sicura soltanto dopo la morte 6 0 . Nel terzo libro del Περί άρχω ORIGENE parla della έπί τον λιμένα άποκκτάσταοις 6 1 . La morte anticipa semplice mente per il singolo cristiano quella distinzione finale tra bene e male, che si compie nell'approdo della Chiesa universale, ma che è iniziata sin da ora. Per questo nel suo opuscolo sulla morte, AMBROGIO afferma : « Iustis mors quietis est portus, nocentibus naufragium putatur » 62 ; e nel commento al Libro di Giacobbe scrive a proposito della vecchiaia: « Senectus portus debet esse, non naufragium vitae superioris » 63 . La « requies aeterna », per cui già si pregava nella Chiesa antica64, non è soltanto la άνάπαυσις, che ci è stata promessa dal celeste Noè, Cristo, non è soltanto il giorno eterno del riposo dopo l'Hexaemeron di questo tempo terreno, ma è anche il compimento della aspirazione verso la sempiterna γαλήνη. La vita umana è effettivamente « il viaggio dell'uomo verso il porto della pace eterna » 65, oppure, come predicava GREGORIO NAZIANZENO: «Per i combattenti di questa terra, il passaggio nell'ai di là è ciò che è per i naviganti l'approdo nel porto tranquillo » w. Questa teologia della sicurezza salvifica nella morte si fonda sulla teologia della morte in croce del Signore, *° Atti di Giovanni, 67 e 68 (E. HENNECKE, Neutestamentlkhe Apokryphen, Tubinga 1924, p. 182. LIPSIUS-BONNET II, 1, p. 183S). " De princ, 3, i, 19 (GCS ORIGENE V, p. 233, 1. 1). La versione latina (ivi, 1. 17) dice : « Ad p o r t u m salva pervenit ». ea De botto mortis, 8, 3 (CSEL 32, 1, p. 30 1. 22s). " De Jacob, 2, i o , 40 (CSEL 32, 2, p. 60, 1. 14S). " Cfr. per ciò F. C U M O N T , LUX perpetua, Parigi 1949, p. 459, nota 1. • 5 F. J. DOLGEE, Sol Salutis, Monaco 1925, 2 ed., p. 272. ·' Oratio 18, 3 (PG 35, 988 D ) .
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che è strettamente connessa con l'essenza della Chiesa. Quando a primavera iniziava la navigazione e le preghiere per la γαλήνη si levavano anche dalla bocca dei cristiani, nella Chiesa si celebrava l'annuale mi stero della Pasqua, del passaggio di tutto il m o n d o alla trasfigurazione in virtù del Verbo morto in croce e della resurrezione della sua carne. A primavera è stato creato Adamo, a primavera vi fu il battesimo del mondo mediante il diluvio e il salvataggio di N o è e della sua famiglia, come sappiamo soprattutto dalla teologia della primavera di AMBROGIO 67 . A primavera Cristo è risorto dai morti, e questo avvenimento, che anticipa e fonda la gloria futura, sta sempre al centro della teologia patristica della Chiesa, che è la nave della salvezza tra diluvio e approdo, e nella quale già si rispecchia in anticipo tutto ciò che si compirà nella « requies aeterna ». « A primavera germogliano n u o vamente i semi e la primavera è simile all'infanzia di una nuova estate della natura risuscitata. A primavera è Pasqua, il tempo in cui io fui redento; a primavera è Pentecoste, quando festeggiamo ancora una volta la gloriosa resurrezione come immagine del futuro (ad instar futuri) » 6 8 . Ricordando quanto sopra abbiamo detto del Pharos e della torre dell'isola di Alessandria, comprendiamo meglio perché mai il suo vescovo C I RILLO affermi così spesso che Pasqua è una festa che noi celebriamo είσω τ ω ν λιμένων, « dentro alle mura protettrici del porto » 6 9 . La certezza della salute, che
·' De Noe, 14, 48 (CSEL 32, 1, p. 445, 1. 19- p. 446, 1. a i ) . 17, 60 (p. 456, 1. 15- p. 457, 1. 4)· ae Comment. in Lucam, io, 34 (CSEL 32, 4, p. 468, 1. 5-9). « 9 PG 77, 4 2 4 B ; 436 C D ; 536 A.
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nella celebrazione della Pasqua viene continuamente rinnovata in virtù della morte in croce del Signore, è enunciata in una predica di GEROLAMO per la vigilia di Pasqua : « Ossia, come nel diluvio nessuno fu salvato se non mediante il sacrificio dell'Agnello, che, quale vero agnello pasquale, fu ucciso per una sola famiglia »70. Cristo che appare agli apostoli sulla riva del lago significa, secondo la nota allegoria di papa GREGORIO, l'eterna certezza della salvezza: «Quid per soliditatem littoris nisi illa perpetuitas quietis aeternae figuratur? » 71 . Cristo è il porto dell'approdo, come già dicevano gli Atti di Tommaso'72; e con molta proprietà i cristiani siriani hanno denominato una loro festa « Arrivo nel porto» 73 . In essa si recitava questa preghiera: « In questa notte possa la nostra stirpe pensare che fu liberata dall'errore per mezzo di lui (Cristo), e potè entrare nella pace e nella tranquillità dell'Agnello pasquale vivente, nel porto della pace destinata a chiunque lavora nella giustizia ... Un porto di vita è la passione del Figlio di Dio ... Noi siamo giunti al porto della vita, noi che siamo venuti dal digiuno e dalla passione. La nave della passione si è avvicinata al porto » 74 . Alla luce di tali testi comprendiamo il paragone tra croce e porto tanto caro ai Padri, di cui abbiamo già parlato. La dialettica insolubile tra pericolo e cer10
De exodo in vigilia Homilia 24, 2 (PL 76, 1116B). 72 Ada Thomae, 37 e e p. 265, 1. 1). 73 A. RUCKER, Die Festrituals una verwandte (1923) p. 78-92· 74 Ivi, p. 82-84. 71
Paschae (Cor. Chris. 78, p. 537, 1. 20-25). 76, 1 1 8 + D ; p. 1185 A). - Homilia 11, 4 (PL 156 (LIPSIUS-BONNET II, 2. p. 155, 1. 14 « Ankunft im Hafen » des syrisch-jakobitischen Riten, in Jahrbuch fiir Liturgiewissenschaft 3
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tezza in cui ondeggia la Chiesa, tra morte di Dio in croce e il vero arrivo, viene espressa da ANDREA DI CRETA, quando dice che la croce è il « pilota ed il porto ad un tempo, in mezzo alla tempesta delle onde » 75. La festa del mistero pasquale è quindi il vero ingresso nel porto della tranquillità : « Paschae portum, gaudia resurrectionis intremus» 76 . In una predica greca, che venne attribuita a Crisostomo, l'oratore termina con un inno di lode alla santa croce : « La croce è un pilota per i naviganti; la croce è un porto per coloro che sono sbattuti dalla tempesta »77. Questo transito generatore di eternità, dalla morte alla vita, dal faro al porto della pace, ha luogo per il singolo cristiano nella penitenza, che precede il battesimo pasquale. Scrive LATTANZIO: « Cristo nella sua bontà ha aperto all'uomo il porto della salvezza con il rimedio della penitenza » 78. Tutta la quaresima è porto della salvezza per la navicella delle anime che sulla nave della Chiesa vengono guidate dal pilota Cristo verso il porto del digiuno e, mediante questo, verso il porto del paradiso, come dice CESARIO DI ARLES 79. Comprendiamo allora perché mai anche il battesimo amministrato la notte di Pasqua sia stato chiamato un porto tranquillo. Una liturgia battesimale orientale afferma a proposito del neofita : « Tu viaggi verso quel luogo, attraverso la nera pianura della terra
75
P G 97, 1020 D ; 1021 A. CRISOLOGO, Sermo 8 (PL 52, 208 C ) . " PG 50, 819 A: σ τ α υ ρ ό ς π λ ε ό ν τ ω ν κ υ β ε ρ ν ή τ η ς , σ τ α υ ρ ό ς χειμαζόντων λιμήν. 78 Divinae Institutiones, 6, 24, 9 (CSEL 19, ρ. Sii·'- · 3s)· - Inst. Epitome, 62 (CSEL 19, ρ. 749, l. 8). 78 Sermo 196, 4 ( M O R I N I, 2, p . 751). - Ivi (p. 238, 6; p. 264, 1. 30; p. 270, 1. 19: « Portus poenitentiae »). 16
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come su di un mare. Ο tu, che non sei stato ancora battezzato, affrettati ad entrare nel glorioso porto del battesimo. Dio ti conduce verso il porto, noi siamo giunti alla gloriosa resurrezione di Cristo, nostro Re dentore »80. Nel Libro dei Salmi dei Manichei viene espressa la profonda contraddittorietà del battezzato ancora esposto ai pericoli della navigazione e che tuttavia è già arrivato : « Il battesimo della vita è il porto per coloro che sono ancora in mare » 81 . Il battesimo è «acqua della tranquillità», ΰδωρ αναπαύσεως, « aqua quietis », e ancora una volta questa designazione ci rin via a Noe, il cui nome significa άνάπαυσις 8 2 . Anche per la teologia battesimale latina il battesimo della notte pasquale è l'arrivo in porto. OTTATO DI MILEVI chiama il battesimo «innocentiae portus, peccatorum naufragium »83. In poche parole : la vita del cristiano non è soltanto una traversata insicura, ma un approdo, già certo della salvezza, nel porto di Cristo. CLEMENTE ALESSANDRINO ne parlava come di un « gettare l'ancora presso il Salvatore » 84 . E l'Anonimo greco, a noi già noto, riassume l'ideale cristiano della vita in queste parole: «Il cristiano è un buon pilota, che siede alla barra del timone di legno e fa entrare la sua nave nel 80 F. C. CONYBEARE, Rituale Armenarum, Oxford, 1905, p. 335. - Cfr. H. R.AHNER, Griechische Mythen, p. 120. 81 C. R. ALLBERRY, A Manichaean Psalm-Book, Stoccarda 1938, p. 139, 1. 19. - LUNDBERG, Typologie baptismale, p. 77. 82 LUNDBERG, Typologie, p. 79-83. - Cfr. CONYBEARE, p. 401. - H. DENZINGER, Ritus Orientalium, Wiirzburg 1863, p. 275. 83 Cantra Parmenianum, 5, 1 (CSEL 26, p. 121, 1. 20s). 84 Quis dives, 8, 5 (GCS CLEMENTE 3, p. 165, 1. 13S). Cfr. anche 26, 2: la nave della vita con Cristo quale pilota in direzione dell'ancoraggio (GCS CLEMENTE 3, p. 177, 1. 7-9).
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porto sereno »85. Egli, come predica CRISOLOGO, fruisce di un viaggio tranquillo verso la patria celeste86. Secondo la bella descrizione di EPIFANIO, è in viaggio verso il porto di Cristo 87. L'anima della sua esistenza terrena è fondata speranza della futura salvezza nel porto dell'eternità; per questo ZENO DI VERONA ammonisce : « Perché un navigatore affida la sua nave ad un profondo flutto, se non spera un guadagno e se non raggiunge il sospirato porto? Perché il cristiano crede in Cristo, se egli non crede che presto verrà il tempo dell'eterna beatitudine promessa dal Signore ? » 88. A partire dalla teologia pasquale del porto troviamo ancora una pista collaterale, che appartiene alla storia di questa escatologia in qualche modo anticipata. È risaputo che nel medioevo cristiano il monachesimo era designato come una quaresima a vita e come un secondo battesimo. Il cristiano che diventa monaco ha lasciato definitivamente dietro di sé il mare del mondo e, nonostante tutti i pericoli, è più certo della sua salvezza che non il secolare. Ma anche in questo stato di vita riaffiora nuovamente la dialettica, di cui abbiamo parlato tanto spesso: il monaco è, ad un tempo, ancora in mare e tuttavia è già giunto in porto. Egli, come dice uno scritto attribuito a Basilio, si trova « già all'interno delle mura del porto (εΐσω των >αμένων)»89. Tale del resto è già l'ideale ascetico dei cristiani che tendono alla perfezione nel periodo premonastico. CLE85
PS.-CRISOSTOMO, Homilia in penerabilem crucem (PG 50, 817 A). Sermo 50 (PL 52, 340 B). Nella lettera di PALLADIO DI SUEDRA ad Epifanio, introduzione ah'Ancoratus (PG 43, itì B). 88 Tractatus, 1, 2, 1 (PL 11, 270 A). 89 P G 32, 637 B . 88
87
L'ARRIVO I N P O R T O
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MENTE ALESSANDRINO così dipinge lo gnostico nella sua opposizione al cristiano comune : « Ci sono di quelli che sono ancora più eletti degli altri eletti; e ciò tanto maggiormente, quanto meno si fanno avanti esteriormente; essi si salvano in certa misura dai marosi del mondo rifugiandosi nel porto e così si portano al sicuro. Nascondono nel fondo del loro cuore i misteri ineffabili » 90. Qui parla certamente anche l'ideale greco della tranquillità dell'anima, come vediamo ad esempio AMBROGIO, quando nell'opuscolo sulla Fuga del mondo, così ammonisce il cristiano: « Totum portum invenias sapientiae quae te non sinat tamquam in naufragio fluctuare » 91 . In una lettera di GEROLAMO il luogo calmo, in cui la vergine Celanzia compie la sua tranquilla contemplazione, viene detto « portus tranquillitatis » 92. Anche AGOSTINO sa che la vita contemplativa e ritirata del cristiano che tende alla perfezione è paragonabile ad un porto, in cui può incorrere anche la tempesta del mondo e sbattere l'una contro le altre le navi apparentemente sicure: C'è uno che dice: io voglio ritirarmi con alcuni buoni, cosa ho a che vedere con la massa? Ma anche il porto ha da qualche parte un ingresso, altrimenti non vi si troverebbe neanche una nave. La tempesta si scatena, e sebbene nel porto non ci siano scogli, le navi cozzano l'una contro l'altra e si fendono » 93 . Così preparato, il paragone tra la tranquillità claustrale e il porto, esercita un ruolo im-
90
Quis dives, 36, 1 (GCS CLEMENTE 3, p. 183, 1. 17-22). " De fuga saeculi, 4, 21 (CSEL 32, 2, p. 181, 1. itìs). 82 Epistola 148, 24 (CSEL 56, p. 350, 1. 9-12). " Enarr. in Psalmum 99, io (PL 37, 1277 A). - Cfr. A G O S T I N O , Ueber die Psaimen, scelti e tradotti in tedesco da H. U. VON BALTHASAR, Lipsia 1936, p. 208.
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portante nell'antica letteratura monastica cristiana ed entra nella storia della γαλήνη ascetica ο della « tranquillitas animae ». Ancora qualche esempio. Per BARSANUFIO'ÌI monachesimo è il porto della ησυχία spi rituale 9 4 . CLIMACO denomina lo stato religioso λιμήν σωτηρίας καί κινδύνων πρόξενος 9 5 . Le omelie del lo PS.-MACARIO, anche a causa dell'influsso messaliano, sono piene delle immagini della certezza della sal vezza che si prova nel porto della tranquillità. La méta della navigazione è la Gerusalemme celeste, la città del Regno 9 6 . Nella seconda lettera di Macario l'esercizio della preghiera continua è così descritto : « Come saggi timonieri dobbiamo dirigere i pensieri alla preghiera, e non permettere che la nostra mente sia turbata dallo pneuma maligno e venga sbattuta qua e là dalle onde. Guardiamo sempre dritto verso il porto supremo e renderemo immacolata a Dio la nostra anima» 97 . « Molte navi in mare vengono coperte dalle onde e affondano. Ma non ce ne sono forse anche di quelle che vengono a galla, si muovono sopra le onde e giungono al porto della salvezza?»98. La Storia Ecclesiastica di TEODORETO indica il monaco Lucio come uno giunto « già nel porto della tranquillità » ". Papa 84 Cfr. J. HAUSHEKR, Dictionnaire de Spiritualité, Parigi 1937, v. 1, col. 1259. « PG 88, 657 C. Cfr. anche 708 C D ; 712 D. » e Homilia 43, 4 (PG 34, 773 D ) . Cfr. anche Homilia 44, 6. 7 (PG 34, 78 is). - A questo proposito bisognerebbe vedere anche la edizione critica più recente: Macarius-Homilien, ed. H. DORRIES, Berlino 1963. ·' Lettera di Macario, 2 (PG 34, 436 A ) . 98 Homilia 5, 6 (PG 34, 509 B). *» Storia ecclesiastica, 4, 21, 7 (GCS TEODORETO, 1954, 2 ed., p. 248, 1. is).
L'ARRIVO
IN PORTO
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GREGORIO MAGNO chiama la comunità monastica il porto della tranquillità, nel quale egli desidererebbe ritirarsi quando è assalito dalle preoccupazioni; e sente la consacrazione e i compiti del papato come un venir nuovamente spinto dalla tempesta verso il mare aperto delle preoccupazioni mondane : « Una volta fuggii solerte tutte le preoccupazioni del mondo, ricercai il porto del convento, abbandonai tutto ciò che appartiene a questo mondo e scampai nudo al naufragio di questa vita. Tuttavia, come una nave ormeggiata senza cura, quando si scatena la tempesta, spesso viene di nuovo strappata via dall'insenatura della riva dalle onde, così anch'io mi ritrovai improvvisamente nel mare delle preoccupazioni mondane » 10 °. Nel primo medioevo, nell'opuscolo De vita claustrali, ONORIO DI AUTUN riprenderà questa nautica monastica del porto della tranquillità 101. Concludendo lo studio sulla escatologia della Chiesa racchiusa nel mondo simbolico dei Padri, ritorniamo a toccare un tema, di cui abbiamo già intravisto la struttura nel capitolo sulla Chiesa come arca della salvezza : la croce del Signore e il sacramento del battesimo sono diventati il porto salvifico sicuro dell'eterno approdo, poiché è la Chiesa che, nel mistero del legno e della acqua, ci guida sul mare in modo tale che giungiamo all'approdo prima ancora che i nuovissimi si attuino effettivamente. Per questo parliamo della Chiesa come del « porto anticipato », ossia della comunità salvifica di coloro, sui quali, per dirla con Paolo, la « fine dei tempi è già arrivata» (Cor 10,11). Questa anticipazione ino Nella lettera a Leandro di Siviglia (Reg., V, 53 a). - Cfr. E. CASPAH, Geschichte des Papsttums, Tubinga 1933, v. 2, p. 341S. 101 P L 172, 1247 A.
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L'ECCLESIOLOGIA
DEI
PADRI
della salvezza definitiva, che è già iniziata con la resurrezione del Signore, era il pensiero dommatico operante dietro tutte le immagini, in forza del quale sin dall'inizio la teologia dei Padri fu spinta a chiamare la Chiesa non soltanto una nave, ma anche un porto. In ogni momento della sua esistenza terrena la Chiesa è sempre in pericolo e sicura, in viaggio e già approdata, partecipe della vita terrena del Signore e della sua gloria ancora nascosta e in via di compimento nel destino della comunità cristiana. Gli studi sulla ecclesiologia dei Padri qui raccolti avevano l'unica aspirazione di rilevare questo pensiero dommatico delle immagini e delle similitudini e così far gustare qualcosa del tesoro della teologia dei Padri. A questo rapporto tra dogma e immagine possiamo applicare le parole che GIUSTINO ha scritto nel Dialogo con Trifone: «I profeti hanno rivestito con similitudini e tipi tutto ciò che dicevano e facevano, così che la maggior parte di ciò che dicono non viene compreso da tutti. Essi hanno nascosto la verità che vi si cela dietro, affinché chi vuole trovarla e conoscerla, compia degli sforzi » 1 0 2 . Abbiamo costatato l'antichità del paragone tra Chiesa e porto, già presente nella teologia giudeo-cristiana del Testamento di Ne/tali e nelle Pseudo-Clementine. Questa teologia dei primordi risuona pure quando il martire IGNAZIO prega la comunità cristiana di Smirne di mandare un messaggio ad Antiochia, per congratularsi con quella Chiesa che ha nuovamente raggiunto la pace. Tale pace viene denominata ευδία, che cor risponde perfettamente al concetto della γαλήνη, e 1 0 2
Dial.,
90,
2
(OTTO
II,
p.
338).
L ARRIVO IN PORTO
961
il vescovo si rallegra « che, per le preghiere dei fratelli, la Chiesa di Antiochia sia già arrivata in p o r t o : δτι 103 λιμένος ήδη έτυχον εν τη προσευχή υ μ ώ ν » . Un'immagine desunta dalla spiegazione della Genesi di TEOFILO DI ANTIOCHIA ci mostra con quanta forza fosse sentita nel II secolo l'antitesi tra la Chiesa, sicura della salvezza, e la tempesta del pericolo e dell'eresia. Parlando delle isole ben fondate del mare del mondo, le paragona alla Chiesa: «Le isole sono le comunità, chiamate sante Chiese, nelle quali sono erette le cattedre della verità come nei porti protetti da buone torri » 1 0 4 . Perciò IPPOLITO DI R O M A , che in tutte le sue opere dimostra predilezione per questa teologia nautica, termina il suo ordinamento ecclesiastico con queste parole : « Carissimi, se abbiamo tralasciato qualcosa, Dio lo manifesterà a coloro che ne sono degni, poiché egli pilota la santa Chiesa verso il suo approdo nel porto della tranquillità » 18S . Il cristocentrismo di questa escatologia ecclesiastica diventa anche più chiaro, quando Ippolito paragona il porto precisamente con il Signore Cristo, che è il tranquillo punto di approdo delle navi delle Chiese 106 . Nel commento alle Benedizioni di Giacob103 Smyrn., i l , 3 (BIHLMEYER, p. 109, 1. 20). Per ε υ δ ί α cfr. ESCHILO, Sette contro Tebe, v. 795: π ό λ ι ς δ'έν ε υ δ ί α . - Cfr. an che IGNAZIO a Policarpo 2, 3 (BIHLMEYER, p. i n , 1. I2s), ove al ve scovo viene detto : « Il tempo ti desidera, come uno colpito dalla tempesta desidera il porto ». J.B. LIGHTFOOT, The Apostolk Fathers, Londra 1886, v. I, p. 339S, ha raccolto molte testimonianze per il paragone tra Chiesa e nave (porto). 10 ·> Ad Autolycum, 2, 14 ( O T T O Vili, p. 98). 105 Apost. Tradii., 38, 4 (ed. Gr. D i x , Londra 1937, p. 72). - T e sto copto in TU 58 (1954) p. 45, 1. 34s. - Ordinamento ecclesiasti co egiziano 38 (FUNK II, p. 119, 1. 21). io» Benedizioni di Mosé 17 ( T U 26, 1, 69. - PO 27, 1954, p. 176). - Cfr. J. D A N I É L O U , Les Symboles chrétiens primitifs, Parigi 1961, p. 76.
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L'ECCLÉSIOLOGIA DEI PADRI
be (Gen 49,13) egli cosi dice: «I popoli pagani si rifugiano nei porti, ossia nelle Chiese. L'ancoraggio per le navi è costituito dalle Chiese, che nel mondo aprono le braccia come mura portuali, per dare rifugio a coloro che vengono alla fede » 107 . Cerchiamo ora di sviluppare più a fondo questa dialettica dommatica della Chiesa come porto anticipato. Allo stesso modo in cui Cristo crocifisso fu chiamato pilota e porto, così la Chiesa, la cui salvezza è ancora in pericolo, è sempre anche colei che è già arrivata. Seguendo Ippolito, AMBROGIO ha spiegato la medesima benedizione di Giacobbe a Zàbulon con queste parole: « Praesto sit Ecclesia tamquam portus salutis, quae expansis bracchiis, in gremium tranquillitatis suae v o cet periclitantes, locum fidae stationis ostendens. Ecclesiae igitur in hoc saeculo tamquam portus maritimi per litora diffusi occurrunt laborantibus » 108 . La Chiesa, per esprimerci con un paradosso, durante il periodo terrestre è sempre in viaggio verso se stessa, proprio allo stesso m o d o in cui, come abbiamo già dimostrato più sopra, morendo come luna spirituale, si accosta al sole, oppure, come si esprime BEDA con incomparabile profondità : « Ecclesia gignit Ecclesiam ». Le parole di Ambrogio, che parlano del porto che stende le braccia materne, richiama alla mente qualcosa di simile in GREGORIO NISSENO, che paragona il porto della vita alla smisurata fortuna di essere al riparo nel seno materno 109 . Nella sua predica sul battesimo di Cristo il
107 Le benedizioni di Giacobbe, 20 ( T U 38, p. 35, 1. 1 1 - 1 8 ) . 108 D e Patriarchio, 5, 27 ( C S E L 32, 2, p. 140, 1. 5-8). 108 De anima et resurrectione, 1 1 , 2 ( P G 46, 84 C ) .
L'ARRIVO
IN
PORTO
963
dice che le Chiese sono come porti tranquilli nei tempi burrascosi di questo mondo u o . Definendo la Chiesa porto sicuro, i Padri pensano soprattutto al fatto che ad essa è stato affidato il tesoro immutabile della verità, che è il Vangelo di Cristo. Precisamente la certezza dell'infallibile preservazione della verità manifesta una caretteristica della sua escatologia. La verità non soltanto non è mutabile, ma non è neanche aumentabile. La tradizione apostolica, che viene preservata nella Chiesa, è uno degli indizi principali che la Chiesa, proprio mentre attraversa indenne il mare amaro e cattivo delle eresie, è già giunta dove si apre il porto tranquillo della verità. Già nella prefazione al quinto libro dell'opera Contro gli eretici, IRENEO dice all'amico, a cui dedica il libro, che vorrebbe che gli eretici non affondassero più nel mare dell'ignoranza, ma giungessero al « porto della verità » U 1 . Nella lotta contro gli gnostici questo era un elemento fisso dell'istruzione. Vediamo infatti che IPPOLITO parla molto volentieri del porto sereno della verità (της άληθ-είας CRISOSTOMO
έυδιον λιμένα)
1 1 2
. Anche
CLEMENTE
ALESSANDRINO
113
conosce la stessa terminologia . Nella tempesta della polemica sulla penitenza, seguita alla persecuzione de ciana, CIPRIANO ammonisce i confratelli vescovi ca duti a rivolgersi alle Chiese, alle quali veniva ricono sciuta la conservazione incontaminata della verità: « Perché quando un porto di mare, in seguito alla rot110
P G 49, 363 B C . Adv. haer., 4, Prol. 1 (HAKVEY II, p. 144). ' Elenchos, 4, 46 (GCS IPPOLITO III, p. 68, 1. I J S ) . - Cfr. anche Elenchos, 7, 13 (GCS III, p. 190, 1. 23s): τ ο ν ε ΰ δ ι ο ν λ ι μ έ ν α . 111 li
1 1 3
Paidagogos, 2, 2, 28, 3 ( G C S CLEMENTE I, p . 173, 1. 20). In
un brillante discorso contro l'ebrità.
964
L'ECCLESIOLOGIA DEI
PADRI
tura delle sue dighe protettive, diventa una minaccia alla sicurezza delle navi, non cercano forse i marinai di dirigere le loro imbarcazioni verso altri porti vicini, ove si possa attraccare senza pericolo?... Così noi dobbiamo accogliere con generosa e benevola gioia i fratelli, che fanno rotta verso il porto salvifico della Chiesa » 114 . Per AMBROGIO il sinodo indetto per lo scisma melaziano è un « porto della tranquillità dopo il naufragio della pace ecclesiastica»115; e nel Commonitorium VINCENZO DI LÉRINS ammonisce gli eretici a volersi « ritirare nel sicuro ancoraggio della loro dolce e buona madre, per poter così dissetarsi nuovamente al rivolo dell'acqua viva e zampillante » 116. Il porto della fede immutabile conservata dalla Chiesa è l'immagine costantemente opposta al « naufragium fidei » 117. In essa è racchiusa l'antica convinzione cristiana di ciò che noi chiamiamo l'infallibilità della Chiesa. Secondo una espressione di ISIDORO DI SIVIGLIA, la Chiesa è « il porto della fede per tutti coloro che sono in pericolo di perderla » 118 ; in lui risuona ancora una volta ciò che, risalendo attraverso Ambrogio sino ad Ippolito, è stato detto a proposito della benedizione di Giacobbe a Zàbulon: « La Chiesa ha già eretto la sua abitazione al di là delle ondate di questa vita e così può superare le tentazioni e tempeste di questo periodo terreno » 119 . La Chiesa non è soltanto il porto della verità, ma, nella sua mistica identità con il Cristo risorto, che già 114 115
"'
Epistola 68, 3 (CSEL 3, p. 746, 1. 8-12). Epistola 5(5, 2 (PL 16, 1170B). Commonitorium, 20 (PL 50, 666 B).
"> Cfr. ad esempio VITTRICIO D I R O U E N (PL 20, 456 A ) . 118
PL 83, 281 A. " · PL 83, 106 B.
L'ARRIVO IN PORTO
965
si trova sull'altra riva, è anche, in senso molto ampio, il « porto della salvezza », come la chiama EUSEBIO (σωτηρίας όρμος) 120. La barca della Chiesa è già nella pace e ormai giunta in porto, predica Pier CRISOm 122 LOGO . Essa è il « porto senza tempesta di Cristo » . In una sua predica AGOSTINO ha descritto con vivacità questa dommatica della certezza della salvezza, espressa in immagini, descrivendo con tutta l'arte della sua eloquenza una tempesta marina, in cui la nave in pericolo non può servirsi del timone né della vela : « Tutto ciò che resta ai marinai è rivolgere preghiere e grida al Signore. Egli dunque, che accorda ai naviganti lo ingresso nel porto, dovrebbe forse venir meno alla sua Chiesa e non condurla alla tranquillità? » 123 . Certo, i Padri a volte dipìngono anche il naufragio della salvezza, che può aver luogo in mezzo alla calma non ancora completa del porto, e in questa dottrina espressa in immagini l'antico detto del « nufragio in porto » riceve un completamento dommaticamente profondo m . Ma la gioia cristiana per la salvezza assicurata e definitivamente iniziata nella croce e nella resurrezione del Signore ha sempre l'ultima parola nell'antica ecclesiologia cristiana. La salvezza infatti è assicurata dalla 120
Vita Constantini, 3, 63 (PG 20, 1139B). - GCS Eusebio I,
p. i l i , 1. 12). 121
Homilia 149 (PL 52, 598 B): nHodie ecclesiae navis in portu est et haereticorum furor iactatur in fluctibus ». 122 Nella lettera di PALLADIO DI SUEDRA ad Epifanio all'inizio déH'Ancoratus (PG 43, 16 B). 123 Sermo 75, 3 (PL 38, 476 A). - cfr. una raccolta della simbolica della nave e del porto in Ilario nell'introduzione di W. ANTWEILER, BKV, 2 ed., Ilario I, 1933, p. 22-24 . 124 Oltre ai testi che abbiamo già presentato nel capitolo sul « Naufragio ». cfr. ad esempio CIRILLO ALESSANDRINO (PG 77, 996 A). - AMBROGIO, De qfficiis, 2, 2, 7 (PL 16, 105 C).
966
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PADRI
morte in croce del Signore. La Chiesa, per citare ancora una volta un'espressione di IPPOLITO, è « come una nave; ha con sé Cristo in qualità di esperto pilota e porta nel suo centro la croce del Signore, il segno di vittoria contro la morte » 125 . Perciò, a buon diritto, abbiamo presentato questa trattazione sotto il titolo generale di « Antenna Crucis ». Ed ora, giunti alla fine, ritorniamo all'inizio, ove CLEMENTE ALESSANDRINO dice : « Il Logos di Dio guiderà la tua nave, il santo Pneuma ti farà ritornare nel porto del cielo » 126 . La Chiesa è in pellegrinaggio e tuttavia è già arrivata. La sua celeste terrestrità è incancellabile della sua fisionomia. Come la teologia odierna torna a sottolineare e come i Padri dell'antichità già sapevano perfettamente, essa è il grande sacramento del Regno di Dio, la Madre che muore nel diffondere la vita, la luna che decresce accostandosi al sole Cristo, l'arca da cui esce salvata la famiglia di Dio quando è approdata nel regno della pace. Non abbiamo incontrato nella teologia patristica nessuna espressione più bella di quella scritta da IPPOLITO nella esegesi a Prov 25,54 (LXX), per esprimere questo transito escatologico della Chiesa visibile nel Regno invisibile. Il Sapiente dei Proverbi si meraviglia che la nave viaggia per mare non lasci alcuna orma dietro di sé. A questo proposito IPPOLITO dice: « Cosi neanche la Chiesa. Essa viaggia ancora attraverso il mare. Ma ha lasciato la propria speranza dietro di sé sulla riva, poiché la sua vita è già ancorata in cielo » 127 . 128
De antkhristo, 59 (GCS IPPOLITO I, 2, p. 39S). Ptotrepticon, 12, 118, 4 (GCS I, p. 83, 1. 27). 127 Frammento 27 su Prov. 30,19 (Volgata) (GCS IPPOLITO I, 2, P- 165)· 121
INDICE
INDICE NB. - L ' e s p o n e n t e
ANALITICO
rimanda
A ABRAMO, significato allegorico dei 318 servi, 711SS. ABYSSUS, profondo del mare, sede del diavolo, 483SS, 498 1 ' 5 . A C Q U A E LEGNO, 758;
=
croce
e battesimo, 886, 889, 959. A C Q U A LUNARE, 235SS.
ACTA ARCHELAI, 553 13 °, 560 155 . A D A M O , il suo corpo giacente nell'arca di Noè, 885, 915"*; peccato originale, 780, 884; la tomba sul Golgota, 885; Adamo-Noè-Cristo, 902; tipo di.Cristo, 887; naufrago, 755. ADAMO
DI
S.
VITTORE,
733.
AGOSTINO, dottrina del Verbum coriìs, 19S, 23; dottrina della nascita di Dio dalla Chiesa, 97-103; in Eckehart, 140S, 149S; allegoria della luna, 155, I 6 I 1 2 , 162 13 ; teologia lunare, 216227; 269S; resurrezione della carne, 277S, 284; esegesi di Giov 7, 37, 328, 331; 339 126 , 402; canto dei marinai, 405S, 447s, 457; simbolica del mare, 468, 487S; Neptunalia, 474, 485; 500, 512 4 ; dottrina della navicella della vita, 554, 554 1 3 a ; 56o 1M , 564, 577, 581; dialettica del legno della croce e della Chiesa, 599S; 608, 668, 670S, 675S; su Ezechiele 9, 4, 7ios; 713, 721, 741, 747 48 ,
alla n o t a della p a g i n a citata. 748, 763s, 766; Pietro come pescatore, 827; 836, 843; Chiesa come arca di Noè, 867; 889, 892, 905, 918, 92OS, 924S, 930 2 ", 932S, 937, 940, 957, 9°5Aio, come fanciullo, 34. AIMONE
DI
HALBERSTADT
(?),
23". ALANO
267 127 ,
DI
LILLA,
E
ANTENNA
457',
526. ALBERO
nell'antica
mitologia, 62os; albero = croce, 581; 582-590, 614S; albero e antenna come croce, 634; come trofeo della nave della Chiesa, 611-659. ALBERTO
MAGNO,
116,
800.
ALCEO, 537ALCIFRONE, 5 3 0 S S .
ALCMANE, 240S, 417, 583. ALCUINO,
935.
ALDELMO, 23 2 a , 434, 688s. ALESSANDRIA, 544. ALESSANDRO D'ALESSANDRIA, 22 2 °,
549, 595, 753ALESSANDRO III, papa, 862. ALPENO,
634.
ALTERCATIO PHILI,
22,
SIMONIS
ET
THEO-
710.
ALTIBURO, mosaici nautici, 615, 620, 648. AMBROGIO, I8», 19 10 , 2 2 1 9 . 2 0 , 2 3 M ; dottrina della nascita di Dio, 92-98 ; senso mariano, 96S; mariologia, 95ss; 152 7 ; allegoria della luna, 153 15 , 155S;
INDICE ANALITICO
970
teologia lunare, 205-216; 263266; 2 4 8 " , 254 a > ; 276 26 , 28os, 286 82 . 63 , 296 1 3 ; teologia dell'acqua viva, 321-326; senso di Giov 7, 37, 32Ss, 382-390; 334s; 4 0 1 ' , 4 1 0 " , 414; le sirene, 421S, 43 i s ; Ulisse, 444SS; 459 12 , 484S, 490, 495, 502; la Chiesa come nave, 509; 511, 523, 536, 548 1 1 1 , 552S, 559 151 , 585S, S89, 598 ; la croce come trofeo della Chiesa, 656; 659 143 , 665, 698, 712S, 716, 719S, 722, 741, 742S; canto funebre per il naufragio, 744; 746, 752S; 758; naufragio nella fede, 762S; 764S, 765 124 , 767; dottrina della penitenza, 784; Pietro come pescatore, 827; dottrina della Chiesa come nave di Pietro, 830S; 8S3 130 , 872 19 , 89is, 895S, 912, 917, 9 5 L 952. 957. 962, 964AMBROSIASTER, 60 52 , 763. 9
AMMONIO, ANAITIDE,
153 . 246.
SINAITA,
74,
153 1 0 ,
ANDREA DI CRETA, ÓOOS, 606 302 ,
954ANELLO DEL PESCATORE, del papa,
829S. D'ICONIO,
66 8 .
ANGELO come timoniere l'arca, 885, 885»2.
del-
ANSELMO DI CANTERBURY, 838. ANSELMO DI HAVELBERG, 839. DI
LAON,
IIJM,
686, 794. ANSELMO
DI
ANTICHITÀ E CRISTIANESIMO, 148S,
638S. ANTIFILO, 5293V, 533 53 , 575S, 586. APAMEIA, 880; monete di Noè, 872". APOCALISSE DI BARUC, 886. APOLLINARE DI GERAPOLI, 362.
LUCCA,
835.
483.
APOLLONIO R O D I O , A P O N I O , 330.
169; C o m m . in Exaemeron, selenologia dommatica, 199205; 2 2 9 1 " , 246*°; mistica lunare della Chiesa, 257-262; 284S, 288, 909.
ANSELMO
409 2 ». ss , 508, 584, 740". 1 2 . 1 3 . 1 4 ; 742 23 , 744s», 747, 749", 773 1 5 8 , 942, 9 4 8 5 0 . " .
APOLLIONE,
ANARCHIDE, 572 , 574. ANASTASIO I, papa, 846S.
ANFILOCHIO
ANTHOLOGIA GRAECA (sei.), 405,
APOLLINARE S I D O N I O , 624S. 186
ANASTASIO
ANTENNA (xspaloc, antemna, antenna), etimologia, 617S; tecnica dell'antenna, 6 I 8 S S ; fortuna e pericolo per la nave, 625S; nel mito ellenistico, 627S ; simbolo etico, 629-633; croce, ancor prima del cristianesimo, 63 3s; simbolo della ' buona nave ', 624S ; croce sulla nave dell'anima, 657-669; a. della Chiesa = la croce, 676, a. della croce e archeologia, 680-685.
604,
771.
25
APULEIO, 161, 165 , 233, 236", 238, 2 3 9 " , 241, 272S, 275 23 , 558, 591, 615S, 619S, 944 26 . A Q I B A , Rabbi, 310. ARATO, 4 0 5 " , 460, 529311, 558, S7SARATORE,
828.
arbor = albero della nave = croce, 6145, 758. A R C A DI N O È , letteratura, 865 l , 874 26 ; reliquie dell'A., 78OSS; nave della salvezza nella tradizione tardogiudaica e giudeocristiana, 870-886; nella storia del dogma della chiesa primitiva, 923-938; Arca (Chiesa) nelle controversie sulla penitenza del III secolo, 929-933; fi-
INDICE ANALITICO gura della Chiesa dei peccatori, 926-929; simbolo della Chiesa, 577, 75
746.
ARGONAUTI, la santa nave, 529S, 582, 628, 742, 771S. ARISTIDE, 1683», 169", 2 8 2 " , 567"». ARISTOFANE, 532, fin, 63os, 637. ARISTOTELE, 160, i64 22 , 236, 242, 271 4 , 274S, S i 9 " , S 2 i l a , 540, 546. 617. ARNOBIO, 162 12 , 563. ARNOBIO IL G I O V A N E , 23 2 8 . ' ARRIVO I N PORTO ' , titolo
di
una liturgia siriaca, 939 1 , 953. ARTEMIDE e Selene, 245. ARTEMIDOHO, Libro dei sogni, 243, 531» 59i, 634, 7 0 3 " , 745. artemon = vela anteriore, 616, 683. ascendere nauim, espressione nautica, S9ó 272 . ATANASIO, 22*0, 191, 198 116 , 3 2 1 " ; lettere pasquali, 313S. ATENAGORA, I 6 8 S , ATENEO, 618.
557.
A T T I D I APOLLONIO,
20 13 .
AVITO
971 DI
VIENNE,
571"5,
859,
921. B BALENA (cete), 488 183 . BARSANUFIO,
958.
BASILIO, 1 9 " , 68 1 0 , 153 11 , 211, 247, 2 5 4 " , 270', 276 26 , 316S, 404, 503S, 506, 585, 605, 745 3 '. 763. 94<5BASILIO DI S E L E U C U , 536, 826S,
871, 888. BATTESIMO, formazione della Chiesa, 15S; principio della nascita di Cristo nel cuore della Chiesa e dei credenti, 2Sss; raffigurazione della nascita del Logos, 26s ; nascita di Dio, 44S ; battesimo di Cristo come n a scita, 60 5 2 ; grazia battesimale come nascita e trasformazione, 76; nascita di Cristo dalla Chiesa, 98 2 0 ; nascita dalla Chiesa, 251S, 255; acqua lunare, 254» 0 ; dal g r e m b o materno del fonte battesimale, 26OS, 266s; vittoria sul fato, 279; croce e acqua, 359s, 36ÓS, 443S; apotaxis nel battesimo, 425 9 3 ; B. come prima tavola della salvezza, 757; B. e Mar Rosso, 757; B. e nave della Chiesa, 780S ; diluvio universale, 889; B. e Arca, 893899; fonte battesimale come grembo materno, 9I4 1 ™. 916 1 7 9 ; principio dell'ultimo approdo, 955; ' a c q u a della pace ', 955 ; consacrazione dell'acqua battesimale, 897S; B a t tistero del Laterano, 394.
ATTI DI GIOVANNI, 9$ie°.
BEATO,
A T T I D I T O M M A S O , 953 72 .
BEDA, 17 2 , 23 25 , 1081, 1152*, 602, 608, 672, 685S, 687, 697, 7 5 7 " , 8ios, 829", 871S, 922, 934, 940, 949-
ATTONE, 792S. AUSONIO, AVIENO,
679, 4.06.
692.
113.
972
INDICE ANALITICO
BELLARMINO R., 807S BERENGOSO DI TREVIRI, 723, 725BERNARDINO DA SIENA, 526. BERNARDO DA CHIARAVALLE, 2 4 " ,
109, i n ; la sua Scuola, I26s, 434, 9 2 6 " ' . BEROSSOS, BOEZIO,
162".
159,
404,
463,
464,
566.
BONAVENTURA, 112, 589, 6o4 a95 , 803S. BONIFACIO I, papa, 847. BONIFACIO IV, papa, 860. BONIFACIO Vili, papa, 836", 863, 866*. B R U N O D I SEGNI,
131.
C C A D M O , scopritore della lettera Tau, 700". CAEDMON,
934.
CALCIDIO, 234 8 . CALLISTO, papa, 926S. CALVINO,
806.
CARLO M A G N O , timoniere dell'Arca (Chiesa), 935. CARMEN ADV. M A R C I O N E M ,
372,
718, 916. CARMEN DE PROVIDENTIA,
330.
CARONTE, barca dei morti, 527S, 550, 586. CASSIO
DIONE,
541S.
CASSIODORO, 18 8 , 4 4 1 " 6 , 5293B, 584, 602, 672, 942. CASTORE
DI
RODI,
significato
simbolico dello stare sopra la luna, 276 2S , 278 34 . Cathedra Petri, 817-823. CATONE, 459". CATULLO, 629.
CELESTINO, papa, 748, 848. CELSO, 309S, 403, 469, 594. CESARE, 459 10 , 622, 627. CESARIO D'ARLES, 103S, 270 3 , 327,
377, 468, 474, 720, 787, 844»», 9ios, 954-
cetus, simbolo del diavolo, 488SS. CHIESA, posizione nel sistema dommatico, 8s ; nel sistema teologico dei Padri, ios ; la C preesistente, 890' 8 , 9 0 1 ; fine della creazione, 567; C. e cosmo, 565; C. quale polis, psyche e cosmos del m o n d o , 569; dialettica della sua esistenza, 45 5s, 5 I I S , 6o8s, 966; in viaggio verso se stessa, 962S; genera se stessa, 15S; previsto porto dell'incerta sicurezza, 41OS, 413S, 939S, 958s; nave e porto nello stesso tempo, 764 ; meraviglioso viaggio mortale, 608 ; C. dei peccatori, 924, 926 ; imitazione della vita e della m o r t e di Cristo, 593; teologia della C. votata alla morte, in Origene, 178-185, in Cirillo Aless., 195-198, in Teodoreto, 192SS, in Ambrogio, 209-216, in Agostino, 2i6s, 224SS; extra Ecclesiam nulla salus, 867', 92OS, 925 2 0 5 ; C. e anima singola, 44 15 , 55, 73, I77S, 5M, 554, 6o8s, 665, 668, 765 1 2 4 ; fonte del Paradiso, 345; fonte dell'acqua viva, 352SS; paradiso con quattro fiumi, 367, 372; arca (v. Arca), 400, 835, 865, 870, 886, 899-911; C. = navicella di Pietro, 400, 811, 813, 814, 820,824,829-838; madre di Cristo, 39SS, 48S, 57, 73 ; donna dell'Apocalisse, 58,113-116; virginea madre dei credenti, 29S ; C. di R o m a come ' Madre di tutte le Chiese ', 8 n s ; sposa ' senza macchia né ruga ', 669; luna (Selene), 149, 169-186, 203S, 225S, 246-268; dalla piaga del costato di Cristo, 346s, 367S, 370, 375, 37<5101, 388, 922;
973
INDICE ANALITICO CIRILLO
C e Maria, 3 1 " , 55, I O I S , 353;
Chiesa come nave, letteratura, 397 1 ; C. come nave, 410, 411, 455S, 515-527. 545, 646; nave che porta il popolo, 536; padrona della nave, 5 4 3 M ; C. = viaggio in nave, 399; C. e pesca nel mare cattivo, 508; C. come nave nel mare diabolico, 497, 499, 501 ; C. universale al sicuro dal naufragio, 765; salvezza dei naufraghi, 759; forza antidemoniaca, 482; in viaggio verso la ' Città del grande Re ', 659 1 4 3 ; C. e croce, 224S, 453; C. e legno della croce, 402S; nave costruita col legno della croce, 456, 571590, 592; C. = nave di legno e chiodi, 59is; nave e timone costruiti col legno della croce, 607; nave della Chiesa = Cristo crocifisso, 599; C. ed escatologia, 226SS, 269S, 453S, 939; C. e resurrezione della carne, 270S, 283, 565; porto dell'ult i m o sbarco, 513, 600, 962-966. CHIESA
VESCOVILE
come
arca,
9ioss. C H I O D I di ferro nella nave e nella croce, 59OS; pratiche magiche con i chiodi della croce, 591CICERONE, 2 3 4 " , 235 1 4 , 244, 245,
272, 420, 461, 516, 532, 53 3 56.57,5 8 ;
53581,
53978>
5 4 2 ;
556. 559, 6 4 2 " . 747, 750, 777. 944CIPRIANO, 21 1 6 , 296 1 1 ; teologia della Chiesa, 367S; Testimonia, 3655, 708, 761, 765, 843, 845, 852, 856 13S , 867 5 ; polemica sul battesimo degli eretici, 930, 931, 948S, 950, 963CIPRIANO GALLO,
916.
D'ALESSANDRIA,
19 10 ,
63S; dottrina della nascita di Dio, 69-73; I 5 3 a ; selenologia mistica, 195-198; 315; 334,423, 429, 732, 825, 888, 897 10S , 952. I
|
CIRILLO DI GERUSALEMME, 283",
316, 332SS, 895, 908.
CLAUDIANO MAMERTO, 4 6 2 " . 1 CLAUDIO CLAUDIANO, 626, 629. | CLAVIS MELITONIS, H O 1 1 , 267,
j
3 8 9 1 " , 488 1 3 3 . CLEANTE, CLEMENTE
ì 1 :
235. D'ALESSANDRIA,
I8S,
26", 27 s . 9 . 1 0 , 2 8 " . 14 , 29 1 5 . ^o 1 9 59 50 77 30 , 3ni6_ I? # 18 165S, 2 3 5 " , 2 4 6 " , 275 21 , 279, 285, 301, 310, 41OS, 412S; le sirene, 418, 424S; Ulisse, 412S, 440, 441, 442, 4 6 4 " , 467; simbolica del mare, 475; 506, 531, 553, 7o6s, 713S, 767, 904 1 3 ! , 940, 9 5 5 " , 956S, 963. 9 6 6 CLEMENTE IV, papa, 830. CLEMENTE R O M A N O , 900. C L I M A C O , 769, 958.
COCCODRILLO, simbolo del diavolo, 478*', 481, 477. COLOMBANO, 860. COLUMELLA, 460 1 9 . C O N C I L I O LATERANENSE
(1215),
725C O N C I L I O DI N I C E A , 318 vescovi,
715C O N C I L I O VATICANO I, 924S. CONSTITUTIONES APOSTOLICAE,68. CONSULTATIONES ZACHAEI ET APOLLONII,
373.
cor = Y)Y E ( J " o v l x o v in Origene, 305 1 8 ; in Ambrogio, 322; cor— xotWot = venter=uterus, 363S, 368S, 372, 379corna — antenna, 673 ; 617, 624. C O S M O , come nave, 555. COSTANTINO, imperatore, come timoniere, 543, 550, 753.
974
INDICE ANALITICO
COSTA MTINO POHFIROGENITO, i m -
peratore, 544. COSTITUZIONI APOSTOLICHE, nave
della Chiesa, 52OSS; 823. CRISIPPO, 235, 551. CRISOLOGO, 498, 511S,
523,
568,
763, 768"», 810, 828, 8662, 954™, 956, 9ÓSCRISOSTOMO, 68S, 68 1 1 , 153 14 , 248, 318, 320, 333, 506, 522, 568, 635, 668, 755, 826, 854S, 871, 888, 913S, 942, 963. CRISTO, nalq 8-soù, 26s; luogo di riposo dello Spirito Santo, 384S; il ' trafitto ', 307, 362, 364, 371S, 375; roccia, 363, 366-369, 372, 373, 375. 377, 388, 39OS; roccia dell'acqua viva (1 Cor 10, 4), 306S, 345, 355s; Cristo e la Chiesa 147; timoniere della Chiesa, 513, 608, 554; 843, 954, 966; dormiente sulla nave, significato escatologico, 596, 605, 815S, 8 1 5 " ; nella tempesta, rappresentazione pittorica, 603 2 9 1 ; Cristo = navis, 593 ; alto abete, 589; Ulisse, 444s; crocifisso all'albero della Chiesa, 666; sulla croce dell'antenna, 674S; timoniere, 820; Cristo come N o è , 870, 876, 889, 891, 893, 901, 904, 907 112 , 909, 912, 921, 933; il corpo di Cristo come arca, 918 1 8 8 ; timoniere dell'arca, 895, 903, 909; Cristo e i Vescovi della nave della Chiesa, 851; approdo per le barche delle Chiese, 9 6 1 ; porto dell'ultimo sbarco, 953. C R O C E come nave, 577; di legno e chiodi, 59OS, 593; chiodi della croce come strumento magico, 591; C di tre specie di legno, 587S; segno cosmico,
892 9 0 ; legno della croce ed arca di Noè, 868, 888-892; tavola della salvezza, 738 ; legno della croce e battesimo, 758; legno della croce e acqua, 359; come signum, 706S, 724; lettera Tau, 709, 72OS; crux commissa et immissa, 721, 726, 727S; legno della vita, 594; forma di croce nel corpo umano, 548 1 1 1 ; C e Cristo crocifisso nell'archeologia, 68 i s ; segno della croce, 612 6 , 691 1 , 693, 698, 710 49 ; 711 5 5 ; segno della croce come antenna, 6óos; C. e antenna, influsso sul simbolo e l'arte, 669S; C. e Chiesa, 399, 456, 57is, 589S; C. come albero della nave della Chiesa, 436, 443, 444, 446S; antenna della Chiesa, 676 ; costruita con l'albero e l'antenna, 634; come albero della nave e segno di vittoria, 966 ; come trofeo nella nave della Chiesa, 611, 664S; timoniere e porto della Chiesa, 954; sicurezza della nave, 9S2S. CROMAZIO, 6 7 8 " ' , 692S. CUORE, cfr. cor; sorgente e simbolo della vita, 17-24; antica psicologia del C, 17S; simbolo dell'uomo interiore, i8s; fonte dei pensieri, 17S; grembo m a terno della sapienza, 18; d o t trina del Verbum ccrdis, tgs; C dei credenti come grembo materno per Cristo, 42; Eckhart, 139. cursus, termine nautico, 567 178 . CURZIO
RUFO,
627".
D DAMASO, papa, 853S. D A N T E , 267, 286s; Ulisse in Dante, 441 1 5 9 , 462.
975
INDICE ANALITICO DECRETUM GELASIANUM, 853 1 ".
EPITTETO,
DEMOCRITO,
ERACLIO, gnostico, 33 2 e . " .
744.
DEMONOLOGIA, cristiana e antica, 48os. DEMOSTENE,
540.
DEUCALIONE, mito dell'arca, 873S. DEUSDEDIT, 824. D I D A C H , 20 1 3 . DIDIMO D'ALESSANDRIA,
314,
D I L U V I O UNIVEBSALE nella pri-
mavera pasquale, 952; battesimo del m o n d o , 896, 900, 905S; tipo del giudizio del m o n d o nel fuoco, 880, 882, 882 47 . D I O N E CRISOSTOMO, S31, 574. DIONIGI D'ALESSANDRIA, 19 10 ,
2 1 " , 187. D I O N I S O , sorridente fanciullo divino, 34. D I O S C U R I , 6 3 I , 6 3 I 7 2 , 6 Ó 7 1 6 S , 942. DIOSCUHIDE, 742. DIOSCURIDE LATINO, 591 2 6 1 . D R A C O N Z I O , 628 62 .
D R A G O , simbolo del diavolo, 490496, 497S434,
441 1 5 6 , 724D U N S S C O T O , 804 243 .
44",
84 51 ,
89,
EEREM S I R O , 502, 907S. EMPEDOCLE, 160, 163 1B . E N N O D I O DI PAVIA, 624, EPIFANIO D I SALAMINA,
526", 894, 956.
449463,
538,
582,
ESDRA, 4° libro, 884, 891. ESICHIO, 423. ESIODO, 217, 417, 743. EUCHEBIO, 331.
EÙSia, 960, 9 6 1 I o a , 963. sij7tAoia, 945 34 . EURIPIDE, 417S, 424S, 425 9 3 , 531, 586. EUSEBIO, 198 1 1 6 , 231 1 , 2 4 5 " , 2495, 316, 423, 43°119> 543, 555, S57. 561, 569, 575, 655, 699S, 761; la barca di Pietro come Chiesa di Cesarea, Antiochia e R o m a , 825S, 949, 965EVA, 877 29 . EVAGRIO PONTICO, 8 o 4 ° .
EZECHIELE, visione e. 4, 9, 6945, 708 ; visione, raffigurazione, 734115. u t , DI
KOLB, 399,
250,
273 1 2 .
668.
F
99 2 2 ,
858. II885,
4Ó438,
625, 628, 772, 947, 9 4 8 " .
EZZOHED,
105, 107, 109, 113, 115S, H 7 s ; fonti patristiche della dottrina, 125S, 133-143; E. e Origene, I35S. ECUMENICO, ruolo del Vescovo di R o m a , 844-851.
439.
ERMENRICO DI ELLWANGEN, 935. ERODOTO, 772. ERRATO DI LANDSPERG, 434,
EZNIK
E ECKHART,
419,
772.
ERMA, 5 1 " ; teologia penitenziale, 743, 890", 946.
ESCHILO,
334"*, 489, 757, 905S.
DROGONE, 9 2 2 S , 9 2 3 2 0 1 . DUNGAL SCOTO, 414",
ERACLITO,
562,
FARO, simbolica, 945S. FAUSTO
DI
RIEZ,
675 1B2 ,
715,
717 89 . FELICE II, papa, 849. FERECIDE, 2 4 4 " , 470, 471. FESTO, 636, 651 1 2 3 . FILOLAO. 2 3 5 " , 250. FILONE D'ALESSANDRIA, 18 4 ,
19",
161, 238, 249, 272, 302, 306, 309 29 , 321, 495, 748. 873, 912. 917.
976 FILOTEO
INDICE ANALITICO DI
COSTANTINOPOLI,
G I O V A N N I APOSTOLO, come p r o -
166 2 ',
G I O V A N N I CALECA, 3i7 5 0 . j GIOVANNI DAMASCENO, 571 " * ,
57i 1 8 s , 601. FIRMICO
feta, 3 4 8 " .
MATERNO,
163,
2 5 6 " . 373, 552 129 . 675. 744 34 , 749. 75°'°FlRMILIANO, 931. FISIOLOGO, 3 8 9 1 " , 429, 430 115 . FOCHE, simbolo degli eretici, 504. FRAMMENTO MURATORIANO, 819. FRONTONE, 563S, 652. FULGENZIO AFRICANO, 529". FULGENZIO DI R U S P E , 2 3 2 \ 932.
G
DA BRESCIA,
285B»,
329, 897, 932 2 M . GEDEONE e i 300 uomini, 707S. GELASIO, papa, 849, 856. GEMATRIA nel Talmud, 702, 704;
cristiana, 714, 721, 729S. GENNADIO DI MARSIGLIA, 114. GBRHOH VON REICHERSBERG,
393 145 GERMANO
DI
228 1 M . I GIULIANO DI ALICARNASSO, 433. GIULIANO L'APOSTATA, 420, 732. GIUSEPPE FLAVIO, 870, 88is. GIUSEPPE DI TESSALONICA, 577,
606.
"{a.Xr^-1) [serenitas), calma come simbolo, 945, 946, 947, 948, 949» 95 i s ; 4Ó438. 4 0 ; significato morale, 464, 4Ó4 S «. 40 ; pace ecclesiastica e politica, 96os; virtù del monaco, 958. GAUDENZIO
607, 915, 919. GIOVANNI L I D O , 246. GIOVENALE, 407, 574, 625, 774. GISLEBERTO DI WESTMINSTER,
COSTANTINOPOLI,
447, 606. GEROLAMO, 18'. ", 222 176 , 227 1 » 5 , 281 4 7 ,295; esegesi di Giov 7,37, 326S, 379S, 385; 335S, 33®, 4O0s, 414, 422, 430, 432, 484, 490, 492, 496, 504, 508211, 53353 56) 583, 597, 612, 6 5 9 1 " ; il segno di croce, 663 ; 697, 698, 710, 748, 7 6 3 " 5 , 768S, 779, 783, 788, 817, 825, 842S, 86ós, 871, 896, 910, 915, 928, 932 225 . 2 2 \ 953, 957GEROLAMO DI GERUSALEMME, 74S. GIACOMO DI . SARUG, 600.
G I O T T O , Navicella Petri, 863.
GIUSTINO,
19 10 , 2 1 " , 28», 59 50 ,
60 52 , 254 8 s , 279; dottrina dell'acqua viva, 357s; 399, 436 1 3 ', 580; teologia nautica, 639-642; 873, 889S, 912, 960. GLOSSA ORDINARIA, 7 9 4 2 " , 829. G N O S I , cristologia, 33. GOFFREDO BASTONE, 1096. j GRAZIANO, Decreto, 793, 835. GREGORIO DI ELVIRA, 22 2 1 ; Trac-
tatus Origenis, 374; 6785, 693, 710, 719, 757, 888, 906, 92921». GREGORIO
MAGNO,
23 2 5 ,
107 1 ,
io8 2 , I40 1 3 , 148=, 330S, 3391", 457; simbolica del mare, 486; 490, 494, 498, 501, 513 5 . 721. 741, 791S, 836", 837, 861, 953, 959GREGORIO N A Z I A N Z E N O , dottrina
della nascita di Dio, 65S, 77 30 , 8ys8 ; p r e 2 2 0 del plenilunio pasquale, 191; 317, 407S, 409S, 448, 4 6 2 " , 467S, 535, 5°4 1 6 ', 565, 5701 83 , 577, 592, 626, 7 4 5 " , 7 4 6 " , 747 49 , 910, 913, 947, 9 4 9 " , 9SIGREGORIO N I S S E N O , 17 3 ,18 8 , 22 20 ,
64 1 ; dottrina della nascita di Dio, 75-80; 9 4 " , 1 6 3 " , 192, 312 38 , 317, 4Ó228, 549S, 557,
977
INDICE ANALITICO
ISACCO DELLA STELLA, I H 1 6 .
564, 585, 613, 636, Ó78S, 692,
ISIDE, luna, i66 3 9 , 240, 242; aretalogia di Iside, 2466»; Iside = Selene, 275; Iside e navigazione, 529; Iside e nave, S44', n o m e di nave, 615. ISIDORO DI SIVIGLIA, 162 13 , 228 195 , 267, 392, 468, 539 , g , 675, 687S, 700 25 , 703 32 , 723, 933, 964.
753. 962.. GREGORIO II, papa, n o s . GREGORIO VII, papa, 812, 861. GREGORIO DI T O U R S , 622, 672 1 '»,
917. GROTTA D E I TESORO SIRIACA, 885,
8 9 5 " , 904. GUERRICO, I I I S .
ITA VON W E Z Z I K O N ,
I
551.
IDROMANZIA, 477S. IGINO, 472, 529. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, 20 13 .
KEBES, Pinax, 748. M
,
960. txpiov = legno della croce = tavola della nave o albero della nave, 595, 617, 738. ILARIO, 2 3 " , 60 52 , 331, 458, 484, 495, 500, 716, 763 1 1 5 , 8itì, 827, 909, 932 225 ; simbolica della nave e del porto, 965 1 2 3 . INNOCENZO III, papa, 130, 414S, 462*"', 468»*; lettera al Katholikos di Armenia, 725; 809, 839, 862, 866=. IPPOLITO, i7 2 , 2 1 " , 2 2 " , 3 3 3 0 . 3 1 ; dottrina della nascita di Dio, 37-42; Maria e la Chiesa, 39S; 9 i s ; 92 3 , 162, 235 16 , 271 4 , 269»; esegesi di Giov 7, 37, 344-348; 401'. a , 410; 429, 43is; Ulisse, 4I3S, 436 112 , 443S, S02, 5I2 4 ; catalogo navale, 5iós; 5 6 5 1 " , 578 205 , 585, 606; teologia nautica della croce, 645SS; 652, 722, 765, 810, 816, 871; l'arca, 903; 908, 9 1 3 1 " ; 926S, 961, 963 1 1 2 , 966. IRENEO, 8S, I O ; teologia battesimale, 305; 5 1 3 4 ; Chiesa e Maria, 3 1 , 291, 295 8 ; teologia di Giov 7, 37, 348-355, 357; 5 7 i l a b , 893, 901, 902, 912, 919, 963-
;
KEMNITZ M., 806.
L LABARO,
544,
655.
LAICI nella Chiesa, 522, 522 2 0 ; i nella nave della Chiesa, 566, j $66"". ! LATTANZIO, 173, 6o 52 ; 408, 542, j 54<5, 559, 777, 881, 954I
LEANDRO DI SIVIGLIA, 4 6 2 " .
LEGNO, principio di peccato e di salvezza, 57IS; il legno spregevole: dialettica sul mare, 573; antica simbolica cristiana del L-, 579s; espressione a Ugno in 1 Sai 95, io, 579S; i tipi di legno coi quali si costruisce la nave e i a croce; abete, pino, cipresso, 582-588; legno della vita = croce, 594; legno e acqua, c r o ce e battesimo, 895S, 908S. LEONE M A G N O , 208 136 , 394, 844. LETTERA DI BARNABA, 2 0 " , 25 1 ,
359, 379, 891. LETTERA D I D I O G N E T E , 279; p r o -
blematica del capitolo conclusivo, 42 12 . LETTERE DELL'ALFABETO come m o -
tivi ornamentali nelle antiche rappresentazioni cristiane, 728SS. LEVIATHAN, simbolo del diavolo, | 487, 488, 492.
978
INDICE ANALITICO
LlBANIO, 403, 418 64 . LIBERIO, papa, 716.
MACARIO CRISOCEFALO,
LIBRI C A R O L I N I , 935. LIBRO DI E N O C H , 877 2a , 878, 883. LIBRO DEI GIUBILEI, 872 1 9 , 884. LIBRO DELLA SAPIENZA, simbolica
nautica, 575, 576. LIONE, Lettera dei Martiri, 2 9 6 " , 353-357LITURGIA
BIZANTINA,
adorazione
della croce, 601. LIVIO,
535,
627
LOGOS, nascita dal cuore del Padre, 22S, 93S; la dottrina del ' V e r b o saltante', 22s; t i m o niere del mondo, 562. LUCANO, 586, 619, 651. LUCIANO DI SAMOSATA, 242, 5275,
534, 5<5o, 563. 59i, 62is, 625, 636, 652, 700, 744, 749, 773, 776, 874. LUCIFERO DI CAGLIARI, LUCILIO, 615.
93 is.
LUCINA = luna, 245 64 . LUCREZIO,
629M,
633,
LUDOLFO DI SASSONIA,
746. 551.
LUNA (cfr. Selene), nell'arte cristiana, 227 1 9 6 ; luce propria o luce del sole, 162SS; Luna = Gerico, 155 22 , 222; teologia lunare: latina, 205-229, in A m brogio, 153 15 , 207SS; in Agostino, 216-227; in Gerolamo, 227 1B5 . LUNA, nella S. Scrittura, 154S. Lunulae, ornamento delle donne come simbolo della Chiesa, 281". LUTERO M., opuscolo sul battesimo, del 1523, 867S; teologia penitenziale, 805S. M MACARIO, Omelie, 468, 513, 553 132 , 5 5 4 " S 576, 958.
915.
MACCABEI, 4° libro, 911. MACROBIO, 19 10 , 234«, 237, 240, 245, 249, 260 105 , 273, 6i9 2 S . M A N I C H E I , culto della luna, 239 30 . M A N I L I O , $2g3', 552 129 , 560. M A N U E L PHILES, 420. M A R C O EREMITA, 317 56 .
M A R E , del mondo, 458; M. amaro, 459-468; M. infido, 406; simbolo del mondo, 402; sede dei demoni e del diavolo, 477509; nella retorica, 46is; simbolo della vita dura, 462S; immagine del male morale, 463S; nella S. Scrittura, 465S; nella teologia patristica, 466S; simbolo del male e del diabolico, 469-509; il M. cattivo negli gnostici, 475S, 485 1 1 9 ; simbolica del Mar Rosso, 494S. MARIA, 48 2 8 ; M. e la Chiesa, 3 i 2 5 ; 103; in Ireneo, 353; nella teologia di Ippolito, 39; in Origene, 45S ; in Metodio, 54S ; in Ambrogio, 96; in Agostino, I O I S ; modello della nascita di Dio dalla Chiesa e dall'anima, 72s, 74S, n o ; 95; M. e grazia battesimale, 45S; portatrice del Logos, 39 8 ; significato della donna dell' Apocalisse non a p plicabile a Maria, secondo M e todio, 57S; M. madre del t i m o niere della Chiesa, 601 ; arca e grembo materno della salvezza, 936M A R I O V I T T O R I N O , I 9 1 0 , 377S.
MARZIALE, 584 2S1 , 772, 774. MARZIANO
CATELLA,
241.
MASSIMO CONFESSORE, 77 3 0 ; dottrina della nascita di Dio, 8088; 117, 713, 722S. M A S S I M O D I T O R I N O , 104, 2 2 7 " ' ,
265S, 280", 412, 414; predica
INDICE ANALITICO su Ulisse, 446S, 656 138 , 664; 6 7 S m , 711, 828, 834. M A T T E O CANTACUZENO, 317 56 .
M E I R , Rabbi, 310. MELEAGRO,
634,
948.
M E I I T O N E DI SARDI, 753.
M E T O D I O DI FILIPPI, teologia battesimale, 54; esegesi di Apoc 12, 57s; i6s, 2 1 1 7 ; dottrina della nascita di Dio, 53-61; protesta contro l'interpretazione m a riana di Apoc 12, 57S, 113; allegoria della luna, i88s; teologia lunare del battesimo, 251257; 444, 428, 430S; allegoria di Ulisse, 439S; 464, 825. MICHELANGELO, 551 1 2 3 . MINUCIO
FELICE,
4361",
438,
559S, 614; teologia della croce, 645S. M I S T I C A LUNARE, ellenistica, 150-
169. MONACHESIMO come quaresima a vita e secondo battesimo, chiostro come porto della tranquillità, 956S. M O R T E , come naufragio, 549, 742-748, 752S; come porto, 409, 465"». N NASCITA DI D I O , nel sincretismo ellenistico, 3 4 " ; dal cuore del Padre, 21 ; nella lettera di D i o gnete, 4 2 l a ; nella mistica greca, 64S ; dommatica dei Cappadoci, 64SS; dottrina post-agostiniana, 104S ; dottrina del primo medioevo, 107S. N A T A L E , origine della festa, 207S. NAUFRAGIO, antica simbolica, 739-750; nella dommatica patristica, 751-770; nei proverbi romani, 750 67 ; nel porto, 7475, 755. 7<53S, 767 131 , 769, 944,
979
957, 965 ; simbolica del naufragio, 739-770; simbolo della morte, 549; nascita e morte come naufragio, 752; N. nella fede (1 T i m 1, 19), 501-506, 739* 759-766, 964; naufragio, Nestorio e Acacio, 848-850; N. = peccato originale, 755, 780; i peccati come naufragio, 5o6s, 749s; peccato mortale come N . , 766; simbolo dei naufragi morali, 748; nel m o nachesimo, 768; N. nel contesto escatologico, 756S. N A V E , letteratura sulla tecnica, S i 5 u ; tecnica della costruzione, 532S, 614 8 ; nautica antica e sua tecnica, S17 13 ; nave = corpo umano, 546; concetto femminino, 532; nomi della N . , 409, 532, 562; scafo della nave, divide la vita dalla morte, 407S, 573. 7 7 ° ; letteratura sulla simbolica della N . , 397 1 ; simbolica nautica nella letteratura antica, 527-537; N. dello stato, 537545; dell'anima, 545-554; del m o n d o , 555-571; nel sigillo, 411 ; simbolo della Chiesa, 514527; catalogo nautico dei Padri della Chiesa, 515-525; 526 27 ; Nave = £ùXov, 586 2 4 '; di legno, figura della Chiesa, 571S; di legno della croce, 576; di legno e chiodi, 590S; N a v e = Cristo crocifisso, 578; Nave della Chiesa, espone ai rischi e protegge, 737S, 752s; navicella di Pietro come simbolo della Chiesa, 810-817; 820; N. e porto come simbolo della Chiesa, 939; nel linguaggio liturgico romano, 567; vita umana come pericoloso viaggio in nave, 408, 410, 4 1 1 4 1 ; viaggio
980
INDICE ANALITICO
in nave come ' meraviglioso peO M E R O , Ulisse all'albero della ricolo ', 406, 421, 529; viaggio nave, 439, 478»", 585, 586, 595, 53 dell'amore, 533 ; viaggio in 616, Ó254a, 771, 945S. nave = anticipazione della O N O R I O D ' A U T U N , 2 3 " , 129*', morte, 745S. 139, 412, 434, 4 4 i , 450, 605, N A V E DELL'ANIMA = navkula ani- j 686, 731, 769, 959. mae, 548-552; raffigurazione, I OPHTHALMOS alla prua della nave, 563"». 55iOPUS IMPERFECTUM IN MATnavictila, 810, 811, 813, 814, 815. THAEUM, simbolica della nave, navkula animae e nave della Chie525, 687. sa, 551; n. Petri, 810. O R A Z I O , 407 21 ,460 16 , 462", 4Ó338, nebulo, il diavolo come n., 485' 2 0 , 537, 626, 746. 498, 506. ORIGENE, 18 5 . 8 , 2 1 1 8 , 22 1 9 , 27", vr)Sùc; = cor — venter, 356S. 59 50 ; O. e il Maestro Eckehart, NEMESIO, 332, 532, 546, 556, 4 4 " , 5 2 " , 135S; dottrina della 739s. nascita di Dio, 43-53; 79 3B , N E T T U N O , Neptunalia, 472SS. 94, n 8 3 s , 152", 154; d o m m a NICEFORO CALLISTO, 685. tica lunare della Chiesa, 169NICEFORO XANTOPULOS, 581, 186 ; raffigurazione astromi582» 1 . stica del mondo, 170S; Chiesa NLCETA DI REMESIANA, 7 8 6 . come Selene, 174; la Chiesa N I C E T A STETATO, 3 1 7 " . sposa di Cristo, 185SS; 2 7 0 l a N I C O L A I, papa, 829, 857. 280, 287; mistica del Logos e NICOLAOS KALLIKLES, 588. l'acqua viva, 299-308; esegesi N I L O , 2 3 5 " , 26o 10B , 276. di Giov 7, 37, 308-312; in CeN O È (Cristo), l'unico salvato, 875, sario d'Arles, 377; 403, 41 is, 881, 901S, 908, 908 144 , 9 0 9 1 " ; 423, 464 4 0 ; simbolica del mare, figura di Cristo, 889, 890, 895, 467S, 471, 486; demonologia 901S, 904, 907, 907 142 , 908, del mare, 488, 489, 491, 494S, 909S, 912, 920-933; ' r e s t o di 499. 507, 57I 1 8 5 ; 594, 59<5, Israele ', 876 ; araldo della pe2 694S, 699, 701, 708S, 718, 757, nitenza, 880; N. e Pietro, 86ó . 760, 762, 816 14 , 817; la nave N O N N O S , 238, 317 59 . di Pietro, 825, 872; teologia N O V A Z I A N O , 851S. dell'arca, 904; citato da Beda, O 905 1 3 7 , 934; 912. 915; 937, 951O C E A N O , 472S; antico mito di O., ORMISDA, papa, 525, 850. 472". O T T A T O D I M I L E V I , 758, 897 105 , O D I DI SALOMONE, 20 13 , 36i" 4 . 95SOFFERTA
DEI
CAPELLI
dei
nau-
fraghi, 745. OFIONEO, lotta dei Titani, 470. O G D O A S nell'arca di N o è (simbolo della perfezione), 87Ó38, 889, 893, oo8»«, 928*".
OVIDIO,
407,
420,
463,
465,
547,
615, 622 38 , 629, 632SS. P PACIANO DA BARCELLONA, 784. PALLADE, 943.
981
INDICE ANALITICO PALLADIO, 773"". PAOLINO
POLICARPO,
DA N O L A ,
329S,
433,
448, 589, 66os, 666, 679, 693, 732 1 0 8 , 735, 741, 756. 768 1 3 9 , 785. PAOLO D I A C O N O , 8335.
papa, 811. PARIA, 200 120 . PARMENIDE,
163,
236".
PASQUA e plenilunio, 217S, 226s. PASQUA come arrivo in porto, 952. PASTOPORIE, 521". PATERIO, 2 3 " , 837.
PRASSI
PERLA, simbolo, 241, 261 1 0 6 . PETRARCA, 55i 1 3 3 . PETRONIO, 460 19 , 46i 24 , 622, 670, 683, 74i, 745, 774PIAGA DEL COSTATO DI C R I S T O ,
come porta dell'arca, 920. PIER D A M I A N I ,
707.
PIETISMO tedesco su Giov 7, 37, 393 146 PIETRO, pescatore, 826S; P. e N o è , 835, 866*. PIETRO LOMBARDO, 162 13 , 794S. PINDARO,
748.
P i o IX, papa, 925, 936. P i o XII, papa, 292. planca, 773 1 6 > , 782. PLATONE, 77 30 , 162, 256, 261, 409, 413, 417, 438s, 4 5 9 " , 4 6 0 " , 4 6 2 " , 4Ó438, 4 7 2 " , 539, 545S, 558, 583, 753, 775, 874", 948; platonici, 402. PLAUTO, 439, 533=*, 625. PLINIO, 19 10 , 159, 1 6 1 l l , 237, 406, 410, 584, 585, 591, 615, 620 30 . PLOTINO, 548S, 944. PLUTARCO, 2
160,
163,
164,
166,
33s, 235, 236, 240, 242S, 245 64 , 249, 272, 276 25 , 475, 476s, 532, 541, 552, 556, S58, 570, 591, 631, 749 as , 775S.
579.
PORFIRIO, 242 44 . P O R T O della morte, 408S; 4 6 5 " ; del cielo, 4 1 1 ; della Chiesa, 4ios; simbolo dell'estremo app r o d o ; 939; simbolica antica, 941-948 ; grembo materno, 942 1 7 ; simbolo della morte, 944s; porto e approdo, simbolo della Chiesa, 95OS; simbolo delle verità dommatiche, 963S. POSEIDONIO, 271, 53IS. MAGICA
col
legno
e
i
chiodi d'una croce, 591. PREGHIERA come nascita di Dio, in Origene, 51S. PRIMASIO, I55 22 . PRIMATO, romano, 809. PRISCIANO,
161.
PROCLO
COSTANTINOPOLI,
DI
23
I 6 4 , 570, 667, 758, 914 173 . P R O C O P I O DI G A Z A , 73, 334 11! -
PROPERZIO, 407", 461, 531 46 , 574, 6s2s. proreta, 823S; pr. della nave della Chiesa = il vescovo di R o m a , 822, cfr. 519 15 ; vescovo come pr., 851. PROSPERO
D'AQUITANIA,
929.
PROVEREI, nautici, presso i greci e i romani, 628s. PRUDENZIO,
23",
714S.
Ps. AGOSTINO, 668, 671, 6 7 5 1 " , 710, 763 1 1 5 , 814, 837, 8 8 7 " , 949Ps.
AIMONE
DI
HALBERSTADT,
115S, 838. Ps. AMBROGIO, S14, 593 26S , 666, 758, 834, 866=. Ps. ARISTOTELE, 5 5 8 " ' . Ps. Ps. Ps.
ATANASIO, 894. BARNABA, 702, 704. BASILIO, 423, 956.
Ps. BEDA, 588S.
982
I N D I C E ANALITICO
Ps. CIPRIANO, De montibus Sina et Sion, 2 9 6 " , 369S, 580; De rebaptismate, 371; De Pascha computus, 712; Caena, 660, 908, 927.
RELIGIONSGESPRACH
Ps.
' R E S T O D'ISRAELE', 868', 878**,
CLEMENTE
ROMANO,
167,
519, 7Ó7, 817-822, 877 38 , 911, 960. Ps.
CRISOSTOMO,
67»,
588,
601,
606, 607, 676, 733, 954, 956. Ps. D I O N I G I , 8 I , 88 6 °. Ps. EUSTACHIO, 153 13 .
am
H o f der
Sassaniden, 28 1 3 . R E M I G I O DI AUXERRE,
526, 922.
requies aeterna come fine della Chiesa (Arca), 952. 885. R I C C A R D O DI S.
VITTORE,
109,
116, 128, 139 15 . ROBERTO PULLUS, 795.
Ps. ISIDORO, 522, 823, 836 77 , 866*.
R O M A come nave, 541 ; chiesa romana come nave, 844-863; come navicella di Pietro, 824S, 826, 837S, 840-863 ; arca, 910 1 6 0 ; molo di protezione, 942 ; sentimenti romani dei vescovi orientali, 849-858. R U F I N O , 357 46 , 38IS. R U G I A D A [ros) = grazia, 264 120 , 266, 329S, 356.
Ps. M A C A R I O , 8 I 4 2 ; cfr.
R U P E R T O D I D E U T Z , I I 6 2 ' , 393 1 4 5 ,
Ps.
FILONE,
882.
Ps. GEROLAMO, 597, 678 1 9 ', 693, 703, 8 i ó " . Ps. GIUSTINO, discorso ai Greci, 427. Ps. GREGORIO NISSENO, Ps. IPPOLITO, 346'.
19 10 .
Omelie
675 1 ' 2 , 725.
di Macario. Ps.
METODIO
DI
FILIPPI,
654,
656 1 3 ', 667. Ps. ORIGENE, 664. Ps. PROSPERO D ' A Q U I T A N I A , 922. Ps. QUINTILIANO, 776.
Ps. TEOCRITO, 743S. Ps.
UGO
DI
S.
VITTORE,
725,
8 7 2 " , 936. PUBLICIO SIRO, 742. PUBLILIO O T T A Z I A N O PORFIRIO,
6s6s.
S SALONIO DI GINEVRA, 536. SCENUTE D ' A T B I P A , 2 7 0 a . SCILLA E C A R I D D I , 504S. SCOTO ERIUGENA, 2 3 s s , 87,
89,
117-128, 137. SCUOLA ALESSANDRINA, esegesi di
Giov 7, 37. 38, 300-308, 313SS. SCUOLA ANTIOCHENA, esegesi di
Q QUARESIMA = navigazione verso il porto pasquale, 954. QUINTILIANO, 538.
Q U M S A M , scritti e teologia dell'arca, 878. R RASANO
R U R I C I O , 330. R U T I L I O N A M A Z I A N O , 625.
MAURO,
IO8«,
468",
479 1 0 1 , 526", 603, 67S 1 M , 685, 695, 7 2 4 " , 730, 758, 871, 935.
Giov 7, 37. 38, 318SS, 333. SECONDO, 2081311, 530, 572. SELENE, letteratura, 157 1 ; S. ed Elio; 159; si ' veste ' della luce del sole, iÓ2s; = véov créXtt?, 256, 261 ; femminea, sposa e sorella di Elio, 1595; ' mediatrice ' nel m o n d o , 233 ; confine tra terra e cielo, 272; superstizioni sull'oscuramento della luna, 27OS, 277, 28os; lunula
983
INDICE ANALITICO come ornamento delle donne, bullulae, 276, 281; S. e fato astrologico, 274S ; apologetica contro il culto di S., 28os; dispensatrice d'acqua, nell'antica mitologia, 231-246; mistura di caldo e umido, 250, 256; tiepida acqua lunare e battesimo, 2S4 89 , 2S5 9 0 ; 260, 270'*; materna dispensatrice della vita, 231-246; S. = domina aquae, 267; signora di tutte le nascite, 244; come nave, 239 3 0 ; tarda mistica lunare grecocristiana, 186-205 ; simbolica dello stare sopra la luna, 276S; S. ed escatologia cristiana, 194S. SENECA,
407,
409,
460,
534,
552,
560, 623, 625, 632, 652, 742 24 , 772, 944SSENOCRATE, 243 9 . SENOFONTE,
519".
SENTENT1AE DLVINITATIS, 7 9 5 .
SERAPIONE, 54a». SEVERIANO DI GABALA, 248, 255'°,
283, 28fiM. SIBILLA, 3o 2 °, 3 6 1 " , 582, 880. SIDONIO
APOLLINARE,
434.
o i 9 a p o i ; = supparum = controvelaccia, 620, 623, 636, 644, 649-654. signum = croce, 724, 732S, 734. SILIO
ITALICO,
SIMEONE IL
627,
673.
GIOVANE,
317".
SIMMACO, papa, 858. SIMPLICIO,
848.
SINCLETICA, asceta, 666. SINESIO
D I CIRENE, 2 7 3 l l , 403,
4 0 5 " , 420, 433, 460, 460 19 , 626. SIRENE, mito, 415-420; interpretazione cristiana, 416 54 , 420435; nella S. Scrittura, 4 2 1 ; nel primo medioevo, 434S; sopravvivenza del mito, 434 1 3 8 . SISTO III, papa, 857, 857"».
SOFOCLE, 418 64 , 463, 4Ó438, 465, 467, 539, 942, 944. SOFRONIO DI GERUSALEMME, 600. STAZIO, 408, 631, 652. STOBEO, 531. STRABONE, 772. SUIDA,
423.
ouvT|&£i,a, 410S, 413, 424, 425.
Tabula, cfr. tavola, 770. TACITO,
739.
TALMUD e la dottrina dell'acqua viva, 310. TARTARO nella liturgia funebre, 472". T A U (lettera), 691-736; nella scrittura e tradizione ebraica, 696S, 701S; antica simbolica della lettera T., 694-704; forma dell'antenna come il segno greco per ' 300 ', 676S; 692S, 70OS, 703, 7045, 706, 708S, 717S, 721S; forma di croce, 692, 696, 704, 7o8s, 717, 721, 726, 735s; simbolo della morte e della vita, 702, 7 0 3 " , 703S, 708, 7 1 1 ; T. = albero e antenna, 692; = croce nell'archeologia, 727733 ; 727 8 6 ; segno di croce sulle porte, 733SS: disegno della croce al principio del Canon Missae, 726. TAULERO
G.,
131.
TAVOLA, nel naufragio, preistoria, 770-778; 407S, 573s; della salvezza = tabula secunda post naufragium, 770-808; della penitenza, di legno della croce, 604; della penitenza, prima e seconda, 780-781S; della salvezza, nell'antica storia cristiana della penitenza, 779-791; nel primo medioevo, 792-799 ; nella Scolastica, 799-804.
984
INDICE ANALITICO
TAZIANO 2Ó 3 . TEODOLFO
D'ORLÈANS,
935.
TEODOHETO DI C I R O , i53 1 2 , 192S,
198 116 , 426 104 , 505, 545, 556, 564, 591, 595, 676 194 , 692=, 755, 843, 854 131 , 958. TEODORO
DI
MOPSUESTIA,
318S,
333TEODORO
PRODROMO,
592,
692'.
TEODORO DI STUDION, 891. TEOFANE CERAMEO, 6 8 O 2 0 2 , 692'.
TEOFILATTO, 321"". TEOFILO
D'ALESSANDRIA,
282,
T I R O , 545. TOLOMEO, 238. TOMMASO D ' A Q U I N O ,
TUCIDIDE,
460".
U
TEOFILO A N T I O C H E N O , 2 1 " , 22 z0 , TEOFRASTO,
160,
TEOGNIDE, 537. TEOLOGIA DELLA
236,
UGO 584.
PENITENZA
del
III secolo, 761S. TEOLOGIA SIMBOLICA dei Padri,
9, I47S, 526. TERTULLIANO, 21 1 6 , 255 9 0 , 282, 283S, 366, 417, 436 1 4 0 ; simbolica del mare, 484S, 486S; 499s, 552 128 , 560, 567 176 ; simbolo dell'antenna come croce, 643 ; 674, 702, 709; teologia penitenziale, 743; 7 5 3 " ; teologia della caduta dalla fede, 760; 766S, 773, 777s; dottrina della penitenza e tavola della salvezza, 779-783 ; la navicula Petti, 815S; 844S, 883, 899, 900, 926. TESEO, nave di T. in Atene, 532, 616, 628.
108,
TYCHE, signora della navigazione, 744S-
768. 1494, 247, 871, 961.
20",
i i 2 l s , 120 40 , 131, 136 8 , 138 12 , 140", 228 186 , 331S, 339, 546, 799-803. TRE NASCITE, dottrina mistica, 1305. TRIDENTINO, dottrina della penitenza, 8o6s.
DI
S.
VITTORE,
672,
795,
933ULISSE, 403 s; figura dei cristiani, 413SS, 436-454; mito di Ulisse nel medioevo cristiano, 414S; in Dante, 441 1 5 B ; figura di Cristo crocifisso, 446, 666; 768, 775; sarcofago di U . , 452S, 681. V VALENTINO, visione del Logos, 33. VALERIO FLACCO, 628. VALERIO MASSIMO, 776.
VARRONE, 244S. VEGEZIO,
584.
VELA, simbolica della nave della Chiesa, 670S. VELLEIO PATERCOLO,
622.
VENANZIO FORTUNATO, 580, 598S,
TESTAMENTUM IUDAE, 3 6 I « 4 .
662, 668. VESCOVO, come timoniere, 842SS; come Magister navis, 846S.
TESTAMENTUM
V E T T I O VALENTE, 744 34 .
TIBULLO,
NEPHTALI,
960.
460.
VIBERTO, antipapa, 862.
TIFONE, 476S.
V I N C E N Z O DI BEAUVAIS, 2Ó712?. V I N C E N Z O DI LÈRINS, 4Ó2 2 ', 964.
T I M E O DI LOKROI, 233.
VIRGILIO, 460, 584S, 616, 634.
T I M O N E della Chiesa, di legno della croce, 6o6s.
VIRGO
TICONIO,
113.
i66 2 9 .
CAELESTIS
di
Cartagine,.
985
INDICE ANALITICO ' V I T A DI A D A M O ED EVA ', 8 7 7 " . VITRUVIO, 584. V I T T O R I N O DI PETTAU,
113.
£I!>AOV e TTVEÙ^a, 57Ss; i;t!>Xov = croce e nave, 578, 579. Y YSAGOGE, 795 2M .
Z ZACCARIA, retore, 428. ZENO
DI
VERONA,
827s«, 956. ZENONE, stoico, 745.
732,
757S,
INDICE
Prefazione
7 LA NASCITA DI DIO
Introduzione 1. - La preparazione della dottrina nella teologia più antica 2. - La dottrina nell'antica teologia greca 3. - La dottrina nella dommatica e mistica greca classica 4. - La continuazione della dottrina nella teologia latina 5. - Lo sviluppo della dottrina fino al Medioevo 6. - La questione delle fonti di Eckehart
15 25 37 63 91 107 133
MYSTERIUM LUNAE Introduzione 1. - La chiesa morente 2. - La chiesa partoriente 1. Antiche fonti 2. La dottrina dei padri della chiesa 3. - La chiesa Raggiante
147 157 231 233 246 269
FLUMINA DE VENTRE CHRISTI Premessa Introduzione 1. - La tradizione alessandrina 2. - La tradizione dell'Asia Minore
291 293 299 343
938
INDICE
ANTENNA CRUCIS 1. - Ulisse all'albero della nave 397 1. Il cristiano come navigatore in viaggio verso la patria celeste 404 2. La tentazione delle sirene 415 2. - Il mare del mondo 455 1. Il mare amaro 459 2. il mare cattivo 469 3. - La nave di legno 511 1. 17 catalogo navale della teologia patristica 515 2. L'antica simbolica della nave 527 3. La nave di legno della croce 571 4. - La croce come albero e antenna 611 1. Albero della nave e antenna nella tecnica e nella letteratura dell'antichità 613 2. Albero e antenna come simbolo della croce cristiana 636 5. - Il mistico Tau 691 1. Le fonti profane della simbolica del mistico tau 696 2. La teologia patristica della croce come mistico tau 704 3. La croce come mistico tau nell'archeologia 727 6. - Il naufragio e le tavole della salvezza 737 1. Il naufragio 739 2. La tavola della salvezza 770 7. - La navicella di Pietro per la storia del simbolo del primato romano 809 1. La storia della spiegazione esegetica del simbolo 814 2. L'impiego politico-ecclesiastico del simbolo 840 8. - L'arca di Noè come nave della salvezza 865 1. L'arca di Noè nella teologia giudeo-cristiana dei primi tempi 870
INDICE
9S9
2. L'arca come nave della salvezza nella teologia della chiesa antica
886
3. L'importanza dell'arca come nave della salvezza nella storia del dogma 9. - L'arrivo in porto
923 939
INDICE ANALITICO
969
INDICE
987
Stampa: 1995 G. Canale & C. S.p.A. - Borgaro T.se (TO) Printed in Italy
REPRINT La collana ripropone in fedeli ristampe anastatiche le opere migliori pubblicate dalle Edizioni San Paolo negli anni passati. Reintroducendo in catalogo questi scritti di autori illustri, l'editore intende soddisfare le giuste richieste dì un pubblico intelligente e affezionato. 1. A. Gerken, Teologia dell'eucaristia, 2a ed. 2. E. Schillebeeckx, // matrimonio. Realtà terrena e mistero di salvezza, 5a ed. 3. E. Schillebeeckx, Cristo, sacramento dell'incontro con Dio, 10a ed. 4. E. Schillebeeckx, Maria, madre della redenzione, 4a ed. 5. A. Dagnino, La vita cristiana, o il mistero pasquale del Cristo mistico, 7" ed. 6. P. Grelot, Introduzione alla Bibbia, 8a ed. 7. J. Schreiner e coli., Introduzione letteraria e teologica all'Antico Testamento, 5a ed. 8. J. Schreiner, G. Dautzenberg, Introduzione letteraria e teologica al Nuovo Testamento, 3" ed. 9. A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, 9" ed. 10. C. Vagaggini (ed.), La preghiera nella Bibbia e nella tradizione patristica e monastica, 2" ed. 11. Z. Alszeghy, M. Flick, Come si fa la teologia. Introduzione allo studio della teologia dogmatica, 4a ed. 12. J. Dupont, Le Beatitudini, l-ll: Il problema letterario; La buona novella, 5a ed. - III: Gli evangelisti, 2a ed. 14. T. D'Aquino (san), Summa theologiae 15. P. de Bergomo, Tabula aurea 16. J. Dupont, // testamento pastorale di san Paolo. Il discorso di Mileto (Atti 20,18-36), 3 s ed. 17. C. Vagaggini, // senso teologico della liturgia, 4a ed. 18. K. Rahner, La penitenza della Chiesa, 3 a ed. 19. H. Rahner, Simboli della Chiesa. L'ecclesiologia dei Padri, 2a ed.