LUNGO LA VIA HERCULIA
“
STORIA, TERRITORIO, SAPORI
””
www.viaherculia.it a cura di Canio A. Sabia Rocco Sileo
Progetto di studio e ricerca intitolato “Lungo la via Herculia: tra storia e sapori”
Per l’ALSIA
Per il CNR-IBAM
Responsabili: Dott. Rocco Sileo Dott. Giuseppe Ippolito
Coordinatore: Dott. Canio Alfieri Sabia
Progetto grafico Linearte / Potenza www.linearte.it Stampa Grafiche Zaccara / Lagonegro (Pz) ISBN 9 788895 508528 © ALSIA
Responsabili scientifici: Dott. Stefano Del Lungo (Archeologo) Dott. Maurizio Lazzari (Geologo) Dott. Canio Alfieri Sabia (Agronomo) Gruppo di ricerca (assegnisti, borsisti e contrattisti): Emiliano Carbone (Dottore Forestale), Dario Gioia (Geologo), Chiara Rizzo (Beni Culturali), Annarita Sannazzaro (Archeologa), Giuseppe Zafarone (Biblioteconomo storico).
LUNGO LA VIA HERCULIA
Indice dei Contenuti Prefazione
pag. 5
Presentazione
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Strategie e sinergie
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Il progetto
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Topografia e antichità della via Herculia in Basilicata, tra leggenda e realtà
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Geologia, geomorfologia e viabilità antica: il caso della via Herculia in Basilicata
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Un segmento della via Herculia tra archeologia e storia
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Un’analisi dell’uso del suolo e della vocazionalità agricola lungo la via Herculia
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Le tradizioni produttive in Basilicata oltre il tempo della via Herculia
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Indice analitico
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di Canio A. Sabia e Rocco Sileo di Piero Lacorazza
di Nicola Figliuolo
di Giuseppe Ippolito
di Stefano Del Lungo
di Maurizio Lazzari e Dario Gioia
di Annarita Sannazzaro
di Canio A. Sabia, Emiliano Carbone e Dario Gioia
di Chiara Rizzo
STORIA TERRITORIO SAPORI
I luoghi dell’Alta Val d’Agri attraversati dalla via Herculia visti da Grumento Nova
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LUNGO LA VIA HERCULIA STORIA TERRITORIO SAPORI
La via Herculia nel tratto da Sarnelli a Lagopesole
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Topografia e Antichità
della via Herculia in Basilicata, tra leggenda e realtà di Stefano Del Lungo 1. Una premessa* È curioso quanto interesse possa suscitare un’antica strada romana, la cui breve durata nella storia, almeno nella sua esistenza a titolo ufficiale nel nome di Herculia (intero arco del IV secolo d.C.), è inversamente proporzionale al clamore prodotto negli studi. Talvolta, quando si vuole introdurre l’argomento del Patrimonio Culturale archeologico della Basilicata, magnificandone la consistenza ed il pregio, la via Herculia viene immediatamente chiamata in causa. Purtroppo il tracciato, come peraltro anche il nome (deformato in Herculea o Herculeia; Alvisi, 1970, p. 112 n. 160) prende direzioni anomale, suggerendo l’idea che, a fronte di una conoscenza solo per grandi linee, lo si adatti a tutte le evenienze e condizioni. In questo non aiutano nemmeno le cartografie assunte a base topografica su cui rappresentare la linea. Sono mediamente a grande scala, rendono un discreto effetto scenico, a scapito però della precisione, e arrivano persino a privare l’odierna Basilicata della sua costa tirrenica (Dalena, 2006, p. 21). Un conforto non si ricava nemmeno dalla bibliografia o, perlomeno, non da tutta quella disponibile. Esaminando una buona parte della letteratura esistente, la storia e l’archeologia sfumano presto nella voce incontrollata, nella citazione non verificata e nella conseguente “certezza” fondata su soluzioni tutt’altro che sicure. La leggenda e la realtà si saldano strettamente e i dati concreti, rappresentati dalle ‘antichità’, ossia dall’insieme delle notizie relative all’origine, alla vita, all’evoluzione, all’uso e alla tradizione del tracciato, che normalmente si ricavano dalle fonti testuali, documentarie e materiali utilizzate nella ricerca topografica, compiuta in biblioteca, archivio e sul campo, perdono i propri contorni definiti, a favore di ipotesi al limite della suggestione e di affermazioni tanto sicure, nella forma, quanto fantasiose, nella sostanza. * Questa è la sola nota a pie’ di pagina di tutto il contributo e vi si coglie l’occasione per rivolgere un pensiero grato alle tante persone che in vario modo hanno contribuito al compimento di questo studio, qui offerto in forma divulgativa. In particolare si vuole ricordare il personale della Biblioteca Nazionale di Potenza, ad iniziare dal Direttore, dott. Franco Sabia, della Biblioteca Giustino Fortunato di Roma, cominciando dal dott. Fabrizio Vistoli, e agli amici Vincenzo Ferretti, per le segnalazioni relative al tratto da Potenza a Pignola, Rocco De Rosa, per i preziosi documenti d’archivio suggeriti, e Annarita Sannazzaro, per il continuo sprone, nonché il generoso sostegno nella ricerca bibliografica e nella rilettura finale del testo. A tutti un sentito ringraziamento.
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Ripercorrendo la storia degli studi, soprattutto nei contributi più recenti, la regola matematica per la quale due punti segnano il passaggio di una sola retta non sembra valere per la via Herculia. La fiducia accordata al riconoscere in centri abitati attuali i corrispondenti antichi menzionati nelle fonti itinerarie (Venusium civitas in Venosa, oppure Potentia in Potenza) non trova altrettanta precisione nella definizione dell’esatto pecorso, che si dovrebbe seguire proprio per andare da un punto all’altro. In breve, se, affidandosi a molta della letteratura disponibile nel circuito scientifico e culturale, si dovesse intraprendere un viaggio lungo la via, sarebbe più agevole muoversi in auto e seguire la segnaletica odierna, rivolta direttamente ai centri abitati che ne hanno segnato le tappe principali, piuttosto che avventurarsi nelle campagne su indefinite strade sterrate, per perdersi irrimediabilmente arrivando, tanto per dirne una, nella proverbiale “Casa del Diavolo”. L’espressione, usata già nei secoli passati per indicare un luogo sperduto e lontano, quasi sempre introvabile salvo essere giunti al termine della propria vita, trova un’esatta rispondenza nella località posta 3000 m a ONO di Lavello (designazione UTM di zona 33TWF, da qui in avanti omessa, e coordinate del punto 562454), su un rilievo dominante il basso corso dell’Olivento (fig. 1). Il nome è attribuito dalle rovine di un impianto termale, pertinente ad una grande villa imperiale appartenente ai Seppii di Venosa (Silvestrini, 1997), forse impostata su un analogo complesso di fabbricati rurali tardo-repubblicani ma databile nelle strutture visibili proprio ai decenni in cui la via Herculia viene ritracciata e poi ufficialmente riconosciuta (fine III-inizi IV secolo d.C.), con una continuità di vita nel periodo successivo, suggerita dall’abbondanza di materiali ceramici portati in superficie dalle lavorazioni stagionali del terreno (Rosucci, 1987, pp. 47-82; Volpe, 1990, pp. 150-151 n° 2; Nava-CracoliciFletcher, 2005, pp. 215-216). Il diavolo renderebbe palese la propria presenza al tramonto, quando la luce del sole accende i colori delle murature in laterizio (Di Chicco, 1996, p. 13), oppure costituirebbe l’inquilino notturno abituale delle antiche stanze, attribuite ad un palazzo costruito nell’arco di breve tempo (di solito una notte), in cambio di un’anima mai riscossa per il trucco adottato dal postulante di turno, pentito all’ultimo momento di esserglisi venduto in cambio della realizzazione dell’opera edilizia, tanto straordinaria quanto inattesa in quel particolare punto del territorio. Altrove in Umbria, la stessa denominazione, attribuita ad una frazione di Perugia, è stata variamente interpretata con l’indicare la sede di un ritrovo di gente malfamata, o di un cimitero di bambini non battezzati, o persino uno dei tanti campi di battaglia nei quali Annibale avrebbe trionfato sui Romani. Ragioni diverse, riconducibili però ai medesimi filoni della tradizione leggendaria medievale e tardo-rinascimentale, sembrano unire posti così distanti, andando dalle campagne umbre a quelle lucane (Del Lungo, 1996, I, pp. 177-182, s.v. Diavolo). Il rinvenimento nel medesimo territorio di Lavello, in contrada S. Francesco (appena 800 m a NE del precedente punto), di un miliario (il numero viii), calcolato misurando la distanza a ritroso, da Venosa verso l’Ofanto e descritto
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Fig. 1 La Casa del Diavolo (Lavello): il complesso della villa romana con relative terme. Il toponimo trasforma le rovine di una grande villa di età imperiale nella metafora di un luogo sperduto (foto: www.iluoghidelcuore.it)
nel 1900 dal Montano, per qualche tempo suo possessore (Montano, 1900, p. 9), unitamente all’accoglienza dell’interpretazione erudita di un toponimo, portano gli studi ad aggiungere però un particolare nell’adiacente Casa del Diavolo lucana, presso cui il miliario poteva in realtà trovarsi reimpiegato e non in giacitura primaria. La via Herculia vi si sarebbe, infatti, accostata dopo essersi appoggiata alla statio ad Arundinem (ipotizzata nella restituzione dell’idronimo Rendina da parte del Lombardi, 1836, p. 201, e mai documentata da alcuna fonte, nonostante affermazioni contrarie), riprendendo un tracciato disegnato alla fine del IV secolo a.C. per l’Appia e poi assunto poco dopo dalla VenosaOrdona (Di Chicco, 1996, pp. 9-10, 13). La suggestione esercitata dai luoghi e dai toponimi avrà contribuito a stimolare la fantasia, portando a concepire e ad inserire sovrapposizioni simili all’interno di discorsi anche coerenti, ma appare evidente in tutta la sua incertezza il momento in cui, attraverso la verifica della bibliografia presa a riferimento da ciascun esegeta della via, si ripercorra il ragionamento seguito dal singolo autore per descriverla secondo un tracciato e non un altro. L’imprecisione delle misure espresse nelle distanze tra tappe diverse, riprese da scritti precedenti e quasi mai verificate sulle fonti itinerarie originali, che non le contemplano nemmeno nelle versioni manoscritte disposte in apparato dai loro editori, completano un quadro che contribuisce a sospingere ancor più la via fra le nebbie del dubbio e dell’incertezza, dando ragione al Fortunato, che nel 1899, con grande onestà intellettuale e scientifica riconosce lo sconforto provato nell’affrontare la ricerca su una strada disponendo solo di «indicazioni a cui non è chiaro quali luoghi e misure moderne corrispondano» (Fortunato, 1899c, pp. 59-61). Eppure, nonostante tutto, il valore riconosciutole, elevandola a un simbolo
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culturale per un’intera regione, sospinge ad occuparsene in maniera critica. L’esito della ricerca è duplice e trova collocazione in due sedi diverse, dovendo calibrare le argomentazioni sulla varietà dei lettori. Nella presente le ‘antichità’ della via si prestano meglio a rispondere ai molteplici spunti di interesse e riflessione sollecitati dall’argomento. 2. Il metodo Non è questo il luogo nel quale si possano esporre in dettaglio le molteplici soluzioni proposte in passato nella ricerca del percorso della via Herculia in Basilicata, con un grado di precisione altalenante, valutabile fra l’improvvisazione e lo studio focalizzato su prove archeologiche definite. Non è neanche possibile discutervi e dimostrarvi punto per punto il tracciato recuperato e le prove raccolte a supporto di tale analisi, volendo evitare di trasformare un’esperienza di viaggio e di scoperta della via e dei luoghi
Fig. 2 L’antico e il nuovo si toccano. Un esempio di conferma di un tracciato, su un diverticolo nell’area percorsa dall’Appia in località Cariello, sul versante sud-occidentale di Torre della Cisterna
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circostanti in un supplizio nella consultazione. Si concede solo un piccolo spazio all’esposizione della metodologia adottata, perché appaia evidente come sia stato possibile restringere le ipotesi intorno al recupero dell’antica strada, pur nella difficoltà di una terra e di una cultura che sembrano averne cancellato il ricordo, confondendola fra tanti percorsi simili o nascondendola con la sovrapposizione di altri. «Le vie, anche nei siti migliori, sono sentieri a sbalzi, larghe alle volte non più di 40 o 50 centimetri (in qualche punto anche di 30 e 25), fangosi in tempo di pioggia; franosi nell’inverno, polverosi nell’esta’ ed ingombri sempre da grandi e piccole pietre: non uomini; non muli possono passarvi; ma solo le capre!». La difficoltà maggiore sta proprio nell’individuarle, scomparendone le tracce, e le più antiche possono trovarsi sepolte da diversi strati e qualche metro più in basso, oppure appena sotto la copertura di asfalto (fig. 2). L’andamento è il medesimo ma quel che si vede in superficie non corrisponde più a quanto si trovi in profondità. «La natura geologica del suolo, e sottosuolo della Basilicata» determina infatti che le strade «sono state fatte non una, ma due e forse tre volte» (Lacava, 1890a, p. 6, 9). Il solo elemento certo è la conferma della bontà dei tracciati e dei criteri adottati nello sfruttare le caratteristiche litologiche e geomorfologiche di un luogo nelle diverse epoche. Quindi, quel che non è rilevabile in un periodo e sotto alcuni aspetti, può esserlo in altri. L’incrocio, allora, di informazioni desumibili dalla cartografia storica, disponibile con copertura omogenea del territorio soprattutto nel XIX secolo (dall’Atlante del Rizzi Zannoni, del 1810, ai rilievi dell’Istituto Topografico Militare, del 1874); dai quasi contemporanei dizionari corografici, dai resoconti di esplorazioni e di indagini antiquario-archeologiche (Pratilli, Vitale, Lupuli, Giustiniani, Viggiani, Lombardi, Corcia, Lacava, Palmese, Lenormant, Grasso, Racioppi, Fortunato, Antonini); dalle fonti testuali, documentarie, manoscritte e itinerarie, greche e latine, del periodo classico e medievale, verificate topograficamente ogniqualvolta riportino distanze o si riferiscano a dei luoghi in particolare, costituenti una tappa o un punto di riferimento; dal dato archeologico (forme di insediamento rurale o urbano, occupazione e sfruttamento del territorio nelle fasi di vita dal III all’XI secolo; materiale epigrafico) e toponomastico antico, medievale e moderno; dalla fotografia aerea sia storica sia recente, zenitale e non obliqua, ampiamente usata invece in passato (Alvisi, 1970; Buck, 1971), e dalle riprese satellitari costituiscono la trama fondamentale della ricerca. Sono, quindi, il presupposto fondamentale per disporre di una base certa di dati su cui procedere con «l’analisi del terreno» e delle sue «rappresentazioni» (Alfieri, 1974, pp. 1930; Bonora et alii, 2000), o, se si vuole, dell’evidenza topografica, in questo caso costituita dalla strada imperiale (Moreno Gallo, 2004, pp. 199-231; Quilici, 2004, pp. 129-152), e dei riscontri ricavabili dagli approfondimenti archeologico (il recupero della documentazione di scavo relativa ai siti scoperti indagando nella fascia di territorio interessato), geologico (l’accertamento tra la proposta di tracciato e la conformazione, il grado di tenuta e le pendenze delle superfici scelte per il suo transito) ed agronomico (qualità e valore economico dei terreni attraversati, che possano aiutare a capire o a giustificare particolari scelte nell’andamento), inseriti in questo stesso volume (contributi
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di Sannazzaro, Lazzari-Gioia e Sabia-Carbone-Gioia) e ai quali si rimanda, trattando nel dettaglio il segmento della via da Lagopesole (Avigliano, PZ) a Monte Arioso (Sasso di Castalda, PZ). Minor fiducia si accorda alla bibliografia prodotta sull’argomento negli ultimi decenni. Troppo spesso, nel sostenere un tracciato o un altro della via, vi si riscontra un grado di sicurezza tale da essere pari alla superficialità con la quale, ad esempio, vengono citate fonti o testimonianze significative (un dato metrico o un ritrovamento), trascurando di andarle a verificare e riportandole persino in maniera errata o parziale. Un riferimento per tanti autori diretto, perché letto e verificato, o indiretto, in quanto limitato ad una citazione secondaria, è costituito dai due articoli che il Buck ha pubblicato sull’argomento, in un decennio dedicato alle ricerche sulla viabilità antica in Lucania, tra il 1971 e il 1981. Si tratta di studi esaustivi, completi in ogni parte, anche se in alcune i percorsi descritti sembrano affidati all’intuito e non ad una verifica puntuale sul terreno. L’insieme degli indizi recuperati nel contesto interessato sono corredati da rimandi generici a prove desunte dalla fotointerpretazione, mai citata nei riferimenti esatti, e dalla lettura dei testi epigrafici (Buck 1971 e 1981), generando una perplessità. Pur avendo percepito il percorso corretto, il Buck ha scelto una strada diversa, divergente da prove più significative di quelle addotte in maniera teorica nei suoi scritti. Il perché della sua scelta rimane poco chiaro mentre rimane evidente l’aver trascinato con sé quanti si siano affidati alle sue affermazioni senza valutarne in modo critico il peso, contribuendo così ad incrementare il mito di un’antica strada, perduta agli occhi di chi non sa o non vuole vedere. 3. Il nome, con un precedente da leggenda, e la data Poiché a volte capita di scrivere sulla realtà, producendo invece mito e leggenda, si coglie l’occasione per introdurre effettivamente entrambe, andando intanto a recuperare il sostrato culturale italico e greco-romano delle tradizioni cultuali sorte intorno alla viabilità, dove anche l’Herculia, sebbene indirettamente rispetto al nome molto più tardo, affonda le proprie radici. Un precedente si trova in Campania, tra Pozzuoli e Miseno (gli Herculeis semita litoribus di Proper., Eleg., I, 11, v. 2 = p. 16), e riguarda una via dal nome molto simile (Herculanea), modificato poi dall’uso in una forma identica a quella identificante la strada lucana (Herculia). Impostata direttamente sulla diga eretta a protezione della linea di costa, contestualmente ai lavori per la realizzazione della grande base navale di Portus Iulius (37 a.C.), la strada rimane percorribile sino a quando, nel corso del IV secolo d.C., il bradisismo positivo che interessa tutta l’area non determina l’affondamento delle strutture e la definitiva impraticabilità del tracciato (Borriello-D’Ambrosio, 1979, p. 32). «Dicono sia stato costruito da Eracle, quando spingeva i buoi di Gerione. Ma poiché durante le tempeste le acque inondavano la sua superficie, sì che era difficoltoso attraversarlo a piedi, Agrippa lo costruì più alto», affidando i lavori al liberto Cocceius Auctus (Strab., Geogr., V, 4, 6 C245 = pp. 176-177).
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La memoria di questa strada sarà tale, nei secoli successivi, da dare vita alla tradizione tardo-rinascimentale e neoclassica di un’altra «via Erculea, detta altrimente Erculanea», di congiunzione per l’Appia con la Latina da «pochi passi pria di giungere al Ponte di S. Croce, e conducea nell’antica Città di Ausonia, e ora nella Terra delle Fratte: e di là in S. Germano» nel Frosinate (Gesualdo, 1754, pp. 457-461, 466-467). Il rimando, invece, alla decima fatica di Ercole (la cattura dei buoi di Gerione; fig. 3), approdato in Italia e diretto da qui alla valle del Tevere, dove, a Roma, sul Palatino, affronterà il gigante Caco, per riuscire ad entrare nuovamente in possesso della mandria, dopo essere rimasto a sua volta vittima di furto (Liv., I, 7 = pp. 240-241), riunisce in questo caso tre elementi fondamentali connessi alle strade. Il primo è il simboleggiare il ricorso alla viabilità ordinaria (la Herculanea campana) anche per lo spostamento di mandrie, greggi ed armenti, pur con le dovute limitazioni, o vere e proprie restrizioni, e distinzioni a seconda del tipo di percorso deciso e con un aperto richiamo anche alla rete di tracciati attraverso e lungo la dorsale appenninica (i successivi tratturi). Il secondo è il collegamento sottolineato tra le strade ed
Fig. 3 Ercole lotta contro il gigante Gerione. Anfora attica a figure nere (h. cm 42, diam. cm 28,5; Musée du Louvre, Collection Canino, 1848, 540 a. C.)
il culto di Eracle/Ercole, riscontrabile di frequente soprattutto nelle località toccate dal passaggio di animali condotti ai pascoli e idealmente recuperato in Basilicata con la creazione della prima ippovia su scala interregionale, da Manfredonia (FG) a Maratea (PZ), denominata non a caso Ippovia Herculea. Appennino Coast to Coast. Il terzo, ed ultimo, è l’impossibilità di garantire sempre la sicurezza nel trasferimento da una tappa all’altra, soprattutto nei territori montani, dove l’intervento dei ladri di bestiame (il gigante Caco) può andare a segno, con grave danno per pastori e mandriani. Dalla normativa espressa dai Romani nella VII delle XII tavole, redatte nel 451-450 a.C. (Pisani Sartorio, 1994, p. 11), si ricavano precedenti significativi per i primi due aspetti. Nei pochi articoli superstiti si forniscono precise
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indicazioni sulla realizzazione delle strade, prevedendone il consolidamento del fondo con pietrame e sabbia (Viam muniunto). Essendo soggette al transito da parte dei carri e degli animali (gli iumenta, intendendo equi, muli, boves e asini adibiti al traino), si invita a scegliere (agito) percorsi alternativi ad essi consueti (da cui gli actus, strade con diritto di transito di mandrie, greggi ed armenti), per evitare la rapida distruzione della superficie (ni sam delapidassint). La nomenclatura che nei secoli successivi le identifica si diversifica molto presto, distinguendo le viae (publicae), di grande percorrenza e su lunghe distanze con i relativi ramuli (‘diramazioni’, in Italia meridionale), i compendiaria (‘scorciatoie’), i deversoria (‘traverse’) e i deverticula (strade interne per fondi e proprietà private), dalle calles, veri e propri sentieri di transumanza, dai semita, ad uso prevalentemente pedonale, dai limites (strade parallele a linee confinarie ed esse stesse caposaldo terminale), dalle vicinales, di collegamento anche tra due publicae, e dalle trames, trasversali al percorso principale. Nel contempo si arricchisce nella terminologia relativa alle infrastrutture (ponti, costruiti o ricavati scavando gallerie sotto la sede stradale; terrapieni, viadotti, sostruzioni, trafori, reti di luoghi di sosta) predisposte in progetti unitari sempre più complessi, che prevedono lunghi rettifili, sul modello di quanto nel frattempo messo in atto con la centuriazione, realizzati assumendo a caposaldo alture con i relativi santuari (di Diana sull’Aventino, a Roma, di Feronia sul Monte Leano, a Terracina), ed opere sull’intero tracciato previste per centinaia di chilometri (ad esempio per l’Appia, nel 312, e per la Flaminia, nel 220-219 a.C.; Quilici, 1991, pp. 12-31). Il binomio che si realizza, accostando trasferimenti di animali e viabilità, attraversa l’intera civiltà romana, con accentuazione differente in rapporto alla disponibilità di ager publicus nei territori percorsi, dove far pascolare gli animali liberamente (Gabba-Pasquinucci, 1979, pp. 49-51, 92-94). Quando l’imperatore Massimiano Erculio, tra il 286 ed il 305, ma presumibilmente dal 298 agli ultimi due anni del suo governo (304-305 d.C.), decide, all’interno di un più ampio piano di investimenti del governo congiunto con Diocleziano sulla viabilità in Italia, di contribuire con somme di denaro alla sistemazione di parte di un tracciato preesistente di grande importanza, dall’Irpinia (Equum Tuticum, corrispondente a Case o Masseria S. Eleuterio -Ariano Irpino-, in Vitale, 1794, pp. 3-7, 10-15, CIL, IX, p. 122, 599-601, Grasso, 1893, fasc. I, pp. 77-141, e Quilici, 1989, p. 69; oppure a Taverna Tre Fontane -Greci, AV-, secondo Lugli 1963, p. 34, e Dalena, 2006, p. 22, sebbene sia in realtà un semplice punto di transito) al cuore della Lucania (Potentia-Potenza e Grumentum, presso Grumento Nova), passando per la Daunia sud-occidentale (Venusia-Venosa), e sino all’alta valle del Laos, è all’oscuro delle ragioni che casualmente riportano il nome di Eracle a contatto con una strada. O al più non le considera. Sulle pietre miliari superstiti, che contrassegnavano il percorso e sono state recuperate a Melfi (CIL, IX, 6064 = X, 6969), ma se ne discute l’effettiva pertinenza, e poi a Lavello (2, di cui una CIL, IX, 6070 = X, 6970) e a Marsico Nuovo (ancora 2, la CIL, X, 6975 e Fiorelli, 1900, p. 38), non risulta alcun nome particolare.
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Fig. 4 Il vetro dorato di Orfitus et Costantia con effige di Ercole al centro e l’invito a bere l’Acerentinum (h. cm 10,8, larg.cm 10,2; London, British Museum, reg. n. PY1863, 0727.3)
È suo figlio, Massenzio, nel 311 d.C., a chiamarla ufficialmente via Herculia, in onore e memoria del padre o, per rientrare nella leggenda erudita, «perché guidava a un Tempio famoso di Ercole, ora ignoto» (Vitale, 1794, p. 16), oppure solo riproponendo l’identificativo adottato in precedenza. In concreto provvede al recupero del tracciato nelle direttrici definite agli inizi del III secolo d.C. (pristinam faciem; CIL, IX, 6058-6059, 6066-6067 = X, 69636964, 6971-6972), epoca della prima progettazione come percorso unitario riconosciuto nella rete stradale imperiale, dalla tappa fissata ad Equum Tuticum, nel punto di incontro con l’Appia Traiana, la Minucia e l’Aurelia Aeclanensis, a quella di Nerulo, sull’Annia (ItinAnt, 103,2-105,1 = p. 15). La denominazione sembrerebbe tacitamente accettata anche dagli imperatori Teodosio ed Arcadio negli anni 392-393, a cui forse risalgono gli ultimi interventi di manutenzione documentati epigraficamente (CIL, IX, 6063 = X, 6968), dopo di che scompare. L’eco, però, di una terra nella quale una strada, vocata alla valorizzazione e diffusione dei prodotti della forte economia locale, rimanda nel nome alla cultura agro-pastorale appenninica, rappresentata dal celebre semidio, si propaga a Roma. Nell’ambiente senatorio più vicino alla corte imperiale grandi famiglie possiedono in Lucania e nella confinante Apulia cospicue proprietà terriere (Vera, 1999; Di Giuseppe, 2008, pp. 157-163; Del Lungo, 2012, pp. 93-125), e sul frammento della base di una coppa in vetro, trovata a Roma, probabilmente in una catacomba, un decoro a foglia d’oro riproduce le immagini di due coniugi, che inquadrano una statua di Ercole stante, con clava e tre pomi in una mano, e porta l’invito beneaugurante a bere, forse, del vino in onore della divinità (Cameron, 1996, pp. 297-298). Orfitus et Costantia sono i loro nomi, alludendo, il primo, al praefectus Urbis del 353-355 e 357-359 d.C. (Memmius Vitrasius Orfitus signo Honorius; PLRE, I, pp. 651-653, s. v. Orfitus 3), responsabile a Roma proprio dell’arca vinaria, il settore dell’annona preposto al rifornimento e alla distribuzione del vino, parte gratuita, parte nelle rivendite cittadine (tabernae,
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cauponae). La moglie è una lontana parente dell’imperatore Costanzo II (337-361) e Acerentinum è la bevanda da consumare (Orfitus et Costantia in nomine Herculis | Acerentino felices bibatis; Garrucci, 1858; Dalton, 1901, pp. 119-120 n° 608; fig. 4), ricollegata da subito alla città e al territorio di Acerenza, prossima al confine fra le antiche regiones, e ora provincae, di Apulia e Lucania (Garrucci, 1858, pp. 69-70; CIL, IX, p. 660) e attualmente inserita nella D.O.C. e D.O.C.G. dell’Aglianico del Vulture. Nella cautela estrema che bisogna adottare trattando questioni simili, per non cadere nell’errore di compiere facili quanto impossibili accostamenti tra l’antica denominazione e varietà viticole attualmente coltivate, la menzione di un prodotto di pregio, come potrebbe essere un vino particolare, costituisce per la vocazionalità e la tradizione agroalimentare un indizio prezioso, se trovata, come in questa occasione, in un oggetto di pregio (una tazza o coppa in vetro con il fondo arricchito da una rappresentazione su foglia d’oro; Morey, 1959, n° 316), che prosegue il suo utilizzo ricevendo una destinazione funeraria (identificativo di una sepoltura, forse di Orfitus, notoriamente legato alla religione tradizionale, o, più probabilmente, di Costantia). Una curiosità si scopre scorrendo le ipotesi formulate sull’articolazione del patrimonio economico del senatore. Tra le numerose proprietà in Sicilia rientrerebbe la celebre villa romana di Piazza Armerina (EN), in località Casale. La medesima è stata talvolta attribuita all’imperatore Massimiano Erculio, ma senza prove particolari. Pur considerandola una semplice coincidenza, è significativo che anche nella teoria, ignorando la via imperiale e allontanadosi dal relativo contesto, si tenda a riportare direttamente o indirettamente l’attenzione su ambiti territoriali interessati dal suo passaggio e alle figure connesse a vario titolo e in diverso modo alla sua storia. 4. Quattro percorsi… per una strada, dalle origini alla fine L’idea e la percezione di una viabilità che unisca da Nord-Ovest a Sud-Est Apulia (territori di Venusia-Venosa e Forentum-Lavello), Lucania (PotentiaPotenza e Grumentum-presso Grumento Nova) e Bruttii, con caposaldi geografici sul Vulture e sul massiccio del Pollino, risale agli inizi del III secolo a.C., con la penetrazione romana in Irpinia ed il contrapporsi nel 282 a.C. di Thurii (presso l’odierna Sibari, CS; Liv., Per. xi-xiii) e, subito dopo, di Taranto con il conseguente intervento di Pirro (Kirsten, 1963, p. 154). La battaglia detta ‘di Ascoli’ (Ascoli Satriano, FG), ma in realtà combattuta presso le rive dell’Ofanto (area di S. Nicola di Melfi) nel 279 a.C., interessa il tracciato di una via, la futura Venusia-Herdonias (Alvisi, 1970, pp. 66-67), impostata secondo questo particolare orientamento e concepita con il medesimo scopo, di unire l’entroterra appenninico con le colonie magnogreche lungo lo Ionio. Intorno alla metà del XIII secolo, per sopperire alla perdita proprio della Herculia nei pressi del medesimo fiume in direzione di Candela, sarà non a caso ripercorsa e sistemata dagli Svevi, destinando le rendite dell’intera
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massaria imperiale apud Sanctum Nicolaum de Aufido (S. Nicola di Melfi; 557454) al mantenimento del passaggio sull’Ofanto, con l’opzione di un nuovo ponte che eventualmente sostituisca il precedente (reparationem et conservationem pontis ibi constructi vel construendi; Frid. II, Const., n° 274 [dicembre 1250], c. 12 = p. 386; Guarini, 1909, pp. 283-286). Il continuo cambio di quote, dal monte al piano, ed i relativi dislivelli da affrontare rendono queste strade non sempre agevoli, soprattutto d’inverno (Lacava, 1890a, pp. 32-33, 63-64, 97-98). L’accumulo della neve nei tratti maggiormente esposti alle bufere, lungo le creste, i crinali ed i versanti battuti dai venti di Bora e Tramontana (Borea) impone l’adozione di più direttrici o varianti per un’unica destinazione, da seguire in alternativa a seconda della stagione nella quale si è deciso di intraprendere il viaggio, dello scopo (semplice trasferimento, commercio o missione diplomatica) e della quantità di bagaglio o di merci da trasportare. 4.1 Da Augusto a Traiano: una via appenninica Su Brentésion (Brindisi), «dove approdano tutti quelli che devono andare a Roma» (Strab., VI, 3, 7 C282 = pp. 308-309), alla fine del I secolo a.C., convergono due vie. La prima è una ‘mulattiera’ (ēmioniké), che si inerpica sulle montagne dell’Irpinia, e corrisponderebbe all’antica via Minucia (221 a.C.; Salvatore Laurelli, 1992 e Iasiello, 2007, pp. 59-61), di oraziana memoria (Hor., Sat., I, 5, vv. 77-80 = pp. 142-143; Epist., I, 18, v. 20 = pp. 188-189), in parte poi sostituita dall’Appia Traiana e dall’Aurelia Aeclanensis. La seconda è la via Appia (antica), per Venusia (Venosa; Lombardi, 1836, p. 186) e Taranto, nell’impianto realizzato e ufficializzato in diverse riprese tra il 312 a.C. (apertura da Roma a Formia; CIL, XI, 1827, da Arezzo) e il 191 a.C., più lunga di un giorno ma maggiormente adatta e preferita dai carriaggi (‘amaxēlatos; Strab., VI, 3, 7 C283 = pp. 308-311; CIL, IX, pp. 599600; Lugli, 1963, pp. 24-25), evitando le zone impervie e mantenendo una pendenza media variabile tra l’1 e il 5% e non superiore all’8, oltre la quale il traino animale incontrerebbe maggiori difficoltà ad avanzare, se a pieno carico, e si andrebbe incontro alla perdita dei beni trasportati (Moreno Gallo, 2004, pp. 37-38). Qualunque sia la preferenza accordata all’una o all’altra strada, la distanza da Roma a Brindisi rimane invariata nella misura della lunghezza complessiva (ē pàsa = 360 miglia), segno della consapevolezza di quanto ogni percorso possa presentare una certa variabilità, legata a deviazioni su ramuli, per ovviare alla temporanea sospensione del traffico su un ponte, un guado o un tratto parzialmente ostruito dalla caduta di ostacoli, in attesa che vengano rimossi. «C’è poi anche una terza strada che parte da Rhegion, passa attraverso i territori dei Bruttii, dei Lucani e dei Sanniti e arriva in Campania, dove si ricongiunge con la via Appia. Questa strada passa attraverso i Monti
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Appennini ed è più lunga di tre o quattro giorni rispetto a quella che parte da Brentésion» (Strab., VI, 3, 7 C283 = pp. 308-311). La precisazione descrittiva introduce certamente un rimando alla via Annia (del 153 o del 132 a.C., restituita poi dalla critica e meglio conosciuta con il nome di Popilia; Bracco, 1981, pp. 251-252; Fraschetti, 1981, p. 212), che della Lucania percorre il Vallo di Diano e la piana del Sele ed è nota dalla celebre iscrizione onoraria di Polla (viam fecei ab Regio ad Capuam; CIL, X, 6950; Lugli, 1963, p. 25), ma la misura di 321 miglia ivi riportata, essendo inferiore a quella registrata per i due precedenti percorsi, contrasta con lo scarto di tempo superiore per percorrerla (39 miglia in meno e 3 o 4 giorni in più necessari). La previsione di un viaggio di maggiore durata, calcolando per un veicolo a trazione animale la media di 5 miglia orarie (uno in meno, se a piedi; Pisani Sartorio, 1994, pp. 7-8), terrà certamente conto delle difficoltà già computate nei tempi in condizioni normali e per le quali uno o due giorni in più sono ammissibili. Per considerarne un terzo, o addirittura un quarto, si deve allungare la distanza da percorrere di almeno 60 miglia (quindi 360 da Roma a Brindisi e 420 da Reggio a Capua) e avere presente che nel I secolo a.C., seguendo la via Appia da Benevento a Taranto, si possono impiegare sino a 7 giorni, di cui 4, alla media di 19 miglia giornaliere, per superare il tratto montano (Quilici, 1991, p. 34). Appoggiandosi quindi nel calcolo alle misure espresse dai percorsi che l’Itinerarium Antonini, la prima fonte itineraria disponibile e relativamente più vicina al periodo in cui scrive Strabone, elenca, si hanno le alternative Ab Equo Tutico (Masseria S. Eleuterio; Ariano Irpino, AV) per Roscianum Regio (Reggio Calabria), di 478 miglia, e A Capua EquoTutico, di 53, a cui aggiungere le 373 da questo centro ad Columnam, poco lontano da Reggio direttamente sullo Stretto di Messina (ItinAnt 112,3-115,6 e 111,7-112,2 = p. 16, completato da 103,2-106,4 = p. 15). La somma di 426 miglia per quest’ultima sembra rispondere meglio all’ipotesi avanzata ed il transito per l’entroterra bruzio (la Sila), lucano (dal massiccio del Pollino all’alta Valle del Bradano), sannita, rispetto al quale Venosa, e non una qualunque altra località toccata dalla via Annia, limitata ai Bruttii (l’odierna Calabria) e alla Lucania, è detta trovarsi «sul confine fra il territorio dei Sanniti e quello dei Lucani» (Strab., VI, 3, 7 C283 = pp. 308-311), sino ad Aequum Tuticum, dove Campania limitem habet (ItinAnt 111,8 = p. 16), ridisegna fedelmente le parole usate da Strabone per descrivere il terzo dei percorsi indicati. Pertanto, quando in questi stessi anni l’imperatore Augusto (fig. 5) organizza la ripartizione della penisola italica in regiones (7 d.C.), portando il confine tra Lucania ed Apulia sulla successione di cime (rigores) da Toppo Castel Grande, nel comune omonimo, al Monte Torretta (Pietragalla; entrambi in provincia di PZ), esiste già un prezioso antecedente per la futura via Herculia, definito e compreso nelle linee da percorrere costituite da una rete di tracciati interni, originariamente concepiti solo in funzione di collegamenti locali ma ora unificati nel rendere raggiungibile il cuore dei Monti Appennini (‘Apennìnōn ‘orōn).
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Gli elementi che nell’arco di tre secoli portano a concepirla a livello giuridico, ingegneristico ed economico e ad attrezzarla sono diversi e non possono essere capiti e recuperati nel territorio, se non sono appresi ed acquisiti nella struttura e distribuzione di poteri ed organi di gestione.
Fig. 5 Busto di Augusto con Corona Civica (h. cm 50,5; fino al 1589 nella collez. Bevilacqua di Verona; ora nella Glyptothek di Monaco, inv.317)
Il bisogno di inquadrare giuridicamente questa viabilità, brevemente ma efficacemente descritta da Strabone, in un entroterra lucano pacificato e accettato nella res publica romana da meno di un secolo (87 a.C.; Fraschetti, 1981, pp. 208-209), introduce e alterna nei registri urbani e territoriali (i cosiddetti o ) le espressioni Iter populo debetur e non debetur (Gromatici Veteres, I, p. 209). Si stabilisce, cioè, se le strade censite (viae consolari quali l’Appia e l’Annia, itinera, con servitù esclusivamente pedonale e veicolare, ed actus, aperte soprattutto agli animali; Ulp., Inst., 2 e Paul. Ad ed., 21 in Digesta VIII, 3.1 e 7 = pp. 143-144) e ammesse nei diversi tratti interessino o meno superfici di pertinenza pubblica (territori inseriti di recente nel demanio), comportando di conseguenza il trasferimento alle amministrazioni cittadine (Venusia, ora in Apulia; Potentia, Grumentum, Metapontum e Heraklea) dell’onere del loro mantenimento, dietro versamento a titolo fiscale di un corrispettivo (ratio) da parte dei proprietari (Lo Cascio, 1980a, pp. 239-241). La cura viarum è l’ufficio preposto alla manutenzione della viabilità, di pertinenza della magistratura edile ma assunta direttamente dagli imperatori sin dal 20 a.C., dato il suo elevato significato politico-rappresentativo (la possibilità di denominarla), amministrativo (l’uso nella comunicazione postale-governativa con le provincae, o cursus publicus; Quilici, 1991, pp. 92-97; Corsi, 2000, pp. 6-10), strategico (a fini militari, nonostante in Italia, sino agli inizi del III secolo d.C., sia interdetto l’accesso alle legioni o a singoli
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reparti) ed economico (l’innervamento della viabilità nel tessuto produttivo e commerciale locale, regionale e statale). È delegato di volta in volta a membri dell’ordine senatorio (Quilici, 1991, pp. 31-34) e si accompagna alla carica del praefectus (se un senatore) o del procurator (di rango equestre) alimentorum (CIL, III, 7106). Quest’ultimo, in Italia meridionale, sovrintende dal I secolo d.C. in avanti (CIL, XIV, 2922) alle regiones II e III (Apulia, Calabria, Lucania e Bruttii) e la sua giurisdizione copre gli stessi territori attraversati dalle strade, che consentono di veicolare merci e prodotti direttamente dai luoghi di origine alle città e alla capitale da rifornire, oltre ad inquadrare le estensioni fondiarie in un sistema fiscale di esazione a favore del sostentamento (gli alimenta) delle classi svantaggiate della società (Lo Cascio 1978; Lo Cascio, 1980a). Il curator e il procurator vengono spesso a coincidere, soprattutto nel II e III secolo d.C., in cui si raccoglie il maggior numero di testimonianze epigrafiche (in particolare per i curatores viae Appiae et alimentorum; ad esempio AE 1957, 135 da Aquileia; 1998, 1569 = 2006, 1773 da Dougga; 1982, 158 = 1984, 183 da Minturno; CIL, XIV, 2505-2507 da Tusculum-Grottaferrata). Ad entrambi i funzionari, anche qualora le loro mansioni siano distinte, fanno capo ad esempio le corporazioni dei conductores (impresari commerciali in grado di organizzare ed attrezzare trasporti), dei mancipes e degli iunctores iumentarii (appaltatori e responsabili delle stazioni, accanto al personale adibito alla movimentazione dei carri e di stalla). La costruzione della variante Traiana dell’Appia, nel 108-110 d.C., costituisce la prima ed effettiva trasformazione della ‘mulattiera’ straboniana, impervia ma più breve, in una strada ben attrezzata, che consente realmente di ridurre l’attraversamento dell’Appennino all’entroterra irpino, guadagnando subito dopo Aeca (Troia), le pianure della Daunia (Herdonia-Ordona) e, da Canusium (Canosa) in avanti, la costa adriatica sino a Brindisi (fig. 6).
Fig. 6 Busto di Traiano con Corona Civica ed egida (h. cm 54 nella collez. Bevilacqua di Verona; ora nella Glyptothek di Monaco, inv. 72)
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Aequo Tutico, detta anche Aequum Magnum nel 333 d.C. (ItinBurd, 610,9 = p. 100) e poi Masseria S. Eleuterio (Ariano Irpino, AV; 508456), di impianto tardo repubblicano (vicus; Cic., Ad Att., 6, 1, 1 = I., p. 429), diventa uno snodo stradale di importanza fondamentale (dotazione di thermae e di infrastrutture per lo stoccaggio e la gestione di merci) ed economicamente fiorente, concentrandovisi anche interessi di famiglie (gentes) che dell’Irpinia sono originarie o vi hanno investito in attività, correlabili anche alla transumanza (Silvestrini, 1997, pp. 13-14). Il gran numero di miliari rinvenuti nell’area dell’insediamento e quasi tutti portati ad Ariano Irpino al tempo di Carlo I d’Angiò (1266-1285), in previsione di un reimpiego nella cattedrale; Grasso, 1893, fasc. I, pp. 112113), è all’origine della convinzione che appartengano per la maggior parte alla via Herculia, in un entusiasmo che contrasta con le cautele imposte dalla tipologia di reperti, facilmente soggetti a spostamenti dai luoghi di scavo e, per il periodo tardoantico, tendenzialmente privi di nomi che aiutino ad identificare con sicurezza la via alla quale sono appartenuti. Fra le strade candidabili ad esserne detentrici è la Aurelia Aeclanensis, impostata nel corso del II secolo d.C. per intersecare l’Appia e la Traiana, da Aeclanum (Passo di Mirabella; Mirabella Eclano, AV) per Aequum Tuticum (Masseria S. Eleuterio) ed Asculum (Ascoli Satriano) ad Herdonia (Ordona), dove si allaccia alla strada per Venusia (Alvisi, 1970, pp. 66-67), del III secolo a.C., rinnovata appositamente per unire la colonia alla Traiana, dopo che l’Appia antica ha visto ridurre la sua importanza. Inserita molto presto nella riorganizzazione della cura viarum e degli alimenta, compare a Sarmizegetusa (presso Hateg, distretto di Hunedoara), capitale della Dacia (l’odierna Romania) nell’iscrizione onoraria di un cavaliere (Quintus Axius Aelianus), originario di Aeclanum o di Benevento (tribù Palatina) e che intorno alla metà del II secolo d.C. unisce le cariche di curatori ad popul(um) vi[ar(um)] | Traianae et Aureliae [et] | Aeclanensium proc(uratori) ad alim(enta) | per Apuliam Calabriam Lu|caniam et Bruttios (CIL, III, 1456), associando, come già rilevato precedentemente, la gestione e manutenzione in efficienza del tracciato con le sue infrastrutture alla questione del controllo fiscale ad uso sociale, del traffico commerciale e dei rifornimenti. A Potentia (Potenza), in questo stesso periodo, elevata probabilmente anch’essa alla funzione di snodo rilevante della viabilità impostata sulle vallate del Basento, del Tiera e del Platano, il [coll(egium)] mul(ionum) et | [asinar(iorum)] erige un cippo, poi reimpiegato in pieno centro cittadino, alla memoria di un loro componente (Titus Mettius Potitus), deceduto in giovane età (CIL, X, 143; Di Noia, 2008, pp. 91-92 n° 35). I muliones e gli asinarii (rispettivamente conduttori di carri e di asini) rappresentano le figure professionali di riferimento, per conto soprattutto dei privati, in punti specifici lungo le strade, potendosi trovare in corrispondenza delle mansiones (luoghi attrezzati per la sosta temporanea del viaggiatore e per il servizio di posta, con una dotazione di 40 animali utili ai cambi; Quilici, 1991, p. 95) e delle stationes (stazioni di posta, adibite anche al pernottamento) ed essendo certamente disponibili in prossimità dei centri
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abitati (Pisani Sartorio, 1994, pp. 22-23). Potenza, per la posizione arroccata di una parte della città, necessita l’uso di animali da soma per il superamento delle rilevanti pendenze dei versanti che la difendono e per il rispetto delle norme sulla circolazione dei carri, interdetta all’interno del perimetro urbano nelle ore diurne (Pisani Sartorio, 1994, pp. 13-14). 4.2 I Severi: dalla via appenninica il prototipo della Herculia Aequum Tuticum dispone probabilmente dei medesimi servizi, trovandosi nell’ambito di un territorio difficoltoso da superare, se non si è attrezzati, e costituendo il fulcro del sistema viario creato dall’incontro della Traiana e dell’Aurelia, ricalcante forse in parte la Minucia (localmente identificata con il percorso della moderna Statale n° 17, ‘Appulo Sannita’). Tale ruolo è confermato ancora a distanza di pochi decenni da una fonte, l’Itinerarium Antonini, concepita al tempo dell’imperatore Caracalla (211-217 d.C.) e riprodotta a lungo tra il III ed il XII secolo. Sull’abitato, infatti, convergono e si staccano, con denominazioni diverse da quelle ufficiali, la strada a Capua (m(ilia) p(assuum) liii, di congiunzione dell’Appia antica con la Traiana; ItinAnt, 111,7 = p. 16), la direttrice ionica per Roscianum Regio (m(ilia) p(assuum) cccclxxviii, includente porzioni dell’Appia antica da e per VenusiaVenosa; ItinAnt, 112,3-115,6 = p. 16), l’adriatica per Hydrunto (Otranto) da Erdonias (Ordona, ossia la Aurelia Aeclanensis sino a questa tappa; ItinAnt, 115,7-118,4 = pp. 16-17), e il percorso appenninico a Mediolano (Milano) ad Columnam (sullo Stretto di Messina), comprendente la Aufidena civitas (Castel di Sangro) ad Aequum (73 miglia, in ItinAnt, 102,3-103,2 = p. 15) e corrispondente, per il prosieguo irpino e lucano, al tracciato straboniano della ‘mulattiera’ (ItinAnt, 98,2-106,4 = pp. 14-15). Quest’ultima, da Equum Tuticum (!) a Summurano (Morano Calabro; Taliano Grasso, 1995), per una distanza complessiva di di 248 miglia (riducibili a 220 con alcune variazioni; ItinAnt, 103,2-105,2 = p. 15), costituisce il vero e proprio antesignano diretto della via Herculia. Superate le ultime montagne irpine (ad Matrem Magnam, m(ilia) p(assuum) xvi, da ultimo cercata a Grottaminarda, da Miller, 1916, coll. 376-377, o ad O di Accadia, FG, per Lugli, 1963, p. 34), si avvicina alla valle dell’Ofanto (in Honoratianum, m(ilia) p(assuum) xx, che sarebbe prossima a Bisaccia, per Miller, 1911, col. 377, o corrisponderebbe a Candela; Lugli, 1963, p. 34) e, oltrepassato il fiume, si mantiene sulle colline lungo la riva destra, piegando per Venusium civitas (Venosa, m(ilia) p(assuum) xviii, misura cambiata sempre, inspiegabilmente, in xxviii da Buck, 1971, p. 67 e da Motta, 1996, p. 76) e volgendo decisamente verso S (Opino, m(ilia) p(assuum) xv). Dopo aver toccato le sorgenti e la parte alta del corso del Bradano (ad fluvium Bradanum, m(ilia) p(assuum) xxviii, cifra cambiata in xxviiii da Buck, 1971, p. 67 e da Motta, 1996, p. 76) raggiunge Potentia (Potenza, m(ilia) p(assuum) xxiiii) e, mantenendo quasi invariata la direzione, si inoltra nell’Appennino Lucano. Acidios (m(ilia) p(assuum) xxiiii), che in modo approssimativo e
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senza addurre spiegazioni è stata spostata da Accettura (Miller, 1916, col. 378) a Satriano di Lucania o Brienza (Lugli, 1963, p. 34), e Grumentum (m(ilia) p(assuum) xviii (cifra cambiata in xxviii da Motta, 1996, p. 76), presso Grumento Nova, in località la Città segnano l’unico tratto della strada che procede da O verso E, per riprendere subito dopo l’orientamento usuale, toccando Semuncla (m(ilia) p(assuum) xvii, che sarebbe Francavilla per Miller, 1916, col. 368, oppure Calvera o Teana, secondo Lugli, 1963, p. 34; aumentata a xxvii da Buck, 1971, p. 67 e da Motta, 1996, p. 76), Nerulo (m(ilia) p(assuum) xvi, posizionata a Rotonda da Miller, 1916, col. 368 e Lugli, 1963, p. 34 sulla scorta della tradizione) e, da ultimo, sul Massiccio del Pollino, Summurano (m(ilia) p(assuum) xvi). L’idea di attribuire a questa strada un peso, elevandola dal livello di semplice carrareccia e riconoscendola, se non con un nome proprio, almeno nell’inserimento in un asse transappenninico di lunga percorrenza che unisca le Alpes (Prealpi lombarde) direttamente al Fretum o Traiectum (lo Stretto di Messina), si deve probabilmente all’imperatore Settimio Severo (193211 d.C.) (fig. 7), su progetto del predecessore Pertinace (192-193 d.C.; Lo Cascio, 1980b), e a suo figlio Caracalla (fig. 8), che riceve ironicamente il soprannome trionfale Lucanicus, non per aver vinto i Lucani in battaglia, ma, a quanto pare, per la passione nutrita per la lucanica (SHA, Carac. 5, 6 = I., p. 508; Bracco, 1978, p. 15 e n. 3). Le institutiones alimentariae e la cura viarum procedono ancora una volta di pari passo (Lucius Cominius Vipsanius Salutaris è all’epoca proc(urator) alimentorum per Apuliam Calabriam Lucaniam Bruttios; CIL, II, 1085, da Alcala del Rio in Spagna), con un coinvolgimento diretto dell’autorità sovrana che, nonostante l’esiguità dei ritrovamenti epigrafici, appare investire cospicue somme sulla rete viaria dell’Italia meridionale, nel ripristino di infrastrutture connesse direttamente o indirettamente ai singoli tronconi.
Fig. 7 Busto di Settimio Severo (h. cm 81, fino al 1822 nella collez. Bevilacqua di Verona; ora nella Glyptothek di Monaco, inv. 357)
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Fig. 8 Busto di Caracalla (foto M. L. Nguyen)
L’iscrizione celebrativa CIL, IX, 6010, del 211 d.C., dal Ponte delle Chianche della Traiana, presso Buonalbergo (BN) (Quilici, 1989, pp. 67-68), tagliata e riutilizzata nel 1713 in due osterie (delle Tavernole e di Montechiodi), per incidervi il tariffario dei diritti di passo spettanti al Barone di Ariano Irpino (Vitale, 1794, pp. 8-9), accenna alle miserevoli condizioni in cui, a distanza di appena un secolo dalla sua realizzazione, giace la strada, in stato di semi abbandono (viam labentem), e ricorda che con l’apertura a proprie spese ([su]a pecunia) di grandi cantieri, per la realizzazione di viadotti e opere sostruttive ([am|pl]issimis operib[us | s]usceperunt ob[ie|c]tisque molib[us), viene rimessa in efficienza. La ripetizione di un testo simile ricostruibile nel frammento recuperato nell’area di Aecae (Troia, FG) (AE 1972, 139 = 1981, 246), per quanto relativo sempre alla Traiana (CIL, IX, 6042-6043), aiuta ad immaginare la portata degli interventi, da estendersi anche al di là del limite topografico di una singola strada e dei territori interessati dal transito, come ad esempio ad Apollosa (BN) sull’Appia antica (pontem vetustate dilapsum a solo sua pecunia restituerunt nel 198-199 d.C., in CIL, IX, 2122; Quilici, 1989, p. 46), a Canosa (BA) sulla Traiana (funda]menta ar|cus ---]um pon|tem --- vi flu] mi|nis], in AE 1969-70, 135) e, forse, ai cosiddetti Ponti Rossi o Ponte Rotto di Ginestra (vedasi oltre), parte di un acquedotto la cui tecnica costruttiva a filari di blocchetti, alternati a fascia di laterizi (opus vittatum) lo colloca nell’ambito del III secolo d.C. (Gualtieri, 1999, p. 155; Capano, 1999, p. 165); oppure nei centri dove si rinvengono epigrafi onorarie elevate a celebrazione dell’imperatore (AE 1924, 134 da Canosa, BA;1988, 390 da Circello, BN; CIL, IX, 959 da Aecae-Troia, FG; 1582 da Benevento, 2165 da Caudium; CIL, X, 5052, da Atena Lucana e così via), contestualmente rafforzate dal gran numero di testi nei quali ricorre la procuratela alimentorum in abbinamento al nome di una via (l’Appia – CIL, V, 865-, alla pari però con l’Aemilia, la Flaminia, la Tiburtina Valeria, la Latina, la Labicana e la Clodia). Nell’insieme di questi interventi rientra anche l’attenzione prestata alla riorganizzazione dei collegia dei responsabili delle mansiones (mancipes), nella struttura e nel funzionamento rispetto al servizio di posta (cursus
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publicus) e al transito di viaggiatori e merci, et iunctores | iumentarii (il già ricordato personale adibito alla movimentazione, ma anche conducenti, dei carri e di stalla, allevatori o addestratori; Kolb, 2000, p. 135, 140-141, 158, 184-185) che operano sui principali assi di collegamento delle regioni meridionali e relative diramazioni (viarum | Appiae Traianae item | Anniae cum ramulis). La condizione è adeguatamente celebrata a Roma nel 214 d.C. con l’erezione di un cippo nel Foro Romano alla figura di Caracalla e dei praefecti vehiculorum, incaricati di coordinare l’azione (CIL, VI, 31338a = 36899). L’atto si ripete in forme analoghe nel 226 d.C., con [mancipes et i]unctores | [iumentarii viar]um Appiae Anniae | [Traianae Au]reliae Novae cum | [ramulis che si rivolgono e celebrano l’imperatore Severo Alessandro (CIL, VI, 31370), in un omaggio rivolto in forma congiunta con i loro colleghi operanti nell’Italia settentrionale ([man]cipes et iun[ctores] | [iumen]tari(i) viarum | [Hist]riae Veneti[ae] | [Tra]nspadanae a[gentes]; CIL, VI, 31369; Kolb, 2000, p. 192). I due testi possono considerarsi il corrispettivo epigrafico di quanto espresso topograficamente nella coeva e più volte ricordata fonte itineraria (ITALIAE. Iter quod a Mediolano per Picenum et Campaniam ad Columnam, id est Traiectum; ItinAnt, 98,2-4 = p. 14) e, anche per quel che attiene i servizi e le infrastrutture, offrono indizi utili alla definizione dei caratteri di una viabilità dell’Italia meridionale, da Benevento a Taranto e Reggio, che sottolinea il peso economico riconosciuto alle regioni rivolte verso il Mediterraneo centrale (Campania, Lucania e Bruttii) ed orientale (Apulia et Calabria). 4.3 La Tetrarchia e Massenzio: la via Herculia L’obiettivo di collegare in una maniera efficace e adeguatamente servita l’entroterra appenninico e le colonie magnogreche delle coste ionica e tirrenica, potenziando la rete delle consolari con il riconoscimento di nuovi percorsi (ed in particolare quello denominato poi via Herculia), è raggiunto ed evidenzia in Italia il progressivo spostamento del peso produttivo ed economico dalle regiones centrali e settentrionali alle meridionali, dove la crisi, che colpisce intorno alla metà del III secolo d.C. le campagne, si avverte ma con effetti meno duraturi. Nelle grandi villae distribuite nel territorio appare concludersi con il reimpianto di nuovi e più ampi complessi produttivi, tra la fine del medesimo e gli inizi del secolo seguente, nel momento in cui con una denominazione propria compare e viene riconosciuta la via Herculia (ad esempio le fasi II e IIIA della villa di S. Giovanni, dirimpetto a Ruoti, PZ - 556450 -, con un progressivo e notevole incremento demografico della comunità ivi stanziata; Small-Freed, 1986, pp. 99-106, 125-126; MacKinnon, 2002). Il quadro economico complessivo è di crescita e sviluppo, imperniato sulle principali risorse naturali disponibili (selve, pascoli, abbondanza di acqua,
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Fig. 9 Venezia, piazza S. Marco, i Tetrarchi
estensioni coltivabili), adeguate all’allevamento del bestiame suino e ovino, in particolare, ma anche bovino, con prodotti derivati (insaccati, confermando la tradizione della luganica; formaggi e lana, oltre all’estrazione del legname e, probabilmente, della pece; Giardina, 1981) e a produzioni locali che segnano la tradizione dei secoli successivi, ad iniziare dalle leguminose, celebrate da Orazio con il celebre rimando ad un suo piatto preferito (ad porri et ciceris refero laganique catinum, ossia ‘Lagane e ceci’; Hor., Sat., I, 6, 115 = p. 158). La conferma della via nella funzione di asse strategico, per contribuire con convogli di carri e animali carichi delle produzioni agroalimentari apulolucane al mantenimento dei mercati italici e dei rifornimenti annonari di Roma, parzialmente in crisi per la diminuzione di corrispettive spedizioni dalle terre dell’area centro-settentrionale della penisola, viene dall’inserimento in un progetto di più ampio respiro di ripristino strutturale della viabilità in Italia che gli imperatori Diocleziano e Massimiano, con il supporto dei Cesari Galerio e Costanzo (la Tetrarchia) (fig. 9), attuano negli anni 286-305 d.C., contestualmente alle campagne militari su tutti i confini dell’impero, volte a stabilire una condizione di pace duratura con le popolazioni che da diversi decenni compivano rovinosi attacchi ai danni delle province, mettendo a rischio il cuore stesso del Mediterraneo.
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La costruzione, nel 298 d.C., della strata Diocletiana (CIL, III, 6719; AE 1931, 85 e 108; 1993, 1602), da Sura, sull’Eufrate, a Palmira, in pieno deserto siriano, a Damasco e a Bosra (raccordo con la via Traiana Nova, del 111-114 d.C.), con una diramazione volta al Mar Rosso e servita da una serie di installazioni fortificate e torri di avvistamento disposte ad intervalli non superiori a 20 miglia l’una dall’altra (Millar, 1993, pp. 183-186, 297, 310), potrebbe essere assunta a modello per definire il criterio adottato nel restituire e riorganizzare la rete stradale italica. La riduzione in provincae delle regiones ottenute con la precedente suddivisione augustea costituisce il contesto nel quale comprendere le motivazioni di un programma tanto ambizioso, ben rappresentato dai numerosi miliari rinvenuti in corrispondenza di punti sensibili o significativi dei tracciati. L’essersi di volta in volta riferiti, nei cantieri, alle disponibilità locali di manodopera e di botteghe di lapidici determina il diversificarsi dei testi incisi sui cippi eretti ai lati delle strade. Gli imperatori compaiono da soli (ad esempio AE 2003, 344, da Borgo Appio, LT) o in coppia con i Cesari (AE 1994, 536, dal territorio di Ariano Irpino, AV), con o senza i titoli laudativi e di vittoria (cognomina ex virtute; CIL, V, 8038, da Verona, e AE 1968, 121, da Benevento), con una variabilità nelle intitolazioni interna al singolo tracciato che però non impedisce di aggiungere indizi per la sua identificazione. Pur intervenendo su percorsi di grande importanza (la Postumia, l’Aemilia, la Traiana Nova della Cassia, la Flaminia, la Karalis-Olbia, l’Appia, antica e Traiana, l’Annia e la via appenninica, poi Herculia), non se ne cita mai il nome né il tipo di intervento eseguito, certamente non limitato ad una semplice rimisurazione del percorso. La somiglianza poi tra un’iscrizione e l’altra può talora rendere difficile stabilire la pertinenza ad una strada e, anche di recente, ha prodotto delle “certezze” interpretative al limite dell’imprudenza, laddove, come ad Aequum Tuticum, l’intreccio, la convergenza o l’accostamento tra diverse vie (la Traiana, l’ipotetica Aurelia Aeclanensis, la Aufidena-Aequum e la futura Herculia) non permette un’attribuzione senza verificarne la coerenza e il rispetto degli altri elementi topografici ivi rilevabili (da cui le opposte valutazioni, prudenti, del Grasso, 1893, fasc. I, pp. 40-41, 50-51, e, ottimiste, della Silvestrini, 1994, pp. 252-264, nni 1-2 e di quanti le appoggiano citandola, senza verificarne le fonti) e gli accostamenti compiuti dal Mommsen (CIL, IX, pp. 599-601, nni 6056-6070 = X, pp. 709-712, nni 6961-6975). Nell’odierna Basilicata sono al momento cinque i cippi riconducibili alla Tetrarchia, da Melfi (CIL, IX, 6064 = X, 6969), Lavello, dal cui territorio ne provengono due (CIL, IX, 6070 = X, 6970 e Montano, 1900, p. 9) e Marsico Nuovo (altri due, CIL, X, 6975 e Fiorelli, 1900, p. 38), coincidendo con alcune delle tratte indicate nell’Itinerarium Antonini (In HonoratianumVenusia civitas e Potentia-Acidios-Grumentum), ma quello di Melfi potrebbe anche essere pertinente alla via Appia antica, data la duplice rispondenza del numerale alle miglia che, all’altezza di Melfi (Lombardi, 1836, pp. 192-193), si possono misurare su questa o sul tracciato della Herculia, poco lontano.
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Mancano informazioni esatte sull’esatta provenienza di ciascun cippo e, laddove si è recuperata, incrociando le fonti bibliografiche più vicine agli anni del ritrovamento, appare evidente il trasporto e il reimpiego della pietra per vari usi (spolia) ad una certa distanza dal posizionamento originario. Queste difficoltà non sono sufficienti a scoraggiare ipotesi ricostruttive del percorso, ma invitano ad approfondire il dato e a non limitarsi a generiche delineazioni, ottenute disponendo nel discorso alcune presunte tappe di seguito l’una all’altra, senza confrontarsi con la realtà del campo ed il dettaglio di una cartografia a grande scala, non muta. Volendo datare l’intera operazione sulla base dei miliari, si opterebbe per gli anni dal 298 (ultime campagne militari di Massimiano in Iberia e in Mauretania) al 305 d.C. allorquando l’imperatore, forzosamente dimissionario per seguire il collega Diocleziano nella verifica della tenuta del sistema Tetrarchico, impostato all’inizio del proprio mandato di governo, lascia la capitale (Milano) e si trasferisce in Lucania (Valle del Sele o Val d’Agri) e sembra risiedervi, salvo brevi parentesi, sino alla sua morte (310). La presenza in questa provincia da poco costituita si collega al cospicuo numero di proprietà imperiali esistenti, da Bantia (Banzi) a Potentia e a Grumentum (Small, 1999, pp. 590-591), che la viabilità deve collegare in modo efficiente tra loro e alla rete delle consolari esistente (l’Appia, la Traiana e l’Annia), giustificando la valorizzazione di un percorso già noto e in uso, quale la via appenninica, pur senza essere stato finora ufficialmente riconosciuto.
Fig. 10 Testa di Massenzio, (foto M. L. Nguven)
Combinando poi i pochi miliari attestati con quelli che nel 311 d.C. l’imperatore Massenzio (fig. 10) fa collocare, stando a quanto si può desumere dalle evidenze archeologiche, lungo i medesimi tracciati italici sopra accennati (CIL, V, 8000, 8015, 8017, 8039, 8054-8055; X, 6836, 6847, 6956; AE 1983, 378; 1989, 139; 1991, 411; 1996, 458; 2003, 650, 712; 2007, 341, per citarne alcuni), si ottengono delle linee di percorrenza più definite, che evidenziano ancor più la rispondenza tra la pianificazione della rete viaria in età severiana, rappresentata dal ricordato Itinerarium Antonini, e gli interventi compiuti un secolo dopo con l’apposizione dei miliari dioclezianei. Massenzio agisce
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riprendendo i lavori laddove erano stati interrotti o completandoli, come in Sardegna (AE 1889, 28, da Olbia, confrontata con le n° 24 e 30 nella medesima annata di pubblicazione) e nell’area appenninica tra Campania, Apulia e Lucania (Sciarra, 1970). La via che si appresta a chiamare Herculia vanta ormai l’esistenza da alcuni secoli, contando a cominciare dalla ‘terza’ strada straboniana. Nelle iscrizioni che la celebrano, distribuite dalle campagne da Zungoli (AV; Vitale, 1794, pp. 15-16; CIL, IX, 6060 = X, 6964) a Castel Lagopesole (Avigliano, PZ; CIL, IX, 6067 = X, 6972), si propone il concetto di ‘ripristino’ (pristinam faciem) di un fondo stradale più che di un tracciato, che evidentemente era venuto meno, forse a causa anche dell’intenso traffico, soprattutto animale, indicato già nella metà del V secolo a.C. dalla legislazione repubblicana come la principale causa di danno per selciati o acciottolati. Il medesimo principio ha un precedente in epoca severiana (labentem viam, in CIL, IX, 6010, da Buonalbergo, AV), stabilendo una sorta di filiazione rispetto ad ulteriori casi simili, ricordati da Adriano ([ve]tustate amis[s]am, per l’Appia a Benevento, in AE 1930, 122, e ad Aeclanum, in CIL, IX, 6075) e ancor prima da Augusto nelle Res Gestae (vetustate labentes, in CIL, III, p. 774). La tipologia di strada che, esaminando i tratti conservati soprattutto andando da Leonessa (Melfi, PZ) alle sorgenti del Basento (Pignola, PZ), appare essere stata adottata in prevalenza è la glarea strata, ossia, letteralmente, ‘pavimentata con ciottoli’ e pietrame, ricavati direttamente dalle fiumare (l’Ofanto, l’Olivento) e dalle superfici sulle quali è stata progettata ed impostata nel tracciato (al riguardo si rimanda a Moreno Gallo, 2004, p. 216 e in questo volume al contributo di Lazzari e Gioia). La tecnica, adoperata anche per la via Annia nel Vallo di Diano (Bracco, 1981, p. 252), rimane in uso in Lucania per tutto il Medioevo e nei secoli successivi, venendo adottata per qualunque via di una certa importanza e di collegamento fra luoghi significativi distanti tra loro o all’interno di estese proprietà fondiarie (Dall’Aglio, 1999, pp. 179-182; pp.), e permane nella memoria del territorio con toponimi del tipo Giarrossa e Glorioso (entrambi riconducibili all’aggettivo latino glareosus, -a, -um ‘inghiaiato’; Pellegrini, 1990, p. 183), concentrati nel suburbio meridionale potentino (segmento da Potentia ad Acidios). La misura in larghezza della sede stradale, marcata da crepidini costruite in bozze di pietra locale può variare, ma sembra attestarsi su una media oscillante da m 2,90 a m 4,17 (rispettivamente circa 12 e 14 pedes romani) e l’impostazione ricevuta in questi anni appare riflettersi nella diversa cadenza con cui si intende disporre i luoghi di sosta e le stationes lungo il tracciato, riducendola ad una media al di sotto della soglia di 20 miglia di distanza l’una dall’altra, analoga a quanto accennato a proposito della strata Diocletiana nella provincia di Siria e ancora attestata nel breve settore della via riportato nella Tabula Peutingeriana. Nel solco dei predecessori e ancor più del padre Massimiano, deceduto da appena un anno (310 d.C.), si pone il piano di Massenzio. In suo onore denomina
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la strada e il progetto di ascriverla fra gli assi di maggiore importanza della rete italica si concretizza nel garantire un collegamento anche tra le diverse proprietà imperiali sparse nei territori almeno sino a Grumentum. La finalità della Herculia, però, non si ferma ovviamente al solo utilizzo interno al patrimonium imperiale e conferma il peso attribuito alle potenzialità economiche delle provinciae apulo-lucane, ancor più evidenti nel confronto con le difficoltà crescenti in cui nel corso del IV secolo d.C. appaiono dibattersi i territori dell’Italia settentrionale (Cracco Ruggini, 1961, pp. 147-152). Quando intorno al 350-353 d.C. viene redatta l’Expositio totius mundi et gentium, un componimento in latino da un originale greco a carattere pedagogico e descrittivo del nuovo assetto provinciale dell’Italia, l’attenzione è volta a sottolineare la rilevanza economica acquisita dalle terre meridionali e la Lucania è definita regio optima, et ipsa omnibus abundans et lardum multum foras emittit propter esse in montibus eius escam animalium varium («terra eccellente, e da sola, abbondando in ogni sorta di prodotti, esporta grandi quantità di lardo, trovandosi sulle sue montagne il nutrimento necessario alle diverse specie animali»; Exp. tot. Mundi, 53 = p. 190), accanto alla Calabria (frumentifera), ossia la Penisola Salentina, e ai Bruttii (la Calabria attuale), dai quali si traggono vino di qualità e tessuti. Formaggi (casea), legumi (legumina) e carne di maiale lavorata, che già Varrone (116-27 a.C.) ricordava prodotta nella forma di una salsiccia (Quod fartum intestinum e crassundiis, Lucanicam dicunt) e diffusa in età repubblicana dai soldati, che ne avevano appreso il confezionamento e il gusto direttamente dai Lucani (quod milites a Lucanis didicerint; Varr., Lin. Lat., V, 111 = pp. 124-125), forse durante le operazioni militari compiute tra Potentia e Grumentum nella Guerra Sociale (91-88 a.C.), che a Pompei era pubblicizzata e commercializzata prima del 79 d.C. (Lucanica iiii (assibus); CIL, IV, 4882b), che l’imperatore Caracalla apprezza e che nel IV secolo d.C. vede affiancarsi il lardum, contemplato nel ricettario di Apicio (De arte coq., II, 4 e VII, 11 = pp. 22-23, 70-71; CIL, IV, 8561a), costituiscono, accanto al vino, all’olio e al grano, le principali classi di prodotti che, ottenuti in quantità dalle terre lucane, si immettono sulla via per raggiungere i mercati italici e Roma. Et in cibis miraberis sapores, che si legge sempre in Apicio in riferimento alla degustazione di un particolare modo di aromatizzare le pietanze, con una salsa resinata (De arte coq., I, 10 = pp. 14-15), potrebbe parafrasarsi mutando l’ultimo vocabolo (sapores) in historiam, per esprimere appieno quello che la tradizione produttiva (agroalimentare) della Basilicata ha raccolto e conservato nel Tempo e può recuperare, conquistando sul mercato attraverso la cultura nuovi spazi alle proprie peculiarità e tipicità enogastronomiche. Assieme all’Herculia dobbiamo in questo periodo considerare sempre l’Appia, a N, per l’area del Vulture e delle Murge, e l’Annia, a S, inserite nel medesimo sistema di collegamenti viari, che permettono alla Lucania e alla confinante
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Apulia di esprimere al massimo il proprio potenziale economico. I miliari, nelle integrazioni che ricevono da parte di imperatori successivi agli artefici dei primi interventi, testimoniano anche per esse la conferma di un interesse e di un’importanza che datano sino all’ultimo decennio del IV secolo d.C. (CIL, IX, 6000-6002, 6013-6014, 6027, 6063 = X, 6968, per citarne alcune; Inscr. It., 3, 3, pp. 153-157 nni 272-275), rendendo evidente il contrasto con il giudizio in astratto sostenuto a suo tempo dalla critica circa una via Herculia che, «seguendo in parte le creste collinari e in parte ricalcando percorsi più antichi, certamente non viene costruita tenendo conto delle necessità locali: infatti per consentire un percorso più diretto, trascura zone abitate, inoltrandosi in altre inospitali» (Gualandi-Palazzi-Paoletti, 1981, p. 167). 4.4 La “scomparsa”: dalla via imperiale ai tratturi La sorte che nei secoli successivi tocca alla Herculia è ben rappresentata nella Tabula Peutingeriana, la celebre mappa itineraria databile agli anni intorno alla metà del IV secolo d.C. e teoricamente, come talora pretendono letture superficiali, contemporanea alla strada. Sarebbe pertanto la fonte più adeguata
Fig. 11 La Luc(c)ania ed il contesto della viabilità in Italia meridionale nella rappresentazione della Tabula Peutingeriana (segm. VI.5-VII.1). Nella metà superiore dell’immagine, al centro, si individua il tracciato di quel che rimane della Herculia da Venusie a Potentia e le alternative che la sostituiscono, preferendo l’Appennino ad Anxia (Anzi) per giungere a Grumento
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a rappresentarla, se non fosse che la versione tramandata non è l’originale e, soprattutto per la Lucania (o Luccania, sulla mappa. TabPeut, segm. VI.5VII.1) (fig. 11), comprende uno dei molteplici aggiornamenti che nel corso dell’Alto Medioevo la caratterizzano, soprattutto nella porzione centrale e meridionale dell’Italia (Cinque, 2002, pp. 471-480). Ragioni diverse, di carattere politico, per il subentro in queste regioni di nuove compagini amministrative e suddivisioni territoriali, e gestionale, per le trasformazioni determinate dal ridursi della capacità di intervento delle autorità municipali nella conservazione del suolo, nel mantenimento dei corsi d’acqua e nel ripristino della viabilità, danneggiata o interrotta a seguito di alluvioni, frane e perdita dei ponti, comportano l’alterazione del quadro generale delle comunicazioni stradali, da questo momento in poi (Lacava, 1890a, p. 9). L’anonimato, che nel disegno della mappa caratterizza tutti i tracciati riportati, è compensato dalla registrazione delle tappe, corrispondenti principalmente ad elementi naturali (fiumi e montagne), centri abitati, santuari, impianti termali o vere proprie stazioni di posta, corredate dalla misura della distanza da coprire per raggiungerli. Il variare delle condizioni territoriali e la deformazione, nella resa grafica, del profilo della penisola italica, distesa orizzontalmente, comportano vincoli non sempre risolti dal redattore e copista, che in diversi punti ha dovuto persino omettere i nomi di alcuni luoghi e spostare, o variare, le note delle miglia, creando, ad un’analisi disattenta, la falsa illusione di una precisione oppure, al contrario, l’idea di un intreccio inestricabile di nomi e cifre che si è, alla fine, preferito regolarmente ignorare, piuttosto che cimentarsi in ipotesi interpretative magari errate, ma pur sempre utili al ragionamento. Da qui si capiscono le ricostruzioni fantasiose che costellano la letteratura scientifica, l’assunzione di tracciati con tappe inesistenti e l’ignorare in maniera sistematica che la strada ivi rappresentata è solo in parte la via Herculia (da Venosa a Potenza), combinata con varianti che nel VI secolo disegnano nuovi percorsi, affidati ad altri valichi dell’Appenino Lucano e diversi punti di appoggio (la città di Anxia-Anzi, tra Potenza e Grumentum). Sono quegli stessi percorsi che nel VII-VIII secolo (AnRav, IV, 35 = p. 283) e nella copia del 1119 di un originale del IX (LibGui, 48 =p. 486) sono ancora ricordati secondo le medesime tappe, sebbene mescolate nell’ordine, e ai quali va ricondotta la diramazione da Venosa ad Acerenza, per Maschito e Forenza attraverso il Salto dei Paladini (sulla Provinciale n° 10 ‘Venosina’; 568453), reimpostata ad uso militare dai bizantini e che il Buck confuse con la via Herculia (Buck, 1971, pp. 78-81), trascinando con sé quanti successivamente hanno voluto sostenere un dato senza curarne minimamente la verifica, certi dell’autorevolezza del primo interprete (ad esempio Volpe, 1990, pp. 147-148 [Venosa] nni 3-5; Marchi-Sabbatini, 1996, pp. 125-127; Marchi-Salvatore, 1997, p. 74; Motta, 1996 ; Manfredi, 2010, p. 8). Un’eredità conservata dalla via dai tempi della ristrutturazione di Diocleziano e Massimiano è costituita, come già anticipato nel paragrafo precedente, dalla
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riduzione delle miglia di separazione da una tappa alla seguente al di sotto delle 20 (16 per ad Pisandes, dove 24 è, invece, la distanza calcolata sulla via Appia antica; 12 per Lucos, e 15 per Potentia). Per il resto tutto è cambiato e la strada, ancora probabilmente considerata ed usata, secondo una leggenda longobarda, dal re Autari (584-590) nell’interezza dell’antico iter quod a Mediolano […] ad Columnam (Paul. Diac., Hist. Lang., III, 32 = p. 330; Del Lungo, 2013, p. 222), si appresta a frazionarsi in percorsi diversi, acquisendo nomi locali a seconda della funzione alla quale il particolare segmento viene adibito. Nella documentazione medievale e nella cartografia si può incontrarla, nascosta nelle parole via publica, se ancora soggetta ad un traffico significativo; glareosa, se una parte dell’antico acciottolato risulti riconoscibile; francesca, se usata per dirigersi in pellegrinaggio ad un santuario locale sulla direttrice per il Gargano; callis, da cui i molteplici Gallo, Galli, Gallitello, Gallicchio e il composito Marciagallo, il ‘pastore’ che vi transita, di natura soprannominale e cognominale (Marcegaglia), oppure tractorius, se utilizzata per gli spostamenti di armenti e greggi su direttrici di transumanza verticale o orizzontale, con un’eredità affidata anche alla trasmissione dell’espressione dialettale potentina ‘ntruvola tonze, letteralmente il pastore inesperto o incauto che intorbida le pozze di acqua piovana usate per lavare il vello delle pecore al pascolo o in cammino, creando un problema alle greggi che seguono lo stesso tratturo (Mennonna, 1977, p. 213, s. v. tonza) e ora attribuita comunemente a persone considerate dei ‘buoni a nulla’, che si danno importanza ma sono capaci solo di fare confusione senza raggiungere lo scopo. In conclusione, prima di passare all’illustrazione del tracciato e delle sue antichità, questa a ‘tratturo’ è l’ultima evoluzione della strada, da carrareccia ad ‘imperiale’ a tutti gli effetti, così riconosciuta per molto tempo ancora da chi, dopo i Romani, entrerà e si muoverà in Lucania (Goti, Bizantini, Longobardi, Arabi e Normanni), e infine a serie di vie campestri, in parte nascosti dalle moderne strade asfaltate (Lacava, 1890a). Nella sostanziale continuità, da un lato se si ha modo di scoprire che a Potenza, ancora nel XIX, la corporazione degli asinai celebrava il 26 dicembre, nella Cappella di S. Stefano, la propria festa, richiamati dall’iscrizione funeraria che 1600 anni prima i loro predecessori avevano eretto, forse, nella necropoli che si estendeva sulla rupe settentrionale della città (CIL, X, 143; Lenormant, 1883, pp. 319-321; Di Noia, 2008, pp. 91-92 n° 35), dall’altro, sollecitati dalla conservazione nel dialetto lucano dell’aggettivo sostantivato merum (‘vino puro’, consumato senz’acqua; Melillo, 1955, pp. 151-154), al posto del più comune vinum, di derivazione greca per il tramite etrusco, le tradizioni agroalimentari costituiscono l’ultimo complemento e il punto di arrivo della ricerca topografica sulla via (Montanari, 1979; Montanari, 2012). Nell’antica strada hanno avuto il mezzo per fondare, costruire e sostenere l’economia della regio e poi provincia, sono diventate parte integrante di un binomio spazio-temporale nel quale ogni prodotto, che sul momento ha creato e diffuso un gusto, singolo o combinato in una ricetta, ha acquisito la
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tipicità grazie all’accumularsi, nei secoli, dell’esperienza per ricavarlo e per manipolarlo nel modo migliore. Le numerose certificazioni di qualità ottenute negli anni recenti sono il riconoscimento di un lungo cammino percorso, non mirando più ad una resa ma formando una cultura del prodotto, che si percepisce nei luoghi di provenienza e nelle vie che li raggiungono, li attraversano e li lasciano alle spalle. La via Herculia non va ridotta ad una semplice linea poiché idealmente è una fascia di territorio con numerose ramificazioni, che tocca quasi ogni angolo della Lucania recuperandone la dimensione storica e culturale. Su di essa, da secoli, si muove il viaggiatore, qualunque sia il suo obiettivo finale. Attraverso di essa trae vigore, nutrendosi delle peculiarità e, ora, eccellenze, assaporandole e fondendo il gusto alla percezione del paesaggio culturale percorso. Da essa porta via esperienza, conoscenza e la voglia di rendere partecipi altri delle sensazioni provate. 5. Il tracciato L’identificazione della via è stata sempre incerta perché effettuata in linea di massima e mai riportata nella realtà, ragionando sulle miglia e la natura delle fonti che le registrano. Ribadendo quanto si è affermato nelle pagine precedenti, l’Itinerarium Antonini rappresenta l’antecedente della Herculia nel III secolo d.C., mentre la Tabula Peutingeriana ne illustra quel che rimane nel VI, in una condizione non molto dissimile da quella con la quale si ritrova, quasi affiorante o a nemmeno un metro di profondità e quindi facilmente soggetta ad essere danneggiata dalle arature, con conseguente rimozione per spietramento del suo selciato, o obliterata da qualunque opera pubblica infrastrutturale (in particolare posa di condotte e asfaltatura di strade). Solo la continuità di un paesaggio, che mantiene intatte molte delle linee fondamentali stabilite dall’Uomo in epoca romana e che ne hanno guidato, almeno sino al XVIII secolo, l’organizzazione e l’adattamento nello spazio, assicurano un suo riconoscimento, nonostante le forme e l’aspetto siano mutati, confondendola con altri elementi simili, tipo una normale strada campestre o una carrareccia odierna. Suddividendola in tre tronchi, dal fiume Ofanto a Venosa, da lì a Potenza e, il terzo, sino a Grumentum (quest’ultimo non considerando ovviamente la variante della Tabula) e combinando le fonti itinerarie, che descrivono il ‘prima’ e il ‘dopo’ della via, ma non il ‘coevo’, rappresentato solo dalle pietre miliari, si evidenzia il mantenimento dello stesso totale nelle distanze, ossia 85 miglia (125,6 km), per il primo segmento (Ofanto-Potentia). La misura è nettamente in eccesso rispetto alla realtà, anche se la si calcoli direttamente sulle odierne statali (in ordine le n° 655 ‘Bradanica’, 93 ‘Appulo-Lucana’, 168 ‘di Venosa’, 658 ‘Potenza-Melfi’ e nuovamente 93), ma la sua ripetizione in fonti diverse per impostazione sembra implicitamente riproporre il criterio adottato da Strabone per distinguere, a parità di miglia, il diverso uso a cui
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poter destinare il tracciato (‘mulattiera’ o ‘carraia’), escludendo ovviamente i centri abitati. La sovrabbondanza di distanza da coprire rispetto alla posizione in effetti ben più ravvicinata dei caposaldi topografici indicati dagli itinerari, facilmente riscontrabile nel confronto dell’evidenza archeologica in senso lato (infrastrutture stradali, aree funerarie, insediamenti rurali, epigrafi, porzioni residue di acciottolati) con il computo e la misurazione effettiva di ciascun miglio, compiuta sulla cartografia in scala 1:25.000 e riportata sui fogli i.g.m. al 100.000, per una maggiore leggibilità della via in relazione alla restante rete stradale e al contesto territoriale e produttivo antico, consente di ipotizzare negli itinerari la presenza di inserti descrittivi. Una diramazione con relativa misura della strada da percorrere per raggiungere la destinazione, da un lato, e la sovrapposizione fra due tracciati diversi, con conseguente accostamento e cumulo delle distanze relative, dall’altro, sono condizioni riscontrabili nell’Itinerarium Antonini e nella Tabula Peutingeriana, determinati dall’uso delle fonti e dalle conseguenti riproduzione e loro diffusione in copia, con le informazioni sulle tappe e le stationes o mansiones trasformate in appunti. Il viaggiatore dell’epoca sapeva ben discernere le informazioni e comprenderle nella relativa articolazione, poiché era consapevole delle modalità di esecuzione e trattamento di questo genere di prodotti. Più difficile può, invece, risultare ora l’interpretazione ma non impossibile, a condizione di evitare le solite forzature nei calcoli e nel riposizionamento dei luoghi selezionati e segnalati lungo la via. Assumendo pertanto a presupposto fondante la veridicità e la precisione di queste fonti, si affronta subito la prima questione. Rispetto agli attuali confini amministrativi della Basilicata, la via Herculia si trova nell’arco di tre secoli a variare il luogo dove superare l’Ofanto. L’Itinerarium pone a xviii miglia da Venosa il passaggio in Honoratianum, fondato probabilmente da una famiglia (gens) senatoria (gli Iasdii; Kadleç, s.v. Iasdius, in RE, 9, Stuttgart, 1916, col. 751) agli inizi del III secolo d.C., e ben distinto dal Ponte Aufidi, a xviiii (ItinAnt, 103,4 = p. 15; 121,1 = p. 17), che la Tabula riconduce ugualmente a xviii. Mantenendo con l’identificazione di Honoratianum con un punto corrispondente a Candela (Lugli, 1963, p. 34), posta esattamente a 5 miglia dal fiume verso NO, o ad un sito nel suo suburbio (le Grotticelle al iiii?), la via, quasi un rettifilo conservatosi nella carreggiabile che transita tangente a Fontana Vecchia, Masseria la Torre, il Casone (all’altezza del iii miglio dal fiume), Masseria Bascianelli e Masseriola, coincide nelle ultime due miglia con il confine amministrativo tra i comuni di Candela e Rocchetta S. Antonio, giungendo al fiume subito dopo aver intersecato la ferrovia. Non necessariamente bisogna cercarvi un ponte, perché l’alveo è sufficientemente ampio, asciutto ed agevole da superare a guado. Ne sa qualcosa, nel 1882, l’archeologo François Lenormant, che male interpretando la possibilità di giungere prima a Melfi in automobile, sceso alla Stazione di Candela (linea Foggia-Potenza), opta per una “scorciatoia” coincidente con questa antica strada imperiale (une vieille route), nel frattempo divenuta quasi impraticabile
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Fig. 12 Il Ponte S. Venere (in basso, sullo sfondo). La situazione vista dal Lenormant nel 1882 è nettamente peggiorata. La struttura, fortemente danneggiata da improvvidi restauri a base di cemento, è nascosta da un ponte ferroviario in abbandono e dal viadotto della Provinciale n° 48
Fig. 13 Il Ponte S. Venere, nel lato a monte
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Fig. 14 La Masseria Palorotondo, sulle colline che dominano l’Ofanto e il Ponte S. Venere
per l’alternarsi di tratti in terra battuta ad altri dove reparaissaient les restes de l’empierrement (Lenormant, 1883, p. 141). I terrapieni elevati per la recente (secolo XIX) costruzione della ferrovia hanno completamente distrutto le possibili rampe di discesa al fiume, alterando il profilo delle ripe, ma il punto si colloca esattamente tra il xviii e il xviiii miglio da Venosa. La vettura avanza sul greto dell’Ofanto sino al Ponte S. Venere (figg. 12-13), l’alternativa che la Herculia appare utilizzare nel VI secolo, riferendosi alla Tabula, quando evidentemente l’impraticabilità del fiume obbliga lo spostamento dei traffici di due miglia lungo la sponda sinistra in direzione SO, verso il passaggio più solido e sicuro adoperato per secoli dall’Appia antica (la via publica del 1224, in Mercati, 1946, pp. 295296 n° VII) e presso cui ancora nel 1745, alla distanza di circa un chilometro dal ponte, era visibile «un assai nobil marmo a figura di colonna» (forse il cosiddetto Palorotondo, nome attestato nel 1224 –praedio Palirotundi-, in Fortunato, 1899a, pp. 14-15 n° 3, da cui la località intorno e la relativa masseria; 546454) (fig. 14), che l’imperatore Marco Aurelio, in associazione con il figlio Commodo, aveva eretto tra il 166 e il 177, celebrando la risistemazione della consolare (reficiendo cur(averunt); Pratilli, 1745, p. 469; Lupuli, 1793, p. 178; Corcia, 1843-1852, II, p. 529). Un cippo simile, pur essendo stato elevato dalla comunità di Aeclanum (Passo di Mirabella, AV) in onore di Marco Aurelio negli anni 166-172 d.C., per gli interventi di ripristino della via ad pontem (il cosidetto Ponte Rotto, in direzione di Benevento, o un’altra struttura, verso Guardia Lombardi; Quilici, 1989, pp. 52-53) | aquar(um) interrupt(a) | et latrociniis restituta, è stato riferito a non meglio specificati interventi di restauro sul Ponte S. Venere e sul tratto di consolare da qui a Venosa (Volpe, 1990, p. 86; Marchi-Salvatore, 1997, p. 74), rimandando per la notizia non alle fonti che effettivamente la forniscono, assieme a questa interpretazione del reperto (Lupuli, 1793, pp.
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Fig. 15 Il monte chiamato la Torre della Cisterna, con il percorso di crinale aperto dai mezzi agricoli a servizio ai campi, in corrispondenza della linea ipotizzata per l’Appia antica
178-179), ma a terzi (Alvisi, 1970, p. 30 e nn. 41-42), a loro volta non molto sicuri, o ad altri persino del tutto ignari (Iacobone, 1935). Al di là delle apparenze di una struttura ampiamente rimaneggiata, che ha perso quasi tutti i caratteri costruttivi originari (Iacobone, 1935, p. 310, 313, 324 n. 1), e delle identificazioni avanzate talora a senso da una nutrita bibliografia (per tutti Pratilli, 1745, p. 469 e Lugli, 1963, pp. 26-28), il Ponte S. Venere sarebbe il pons Aufidi (ridotto nel pieno Medioevo a locum videlicet orrorum et vaste solitudinis; Mercati, 1946, p. 293 n° VII, giugno 1224), se si considera anche la distanza da Venosa, effettivamente corrispondente a xviiii miglia, seguendo l’Herculia, e a xxii con l’Appia antica. La consolare, da Isca della Ricotta a Torre della Cisterna (rovine del monastero e della ecclesia Sancti Johannis de Yliceto, esistente nello stesso periodo; Mercati, 1946, p. 293 n° VII; Palmese, 1876, p. 24) (fig. 15) sino a Melfi, percorribile ed usata
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Fig. 17 La cappella della Madonna delle Spinelle recupera quel che rimane della navata sinistra della basilica di S. Stefano, nell’area dell’ipotetica stazione di posta Melfel, all’origine dell’interesse insediativo per la collina di Melfi
Fig. 16 L’incrocio della Statale n° 303 con il tratturo Aquilonia-Melfi-Castellaneta, all’altezza del vii miglio dell’Appia e dell’Agriturismo chiamato, non a caso, Tratturo Regio
ancora nel XII secolo (Caspar, 1909), si interseca, nell’aspetto di una strada bianca, con la Statale n° 303 ‘del Formicoso’, prima e dopo aver incrociato il tratturo Aquilonia-Melfi-Castellaneta (Carta dei tratturelli, 1910, reintegra, n° 21 e ora n° 3) al vii miglio (fig. 16). Presso la città normanna, il cui nome potrebbe essere stato derivato da una stazione di posta (al pari di Melfel, sulla via Latina; TabPeut, segm. VI.2), collocabile nell’area della basilica bizantina di S. Stefano (poi Madonna delle Spinelle) (fig. 17), vengono a cadere il x (bivio con una diramazione attraverso la melf, ossia la ‘fenditura’ ai piedi del castello, per Masseria
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Fig. 18 L’avvallamento, o ‘fenditura’, da cui il nome di Melfi e sulla quale incombe il castello, è attraversata dalla diramazione dell’Appia per le ville romane dell’area di Leonessa, per il tratturo Aquilonia-Melfi-Castellaneta e per la località Albero in Piano.
Leonessa e l’Herculia, di 7 miglia verso NO) (fig. 18) e l’xi (bivio con il diverticolo per la grande villa di Albero in Piano, nelle cui vicinanze viene alla luce nel 1856 il famoso ‘sarcofago di Rapolla’ -Volpe, 1990, pp. 144145 n° 248- e per la quale si è in passato più volte proposta l’identificazione con la statio di Beleianum; Guarini, 1909, p. 290), inducendo a sollevare il dubbio che il miliario dioclezianeo CIL, IX, 6064 = X, 6969, in «granito rosso» (Lombardi, 1836, pp. 192-193) ritrovato prima del 1819 in un luogo imprecisato e reimpiegato alla base di un lampione (Araneo, 1866, pp. 19-20), recando la misura x[---, integrabile sino ad ottenere al massimo xiii (spazio disponibile per le lettere mancanti), possa appartenere proprio a questa strada, attestandone i restauri compiuti tra il 392 e il 393 d.C. da Teodosio e Arcadio (CIL, IX, 6063 = X, 6968), come già su altri cippi della medesima via. In contemporanea, però, poiché queste misure, se computate da Venosa verso l’Ofanto e non viceversa, come suggerisce il miliario con il numero viii dal territorio di Lavello (Montano, 1900, p. 9; Guarino, 1909, p. 293), si ritrovano anche sull’Herculia, tra Masseria Menolecchia (al x miglio) e la Camarda Vecchia (tra il xiii ed il xiiii), non si esclude che, come sosteneva il Mommsen sul CIL (IX, pp. 599-601), sia riconducibile anche a questa via. Al confine tra le località Vaccareccia e Isca della Ricotta di Sotto, lambito il Vallone Caprai al xvii miglio, in corrispondenza del bivio per la diramazione di 2 miglia verso il Ponte S. Venere ed il raccordo con l’Appia, svolge la funzione di asse portante rispetto alla diramazione sopra accennata, dall’antica consolare alla
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villa di Masseria Leonessa (550454) al xvi miglio, e per i diverticula afferenti alle vicine ville in località Tesoro, pienamente attive tra IV e VII secolo d.C. (Volpe, 1990, pp. 142-144, nni 241-245). La traccia, visibile nei voli dell’Aeronautica Militare del 1953 (F° 175, str. xx, del 16.07.1953, pos. 128, 30 x 30) e 1955 (F° 175, str. 196B, del 11.07.1955, pos. 10912), a piccola scala (1:23000 e 1:36000), per citarne alcuni, disturbata da un’altra, molto più chiara ed evidente, relativa alla trincea di una grande condotta che corre adiacente alle carreggiabili disegnate nella cartografia IGM (Bartimmo Cancellara, 1938, p. 251), coincide con il percorso di queste ultime da Camarda Vecchia (554454), tra il xiii e il xiiii miglio, per il Vallone di Catapane al xii (un punto ascrivibile alla categoria ad flumen), e il bivio con la Venusia-Herdonia per il passaggio sui Ponti Rotti sull’Ofanto, rimesso in piedi da Federico II di Svevia con un apposito progetto (i riferimenti alle pagine precedenti), all’xi. Il grande impianto produttivo della prima e media età imperiale indagato sulla collina adiacente (località Serra dei Canonici; 556454), al quale intorno al IV secolo si avvicenda, obliterandolo, un complesso a carattere residenziale, con un’ampia aula absidata pavimentata a mosaico dalla quale provengono materiali di produzione locale, di importazione africana e un capitello bizantino (Nava-Cracolici-Fletcher, 2005, pp. 213-215), si trova nella posizione indicata dall’Itinerarium Antonini per Beleianum (12 miglia da Venosa in direzione di Equo Tutico; ItinAnt, 112,6 = p. 16). Il luogo, al tempo di Massimiano Erculio secondo la tradizione agiografica altomedievale esemplata anche sul suddetto Itinerarium, accoglie l’inviato imperiale Valeriano (Velinianum advenit) che dopo pranzo ordina l’esecuzione dei martiri adrumetini (da Sousse, in Tunisia) Vitale, Satore e Reposito (29 agosto; Stilting, De SS. Duodecim fratribus, p. 136, 138, 141). Dopo aver lasciato a sinistra, verso E, la Masseria Menolecchia (al x), il cui nome richiama esplicitamente la conversione di questo segmento dell’antica via in un tratturo (Tratturo dell’Amendolecchia -Guarini, 1909, p. 293-, documentato sia nel 1851, nella Pianta del Distretto di Melfi, allegata alla relazione Paci del 1853 sui danni arrecati dal terremoto a Melfi e nel suo circondario -fig. 19-, sia nell’ITM -fog. n° 56, Parte Occidentale- ma non riconosciuto nella successiva Carta dei Tratturelli del 1910, pur essendo un braccio del Regio Tratturo reintegrato n° 7 Pescasseroli-Candela e della sua prosecuzione -n° 54- per Cerignola e Canosa, secondo la medesima Carta), incontra, all’viii (da cui dovrebbe effettivamente provenire il miliario dioclezianeo recante la cifra esatta e i nomi dei Tetrarchi, poi spostato alla Taverna Rendina e infine a S. Francesco, su cui Montano, 1900, p. 9, Guarini, 1909, pp. 293-294, Di Chicco, 1996, pp. 7-10 e Torelli, 1995, pp. 294-296 n° 16) e si sovrappone al tratturo Aquilonia-Melfi-Castellaneta (interpretato da gran parte degli studi come l’Appia antica, dimentichi che il Pratilli riportava l’uso comune di chiamare così, ma anche via vecchia, Appia scarrupata e via antica di Roma tale tracciato, avendone messo da parte l’effettivo carattere alla metà del XV secolo; Pratilli, 1745, pp. 438-439) sino quasi al vi miglio,
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Fig. 19 La Pianta del Distretto di Melfi del Paci (1851, edita due anni dopo) con il dettaglio della viabilità minore
in coincidenza con l’estremità sud-orientale del lago artificiale del Rendina, dove si conservava una parte del lastricato (Bartimmo Cancellara, 1938, p. 252). Le successive miglia sino a Venosa, oltrepassata la linea ferroviaria poco oltre la stazione Rapolla-Lavello, mantengono la via su direttrici quasi parallele alle svolte della Statale n° 168, ‘di Venosa’, toccando l’agglomerato rurale di Sanzanello, al iiii, il ponte (ma è più probabile acquedotto) nell’area di Masseria Catena, al iii, che in una eco successiva della notizia viene inspiegabilmente trasferito verso Rapolla (Vinson, 1976, pp. 55-56), e il passaggio sulla Valle della Spada e sul torrente Vallone (rispettivamente al ii e al i miglio; Buck, 1971, pp. 77-78), per giungere nel suburbio sud-occidentale di Venosa, toccando la cosiddetta Tomba di Marcello (Bartimmo Cancellara, 1938, p. 252), in prossimità dell’incrocio con l’Appia al xxii miglio del suo percorso ipotizzato (Ponte Aufidi-Venusia m(ilia) p(assuum) xviiii, in ItinAnt, 121,1-2 = p. 17), proveniendo dal Pons Aufidi, per Melfi (poco lontano dalla Grotta di S. Margherita, o degli Spiriti, con dipinta una tipica leggenda medievale strettamente legata alla viabilità, ossia L’incontro dei tre vivi e dei tre morti; Settis Frugoni, 1967) (fig. 20), Rapolla (quasi in parallelo alla Statale n° 93, ‘Appulo-Lucana’) al xiii, Piano di Croce (xv), Monte Stangone (xvii), Toppo
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di Mosca (xviiii), Valle Lapilloso (xx), che prosegue nell’appena citata Valle della Spada, e torrente Vallone (xxi). L’ipotesi di attribuire a Massenzio la dedica rivolta da Vibonius Caecilianus | v(ir) p(erfectissimus) corr(ector) Apuliae et | [Calabriae ad un imperatore il cui nome è andato perduto nella rottura dell’iscrizione, in origine ritenuta un falso (CIL, IX, *120; AE 1995, 347 = AE 2006, 345), offre suggestioni relative alle nuove possibilità che la colonia, al momento della progettazione e poi realizzazione della Herculia, avrebbe visto, uscendo dalla posizione marginale in cui era stata relegata, dopo la perdita d’importanza dell’Appia antica, per Taranto, a favore della Traiana, per Canosa, agli inizi del II secolo d.C. Al termine, invece, dello stesso lungo periodo e all’epoca dell’impianto dell’antecedente diretto della Herculia (fine II-inizi III secolo d.C.) si colloca il cippo onorario di un anonimo IIIIvir(o) viar(um) curanda]r(um) di Venosa, la cui carriera civile e militare si svolge tra gli imperatori Commodo e Settimio Severo (CIL, IX, 431). Uscendo dalla colonia, l’Herculia volge quasi verso O, mantenendosi sulla cresta della collina che fiancheggia una delle ramificazioni d’origine del Vallone del Reale, da cui proviene il miliario dioclezianeo CIL, IX, 6066 = X, 6971. Il percorso è conservato dalla Provinciale n° 10 ‘Venosina’ per circa un miglio, sino alla Cantoniera dell’Acquedotto, e la riprende nel successivo,
Fig. 20 La leggenda medievale dell’Incontro dei tre vivi e dei tre morti, strettamente collegata al tema del viaggio e riprodotta su una delle pareti della Grotta di S. Margherita a Melfi, lungo un tracciato pedemontano diramazione dell’Appia
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assumendo l’aspetto di una strada campestre attraverso la località Vignali. Dopo altre due miglia, seguite sempre dalla provinciale lungo le pendici nordoccidentali della collina di Montalto, su cui sorge l’omonimo santuario (ii miglio), la via, ugualmente asfaltata, risale la Serra Macinella dalle rovine del Mulino Plastino (iiii miglio; 563453), e lambisce la Serra del Tesoro (o semplicemente località Tesoro), all’interno del Bosco di Ripacandida ora scomparso. L’abbondanza di strutture e di materiali pertinenti ad una o più ville romane (in località Tesoro resti dell’impianto termale, monete e mattone bollato con la dicitura [Phi]l[e]mati, di cui a Venosa AE 2000, 364 e 2003, 444; Lacava, 1890b, pp. 39-40; Volpe, 1990, p. 147 n° 254) avevano diffuso nel secolo XIX l’idea che questa contrada, assieme alla Macinella presso la Guardiola e verso il Porcile, all’Aia di Cantara e al Serro della Torre, accogliesse le rovine dell’antica città di Candida, dalla quale sarebbe poi derivata la moderna Ripacandida (Lacava, 1890b, pp. 41-43). I mucchi di spietramento visibili lungo la via raccolgono probabilmente parte del selciato in ciottolame e blocchetti naturalmente regolari con angoli e margini arrotondati, paragonabili a quelli usati dalla via Flaminia in prossimità del Valico di Scheggia, in Umbria. Recuperata la Provinciale all’altezza del v miglio, la strada attraversa longitudinalmente Ginestra, dopo averne vincolato lo sviluppo urbanistico, e assume l’aspetto di un’ulteriore Provinciale, la n° 8 ‘del Vulture’, che di recente ha sostituito con un manto regolare la precedente carreggiabile e poi sentiero di Serra del Monaco e de la Lupara. In corrispondenza della Fiumara dell’Arcidiaconata (fig. 21), al vii miglio, la via transita a breve distanza, sulla sinistra, delle rovine del Ponte rotto (Marchi, 2010, pp. 125-127 nni 492-494), dei Ponticelli (Lombardi, 1836, p. 203) o dei Ponti rossi, pertinenti ad un acquedotto su 17 o 18 arcate (pilastri rettangolari m 1,80 x 2,90 x 3; luce degli archi m 3,50), forse di servizio ad una proprietà
Fig. 21 Le colline di Ginestra viste dai Ponti Rotti, alla Fiumara dell’Arcidiaconata
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Fig. 22 Palmento ipogeo lungo il tracciato della via, in località Piano di Carro
Fig. 23 Interno di uno dei palmenti
privata piuttosto che alla colonia di Venosa e databile attraverso la tecnica costruttiva al passaggio dal II al III secolo d.C., il periodo della definizione dell’antecedente diretto della via Herculia delineato nell’Itinerarium Antonini (Capano, 1999, p. 165; Gualtieri, 1999, p. 155). «Quest’opera Romana nella cieca credenza del popolo è ritenuta opera diabolica», da cui la variante corrente di Ponte del Diavolo, in relazione anche con la vicina necropoli di Bel Poggio, mentre è chiamato «dalle persone civili e dotte Ponti rossi a somiglianza dei Ponti rossi di Napoli» (Lacava, 1890b, pp. 35-37). La risalita della linea di cresta collinare dal Piano di Carro, caratteristico anche per i palmenti monumentali del XVIII secolo che si aprono sulla rupe (figg. 22-23), al Catavatto (dal greco medievale per ‘grotta’ e ‘sprofondo’), lasciando a S, sulla sinistra di chi procede il vallone omonimo, avviene agevolmente per la via e per la Provinciale che la riprende, nonostante la pendenza del tratto intermedio di circa il 10%, dirimpetto alla località Rittono (letteralmente ‘salita scoscesa’) e più adatta ad un trasporto con i muli che non ad un carro. Approssimandosi al passaggio della galleria della Statale n° 658, ‘Potenza-Melfi’ (località Solagne del Titolo), si guadagna con lievi salite la periferia di Barile, passando tangente al Campo Sportivo e mantenendosi al limite delle località Titolo (indicativo forse di un cippo viario, in coincidenza con il viiii miglio da Venosa) e Trattore (o Tratturo, dal tardomedievale (iter) tractorius, ‘percorso traente’) sino ad incrociare la Statale n° 93, ‘AppuloLucana’ (intorno al km 78,400) e ad innestarsi su una diramazione dell’Appia antica, che si stacca poco oltre il xiv miglio della consolare da Rapolla, all’inizio del Piano di Croce, descritto in una pergamena del 1276 con tutti i luoghi (criptae, trapeta, cellaria, vineae, vineales cum olivis) e le attività collegate alla lavorazione dell’uva e alla produzione del vino (Fortunato, 1899b, pp. 86-89 n° III). Dalle località Maruccio e S. Antonio in avanti la via, inizalmente un semplice sentiero, è ricoperta di nuovo dalla Statale appena ricordata sino a Rionero
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in Vulture, tra il x e l’xi miglio (la Opino, che solo semanticamente può derivare da un originario ad Pinum, ipotizzato dal Lugli, 1963, p. 34, senza però corrispondere minimamente alle stationes di ad Pinum ed Ypnum, come preteso di solito, essendo collocate su itinerari diversi e a distanze non corrispondenti da Venosa). Mancando riscontri materiali, non si può al momento indicare un percorso definito entro il perimetro del centro abitato, salvo portarsi nuovamente in campagna, in direzione S lungo l’odierna via Brindisi, e avanzare quasi parallelamente al corso del Fosso Fontanelle, che rimane ad O. Un manto di asfalto ricopre l’intero tracciato sino all’ulteriore innesto nella Statale n° 93 (km 90,900) ma alcuni punti significativi ne marcano ancora l’andamento (Lombardi, 1836, p. 203). La Valle la Braida (in longobardo, la ‘distesa di terreno piano presso la città’, ma anche ‘frutteto e vigneto recintato’; Pellegrini, 1990, pp. 273-274), e la località la Francesca (appellativo affine a ‘Francigena’, attribuito per antonomasia, a partire dall’XI-XII secolo, a tutti i percorsi seguiti dai pellegrini, qui probabilmente rivolti ai santuari micaelici dei Laghi di Monticchio e del Gargano), intorno al xiii miglio da Venosa (il xxii dal Pons Aufidi) sono il rimando ad una continuità d’uso nel pieno Medioevo della Herculia. Poco oltre si transita alle pendici occidentali del lieve rialzo collinare su cui sorge la Masseria Serra la Noce (Volpe, 1990, p. 146 n° 251). Dalle vicinanze proviene il celebre ‘sarcofago di Atella’, detto anche ‘di Barile’ nelle prime relazioni descrittive (Rochette, 1832, pp. 320-332 e tav. D-E; Lombardi, 1836, p. 204), scoperto nel 1740. Il nome di Metilia Torquata (CIL, IX, 658), scolpito sulla fronte (fig. 24), rimanda ad una famiglia (gens Metilia) particolarmente radicata e distribuita tra Venosa e Canosa, con cospicui investimenti nei relativi territori (villa di S. Pietro di Tolve; Di Giuseppe, 2008, p. 172) e
Fig.24 Il sarcofago di Metilia Torquata, da Atella
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Fig. 25 I complessi della villa romana (a sin.) e della Torre degli Embrici ( a dex.) lungo la via (al centro)
legami di parentela, nel II secolo d.C., con i principali e più influenti gruppi senatorii (Appii Annii, Cassii) vicini alla corte imperiale (Grelle, 1993, pp. 132-133). Tra i successivi xiv e xv miglio (ma anche xxiii e xxiiii) si collocano la grande villa romana, indagata per una superficie di m 200 x 250 (quattro fasi di vita, dal II secolo a.C. al VII d.C.; Nava-Cracolici-Fletcher, 2005, pp. 210-212), la Fonte Catena, nella struttura costruita nel 1911 dai cittadini di Atella con riutilizzo di materiale raccolto sul posto, ed il castello e masseria di Torre degli Embrici (figg. 25-26).
Fig. 26 La Fonte Catena, lungo il tracciato della via e, sullo sfondo, una delle strutture della Torre degli Embrici
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Fig. 27 La costruzione dell’Arca sotto la direzione di Noé negli affreschi di S. Donato a Ripacandida (PZ), nel ciclo dell’Antico Testamento (inizi XVI secolo?). Sulla cima del monte, in alto a destra, arde un pentolone per la produzione della Pece
La misura delle distanze, calcolate sempre nel doppio computo da Venusia (Venosa) e da Ponte Aufidi (Ponte S. Venere) coincidono, con uno scarto compreso tra mezzo ed un miglio, con quelle espresse nel III secolo d.C. nell’Itinerarium Antonini per la tappa o statio Opino e tra IV e VI nella Tabula Peutingeriana per ad Pisandes (che il Buck sposta sulla direttrice altomedievale da Venosa ad Acerenza; Buck, 1971, p. 80), per la quale si registra il computo da un doppio e distinto riferimento topografico (la colonia e il ponte), riconoscendo nella rappresentazione della via Herculia la somma di due tracciati coincidenti, ossia quello effettivo, da Venosa, e parte di un altro, proveniente dalla valle dell’Ofanto e composto da un tratto dell’Appia antica, sino al xiv miglio sopra accennato, presso il Piano di Croce, e dalla diramazione pedemontana di 4 miglia da Rapolla a Barile per Rionero (tutti abitati che in epoca romana non sembra esistano ancora). La particolare distorsione subita dal disegno della mappa in questo specifico segmento ed il vincolo costituito anche dalle indicazioni topografiche, ha obbligato una selezione nella quantità di linee (le strade) e di toponimi, con la conseguente fluttuazione nel vuoto delle misure (xvi e xxiiii), teoricamente in esubero se confrontate con l’esiguità delle tappe riportate. Sulla grande villa e sul castello convergono entrambe, rendendo possibile un’identificazione che trova conferme nel nome e nella tipologia dell’insediamento nelle sue fasi più tarde. Come già dimostrato in altra sede, Pis(s)andes è una forma tardoantica dell’aggettivo piceus, -a, -um, ‘di pece’ oppure ‘nero come la pece’ e, poiché non si può dire che il rimando sia alla colorazione scura della terra, rimane da pensare un aperto ricordo di pinete (con un’evoluzione semantica significativa da ad Pinum a Pisandes, corrispondenti allo stesso luogo in tempi ed itinerari diversi) dalle quali si
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estraeva la pece, che in questo ambito andrebbero cercate verso i fianchi del Vulture, piuttosto che alle quote mantenute qui dalla Herculia (sopra i 500 m, inferiori all’habitat prediletto, ad esempio, dal pino laricio). Il celebre ‘ibn ‘Idrîs, nel 1154 riferisce dei traini di pino lasciati trasportare dalla corrente del fiume Bradano sino alla foce, destinandoli proprio a ricavarne la preziosa resina (‘Ibn Idrîs, Kitab nuzhat, 104 = p. 127) e nel primo ciclo di affreschi in stile giottesco che decorano la chiesa di S. Donato a Ripacandida, relativo all’Antico Testamento (inizi XVI secolo?), nel rappresentare la costruzione dell’Arca, si inserisce il dettaglio, e al tempo stesso il simbolo, del pentolone che bolle sulla cima di una collina (stilizzazione forse del Vulture), per produrre la pece, separando il legname, messo a bagno in pezzi, dalla resina che contiene (fig. 27). La grande villa romana che si ritiene possa identificarsi con la località, per quanto non sia stata ancora scavata per intero, offre, nello sviluppo di terza fase (IV-V secolo), alcuni elementi significativi, con confronti e riscontri in più noti siti di stationes indagati nel resto della penisola italiana (Corsi, 2000). Un complesso termale di età repubblicana ed imperiale viene modificato nella pianta e riadattato nella costruzione di un edificio basilicale a tre navate, per una larghezza di m 25, con reimpiego di una vasca ad uso di serbatoio ipogeo, che classificherebbe l’impianto di un luogo di culto in funzione di pieve, con annessa area cimiteriale. Con la distruzione dell’edificio, a seguito di un incendio, la funzione dell’insieme sembra limitarsi a quella di sepolcreto attrezzato (Nava-Cracolici-Fletcher, 2005, pp. 211-212), ma solo il prosieguo delle indagini archeologiche potrà fornire chiarimenti decisivi, assieme all’accertamento dell’eventuale legame e della destrutturazione o ristrutturazione in rapporto ad una nuova presenza (il castello e la masseria). Al momento bisogna accontentarsi di penetrare i confini della leggenda per conoscere l’origine dell’insediamento medievale. I termini sono chiari ma quel che si attribuisce a Torre degli Embrici nasconde in modo evidente la leggenda narrata in queste campagne sulla fondazione di Lagopesole. Essendo nato un erede al re di Torre degli Embrici, una fata predice una sorte infausta ma incerta (forse un incidente di caccia) al nascituro, una volta compiuti i diciotto anni di età. A quella data, oppresso da un incubo ricorrente (l’aggressione di un cervo), il giovane principe decide di avventurarsi nei boschi della zona, volendo riuscire a dimostrare l’inconsistenza della propria paura. Nei pressi di un lago ghiacciato scorge la figura di un cervo imponente e decide di catturarlo. La fuga dell’animale prosegue per oltre un’ora e, prima di riuscire a raggiungerlo, il principe si trova davanti la figura di un uomo, che dichiara di essere il Re di tutti i territori (trasposizione evidente dell’imperatore Federico II). Saputo che il cervo è un animale fatato, impossibile da catturare, il principe desiste e sta per chiedere come tornare indietro quando l’uomo offre la sua ospitalità e gli propone una prova. Poiché è padre di tre figlie in età da marito, è disposto a cedere in sposa quella che preferirà, a condizione che a turno, per altrettante notti, vegli sul sonno di ciascuna delle ragazze e, se deciso per il matrimonio, affronti tre prove. Qualora però dovesse fallire nel compito, verrebbe giustiziato. Grazie all’aiuto delle tre fanciulle, il principe riesce e
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Fig. 28 Castel Lagopesole (Avigliano, PZ) al tramonto, visto dal tratturo da S. Giorgio a Pietragalla per Monte Torretta
chiede la mano della più giovane. Nonostante la contrarietà della moglie, il re, che fra l’altro è un potente mago (come sarà sempre ritenuto Federico II), vuole che la sua stirpe prosegua e pensa possa essere utile unire i due reami confinanti (il proprio del lago e Torre degli Embrici). Ben contento, quindi, della decisione del principe, lo sottopone alle tre prove annunciate (abbattere un bosco con attrezzi di cristallo; svuotare uno stagno dai sedimenti con una pala dello stesso materiale e riempirlo di pesci; spianare una montagna, costruire un palazzo e renderlo pronto da abitare), da compiersi, ciascuna, in un giorno. Per quanto si tratti di imprese impossibili, la promessa sposa, dotata di poteri magici, interviene in aiuto del principe coinvolgendo i nani del luogo. Al termine un grande banchetto, tenuto nel nuovo palazzo, festeggia la nuova coppia, il cui matrimonio è benedetto da entrambe le famiglie. Da questo racconto il castello di Lagopesole (fig. 28), dalla cui area proviene il miliario CIL, IX, 6067 = X, 6972 (Imp(erator) Caes(ar) | M(arcus) Aurel(ius) Valer(ius) | Maxentius P(ius) F(elix) | Invictus Aug(ustus) | pontif(ex) max(imus) trib(unicia) | potestate co(n)s(ul) II viam | Herculiam ad pri|stinam faciem | restituit, del quale Viggiano, 1805, p. 224, Lombardi, 1836, pp. 200201 e su cui, da ultimo, anche Manfredi, 2010, p. 13 n. 23, con rimando alla bibliografia precedente) emerge sottoforma di ‘palazzo’, sorto sulla sommità di un monte spianato, presso un lago ricco di pesci e in relazione con un bosco, abbattuto per lasciare lo spazio a terreni fertili. Poco meno di sette miglia lo
Fig. 29 La via Herculia, ormai asfaltata, da Torre degli Embrici verso Lagopesole
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Fig. 30 La via incrocia i bracci iniziali del Bradano, nella località che l’Itinerarium Antonini chiama ad fluvium Bradanum
separano da Torre degli Embrici, se si riconosce che la via Herculia, sempre sottoforma di carrareccia asfaltata (fig. 29), avendo incrociato il tratturo della Croce del Monaco, da Atella per S. Ilario ad Avigliano (ITM, fog. n° 65, parti Occidentale ed Orientale), e la Valle il Magnone, si innesta, al xxvi miglio (mantenendo sempre il calcolo delle distanze dal Pons Aufidi), sulla menzionata Statale n° 93 (km 90,900), deviando verso SE dalla prosecuzione topograficamente quasi più logica, almeno nel primo tratto, del Tratturo dei Daini, ad O di Filiano, e conservandosi tra le miglia xxvi e xxxi in rettifili (località Iscalunga, Cugno delle Monache, Meccadinardo e le Coste), in un andamento ancora documentato nel 1298 dalla cosiddetta via Rivinigri (Fortunato, 1899b, pp. 90-92 n° IV) e solo in parte mantenuti dalla strada moderna (la vecchia Atella-Potenza, completata nel 1843; Lacava, 1890, pp. 63-64 n° 11). Da qui sino al territorio comunale di Sasso di Castalda (tra le miglia xxx, all’altezza di Filiano, e xlvi, sino a Potenza, e poi al xiii, ossia alla Madonna del Sasso) il tracciato della via Herculia viene affrontato, verificato a livello sperimentale e validato nei tre contributi di approfondimento archeologico (Sannazzaro), su uso del suolo e vocazionalità (Sabia-Carbone-Gioia) e geolitologico (Lazzari-Gioia) che seguono all’interno di questo stesso volume. Limitando, pertanto, la prosecuzione del percorso ai punti essenziali e rimandando agli altri lavori per specifiche puntuali, all’altezza di Sarnelli (frazione di Avigliano) e della stazione di Castel Lagopesole la via, interrotta in alcuni punti dalla Statale n° 658, ‘Potenza-Melfi’, attraversa il corso del Bradano in uno dei suoi bracci d’origine (l’ad fluvium Bradanum dell’ItinAnt, 104,3 = p. 15) (fig. 30), un semplice punto topografico di riferimento per il quale, secondo una pratica nota anche altrove nelle fonti itinerarie, la misura di xxviii m(ilia) p(assuum), in eccesso se cumulata alla distanza effettiva da Venosa a Potenza, è quella della diramazione che dalle vicinanze si stacca per seguire il fiume e discenderne il corso, raggiungendo in questo caso il territorio di Banzi all’altezza di Oppido Lucano (allo stesso modo il successivo lacum pensile, a Piano del Conte, offre il pretesto per il nome del castello di Lagopesole, generando la leggenda che le acque del lago lambissero le falde della collina del fortilizio). Poco dopo, al xxxvi miglio dal Pons Aufidi e al xii da Pisandes (km 107,400 della Statale n° 93), in corrispondenza della frazione Montanaro (al confine
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Fig. 31 La valle della Fiumara di Avigliano vista dalle rovine della villa imperiale di S. Giovanni di Ruoti (PZ). Sullo sfondo, verso destra si scorge la mole del Mons Balabo (la Rotonda di Monte Marmo). Da qui transita la diramazione della via Herculia per la Annia, documentata dalla Tabula Peutingeriana
tra Avigliano e Pietragalla), raggiunge l’ulteriore tappa ad Lucos, vero e proprio crocevia tra le regiones e, all’epoca della via, provincae di Apulia et Calabria (a N) e di Lucania et Bruttii (a S), in un rimando alla prossimità con boschi consacrati e relativi santuari (forse Monte Torretta, meno probabile Macchia di Rossano, troppo distante; De Cazanove, 2008). Nel VI secolo l’Herculia, nella porzione superstite da Venosa a Potenza, allorquando forse nel territorio circostante inizia a diffondersi anche la denominazione Vitalba, dall’omonima pianta arbustiva (Clematis vitalba, L.) propria degli incolti e segno di un degrado ambientale in atto antecedente al primo incastellamento (secoli IX-X), incontra qui la diramazione di collegamento con la Annia (ad Acerronia, nella valle del Tanagro), passando per il Mons Balabo (la Rotonda di Monte Marmo, a ridosso di Balvano; TabPeut, segm. VI,2) (fig. 31). La sua prosecuzione in direzione opposta è rappresentata da un tratturo diretto all’antico insediamento di Monte Torretta (il possibile centro di riferimento per i Luci, ‘boschi sacri attorno ad un santuario’, richiamati dal toponimo) e, di lì, a Pietragalla per poi raggiungere Acerenza (fig. 32). Al xxxix miglio, nel seguire un andamento abbastanza regolare da Piano dell’Isca a Cappelluccia e Limitone, con evidente richiamo ad un tracciato significativo, tanto da divenire caposaldo per attestarvi confini (un limes, teoricamente ancora rappresentato nell’incontro dei confini tra Avigliano, Pietragalla e Potenza), alle pendici della collina di S. Nicola si colloca un altro snodo importante con il tratturo che dalle campagne di Avigliano si porta verso Tolve (ITM, fog. n° 65, Parte Orientale), servendo gli antichi abitati di Poggio d’Oro e Serra S. Bernardo (Serra di Vaglio) e l’area del santuario di Rossano di Vaglio, teoricamente in abbandono dalla seconda metà del I secolo d.C. L’aprirsi della valle del torrente Tiera non modifica il tracciato, concepito anche rispetto a proprietà imperiali ereditate dal I e II secolo d.C. (Case Palazzo = CIL, X, 160; la Torretta = Torelli, 1995, pp. 286-287 n° 6; Di Noia, 2008, pp. 110-111 n° 62, ma anche pp. 78-79 nni 17-18, e 111-112
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Fig. 32 Il tratturo da S. Giorgio a Pietragalla, nell’area dei Luci segnalati dalla Tabula Peutingeriana. Sullo sfondo, a dex., si intravede Castel Lagopesole
n° 64; Bracco, 1966; Russi, 1999, p. 553) e, attraverso le località Stompagno e Ginestra, puntato sempre in direzione della collina de la Botte (nel senso di ‘sorgente’), al miglio xlv, e di Potenza (ITM, fog. n° 75 Parte Orientale). La città, lambita dalla Herculia con le vie Ettore Ciccotti e Giuseppe Mazzini (fig. 33), transitando tangente a Porta Salza, nell’area della necropoli suburbana occidentale (Buccaro, 1996), è raggiunta dopo 12 o 15 miglia da ad Lucos a seconda se la misura registrata nella Tabula Peutingeriana (xv) sia riferta alla sommità dell’altura occupata dall’abitato romano o dall’estensione sul versante meridionale e lungo la riva sinistra del Basento (la cosiddetta Potentia vecchia o Murate; Lombardi, 1836, pp. 206-208; Lacava, 1891, pp.
Fig. 33 Il tracciato della via si approssima a Potenza, transitando davanti alla Caserma Lucania (via Ciccotti) e risalendo per via Mazzini
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25-26). A questo si aggiunga la possibilità che la mappa itineraria, nella forma più tarda tramandata agli inizi del secolo XIII (Levi, 1967, pp. 17-23), abbia confuso la cifra xii, contenuta nella versione precedente, con xv, un errore possibile e facilmente dimostrabile con un’analisi paleografica. Sorprende ancora quanto, nel sostenere una prosecuzione dell’Herculia oltre Potenza, si tenda a considerare le fonti itinerarie sullo stesso piano, quasi fossero semplicemente l’una la variante dell’altra, prodotte nello stesso periodo e pertanto equiparabili, e si accolgano le rispettive differenze quali alternative di un percorso unico. Itinerarium e Tabula, invece, appartengono solo allo stesso genere di scritti. I contenuti sono diversi e così anche i tracciati che esprimono ed il criterio con cui sono state scelte le tappe, mutandone gli intervalli (da una media di 18 o 24 miglia a 12 o 15 l’una dall’altra). La strada che la Tabula rappresenta nell’aggiornamento della mappa nel VI secolo, da Potentia a Grumentum per Anxia (Anzi; (Lombardi, 1836, pp. 209213), in una certa parte ripresa dall’attuale Statale n° 92, ‘dell’Appennino Meridionale’(nel 1885 è la provinciale Potenza-Sant’Arcangelo, intransitabile d’inverno nei tratti da Rifreddo a Passo Croce dello Scrivano e a bosco Lata, verso Corleto per accumulo eccessivo di neve; Lacava, 1890°, pp. 32-35 n° 1), e per il rimanente conservatasi in una carreggiabile che corre quasi in parallelo, è un percorso alternativo all’Herculia e viene progettato nel corso del VI secolo, probabilmente dai Bizantini, con la funzione di dotare il nuovo dispositivo di difesa di Taranto contro direttrici di invasione dall’Appennino campano verso lo Ionio. L’apparato viene impostato sui caposaldi di Acerenza, riconquistata ai Goti dopo il 549 (Proc. Caes., Bell. Goth., III, 23 e 26 = p. 262 e 268), Potenza e Grumentum, e sui baluardi montani culminanti nelle Dolomiti Lucane, da Laurenzana a Calciano. Il cosiddetto “ponte romano” sul Basento (Ponte S. Vito), nel suburbio sudorientale di Potenza, costruito per la strada diretta ad Anzi, non conserva alcuna
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Fig. 34 Serra S. Marco (Pignola, PZ) vista dall’abitato protostorico di Tito vecchia, sui Poggi di Pignola. Le frecce di diverso colore evidenziano la via Herculia, o glareosa nella dizione medievale (giallo), sulla linea di cresta della Serra, per Fossa Cupa e la Madonna di Sasso, e la strada sostitutiva impostata dai Normanni (nero) alla fine dell’XI secolo, per Castel Glorioso e il valico della Sellata
traccia di antichità, a seguito di pesanti restauri che ne hanno alterato l’aspetto originario. Risulta pertanto difficile da riportare ad un periodo antecedente al pieno Medioevo, ma non si esclude possa avere sostituito un’altra struttura, comunque non anteriore al momento descritto dalla Tabula. Risalendo invece di un miglio il corso del fiume, sino alla località Gallitello (letteralmente ‘la piccola strada’, usata soprattutto per la transumanza; da callis, Pellegrini, 1990, p. 172), si ritorna sulla Herculia. La distribuzione delle proprietà della gens Calpurnia sulle due rive del Gallitello e del Tora (CIL, X, 136 e 153) sembra anticipare il passaggio della via, una superficie completamente alterata dalla costruzione della linea ferroviaria calabro-lucana, in parte sua possibile erede, dallo scorrimento dell’autostrada Sicignano-Potenza (uscita Potenza Ovest) e da impianti industriali, ora dismessi, che hanno portato alla distruzione di strutture antiche, ben note agli abitanti degli immediati dintorni, e alla dispersione di quantità di materiale archeologico. La traccia riprende alle pendici occidentali della Serra Ciciniello, con la carreggiabile ora in parte asfaltata che tocca le masserie Ciciniello e Mancuso (iv miglio da Potenza), in corrispondenza della quale risale il versante della Serra S. Marco per occuparne la linea di cresta (fig. 34). La costruzione, nel 1925-26, dell’Acquedotto del Basento (ora Pugliese; De Rosa, V. [1926], planimetria), sfruttando l’esistenza dell’antica strada selciata e sovrapponendoglisi, la distrugge. L’andamento rettilineo per due miglia, dal v al vii, conservatosi anche nei filari di alberi piantati lungo i confini delle proprietà che vi si affacciano, e qualche porzione di selciato ripristinato nei secoli successivi, poco a valle proprio del v (fig. 35),
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Fig. 35 Un tratto superstite della via a Serra S. Marco, con quel che rimane di un selciato. Il filare di alberi, sullo sfondo, si attesta su uno dei lati e ne mantiene l’allineamento
conservano il tracciato e guidano fino alle pendici nord-orientali dei Poggi di Pignola, dove una villa romana (località le Tegole, al vii miglio), impiantata nel I secolo d.C. o intorno alla metà del precedente (De Cicco, 1926; Ferretti, 2013, p. 82), occupa un leggero pendio da cui dominare sia il vicino lago sia il Pantano, prodotto dalle acque accumulate dal Basento già nella parte più alta del suo corso (fig. 36). Il carattere di (via) glarea (strata) o semplicemente glareosa, evidentemente nella tipologia di preparazione del fondo stradale mediamente diffusa accanto
Fig. 36 Le superfici di esondazione del Basento in località Pantano (Pignola, PZ), rispetto alle quali la linea della via, alle spalle dell’osservatore, corre ad una quota più elevata, al riparo da allagamenti
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alla più nota selciatura in calcare, nel cuore dell’Appennino, o in leucitite, nelle aree vulcaniche, colpisce a tal punto l’attenzione locale da rimanere nel toponimo Glorioso (Gloriosa in origine) e nei derivati Glosa (per Glo(rio) sa), l’Arioso (da cui la località Bosco dell’Arioso, e non ‘di Arioso’), oppure semplicemente Arioso (per un (iter gl)areosus, piuttosto che per un luogo ‘ventilato’), differenziandosi, sino a tutto il Medioevo, dalla viabilità di altro genere, molto più vicina ad un tractorius in terra battuta. L’ampiezza della superficie attribuita, per effetto della costituzione in epoca normanna di un feudo baronale (Glosa o Gloriosa, in CatBar 95 e 111-112 = p. 17, 20-21, compreso nel 1154 nel Comitatu(s) Tricarici; Tricarico, MT) entro i confini di una vasta proprietà imperiale (Fiorelli, 1883), e l’aggiunta di un nuovo tracciato, pedemontano, che dalla Herculia, ormai decaduta ma originaria
Fig. 37 La collina di Castel Glorioso. Il sole illuma le rovine della chiesa
ed effettiva detentrice dell’appellativo, si stacca appena superato il Tora alla confluenza con il Basento, poco dopo il ii miglio, e, una volta raggiunto Castel Glorioso, suo centro principale (Lacava, 1891, p. 25; fig. 37), avendo lasciato sulle alture ad E l’abitato di Vineola (Pignola), sede di riferimento del feudo confinante (CatBar 96 = p. 17), punta direttamente alla montagna (Madonna del Pantano, frazione Arioso di Abriola, il Palazzo, Macchia dei Monaci, Serra Giumenta, la Maddalena, Piano del Lago e Calabria sino a Marsico Nuovo, anch’esso di recente rifondazione normanna), determinano il progressivo slittamento dell’identità della via imperiale a favore del nuovo e diverso
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Fig. 38 Il santuario sul luogo di sepoltura di S. Gianuario nel Bosco dell’Arioso. Secondo la tradizione normanna il martire viene ucciso sulla via per Potenza
tracciato, sul lato opposto della valle. Il Lacava lo definisce «via rotabile, un tempo fatta dai Lombardi, dell’estensione di circa 3 chilometri, ora [1890] ridotta in malissimo stato ed abbisognevole di riparazione e sistemazione» (Lacava, 1890a, p. 96) I Normanni, che sembrano aver costituito tale comitatus e quello di Cupersani (Conversano, BA), avvalendosi anche di quanto, secondo la Tabula Peutingeriana, era avanzato della Herculia e della sua alternativa montana altomedievale (Lacumpensilis-Lagopesole, Riviscum-Cozzo Rivisco, Glosa/ Gloriosa, Mansia/Ansia-Anzi, in CatBar 93, 95, 109, 111-112 e 116-118 = p. 17, 20-21; Lacava, 1891, pp. 57-60), attraggono su questo tracciato anche una significativa memoria cultuale, scorporata dalla più antica tradizione dei 12 martiri di Hadrumetum (il locus martyrii di s. Gianuario, ad Arioso, con un corrispettivo nell’abbazia di S. Stefano, e ora chiesa di S. Gianuario, nella Civita di Marsico Nuovo; Ughelli, 1721, col. 498; Lacava, 1891, pp. 24-25) (fig. 38), e il culto di Maria Maddalena. Con le fondazioni religiose si sancisce la “nuova” antichità del percorso da essi impostato (Del Lungo, 2012) ed il definitivo spostamento su questo asse del traffico dal Basento alla Val d’Agri, disorientando, a distanza di molti secoli, la ricerca, che vede in esso l’Herculia (Buck, 1971, pp. 83-85), ad esempio con l’equivoco di una ‘posta’
Fig. 39 L’allineamento della via da Pantano a Fossa Cupa, volgendo lo sguardo in direzione di Serra S. Marco
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Fig. 40 Il santuario di S. Michele sulla montagna di Sasso di Castalda, ricostruito interamente nel 1957
per il bestiame transumante, soprattutto bovino, diretto alla costa ionica (da cui la località Tempa della Posta), trasformata in una statio romana a servizio della strada imperiale. Quest’ultima, asfaltata nel primo tratto e poi mista acciottolata e bianca, risale la valle di Fossa Cupa, dal viii al xii miglio (fig. 39), meglio riparata dalle tempeste di neve, e nel tratto conclusivo e angusto della valle si direbbe tagliare a mezzacosta il versante orientale di Serra della Criva per raggiungere il valico alla Madonna del Sasso (xiii) e scendere con andamento quasi regolare al successivo miglio, marcato dalla chiesa di S. Michele (fig. 40) e dal monte la Cerasa, per portarsi tangente a Sasso di Castalda (xvi) e, passando dallo sterrato all’asfalto e viceversa, alla Pietra Castalda (xvii) (ITM, fog. n° 75 parti Occidentale e Orientale) (fig. 41). La prosecuzione, sulla cresta collinare che digrada verso la valle del torrente Pergola, attraversa il Piano della Pietra (xviii) e dopo tre miglia, con una parziale sovrapposizione della ferrovia e, quindi, della Statale n° 598, ‘Fondo Valle d’Agri’ (ossia la provinciale di 1a serie Brienza-Marsico Nuovo deliberata nel 1835), lungo le pendici sud-occidentali del Monte di Tigliano, tocca l’importante caposaldo topografico che ha generato il nome di Pergola (xxi). Il difficile valico di Castel di Lepre e Monte Cugnone (xxiii) è superato muovendo da Masseria Lombardi e Decolla (la cosiddetta ‘Strada del Piano di S. Vito’) verso il
Fig. 41 La Pietra Castalda, vista dal tracciato
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vecchio convento dei Cappuccini (detto il Castello) e da lì per il cimitero di Marsico Nuovo attraverso la località Mandaresi o Mannaresi (ITM, fog. n° 84, Parte Orientale; Lacava, 1890a, pp. 26-27; Capano, 2008, p. 107, 109). In quest’area, detta Capodacqua, dall’espressione agrimensoria caput aquae (la ‘sorgente’, qui del torrente Verzarulo, un affluente dell’Agri), poco lontano dalle case omonime, cade il xxiiii miglio da Potenza e copre la distanza sino alla sella (xxv = i per Grumentum) che divide la collina della Rocchetta dal rilievo più avanzato di Marsico Nuovo. Secondo l’Itinerarium Antonini (104,5 = p. 15) la località Acidios, la cui restituzione ad Acirim (‘presso l’Agri’; Lacava, 1891, p. 45) avrebbe un confronto nel precedente ad fluvium Bradanum, si adatterebbe alla relativa prossimità del fiume Agri, sebbene le sue sorgenti siano state indicate ad E di Marsico. Dai medesimi punti provengono due epigrafi funerarie (CIL, X, 184 e 191) (fig. 42) e due miliari dioclezianei, dalle parti della ecclesia S. Johannis ad Aquas (rispettivamente CIL, X, 6975, trovato sotto un albero di salice, e Fiorelli, 1900, p. 38, infisso davanti alla fonte di S. Giovanni e riconosciuto alla Bottini –Bottini, 1989, p. 43 e fig. 55; Bottini, 1996- quale sua scoperta, sebbene fosse noto ai primi del secolo XX), il più conservato dei quali (Imp(erator) C(aesar) M(arcus) A[ur(elius) Valerius] | Diocletianus P(ius) | F(elix) Invictus Aug(ustus) | et Imp(erator) C(aesar) M(arcus) A[u]r(elius) | Val(erius) Maximia/nus [P(ius)] F(elix) I[n]v|ictus Aug(ustus) et | Fl(avius) Val(erius) Co|[ns]tantius et | [Galeri]us [Va]|[lerius Maxi]|[mianus] | nobb(ilissimi) C[ae]ss(ares)) (fig. 43) è identico nel testo ad uno dei due cippi provenienti da Lavello (CIL, IX, 6070 = 6970). Dalla sella alle pendici della Rocchetta l’Herculia, transitata sull’Agri in corrispondenza del punto poi sacralizzato alla fine del XVI secolo con
Fig. 42 L’iscrizione funeraria di Maecius Vitalis (CIL, X, 191), trovata infissa davanti alla Fonte di S. Giovanni, assieme ad un’altra dello stesso genere, voluta da Clodia Urbica per il figlio Titus Helvius Heufemius, morto ad appena 18 mesi di vita (CIL, X, 184)
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Fig. 43 Il più celebre dei due miliari di Marsico Nuovo, recuperato poco lontano dalla medesima fonte
il santuario di S. Maria di Costantinopoli o ‘del Ponte’ (al i miglio verso Grumentum; Lombardi, 1836, p. 214) (fig. 44), segue probabilmente un andamento pedemontano, all’incirca coincidente con la Provinciale n° 80, ‘di Galaino’, per S. Elia, Galaino, Acquatiepida (v), Barricelle (poco al di là del vi), transitando nelle vicinanze della villa acquisita in proprietà dall’imperatore Commodo grazie al matrimonio nel 178 d.C. con Bruttia Crispina, ma poi recuperata dalla medesima famiglia, dopo l’assassinio della donna (RussoGargano-Di Giuseppe, 2008; Gargano, 2009) (fig. 45), e Arenara (vii) sino a Villa d’Agri (viii). Dall’abitato le soluzioni possibili per arrivare a Grumentum, coprendo, con uno scarto di mezzo o di uno, le 10 miglia residue utili per arrivare alla misura di 18, indicata nell’Itinerarium Antonini (104,6 = p. 15) per il prototipo di inizi III secolo d.C. della via, sono molteplici, mancando in superficie delle
Fig. 44 La chiesa di S. Maria di Costantinopoli (o del Ponte), adiacente al corso dell’Agri e ai piedi della collina su cui rimangono gli avanzi del castello dei Sanseverino (la cosiddetta Rocchetta)
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Fig. 45 Barricelle. Ripresa aerea della parte esposta villa dei Bruttii Praesentes (da Russo, A., Di Giuseppe, H., La villa romana di Barricelle in Lucania: una proprietà senatoria e imperiale, in Baratta, G. (a cura di), Instrumenta inscripta IV. Nulla dies sine littera. La escritura cotidiana en la casa romana, Atti del convegno (Barcellona 7-9 settembre 2011), (Sylloge Epigraphica Barcinonensis – SEBarc, X), Barcellona, 2012, pp. 405423 (fig. 1)
evidenze che consentano di attribuirle con relativa certezza una traccia. L’ipotesi attualmente discussa si appoggia a tutti i siti nei quali siano state individuate ed indagate fattorie, proseguendo sempre lungo la linea pedemontana per le località Capizzo, Case Nigolia, Serrone (xi; prossima a Porcili, dove è stato rinvenuto un tratto di glareata di età repubblicana, per una diramazione però, più che per la via), la Monaca (xii), Catacombella e S. Giovanni (xiii). La strada poi volgerebbe verso S, per le località Fossa del Lupo (xiiii) e Guardemmauro (xv), transiterebbe l’Agri sul Ponte della Chianca e si porterebbe direttamente alla basilica di S. Laverio (xvi) e al ponte dello Sciaura, risalendo infine lungo le pendici del pianoro urbano di Grumentum sino alla svolta dell’acquedotto (Russo-Gargano-Di Giuseppe, 2008, pp. 81-86).
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Un secondo tracciato possibile sarebbe ripercorso dalla Provinciale n° 25bis ‘di Grumentina’ per circa un miglio e poi proseguito da una carreggiabile attraverso le località Padre, Crocevia e Mattinella, interrotta dalla Statale n° 598 tra Bosco Galdo (x) e Torricella (xi), dove riprende, toccando Mattina, la Sorgente Cupolo (poco dopo il xii), la Valle del Carro, la Foresta, Paglia Arsa (xiv) e Torre. Alla cappella di S. Vito (xv) attraversa l’Agri e segue la riva destra del fiume sino alla basilica di S. Laverio. Una terza ipotesi, sostenuta dalla carta ITM, fog. n° 84, Parte Orientale, considera valido il percorso sopra ricostruito sino all’Acquatiepida (v), imboccando poi sulla destra l’odierna Provinciale n° 80 per il torrente Molinara, Casale e la Peschiera (viii), alla periferia sud-occidentale di Villa d’Agri (contrada Villa Nova). Tra le località Capizzo e Matinella segue la carreggiabile di raccordo con la Provinciale n° 25bis ‘di Grumentina’, lambendo l’estremità settentrionale di Bosco Galdo, e mantiene quest’ultima sino al ponte sull’Agri e alla cappella di S. Vito (xiiii), per proseguire sullo stesso percorso della precedente (Lacava, 1890a, pp. 16-20 n° 4). Una quarta, infine, muove sempre da Villa d’Agri e procede quasi in parallelo al torrente Isca e al fiume (località Mattinella, al ix, Paglierina, Bosco Galdo, al x, e la Marmora) sino a congiungersi con il precedente in località la Foresta (Giardino, 1983, pp. 197-199, 210-216). Al momento la prima di quelle espresse beneficia del supporto del maggior numero di informazioni di contesto che certamente richiamino una strada. Bisogna però vedere se nel concepire l’Herculia già nel prototipo, o antecedente, severiano si volesse privilegiare l’insediamento rurale sparso, raggiungendo una per una le fattorie al pari di una qualunque viabilità, oppure se, come sarebbe più plausibile, la via dovesse diventare un asse di collegamento il più possibile equidistante da tutti i punti più significativi (ville, fattorie, villaggi, vici, municipia, coloniae) delle praefecturae, in cui i territori della Lucania tardoantica risultano ancora suddivisi, e dagli areali di produzione di pregio, selezionati in quasi quattro secoli di colonizzazione romana. In attesa di scoprire in un futuro non troppo lontano, si auspica, nuove testimonianze, anche epigrafiche, relative alla strada, Grumentum ne costituisce, al momento, il punto di arrivo, esaurendovi la propria funzione (Gualtieri, 2003). Oltre la città si hanno due tracciati, uno di mezzacosta e fondovalle lungo il corso dell’Agri, diretto sulla costa ionica (ITM, fog. n° 85, parti Occidentale e Orientale; Lacava, 1891, p. 41). Questo è ritenuto “indubbiamente” l’Herculia dal Buck (Buck, 1971, p. 85) senza alcuna prova, salvo forse l’accostamento tra i nomi di Heraklea e della via, accomunati da un rimando al semidio Eracle/Ercole, e del quale avanzano la testimonianza di un importante bivio con la diramazione per il Vallo di Diano (CIL, X, *23-*24, a torto ritenute dal Mommsen false, come poi dimostrato per altre iscrizioni da Buonopane, 2006-2007) e alcuni ponti ancora da valutare bene nella tecnica costruttiva adottata (sul Maglie e il cosiddetto ‘Ponte di Annibale’ sull’Agri; Tarlano, 2010; Giardino, 1983, pp. 206-207). Curiosamente l’attuale bacino artificiale del Pertusillo ha determinato l’automatica ricerca del percorso
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Fig. 46 Il Ponte Vecchio di Sarconi sul Maglia, sulla prosecuzione della via in direzione di Castelluccio e di Rotonda
sulle alture circostanti, retrodatando inconsapevolmente all’epoca romana la presenza dello specchio d’acqua attuale (Armenti-Iannella, 1995). L’altro tracciato è impostato e riconosciuto agli inizi del III secolo d.C. nell’Itinerarium Antonini, quale segmento fondamentale per il superamento dell’Appennino lucano ed il raccordo di Grumentum con l’Annia a Nerulum (Lombardi, 1836, pp. 219-220; Bottini, 1990; Corsi, 2000, p. 91, 127; Capano, 2008, pp. 104-105), proseguendo così il più volte rammentato iter tardoantico ed altomedievale che a Mediolano giunge allo Stretto di Messina. Una sola è la tappa intermedia prevista, che nel nome Semu(n)cla (ItinAnt, 104,7 = p. 15, ‘Quilici, 2002, pp. 150-155’) ironizza sulle dimensioni (la metà di un’uncia e la 24a di un pes, ossia cm 1,23), se confrontate con la distanza da coprire per raggiungerla (xvii miglia nel III secolo, forse al posto di xxiiii a cui si deve il nomignolo scherzoso, pertinenti ad un precedente itinerario del quale non si ha più notizia). Il Ponte Vecchio di Sarconi, le cui spalle in blocchi squadrati di grandi dimensioni denunciano una costruzione antecedente al Medioevo (fig. 46), potrebbe esserle appartenuto, indicando la direzione delle
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valli del Maglia, confrontabile nel nome al fiume che poco lontano da Reggio (Calabria) genera il nome della tappa ad Mallias (ItinAnt, 106,3 e 111,4 = p. 15, 16), e poi del Cogliandrino (la Taverna, sul Fosso Truvolo; Quilici, 2002, pp. 225-227 n° 922); sino alla confluenza con il Sinni dirimpetto al castello di Seluci (Bottini, 2002, pp. 257-269), verso Acqua Calda e Latronico. La Provinciale n° 19, ‘Moliternese’, e il Sinni garantiscono un riferimento per ipotizzare e recuperare attraverso tracce non continue un asse che per circa 10 miglia si mantiene a mezzacosta, nel bosco, tra il fiume e la Statale n° 653 ‘della Valle del Sinni’ sino al bivio per Agromonte. La Provinciale n° 46, ‘della Peschiera’ va, infine, assunta quale percorso indicativo di un tracciato precedente, maggiormente incline ad adeguarsi all’orografia che non ad aggredirla, per Magnano, Mileo e Preti sino a Castelluccio inferiore e da lì per Rotonda, i due centri tradizionalmente ipotizzati (e il primo di recente) per essere identificati con la statio di Nerulum. Come si può notare, a questo punto la descrizione del tracciato ha assunto velocità, portandosi al livello delle tante disponibili nella letteratura circolante e raramente attendibili se non in linea di massima. Le difficoltà, in assenza di una ricerca sistematica non sono poche, ma non ci si vuole nascondere dietro, rimandando a successivi approfondimenti il ridurre un grado di approssimazione ancora elevato rispetto ad un percorso documentato al momento solo dall’Itinerarium Antonini.
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6. Da ultimo, le leggende non finiscono mai… Naturalmente, se un argomento suscita interesse, non mancano le storie che circolano sul suo conto e man mano che la loro diffusione aumenta, non essendo verificate all’origine, concludono la propria esistenza generando leggende. La Basilicata ne accoglie molteplici, anche di recente creazione, ogniqualvolta un’ipotesi ardita si accompagni ad una conoscenza scarsa, se non nulla, del territorio e alla pretesa che una qualunque tecnologia di telerilevamento esima dalla necessità di riscontro sul terreno. Le strade sono fra i principali obiettivi, mai misurate realmente eppure identificate, anche se in assenza di prove ragionevoli, grazie ad una semplice disposizione di allineamenti, vagamente notati su una fotografia aerea (o, peggio ancora, ripresa da satellite), ammessa ma non citata e comunque ad una scala troppo grande per essere utile. I fiumi seguono a ruota, essendo ritenuti navigabili sino quasi alle sorgenti indipendentemente da oggettive difficoltà fisiche, e ci si domanda come le selve possano sempre e rapidamente presentarsi folte ed impenetrabili, se, a detta degli studi, sono continuamente tagliate, asportandovi in ogni secolo, dalla colonizzazione greca al Medioevo, delle quantità impressionanti di legname, che non si sa mai quale fine facciano. Alcuni autori, più di altri, le accolgono ed amplificano, producendo quadri ricostruttivi d’insieme curiosi, nei quali le glaciazioni hanno creato le gravine materane, una colonizzazione romana selvaggia arricchisce ad un certo punto le colonie greche della costa ionica di anfiteatri, si creano agglomerati ma si favorisce lo spopolamento, e infine, per limitarsi a dei cenni, si sovverte il computo cronologico sinora adottato convenzionalmente, scandendo il tempo prima e dopo la nascita di Cristo con un curioso viaggio “a ritroso”. La via Herculia rientra fra le vittime illustri, attribuendole ad esempio infrastrutture come il ponte di S. Vito a Potenza con le seguenti motivazioni: «Poiché la via Herculea (il cui toponimo deriva da Massimiliano Erculeo che gestiva con l’imperatore Diocleziano l’Italia Meridionale) è datata ad età imperiale, la data di costruzione del ponte è da porre tra il 248 a.C., anno dell’avvento di Diocleziano, ed il 305 a.C. quando finì il regno dello stesso» (CastronoviRescio, 2004, p. 60). Le questioni si complicano quando con estrema disinvoltura si prendono dall’Itinerarium Antonini ben tre percorsi distinti, accomunati solo dall’inserimento di Venosa fra i punti di sosta, e li si smontano, ricomponendoli in forme nuove. Definirle ‘arbitrarie’ è poco, ma certamente riescono a soddisfare l’aspirazione di molti Comuni, compresi entro una fascia ampia diverse decine di chilometri, di vedersi inseriti, e quindi nobilitati, fra i centri toccati dal passaggio di una strada imperiale. Non da meno sono altri studiosi che, per “dimenticanza”, omettono di inserire delle stationes o mansiones nella citazione degli itinerari, vedendo quadrare subito miracolosamente il computo di distanze pur senza calarle nella realtà. Ma, in fin dei conti, parafrasando una celebre battuta del romanzo Il nome della Rosa di Umberto Eco, di questi autori «è pietoso e saggio tacerne anche il nome»… per ora. E la ricerca continua.
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continua
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Tav. 1 La via Herculia da Honoratianum a Castel Lagopesole e la via Appia da Pons Aufidi a Venosa.
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continua
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Tav. 2 La via Herculia da Castel Lagopesole ad Arioso.
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continua
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Tav. 3 La via Herculia da Arioso a Grumentum.
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fonti e bibliografia di riferimento, tra realtà e leggenda
TOPOGRAFIA E ANTICHITà
della via herculia in Basilicata
tra leggenda e realtà
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La via Herculia nel tratto da Rionero in Vulture a Torre degli Embrici
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Indice analitico
a cura di Stefano Del Lungo, Annarita Sannazzaro a) nomi, cose e luoghi notevoli Abriola 92, 144, 151 Acidios 30, 35, 37, 68 Aeclanum 29, 37, 45 Aemilia (via) 32, 35 Albero in Piano 48 Albidona 101 Annia (Popilia) (via) 23, 26, 27, 33, 35, 36, 37, 38, 60, 72, 119 Anzi (Anxia) 40, 62, 66, 165 Apicio 38, 142, 178, 181 Appia (via) 17, 21, 22, 25-26, 27, 28, 29, 30, 32, 33, 35, 38, 41, 45, 46, 48, 49, 50, 51, 53, 56, 108, 169, 187 Appia Traiana (via) 23, 25, 28, 29, 30, 32, 33, 35, 36, 37, 51, 169 Arcadio (imperatore) 23, 48 Ariano Irpino 22, 26, 29, 32, 35 Arioso (monte) 20, 65-66, 119, 135 Ascoli Satriano (Asculum) 24, 29 Atella 54, 55, 59 Aurelia Aeclanensis (via) 23, 25, 29, 30, 35 Avigliano 60, 92, 93, 144, 151, 173, 185, 187 Axius Aelianus (Quintus) 29 Barrata 120 Barricelle 69 Basento (fiume) 29, 37, 61-66, 101, 107, 120, 122, 134, 162 Beleianum 48-49 Benevento 26, 29, 32, 33, 35, 37, 45, 108 bosco 57, 58, 60, 62, 73, 157, 165, 181, 184 Bosco Galdo, 71 Botte (la) 61 bovini 22, 172, 184 Bradano (fiume) 26, 30, 57, 59
193
Brindisi (Brentesion) 25, 26, 28, 108, 187 Bruttia Crispina 69 caciocavallo 173, 175 Calpurnii 63 Camarda vecchia (masseria) 48-49 Candela 24, 30, 43, 49 Candida 52 Capodacqua 68 caprini 158, 173 Caracalla (imperatore) 30, 31, 33, 38 carreggiabile(amaxélatos) 25, 43, 52, 62, 63, 71 Casa del Diavolo (Lavello) 16-17 Castel Glorioso 37, 64-65 Castel Lagopesole 20, 37, 57-59, 66, 119, 162 Castello (il) 68 Castelluccio 73, 119 Catavatto 53 cereali 142, 147, 158, 160, 162, 165, 170, 178-179, 187 Cocceius Auctus 20 Cocceius Restitutus (Marcus) 122 Columella Onorati (Nicola) 171 Columna 26, 30, 33, 41 Cominius Vipsanius Salutaris (Lucius) 31-32 Commodo (imperatore) 45, 51, 69 Constantia 23-24 Corleto Perticara 62, 101 Costanzo II (imperatore) 24, 34 Cozzo Rivisco 120-121 Croce del Monaco 59 Cugno delle Brecce 120 Diocletiana (strata) 35, 37 Diocleziano (imperatore) 22, 34, 36, 40, 68, 74, 180 Equum (Aequum) Tuticum (Masseria Sant’Eleuterio) 22-23, 26, 29, 30, 35, 49 Filiano 59, 92, 93, 96, 105, 144, 157, 162, 173 Flaminia (via) 22, 32, 35, 52 fluvium Bradanum 30, 59, 68 Fonte Catena 55 Fonte di San Giovanni 68-69 foraggio 158, 165, 178 formaggio 173-174, 187 Fossa Cupa 67 Francesca 41, 54 Gallitello 41, 63, 134 Gentile di Lucania (pecora) 172
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Gentile di montagna (pecora) 172 Giarrossa 37 Glorioso 37, 65, 135 Gorgoglione 100 Grotta di S. Margherita (o degli Spiriti) 50 Grumentum (Grumento Nova) 22, 24, 27, 31, 35, 36, 38, 40, 42, 62, 68, 69-71, 72, 119, 135 Heraklea 27, 71 Herculanea (via) 20 Honoratianum 30, 35, 43 Iasdii 43 Iscalunga 30, 59, 162 lagane e ceci 34, 142 Latina (via) 21, 32, 47 Lavello (Forentum) 16, 22, 24, 35, 48, 50, 68 legumi 34, 38, 142, 158, 160, 162, 165, 171, 176, 178-179, 181, 186-187 Leonessa (masseria) 37, 47-49 lucanica 31, 38, 142 Lucos 41, 60, 61 Madonna del Sasso 59, 67 Madonna delle Spinelle 47 Marsico Nuovo 22, 35, 65, 66, 67-68, 97 Massenzio (imperatore) 23, 36-38, 51, 58 Massimiano Erculio (imperatore) 22, 24, 34, 36-37, 40, 49 Melfi 22, 35, 42, 43, 46-51, 53, 59, 119 Menolecchia, o Amendolecchia (masseria) 48-49 Metapontum 27 Metilia 54-55 Mettius Potitus (Titus) 29 Minucia (via) 23, 25, 30 Mons Balabo 60 Monte Facito 94 mulattiera (emioniké) 25, 28, 30, 43, 129, 169, 186 Nerulum 23, 31, 72, 73, 119 Ofanto (fiume) 16, 24, 25, 30, 37, 42, 43, 45, 48-49, 56 Olivento (torrente) 16, 37 Opino 30, 54, 56 Ordona (Herdonia) 17, 24, 28, 29, 30, 49 Orfitus (Memmius Vitrasius) 23-24 ovini 158, 172, 182, 184 Palazzo (il) 120 Palorotondo (masseria) 45 pane 179-181 Pantano (di Pignola), 64-65, 97, 106, 107, 162 Paola Doce 97
195
pascolo 21, 33, 41, 147, 157, 162, 170, 171, 173, 182, 186 Passo Croce dello Scrivano 62 pasta 179-180, 183 Pergola 67 Piano del Conte 59, 101, 106, 107 Piano dell’Isca 60, 162 Piano di Carro 53 Piano di Croce 50, 53, 56 Piazza Armerina 24 Pietra Castalda 67 Pietragalla 26, 60, 92, 119, 144, 151, 172, Pignola 37, 64, 65, 92, 93, 96, 97, 106, 135, 144, 162, 180, 184 Pinum 54, 56-57 Pisandes 41, 56-57, 59 Podolica (razza) 172, 184 Polla 26 Pollino (monte) 24, 26, 31, 173, 174 Ponte Aufidi (vedasi anche Ponte S. Venere) 43, 46, 50, 54, 56, 59 Ponte del Diavolo 53 Ponte di Annibale 71 Ponte Rotto, Ponti Rotti o Rossi o Ponticelli 32, 49, 52-53 Ponte S. Venere (vedasi anche Ponte Aufidi) 45-46, 48, 56 Ponte S. Vito 62-63 Ponte Vecchio 72-73 Potenza (Potentia) 16, 24, 27, 61-63, 92, 95, 97, 99, 102, 110, 121-135 Reggio C. (Reghium) 25, 26, 33, 73 Rendina (torrente) 17, 49-50 Rionero in Vulture 53-54, 56, 97 Rittono 53 Rocchetta 67 Rotonda 31, 73 Salto dei Paladini 40 S. Francesco (Lavello) 16, 49 S. Francesco 162 S. Gianuario 66 S. Giovanni (Viggiano) 70 S. Giovanni di Ruoti 33-34 S. Johannes ad Aquas 68 S. Maria di Costantinopoli 69 S. Michele 67 Sanctum Nicolaum de Aufido 24-25 Sant’Arcangelo 101 Sarnelli 59 Sasso di Castalda 20, 59, 67, 92, 119, 144, 151, 157 selva 33, 74, 171
196
Semuncla 31, 72 Seppii 16 Serra del Tesoro, o solo Tesoro 52 Serra la Noce (masseria) 54 Serra S. Marco, 63-64, 95, 96, 102-103, 106, 107 Settimio Severo (imperatore) 31, 51 Statistica Murattiana 173 Strada del Piano di S. Vito 67-68 suini 165, 183, 186 Summurano 30, 31 Taranto 24, 25, 26, 33, 51, 62 Taverna (la) 73 Taverna Tre Fontane 22 Tegole (le) 64, 135 Teodosio (imperatore) 23, 48 Thurii (presso Sibari) 24 Tiera (torrente) 29, 31, 60, 134, 162 Titolo 53 Tolve 54, 60, 99 Toppo di Castel Grande (monte) 26 Torre degli Embrici 55, 57-59 Torre della Cisterna 46 Torretta (la) 121 Torretta (monte) 26, 60, 121 Trattore 53 tratturo 41, 47, 49, 53, 59-60 Tricarico 65, 99 Valle la Braida 54 Velinianum (vedasi Beleianum) Venosa (Venusia) 16, 22, 24, 25, 27, 29, 30, 35, 49, 50, 56, 119 via appenninica 25-30, 35, 36 viaggiatore 29, 33, 42, 43, 120, 121, 135, 170, 173, 187 via publica 22, 41, 45 Vibonius Caecilianus 51 Villa d’Agri 69, 71 vino 23-24, 38, 41, 53, 171, 176, 180, 184 Vitalba 60 vite 24, 147, 151, 158, 162, 171, 176 Vulture (monte) 24, 38, 52, 57, 121, 172, 176
197
b) epigrafi
AE, 1889, 28 1924, 134 1930, 122 1931, 85 108 1957, 135 1968, 121 1969-70, 135 1972, 139 1981, 246 1982, 158 1983, 378 1984, 183 1989, 139 1991, 441 1993, 1602 1994, 536 1995, 347 1996, 458 1998, 1569 2000, 364 2003, 344 444 650 712 2006, 1773 345 2007, 341
37 32 37 35 35 28 35 32 32 32 28 36 28 36 36 35 35 51 36 28 52 35 52 36 36 28 51 36
CIL, II,
1085
31
CIL, III,
1456 6719 7106
29 33 28
CIL, IV, 4882b 38 8561a 38 CIL, V,
198
865 32 8000 36 8015 36
8017 8038 8039 8054 8055
36 35 36 36 36
CIL, VI,
31338a 31369 31370 36899
33 33 33 33
CIL, IX,
*120 431 658 959 2122 6000 6001 6002 6010 6013 6014 6027 6042 6043 6056 6057 6058 6059 6060 6061 6062 6063 6064 6065 6066 6067 6068 6069 6070 6075
48 48 48 32 32 39 39 39 32, 37 39 39 39 32 32 35 35 23, 35 23, 35 35, 37 35 35 23, 35, 39, 48 22, 35, 48 35 23, 35, 48 23, 35, 37, 58 35 35 22, 35, 68 37
CIL, X,
*23 *24 129 130 131 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 145 146 147 148 149 150 151 153 155 156 157 160 161 165 166 169 171 174 175 176 184 191 5052 6836 6847 6950 6956 6961 6962
71 71 128 128 128 129 129 130 63, 133, 134 127 132 131 123 127 134 29, 41, 129 122 123 122 132 133 123 127 63, 133, 134 134 133, 135 131 60, 120 123 131 123 134 131 132 131 131 68 68 32 36 36 26 36 35 35
6963 6964 6965 6966 6967 6968 6969 6970 6971 6972 6973 6974 6975 8091
23, 35 23, 35, 37 35 35 35 23, 35, 39, 48 22, 35, 48 22, 35, 68 23, 35, 48 23, 35, 37, 58 35 35 22, 35, 68 132
CIL, XI, 1827
25
CIL, XIV,
28 28 28 28
2505 2506 2507 2922
199
Progetto grafico e impaginazione linearte / potenza www.linearte.it Editore zaccara / lagonegro www.grafichezaccara.it finito di stampare nell’ottobre 2013