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A. TRABUCCHI “ISTITUZIONI STITUZIONI DI DIRITTO CIVILE” – RIASSUNTO DEL TESTO CAPO I IL DIRITTO PRIVATO IN GENERALE PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO Ogni società, ogni gruppo di persone per convivere ha bisogno di regole di comportamento e di disposizioni per la tutela dei propri diritti e per la soppressione delle violazioni. L’insieme di tutte queste regole, dette anche norme giuridiche, e dell’insieme degl deglii Ist Istitut itutii ch chee le em emet etttono e le tute utelano lano,, ch chee van vanno a rego regola lare re la vit vita dei sin singoli goli e dell’intera società, vengono definite ordinamento giuridico. Tra i tanti ordinamenti giuridici il più importante, ma non l’unico è quello statale, che posto ai vertici della vita sociale dei cittadini di uno Stato, rappresenta l’insieme di tutte quelle disposizioni che un Paese emette ed esige per la tutele e la realizzazione di tutti quei fini che lo Stato stesso si prepone tramite la carta costituzionale. Al di sopra dell’or dell’ordinam dinament entoo giurid giuridico ico statal statalee vi sono sono altri ordinam ordinament entii come come quello quello europe europeoo (UE) o quello internazionale. Accanto a quello statale vi sono quelli degli altri stati esteri e della Chiesa. Infine all’interno di quello statale ve ne sono altri di carattere privato e pubblico. Tra quelli di carattere pubblico, che hanno cioè valore ed efficacia erga omnes, ricordiamo quelli regionali, provinciali e comunali.
Caratteristica essenziale dell’ordinamento statale è che quest’ultimo non dipende e deriva da nessun altro ordinamento per cui è definito originario ed indipendente. Nel caso in cui venisse a mancare una sola caratteristica di queste appena ricordate, si avrebbe una degenerazione dell’ordinamento e non sarebbe più in grado di garantire nulla e verrebbe ad essere scavalcato da qualche altra cosa. Il riconoscimento degli altri ordinamenti giuridici, come la chiesa e l’unione europea che sono pure originari ed indipendenti, avviene nel nostro Paese soltanto per una propria volontà legislativa che ne autorizza la convivenza con il nostro ordinamento senza però creare conflitti e sconvolgimenti dell’apparato costituzionale. In quest’ultimo caso verrebbe ad essere attivato un meccanismo di autodifesa che prevede la composizione di un’alta corte costituzionale con sommi poteri di decisione e tutela della nostra carta costituzionale e di tutte le sue teorie e principi. Nel nostro ordinamento, la legge, che è il principale atto scritto (fonte del diritto), è la maggiore fonte di produzione della norma giuridica. Da questa caratteristica deriva il fatto che il nostro è un ordinamento fondato sul diritto positivo cioè sulla presenza di norme poste come tali da organi specializzati a tale attività. Tuttavia, sin dall’antichità, l’uomo ha voluto convincersi che esiste anche un’altra forma di diritto, quello naturale, quello, cioè, che non è dato da nessun organo legislativo legislativo ma che è intrinseco all’uomo stesso in quanto tale. Pensiamo, ad esempio, a tutte quelle regole che gestiscono la conduzione familiare della vita. Non esiste nessuna norma che disciplini, se non in maniera generale nel Codice Civile, l’attività del padre all’interno del nucleo familiare. Tutto è lasciato alla consuetudine, agli affetti e agli istinti dell’uomo nei confronti del resto della famiglia. Pensiamo, anche, al divieto di uccidere che ancor prima di un divieto giuridico o religioso è un divieto morale ed istintivo del buon uomo e che solo dopo si è immortalato nel Codice penale. 1
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Il diritto naturale ha, in fine, trovato la sua massima fonte di vita durante la rivoluzione francese in cui molti ideali e criteri di vita furono demoliti con la ghigliottina per dare luce a nuovi altri valori sociali, etici e giuridici che ancora oggi sono alla base della nostra vita sociale e giuridica. Oggi le principali norme di diritto naturale le ritroviamo scritte nel trattato internazionale sulle “ Dichiarazioni dei diritti dell’uomo”. La legge, quindi, abbiamo detto che contiene un comando obbligatorio per tutti che deve venire estrapolato dalla stessa e che è definito norma e che per distinguersi da tutte le altre è qualificata come norma giuridica. Questa, per essere tale, deve contenere tre caratteristiche essenziali : q ualunque natura ALTERITA’ (o bilateralità) = in ogni rapporto giuridico, di qualunque esso esso sia, sia, vi sono sono semp sempre re due parti, una che possiede una situazione attiva del diritto e l’altra una passiva. La parte non è un individuo soltanto, ma può anche essere una aggregazione di individui che lottano per uno stesso ideale o diritto. Ogni soggetto che non è direttamente interessato al conflitto ma passivamente coinvolto si chiama terzo. •
STATUALITA’ = La società si fa Stato per organizzarsi ed affidare allo stesso la gestione di due momenti importanti della vita giuridica di un popolo:
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La creazione delle norme n orme giuridiche uguali e vigenti per tutti;
La gestione e la soppressione di tutti i tentativi di evasione dagli obblighi imposti come legge (norme giuridiche) e l’applicazione dei relativi provvedimenti. -
• OBBLIGATORIETA’ = L’importanza sociale dell’ordinamento giuridico, oltre che dall’emanazione di norme giuridiche, è data anche dalla ricorrenza, se necessaria, all’uso della forza per l’applicazione coattiva delle norme e per la punizione delle evasioni dagli dagli obblighi giuridici imposti (pena e sanzione). Da un certo momento in poi, il nostro ordinamento giuridico ha incominciato a produrre delle clausole generali in materia di diritto civile che non corrispondono ai criteri di generalità ed astrattezza. Diversi sono gli articoli del codice Civile che contengono queste clausole soprattutto in materia di obbligazioni e contratti. Ad esempio una delle più importanti clausole che il nostro ordinamento civilistico contiene è il principio sano e giusto di correttezza e di buona fede sancito dall’art. 1337 cod. civ. ma da anche molti altri articoli che lo contengono in maniera indiretta. Una norma per fattispecie consente, come nel caso del Diritto Penale con il Codice Rocco, una scarsissima attività interpretativa e dinamica del giudice che non può fare altro che applicare la legge. Nel caso del Diritto civile, invece, il ragionamento per fattispecie è impensabile, prima perché non è possibile schematizzare tutti i possibili casi di illecito e di intervento del giudice e poi perché i casi di necessità giudiziale sono talmente ampi che rendere gli illeciti civile per fattispecie sarebbe sar ebbe un lavoro troppo ampio ed allo stesso modo inconsistente. i nconsistente. 2
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Così, invece, il giudice può analizzare il caso presentatogli dinanzi e rendere meno rigido il sistema interpretando secondo il momento ed in maniera libera Solitamente si suole distinguere, prima di ogni altra cosa, il diritto oggettivo dal diritto soggettivo. DIRITTO OGGETTIVO = per indicare l’insieme di norme giuridiche che dispongono regole ed obblighi al cittadino per la tutela dei propri diritto e per la tutela dell’ordinamento statale e giuridico in generale.
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DIRITTO SOGGETTIVO = per indicare il potere che lo Stato, e l’intero ordinamento giuridico, attribuisce ad ogni cittadino (soggettivamente) per agire in difesa e per la tutela dei propri interessi personali.
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In tempi moderni, però, si sono riconosciuti anche dei diritti che non possono essere considerati personali ne pubblici, sono i cosiddetti: INTERESSI DIFFUSI che vengono considerati interessi della comunità nel suo complesso e per questo di particolare importanza (Es. tutela dell’ambiente);
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INTERESSI COLLETTIVI che sono gli interessi di una data collettività, cioè non pubblici, non diffusi ma di una circoscritta schiera di uomini racchiusi da un vincolo comune (Es. sindacati dei lavoratori, Associazioni studentesche, ecc.).
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In effe effett tti,i, però però,, la conc concez ezio ione ne di diri diritt ttoo ogge oggett ttiv ivoo pres presup uppo pone ne la conc concez ezio ione ne di diri diritt ttoo soggettivo infatti ad esempio il diritto oggettivo tutela la mia proprietà, il diritto soggettivo fa si che io possa agire contro chiunque, anche lo Stato, per difendere ogni violazione della mia proprietà. In generale, quindi, esiste una tutela degli interessi comuni ad un Paese e quelli del singolo cittadino. A di tale distinzione trova applicazione rispettivamente il diritto pubblico e il Diritto Privato. DIRITTO PUBBLICO = Regola, da una parte l’organizzazione dello Stato e di tutti gli altri enti pubblici (Regioni, provincie, comuni, ecc.) e i loro rapporti, e dall’altra parte il rapporto tra questi enti pubblici e il singolo cittadino.
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DIRITTO PRIVATO = Regola l’interesse fra i singoli cittadino e che comunque non siano enti pubblici, cioè portatori di interessi comuni e superiori a quelli privati. In questi rapporti i cittadini ci ttadini sono posti fra loro in uno stato di d i parità. Anche lo Stato, o gli altri enti pubblici, quando non sono portatori di interessi comuni e quindi non superiori a quelli del singolo, ma portatori di interessi patrimoniali, vengono considerati allo stesso modo dei cittadini e sottoposti al Diritto Privato. -
LE FONTI DEL DIRITTO L’espressione “fonte del diritto” comprende due significati: FONTE DI PRODUZIONE o CREAZIONE = con questa definizione si suole indicare tutte quelle fonti da cui il diritto sgorga, quindi tutte quelle fonti che
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creano effettivamente l’ordinamento giuridico (costituzione, leggi, regolamenti ed usi normativi). FONTE DI COGNIZIONE o CONOSCENZA = con queste definizione si vogliono indicare tutte quelle raccolte ufficiali di leggi e di norme giuridiche che portano alla conoscenza dei cittadini le progressive leggi create dallo Stato.
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In tema di fonti del diritto importantissime sono le disposizioni preliminari al Codice Civile (dette anche preleggi) che a norma di diversi articoli ci danno una visione generale e chiara delle norme di produzione e dei diversi criteri e metodi di applicazione. A norma dell’art. 1 disp. prel. cod. civ. le fonti di produzione, nel nostro ordinamento sono quattro e così gerarchicamente distribuite: distribui te: -
Costituzione; Leggi ordinarie dello Stato; Regolamenti governativi; Norme corporative; Usi normativi;
Tuttavia in relazione alla nuova normativa comunitaria e ai vari trattati internazionali che si sono susseguiti in questi ultimi decenni, sembrerebbe opportuno modificare tale struttura genealogica aggiornandola con nuove fonti normative. Infatti accanto al testo Costituzionale si sono affiancate anche tutte le leggi costituzionale che, a norma dell’art. 138 della Costituzione, il nostro ordinamento giuridico equipara alla Costituzione stessa. Inoltre, con l’ingresso dell’Italia all’interno della comunità Europea, oltre alla costituzione e alle leggi costituzionali so devono inserire al primo posto anche tutte le fonti del diritto comunitario (Regolamenti e Direttive). Questa competenza, con efficacia anche interna al nostro Paese, della comunità europea ha creato non pochi dubbi e sollevato non poche perplessità sul fatto che all’ordinamento giuridico nazionale si sovrasti quello comunitario. Proprio per questo motivo la Corte Costituzionale si è pronunciata in diverse occasioni ribadendo che l’attuazione delle norme comunitarie non è opera di sopraffazione dell’ordinamento europeo a quello italiano dato che non è finalizzato alla priorità su quello nazionale ma concorre perfettamente in un binario parallelo. Inoltre, dice la Corte Costituzionale in merito, le norme comunitarie trovano applicazione anche nel nostro Paese dopo che il Parlamento italiano ha ratificato il trattato di Mastricht con una legge dello Stato e quindi ha fatto proprio l’attuazione di norme straniere con una norma italiana. Inoltre spetta al giudice ordinario applicare al caso specifico eventuali norme comunitarie esistenti in materia. Per questo motivo, negli ultimi decenni, la Comunità europea ha emanato Direttive e Regolamenti per l’indirizzo di determinati settori finanziari, commerciali ed industriali conformando tutti i Paesi membri alle stesse disposizioni per motivi di trasparenza, sicurezza e tutela, soprattutto nei luoghi di lavoro.
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Inoltre è da specificare che la competenza a legiferare norme in materia di Diritto Privato è stata riservata esclusivamente allo Stato centrale, tramite il Parlamento, dall’art. 117 Cost. che consente così un indirizzo indiri zzo unico ed uguale per l’intero Paese. Pertanto un siffatto ordinamento esclude la competenza delle Regioni a legiferare in materia di Diritto Privato. La COSTITUZIONE nella parte iniziale del suo testo contiene tutta una serie di articoli e di principi che si considerano punti cardini del nostro ordinamento giuridico dettando norme di carattere sociale ed economico (importante è soprattutto l’art. 1 Cost.) •
La LEGGE è per sua natura, volontà dello Stato, ma può essere anche delle Regioni, soprattutto quelle a Statuto speciale, o delle Provincie, ma solo quelle autonome di Trento e Bolzano. Frutto della legge sono i codici e i testi unici.
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Spesso il Parlamento, in materie molto settoriali e tecniche, avendo una scarsa competenza in materia, detta, con leggi apposite. Gli indirizzi da seguire al Governo il quale, sfruttando la deroga legislativa data dal Parlamento con la stessa legge indirizzo, si impegna, soprattutto grazie a tecnici qualificati esterni al Governo stesso, a redigere un insieme di norme in materia che andranno poi a disciplinare attivamente e con piena forza di legge, una volta approvato dal Parlamento, il settore per cui sono state create. Questo è proprio il procedimento che è stato seguito nel 1942 per la creazione del Codice Civile e di Procedura Civile attuale, nel 1931 per il Codice Penale, nel 1989 per il Codice di Procedura Penale, per il Codice della navigazione e per la legge fallimentare. Comunque le esigenze di una vita in continua evoluzione e di un ordinamento giuridico sempre in fermentazione hanno fatto si che tutte queste fonti venissero modificate, abrogate in parte ed aggiunte con nuove disposizioni, per rendere sempre più armoniosa la vita giuridica con quella economica e sociale del nostro Paese. Inoltre, spesso, le esigenze del sistema portano a raccogliere tutte le leggi in vigore per una data materia, in modo da avere una facile consultazione delle stesse e una chiarezza legislativa di particolare e spiccata efficacia. Le nostre attuali codificazioni derivano, anche se contengono notevolissime differenze, dalle passate codificazioni giuridiche come quella di Giustiniano, nell’antico Sacro Romano Impero, con il Corpus Juris o come quello del mitico Napoleone con il Codice Napoleone del 1804 e in vigore fino al 1942. Quest’ultimo codice, infatti, rappresentò uno sconvolgimento della situazione sociale e giuridica di allora. Il codice Napoleone è basato sul principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. In quel codice, infatti, al centro dell’ordinamento si porta la proprietà e tutti i diritti ad essa collegati. La proprietà fu messa al centro proprio da Napoleone in modo tale che tutti gli altri Istituti giuridici gli ruotassero intorno considerandola come diritto assoluto. • I REGOLAMENTI NORMATIVI, anche essi fonte del diritto, sono norme emanate dal potere esecutivo (governo) non per disciplinare la materia con obblighi o diritti, ma 5
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ne disciplinano soltanto l’organizzazione dell’esercizio e per questo hanno un valore subordinato alla legge. Dai regolamenti normativi vanno distinti tutti gli altri atti normativi del Governo, come i Decreti legge o i Decreti legislativi che non sono altro che disposizioni legislative con valore di legge derogate temporaneamente al Governo dal Parlamento con relativa legge di deroga. Ai regolamenti governativi si oppongono quelli delle Regioni, delle provincie, delle università, ecc. che hanno soltanto competenza settoriale e non generale. • Gli USI sono fonte del diritto soltanto quando la legge non dice nulla in materia e diventano normativi soltanto quando chi li osserva non va in contro a nessun divieto legislativo (reato penale o illecito Civile) e nella piena convinzione di seguire un imperativo. giuridico. Essi non si creano come la legge da una diretta volontà parlamentare, ma in maniera spontanea ed automatica ogni qualvolta la legge non dica nulla in materia e non per incrementare quanto già dice la legge l egge in un particolare contesto. Si possono distinguere gli usi in: - contra legem se dettano disposizioni contrarie alla legge; - secundum legem se dettano disposizioni conformi alla legge; - praeter legem se dettano disposizioni che sono ignorate dalla legge. Oltre alle fonti ufficialmente menzionate dal Codice Civile nelle Preleggi, altre fonti del diritto sono: • La GIURISPRUDENZA cioè il complesso delle decisioni (sentenze) giudiziarie. Oggi i giudici hanno funzioni molto diverse da quelle di un tempo passato in cui potevano anche dettare loro la legge come avveniva per i Pretori romani e per i giuristi che possedevano il ius respondendi ex auctoritate principis. Un tempo i giudici applicavano la legge e dove c’era incertezza o mancanza di diritto erano proprio loro che si sostituivano al legislatore e creavano le norme su misura al caso in concreto che avevano di fronte. Oggi, invece, il ruolo del giudice è stato limitato democraticamente di molto. Infatti, innanzitutto si è voluto scindere il potere giudiziario da quello esecutivo e da quello legislativo soprattutto per evitare contrasti ed egemonie. Inoltre oggi il giudice è considerato come la bocca della legge e di questa deve essere il portatore non il creatore che rimane solo ed esclusivamente il legislatore parlamentare. Le sentenze dei giudici, oggi, sono vincolanti soltanto fra le parti in giudizio e non costituiscono precedenti da seguire ed interpretare. • La DOTTRINA cioè il complesso delle ricerche e dei risultati dello studio scientifico del diritto, oggi ha un suo valore soltanto perché è strettamente legata alla morale e all’etica del ben fare del legislatore. Infatti non poche volte il legislatore ha trovato dei limiti al suo potere proprio dalla dottrina o addirittura ha trovato dalla dottrina proprio l’iniziativa legislativa. Pensiamo quanta importanza ha avuto la dottrina negli anni intorno al 1975 in cui la riforma della 6
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famiglia era in discussione al Parlamento o alle relative discussioni parlamentari circa la riforma agraria, ecc. • L’EQUITA’, in fine, ha valore come fonte del diritto soltanto quando è richiamata espressamente dalla legge e non pochi sono i casi in cui il Codice Civile, ad esempio, ne fa uso soprattutto in materia di contratti, di fatti illeciti e di obbligazioni in genere. LA LEGGE NEL TEMPO La legge dopo la sua formazione in Parlamento con una doppia deliberazione delle Camere, viene promulgata dal Capo dello Stato e inserita nella raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. Dopo segue la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (fonte di cognizione principale) ed entra in vigore con piena efficacia dopo quindici giorni dalla pubblicazione (detta vacatio legis). Spesso, però, accade che la legge stessa, nell’ultimo articolo del testo, preveda che il termine della vacatio legis sia inferiore o superiore o addirittura nullo (dette leggi catenaccio), come quando accade per l’attivazione di leggi di particolare importanza che richiedano maggior tempo di assimilazione (es. il Codice Civile) o immediata esecuzione data l’urgenza dell’intervento legislativo. Una volta entrata in vigore la legge a tutti se ne fa obbligo di osservazione senza ammissione di ignoranza (ignorantia legis non excusat). La legge può essere abrogata dal legislatore espressamente, tramite un’altra nuova legge, o tacitamente, quando una disposizione successiva sostituisce intuitivamente parte di un’altra legge in vigore per tale materia, ma anche tramite referendum abrogativo che a norma dell’art.75 Cost. può essere chiesto esclusivamente dal popolo (500.000 firme) o da 5 Regioni o da 1/5 del parlamento. L’abrogazione può essere totale, se la nuova disposizione annulla interamente la precedente, o parziale, se la nuova legge inserisce criteri in parte contrastanti con la vecchia norma. La legge può perdere efficacia anche quando la Corte Costituzionale ne dichiari l’incostituzionalità, cioè l’incompatibilità con norme e/o principi dettati dalla Carta Costituzionale o quando sia scaduto il termine che la stessa legge, eventualmente, predisponeva. L’art.11 disp. prel. cod. civ. dice che la legge non può esplicare i suoi effetti per i fatti accaduti o commessi prima dell’entrata i vigore della stessa (irretroattività della legge) per cui tutti i fatti che sono accaduti prima di tale data non vengono disciplinati con la nuova legge ma continuano ad essere sottoposti agli effetti della precedente legge anche se ormai abrogata e sostituita. L’unica eccezione avviene quando la legge stessa detta norme e ne applica l’efficacia anche al passato ma mai toccherà, ne potrà farlo, pena l’incostituzionalità della stessa, i rapporti già consolidati e definiti. LA LEGGE NELLO SPAZIO Il principio generale è che la legge ha vigore territorialmente entro i confini del Paese che la ha promulgata per cui entro tali confini si applica l’ordinamento in vigore per tale Stato. Tuttavia, in campo del Diritto Privato, spesso accade che bisogna far i conti con casi in cui un cittadino di uno Stato, nello svolgere la sua attività, ha a che fare con cittadini di altri
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stati e magari per cose o situazioni residenti in altri stati ancora. Allora in mezzo a questa strana “vicenda internazionale” quale Diritto Privato si applica ?. A porre una risposta a tale importante quesito, in Italia ha provveduto la legge n°218 del 31 Maggio 1995 sulla riforma del Diritto Privato internazionale. Tale legge esplica i suoi effetti per tutti quei casi nati da conflitti internazionali dopo il 1 settembre 1995 e viene applicata d’ufficio dal giudice che ne applicherà con tutti i mezzi di conoscenza sul fatto a sua disposizione. Importantissimo è l’art.16 della suddetta legge che vieta l’applicazione del diritto internazionale ogniqualvolta questo venga a porsi in contrasto con i principi costituzionali ed etico fondamentali del nostro ordinamento. Con tale legge, finalmente, ogni aspetto del Diritto Privato è sottoposto alla gestione della stessa e trova chiari e semplici rimedi ad ogni tipo di conflitto privato come quelli per le successioni, diritto di famiglia, condivisione di beni, ecc.. LE NORME GIURIDICHE Le norme giuridiche, per essere tali, devono essere: 1. Generali cioè non devono essere disposte per qualcuno in particolare ma erga omnes o tuttavia per una ben precisa categoria di soggetti; 2. Astratte cioè al momento della creazione della norma non ci deve essere nessun evento a cui queste si riferiscono in particolare ma il caso deve rimanere astratto, cioè per fattispecie; 3. Uguali cioè la legge è uguale per tutti i cittadini senza distinzione di alcun tipo (art. 3 Cost.); 4. Obbligatorie cioè le norme devono essere sottoposte obbligatoriamente a tutti senza distinzione di alcun tipo.
Lo Stato si attribuisce un potere di coercizione e di punizione, per ogni violazione o tentativo, nel momento stesso in cui toglie ai singoli il potere di farsi giustizia personalmente. La forza al servizio del diritto. Tra le innumerevoli forme e tipologie di norme giuridiche è bene distinguere tra: • INDEROGABILI (o COGENTI o IMPERATIVE) = queste sono le norme giuridiche si impongono in ogni caso e che prescindono dalla volontà delle parti. • DEROGABILI ( o RELATIVE o DISPOSITIVE) = sono, invece, quelle la cui applicazione può essere evitata mediante un accordo delle parti interessate. Ogni violazione delle norme, è espressamente punita dall’ordinamento giuridico stesso, che tramite i due codici di procedura, civili e penale, applicano rispettivamente le relative sanzioni e pene. Si noti bene che il principale obiettivo dell’ordinamento giuridico è la tutela dei diritti e la disciplina della società tramite le norme. Secondaria è, invece, la repressione degli illeciti nel caso in cui l’obiettivo primario venga oltraggiato e violato. 8
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Le conseguenze estreme alla violazione dell’ordinamento giuridico sono: • l’ESECUZIONE = l’ordinamento da un lato crea un evento positivo consistente nell’esecuzione forzata e dall’altro un evento negativa che corrisponde alla nullità dell’atto che ha violato la norma (es. hai rubato, restituisci); • la PENA, = l’ordinamento infligge un male a chi ha violato la norma non direttamente in relazione con la lesione compiuta (es. hai rubato, vai in prigione). Intermedie all’esecuzione e alla pena sono il RISARCIMENTO e la RIPARAZIONE. Sotto il profilo della sanzione le norme si distinguono in: • PRIMARIE = sono tutte le norme che pongono la regola da seguire erga omnes; • SECONDARIE = sono tutte le norme che prevedono le relative sanzioni per l’infrazione delle stesse. Una stessa norma primaria può essere assistita da più norme secondarie. La sanzione prevista dall’art.2043 cod. civ. è la sanzione principale del Diritto Privato che obbliga chiunque arrechi un danno altrui al risarcimento dello stesso danno. Quindi la sanzione principale del cod. civ. è il risarcimento. Ovviamente non potrebbe essere tutelato l’ordinamento giuridico esclusivamente dal Codice Civile ma per fare ciò è necessario anche il cod. penale con cui il Diritto Privato a anche a che fare. Infatti da uno stesso fatto può dipendere un illecito Civile e contemporaneamente un reato penale con le due relative conseguenze, sanzionatorie e penali. Inoltre distinguiamo norme: • PERFETTE = sono le norme che prevedono un’apposita sanzione, nullità o pena. (Es. art. 2043 cod. civ.= risarcimento dei danni); • IMPERFETTE = sono le norme che prevedono doveri non sanzionabili (Es. art. 315 cod. civ. = rispetto verso i genitori). Infine si distingue il: • DIRITTO MATERIALE = l’insieme delle norme che regolano i rapporti di vita (es. art. 2043 cod. civ.); • DIRITTO STRUMENTALE = l’insieme delle norme che dettano le regole da seguire per la tutela dell’ordinamento giuridico tramite le relative conseguenze ad ogni violazione. In questa categoria rientrano tutte le norme del Codice di procedura Civile e penale.
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La costituzione, abbiamo detto, prevede che l’ordinamento giuridico fosse applicabile in tutto il territorio statale. Tuttavia, in alcuni casi e per alcune materie, soprattutto in caso di pericolo, di ordine pubblico o di calamità e necessità, è possibile derogare tale principio con l’applicazione delle norme solo in alcune determinate parti dello Stato. Da tale distinzione nasce la differenza tra diritto generale e diritto locale. Importantissima è anche la distinzione fra: • DIRITTO COMUNE = questo è il diritto che viene applicato a tutti i rapporti di un determinato tipo; • DIRITTO SPECIALE = questo forma un diritto proprio e caratteristico soddisfacendo particolari esigenze della vita riferendosi a determinate circostanze, categorie e/o persone. Comunque il diritto speciale prevale sul diritto generale per cui in mancanza di norme speciali si applica il principio generale che regola la materia. Nel caso in cui una norma, poi, specifichi il capo in particolare, la norma speciale si sovrappone a quella in generale sostituendola. Alcune attività particolarmente importanti in campo sociale o economico prevedono la presenza di autorità che controllino appositamente ed in maniera autonoma il campo loro conferito. Questo è quanto accade per i mercati finanziari con l’istituzione di particolari istituti di controllo (es. la CONSOB per la borsa o l’ISVAP per le assicurazioni) e di tutela tramite un garante pubblico di controllo (es. per l’editoria, la privacy, la radiodiffusione, ecc.). Dato che questi organi tutelano tutti e creano conseguenze erga omnes, ne deriva che i loro provvedimenti hanno valore normativo e vengono perfino pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica oltre che nei singoli bollettini degli enti sottoposti alla vigilanza. APPLICAZIONE DEL DIRITTO Il comando giuridico è generale e rivolto a tutti. La legge prevede in astratto e generalmente il fatto che poi in concreto trova la sua applicazione normativa giuridica. L’applicazione della norma al fatto concreto, appunto, è opera del giudice che con il suo bagaglio culturale e tecnico di particolare importanza, deve interpretare la legge, applicarla al caso concreto ed estrapolare dal tutto le conseguenze per le parti tramite la sentenza. Il giudice, quindi, applica il diritto e non lo crea, come invece accadeva in passato. In campo Civile vige il principio secondo il quale il giudice deve limitarsi alla discussione del fatto presentatosi dinanzi e solo a quello e lascia esclusivamente alle parti tutta l’attività probatoria e dimostrativa. Il giudice, quindi, è chiamato ad un difficile compito che è quello di dover trovare le giuste norme da applicare anche se è compito delle parti, ed in particolare degli avvocati civilisti, attirare l’attenzione del giudice verso i fatti e le norme che più direttamente soddisfano i propri interessi anche se poi il giudice ragiona ed agisce con propria testa andando ad applicare anche norme che le parti non avevano menzionato. Quindi il ruolo importantissimo del giudice è quello dell’interpretazione della norma che è affidata, ripetiamo, alle capacità e alla preparazione del singolo magistrato e da cui dipendono le sorti delle parti. In questa attività di ricerca, il giudice, deve trovare la norma 10
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più possibile reale al fatto concreto ed in mancanza di questa deve procedere per analogia al caso presentatogli. Secondo i soggetti che la applicano, l’interpretazione può essere: • DOTTRINALE = è quella che avviene ad opera dei tecnici del diritto, cioè dai professori universitari, dai ricercatori del diritto ai fini scientifici e didattici; • GIUDIZIALE = è quella che avviene ad opera dei giudici nelle loro sentenze di ogni grado e ordine; • AUTENTICA = quella che viene fatta dal potere legislativo stesso tramite altre leggi esplicative o regolamenti chiarificatori con valore retroattivo erga omnes. L’interpretazione può avvenire tramite due procedimenti: • INTERPRETAZIONE LETTERALE = con questo tipo di interpretazione si cerca di stabilire il significato delle singole parole che compongono il testo normativo e che vengono fatte in connessione fra di loro e non staccate (art. 12 disp. gen. cod. civ.); • INTERPRETAZIONE LOGICA = con questo altro metodo di interpretazione si cerca di stabilire quale è il vero scopo della legge all’interno della società e se ne traggono le conseguenze. Ma questi due non bastano all’individuazione del comando giuridico all’intero della società e dell’ordinamento giuridico. Allora ecco che altri due metodi interpretativi si fanno avanti: • INTERPRETAZIONE STORICA = dal presupposto che una norma giuridica non viene creata da un momento ben definito ma è il frutto di esigenze ed evoluzioni storiche ben precise, si trae il comando giuridico in considerazione della storicità del caso in particolare; • INTERPRETAZIONE SISTEMATICA = in virtù del fatto che l’ordinamento giuridico è da considerare come un organismo vivente, la norma presa da sola potrebbe avere un determinato significato contrario ed opposto alla stessa presa in considerazione con le altre norme e con queste intercalata. Successivamente all’interpretazione, qualunque essa sia, secondo i risultati si avranno diversi tipi di situazioni, per cui avremo: • INTERPRETAZIONI RESTRITTIVE = con questo tipo di risultato l’interpretazione logica restringe il significato della norma rispetto ad una attenta lettura (interpretazione letteraria) della norma;
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• INTERPRETAZIONI ESTENSIVE = con questo tipo di risultato, grazie all’interpretazione logica, si allarga il significato dell’intera norma rispetto ad una lettura attenta della norma; • INTERPRETAZIONI DICHIARATIVE = queste vengono a crearsi se il risultato dell’interpretazione logica coincide con quello dell’interpretazione letterale. Il sistema giuridico (ordinamento) è dato come un sistema completo e perfetto. Inoltre il giudice, pena l’imputazione di reato (art.328 cod. pe.), non può sottrarsi all’intervento nel caso di violazione della legge. Tuttavia accade che in taluni casi o in determinate materie la legge contenga delle lacune o delle totali mancanze in merito. In questi casi, allora, si parla di ANALOGIA, cioè dell’applicazione del diritto fatto precedentemente per materie analoghe e similari in maniera più possibile corrispondente (analogia legis). Quando neanche l’analogia è applicabile, si ricorre ad un sistema più generico e per questo poco utilizzato, quello, cioè, di seguire e considerare i principi generali dell’ordinamento vigente (art. 12 disp. prel. cod. civ.) in maniera che si venga a considerare il caso presentatosi con un comportarsi etico e giusto il più possibile, quasi deontologico. Essi sono delle regole non scritte, ma desumibili dal sistema giuridico e sono stati definiti come le norme dietro le norme (es. pensiamo al dovere di comportarsi secondo equità, buona fede e correttezza, ecc.). Il caso, per esprimersi tramite l’analogia, deve contenere tre presupposti: 1. il caso deve essere completamente sconosciuto dalla legge, altrimenti si avrebbe interpretazione estensiva; 2. deve esistere un elemento di identità tra il caso previsto e quello non previsto; 3. l’identità tra i due casi deve riguardare l’elemento per cui il legislatore ha formulato la regola che disciplina il caso previsto. Non per tutte le leggi è possibile applicare il sistema analogico come per le leggi in materia penale e per quelle eccezionali. È, invece, ammessa per le norme di diritto speciale. IL RAPPORTO GIURIDICO Abbiamo detto che il rapporto tra due parti (che non sono necessariamente due individui ma possono essere due gruppi distinti portatori di interessi diversi ed opposti, uno anche di ordine pubblico) regolato da un vincolo giuridico porta a formare una situazione in cui una parte è portatrice di un diritto da difendere e l’altra è subordinata allo stesso dall’ordinamento giuridico. Tale rapporto, di vitale importanza, è il rapporto giuridico . Bisogna specificare che tutto il diritto è legato a questo tipo di rapporto, cioè non c’è diritto senza un rapporto tra persone titolari di diritti ed obblighi. Dalla definizione di rapporto giuridico nasce la classificazione principale dei vari diritti:
• DIRITTI PATRIMONIALI = questa tipologia comprende tutti quei diritti che difendono interessi di tipo economico (Es. la proprietà delle cose, il danno, ecc.). Il complesso dei diritti patrimoniali del soggetto forma il suo patrimonio.
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• DIRITTI NON PATRIMONIALI = questa tipologia comprende tutti quei diritti che attuano interessi di tipo morale. Questi comprendono i diritti personalissimi, detti anche originari perché posseduti sin dalla nascita (Es. diritto alla vita, ecc.) e i diritti di famiglia. Dai rapporti derivanti da questi diritti possono conseguire fatti economici (Es. la successione, ecc.) valutabili in denaro. • DIRITTI ASSOLUTI = sono tutti quei diritti che possono essere difesi contro chiunque (erga omnes); • DIRITTI RELATIVI = sono quei diritti che impongono a uno o più persone, ma circoscritti, cosa fare e cosa non fare (Es. i diritti di obbligazione, ecc.). • DIRITTI TRASMISSIBILI = esistono dei diritti (Es. i diritti personalissimi, ecc.) che per la loro stessa natura possono essere trasmessi, a seguito di eventi (Es. la nascita, la morte, il matrimonio, ecc.), ad altri individui. La persona che trasmette si chiama autore o dante causa, chi riceve, invece, si chiama successore o avente causa; • DIRITTI INTRASMISSIBILI = sono tutti quei diritti che per la loro natura non sono trasmissibili a nessun altro soggetto (Es. diritto al nome, ecc.). • DIRITTI ACCESSORI = sotto questa tipologia rientrano tutti quei diritti che hanno vita e vengono trasmessi solo in relazione con altri diritti principali per cui vengono ad esserne dipendenti. La sorte dei diritti accessori dipende dai diritti principali e come nascono i primi dai secondi, così si estinguono (Es. pegno, ipoteca, usufrutto, ecc.); • DIRITTI PRINCIPALI = questi sono i diritti che danno vita a quelli accessori e che ne regolano l’esistenza. Senza i diritti principali non esisterebbero quelli accessori. • DIRITTI DI OBBLIGAZIONE o di CREDITO = sono quei diritti che impongono a qualcuno o a più soggetti di fare o di non fare qualche cosa suscettibile di valutazione economica; • DIRITTI REALI = questi diritti, invece, hanno per oggetto immediato una cosa, valgono erga omnes e impongono a chiunque l’obbligo di rispettare l’esercizio della stessa. LA TUTELA DEI DIRITTI L’ordinamento giuridico prevede alcune forme di autotutela dei propri diritti (Es. la caparra, l’ipoteca, ecc.) ma principalmente non permette che in seguito ad una lesione qualsiasi il soggetto si possa fare giustizia da se, come invece avveniva per il passato. Esso ha il potere di chiedere l’intervento dello Stato a propria difesa. Quando avviene un conflitto di interessi fra due parti, si ha la lite che deve essere portato in giudizio tramite l’azione. L’azione ha una natura pubblicistica perché è da considerare come un compenso 13
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che lo Stato da a cittadino nel momento stesso in cui toglie lui il potere di farsi giustizia da se. Le tecniche e le procedure che lo Stato adotta per il soddisfacimento dei diritti violati dei cittadini compongono tutto quello che è stato definito diritto processuale e che viene regolato dal Codice di procedura Civile e penale. Quindi il diritto di soddisfacimento non è più bilaterale ma diventa trilaterale con l’ingresso forzato dello Stato come parte regolatrice, neutra ed indispensabile del rapporto giuridico conflittuale iniziale. Colui che esercita l’azione in difesa dei propri diritti violati si chiama ATTORE, mentre la parte opposta si chiama CONVENUTO. Il convenuto si difende con le eccezioni cioè con qualunque mezzo a propria disposizione per contestare la fondatezza dell’accusa. IL CODICE CIVILE Fra tutte le leggi dello Stato, particolare importanza hanno i codici (Civile, penale, di procedura Civile, di procedura penale e della navigazione). Il termine Codice indica una raccolta di norme che disciplinano un aspetto particolare e concreto dell’ordinamento giuridico. Il nostro Codice Civile è il frutto di una lenta ma importante evoluzione storica maturata dal primo fra tutti i codici, quello francese (Codice di Napoleone) del 1804 che ebbe particolare importanza per la struttura normativa basato sull’uguaglianza di tutti i cittadini. Anche nel nostro Paese si ebbero dei importanti codici nella storia. Ricordiamo quello del Regno d’Italia del 1865, ispirato per larga parte al Codice francese tanto che molti lo definirono la sua traduzione, e quello, successivo, di commercio che poi venne sostituito con una versione aggiornata nel 1882. Ma il vero capolavoro giuridico italiano avvenne solo dopo diversi anni, con la promulgazione nel 1942 dell’attuale Codice che assorbì anche il precedente e valoroso Codice di commercio. In esso sono racchiusi tutti i principi cardini del nostro ordinamento civilistico e vi sono presenti molti principi e disposizioni della Costituzione, che anche se promulgata diversi anni dopo (1948), rappresenta il vertice dell’ordinamento giuridico italiano sotto ogni aspetto. L’importanza del testo e la costante applicazione sono stati i motivi principali per cui il Codice Civile dal 1942 fino ad oggi ha subito molteplici modifiche, innovazioni e spesso anche abrogazioni di intere norme o diversi articoli tramite la promulgazioni di leggi ordinarie. Tuttora il potere legislativo arricchisce sempre più il testo con leggi che vanno ad abrogare norme ormai passate o non più adatte al nostro sistema per sostituirle con altre innovative. Il Codice Civile è composta da un totale di 2969 articoli, suddivisi in sei Libri, ognuno con un titolo diverso e specifico per ogni materia, in particolare:
1. Disciplina delle persone e della famiglia; 2. Successioni; 3. Proprietà; 4. Obbligazioni;
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5. Lavoro; 6. Tutela dei diritti. Il libro primo è la parte generale del Codice Civile, quella in cui vengono regolate le caratteristiche principali delle persone fisiche e giuridiche. Il libro secondo rappresenta la disciplina delle successioni dei beni per mortis causa. Il terzo libro, parlando della proprietà, in verità regola l’intero campo dei diritti reali di cui, appunto, la proprietà è il più importante. Il libro quarto, invece, disciplina la grande e vastissima materia delle obbligazioni ed in particolare modo dei Contratti che, essendo la loro maggiore fonte di produzione, trovano molto spazio come oggetto principale del Libro limitatamente, però, alle sole forme tipiche (o nominate), cioè a quelle forme contrattuali previste e disciplinate interamente dal Codice. Il Libro quinto, oltre che al lavoro, disciplina anche tutto ciò che riguarda l’impresa e la società. Il Sesto Libro disciplina la tutela sostanziale dei diritti, cioè raccoglie tutte le norme e i principi da difendere per lasciare poi al Codice di Procedura Civile la tutela, invece, formale degli stessi e che proprio per questo rappresenta la perfetta continuazione al Codice Civile. Tutti questi elementi, racchiusi in un testo unico, il più importante, il Codice Civile, appunto, ma contemporaneamente disciplinati settorialmente per materia in diversi Libri indipendenti, fanno si che il mondo del Diritto Privato e della tutela del soggetto sia quanto di più completo ed esauriente possibile. Alla già completa ed abbondante stesura del Codice Civile, i legislatori hanno fatto precedere un’insieme di 31 articoli detti disposizioni sulla legge in generale, o anche preleggi, che contengono dei principi e delle norme importantissimi in materia legislativa ed interpretativa. Importantissimi sono fra questi: • Art. 1 che elenca gerarchicamente le fonti del diritto; • Art. 10 che disciplina l’inizio dell’obbligatorietà delle leggi e degli usi e cioè dopo i quindici giorni di regola dopo la pubblicazione (vacatio legis), salvo che sia diversamente disposto dalla legge stessa; • Art. 11 che disciplina l’efficacia della legge nel tempo ed in particolare il divieto di retroattività; • Art. 12 che disciplina i modi e i criteri da seguire per l’interpretazione della legge e dell’analogia • Art. 15 che disciplina i modi e i casi di abrogazione, tacita o espressa, della legge. Oltre alle preleggi, il legislatore, dopo il Codice Civile, ha aggiunto ben altri 256 articoli che vanno ad identificare le disposizioni transitorie e finali al Codice Civile , cioè tutte 15
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quelle norme che, come in qualunque altro testo legislativo e come nella Costituzione stessa, regolarono il periodo di passaggio dal vecchio ordinamenti giuridico del Codice Napoleone con il nuovo del 1942 disciplinando tutte le situazioni pendenti di cui non si sapeva come applicare il diritto, se secondo il nuovo Codice o secondo il vecchio. Inoltre per l’applicazione del diritto e lo studio dello stesso sono necessarie alcune conoscenze bibliografiche e letterarie di interesse legislativo, dottrinale e giurisprudenziale: 1. Ricognizione delle leggi e delle fonti = indispensabile è conoscere ed avere, anche in parte, una visione generale e completa di tutte le leggi e degli atti vigenti. Le principali fonti di cognizione sono: • Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (G.U.R.I.), per le leggi e gli atti normativi dello Stato, • Bollettini Ufficiali delle Regioni, per le attività normative decentrate delle Regioni, • Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (G.U.C.E.) contenente tutte le Direttive e i Regolamenti comunitari. Tutte queste pubblicazioni sono giornaliere ed ordinate cronologicamente. Inoltre esistono anche delle raccolte di leggi ed atti normativi vari ordinate per materia o per ordine cronologico, con pubblicazione anche settimanale, come ad esempio: • Lex, • Le leggi, • La legislazione vigente. 2. Ricognizione della Giurisprudenza = qui vengono racchiuse tutte le sentenze e le massime delle Corti di ogni grado e livello d’Italia. I testi sono: • Repertori, • Massimari, • Rivista di Giurisprudenza: La giurisprudenza italiana, Il Foro Italiano.
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3. Ricognizione della Dottrina = qui vengono raccolte tutte le opinioni, le critiche, i discorsi e le argomentazioni di carattere scientifico e didattico a cura di illustri professori universitari: • Enciclopedie Giuridiche: Enciclopedia Giuridica Giuffrè, Enciclopedia Giuridica Treccani, Il Novissimo Digesto • Trattai (ordinati per materie), • Commentari al Codice Civile, • Riviste di Dottrina (organizzate per materia).
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CAPO II IL NEGOZIO GIURIDICO E IL CONTRATTO Dalla legge non si creano direttamente i diritti soggettivi ma essa regola e prevede le cause del sorgere, dell’estinguersi e del modificarsi delle stesse. Questo avviene tramite i fatti giuridici. Così tutto ciò che crea situazioni giuridicamente rilevanti fra gli uomini sono fatti giuridici (Es. la nascita dell’individuo, la morte, il matrimonio, ecc.), tutti i fatti della vita comune possono essere fatti giuridici in grado di creare rapporti giuridici, diritti, comandi, sanzioni, ecc.. La fattispecie astratta è la situazione che la norma considera astrattamente nel disciplinare un fatto giuridico, a questa si contrappone la fattispecie concreta che è il caso da disciplinare volta per volta. I diritti, così come si acquistano, così si possono perdere con la morte, con la rinunzia o con il passare del tempo. Si possono anche acquistare a titolo:
- DERIVATO quando si acquista un diritto da un rapporto con una persona legittimata (una donazione, un testamento, ecc.) tramite una SUCCESSIONE cioè con il passaggio della titolarietà di un diritto da una persona ad un’altra. Il soggetto che trasferisce si chiama autore (o dante causa) e chi riceve, invece, successore (o avente causa). In questo caso molto importante è il principio che dice che nessuno può trasferire maggiori diritti da quelli che lui stesso possiede. La successione avviene tra vivi (Es. compravendita, ecc.) o a seguito di mortis causa (Es. testamento, ecc.) - ORIGINARIO quando il rapporto legittimo manca (Es. occupazione di una res nullius nel quale il soggetto diviene proprietario per il sol fatto che ha occupato un fondo di nessuno e non per la trasmissione di alcun diritto da nessuno). Le vicende umane, solitamente, si svolgono in relazione all’unità di tempo e di spazio. Il tempo può essere preso in considerazione quale periodo corrente tra due eventi ( durata) oppure come punto fisso in cui una situazione nasce, muore o cambia ( data). Come conseguenza del decorso del tempo, un diritto si può perdere per prescrizione o si può acquistare per usucapione. Il tempo si misura tramite il calendario Gregoriano (calendario comune). In riferimento al tempo bisogna osservare alcune regole di computazione: • se il conteggio avviene tramite gli anni, le settimane o i giorni, questo avverrà al trascorrere di un anno, una settimana o un giorno, senza calcolare se l’anno sia bisestile o se il mese abbia maggiore o minore numero di giorni. • il giorno va calcolato sempre dalla mezzanotte iniziale a quella finale (computo Civile a norma dell’art. 2962 cod. civ.) e non da un’ora a quella corrispondente secondo il computo naturale (Es. la maggiore età non si acquista alla corrispondente ora di nascita ma alla mezzanotte di quel giorno). • Il giorno iniziale non viene calcolato nel conteggio.
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• La regola è che viene calcolato il tempo continuo, però se il giorno finale è festivo, si calcola il giorno successivo a quello festivo perché tempo utile è quello che permette il compimento degli atti giuridici, continuo quello che comprende anche i giorni festivi. Effetti del trascorrere del tempo sono la prescrizione e la decadenza. LA PRESCRIZIONE La prescrizione è un modo di perdita del diritto per l’avvenuto decorso del tempo a causa di inerzia del titolare del diritto stesso. Secondo il Codice Civile il diritto si estingue per prescrizione quando il titolare del diritto non agisce entro i limiti di tempo stabiliti dalla legge. Normalmente la prescrizione si riferisce ai diritti patrimoniali, perché i diritti personali sono imprescrittibili. Quindi, requisiti per la prescrizione sono:
1. Esistenza di un diritto che doveva essere esercitato dal soggetto proprietario, 2. mancato esercizio del diritto stesso 3. passaggio del periodo di tempo stabilito dalla legge Il termine di prescrizione ordinario è di dieci anni (art. 2946 cod. civ.), ma la legge stabilisce termini più lunghi o più corti per casi specifici (Es. 5 anni per il risarcimento dei danni da atti illeciti, 2 anni il risarcimento da incidenti fra autoveicoli, 20 anni i diritti reali su cose altrui, ecc.). quando interviene una sentenza, il termine di prescrizione ricomincia da capo per i futuri 10 anni dal giorno della sentenza passata in giudicato. Il primo giorno di prescrizione incomincia dal giorno in cui il diritto può essere esercitato. Se il diritto non è esercitabile, si ha la sospensione del termine di prescrizione, mentre se il diritto viene esercitato si ha l’ interruzione. La sospensione si ha nei soli casi previsti dal legislatore. L’interruzione si ha o per cause naturali (godimento del diritto) o per cause civili (esercizio di atti giuridici). LA DECADENZA Parlando di tempo, un altro istituto simile e difficilmente distinguibile dalla prescrizione, è la decadenza. Quando un diritto non si esercita entro un certo tempo, si ha la prescrizione che deve essere dimostrata da chi l’oppone contro l’altrui pretesa.. Mentre, nel caso della decadenza, quando in un periodo di tempo prestabilito il proprietario non esercita un potere su di un diritto questo lo perde. Nella prescrizione si condanna l’inerzia del soggetto pena la perdita del diritto, nella decadenza il mancato esercizio entro termini prestabiliti, porta ad una impossibilità di acquisto del diritto o ad una perdita del potere. Una volta compiuto l’atto, la decadenza è evitata e non più possibile per quel caso. Inoltre, nella decadenza, non si applicano interruzioni o sospensioni. Inoltre, a differenza della prescrizione che è solamente legale, la decadenza può essere disposta anche dai soggetti. 19
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Esempio di decadenza è l’impossibilità di presentare validamente una domanda ad un concorso pubblico già scaduto. I fatti giuridici si distinguono in naturali e umani. I primi sono quelli prodotti da cause non dipendenti dalla volontà dell’uomo, anche se riguardano la sua stessa persona (Es. nascita, morte, ecc.) i secondi, invece, quelli che vengono prodotti dalla volontà diretta dell’uomo (Es. matrimonio, compravendita, ecc.). Alla base di un qualsiasi fatto umano, si trova una relativa ed individuabile responsabilità. Una prima distinzione è quella da fare tra atti giuridici leciti, cioè quelli che sono consentiti dall’ordinamento giuridico, e atti giuridici illeciti, cioè quelli che sono dall’ordinamento giuridico vietati. Entrambi sono atti giuridici voluti dall’uomo, ma nel prima caso le conseguenze sono lecite e volute dal soggetto, nel secondo caso le conseguenze sono sanzionatorie e conseguenza dell’antigiuridicità dell’atto compiuto a tutela dell’ordinamento giuridico. CLASSIFICAZIONE DEGLI ATTI GIURIDICI I negozi giuridici possono essere classificati in due grandi categorie:
- quelli che producono effetti validi e conformi alla legge; - quelli che la violano producendo illeciti. Gli atti leciti si distinguono in: 1. OPERAZIONI, o ATTI REALI, che consistono in modificazioni del mondo esterno (Es. il possesso di una cosa, ecc.); 2. DICHIARAZIONI che sono atti diretti a comunicare ad altri il proprio pensiero. Tra questi i più importanti sono: - i negozi giuridici, ossia atti che regolano gli interessi tra due o più soggetti di diritto (Es. il contratto, ecc.); - le dichiarazioni di scienza, ossia le dichiarazioni con le quali si comunica ad altri di essere a conoscenza di una situazione o di un atto (Es. la confessione, ecc.). I NEGOZI GIURIDICI La più importante categoria di atti giuridici leciti e volontari è costituita dai NEGOZI GIURIDICI che consiste in un’espressione di volontà di due o più soggetti circa la costituzione, l’estinzione o la modifica di una situazione giuridica meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (Es. tipico negozio giuridico patrimoniale è il contratto secondo l’art. 1321 cod. civ.). Il negozio giuridico è il mezzo con cui si attua la maggiore autonomia dei soggetti privati.
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Abbiamo visto, appunto, che nella vita pratica molti diritti vengono gestiti secondo vari istituti (Es. testamento mortis causa, donazione, matrimonio, contratti, ecc.) e solo tramite i negozi giuridici possono essere messi in attuazione e concretarsi. I principali effetti del negozio giuridico sono previsti dall’ordinamento, altri, invece, sono indiretti e spesso frutto della legge. Il contratto (art. 1321 Cod. civ.) è un negozio giuridico per eccellenza e prototipo. I negozi giuridici si distinguono, in relazione alla struttura soggettiva, in: - unilaterale se è perfezionato dalla dichiarazione di una sola parte (Es. il testamento, ecc.); - bilaterale se le parti sono due (Es. il contratto, ecc.) o plurilaterale se sono più di due (Es. società, ecc.). in relazione alla funzione: - inter vivos quando il negozio giuridico è fattibile da due soggetti in vita (Es. contratto, ecc.), - mortis causa quando il negozio giuridico presuppone la morte del proprio autore (Es. unico è il testamento). Distinguiamo ancora: • negozi solenni se la legge prevede, pena la nullità del negozio giuridico, una forma predeterminata; • negozi non solenni negozio giuridico quando la legge non prevede alcuna forma, fino al punto che in alcuni casi si possono anche avere dei negozi giuridici non scritti. e ancora: • negozi gratuiti il negozio giuridico avviene senza alcuna corrispondenza (Es. donazione, ecc.); • negozi onerosi quando, invece, il negozio giuridico prevede un corrispettivo (Es. compravendita, ecc.). ed in fine: • negozi di amministrazione con questo tipo di negozio giuridico non si incide sulla sostanza del patrimonio limitandosi a trarne i frutti; • negozi di disposizione con questo tipo di negozio giuridico si amministra anche il patrimonio incidendo sugli elementi giuridici ed economici dello stesso (Es. vendite, donazioni, ecc.). 21
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GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL NEGOZIO GIURIDICO Nel negozio giuridico esistono alcuni elementi, detti ESSENZIALI, che mancando, anche uno solo, annullano l’intera validità del negozio giuridico stesso (art. 1418 cod. civ.). Essi, a norma dell’art. 1325 cod. civ., sono:
- uno o più soggetti, - la volontà, - una forma scritta di manifestazione, se richiesta dalla legge, - la causa. Essi devono essere richiesti sempre per la validità del negozio giuridico, mentre per altri casi, sono richiesto alcuni soltanto. 1. IL SOGGETTO Come atto, il negozio giuridico, deve contenere almeno un soggetto che manifesti una propria volontà, quindi almeno un soggetto che abbia capacità di agire . Nel negozio giuridico si distinguono le parti, che non sono soggetti, ma centri di interessi diversi ed opposti in modo che due parti possano coincidere con due soggetti distinti o con due gruppi di soggetti. Per cui, la parte può essere: - Semplice se composta da un solo soggetto; - Complessa se composta da una moltitudine di soggetti. Se accomunati da uno stesso interesse si costituisce l’ atto collettivo, invece, se i soggetti si muovono distintamente per l’interesse comune, il negozio giuridico diverrà atto complesso. Il soggetto che ha la capacità di agire, e manifesta la propria volontà circa un negozio giuridico è definito legittimo ad agire. In alcuni casi, per la volontà del soggetto ad agire circa un negozio giuridico, è ammessa la potestà di RAPPRESENTANZA, cioè la volontà di un soggetto interviene per il compimento di atti giuridici per conto di altri e con effetti per altri. Il rappresentante è colui che agisce per nome e per conto del rappresentato. Chi pone in essere un negozio giuridico in nome di un altro, ne rimane al di fuori per quanto riguarda le conseguenze provocate (Es. avvocato, ecc.). Non tutti i negozi giuridici si possono rappresentare. Essa è ammessa soltanto per i negozi giuridici di tipo patrimoniale mentre, ad esempio, è esclusa per i negozi di tipo personalissimi (Es. testamento, ecc.). La figura del rappresentante è diversa da quella di messo (o portavoce) il quale è soltanto un portatore dell’altrui volontà mentre il rappresentante concorre anche alla formazione della volontà La rappresentanza può avere origine da: 22
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• la legge in tutti quei casi n cui l’ordinamento giuridico lo preveda (Es. rappresentanza legale degli incapaci o interdetti, ecc.); • la volontà del soggetto dominus tramite la procura che è quel negozio giuridico che permette al rappresentante di impegnare il dominus verso altri al posto e con il nome suo (Es. avvocati, ecc.). Talora, la rappresentanza, è inserita automaticamente in altri negozi giuridici come parte costituente (Es. mandato, ecc.). Talora sta a se (Es. procura, ecc.). La procura può essere fatta espressamente, tramite un documento scritto affermante la volontà del dominus di demandare la propria volontà, o tacitamente, tramite la tipologia di mansione che si fanno eseguire al rappresentante (Es. commesso in un negozio, ecc.). A norma dell’art. 1397 cod. civ. quando i poteri di rappresentanza sono cessati, il rappresentante deve tornare i documenti dove risulti la procura, se esistenti (se, cioè espressamente concessa), al dominus. Se il rappresentante ha agito con procura eccedendo dai propri poteri conferitogli, egli potrà fare ratificare l’atto compiuto dal dominus. Se, invece, provocherà danni con l’eccesso di rappresentanza, egli sarà direttamente responsabile dell’accaduto. La procura può essere: 1. speciale quando tratta la rappresentanza di un affare o di una tipologia sola di affari (Es. avvocato per una causa, ecc.); 2. generale quando tratta ogni tipo di affari del dominus (Es. amministratore delegato, ecc.).
Il dominus, per dare la procura, deve necessariamente possedere la capacità di agire. Mentre il rappresentante deve avere solamente la capacità di intendere e di volere. Il conflitto eventuale tra dominus e rappresentante è annullabile dal primo se riconosciuto da un terzo qualsiasi. La procura a norma dell’art. 1396 cod. civ. è revocabile da parte del relativo dominus, mentre il rappresentante può rinunziare alla stessa. Altro modo di estinzione della procura è la morte o del rappresentante o del dominus. Altre forme minori di rappresentanza, oltre quelle per procura, sono: 1. l’istintore è colui che rappresenta il titolare dell’attività commerciale e ne detiene i pieni poteri al punto di prendere iniziative per conto suo limitatamente ad un ramo dell’azienda o ad un settore (Es. potere di licenziamento, ecc.); 2. il rappresentante (o procuratore commerciale ) è colui che al pari dell’istintore non può, però, gestire l’attività al posto del titolare (Es. rappresentante di commercio, ecc.);
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3. il commesso è colui che ha il compito di fare solamente ciò che il titolare dell’attività commerciale ha demandato lui di fare. Ha quindi un limitatissimo potere di rappresentanza. 4. il concessionario è colui che in campo industriale acquista dal titolare dell’impresa a prezzi bassi e rivende al cliente a prezzi maggiori traendone guadagno a propri rischi e pericoli. 2. LA VOLONTA’ È un altro elemento essenziale per la costituzione e la vita del negozio giuridico. Essenziale è che venga esternata perché in caso contrario i avrà una riserva mentale con la conseguente nullità dell’atto giuridico così composto. Un altro caso di nullità è quello in cui si è utilizzata un assoluta violenza su chi ha deciso di compiere il negozio giuridico. Si ha anche nullità in caso di errore ostativo , cioè quando si dice o si compie una cosa inconsapevolmente dicendo o facendone un’altra. Una causa molto importate e ricorrente in cui si procura la nullità dell’atto giuridico così compiuto è quello della SIMULAZIONE. Si ha simulazione quando la volontà delle parti non corrisponde al reale volere comune degli stessi. Vi sono due specie di simulazioni: 1. simulazione assoluta quando si dichiara di volere la realizzazione di un negozio, mentre, in realtà, non si vuole compiere alcun atto giuridico; 2. simulazione relativa quando, invece, si dichiara un negozio giuridico e se ne compie in verità un altro. Quando, inoltre, si nasconde in un negozio giuridico una persona con l’introduzione nello stesso di un’altra, si ha la simulazione di persona che porta parimenti alla nullità dell’atto giuridico così compiuto. In questo caso, il prestanome, non assume alcuna obbligazione tra le due vere parti definendo tale situazione come interposizione fittizia di persona (Es. Tizio, per sottrarre un bene ai creditori, finge di vendere a Caio il bene stesso, ecc.). Oggi la simulazione, di qualunque tipo essa sia, serve quasi esclusivamente a compiere atti e fatti illeciti. Fra le parti vige la regola che è vincolante ciò che si è realmente voluto e non quello che apparentemente si voleva stipulare. Per cui, in forza di tale principio, se la simulazione è assoluta, il negozio è radicalmente nullo. Se, invece, la simulazione è relativa, avrà valore soltanto ciò che si è realmente stipulato. Se si è utilizzato un prestanome, avrà valore solamente ciò che le parti si sono realmente obbligate tolto di mezzo il terzo prestanome. In questi casi, la legge tutela coloro che hanno acquistato in buona fede da coloro che dolosamente hanno usato interporre fittiziamente persone terze a norma dell’art. 1415 cod. civ..
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In caso di conflitto fra creditori dell’una e dell’altra parte del contratto simulato, la legge protegge i creditori del finto alienante rispetto a quelli del finto acquirente, purchè il credito sia anteriore all’atto con il quale il bene in questione fu alienato al finto acquirente. Si ha il negozio indiretto quando l’effetto giuridico non si ottiene tramite un determinato negozio ma dalla combinazione, traversa, di diversi altri atti giuridici che singolarmente non avrebbero efficacia per quel fine ma che combinati perseguono lo stesso fine voluto (Es. un mandato a vendere accompagnato a una procura irrevocabile uguaglia una vendita, ecc.). Un negozio di questo tipo rimane valido e validi sono i suoi frutti, tranne se illeciti, perché è realmente voluto dalle parti e non si viola l’ordinamento giuridico. I negozi fiduciari sono dei negozi indiretti, quelli più importanti e consistono nel passaggio di titolarità di un bene da una persona (fiduciante) ad un’altra (fiduciaria) che diverrà l’effettivo proprietario continuando però ad utilizzare il bene non per i propri interessi ma per quelli dell’originario proprietario osservando le direttive e le condizioni impartite dal fiduciante stesso. Questo tipo di contratto non è disciplinato dal Codice Civile ma non si dubita della sua validità come libera scelta delle parti giuridicamente rilevanti tranne che non mirino ad scopi illeciti o contra legem. Nello studio della volontà, troviamo anche dei vizi che si manifestano in modo negativo sull’efficacia del negozio giuridico portando all’annullabilità del negozio così formato. Tra questi ricordiamo: • L’ERRORE ( 1 ) Consiste nella falsa rappresentazione della realtà che concorre a creare la volontà del soggetto autore del negozio giuridico. In questo senso l’ignoranza viene equiparata all’imperfetta conoscenza e quindi produce gli stessi effetti dell’errore. L’errore può essere di due specie: 1. Errore di diritto consiste nella falsa conoscenza o totale ignoranza della norma che ha contribuito alla realizzazione dell’errore da parte del soggetto autore (Es. Tizio compera da Caio un terreno per fabbricarvi una fornace non sapendo che non può elevare edifici oltre una determinata altezza e quindi non può realizzare i propri interessi). In ogni caso il negozio giuridico prodotto con errore di diritto è nullo con effetti retroattivi fino al momento della stipula del negozio giuridico in questione; 2. Errore di fatto consiste nell’errore causato da una situazione o circostanza di fatto.
Perché l’errore produca l’annullabilità del negozio giuridico è necessario che lo stesso sia contemporaneamente essenziale e riconoscibile dall’altro contraente (art. 1428 cod. civ.). L’errore è essenziale quando è stato:
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• sia tale da aver determinato la parte a concludere il negozio giuridico, se, invece, l’errore non ci fosse stato non si sarebbe stipulato l’accordo; • sia quando, a norma dell’art. 1429 cod. civ., cade su: - la natura del negozio (error in negotio), ad esempio credo di dare una cosa in locazione mentre è un’enfiteusi, - l’oggetto del negozio (error in corpore), ad esempio credo che siano viti invece sono chiodi, - la qualità della cosa (error in substantia), ad esempio credo che sia lana animale invece è lana sintetica, - la persona (error in persona), ad esempio credo che sia Tizio invece è Caio, - la quantità della prestazione (error in quantitatae). In tutti gli altri casi l’errore non è causa che può portare all’annullabilità del negozio giuridico. L’errore è riconoscibile quando, a norma dell’art. 1431 cod. civ., una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo in base alle circostanze, al contenuto e alla qualità dei contraenti. A norma dell’art. 1432 cod. civ. si può chiedere, a chi è caduto in errore, di evitare l’annullamento del contratto stipulato con errore eseguendo il contratto che egli intendeva concludere in origine ( mantenimento del contratto rettificato). In fine l’errore di calcolo non produce annullabilità del negozio giuridico ma l’indicazione dovrà essere corretta. • LA VIOLENZA ( 2 ) Consiste nella minaccia che induce a volere per timore di qualche cosa o di qualcuno. L’atto compiuto sotto minaccia è pur sempre voluto quindi non nullo ma annullabile. Perché si configuri la minaccia occorre che ci sia un soggetto attivo che la eserciti di tale gravità da indurre chi la subisce a temere per se e per i propri beni. Non ha importanza se la minaccia derivi dall’altra parte del negozio giuridico o da terzi estranei allo stesso. Non è minaccia quella che induce a dover compiere un’azione di diritto ma solamente quella che induce a compiere un’azione ingiusta nel fine. La gravità del male minacciato si valuta secondo un duplice criterio: oggettivamente, tramite il calcolo del danno minacciato alle persone o alle cose, l’altro, soggettivo, è quello che valuta chi subisce la violenza. Quest’ultimo elemento è variabile in base a diversi fattori (sesso, età, condizione socio-economica, ecc.).
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• IL DOLO ( 3 ) Costituiscono tutti quei giri ed artifizi che portano il soggetto a compiere il negozio giuridico facendone trarre per se un profitto che in caso contrario non avrebbero portato alla realizzazione negozio giuridico. In questo caso la conseguenza è l’annullabilità del negozio giuridico compiuto illecitamente. Questa espressione, dolo, è da intendere come illecito inganno provocato ad un soggetto inconsapevole. Il dolo deve essere provocato da una parte del negozio giuridico o da un terzo di cui però l’altra parte ne sia a conoscenza (art. 1439 cod. civ.). L’errore è causa di annullabilità nei soli casi previsti dalla legge, mentre è causa di annullamento quando è determinato dal volere della parte. Nel caso del dolo incidente, cioè di quel dolo che porta ad aggravare i patti di un negozio che si sarebbe ugualmente compiuto, la sola conseguenza è il risarcimento degli eventuali danni provocati (art. 1440) e non sull’efficacia dell’atto giuridico. 3. LA FORMA La terza caratteristica essenziale e necessaria per un negozio giuridico è la forma con cui questo atto viene posto in essere. La manifestazione di volontà del negozio giuridico si manifestano: • tacitamente quando avviene non per forma scritta ma per atti dimostrativi della propria volontà (Es. la restituzione rappresenta una dichiarazione di rimessa, ecc.); • espressamente quando, invece, avviene tramite una forma scritta, o tramite parole o cenni che esprimano chiaramente la propria volontà (Es. testamento, contratto, ecc.). ogni dichiarazione, sia essa espressa che tacita, per essere valida richiede una certa conoscibilità ai terzi pena la nullità del negozio giuridico stesso. Questa conoscenza pubblica non deve essere richiesta dagli interessati ma deve essere gratuitamente data a tutti coloro che ne fossero richiedenti. Talora la forma particolare con cui si deve compiere un negozio giuridico è richiesto direttamente dalla legge tramite apposite norme (Es. il contratto di compravendite deve essere necessariamente scritto pena la nullità, ecc.). Comunque la regola generale prevede la libertà di forma del negozio giuridico (art.14 disp. prel. cod. civ.) e solo in casi eccezionali, per l’importanza rivestita o per situazioni specifiche, è richiesta una particolare forma dalla legge (art. 1350 cod. civ.) che il più delle volte è quella scritta. In altri casi la legge stessa prevede anche alla pubblicità dell’atto giuridico. La forma è stabilita dalla legge, ma in generale le parti godono della massima libertà di scelta che prevede un comune accordo per cui è possibile anche la forma non scritta, e soprattutto in campo commerciale, molti sono le forme di contrattazione orale (Es. contratti per adesione, ecc.).
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4. LA CAUSA La causa consiste nella funzione socio-economica che il negozio giuridico deve esplicare. Il potere di compiere gli atti giuridici alle porti deve trovare una giusta motivazione per il soddisfacimento degli stessi. La causa è il quarto elemento essenziale per la costituzione del negozio giuridico (art. 1325 cod. civ.). A giustifica un obbligo non basta la presenza di una promessa o di un’accettazione, ma occorre che tale attività sia accompagnata da una giusta ragione. Il testamento, ad esempio, diviene valido con il giungere della propria morte che ne costituisce la causa essenziale e senza la quale l’atto giuridico testamento non avrebbe senso ma soprattutto validità. Quindi la causa è elemento essenziale pena la nullità (Es. Tizio compra da Caio un libro già di sua proprietà, il negozio è nullo per mancanza di causa, ecc.). La causa non è da confondere con il motivo che è considerato lo scopo per il quale il negozio giuridico viene compiuto. Ad esempio. Una persona fa un acquisto (causa del negozio acquisto) per investire del denaro (motivo del negozio acquisto). In questo caso la causa del negozio giuridico costituisce la validità dello stesso mentre il motivo è lo scopo per cui il negozio giuridico viene a compimento. La causa, inoltre, è molto importante ed essenziale, oltre che per la validità del negozio giuridico stesso, anche per l’individuazione della tipologia di negozio. Una volta trovato il tipo di negozio giuridico, se questo è nominato (o tipico) , tra quelli previsti dalla legge, troverà la sua disciplina nel Codice Civile stesso, se, invece, è innominato (o atipico), troverà la sua disciplina in leggi speciali o confrontandolo con quelli previsti e conosciuti dal Codice. Pur essendo essenziale, la causa a volte può mancare del tutto per mantenendo valido il negozio giuridico che perciò si chiamerà negozio astratto (Es. la procura, ecc.). Questo però non vuol dire che pur senza causa il negozio è valido, sarebbe una contraddizione, ma lo diviene solo perché la causa è rintracciata solo in un secondo tempo. I negozi astratti sono solo quelli previsti dalla legge e nessun altro. Gli atti giuridici possono essere leciti o illeciti, ovviamente vietati e puniti dalla legge ed il confine di demarcazione tra le due fattispecie è il rapporto tra la volontà di chi li compie e gli effetti che questi producono. Il negozio giuridico illecito produce un proprio effetto involontario che è l’obbligo del risarcimento espressamente disposto dagli artt. 2043 e 2059 del cod. civ.. Illecito si definisce un negozio che ha per oggetto , causa o condizione un fatto contrario al buon costume, o all’ordine pubblico o alle norme imperative dell’ordinamento giuridico. Illecito è anche il negozio giuridico che abbia un motivo non conforme alle norme giuridiche sia esso disposto da una parte che da entrambe (Es. vendita di un locale da destinare ad un contra bonos mores) . Quando l’illiceità colpisce una parte non essenziale del negozio giuridico, non tutto l’atto giuridico cade ma rimane viva e salda la parte sana liberandosi esclusivamente della parte illecita. Quando, invece, l’illecito colpisce tutto il negozio o la gran parte di esso, è nullo l’intero atto giuridico.
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Il buon costume non è disciplinato e descritto da alcuna norma giuridica ma è l’insieme delle norme di comportamento sociale ed etico tramandati nel tempo come mores maiorum. Nei casi di illiceità i contratti non producono alcuna obbligazione tra le parti e nessun effetto giuridico tanto che chi ha offerto una prestazione ha il diritto di chiederne il rimborso (art. 2035 cod. civ.). Chi invece contribuisce alla realizzazione di un negozio giuridico contro il buon costume non ha alcun diritto di risarcimento o restituzione. In virtù dell’art.1344 cod. civ. si ha un contratto in frode alla legge quando si rispetta la legge ma se ne viola il contenuto (Es. evasioni fiscali, ecc.), quando, cioè, il contratto costituisce un mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa, pur nel rispetto formale della legge. In questo senso il contratto in frode alla legge si distingue dalla simulazione perché concorre la volontà di chi lo compie contro la mancanza di volontarietà di colui che simula. Così accade se per aggirare il divieto legale del patto commissorio (art. 2744 cod. civ.) il creditore acquista il bene dal suo debitore con la somma che quest’ultimo gli deve. La ratio del veto del patto commissorio è di duplice entità: 1. si vuole evitare che il debitore in un momento di bisogno si privi del proprio bene vendendolo ad un prezzo sicuramente inferiore rispetto al vero valore reale; 2. si vogliono tutelare gli altri eventuali creditori che vantano una prelazione di grado posteriore i quali hanno un comune interessi che la cosa venga venduta giudizialmente per potere anch’essi concorrere sul ricavato (pars condicium creditorum). In virtù di tale illecito, un contratto così stipulato costituisce elemento di nullità perché è viziato l’elemento causa in quanto illecita, e la ripetibilità delle prestazioni eseguite. Affinché un negozio giuridico sia nullo per illiceità è necessario: • che questo violi l’ordinamento giuridico con il proprio contenuto; • che ci sia l’intenzione dolosa di chi lo compie. Il contenuto del negozio giuridico può essere assai vario e complesso purchè non si violino le norme imposte dall’ordinamento giuridico tanto che i soggetti sono autonomi e liberi di fissare tutte le clausole che preferiscono per l’interesse proprio o di terzi (art. 1322 cod. civ.). La realizzazione degli interessi è possibile sia con la figura dei negozi giuridici tipici (o nominati), cioè quelli previsti e disciplinati dall’ordinamento giuridico e dal Codice Civile in particolare, sia da quelli atipici (o innominati), cioè non previsti dall’ordinamento giuridico ma comunque contenenti forme e figure tipiche dei negozi giuridicamente rilevanti.
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ELEMENTI ACCIDENTALI Oltre agli elementi essenziali che costituiscono il negozio giuridico, la pratica negoziale ne conosce altri, detti elementi accidentali e vengono anche definite clausole auto limitative. Possono essere posti, o meno, a seconda la volontà delle parti. Questi elementi, non obbligatori per la validità del negozio giuridico, sono:
1. CONDIZIONE A norma dell’art. 1353 del cod. civ. le parti possono vincolare il negozio giuridico a condizione di un particolare avvenimento futuro e incerto. L’atto esplica i suoi effetti solo se si verifica la condizione. La condizione può essere: -
volontaria se posta dagli stessi soggetti;
- legale se è posta dalla legge che fa dipendere la validità del negozio giuridico (Es. la morte nei confronti del testamento, ecc.). Gli avvenimenti presenti o passati non possono costituire una condizione. Dalla condizione si distingue la presupposizione che è quell’elemento che porta le parti alla conclusione di un determinato fatto giuridico considerando pacifica e determinante per la conclusione del negozio giuridico stesso, presente o futuro. In mancanza della presupposizione il negozio giuridico è nullo. La presupposizione può venire a mancare in un secondo tempo determinando la risoluzione del contratto ex Tunc (Es. chi prende in locazione una finestra per assistere ad una manifestazione non rimane obbligato se la manifestazione non avverrà più, ecc.). L’evento posto a condizione, oltre che futuro deve anche necessariamente essere incerto. Esempio: 1. il giorno di nozze di Tizio = condizione 2. quando morirà Tizio = termine di tempo La condizione, secondo gli effetti che provoca sull’atto giuridico, può essere considerata: - sospensiva quando mirano a sospendere gli effetti del negozio giuridico fino all’avverarsi della condizione (Es. ti darò 100 quando arriverà la nave, ecc.); - risolutiva quando tolgono di mezzo il negozio giuridico all’avverarsi dell’evento (Es. ti vendo il fondo ma se la nave non arriva ritorna a me, ecc.). In base alla causa produttrice, le condizioni si distinguono in :
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- potestative quando la volontà di un evento dipende da una sola parte (Es. ti vendo il libro se decido di fare l’esame, ecc.); - causali quando il fatto dipende dal caso o da terzi (Es. ti darò 100 se arriva la nave, ecc.); - miste quando sono prodotte dalla volontà del soggetto autore e da un elemento estraneo (Es. ti darò 100 se l’esame andrà bene). Infine si distinguono le condizioni lecite da quelle illecite, quelle possibili da quelle impossibili (giuridicamente o fisicamente). I negozi giuridici tra i vivi sono nulli se impossibili o illeciti, mentre quelli mortis causa sono nulli per rimanendo validi gli atti per l’impossibilità di far ripetere il negozio giuridico correttamente all’autore morto. 2. TERMINE Il termine è un momento di tempo nel quale incominciano o hanno fine determinati effetti giuridici. A differenza della condizione che rimane una clausola incerta, il termine è caratterizzato da una data e da un momento ben preciso collocato nel tempo. Esempio: 1. Quando ti sposerai …. = termine 2. Se ti sposerai … = condizione Chi paga un’obbligazione prima del termine, conseguentemente, è tutelato a farlo e si svincola dalla propria obbligazione, mentre chi effettua un pagamento prima della condizione, non ha motivo per farlo ed è tutelato a ricevere la restituzione di quanto già ingiustamente dato. Il termine esplica i suoi effetti ex Nunc per cui non annulla gli effetti prodotti prima. Il termine, dal punto di vista temporale, può essere: - iniziale se pone un inizio ad un effetto giuridico (Es. procura, ecc.); - finale se pone una fine ad un effetto giuridico (Es. revoca della procura, ecc.). Quando il periodo di tempo è passato si ha la scadenza del termine che comporta tutte le relative ed inevitabili conseguenze giuridiche. Invece durante il periodo necessario per il suo compimento si dice che il termine scorre. Il termine può essere applicato dalle parti in comune accordo come semplice clausola e come tale avere forza di legge tranne che nei casi previsti dalla legge o per i negozi
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giuridici puri. Nel caso in cui il termine non venga specificato, la risoluzione dell’obbligazione sorta dal negozio giuridico può essere chiesta subito. Il termine può essere richiesto ed essere interessante e d’aiuto per una parte o per entrambe di comune accordo. Se questo non viene specificato, però, si intende a favore del debitore che può, in questo caso, pagare il suo debito prima del termine stesso fissato. Stessa cosa vale per il creditore quando il termine viene posto a proprio vantaggio. Il Codice Civile, però, a norma dell’art.1186 tutela il creditore che in caso di immediato ed improvviso pericolo delle proprie garanzie o per minaccia al proprio diritto di soddisfacimento, può chiedere l’immediato pagamento del credito anche prima di un eventuale termine pre-impostato, ed in particolare nei seguenti casi: - per diminuzione delle garanzie (Es. distruzione della casa ipotecata, ecc.); - per mancata prestazione delle garanzie promesse (Es. alienazione ad altri della casa da ipotecare, ecc.); - per sopraggiunta insolvenza del debitore (Es. fallimento, ecc.). Importante, infine, è il concetto di termine essenziale cioè di quel solo momento in cui è possibile eseguire la prestazione e mai più dopo (Es. consegna di un vestito in occasione di una cerimonia, ecc.). 3. MODUS È un onere imposto dall’autore del negozio giuridico al beneficiario. La sua presenza non modifica gli effetti giuridici ma ne aggiunge altri nuovi. La sua apposizione, solitamente, non è di utilità ai soggetti che lo hanno creato ma a terzi o per scopi di pubblica utilità (Es. Tizio vende una casa e impone al nuovo inquilino di dare da mangiare agli uccelli ogni giorno, ecc.). Il modus si distingue dalla condizione perché è un atto volitivo accessorio al negozio giuridico stesso tanto che immediata rimane la disposizione principale senza che il modus, accessorio, ne costituisca elemento di validità. Invece non la condizione si crea un elemento di dipendenza. Il modus illecito o impossibile è nullo pur rimanendo valida la disposizione principale. Chiunque ha interessi o motivi può agire per ottenere l’adempimento dell’onere. Alcuni negozio giuridico non ammettono queste clausole e per questo motivo vengono definiti negozi giuridici puri e sono molto frequenti in materia di diritto familiare (Es. matrimonio, adozione, ecc.). Altri atti prevedono la mancanza di soli alcuni di queste clausole (Es. la cambiale ha un termine ma non la condizione, ecc.). PATOLOGIE DEL NEGOZIO GIURIDICO Il Codice Civile prevede e disciplina una serie di cause diverse che portano alla nullità del negozio giuridico. Alcuni vizi si trovano nella parte costitutiva dell’atto stesso, altri nel successivo funzionamento. Per questo il negozio giuridico talora non produrrà alcun effetto e talora lo farà solamente in parte.
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In alcuni casi il negozio giuridico non si annulla ma rimane valido prevedendo, però, una penna consecutiva, così da definirlo negozio giuridico irregolare (art. 1419-1420-1446 cod. civ.). Un negozio giuridico viziato può essere nullo o annullabile. 1. LA NULLITA’
E’ nullo un negozio giuridico che non è in grado di esplicare i propri effetti giuridici tipici. La nullità è la forma più grave in assoluto di invalidità del negozio giuridico tanto che le parti potrebbero comportarsi come se l’atto giuridico non fosse mai venuto alla luce. La nullità può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse ed ha effetti anche nei confronti di terzi. A norma dell’art. 1418 cod. civ. il negozio giuridico è nullo quando manca anche uno solo degli elementi essenziali del negozio stesso, o quando sia contrario a norme imperative o comunque illecito. Non è necessario che la sanzione di nullità, al contrario dell’annullabilità, sia testualmente contenuta nel negozio giuridico ma può anche essere virtualmente implicita nello stesso (Es. violenza fisica = mancanza di volontà, ecc.) ed essere richiesta d’ufficio dal giudice. Le cause di nullità del negozio giuridico possono essere: - Riguardo al soggetto: Mancanza di capacità giuridica dei soggetti; - Riguardo alla volontà: Mancanza di intenzione o di serietà o violenza fisica; - Riguardo alla forma: Mancanza della forma richiesta; - Riguardo alla causa: Causa o motivo illecito; - Riguardo al contenuto: Oggetto mancante, illecito o impossibile. La nullità è imprescrittibile (art. 1422 cod. civ.), insanabile ed ha valore retroattivo (ex Tunc); 2. L’ANNULLABILITA’
Per alcuni casi la sanzione di nullità risulta essere eccessivamente gravosa per quanto riguarda i relativi effetti giuridici dell’atto. In tali casi alla nullità si sostituisce l’annullabilità che consiste nel prolungamento della vita di un atto giuridico in maniera regolare riconoscendo, però, la potestà di un soggetto, di chiedere ed ottenere l’annullamento con i relativi effetti retroattivi (ex Tunc). L’annullabilità è una sorta di momento di pendenza che si protrae fino al giungere del termine di prescrizione per l’azione di annullamento. Solo dopo tale termine l’atto si convalida sin dall’inizio come se fosse nato senza alcun vizio. La situazione di pendenza può essere sanata, però, tramite: - la prescrizione dell’azione di annullamento (5 anni);
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- la convalida dell’atto giuridico in questione; - l’annullamento dell’atto giuridico in questione. La convalida può essere fatta tacitamente se si eseguono volontariamente tutti i comandi dell’atto giuridico o espressamente se si dichiara l’intento di sanare l’atto in causa pur conoscendo le cause di invalidità. L’annullamento è possibile solamente per i casi previsti dalla legge e solo quando uno degli elementi essenziali del negozio giuridico è viziato. L’annullabilità, a norma dell’art. 1425 cod. civ., si ha nei casi riguardanti i soggetti (incapacità di agire) e la volontà (vizi del volere). Questi sono i casi generali di annullabilità. Esistono, poi, anche altri casi specifici per situazioni varie cui il Codice Civile disciplina in maniera non organizzata ma di qua e di la per il testo (Es. contratto concluso dal rappresentante con palesi contrasti di interesse con il rappresentato). PRINCIPALI DIFFERENZE TRA NULLITA’ E ANNULLABILITA’ L’annullamento dell’atto deve essere chiesto solamente da chi è legittimato a farlo, cioè da colui per il quale l’interesse è stato stabilito, o dai suoi eredi o da un legale rappresentante, mentre, al contrario, la nullità opera sempre per diritto tramite il giudice su istanza di chi chiunque ne abbia interesse o per ufficio. Esistono, inoltre, dei casi in cui l’annullabilità è assoluta e può essere richiesta da chiunque ne abbia interesse, così come avviene sempre di regola per la nullità. Questi casi sono tutti quelli prodotti dalla volontà non giuridica dell’interdetto, in alcuni casi di matrimonio o in altri casi di testamento. L’azione di nullità, a norma dell’art. 1422 cod. civ., è imprescrittibile, mentre quella di annullamento, a norma dell’art. 1442 cod. civ., si prescrive dopo un termine di 5 anni. La pronunzia di nullità ha effetti contro tutti se dipende da un’incapacità legale del soggetto mentre in tutti gli altri casi l’azione non è opponibile a terzi che hanno agito in buona fede acquistando diritti da colui contro il quale l’annullamento è pronunziato (art. 1445 cod. civ.). Una regola in comune alla nullità e all’annullabilità è di vitale importanza: tutto ciò che è stato fatto e dato nei due casi è completamente risarcibile e restituibile. Secondo un così detto principio di conservazione del negozio nullo, il legislatore ha voluto palesemente dimostrare che è preferibile rispettare quanto pattuito in un obbligazione anche se costituita irregolarmente. Infatti, a norma dell’art. 1424 cod. civ. un contratto nullo produce gli effetti di un contratto diverso valido rendendo validi gli effetti giuridici prodotti, a condizione che le parti avessero scelto il contratto valido in luogo di quello nullo se avessero saputo della nullità. Inoltre secondo il principio dell’affidamento, se la dichiarazione di volontà di chi compie un negozio giuridico diverge dal proprio interno volere, ma colui cui è destinato il negozio sconosce della divergenza, l’atto giuridico rimane valido; è invalido se, invece, la controparte conosceva, o era in grado di farlo, la divergenza. Esistono anche dei negozi giuridici che acquistano la loro efficacia solo in un secondo tempo (Es. il testamento dopo la morte, ecc.) e che per tale motivo vengono definiti ad inefficacia temporale.
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Inoltre esistono anche i negozi che hanno un inefficacia relativa a soli determinati soggetti. RESCISSIONE È un istituto di tutela degli interessi che possono venire lesi dalla presenza di un atto giuridico. Il negozio colpito da rescissione non è colpito da vizi negli elementi costitutivi ma subisce le stesse conseguenze di quelli nulli o annullabili. La rescissione ha valore tutelare in tutti i casi in cui una parte, consapevole dello stato di bisogno o di necessità dell’altra, ne approfitta stipulando con la stessa un negozio giuridico a proprio ed unico vantaggio abnorme. Il negozio rescindibile non può essere convalidato con un atto di volontà del soggetto che lasci perdurare lo stato di squilibrio tra le due parti (art. 1451) ma tramite un atto che ristabilisca il livello medio dei valori tra le due parti è in grado di sanare la situazione a norma dell’art. 1450 cod. civ.. L’azione di rescissione si prescrive in un anno e produce gli stessi effetti dell’azione di annullamento e cioè liberando le parti da ogni tipo di obbligazione convenuta e obbligando alla restituzione chi ha già avuto un pagamento in forza del negozio giuridico rescisso. I casi di rescissione generali sono due e più precisamente:
1. l’art. 1447 disciplina l’ipotesi in cui un soggetto abbia assunto l’obbligazione con un altro soggetto sotto un grave stato di pericolo noto alla controparte che per tale motivo approfitta della conclusione del negozio giuridico stesso (Es. Tizio sta per affogare e promette tutto ciò che Caio gli chiede per salvarlo); 2. l’art. 1448, invece, disciplina il caso in cui una persona che si trova in un grave stato di bisogno accetti di concludere un negozio giuridico nel quale il valore della sua prestazione sia sproporzionato con quello della controparte che consapevolmente approfitta della situazione giuridica per i propri interessi. ATTI ILLECITI Il Codice Civile, dall’art. 2043 all’art.2059, disciplina il fatto illecito definendolo fonte di lesione dei diritti assoluti altri e fonte di obbligazione di risarcimento del danno provocato (responsabilità extracontrattuale ). L’art. 1218 e seguenti del Codice Civile, invece, definisce illecito la non osservanza delle precedenti obbligazioni (responsabilità contrattuale). In materia di fatti illeciti, come abbiamo già accennato, il più importante articolo del Codice Civile è l’art. 2043 che rappresenta al tempo stesso una clausola generale dell’ordinamento giuridico Civile. Gli elementi costitutivi del fatto illecito sono:
1. il fatto illecito 2. il danno ingiusto 3. rapporto di causalità fra fatto e danno (elementi oggettivi) 35
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4. dolo o colpa (elementi soggettivi) L’ingiustizia del danno viene considerata dalla dottrina come la lesione di un diritto assoluto valevole erga omnes. Dallo studio dell’illecito Civile deve rimanere ben distinto quello penale che rimane una fattispecie di danno molto diverso. Con la legislazione Civile si vogliono tutelare le situazioni giuridiche private mentre con l’ordinamento giuridico penalistico si vuole tutelare un interesse pubblico. Tuttavia esistono alcune situazioni dove oltre al danno penale si arreca anche un danno Civile contemporaneamente per cui in un processo penale, affianco al Pubblico Ministero, che accusa pubblicamente l’imputato rappresentando lo Stato, esiste anche una Parte Civile che, costituendosi preventivamente al processo, insiste sull’accusa dell’imputato in questione per cercare di essere tutelato secondo un illecito Civile e chiedere quindi il risarcimento del danno subito (pretium doloris). Una differenza molto importante con il Codice Penale è quella che mentre in quest’ultimo è solo reato, e per questo punibile, ciò che è descritto e previsto dal Codice Penale stesso nelle singole e specifiche fattispecie, nel Codice Civile, invece, illecito, che corrisponde al reato penale, sono tutte quelle azioni che recano un danno senza che vengano specificate come fattispecie dal Codice Civile stesso e proprio per questo rappresenta, l’art. 2043, una clausola generale dell’ordinamento giuridico Civile dove rientrano tutte le possibili ed immaginabili situazioni di danno. Esistono, anche, situazioni che rappresentano esclusivamente un reato penale ma non un illecito Civile (Es. delitti contro la personalità dello Stato, ecc.). L’art. 75 Cod. Proc. Civ. stabilisce che un illecito Civile è giudicato in un processo Civile se non è implicito in un reato penale e quindi trasferito in sede penale. Tuttavia una sentenza penale contiene anche la sentenza Civile che regola l’azione risarcitoria. Normalmente si risponde del danno che sia prodotto da attività: ingiusta, dolosa e colposa. L’atto giuridico illecito è composto: - dal fatto materiale, - dall’antigiuridicità, - dalla colpevolezza. 1. IL FATTO
Il concetto di fatto corrisponde al comportamento del soggetto che può consistere nell’azione di fare o non fare, cioè di comportamenti omissivi o commissivi, causa di eventi dannosi. 2. L’ANTIGIURIDICITA’
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Non ogni fatto che rechi danno è oggetto di responsabilità giuridica con conseguenza di risarcimento. Questo fatto deve necessariamente essere contrario alle norme imperative del Codice Civile e proprio per questo l’art. 2043 parla di danno ingiusto. Perciò è necessario che sia un danno da risarcire e che sia contrario all’ordinamento giuridico ledendo un diritto. In certe situazioni la violazione della norma può essere eccezionalmente violata solo quando il danno è recato per legittima difesa (art. 2044 cod. civ.) e per stato di necessità (art. 2045 cod. civ.) 3. LA COLPEVOLEZZA
Oltre che antigiuridico, l’atto, per essere definito illecito, deve avere origine colposa. Presupposto che la colpevolezza è elemento essenziale per l’imputazione, chi non è capace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto illecito non è imputabile e quindi responsabile (art. 2046 cod. civ.), sempre che lo stato di incapacità non sia volutamente provocata dal soggetto stesso (Es. stato di ubriachezza, ecc.). Quando è l’incapace di intendere e di volere a compiere l’atto illecito, direttamente responsabile, a norma dell’art. 2047 cod. civ., è colui che aveva avuto la sorveglianza dell’incapace stesso. Distinguiamo nella colpevolezza: - il dolo (atto illecito doloso) quando la lesione si è compiuta con coscienza e volontà del fatto lesivo; - la colpa (atto illecito colposo) quando l’atto viene compiuto per negligenza, imprudenza e imperizia. Si evita la colpevolezza quando l’evento è provocato da causa esterna al soggetto, causa che si trova spesso nel caso fortuito o nella forza maggiore. Come abbiamo già detto si possono avere due fattispecie di illiceità: 1. illiceità contrattuale a norma dell’art. 2043 e seguenti (detto anche acquiliano) che riguarda tutti (erga omnes) e ogni fatto della vita sociale del soggetto; 2. illiceità extracontrattuale che riguarda esclusivamente le obbligazioni intercorrenti tra due o più parti che hanno già stipulato un negozio giuridico e che a norma dell’art. 1218 non ne possono che rispettare i termini pattuiti di comune accordo. In tutte e due i casi la conseguenza prodotta dall’ordinamento giuridico è l’ azione risarcitoria dei danni prodotti. Non bisogna, però, cadere in errore nel definire l’illecito contrattuale che non è solo quello che intercorre tra le parti a seguito di un contratto ma generalmente quello che viene creato da un negozio giuridico qualsiasi tramite un obbligazione. Ad esempio: Se Tizio provoca un danno in un incidente stradale a Caio (illecito extracontrattuale) deve risarcire i danni tramite una sentenza del giudice vincolante fra le parti. Se, poi, Tizio non paga a Caio il risarcimento che il giudice ha ordinato si provocherà un’ulteriore fatto 37
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illecito (illecito contrattuale) provocato dal non rispetto delle obbligazioni prodotte dalla sentenza di risarcimento del danno iniziale. La differenza tra le due fattispecie di illeciti è molto importante perché da questa dipende la regola delle prove da applicare: 1. nel primo caso (illecito contrattuale), esiste una presunzione di colpa per cui il debitore deve dimostrare di non dover essere imputato per il fatto illecito; 2. nel secondo caso (illecito extracontrattuale), il debitore non deve difendersi da nulla ed è chi pretende il risarcimento che deve dimostrare la colpevolezza della controparte che afferma essere l’autore del fatto illecito. Inoltre, per quanto riguarda la prescrizione: 1. per quanto riguarda gli illeciti contrattuali il termine è di 10 anni (termine ordinario); 2. per quanto riguarda gli illeciti extracontrattuali il termine è di 5 anni. FATTISPECIE GENERATRICI DI RESPONSABILITA’
• Responsabilità per gli incapaci: Si parla di culpa in vigilando quando la responsabilità è attribuita al soggetto tenuto alla sorveglianza di coloro che sono incapaci di intendere e di volere. A riguardo l’art. 2047 cod. civ. dice che è responsabile delle azioni compiute da chi non è in grado di intendere e di volere chi ha la tutela, mentre l’art. 2048 cod. civ. dice che è responsabile, quando commette un illecito un minorenne, oltre al soggetto stesso, anche il genitore o chi ne ha la tutela. In questi casi chi responsabilmente ha la tutela del minore o dell’incapace può evitare le dovute conseguenze se prova di non aver potuto fare nulla per evitare il fatto illecito. • Responsabilità per danni da cose: Sempre più importante è la responsabilità di colui che possiede una cosa, anche di non sua proprietà, per i danni che questa potrebbe provocare. A tal proposito l’art. 2051 cod. civ. parla di danni da cose in custodia • Attività pericolose: L’art. 2050 cod. civ. pone a carico di chi agisce, per vari motivi, con attività o cose pericolose una colpa presunta oggetto di eventuale risarcimento in caso di provocazione di danno a terzi se non prova di aver adottato tutte le possibili misure di sicurezza per evitare il danno • Responsabilità oggettiva:
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I datori di lavoro sono colpevoli dei danni provocati dai propri dipendenti nell’esercizio delle loro funzioni lavorative. Si definisce tale responsabilità oggettiva perché essa non presuppone la presunzione di colpa del colpevole, che poteva anche non conoscere le origini e le motivazioni del danno cagionato, ma che comunque è responsabile in quanto proprietario o altro. Chi trae vantaggio da una situazione ne risponde anche degli svantaggi. Questa responsabilità è anche chiamata “ responsabilità da rischio lecito ”. • Responsabilità del Dominus e del produttore: I danni provocati sul posto di lavoro sono a responsabilità del datore di lavoro imprenditore e sono risarcibili sia al soggetto vittima dell’infortunio sia alla propria famiglia. In questo caso non è possibile la prova liberatoria proprio perché si deve rispondere al criterio secondo il quale se si è scelti dei collaboratori per la propria attività lavorativa si deve anche rispondere per loro. Sotto tale disciplina è regolato anche il danno del produttore che reca al cliente che consuma il suo prodotto contenenti vizi di natura economico-produttivi. • Responsabilità delle persone giuridiche: I concetti fino ad ora esposti in campo di responsabilità Civile non possono essere applicati in materia di persone giuridiche. Come abbiamo detto a suo tempo la responsabilità dell’Ente non è dei singoli associati, così come avverrebbe nei casi delle Associazioni non riconosciute, mas propria dell’Ente con tutela a norma dell’art. 2043 cod. civ.. tale responsabilità, ovviamente, si estende alle azioni fatte dai rappresentanti organi (persone fisiche) che, in nome e per conto dell’Ente stesso, agiscono ovviamente entro i limiti istituzionali loro conferiti. • Responsabilità in tema di stampa: La legge speciale in materia di stampa, oltre che l’autore, considera come civilmente responsabile anche l’editore ed il proprietario della pubblicazione in questione. • Responsabilità da circolazione stradale: Una forma di particolare importanza e gravità di responsabilità Civile è quella della circolazione stradale di veicoli prevista dall’art. 2054 cod. civ.. Il conducente di un’automobile, di una bicicletta o di un carretto è obbligato dalla legge a risarcire quanto dovuto per danni a perone e cose se non dimostra di aver fatto tutti il possibile per evitare il danno prodotto. La responsabilità in questione è necessariamente dovuta solo quando il veicolo circola su aree adibite al traffico con l’unica eccezione delle rotaie. Norme particolari in materia sono contenute nel Codice della Strada appositamente formulato e sicuramente molto più specifico dell’art. 2054 del Codice Civile. Oltre alla responsabilità del conducente, grava anche sul proprietario una responsabilità oggettiva tranne nel caso in cui dimostri che la circolazione del veicolo sia avvenuta contro la sua volontà. 39
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In caso di scontro fra due veicoli si presume che la colpa sia pari fra le due parti. Inoltre l’ordinamento giuridico considera responsabile il proprietario dei danni di costruzione o manutenzione che difficilmente potrebbero essere risarciti dalla fabbrica del veicolo e difficilmente potrebbe aprirsi un contenzioso tra il danneggiato e la grande impresa costruttrice. Particolare attenzione dobbiamo dare all’analisi dell’entità del danno cagionato, perché da questa analisi si stabiliscono i risarcimenti. Il diritto a ricevere un risarcimento per danni è un diritto inviolabile e si noti che risarcito può anche essere chi non si è direttamente colpito con l’azione di danno. Il risarcimento è un diritto da pretendere perché con la lesione si viola un interesse che non è solamente patrimoniale come la distruzione di un bene ma può essere anche e soprattutto fisica o morale. In campo patrimoniale ci sarà un danno che provocherà una diminuzione del patrimonio o un mancato guadagno, entrambi da risarcire economicamente in proporzione. Il calcolo del risarcimento, cioè, non si fa soltanto per il valore della cosa eventualmente distrutta (danno reale) ma anche per le eventuali conseguenze, patrimoniali e non, riportate. Il danno viene calcolato e risarcito con equità dal giudice Civile con sentenza a norma dell’art. 2056 e 1226 cod. civ.. in caso di concorso di colpa tra l’autore del danno e la vittima, l’art. 1227 cod. civ. prevede una diminuzione della somma da risarcire comunque alla vittima del danno stesso. La determinazione del danno risarcibile è uguale sia per l’illecito contrattuale che per quello extracontrattuale con una sola differenza dettata dall’art. 1225 cod. civ.: 1. nei danni da illecito contrattuale si distinguono i vari gradi di colpevolezza del soggetto: se ha agito con dolo risponderà di tutti i danni prevedibili e non prevedibili, se, invece, ha agito con colpa, risponderà dei danni provocati esclusivamente prevedibili al momento del quale è sorta l’obbligazione; 2. nei danni, invece, da illecito extracontrattuale, si risponde per tutti i danni provocati senza distinzione alcuna. Qualunque sia il tipo di risarcimento, questo tende a mettere il patrimonio della vittima del danno nella stessa situazione in cui si trovava prima del compiersi del danno stesso. L’art. 2059 cod. civ. prevede come risarcibile anche tutto ciò che non provoca danni patrimoniali esclusivamente limitato ai casi previsti dalla legge. Il Codice, quindi, disciplina come risarcibili i danni che provocano lesioni morali solo nei casi in cui l’origine del danno provochi un reato penale (art. 185, 186 e 187 cod. pen.), distinguendo così la specificità di questa norma con la generalità dell’art. 2043 cod. civ.. Ovviamente il risarcimento ex art. 2059 non può essere paragonato a quello ex art. 2043, in quanto nel primo caso il risarcimento rappresenta il pretium doloris, cioè un risultato satisfatorio, mentre nel caso dell’art. 2043 la funzione è di corrispettivo. Nelle idee riparatrici va anche la pubblicazione nei maggiori giornali di qualche sentenza di condanna (art. 186 cod. pen.). Molto importante, negli ultimi anni, è diventato il danno alla persona, che oltre ad avere delle tutele a livello costituzionale, può essere accorpato tra i casi di danno risarcibile dell’art. 2059, in quanto danno non a cose patrimoniali, e dell’art. 2043, in quanto un danno alla propria persona non è solamente un danno fisico ma anche patrimoniale limitando moltissimo soprattutto la funzione produttiva del soggetto. 40
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Oltre al danno alla persona si sta sempre più diffondendo il danno biologico cioè quella fattispecie che prevede un danno psicofisico causato da lesioni somatiche, psichiche, ecc. indipendentemente dalla diminuzione patrimoniale che si subisce. Questo tipo di danno si presenta come indipendente da ogni eventuale posizione sociale, economica o lavorativa che ricopre il soggetto interessato e valutabile allo stesso modo. In alcuni casi il giudice, a norma dell’art. 2058, può disporre, eventualmente se questo non grava eccessivamente sul soggetto causa del danno, invece che risarcire il danno causato, il risarcimento in forma specifica , cioè ordinando di reintegrare in natura la precedente situazione come nel caso dell’acquisto della cosa distrutta o della riparazione della cosa danneggiata. Quando questo tipo di condanna, però, per esigenze di mercato o per situazioni particolari non è possibile per l’eccessiva gravosità per il soggetto debitore, il giudice può disporre l’alternativa del risarcimento per equivalente. A norma dell’art. 2055 cod. civ. se più persone hanno concorso alla fatto illecito, ognuna risponde per il danno solidamente con le altre. La prescrizione dell’azione di risarcimento avviene dopo cinque anni dal giorno dell’avvenimento dannoso, cioè dal giorno in cui l’avvenimento illecito si è manifestato alle vittime dello stesso. PROVA DEI FATTI GIURIDICI Quasi sempre, l’esistenza di un fatto giuridico ha valore concreto qualora si riesca a dimostrarne l’effettiva esistenza. Basta questa definizione molto semplice per capire quanto importanza abbiano le prove nel mondo del diritto. Davanti il giudice è la stessa cosa non avere un diritto o non poterlo dimostrare. I mezzi di prova sono: le persone e i fatti. Essi si possono considerare staticamente (Es. ispezione di un documento, ecc.) o dinamicamente (Es. interrogazione di un testimone, giuramento, ecc.). I fatti devono essere provati dalle parti e in relazione a questi il giudice applicherà le relative norme in materia e deciderà secondo giustizia. Le parti possono anche consigliare ed indicare il giudice circa le norme da utilizzare e valutare fermo restando che quest’ultimo ha un piena autonomia decisionale e di lavoro in generale. Rimane comunque ferma la teoria sull’ onere delle prove che vede in ogni caso l’attore come unico ricercatore di prove per dimostrare il diritto che rivendica e di cui chiede giustizia. Tuttavia la controparte, per cercare di difendersi ed ottenere allo stesso modo giustizia, deve ricercare altre prove che sconfiggano ed annullino le prime. Quindi riassumendo l’azione di accusa e di difesa delle parti in un procedimenti giudiziario è basato sulla ricerca e presentazione al giudici delle relative prove che giustifichino le proprie pretese e dimostrino la propria ragione. Il giudice, prima di ammettere l’assunzione della prova, deve:
1. verificare che la prova non si a contraria alla legge; 2. verificare che la prova sia concludente per i fatti. Le prove si differenziano in:
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1. precostituite che sono quelle che si preparano direttamente al momento della realizzazione del negozio giuridico (Es. atto scritto della compravendita, ecc.); 2. semplici che sono quelle che si assumono al momento del processo (s. testimonianza, ecc.). Solitamente il giudice accoglie le prove e le considera secondo la propria preparazione giuridica e secondo il proprio apprezzamento e convincimento. In altri casi, invece, il giudice è direttamente obbligato dalla legge (art. 116 cod. proc. civ.) a considerare certe prove in certe situazioni in determinati modi. In questi casi si parlerà di prova legale (Es. effetti della data di un documento, ecc.). Un criteri di vitale importanza dice che un soggetto tramite la testimonianza non può costituire una prova a favore di se stesso. La PRESUNZIONE è la prova per eccellenza e consiste nel portare a conoscenza dei fatti ignoti partendo dalla conoscenza di fatti noti (Es. dal fatto che siano passati diversi giorni dal momento in cui si potevano pretendere i pagamenti, e visto che il pagamento di un debito avviene entro poco tempo, si trae la presunzione che il pagamento è già stato fatto). La presunzione si dice: - legale se è la legge che imperativamente stabilisce ad un fatto valore di prova in relazione ad un altro fatto; - semplice quando non sono lasciate alla volontà della legge ma dell’uomo giudice e alla sua prudenza.. Le presunzioni legali si distinguono in: - assolute se non ammettono alcuna prova in contrario; - relative se l’interessato è in grado di dimostrare il contrario a quanto si presuma. Fra le principali fonti di prova precostituite possiamo ricordare: 1. l’ATTO PUBBLICO.
E’ il documento redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, competente a riceverlo sia per materia che per territorio e personalmente capace. Esso deve essere steso sotto tutte le formalità di legge pena la nullità dell’atto stesso (art. 2699). L’ufficiale pubblico di generale competenza è il notaio, mentre gli altri pubblici ufficiali hanno una competenza settoriale (Es. segretari dei Comuni o di pubbliche amministrazioni, ecc.). Mancando un requisito di forma, di capacità o di competenza del pubblico ufficiale, l’atto non sarà pubblico ma verrà automaticamente dalla legge convertito in scrittura privata delle parti (art. 271 cod. civ.). Fra le prove gli atti pubblici hanno grande importanza ed efficacia tanto che hanno valore erga omnes. 42
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L’atto pubblico, nel suo contenuto, può essere viziato o simulato ed in questo caso si applicheranno le già viste regole di validità dei negozi giuridici. 2. la SCRITTURA PRIVATA. Una scrittura privata è un documento di parte fatta dai soggetti interessati e dagli stessi firmata. La scrittura fa piena prova da quando venga accertata l’autenticità della firma. Importante è ricordare che in una scrittura privata le parti non possono scrivere nulla a favore dei propri interessi ma solamente contro. Nel caso in cui la scrittura riguardi due parti, questa avrà valore integrale inter partes. Davanti a terzi, quando la data non risulta dall’autenticazione della firma, questa verrà accertata dalla registrazione all’ufficio del registro o da un evento accaduto in un precedente giorno a quello della stipula della scrittura privata. Il Codice Civile indica anche quali sono le scritture private in campo commerciale che un imprenditore deve conservare per non meno di dieci anni, anche in fotocopia. Nel caso di alcune registrazioni commerciali private l’imprenditore ha la possibilità di utilizzarle per i propri interessi costituendo, così, prova per se stesso, derogando il fondamentale principio. Tra le prove semplici , ricordiamo:
1. la PROVA TESTIMONIALE. La prova per testimoni consiste nell’assumere notizie da estranei presenti al fatto o che ne abbiano udito notizie utili. La legge, specialmente in tema di contratti, limita l’utilizzo di prove per testimoni per la scarsezza di onestà, di fiducia e di memoria della gente. I testimoni possono contribuire solo su concessione del giudice. Possono, inoltre, essere chiamati a testimoniare anche minori e mai le parti interessate o coinvolte nel giudizio. 2. la CONFESSIONE. Consiste nel riconoscimento della verità di uno o più fatti sfavorevoli per il soggetto confessore che ne ammette l’esistenza e favorevoli per la parte opposta. Non è importante che il soggetto sia cosciente delle conseguenze anche negative che la confessione porterebbe, basta la consapevolezza del contenuto della stessa. La confessione è irrevocabile e può essere invalida solo per violenza o per errore di fatto. Può essere giudiziale, se fatta davanti al giudice in occasione di un interrogatorio formale o spontaneamente, o stragiudiziale se fatta da una parte all’altra ha lo stesso valore della giudiziale, mentre se fatta a un terzo o è contenuta in un testamento può essere valutata liberamente dal giudice. 3. il GIURAMENTO. È la prova che viene fatta in estremità in mancanza di ogni altra prova durante un giudizio Civile. Per conoscere circa la verità di alcuni fatti ci si rivolge alla coscienza morale del soggetto. 43
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Il giuramento è prestato direttamente dalla parte con formula in piedi dinanzi al giudice il quale prima avverte sull’importanza dell’atto e sulle conseguenze penali della dichiarazione falsa. Il falso giuramento è punito come reato (art. 371 cod. pen.). Per la chiamata a giurare occorre la capacità ad agire. Il giudice deve attenersi al risultato della dichiarazione. Esistono due diverse forme di giuramento: decisorio, se questo giuramento serve a porre una decisiva volontà del giudice circa il caso Civile in oggetto al giudizio, e suppletorio se la versione di un testimone, pur essendo ricca di particolari, non convince pienamente il giudice che può chiedere questo tipo di giuramento per confermare la veridicità dei fatti raccontati affidandosi al buon senso e alla moralità del teste. LA PUBBLICITA’ DELL’ATTO GIURIDICO La pubblicità è quella particolare procedura che mira a portare a conoscenza di terzi gli atti giuridici e i loro contenuti. Con tale sistema di pubblicità l’ordinamento giuridico porta a tutelare sia il soggetto interessato che i terzi tramite un adeguato sistema di informazione. In alcuni casi non basta la presenza di tutti gli elementi costitutivi del negozio giuridico affinchè questo abbia valore ma questo deve anche essere pubblico a tutti, cioè a tutti conoscibile. Per i beni mobili si applica il principio della pubblicità di fatto cioè del possesso che ognuno di noi ha di una determinata cosa e che fa pensare agli altri soggetti che la cosa è già nostra senza bisogno di alcuna forma di pubblicità. Per i beni immobili, invece, e per quelli mobili registrati, è necessario che si utilizzi la procedura di pubblicità della trascrizione. La TRASCRIZIONE si applica per la pubblicità dei beni mobili registrati e per tutti i beni immobili ed è disciplinata nel libro sesto del Codice Civile nella parte dedicata alla tutela dei diritti. L’art. 2643 cod. civ. prevede l’obbligo della Trascrizione per tutta una serie di atti che si riferiscono alla proprietà immobiliare. La trascrizione ha come fine diversi risultati:
1. Prima di tutto ha l’esigenza di creare e gestire un quadro giuridico generale delle proprietà dei soggetti nel corso del tempo. A tal proposito è molto importante il principio della continuità che a norma dell’art. 2650 cod. civ. costituisce un momento molto importante della vita giuridica e commerciale dei soggetti. Questi infatti, tramite la trascrizione, creano una sorta di catena delle proprietà che deve sempre necessariamente essere unita e mai spezzata o interrotta. Un soggetto vende una proprietà che deve necessariamente essere registrata a nome di un altro per non essere ancora pubblicamente nella proprietà del vecchio proprietario che la ha già realmente venduta. Proprio per tale motivo è anche obbligatorio trascrivere le proprietà ricevute per testamento al fine di non lasciare sospesa alcuna proprietà nel nulla. 2. Una seconda esigenza è quella di assicurare il rispetto della pubblicità attuando una serie di sanzioni fiscali e imponendo ai notai e ai pubblici ufficiali
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l’immediata trascrizione degli atti a loro sottoposti pena di risarcimento dei danni provocati a norma dell’art. 2671 del cod. civ. Di regola la trascrizione non porta nessun diritto sulla proprietà registrata ma ha funzione esclusivamente di pubblicità per i terzi, ma in certi casi diviene di particolare importanza al fine di regolare e decidere circa il titolo di proprietà tra due o più individui che hanno acquistato dallo stesso titolare. In questo caso la proprietà è del soggetto che ha trascritto il bene per primo, anche se magari non ha per primo acquistato il bene, e che ha quindi per primo pubblicizzato la sua nuova proprietà a tutti gli altri. 3. Una terza funzione è quella di tutela dei terzi che acquistando la proprietà vanno in contro al pericolo che venga meno il diritto del loro dante causa a loro descapito. Infatti nel caso in cui una contesa annulli la vendita di una proprietà tra due soggetti, questa annullerebbe anche la rivendita della proprietà ad un terzo soggetto che si vedrebbe improvvisamente scomparire il nuovo acquisto per un fatto a lui del tutto estraneo. Con la trascrizione si inseriscono atti, rendendoli perciò pubblici, in degli appositi registri pubblici competenti territorialmente secondo il luogo della proprietà da registrare, tenuti con il criterio personale cioè soggettivamente in ordine alfabetico con il nome del proprietario e non per oggetto, così per eventuali ricerche basta rintracciare nel registro il nome e non la proprietà di possibile nome incerto. Se l’atto contiene due o più proprietà queste verranno trascritte in tutti gli uffici registri interessati. Per la domanda di trascrizione si devono allegare il titolo di proprietà (atto pubblico, scrittura privata autenticata, sentenza giudiziaria) e due note. La trascrizione avviene immediatamente al momento della consegna della richiesta e degli allegati. Non è necessario attendere la lunga procedura burocratica di autentica della domanda perché questa avverrà d’ufficio e se valida la trascrizione sarà con data dal momento della presentazione. Infatti al momento della richiesta, questa viene registrata in un apposito registro con un numero progressivo ed è proprio questo a dare la precedenza tra le varie prescrizioni. Le due note servono per individuare sia le persone interessate al documento da registrare sia il fondo di proprietà in questione e vengono copiate nel registro delle trascrizioni stesse. Presso l’ufficio della conservatoria vengono tenuti, quindi, due registri: 1. registro generale d’ordine che contiene l’ordine di presentazioni giornaliere delle trascrizioni ed individua la priorità tra le stesse; 2. registro speciale delle trascrizioni dove vengono registrate le effettive trascrizioni e gli estremi delle note in allegato. Ad ogni trascrizione di soggetto avente causa deve corrisponderne uno dante causa in modo da rispettare il principio della catena delle trascrizioni sopra enunciato. Inoltre esistono anche: 45
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- per quanto riguarda i beni mobili registrati, questi hanno dei particolari registri di conservazioni, infatti per le navi, gli aeromobili e le autovetture esistono degli appositi registri di trascrizione (Es. PRA, ecc.); - in ogni Comune, presso l’ufficio anagrafe, esistono quattro ben precisi registri delle nascite, dei matrimoni, delle morti e della cittadinanza con i quali è possibile conoscere circa i vari status giuridici dei cittadini; - presso le Preture esistono: dei registri per le tutele, dei registri per le curatele, dei registri per le adozioni, dei registri per le successioni, - presso la Cancelleria del Tribunale esiste: il registro delle adozioni il registro delle persone giuridiche il registro delle persone in stato di fallimento - presso la Camera di Commercio esiste il registro delle Imprese sotto la sorveglianza di un giudice designato dal Presidente del Tribunale. Per la pubblicità di alcuni atti la legge prevede anche particolari funzioni sanzionatorie come la pubblicazione periodica nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana o in un giornale di stampa locale. Inoltre è obbligatoria la registrazione presso l’ufficio del Registro dei più importanti atti giuridici ai fini fiscali. Essa non ha funzione di pubblicità, in questo caso, ma di accertamento della data o dell’atto stesso a terzi. La registrazione, in questo caso, deve essere fatta entro 20 giorni pena la soprattassa.
I CONTRATTI IN GENERALE Il Codice Civile, all’art. 1321, definisce il Contratto come l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Da esso nascono i seguenti effetti:
- effetti obbligatori che costituiscono vincoli per le parti impegnate nel contratto (Es. mandato, ecc.); - effetti reali che costituiscono o trasferiscono diritti reali su beni mobili e/o immobili (Es. compravendita, ecc.). - effetti legali tipici che sono quelli previsti dalla stessa legge nel Codice.
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In un contratto le parti sono gli elementi contrapposti che si incontrano per perseguire i propri interessi commerciale ed economici. Per parte non si intende soltanto un solo soggetto ma anche l’insieme di due o più soggetti che mirano ad uno stesso interesse comune. Oltre alle parti, in un contratto distinguiamo anche il soggetto oblato, cioè colui che non è ancora impegnato da un vincolo contrattuale obbligatorio ma è comunque il soggetto con cui si cerca di definire e perfezionare il futuro contratto. Il contratto è la fonte per eccellenza di obbligazione tra i negozi giuridici tanto che è l’unico ad essere descritto e definito interamente dal Codice Civile, a differenza di tutti gli altri negozi giuridici, trovando la più ampia e completa disciplina normativa. Esso rappresenta la manifestazione di libertà dell’iniziativa economica privata prevista, anche, dall’art. 41 Cost., garantendo la parità di trattamento anche fra soggetti economicamente e socialmente differenti e lontani. Le uniche forme di limitazione all’iniziativa contrattuale privata sono date dall’ordinamento giuridico stesso per i soli casi di tutela e salvaguardia dell’interesse pubblico necessariamente e scrupolosamente superiore a quello privato. L’autonomia contrattuale privata è riconosciuta con forza di legge dall’art. 1322 cod. civ. che sancisce la piena libertà dei contenuti di un contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti sono sottoposte all’osservanza assoluta sia delle norme imperative sia di quelle precettuali dalle stesse dettate. Tuttavia l’efficacia vincolante delle norme private, sotto forma di precetti, è totalmente diversa da quella della legge dello Stato per diversi motivi: 1. i precetti privati sono subordinati alle norme imperative; 2. i precetti privati sono specifici e non astratti; 3. i precetti privati hanno efficacia limitatamente alle parti interessate e non a carattere generale (art. 1372 cod. civ.). A norma dell’art. 1322 cod. Civ. l’autonomia contrattuale privata è talmente ampia che le parti possono: - prendere o meno parte al contratta secondo la propria volontà (autonomia di contrarre); - impegnarsi come si preferisce entro i limiti imposti dalla legge (libertà contrattuale). I contratti sono una forma di manifestazione della volontà privata di uso talmente ampio e di vitale importanza che l’esperienza quotidiana ci porta ad applicarne molte fattispecie senza neanche accorgercene. Le tipologie di contratto si distinguono in: 1. contratti tipici, o nominati, sono quelli che vengono previsti e disciplinati direttamente dal Codice Civile e pertanto trovano un normativa tutta specifica e settoriale (Es. compravendita, locazione, mutuo, ecc.);
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2. contratti atipici, o innominati, sono, invece, tutte quelle forme contrattuali che non trovano alcuna menzione nel nostro Codice Civile e pertanto vengono disciplinati secondo la normativa di contratti nominati similari, a norma dell’art. 1323 cod. civ., o con leggi speciali appositamente promulgate (Es. franchising, leasing, ecc.). In entrambi i casi, dice l’art. 1322 cod. civ., le parti devono perseguire dei fini meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico e non contrari a norme imperative, al buon costume e all’ordine pubblico, così come recita l’art. 1354 cod. civ.. L’art. 1325 cod. civ. individua gli elementi essenziali per la costituzione di un contratto: 1. l’accordi tra le parti; 2. la causa; 3. l’oggetto; 4. la forma, quando è richiesta dalla legge sotto pena di nullità; La loro presenza, essendo elementi essenziali e richiesti dal Codice Civile, è requisito di validità del contratto in tutta la sua interezza. Per giungere all’accordo, in un contratto, è necessario che ci siano due manifestazioni di volontà da parte delle parti: - la PROPOSTA che consiste nella dichiarazione di voler contrarre da destinarsi ad un preciso soggetto e contiene tutti gli elementi essenziali e qualificanti del futuro rapporto contrattuale; - l’ACCETTAZIONE è una dichiarazione diretta al proponente in maniera definitiva, incondizionata e pienamente conforme alla proposta, altrimenti non si configura come accettazione ma come nuova proposta (art. 1326 cod. civ.). Molto importante è il momento e il luogo dell’avvenuta accettazione delle condizioni di contratto e, quindi, della perfezione dello stesso: - il luogo stabilisce la sede giudiziale competente in caso di eventuali insorgenze di complicazioni e contestazioni; - il tempo, definisce il criterio di applicazione della legge e delle varie norme imperative cronologicamente efficaci ed applicabili. Il contratto può anche essere perfezionato tramite soggetti terzi allo stesso o anche a notevole distanza tra le parti interessate. In questi casi, a norma dell’art. 1326 cod. civ., il contratto si perfeziona nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione della controparte. Di notevole difficoltà è la fornitura della prova della presa conoscenza dell’accettazione, della proposta, di ogni altra loro modifica e revoca.
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In tal senso vengono disciplinate dall’art. 1335 cod. civ. in modo presunto (presupposizione legale di conoscenza ) nel momento in cui queste giungono all’indirizzo del destinatario, salvo che questo dimostri di non essere stato in grado di prenderne conoscenza per motivi non dipesi dalla propria volontà. Inoltre, l’art. 1336 cod. civ., prevede anche una forma di offerta al pubblico in cui l’interessato descrive tutti i principali elementi costitutivi di quel contratto lasciando al pubblico stesso eventuali accettazioni. In determinati casi e in determinate circostanze il contratto non si perfeziona con la sequenza proposta-accettazione, che rimane comunque la principale sequenza di perfezionamento contrattuale e la più efficace e sicura forma, ma si perfeziona con sequenze alternative. Tra le diverse sequenze riconosciute le più importanti sono: - PROPOSTA–ESECUZIONE: in questa sequenza non esiste una vera e propria accettazione formale da parte dell’accettante, ma il proponente porta a compimento il contratto comunque. L’art. 1327 cod. civ. dice che quando per la natura dell’affare o secondo gli usi locali la prestazione offerta debba eseguirsi senza un esplicito consenso della controparte, il contratto si intende tacitamente concluso nel luogo e nel momento in cui ha avuto inizio la prestazione. - PROPOSTA–MANCATO RIFIUTO: anche questa sequenza di perfezionamento del contratto è molto usata e proprio per questo è di notevole discussione presso la dottrina moderna. L’art. 1333 cod. civ definisce il contratto così formato, se è oggetto di obbligazioni solo per la parte proponente, come tacitamente perfezionato dal momento in cui la controparte non rifiuta le proposte fatte. Il destinatario può comunque rifiutare la proposta ma in mancanza di tale rifiuto il contratto è senz’altro concluso. Tuttavia la proposta e l’accettazione possono essere comunque revocate fino a quando non si perfeziona il contratto in maniera definitiva e cioè fino a quando non perviene a conoscenza del proponente la notizia dell’avvenuta accettazione della controparte. Questa revoca, però, trova degli importanti limiti nella legge stessa che in tal senso configura la responsabilità Civile per illecito pre-contrattuale. Per la conclusione del contratto è indispensabile la contemporanea volontà delle due o più parti interessate con piene capacità. La legge, nei casi specificatamente previsti, richiede particolari forme per la costituzione di contratti pena la nullità dell’atto stesso per mancanza di un elemento essenziale, la forma appunto. La forma deve essere determinata solo quando richiesta: - direttamente dalla legge (art. 1350 cod. civ.); - da un precedente accordo scritto tra le parti come forma convenzionale (art. 1352 cod. civ.); 49
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- dal proponente nella forma da lui richiesta per l’accettazione (art. 1326 cod. civ.). Alla fase negoziale del contratto appartengono anche il diritto di revocare sia la proposta che l’accettazione dato che le obbligazioni sorgono solamente con il perfezionamento del contratto. In tal senso però il Codice Civile, all’art. 1337, contiene una clausola generale molto importante per il nostro ordinamento giuridico che obbliga le parti a comportarsi secondo un sano e giusto principio di buona fede ed eviterebbe ogni abuso doloso e colposo, conseguenza di una culpa in contrahendo, produttrice di malafede per cui la parte che cagiona il relativo danno deve obbligatoriamente risarcire il soggetto leso secondo un criterio di responsabilità pre-contrattuale . Questa forma di responsabilità civile si rende del tutto autonoma ed indipendente da qualunque altra forma di responsabilità, come quella extracontrattuale, perché non c’è la lesione di alcun diritto assoluto, e contrattuale, perché non si è instaurato ancora un vero e proprio rapporto obbligatorio tra le parti. La buona fede e la correttezza sono dei principi che investono l’intero Codice Civile e particolarmente il capo dei contratti, dall’inizio, con la fase della negoziazione, alla fine giungendo sino alla fase dell’interpretazione da parte del giudice. I generali doveri di correttezza e buona fede nelle trattative vengono soprattutto comunemente specificati con riferimento: - al dovere di informazione imposto alle parti non solo alle cause di invalidità (ex art. 1338 cod. civ.) ma anche ad ogni altra notizia rilevante ai fini della prestazione del consenso o della determinazione del contenuto contrattuale; - al divieto di recesso ingiustificato dalle trattative quando l’altra parte poteva legittimamente fare affidamento nella loro positiva conclusione. In tali casi la parte danneggiata ha il diritto di ricevere l’ interesse negativo, cioè i danni che sarebbero stati evitati astenendosi dalle trattative, sotto forma di danno emergente, cioè le spese sostenute inutilmente, e lucro cessante , cioè il mancato guadagno relativo all’utile sfruttamento di altre occasioni trascurate a causa della trattativa intrapresa. Per quanto riguarda l’origine della culpa in contrahendo, la dottrina si è spaccata in due vie. La prima sostiene che si tratti di una responsabilità di tipo aquiliana o fatto illecito (ex art. 2043 cod. civ.) con le conseguenti discipline (prescrizione dell’azione, onere della prova e danni risarcibili). La seconda sostiene, invece, che si tratti di una responsabilità contrattuale ritenendo che per efficacia delle trattative, le sfere giuridiche delle parti non possano più ritenersi del tutto estranee ma siano, invece, legate da un rapporto giuridico anche se non da una vera e propria obbligazione. L’azione dolosa di malafede è implicita, ad esempio, sin dall’inizio in chi compie una proposta con la consapevolezza precostituita di revocarla successivamente.
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LE TRATTATIVE ED IL CONTRATTO PRELIMINARE Il periodo immediatamente precedente al contratto vero e proprio è ricco di trattative che le parti effettuano per livellare i loro contrasti. Con il contratto preliminare le parti si impegnano reciprocamente a concludere un futuro contratto definitivo del quale predeterminano il contenuto. Ad esso le parti fanno ricorso, soprattutto nel caso di compravendita, quando intendono controllare e rilevare ulteriori accertamenti di tipo tecnici, al fine di una migliore puntualizzazione di tutte le clausole d’accordo e pertanto preferiscono rinviare ad un successivo momento la stipula del definitivo e la produzione di tutti i relativi effetti. Cronologicamente si può procedere nel seguente modo:
1. si incomincia inviando una lettera di intendi; 2. si continua inviando un progetto di contratto; 3. in seguito a risposte della controparte, si inviano ulteriormente informazioni circa il tempo e i modi della futura contrattazione; 4. si crea e invia una minuta di contratto; 5. si costituisce e perfeziona un contratto preliminare; 6. si arriva alla finale conclusione bilaterale del contratto vero e proprio. Tuttavia è molto difficile distinguere nettamente i successivi livelli che portano alla formazione del contratto dato che questi si maturano progressivamente nel tempo ed in maniera spontanea. Di vitale importanza è la stipulazione di un contratto preliminare che porterà, con effetti solo ed esclusivamente obbligatori (obbligazioni di facere), alla formazione del contratto definitivo, che produrrà, invece, gli effetti reali desiderati. Questo tipo di contratto è da distinguersi da quello che comunemente chiamiamo compromesso . In questi casi le parti si obbligano a tutti gli effetti ripromettendosi esclusivamente di riportare il contenuto del contratto appena stipulato nella forma desiderata dalla legge ed innanzi ad un pubblico ufficiale dalla legge autorizzato (Es. Notaio, segretario comunale, ecc.) necessario per la trascrizione. Questa duplice contrattazione trova la sua giustificazione nel fatto che le parti non vogliono aspettare i tempi delle procedure burocratiche e notarili e voglio applicare gli effetti obbligatori e reali immediatamente. L’atto tramite scrittura privata è infatti immediatamente e pienamente produttivo di effetti in maniera definitiva. L’art. 1351 cod. civ. prevede che la forma del contratto preliminare debba essere la stessa di quella da utilizzare per il contratto definitivo pena la nullità per vizio della forma come elemento essenziale. Tuttavia questo principio va in contrasto con quello che prevede la libertà di forma ad opera delle parti interessate.
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Qualora una parte non intenda adempiere le proprie obbligazioni assunte in un contratto preliminare, essendo questo un contratto a tutti gli effetti, la controparte può chiedere l’intervento del giudice Civile che esegui il contratto in maniera giudiziale, tramite una sentenza costitutiva, producendo gli stessi effetti che avrebbe prodotto il contratto regolarmente perfezionato ed eseguito (art. 2932 cod. civ.), questa consiste in un un’anomala interposizione del giudice tra l’autonomia delle parti che a norma dell’art. 1372 cod. civ. è civilmente fondamentale. Tuttavia l’autorità giudiziale non può oltrepassare la propria competenza di eseguire il contratto interpretandolo oltre ciò che dalla volontà delle parti si evince, proprio perché il contenuto è legge per le parti solo ed in quanto voluto dalle stesse. LA RESPONSABILITA’ PRE-CONTRATTUALE Abbiamo già visto quanta importanza abbia il sano e giusto principio di buona fede dell’art. 1337 cod. civ. che impone alle parti una sorta di fair play contrattuale in fase di negoziazione. Da questa norma deriva direttamente la responsabilità pre-contrattuale e cioè qualunque atto o fatto che costituisca un comportamento scorretto nella fase preparatoria del contratto. In tal senso violazione della buona fede e responsabilità pre-contrattuale sono strettamente collegate fino a divenire quasi una sola cosa. La responsabilità pre-contrattuale, oltre ad essere tacitamente espressa nell’art. 1337 cod. civ., è anche rintracciabile in diverse altre norme del Codice Civile che puniscono i comportamenti scorretti in fase di negoziazione. Di particolare importanza è, ad esempio, l’art. 1338 cod. civ. che obbliga alla restituzione di quanto dovuto e al risarcimento dei danni chi ha tenuto nascosto un motivo di invalidità, pur conoscendone l’esistenza, alla controparte che in buona fede ha convenuto. Il risarcimento del danno fatto con responsabilità pre-contrattuale è riconducibile ai cosiddetti interessi negativi, cioè alla diminuzione patrimoniale che il soggetto leso non avrebbe subito se non avesse fatto affidamento sul contratto o se avesse stipulato un’altra forma di contratto in condizioni diverse. CONTENUTO DEL CONTRATTO L’oggetto è uno dei cinque elementi essenziali del contratto che a norma dell’art. 1325 cod. civ. sono indispensabili pena la nullità. Tuttavia è possibile contrarre con all’oggetto cose e beni di futura fruizione a norma dell’art. 1348 cod. civ. salvo le diverse e specifiche disposizioni di legge, come, ad esempio, il divieto di patti successori, cioè di contrarre su future successioni (art. 458 cod. civ.) e la nullità di donazioni di beni futuri (art. 771 cod. civ.). In virtù dell’art. 1322 cod. civ. le parti possono inserire qualunque clausola all’interno dei contratti e determinare qualunque tipologia di contratto, purchè lecita, al fine di soddisfare i propri interessi. Infatti il giudice, in caso di controversie che richiedano l’istituto dell’ interpretazione del contratto, si deve regolare in virtù di quanto le parti volevano realmente disporre e non su quello che poi hanno convenuto e che perciò è causa di contrasti. Successivamente deve denominare la tipologia di contratto effettivamente voluta dalle parti per applicarvi la normativa apposita e specifica. In determinati casi l’autonomia contrattuale privata è fortemente limitata dalla presenza di esigenze e forze prepotenti. 52
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Infatti la legge, in casi speciali, interviene a tutela del consumatore debole costituendo una forma di protezione nei confronti dei grandi monopolisti ed operatori commerciali. Si tratta quindi effettivamente di una limitazione ma per difendere chi è forzatamente assoggettato per motivi sociali ed economici svariati. Questi interventi legislativi esistono soprattutto nei casi di contratti di massa, in quei contratti, cioè, in cui si ha a che fare con contratti prestampati in modulari o formulari, proprio per evitare che avvengano abusi e ingiustizie (Es. biglietti per il trasporto, ecc.). La legge, pertanto, all’art. 1339 cod. civ., intercala delle clausole automaticamente che vanno a costituire delle clausole nei contratti di massa, come ad esempio il prezzo o altro ancora sia di pubblico interesse. Queste clausole automaticamente inserite dalla legge hanno un’importanza talmente ampia che vanno a sostituire pienamente quanto già disposto dalle parti se con esse contrastanti. Inoltre, oggi, sono quotidianamente utilizzati ed efficaci i contratti in cui manchi la negoziazione. In questi tipi di contratto, la parte che mantiene il controllo, detta le proprie condizioni generali di contratto che non rappresentano altro se non condizioni unilaterali a cui adeguarsi se si vuole perfezionare tale contratto. In tal caso, la legge interviene con un’importantissima norma che è rappresentata dall’art. 1341 cod. civ. che disciplina proprio le condizioni generali di contratto nel senso che il destinatario di tali condizioni generali deve essere messo in grado, seguendo l’ordinaria diligenza, di prenderne preventivamente conoscenza. Predisposto ciò le clausole imposte hanno piena efficacia sin dall’inizio anche se la controparte non ne ha preso conoscenza, magari perché non si è prestata o preoccupata di farlo. Continuando lo studio della contrattazione in posizione di squilibrio sociale ed economico tra le due o più parti interessate, di vitale importanza è anche il secondo comma dell’art. 1341 cod. civ.. Infatti quest’ulteriore norma aggiunge che le clausole particolarmente onerose per una sola parte, soprattutto nei contratti di massa, devono essere approvate sottoscrivendole direttamente dalla parte che aderisce così al contratto stesso. Nel caso in cui l’aderente non sottoscriva una o più clausole di questo tipo, queste non sono da considerarsi valide e non applicabili pur rimanendo valido l’intera parte di contratto restante ove questo risulti compatibile. Nel caso di contratti perfezionati tramite formulari o modulari, inoltre, ogni eventuale clausola aggiunta da una delle parti con scrittura ed in un secondo tempo rispetto alla stampa del modulo stesso, vengono considerate, a norma dell’art. 1342 cod. civ., prevalenti su tutte le eventuali altre clausole in contrasto anche se queste ultime non sono state cancellate. In difesa della classe dei consumatori , una recente normativa (legge comunitaria del 1994) in attuazione di una direttiva CEE, ha introdotto un intero Capo al Codice Civile, quello XIV bis, sotto il Titolo II del Libro IV, dedicato appunto ai contratti dei consumatori. Questa normativa prevede l’inefficacia di tutte quelle clausole che vengono definite, per loro natura, vessatorie anche se sottoscritte con doppia firma dall’aderente secondo l’art. 1341 cod. civ..
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Le clausole che determinano lo squilibrio tra le parti vengono definite clausole vessatorie, a norma dell’art. 1469 bis cod. civ., quando comportano a carico del consumatore eccessivi diritti e obblighi derivanti dallo stesso contratto stipulato. Inoltre l’art. 1469 bis elenca tutte quelle clausole che vengono tacitamente considerate vessatorie fino a prova contraria. In questi casi l’onere della prova subisce l’inversione spettando alla parte professionista dimostrare che non si tratti di vessatorietà. GLI EFFETTI DEL CONTRATTO L’art. 1372 cod. civ. dice che il contratto ha forza di legge esclusivamente tra le parti interessate (relatività del contratto). Il contratto è contemporaneamente: - un atto giuridico, perché crea un rapporto con effetti obbligatori e/o reali; - un regolamento perché disciplina lo stesso rapporto. Dal contratto scaturiscono due tipi di effetti diversi tra loro: 1. quelli obbligatori che creano, modificano ed estinguono i rapporti tra le parti (Es. locazione, mandato, deposito, ecc.); 2. e quelli reali, che vengono detti anche traslativi, trasferiscono la proprietà dei beni mobili ed immobili da un soggetto ad un altro (Es. compravendita, donazione, ecc.). Spesso può capitare che i due tipi di effetti contrattuali abbiano una vita contemporanea, come accade, ad esempio, nei contratti di compravendita in cui l’effetto reale consiste nel passaggio di proprietà del bene da una parte all’altra, l’effetto obbligatorio, invece, consiste nell’obbligazione a pagare il prezzo pattuito che una parte si impegna nei confronti dell’altra. Può accadere, spesso, che non sia più possibile distinguere nettamente la proprietà trasferita con contratto tra più soggetti, così si procede in diversi modi: 1. per i beni mobili ha la precedenza chi ha per primo preso il possesso del bene in buona fede; 2. per i beni immobili ha la precedenza chi per primo trascritto il relativo atto; 3. per i crediti ha la precedenza chi ha per primo notificato al debitore la cessione o ha avuto da quest’ultimo per prima l’accettazione (art. 1265 cod. civ.); 4. per i diritti personali di godimento concessi a diverse persone, ha la precedenza chi ha conseguito per prima il godimento (art. 1380 cod. civ.). Quando il rapporto, disciplinato dalle parti tramite precetti contrattuali, è anche disciplinato dalla legge tramite norme imperative, queste ultime si inseriscono automaticamente tra il contratto con piena forza ed efficacia a norma dell’art. 1339 cod. civ.. 54
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Inoltre hanno anche rilevanza tutte quelle clausole d’uso che perciò vengono automaticamente inserite nel contratto con forza di legge a norma dell’art. 1340 cod. civ.. In tutti quei casi in cui la volontà delle parti sia lacunosa, si fa ricorso alla legge ed in sua mancanza agli usi locali. Se neanche gli usi sono sufficienti, si applicheranno i principi generali dell’ordinamento giuridico italiano secondo equità. RELATIVITA’ CONTRATTUALE Il contratto, al contrario della legge, produce i suoi effetti relativamente ai soggetti che vi hanno preso parte a norma dell’art. 1372 cod. civ. che aggiunge, inoltre, che i precetti contrattuali hanno efficacia di legge solo ed esclusivamente, però, tra le parti interessate. Si definisce soggetto terzo colui che rimane estraneo al contratto pur, magari, godendone gli effetti (Es. contratto a favore di terzi, ecc.). Nella pratica di ogni giorno è molto usato ed utile il contratto per persona da nominare , che, a norma dell’art. 1401 cod. civ., si ha quando un soggetto decide di contrarre con la propria controparte riservandosi il diritto di nominare una terza persona, estranea però al contratto, che beneficerà dei diritti e degli obblighi nascenti dallo stesso. Questa procedura, data la sua natura strettamente confidenziale tra la parte attiva del contratto e il terzo beneficiario, viene anche definita electio amicii e possiede una validità ex tunc sin dal momento in cui il contratto è stato stipulato. Tuttavia il terzo soggetto beneficiario può rinunciare al privilegio ed in tal caso gli effetti di tale contratto si riverserebbero pienamente ed interamente sul soggetto stipulante del contratto, infatti la parte del contratto è lo stipulante e non l’el etto. La dichiarazione di nomina, poi, deve essere fatta allo stesso modo e con la stessa pubblicità del contratto concluso tra promittente e stipulante. INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO L’interpretazione del contratto rappresenta una delle maggiori attività del giurista pur essendo nata per l’applicazione a tutti i negozi giuridici e poi estesa grazie all’ausilio dell’art. 1324 cod. civ. che ha allargato l’applicazione delle norme civili sul contratto a quanti altri negozi compatibilmente possibili. Questo istituto è regolato, come i restanti istituti giuridici, da leggi generali e norme specifiche, ma anche da principi e fattori non legalmente riconosciuti e vincolanti. La norma generale del Codice Civile è quella descritta nell’art. 1362 che, oltre a definire l’interpretazione del contratto, detta la disciplina generale da seguire consistente nella ricerca della reale intenzione delle parti in fase di negoziazione tralasciando quello che poi hanno convenuto, magari per errore, e il reale significato delle parole utilizzate nel contratto. Tuttavia questa norma, apparentemente, sembra essere in palese contrasto con l’art. 12 disp. prel. cod. civ.. Infatti, mentre entrambe mirano al raggiungimento del significato effettivamente rilevante dal punto di vista giuridico, l’art. 12 disp. prel. cod. civ. dispone che la ricerca abbia luogo per chiarire il significato di un testo legislativo da applicare erga omnes mentre l’art. 1362 cod. civ. cerca di trovare il reale significato della volontà contrattuale delle parti interessate. L’interpretazione può anche essere AUTENTICA se è compiuta dalle parti interessate al contratto stesso tramite un successivo negozio giuridico di accertamento.
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Da quanto detto il giudice non è vincolato dal nomen iuris del contratto ma dall’effettiva volontà delle parti che hanno stipulato il negozio. L’interpretazione viene disciplinata attraverso tre gruppi di norme diverse: 1. norme per l’interpretazione soggettiva (artt. 1362 - 1365 cod. civ.), quelle che sono dirette a ricercare il punto di vista dei soggetti del negozio; 2. norme per l’interpretazione oggettiva (artt. 1367 - 1371 cod. civ.) che si utilizzano quando non si riesce a dare un significato al negozio pur avendo utilizzato l’interpretazione soggettiva. 3. Sta a se l’art. 1366 cod. civ. che, disponendo di interpretare il contratto solo secondo buona fede, è valevole soltanto per i negozi inter vivos. Tuttavia, in presenza comunque di dubbi, le clausole contrattuali devono essere considerate ed interpretate sempre secondo un punto di vista favorevole alla conservazione del contratto e non essere di intralcio allo stesso, tanto che per tale importanza rappresenta un vero e proprio istituto giuridico a se. Inoltre, l’art. 1370 cod. civ. dice che nel caso di clausole dubbie inserite unilateralmente in moduli, formulari o in condizioni generali di contratto sono da considerarsi ed interpretare a sfavore dell’autore stesso per il beneficio della controparte. In materia di interpretazione dei contratti, di vitale importanza sono gli usi interpretativi che vengono considerati ed applicati, in caso di ulteriori dubbi, secondo quanto si pratica nel luogo in cui il contratto è stato concluso. In fine, dice l’art. 1371 cod. civ., se il contratto presenta ancora degli aspetti oscuri, questo deve essere considerato ed interpretato in maniera meno gravosa all’obbligato, se fatto a titolo gratuito, e in maniera equamente distribuita, se fatta a titolo oneroso. Non da trascurare è la clausola generale imposta dall’art. 1375 che disciplina l’interpretazione del contratto secondo buona fede e l’art. 1175 cod. civ. che impone un comportamento di correttezza durante un rapporto obbligatorio. Si tratta, quindi di due articoli (1375 e 1175 cod. civ.) strettamente collegati in modo da imporre alle parti di comportarsi con criteri e modi tali da mantenere il più a lungo possibile il rapporto giuridico appena instaurato. Tale principio permea in tutto il Libro IV del Codice Civile come fondamento dell’ordinamento giuridico in materia di contratti ed obbligazioni. CLASSIFICAZIONE DEI CONTRATTI I contratti, così come per tutti i negozi giuridici, vengono distinti in diversi modi l’uno dall’altro: 1. SOLENNI dai NON SOLENNI a seconda se il Codice preveda una specifica forma da seguire per costituire la validità o meno; 2. GRATUITI dai ONEROSI a seconda che il contratto comporti un correlativo sacrificio, per una parte o entrambe, o meno;
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3. NOMINTI dai INNOMINATI a seconda che il legislatore inserisca nel Codice Civile la normativa specifica o meno; 4. BILATERALI dai PLURILATERALI a seconda se il contratto coinvolga due o più soggetti parti dello stesso; 5. a ESECUZIONE ISTANTANEA da quelli di DURATA a seconda che si tratti di prestazioni di immediata esecuzione o ripetute nel tempo; 6. a prestazioni CORRISPETTIVE (o Sinallagmatici) da quelli UNILATERALI a seconda che le obbligazioni riguardino una sola parte o entrambe, in un rapporto di prestazione e controprestazione; 7. REALI dai CONSENSUALI a seconda che il contratto si perfezioni con la consegna del bene o con il semplice accordo e consenso tra le parti interessate; 8. ad effetti REALI (o Traslativi) da quelli OBBLIGATORI a seconda che il contratto produca un trasferimento di proprietà o la nascita di un obbligazione da eseguire. 9. COMMUTATIVI da quelli ALEATORI (o di sorte) a seconda che gli effetti del contratto siano sin dall’inizio certi o incerti CONTRATTI OBBLIGATORI E CONTRATTI CON EFFICACIA REALE I contratti si differiscono a seconda che con il loro perfezionamento si trasferiscano diritti in capo ad altri soggetti, ed avremo quindi contratti con efficacia reale o traslativi (Es. compravendita, permuta, donazione, mutuo, cessione di usufrutto, ecc.), o a seconda che con il loro perfezionamento nascano delle obbligazioni tra le parti interessate, ed avremo quindi contratti con efficacia obbligatoria (Es. locazione, mandato, comodato, deposito, ecc.). Nei contratti con efficacia reale il trasferimento o la costituzione dei diritti, a norma dell’art. 1376 cod. civ., avvengono immediatamente per effetto dello stesso consenso contrattuale tra le parti, secondo un importante principio consensualistico. Il momento del passaggio della proprietà è di elevata importanza, basti pensare ai danni eventualmente provocati ad un bene che non essendo più dell’originario proprietario, pur avendolo già venduto, non lo ha ancora consegnato in attesa del pagamento. In virtù del principio giuridico res perit domino sancito dall’art. 1465 cod. civ., tutti i danni provocati dalla natura sono a carico dell’acquirente che, pur non essendo ancora in possesso del bene, ha già ottenuto i diritti di proprietà tramite il consenso contrattuale. Non di rado un contratto può contenere, contemporaneamente, sia effetti reali che obbligatori. Basti pensare, ad esempio, al contratto di compravendita, nel quale l’effetto reale produce un trasferimento di proprietà del bene da una parte all’altra, e un effetto obbligatorio produce l’obbligazione di pagare il relativo prezzo pattuito, per una parte, e di dare il possesso stesso, alla controparte. CONTRATTI ISTANTANEI E DI DURATA I contratti possono esplicare la loro efficacia, qualunque essa sia, in diversi momenti temporali. 57
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Tra essi si distinguono quelli: 1. che esplicano gli effetti immediatamente, ed avremo quindi i contratti di esecuzione immediata; 2. che esplicano gli effetti solamente in un secondo tempo, ed avremo i contratti ad esecuzione differita; 3. che producono degli effetti duraturi nel tempo, ed avremo quindi i contratti di durata. Quando non è previsto un preciso termine di fine, la situazione rimane immutata fin quando una delle due parti non manifesta la propria volontà di sottrarsi alla sua continuazione. Anche quando è previsto un termine la scadenza è prorogabile tacitamente od espressamente. Tra i contratti di durata si distinguono, a loro volta, quelli: - a esecuzione continuata nei quali le prestazioni sono continuate nel tempo (Es. locazione, assicurazione, ecc.); - a esecuzione periodica nei quali le prestazioni viene ripetuta nel tempo in maniera non continuata (Es. somministrazione, ecc.). CONTRATTI ALEATORI E COMMUTATIVI Esistono dei contratti che per loro natura vengono definiti contratti aleatori (o di sorte) e sono strettamente legati a fattori di incertezza. Questi contratti hanno ad oggetto degli effetti che secondo le circostanze incerte al momento della negoziazione, avranno vantaggio per una parte o per l’altra. Basti pensare ai contratti di assicurazione dove la parte stipulante il contratto non è a conoscenza, al momento della contrattazione, dell’effettiva necessità degli effetti del contratto e del momento in cui questi dovrebbero essere eseguiti. Altri tipi di contratti aleatori sono il giuoco, la scommessa, ecc. Nei contratti commutativi, invece, le prestazioni vengono stabilite sin dall’inizio come punto di arrivo delle trattative negoziali per un’esecuzione certa e sicura dello stesso contratto. SINALLAGMA E RISOLUZIONE DEI CONTRATTI I contratti sono sempre bilaterali o plurilaterali, come pluralità dei soggetti che pongono in essere la volontà, ma in relazione agli effetti esplicati, invece, essi possono essere: 1. unilaterali, nel caso di tutti i contratti in cui gli effetti si applichino solamente ad una parte; 2. a prestazioni corrispettive (o Sinallagmatici), nel caso in cui dal contratto nascono obbligazioni tra le due parti interessate. Il SINALLAGMA è il legame che, reciprocamente in un contratto, unisce la prestazione, a carico di una parte, con la controprestazione, a vantaggio di un’altra parte. 58
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Sono contratti sinallagmatici, o a prestazioni corrispettive, quei contratti in cui sorgono obblighi e diritti in entrambe le parti reciprocamente ed in maniera indipendente. Ad esempio, in un contratto di compravendita, un soggetto cede il bene venduto ed un altro soggetto, come controprestazione, paga il compenso e riceve il bene in questione. Il sinallagma può essere di due specie diverse: 1. Sinallagma funzionale quando una prestazione non viene adempiuta da una parte, conseguentemente anche la controprestazione non ha motivo più di essere rispettata; 2. Sinallagma genetico quando una prestazione è impossibile o invalida sin dall’inizio, per mancanza o vizio degli elementi essenziali, conseguentemente tutto l’intero contratto viene meno. Altri esempi di contratti a prestazioni corrispettive o sinallagmatici sono le locazioni, le assicurazioni, le permute, i contratti di trasporto, ecc. Le altre categorie di contratti non sinallagmatici sono, per esclusione, con prestazioni unilaterali di una sola parte, così come, ad esempio, i contratti di donazione, di fideiussione, di mandato, di deposito gratuito, di comodato, di mutuo, ecc. La differenza tra le due forme contrattuali (corrispettive e unilaterali) sono, principalmente, per le conseguenze che vi sono connesse. Ove manchi il rapporto di reciproca dipendenza delle obbligazioni (sinallagma) non si ha una nera e propria corrispettività anche se nascono obbligazioni a carico di entrambe le parti interessate. La distinzione tra contratti corrispettivi e unilaterali non coincide con quella tra onerosi e gratuiti. Tutti i contratti corrispettivi sono onerosi, ma non si può dire lo stesso del caso inverso, infatti i contratti onerosi possono anche essere dei contratti unilaterali (Es. mutuo, mandato, deposito, ecc.). La differenza tra le due specie di contratti ha notevole importanza ai fini delle procedure di risoluzione da seguire. RISOLUZIONE E DIRITTO DI RECESSO La risoluzione si distingue dalle altre figure perché non tocca il negozio giuridico ma le conseguenze che da esso nascono; non l’atto giuridico ma il rapporto. Così si spiega perché, oltre alla risoluzione, in caso di inadempimento delle proprie obbligazioni assunte, è anche possibile chiedere il risarcimento dei danni eventualmente subiti a norma dell’art. 1218 cod. civ.. La risoluzione dai contratti può essere di due tipi: 1. Volontaria quando sono le parti stesse del contratto a decidere, tramite un nuovo negozio, di voler cessare e porre fine alle conseguenze del loro rapporto obbligatorio. In questo caso il contratto stesso può prevedere un diritto di recesso a favore di una sola o di entrambe le parti.
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Questo diritto può anche essere tradotto in una somma di denaro da pagare alla controparte come prezzo per lo scioglimento del rapporto contrattuale instaurato (clausola penale). In tal senso un decreto legislativo di recente attuazione, in conformità ad una direttiva CEE, ha introdotto uno speciale diritto al ripensamento che un’acquirente può effettuare a proprio vantaggio entro un termine massimo di sette giorni dalla data di acquisto del bene in causa. Questa normativa trova larghissimo spazio in tutti quei casi di acquisti fatti per corrispondenza o per domicilio. 2. Legale quando si tratta esclusivamente di contratti a prestazioni corrispettive (sinallagmatici) e nei soli tre casi previsti dal Codice Civile, il quale Capo si intitola, appunto, Risoluzione del Contratto: - inadempimento della propria controparte; - impossibilità sopravvenuta della prestazione; - eccessiva onerosità della prestazione; Nel caso di almeno una delle tre ipotesi appena ricordate, il contratto, anche se pienamente valido ed in fase di esecuzione, può essere immediatamente sciolto con effetti immediati, per la evidente mancanza sopravvenuta del Sinallagma. 1. Nel caso di inadempimento della controparte il creditore può agire passivamente con due mezzi molto specifici: - A norma dell’art. 1460 cod. civ. in un contratto corrispettivo, la parte creditrice ecceda l’inadempimento, cioè si rifiuti di eseguire la propria prestazione se la controparte si rifiuta di prestare la sua o dimostri di non averne intenzione. - Inoltre il creditore, a norma dell’art. 1461 cod. civ., in un contratto corrispettivo, può rifiutarsi di eseguire la propria prestazione se è avvenuto un mutamento delle condizioni patrimoniali della controparte tali da porre in serio ed evidente pericolo il conseguimento della controprestazione. Questi due articoli costituiscono due importanti applicazioni al criterio di tutela preventiva, nei confronti della controparte contrattuale, e permettono al soggetto del contratto di non essere necessariamente costretto a rivolgersi al giudice Civile ma di proteggersi in maniera autonoma e soprattutto preventivamente immediata. Tuttavia la situazione, apparentemente risolta con questi due mezzi, non rimane che sospesa fino ad un ulteriore chiarimento fra le parti. Oltre ai due rimedi passivi appena descritti, il soggetto creditore in un contratto può anche agire attivamente non lasciando alcuna traccia di attesa e sospensione. L’atteggiamento attivo del creditore consiste in altre due procedure diverse: 60
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- nella richiesta di un’esecuzione coatta del contratto ad opera del giudice Civile ; - nella la soluzione più drastica della risoluzione del contratto che lo liberano completamente dalle obbligazioni assunte. Il creditore può scegliere liberamente tra l’esecuzione coatta e la risoluzione del contratto e può perfino convertire l’adempimento con la risoluzione, se rimane tuttavia insoddisfatto, ma non può, invece, procedere al contrario. Nell’uno o nell’altro caso, comunque, il contraente insoddisfatto ha il diritto di chiedere il risarcimento dei danni per l’inadempimento della controparte, a norma dell’art. 1453 cod. civ.. Tra l’altro il Codice Civile, all’art. 1462, consente alle parti di introdurre nei loro contratti una clausola molto importante che prende il nome, dal diritto fiscale, di clausola solve et petere. Questa clausola consente ad una parte di assicurarsi con una speciale forma di protezione ai fini dell’adempimento della controprestazione. La clausola solve et petere importa rinuncia al diritto di opporre eccezioni, ed è diretta a rafforzare il vincolo contrattuale, per cui è stabilito, in deroga al normale funzionamento del principio di corrispettività, che una delle parti non può porre eccezioni al fine di evitare o ritardare il pagamento della prestazione dovuta. Prima paghi e poi agisca in giudizio per ottenere la restituzione, in tutto o in parte, di quanto dato. La clausola, che comporta un gravoso impegno per la parte che la sostiene, deve essere approvata per iscritto sul contratto, in quanto clausola vessatoria, a norma dell’art. 1341 e 1342 cod. civ.. Tuttavia è limitata dall’art. 1462 cod. civ. nei seguenti casi: 1. essa non ha effetto nei casi di nullità, annullabilità e rescissione del contratto 2. il giudice Civile, se riconosce che concorrono gravi motivi, può comunque sospendere la condanna all’adempimento della prestazione. Bisogna però precisare che per inadempimento non si deve intendere solamente la mancata esecuzione dell’obbligazione contrattuale, ma anche il non corretto e perfetto rispetto anche di una sola parte del contratto. Questa precisazione fa si che l’inadempimento ricopra un campo di applicazione molto più ampio di quanto non si pensi. La risoluzione del contratto viene presentata con domanda giudiziale ed è sottoposta al termine di prescrizione ordinaria. Dopo la domanda da parte del creditore, l’inadempiente non può più correggere la sua posizione di debito in alcun modo (art. 1453 cod. civ.). L’azione giudiziale non è però assolutamente necessaria.
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Infatti, scaduto il termine fissato per l’esecuzione delle prestazioni, la parte non soddisfatta può scrivere una diffida ( procedimento monitorio) ad adempiere entro un congruo termine precisando che scaduto quest’ulteriore termine il contratto s’intende senz’altro risoluto (min. 15 giorni). Ma neppure il procedimento monitorio, che abbiamo visto attuarsi per mezzo di una diffida, è sempre necessario. Se ne prescinde nelle due ipotesi che seguono: - quando i contraenti hanno inserito nel contratto una clausola risolutiva espressa, prevedendo espressamente l’effetto risolutivo in conseguenza dell’altrui inadempimento, la risoluzione si verifica in seguito alla semplice dichiarazione della parte che se ne avvale a norma dell’art. 1456 cod. civ.. - quando la prestazione deve eseguirsi entro un termine essenziale, la risoluzione opera di diritto, salvo che la parte interessata all’adempimento non dichiari, entro tre giorni dalla scadenza del termine, di voler ugualmente esigere la prestazione a norma dell’art. 1457 cod. civ.. Gli effetti della risoluzione sono di regola retroattivi (ex tunc) e comprendono la restituzione di quanto dovuto e il risarcimento dei danni provocati. Nei contratti di durata, invece, gli effetti della risoluzione sono ex nunc non estendendosi alle prestazioni già eseguite. 2. Nel caso, invece, di impossibilità sopravvenuta della prestazione, comunque non imputabile al debitore (Es. incendio o distruzione naturale del bene, ecc.), in un contratto a prestazioni corrispettive, l’obbligazione si estingue a norma dell’art. 1256 cod. civ. per l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause non imputabili al debitore, ed in mancanza, quindi, del sinallagma a causa della risoluzione del contratto così come a norma dell’art. 1463 cod. civ., cade anche l’obbligo della controprestazione il quale non sarebbe affatto divenuto impossibile. L’impossibilità, oltre che totale, può anche essere temporanea, in questo caso l’obbligazione viene solamente sospesa fino al librarsi delle cause d’impossibilità. In questo caso, non essendo caduto il sinallagma, la controprestazione è comunque da esigere. Nel caso in cui intervenga una causa, esterna alle parti del contratto, a far modificare o perire la prestazione, l’intero peso è totalmente della parte debitrice che doveva adempiere la prestazione stessa e conseguentemente il creditore è liberato dall’obbligo della controprestazione a norma dell’art. 1463 cod. civ.. La risoluzione del contratto non tocca, quindi, la prestazione resa impossibile dall’evento fortuito ma la controprestazione che vi era legata. Nei contratti a prestazioni unilaterali, quando la prestazione è solo a vantaggio di una parte, è giusto che il rischio sia tutto a carico del creditore che perde il diritto alla
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prestazione, in questo caso, infatti, si tratterà solamente di estinzione dell’obbligazione unilaterale. Nel caso dei contratti traslativi con effetti, cioè, reali, l’intero peso dell’evento fortuito è subito da colui che ha acquistato il bene ed il diritto di proprietà, visto che questo si acquista direttamente con il perfezionamento del contratto che è avvenuto, ovviamente, prima del caso fortuito (res perit domino) secondo il principio consensualistico. A tal proposito l’acquirente deve comunque eseguire obbligatoriamente la controprestazione anche se la cosa non gli è stata consegnata, a norma dell’art. 1465 cod. civ., infatti la consegna del bene è un’obbligazione accessoria alle due principali del sinallagma contrattuale e cioè al passaggio di proprietà del bene ed al pagamento della controprestazione dovuta. 3. Nel caso, invece, di eccessiva onerosità della prestazione, cioè quando in un contratto di durata il rapporto tra la prestazione e la controprestazione al momento dell’esecuzione del contratto si trovi sproporzionato rispetto a quello in cui era al momento della conclusione del contratto, la risoluzione del contratto avviene solamente per le prestazioni eccessivamente onerose ancora da eseguire. Nei contratti con effetti unilaterali, con sopraggiungere di questi forti squilibri, è possibile la riduzione della prestazione oppure la modifica delle modalità di esecuzione delle stessa, tali da ricondurre in equità il rapporto di squilibrio così come a norma dell’art. 1468 cod. civ.. Tuttavia questo tipo di risoluzione può essere evitato dalla controparte eliminando dal contratto tutte le clausole, o parte di esse, che incidono nello stesso come troppo onerose.
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CAPO III I SOGGETTI E IL DIRITTO DELLE PERSONE LA PERSONA L’intero ordinamento giuridico è basato sulla persona umana ed in questa definizione il diritto trova il punto cardine dell’intero ordinamento. Il diritto pubblico ci dice che ogni uomo in quanto tale ha una personalità giuridica e tutti gli uomini hanno la stessa personalità. Personalità vuol dire essere in grado di possedere diritti e doveri giuridici. Questa definizione è figlia delle vicende che nella storia hanno portato all’abolizione della schiavitù e delle condanne a morte civili in quanto non erano considerate persone. In questo senso la personalità corrisponde alla capacità giuridica, cioè alla capacità di possedere diritti e doveri giuridici che a norma dell’art.1 cod. civ. si acquista con la nascita. Pertanto anche un neonato è una persona fisica e possiede capacità giuridica per cui è soggetto di vari istituti giuridici (Es. usufrutto, credito, debito, ecc.). Non esistono diritti senza la persona così come non esiste persona senza diritti. Alcuni di essi si acquisiscono dalla nascita, altri sin dal concepimento. Questi sono proprio quei diritti, quei valori per cui ogni uomo è uomo. I diritti alla personalità (Es. diritto al nome, alla vita, all’onore, alla libertà, all’integrità fisica e morale, ecc.) sono forse fra i più importanti di tutti e oltre ad essere innati, sono anche irrinunziabili, immodificabili e si fanno valere erga omnes. La posizione che ogni uomo ha nei confronti della società crea il proprio status che distingue il soggetto da tutte le altre (Es. status di cittadino, di figlio, di madre, di padre, di coniuge, ecc.). Lo status è una situazione soggettiva non temporanea ma definitiva, fonte di diritti, di doveri e di poteri. Importante è specificare che oltre alla persona fisica, che è costituita da un soggetto vivente portatore di interessi, il diritto vigente ammette una finzione giuridica per cui da vita anche a persone giuridiche , cioè a quelle entità astratte che non sono identificate in un solo soggetto ma in più e che sono comunque portatori di interessi e come tali vengono tutelati allo stesso modo delle persone fisiche. Recentemente una legge, la n° 675 del 31 Dicembre 1996 , ha definito diritto soggettivo, e per ciò intoccabile, la riservatezza dei propri dati personali proteggendoli anche grazie all’istituzione di un garante per la privacy e di relative sanzioni, anche penali, specifiche. La giurisprudenza e la dottrina moderna non annoverano tra i diritti della personalità il diritto alla riservatezza. Tuttavia, dato le vicende della realtà e le necessità della materia, una visione così restrittiva si scontra immancabilmente con l’insufficienza e la carenza di norme imperative apposite. Davanti a questa problematica la dottrina e la giurisprudenza si muovono in due direzioni diverse ed opposte. La prima direzione considera il diritto alla riservatezza come un diritto da tutelare con l’applicazione delle poche norme esistenti nel nostro ordinamento tramite un’interpretazione estensiva. Una seconda direzione si muove seguendo il diritto alla riservatezza come un diritto naturale ancor prima che giuridico e trova il suo fondamento nell’art. 2 Cost. come diritto assoluto dell’uomo.
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Ricercando norme non specifiche ma analogicamente similari nel nostro Ordinamento, possiamo intravedere un diritto alla riservatezza, oltre che nell’art. 2 Cost., anche nell’art. 10 cod. civ., nella legge 675/96 sulla privacy e nelle norme dispositive sulle azioni inibitorie del Codice di Procedura Civile (art. 700) come forme preventive di tutela tramite il sequestro preventivo (Es. diffamazione giornalistica e conseguente sequestro preventivo delle riviste ad opera, ad esempio, di una sentenza urgente del Pretore). Particolare spunto trova l’argomento in relazione all’attività di giornalismo che, tra l’altro, è regolamentata anche da un apposito codice di deontologia professionale. LA PERSONA FISICA A norma dell’art.1 cod. civ. con la nascita si acquista la capacità giuridica. Essenziale è che il feto, per essere considerato persona, debba nascere vivo anche per un solo istante. Un nato morto non è persona. Il solo concepimento non costituisce una persona, tuttavia la legge riconosce al concepito alcune prerogative e alcuni diritti. Il Codice Civile ammette la successione e persino la donazione anche ad un concepito, quindi ad una persona non ancora viva e questo proprio perché il solo concepimento è sufficiente per l’acquisto di diritti, purchè nasca vivo. La fine di una persona avviene con la morte anche dal punto di vista giuridico. Con la morte alcuni diritti vengono a scomparire, altri vengono trasferiti ad altri soggetti. In tema di accertamento di morte la normativa vigente è quella della legge n°578 del 1993 che ha introdotto i criteri e le tecniche di accertamento della morte. L’atto per la prova della morte è l’atto di morte. Quando al momento di un grave evento muoiono più persone, l’art.4 cod. civ. dice che si presume la morte avvenuta per tutti allo stesso momento. Basta la scomparsa di un soggetto dal luogo di residenza o di domicilio per un tempo indeterminato più o meno lungo, accompagnato dalla totale assenza di proprie notizie, che subito scattano le conseguenze. Il tribunale ha il compito di nominare un curatore per il patrimonio dello scomparso e le successioni aperte in favore dello scomparso vanno a chi fosse spettato in mancanza dello stesso. È chiaro che quando la mancanza dura per diverso tempo cresco i motivi di dubbio sull’esistenza in vita della persona. Dopo due anni dalla scomparsa si procede con la dichiarazione di assenza tramite sentenza del tribunale su istanza degli interessati. Con lo stato di assenza i beni patrimoniali dello scomparso vengono temporaneamente destinati ai legittimi eredi, anche se pur sempre proprietà dello scomparso, fino a quando non torna l’effettivo proprietario o fino a quando non sia emessa la sentenza di morte presunta dello stesso. L’assenza non scioglie il matrimonio e quindi il coniuge non può risposarsi. Se però vi riesce, questo non può essere impugnato fino a che dura lo stato di assenza del primo coniuge. L’assenza cessa o con il ritorno dello scomparso, o con la morte dimostrata o con la sentenza di morte presunta. Indipendentemente da ogni altra sentenza passata, il tribunale, o su istanza delle parti, o su istanza del pubblico ministero o su istanza di qualunque interessato, dopo dieci anni dal giorno delle ultime notizie, deve emettere una sentenza di morte presunta. Il termine è abbreviato in caso di morte bellica o di infortunio. 65
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La sentenza dichiara che lo scomparso è presumibilmente morto dal giorno in cui non si hanno più avute notizie e tutti gli effetti ne sono retroattivi. Il coniuge può contrarre nuovo matrimonio e gli eredi entrano nel pieno possesso dell’eredità loro lasciata. Se però lo scomparso ritorna, gli effetti sono ex nunc, rientra in pieno possesso dei propri beni non ancora alienati o consumati e il matrimonio del coniuge può essere impugnato salvo gli effetti civili dello stesso (Es. eventuali diritti e doveri su prole, ecc.). LA PERSONA GIURIDICA Oltre alle persone fisiche, agli uomini per intenderci, sono soggetti di diritto e di obblighi anche le persone giuridiche le quali assumono differenti denominazioni. Il nostro ordinamento affida a queste finzioni giuridiche una capacità giuridica distinta da quella delle persone fisiche stesse che la compongono. La persona giuridica, quindi, è costituita da un elemento sostanziale, le persone che la compongono, e da uno formale, che è il riconoscimento da parte delle autorità pubbliche. Per esistere, le persone giuridiche, devono contenere quattro caratteristiche:
1. non possono mancare le persone che la compongono e che ne rappresentano contemporaneamente i destinatari. Gli antichi romani esigevano almeno tre persone per la loro costituzione, oggi ne basta anche una sola; 2. un patrimonio è sempre indispensabile a prescindere dallo scopo; 3. lo scopo costituisce il punto unificatore tra i vari individui che hanno dato vita alla persona giuridica stessa purché sia lecito e determinabile; 4. tutti gli elementi sopra descritti sono obbligatori e necessari ma nulli senza il riconoscimento dello stato. Tra le persone giuridiche un’importante distinzione si fa tra le: - ASSOCIAZIONI = sono gruppi di persone che riunite fra di loro perseguono un loro personale e comune scopo. - FONDAZIONI = sono gruppi di persone nate dalla volontà di un fondatore che mirano alla conservazione dei beni di una determinata opera. La differenza sta nel fatto che nelle associazioni prevalgono le persone mentre nelle fondazioni prevale il capitale. Inoltre le associazioni perseguono un fine interno al gruppo mentre le fondazioni esternamente al gruppo. Una seconda distinzione si fa tra: - PERSONE PUBBLICHE = queste hanno scopi di carattere pubblico (Es. il Comune nei confronti dei cittadini); - PERSONE PRIVATE = queste hanno scopi di carattere privato (Es. la società commerciale nei confronti dei propri soci).
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Inoltre sono anche distinguibili le persone giuridiche ecclesiastiche (Es. le parrocchie) da quelle civili (Es. le Università). Sia le associazioni che le fondazioni necessitano di un atto costitutivo che ne ufficializzi la nascita e di uno statuto che ne disciplini la vita, entrambi atti da rendere pubblici. La pubblicità è data tramite due metodi diversi: il sistema normativo che trova nella legge i presupposti per concedere il riconoscimento alla persona giuridica che ad essi si conforma e il sistema per concessione per cui il riconoscimento è dato caso per caso o dalla legge o con Decreto del Capo dello Stato. La pubblicità delle persone giuridiche ha reso necessario la creazione di un registro apposito per le persone giuridiche che si trova nella cancelleria di ogni tribunale dei capoluoghi di Provincia. Con la registrazione non si rende pubblica la persona giuridica, che invece avviene secondo uno dei due sistemi precedentemente visti, ma si considera essenziale per l’opponibilità a terzi degli atti e dei fatti posti in essere dalla persona giuridica stessa. Finchè non viene registrata sono gli amministratori che rispondono personalmente dell’eventuali conseguenze create. La registrazione può disporsi anche d’ufficio. La capacità giuridica delle persone giuridiche è uguale a quella delle persone fisiche ma entro i limiti che lo statuto e l’atto costitutivo consentono, altrimenti avremo l’agire dei singoli e non dell’insieme. Anche la persona giuridica ha i propri diritti come quello della sede, del nome e di tutti quelli patrimoniali. Il Codice Civile limita a trenta anni l’usufrutto a favore di una persona giuridica. La persona giuridica agisce solo ed esclusivamente tramite i propri membri che fungono da rappresentanti e danno vita a quella che è chiamata rappresentanza istituzionale . Le responsabilità civili sono a carico dell’ente mentre quelle penali sono, ovviamente, a carico dei componenti l’ente. Le associazioni agiscono tramite l’assemblea degli associati, le fondazioni tramite gli amministratori. Lo Stato può dichiarare la morte della persona giuridica quando ne siano venuti meno i fini istituzionali per cui era nata o perché questi sono stati raggiunti. La persona giuridica può anche venire meno per decisione dei propri amministratori o per mancanza di associati. Oggi esistono numerosissime associazioni non riconosciute che operano ugualmente ma con una minore capacità giuridica indipendentemente dal loro riconoscimento per fini non lucrativi. Nonostante la legge non può ignorarle e ne consente l’esistenza e l’operato. Differenza principale è che dell’operato dell’associazione non riconosciuta ne rispondono esclusivamente i componenti della stessa che hanno agito di volta in volta in suo nome e non l’intero gruppo dei soci. In alcuni casi, come per fini di interesse pubblico, le associazioni non riconosciute vengono definite comitati e dalle stesse si differenziano perché sono aggregazioni di soggetti che cercano di promuovere iniziative di tipo temporaneo portandole avanti grazie soprattutto a contributi privati. Anche in questo caso tutti i componenti del comitato rispondono in maniera personale e diretta delle conseguenze provocate dal comitato e per quest’ultimo carattere i comitati si distinguono principalmente dalle associazioni non riconosciute. Al presidente spetta la rappresentanza processuale del comitato. Se a quest’ultimo viene riconosciuta la pubblicità, si comporterà come tutte le altre persone giuridiche con l’eccezione della responsabilità personale di tutti i componenti. 67
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Per tutte le altre persone giuridiche che perseguono fini di collettiva e sociale utilità, come il campo sanitario, medico, dell’istruzione, della previdenza, dello sport, storico, artistico, ecc., lo Stato è venuto in contro con dei provvedimenti legislativi per l’aiuto finanziario e il sollievo fiscale. Queste associazioni sono dette ONLUS. Non si tratta di una nuova classificazione giuridica ma di una distinzione associativa per motivi prettamente fiscali. Presso il Ministero delle finanze è previsto un registro anagrafico di tutte le ONLUS e l’istituzione di un apposito garante per la tutela e la gestione delle stesse nel settore di competenza. LA CAPACITA’ La materia della capacità è regolata dai primi articoli del Codice Civile e si distingue in:
• capacità giuridica = è l’attitudine a possedere diritti e doveri giuridici. Tutti gli uomini hanno una piena capacità giuridica mentre per le persone giuridiche la capacità è limitata. L’art. 1 cod. civ. dice che la capacità giuridica si acquista con la nascita. • capacità d’agire = è la capacità che un soggetto ha di modificare la propria situazione giuridica. La regola generale vale per la capacità, quindi l’incapacità costituisce l’eccezione. L’art. 2 cod. civ. dice che la capacità di agire si acquista con il compimento del diciottesimo anno di vita. Il sistema, comunque, ha predisposto alcune regole di incapacità per difendere e tutelare il soggetto che ne abbia bisogno (Es. età, salute, sesso, ecc.) o per sfiducia nello stesso (Es. condanne penali, fallimento, ecc.). Con il compimento di 18 anni, abbiamo detto, si acquista la capacità di agire. Il minore è del tutto incapace con le seguenti eccezioni: • a 14 anni è chiamato a dare il suo consenso per l’adozione; • a 16 anni può riconoscere un figlio naturale; • a 16 anni, in casi particolari, può contrarre matrimonio. Per l’adozione è necessaria una differenza di diciotto anni tra l’adottante e l’adottato per i minori mentre per i maggiori di età la differenza passa a trentasei anni. Tra la maturità a diciotto anni e l’incapacità totale del minore ci può essere un periodo di transito, detto di emancipazione, in cui il minore ottiene una limitata capacità di agire. Esso si ottiene con il matrimonio in età minore. La distinzione fra i due sessi che una volta portava gravi squilibri fra l’uomo e la donna oggi, fortunatamente, non ha più modo di esistere, anche grazie a numerose leggi tra cui la legge n° 215 del 1992 sulle pari opportunità fra uomo e donna nella vita imprenditoriale ed economica. La salute del soggetto, soprattutto quella mentale, acquista particolare importanza soprattutto nei confronti della capacità. Altre cause sono equiparate a quella mentale e sono la cecità e il sordomutismo che producono di fatto l’impossibilità ad una piena ed efficace capacità d’agire. 68
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Queste gravi malattie danno vita a due importanti conseguenze: l’ interdizione e l’inabilitazione. • INTERDIZIONE = l’interdizione giudiziale si ha quando colui che è afflitto da gravi malattie mentali o fisiche è dichiarato incapace a provvedere ai propri interessi. Ciò deve riguardare un vizio duraturo ma non necessariamente inguaribile. L’interdizione avviene, dopo che il giudice ha constatato l’infermità fisica o mentale, tramite una sentenza. • INABILITAZIONE = il Codice Civile dice che si può pronunciare l’inabilitazione in quattro casi: 1. per le persone che sono in una non grave malattia di mente da dover ricorrere all’interdizione; 2. per coloro che non riescono a conoscere il valore del denaro; 3. per abuso di bevande alcoliche o stupefacenti; 4. per i sordomuti e i ciechi dalla nascita o dalla prima infanzia che non abbiano ricevuto un’educazione sufficiente. Il Codice Civile identifica la situazione dell’inabilitato a quella dell’emancipato. La sentenza decide lo stato del malato e ne dichiara anche il curatore per l’inabilitato o un tutore per l’interdetto. Dopo tale sentenza gli atti compiuti autonomamente dall’interdetto o dall’inabilitato non possono esplicare i loro effetti e vengono annullati. Lo stato di interdetto o di inabilitato dura tutta la vita fino alla morte o fina a nuova sentenza. Chi stipula contratti con un incapace, cercando di trarre profitto da questa sua condizione fisica o mentale, è passivo di annullamento dell’atto appena stipulato. L’interdetto non può compiere atti di natura patrimoniale (Es. contratto, testamento, ecc.) personali e familiari (Es. matrimonio, ecc.). L’inabilitato, invece, non può compiere soltanto atti patrimoniali eccedenti l’ordinaria amministrazione. In alcuni casi, anche se il giudice non ha dichiarato l’interdizione o l’inabilitazione del soggetto, questo può trovarsi in uno stato di incapacità di intendere e di volere per cui tutti i suoi atti compiuti sotto tale sotto sono annullabili e privi di valore. La difficoltà del giudice sta nel giudicare o meno l’incapacità del soggetto secondo il concreto fatto presentatogli. La condanna all’ergastolo o alla reclusione per un periodo non minore di cinque anni, porta con se anche un’altra pena accessoria per tutta la durata della pena principale: l’interdizione legale. Importante differenza dell’interdizione legale con quella giudiziale è che la prima si riferisce soltanto a gli atti di natura patrimoniale ma non a quelli di natura personale e familiare come nel caso dell’interdizione giudiziale. L’interdizione legale non è una forma di protezione del soggetto ma di pena accessoria a quella principale della condanna.
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Un altro caso in cui si applica l’interdizione legale limitatamente al solo patrimonio è quello della dichiarazione di stato fallimentare tramite una sentenza in cui il soggetto, che è stato colpito dalla sentenza, viene dichiarato incapace di soddisfare le proprie obbligazioni nell’interesse dei vari creditori e per la tutela del loro diritto di uguaglianza di trattamento. Inoltre la legge n°15 del 1992 prevede la cancellazione dalle liste elettorali del soggetto per tutto il tempo dello stato di fallimento dello stesso. Abbiamo visto che il minore e l’interdetto non possono agire da soli se non con l’aiuto di un rappresentante legale, mentre per il minore emancipato e per l’inabilitato necessita un curatore per la realizzazione di alcuni atti. Accanto agli incapaci, perciò, troviamo una serie di soggetti abilitati alla difesa dell’incapace stesso e alla sua rappresentanza in determinati casi previsti dalla legge. Tutta la materia è dominata dalla vigilanza e dalla volontà del giudice tutelare presso la pretura. POTESTA’ DEI GENITORI = è la potestà che i genitori esercitano sui propri figli dalla nascita fino alla maggiore età, salvo precedente emancipazione. Essa è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori. La potestà comprende i poteri di natura patrimoniale e personale. Il Codice Civile stesso fissa gli obblighi-doveri di natura personale che ogni genitore deve necessariamente applicare sui propri figli come: l’educazione, l’istruzione, la custodia e l’allevamento. Gli obblighi-doveri di natura patrimoniali del genitore sono: la rappresentanza legale del figlio, l’amministrazione dei beni e l’usufrutto legale. I genitori agiscono nell’interesse e nel nome del figlio ed in caso di pareri contrastanti possono fare ricorso al parere definitivo e decisorio del giudice. In caso di donazione o lasciti a minori, il giudice dispone l’inventario dei beni trasmessi. La potestà si perde se chi la esercita dimostra di esserne incapace, si rende colpevole di alcuni reati o condannato ad alcune pene; in alcuni casi è definitiva in altri temporanea. In caso di divorzio, il tribunale decide a chi affidare la potestà. CURATELA = l’emancipato o l’inabilitato trovano integrazione alla loro volontà tramite il curatore, il quale non ha la rappresentanza e perciò non lo sostituisce. Curatore del minore sposato con persona maggiorenne sarà sempre il coniuge. Funzione principale del curatore è assistere il minore intervenendo soltanto in alcuni suoi atti e precisamente per quelli patrimoniali. TUTELA = quando un minore non ha chi eserciti la potestà e in tutti i casi in cui c’è una sentenza di interdizione, si ricorre alla tutela. Il tutore viene nominato dal giudice tutelare. La tutela dei minori si distingue in: - volontaria quando è il genitore che per ultimo esercitò la potestà a consigliare il soggetto tutore; - legittima quando a scegliere il tutore è direttamente un parente prossimo; - dativa quando il giudice affida la tutela ad un soggetto qualsiasi; - assistenziale quando il giudice affida la tutela ad un ente di assistenza.
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La tutela dell’interdetto, invece, è a discrezione del giudice tutelare nei confronti delle persone più vicine all’assistito. I criteri e le direttive da seguire nella tutela sono scelte dal giudice tutelare e devono essere rigorosamente eseguite. Il tutore ha una funzione simile a quello della potestà del genitore e deve anche amministrare i beni e rappresentarlo. Il giudice tutelare, inoltre, nomina anche un protutore che sostituisce il tutore legittimo solo in due casi, quando quest’ultimo viene a mancare o quando è in contrasto con l’assistito. Finita la tutela il tutore deve, entro due mesi, presentare al giudice il resoconto del suo operato. I DIRITTI DELLA PERSONALITA’ Ad ogni uomo, il nostro ordinamento giuridico attribuisce dei diritti definiti umani che mirano a garantire le ragioni fondamentali della vita e dello sviluppo della propria esistenza. Da tale definizione hanno preso vita diverse e numerose convenzioni internazionali per la tutela dei diritti umani. Molti di questi diritti sono stati immortalati anche nella costituzione e precisamente nei primi articoli. Fra questi diritti ci sono alcuni personalissimi come quello al nome, all’onore, all’immagine, allo status familiare, ecc. tutti questi diritti sono non patrimoniali, inalienabili, intrasmissibili ed irrinunziabili. Il diritto alla vita trova una particolare protezione con norme severe sia del Codice penale (Es. omicidio, percosse, aborto, ecc.) che del Codice Civile prevedendo pesanti sanzioni riguardanti essenzialmente il risarcimento dei danni cagionati (art.2043 cod. civ.). La Cassazione ha addirittura riconosciuto un diritto alla salute che sarebbe pericoloso violare nell’interesse di tutti. Secondo tali principi l’uomo può disporre liberamente del proprio corpo fino a quando le diminuzioni fisiche non siano permanenti. Il chirurgo può operare liberamente solo con il consenso del paziente o in sua impossibilità di un dei più diretti parenti, altrimenti compirebbe un atto illecito dal punto di vista giuridico. Altro diritto fondamentale dell’uomo è il diritto all’onore e all’integrità morale, bene ideale che circonda ogni uomo. Questo diritto è talmente importante che neanche alcuna pena può creare infamità al condannato. Questa materia è particolarmente disciplinata dal Codice penale che, fra l’altro, prevede anche il risarcimento del danno per ingiurie e diffamazioni. Per tale diritto non è possibile pubblicare foto della persona senza il suo consenso o dei parenti se questa è morta tranne che non sia per avvenimenti pubblici. Anche proibito è diffondere notizie e fatti che siano lesivi della libertà e del buon nome altrui o che siano fatti esclusivamente privati. Sotto questo profilo, di notevole importanza è la nuovissima legge n°675 del 1996 che regola il trattamento dei dati personali e ne vieta l’utilizzo e specialmente la diffusione senza il consenso dell’interessato. Secondo tale legge le banche dati, viste in maniera più o meno generalizzata, devono essere dichiarate e comunicate ad una nuova ed apposita autorità istituita per l’occasione che è il garante della privacy composto da quattro membri. La liceità delle caricature nei giornali umoristici è ammessa finchè non degeneri in ingiuria. 71
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Non si può prendere conoscenza del contenuto di lettere senza il doppio assenso del mittente e del destinatario. Stessa cosa avviene per le trasmissioni telegrafiche o telefoniche e per i segreti scientifici, industriali e professionali. Il diritto alla libertà è considerato essenziale per la persona umana, così è esplicitamente espresso nell’art.3 della Costituzione. Secondo tale libertà, l’individuo ha la facoltà di disporre liberamente dove intende stabilire la propria residenza o il proprio domicilio, salvo i casi di restrizione descritti dalla legge e dal Codice penale contro la criminalità e le associazioni mafiose. Sotto tale diritto traggono vita molti altri diritti importantissimi come quello di associazione, di religione, di stampa, di pensiero, di riunione, di matrimonio, contrattuale, ecc. A volte la libertà si assicura con delle limitazioni alla libertà, come avviene, ad esempio, per la libera concorrenza. Per l’individuo, come nucleo originario ed unico della vita non solo giuridica, è di vitale importanza un riconoscimento che porti alla distinzione fra i suoi simili. Questo è quanto mira il diritto al nome che agisce sia nell’interesse del singolo che dell’intera società. Il nome è formato dal prenome, che è dato dai genitori o da chi per loro al momento della nascita, e dal cognome che è automaticamente aggiunto al nome e che è uguale a quello del padre (art.6 cod. civ.). Se per la scelta c’è contrasto fra i genitori, data l’importanza del momento, anche dal punto di vista giuridico, la Cassazione ha sentenziato che è necessario ed obbligatorio il ricorso al giudice. Se i genitori sono ignoti, l’ufficiale di stato Civile o il direttore dell’ospizio decidono il nome e il cognome per il bambino. La legge, comunque, fissa alcuni limiti alla scelta del nome e del cognome vietando la scelta con nomi diffamanti, offensivi, ridicoli e contrari all’ordine pubblico. Non si possono neanche mettere il nome del padre vivente, del fratello vivente, un cognome al posto del nome, ecc. il nome o il cognome può essere modificato successivamente solo su domanda dell’interessato e solo per ovvi e giusti motivi e può essere concesso mediante un Decreto. Anche per la ditta commerciale è obbligatorio e garantito un nome distintivo per la difesa dell’attività economica. Al pari del nome della ditta è tutelata anche la sigla (Es. F.I.A.T.) della ditta, il marchio del prodotto e l’emblema dell’intera azienda che può racchiudere in se diverse ditte che producono diversi prodotti. IL TERRITORIO La più importante relazione giuridica della persona con il territorio è data dalla cittadinanza che un uomo ha riconosciuto dal proprio Stato in cui vive ed è nato. Questo rapporto non è trattato dal Codice Civile in quanto è materia pubblicistica e non civilistica. Nel luogo di nascita vengono registrate presso dei pubblici registri, tutte le nascite e le relative annotazioni come i matrimoni o altro ancora. Il nostro ordinamento distingue nettamente fra:
- DIMORA = indica il luogo dove la persona si trova anche in via del tutto transitoria e temporanea e non ha molta importanza giuridica tanto che non è menzionata dal Codice Civile; - RESIDENZA = è il luogo dove la persona decide di vivere, anche se non in maniera continua e stabile, ma necessariamente duratura. La residenza può 72
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essere trasferita e con efficacia nei confronti dei terzi qualora venga comunicata ai Comuni sia di partenza che di arrivo. Nella residenza viene pubblicato il matrimonio e qui si svolgerà. - DOMICILIO = è il luogo dove una persona ha stabilito di risiedere i propri interessi e i propri affari ed inoltre dove avviene la successione mortis causa e dove viene dichiarato il fallimento commerciale. Il domicilio può essere volontario, se stabilito dal singolo individuo, o legale, se stabilito dalla legge. Conseguenze comuni alla residenza e al domicilio è che in entrambe vengono notificati gli atti giudiziari ed in entrambe sono competenti gli organi di polizia giudiziaria. Anche le persone giuridiche hanno una sede, che non è però definita ne residenza ne domicilio, ma che consegue gli stessi effetti.
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CAPO IV IL DIRITTO DI FAMIGLIA Diritto di famiglia Esso rappresenta l’insieme delle norme che hanno per oggetto gli status familiari e i rapporti che si riferiscono alle persone che sostituiscono la famiglia. La famiglia è una formazione sociale fondata sul matrimonio. A questa famiglia si contrappone quella naturale, costituita da persone di sesso diverso che convivono. Essi hanno scarsa rilevanza giuridica, i figli sono considerati come i figli legittimi, ha il diritto, il familiare di fatto, al risarcimento dei danni causati ad un terzo che abbia causato la morte del convivente. Il coniuge divorziato perde il diritto agli alimenti se riceve aiuto dal familiare di fatto. Rapporto di parentela : legame di sangue tra persone che discendono dallo stesso capostipite(genitori figli) Rapporto di affinità: rapporto che lega coniuge e parenti dell’altro coniuge suocero e genero) Matrimonio può essere inteso come un atto costitutivo della famiglia o come rapporto giuridico. Esistono due tipi di matrimonio: quello civile fatto davanti all’ufficiale di stato civile e quello concordatario celebrato davanti al Ministro del culto cattolico e trascritto nei registri dello stato civile. Il nostro ordinamento tutela la libertà di matrimonio, mentre la promessa di prendersi reciprocamente come marito e moglie non obbliga a contrarre matrimonio. Tuttavia la legge vuole tutelare chi per la promessa abbia sostenuto spese o assunto obblighi, infatti se la promessa risulta da atto scritto il promittente che si rifiuta senza valido motivo è obbligato a risarcire i danni all’altro, il promittente può richiedere la restituzione dei beni fatti a causa della promessa di matrimonio. Per celebrare il matrimonio bisogna avere un’età minima di 18 anni(16 per gravi motivi), essere sani di mente, non avere altro vincolo matrimoniale, mancanza di parentela o affinità, mancanza dell’impedimento criminale, senza essere trascorsi 300 giorni dalla morte del marito, per non aver pubblicato la loro intenzione di matrimonio. La pubblicazione deve essere esposta per almeno 8 giorni(2 domeniche) sul portale del comune di residenza degli sposi, dopo la pubblicazione segue la celebrazione che avviene davanti all’ufficiale dello stato civile o in caso di guerra in procura. La prova del matrimonio può essere fatta solo con l’atto di celebrazione. Invalidità del matrimonio Irregolarità si ha per l’inosservanza del lutto vedovile e sulla pubblicazione. Inesistente quando manca la celebrazione, il consenso degli sposi oppure le persone erano dello stesso sesso. I casi di nullità di matrimonio vera e propria si hanno a seguito di: 1. Vincolo di precedente matrimonio 2. Interdizione o incapacità di intendere e volere 3. Impedimento criminale Il matrimonio può essere impugnato dal coniuge il cui consenso sia stato estorto con la violenza o per ragioni di eccezionale gravità(sfuggire a persecuzioni razziali), sia stato dato scambiando l’identità del coniuge oppure quando uno dei coniugi non avrebbe dato il suo consenso per la celebrazione del matrimonio se avesse saputo delle qualità dell’altro coniuge: esistenza di una deviazione sessuale, malattia fisica o psichica tali da impedire la normale vita coniugale, esistenza di una condanna non inferiore ai 5 anni per delitti non colposi, dichiarazione di delinquenza abituale, condanna non inferiore ai 2 anni per 74
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prostituzione, gravidanza non cagionata dal coniuge. Entro un anno dal matrimonio si può chiedere la simulazione quando gli sposi abbiano convenuto di non adempire agli obblighi della vita coniugale. Es. due giovani si sposano per fare contento il padre moribondo. Di regola l’annullamento ha effetto retroattivo. Non si può però chiudere un occhio su quello che il matrimonio ha creato. Allora la legge chiama matrimonio putativo il matrimonio che i coniugi reputavano valido. Se hanno contratto il matrimonio in buona fede sono fatti salvi tutti gli effetti nel frattempo prodottisi, se si opera in malafede il matrimonio è valido solo nei confronti dei figli. Nel matrimonio canonico il matrimonio viene celebrato davanti al ministro del culto religioso, in questo caso la pubblicazione deve essere fatta, oltre che sulla porta parrocchiale, anche nella casa comunale, se l’ufficiale di stato non gli viene notificata nessuna opposizioni rilascia un certificato in cui dichiara quando detto prima, la celebrazione avviene secondo la disciplina canonica alla presenza del sacerdote, questo deve compilare l’atto di matrimonio e inviarlo entro 5 giorni, questo lo trascrive nel registro dei stati civili entro un giorno dal ricevimento dell’atto. Il matrimonio celebrato secondo le regole di un altro culto rappresenta una forma di particolare di matrimonio civile. I coniugi hanno degli importanti diritti e doveri: Coabitazione: consiste nella normale convivenza di marito e moglie, nella comunione di casa e vita sessuale. Fedeltà: essa è l’obbligo di astenersi da ogni attività sessuale con altra persona. Assistenza: è l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale dell’altro coniuge Collaborazione: i coniugi collaborano nell’interesse della famiglia: decido l’educazione dei figli etc La contribuzione ai bisogni della famiglia : ciascun coniuge è tenuto secondo ai propri mezzi e capacità a contribuire ai bisogni familiari. ·
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Regime patrimoniale della famiglia Dopo la riforma del diritto di famiglia che ha equiparatola posizione dei due coniugi anche in regime patrimoniale che salvo diversa indicazione è costituito dalla comunione dei beni in cui i beni acquistati anche separatamente in costanza di matrimonio. Tuttavia esiste anche la separazione dei beni ovvero la costituzione di un fondo patrimoniale. L’autonomia incontra i seguenti limiti, il divieto di derogare ai diritti e ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio, divieto che si riferisce ai doveri patrimoniale previsti dalla legge, divieto di costituzione in dote(beni che la moglie attribuiva il godimento al marito pur restandone la proprietaria) che in questo caso è nulla. Le parti possono cambiare il regime legale della comunione mediante un negozio stipulato con atto pubblico, questo è in ogni momento modificabile. Nella comunione legale entrano tutti i beni acquistati dopo il matrimonio, i frutti dei beni di ciascun coniuge, proventi dell’attività separate dei coniugi se non ancora consumati, aziende gestite da entrambi e costituite dopo il matrimonio, solo gli utili e dividendi se costituite prima del matrimonio ma gestite da entrambi, non cadono in comunione solo i beni personale di ciascun coniuge acquistati prima del matrimonio, i beni acquistati dopo la matrimonio per mezzo di donazione o testamento quando non sia indicato che andavano alla comunione, beni personali(abiti, orologio, etc.) beni ottenuti a titolo di 75
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risarcimento danni, beni per lo svolgimento dell’attività lavorativa del coniuge(possono essere beni immobili: studio professionale, beni mobili registrati: automobile). L’amministrazione del patrimonio comune spetta ad entrambi i coniugi, gli atti di ordinaria amministrazione possono esse svolti da entrambi disgiuntamente, la rappresentanza in giudizio per atti ordinari è riconosciuta disgiuntamente a entrambi, per atti di straordinaria amministrazione la rappresentanza in giudizio è riconosciuta congiuntamente ai coniugi. I creditori personali dei coniugi possono soddisfarsi sui beni della comunione solo dopo aver escusso i beni personali, i creditori della comunione invece possono soddisfare nella misura della metà del credito sui beni personali se i beni della comunione sono insufficienti. La comunione si scioglie se muore un coniuge o viene dichiarato morto presunto, divorzio, annullamento del matrimonio, separazione personale, separazione dei beni, pronuncia di fallimento, mediante convenzione si attua un regime patrimoniale di verso dalla comunione. L’azienda coniugale si scioglie per accordo dei coniugi da stipulare con atto pubblico. Se accade una di queste cause cessa la comunione e sia attua la divisione del patrimonio comune. Con una convenzione i coniugi possono escludere o ammettere alcuni beni nella comunione legale che altrimenti non sarebbero ammessi, la comunione prende il nome di convenzione legale. La separazione dei beni attribuisce a ciascun coniuge la proprietà dei beni acquistati durante il matrimonio, anche questa è una convenzione e deve avere la forma richiesta per le convenzioni. I coniugi possono conferire dei beni in un fondo destinato a far fronte ai bisogni familiare. Il fondo patrimoniale può essere costituito da beni di entrambi, di uno solo o di un terzo. I frutti del fondo devono essere impiegati per i bisogni della famiglia e la loro amministrazione spetta ad entrambi i coniugi. I debiti contratti per cose non inerenti al bisogno familiare non possono farsi valere sul fondo. Il fondo termina di esistere son l’annullamento del matrimonio o scioglimento di esso. L’impresa familiare è quella in cui si presta attività di lavoro il coniuge, i parenti entro il 3 grado e affini entro il secondo. Il familiare ha il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e il diritto a partecipare agli utili o agli incrementi dell’azienda. Il lavoro della donna è considerato peri al maschio. I familiari hanno il diritto di partecipare alla gestione dell’impresa, sono loro che a maggioranza decidono sul da farsi. Il diritto di partecipazione è intrasferibile se non ad altro familiare con il consenso di tutti i partecipanti. Ciascun partecipe ha un diritto di prelazione sull’impresa in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda. Scioglimento del matrimonio: esso può avvenire o per la morte di uno dei coniugi o per il divorzio. La morte non fa cessare alcuni effetti del matrimonio, es. il coniuge ha diritti di successori sul patrimonio dell’altro, la vedova non può contrarre matrimonio durante il lutto vedovile, la vedova conserva il conserva il cognome del marito, i rapporti di affinità non cessano. Il divorzio è ammissibile solo quando il giudice, dopo aver fallito il tentativo di conciliazione, accerta che la comunione materiale e spirituale dei coniugi non può essere mantenuta. Le singole cause tassative previste dalla legge sono quando uno dei due coniugi sia stato condannato all’ergastolo per reati particolarmente gravi(incesti, stupro,
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prostituzione), quando un cittadino abbia ottenuto all’estero l’annullamento del matrimonio, quando il matrimonio non sia stato consumato. Il divorzio scioglie il matrimonio con possibilità di contrarre nuovo matrimonio, la moglie perde il cognome del marito, uno dei due coniugi deve corrispondere all’altro un assegno periodico in proporzione al proprio reddito, assegna i figli a uno di loro con obbligo dell’altro di contribuire al mantenimento, vengono persi i diritti successori. La separazione personale è la situazione di legale sospensione dei doveri reciproci dei coniugi, salvo quelli di assistenza e reciproco rispetto. Il matrimonio non cessa, quindi non si può contrarre nuovo matrimonio, può finire in qualsiasi momento con la riconciliazione dei coniugi. Esistono tre tipi di separazione: - Separazione di fatto : è l’interruzione della convivenza dei coniugi, non ha rilevanza giuridica anche se può essere usata per il divorzio - Separazione consensuale : avviene con accordo delle parti che deve essere omologato dal tribunale, esso darà il consenso solo se non sarà in contrasto con l’interesse della prole. A tale scopo può dettare delle condizioni da adottare nell’interesse dei figli - Separazione giudiziale: è pronunciata dal giudice si istanza di uno o entrambi i coniugi per cui la convivenza sia diventata intollerabile o l’educazione dei figli sia in pericolo. E’ indifferente di chi sia colpa, però il giudice può stabilirlo e fare in modo che il colpevole dia quanto necessario per il mantenimento, ha rilevanza per i fini successori in quanto solo il coniuge senza addebito ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato. Resta fermo l’obbligo degli alimenti. I figli sono affidati a uno di essi. La riconciliazione può avvenire in qualsiasi momento e può essere tacita se riprende con il ritorno a casa di uno dei coniugi o espressa se sancita da un accordo formale. Non richiedono un provvedimento giudiziale per far cessare gli effetti della separazione ma producono effetti di per sè. La filiazione è il rapporto che intercorre tra genitore e figlio. A seconda che il figlio sia nato durante il matrimonio o fuori di esso prende il nome di legittimo o naturale. Per vedere se il figlio è stato concepito dal legittimo marito e in stato di matrimonio la legge dice che il marito è il padre del figlio anche se questo può disconoscerlo, si ritiene concepito nel matrimonio il figlio nato non prima di 180 giorni dalla sua celebrazione e non dopo 300 giorni dal suo scioglimento. Un figlio nato fuori da questo range può lo stesso essere considerato legittimo. La maternità si prova con l’atto di nascita, il matrimonio con il certificato di matrimonio. Con lo status di legittimo il figlio al il diritto di essere educato, mantenuto, diritto agli alimenti, diritto successori, dovere di obbedienza ai genitori, instaurazione del rapporto di parentela con i parenti dei genitori. Il disconoscimento del figlio è consentito solo se i genitori non hanno coabitato nel periodo tra il 300 e il 180 giorno prima della nascita, se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, se la moglie ha commesso adulterio. Se il disconoscimento è accettato il figlio risulta naturale riconosciuto dalla madre. Azione impugnativa della paternità è diretta a disconoscere il figlio nato prima di 180 giorni prima della celebrazione del matrimoni; azione di contestazione della legittimità mira a negare l’appartenenza del figlio alla famiglia, si può impugnare il parto, l’identità del figlio, l’annualità del matrimonio; azione di reclamo della legittimità il figlio reclama lo status di figlio legittimo, non può essere fatta se il figlio è già legittimo di qualcun altro, tranne nel caso di supposizione di sostituzione di neonato.
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Riconoscimento consiste nella dichiarazione fatta da uno o entrambi genitori che una data persona è figlio. Figlio naturale è quello nato da una coppia non sposato, può essere riconoscibile se le persone non sono sposate o lo sono con matrimonio diversi, irriconoscibile se nato da due parenti che non sapevano di essere tali, se la buonafede è da parte di uno solo dei genitori questo può riconoscere il figlio. Il riconoscimento è un atto formale in quanto può essere fatto solo nelle forme prestabilite e irrevocabile, puro visto che non ammette né condizioni né termini, impugnabile solo per effetto di impugnabilità, personale visto che può essere fatto solo dal genitore. Se il riconoscimento avviene nei confronti un ultrasedicenne deve il figlio ne deve dare l’assenso. La legge ha equiparato lo status di figlio legittimo con quello naturale il quale ha praticamente gli stessi diritti del legittimo, ha gli stessi diritto mortis causa anche se il figlio legittimo può commutare in denaro la parte spettante al naturale, il figlio naturale non acquista vincoli di parentela con i parenti dei genitori tranne nei casi previsti dalla legge. Il figlio naturale può ricevere lo status di legittimo se i due genitori si sposano tra di loro o su provvedimento del giudice se vi sia, per casi gravi, l’impossibilità per i genitori di sposarsi. Per l’adozione la legge richiede alcuni requisiti e cioè che i futuri genitori siano sposati da almeno tre anni e la loro età deve superare non meno di diciotto e non più di quaranta quella dell’adottato, devono essere idonei a mantenere e a educare i figli, l’adozione è consentita per tutti i minori, se l’adottato ha tra i 12 e 14 anni deve essere sentito, se ne ha più di 14 deve dare il suo assenso. Lo stato di adozione si concretizza con la mancata assistenza morale e materiale non temporanea da parte dei genitori. Prima dell’adozione vera e propria è previsto un periodo di affidamento preadottivo della durata di un anno. L’adottato acquista lo status di figlio legittimo e assume il cognome dai nuovi genitori, cessano i rapporti giuridici con i veri genitori tranne quelli di non matrimonio. L’adozione di maggiorenni è consentita a coloro che non hanno figli legittimi o legittimati, che abbiano compiuto 35 e che superino i 18 anni di differenza di età con l’adottato. Per esserci adozione serve il consenso delle due parti(adottante e adottato), il consenso dei genitori dell’adottato. Il Tribunale svolge tutte le indagini per vedere se esiste un vantaggio per l’adottato, poi questo prende il nuovo cognome e lo antepone al primo. Non nascono rapporti di parentale tra l’adottato e i parenti dell’adottante. L’adottato acquista i diritti successori. L’affidamento si ha quando il minore sia privo di un ambiente familiare idoneo, la situazione deve essere temporanea, possono diventare affidatari del minore una famiglia, una persona singola o una comunità di tipo famigliare. Gli affidatari sostituiscono i genitori e devono svolgere tutte quelle cose proprie dei genitori, devono anche favorire il reinserimento del minore nella famiglia di origine. Alimenti è il diritto all’assistenza materiale della persona priva di mezzi che prima veniva mantenuta dalla famiglia. Questo diritto è personalissimo. Perché nasca questo diritto bisogna che ci sia un rapporto di parentela, affinità, adozione, tra alimentante e alimentando, lo stato di bisogno che si trova l’avente diritto accompagnato dall’impossibilità di provvedere al proprio mantenimento, le situazioni economiche dell’obbligato. La misura deve essere misurata in proporzione alle situazioni economiche dell’obbligato e del bisogno della domanda. Il modo di somministrazione è indicato dall’autorità giudiziaria. Oltre alle persone legate da vincolo di parentela, affinità, adozione chiunque tramite un contratto può assumersi l’obbligo verso altre persone di 78
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mantenerle. Questo obbligo può derivare anche da testamento, ricorre allora il legato alimentare. CAPO V LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE Le successioni per causa di morte e le donazioni Le successioni si hanno quando un rapporto giuridico, pur restando inalterato, passa da un soggetto all’altro. Si dice mortis causa se avviene per causa di morte. A chi lasciare i diritti patrimoniali del defunto può essere deciso dalla legge o mediante testamento. Non sono ammessi tutti i beni, ma soltanto: i rapporti patrimoniali di natura reale, sono esclusi quelli personalissimi(usufrutto, uso), i rapporti potestativi, i rapporti patrimoniali personali(diritti di credito) purchè non si estinguano con la morte del soggetto(diritto agli alimenti), i rapporti inerenti all’azienda, i rapporti in formazione nel caso che la proposta non cada con la morte del soggetto. La successione ha i caratteri: patrimoniali, carattere della continuità, carattere derivativo che può essere derivativo-traslativo se il diritto esisteva già nel patrimonio del defunto, derivativo-costitutivo se il diritto non esisteva, ma viene costituito grazie ad un diritto del defunto(usufrutto costituito per testamento che presuppone l’esistenza del diritto di proprietà del defunto. Si a successione universale quando un soggetto(erede) succede a tutti o ad una quota bi beni da solo o con altre persone. Si ha successione a titolo particolare quando una persona(legatario) subentra a uno o più diritti senza che questi siano considerati quote. L’erede subentra nel possesso del bene che era posseduto dal defunto, il legatario non subentra, ma ne inizia uno nuovo che può essere unito a quello dell’autore per goderne gli effetti. L’erede deve rispondere anche dei debiti del defunto, il legatario no a meno che non gli sia stato imposto dal defunto(il legatario non è vincolato per più di quanto ricevuto).L’erede deve fare accettazione cioè un atto di volontà del successore, al legatario gli vengono assegnati i beni di diritto, senza atto di volontà, anche se questo può rifiutarsi. La successione a titolo universale è un fenomeno necessario in quanto deve sempre esserci per la continuità, la successione e l’accettazione non può essere sottoposta a termine o a condizione, La confusione tra il patrimonio del defunto e quello dell’erede perché questo risponde anche con il suo patrimonio dei debiti del defunto.
Quando un soggetto muore viene fatta l’apertura della successione nel luogo di ultimo domicilio. Questa è un fatto giuridico. La seconda fase è la vocazione cioè la chiamata all’eredità, il titolo in base al quale si succede, è la designazione di colui che dovrà succedere fatta per legge(se manca il testamento) o testamento. La delazione è l’offerta al designato del diritto di succedere. Può essere successiva se dopo un’unica chiamata i due soggetti sono destinati a succedere uno dopo la morte dell’altro, solidale se ogni successore è chiamato per intero in concorso con altri(fenomeno che si all’accrescimento), condizionata si l’istituzione di erede è fatta sotto condizione sospensiva, indiretta cioè nella rappresentazione. Sono vietati i patti successori, cioè quei patti in cui si fa uso dei diritti che si acquistano con l’eredità di una persona ancora viva(A vende a B i beni che dovrebbero pervenirgli in eredità da C che è ancora vivo). Il delato prima di accettare può compiere le azioni possessorie, compiere atti conservativi o cautelari di vigilanza, dopo l’autorizzazione giudiziale, può vendere i beni ereditari inconservabili. Può succedere che i chiamati non accettino subito l’eredità, il patrimonio del defunto per evitare che resti 79
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abbandonato è predisposto l’istituto dell’eredità giacente che prevede la nomina di un curatore che amministri gli interesse dell’eredità finchè non viene accettata. Per avere eredità giacente bisogna che manche l’accettazione da parte del chiamato, il chiamato non sia in possesso dei beni ereditari e sia stato nominato dall’autorità giudiziale un curatore. La capacità di succedere è l’attitudine di subentrare nella titolarità dei rapporti giuridici del defunto. Non va confusa con la capacità di agire necessaria per accettare l’eredità. È capace di succedere chi sia nato nel momento in cui si apre la successione. Sono capaci di succedere tutte le persone nate o concepite al momento dell’apertura della successione. Nella successione mediante testamento possono essere chiamati a succedere i figli non ancora concepiti di persona viva. Non possono ricevere eredità il tutore del testatore in cui, al tempo della tutela, avevano stilato il testamento, il notaio a cui sia stato dato li testamento in plico non sigillato, persona che ha scritto il testamento segreto salvo che le disposizioni a suo favore siano venute per mano del testatore. Possono succedere anche le persone giuridiche solo se l’ente è riconosciuto o se non viene fatta domanda per diventarlo entro un anno. L’indegno è colui, che dietro pronunciamento del giudice, è escluso dalla successione. I casi di indegnità sono: quelli che hanno attentato alla vite del testatore(o coniuge o discendente) o altro danno punibile con la stessa pena dell’omicidio, quelli che hanno falsamente testimoniato o accusato ingiustamente il testatore per reati punibili con l’ergastolo o reclusione non inferiore ad anni 3, quelli che con dolo o violenza abbiano provocato il testatore a cambiare il testamento. Se l’indegnità si accerta prima dell’apertura della successione l’indegno è impossibilitato di adire all’eredità, se accertata dopo l’indegno deve restituire tutta l’eredità e i frutti concepiti dopo l’apertura della successione. Ha effetto retroattivo e vale solo nei confronti della persona offesa. L’indegno può essere riabilitato dalla persona offesa che vuole ugualmente dargli in eredità il suo patrimonio. Deve essere fatta per atto pubblico o per testamento. Può essere assoluta o parziale(se fatta in testamento successivo al verificarsi della causa di indegnità , con il permesso del testatore, l’indegno può succedere solo per le disposizioni a suo favore). Sostituzioni testamentaria quando il testatore, dopo aver istituito l’erede ordina che a fianco di questi ci sia un’altra persona al verificarsi di un determinato evento. Può essere: ordinaria se il testatore vuole assicurarsi che nel caso il primo non accetti il l’eredità ci sia un altro che lo faccia, la sostituzione prevale sulla rappresentanza e l’arricchimento; fedecommissaria si ha quando il testatore incarichi l’erede ti conservare i beni in modo che alla sua morte possano passare ad altra persona. Si ha una duplice chiamata. Una volta era molto usata per trapassare i beni da una famiglia nobile all’altra, oggi è proibita visto che contrasta con il principio della libera circolazione dei beni. È consentita solo se l’istituto è un interdetto e il sostituto è l’ente o la persona che lo ha curato. Diritto di rappresentanza è l’istituto in base al quale i discendenti subentrano nel luogo e nel grado del loro ascendente in tutti i casi in cui questo non può o non vuole accettare l’eredità( Tizio ha due figli A e B i quali hanno a sua volta due figli. Se B muore l’eredità di Tizio viene divisa a metà per A e metà ai figli di B). Perché succeda ciò bisogna anche che non ci siano disposizioni sostitutive. È prevista solo a favore dei discendenti legittimi o naturali, legittimati o adottivi speciali dei: figli legittimi, legittimati, adottivi del defunto, fratelli o sorelle del defunto. Possono accettare anche se hanno rifiutato l’eredità in luogo alla quale subentrano o se erano indegni verso questa, ma non vero il testatore. La rappresentanza può andare avanti all’infinito.
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L’accrescimento si ha quando gli eredi sono tanti e uno di questi non accetta l’eredità, le quote degli altri si accrescono. La chiamata a succedere deve essere fatta con lo stesso testamento nel quale il testatore ha chiamato la successione congiunta. Nel legato invece basta che l’oggetto sia stato legato a più persone. Per avere accrescimento serve una chiamata congiuntiva, non risulti diversa volontà, non esistano i presupposti per la rappresentanza. Prima opera la sostituzione, poi la rappresentanza, poi l’accrescimento altrimenti si devolvono i beni agli eredi legittimi. Effetti: i coeredi subentrano agli obblighi cui era soggetto l’erede o il legatario mancante, opera di diritto senza una dichiarazione da parte dei coeredi, è irrinunciabile. Il diritto di accettazione è il diritto del chiamato di acquistare eredità. Si prescrive in dieci anni. La decadenza si ha solo quando l’autorità giudiziaria abbia fissato un termine entro il quale il chiamato avrebbe dovuto accettare o rinunciare, trascorso tale termine il soggetto perde il diritto ad ereditare. Se il chiamato all’eredità muore prima di poter accettare, il diritto si trasmette ai suoi eredi perché questo diritto entra a far parte del patrimonio ereditario. L’accettazione è la dichiarazione di volontà del chiamato. È l’adesione della chiamata a succedere, è una facoltà , ma anche un onere visto che se non c’è accettazione non c’è eredità. L’effetto dell’accettazione risale all’apertura della successione, così non ci sono momenti morti. Non può essere sottoposta a condizione, non può essere parziale ed è irrevocabile(tranne che la volontà sia viziata da dolo o violenza). Può essere pura e semplice se si forma confusione tra il patrimonio del defunto e quello dell’erede ed esso risponde dei debiti del defunto o con beneficio di inventario si ha quando l’erede non permetta che fra il proprio patrimonio e quello del defunto ci sia confusione, risponde cioè dei debiti solo con quello che ha ereditato. È una facoltà per ogni chiamato. Deve avere la forma di una dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale in cui si è aperta la successione. Il chiamato se possiede i beni ereditati ha tempo 3 mesi per fare l’inventario e decidere se accettare o rinunciare nei 40 giorni successivi, altrimenti diventa puro e semplice, se non è in possesso dei beni ha tempo finchè non si prescrive il diritto di accettazione, poi ha 3 mesi per fare l’inventario. L’erede conserva tutti gli obblighi che aveva verso il defunto(in quella pura e semplice si estinguevano per confusione), può pagare solo in proporzione a quello che ha ereditato, i creditori del defunto hanno precedenza sui beni ereditati rispetto a quelli dell’erede. Il beneficiato diventa amministratore del patrimonio ereditato nell’interesse dei creditori ereditari e dei legatari a cui deve rendere conto. Egli può pagare i debiti: pagando i creditori a mano a mano che si presentano, con la liquidazioni con uguale trattamento, l’erede consegna i beni ad un curatore così si libera da ogni responsabilità. Il beneficio di inventario può decadere e diventare puro e semplice quando: ci siano omissioni di beni o inclusioni di debiti dolosi nell’inventario, alienazioni di beni o costituzioni di garanzie reali se di essi senza autorizzazione giudiziale, inosservanza procedurali durante la liquidazione. Forma: l’accettazione può essere espressa quando risulta da atto pubblico o da scrittura privata, tacita se il chiamato compie atti che rendono chiara la sua volontà di succedere e che non avrebbe il diritto di fare se non fosse erede(domanda giudiziale della domanda di divisione dell’eredità), presunta o legale quando il chiamato pone in essere atti di disposizione che sono considerati atti di implicita accettazione, sono tali le manifestazioni di volontà come la donazione e la vendita. Può accadere che l’erede abbia molti debiti, allora abbia convenienza a fare confusione tra il suo patrimonio e quello del defunto. I debitori di 81
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quest’ultimo sono costretti a subire la concorrenza dei creditori dell’erede; allora i creditori del defunto possono chiedere la separazione del patrimonio del defunto da quello dell’erede. La separazione provoca una preferenza al soddisfacimento ai creditori del defunto rispetto a quelli dell’erede. Questo diritto va esercitato entro 3 mesi dall’apertura della successione, per i beni mobili serve la domanda giudiziale, per quelli immobili bisogna iscrivere sopra ogni bene, con l’indicazione del bene, il nome del defunto e quello dell’erede se conosciuto. Il separatista può far valere il suo credito anche sul patrimonio personale dell’erede. La petizione di eredità è l’azione con cui l’erede chiede il riconoscimento del suo diritto contro chiunque possieda tutti o parte dei beni ereditari senza averne il diritto, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni stessi. È imprescrittibile. Per avere questa azione serve: l’accettazione da parte dell’erede dell’eredità, il possesso da parte di un terzo dei beni del defunto. Può essere esercitata dall’erede nei confronti di chi possiede i beni ereditari : a titolo di erede nel caso che chi possiede si assume erede in base alla legge e l’altro in base al testamento(o, viceversa, perché l’erede legittimo contesta la validità del testamento), senza alcun titolo. Se l’azione viene accolta viene riconosciuto erede colui che l’ha proposta, l’altro deve restituire i beni con i frutti dalla domanda giudiziale se in buona fede o dal giorno in cui ha iniziato a godere se in malafede. L’erede apparente è colui che in base a qualche indizio oggettivo è apparso ad un terzo l’erede e questo sia entrato in rapporti giudici con lui. Il terzo dovrà restituire all’erede originario il bene tranne che: il possessore appariva erede, si tratti di convenzioni a titolo oneroso, il terzo sia in buona fede ossia abbia creduto di contrarre con l’erede effettivo, la buona fede non si presume, ma va provata dal terzo, la trascrizione dell’ acquisto a titolo di erede e l’acquisto dall’erede apparente deve essere stata fatta prima dell’acquisto da parte dell’erede effettivo o della domanda giudiziale contro l’erede apparente se l’acquisto riguarda beni immobili o mobili registrati. La rinuncia all’eredità è un negozio unilaterale tra vivi, non recettizio, con il quale il chiamato dichiara di voler rinunciare all’eredità. Ha effetto retroattivo, il rinunciante è come se non fosse mai stato chiamato all’eredità. Cessano gli effetti della delazione e rimane estraneo alla stessa. La rinuncia può farsi valere solo dopo l’apertura della successione, è un atto solenne cioè dichiarato dal chiamato ad un notaio o al cancelliere del tribunale, non può essere valida se fatta sotto condizione o termine, non può essere parziale, è limitatamente revocabile. Gli effetti possono essere diretti cioè elimina lo stato di dubbio precedente, indiretti nel caso di successione legittima, avranno luogo la rappresentanza, l’accrescimento, la devoluzioni chiamati per legge, nel caso di successione testamentaria si ha la sostituzioni, la rappresentanza e l’accrescimento, devoluzione agli eredi legittimi. La rinuncia è revocabile se non è già prescritto il diritto(10 anni), non ci sia stata accettazione da parte di altri eredi. La rinuncia non può essere fatta e si intende accettata pura e semplice se il chiamato ha sottratto o nascosto beni ereditari, sia nel possesso dei beni e siano trascorsi 3 mesi senza che abbia fatto l'inventario. La successione legittima è la successione per volontà di legge. C’è nel caso di morte senza testamento, il testamento è nullo, annullabile o revocato, il testamento dispone solo di alcuni beni. Sono successori legittimi il coniuge, i discendenti, ascendenti legittimi e parenti fino al sesto grado. Al padre e madre succedono, in parti uguali, i figli legittimi o naturali, se non vi sono discendenti succedono i genitori che concorrono con il coniuge superstite e con i fratelli e sorelle del defunto, ai figliastri spetta la metà rispetto ai figli veri. Ai figli non riconosciuti spetta un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita che avrebbero ricevuto se fossero stati 82
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riconosciuti. Il coniuge diventa erede se il defunto non lascia figli, ascendenti o fratelli, coerede negli altri casi. Il divorzio fa perdere ai coniugi il diritto di succedere l’uno all’altro, la separazione coniugale se non addebitata al coniuge superstite non fa perdere il diritto di succedere. In caso di divorzio e di separazione con addebito al coniuge spetta un assegno vitalizio se al momento dell’apertura godeva degli alimenti a carico del coniuge decaduto. Al coniuge spetta l’uso dell’abitazione coniugale e l’uso dei mobili. Se non ci sono eredi lo stato eredita il patrimonio. L’acquisto dello stato ha luogo di diritto, lo stato è l’unica figura di erede necessario e perciò non può rinunciare, lo stato non risponde dei debiti oltre i beni acquisiti. Il testamento è l’atto revocabile con cui il testatore dispone di chi dovrà subentrare nei suoi diritti dopo la sua morte. Il suo contenuto è tipico se è di natura patrimoniale e può contenere l’istituzione di uno o più eredi destinatari dei beni o l’attribuzione di uno o più legati, atipico se riguarda disposizioni di carattere non patrimoniale (riconoscere un figlio, riabilitare un indegno). Il testamento è un negozio giuridico in quanto è una manifestazione di volontà, diretta ad effetti giuridici. È un negozio unilaterale(è valido indipendentemente se viene accettato o no), è unipersonale(vietato il testamento congiuntivo e reciproco), gratuito, revocabile e modificabile, è un atto personalissimo, è un negozio formale e solenne(deve essere per iscritto). La volontà deve essere spontanea, deve manifestarsi in modo espresso in una forma solenne prevista dalla legge. Nel testamento prevale la volontà del testatore e non quello che c’è scritto, un vizio che alteri la sua volontà rende il testamento annullabile da chiunque ne abbia interesse. La causa è sempre tipica, cioè quella di dare i propri beni a qualcuno dopo la morte. Il motivo ha rilevanza se il motivo risultante dal testamento è un errore di fatto o di diritto ed è il solo che ha spinto il testatore a disporre, il testamento è annullabile, è nullo invece se il motivo è illecito. Gli elementi accidentali del testamento sono: la condizione. Il testamento può essere fatto sotto condizione sospensiva(quando ti laurei sarai mio erede), ha effetto retroattivo. Se la condizione è impossibile o illecita è considerata come non apposta, se però è motivo unico sarà nulla la disposizione, è nulla la condizione che impedisca le prime o ulteriori nozze dell’istituto. Il termine nelle disposizioni a titolo universale si ha per non apposto perché quello iniziale lascia i beni senza un titolare, quello finale perché contrasta un principio, nelle disposizioni a titolo particolare è ammesso sia il termine finale che quello iniziale anche se il termine iniziale non può coincidere con la morte del testatore e quello finale apposto ad un legato del diritto di proprietà su un bene non ammesso da coloro che escludono la proprietà temporanea. L’onere può essere opposto sia all’erede che al legato. Può essere un fare, in un dare(ti lascio tutto ma ogni anno devi donare una somma alla ricerca sul cancro), non fare(Se l’operato è non modificare la mia casa). L’erede è tenuto ad eseguire l’ordine anche oltre il ricevuto, mentre il legato no. Se l’onerato è inadempiente la risoluzione del lascito testamentaria può essere pronunziata solo se è prevista dal testatore, quando l’adempimento abbia rappresentato l’unica motivo della disposizione. Nel testamento deve essere ben indicata a chi è rivolta la disposizione a pena di nullità(lascio a Giorgio, io ho tre amici Giorgio, un fratello Giorgio etc). Possono farsi delle disposizioni per i poveri(si intendo no poveri del luogo salvo diversa indicazione), a suffragio della propria anima. In alcuni testamenti non sono specificati né l’oggetto né i destinatari; il testatore può lasciare questa facoltà ad un terzo o si individuano attraverso 83
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fatti precisi indicati dal testatore. L’indicazione dei destinatari e dell’oggetto delle disposizioni devono essere provenire sempre e solo dal testatore. Sono nulle quelle che fanno dipendere da un terzo l’erede o le quote di eredità. Si può far fare all’erede solo alcune decisioni(lasci la mia auto a chi tra A e B il mio erede preferirà, il mio erede può scegliere tra la mia auto e 5 milioni). LA disposizione fiduciaria si ha quando un testatore lasci tutto ad una persona con l’intento, sancito fuori dal testamento, che questa lasci il tutto ad un’altra persona indicata dal testatore. Il fiduciario non è costretta a devolvere il tutto ad altra persona, se però lo fa non può chiede indietro niente. Il terzo diviene successore a titolo particolare del fiduciario. Oltre ai testamenti normale ci sono anche quelli speciali che sono riconosciuti solo in particolari situazioni(malattie contagiose, tempo di guerra, marinai), perdono efficacia dopo tre mesi del ritorno alla normalità. Il testamento ordinario può essere: Olografo se è redatto, datato e sottoscritto di pugno dal testatore. Deve avere autografia del testatore, deve quindi essere scritto a mano, indicazione della data, serve a vedere la capacità del testatore e per eventuali revoche successive, sottoscrizione serve per individuare il testatore, da la volontà che quello scritto sopra è diventato definitivo. Se manca l’autografia o la sottoscrizione il testamento è nullo. Altrimenti è annullabile. Testamento pubblico è un documento redatto da un notaio su dettatura del testatore con la presenza di due testimoni. Deve essere dettato dal testatore con accertamento dell’identità del testatore, due testimoni o quattro, redazione per iscritto da parte del notaio, la lettura da parte del notaio di quanto scritto, sottoscrizione dei testimoni e del testatore, data e ora, menzione dell’osservanza delle formalità enunciate. Testamento segreto consiste nella consegna ad un notaio delle disposizioni testamentarie il quale la riceve e la conserva. Può essere scritta da un terzo ma deve essere sottoscritta dal testatore, se non lo è bisogna farlo presente al notaio e dire il perché, deve essere sigillata altrimenti il notaio deve renderla tale, poi deve redigere sulla scheda o su altro l’atto di ricevimento che deve essere sottoscritto da testatore e dai due testimoni che hanno assistito all’evento. Sono incapaci di testare tutti coloro che non sono maggiorenni, l’interdetti per infermità di mente, colui che quando ha fatto il testamento era incapace di intendere e volere. In questi casi il testamento è annullabile e l’onera della prova spetta a chi ha impugnato il testamento. La capacità di ricevere per testamento è riconosciuta anche ai nascituri, agli enti non riconosciuti e alle persone giuridiche. Non possono ricevere il tutore(dell’interdetto o del minore), il notaio e testimoni del testamento pubblico, persona che ha scritto l’altrui testamento segreto. Il testamento è nullo per difetto di forma(manca sottoscrizione o l’autografia), in caso di disposizioni reciproche in cui due o più persone redigono il testamento nello stesso atto a vantaggio di un terzo, per violenza fisica, per errore ostativo. La nullità delle singole disposizione si ha quando esse si collegano ad un motivo illecito o se le indicazioni del destinatario delle disposizioni o la sua determinatezza o la quota di eredità è rimessa ad un terzo. L’annullabilità dell’intero testamento si ha quando ci sia difetto di forma diversi da quelli sopra detti, per difetto di incapacità di testare, delle singole disposizioni solo se in esse sia presente un vizio sulla volontà o affette da errore. Non si può convertire un testamento nullo in uno valido. Si può fare la conversione formale: se il testamento segreto è nullo per la mancanza di qualche requisito, produce gli effetti del testamento olografo se di questo 84
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rappresenta i requisiti. La nullità del testamento non può essere fatta valere da chi conoscendo la causa di nullità ha confermato, dopo la morte del testatore, la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione. Perché la conferma abbia questo effetto bisogna che il testatore abbia voluto la disposizione, quindi non vale in caso di testamento falso. La conferma può essere espressa se un atto contiene l’indicazione della disposizione testamentaria, del motivo di invalidità e la dichiarazione che si intende sanare, tacita se la disposizione viene eseguita pur conoscendone la sua nullità. Il testamento è revocabile fino all’ultimo minuto di vita perché la volontà può mutare sempre. La revocazione può essere vera e propria se è un atto unilaterale risalente all’iniziativa del testatore che manifesta il suo potere di ritrattazione, di diritto gli effetti si manifestano da soli, senza che il testatore lo sappia, per effetto di circostanze che era impossibile prevederle. Mutamento significa modificazione del testamento, revoca significa ritiro del testamento. Alcune cose scritte nel testamento sono irrevocabili(riconoscimento del figlio naturale, riabilitazione dell’indegno a succedere). La revocazione vera e propria può essere espressa se risulta da atto formale con cui il soggetto manifesta la volontà di eliminare in tutto o in parte le sue disposizioni testamentarie. Può essere contenuta in un testamento o in un atto ricevuto dal notaio con la presenza di due testimoni, tacita nel caso di un testamento posteriore che, pur non revocando il primo metta in atto disposizioni a questo contrastate e nel caso di ritiro del testamento segreto, sempre che questo non valga come testamento olografo, presunta quando il testamento sia andato distrutto e si presume che sia opera del testatore, i parenti possono dimostrare il contrario, nel caso di alienazione o trasformazione della cosa legata che era nel testamento, perché denotano un pentimento da parte del testatore. È ammessa la prova di diversa volontà. La revocazione può essere revocata se avviene attraverso la revoca espressa. Sono revocate di diritto per sopravvenienza di figli o discendenti legittimi del testatore o adottivi etc, in questo caso il testamento cade ed entra la successione legittima, riconoscimento di un figlio naturale dopo la compilazione del testamento, ignoranza del testatore di avere figli al momento della compilazione. La pubblicazione del testamento ha lo scopo di far conoscere ad eredi e creditori il contenuto di esso. Se si tratta di un testamento olografo bisogna subito portarlo da un notaio per pubblicarlo, se si tratta di testamento segreto deve essere pubblicato dal notaio non appena gli venga notizia della morte del defunto, per quello pubblico, valendo come atto pubblico, non è prevista nessuna pubblicazione. Il notaio deve trasmettere alla cancelleria della pretura copia del testamento per renderlo ancora più pubblico. Uno non sapendo che notaio sia può lo stesso visionare il testamento. Il notaio deve subito informare gli eredi dell’esistenza del testamento. È vali do il testamento che ne siano venuti a conoscenza gli interessati. Esecuzione del testamento spetta solitamente all’erede, però il testatore può nominare altra persona (esecutore) nel caso in cui non riponga molta fiducia nell’erede per le disposizioni a titolo particolare. L’esecutore nominato dal testatore può anche non accettare, accettazione o rinuncia devono essere fatta con dichiarazione alla cancelleria della pretura del luogo. Il suo compito è gratuito tranne che il testatore abbia previsto qualche indennità. L’esecutore deve amministrare la massa ereditaria prendendo in possesso dei beni che ne fanno parte, ha la rappresentanza processuale, ha l’obbligo di far 85
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apporre i sigilli e di fare l’inventario con cautela quando vi siano minori o interdetti tra i chiamati all’eredità, deve rendere conto della sua gestione al termine di essa. L’esecutore, su istanza di ogni interessato, può essere esonerato dal suo incarico per gravi irregolarità. La successione dei legittimari è quella in favore di persone che, anche se non sono elencate nel testamento, spetta una quota del patrimonio del defunto. Sono norme cogenti ed inderogabili. Legittimi significa se apre per legge quando non c’è il testamento, legittimari quando, pur essendoci il testamento, una quota del patrimonio deve andare a certe persone. I legittimari sono il coniuge superstite, i figli e gli ascendenti legittimi. Quando ci sono dei legittimari il patrimonio si distingue in quota disponibile che il testatore può disporre, quota legittima quella che il testatore non può disporre perché spettante ai legittimari. Il legittimario non ha un diritto di credito verso gli altri, ma un diritto assoluto sui beni del defunto. Il testatore non imporre alcun peso sulla legittima, al legittimo non spetta una data composizione della quota(tre galli, una macchina etc), ma beni di un certo valore(es. 10% del valore del patrimonio). Si ha lesione di legittima quando questa per donazioni o mortis causa resta lesa, bisogna allora reintegrarla mediante l’azione di riduzione degli atti che l’hanno lesa. Presupposto e la riunione fittizia cioè un’operazione contabile per calcolare la massa ereditaria all’epoca dell’apertura della successione, consta in più operazioni: formazione della massa ereditaria(valore dei beni del defunto senza i debiti), riunione fittizia vera e propria(si aggiungono i beni donati dal defunto), calcolo della disponibile e legittima(dopo si calcola il valore che il defunto poteva disporre e la legittima). L’azione di riduzione è l’azione che ha per scopo la reintegrazione della legittima, mediante la riduzione delle disposizione testamentaria e delle donazioni eccedenti la quota di cui il testatore poteva disporre. I soggetti legittimati ad esercitare l’azione di riduzione sono: il legittimato leso, l’erede legittimario, l’avente causa del legittimario(compratore dell’eredità o cessionario di essa). Se la domanda viene accolta si diminuiscono le disposizioni testamentarie proporzionalmente, poi si diminuiscono le donazioni. L’azione si prescrive in 10 anni. Se anziché una quota di eredità vengono lasciati beni o quote il legato può rinunciare al legato e diventare erede, accettare e non diventa erede(niente debiti) e perde il diritto di chiedere un supplemento nel caso in cui il valore del legato sia inferiore alla legittima. Il legato è una disposizione mortis causa a titolo particolare in cui un soggetto, legatario, succede in alcuni diritti che non vengono considerati quote del patrimonio. Può essere testamentario o per legge(assegno vitalizio per il figlio non riconosciuto). In relazione al contenuto si distinguono: legato di specie(ha per oggetto diritto di proprietà o altro diritto che apparteneva al testatore), legato di genere(un bene appartenete ad un genere, denaro, il legatario acquista il diritto di credito, con la specificazione si acquista si acquista la cosa), legato obbligatorio(si attribuisce un diritto di credito che nasce dal testamento e fa sorgere un’obbligazione a carico dell’onerato), legato liberatorio(libera il legato da un’obbligazione). Se il soggetto che è tenuto alla prestazione è un legatario anziché l’erede si ha sublegato, prelegato è legato del quale beneficiario è un erede. L’accettazione da parte del legato avviene di diritto, senza una dichiarazione. La rinuncia è una perdita di un diritto già acquistato, non tollera né condizioni né termini. Non richiede la forma scritta tranne se si tratta di beni immobili.
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Si ha comunione ereditaria quando succedono più eredi e questi diventano comproprietari del bene. Se un coerede vende il bene gli altri hanno diritto di essere preferiti a parità di prezzo. Con la divisione si la divisione dei beni, ogni erede ha un suo bene. La divisione a cui non partecipano tutti i coeredi è nulla. La divisione può essere amichevole o contrattuale che ha luogo con le modalità stabilite dai stessi coeredi, divisione giudiziale se deliberata dall’autorità giudiziale quando manca l’unanimità dei consensi. Le fasi sono: formazione della massa ereditaria(se uno ha ricevuto dal defunto delle donazioni si fa luogo alla collazione o alla imputazione di queste donazioni), la stima dei beni(stima al momento della divisione), formazione del progetto di divisione(divisione in parti), assegnazione di ogni parte ad un coerede, divisione testamentaria è quella fatta dal testatore, può comprendere anche la quota legittima anche se i legittimari possono fare l’azione di riduzione, è nulla se il testatore omette qualche legittimario o erede istituito. Il contratto di divisione può essere annullato per violenza o dolo, se sono stati omessi dei beni entra il supplemento di divisione. I debiti ereditari si dividono in proporzione alle quote che spettano ad ogni coerede, tranne diversa indicazione da parte del testatore, i creditori possono chiamare in giudizio ogni coerede solo per la sua quota. Ci sono delle ipotesi in cui tocca ad un solo coerede: uno dei coeredi possegga il singolo bene oggetto del bene, l’oggetto del bene sia indivisibile, sia toccato ad un coerede il debito gravante di ipoteca, salva l’azione di rivalsa. I pesi ereditari sono gli oneri che sorgono per l’apertura della successione(imposta di successione, spese funebri, etc), essi si dividono tra i coeredi. La collazione è l’atto con cui i figli, i legittimati, i discendenti e il coniuge aggiungono alla massa attiva del patrimonio i beni che gli sono stati donati dal defunto per dividerli secondo le quote. Opera solo in favore dei soggetti che sono tenuti e non degli estranei. Ciò perché il defunto donando vuole dare un anticipo sull’eredità, fatta salva ogni diversa volontà del testatore che può dispensare dalla collazione un suo erede. Nessuna dispensa può intaccare la quota legittima. Oggetto di collazioni sono le donazioni dirette e indirette, non sono donazioni le spese di mantenimento, educazione, ordinarie per l’abbigliamento, le liberalità fatte in occasione di servizi resi, le cose donate e perite per cause non imputabili al donatario, le donazioni di modico valore fatte al coniuge. La collazione può essere fatta: in senso stretto o in natura si realizza rendendo alla massa il bene avuto in donazione, collazione per imputazione il valore del bene donato viene detratto dal valore della quota spettante. Conserva la proprietà del bene donato.
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CAPO VI LE DONAZIONI La donazione è un contratto con cui una parte(donante) arricchisce l’altra(donatario) senza corrispettivo. È caratterizzata dal fatto di spirito di liberalità cioè nella coscienza di arricchire qualcuno senza esserne costretto, arricchimento del donatario che si realizza disponendo a suo favore un diritto o assumendo un’obbligazione. Per tale arricchimento il donatario ha l’obbligo di fornire gli alimento al donante non oltre il patrimonio ricevuto. Per donare serve la capacità di donare cioè la piena capacità di disporre, è atto personale che non consente rappresentanza, per le persone giuridiche solo se è ammesso nel loro statuto, capacità di ricevere per le persone fisiche non vi sono limiti, si può donare anche al nascituro non concepito, per le persone giuridiche serve l’autorizzazione governativa. Oggetto della donazione può essere qualunque bene esistente nel patrimonio del donante, deve essere fatta per atto pubblico a pena di nullità, se la cosa è di modico valore basta la consegna fisica della cosa. La donazione è nulla se: l’onere è illecito o impossibile e se è stato l’unico motivo determinante, l’errore sul motivo rende annullabile se questo è determinante, nullo se illecito e determinante, la donazione è nulla dopo la morte del donante convalidabile mediante conferma espressa o esecuzione volontaria. Donazioni indirette quando il donante arricchisce altra persona con atti che hanno una causa diversa dalla donazione(pagamento di un debito). Essa non si può ritenere donazione anche se c’è lo spirito di liberalità. Comunque non richiede atto pubblico, è soggetta a regole tipiche delle donazioni(collazione, revoca per ingratitudine o sopravvenienza di figli). Negozio misto con donazione quando le parti concordano un corrispettivo molto inferiore al normale(casa a 1.000£). La donazione rimuneratoria è una donazione fatta in segno di riconoscenza o per meriti del donatario al quale il donante non è tenuto. Non è soggetta a revoca per ingratitudine o sopravvenienza di figli e il donatario non è tenuto agli alimenti. La donazione obnuziale è una donazione fatta in vista di un matrimonio tra gli sposi o da estranei per gli sposi. Non serve accettazione, non obbliga agli alimenti e non è irrevocabile per ingratitudine o sopravvenienza di figli. Le donazioni possono revocarsi in presenza di ingratitudine o sopravvenienza di figli. È giustificata da ragioni etico-sociali, rappresenta l’esercizio del diritto potestativo di togliere efficacia all donazione. Si fa con domanda giudiziale. La sentenza obbliga il donatario a restituire i beni, ma non implica i terzi che abbiano acquistato diritti prima della domanda di revoca, salvo gli effetti della trascrizione. Se i beni sono stati venduti, il donatario deve restituire il valore con riguardo al tempo della domanda. La revoca per ingratitudine deve essere chiesta entro un anno dal fatto o dalla notizia di esso, per la sopravvenienza di figli entro 5 anni dalla nascita dell’ultimo figlio.
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CAPO VII I BENI E I DIRITTI REALI BENI per essere qualificabili giuridicamente come beni, le cose devono essere: Utili: in quanto suscettibili di soddisfare un bisogno Appropriabili o accessibili: es. non è un bene un pianeta lontano Limitate: o comunque presenti in natura in quantità scarsa e inferiore rispetto al bisogno.
CLASSIFICAZIONE DEI BENI (sono beni le cose che possono formare oggetto di diritto) Beni in patrimonio: sono di proprietà di qualcuno; Beni di nessuno: non hanno un proprietario pur potendo averlo. Beni immobili: suolo, sorgenti, corsi d’acqua, tutto ciò che è incorporato al suolo (alberi,case..) e galleggianti saldamente e permanentemente assicurati alla riva. Il suolo oggetto di proprietà prende il nome di fondo: fondo rustico se destinato l’agricoltura o fondo urbano se destinato all’industria, al commercio o ad insediamenti abitativi. Circolazione caratterizzata da forme complesse. Beni mobili, per esclusione sono tutti gli altri beni, comprese le energie naturali. Il denaro è il bene mobile per eccellenza. Più cose mobili formano una universalità di cose se appartengono al medesimo proprietario ed hanno una destinazione unitaria. Circolazione assai rapida. Beni pubblici registrati: hanno le caratteristiche di beni mobili ma la loro circolazione segue iter simili a quelli dei beni immobili. Pertinenze: sono le cose, mobili o immobili, destinate durevolmente al servizio o ad ornamento di un’altra cosa, mobili o immobile. Sono una pluralità di cose collegate. Circolazione: gli atti che hanno per oggetto la cosa principale includono anche le pertinenze, se non sono specificatamente escluse. Il proprietario della cosa principale non deve per forza essere anche il proprietario delle pertinenza. L’acquirente che acquista la cosa principale, compra anche le pertinenze, a meno che non sia in male fede. Se però la pertinenza è un immobile o mobile registrato, il suo proprietario può rivendicarla anche nei confronti del proprietario in buona fede. Cosa composta: sono più cose che vengono unite in modo da formare un’unica cosa. La cosa composta non può essere separata dalle altre senza che la cosa risultante dalla loro unione perda la propria identità. Cose fungibili (beni di genere): ogni bene indifferentemente sostituibile con altri (denaro, prodotti in serie…). Cose infungibili (beni di specie): esiste in unico esemplare (opera d’arte, manufatto artigiano…) o che presentano propri caratteri distintivi (immobile). Cose consumabili: si estinguono per l’uso (alimenti, carburante…). Cose in consumabili: uso ripetuto nel tempo anche se si deteriorano (automobili, indumenti…). VEDI DISPENSA DA PAG. 88 (COSE INDIVISIBILI) A PAG. 92 INCLUSA LA PROPRIETÀ Il codice non definisce la proprietà ma l’uso che può farne il proprietario. Art.832 C.C.Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico. 1. facoltà di godere delle cose: indica la facoltà del proprietario di utilizzare la cosa. Di usarla o non usarla, di come usarla, di trasformarla o distruggerla. Per le cose fruttifere ha il diritto di fare propri i frutti della cosa. Solo con la separazione i 89
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frutti diventano cose a sé stanti, essi appartengono al proprietario della cosa madre, salvo che la legge non disponga diversamente. 2. facoltà di disporre delle cose: è la disposizione giuridica ossia la disposizione materiale. È la facoltà di vendere o di non vendere la cosa, di donarla o di non donarla, di lasciarla in testamento o di costituire sulla cosa diritti reali minori a favore di terzi o di porre sulla cosa una garanzia reale (ipoteca)….ecc. 3. la pienezza del diritto di proprietà: il proprietario può farne tutto ciò che non sia espressamente vietato. Il proprietario gode di facoltà illimitate. La pienezza del diritto di proprietà viene meno quando sulla cosa siano costituiti diritti reali minori (nuda proprietà). 4. l’esclusività del diritto di proprietà: il proprietario può godere e disporre delle cose “in modo esclusivo”, egli può servirsi ed escludere chiunque altro dal godimento e dalla loro disposizione. L’ordinamento giuridico cerca un punto di equilibrio fra gli opposti interessi del proprietario e dell’intera collettività. Questo risultato viene perseguito con una duplice tecnica legislativa: i limiti alla facoltà di godere e di disporre: ad esempio il divieto di atti di emulazione ossia il proprietario non può compiere atti che abbiano solo scopo di nuocere o recare molestie ad altri. La facoltà di godimento può essere per vari aspetti limitata (ad es. per i piani regolatori). gli obblighi del proprietario: es. obbligo di coltivare i terreni destinati all’agricoltura (affitto forzato). LA PROPRIETÀ FONDIARIA I confini del fondo segnano, in senso orizzontale, i limiti entro i quali il proprietario esercita la sua facoltà di godimento. In senso verticale, la proprietà si estende al sotto suolo e allo spazio sovrastante fin dove il proprietario del suolo può dimostrare di avere un interesse ad esercitare il suo diritto esclusivo. Il sottosuolo e lo spazio aereo sono considerati cose comuni di tutti e il proprietario non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità o a tale altezza che egli non abbia interesse ad escludere. ·
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LE DISTANZE LEGALI Un limite alla facoltà di godimento sono le distanze minime legali. Costruzioni: se non hanno muri in comune devono avere almeno 3 metri di distanza (salvo distanze maggiori per regolamenti locali). È favorito chi costruisce per primo (prevenzione temporale), perché il secondo è costretto a rispettare le distanze senza poter chiedere un indennizzo. Pozzi, cisterne o tubi: ad almeno 2 metri. Fossi: distanza dal confine uguale alla loro profondità. Alberi: ad alto fusto a 3 metri, alberi bassi, viti e siepi a mezzo metro. Luci: piccole aperture nel muro che permettono a luce ed aria di entrare e non permettono di affacciarvisi; sul confine ma ad almeno 2,5 metri di altezza dal suolo del vicino. Vedute: finestre dalle quali ci si può affacciare; ad almeno 1,5 metri dal confine. NEL CONFINE…… Muro: si presume comune. Se è di proprietà di uno solo, l’altro confinante può chiederne la metà pagando (comunione forzosa). Le spese di riparazione, se i danni non sono stati causati da uno dei proprietari, gravano su entrambi. Fossi e siepi: si presumono comuni, salvo prova contraria. 90
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LE IMMISSIONI Il godimento di un proprietario entra in conflitto con il godimento del vicino che riceve sul proprio fondo le moleste immissioni di rumori o di fumo ecc. da altri provocate. Principio à Il criterio legale per la soluzione del conflitto è quello della normale tollerabilità. Le immissioni non devono superare la capacità di sopportazione dell’uomo medio. Il criterio è a favore delle attività produttive, inoltre bisogna tener conto della condizione dei luoghi: chi abita in una zona industriale deve sopportare maggiori immissioni rispetto a che abiti in una zona residenziale. Bisogna però anche tener conto della priorità di un dato uso ed è più protetto chi ha per primo dato la diversa destinazione al proprio fondo. LE ACQUE PRIVATE Le acque sono un bene pubblico, tuttavia c’è libertà di utilizzare le acque sotterranee per usi domestici e si possono raccogliere le acque piovane. È riconosciuto il DIRITTO DI STILLICIDIO: il proprietario a valle non può rifiutarsi di ricevere le acque che naturalmente defluiscono dai fondi a monte. LE AZIONI A DIFESA DEL DIRITTO DI PROPRIETÀ Il proprietario può agire in giudizio contro chiunque violi il suo diritto. Le azioni a difesa della proprietà sono le azioni petitorie. Esso sono: 1. L’azione di rivendicazione, spetta a chi si dichiara proprietario della cosa della quali altri abbiano il possesso o la detenzione. Mira ad ottenere dal giudice l’accertamento del diritto di proprietà e la restituzione della cosa. L’attore deve dare prova di proprietà. N.B. Tale azione presuppone che il proprietario non abbia altro titolo per ottenere la restituzione della cosa se non il proprio diritto di proprietà. 2. L’azione negatoria, spetta al proprietario contro chi pretende di avere diritti reali minori sulla cosa. Mira ad ottenere dal giudice l’accertamento della inesistenza del diritto altrui. L’attore si limiterà a dare prova del proprio diritto di proprietà, il convenuto ha l’onere di provare l’esistenza del suo preteso diritto sulla cosa. L’azione di regolamento dei confini, spetta a ciascuno dei proprietari immobiliari confinanti quando il confine è incerto. LA COMUNIONE Il diritto di proprietà o gli altri diritti reali possono appartenere ad una sola persona; e si parla allora di proprietà individuale, di superficie, di un usufrutto individuale. Ma è possibile che la medesima cosa formi o oggetto del diritto di proprietà o del diritto reale di più persone; e si parla allora di comunione di proprietà, di comunione di superficie, di comunione di un usufrutto. La comunione e, dunque, la situazione per la quale la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone. È una situazione che può verificarsi in una triplice ordine di ipotesi: 1) Comunione volontaria: dipende cioè dalla volontà di partecipanti alla comunione. 2) Comunione incidentale: non dipende dalla volontà di partecipanti (si riceve un bene in eredità e più persone si trovano indipendentemente dalla loro volontà, ad esserne comproprietarie). 3) Comunione forzosa: alla quale non ci si può sottrarre.
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Tra comunione accidentale e comunione forzosa c’è questa differenza: la prima sorge senza che i partecipanti l’abbiano voluta, ma può essere sciolta per volontà di partecipanti; la seconda è invece, sottratta alla volontà di costoro. La comunione è disciplinata anzi tutto dal titolo o dalla legge dalla quale ha origine e in mancanza,dalle disposizioni del codice civile. La coesistenza, sulla medesima cosa, dell’eguale diritto di più persone si realizza mediante la ideale scomposizione della cosa in una pluralità di quote. Le quote dei partecipanti alla comunione si presumono uguali fino a prova contraria, ed il loro concorso tanto nei vantaggi quanto nelle spese è in proporzione delle rispettive quote. Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca gli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto; ogni partecipante può inoltre disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota ed anche ipotecarla,ma l’effetto dell’ipoteca si produce rispetto a quei beni o quella porzione di beni che a lui verranno assegnati nella divisione. L’amministrazione della cosa comune spetta tutti partecipanti, che deliberano a maggioranza di quote, però, per le innovazioni e gli atti di straordinaria amministrazione occorre la maggioranza di numero dei partecipanti che rappresenti almeno i due terzi del valore della cosa. Le deliberazioni della maggioranza possono essere impugnate davanti al giudice da ciascun comproprietario dissenziente. Il giudice può annullare la deliberazione non solo quando sia contraria alla legge, ma anche quando sia veramente pregiudizievole alla cosa comune. Le facoltà di godimento e di disposizione della cosa spettano ai partecipanti alla comunione in modo, per certi aspetti, individuale e per altri, collettivo. Si possono quindi distinguere quattro situazioni, relative le prime due alla facoltà di godimento e altre alla facoltà di disposizione: 1) L’uso della cosa comune: in linea di principio spetta a ciascun partecipante, il quale non deve però alterarne la destinazione economica e deve comportarsi in modo da non impedirne l’uso da parte di ciascun altro partecipante. 2) L’amministrazione della cosa comune: spetta collettivamente ai partecipanti, che deliberano a maggioranza, ma a maggioranza di quote, non di numero: perciò il singolo partecipante che detenga una quota superiore al 50% può imporre la propria volontà gli altri, anche se costoro sono numericamente in maggioranza. 3) Gli atti di disposizione della propria quota: ciascun partecipante può, senza dover richiedere il consenso degli altri partecipanti alienarla,darla in usufrutto, ipotecarla e così via. 4) Gli atti di disposizione dell’intera cosa comune richiedono, invece, il consenso unanime dei partecipanti. Ciascuno dei partecipanti può in ogni momento, domandare al giudice di pronunciare la divisione della cosa comune, salvo che si tratti di cosa che se divisa, cesserebbe di servire all’uso cui è destinata. La divisione si attua, se possibile, in natura, ossia trasformando le quote dei partecipanti in parti fisiche della cosa. Se il carattere del bene non consente o rende scomoda la divisione in natura, si procede o alla sua assegnazione in proprietà solitaria ad uno dei partecipanti, versando agli altri il valori in denaro della quota.
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Il condominio negli edifici Riguarda gli edifici composti di una pluralità di appartamenti, formati ciascuno da un piano o da una porzione di piano, che appartengono a proprietari diversi: i singoli appartamenti sono oggetto di proprietà solitaria dei rispettivi proprietari; il suolo, invece, sul quale sorge l’edificio, i muri maestri, i tetti, le scale e le cose destinate all’uso comune sono oggetto di comproprietà fra tutti proprietari di appartamenti. Le deliberazioni sull’amministrazione sono presi da un’assemblea dei condomini, minuziosamente regolata dalla legge; se i condomini sono più di 4, è obbligatoria la nomina di un amministratore. Altro dalla comunione è la cosiddetta multiproprietà: non regolata dalla legge è diffusa, da qualche tempo, nella forma della multiproprietà immobiliare turistica. Un medesimo appartamento viene venduto separatamente più persone, che ne possono godere a turno, ciascuna per un determinato periodo dell’anno. La multiproprietà è indivisibile. IL POSSESSO Il concetto di possesso Proprietà e possesso sono, e giuridicamente, situazioni fra loro diverse, anche se nel linguaggio corrente attribuisce spesso a due termini un significativo valente. La prima è un'esplosione di diritto: è il diritto sulla cosa definita dall'articolo 832; il secondo una situazione di fatto: l'articolo 1140 lo definisce come il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà. È la differenza fra titolarità ed esercizio del diritto: fra l'essere proprietari di una cosa e di comportarsi come proprietari di essa. Di regola proprietario è anche possessore: ha, cioè, il diritto sulla cosa che, di fatto, lo esercita. Ma può cadere che il proprietario non possieda la cosa e che altri, non proprietari, né a me possesso: è il caso, per fare un primo esempio, del furto. Questo potere di fatto sulla cosa, anche il possesso, a una protezione giuridica autonoma, separata dalla protezione del diritto di proprietà: di questa protezione giuridica può valersi, come vedremo, anche proprietari che sia possessore, agendo come possessore anziché come proprietari. Oltre che possesso corrispondente al diritto di proprietà (cosiddetto possesso pieno) può esserci possesso corrispondente al contenuto di altri diritti reali: si può possedere l'usufrutto, la superficie e così via, ossia comportarsi di fatto da usufruttuario, da superficiario (cd. possesso minore ).
Dal possesso si deve distinguere la semplice detenzione che consiste nell'avere la cosa nella propria materiale disponibilità. Occorre, per essere possessore, l'animo o intenzione di possedere, ossia l'intenzione di comportarsi come proprietari della cosa. Non è, invece, possessore chi detiene la cosa per un titolo (ad esempio, dal contratto di locazione, o di affitto di noleggio) che implichi riconoscimento dell’altruità della cosa. Si può dunque, possedere in due modi: o direttamente, detenendo la cosa con l'animo di considerare la propria; oppure indirettamente, per mezzo di altri che ne abbia detenzione. In questa seconda situazione può trovarsi sia il proprietario possessore, sia il possessore non proprietario come ad esempio colui che si arroghi di fatto i diritti del proprietario e riscuota dal detentore i canoni di locazione.
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Possesso e detenzione sono, concettualmente, situazioni ben differenziate. Ma altro è la loro concettuale distinzione, altro la prova, in concreto, che una data situazione di fatto sia possesso o detenzione. A riguardo vige una presunzione: chi esercita il potere di fatto sulla cosa, ossia non è materiale detentore, si presume possessore, salvo che non si provi che egli ha cominciato a esercitarlo come semplice detentore, e cioè sulla base di un titolo che implicava riconoscimento dell'altro possesso. Il semplice detentore può trasformarsi in possessore; ma non basta, a quest'effetto, un mero mutamento del suo interno atteggiamento psicologico, ossia l'insorgere lui dell'animo di possedere. L'articolo 1141 comma 2 consente in due soli casi la cosiddetta interversione del possesso, ossia il mutamento della detenzione in possesso: 1) quando il titolo per il quale si ha la materiale disponibilità della cosa venga mutato per causa proveniente da un terzo: detengo, ad esempio, al titolo di locazione, ma un terzo, arrogandosi i diritti del proprietario, mi vende la cosa o me la lascia in eredità. 2) Quando il detentore faccia opposizione contro il possessore, ossia si vanti apertamente proprietario della cosa e faccia costare al possessore, o con l'esplicita dichiarazione o con atti concreti, che intende tenere la cosa come propria. Il possesso della cosa si può acquistare in modo originario, come nel caso di chi muta la detenzione in possesso, oppure in modo derivativo, per trasmissione del possesso da precedente ad un nuovo possessore. Il possesso può essere trasmesso anche senza la consegna la cosa: ciò accade quando la cosa si è già nella detenzione di chi acquista il possesso come il caso in cui l'inquilino con quell'appartamento. La protezione giuridica del possesso prescinde dallo stato di buona o di malafede del possessore, ed è, perciò, possessore anche il ladro, il ricettatore. Ma il possessore di buona fede fruisce di una protezione giuridica maggiore. È in buona fede che possiede la cosa ignorando di ledere l'altrui diritto. Lo stato di buona fede non è escluso dall'errore; è però escluso dalla colpa grave: è malafede chi, pur ignorando l'altruità della cosa, poteva venirne a conoscenza usando il minimo di diligenza. A questo riguardo interviene una presunzione di legge: il possessore si presume in buona fede, salvo prova contraria; onde approfitta della più estesa protezione giuridica del possesso di buona fede anche possessore del quale non si riesca provarne la malafede. Diritti del possessore nella restituzione al proprietario Il possessore può non essere proprietario: nei suoi confronti il proprietario può esercitare l'azione di rivendicazione e, data la prova del diritto di proprietà, ottenere la restituzione della cosa. Nel frattempo la cosa ha prodotto frutti e il possessore gli ha percepiti: a chi spettano i frutti? Spetterebbero a rigore, al proprietario della cosa, secondo il principio generale dell’articolo 821; ma la rigida applicazione di questo principio appare ingiusta rispetto al possessore di buona fede, che ha utilizzato la cosa nella convinzione di esserne proprietario. Perciò, l'articolo 1148 distingue: il possessore di buona fede fa propri i frutti; ·
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il possessore di malafede deve, invece, restituirli, il proprietario non deve, però, trarre profitto dagli investimenti finanziari altrui: al possessore di malafede è dovuto il rimborso delle spese contratte per la produzione e il raccolto. ·
Le azioni possessorie Al possesso è tradizionalmente riconosciuta protezione giurisdizionale . Questa protezione è riconosciuta al possesso in quanto tale. Basti pensare che la protezione del possesso è riconosciuta, nei rapporti fra privati, anche al possessore di beni demaniali rispetto ai quali è certo e da tutti evidente che possessore non è e non può essere proprietario. Dalle cosiddette azioni petitorie, che sono le azioni a difesa della proprietà, si distinguono così le azioni possessorie che sono azioni a difesa del possesso: 1) L’azione di reintegrazione o di spoglio: spetta al possessore che sia stato violentemente od occultamente spossessato di una cosa mobile o immobile. 2) L'azione di manutenzione che riguarda solo i beni immobili e le universalità di mobili ed ha un duplice campo di applicazione: spetta al possessore che sia molestato nel godimento della cosa o secondo un'altra espressione che abbia subito turbative del possesso; spetta inoltre al possessore che abbia subito spoglio non violento o clandestino. 3) L'azione di reintegrazione è data a qualsiasi possessore indipendentemente dalla durata del suo possesso e dal modo con il quale egli se lo era procurato. Le azioni di enunciazione Sono azioni che spettano sia al possessore indipendentemente dalla prova della proprietà, sia al proprietario non possessore o al titolare di altro diritto reale; ed hanno la funzione di prevenire un danno che minaccia la cosa. Sono: 1. la denuncia di un’ opera: è la denuncia all'autorità giudiziaria di un’opera intrapresa da altri e dalla quale si ha motivo di temere possa derivare un danno alla cosa di cui si è possessore, proprietario o titolare di un altro diritto reale. L'azione può essere esercitata fino a quando l'opera non sia terminata e purché non sia trascorso un anno dal suo inizio. 2. la denuncia di danno temuto: è la denuncia all'autorità giudiziaria di un danno grave e imminente che si teme possa derivare alla cosa di cui si è possessore, proprietario o titolare di un altro diritto reale. Queste azioni, dette azioni di nunciazione, danno luogo ad un giudizio che si svolge in due fasi: in una prima fase l'autorità giudiziaria, in base ad una sommaria cognizione del fatto, emette provvedimenti provvisori urgenti, con i quali può vietare la continuazione dell'opera o subordinarne la continuazione a particolari cautele che escludono la possibilità di danno (può ordinare demolizioni, riparazioni urgenti...); la seconda fase, che è il giudizio di merito, conduce alla decisione definitiva circa l'effettiva esistenza del pericolo di danno e l'illecita nel comportamento del denunciato. ·
MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETA’ Acquisto a titolo originario e a titolo derivativo La proprietà si può acquistare solo nei modi previsti da legge: l'articolo 922 ne enuncia 9, facendo riserva degli “altri modi stabiliti dalla legge”. 95
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I modi di acquisto indicate nell'articolo 922 vanno distinti in due grandi categorie: alcuni sono modi di acquisto a titolo originario (occupazione, invenzione, a cessione, specificazioni, unione, commistione, usucapione); altri al titolo derivativo (contratti, successione a causa di morte). Si ha questa titolo derivativo quando si acquista sulla cosa diritto di proprietà già spettante ad un precedente proprietario. Ricorre quando la cosa è dal suo precedente proprietario trasferita ad un nuovo proprietario in forza di un contratto, oppure quando, alla morte in soggetto, si attua la successione nei suoi beni da parte di un altro o di altri soggetti. A chi trasferisce diritto si dà il nome di dante causa; a chi lo acquista quello di avente causa. Se la cosa era gravata da diritti reali ad esempio usufrutto o servitù, o dalla garanzia reale di terzi: pegno o ipoteca, essa si trasferisce dal dante causa all’avente causa continuando ad essere gravata di medesimi diritti altrui. Si ha invece acquisto a titolo originario quando il diritto di proprietà che si acquista sulla cosa è indipendente dal diritto di un precedente proprietario. Conseguenza del titolo originario dell'acquisto è che la proprietà si acquista, a differenza di quanto accade nei modi di acquisto titolo derivativo, libera da ogni diritto altrui che avesse gravato il precedente proprietario. A) A titolo originario: l'acquisto della proprietà non dipende da un eguale diritto di un precedente titolare; l'acquisto è indipendente dal diritto del precedente titolare: - occupazione; - invenzione - accessione - commistione - usucapione - possesso di buona fede dei mobili B) A titolo derivativo: l’acquisto del diritto di proprietà presuppone il suo trasferimento dal precedente titolare proprietario: - contratti - successione mortis causa L’occupazione e l’invenzione E’ la presa di possesso di una cosa mobile, con l'intenzione di rendersene proprietario, che non è di proprietà di alcuno. Possono essere cose di nessuno solo le cose mobili: i beni immobili che non appartengono a nessun privato sono di proprietà dello Stato o, se situati nel territorio delle regioni a statuto speciale, di proprietà di quest'ultima. È il caso dei terreni rupestri, digli acciai, dei terreni abbandonati dal mare. Il codice civile considera cose di nessuno due serie di cose: 1. le cose abbandonate: queste diventano cose di nessuno dopo l'abbandono da parte delle proprietario, il quale si è liberato del possesso della cosa con l'intenzione di rinunciare alla proprietà. 2. gli animali che formano oggetto di caccia o di pesca: la selvaggina e i pesci Di acquisto della proprietà per occupazione si può parlare anche in una terza serie di ipotesi: è l'occupazione delle cose mobili altrui con il consenso, espresso o tacito, del proprietario.
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Dalle cose abbandonate si distinguono le cose smarrite: di queste il proprietario ha perduto il possesso senza rinunciare alla proprietà. Chi trova una cosa mobile, che le circostanze fanno presumere sia stata smarrita e non abbandonata, deve restituirla al proprietario o, se non lo conosce, consegnarla al sindaco del luogo in cui la trovata che dà notizia del ritrovamento nell'albo pretorio. Al trovatore è dovuto dal proprietario un premio pari ad un decimo del valore della cosa trascorso un anno dalla pubblicazione è senza che lo smarrito e si presenti, questi perde la proprietà della cosa e ne diventa proprietario i ladri trovatore: è l'acquisto della proprietà per le invenzione. Diversa avevo la balle per i relitti di mare: al ritrovatore spetta un premio, ma se il proprietario non si presenta il delitto è venduto e il era ricavato va alla previdenza marinara. L’accessione,l’unione e la commistione,la specificazione Accessione – Unione – Commistione: si verifica quando la proprietà di una cosa si estende alle altre cose che vi sono state incorporate o unite, a prescindere dalla volontà del soggetto. Il fenomeno comprende tre gruppi di cose: - Accessione di mobili ad immobili: qui si manifesta la preminenza della proprietà immobiliare: ogni bene che venga materialmente unito ad un bene immobile accede a questo, ossia diventa proprietà del proprietario del bene immobile: costruzioni, piantagioni od opere fatte sopra o sotto il suolo altrui, sono acquisite dal proprietario del suolo - Accessione d’immobile ad immobile: ricorre tale ipotesi nell’alluvione, nell’avulsione, nel caso dell’alveo abbandonato (se nel fiume si forma un'isola, questa appartiene al demanio pubblico; ugualmente, se un fiume un torrente si forma un nuovo letto, abbandonando l'antico, al demanio resta l'alveo abbandonato. - Accessione di cosa mobile a cosa mobile à Unione e commistione: due o più cose mobili appartenenti a diversi proprietari, vengono ad unirsi o a mescolarsi formando un tutto uno inseparabile. La proprietà della cosa così ottenuta diventa comune in proporzione del valore delle cose spettanti a ciascun proprietario. La specificazione è il modo di acquisto della proprietà della materia altrui da parte di chi l'ha d'opera per formare una nuova cosa: così lo scultore che faccia una statua con il marmo altrui o il falegname che costruisca un mobile con il legno altrui diventano proprietari della statua o del mobile, ma dovranno al proprietario della materia usata il prezzo di questa . Il possesso di buona fede dei beni immobili. La proprietà si può acquistare, a titolo originario, mediante il possesso: è un principio che vale sia per i beni mobili sia per i beni immobili; ma per questi ultimi occorre, un possesso continuato nel tempo. Il principio è di centrale importanza nel sistema del diritto privato: ha la funzione di rendere rapida e sicura la circolazione dei beni immobili; offre la possibilità di un acquisto del bene al titolo originario, dove un ostacolo impedisce il suo trasferimento al titolo derivativo. Si suole dire che possesso vale titolo. Il principio si manifesta in due ipotesi: 1) acquisto di cosa mobile da non proprietario: colui al quale è alienata una cosa mobile da chi non è proprietario ne acquista la proprietà mediante il possesso,
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purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà 2) alienazione della stessa cosa mobile a più persone: se qualcuno aliena la stessa cosa, con successivi contratti, a diverse persone, ne acquista la proprietà quella tra esse che per prima ha conseguito, in buona fede, il possesso della cosa, anche se il suo contratto è successivo a quello dell'altra. Usucapione L’usucapione è un modo di acquisto dei diritti al titolo originario, le ragioni che giustificano l’usucapione sono l'esigenza di rendere certa e stabile una situazione giuridica attiva e l'esigenza di favorire rispetto al proprietario inerte, colui che si occupa di un bene rendendolo produttivo a beneficio dell'intera collettività. L’usucapione può definirsi come un modo di acquisto della proprietà o dei diritti reale di godimento, al titolo originario, per effetto del possesso protratto per un certo tempo. È irrilevante, che il possesso sia di buona fede o di malafede, ossia che il possessore non avesse o avesse conoscenza dell'altra unità della cosa posseduta. Perciò, può prestare la proprietà per usucapione anche il ladro, se conserva il possesso della cosa rubata per tutto il tempo necessario. Occorre però che il possesso sia goduto alla luce del sole. Il fondamento dell' usucapione è in un'esigenza di ordine generale, che è quella di eliminare le situazioni di incertezza circa l'appartenenza dei beni, di assicurare la certezza dei diritti sulle cose. L’ usucapione è una consolidata situazione di fatto, qual è il possesso di un bene protratto per un certo tempo, è di per sé stessa considerata un modo di acquisto della proprietà. Il tempo necessario per acquistare la proprietà mediante il possesso varia a seconda delle diverse specie di beni: occorrono, di regola, 20 anni per i beni immobili e per le universalità di mobili; e dieci anni per i beni mobili registrati. Quando una immobile sia stato acquistato in buona fede da chi non è proprietario, in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà e debitamente trascritto bastano dieci anni dalla data della trascrizione. Oltre che il diritto di proprietà, si acquistano però usucapione degli altri diritti reali anche gli altri diritti reali sui beni immobili o mobili. AGGIUNGERE LE AZIONI A DIFESA PAGG 103-104 I DIRITTI REALI LIMITATI
Con il diritto di proprietà possono coesistere altri diritti sulla cosa, detti diritti reali minori. Questi diritti reali sono solo 6, perché la legislazione è a favore della piena proprietà. I diritti reali hanno diritto di seguito (o sequela), ossia sono opponibili a tutti i successivi proprietari. Decadono in prescrizione per non uso dopo 20 anni. L’azione a difesa dei diritti reali è l’azione confessoria, che mira ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto sulla cosa altrui contro chiunque. Consolidazione: quando il diritto reale si estingue, il diritto del proprietario si riespande. 98
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Confusione: quando il proprietario diventa titolare del diritto reale (es. successione) DIRITTO DI SUPERFICIE :
è il diritto di edificare sul suolo o nel sottosuolo altrui una propria
costruzione. II superficiario ha la proprietà superficiaria ossia la proprietà della costruzione e il diritto dicostruzione. Il diritto può essere perpetuo o a tempo determinato, in questo caso, scaduto il tempo, il proprietario del suolo diventa proprietario dell’edificio. USUFRUTTO: è la facoltà di godere delle cosa (senza però cambiarne da destinazione economica) e la facoltà di fare propri i frutti della cosa. Il proprietario resta nudo proprietario e conserva la facoltà di disporre della cosa. Tempo massimo: la durata della vita delle persona fisica o 30 anni se è una persona giuridica. L’usufrutto non si può passare agli eredi ma può essere ceduto con atto fra vivi, ma alla morte del primo usufruttuario questo diritto si estingue. Il bene deve essere custodito con la diligenza del buon padre di famiglia. Usufrutto volontario: stabilito dalle parti Usufrutto legale: es. i genitori fino a che c he il figlio è minorenne. mi norenne. USO: limitata facoltà di godimento. L’usuario può servirsene e fare propri i frutti per i bisogni suoi e della sua famiglia; al proprietario spettano le eccedenze. ABITAZIONE: oggetto del diritto è una casa, consiste nel diritto di abitarci limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia. In entrambe le ipotesi il diritto o la l a cosa in oggetto NON possono essere ceduti a terzi. ENFITEUSI: ha per oggetto un fondo rustico, è un diritto perpetuo o di durata non inferiore a 20 anni, può essere ceduto o trasmesso ad eredi. L’enfiteuta deve: 1° migliorare il fondo e 2° pagare un canone periodico. Egli ha diritto di affrancazione ossia pagare una somma per acquistare la proprietà. Il concedente può chiedere la devoluzione se l’enfiteuta non rispetta gli obblighi. SERVITÙ PREDIALI : sono un peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenete a diverso proprietario. Fondo servente – fondo dominante. Possono essere acquistate per usucapione ma devono essere apparenti. Destinazione del padre di famiglia: due fondi prima uniti e poi dati a 2 proprietari diversi, se c’era un rapporto di servizio tra i 2 fondi diventa servitù. Possono essere volontario o coattive Coattive: contro o indipendentemente dalla volontà del proprietario del fondo servente. Stabilite con una sentenza dell’autorità giudiziaria. Il proprietario del fondo servente riceverà un indennizzo per il danno cagionato. (es. acquedotto coattivo o il passaggio per un fondo intercluso).
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CAPO VIII I DIRITTI DI OBBLIGAZIONE IN GENERALE L’obbligazione consiste in un rapporto giuridico tra due soggetti, uno detto debitore ed un altro detto creditore, (rapporto relativo) che costituiscono gli esclusivi soggetti del rapporto stesso e nel quale uno si impegna nel compiere una azione a vantaggio va ntaggio dell’altra. In questo modo obbligazione diventa un vincolo giuridico inter partes anche se il Codice Civile non ci da alcuna definizione e ci gioviamo oggi, delle nozioni della terminologia giuridica romana. Tuttavia oggi si definisce il rapporto obbligatorio anche in maniera diversa come, cioè, il rapporto tra due soggetti posti sullo stesso piano in i n un legame di cooperazione. I diritti di obbligazione, al contrario di quelli assoluti, sono dei diritti che nascono per morire, cioè nascono per essere normalmente estinti con l’adempimento della prestazione obbligatoria. Entrambi devono essere sottoposti alle stesse regole di d i condotta e cioè secondo: - buona fede - correttezza - diligenza così come previsto dall’art. 1175 cod. civ.. Su questo piano di correttezza morale ed etica ancor prima che giuridica si deve vedere anche l’art. 1338 che obbliga le parti a dichiarare l’una all’altra le eventuali cause di invalidità e di vizio ancor prima del sorgere dell’obbligazione. La violazione della correttezza è da vedere come forma di concorrenza sleale da perseguire. Il rapporto di obbligazione è un rapporto relativo tra le due parti e non erga omnes come avviene nel mondo dei diritti reali. La responsabilità del debitore è sanzionata, in caso di inadempimento, con tutto il suo patrimonio, presente e futuro, disponibile come garanzia del rapporto stesso di obbligazione. Cioè se il creditore non riterrà soddisfacente la prestazione del debitore o se quest’ultimo non la eserciti per niente, il creditore potrà indirettamente agire con misure coercitive sui beni del debitore. Dobbiamo distinguere:
- le obbligazioni di mezzo se il debitore si obbliga nel compiere quanto è più possibile per raggiungere un fin e solo quando l’attività è stata impiegata si può ritenere adempiuta l’obbligazione. In questo caso l’obbligazione ha come oggetto l’osservanza di un determinato comportamento. - le l e obbligazioni di risultato se il debitore si obbliga a compiere un risultato e solo allora l’obbligazione si estinguerà per avvenuto adempimento. In questo caso, invece, oggetto dell’obbligazione è il raggiungimento di un esito o di un evento.
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La distinzione tra e obbligazioni di mezzo e di risultato, figlia della cultura giuridica francese, trova posto nell’ambito delle obbligazioni di facere ed ha per lungo tempo creato parecchie dispute in dottrina e in giurisprudenza. La distinzione trova un notevole interesse per diversi aspetti tra cui, i più importanti, l’onere della prova e la responsabilità per inadempimento (ex art. 1218 cod. civ.): - nelle obbligazioni di mezzi la responsabilità del debitore emerge nel momento in cui non abbia messo in atto i mezzi dovuti con la necessaria diligenza; - nelle obbligazioni di risultato, invece, la responsabilità si configura nel momento in cui il debitore non raggiunga il risultato dedotto in obbligazione. Per quanto riguarda, invece, la prova: - nelle obbligazioni di risultato basta provare che il debitore non ha raggiunto il risultato pattuito in obbligazione (Es. il palazzo non è stato costruito, ecc.) e sarà il debitore d ebitore a dover fornire la controprova; - nelle obbligazioni di mezzi, invece, sarà il creditore a dover fornire le prove l’inosservanza di tutte quelle regole di condotta dovute per l’adempimento corretto dell’obbligazione. Inoltre bisogna anche distinguere tra: 1. obbligazione civile, cioè quella riconosciuta e tutelata dalla legge principalmente con il testo del Codice Civile; 2. obbligazione naturale (art. 2034 cod. civ.), cioè quella non prevista e disciplinata dalla dalla leg legge per per cui cui se un sogg sogget etto to debi debito tore re di un obbl obblig igaz azio ione ne natu natura rale le non non vuole adempiere la sua prestazione, il legittimo creditore non possiede alcun mezzo giuridico e legale per tutelarsi e difendere i propri interessi di qualunque natura essi siano. Esempi di obbligazioni naturali sono quelle nate da debiti di gioco, da scommesse, ecc.. Solo quando il debitore dimostra di aver agito quanto più possibile come avrebbe fatto un buon padre di famiglia, egli rimane esente da responsabilità per l’inadempimento dell’obbligazione. La prestazione pretesa affinchè venga definita obbligazione e non obbligo semplice deve essere quantificabile economicamente dato che di rapporti patrimoniali si parla. Gli elementi costitutivi delle obbligazioni sono: 1. i SOGGETTI che sono due, quello attivo (il creditore) e quello passivo (il debitore). Dal punto di vista dei soggetti, l’obbligazione si può anche distinguere in:
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- unilaterale, se l’obbligazione riguarda un solo soggetto; - plurilaterale, se l’obbligazione riguarda diversi soggetti. 2. il VINCOLO GIURIDICO che è quello derivante dalla legge che lega il debitore al creditore e viceversa; 3. la PRESTAZIONE che consiste nel contenuto vero e proprio dell’obbligazione e può essere del tipo attivo: - di dare, ed ha per contenuto quello di spostare il diritto reale di un bene da un soggetto ad un altro con la clausola dell’art. 1177 che prevede che con l’obbligo di consegnare una cosa si ha anche un obbligo accessorio generale di custodire quella stessa cosa fino al momento della consegna. - di fare, ed ha per contenuto quello di compiere un determinato servigio del tipo più svariato. La distinzione tra fare o dare ha valore soprattutto per decidere quale mezzo di esecuzione adottare nei due diversi casi previsti dalla legge (artt. 2930 – 2931 cod. civ.). Talora, però, l’obbligazione è mista tra il dare ed il fare (Es. contratti di somministrazione, ecc.); o del tipo passivo: - di non fare; - di non dare. I requisiti essenziali e vitali per l’esistenza dell’obbligazione sono: 1. la POSSIBILITA’ . L’impossibilità, invece, può essere: - fisica, se è la natura ad impedire la realizzazione; - giuridica, se è la legge ad impedire certe situazioni pur non costituendo un illecito. L’impossibilità deve essere assoluta per annullare definitivamente un’eventuale obbligazione perché se invece è parziale anche l’obbligazione si annullerà parzialmente e non completamente. 2. la LICEITA’ .
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L’obbligazione deve essere lecita. Un obbligazione che sia contrario a norme imperative , al buon costume o all’ordine pubblico non può costituire il contenuto dell’obbligazione. 3. la DETERMINABILITA’ della prestazione. L’oggetto della prestazione deve essere certo e individuato ed infatti non avrebbe senso e vita un obbligazione che prometta della paglia, mentre ha senso quella che promette un chilogrammo di paglia. In termini di tempo della prestazione si hanno obbligazioni istantanee (Es. compravendita, ecc.) e obbligazioni di durata (Es. locazione, ecc.). Inoltre esistono anche delle obbligazioni accessorie che si avverano quando esiste un obbligazione principale (Es. obbligazione a pagare la mora o gli interessi rispetto al debito principale, ecc.). In ordine al quantitativo del bene obbligatoriamente da offrire, si distinguono: 1. obbligazioni cumulative se l’obbligazione non si estingue prima di aver soddisfatto tutte le quantità dello stesso bene in oggetto all’obbligazione (Es. sono obbligato a consegnare il cavallo A e B); 2. obbligazioni alternative se il debitore si libera con una sola prestazione di due o più beni (Es. sono obbligato a consegnare il cavallo A o il cavallo B); 3. obbligazioni facoltative se il debitore, pur essendo obbligato per una sola cosa, ha la possibilità di eseguire una prestazione diversa. I soggetti dell’obbligazione, abbiamo detto, sono due, uno attivo, il creditore, ed uno passivo, il debitore. Non è però necessario che i due siano sin dall’inizio dell’obbligazione determinati, l’obbligazione può sorgere anche senza soggetti, purchè essi siano sempre determinabili. L’obbligazione si chiama: - parziaria quando il diritto o l’obbligo di ognuno è proporzionale all’obbligazione assunta; - solidale attiva, quando esistono più creditori che hanno il diritto di chiedere la prestazione per intero liberando gli altri debitori, passiva, quando esistono più debitori che hanno il diritto ognuno di estinguere, con il proprio pagamento, l’intera obbligazione anche per gli altri liberandoli. Fonte di solidarietà attiva è la legge o la volontà delle parti contraenti. Il debitore ha la facoltà di pagare ad uno o ad un altro dei creditori in solido il proprio debito. LE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE Si definiscono tali quelle obbligazioni che hanno per oggetto una determinata somma di denaro. Se l’obbligazione pecuniaria è a termine, cioè si deve adempiere in un momento successivo a quello in cui si instaura il rapporto obbligatorio, si applica il principio nominalistico per effettuare il pagamento ed il debitore è obbligato a pagare la somma di
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denaro stabilita anche se il potere di acquisto dello stesso è diminuito a causa della svalutazione monetaria nel corso del tempo trascorso. Questo principio si applica, però, alle sole obbligazioni di valuta, cioè alle obbligazioni che hanno per oggetto esclusivamente somme di denaro. Le obbligazioni di valore, invece, cioè quelle che hanno ad oggetto il valore di un bene (Es. il risarcimento dei danni, ecc.), vanno pagate in relazione al valore del bene nel momento del pagamento e non dell’assunzione dell’obbligo. Questo fa si che il peso per la svalutazione del costo della moneta, a carico del soggetto creditore, venga parzialmente alleggerito. L’obbligazione pecuniaria può essere anche accompagnata da altre obbligazioni dette perciò accessorie quali gli interessi . Questi interessi possono essere: 1. convenzionali quando sono stati concordati di comune volontà dalle parti; 2. corrispettivi quando sono previsti dalla legge (Es. interesse legale 10 %); 3. moratori quando si applicano in attuazione dello stato di mora. LE FONTI DELLE OBBLIGAZIONI L’art. 1173, primo del quarto libro del Codice Civile, contiene un elencazione delle fonti di obbligazioni. In particolare, il suddetto articolo, precisa che le obbligazioni derivano da:
1. CONTRATTO; E’ la maggiore fonte di obbligazione derivante dalla diretta autonomia e volontà contrattuale privata. Dal contratto possono sorgere obbligazioni del più vario genere e contenuto ed in riferimento all’autonomia privata le parti possono accordarsi come preferiscono purchè lecitamente. Anche la volontà unilaterale è ammessa avvolte come fonte di obbligazione a norma dell’art. 1987 cod. civ.. 2. FATTO ILLECITO; Nelle categorie di fonti non volute dal soggetto le principali sono quelle derivanti da illeciti. 3. ogni altro FATTO o ATTO che le producono in conformità all’ordinamento giuridico. Il Codice Civile non ha una norma espressamente chiarificatrice degli effetti del vincolo obbligatorio perché questo è intrinseco nel concetto stesso di obbligazione. Tuttavia alcune norme sono di vitale importanza per gli effetti di tale rapporto, in particolare: - l’art. 1218 cod. civ. prevede il risarcimento dei danni prodotti per l’inadempimento dell’obbligazione (illecito contrattuale) quando il soggetto debitore dimostri l’impossibilità per cause a lui non imputabili; 104
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- l’art. 1176 cod. civ. dice che il debitore, nel pagamento del suo debito, deve agire usando la diligenza del buon padre di famiglia. Quando il debitore non concluda validamente l’obbligazione, compiendo un illecito contrattuale disciplinato dall’art. 1218 cod. civ., il creditore può richiedere l’ esecuzione forzata con l’ausilio del giudice mirando direttamente al suo patrimonio, a norma dell’art. 2740 cod. civ., tramite la conversione, ad opera del tribunale Civile stesso, in moneta liquida delle proprietà patrimoniali possedute a norma dell’art. 2910 cod. civ.. Secondi l’art. 2741 cod. civ. i creditori hanno tutti un’eguale diritto a pretendere il pagamento dei crediti verso lo stesso debitore a norma dell’art. 2741 cod. civ. che configura questo diritto come pars condicium creditorum. Alla disciplina degli artt. 2740 e 2741 si applicano, però, dei limiti che impediscono all’ordinamento giuridico di pignorare i beni ritenuti personalissimi (Es. letto, vestiti, alcuni strumenti di lavoro, ecc.) ed indispensabili per la vita stessa del soggetto (Es. parzialmente lo stipendio ed il salario, ecc.). Una volta creato il rapporto obbligatorio, l’obbligazione può essere adempiuto o meno dal debitore nei confronti del creditore con le relative conseguenze. L’adempimento dell’obbligazione estingue definitivamente il rapporto obbligatorio tra il debitore ed il creditore. Tuttavia, in alcuni casi, l’obbligazione si può anche estinguere per motivi diversi: satisfatori: - compensazione; - confusione; non satisfatori:
- novazione; - remissione; - impossibilità sopravvenuta. ADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE Il rapporto di obbligazione, solitamente, per la maggiore delle ipotesi, si conclude con l’avvenuto pagamento del debitore al creditore e con la conseguente estinzione della pretesa di prestazione del debitore (res debita). In casi del tutto eccezionali l’adempimento del debito, sorto dall’obbligazione tra due soggetti, può essere risolta mediante l’esecuzione forzata con l’ausilio del tribunale Civile. In altri casi l’obbligazione viene estinta per riflesso con il pagamento del debito da parte di terzi estranei al rapporto obbligatorio stesso (art. 1180 cod. civ.). In questo caso il pagamento può avvenire anche contro la volontà del creditore, ma mai contro quella del legittimo debitore. Il pagamento dell’obbligazione non è un negozio giuridico e quindi non può essere viziato per volontà del soggetto pagante ne può essere negato ad un minorenne che non ha ancora
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la capacità di agire. Pertanto il minorenne è soggetto alle stesse responsabilità del maggiorenne in tema di pagamenti. L’adempimento è frutto di un comportamento di correttezza del soggetto debitore (art. 1175 cod. civ.) e corrispondente a quanto farebbe un buon padre di famiglia (art. 1176 cod. civ.), infatti, per evitare la responsabilità contrattuale (art. 1218 cod. civ.), si considera la diligenza di un buon padre di famiglia e non si deve scendere sotto la media di tale diligenza (art. 1176 cod. civ.). Il pagamento va fatto sempre al creditore o ad un suo legale rappresentante (art. 1188 cod. civ.). A norma dell’art. 1189 cod. civ. l’obbligazione si estingue anche con il pagamento al creditore apparente , cioè quando il debitore paghi e dimostri di averlo fatto in buona fede a chi sembrava essere il legittimo creditore ma non lo era. Quando non esiste il debito non esiste neanche l’obbligazione, ma in caso di non legittimo pagamento si viene a creare una seconda obbligazione, quella di restituzione. Non si è obbligati a dare qualche cosa di diverso dall’obbligo assunto in termini di qualità o di quantità, quindi il creditore può rifiutare l’accettazione di adempimenti parziali anche nel caso in cui la prestazione si presenta divisibile (Es. somma di denaro, ecc.). Spesso accade che il debitore offra una prestazione diversa da quella obbligata nel tentativo di svincolarsi. Se il creditore accetta l’obbligazione si estingue. Egli può anche rifiutare. In tema di obbligazioni il Codice Civile, dall’art. 1277 in poi disciplina gli obblighi con oggetto una somma di denaro. In tal senso un grande significato riveste la legge antiriciclaggio n° 197 del 1991 che vieta, tra l’altro, il trasferimento di somme di denaro o di titoli al portatore superiori all’importo di lire venti milioni. Il pagamento delle obbligazioni pecuniarie va fatto con moneta in corso legale dello Stato in cui l’obbligazione è sorta (art. 1277 cod. civ.) con lo stesso valore monetario. Se l’obbligazione riguarda una somma di denaro in un tempo diverso da quello corrente, si avrà lo stesso debito con lo stesso valore e non si calcoleranno gli interessi monetari trascorsi ne frattempo. Si distinguono, quindi, debiti in: - valuta sono quelli che non subiscono i cambiamenti di valore nel tempo (principio nominalistico); - valore sono quelli che con il passare del tempo subiscono le oscillazioni di interessi a causa delle variazioni di mercato. In caso di monete non più in corso, a norma dell’art. 1277 cod. civ., si applica la conversine della cifra con il vecchio valore monetario. Frequenti sono le clausole monetarie che trasformano i debiti di moneti in valore al fine di bloccare gli slittamenti del valore monetario. Quando il debito contiene una cifra di denaro, l’art. 1282 cod. civ. produce gli interessi di diritto su tale cifra. Può accadere, però, che per volontà delle parti o per motivi di legge l’obbligazione pecuniaria sia infruttifera. Lo stesso pagamento di interessi produce un obbligazione pecuniaria accessoria che non produrrà, a sua volta, più interessi. 106
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Il tasso legale degli interessi è del 5 % per anno, dopo l’ultima riforma del 1997 che lo ha diminuito da quello che inizialmente era del 10 %. Le parti, così, possono attenersi a tale tasso o decidere di aumentarlo o diminuirlo a loro piacimento. Gli interessi, però, non possono essere levati infinitamente perché si incomberebbe l’i potesi di reato per usura. La tecnica di calcolo di tale tasso di usura si applica considerando la media degli interessi (aumentati della metà) praticato dalle banche nel semestre precedente. Il luogo di adempimento della prestazione è determinabile dalle parti o, in mancanza, dagli usi locali. Se si tratta di una somma di denaro il pagamento va fatto al domicilio del creditore. Se di una stessa cifra fanno parte diversi debiti di diversa origine, la legge da il diritto di imputazione al debitore che deve specificare e decidere quale debito estinguere per prima (art. 1193 cod. civ.) tra tutti. Se il debitore, però, non imputa il suo pagamento, questo può essere chiesto dal creditore al momento della quietanza (art. 1195 cod. civ.). Se nessuno delle due parti ha dichiarato l’imputazione, la legge stabilisce un preciso ordine: prima i debiti scaduti, poi quelli meno garantiti, poi quelli più importanti per il creditore ed in fine quelli più antichi. Se l’adempimento comporta delle spese, come quelle di trasporto o di tipo fiscale, queste saranno a carico del debitore in modo tale che al creditore pervenga il netto del debito preteso. Il debitore ha il diritto di ricevere una quietanza che attesti il pagamento fatto. Il pagamento totale del debito obbligato estingue il rapporto fra creditore e debitore estinguendo, automaticamente, l’obbligazione ed ogni eventuale pretesa. INADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE L’obbligazione può rimanere inadempiuta per tre motivi diversi: 1. reale impossibilità oggettiva; 2. non volontà del debitore; 3. non capacità del debitore. Nel caso di non volontà del debitore, si configura l’illecito contrattuale o da inadempimento (art. 1218 cod. civ.), mentre nei casi di incapacità o di impossibilità reale del debitore a lui non imputabile, a norma dell’art. 1256 cod. civ., l’obbligazione si estingue. Ne caso di inadempimento per impossibilità non al debitore imputabile, questo affinchè si liberi totalmente dall’obbligo di prestazione, deve: - essere giunta dopo l’obbligazione ma prima della mora; - deve essere inevitabile e non determinata per colpa del debitore; - deve trattare una reale impossibilità oggettiva e non soggettiva del debitore stesso.
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- L’impossibilità, quindi, deve essere sopravvenuta, anche, perché se la causa di impossibilità fossa stata originaria, non si sarebbe neanche creato il rapporto di obbligazione per mancanza di un elemento essenziale al rapporto. - L’impossibilità deve, inoltre, anche essere inevitabile cioè per motivi di forza maggiore o per casi fortuiti. In questi casi rientrano anche le proibizioni delle autorità (Es. divieto di commercio, ecc.). - L’impossibilità, in fine, deve anche essere sorta per motivi non di natura soggettivi al debitore ma per motivi di natura oggettivi all’obbligazione stessa, tranne nei casi stretti (Es. malattia, infortunio, ecc.). Se l’impossibilità è definitiva, l’obbligo si estingue definitivamente, tuttavia, nel caso in cui l’impossibilità è temporanea, l’obbligazione resta pendente per tutto il periodo di tempo necessario al ripristino della possibilità di pagamento escludendo gli eventuali interessi e le relative more per ritardo nel frattempo giunte. Nel caso che il debitore voglia liberarsi della responsabilità da illecito contrattuale (ex art. 1218 cod. civ.) deve dimostrare la sua innocenza con l’estraneità ai fatti offrendo la prova liberatoria e non deve essere il creditore a dimostrare la responsabilità del debitore come potrebbe avvenire in altri casi (inversione dell’onere della prova). Anche il solo ritardo nel pagamento è fonte di responsabilità che porta alla mora del debitore con le relative conseguenze giuridiche ed economiche. In fine è necessario fare riferimento all’art. 1229 cod. civ. Questo articolo punisce con la nullità qualunque patto che limiti o escluda preventivamente la responsabilità del debitore a seguito di colpa o dolo grave anche se questa ha firmato la clausola così come previsto dall’art. 1341 cod. civ. considerandola vessatoria. MORA DEL CREDITORE (mora accipiendi o credendi) Il creditore è passivo di mora quando non riceve il pagamento dell’obbligazione offertogli comunque e necessariamente dal debitore o quando non compie quanto dovuto per consentire il pagamento del debitore (art. 1206 cod. civ.). Tale mora produce diversi effetti, tra cui: - non sono più dovuti interessi al creditore; - il creditore è tenuto a risarcire eventuali danno provocati al debitore; - il rischio per eventuali successive impossibilità di pagamento della prestazione rimane a carico del creditore. Esistono altri modi di liberazione della res debita che non implicano l’intervento del creditore. Per prima cosa il debitore, dopo aver proceduto all’offerta della cosa al legittimo creditore, deve liberarsene depositandola in un pubblico deposito, senza poterla mai più riprendere, e solo dopo che sia stata accettata dal creditore o dopo una sentenza del giudice. Se si tratta di un bene immobile dopo che il debitore consegni la cosa ad un sequestratario appositamente nominato dal giudice (art. 1216 cod. civ.).
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MORA DEL DEBITORE (mora solvendi o debendi) La mora del debitore si configura quando il debitore non adempisce alle proprie obbligazioni entro i termini prefissati dalle parti di comune accordo. Tuttavia, spesso, prima che di inadempimento, si parla di ritardo della prestazione con la conseguente mora; da specificare è pero il fatto che non si può parlare di mora per ritardo se poi il debitore, anche in un secondo tempo molto lontano, paga il proprio debito. Il ritardo esiste solo ed in quanto il pagamento del debito non verrà mai effettuato altrimenti esisterà un’adempimento non perfetto (non esatto) per non rispetto del termine temporale prefissato. Se non segue al ritardo l’adempimento, il ritardo stesso diviene automaticamente inadempimento. Il debitore, così caduto in mora, può trovarsi in due diversi stadi: 1. mora ex re quando esiste un termine temporale prefissato ed il debitore si viene a trovare in mora senza alcuna azione da parte del creditore, ed in particolare:
- quando la prestazione deve farsi entro termini fissati e si tratti di debiti portabili (Es. denaro, ecc.); - nei debiti derivanti da atto illecito extracontrattuale; - quando il debitore abbia dichiarato per iscritto al creditore di non voler eseguire la prestazione. 2. mora ex personam in tutti gli altri casi in cui non esiste un termine specifico.
Per l’inizio del termine di mora è richiesto obbligatoriamente una domanda per iscritto del creditore o dal giudice competente che chieda il pagamento della prestazione in questione. La costituzione in mora dell’obbligazione interrompe ogni termine e calcolo di prescrizione in corso (art. 2934 cod. civ.). Si chiama purgazione della mora l’eliminazione dello stato illegittimo di ritardo e dei relativi effetti da parte della volontà del creditore o direttamente per il pagamento del debito principale. Le regole giuridiche per il RISARCIMENTO dei danno da illecito contrattuale sono uguali e fondate su quelle per l’illecito extracontrattuale. Entrambe producono delle obbligazioni pecuniarie, quelle del risarcimento appunto. Il risarcimento dei relativi danni è richiesto solo nel caso di inadempimento, eventualmente, al debitore responsabile. Quando l’inadempimento è: - colposo si risarciscono solo i danni prevedibili al tempo in cui sorse l’obbligazione;
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- doloso si risarciscono tutti i tipi di danni, siano essi imprevisti che imprevedibili (art. 1225 cod. civ.). Se il creditore dimostrerà di aver subito un ulteriore danno egli avrà diritto ad ottenere un ulteriore risarcimento. Quanto non è possibile quantificare esattamente il danno, spetta al giudice Civile calcolarlo in maniera equa alle circostanze (art. 1226 cod. civ.). Il risarcimento del danno comprende sia il danno emergente, cioè la perdita effettivamente subita, che il lucro cessante, cioè il mancato guadagno non percepito. MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’INADEMPIMENTO Mentre i diritti reali sono per loro natura di carattere vitalizio, i diritti sorti da obbligazioni vengono ad avere una vita relativa e si estinguono completamente con l’adempimento della dovuta prestazione obbligata. L’estinzione dell’obbligazione, oltre a poter avvenire per adempimento della prestazione, può avvenire, anche, per cause non imputabili al debitore. Per estinguere il debito sorto da un obbligazione, oltre all’adempimento, esistono altre forme di risoluzione del rapporto obbligatorio, ora a vantaggio soddisfatorio del creditore e ora a vantaggio solo del debitore senza alcuna soddisfazione.. Tra i vari modi di estinzione del rapporto obbligatorio a vantaggio del creditore, di tipo soddisfatori, esistono: 1. la COMPENSAZIONE quando tra due soggetti esistono due diversi debiti di uguale natura che opponendosi a vicenda si annullano, almeno fino a parità di ammontare, anzi che creare un doppio e lungo sistema di pagamento. In tal modo il creditore rimarrà sempre soddisfatto del proprio risultato estinguendo completamente il proprio debito. La compensazione può essere: - legale quando è la legge stessa che la prevede per i debiti di tipo omogenei (stessa natura), liquidi (ammontare determinato) ed esigibili (pronti al pagamento) senza, quindi, la volontà del giudice o delle parti; - giudiziale se è il giudice ad ordinare la liquidazione dei debiti con propria sentenza quando uno dei due non è liquido ma fino alla quantità corrispondente al debito minore; - volontaria quando avviene per espressa volontà delle parti in mancanza dei precedenti presupposti. Questa, in fine, è la forma di compensazione più utilizzata e per questo sbrigativa. 2. la CONFUSIONE quando la figura del debitore viene a coincidere con quella del creditore come ad esempio nel caso in cui il creditore riceva dal debitore l’eredità. Sarebbe assurdo pensare che il debitore paghi se stesso 110
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come contemporaneo debitore. Rimane comunque una forma di estinzione dell’obbligazione di tipo soddisfatorio.. Tra, invece, i vari modi di estinzione a solo vantaggio del debitore e mai del creditore, non soddisfatori, esistono: 1. la NOVAZIONE che consiste nell’espressione di volontà delle parti obbligate nel sostituire la vecchia obbligazione con una nuova. Gli elementi essenziali, per la novazione, sono: - l’obbligazione originaria, per cui in sua mancanza mancherebbe la causa di novazione e il negozio giuridico sarebbe nullo per mancanza di un elemento essenziale; - la nuova obbligazione; - l’animus novandi, per cui in sua mancanza non si avrebbe la novazione ma la nascita di una nuova obbligazione a fianco della vecchia. La novazione si pattuisce per contratto e viene considerata all’interno della fattispecie più grande di contratti liberatori . 2. L’IMPOSIBILITA’ SOPRAVVENUTA si verifica quando per un evento non imputabile al debitore, per caso fortuito o per forza maggiore, la prestazione inizialmente pattuita come possibile diviene impossibile ad eseguirsi (art. 1256 cod. civ.). Questa impossibilità deve, però, essere definitiva ed infungibile altrimenti il debitore potrebbe pagare con un bene simile al bene originario divenuto impossibile da pagare. 3. la REMISSIONE del debito si ha quando il creditore, soggetto attivo dell’obbligazione, rinunzi per propria manifesta volontà alla pretesa del debito nei confronti del soggetto passivo dell’obbligazione, il debitore. Questo atto è di tipo unilaterale abdicativo. In questo caso, però, il debitore ha il diritto di rinunziare alla proposta del creditore e di pretendere il pagamento pur essendo contro il proprio interesse. La remissione del debito è anche possibili tramite atti mortis causa e può essere: - espressa se viene dichiarata dal creditore al debitore; - tacita se il creditore la dichiara non per scritto o verbalmente ma con la consegna dell’unico documento di credito in suo possesso al debitore.
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Il rapporto obbligatorio può modificarsi in alcuni suoi aspetti pur rimanendo fermi altri elementi fondamentali. Le modificazioni possono avvenire nel: - titolo quando si rinnova un rapporto tra due soggetti con un altro tipo di rapporto (Es. un debito a titolo di risarcimento può essere modificato a titolo di mutuo, ecc.); - contenuto quando le parti decidono di modificare l’oggetto dell’obbligazione (Es. novazione, ecc.). Questa modifica può anche avvenire per motivi di legge o per decisioni giudiziali; - soggetto quando l’attività del creditore o la passività del debitore si trasferiscono su di altri soggetti ( surrogazione). Infatti il diritto di credito è un diritto di tipo patrimoniale e per tale natura è trasferibile insieme a tutto il patrimonio reale del soggetto creditore in maniera integrante (Es. in una donazione o in un testamento). Il diritto di debito, invece, è trasferibile solamente quando esiste il consenso del creditore legittimo ma eccezionalmente nel caso degli atti mortis causa dove il debito passa automaticamente con il patrimonio relativo agli eredi che dovranno adempiere come se fossero stati loro ad obbligarsi con il creditore direttamente. La surrogazione, può avvenire, quindi, per: 1. volontà del soggetto creditore unitamente alla quietanza di pagamento firmata ad un terzo che acquista, così, tutti i relativi diritti di credito; 2. volontà del soggetto debitore quando questo per pagare al creditore prende a prestito i soldi sotto forma di mutuo da un terzo surrogandolo nei diritti del creditore; 3. volontà della legge, che a norma dell’art. 1023 cod. civ., permette ad un terzo di pagare il debito surrogandosi i diritti di credito senza considerare la volontà delle due parti. Questi sono casi limitati esclusivamente dalla legge. LA CESSIONE DEL CREDITO La successione dei crediti, nella pratica, ha numerose applicazioni soprattutto con il presupposto che non è necessario per niente il consenso del debitore. La suddetta cessione può avvenire per:
1. vendendi causa con la compravendità che rimane la scelta preferita; 2. donandi causa con la donazione;
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3. solvendi causa nel caso in cui si debba estinguere un’altra obbligazione con la cessione del proprio credito; 4. mortis causa in seguito alla volontà testamentaria del soggetto creditore. Tutti i crediti sono cedibili ad esclusione di quelli strettamente personali. Il trapasso dei crediti avviene per mezzo della stipulazione di un contratto di cessione e si perfeziona nel momento in cui vengono consegnati i documenti provanti il credito dal vecchio creditore al nuovo. Simultaneamente al credito passano al nuovo soggetto creditore anche gli accessori come ad esempio le garanzie patrimoniali. Una forma di contratto moderno di cessione dei crediti che si va perfezionando sempre più è il FACTORING che consiste nella vendita di interi pacchetti di credito ad una ditta di factoring che pagherà il corrispettivo dei crediti al venditore sottraendo però tutte le eventuali spese effettuate per tale operazione. Così il credito rimane in mano al nuovo acquirente che si è obbligato con il debitore da sempre esistito ed il vecchio creditore si è liberato di un peso e di un gravoso lavoro ricevendo il dovuto compenso inizialmente dovuto (L. 52/91). LA CESSIONE DEL DEBITO Anche i debiti, così come abbiamo visto per i crediti, possono essere ceduti al altri soggetti liberandosi delle obbligazioni assunte o in parte o completamente. Infatti le conseguenze, in questo caso, prodotte dalla cessione sono di due diversi tipi: - il debitore entra nel nuovo rapporto obbligatorio affiancandosi al vecchio debitore (cumulativo); - il nuovo debitore entra nel rapporto obbligatorio sostituendosi completamente al vecchio (privativo). Le figure negoziali di cessione del credito sono: 1. la delegazione = nel caso in cui Tizio è debitore di Caio ma creditore di Alfio, può disporre che la propria obbligazione si sposti sul rapporto transitivo tra Alfio che deve pagare la prestazione a Tizio, perlomeno per lo stesso valore della prestazione. 2. l’espromissione = nel caso in cui Tizio è debitore di Caio ed un terzo soggetto, introducendosi nel rapporto di obbligazione, si fa carico di pagare spontaneamente il debito di Tizio a Caio assumendosi la responsabilità (Es. Novazione, ecc.) ; 3. l’accollo = nel caso in cui un soggetto va spontaneamente da un altro soggetto chiedendo lui di accollarsi il proprio debito tramite un contratto . In tutti i casi l’obbligazione del nuovo debitore può aggiungersi a quella del vecchio ed in questo caso avremo la cessione cumulativa, o può sostituirsi in tutto e per tutto con il
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nuovo debitore, e si avrà, invece, una cessione liberatoria o privativa, solo nel caso, però, in cui il debitore lo disponga di sua volontà . Con la sostituzione del nuovo con il vecchio debitore cadono anche tutte le garanzie prestate da quest’ultimo a meno che non consenta espressamente il mantenimento di tali garanzie. CESSIONE DEL CONTRATTO Se è possibile, come abbiamo visto, cedere sia i crediti che i debiti, anche se questi ultimi con una maggiore difficoltà dei primi proprio per la loro natura, sarà anche possibile cedere le obbligazioni contenute e sorte da contratti purchè non ancora eseguite. Questi tipi di contratti “cedibili” vengono definiti dal Codice Civile come contratti a prestazioni corrispettive, comunemente detti bilaterali, nei quali sorgono obbligazioni interdipendenti e reciproche fra le parti contraenti. Ovviamente, la cessione del contratto non può avvenire e non avviene mai senza la volontà del cedente a farlo.
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CAPO IX LE GARANZIE DELL’OBBLIGAZIONE TUTELA DEL CREDITO E GARANZIE Nel sesto libro del Codice Civile si parla interamente delle tutele dei diritti dei soggetti ed in particolare dei diritti di credito e della loro tutela. Queste tutele, quelle dei creditori, però non vengono disciplinati esclusivamente nel Codice Civile, infatti anche il Codice di Procedura Civile ne contiene buona parte e soprattutto norme di carattere esecutivo. La materia della tutela dei diritti, ed in particolare di quelli patrimoniali, è talmente vasta e difficile che il Codice Penale configura certi illeciti lesivi di tali diritti anche come reati prevedendo serie sanzioni (Es. bancarotta, insolvenza fraudolenta, ecc.). Al contrario di quanto si fece per secoli nelle passate codificazioni, oggi il diritto moderno considera come garanzia delle obbligazioni assunte non il soggetto fisicamente inteso ma il suo relativo patrimonio economico. L’art. 2740 cod. civ. dice espressamente che gli obbligati da negozi giuridici rispondono direttamente con il loro patrimonio presente e futuro su ciò che illecitamente compiono. Secondo tale articolo e secondo l’intero ordinamento Civile e giuridico in generale del nostro diritto moderno, per ogni obbligazione assunta esiste un corrispettivo equivalente in termini economici e monetario da garantire in caso di inadempimento o di viziato adempimento. Secondo tale schema giuridico la tutela del credito avviene tramite una procedura giudiziaria divisa in due momenti:
la fase del processo cognitivo che mira alla quantificazione del danno per inadempimento subito dal creditore e alla condanna al pagamento del debitore una volta riconosciuti i diritti di credito;
la fase del processo esecutivo che mira alla trasformazione dei beni del patrimonio del debitore in denaro liquido per il pagamento e il soddisfacimento degli interessi e dei diritti del creditore offeso.
Quindi il Codice Civile detta delle norme chiare ed esplicite circa i principi ed i mezzi di tutela del creditore che sostanzialmente si racchiudono: 1. nel sequestro conservativo che consiste in una misura preventiva e cautelare che il creditore può chiedere al giudice quando ha fondato il timore di perdere le garanzie del proprio credito (art. 2905 cod. civ., art. 671 cod. proc. civ.). il sequestro consiste nel vietare al debitore eventuali improvvise alienazioni dei beni (mobili ed immobili) messi a garanzia privando la loro disposizione e configurando l’ipotesi di reato per ogni eventuale tentativo. Si distingue dall’azione revocatoria perché preventivo. 2. nell’azione surrogatoria si attiva nel caso in cui il debitore dimostri di non aver cura del proprio patrimonio messo a garanzia del debito. In tali casi la legge permette al creditore di surrogarsi al debitore inattivo per esercitare al suo posto i diritti e le azioni che gli spettano. Quindi non basta una inerzia del debitore ma questa deve anche essere pregiudizievole per il creditore, affinchè si possa ricorrere a tale azione. 115
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3. nell’azione revocatoria o pauliana, invece, nel caso in cui il debitore si dimostri molto più avverso che nel caso di totale inerzia. Quando il debitore, infatti, ponga in essere un atto contrario e pericoloso per il soddisfacimento dei diritti di credito (Es. alienazioni con compravendita o donazioni, ecc.) ai creditori è concesso il rimedio con tale azione. In questo caso sono richiesti i seguenti presupposti: - un atto di disposizione con il quale il debitore modifichi il suo status patrimoniale; - l’eventus damni che consiste nel pregiudizio per il creditore (Es. diminuzione del patrimonio al punto da non poter più soddisfare il debito); - il consilium fraudis ossia la conoscenza del pregiudizio che reca danno al creditore. L’onere di provare la colpevolezza spetta al creditore che agisce in revocatoria. Spesso, comunque, al debitore disonesto non è possibile conoscere tutto il patrimonio e quindi a sottoporlo in totale all’esecuzione forzata. Le maggiori vie di oscuramento dei beni patrimoniali sono: i titoli di stato, le obbligazioni di stato, le azioni intestate a prestanomi e gli investimenti fatti all’estero. La legge pone dei limiti al patrimonio del soggetto debitore da pignorare. Abbiamo visto che molti oggetti strettamente personali non possono essere sottoposti ad esecuzione forzata in quanto costituiscono lo stretto necessario per quanto riguarda la condotta della propria vita (Es. anello nuziale, frigorifero, vestiario, utensili, letto, ecc.). L’ESECUZIONE COATTA Tutti i creditori hanno un eguale diritto sul patrimonio del debitore (art. 2741 cod. civ.). Per tale motivo, abbiamo detto, l’ordinamento giuridico e giudiziario prevedono ed attuano l’esecuzione forzata di cui abbiamo già detto in precedenza. Se, però, il ricavato della procedura forzata non è sufficiente per il soddisfacimento intero delle pretese giustamente volute dai creditori, il patrimonio divenuto liquido si ripartirà in proporzione senza distinzione di alcun ordine cronologico soltanto tra coloro che sono intervenuti prima della conclusione del procedimento esecutivo. Gli arrivati dopo tale termine non potranno pretendere alcun soddisfacimento ma potranno, eventualmente, avviare un nuovo procedimento forzato. Tuttavia esistono dei crediti che hanno un diritto di privilegio su gli altri crediti senza però superarli in valore o importanza. Tra i vari crediti, che pur tuttavia godono della par condicio creditorum, non esiste alcuna distinzione cronologica o di altro tipo. La legge, però, in considerazione della causa per cui il credito in questione è sorto, considera certi creditori in maniera favorevole e preferibile, nella distribuzione di quanto avvenga al procedimento esecutivo, dettando un particolare e preciso ordine per cui i privilegi sono esclusivamente stabiliti e descritti dalla legge.
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Il privilegio può essere generale (solo (solo su i beni beni mobili mobili)) e speciale (su i beni immobili e mobili). Ad esempio, io, il deb debito ito con il comm ommerciali ialissta o con l’av l’avvvocato che ha eseguito ito una prestazione professionale ha un privilegio particolarmente forte su tutti gli altri crediti perché la legge attribuisce privilegio e precedenza assoluta alle spese di giustizia. L’ESECUZIONE CONCORSUALE Oltre all’esecuzione forzata, il nostro ordinamento riconosce anche la procedura dell’esecuzione concorsuale concorsuale cioè il procedimento di risoluzione di particolari situazioni in cui il commerciante si trova a dover rispondere di numerosi e gravosi debiti. La materia è legata interamente da un Decreto legge comunemente chiamata legge fallimentare (D.L. 267 del 16/03/1942). Lo scopo del fallimento è quello di garantire la pars condicio creditorum (art. 2741 cod. civ.). La materia è di vitale importanza, tanto che sono previsti dei reati per la configurazione di particolari situazioni illecite del fallito negligente o disonesto contro l’interesse pubblico. Le norme fallimentari prevedono delle forti limitazioni al patrimonio del fallito al fine di tutelare e limitare la responsabilità patrimoniale nei confronti dei numerosi creditori che accedono a tale procedura. Il fallimento richiede un importante e sostanziale intervento giudiziale. In mancanza del giudice il fallito diverrà semplice debitore inadempiente. Presupposti per la dichiarazione di fallimento dell’impresa commerciale sono: 1. l’esistenza dell’imprenditore commerciale 2. l’insolvenza dell’imprenditore medesimo Ragioni storiche e pratiche escludono dal fallimento il piccolo imprenditore (art. 1 legge fallimentare) e l’imprenditore agricolo. Il fallimento viene dichiarato ed aperto nella sede del Tribunale in cui si trova l’impresa commerciale in difficoltà e lo stesso ha la competenza di tutto l’intero procedimento restante. Il fallimento può avvenire per domanda: 1. dello stesso imprenditore titolare dell’impresa in difficoltà 2. di uno dei creditori in attesa 3. del pubblico ministero 4. d’ufficio quando il fallimento scaturisca da altri procedimenti giudiziari Aperto il fallimento, la sentenza dichiarativa verrà pubblicata immediatamente presso il competente Tribunale e nei luoghi in cui ha sede l’impresa dichiarata fallita. Con la dichiarazione di fallimento vengono sospesi tutti gli interessi nei confronti della ditta, sia di tipo legale che di tipo convenzionale, e viene allontanato dai beni dell’impresa il titolare, fino alla chiusura del procedimento.
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Nella sentenza dichiarativa di fallimento vengono, tra l’altro, nominate due figure molto importanti e fondamentali: 1. il giudice delegato che dirige le operazioni del fallimento e vigila sull’operato del secondo e dell’intero procedimento. Come prima cosa, inoltre, egli nomina da tre a cinque fra creditori per costituire il comitato dei creditori che ha funzioni deliberative e di controllo sull’intera procedura. 2. il curatore fallimentare che amministra il patrimonio fallimentare essendo l’organo attivo del procedimento per eccellenza. Viene retribuito dal tribunale in quan quanto to pubb pubblic licoo uffi uffici cial alee ed è scel scelto to,, su nomi nomina na,, tra tra gli gli albi albi pro profess fessio iona nali li di avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e procuratori legali. La procedura fallimentare si suddivide in due grandi gruppi di operazione: - il primo riguarda la determinazione dell’intera massa dell’attivo dell’impresa; - il secondo ha il compito di riunire e distribuire l’attivo stesso. Il risultato è intuitivo: si confrontano matematicamente l’attivo con il passivo. Dal risultato, che rappresenta l’utile disponibile, lo si suddivide in proporzione ai vari creditori rispettando, però nel pagamento, le eventuali prelazioni di privilegio. Se l’attivo non supera la cifra di 1.500.000 di lire si stabilisce automaticamente una procedura molto più sbrigativa e semplice che consiste in un procedimento sommario con competenza del pretore. Durante l’accertamento del passivo ai creditori è assegnato, dalla sentenza dichiarativa, un termine di 30 giorni massimo per la presentazione delle domande di insinuazione del credito da loro preteso. In base alla totalità delle domande di credito, il giudice delegato creerà lo stato passivo dell’impresa. In esso tutti i crediti pervengono, tramite le relative domande, espressamente quantificati in denaro liquido per una semplicità di calcolo. In seguito si procede con la formazione dell’attivo che viene affidata al curatore fallimentare e che rappresenta il momento più difficile e delicato dell’intero procedimento. Essa consiste nell’inventariare tutti i beni dell’impresa, nella vendita degli stessi e nella riscossione di tutti i crediti. Una volta accumulato il denaro liquido, dalla vendita fallimentare e dalla riscossione degli eventuali crediti esistenti, si procederà alla divisione proporzionale delle somme ai creditori. Il procedimento si definisce chiuso con: 1. il pagamento di tutti i crediti; 2. la mancanza dell’attivo; 3. con la mancanza delle domande di ammissione all’attivo.
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Nei casi in cui è consigliabile, il Tribunale, entro 5 anni dalla chiusura del fallimento, può disporre la riapertura ed il proseguimento del procedimento fallimentare. IL CONCORDATO Il concordato è un accordo che si viene a creare tra i creditori e il commerciante debitore per evitare il lungo, fastidioso e costoso procedimento fallimentare (concordato preventivo) o per chiuderlo (concordato fallimentare). Per la scelta di una delle due procedure è necessario la votazione maggioritaria di almeno la metà dei creditori che in tal caso impegneranno anche gli assenti alla votazione e i dissenzienti. La procedura può essere: - concordato concordato preventivo E’ un istituto riservato all’imprenditore sfortunato ma non disonesto. Per ottenerlo deve possedere tali requisiti: 1 non deve essere stato condannato per reati contro il patrimonio o coinvolto in procedimenti fallimentari negli ultimi 5 anni; 2 deve dimostrare di avere le garanzie per pagare almeno il 46 % dei debiti. In tal caso il Tribunale nominerà un commissario giudiziale ch che, e, sot sotto la guida uida ed il controllo del giudice delegato, procederà immediatamente alla verifica dei creditori, dei debitori e all’inventario dei beni facendone una relazione. Una volta stipulata la relazione, si riuniranno tutti i creditori ai quali verrà illustrata la situazione e verrà chiesto di porre ai voti eventuali accordi presi con criterio maggioritario. Una volta eseguita la votazione, questa verrà convalidata dal Tribunale rendendola obbligatoria e definitiva. Se nel corso del procedimento il commissario giudiziale avverte gravi irregolarità del debitore può procedere alla dichiarazione del fallimento. - concordato fallimentare questa procedura viene chiesta dallo stesso commerciante titolare dell’impresa dichiarata fallita solamente dopo che verranno verificati tutti i crediti relativi all’impresa stessa. Anche esso consente di evitare le lungaggini e le spese del procedimento fallimentare ordinario. La procedura del concordato fallimentare consiste nell’offerta che fa il fallito di una percentuale che egli è in grado di offrire ai vari creditori e se ritenuta valida questa viene messa ai voti dei creditori dal giudice delegato sentiti prima il curatore fallimentare ed il comitato dei creditori. Se la proposta del debitore fallito viene accettata dai creditori questa viene convalidata dal Tribunale competente e resa obbligatoria e definitiva estinguendo ogni precedente obbligazione Civile tra il debitore fallito e i vari creditori.
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LE PROCEDURE PARAFALLIMENTARI La legge fallimentare prevede anche altre procedure para-fallimentari che si muovono parallelamente al procedimento fallimentare ordinario per evitare la morte dell’attività commerciale eventualmente dichiarata fallita.
1. Invece che dichiarare il fallimento dell’impresa, quando i debiti e la situazione lo consentano e quando il debitore lo meriti, è possibile procedere con un’amministrazione controllata dell’impresa. Questa scelta, se fatta, sarà opportuna e conveniente sia per l’impresa che non morirà, sia per la politica nazionale che per i creditori che seppur non immediatamente potranno pretendere i loro crediti per l’intera somma loro dovuta. Questo procedimento viene affidato ad un commissario giudiziale per un periodo di tempo non superiore a 2 anni. 2. quando l’impresa presenta aspetti di interesse pubblico, la legge provvede alla sua gestione, anziché al fallimento, mediante l’ amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi che sottrae al fallimento le imprese con più di 300 dipendenti, con almeno 5 miliardi di debiti e che non abbiano pagato almeno 3 mensilità di stipendio ai propri dipendenti. In questo procedimento si perseguono anche gli interessi pubblici sovrastando quelli dei singoli creditori. In questo caso il commissario è nominato dal Ministero del Lavoro con un mandato non superiore a 2 anni svantaggiando, così, i creditori già in attesa che dovranno comunque aspettare la programmatica ripresa dell’attività commerciale ad opera del commissario ministeriale e non potendo usufruire dei relativi benefici di un eventuale procedimento fallimentare ordinario o concordatario. LA CLAUSOLA PENALE L’autonomia contrattuale privata (art. 1322 cod. civ.) si spinge al punto tale da potere pattuire una somma di denaro da pagare o una prestazione obbligatoria da eseguire in caso di inadempimento del contratto stesso a norma dell’art. 1382 cod. civ.. Questa prende il nome di clausola penale perché rappresenta una pena accessoria, che si porta all’obbligato dal contratto stipulato di comune accordo con la parte attiva, nel caso in cui non vengano rispettati i patti. È una sorta di preventiva cauzione che la parte attiva si pone sull’ipotetica inadempienza della parte passiva del rapporto. La clausola penale è considerata, anche, come un preventivo risarcimento dei danni solitamente stabilita con un importo superiore, e di molto anche, a quanto sarebbe un normale procedimento di risarcimento dei danni dopo l’avvenuta contrattazione. In questo modo il debitore sarà maggiormente attento e dedito al rispetto delle obbligazioni contratte conoscendo a priori l’eventuale conseguenza a cui si va in contro. Con l’apposizione della clausola penale, il creditore, nel caso di inadempimento del contratto da parte del relativo debitore, non sarà onerato a dimostrare il danno subito ma l’onere della prova sarà inverso al debitore che deve dimostrarne, eventualmente, l’estraneità. L’art. 1382 cod. civ. distingue, inoltre, una clausola penale per: 120
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- inadempimento delle obbligazioni assunte; - ritardo di pagamento della prestazione assunta. In tema di autonomia contrattuale privata dettata dall’art. 1322, il Codice Civile apporta un’altra deroga a tale principio liberatorio dettando che il giudice, in casi di particolare onerosità della clausola penale, può abbassare l’ammontare della cifra della penale pattuita per motivi di equità. Oltre che alla clausola penale il Codice Civile, all’art, 1373, prevede anche una clausola di recesso dalle obbligazioni contrattuali tramite il pagamento di una somma di denaro preventivamente stabilita e molto simile alla penale ma con principio e significato totalmente diverso. Mentre la penale è il preventivo risarcimento di un danno che normalmente non dovrebbe accadere, il diritto di recesso è il prezzo che una parte deve pagare e che preventivamente viene stabilito per un obbligazione che normalmente non è necessariamente fattibile. LA CAPARRA A differenza della clausola penale che le parti possono inserire all’interno di un qualsiasi contratto come accessoria obbligazione a pagare in caso di inadempimento o di ritardo di pagamento della prestazione obbligatoria, le parti possono anche prestabilire un trasferimento di denaro, all’interno di un contratto esclusivamente con rapporti corrispettivi (Es. compravendita, ecc.) a differenza della clausola penale, al fine di garantire una parte nel caso di un’eventuale recesso della controparte dal contratto (art. 1385 cod. civ.). La caparra viene sempre pagata dal debitore al creditore quando si stipula un contratto e può essere di due tipologie diverse: 1. CONFIRMATORIA se viene data anticipatamente alla stessa prestazione e di questa rappresenta un inizio, nel senso che nel caso di recesso questa resterà nelle mani della parte attiva del contratto e nel caso di adempimento, rappresenterà invece un anticipo al pagamento della prestazione che dovrà essere completato nella parte rimanente; 2. PENITENZIALE se è il creditore, invece, a non voler più eseguire la prestazione pattuita ed allora il debitore può chiedere la doppia caparra, cioè la restituzione della caparra precedentemente data e una somma di denaro in più pari alla stessa caparra ed in più può anche chiedere gli eventuali danni recati. DIRITTO DI RITENZIONE Il diritto di ritenzione è quel particolare diritto di garanzia che la legge riconosce al creditore in certi casi consentendogli di trattenere presso se la merce del debitore per indurre quest’ultimo a pagare la prestazione obbligata. Questa forma di garanzia è di tipo autotutelare e di legittima difesa. Poiché la legge vieta di farsi giustizia da se prevedendo come reato tali forme di giustizia, il diritto di ritenzione è ammesso dalla legge nei soli casi da essa stabiliti e pertanto non è possibile estenderla per analogia.
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Questo diritto può anche essere espressamente previsto, oltre che dalla legge, dall’autonomia contrattuale delle parti. I DIRITTI SEMPLICI DI GARANZIA Oltre alle garanzie reali delle obbligazioni (pegno ed ipoteca), che coinvolgono direttamente il patrimonio del debitore, esistono altre forme di garanzia che vengono definite semplici perché non riguardano direttamente il patrimonio del debitore ma quello di un terzo che si presta per il debitore stesso a sua garanzia. Le principali forme di garanzia semplici sono:
1. la FIDEIUSSIONE Si costituisce per contratto e a norma dell’art. 1936 un terzo (fideiussore) si obbliga con il creditore per l’adempimento di una obbligazione altrui (debitore principale). Questo rapporto non è di natura trilaterale ma rimane bilaterale in quanto riguarda esclusivamente il creditore con il fideiussore. La garanzia è personale perché non riguarda direttamente il patrimonio del debitore ma quello del terzo impegnato tramite questo contratto. Non da luogo ad alcun diritto di tipo reale ma riguarda tutto il patrimonio del fideiussore a norma dell’art. 2740 cod. civ.. Un tempo era una operazione da chiedersi esclusivamente e preferibilmente ad un soggetto amichevole, oggi, invece, l’operazione avviene esclusivamente tramite operazione bancaria. La fideiussione costituisce un obbligazione accessoria, caratteristica questa comune a tutti i diritti di garanzia reale. La garanzia sussiste fin quando esiste l’obbligazione principale e da questa dipendenza deriva il fatto che la fideiussione non può eccedere quanto è dovuto al creditore dal debitore ne può essere prestata a condizioni più onerose. La fideiussione è invalida se invalida è l’obbligazione principale, sia che l’invalidità riguardi un vizio di forma che un vizio di contenuto. La garanzia di fideiussione può anche essere suddivisa tra più soggetti fideiussori ai quali bisognerà pretendere solo il credito loro proporzionatamente spettante. 2. l’AVALLO Comunemente si definisce l’avallo come fideiussione cambiaria, cioè come garanzia prestata per una cambiale, anche se sostanzialmente la fideiussione e l’avallo sono entrambe obbligazioni di garanzie semplici ma con caratteristiche nettamente diverse. La differenza tra avallo e fideiussione è che la prima ha una forma di autonomia al punto che è sempre valida anche se l’obbligazione principale è nulla per un qualsiasi motivo che non sia un vizio di forma. Il soggetto che garantisce si chiama avallante, la persona, invece, a cui giova la garanzia prestata si chiama avallato. Come ogni forma di obbligazione cambiaria, l’avallo richiede una forma scritta per la sua validità. 3. il MANDATO DI CREDITO
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Il mandato di credito è il contratto, a norma dell’art. 1958 cod. civ., che avviene tra due soggetti: uno A che si obbliga con uno B a far credito ad un terzo C. Il soggetto mandante può revocare l’incarico dato ma deve rispondere degli eventuali danni arrecati alla controparte del contratto. Questo tipo di contratto differisce sostanzialmente da quello di mandato perché, a differenza di quest’ultimo, il soggetto attivo agisce in maniera autonoma e con propria volontà rispetto al mandato in cui il soggetto agisce per conto e volontà del soggetto mandatario. I DIRITTI REALI DI GARANZIA Si è già detto circa gli eventuali rischi che il creditore incontra nei rapporti con i relativi debitori:
concorso di troppe pretese di altri creditori sullo stesso patrimonio del debitore risultando quest’ultimo così insufficiente;
la sottrazione che il debitore può fare dei beni (che dovrebbero servire per garanzie reali) dal proprio patrimonio per alienarli al creditore in attesa del pagamento dovuto.
Le due principali forme di diritti reali di garanzia per il creditore sono: PEGNO e IPOTECA. La differenza tra pegno e ipoteca sta nell’oggetto della garanzia: 1. il primo ha come contenuto proprietà mobiliari; 2. il secondo ha come contenuto, invece, beni immobiliare. Esistono però anche altre forme più sottili di distinzione: 1. con il pegno si sottrae il bene al debitore il quale non potrà più usufruirne temporaneamente fino a quando l'obbligazione non verrà pagata; 2. con l’ipoteca, invece, il bene rimane del debitore a sua completa e totale disposizione apportando una semplice registrazione nel pubblico registro immobiliare (trascrizione). Esistono, inoltre, alcuni elementi in comune tra le due forme di garanzia: 1. sono entrambi diritti accessori, se l’obbligazione principale manca o finisce, con essa viene a mancare o finire anche la garanzia reale in quanto non avrebbe più ragione di esistere; 2. sono entrambi diritti speciali perché applicabili esclusivamente ai relativi beni da garantire;
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3. infine in comune alle due garanzie anche l’ indivisibilità che si estende all’intero bene in oggetto. PEGNO Il pegno, come diritto reale di garanzia, viene posto in essere tramite il contratto di pegno che è un vero e proprio contratto che esplica effetti di tipo reali, dato che il bene pignorato passa momentaneamente dalla proprietà del titolare debitore a quello del creditore e, per questo tipo di effetto prodotto, la pubblicità avviene semplicemente con il possesso del bene pignorato. Oggetto del pegno sono esclusivamente i beni mobili e tutti gli altri beni comunemente considerati come beni mobiliari. Il possesso pignoratizio non consente al creditore di disporre pienamente ed interamente del bene in sue mani che pur in tale situazione rimane comunque di proprietà del debitore. In questo caso, però, se il bene pignorato produce dei frutti, questi saranno automaticamente di proprietà del creditore. Se il creditore dimostra di abusare del bene pignorato il legittimo proprietario, il debitore dell’obbligazione, può chiederne il sequestro all’autorità giudiziaria. Finché il debitore non ha adempiuto completamente la prestazione oggetto del contratto, non ha alcun diritto a pretendere la restituzione del bene pignorato, neanche quando abbia già prestato momentaneamente in parte l’obbligazione. Anche nel caso in cui il debitore non adempisca completamente la sua prestazione, il creditore non ha il diritto di tenersi la proprietà pignorata in virtù del principio del veto di patto commissorio, ma può:
1. far vendere giudizialmente il bene pignorato e soddisfarsi così del denaro ricavato dalla vendita giudiziale; 2. farsi assegnare il bene pignorato dal giudice trasferendo così definitivamente la proprietà del bene stesso (con sentenza del giudice). Il contratto di pegno, vuole la legge, deve essere costituito in forma scritta e deve essere necessariamente notificato al debitore e deve costituire prelazione su altri creditori. IPOTECA L’ipoteca si costituisce tramite una semplice registrazione presso il registro pubblico dei beni immobili lasciando, così, il bene in proprietà del debitore legittimo proprietario e non trasferendo, neanche temporaneamente, alcun possesso. In funzione di questa procedura, l’ipoteca è possibile solo esclusivamente per i beni immobiliari o per quei beni mobili iscritti in dei particolari e speciali registri pubblici (Es. P.R.A., ecc.) e che per questo, pur se ipotecati, possono rimanere a disposizione del proprietario seppur debitore. L’ipoteca è invalida se esistono gravi incertezze sull’ammontare del credito garantito, sull’identità del creditore o del debitore o sull’esistenza dei beni ipotecati. Il vincolo ipotecario è indivisibile e persiste sull’interezza del bene anche quando, in parte, il debito è pagato La registrazione dei beni immobiliari avviene in pubblici registri con criterio reale (oggettivo) e quindi vanno iscritti e ricercati in base al nome del proprietario del bene,
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mentre i beni mobili speciali vengono registrati con criterio personale (soggettivo) e quindi individuabili in base al nome e alla tipologia del bene stesso. La legge riconosce, nel Codice Civile, tre tipi di ipoteche diverse, quella: 1. legale, quando l’ipoteca è offerta direttamente al creditore dalla legge senza la volontà del debitore. In tal senso l’art. 2817 cod. civ. elenca i casi tassativamente previsti dalla legge di ipoteca legale; 2. giudiziale, quando trova la sua origine da una sentenza di condanna a pagare una somma di denaro o una prestazione obbligatoria o quando è ordinato il risarcimento dei danni prodotti. Il giudice, però, non ordina l’applicazione dell’ipoteca, ma quest’ultima è possibile solo grazie, in questo caso, alla titolarietà che la sentenza stessa rappresenta a norma dell’art. 2818 cod. civ.. Questa procedura è molto utile al fine di evitare una lunga e costosa procedura forzata dopo aver ottenuto una sentenza favorevole al proprio credito. 3. volontaria, quando è concessa per contratto o per atto unilaterale ma non possibile assolutamente per testamento. È richiesta dalla legge la forma scritta e la pubblicità o per sottoscrizione autenticata dal notaio o per atto pubblico. La funzione essenziale dell’ipoteca è rivolta direttamente ed esclusivamente a terzi. Da qui l’esigenza della pubblicità dell’ipoteca e dell’invalidità di quella occultamente fatta. L’iscrizione dell’ipoteca nei pubblici registri rappresenta un momento costitutivo dell’ipoteca stessa a differenza delle trascrizioni che rappresentano titoli dichiarativi. Il diritto del creditore ipotecario ha ordine di prelazione primario su tutti gli altri creditori esistenti in comune allo stesso debitore. Ma poiché è possibile iscrivere diverse ipoteche sullo stesso bene, ne consegue che è possibile creare un vero e proprio ordine di priorità delle diverse ipoteche. Mentre tra i privilegi la preferenza è data dalla causa del credito, tra le ipoteche la preferenza è data dalla cronologia di iscrizione della stessa ipoteca, cioè dal numero del registro generale d’ordine del pubblico registro immobiliare. Così l’ipoteca iscritta per prima avrà un grado d’ordine di primo livello, quella iscritta per secondo di secondo livello, e così via. Anche nello stesso giorno si possono iscrivere diverse ipoteche con ordini diversi a secondo del momento di arrivo delle istanze di iscrizione. Inoltre, all’intero della graduatoria, ciascun creditore può cedere il proprio titolo ipotecario pagando il credito relativo all’ipoteca stessa ad altri creditori aggiornando, così, la classifica con la propria uscita e disinteressandosi così dell’azione esecutiva (surroga ipotecaria per pagamento). L’effetto dell’iscrizione è di massimo 20 anni e finito il termine non può essere fatta altra domanda se non con effetto ex nunc. Per evitare l’irretroattività, bisogna iscrivere nuovamente l’ipoteca prima della fine del termine dei 20 anni ma con l’inserimento in ultima posizione della graduatoria dei creditori. L’ipoteca cessa nei soli casi previsti dal Codice Civile in cui:
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1. perisca il bene ipotecato (Es. incendio, ecc.) e per il principio dell’accessorietà cade anche l’ipoteca; 2. il creditore vi rinunzi; 3. spiri il termine di concessione; 4. adempi la sua funzione di garanzia. Così solo dopo la cancellazione dell’ipoteca o solo dopo essere trascorsi i 20 anni di prescrizione, il bene ipotecato ritorna libero verso chiunque.
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CAPO X I PRINCIPALI CONTRATTI NOMINATI I contratti per la circolazione dei beni Compravendita
La vendita può avere per oggetto sia il trasferimento della proprietà di una cosa, mobile o immobile, sia il trasferimento di un altro diritto (art.1470). È un contratto a titolo oneroso: attua il trasferimento di un diritto verso il corrispettivo di una somma di denaro, detta prezzo; la sua causa consiste nello scambio tra un diritto e una somma di denaro. Il prezzo in denaro è l’elemento che distingue la vendita dalla permutache ha per corrispettivo il trasferimento di un altro diritto (art.1552). Il contratto di vendita produce due ordini di effetti: a. effetti reali: la proprietà o l’altro diritto si trasferisce dal venditore al compratore per effetto del solo consenso; b. effetti obbligatori: sul compratore incombe l’obbligazione di pagare il prezzo (art.1498) sul secondo gravano varie obbligazioni: • l’obbligazione di consegnare la cosa al compratore (art.1476); • l’obbligazione di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto; • l’obbligazione di garantire il compratore dall’evizione (un terzo rivendica con successo la proprietà della cosa e il compratore ne perde la proprietà); • l’obbligazione di garantire il compratore dai vizi occulti della cosa; Si tratta di vizi materiali della cosa, che la rendono inidonea all’uso cui è destinata o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (art.1490). Deve trattarsi di vizi occulti, che il compratore non conosceva al momento del contratto o che non poteva facilmente riconoscere (art.1491). Ai vizi occulti la legge equipara la mancanza delle qualità promesse o delle qualità essenziali della cosa (art.1497). La garanzia per i vizi occulti può essere esclusa o limitata dal contratto, ma il patto che la esclude o la limita non ha effetto a favore del venditore che conoscesse i vizi della cosa e li avesse in mala fede taciuti al compratore (art.1490). Il compratore deve denunciare i vizi occulti entro otto giorni dalla scoperta; effettuata, ha poi il termine di prescrizione di un anno dalla consegna per far valere in giudizio la garanzia (art.1495). In giudizio il compratore può esercitare due azioni: 1. azione redibitoria: si richiede la risoluzione del contratto e il rimborso del prezzo (art.1493); 2. azione estimatoria: si chiede la riduzione del prezzo (art1492). In ogni caso il compratore ha diritto al risarcimento dei danni subiti, se il venditore non prova di avere senza colpa ignorato i vizi della cosa (art.1494). Si parla di vendita obbligatoria, con riferimento ai casi nei quali il trasferimento della proprietà della cosa venduta non è effetto immediato del contratto, e sul venditore incombe l’obbligazione di fare acquistare al compratore la proprietà del bene venduto (art.1476). 1. la vendita di cose determinate solo nel genere: la proprietà passa solo al momento dell’individuazione della cosa; 2. la vendita di cose future: sono le cose che ancora esistono al momento della conclusione del contratto, ma che si spera vengano ad esistenza. Qui il contratto non può trasferire subito la proprietà: questa passa solo nel momento in cui la cosa 127
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viene ad esistenza (art.1472); 3. la vendita di cosa altrui: per vendere un bene non occorre esserne proprietario: è valida la vendita di cose che non appartengono al venditore. È fonte dell’obbligazione del venditore procurarsi la proprietà della cosa; e il compratore ne acquisterà la proprietà nel momento stesso in cui il venditore ne sarà divenuto proprietario (art.1478); la vendita a rate con riserva di proprietà: si basa su tre principi (art.1523): • il venditore è obbligato a consegnare immediatamente la cosa al compratore, che ne acquista subito la facoltà di godimento; • il compratore diventa proprietario della cosa solo nel momento del pagamento dell’ultima rata del prezzo; • i rischi relativi alla cosa venduta passano al venditore al compratore già al momento della consegna;
Locazione
La locazione è il contratto mediante il quale una parte, il locatore, si obbliga a far godere all’altra parte, detta locatario o conduttore, una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo (art.1571). È un contatto consensuale perché si perfeziona solo con l’accordo delle parti; ha effetti obbligatori ed è a titolo oneroso: infatti, è essenziale la pattuizione di un corrispettivo. Il proprietario concede ad altri il godimento della propria cosa, ma solo per un dato tempo (art.1571) e solo per un uso determinato (art.1587). La locazione può avere per oggetto qualsiasi bene, mobile o immobile; può trattarsi di una cosa produttiva, ossia di una cosa di per sé idonea a procurare frutti e allora la locazione assume un nome specifico, quello di affitto. La forma scritta è però richiesta, a pena di nullità, per le locazioni immobiliari ultanovennali (art.1350). Con il contratto di locazione, il locatore si obbliga (art.1575): 1. a consegnare la cosa al conduttore; 2. a mantenerla in condizioni tali da servire all’uso convenuto nel contratto. Spetta al locatore di eseguire le riparazioni necessarie a tal fine, mentre è a carico del conduttore la piccola manutenzione (art.1576); 3. garantire il pacifico godimento della cosa da parte del conduttore; Il conduttore è, a sua volta, obbligato: 1. a prendere in consegna la cosa e a servirsene con la diligenza del buon padre di famiglia per l’uso stabilito nel contratto (art..1587); 2. a dare il corrispettivo nei termini stabiliti (art.1587); 3. a restituire la cosa al termine della locazione nel medesimo stato in cui l’ ha ricevuta, salvo il deterioramento derivante dall’uso (art.1590) Essenziale alla locazione è la temporaneità del godimento: non può essere stipulata una durata maggiore a trenta anni (art.1573). Può essere a tempo determinato (cessa con il termine) oppure a tempo indeterminato (cessa con la disdetta); la locazione a tempo determinato è suscettibile di rinnovazione tacita. La locazione che ha per oggetto una cosa produttiva prende il nome di affitto (art.1615) ma occorre che la cosa sia di per sé produttiva di frutti, come un fondo rustico o un’azienda. 128
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L’affittuario ha l’ulteriore obbligo di curare la gestione della cosa produttiva secondo la sua destinazione economica (art.1615). La locazione finanziaria (leasing) è la locazione di beni, mobili o immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore su indicazione del conduttore, dietro versamento di un prezzo prestabilito. L’ammontare del canone è rimesso all’accordo delle parti; esso dipenderà dalla legge di mercato della domanda e dell’offerta. Sugli opposti interessi delle parti influisce anche la durata della locazione: il canone pattuito resta immutato per tutta la durata del contratto. a. Le case per abitazione: il canone può essere liberamente determinato; è solo stabilita una durata minima del contratto che non può essere inferiore a quattro anni, con rinnovo per altri quattro anni (n. B.: abolito equo canone); b. Immobili urbani ad uso diverso dall’abitazione: il canone si determina secondo le leggi di mercato; la durata minima è di sei anni e si rinnova tacitamente salvo disdetta di ciascuna delle parti. Il canone resta invariato per i primi tre anni: poi può essere aumentato a intervalli di due anni, in misura non superiore al 75% dell’aumento del costo della vita. Mandato Il mandato è il contratto con il quale una parte, il mandatario, si obbliga nei confronti dell’altra, il mandante, a compiere uno o più atti giuridici per conto di quest’ultima (art.1703). Il suo oggetto è una prestazione di fare, il compimento di un servizio, nel senso più ampio di questa espressione. Differisce dal contratto d’opera per la specifica natura del servizio che il mandatario si obbliga a compiere, il quale non consiste, nello svolgimento di una qualsiasi attività, ma nel compimento di atti giuridici per conto altrui. Il mandato può essere: • speciale, riguarda il compimento di uno o più atti giuridici specifici; • generale, che investe globalmente la cura di tutti gli interessi del mandante o di un certo tipo o zona; Il mandato è un contratto a titolo oneroso: il compenso spettante al mandatario, se non è fissato dal contratto, è determinato dal giudice (art.1709). Il mandatario deve eseguire l’incarico con la diligenza del buon padre di famiglia; ma, se il mandato è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore (art.1710). Il mandante deve somministrare al mandatario i mezzi necessari, rimborsargli le spese, pagargli il compenso (art.1719/1720). Il mandato si basa sulla fiducia del mandante nella persona del mandatario. Ne deriva: • che il mandatario non può farsi sostituire da altri, salvo che non sia stato autorizzato dal mandate, altrimenti risponde di persona dell’operato del sostituto (art.1717); • che il mandato si estingue per morte del mandante o del mandatario (art.1722); • che il mandate può, in ogni momento, revocare il mandato (art.1723), ossia recedere al contratto, risarcendo i danni al mandatario se si trattava di mandato oneroso (art.1725); Il mandatario può, a sua volta, rinunciare al mandato; ma risponde dei danni che il suo recesso provoca al mandante, salvo che non ricorra una giusta causa di rinuncia (art.1727).
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Prestito Il prestito assume due distinte forme: il comodato, che ha per oggetto cose immobili o cose mobili fungibili, è un contratto reale dove, il comodante, consegna all’altra, il comodatario, una determinata cosa affinché se ne serva per un uso determinato, con l’obbligazione di restituire la stessa cosa ricevuta (art.1803). È un contratto a titolo gratuito e la sua causa è, generalmente, lo spirito di liberalità. La gratuità distingue il comodato dalla locazione: se per l’uso della cosa altrui, mobile o immobile, è previsto un corrispettivo, il contratto è di locazione. La cosa dovrà essere restituita alla scadenza del termine pattuito. Si parla di precario nell’ipotesi in cui sia stato espressamente pattuito che il comodatario dovrà restituire la cosa non appena il comodante ne faccia richiesta; il mutuo è il prestito di determinate quantità di danaro o di altre cose fungibili. La conseguenza è che le cose consegnate dal mutuante al mutuarlo passano in proprietà al mutuatario (art.1814), il quale è obbligato a restituire al mutuante altrettante cose della specie e quantità (art.1813) ossi un’equivalente quantità di danaro. Il mutuo può essere sia un contratto reale sia un contratto consensuale. La promessa di mutuo, che nel linguaggio corrente prende il nome di contratto di finanziamento, ha la funzione di proteggere non solo l’interesse del mutuante alla restituzione della somma, ma anche l’interesse del mutuarlo a riceverla. È un contratto a titolo oneroso, infatti, il corrispettivo consiste negli interessi (art.1815) che sono dovuti secondo il tasso legale. Appalto L’appalto è il contratto mediante il quale l’appaltatore si obbliga verso il committente, dietro corrispettivo di denaro, a compiere un’opera o un servizio, con propria organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio (art.1655). L’appaltatore ha l’onere di numerosi rischi: il rischio di non coprire, con il corrispettivo pattuito, i costi di costruzione dell’opera o di esecuzione del servizio; dopo la conclusione del contratto, oltre al 10% del corrispettivo pattuito, l’appaltatore può chiedere una revisione del corrispettivo; il rischio di non ricevere dal committente alcun corrispettivo se, non riesce a realizzare l’opera (art.1672) o se non l’ ha realizzata secondo il progetto convenuto o a regola d’arte (art.1667) o se l’opera perisce prima della consegna per causa non imputabile al committente (art.1673). L’appaltatore è inadempiente se, non procura al committente il risultato pattuito e quando l’opera realizzata sia difforme dal progetto convenuto o presenti intrinseci vizi: il committente ha 60 giorni dalla scoperta per denunciare difformità e vizi e invocare la garanzia (art.1667). il committente può recedere dal contratto ma deve rimborsare l’appaltatore delle spese sostenute e risarcirlo del mancato guadagno (art.1671).
Nel contratto d’opera il prestatore d’opera si obbliga verso il committente a compiere, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio; esegue l’opera con il lavoro prevalentemente proprio (art.2222) quindi è il contratto del piccolo imprenditore. Il lavoro del quale si parla è lavoro autonomo: occorre che ci si obblighi a compiere un’opera o un servizio senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Con questo contratto il lavoratore autonomo si procura il sostentamento; il corrispettivo si determina in relazione al risultato ottenuto ed al lavorato normalmente necessario per ottenerlo (art.2225). Il contratto d’opera è definito come contratto d’opera manuale per 130
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distinguerlo dal contratto d’opera che ha per oggetto una prestazione d’opera intellettuale (art.2230). Trasporto
Il trasporto: il servizio sta qui nel trasferire persone o cose da un luogo all’altro; il committente è il viaggiatore nel trasporto di persone, il mittente nel trasporto di cose, e chi si obbliga, verso corrispettivo, al trasporto è il vettore (art.1678). Il vettore si obbliga a portare intatte cose o incolumi persone alla destinazione convenuta. Il vettore è inadempiente e responsabile del danno: per la mancata esecuzione del trasporto; per il sinistro che durante il trasporto abbiano subito le persone trasportate o per la perdita o l’avaria delle cose oggetto del trasporto; Nel trasporto di cose (art.1693) il vettore è responsabile della perdita o dell’avaria delle cose consegnategli per il trasporto dal momento in cui le riceve al momento in cui le consegna al destinatario. Nel trasporto di persone (art.1681) il vettore è liberato da responsabilità per il sinistro solo se prova di aver adottato tutte le misure idonee per evitare il danno. Deposito Il deposito: lo specifico servizio dedotto in contratto consiste nella custodia di una cosa mobile, cui il depositario si obbliga nei confronti del depositante, con l’obbligo del depositario di restituirla in natura (art.1766) a richiesta del depositante. Il deposito è un contratto reale che si perfezione con la consegna della cosa: è, di norma, gratuito. Il deposito ha per oggetto cose infungibili delle quali il depositario non può servirsi e che deve restituire in natura (art.1770). è ammesso il deposito irregolare, avente per oggetto danaro o altre cose fungibili, delle quali il depositario diventa proprietario, con la facoltà di servirsene (art.1782). secondo l’articolo 1768, il depositario deve custodire la cosa con la media diligenza.
{Gli albergatori sono responsabili di ogni deterioramento, distruzione o sottrazione delle cose portate dal cliente in albergo. Sono considerate cose portate in albergo: 1) le cose che vi si trovano durante il tempo nel quale il cliente dispone dell’alloggio; 2) le cose di cui l’albergatore, un membro della sua famiglia o un suo ausiliario assumono la custodia, fuori dell’albergo, durante il periodo di tempo in cui il cliente dispone dell’alloggio; 3) le cose di cui l’albergatore, un membro della sua famiglia o un ausiliario assumono la custodia sia nell’albergo, sia fuori dell’albergo, durante un periodo di tempo ragionevole, precedente o successivo a quello in cui il cliente dispone dell’alloggio (art.1783). La responsabilità di cui al presente articolo è limitata al valore di quanto sia deteriorato, distrutto o sottratto, sino all’equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell’alloggio per giornata. La responsabilità dell’albergatore è illimitata: 1) quando le cose gli sono state consegnate in custodia; 2) quando ha rifiutato di ricevere in custodia cose che aveva l’obbligo di accettare(art.1784) }.
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CAPO XI I CONTRATTI DEI CONSUMATORI Numerosi sono i provvedimenti normativi (quasi sempre si tratta di direttive) adottati dalla CE nell’ambito della politica di protezione dei consumatori. Fra di essi, spicca un gruppo di direttive emanate a partire dagli anni ’80, specificamente concernenti la materia contrattuale, a seguito della cui attuazione nell’ordinamento italiano si è venuto a creare, all’interno del nostro sistema generale dei contratti, un vero e proprio « sottosistema » dei c.d. « contratti dei consumatori ». Trattasi di un insieme di provvedimenti, riguardanti categorie piú o meno ampie (a seconda dei casi) di contratti, che contengono una serie di regole « speciali » destinate a trovare applicazione - in aggiunta alle (e talora in sostituzione delle) regole « generali » (contenute nella disciplina generale dell’obbligazione e del contratto, nonché nella disciplina specifica dei singoli tipi contrattuali) - tutte le volte in cui un contratto venga concluso da un « consumatore » con un « professionista ». La ratio di questi provvedimenti risiede nell’esigenza di assicurare ai consumatori forme particolari e tendenzialmente inderogabili di protezione quando essi si trovino ad instaurare rapporti contrattuali con soggetti che operano nell’esercizio della propria attività professionale: in queste ipotesi gli interessi economici dei consumatori sono infatti particolarmente esposti al rischio di essere sacrificati dal momento che, di norma, i « professionisti » dispongono di una forza economica e contrattuale, nonché di una quantità di conoscenze e informazioni, di gran lunga superiore rispetto a quella di cui godono i consumatori. Di qui l’imposizione, ai professionisti, di una serie di divieti, obblighi e oneri, nonché l’attribuzione, ai consumatori, di peculiari diritti, tutti finalizzati a sottrarli (o quantomeno a dar loro la possibilità di sottrarsi) alle conseguenze pregiudizievoli derivanti dagli abusi che i professionisti potrebbero fare della propria posizione di « superiorità », e tutti (o quasi) contemplati da norme insuscettibili di essere (pattiziamente) derogate in senso sfavorevole al consumatore. Le norme di recepimento delle sopra menzionate direttive comunitarie, fino a poco tempo fa, erano — con la sola eccezione delle disposizioni di attuazione della direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive e della direttiva 99/44/CE relativa alla vendita di beni di consumo (rispettivamente inserite negli artt. 1469- bis-1469-sexies e negli artt. 1519-bis-1519-nonies del codice civile) — distribuite in una pluralità di provvedimenti legislativi extracodicistici autonomi e separati, fra loro non coordinati. Il d. legisl. 6 settembre 2005, n. 206, recante « riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori - Codice del consumo », (art. 146) ha tuttavia integralmente abrogato — con la sola eccezione delle disposizioni di recepimento della direttiva concernente il credito al consumo — le norme attraverso le quali era stata data originariamente attuazione nell’ordinamento italiano alle direttive CE di tutela del consumatore in materia contrattuale (comprese quelle che erano state incluse nel codice civile), norme i cui contenuti sono stati trasfusi nella Parte III (« Il rapporto di consumo »: artt. 33-101) e nel Titolo III della Parte IV (artt. 128-135) dello stesso Codice del consumo. Le disposizioni che concorrono a comporre il regime normativo speciale cui sono soggetti nel nostro ordinamento i « contratti dei consumatori » si trovano cosí ora inserite all’interno di un unico ed unitario provvedimento normativo, accanto alla gran parte (non però alla totalità) delle piú importanti normative di tutela del consumatore introdotte dal legislatore italiano. 132
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Consumatore e professionista Prima dell’emanazione del d. legisl. recante il codice del consumo, non esisteva una disposizione che contenesse una definizione delle nozioni di « consumatore » e « professionista » dotata di validità generale. Oggi il codice del consumo definisce consumatore (art. 3, lett. a), cod. cons.) è « la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta », mentre professionista è la « persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, ovvero un suo intermediario » (art. 3, lett. c), cod. cons.). La qualificazione di una parte contrattuale come « consumatore » ovvero « professionista » è dunque legata alla natura del soggetto che conclude il contratto (persona fisica o ente collettivo) nonché agli scopi in vista dei quali agisce, quando stipula un contratto. Possono essere qualificate come « consumatori » tutte e soltanto le persone fisiche che concludono un contratto per uno scopo estraneo all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Non sono conseguentemente mai suscettibili di essere qualificati come consumatori gli enti collettivi (riconosciuti o non riconosciuti, profit o non profit) dotati di autonoma soggettività giuridica. Le persone fisiche, quelle che esercitano una attività imprenditoriale o un’attività professionale (e cioè, gli imprenditori individuali e i lavoratori autonomi) possono essere qualificate come consumatori soltanto se il contratto che concludono non è ricollegabile, nemmeno indirettamente, all’attività (imprenditoriale o professionale) che svolgono. Debbono invece considerarsi « professionisti » tutti e soltanto i soggetti (persone fisiche, persone giuridiche pubbliche o private, enti collettivi non riconosciuti dotati di autonoma soggettività giuridica) che, nel concludere un contratto, agiscono nel quadro della propria attività professionale o imprenditoriale.
Le clausole vessatorie A norma dell’art. 36, 1o co., del codice del consumo, le clausole, inserite in un contratto concluso da un consumatore con un professionista, che risultino « vessatorie », sono nulle, ferma restando peraltro la validità della restante parte del contratto. Ne deriva che l’autorità giudiziaria, investita di una controversia relativa ad un contratto concluso da un consumatore con un professionista, può, su istanza dello stesso consumatore o anche d’ufficio (non però su richiesta del professionista: cfr. art. 36, 3o co., cod. cons.), dichiarare (con sentenza di accertamento , e non costitutiva) la nullità delle clausole che ritenga di poter considerare vessatorie ai sensi degli artt. 33 e 34 cod. cons. (e ciò, trattandosi di clausole inserite in condizioni generali di contratto, moduli o formulari, anche se il consumatore-aderente le abbia specificamente approvate per iscritto, ai sensi dell’art. 1341, 2o co., c.c.). A norma dell’art. 33, 1o co., cod. cons., una clausola deve reputarsi vessatoria quando la sua presenza nel regolamento negoziale determina, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, in contrasto con i dettami della buona fede (oggettiva). L’applicazione e la concretizzazione di questa definizione generale ed astratta di clausola vessatoria è agevolata dall’elenco delle clausole « che si presumono vessatorie fino a prova contraria » contenuto nel 2o co. dell’art. 33 cod. cons. 8. Quando una clausola sia riconducibile ad una delle previsioni di tale elenco, al consumatore che pretenda di vederla dichiarata nulla sarà sufficiente allegarne in giudizio l’esistenza: starà al professionista fornire la prova contraria necessaria a superare la presunzione, dimostrando che (tenuto conto delle altre clausole del contratto, della natura del bene o 133
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del servizio che ne costituisce l’oggetto, nonché delle particolari circostanze in cui il negozio è stato concluso: v. art. 34, 1o co., cod. cons.) la clausola « sospetta » non determina, in realtà, in quel particolare contratto, un « significativo squilibrio » tale da giustificarne la valutazione in termini di vessatorietà. Non tutte le clausole dei contratti dei consumatori sono tuttavia soggette al « controllo contenutistico » di vessatorità contemplato dalla nuova normativa codicistica. Al giudizio di vessatorietà sono infatti in primo luogo sottratte le clausole che determinano le prestazioni principali che costituiscono oggetto del contratto (e cioè, da un lato, quelle che individuano la natura e le caratteristiche del bene o del servizio che il professionista si obbliga a fornire al consumatore, dall’altro quelle che stabiliscono la somma di denaro che il consumatore si impegna a versare al professionista a titolo di corrispettivo), a condizione però che dette prestazioni siano state individuate in modo chiaro e comprensibile (art. 34, 2o co., cod. cons.): ne deriva che l’autorità giudiziaria non potrebbe mai considerare vessatoria, e conseguentemente dichiarare inefficace, la clausola che fissa l’ammonare del corrispettivo, per il solo fatto che la somma pretesa dal professionista è eccessivamente elevata in rapporto all’effettivo valore economico del bene o del servizio che egli si è impegnato a procurare al consumatore. Non possono inoltre essere considerate vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge (imperative o anche solo dispositive) (art. 34, 3o co., cod. cons.). Non sono infine suscettibili di essere considerate vessatorie (34, 4o co., cod. cons.) le clausole che siano state inserite nel regolamento negoziale a seguito di una trattativa individuale 9, trattativa individuale che può dirsi avvenuta in tutti e soltanto i casi (invero assai rari) in cui la clausola sia stata fatta oggetto di una vera e propria negoziazione, condotta dalle parti su un piano di parità (ciò che postula che al consumatore sia stata data l’effettiva e concreta possibilità di incidere sui contenuti della clausola, eventualmente ottenendone la modificazione): quest’ultima esenzione non vale tuttavia per le tre categorie di clausole menzionate nel 2o comma dell’art. 36 cod. cons., che debbono considerarsi sempre e comunque nulle, quand’anche le parti ne abbiano fatto l’oggetto di una « trattativa individuale ». Oltre a vietare l’inserimento di clausole vessatorie, il legislatore ha poi imposto ai professionisti che concludono contratti con i consumatori di formulare le relative clausole in modo chiaro e comprensibile , tutte le volte in cui esse vengano redatte per iscritto (art. 35, 1o co., cod. cons.). Questo precetto di « trasparenza » non è stato tuttavia accompagnato dalla previsione di una specifica sanzione: non è chiaro pertanto se la clausola formulata in termini oscuri e/o incomprensibili debba ritenersi senz’altro, e per ciò solo, nulla, ovvero se al mancato rispetto del precetto di trasparenza consegua unicamente, nelle ipotesi in cui ne sia derivata l’ambiguità della clausola, l’applicazione della regola dell’interpretatio contra proferentem dettata dall’art. 35, 2o co., cod. cons. (regola destinata, nell’ambito dei negozi conclusi da consumatori, a prevalere sulle altre regole di interpretazione « oggettiva » del contratto sancite negli artt. 1367-1371). Infine, l’art. 37 cod. cons. prevede un rimedio ulteriore, a carattere preventivo, per rafforzare la protezione dei consumatori contro le clausole vessatorie: trattasi dell’ azione inibitoria « collettiva » che le (sole) associazioni dei consumatori iscritte nell’elenco delle associazioni rappresentative a livello nazionale di cui all’art. 137 cod. cons., le Camere di commercio e le associazioni rappresentative dei professionisti possono esperire per chiedere all’autorità giudiziaria di vietare ai professionisti che si avvalgono (o raccomandano l’utilizzazione) di condizioni generali di contratto dal contenuto vessatorio 134
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di continuare a farne (o consigliarne l’) uso, per regolare i rapporti che instaurano con i consumatori: un’azione che, se esperita da un’associazione di consumatori, conduce all’instaurazione di un procedimento cui si applica la disciplina « generale » contenuta nell’art. 140 cod. cons. I contratti “a distanza” e “al di fuori dei locali commerciali” Si applica una disciplina speciale applicabile a tutti e soltanto i contratti aventi ad oggetto la « fornitura » di beni mobili (compravendite di beni mobili ad efficacia reale o meramente obbligatoria, contratti d’opera o d’appalto per la realizzazione di un bene mobile, nonché contratti di somministrazione di beni mobili) ovvero la prestazione di servizi (non finanziari) che vengano stipulati da un consumatore con un professionista « fuori dei locali commerciali » (di quest’ultimo) ovvero « a distanza ». Un contratto con il quale un professionista si obbliga a « fornire » ad un consumatore un bene mobile ovvero a prestargli un « servizio » può dirsi « negoziato fuori dei locali commerciali » (art. 45 cod. cons.) nelle ipotesi in cui il consumatore abbia emesso la propria dichiarazione contrattuale (proposta o accettazione): a) durante la visita del professionista presso il suo domicilio, il suo posto di lavoro o in un locale nel quale egli si trova per ragioni di lavoro, studio, o cura; b) ovvero durante una escursione organizzata dal professionista al di fuori dei locali in cui si svolge la sua attività professionale o imprenditoriale; c) o ancora mediante la sottoscrizione di una nota d’ordine in un’area pubblica o aperta al pubblico; d) o infine per corrispondenza, o comunque sulla base ed in seguito alla consultazione di un catalogo avvenuta non in presenza del professionista (o di un suo incaricato). Per contro, un contratto concluso da un professionista con un consumatore per la fornitura di un bene mobile o la prestazione di un servizio è a distanza quando è stato negoziato e stipulato esclusivamente attraverso l’impiego di una o piú « tecniche di comunicazione a distanza » (per tali dovendosi intendere qualsiasi mezzo la cui utilizzazione renda possibile la conclusione del contratto senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore), e nell’ambito di un sistema di vendita di beni (o prestazione di servizi) a distanza organizzato dal professionista (art. 50 cod. cons.). Nell’una e nell’altra ipotesi, al consumatore viene attribuito il diritto di recedere dal contratto concluso con il professionista, un diritto — irrinunciabile— che egli può esercitare a sua totale discrezione e senza esser tenuto a specificarne i motivi, e senza che possa essergli per questa ragione imposto il pagamento di alcuna somma di denaro, a titolo di penalità, risarcimento o altro. Il consumatore che intende avvalersi di questo diritto « di pentimento » ha l’onere di manifestare per iscritto la propria volontà di esercitarlo e di inviare la relativa dichiarazione al professionista mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro il breve termine di dieci giorni lavorativi (art. 64 cod. cons.): il giorno nel quale questo termine inizia a decorrere varia tuttavia a seconda che si tratti di un contratto avente ad oggetto la fornitura di beni mobili o la prestazione di servizi, nonché a seconda che gli obblighi informativi imposti ai professionisti siano stati o meno correttamente e tempestivamente adempiuti. Trattandosi di contratti per la prestazione di servizi , il giorno nel quale questo termine inizia a decorrere è quello della stipulazione del contratto soltanto se, in questa data, gli obblighi informativi sono già stati puntualmente e tempestivamente adempiuti dal 135
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professionista; in caso contrario, il termine non inizia a decorrere se non dal giorno in cui le informazioni imposte dalla legge vengono effettivamente ricevute dal consumatore. Tuttavia, una volta trascorsi 90 giorni (nel caso di contratto a distanza; soltanto 60 giorni, invece, nel caso di contratto concluso fuori dai locali commerciali) dalla stipulazione del contratto senza che il professionista gli abbia fatto pervenire le informazioni dovute, e senza che sia stato nel frattempo esercitato il diritto di recesso, il consumatore decade definitivamente dal diritto di recedere dal contratto. Trattandosi per contro di contratti relativi a beni (mobili) , il termine per l’esercizio del diritto di recesso inizia a decorrere soltanto a partire dal giorno in cui il consumatore riceve in consegna il bene che il professionista si è impegnato a procurargli; qualora tuttavia nel momento della trasmissione del possesso del bene gli obblighi informativi gravanti sul professionista non siano stati ancora adempiuti, ovvero siano stati adempiuti in modo inesatto o incompleto, il termine per recedere non inizia a decorrere se non dal giorno in cui il consumatore effettivamente riceve tutte le informazioni cui ha diritto. Anche in questo caso, tuttavia, una volta trascorsi 90 giorni (nel caso di contratto a distanza; soltanto 60 giorni, invece, nel caso di contratto concluso fuori dai locali commerciali) dalla consegna del bene senza che il professionista gli abbia fatto pervenire le informazioni dovute, e senza che sia stato nel frattempo esercitato il diritto di recesso, il consumatore decade definitivamente dal diritto di recedere dal contratto. Il tempestivo esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore determina lo scioglimento del rapporto contrattuale , con la conseguenza che le parti sono liberate dalle obbligazioni sorte per effetto della stipulazione del contratto (v. art. 66 cod. cons.). Se il consumatore aveva già versato in tutto o in parte il corrispettivo del bene o del servizio previsto dal contratto, il professionista è tenuto a rimborsargli integralmente, non oltre 30 giorni dalla data in cui è venuto a conoscenza dell’esercizio del diritto di recesso, tutte le somme riscosse, incluse quelle corrisposte a titolo di caparra (art. 67, 4o co., cod. cons.). Quando si tratti di contratti relativi a beni, il consumatore che avesse eventualmente già ricevuto in consegna il prodotto oggetto del negozio (prima dell’esercizio del diritto di recesso) è per parte sua obbligato a restituirlo al professionista mettendolo a sua disposizione con le modalità ed entro i termini stabiliti dal contratto (ed è obbligato a rispedirlo a sue spese all’indirizzo del mittente soltanto se il contratto lo prevedeva espressamente). Va rilevato che in questi casi la « sostanziale integrità del bene da restituire » costituisce condizione essenziale affinché il diritto di recesso possa essere esercitato (art. 67, 2o co., cod. cons.): a tal fine non è peraltro necessario che il bene venga riconsegnato nella medesima condizione nella quale si trovava quando il consumatore l’ha ricevuto, essendo sufficiente che esso venga restituito in “normale stato di conservazione”. Quando invece si tratti di contratti per la prestazione di servizi, qualora i servizi vengano in tutto o in parte forniti — con il consenso del consumatore — prima della scadenza del termine entro il quale quest’ultimo potrebbe avvalersi del diritto di recesso, se il contratto è stato concluso fuori dai locali commerciali si prevede (art. 48 cod. cons.) che il recesso possa produrre effetti soltanto ex nunc (sicché dev’essere comunque versato il corrispettivo per i servizi prestati), mentre se il contratto è stato stipulato a distanza la circostanza che la prestazione dei servizi sia già stata iniziata preclude al consumatore la possibilità stessa di recedere dal negozio (art. 55, 2o co., lett. a) cod. cons.).
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Le vendite di beni di consumo La nozione di « vendita » di cui agli artt. 128 ss. Del codice del consumo diversa, e piú ampia, rispetto a quella « generale » di cui all’art. 1470 c.c. In virtú della « equiparazione » disposta dal comma 1 dell’art. 128 cod. cons. possono infatti reputarsi in essa ricompresi tutti i contratti a titolo oneroso con i quali un professionista si impegna a procurare al consumatore la disponibilità materiale e giuridica di un « bene di consumo ». Sono pertanto da considerare « vendite » (nel senso degli artt. 128 ss. cod. cons.), innanzitutto, i contratti di compravendita di « beni di consumo », sia quelli ad efficace reale sia quelli ad efficacia meramente obbligatoria (in particolare, quelli aventi ad oggetto cose generiche o cose future), nonché i contratti di permuta con i quali un professionista trasferisce ad un consumatore un « bene di consumo » verso un corrispettivo non pecuniario, e i contratti di somministrazione di « beni di consumo ». Ma sono altresí da considerare « vendite » i contratti di appalto e d’opera aventi ad oggetto la realizzazione di « beni di consumo », e in generale « tutti i contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre ». Quanto poi alla nozione di « bene di consumo », deve considerarsi tale « qualsiasi bene mobile, anche da assemblare », non importa se nuovo od usato (v. art. 128 cod. cons.). Un ulteriore tratto caratterizzante il regime « speciale » cui sono sottoposti i contratti di « vendita » di beni mobili conclusi da consumatori con professionisti è rappresentato dalla drastica riduzione degli spazi concessi all’autonomia privata per la determinazione del loro contenuto. Le nuove norme codicistiche hanno carattere « imperativo », e non sono in nessun caso suscettibili di essere derogate in senso sfavorevole al consumatore, a pena di nullità. Per quanto riguarda poi, specificamente, il contratto di compravendita, l’intera impostazione data dal nostro codice civile al problema della responsabilità del venditore per le inesattezze materiali della prestazione traslativa risulta profondamente diversa rispetto a quella seguita negli artt. 128 ss. cod. cons. Abbandonata la distinzione fra le categorie dell’ aliud pro alio, del vizio materiale e della mancanza di qualità (essenziali o promesse), l’art. 129 cod. cons. raccoglie infatti tutte le forme di inesattezza materiale della prestazione all’interno di un’unica grande categoria, quella del « difetto di conformità » al contratto . La presenza, in un bene di consumo, di un difetto di conformità, quali che ne siano la natura e le caratteristiche, legittima il consumatore ad esperire, nei confronti del professionista, ben quattro rimedi, fra loro alternativi 15. Oltre ai piú tradizionali diritti alla risoluzione del contratto e alla riduzione del prezzo, ed in via preferenziale rispetto a questi ultimi, vengono attribuiti al consumatore i diritti alla sostituzione e alla riparazione del bene (v. art. 130 cod. cons.): diritti assoggettati tutti, a prescindere dalla tipologia del difetto di conformità, al medesimo termine di prescrizione (ventisei mesi, decorrenti dalla data in cui il bene è stato consegnato al consumatore), e tutti esercitabili a condizione che il compratore abbia denunciato il difetto di conformità entro due mesi dal giorno in cui il difetto è stato scoperto (v. art. 132 cod. cons.) 16. La nuova normativa si distingue cosí in modo netto dalla disciplina della compravendita del codice civile, che attribuisce al compratore rimedi diversi (sotto il profilo dei contenuti, delle condizioni di esercizio, e dei termini prescrizionali) a seconda della tipologia dell’inesattezza materiale della prestazione ( aliud pro alio, vizio, mancanza di qualità), e gli accorda soltanto il diritto alla risoluzione del contratto (e, nel solo caso dei vizi, il diritto
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alla riduzione del prezzo) senza riconoscergli la possibilità di chiedere la sostituzione o la riparazione del bene viziato (o privo di una qualità essenziale o promessa). Il credito al consumo Nella nozione di « credito al consumo » si prestano ad essere ricompresi tutti i negozi attraverso i quali un professionista (di norma, una banca o un intermediario finanziario ) « concede credito » ad un consumatore sotto forma di dilazione di pagamento , di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria . I contratti in questione vengono assoggettati ad una serie di regole finalizzate a garantire che il consumatore venga informato in modo completo e puntuale su tutti gli aspetti ed i profili rilevanti dell’operazione di credito al consumo, onde far sí che egli abbia a disposizione tutti i dati e gli elementi di cui necessita per poter decidere in modo consapevole e ponderato se concludere o meno l’operazione di finanziamento e, una volta conclusa l’operazione di finanziamento, si trovi altresí a disporre di un quadro corretto e completo dei diritti e delle prerogative che il contratto e la legge gli riconoscono. Al requisito della forma scritta richiesta ad substantiam e alle numerose regole sulla trasparenza, si affiancano ed aggiungono poi una serie di disposizioni rivolte a riconoscere al consumatore peculiari diritti e poteri nei confronti del professionista che gli ha « concesso » credito: in particolare, la facoltà di adempiere alla propria obbligazione in via anticipata e la facoltà di recedere dal contratto senza penalità , nonché il diritto di agire nei confronti del finanziatore — nei limiti del credito concesso — in caso di inadempimento contrattuale del fornitore. I CONTRATTI DI VIAGGIO E DI TIMESHARING IMMOBILIARE Il panorama delle normative rivolte alla tutela del consumatore/contraente si chiude con due provvedimenti concernenti i contratti che il consumatore, nella veste di « turista », conclude con un professionista per l’acquisizione di pacchetti turistici ovvero per l’acquisto di beni immobili in timesharing (in particolare, ma non solo, in multiproprietà). La normativa si applica non soltanto quando il consumatore conclude il contratto direttamente con l’organizzatore del viaggio (e cioè con il professionista che provvederà a fornire la combinazione dei servizi che costituisce oggetto del pacchetto turistico), ma anche nelle (assai piú frequenti) ipotesi in cui il contratto venga concluso dal consumatore con un soggetto (il « venditore ») diverso dall’organizzatore, che si impegna nei confronti del consumatore a procurargli i servizi turistici forniti dall’organizzatore. Ai contratti attraverso i quali un professionista attribuisce ad un consumatore, a titolo oneroso, la titolarità di una posizione giuridica (proprietà o altro diritto reale, diritto personale di godimento, partecipazione societaria o associativa, etc.) che lo legittima a godere di un immobile destinato ad uso abitativo, alberghiero o turistico-ricettivo, per un periodo determinato dell’anno non inferiore ad una settimana (c.d. timesharing immobiliare), si applica invece la normativa di recepimento della direttiva 94/47/CE concernente taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili , originariamente inserita nel d. legisl. n. 427 del 9 novembre 1998 (ora abrogato), e successivamente confluita negli artt. 69-81 del codice del consumo. Le due normative presentano alcune caratteristiche comuni. Entrambe impongono al professionista l’ obbligo di informare il consumatore , prima della conclusione del contratto, in merito agli elementi e agli aspetti rilevanti del negozio, 138
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elencando in modo puntuale ed analitico le indicazioni che debbono necessariamente essere date ai consumatori, stabilendo che le suddette informazioni debbono essere fornite per iscritto (in particolare attraverso la consegna di un opuscolo o documento informativo nel quale esse debbono essere riportate in modo completo ed esaustivo, nonché in termini comprensibili per il consumatore), e vincolando al contenuto delle informazioni cosí fornite i professionisti, cui viene preclusa la possibilità di inserire (senza l’accordo del consumatore) nel testo del contratto clausole dal tenore contrastante con il contenuto delle informazioni fornite (negli oposculi e documenti informativi) nella fase precontrattuale (v. artt. 70 e 87-88 cod. cons.). In entrambe le normative si prevede poi che il contratto deve rivestire la forma scritta (a pena di nullità), che al consumatore deve esserne consegnata una copia (nonché procurata una traduzione nella lingua dello Stato in cui si trova il bene immobile, nel caso di contratti di timesharing), e che le clausole del contratto devono essere redatte in termini chia ch iari ri e preci recissi (art (art.. 85 cod. cod. cons cons..) ed in ling lingua ua ital italia iana na (o nella lla div diversa ersa lingu inguaa sce scelta lta dall’acquirente) (art. 71 cod. cons.). Infine, vengono individuati in modo puntuale gli elementi e le clausole che debbono necessariamente essere presenti nel testo contrattuale che viene fatto sottoscrivere al consumatore (artt. 86 e 71 cod. cons.).
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CAPO XII VARIE FONTI DI OBBLIGAZIONI NON CONTRATTUALI
Mentre le obbligazioni nate dal contratto con il tempo si sono sempre più rinforzate, la stessa cosa non si può di certo dire per la forza delle obbligazioni nate da promesse unilaterali. Nel passato gli antichi Romani attribuivano loro forza di legge solo se queste garantivano un vantaggio per l’intera comunità e non solo per la propria sfera privata. Oggi, le promesse unilaterali hanno efficacia giuridica solo nei casi descritti e disciplinati dalla legge, così come previsto dall’art. 1987 cod. civ.. L’art. 1334 cod. civ. dice che gli atti unilaterali producono gli effetti dovuti solamente nel momento in cui pervengono a conoscenza del dovuto destinatario. L’art. 1324 cod. civ., inoltre, estende l’efficacia delle norme del Codice Civile riguardante i contratti anche agli atti unilaterali, quando questo è possibile e compatibile (tra vivi / a contenuto patrimoniale). I principali atti unilaterali disciplinati e previsti dal Codice Civile sono: 1. la promessa di pagamento 2. la ricognizione del debito 3. la promessa al pubblico Sia la promessa di pagamento che la ricognizione del debito non sono fonti unilaterali che costituiscono la nascita di nuove obbligazioni, ma sono riconferme di precedenti debiti pecuniari nati a loro volta da appositi e relativi contratti. Essi sono fatti valere senza bisogno di invocare il titolo originario di obbligazione e dispensa colui a favore del quale sono fatte dall’onere della prova. La promessa al pubblico è una fonte di obbligazione nel momento in cui viene fatta pubblicamente a norma dell’art. 1989 cod. civ.. Bisogna però in questo caso distinguere la promessa al pubblico, disciplinata dall’art. 1989 cod. civ., dall’offerta fatta al pubblico, disciplinata invece dall’art. 1336 cod. civ., che consiste nella proposta a concludere un contratto fatta a persone di incerta identità e perfezionato solo dopo una specifica manifestazione di accettazione. Mentre l’offerta fatta al pubblico di concludere un contratto ha valore indefinito nel tempo e può essere revocata in un qualsiasi momento con un’altra dichiarazione ugualmente fatta pubblicamente, la promessa al pubblico ha efficacia solamente per un anno così come previsto dallo stesso art. 1989 cod. civ. salvo diverso termine appositamente previsto. Tuttavia la promessa può essere revocata ancor prima del termine previsto solamente per una giusta causa, così detta l’art. 1990 cod. civ., purchè la revoca sia resa pubblicamente nella stessa forma della promessa o in maniera equivalente. LA GESTIONE DEGLI ALTRUI AFFARI Non è di certo lecito e moralmente corretto amministrare gli interessi, di qualunque natura essi siano, all’interno dell’altrui sfera giuridica.
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Tuttavia il Codice Civile ammette e consente la gestione degli altrui affari, anche senza il consenso del legittimo interessato, che funge da dominus, solo nei casi in cui questo avvenga in vantaggio dello stesso dominus. Questo antico istituto giuridico, quello del negotiarum gestio, è fonte di obbligazione sia per il negotii dominus che per il gestore estraneo. Questo strano ma giusto istituto giuridico, però, per produrre i relativi effetti e non costituire atto illecito, deve rispettare alcuni punti molto importanti: - l’affare non deve essere iniziato contro la volontà del dominus; - il gestore deve essere cosciente che si tratti di un altrui affare; - si deve trattare di attività lecita; - è necessaria la capacità di agire del gestore; - l’affare deve essere necessariamente un vantaggio per il dominus. L’altrui gestione, dice l’art. 2031 cod. civ., deve essere inizialmente vantaggiosa e non conta se, per circostanze sopravvenute, la gestione si mostrerà al dominus, solamente dopo, più dannosa che utile. La gestione, comunque, può essere: 1. semplice quando taluno agisce in nome proprio ma per gli interessi altrui; 2. rappresentativa quando si agisce direttamente in nome e per conto del dominus.
Questo principio, pur essendo molto simile al mandato, si distingue da quest’ultimo perché non è necessario un apposito contratto da stipulare ma è sufficiente la non opposizione del legittimo dominus. PAGAMENTO DELL’INDEBIT D ELL’INDEBITO O Ogni pagamento presuppone necessariamente un debito relativo e tutto ciò che è dato senza esserlo dovuto va restituito. Il pagamento è senza causale in soli due casi specifici: quando il dante causa non era debitore e quando l’avente causa non era il creditore. Infatti esiste:
1. l’indebito oggettivo quando si paga a chi non era il legittimo legittimo creditore creditore provocando un arricchimento in senso assoluto perché il credito non esisteva. 2. L’indebito soggettivo quando chi paga non doveva dare nulla perché non era il debitore.
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In questo caso, quindi, il credito esisteva ma chi ha pagato non era legittimato a farlo ed inoltre deve essere presente un elemento sostanziale, l’ errore scusabile perché altrimenti il pagamento sarebbe stato valido dato che chiunque può pagare un obbligazione altrui. Le conseguenze giuridiche sono diverse a seconda dei due diversi casi descritti. Nel caso dell’indebito soggettivo è dovuta senz’altro la restituzione di quanto erroneamente già pagato a norma dell’art. 2033 cod. civ., mentre nel caso dell’indebito oggettivo la restituzione avviene ugualmente a meno che l’avente causa, nel ricevere il pagamento, non si sia privato, in tutta buona fede, del titolo o delle garanzie di credito, cosi come previsto dall’art. 2036 cod. civ.. La ripetizione del pagamento non dovuto non è ammessa neanche nei due seguenti casi: 1. quando il pagamento non dovuto rappresenti offesa al buon costume; 2. quando sia trascorso il termine di prescrizione di dieci anni. L’avente causa ha l’obbligo di restituire, altre a tutto ciò che è dovuto, anche i frutti e gli interessi maturati dal bene erroneamente in suo possesso, se era: - in buona fede, dal giorno della domanda di restituzione; - in mala fede, dal giorno stesso del pagamento erroneamente ricevuto. AZIONE GENERALE DI ARRICCHIMENTO Si ha ingiustificato arricchimento quando una persona si arricchisce di una somma di denaro a danno di un'altra persona, senza, però, una giusta motivazione. L’art. 2041 cod. civ., infatti, tende a tutelare l’impoverimento di un soggetto, più che l’arricchimento dell’altro, tramite un principio generale dell’ordinamento giuridico che prevede la sottrazione del corrispondente vantaggio a chi lo ha conseguito senza giusta causa a seguito di una giusta azione legale intrapresa dal legittimo soggetto leso nei propri diritti. I DIRITTI AD AVERE Nei rapporti sempre più fitti tra operatori e soggetti veri che si sentono vivi nella ricerca di guadagno, si è venuta sempre più maturando una serie di posizioni che chiameremo diritti ad avere. Pensiamo, ad esempio, all’importante categoria dei titoli di credito. È risaputa la grande importanza del credito soprattutto in ambiente commerciale dove è anche uno strumento di lavoro utilissimo. Pensiamo a tutte quelle operazioni finanziarie in cui si richiederebbe la presenza continua di denaro liquido con effetti anche antieconomici. Il credito, infatti, oltre ad essere un diritto ad avere per eccellenza, trova la sua funzionalità nella circolazione e nel trasferimento a terzi. La sapienza giuridica ha collegato il diritto di credito al documento (carthula) che lo indica tanto che si dice che il diritto è incorporato nel documento (ius carthulare). Tra la pluralità di interessi che si sviluppano attorno a tali documenti, si distinguono:
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- i titoli individuali (Es. cambiali, assegni, ecc.); - i titoli di massa (Es. azioni societarie, obbligazioni, ecc.) emessi in grande quantità e tutti compresi nella grande accezione dei valori mobiliari. I TITOLI DI CREDITO I titoli di credito, oltre a provare l’esistenza del credito stesso, ne assicurano l’efficacia giuridica con l’ausilio di importanti norme legislative. In primo luogo, il documento è requisito indispensabile per l’esazione del credito, dunque il soggetto finchè possiede il documento non corre alcun rischio sul pagamento. Avere il documento equivale ad avere il diritto in esso incorporato nel senso che il possessore del documento cartolare è legittimato al suo esercizio e al suo trasferimento. Il titolo di credito è soggetto alla disciplina delle cose mobili ed è oggetto di usufrutto, pegno, sequestro, ecc. Il Codice Civile detta le norme fondamentali tra le fonti di obbligazioni e poi lascia la disciplina specifica dei singoli titoli alle varie leggi speciali in materia che hanno prevalenza sul Codice quando con questo in contrasto. La legittimazione all’esercizio del diritto rappresentato dal titolo di credito si basa sull’esistenza di due elementi fondamentali:
1. il documento (detto anche titolo); 2. il possesso dello stesso. Il credito può avere per contenuto: - una somma di denaro (Es. cambiale, assegno, obbligazione di società, cod. civ.t., buoni del tesoro, biglietti di banca, ecc.); - la consegna di merci specifiche (polizza di carico, fede di deposito, ecc.). Il possesso deve essere, inoltre, conforme alle leggi speciali in materia e qualificato come: 1. al nominativo, quando il titolo è intestato ad una persona determinata, tanto sul titolo stesso che sul registro appositamente conservato dall’Ente che lo ha emesso. Oltre al possesso, per l’esercizio del diritto, bisogna che le due intestazioni, quelle sul documento e quelle sui registri dell’Ente emittente, siano coincidenti in tutti i suoi dati a favore della stessa persona in questo modo resa legittima. Ogni annotazione e/o modifica deve essere fatta a piena cura e responsabilità dell’Ente interessato. Per facilitarne la circolazione, la legge ammette il trasferimento dei titoli di credito nominativi tramite girata. La girata, comunque, può anche essere più di una ma non produce alcun effetto se non viene contemporaneamente aggiornato anche il relativo registro. 143
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La legge, inoltre, ha reso nominativi molti titoli per renderne più difficile l’alienabilità ed il furto. È possibile, su richiesta e a spese del richiedente, convertire i titoli al possessore in nominativi e viceversa, solo, però, nei casi previsti dalla legge. In caso di smarrimento o di distruzione del titolo, il possessore deve denunciare l’accaduto all’Ente che ha lo ha emesso chiedendone un duplicato ; 2. all’ordine, quando la consegna del titolo avviene tramite la girata dello stesso sul retro e sottoscritta dal titolare. Il giratario può a sua volta cedere il titolo con una nuova girata. Così la circolazione del documento avviene rapidamente ed in maniera sicura (Es. la cambiale, l’assegno, ecc.). ; 3. al portatore, quando il possessore è legittimato a chiedere l’adempimento del credito mediante la sola presentazione del titolo al debitore così come previsto dall’art. 2003 cod. civ.. i titoli al portatore sono solo quelli ammessi e disciplinati dalla legge per ovvie ragioni di politica finanziaria dato che vengono equiparati alla carta moneta. In caso di perdita o di distruzione si può comunque chiedere il duplicato, o altro titolo di equivalente valore, solo quando è possibile la prova del fatto. L’art. 1994 cod. civ. dice che colui che vanta il legittimo possesso di un titolo di credito acquistato in buona fede ha un diritto che non può essere leso da chi altro vanti pretese con diverso fondamento. Il titolo di credito possiede tre caratteristiche qualificanti: 1. la letteralità che consiste in ciò che letteralmente risulta menzionato nel documento cartaceo e dal quale risulta la quantità e le modalità del diritto; 2. l’autonomia che consiste nell’assoluta indipendenza di ogni obbligazione dalle altre nei casi, non isolati, di cessione del credito; 3. l’inopponibilità delle eccezioni, che è collegata con l’autonomia, consiste nel fatto che ogni successivo titolare del diritto cartolare ha verso l’obbligato un diritto immune da tutte le eccezioni derivanti dal succedersi dei vari titolari. È, cioè, come se in ciascun creditore il diritto fosse sorto per la prima volta. L’OBBLIGAZIONE CARTOLARE L’obbligazione e il diritto contenuto nel titolo di credito si chiamano anche obbligazioni e diritto cartolare, come dipendenti e connessi alla carthula. L’obbligazione cartolare nasce con l’emissione del titolo che creano, così, il mezzo di legittimazione necessario per l’esercizio del diritto stesso. Il credito si trasferisce da un soggetto ad un altro con piena efficacia indipendentemente dalla notifica. Si trasferiscono legittimamente seguendo regole diverse secondo la distinzione fondamentale tra titoli all’ordine, al portatore e nominativi.
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Tra i diversi titoli di credito, i più importanti sono la cambiale e l’assegno che pur avendo caratteristiche comuni, subiscono normative diverse. LA CAMBIALE La cambiale è un titolo di credito all’ordine, formale ed astratto che attribuisce al possessore il diritto incondizionato di farsi pagare una determinata somma di denaro alla scadenza indicata. La legge cambiaria ne distingue due tipologie:
1. la cambiale tratta contenente un ordine di pagare che l’autore effettua nei confronti di un terzo a favore del proprio creditore ; 2. il vaglia cambiario (o pagherò) contenente, invece, una diretta promessa di pagamento che l’autore effettua nei confronti del proprio creditore. Questa è la più usuale e praticata forma di cambiale utilizzata. Ogni cambiale, per essere valida, deve essere sottoscritta dal titolare sul fronte. Può anche essere firmata sul retro, ma per distinguerla da un’eventuale girata bisogna aggiungere la scritta accetto. Per ottenere l’accettazione al cambiale deve essere consegnata al domicilio del creditore da qualunque soggetto interessato che ne sia i possesso. Tutto il sistema cambiario è tutelato e disciplinato dalla legge che in materia è particolarmente precisa ed esigente. La cambiale deve essere presentata, per il pagamento, nel giorno di scadenza o nei successivi altri due giorni feriali. Entro tale termine ciascun debitore può depositare la cifra dovuta presso la sede centrale dell’Istituto bancario emittente, presso qualunque sua succursale o presso la Banca d’Italia direttamente. Chi paga la propria obbligazione cambiaria ha il diritto assoluto di aver restituito il relativo titolo di credito quietanzato dal legittimo proprietario. L’AVALLO L’obbligazione cambiaria può anche essere garantita da qualunque altro soggetto terzo che si assumi, sottoscrivendo il titolo, la corrispondente propria obbligazione cambiaria. L’obbligazione dell’avallante si pone sullo stesso piano di quella dell’avallato ma può anche riguardare solamente parte dell’intera cifra. Questa forma di garanzia è posta sul retro della cambiale con una firma e l’aggiunta della dicitura per avallo. LA GIRATA Data l’incorporazione del diritto nel titolo, per la legittimazione cambiaria dei successivi prenditori è necessario il trasferimento materiale del titolo da un soggetto al nuovo possessore. Allo stesso scopo corrisponde la girata che consiste in una firma, indicante il nuovo possessore, apposta in un foglio di allungamento della cambiale o sul retro stesso del documento cambiario. Tuttavia la girata deve sempre essere corrispondente all’intera cifra del titolo e non può essere parziale. 145
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Conseguenza della girata di una cambiale è l’assunzione di un obbligazione di garanzia da parte di ciascun girante verso i successivi. Si viene così a creare una speciale forma di solidarietà fra i diversi obbligati cambiari che si susseguono nel tempo. LA PROCEDURA DI PROTESTO Il rifiuto a pagare quanto dovuto in una cambiale, si materializza con la procedura di protesto. Questa procedura consiste in un atto steso da un Notaio il quale attesta di aver presentato la cambiale al debitore e, constatato che questa non è stata pagato o accettata entro il termine predisposto , riferisce la relativa risposta avuta dal debitore (o dal trattario) al legittimo creditore iniziale. Il protesto è inutile e superfluo quando:
- è avviata una procedura fallimentare a carico del soggetto debitore; - quando il debitore dichiara per iscritto la propria volontà a non voler pagare. L’azione di protesto, comunque, costituisce il debitore in mora rispetto alla cifra dovuta. Di moderno ed usuale utilizzo è il rinnovo del titolo cambiario che consiste nel creare una nuova obbligazione cambiaria, al fianco della precedente, rinnovando il termine di pagamento ed eventualmente la cifra da pagare. Spesso, però per precauzione, il vecchio titolo non viene distrutto ma conservato nell’eventualità di possibili contestazioni future. GLI ASSEGNI Mentre le cambiali sono strumenti di credito, gli assegni sono strumenti di pagamento. La legge distingue due tipologie diverse di assegni:
1. gli assegni circolari che hanno struttura analoga al pagherò cambiario. Contengono la promessa di una banca di pagare quanto riportato presso la propria sede principale o presso qualsiasi altra sede succursale o corrispondente ; 2. gli assegni bancari che hanno una struttura analoga, invece, alla cambiale tratta. Essi sono senza termini ne limitazioni e consistono in una promessa di pagamento che un soggetto, cliente di una banca determinata, effettua direttamente ad un altro soggetto, indicato nel titolo o semplicemente portatore, di una specificata somma di denaro. Questo tipo di assegno è composto da un apposito modulo prestampato dall’Istituto bancario che lo emette ed è sottoposto ad una tassa di bollo minima. L’ASSEGNO BANCARIO La diffusione dell’assegno bancario è divenuta un utile strumento di pagamento senza la scomodità e il rischio della circolazione del denaro liquido. L’assegno, sempre pagabile a vista, viene emesso dal cliente di una banca e non può essere rilasciato in bianco. 146
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Non è ammesso l’utilizzo dell’assegno in garanzia di un altro debito. Se nella provvista presso il banchiere indicato mancano i fondi, l’assegno conserva la sua efficacia e validità, ma il soggetto che lo ha emesso incombe in dure e severe sanzioni di tipo penali, con l’arresto e la multa, e fiscali. Per evitare truffe e furti, la legge ha introdotto diverse tecniche di tutela e prevenzione. L’assegno, infatti, può essere sbarrato con due linee parallele sul fronte per renderlo nullo. Se viene posta sul fronte la clausola non trasferibile esso non verrà pagato se non al diretto ed unico prenditore indicato. L’ASSEGNO CIRCOLARE L’assegno circolare viene emesso da un banchiere con l’efficacia di un titolo di credito di facile circolazione per eseguire pagamenti anche in luoghi lontani da quello di emissione. Questi assegni vengono emessi da banche aventi speciali autorizzazioni concesse, le quali devono aver prima versato una specifica cauzione presso la sede della Banca d’Italia territorialmente competente. Anche l’assegno circolare è pagabile a vista e può essere dotato delle clausole viste precedentemente per la circolazione dell’assegno bancario. TITOLI DI CREDITO IMPROPRI Sono titoli di credito impropri quelli che hanno efficacia probatoria nei confronti dell’esecuzione di un contratto e sono nominativi ed incedibili, proprio perché non costituiscono titoli di credito destinati alla libera circolazione. Sono tali, ad esempio, i biglietti della lotteria, i buoni di benzina, ecc.. In alcuni casi il documento, per esplicare gli effetti dovuti, non è necessario. Molto importanti sono, fra l’altro, le carte di credito che permettono di acquistare a credito le merci e i servizi. Simili alle carte di credito sono anche i servizi di riscossione automatizzata della moneta dal proprio conto bancario tramite i terminali bancomat.
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CAPO XIII L’ IMPRESA E LA SOCIETA’ L’imprenditore Il codice civile non fornisce una definizione di impresa, ma essa si deduce da quella di imprenditore contenuta nell’art. 2082, secondo cui “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi ”. L’attività di produzione o di scambio di beni di servizi deve essere un’attività professionalmente esercitata. Il concetto di professionalità ha in rapporto all’imprenditore, un significato più limitato di quello che il medesimo concetto assume nel linguaggio corrente: esso non disegna uno stato personale una condizione sociale, ma solo la stabilità o nonno con finalità dell’attività esercitata. Imprenditore definito dall’articolo 2082 non è solo l’imprenditore privato, ma anche l’imprenditore pubblico. (incompatibile con il concetto di professionalità, è solo il compimento occasionale di un affare: un isolato questo seguito dal pianeta, un isolato per azione di mediazione, anche se danno luogo d’una pluralità di arti fra loro coordinati e, quindi, ad un’attività, seppure circoscritta entro modesti limiti temporali, non pongono in essere tuttavia un’attività professionalmente esercitata e non attribuiscono la qualità di imprenditori). Elementi dell’impresa sono: 1) l’organizzazione dei fattori della produzione, 2) lo scopo della produzione o dello scambio di beni e servizi a fini lucrativi, 3) l’assunzione del rischio derivante dall’esercizio dell’attività, 4) la professionalità, nel senso che l’attività economica deve essere abituale e non occasionale Categorie di imprenditori Il concetto di imprenditore è quanto mai esteso: esso identifica ogni sorta di produttori professionali, quali che siano gli scopi per i quali attività produttiva viene esercitata e perciò anche quando essa non mira a realizzare un profitto, ma si tratta di attività esercitata con pubbliche finalità da un ente pubblico; quale che sia la natura dell’attività produttive esercitata, sia esso un’attività industriale commerciale, sia esso un’attività agricola. Oggi l’agricoltura è considerata attività di impresa: l’articolo 2135 definisce come imprenditore, in particolare come imprenditore agricolo, chi esercita un’attività diretta la coltivazione del fondo, alla silvicultura, all’allevamento del bestiame e attività connesse. La coltivazione del fondo è lo sfruttamento, ad opera dell’uomo dell’energia genetica della terra. Non basta la mera raccolta di frutti naturali del suolo: occorre, perché vi sia impresa, l’attività di coltivazione, ossia un’attività umana definibile nel senso dell’articolo 2082 comma attività di produci di beni. Sono attività commerciale per l’articolo 2195, 5 categorie di attività: 1) l’attività industriale, diretta alla produzione di beni o di servizi: attività non industriale si contrappone alla attività commerciale: la prima è attività produttiva di nuovi beni; la seconda è attività di interposizione nella circolazione dei beni, di acquisto e successiva rivendita. 2) l’attività intermediaria nella circolazione dei beni: è dal punto di vista economico, il fenomeno della distribuzione dei beni sul mercato del consumo: il commerciante si 148
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presenta sotto questo aspetto, come colui che accresce l’utilità degli altrui in prodotti e quindi ho concorre a creare nuova ricchezza. 3) l’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; 4) l’attività bancaria o assicurativa: considerata nel suo insieme, l’attività bancaria si presenta come un’attività di intermediazione nella circolazione del danaro e perciò come un’attività commerciale suscettibile di essere collocata nel n.2 dell’articolo 2195: la sua espressa previsione 5) altre attività ausiliare delle precedenti: sono attività ausiliarie quelle del mediatore, che colui che mette in relazione due più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato da alcuna di essere da rapporti di collaborazione o dipendenza Piccolo imprenditore Altra classificazione interna alla categoria di imprenditori e quella che tiene conto delle dimensioni dell’impresa: l’articolo 2083 distingue il piccolo imprenditore all’imprenditore non piccolo. Il piccolo imprenditore è sottoposto in quanto imprenditore, all’applicazione delle norme formulate per imprenditori in generale; egli è invece sottratto, all’applicazione di quelle norme che riguardano più specificamente l’imprenditore commerciale. Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti coloro che esercita un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Il lavoro nell’impresa Il mercato del lavoro, ossia il mercato della domanda e dell’offerta di lavoro si svolge attraverso la intermediazione obbligatoria di un ufficio statale, l’ufficio provinciale di collocamento: chi domanda lavoro si scrive nelle liste di collocamento, tenute da quest’ufficio e distinte per mansioni e qualifiche, chi offre lavoro si rivolge a quest’ufficio, che avvia al lavoro gli iscritti nelle liste secondo la loro di iscrizione. Il contratto di lavoro subordinato e quello in forza del quale il lavoratore si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Gli interessi dell’imprenditore e di lavoratori sono interessi fra loro antagonisti: il salario corrisposte lavoratori è, per l’imprenditore, un costo di produzione, che riduce profitto; interesse dei lavoratori a maggior salario è naturale conflitto con interesse approfitto dell’imprenditore. Il conflitto è affondato in sede collettiva, attraverso la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, che intervengono fra sindacati imprenditoriali e di lavoratori nei diversi settori dell’industria del commercio e dell’agricoltura. I contratti collettivi regolano, con disposizioni generali, le condizioni dei tributi le minime, e le altre con disegni lavoro: orari di lavoro, periodo feriale… Per diversi settori produttivi, in posizione intermedia fra i contratti collettivi nazionali e contratti individuali di lavoro, si collocano contratti collettivi regionali provinciali e contratti collettivi aziendale, che intercorrono fra il singolo imprenditore e il sindacato dei lavoratori dell’impresa. Ai lavoratori è riconosciuto il diritto di sciopero: è il diritto di astenersi collettivamente dalla prestazione di lavoro senza che ciò comporti, per i singoli lavoratori, inadempimento del contratto di lavoro. Il contratto di lavoro può essere a tempo determinato o come e di regola a tempo indeterminato. Nel primo caso il contratto può sciogliersi prima del termine, per recesso dell’una o dell’altra parte, solo se esiste una giusta causa. Per il secondo caso la legge 604 149
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della 1966 ha assicurato al lavoratore la stabilità: mentre il lavoratore può sempre recedere, i datori di lavoro può licenziarlo solo se esiste una giusta causa o un giustificato motivo. I termini impresa e azienda, di solito adoperati nel linguaggio corrente come termini sinonimi, assumono nel linguaggio tecnico giuridico significati nettamente differenziati. L’impresa è, giuridicamente, una attività: è, come si presume dalla nozione legislativa di imprenditore, l’attività economica organizzata al fine della produzione dello scambio di beni o di servizi. L’azienda è, invece, un complesso di beni: è secondo la definizione che dà dall’articolo 2555, il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Tra azienda e impresa c’è dunque, un rapporto da mezzo fine. L’imprenditore non è necessariamente proprietaria degli strumenti di produzione: questa possibile dissociazione fra titolarità dell’impresa e proprietà degli strumenti di produzione si riflette nella versione giuridica di azienda, la qual è formata non dei beni dell’imprenditore, ma dei beni organizzati dell’imprenditore. I beni costituenti l’azienda possono essere beni materiali ( immobili, macchinari, merci ) o anche beni materiali ( brevetti). Perché i beni facciano parte dell’azienda, non è necessario che siano di tropicali l’imprenditore, essendo sufficiente che siano da lui, a qualunque titolo, organizzati per l’esercizio dell’impresa: unico elemento indispensabili, quindi, è l’organizzazione; se i beni sono funzionalmente coordinati per l’esercizio dell’impresa, essi costituiscono l’azienda. La società Le imprese individuali si distinguono dalle imprese collettive, cioè quelle in cui più soggetti uniscono i loro capitali e assumono insieme il rischio d’impresa. Queste sono le società. Con il termine società, dunque, si intende la forma di esercizio collettivo dell’impresa. Di regola, la società si costituisce per contratto, al quale possono partecipare duo o più persone, salva l'eccezionale figura della società a responsabilità limitata costituita per atto unilaterale. Dunque con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica, con lo scopo di dividerne gli utili (art. 2247). Gli elementi su cui si basa il contratto di società sono quindi quattro: 1) la pluralità dei soggetti (o meglio delle parti) 2) il conferimento di beni o servizi 3) l'esercizio in comune di un'attività economica 4) allo scopo di lucro con la conseguente divisione degli utili. Tranne che per le società semplici, la legge prescrive che il contratto di società venga reso pubblico mediante l’iscrizione nel registro delle società. L’iscrizione ha natura costitutiva solo per le società di capitali e non anche per le società di persone ,che esistono anche senza l’iscrizione (in questo caso si tratterà di società irregolari). Tipi societari La distinzione più rilevante all’interno delle società è quella tra società di persone e società di capitali.
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SOCIETA’ DI PERSONE Sono quelle società che non hanno capacità giuridica e in linea di principio sono partecipate da soci che rispondono personalmente e illimitatamente per le obbligazioni della società. Esistono tre tipi di società: 1) Società semplice 2) Società in nome collettivo 3) Società in accomandita semplice SOCIETA’ SEMPLICE Regolata dagli art. 2251 e seguenti del c.c. è la più semplice tra le società di persone; è una società di persone che non può esercitare attività commerciale, quindi deve concentrare la propria gestione su attività agricole e anche su altre attività magari di servizi che comunque non siano riconducibili nella previsione dell’art.2195 c.c. Per la sua costituzione non è richiesta la forma scritta, quindi può bastare un’intesa verbale tra i soci oppure un fatto concludente. L’atto scritto è richiesto solo nel caso in cui sia conferita la proprietà di beni immobili oppure sia conferito il semplice godimento di beni immobili per una durata superiore a 9 anni. E’ necessario che a costituire la società partecipino 2 o più persone essenzialmente persone fisiche. La società semplice non può nascere con un unico socio. Se dopo la costituzione la società viene a ridursi ad un unico socio la pluralità dei soci viene ricostituita entro 6 mesi, pena lo scioglimento della società. SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO Abbreviato s.n.c. priva di personalità giuridica è una società di tipo commerciale soggetta quindi all’ obbligo di iscrizione nel registro delle imprese. Si costituisce per atto scritto che può essere una scrittura privata con firma autenticata oppure un atto pubblico quindi un atto notarile. L’atto costitutivo una volta sottoscritto deve essere depositato entro 30 giorni nel registro delle imprese per la registrazione. Qualora ciò non avvenga la società si definisce irregolare, può operare egualmente per quanto riguarda i rapporti con i terzi e la responsabilità dei soci si applicano le norme della società semplice. Trattandosi di società di tipo commerciale la partecipazione di incapaci d’agire: minori, interdetti e inabilitati è soggetta alle regole che valgono per l’impresa commerciale; l’incapace può essere socio ma sarà rappresentato e assistito da un tutore o un curatore. Per quanto riguarda i conferimenti possono essere conferiti beni o servizi esattamente come nella società semplice. La partecipazione agli utili sarà determinata in proporzione ai conferimenti eseguiti salvo che non sia stabilito un criterio diverso. Anche nella s.n.c. è nullo l’eventuale patto Leonino. SOCIETA’ IN ACCOMANDITA SEMPLICE E’ una società di persone di tipo commerciale che si caratterizza per aver due categorie di soci: soci accomandanti e i soci accomandatari. I soci accomandatari sono soci a responsabilità illimitata e ad essi compete l’amministrazione della società. I soci accomandanti sono invece i soci a responsabilità 151
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limitata che non si occupano della amministrazione della società. Normalmente si limitano ad apportare capitale e puntano a percepire gli utili del impresa. Si costituisce la società S.a.s. per atto scritto in forma di scrittura privata autenticata o da atto pubblico; è previsto che nella denominazione sociale figuri almeno il nome di uno dei soci accomandantari egli risponderebbe per le obbligazioni sociali in modo solidale e illimitato al pari dei soci accomandatari. Questo perché il legislatore ritiene di tutelare i terzi e il principio di affidamento degli stessi sul fatto che chi compare nella ragione sociale sia un socio accomandatario e, dunque, sulla responsabilità solidale e illimitata. Per cui è giusto che se compare il nome di un accomandatario questi risponda come se fosse un accomandantario. L’atto costitutivo deve essere depositato al registro dell’imprese per la registrazione fino a quando la registrazione non avvenga la società è irregolare e per quanto riguarda i rapporti con i terzi si applicano dunque le norme delle società semplici, tuttavia i soci accomandanti mantengono la responsabilità illimitata salvo che non partecipino ad operazioni sociali. Le società di capitali Sono dotate di personalità giuridica: le società di capitali sono soggetti di diritto capaci di assumere i diritti e le obbligazioni che nascono dall'esercizio di attività economiche per le quali sono costituite. Proprio perché dotate di personalità giuridica il patrimonio della società è autonomo da quello dei soci: sono cioè dotate di autonomia patrimoniale perfetta. Da quest’ultima consegue la responsabilità limitata dei soci, che rischiano solo per i loro conferimenti. Sono società di capitali: le S.p.A., le e le società in accomandita per azioni. SOCIETA' PER AZIONI Rappresenta la forma giuridica assunta dalle grandi imprese industriali, commerciali, assicurative, bancarie che hanno un rilevante fabbisogno finanziario. La caratteristica dellla s.p.a. è che il suo capitale è diviso in quote di uguale valore rappresentate da azioni, cioè titoli nominativi o al portatore che conferiscono la titolarità di una quota del patrimonio sociale al legittimo proprietario. Vi sono società aperte e società chiuse: quelle aperte fanno ricorso al mercato del capitale di rischio mentre quelle chiuse, di minori dimensioni, raccolgono capitali tra i soci o chiedono finanziamenti alle banche. SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA La srl offre a tutti i soci il beneficio della responsabilità limitata alle quote di conferimento, ma si differenzia dalla spa perché le quote di partecipazione non possono essere rappresentate da azioni nè possono costituire oggetto di sollecitazione all’investimento. Se la società fallisce, il fallimento non si estende ai soci. SOCIETA' IN ACCOMANDITA PER AZIONI E’ una variante della società per azioni ma caratterizzata dall’esistenza di due categorie di soci: gli accomandatari che rispondono solidamente e illimitatamente delle obbligazioni; gli accomandanti che rispondo alle obbligazioni limitatamente alla quota conferita; il capitale della società è costituito da azioni.
Rientrano nelle società di capitali anche le società mutualistiche (società cooperative e di mutua assicurazione). Esse non hanno scopo i lucro, ma hanno uno scopo mutualistico, cioè hanno lo scopo della realizzazione di un “vantaggio” a favore dei soci, fornendo loro beni, servizi o occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato (l’acquisto di bene ad un prezzo inferiore, la remunerazione di un lavoro ad 152