Il monaco m onaco che non aveva un passato di Paolo Marrone
Il monaco m onaco che non aveva un passato di Paolo Marrone
Titolo | Il monaco monaco che non non aveva un passato pass ato Autore | Paolo Marrone ISBN | 9781370201 97813 70201822 822 Revisione del testo: Barbara Bruni Bruni © Tutt Tuttii i diritt diri ttii riser r iservati vati all’Au all ’Autore tore Nessuna Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta ri prodotta senza senza il preventivo assenso dell’Autore. dell’Autore.
Dedicato a tutti gli instancabili ricercatori della verità
Indice
Il Viaggio Il segreto della felicità Ascolta quel fruscio… Non rammaricarti dei libri che non leggerai Il libro bianco Il risveglio
Il monaco che non aveva un passato
Il Viaggio “Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno.” - Guy de Maupassant
Era da molto tempo che sognavo di visitare New York. Ho sempre amato viaggiare, e nei precedenti tour negli States avevo già avuto modo di visitare diverse città, come Los Angeles, Miami, Tampa ma, a parte una breve sosta di transito nell’aeroporto John F. Kennedy, New York era ancora sulla mia lista delle città da visitare. Così quell’estate decisi di regalarmi un bel viaggio nella Grande Mela, nella città che non dorme mai... Non vedevo l’ora di perdermi tra le strade di Manhattan, fare shopping, ammirare la maestosità dell’Empire State Building, cenare in uno dei caratteristici e suggestivi ristoranti con vista sul ponte di Brooklyn. Sarei partito da solo. Ero da poco uscito da una lunga convivenza durata ben dieci anni, e avevo trascorso gli ultimi tre mesi a rimettere insieme i pezzi della mia vita. Adesso desideravo solo perdermi in un viaggio che mi avrebbe aiutato a liberare la mente e a ricaricare le batterie per aprire con rinnovato entusiasmo un nuovo capitolo della mia vita. Avevo bisogno di guardare la mia esistenza da un altro punto di vista, e la lontananza dai luoghi a me familiari avrebbe sicuramente creato quel distacco necessario per vedere tutta la storia con occhi nuovi. Leggevo molto in quel periodo, e da qualche tempo avevo scoperto un nuovo punto di vista attraverso il quale guardare gli avvenimenti della vita. Grazie alla lettura di diversi autori come Napoleon Hill, Charles F. Haanel, Thomas Troward, stavo finalmente arrivando a comprendere che ognuno di noi è l’unico e solo responsabile della propria realtà. L’idea che attraverso il pensiero ognuno di noi fosse in grado di determinare il proprio destino, da un lato mi rendeva euforico, dall’altro mi incuteva non poco terrore, in considerazione del fatto che, stando alle teorie di questi autori, gran parte dell’influenza sulla realtà viene esercitata a livello inconscio, quindi totalmente al di fuori del nostro diretto controllo. La cosa di cui mi rendevo sempre più conto, era che per una strana legge dell’Universo le persone che fanno parte della nostra vita rappresentano sempre e comunque il riflesso di qualche aspetto del nostro essere. Se cambiamo al nostro interno, anche il mondo esterno deve necessariamente cambiare. Ero assolutamente cosciente del fatto che la mia recente separazione l’avevo creata io, e che tutto questo stava accadendo in risposta a qualche tipo di trasformazione interna del mio essere, ma quest’idea non mi confortava affatto, considerando che, in fin dei conti, era una situazione che stavo subendo. Rivedendo la fine della storia da questo punto di vista, era indubbio che il percorso di crescita personale e spirituale che avevo intrapreso era stato la causa di tutto, e che ora stesse in qualche modo demolendo il mio vecchio mondo per far posto a qualcosa di diverso che rispecchiasse il mio nuovo stato interiore.
Anche se intuivo che era così che doveva andare, la cosa non mi consolava, perché avrei preferito che il mio subconscio mi avesse interpellato, prima di scombussolare la mia vita in quel modo così repentino. Era proprio quella sensazione di mancanza di controllo che mi spiazzava e, devo ammetterlo, mi impauriva anche un po'. Quel viaggio di due settimane quindi lo vedevo come un prezioso momento di riflessione, nel quale avrei avuto la possibilità di azzerare il passato, almeno così speravo, e cominciare un nuovo percorso, totalmente rinnovato e senza più ancore o freni emotivi. La valigia era pronta, o quasi. Riguardai la lista delle cose da portare e, tranne alcuni prodotti per la cura personale che avrei messo in borsa l’indomani mattina, era davvero tutto pronto. Decisi di portare con me anche un piccolo registratore portatile, di quelli che stanno in un taschino, per prendere appunti vocali durante il viaggio. Non amo molto scrivere, pertanto pensai sarebbe stato più pratico e veloce registrare piccole note vocali per fissare qualsiasi idea o impressione mi fosse venuta in mente durante il mio soggiorno a New York. Insomma, solo una notte mi separava da quello splendido viaggio, e non vedevo l’ora di partire. Avevo l’imbarco alle 9.50, così impostai la sveglia per le 6.30 e mi misi a letto, eccitato come un bambino che si addormenta la notte dell’epifania pregustando i regali che troverà al suo risveglio… ___ …un raggio di sole si infilò tra le fessure della persiana, e mi colpì sul viso, facendomi destare dal mio sonno profondo. Aprii gli occhi stupito del fatto che la sveglia non avesse ancora suonato, così guardai l’orologio sul comodino per vedere se potevo sonnecchiare ancora un po' prima di alzarmi. Mio Dio! Scoprii con terrore che erano le 9.25! Per qualche stramaledetto motivo la sveglia non aveva suonato. Guardai per sicurezza altri orologi che avevo in casa, e tutti mi confermarono l’amara verità. Era drammaticamente chiaro che avevo perso l’aereo. Mi preparai in fretta e furia per andare in aeroporto e verificare se c’era la possibilità di prendere un altro volo. Non ricordo quanto tempo impiegai per raggiungere l’aeroporto in macchina, ma son sicuro di aver battuto qualsiasi record preesistente. Ci misi un po' a trovare l’ufficio della compagnia del mio volo, ma appena lo individuai entrai trafelato e mi rivolsi alla prima impiegata che vidi, senza preoccuparmi di verificare se fosse il mio turno. Dopo un rapido controllo al terminale, la signorina mi comunicò l’amara verità: “Signore, mi dispiace, ma la tipologia del suo biglietto non prevede il cambio di volo”. Vero, avevo acquistato un last minute a un prezzo stracciato, e ora mi rendevo conto che invece di risparmiare, avrei pagato molto più del previsto se avessi deciso di prendere un altro aereo con la stessa destinazione. “Mi scusi, ma non c’è un modo per avere un altro volo, magari pagando una piccola differenza?” – chiesi, anzi supplicai, nella vana speranza di suscitare compassione, o almeno di risvegliare un po' d’istinto materno nel cuore della giovane impiegata che avevo di fronte.
“Mi dispiace signore, ma come le ho detto il suo biglietto non è convertibile, né rimborsabile. L’unica soluzione è quella di acquistare un nuovo biglietto, se vuole”. Non osavo immaginare il costo del nuovo biglietto, considerando che in queste situazioni tu rappresenti la parte in difficoltà, quindi più debole, pertanto la norma è che ti spillano fino all’ultimo centesimo del prezzo di listino, che per un volo del genere, in piena stagione estiva, può tranquillamente superare il migliaio di euro. La parola sconto non è contemplata in questi casi. Provai a insistere, dicendo che non potevo rinunciare al viaggio, dato che il mio periodo di ferie sarebbe altrimenti andato sprecato, non potendolo più modificare. La risposta, seppur pronunciata con un sorriso e con la massima gentilezza, fu purtroppo sempre la stessa. Rassegnato, stavo per tirar fuori la mia carta di credito per acconsentire al salasso e acquistare un nuovo biglietto, quando dietro di me sentii una voce molto gentile che mi disse, con un velato accento straniero: “Se vuole, forse io ho la soluzione al suo problema”. Mi voltai e vidi un signore molto distinto, sulla sessantina, dai lineamenti orientali, che aveva assistito a tutta la scena tra me e l’impiegata della compagnia aerea. “Vede – continuò – io ho un biglietto per il Tibet, il mio paese di origine, dove mi sarei dovuto recare insieme a mia moglie per un soggiorno di una settimana in un monastero tibetano. Purtroppo mia moglie alcuni giorni fa si è rotta una gamba cadendo, e quindi siamo impossibilitati a partire. Io ero qui per chiedere il rimborso dei biglietti, ma mi hanno appena detto che non è possibile ottenerlo così a ridosso dalla partenza, mentre è possibile trasferire il viaggio ad altre persone. So che si tratta di una vacanza del tutto diversa, il Tibet non è l’America, ma se desidera fare un’esperienza davvero nuova, le cedo volentieri tutto il pacchetto, soggiorno compreso. Non deve pagarmelo. Piuttosto che buttarlo via, preferisco offrire quest’opportunità a un’altra persona, e lei, non so perché, m’ispira simpatia. Io e la mia signora saremmo davvero lieti se lei volesse accettare.” Il Tibet? Un soggiorno in un monastero tibetano? Stavo per ringraziare e rifiutare l’offerta, ma qualcosa dentro di me mi trattenne dal farlo. Ricordai di aver letto in un articolo che il caso non esiste, e che qualsiasi evento capita sempre e comunque per qualche valido motivo, anche se nel momento non si riesce a vederlo. Ragionai sul fatto che tutta una serie di episodi, apparentemente casuali, mi avevano portato a ricevere quell’offerta. La mia sveglia non aveva mai perso un colpo prima di allora, e la probabilità di incontrare un signore all’aeroporto che mi offrisse in regalo un biglietto per una vacanza in Tibet, soggiorno compreso, era pressoché vicina allo zero, per non parlare della povera signora che si era rotta una gamba proprio a pochi giorni dalla partenza. In effetti, qualche mese prima, vedendo un documentario in tv, avevo espresso il desiderio di visitare un giorno il Tibet, ma mai mi sarei aspettato che l’Universo mi prendesse così in parola, e arrivasse ad architettare tutto quel trambusto per costringermi a partire così repentinamente per un viaggio che, in tutta sincerità, non so se avrei mai deciso di intraprendere. Una vocina mi diceva che accettare l’offerta era l’unica cosa sensata che avessi potuto fare in quel momento. Non perché fosse gratuita, o perlomeno non solo. Sentii, infatti, che non era il caso di continuare a contrastare le forze del destino che, a quanto pare, mi volevano portare a tutti i costi in Tibet. Rabbrividii al pensiero di chissà quali altre peripezie avrei dovuto affrontare se avessi deciso
di continuare il mio viaggio verso New York. Accettai allora la proposta di quel signore, ringraziandolo per la generosa offerta. New York, in fin dei conti, poteva aspettare. La partenza era prevista di lì a sette giorni, giusto il tempo necessario per richiedere il visto d’ingresso per la Cina. La mia vacanza sarebbe stata di una sola settimana invece delle due programmate, ma non aveva importanza, pensai, anche questo evidentemente rientrava nei piani che il destino aveva predisposto nei miei confronti. A pensarci bene, poi, due intere settimane di austera vita monacale sarebbero state davvero troppe per un irrecuperabile, pigro e abitudinario cittadino del mondo occidentale. L’anziano signore mi spiegò, mentre attendevamo il nostro turno per cambiare l’intestazione sui documenti di viaggio, che il soggiorno prevedeva una settimana a stretto contatto con uno dei più anziani e saggi monaci del monastero, i cui insegnamenti si basavano su antichissime conoscenze tramandate nei secoli all’interno di alcuni monasteri, e rivelate solo ad una ristretta cerchia di monaci eletti. Tali insegnamenti, assicurò, mi avrebbero avviato alla comprensione della vera natura del mio essere. Mi disse anche che non mi sarei dovuto preoccupare per la lingua, perché da diversi anni alcuni dei monaci, tra cui il mio futuro maestro, avevano intrapreso lo studio delle lingue occidentali, per cui avrei potuto comunicare in inglese senza problemi. Lo ascoltavo interessato, ma anche un po' dubbioso, perché non mi era chiaro per quale strano motivo insegnamenti così riservati venissero rivelati con tale facilità al primo turista straniero che capitava da quelle parti. Mi sembrava però scortese contraddire la sua tesi, pertanto annuii facendo finta di credere senza riserve a tutto quello che mi stava dicendo. Per me era più che sufficiente sapere che mi sarei riposato, forse più che a New York, e che avrei quindi avuto la possibilità di dedicare del tempo alle mie riflessioni personali. Sbrigate le pratiche dell’agenzia, gli porsi la mano per ringraziarlo e congedarmi da lui. Nel darmi la sua mano, però, serrò la mia in modo molto energico e, guardandomi negli occhi con fare serio, mi disse che doveva comunicarmi alcune informazioni molto importanti sul mio viaggio, pertanto chiese di potermi parlare in un luogo appartato. Il tutto mentre continuava a tenere ben stretta la mia mano. Devo dire che rimasi di stucco, anche un po’ preoccupato per quel gesto improvviso, ma sentendomi in qualche modo in debito nei suoi confronti per il dono ricevuto, acconsentii proponendogli di sederci a prendere un caffè nel bar di fronte all’agenzia. In fondo non mi sembrava così pericoloso, e comunque mi sentivo tranquillo, trovandomi all’interno di un aeroporto affollatissimo, dato il periodo estivo. Appena seduti, non mi diede il tempo di chiedergli cosa avesse da rivelarmi di così importante, che esordì dicendo: “Esiste un’antica profezia, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, secondo la quale sarebbe arrivata l’epoca in cui le antiche conoscenze custodite in alcuni monasteri tibetani sarebbero state divulgate a tutto il mondo occidentale, al fine di agevolare il percorso di risveglio dell’intera umanità.” “Secondo la profezia – continuò – un potente esercito straniero avrebbe invaso il Tibet causando
una massiccia devastazione dei suoi monasteri e la fuga di migliaia di monaci. Quello avrebbe segnato, senza alcun dubbio, l’inizio del processo di divulgazione della conoscenza. Fu così che, alcuni anni dopo l’invasione del Tibet da parte dell’esercito cinese, io e mia moglie fummo tra i primi ad essere scelti, insieme a pochi altri, per frequentare i monasteri risparmiati dalla devastazione, nei quali quelle conoscenze erano state conservate. Da oltre vent’anni ci rechiamo periodicamente in Tibet per ricevere gli insegnamenti da un anziano monaco custode di quell’antico sapere. Nessuno conosce la vera motivazione dei nostri viaggi, perché agli occhi delle autorità siamo solo turisti che amano trascorrere le proprie vacanze in quei luoghi.” Non credevo alle mie orecchie, ma continuai ad ascoltare, senza interromperlo. “Coloro che sono pronti a ricevere gli insegnamenti – mi disse – vengono prescelti e ‘chiamati’ attraverso modalità che agli occhi di un profano appaiono del tutto casuali. Possono accadere coincidenze, imprevisti ed eventi fortuiti di ogni genere, con l’unico scopo di portare i prescelti a contatto con chi dovrà tramandare loro l’insegnamento. Così è successo anche a me e a mia moglie. Non so con esattezza il motivo per cui sono stato scelto, ma posso immaginare che sia a causa delle mie origini, e quindi della mia conoscenza della lingua tibetana. All’epoca, infatti, nessun monaco era ancora in grado di parlare lingue straniere. In genere però non è possibile conoscere con certezza il motivo per cui si è scelti, perché dietro tutto questo c’è una precisa e imperscrutabile regìa divina, per mezzo della quale l’antica profezia si sta compiendo con infallibile puntualità e precisione.” La storia, seppur affascinante, rasentava l’incredibile. Conoscenze che avrebbero agevolato il percorso di risveglio dell’umanità? E perché proprio io? In base a quali considerazioni ero stato scelto per un compito così grande e impegnativo? Per un attimo pensai che forse sarebbe stato meglio andare ad acquistare quel biglietto per New York, prima che fosse troppo tardi. Poi però, ricordando quanto era successo quella mattina, il mio iniziale scetticismo pian piano lasciava il posto a un interesse sempre più forte per ciò che le mie orecchie stavano ascoltando. Se quell’uomo non era un pazzo, il concatenarsi di tutte le strane coincidenze che quella mattina mi avevano condotto fino a lui, trovava all’improvviso una plausibile spiegazione, forse inaccettabile per una mente razionale come la mia, ma di sicuro l’unica in grado di mettere a posto ogni singolo tassello di quel puzzle intricato. Quell’uomo, poi, non mi sembrava per niente pazzo, anzi, sentivo che c’era qualcosa di vero e profondo in quello che mi stava dicendo. Una delle cose che notai mentre ascoltavo le sue parole, infatti, fu l’immensa serenità e profonda calma che trapelava in modo evidente dal suo parlare lento e tranquillo. Ebbi la sensazione che quell’uomo fosse del tutto distaccato da quello che succedeva intorno a lui, come se vivesse in un oceano di tranquillità tutto suo. Mi accorsi poi, a un certo punto, che per qualche strano motivo quella serenità aveva contagiato anche me, perché tutta l’agitazione di quella mattina, che sentivo addosso fino a pochi minuti prima, era semplicemente svanita. Non m’importava più di aver perso la possibilità di visitare New York e, cosa davvero incredibile, avevo la netta sensazione di essere stato io a volere fortemente quel viaggio in Tibet. “L’incidente occorso a mia moglie – continuò – è un evidente segnale che il nostro mandato è giunto al termine, ed è arrivato il momento di passare le consegne a qualcuno più giovane di noi. Appena l’ho vista entrare in quell’agenzia ho subito capito che lei era la persona giusta. Ho avvertito dentro di me un forte impulso a proporle il viaggio, e quando ho sentito che aveva perso il suo volo,
non ho avuto più alcun dubbio. Sono convinto che lei è il prescelto che prenderà il mio posto. Si senta onorato di questo, perché verrà a conoscenza di cose che la sua mente non oserebbe nemmeno lontanamente immaginare. Cose che la renderanno una persona diversa e, mi creda, cambieranno per sempre la sua vita.” Detto questo non mi lasciò la possibilità di replicare perché, dopo essersi alzato, mi ringraziò facendo un breve inchino con le mani giunte all’altezza del petto, per poi allontanarsi con passo veloce. Prese una scala mobile che portava al piano inferiore e, senza voltarsi mai indietro, scomparve lentamente dalla mia vista. A quel punto ordinai un caffè, e rimasi lì da solo, in quel bar dell’aeroporto, a meditare su quanto era accaduto. I giorni che mi separavano dalla partenza passarono davvero in fretta. Il visto per l’ingresso nel territorio Cinese fortunatamente non subì intralci o ritardi, e gran parte del mio tempo lo passai a cercare su internet qualsiasi notizia, foto o articolo riguardante il Tibet e la sua storia. In particolare cercai qualunque informazione fosse disponibile sui monasteri tibetani e sul tipo di vita che si svolgeva al loro interno. Da alcune letture capii che quel popolo, messo a dura prova dall’invasione cinese, tentava con fatica di mantenere intatte le proprie tradizioni culturali e religiose, e di tramandarle con ogni mezzo alle future generazioni. I pochi monasteri buddisti risparmiati dalle rappresaglie cinesi rappresentavano uno dei principali luoghi all’interno dei quali la tutela di queste antichissime tradizioni poteva in qualche modo essere assicurata. Arrivò così il momento di preparare la valigia. Fortunatamente la temperatura nei mesi estivi nell’altopiano del Tibet, nonostante la sua altitudine media di oltre 4000 metri, è abbastanza mite, pertanto non dovetti mettere in valigia niente di così diverso rispetto al vestiario previsto per New York, a parte qualche indumento un po' pesante per far fronte alle temperature notturne, più rigide a causa della forte escursione termica caratteristica di quei luoghi. Il giorno della partenza era finalmente arrivato, e questa volta impostai ben tre sveglie, la sera prima, per scongiurare il rischio di perdere anche questo volo. Il viaggio durò oltre venti ore, con due scali intermedi, destinazione finale Lhasa, capitale del Tibet. Al mio arrivo in aeroporto un addetto dell’agenzia di viaggi mi aspettava mostrando un grosso cartello con su scritto il mio nome. Scambiati i convenevoli di rito, mi accompagnò fuori dall’aeroporto, dove c’era ad attendermi un monaco del monastero dove ero diretto. Scoprii così che avrei dovuto affrontare altre tre ore di viaggio su di un pulmino abbastanza malmesso, attraverso le immense valli dell’altopiano, a quote che si aggiravano tra i 3800 e gli oltre 4500 metri. Ero l’unico passeggero di quel viaggio, e dall’incerto e balbettante inglese che il conducente mostrò in risposta ad alcune mie domande, mi fu subito chiaro che quel monaco non era tra coloro che avevano studiato l’inglese. Rassegnandomi al fatto che scambiare due chiacchiere sarebbe stato pressoché impossibile, rimasi in silenzio, ad ammirare la bellezza e la particolarità dei luoghi che attraversavamo. Il panorama che si presentava ai miei occhi era per me qualcosa di assolutamente inusuale e straordinario. Le strade che percorrevamo attraversavano ampie valli circondate da catene montuose
imponenti. Tutto in quei posti sembrava immenso, e il cielo era di un blu cupo e profondo, quasi irreale per chi come me era abituato a cieli di un azzurro chiaro e limpido. Persino il sole sembrava più grande e luminoso, ma probabilmente mi stavo facendo condizionare dal fatto di sapere di essere a oltre 4000 metri di altitudine. L’aria era molto più rarefatta di quella cui siamo abituati, e la sensazione era che fosse più ‘leggera’, non saprei trovare termine più adatto per descriverla. All’inizio si tende a fare respiri più corti e frequenti per sopperire al minore ossigeno disponibile, ma dopo qualche ora ci si abitua, e non ci si fa più caso. A un certo punto intuii che stavamo per arrivare al monastero. Oltre al fatto che erano quasi trascorse le tre ore di viaggio previste, l’indizio più importante fu che il pulmino aveva appena lasciato la carreggiata principale, per immettersi in una piccola strada non asfaltata che si arrampicava su per la montagna alla nostra destra. Una strada così accidentata non poteva avere molte destinazioni, pensai, se non quella verso un monastero tibetano arroccato su quel monte. Passai gli ultimi quindici minuti del viaggio con il collo proteso a guardare in avanti, aspettandomi di veder apparire il monastero da un momento all’altro, all’uscita di una delle innumerevoli curve che componevano quel sentiero. Finalmente la mia attesa fu premiata. Dopo una curva a gomito, in fondo all’ultimo tratto in salita di quel viale polveroso, si ergeva, enorme e imponente come un gigante di pietra addormentato, il monastero tibetano dove avrei trascorso la mia vacanza. Era un po' diverso da come me lo ero immaginato. In realtà non si trattava di un unico edificio, ma di un vero e proprio comprensorio all’interno del quale, scoprii, vivevano innumerevoli persone impegnate nei compiti più svariati. Ebbi così la conferma di quello che avevo letto nei giorni precedenti la mia partenza. I monasteri in Tibet sono in realtà veri e propri villaggi che pullulano di persone che ne curano tutti gli aspetti. Il monastero non è solo un luogo di culto, ma un punto di riferimento sociale e culturale per tutta la popolazione che vive nella zona. D’altronde, a pensarci bene, non poteva essere altrimenti, considerando le condizioni estreme di quei luoghi, sia in termini di isolamento, che di clima, pertanto la costituzione di comunità sociali attorno ai centri di culto rappresentava forse l’unico modo per garantire a tutti il soddisfacimento dei propri bisogni, non solo spirituali e culturali, ma anche e soprattutto materiali. Il comprensorio era poggiato su un lato della montagna, e guardandolo dal basso si potevano intravedere diversi edifici posti lungo il pendio, fino a diverse decine di metri più in alto rispetto al grande edificio centrale. Alcune costruzioni sembravano incastonate nella roccia, dando l’impressione di essere state letteralmente ‘scolpite’ all’interno della parete rocciosa. Un’opera imponente che dominava con mastodontica regalità l’intera valle sulla quale la montagna si affacciava. Il pulmino accostò proprio davanti al grande portone d’ingresso, e fummo subito circondati da un nugolo di giovani monaci, tutti rigorosamente rasati a zero e vestiti del tipico saio color porpora. Non permisero che fossi io a portare la valigia, e con ampi sorrisi e inchini mi accompagnarono festosamente all’ingresso dell’edificio. Mai, nei miei innumerevoli viaggi, mi era stata riservata un’accoglienza tanto calorosa.
Entrai così nel grande palazzo che dominava l’intero comprensorio, e mi trovai all’interno di un’enorme sala dal soffitto altissimo, sorretto da lunghe colonne variopinte, con enormi drappi rossi che pendevano dall’alto. Le pareti della sala erano interamente ricoperte da dipinti raffiguranti immagini sacre, disegnate sullo sfondo di colline verdi e prati in fiore. Una grande statua dorata del Buddha in fondo alla sala, circondata da decine di candele e incensi, faceva supporre che quello fosse un altare, e che la sala in cui mi trovavo era il principale luogo di preghiera del monastero. Rimasi per un po’ al centro di quell’enorme sala, a guardarmi intorno con la bocca aperta, tante e tali erano le cose da ammirare. A un certo punto sentii una voce che mi diceva, con una buona pronuncia inglese: “Benvenuto nel nostro monastero. Spero abbia fatto buon viaggio”. Mi girai in direzione della voce, e vidi davanti a me un monaco che mi guardava sorridendo, in attesa della mia risposta. Preso dalle meraviglie del posto, non mi ero accorto del suo arrivo. “Certo, grazie per la magnifica accoglienza”, risposi ricambiando il sorriso. Finalmente sentivo parlare inglese, e la cosa mi rassicurò non poco, dato che fino ad allora, tranne l’addetto all’aeroporto, non ero ancora riuscito a scambiare due parole con nessuna delle persone del posto. Mi spiegò che lui era l’addetto all’accoglienza dei nuovi adepti, e che conosceva benissimo i coniugi che mi avevano ceduto il soggiorno. Si rammaricò per l’incidente occorso alla signora, ma quando tentai di parlargli delle incredibili circostanze grazie alle quali ci eravamo incontrati, interruppe il mio discorso con un laconico: “Accade sempre ciò che deve accadere”. Ebbi la netta sensazione che l’evidente stranezza dei fatti che stavo raccontando non lo impressionasse affatto, e che quella fosse solo una risposta di cortesia, pronunciata per celare una sua visione totalmente differente dell’accaduto. “Deve essere molto stanco – mi disse – l’accompagno nella sua camera, dove potrà consumare la cena e fare un buon sonno ristoratore, per essere pronto domani mattina ad incontrare il Maestro”. Aveva ragione, ero proprio stanco, per non dire distrutto. Apprezzai molto la cortesia che mi riservò, lasciandomi la possibilità di riposare e starmene un po’ da solo. Non avrei gradito in quel momento alcun incontro o colloquio con chicchessia, fosse anche stato Sua Eccellenza il Gran Maestro in persona. La stanza a me riservata era situata in un’altra ala, al piano superiore dell’edificio, raggiungibile attraverso una ripida scala in pietra. La piccola porta in legno della mia camera affacciava, insieme a tante altre, su di un lungo corridoio. Quello doveva essere di sicuro uno dei dormitori del monastero. La stanza era piccolina, con una minuscola finestra posta in alto sulla parete lungo cui era poggiato il letto. Una semplice rientranza nel muro, sulla parete laterale, dava tutta l’impressione di essere l’armadio dove avrei potuto riporre le mie cose. Una sedia e un piccolo tavolo di legno, sul lato opposto, completavano l’arredamento. Nient’altro. Il bagno, mi fu detto, era in comune, e lo avrei trovato in corrispondenza dell’ultima porta in fondo a sinistra di quel lungo corridoio. Quella fu la prima volta, da quando avevo lasciato il mio paese, che mi pentii amaramente di non aver acquistato quel biglietto per New York. Ma ora ero lì, e rimpiangere il passato non aveva alcun senso. Appena entrati nella stanza, il monaco mi chiese con fare molto gentile di consegnarli tutti gli orologi e i cellulari in mio possesso. Tanto, mi disse, i cellulari non funzionavano da quelle parti, e
degli orologi non ne avrei avuto bisogno. Non fui per niente contento di separarmi dalle mie amate cose, ma acconsentii senza protestare. In fondo, ricordai a me stesso, era inutile lamentarsi, visto che ero stato io a scegliere di fare quel viaggio. Almeno così preferivo credere. Il monaco si congedò con un ampio sorriso, dopo avermi detto che l’ora della sveglia l’indomani mattina sarebbe stata alle cinque in punto, e che la cena mi sarebbe stata portata a breve. Qualche minuto più tardi, infatti, due giovani monaci entrarono, portando il primo la mia valigia, e l’altro una ciotola di legno contenente la mia cena. Uscirono subito dopo facendomi ampi e ripetuti inchini, che io puntualmente ricambiai, sforzandomi di muovere il capo il più possibile all’unisono con i loro movimenti. Rimasi da solo, seduto sul bordo del letto in quella minuscola cella di un monastero tibetano arroccato su di una montagna dell’Himalaya, a non so quante migliaia di metri sul livello del mare, a chissà quante centinaia di chilometri dal primo agglomerato urbano, a chiedermi quanto tempo avrei resistito resi stito prima prima di fugg fuggire, ire, e prendere il primo volo disponibile disp onibile per il mio amato amato paese.
Il segreto della felicità “La “La vera generosità verso il futuro consiste nel don are tutto tutto al presente” - Albert Camus
Prima Prima di addorment addormentarm armi, i, la l a sera se ra precedente, pr ecedente, mi mi ero e ro ch c hiesto in i n quale quale modo mi avrebbero avrebber o svegliato la mattina seguente. L’insistente tintinnio dei cimbali che un monaco faceva risuonare passeggiando lungo lungo il corridoi cor ridoio o del dormitorio, dormitorio, oltre ol tre che svegliarmi e riportarm ripo rtarmii bruscam br uscament entee alla all a realtà, rea ltà, diede una una risposta inequivocabile a quell’ingenua e inutile domanda. Mi sedetti sul letto ancora un po’ assonnato, e nel guardarmi attorno notai che sulla sedia accanto a me era poggiato un saio color porpora, di quelli che indossavano i giovani monaci del monastero, con un biglietto in bella evidenza con su scritto “ please “ please wear ”. ”. Chissà come era arrivato lì, dato che avrei giurato di non aver sentito entrare nessuno nella mia stanza quella notte. Ma avevo dormito così profondam profondament entee che di certo non mi sarei svegliato nemm emmeno se fosse venuto venuto a farmi farmi visita visi ta l’Abominevole Uomo delle Nevi. Dopo essermi lavato e rasato nel bagno comune in fondo al corridoio, tornai nella mia camera per vestirmi, e tentai così di indovinare quale fosse il modo corretto per indossare quel saio. Potrebbe sembrare facile, ma se non l’hai mai fatto, non è per nulla semplice capire qual è il verso giusto. Con l’aiuto dell’intuito, e una buona dose di fortuna, dopo qualche impacciato tentativo riuscii finalmente a sistemarlo alla all a meno meno peggio. peggio. Trovai rova i anche anche una una piccol pic colaa tasc tascaa interna interna all’al all ’altezz tezzaa del petto che utilizzai per riporre il mio piccolo registratore portatile, l’unico prodotto della civiltà occidentale che mi mi era e ra stat s tato o concesso di d i tenere. Iniziavo così la mia prima giornata di vacanza, se così la si può chiamare, in quel monastero tibetano, curioso di conoscere il Maestro e ricevere finalmente i suoi preziosi insegnamenti. In fondo era quello il motivo per cui ero finito in quell’angolo sperduto del mondo. Mantenni fermo questo pensiero nella mia mente ente per tutt tutto o il tempo tempo che impiegai impiegai a scendere le scale che conducevano conducevano alla sala principale, probabilmente per convincermi che non potevo abbandonare quel posto, non prima almeno di aver conosciuto il mio mentore e aver scoperto quali incredibili segreti avesse da rivelarmi. Entrando venni investito dall’intenso profumo degli incensi che bruciavano numerosi, in ogni angolo di quella enorme stanza. Una decina di monaci sedevano in circolo su dei cuscini color porpora, intorno a un tappeto variopinto al cui centro poggiava una grande teiera fumante. Riconobbi tra loro il monaco che la sera prima mi aveva accolto e accompagn accompagnato ato nella mia camera. camera. Su di d i un cuscino più grande grande sedeva un monaco apparentemente più anziano, l’unico, tra tutti, con una lunga barba bianca. Intuii senza ombra di dubbio che quel monaco era il Maestro di cui tutti mi avevano parlato. La sua persona costituiva il centro di gravità di quel concilio, dato che ogni monaco volgeva costantemente la propria attenzione verso di lui. Si percepiva chiara nell’aria l’enorme autorità che la sua figura esercitava, riconosciuta senza alcuna riserva da tutti i monaci presenti.
Notai subito che l’età del Maestro non era facilmente determinabile. Era evidente che fosse un uomo molto anziano, ma la sua pelle macchiata e aggrinzita strideva notevolmente con la vitalità e l’energia che emanava in modo netto dal suo sguardo. Guardando i suoi occhi, infatti, ci si dimenticava del tutto di avere di fronte un uomo che con molta probabilità aveva abbondantemente superato i novanta. I monaci più vicini al Maestro parlavano con lui, facendo ampi cenni di assenso con la testa, mentre gli altri si limitavano a guardare e ad ascoltare, sorseggiando una bevanda – forse del thè – da ampie tazze di ceramica variopinta. Tutti avevano un’espressione tranquilla e sorridente, simile a quella che avevo notato in aeroporto nel volto dell’anziano signore che mi aveva offerto il viaggio. Mi avvicinai a piccoli passi, aspettando che qualcuno si accorgesse di me e mi facesse un qualunque cenno per farmi capire come mi sarei dovuto comportare. Tentai di ascoltare le loro parole, ma la lingua che parlavano era per me del tutto incomprensibile. Mi sentivo un intruso, lontano anni luce da quel mondo, del quale non conoscevo pressoché nulla, e al quale sicuramente sapevo di non poter mai appartenere. All’improvviso tutti i monaci, a un cenno del Maestro, si alzarono in piedi, e facendo ognuno un piccolo inchino a mani giunte nei suoi riguardi, si allontanarono velocemente a piccoli passi. Io rimasi immobile, a circa un metro dai cuscini rimasti vuoti, senza sapere cosa fare. Non mi aspettavo di restare solo al cospetto del Maestro, e avrei dato non so cosa per richiamare indietro quei monaci e pregarli di rimanere lì con noi. Il mio imbarazzo però fu subito alleviato dal Maestro, che alzò gli occhi verso di me e con un ampio sorriso mi fece cenno di accomodarmi sul cuscino di fronte a lui. Mi sedetti un po’ impacciato, ostacolato nei movimenti dal lungo saio. Non essendo abituato a portare vesti così larghe, mi preoccupai, una volta accovacciato sul cuscino, di coprire accuratamente la parte inferiore del mio corpo, per non lasciare nulla di scoperto. Non sapevo cosa dire, ammesso che dovessi essere io a parlare per primo. Esordii con un timido “Buongiorno Maestro…” Il Maestro non rispose alle mie parole, rimanendo perfettamente immobile e con gli occhi chiusi. Mi chiesi se mi avesse sentito, pensando che forse avrei dovuto ripetere il mio saluto a voce più alta, se non altro per uscire dall’impasse di quel drammatico momento. Non sapendo cosa fare, decisi alla fine di rimanere in silenzio e, poiché avevo trovato finalmente una posizione confortevole, rimasi ad osservarlo, aspettando che fosse lui a rivolgermi la parola. Il Maestro, restando con gli occhi chiusi ed accennando un sorriso, ruppe finalmente il silenzio e disse: “Sento che la tua mente è irrequieta. Stai ponendo mille domande a te stesso sul perché sei qui, su quale dovrebbe essere il comportamento da tenere, e cosa dovresti fare per compiacermi. La tua mente si agita in modo incontenibile, cercando di immaginare come gli altri potrebbero vederti. Sei in balia di un mondo illusorio dal quale tenti di proteggerti attraverso una frenetica attività mentale, formulando ipotesi su quello che gli altri starebbero pensando di te. Più ti agiti, più le corde immaginarie che ti tengono legato si stringono intorno a te. Sei come un uccellino che si è impigliato nella rete del cacciatore. Si agita sperando di liberarsi, ma il suo dibattersi non fa altro che stringere ancora di più le maglie che lo tengono prigioniero. Non ti
accorgi però di essere sia il cacciatore che l’uccellino, e ti dibatti inutilmente con la speranza di ar fronte a una situazione che tu stesso hai creato.” Rimasi sbalordito nel sentire quelle parole. Sembrava che il Maestro riuscisse a leggermi nel pensiero, perché aveva espresso le mie sensazioni meglio di quanto avrei potuto fare io stesso. In effetti, mi stavo preoccupando esclusivamente di quello che il Maestro e gli altri monaci avrebbero potuto pensare di me. Ero impacciato in quelle vesti, e questo mi faceva pensare che quel mio imbarazzo fosse del tutto evidente ai loro occhi. Questo pensiero mi stava attanagliando la mente senza tregua fin dal primo momento in cui avevo messo piede in quella sala. Finalmente il Maestro aprì gli occhi, uscendo da quell’apparente stato di trance attraverso il quale sembrava poter sondare la mia mente: “ Rilassati – mi disse accennando nuovamente un sorriso – tutte le volte che ti preoccupi di quello che gli altri pensano di te, diventi loro prigioniero. La tua mente crea la situazione, e poi inizia a combatterla per cercare di uscirne. Puoi liberarti del problema solo dopo aver compreso che non esiste alcun problema, se non nella tua mente. Questo è sempre vero, anche quando credi di essere in situazioni senza alcuna apparente via d’uscita. Hai la possibilità di far sparire i tuoi roblemi in qualsiasi momento, semplicemente comprendendone la natura illusoria, ma soprattutto realizzando di esserne l’unico artefice.” “Le chiedo scusa Maestro – replicai – ma deve comprendere che mi trovo in una situazione del tutto nuova…” Mi interruppe subito dicendo: “ Non devi scusarti di nulla, perché di nulla è fatto ciò che credi di sperimentare. Le tue scuse dimostrano che sei ancora imbrigliato nella situazione illusoria creata dalla tua mente. Abbassa le tue difese, esci dall’illusione. Le tue orecchie sentono le mie parole, ma la tua mente si rifiuta di comprenderne il senso.” A questo punto smise di parlare e chiuse di nuovo gli occhi, aggrottando le folte sopracciglia bianche, come se stesse sondando di nuovo i miei pensieri. “Hai bisogno di calmare la tua mente – continuò – e ritrovare il centro del tuo essere, prima di oter essere in grado di comprendere i miei insegnamenti. Ora chiudi gli occhi, e fai esattamente quello che ti dico. Concentra tutta la tua attenzione sul respiro…” Feci come il Maestro mi indicava, cercando di rimanere il più possibile immobile. Mi resi conto che il mio respiro era teso e poco profondo, probabilmente a causa della tensione che sentivo in quel momento. E’ incredibile scoprire che, fin quando non si presta attenzione al proprio corpo, questo si comporta in modo meccanico, riflettendo tutte le tensioni emotive del momento. “ Respira con la parte bassa del torace – mi disse, parlando lentamente e con un tono di voce basso – rallenta il ritmo e aumenta la profondità del tuo respiro. Fermati per qualche istante tra l’espirazione e l’inspirazione successiva. Osserva con molta attenzione quel breve intervallo, sentendo la vitalità che permea il tuo corpo. Senti di essere seduto qui, in questo momento. Senti di essere vivo. Rivolgi la totale attenzione verso il tuo essere… Senti di essere, e basta.”
A quel punto smise di parlare, lasciandomi sperimentare quello che mi aveva appena indicato di fare. Rimasi lì ad occhi chiusi, ad ascoltare le mie sensazioni interne, per un tempo che non saprei ben definire. “Osserva il tuo corpo e la tua mente – continuò – come se non ti appartenessero. Identificati con colui che osserva, e non tentare in alcun modo di contrastare le tue emozioni o i tuoi pensieri. Lascia che tutto avvenga. Tu credi di poter avere il controllo su ciò che accade al tuo interno, ma tutta l’energia che impieghi nel tentare di controllare ciò che è incontrollabile, si ritorce inesorabilmente contro di te. Le cose accadono e basta. La tua capacità di scelta si traduce solo nella possibilità di decidere se combatterle, o osservarle.” Fece di nuovo una lunga pausa, probabilmente per permettermi di rilassare la mia mente e lasciare andare qualunque tentativo di controllarla. Devo dire che la cosa pareva funzionare, perché il mio respiro si andava facendo via via sempre più calmo e profondo, e sperimentai una quiete mentale che solo un momento prima avrei pensato fosse impossibile da raggiungere. “Ora sei più tranquillo. Riapri gli occhi, e ascolta. Per gran parte della tua vita hai sperimentato l’inutilità della resistenza verso i tuoi pensieri e le tue emozioni. Hai anche sperimentato quanto sia inutile tentare di operare qualsiasi tipo di controllo, ma la scarsa attenzione verso la tua realtà non ti ha mai permesso di trarre un insegnamento da tutto ciò. onostante l’evidenza del fallimento di questo assurdo atteggiamento, hai sempre ostinatamente rifiutato di riconoscere questa verità. E’ tutta qui la chiave dell’esistenza. Ti sto rivelando uno dei concetti fondamentali che devi sempre tenere a mente.” Il discorso mi scosse non poco, considerando che stava mettendo in discussione, in un sol colpo, un castello di credenze su cui avevo basato l’intera mia esistenza. Non potei quindi fare a meno di obiettare: “E’ difficile Maestro riuscire a rimanere impassibili di fronte alle vicissitudini della vita. Pensieri ed emozioni non sono altro che il normale effetto indotto nella mente dagli eventi che viviamo. E’ normale essere tristi se ci accade qualcosa di spiacevole, o agitati se ci troviamo in una situazione non confortevole.” Il Maestro rimase impassibile alle mie parole, e mi fissò dritto negli occhi, facendo trascorrere nel silenzio alcuni interminabili secondi. Probabilmente, pensai, non avrei dovuto interromperlo con le mie stupide obiezioni. Ero lì per imparare, e quel silenzio assordante che faceva da sottofondo al suo sguardo penetrante, probabilmente aveva lo scopo di ricordarmelo. Poi, avendo forse percepito il mio forte imbarazzo, con tono amorevole e pacato mi rassicurò dicendo: “Capisco la tua difficoltà a comprendere ciò che sto dicendo, e posso anche capire il tuo disagio quando non rispondo immediatamente alle tue obiezioni. Non devi intendere le mie pause come una forma di disappunto rispetto alle tue parole, né come una forma di giudizio. Si tratta invece di uno strumento che serve per tenere a bada la parte meccanica del proprio essere. Imparerai che la mente identificata con l’ego vuole a tutti i costi avere ragione, e lo fa in modo
compulsivo, non controllato. Un essere non identificato con la propria mente ha imparato a essere resente e a osservare le reazioni dell’ego, che vorrebbe invece rispondere immediatamente, contrapponendo con veemenza le proprie ragioni. La pausa è il mezzo con il quale il saggio mette a tacere la mente egoica, osservando le proprie reazioni, e non identificandosi con esse. Un essere risvegliato non potrà mai essere trascinato senza il suo volere in nessun tipo di confronto, né verbale né fisico. Capirai l’importanza delle pause quando avrai imparato ad essere resente a te stesso, e ad osservare la tua mente con distacco.” Ero seduto lì da pochi minuti, e già avevo ricevuto una moltitudine di insegnamenti. Capii che persino le pause rappresentavano una preziosa occasione per imparare qualcosa. Iniziavo ad esser grato per quella fantastica ed insolita esperienza. “Ora, riguardo alla tua obiezione – continuò il Maestro – potrebbe apparire ovvia agli occhi di chi non sa come funziona davvero il mondo. Il grande errore che stai facendo è quello di non capire che ciò che apparentemente può sembrare la causa, in realtà ne è solo l’effetto. Non sei triste perché ti è accaduto qualcosa di spiacevole, ma ti accade qualcosa di spiacevole perché hai coltivato l’abitudine a essere triste. Non conoscendo questa importante legge, tendi a ignorare la causa principale di qualsiasi evento della tua vita. Prima di tutto viene il pensiero, che è l’unica e sola causa di tutto ciò che accade. Poi, osservando il risultato della tua creazione, reagisci in modo meccanico ad essa, inendo per credere che la tua emozione sia il risultato dell’evento esterno. Hai semplicemente invertito l’effetto con la causa, ma soprattutto stai ignorando il vero scopo di tutto questo meccanismo di creazione.” “Ascoltami con attenzione – disse con fare serio, alzando l’indice della mano destra, a sottolineare l’importanza di quanto mi stava rivelando – sei qui per creare la tua realtà, con l’unico scopo di farne esperienza. Sei l’osservatore, che con l’atto della semplice osservazione può decidere su cosa porre la propria attenzione. Ma sei anche un essere divino, e in quanto divino, l’Universo non può fare altro che rispondere assecondando i tuoi pensieri, e materializzando nella tua realtà tutto ciò su cui posi la tua attenzione. Sei tu l’origine di tutto. Ecco la chiave dell’esistenza. Non hai alcuna possibilità di modificare ciò che stai sperimentando nel qui e ora. E’ lì perché lo hai chiesto, e il tuo unico compito è quello di farne esperienza. Ciò che sperimenti è il risultato delle tue scelte precedenti, che una volta materializzate non sono più modificabili, in quanto cristallizzazioni di pensieri passati. La realtà che sperimenti è come la creta modellata dalle abili mani di un artigiano. Finchè non viene posta in forno per la cottura può essere modellata in qualsiasi forma, ma una volta cotta, quella creta risulta non più modificabile. Sarebbe stupido per quell’artigiano voler modificare il risultato inale della sua opera agendo con un martello, perché otterrebbe solo un cumulo di cocci. Allo stesso modo è altrettanto stupido contrapporsi al momento presente attraverso la lamentela, il giudizio o la rabbia. Facendo così rinunci al tuo potere, delegandolo all’esterno. Contrapponendoti al momento presente stai di fatto rinnegando la tua stessa creazione. Dimostra
invece la tua saggezza agendo sulla vera causa. Devi agire sui tuoi pensieri, comprendendo che tutto ciò che vedi è solo la materializzazione delle tue scelte precedenti. Se impari ad agire modificando ciò che accade al tuo interno, la realtà non potrà che riflettere questo tuo cambio di rospettiva, non c’è altra possibilità. Ti hanno sempre insegnato che il libero arbitrio si esprime nella libertà di fare, quando invece rappresenta esclusivamente la libertà di scegliere dove porre la propria attenzione, che si traduce nella libertà di scegliere cosa sperimentare. Se qualcosa non ti piace, puoi semplicemente distogliere la tua attenzione da essa, concentrandoti invece su quello che desideri, al fine di farne esperienza. Questo è il libero arbitrio di cui, in quanto essere divino, sei stato dotato fin dalla nascita. E’ l’unico libero arbitrio esistente in natura, e quindi l’unico che tu abbia la facoltà di esercitare. Questa verità è sempre stata davanti ai tuoi occhi, perché hai avuto modo di sperimentare più volte gli effetti deleteri della tua ottusa resistenza verso le cose del qui e ora che non soddisfacevano le tue aspettative. Ebbene, ponendo l’attenzione su di esse non hai fatto altro che chiederne ancora all’Universo, che come ti ho detto non può che ubbidire ai tuoi voleri. Hai la facoltà di scegliere attraverso la tua attenzione, ed è così che crei la realtà che andrai a sperimentare. Questa è la grande e unica verità che la tua cecità non ti ha mai permesso di vedere.” Non credevo alle mie orecchie. Trovavo semplicemente fantastica l’idea che il libero arbitrio non fosse altro che la libertà di scegliere i propri pensieri, e che questa scelta si traducesse poi in successive esperienze di vita. Il Maestro in poche parole mi aveva spiegato una delle più importanti verità su come funziona il mondo. Era la spiegazione più sensata e plausibile che avessi mai ascoltato su quella che in occidente chiamiamo la legge di attrazione. La calma interiore che avevo sperimentato in quella breve meditazione mi aveva fatto comprendere quanto fosse inutile combattere le proprie emozioni, o la realtà esterna. E quanto invece fosse semplice ritrovare la serenità e riprendere il controllo della propria mente attraverso l’osservazione. Controllare significa osservare e assecondare, non combattere. Ora mi era chiarissimo. Mentre ascoltavo le parole del Maestro un giovane monaco si avvicinò e mi versò in una ciotola un po' di thè dalla teiera fumante che era al centro del tappeto sopra il quale eravamo seduti. Lo ringraziai con un cenno del capo, ricevendo in cambio un inchino e un largo sorriso, mentre a mani giunte e a capo chino si allontanava da noi, camminando all’indietro, credo in segno di rispetto nei confronti del Maestro. Osservando l’espressione serena di quel giovane monaco mi ritornò alla mente la gioiosa accoglienza che ricevetti al mio arrivo, e le facce sempre sorridenti di chiunque avessi incontrato in quel monastero. Lo stesso Maestro aveva un fare gentile e amorevole nei miei confronti, benché apparentemente non ne avesse alcun motivo. Mi stavo rendendo sempre più conto di essere capitato
in uno strano mondo, dove la tristezza sembrava essere bandita, e dove tutti erano sempre e comunque felici e sereni. La cosa mi incuriosiva, perché non riuscivo a capire il motivo di tanta gioia, quindi provai a chiedere: “Maestro, ho notato che tutte le persone che vivono in questo monastero sembrano essere perennemente felici. La loro espressione denota una serenità interiore che sembra prescindere da quello che accade esternamente. Per me è davvero difficile comprendere come si possa essere felici senza alcuna ragione apparente. Qual è il segreto di tanta serenità?” “ La serenità deriva da una profonda conoscenza della propria intima natura - rispose con tono calmo e pacato - Se tu sapessi di essere eterno, e che nulla di quanto vedono i tuoi occhi potrà mai arrecarti del danno, non saresti anche tu felice di vivere questa esperienza terrena? Non saresti elice se fossi a conoscenza del fatto che quello che stai vivendo è solo un meraviglioso sogno, e che tutto l’Universo trama a tuo favore, affinchè tu possa elevare sempre di più la tua consapevolezza e avvicinarti così alla tua vera essenza divina?” Non riuscivo a comprendere del tutto quello che il Maestro mi stava dicendo. Il mondo per molte persone è un luogo di sacrifici e di dolore, dove esistono guerre, ingiustizie e atrocità di ogni genere. Non mi era per niente chiaro come il conoscere la propria natura potesse alleviare queste sofferenze e rendere felice una qualsiasi persona, a prescindere da quello che accade intorno a lui. Mentre facevo questi ragionamenti, devo aver modificato la mia espressione e rivelato in qualche modo le mie perpressità, perché il Maestro dopo una breve pausa riprese a parlare: “ E’ normale che tu continui a essere confuso riguardo a ciò che ti sto dicendo. Non potrai mai comprendere le mie parole finchè continuerai a credere che la felicità debba necessariamente dipendere da qualche causa esterna. Finchè cercherai la tua felicità al di fuori di te, sarai destinato ad un sicuro fallimento. Aspettando una causa esterna stai solo confondendo la causa con l’effetto. Ricordi? Ti ho appena detto che sei tu l’origine di tutto. Non esiste altra causa al mondo all’infuori di te. Questo vuol dire che devi prima creare l’effetto desiderato, e la causa si manifesterà.” “Maestro - obiettai - come faccio a creare l’effetto, se quell’effetto non si è ancora manifestato nella mia vita? Se desidero tanto possedere qualcosa, come faccio a creare prima quella cosa? Sono davvero confuso…” “Stai puntando l’obiettivo sbagliato - rispose il Maestro - devi prima comprendere bene cosa si intende per effetto. Chiediti qual è lo scopo di qualsiasi tuo desiderio. Tu non desideri avere qualcosa per il semplice scopo di possederla, ma per assaporarne la gioia del possesso. L’effetto inale a cui aspiri, quindi, non è il possesso fine a se stesso, bensì l’emozione che viene generata da quel possesso. Tu non intendi possedere cose. Tu intendi essere felice, e credi erroneamente che la felicità possa derivare dal possesso di qualcosa di materiale, perdendo di vista il vero scopo inale. Ecco il grande fraintendimento di cui sei vittima, ed ecco il motivo per cui credi di non poter essere davvero felice senza alcuna causa apparente. L’effetto finale a cui aneli è la tua emozione
di gioia, che rappresenta l’unica cosa che sei in grado di controllare, e sulla quale hai potere esclusivo e incondizionato. Ricordi l’esempio del vaso di argilla? Puoi modellare quel vaso attraverso le tue emozioni, che sono sotto il tuo diretto controllo. Essere felici è una scelta, che deve prescindere da qualsiasi ottenimento materiale. Sii felice, e il mondo dovrà escogitare necessariamente qualcosa per giustificare quella tua elicità. Crea l’effetto, e la causa si manifesterà. Questo è il grande segreto che, benchè fosse da sempre davanti ai tuoi occhi, hai sempre costantemente ignorato.” “Maestro, comprendo che il fine ultimo non è possedere cose, bensì godere della felicità di possederle, ma continuo a non comprendere come sia possibile essere felici senza che esista prima un motivo che giustifichi tale felicità. Per quanto mi possa sforzare, è davvero difficile se non impossibile credere che si possa produrre artificialmente un qualunque stato mentale, sia esso di felicità o anche di tristezza. La prego di spiegarmi come questo possa accadere.” “Credi di non saperlo, ma in realtà la soluzione è davvero semplice, ed è sempre stata sotto i tuoi occhi. Dimostri di essere del tutto cieco quando dici di non avere alcun motivo per essere elice, qui e ora. Ricordi? Quando quel discepolo poco fa ti ha versato del thè, lo hai ringraziato, e questo ti ha atto sentire bene per un po'. La gratitudine è uno dei più potenti strumenti per indurre uno stato di beatitudine nella tua mente, scacciando da essa tutti i pensieri illusori di paura e di reoccupazione. Hai ringraziato perchè hai ottenuto qualcosa che ritenevi piacevole, e che forse era anche tuo desiderio avere. Guardati intorno, e guarda quante cose sono già a tua disposizione, esattamente come il thè che stai assaporando. Godi di ottima salute, possiedi una casa, hai tante cose che riempiono la tua vita e ti permettono di essere felice. Se non le avessi, desidereresti sicuramente averle, e non avresti alcun dubbio riguardo al fatto che arrivare a possederle ti renderebbe felice. Ma quelle cose le hai già. Perché non sei felice allora? Per quale motivo, inoltre, ti sei sentito in dovere di ringraziare il discepolo per averti versato del semplice thè, e invece non senti di dover ringraziare l’Universo per tutte le bellissime cose che anno già parte della tua vita? Ecco la strada verso la felicità. Non devi aspettare che ti accada qualcosa nel futuro, perché il futuro è solo un’illusione creata dalla tua mente. Puoi invece sentirti grato, nel qui e ora, per tutto ciò che già possiedi e che rende piacevole la tua vita. Ringrazia allora ogni mattina il letto che ti ha tenuto al caldo tutta la notte; ringrazia il tuo corpo perchè ti permette di vivere e assaporare le cose belle della vita. Ricorda ogni giorno di esprimere immensa gratitudine per la tua casa, o il cibo che mangi. Celebra con gioia tutto ciò che già hai, e così facendo ti avvicinerai alla verità, a ciò che sei veramente, e questo porterà alla luce la tua felicità. Ricorda, stai creando un mondo che ha l’unico scopo di dare conferma alle tue emozioni e sensazioni. Ora sai che esercitando il tuo libero arbitrio puoi facilmente scegliere dove dirigere la
tua attenzione, e quindi controllare quello che provi. Questo vuol dire che hai anche la chiave per oter scegliere ciò di cui fare esperienza.” Avrei voluto replicare al Maestro che, benché avessi compreso l’importanza di essere grato per le cose della vita, non avevo ancora ben chiaro il nesso tra la gratitudine, la verità e la felicità, ma al mio accenno a parlare venni subito fermato da un suo gesto della mano, che mi fece comprendere di dover tacere e continuare ad ascoltare. “Continui ad assecondare la tua mente irrequieta, che cerca ottusamente di comprendere e di riportare a qualcosa di conosciuto ciò che dico. Non puoi afferrare con la mente ciò che non appartiene al regno della mente. Ascoltami attentamente: a differenza dell’illusione, alla verità non serve alcuna conferma, e non ha bisogno che tu le creda per esistere. E’ già lì, esiste da sempre, e continuerà ad esistere anche dopo che l’ultima delle tue illusioni sarà svanita. Quello che devi fare è solamente eliminare tutto ciò che non è reale e che impedisce alla verità di venire in superficie. Ebbene, forse la cosa ti stupirà, ma devi sapere che la verità e la felicità sono esattamente la stessa cosa. Anzi, più esattamente, la felicità è un altro dei tuoi sensi, che ti fa comprendere quanto tu sia vicino alla verità. Più sei immerso nell’illusione, più sei lontano dalla verità, e più avverti la mancanza di elicità. Quando la tua mente è invasa da pensieri di preoccupazione o di paura, stai dormendo benchè i tuoi occhi siano aperti, pienamente immerso nel tuo sogno, lontanissimo dalla verità. Il tuo sogno ti fa credere nell’esistenza di un mondo che non esiste, e ti scherma da quella che è la verità ultima, alla quale puoi avvicinarti solo eliminando gli innumerevoli strati che, come nuvole rige, ti impediscono di assaporarne la luce e il calore. Quando apprezzi qualcosa, e di conseguenza ti senti grato, stai semplicemente eliminando alcune di quelle barriere, perché attraverso la gratitudine sgomberi la mente da qualsiasi altro rumore, avvicinandoti alla verità. In quel momento ti senti un po' meglio, perchè inizi a intravedere la vera realtà, che, così come fanno i raggi caldi del sole, ti dona sollievo. Ebbene, quel sollievo è ciò che percepisci come felicità. E’ sempre presente, al di là dei tuoi miseri pensieri di paura, esattamente come i caldi raggi del sole sono sempre là, al di là dello strato di nubi.” La felicità è sempre presente? Davvero sconcertante. Improvvisamente realizzai che quel senso di inquietudine che alberga costantemente nella nostra mente non è altro che il risultato del rumore mentale che, a detta del Maestro, ci tiene lontani dalla Verità, e quindi dalla conseguente felicità. Per poterla percepire bisogna eliminare gli strati dell’illusione che ci tengono lontano da lei. Incredibile quanto rendiamo la nostra vita artificialmente difficile, attraverso le nostre stupide e inutili elucubrazioni mentali. La felicità è davvero a portata di mano, basta volerlo. Ora iniziava a diventarmi chiaro per quale motivo quei monaci erano tutti così apparentemente felici. Avevano semplicemente eliminato qualsiasi ostacolo verso quella che il Maestro chiama la Verità. A quel punto, però, non potei fare a meno di chiedere: “Maestro, mi è tutto molto più chiaro.
Comprendo come l’apprezzamento e la gratitudine mi possano permettere di mantenere la mente libera da pensieri negativi che mi allontanano dalla verità. Ma ho ancora un grande dilemma da risolvere: cos’è questa verità di cui parla? Dove la trovo e come faccio a riconoscerla rispetto all’immenso oceano di illusione in cui sono costantemente immerso?” “Aiutami ad alzarmi e te lo mostrerò” - mi disse, tendendomi una mano.
Ascolta quel fruscio… “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?” - Matteo, 6,26
Ebbi finalmente la possibilità di vedere il Maestro in piedi, di fronte a me, e benché di statura non elevata - era infatti alto poco più di un metro e sessanta - mi sentivo piccolo al suo cospetto. La sua figura emanava un’autorità e una ‘grandezza’ che si potevavo percepire in modo netto, semplicemente standogli accanto. La sua schiena era eretta, nonostante l’avanzata età, la testa dritta e lo sguardo profondo. I suoi movimenti erano alquanto lenti, ma non a causa dell’età. Sembravano piuttosto ‘studiati’, frutto di una meticolosa e costante attenzione ai suoi gesti, all’intero suo essere e a tutto ciò che lo circondava. Anche questo rappresentava per me un’evidente dimostrazione di cosa volesse dire vivere con presenza, costantemente nel qui e ora. Mentre scrivo queste parole mi rendo conto di quanto sia difficile trasmettere, a chi non ne ha fatto conoscenza diretta, quello che provai al suo cospetto. Il Maestro mi fece cenno di seguirlo, mentre si incamminava lentamente verso una piccola porticina di legno posta su di una parete in fondo alla sala. Si trattava della parete posteriore, opposta a quella da cui si accedeva, rivolta verso la montagna. Per questo non capivo dove potesse condurre visto che, apparentemente, da quella parte doveva esserci solo la parete rocciosa. Prima di aprire la porta, il Maestro si fermò e si girò verso di me, forse per essere sicuro che lo avessi seguito. Aprì quindi la porta, e la attraversammo. Non potevo credere ai miei occhi. Mi trovavo di fronte a un bellissimo giardino, ricavato all’interno di un’ampia insenatura della montagna, posta alle spalle dell’edificio principale del monastero. Il terreno era ricoperto da un manto erboso curatissimo, di un verde acceso e compatto. Piccoli fiorellini colorati spuntavano qua e là, fornendo un facile punto di appoggio per lo svolazzare festoso di decine di piccole farfalle dalle ali bianche. Una folta vegetazione si arrampicava su per la parete rocciosa, dalla quale scendeva con fragore una piccola cascata, molto probabilmente formata dalle acque piovane che si raccoglievano lungo il fianco della montagna, per poi ricongiungersi a formare quella piccola caduta d’acqua che, una volta a terra, andava ad alimentare un ruscello che attraversava il giardino per tutta la sua lunghezza. L’acqua così incanalata, alla fine della sua corsa, si tuffava in un piccolo laghetto alla mia sinistra, sul quale galleggiavano placide e imperturbabili alcune grandi foglie di loto. Un vero spettacolo della natura, del tutto nascosto agli occhi indiscreti di qualsiasi visitatore occasionale. Nessuno infatti avrebbe potuto mai immaginare cosa si nascondesse dietro quell’innocua porticina di legno, posta nell’angolo più remoto e buio di quell’enorme sala. “Maestro - esclamai - è meraviglioso! Mai avrei immaginato che potesse esistere un luogo così bello dietro quella porticina”
“ E’ proprio questo il tuo problema - rispose il Maestro - dai per scontate cose che non lo sono affatto. L’intera tua vita è basata su assunzioni che, alla luce di una banale verifica, si rivelerebbero del tutto infondate. In questo caso ti sarebbe bastato attendere e vedere cosa c’era al di là di quella porta, e invece hai usato la tua mente per formulare ipotesi che poi si sono rivelate del tutto errate. Ne ho avuto conferma semplicemente guardando il tuo viso mentre ti avvicinavi a quella porta. Vi ho letto tutti i dubbi che attanagliavano la tua mente, frutto di mille assunzioni che, in modo del tutto arbitrario e senza alcuna ragione, stavi dando per scontate in quel momento. Vivi in un mondo illusorio in cui dai per certe tantissime cose, ma non ti accorgi che nessuna di esse è vera. Sono solo il frutto di illusioni derivanti da convinzioni che, per lo più, hai acquisito dagli altri, e alle quali hai ciecamente creduto. Dai per scontato che il mondo che vedi abbia una consistenza reale, e che continui ad esistere anche senza di te. Dai per scontato che non possa accadere nulla senza una causa pregressa, e di conseguenza non credi nella possibilità di essere felice a prescindere. Ma questa credenza limita fortemente qualunque aspetto della tua vita. Non ti rendi conto che vivi costantemente in un mondo nel quale uoi fare esperienza solo di ciò che corrisponde alle tue più intime credenze. La tua ottusa credenza che non possa accadere nulla di piacevolmente inaspettato rende la tua vita sempre uguale e monotona.” Aveva perfettamente ragione. Aveva colto in modo perfetto la mia assunzione che dietro quella porta non potesse esserci nulla di interessante. Era come se possedesse l’incredibile capacità di captare i miei sentimenti e i miei pensieri più intimi, e nulla potesse essere nascosto alla sua percezione. Questo mi faceva sentire un po' a disagio, lo devo ammettere. Non capivo come riuscisse a farlo. Forse la mia espressione facciale rivelava costantemente quali fossero i miei pensieri e le mie considerazioni, o forse possedeva delle capacità sensoriali diverse da quelle di noi comuni mortali, che gli permettevano di scandagliare e percepire tutto ciò che mi passava per la mente. Qualunque fosse la risposta, comunque, mi sentivo come nudo al suo cospetto, e probabilmente anche questo fatto era a lui noto, tantè che più di una volta, quella mattina, aveva cercato di attenuare il mio disagio con ampi sorrisi e toni concilianti, nella costante ricerca di ridurre l’enorme distanza che, almeno apparentemente, ci separava. “Mi hai chiesto cos’è la verità - continuò, dopo avermi concesso una breve pausa di riflessione ebbene, ci arriveremo per gradi, perché la strada che porta a comprendere cos’è la verità è lunga e tortuosa, e richiede che lungo il percorso tu riesca a demolire tante false credenze su te stesso e sul mondo. La prima cosa che devi sapere è che la verità è dentro di te, fa parte del tuo essere, ma dai per scontato che si trovi altrove, nascosta chissà dove là fuori, forse in un libro, o nelle parole di un guru. Sarai destinato ad una ricerca vana, fino a che non capirai di dover cercare al tuo interno, nell’unico posto in cui puoi trovare la verità. Dentro di te c’è un giardino stupendo, di cui non sospetti lontanamente l’esistenza. A volte percepisci la via per accedervi, ma così come hai fatto con quella piccola porta, la ignori credendo sia del tutto insignificante. L’ingresso in quel
meraviglioso giardino è possibile solo in quei rari momenti in cui la tua mente è in assoluta quiete, momenti ai quali però non presti alcuna attenzione, nell’errata convinzione che il silenzio non possa condurti da nessuna parte. Se invece ti soffermassi ad osservare quel silenzio, ti accorgeresti che quella è la porta che ti conduce verso la verità, verso Chi Sei veramente. Tutto il resto è solo rumore mentale, e come tale non ha alcuna consistenza reale. E’ ciò che crea l’illusione in cui sei costantemente immerso, credendo sia la realtà.” “Quindi la verità va scovata e riportata alla luce, Maestro, affinchè possa essere riconosciuta e fatta emergere al di sopra di ciò che è solo illusione” - Affermai, riuscendo a malapena a nascondere l’orgoglio per aver forse compreso cosa volessero davvero dire le parole del Maestro. “Non si può scovare nè riportare alla luce ciò che, in realtà, è già luce. Il Sole non è minimamente intaccato dall’alternarsi del giorno e della notte sulla terra. La sua luce esiste a rescindere da qualsiasi altra cosa. Il Sole sa perfettamente che il buio non esiste come entità a se stante, ma può essere concepito solo come assenza di luce, come qualcosa cioè che può essere descritta solo in funzione della sua causa primaria, che è la luce stessa. Non puoi diventare mercante di buio, perchè ti renderesti subito conto della difficoltà che avresti a porre in vendita qualcosa che non esiste.” Ancora una volta il Maestro doveva aver letto nei miei occhi l’estremo sforzo che stavo sostenendo nel seguire il suo discorso: “Comprendo la tua difficoltà ad afferrare quanto ti sto dicendo - mi rassicurò - ma una volta che avrai ben chiaro il motivo della totale inconsistenza di ciò che non è reale, avrai la strada spianata nel trovare una risposta alle tue domande. L’illusione, così come il buio, non può vivere di vita propria. Questo è il primo prezioso indizio che posso darti per aiutarti a riconoscere cosa non è reale. Così come il buio scompare quando viene illuminato, così l’illusione si dissolve e rivela la sua natura effimera quando viene posta di ronte alla luce della verità.” “Mi perdoni Maestro, ma ho l’impressione di essere tornato al punto di partenza, perché lei mi dice che per scoprire cosa non è reale devo usare la luce della verità, ma il mio problema è che non so cos’è la verità, quindi come potrei usarla per illuminare ciò che è falso?” “La tua mente scalpita ed è impaziente come un cagnolino che si agita e salta nel tentativo di afferrare la ciotola del cibo che il padrone gli sta preparando, non capendo che quel cibo sarà comunque suo, basta saper attendere. Così come il cibo deve essere preparato prima di poter essere mangiato da quel piccolo cane, così la tua mente deve essere ben preparata prima di poter comprendere a fondo il significato di cosa io sto dicendo. Il vero passo avanti lo fai se comprendi che l’illusione, non potendo vivere di vita propria, ha bisogno di te per esistere. Ha assoluto bisogno del fatto che tu la creda reale, altrimenti non avrebbe alcun modo per manifestarsi. L’illusione è tenuta in vita dalla tua credenza, che a sua volta è alimentata dalla tua inconsapevolezza. Il risultato è che sei prigioniero di un sonno
rofondo, dove la luce della verità non può arrivare, ma non ti accorgi di essere sia il prigioniero che il carceriere. Vivi in un sogno, ma il sogno non può esistere senza un sognatore. Ora forse stai iniziando a comprendere perchè dico che sei l’origine del tuo mondo. Quel mondo non ha alcuna consistenza, benchè tu lo creda reale, e di conseguenza non può esistere senza che tu lo ricrei, istante per istante, a immagine e somiglianza di come credi che quel mondo debba apparire.” Ricreare il mondo istante per istante? La cosa lì per lì mi sembrò del tutto assurda. Com’è possibile ricreare in ogni momento qualcosa che già esiste? Il mondo lo vedo qui, intorno a me, e benché il Maestro mi avesse già detto che io ne sono l’origine, non mi era per nulla chiaro cosa volesse dire con quel ‘ricreare’. Poi ripensai ad alcuni concetti di fisica quantistica, e mi tornò in mente il cosiddetto ‘brodo quantico’. Di fatto qualsiasi spazio vuoto, secondo questa teoria, non è vuoto affatto, perché in realtà è composto da un continuo ribollire di particelle che entrano ed escono da quello spazio continuamente. Secondo questa teoria, la nostra osservazione ‘estrae’ letteralmente da quel brodo solo le configurazioni di particelle che vanno a comporre gli oggetti e gli eventi del mondo che vediamo in ogni istante. Forse è questo il meccanismo fisico a cui si riferisce il Maestro quanto dice che il mondo viene ricreato istante per istante. Possibile che certe dottrine orientali avessero conoscenze di concetti quantistici fin dalle epoche più remote? Evidentemente sì, e questo fatto non era confermato solo da quello che il Maestro mi stava dicendo in quel momento, ma da tutta una serie di concetti che avevo già notato essere del tutto simili a quelli che la scienza ufficiale sta scoprendo in questi ultimi decenni. Pertanto mi venne spontaneo parlarne con il Maestro: “Ciò che sta dicendo mi fa tornare alla mente una teoria di fisica quantistica - dissi - secondo la quale è possibile estrarre potenzialmente qualunque cosa da una qualsiasi porzione di spazio vuoto. E’ così che creiamo il mondo?”
“Gli scienziati del tuo mondo sono lontanissimi dal comprendere la realtà - mi rispose rivolgendo lo sguardo in alto, verso uno stormo di uccelli che si era alzato in volo - credono di osservare un mondo pre-esistente, separato da loro. Non si può spiegare la materia con la materia, o l’energia con l’energia. Fino a che non introdurranno la Coscienza all’interno delle loro ormule, non potranno mai arrivare ad afferrare la vera natura delle cose. Credono di scoprire un mondo che in realtà stanno creando loro stessi, nel quale troveranno sempre conferma ad ogni loro teoria, anche la più stravagante. Se un numero sufficiente di scienziati crederà in quella teoria, allora prima o poi verrà confermata da qualche esperimento. E’ solo questione di tempo. Questa verità è da sempre sotto i loro occhi, basterebbe osservare da un altro punto di vista ciò che è successo nella storia delle scoperte scientifiche, per averne conferma. Per esempio, se la ormula che ipotizza l’esistenza di una nuova legge fisica è ritenuta sufficientemente attendibile da parte della comunità scientifica, ed è per giunta elegante dal punto di vista matematico, allora uoi star certo che quella legge troverà conferma prima o poi in qualche esperimento. Questa verità è sempre stata lì, in bella evidenza, ma gli scienziati non potranno averne coscienza fino a che non comprenderanno di essere gli unici artefici del mondo che stanno sperimentando.”
“Maestro - obiettai - se quella legge fisica viene scoperta è perché già esisteva, ed è quindi sempre esistita. Non posso credere che inizi ad esser vera solo perché qualche scienziato ne ha ipotizzato l’esistenza. Quello che mi sta descrivendo è un mondo troppo strano per essere credibile.” “ Il mondo che vedi lo stai creando tu, quindi si uniforma a quelle che sono le tue credenze sul come esso debba apparire o comportarsi. Le leggi fisiche non sono per nulla già determinate. A differenza di quello che credono gli scienziati, l’Universo non è altro che la costante espressione del livello di consapevolezza dell’umanità, manifestando leggi che possono variare in funzione di quello che può essere comunemente accettato come vero. La scienza non può spiegare il sogno, erché è una delle tante manifestazioni del sogno stesso. Puoi accorgerti che stai sognando solo quando esci da quel sogno, e guardi la tua realtà con occhi diversi, i l che può avvenire solo ad un livello di consapevolezza più elevato. So che può sembrare incredibile per chi come te pensa ancora che il mondo sia qualcosa di esterno e di esistente a prescindere da chi lo osserva, ma è roprio ciò che accade, e alcuni studiosi del tuo mondo se ne stanno accorgendo.” “Rimane il fatto che una legge fisica, per poter essere scoperta, deve esistere già nell’Universo…” - dissi - ma a essere sincero non ero più tanto convinto di questa affermazione, considerando che il Maestro stava demolendo pezzo dopo pezzo tutte le mie certezze. “Stai di nuovo confondendo la causa con l’effetto. Non c’è nulla da scoprire, perché nulla può esistere se prima non viene concepito a livello mentale. Attraverso la tua mente dai letteralmente il permesso alle cose di esistere e di materializzarsi. Accade così per qualsiasi cosa o evento di cui fai esperienza. Vale sia per il progresso scientifico, sia per un evento, felice o infelice che sia, della tua vita. Sei al centro del tuo mondo, di cui sei l’unica origine. Nel momento in cui hai creduto di essere separato dal tuo Vero Sé, hai iniziato a creare un mondo nel quale vige la dualità e la separazione, che sono nient’altro che proiezioni delle tue credenze più intime. Il problema è che hai dimenticato di esserne il creatore, perdendo quindi qualsiasi consapevolezza sulla sua illusorietà.” “Tento solo di applicare regole di buon senso che ho appreso nella mia vita - risposi timidamente - E’ logico assumere che ciò che vedo o di cui faccio esperienza debba in qualche modo già esistere.” Ma mi accorsi subito dopo che quella frase, più che un’affermazione, era una domanda che stavo facendo a me stesso, alla quale forse non ero più convinto di poter dare una risposta certa. “Benché le tue orecchie sentano le mie parole, la tua mente opera un filtro costante, relegando nell’oblio tutto ciò che non ha un riscontro con quella che è la tua esperienza passata. Ti ho già spiegato che il tuo più grande problema è il dare per scontate cose che non lo sono affatto, come l’esistenza oggettiva del mondo intorno a te. Tenti disperatamente di riportare ciò che dico a qualcosa di conosciuto, ma devi far tua l’idea che il passato non ti è di alcun aiuto nella comprensione. Non potrai fare un solo passo verso la verità finché non smetterai di dare per scontata l’esistenza di una realtà che prescinde dal tuo essere. Qualsiasi cosa, da una legge fisica ad un oggetto materiale, non può esistere se prima non viene concettualizzata nel la tua mente, ma questo ti è estremamente difficile da accettare, dando per scontata l’esistenza di un mondo là uori, e arrivando all’errata conclusione che il tuo compito sia solo quello di ‘scoprirlo’.”
“Maestro, accettando l’idea che sia io a creare qualsiasi cosa, nel momento in cui quella cosa appare ed entra a far parte della realtà, ne posso fare esperienza, quindi per me è quella la verità. E’ vera perché esiste.” “Non farti sviare dalle parole che uso. Quando dico che qualsiasi cosa ‘esiste’ come conseguenza del tuo pensiero creatore, non intendo dire che abbia una ‘esistenza’ reale, perché si tratta sempre e solo di un’illusione. Non confondere l’esperienza con ciò che è la verità. Stai chiamando verità qualcosa che è apparentemente al di fuori di te, mentre ti ho appena detto che otrai trovarla solo al tuo interno. Dovrai tenerne costantemente conto nella tua lunga ricerca. Ascoltami bene - disse, guardandomi dritto negli occhi e poggiando una mano sulla mia spalla sto per rivelarti di cosa è fatto il mondo che credi di vedere intorno a te.” In quel momento si alzò una folata di vento improvvisa, che fece agitare con fragore le piante che erano intorno a noi. Il Maestro interruppe il suo discorso, continuando a fissarmi negli occhi, mentre il vento scuoteva con forza i lembi delle nostre lunghe vesti. La sua mano strinse con forza la mia spalla, quasi a volermi trattenere contro l’impeto di quel vento. In quel momento pensai che quell’evento improvviso fosse del tutto casuale ma ora, a distanza di tempo, e in considerazione di quello che il Maestro stava per dirmi, interpreto quella violenta raffica come un provvidenziale soffio di consapevolezza invocato per spazzare via il cumulo di false certezze che occupava la mia mente. Alcuni secondi dopo che il vento si fu placato, il Maestro riprese a parlare: “Sei all’interno di un circolo vizioso, nel quale sei costantemente immerso. Credi di essere separato dal Tutto, e di conseguenza crei costantemente dal nulla un mondo duale, apparentemente separato da te, a immagine e somiglianza della tua errata credenza. Contemporaneamente osservi la tua creazione, dimenticando di esserne il creatore, cadendo nell’illusione che ciò che vedi sia la realtà. La tua osservazione rafforza le tue credenze, dandoti l’illusione di essere nel giusto nel credere che quello di cui fai esperienza esista davvero. E così via, sempre più giù, in un circolo senza fine. Sei recipitato così in profondità nelle spire della tua illusione che non riesci più a percepire nemmeno il lontano riflesso del luogo di luce da cui provieni. Ti comporti come un gatto che arruffa il pelo e soffia minaccioso contro la propria immagine riflessa nello specchio, e si stupisce del fatto che il gatto al di là del vetro non sia per nulla intimorito dal suo atteggiamento aggressivo. Sei abbagliato da un gioco di luci e ombre di cui non ti accorgi di essere l’unico artefice e protagonista. Il mondo che vedi è solo una proiezione del tuo sè, pertanto la tua stupida lotta contro il mondo non è altro che una lotta contro te stesso. Non è acile uscirne, e fino a che non sarai disposto a riconoscere l’inganno, darai del pazzo a chiunque roverà a renderti consapevole del tuo delirio, e lotterai con tutte le tue forze per rimanervi aggrappato, benché quel mondo illusorio ti spaventi a morte. Ciò che non è reale ti nasconde la verità camuffandosi a sua volta da realtà. Hai creduto incondizionatamente a questo gioco per intere vite, senza farti mai domande, ma poi arriva un momento in cui ti accorgi che c’è qualcosa che non torna. Quel mondo in cui hai sempre creduto sembra a un tratto non avere più alcun senso, ed inizi allora a cercare la verità. Credi
ingenuamente di poterla trovare in qualche luogo al di fuori di te, forse in un guru o in un libro, ma cercando nel posto sbagliato non fai altro che rafforzare la tua illusione. La verità non è in nessun luogo, perché è l’origine di tutto, è ciò da cui scaturisce qualsiasi cosa di cui tu possa fare esperienza. Il tuo lavoro è scovare e riconoscere ciò che non è reale, perché attraverso di esso tu ossa avvicinarti a comprendere la verità. La verità è la sorgente primaria, immutabile ed eterna, di tutto ciò che può esistere. E’ la fonte dalla quale ogni cosa, conosciuta e sconosciuta, può emergere. Ma alla fine ti rendi conto che questo lungo percorso di ricerca non è altro che un viaggio di ritorno verso te stesso, verso il tuo Vero Sé, che è l’origine di tutto. Non devi cercare la verità, perché è sempre stata a tua disposizione. Devi solo eliminare tutto ciò che l’ha tenuta nascosta ai tuoi occhi, fino a renderti conto che la verità sei tu, e che per tale motivo non potrai mai trovarla, perché l’unica cosa sensata che tu possa fare è esserla.” “Non capisco Maestro - obiettai - lei mi sta dicendo che non devo cercare la verità, ma io credevo fosse questo il mio compito principale. Lei stesso mi ha detto che trovare la verità vuol dire anche trovare la felicità, e che questo è il mio scopo finale.” “Non puoi cercarla, la verità, perché non avresti alcuna possibilità di trovarla. Trovare qualcosa presuppone che si sia separati da ciò che si sta cercando. Tu non sei separato dalla verità. La verità sei tu, è la tua più intima natura. Come potresti trovare qualcosa che sei già? E’ come cercare i propri occhiali senza accorgersi di averli sul naso. Impegnati invece a fare pulizia nella tua mente, con l’unico scopo di eliminare tutto ciò che non è vero e che oscura la visione di Chi Tu Sei. Questo è il tuo compito. Stai creando un mondo illusorio che non ha alcun senso apparente, e come tale ti terrorizza. cco perché non riesci a percepire la felicità che fa già parte del tuo essere. Qualsiasi tuo roblema è solo il risultato di un’allucinazione, creata da te come conseguenza del tuo sentirti separato dal mondo che ti circonda. L’unico modo che hai per riscoprire Chi Sei veramente è eliminare tutte le scorie che stanno oscurando il tuo vero essere.” Il Maestro aveva perfettamente ragione. Credo che qualsiasi individuo viva nel costante terrore che possa accadergli qualcosa di spiacevole. Nella mia esperienza di vita ho spesso avuto paura ad affrontare le nuove sfide, e molte volte ho finito per rinunciare, preferendo rimanere all’interno della mia zona di comfort, al riparo da qualsiasi imprevisto. Chiesi quindi al Maestro: “Vorrei tanto considerare i miei problemi come una semplice allucinazione, ma è davvero difficile eliminare le proprie paure. Il mondo sembra muoversi indipendentemente dalla nostra volontà, pertanto viviamo tutti con la costante paura che ci possa accadere qualsiasi cosa in qualunque momento, indipendentemente da quelli che sono i nostri desideri”. Il Maestro mi fece cenno di far silenzio, e volgendo lo sguardo verso l’alto disse: “Ascolta quel ruscio di foglie lontano... osserva le nubi lassù mosse dal vento, o lo svolazzare di quelle arfalle… è l’Universo che si mette in moto per esaudire i tuoi desideri. Nulla si muove senza uno scopo. Anche il più piccolo pulviscolo di materia, quando si muove, lo fa con l’unico fine di soddisfare le tue richieste. Esci dall’ottica di avere un corpo limitato nello spazio e separato da
tutto il resto. Inizia a considerare l’intero Universo come il tuo corpo fisico. Così come il tuo cuore batte, e ogni cellula ha l’unico obiettivo di tenerti in vita, così ogni più remota parte del Cosmo ha come unico compito quello di agire per il tuo scopo.” “Ma Maestro - obiettai sempre più confuso - è difficile credere a quello che mi sta dicendo, perché non sempre i miei desideri vengono esauditi, e gli obiettivi che mi prefiggo sono spesso ardui da raggiungere a causa dei mille impedimenti che si presentano sulla mia strada.” Il Maestro accennò un sorriso, e ondeggiando la testa in segno di totale disaccordo con quanto stavo dicendo, rispose: “Sei lontanissimo dalla verità. Continui a dibatterti nell’assurda convinzione che possa esistere solo quello che puoi concepire con la tua mente razionale, confondendo i tuoi limiti con i limiti del mondo. Sei tu che frapponi mille impedimenti tra te e la realizzazione dei tuoi desideri. Non c’è nulla e nessuno là fuori che possa farlo al tuo posto. noltre, hai del tutto travisato il significato dei termini ‘desiderio’ e ‘scopo’, usandoli non solo nel modo sbagliato, ma credendo persino che abbiano lo stesso significato. Di scopo ce n’è uno solo, ed è quello di ritornare alla tua origine, per riscoprire Chi Sei veramente. Benché tu creda di avere degli scopi da soddisfare in questa vita, in realtà esiste solo una meta finale, che è quella del tuo risveglio definitivo. A questo mi riferisco quando dico che l’Universo trama per soddisfare il tuo scopo. Non potrai sapere quando, ma un giorno lo raggiungerai, è impossibile fallire, perché come ti ho detto l’intero Universo è dalla tua parte. Quelli che invece chiami desideri sono pressoché inesistenti, e di nessuna importanza per l’Universo. Lui non li può percepire, perché abitano nella tua mente razionale, quella parte di te che vive costantemente nel buio dell’illusione. Per l’Universo i tuoi veri desideri non sono altro che le tue credenze, che poi si traducono nelle tue aspettative. L’intero tuo essere vibra costantemente in accordo con tutto ciò che tu credi sia possibile, ed è quella vibrazione che crea istante per istante il mondo di cui fai esperienza. Nulla potrà cambiare nella tua vita se prima non cambierai le tue credenze primarie, che attraverso la vibrazione che emanano si tramutano in veri e propri ordini che l’Universo non può far altro che eseguire. Se vuoi che i tuoi desideri diventino realtà, smetti di proiettarli nel futuro, e trasformali in ciò che sei adesso. Fondili con le tue credenze, facendo in modo che diventino una cosa sola. Sii ciò che vuoi diventare, ma fallo nel qui e ora, e vedrai che tutte le porte che credevi invalicabili si apriranno come per magia. Nessun cambiamento duraturo, però, potrà mai avvenire fino a che non acquisirai la consapevolezza di Chi Sei veramente. Per farlo dovrai esercitarti con costanza e ferrea volontà, scovando e riconoscendo tutto ciò che è falso e che fa parte della grande illusione in cui sei immerso.” “La prego Maestro, mi insegni a farlo - chiesi trepidante - non vedo l’ora di iniziare. Mi dica cosa devo fare e mi impegnerò con tutto me stesso.” “Sai già cosa fare, se hai ascoltato con attenzione ciò che ti ho detto. Ritirati in meditazione, almeno una volta al giorno, e dopo aver fatto il silenzio nella tua mente, a occhi chiusi, inizia ad interrogarti su Chi Sei veramente. Fatti di continuo la domanda, e scarta qualunque ipotesi tu
ossa fare al riguardo. Devi arrivare a percepire che tu sei al di là di ogni cosa la tua mente possa concepire. Sei al di là del sogno, perché ne sei l’origine. Questo esercizio farà scendere nel tuo rofondo l’idea che il tuo Vero Sé non può essere concepito o descritto, perché in quanto origine, è antecedente a qualsiasi altra cosa.” Tutta la mia attenzione era rivolta verso il Maestro, con l’unico scopo di non perdere nemmeno una parola di quello che stava dicendo… “Dopo aver fatto questo esercizio per un po' - continuò - riporta il silenzio nella tua mente, riapri gli occhi e guarda tutte le cose che sono intorno a te, compreso il tuo corpo. Ogni volta che il tuo sguardo o la tua mente si soffermano su un particolare oggetto, ripeti a te stesso che ciò che stai vedendo non è reale, ma è solo una tua creazione in cui hai profondamente creduto. Il tuo compito è abituare la mente a riconoscere come illusoria ogni cosa che viene percepita dai tuoi sensi. In questo modo risalirai la spirale dell’illusione, diradando un po' alla volta le nubi che nascondono la luce della Verità. Questo è tutto, per oggi può bastare. La tua mente ha ricevuto abbastanza materiale su cui riflettere. Dedica il pomeriggio al riposo e alla meditazione. Senza l’esercizio le mie parole sono solo inutile cibo per la mente di superficie. Semplici curiosità intellettuali che moriranno insieme al tuo corpo. Devi depositare nel profondo nuove credenze, facendo in modo che la conoscenza diventi esperienza. Solo con la pratica è possibile forgiare un essere nuovo. Ora va nella tua stanza e medita su te stesso, alla ricerca della verità che è già dentro di te. Analizza ciò che credi di sapere e poniti le giuste domande con l’unico scopo di mettere in discussione ogni tua certezza attuale. Se vuoi comprendere la verità devi prima demolire tutto ciò che non è vero. E ciò che non è vero si dissolverà come neve al sole di fronte alla luce della consapevolezza. Smetti di fare stupide assunzioni, e metti sempre e comunque in dubbio tutto ciò che credi di sapere. Solo ciò che è vero resisterà alla prova del dubbio. Tutto il resto si rivelerà per quello che è: nient’altro che nulla. Và, e inizia il tuo sacro percorso alla ricerca della felicità che è già dentro di te. Non aspetta altro che essere riportata alla luce.” Detto questo si voltò e si allontanò, dirigendosi lentamente verso la cascata d’acqua in fondo a quel meraviglioso giardino. Io tornai nella grande sala, dove nel frattempo si erano radunati diversi monaci a pregare. Mi sedetti in un angolo ad osservarli e ad ascoltare i loro meravigliosi canti. Rimasi lì fino all’ora del pranzo, ripensando alle incredibili cose che il Maestro mi aveva detto quella mattina. Dopo un frugale pasto a base di riso e frutta mi ritirai nella mia stanza, dove passai il resto della giornata ad esercitarmi come aveva detto il Maestro, finché la stanchezza non lasciò il passo ad un sonno ristoratore.
Non rammaricarti dei libri che non leggerai “Se vogliamo conoscere il senso dell'esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell'angolo più oscuro del capitolo, c'è una frase scritta apposta per noi.” - Pietro Citati
Puntuale come un orologio svizzero, anche quella mattina il suono dei cimbali si fece inesorabilmente sentire. Quel tintinnio insistente, sempre più intenso man mano che si avvicinava alla porta della mia cella, aveva un effetto dirompente nella mia mente, strappando la coscienza dal sonno profondo in cui era immersa, per riportarla alla realtà di quella piccola stanzetta all’interno del monastero tibetano, sperduto tra le cime dell’Himalaya. Anche senza orologio, avrei potuto scommettere che erano le cinque esatte del mattino. I monaci tibetani hanno uno spiccato senso della puntualità, soprattutto quando si tratta di eseguire i loro rituali. Riflettei sul fatto che per un monaco ogni attività è vissuta come se fosse un rito sacro, persino nei riguardi delle cose che noi consideriamo più banali, come versare del thè, o annunciare la sveglia mattutina. Mi chiesi il perché, e la risposta più ovvia fu che la ritualità applicata a ogni attività giornaliera rappresentava il mezzo attraverso il quale ogni azione poteva essere eseguita con la massima attenzione, come se fosse la cosa più importante al mondo. Mi tornarono allora alla mente i concetti che avevo appreso leggendo Eckhart Tolle, Gurdjieff e altri, riguardo l’importanza del silenzio mentale ottenuto attraverso la presenza e l’attenzione focalizzata nel qui e ora. Era improvvisamente chiaro quale fosse il motivo di quella ritualità applicata con estremo rigore. I monaci pongono la massima attenzione in tutto ciò che fanno, e questo li porta a essere sempre nel qui e ora, con il pieno controllo della propria mente. E questo, secondo gli insegnamenti del Maestro, era il mezzo attraverso il quale si può spegnere il rumore mentale, avvicinandosi così alla verità, e quindi alla felicità. Anche se lo avevo letto innumerevoli volte, solo in quel momento mi fu realmente chiara la vera essenza del rituale: non importa cosa fai, ma come lo fai. In altre parole, stavo percependo in modo netto che ciò che davvero conta, nel raggiungimento della pace interiore, è la profondità con cui ci si immerge nelle azioni quotidiane. Ragionai sul fatto che ogni religione ha i propri rituali, il cui fine ultimo quindi è quello di addestrare i fedeli alla disciplina della presenza e del vivere nel qui e ora, ma questo significato purtroppo è andato perduto negli insegnamenti di quasi tutte le religioni, ad eccezione forse di alcune dottrine orientali. Un semplice tintinnio, che una mente distratta avrebbe vissuto come qualcosa di molto fastidioso, soprattutto se venuto ad interrompere il sonno alle cinque del mattino, aveva invece rappresentato per me una preziosa occasione di riflessione, per arrivare a comprendere il vero scopo dei rituali e l’importanza della presenza. Interi volumi letti sull’argomento non mi avevano donato la stessa chiarezza di comprensione che quel suono, quella mattina, mi stava offrendo. Ebbi allora l’ulteriore conferma che non solo gli insegnamenti del Maestro, ma ogni situazione in
quel monastero, se letta nella giusta chiave, rappresentava un’occasione preziosa per imparare qualcosa, e questo piacevole pensiero mi accompagnò per tutto il tempo che trascorsi nel prepararmi alla lunga giornata che mi aspettava. Quel giorno mi dissero che il Maestro mi avrebbe aspettato nella biblioteca del monastero, una grande sala posta in un edificio che si trovava nella parte più ad ovest del comprensorio, dove si arrivava dopo aver attraversato un breve tratto all’esterno, camminando su di un viale lastricato di grandi sassi levigati, dal quale potevo ammirare l’immensa valle che giaceva ai piedi della montagna sulla quale eravamo. L’antica storia di quel luogo si rivelava anche attraverso la perfetta levigatura di quei grandi sassi, resi così lucidi dal passaggio di chissà quante paia di sandali, che lo avevano calpestato lungo l’arco di innumerevoli secoli di storia. L’aria frizzante della mattina acuiva i miei sensi, rendendomi ancora più attento e sensibile alla maestosità di quel panorama. Un grande senso di eccitazione e di gioiosa attesa mi pervadeva, mentre procedevo verso l’enorme portone che si ergeva di fronte a me, alla fine di quel viale. Il portone della biblioteca era maestoso, alto forse più di tre metri, con le due ante di legno antichissimo intarsiate con centinaia o forse migliaia di piccole figure sacre miste a ideogrammi, del tutto incomprensibili per le mie limitate conoscenze di arte sacra orientale. La maestosità di quell’ingresso faceva percepire al visitatore, ancor prima di entrarvi, la sacralità del luogo a cui stava per accedere, e l’inestimabile valore dei libri che vi erano conservati. La sua incredibile bellezza catturò inesorabilmente la mia attenzione, facendomi restare per un attimo senza fiato, così come si rimane di fronte a un bellissimo panorama. Quel momento di contemplazione di fronte a tanta grandezza, come capii solo più tardi, è il mezzo attraverso il quale si ottiene la sospensione momentanea del pensiero, una sorta di pulizia istantanea della mente, volutamente indotta con lo scopo di portare il visitatore nel corretto stato mentale, al fine di prepararlo all’ingresso in quel luogo venerabile. Chissà, forse questo è uno dei motivi per cui in passato sono state costruite cattedrali così imponenti e di tale straordinaria bellezza, da lasciare col fiato sospeso chiunque ne varcasse la soglia. Entrai un po’ timoroso, cercando di scorgere all’interno dove si trovasse il Maestro. Gli occhi ancora non abituati alla scarsa luminosità non mi aiutavano, quando a un tratto sentii chiara la sua voce. “ Entra pure. Devi imparare a non fidarti troppo dei tuoi occhi. Essi non vedono la realtà. Tu credi di non riuscire a scorgermi qui nella penombra, ma se provassi a fermare la tua mente per ascoltare le tue sensazioni, sapresti immediatamente dove trovarmi.” Ora sapevo dove dirigermi, non perché avessi acquisito qualche capacità extra-sensoriale, ma solo perché la provenienza della sua voce mi aveva dato un indizio preciso sulla direzione da prendere. Mi voltai allora verso la mia destra, in direzione della sua voce, e dopo qualche passo finalmente riuscii a scorgerlo. Era seduto di fronte a un grande tavolo di legno, circondato da decine di libri accatastati. La fioca luce che penetrava da una piccola finestra alle sue spalle evidenziava
chiaramente la sua sagoma e quella dei libri intorno a lui. “Vieni e siediti – mi ordinò con tono pacato, indicandomi una panca posta di fronte a lui, sul lato opposto del tavolo – devi sentirti onorato – continuò – perché pochi discepoli prima di te hanno avuto il privilegio di varcare la soglia di questo luogo.” “Perché Maestro? – chiesi stupito mentre mi accomodavo – I monaci non possono accedere alla biblioteca del monastero?” “ Non ho detto monaci, ho detto discepoli. E tu sei ancor meno di un discepolo, poiché ancora credi nell’esistenza di un mondo reale al di fuori di te. Il discepolo è colui che si affaccia alla dottrina con la curiosità di un bambino, spoglio di qualsiasi preconcetto o conoscenza pregressa. Un discepolo ha ancora un passato, ma ha capito che non può basarsi su di esso per comprendere la realtà del mondo che lo circonda.” Dopo una breve pausa continuò: “Sei entrato qui portando con te tutto il tuo mondo, che è composto esclusivamente dal tuo passato, o da quello che tu credi sia il tuo passato. Quella avorra appesantisce la tua mente, e la oscura quel tanto che basta per impedire che tu possa cogliere i segnali che arrivano dai tuoi sensi più sottili, sensi che nemmeno sospetti di possedere.” Mi ero appena seduto e già ero stato investito da una valanga di nozioni che a fatica riuscivo a mettere in ordine nella mia mente. Volevo fargli alcune domande, ma bloccò sul nascere il mio timido accenno a parlare... “Questa sala non è buia, ma il buio che tu credi di vedere è solo la proiezione dell’oscurità che è dentro di te. Il mondo potrebbe essere per te un posto luminosissimo, anche nelle notti senza Luna, ma quella luce devi averla dentro per poterla proiettare e percepire all’esterno. Fino a che non sarai in grado di farlo, continuerai ad aver bisogno di una luce esterna per vedere. Il mondo è solo una proiezione del tuo essere, o più esattamente di quello che tu credi sia il tuo essere. Sei un’entità di Luce, e potresti percepire con chiarezza questo luogo come se ci fosse un Sole al suo interno, ma non credi di esserlo, e allora proietti la tua credenza al di fuori di te, percependo questo posto come un luogo buio, in assenza di altre fonti di luce.” Vedendo la mia espressione incredula di fronte ad affermazioni così lontane dal modo di pensare comune, continuò con una serie di esempi… “Esistono maestri di arti marziali che possono combattere con gli occhi bendati, e sconfiggere senza difficoltà qualunque avversario. Qualcuno può perfino scagliare una freccia e colpire con la massima precisione il centro di un bersaglio posto a diversi metri di distanza, senza utilizzare la vista. Come credi sia possibile? Nessuno scienziato del tuo mondo sarebbe in grado di dare una spiegazione a questi fenomeni, eppure essi esistono. Quelle persone possono vedere, ma per farlo non hanno bisogno degli occhi.” “Sono probabilmente persone in possesso di doti particolari” – ribattei – per niente convinto di quella mia ipotesi improvvisata.
“ Niente affatto. Anche tu potresti farlo. Avresti sicuramente bisogno di un ferreo e lungo addestramento, questo è certo, ma non servono doti particolari di alcun genere. Tutti gli esseri umani sono in possesso di queste facoltà, ma hanno dimenticato di averle.” Poi, avvicinando il suo viso al mio, e abbassando un po’ il volume della voce, quasi a porre l’accento sulla solennità di quanto stava per rivelarmi, continuò: “ La verità è che non credi di avere queste facoltà, ed è proprio questa tua mancanza di fiducia che ti rende impossibile accedere a un diverso livello di percezione. Stai sognando una realtà che non fa altro che obbedire al tuo volere, e il tuo volere è di non ricordare, almeno per ora, che tu ossieda queste facoltà. Sei un Dio così potente che può anche scegliere di dimenticare di esserlo. a sei qui per ricordare, e un giorno ricorderai chi sei veramente… probabilmente ci vorranno altre vite, ma arriverai a ricordarlo di sicuro, perché è questo lo scopo, l’unico scopo per cui hai deciso di sognare e sperimentare questa realtà.” Nel frattempo i miei occhi, che si stavano abituando alla penombra di quel luogo, incrociarono lo sguardo penetrante del Maestro. Mi resi subito conto di non essere in grado di sostenere quello sguardo, poiché i miei occhi si volsero istintivamente altrove per cercare un luogo più confortevole dove guardare. Avevo di fronte a me la prova evidente di quanto lo sguardo di un uomo rifletta in modo inequivocabile il livello del suo essere interiore, e la mia difficoltà a sostenere lo sguardo del Maestro rivelava l’immenso divario che esisteva tra noi due. O almeno così credevo. Non so se mi lesse nel pensiero, o se più semplicemente notò quel mio gesto istintivo di volgere lo sguardo altrove, perché subito mi ammonì dicendomi: “Qualunque ipotesi tu possa fare riguardo alla tua difficoltà a sostenere il mio sguardo, è un’ipotesi sbagliata. Non esiste alcuna differenza tra i nostri esseri. Ognuno manifesta all’esterno esattamente quello che pensa di essere, e se tu credi di occupare un livello inferiore rispetto al mio nella scala dell’evoluzione personale, allora questo è quello che sperimenterai. Ma non erché questa sia la verità assoluta. Come ti ho già detto, stai creando una realtà che rispecchia le tue credenze più intime.” Stavo ancora ragionando su quanto avevo appena ascoltato, che subito continuò rincarando la dose: “Così come qualunque cosa che ti circonda, anch’io rappresento solo una proiezione del tuo essere, e questo vuol dire che vedi in me ciò che ti appartiene. La mia saggezza è la tua saggezza, e il fatto che tu la possa notare è la prova evidente che dentro di te, in qualche angolo nascosto e ancora inesplorato, c’è un Essere ben più grande di quanto tu possa anche lontanamente immaginare.” La sua saggezza è la mia saggezza… stupefacente considerazione, non avevo mai pensato alla cosa in questi termini. Avevo letto molto sulla legge dello specchio, ma a queste conclusioni non ero mai arrivato. Chiunque spiega questa legge, infatti, ne parla di solito facendo riferimento alle caratteristiche negative che non ci piacciono negli altri. Questo diverso modo di concepire questa
legge dell’Universo era del tutto nuovo per me, e il Maestro doveva averlo intuito, perché continuò approfondendo il concetto: “ Non puoi apprezzare la bellezza di un panorama o di un’opera d’arte, se quella bellezza non è ià presente in te, così come non puoi notare la saggezza di un uomo se quella saggezza non ti appartiene. Il mondo che vedi lo stai creando tu, proiettando all’esterno le caratteristiche del tuo essere. Devi smettere di credere che qualcosa possa esistere indipendentemente da te. Sei la causa del tuo sogno, non l’effetto. Ora sai che un sogno non può esistere senza un sognatore, e così la saggezza che vedi in un altro non può esistere se non come proiezione della tua stessa saggezza.” Ancora una volta il Maestro mi metteva di fronte all’idea che stessi vivendo all’interno di un sogno. Mi tornarono così alla mente le varie teorie che avevo letto sulla natura illusoria della realtà che percepiamo. Avevo letto molto sulla fisica quantistica, e sapevo perfettamente che a livello microscopico la materia non esiste fino a che un osservatore non decide di osservarla. Prima dell’osservazione ogni particella esiste solo come un’onda di probabilità, e quindi mi era abbastanza chiaro che il mondo così come lo percepiamo non ha alcuna consistenza reale che sia indipendente dall’osservatore. Il fatto però che fosse tutto un sogno contrastava fortemente con l’idea che mi ero fatto della realtà, creata attraverso l’esperienza dei cinque sensi. Benché non avessi mai esaminato a fondo quest’argomento, relegandolo sempre tra le cose ‘curiose’ che forse un giorno avrei approfondito, mi stavo rendendo conto che non potevo più fare a meno di affrontarlo. Fin da subito il Maestro, infatti, mi aveva messo di fronte ad una visione del mondo totalmente diversa, interamente basata sul fatto che l’esperienza terrena non fosse altro che un’illusione creata dalla mia mente. A quanto pare quell’idea era di fondamentale importanza, e su di essa il Maestro basava gran parte del suo insegnamento. Avevo meditato molto sulla questione durante gli esercizi del giorno precedente, e mi erano venute in mente una moltitudine di domande da porre al Maestro, per poter finalmente far luce sulle apparenti contraddizioni che l’idea di un mondo ‘immaginario’ metteva in evidenza. “Maestro – provai allora a chiedere – se tutto ciò che vedo intorno a me è solo il frutto di un sogno, chi è che sta sognando? Dovrei forse supporre che io non esisto, e che sono solo una fantasia nella mente di qualcun altro?” “Stai ponendo la domanda sbagliata – mi apostrofò, accompagnando le sue parole con un gesto di diniego della testa – E’ il tuo ego che sta parlando in questo momento, e sta esprimendo tutta la sua preoccupazione per la sua sopravvivenza. Quando dici ‘io’ stai parlando di un’entità che non esiste. Ciò che chiami ‘io’ è solo la somma di tutte le esperienze che sono nella tua memoria, alle quali ti aggrappi disperatamente per creare una tua identità. Si tratta però solo di un inganno del tuo ego, che fa di tutto per farti credere di esistere come essere separato dal resto del mondo. Non esiste ‘il’ mondo, ma solo il ‘tuo’ mondo. Quel mondo è composto esclusivamente dal tuo passato, ed esiste solo nella tua memoria, non ha nulla a che fare con Chi sei veramente. Per effetto del tuo sogno sei arrivato a credere in un’infinità di cose che non esistono, come il
concetto di io, mio, tuo, passato e futuro, giusto e sbagliato. Sei prigioniero di un sogno in cui sogni cose che non hanno alcuna consistenza reale, ma di questo abbiamo in parte già parlato. Oggi voglio approfondire altri aspetti del sogno.” Poi, con tono più rassicurante, come a voler evidenziare il messaggio positivo che stava per darmi, continuò: “Tu esisti, esisti eccome, ma non nella forma che credi. In verità il tuo vero essere non ha alcuna forma. Tu non sei qualcosa o qualcuno, tu sei e basta. Non sei né il tuo corpo, né la tua mente, poiché fanno parte anch’essi del sogno, essendo solo il frutto dell’illusione che stai creando. Mi hai chiesto chi è che sta sognando. Naturalmente è il tuo Vero Sé che sogna, ma non rovare a immaginarlo, perché non è possibile arrivare a comprenderlo con l’intelletto o la ragione.” “Maestro, è impossibile non provare a immaginarlo – protestai – la mente ha bisogno comunque di qualche tipo di rappresentazione per comprendere un concetto. Il mio Vero Sé lo immagino come un immenso essere di luce, che è dentro, o al di sopra di me. So che non è l’immagine corretta, ma devo necessariamente…” Smisi subito di parlare, perché mi accorsi che il Maestro mi stava guardando con un’espressione sorpresa, incredulo per quell’improvvisa reazione alle sue parole. Un attimo dopo potei chiaramente scorgere nel suo sguardo tutta la compassione per quel piccolo sfogo, e la sua amorevole disponibilità a comprendere la mia evidente frustrazione per concetti così lontani da qualsiasi cosa avessi mai concepito fino ad allora. Fece trascorrere qualche secondo prima di rispondere. Sapevo che quella pausa era per concedere alla mia mente una pausa di riflessione, e permettermi così di ritrovare la centratura necessaria per continuare ad ascoltare le sue parole: “ Non esiste un’immagine corretta – rispose con tono rassicurante – visualizzalo pure, se vuoi, il tuo Sé, ma è importante che tu distingua tra Colui che osserva e l’oggetto osservato. Quello che stai cercando di visualizzare è Colui che crea il sogno, e allo stesso tempo lo osserva per poterne fare esperienza. Quindi il tuo Vero Sé è Colui che osserva. Nel momento in cui tenti di visualizzarlo, la tua mente è costretta a rapportarlo a qualcosa di conosciuto, per esempio un essere di luce, come nel tuo caso. E’ il comportamento normale di una mente meccanica, che può solo basarsi sul suo passato per comprendere qualcosa, non te ne devi rammaricare. Qualunque cosa tu possa immaginare a livello razionale, infatti, deve necessariamente essere già stata catalogata dalla tua mente, altrimenti non potresti concepirla o visualizzarla. E’ qualcosa che deve far parte del tuo mondo conosciuto, cioè del tuo passato.” In effetti, ragionai, quello che non avevo mai considerato è che tutto il mondo a me conosciuto è costituito da cose appartenenti al mio passato. Non posso concepire alcunché, senza necessariamente usare immagini già memorizzate nella mia mente, per rappresentarlo. E’ come con i mattoncini della Lego: posso costruire qualsiasi cosa, ma solo nei limiti di ciò che è possibile fare con il set di mattoncini a mia disposizione.
“ L’Osservatore non può essere legato al passato – continuò il Maestro – Perché quel passato esiste solo nel tuo sogno, e l’Osservatore è un essere che vive al di fuori di esso, al di là del tempo e dello spazio. Per poterlo afferrare dovresti riportarlo alla mente e dargli una forma, facendolo così diventare una delle tante manifestazioni del tuo sogno. In quel preciso istante però lo erderesti, perché cesserebbe di essere l’Osservatore, per diventare l’oggetto osservato. E’ come tentare di afferrare la Luna riflessa in una pozza d’acqua. Nel momento in cui provi a arlo, l’acqua mossa dalla tua mano si increspa e rompe l’immagine riflessa, rendendo vano il tuo esto. Scopri così che il riflesso della Luna non è la Luna. Ecco perché l’Osservatore non può essere osservato, ed ecco perché ti ho detto che non serve a nulla immaginarlo. Esattamente come ti ho già detto di fare, per scoprire Chi sei veramente poniti la domanda, e poi scarta qualunque ipotesi tu possa fare al riguardo.” “Ho provato ieri sera a fare questo esercizio, Maestro, ma il dover scartare qualunque ipotesi mi ha fatto pensare che non potrò mai arrivare a conoscere il mio Vero Sé” – obiettai. “ Non devi arrivare da nessuna parte, perché tu sei già a destinazione, sei già il tuo Vero Sé. on puoi conoscerlo, perché la conoscenza implica che vi siano due soggetti distinti, colui che conosce, e il conosciuto, ma tu e il tuo Vero Sé siete la stessa cosa, siete indivisibili. L’occhio non uò vedere se stesso, così come la percezione non può essere percepita. L’unica cosa che puoi tentare di fare è sentire di essere il tuo Vero Sé. Puoi soltanto mettere a tacere la mente e immedesimarti in esso, diradando la nebbia che ti tiene lontano dalla verità, fino ad arrivare a percepire che non esiste alcuna separazione. Non puoi osservare il tuo Vero Sè, puoi solo esserlo.” Poi, avvicinandosi con il viso e guardandomi dritto negli occhi per assicurarsi di catturare tutta la mia attenzione, continuò: “Se vuoi fare esperienza del tuo Vero Sé, questa sera quando farai gli esercizi di meditazione, invece di limitarti a ottenere il silenzio nella tua mente, dedicati alla totale contemplazione di te stesso…” Capii che stava rivelandomi qualcosa di molto importante, perciò diedi un’occhiata veloce al mio piccolo registratore, per essere sicuro che stesse funzionando regolarmente e non perdesse nemmeno una parola di quel prezioso discorso. “Osserva in modo distaccato i tuoi pensieri come se non ti appartenessero, e lasciali andare, senza giudicarli né trattenerli – continuò scandendo con cura le parole – non dovrai opporre alcun tipo di resistenza, e se riuscirai a non identificarti nei tuoi pensieri, vedrai che pian piano saranno sempre meno numerosi, e meno frequenti. Osserva allora l’intervallo tra un pensiero e l’altro, e fissa tutta la t ua attenzione su quel breve momento di silenzio. Scoprirai a quel punto che la tua vera natura è il silenzio stesso, che è fatto di pura consapevolezza. Diventa quel silenzio, fonditi con esso. Devi diventare consapevole della
tua consapevolezza, sentendo che quella è la tua unica e vera essenza.” Mi guardava fisso negli occhi, attirando la mia totale attenzione, con tale intensità da anestetizzare la mia parte razionale, fino a rendere del tutto impossibile distogliere gli occhi da quello sguardo. Era come se avesse aperto un canale diretto verso la mia mente, attraverso il quale trasferiva tutto il suo immenso sapere. “ Devi percepire quello stato di immutabile e silenziosa attenzione, che è il sottofondo di qualsiasi pensiero possa affacciarsi nella tua mente. Quella è la tua consapevolezza, la porta per accedere al tuo vero essere, che esiste ancor prima, e a prescindere, da qualsiasi altro pensiero o ercezione. E’ lo schermo bianco sul quale il film dell’intera tua esistenza viene proiettato. Sentiti tutt’uno con essa, e avrai compreso qual è la direzione verso cui devi condurre la tua ricerca, erché quella consapevolezza sei tu. E’ la porta attraverso cui il tuo percorso di risveglio deve necessariamente passare. Ti ho appena svelato qual è il vero significato della meditazione. E’ un regalo inestimabile, anne tesoro. Pochi arrivano a comprendere che il saggio non medita per cercare se stesso, ma per esserlo.” Rimase così a guardarmi per alcuni interminabili secondi, quasi a volersi sincerare che quelle parole si fossero depositate per bene nella mia mente. Dopo di che si alzò lentamente dalla sedia, e mi fece cenno di fare altrettanto. Feci un po' di fatica per uscire da quello stato semi-ipnotico, e riprendere di nuovo coscienza del mio corpo e del luogo in cui mi trovavo. Mi alzai per seguirlo all’interno di quell’enorme sala semi buia, camminando in uno dei corridoi ricavati tra due alte scaffalature ricolme di volumi. Potevo percepire nettamente tutto il peso della sapienza contenuta in quei tomi, che impregnava di solenne sacralità l’atmosfera di quel luogo. Chissà quale e quanta saggezza era racchiusa in quei volumi, molti dei quali erano rimasti celati agli occhi del mondo da tempo immemorabile. Provai un leggero senso d’invidia per il Maestro, e per tutti coloro che come lui avevano avuto il privilegio di accedere a quell’immensa ricchezza. Mi chiesi se sarebbe bastata un’intera vita per leggere anche soltanto un decimo di tutti i libri sui quali i miei occhi riuscivano a posare lo sguardo. Arrivati circa a metà di quello stretto corridoio, il Maestro si fermò e si voltò verso di me, indicandomi con un ampio gesto del braccio tutti i volumi che erano intorno a noi. “ In questo luogo è racchiusa un’antica sapienza, tramandata di generazione in generazione, razie al meticoloso lavoro di raccolta fatto dai monaci che hanno abitato nei secoli quest’antico monastero. Alcuni libri sono scritti in lingue ormai dimenticate, che nessuno è più in grado di interpretare, e altri sono stati erosi dal tempo, fino a diventare del tutto illeggibili. Questo però non toglie a quei volumi neanche un po' del loro immenso valore. Se qualcuno li ha scritti, è perché la conoscenza contenuta in essi potesse essere rivelata al mondo, e nel preciso istante in cui sono stati scritti, quella conoscenza è entrata a far parte della consapevolezza universale, che mai andrà perduta, anche se le parole che la descrivevano non sono più leggibili.”
Inizialmente non riuscivo a comprendere come questo fosse possibile, ma poi mi ricordai di aver letto che è accaduto a volte che una stessa invenzione o scoperta scientifica fosse concepita contemporaneamente in luoghi molto distanti, da persone che non erano mai entrate in contatto tra di loro. Alcuni ipotizzano l’esistenza di una Coscienza Globale contenente tutto il sapere umano, con la quale ognuno di noi è in costante collegamento, anche se solo a livello inconscio. Questo spiegherebbe l’idea del Maestro, secondo la quale un concetto, una volta espresso, entra a far parte in modo definitivo del sapere comune, indipendentemente dalla disponibilità del libro su cui è stato scritto. Pensai che sarebbe stato bello poter leggere qualcosa di quell’immensa biblioteca, così non potei fare a meno di chiedere: “Maestro, vorrei tanto poter accedere anche solo a una piccola parte di tutta questa…” Non mi fece terminare la frase, perché aggrottò le sopracciglia, e con un gesto della mano mi fece cenno di restare in silenzio, e continuare ad ascoltarlo. “ Non rammaricarti dei libri che non hai letto e che non potrai mai leggere. Non devi mai rammaricarti di nulla, perché in questo modo negheresti il tuo immenso potere. Sto per rivelarti un’importante verità, ma devi far tacere la mente e smettere di tentare di applicare la ragione a ciò che sto per dire. Questi libri, anche se credi di non averli mai letti, l i hai scritti tu. L’intero Universo è dentro di te, non dimenticarlo mai. Ogni evento che accade nella tua vita, ogni maestro che incontri, ogni libro che apri, è stato volutamente messo sulla tua strada dal tuo Vero Sé, affinché tu possa trarne vantaggio lungo il cammino verso la realizzazione della tua vera essenza. Molti dei libri contenuti in questa biblioteca li conosci già, fanno parte da tempo del tuo essere, anche se scritti in lingue ormai dimenticate. Altri ancora contengono informazioni che non ti sarebbero di alcun aiuto in questo momento, perché non saresti ancora in grado di recepirle a livello razionale. Non rammaricarti quindi dei libri che non leggerai, o dei maestri che non incontrerai. Hai architettato tutto in modo impeccabile, affinché tu possa arrivare a leggere solo i libri giusti al momento giusto, con l’unico scopo di aumentare la tua consapevolezza.” Sicuramente la mia espressione stava tradendo l’estrema difficoltà che avevo a credere in quelle parole, perché continuò: “ Finché negherai ciò, negherai il tuo potere, e poiché ogni tuo pensiero e ogni tua credenza è legge assoluta e inviolabile per l’Universo, otterrai come risultato l’impossibilità ad accedere a quel potere e manifestarlo. Ricorda, tuo è il potere, anche di ignorare di averlo.” Avevo scritto io tutti quei libri? Non arrivavo a comprendere fino in fondo cosa volesse dire con quella frase. Ero davvero confuso, ma come mi aveva chiesto il Maestro, evitai di tentare di usare la razionalità per spiegare qualcosa che evidentemente andava oltre ogni ragionamento logico. Chiesi allora al Maestro di poter leggere qualcosa sull’argomento, in modo da avere un testo su cui riflettere e magari fargli delle domande nei giorni seguenti.
“Sapevo che mi avresti chiesto di leggere qualcosa che avesse a che fare con ciò che ti sto dicendo. La tua mente è confusa, e cerca quindi un appiglio a cui aggrapparsi per tentare di riportare le cose all’interno degli schemi consueti. Quello che ti sto dicendo, infatti, non fa parte delle tue esperienze passate, non ancora almeno.” “ La strada verso la realizzazione del proprio Sé – continuò – deve necessariamente passare attraverso l’annullamento del proprio passato, e ciò che ti dico ha proprio lo scopo di demolire nella tua mente tutto ciò che fa parte del tuo mondo conosciuto. Accetta l’apparente confusione, non resisterle, perché è solo attraverso di essa che potrai costruire una nuova consapevolezza. on puoi erigere un nuovo palazzo senza prima abbattere il vecchio edificio che ne occupa il terreno. Questa è la via, ma comprendo la tua confusione. Seguimi, e ti darò ciò che hai chiesto.” S’incamminò lungo lo stretto corridoio, e io lo seguii senza fiatare, rallegrandomi in cuor mio per la concessione che il Maestro stava per farmi. Arrivammo davanti a uno scaffale impolverato dal quale estrasse un piccolo libro dalla copertina rigida di color marrone, chiuso da un nastro rosso legato con un fiocco. Ci soffiò sopra con delicatezza, per ripulirlo dalla polvere che vi si era depositata. “ Non aprirlo fino a che non sarai arrivato nella tua stanza – mi ammonì mentre mi consegnava il libro – probabilmente il suo contenuto ti stupirà, ma prova a ricordare quello che ci siamo detti in questa biblioteca, e forse riuscirai a comprendere. Vai ora a fare i tuoi esercizi di meditazione, ci vediamo questa sera per consumare la cena insieme agli altri discepoli.” Detto questo, fece un piccolo inchino con la testa, e mi indicò con un braccio la direzione verso il grande portone della biblioteca. Rimase immobile in quella posizione, con la testa rivolta verso il basso, facendomi così comprendere che il nostro incontro per quella mattina poteva considerarsi concluso. Ricambiai l’inchino e m’incamminai lentamente verso l’uscita, stringendo al petto con ambedue le mani il prezioso libro che avevo appena ricevuto in dono.
Il libro bianco “Di fronte a un libro non dobb iamo chiederci cosa dica, ma cosa vuole dire.” - Umberto Eco
Rientrai trafelato passando per la grande sala del monastero, e mi diressi a passo veloce verso le scale che conducevano al dormitorio. Salii i gradini a due a due a gran velocità, nonostante i sandali e il lungo saio non mi agevolassero nei movimenti. Non staccai un solo attimo il libro dal mio petto, e lo tenni stretto a me con tutte e due le mani fino a che non arrivai nella mia cella. Una volta entrato, notai con sorpresa che, nonostante non fosse ancora l’ora del pranzo, sul tavolo c’erano una ciotola con all’interno qualcosa di caldo e fumante, con accanto della frutta. Evidentemente, pensai, il Maestro aveva disposto che mi fosse portato il pranzo in camera affinché potessi leggere con tranquillità il libro e fare le dovute meditazioni giornaliere, senza avere la necessità di uscire per mangiare. Al momento, comunque, non avevo molta fame, ed era tanta la voglia di leggere quel libro che decisi di ignorare il cibo. Avrei mangiato più tardi con calma. Se il Maestro mi aveva concesso di mettere le mani su quel libro, pensai, evidentemente aveva ritenuto che il suo contenuto fosse davvero importante per me. Ripensai al fatto che nella biblioteca di quel monastero erano racchiuse conoscenze a cui forse nessun uomo occidentale aveva mai potuto accedere, e io ero il primo ad aver avuto finalmente quell’immenso privilegio. Una cosa da poter raccontare un giorno ai miei nipoti, pensai con orgoglio. Eccitato come un bambino che si trova davanti a un regalo da scartare, iniziai a sciogliere il nodo che teneva legato il nastro, chiedendomi nel frattempo in quale lingua fosse scritto il libro. Stranamente sulla copertina non c’era alcuna dicitura o segno che mi potesse aiutare in tal senso. Doveva essere necessariamente scritto in inglese, pensai, o comunque in qualche lingua occidentale. Il Maestro, infatti, sapeva benissimo che non avrei potuto leggere testi in lingua orientale, men che meno se scritti in strani ideogrammi per me incomprensibili. Finalmente riuscii a sciogliere il nodo e ad aprire il libro. Le prime pagine erano del tutto bianche... Ok, mi dissi, un tempo si usava inserire alcune pagine bianche all’inizio dei libri, faceva parte del processo di rilegatura manuale. Continuai a sfogliarlo alla ricerca della prima pagina da leggere ma… niente, erano tutte inesorabilmente bianche. Sfogliai velocemente tutte le pagine scorrendo il pollice sul bordo laterale del libro. Ripetei la cosa più volte, in tutti e due i versi, nella vana speranza di scorgere almeno una pagina contenente qualcosa. Assolutamente nulla. Il Maestro mi aveva consegnato un libro completamente bianco. Cosa avrà voluto dirmi con quel libro vuoto? - pensai - qual era il messaggio, ammesso che ci fosse un messaggio da comprendere? Ricordai che il Maestro mi aveva detto una frase riguardo al contenuto quando mi consegnò il libro. Presi allora il mio piccolo registratore portatile e cercai l’audio del momento esatto in cui ricevetti il libro dalle sue mani. Le parole del Maestro furono: “... probabilmente il suo contenuto ti stupirà, ma prova a ricordare quello che ci siamo detti in questa biblioteca, e forse riuscirai a comprendere”. Cosa voleva dire con quella frase? Aveva forse a che fare con il fatto che secondo il Maestro ero io l’autore dei libri presenti in quella biblioteca? Ma in questo caso cosa c’entrava un libro totalmente bianco? Un libro senza contenuti non ha bisogno
di alcun autore. Ero decisamente confuso, e nonostante mi arrovellassi a cercare di comprendere il significato nascosto di quel libro bianco, non riuscivo proprio ad arrivare a nessuna conclusione che avesse un senso. Ma forse era proprio quello il problema. Più volte il Maestro mi aveva ammonito a non tentare di usare la ragione per comprendere i suoi insegnamenti. Purtroppo, però, era proprio quello che stavo facendo in quel frangente. Mi stavo aggrappando alla mente razionale, l’unica risorsa che, almeno apparentemente, credevo di avere a disposizione in quel momento per risolvere il problema. Oramai avevo capito, grazie agli insegnamenti del Maestro, che la mente non può che formulare ipotesi basandosi su ciò che è già contenuto nella memoria. Quel libro bianco, e lo sforzo che ne era derivato di trovargli un significato, mi stavano dimostrando in modo evidente quanto il Maestro avesse ragione. Nulla di nuovo può emergere dal solo rimpasto di cose passate. La mia esperienza pregressa non serviva a nulla di fronte a una situazione che rompeva in modo netto tutti gli schemi consueti con cui la mente è abituata a ragionare. Dato che il libro non conteneva nulla da leggere, e visto che comunque mi ero impegnato a eseguire le pratiche che il Maestro mi aveva indicato, non restava altro che impiegare il tempo nel modo più proficuo possibile, facendo gli esercizi di meditazione. Ricordai che il Maestro mi aveva suggerito di analizzare sempre le mie sensazioni, e di osservare con distacco la mente per essere cosciente il più possibile dei suoi meccanismi interni. E così decisi di fare quel pomeriggio, per iniziare a sperimentare questo particolare lavoro di introspezione. Consumai allora velocemente il pasto che avevo trovato sul tavolo, dopo di che mi sedetti sul letto in una posizione comoda e, ad occhi chiusi, iniziai ad osservare i miei pensieri in modo distaccato, lasciandoli fluire senza alcuna interferenza, esattamente come mi aveva suggerito il Maestro. La mente, come forse era logico che fosse, tornò immediatamente col pensiero a quel libro bianco, riprendendo in modo meccanico a formulare ipotesi sul suo reale significato. Mi resi allora conto in che modo la mente cercava inutilmente di trarre delle conclusioni logiche dai dati a sua disposizione. Questo meccanismo, naturale ed estremamente utile nelle situazioni in cui si deve prendere una decisione sulla base di fatti conosciuti, risulta del tutto inefficiente in tutti i casi in cui le caratteristiche del problema da affrontare non trovano riscontro all’interno delle esperienze vissute. Quello che succede è che, non avendo di solito un controllo sui meccanismi che scattano nella nostra mente, tendiamo a lasciarla andare in modo del tutto automatico, ed è normale quindi che finiamo per applicare sempre gli stessi schemi di pensiero, anche quando questo approccio non può portare ad alcun risultato concreto. Benché non avessi ancora la più pallida idea del reale significato di quel libro bianco, di sicuro stavo imparando ad osservare in modo distaccato ciò che accadeva al mio interno di fronte ad una situazione inconsueta, e ad apprezzare l’efficacia di questo utile esercizio. E’ incredibile quante cose si scoprono quando si comincia ad osservare in modo distaccato la propria mente, e come ci si renda conto della sua assoluta meccanicità, effetto del profondo addormentamento in cui siamo costantemente immersi. Attraverso quell’esperienza mi stavo rendendo conto di quanto sia impossibile comprendere cosa voglia dire essere ‘svegli’, almeno fino a che non si prova l’esperienza della presenza, ottenuta attraverso l’osservazione distaccata della propria mente. Ci si
accorge allora che quello che chiamiamo il normale stato di ‘veglia’, altro non è che uno stato di profondo addormentamento. In quello stato è del tutto impossibile ascoltare i segnali che provengono dal nostro Vero Sé. L’osservazione distaccata e la meditazione pertanto rappresentano l’unica via per calmare la mente e attenuare il rumore di fondo, in modo che l’immensa saggezza della nostra essenza divina possa emergere e farsi sentire nel modo in cui sa fare, e cioè attraverso intuizioni, sensazioni, premonizioni. Quando si comprende l’importanza e il potere derivante dall’auto-osservazione si apre la strada a un nuovo modo di usare la mente. Ti rendi conto che può diventare il tuo migliore alleato, rappresentando il ponte di collegamento verso il tuo Io Superiore, che è in definitiva ciò che sei veramente. Una comprensione che può davvero cambiarti la vita. In fondo, pensai, già quello era un ottimo risultato, e non mi sarei affatto stupito se avessi scoperto che l’indurmi a fare un lavoro di introspezione era, se non l’unico, almeno uno dei motivi per cui il Maestro quella mattina mi aveva donato un libro totalmente bianco. Le ore che mi separavano dalla cena trascorsero molto velocemente. Durante la meditazione la cognizione del trascorrere del tempo è molto diversa rispetto a quella che si ha durante il normale stato di veglia. Quando si è completamente immersi in qualche attività che occupa per intero la mente, infatti, il tempo sembra scorrere molto più velocemente, e la noia in quei casi è solo un concetto astratto. Non saprei dire dove, ma ricordo di aver letto da qualche parte che il tempo impiegato a meditare rallenta notevolmente il processo di invecchiamento del corpo. E’ come se avvenisse una sospensione momentanea dell’inesorabile trascorrere del tempo. Chissà, pensai, forse quello è uno dei motivi per cui mediamente i monaci tibetani vivono fino a età molto avanzate. Era finalmente arrivata l’ora della cena, e iniziai quindi a preparami per scendere nella grande sala del monastero. Ero davvero impaziente di incontrare di nuovo il Maestro per chiedergli qual era il significato di quel libro bianco, e tra non molto avrei finalmente avuto l’occasione per farlo. Scesi così le scale che conducevano nella grande sala del monastero, e mi recai nella stanza destinata al convivio, ricavata in un locale attiguo alla sala centrale, a cui si accedeva passando per un grande arco variopinto e decorato da innumerevoli figure sacre ed ideogrammi. Nella sala c’erano quattro file di tavoli posti parallelamente tra loro, alti non più di una ventina di centimetri, tantè che ci si poteva accomodare solo stando seduti a gambe incrociate su dei grandi cuscini color porpora, posti su ambo i lati di ogni tavolo. C’era un andirivieni di giovani monaci che portavano una moltitudine di ciotole contenenti ogni ben di Dio: riso, legumi, vegetali di ogni tipo, zuppe fumanti e vassoi ricolmi di frutta, sia fresca che secca. Insomma, una vera festa, sia per gli occhi che per il palato. Ancora nessun monaco si era accomodato ai tavoli, pertanto rimasi in piedi in un angolo della sala ad osservare, cercando di non intralciare il movimento di chi stava portando le pietanze. Ebbi allora modo di notare ancora una volta l’espressione gioiosa nei visi di tutti i monaci presenti in quella sala. Non mi ci ero ancora abituato, evidentemente, visto che continuavo a notarla. Eppure, pensai, quella era una sera come tante altre. Una normalissima cena, uguale a quelle che venivano consumate tutte le sere in quel monastero, con le stesse persone, negli stessi luoghi, con le stesse modalità. Nulla di speciale. Ecco, ora sapevo che la chiave di tutto risiedeva proprio in quelle
parole quasi magiche: nulla di speciale. Non ci vuole nulla di speciale, infatti, affinchè si provi gioia. Quei monaci sorridenti erano la prova tangibile di quanto fosse vero quello che mi aveva insegnato il Maestro. E ora sapevo per certo anche un’altra cosa: la gioia, quella vera, quella pura che nasce dal cuore, è contagiosa. Erano bastati solo due giorni di permanenza in quel monastero per cambiare in modo radicale il mio stato d’animo. Non so se la causa fosse da ricercare nei discorsi illuminanti del Maestro, o nell’atmosfera serena di quel monastero, oppure nelle meditazioni che facevo ogni pomeriggio o, piuttosto, in tutte queste cose messe assieme, ma c’era qualcosa in me che stava cambiando in modo permanente e irreversibile. Percepivo in modo netto che non sarei più stato quello di prima. Una parte di me stava morendo per far posto ad una persona del tutto nuova, che guardava alla vita con occhi diversi. Il pensiero costante, indotto dagli insegnamenti del Maestro, che tutto fosse una semplice illusione, mi faceva sempre più rendere conto del fatto che la vita non è altro che un bellissimo gioco, e che il mio compito è quello di godermi la giostra e far emergere in modo naturale la gioia che è dentro di me. Forse non ero ancora arrivato al punto di provare felicità incondizionata, ma la pace mentale e la nuova visione del mondo che quei due giorni di permanenza mi avevano donato li consideravo già un grande risultato di cui essere grato. All’improvviso tutti i presenti si fermarono, indipendentemente da quello che stavano facendo e da dove si trovassero. Non capivo cosa stesse succedendo, ma poi mi fu chiaro quando vidi il Maestro entrare nella sala seguito da un gruppo di monaci, credo gli stessi che la mattina precedente erano a colazione con lui nella grande sala. Il Maestro si sedette al centro del primo dei quattro lunghi tavoli, in modo da non dare le spalle a nessuno dei commensali presenti. Pian piano, in modo molto ordinato, tutti i monaci iniziarono a sedersi, apparentemente senza alcun ordine o regola predeterminata. Io rimasi in piedi nel mio angolo, aspettando di capire dove potermi accomodare. Di nuovo sentii un po' di imbarazzo, dovuto principalmente al fatto che non capivo se ero libero di scegliere un posto qualsiasi, o se invece avrei dovuto aspettare che qualcuno mi desse indicazioni. Immediatamente la mia mente andò alle parole che il Maestro disse in occasione del nostro primo incontro, e mi resi subito conto che quell’imbarazzo era solo dovuto al lavoro frenetico della mia mente, che tentava di tirarsi fuori da uno stato di disagio del tutto immaginario, frutto solo di inutili e insensate elucubrazioni mentali. Feci allora un gran respiro e osservai con distacco i miei pensieri, così come mi aveva insegnato il Maestro, in modo da ritrovare subito la corretta calma mentale. Ebbi l’ulteriore conferma che mi stavo preoccupando senza alcun reale motivo quando, nel bel mezzo delle mie elucubrazioni, uno dei monaci seduti accanto al Maestro sollevò un braccio per attirare la mia attenzione facendomi cenno di raggiungerli al loro tavolo. Il posto di fronte al Maestro era stato tenuto libero, e compresi con immensa gioia che era lì che mi sarei potuto accomodare. Appena mi sedetti sul cuscino, ad un cenno del Maestro tutti i commensali misero le mani giunte all’altezza del viso e, chinando leggermente il capo fino a toccare con la fronte l’estremità delle loro dita, rimasero immobili ad occhi chiusi in quella posizione. Non capendo bene cosa stessero facendo mi affrettai anch’io ad imitare i loro gesti, tenendo parzialmente aperto uno degli occhi per osservare cos’altro facessero, e muovermi così di conseguenza. Quello doveva essere il rito di ringraziamento per il cibo che ci apprestavamo a consumare,
pensai, e probabilmente i monaci recitavano a mente un mantra o una preghiera, ma questo non lo potei appurare, perchè evitai di fare domande al riguardo. Il rito del ringraziamento del cibo è qualcosa che si pratica, anche se in forme diverse, in quasi tutte le religioni, e ritrovarlo anche lì, alle pendici del monte più alto e isolato del mondo, mi fece pensare che le sue origini dovevano essere davvero antiche, forse anche più delle stesse religioni che lo praticano. Era un’altra prova evidente del fatto che la gratitudine è un atto di una potenza inaudita, che andava a confermare tutto ciò che il Maestro mi aveva insegnato al riguardo. Finita la preghiera di ringraziamento iniziammo a mangiare, e dato che non vedevo l’ora di conoscere il significato del libro bianco che avevo ricevuto in dono quella mattina, rivolsi subito la domanda: “Maestro, questo pomeriggio ho aperto il libro che lei mi ha dato, ma ho scoperto con enorme stupore che contiene solo pagine bianche. Mi chiedevo quale fosse il significato di quel libro…” Il maestro porse la sua ciotola al monaco alla sua destra, chiedendogli di versargli del riso. Dopo di che, alzando gli occhi verso di me, rispose: “ Non fermarti di fronte alle apparenze. Quel libro contiene più informazioni di quanto tu possa immaginare. Devi imparare a guardare oltre il velo della tua mente razionale, per poter scorgere il vero significato delle cose. Ogni oggetto, parola o evento, non sono altro che la rappresentazione simbolica di qualche concetto più profondo, il cui significato va ben oltre quello che la mente può vedere attraverso gli occhi. Credi di vivere in un mondo fatto di cose e persone, ma in realtà stai vivendo in un universo fatto solo di simboli, e quel libro bianco è uno di quei simboli.” “La prego Maestro - risposi - mi dica qual è il messaggio nascosto in quel libro. E’ tutto il pomeriggio che ci penso, ma non sono riuscito a trovare alcuna spiegazione logica.” “Quel libro è lì per mettere di fronte ai tuoi occhi la tua abitudine a creare aspettative. Le aspettative sono il risultato della tua propensione a dare per scontate molte cose. Questa mattina hai dato per scontato il fatto che la tua conoscenza possa essere ampliata grazie alla lettura dei libri contenuti in quella biblioteca. Ho sentito fortissima la tua eccitazione riguardo alla ossibilità di poter accedere a quell’immenso sapere, e l’assunzione che la tua crescita personale otesse derivare dall'accumulo di nuove conoscenze. Non ti rendi conto invece che inizierai a crescere solo quando metterai in discussione tutto ciò che già credi di sapere. Vivi in un mondo illusorio, nel quale sei l’unico artefice del sogno che stai sognando, ma anche conoscendo questa verità, non riesci comunque a venirne fuori. Tra gli esseri dormienti esistono due categorie di persone: la maggior parte di esse si dibatte nel sogno per dimostrare con tutte le sue forze la veridicità del loro mondo illusorio. Sono persone destinate a fallire, perché non è ossibile far passare per vero ciò che vero non è. Altre persone invece, come te, hanno intuito che forse stanno vivendo in un’illusione creata da loro, e si dibattono nel sogno alla ricerca di prove e riscontri che dimostrino questa loro intuizione. Anche queste persone sono destinate a fallire, perché cercano la verità all’esterno, nei libri o in qualche guru. Non arriveranno mai da nessuna parte, perché quei libri e quei guru fanno arte anch’essi del sogno.
Ricorda sempre che sei l’origine di tutto, e che sei quindi tu a decidere qual è la tua verità. Questo è il grande segreto, e quando finalmente tutto ciò ti sarà chiaro, ti verrà spontaneo riderne ragorosamente, ripensando a quando ti dibattevi inutilmente alla ricerca della ‘verità’. Quel libro bianco ti ha messo davanti agli occhi l’evidente illusorietà del tuo mondo, fatto di false assunzioni e conseguenti inutili aspettative, che non potranno che essere puntualmente deluse, così come sei rimasto deluso nel vedere che quel libro, dal quale ti aspettavi grandi rivelazioni, non conteneva alcunché. Devi comprendere che la sofferenza, quel ‘mal di vivere’ che spesso affiora nella tua mente, deriva solamente dalle tue stupide assunzioni e dalle corrispondenti aspettative. Abbandonale, e ti sentirai più leggero, come se avessi lasciato cadere una pesante zavorra che sta gravando sulla tua intera esistenza. Quella zavorra è fatta di tutto il tuo passato, che si materializza attraverso credenze e aspettative che non potranno mai trovare alcun riscontro nella vita reale, rendendoti cieco e impedendoti l’accesso alla verità ultima, la sola e unica che può darti la gioia. Tutte le risposte sono dentro di te, perché tu sei la Verità, non scordarlo mai.” Eliminare le aspettative, quindi, per eliminare la sofferenza. Il Maestro riusciva sempre a stupirmi, e questa importante regola di vita non l’avrei mai potuta dedurre senza che me l’avesse fatta notare con l’aiuto di quel libro bianco. A quel punto però mi venne spontaneo chiedere: “Se io sono l’origine di tutto, e tutte le risposte sono dentro di me, perché allora sento forte l’esigenza di leggere libri e seguire l’insegnamento dei maestri?” “Il problema è che hai smesso di farti domande, proprio a causa del fatto che dai per scontate tante cose. L’assumere di avere già le risposte ti fa erroneamente pensare di non doverti porre domande, credendo siano superflue. Fin da piccolo hai imparato a sopprimere la voce della verità roveniente dal tuo essere, e anche nei rari momenti in cui poni qualche domanda, non ne ascolti oi la risposta. La tua mente è perennemente impegnata a fare ragionamenti logici per trarre conclusioni, partendo da falsi presupposti che credi reali. Quei ragionamenti però non possono darti alcuna risposta, perchè impregnati del tuo passato, dal quale non può emergere nulla di nuovo. Quel meccanismo ruba costantemente la tua attenzione dirigendola verso l’esterno, allontanandoti così dalla verità ultima. L’unica vera risposta può arrivare solo dal tuo Vero Sé, ma per farlo devi fare silenzio nella tua mente e ascoltare le tue sensazioni. E’ così che vanno letti i libri e ascoltati i maestri: libera la mente e poniti in ascolto delle tue sensazioni. Saranno loro ad indicarti se quello che stai leggendo o ascoltando è davvero ciò che stai cercando. La verità la conosci già, ma devi ascoltare i tenui segnali che provengono dal tuo essere per poterla riconoscere. Ricorda quello che ti ho detto nella biblioteca questa mattina: sei tu l’autore di tutti quei libri. Leggere libri e ascoltare maestri non serve ad imparare, ma solo a ricordare cose che conosci da sempre. Solo ciò che è vero farà vibrare profondamente il tuo essere. Impara quindi a riconoscere questi segnali.” Il discorso del Maestro mi era abbastanza chiaro, ma volli comunque ribadire il motivo per cui quella mattina avevo chiesto di leggere qualcosa da quella biblioteca, nel tentativo di dare una
giustificazione plausibile a quella mia insistente richiesta... “Ho chiesto di leggere qualche libro, Maestro, perché lei stesso mi ha detto che nella biblioteca del monastero sono custodite conoscenze tramandate da secoli e conservate grazie al meticoloso lavoro di raccolta dei monaci…” Il Maestro accennò un sorriso, evidentemente divertito dal mio voler giustificare quella richiesta a tutti i costi. “Calma la tua mente - mi disse - e realizza che stai solo cercando un motivo razionale ad un’esigenza dell’anima. Ho ben chiaro il motivo della tua richiesta, mentre sei tu che non riesci ad attribuirle il vero significato. E’ la sete di riscoprire la tua vera natura che ti ha portato a intraprendere questo viaggio. Quell’impulso irrefrenabile a volerne sapere sempre di più deriva essenzialmente dalla spinta esercitata dal tuo Vero Sé, che ha come unico scopo quello di tornare alle sue origini, al fine di comprendere se stesso. Non hai nulla da giustificare, e non ha senso nemmeno opporre resistenza. Devi solo rallegrartene e assecondare quella tua voglia, assaporando in ogni momento la bellezza di questo fantastico viaggio e la gioia infinita che ne deriva. Abbandona ogni impulso a voler decidere quale sarà il tuo prossimo libro o maestro, perché essi si manifesteranno in modo spontaneo, e ogni volta sarà esattamente ciò che serve in quel reciso istante per agevolare la tua crescita. Questa regola è valida per qualsiasi evento della tua vita. La gioia non può che derivare dalla rinuncia al voler controllare a tutti i costi ciò che accade.” “Maestro - replicai - ho compreso che non ha alcun senso cercare di controllare gli eventi della propria vita, ma questo mi fa sentire impotente di fronte agli accadimenti. Se sono un essere divino, immagino che io possa in qualche modo influire sugli eventi della mia vita, scegliendo di sperimentare ciò che più desidero. Ricordo il suo discorso riguardo al libero arbitrio, che secondo i suoi insegnamenti si traduce nella libertà di scegliere dove porre la propria attenzione, al fine di farne esperienza. Come si coniuga questo con la rinuncia a voler controllare le cose?” “Dipende da quale tipo di controllo intendi applicare - mi rispose - Puoi esercitare il libero arbitrio, è un tuo diritto divino, ma questo non vuol dire controllare, bensì esercitare una scelta. scolta bene: il tuo compito è dichiarare la tua scelta, ...e poi farti trovare pronto”. Dopo di che fece una pausa e mi fissò negli occhi, forse per accertarsi che avessi recepito il vero significato di ciò che mi aveva appena detto. Farmi trovare pronto? Non mi era per nulla chiaro... “ Probabilmente questo è facile da comprendere per quanto riguarda ciò che apprendi, perché ià sai che, una volta fatta la scelta di intraprendere un percorso di crescita personale, entrerai in contatto solo con i libri o i maestri che sei pronto a recepire. La validità di questa regola ti sfugge erò per quanto riguarda tutti gli altri eventi della tua vita. Nel momento in cui fai una scelta, ti accade solo ciò che sei pronto a ricevere. Questo vale per qualsiasi evento, bello o brutto che sia.”
Continuavo a non capire, e questo credo fosse del tutto evidente al Maestro, che proseguì dicendo: “Esistono due livelli di realtà: uno materiale, che corrisponde a ciò che sperimenti con i cinque sensi, e uno immateriale, fatto di vibrazioni e di corrispondenti forme di pensiero, che sono la vera e unica causa di ciò che si manifesta al primo livello. Puoi manifestare al primo livello solo ciò che è allineato, nel secondo livello, alla tua attuale vibrazione. Ecco cosa vuol dire essere ronti. L’allineamento lo puoi ottenere sia in forma involontaria, come accade nel caso della tua crescita personale, dove il tuo punto di attrazione è determinato solo dal tuo attuale livello di crescita, sia in forma volontaria, e questo può valere per qualsiasi evento che desideri manifestare nella tua vita. Puoi scegliere quale esperienza essere pronto a ricevere, semplicemente allineandoti con la corrispondente forma pensiero. Farsi trovar pronti significa scegliere di ‘essere’ ciò che si desidera sperimentare. Devi diventare tutt’uno con il mondo di cui vuoi fare esperienza. Non c’è altra regola.” “Mi scusi Maestro, ma continuo a non capire - obiettai - perché secondo me scegliere ciò che si desidera sperimentare vuol dire in fin dei conti tentare di esercitare un controllo…” “Scegliere di essere è molto diverso dal cercare di controllare - mi rispose, facendo un cenno di diniego con la testa - E’ evidente che questa differenza non ti è chiara, e questo è il motivo per cui non riesci a comprendere ciò che ti sto rivelando. Prima di tutto esiste il desiderio, che tu esprimi semplicemente ‘scegliendo’ di essere ciò che vuoi sperimentare, accettando nel contempo ciò che è ià manifesto, in quanto frutto di una tua scelta precedente. Tenti di esercitare il controllo, invece, quando rifiuti ciò che è manifesto nel qui e ora, cercando di modificare attraverso l’azione ciò che non ti soddisfa. Questo tipo di controllo è impossibile da ottenere, e qualsiasi tentativo ad operare in tal senso sarà destinato inesorabilmente a fallire. Vedi, sei qui davanti ad una tavola imbandita con un’enorme varietà di pietanze, e sei libero di scegliere tutto ciò che ti piace. La consapevolezza di poter scegliere ciò che desideri non fa emergere in te alcun bisogno di lamentarti per la presenza di pietanze che non sono di tuo radimento. Così sarà anche con gli eventi della tua vita quando finalmente comprenderai il tuo enorme potere di scelta. Quel potere però non potrai esercitarlo senza prima comprendere che scelta e controllo non agiscono allo stesso livello: eserciti la tua scelta quando operi al secondo livello, quello immateriale. Tenti di esercitare il controllo, invece, quando agisci al primo livello, con l’illusione di poter modificare in qualche modo ciò che è già manifesto. Questa è l’unica comprensione che devi avere dei meccanismi di creazione della realtà, nient’altro.” Non può esserci controllo, quindi, quando si esercita una scelta e nel contempo si accetta tutto ciò che è manifesto. Straordinaria spiegazione. Ero molto eccitato, perchè percepivo che il Maestro mi stava svelando i più intimi meccanismi attraverso i quali creiamo la nostra realtà. Finalmente un’ulteriore spiegazione chiara e sensata di quanto avevo potuto leggere fino ad allora riguardo a quella che in occidente chiamiamo la legge di attrazione.
Nel frattempo, dato che la cena era terminata, il Maestro si alzò e si diresse nell’altra sala, seguito dai monaci che lo avevano accompagnato al suo arrivo. Mi alzai anch’io per seguirlo, e capii che la serata si sarebbe conclusa sorseggiando del thè seduti su grandi tappeti nel mezzo della grande sala delle preghiere.
Il risveglio “Svegliati. Sii testimone dei tuoi pensieri. Tu sei ciò che osserva, non ciò che osservi.” - Buddha
Nella grande sala c’erano diverse teiere fumanti poste al centro di altrettanti tappeti dislocati in vari punti della sala, circondati ognuno da una decina di cuscini. Ero fortemente intenzionato a continuare il discorso intrapreso con il Maestro, pertanto lo seguii sperando di riuscire a sedere accanto a lui. Non vi avrei rinunciato per nulla al mondo, soprattutto in considerazione del fatto che avevo percorso migliaia di chilometri per essere lì, ad ascoltare i suoi preziosi insegnamenti. Ancora una volta la mia mente si stava preoccupando senza alcun motivo, perché una volta che il Maestro si accomodò su uno dei cuscini, mi fece subito cenno di sedere accanto a lui. Non me lo feci ripetere due volte, naturalmente. Subito un giovane discepolo si avvicinò, prese la teiera al centro del tappeto e, cominciando dal Maestro, versò del thè nella ciotola posta di fronte ad ognuno dei presenti. Rimasi piacevolmente colpito dalla sua gestualità, molto vicina a un vero e proprio cerimoniale. Prima e dopo aver versato il thè, infatti, faceva un piccolo inchino all’ospite di turno, donando ampi sorrisi e mantenendo sempre un’espressione del viso gioiosa. Benché fosse un vero piacere guardarlo, mi sentivo un po' a disagio nell’essere servito e riverito in quel modo, pertanto chiesi al Maestro la ragione di quel particolare rito. “ Allontana dalla tua mente qualsiasi conclusione affrettata sul significato di quanto stai osservando. I discepoli di questo monastero stanno imparando che non c’è alcuna separazione t ra il proprio essere e il mondo che li circonda. Questi gesti di cortesia sono eseguiti con assoluta ioia, nella convinzione che qualsiasi atto d’amore fatto nei confronti del prossimo in reltà è un atto d’amore verso se stessi. La gioia che vedi nei loro occhi deriva dall’assaporare, istante per istante, l’appartenenza ad un enorme disegno divino, di cui sanno di essere parte integrante e insostituibile. Attraverso questi gesti di puro amore nei confronti del prossimo il discepolo impara ad amare se stesso, riconoscendo la propria natura divina, e vedendola riflessa negli altri. La riverenza che dimostrano non è altro che un riconoscimento dell’essenza divina che permea l’intero Creato.” Stavo per ringraziare il Maestro per avermi dato quella esauriente spiegazione, ma non ebbi il tempo di farlo, perché subito continuò: “La tua anima ha percepito la spontaneità del dono, e ha gioito nel riconoscere in esso un autentico atto d’amore. Questo ti ha fatto star bene per un istante, ma subito dopo la tua mente si è intromessa, facendo riemergere i sensi di colpa sepolti nel tuo inconscio. Sei stato abituato fin da piccolo a non ricevere, e questo ti fa sentire a disagio ogni qual volta ricevi un gesto di cortesia da parte di qualcuno. Se vuoi che l’abbondanza entri nella tua vita devi imparare a ricevere e ad assaporare tutta la ioia che ne deriva. Per riuscirci, però, devi eliminare i sensi di colpa che sono stati indotti nel
tuo essere fin dalla più tenera età. Riuscirai a farlo solo quando sarai in grado di amare te stesso incondizionatamente. Questo è quello che i discepoli imparano a fare attraverso queste pratiche. I tuoi occhi vedono un discepolo che serve del thè, mentre un saggio vede uno scambio d’amore infinito, nel quale chi dona riceve molto più di quanto dà. Il discepolo conosce questa legge, ma sa anche che l’amore non può essere appreso sui libri. L’amore incondizionato va praticato.” Nel pronunciare l’ultima frase alzò il dito indice e mi fissò negli occhi con fare severo, quasi ad ammonirmi a considerare di fondamentale importanza la pratica dell’amore incondizionato. Di nuovo il Maestro poneva estrema enfasi sull’esigenza di fare pratica di ciò che si desidera imparare. La lettura dei libri, secondo il suo insegnamento, è sì importante, ma rimane fine a se stessa se non se ne fa esperienza attraverso la pratica. Ancora una volta mi rendevo conto che qualsiasi episodio in quel monastero, anche il più banale, rappresentava una preziosa occasione per ricevere qualche insegnamento. Ero felice di essere lì, e ora mi rendevo conto che il grande disagio provato nei primi momenti, e l’iniziale voglia di scappare via erano oramai solo lontani ricordi, quasi non mi appartenessero più. Ora però ero interessato a continuare il discorso intrapreso con il Maestro riguardo all’abbondanza e come farla entrare nella propria vita. Colsi allora l’occasione per chiedere: “Maestro, lei ha detto che per attirare ciò che desidero devo prima risolvere i miei sensi di colpa. Comprendo il concetto, e sono d’accordo sull’importanza di riuscire a ricevere senza sentirsi in colpa. Ha anche detto che bisogna farsi trovare pronti, allineandosi con i propri desideri. Basta questo per attirare l’abbondanza? Può spiegare meglio il concetto?” “Sapevo che prima o poi avresti fatto di nuovo la domanda - rispose il Maestro, scrollando la testa e accennando un piccolo sorriso - la smania di voi occidentali è accumulare beni terreni, nell’assurda convinzione che la felicità possa derivare dal possesso di cose materiali. Gran parte della vostra letteratura al riguardo è infarcita di promesse di questo tipo. Per un certo verso tutto ciò è stato un bene, perchè ha attirato molte persone verso un percorso di crescita, facendo leva roprio su questa vostra brama di raggiungere la felicità attraverso il possesso di cose materiali. E’ contemplato nel Grande Disegno l’utilizzo di ogni mezzo, anche quelli apparentemente meno ‘puri’ e ‘spirituali’, per iniziare il maggior numero di persone a questo lungo percorso di risveglio. Coloro che sono pronti però si accorgono, lungo il cammino, che il vero obiettivo è un altro, e allora iniziano a dirigersi verso l’unica vera meta, che è la riscoperta della propria natura divina. Non si può chiedere a chi non è pronto di rinunciare ai propri desideri terreni, erchè l’attaccamento è una tappa fondamentale del percorso. Guai a fingersi ‘illuminati’ e a sopprimere forzatamente i propri desideri. Si può iniziare a salire una scala solo partendo dal radino più basso. Capisco quindi la tua domanda, e al riguardo voglio rivelarti una cosa molto importante...” Interruppe momentaneamente il discorso per sorseggiare del thè, e io rimasi lì a bocca aperta ad aspettare il seguito, rapito come un bambino che ascolta una bellissima fiaba...
Poggiata la tazza, riprese a parlare: “Tutti coloro che credono di poter ‘attirare’ a sé eventi o cose, o di poter ‘creare’ la propria realtà, fanno un grande errore, perché perdono di vista la vera natura del mondo. Ti ho già spiegato che l’intero Universo è dentro di te, ma ogni volta lo hai raffigurato solo in termini spaziali, immaginandoti grande quanto tutto l’Universo. Ebbene, questa affermazione vale anche per il tempo, perché anch’esso è generato nella tua mente, e quindi fa parte della stessa illusione. Sei un essere immenso, che racchiude tutto l’Universo, assato, presente e futuro. Questo vuol dire che qualsiasi evento tu possa immaginare esiste già dentro di te, quindi non ha alcun senso pensare di doverlo ‘attirare’ o ‘creare’. Se credi di dover attirare a te la realtà, stai affermando di esserne separato. Questa tua affermazione corrisponde a un comando per l’Universo, ma il problema è che non puoi avere controllo su ciò che credi sia separato da te.” Semplicemente sconcertante. Grazie alle parole del Maestro scoprivo che le decine di libri che avevo letto fino allora sull’argomento mi avevano sempre raccontato una finta verità. Volevo saperne di più, per cui chiesi: “Maestro, questa sua rivelazione è sconvolgente, ma cosa devo fare esattamente per materializzare i miei desideri?” “ La soluzione è molto semplice: entra nell'idea di essere l’intera realtà. Tutto ti appartiene già, non devi creare nulla. Questo è il grande segreto che nessuno dei libri del tuo mondo ti ha mai rivelato. Ti hanno sempre detto che la visualizzazione è lo strumento da usare per ‘attirare’ a te li eventi desiderati. Niente di più sbagliato. La visualizzazione è util e, ma il suo scopo è del tutto diverso da quello che hai sempre creduto. Ascolta bene: non dare altri scopi alla visualizzazione se non quello di essere felice, nel qui e ora. Qualsiasi altro uso della visualizzazione è solo stupida superstizione. Ora forse stai comprendendo cosa vuol dire allinearsi ai propri desideri. Stando bene e provando gioia nel qui e ora, àncori i tuoi desideri al momento presente, riconoscendo di essere tutt’uno con essi e con l’Universo intero. I desideri sono già tuoi, nell’istante presente, non devi fare altro che gioirne.” Usare la visualizzazione per star bene, nel qui e ora. La semplicità di questo concetto è tanto sconcertante quanto disarmante, pensai. La visualizzazione va usata quindi come fosse un ‘massaggio ristoratore’ per la mente, affinché attraverso le emozioni positive che ne derivano ci si possa allineare con i propri desideri. Ora capisco perché qualsiasi ‘brama’ di ottenere le cose non fa altro che generare l’effetto opposto. La nostra credenza di dover attirare a noi gli eventi desiderati è un’esplicita dichiarazione di mancanza e di separazione, che ci priva inesorabilmente del potere di ottenerli. Il problema è che nessuno ci ha mai consegnato il ‘manuale di istruzioni’ per usare al meglio il nostro immenso potere. Tanta era l’eccitazione per quanto mi stava rivelando il Maestro che chiesi: “E’ bellissimo stare al suo cospetto e ricevere i suoi insegnamenti, Maestro. Desidero rifare ancora questa esperienza. Potrò tornare ancora nei prossimi anni per incontrarla di nuovo?” “ Non dipende da me, perché io esisto solo nella tua mente. Potresti scegliere di non incontrarmi più, o sognare l’incontro con un altro maestro, forse anche più saggio di me. La tua
domanda parte dal presupposto che io sia reale, e che questo monastero, e tutto il mondo che vedi abbiano una consistenza reale indipendente da te. Ora sai che non è così. Sei in un sogno, e sei libero di ricordare chi sei attraverso gli insegnamenti di qualsiasi maestro. Quando ti sveglierai ricorderai tutti i miei insegnamenti, ma realizzerai che questo sogno era solo un trucco che il tuo Vero Sé ha escogitato per portare alla tua mente di superficie cose che nel tuo profondo sapevi ià. Sei in questo sogno per ricordare la verità, e io scomparirò quando il mio compito sarà terminato.” Rimasi allibito da quanto il Maestro mi stava rivelando. D’accordo sul concetto che fosse tutto un sogno, ma non capivo cosa volesse dire con il fatto che sarebbe sparito nel momento in cui la sua missione fosse terminata. “Cosa vuole dire, Maestro, che se tornerò qui il prossimo anno, non la troverò più? O addirittura non troverò questo monastero? Sono davvero confuso...” “ Io sono qui solo perché tu mi stai immaginando. Sono una tua proiezione. Non ho un passato, e non avrò più ragione di esistere nel momento in cui non avrai più bisogno di me. Tu credi di avere a che fare con persone che esistono al di f uori di te, e che hanno una loro storia. Lo pensi per tutte le persone che entrano nella tua vita, ma non è così. Sei in un sogno, e tutto ciò che ne fa parte si materializza all’occorrenza. Se fai fati ca a crederlo, pensa ad un sogno notturno. Hai mai creduto orse che le persone che incontri in quel sogno abbiano davvero un passato, e che continuino a esistere anche la mattina, dopo che ti sarai svegliato? Risponderesti senza dubbio di no a questa domanda. Ebbene, questo è quello che succede anche nella vita che tu chiami ‘reale’. Sei l’origine di tutto, non scordarlo mai. Nel preciso istante in cui hai detto “io sono”, un intero Universo è venuto alla luce per rispecchiare questa tua affermazione, e far si che tutto ciò in cui credi possa essere materializzato, con l’unico fine di farne esperienza. Questa è la vera origine del mondo che vedi, e anche l’unico scopo.” In effetti, pensai, se questo è un sogno, allora devono valere le stesse regole dei sogni che faccio la notte. L’unica differenza, forse, è il fatto che quelli notturni durano solo poche ore, mentre questo ha una durata ben più lunga. Qualcosa però in questa analogia non mi tornava, e allora chiesi: “Maestro, come fa ad essere solo un sogno che ho creato io, se sono nato da due genitori che esistevano comunque prima che io venissi al mondo?” “Stai ancora dando per scontate molte cose, che a un’attenta analisi si rivelerebbero del tutto infondate. Ricordi il momento esatto in cui sei venuto al mondo? Saresti in grado di descrivere i tuoi primi attimi di vita?” “Certamente no - risposi - ma solo perché ero troppo piccolo per ricordare…” Il Maestro accennò un sorriso, facendomi intendere che non stavo cogliendo il punto del suo discorso. Quindi continuò: “Sei caduto nel tuo sogno talmente in profondità che non riesci a vedere la realtà delle cose. Stai semplicemente sognando di essere una persona nata in quest’epoca, messa al mondo dai tuoi attuali genitori. Il tuo sogno è iniziato quando hai erroneamente considerato te stesso come un essere separato dal tutto. In quel preciso istante è iniziato i l ciclo di quelle che vengono chiamate le ‘reincarnazioni’. La reincarnazione non è altro che il focalizzarsi,
da parte dell’Osservatore, su di una realtà fittizia, nella quale, prima di entrare, ha immaginato e quindi creato tutto ciò che ne avrebbe fatto parte, genitori compresi. Non è possibile avere coscienza del momento in cui un sogno inizia, ed è il motivo per cui non puoi ricordare i tuoi primi istanti di vita.” “Maestro, questo vuol dire che i miei genitori non esistono? Sono solo una mia immaginazione?” Chiesi preoccupato. Il Maestro sorrise e scrollò di nuovo la testa in segno di diniego: “ Questo dubbio sorge perché ancora consideri te stesso come un’entità separata dai tuoi genitori e dal resto del mondo. Siamo tutti una sola cosa, appartenenti a un’unica Coscienza, e ognuno dei tuoi genitori è una parte di questa Coscienza che si è differenziata per recitare un preciso ruolo in questa tua incarnazione. Potrai comprendere ciò che ti sto dicendo solo quando accetterai l’idea di non essere separato da ciò che vedi. Ricordi? L’Osservatore e l’oggetto osservato sono la stessa cosa, in quanto indivisibili. Finchè sei nel sogno e lo osservi, tutte le tue creazioni, compreso il tuo corpo e le persone che vedi intorno a te, sembrano esistere. Quando ti risvegli e smetti di osservare il sogno, tutto ciò che ne aceva parte svanisce, e ciò che rimane è solo la conoscenza acquisita attraverso le esperienze atte nel sogno. La conoscenza è la sola cosa reale di quel sogno, e come tale ha un’esistenza ropria che va oltre il sogno stesso. Questo è il motivo per cui il solo ‘apprendere’ con la mente di superficie non serve a nulla, perchè tutto scomparirà insieme al sogno. Solo la conoscenza acquisita attraverso l’esperienza rimarrà impressa per sempre nel tuo essere.” “Ma i miei genitori hanno memoria dei momenti precedenti la mia nascita - obiettai - A loro volta hanno vissuto molti anni prima che io venissi al mondo. Ricordo che mio padre spesso mi raccontava di quando era ragazzo e aiutava mio nonno, che era un contadino, a coltivare i campi.” “Continui a confondere il sogno di un ipotetico tempo passato con la realtà vissuta. Stai sognando di avere un padre che ti raccontava le sue esperienze da ragazzo. In altre parole mi hai appena raccontato un episodio del tuo sogno, ma non essendo sveglio, sei convinto che ciò che mi racconti sia accaduto davvero. Non dare una valenza reale al passato, né al tuo né a quello degli altri, perché non può averne. Ogni memoria esiste solo nella mente di chi sogna di ricordarla. Potresti indicare dov’è uno qualsiasi dei tuoi giorni passati, se non nella tua mente? Il passato e il uturo, in quanto illusioni, non hanno alcuna esistenza reale. Esiste solo il momento presente, il qui e ora, che contiene al suo interno tutto il passato e tutto il futuro. Anzi, ne è la causa.” “Il momento presente è la causa del passato? In che modo Maestro? Sono davvero disorientato da queste rivelazioni, mi faccia capire meglio.” “Il presente sei tu, e siccome sei l’origine di tutto, lo sei anche del tuo passato - mi rispose Ogni tuo ricordo, e tutto ciò che fa parte di quello che credi sia il tuo passato, esiste solo per iustificare ciò che sei nel qui e ora, che è l’unico momento che esiste. La tua infanzia, il tuo rimo giorno di scuola, il primo bacio, e qualsiasi altro ricordo impresso nella tua mente fanno tutti parte di un unico evento che si sta svolgendo adesso, nel qui e ora. Sono increspature nella
Coscienza Globale che, come le onde create da un sasso lanciato in uno stagno, si propagano in tutte le direzioni ed esistono contemporaneamente nel momento presente. Così come le onde dello stagno dipendono dal sasso lanciato, così il tuo passato e il tuo futuro dipendono dal tuo presente, cioè da quello che ‘sei’ in questo momento. Cambia il tuo essere, e necessariamente passato e uturo cambieranno.” A questo punto non potei evitare di fare la domanda che, credo, chiunque si sia posto di fronte all’idea che la vita fosse solo un sogno: “Ma allora Maestro, se tutto ciò è un’illusione creata dalla nostra mente, che senso ha vivere? Qualcuno potrebbe pensare che la vita non abbia alcun senso, e che quindi sia senza importanza”. Il Maestro mi guardò con aria severa aggrottando le folte sopracciglia, credo in segno di totale disaccordo con quanto gli stessi dicendo. “ Più volte ti ho parlato dell’importanza di vivere questa esperienza terrena. Lo scopo è quello di ritornare alla nostra natura divina con un livello di consapevolezza del tutto diverso rispetto a quando abbiamo intrapreso questo lungo percorso. Siamo qui per scoprire cosa significa essere divini, ma per farlo dobbiamo necessariamente passare attraverso un’esperienza di non divinità. cco perché una volta calati su questo piano materiale non ricordiamo chi siamo veramente. Siamo tutti parte di una stessa Coscienza che, attraverso le nostre innumerevoli esperienze, sta maturando la consapevolezza del proprio vero essere. Ogni esperienza di vita, anche la più piccola e insignificante, è unica e diversa da tutt e le altre. Questo ti fa comprendere quanto preziosa sia la tua vita, senza la quale esisterebbe un vuoto di conoscenza altrimenti incolmabile. Sei un tassello insostituibile di un enorme puzzle. Devi amare la vita e proteggerla, in qualunque espressione essa appaia, perché è la sacra manifestazione di uno scopo divino. Chi conosce il vero significato di questa esistenza, anche se illusoria, non può che apprezzarla e amarla incondizionatamente. E’ esattamente l’opposto di ciò che credi, perché è roprio la mancanza di consapevolezza che impedisce alle persone di amare e apprezzare la vita. Se ti guardi intorno puoi vedere con i tuoi occhi gli effetti deleteri della profonda inconsapevolezza in cui è immersa l’umanità.” “Grazie Maestro, le sue parole sono di immenso conforto, e mi spronano a continuare in questo mio percorso di ricerca. Ho solo un’ultima domanda: cosa mi dice riguardo alla morte? Quando il corpo muore anche l’illusione finisce e si torna ad un livello di consapevolezza superiore?” “Quando parli di morte normalmente ti riferisci alla morte del corpo, ma intesa in quel senso è solo un concetto relativo, che ha un significato totalmente diverso rispetto a quello che tu immagini. Non credere che la morte doni l’illuminazione, e nemmeno che sia la fine di tutto. Puoi morire nel corpo, ma il tuo essere, se non risvegliato, permarrà nell’illusione del sogno, e continuerà a creare un mondo illusorio nel quale penserà di avere un’esistenza autonoma, separata dal tutto. Molte persone infatti muoiono nel corpo, ma non se ne rendono conto, e continuano a creare il loro mondo, pensando di essere ancora nella realtà materiale. La vera morte è la morte della mente duale, quella che crea il tuo ego e la tua personalità, e che ti fa credere nella separazione. La morte della mente però non è una vera morte, perchè in realtà è il risveglio dell’essere, è la
vera realizzazione. Quella morte rappresenta la fine definitiva dell’illusione, e può avvenire indipendentemente dall’esistenza in vita del corpo. Il corpo ha l’unico scopo di agevolare la morte della mente, e quindi la realizzazione dell’essere. Onora il tuo corpo quindi, perchè è lo strumento fondamentale e indispensabile per ottenere il risveglio. Nel momento in cui la mente duale muore, il tempo e lo spazio non hanno più ragione di essere. Ricordi? A differenza della realtà, l’illusione ha bisogno che tu le creda per poter esistere. Ebbene, nel momento del vero risveglio la mente duale collassa, e insieme a lei l’intero Universo materiale svanisce nel nulla, erché di nulla è fatto. E’ come il buio che scompare quando viene illuminato. Non ha senso chiedersi dov’è finito, perchè non è mai esistito. Come vedi, quindi, la morte così come la intendi non esiste affatto. Vivi con gioia la tua esistenza, nella certezza che il tuo Vero Sé è un essere eterno, e come tale non è mai nato e mai morirà.” Poi, chiamando con un gesto della mano un discepolo affinché lo aiutasse ad alzarsi, disse: “Ora vai a riposare, per oggi hai ascoltato molte cose sulle quali meditare. Ricorda, il tuo compito è quello di diffondere queste conoscenze per aiutare l’evoluzione dell’intera umanità. Mi raccomando, fai tesoro di questi insegnamenti e fai di tutto per portare a termine il tuo compito.” Una volta alzato si diresse lentamente verso le scale senza mai voltarsi indietro, poggiato al braccio del discepolo. Ero davvero esterrefatto da tutte le incredibili cose che il Maestro mi aveva rivelato. Non capivo il motivo di quella sua ultima frase, nella quale mi ricordava di portare a termine il mio compito. Ebbi quasi la sensazione che mi stesse salutando per l’ultima volta, come se non ci saremmo più visti. Con questo dubbio nella mente andai nella mia camera e mi misi a letto, addormentandomi con le parole del Maestro che continuavano a frullarmi nella testa… ___ ...Il suono della sveglia mi fece sobbalzare, e in un attimo la mia coscienza venne strappata dal sonno profondo in cui era immersa. Spensi la sveglia e mi sedetti sul letto. Ma… dove mi trovavo? Dov’era la cameretta del monastero? Mi resi conto che ero a casa, nella mia stanza da letto, e guardando l’orologio scoprii che erano le 6.30 del mattino. Il biglietto aereo per New York poggiato sul comodino, e la valigia pronta ai piedi del letto mi fecero capire che quello era stato solo un sogno. Il viaggio in Tibet, il monastero, il Maestro... nient’altro che un magnifico sogno. Non avevo perso alcun aereo, e il mio viaggio per New York era lì che mi aspettava. Quel sogno era stato così reale che facevo ancora fatica a realizzare che tutte quelle cose le avevo semplicemente sognate. Mi tornarono allora alla mente le frasi del Maestro, che mi ammoniva del fatto che non ci si può accorgere di essere in un sogno fino a che non ci si sveglia e lo si guarda da un altro livello di consapevolezza. Aveva perfettamente ragione. Ma allora, se era stato solo un sogno, vuol dire che i saggi insegnamenti del Maestro li avevo creati io nella mia mente? “ La mia saggezza è la tua saggezza…” mi vennero i brividi a ripensare a quelle parole del Maestro. Il suo significato ora era chiarissimo. Sappiamo già tutto, siamo esseri già illuminati, ma non sappiamo di esserlo, e allora il nostro Vero Sé a volte escogita trucchi per metterci in contatto con quella nostra saggezza, materializzandola in un libro, o in un Maestro, come era stato il mio caso.
Non avevo tempo per soffermarmi a pensare a quel sogno, perchè dovevo prepararmi per andare in aeroporto. Così mi alzai, ancora un po' frastornato, e completai i preparativi per il viaggio. Nel mettere il piccolo registratore in valigia notai che la sua memoria conteneva diverse ore di registrazione. Strano, ero convinto di averla azzerata la sera precedente. Non c’era però il tempo per verificare, così lo misi in borsa riproponendomi di ascoltarlo durante il viaggio. Finiti i preparativi, presi con me tutte le mie cose e uscii di casa, e mentre chiudevo la porta immaginai il Maestro che con aria sorniona mi guardava dall’alto, dicendo: “Ricordi? Te l’avevo detto che era tutto un sogno…”