Collana aM 00
Collana AM Associazione AttivaMente AttivaMente Presidente:
Enrico Tommaso Spanio Direzione scientica :
Sergio Fabio Berardini, Giovanni Panno, Gabriele Zuppa Contributi pittorici :
Vittorio Bustaffa, Matteo Cecchinato Graca :
Matteo Cecchinato
ISBN : 978 - 88 - 95881 - 40 - 9 Copyright © 2011 Casa Editrice Limina Mentis di Lorena Panzeri Panzeri,, Villasanta (MB). (MB). Tutti Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma for ma o mezzo – elettronico elettronico,, meccanico,, digitale – se non nei termini canico ter mini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Finito di stampare nel mese di Agosto 2011
Nota editoriale di presentaz pr esentazione ione della collana
Gli studi intrapresi dal gruppo Ricerca AM, di cui questa collana intende raccogliere i risultati, hanno condotto a riscoprire l’intima unità che vi è tra i saperi, a sviluppare la consapevolezza consapevolez za del compito collettivo che sta dietro ad ogni indagine. Il mondo non è semplicemente abitato da diverse opinioni, indifferenti e inconciliabili l’un l’altra, come oggi crede la cultura dominante, ma è plurivoca testimonianza del continuo sforzo di comprensione a cui ogni vita ed ogni esperienza partecipano. Ogni opinione, ogni disciplina, ogni cultura, ogni civiltà rappresentano un momento di questo processo, in cui il conoscere l’Altro coincide con il formare Se Stessi. Le ricerche di AM non si sviluppano contro il nichilismo e il relativismo postmoderni, ma si muovono muovono nella direzione del loro superamento. Questo primo volume volume intende, con i tre saggi sag gi qui proposti, mostrare il percorso compiuto nei primi anni di lavoro del gruppo gr uppo di ricerca, primo tassello di un progetto che si sta rivelando fecondo – da qui l’esigenza di un’apposita collana – e che intende, attraverso l’esempio di un atteggiamento e di un modus operandi ben deniti, infondere nuova linfa ad una cultura che sembra non innestarsi più nella vita.
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Gabriele Zuppa
trilogia sul fondaMento
Tre saggi storico-teoretici per comprendere comprender e il presente
soMMario
Prefazione : Origini della scienza occidentale nella mistica Parte i :
dell’Islam
Introduzione: una lunga secolarizzazione dell’Età Moderna? – islaM: Continuità di civiltà – Percorsi dello spirito – Non nominare il nome di Allah invano – Ricerca spirituale e scientica – La mistica su e la losoa – oCCidente: Un grattacapo – Descartes – Galilei – Il Positivismo Positivismo ante litteram dell’Umanesimo e del Rinascimento – islaM e oCCidente: La svolta nel rapporto tra fede e ragione: la doppia verità – Storia ideale minima del rapporto tra fede e ragione – Il lungo errore della storia della losoa – Secoli da riscrivere. : Critica e storia del trascendentale come cifra Parte ii :
dell’Età Moderna
Introduzione: le tendenze antitetiche degli ultimi due secoli – Molti conti tornano: la certezza universale e necessaria delle matematiche. Il mondo è matematico – Caratteristiche in sé universali e necessarie, caratteristiche per noi soggettive e contingenti – Murati vivi: il trascendentale e la teoria della conoscenza come mezzo per la sopravvivenza – I conti veramente non tornano: il mondo è una nostra costruzione – Le ragioni della posizione trascendentale e sua fallacia. Da Hume a Husserl – Le ragioni della posizione idealistica e sua fallacia. Da Jacobi a Gentile – Le ragioni della posizione nichilista e sua fallacia – L’illusione della conoscenza di sé – La storiograa tra Nichilismo e Idealismo – Dal trascendentale all’ontologico.
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: Identità dell’Io, indispensabilità dell’Altro Parte iii :
Un prologo, un auspicio – Introduzione: (il) tutto da rifare – La retorica del relativismo postmoderno: sospensione del giudizio e tolleranza – La logica del relativismo: condizione suprema della violenza – Fuori strada – Un altro bersaglio: misconoscere il problema – L’unico approdo possibile del postmoderno: il multiculturalismo – Quale paradosso? Alcune categorie dell’intercultura: progresso prog resso,, universalismo, universalismo, gerarchia g erarchia – Il dia logo logo dell’anima (l’Io) con se stessa (l’Altro): non-indifferenza, ricettività, valutazione – Il realizzarsi dell’Io: l’Altro – L’assolutezza del bene, trascendente l’Io e l’Altro – Un’identità soltanto – Dall’identità alla differenza – Oltre identità e differenza: la non-indifferenza dei distinti – Un caso paradigmatico: Contro l’identità di Remotti – Inuenze e contaminazioni – Compro messi e sacrici – Individuare l’essenza – L’«in sé» come astrat to – L’essere determinazione del pensiero – Appendice logica – Appendice politica. xxiii-xx Postilla sull’Età Moderna Moder na ( xxiii )
Postfazione in guisa di segnavia Note al testo Indice
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Prefazione
I tre saggi qui presentati affrontano alcuni dei temi centrali nel dibattito contemporaneo. L’analisi logica intrapresa si sviluppa in un percorso storico, il quale soltanto può spiegare come e perché si sia arrivati a pensare quei contenuti che caratterizzano ciò che ormai da tempo viene denito Postmodernità . Il primo saggio intende mostrare il rapporto che sussiste tra verità e metodo, ovvero ovvero tra una conoscenza e il suo grado di scienticità. È infatti errore diffuso ritenere che la scien ticità di un enunciato dipenda dal metodo impiegato per ottenerla, mentre è invece la verità – che si impone all’interno di una concezione losoca del mondo – a determinare il metodo (scientico) per procedere nelle indagini ulteriori. Ne segue che, se non è il metodo scientico il discrimine teoretico a determinare la svolta dello sviluppo scientico degli ultimi secoli, essa dovrà essere ricercata altrove, segnatamente – questa è la tesi che viene qui sostenuta – nella cultura dell’Europa islamica che, nella gura di Averroè, porterà il contributo decisivo sulla questione del rapporto tra fede e ragione. L’altra svolta fondamentale che comparirà nel cuore della Modernità – secondo la periodizzazione qui proposta – è rappresenta dall’innovativo tematizzarsi della problematica soggetto-oggetto, la quale porta a nuova consapevolezza il ruolo del soggetto, per la comprensione del quale viene ricercata una concettualità che ruota intorno al termine «tra scendentale». La questione sul soggetto è assieme, nelle sue varie declinazioni, il problema del relativismo e del nichilismo,, la resa davanti ai quali, o la loro compiaciuta accettaziosmo ne, li battezza come postmoder postmoderno no. E giungiamo così all’ultimo saggio che si propone di rilevare alcune tra le l e più signicative aporie del Postmoderno, Postmoderno, cioè della cultura oggi og gi dominante, che sono talmente diffuse e radicatesi nella mentalità comune da essere diventate parte integrante della sua retorica, dei riferimenti accettati e non più passibili di discussione. Da queste ricognizioni teoretiche consegue la necessità di una diversa periodizzazione dell’Età Moderna, dacché quella 9
Prefazione
attuale misconosce e occulta i nodi teoretici fondamentali che la plasmano, producendo un’errata autocomprensione e determinandosi in un destino povero e sduciato, quello attuale che viviamo, sul quale continueremo a lavorare per prepararne un nuovo corso.
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P arte i origini della sCienza oCCidentale nella MistiCa dell’islaM
Introduzione Una lunga secolarizzazione dell’Età Moderna?
L’intento delle pagine che seguono è quello di adombrare un’ipotesi, la verica della quale costituirebbe un momen to fondamentale per la riscrittura dell’intera nostra storia, viziata da un errore decisivo decisivo,, collocabile alle soglie dell’Età Moderna, dal quale non ci siamo ancora liberati, che ancora agisce e determina la nostra autocomprensione. Potrebbe essere che la cultura in lingua araba non abbia soltanto consentito che i testi dell’antichità ci venissero tramandati, come sovente sovente si ricorda in segno di una riconoscenza che ne prende congedo1, bensì abbia costituito un momento cruciale dello sviluppo del pensiero che ha condotto no a noi. Una delle forze decisive che avrebbe contribuito a plasmare il nostro Occidente sarebbe rappresentata proprio da quella grandiosa civiltà che nacque nel segno dell’Islam2. L’aspetto che prenderemo qui in considerazione riguarderà principalmente la nascita della scienza moderna, nella cui trattazione il fuoco della nostra attenzione dovrà essere rivolto in partipar ticolare a cogliere un aspetto teoretico conclusivo dell’epistemologia novecentesca novecentesca e del rapporto del pensiero con il dato di fede, del pensiero con la sua pratica. islaM Continuità di civiltà
Insieme all’errore che informa la nostra autocomprensione dovrà altresì risultare quanto fuorviante sia pensare in termini di scontro di civiltà in riferimento al rapporto con l’Islam3, come se la contrapposizione fosse costitutiva, come se l’Islam fosse portatore di una visione antitetica a quella 11
Parte P arte I: Origini della scienza occidentale
che crediamo costitutivamente nostra, la visione propria dell’Occidente, magari a quell’Occidente del quale si vorrebbe un’identità dalle radici cristiane. Le radici dell’Europa, d ell’Europa, come è stato sottolineato di recente4, non sono infatti meno islamiche: anzi, proprio dall’Islam ha avuto origine quello spirito libertario che si è contrapposto all’oscurantismo cristiano.. Sarebbe sufciente questa consapevolezza per vedere stiano tutta l’arbitrarietà di un’espressione come «scontro tra civil tà»: lo scontro non è causato dall’antiteticità costitutiva di due civiltà, ma, di volta in volta, da malintesi 5 cagionati da pregiudizi, tanto che nel Medioevo l’Islam rappresentava rispetto all’Occidente quello che noi pensiamo rappresenti ora l’Occidente nei confronti dell’Islam. La contrapposizione è dunque del tutto contingente e non determinata dalla natura propria di ciascuna civiltà. Uno studio ambizioso e temerario di storia universale dovrebbe preggersi di spiegare l’evolu zione antitetica di queste due culture, talmente antitetica da produrre qualcosa come uno scambio di ruoli. Per completare il paradosso basterà ricordare che negli intenti del padre e profeta dell’Islam non vi era quello di fondare una nuova religione, e ancora meno che potesse essere alternativa a quelle di allora. Maometto intendeva rianimare una spiritualità che vedeva atrozzata in pratiche prati che idolatriche e sclerotizzate, scongiurando allo stesso tempo la minaccia del politeismo. Maometto si pensava il continuatore di un messaggio ormai secolare, depositato nei testi sacri dell’ebraismo e del cristianesimo. Fin dalle origini l’Islam è stato nei propri intenti la continuazione della religione reli gione di Abramo: «musulmano» non indica un particolare parti colare tipo di monoteismo, ma l’essenza stessa del monoteismo, secondo il messaggio dei suoi profeti, come Mosè e Gesù. «Musulmano» signica letteralmente «sottomesso a Dio», ragione per la quale nel Corano troviamo scritto: «Abramo non era né un ebreo né un cristiano: cristiano: era un hanîf e musulmano» musulmano»6 . Percorsi dello spirito
Maometto, da grande Maometto, g rande spirito dell’umanità, d ell’umanità, sapeva da che cosa oggi sia l’Occidente sia l’Islam e ogni civiltà di ogni tempo si dovrebbero ben guardare, sapeva in che cosa consiste 12
Islam
la vera minaccia alla libertà dell’umanità, in quali atroe dello spirito si annida il dogma illiberale dal quale nei secoli ci siamo lentamente, e a fatica, liberati l iberati – o pensav pensavamo amo di averlo fatto. fatto. Alla tradizione islamica, già a partire da Maometto Maometto,, appartiene la chiara consapevolezza che ogni signicato non aderisce alle parole che lo vogliono esprimere se non nella storia che ha condotto a tracciare quelle stesse parole, che, senza il percorrimento di quella storia, quel che rimane è lettera morta. Ogni appropriazione di signicato è appropriazione di una storia, delle esperienze che la compongono. È educazione a questi signicati, addestramento continuo in vista di quello che all’inizio del percorso percorso non può che che essere nulla più di una promessa. Questo sanno i grandi pensatori: i signicati sono depositati nello spirito di un popolo e non nella lettera morta di un testo. Per questo già Confucio dice che «imparare senza pensare porta a nulla; pensare senza imparare è pericoloso»7 e similmente Maometto rammenta: «il Corano ha un senso essoterico e un senso esoterico; e questo senso esoterico ha un senso esoterico, esoterico, e così via no a sette sensi esoterici» 8. Che lo spirito sia «la vita che taglia nella propria carne»9, questo sembrano sapere Maometto e la civiltà a lui successiva, la civiltà islamica. Questo è presente nella tradizione cristiana, agli inizi della quale l’apostolo Giovanni indica che «la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità divennero realtà per mezzo di Gesù Cristo»10: il signicato non è la formula, sempre vuota ed astratta, ma il contenuto concreto che la vita di ciascuno, vissuta e meditata, le restituisce. Le parole sono bensì un mezzo per il signicato, che però, pur indirizzato da quelle, consiste sempre in quel che vi si sa riconoscere. È questa la ragione per la quale, come ricorda Guénon, «le vie verso Dio sono numerose come le anime degli uomini» 11, e per cui, conseguentemente, nel Corano sta scritto: «Nessuna costrizione nella religione»12. I gesti generati dalla costrizione non sono niente più che un movimento esteriore, che nulla signicano per quell’adesione che solo può nascere da un’autentica un ’autentica conv conversione ersione spirituale.
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Parte P arte I: Origini della scienza occidentale
Non nominare il nome di Allah invano
Compreso alla luce di questa consapevolez consapevolezza, za, il secondo dei dieci comandamenti riceve un senso del tutto particolare: è il massimo monito alla cautela nell’avere a che fare con le cose divine, perché continuamente si è sottoposti al pericolo che la fermezza e la certezza della fede non siano altro che ottusità e presunzione di un animo che ancora non conosce se stesso13. Sempre incombe il pericolo di nominare Dio a sproposito, proprio perché si tratta di Dio, di colui che trascende tutte le cose umane. Sapere e volere ciò che Dio sa e vuole: non è questo un cammino nel quale si dovrebbe incedere con piedi leggeri e la massima prudenza? A tutte le volte che, che, guidati da una sicurezza che che credevamo credevamo infallibile, ci sbagliamo – dovremmo aggiungere anche l’impertinenza sacrilega di considerare volere di Dio quel che poi si è manifestato come errore? I musulmani conoscono bene questo pericolo, e il ricordo di un evento terribile dovrebbe ogni volta metterli in guardia dall’eccesso («Dio non ama coloro che eccedono» 14 ) e dalla presunzione dell’ultima parola: proprio da fedeli, in nome di Dio, non hanno riconosciuto e hanno perno ucciso uno dei loro massimi profeti: Gesù. Il Corano lo ricorda: «In verità Noi abbiamo dato il Libro a Mosè, e dopo di lui abbiamo inviato altri profeti. E a Gesù glio di Maria abbiamo dato i Segni, Seg ni, e l’abbiamo aiutato con lo Spirito di santità. Ogni volta che un profeta vi portava quel che voi stessi non desiderate, non vi inorgoglivate? Alcuni li avete trattati da bugiardi, e altri ne avete uccisi. Ed essi dicono: “I nostri cuori non sono circoncisi”. No, Dio li ha maledetti a causa della loro miscredenza. È raro che credano, credano, e quando giunse loro da Dio un Libro a conferma di quello che già era presso di loro, mentre prima essi chiedevano la vittoria sui miscredenti, quando dunque giunse loro quello che già conoscevano, conoscevano, lo rinnegarono» 15. Ricerca spirituale e scientica
Particolarmente signicativa nella tradizione islamica, sia dell’assoluta trascendenza di Dio sia della faticosa conquista che anche la fede richiede, è l’esegesi sui novantanove novantanove nomi 14
Islam
di Dio. Secondo la teologia musulmana i nomi di Dio sono quattrom quat tromila. ila. Sebbene l’essenza divina sia indenibile, perché possiede attributi che trascendono l’umana comprensione, come eternità e innità, nondimeno ciascun nome è simbolo di un attributo dell’essenza divina. Mille di questi nomi sono però conosciuti solo da Dio, altri mille li conoscono gli angeli e Dio, e ulteriori mille sono conosciuti anche dai profeti, oltre che da Dio e gli angeli. Degli ultimi mille inne ne possono prendere parte anche i credenti: trecento sono menzionati nella Bibbia, trecento nei Salmi, trecento nei Vangeli e cento nel Corano. Ma ad essere noti ai fedeli comuni sono novantanove di questi cento nomi, perché il centesimo è una conquista solo dei mistici più illuminati. Questa tradizione ben testimonia l’ulteriorità di Dio rispetto alla natura umana e lo sforzo incessante che il cammino della religione richiede, che è già con Maometto un cammino di ricerca, sia spirituale sia scientica. Uno dei più famosi «detti» ( hadīt hadīt ) che la tradizione islamica attribuisce al profeta recita infatti: «Cercate la scienza dalla culla no alla tomba, fosse pure in Cina». Ma più in generale è lo stesso Corano a sollecitare l’osservazione e la riessione, chiamando l’uomo a riconoscere nella creazione i segni di Dio16, favorendo una «promozione spettacolare della Ragione quale mezzo e garanzia di conoscenza» 17. La mistica su e la losoa
Ricerca che è anche tolleranza ed apertura verso il nuovo e il diverso: non è questo il luogo per ricordare le numerose e rivoluzionarie innovazioni introdotte dall’Islam, la cui ricezione determinò una svolta anche nella cultura europea18, ma è importante sottolineare il liberalismo e l’universalismo d’eccezione coltivati nel seno della tradizione islamica19, in particolare dal susmo, sviluppando quanto già contenuto nel Corano: «E non disputate con le genti del Libro se non nel modo più cortese, eccetto con quelli di loro che agiscono ingiustamente»20. La tolleranza religiosa si trova ben espressa per esempio in una quartina di Jalàl al-Dìn Rùmì: «Vieni, vieni; chiunque tu sia, vieni. / Sei un miscredente, un idolatra, un pagano? Vieni! / La nostra casa non è un luogo di disperazione, / e anche se hai tradito cento volte una 15
Parte P arte I: Origini della scienza occidentale
promessa... vieni»21. Il susmo è agli antipodi dell’idea che vi possa essere un’unica un ’unica religione depositaria di verità, e lo sforzo di ciascun musulmano dovrebbe dovrebbe essere proprio quello di superare l’apparente inconciliabilità dei segni esteriori, perché, come scri ve Bistàmì: «Le religioni sono come tanti rami che che si partono da un unico tronco. E allora taglia i rami e attieniti al tronco»22. Conseguentemente, osserva Omar Khayyam: «Sono luoghi di adorazione il tempio degli idoli e la Kaaba. Anche il suono delle campane è un inno in lode dell’Onnipotente. Il mihràb, mihràb, la chiesa, il tasbìh, la croce, sono in verità modi di versi di rendere omag omaggio gio alla Divinità»23. Quanto visto nora si trova perfettamente riassunto nella parole scritte da Îbn âl’Arabî nell’opera Illuminazioni della Mecca : «Quando parlano di Dio tutte le dottrine religiose concordano; non vi è luogo per divergenze, e non ci è permesso dubbio alcuno sul loro valore.. Ma Dio l’Altissimo è al di là di ogni comprensione valore umana, è descrivibile solo con paragoni inadeguati, e allora ogni religione ne dà spiegazioni inadeguate a seconda delle inadeguatezze dei suoi seguaci. Colui che sa rispetti chi non sa, colui che ha visione sublime di Dio riconosca che comunque è inadeguata e rispetti quelle di tutti gli altri esseri umani»24. Questo slancio verso la verità, sostenuto dalla consapevolezza di poterla trovare ovunque, ha determinato una notevole ricettività, chiaramente teorizzata nella losoa islamica25 dai suoi inizi con al-Kindī no ad Averroè, losofo su al quale dedicheremo particolare attenzione più avanti. Al-Kindī nella sua opera Sulla losoa prima , dopo aver indicato la losoa come la più nobile tra le arti, ar ti, perché «scienza delle cose nella loro verità nella misura della capacità umana»26, sottolinea proprio l’importanza di rivolgersi a chiunque nella ricerca del vero, anche a chi non condivida la fede musulmana. Perciò la nostra gratitudine verso coloro che hanno conseguito un poco di verità deve essere grande; g rande; e tanto più verso coloro che hanno raggiunto una grande parte di verità, dato che questi ci hanno fatto partecipare ai frutti del loro pensiero e ci hanno facilitato la ricerca delle verità nascoste, fornendoci le premesse che spianano le vie della verità27. 16
Occidente
oCCidente Un grattacapo
Lo spirito che sorge e viene coltivato in seno alla cultura islamica sembra insomma essere quello stesso che, in una delle sue fasi successive, accelererà il processo di secolarizzazione nella cultura illuministica. Un primo lume europeo di quello è pienamente riconoscibile nelle parole, poche ed efcaci, di un oscuro losofo inglese del XII secolo. All’inizio del XII secolo Abelardo di Bath, in un trattato sui princìpi della ricerca scientica, scrive (rivolgendosi (rivolgendosi in forma for ma dialogica a un immaginario nipote che ironizzava ironizzava sul suo amore per le «sottigliezze dei saraceni»): Dai maestri arabici ho appreso una cosa, a lasciarmi lasciar mi guidare dalla ragione, mentre tu sei abbacinato dall’aspetto dell’autorità e sei guidato da alte briglie, che non sono quelle della ragione. Infatti che cosa è di fatto un’autorità se non una briglia? E come animali bruti sono menati ovunque dalle briglie e non hanno idea di che cosa li guidi o perché, ma altro non fanno che seguire una corda che li tira, così l’autorità degli scriptores conduce non pochi di voi in pericolo pericolo,, legati e vincolati da una credulità animalesca28.
Se Kant non fosse il genio indiscusso dell’Illuminismo, verrebbe da sospettare che nello scrivere la celeberrima Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? (del 5 dicembre 1793) avesse presente il quasi dimenticato Abelardo. Così riassume lo spirito del suo tempo: L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minoriL’Illuminismo tà il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude ! Abbi il coraggio di servirti ser virti della tua propria intelligenza! – è dunque il moto dell’Illuminismo. dell’Illuminismo. [...] da tutte le parti par ti odo gridare: non ragionate! L’ufciale dice: non ragionate, ma fate esercitazioni militari! L’intendente di nanza: non ragio nate, ma pagate! L’ecclesia L’ecclesiastico: stico: non ragionate, ma credete!29. 17
Parte P arte I: Origini della scienza occidentale
Un abbaglio: l’errata autocomprensione losoca dell’Età Moderna Moderna e dei suoi interpreti inter preti no ad oggi
A ragione Kant è considerato un momento di sintesi eccezionale dell’Età Moderna, i padri della quale sono senz’altro Galilei e Descartes, come è unanimemente riconosciuto e già tratteggiato nelle chiare parole di Schopenhauer: Cartesio è considerato a buon diritto il padre della losoa moderna, anzitutto ed in generale poiché ha avviato la ragione a reggersi sulle proprie gambe, con l’insegnare agli uomini a servirsi del proprio cervello, sino allora duplicemente sostituito dalla Bibbia e da Aristotele; in particolare poi ed in seno più ristretto, poiché è divenuto cosciente per la prima volta del problema dell’ideale e del reale, intorno a cui per lo più si aggira da allora ogni losofare, cioè della questione su cosa vi sia di oggettivo e cosa di soggettivo nella nostra conoscenza, su cosa dunque in questa sia da attribuirsi ad eventuali oggetti ogg etti diversi da noi, e cosa invece a noi stessi30.
Il lucido resoconto di Schopenhauer non soltanto è riconosciuto all’unanimità, ma fa parte della stessa autocomprensione losoca degli inizi dell’Età Moderna. Descartes
Descartes stesso presenta come rivoluzionaria la sua proposta, che consiste, a suo dire, nell’applicazione del metodo esposto nelle Regole per la guida dell’intelligenza e nel Discorso sul metodo . In quest’ultima opera racconta di aver studiato nel collegio gesuita di La Flèche, ricevendo un’ottima formazione nell’ambito della cultura umanistica, della matematica e della losoa scolastica. Qui un giovane Descartes ha modo di osservare osser vare come nel campo campo dello scibile aritmetica e geometria procedano a passo sicuro, sicuro, considerato certitudo ) che ottengono nella ricerca il grado di certezza ( certitudo della verità, mentre nella losoa a lui contemporanea «non si trova nulla di così evidente e certo ( evidens evidens & certum), che non possa essere messo in discussione» 31. La ragione di ciò risiede nel fatto che «gli studiosi, non contenti di conoscere 18
Occidente
cose perspicue e certe, hanno osato affermare anche cose oscure e ignote, cui giungevano solamente con congetture probabili»32. Siccome è preferibile non studiare che dover comunque rimanere nel dubbio33, viene da sé che «coloro che cercano la retta via della verità non debbono occuparsi di nessun oggetto og getto,, sul quale non possano avere una certezza uguale alle dimostrazioni dell’aritmetica e della geometria»34. Ecco quindi l’esigenza di procedere come l’aritmetica e la geometria, di adottare cioè il loro metodo. Precisamente sembrerebbe che la certezza sia tale in virtù della necessità deduttivaa propria delle matematiche35, che dunque questa sia deduttiv la cifra specica della losoa cartesiana e dell’Età Moderna, che, di conseguenza, la losoa antica e medioevale pensino altrimenti. Basta poco però per accorgersi che il discrimine non è così facilmente tracciato: Aristotele stesso scrive negli Analitici primi che «sia chi dimostra sia chi interroga deducono il sillogismo, stabilendo che qualcosa appartiene oppure non appartiene a qualcosa» 36 e «il sillogismo è un discorso in cui, posti taluni oggetti, alcunché dagli oggetti stabiliti risulta necessariamente, per il fatto che questi oggetti sussistono»37. La certezza quindi non è data dalla necessità della dimostrazione, ché la dimostrazione senza necessità non sarebbe più tale, bensì dal punto di partenza38. In effetti, essendo per Cartesio la deduzione ciò che lo stesso Aristotele intende, ossia «tutto ciò che viene necessariamente concluso a partire da altre cose conosciute con certezza» 39, egli dedica la maggior parte dell’opera a ricercare che cosa sia evidente. Risulta, al termine dell’accurata disamina condotta nelle Regole , che evidente non può che essere qualcosa di assoluto, semplice, noto per sé, necessario. Tali sono gli oggetti della matematica «e allo stesso modo tutto quello che viene dimostrato sulle gure e sui numeri è necessariamente unito con ciò su cui l’affermazione viene fatta» 40. Non solo, «tale necessità non è presente solo nelle cose sensibili, ma anche, ad esempio, esempio, se Socrate dice di dubitare di tutto tutto,, di qui deriva una conoscenza necessaria: necessaria: dunque intende almeno questo, che dubita»41. Nelle Regole vengono perciò già affermati con chiarezza due capisaldi della speculazione cartesiana, segnatamente le due evidenze fondamentali: il cogito e le matematiche 42. 19
Parte P arte I: Origini della scienza occidentale
Come è stato osservato da Cottingham, «Cartesio «Car tesio non muove muove alcuna obiezione al sillogismo aristotelico in quanto tale: poiché – come Descartes ha detto – “me ne sono servito, quante volte ce n’è stato bisogno”» 43; non ne critica la forma logica (ammetterà infatti che «“di tutte le cose si dà la dimo strazione”»44 ), bensì il suo utilizzo, «impiegato nella ripetizione di “luoghi comuni”, per imporre il proprio punto di vista in una disputa, piuttosto che in un qualche serio tentativo di estendere le nostre cognizioni» 45. La cifra del metodo non è dunque la deduzione, ma il punto di partenza della deduzione, l’evidenza, che in Cartesio coincide con il cogi - - to. L’episteme (la scienticità) in Cartesio non è data quindi semplicemente dal metodo, bensì dall’evidenza del cogito innanzitutto e dalle verità di ragione in generale (come le matematiche)46. Il portato cartesiano non consiste nel metodo perché «tutto il metodo consiste nell’ordine e nella di sposizione»47, vale a dire che il metodo infallibile suggerisce di procedere procedere metodicamente. La confusione della losoa moderna e ancora dei suoi studiosi no ad oggi diventa ul teriormente chiara se si considerano alcune altre losoe del Seicento.. Ricorda Berti: Seicento Ber ti: «il metodo di d i Descartes che più profondamente ha inuenzato la losoa posteriore non è stato il dubbio, ma quello geometrico dell’analisi e della sintesi, anzi quasi soltanto quello della sintesi (benché egli preferisse l’analisi), che Spinoza assunse addirittura quale metodo dell’etica, da lui detta non a caso more geometrico demonstrata , Hobbes assunse quale metodo della losoa politica, da lui costruita mediante la deduzione di conseguenze necessarie da un’ipotesi assunta come vera (lo “stato di natura”), concepito in un certo cer to modo, modo, e un economista allievo di Hobbes, William Petty, Petty, assunse quale metodo dell’economia»48. Ma il rigore rispetto alle losoe precedenti non è dato dal rigore (come crede Cartesio), ma dalla losoa (la sua, in questo caso). I canoni di veridicità dipendono dall’intera visione del mondo, con questa si formano e da questa vengono esplicitati, ma non guidano a priori la ricerca scientica. Questa consapevolezza è già presente in Hegel e la si può riscontrare nella losoa idealista, per esempio in Carbonara, persuaso che «nessun metodo sia il momento storicamente primitivo nella genesi spirituale 20
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d’un sistema losoco e tanto meno di quello che vogliamo ora esaminare. Sebbene Cartesio nel suo sistema del sapere ponga come iniziale il problema metodologico e sebbene anche noi cominciamo da questo medesimo problema, ciò deve essere interpretato come la conseguenza del bisogno di ordine logico e di chiarezza, direi quasi didascalica, nell’esposizione. Storicamente parlando, quando Cartesio si accingeva a formare le regole del suo metodo, la sua formazione spirituale era già compiuta e una certa visione metasica del mondo era già nella sua mente, presupposto ideale di quello che egli era sul punto di mettere in evidenza con una particolare trattazione» 49. Segnatamente, «Cartesio dubita di certe cer te cose, perché in esse non riconosce attuato quel criterio d’evidenza, ch’è il segno sicuro di certe particolari verità, come quelle quelle matematiche, matematiche, la cui forma deve ritrovarsi in tutte le proposizioni, che aspirino a presentarsi come vere. vere. Dubita, in breve, perché perché già conosce certe verità per se stesse evidenti e indubitabili, il cui possesso per lui costituisce il vero prius della speculazione»50. In altri termini, «al metodo, che comincia col dubbio, è presupposta la metasica e, nel senso particolare di Cartesio, la posizione delle verità matematiche,, alla cui evidenza e al cui rigore matematiche rig ore deduttivo deve conformarsi qualsiasi costruzione intellettuale, scientica o losoca»51. Galilei
Sia Cartesio sia, prima di lui, Galileo credono che a condurli ai risultati sia il metodo che stanno seguendo, non riconoscendo che il metodo è sviluppato e teorizzato proprio a partire dai risultati che stavano ottenendo. Bisognerebbe riconsiderare l’intera storia della losoa di quei secoli alla luce di questa acquisizione, tenendo presente la forte continuità di queste losoe con il passato. Ci vuole poco anche per accorgersi la forte continuità che vi è tra Galilei e Aristotele, se non altro nella misura in cui egli stesso ritiene di continuare quello spirito di ricerca proprio del losofo greco g reco.. La polemica di Galilei, così come di tanta parte della cultura rinascimentale, è rivolta rivolta a dotti e cattedratici di tutte le specie, al loro ottuso ipse dixit 52, non certo ai grandi della tradizione 21
Parte P arte I: Origini della scienza occidentale
scientica, dei quali conoscono e proseguono l’opera. Basta attenersi al solo Dialogo sopra i due massimi sistemi per accorgersi di questo con sufciente chiarezza. L’ottuso Simplicio è tale per essere aristotelico, cioè per rifarsi ad oltranza alle dottrine di Aristotele, non per il solo prenderlo in i n considerazione. Questo è proprio ciò che lo divide da Salviati, che, pur confrontandosi con Aristotele, non rinuncia a proseguire il lavoro scientico, scientico, riaffermando riaffer mando solo così il valore e lo spirito dell’opera aristotelica. Pe Perr esempio, sottolinea Salviati: Adunque di queste due proposizioni, che sono ambedue dottrina d’Aristotile, d’Aristotile, questa seconda, che dice che bisogna anteporre il senso al discorso, è dottrina molto più ferma e risoluta che l’altra, che stima il cielo inalterabile; e però più aristotelicamente losoferete dicendo: “Il cielo è alterabile, perché così mi mostra il senso”, che se direte “Il cielo è inalterabile, perché così persuade il discorso ad Aristotile53 . ”
Le «sensate esperienze» e le «necessarie dimostrazioni», considerate capisaldi del metodo scientico, sono quel che da sempre ogni losofo fa per rendere conto del mondo cir costante; l’esprimere questa necessità non può che voler indicare l’insufcienza delle une e delle altre, ovvero ovvero l’afdarsi a qualcosa di ormai or mai superato per le nuove sensate esperienze e necessarie dimostrazioni, superamento delle precedenti. Anche Descartes del resto resto,, checché se ne dica sul suo razionalismo, riguardo all’esperienza e all’esperimento, che non ne è che una parte di quella54, concorda con quanto in Galilei viene esaltato come la scoperta del metodo sperimentale: Ma devo anche confessare che la potenza della natura è così ampia e vasta, e i suoi princìpi così semplici e generali, che non mi accade quasi più di notare qualche effetto particolare senza capire subito che può essere dedotto in parecchi modi diversi e che, di solito, solito, la mia più grande gran de difcoltà sta nel trova tr ovare in quale di queste maniere ne dipende. Infatti in proposito, non vedo che un espediente: cercare di stabilire nuove esperienze i cui risultati siano diversi secondo che ne siano dedotti in un modo piuttosto che nell’altro55. 22
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Ma pur nelle simili prospettiv prospettivee e nell’esigenza di procedere metodicamente, quanto la concretezza del metodo pensato dipenda dalla visione del mondo che si andavano creando è confermato da un lato dai diversi risultati che i due scienziati andavano ottenendo, ottenendo, dall’altro e soprattutto dagli errori er rori eclatanti ai quali i loro metodi scientici sci entici li conducevano. conducevano. Perr quanto riguarda il primo punto illuminante Pe i lluminante è il modo di pensare ancora astrattamente il metodo da parte di un pur ottimo studioso di Descartes. Cottingham osserva come «l’affermazione di Cartesio Car tesio che le sue spiegazioni sono “pro vate da un’innità di esperienze”, non deve farci presumere una sua capacità di individuare degli esperimenti, destinati a vericare se si realizzino effettiv effettivamente amente i fenomeni predetti da una determinata ipotesi»56. Qui non si tratta di avere un corretto metodo e una conseguente altrettanto corretta applicazione: semmai le linee essenziali che caratterizzano un metodo sono date proprio da tutti i casi in cui esso viene applicato. L’applicabilità del metodo è il suo stesso modo di pensarlo. Esso sorge quindi dai risultati e si rinnova dai risultati e fallimenti a cui conduce. Non esiste e non è teorizzabile al di fuori di questi, tanto che tutti i tentativi ripetutisi no a noi sono falliti, e da ultimo, con Popper si è riusciti a individuarlo nella dinamica delle «congetture e confutazio ni»57, ovvero avvicinandosi alle origini del pensiero losoco, con quella dialettica, che non è appunto semplicemente un metodo, ma la dinamica stessa del pensiero. Ed è che così, del tutto naturalmente, che l’infallibile metodo scientico conducesse Cartesio a sviluppare una concezione dell’universo sico che sarebbe stata ben presto negata dalla sica successiva; condusse Galilei a prendere un granchio proprio riguardo il problema fondamentale che lo occupò tutta la vita: è noto infatti che la spiegazione delle maree data da Galilei in termini di movimenti di rotazione e rivoluzione terrestre sia falsa. I risultati che i due maggiori teorici del metodo ottennero proprio sulla scorta scor ta dello stesso si rivelarono falsi. L’innovaL’innovazione da loro vantata, l’acquisizione di una rinnovata prospettiva di scienticità, è il vero portato della loro proposta: non tanto l’acquisizione di questo o quel risultato scientico, 23
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ma la determinazione stessa della scienticità di qualsiasi ri sultato. Proprio le conclusioni errate a cui giungono negano però la loro pretesa58. Con ciò non si vuole qui assolutamente negare il carattere rivoluzionario del pensiero sia di Galilei che di Descartes: Descar tes: il primo ha gettato solide basi per un innovativo studio del mondo naturale o sico, il secondo, come evidenziato da Schopenhauer,, ha tracciato il percorso su cui si è mossa l’inSchopenhauer tera speculazione losoca successiva. Altrettanto dobbia mo però cominciare a riconsiderare il processo effettivo che ha determinato la nostra attuale visione scientica del mon do, che di certo non si può sbrigativamente liquidare con la scoperta del metodo scientico in Età Moderna. Risulterebbe quindi che tutta la differenza tra la scienza moderna e quella antica consista semplicemente in un di verso grado di appagamento dello scienziato riguardo alla verità e in alcun modo nella presunta scoperta del metodo scientico sperimentale. La scienza moderna è glia dell’Umanesimo e del Ri nascimento, così come il suo proprio metodo è glio dei risultati che andava ottenendo. Per quanto riguarda Harvey, per citare un altro illustre esempio, è di nuovo improprio affermare che «la parte essenziale della sua dimostrazione [di Harvey] sta appunto nell’applicazione del principio galileiano della misurazione»59. Semplicemente, invece, invece, ci si accorge che «la massa del sangue che passa attraverso il cuore o un grosso vaso nell’unità di tempo è talmente grande che deve trattarsi del ritorno periodico della stessa sostanza» 60 e che, quindi, era poco probabile il movimento centrifugo asserito da Galeno. È scorretto affermare affer mare che i risultati conseguiti da Harvey siano la conseguenza dell’applicazione dell’applicazi one del metodo scientico, del metodo sperimentale o del principio di misurazione. Egli semplicemente prosegue un lavoro già ampiamente iniziato, formula delle ipotesi che rendano intelligibili i fenomeni nora osservati e prosegue le osservazioni e la ricerca tenendo presenti le ipotesi più plausibili. Vi è cioè un’estrema un’estrema continuità con il lavoro scientico precedente. L’enfasi posta sul metodo è da spiegarsi psicologicamente, ma non in base alle dinamiche della scoperta scientica. Ciò che agisce è il 24
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sentimento di separazione nei confronti dell’autorità e del dogmatismo, dal pregiudizio. Il procedere a gone vele in una nuova direzione è compreso con l’adottare un nuovo metodo rigoroso, che non conceda cioè nulla a quanto già creduto e supposto. Così come nell’Illuminismo la battaglia contro il pregiudizio sarà inteso come il libero utilizzo della ragione, scevra di condizionamenti. Pretese legittime, ma infondate se pensate astrattamente: la correttezza del metodo e il retto uso della ragione non sono pensabili se non sulla scorta dei risultati che si sono raggiunti e si stanno raggiungendo. L’errore dell’Età Moderna, che ancora ci portiamo appresso, è stato quello di assolutizzare qualcosa che era anch’esso un risultato storico, perfezionabile, anzi, che continuamente si perfeziona. Il Positivismo ante litteram dell’Umanesimo e del Rinascimento
A partire da Descartes e no ai giorni nostri si è credu to con crescente trasparenza che ci si fosse avviati in un’età nuova, nuov a, caratterizzata dal libero utilizzo della dell a ragione, ovvero da un utilizzo della ragione che non la vincolasse a qualcosa a lei estraneo. Con la tenacia derivata da una accrescentesi lucidità si prese ad organizzarsi e a condurvi la battaglia illuministica contro i pregiudizi. Lo slancio che sempre più si stava alimentando61 lo si è creduto il frutto di un siffatto uso e i risultati conseguiti si sono creduti come il ger g ermoglio moglio di quell’innovativo quell’innovativo esercizio della ragione, codicato nelle forme esemplari di un metodo scientico e di un metodo geometrico geometrico.. La considerazione critica del lavoro di Cartesio e Galilei sembra suggerire però la necessità di considerare l’Età Moderna non tanto come un nuovo inizio, ma come la sistemazione e sistematizzazione di un processo iniziato molto addietro. È opportuno qui rilevare brevemente come una certa polemica contro una tradizione che si prodigava sulla ripetizione di vuoti e sclerotizzati losofemi circolasse viva cemente nel corso di tutto il Cinquecento e non mancasse nel Quattrocento. I personaggi che la animavano sono i più disparati e ne ricorderemo qui solo alcuni62. Ludovico Vives (1492-1540), umanista, losofo e 25
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pedagogo spagnolo, nell’opera De causis corruptarum artium , parte della sua summa enciclopedica De disciplinis libri XX (1531), afferma: «melius agricolae et fabri norunt quam ipsi tanti philosophi». Questo perché arrabbiati contro la natura, che essi ignoravano, ignoravano, i dialettici se ne sono costruita un’altra: cioè quella delle formalità, delle ecceità, delle relazioni, delle idee platoniche e di altre mostruosità che gli stessi che le hanno inventate non possono capire. A tutte queste cose essi attribuiscono un nome pieno di dignità e le chiamano metasica. Se qualcuno ha un’intelligenza del tu tto ignara della natura, o che ha orrore di essa, una mente che è invece propensa a cose astruse e a sogni pazzeschi, dicono che costui possiede un’intell un’intelligenza igenza metasica.
È chiaro che già qui sono contenuti i germi della pole mica degli scienziati della prima Età Moderna, così come della battaglia illuministica, e di nuovo del Positivismo e del Neopositivismo. Tutte manifestazioni di uno stesso errore prospettico.. Il credere ciò che la mancanza di concretezza, di prospettico evidenza, di sensatezza o di fattualità sia qualcosa in sé, misconoscendo che tutti questi parametri sono tali all’interno di un’intera visione del mondo mondo.. Questo non implica condursi al relativismo del Novecento, ma soltanto vedere che tutto ciò contro cui si punta il dito è pure evidente, concreto, fattuale, sensato, ma in un grado minore rispetto al risultato ulteriore che si crede di aver raggiunto rag giunto.. Dal pregiudizio non ci si libera in virtù vir tù di un atto magico, magico, di un metodo o di un atto di volontà, ma sviluppando le stesse categorie che poi verranno riconosciute come informatrici del pregiudizio pregiudizio.. Georg Agricola (1494-1555), mineralogista tedesco, tedesco, nella Prefazione al De re metallica (1556), che rimane per due secoli l’opera fondamentale di opera mineraria, scrive: Io non ho scritto cosa niuna la quale non habbia veduta o letta o con accuratissima diligenza esaminata quando che da altrui mi sia stata raccontata.
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Lo scrive in aperta polemica con gli alchimisti, «tutti scu ri», che designano le cose con nomi «istrani et trovati di lor capo et chi l’uno et chi l’altro se n’è nto d’una stessa cosa». E sembra fargli eco un ceramista francese, Bernard Palissy (1510-1589), nei suoi Discours admirables (1580): Mediante la pratica io provo esser false in più punti le teorie di molti loso, anche i più antichi e rinomati. In meno di due ore ciascuno potrà rendersene conto purché si prenda la pena di venire nel mio laboratorio. laboratorio. In esso si possono vedere cose mirabili (messe a prova e testimonianza nei miei scritti), collocate in ordine e con delle scritture al di sotto afnché ciascuno possa istruirsi da solo. Ti posso assicurare, o lettore, che, sui fatti contenuti in questo libro, imparerai più losoa naturale di quanta non ne impareresti in cinquant’anni leggendo le teorie e le opinioni dei loso antichi63.
Fatti, non parole, sembra suggerire con efcacia questo discorso positivista ante litteram . E solo un anno dopo, dopo, la sua precisa formulazione si troverà in tutt’altro ambito: Robert Norman, un marinaio inglese, che, dopo circa venti anni trascorsi in mare, si era dedicato alla costruzione e al commercio delle bussole, in un volumetto sul magnetismo e sulla inclinazione dell’ago dell’ag o magnetico, magnetico, The Newe Attractive, Containing a Short Disco Discourse urse of the Magnes Magnes (1581), sintetizza quello che ormai appare come un pensiero ricorrente: « not regarding the ». words, but the matter ». Ma già nel Quattrocento, Quattrocento, ancor prima di questo fermenfer mento di nuove arti, opere e prospettive, che si sentivano nuove rispetto a una certa parte della cultura tradizionale, i motivi dominanti il Cinquecento e i padri dell’Età Moderna, Moder na, Galilei e Descartes, si ritrovano in Leonardo da Vinci (1452-1519), pittore, ingegnere (progettatore e costruttore di macchine), letterato e losofo; segnatamente troviamo: l’idea di un ne cessario congiungimento fra la matematica e l’esperienza; una polemica fermissima contro le pretese dell’alchimia; un’invetti un ’invettiva va contro «i recitatori e i trombetti delle altrui opere»; una generale protesta contro il richiamo alle autorità che è propria di chi usa la memoria invece che l’ingegno. In termini affermativi, quel richiamo all’uso della propria ragione, 27
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che Schopenhauer Schopenhauer attribuisce a Descartes, e che è disseminato in più parti nell’opera di Galilei: E qual cosa è più vergognosa che ‘l sentir nelle publiche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili uscir un di traverso con un testo, e bene spesso scritto in ogni altro proposito,, e con esso serrar proposito s errar la bocca all’avversario? all’avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di loso, e chiamatevi o istorici o dottori di memoria; ché non conviene che quelli che non losofano mai, si usurpino l’onorato titolo di losofo64.
Galileo è il punto d’arrivo e la sintesi dei secoli a lui immediatamente precedenti, che si sollevano con gli strumenti str umenti intellettuali di cui dispongono contro le sclerotizzazioni e le atroe dello spirito, ora massimamente rappresentati da loso aristotelici e tradizionalisti di ogni sorta. Così come in precedenza era stato l’aristotelismo ad essere il simbolo della ragione e del suo libero utilizzo contro l’oscurantismo dogmatico della fede nei secoli bui del Medioevo cristiano. cristiano. islaM e oCCidente La svolta nel rapporto tra fede e ragione: la doppia verità
Si capisce che nel corso del Cinquecento l’idea del nuov nuovoo, la sensazione dell’aver intrapreso e di star intraprendendo una nuovaa impensabile avventura, è diffusissima. nuov d iffusissima. Ci si immaginino soltanto le conseguenze nella propria rappresentazione e percezione del mondo della scoperta di un nuovo nuovo continente e l’ipotesi rivoluzionaria della teoria copernicana... Quello che oggi chiamiamo «scienza moderna» è l’ennesimo ore di questa generale oritura, di questa rinnovata ducia, le cui origini devono essere ricercate assai indietro nel tempo. Sarà un trattatello a rivelarsi decisivo per il prosieguo della storia occidentale, vero e proprio spartiacque ideale, che determinerà il prodursi di quell’atteggiamento, nuovo e inaudito,, che agirà nella storia occidentale no a dilagare inaudito dilag are con r eligione l’Illuminismo europeo europeo.. Il trattato decisivo sull’accordo della religione 28
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Averroè esordisce con un topos proprio anche con la losoa di Averroè della losoa scolastica: conoscere il mondo creato da Dio è certamente una parte della conoscenza di Dio. Queste le parole del losofo di Cordov Cordova: a: Ogni attività losoca altro non è che speculazione sugli esseri viventi, e riessione su come, attraverso attraverso la considerazione che sono creati, si pervenga a dimostrare il creatore: infatti, gli esseri esistenti sono prodotti, per cui dimostrano di avere un produttore. Tale conoscenza relativa alla produzione delle cose, tanto più è completa quanto più consente una conoscenza completa di Colui che le ha prodotte. La Legge religiosa autorizza, e anzi stimola, la riessione su ciò che esiste, per cui è evidente che l’attività indicata col nome (di losoa) è considerata necessaria dalla Legge religiosa o, per lo meno, ne è autorizzata65.
Si richiama con ciò pure l’invito l ’invito alla speculazione presente nella tradizione musulmana nel Corano e nei Detti del Pro- feta , presente anche nella tradizione cristiana, basti pensare a Tommaso T ommaso66. Si ricordano così alcuni versetti del Corano in cui si esorta alla ricerca losoca: Che la Legge religiosa chiami a un’indagine intellettuale sugli esseri esistenti e richieda (di pervenire) a una conoscenza su di essi, appare chiaro da parecchi versetti del Libro di Dio Benedetto ed Eccelso, tra i quali per esempio il seguente: «Riettete, o voi che avete occhi a guardare!» [...] «E così mostrammo ad Abramo il regno dei cieli e della terra perché fosse di quei che solidamente son convinti» [...] «Ma non guardano dunque dunqu e gli uomini al cammello, cammel lo, come fu creato, e al cielo, cielo, come fu innalzato?»67
Tutto questo giustica non solo l’uso della ragione Tutto rag ione nella sfera religiosa, ma legittima, favorisce per di più, lo studio di chi, anche se non musulmano, ci ha preceduto nell’indagine razionale. L’apertura dimostrata dalle parole di Averroè Averroè non ammette eccezioni:
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Per cui, se qualcuno si è già preso la cura di indagare sul ragionamento razionale, razionale, è ovvio che ci competa, per quanto ci poniamo sulla stessa strada da lui percorsa, di far riferimento a ciò che il nostro predecessore ha già affermato, si tratti di qualcuno che professa la nostra stessa religione oppure no [...]. E l’Altissimo ha ben chiarito tutto ciò dicendo: “Chiama gli uomini alla via del Signore, con saggi sag gi ammonimenti e buoni, e discuti con loro nel modo migliore” 68.
È chiaro dall’esordio del trattato che il contenuto rivelato rivelato e quello mostrato dal pensiero razionale non potranno contrastare perché strettamente legati, perché la realtà a cui la retta ragione giunge è creazione di Dio Dio.. Tommaso Tommaso a riguardo non è da meno, come vedremo, e sottoscriverebbe le affermazioni del trattato che seguono: Ora, dal momento che la nostra religione è vera e incita a un’attività speculativa che culmini nella conoscenza di Dio, noi musulmani non possiamo che essere fermamente convinti del fatto che la speculazione dimostrativa non può condurre a conclusioni diverse da quelle rivelate dalla religione, poiché il Vero V ero non può contrastare col Vero ero,, ma anzi gli si armonizza e gli porta testimonianza69.
Giammai però, Tommaso sottoscriverebbe le parole che seguono, che si stagliano rivoluzionarie e indelebili per la storia successiv successiva: a: Ma se contrasta, si presenta la necessità di un’interpretazione allegorica delle Scritture. Interpretazione allegorica signica trasporto dell’argomentazione da un piano reale a uno metaforico – senza con ciò derogare dalle norme linguistiche arabe nell’uso della metafora –, in modo da denire qualcosa o con un sinonimo o facendo riferimento alla sua causa o al suo effetto o a qualcos’altro che gli si può porre a confronto confronto,, o insomma a tutte quelle particolarità par ticolarità che sono reperibili nei vari tipi di discorso metaforico70.
In questa maniera, in queste parole si è consumato il distacco tra il contenuto della fede e il contenuto della ragione; 30
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alla ragione viene attribuita attri buita un’indipendenza del tutto nuova, nuova, le si concede di alzarsi e di andarsene con le proprie gambe, per sviluppare tutta la sua potenza, ancora una volta, n dove saprà arrivare. La ducia nella ragione e nel Vero che essa può raggiungere rag giungere è tale che, una volta conseguito, conseguito, sarà il Vero V ero della rivelazione che dovrà essere pensato alla luce di quello. Il testo sacro dovrà piegarsi alle rivelazioni della ragione e trasgurare il proprio contenuto per potersi adattare ad essa. Ma come si era caratterizzato precedentemente il rapporto tra fede e ragione perché Averroè Averroè possa essere considerato un momento rivoluzionario e un nuovo inizio? Possiamo individuare idealmente sei tappe fondamentali della storia del rapporto tra fede e ragione, la quarta delle quali rappresenta il momento di svolta segnato da Averroè. Averroè. Storia ideale minima ideale minima del rapporto tra fede e ragione Credo quia absurdum .
Nei loro rapporti primordiali la ragione è esclusa dall’ambito della fede: anzi il merito ed il senso del credere sono tratti dall’irrazionalità del contenuto deistico che viene abbracciato. La frase «credo, proprio perché assurdo», generalmente attribuita a Tertulliano, ricorre certamente in maniera trasversale nei secoli, tanto che è esposta e discussa ancora ai tempi di Abelardo71. Questa fase solo apparentemente sembrerebbe non aver nulla a che fare con le successive, successive, nelle quali in i n qualche maniera un rapporto rappor to tra fede e ragione è sempre instaurato. In realtà già qui è presente in maniera più violenta il rigetto rig etto della vanità di ogni sterile razionalismo che avvalli qualche pretesa di riuscita nel giardino del mondo mondo.. Credo ut intelligam . A rappresentare questa seconda fase sicuramente è Agostino, che nelle Confessioni mette chiaramente in luce la necessità di abbracciare la fede per l’insufcienza da un lato delle soluzioni losoche classiche no ad allora trovate per la spiegazione del mondo, dall’altro dei tentativi terreni per raggiungere la felicità72. In quello che la biograa di Agostino rappresenta, la conversione dopo un lungo insoddisfacente peregrinare in cerca di una qualche stabilità dell’anima, l’accento non può che essere posto sulla 31
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continuità che la fede è rispetto alla ragione, una ragione che abbandonata a se stessa naufraga. Credo ut intelligam et intellego ut credam . Questa fase successiva vede un un’ulteriore ’ulteriore compenetrazione tra fede e ragione. Non vogliamo qui interamente negare che la reciprocità fosse assente in Agostino, ma, anche considerato il contesto losoco in cui Agostino visse, pare che la caratterizzazione più signicativa in Agostino sia proprio la scoperta della fede come superamento della stessa razionalità losoca. Con Anselmo e Abelardo invece i tempi sono più maturi afnché gli sforzi della ragione, sufcientemente morticati dall’immagine dell’uomo come peccatore ed imperfetto, acquistino un peso ed un signicato diversi nell’economia complessiva della salvezza dell’anima. Fissato il nocciolo duro della fede e della sua presenza ineludibile nella vita dell’uomo si tratta ora di dare un ruolo positivo alla ragione: non è più soltanto quella manchevole di qualcosa. Così Anselmo è l’ideatore della del la prova ontologica dell’esistenza di Dio e Abelardo il campione della dialettica. Credo et intellego . Siamo giunti così al momento di rottura che l’opera e il pensiero di Averroè costituiscono. Da questo momento in poi i percorsi della ragione e della fede di principio rimarranno separati, tanto che quello della «doppia verità» sarà un vero e proprio topos nei secoli successivi. Già è esplicito nel Prologo della condanna , da parte del vescovo di Parigi, Étienne Tempier, Tempier, di 219 proposizioni losoche losoche,, il 7 marzo 1227: Taluni studiosi della Facoltà delle Arti, a Parigi Taluni Parigi,, oltrepassando i limiti di questa Facolt Facoltà, à, osano trattare a lezione e disquasi dubitabiles cutere come se fossero tesi opinabili [ quasi ], degli errori patenti, esecrabili, o meglio delle falsità folli... Per non dare però a divedere di sostenere quel che in tal modo pur insinuano... dicono che si tratta di tesi vere secondo la losoa, ma non secondo la fede cattolica – come se si dessero due verità contrarie! contrarie!73.
Nel XIII secolo il differente di fferente rispetto tra fede e ragione, e lo spostamento di baricentro nell’equilibrio che non s’arresterà più, è riscontrabile nelle posizioni di Tommaso, Sigieri 32
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e Alberto Magno. Che la ragione non debba, e in alcun modo in maniera retta possa giungere ad affermare tesi opposte a quelle teologiche è chiaro nelle parole di Tommaso: è tuttavia impossibile che ciò che ci è afdato da Dio per fede risulti contrario a ciò che è posto in noi per natura: in questo caso, infatti l’uno o l’altro dovrebbe necessariamente essere falso, e poiché entrambi ci sono dati da Dio, Dio stesso sarebbe per noi autore di una falsità – ciò che è impossibile... per cui è impossibile che ciò che riguarda la losoa risulti contrario a ciò che appartiene alla fede 74.
Sigieri invece, con tutte le cautele del caso, proprio nella polemica che lo vedeva coinvolto con Tommaso su alcune questioni fondamentali75, si prodigava di mostrare a quali scandalosi lidi conducessero i percorsi della ragione, ma adottando la strategia di limitarsi alla mera esposizione dei loso del passato, in particolare di Aristotele: Ora, se qualcuno dicesse che è erroneo er roneo credere che le anime non si separino totalmente dai corpi e che ricevano castighi e premi proporzionatamente a ciò che hanno compiuto nel corpo e che così non accade e che ciò contraddice la giustizia, è necessario rispondere, così come n dall’inizio abbiamo de tto,, che la nostra intenzione principale non è quella di indagare tto quale sia la verità riguardo all’anima, ma quale sia stata l’opinione del Filosofo a riguardo76.
La separazione tra fede e ragione è invece riproposta con tutta la sua forza in Alberto Alber to Magno, Magno, che nell’indagine si propone di ignorare i contenuti di fede: Tra coloro che si dedicano allo studio della losoa, alcuni Tra si pongono il problema della separazione dell’anima dal corpo e si chiedono, se l’anima effettivamente effettivamente si separa, cosa rimanga di essa e, se ciò che rimane è l’intelletto l’intelletto,, in quale q uale relazione l’intelletto che rimane dopo la separazione di un’anima dal corpo si trovi nei confronti di quello che rimane dalla separazione di un’altra anima, se ciò sia identico ad esso o diverso. Occorre 33
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quindi accertare, con argomenti dimostrativi [ per rationes et syllo- gismos videre ], cosa si debba pensare e affermare in proposito proposito.. Dunque, qualsiasi cosa sostenga la nostra religione, noi ora la mettiamo totalmente da parte, accettando esclusivamente le verità suscettibili di dimostrazione per mezzo del ragionaquae per syllogismus accipiunt demonstrationem ]77. mento scientico [ quae
L’andamento e lo sviluppo del rapporto tra fede e ragione dal XIII secolo no alle soglie dell’Età Moderna è va rio ed articolato. Non riporteremo quindi qui ricerche già ampiamente esposte altrove a ltrove78; basti rilevare l’impressionante presenza dell’averroismo in questi secoli, simbolo del libero utilizzo della ragione79. L’uso della ragione, rispetto ai dogmi cattolici80, conduceva alle tesi presenti nell’opera di Aristotele: si capisce bene l’importanza e il ruolo r uolo dell’aristotelismo di ispirazione averroistica per la cultura rinascimentale e l’impatto che deve aver avuto sullo stesso Galilei 81. Sennonché abbiamo già visto come anche l’aristotelismo si fosse sclerotizzato in un dogmatismo non da meno rispetto a quello cattolico. Bisognava cambiare aria, e a questo, come ben sappiamo, ci pensarono Galilei e Descartes, gure di spicco di un’Europa in fermento fer mento.. Intellego et credo . Nell’Età Moderna si assiste dunque all’attuarsi di una riessione losoca sempre più svincolata dalla visione del mondo cattolica. Tanto che l’intellego non è più un esercizio che ruota attorno a un nucleo ancora forte: quello della fede e dei signicati contenuti nella Bibbia. Ormai con loso come Galilei, Descartes, Locke, Kant l’attività dell’intelligere è del tutto svincolata dal contenuto della fede, che rimane ancora, ma a margine. In Galilei è ancora presente, anche se in forma residuale, quell’atteggiamento riscontrato in Alberto Magno, che osserva ove conduca la ragione, senza però pretendere che possa scoprire una qualche verità che non sia qualcosa di più che una mera «ipotesi». È signicativo anche soltanto il titolo dell’opera di Locke Ragionevolezza del Cristianesimo per il contesto radicalmente mutato: quasi a voltarsi in dietro dietro,, fare una pausa, e concedersi di mostrare come, tutto sommato, anche il Cristianesimo sia ragionevole. Per chiudere questa fase con Kant, con il quale del mondo tradizionale non 34
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rimane più nulla, se non una miserrima parvenza, in cui il credere è denitivamente un atto di fede e nient’altro. Intellego neque unquam credo . Per completezza, per sintetizzare in una formula anche gli ultimi due secoli, chiudiamo con quest’ultima fase del dissolvimento di ogni credere o, meglio, meglio, della riduzione di ogni pensare a credenza. La scienza stessa, credenza indifferente tra credenze, è ormai solo tecnica. È l’epoca del nichilismo. nichilismo. Il lungo errore della storia della losoa
Sono a tutti noti il naufragio dell’epistemologia del No vecento e la sua deriva nichilistica, che si compie nell’opera di Feyerabend. Il fallimento dei ripetuti tentativi che si susseguono almeno a partire da Galilei di individuare il metodo scientico portano a decretare l’impossibilità di ogni meto do,, e l’ultima parola è inne Contro il metodo82. Lo sconcerto e do la disillusione viziano le l e successive successive riessioni, che disperano della stessa possibilità di qualcosa come la scienza, abbandonata all’arbitrio e alla al la soggettività sog gettività dell’individuo. dell’individuo. Così com’era accaduto a quasi la totalità della losoa dopo Nietzsche. A noi però non interessano le conseguenze nichilistiche, dalle quali prendiamo le distanze, ma la conquista dell’impossibilità che la scienticità consista in un metodo che pre ceda lo stesso lavoro scientico, e che per di più lo fondi. Qui l’abbiamo rilevato in particolare nell’analisi dell’opera di Descartes e Galilei. Non è il metodo scientico a guidare l’opera di Descartes e Galilei, ma è la mole di risultati che andavano sommandosi, sommandosi, e in generale il rinnovato spirito che andava dilagando per l’Europa, a favorire lo sviluppo di ciò che Descartes e Galilei dovett dovettero ero interpretare come metodo scientico o scienza in senso stretto. Che non sia così è evi dente sia per il fatto che loro stessi conseguirono risultati errati, sia perché la retorica del metodo e dello ‘scientico’ era già presente molto prima di loro. In realtà agli inizi dell’Età Moderna, negli autori che abbiamo n qui citato, si palesa un errore di fondo che caratterizza tutta la storia del pensiero. A ben vedere, il grande errore in i n cui cadono i padri dell’Età Moderna e i loro continuatori è, da un punto di vista più generale, proprio dell’intera storia della losoa. La pretesa 35
Parte P arte I: Origini della scienza occidentale
di scienticità non è certo un’esigenza propria soltanto di questo periodo, si presenta ovunque vi sia il pensiero, e di essa ne abbiamo testimonianza n dagli albori del pensiero losoco.. E già da subito la pretesa di assolutezza propria di losoco ciascun sistema losoco fa emergere la loro inconciliabilità. Le losoe di Eraclito e Parmenide, no ad oggi paradig matiche nella storia della losoa, mostrano come tutta la loro fortuna risieda nella loro forza epistemica. Ma non è la verità a denire scienza (l’episteme ) a denire la verità, bensì la verità la scienza. È la forza della verità che in noi agisce e si dà come evidenza a tracciare il conne al di là del quale sta la chimera, il ttizio, l’oscuro, l’oscuro, ciò che non è disvelato – ili l mon do dei dormienti83. Quella che viene oggi concepita come «scienza moderna» è dunque il frutto non del metodo ‘scien tico’, ma di un rinnovato vigore spirituale, di un mutato atteggiamento, palpabile molto prima di Descartes e Galilei, Galilei , da rintracciare nelle migliori forze sviluppatesi nel seno della civiltà islamica e nella gura di Averroè, punto di tangenza di due mondi che hanno voluto considerarsi agli antipodi. Secoli da riscrivere
Averroè, nei secoli che conducono a Galilei e Cartesio, Averroè, è il simbolo di una razionalità che tenta di emanciparsi e di uno spirito libertario ben coltivato nel seno della cultura islamica nelle arti più svariate, nella scienza, nella losoa, uno spirito ammirato e auspicato nelle parole già dal sapore illuministico di Abelardo di Bath. Che lo spirito illuministico e secolarizzato provenga in buona parte dall’Islam, questo dovrebbe stravolgere l’intero nostro immaginario e tutte le periodizzazioni n qui scritte. Che non sia un metodo a determinare la scienticità, ma un atteggiamento nuovo e rivoluzionario sviluppatosi nella cultura islamica – questo è quello che dobbiamo pensare oggi alla luce delle migliori acquisizioni teoretiche in ambito epistemologico, sorte dalle stesse contraddizioni che si palesavano nei tentativi succedutisi da Galilei al positivismo, dal neopositivismo a Popper. Dobbiamo insieme pensare un ritorno dell’episteme dalla scienza alla losoa, che permetta di riconoscere la scienticità negli slanci dello spirito e non nella loro 36
Islam e Occidente
assenza (come ancor oggi viene positivisticamente pensata l’oggettività), l’ogg ettività), che per permetta metta di pensare che la scienza, se vuole vuole incominciare ad essere qualcosa di più che tecnica, non può che proporsi, come ancora nel Seicento con assennatezza accadeva, per quello che è, molto di più: losoa...
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P arte ii CritiCa e storia del trasCendentale CoMe Cifra dell’e tà Moderna
Anamnesi del Postmoderno: Postmoderno: eredità e prospettive prospettive dagli ultimi due secoli di Idealismo e Nichilismo
Introduzione Le tendenze antitetiche degli ultimi due secoli
Se volessimo in una prima sintesi indicare che cosa ha caratterizzato la cultura degli ultimi due secoli, due nomi dovrebbero essere irrinunciabili: idealismo e nichilismo. Il primo nome dovrebbe indicare la consapevolezza lentamente acquisita che la realtà non è indipendente dal suo essere pensata, il secondo nome invece l’inconsistenza e l’arbitrarietà della stessa realtà una volta che essa dipenda “da come la si pensa”. Se la realtà non è più criterio indipendente dal pensiero capace perciò di stabilirne la correttezza – l’adeguazione a se stessa – ella si frantuma nell’innità dei pensieri, delle culture, delle epoche. Che negli ultimi anni vi sia stata una piena nichilistica non è difcile rilevarlo rilevarlo,, basterebbe il nome con cui la cultura oggi dominante si nomina: postmoderno – a sottolineare la sua rottura con il moderno,, individuato proprio con la possibilità di un’unità al moderno di là degli inniti particolarismi. Unità che nel postmoderno non è invece più rintracciabile. Il libercolo che a posteriori è stato considerato il manifesto di questo indirizzo culturale, La condizione postmoderna 84 di Lyotard, indica in Hegel l’ultimo rappresentante del moderno, oltre il quale non vi sarebbero più state le grandi narrazioni unitarie che hanno caratterizzato la tradizione: è così che la mancanza di sistema che si inaugura con Nietzsche diviene un tratto inevitabile della concezione postmoderna. Quanto appena ricordato è però solo un sintomo di una fase acuta dell’epidemia nichililista, che non può non vederci preoccupati, ma che può essere superata – questo l’intento che qui ci guiderà 38
Anamnesi del Postmoderno Postmoderno
– iniziando a ricollocarla entro una migliore prospettiv prospettiva. a. Quella prospettiva che sappia vedere nell’idealismo e nel nichilismo non due losoe inconciliabili, ma due momenti del fare i conti con quello stesso problema che si impone con Kant e che viene sintetizzato in una formula da Schopenhauer: «il mondo è una mia rappresentazione»85. Ma il losofare in grande stile non è venuto meno negli ultimi due secoli: anche un occhio appena convalescente saprebbe riconoscere grandiosi sistemi nell’opera di Nietzsche e di Heidegger, come nondimeno nell’opera di Croce e di Gentile. Tutte queste losoe sono state tutte tentativi ben riusciti di superare una visione razionalistica, illuministica e positivistica del sapere e del mondo, che si proponeva di vedere le cose “così come stanno”. Il maggiore sforzo del pensiero che ha occupato la losoa moderna no ad oggi è stato il tentativo di pensare l’essere non più in termini realistici, bensì in termini trascendentali. Proprio la difcoltà e lo scandalo di questo tentativo hanno condotto a una disillusione che conosciamo nelle forme della disperazione nichilista e dell’abbandono relativistico. Negli autori che nominiamo idealisti è presente una maggiore capacità costruttiva che evidenzia la positività di una nuova visione trascendentale e considera quella realistica superata, mentre gli autori nichilisti pensano maggiormente evidenziando l’impossibilità di servirsi delle categorie categ orie ereditate, impossibili proprio perché presuppongono una concezione realistica e razionalistica del mondo mondo.. Mentre l’idealismo l ’idealismo vede il positivo della negazione delle categorie realistiche, il nichilismo non riesce a ricostruire in direzione di un loro superamento e rimane perciò connato nel perimetro della negazione. I modi in cui il positivo e il negativo del superamento del realismo si danno sono naturalmente i più vari e diversamente presenti in ciascun autore. Per agevolazione esemplicativa, per meglio circoscrivere circoscriv ere il problema, abbiamo quindi deciso di chiamare l’uno idealista, l’altro nichilista – proprio per indicare due direzioni direzi oni orientative. orient ative. La complessità con cui nuovo e vecchio, vecchio, speranza e delusione, slancio e abbandono si compenetrano ha naturalmente in ciascuna fase e in ciascun uomo una propria peculiarità. Qui dovremo limitarci ad analizzare solo alcuni aspetti dello sfacelo losoco al quale siamo 39