Indagini archeologiche 2011-2017
TOR dei PAGÀ Protostoria e medioevo di un sito d’alta quota a cura di Giovanna Bellandi, Marco Sannazaro
Tor dei Pagà nel bassomedioevo
Fortificazioni bassomedievali in alta Valle Camonica Marco Mottinelli
Padre Gregorio Brunelli, nei suoi Curiosi Trattenimenti scritti sul volgere del XVII secolo, annotava con malcelato orgoglio che per il passato Val Camonica facesse pompa di più di sessanta tra Castelli, Fortezze, Rocche, Ridotti, e grandi Torri e si affrettava ad aggiungere, quasi a mo’ di giustificazione per la poca consistenza materiale che già allora doveva contraddistinguere tali monumenti, benché al presente di tutto ciò non possa per la maggior parte aditarsi altro che il nome, e le vestigia con i raguagli, che ce n’hanno lasciato in Scritto li nostri Maggiori1. Rispetto ad altri passi piuttosto edulcorati delle sue descrizioni dei popoli e dei territori camuni, non sembra che il frate originario di Cané sia qui ricorso ad un’iperbole o sia stato trascinato dalla fantasia: se da un lato è infatti vero che ben poco del patrimonio archeologico-architettonico dei nostri centri medievali è rimasto intatto, dall’altro le tracce - materiali, cartografiche, toponomastiche, topografiche, documentarie - che indicano la presenza di fortificazioni in Valle Camonica superano addirittura le centocinquanta unità, dipingendo quindi un quadro assai più ricco e variegato di quello tratteggiato da Gregorio2.
La pubblicazione delle ortofotografie 2007 e 2015 di tav.1, 2a, 6a, 7a-c-e, 8b-d, 11g-h, 23 e tav. 2c e 8c è autorizzata secondo licenza IODL 2.0, consultabile al sito https://www.dati.gov.it/content/italian-open-data-license-v20. La pubblicazione dei dati LiDAR è autorizzata secondo licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 3.0 Italia, consultabile al sito https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/it/. Le tavole 3a, 4a, 5, 8a, 11a, 14c, 17c, 19a, 20a, 21a, 22a sono realizzate sulla base delle mappe catastali napoleoniche, fruibili al sito http://asmilano.it/Divenire/home.htm (Archivio di Stato di Milano). Le tavole 9b, 12a, e 18a sono realizzate sulla base delle mappe catastali del Regno Lombardo-Veneto, fruibili al sito http://www.catastistorici.it/ (dati originali presso Archivio di Stato di Brescia). La pubblicazione della fotografia aerea del castello di Corteno Golgi è gentilmente autorizzata dallo studio fotografico BAMS Photo. La pubblicazione del fotopiano di scavo del Dosso di San Clemente (Vezza d’Oglio) è autorizzata dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e Brescia. 1) Brunelli 1698, p. 7. 2) Tale computo è frutto dell’incrocio di informazioni dei più recenti lavori sull’argomento, costituiti dalla tesi di Specializzazione in Beni Archeologici di Alice Leoni (Leoni 2010-2011) e dalla mia tesi di Laurea Magistrale (Mottinelli 2012-2013), coordinate entrambe dal dott. Andrea Breda. I lavori raccolgono quanto noto in bibliografia fino ad ora sull’argomento e hanno comportato nuove ricerche sul campo (con nuovi ritrovamenti) rispettivamente per la media-bassa Valle e per la media-alta Valle.
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Se si pensa alle torri o ai castelli di Valle Camonica, anche il viaggiatore più distratto non può che richiamare immediatamente alla memoria il castello di Breno, che si staglia netto a dominare la conurbazione moderna della media Valle, o il castello di Cimbergo che, recentemente restituito al suo splendore, colpisce per la suggestiva collocazione nella cornice rocciosa costituita dalle pareti verticali della forra del Tredenus e, sullo sfondo, dalle falde del Pizzo Badile Camuno. Risalendo la Valle, questi incontri appaiono tuttavia più radi, meno evidenti e pubblicizzati, sebbene qualche timido cartello tenti di indicarne, almeno vagamente, la presenza. Sorprende quindi sapere che quasi ogni abitato possieda tuttora memoria almeno di una torre o di un castello nei suoi dintorni, a caratterizzare quello che un tempo doveva presentarsi come un paesaggio visibilmente fortificato, di certo non derivato da un unico processo di “incastellamento” ma esito di vari momenti di fortificazione nei quali, allo stato attuale delle ricerche, risulta - come si vedrà - assai arduo districarsi. Sullo sfondo di abitati turriti e castelli si trova un paesaggio stratificato, venuto a formarsi in secoli di presenza antropica che ha plasmato e riplasmato le forme e le parcellizzazioni del territorio attraverso una scelta locazionale degli insediamenti talvolta in continuità con il passato e talaltra in rottura, con conseguenti modifiche o persistenze nelle modalità di sfruttamento delle risorse territoriali, nelle quote della frequentazione umana, nella viabilità e nell’ubicazione degli elementi generatori di un paesaggio, quali possono essere considerati una chiesa, un abitato, un castello o una strada3. Un paesaggio complesso, dunque, raramente indagato dall’archeologia, e che negli ultimi decenni si è trovato a far fronte a modificazioni su ampia scala che ne hanno compromesso, in alcuni casi definitivamente, le possibilità di lettura. Nei centri storici dell’alta Valle, più che altrove, ciò ha reso molto difficile comprendere l’origine degli insediamenti, se non ricorrendo a leggende o a radicate credenze locali. L’interesse degli studiosi si è soffermato a più riprese su edifici storici e monumenti, a partire dall’elenco redatto ad inizio Novecento dal Canevali4, in qualche modo ripreso ed ampliato dal Lechi negli anni ’70, in un intreccio di considerazioni sulle architetture e sulle scarne notizie documentarie relazionate agli edifici5. Per la bassa Valle la collana Arte in Val Camonica ha documentato il patrimonio architettonico ed artistico dei centri abitati e delle chiese bassomedievali6, mentre una specifica attenzione all’edilizia fortificata è stata rivolta solo recentemente in diversi contributi apparsi sulla rivista Itinera7. Tuttavia, la necessità di guardare con “occhio archeologico” agli edifici e ai centri abitati, nel tentativo di cogliere stratificazioni e dinamiche di sviluppo sia nei dati materiali (tessiture murarie, elementi architettonici) che nella topografia urbana (attraverso i catasti storici e gli estimi), appare cosa assai recente e condensata in pochi e preziosi studi puntuali (a cura di Archimedia8) e da preliminari censimenti territoriali inediti, condotti in prosecuzione di prime esperienze maturate negli anni ’809, che nondimeno devono confrontarsi con una situazione generale
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3) Tosco 2009; Tosco 2012; Brogiolo 2015. 4) Canevali 1912. 5) Lechi 1973-84, in particolare i volumi I I castelli e II Il Quattrocento. 6) Bertolini - Panazza 1980-94 per i primi quattro volumi, Passamani 2000-04 per i restanti. 7) Itinera 2003; Itinera 2006. 8) In ordine cronologico, si vedano Bianchi - Macario - Zonca 1999 per Cividate Camuno, Bianchi - Macario 2008 per Pisogne, Bianchi - Macario - Vangelisti 2011 per Bienno, Bianchi - Macario - Vangelisti 2012 per Prestine, Bianchi 2013 per Erbanno e Angone, Bianchi - Macario 2016 per Lovere, Bianchi 2017 per Darfo, Corna, Fucine e Pelalepre. 9) I censimenti, di cui alla nota 2, sono stati condotti a partire dal materiale raccolto tra il 1979 e il 1981 dal dott. Andrea Breda, all’epoca direttore scientifico di un corso triennale di formazione per archeologi promosso dalla Civica Amministrazione di Darfo Boario Terme in collaborazione con il Centro Regionale per la valorizzazione
Fortificazioni bassomedievali in alta Valle Camonica
di rapida erosione del patrimonio del costruito storico10. L’archeologia di scavo, dal canto suo, ha mostrato le sue ampie potenzialità in particolare negli ultimi trent’anni, con indagini e progetti coordinati dalla Soprintendenza che hanno interessato i castelli di Berzo Inferiore, Breno, Lozio, Cimbergo, Paspardo e Mu, rivelandone una complessità sorprendente non solo nelle stratificazioni delle fasi bassomedievali, ma anche nelle preesistenze pre-protostoriche11. Recentemente, l’avvio del progetto pluriennale imperniato su Tor dei Pagà12, affiancato nell’anno appena trascorso da preliminari verifiche condotte presso il castello di Corteno Golgi e il Dosso di San Clemente di Vezza d’Oglio13, ha permesso di rivolgere l’attenzione anche a fortificazioni meno note ma altrettanto ricche di storia e di elementi utili per meglio inquadrare il fenomeno fortificatorio in alta Valle Camonica. Il presente contributo, lungi da qualsiasi velleità di completezza o di ultima parola sull’argomento - obiettivo quanto mai distante per la Valle Camonica, se confrontato con gli studi nelle limitrofe vallate valtellinesi o trentine14 - mira ad illustrare la presenza e le caratteristiche degli edifici fortificati in contesto urbano ed extra urbano nei territori a nord di Capo di Ponte, cercando di cogliere di volta in volta quali siano i migliori strumenti cui la ricerca storico-archeologica debba fare affidamento per migliorare la conoscenza, al momento tutt’altro che soddisfacente, che possediamo degli aspetti materiali, urbanistici, cronologici dell’insediamento medievale e delle fortificazioni (e delle reciproche dinamiche evolutive) nella media-alta Valle Camonica. Per far questo, non si rinuncerà a richiamare esempi e casi di studio eccellenti che hanno interessato altri centri storici della media-bassa Valle, la cui minuziosa analisi ha portato a ricostruirne le vicende edilizie e topografiche almeno dall’epoca altomedievale (se non da quella romana), fornendo preziosissimi elementi di cronologia per le architetture e per i modelli insediativi sia dei nuclei abitati sia del paesaggio circostante, nonché un modello virtuoso di studio della complessità storica del territorio. L’ insediamento in media-alta Valle Camonica tra seconda età del Ferro ed epoca altomedievale Come già accennato, la comprensione della nascita dei nuclei abitati medievali e, insieme ad essi, delle prime opere di fortificazione (non sono infatti per ora apparentemente attestate in Valle Camonica strutture fortificate di età tardo antica o alto medievale), è cosa assai ardua alla luce degli scarsissimi dati forniti dall’archeologia e dalle rare fonti documentarie disponibili per i contesti abitati della media-alta Valle (Fig. 1). La ricerca archeologica, negli ultimi decenni, ha gettato nuova luce in particolare sulle caratteristiche dell’insediamento del territorio tra seconda età del Ferro e romanizzazione non solo nell’ambito urbano di Cividate Camuno ma anche nelle zone più periferiche (Berzo Demo, Temù, Cemmo, Pescarzo), manifestando una generale transizione “dolce” delle genti protostoriche camune nel mondo romano, talvolta con continuità di frequenta-
dei Beni Culturali dell’Ente Nazionale ACLI per l’Istruzione Professionale di Botticino (E.N.A.I.P.). 10) Gallina 2009, pp. 52-54. 11) Per una panoramica su questi contesti si veda Leoni 2010-2011 e bibliografia specifica ivi citata. 12) Bellandi et alii 2015; Sannazaro 2016. 13) Entrambe le indagini, inedite, sono state effettuate sotto la direzione scientifica dei dott. Andrea Breda e Serena Solano della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia. Gli interventi sono stati interamente finanziati dai comuni di Vezza d’Oglio e Corteno Golgi. Notizie preliminari rispettivamente in ATS, relazione Mottinelli - Simonotti - Montrasi 2017 e ATS, relazione Mottinelli 2018. 14) Per la Valtellina si veda Rao 2014, mentre per il Trentino Possenti - Gentilini - Landi - Cunaccia 2013.
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Fig. 1. Carta archeologica della media-alta Valle Camonica aggiornata al 2018. Non sono rappresentati i rinvenimenti riferibili a incisioni rupestri e ai fondi di casa.
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zione degli stessi luoghi15. Le indagini stratigrafiche hanno rivelato la persistenza di modelli insediativi protostorici, caratterizzati da raggruppamenti di case seminterrate realizzate in pietra e legno (le cosiddette “case retiche”), cui si aggiungono, in età romana, gli apporti tecnologici della malta di calce e del laterizio16. Accanto a questi siti, indagati in maniera approfondita con scavi d’emergenza, la carta archeologica redatta nel 1991 riporta laconicamente sporadici rinvenimenti attribuibili ad età romana avvenuti a più riprese nei centri storici di Grevo (forse il vicus Grebiae attestato in un’epigrafe dispersa)17, Demo18 e Sonico19, mentre testimonianze più numerose e consistenti sono attestate solo per il nucleo storico di Cemmo20. Tali siti, ubicati in corrispondenza o ai margini dei successivi abitati bassomedievali, denotano un insediamento sparso del territorio, probabilmente distribuito per vici concentrati sui bassi versanti, dei quali, non senza rischio, si può ancora forse cercare una lontana eco nella toponomastica: sono infatti noti Vico, frazione di Edolo, Plate de Icc (Vico nella toponomastica ottocentesca) poco lontano da Mu21 e Vico ai margini settentrionali dell’abitato di Sonico, a sua volta fatto risalire nell’etimologia a summus vicus22. Sebbene in alcune di queste località siano noti dei rinvenimenti di materiale archeologico23, il toponimo non è tuttavia garanzia di un’origine romana dell’insediamento, tant’è che altrove lo ritroviamo senza prove materiali di continuità insediativa - ancora nei catasti ottocenteschi a contraddistinguere interi isolati dei paesi bassomedievali, in particolare la porzione più in quota dell’abitato: si trovano ad esempio Sonvico nella porzione nord di Vezza24 e nella porzione nord-est di Mu25; toponimi analoghi contraddistinguono anche zone non edificate in età bassomedievale, come l’area di basso versante terrazzato detta Sonvico compresa tra i territori di Pontagna e Ponte di Legno26. La presenza romana sembra aver interessato anche l’ultimo tratto di alta Valle: è noto un ritrovamento monetale a monte di Villa Dalegno27 e soprattutto è certo già almeno dal I secolo d.C. lo sfruttamento delle cave di marmo del Borom, località posta a 1550 m s.l.m. a monte di Vezza d’Oglio28. Se in alta Valle le attestazioni materiali pertinenti ad età romana sono dunque decisamente ridotte, per l’età tardo antica-altomedievale tale condizione può essere estesa in generale all’intera Valle Camonica, con una povertà di contesti indagati che consente solo localmente di ricostruire le caratteristiche dell’insediamento in quest’epoca29; tra IV e VII secolo esso è generalmente contraddistinto da frequentazioni di luoghi già insediati in età romana, con la presenza di strutture abitative in materiale deperibile e sepolture ricavate all’interno degli spazi degli edifici romani in rovina, come testimoniato da diversi contesti di
15) Per trattazioni esaustive dell’argomento e puntuali riferimenti bibliografici ai contesti di scavo citati si rimanda a Solano 2009 e Solano 2018. 16) Si allude in particolare al sito prossimo all’abitato di Berzo in via Pascoli/via Kennedy che ha restituito le tracce di una frequentazione ininterrotta tra VI secolo a. C. e II secolo d.C. (Solano - Simonotti 2008). 17) Solano 2004, pp. 151-153; Sina 1908. 18) Solano 2014, p. 41; Rossi 1991, p. 27 n. 82; Priuli 1978, p. 130. 19) Rossi 1991, p. 95, n. 1635. 20) Rossi 1991, nn. 245, 255, 280; Priuli 1978, pp. 130-132; Priuli 1979, pp. 57-66; Priuli 1983, pp. 123-129. 21) ASMi, Fondo Catasto, Mu, Sommarione. 22) Bontempi 2003. 23) Ruggiero - Poggiani Keller 2014; Priuli - Sgabussi 1988, p. 294. 24) ASMi, Fondo Catasto, Vezza, Tavola di Classamento. 25) ASMi, Fondo Catasto, Mu, Sommarione. 26) ASMi, Fondo Catasto, Pontagna e Ponte di Legno, Tavola di Classamento. 27) Comunicazione personale del dott. Andrea Breda. 28) Rossi 2005; Solano 2009, pp. 105-106. 29) Per un inquadramento generale sull’argomento si veda Leoni 2012.
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scavo a Cividate Camuno, Breno e a Bienno30, o da ampie necropoli come quella indagata a Corna di Darfo (VII-VIII secolo)31. Alla tarda antichità (V secolo) vanno anche ascritte le distruzioni documentate dall’archeologia dei maggiori centri cultuali preistorici e protostorici frequentati fino ad epoca romana, come a Cemmo, Borno e a Breno, a indicare probabilmente l’avvento di una cristianizzazione violenta32. Come accennato, sembrano per il momento ancora archeologicamente invisibili eventuali fortificazioni di origine tardo antica, note in altri contesti alpini, e messe in relazione con gli approntamenti difensivi a protezione dei confini settentrionali dell’Impero33. In alta Valle, in particolare, i rinvenimenti pertinenti all’arco cronologico tra tarda antichità e alto medioevo sono davvero rarissimi, datati e quindi sommariamente documentati senza meticolose indagini stratigrafiche. Essi riguardano solamente due contesti funerari dai centri storici di Sonico34 e Grano35 generalmente ascritti ad epoca tardo-romana o altomedievale, e ovviamente le sepolture di Vione, le uniche di cui si possiedono puntuali rilievi ed una cronologia certa (VI-VII secolo)36. Davvero poco, insomma, per comprendere se vi sia da un lato continuità insediativa tra le tracce di frequentazione romana attestate nel territorio e quelle di età altomedievale, e dall’altro se queste ultime possano rappresentare il fulcro da cui si sviluppano i successivi abitati bassomedievali, con le loro chiese e le loro fortificazioni. Decisive potrebbero risultare quindi auspicabili indagini stratigrafiche nei centri storici, all’interno degli edifici bassomedievali civili ed ecclesiastici37 (in particolare presso le sedi pievane), presso le fortificazioni bassomedievali - nel tentativo di coglierne preesistenze databili tra romanità e medioevo - o ancora presso i numerosissimi “villaggi scomparsi” recentemente segnalati in tutta l’alta Valle da Ausilio Priuli38. Lo studio archeologico di queste ultime evidenze, davvero notevoli per quantità e varietà altimetrica dei contesti, potrebbe in particolare consentire di chiarirne la collocazione sulla scala cronologica (non è affatto scontato che siano attribuibili in toto alla stessa epoca39) e gettare nuova luce sulle dinamiche che hanno portato da un lato all’abbandono di taluni villaggi e dall’altro alla creazione di una massa critica attorno alla quale sono andati coagulandosi (quando?) i poli insediativi medievali ricalcati dai paesi attuali (Fig. 2). In mancanza di dati materiali, gli studiosi locali si sono finora rivolti con cieca fiducia alla toponomastica (come accennato non priva di insidie!), alle leggende e ai trend dettati dalla produzione erudita, che tende a trasportare la narrazione degli eventi della Grande Storia anche nel più periferico dei paesi40.
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30) Leoni 2012, pp. 312-313 e 322-324 e bibliografia ivi citata. 31) Leoni 2012, pp. 313-318 e bibliografia ivi citata. 32) Ibsen 2009, p. 38 e bibliografia ivi citata. 33) Brogiolo 1999; Possenti - Gentilini -Landi - Cunaccia 2013; Brogiolo 2014; Settia 2017, pp. 1321. 34) Rossi 1991, p. 195, n. 1636; ATS Sonico, nota del 1952. 35) Rossi 1991, p. 204, n. 1735. 36) Rossi 1991, p. 207, n. 1775; Mirabella Roberti 1987, pp. 133-140; Sannazaro, supra. Vi è notizia, non confluita in carta archeologica, nel 1953 del rinvenimento di resti umani “ultrasecolari” anche a Cortenedolo (ATS Edolo, nota del 1953). 37) Indagini presso edifici ecclesiastici in alta Valle sono state condotte presso San Giacomo di Santicolo, Santa Maria di Corteno (ATS Corteno Golgi, relazioni di scavo Leoni), SS. Ippolito e Cassiano di Mu (Caimi 20032004) e San Giovanni di Edolo (Caimi 2003-2004a). 38) Priuli 2010. 39) L’autore attribuisce numerosi fondi di casa ad epoca protostorica sulla base del rinvenimento di materiale ceramico datante. Per alcune località egli avanza anche ipotesi relative ad una stratificazione delle evidenze murarie, ad esempio a Carona di Vezza d’Oglio (Priuli 2010, pp. 66-68). 40) A tal proposito basti citare le opere di G. Bianchi per la Val di Corteno (Bianchi 1968; Bianchi 1979)
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Berruti41 e Tognali42, sulla base di un sistematico spoglio della toponomastica, non esitano a riferire l’origine dei paesi e delle fortificazioni dell’alta Valle ad epoca altomedievale: toponimi come Stodegarda, Garda e Gazzo sono considerati, in quanto voci germaniche, spie inequivocabili di una marcata impronta gota o longobarda nel territorio, tuttavia non corroborata da altre fonti. Sempre seguendo le ricostruzioni erudite, alla presenza longobarda, spesso peraltro connotata come pagana, fa seguito alla fine dell’ VIII secolo la conquista carolingia che, oltre alla sconfitta militare dei dominatori longobardi asserragliati nelle loro fortezze43 (anch’esse archeologicamente ancora invisibili), porta in seno l’evangelizzazione della Valle ed una nuova gestione del territorio affidata all’abbazia francese di San Martino di Tours44, probabilmente per creare uno scollamento con i poteri dell’età precedente. Traccia dell’operato di Carlo Magno e dei monaci sarebbe da ricercarsi nell’intitolazione delle chiese ai santi del ciclo turonense, sebbene l’analisi archeologica degli alzati degli edifici ecclesiastici ab-
o quelle di F. Bontempi per numerosi paesi della Valle (una per tutte Bontempi 2003). Tali opere, non prive d’interesse per la collazione di fonti documentarie di difficile reperimento o di curiosi spunti di studio dettati da una conoscenza approfondita dei luoghi, riescono tuttavia indigeste per la mancanza di bibliografia e la ricostruzione storica di fantasia laddove non vi siano attestazioni archeologiche a supporto. 41) Berruti 2010, pp. 47-51; Berruti 2015, p. 23. 42) Gallina - Tognali 2014, p. 168 e p. 199; Tognali 2016, pp. 99-113. 43) Brunelli 1698, p. 306; Tognali 2016, pp. 143-155. 44) L’atto di donazione della Valle Camonica da Carlo Magno al monastero di Tours è pubblicato in Odorici 1853-65, IV, p. 107, n. LVI.
Fig. 2. Villaggio sepolto di Carona di Vezza d’Oglio visto in a) ortofotografia 2007 e b) LiDAR DTM; fondi di casa in località Scüdelèr in Val Grande (Vezza d’Oglio) visti in c) ortofotografia 2015 e d) sul terreno.
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intitolazioni di altre chiese, insieme alle brusche cessazioni nella frequentazione dei luoghi di culto romani cui si è fatto cenno, lascino al contrario trasparire cronologie ben più risalenti per la cristianizzazione della Valle46. Il quadro generale delle vicende altomedievali appare quindi tutt’altro che definito e denso di elementi contraddittori, con pochissime fonti documentarie a supporto degli storici tra VIII e XI secolo. Diviene dunque difficile comprendere quali siano i presupposti per la successiva evoluzione storica a cavallo del Mille, caratterizzata dalla compresenza di poteri laici ed ecclesiastici che generano una complicazione signorile e patrimoniale in parte chiarita solo per la bassa Valle e l’alto Sebino47. È plausibile che il quadro dipinto per quest’area sia valido, con le dovute proporzioni, anche per il distretto alto camuno, con gruppi famigliari eminenti che acquisiscono e si contendono poteri di giurisdizione su castra, capellae e beni, in un rapporto di tensione crescente anche con le costituende comunità locali, documentate nella media Valle a partire dalla fine dell’XI secolo48 e nell’alta Valle forse dal secolo successivo49. Le fonti documentarie Le rare fonti scritte, al pari di quelle archeologiche, sono altrettanto poco eloquenti e consentono solo in parte di migliorare la comprensione del quadro, limitandosi a fornire la data di una prima menzione, non sempre affidabile, degli abitati e delle fortificazioni. Raramente, inoltre, esse specificano le caratteristiche dei luoghi menzionati, ovvero se si tratti di vici, castra, castella, villae o curtes, pur con i problemi interpretativi connessi a tali denominazioni, la cui valenza non si mantiene sempre costante tra alto e basso medioevo50. Sonico è dubbiosamente citato nell’84251, il vicus et fundus di Edolo nel 92752 e l’ecclesia plebs di Santa Maria di Dalegno compare in un atto di donazione datato all’anno 97953. Quest’ultimo documento, se confermato nella sua autenticità, delineerebbe nel tratto terminale dell’alta Valle un ruolo di primo piano per Villa Dalegno, sede di una pieve distinta rispetto a quella di Edolo-Mu54. Solo nell’anno 1032 appaiono i castra di Monno, Incudine, Vezza e Vione, nell’ambito della supplica al vescovo di Brescia Olderico di concessione del diritto di battesimo alla chiesa di San Giovanni Battista di Vezza, allo scopo di evitare alle genti di quei luoghi, specie durante i disagi della stagione invernale, di raggiungere la pieve di Edolo per la celebrazione del
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46) Ibsen 2009, pp. 38-43. 47) Bianchi 2010, pp. 109-110. 48) Odorici 1853-65, V, p. 77, n° XII. 49) Berruti 2010, pp. 59-61. L’ autore riporta l’esistenza di un documento presso l’archivio personale di D. M. Tognali che, se confermato nella sua autenticità, sarebbe d’importanza fondamentale per le vicende che interessano gli abitati dell’alta Valle Camonica in XII secolo. Si tratterebbe in particolare di una sententia datata 1144 che dirime un’annosa controversia tra le comunità di Vezza d’Oglio e Vione circa i confini dei pascoli in sponda valliva sinistra. 50) Rao 2014, p. 197; Settia 1999, pp. 196-199. 51) Il documento, riportato in Lorenzi 1979, p. 112 e in Celli - Bonini Valetti - Masetti Zannini -Pegrari 1984, p. 20 n. 6 come pertinente a Sonico, appare in realtà riferito a beni posti in vico et fundo Samoriaco (CDL, doc. CXLV) e non ha dunque nulla a che vedere con il paese camuno. 52) Odorici 1853-65, V, pp. 9-10 n. I. Nell’atto, sottoscritto a Bergamo, si nominano sia un vico Pressionico che Celule e Idulie, quest’ultimo riferito a Edolo. 53) Odorici 1853-65, V, p. 15 n. V; l’ autenticità del documento non è tuttavia sicura, come si nota in Avancini Pezzotti 1978, pp. 108-109. 54) Il documento è più volte analizzato da Berruti, che lo ritiene valido (Berruti 2009, pp. 137-144; Berruti 2010, pp. 54-58; Berruti 2012, pp. 37-46). Tuttavia Franzoni non prende in considerazione quella di Villa tra le pievi originarie (Franzoni 2006; Franzoni 2012).
Fortificazioni bassomedievali in alta Valle Camonica
culto55. Tale documento, oltre ad evidenziare l’importanza di Edolo quale centro pievano di riferimento per un ampio tratto di alta Valle, fornisce uno spunto per avanzare ipotesi sull’aspetto dei paesi menzionati. La datazione entro la prima metà dell’XI secolo implica, sulla scorta di quanto osservato in letteratura, che a questa soglia cronologica il termine castrum sia da riferire non tanto ad una fortezza quanto ad un villaggio fortificato56. Nell’arco del XII secolo compaiono le prime menzioni di altri centri abitati ed altre tracce di fortificazioni: nella sententia confinium infra Communia Vioni et Vetia del 1144 compare l’ecclesia Sancti Clementi de castro Vetia57; nell’atto d’investitura da parte del vescovo di Brescia nei confronti di Pietro e Lanfranco Martinengo del 1158 è menzionata la castellania Dalegni, insieme alle decime dei paesi di Vione e Cimbergo 58; nel 1198, tra i livelli del vescovo Giovanni, troviamo terreni e beni immobili a Demo, Sonico, Vezza (oltre che a Breno e a Bienno)59; in apertura di XIII secolo compare un atto d’investitura datato al 1206 che interessa, tra le altre, le curie - termine che presuppone l’emergere di tali abitati rispetto agli altri distribuiti nel territorio60- di Mu e di Cemmo, col quale il vescovo investe la famiglia Avogadro delle corti ivi ubicate (oltre che quelle a Cividate, Gratacasolo e Pisogne)61. Appare dunque evidente tra XII e XIII secolo una forte presenza patrimoniale - sebbene assai probabilmente non esclusiva - dell’episcopato bresciano, arroccata in luoghi strategici (il castello di Dalegno) e centrali dal punto di vista insediativo e religioso (le sedi pievane) e demandata nella gestione a famiglie eminenti, così come avviene nella bassa Valle62. È tuttavia difficile - oltre che al di là delle possibilità del presente contributo - ripercorrere le dinamiche dei poteri nel settore alto camuno, i cui sviluppi sembrano, nella scarsità delle fonti, assumere per il momento un rilievo di secondo piano rispetto alle vicende nodali che si svolgono in bassa Valle, oggetto della contesa tra le città di Bergamo e Brescia tra metà XII e metà XIII secolo63. Ciò che appare evidente, verso la fine del XIII secolo, è la presenza di numerose strutture fortificate tra la media e l’alta Valle, richiamate negli Statuti del Comune di Brescia nell’ambito del bando rivolto dallo stesso ai ribelli valligiani in seguito alla rivolta del 1287. L’enumerazione delle fortezze, corredata dal premio in lire imperiali in caso di capitolazione delle stesse, racchiude forse un elemento utile a fornire una distinzione tra fortificazioni esistenti da tempo (Malonno, Corteno e Mu64, per limitarsi a quelle dell’alta Valle), di cui si ignorano origine e committenza, e fortilicias nuper factas per inimicos Vallis camonice, come quelli ricordati “di recente costruzione” nei territori di
55) Odorici 1853-65, V, p. 56, n° XLIX; la concessione viene poi ribadita in un documento del 1194, sebbene in questo non vi sia ulteriore specificazione e descrizione dei paesi coinvolti (Odorici 1853-65, VI, p. 86, n. CXCV). Interessanti considerazioni anche in Sina 1931. 56) Settia 2017, pp. 67-72; Rao 2014, p. 197. 57) Si veda nota 53. 58) Odorici 1853-65, V, pp. 111-112, n. XC; Lorenzi 1979, pp. 121-122. 59) Odorici 1853-65, VII, p. 18, n. CCXXXIII. 60) Bianchi 2010, p. 124, nota 66. 61) Odorici 1853-65, VII, pp. 25-34, n. CCXXXVIII. 62) Bianchi 2010, pp. 113-116. 63) Bianchi 2010; Bianchi 2017. 64) La menzione di una rocca a Mu implica due ipotesi: la prima è che non si tratti del castello attualmente noto e saldamente nelle mani del vescovo già nel 1233 e poi nel 1299; la seconda è che si tratti proprio di questo, nel qual caso sarebbe da ipotizzare una presa della fortezza per mano dei ribelli camuni nelle circostanze della rivolta del 1287, poi ricondotta nelle mani del vescovo al 1299. È tuttavia da sottolineare come, nell’ambito della ricognizione dei beni vescovili operata da Cazoino di Capriolo, i testimoni e gli anziani del luogo chiamati ad elencare le proprietà e i diritti che il vescovo deteneva sul castello e i territori di Mu sostengono che, a loro memoria, questi sono sempre appartenuti all’episcopato (Archetti 1994, p. 307), senza lasciar trapelare cambi di possesso.
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Dalegno e Vezza65. In seguito, a cavallo tra fine XIII ed inizio XIV secolo, la ricognizione dei beni dell’episcopio voluta dal vescovo e signore di Brescia Berardo Maggi (che richiama una situazione patrimoniale già consolidata nei primi decenni del Duecento), fornisce un minimo di informazioni sulla natura e sulla gestione di alcune strutture fortificate. Il castello di Mu, la cui pertinenza vescovile appare risalire almeno al 1233, viene definito castrum de Mu et rocha et dognonum, rispecchiando forse la partizione dell’apparato fortificato testimoniata da una prima mappatura delle strutture (cfr. infra)66. La guardia del castello, così come l’apporto di soldati in caso di guerra, spettavano, come noto, agli abitanti delle ville di Mu, Edolo e Sonico67, mentre cospicui erano i beni di proprietà vescovile distribuiti dentro e fuori il castello e nella vicina villa di Mu. Il castello di Vezza è descritto nel 1299 come unum dossum sive dognonum cum sponda circum ed un campo nelle vicinanze è detto supra castrum sive dognonum dicti castri68; tali fortificazioni dovevano dunque essere particolarmente articolate e dotate di più elementi fortificati a protezione del dongione, termine che definisce un ridotto ulteriormente munito situato nella porzione più alta del castello, la cui apparizione nelle fortificazioni medievali è riferibile al XII-XIII secolo69. Nei designamenta vengono menzionati inoltre il castello di Incudine, citato come castrum e annoverato tra i consistenti beni di cui è investito ad Incudine Lafranco Caviata de Vezia nel 130070, ed infine il castello di Cemmo, presso cui già il vescovo Guala aveva rogato il precedente atto d’investitura nel 1233, e che veniva affidato alla custodia degli uomini di Sellero e Pescarzo71. Il panorama rapidamente illustrato pone l’accento dunque su pochi ma solidi nuclei fortificati da cui si irradia il potere vescovile a tutto il territorio alto camuno; tuttavia sono numerosissimi i castelli di cui non rimane alcuna traccia nella documentazione scritta e che solo ricognizioni dei documenti catastali e delle poche strutture superstiti in alzato consentono di individuare. I confronti con i contesti della bassa Valle e i casi di studio in alta Valle Prima di concentrare l’attenzione sui casi alto camuni, vale tuttavia la pena ripercorrere per sommi capi quale sia la situazione messa in luce dalle ricerche approfondite condotte sul tessuto urbano dei paesi della media-bassa Valle, in particolare a Cividate, Darfo e Bienno, allo scopo di cercare elementi di confronto sull’articolazione dei rapporti tra abitato e fortificazioni. In alta Valle Camonica non è al momento attestata la presenza di castelli urbani di origine altomedievale come quelli ipotizzati a Cividate e a Darfo attraverso la ricostruzione planimetrica dei centri storici operata sulla base dei catasti ottocenteschi con l’ausilio di documenti via via più risalenti, come gli estimi di età veneta o le designazioni bassomedievali dei beni vescovili. La formazione di tali fortificazioni è legata alla presenza delle curtes altomedievali (ipotizzata per Cividate, certa per Darfo, dov’è attestata una corte regia nel 1047), centri amministrativi della gestione agricola e delle risorse locali che vedono un’evoluzione in chiave
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65) Odorici 1853-65, VIII, pp. 39-40; Valentini 1898, p. 373. 66) Archetti 1994, p. 307 e pp. 309-311; per la mappatura Leoni 2010-2011, pp. 49-54. 67) Quest’ultima località in particolare appare in stretto rapporto con Mu ed Edolo. Rappresenta, tra l’altro, l’unico abitato attualmente sede comunale tra quelli considerati nell’area di studio privo di evidenze materiali e toponomastiche riferibili ad un castello. 68) Archetti 1994, p. 315. 69) Settia 2017, pp. 81-90. 70) Archetti 1994, pp. 355-356. 71) Archetti 1994, p. 325.
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fortificata con l’edificazione di un castrum probabilmente tra IX e X secolo72. I due casi di studio presentano caratteristiche ricorrenti, con edifici muniti circondati da una cortina muraria rettangolare che si sviluppano in piano al margine del villaggio altomedievale a pieno controllo della braida, un’ampia pertinenza agraria della curtis ben individuabile grazie alla toponomastica e alla parcellizzazione regolare che indica una fase unica di messa a coltura del territorio73. Nel caso di Cividate, inoltre, è da sottolineare che il castello nasce parallelamente alla presenza di una pieve di origine altomedievale, inclusa all’interno del perimetro murario del castrum74. Alberto Bianchi suggerisce la possibilità di individuare un’altra curtis fortificata a Pian Camuno, dove si concentrano i beni elencati tra i possedimenti di Santa Giulia di Brescia e dove il toponimo Castellazzo contraddistingue un’area dell’abitato75. Sebbene non siano stati condotti studi specifici volti a ricostruire in dettaglio la topografia del centro abitato medievale, dallo spoglio della documentazione catastale è verosimilmente possibile riscontrare la medesima situazione anche a Rogno, altra sede di pieve, dove, accanto all’edificio ecclesiastico altomedievale, caratterizzato appunto dal toponimo Pieve, si trovano i toponimi Breda e Castello76. Un altro caso in cui è stato possibile riconoscere l’assetto altomedievale dell’abitato è costituito da Bienno77. Qui già dall’841 è attestata la presenza di beni donati dal vescovo Ramperto al monastero cittadino dei SS. Faustino e Giovita, mentre nel 1133 vengono menzionati una curtis, un castrum ed una capella (senza specificare i reciproci rapporti spaziali). La capillare ricostruzione planimetrica dell’abitato sulla base dei catasti ottocenteschi e dell’estimo del 1735, unite ad una ricognizione dell’edilizia storica ancora conservata, hanno permesso di delimitare l’area di estensione del castrum all’interno dell’abitato, denotando con buona dose di certezza l’estensione del villaggio fortificato altomedievale, ancora contraddistinto dal toponimo Castello78. A partire dal XII-XIII secolo appare evidente una destrutturazione dell’abitato altomedievale, con la costruzione di nuclei fortificati di residenza signorile che fioriscono sia all’interno che all’esterno dell’area del castello79. Tali studi evidenziano come sia il dialogo intenso tra più elementi (archeologia, edilizia storica e soprattutto lettura “topografica” delle fonti documentarie e fiscali) a permettere di formulare ipotesi sulle complesse dinamiche di sviluppo degli abitati tra alto e basso medioevo, fornendo anche preziosi indizi su quali siano le “spie” da ricercare per l’individuazione materiale dei nuclei altomedievali. Sebbene appaia chiaro come non vi sia un modello di sviluppo standard, soprattutto in un contesto montano dove anche la morfologia dei luoghi ha una sua parte sostanziale nel dettare le linee di espansione o di distribuzione dell’abitato, è possibile, attraverso una rapida ricognizione bibliografica, archivistica80 e,
72) Settia 1999, p. 241; Settia 2017, pp. 54-55. 73) Bianchi 2017, pp. 122-125. 74) Bianchi - Macario - Zonca 1999, pp. 140-149. 75) Bianchi 2017, p. 124. 76) ASMi, Fondo Catasto, Rogno con Castello, Sommarione. 77) Bianchi - Macario - Vangelisti 2011. 78) Bianchi - Macario - Vangelisti 2011, pp. 53-55 e 71-74. 79) Bianchi - Macario - Vangelisti 2011, p. 74-77. 80) La ricognizione dei dati catastali è stata condotta sul materiale disponibile online al sito www.catastistorici. it che raccoglie la documentazione catastale del Lombardo-Veneto, in particolare per i comuni censuari di Capo di Ponte, Grevo, Corteno, Santicolo, Monno, Vezza, Temù, Villa e Pontagna. Per i comuni di Capo di Ponte, Saviore, Cevo, Berzo, Loveno, Corteno, Santicolo, Sonico, Edolo, Cortenedolo, Mu, Incudine al Solivo, Vezza e Vione sono stati vagliati sia i registri pertinenti la rilevazione di epoca napoleonica che quelli del Lombardo-Veneto. Sono tuttavia rimasti esclusi, per questioni di tempo, i comuni censuari di Valserta, Sellero, Valle, Paisco, Incudine al Vago e Ponte di Legno, indagati nella sola mappa napoleonica. Per tutti i comuni sono inoltre stati vagliati i catasti attuali. Sono infine stati considerati i recenti studi basati sui dati catastali (Bianchi - Vangelisti 2012; Gallina - Tognali 2014; Mottinelli 2015).
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Fig. 3. Cemmo: a) rielaborazione della cartografia catastale napoleonica del centro abitato di Cemmo. I numeri indicano gli edifici storici schedati; b) portale di accesso al villaggio fortificato in località Le Predelle; c) muraglione che definisce il limite dell’abitato verso sud in località Morciuolo; d) cantonale sud-est dell’edificio 21; e) cantonale sud-est dell’edificio 19.
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dove possibile, archeologica, evidenziare degli elementi ricorrenti - le spie, appunto - e confrontarli, nella consapevolezza che solo puntuali indagini caso per caso potranno fornire conoscenze più approfondite sulle origini dei nuclei insediativi alto camuni. Campo privilegiato per questi tentativi di studio è sicuramente costituito dalle sedi pievane della media-alta Valle - Cemmo e Edolo - che, come accennato, rappresentano i centri più rilevanti del territorio oggetto d’indagine. Per essi si dispone già inoltre di una prima ricognizione “archeologica” che ha evidenziato situazioni particolarmente complesse, stratificate e dense di elementi d’interesse che in futuro varrà sicuramente la pena approfondire. Per quanto riguarda Cemmo, una preliminare lettura del tessuto insediativo operata sulla scorta della disamina del catasto napoleonico e della ricognizione delle architetture conservate in alzato ha consentito solo di suggerire una significativa stratificazione nel paesaggio urbano, con un abitato fortificato attestato nelle fonti almeno dal XIII secolo (Fig. 3,a). Nelle designazioni vescovili del 1299 vengono infatti minuziosamente descritti i limiti del potere di districtus vescovile sull’abitato, definiti dalle porte di Pontis Digni, Axemo e Nosderne81, ancora rintracciabili sia a livello toponomastico che urbanistico (Fig. 3,b). Nella porzione più elevata dell’abitato, tra le contrade di Morciuolo e Palazio, sono ancora evidenti le tracce di un circuito murario che delimita nettamente il profilo meridionale dell’abitato, fortificato con due torri riferibili per caratteristiche formali almeno al XIII-XIV secolo (Fig. 3,c-d-e). Poco ad est della contrada di Morciuolo è ubicata la contrada del Duomo, termine che sull’esempio di un analogo caso registrato ad Iseo82, richiama la presenza della domus vescovile, magari dotata della canipa - ove confluivano i fitti in natura - menzionata negli atti d’investitura duecenteschi83. Nel settore nord-est dell’abitato sono invece apprezzabili dei nuclei due-trecenteschi (evidente il caso della domus degli Umiliati, che peraltro nel 1299 pagava il fitto pro molendino fullo et prato al vescovo84) inseriti in una divisione particellare sicuramente precedente (pertinente all’abitato medievale o addirittura ad epoca più remota)85. Tra i toponimi riportati dal catasto non è presente la Breda, mentre, come noto, sull’aspro dosso roccioso prospiciente il corso dell’Oglio è presente la pieve di San Siro, sitam in castro de Cemo86; la chiesa sarebbe dunque posta all’interno di una forti-
81) Archetti 1994. 82) USPAAA 1993, p. 34; Mottinelli 2015, p. 120. 83) Archetti 1994, p. 366. 84) Archetti 1994, p. 319. 85) Mottinelli 2015, p. 107. 86) Archetti 1994, p. 368. Il castrum è nominato anche tra le coerenze dei beni vescovili: si accenna infatti ad un cornu castri de Cemo (ibidem p. 366).
Fortificazioni bassomedievali in alta Valle Camonica
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ficazione i cui resti - sebbene la loro esistenza sia ribadita da più studiosi - sono tutt’altro che ben individuabili nel fitto del bosco87. Un’area denominata Castello ed una piccola area denominata Breda sono altresì presenti a monte dell’abitato, ai margini orientali del terrazzo di Cultura, ma appaiono piuttosto in rapporto al nucleo di Pescarzo, ov’è presente un settore denominato Imavilla, a richiamare un binomio villa-castello che, come si vedrà, torna assai frequentemente88. È possibile quindi identificare due nuclei distinti in cui è presente il potere vescovile: il primo pare coincidere con il villaggio fortificato (di origine altomedievale?) di Cemmo, ovvero con l’area su cui ancora nel XIII secolo ricade il districtus, entro la quale stanno verosimilmente il palazzo e la residenza vescovile; il secondo è il castello che racchiude la pieve di San Siro e sta a diretto controllo del passaggio sull’Oglio ubicato tra la contrada di Pedecleve e quella di Capo di Ponte. In rapporto diretto con la pieve paiono anche i nuclei di Pescarzo e Sellero, ove sono ubicati numerosi beni dell’episcopio fra cui una clausura sub domo donica e un plazum donico, consistente in un ampio castagneto89. Per quanto riguarda il territorio di Edolo-Mu, la lettura dell’evoluzione insediativa appare quanto mai lacunosa e complessa. L’analisi del catasto napoleonico90, unita alla ricognizione dell’edilizia storica superstite, ha permesso di individuare, oltre al ben noto castello di Mu (822 m s.l.m.), altre tracce relative ad un assetto pienamente medievale, anche qui articolato, come a Cemmo, su distinti poli insediativi e fortificati (Fig. 4,a). A Mu, come detto, si trova il castrum vescovile (Fig. 4,b), ubicato immediatamente a sud della Villa, area ben delimitata dalla toponomastica ottocentesca e corrispondente ad un nucleo di edifici compatto e a pianta circolare, a indicare forse la porzione più antica dell’insediamento (altomedievale?). A nord della Villa è da ubicare il Vico, le cui tracce conservate in alzato sono troppo esigue per proporne una collocazione cronologica, mentre presso la contrada Plantesco si trovano edifici di XIII-XIV secolo leggibili come nucleo fortificato bassomedievale di proprietà Federici (Fig. 4,c)91. Curiosamente non compare nella toponomastica ottocentesca la brayda, ben attestata nel Duecento con un’estensione di oltre 1300 tavole, in parte investite alle chiese di Santa Maria di Pradella e di Sant’Andrea di Sonico92. La documentazione allude inoltre ad una breda donica di cui erano investite le comunità di Mu e Sonico, ma non è tuttavia possibile stabilire se si tratti del medesimo luogo93. Anche per Mu, come per Cemmo, è menzionata una canipa episcopale, la cui collocazione è ignota, dove venivano stipati i prodotti dovuti a vario titolo al vescovo. Poco a valle di Mu, presso la frazione Capo di Ponte di Mu, è ubicata l’area della Pieve, dove, accanto all’edificio ecclesiastico riedificato in forme secentesche, corredato dalle sue pertinenze agrarie e dai broli, sopravvive la canonica medievale (edificio di XIII-XIV secolo, Fig. 4,d). La frazione, coagulata attorno all’importante passaggio sull’Oglio, pare ricca, in particolare, di edifici di pregio di XIV e XV secolo94, anche se è plausibile che già in precedenza vi fosse un presidio a controllo del ponte, nodo strategico per il controllo dei flussi verso l’alta Valle. Poco a nord-est dell’abitato è attestata una località denominata Dos
87) Brunelli 1698, p. 35; Rizzi 1870, p. 135; Canevali 1912, p. 203; Lechi 1973-84, I, pp. 212-215. 88) Bianchi -Vangelisti 2012, p. 264; Mottinelli 2015, p. 122 e pp. 127-128. 89) Archetti 1994, p. 325. 90) Una preliminare analisi del catasto napoleonico è presente in Mottinelli 2012-2013. 91) Lechi 1973-84, II, p. 328. 92) Archetti 1994, p. 308. 93) Archetti 1994, p. 310. 94) A Capo di Ponte di Mu sono da localizzare alcuni edifici la cui proprietà è probabilmente ascrivibile alla famiglia Federici, sulla scorta dell’osservazione di caratteristiche architettoniche pressoché identiche a quelle adottate in edifici di loro proprietà ad Erbanno.
Fig. 4. Mu e Capo di Ponte di Mu: a) rielaborazione della cartografia catastale napoleonica dei centri abitati di Mu e Capo di Ponte di Mu. In tratteggio rosso è l’area del castello di Mu; b) vista della rocca di Mu da nord-est; c) portale trecentesco della casa Federici di Mu; d) prospetto sud della canonica medievale di Capo di Ponte di Mu; e) vista del Dos Vignù da nord-est.
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Vignù (Vignone nella toponomastica ottocentesca, a indicare una probabile corruzione di dignone), situata su un dosso (736 m s.l.m.) che domina il ponte e le vie di accesso all’alta Valle e alla Val di Corteno (Fig. 4,e). Sebbene siano presenti in loco, a coronare un dosso profondamente antropizzato con larghi terrazzamenti sostenuti da muri massicci, dei ruderi molto manomessi, è al momento difficile riferire con certezza di una fortificazione medievale, tanto più che Padre Gregorio localizza qui due Forti, o Ridotti, di forma regolare, fatti dalla Serenissima Repubblica in occasione delle Guerre della Val Tellina95. Infine Edolo, che costituisce la porzione in piano dell’abitato, conserva solo alcuni spunti per la lettura di una situazione pienamente medievale, probabilmente cancellata dalle ingenti trasformazioni bassomedievali e successive, in particolare l’edificazione di cortivi fortificati (XIII-XIV secolo) e della chiesa di San Giovanni (attestata dal XV secolo) 96, in parte riconducibili alla crescente presenza in loco della famiglia dei Federici. Nella porzione settentrionale e rilevata dell’abitato è ancora attestato il toponimo Castello (sebbene questo non appaia nei catasti ottocenteschi né nell’estimo cinquecentesco), mentre tra le vie del paese è riconoscibile una via Santa Maria, anch’essa non registrata nei catasti e forse relitto di un edificio di culto non più esistente, la cui intitolazione potrebbe richiamare origini remote. Interessante è anche la menzione della Porta di Edolo (purtroppo non ubicabile), presso la quale, nel 1299, viene stipulato, alla presenza della comunità, l’atto di approvazione della definizione dei beni vescovili97. A sud dell’abitato si estendeva fino a un secolo fa la piana di Edolo, un’area di oltre 52 ettari (per limitarsi alla porzione coltivata ad aratorio nel 1811-181298) che rappresentava l’ultima grande pianura alluvionale della Valle (Fig. 5). Sebbene essa non presenti dei toponimi particolarmente indicativi, appare evidente che la sua ordinata parcellizzazione, inframmezzata da strade parallele nord-sud che permettono di raggiungere i campi più lontani dall’abitato, sia da imputare ad un’iniziativa di messa a coltura e di bonifica agraria impostata a partire da un’autorità centrale, magari proprio quella vescovile. A dominare l’abitato sta la fortificazione, recentemente riconosciuta, distribuita attorno alla chiesa di San Clemente alla Costa (870 m s.l.m.), dotata di due recinti murari ed almeno una torre, il cui cantonale bugnato consente la collocazione nel XIV secolo99. Edolo e Cemmo, con i rispettivi territori, costituiscono dunque due nodi fondamentali da sciogliere per la comprensione delle vicende medievali della media-alta Valle, dotati di una complessità insediativa, fortificatoria e viaria senza paragoni nell’area considerata. Al contempo essi rappresentano campi privilegiati di studio per la possibilità di accedere ad una
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95) Brunelli 1698, p. 43. È altresì nota una mappa datata al 1635, redatta dal Cavaliere Tensini per conto della Serenissima Repubblica di Venezia, in cui sono rappresentate le fortificazioni di sbarramento dell’alta Valle, costituite da fortini e trinceramenti (Berardi et alii 2007, pp. 54-56). Le tracce materiali di tale linea sono tuttavia difficilmente individuabili a causa dell’espansione degli abitati in particolar modo sul tratto di fondovalle e sui dossi di basso versante: il Fortino di Campagna è testimoniato da labili tracce osservabili nella fotografia aerea del 1945 e dalla notizia di rinvenimenti di monete veneziane nella piana, mentre le fortificazioni sul dosso della Camandola e sul Dos dei Porsei sono state cancellate dall’espansione edilizia della seconda metà del XX secolo; qualcosa è probabilmente ancora riconoscibile presso il Forte delle Castagne, in destra Oglio, e presso il castello di Mu; del Forte degli Albanesi è infine stata recentemente proposta l’ubicazione in località Ai Dossi (Signaroli 2018, pp. XXIII-XXIV). 96) Le indagini archeologiche all’interno della chiesa hanno verificato la presenza di una struttura rettangolare di 9x11 m di cui si conservano labili tracce di muratura, tuttavia non riferite ad una funzione o ad una cronologia precisa (Caimi 2003-2004a, pp. 231-232). 97) Archetti 1994, p. 317. Potrebbe trattarsi di un’ubicazione figurata, poiché non si hanno altre notizie di porte o mura per l’abitato di Edolo. 98) La stima è realizzata sulla base dei dati catastali della rilevazione napoleonica (ASMi, Fondo Catasto, Edolo, Sommarione). 99) Macario 2012, pp. 296-298.
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mole documentaria molto risalente (i designamenta vescovili del Duecento e le pergamene del Fondo Federici dell’Archivio di Stato di Brescia), per la presenza di siti sicuramente pluristratificati come il castello di Mu o le pievi e per l’abbondanza degli edifici bassomedievali ancora conservati, databili a partire dal XII secolo. I luoghi denominati Castello tra la media e l’alta Valle Camonica Sull’esempio di quanto osservato per il castrum di Bienno e delle evidenze riscontrate a Edolo e a Cemmo, è possibile tornare a considerare i castra dell’alta Valle menzionati nel 1032 insieme agli altri castelli del territorio a nord di Capo di Ponte, nel tentativo di cogliere, in assenza di esplicite fonti documentarie e archeologiche, analogie di sviluppo e problematiche interpretative. A Vione e a Monno sono ben note le aree del Castello: a Vione il toponimo contraddistingue la porzione sommitale dell’abitato (1260 m s.l.m.), presso la chiesa dei SS. Fabiano e Sebastiano, senza che sia apprezzabile una sostanziale soluzione di continuità tra l’area ipoteticamente fortificata (il dosso su cui sorge la chiesa) e lo sviluppo del paese100. Un saggio di scavo condotto nel 2011 nello spazio esterno alla chiesa, in corrispondenza della finestra del coro, ha portato a riconoscere interventi di livellamento e di riporto, probabilmente recenti, a celare un livello con resti umani scomposti ed una struttura muraria disordinata, ma non ha messo in luce evidenze di eventuali fortificazioni101. A Monno il toponimo Castello è attestato sul dosso a sud-est del paese, ove sorge la chiesa parrocchiale
100) Gallina - Tognali 2014, pp. 103-112. 101) ATS Vione, nota Bellandi del 2011.
Fig. 5. Edolo: rielaborazione della cartografia catastale napoleonica dell’abitato di Edolo e del territorio circostante. Si può notare la regolarità della parcellizzazione della piana e delle strade nord-sud che la attraversano.
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Fig. 6. Castello di Villa Dalegno: a) ubicazione del castello di Villa. In giallo l’area caratterizzata dal toponimo Castello e in rosso l’ipotetico limite della fortificazione; edifici con base a scarpa riferibili a strutture fortificate – prospetti sud-ovest e sud-est della prima struttura (b-c) e nord della seconda struttura (d).
(1040 m s.l.m.), in posizione leggermente dislocata rispetto allo sviluppo dell’abitato102. Anche qui, alcuni saggi esplorativi condotti nel 2006 non hanno permesso di individuare tracce ascrivibili ad una fortificazione103. È assai probabile che, in entrambi i casi, gli interventi che hanno portato all’edificazione delle chiese abbiano comportato massicci livellamenti o riporti, tali da rendere difficile l’individuazione dei depositi archeologici riferibili a strutture fortificate, magari in materiale deperibile, attorno alle quali andava a distribuirsi l’abitato. Un caso del tutto simile è rappresentato da Saviore, dove la toponomastica evidenzia ai margini della porzione di abitato denominata Codevilla alcuni terreni chiamati Sotto Porta e Sotto il Castello, a indicare la molto probabile presenza di una fortificazione laddove ora sorge la chiesa di San Giovanni Battista (1209 m s.l.m.), dotata di imponenti sostruzioni che probabilmente hanno reimpiegato o celato strutture precedenti104. Già Padre Gregorio faceva cenno ad un castello sul Dosso Merlino o Merlono, posto a valle del paese, presso il quale successive annotazioni riportano di rinvenimenti di tombe, monete ed armi a indicare un’antica frequentazione del luogo105. Altri castelli presentano caratteristiche leggermente diverse, andando a collocarsi a maggiore distanza dal relativo centro abitato. A Villa Dalegno, ad esempio, l’area del Castello (1571 m s.l.m.) è ubicata a notevole distanza dalla Villa (ritorna dunque la contrapposizione dei due termini), con una differenza altimetrica ragguardevole (Fig. 6, a). A nord-est del paese è peraltro attestata un’area a prati e campi terrazzati denominata Donico, toponimo che con buona dose di certezza deriva da una contrazione del termine Dominico, e quindi riferibile al possesso del signore nell’ambito di una curtis106. Il castello, se l’interpretazione delle fonti è corretta, è menzionato tra XII e XIII secolo e presenta caratteristiche topogra-
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102) Bianchi - Vangelisti 2012, p. 266. 103) ATS Monno, nota Solano - Lentini del 2006. 104) ASMi, Fondo Catasto, Saviore, Tavola di Classamento. 105) Brunelli 1698, p. 38; Solano 2003, pp. 47-48. 106) www.catastistorici.it, Temù, comune censuario di Villa d’Allegno.
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fiche assimilabili a quelle di numerosi altri siti caratterizzati da toponimi ed evidenze analoghi. Le strutture sorgono su di un dosso prospiciente la valle collegato al versante attraverso una stretta sella; la sommità, costituita da un pianoro bruscamente delimitato a 360° dal pendio, è raggiungibile da una stradina che espone chi la percorre alla vista dell’ipotetico castellano, aggirando il lato del dosso per raggiungere il pianoro dalla sella a monte. Il castello di Villa non presenta più un recinto murario in elevato, ma il suo limite è ancora intuibile in quello rappresentato dalla particella catastale. L’ area cintata, di circa 1670 mq, comprende tre edifici, riportati come stalle e fienili nei catasti ottocenteschi. Ad una rapida occhiata essi lasciano chiaramente trasparire, come già annotava Berruti107, delle caratteristiche tali da poterli ricondurre ai resti del castello: tutti e tre i fabbricati, sebbene quasi completamente coperti dal cemento, presentano infatti alla base degli inequivocabili muri di scarpa, ad indicare la presenza in antico di probabili edifici turriti (Fig. 6,b-c-d). Una situazione analoga doveva attestarsi anche a Malonno, a monte della frazione rurale Castello e dei caseggiati di Dosso e Moscio. Qui l’area contraddistinta dal toponimo Castello (Castellazzo si riferisce invece alla costa sottostante, tra l’abitato di Moscio e la chiesa dei SS. Faustino e Giovita108) corrisponde ad una situazione morfologica del tutto identica al caso di Villa Dalegno, con un dosso dalle ripide falde raggiungibile dalla strada che lo aggira alla base per guadagnare il pianoro sommitale dalla sella a monte (840 m s.l.m., Fig. 7,a). I resti delle murature superstiti sono davvero poca cosa, ma la malta tenace che le lega, insieme alle notizie di recupero di materiale ceramico rinascimentale, costituiscono prove dell’esistenza di un edificio fortificato (Fig. 7,b)109. Nel centro storico (600 m s.l.m.), ben definita e dal contorno circolare, appare l’area interessata dal toponimo Somavilla, a caratterizzare la porzione sommitale del paese presso cui è riportata la notizia di rinvenimenti tombali forse altomedievali110. La lettura del catasto ha permesso di collocare anche il castello di Vezza d’Oglio, ubicato sul dosso a nord-ovest del paese in destra idrografica del torrente Val Grande (1144 m s.l.m., Fig. 7,c-d). L’area, detta localmente el castilì e riportata nelle mappe con il doppio toponimo di Castello e Castellazzo111, attualmente in proprietà privata, doveva conservare fino a pochi decenni fa i resti di una fortificazione, già ricordata da Padre Gregorio e dal Rizzi112. Risale infatti agli anni ’50 del XX secolo la segnalazione della presenza di strutture murarie, probabilmente già intaccate dalla realizzazione della Linea fortificata pertinente il Secondo Sistema Difensivo della Prima Guerra Mondiale, in seguito irrimediabilmente compromesse dalla costruzione di due case113. Il particellare riportato dalle mappe catastali consente ad ogni modo di recuperare l’estensione originaria della fortificazione, pari a 2200 mq, e di leggervi i limiti fisici del fortilizio menzionato nei sopracitati documenti di fine XIII secolo. Un ulteriore elemento che sembra confermare la presenza di un perimetro cintato è la menzione nell’estimo del 1765 di terreni situati presso la Porta del Castello114, mentre l’attestazione di un’area denominata Fornace, ai piedi del versante orientale del dosso su cui sorgeva la fortificazione non è automaticamente riferibile al cantiere della stessa.
107) Berruti 2012, pp. 29-42. 108) ASMi, Fondo Catasto, Malonno, Sommarione. 109) Per le notizie relative al rinvenimento di ceramica rinascimentale si veda ATS Malonno, note del 1982,1984 e 1997. È inoltre da segnalare anche il recupero di materiale ceramico protostorico, testimoniato dagli abitanti delle case di contrada Castello. Impossibile allo stato attuale identificare il sito con la rocca della famiglia Magnoni i cui ruderi erano ancora visibili a fine XVII secolo (Brunelli 1698, p. 40). 110) Comunicazione personale di G. Zaina. 111) ASMi, Fondo Catasto, Vezza, Tavola di Classamento; vezzadoglio.catastistorici.it. 112) Brunelli 1698, p. 46; Rizzi 1870, p. 215. Riflessioni più recenti anche in Berruti 2015, pp. 14-15. 113) Rossi 1991, p. 204, n. 1736; ATS, Vezza d’Oglio, nota del 1954. 114) ASBs, Catasto Antico, Vezza, 996.
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Un altro caso in cui si ritrovano affiancati i toponimi Castello e Castellazzo è quello di Incudine nella frazione al Solivo (Fig. 7,e-f-g-h)115. Qui, nella zona del dosso che si erge a sud-ovest dell’abitato, sono ancora ben leggibili le strutture conservate in maniera straordinaria in alzato, pertinenti un ampio complesso fortificato che tuttavia si discosta leggermente dai casi sopra descritti. La fortificazione non va infatti ad occupare la porzione più alta del dosso (1117 m s.l.m.) ma rimane seminascosta nella sella che unisce questo al versante. Il complesso, reso di difficile lettura dalla vegetazione che cresce incontrollata sia al suo interno che all’esterno, presenta una planimetria rettangolare a definire una superficie di 336 mq e si articola su due livelli, uno in piano ed uno realizzato nel versante nord-occidentale del dosso, generando un salto di quota che divide in senso est-ovest lo spazio interno. I paramenti murari ancora ben conservati presentano probabilmente più fasi di intervento ed alcuni corpi di fabbrica appaiono realizzati in addosso al corpo principale (lati nord ed ovest). Tuttavia, per meglio pronunciarsi sulle fasi edilizie e sull’articolazione interna, sarebbero necessari una pulizia generale ed ulteriori rilievi. In via preliminare la tessitura muraria apprezzabile ad esempio nel paramento occidentale, ove sono peraltro visibili diversi ordini di buche pontaie, consente forse un confronto con quella attestata per la fase di XIV secolo nel Castello di Cimbergo, essendo caratterizzata dalla presenza di filari sub-orizzontali irregolari che vedono l’impiego di pietre di raccolta, a spacco e pietre grossolanamente sbozzate messe in opera con abbondante malta116. Le aperture non consentono di stabilire dei riferimenti cronologici: da un lato troviamo portali e finestre realizzati nella muratura, con tipi attestati fino ad epoca post-medievale (ad esempio il portale a tutto sesto sul prospetto ovest), mentre altri sono dotati di architravi lignei che potrebbero essere datati solo mediante analisi al radiocarbonio. A pochi metri di distanza dal complesso è da segnalare la presenza di alcuni caseggiati rurali, uno dei quali, ad uno sguardo più approfondito, tradisce le caratteristiche proprie di un edificio turrito: benché le aperture e la tessitura muraria non presentino evidenti caratteristiche riferibili ad epoca medievale (cfr. infra), la pianta quadrangolare e il marcato sviluppo in altezza ne confermano la tipologia edilizia. A completare la panoramica sui centri dell’ultimo tratto dell’alta Valle è Ponte di Legno, ove precedenti letture del catasto hanno permesso di riscontrare l’associazione dei toponimi Torre, Dosso della Torre ed Intremur, ad indicare forse la presenza in antico di un perimetro fortificato tra Ponte di Legno e Zoanno (1320 m s.l.m.)117; è inoltre presente il toponimo Donico che, come nel caso di Villa, potrebbe richiamare la pertinenza padronale di una curtis118. Il toponimo Castellaccio infine, non registrato nella rilevazione catastale austriaca, contraddistingue oggi la zona ove sorge la chiesa della SS. Trinità, ove null’altro vi è conservato relativamente ad una fortificazione119. La disamina della toponomastica e dei catasti storici ha permesso di individuare una serie di spie che denotano la probabile presenza di strutture fortificate anche negli abitati minori e nelle valli laterali; per pronunciarsi con certezza sulla loro eventuale attestazione materiale e sulla relativa cronologia sarebbero tuttavia necessarie ulteriori prospezioni, poiché, come rilevato in altri contesti montani, il toponimo da solo non fa il castello! 120.
115) ASMi, Fondo Catasto, Incudine al Solivo, Tavola di Classamento. 116) Leoni - Breda 2008-2009, pp. 81-86; mancano nel caso di Incudine, a differenza di Cimbergo, un’associazione tra un’apertura “datante” e la tessitura muraria, nonché un millesimo a suggerire un riferimento cronologico preciso. 117) L’area risulta attualmente interamente edificata. 118) Bianchi - Vangelisti 2012, p. 269. 119) Macario 2012, pp. 302-303. 120) Cordin - Flöss - Gatti 2013; Flöss - Gatti 2013.
Fig. 7. Castelli: a) area di attestazione della toponomastica riferita al Castello di Malonno e b) lacerto di paramento murario legato con malta tenace sul lato occidentale del dosso del Castello; c) area di attestazione della toponomastica riferita al Castello di Vezza d’Oglio (perimetro in rosso) e d) vista del dosso del Castello da nord-est; e) area di attestazione della toponomastica riferita al Castello di Incudine (perimetro in rosso); prospetti nord (f), ovest (g) e sud (h) del Castello di Incudine.
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Fig. 8. Altri castelli: a) rielaborazione della cartografia catastale napoleonica del centro di Monte di Berzo Demo. In rosso tratteggiato il limite dell’area a parcellizzazione regolare nota come Castello; b) area di attestazione della toponomastica riferita al Castellazzo di Santicolo (Corteno Golgi); c) sommità e versante meridionale del Monte Padrio/ Monte Castello; d) area di attestazione della toponomastica riferita al Casteler di Incudine.
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In questo senso, un caso emblematico è rappresentato da Sellero, presso il quale sono note le località di Castel Grand e Picinì (650 m s.l.m.), la Strada Comunale del Castello e, a poca distanza dall’abitato verso nord, un’area detta Castellanico (450 m s.l.m.)121. Le uniche evidenze per ora riconosciute dagli studiosi sembrano però riferirsi ad una frequentazione protostorica del sito, senza che vi siano state rilevate strutture murarie pertinenti un edificio medievale122. Per la Val Saviore Gregorio Brunelli ricorda almeno quattro castelli oltre a quello già ipotizzato ai margini meridionali dell’abitato di Saviore: due sarebbero da collocarsi a monte del paese, e altrettanti tra quest’ultimo e Cevo123. A nord est di Saviore si trova infatti la località Castel (il toponimo non è tuttavia attestato nei catasti), laddove è stata riconosciuta l’esistenza di un castelliere protostorico (1350 m s.l.m.)124, mentre non è possibile localizzare eventuali altre strutture fortificate d’età storica. Sebbene non ve ne sia più traccia nella toponomastica catastale ottocentesca, nella porzione sommitale dell’abitato di Cevo (1120 m s.l.m.) è tuttora presente una via Castello, così come a Monte di Berzo Demo (900 m s.l.m.). Se nel primo caso non vi sono tracce materiali né topografiche interpretabili
121) http://asmilano.it/Divenire/document.htm;jsessionid=FB7BA93A0157EBD80404C5B76E074072?idDoc=10648690&idUa=10648689&first=0&last=0 122) ATS Sellero, nota Priuli; Rossi 1991, p. 186, n° 1547; Rizzi 1870, p. 210. 123) Brunelli 1698, p. 38. 124) Solano 2003, pp. 47-48; Sansoni 2006, pp. 55-57. Da qui proviene un frammento di ceramica protostorica.
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come una fortificazione, nel secondo è forse riconoscibile nella mappa catastale un nucleo insediativo dalla forma rettangolare, al cui interno si sviluppano dei lotti di dimensioni regolari (Fig. 8,a)125. Nel territorio di Berzo Demo è da collocare anche un’enigmatica attestazione toponomastica che compare già nel XV secolo, ovvero Rocha Franca, poi trascritta nei registri ottocenteschi come Occa Fracca126. L’area (650 m s.l.m.), corrispondente ad un versante boschivo tra Demo e Monte, andrebbe ispezionata, così come la porzione di bosco estesa a monte dell’abitato di Andrista che prende attualmente il nome di Castello (700-890 m s.l.m.). Un’altra località in cui si richiama l’esistenza di una fortificazione è il dosso su cui sorge la chiesa di San Zenone (446 m s.l.m.), già ricordato da Gregorio per la presenza di un romito e di un antichissimo forte utilizzato anche dalla Serenissima, la cui attestazione è ribadita dal Sina, che vi situa un palazzo con torre ove si raccoglievano le decime del vescovo dalla Val di Paisco127. Accanto alla chiesa, testimoniata a partire dal XIV secolo, non paiono tuttavia esservi evidenze leggibili di un edificio fortificato. In Val Paisco ci si deve limitare a quanto riportato dapprima da Gregorio, che ricorda la presenza di una torre detta delle Botarche, e alle indicazioni del Sina, che sostiene la derivazione del toponimo Gnù, piccola frazione di Paisco (1310 m s.l.m.), dalla parola dignù128. A monte della frazione di Grumello è inoltre presente nel catasto attuale l’indicazione del toponimo Castelletto (1430 m s.l.m.), la cui corrispondenza con eventuali strutture superstiti, come nei due casi sopracitati, sarebbe da verificare. In Val di Corteno, oltre al castello ubicato sul dosso a ovest dell’abitato di Corteno (cfr. infra), vi sono almeno altre tre testimonianze desunte dalla toponomastica relative a fortificazioni: Castellazzo, ubicato a quota 1100 m s.l.m. a monte di Santicolo (Fig. 8,b)129, Castiù, località a monte di Corteno a 1470 m s.l.m. segnalata già dal Bianchi per la presenza dei resti di una torre130 ed infine la suggestiva denominazione Monte Castello, in luogo di Monte Padrio, attestata in una mappa settecentesca che ritrae i confini tra la Val Camonica e la Valtellina nei territori di Corteno e Edolo e ribadita nel catasto austriaco dai toponimi Strada Comunale del Castello e Colma del Castello131. Il rilievo, che raggiunge i 2151 m s.l.m. ed è nominato già nel XIII secolo a proposito dei pascoli de Pathrio132, presenta un’insolita sommità piatta dal perimetro netto, ma non è prudente congetturare oltre in attesa di una ricognizione dei luoghi (Fig. 8,c)133. Infine, in località Prada di Cortenedolo, dovrebbero trovarsi i resti di un altro castello, già ricordato da diversi autori e da un disegno ma non noto da altre fonti134. Accanto al toponimo Castello si affacciano non di rado anche Casteler e Castelet, che contraddistinguono sempre dei dossi ubicati lungo i versanti. A Cedegolo è nota la località Castellar (450 m s.l.m.), segnalata per la presenza di muri a secco forse pertinenti ad un
125) http://asmilano.it/Divenire/imagefullscreen.htm?fs=1&imgIndex=1&idUa=10638424&first=2&last=2 126) APG, Cause e liti, 11. 127) Brunelli 1698, p. 39; Sina 1946. 128) Brunelli 1698, p. 40; Sina 1912, p. 45. 129) ASMi, Fondo Catasto, Santicolo, Tavola di Classamento. 130) Bianchi 1979, pp. 44-45. Presso il sito sono peraltro riportati rinvenimenti di materiale protostorico (Sterle 2007; Priuli 2010, p. 223). 131) Franzoni 1996, p. 174; ASMi, Corteno, Registro delle strade. 132) Archetti 1994, p. 306. 133) È evidente che tale sito potrebbe costituire un interessante termine di confronto “altimetrico” per le fortificazioni di Tor dei Pagà. Tuttavia per il Padrio non vi sono indicazioni relative alla presenza di strutture, bensì solo segnalazioni di un presunto luogo di culto preistorico (Priuli 2010, p. 134). 134) Canevali 1912, p. 244; Lechi 1973-84, p. 224; Calvi - Calvi 2004; Calvi - Calvi 2005; Franzoni 1999, p. 349.
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castelliere protostorico135; a Sonico, al confine con il territorio del comune storico di Mu, si trova un dosso denominato Castelletto (903 m s.l.m.) che domina il fondovalle 136. A Incudine, in sponda sinistra al confine con Edolo, è stata ravvisata grazie al catasto la località Casteler, a monte della Strada Comunale detta la Via Vecchia di Mu (920 m s.l.m., Fig. 8,d), mentre in destra orografica, a monte del Castello, è localizzabile il toponimo Castellantico (1150 m s.l.m.)137. Dos Castelet (1589 m s.l.m.) è invece il nome del rilievo che domina il paese di Monno, presso il quale sono stati segnalati resti di strutture murarie e reperti protostorici138. In questa autentica carrellata meritano infine spazio due recenti casi d’indagine archeologica coordinati dalla Soprintendenza che, sebbene a stadio preliminare, consentono di confermare la limitatezza delle conoscenze sui castelli camuni e soprattutto le potenzialità dello scavo archeologico. Il primo caso riguarda il sito del castello di Corteno Golgi, come accennato ubicato sul dosso roccioso dall’ampia sommità pianeggiante insieme alla chiesa romanica intitolata a San Martino (998 m s.l.m.). Alcuni lacerti murari pertinenti una fortificazione erano già stati individuati in letteratura, definendo ora un piccolo fortilizio di 5 x 15 m, ora un forte con muri alti addirittura 20 m139. La discrepanza tra i dati noti e la consistenza apparentemente ingente della fortificazione hanno portato ad effettuare una puntuale ricognizione delle murature superstiti per meglio comprenderne l’entità, con un risultato sorprendente: l’area fortificata, al cui interno sono state per ora riconosciute solo la chiesa e probabilmente i resti di una torre, racchiude una superficie di circa 9800 mq, confrontabile addirittura con quella del Castello di Breno (9880 mq), rivelando un’importanza assolutamente non secondaria per un castello di cui le fonti ci riportano ben poco (Fig. 9,a-b)140. Un piccolo saggio volto a verificare la presenza dell’abside della chiesa romanica ha inoltre portato al rinvenimento di sporadico materiale protostorico, denotando verosimilmente una coincidenza topografica tra le frequentazioni medievali e quelle più remote141. Il secondo caso riguarda le evidenze emerse durante due ravvicinate campagne di scavo condotte sulla sommità del dosso di San Clemente in territorio comunale di Vezza d’Oglio, a quota 1317 m
135) Solano, Marretta 2004, p. 93. L’areale è circoscritto grazie al toponimo attestato nel catasto lombardo-veneto. 136) ASMi, Fondo Catasto, Sonico, Sommarione. La ricognizione del luogo non ha portato al rinvenimento di strutture di età storica, qualificandolo probabilmente come sito protostorico. 137) http://asmilano.it/Divenire/document.htm?idDoc=10643932&idUa=10643931&first=0&last=0; ASMi, Fondo Catasto, Incudine, Tavola di Classamento. 138) Priuli 2010, p. 224. 139) Rispettivamente si vedano Lechi 1973-84, I, p. 223 e Bianchi 1979. Un accenno anche in Brunelli 1968, p. 43. 140) Oltre al già citato elenco dei castelli banditi a fine XIII in cui rientra, la fortezza di Corteno appare solo a metà XV secolo nell’ambito degli scontri tra Venezia e Milano per il predominio sulla Val Camonica (Putelli 1915, p. 313 e 369). 141) ATS, relazione Mottinelli 2018.
Fig. 9. Castello di Corteno: nella vista aerea a) è segnalato in rosso il perimetro murario ricostruito durante le ricognizioni mentre nella rielaborazione della mappa catastale del Lombardo-Veneto b) si propone un limite della fortificazione in base a quanto desumibile da ricognizioni e morfologie del particellare agrario.
Fig. 10. Dosso di San Clemente di Vezza: fotopiano in corso di scavo del muro settentrionale che delimita la sommità del dosso di San Clemente.
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Fig. 11. Torri isolate: a) ubicazione della torre delle Sante di Capo di Ponte all’interno del particellare agrario intatto (verde-giallo) e b) particolare del paramento murario interno dell’edificio, letteralmente fagocitato dalla vegetazione; c) fortificazione sulla strada che collega Cemmo e Pescarzo in località Cerradina; d) anomalia visibile dal rilievo LiDAR corrispondente alla sommità del dosso in località Torre, presso l’abitato di Andrista (Cevo); e) ubicazione della torre tra gli abitati di Malonno e Lava, emersa all’analisi dei dati catastali napoleonici qui sovrapposti all’ortofotografia 2007; f) prospetto sud-occidentale dell’edificio fortificato in località Prabello (Berzo Demo); g) area di attestazione della toponomastica ottocentesca riferita g) alla Torre di Santicolo (Corteno Golgi) e h) al Torazzo di Pontagna (Temù).
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s.l.m.142. In assenza totale di indicazioni toponomastiche e documentarie, le indagini archeologiche, sebbene allo stato iniziale, hanno permesso di individuare sulla porzione più elevata del dosso la presenza di un insospettabile sito pluristratificato: a cingere il lato settentrionale dell’area sommitale si trova una possente struttura muraria orientata est-ovest e spessa oltre 1 m, interpretata come un tratto della cortina muraria che delimita un’area sommitale di circa 165 mq (Fig. 10). Nella muratura, riferibile con ogni probabilità ad epoca bassomedievale143, sono reimpiegati materiali protostorici, spie di una frequentazione precedente del sito resa evidente dai resti di una probabile struttura seminterrata in pietra e legno e pavimentazione in lastre litiche, cui è associato materiale ceramico protostorico, emersa sotto cospicui riporti di pietrame e terra realizzati per livellare l’area prima della costruzione della fortificazione144. L’auspicabile prosecuzione delle indagini in entrambi i siti potrebbe verificare l’estensione della cinta muraria, l’articolazione interna delle strutture, nonché precisare la cronologia sia della fase storica che di quella protostorica. Torri isolate Un aspetto scarsamente approfondito nondimeno ricco di elementi d’interesse dell’edilizia fortificata in Valle Camonica riguarda l’attestazione di numerose torri erette ai margini o al di fuori dei contesti urbani, spesso in posizione dominante sul paesaggio agrario circostante. Solo in apparenza ubicate in luoghi privilegiati per la conservazione, in quanto non immediatamente coinvolte nelle trasformazioni edilizie che hanno investito i nuclei urbani camuni, esse sono per la maggior parte testimoniate dalla sola toponomastica delle fonti catastali o nelle coerenze d’estimo, restando quasi sempre escluse dalle fonti documentarie o dalle precedenti ricognizioni architettoniche. Uscendo per un momento dai confini territoriali del presente studio, si trovano esempi anche nella media Valle: a Berzo Inferiore, dove all’apice del conoide della Valle Canile sorge l’insolito complesso della torre detta delle Saiotte145; a Cerveno, dove il catasto delinea un’area, anche qui in posizione dominante sulle colture circostanti, contraddistinta dal toponimo Torre, suggerendo il perimetro entro cui effettuare una verosimilmente fruttuosa ricognizione. Lo stesso si dica per l’area detta Torre ai margini settentrionali dell’abitato di Ono, sulla strada alla volta di San Pietro146. Un altro celebre esempio, a volte ricondotto ad epoca romana ma indubitabilmente ascrivibile al XIII secolo147, è rappresentato dal Torazzo delle Sante (Capo di Ponte), posto a presidio del conoide coltivato e delle numerose fucine nel territorio della scomparsa villa di Zero, sepolta da una frana a metà del Duecento148. Da notare come l’edificio, insieme alla chiesa delle Sante, sia inserito, a differenza dei terreni appena a nord che appaiono caratterizzati da una parcellizzazione caotica probabilmente posteriore alla frana, in un sistema di particelle dall’impronta regolare superstite all’evento catastrofico (Fig. 11,a-b)149. Sempre in territorio di Capo di Ponte, tra Cemmo e Pescarzo è da ubicarsi una singolare
142) La segnalazione del sito si deve ad Ausilio Priuli che qui localizzava il rinvenimento in superficie di materiali protostorici e l’ipotetica base di una torre (Priuli 2010, p. 227). 143) Tra i materiali recuperati è degna di nota una punta di dardo da balestra che pare trovar confronto con un analogo reperto rinvenuto presso il sito di Tor dei Pagà (Bellandi et alii 2015, pp. 103-105). 144) ATS relazione Mottinelli - Simonotti - Montrasi 2017. 145) Leoni 2010-2011, pp. 24-26 e bibliografia ivi citata. 146) www.catastistorici.it, comune censuario di Cerveno e comune censuario di Ono. Della torre, mai rilevata in precedenza, si conserva solo il paramento meridionale fino a 3,5 m di altezza, realizzato in filari orizzontali irregolari di conci sbozzati di calcare caratterizzati sui cantonali da una lavorazione a nastrino. 147) Rossi 1991, p. 47, sito n. 272; Bellicini 2003; Solano 2006; Leoni 2010-2011, sito n. 36. 148) Sina 1952. 149) Mottinelli 2015, pp. 128-130.
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struttura fortificata dotata di feritoie che sbarrava il ripido percorso a collegamento dei due abitati (Fig. 11,c)150. Risalendo la Valle, a nord dell’abitato di Andrista in territorio comunale di Cevo, è nota sia in letteratura che dai catasti un’area denominata Torre151. Essa contraddistingue un dosso caratterizzato da un’ampia sommità piatta, indice di una sicura trasformazione antropica, ai piedi del quale corre il percorso storico che collega Andrista a Demo (Fig. 11,d). In territorio di Malonno si trova una torre ampiamente testimoniata dalla toponomastica ottocentesca, a sua volta richiamata in quella attuale152. A metà strada tra Malonno e la frazione di Lava, in un’area che ha visto negli ultimi anni saldarsi i due paesi in un unico agglomerato urbano cancellando un’ampia fetta di fertile conoide, campeggiava, verosimilmente a controllo dei campi e delle vie di fondovalle, l’edificio turrito, preannunciato dalle sue pertinenze: Fasse della torre, Valle della torre e Gere della torre (Fig. 11,e). Sulla sponda valliva sinistra, a monte della frazione malonnese di Zazza ma per una manciata di metri in territorio di Berzo Demo, in località Prabello, sta una possente base di fortificazione ancora intuibile per circa 12 x 6 m di lato per oltre 2 m di altezza, semi sommersa
Fig. 12. Ubicazione della Torre di Davena a) nella rielaborazione cartografica del catasto Lombardo-Veneto e b) dalla ricognizione dei luoghi.
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dalla vegetazione e dal crollo dell’edificio rurale realizzato al di sopra di esso (Fig. 11,f). L’edificio, mai notato in precedenza e senza confronti tipologici nell’ambito territoriale preso in esame, è caratterizzato da una tessitura muraria realizzata in grossi conci sbozzati disposti in filari orizzontali regolari in cui si aprono tre feritoie, riferibile al XIII secolo. In Val di Corteno sono almeno due le località caratterizzate dalla presenza, purtroppo oggi non più verificabile, di un edificio turrito. Esse curiosamente si trovano quasi affrontate su due dossi prospicienti il corso dell’Ogliolo, rispettivamente a sud e a nord dello stesso. La prima è la Torre di Santicolo, descritta dal Canevali e di lì a poco tempo demolita per la realizzazione, quasi beffarda, del Bar “La Torre” con i conci dell’edificio medievale153. L’edificio, ben testimoniato dal catasto austriaco, era posto ai margini di un’ampia area coltivata compresa tra il paese e il torrente (Fig. 11,g)154. La seconda evidenza, anch’essa rintracciabile solo nelle mappe catastali, è costituita dalla contrada Torre di Cortenedolo155.
150) Mottinelli 2015, pp. 127. Già descritta in Sgabussi 1999, p. 131. 151) Franzoni - Sgabussi 1999, pp. 82-83; Solano 2003; ASMi, Fondo Catasto, Cevo, Tavola di Classamento. 152) ASMi, Fondo Catasto, Malonno, Sommarione. 153) Canevali 1912, p. 417; in Goldaniga 2003 si attribuisce erroneamente il toponimo Castellazzo all’area della Torre. Si tratta tuttavia di due siti differenti. 154) ASMi, Fondo Catasto, Santicolo, Tavola di Classamento; cortenogolgi.catastistorici.it; Prevideprato 1988. 155) ASMi, Fondo Catasto, Cortenedolo, Tavola di Classamento.
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Il toponimo abbraccia un intero dosso posto poco a meridione dell’abitato, caratterizzato dalla presenza di diversi edifici tra i quali elemento di spicco doveva essere una torre. L’assenza di strutture conservate impedisce tuttavia di precisare se si trattasse di una struttura in origine unica o inserita in una fortificazione più ampia. Proseguendo lungo il tratto terminale della Valle Camonica, sono per il momento tre le aree contraddistinte da elementi fortificati. La prima, già suggerita dall’osservazione della toponomastica ed in seguito anche dall’inequivocabile descrizione catastale quale area di torre diroccata, è la torre ubicata ai margini dell’abitato di Davena, ove secondo la leggenda si trovava una possente fortezza espugnata da Carlo Magno (Fig. 12,a-b)156. Malgrado l’impossibilità di riconoscere un contesto fortificato più vasto, sono tuttavia stati individuati i resti dell’edificio conservati a livello di rasatura tra i terrazzamenti ivi presenti, nonché i conci caratterizzati da una lavorazione a bugnato (che ne confermano la datazione ad epoca bassomedievale) riutilizzati nel cantonale di un edificio post-ottocentesco ubicato a monte della strada statale. Ai margini occidentali dell’abitato di Vione è stata recentemente localizzata un’area denominata inequivocabilmente Casatorre, sulla scorta del toponimo attestato nella rilevazione catastale napoleonica e confermato da quella successiva157. Ancora, nel basso versante a ridosso dell’abitato di Pontagna doveva trovarsi un edificio fortificato, detto Torrazzo. Di questo tuttavia non si conserva che l’area di attestazione del toponimo a metà Ottocento, senza che vi sia purtroppo una congruenza tra la forma delle particelle catastali ed un’estensione planimetrica dell’edificio (Fig. 11,h)158. A monte dell’abitato di Ponte di Legno, sulla via per Zoanno, si trova infine il toponimo Dosso della Torre, plausibilmente da attribuire alla presenza di un edificio fortificato eretto a dominare l’ampia conca in cui si distendevano le contrade del paese e le loro ampie pertinenze prative159. Appare chiaro come la conoscenza di queste “torri isolate” sia assolutamente marginale, sia per oggettivi limiti nella conservazione materiale delle strutture, che solo raramente consentono di ipotizzarne una cronologia, sia per un pressoché nullo approfondimento archeologico sulle stesse. L’ubicazione delle evidenze induce a pensare che tali strutture fossero nella maggior parte dei casi poste a controllo del paesaggio agrario circostante gli abitati, distribuito tra i conoidi e il fondovalle, piuttosto che a sorveglianza della viabilità. Casi come quello di Prabello invitano ad ogni modo a prestare attenzione anche a contesti periferici di nuclei rurali, spesso oggetto di ristrutturazioni ingenti che raramente approfondiscono lo spessore storico o le caratteristiche formali dei fabbricati, tra i quali, come in questo caso, possono nascondersi sorprese. Le fortificazioni nell’ambito dei centri storici bassomedievali Se l’aspetto altomedievale degli insediamenti e delle fortificazioni della media-alta Valle Camonica sembra al momento sfuggire dal punto di vista materiale, la situazione migliora nettamente a partire dal XIII-XIV secolo, periodo a cui sono ascrivibili alcuni esempi di complessi architettonici fortificati ancora ben leggibili nel tessuto urbano stratificatosi fino ai giorni nostri. Sebbene nel territorio considerato non sia in alcun caso possibile il riscontro di evoluzioni analoghe ad esempio con quanto illustrato per Bienno (dove al castello di XI-XII secolo si sostituiscono gradualmente tra XII e XIV secolo diversi nuclei fortificati
156) Bianchi - Vangelisti 2012, p. 267; vezzadoglio.catastistorici.it; Brunelli 1698, p. 45. 157) Gallina - Tognali 2014, pp. 103-112; ASMi, Fondo Catasto, Vione, Tavola di Classamento. 158) www.catastistorici.it, Temù, comune censuario di Pontagna. 159) Bianchi - Vangelisti 2012, p. 269.
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Fig. 13. Esempi di interventi di sostituzione delle malte originarie con malte anticate giallastre che impediscono di leggere la stratificazione (a, edificio 7 di Rino) o la tessitura muraria (b, edificio 37 di Sellero); esempi di rifacimento dei giunti con abbondante malta cementizia che rende quasi illeggibile la tessitura muraria (c, edificio 7 di Saviore dell’Adamello; d, edificio 12 di Paisco).
con torri e case-torri, a caratterizzare uno sviluppo dell’abitato bassomedievale fuori dai limiti della fortificazione originaria e a parziale cancellazione della stessa160), in alta Valle è tuttavia possibile reperire ancora un buon numero di esempi che permettono di fotografare i tratti salienti della situazione insediativa bassomedievale e delle caratteristiche del costruito storico. Per la maggior parte dei casi si tratta di edifici già presi in considerazione in precedenti studi161 che, pur fornendo descrizioni stilistiche e architettoniche, hanno privilegiato in maniera quasi esclusiva l’analisi dei soli corpi di fabbrica fortificati (torri e case-torri), indubbiamente meglio conservati e leggibili rispetto ai palazzetti o alle case civili, a discapito di una comprensione d’insieme sia dei modelli insediativi (come il cortivo), sia dell’edificato e della sua consistenza materiale. Una recente mappatura dell’edilizia storica nel settore alto camuno ha permesso di ampliare il numero degli edifici bassomedievali noti e ha tentato di definirne delle linee generali di lettura in cui meglio contestualizzare anche gli edifici muniti, ponendo parallelamente l’accento sulle numerose problematiche legate alla cronologia di diffusione di tessiture murarie ed elementi architettonici162. Il censimento ha interessato circa ottocento edifici distribuiti in una sessantina di centri
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160) Bianchi - Macario - Vangelisti 2011, pp. 71-77. 161) Si allude in particolare ai contributi di Goldaniga - Bellicini 2003 e Goldaniga - Bellicini 2003a, apparsi sulla rivista Itinera. 162) La mappatura è confluita nella mia tesi di Laurea Magistrale (Mottinelli 2012-2013) e ha interessato i centri storici presenti nei territori di Sellero (con Novelle), Cedegolo (con Grevo), Berzo Demo (Berzo, Demo e Monte), Cevo (con Andrista e Isola), Saviore dell’Adamello (con Ponte e Valle), Paisco Loveno (Paisco, Loveno e Grumello), Malonno (con Zazza, Lava, Odecla, Moscio, Dosso, Nazio, Landò, Loritto, Lezza), Sonico (con Rino e Garda), Edolo (con Mu, Capo di Ponte di Mu, Cortenedolo e Vico), Corteno Golgi (con Piazza, Pisogneto, Galleno, Santicolo, Ronco, Lombro, Megno, Doverio), Monno, Incudine, Vezza d’Oglio (con Grano e Tu), Vione (con Stadolina e Cané), Temù (con Lecanù e Villa Dalegno), Ponte di Legno (con Zoanno e Precasaglio). In seconda battuta (Mottinelli 2015) è stato aggiunto Capo di Ponte (con Cemmo e Pescarzo).
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abitati; questi numeri non devono tuttavia illudere: sono solo un centinaio infatti i casi in cui ancora si possono riscontrare chiare evidenze databili ai secoli tra il XII e il XVI, mentre la maggior parte degli edifici è costituita da architetture rurali di difficile collocazione cronologica, che conservano caratteristiche costruttive in apparenza sempre costanti nei secoli163. Analizzando la distribuzione delle evidenze, inoltre, appare chiaro come vi sia una netta distinzione tra pochi centri abitati “privilegiati”, nei quali si concentra la quasi totalità degli edifici, rispetto ad una maggioranza di nuclei, più o meno piccoli e periferici, dove i markers tipici dell’edilizia bassomedievale (legati alla foggia di elementi architettonici e tessiture murarie) calano drasticamente fino a scomparire164. Nel primo raggruppamento, che guiderà le considerazioni successive, rientrano i centri maggiori ubicati sul fondovalle, come Cemmo, Capo di Ponte, Sellero, Malonno, Sonico, Rino, Edolo, Mu e Capo di Ponte di Mu; al secondo sono ascrivibili i restanti abitati del settore territoriale considerato, in particolare quelli più periferici, pertinenti le vallate minori (Val Paisco, Val di Corteno e Val Saviore) e al tratto finale dell’alta Valle (da Monno a Precasaglio)165. In generale, del tutto evidente è apparsa la difficoltà di cogliere la presenza di significative stratificazioni, sia nelle murature del singolo edificio sia tra corpi di fabbrica contigui, fondamentali per costruire una successione crono-tipologica (ovvero “la messa in serie in ordine temporale delle forme delle finestre e delle porte, e dei paramenti murari166”) di riferimento per l’intero territorio considerato. La parzialità dei resti, limitati spesso a pochi brani di muratura, deve inoltre fare i conti con interventi di ristrutturazione solitamente poco adeguati che ignorano lo spessore storico degli edifici, da un lato ripristinando intonaci laddove in origine non esistenti o dall’altro rimuovendoli per riportare alla luce una muratura intonacata fin dall’origine. Ad appiattire la stratificazione conservata in alcune murature è anche la frequente rimozione delle malte originarie in funzione della stesura di nuove malte giallastre anticate che, se negli intenti del committente ripristinano un aspetto “antico” dell’edificio, in realtà lo cancellano rendendolo illeggibile (Fig. 13). È inoltre spesso difficile comprendere l’estensione di complessi architettonici in origine unitari che nei secoli sono andati destrutturandosi, in parte riedificati, in parte frazionati in seguito a divisioni ereditarie che ne hanno stravolto le partizioni interne. Talvolta è solo la densità degli elementi architettonici e di brandelli di muratura caratterizzati da tecniche esecutorie affini, distribuiti in caseggiati che null’altro conservano di omogeneo, a suggerire la presenza in antico di un unico nucleo residenziale, come ad esempio osservato nell’isolato attorno alla torre di Malonno in contrada Somavilla (Fig. 14). Al di là dei limiti oggettivi dettati dalla disomogeneità del grado di conservazione degli edifici, esistono dei fattori che complicano ulteriormente il tentativo di trarre un quadro omogeneo e articolato nella diacronia per l’edilizia alto camuna. Il primo è costituito, come già accennato, dalla perifericità dei contesti rispetto ai modelli architettonici e stilistici cittadini, con la conseguenza di ritardi e variazioni locali nella loro assimilazione. Non è pertanto prudente riportare automaticamente in alta Valle le cronologie stabilite e assodate per analoghi contesti rilevati a Brescia città, nella zona del
163) Gallina 2009, pp. 64-67. 164) L’assenza di architetture ben caratterizzabili è in parte imputabile alla perifericità dei contesti, alla mancanza di pietre ben lavorabili e all’assenza - fatta eccezione per i Federici di Vezza d’Oglio - di committenze particolarmente elevate, che manifestano il loro potere anche attraverso le loro imponenti residenze. 165) A questi va aggiunto un terzo gruppo costituito dai paesi di Cevo e Ponte di Legno, nei quali poco o nulla si conserva a livello di edilizia storica poiché riedificati quasi totalmente in seguito agli eventi bellici novecenteschi. 166) Gallina - Breda 2003, p. 96.
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Sebino-Franciacorta o addirittura nei settori meridionali della Valle stessa167. In secondo luogo, la variabilità del materiale lapideo disponibile di luogo in luogo, in un territorio come quello alto camuno dove non sembra esistere una circolazione su scala extra locale di pietre di cava particolarmente ricercate per l’edilizia, gioca un ruolo fondamentale nell’aspetto finale sia degli elementi architettonici sia di tipologie edilizie simili. Un esempio in cui si intrecciano i due fattori condizionanti appena richiamati è costituito dai portali a stampella, ben attestati in bassa Valle a partire dalla seconda metà del XIV secolo e gradualmente diffusisi più a nord dove, nei centri maggiori, appaiono recepiti con l’inizio del XV secolo (Capo di Ponte, Sellero, Sonico, Capo di Ponte di Mu). Qui però non sono realizzati con la tenera pietra simona utilizzata in bassa Valle, bensì in granodiorite, che comporta l’ottenimento di un risultato finale nettamente più rustico e meno ricercato. Tra XV e XVIII secolo, quando in bassa Valle si trovano pochi casi superstiti, i portali a stampella raggiungono anche i centri minori e più dislocati (Berzo, Saviore, Grevo, Garda) con forme e lavorazioni più semplificate o declinate in varianti estremamente localizzate, come quelli con mensole trapezoidali presenti solo a Sonico (Fig. 15, a-b-c-d). Un altro esempio della variabilità dei risultati in base al materiale disponibile è evidente anche nelle torri: edifici tipologicamente simili possiedono un aspetto nettamente diverso se realizzati in grossi ciottoloni di granito sommariamente sbozzati (come a Edolo, Rino e Vezza d’Oglio) piuttosto che in arenaria (le tre torri di Malonno) o ancora in scisto (Demo) (Fig. 15,e-f-g-h)168. Questa “diversa riuscita” potrebbe essere anche causa della generale scarsa visibilità dell’edilizia fortificata nel tratto finale dell’alta Valle, laddove le pietre disponibili localmente (gneiss e scisti scarsamente lavorabili) conducono all’adozione di tecniche costruttive (scaglie e pietre a spacco messe in opera con abbondante malta) che poco hanno a che vedere con le robuste e ordinate tessiture in altro materiale lapideo attestate in edifici analoghi. Il risultato è un’apparecchiatura muraria scarsamente connotante che si allontana dagli standard costruttivi dell’epoca, con la possibilità, come già accennato per la torre prossima al castello di Incudine, che essa possa sfuggire all’occhio attento del ricognitore. Un ulteriore fattore che può infine sconvolgere il quadro è la presenza di una committenza elevata che, per distinguersi, decide di importare un materiale d’opera di provenienza extra locale o una moda architettonica da un’altra epoca. In alta Valle, se non in un caso abbastanza tardo (portale in pietra simona delle case Federici di Vezza d’Oglio del XVI secolo), non paiono esservi ricorsi a materiali alloctoni come invece è evidente nella bassa Valle, dove la pietra simona è presente in maniera ubiquitaria a partire dal XIII secolo quale materiale particolarmente ricercato169. La committenza può inoltre porre in risalto il suo livello culturale anche utilizzando modelli stilistici del passato, com’è evidente nel caso di numerosi portali realizzati in XV e XVI secolo che costituiscono esempi di scultura architettonica rinascimentale colta in cui si ricorre all’utilizzo di sagome e lavorazioni proprie della tradizione medievale (Cemmo, Capo di Ponte, Sonico, Edolo, Capo di Ponte di Mu), generando confusione nella scala cronotipologica (Fig. 16). Insomma la situazione è particolarmente articolata: scarse e poco indicative sono le stratificazioni che impediscono di impostare un’affidabile cronologia relativa; gli elementi
167) Cortelletti - Cervigni 2000; Gallina - Breda 2003; Gallina 2009. 168) Mottinelli 2012-2013, pp. 80-81. 169) Più a nord, solo la committenza ecclesiastica sembra ricorrere a materiali di pregio come il marmo di Vezza d’Oglio: lo ritroviamo fino a Cevo, dove, nel presbiterio della chiesa di San Sisto, sono reimpiegati i conci marmorei di coronamento dell’abside romanica.
Fig. 14. Malonno, contrada Somavilla: la torre che domina la contrada (a,b) è attorniata da corpi di fabbrica che conservano solo lacerti di quello che doveva essere un complesso architettonico probabilmente unitario (c, nella rielaborazione del catasto napoleonico). Nelle immagini d-e-f si notano portali e lacerti di murature medievali non più apprezzabili sul prospetto meridionale del complesso (g).
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Fig. 15. Portali a stampella: a) esempio di portale quattrocentesco dall’edificio 40 di Sellero; b, c) attardamenti seicenteschi dall’edificio 9 di Sonico e dall’edificio 5 di Saviore dell’Adamello; d) variante locale con mensole trapezoidali dall’edificio 6 di Sonico. Tessiture murarie degli edifici fortificati: e) muratura in conci di granito da cava (Edolo, edificio 5); f) muratura in conci di scisto (Demo, edificio 1); g) muratura in ciottoloni di granito (Rino, edificio 1); h) muratura in conci bugnati in arenaria (Malonno, edificio 58).
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Fig. 16. Esempi di portali rinascimentali che recuperano morfologie medievali: a) Sonico, edificio 2 (1522); b) Capo di Ponte di Mu, edificio 11 (1544) e c) Sonico, edificio 4. Fotopiani di edifici che recuperano elementi compositivi medievali: d) Edolo, edificio 47 (casa Griffi, 1424); e) Edolo, edificio 18 (casa Zuelli, seconda metà del XV secolo).
architettonici talvolta permangono uguali a se stessi per archi cronologici assai prolungati, non fornendo quindi un valido punto di riferimento per datare le variegate tessiture murarie ad essi associate170; limitati sono infine gli elementi di datazione assoluta come i millesimi incisi sui portali o sui muri, che si fanno frequenti solo a partire dal XVI secolo mentre sono assai rari (una mezza dozzina di attestazioni) per il XIV-XV secolo. Nonostante le difficoltà sopraelencate è stato possibile riconoscere rari casi che hanno portato alla creazione di brevi sequenze utili a cogliere lo stratificarsi dell’abitato bassomedievale, particolarmente indicative ad esempio per l’edilizia di Malonno (Fig. 17). La tessitura muraria della torre di Palazzo Martinengo, realizzata in corsi orizzontali regolari di pietre sbozzate con facce spianate e definite da lavorazione a nastrino (Fig. 17,a), fornisce ad esempio, grazie al millesimo che ne riconduce l’edificazione almeno alla metà del XIV secolo, un prezioso termine cronologico ante quem utile a datare altri edifici caratterizzati dalla medesima tecnica costruttiva. Ciò ha reso possibile la ricostruzione delle vicende edilizie dell’isolato sito in contrada Candeliere, che vede dapprima la realizzazione di due edifici almeno trecenteschi (due case-torri) cui vengono aggiunti dei corpi di fabbrica nel XV ed infine nel XVI secolo, saturando gli spazi rimasti originariamente vuoti (Fig. 17,bg). L’infittirsi del costruito all’interno degli spazi urbani è altresì ben ravvisabile nei cortivi, complessi fortificati costituiti da un edificio eminente generalmente munito (torre o casa-torre), un edificio residenziale ed una cinta muraria che li circonda, a delineare delle
170) È il caso delle finestrelle quadrate in conci monolitici o dei cantonali bugnati rustici, che troviamo associati alle murature più disparate.
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Fig. 17. Malonno, contrada Candeliere: grazie all’elemento di cronologia fornito dalla torre Martinengo di Malonno (a) è possibile datare la sequenza costruttiva della contrada Candeliere (c), costituita inizialmente dai due corpi di fabbrica trecenteschi 24 e 25A. Al 25A si addossa dapprima a sud-est il 25B (XV secolo) ed in seguito a sud-ovest il 25C (XVI secolo). Il rapporto tra 25A e 25C è visibile sul prospetto nord-ovest (d), mentre il rapporto tra 25A e 25B è visibile sul prospetto sud-ovest (f), celato alla vista dall’avancorpo 25C (e). Le tecniche murarie che caratterizzano i corpi di fabbrica 25A e 24 (f;g) sono del tutto assimilabili alla muratura della torre Martinengo (a).
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vere e proprie isole a sé all’interno del tessuto insediativo171. Tali nuclei monumentali sono spesso ritenuti riflesso materiale dell’ostensione del potere locale di alcune famiglie (in particolare, in alta Valle, dei Federici) e rappresentano dei contesti privilegiati per tentare una lettura delle vicende edilizie che hanno interessato anche il resto dell’abitato, nel quale tuttavia esse non risaltano con la medesima evidenza. Uno tra i cortivi meglio documentati, nonché il più settentrionale conservato in tutta la Valle, è sicuramente quello situato in contrada Somvico a Vezza d’Oglio (Fig. 18). Il complesso, oggetto di un pionieristico studio di archeologia dell’architettura diretto da Francesco Macario negli anni ’80172, è costituito in origine da una torre e da un palazzetto residenziale circondati da un muro di cinta. Le murature della torre, realizzate in granito, presentano una tessitura omogenea in grossi conci sbozzati disposti in filari orizzontali regolari, con aperture in fase sul prospetto occidentale (finestre con ghiera ad arco a tutto sesto) e orientale (portale a tutto sesto in conci pentagonali) (Fig. 18,b-d). A partire dal XV secolo l’aspetto militare del complesso viene ridimensionato e si susseguono interventi che portano alla demolizione del recinto murario (sopravvive ancora il portale a tutto sesto in conci pentagonali, Fig. 18,c) e che vedono un addensarsi di corpi di fabbrica tra torre e palazzetto, fino a giungere, dopo un ampliamento verso sud nel XVI secolo, al grande
171) Esempi di cortivo si trovano, oltre che nei contesti di Cividate Camuno e Bienno (Bianchi - Macario Zonca 1999; Bianchi - Macario - Vangelisti 2011), anche in Franciacorta (Valsecchi 2003; Valsecchi 2015). 172) Macario 1985. Devo al dott. Remigio Cisotto la gentile messa a disposizione della relazione dattiloscritta del lavoro.
Fig. 18. Vezza d’Oglio, complesso Federici: a) rielaborazione del catasto Lombardo-Veneto del nucleo storico di Vezza d’Oglio; b) prospetto nord-est dell’edificio 7 (torre Federici); c) portale a tutto sesto in conci pentagonali di accesso al cortivo sul lato sud-ovest (edificio 6); prospetto sud-occidentale della torre con portale a tutto sesto in conci pentagonali.
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complesso settecentesco definito ancora nelle mappe ottocentesche. Percorrendo la Valle verso sud, è possibile rintracciare esempi analoghi a Edolo (Fig. 19), unico centro per cui abbiamo indicazioni anche dalle fonti documentarie: è del 1299 il divieto da parte del vescovo all’indirizzo di Corrado di Mozio di erigere turrim vel domum de batalia sine licentia domini episcopi173, segno che tale consuetudine era ben attestata in loco. Il primo caso è costituito dal nucleo delle cosiddette case Federici, ove entro un ampio recinto rettangolare sono situati una casa-torre ed un palazzetto che via via vedono l’aggiunta graduale di corpi di fabbrica a saturare lo spazio aperto su cui si affacciavano in origine, fino a contare (comprese quelle moderne) ben nove fasi di costruzione tra XIV e XX secolo (Fig. 19,b-c). La tessitura muraria della casa-torre, non particolarmente raffinata, si caratterizza per la presenza di filari orizzontali regolari di conci sommariamente sbozzati (si notano ancora i residui segni dei cunei) e risulta del tutto simile a quella che caratterizza gli edifici sul lato opposto della strada, forse anch’essi pertinenti ad un nucleo fortificato di cui oggi si colgono solo frammenti. In fase con la muratura appaiono le feritoie a livello terreno, mentre la finestra con ghiera ad arco sestiacuto sul lato orientale appartiene probabilmente ad un riuso del complesso a dimora piuttosto che ad edificio munito. Sebbene non si conoscano con precisione le origini del complesso, è pensabile che esso rappresenti il nodo centrale dell’insediamento dei Federici in alta Valle e che sia identificabile nella domus cum viridaris et colombario in contrata Sancti Ioannis che campeggia tra le sterminate proprietà di Abramo Federici nell’estimo del 1534174. Un secondo esempio è apprezzabile a poca distanza, con una possente casa-torre che si appoggia ad un fabbricato in ciottoloni sbozzati inseriti all’interno di un circuito murario, in seguito aperto per l’inserimento di un portale a gruccia a sua volta tamponato, delineando una stratificazione di interventi tra XIII e XV secolo (Fig. 19,g-d). Un terzo esempio, sebbene fortemente compromesso da recenti interventi, è attestato nella porzione nord del paese in contrada Piazza ed è forse identificabile con la domus sive turis cum brigno et curtivo in contrada Platee sempre menzionata tra le proprietà del Federici (Fig. 19,e)175. Qui è riconoscibile a stento la struttura di una torre (XIV secolo) inserita in un circuito murario ora sostituito da un omologo in cemento. Lo spazio interno viene anche qui lentamente saturato dapprima con addossi seicenteschi sui lati est e sud (denotati dal millesimo 1687), mentre la torre subisce il rifacimento delle aperture. In via Tosana è probabilmente presente un altro edificio fortificato, di cui tuttavia sopravvive solo la possente base del perimetrale ovest in ciottoloni sbozzati (Fig. 19,f). A Sonico è riconoscibile un cortivo in contrada Valbroghetto (Fig. 20,b-c): evidente è la torre affacciata sulla strada sul lato meridionale, dotata di una tessitura muraria in conci sbozzati di dimensioni maggiori alla base e di bozzette più ridotte a partire dal primo livello176. Addossato a nord si trova il corpo di fabbrica riferibile all’edificio residenziale, realizzato con le medesime caratteristiche costruttive della torre, mentre tutt’attorno sono apprezzabili i resti della cinta muraria, dotata di un’apertura coronata da un arco a tutto sesto sul lato meridionale. Il complesso, riferibile nell’impianto al XIV-XV secolo, pare modificato già nel XVI con l’ampliamento delle aperture sul prospetto meridionale. Nella contrada di Piazza si trovano altresì dei fabbricati che, pur non costituendo un uni-
173) Archetti 1994, p. 309. 174) ASBs, Fondo Catasto Antico, Edolo, 925. 175) Si veda nota precedente. 176) La rimozione della malta in sede di ristrutturazione ha indotto in un primo momento a pensare a due fasi costruttive differenti, testimoniate da due tessiture murarie distinte. Tuttavia la documentazione fotografica pre-intervento fornita dal proprietario ha permesso di apprezzare un’unica fase costruttiva testimoniata dalla malta stilata originaria.
Fig. 19. Torri e case torri di Edolo: a) rielaborazione del catasto napoleonico del nucleo storico di Edolo; b) vista aerea del complesso delle case Federici e c) prospetto orientale della casa-torre (edificio 5) sulla stretta via Montegrappa; d) fotopiano e lettura stratigrafica del complesso in contrada Fondolo (edificio 58); e) torre e addossi seicenteschi in contrada Piazza (edificio 35); prospetto nord-orientale della base di una torre (edificio 60).
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Fig. 20. Torri e case torri di Sonico: a) rielaborazione del catasto napoleonico del nucleo storico di Sonico; b) prospetto nord dell’edificio residenziale (14B) in addosso alla torre (14A) di contrada Valbroghetto (c); d) prospetto sud-orientale della torre Federici; Case Federici: e) prospetto nord-occidentale del muro di cinta e del portale in addosso all’edifico 6A; f) prospetto sud-occidentale dell’edificio 6A (celato dall’avancorpo seicentesco 6B) con portali gemini in granito decorati a nastrino.
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Fig. 21. Cortivo di Rino: a) rielaborazione del catasto napoleonico del nucleo storico di Rino e in particolare del cortivo; b) vista da sud-est dei corpi di fabbrica sei-settecenteschi (1C) che saturano la cortina muraria medievale; c) vista da sud della torre (1A); d) cortina muraria del cortivo sul lato settentrionale.
co spazio delimitato rispetto al resto dell’abitato (o almeno attualmente non più leggibile come tale), rappresentano il nucleo fortificato della famiglia Federici: il primo è costituito dalla torre, edificio a base quadrangolare sviluppato su cinque livelli di cui poco si conserva chiaramente leggibile esternamente (Fig. 20,d). La tessitura muraria è infatti solo vagamente intuibile sotto il cemento e i cantonali sono caratterizzati dalla lavorazione a nastrino, mentre le aperture appaiono realizzate in rottura (tranne una piccola finestra quadrata in conci monolitici e due feritoie sul prospetto est). Il secondo, sul lato ovest della piazza, è il complesso delle case Federici, composto da una stratificazione edilizia distribuita tra XIV e XVIII secolo che meriterebbe sicuramente maggiore approfondimento sia dal punto di vista dell’analisi degli alzati che della stratigrafia del sottosuolo: qui infatti vennero rinvenute nel 1952 delle sepolture d’età romana177. La porzione trecentesca rimane celata alla vista dall’esterno, poiché un lungo e stretto corpo di fabbrica seicentesco, che costituisce l’attuale fronte strada, vi è addossato a sud. Il corpo di fabbrica originario è caratterizzato sul prospetto meridionale a livello terreno da due portali gemini in granito con ghiera ad arco a tutto sesto finemente sagomati a nastrino nel profilo interno, sormontati al primo livello da una coppia di portali rettangolari con architrave triangolare monolitico (Fig. 20,f). A sud-est si trovano gli ampliamenti quattrocenteschi e poi cinquecenteschi, caratterizzati da portali “colti” d’impronta medievale, mentre a nord-ovest, in addosso al corpo di fabbrica più antico, si trova un tratto di muro di cinta che definisce il limite del complesso (residuo di un cortivo? Fig. 20,e)178. A Rino, frazione di Sonico, è ubicato il più clamorosamente intatto esempio di cortivo, riconducibile per elementi formali forse al XIII secolo (Fig. 21). Qui sono ben riconoscibili la torre, caratterizzata da monumentali murature in ciottoloni di granito entro cui si aprono delle feritoie, e l’edificio residenziale che ad essa si appoggia, contraddistinto da conci di
177) Si veda nota 34. 178) Si deve alla cortese disponibilità delle famiglie Depari, Fanetti e Bornatici la possibilità di visitare i vani interni degli edifici di Sonico, nonché la messa a disposizione di materiale fotografico d’epoca dei fabbricati.
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Fig. 22. Torri e cortivi di Malonno: a) rielaborazione del catasto napoleonico del nucleo storico di Malonno. Cortivo di località Cremesia: b) vista da nordovest del palazzetto ricostruito (edificio 47) e della torre (edificio 43) a cui si appoggia; c) prospetto meridionale della torre. Palazzo Martinengo (edificio 37): d) vista del complesso da nord-ovest in cui spicca la torre trecentesca (edificio 38); e) rappresentazione pittorica del palazzo prima della ricostruzione settecentesca (dipinto custodito presso la chiesa di San Carlo di Malonno). Si noti come l’area del brolo denominato Chiusure nel catasto napoleonico corrisponda all’area raffigurata nel dipinto a valle del palazzo.
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dimensioni più ridotte, entrambi inseriti in un circuito murario. Le murature presentano filari orizzontali regolari di pietre sbozzate e i giunti sono tutti rifiniti da malta stilata. Il complesso subisce una graduale saturazione degli originari spazi aperti entro la cinta, con fasi di edificazione collocabili tra XVII (millesimo 1682 inciso nella malta) e XVIII secolo (millesimo 1742 inciso nella malta) che ora inglobano ora destrutturano la cinta esterna. Ancora a Malonno (Fig. 22), oltre al già citato caso della torre in contrada Somavilla, si trovano due esempi di cortivi, entrambi attualmente non più esistenti ma ricostruibili grazie a documentazione fotografica e iconografica. Il primo è costituito dalla torre trecentesca in contrada Cremesia, accanto alla quale, fino agli anni ’90 del secolo scorso, si conservavano gli annessi palazzetto medievale e brolo cintato (detto Brolo della lepre). Il complesso, soggetto a ristrutturazione in seguito ad un incendio, ha subito una discutibile scelta di conservazione selettiva che ha comportato il mantenimento dell’edificio turrito e la demolizione quasi totale del palazzetto (nonché l’edificazione del brolo), con il risultato della cancellazione di un brano del tessuto insediativo bassomedievale (Fig. 22, b-c). Caso analogo di stravolgimento dell’assetto antico dell’abitato, benché avvenuto in tempi non sospetti, è costituito dal cortivo che sorgeva in luogo del settecentesco Palazzo Martinengo, del quale si conserva la sola torre medievale inglobata tra i corpi di fabbrica più recenti (Fig. 22,d). Un dipinto di fine XVII secolo ritrae tuttavia la situazione preesistente, dov’è intuibile la presenza di un fabbricato associato alla torre e di un brolo cintato ancora rilevato nelle mappe napoleoniche col toponimo Chiusure, in seguito cancellato con la costruzione della chiesa parrocchiale novecentesca (Fig. 22,e)179. Nei restanti paesi è da registrare la conservazione di situazioni assolutamente parziali, dove solo gli edifici più eminenti all’interno dei nuclei fortificati si sono conservati. Degli esempi sono visibili a Demo, dove una torre appare riutilizzata come base del campanile della vicina chiesa, o a Sellero, dove sopravvive solo il basamento di un edificio turrito. Resti di edifici fortificati esistono anche a Paisco e a Saviore, ma si conservano solo parzialmente. A Cemmo, oltre ai due forti basamenti già richiamati, è probabilmente da riconoscere un terzo edificio munito in contrada Santa Maria Elisabetta, anche se esso risulta quasi totalmente inglobato da successive edificazioni susseguitesi tra XIV e XVI secolo. La rassegna degli esempi di cortivo in territorio alto camuno consente in generale di collocare la nascita di tali nuclei a cavallo tra XIII e XIV secolo. Essi sono contraddistinti inizialmente da marcati tratti fortificatori, quali i muri di cinta e le feritoie aperte in tessiture murarie dai tratti quasi ciclopici, come quelle di Rino e Malonno. L’edificazione della porzione residenziale, dove ravvisabile, appare sempre realizzata in addosso al corpo di fabbrica della torre ma in un momento molto ravvicinato nel tempo: generalmente infatti le tessiture murarie e gli elementi architettonici sono del tutto simili, benché la dimensione dei conci messi in opera nella porzione residenziale sia più ridotta. A partire dal XV secolo i tratti “fortificati” sembrano attenuarsi, sfumando in elementi architettonici che poco si confanno ad un utilizzo militare delle strutture: le feritoie vengono sostituite da aperture più ampie, non prive di elementi di raffinatezza formale (come a Edolo), e nelle cortine murarie si aprono dei portali. All’interno degli spazi rimasti originariamente vuoti si accalcano nuovi corpi di fabbrica che molto spesso sfruttano il limite posto esternamente dalla cortina muraria, ora inglobandolo ora demolendolo. Parallelamente nei centri abitati si assiste all’edificazione sopra le strade, con la realizzazione di passaggi voltati: interventi che denotano una scelta di saturazione degli spazi interni all’abitato, piuttosto che un’espansione verso l’esterno a sacrificio delle colture.
179) Il dipinto è custodito presso la chiesa di San Carlo di Malonno.
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Quali conclusioni? L’ampio panorama illustrato per le fortificazioni urbane ed extra-urbane in epoca bassomedievale nella media-alta Valle Camonica (Fig. 23) consente di delineare delle prospettive future di studio piuttosto che delle conclusioni definitive: troppo pochi sono per ora i dati - archeologici e documentari - che possano consentire la ricostruzione di un quadro sufficientemente attendibile delle dinamiche insediative e fortificatorie tra alto e basso medioevo. Per quanto riguarda castelli ed ipotetiche fortificazioni urbane si è proposta una rassegna quanto più esaustiva possibile, tuttavia viziata da un’assenza quasi cronica di evidenze materiali e di elementi di cronologia, solo ipotizzabili nelle pieghe di un tessuto urbano, qual è quello dei nuclei di montagna, che include o isola la porzione fortificata a seconda della morfologia del luogo. La densità delle fortificazioni, evidente ad esempio tra i territori di Edolo e Corteno Golgi, invita inoltre ad una cautela interpretativa sulla loro origine, probabilmente articolata nel tempo e dettata da condizioni politico-giurisdizionali e/o da esigenze militari variabili nei secoli del basso medioevo. Tale densità ha dei buoni paragoni nella bassa Valle, dove il dinamismo dei poteri ha il suo riflesso nella moltiplicazione dei castelli180, e nella media Valle, dove compare una nutrita serie di edifici muniti sui dossi tra Esine, Berzo Inferiore, Bienno e Cividate Camuno181. Per l’alta Valle, al momento, ci si può limitare ad un posizionamento in carta dei punti, accompagnato da considerazioni estremamente preliminari. In primo luogo, è ravvisabile una tripartizione delle evidenze considerate: aree chiamate castello comprese all’interno dell’abitato, forse a caratterizzare l’estensione di un originario villaggio fortificato (Vione, Monno, Saviore, Cevo); castelli ubicati nettamente al di fuori dell’abitato, a costituire un polo in contrapposizione a quest’ultimo, dove quasi sempre è attestato il binomio castello/villa (Vezza d’Oglio, Villa Dalegno, Malonno, Incudine); castelli ubicati in situazioni insediative complesse, dove si coagulano diversi abitati e dove i rapporti diacronici tra un nucleo e l’altro sono tutt’altro che chiari (Edolo-Mu, Cemmo-Capo di Ponte, Corteno). In secondo luogo, è possibile rilevare come maggiore importanza vada riconosciuta ai castelli di Mu e Corteno, che costituiscono le aree fortificate di gran lunga più estese rispetto ai tutto sommato piccoli castelli arroccati sui dossi che costellano i versanti vallivi. Infine la distribuzione delle evidenze invita a riflettere sui “vuoti” in carta, quali ad esempio la Val Paisco e le vie che conducono ai passi del Mortirolo, del Gavia e del Tonale, zone di confine in apparenza poco munite di cui forse varrebbe la pena approfondire la conoscenza. È evidente che solo indagini archeologiche puntuali sito per sito, auspicabili quantomeno per i castelli extra-urbani, potrebbero condurre all’approfondimento dell’aspetto materiale delle fortificazioni, consentendo magari l’individuazione di cronologie ricorrenti negli interventi bassomedievali di modifica/ampliamento delle strutture, tali da ipotizzare, come per il Sebino e gli altri casi camuni182, l’attribuzione di tali operazioni ad una precisa committenza o ad una contingente necessità. Per il momento l’unica generale considerazione concessa dall’archeologia riguarda l’identità nella scelta insediativa di questi luoghi nella protostoria e in età bassomedievale, senza l’attestazione di fasi di frequentazione intermedie tra età romana ed alto medioevo183.
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180) Bianchi - Macario 2017. 181) Leoni 2010-2011. 182) Per il Sebino Sestito 2014; per gli altri casi camuni Leoni 2010-2011 e bibliografia ivi citata. 183) Per i castelli della media-bassa Valle Camonica si veda Leoni 2010-2011, pp. 36-37. Nella media-alta Valle è registrata la presenza di frequentazioni protostoriche al castello di Mu, al castello di Corteno Golgi, al Dosso di San Clemente di Vezza, a Tor dei Pagà di Vione e probabilmente al castello di Malonno, a Incudine e a Villa Dalegno (Priuli 2010), senza contare i luoghi denominati Castello in cui per il momento sono note solo tracce
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Fig. 23. Carta riassuntiva delle strutture fortificate e delle testimonianze toponomastiche attestate nella media e alta Valle Camonica.
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Per i castelli (o presunti tali) in contesto abitato invece, dove è più difficile l’applicazione dello scavo archeologico, solo indagini più approfondite, guidate da letture specifiche dei documenti catastali e d’estimo e della documentazione precedente, potrebbero condurre a ipotesi fondate, attraverso la piena messa in luce degli elementi medievali che si nascondono nel tessuto urbanistico. Per quanto riguarda le torri isolate ci si deve limitare alle poche cronologie ipotizzate sulla scorta dell’analisi delle tessiture murarie conservate. La torre delle Sante e quella di Prabello, riferibili al XIII secolo, sembrano indicare che tali edifici nascano parallelamente allo sviluppo dei cortivi urbani, ma non è detto che alcuni di questi siti non possano celare cronologie più risalenti184. La località Torre presso l’abitato di Andrista, ad esempio, non manifesta alcun resto in alzato, ma le trasformazioni antropiche dell’area sembrano tali da suggerire un insediamento ben più vasto (e magari più antico) rispetto ad un solo edificio turrito. Anche in questo caso, auspicabili indagini archeologiche potrebbero aiutare a comprendere cronologia e funzioni di tali strutture, fino ad ora scarsamente considerate. Infine, un panorama meglio delineato, sebbene - come illustrato - ricco di complessità, riguarda i nuclei fortificati urbani di età bassomedievale, per i quali si dispone di un buon numero di esempi più o meno intatti. Sarebbe tuttavia auspicabile estendere il confronto della tipologia insediativa del cortivo anche alla bassa Valle, nel tentativo di precisare le cronologie disponibili per tessiture murarie ed elementi architettonici, utili inoltre ad un miglior inquadramento generale anche della restante edilizia civile. Particolarmente oscura rimane la situazione dell’edilizia storica nel tratto terminale dell’alta Valle, dove, accanto alle considerazioni già avanzate in precedenza, è forse ipotizzabile che il ruolo egemone dal punto di vista politico ed economico dei Federici, che nel 1410 si manifesta nella costituzione della Contea di Edolo e Dalegno, non abbia necessitato di un riscontro edilizio possente e architettonicamente connotato per ribadire l’affermazione dei propri diritti o contrastare altre forze politiche, rimanendo concentrato nel solo polo fondamentale di Edolo-Capo di Ponte di Mu185. In questo quadro generale, appare evidente come l’insediamento fortificato bassomedievale di Tor dei Pagà, dove la calce conglutinata co’ sassi pare impetrita186, costituisca un caso particolare, in cui castello e torre sono edificati ad oltre 2200 m s.l.m. per assolvere funzioni non ancora del tutto chiare. La varietà e la quantità di toponimi, scarsi resti materiali e, a volte, di suggestioni rintracciabili nel territorio della media-alta Valle Camonica invitano tuttavia a non rassegnarsi e a continuare la ricerca di un termine di paragone per questo sito. Bibliografia APG= Archivio Parrocchiale Garda di Sonico ATS=Archivio Topografico Soprintendenza ASBs=Archivio di Stato di Brescia ASMi= Archivio di Stato di Milano CDL=Codex Diplomaticus Langobardiae Archetti G. 1994, Berardo Maggi vescovo e signore di Brescia. Studio sulle istituzioni ecclesiastiche della Lombardia orientale tra XIII e XIV secolo, Brescia.
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di frequentazione protostorica (Saviore Castel, Monno Dos Castelet, Corteno Castiù). 184) Si vedano gli esempi riportati in Brogiolo 2016 sul contesto territoriale del corso dell’Adige. 185) Gallina - Breda 2003, pp. 130-131; Mottinelli 2012-2013, pp. 83-84. 186) Brunelli 1698, p. 48.
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90
Indice Saluti istituzionali ............................................................................................................. pag.
1
Prefazione .............................................................................................................................. pag. Giovanna Bellandi, Marco Sannazaro
11
I. Memoria e archeologia a Vione Memoria storica e prime indagini archeologiche ............................................................. pag. Giovanna Bellandi
17
Le fibule delle sepolture altomedievali ............................................................................. pag. Marco Sannazaro
27
Toponomastica e Pagà ...................................................................................................... pag. Riccardo Valente
31
II. Tor dei Pagà nel bassomedioevo Fortificazioni bassomedievali in alta Valle Camonica ................................................... pag. Marco Mottinelli
41
Le indagini di scavo ........................................................................................................... pag. Giovanna Bellandi, Delia Fanetti, Alberto Scippa
91
Non ti fidar di uno scavo ad alta quota ............................................................................ pag. Ricky Radaelli, Riccardo Valente
115
La funzione della torre B ................................................................................................. pag. Craig Alexander
119
Il rilievo delle strutture tramite fotogrammetria e drone ................................................ pag. Guido Guarato, Alessandro Zobbio
123
Ex ungue leonem: ipotesi ricostruttive sulle fortificazioni di Tor dei Pagà .................. pag. Dario Gallina
135
Indagini mineralogiche su campioni di malta ................................................................ pag. Roberto Bugini, Luisa Folli
151
Il restauro delle murature ................................................................................................ pag. Laura Foglia
155
La datazione del legno ..................................................................................................... pag. Nicoletta Martinelli, Olivia Pignatelli
157
Le monete ......................................................................................................................... pag. Alessandro Bona
161
I reperti metallici ............................................................................................................. pag. Marco Vignola
173
353
La chiave ........................................................................................................................... pag. Simone Ferrari
187
Un bicchiere vitreo ........................................................................................................... pag. Marina Uboldi
195
Dadi e vaghi ..................................................................................................................... pag. Chiara Bozzi
201
La candela ........................................................................................................................ pag. Elisa Martinelli, Eleonora Bulleri, Lanfredo Castelletti, Marcello Mele, Willy Tinner
207
I reperti faunistici della fase medievale .......................................................................... pag. Deneb T. Cesana
211
L’analisi del DNA ............................................................................................................ pag. Paolo Ajmone Marsan, Licia Colli
231
I macroresti botanici della fase medievale ....................................................................... pag. Elisabetta Castiglioni, Michela Cottini, Delia Fanetti
235
Le risultanze dell’ indagine: fortilicium nuper factum? ................................................ pag. Marco Sannazaro
247
III. Tor dei Pagà nella protostoria Indagini archeologiche sulle stratificazioni di epoca protostorica. Un Brandopferplatz in alta Valle Camonica ................................................................... pag. Michele Bassetti, Nicola Degasperi La documentazione ceramica del rogo votivo (Brandopferplatz) .................................... pag. Franco Marzatico
287
I metalli del rogo votivo. Osservazioni preliminari ......................................................... pag. Giovanna Bellandi
299
I reperti faunistici della fase protostorica ....................................................................... pag. Deneb T. Cesana
307
I macroresti botanici della fase protostorica ................................................................... pag. Elisabetta Castiglioni, Michela Cottini
313
Il rogo votivo di Vione-Tor dei Pagà nel contesto delle manifestazioni di culto protostoriche in Valcamonica e nell’arco alpino centro-orientale ................................... pag. Serena Solano
323
Il sito Vione-Tor dei Pagà nel quadro dei progetti di tutela e valorizzazione della Valle Camonica pre-protostorica ............................................................................ pag. Maria Giuseppina Ruggiero
339
Nota conclusiva ................................................................................................................. pag. Mauro Testini
354
268
351
La realizzazione di questa pubblicazione è stata possibile grazie al cofinanziamento della Regione Lombardia (Bando Avviso Unico Cultura 2017: Ambito aree archeologiche e siti UNESCO) all’interno del Progetto “Vione archeologica”. Ha contribuito anche Fondazione Cariplo (bando Patrimonio per lo sviluppo - 2017)
Con la collaborazione di:
© Copyright Comune di Vione ISBN 978-88-909975-2-5 Redazione: Filippo Airoldi, Elena Spalla (Università Cattolica del Sacro Cuore) Composizione e impaginazione: Filippo Airoldi (Laboratorio di Archeologia, Università Cattolica del Sacro Cuore) Stampa: Tipografia Batan - Gardone Val Trompia Dicembre 2017 Le fotografie di scavo e dei reperti sono pubblicate con autorizzazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e Brescia.