Antonio Pioletti
Canone e sistemi culturali fra Oriente e Occidente*
0. Canoni e sistemi culturali In origine una kánna (canna), poi kanón (fusto, bastone dritto e lungo), e dal greco il latino canone(m) . Ne derivano canonicu(m) dal greco kanonikós e il latino tardo canonizare dal greco kanonízein . Una canna in quanto strumento di misurazione e unità di misura. Dell’area semantica del termine, che include anche significati relativi alla sfera economico-commerciale e musicale, hanno rilievo quelli che si sono affermati sia nella codificazione dell’esegesi biblica e dell’uso liturgico, con c on i tanti derivati (canonica, (ca nonica, canonicato, canoni cato, canonicità, canonic ità, ca nonico, canonista, canonizzare, canonizzazione), sia nell’ambito della teoria e della critica letteraria. Dedichiamo qui qualche riflessione al canone letterario. Costituitosi, quest’ultimo, secondo due linee, diverse ma talora so vrappostesi, alle quali corrispondono modalità differenti di ricostruirne storia e problematica: la rassegna di prassi normative per la produzione dei testi o la ricostruzion ricostruzionee dei diversi livelli della loro ricezione in gerarchie di volta in volta costituitesi. Nel primo caso, vige infatti un’idea di canone inteso come insieme di norme (retoriche, di gusto, di poetica ecc. ), tratte da un’opera o da un gruppo di opere omogenee, che fonda una tradizione e che perciò determina l’elaborazione l’elaborazione di una serie di altre opere 1.
Un’accezione che porta allo studio del costituirsi delle tradizioni nelle loro continuità e discontinuità, dei tratti distintivi che fondano lo statuto dei testi, del loro disporsi per famiglie storiche.
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Nel secondo caso, l’idea di canone si costituisce a partire dal punto di vista dei lettori e del pubblico, dunque della ricezione [...]: indica la tavola dei valori prevalente. Essa si traduce poi nell’elenco dei libri di cui si prescrive la lettura nell’ambito delle istituzioni educative di una determinata comunità2.
Un’accezione che induce a spostare l’attenzione sulle scelte che si affermano, in una determinata società e in una determinata fase storica, nel determinare nel sistema scolastico, nella politica editoriale, nella comunicazione, modelli, valori, gerarchie nei processi identitari. Come rileva Luperini «le due accezioni di canone tendono a sovrapporsi»3. L’affermar L’affermarsi si di un canone compositivo comp ositivo si è risolto non no n di rado in un canone di lettura e di studio. Se siffatti slittamenti sono avvenuti e sono tendenzialmente possibili, occorre chiedersene il motivo. Risulta infatti forviante disquisire del canone separandolo dall’insieme dei sottosistemi che costituiscono i sistemi di cultura. Le due accezioni di canone rinviano a taluni tratti trasversali che le percorrono: il conflitto fra modelli diversi, la competizione per l’egemonia, la questione del potere. L’affermarsi, da un lato, di modelli compositivi e, dall’altro, di gerarchie di autori e testi, è il risultato par ziale e provvisorio dei movimenti di contraddizione che attraversano i sistemi. Il canone è in sé un sistema, ma il sistema culturale non include solo quello letterario. Quest’ultimo va considerato un sottosistema, più che un sistema dei sistemi come lo definisce Antonelli, e in quanto tale da porre in interrelazione con altri sottosistemi con i quali entra in rapporto di reciproco scambio di volta in volta da ricostruire 4. L’accentuarsi della primazia della seconda accezione di canone non contraddice di per sé la potenzialità del dettato normativo che si ripresenta sotto le sembianze più varie all’interno di un sistema determinato. È ben noto infatti, lo ha rilevato ancora Luperini, come, soprattutto per impulso della critica critica nordamericana – e non solo per il fortunato fortunato volume di Harold Bloom, Il canone occidentale occidentale –, negli ultimi ultimi decenni sia la seconda accezione di canone a risultare dominante: imploso il richiamo a un possibile dettato di norme e regole compositive, si sgretolano con il postmodernismo antiche certezze sulla rigidità dei canoni, con le pratiche del femminismo e con le sfide del multiculturalismo si immettono nei circuiti della produzione e della fruizione culturale soggetti nuovi, culture diverse, si manifesta l’esplosione di quel che a certa criti-
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ca è apparso come “disordine”, si acuiscono all’un tempo nei processi di globalizzazione i fenomeni apparentemente contraddittori dell’omolo gazione ga zione in un pensiero unico e della diffrazione dei particolarismi. Se quanto finora detto rende seppur in sintesi l’idea di quel che s’in tende per canone, può essere utile, a solo voler delibare sì complesse que stioni che s’addensano intorno al ricorso a siffatta categoria, dare risposta a tre domande: 1. come e quando quando si si costitu costituisco iscono no l’idea l’idea e l’applic l’applicazion azionee della della catego catego-ria di canone? 2. si pro profil filaa oggi oggi un can canon onee domi dominan nante? te? 3. è nece necess ssari arioo che che ci si siaa un can canone one e quale quale?? 1. Come e quando si costituiscono l’idea e l’applicazione della categoria di canone? Occorre, per semplificare, fare riferimento a tre momenti fondanti, cioè alla filologia alessandrina, al costituirsi del corpus della Scrittura cristiana, al passaggio dai canoni medievali a quelli moderni. All’inizio esiste la cosa ma non il nome. È noto il ruolo svolto dall’istituzione ad Alessandria, con i primi Tolomei, di un grande centro di studi, il Muse Museion ion, affiancato da una Biblioteca dotata di oltre 500. 000 volumi. La redazione di cataloghi di autori rientrava nella prassi dei filologi alessandrini, fondata su una selezione e rivolta a farne indicazione di let Laterculu culuss Coislin Coislinianu ianuss annovera, ad tura per le scuole dei grammatici. Il Later esempio, 5 poeti epici, 3 giambici, 5 tragici, 9 lirici, 7 autori della Commedia Antica, 2 della Media, 5 della Nuova, 10 oratori, 10 storici. Il catalogo implicava la scelta di autori “esemplari”, indicati come “gli accettati o introdotti nel catalogo”. Quintiliano si riferirà a un ordo a grammaticis datus. L’autore esemplare, come designarlo? Aulo Gellio ( Nocte Noctess Atticae Atticae, XIX 8, 15) conierà il fortunato termine “classico”: E cohorte illa dumtaxat antiquiore vel oratorum aliquis vel poetarum, id est classicus adsiduusque aliquis scriptor s criptor,, non proletarius.
Definizione che ancora nel 1850 sarà ripresa da Sainte-Beuve e che intorno al 1800 includeva, e pour cause, tutta l’Antichità. Definizione comprensibilee nel suo originario significato solo se inserita nel paradigcomprensibil
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ma da cui scaturiva, nel quale un autore risultava esemplare sulla base del criterio grammaticale della correttezza linguistica. Il catalogo, l’ordo di Quintiliano, sarà il canone che si rivela come termine agli inizi del IV secolo con Eusebio di Cesarea. «La formazione di un canone contribuisce a fissare una tradizione» 5: la tradizione letteraria della Scuola, la tradizione giuridica, giuridica, la tradizione religiosa si proiettano nel Medioevo ( studium, imperium, sacerdotium ) e oltre. Quantomeno un cenno merita quella religiosa, in sé, ma anche in funzione del nostro argomentare. La plurisecolare storia del canone cristiano rappresenta un capitolo specifico la cui ricostruzione, seppur condotta a rapidi cenni, esula dai nostri intenti se non che per qualche annotazione. La determinazione delle Scritture riconosciute come Sacre presenta, va da sé, valenza ben diversa da quella della redazione di un catalogo di autori. Nel canone cristiano veniva espressa la pretesa di riservare alla lettura liturgica solo quei libri che garantivano la fedeltà e la continuità con le origini apostoliche. Il cammino frastagliato della fissazione di un canone caratterizza la Scrittura giudaica dal VI secolo al I secolo d. c. (Concilio di Iamnia) quando se ne sancisce l’articolazione trimembre. Ma gli etnocristiani si rifecero alla Scrittura, in greco, dei Settanta che, a differenza del canone giudaico, contemplava anche Ester greco, Giuditta, Tobia, I e II II Maccabei Maccabei, Sapien za, Siracide, Baru Barucc, Lettera di Geremia Geremia, Supplementi al libro di Danie Daniele le, come poi sancito dal Concilio di Trento, ma non dall’uso protestante. Da parte sua, la fissazione del canone cristiano ebbe ad attraversare un terreno reso accidentato da un duplice livello di questioni in parte collegate: il rapporto con la Scrittura giudaica e la selezione degli scritti da avallare quali costitutivi di quella cristiana. Il superamento delle correnti gnostiche e marcionite, che contrapponevano al Dio dell’Antico Testamento quello del Nuovo e che con Marcione includevano in quest’ultimo solo Luca (l’ Evang Evangèlion èlion) e le lettere paoline ( Aposto Apostolikòn likòn), portò, in un processo lungo e complesso, a includere anche Matteo, Marco, Giovanni, gli Atti degli aposto apostoli li e, oltre alle Letter Letteree di Paolo, quelle di Giacomo, Pietro, Giovanni, Giuda, l’ Apoca Apocalisse lisse. Non si recideva altresì il cordone ombelicale con il Vecchio Testamento. Non si può non riconoscere l’impronta l’impronta marcatamente normativa che segna il costituirsi dell’idea di canone. Sia sul versante filologico-letterario – cioè un modello di purezza grammaticale e di generi cui attenersi –, sia su quello della della Sacra Scrittura – i testi riconosciuti riconosciuti di autentica autentica ispi-
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razione divina e di origine apostolica –. I due canoni contemplano, ambedue, il carattere esemplare dei testi. Il loro paradigma si fonda sulla staticità del modello. Il primo canone presuppone l’imitabilità, l’imitabilità, la riproduzione, il che rappresenta l’elemento dinamico all’interno del sistema culturale. Il secondo esclude l’imitabilità ma richiede l’interpretazione. l’interpretazione. L’interpretazione sarà il vettore d’una dinamica che interesserà anche il canone letterario, in ispecie lungo il Medioevo. La definizione di un canone non è ovviamente processo che abbia caratterizzato solo il cristianesimo. Il Corano, ad esempio, è inimitabile perché si rivela «sotto tutti i punti di vista parola divina, insuperabile quanto a perfezione stilistica e formale»6. La formazione dell’idea dei due canoni avviene in fase ellenistica e in area interorienta interorientale. le. Ogni assimilazion assimilazionee monolitica all’area occidentale è indebita e forviante. Si è sopra fatto riferimento a un terzo momento fondante nel costituirsi e nell’applicarsi della categoria di canone: il passaggio dai canoni medievali a quelli moderni. I canoni medievali rappresentano all’un tempo un momento fondante e un laboratorio di mutamento di cui Dante è stato primo protagonista. Il nesso con gli auctores regulati della letteratura classica che erano a base del canone di insegnamento medievale (Virgilio, Stazio, Ovidio, Lucano) è rivisitato secondo le linee evolutive delle sue strategie poetiche e culturali. Su questo riferimento (classico) s’innesta un intenso suo lavorìo di critico militante sui contemporanei e su altre esperienze europee. Nella Vita nova Orazio soppianta, in funzione antiguittoniana, Stazio. Nel De vulgari eloquentia, grande trattato storico-letterario e insieme di linguistica, si passano in rassegna le scuole poetiche siciliana, prestilnovista, bolognese, stilnovista, si giudica, si assegnano primazie: i meriti della scuola siciliana, i demeriti di quella guittoniana, la centralità della scuola bolognese, l’eccellenza dello stilnovismo toscano (Cavalcanti, Lapo, Cino, Dante stesso). Ma Cino e Dante, rispetto a «illa magnalia que sint maxime pertractanda» pertractanda»,, hanno in Italia il primato. Ancora più ricca la riflessione nella Commedia: Lo buon maestro cominciò a dire: “Mira colui con quella spada in mano, che vien dinanzi ai tre sí come sire: quelli è Omero poeta sovrano; l’altro è Orazio satiro che vene;
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Ovidio è ‘l terzo, e l’ultimo Lucano. Però che ciascun meco si convene Nel nome che sonò la voce sola, fannomi onore, e di ciò fanno bene”. (If. IV IV,, 85-93) 85- 93)7
La poesia epica si snoda da Omero attraverso Virgilio a Dante. Sono inseriti Ovidio, Lucano e Orazio, ma Orazio “satiro”. Dall’epos pagano a quello cristiano, ove genere tragico e comico si giungono, come con ancora maggiore evidenza si rileva in Pg. XXI, 94-114. Molti altri luoghi occorrerebbe qui citare a dimostrazione dell’elaprogress ess che Dante compie dalla Vita nova alla Commedia borazione in progr – Bertrand de Born e Giraut de de Bornelh cadranno nella Commedia in disgrazia e Folchetto di Marsiglia sostituirà «quel di Lemosì» –. I riferimenti fatti alle letterature in lingua d’oïl e in lingua d’oc pongono Dante, diremmo oggi, a un livello sovranazionale. Era aperta la prospettiva, in una, alla sperimentazione e alla riflessione teorica su di essa. E di Boccaccio si dovrebbe ancora parlare, che qualche critico ritiene il primo vero canonista della letteratura italiana, e di Petrarca che si distanzia da Dante. Ma qui si procede solo per sondaggi e valga quanto rilevato da Mercuri: La peculiarità del discorso dantesco sul canone [...] è quella di far coincidere la rielaborazione del canone con la revisione dei generi letterari che il Medioevo aveva rigidamente fissato nella rota Vergilii ; Dante ricodifica il genere epico non solo in prospettiva cristiana, ma anche e soprattutto nella direzione del romanzo, dal momento che la ricodifica dantesca va nella direzione plurilinguistica, storica e autobiografica, prospettive queste fortemente connotative del romanzo moderno, ciò che viene colto perfettamente da Boccaccio e da Petrarca per i quali l’intertesto dantesco è il luogo del dialogo e del riuso. È in questo luogo e in questo spazio che si costruisce il sistema della letteratura italiana e l’avvento della poesia e della prosa italiane ed europee8.
2. Si profila oggi un canone dominante? Una storia del canone sarebbe complessa ma certamente istruttiva: non potrebbe non confrontarsi con la questione delle periodizzazioni che sottende e implica quella del canone, con la ricostruzione dei sistemi culturali e dei sommovimenti economico-sociali, con le politiche
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delle classi dirigenti soprattutto nel settore dell’insegnamento, con i processi legati alla definizione delle identità nazionali. Ma una storia dei canoni dovrebbe anche avere orizzonti internaziointernazionali, includere le letterature europee ed extraeuropee, il che vale non solo per i nostri giorni, e contrastivamente connettere connettere canoni e produzioni letterarie contemporanee a essi. Si è ancora lontani, per perdurante provincialismo e per speculare omologazione culturale globalizzante, da una parte, e per resistente eurocentrismo, dall’altra, da siffatta prospettiva storiografica. Ma questo è un limite non solo degli storici dei canoni, ma anche dei canonizzatori, nonché, con poche eccezioni, dei critici letterari che della questione hanno anche di recente trattato. E non sarà forzare i suoi intenti citare in positivo l’alternativa dell’Italo Calvino di Perché leggere i classici, raccolta postuma, ma preceduta nel 1980 da Una pietra sopra e nel 1984 da Collezione di sabbia: i suoi classici includono l’Odissea fino a Pavese, lungo le stazioni di Senofonte, Nezami, Defoe, Voltaire, Diderot, Stevenson, Gadda, Borges, solo per fare qualche riferimento. Non si può qui non assumere come punto d’osservazione il nostro, la societas critico-letteraria e il sistema d’istruzione in Italia. Due “istituzioni” che hanno seguito percorsi in talune fasi più o meno coincidenti, ma da tempo ormai divaricatisi. Il sistema d’istruzione scolastico, scolastico, quanto al canone, sino, e in parte, ai programmi Brocca, ha sostanzialmente mantenuto un asse racchiuso nella forbice bembismo-spirito risorgimentale, risorgimentale, incrinata a partire dal secondo dopoguerra quando si trattava di interrogarsi, dopo il fascismo, sui tratti dell’identità della Repubblica nata dalla Resistenza. In Italia una riflessione sul canone è stata indotta (si vedano le diverse antologie pubblicate) da tentativi e ipotesi di sistematizzazione di quello novecentesco, nonché, più di recente, da stimoli provenienti dalla critica nordamericana, mossa quest’ultima da altri fattori esterni che forse solo oggi cominciano qui da noi a essere avvertiti. Per il resto, i testi canonici sono quelli da “tradizione” con il sommarsi delle due triadi Carducci, Pascoli, D’Annunzio e Verga, Pirandello, Svevo. A proposito dei programmi delle prove d’esame per il concorso a posti di ruolo nell’insegnamento, il DM 357 dell’11 agosto 1988 indica: «Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Machiavelli, Guicciardini, Tasso, Galilei, Goldoni, Parini, Alfieri, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Verga, Carducci, Pascoli, D’Annun zio, Pirandello, Svevo, Ungaretti, Montale, Saba, Quasimodo, Pavese,
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Vittorini». A limitarsi solo a qualche annotazione, si rileva come il canone scolastico, fortunatamente spesso infranto dagli insegnanti migliori, per quanto attiene al Novecento mantiene per Quasimodo una collocazione messa ormai in discussione dalla critica più avvertita, i dialettali o autori come Gadda, Tozzi e Fenoglio vengono del tutto trascurati, mentre gli scrittori “non bembeschi”, ad esempio Ruzante o Porta o Belli, dopo una fortunata apparizione, si sono quasi del tutto eclissati 9. Non è, va da sé, nostra finalità indicare un canone nuovo o meno lacunoso e più coerente. C’è da rilevare la distanza fra il canone scolastico corrente e l’avanzamento degli studi filologico-letterari e certo non per responsabilità responsabili tà di tanti bravi insegnanti. C’è da aggiungere che fra il nostro mondo universitario e quello scolastico permane un distacco inaccettabile. D’altra parte, anche il canone di riferimento r iferimento della societas critico-letteraria è non poco stratificato e tutt’altro che omogeneo. Anzi, da parte di taluni settori se ne mette in discussione la legittimità d’esistenza. Fra le due istituzioni, sempre in riferimento al canone, minore è la distanza per quanto attiene a una visione internazionale dei processi letterari. Il che potrebbe apparire incoraggiante se non fosse che la minore distanza è dovuta a una comune e diffusa “provincializzazione” del canone letterario. I confini delle letterature sono diventati nazionali in conseguenza di processi storico-politici e certamente per motivi linguistici. Ma i confini dei principali movimenti di produzione letteraria non coincidono con quelli delle nazioni. Il che a maggior ragione vale per fasi storiche in cui i confini politico-istituzionali hanno incluso o includono realtà etno-linguistico-culturali diverse. È così per l’età ellenistica e per i grandi imperi. Internazionali, fra ovest ed est e fra nord e sud, erano i circuiti culturali e letterari nel Medioevo, lungo il quale le grandi lingue della cultura, latino-greco-ebraico-arabo, erano veicolo d’una pluralità di voci. E per venire alla modernità, come non tener debitamente conto del respiro internazionale, ad esempio, del barocco, dell’illuminismo, del preromanticismo, del romanticismo, del naturalismo e del simbolismo, ecc. Autori e opere hanno trovato in tempi anche lunghi e in aree spesso lontane l’ora della leggibilità. Nella scuola però se l’insegnamento di storia, filosofia, arte, musica trova dimensione almeno europea – con la voragine della totale assenza della conoscenza delle grandi civiltà orientali –, lo stesso non può dirsi per la letteratura. Fa ostacolo più che la questione della conoscenza del-
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le lingue moderne, un paradigma culturale che, non da oggi, non regge più. Come giustamente rilevato da Francesco Orlando con l’idea di intraducibilità della letteratura «conviene restare in rapporto di approssimazione teorica»10. Chi non è stato arricchito dalla lettura, ad esempio, pur se in traduzione, dei grandi russi, per riferirsi a una lingua qui da noi meno conosciuta? Ma, c’è da aggiungere, forse che per la conoscenza delle lingue moderne si stan facendo seri passi in avanti nel sistema d’istruzione? La questione non è ovviamente non studiare più la letteratura italiana, ma studiarla diversamente con una seria apertura comparatistica, e studiare seriamente le lingue. 3. È necessario necessario che ci sia un canone canone e quale? Cinque Cinque tesi Io credo che in una fase quale quella che attraversiamo di profondi sconvolgimenti planetari, economico-sociali e culturali, che investono, come inevitabile, i sistemi d’istruzione a tutti i livelli, e la composizione stessa delle nostre società sempre più multiculturali, sia forse più importante porsi la domanda che dare hic et nunc una risposta che pur io, per non barare e rischiando, proporrò. È infatti dominante, ma ancora non accettato da tutti, un modello di mercificazione dei saperi la cui assiologia è determinata dalla spendibilità strumentale e governata dagli interessi di ristretti poteri economico-finanziari. La gestione sociale del bene comune della conoscenza è sostituita da un paradigma aziendalistico che crea squilibri ed esclusioni sociali e territoriali. In questo paradigma i linguaggi dei testi di cultura sono sostituiti da quelli semplificati e aggressivi di un marketing di infima lega. La funzione intellettuale, che certo ha conosciuto anche versioni poco presentabili, lascia comunque posto a quella strettamente manageriale. Gli studi umanistici sono considerati inutili perché improduttivi. Il latino e il greco, cose di altri tempi. La storia, una breve sintesi per guide turistiche. La filosofia un lusso insopportabile. La letteratura? L’ultima moda. Oggi nessuno penserebbe a un canone prescrittivo di norme. La prescrizione viene dai circuiti pubblicitari. Dominano il commissario gourmet e i giallastri sui Templari e il santo graal. Scienze tecnologiche e scienze umanistiche vivono scisse, senza che si colga la fecondità della circolazione dei saperi.
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Porsi la domanda sul canone, o meglio sui canoni, allora, significa interrogarsi sui modelli culturali dominanti e su quelli alternativi, sui mo delli delle culture “altre” e sull’interculturalità, sull’interculturalità, sulle differenze di genere, sullo stato degli studi scolastici e universitari universitari,, sulla funzione del l’in l’in-tellettualità tel lettualità di massa, dei docenti, dei discenti. Ritengo opportuno evitare sia la soluzione nichilista di abolizione tout court della categoria di canone, il che significherebbe lasciar campo libero a un caos funzionale infine al Potere, sia l’idea di un canone rigido, chiuso al fluire degli eventi nel tempo e nello spazio. Si può forse a «ciò che non siamo, a ciò che non vogliamo» aggiunaggiungere in positivo qualche traccia per tentare di capire «ciò che siamo, ciò che vogliamo». Si rischi, nell’assumere quello letterario come indizio di una questione più generale, non una proposta di canone, ma l’indicazion l’indicazionee di un percorso per canoni che siano intelligenza del rapporto presente-passato e campo di speranza per il futuro. Cinque tesi: 1. Ogn Ognii canone canone è un limite limite:: un limit limitee vertical verticale, e, perché perché di di rado rado rende rende conconto del fluire della produzione contemporanea agli autori canonizzati. In quanto risultato di una selezione, in esso si riflettono i princìpi ideologici dei ceti dominanti sì da configurarsi come l’esito parziale dei conflitti che attraversano i sistemi culturali. Emblematico il caso del romanzo, il cui processo di formazione, che è di lunga durata, si snoda fino alle soglie della modernità lungo traiettorie carsiche, pur rappresentando con i suoi tratti formali elemento compositivo di opere canonizzate sotto altra sigla generica. Il canone è un limite orizzontale, perché non rende conto della trasversalità dei processi internazionali che hanno sotteso dall’antichità a oggi la produzione letteraria e culturale. Non si può negare, solo per riferirsi a un periodo storico oggetto dei miei studi, che in un Medioevo lungo e frastagliato sia esistita una biblioteca itinerante di testi che si pone come sezione trasversale della grande area euroasiatica, di larga circolazione e di sicura presenza in generi e opere di cui costituiscono funzione strutturante. Ma l’immagine che si dà spesso di tal periodo, fondamentale nel processo di formazione delle letterature moderne, è ancora all’ombra d’un Occidente visto come blocco monolitico e unitonale. 2. Il canone canone è un limi limite te necess necessario: ario: l’azz l’azzerame eramento nto dell dell’ide ’ideaa che poss possaa esser proposto un canone non solo risulterebbe non praticabile dal
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punto di vista funzionale funzionale – quali programmi programmi per una scuola scuola che diverrebbe municipalistica o regionalistica? –, ma si risolverebbe di fatto in una resa della funzione critica rispetto a leggi di mercato determinate da chi ne possiede il controllo. 3. Il canone canone va innanz innanzitut itutto to inteso inteso come spazi spazioo dell’ese dell’esercizi rcizioo della della cricritica e del conflitto fra modelli culturali diversi. Lo vedrei più come percorso di snodi storico-letterari che catalogo di autori. Vedrei autori e opere indicati in serie aperte corrispondenti agli snodi individuati. Indicherei quindi vie anche alternative di letture. Un canone critico aperto che renda conto della molteplicità e della pluralità, con respiro internaziona internazionale. le. 4. Il canone canone è un limit limitee da super superare: are: inte intendo ndo limit limitee come “con “confine” fine”.. Il confine delimita un’entità e all’un tempo la mette in contatto con un’altra. Il canone per avere funzione cognitiva deve vivere al confine, cioè dove ove «ogni esperienza si verifica». Essere pensato come un sistema segnato dal permanente conflitto fra simmetrie e asimmetrie. 5. Il canone canone ha ha un cronòt cronòtopo: opo: nel canone canone chiu chiuso so il suo presen presente te è già già un passato, il suo spazio un involucro. I canoni che via via si sono succeduti hanno assolutizzato, facendone degli universali, momenti inevitabilmente inevitabilm ente poi corrosi dal fluire del grande oceano delle opere. Hanno ritagliato spazi che escludevano la permeabilità del confine. Cronòtopo del canone aperto è invece «il tempo della crisi nello spazio dell’alterità». Il tempo della crisi qui è dato dall’essere il canone in permanente tensione conflittuale interna ed esterna e per l’essere la letteratura, e l’arte in generale, il luogo non pacificato della “pericolosità” di ogni lettura e di ogni immagine, il luogo della ricerca del senso del contrasto fra la vita e la morte, fra l’inizio e la fine, fra l’individuo e la storia, il luogo dell’incontro dell’amore e della sua perdita, il luogo di quel che poteva essere e non è stato, il luogo e l’incrocio dei «sentieri che si biforcano», la Torre di Babele degli specchi che rinviano e moltiplicano l’immagine nello straniamento del vedersi frammenti o diversi come in una dimensione onirica. Vedere altro da quel che si credeva vedere. Essere altri da come si riteneva di essere. Lo spazio in cui questo tempo s’innerva è quello dell’alterità che è in noi e che concorre a costituire la nostra identità, che ha costituito fra Oriente e Occidente le nostre letterature e le nostre culture. È uno spazio scomodo che non permette l’autogratifical’autogratifica -
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zione di risposte semplificatrici e unidimensio unidimensionali, nali, che non legittima il primato disumanizzante della tecnica strumentale e la violenza dello scontro di civiltà. È lo spazio che resta, quello che dobbiamo costruire.
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NOTE
* Testo della Prolusione tenuta in occasione dell’inaugurazione dell’inaugurazione dell’anno accade-
mico 2004-2005 dell’Università degli Studi di Catania, 19 febbraio 2005. 1 R. Luperini, Introduzio Introduzione. ne. Due nozioni di canone, in «Allegoria» 29-30, 1998, pp. 5-7, in particolare p. 5. 2 Ivi, p. 6. 3 Ibidem. 4 Di sicuro interesse il saggio di R. A NTONELLI, Il canone tra Oriente Oriente e Occidente Occidente , orientale. Macrote Macrotesti sti fra Oriente Oriente e Occidente . Atti del IV Colloin Medioevo romanzo e orientale. quio Internazionale (Vico Equense, 26-29 ottobre 2000), a cura di G. Carbonaro, E. Creazzo, N.L. Tornesello, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, pp. 205-12. Si veda anche C. SEGRE, Il canone e la culturo culturologia logia , in «Allegoria», cit., pp. 95-102. 5 Cfr. l’ancora fondamentale E.R. CURTIUS, Letteratura europea europea e Medio Evo latilatino, a cura di R. Antonelli, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1992, non solo per la citazione (p. 285), ma per i riferimenti qui fatti al cap. XIV “Classicità”, pp. 275-301. 6 Cfr. M. CASSARINO, Il Corano: esiste un libro più bello?, in «Critica del testo». Il canone alla fine del millennio , III/1, 2000, pp. 145-54, in particolare p. 153. 7 Si cita da DANTE ALIGHIERI, Commedia. Inferno, a cura di E. Pasquini e A. Quaglio, Garzanti, Milano 1982. 8 Si veda il bel saggio Il canone della letteratura italiana , in «Critica del testo», cit., pp. 177-213, p. 213 in paricolare. 9 Si veda il contributo di R. BIGAZZI, Sulle complicità tra canone e critica , in AA.VV., Un canone per il terzo millennio . Introduzione e cura di U.M. Olivieri, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano 2001, pp. 116-36. 10 Cfr. F. ORLANDO, Teoria della della letteratura letteratura,, lett letteratu eratura ra occidentale occidentale,, alter alterità ità e particolarismi, in Un canone per il terzo millennio , cit., pp. 63-87, p. 83 in particolare. Quest’ultimo volumetto contiene un’utilissima bibliografia ragionata sul canone, alla quale rinvio. Si veda anche quella curata da A. Punzi per il già citato fascicolo monografico di «Critica del testo».