Victor Turner
Dal rito al teatro
il Mulino
TURNER, Víctor Dal rito al teatro / Victor Tiimer. Bologna: Il Mulino, 1986; [Introduzione all*edÌ2Ìone italiana di Stefano De Matteis]218 p. 21 cm, (Intersezioni, 27). ISBN 88-15-00983-3 1. Antropologia culturale - Stadi 2. Riti 3. Teatro - Origini rituali. I De Matteis, Stefano 392
Edizione originale: from Ritud io Theatre. The Human Seriousness of Play, New York, Performing Arts Journal Publications, 1982, Copyri^t © 1982 by Performing Arts Journal Publications, New York. C o p y r ^ t © 1986 by Società editrice il Mulino, Bologna. Traduzione di Paola Capriolo. Edizione italiana a cura di Striano De Matteis* È vietata la riproduzione anche parziale, con gualcasi memo efettuata^ compresa la fotocopia^ anche ad uso intemo o didattico, non autorizzata.
Introduzione all'edizione italiana
Introduzione all'edizione italiana
Trop peu, Je suis. Mais je ne suis pas en possession de moi-méme. Telle est Foiigiae de notxe devenir. Ernst Bloch, Traces
Ttirna: è stato, nella sua vita, nei suoi studi e ndle ricerche, uti uomo propositivo e ottimista. Sarà per la sua formazione cattolica che gli ha temprato un forte umanismo, ha sempre lavorato sul lato ^positivo' della storia e del sodale, sugli elementi 'costitutivi' fino a prendere in considerazione valori rassicuranti nei mutamenti e nei cambiamenti sodali. Ma Turner ha anche lavorato su un terreno ostico e difficile. Fin dall'inÌTio ha individuato il suo interesse in quella terra di nessuno, in quella zona che sta al centro della contrapposizione tra le difficoltà personali rispetto all'ambiente e i problemi culturali e pubblid di strutture sodali siano esse organizzazioni tri!:¿li o stadi più avanzati con maggiori complessità organiszative. Ma non basta. Ha sviluppato anche un sistema di lavoro che mirava ad analizzare biografia e storia, nel rapporto redproco, in determinati momenti e in definite strutture sodali. Tale sistema è figlio di tante contaminazioni e di tanti riferimenti, costitutivi per la sua biografia ma mai considerati definitivi e condusi. In particolare Dal rito d teatro rappresenta uno dd tentativi meno compiuti e definiti anzi è tra le sue ricerche una delle piti azzardate. In questo lavoro confluiscono precedenti studi e trovano spazio nuove riflessioni che me^o definiscono assunti già acquisiti. H metodo di Turner è caratterizzato mai da un modello unico, da griglie precostruite, bensì da modelli in trasformazione dove ogni nuovorisultatopermette una riconsiderazione di tutto il lavoro svolto. Dd rito d teatro può, e secondo noi dovrebbe, essere letto come uno dei momenti più 'pietii' dellaricercadi Turner e, nello stesso tempo, più 'aperti': non si tenta qui, seguendo un metodo
Introduzione dl'edszione itdiana
esplicativo e dimostrativo, di illustrare ima ricerca conclusa, quanto di riportare riflessioni e considerazioni che muovono da un corto circuito che è alla base delle sue recenti ricerche doè di applicare gli strumenti dell'antropologia sodale e della simbologia comparata, che Thanno guidato nelle ricerdie sul rito, d teatro, soprattutto quello moderno, per leggere tutte le relative implicazioni che esso ha con la cultura, lo svago, il tempo libero da un Iato e con l'attore e la ricerca scenica dall'altro. Il volume esplica ed elenca assunti teorid che forse avrebbero trovato madore ampiezza e approfondimento in opere successive. I temi e gli ambiti della ricerca sono quindi vasti e tenuti in relazione tra loro da fili sottilissimi che trovano collocazione in un tentativo di comprensione attraverso le comuni matrid culturali e le comuni funzioni sociali. Qui Turner mescola una varietà di temi e una diversità di riferimenti, dascuno studiato e approfondito singolarmente per e^ere confrontato e verificato con gli altri, aprendo ogni settore o 'zona* per sconfinare continuamente in aree tra loro apparentemente indipendenti. Eppure Turner sembra essere partito da un altro metodo che sembrava incarnare Pafíermazione di Marcel Mauss: È un errore credere che ü credito cui ha diritto una proposizione scientifica dipenda strettamente dal nmneio dei casi in cui si creda di poterla verificare. Quando Ü rapporto è stato stabilito in un caso, anche unico, ma metodoiogicatoente e minuziosamente studiato, la validità è ben più sicura di quanto per dimostrarlo, lo si illustn con fatti nimierosi, ma disparati, a m esempi curiosi, ma presi a prestìto dalle sodeià, dalle rasase, dalle civiltà più disparate.
Turner èfigUodi una delle scuole più rappresentative dell'antropologia britannica \ quella di Manchester che ha adottato, seguendo la strada percorsa da Malinowski, il metodo del partecipant observation (osservazione partedpante) che segnò una rottura con la tradizione dassica dell'antropologia. Sebbene tale cambiamento, come sostiene Lévi-Strauss, era già stato avviato nelle ricerche e negli studi di Franz Boas, Emile Durkheim, Marcd Mauss, la ricerca di Malinowski sulle isole Trobriand^ fu Topera pia Significativa in questa direzione: 8
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nell'elaborare le regole e le regolarità del costume indigeno, n d ricavare una formula che le esprime con precisione dai dati raccolti e dalle affermazioni degli indigeni, d accorgiamo die questa esattezza è estranea alla vita reale, cbe non si conforma mai rigidamente ad alcuna r ^ l a , e deve essere intq^rata dall'osservazione del modo in cui un dato costume è seguito, del comportamento dell'indigeno nell'obbedire alle r ^ l e cosi esattamente formulate dall'etnografo, delle stesse ecceáoni che quasi sempre ricorrono nei fenomeni sodologici
Forse è proprio da Malinowsld che Turner mutua Tinteresse, sempre crescente nelle sue opere, di rilevare the imponderabÜity of everyday life (l'imponderabile della vita quotidiana) eie — analiszando e registrando ojmportamenti e consuetudini, verificando direttamente con l'osservazione e indagando le mentalità dei gruppi studiati — gli permette di leggere e successivamente dì codificare le smagliature tra afíermazioni e comportamenti, tra status sociali e crisi, tra lotte inteme e relative modificazioni o solidificazioni di poteri costituiti. A Malinowsld va aggiunto RadcMe-Brown che influenzato dal pensiero di Durkheim (dove Tinsieme dei fatti sociali andava visto come un sistema in cui ciascun elemento aveva un significato solo se riportato alla complessità del sistema) dichiarò l'importanza del concetto di 'struttura' denunciando TimpossÌbilità di analizzare una cultura separandola dall'intero contesto e sistema sociale dove venivano determinati comportamenti e r ^ l e che definivano la specificità di quella determinata struttura sociale. Dal rito
Fin dal suo primo lavoro Schism and Continuity in an African Society. A Story of Ndemhu Village Ufe Turner cercò di fondere due Hvdli d'analisi: lo studio dei fatti considerati secondo la successione temporale e lo studio dei fatti prescindendo dalla loro evoluzione. Analizza qui un certo ninnerò di villaggi sulla base di studi di dimensione, mobilità, composizione genealogica e sociale, secondo
il più tradizionale dei tnetodi di ricerca, individuando le OQstmtì e le funzioni ricorrenti tra più villa^, passando suixessivamente ad analizzare la regolarità e la funzionalità di un singolo villaggio. Turner arriva cosi a mostrare una radiografia di un villaggio non solo seguendo la forma e la struttura sociale, ma disegnando un grafico in movimento, riuscendo ad esprimere la realtà dinamica e considerando, soprattutto, il ruolo dei singoli individui e di gruppi di questi nel processo sodale. Già in questo primo lavoro individua una griglia interpretativa eie utìHzzerà anche in futuro per leggere i processi di trasformazione sociale appKcandoli anche a situazioni contemporanee. Turner individua la centralità e l'importanza processuale dei conflitti (sociali e culturali) tra persone o gruppi appartenenti a un insieme sociale governato dagli stessi principi, G)nflitti che possono portare a cambiamenti radicali e a trasformazioni, oppure a rafforzamenti dello status precedente ma che comunque esprimono zone di malessere, statomi di inadattamento e bisogni di modificazione. Questi conflitti sono definiti da Turner <( drammi sociali »: in essi c'è Torigine della trasformazione, e da essi nascono anche le opere d'arte tra cui il teatro. Il dramma sociale viene individuato come il luogo della maggiore creatività, dove il nuovo si manifesta ma non sempre si afferma. Nel corso ddla mia ricerca sul campo, mi resi conto die fatti gravi turbavano la vita del gruppo sodale col quale mi trovavo a vivere. Poteva essere spaccato in due fazioni in guerra tra loro^ le partì contendenti iii^obavano alcuni ma non tutti i membri del gruppo; oppure dispute potevano avere carattere interpersonale. I disordini insomma avevano un peso diverso di portata sociale. Dopo un po' commád a riconoscere delle costanti in questi scoppi dixorb. flitt^tà: notai delle fasi nel loro sviluppo che sembravano susseguirsi in modo più o meno regolare. Queste esplosioni, che chiamo « drammi sociali » , si presentavano in forma di processo a più fasL H o diviso provvisoriamente il processo che costituisce ü « dramma sociale » in quattro fasi principali: 1, Avviene rinérazione dei normali rapporti sociali, regolati da norme tra persone o gmppi alrintemo dello stesso sistema. L'infrazione diventa di pubbüco dominio con la violazione aperta o il non adempimento di qualche norma importante che regola i rapporti tra le parti. 2. All^interruzione dei normali rapporti sociali, segue nna fase di crisi montante,
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Solo alla fine di Schism and Continuity^ Turner analizza il rituale e> studiandone la funzione politica, individua quanto questo sia unjelemento di integrazione sociale: combinando gli aspetti quantificabili e il racconto particolareggiato dei riti, viene dimostrato quanto certi rituali rappresentino i momenti di unità e di continuità di società individualiste e senza forte coesione organizzativa e politica, n ritu^^ rafcraa^i valori comuni superando le conflitti^tà, le lotte e gli scontri intestini alla comunità. Qui Tanalisi dd particolare gli permette di risalire al generale, definendo questo lavoro « un esperimento di microsodologia diacronica », dove « l'unicità, la causalità, Tarbitrarietà sono subordinate alla consuetudine all'interno di im unico sistema spazio-temporale di relazioni sociali ». Schism and Continuity è da considerarsi anche la prima ribellione operata da Turner nei confronti dell'ortodossia struttural-funzionalista, contro la chiusa e sterile analisi statistica, contrapponendo la volontà di voler leggere e presentare la società come un procedo, un campo di forze, il luogo dei conjflitti, le cui contraddizioni sono espresse, confessate, appianate o rese esplosive nd drammi sodali. 11
Introduzione dl'ediziofte itdiana
Turner continua per questa strada — opponendosi sempre pili a quella tradizione antropologica — approfondendo poi, con gli anni sessanta, lo studio di Freud e, soprattutto, di Jung — dei quali riconobbe apertamente Tinfluenza — e definì il suo campo di ricerche nella simbologia comparata, che divenne una delle caratteristiche distintive del suo lavoro. I primi segni di tale ricerca sono rintracciabili in due successive monografie: Ndembu Divination: Its Symbolism and Technique (1961) e Chihamba the White Spirit: A Ritual Drama of the Ndembu (1962). La terza sesione di quest'iiltima è intitolata « Some White Symbols in Literature and Religion: An Experiment in Cross-Cultural Comparison » e si conclude con una discussione su Moby Dick. Turner dichiara di essere stato indotto allo studio dei generi simbolici da alome implicazioni presenti nel lavoro di Van Geúnep, Les rites de passage È proprio negli anni sessanta che il testo di Van Cìennep, del 1909, viene riscoperto, approfondito e utilizzato dalla scuola antropologica britannica e, nello stesso tempo,rilanciatoin Francia da Qaude Lévi-Strauss che riteneva il lavoro di Van Gennep uno spartiacque fondamentale tra la vecchia e la nuova antropologia. Van Gennep elabora uno sdiema d'analisi che raggruppa tutte le sequen2« cerimoniali che accompagnano il passaggio da una situazione a tm'altra e da im mondo (cosmico o sociale) a un altro e die si prestano a una trattazione analitica come riti di separazione, riti di marine o liminali, riti di aggregazione. È proprio suUa fase di transizione, Hminale, che Turner focalizza il suo interesse. Lo studio sul rito si amplia e si problematizza grazie a Van Gennep: nella ricerca di Turner tale studio acquista coordinate sodali e culturali che gli permettono di superare la dicotomia schematica presente in Schism and Continuity. Ora i simboli delritualesono analizzati e studiati ciascuno per sé e poi considerati come parte di un sistema di significati più ampio, sociale e culturale, evitando ogni rischio offerto dalricorrerea categorie strettamente sociologiche. La complessità dei riferimaiti e la lettura a più livelli 12
Introdurne dVedmone {(diana
dei rituali — che aveva trovato una prima traccia ndr<( esperimento di cultm^ opposte a confronto » elaborato nel Chihamba — prende ora forma in due lavori successivi: La foresta dei simboli (1967) e II processo rituale (1969) Due testi molto importanti per Tiorner sia dal punto di vista metodologico sia da queJlo teorico. In particolare La foresta dei simboli^ che raccoglie saggi scritti in epoche diverse, documenta l'evoluzione dello studio sul rito. Il lavoro dell'antropologo non può fermarsi alla mera raccolta e classificazione dei dati e, nei confronti del rito, non può considerare solo il livello razionale e consapevole che gli appartenenti a una determinata cultura esprimono dei propri comportamenti rituali. Secondo Turner bisogna considerare tre livelli interpretativi: le interpretazioni indigene, le forme e le caratteristiche esteriori del rito e la collocazione di un determinato rito in rapporto ad altri. Questo comporta ima vasta considerazione della complessità sociale, da cui il rito prende corpo e a cui risponde, individuando nel simbolismoritualeil nucleo centrale dell'analisi perché il simbolo affonda le sue radici nella realtà concreta e soprattutto in quegli aspetti ignoti e sconosciuti anche dagli stessi agenti rituali e dallo stesso complesso sociale. Quindi è importante individuare la funzione del rito per il tessuto sociale e culturale, per individuare successivamente la complessità e la varietà dei simboli andbe estrapolandoli da quel contesto, per meglio leggerne la composizione. Questo permette di spostare l'accento dall'analisi di ciò che nel rito è da tutti riconosciuto verso quelle forze, celate e nascoste, del sociale, che in esso prendono corpo: gli obiettivi impliciti presenti nel simbolismorituale,egli afierma, spesso vanno in senso oppo-^ sto a quelli espliciti. Il simbolismo rituale acquista ndlo ! studio di Turner una nuova dimensione: i simboli partecipano, in quanto depositari della tradizione e della memoria sociale, alle trasformazioni e le rappresentano divenendo protagonisti del processo non solo rituale ma sociale.
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e valori, sentimenti e disposizioni psicologiche » rendendo pubblico dò che è privato, sociale ciò che è personale. Questa è andie una strada per superare il mero sociologismo, avviandosi a una ricerca d'inconsueta profondità di indagine e diricchezzadi analisi, verificando che nell'attività simbolica convergono sia Telemento creativo, specifico della natura e del comportamento dell^uomo e nel quale emerge la singolarità e Firtipetìbilità delle manifestaaoni individuali, sia Teletnento comunicante, che assicura la trasmissione nel tempo e nello spazio d ^ l i dementi più significativi di una cultura tra individuo e individuo e contribuisce quindi alla coesione della struttura sociale.
La compl^sità sodale esprime cosi sia forze coesive che mantengono saldo un determinato status^ sia forze innovatrici che g^erano nuovi valori e diversi rapporti interindividuali. Ogni struttura genera una antistmttura, dalla dialettica tra esse scaturiscono elementi innovatori e trasformatori per la sfera sociale e culturale. Il rapporto tra queste due strutture è stato profondamente indagato ne Il processo rìtude. Qui Turner approfondisce un altro concetto, già presente ne La foresta, preso dallo studio di Van Gennep, Les rites de passage, che è il concetto di « liminalità ». Quello che più Io ha interessato del lavoro di Van Gennep non sta nello schema come pura costruzione logica, quanto la possibilità che offriva lo schema stesso di rispondere ai fatti, alle tendenze profonde e nascoste, nonché alle necessità della vita sociale. Txxmer stesso dichiara di essere stato indotto allo studio dei generi simbolici da alcune implicazioni del lavoro di Van Gennep affermando che « l'essenza della liminalità consiste nella scomposizione della cultura nei suoi fattori costitutivi e nelk ricomposizione libera o ^ludica' dei medesimi in ogni e qualsiasi configurazione possibile, per quanto bizzarra ». La liminalità è la fase intermedia del rito di passaggio, quella fase di cambiamento in cui non si appartiene né alla struttura già acquisita, né a quella cui si deve giungere: è una fase di perdita di riferimenti verso il sociale e di ima 14
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completa estxanearione^ di destrutturazione, altamente creativa, Ma Turner dimostra, a differenza di Van Gennep, che questa fase non rappresenta im passaggio graduale (dalla separazione, al liminale, alla a^^adone) quanto un momento di rottura, di cambiamento radicale che conduce a una trasformazione anche delle strutture simboliche e sodali precedenti. Vengono introdotti qui nuovi valori e nuove strutture simboliche che non hanno un peso solo individuale, bensì acquistano xm valore collettivo. La liminalità è la forza dell'antistruttura quale unità dinamica sodale dove tutto è considerato in una situazione di sospensione strutturale. È in questi momenti che ogni membro della sodetà ricostruisce e ritrova il significato sociale globale. Ma si tratta sempre di momenti di passaggio: Tantistruttura come momento di sospensione riapre poi alla struttura, rielaborandola e modificandola. La liminalità come energia in movimento, permette il superamento dello studio statico e riduttivo recuperando le forze processuali della vita sociale, indagando nella globalità delle trasformazioni sia da un punto di vista individuale sia da quello collettivo: ora Turner ridefinisce il rito conie elemento med[Ìatore del passalo dalla struttura alla antistruttura, a una successiva stìruttura. Questa processualità influisce sul rito come sui simboli che gli sono propri, infatti dalla sua ricerca risulta chiaro che i simboli non sono costruzioni metastoriche o astoriche anzi partedpano alla processualità strutturale, assumendo significati e valori sia strutturali sia antistrutturali, condensando valori sodali, culturali e offrendo ima pluralità di significati. Nel Processo rituale Turner dimostra, differenziandosi dalle ricerche di Lévi-Strauss, che il simbolo rituale vive di una propria struttura di significati e di una propria funzione dinamica, è inserito direttamente nel processo di trasformazione o di assestamento sociale senza rispondere però a una Ic^ca lineare. Questo comporta, per lo studioso, Tacquisizione di una metodologia complessa e ampia, predsa e particolare in modo da penetrare dall'interno le strutture simbolidie per leggerle nella forma processuale individuando in e^e le meta15
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fore originarie, ricostruendo infinite variazioni subite, verificandone le funzioni sociali. ^tetìxitmra e liminalità sono le condizioni die creano la CommunitaSy cioè una base di relazioni che non rispondo no a criteri di status e di differenza tra chi ne è parte int^ grante; è una situazione di ugualità, con un rapporto — come afferma Turner citando Buber — dialogico, spontaneo e immediato tra i componenti. La fase liminale potrebbe essere riferita anche al terzo punto dei drammi sociali, quello della crisi. Sia i drammi sociali, sìa i riti di passaggio rispondono a una forma processuale: un ordine regola il crescente conflitto, la frattura in cui l'apparente pace si tramuta in aperto scontro. <& La fase di crisi — afferma Turner — mette a nudo lo schema ddlla lotta in corso fra fazioni all'interno del gruppo sociale in questione fino all'apparato formale, legale e giuridico ». H dramma sodale è il sintomo del cambiamento a>stante sia riportato a livello microstorico sia a livello macrostoria). La matrice rousseiana-kantiana della cultura ritiene che l'obbligo da parte dei soggetti di rispettare le leggi della comunità o della società derivi dalla supposizione di un totale accordo con il slatore, tanto da considerare le leggi non come volontà estranea ma come emanazione degli stessi soggetti che compongono la comunità o la società. Il tacito accordo, decretato dal momento della nascita, di adeguarsi e accettare le nonne e le leggi di una determinata comunità, si basa su un consenso implicito determinato, appunto, dalla nascita stessa. Un consenso che non prevede però, in termini giuridici, un dissenso: tanto — come dimostra Hannah Arendt ^ — da non poter definire « volontaria » la parted>azione alle norme e alle leggi che r^olano la comunità o a sodetà. Ogni dramma sodale si determina quando un gruppo infrange le norme stabilite. Sebbene Turner affermi che « ogni infrazione nei rapporti sociali è occasione per ribadire le norme che regolano il tutto », la spinta alla crisi è mossa dalla convinzione di un gruppo che i canali del cambiamento non funzionano più. Si potrebbe affermare che i drammi sodali esprimono tensioni al cambiamento e, azzardare, che il dramma sociale è la forma processuale di 16
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Ogni « disobbedienza y> comunitaria e civile die sfida apertamente regole, norme e leggi. Infatti, aflEerma ancora Tm:ner, « il dramma sociale è una sfida perpetua a tutte le aspirazioni alla perfezione dell'organÌ2sza2Ìone sociale e politica » oltre ad essere la matrice empirica da cui derivano i principali generi di performance culturale. A tutto dò va aggiunto ancora un altro dato dbe influenza positivamente le ricerdie di Tiamer: Papprofondimento delle teorie di Wilhelm Dilthey. Attraverso la teoria dell'esperienza Turner riconsidera il rapporto tra sistemi di analisi e realtà analizzata acquisendo come categoria di riferimento Tesperienza. Questo permette, ancora di più, di valutare il contesto dei fatti storici nei suoi riflessi sulla vita interiore e sul comportamento esteriore di tutta una serie di categorie umane. Qui ogni performance culturale (dalla cerimonia al rito, al teatro) è la conclusione adeguata di im'esperienza: anche il simbolismo rituale è risposta a tutto ciò, e offre un carico di significati e di simboli da interpretare. È proprio nel presente volume che Turner sintetizza e porta avanti la suaricercasui simboli come sistemi dinamd sodo-culturali, ciie acquistano e perdono significato, appaiono e scompaiono per riaffiorare ia altri di rituffi. La simbologia comparata di Turner tenta di afferrare i simboli nel loro movimento dalla nasdta individuale fino alla funzione processuale. Cosi il rituale, attraverso i simboli in cui si esprime, ha una funzione attiva, mai sderotica, formale o convenzionale, ha la forza di operare modifiche creative su se stesso e di avere una funzione trasformatrice. Ilritualemuove sempre dal cambiamento, dal conflitto o dalla trasformazione. Poiché le r ^ l e e i valori sociali, stabiliti per mezzo di questi vari rapporti — afferma Gluckman — , inducono essi stessi gji individui e i sottogruppi a entrare in coiàitto con gli stessi compagni d d gmppo ai quale sono obbligati, il rituale ha il fine di mascherare i profondi conflitti che sono sorti. Turner ed lo pensiamo die questa sia la situazione da cui scaturiscono le procedure rituali
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La simbologia rituale però, secondo Turner, esprime la più alta e contestualizzata fantasia, la trasforma e la modi17
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fica sotto gli occhi di tutti secondo tin procedimento simile a quello del teatro. L'unica differenza è die il rito accoglie e assume i conflitti e le crisi, dimostrandoli simbolicamente e mascherandoli nella sua forma diversamente dal teatro che svela i conflitti e mostra le zone oscure dell'individuo e il malessere sociale. Al teatro f ^ « In effetti il teatro è un'ipertrofia, un'esasperazione di processi giuridici e rituali; non è una semplice ripetizione della ^naturale' struttura processuale totale del dramma so; dale ». I drammi sodali sono stati sempre, nel teatro, rielaborati dal teatro. È dagli anni sessanta che buona parte di registi e attori, e soprattutto quelli meno conservatori, convenzionali e di consenso, hanno cercato di esprimere condizioni particolari più che universali, frammenti e brandelli di esperienze rielaborate in linguaggi teatrali. Non a caso questo avveniva quando si sandva la fine delle tradizioni e sì sentivano le prime conseguenze dell'ideologia che stava ^dietro agli anni del benessere e del boom economico. Per gli uomini dd Libro, come li definisce Turner, un testo chiave che dal punto di vista dello spettacolo riferisce di questi cambiamenti e che riletto oggi è un requiem per le tradizioni è Copioni da quattro soldi di Pandolfi Qui si dimostra quanto in seno alle dassi subalterne si siano venute ad elaborare attività creative autonome che hanno operato con libertà di intenti e ad esclusivo uso e consumo dei gruppi sodali fra cui sorgevano. Ma Telaborazione di una cultura subalterna comericreazionedi ordine fantastico, che muova la sua immaginazione e allarghi la sua conoscenza, si è trovata di fronte una cultura di msssa nascente, appiattente quanto convenzionale. Un libro, quello di Pandolfi, che dai rituali passa ai palcoscenid, fino ad analizzare il successo di « Lasda o raddoppia ». Parlare difinedelle tradizioni significa chiudere con un'era in cui alcune forme di spettacolo erano strettamente collegate alle tensioni sodali (come i generi popolari), dove lo spettacolo non è più fina18
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lizzato a xm avvenimento culturale riconosciuto collettivamente (come in alcune forme rituali) ma dove si oJfee a tutti la possibilità (come a « Lascia o raddoppia ») di poter essere protagonisti. Solo che mentre il teatro ha sempre funzionato da rispecchiamento e da riflesso (modificato, ingrandito, ravvicinato) del sociale, qui si oflEre a tutti la possibilità di mostrarsi, farsi vedere, essere attori nel sodale pur non avendo alcuna capacità di stare in scena, cioè di essere attori (consapevoli e coscienti) del proprio agire. Lo specchio si rompe e ciascuno ne afferra un pezzetto e tutti cominciano a mostrarsi attraverso esso: la società dello spettacolo, come un enorme specchietto delle allodole, prende il via. Il solo mostrarsi, l'esibirsi ha trovato terreno fertile nel narcisismo dell'era postpolitica degli anni ottanta che ha — chiuso il periodo 'liminale' di un lunghissimo sessantotto e ricomposti i cambiamenti realizzati più a livello antropologico che a livello culturale — ristabilito valori nelle etichette delle confezioni, nelte marche dei jeans e delle scarpe definendo un'area di piccoli manager appartenenti tutti alla stessa, omogenea quanto omologata, cultura piccolo borghese Dagli anni sessanta le strade del teatro si biforc^o (Raramente in due, una imitativa e una produttiva. La prima risente del sociale, offre consolazioni attraverso convenzionalismi stereotipati, la seconda rielabora frammenti di realtà. Entrambe riflettono, una con compiacimento, una con cinismo. La seconda, quella più vicina agli esempi riportati da Turner, individua, rielal^ra, produce esperien^, si sottrae dallo spettacolo, tenta di ricoUegare i fili di tradizioni tramontate, ne riscopre il principio attivo e cerca luoghi dove è possibile ancora fare esperienze e creare eventi. Fa toolto di più che riflettere, mette in crisi e crea corti circuiti: produce cultura e chiama in causa, direttamente, lo spettatore, « H teatro nutrito dalia civiltà non si limita a riflettere la società, piuttosto produce società, aggiunge » ^^ Per riuscire in questo c'è bisogno di un'attenzione e di una 'curiosità' nei confronti del contesto, di una capacità di riconoscere i drammi sodali e di rielaborarli teatralmente. Seguendo la lettura di Schechner: 19
Introduzione dl'edtdone staliana Turner afferma dbe questo schema occidentale di rottura, crisi, a2flone compensativa e reintegrazione è realmente universale. [...] L'interesse sta nello scoprire come anche il teatro delle culture di mia conoscenza sia conforme allo sdiema, e d ò permette di intuire una struttura universale del dramma che corre parallda al processo sociale: il dramma quindi è Tarte in cui soletto, struttura e azione trovano riscontro n d processo sociale
Tutto dò non può, però, avvenire per simmetria: il teatro parte dal sociale, prende da esso (nelle persone che lo fanno, nelle idee che esprimono, nel linguaggio che usano) e alla fine si scontra nuovamente con il sociale da cui è stato prodotto. Solo cosi, seguendo Turner, il teatro « a>ntiene al suo intemo i germi di una critica fondamentale di tutte le strutture sociali conosciute finora ». Il lavoro del teatro si gioca in un processo che viene poi contenuto nell'opera, che esprime le persone che lo agiscono, che parla di loro e, nello stesso tempo, di un tema, di un riferimento o di un testo. Agisce sui livelli intimi della persona-attore e le chiede una capacità crìtica nei confronti del suo agire in relazione alla sua consapevolezza sociale Il processo che conduce all^opera muove da quella zona di margine in cui si crea, dove ci si spoglia dell'io per vestirsi dd sé, dove si lascia l'individuo e s'incontra il soggetto. È li che inizia il lavoro di analisi, in una fase processuale che determina la scrittura teatrale, dell'attore, sulla scena. E Sdiechner utilizzando i contrasti di Lévi-Strauss sostiene che la sua complessa opera analizza i due contrasti natura/cultura, crudo/cotto. In termini teatrali l'azione « cotta » non è solo un'imitazione del comportamento problematico, è una riattualizzazione, uno stato o una sequenza di comportamento completamente nuova, ma rapportata analogicamente o metaforicamente^!
Questo ci allontana da Turner quando afierma che « ogni performance culturale, compresi il rito, la cerimonia, il carnevale, il teatro e la poesia, è spiegazione ed esplicitazione della vita stessa ». È questo che separa le ricerche di Turner da quelle, sia teatri sia antropologiche, di Gròtowski. L'umanesimo di Turner è inconciliabile con la gnostidtà di Grotowski. Con quest'ultimo saremmo portati ad 20
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aflfermare che ogni performance culturale interroga la vita, aggiunge vita, non esplica semplicemente. L'arte e il teatro in particolare — potremmo dire rileggendo Adomo — diventa fatto sodale via della sua contrapposizione alla società, e quella contrapposizione essa la ricopre soltanto come arte autonoma. Cristallizzandosi in se come fatto a sé stante invece di accondiscendere a nonne sociali esistenti e di qualificarsi come *socialmente necessaria', essa critica la società mediante il suo semplice
Passando ora dal terreno teorico a quello pratico, vengono subito a galla le difficoltà. Dalla formulazione dell'^estetica negativa' di Adomo molti anni sono passati e molte cose sono cambiate: proprio uno dei più convinti assertori della teoria adomiana dell'avanguardia, Enzensberger, riconosce che questo lioguaggio è diventato quello della pubblicità. Comt tanti altri prodotti culturali, la letteratura e il teatro sono spesso al servizio dell'esistente, facendo di tutto per ribadirlo e confermado, confortando e consolando lettori e spettatori. Accanto al teatro della 'normal a schema fisso cheriproponele sue finzioni e i suoi attori replicanti si è fatto strada un genere di teatro bestseller sofisticato e pretenzioso che emana una immortale noia. L'identificazione e il piacere del pubblico in tali generi è segnale della vittoria di una industria culturale che, nello spettacolo, rivela la sua onnipotetiza, È anche evidente che con il crescente conformismo si evita e si mettono a tacere sia le possibili crisi sìa queBe proposte culturali che infastidiscono o interferiscono nelle abituali forme di consumo. Forse possiamo trovare qualdie suggerimento iti Marcuse, che ha portato avanti le idee adomiane eliminando la contraddittorietà che le anima e spostando l'accento dal 'negativo^ al 'positivo': le possibilità possono essere individuate nella capacità dell'arte, e del teatro in particolare, di dichiarare la sua autenticità non solo nella forza del contenuto, né della forma, ma « per opera del contenuto che si è fatto forma » e di verificare la sua capacità di « infrangere il monopolio della real21
Introduzione aWedidone Udiana
tà costitmta (ovvero di coloro che Phanno costituita) e di definire dò che è rede » A questo punto, superando le miopie e le indiJÌerenze, è importante guardare, identificare e moltiplicare i 'drammi sociali', utilizzadi nel proprio processo artistico purché questi si facciano forma. STEFANO D E MATTEIS
From Ritual to Theatre ha ioaugorato la collana « Performance Studia Series » diretta da Richard Scheclmer e Brooks McNamara del Performing Arts Journal Publications, a cui ba fatto seguito una nuova raccolta dì S Ì ^ di Tumer, The Anthropology of Performance. Nella presente edizione italiana i pochi riferimenti bibliografici deU^autore sono stati inseriti nell'apparato di note che ü curatore há approntato per il lettore italiano, B curatore del volume ringrazia Fabrizio Crudani^ Renata Molinari, Rino De Pace, Giorgio Forti, Un ringraziamento particolare va a Carla Rabuffetti, per l'aiuto fornita.
Note
1 Cfr. Giovanni Arrigjii e Luisa Passerini (a cura di). La politica della parentela. Analisi situazionali di società africane in transiúoney Mi FdttinelH, 1976. 2 Brocislaw Malinowski, Argonauts of the Western Pacific, London, 1922; trad, it. Argonauti del Pacifico occidentdcy Roma, Newton Compton, 1975. ^ Ibidem, trad, it, p, 43, ^ YìctoT Tumer, Schism and Continuity in an African Society. A Study of Ndembu Village Ufe, Manchester, Mandiester University Ptess, 1957, Alcune parti di Schism and Continuity sono apparse in italiano nelTantoli^a Let pdiiica della parentela, dt. da cui più avaná sí dta, 5 Arnold Van Gennep, Les rites de passage, Paris^ Bmile Nouiry, 1909; trad, it, í riti di passaggio, Torino, Boringhieri, 1981. 6 The Forest of Symbols, Aspects of Ndembu Ritual, Ithaca and London, Cornell University Press, 1967; trad. it. La foresta dei simboli. Aspetti del rituale Ndemhu, Bresda, Morcefliana, 1976; The Ritual Process Structure and Anti-Structure, Chicago, Aldine Publishing Company, 1969; trad it, II processo rituale. Struttura e anti-struttura, Bresc Morcelliana, 1972.
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Introduzione aU'ediziofie ttdiana f Hannah Arendt, Politica e menzog^, Milano, SugarCo, 1985, in particolare il s a ^ o La disohbedienza chñle, pp, 123-166. 8 Max Gluckman (a cura di). Il rituale nei rapporti sodaliy Rama, Officina Edizioni, 1972, p. 57, ^ Vito Pandolfi, Copioni da quattro soldi, Firenze, Ludano Landi Editore, 1958. ^^ Hans Z^gnus Enzensbeiger, Sulla piccola ^rghesia, M3ano, l i Saggiare, 1983, e il più recente Alfonso Beratdinelli, Uesteta e il politico. Tonno, Einaudi, 1986. Qaudio Meldolesi, Teatro e sodologia, manoscritto inedito, cart.
IIL
^ Ridiard Schechner, La teoria della performance 197019B3, Roma, Bulzoni, 1984, p. 130. ^ Un tale concetto può trovare riferimenti sia in Turner che in Schechner: si legge di quest'ultimo: «Turner pone ü fondamento del dramma nella trasformazione^ nell'idea cioè di sperimentare, attuare e ratificare il cambiamento facendo teatro. Qui le trasformazioni avvengono in tre luoghi diversi, e a tre digerenti livelli: 1) nel dramma, cioè nella storia; 2) nei performer, ai quali spetta di sottomettersi a una temj^ranea riorganizzazione del loro complesso corpo/mente; 3) nel pubblico, in cui i cambiamenti possono essere o temporanei (intrattenimenti) o permanenti (riti) » op. cit, p. 133, Richard Sdiechner, op. cit, p. 134. 15 Theodor W, Adomo, Teoria estetica, Torino, Einaudi, p. 318. Herbert Marcuse, La dimensione estetica, Milano, Mondadori, 1978, p. 25-
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Victor Turner
Dal rito al teatro
Introduáone
I capitoli di questo libro segnano la mappa del mio viaggio personale di scoperta dagU studi antropologici tradMonali sulla performance rituàde a un vivo interesse per il teatro moderno, in particolare per qudlo sperimentale. In im certo senso, tuttavia, il viaggio è stato anche un 'ritomo del rimosso*, dato che mia madre, Violet Witter, era stata a Glasgow membro fondatcare e attrice dello Scottish National Theater, che negli anni Venti ambiva ad essere Tequivalente del grande Abbey Theater di Dublino, se non la risposta ad esso. Ma ahimé, i celti scozzesi, contaminati da progenitori normanni e calvinisti, non potevano emulare la trascinante eloquenza nazionalista o il duro metacoromento politico di un'Irlanda in lotta per la sua libertà, un'Irlanda ricca di bardi e di drammaturghi. Ben presto Ü National Theater chiuse i battenti. Mia madre però rimase una teatrante fino alla fine e, come Ruth Ehraper^ presentava dei recital attingendo Ü suo repertorio da autori allora considerati 'ribelli', come Ibsen, Shaw, Strindberg, O'Casey, Olive Schreiner e Robert Bums Era anche una specie di fermninista, e incluse fra i suoi pezzi una scelta di brani presentati con il titolo Grandi donne da grandi drammi^ che spaziava da Euripide, attraverso Shakespeare e Webster, Gingreve e Wycherly, fino a uno strano assortimento di 'moderni' composto da James Barde, Fiona McLeod (in realtà il critico William Sharp, che si presentava come donna in ornalo al rinascimento letterario celtico), Qemence Dane {la regina Elisabetta in WM Shakespeare^) e di nuovo Shaw {La grande Caterina e Candida^. Il tem ricorrente era il carisma femminile, quella sorta di maestà innata o acquisita che intimidiva i sáücenti maschi dominatori, Mio padre invece era un ingegnere elettrotecnico 27
Inlrodtmone
(o 'elettronico', come si direbbe oggi), un fantasioso uomo d'affari che aveva lavorato intensamente con John Logan Baird^ un pioniere nello sviluppo ddla televisione. Per il teatro aveva scarso interesse e scarsa capacità di discernimento, mentre adorava i romanzi di H.G. Wells (soprattutto quelli di fantascienza), che una volta aveva conosciuto di persona. Come era inevitabile die accadere nell'epoca delle « due culture 3s> teorizzate da CJ?. Snow dbe ancor più dell'« oriente e occidente » di Kipling non avrebbero mai « potuto incontrarsi », essi finirono per divor2áare, e seppellirono me^, ^pena undicenne ma già fervente nazionalista sco^ese, nonni materni, che vivevano da pensionati nel profondo sud dell'Inghilterra, a Bournemouth. Quell'angolo in riva al mare era stato onorato occasionalmente dalla presenza di Verlaine e Rimbaud, Walter Scott, Tolstoj, Robert Louis Stevenson, James Elroy Flecker e altri autori di minore importanza; ma era la sua natura, non la sua cultura, ad emozionarmi: il suo mare e i suoi promontori, la sua vicinanza alla New Forest, la fragranza dei suoi pini. Separato di fatto da entrambi i miei genitori (mia madre girava per l'Inghilterra meridionale insegnando i principi di Delsarte e la dizione alle signorine in varie Free Schools, mentre mio padre, rimasto in Scozia, 'fece bancarotta' nella depressione degli Trenta), oscillavo fra l'arte e la scienza, lo sport e i classici. A dodici anni vinsi un premio per una poesia su « Salamina », che mi procurò per molti anni Io scherno dei miei compagni di scuola e mi costrinse a mettermi in evidenza come ^^datore e giocatore di cricket piuttosto violento (conquistai vergognandomene il superbo titolo di carro armato) per cancellare le stigmate della sensibilità. Non c'è dunque da meravigliarsi se col tempo diventai un antropolo^, cioè un adepto di ima disciplina sospesa in equilibrio precario tra quelle che promuovono la 'sdenza della cultura' sul modello delle sdenze naturali dd didannovesimo secolo e quelle che mostrano come 'noi' (ocddentali) possiamo partedpare dell'umanità d e ^ altri (non ocddentali). Le prime ragionano in termini di 28
Introduzione
materialismo monointenzíonale, le seconde in termini di comunicazione reciproca. Probabilmente sono necessari entrambi i pimti di vista. Dovremmo cercare di scoprire come e perché insiemi di esseri umani in luoghi e tempi diversi sono simili e differenti nelle loro manifestazioni culturali; dovremroo anche indagare come e perché tutti gli uomini e le donne, se si sforzano di farlo, riescono a comprendersi a vicenda. All'inizio studiai con gli 'struttural-funzionalisti* inglesi, eredi non soltanto dei filosofi empiristi inglesi, Locke e Hume, ma anche dei positivisti francesi, Comte e Durkheim. Certi marxisti da salotto hanno accusato quelli di noi che n^li anni Cinquanta vivevano a contatto con la 'gente' nei villaggi africani, malesi e oceanici, spesso per diversi anni, di 'sfruttare' Ü funzionalismo strutturale per fornire una patente di oggettività 'scientifica' a un'ideologia accettata acriticamente (il colonialismo nell'antropologia prebellica, il neoimperialismo oggi). Queste arcigne «Teste Tonde» moderne (una banda infrarossa nello spettro mondiale delle maggioranze morali) sono ossessionate a tal punto dal potere, che non sono in grado di avvertire la complessità e la molteplicità di livelli dell'esistenza imiana esperita direttamente, e sono perciò incapaci di ironia e di indulgenza. L'addestramento per il lavoro sul campo risvegliò in me lo scienziato: il retaggio paterno. L'esperienza sul campo rivitalizzò la vocazione teatrale die mi veniva da mia madre. Giunsi a un compromesso inventando im'imità di descrizione e di analisi che chiamai
Introduzione
e opposizioni contemporanei di interesse e di amicizia, la rete dei loto legami personali, le loro relazioni informali. Per l'artista che era in me, il dramma rivelava il carattere individuale, lo stile personale, il talento oratorio, le differenze morali ed estetiche e le scelte dichiarate e messe in atto. Ma soprattutto mi rese consapevole del potere dei simboli neUa comunicazione umana. Questo potere non investe solo il lessico e la grammatica comuni dei linguaggi parlati e scritti, ma andbe la costruzione individude del discorso, retorica o poetica, attraverso tropi atti a persuadere: metafore, metonimie, ossimori, « parole sagge » (una figura rctonca degli Apache occidentali) e molti altri. E la^^mum mediante i simboli non si limta alle parole, pgni cultura, e ogni ìnSviduo alTintemo di essa, sfrutta Tintera gamma sensoriale per trasmettere messaggi: gesti delle mani, espressioni facciali, posizioni del corpo, respiro rapido, lieve o pesante, lacrime a livello individuale; gesti stilizzati, figure della danza, silenzi prestabiliti, movimenti sincronizzati come la marda, le mosse e gli atteggiamenti dei giochi, degli sport e dei rituali a livello culturale. Claude Lévi-Strauss fu uno dei primi arichiamarela nostra attenzione sulla molteplicità dei « codici sensoriali » attraverso i quali l'informazione può essere trasmessa, e su come essi si possono combinare e « tradurre » l'uno nell'altro Forse senza Ü mio precoce contatto con il teatro (Ü primo spettacolo che riardo chiaramente è !a versione della Tempesta di Sir Frank Benson quando avevo cinque anni), non sarei stato colpito dal potenziale 'teatrale' della vita sodale, specie in comunità cosi saldamente strutturate come i villaggi africani. Ma a nessuno sarebbe potuta sfuggire l'analogia, addirittura l'omologia, sia pure su scala ridotta o limitata, fra quelle sequenze di eventi apparentemente 'spontanei' che mettevano in piena evidenza le tensioni esistenti in quei villaggi e la caratteristica 'forma processuale' del dramma ocddentale da Aristotele in poi, o dd poemi epid e delle saghe ocddentali. Inoltre nessuno poteva non accorgersi di quando il 'tempo drammatico' si sostituiva alla routine della vita sociale. 30
Introduzione
Il comportamento assumeva quel carattere che i neurobiologi cliiamano «ergotropico)>. Secondo la loro defimaáone, esso è caratterÌ22;ato da « eccitazione, intensificazione delPattività e delle reazioni emotive ». Non c'è dubbio che se avessi posseduto gli strumenti tecnici di misurazione avrei potuto scoprire negli 'attori' « scariche simpatetiche accresciute » quali « aumento del ritmo cardiaco, della pressione del sangue, della sudorazione, della dilatazione delle pupille, e l'inibizione delle funzioni motorie e secretorie gastrointestinali » In altre parole durante i dram-x, mi sociali l'atmosfera emotiva di un gruppo è piena di tuoni, fulmini e venti variabili! Ciò che è accaduto è che il normale funzionamento della società è stato interrotto da una pubblica rottura, che può andare da una grave trasgressione dei codice di comportamento a un atto di violenza, un pestaggio o addirittura un omicidio. Tale rottura può essere il prodotto di un sentimento autentico, magari un delitto passionale, o di freddo calcolo come un'azione politica contro la struttura di potere esistente. La rottura può anche accadere sotto forma di un caso sfortunato: una lite per un boccale di birra, una frase incauta o udita per caso, una lite non premeditata. Nondimeno, una volta che gli antagonismi sono venuti allo scoperto, ì membri di un gruppo prendono inevitabilmente posizione. O altrimenti cercano di indurre i contendenti a riconciliarsi. Quindi la rottura sfocia nella crisì^ e i critici della crisi cercano di ristabilire la pace. Questi critici sono di solito persone fortemente interessate al mantenimento dello status quo ante- gli anziani, i legislatori, gli amministratori, i giudici, i sacerdoti e i tutori della legge della comunità in questione. Tutti o alcuni di loro tentano di applicare un meccanismo di compensazione^ di ^appianare^ i dissidi, di ^riannodare' i legami sociali spezzati, di 'rattoppare i buchi' nel 'tessuto sodale', con i mezzi giuridici dei tribunali e dei processi giudiziari o con quelli rituali forniti dalle istituzioni religiose: divinazione delle cause occulte del conflitto sodale (stregoneria, collera degli antenati, disapprovazione degli dèi), sacrifido profilattico, rituale terapeutico (che implica Tesordzzazio31
Introduzione
ne degE spiriti maligni e la propÍ2áazione di quelli « buoni e infine trovano l'occasione adatta per Tesecuzione di un rito importante che celebri i valori, gli interessi comuni e Tordine morale della più ampia comunità culturale ed eticariconósciuta,dbe trascende le divisioni del gruppo locale. Il dramma sociale si conclude (se mai si può dire che esso abbia un « ultimo atto ») o con la ricondliaáone delle parti in conflitto o con il loro comime riconoscere rinsopprimibilità delle dijfferenze, il che può^ comportare che una minoranza dissidente si stacchi dalla ' comimità originaria e si cerchi un nuovo habitat (il tema dell'Esodo, che però è esemplificato anche, su scala minore, dalle scissioni dei villaggi centro-africani). Nelle società moderne di grandi dimensioni i drammi sociali possono espandersi dal livello locale alle rivoluzioni nazionali, o assumere fin dall'inizio la forma di una guerra tra nazioni. In tutti i casi, dal livello deUa famiglia e del villaggio al conflitto intemazionale, i drammi sociali rivelano strati « sottocutanei » della struttura sociale, poiché ogni « sistema sociale dalla tribù alla nazione al campo delle relazioni intemazionali, è composto da diversi 'gmppi', ^categorie sociali', status e moU, disposti in gerardiie e internamente articoIatigNelle società cH picx:oIe dimensioni vi sono opposizioni tra clan, sottodan, stirpi, famiglie, fasce di età, associazioni religiose e politiche, eccetera. Nelle nostre sodetà industriali d sono familiari le opposizioni fra classi, sottodassi, gmppi etnid, sette e culti, regioni, partiti politid e associazioni basate sulla divisione del lavoro o sull'appartenenza allo stesso sesso o alla stessa generazione. Altre sodetà sono divise al loro intemo in caste e corporazioni tradizionali, I drammi sodali hanno la caratteristica di attivare queste opposmoni classificatorie, e molte altre: fazioni che possono scavalcare le divisioni tradizionali di casta, di dasse o di stirpe in nome del perseguimento di un interesse immediato comune; movimenti di 'rinascita' religiosa die possono mobilitare precedenti nemid 'tribali* per una opposizione congiunta a potenze colonizzatrid straniere con xma tecnologia militare superiore; alleanze e coalizioni in32
Itftrcdmone
temazáonali di grappi ideologicaineate eterogenei che ritengono di avere nn nemico romune (spesso ugualmente eterogeneo nella composizione nazionale, rdigiosa, di classe, ideologica ed economica) e interessi immediati comuni, I drammi sodali hanno il potere di trasformare queste opposizioni in conflittL L^ vita sodale dunque, anche nei suoi momenti di apparente quiete è eminentemente 'gravida* di drammi sodali. È come se ciascuno di noi avesse una faoáa 'della pace' e una 'della guerra', come se fossimo programmati per la cooperazione, ma preparati per il conflitto. La modalità agonistica perenne e primordiale è il dramma sodale, Ma come la nostra spede si è evoluta nel tempo ed è divenuta più abfle nell'uso e nella manipolazione dd simboli, come il nostro dominio tecnologico della natura e il nostro potere di autodistruzione sono cresduti esponenzialmente nelle ultime migliaia di anni, in misura analoga è in qualche modo aumentata la nostra abilità nelTideare modalità culturali per affrontare, comprendere, fornire di un significato e talvolta risolvere la crisi: ñ secondo stadio dell'in^tirpabile dramma sodale che d minaccia in ogni momento, in ogni luogo e ad ogni livello dell'organizzazione sodoculturale. La terza fase, qudUia delle modalità di compensazione, che ha sempre contenuto almeno il germe dell'autoanalisi, un modo pubblico per valutare ü nostro comportamento sodale, si è trasferita dalle sfere della legge e ddla religione a quelle delle varie arti. La crescente complessità della divisione sodale ed economica del lavoro, oltre a fornire k possibilità di sfuggire, grazie alla spedalizzazione e alla professionalizzazione, all'assorbimento totale nel processo sodale in atto, ha anche prodotto complessi sistemi sodoculturali con effica-, ci strumenti di autocontrollo. Mediante generi quali il teatro, comprese le marionette e il teatro d'ombre, la danza e i cantastorie professionisti, vengono offerte deHe performance che sondano i punti deboli di una comunità, chiamano i suoi capi a renderne conto, dissacrano i valori e le credenze che essa tiene in maggior conto, riproducono i suoi conflitti caratteristid proponendo per essi delle 33
Introduzione
soluzioni, e valutano in generale la sua attuale collocazione nel 'mondo' conosduto. Le radici dd teatro sono dunque nel dramma sociale, e il dramma sociale si accorda benissimo con la forma drammatica che Aristotele ha ricavato per astrazione dalle opere dei tragici gred. Ma nelle complesse società urbane, con dimensioni da 'civilizzazione', il teatro si è trasformato in un settore specializzato, all'interno del quale è diventato legittimo sperimentare modalità di rappresentazione, molte delle quali si allontanano radicalmente (e consapevolmente) dal modello aristotelico. Tuttavìa queste stesse sofisticate deviazioni sono già implicite nel fatto die il teatro deve la sua genesi specifica alla terza fase del dramma sodale, una fase che è essenzialmente un tentativo di attribuire un significato agli eventi 'sodal-dtammatici' mediante quel processo che Richard Schedmer ha recentemente definito « recupero del passato » In effetti il teatro è un'ipertrofia, ^m'esagerazione di processi giuridid e rituali; non è una semplice ripetizione della 'naturale' struttura processuale totole del dramma sodale. C'è perdo nel teatro qualcosa del carattere di indagine^ di giudizio e persino di punizione proprio della prassi legale, e qualcosa del carattere sacrale, mitico, numinoso, addirittura ^sovrannaturale' dell'azione religiosa, a volte fino ad arrivare al sacrifido, GrotowsH ha designato perfettamente questo aspetto con le sue espressioni « attore santo » e « sacralità laica » Le scuole positív^ístiche e funzionaHstiche di antropologia, le prime di cui appresi concetti e metodi, potevano consentirmi soltanto una comprensione limitata delle dinamiche dei drammi sodali. Ero in grado di contare le persone coinvolte, stabilire il loro status e i loro ruoli sociali, descrivere il loro comportamento, raccogliere da altri informazioni biografidie su di loro, e collocarle strutturalmente nel sistema sodale della comunità manifestato dal dramma sodale. Ma questo modo di trattare « i fatti sociali come cose », secondo l'esortazione che il sodologo francese Durkheim rivolgeva ai ricercatori, serviva a poco per comprendere i motivi e i caratteri degli attori di que34
Introduzione
gli eventi saturi di intenzioni, di emozdoni e di 'significati*. Gradualmente, con sc^te temporanee per studiare i processi simbolici, le teorie sull'interazione simbolica, le idee dei fenomenologi sociali e quelle degli strutturalisti e dei decostruzionisti francesi, fui attratto verso la posizione fondamentale delineata dal grande pensatore sociale tedesco Wilhelm Dilthey, che in fotografia fa pensare a un vecchio contadino dai capelli grigi. Questa posizione si basa sul concetto di esperienza vissuta (in tedesco; Erlebnis, letteralmente « dò che si è vissuto fino in fondo »). Kant aveva sostenuto che i dati dell'esperienza sono « privi di forma ». Dilthey non era d'accordo Egli riconosceva che qualunque « molteplidtà » osservabile, sia essa una formazione o un organismo naturale, una istituzione culturale o un evento mentale, contiene certe relazioni formali che possono essere analizzate. Dilthey le chiamò « categorie formali »: unità e molteplicità, somiglianza e differenza, tutto e parte, grado, e altri concetti elementari di questo genere Hodges, nel suo libro su Dilthey, riassume cosi questa concezione: Tutte le forme del pensiero discorsivo analizzate dalla logica formale e tutti i concetti fondamentali della matematica possono essere ridotti a queste categorie formali. Esse costituiscotto un sistema entro il quale deve trovar posto ogni pensiero su qualsiasi argomento* Sono applicabili a tutti i possibili oggptti del pensiero, ma non esprìmono la natura peculiare di nessuno di essi-, e come senza di esse nulla può essere compreso, cost nulla può essere compreso con esse soltanto^ [i corsivi sono miei].
Dilthey prosegue sostenendo che Tesperienza, nel suo aspetto formale, è più ricca di quanto le categorie formali generali possano rendere conto. Non è che Ü soggetto percipiente imponga categorie come lo spazio, la sostanza, la causalità, l'azione reciproca e cosi via al mondo fisico, e la durata, la libertà creativa, il valore, il significato e simili al « mondo spirituale Piuttosto, gli stessi dati delTesperienza contengono una « tendenza alla forma », e il compito del pei^iero è di elaborare la « connessione strutturale » ^ implidta in ogni Erlebnis o unità di esperienza 35
Introduj^ume
osservabile, sia essa un affare di cuore, una cause célèbre di importanza storica come il caso Dr^rfus, o un dramma sociale. Le strutture dell'esperienza, per Dilthey, non sono le esangui 'strutture conoscitive', statiche e 'sincroniche', tanto care all'approccio strutturalista allo studio del pensiero che per tanto tempo ha dominato l'antropologia francese. Ovviamente, la conoscenza è un aspetto, sfaccettatura o 'dimensione' importante di qualsiasi struttura d'esperienza. n pensiero chiarifica e universalizza l'esperienza vissuta, ma questa è intrisa di sentimento e di volontà, fonti rispettivamente dei giudizi di valore e delle norme. Dietro l'immagine del mondo di Dil&ey c'è il fatto fondamentale dell'essere umano totale (!'« uomo vivo » di DJH. Lawrence) alle prese con il suo ambiente, dell'essere umano che percepisce, pensa, sente, desidera. Come egli dice, « la vita coglie la vita ». E Hodges continua: Tutte le stmtture intellettuali e linguistiche che i filosofi studiano, e dalle cui complessità e oscurità sorgono i problemi della filosofia, sono episodi di questa interazione fra l'uomo e il suo mondo
Secondo me l'antropologia della performance è una. parte essenziale dell'antropologia dell'esperienza. In un certo senso, ogni tipo di performance culturale, compresi il rito, la cerimonia, il carnevale, il teatro e la poesia,, è spiega2áone ed esplicazione della vita stessa, come Dñthqr sostenne spesso. Mediante il processo stesso della perfor-| ^ mance dò che in condisioni normali è sigillato ermeticamente, inaccessibile all'osservazione e al ragionamento quotidiani, sepolto nelle profondità della vita sociocuitur^e,è tratto alla luce: Dilthey usa il termine Ausdruck, « espressione », da ausdrücken^ letteralmente « premere o spremere fuori ». Il 'significato' è 'spremuto fuori' da un • evento che è stato esperito direttamente dal drammaturgo o dal poeta, o che relama a gran voce una comprensione {Verstehen) penetrante e fantasiosa. Un'esperienza vissuta è già in se stessa tm processo che 'preme fuori' verso un"espressione' che la completi. Qui l'etimologia di per36
Introduzione
formance può fornirci un indizio prezioso: essa infatti non ha niente a che fare con 'forma', ma deriva dal francese antico parfourmfy <( completare » o « portare completamente a termine ». Una performance è quindi la conclusione adeguata di un'esperienza. I cinque 'momenti' ddl^Erlebnis presentati da Dilthey hanno una struttura processuale, sono collegati geneticamente. Ciascun Erlebnis o esperienza vissuta particolare ha: a) ìm nucleo percettivo (piacere o dolore possono essere avvertiti più intensamente che nei comportamentiripetitivi,divenuti routine); h) immagini di esperienze passate vengono evocate con « insolita chiarezza di contorni, poten:^ di senso ed energia di proierione » c) Ma gli eventi passati rimangono inerti a meno che i sentimenti originariamente collegati ad essi non possano essere pienamente rivissuti d) il « significato » ^ si genera con il pensare, connotato « sentimentalmente », alle interconnessioni fra gli eventi passati e quelli presenti. Qui Dilthey distingue fra « significato » {Bedeutung) e « valore » {Wert) Il valore appartiene essenzialmente a un'esperienza in im presente cosciente e inerisce al godimento aJBFettivo di esso. I valori non sono interiormente connessi tra loro in modo sistematico. Come dice Dilthey: La vita appare, da questo ptmto di vista del valcoe, come ima pienezza infinita di valori esistenziali positivi e n a t i v i , una pienezza di valori propri. Essa è un caos di armonie e dissonanze, in cui le dissonanze non si risolvono però nelle armonie. Nessun suono, die riempia un momento presente, ha xin rapporto musicale cx>n un altro antenote o successivo
Il processo di scoperta e determinazione del « significato » consiste invece proprio nel porre il passato e il presente in un « rapporto musicale ». Tuttavia essere pervenuti a un significato per conto proprio non è sufficiente; e) un'esperienza vissuta non è mai veramente completa finché non viene « espressa », cioè finché non viene comunicata in termini intelligibili dagli altri, tramite il linguaggio o in altro modo. La cultura è appunto l'insieme di tali espressioni: l'esperienza vissuta d e ^ individui resa 37
Introduzione
disponibile alla scxietà e accessibile alla penetrazione simpatetica di altri ^spiriti'. Per questa ragione Dilthey pensava aUa cultura come allo « spirito elettivo » {objectiver Geist) Secondo lui « la nostra conoscenza di dò che è dato ncWErlehnis á amplía mediante Tinterpretazione delle oggettivazioni della vita, e questa interpretazione, a sua volta, è resa possibile dall'immersione neUe profondità delTesperienza soggettiva » Perciò noi possiamo conoscere le nostre profondità soggettive non solo attraverso Tintrospezione, ma andie esaminando le oggettivazioni significative ^espresse' dagli altri spiriti. Inversamente, l'autoesame può fornirci indicazioni per penetrare le oggettivazioni della vita generate dall'esperienza altrui. In ciò è implicita una sorta di « circolo ermeneutico o meglio di
lí^oiuúone
affermerei che molte azioni esprimono e realizzano progetti e scopi inconsci. Questa componente formativa inconscia è ancora piti importante per quanto riguarda la terza classe di espressioni: le opere d'arte. Dilthey doveva essere consapevole della sua importanza quando scriveva: Dispongo davanti a me il complesso delle pubblicazioni artistiche, letterarie e scientifiche di Goethe, e il resto dei suoi scritti Qui può essere risolto ü problema di comprendere la loro intima natura, tu un certo senso megUo di quanto Goethe non comprendesse se stesso
Le opere d'arte sono profondamente diverse da molte espressioni dell'esperienza politica, che sono sottomesse al potere di interessi ^oistici o di parte, e quindi sopprimono, distorcono o falsificano i prodotti d^'esperienza autentica. Gii artisti non hanno nessun motivo per ingannare o per nascondere qualcosa: essi si sforzano al contrario di trovare la forma espressiva perfetta per la loro esperienza. Come scrisse Wilfred Owen, in forma di opere d'arte, i lettori, gli spettatori o gK ascoltatori possono riflettere su di esse, poiché si tratta di messaggi degni di fede dalle profondità della nostra specie, e della vita « umanizzata » che, per cosi dire, si discìdude. Ricapitolando, dunque, abbiamo tracciato una via che dalla terza fase del dramma sodale conduce alla performance teatrale, la quale risulta quindi coUegata al « quinto momento » di un Erlebnis diltheyano, o imita d'esperienza strutturata. È in questo momento che il poeta, l'artista o il drammaturgo « dispiega liberamente le immagini oltre i confini della realtà » L'artista cerca di penetrare l'essenza stessa àé^*Erlebms. Cosi facendo dà libero accesso alle profondità dove « la vita cogEe la vita ». 39
ìntrodtmone
N^Ji ultimi dnque anni sono stato direttamente iniziato (k Ridiard Schedbner al lavoro del teatro sperimentale che erafioritonegli Stati Uniti nei tardi anni Se^anta e nei primi anni Settanta, ma che purtroppo c ^ sembra ridotto alle ultime scintille. Molti dei saggi di qu^to libro sono coU^ati alle teorie di Schedmer e alla sua attività pratica di regista. Il teati» di Scbechner era attento ai drammi sodali del nostro tempo, e cercava, « dispiegando liberamente le immagini oltre i confini della realtà », di afferrare la natura delle sue difficoltà. In realtà l'intero processo che metteva in moto dopo aver scelto un tema drammatico era più o meno una traduzione in termini pubblici e espliciti del movimento interiore, descritto da Dilthey, éaSÌ^Brlebnis come ^perienza immediata al suo esito significativo ed estetico, sotto forma di opera d'arte. La « esperienza immediata » era di solito qualche problema della vita privata di Scbechner o di quella del Performance Group di cui era direttore. Egli allora si metteva alla ricerca di un 'testo' o di un 'copione' die gli servisse da specchio, da strumento di riflessione, per esaminare fl suo problema. All'« esperienza immediata )> era legato anche il processo di assegnazione delle parti, il cui complesso meccanismo non ho qui lo spazio per descrivere. Poi cominciava la iase di 'laboratorio', che spesso durava per_ più di un anno, e che una volta mi venne da paragonare all'accampamento nella foresta dove i novizi vengono iniziati nei riti africani di circoncisione, nel corso dei quaBT i neofiti vengono introdotti alla conoscenza esoterica, addestrati in utili tecniche pratiche, sottoposti a prove, messi a confronto con figure mascherate e numinose che rappresentano divinità e remoti progenitori della tribù, vengono loro descritti i miti dell'origine e, di fatto, la loro ^ precedente personalità sodale viene dissolta al fine di ^ farli ricrescere per usare un'espressione aj6ricana molto j nota, come persone mature e capad di autocontrollo. Come avviene abitualmente nel teatro 'postmoderno' (doè sue- í cessivo alla seconda guerra mondile), a volte il testo viene ' composto {o testi di drammaturghi vengono smontati e j poi rimontati) nel corso delle prove. H testo non occupa ' 40
Introdurne
I una posizione di privilegio. Lo spazio scenico^ gli attori, i il r ^ t a , i messi utilizzati (strumenti di amplificazione e distorsione delle voci, schermi televisivi, film, diapositive, nastri registrati, musica, recitazione in play back, fuochi d'artificio e molti altri), la prolungata separazione fra Fattore e il personaggio ottenuta mediante svariati accorgimenti, tutti questi fattori ed espedienti v ^ o n o combinati e ricombinati in modoflessibile,come riflessi di quella volontà comune che sorge dai rari momenti di « communitas » fra gii uomini che fanno parte del gruppo teatrale. Questi mezzi e codici espressivi multiformi e indeterminati sono risposte provvisorie e sperimentali ^'esperienza dei membri della subcultura teatrale postmoderna in quanto membri della nuova biosfera-noosfera (per usare i termini di Teilhard de Chardin) creata dal salto di qualità dei mem di comunicazione e di trasporto planetari, dalla computerizzazione di miriadi di « bit » di informazione, dall'espansione tentacolare delle multinazionali, rette da invisibili oligarchie che si sottraggono al riconoscimento politico diretto, e soprattutto dalla spada di Damocle della distruzione nucleare che oggettivamente minaccia tutto e soggettivamente blocca a metà strada il progressismo umanistico, 'moderno'. Schediner sostiene questa tesi in un recente articolo. Egli eqxiipara !'« esperienza » a « avvenimenti abituali in una dimensione lineare », « narrativa » e al « significativo », e l'attribuisce alla visione « moderna » dell'azione umana essenzialmente rinascimentale, oggi superata Ma il termine non può in realtà essere àteoscritto entro confini spaziotemporali cosi angusti. La parola « esperienza » si è mantenuta, in diverse forme affini, in molte lingue derivate dall'indoeuropeo originario. Per analogia con la geologia, l'archeologia e la psicologia del profondo, si potrebbe considerare l'etimologia delle parole diiave ddle Éngue principali come im sistema a più livelli i cui strati sono composti da sedimentazioni successive dell'« esperienza » storica. Dopo tutto l'etimologia è un modo di « recuperare il passato », una forma di « autoriflessione » Imguistica. La crosta geologica della terra, composta 41
IntToduxhne
di molti livelli o 'laminata', è ancora 'viva' (si pensi alreru2áone di monte St. Helen); ancora più viva è la 'mente' o 'psiche' umana, con i suoi livelli conscio, preconscio e inconscio, ciascuno suddiviso in strati o fasce depositate da ripetute 'esperienze traimiaticiie' o drammatiche. I neurobiologi che studiano il sistema nervoso centrale riconoscono la sopravvivenza di strutture 'arcaidie' nel cervello, nel proencefalo e nei sistemi autoncmd, che continuano ad interagire con la neocorteccia. In modo simile, i 'sensi' passati di una parola moderna hanno influenzato ñ suo attuale spettro di significati. Alcuni studiosi, fra cui Julius Pokomy riportano il termine « esperienza x^ ad una ipotetica base o radice indoeuropea ^pev'y « tentare, azzardare, rischiare », da cui deriverebbe il greco peira^ « esperienza », fonte della nostra parola « empirico ». Essa è anche la radice verbale da cui deriva il germanico "^feraZy che ha dato origine al termine dell'inglese antico faery « pericolo, disgrazia improvvisa », da cui l'inglese moderno fear^ « paura ». Possiamo già vedere come ^per- prenda direzioni 'gnoseologiche' nd contesto greco e direzioni affettive in quello germanico: il che, c'è da scommetterci, avrebbe destato l'interesse di Dilthey. Ma più direttamente, experience deriva, passando per il medio inglese e il francese antico, dal latino experientiay che significa « tentativo, prova, esperimento », a sua volta generato da experiens, participio presente di experiri, « tentare, esaminare », composto da ex, « fuori », e dalla radice per come in perituSy « esperto », « colui che ha imparato mediante tentativi ». Con l'aggiunta del suffisso, si tramuta nella forma più estesa ^peri-tlo, da cui il latino periclum, periadumy « tentativo, pericolo, cimento ». Ancora una volta troviamo il concetto di esperienza collegato a quello di rischio, tendente verso il 'dramma', la crisi, anziché verso un blando apprendere in senso puramente conoscitivo! La forma con suffisso dell'indoeuropeo ^per-y per-ya, emerge, come abbiamo già detto, nel greco peira, ma ciò che avevamo tralasciato di dire è che la parola « pirata » deriva da quella parola greca, passando per peirateSy « aggressore », da peiran, « tentare, aggre42
Introdtmone
dire ». Risalendo ancora più indietro, studiosi di etimologia quali Walter Skeat e Pokomy ritengono die la radice verbale facda parte di un gruppo foneticamente simile, il cui concetto centrale sta forse alla base di q u ^ ' avverbi e preposizioni il cui nucleo semantico è , la cui radice è l'idea di « passaggio periojloso », o addirittura di « rito di passaggio ». Sempre da "per- derivano le parole inglesi \are (viaggiare) e ferry (tragitto, traghetto), in base ^ a legge di Grimm che descrive i mutamenti regolari cui vanno soggette le consonanti plosive indoeuropee quando si ripresentano nel germanico (in questo caso, k p si trasforma in f) Infine, anche « esperimento », come
Introduzione
che un « pensate all'indietro ». È andie un « volere o desiderare in avanti », doè uno stabilire mete e modelli per Tesperienza futura, nella quale si spera che gli errori e i risài dell'esperien2a passata saranno evitati o eliminati. n teatro 'sperimentale' non è altro die l'esperienza portata a compimento nella performance, cioè « recuperata », qud momento nel processo esperienziale (un 'momento' spesso protratto e internamente articokto) in cui il significato emerge mediante il 'rivivere' l'esperienza originaria (spesso un dramma sociale, percepito soggettivamente), e viene dotato di ima forma estetica appropriata. Questa forma diventa poi parte integrante della sapienza comunicabile, e aiuta gli altri (mediante il Verstehen, Tintendere) a intendere meglio non solo se stessi ma anche ì tempi e le condizioni culturali dei quali si compone la loro « esperienza » complessiva della realtà. Sia Richard Sdiechner che io, affrontando questa questione da direzioni diverse, vediamo nel teatro un mezzo importante per la trasmissione interculturale di modalità d'esperienza faticosamente acquisite. Una perfetta comprensione transculturale non può mai essere raggiunta, se mettiamo in scena ciascuno gli altrui drammi sociali, riti e performance teatrali con ima piena conoscanza dd tratti salienti del loro originario contesto sodoculturale, il lungo e intenso lavoro che Schechner dhlama « il processo di training-provepreparazione » non può non awidnare gli attori a « modi diversi di vedere » e di cogHere quella « realtà » che le nostre formazioni simbolidie si sforzano da sempre di comprendere e di esprimere. Ho iniziato questa introduzione con una nota autobiografica e la concludo con un appello alla comprensione culturale su scala planetaria. A Qiarlottesville, in Virginia, dove ora insegno all'università, l'espressione « Mr. Jefferson l'avrebbe approvato » è il suggello finale che ratifica qualsiasi azione- Analogamente, a me piace pensare che « il professor Dilthey avrebbe approvato » i tentativi compiuti da un pugno di antropologi, di studiosi e di professionisti del teatro per sviluppare un'antropologia e un teatro dell'esperienza dbe cerdii di « comprendere le altre 44
IntTodumne
persone e le loro espressioni sulla base della propria esperienza vissuta, dell^autocomprensione e deE'interazione costante fra le due » Qui fra le « altre persone » sono compresi i membri di ogni cultura e di ogni paese di cui possediamo una documentazione abbastanza ricca per poter essere utilizzata ai fini di ima performance. I materiali etnografici, le letterature, il rituáe, le tradizioni teatrali di tutto il mondo stanno oggi a nostra disposizione come base per una nuova sintesi comtmicativa transculturale da realizare mediante la performance. Per la prima volta possiamo procedere verso una compartecipazione a esperienze culturajyi, alle molteplici « forme dello spirito <^ettivo », il cui originario sfondo affettivo può in qualche modo essere recuperato attraverso la performance. Questo può essere un modesto passo avanti per allontanare Timianità dalla distruzione che sicuramente attende la nostra spede se continuiamo a coltivare deliberatamente l'incomprensione reciproca in nome di interessi di potere e di profitto. Possiamo imparare dall'esperienza, dalla messa in scena e dalla performance delle esperienze trajtnandate culturalmente dagli altri popoli, da quelli della Brughiera come da quelli del Libro.
Note 1 Ruth Drai^ (1889-1956), attrice nordamericana, dicitrice e interprete di monologhi. Si esibiva in riviste o in 'assoli'; numetosissime le sue tournée in Europa; fu in Italia nel secondo dopoguerra. 2 Uno degli spettacoli della Diaper su questi autori fu A Man's a Man for a^Tbat. 3 Qemence Dane, Wül Shakespeare. An invention in four acts, London, Heinemann, 1921. ^ John Logan Baird (1888-1946), fisico inglese, fu il primo a realizzare un sistema di televisione. 5 Charles Percy Snow (1905), sdenziato e narratore inglese. Le due adirne è un saggio, del 1959, sulla frattura tra scienza e valori umanistici nella sodetà moderna6 Francois Delsarte (1811-1871). Il suo melx>do e i suoi principi sono ricavati dall^osservazione dei compoitaioenti spontanei sostenendo die « a o ^ ftinaone spirituale corrisponde una fuiKdone del corpo » e mirava li a realizzare una perfetta traduzione delle funzioni psichiche e spi-
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Introdtmone
rìtaali in movimenti espressivi. Da lui deriva sia la danza libera di Isadora Duncan áa la teoria delle contraction and release di Martha Graham. ' n « dramma sociale » è uno dei concetti base dellateoriadi Turner; ne pada difusamente nel secondo e tesso capitolo del presente volume e, in particdare, in Schism and Continuity in an African Society. A Study of Ndembu Village Ufe, Manchester, Manchester University Press, 1957 (di cui i capitoli IV e V sono appai^ in La politica della parentela. Analisi situazionali di società africane in transizione, a cura di Giovan A r r i ^ e Luisa Passerini, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 147-207. Altri riferimenti al concetto di «dramma sociale» sonorintracciabiliin: The Forest of Symbols. Aspects of Ndembu Ritualy Ithaca e London, ComeO University Press, 1967; trad, it. La foresta dei simboli. Aspetti del rituale Ndembu, Brescia, Moicelliatia, 1976; The Drums of Afflictin. A Study of Religious Processes among the Ndembu of Zambiay Oxford, The d i n d o n Press, 1968; Sociology of Simbols, Social Drama and Ritual Symbols, nell'anabito del seminario dal tema ^ t u a l and Symbols»^, Univetsity of Chicago, 1971; Dramas, Fields, and Metaphors. Symbolic Action in Human Society, Ithaca, Cornell University Pr¿s, 1974. ® Cfr. Claude Lévi-Strauss, 11 crudo e il cotto, Milano, H Saggiatore, 1966, Antropologia strutturale, Milano, H Saggiatore, 1966, Il pensiero selvaggio, Milano, II Sa^iatore, 1964, Vita familiare e sociale degli Indiani Nambikwara, Torino, Einaudi, 1970. ^ Sir Francis Robert Benson (1858-1939) è stato uno cki phi rinomati interpreti scespiriani. H suo nome è leg^o soprattutto all'attività che svolse ndle province inglesi. Scrisse di lui Shaw «Benson è del parere die sia m ^ o regnare in provincia piuttosto che sottostare alla volontà dei finanziatori per raggiungere la scomoda posizione di direttore a Londra». È stato una delle forze propulsive del teatro inglese con una scuola d'arte drammatica e con la sua compagnia che Si definita la « nursery » delle scene britanniche. Barbara Lex, Neurobiology of Ritual Trance, in E. d'Aquili, C Laughlin, Jr. e J. McManus (a cura di), The Spectrum of Ritud, New York, Columbia University Press, 1979, pp. 117-151. ^ Ridiard Scfaechner, Restoration of Behavior, pi^licato in «Studies in Visual Communication 1981 e raccolto nell'edàione italiana dei suoi scritti La teoria della performance 1970-1983, Boma, Bulzoni Editore, 1984, pp. 213-301. ^ Cfr. Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, Roma, Bulzoni Editore, 1970. ^ Per le citazioni rimandiamo all'antologia Wilhelm Dilthey, Critica della ragione storica, Torino, Einaudi, 1982 in particolare alla terza sezione Nuovi studi sulla costruzione del mondo storico nelle scienze dello spiri La critica alle formulaziom' kantiane è in Dilthey, op, cit., p. 49 ss., p. 294 ss. ^^ Dilthey a£Eerma che « Le categorie formali sono modi di dire relativi a ogni realtà », op, cit., p. 295, e più avanti: « le categorie formali sono espressioni astratte per i procedimenti logici della distinzione e delllden> tità^ deE'^prendimento e dei gradì della distinzione, dell'unione e della separazione. Esse sono un esperire di grado superiore, die constata sdtanto e non costruisce a priori. Esse si presentano già nel nostro pensiero primario e si &imo valere egualmente nel nostro pensiero discorsivo, legato a segni, su un grado più alto. Esse sono le condirioni formali tanto
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Introduzhne dell'intendere quanto del conoscere, tanto defle scienze dello ^itito quanto delle scienze della natura», op. cit.y p, 301. 15 H.A. Hodges, The FMosopby of Wtlelm Dilthey, London, Roudedge and Kegan Paul, 1952, pp. 68-69. Dilthey, op, cit., pp. 54, 65, 72, 299. Hodges, op. át^ p. 349, Rudolf A. Makteel, Dilthey. The Philosopher of the Human Studies, Princeton, Princeton University Press, 1975, p. 141. DUthey, op. cit., pp. 335-336. Ibidem, p. 337 ss, 21 Ibidem. 22 Ibidem, p. 342. 23 Dilthi^, op, cit., p. 315. « Per spinto otggettivo intendo le molteplici forme in cui si è c^ettivata nel mondo sensibile k comunanza che sussiste tra gli individui
. 24 Ciía2áoQe tratta dall'antologia dütheiana curata da H P . Rkkman, Selected Writings, London, Cambridge University Press, 1976, pp. 195196, 25 W. Dilthey, Gesammdte Scbriften, Teubner, Liepzig e Berlin, Vandenhoeck & Ruprecht, 1927, pp. 205-206, vol VIL 26 Cfr. Hodges, op. cit., p. 130. ^ Dilthey, Gesammelte Schriften, dt., p. 206. 28 ibidem, p, 207. ^ Ibidem, p. 137. II concetto di « communitas viene più avanti definito come « la liberazione delle potenzialità umane di conoscenza, sentimento, volizione, creatività ecc., dalle costriàoni normative che impocigooo di occupare una serie di status sociali, di impersonare una molteplidtà di tuoH». Ne Il processo rituale^ dt., pp. 147-148, Turner definisce k communitas come «un rapporto tra i^vidui concreti, storìd, particolari [...] non frazionati in ruoli e status ma [che] si trovano ^ uni di fronte agli altri [in un] incontro diretto immóiiato e totale tra identità umane. [.,,] Raramente la spontaneità e Fimmediatezza delk communitas — CCMItrapposta al carattere giuridico-politico delk struttura — possono mantenersi molto a lungo. È la communitas stessa che sviluppa ben presto una struttura, ndk quale i rapporti liberi tra gfi individui si trasfomiGano in rapporti diretti da norme tra persone sociali Schechner, The End of Humanism, in « Perforaiing Arts Journal », 10/11, IV (1979), nn. 1-2, pp. 11,13; trad, it. in « Adiab», supplemento a «Scena», 1981, n. 5. ^ JuHiis Pokomy, Indogermanisches Etymclogisches Wortethuchy Bern, 1959. ^ Jacob Grimm (1785-1863) scrittore e erudito tedesco impegnato in ricerche storico-linguistidie e storico-culturali. Ha impostato nel 1852 un monumentale dÍ2áoiiario tedesco. La l^ge di Grimm è k formulazione della ptima rotazione consonantica delle Itr^ffl^e germaniche. ^ Letteralmente:
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Capitolo primo
Dramma e riti di passaggio, lo svago e il lavoro. Saggio di simbologia comparata Per prima cosa voglio spiegare die cosa intendo per 'simbologia comparata^ e in che senso, grosso modo, essa differisce da discipline quali la 'semiotica' (o 'semiologia') e la 'antropologia simbolica', die hanno ugualmente a che fare con lo studio di termini come simboli, segni, sanali, significaaoni, indici, icone, significanti, significati, veicoli di segno, denota2doni, ecc. A me interessa piuttosto esaminare alcuni dei tipi di processo o contesto sodo-culturale nei quali di solito vengono generati nuovi simboli verbali e non verbali. Questo mi condurrà a \m confronto fra fenomeni « liminali ^ e « liminoidi », termini die voglio brevemente considerare. Secondo il New World Dictionary di Webster, la « simbologia » è « lo studio o Pinterpreta2áone dei simboli è anche « rappresentazione o espressione per me22:o di simboli ». H termine 'comparata' significa semplicemente che questa branca di studi annovera fra i suoi metodi la comparazione, come ad esempio nel caso della linguistica comparata, La simbologia comparata è più ristretta della 'semiotica', o 'semiologia' {per usare il termine di Saussure ^ e di Roland Barthes e più ampia dell''antropologia simbolica' per quanto riguarda la gamma e l'estensione dei dati e dei problemi. G>me tutti sanno, la 'semiotica' è « ima teoria generale dei segni e dei simboli, in spedai modo l'analisi della natura e delle relasioni fra i segni nd linguaggio, e normalmente comprende tre branche: la sintassi, la semantica e la pragmatica ». a) Sintassi: le relazioni formali redproche fra i segni e fra i simboli, prescindendo dai loro utenti e riferimenti estemi; l'organizzazione e la struttura relazionale di gmppi, espressioni, frasi, enunciati e struttura enunciativa. b) Semantica: la rdazione dei segni e dd simboli con 49
Dramma e riti di passaggio
le cose alle quali essi si riferiscono, cioè il loro significato referen2áale. c)"Pragmatica-,le relazioni dei segni e dei simboli con i loro utenti. Nella mia analisi dei simboli rituali, alla sintassi corrisponde più o meno ciò che io chiamo « significato posizionale », alla semantica il « significato esegetico » e alla pragmatica il « significato operazionale ». La semiologia sembra avere ambizioni assai più vaste die non la semiotica, dal momento che viene definita come la « scienza dei segni in generale », mentre la semiotica si limita a considerare i s^ni del linguaggio, benché Roland Barthes sostenga che « la linguistica non è una parte [...] ddla scienza generale dei segni, ma viceversa la semiologia è una parte della linguistica » La simbologia comparata non è direttamente interessata agii aspetti tecnici della linguistica, ha invece parecdiio a che fare con molte specie di simboli ìion verbali nel rituale e nell'arte, benché sia generalmente riconosciuto che tutti i linguaggi culturali hanno importanti componenti, relais o 'significati' linguistici. Nondimeno, essa si occupa delle relazioni fra i simboli e i concetti, sentimenti, valori, nozioni, ecc., associati ad essi dagli utenti, dagli interpreti o ¿Sí^ esteti; in breve, ha dimensioni semantiche^ ha a che fare con il significato linguistico e contestuale. I suoi dati sono ricavati per la maggior parte dai generi o sottosistemi culturali di una cultura espressiva. Essi comprendono sia i generi orali che quelli scritti, e si possono annoverare fra essi tanto le attività che associano azioni simboliche verbali e non verbali, come il rito e il dramma, quanto i generi narrativi, come il mito, Tepica, la ballata, il romanzo e i sistemi ideologici. Si potrebbero anche aggiungere forme-non verbali come il mimo, la scultura, la pittura, la musica, il balletto, Parchitettura, e molte altre ancora. Ma la simbologia comparata non si accontenta di stu\ diare i generi culturali astraendo dall'attività sociale umana. Se lo facesse diventerebbe semiologia, il cui corpus di dati « deve eliminare al massimo gli elementi diacronici » e coincidere « con uno stato del sistema, con uno ^spaccato' 50
Dramma e riti di passaggio
della storia » Nel 1958, considerando i dati sul rituale che avevo raccolto durante il lavoro sul campo fra gli Ndembu dello Zambia nord-ocddentale, scrissi di non poter analizzare [questi] simboli rituali senza studiarli in serie temporale in rapporto ad altri ^eventi* [dove anche il sìmbolo è corisTderato un ^evéito^ e Hòn ima 'tósa'}^ pcnché í singoli sono intimamente connessi al processo sodale [e anche ai processi psicologici, aggiiingerei o ^ L Sono arrivato a considerare le esecuàoni del rituale come fasi distinte del processo sodale grazie alle quali i gruppi riusdvano a trovare im aggiustamento alle modificazioni inteme (sia che essi fossero determinati da dissensi personali o di fazioni e conflitti fra norme, sia die derivassero da innovazioni tecniche o organizzative) e un adattamento all'ambiente estemo (tanto sodoculturale quanto fisico-biologico). Da questo punto di vista il simbolo rituale diventa un fattore di azione sociale, una forza positiva in un campo di attività» I simboli inoltre svolgono un molo cmdale nelle situazioni di mutamento della sodetà: il simbolo viene assodato agli interessi, agli intenti, ai fini, alle aspirazioni e a ^ ideali umani, individuali o collettivi, indipendentemente dal fatto che questi siano esplidtamente formulati o che si debba inferirli dall'osservazione del comportamento. Per queste ragioni, la stmttura e le proprietà di un simbolo rituale diventano quelli di un'entità dinamica, almeno nell'ambito del contesto di azione che gli è proprio ^
Più tardi esamineremo più da vicino afcune di queste 'proprietà'. Ma qui voglio sottolineare che proprio perdié fin ddVinizio ho definito i simíx)li come sistemi dinamici sodo-culturali — che perdono e assumono significati nel corso del tempo e mutano di forma — non posso considerarli meramente come dei 'termini' in un sistema gnoseologico atemporale, logico o protologico. Non c'è dubbio^ che nei generi spedalizzati delle sodetà complesse, come i sistemi filosofìa, teologid e k^co-formali, i simboli, e i segni derivanti dalla loro scomposizione, acquistino davvero questo carattere 'algebrico' o logico, e possano essere effettivamente considerati in base a relazioni di 'opposi- ^ zione binaria', come 'mediatori' e via dicendo, snaturati dal i predominio dell'attività conosddva specialistica. Ma les symboles sauvages, come appaiono nelle culture tradizionali, 'tribali', e anche nei generi di 'intrattenimento culturale' come la poesia, il teatro e la pittura ddUa sodetà 51
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postindustriale, hanno il carattere di sistemi semantici dinamici, die acquistano e perdono significati {e in un contesto sodale il significato ha sempre dimensioni emotive e volitive) anche solo nel « viaggiare attraverso » un singolo rito o opera d'arte, figuriamoci poi attraverso secoli di performance, e che mirano a produrre effetti sugli stati psicologici e sul comportamento di coloro che sono esposti ad essi o sono costretti ad usarli per comunicare con altri esseri umani. Ho sempre cercato di coligare il mio lavoro di analisi dei processi, ad esempio studi sul processo in atto della politica di villaggio^, con il mio lavoro di analisi delle performance rituali, È forse per questo che ho concentrato spesso la mia attenzione sullo studio dei simboli indimdudiy sui loro campi semantici e sul destino processuale che li attende quando lasciano lo scenario di una particolare performanci rituale ericompaionoin altri tipi dirituale,o addirittura sí trasferiscono da un genere all'altro, ad esempio dal ritualè ad un cido mitologico, ad una narrazione epica, ad un racconto di fate, ad ima massima da dtare ad un dibattimento processuale. Questo punto di vista lasda il fu too semantico di dascun simbolo, per cosi dire, aperto,; mentre Panalisi formale di un insieme totale di simboli dié a priori si assume come un sistema o una Gestalt, trattato come un 'corpus' o collezionefinitadi materiali, chiuso, atemporale e sincronico, tende a porre l'accento sulle proprietà e sulle relazioni formali di un dato simbolo e a sdezionare dallaricchezzadd suoi significati solo quella specifica denotazione che ne fa xm termine appropriato in qualche opposizione binaria: questa, a sua volta, è un tassello relazionale di un sistema gnoseologie» ben delimitato. Lo schema binario e l'arbitrarietà vanno solitamente insieme, entrambi hanno sede nell'universo atemporale dei *significanti'. Un simile trattamento — benché si presenti spesso con un'deganza seducente, un frisson per le nostre facoltà conosdtive — isola Tinsieme totale dd simboli dalla vita sodale complessa e continuamente mutevole, oscura o scintillante di desiderio e di emozioni, die è il suo milieu e il suo contesto e lo condaima a un rigor mortis dualistico. I 52
'Dramma e riti di passaggio
simboli, sia come strumenti di comunicazione percepibili sensibilmente (signifiants), sia come insiemi di 'significati' (signifiés), sono fondamentalmente coinvolti in una molteplice variabilità, la variabilità di quelle creature essenzialmente viventi, coscienti, emotive e volitive che li utilizzano non soltanto per dare un ordine all'universo in cui abitano, ma in modo creativo, per sfruttare anche il disordine, da un lato superandolo o riducendolo, a seconda dei casi, dall'altro servendosi di esso per mettere in questione i principi assiomatici che sono diventati un ostacolo alla comprensione e alla manipolazione della realtà contemporanea. Ad esempio gli ammali disordinati e scatologici di forme simboliche con cui Rabelais significava le azioni e gH attributi disordinati di Gargantua e Pantagruele, mettevano in discussione la nitidezza dei sistemi teologici e filosofici della scolastica: paradossalmente, il risultato fu la distruzione di un oscurantismo inattaccabile con strumenti logici. Quando certi nostri moderni ricercatori ìm^ gidiscono i simboli in operatori logici e li subordinano a r ^ l e sintattiche implicite, quelli di noi che li prendono , troppo sul serio perdono la capacità di cogliere il potenziale creativo o innovativo che i simboli possiedono in quanto fattori dell'azione umana. I simboli possono ^istigare' a tale azione e, in combinazioni che variano in base alla situazione, possono aprirle la strada caricando i suoi mezzi e i suoi fini di valenze ajlettive e di desiderio. La simbologia comparata tenta appunto di preservare quéstà capacità ludica, di afferrare i simboli nel loro movimento, per cosi dire, e di 'giocare' con le loro possibilità di forma e di significato^ Essa perviene a questo riportando i simboli nel contesto storico concreto del loro impiego da parte di « uomini vivi » nel loro agire, reagire, 'transagire' e interagire socialmente. Anche quando la realtà simbolica è il capovolgimento di quella effettuale, rimane intimamente legata ad essa, la influenza e ne è influenzata, ne mette in rilievo i contomi positivi facendoli risaltare sul suo sfondo n^ativo, in tal modo delimitandoli entrambi e conquistando un nuovo territorio per Ìl 'cosmos'. Più ristretta nell'ambito rispetto alla semiotica^ la sim53
'Dramma e riti di passaggio
bologm comparata è più ampia àé!Cantropologia simbolica^ poiché si propone di coiisiderare non solo il materiale 'etnografico', ma anche i generi simbolici delle civiltà cosiddette 'avanzate', cioè delle società industriali complesse e di vaste dimensioni. Indubbiamente questa maggiore ampiezza di prospettiva la costringe a venire a patti con i metodi, le teorie e i risultati di specialisti ed esperti di molte discipline suHe quali la maggior parte degli antropologi è ben poco informata, come la storia, la letteratura, la musicologia, la storia delirarte, la teologia, la storia delle religioni, lafilosofia,ecc. Ma d'altra parte, compiendo questi tentativi di studiare l'attività simbolica nelle culture complesse, gli antropologi, che attualmente si limitano per lo più a studiare i simboli in miti, riti e manifestazioni artistiche 'tribali' o di sempHci civiltà agricole, non farebbero che ritornare a ima venerabile tradizione dei loto predecessori, quali Durkheim e la scuola dell'«Année Sociologique», o Kroeber, Redfìeld e i loro successori come il professor Singei, die hanno esaminato i sottosistemi culturali n^li oikoumenes (letteralmente « mondi abitati », termine usato da BCroeber ® per indicare complessi di civÜtá come la cristianità, l'Islam, le civfltà indiana e cinese, ecc.) e nelle grandi tradizioni culturali. Personalmente io sono stato indotto allo studio dei generi simbolici nelle società di vaste dimensioni da alcune implicazioni del lavoro di Arnold Van Gennep (che si basava principalmente sui dati di società di piccole dimensioni) nel suo libro l^tes de Passagey pubblicato per la prima volta in Francia nel 1909 Bendhé lo stesso Van Gennep intendesse probabilmente la sua espressione « rito di passaggio » come applicabile sia ai rituali che accompagnano ü mutamento dello status sociale di un individuo o di un gruppo di individui, sia a quelli associati ai mutamenti stagionali che investono un'intera società, il suo libro si concentra sul primo tipo, e il termine ha finito per essere usato quasi esclusivamente in connessione con questi rituali che segnano i « momenti critici » della vita umana. Io ho cercato di ritornare all'accezione originaria di Van Gennep considerando pressodié tuííi ì tipi di ri54
'Dramma e riti di passaggio
tuale come strutturati secondo la forma processuale del passaggio. Ma che cosa significa questo termine? Van Gennep, come è noto, distingue tre fasi nel rito di passaggio: la separazione^ la transizione e Vincorpora zione La prima fase, la separazione,^ delimita nettamente lo spazio e il tempo sacri da quelli profani o secolari (non è solo questione di entrare in un tempio: in più d deve essere im rito che cambi anche la qualità del tempo^ o costruisca una sfera culturale che è definita come « fuori dal tempo », cioè fuori o al di là del tempo che misura i processi e la routine della vita secolare)- Questa fase implica un comportamento simbolico (in particolare simboli che rovesciano o invertono cose, relazioni e processi secolari) che rappresenta il distacco dei soggetti rituali (novizi, aspiranti, neofiti o 'iniziandi') dal loro precedente status sociale. Nel caso coiavolga tutti i membri di una società, essa comporta un trasferimento collettivo da una stagione agricola, con tutte le sue implicazioni socioculturali a una nuova svolta nel ddo delle stagioni, o da un pericolo di pace contrapposto a uno di guerra, da un'epidemia alla salute della comunità, da un precedente stato o condizione sodoculturale a uno stato o a una condizione nuova. Nel corso della fase intermedia di transizione, che Van Gennep chiama « margine » o « limen (che significa « soglia » in latino), i soggettiritualiattraversano im periodo e una zona di ambiguità, una sorta di limbo sodale che con gU status sociali e le condizioni culturali profani ad esso precedenti o successivi, ha in comune pochissimi attributi, benché a volte di importanza cruciale. In seguito esamineremo più da vicino questa fase liminale. La terza fase, che Van Gennep chiama « aggregazione » o « incorporazione », comprende fenomeni e azioni simbolid che rappresentano il raggiungimento da parte dei soggetti della loro nuova posizione, relativamente stabile e ben definita, nel complesso della sodetà. Per coloro che si sottopongono a un rito l^ato al cido biologico individuale, essa consiste di solito in imo status più devato, un passo avanti sulla strada culturalmente pretracdata della vita; per coloro che prendono parte a un rito l^ato al calendario o 55
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alle stagioni, può non intervenire alcun mutamento di status, ma essi sono stati preparati ritualmente ad un'intera serie di cambiamenti nella natura ddle attività culturali ed ecologiche da intraprendere e delle relazioni che in conseguenza di ciò essi avranno con altre persone: e tutto questo vale per un settore specifico del ddo produttivo annuale. Molti riti di passaggio sono eventi irreversibili (per i soggetti individuai) che hanno luogo una volta sola, mentre quelli calendariali vengono ripetuti ogni anno da tutti, benché ovviamente una persona possa assistere ai riti di passaggio dei propri parenti o amici innumerevoli volte, fino a conoscerne la forma m^Ko d e ^ stessi iniziandi, come quelle vecchie signore che « non si perdono un matrimonio » in confronto alla coppia nervosa alle sue prime nozze. Ho sostenuto che i riti di passaggio legati all^iniziazione tendono ad « abbassare » le persone, mentre quelli stagionali tendono spesso a « innalzarle » vale a dire che le iniziazioni umiliano individui prima di elevarne permanentemente la condizione, mentre alcuni riti stagionali, i cui residui sono i carnevali e le festività, elevano transitoriamente la gente di basso rango per poi riportarla alla sua umile condizione abituale. Arnold Van Crennep sosteneva che le tre fasi del suo schema variavano in estensione e grado di elaborazione a seconda del genere di passaggio: ad esempio « i riti di separazione sono stati studiati maggiormente nelle cerimonie funebri, mentre i riti di aggregazione in quelle matrimoniali; quanto ai riti di margine, essi possono costituire una sezione importante, ad esempio, nella gravidanza, nel fidanzamento e nelTiniziazione » La situazione è complicata ulteriormente dalle differenze regionali ed etniche, che attraversano quelle tipologiche. Nondimeno, è raro che in unrituale^tribale' o 'agrario* non si trovi alcuna traccia di qu^to schema tripartito. H passaggio da uno status sociale all'altro è spesso accompagnato da un passaggio parallelo nello spazio, da uno spostamento geografico da un luogo all'altro. Qò può avvenire nella semplice forma dell'aprire una porta, o del 56
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varcare letteralmente ima so^a che separa due zone distinte, assodate Tuna con Io status prerituale o prelíminale del soggetto, l'altra con il suo status postrituale o postliminale (i due passi avanti che fanno i coscritti quando obbediscono al loro primo ordine militare possono valere come esempio moderno di uno spostamento ritualizzato nella liminalità). AU^estremo opposto, il passaggio spaziale può implicare un lungo e gravoso pellegrinaggio e Pattraversamento di molti confini nazionali prima che Ü soggetto raggiunga la sua meta, il santuario, dove lo schema tripartito può essere ripetuto su scala microcosmica nelTazione paraliturgica. Talvolta questo simbolismo spaziale può essere la anticipazione di un reale e permanente mutamento di residenza o di sfera geografica d'azione, come ad esempio, in Africa, quando una ragazza Nyakusa o Ndembu, dopo i riti della pubertà, lascia il suo villaggio natale per trasferirsi in quefio del marito, o come in certe società di cacciatori, dove i ragazzi abitano con le loro madri fino al momento del rito (fi iniziazione all'età adulta, dopo il quale vanno a vivere con gli altri cacciatori della tribù. Forse qualcosa di questa mentalità sopravvive anche ndla nostra società, quando, nelle grandi organizzazioni burocratiche a livello nazionale — come il governo federale, un importante gruppo industriale, il sist^a universitario, ecc^ — un avanzamento di status e di stipendio comporta normalmente il trasferimento da una città all'altra: un processo che William Watson chiama
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caratterizzata dalla separazione fisica dei soggetti del rito dal resto della società Cosi in certe tribù australiane, melanesiane e africane un ragazzo sottoposto all'iniziazione deve vivere per un lungo periodo nella boscaglia, escluso dalle normali interazioni sociali all'interno del villano e della famiglia. Benché alcuni di essi rappresentino l'inversione della realtà abituale, i simboli rituali di questa fase rientrano essenzialmente in due categorie; quelli di obliterazione e quelli di ambiguità o paradosso. Perdo in molte società gli iniziandi nella fase liminale sono considerati scuri, invisibili, come il sole o la luna durante le eclissi 0 la luna fra una fase e Paltra, nelle ^notti senza lima'; vengono privati del nome e dei vestiti e imbrattati di fango, in modo da renderli indistinguibili dagli animali. Vengono loro attribuiti simultaneamente entrambi i termini di opposizioni di carattere generale come vita e morte, maschio e femmina, cibo ed escrementi, poiché essi stanno morendo o sono morti al loro status e alla loro vita precedenti, e insieme stanno nascendo e crescendo in quelli nuovi. La separazione può essere caratterizzata da nette inversioni degli attributi sociali; la liminalità dal confondersi e dal mescolarsi delle distinzioni, I soggetti di questi riti sono dunque sottoposti ad un processo di 'livellamento', nel quale vengono distrutti 1 segni dd loro status preliminale e vengono applicati quelli del loro non status liminale. Ho già menzionato dcuni dei segni indicativi della loro liminalità — come l'assenza di indumenti e di nomi — altri ancora sono il mangiare o l'astenersi da determinati cibi, l'incuria per il proprio aspetto esteriore, o l'indossare tutti un indumento uguale, talvolta senza distinzione fra i sessi. Nel mezzo della fase di transizione gli iniziandi sono spinti il più possibile verso l'uniformità, l'invisibilità strutturale e l'anonimato. In compenso essi acquistano una speciale libertà, il « potere sacro » dei miti, dei deboli e degli umili. Secondo l'esposizione di Van Gennep:
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'Dramma e riti di passaggio Per tutta k durata del noviziato i legami consueti, economici 0 giuridici che siano, vengono modificati, talvolta persino troncad. 1 novizi sono al di fuori della società e la società nulla può su di essi e tantomeno può estendere i suoi poteri ^ r il fatto che essi sono costitutivamente [secondo le credenze indigene] sacri e santi, e pertanto intoccabili e pericolosi, proprio come lo sarebbero delle diirtnità. Ne consegue che se da un lato i tabú — in quanto riti negativi — innalzano una barriera tra i novizi e la società g^erale, dall'altro questa è priva di difesa nei confronti delle attività dei novizi- Cosi si spi^a nel più semplice dei modi un fatto che è stato riscontrato presso numerosissime popolazioni e che è risultato incomprensibile agli osservatori: infatti, durante il noviziato i giovani possono rubare e depredare tutto ciò che loro aggrada o cibarsi e adornarsi a spese della comunità^.
In effetti i novizi sono temporaneamente degli esseri indefiniti, al di là delk struttura sodale normativa. Ciò li rende più deboli, perdié non hanno più diritti sugli altri, ma Ii libera anche dai loto obblighi strutturali, l i colloca in una stretta connessione con le potenze non sociali o asociali della vita e della morte, È per questo che i novizi vengono frequentemente paragonati da un lato ai fantasmi, agli dèi e agli antenati, e d^'altro agli animali o agli uccelli. Sono morti per il mondo sociale, ma vivi per quello asociale Molte società istituiscono una dicotomia, esplicita o implicita, fra sacro e profano, cosmos e caos, ordine e disordine. Nella liminalità, le relazioni sociali profane possono essere interrotte, i diritti e gli obblighi precedenti sono sospesi, e può sembrare che Tordine sociale sia stato sovvertito, ma a titolo di compensasaone i sistemi cosmologici (come oggetto di imo studio approfondito) possono acquistare im'importanza centrale per i novizi, che sono posti dagli anziatii, mediante il rito, il mito, il canto, ^apprendimento di un linguaio segreto, e vari generi simbolici non verbali quali la danza, la pittura, il modellare la creta, l'intagliare il legno, il masdierarsi, ecc., di fronte a schemi e strutture simboliche che equivalgono a insegnamenti sulla struttura del cosmos e sulla loro cultura intesa come parte e prodotto di esso, nella misura in cui entrambi sono definiti e compresi, implicitamente o esplicitamente. La lìmii?alità può comportare una comples59
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sa sequenza di episodi nello spazio-tempo sacro, e può comportare andie eventi sovversivi e ludici (o giocosi). I fattori culturali vengono isolati, per quanto è possibile fare con simboli plurivoci (cioè con Taiuto di veicoli sìmbolidforme sensorialmente percepibili), come alberi, immagini, dipinti, figure di danza, ecc., ciascuno dei quali può assumere non uno, ma diversi significati. Poi questi fattori o elementi culturali possono esserericombinatiin molti modi, spesso grotteschi perché disposti secondo combinazioni possibili o immaginarie anziché secondo quelle dettate dall'esperienza; cosi un travestimento da mostro può unire tratti umani, animali e vegetali in un modo 'innaturale', mentre gji stessi tratti possono essere combinati in modo diverso, ma sempre 'innaturalmente^ in un dipinto o descritti in un racconto. In altri termini, nella liminalità la gente 'gioca' con gli elementi della sfera familiare e li rende non familiari. La novità nasce da combinazioni senza precedenti, di elementi familiari. Al c o n v ^ o dell'American Anthropological Association tenutosi a Toronto nel 1972, Brian Sutton-Smith mutuò da me un termine che avevo già in precedenza applicato alla « liminalità » {e ad altri fenomeni ed eventi sodali), cioè « antistruttura » " (con cui intendo la dissoluzione deUa struttura sociale normativa con i suoi insiemi di ruoli, status, diritti e doveri giuridici ecc.)> e Io collegò ad una serie di studi sperimentali che egli stava conducendo sui giochi dei bambini e di certi adulti sia nelle sodetà tribali che in quelle industriali. Molto di dò che dice può essere riportato, mutatis mutandis^ allo studio della liminalità nei riti trib^. Egli scrive: La stnittura normativa rappresenta lo stato vigente di equ^hrio, r
Sutton-Smith, che di recente si è dedicato all'analisi dd continuum ordine-disordine nd giochi (ad esempio nd gio60
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chi dei bambini come il girotondo) y prosegue dicendo che p a i a m o essete disordinati nei giochi [e, a ^ u i ^ t e i io, nella 'liminalità' dei rituali o in fenomeni 'liminoidi' quali i charivari, le fiestas, le mascherate di Hafloween, i mummings, ecc.] o perdié possediamo una dose eccessiva di ordine e abbiamo bisogno di una valvola di sfogo [questa può essere definita la 'funàone conservatrice' del disordine rituale, quale si presenta nei riti di inversione, saturnali e simili], oppure perché abbiamo qualcosa da imparare attraverso il disordine.
Ciò che più mi interessa nella fotmulazione di SuttonSmith è che ^H concepisce le situarioni Hminali e liminoidi come i contesti in cui sorgono nuovi modelli, simboli, paradigmi, ecc., doè come il vero e proprio vivaio della creatività culturale. Questi nuovi simboli e costruzioni retroa^scono poi sui settori e sui conflitti economici e politico-l^;ali 'centrali', fornendo loro mete, aspirazioni, incentivi, modelli strutturali e raisons d'etre. Alcuni, in particolare i 'gallostrutturalisti' francesi, hanno sostenuto che la liminalità, e più specificamente fenomeni « Uminali » quali il mito e il rituale nelle società tribali, è caratterizzata soprattutto dallo stabilirsi di « regole sintattiche implicite », o da « strutture inteme di relazioni logiche di opposizione e mediazione fra elementi simbolici discreti » del mito o del rituale. Forse Claude Lévi-Strauss avrebbe condiviso questa opinione. Io invece sono del parere che l'essenza della liminalità, la liminalità par excellence, consista nella scomposizione della cultura nei suoi fattori costitutivi e nella ricomposizione libera o 'ludica' dei medesimi in ogni e qualsiasi configurazione possibñe, per quanto bizzarra. Tutto ciò emerge chiaramente dallo studio delle fasi liminali dei riti più importanti in epoche e in culture differenti. Quando cominciano a comparire regole implicite che Kmitano le possibili combinazioni dei fattori entro certi sdbemi, disegni o configurazioni convenzionali, dò a cui stiamo assistendo è allora, secondo me, l'intrusione della struttura sodale normativa in quello che potenzialmente e in linea di principio è un settore della cultura libero e sperimentale, im settore in 61
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cui possono essere introdotti non solo nuovi elementi, ma anche nuove regole combinatorie, e in modo molto più rapido di quanto avvenga nei caso del linguaggio. Il predominio di questa capacità di variazione e di sperimentazione risulta in modo più chiaro in quelle società in cui esiste una netta demarcazione fra il lavoro e lo svago, e specialmente in tutte le società plasmate dalla rivoluzione industriale. Mi sembra che diversi modelli di Lévi-Strauss, come quello che tratta delle relazioni logiche metaforiche e di oppc^izione e della trasformazione antropogonica dalla natura alla cidtura, o come quel modello geometrico che a partire da due insiemi di opposizioni costruisce im « triangolo culinario » crudo/cotto: crudo/marcio, siano applicabili principalmente alle società tribali o alle società agricole più primitive, dove il lavoro e la vita sono tendenzialmente governati da ritmi stagionali ed ecologici, e dove le regole che stanno alla base della produzione di schemi culturali tendono a sviluppare le forme binarie « Yin-Yang » suggerite da sempHci opposizioni 'naturali* quali caldo/freddo, umido/secco, coltivato/selvaggio, maschio/fenmiina, inverno/estate, scarsità/abbondanza, destra/sinistra, cielo/terra, sopra/sotto, e simili. Le principali strutture socioculturali tendono a modellarsi su questi principi cosmologici e su altri affini, che determinano persino la pianta delle città e dei villaggi, la progettazione delle case, e la forma e la disposizione spaziale di diversi tipi di terreno coltivato. Di recente l'analisi del simbolismo spaziale in relazione ai modelli mitologici e cosmologici è diventata in verità una fiorente industria nelle mani dei gallostrutturalisti. Non c'è da stupirsi che neppure la liminalità riesca a sfuggire alla stretta di questi potenti principi strutturanti. Solo ad alcuni tipi di giodii wfantili è concesso un certo grado di libertà, perché sono considerati strutturalmente ^irrilevanti', ^trascurabili*. Ma quando i bambini vengono iniziati ai primi gradi dell'età adulta, la varietà e la disponibilità dei comportamenti sociali vengono drasticamente ridotte e sottoposte a controllo. I giochi infantili cessano di essere pediarchid e diventano pedagogici. La legge, l'etica, il rito, e anche buona parte della 62
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vita economica, sono soggetti all'influenza strutturante dei principi cosmologici. Il cosmos diventa un complicato intreccio di 'corrispondenze' binate sull'analogia, la metafora e la metonimia. Ad esempio i Dogon dell'Africa Occidentale, secondo Marcel Griaule, Genevieve Calarne Griaule e Germaine Dieterlen^, stabiliscono una corrispondenza fra i diversi tipi di minerali e gli organi del corpo, I vari tipi di terreno sono considerati come gli organi dell"interno dello stomaco', le rocce come le 'ossa' dellò scheletro e le diverse tonalità di argilla rossa sono assimilate al 'sangue*. Analogamente, nella Cina medioevale, modi differenti di dipingere alberi e nuvole erano collegati a dífíerenti prìncipi cosmologici. Perciò i simboli che troviamo nei rites de passage di queste società sono si soggetti a permutazioni e trasformazioni nei loro rapporti, ma soltanto all'interno di sistemi relativamente stabili, ciclici e ripetitivi. È a sistemi di questo genere che si applica propriamente il termine « liminalità ». Nel caso di processi, fenomeni e persone che fanno parte di società complesse e di vaste dimensioni, esso deve essere usato per lo più in senso metaforico. Ossia, la parola « liminalità », che nel suo significato primario denota una fase della struttura processuale di un rite de passage y viene poi applicata anche ad altri aspetti della cultiura, in questo caso appartenenti a società la cui complessità e le cui proporzioni sono di gran lunga maggiori. Ciò mi conduce a stabilire una distinzione che costituisce Io spartiacque della simbologia comparata. La mancata distinzione tra i sistemi e i generi simbolici appartenenti a culture sviluppatesi rispettivamente prima e dopo la rivoluzione industriale può portare a una gran confusione sia nella trattazione teorica che nella metodologia operativa. Voglio tentare di esporre questo punto il più chiaramente possibile. Nonostante le enormi diversità all'interno di ciascun campo, rimane tuttavia una distinzione fondamentale a livello di cultura espressiva fra tutte le società anteriori e tutte le società posteriori allarivoluzioneindustriale, comprese le società in via di industrializzazione del Terzo Mondo, le quali, benché prevalentemente agricole, 63
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rappresentano nondimeno i granai o i campi da gioco delle società industriali turbane. Qui i concetti cardine sono lavoro, gioco e svago. Il diverso rilievo esplicativo attribuito a ciascuno di essi o a qualunque loro combinasdone può influenzare il nostro modo di considerare gli insiemi di manipolazione simbolica e i generi simbolici nelle società che esamineremo. Ciascuno di questi concetti è plurivoco o polivalente, denota più cose diverse. Prendiamo ad esempio lavoro {work). Secondo VOxford English Dictionary^ work significa: a) dispendio di energia, fatica, applicazione o sforzo diretto ad uno scopo (il che corrisponde assai bene a quello che il Webster dà come senso primario: « sforzo fisico o mentale esercitato per fare o produrre qualcosa; attività intenzionale; impresa; fatica»); b) compito dbe va eseguito, materiali che vanno usati per la sua esecuzione; c) cosa fatta, compimento, cosa prodotta, libri o composizioni letterarie o musicali [si noti questa applicazione del termine « lavoro » a generi che fanno parte dei settore svago], opere meritorie in opposizione alla fede o alla grazia; d) impiego^ in special modo l'opportunità di guadagnare denaro mediante la fatica, occupazione laboriosa; e) ordinario, pratico (come in workaday) ecc, [qui il termine rimanda a secolare, profano, pragmatico ecc.]. Ora, nelle società 'tribali\ 'prealfabete', 'semplici' e *di piccole proporzioni', il rito, e in una <^rta misura anche il mito, sono considerati « lavoro » precisamente in questo senso, quelto che i Tibopia chiamano « il lavoro degli dèi ». Anche Tantica sodetà Indù postula un <( lavoro divino ». Nel terzo capitolo del Bhagavad Gita (vv. 14-15), troviamo istituita ima connessione tra sacrificio e lavoro: « Invero dal dbo derivano tutti gli esseri contingenti, e il cibo deriva dalla pioggia; la pioggia deriva dal sacrificio e Ü sacrifido dal lavoro, E in Brahma è l'origine del lavoro ». Nikhilananda commenta questi versi affermando che qui il termine
Dramma e riti di passagg¡ío
di un cacciatore, di un agricoltore, di un capotribù, e oggi anche di un operaio. Persino in società agricole abbastanza complesse legate alle città-stato o agli ordinamenti feudali, che rientrano pienamente nell'ambito di dò che è storicamente documentato, troviamo termini come liturgia, che nella Greda precristiana venne ben presto istituito per designare il 'servizio pubblico agli dd% « Liturgia » deriva dal greco leos o laoSy « il popolo », e da «t ergon », « lavoro )> (imparentato con l'inglese antico weorc e con il tedesco Werk, dalla radice indoeuropea werg-, « fare, agire ». n greco organo^, « arnese, strumento » deriva dalla stessa radice, e originariamente era worganon). Dunque il lavoro degli uomini è il lavoro degji dèi, una condusione die sarebbe piaciuta molto a Durkheim, anche se può essere interpretata come implicante una distinzione di fondo fra gli uomini e gli dèi, dato che gli uomini collaboravano il meglio possibile alritualeper entrare in una relazione reciproca di scambio con gli dd o con Dio: non era solo che 'la voce della congregazione fosse la voce di Dio'. Fra creatore e creatura veniva istituita ima distinzione. Qualxmque possa essere stata la situazione eflFettuale, dò che qui vediamo è im imiverso di lavoro, un universo-^^o;? o imiverso organicoy in cui la distinzione fondamentale è fra lavoro sacro e profano, e non fra lavoro e svago. Ad esempio Samuel Beai commenta come segue Tuso del termine « sdamano » da parte di Chi Fah-Hian: « La parola dnese sciamano corrisponde foneticamente ai sanscrito sramana ed al pali samana. H significato della parola cinese è "diligente'' o ""laborioso". La radice sanscrita è "'sram^'y "essere stanco"»^ (egli si riferiva alla popolazione di Shen-Shen, nel deserto di Makhai, parte della regione dd deserto di Gobi) , È inoltre un universo di lavoro a cui una comunità partecipa nella sua totalità, per obbligo e non per scelta. L'f»tera comunità percorre Vinfero ddorituale,con una partecipazione ora effettiva ora soltanto simbolica. Cosi alcuni riti, come quelli della semina, dd primi frutti e del raccolto, possono coinvolgere tutti, uomini, donne e bambini, mentre altri possono imperniarsi su gruppi, catarie, associaziom', ecc. di carattere specifico, ad esempio sugli uonaini oppure sulle 65
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donne, sugli anziani oppure sui giovani, su un dan o su un altro, su una associazione o società segreta oppure su un*altra. E tuttavia è come se tutta la comunità avesse partecipato effettivamente all'intero ciclo rituale. Presto o tardi, Ü dovere rituale tocca a tutti, nessuno escluso, cosi come a tutti, nessuno escluso, toccano i doveri economici, legali o politici. La partecipazione e gli obblighi comunitari, il passalo dell'intera società attraverso crisi, individuali o collettive, direttamente o per procura, sono i caratteri distìntivi del « lavoro degli dèi » e del lavoro sacro umano, senza i quali il lavoro umano profano sarebbe per la comunità impossibile da concepire, anche se indubbiamente, come la storia ha crudelmente dimostrato alle popolazioni conquistate dalle società industriali, con esso è possibile vivere o perlomeno sopravvivere. Si può tuttavia sostenere che questo « lavoro » non sia lavoro come noi lo conosciamo nelle società industriali, ma contenga in entrambe le sue dimensioni, sacra e profana, una componente di « gioco ». In quanto la comunità e gli individui che ne fanno parte considerano se stessi come i padroni o i 'possessori^ del rituale e della liturgia, o come rappresentanti degli antenati e delle divinità che in ultima analisi li 'posseggono', essi hanno l'autorità per introdurre, di tanto in tanto, a certe condizioni culturalmente determinate, degli elementi di novità nella riserva di pratiche rituali ereditate a livello sodale. La liminalità, il periodo di segregazione, è ima fase che contribuisce in modo particolare a quest'opera di invenzione ludica'. Forse sarebbe più corretto considerare la distinzione stessa fra « lavoro » e « gioco », o meglio tra « lavoro » e « svago » (il quale comprende il gioco sui generis ma non si riduce ad esso), come un prodotto della rivoluzione industriale, e concepire generi quali Ü mito e il rituale come lavoro e gioco contemporaneamente, o almeno come attività culturali in cui lavoro e gioco stanno fra loro in un complesso rapporto di equilibrio. D'altra parte accade spesso che ciò che è storicamente successivo serva a gettar luce su ciò che è anteriore, soprattutto quando fra i due sussiste una connessione sociogenetica dimostrabile. Infatti vi sono 66
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degli aspetti incontestabilmente 'ludici' nelle culture 'tribali' ecc,, specie nei periodi liminali dei riti di iniziazione protratti nel tempo o in quelli basati sul calendario. Sotto questa rubrica si potrebbero classificare le relazioni scherzose, i giochi sacri, come quelli con la palla degli antichi Maya e dei moderni Qierokee, gli indovinelli, le finte prove, le feste dei foUi, le pagUacdate, le storie di folletti che si raccontano nei luoghi e nei periodi liminali, dentro o fuori dal contesto rituale, e innumerevoli altre specie. Ma il pimto è che questi aspetti di gioco o ludid del mito rituale delle società agrarie tribali sono, come dice Durkheim, de la vie sérieuse, doè sono intrinsecamente connessi al « lavoro » compiuto dalla collettività neU'eseguire azioni simboliche e nel manipolare oggetti simbolid in modo da favorire e aumentare la fertilità di uomini, raccolti e animali domestici o selvatid, da curare le malattie, prevenire le epidemie, aver successo nelle scorrerie, trasformare i ragazzi in uomini e le ragazze in donne, i comuni cittadini in capi e le persone comuni in sdamani e sciamane, 'raffreddare' le ^teste calde* per indurle ad abbandonare il sentiero di guerra, assicurare la regolarità della successione delle stagioni e delle reazioni umane ad esse nella cacda e nell'agricoltura, e cosi via. Dunque il gioco è una cosa seria, e deve mantenersi entro limiti ben predsi. Ad esempio nel Wuhwang'u, il rituale dell'accoppiamento degli Ndembu che ho descritto altrove^, c'è un episodio in cui le donne e gli uomini si insultano a vicenda in un modo giocoso e carico di implicazioni sessuali. Nell'invettiva interviene molta creatività personale, benché ^sa sia anche in larga misura stilizzata. Nondimeno, questo comportamento ludico è diretto al servizio dello scopo ultimo del rituale: produrre una progenie sana, ma non troppa in una sola volta. L'abbondanza è un bene, ma un'^bondanza sconsiderata è uno scherzo stupido. Perdo le celie fra i due sessi devono da un lato garantire ima ragionevole fertilità, dall'altro evitare una fecondità irragionevole. Lo scherzo è divertimento, ma è anche una sanzione sociale, e deve anch'esso osservare queK'
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« sodetà cicliche eripetitive», non ancora sbilanciate da idee di innovazione e da cambiamenti tecnologici. Le innovazioni tecniche sono prodotti delle idee, prodotti che voglio chiamare il liminoide (P<(-oide» qui deriva dal greco -eidos^ forma, modello, e significa « rassomigliante a il « liminoide » assomiglia al liminale senza essere identico ad esso), dò che Marx assegnava a quello che definiva come il dominio del <( sovrastmtxmAe » ^ (io parlerd piuttosto di « anti' »,
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tica e sperimentale è essa stessa « liminoide ha luogo in 'spazi neutrali' o zone privilegiate (studi e laboratori) die si collocano in disparterispettoalla linea fondamentale degli eventi produttivi o politici- Le università, gli istituti, i college, ecc., sono contesti «Kminoidi» per ogni sotta di atteggiamento gnoseologico libero e sperimentale e anche per forme di azione simbolica che assomigliano ad alcune rinvenute in società tribali, come ad esempio le cerimonie del giuramento dei candidati alle confraternite e associazioni dei college americani. Ovviamente questo non vuol dire che le produzioni liminoidi non abbiano rflevanza politica: basti pensare alla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo o al Manifesto del partito comunista^ oppure alla Repubblic di Platone, o al Leviatano di Hobbes. Ma ora voglio esaminare più da vicino questo concetto del « liminoide », tentando di distinguerlo dal « liminale ». Per farlo correttamente dobbiamo analizzare il concetto di <( gioco » {play). L'etimologia non d dice gran che sul suo significato. Apprendiamo che la parola « play » deriva dall'inglese antico plegan, « esercitarsi, muoversi vivacemente », e che il medio olandese pleyen^ « danzare », è un termine ad esso imparentato. Walter Skeat, nel suo Concise Etymological Dictionary of the English Language, ricor che il termine anglosassone piega, « gioco, sport », significa anche (comunemente) « lotta, battaglia », eritieneinoltre che i termini anglosassoni siano mutuati dal latino plaga, « colpo ». Anche se l'idea di una « lotta trasposta nella danza o nelrituale» trapassa nelle denotazioni successive del termine « play », questo concetto dai molteplici significati ha un proprio destino storico particolare. Secondo il Webster's Dictionary, « play » è: a) « azione, movimento o attività, specie se liBSra, rapida o leggera » (ad esempio: il gioco dei muscoli) — qui, come spesso accade, il « gioco » è concepito come 'leggero* in contrapposizione alla 'pesantezza' del 'lavoro', come 'libero^ in contrapposizione al carattere 'necessario' o 'obbligatorio' del lavoro, come 'rapido' in contrapposiirione alle modalità caute e meditate die caratterizzano i processi lavorativi abituali; b) « libertà o spazio per il movimento o 69
Iharnma e tiñ di passaggio
per Pasdone c) « attività intrapresa a scxjpo dì divertimento o diricreazione» — qui di nuovo d avviciniamo al concetto di attività svincolate dalla necessità o dall'obbligo; d) « burla, scherzo (fare qualcosa per gioco) » — qui è sottolineato il carattere non serio di certi tipi di gioco moderno; e) i) , te è il dramma » — questo termine conserva palesemente qualcosa sia del suo significato originario di « lotta, battaglia », sia di queUi successivi di «ricreazione», « tecnica » e « turni di gioco » (doè atti, scene, ecc.); /) infine, play può significare « attività sessuale, amoreggiamento ». Anche qui possiamo osservare uno slittamento dal significato del sesso come 'lavoro' procreativo (un significato persistente, spesso sostenuto da una dottrina religiosa, nelle sodetà tribali e feudali) alla divisione dell'attività s^suale in 'gioco' o 'gioco preliminare' da una parte e nella faccenda 'seria' o 'lavoro' di mettere al mondo dei discendenti dall'altra. Le tecniche di controllo delle nasdte delle sodetà post-industriali fanno si che questa divisione sia realizzabile praticamente, e istituiscono un esempio della 70
Dramma e riti di passagg¡ío
divisione fra lavoro e gioco determinata dai moderni sistemi di produzione e di pensiero, sia 'oggettivamente', nel campo della cultura, sia 'soggettivamente' nella coscienza e nella consapevolezza individuale. La distinzione fra 'oggettivo' e 'soggettivo' è forse a sua volta un prodotto della scissione tra lavoro e gioco. Infatti ñ 'lavoro' è considerato come il regno dell'adeguamento razionale dei mezzi ai fini, dell"oggettività', mentre al 'gioco' si pensa come a una dimensione separata da questo regno essenzialmente 'oggettivo', e quindi, in quanto ne è l'opposto, come a qualcosa di 'soggettivo', libero da costrizioni esterne, come a un luogo dove si può 'giocare' con ogni e qualsiasi combinazione di variabili. E infatti Jean Piaget, che ha dato il massimo contributo allo studio della psicologia evolutiva del gioco, lo considera come «una spede di libera assimilazione, senza adattamento a condizioni spaziali o al significato degli oggetti » ^^ Nelle fasi e negli stati liminali delle culture tribali e agricole (nel rituale, nel mito e nei processi giudiziari) è spesso difficile distinguere fra lavoro e gioco, G>si nell'India vedica, secondo Alain Danielou, « gli dèi [i sura e i deva, che sono oggetto di un rito sacrificale serio] giocano. n loro gioco è la creazione, la conservazione e la distruzione del mondo » Il rituale è insieme serio e giocoso. Come ha rilevato Milton Singer nel suo libro sull'India contemporanea^, la «danza Krishna» in un programma urbano di bhajana (canto collettivo di inni) viene chiamata lila, « scherzo », e in essa le partecipanti 'giocano' ad essere le « Gopi » o mandriane che « scherzano » in vari modi con Krishna, Vlsnú incarnato, rivivendo in tal modo l'evento mitico. Ma il gioco erotico delle Gopi con Krishna ha implicazioni mistiche, come il Cantico dei cantici^ è insieme serio e giocoso, è ü 'trastullarsi' di Dio con un'anima umana. Dobbiamo ora considerare la netta divisione tra lavoro e svago prodotta dall'industria moderna, e il modo in cui essa ha influito su tutti i generi simbolici, dal rito, ai giochi, alla letteratura. Joffre Dumazedier, del Centre d'Etudes Sociologíques (Parigi), non è il solo studioso autore71
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vole a sostenere che lo svago « ha certi aspetti che sono caratteristici soltanto della civiltà nata dalla rivoluzione industriale » Ma egli espone la questione in modo molto eflScace e io devo molto ^ a sua argomentazione. Dumazedier rifiuta la tesi secondo la quale lo svago sarebbe esistito in tutte le società di tutti i tempi. Nelle società arcaiche e tribali, ^li ajfiFerma, «lavoro e gioco facevano parte a pari titolo del rituale mediante il quale gH uomini cercavano di stabilire una comunione con gli spiriti degli antenati. Le festività religiose comprendevano sia il lavoro che il gioco » Tuttavia gli spedati della religione come gli sciamani e gli stregoni non costituivano una « classe agiata » nel senso di Thorstein Veblen poiché svolgevano funzioni magiche o religiose per l'intera comunità {e, come abbiamo visto, lo sciamanesimo è una professione 'diligente e laboriosa'). Analogamente, nelle società agricole delle quali possediamo ima documentazione storica, Tanno lavorativo seguiva un orario tracciato dal passaggio stesso dei giorni e delle stagioni: quando c'era bel tempo si lavorava sodo, quando il tempo era brutto l'irapegno diminuiva. Un lavoro di questa specie aveva un proprio ritmo naturale, punt^giato da pause, canti, giochi e cerimonie; era sinonimo del giorno solare, e in certe zone cominciava all'alba per concludersi solo al calar del sole [ „ . ] anche U ciclo annuale era contrassegnato da intere serie di giorni sabatici e festivi. Il giorno sabatico apparteneva alla sfera religiosa; in ogm caso i giorni festivi erano spesso occasione di im grande dispendio di energie (per non parlare del cibo), e costituivano l'inverso o l'opposto della vita quotidiana [spesso caratterizzato dall'inversione simbolica e dal capovolgimento degli status]. Ma con bisogna sottovalutare l'aspetto cerimoniale [o rituale] di queste celebrazioni; esse derivavano dalla reli^one [intesa come lavoro sacro] e non dal tempo libero [come oggi lo concepiamo Erano imposte da esigenze religiose [... e ] ndlle principali civiltà europee c'erano più di 150 giorni non lavorativi all'anno
Sebastian de Grazia ha sostenuto die le origini dello 'svago' possono esserericondotteal modo di vita di certe classi aristocratiche nel corso della civiltà occidentale ^^ Dumazedier non è d'accordo, e fa notare che la condizione oziosa dei filosofi greci e della piccola nobiltà del sedicesimo secolo non può essere definita relazione d lavoro, 72
Dramma e riti di passagg¡ío
poiché essa piuttosto sostituisce del tutto il lavoro, H lavoro è fatto cfaglt sdiiavi, dai contadini o dai servi. Ma il vero 'svago' esiste solo come complemento o come ricompensa del lavoro. Con ciò non si vuol negare che molte delle finezze della cultura umana provengano proprio da questa oziosità aristocratica, Dumazedier ritiene significativo il fatto che la parola greca per « non aver niente da fare » {scholé) volesse dire anche « scuola », « I cortigiani europei, dopo la fine del medioevo, inventarono e portarono alle stelle l'ideale dell'umanista e del gentiluomo » Lo *svago' presuppone dunque il 'lavoro': è una fase di non lavoro, o addirittura di anti-Iavoro, nella vita di una persona che lavora. Se volessimo indulgere alla passione per i neologismi potremmo definirlo anergico in opposizione a ergico, H sorgere dello svago, dice Dumazedier, è legato a due condizioni. Innanzitutto, la società cessa di regolare le proprie attività mediante obblighi rituali comuni: alcune attività, compresi il lavoro e lo svago, divengono, almeno in teoria, soggette alla scelta individuale In secondo luogo il lavoro con cui una persona si guadagna da vivere è « separato dal resto delle sue attività: i suoi limiti non sono più 'naturali' ma arbitrari: esso è infatti organÌ!ffi:ato in un modo tanto preciso da poter essere facilmente distinto dal tempo libero della persona, sia in teoria dhe in pratica ». È solo nella vita sociale delle civiltà industriali e postindustriali che troviamo soddisfatte queste condizioni necessarie. Altri sociologi, sia radicali che conservatori, hanno sottolineato che lo 'svago' è il prodotto di sistemi socioeconomici di grandi proporzioni, industrializzati, razionalizzati e burocratizzati, nei quali k delimitazione fra lavoro' e 'tempo libero' non è più naturale ma arbitraria, ffl lavoro è ora organizzato dall'industria in modo tale Ida essere separato dal 'tempo libero', che comprende, oltre allo svago, il soddisfacimento di bisogni personali come il mangiare, il dormire, la cura per la propria salute e il proprio aspetto, e andie l'adempimento dei doveri familiari, sodali, civici, politici e religiosi (che in una società tribale sarebberorientratinel domi73
Dramma e riti di passagg¡ío
nio del continuum lavoro-gioco). Lo svago è prevalentemente un fenomeno urbano, tanto die quando il concetto di svago comincia a penetrare nelle società rurali è perché il lavoro agricolo tende verso un modo di organizzazione industriale, verso una 'razionalizzazione', e perché la vita rurale comincia ad essere permeata dai valori urbani legati alla industrializzazione: questo vale sia per l'attuale Terzo Mondo, sia per le sacche rurali di società industriali di vecchia data. H tempo di svago è assodato a due tipi di libertà, la « libertà da » e la « libertà di per rifarsi alla celebre distinzione di Isaiah Berlin^: a) esso rappresenta la liberià da un mucchio di obblighi istituzionali, imposti dalle forme fondamentali dell'organizzazione sodale, in particolare da queEa tecnologica e burocratica; b) per dascun individuo esso significa libertà dai ritmi forzati e cronologicamente regolati della fabbrica o dell'uffido, e la possibilità di recuperare e godere di nuovo dei ritmi naturali, biologia. Ma lo svago è anche: a) libertà di accedere ai mondi simbolid del divertimento, degli sport, dei giodii e dei diversivi dt qualsiasi genere e addirittura di generarne di nuovi. Inoltre lo svago è b) libertà di trascendere le limitazioni imposte dalla struttura sociale, libertà di giocare [...] con idee, fantasie, parole (da Rabelais a Joyce e Samuel Beckett), con il colore (dagli impressionisti alTAction painting e all'Art Nouveau), e con le relazioni sociali, nei rapporti di amicizia, negli esercizi di sensitività, negli psicodrammi e in altri modi. Qui il carattere ludico e sperimentale è molto più evidente che nei riti e nelle cerimonie delle sodetà tribali o agricole. Le sodetà complesse, organicamente solidali, offrono ovviamente una gamma di opzioni molto più ampia; i giochi basati sull'abilità, suILa forza o sulle probabilità possono servire da modelli per il comportamento futuro o essere modelli della esperienza lavorativa passata, considerati ora come una liberazione dalle necessità del lavoro e come qualcosa che uno sceglie di fare spontaneamente. Sport come il caldo, giochi come gli scacchi, passatempi come l'alpinismo, sono forse duri, impegnativi e governati da regole e comporta74
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menti standard ancora più ferrei di quelli che regolano ñ lavoro, ma poiché sono facoltativi essi appartengono alla sfera della Èbertà dell'individuo, della sua educasione alTautodisciplina e persino all'autotrascendenza. Perciò essi infondono un piacere più completo che non quei molti tipi di lavoro industriale nei quali Tuomo è alienato dal frutto e dal risultato della propria fatica. Lo svago è potenzialmente in grado di liberare le capacità creative individuali 0 collettive, per criticare -oppure per puntellare i valori della struttura sociale dominante. È un fatto certo che nessuno è costretto dai bisogni materiali o da obblighi morali o legali a svolgere una attività di svago vero e proprio come avviene invece nel caso di attività quali ü ricevere un'educazione, il guadagnarsi da vivere o il compiere cerimonie dvili o religiose. Andie quando è richiesta ima certa fatica, come nello sport agonistico, questa fatica — e la disciplina dell'allenamento — è scelta volontariamente, nell'aspettativa di un godimento che è disinteressato, non motivato dal guadagno e privo di intenti utilitari o ideologici. ^V Ma se questo è lo spirito ideale dello svago, la sua realtà culturale è però ovviamente influenzata dalla sfera del lavoro, dalla quale esso è stato diviso dal cuneo delTorganizzazione industriale. Lavoro e svago interagiscono, ogni singolo individuo partecipa a entrambi i domini, e 1 modi dell'organizzazione del lavoro influenzano le forme delle attività ricreativi Consideriamo il caso di quelle società, per Io più nordeuropee e nordamericane, il cui procedo iniziale di industrializzazione fu accompagnato ed ispirato da quella die Max Weber ha chiamato « etica protestante » Questa atmosfera etica, o insieme di valori e di credenze, che secondo Weber fu una condizione propizia per il sorgere del capitalismo moderno, razionale, ha avuto a mio parere conseguenze quasi altrettanto importanti nel campo dello svago che in quello del lavoro. Come ormai tutti sanno, secondo Weber, Calvino e altri riformatori pensavano che la salvezza fo^e un puro dono di Dio, e non potesse essere guadagnata o meritata da un essere cosi completamente corrotto nella propria natura 75
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come è Tuomo dopo la Caduta di Adamo. Nella sua forma estrema — la dottrina della predestinazione — questa idea comporta che nessuno può avere la certezza di essere salvato, né di essere dannato. Qò costituiva una seria minaccia per la morale individuale e fece si che a livello di cultura popolare, venisse sviluppata una via d'uscita, che pure non si riusd a tradurre in termini inattaccabili sul piano teologico. Essa consisteva nell'idea che colui che è nella grazia dì Dio e nella (invisibile) comunità degli eletti da Lui preordinata debba concretamente manifestare nel proprio comportamento un autocontrollo sistematico e l'obbedienza al volere divino. Da questi sj^ni esteriori egli può farsi riconoscere dagli altri, e rassicurare se stesso drca la propria appartenenza al novero degli eletti e il suo non essere destinato a patire le pene della dannazione etema insieme ai reprobi. Ma il calvinista non è mai assolutamente certo della propria salvezza, e si dedica quindi a ùn esame incessante delle condizioni della sua anima interiore e della sua vita esteriore alla ricerca di segni inequivocabili dell'azione salvifica della grazia. In un certo senso quello che nella storia culturale precedente era il « lavoro » sociale « degli dèi », il ddo liturgico legato al calendario, o meglio le sue penitenze e le sue prove, non Taspetto della festività, venne 'interiorizzato' nel 'lavoro' non ludico e sistematico della coscienza dell'individuo. Un altro concetto su cui i calvinisti ponevano l'accento era quello deEa missione che si è chiamati a svolgere nella vita, della vocazione. Contrapponendosi al concetto cattolico di 'vocazione' come chiamata alla vita religiosa, basata sui tradizionali voti di castità, obbedienza e povertà, ü calvinista sosteneva che proprio Toccup^one secolare di una persona andava considerata la sfera in cui essa era chiamata a servire Dio, attraverso la dedizione al proprio lavoro! Lavoro e svago si costituirono in due sfere separate, e il 'lavoro' divenne sacro, de facto, in quanto era l'arena in cui si poteva dimostrare oggettivamente la propria salvezza. Cosi il possidente doveva agire come un buon amministratore di beni terréni, come Giuseppe in Egitto. Non doveva utilizzarli per procurarsi lussi peccaminosi, ma per 76
Dramma e riti di passagg¡ío
migliorare le condizioni morali proprie, della sua fami^a e dei suoi dipendenti. Dove il 'miglioramento' comportava autodisciplina, autoesame, lavoro duro, dedizione al proprio dovere e alla propria missione, e insistenza perché i sottoposti si comportassero nello stesso modo. In tutti i luoghi in cui Paspirazione calvinista alla teocrazia divenne influente, come a Ginevra o in Inghilterra nel breve periodo in cui furono al potere i puritani, furono introdotte delle leggi che costringevano gli uomini a migliorare la loro condizione spirituale risparmiando e lavorando sodo, n puritanesimo inglese, ad esempio, non influenzò soltanto il culto religioso con i suoi attacchi contro il 'ritualismo', maridusseal minimo il 'cerimoniale' (doè il corrispettivo 'secolare' del rito) in molti altri settori di attività, compreso il teatro, che i puritani stigmatizzarono in quanto 'pagliacciata'. Con la loro legge che dichiarava illegali le rappresentazioni sceniche essi sottrassero vent'anni buoni alla produzione teatrale di Ben Jonson. È signifkrativo che fra i bersagli di questo provvedimento vi fossero quei generi di svago e di intrattenimento die si erano svñuppati nelle cerchie aristocratiche o mercantili del periodo protoindustriale, come le rappresentazioni teatrdül, i masques^ i quadri allegorici, le esecuzioni musicali e, naturalmente, i generi popolari del carnevale, della sagra, del charivari, ddla ballata e della sacra rappresentazione. Essi costituivano la componente 'ludica' del continuum lavoro-gioco dove precedentemente si raccoglieva la società intera in un unico processo che attraversava le fasi sacre e quelle profane, e le solexmità e le festività del cido stagionale. I calvinisti volevano abolire 'le torte e la birra', e altri cibi festivi che appartenevano al lavoro e al gioco degli dèi. Al posto di tutto dò, essi volevano invece la dedizione ascetica all'impresa economica prindpale, la sacralizzazione di dò che in precedenza era di solito considerato come profano, o quanto meno come subordinato^ in posizione ancillare rispetto ai paradigmi cosmologid sacri. Weber sostiene che mentre le motivazioni religiose del calvinismo si smarrirono dopo poche generazioni di successo mondano, l'importanza centrale attribuita all'autoesame, all'autodi77
jyr^Witfut e ria di passaggi
sdplina e al lavoro duro nella propria missione a>ntinuò, anche secolarizzata, a promuovere la dedizione ascetica al perseguimento sistematico del profitto, al reinvestimento del guadagno e alla frugalità, che furono le caratteristiche distintive del nascente capitalismo. Qualcosa di questo carattere sistematico^ di vocazione, dell'etica protestante, riusd a penetrare persino nei generi di trattenimento dell'industria dello svago. Volendo coniare un nuovo termine, anche lo svago divenne ergicOy 'della natura dd lavoro', anziché ludico, 'della natura del gioco'. Cosi abbiamo, nell'industria dello spettacolo, una seria divisione del lavoro dove recitare, ballare, cantare, produrre arte, scrivere, comporre ecc., diventarono 'vocazioni' professionali. Istituti educativi preparavano gli attori, i ballerini, i cantanti, i pittori e gli scrittori in vista della loro ^carriera'JA un livello più alto, alla fine del diciottesimo secolo e specialmente nel diciannovesimo, si affermò una nuova nosdone delirarte* stessa, nelle sue varie modalità, intesa ora come una vocazione semireligiosa, con il suo proprio ascetismo e dedizione totale, da William Blake, attraverso Kierkegaard, Baudelaire, Lermontov e Rimbaud, fino a Cézanne, Proust, Rilke e Joyce, per non parlare di Beethoven, Mahler, Sibelius, e innumerevoli altri. Questa influenza dell'etica protestante sullo svago si manifesta anche nella sfera stessa del gioco. G)me ha scritto Edward Norbeck: I progenitori dell'America avevano una forte fede in ^ e l rinsieme di valori conosciuto come etica protestante. La dedtziooe al lavoro era una virtù cristiana; e il gioco, il nemico del lavoro, era consentito con riluttanza e parsimonia soltanto ai bambini. Ancora oggi, nella nostra nazione, questi valori sono ben hingi dalTessersi estinti, e Tantica ammonizione che il gioo) è opera del diavolo sopravvive nel pensiero secolarizzato. Bendié il gioco si sìa ormai conquistato una certa rispettabilità, resta sempre qualcosa a cui 'si mddge* (come all'atto sessuale), ima forma di rilassatezza morale^.
Lo sport organizzato (gioco 'pedagogico') si concilia meglio con la tradizione puritana die non il gioco infantile 78
Dramma e riti di passagg¡ío
non organizzato (gioco 'pediarchico') o il puro e semplice gingillarsi, che è nno spreco di tempo. Tuttavia le moderne società industriali o postindustriali hanno abbandonato gran parte di questi atteggiamenti di ostilità verso lo svago. Lo sviluppo tecnologico, l'organizzazione politica e industriale dei lavoratori, Fattività di datori di lavoro progressisti, lo scoppio di rivoluzioni in molte parti del mondo, hanno avuto l'effetto complessivo di portare più svago nel 'tempo libero^ delle culture industriali. Nel quadro di questo aumento dello svago, sono proliferati generi símboíid sia istruttivi che di puro divertimento. Nel mio libro II processo rituale ho descritto alcuni di essi come fenomeni 'liminali'^. Ma alla luce di quanto ho appena detto, c'è da chiedersi se la liminalità sia davvero un titolo adeguato per questo insieme di attività e forme simboliche. È evidente che per certi aspetti questi generi 'anergici' condividono le caratteristiche dei riti e dei miti 'ludergici' (questo termine nasce dal confronto fra lo stile rituale indù e quello giudaico) delle culture agricole primitive, arcaiche e tribali. Lo svago può essere considerato come una sfera intermedia, dbe non è né carne né pesce, fra due turni di lavoro oppure fra l'attività lavorativa e quella familiare e dvile. Svago, leisure^ l deriva etimologicamente dall'antico francese leisir, che de- í riva a sua volta dal latino licere^ « essere permesso », il quale, e questo è abbastanza interessante,risalealla radice indoeuropea Heiky <€ mettere in vendita, mercanteggiare », che siriferiscedunque alla sfera 'liminale' del mercato, con i concetti in essa impliciti di scelta, variazione, contratto: una sfera che nelle religioni arcaiche e tribali è connessa ai "bricconi divini' come Eshu-Elegba ed Ermete, Il commercio è più Viminale' della produzione. Esattamente quello che fanno i membri di una tribù quando fabbricano maschere, si travestono da mostri, ammucchiano simboli ri-v tuali disparati, invertono o fanno la parodia della realtà ? profana nei miri e nelle leggende popolari, è ripetuto dai 1 generi di svago delle società industriali quali il teatro, la \ poesia, il romanzo, il balletto, il cinema. Io sport, la mu- ! sica classica e rodk, le artifigiirative,la pop art ecc.: essi \ 79
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[giocano con i fattori della cultura, raccogliendoli in combipazioni solitamente di carattere sperimentale, talvolta casuali, grotteschi, improbabili, sorprendenti, sconvolgenti. Solo che essi fanno questo in un modo molto più complicato di quanto avvenga nella fase liminale dei riti tribali di iniziazione, poiché i generi spedalizzati di intrattenimento artistico e popolare (cultura di massa, cultura pop, cultura folk, alta cultura, cultura alternativa, cultura di avanguardia ecc.) si moltiplicano, in contrasto con il numero relativamente limitato dei generi simbolici in una società 'tribale', e ciascuno di essi al suo interno lascia ampio spazio a scrittori, poeti, drammatuxghi, pittori, scultori, compositori, musicisti, attori, comici, cantanti folk, musicisti rock, e in generale ai 'produttori' di cultura, per creare non soltanto forme strane, ma anche, e abbastanza di frequente, modelli, diretti o in forma di parabola o di favola esópica, che contengono una severa critica dello siatus quo y in tutto o in parte. Dato che la diversità è qui elevata a principio^ è naturale che molti artisti, in vari generi, viceversa sostengano, raflEorzino, giustifichino o cerchino in altro modo di legittimare i costumi sodali e culturali e l'ordinamento politico dominanti. Coloro die agiscono in questo modo lo fanno con modalità che si avvicinano, più che aUe produzioni critichey ai miti e ai riti tribali paralleli: sono 'liminali', o meglio *pseudo-* o 'postliminaK', più che 'liminoidi'. Ad esempio la satira è un genere conservatore perché è pseudo-liminde. La satira denuncia, attacca o deride quelli che considera come vizi, follie, stupidità o abusi, ma il criterio su cui si basa il suo giudÍ2áo è di solito l'impianto strutturale normativo dei valori uffidalmente promulgati. Per questo le opere satiriche, come quelle di Swift, Castlereagh o Evelyn Waugh, hanno spesso la forma di un « rito di inversione », teso a dimostrare die il disordine non può alla lunga sostituire l'ordine. Uno specchio capovolge, ma al tempo stesso riflette l'oggetto. Non Io scompone nei suoi costituenti per poiriplasmarlo,né tantomeno lo annienta per sostituirlo con im altro. Ma spesso l'arte e la letteratura fanno esattamente queste due cose, sia pure solo nel regno dell'im80
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maginaíáone. Le fasi limindi di una società tribale invertono ma normalmente non sovvertono lo status quo, k forma strutturale, della società stessa; il capovol^mento rende evidente ai membri di una comunità che l'alternativa al cosmos è il caos, e che quindi farebbero meglio a tenersi stretto il cosmos, cioè l'ordine tradizionale della cultura, anche se è loro consentito per brevi periodi divertirsi da matti a essere caotici, in qualche saturnale o lupercale o charivari o orgia istituzionalizzata. Invece i cosiddetti generi 'di intrattenimento' della società industriale sono spesso sovversìviy cioè satireggiano, prendono in giro, mettono alla berlina o corrodono sottilmente i valori centrali della sfera del lavoro su cui si fonda la società, o almeno di settori particolari di quest'ultima. Fra parentesi, la parol^ « intrattenere », entertaiity deriva dall'antico francese entretmif^y « tenere separato », doè creare uno spazio lÌmìnale o liminoide nel quale le performance possano aver luogo. Alcuni di questi generi di intrattenimento, come il teatro "di prosa' o ^classico', si pongono storicamente su una linea di continuità rispetto al rituale, come nel caso della tragedia greca o del Nò giapponese, e conservano qualcosa della serietà sacra e persino della struttura da rites de passage dei loro antecedenti. Nondimeno, diflEerenze cruciali separano la struttura, la funzione, lo stile, l'ambito e la simbologia del liminde nel rito e nel mito delle culture agricole e tribali da quelli che potremmo definire i generi 'liminoidi', o di svago, delle forme e azioni simboliche nelle società industriali complesse. Tornerò fra poco su alcune di queste diflEerenze. Quanto al termine limetiy « soglia » in latino, scelto da Van Gennep per indicare la « transizione fra », esso appare connotato negativamente, poiché non è più la condizione positiva passata e non è ancora la condizione positiva futura pienamente articolata. Esso sembra anche implicare una certa passività, dato che dipende dalle due condizioni positive e articolate fra cui costituisce Panello di congiunzione. Ma indagando meglio si scoprono nella liminalità anche qualità positive ed attive, specialmente quando la 'soglia' si protrae trasformandosi in un 'tunnel' e il 'limiSi
Dramma e riti di passagg¡ío
naie" diventa il 'cunicolare'; questo vale in particolar modo per i riti di iniziazione, con i loro lunghi periodi di segregazione e di educazione dei novizi, nei quali ha luogo un ricco spiegamento di forme simboliche e insegnamenti esoterici. In una cultura il 'significato' viene di solito generato nelle interfaces tra i sottosistemi culturali riconosciuti, anche se poi l'istituzionalizzazione e il consolidamento dei significati avviene nella zona centrale di tali sistemi. La liminalità è una interface temporale, le cui proprietà costituiscono il parziale capovolgimento di quelle dell'ordinamento già consolidato su cui si fonda qudsi^i 'cosmos' culturale specifico. Può essere euristicamoite utile considerare, in relazione aUa liminalità nel rito o nel mito, il termine generale durkheimiano di <Ì solidarietà meccanica », con cui egli intendeva quel tipo di coesione, e inoltre di cooperazione e di azione collettiva diretta al conseguimento difinalitàdi gruppo, che trova la sua applicazione migliore nelle società piorole e pre-alfabete con una divisione del lavoro rudimentale e una tolleranza assai scarsa nei confronti dell'individualità. Secondo lui questo tipo di solidarietà è basato suìì'omogeneità dei valori e dei comportamenti, su ima forte costrizione sociale e sulla fedeltà alla tradizione e ai legami di parentela. Le regole di convivenza sono note a tutti e da tutti condivise. Ora, la liminalità nei riti di iniziazione delle società basate sulla solidarietà meccanica presenta spesso caratteristiche esattamente opposte: le prove, i miri, le mascherate, le pantomime, la presentazione ai novizi delle immagini sacre, i linguaggi s^eti, i tabú alimentari e del comportamento, creano nella zona di segregazione un campo misterioso in cui le normali consuetudini dei rapporti di parentela, dell'ambiente di residenza, delle l^gi e dei costumi della tribù vengono accantonati, dove il bizzarro diventa normale, e dove, mediante lo scioglimento delle connessioni fra elementi abitualmente legati Tuno all'altro in determinate combinazioni, e mediante il loro rimescolamento e la loro ricombinazione in forme mostruose, fantastiche e innaturali, i novizi sono indotti ariflettere,e ariflettereseriamente, su esperienze culturali die fino ad ora avevano 82
€ nit dì passaggio
date per scontate. Essi imparano che in realtà non sapevano ciò che credevano di sapere. Al di sotto della struttura superfidale delle convenzioni comunitarie, c'era una struttura profonda, le cui regole essi hanno dovuto apprendere attraverso il paradosso e lo shock. In certi casi le costrizioni sodali diventano più forti fino all'innaturale e all'irrazionale: ad esempio gli anziani, con ordini dispotici, impongono ai novizi compiti che a questi appaiono futili, e li punisa)no con severità se non ubbidiscono prontamente e, quel che è peggio, anche se portano a termine con successo il compito assegnato loro. Ma in altri casi, come in quello citato sopra da Rites de Passage di Van Gennep, ai novizi è anche concessa una serie di libertà senza precedenti: compiono incursioni e razzie nei villaggi e nei giardini, rapiscono le donne, insultano le persone più anziane. Innumerevoli sono le forme di messa a soqquadro, parodia, abrogazione del sistema normativo, di esasperazione della regola fino alla caricatura o di satira della regola. I novizi vengono posti contemporaneamente all'esterno e all'interno della sfera di dò che era precedentemente conosduto. Ma una cosa bisogr^ tenere bene a mente: tutte queste azioni e questi simboli sono obbligatori. Persino Vinfrazione delle regole deve essere fatta durante l'iniziazione. Questo è uno d^h aspetti distintivi che separano il liminale dal liminoide. Al convegno di Toronto dell'American Anthropological Association, nel 1972, furono citati numerosi esempi (fra cui il carnevale di St. Vincent nelle Indie Ocddentali e quello delle isole di La Have, nella Nuova Scozia, dtati da Abrahams e Bauman) tratti da sodetà moderne situate ai margini delle dviltà industriali, che presentavano qualche somiglianza con le inversioni limindi nelle sodetà tribali. Ma dò che mi colpi era che persino in queste r^oni 'periferiche' Tintero processo era dominato dalla libertà di scelta. Ad esempio quando i mimi mascherati di La Have, di solito ragazzi già grandi e giovani sposi, detti belsnicklers compaiono alla vigilia di Natale per divertire, stuzzicare e prendere in giro gli adulti e per spaventare i bambini, bussano alle porte e alle finestre delle case chiedendo il *permesso' di entrare, E alcuni padroni di casa eflFettivamente 83
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glielo rifiutano. Ora, io non riesco neppure a immaginare una situazione in cui venga negato Taaresso ai dan^tori mascherati Ndembu, Luvale, Chokwe o Luchazi (tutti popoli che ho conosciuto e osservato di persona), che sptmtano fuori dopo lo svolgimento di un certo rituale die segna la fine di una metà del periodo di segregazione e Tinizio dell'altra nel rituale di circoncisione detto Mukanduy e si avvicinano ai villaggi per ballare e per minacciare donne e bambini. Essi non chiedono nemmeno il permesso di entrare, irrompono! I belsnicklers devono 'chiedere* ai padroni di casa di offrire loro unrinfresco.I makishi (uomini mascherati) dei Ndembu o di altre popolazioni reclamano cibo e doni come cose loro dovute. II fenomeno liminoide è pervaso di volere, quello liminale di dovere. L'uno è fatto tutto di gioco e di scelta, è divertimento, Taltro è una faccenda terribilmente seria, addirittura minacciosa, è tassativo, obbligatorio, anche se in effetti la paura provoca un riso isterico nelle donne (le quali, sì cr¿le, se toccate dai makishi contraggono la lebbra, diventano sterili o impazziscono). Inoltre, sempre a St. Vincent solo certi tipi di personalità sono invogliati a partecipare al carnevale in veste di attori, quelli che Abraiiams descrive come « gli elementi più rozzi e burloni della comunità », che sono appunto « rozzi e burloni » ogni volta che ne hanno Popportunità, durante tutto Tanno, e perciò sono i più adatti ad impersonare nel carnevale il 'disordine' come opposto dell^ordine'. Anche qui domina evidentemente la libertà di scelta: infatti le persone non sono obbligate ad invertire il loro comportamento, come avviene nei riti tribali. Alcune persone, ma non tutte, scelgono di attuare questa inversione in occasione del carnevale. E il carnevale stesso si differenzia da un rito tribale per il fatto che si può parteciparvi oppure evitarlo, prendervi parte come attori o come semplici spettatori, come si vuole. È un genere di svago, non unritualeobbligatorio, è il gioco separato dal lavoro e non la 'ludergia', gioco e lavoro insieme, come sistema binario dello sforzo comimitario 'serio' dell'uomo, Abrahams, nella sua relazione scritta in collaborazione con Bauman, presenta un altro argomento molto importan84
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te, che colloca senza ombra di dubbio il carnevale di St. Vincent fra i generi di svago moderni, quando sottolinea il fatto che sono prevalentemente uomini cattivi e sregolati » {i tipi macho) a scegliere di eseguire le inversioni dei carnevale, che denotano Ü disordine dell'universo e della società, dunque persone che sono disordinate per temperamento e per scelta anche in molte circostanze estranee al carnevale. Nel rito tribale al contrario, anche le persone abitualmente ordinate, mansuete e « rispettose della l ^ e » sarebbero costrette a comportarsi sregolatamente nei riti fondamentali, a prescindere dal loro temperamento e dal loro carattere. In queste società la sfera di dò che è oggetto di scelta è estremamente limitata. Persino nella liminalità, dove ha luogo quel comportamento bizzarro cosi spesso fatto rilevare d^li antropologi, i sacra, le maschere ecc., si manifestano quantomeno sotto forma di « rappresentazioni collettive ». Se mai ci furono creatori e artisti individuali, essi sono stati repressi dall'accentuazione dell'aspetto anonimo e collettivo che costituisce xma caratteristica universale della 'liminalità', esattamente come lo sono stati i novizi e i loro maestri di noviziato. Ma nei generi Uminoidi delle società industriali, nell'arte, nella letteratura e persino nella scienza (che rappresenta Pautentico omologo del pensiero liminale delle società tribali, molto più che non Parte moderna), viene pubblicamente enfatÌ22;ato il ruolo dell'individuo innovatore, dell'essere eccezionale che osa e sceglie di creare. Per la mancanza di rilievo dell'individualità, la liminalità tribale può essere considerata non come l'inverso della normatività tribale, ma come la sua proiezione nei contesti rituali. Tuttavia quando si osservano effettivamente, 'sul campo', riti di iniziazione, d si vede costretti ad abbandonare questo ptmto di vista. Ho scoperto presso gli Ndembu, che i novizi, pur venendo spogliati del nome, del rango profano e degli indumenti, emergevano dascuno come un individuo ben distinto e c'era un elemento di competitività personale: i quattro tra tutti che, durante la fase di segregazione avevano dato le prestazioni migliori (neUa caccia, nella resistenza alle prove, nell'abilità a risolvere gU enigmi, 85
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nella capacità di cooperare, ecc.) venivano insigniti di titoli nel corso dei riti che celebravano la loro ria^ega2done alla società profana. Per me significava che nella liminalità è racchiuso il germe del liminoide, basta che intervengano importanti cambiamenti nel contesto sodocviltm-ale perché esso si dispieghi nei 'candelabri' ramificati dei molteplici generi culturali liminoidi. Se si deve proprio, come Tom Thumb nella filastrocca inglese, cogliere la susina della dialettica da ogni tipo di formazione sociale, suggerirei a quei ricercatori che intendono studiare una di quelle società 'tribali' dbe stanno rapidamente scomparendo dalla faccia della terra, di esaminare le fa^i liminali dei loro riti per situare con la massima precisione la contraddizione incipiente fra modi anonimo-comunitari e modi privato-distintivi nel considerare i protagonisti della crescita socioculturale. Ho usato il termine « antistruttura », per Io più riferendomi a società tribali e agricole, per indicare sia la liminalità sia ciò che ho battezzato « communitas ». Con questo termine non intendevo una inversione strutturale, un'immagine speculare della struttura socioeconomica ordinaria, 'profana', o unrifiutoillusorio di 'necessità' strutturali, ma la liberazione delle potenzialità umane di conoscenza, sentimento, volizione, creatività, ecc., dalle costrizioni normative che impongono di occupare una serie di status sociali, di impersonare una molteplicità di ruoli, e di essere profondamente consapevoli della propria appartenenza a qualche entità collettiva come una famiglia, ima stirpe, tm dan, una tribù, una nazione, ecc., o a qualche categoria sodale che trascende le entità di quel genere, ossia a una dasse, a ima casta o a una suddivisione basata sul sesso o sull'età. La spinta alla coerenza eserdtata dai sistemi sodoculturali è tanto forte, che solo in rare circostanze nelle sodetà di piccole dimensioni, e non molto spesso in quelle di dimensioni più vaste, gli individui riescono a sottrarsi a questi vincoli normativi. Nondimeno, le stesse esigenze di strutturazione, il procesé) grazie al quale il nuovo che emerge viene contenuto in disegni e schemi ordinatori, hanno il loro tallone d'Achille. 86
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Esso consiste nel fatto che quando persone, gruppi, insiemi di idee ecc., si spostano da un livello o da una modalità di organizzazione o regolamentazione dell'interdipendenza delle loro parti o elementi ad un altro livello, si crea necessariamente ima zona interfacciale o, per usare un'altra metafora, un intervallo, per quanto breve, di margine o limen, in cui il passato è temporaneamente negato, sospeso o abolito, e il futuro non è ancora iniziato, un istante di pura potenzialità in cui ogni a)sa è come sospesa ad un filo (come il tremante giocatore di rugby che ha tutte le possibilità di scelta, ma nello stesso tempo un futuro assai concreto che avanza minacdoso verso di lui!)> Nelle società tribali, in virtù del generale predominio dell'omogeneità dei valori, del comportamento e delle regole strutturali sociali, questo istante può essere abbastanza facilmente contenuto o padron^giato dalla struttura sociale, tenuto a freno per impedire un eccesso di innovazione, 'circoscritto', per usare un'espressione cara agli antropologi, da tabu, « meccanismi di controllo e di compensazione » ecc. Perciò la liminalità tribale, per quanto stravagante essa possa apparire, non può mai essere molto più che un barlume di sovversione. Quasi nel momento stesso in cui compare, essa viene iK>sta al servizio della normatività. E tuttavia io la considero una sorta di capsula o di sacca istituzionale che contiene il germe d e ^ sviluppi sociali successivi, del mutamento della società, in una misura a cui non potrebbero avvicinarsi neppure per approssimazione le tendenze centrali di un sistema sodàe, cioè quelle sfere in cui predominano la legge e il costume, insieme a quelle modalità di controllo socMe che svolgono rispetto ad essi una funzione ancillare. L'innovazione può anche aver luogo in sfere di questo genere, ma di solito essa nasce ndle zone interfacciali e liminali, per poi venire legittimata nei settori centrali. Secondo me processi sociali relativamente 'tardi', storicamente parlando, quali la 'rivoluzione', T'insurrezione', e perfino il ^romanticismo', in campo artístico, caratterizzato dalla libertà formale e spirituale, dall'importanza attribuita al sentimento e all'originalità, costituiscono un'inversione del 87
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rapporto fra il normativo e il liminaie che sussiste nelle sodetà 'tribali* e in altre società essenzialmente conservatrici. Infatti in questi processi e movimenti moderni, die sono i nuclei generatori della trasformazione culturale, lo scontento per la situazione culturale preesistente e la critica sociale, che nel liminaie preindustriale sono sempre impliciti, hanno conquistato una posÌ2done centrale: essi non sono ima faccenda che riguarda Vinterface fra 'strutture fisse', ma investono l'evoluzione complessiva della totalità. Cosi le rivoluzioni, indipendentemente dalla loro riuscita, diventano i Umina, con tutti i sottintesi di iniziazione che questa funzione mporta,frale principali forme strutturali o ordinamenti distintivi della sodetà.dPuò darsi die questo sia un utilizzo del termine « liminaie » in un senso 'metaforico', e non in quello 'primario' o letterale' sostenuto da Van Gennep, ma questo utilizzo è in grado di aiutard a formulare ipotesi circa la società umana globale, nella quale potrebbero convergere tutte le formazioni sociali storicamente determinate. Le rivoluzioni, violente o non violente, potrebbero essere le fasi liminali totalizzanti rispetto alle quali i Itmina dei rites de passage tribali erano soltanto prefigurazioni o premonizioni. Forse a questo punto dovremmo pa^re all'altra variabile fondamentale dell'« antistmtturale », la « commonitas » {esaminerò più avanti i pro e i contro dell'uso dei termini 'antistruttura', 'metastruttura' e 'protostruttura'). Probabilmente nelle sodetà tribali la relazione tra communitas e ìiminalità è più stretta di quella fra communitas e struttura normativa, anche se quella modalità di rapporto redproco fra gli uomini che è la communitas può 'giocare' fra un sistema strutturale e l'altro in un modo tale, die per il momento sarebbe troppo difficile per noi prevedere le sue mosse: credo che questa sia la base sperimentale del concetto cristiano di « grazia attuale ». In fabbrica, nel villaggio, in uffido, in biblioteca, a teatro, insomma quasi ovunque, la gente può dunque subire un capovolgimento che dalla sfera dei propri diritti e doveri la tràsporta di colpo in un'atmosfera Á communitas. Ma che cos'è, in sostanza, la communitas? Ha davvero qualche fondamento di 88
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realtà, o è soltanto una persistente fantasia del genere umano, una sorta di ritomo collettivo nell'utero materno? Ho definito questo modo in cui le persone guardano, comprendono e agiscono Tuna nei confronti dell'altra essenzialmente come « un rapporto tra individui concreti, storici, particolari » Questo concetto non coincide con quello di « comunione che Georges Gurvitch adopera per designare quella situazione « in cui le menti si aprono il più ampiamente possibile, e le estreme profondità accessibili delirio' sono integrate in questa fusione {che presuppone stati di estasi collettiva) » Per me la communìtas non cancella le particolarità individuali: essa non è né un regresso all'infanzia, né un fatto emotivo, né uno 'sprofondare' nella fantasia. Nelle loro relazioni sodali strutturali le persone, mediante vari processi di astrazione, vengono investite di significati sovraindividuali e classificate in base ai diversi ruoli, status, classi, connotazioni culturali legate al sesso, età stabilite convenzionalmente, appartenenza a un gruppo etnico ecc. In situazioni sociali di tipo diverso, esse sono state condizionate a svolgere ruoli sociali specifici. Non ba importanza cbe lo facciano bene o male,fintantoche si comportano 'come se' obbedissero all'insieme di norme che controlla i differenti settori di quel modello complesso noto come la 'struttura sodale*. Finora questo è stato praticamente il tema esdusivo delle scienze sodali: le persone che svolgono ruoli e conservano o conquistano uno status sociale. Non si può negare che esse impieghino effettivamente in queste attività una grandissima parte del tempo di cui dispongono, sia nel lavoro che nello svago. E in una certa misura, anche qui entra in gioco l'essenza autentica dell'uomo, poiché ogni definizione di un ruolo tiene conto di qualche attributo o capadtà umana fondamentale e, volenti o nolenti, gli esseri lunani ^giocano* umanamente i loro ruoli. Ma la piena capadtà dell'uomo non è ammessa in quésti ambienti angusti e soffocanti. E questo anche se quando didamo che una persona gioca bene il proprio ruolo intendiamo dire spesso che lo gioca con elastidtà e immaginazione. Il concetto di Martin Buber della relazione Io e tu, e quel89
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lo del Noi essenziale ^ che gli individui formano nel loro tendere verso una meta comune liberamente scelta, sono visioni intuitive di un ordine o qualità di relazione umana che non ha il carattere dì una transazione, nel senso che le persone nell'inttaprendere azioni rivolte agli altri non sono necessariamente mosse dall'aspettativa di una reazione die soddisfi i loro interessi. Gli antropologi, consapevolmente o meno, hanno scantonato di fronte a molti di questi 'rimandi', perché si occupano dell'
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tori esistenzialisti: la tortura, Tassassinio, la guerra. Tessere sull'orlo del suicidio, le tragedie d'ospedale, il momento dell'esecuzione ecc. La Iiminalità è insieme più creativa e più distruttiva della nonna strutturale. In entrambi i casi essa solleva problemi che sono fondamentali per Puomo della struttura sociale, e lo stimola alla riflessione e alla critica. Ma quando è socialmente positiva, la liminalità presenta, direttamente o implicitamente, un modello di società umana che è una commainitas omogenea non strutturata, i cui confini coincidono idealmente con quelli della specie umana. Quando andhe solo due persone credono cÈ sperimentare fra loro una simile unità, esse sentono, anche solo per un attimo, tutti gli uomini come una cosa sola. A quanto pare, le generalizzazioni del sentimento sono più rapide di quelle del pensiero! La grande difficoltà sta nel mantenere viva questa intuizione: il che non si ottiene con Tuso regolare dì droghe, né con ripetuti rapporti sessuali, né con la costante immersione nella grande letteratura, e neppure con la segregazione iniziatica, che presto o tardi deve pur finire. Ci imbattiamo cosi nel paradosso che Vesperienza della communitas diventa la memoria della communitas, col risultato che questa, nel suo sforzo di replicare se stessa, sviluppa storicamente una struttura sociale, in cui gli iniziali rapporti liberi e innovativi fra individui si trasformano in rapporti regolati da norme fra penonae sociali. So benissimo die sto enunciando un altro paradosso: quanto più spontaneamente ^ uomini diventano 'uguaK', tanto più essi si distinguono e diventano 'se stessi'; più diventano la stessa cosa sul piano sociale, meno si considerano tali su quello individuale. Tuttavia quando questa communitas o comitas viene istituzionalizzata, i tratti idiosincratid appena scoperti vengono legalizzati in un ulteriore insieme di ruoli e status universalistici, i cui titolari devono subordinare a una regola la loro individualità. Come ho sostenuto ne 11 processo rituale: raramente la spontaneità e Tiimnediatezza della communitas — contrapposta al carattere giuridico-politico della struttura [sodale] —
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Dramma e riti di passagg¡ío possono maateoersi DK>lto a lungo. È la communitas stessa che sviluppa ben presto una struttura [sodale protettiva], nella q ^ e i rapporti Kbari tra individui si trasfonnano in rapporti diretti da norme tra persone sociali
Può darsi che la cosiddetta ^normalità' sia molto più un gioo) in cui ci si traveste con masdtiere {personae) e si segue un copione, di quanto non lo siano certi modi di comportamento 'senza maschera', definiti culturalmente ^anormali', 'aberranti', 'eccentrici* o 'fuori dal mondo'. Ma la communitas non comporta dhe le norme strutturali vengano cancellate dalla coscienza di coloro die ad essa partecipano: anzi, si può dire che la sua stessa forma, in una data comunità, dipende dal modo in cui essa esprime simbolicamente l'abrogazione, la negazione o l'inversione della struttura normativa nella quale i suoi partecipanti sono quotidianamente coinvolti. In realtà, la sua prontezza a trasformarsi a sua volta in una struttura normativa è un indizio della vulnerabilità della communitas all'ambiente strutturale. Esaminando il destino storico della communitas ho identificato tre forme distinte di essa, non necessariamente in sequenza, e le ho chiamate spontanea, ideologica e normativa. Qascuna di esse ha delle relazioni parti potesse conservare il proprio stato attuale di illuminazione intersog92
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gettìva. Questa illuminazione può soccombere alla luce spietata della separazione dell'indomani, o all'applicazione arbitraria della ragione individuale alla 'gloria' della comprensione comunitaria. Mafinchésiamo dominati dallo stato d'animo, dallo stile o dal 'pallino' della communitas spontanea, attribuiamo un grande valore all'onestà e alla franchezza personali e alla mancanza di pretese o pretenziosità. Sentiamo che è importante stabilire una relazione diretta con un'altra persona come essa si presenta néì!hìc et nunc y comprenderla in modo simpatetico (e non empatetico, che impUca sempre un certo n^arsi, un non darsi completamente del sé), liberi dai gravami del suo ruolo, status, reputazione, dasse, casta, sesso, o altri incasellamenti strutturali definiti culturalmente. Gli individui che interagiscono nella modalità della communitas spontanea vengono totalmente assorbiti in un unico evento fluido sincronico. La loro comprensione 'viscerale' deUa sincronizzazione in queste situazioni li apre alla comprensione di forme culturali (oggi ricavate soprattutto dalla trasmissione scritta della cultura di tutto il mondo, nell'originale o in traduzione) quali l'eucarestia e l'I Ching, che mettono in evidenza la comune partecipazione mistica (per citare LévyBruhl) di tutti gli eventi contemporanei, se soltanto avessimo uno strumento per esplicitare il 'significato' implicito nella loro 'coincidenza'. h) Quella che ho definito communitas ideologica è un insieme di concetti teoretici che tentano di descrivere le interazioni che hanno luogo nella communitas spontanea. Qui lo sguardo retrospettivo, la 'memoria', ha già creato una distanza fra il soggetto individuale e l'esperienza comunitaria o diadica. Qui colui che esperisce si è già rivolto al linguaggio e alla cultura per mediare le precedenti immediatezze, un esempio del fenomeno che M. Csikszentmihalyi e J. MacAloon hanno battezzato « rottura del flusso cioè un'interruzione di quell'esperienza di fusione fra azione e coscienza (e di concentrazione dell'attenzione) che caratterizzano il 'momento cruciale' nel rituale, nell'arte, nello sport, nelle partite e persino nel gioco d'azzardo. H 'flusso' può produrre la communitas e vice93
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versa, ma certi 'flussi' sono isolati, e certe forme di communitasy in particolare quelle religiose, separano k coscienza dafl'azione. Qui dò che è essenziale non è il lavoro d'equipe nel flusso, ma Vessere insieme: la parola chiave è 'essere*, non 'fare'. Il soggetto ha incominciato a rovistare nel passato culturale ereditato in cerca di modelli o elementi culturali ricavati dalle rovine di modelli passati con i quali egli può costruirne uno nuovo che, sia pure in modo incerto, riprodurrà in parole la sua esperienza concreta della communitas spontanea. Alcuni di questi insiemi di concetti teoretici possono essere estesi e concretizzati in un modello 'utopistico' di società, in cui tutte le attività umane si espKdberebbero sul terreno della communitas spontanea. Mi affretto ad aggiungere che non tutti, e neppure la maggior parte dei modelli 'utopistici' sono modelli di « communitas ideologica » Utopia in greco significa « in nessun luogo »: la fabbricazione di utopie è una ben funzionante attività 'ludica' dello svago nel mondo roodemo, e come la fabbricazione industriale tende a porre fra i suoi desiderata primari strutture politico-amministrative ideali (spesso anche fortemente gerarchizzate) anziché la prospettiva di dò che sarebbe il mondo, o il paese, o l'isola, se tutti si sforzassero di vivere in communitas con i propri vidnì. Ci sono molte utopie gerarchidie, conservatrid o fasciste. Tuttavia T'utopia' della communitas compare in varie forme come ingrediente centrale, legato al concetto di 'salvezza', in molte delle religioni storiche del mondo, delle quali d restano testimonianze scritte, « Venga il tuo Regno » {die in quanto caritas, agape, * amore', è un anti-regno, una communitas). c) I n f i n e la communitas normativa è, una volta di più, un « sistema sodale permanente », una subcultura o un gruppo che tenta di promuovere e conservare le relazioni della communitas spontanea su una base più o meno stabile. Per far questo essa deve snaturarsi, poiché la communitas spontanea è, per usare un linguaggio teologico, ima questione di 'grazia' più che di *legge'. Il suo spirito 'soffia dove vuole', non può essere sottoposto a leggi o normalizzato, perché è Veccezione, non la regola^ il mira94
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coloy non la norma^ la libertà primordiale e non ananke^ la catena causale della necessità. Ma dò nonostante, l'origine di un gruppo basato sulla commumias, sia pure su quella normativa, presenta un carattere che k distingue da quei gruppi che sorgono sul fondamento di qualche 'necessità', 'naturale' o tecnica, reale o immaginaria, come ad esempio un sistema di rapporti di produzione o un gruppo di persone che si ritengono unite da un l^ame biologico, quale la famiglia, la parentela o la stirpe. Un certo carattere di 'libertà', di 'liberazione' o di ^amore' (per usare termini che sono comuni al vocabolario teologico e a quello politico-filosofico dell'Occidente) pertiene alla communitas normativa, anche se abbastanza spesso i regimi più rigidi si discostano da quelle che sono evidentemente le esperienze più spontanee della communitas. Questo irrigidimento deriva dal fatto che inizialmente i gruppi della communitas si sentono totalmente vulnerabili dai gruppi istituzionalizzati che li circondano. Perciò essi sviluppano una c o r a ^ difensiva istituzionale, la quale si rafforza in misura direttamente proporzionale all'aumento delle pressioni per cancellare l'autonomia del gruppo primario. Essi « diventano dò che vedono ». D'altra parte, se non 'vedessero' i loro nemid, soccomberebbero ad essi. Presumibilmente questo dilemma non può essere risolto da una specie caratterizzata dallo sviluppo, dal cambiamento e dall'innovazione, una specie che nel corso del tempo inventa nuovi strumenti di pensiero oltre che di produzione, ed esplora nuovi stati emotivi. Può darsi cl¿ la resistenza del vecchio sia tanto importante per il cangiamento quanto la novità del nuovo, in quanto insieme questi due aspetti costituiscono xm problema. I gruppi basati sulla communitas normativa sorgono di solito durante un periodo di risveglio religioso. Nei casi in cui la communitas normativa è dimostrabilmente la modalità di assodazione predominante in xm gruppo, si può sempre attestare Ü processo di trasformazione di un momento carismatico e personale in un sistema sodale in atto, relativamente ripetitivo. Ma le contraddizioni intrinseche fra la communitas spontanea e un sistema fortemente strut95
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turato sono cosi grandi^ che ogni impresa che tenti di conciliare queste modaMtà sarà costantemente minacciata dallo sfaldamento della struttura o dal sofiEocamento della communitas. La forma tipica di compromesso (e per esempi storici che illustrano questo punto rimando il lettore a Il processo rituale) è di solito in questi casi la scissione dei membri del gruppo in due fazioni contrapposte, ma questa soluzione regge solo fintantoché il potere di ciascuna è controbilanciato da quello dell'altra. Normalmente il gruppo che si organizza per primo, e che poi si struttura in modo più metodico,finisceper prevalere in termini politici o parapolitici, anche se i valori chiave della communiias, condivisi da entrambi i gruppi ma fatti cadere in disuso da quello politicamente vittorioso possono in seguito risorgere nell'altro. Cosi i francescani conventuali riuscirono a ottenere la condanna degli spirituali per il loro usus paupery cioè per la loro visione estremistica della regola della povertà, ma la riforma dei cappuccini, iniziatasi circa tre secoli dopo, nel 1525, riportò in auge molti degli originari ideali di povertà e semplicità francescana, quali venivano praticati prima della divisione dell'ordine in conventuali e spirituali avvenuta nel tredicesimo secolo. Nel linguaggio della simbologia è necessario distinguere fra i simboli dei sistemi politico-giuridid e quelli che costituiscono i sistemi religiosi. Uusus pauper era un simbolo politico che evidenziava la spaccatura in fazioni fra le due ali del movimento francescano, mentre « Madonna Povertà » (a sua volta forse una variazione francescana su temi quali « Nostra Signora Maria » o « Nostra Santa Madre Chiesa ») era un simbolo culturale che trascendeva le divisioni strutturali di marca politica. La communitas tende a generare metafore e simboli che successivamente danno luogo a insiemi e raggruppamenti di valori culturali; è nel campo delle basi materiali della esistenza (economia) e del controllo sociale (diritto, politica) che i simboli acquisiscono il loro carattere 'socio-strutturale'. Ma ovviamente la sfera socio-strutturale e quella culturale si compenetrano e si sovrappongono l'una all'altra, in quanto gli individui concreti perseguono i loro interessi, cercano di realiz96
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zare i loro ideali, si amano, si odiano, si assoggettano e si obbediscono a vicenda nel flusso della storia. Per il momento non avanzerò la tesi che il 'metodo induttivo*, di cui il dramma sodale è una delle tecniche, offre un utile strumento per lo studio dei simboli e dei loro significati considerati come eventi all'interno del flusso complessivo degli eventi sociali, dato che non ho ancora finito di trattare la questione delle relazioni fra i simboli, il liminale, il liminoide, la communitas e la struttum sociale. Fra la communitas e la struttura sociale vige xma sorta di relazione ^figura-sfondo'. I confini di ciascuna delle due, in quanto esse costituiscono modelli impliciti o espliciti dell'interazione umana, sono determinati dal contatto o dal confronto con l'altra, esattamente come la fase liminale di un rito di iniziazione è determinata dagli status sociali fra cui si inserisce (molti dei quali essa elimina, inverte o invalida), o come il 'sacro' è determinato dalle sue relazioni con il 'profano': in questo caso si tratta di determinazioni relative persino all'interno di una singola cultura, poiché se ^ è 'sacro' rispetto a B, può però essere 'profano' rispetto a C e 'meno sacro' di D. Qui, come in molti altri aspetti del processo sodoculturale, predomina la selezione situazionale. Si può dire dunque che la communitaSy nel contesto del suo uso attuale, sta più in contrasto che in opposizione attiva alla struttura sociale, rappresenta un modo di esistere socialmente come uomo che si pone come modo alternativo e più « liberato un modo che consente di assumere una posizione di distacco dalla struttura sociale (e di conseguenza, potenzialmente o periodicamente, di valutarne il funzionamento), e che unisce maggiormente le persone 'distaccate' o 'emarginate' ad dire persone non integrate, rendendo talvolta possibile una valutazione comune del funzionamento storico di una data struttura sodale. Qui possiamo avere un connubio fra la formulazione, struttur^mente condannata, di un giudizio suUa struttura normativa e la creazione di modelli alternativi di struttura. Tuttavia, poiché i confini del modello astrutturale di interconnessione imiana delineato dalla communitas ideo97
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logica
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tura, il che a sua volta conduce ad una opposizione più attiva, addirittura militante, degli uomini ddila communitas (si pensi a questo proposito al processo storico avviato da molti movimenti millenari^tici o di rinascita religiosa); e cosi via, in ima lotta a spirale fra le forze della struttura e quelle della communìtaSy che assomiglia abbastanza a quello che Frye e Erdman, ricorrendo ai simboli di Bkke, hanno chiamato il ddo Orc-Urizen ^ (in questo caso rOrc rappresenta Penergia rivoluzionaria e TUrizen la <( coscienza legislatrice e vendicatrice )> per usare le parole di S^ Foster Damon), a sua volta una parziale anticipazione della teoria di Pareto ^ della
Quando scrivevo tutto questo, non ero ancora giunto alla distinzione fra la limtnklità rituale ergico-ludica e i generi liiìiinoidi anergico-Iudid di attività o di letteratura. Nelle sodetà tribali la liminalità è spesso funzionale, nd senso che è uno spedale dovere o prestazione richiesta nd corso del lavoro o dell'attività; gH stessi rovesciamenti e inversioni che essa attua servono di solito a compensare le rigidità o le ingiustizie ddla struttura normativa. Ma nella sodetà industriale la forma dd rite de passage, inserita nel calendario e/o modellata sui processi organid di maturazione e declino, non è più suffidente per la so99
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detà nel suo insieme. Lo sva^o office Topportimità di sviluppare una molteplicità di generi facoltativi, Kminoidi, di letteratura, di teatro e di sport, che non vengono affatto considerati come « antistruttura » di contro alla struttura nonnativa, dove Tantistruttura sarebbe « una fiicsione ausiliaria della struttura più ampia » Essi vanno piuttosto considerati secondo la prospettiva in cui Sutton-Smith concepisce il « gioco cioè come una « sperimentazione con repertori variabili », che costituisce il corrispettivo adeguato della molteplice variazione resa possibile dallo sviluppo tecnologico e da uno stadio avanzato della divisione del lavoro. Parafrasando Sutton-Smith (che qui si stava riferendo all'« antistruttura », mutuando questo termine da me, ma sostenendo che io lo avevo usato esclusivamente per indicare ima funzione di conservazione del sistema), i generi liminoidi non si limitano a rendere tolleràbile il sistema cosi com'è, ma mantengono i suoi membri ia uno stato di maggiore elasticità nei confronti del sistema stesso e, quindi, delle possibili modifiche» Ogni sistema [continua Sutton-Smith] possiede funzioni di adattamento strutturali ed antistrutturali. La struttura normativa rappresenta lo stato vig^te di equilibrio, !*<( antistruttura » il sistema latente delle potenziali alternative, da cui potrà nascere il nuovo quando le contingenze del sistema normativo lo richiederanno. Sarebbe più corretto chiamare questo secondo il sistema protostrutturale^ pdcbé esso precorre nuove forme normative. È la fonte della nuova cultura.
Nella cosiddetta 'alta cultura' delle società complesse, il liminoide non è solo staccato dal contesto del rite de passage y noa è anche ^individualizzato'» L'artista isolato crea i fenomeni liminoidi, la collettività esperisce i simboli liminali collettivi. Q ò non vuol dire <ìke quella del produttore di simboli, idee, immagini, ecc. liminoidi sia una creazione ex nihilo; vuol dire soltanto che gli è concesso il privilegio di prendersi nei confronti dell'eredità socialmente tramandata delle libertà del tutto impensabili per i membri di culture in cui il liminale coincide in larga misura con il sacro e inviolabile. Quindi quando confrontiamo i processi e i fenomeni liminali con quelli liminoidi, non troviamo solo somiglian100
Dramma e riti di passaggio
ze, ma anche difíerenze cruciali. Cercherò di espome alcune, Esse forniscono una prima, grossolana delimitazione del campo d'indagine della simíx)logía comparata. a) I fenomeni liminoli prevalgono di solito nefle società tribali e agricole primitive che possiedono quella che Durkheim ha diiamato « solidarietà meccanica » e sono dominate da dò che Henry Maine ha definito lo « status ^ I fenomeni liminoidifiorisconoin società dotate di 'solidarietà organica', collegate Tona all'altra da relazioni "contrattuali", prodotte dalla rivoluzione industriale e ad essa successive, anche se forse essi fanno la loro prima apparizione nelle dttà-stato che stanno per trasformarsi in imperi (quelle di tipo greco-romano) e nelle sodetà feudali (non solo le sottospede europee che si sono sviluppate fra il decimo e il quattordicesimo secolo in Franda, in Inghilterra, in Germania e nelle Fiandre, ma anche i tipi di feudalesimo o semi-feudalesimo assai meno 'pluralistid' del Giappone, della (2na e della Russia). Ma il loro sviluppo esplidto incominda solo nelle nascenti sodetà capiteKstiche dell'Europa ocddentale, con gli inizi delPindustrializzazione e della meccanizzazione, con la trasformazione del lavoro in merce e la comparsa di vere e proprie dassi sodali. L'apogèo di questo tipo di sodetà industriale nascente si ebbe nd secoli diciassettesimo e didottesimo, culminanti nell'« età dei Lumi », benché avesse già fatto la sua prima apparinone nella seconda metà del sedicesimo secolo, spede in Inghilterra, dove poco tempo dopo, nel 1620, Francesco Bacone pubblicò il suo Novum Organum, un'opera che stabiliva definitivamente Ü legame fra la conoscenza sdentifica e quella tecnica. I fenomeni liminotdi continuano a caratterÌ22iare le sodetà liberal-democratiche dbe dominano l'Europa e l'America nel didannovesimo secolo e all'inizio del ventesimo, sodetà in cui vigono il suffragio universale, la preminenza del potere legislativo sull'esecutivo, il parlamentarismo, la pluralità dd partiti politid, la libertà di organizzazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, la libertà di formare sodetà per azioni, trust e cartelli, e la separazione fra chiesa e stato. I fenomeni liminoidi sono ancora molto evidenti nelle sold
Dráfftiuü e riti di passaggi
detà manageriali del capitalismo organizzato sviluppatesi dopo la seconda guerra mondiale, degli Stati Uniti, Germania Federale, Francia, Gran Bretagna^ Italia^ Giappone, ed altre nazioni del blo
Dramma e riti di passagg¡ío
nuove idee, simboli, modelli, credenze, I fenomeni liminoidì possono anche essere fenomeni collettivi (e in tal caso derivano spesso in linea diretta da antecedenti liminali), ma il loro carattere più tipico è di essere prodimoni individuali, anche se di frequente il loro effetto è collettivo o ^di massa'. La loro creazione non è ciclica, ma continua^ benché avvenga in luoghi e tempi separati dai contesti del lavoro e destinati alle attività di *svago\ c) I fenomeni limindi sono integrati nel processo sociale complessivo e vi occupano una posÍ2áone centrale, formando insieme a tutti i suoirimanentiaspetti una totalità unitaria, e rappresentandone l'aspetto necessario di negatività e 'congiuntività'. I fenomeni liminoidi si sviluppano separatamente dai processi economici e politici che occupano la posizione centine, ai margini, nelle interfaces e negli interstizi delle istituzioni centrali e di servizi: hanno un carattere pluralistico, frammentario e sperimentale, d) I fenomeni liminoli tendono a presentarsi ai ricercatori in modo simile alle « rappresentazioni collettive » di Durkheim, cioè come simboli che hanno un identico significato intellettuale ed emotivo per tutti i membri del gruppo. Essirispecchiano,se li si esamina a fondo, la storia del gruppo, la sua esperienza collettiva attraverso il tempo. E differiscono dalle rappresentazioni collettive pre-liminali o post-Iiminali in quanto sono spesso i rovesciamenti, le inversioni, i travestimenti, le negazioni o le antitesi delle rappresentazioni collettive quotidiane, 'positive' o 'profane'. Tuttavia ne condividono il carattere collettivo, di massa. I fenomeni liminoidi tendono ad essere più idiosincratid, più originali, e ad essere prodotti da individui specializzati e, all'interno di gruppi particolari, come le 'scuole', le cerchie e le consorterie culturali, devono contendersi ilriconoscimentogenerale. Inoltre essi sono considerati innanzitutto come offerte ludiche messe in vendita sul 'libero' mercato. Tutto dò vale almeno per i fenomeni liminoidi nelle nascenti società capitalistiche liberal-democratiche. Tipologicamente i loro simboli si avvicinano di 103
Dramma e riti di passagg¡ío
più al polo personale-psicologico che a quello 'oggettivosodale*. e) I fenomeni liminali, anche quando sembrano 'invertire* il normale andamento della struttura sociale, tendono in ultima analisi ad assolvere ad una funzione positiva, a consentirle di fun2donare senza troppo attrito. Invece i fenomeni liminoidi sono spesso collegati a critiche sociali o addirittura a proclami rivoluzionari: libri, commedie, quadri, film ecc., che denunciano le ingiustÌ2de, le inefficienze e i lati immorali delle strutture e organízzaaáorá economiche e politiche dominanti. Ndle società moderne, complesse, i due generi coesistono in una sorta di pluralismo cultiirale. Ma il liminale, che sopravvive nell'attività delle chiese, delle sette e dei movimenti, nei riti inÌ2Ìatici dei dub, delle confraternite, delle logge massoniche e di altre società segrete ecc., non ha più una portata universale. Altrettanto ne sono privi i fenomeni liminoidi, che di solito sono generi di svago quali l'arte, lo sport, i passatempi, i giochi ecc., praticati da o rivolti a particolari gruppi, categorie, sottoclassi e settori delle società industriali <& ogni tipo. Tuttavia molte persone sentono ancora il liminoide come più lìbero del liminale, una questione di scelta e non di obbligo, H liminoide assomigita a una merce — e in realtà spesso è una merce, che si sceglie e per la quale si paga — più del liminaie, che suscita sentimenti di fedeltà ed è collegato alTappartenema, o all'aspirazione all'appartenenza, dell'individuo a qualche gruppo dotato di una forte coesione interna. Si lavora al liminale, si gioca con il liminoide. Ci si può sentire moralmente tenuti ad andare in chiesa o alla sinagoga, mentre si fa la coda al botteghino per vedere un dramma di Beckett, uno show di Mort Sahl, una partita di calcio, un concerto sinfonico o una mostra d'arte. E se uno gioca a golf, va in barca o scala montagne, di solito deve acquistare un costoso equipaggiamento o pagare riscrizione a un dub. Naturalmente d sono anche generi 'gratuiti^ di intrattenimento o di performance liminoide: il carnevale, il charivari^ varie spede di intrattenimento domestico. Ma essi recano già in qualche modo il marchio 104
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della liminalità, assai spesso sono i resti cuIturaK di qualche rito liminale dimenticato. Vi sono anche spazi e contesti 'liminoidi' permanenti: i har, i pub, certi caffé, i circoli sociali ecc. Ma quando i circoli diventano esclusivi, tendono a produrre dei riti di passaggio, sicché il Itminde diventa la condizione di accesso al regno del liminoide. Francamente, adesso sono ancora in una fase di esplorazione. Spero di rendere più precise le mappe grossolane, quasi medioevali, die sono venuto svolgaido, di quelle oscure regioni liminali e liminoidi che circondano il nostro tranquillo villaggio di dò che è sodologicamente noto, dimostrato, sperimentato ed esaminato. Sia il ^liminale' che il 'liminoide* impongono di studiare i simboli neü'agire sociale, nella prassi, senza potersi sempre mantenere a una distanza di sicurezza dalla piena condizione imiana. Ciò significa che bisogna studiare tutti i settori della cultura espressiva, e non limitarsi all'alta cultura oppure alla cultura popolare, a quella alfabeta o all'analfabeta, alla Grande o alk Piccola tradizione, alla cultura urbana o a quella rurale. La simbologia comparata deve imparare ad 'abbracdare le moltitudini', e a generare da questo abbracdo una vigorosa progenie intellettuale. Deve studiare i fenomeni sodali totali. Vorrei concludere esaminando alcune delle relazioni die sussistono fra la communìtas^ 2 flusso, il liminale e il liminoide. Cercherò di spiegare brevemente dò che Csikszentmihalyi e MacAloon intendono per 'flusso'. Il termine ^flusso' denota la sensazione olistíca presente quando agiamo in uno stato di coinvolgimento totale [ed è ] una oandimone in cui im^a2iane segue all'altra secondo una logica interna che sembra procedere sen2a bisogno di interventi consapevoli da parte nostra [...]. Ciò che esperiamo è un flusso unitario da un momento a quello successivo, in cui d sentiamo padroni delle nostre adoni, e in cui si attenua la distin2áone fra il s c a t t o e il suo ambiente, fra stimolo e risposta, o fra preseme, passato e futuro®.
Alcune recenti ricerche di Caillois, Unsworth, Abrahams, Murphy ^^ (e degli stessi MacAloon e Csikszentmihalyi) si sono concentrate su varie forme di gioco e di sport (me105
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tageneri liminoidi delk nostra società) quali ralpinismo, 10 scalare pareti rocciose, il caldo, l'hockey, gli scacchi, 11 nuoto su lunghe distanze, la palla a mano «re., forme in cui è possibile esperire la situazione diflusso.Csikszentmihalyi estende il concetto di 'flusso' dal gioco all'« esperienza creativa » nell'arte e nella letteratura e añe esperienze religiose, basandosi su numerose fonti scientifiche e letterarie. Egli individua sei
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nostra mente e la nostra volontà sono in tal modo sgombrate da tutti gK elementi irrilevanti e nettamente focalizzate in certe direzioni prestabilite. Questa messa a fuoco è completata dai premi die ricompensano h buona conoscenza del gioco e la volontà indomabile, se messe al servizio di un'abilità tecnica e tattica. Ma per i nostri autori « la cosa importante è il flusso », non le regole, le motivazioni o i premi. Esso mette in gioco anche « risorse interiori la « volontà di partecipare» (che come tutti i fenomeni liminoidi risale ^ a libertà del volere; si sceglie di partecipare), la capacità di barcamenarsi fra le componenti strutturali del gioco oppure di rinnovarle servendosi delle regole per ottenere prestazioni senza precedenti. Tuttavia è la limitazione data dalle regole e dalle motivazioni, la concentrazione dell'attenzione, a rendere possibile Tesperienza del flusso. c) Un'altra caratteristica del 'flusso' è la perdita deirio. n 'sé', che normalmente è T'intermediano' fra le azioni di un individuo e quelle di un altro, diventa del tutto irrilevante: l'attore è immerso nel 'flusso', accetta come vincolanti le regole che sono tali anche per gli altri attori, perciò non ha bisogno di '
Dramma e riti di passagg¡ío
tutti g)i uomini, e addirittura tutte le cose, costituiscono immunità: e Fautore esibisce molti dati a sostegno di questa tesi. Vengono citate tanto la « partedpation mystique » di Lévy-BruM e la « esperiaiza non dualistica Zen » di Suzuki, quanto le dichiarazioni di atleti e sportivi. d) Una persona che è 'nel flusso' si sente « padrona deUe proprie azioni e delVambiente ». Magari non se ne a
Dramma e riti di passagg¡ío
zia dalk quotìdiamtà in quanto contiene regole esplicite « che rendono non problematiche l'azione e la valutazione dell'azione ». Perciò la malafede interrompe ü flusso: bisogna essere dei credenti, anche se questo significa solo una temporanea e « volontaria sospensione dell'incredulità », ossia scegliere (in modo Hminoide) di credere che le regole siano 'vere\ /) Infine, il 'flusso' è « autotelico », cioè non sembra aver bisogno di finalità o ricompense esteme. Stare nel flusso è godere della massima felicità possibile per un essere umano: non importa quali siano le regole o gli stimoli particolari che lo hanno fatto scattare, è indifferente che si tratti di una partita a scacchi oppure di una riunione religiosa. Se questo è vero, è un fatto importante per qualsiasi studio del comportamento umano, perché su^erisce l'ipotesi che la gente continuerà a fabbricare culturalmente situazioni in grado di suscitare ilflusso,o lo cercherà a livello individuale al di fuori delle situazioni prescritte nella sua vita, nel caso che queste siano « resistenti al flusso Csikszentmihalyi prosegue collegando la sua « teorìa del flusso (Xin la teoria dell'informazione e con quella della competenza, ma queste speculazioni non mi convincono. Credo die egli abbia splendidamente individuato e caratterizzato questa esperienza, che deve essere affrontata innanzitutto a livello fenomenologico (anche se poi è forse possibile ottenere xma maggiore 'oggettività' ricorrendo a tracciati di elettroencefalogranmii, ad alterazioni del ritmo metabolico eo:.)* Vorrei poter dire semplicemente che ciò che io chiamo communitas possiede in parte le proprietà di un 'flusso', ma essa se ne differenzia in quanto può sorgere, e spesso sorge effettivamente, in modo spontaneo e imprevisto: non ha bisogno di regole che la facdano scattare. Per dirla in termini teologici, essa è talvolta una questione di 'grazia' più che di ' l ^ e ' . Inoltre l'esperienza del 'flusso' è individuale, mentre la communitas ha evidentemente la sua origine nel rapporto fra due o più individui: è ciò che tutti noi crediamo di condividere con gli altri, e le sue potenzialità emergono dal dialogo, che instauriamo fra di noi 109
Dramma e riti di passagg¡ío
servendoci sia delle paiole che di me:^ di comunicazione non verbali come sorrisi di intesa, cenni del capo ecc. Seconcb me il ^flusso'rientragià nell'ambito di quella che ho definito la « struttura », mentre la communitas è sempre prestrutturale, anche se coloro che vi partedpano, come tutti gli esseri umani, sono stati rimpinzati di struttura fin da quando erano piccoli. Tuttavia il 'flusso' mi appare come imo dei modi in cui la « struttura » può essere di nuovo trasformata o 'liquefatta' (come il sangue del celebre martire) nella communitas. È una delle tecniche di cui la gente si serve nella sua ricerca del 'regno' o 'anti-regno' peKluto della diretta e immediata comunione reciproca, anche se lo sdbema entro il quale tale comunione può essere suscitata (lo schema « mantrico », potremmo dire) è una severa sottomissione a delle r^ole. Nelle società anteriori alla rivoluzione industriale il rituale poteva sempre assumere un carattere di «flusso» per le comunità totali (tribù, 'metà', clan, stirpi, famplíe ecc.); nelle società postindustriali, dove il rito fu soppiantato dall'individualismo e dal razionalismo, l'esperienza del flusso si trasferì principalmente nei generi di svago: arte, sport, giochi, passatempi ecc. Essendo il lavoro complesso e diversificato, anche il suo equivalente, surrogato o rimedio piacevole e facoltativo, cioè la sfera dei generi di svago, divenne complesso e diversificato. D'altra parte questa era spesso l'inverso della sfera del lavoro, nella forma se non nella funzione, dato che spesso la funzione dei giochi è di rafforzare i paradigmi mentali che tutti noi d portiamo dietro, e che ci inducono ad adoperarci con energia per l'esecuzione di quei compiti che la nostra cultura definisce come facenti parte della sfera del 'lavoro'. H punto è che nelle società arcaiche, teocratico-carismatiche, patriarcali e feudali {e in parte anche nelle città stato sul punto di trasformarsi in imperi), era il rito (compresa la sua fase liminale), insieme a certe istituzioni ausiliarie quali il dramma sacro, a fornire i principali schemi e meccanismi culturali che producevano l'esperienza del flusso. Ma in quelle età in cui la sfera delritualereligioso ha subito una contrazione {come sostiene Durkheim), la 110
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funzione di generare il fliisso all'interno della cultura è stata assunta in gran parte da una molteplicità di generi 'frivoli', 'non seri* (almeno in teoria), come l'arte e Io sport (dhie però in realtà sono forse assai più seri di come li considerava Tetica protestante). Il caso della communifas è diverso, poiché essa non lia bisogno di essere suscitata attraverso delle regole; può avvenire ovunque, spesso a dispetto delle regole. È un po' come il « Testimone » nel pensiero Indù, che può solo guardare e amare, ma non può agire (doè non può ^fluire' entro le condizioni stipulate da un gioco) senza mutare la sua natura. Ancora un'osservazione per concludere: nella trattazione sia della communitas che del 'flusso' ho trascurato un elemento essenziale, doè il contenuto dell'esperienza. £ qui che iDCominda Panalisi dei simboli: i simboli degli scacchi, dell'arte impressionista, della meditazione buddista, del pell^rìnaggio mariano, della ricerca sdentifica, della logica formale, hanno significati diversi, contenuti semantid diversi. Indubbiamente i processi della communitas e del flusso sono permeati dei significati dei simboli che essi generano o da cui sono attraversati. Che i ^flussi' siano tutti uguali, e che i simboli indichino diverse spede e gradi di profondità del flusso?
Note
^ H concetto di 'liminalità' è uno dei punti fondamentali ddla teoria di Turner. Mutuato da Van Gennep, dal fondamentale testo Í riti di passaggio di cui si dirà più avanti, la zona liminale è la zona del passag^o, k soglia che sta fra due sistemi culturali definiti. In questa zom, in ^fuesto spazio intermedio situato tra átuazioni assegnate e definite dalla l e ^ , dal costume e dalle convendoni, trovano espressione una ricca varietà di simboli. Questa zona die non è contrassegnata da alcuna forma determinante di potere permette Fespressione ddle forze della mutazione e dd cambiamento. In questo punto di passaggio si situano le elaborazioni e le definizioni dei riti propri delle fasi transitorie sociali e culturali. Di Turner si veda; La foresta dei simboli. Aspetti del rituale Ndembu, Brescia, Morcelliana, 1976 p. 123 ss.; The Rittial Process. Structure and Anti-Structure^ Qiicago, Aldine Pubfishing Gimpany, 1969; trad. it. B processo rituale. Struttura e anti-struttura, Brescia, Morcelliana 1972; Simboli e momenti della comunità, Brescia, Morcelliana, 1975.
Ili
Dramma e riti di passaggio 2 Cfc, Ferdinand de Saussure, Cours de Ung^tique Générde, Paris, Edition Payot, 1922; ttad. it. Corso di linguistica generale, Bari, Laterza, 196?. 3 Cff. Roland Barthes, Elements de sémiolope, Paris, Editions du Seuil, 1964, trad it Elementi di semiologia, Torino, Einaudi, 1966«
^ Barthes, op, dt,; trad, it. dt,, pp. 14-155 Bartbes, op. cit.; trad. it. dt., p. 86. ^ Turner, La foresta dei simhdiy dt., p. 44, ^ C£r. Turner, Schism and Contimàty in an African Society. A Study of Ndembu Village Ufe, Mandiester, Mandiester University Press, 1957, » Alfred Lewis Kroeber (1876-1960), antropologo statunitense, insegnò all'università di Berkley fino al 1946. Dedicò la sua ricerca etnok^ca aUo studio delle popolakoni indigene dd nord-America. Kioeber sosttene il principio deü^assoluta autonomia della cultura (distinguendo tre ordini di fenomeni: l'inorganico, Torsanico e il superoi^pnìco o sodoculturale). A dò si accompagna la teorizzazione del culturale: la storia è prodotto di «r^olarità culturali» e Fazione dell'indivi<^ è subordinata ad esse. C£r. Antropologia dei modelli culturali, Bologna, Il Mulino, 1976; La natura della cultura, Bolog^, Il Mulino, 1974, Antropolo^. Eazza, lingua, cultura, psicologia, preistoria, Milano, Fdtrinelli, 1983 ^ Arnold Van Gennep, Les rites de passage^ Paris, Émile Nourry, 1909; trad. it. í riti di passaggio, Torino, Boringhieri, 1981. ** Turner usa i termini di separation, transition, incorporation divers da quelli originari di Van Gennep (« separatone », « margine », « aggt^ gazione», op, cit.; trad, it. dt., p. 10), a cui si omolo^ierà solo più avanti. " Gir. Turner, Il processo rituale, dt., p, 181 ss. ^ Van Gennep, J riti di passaggio, d t , p. 10. ^ William Watson, Social Mobility and Social Class in Industriai Communities, in Max Glukman {a cura di), Gosed Systems and Open Minds, The Limits of Nmvety in Social Anthropology, Edinburgh e London, Oliver & Boyd, 1964. Cosi Watson: «La progressiva ascesa di spedalisri di diverse capadtà attraverso serie di pod^oni più alte in una o pió strutture geratcfaiche e la concomitante mobilità resideoziale [...] forma una caratteristica combinazione di mobilità sodale e spaziale die può essere definita 'spiralismo\ Questa mobilità in carriera e in residenza, OMnune a molti professionisti ha cons^uenze sociali significative in quanto intacca sia le organizzadoni per cui essi lavorano, sia le comiinità in cui vivono », ibidem^ p, 147. ^^ CÉr. Van Gennep, I riti di passaggio, dt., p. 70. ^ Ibidem, p. 98, tó Ibidem, p. 70. II concetto di 'antistruttura' sarà trattato andie più avanti, ma ritorna in quasi tutti gH studi di Turner e, in particolare, ne II processo rituale, dt. Per maggiori approfondimenti sul concetto di 'struttura* rimandiamo a Roger Bastide {a cura di). Usi e significati dd termine struttura, Milano, Bompiani, 1966. ^ n titolo della relazione di Sutton^mith raccolta n ^
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atti dd
Thamma e nú ài passaggio
simposio di Toimto dedicato al tema «Forms of Symbolic Inversion» è Games of Order and Disorder. ^ Etnolo^ £rancesi del novecento. Maicel Gnaule {1898-1956) ha effettuato studi nell'Africa subsahatiana analizzando^ in particolare, la società dei Dogon. Griaule sostiene che al di là delle espressioni più divulgate della conoscenza esoterica africana, esistono liviSli accessibili solo agli iniziati, la cui comprensione saretèe fondamentale per lo studio della struttura sociale. Germaine Dieterlen, allieva di Gria^e, ha completato e pubblicato le sue opere principalL 2® Swami Nikhilananda, The Bhagavad Gita, New York, RamakdshnaVivekananda Center, 1969, » Samuel Beai, Travels of Fah-Hian and SungYun. Buddhist Fil&ri from China to India (600 d.C. e 518 d,C.), London, Susil Gupta, 1964, p. 4 ss. La prima edÍ2áone risale al 186922 Turner, Il processo rituale, dt., p. 69 ss, 23 Ricordiamo, in questi anni di scarsa frequentazione del marxismo, il passo più noto, succinto e indicativo, in cui Marx espone il concetto di «sovrastruttura»: «nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determitiati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione dhe corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze i^oduttive materiali. Linsieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttm:a economica della società^ ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e i^litica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale », Carlo Marx, Per la critica dell'economia politica in II capital Torino, Einaudi, 1975, libro primo, voi. II, p. 957.
Jean Piaget, Flay^ Dream and Imitation, New York, Norton, 1962. 25 Alain Danieiou, Le Politheisme Hindou, Paris, Budiet-Oiastd» 1960, p. 222: « Les dieux jouent. La creation, le maintien et la destruction du monde est leur jeu», 26 Milton Singer, When a Great Tradition Modernizes, New York, Praeger, 1972, p. 160. 27 Ji^re Dumazedier, Leisure, in International Encydopedia of the Sodai Science, 1968, pp. 248-253. Si veda anche Le Loisir et la Ville, Paris, Editions du Seuil, 1962. In italiano, soprattutto, Sociologia del tempo libero. Critica e controcritica Ma aviltà indastride avanzata Milano, Angeli, 1978.
1971.
Duma^dier, op, cit., p. 248. Thorstein Vebien, La teoria della classe agiata^ Torino, Einaudi,
Dumazedia:, op. cit,, p. 249. 3t Sebastian de Grazia, Of Time, Work and Leisure, New York, Twentieth Century Fund, 1962. ^ Dumazedier, op. cit., p. 249. ^ GEr. Isaiah Berlin, Due concetti di libertà in Alessandro Passerin dTEntréves (a cura di), La libertà pditica, MUano, Edizioni Comunità, 1974, pp. 10M61. ^ Max Weber, L'etica protestante e lo spirito dèi capitalismo, Firenz Sansoni, 1965.
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Dramma e riti di passagg¡ío ^ Edward Nórbecfc, Man ai Play, in ^Play. A mtatal History Maga2áne Suplemento, dicembre 1971, pp. 48-53, ^ Turner, Il processo ritude, dt., p. I l i ss, ^ Al succitato simposio di Toronto del 1972 la rela2áone, raccolta negli atti del conv^o, di Rog^ Abrahams e Richard Bauman aveva il seguente titdo Rangers of festival Behavior, Turner, Il processo ritude^ dt., p. 147. ^ Georges Gurvitch, Mass, Community, Communion, in « Journal o£ Hiilosophy» agosto 1941, p. 489. ® Aiartin Buber, Between man and man, London e Glasgow, Fontana Library, 1961- Il rapporto Io e tu nasce neDa q)erimeQta^one dell'essere dell'altro: « Solo qoiando ho a che fare in modo e s s e n t e con un altro, doè in modo tale che egli non è più un foiomeno dd mio Jó, ma è il mk) Tu, sperimento realmente la realtà dd discorso con un altro — ndla irrefutabile genuinità della reciprocità» {ibidem, p. 72). Per Noi essenzide Buber intende «una comunità di più persone indipendenti, che hanno un sé e un'autoresponsabilità Il Noi indude il TÌI. Soltanto uomini capad di dirsi veramente Tu Tuno all^àitxo possono dirsi veramente Noi l'uno con Taltro Nessuna spede particcdare di formazione di gruppo in quanto tale può essere addotta come esempio àù Noi essenziale, ma in molte di esse è possibile vedere con suffidente chiarezza la varietà £a\'orevole alla comparsa dd Noi £ sufficiente, per impedire la comparsa o il perdurare dd Noi, die da accettato un uomo che sia avido di potere e usi gli altri come mezzo per il proprio fine, o che abbia uno straordinario desiderio di importanza e facda spettacolo dì sé » {ibidem, pp. 213-214). ^^ Turner, Il processo rituale, dt., p. 148. ^ Turner, Il processo rituale, dt., p. 147 ss. « Turner, Il processo ritude, dt., p. 148. Più avanti definisce k «communitas ideologica» come un*<(etidietta die si può Éi>plicare ad una varietà di modelli utopistid di sodetà fondate suHa commumtas esistenziale. La commumtas ideologica è d tempo stesso un tentativo di descrivere gli effetti estemi e visibili — si potrebbe dire la forma esteriore — di un'esp^enza interiore di communitas esistenziale e di spedficare le condizioni sociali ottimali nelle quali si potrebbe prevedere un fiorire e un moltiplicarsi di tali esperienze. Sia la communitas normativa che quella ideologica rientrano già nd campo della strattura ed è il destino di tutte le communitates spontanee della storia di subire quello che molti oHtsiderano un 'declino o caduta' nella struttura e nella l^ge ». ^ Turner, Il processo ritude, dt., p. 147 ss., cap. IV. ^ «Ore» è uno dd simboli fondamentali nd primi Libri Prctfetid di William Blake e sta ad indicare la volontà di emaiwápazione morale che, espressa, si realizza immediatamente. Secondo Sloss-Wallis il simbolo «CÌrc»^ si modifica n ^ ultimi Libri Frofetid per designa lo ^irito dell^uomo asservito alle «catene della gdosia» che aj^paiono amie la scMnma delle condizioni della vita morale. « Urizen » rappresenta la concezione ortodossa della Di\^tà o^ntro cui Blake protestava. Il mito del Ubro di Urizen è un tentativo di spiegarsi la concezione popolare di Dio dandone una valutazione e mostrando peidié l'Essere maligno fosse venerato come Dio da imUmanità ingannata e inddxJita. Cfr. WilHam
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Dramma e riti di passagg¡ío
Blake, Visioni, Milano, Mondadori, 1965 è da questa edizione, con traduzione di Giuscjipe Ungartó, cbe più avanti sarà dtato Blake. Rimandiamo anche ai menzionati Northrop Fiye, Fearfid Symmetry. A Study of William Blake, Princeton, Princeton University Press, 1947 e David V. Etdman, Blake: Prophet against Empire, A Poetas interpretatiofi o history of bis own time, Princeton^ Princeton University Press, 1954, ^ Vilfredo Pareto è il più conosciuto e controverso degli elitisti del XES secolo (cér. Trattato di soàdogjìa generale, Milano, Comunità, 1965)A suo ^udido ciò che separa VéHte dadla massa è la superiorità naturale, psicolt^ca dell'una sull^dtra, una diEetetoHi di «temperamento» fra i deboli e i forti. Su questo argomento segjialiama anche altre o p ^ altrettanto fondamentali: Bottomore, Elite e società^ Milano, Il Sa^iatore, 1967; Galbraith, Il nuovo stato industriale, Torino, Einaudi, 1970; Riesman^ La folla solitaria, Bolc^na, Il Mulino, 1956; Wright Mills, Uélite del potere, Milano, FeltrineOi, 1973. ^ Turner, Il processo ritude, dt., p. 144. ^ Brian Sutton-Smith, Games of Order and Disorder, rdaaone tenuta al simposio di Toronto del 1972 e raccolta negli atti rdativi. ^ Henury Maine, Ddlo status» al contratto, in U diritto privato ndla sodetà moderna, Boli^na, H Mulino, 1973. ^ Turner dta dal manoscritto dell'opera di Csikszentmihalyi e MacAloon, Play and Intrinsic Rewards. ^^ Rimandiamo al 'classico' testo di Jdian Huizinga, Homo ludens, Torino, Einau^ 1949, dtato più avanti da Turner, e, tra i menzionati, a Roger CaiUois, Í giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Milano Bompiani, 1981.
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Capitolo secondo
Drammi sociali e nartazioiii su di essi
Gli antropologi fanno tutti i calcoli e le rilevazioni dbe possono per stabilire i caratteri generali degli ambiti socioculturali che sono oggetto del loro studio. Benché queste attività abbiano dei lati sgradevoli, nel complesso io trovavo particolarmente confortante, durante i miei due anni e me22;o di lavoro sul campo fra gli Ndembu dello Zambia nord-occidentale, una popolazione che parlava la lingua bantu centro-occidentale, sedere nei villaggi davanti a una pipa di miglio o a ima birra al miele e raccogliere dati numerici sulla composizione dd vill^gio, sulla frequenza dei divorzi, sxiQe doti nuziali, sulle percentuali di migrazione di mano d'opera, sul reddito individuale, sui tassi delle nascite e d e ^ omicidi, e più attivamente misurare Tarea dei giardini e le dimensioni dei recinti rituali. In un certo senso questi dati, se non mi raccontavano una storia, mi dicevano per lo meno dove dovevo andare per trovare delle storie. Infatti dalle statistiche basate sui censi e sulle genealogie di una settantina di villaggi fui in grado di dedurre che queste imita residenziali erano composte da nuclei di stretta parentela matrilineare fra maschi, dalle loro mogli e dai loro figli, e da sorelle che in conseguenza dei frequenti divorzi erano tornate al loro vills^o natale portando con sé i loro figli più piccoli. Questa ovviamente fu solo la piccola palla di neve destinata a formare un'enorme valanga. Ben presto scoprii che ^ Ndembu si sposavano virilocdmente^ il che significa che dopo il matrimonio una donna va ad abitare nel villaggio del marito. Di conseguenza, a lungo andare, la continuità di un villaggio dipende dalla discontinuità coniugale, poiché il diritto di una persona arisiederein un dato villaggio è determinato in primo luogo dalla sua affiliazione matrilineare, benché essa possa anche trascorrere la propria vita nel villaggio pater117
Drammi sociali e narrazioni su di essi
no. Chiaramente in queste disposizioni normative è insito un certo disordine strutturale. Infatti un villaggio può sopravvivere solo recuperando le vedove e le divorziate insieme ai loro %li. Ne deriva che gli uomini che vivono nel proprio villaggio matrilineare tendono a convincere le loro sorelle a lasciare i mariti portandosi via i figli che « in realtà appartengono a quel ^aggio^ Anche in questa società matrilineare Tautorità politica, i ruoli di capo e capotribù, sono in mano ^li uomini: però un uomo non può trasmettere k sua carica al figlio, ma solo al fratello per parte di madre o al %lio della sorella. Perciò la trasmissione del potere richiede che presto o tardi i figli della sorella di un capotribù lascino il loro villaggio paterno per trasferirsi in quello dello zio materno. Questo avviene più facilmente se il giovane abita con un patrigno e non con il padre 'che lo generò'. Cosi il divorzio serve in vari modi a riaffermare la fondamentale preminenza del lignaggio materno contro il tentativo masdiile di appropriarsi del presente con il matrimonio virilocale. Lungi da me l'intenzione di insistere sui misteri della terminologia antropologica, con la stridente cacofonia dei suoi neologismi (non più stridenti, si potrebbe però obiettare, di quelli di altre tribù accademiche), ma è pertinente alla mia esposizione delle diverse valenze della narrativa il mostrare come certi caratteri profondi della struttura sodale di una data società influenzino sia il modo di comportarsi negli eventi sodali osservabili, sia gli schemi dei suoi generi di performance culturale, dal rituale al Marchen. Per completare questo quadro semplificato della struttura sodale Ndembu, dovrd però menzionare il fatto che in diversi libri ^ ho tentato di esplidtare come le tensioni fra la successione matrilineare, e altri prindpi, e i processi che esse fanno sorgere, abbiano influenzato vari fenomeni, processi e istituzioni, sia mondani che rituali, della sodetà Ndembu, fra i quali le dimensioni, la composizione, la mobilità e la statidtà dd villaggi, la stabilità dd matrimoni, le relazioni fra generazioni genealogicamente connesse e al loro interno, Ü molo delle assodazioni culturali a cui si ricorre in certe circostanze per rimediare alle scissioni nei villaggi^ 118
Drammi sociali e narrazioni su di e
nelle stirpi e nelle famiglie, il forte rilievo dato da parte maschile a complicati riti di caccia e di circoncisione in un sistema che in definitiva si basa sulle attività agricole e di lavorazione del dbo svolte dalle donne, e la formulatone di accuse di stregoneria, che spesso sono rivolte contro rivali matrilineari nel conseguimento di una carica o di un'autorità. Immagino che se mi fossi limitato all'analisi dei dati numerici, guidáto dallaranoscenzadei prìncipi più importanti delle relazioni di parentela e dei contesti politici, giuridici ed economici, avrei prodotto una letteratura antropologica informata da quelli che Hayden White avrebbe definito « presupposti meccanidstid ^ Efíettivamente questa era la prassi abituale nella scuola inglese di antropologia struttural-funzionalista in cui fui educato fra la fine degli anni Quaranta e Vìmdo dei Qnquanta. Una delle sue aspirazioni principali era di mostrare le leggi strutturali e processuali che, in una data società prealfabeta, determinano le configurazioni specifiche delle relazioni e delle istituzioni rilevabili da un osservatore esperto. L^intento ultimo di questa scuola era, secondo la formulazione di RadcliflEe-Brown di servirsi del metodo comparativo per scoprire per approssimazione successiva delle leggi universali. Ogni etnografia specifica cercava i principi generali che si manifestavano nello studio di ima singola società. In altre parole, i procedimenti idiografici, le descrizioni dettagliate di dò che io ho osservato di persona o appreso dagli informatori, erano costretti al servizio dello sì^uppo di un insieme di leggi. E le ipotesi che emergevano dalla ricerca idiografica venivano valutate nomoteticamente, doè allo scopo di formulare leggi sodol(^che universali. Questo modo di procedere ha naturalmente molti meriti. I miei dati mi davano effettivamente una misura dell'importanza relativa dei principii su cui si fonda la sodetà dei villaggi Ndembu. Indicavano tendenze predse nella direzione della mobilità spaziale individuale e collettiva. Mostravano come in certe aree particolarmente influenzate dalia moderna economia monetaria un tipo più piccolo 119
Drammis o c i a l ie narrazioni su di essi
di tmità residenziale basatx) sulla fanugUa poligimca, detto « fattoria », stesse sostituendo il tradirionale villaggio circolale il cui Gudeo era un gruppo unito da una parentela matrilineare. H metodo da me usato fu adottato anche dai coH^hi che lavoravano per il Rhodes-Livingstone Institute e favori il confronto su basi sdentifidie delle strutture dd villaggi appartenenti a tipi diversi di società centroafricane, Le differenze delle ¿dazioni di parentela e delle strutture locali furono messe a confronto con le differenze che concernevano variabfli quali la percentuale dei divorzi, l'ammontare delle doti, il modo di guadagnarsi da vivere, e cosi via. E tuttavia questo modo di procedere ha i suoi limiti. Come ha sostenuto George Spindler « il carattere idiografico deE'etnografia può essere distorto dall'orientamento nomotetico dell'etnografo » In altri termini, la teoria generale in base alla quale si affronta il lavoro sul campo conduce a selezionare certi dati come più rilevanti, ma rende dechi di fronte ad altri magari ancora più importanti per la comprensione della popolazione studiata. Quando giunsi a conoscere bene gli Ndembu, sia nei momenti di tensione che in quelli poveri di eventi, come « uomini e donne vivi » (parafrasando DJH. Lawrence), si acuì sempre più in me la consapevolezza di questi limiti. Non avevo ancora letto neanche una parola di Wilhehn Dilthey, ma già condividevo la sua idea che le « strutture d'esperienza » ^ siano le unità fondamentali nello studio dell'attività umana. Tali strutture presentano una inscindibile triplidtà, essendo contemporaneamente conosdtive, volitive e affettive. Naturalmente dascuno di questi aggettivi non è a sua volta che im'abbreviazione stenografica per una molteplidtà di processi e di facoltà. Può darsi che questo mio modo di vedere sia stato influenzato dal celebre saggio di Edward Sapir ^ in cui egli scriveva: Ncmostante la spesso asserita impersonalità della cultura la semplice verità rimane quella secondo cui le vaste possibilità della cultura, l u i ^ dall'avere come « portatoti », in qualsiasi senso reale, una comunità o un gruppo in quanto tali, sono scopribili soltanto come la particolare proprietà (H certi indnddui, che non possono
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Drammi soádi e tutrrazfom su di essi fate a meno di dare a questi beni culturali Kmpronta della propria personalità
Non solo, ma le persone desiderano e sentono oltre che pensare, e i loro desideri e sentimenti impr^nano i loro pensieri e influenzano le loro intenzioni, Sapir attaccò Tultradeterminismo culturale come la reificazione di una costruzione gnc^eologica degli antropologi, la cui cultura « spersonalizzata » è poco più di « un complesso o di una massa di sistemi di idee e di azioni che si sovrappongono disordinatamente, e a cui, attraverso l'uso verbale si può fare assumere Papparenza di un chiuso sistema di comportamento » Questa posizione corrisponde in una certa misura al paradigma organidstico di Hayden White, die godeva presso gli antropologi americani dello stesso prestigio che Ìl funzionalismo aveva presso i loro contemporanei inglesi. Mi divenne chiaro che una 'antropologia dell'esperienza' avrebbe dovuto tener conto delle proprietà psicologiche degli individui e non solo della cultura che, come sottolinea Sapir, non è « qualcosa di dato » ' al singolo indivìduo ma piuttosto « scoperta a tastoni » e, aggiungerei, in alcune sue parti a età abbastanza inoltrata. Non finiamo mai di apprendere la nostra stessa cultura, per non parlare di quelle altrui, e la nostra cultura si trasforma continuamente. Altrettanto chiaro divenne che fra i diversi compiti dell'antropologo c'è quello non solo di analizzare strutturalmente e funzionalmente i dati statistici e testuali (i censi e i miti), ma anche di cogliere le strutture dell'esperienza nei processi concreti della vita sociale. Qui il mio metodo, come quello di molti altri antropologi, corrisponde in parte al modello contestualistico dì White, die, usando il linguaggio di Pepper, vede nel contestualismo l'isolamento di alcuni elementi dall'ambito della storia (o, nel caso dell'antropologia, da quello sodoculturale) come oggetto di studio, sia che rdemento sia considerevole come la Rivoluzione francese, o modesto come una giornata nella vita di una spedfica persona. Egli [Ü ricercatore] passa a scovare i « fili » che legano gli eventi
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Drammi sociali e narrazioni su di essi da spiegare a aree del contesto, I fili sono identificati e rintracciati sia à á fuori, njello spazio culturale e sodale circostante in cui accade Fevento, sia indietro nel tempo, per determinare le « origani » dell'evento, sia avanti nel tempo, per determinare il suo « impatto » e h sua « influenza » sugli eventi suss^iuenti. Questa operazione di rintracciamento termina nel punto in cui i « fili » o spariscono nel contesto di qualche altro « evento ^ o « convergono » a causare il manifestarsi di qualche nuovo
Qui è interessante sofíermarsi un attimo a confrontare Fuso della metafora del « filo » da parte di Sapir e di White. Infatti il primo sottolinea che « le configurazioni si presentano dapprima secondo uno schema puramente formalizzato e logicamente sviluppato )> che chiamiamo etnografie e queste non spiegano il comportamento finché non si scopre « che le numerose 0a [corsivo mio] di sistemi o di implicazioni simboliche coUegano le configurazioni esaminate, o partí di esse, con altre configurazioni che presentano un aspetto formale totalmente differente ^ Per Sapir que&ti « fili » sono intemi allo spazio socioculturale studiato, e si ricoU^ano alla personalità e al carattere degli individui, mentre per White e Pepper i « fili » indicano la natura defle coimessioni tra un 'elemento' o 'evento' e il campo socioculturale significativo che lo circonda^ considerato, secondo White, da un punto di vista « sincronico » o « stmtturalistico » Trovo affascinante Tidea di Sapir che le sue « fila » siano <{ simboliche » e « implicatone infatti i simboli, i discendenti di quei tropi che sorgono nell'interazione tra persone vive, quali le metafore, le sineddoche, le metonimie che nelle crisi vengono per cosi dire coniate di zecca, giungono effettivamente a rivestire il ruolo di connettivi semiotici fra i livelli e le parti di un sistema di attività e fra tale sistema e il suo ambiente significativo. Abbiamo trascurato la funzione dei simboli nello stabilire connessioni fra i diversi livelli di una struttura narrativa. Ma sto anticipando ttoppo. Richiamerò brevemente 122
Drammi soddi e narrmofd su di essi
Tattenzione su un genere o specie di « elemento del campo storico » o evento », per usare la terminologia di White, che è isolabiie transculturalmente e che rivela, se gli si consente di svilupparsi pienamente, una caratteristica struttura processuale, una struttura che mantiene la sua validità sia che si consideri un evento macrostorico sia un evento microstorico di questo tipo. Prima di trattare di questa unità, che considero il fondamento sociale di molti tipi di 'narrazione' e che ho chiamato 'draa^ devo innanzitutto menzionare, a vantaggio cìei miei lettori non antropologi, un'altra utile distinzione attuata in sede antropologica, quella fra prospettive ^emiche" ed 'etiche', termini che derivano dalla distinzione introdotta dai linguisti fra fonematica e fonetica^ dove la prima è lo studio dei suoniriconosciuticome distinti dVinterno di uno specifico linguaggio, mentre la seconda è lo studio translinguistico delle unità sonore distinguibili prodotte dall'uomo. Ma lasciamo che a formulare questa antitesi sia Kenneth Pike, che è stato il primo a proporla: Le descriziom o analisi condotte dal punto di vista etico sono 'straniere*, i loro criteri sono estemi al sistema. Le descrizioni emicbe forniscono una visione intema (o « visioiìe dal di dentro », n d linguaggio di a^ckett), i cui criteri derivano dal sistema stesso. Esse rappresentano per noi la prospettiva di una persona che ha familiari^ con quel sistema e sa come deve operare al suo intemo^.
Da questo punto di vista tutte quattro le stratte di spiegazione che White ha propostorifacendosia Stephen Pepper (formalismo, organicismo, meccanicismo e contestualismo) metterebbero capo a descrizioni 'eriche' se applicate allo studio di società esteme alla tradizione culturale occidentale generata dal triangolo Gerusalemme-AteneRoma e continuata dalle tradizioni filosofiche, letterarie e di scienza sociale dell'Europa, del Nordamerica e dei loro sateUiri culturali. In efifetri certi membri di queste società (il cosiddetto 'terzo mondo') hanno lamentato (fra gli altri l'antropologo etíope Asmarom Legesse) ^ che i tentativi occidentali di 'spiegare' le loro culture non sono 123
Drammi sociali e iuirraàom su di essi
altro che espressioni di un « etoocentrismo gnoseologico », e sminuiscono il loro contributo alla riflessione su se st^sa dell'umanità nel suo insieme che i moderni messi di comunicazione e di informazione rendono oggi, se non fadie, almeno possibile. In altri termini, ciò che noi occidentali consideriamo 'etico', doè 'nomotetico', 'non condizionato culturalmente', 'sdentifico\ 'obiettivo', loro stanno giungendo a giudicarlo 'emico', il prodotto spirituale di una porzione della cultura mondiale i cui portatori fino a poco tempo fa potevano dire, con un certo compiacimento, con Thomas Hardy ma senza un'ombra della sua intenzione ironica, che « Noi abbiamo il fucile Gatling, e loro no », Ci sono dunque sia modi etid, sia modi emid di considerare la narrazione. Un antropologo, immerso nella vita di una cultura di primo acchito totalmente estranea, e separato dalla propria fuordié nella memoria, deve venire a patti con dò che lo aggredisce e lo invade. È una situazione piuttosto strana. Egli si trova gettato nel corso della vita cÉ un gruppo di persone che non solo parlano una lingua diversa, ma dassificano anche quella che potremmo chiamare la 'realtà sodale' in modi sulle prime ^ a i inaspettati. È costretto a imparare, bene o male, i criteri che rendono possibile la 'visione dal di dentro'. Sono al corrente della « teoria del lavoro storico » di Hayden W h i t e e non mi sfuggono le sue importanti connessioni con il modo di scrivere opere di etnografia oltre che di storia, ma sono anche consapevole del fatto che qualsiasi discussione sul ruolo della narrazione nelle altre culture presuppone una sua descrizione emica. Infatti il lavoro dell'antropologo è profondamente condizionato da dò che noi intendiamo per 'racconti', 'storie', 'storie popolari', 'narrazioni storidie', 'pettegolezzi', 'resoconti degH informatori', generi di narrazione per i quali d potrebbero essere molti nomi indigeni, non necessariamente coinddenti con i nostri. In effetti Max Gluckman ha richiamato l'attenzione sul fatto che lo stesso termine
Drammi sociali e iuirraàom su di ess
Ktico, formale e informale, tradÍ2áonale e aperto. Poiché la nostra è una cultura alfabeta, caratterizzata da una complessa divisione del lavoro culturale, abbiamo escogitato una pluralità di generi specializzati per mezzo dei quali possiamo esplorare, descrivere e interpretare il nostro comportamento reciproco. Ma Timpulso a parlare Tuno dell'altro in modi diversi, a seconda delle diverse qualità e livelli di coscienza intersoggettiva, precede l'uso ddla scrittura in tutte le comunità umane* Tutte le azioni e istituzioni dell'uomo si sviluppano, come direbbe CMord Geertz, fra le maglie del tessuto interpretativo delle parole. E naturalmente abbiamo anche tessuti di simboli interpretativi non verbali, come quando balliamo o mimiamo. E giochiamo a recitare la parte degli altri, cominciando da bambini e continuando per tutta la vita a imparare nuovi ruoli e a imparare le subculture degli status più elevati a cui aspiriamo, in parte sul serio e in parte con ironia. Gli Ndembu fanno una distinzione affine a quella di White ^ fra « cronaca » e « narrazione » come livelli di concettualizzazione nella cultura occidentale, la distinzione fra Nsan^'u Lo N^ng^pm riferirsi, ad esempio, a una pretesa testimonilaj^iettí^ sulla migrazione dei capi LunEa e dSi loro seguito dalla regione di Katanga, nello Zaire, sulfiumeNkalanyi, sul loro incontro con le popolazioni autoctone Mbwela o Lukolwe nel distretto di Mwinilunga, sulle battaglie e sui matrimoni tra i Lunda e gli Mbwela, sullo stabilirsi di sovranità Ndembu-Lunda e sulla successione dei loro principali detentori fino al tempo presente (anche i nomi e i canti di lode per i capi equivalgono infatti a una sorta dì cronaca), sulle scorrerie dei Luvale e dei Tchokwe nel diciannovesimo secolo, molto tempo dopo l'abolizione ufficiale della schiavitù, per procurare manodopera vincolata ai portoghesi di San Tome, sull'arrivo dei missionari, seguiti dalla Compagnia inglese del Sudafrica, e infine sul dominio coloniale britannico. Il termine ì^sqng'u può atiche denotare un resoconto autobiografico, una reminiscenza personale, o la descrizione di un evento interessante appena trascorso 125
Drammi socidi e narrazioni su di essi
da parte di im testmone-oc^^ Nsang% qyme la « jofousS » dispone — per citare White — « gli eventi da iffaitàrc ne^^ cronolo^co del loro^accad E propSÒ come una cronaca diventa, nella terminologia di ''S^te, una ^narrazione' in virtù del riordinamento d ^ K eventi come elementi di uno 'spettacolo' o di un happening die si ritiene abbia un inizio, un centro e una fine dhiaramente ickntificabili [.,.3 in termini di motivi inaugurali^ [.,.] transizionali [...] e terminali^
allo stesso mqdo^Jo Nsang'u^ ^ ^ narrazione. Questo termine copre una ganima di racconti che i nòstri studiosi del foMore dubbio sotto tipi 'etici' diJBferenti: imto^ racco^^ te, Marchen, l^enda^ ballata, epopea popolare, e simili. \n loro carattere distintivo è di essere in parte raccontati ^ in parte cantati. Nei punti chiave della narrazione fl pu& |blico fa coro con un ritomdlo cantato, interrompendo la sequenza parlata. Che un dato insieme di eventi sia cons^ derato come Nsangrú oppure come Kaheka dipende dal con testo in cui si colloca e dal modo in cui è strutturato. Prendiamo ad esempio le serie di racconti sull'antico capo dei Lunda Yak Mwaku, suafigliaLweji Ankonde, l'amante di lei Qdbinda Hxing'a, principe cacciatore dei Luban, e i fratelli della ragazza, Ching'uli e Chinyama (uso questi nomi secondo la pronimcia dei Lunda del sud), sui loro amori ed odii, conflitti e riconciliazioni, che condussero da un lato al costituirsi della nazione Lunda, e dall'altro alla secessione e alla diaspora di gruppi Lunda dissidenti, che in tal modo diffusero su un vasto territorio la conoscenza dell'organizzazione politica centralizzata. Questa sequenza di eventi può essere raccontata da un capo di supposta origine Lunda a persone poHticamente influenti che visitano la sua corte come uno Nsang'u, una 'cronaca', magari per giustificare i suoi diritti ad occupare quella carica. Ma episodi di questa cronaca possono essere trasformati in Tuheka (plurale di Kaheka), in 'narrazioni', e raccontati da donne anziane a gruppi di bambini radunati intomo al fuoco della cucina nelk stagione fredda. Uno 126
Drammi sociali e narraziofii su di ess
degli episodi prediletti — analizzato di recente dall'insigne strutturalista belga Lue de Heusch ^ — narra di come il re Yala Mwaku, ubriaco, fu deriso e percosso dai suoi figli, ma poi curato amorevolmente dalla figlia Lweji Ankonde, che egli ricompensò lasciandole, in punto di morte, il braccialetto reale, il lukanu (fatto di genitali umani per la conservazione magica della fertilità di uomini, animali e raccolti nel regno intero), facendo in tal modo di lei ñ sovrano legittimo dei Lunda. Un altro narra di come le sue ancelle riferiscano alla giovane regina che un giovane cacciatore di bell'aspetto, dopo aver ucciso im'antìlope, si era accampato con i suoi compagni suUa riva opposta del fiiune Nkalanye. Ella lo convoca alla sua presenza e i due giovani si innamorano a prima vista Tuno dell'altra e trascorrono insieme molte ore a parlare in un boschetto {dove oggi arde permanentemente un fuoco sacro, meta di molti pdlegrinaggi)» Ella viene a sapere che lui è il figlio minore di un grande capo Luba, ma che preferisce alla vita di corte quella libera del cacciatore nella foresta. Ciò nonostante, l'amore lo induce a sposare Lweji e, dopo qualche tempo, lei gli affida il lukanu (deve stare segregata durante le mestruazioni e dà il braccialetto a Chibinda per evitare che si contamini), facendo di lui il sovrano della nazione liUnda, L'etimologia popolare dei Lunda del sud fa addirittura derivare il termine Lunda dal sostantivo Wtdunda « amore » o « stretta amicizia ». I turbolenti fratelli di Lweji si rifiutano di riconoscerlo, e se ne vanno con la loro gente per fondare nuovi regni autonomi e di conseguenza diffondono presso società prive di stato il modello della centralizzazione polìtica. Jan Vansina, il celebre etnologo belga, ha studiato Ü rapporto fra questo racconto tradizionale e le strutture politiche delle molte società centroafricane che sostengono di « discendere da Mwantiyanvwa », il nome assunto in seguito dalla nuova dinastia^. Egli ritiene che questo corpus narrativo sia più che un semplice mito, bendié come tale sia stato trattato in modo illuminante da de Heusch; Vansina scopre tracce di affinità storiche fra le diverse società che affermano la loro origine Lunda; indicazioni confermate da testimonianze di altro 127
Drammi socidi e narrazhm su di essi
genere, linguistiche, archeologiche e cultiirali. Come in altre culture, gli stessi eventi possono essere strutturati come Nsang'u o come Kaheka, come cronaca o come narrazione, spesso a seconda della loro collocazione nodale nel processo vitale del gruppo o della comunità che li racconta. Tutto dipende da dove, quando e da chi vengono narrati. Cosi, per certi scopi i racconti tradizionali di Yala Mwaku e di Lweji sono trattati come cronaca, ad esempio per avanzare pretese poKtiche, per la *lundanità', come lan Cuimison ha battezzato la loro afíermazione di discendere da prestigiosi migratori. A scopo di intrattenimento, nei ritrovi serali degli uomini del villaggio o nelle cucine delle donne, gli stessi racconti sono definiti 'narrazioni\ con molte pennellate e svolazzi retorici e con Tinserimento di canzoni come abbellimento evocativo. Certi episodi x)ssono addirittura essere citati nelle cause giudiziarie per egittimare o sostenere le rivendicazioni di un querelante in una disputa sui confini o sulla successione ad una carica. ^ Ma per l'antropologo, che studia Tattività e i processi ""sociali, non sono tanto questi generi formali del raccontare e del produrre una storia arichiamaresoprattutto l'attenzione quanto, piuttosto, come abbiamo visto, quello che potremmo chiamare « pettegolezzo Ì», le chiacchiere e le voci sulle faccende private degli altri, cioè quello che gli Nbembu e i loro vicini Luvale chiamano kudiyongola^ legato al verbo Kuyong'ay « affollarsi », poiché il pettegolezzo ha luogo soprattutto nei ritrovi centrali e non murati dei villaggi tradizionali, dove i maschi drconcisi, e quindi socialmente 'maturi', si radunano per discutere le faccende della comunità e per sentire le 'notizie' {Nsang'u) sulle altre comunità riferite dai via^atori di passaggio. Una volta il critico Frank Kermode ha detto che il romanzo è costituito da due componenti: lo scandalo e il mito^^, E certamente il pettegolezzo (che include lo scandalo) è una deUe fonti perenni dei generi culturali. Fra gli Ndembu Ü pettegolezzo non avviene nel vuoto: è quasi sempre 'inserito' nell'unità di quel processo sociale àie ho brevemente descritto nell'introduzione: il dramma sociale. Anche se si potrebbe sostenere che il dramma sociale 128
Drammi sociali e narraziofii su di essi
è una 'narrarione' neH'aocezione di Hayden White®, in quanto in esso possono essere individuati motivi inauguraK, transizionaH e terminali, doè contrassegni culturali che indicano che esso ha un inizio, un centro e una fine, le mie osservazioni mi persuadono che esso è in realtà un'unità spontanea del processo sociale e un fatto di cui tutti hanno esperienza, in ogni società umana. La mia ipotesi, basata sulk ripetuta osservazione et tali unità processuali in una vasta gamma di sistemi socioculturali, e sulle mie letture etno^afidie e storiche, è che i drammi sodali, i « drammi del vivere come li chiama Kenneth Burke possono essere adeguatamente studiati partendo da ima loro scomposizione in quattro fasi, die io diiamo: rottura, crisi, compensazione e infine reintegrazione oppure riconoscimento della spaccatura. I drammi sociali accadono all'interno di gruppi di persone che condividono valori e interessi e sono legati da ima storia comxme, reale o supposta. I loro protagonisti sono persone per le quali il gruppo che costituisce il campo dell'azione drammatica ha un valore altamente prioritario. La maggior parte di noi ha quello che mi piacerebbe chiamare il proprio gruppo 'star', o gruppi ai quali dobbiamo la più profonda fedeltà e la cui sorte d coinvolge personalmente al più alto gradoT^Tutti apparteniamo a molti gruppi diversi, formali e informali, dalla famiglia aUa nazione o a qualdie istituzione religiosa o politica intemazionale. E ciascuno fa la propria valutazione soggettiva del loro valore relativo: alcuni ci sono *cari^ altri abbiamo 'il dovere di difenderli', e cosi via. Certe situazioni tragiche nascono dal conflitto fra le fedeltà a diversi gruppi 'star'. Un gruppo è un gruppo 'star' quando una persona si identifica con esso nel modo più profondo e vi trova l'adempimento dei suoi più importanti sfora e desideri personali e sodali. Nessuna cultura possiede un ordine gerardiico oggettivo per questi gruppi. Ho conosduto colleghi xmiversitari il cui gruppo 'star' supremo, d crediate o no, era im particolare comitato amministrativo del corpo accademico, mentre le loro famiglie e gruppi ricreativi occupavano una posizione di gran lunga inferiore, altri che riversavano il loro 129
Drammi socidi e narrazhm su di essi
amore e la loro fedeltà sulla Sodetà filatelica locale. In tutte le culture si è obbligati ad appartenere a certi gruppi, di solito quelli istituTáonalizzati: famiglia, fascia d'età, scuola, ditta, associa2done professionale, e simili. Ma questi gruppi non sono necessariamente i gruppi *star' prediletti di una persona, È nel proprio gruppo 'star' che si cercano per lo più l'amore, il riconoscimento, il prestigio, le cariche, e altri benefici e ricompense, materiali o immateriali. In esso k persona consegue il rispetto di se stessa e un senso di appartenenza nei confronti delle altre persone per le quali nutre del rispetto. Ora, ogni gruppo oggettivo è composto da individui che vedono in esso il proprio gruppo 'star' e da altri che lo considerano con indifferenza, o addirittura con fastidio. Le relazioni fra i ""membri 'star' del gruppo", se vogliamo definire cosi la prima categoria, sono spesso fortemente ambivalenti, e assomigliano a quelle fra i componenti di una famiglia elementare della quale forse il gruppo 'star' è un sostituto adulto. Essi riconoscono l'uno all'altro il comune attaccamento al gruppo, ma sono gelosi l'uno dell'altro per la intensità relativa di questo attaccamento o per la considerazione in cui un altro membro è tenuto dal gruppo nel suo complesso. Possono contendersi un'alta carica vacante nel gruppo, non semplicemente per brama di potere, ma in base alla convinzione che essi, ed essi soltanto, comprendono veramente la natura e il valore del gruppo, e possono promuovere i suoi interessi con spirito altruistico. In altre parole, fra i "'membri "star' di un gruppo" troviamo gli equivalenti simbolici dellarivalitàfra fratelli e dellarampetitivitàgenitore-figlio. In diversi libri ho trattato con una certa ampiezza dei drammi sodali^, sia nelle sodetà di piccole dimensioni, come gli Ndembu, a livello dì villaggio, sia nelle società complesse, ad esempio la lotta per ü potere fra Enrico II d'Inghilterra e Tardvescovo Thomas Becket^, o la rivolta degli Hidalgos avvenuta in Messico all'inizio del diciannovesimo secolo. Che si tratti di ima questione importante come il caso Dreyfus o il Watergate, oppure di una lotta per la sovranità in un villaggio tribale, un dramma sociale 130
Drammi socidi e
narrazioni
su di
SÌ manifesta innanzitutto come rottura di una norma, come infrazione di una regola della morale, della legge, del costume o dell'etichetta in qualche circostanza pubblica. Questa rottura può essere deliberatamente, addirittura calcolatamente premeditata da una persona o da una iasione che vuole mettere in questione o sfidare l'autorità costituita (ad esempio il Boston Tea Party) o può emergere da uno sfondo di sentimenti appassionati. Una volta apparsa, può ctìflBcilmente essere cancellata. In ogni caso, essa produce una crisi crescente, unafratturao svolta importante nelle relazioni fra i membri di un campo sodale, in cui la pace apparente si tramuta in aperto conflitto e gli antagonfemi latenti si fanno visibili. Si prende partito, si formano fazioni, e a meno che il conflitto non possa essere rapidamente confinato ia una zona limitata dell'interazione sociale, la rottura ha la tendenza ad espandersi e a diffondersi fino a coincidere con qualche divisione fondamentale nel più vasto insieme delle relazioni sociali rilevanti, cui appartengono le fazioni in conflitto. Abbiamo visto all'opera questo processo nella crisi iraniana che è seguita alla rottura accelerata dall'occupazione dell'ambasciata americana a Teheran. La fase di crisi mette a nudo lo schema deUa lotta in corso fra fazioni all'interno del gruppo sodale in questione fino all'apparato formale legale e giuridico, e, per risolvere certi tipi di crisi, all'esecuzione di un rituale pubblico. Un rituale del genere comporta un 'sacrifido', letterale o simbolico, una vittima che serva da capro espiatorio per il 'peccato' di violenza compensatrice del gruppo. La fasefinaleconsiste o nella reintegrazione del gruppo sociale turbato dalla crisi (anche se, con ogni probabilità, la portata e l'ambito del suo campo relazionde risulteranno modificati, il numero delle sue parti sarà diverso e la loro dimensione e influenza subiranno dd cambiamenti), oppure nel riconosdmento sociale dell'irreparabilità della rottura fra le parti in conflitto, il che talvolta conduce alla loro separazione geografica. Questa può assumere le proporzioni dd molti Esodi di cui la storia d dà notizia, o ridursi ad un trasferimento dei membri scon131
Drammi socidi e narrazioni sa di essi
tenti del villaggio in qualdie luogo a poche miglia di distanza^ Anche questa fase può essere segnata da una cerimonia o da un rito pubblico, che indichi la riconciliazione o la scissione dejSnitiva fra le fazioni coinvolte. Sono ben consapevole del fatto che il dramma sociale è im modello agonistico tratto da una situazione agonisticarioDrrente,e non pretendo affatto che esso sia il solo tipo di unità processuale. Ad esempio GulKver, studiando un'altra società centroafricana, quella degli Ndendeuli in Tanzania, rivolge la sua attenzione all^effetto cumulativo di una serie interminabile di incidenti, casi ed eventi secondari, che potrebbero influenzare e modificare le relazioni sodali in modo altrettanto significativo che gli scontri più apertamente drammatici Raymond Hrth ^ studia le unità processuali « armoniche », che io dhiamo « imprese sociali » e che sono anch'esse strutturate in base a fasi distinguibili. Esse sottolineano
Drammi soddi e narrazhni su di essi
che il dramma sociale è una forma processuale pressoché universale, e rappresenta una sfida perpetua a tutte le aspirazioni alla pariEezione dell'oi^anizzazione sociale e politica. In certe culture il suo profilo è nettamente definito e il suo stile corrosivo: in altre l'azione agonistica (contestatrice) può essere messa in sordina o stornata da elaborati codici di comportamento. In altre ancora il conflitto può avvenire bassa voce' (per dtare l'espressione usata da Richard Antoun a proposito della politica dei villaggi arabi in Giordania), in uno stile che rifugge dal confronto e dallo scontro diretti» I drammi sodali sono in larga misura processi politid, doè comportano la competizione per obiettivi il cui raggiungimento è possibile solo da parte di un numero limitato di persone (ü potere, la dignità, il prestigio, l'onore, la purezza) mediante mezzi particolari e mediante l'utilizzo di risorse che sono date a loro volta in quantità limitata (beni, territorio, denaro, materiale umano). Obiettivi, mezzi e risorse vengono coinvolti in un processo di feedback interdipendente. Certi tipi di risorse, ad esempio la terra e il denaro, possono essere convertiti in altri, come l'onore e il prestigio (che sono al tempo stesso i beniricercati).Oppure possono essere utilizzati per stigmatÌ22are gli avversari e negare loro l'accesso a tali obiettivi. Secondo le mie osservazioni, l'aspetto politico dei drammi sociali è dominato da quelli che ho chiamato « membri 'star' di un gruppo ». Essi sono i principali protagonisti, i leader ddle fazioni, i difensori della fede, le avanguardierivoluzionarie,i riformatori per eccellenza. Sono loro che trasformano in arte la retorica della persuasione e della suggestione, che sanno come e quando eserdtare pressioni o adoperare la forza, che sono più sensibili ai fattori della legittimità. Nella fase tre, quella della compensazione, sono i « membri 'star' del gruppo » a manipolai il meccanismo di compensazione, i tribunali, le procedure divinatorie e rituali, e a imporre sanzioni a coloro a cui viene attribuita la responsabilità di aver scatenato la crisi, proprio come sono spesso «membri 'star' del gruppo » insoddisfatti o dissidenti a guidare le rivolte e a provocare la rottura iniziale. 133
Drammi socudi e mrraziom su di essi
f. n fatto che un dramma sociale, secondo la mia anailisi della sua forma, corrisponda esattamente alla descri; zione della tragedia greca die Aristotele fa nella Poetica, 1 nel senso che è « imitazione di a2done di carattere elevato i e completa di una certa estensione » ^^ e che ha un inizio j un centro e una fine, non è dovuto, lo ripeto, ad un mio Í tentativo illegittimo di imporre un modello 'etico' occidentale dell'azione scenica al comportamento sodale di un villg^o africano, ma al fatto che esiste un rapporto di interdipendenza, forse un rapporto dialettico, fra i drammi sociali e i generi di performance culturale, probabilmente in tutte le società. Dopo tutto la vita è un'imitazione ¿eU'arte, quanto l'inverso. Quelli che, come i bambini nella società Ndembu, hanno ascoltato innumerevoli narrazioni su Yala Mwaku e Luweji Ankonde, sanno tutto sui 'motivi inaugurali' {« quando il re età ubriaco e indifeso, i suoi figli lo picchiarono e lo insultarono »), sui motivi 'transizionali' (« sua figlia lo trovò più morto che vivo, e lo consolò e lo curò ») e su quelli 'terminali' (« il re diede il lukanu alla figlia e escluse i suoi figli maschi dalla successione al trono »). Quando questi stessi Ndembu, diventati adulti, vogliono provocare una rottura o accusare qualche fazione di avere gravemente turbato il pacifico andamento dell'ordine sociale, hanno a disposizione una struttura per 'inaugurare' il dramma sodale, con un repertorio di motivi 'transizionali' e 'terminali' per continuare il processo di strutturazione e incanalare gli sviluppi agonistid successivi. Proprio come la narrazione stessa fornisce ancora indicazioni importanti sulle relazioni familiari e sulle tensioni fra i ruoli legati al sesso e all'età, e appare come una generalizzazione emica, rivestita di ima metafora e contenente la proiezione di innumerevoli drammi sociali particolari generati da queste tensioni strutturali, allo stesso modo essa retroagisce sul processo sociale, fornendogli una struttura retorica, una modalità di utilizzo e un significato. Alcuni generi, in particolare l'epica, servono da paradigmi che informano l'azione di importanti leader politìd (membri 'star' di gruppi omnicomprensivi come la chiesa e Io stato), fornendo loro lo stile, 134
Drammi sociali e narraziofii su di essi
la direzione, e a volte costringendoli subliminalmente a compiere una determinata serie d'azioni in una importante crisi collettiva, in tal modo segnando le loro vite. Altrove ho cercato di mostrare come Thomas Becket, dopo il suo confronto antagonistico con Enrico II da un lato e con l'assise dei vescovi al concilio di Northampton dall'altro, sembrò essere quasi 'controllato', ^posseduto' dal paradigma di azione offerto dalla Via Crucis nella fede e nel rito cristiani, suggellando il suo rapporto di amoreodio con Enrico nella doppia immagine del carnefice e del martire, e dando cosí origine a una successiva fioritura di narrazioni e drammi poetici^. Pet paradigma non intendo un insieme di concetti univoci, ordinari logicamente. Non intendo neppure un insieme stereotipo di linee guide per l'azione etica, estetica o convenzionale. Un paradigma di questo genere trascende la sfera conoscitiva, e persino quella morale, per investire la sfera esistenziale; e cosi facendo viene rivestito di allusività, di implicazioni, di metafore: infatti nella tensione dell'agire i saldi confini delle definizioni sono appannati dallo scontro di volontà emotivamente sature. Paradigmi di questo tipo, paradigmi culturali radicali, per cosi dire, toccano gli atteggiamenti vitali irriducibili degli individui, passandb sotto alla comprensione cosciente per giungere a un controllo fiduciario di quelli che essi avvertono come valori assiomatici, questioni di vita o di morte nel senso letterale della ' espressione. Richard Schechner nel 1977 ha cercato di ' esprimere questa relazione fra il dramma sodale e il dramDramma sodale
Dramma scenico
sociale ss 135
Drammi soddi e narrazhni su di essi
ma comc realizzazione letteraria o scenica con un disegno a ionna di otto messo in posinone orizzontale e bisecato in entrambi gli anelli^. L'anello di sinistra rappresenta il dramma sociale; sopra la linea c'è il dramma esplicito, sotto la struttura retorica implicita; Fanello di destra rappresenta il dramma scenico; sopra la linea c'è la performance visibile e sotto il processo sociale implicito, con le sue contraddizioni strutturali. Le frecce die vanno da sinistra a destra rappresentano il corso dell'azione. Esse seguono le fasi del dramma sodale al di sopra della linea nell'anello di sinistra, scendendo per passare nella metà inferiore dell'anello di destra, dove rappresentano le infrastrutture sociali nascoste. Poi le frecce salgono e, spostandosi adesso da destra a sinistra, attraversano le fasi successive di un generico dramma scenico» Nel punto di intersezione fra i due anelli scendono di nuovo per formare il modello estetico nascosto che, per cosi dire, sorregge il dramma sociale manifesto. Questo modello è efficace, ma per il mio gusto im po' tirato per i capelli nelle sue implicazioni, e suggerisce un movimento ciclico anziché lineare. Tuttavia esso ha il merito di mettere in evidenza la relazione dinamica fra il dramma sociale e i generi espressivi culturali. Il dramma sociale del Watergate fu pieno di ^controscene* in ogni sua fase, dal dima di congiura alla Guy Fawkes nell'episodio di 'rottura', messo in evidenza dalla scoperta del nastro incriminante della porta, attraverso la brutale artificiosità dell'operazione di insabbiamento e di tutto dò che accadde nella fase di 'crisi' delle indagini, con le suerivelazionigenere Gola profonda e le sue combinazioni di nobili prindpi e di volgare opportunismo politico. La fase di compensazione non fu meno implidtamente sceneggiata in base a modelli teatrali e narrativi. Non c'è bisogno che io descriva le udienze e il 'massacro del sabato sera'. Adesso abbiamo commedie, film e romanzi sul Watergate e le sue dramatis personae naturdeSy che so plasmate, per usare il linguaggio asettico della sodologia, in conformità alla struttura e alle proprietà del campo sodale che circonda e compenetra i loro autori durante la 136
Drammi soctdi e narrímotá su di essi
scrittura, AI Kvello più profondo possiamo prevedere uno slittamento interpretativo verso un adattamento dei testi più accettabili a qualdie paradigma profondamente radicato dell"americanità\ Il 'mito' americano, come ha sostenuto Sacvan Bercovitch produce periodicamente delle 'geremiadi' (omelie polemiche in vari generi culturali) contro la tendenza decadente verso modi di vita che puzzano dello statico, corrotto e gerarchizzato Vecchio Mondo, e che ostacolano il cammino verso una terra promessa che si allontana sempre più ma dbe alla lunga è ra^ungibile, daritagliareda qualche landa incontaminata, dove una deroocrazia prospera e ideale possa fiorire 'sotto la benedizione di Dio'. H Watergate è uno stupendo bersaglio per la geremiade americana. Paradossalmente, molti dei suoi personaggi sono diventati ddle celebrità: ma dopo tutto questo non è tanto sorprendente. Ponzio Pilato è stato canonÌ2zato dalla chiesa etiopica, e anche se probabilmente Dean e Ehrlichman non saranno mai considerati dei santi, la loro semplice partecipazione ad un dramma che ha attivato un importante paradigma culturale ha conferito loro una ambigua preminenza che forse altrimenti non avrebbero mai raggiunto. I vincitori dei drammi socialirichiedonoconcretamente performance culturali per continuare a l^ttimare il proprio successo. E questi drammi generano i loro « tipi simbolici » traditori, rinnegati, cattivi, martiri, eroi, fedeli, infedeli, imbroglioni, capri espiatori. Essere nel cast di una narrazione drammatica destinata ad essere assunta come esemplare o paradigmatica oflEre già una certa garanzia di immortalità sociale. È la terza fase di un dramma sociale, la compensazione, quella che ha più a die fare con la genesi e il mantenimento dei generi culturali, sia ^colti' che 'popolari', sia orali che scritti. Ho sostenuto ^ che nella società Ndembu, quando sorge un conflitto fra gli interessi e le pretese contrapposti di protagonisti che agiscono a partire da un medesimo principio sociale, ad esempio la discendenza da ima antenata comune, per far fronte alla crisi si può ricorrere a istituzioni giuridiche, poiché è possibile tentare di giun137
Drammi soctdi e narraztom su di essi
gere ad u0a conciliazione per via razionale fra pretese che hanno una base simile. Ma quando esse sono avanzate in nome di principi sociali difiEerenti, che sono incoerenti Ttino rispetto aU'altro addirittura al punto di contraddirsi reciprocamente, non ci può essere alcun accomodamento razionale. In questo caso gli Ndembu ricorrono alla divinazione della stregoneria o della collera degli antenati per spiegare la disgrazia, la malattia o la morte avvenuta prima o durante il draioma sociale. Come ultima risorsa possono essere celebrati dei riti diriconciliazione,che con il loro simbolismo verbale e non verbale, riaffermano e rivitalizzano valori supremi che tutti gli Ndembu condividono, malgrado Ì conflitti fondamentali di norme e di interessi. Che contro il dilagare della crisi si faccia appello a processi giuridici oppure rituali, il risultato è un incremento di quella che potremmo definire la rifiessivitá sociale o coflettiva, gli strumenti con i quali un gruppo cerca di esaminarsi, di rappresentarsi, di comprendersi e quindi di agire su se stesso. Barbara Myerhoff ha scritto die le performance culturali sono riflettenti nel senso che mostrano noi stessi a noi stessi. Sono anche in grado di e ^ r e rifiessivey risvegliando in noi la coscienza di come vediamo noi stessi. Come gli eroi dei nostri drammi, diventiamo consapevoli di noi stessi, coscienti deUa nostra coscienza. Attori e pubbHco insieme, possiamo allora ra^ungpre la pienezza delle capacità umane, e forse del desiderio umano di auto-osservazione e di provate il piacere che proevira il sapere di sapere^.
Io tendo a considerare il dramma sociale nel suo pieno sviluppo formale, nella piena struttura delle sue fasi, come un processo che trasforma valori e fini particolari, distribuiti fra im gran numero di attori, in un sistema (sempre temporaneo e provvisorio) dal significato condiviso o consensuale. Non ha ancora raggiunto Io stadio del piacere di sapere che conosciamo noi stessi di cui parla la Myerhoff, ma è ima tappa in quella direrione. Sono propenso a condividere l'opinione di Wilhelm Dilthey ^ che il significato {Bedeutung) sorge nella memoria, nella conoscenza de passato y eriguardail modo per pervenire a un coU^amen138
ì^rammì socidi e narrazioni su di ess
to fra passato e presente, mentte il valore i^eri) inerisce al godimento aflFettivo dú presente, e le categorie di scopo {Zweck) o di bene {Gut) derivano dalla volizione, cioè dal potere o facoltà di usare la volontà, che si riferisce al futiera. La fase di compensazione, in ciii il feedback sulla crisi è sempre fornito dai dispositivi di analisi della legge (rituale secolare) e del rituale religioso, è un periodo ìiminaie, separato dal corso della vita quotidiana, in cui viene sviluppata una interpretazione {Bedeutung) per dare un aspetto di senso e di ordine agli eventi che conducono alla crisi e la costituiscono. Solo la categoria del significato, ci dice Dilthey, ci consente dì concepire una affinità intrinseca fra gli eventi successivi della vita, o, si potrebbe aggiungere, di un dramma sociale. Nella fase di compensazione il significato della vita sociale informa la percezione di sé, mentte l'oggetto da percepire penetra nel soggetto perdpiente e loriplasma.H mero funzionalismo antropologico, il cui intento è di stabilire le condizioni delTequilibrio fra le componenti di un sistema sociale in un determinato periodo, non è in grado di trattare il significato, poiché questo implica sempre il riferimento retrospettivo e la riflessività, cioè impUca un passato, ima storia. H significato è la sola categoria che coglie pienamente la reladone fra le parti e il tutto della vita, dato che il valore, essendo prevalentemente emotivo, appartiene essenzialmente a un'esperienza in un presente di coscienza. Tali presenti di coscienza, considerati puramente come momenti presenti, coinvolgono totalmente il soggetto, addirittura al punto da non avere fra loro alcuna connessione intrinseca, almeno di tipo sistematico, gnoseologico. Stanno Tuno dietro Taltro in una sequenza temporale, e se possono essere confrontati come « valori », cioè come dotati dello stesso status epistemologico, non possono però formare qualcosa come una totalità coerente, perché sono essenzialmente momentanei, transeunti, nella misura in cui sono soltanto valori; se sono interconnessi, i legami che li collegano appartengono a un'altra categoria, quella del significato, della raggiunta riflessività. In un dramma scenico, i valori possono essere la sfera degli attori, il signifi139
Drammi soctdi e narrazhm su di essi
cato qadk dfel r^ista. I valori si situano in quello che Gsiks:^tmihalyi chiamerebbe Io stato di «flusso». La riflessività tende a bloccare ilflusso,perdhé artia)la Tesperienza. Dilthey descrive con eloquenza il carattere non artieokto dei valori: La vita appare, dal punto di vista del valore, come pienezza infinita di v^ori esistenziali positivi e negativi, una pienezza di valori propri. Essa è un caos di armonie e dissonanze, in cui le dissonanze non si risolvono in armonie. Nessun smnoy che riempia un momento presente, ha un rapporto musicale con un altro anteriore o successivo^ [corsivo mioL
Lariflessivitàliminale della fase di compensazione è necessaria per stabilire una simile relazione musicale, se si vuole che la crisi assuma un significato. Le crisi sono « come un caos di armonie e di dissonanze Credo che certe modalità della musica moderna tentino di riprodurre questo caos, lasciandolo cosi com'è, poiché i legami di significato ereditati dal passato non riescono più ad attuare una connessione. E qui dobbianto tornare alla narrarione. Infatti sia le procedure legali che quelle rituali generano forme narrative dai fattì bruti, dalla mera coesistenza empirica delle esperienze, e tentano di afferrare i fattori die favoriscono l'integrazione in una situazione data. Il significato viene colto passando in rassegna nel ricord un processo temporale: viene generato ndia 'narratone' elaborata dagli avvocati e dai giudici nel processo di confronto delle testimonianze, o dagli indovini che mediante le loro particolari tecniche ermeneutiche strutturano le loro intuizioni in responsi per i loro clienti. Il significato di ciascuna parte del processo è stabilito in base al suo contributo alrisultatoglobale. Si noterà che il mio dramma sociale fondamentale è agonistico, ricco di problematicità e di conflittualità, e questo non semplicemente perché si basa sul presupposto che i sistemi socioculturali non siano mai sistemi logid o armoniose Gestdten, ma siano gravidi di contraddizioni strutturali e di conflitti fra norme. La vera opposizione 140
Drammi socidi e narrazioni su di ess
non dovrebbe essere definita in questi termini 'o^ettivati\ È quella fra Tindetemiinatezza e tutte le modalità di determinazioGe. L'indeterminatesasa è, per cosi dire, *nel modo congiuntivo", poiché è ciò che non è ancora sistemato, concluso e conosciuto. Essa è tutto ciò che può, che potrebbe, e forse addirittura dovrebbe esistere. È dò che terrorizza nelle fasi di rottura e di crisi di un dramma sociale. Sally Falk Moore si spinge fino a suggerire che « si dovrebbe considerare l'assoluta indeterminatezza teoretica come la qualità implicita fondamentale della vita sodale » La realtà sodale è « fluida e indetenmnata », anche se per lei i
Drammi soádi e narrawfá su di essi
e ho scoperto che VOrixa dbe possiede i medium, o una entità nota come Exu, la cui originerisaleagli Yomba dell'Africa occidentale, presso i quali essa è la divinità imbrogliona dei crocevia, personifica sotto molti aspetti questa indeterminatezza « meonica » (per usare un termine di Mkolaj Berdjaev) A volte essa è raffigurata sugli altari umbanisti come un essere (Entìtade) a due teste, di cui una ha il volto di Cristo e Taltra quello di Satana. UExu, i cui colori rituali sono il nero e il rosso, è il Signore del Limen e dei Caos, l'assoluta ambiguità del 'nodo congiuntivo' della cultura, e rappresenta l'indeterminatezza che è in agguato nelle fenditure e nelle crepe di tutte le 'costruzioni della realtà' socioculturali, colui che va tenuto a bada se si vuole che l'ordine formale strutturato dei procedimenti rituali possa continuare secondo il protocollo. Egli è l'abisso della possibilità: di qui le due teste, poiché è potenáalmente sia salvatore che tentatore. È andhe distruttore, dato che in una delle sue forme è il Signore del Cimitero. Come Siva, creatore e distruttore, brandisce un tridente. Si possono vedere la sua immagine e il suo segno a New York e a Montreal, se si esaminano attentamente i costumi (detti ''fantasie") dei Mardi Gras dei carnevali caraibici: infatti oltre che nelle brasiliane Candomble e Umbanda egli è venerato nella religione Santería di Cuba e Porto Rico, In tutti i più importanti processi cuI-\ turali, dal rito al teatro e al romanzo, per quanto complesso sia il loro significato, d sono, per citare di nuovo Kermode, sia la « s<^en2aj> che i « segreti »: i « segreti » i sono quei lampi non sequenziali di indeterminatezza crea- j tiva, die penetrano e sembrano contaminare tutti i proto- \ coUi, i copioni e i testi coerenti, indizi per quanto deboli i dell'abisso della congiimtività, che irrompe ed erompe come Exu minacciando il movimento verso il climax regolato in termini culturali. Considero dunque il dramma sociale come la matrice empirica da cui derivano i principali generi di performance culturale, a cominciare dalle procedure rituali e giuridiche di compensazione, per giungere fino alla narrazione orale e scritta. La rottura, la crisi e gli esiti di reintegrazione o 142
Drafftmi sociali e narrazioni su di
idi divisione forniscono a questi generi più tardivi il conJ tenuto, le procedure e la forma. Man maao che la società / si fa complessa, e la divisione del lavoro produce modalità di azione socioculturale sempre più specialisate e professionalizzate, anche i modi per attribuire significato ai drammi sociali si moltiplicano, ma il dramma stesso rimane fino all'ultimo semplice e inestirpabile, un fatto presente nell'esperienza sociale di tutti e un nodo significativo nel ciclo cÈ sviluppo di ogni gruppo che aspiri sdla continuità. Il dramma sociale resta U problema spinoso dell'umanità, il suo tarlo immortale, il suo tallone d'Achille: per uno schema di sequenzialità còsi ovvio e familiare è inevitabile usare espressioni stereotipe. Al tempo stesso esso è il nostro modo naturale di automanifestard e di proclamare dove stiano il potere e il significato e come siano distribuiti. Ne II processo rituale e in questa sede, ho parlato della forma processuale del rite de passage scoperta da Van Gennep, e vi accennerò di nuovo brevemente. I riti di passaggio, come i drammi sociali, comportano processi temporali e relazioni agonistiche: i novizi o iniziandi vengono strappati (a volte con l'uso della forza, reale o simbolica) a una condizione o status sociale precedente, costretti a rimanere segregati durante la fase liminale, sottoposti a prove da persone più anziane già iniziate, e reinseriti nella vita sodade quotidiana in modi simbolici i quali spesso rendono evidente che i legami prerituali sono stati irrimediabilmente spezzati, mentre sono diventati obbligatori nuovi sistemi di relazioni. Ma come altri tipi di rituale, quelli che segnano i momenti critici della vita (il tipo di rito di passag^o più trasformatore) rivelano già un notevole livello di generalizzazione: sono infatti un prodotto abbastanza tardo dellariflessivitàsociale. Essi ccmferiscono agli attori, con mezzi sia verbali che non verbali, la conoscenza empirica del fatto che la vita sociale è una serie di movimenti nello spazio e nel tempo, ima serie di mutamenti di attività, una serie di passaggi di status per gli individui. Imprimono anche nelle loro menti la consapevolezza del fatto che questi movimenti, mutamenti e pas143
Drammi soctdi e tmraziom su di essi
saggi non sono soltanto s^ati, ma anche prodotti dal rituale. Le procedure giuridiche e rituali rappresentano ì nudd generatori del dramma sociale, da cui derivano a mio avviso molte modalità di performance e di narrazione delle culture complesse. Le performance culturali possono essere considerate i 'partner dialettici' nel 'ballo' dell'eterno dramma sociale {per usare la metafora di Ronald Grimes), al quale danno un si^iificato appropriato aDe specificità di tempo, luogo e cditura. Hanno tuttavia la loro autonomia e la loro forza propulsiva; un genere può generarne un altro; in certe traàmom culturali esistono testimonianze sufficienti aricostruireuna genealogia ragionevolmente attendibile dei generi (uso scientemente questi termini, derivati dalla radice indoeuropea gan^ « generare o produrre », come metafora pet la loro t^ida riptoduttività culturale). Oppure può accadere che un genere ne soppianti o ne sostituisca un altro come forma storicamente o situazionalmente dominante di « metacommento sociale » (per usare Tespressione illuminante di Geertz). Le nuove tecniche di comunicazione e i media possono rendere possibili generi di performance culturali assolutamente privi di precedenti, Ì quali a loro volta rendono possibili nuovi modi di autocomprensione. Una volta che un genere è diventato preminente, è tuttavia probabile che esso sopravviva o venga riesumato a qualche Hvello del sistema socioculturale, passando magari dalla cultura elitaria a quella popolare e acquistando e perdendo in questo processo seguito e sostegno. Nondimeno, tutti i generi devono, per cosi dire, girare in orbita intorno alla terra del dramma sociale, e alcuni, come i satelliti, possono ^ercitare effetti di marea suUa sua struttura intema. Poiché nelle società cosiddette 'più semplici' ilritualeè cosi complesso e stratificato, può non essere improprio considerarlo una 'fonte' importante di generi di performance più specializzati e (in termini di evoluzione culturale) più tardi. Spesso, quando il rituale si spegne come genere dominante, muore multiparo, dando vita a una progenie ritualizzata che comprende le molte arti della performance. In pubblicaiioni precedenti 1K> definito ilritualecome 144
Drammi sociali e narraziofii su di essi
formale e prescritto per cdrcastanze non consegnate aUa routine tecnologica, e facente riferiménto a credenze io entità o poteri mistici considerati le ^ ^ cH tutti ^ ^etti » ^ (definizione che deve molto a quelle di Auguste Comte, di Godfrey e Monica Wilson e di Ruth Benedict), Trovo ancora questa formulazione operativamente utile, a dispetto di Sir Edmund Leach ^ e di altri antropologi del suo stampo, i quali vorrebbero eliminare la componente religiosa e considerare il rituale un
Drammi socidi e mrrmoni su di essi
trascendente di eventirituali.La potenza può essere attinta dalle persone che partecipano al dramma, ma dalle loro profondità umane più che dalla loro padronanza conoscitiva, 'indicativa', delle tecniche culturali. Anche dove esiste un testo rubricale che prescrive l'ordine e le caratteristiche dell'esecuzione dei riti, esso andrebbe considerato ^^come una fonte di indicazioni più che di dettami. L'esperienza del flusso soggettivo e intersoggettivo nella performance rituale, quali che siano i suoi fenomeni concomitanti sociobiologid o 'personalogici', convince spesso gli esecutori che la situazioneritualeè effettivamente compenetrata da potenze sia trascendenti che immanenti. Inoltre quasi tutte le definisioni antropologiche del rituale, compresi i miei tentativi precedenti, non hanno tenuto conto della scoperta di Van Gennep che i rituali, quasi sempre, « accompagnano il passaggio da una situazione a un'altra e da un mondo cosmico o sociale a un altro » Come è noto egli divide questi rituali in riti di separazione, riti di margine e riti di riaggregazione, che definisce anche preliminali, liminali, postliminali. L'ordine in cui gli eventi rituali si susseguono e devono essere eseguiti, fa notare Van Gennep, è un elemento religioso di importanza essenziale. Perché un rituale possa esistere, scrive Nicole Belmont riferendosi alla concezione di Van Gennep, esso « deve essere prima di tutto e soprattutto inscritto nel tempo e nello spazio, o meglio reinscritto » ^^^ se segue il modello preesistente dato nel mito. Li altre parole l'ordine sequenziale dell'esecuzione è intrinseco, e bisognerebbe tenerne conto in qualsiasi definizione del rituale, Su questo punto io contesterei la tesi implicita degli strutturalisti formali, secondo cui la sequenza è un'illusione e ogni cosa non è altro che una permutazione e una combinazione di regole e vocabolari già deposti nelle strutture profonde della mente e del cervello. Esiste infatti una differenza qualitativa tra le fasi successive dei drammi sociali e dei riti di passaggio, che li rende irreversibili: la loro sequenza non è una illusione; il movimento unidirezionale è trasformativo. Mi sono occupato a lungo della fase di « margine » o liminale del rito, e ho trovato pro146
Drammi soddi e narraziom su di ess
ficuo estendere il concetto di liminalità, come metafora, a sfere dell'attività culturale espressiva diverse dal rito. Ma bisogna tener conto della liminalità in qualsiasi definizione seria del rituale come performance, perché è in connessione con questa fase die le caratterizzazioni popolari 'emiche' del rituale mettono maggiormente in rilievo l'azione trasfonnatrice di « esseri o potenze invisibili o sovrannaturali considerati le cause prime e finali di tutti gli effetti », Se si trascura la liminalità, diventa impossibile distinguere il rituale dalla 'cerimonia', dalle attività formalizzate, o da quello che Barbara Myerboff e Sally Moore, chiamano appunto « rituale secolare » La fase litninale è la componente essenziale, ^«ri-secolare del rito in quanto tale, lo si definisca 'religioso' o 'magico'. La cerimonia indicdy il rituale trasformay e la trasformazione avviene nel modo più netto nel 'bo2zolo' rituale della segregazione liminale, almeno nei rituali che segnano i momenti critici della vita. La liminalità collettiva delle grandi feste stagionali esibisce le sue fantasie e le 'trasforma* (qui in un'accezione simile a quella linguistica di 'trasformazione', doè: a) un membro di un insieme di regole per produrre trasformazioni sintattiche di ima proposizione atomica; b) una proposizione prodotta mediante l'impiego di una regola del genere) sotto gli occhi di tutti: come del resto fa il teatro postmoderno, ma questa è materia per un altro saggio. Ho anche sostenuto che il rituale, nella pienezza della sua es^uzione nelle culture trij^, e in molte di^ quelle post-tribali, è una matrice da cui sono derivati imiti ^^^^ g^en di performance cukuxdc^ J^mpJ^ parte di quelli che tendiamo a considerare 'estetici', È xm tardo mito ocddentale moderno, alimentato forse dagli psicologi del profondo e ultimamente anche dagli etnologi, che il rituale abbia la rigida predsione caratteristica del comportamento 'ritualizzato' del nevrotico ossessivo o di un mammifero o di im uccello che segna il proprio territorio, e alimentato anche da un precedente mito puritano moderno secondo cui il rituale è « una mera forma vuota senza un vero contenuto religioso ». È vero che i riti possono 147
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diventare, in certi frangenti storici, sempKci gusci vuoti, ma questa situazione attiene alla senescenza o alla patoI logia del processo rituale, non al suo 'normale funzionaI menix)'. Il rituale vivente può essere assimilato all'opera Í d'arte piti che alla nevrosi. Nelle sue più tipiche espressioni trans-culturali, e^o è una sincronizzazione di molti generi di performance, ed è spesso ordinato in base a una struttura drammatica, un intreccio, comprendente spesso un'azione sacrificale o autosacrificale, che infonde una carica energetica ed emotiva ai codici di comunicazione interdipendenti i quali esprimono in modi molteplici Ìl significato insito nel Leitmotiv drammatico. Nella misura in cui è 'drammatico', il rituale contiene una duplicazione distanziata e generalizzata del processo agonistico del dramma sodale. Il rituale dunque è un tessuto non 'liso', ma .'riccamente lavorato', grazie al vario intrecciarsi delle produzioni della mente e dei sensi. I partecipanti ai riti principali ddle religioni ancora vive, siano esse tribali o posttribali, possono essere di volta in volta attivi e passivi rispetto al movimento rituale che, come hanno dimostrato Van Gennep e più recentemente Roland Delattre, trova in ritmi biologici, climatici ed ecologici, oltre die sociali, i modelli delle forme processuali che utilizza in sequenza nella sua struttura episodica. Possono entrare in gioco tutti i sensi dei partecipanti e degli esecutori; essi odono la musica e le preghiere, vedono i simboli visivi, assaporano i cibi consacrati, annusano l'incenso, e toccano le persone e gli oggetti sacri. Perché la performance approdi a un rapporto significativo, essi hanno inoltre a disposizione le forme anestetiche della danza e del gesto, e forse anche repertori culturali di espressioni facciali, A questo proposito menzionerei l'utile libro di Judith Lynne Hanna ^ in cui tenta di costruire una teoria socioculturale della danza. Nel canto i partecipanti si uniscono (e si distaccano) in altri modi ordinati e simbolici. Inoltre sono pochi i riti cosi completamente stereotipati che in essi ogni parola, ogni gesto e ogni scena siano autoritariamente prescritti. H più delle volte alle fasi e agli episodi invarianti sono interpolati passaggi variabili, a livello sia verbale che non 48
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verbale, nei quali rimprowisazione può essere non soltanto consentita, ma ¿Idirittura ridiiesta» Come 1 tasti bianchi e quelli neri su un pianoforte, come l'interazione dello Yin e dello Yang nella cosmologia religiosa cinese e nel rituale taoista, la costanza e la mutevolezza costituiscono, nella loro opposizione, uno strumento completo per esprimete il significato umano, gioioso e doloroso insieme, « tessuto con ogni cura » per usare le parole di William Blake Il rituale, in effetti, lungi dall'essere meramente formale o convenzionale, è una sinfonia dbe usa anche altri mezzi oltre alla musica. Può essere, e spesso è, una sinfonia o un insieme sinestetico di generi espressivi culturali, o una sinergia di svariate operazioni simboliche, un'opera che diversamente dall'Opera lirica (che è anch'essa costituita da una molteplicità di generi, come Wagner sottolineò ripetutamente) si sottrae alla dimensio-, ne teatrale dell'opera (non però all'invincibile dramma sociale della vita) in virtù ddla serietà dei suoi intenti ultimi. La visione 'piatta' delritualedeve cedere il campo, e cosi la concezione, cara fino a poco tempo fa agli antropologi funzionalisti, secondo cui il rituale poteva essere compreso nel modo migliore come un insieme di meccanismi per promuovere una rudimentale solidarietà di gruppo, doè di fatto come « una sorta di colla sociale buona a tutti gii usi », per citare la definizione che Robin Horton diede di questa posizione, e secondo cui i suoi simboli non erano che « riflessi o espressioni delle componenti della struttura sociale». Il rituale, nel pieno flusso della sua esecuzione, non solo è stratificato, ^laminato', ma è anche in grado, in condizioni di mutamento della società, di operare una modifica creativa su alcuni o su tutti i suoi livelli. Poiché Io si considera tacitamente come dò che comunica i valori più profondi del gruppo che lo celebra regolarmente, esso ha una funzione paradigmaficay in entrambi i sensi che Qifford Geertz^' assegna a questo termine. In quanto modello per, il rituale può antidpare o addirittura generale il mutamento; come modello di può inscrivere un ordine nelle menti, nei cuori e nelle volontà di coloro che vi partedpano. 149
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In altre parole, il rituale non è solo complesso e stratificato, ma ha in se un abisso, e in realtà è uno sforzo per attribuire un significato alla rdazione dialettica fra quei due elementi che il mistico slesiano Jakob Boehme, sedendo Meister Eckhart, chiamò « Grund » e « Ungrund », « bisso » e « abisso » [ = il greco a-hussos, à^wcroc,^ da a-y « senza », e dalla variante ionica dell'attico buthos, PÚ&CK,; che significa « fondo », o meglio « profondità » (finita), in particolare quella « del mare ». Quindi il « bisso » è profondo, ma V« abisso » trascende ogni profondità] Molte definizioni del rituale contengono il concetto di profondità^ ma poche quello di una profondità infinita. Nella terminologia che preferisco, tali definizioni hanno a che fare con la profondità strutturale finita, non con la infinita profondità 'antistrutturale'. Per usare un'analogia più familiare, tratta dalla linguistica, si potrebbe dire che la forma di passaggio delrituale,come è stata ricavata da Van Gennep, postula un movimento imidirezionale dal modo indicativo del processo culturale, attraverso il modo congiuntivo della cultura, per tornare infine al modo indicativo^ anche se questo modo ritrovato è stato ora temprato, o persino trasformato, dall'immersione nella congiuntività; questo processo corrisponde grosso modo alle sue fasi preliminale, liminale e postliminale. Nei riti preliminali di separazione l'iniziando viene trasferito dalla struttura sociale quotidiana, indicativa, ali'antistruttura congiuntiva del processo liminale, e poi, trasformato dalle esperienze liminali, vieneriportatomediante i riti di riaggregazione alla partecipazione al modo indicativo della struttura sodale. H congiuntivo, secondo il Webster's Dictionary, esprime sempre « un'aspirazione, un desiderio, una possibilità o un'ipotesi »; è un mondo del « come se », die si estende dall'ipotesi scientifica alla fantasia festosa, È un « se fosse cosi », non un « è cosi ». L'indicativo prevale nel mondo di quella che noi occidentali chiamiamo la « realtà di fatto », benché questa definizione possa coprire tanto un'indagine strettamente scientifica sul modo in cui una situazione, un evento o un agente produce un determinato effetto o risultato, quanto, al150
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restremo opposto, ciò che un profano considera come semplice buon senso o solido giudÍ2áo pratico. Nella loro introduzione a Secular Rilud, Sally Moore e Barbara Myerhoff non usarono questa coppia di termini, 'congiuntivo' e 'indicativo', ma videro invece nel processo sociale un movimento « fra il formato e rindeterminato » Tuttavia esse si occupano per lo più della « cerimonia » o del « rito secolare » e non del rituale pur sang. Io sono d'accordo con loro, come ho già detto, sul fatto che « tutte le cerimonie collettive possono essere interpretate come giudizi culturali suli'orcBne culturale come contrapposto a xm vuoto culturale » ^ e che la cerimonia è una dichiarazione di guerra contro rindetenninatezza. Attraverso la forma e il formalismo essa celebra il significato come prodotto dell'uomo, il culturalmente determinato, il regolato, il nominato e lo spiegato. Essa bandisce dalla sua considerandone le questioni fondamentali sollevate dal carattere di prodotto della cultura, dalla sua malleabilità e sostituibilità ogni cerimonia] cerca di stabilire che il cosmos e il mondo sociale, o qualche piccola parte specifica di essi, sono ordinati, spirabili e per il momento fissati. Una cerimonia può alludere a giudizi del genere e al tempo stesso fornirne la dimostrazione [ , » ] , Il rito IsiCy in realtà la « cerimonia »3 è ima dichiarazione di guerra della forma contro [corsivo di Moore e Myerboff] Tindeterminatezza, perciò l'indeterminatezza è sempre presente sullo sfondo di qu^siasi analisi del rito^.
Roy Rappaport adotta im punto di vista analogo quando scrive: Gli ordinamenti liturgici [la cui « dimensione sequenziale )>> egli dice, è il rituale] coñegano entità e processi disparati, ed è proprio questo coligare, più che ciò che è coUegato, a costituire il loro carattere p e l a r e . Gli ordinamenti liturgici sono metaordinamenti, o ordinamenti di ordinamenti Ricuciono insieme di continuo mondi che tendono sempre a spaccarsi sotto i colpi della consuetudine e le drastiche distináoni del linguaggio^.
Gjnsidero questi come giudizi mirabilmente luddi sulla cerimonia, die secondo me costituisce una solenne performance istitu2ÌonalÌ2zata della realtà sodale indicativa, normativamente strutturata, ed è anche sia un model151
Drammi socidi enarrazionisu di essi
lo di die un modello per condizioni e status sodali, ma non credo che siJSfette formulasdoni possano essere applicate al rituale in modo altrettanto persuasivo. Infatti, come ho già detto, il rituale non riproduce una lotta dualistica, quasi manidiea, fra ordine e vuoto, cosmos e caos, formato e indeterminato, dove il primofiniscesempre per trionfare. Esso è piuttosto un'autoimmolazione trarformatrice dell'ordine cosi come esso è attualmente costituito, a volte persino un volontario sparagmos, un autosmembramento dell'ordine nelle profondità congiuntive della liminalità. Vengono in mente gli studi di Eliade sul « viaggio dello sciamano » in cui Tinisiando viene fatto a pezzi e poi ricomposto in un nuovo essere che media fra il mondo visibile e quello invisibile. Solo in questo modo, attraverso la distruzione e la ricostruzione, cioè la trasformazione, può avvenire un autentico riordinamento. La realtà compie una immersione sacrificale nella possibilità e ne emerge come un diverso genere di realtà. Qui non siamo di fronte a due forze simili ma contrapposte come nel mito manicheo; c'è invece una incongruenza qualitativa fra i contrari coinvolti, anche se l'audace meteora junghiana delle nozze incestuose fra Tio conscio e l'inconscio considerato come una madre archetipica pone questa relazione in termini di parentela e affinità paradossali. È esatto dire che la congiuntività è la madre dell'indicatività, dato che qualsiasi realizzazione non è che una fra una miriade di possibilità ontologiche, alcune delle quali possono essere attualizzate in qudche altro punto o ÌQ qualche altro momento dello spazio-tempo. « dura sentenza » ;
Drammi soddi e mrrazioni su di essi
tessenza, un luogo e un tempo situai» in mezzo a tutti i luoghi e i tempi definiti e governati, in un qualunque « ecosistema bioculturale » specifico (A, Vayda, J. Bennet e altri), dalle regole dei diritto, della politica e della religione, e dalla necessità economica. Qui gli schemi conoscitivi che danno senso e ordine alla vita quotidiana non valgono più, ma sono, per cosi dire, sospesi, e nel simbolismo rituale forse addirittura mostrati come distrutti o dissolti. Gli dei e le dee della distruzione sono adorati sopra a tutti gli altri, poiché personificano una fase essenzide di un processo di trasformazione irreversibile. Ogni sviluppo ulteriore esige il sacrificio di dò che era fondamentóle per una tappa precedente, « ajEndié il mondo non debba andare in rovina in nome di una buona consuetudine CHaramente il 'bcsssolo' spaziptemporale liminale creato dall'azione rituale, o oggi da certi tipi di teatro ifflessivam^teritualizzali,è potermalmaa^te pericxh loso. Infatti, per impiegare il goffo gergo delle scienze sociali, esso può dare spazio a energie della costituzione biofisica dell'uomo che normalmente vengono incanalate dalla socializzazione in attività basate sullo status e sul ruolo. E tuttavia, pur ammettendo la pericolosità della fase liminale e tenendola sotto controllo con uno sbarramento di interdizioni e tabu rituali, molte culture la considerano anche rigenerativa, come ho già accennato sopra. Infatti nella liminalità dò che nella dimensione profana è legato in forme sodostruttmrali può essere slegato e legato diversamente. Ovviamente se la sussistenza di una sodetà è sospesa al filo di \m equilibrio precario con l'ambiente, è improbabile che nelle sue zone Itminali si trovi un gran che in fatto di sperimentazione: qui uno non si mette a giocare con ciò che è collaudato e sperimentato. Ma quando un « ecosistema bioculturale per usare l'espressione di Vayda, produce delle eccedenze significative, anche se esse sono semplicemente i doni stagionali di im ambiente naturale ben dotato, la liminalità dei suoi riti prindpali può a sua volta generare eccedenze culturali. Si pensi a ^ Kwakiutl e ad altre popolazioni amerinde nordocddentali, con le loro iconografie complesse e le 153
Drammi sociali e narraziofii su di essi
risorse un tempo ricche della caccia e della raccolta. Possono essere introdotti nuovi significati e simboli, o nuovi modi di riprodurre o di abbellire vecchi modelli di vita, rinnovando in tal modo l'interesse nei loro confronti. Perdo k liminalità rituale contiene tanto la potenzialità dell'innovazione culturale, quanto i mezzi per effettuare trasformazioni strutturali all'interno di un sistema socioculturale relativamente stabile. Infatti molte trasformazioni avvengono ovviamente entro i limiti della struttura sociale, e riguardano il suo assestamento intemo e il suo adattamento esterno ai mutamenti dell'ambiente. Lo strutturalismo cognitivistico se la cava nel modo migliore con queste società relativamente cicliche e ripetitive. Nelle società tribali ed agricole, anche in quelle relativamente complesse, sembra che il potenziale innovativo della liminalità rituale sia stato circoscritto, addirittura disattivato, o costretto al servizio della conservazione dell'ordine sociale esistente. Ma anche cosi, lo sj^io per il 'gìoco\ H ludico di Huizinga ^^, abbonda in molti generi á riti tribali, compresi quelli funebri. C'è un gioco di I veicoli simbolici, che conduce alla fabbricazione di ms^cheÍ re e costumi bizzarri a partire da elementi della vita proI fana, ora uniti in combinazioni fantastiche. C^è un gioco [ di significati, che implica il capovolgimento degli ordinamenti gerarchici dei valori e degli status sociali. C'è un : gioco con le parole che si risolve sia nella produzione di linguaggi segreti iniziatici, sia nei giochi di parole seri o scherzosi. Persino gli scenari drammatici che danno a molti riti la loro struttura processuale possono essere presentati in chiave comica anziché seria o tragica. Scherzi e indovinelli possono trovar spazio anche nella segr^azione liminale degli alloggi iniziatici. Recenti studi sui down rituali Pueblo ci richiamano alla mente l'enorme diffusione del ruolo del clown nella cultura religiosa tribale ed arcaica. La liminalità è peculiarmente una causa del gioco, il quale non si riduce alle partite e agli sdherzi, ma si estende all'introduzione di nuove forme di azione simbolica, come i giochi di parole o la produzione di maschere originali. 154
Drammi sodali e narraziom su di es
Ma che ne è stato della liminalità quando le società, (in particolare quelle industriali dell^Occidente, sono erein grandezza e complessità? Sembra che la delimiione abbia causato la scomparsa della potente comdel gioco. Anche altre religioni del Libro hanno s|?iluppato regolarmente la tendenza ad accentuare il solènne a scapito del festoso. Fiere,fiestase carnevali legati ^la religione continuano naturalmente ad esistere, ma non ^me parti intrinseche dei sistemi liturgici. Le grandi religioni orientali. Induismo, Taoismo, Buddismo tantrico e Scintoismo, riconoscono tuttavia ancora, in molte petforinance pubbliche, che il rituale umano può essere sia serio, fsza giocoso. Eros può scherzare con Thanatos, non nel / senso di una sinistra Danse Macabre^ ma per simboleggiare una realtà umana completa e una natura piena di stra¡ nezze. ^ Sembrerebbe che con l'industrializzazione, l'urbanizzazione, la diffusione dell'alfabetismo, la migrazione della manodopera, la specializzazione, la professionalizzazione, Í la burocrazia, la divisione della sfera dello svago da quella j del lavoro provocata dall'orario di fabbrica, la precedente integrità della ben orchestrata Gestdt religiosa che un tempo costituiva ilritualesia esplosa violentemente, e che dalla morte di questo potente opus àeorum hominumque sia nata una molteplicità di generi di performance s p e d ^ zati. Questi generi di svago industriale comprenderebbero il teatro, il balletto, l'opera, il cinema, il romanzo, la poesia stampata, le mostre d'arte, la musica classica e rock, i carnevali, le processioni, il teatro popolare, gli avvenimenti sportivi più importanti e dozzine di altri generi. La disintegrazione è stata accompagnata dalla secolarizzazione. Le religioni tradizionali, i loro riti spogliati di gran parte della loro ricchezza e dei loro significati simbolici precedenti, e dunque della loro capacità trasformatrice, sopravvivono nella sfera dello svago, ma non sono riusciti ad adattarsi bene alla modernità. La modernità significa l'apoteosi del modo indicativo: ma in quelk che Iha Hassan ha d^nito la « svolta postmoderna » stiamo forse assistendo a un ritorno alla congiuntività e a una riscoper155
Drammi sociali enarraziofiisu di essi
t^ di culturali trasfotmatrici, paiticola^^te in c ^ e iorme di-teatio.^^I^ scomposizione può essere un preludio dellari-composizione.La ri-composizione noñ è kjem restauratone di un passato che lo lascia intatto, ma un porre questo passato in una relazione vitale con il presente. Tut^ ci sono indizi che quelle nazioni e culture che sono giunte in ritardo a sedere al tavolo dei paesi inIdustriali, come il Giappone, Tlndia, gli stati dd Medio Oriente e buona parte dell'America Latina, siano riusdte, almeno in parte, ad evitare lo smembramento di importanti forme rituali, e abbiano incorporato nelle loro performance rituali molte delle questioni e dei problemi della vita urbana moderna, riuscendo ad attribuire loro un significato religioso. Quando gran parte del Terzo Mondo fa raggiunta d ^ o sviluppo industriale, esso dovette aflErontare strutture potentemente consolidate di generi di performance rituali. NeirOcddente le istituzioni corrispondenti erano state gradualmente corrose dall'interno, dalla Rinascita delle lettere allarivoluzioneindustriale. Qui il modo indicativo trionfò, e la congiuntività fa relegata in un dominio limitato, in cui per ammissione generale si manifestava più brillantemente nelle varie arti che non nella religione. La religione, come Tarte, vive solo nella misura in cui viene tradotta in performance, doè nella misura in cui i suoi riti « hanno un buon mercato ». Se si vuole rendere sterile o castrare una religione, la prima cosa da fare è abolire i suoi rituali, i suoi processi di generazione e di rigenerazione. Infatti la religione non è esclusivamente un sistema gnoseologico, un insieme di dogmi, ma è anche un^esperienza si^iificativa e un significato esperito. Nel rito vengono vìssutifinoin fondo gli eventi, o Talchimia déle loro strutturazioni e simbolizzarioni, e vengono rivissuti gli eventi semiogenetid, le parole e le gesta dei profeti e dei santi o, se questi mancano, i miti e le epopee religiose. Se dunque consideriamo la narrazione come un genere o meta-genere *emico' della cultura espressiva ocddentale, 156
Drammi socidi e narrazioni su di ess
dobbiamo vedere in essa UTÌO dei nipoti o dei pronipoti culturali del rito 'tribale' o del processo giudiziario. Ma se consideriamo la narrazione ^eticamente" come Io strumento supremo per collegare i « valori » e gli « scopi », nell'accezione diltheyana di questi termini, che forniscono motivazioni al comportamento umano, in particolare quando gli individui diventano attori di un dramma sociale, a strutture situazionali di « significato », allora bisogna ammettere che essa è un'attività culturale universale, piantata nel centro stesso del dramma sociale, die è a sua volta un'altra unità transculturale e traastemporale del processo sodale. « Narrare ^ deriva dal latino narrare y « raccontare », che è imparentato con il latino gnarus, « colui che sa, che è a conoscenza di, che è esperto di »: entrambi risalgono alla radice indoeuropea gna, « conoscere », da cui deriva la vasta famiglia delle parole che discendono dal latino cognoscere, comprese « conoscenza », « noun » [sostantivo], « pronoun » [pronome], il greco gignóskein, da cui gnósisy e il participio passato dell'antico inglese geknawan, da cui Tínglese moderno « know » [sapere, conoscere], « Narrazione » sembrerebbe un termine assai appropriato per designare un'attività riflessiva che tenta di 'conoscere' (e persino, nel suo aspetto rituale, di raggiungere una gnosis di) eventi precedenti, e il significato di questi eventi. La stessa parola dramma deriva ovviamente dal greco dran^ « fare, agire », quindi la narrazione è ima conoscenza (e/o gnosis) che sorge dall'azione, doè una conoscenza sperimentale. La fase di compensazione di un dramma sociale struttura un tentativo di riarticolare un gruppo sociale lacerato da interessi settoriali o egoistid ; analogamente, la componente narrativa dell'azione rituale e giudiziaria si sforza di riarticolare i valori e i fini contrapposti in una struttura significante, il oii intrecdo sia culturalmaite dotato di senso. Quando la vita storica stessa non ha più un senso culturale nei termini precedentemente tenuti per validi, la narrazione e il dramma culturale possono assumersi il compito della poiesis, doè di produrre un nuovo senso culturale, anche quando sembra che essi si limitino a demolire antichi edifid di sigtiificato, 157
Drammi socidi e narrazioni su di essi
die non sono più in grado di compensare i nostri moderni <€ drammi esistenzi^ » (le cui dimensioni si fanno ora s^pre più globali e minacciano l'intera specie).
Note
^ C£r, i già citati volumi di Turner, Schism md Continmty in an African Society, A Study of Ndembu Village Life, Mandiester, Manchester University Press, 1957; La foresta dei simboli. Aspetti del ritude Ndembu, Brescia, Morcelliana, 1976; Tbe Drums of Aflictin, A Study of l^jsUgious Processes among the Ndembu of Zambia, Oxford, The Ckrendon Press^ 1968; II processo ritude. Struttura e antistruttura Brescia^ MorceHiana, 1972. ^ Hayden White, Metahistory^ The Historicd Immagination in Nin tbeentb-Century Europe, Baltimore, Jdbos Hopkins University. Press, 1973, p. 16; trad. it. Retorica e storia, Napdi, Guida, 1978, p. 27. White, seguendo Tanalisi di Stephen C P ^ i ^ , dMerenzia quattro paradigmi della forma che una spiegazione storica, considerata come arg(Xn^to deduttivo, può assumere: £ormaiisti(x>, organidstico, meocanicistico, contestualistìco. «La teoria di spiegazione meccanicistica dipende dalla ricerca delle l^gi causali che determina i risultati e i processi scoperti nel campo storico. Gli oggetti che si pensa occupino Ü campo storico sono spiegati come esistenti nelle modalità di rapporto partei^rte le cui specifiche conjSgiirazioni sono determinate dalle leggi che si presume governino le loro interazioni»^, 3 Alfred R. Radclifíe-Brown (188M955) antropologo inglese fondatore della scuola dello strutturalismo fumáonalista, rimandi^no ai suoi Struttura e futmone della società primitiva^ Milano, Jaca Book, 197 (prima edizione 1952), Metodo nell'antropologia sociale, Roma, QÈdna 1974 (prima edizione 1958). * Introdurione aE'antologia curata da George Spindler, The Making of Psicbologícd Anthropology, Berkeley, University of California Press, 1978, p. 51. ^ Si veda la nota 14 óéìì*Introduzione. ^ Edward Sapir, Emergence of a Concept of Persondity in a study of Culture, in «Journal of Social Psychology», 1934, n. 5, pp. 410-416; trad, it. La formazione del concetto di personalità nello studio del adittre, in Cultura, linguaggio e persondità, a cura di David G, Ma delbaum, Torino, Einaudi, 1972, pp. 154-165. ^ Sapir, op. dt., trad. it. dt., p. 162. 8 Ibidem, p. 161. 9 Ibidem, p, 164. ® Ibidem. White, Retorica e storia, cit., pp. 29-30. S^ir, op. dt., trad. it. dt., pp. 160-161.
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Drammi socidi e narrazioni su di essi
White, Retorica e storia, dt., p. 30. « Ma effettivaniente, le stratte esplicative contenutistiche propendono più verso rappre^taziooi sincroniche di segmenti o sezioni dei processo, di t ^ fatti, per cosí dite, ndlla grana del tempo. Questa toadenza varso il modo di rappresentazione strutturalistico o sincronico è inerente a un'ipotesi universale contestuaHstíca ». Sapir, op. cit,, trad. it. dt., p. 161. Kennet Pike, Language in Relation to a Unified Theory of the Structure of Human Behavior, Glendale, Summer Institute <Á Linguistics 1954, p. 8 (seconda edizione riveduta Mouton & Co., Patis, The Hague, 1967). ^ Asmarom Legesse, Gada. Three Approaches to the Study of African Society, New York, Free Press, 1973, p. 283. White, Retorica e storia^ dt., cfr. in particolare la prefazione. Max Gluckman in Qosed Systems and open Minds. The Limits of Naivety in Social Anthropology, Bdinbur^ e London, Oliver & Boyd, 1964. ^ White, Retorica e storia, dt., cfr. il paragrafo La teoria deU'oper storica delia Prefazione. ^ C£r. Turner, La foresta dei simboli, dt. ^ White, Retorica e storiay dt., p. 14. Cfr. Lue de Heuscb, Le roi ivre ou l'origine de l^Etat^ Paris, Gallimard, 1972. Jan Vansina, The Kingdoms of the Savana, Madison, University <à Wisconsin, 1966. ^ Cfr. Frank Kermode, The sense of an Ending. Studies in the Theory of Finction, Lcmdon-Oxford-New York, Oxford University Press, 1967; trad. it. 11 senso della fine. Studi sulla teoria del romanzo, Rizzo Milano, 1972 e il successivo The genesis of secrecy. On the interpretation of Narrative, Cambridge-Lonám, Harvard University Press, 1980, ^ White, Retorica e storia, dt., p. 15: « l e ^'narr^cmi" storidie tracciano le sequenze di eventi che conducono da fasi ineguali a fasi condusive di processi sodali e culturali come le "cronache'* non sono tenute a fare». ^ Rimandiamo agli studi di Kenneth Burke, A retoric of motives^ New York, Prentice-Hall, 1950 e Counter-Statement, Los Altos, Hermes, 1953. Rimandiamo alla nota 7 ò^lntroduùone. ^ Thomas Becket, ardvescovo di Canterbury, cancelliere e amico di Enrico II, che difese con intransigen2a il potere della chiesa dalle ingerenze della corona. Fu assassinato nella cattedrale di Canterbury forse su mandato dd re. A lui si ispirarono i testi teatrali di Thomas S, Eliot e Jean Anouilh. Philip Hugh GuHiver tiene conto dell'effetto comulativo di tanti piccoli 'inddenti', in numerose ricerche. Rimandiamo a due di esse The Family Hards. A Study of two Pastoral Tribes in East Africa. Th ite and Turkana, London, Routledge & Kegan Paul, 1955 e Sodai control in an African Society. A Study of the Arusha: Ag^iculturae Masai of Northern Tanganyka, London, Roudedge & Kegan Paul, 1963.
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Drammi soddí e ^tííTtísáoHí su di essi
R. Raymond Firth, cfir. Economia primitiva polinesiana^ Milano AngeH, 1977; Noi, Tkopia. Economia e società ndla Polinesia primitiv Bari, Latena, 1976; I Simboli e le mode, Bari, Laterza, 1977.
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Drammi socudi e narrmoni su di essi
in italiano Islam, Analisi strutturale della religiosità in Marocco e in Indonesia^ Bresda, Morcelliana, 1973. Jakoib Bodime (1575-1624) misticotedescoe pensatore non ccniformista die lottò per una maggiore libertà di pensiero alllntemo della chiesa luterana qoando il lateranesinu) p a ^ aQa fase istituaonale. Si rimanda all*antol<^ Scritti di reU^ne, Torino, I^travia, 1924 e in particolare ai testi Sex puncta theosophica ossia l'Alto e profondo fondament dei sei punti teosofici. Una ^ta apet^ a tutti i misteri della vita in cui sono conosciute le cause di tutti ¿i esseri^ Afilano, Bocca, 1942 e alla traduzione francese di Misterium magnum^ Paris, AoSxs:, 1945 introdotto da due studi di Nikolaj Berdjaev, di od si veda in particolaie il primo: L'<(JJng^und» et la liberté, pp. 5-28* Myerhoff e Falk Moore (a cura di). Scodar Bdtudy dt,, p, 17. ìbidem, p. 16. 53 Ibidem, pp. 16-17. 54 Roy Rapport, Ecology. Meaning and'Religion,EUdimond, Norà American Books, 1979, p. 206. In italiaiK>, Uiáéi per antenati. Il ñtude neWecdogia di un popolo della Nuova Guinea, Milano, Angeli, 1980. 55 Cfr. Miicea Eliade, Lo sciamanesimo e le tecnicbe ddl'estasi, Roma, Edizioni Mediterranee, 1974. 5^ Johan Hnizinga, Homo ludens^ Torino, Einaudi, 1949.
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Capitolo terzo
Rituale drammatico/dramma rituale. Antropologia della performance e della riflessione Ho pensato per molto tempo che Tinsegnamento e Io studio dell'antropologia dovrebbero essere più divertenti di quanto spesso non siano. Forse non dovremmo limitarci a leggere e commentare i materiali etnografici, ma rappresentarli. Studenti alienati passano molte ore noiose nelle sale di lettura delle biblioteche dibattendosi fra resoconti di modi di vita estranei e teorie antropologiche ancora più estranee sull'ordinamento di questi modi di vita. Mentre Tantropologia dovrebbe riguardare, per usare l'espressione di DJH. Lawrence, l'uomo e la donna « vivi », questo carattere vitale emerge rarissimamente dalla nostra pedagogia, forse perché, per citare ancora Lawrence, anche nel nostro caso « l'analisi presuppone un cadavere ». Si comincia a riconoscere sempre di più die anche la monografia antropologica è un genere letterario piuttosto rigido, che si sviluppò in base all'idea die nelle scienze umane i resoconti devono modellarsi abbastanza pedissequamente su quelli delle scienze naturali. Ma un tale genere non gode affatto di una posizione privilegiata, spedalmente oggi che d accorgiamo di come nella vita sockle gli elementi conosdtìvi, affettivi e volitivi siano legati gli uni agli altri, e siano ugualmente primari, raramente dati nella loro forma pura, spesso in forme ibride, e siano comprensibili al ricercatore solo come esperienza vissuta, sua tanto quanto loro, e sua in relazione alla loro. Anche i migliori film etnografia non riescono a comunicare se non in minima parte che cosa significhi essere un membro della sodetà filmata. Una serie selezionata, spesso tendenziosa, di immagini visive è indirizzata ad un pubblico passivo. Poi la discussione in aula si concentra su quei dati che l'autore del film ha scelto come particolarmente degni di attenzione. Anche se un buon insegnan163
Rituale drammatico ¡dramma ritude
te presumibilmente collegherà il filmato ai contesti etnografici desunti dalla letteratura, buona parte della complessità socioculturale e psicologica di tali contesti resta esclusa da questo coll^amento. Le monografie e i filmati antropologici possono descrivere o presentare ^ incentivi all'azione caratteristici di un dato gruppo, ma solo di rado questi generi riusciranno a coinvolgere pienamente i loro lettori o spettatori nell'intreccio motivazionale della cultura studiata. Ma come si può, allora, ottenere questo ooinvolgimento? Una possibiÈtà è quella di trasformare in copioni teatrali le parti più interessanti dei dati etnografici, poi di recitarli in dasse e infine di volgersi nuovamente a questi dati armati della comprensione che deriva dal « mettersi nei panni » di membri di altre culture, an2dché limitarsi ad « assumere il ruolo dell^altro » restando nella propria cultura. Questo processo apparentemente semplice genera un intero insieme di nuovi problemi. Infatti ciascuno dei suoi tre stadi (dall'etnografia al copione, dal copione alla performance, dalla performance aUa meta-etnografia) rivela molte delle debolezze dell'antropologia, questa disciplina tradizionale essenzialmente occidentale. E il processo ci costringe a guardare al di là dei resoconti puramente antropologici, verso la letteratura, la storia, la bic^rafia, le avventure di viaggio, alla ricerca di dati che possano contribuire a copioni convincenti. Quando i drammi sodali trovano veramente i loro « doppi » culturali (per usare, invertendone il senso, un termine di Antonin Artaud) ^ nei drammi estetid e in altri generi di performance culturali, è possibÜe, come ha sostenuto IWcbard Schechner, che si sviluppi fra essi una convei^enza, in modo die da un lato nd drammi estetid sia implidta la forma processuale dei drammi sociali (anche se soltanto per inversione o negazione), e dall'altro la retorica dei drammi sodali, e dunque la forma dell'argomentazione, sia tratta dalle performance culturali. Nel Watergate c'era molto Perry Mason! Il 'reatare' il materiale etnografico è un'impresa autenticamente interdisdplinare, poidié se vogliamo ottene164
Ruttale drammatico/dramma ritu
re un copione e una rappresentazione di esso suflSdentemente affidabili, dovremo consultare diverse fonti non antropologiche. I professionisti dd teatro nella nostra cultura (sceneggiatori, reg^ti, attori, e persino macchinisti) possono basarsi, nel rappresentare un dramma, su secoli di esperienza professionale. In teoria noi dovremmo consultare, o meglio ancora inserire nel cast, membri della cultura die stiamo mettendo in scena. A volte possiamo essere abbastanza fortunati da ottenere Taiuto di professionisti dd teatro o della cultura popolare della sodetà che stiamo studiando. Ma in ogni caso, coloro che conoscono la faccenda dall'interno possono essere di enorme aiuto. Un'opportunità di verificare nella pratica queste speculazioni mi fu data quando Richard Schedmer mi invitò, insieme ai cx)lleghi sodologi Alexander Alland e Erving Gofiman, a partedpare a quello che veniva definito « un laboratorio intensivo » per « esplorare Vmterface fra il rituale e il teatro [...], fra il dramma sodale e quello estetico », e altri Umina fra le sdenze sodali e le arti della performance. Avevo riflettuto spesso sulla rdazione fra le forme processuali del conflitto sodale in molte sodetà, descritte dagli antropologi, e i generi ddla performance culturale. Diversi anni prima, amid comuni mi avevano informato che Schechner si interessava allo stesso problema dal punto di vista del teatro. La collaborazione fra Colin Tumbull e Peter Brook, die tradusse lericerchedi ìufiM^^^s^^ dell'Uganda in una serie di episodi drammatid, mi indusse a considerare la possibilità di trasformare dati etnografid adatti in copioni teatrali^, Qudl'esperimento mi convinse del fatto die la cooperazione fra gli antropologi e la gente di teatro non soltanto era possibile, ma poteva anche diventare un importantissimo strumento didattico per entrambe le categorie in un mondo in cui molti dei suoi componenti comindano a desiderare una conoscenza redproca. Se è vero che impariamo qualcosa su noi stessi mettendod nd panni degli altri, gli antropologi, questi mediatori culturali par excellence^ potrdbbero raccc^ere 165
Eítíude drammaticoJdramma rituale
la sfick a fare di dò un'impresa interculturale, e non soltanto intraculturale, I termini performance e dramma^ bendhé facciano ag grottare la fronte a molti sociologi, sembrano avere im'importanza centrale. Performance^ come abbiamo visto, deriva dal medio inglese parfourneny poi parfourmen, che a sua volta viene dall'antico francese parfournir, composto | da par {« completamente ») e da foumir (« fornire »): quindi la parola performance non rimanda necessariamen- ; te alla connotazione strutturalista del manifestare una for- j ma, ma piuttosto al senso processuale di « portare a compimento » o « completare ». To perform è dimque porta- ^ re a termine un processo più o meno intricato, più che eseguire una singola azione o un singolo atto. To perform del materiale etnografico, quindi, significa procurare a noi stessi la comprensione dei dati nella loro intere2S2a, nella piene22a del loro significato di azione. Il riduzionismo cognitivistico mi ha sempre dato l'impressione di ima sorta di disidratazione della vita sociale. Certo, si possono ricavare degli schemi, ma i desideri e le emozioni, i fini e le strategie individuali e collettivi, e anche le vulnerabilità, la stanchezza e gli errori legati a determinate situazioni, vanno perduti nel tentativo di reificare e di produrre una teoria asettica del comportamento umano che si modella essenzialmente sugli assiomi 'scientifici' settecenteschi esprimenti la fede nella causalità meccanica. Sentimenti e desideri non sono una contaminazione della pura essenza conoscitiva, ma elementi intrinseci alla nostra natura di uomini; se l'antropologia vuole diventare una vera scienza dell'agire umano, deve prenderli sul serio esattamente come le strutture che talvolta forse rappresentano i gusd esauriti di un'azione dissanguata delle sue motivazioni. II termine dramma è stato criticato (ad esempio da Max Gluckman e da Raymond Firth) ^ come l'imposizione ai dati osservati di uno sdiemaricavatoda generi culturali y e quindi 'truccato' e non abbastanza 'neutiàe' per im uso scientifico. Sono costretto a dissentire, perché i miei taccuìni sono pieni di descrizioni di eventi quotidiani che, sommari, possiedono innegabilmente ima forma dramma166
Rituale drammaticoIdramma ritu
tica, poiché rappresentano il corso di un'azione. Tenterò di spiegare che cosa intendo per dramma, e in particolare per dramma socìde^. Io sostengo che la forma del dramma sociale ricorre a tutti i livelli dell'organizzazione sociale, dallo stato alla famiglia. Un dramma sociale ha inizio quando l'andamento pacifico della vita sociale regolare, governata da norme, è interrotto dalla rottura di una regola che controlla una delle sue relazioni salienti. Ciò conduce, rapidamente o lentamente, a uno stato di crisi che, se non vi viene posto prontamente riparo, può spaccare la comimità in fazioni e coalizioni contrapposte. Per prevenire questo, vengono adottati dei mezzi di compensazione da parte di coloro che si considerano o sono considerati i rappresentanti più legittimi o più autorevoli della comunità in questione. La compensazione comporta di solito una azione ritualizzata, sia essa giuridica {in tribimali ufficiali o non ufficiali), religiosa (liasata su credenze nell'azione retributiva di potenti entità sovrannaturali, e implicante spesso im atto sacrificale), o militare (ad esempio la faida, la caccia di teste, una guerra organizzata). Se la situazione non regredisce nuovamente nella crisi (che puòrimanereendemica finché non venga intrapresa qualdie radicale ristrutturazione, a volte con mesirivoluzionaridei rapporti sodali), entra in gioco la fase successiva del dramma sociale, che comporta soluzioni alternative del problema. La prima è la riconciliazione delle parti in conflitto secondo processi giuridici,ritualio militari; la seconda, il riconoscimento consensuale deWirrimediabilità della rottura^ seguito di s dalla separazione spaziale delle iasioni. Poiché i drammi sociali sospendono il normale e quotidiano esercizio dei ruoli, essi interrompono il flusso della vita sociale e costringono un gruppo a prendere coscienza del proprio comportamento in rdazione ai propri valori, e talvolta persino a mettere in questione il valore di questi valori. In altre parole, il dramma induce e contiene dei processi di riflessione, e genera delle strutture culturali in cui la riflessività può trovare un posto legittimo. Con questa forma processuale come guida approssima167
Eítíude drammaticoJdramma rituale
tiva per il nostro kvoro al seminario estivo di Schedbner, ceróu di coinvolgere gli studenti di antropologia e quelli di teatro nel compito comune di scrivere copioni per le etnografie e di rappresentarli. Sembrò die la cosa migliore fosse scegliere quelle partì dell'etnografia classica che si prestavano a un trattamento drammatico, come Crime and Custom di Malinowski con il giovane die minacda di ucddersi buttandosi dalla dma di un albero quando i parenti matrilineari di suo padre, alla morte di quest'ultimo, gli ingiungono di lasdare il loro villaggio. Ma dato che il tempo era scarso (avevamo solo due settimane), dovetti ripi^are sui miei studi etnografid personali, sia perché li conoscevo meglio, sia perché avevo già scritto, fino a un certo punto, un copione che dava ad una considerevole quantità dei dati raccolti sul campo la forma die ho chiamato dramma sociale. Mia moglie Edie ed io tentam mo di spiegare a im gruppo di drca una dozzináfirastudenti e insegnanti, quasi equamente ripartiti fra l'antropologia e il teatro, quali presupposti culturali si celavano dietro al primo dei die drammi sodali che avevo descritto nel mio libro Schism and Continuity in an African S ciety^. Non era suffidente fornire loro qualdie modello gnoseologico o prindpio strutturale. Dovevamo cercare di creare l'illusione di dò die significa vivere la vita di un villaggio Ndembu, E questo poteva forse essere ottenuto con qualche tratto dedso, con un paio di gesti? Ovviamente no, ma può darsi che ci siano dei modi per coinvolgere non solo la mente, ma anche il corpo delle persone in un'altra cultura nonfisicamentepresente. Tutto dò aveva luogo in una stanza al piano superiore del Performing Garage, un teatro di Soho dove la compagnia di Schediner, il Performance Group, ha rappresentato alcuni spettacoli assai notevoli, fra cui Dionysus in 69, Macbeth, Madre Coraggio, e più recentemen The Tooth of Crime e Rumstick Road (con la r^ia di Elisabeth LeCompte). Sapevo che Schediner attribuiva una grande importanza a dò che egli chiama il « processo di prova», che consiate essenàalmente nell'istituire una relazione dinamica, senza limiti di tempo, fra il co168
Rituale àrammaHco}dramma ritu
pione, il r^sta^ gli attori, la scena e il materiale scenico, senza nessxjn preconcetto iniziale drca la madore importanza di uno qualsiasi di questi elementi. Spesso le sedute non avevano limiti di tempo; in alcune, esercizi di vario genere, compresi gli esercizi di respirazione per far rilassare gli attori, potevano andare avanti per un'ora circa; in altre gli attori potevano scegliersi le loro parti arudché farsele assegnare dal regista. In questo complicato processo, Schechner considera l'attore, nel suo assumere il ruolo di un altro, fornito dal copione, come in movimento, sotto rocchio iatuitivo ed esperto dd regista/produttore, dal non-io (la parte progettata) al non-non-io (la parte realizzata), e considera il movimento stesso come una sorta di fase liminale in cui tutti i tipi di esperimenti esperienziali sono possibili, anzi obbligatori. Questo stile di recitazione è diverso da quello che fa assegnamento su ima superba tecnica profe^ionale per rappresentare con verosimiglianza quasi tutte le parti del teatro occidentale. Schechner aspira alla poiesis, non alla mimesis: alla produzione, non alla imitazione. La parte cresce gradualmente insieme all'attore, è veramente 'creata' attraverso il processo di prova, che a volte può comportare momenti angosciosi di autorivelazione. Un metodo simile è particolare mente adatto all'insegnamento antropologico, perché il metodo 'mimetico' può funzionare solo su materiale familiare (modelli di comportamento occidentali), mentre quello *poietico',ricreandoil comportamento dall'interno, può trattare anche un materiale non familiare. In una seduta sperimentale indetta da Schedmer per provare Casa di bambola di Ibsen, ad esempio, finimm con quattro Nore diverse, ima delle quali faceva realmente una scelta contraria a quella indicata da Ibsen. Si dava il caso che Tattrice, nella sua vita privata, si fosse trovata ad aflBcontare personalmente un dilemma simile a quello di Nora: doveva separarsi dal marito, lasdargli i suoi due bambini (lui voleva cosi) e imbarcarsi in una carriera iodipendente? Nel rivivere il suo problema personale interpretando la parte di Nora, cominciò a torcersi le mani in un modo particolarmente espressivo, lento e complesso. 169
Eítíude drammaticoJdramma rituale
Aík fine, anziché sbattere rumorosamente la famosa porta che secondo alcuni critici ha segnato l'inizio del teatro moderno, tornò in fretta in mezzo al gruppo e annunciò che non era disposta, o almeno non ancora, a rinunciare ai suoi bambini, gettando cosi ima luce inaspettata sul rigore morale della Nora di Ibsen. Sdiechner disse dbie il gesto di torcere le mani era il « frammento di realtà » dhie avrebbe conservato da quella particolare prova e inserito nella parte di Nora nelle prove successive. Nel susseguirsi di queste ultime, un bricolage di simili gesti, incìdenti, traduzioni del non-io nel non-non-io, sarebbe stato messo insieme e modellato artisticamente in im'unità processuale. In questo modo la profondità, la riflessività e un'ossessiva ambiguità possono essere infuse in una serie di performance, ciascuna delle quali è un evento unico. Soprattutto a causa della mia scarsa abilità o esperienza nelk regia, il compito di comunicare a ^ attori il contesto e l'atmosfera della vita quotidiana in una cultura molto diversa si dimostrò piuttosto arduo. All'interno della propria società un attore tenta di dare realtà ad un <( personaggio individuale », ma dà in parte per scontati i ruoli culturalmente definiti die si suppone che questo personaggio giochi: padre, uomo d'affari, amico, amante, fidanzato, leader sindacale, contadino, poeta, e cosi via. Questi ruoli sono costituiti da rappresentazioni collettive condivise dagli attori e dal pubblico, che di solito sono membri della stessa cultura. Al contrario, un attore che mette in scena del materiale etnografico deve imparare le regole culturali che staimo dietro ai ruoli giocati dal personaggio da lui impersonato, G>me può riuscirci? Non, io credo, ledendo monografie die non hanno alcun l^ame con la performance, e poi redtando la sua parte. Q deve essere un rapporto dialettico fra la performance e l'apprendimento. Si impara rappresentando, e poi si rappresentano le conoscenze cosí ottenute. Dedsi, fante de mieuXy òì dare io stesso una performance l^endo i primi due drammi sodali, e inserendo commenti esplicativi ogni volta che mi sembrava necessario. n gruppo aveva già Ietto le pagine pertinenti di Schism 170
Rituale drammatico (dramma ritu
and Continuity ^. I dratami concernevano generalmente la politica di villaggio degli Ndembu, la competizione per il ruolo di capotiá>ú, l'ambizione, la gelosia, la stregoneria, la creazione di fazioni e la stigmatizzazione dei rivali, particolarmente nel loro operare all'interno di un gruppo locale legato da parentela matrilineare, e alcune dette loro relazioni di matrimonio e di vicinato. Avevo raccolto un buon numero di resoconti di questi drammi da coloro che vi avevano partecipato. La mia famigKa ed io avevamo vissuto nel f a g g i o che era il 'palcoscenico' o l"arena^ di questi drammi per almeno quindici mesi, e avemmo modo di conoscerlo bene durante Tintero periodo del mio lavoro sul campo: circa due anni e mezzo. Quando ebbi finito di leggere i resoconti del dramma, gli attori del laboratorio mi dissero subito che avevano bisogno di essere « messi nello stato d'animo giusto », di
Ritude átamm£^co¡drmma ritude
sato lacrime nell'udire Tacam (questo lo ammettevano persino i suoi ex-nemici), ma per un aimo era rimasto in esiliò. Con Pandare del tempo alcuni membri del villaggio ricordarono come, quando era capomastro, egli li avesse aiutati a trovare lavoro retribuito nella squadra dei costruttori di strade per il dipartimento dei lavori pubblici, e di come fosse sempre stato generoso nell'offrire agji ospiti dbo e birra. L'occasione per invitarlo aritornaresi presentò quando nel villaggio scoppiò una epidemia di un male non grave, mentre neDo stesso periodo molte p^sone sognavano spesso di Nyamuwaha. Attraverso la divinazione si scopri che la sua ombra era turbata dai disordini del villaggio. Per placarla, bisognava piantare per lei un arboscello di muyomhuy una specie che serviva a commemorare i morti della stirpe. E invitarono Sandombu a eseguire il rito del piantare Palbero. Egli pagò anche al villaggio una capra come risarcimento per il suo comportamento irascibile dell'anno precedente. Hritualesegnò la sua reintegrazione nel villaggio, anche se ufficialmente concerneva la trasmissione ereditaria del nome di Nyamuwaha alla sua figlia maggiore Manyosa (che in seguito divenne la migliore amica di mia moglie nel villaggio). Eccitato dalla danza e dal suono registrato dei tamburi, fui indotto a tentare diricrearea Soho il rito di eredità del nome. Come sostituto dell'albero muyomhu trovai il manico di ima scopa, e come libagione, al posto della birra 'bianca' rituale, una tazza d'acqua sarebbe andata bene^ Non c'era argilla bianca con cui spalmare gli attori, ma trovai un po' di sale bianco e dbiaro, e lo inumidii. E per sbucciare la cima del manico di scopa, come gli alberi sacri d e ^ Ndembu vengono sbucciati perché mostrino ü legno bianco sotto la corteccia (un'operazione coU^ata simbolicamente alla purificazione rappresentata dalla circoncisione) trovai un affilato coltello da cucina. In seguito una donna del gruppo mi raccontò eie aveva il terrore che io facessi qualcosa di 'orribile' con quel coltello! Ma è pur vero che nell'atmosfera di un rituale vivo c'è spesso qualche elemento di rischio o di pericolo. E c'è anche qualcosa di numinoso. 172
Ritíide drammatico¡dramma ritua
Per tradurre questo rito Ndembu molto peculiare in termini americani moderni, assunsi il ruolo del nuovo capo del villaggio, e con Taiuto di mia moglie preparai con il coltello e col sale il surrogato dell'albero sacro muyombu^ e lo 'piantai' in una fessura del pavimento. La mossa successiva fu di convincere qualcuno a recitare la parte di Manyosa in questa situazione. Una doiina che chi¿neremo Becty, regista teatrale professionista, si oflEri volontaria. Chiesi a Becky di dirmi il nome di una sua parente stretta di ima generatone più anziana che fosse scomparsa di recente e che avesse contato molto nella sua vita. Notevolmente commossa, lei menzionò la sorella di sua madre, Ruth. Allora io levai una preghiera in Qiilunda agli 'antenati del villaggio', Becky sedette accanto a me davanti alr« albero sacro », con le gambe stese di fronte a lei e il capo chino nella posizione Ndembu di modestia rituale. Poi io spalmai sull'albero sacro la improvvisata mpemha, argilla bianca, simbolo dell'unità fra gli antenati e la comunità dei vivi, e con essa tracciai tre linee sul pavimento, dall'albero sacro fino al punto dove mi trovavo. Poi spalmai Becky nelle occhiaie, sulla fronte e sopra all'ombelico, La proclamai Nswana-Ruth, «il successore di Ruth », che in quanto tale si identificava con Ruth per certi aspetti, e per altri la soppiantava, benché non totalmente, nel suo ruolo strutturde. Ripetei il procedimento con altri membri del gruppo, senza chiamarÈ con i nomi di parenti scomparsi, ma coinvolgendoli nella unità simbolica della nostra comunità recentemente costituita di insegnanti e studenti. Poi Edie ed io legammo a tutti intorno alla fronte una strisda di stoffa bianca, e io versai un'altra libagione di birra bianca alla base dell'albero sacro. Chiaramente qui c'era un duplice simbolismo, perché stavo usando materiali occidentali per rappresentare oggetti Ndembu che a loro volta avevano un valore simbolico nel rituale, facendo dì essi, per cosi dire, degli indici situazionali di simboli culturali. Ma con tutte queste trasposizioni, l'intera performance non doveva risultare estremamente artifeiosa, inautentica? È abbastanza strano, ma secondo gli studenti non risultava affatto cosi. 173
I^de
drammatico/dramma ritude
In svilito il gruppo di laboratorio riferì di essere andato avanti per varie ore a discutere su quanto era avvenuto. Concordavano sul fatto che la rappresentazione delritualeNdembu era la svolta decisiva die li aveva avvicinati da un Iato alla struttura affettiva del dramma sodale e alla tensione fra spirito di discordia e spirito di espiazione, e dall^altro al senso profondo della
Ritmle àramìiustkoldramma rHud
hanno dei « mdomba forti », e d vuole una forte stregoneria per ucciderli. Il gruppo dei nostri studenti suggerì di presentare lo spirito familiare ilomba di Sandombu (doè il suo Es quasi-paranoide) come una spede di coro del dramma. Essendo al corrente delle trame politiche che caratterÌ2zavano la situazione, Vüomba poteva raccontare al pubblico (come il Riccardo III di Shakespeare) cosa stava accadendo nel villaggio sotto la superfide delle relazioni governate dalle regole della parentela. Fu anche superito di girare un film, da proiettare sullo sfondo, in cui un Uomba rivdasse con cinismo la struttura 'reale' delle relazioni di potere politico, come gli erano note, mentre Ì personaggi del dramma sodale, in primo piano sulla sc^a, dovevano comportarsi Fimo nd confronti dell'altro con distacco formale, lasdando esplodere solo occasionalmente un sentimento autentico di ostilità. Nel corso della discussione uno studente laureato in antropologia diede agli studenti di teatro del gruppo qualche valida informazione suUa natura dei sistemi e dei problemi di parentela matrilineare, e poi sul sistema Ndetobu che combinava la discendenza matrilineare con il matrimonio virilocale (residenza nd villaggio del marito), e sandva che neUa successione ad una carica i fratelli dovevano avere la meglio sul figlio della sorella: una delle cause di conflitto nel villaggio Mukanza, dove i nostri drammi si svolgevano. Questo ricorso a modelK gnoseologìd si rivdò utile, ma solo in quanto i non antropologi erano già stati stimolati a volerli conoscere dalla rappresentazione di qualche rituale Ndembu e dalla testimotiianza della narrazione drammatica sulla lotta politica in un contesto sociale matrilineare. Per dare un'idea più personale dei valori assodati dagli Ndembu alla discendenza matrilineare, mia moglie lesse aUe donne dell'intera, classe una pièce che aveva scritto sul rituale di pubertà deUe ragazze Ndonbu. Io avevo descritto questo rituale in modo abbastanza asdutto, nello stile antropologico tradizionale Ma il resoconto di mia moglie sorgeva dalla partedpazione a un mondo intersoggettivo di 175
Ritíkde àrmntmHcofàfmnma rifuse
dome coinvolte ta questa complessa sequenza rituale, e comunicava in modo vivido i sentimenti e i desideri provati dalle donne in questo rite de passage di ima società matrilineare. Cercando di cogliere la dimensione emotiva che quella letturarivelava,le donne della sezione teatrale del laboratorio sperimentarono una nuova tecnica di rappresentazione. Cominciarono una prova con un balletto, in cui creavano con i loro coq>i una sorta di cornice, disponendosi in modo da formare un cerchio, in cui la successiva azione politica dei maschi poteva avere luogo. La loro idea era di mostrare che l'azione si svolgeva all'interno di uno spazio socioculturale matrilineare. Ma in questa soluzione c^era qualcosa che non funzionava: c'era una sfumatura implicita di attualità politica che snaturava il processo socioailturale Ndembu. Questo modo femminista di mettere in scena il materiale etiK)grafico presupponeva e rappresentava concezioni ideologiche moderne in una situazione in cui queste idee sono semplicemente non pertinenti. Le lotte fra gli Ndembu erano dominate da scontri di volontà individuali e da reazioni emotive, collettive e personali, rispetto a 'rotture' dell'ordine legittimo, presupposte o dicliarate. L^aspetto predominante non erano le strutture generali matrilineari dell'eredità, della successione e della posizione sociale in seno alle varie stirpi, ma piuttosto la volontà, l'ambizione e i fini politici. Le strutture matrilineari influenzavano le tattiche usate dai contendenti, soggiogati dalla loro volontà di conquistare il potere temporale, ma la politica era principalmente in mano ai maschi. Perciò un copione, per restare fedele ai dati etnografici, dovrebbe incentrarsi suHe lotte per il potere e non sui presupposti matrilineari. Ma forse sono i dati etnografici stessi a dover essere messi in questione? Questo era il pxmto di vista sostenuto da alcuni membri femmine della nostra classe. E in realtà una questione dei genere diventa legittima quando si apre il materiale etnografico al processo della performance. Un etnografo maschio, come me, può davvero comprendere o tenere nel giusto conto nelle sue analisi la natura della struttura matrilineare e il suo concretarsi, non solo nelle donne, 176
FJlüde drammaticoIdramma rìtud
ma anche negli uomini, come fattore rilevante in tutte le loro azioni, politidie, giuridiche, di parentela, rituali ed economiche? Nondimeno, restava il fatto che le cariche politiche, anche in questa sodetà matrilineare, erano in larga misura una faccenda maschile, se non un monopolio maschile. Perciò il tentativo di porre in primo piano la struttura femminile della società Ndembu distoglieva Tattenzione dal fatto die questi particolari drammi erano lotte politiche essenzialmente maschili, anche se combattute nel quadro della discendenza matrilineare. La vera tragedia di Sandombu non era di essere inserito in una struttura matrilineare (e se fosse stata patrilineare o bilaterale il discorso sarebbe lo stesso) che sminuiva le doti politiche individuali e magnificava invece i vantaggi derivati da posizioni assegnate per nascita. Nell'America capitalistica, o nella Russia o nella Cina socialiste, un animale politico come Sandombu sarebbe forse prosperato. Invece nella politica di un villaggio Ndembu una persona ambiziosa ma procreativamente sterile e con pochi parenti matrilineari era quasi in partenza im uomo condannato. Purtroppo il tempo a nostra disposizione fini prima che il gruppo avesse Topportunità di rappresentare la situazione (È Sandombu. Ma tutti noi, antropologi e teatranti, avevamo ora un problema su cui riflettere. Come potevamo tradurre il materiale etnografico in tin copione, poi recitare quel copione, poi rifletterci sopra, poi ritornare ad un materiale etnografico piti ricco, poi fare un nuovo copione, poi di nuovo recitarlo? Questa circolazione interpretativa fra i dati, la prassi, la teoria e i dati ulteriori (una sorta di girandola ermeneutica, se vogliamo} fornisce ima critica spietata dell'etnografia. Non c'è come recitare la parte di un membro dì un'altra cultura in una situazione di crisi caratteristica di quella cultura per rendersi conto dell'inautenticità dei resoconti fatti solitamente dagli occidentali e per sollevare problemi non affrontati o non risolti nella letteratura etnografica. Ma questa stessa insufficienza può avere un'utilità pedagogica, in quanto dà 177
Eítíude drammaticoJdramma rituale
allo studente-attore una motivazione per estendere le sue letture su quella cultura. Inoltre è difficile separare i problemi estetici e quelli teatrali dalle interpretazioni antropologiche, Andie le storie esemplati riferite più incisivamente o più chiaramente nella letteratura etnografica, devono essere ulteriormente distillate e abbreviate ai fini della performance. Per far questo in modo efficace ed espressivo, bisogna combinare una solida conoscenza dei contesti sodo-culturali pertinenti con la capacità rappresentativa per produrre un valido copione teatrale, che ritragga efficacemente sia la psicologia individuale, sia il processo sociale articolato in base ai modelli fomiti da una particolare cultura. Uno dei vantaggi di questo modo di sceneggiare il materiale etnografico sta nel fatto che esso attira l'attenzione sui sottosistemi culturali, come quello costituito da stregoneria/divinazione/esecuzione del rituale di compensazione, da un punto di vista drammatico. H suggerimento del gruppo di laboratorio di inserire sullo sfondo del dramma naturalistico un film o un balletto che rappresentasse Vüomba e altre creature magiche (si potevano utilizzare maschere e travestimenti), poteva essere un espediente efficace per rivelare i livelli nascosti, forse addirittura inconsci, dell'azione. Avrebbe anche funzionato come un vivido insieme di note a pié di pagina sui presupposti culturali delle dramatis personae Ndembu. La nostra esperienza del laboratorio teatrale suggerì un certo numero di idee guida su come si potesse intraprendere la collaborazione fra antropologi e professionisti del teatro e della danza, a qualsiasi livello di preparazione. Innanzitutto, gli antropologi potrebbero presentare ai loro colleghi teatranti una serie di testi etnografici selezionati in base al loro potenziale drammatico. Poi il testo etnografico esaminato potrebbe essere trasformato in un copione preliminare utilizzabile. Qui il know-how della gente di teatro (il loro senso del dialogo; la conoscenza della messa in scena e dei materiali; l'orecchio per le espressioni efficaci, rivelatrici) potrebbe combinarsi con la conoscenza degli antropologi circa i significati culturali, la retorica 178
Rituide drammatico !dramma ritu
indigena e la cultura materiale. Ovviamente il copione sarebbe oggetto di continue modifiche durante il processo di prova, che metterebbe capo a una rappresentazione vera e propria. In questa fase avremmo bisogno di un regista esperto, preferibilmente uno che abbia familiarità con Pantropologia e con il teatro non occidentale (come Scbechner 0 Peter Brook) e in ogni caso con la struttura sodale e con le regole e i temi che stanno alla base delle strutture superficiali della cultura da rappresentare. Ci sarebbe un costante andirivieni dall'analisi antropologica dei dati etnografici, che forniscono i particolari per la messa in scena, all'attività di sintesi e di integrazione costituita dalla composizione drammatica, che comporterebbe il mettere le scene in sequenza, il collegare le parole e le azioni dei personaggi a eventi precedenti e successivi, e il tradurre le azioni in realizzazioni sceniche appropriate. In questo tipo di dramma etnografico non hanno infatti importanza drammatica soltanto i personaggi individuali, ma andhe 1 processi profondi della vita sociale. Dal punto di vista antropologico, c'è effettivamente del dramma nello sviluppo e nel confronto reciproco di processi socioculturali. A volte gli attori sulla scena sembrano addirittura delle marionette tirate dai fili del processo. Gli studenti di antropologia potrebbero aiutare quelli di teatro anche durante le prove, se non con la partecipazione diretta almeno svolgendo funzione di Dramaturgo ruolo fondato da Lessing^ nella Germania del diciottesimo secolo e definita da Richard Homby come « un semplice consulente letterario del regista [teatrale] » Homy e Schechner vedono nel Dramaturg ima sorta di critico letterario strutturalista che sviluppa la suaricercaattraverso una produzione teatrale e non meramente a tavolino Ma il Dramaturg o Ethnodramaturg antropologico non occupa tanto della struttura del arpione (a sua volta un preciso spostamento dall'etnografia alla letteratura), quanto della fedeltà di quel copione sia ai fatti descritti che all'analisi antropologica delle strutture e dei processi del gruppo. Fra parentesi, non è che io stia chiedendo una tassativa esclusione degli antropologi dal ruolo dell'attore. Al 179
Ritude àtammi^co!dramma ritude
«rntrario, penso che la partecipazione a questo ruolo accrescerebbe in misura significativa la comprensione 'scientifica' da parte dell'antropologo della cultura studiata in questo modo dinamico, poiché, come abbiamo detto, le scienze umane si occupano dell'^'uomo vivo". Ma sono consapevole dell'evasività e del voyeurismo della mia specie, che razionalizziamo come 'obiettività'. Forse avremmo bisogno di un po' più di quell'abbandono disciplinato che il teatro esige. GDmunque, come soluzione di ripiego, possiamo accontentarci del ruolo di Bthnodramaturg. n movimento dall'etnografia alla performance è un processo di riflessività pragmatica. Non la riflessività di un narcisistico e isolato aggirarsi fra i propri ricordi e i propri sogni, ma il tentativo, da parte di rappresentanti di una modalità generica dell'esistenza umana, l'esperienza storica occidentale, di comprendere « sentendo il polso », per usare la metafora di Keats, modalità diverse die finora erano loro precluse dallo sciovinismo gnoseolc^co o dallo snobbismo culturale. Storicamente, Tetnodrammaturgia sta sorgendo proprio con l'aumentare della conoscenza di altre culture, ¿(tre visioni del mondo, altri modi di vivere; quando gli occidentali, tentando di intrappolarefilosofie,drammaturgie e poe>tiche non occidentali nei recinti delle proprie costruzioni gnoseologiche, scoprono di avere acchiappato dei mostri sublimi, dei draghi orientali che sono i signori del caos fecondo, e la cui saggezza fa apparire la nostra sapienza basata sulla conoscenza razionale in qualche modo logora, avvizzita, e inadeguata alla nostra nuova percezione della condizione umana. n dualismo cartesiano ha insistito nel separare il soggetto dall'oggetto, noi da loro. Ha in realtà trasformato gli uomini dell'occidente in voyeurs, aumentando fino all'esagerazione le capacità visive con l'uso di macro- e microstrumentazioni, per conoscere nel modo migEore le strutture del mondo con un 'ocdháo' al suo sfruttamento. I profondi legami fra il corpo e la sfera mentale, fra il pensiero inconscio e quello conscio, fra la specie e l'io, sono stati, disprezzati come irrilevanti ai fini dell'analisi. ^^^ 180
Rituale drammatico/dramma ritu
La riflessività della performance dissolve questi l^ami e in tal modo produce una democratizzazione creativa: man mano che sulla terra noi uomini diventiamo una singola noosfera, la distinzione platonica fra un'aristocraàa dello spirito e gli
E
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^tüde
drammatico ¡dranma rituale
pagani ed emarginati, nel perseguimento di compiti comuni e nei rari momenti in cui questi compiti vengono trascesi dail^immaginazione.
Note
1 Cfr. Antordn Artaud, lì teatro e il suo doppio. Tonno, Einaudi, 1968, p. 107. 2 Lo spettacolo Les Iks è del 1975, nato da un viaggio di Brook in Africa e dall'influenza del libro di Colin TumbuU del 1972, The Mountain People, ed era incentrato su una tribù africana in via di estinzione. Rimandiamo a Les Iks, con un intervento di Denis Camion e una conclusione di Jean Qaude Carrière, Paris, Centre Intemationai de Creation Théatral, 1975 e a Franco Quadri (a cura di), Feter Brook o il teatro necessario, Ediàoni ddla Biennale di Venezia, 1976. 3 Cfr, Max Gkickman, On Drama and Games and Aihletic Contests in Secular Ritual a cura di Barbara MyerhofiE e Sally Falk Moore, Amsterdam, Royal van Gorum, 1977, pp. 227-243; Raymond FirtL, Society and its Symbols, in « Times Literary Supplenaent », 1974, n. 13, pp. 1-2. * Per una esposizione più completa del concetto di « dramma sodale » rimandiamo alla nota 7 òeH'ìntroduzione, 5 BriMiisIaw Malinowsld, Crime and Custom in Savage Society (1926) Paterson, Lottlefield, sxl.; ttad. it. Diritto e costume nella società primi tiva, Roóaa, Newton Compton, 1976. 6 Mandiester, Mandiester University Press, 1957, pp. 95-116. 7 Ibidem, 8 Cfr. Victor TUMET, The Drums of Afflictin. A study of BJSU^OUS Processes among the Ndembu of Zambia, Oxford, The Clarendon Press 1968, capitdi V D e VIII. 9 Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) raccoJse una serie di ctítidie scritte in qualità di Dramaturg al Deutsdies National Theater di Ámburp tra il 1767 e il 1769 presentate con il titolo Hamburgtsche Dramaturgia trad. it. Drammaturgia d'Amburgo, Bari, Laterza, 1956, H Dramatur è Tautore che fa consulente artistico sia per le scelte letterarie sk per la traduzione o riscrittara dei testi da mettere in scena. In questi ultimi anni a seguito degli esempi soprattutto tedeschi (dove autori famosi, come Botibo Strauss, sono stati Dramaturg di registi altrettanto famosi, come Peter Stdn) andie da noi si sono avuti molti casi di Dramaturg, sceneggiatori, consulenti letterari. Richard Hornby, Script into Performance, Austin-London, Univer sity of Texas Press, 1977, p. 63. " Ibidem, pp, 197-199.
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Capitolo quarto
La redtazioiie nella vita quotidiana e la vita quotidiana nella recitazione
Actìng, come tutte le parole 'semplici' anglosassoni, è una parok ambigua: può significare fare delle cose nella vita quotidiana, oppure eseguire ima performance sulla scena o in un .tempio« Può aver luogo in circostanze ordinarie o straordinarie. Può essere un modo di operare o di muoversi, come Inazione' di un corpo o di una maccliina; oppure può essere l'arte o professione di recitare nei drammi. Può essere il massimo della sincerità (Paffidarsi defllo a una linea d'azione per motivazioni etiche, magari per raggiungere la propria Verità personale"), o il massimo della finzione, quando si 'recita una parte* per nascondere qualcosa o per dissimulare. Il primo caso è l'ideale del « teatro povero » di Jerzy Grotowsld il secondo capita tutti i giorni 'sul lavoro'. Una spia, un truffatore, un ageni provocateur, sono tutti abili nel 'recitare'. Lo stesso individuo, in situazioni diflEerenti, può nello stesso giorno 'inscenare' un'azione [actì o 'recitare [to acti divinamente'. E tuttavia nel nostro linguaggio corrente questi opposti coincidono; parliamo di 'giocare un ruolo* riferendoci a qualche attività seria della sfera civica, come ü ruolo consultivo di un presidente. E d'altra parte parliamo di una 'grande interpretazione* sul palcoscenico come della fonte di alcune delle nostre cognizioni più profonde e più 'vere' della condizione umana. Perciò acting è insieme lavoro e gioco, solenne e ludico, finzione e verità, il nostro traffico e commercio mondano e ciò che facciamo o a cui assistiamo nel rituale o a teatro. La stessa parola 'ambiguità' deriva dal latino agere^ equivalente a to act y poiché viene dal verbo ambigerey « vagare », composto da ambi-^ « intorno, attorno », e dñ agerCy « fare », che insieme producono il senso di avere due o più possibili significati, di
La T&xtasàone nella vita quotidiana '
bi i suoi significati fondamentali, di compiere azioni e di eseguire performance, Vacting è indispensabile per la salute mentale; come dice William Blake, « Obi desidera ma non agisce [acts'\ alleva pestilenza il «proverbio infernale » che corrisponde a: « Aspettati veleno dall'acqua ferma y> Nelle lingue occidentali Tazione ha anche un sapore di contestazione. L'azione è « agonistica ». AttOy agone y agonia, agiiare^ derivano tutti dalla stessa radic indoeuropea ^ag-, « spingere », da cui ebbero origine il latino agere, <£ fare », e il greco àgein («r^tv), « condurre ». Ndia oiltura occidentale (euro-americana) sia il lavoro che il gioco hanno questo carattere di spinta, di conflitto, che precede di molto la famosa etica protestante di Max Weber. In quei generi di performance cuUurde che anticiparono il teatro greco (ad esempio la recitazione di miti, il rituale, l'epica o la saga orali e la narrazione o la recitazione di ballate e di Marchen), guerre e contese fra gruppi di divinità o fra dan e stirpi guidati da eroi ben armati, cosi come competizioni per assicurarsi una posizione sodale, il potere, o le scarse risorse disponibili, conflitti fra gli uomini per le donne, e divisioni fra parenti stretti erano vividamente rappresentati e riprodotti nella mimica. Phyllis HartnoU^ tratta dello sviluppo della tragedia greca dal ditirambo (o inno corale) cantato intomo allWtare di Dioniso durante certe feste religiose. H ditirambo, un canto di lode a Dioniso, originariamente in forma lirica, venne a trattare la sua vita e il suo mito attraverso un processo analogo a quello con cui i primi drammi liturgici dell'Europa medioevale die trattavano la nasata, la vita e la resurrezione di Cristo, narrazioni cariche di conflitti, si svilupparono dalla sezione lirica della messa pasquale. Naturalmente la messa, Teucarestia, era essa stessa un dramma con xm copione scritturale molto prima di dare origine alle sacre rappresentazioni. H ditirambo greco si estese fino ad indudere non solo le leggende dionisiache, ma andie quelle degli dei, semidei ed eroi alcuni dei quali erano considerati come i primi progenitori d ^ Elleni e dei loro vicini mediterranei. 184
La reátmxme nella vita quotidiana Le gesta di questi eroi, buoni o cattivi — scrive la Hartnoll — le loro guerre, lotte, matrimoni, adulteri, e le sorti dei loro figli, die tanto spesso sofírivano per le colpe dei genitori, sono una fonte di tensione drammatica, e danno origine a un elemento essenziale di conflitto; fra uomo e dio, bene e male, figlio e genitore, dovere e indinaaone. Questo può condurre alla comprensione reciproca e alla riconciliazione fra le parti in conflitto (poiché una tragedia greca non finisce necessariamente male) oppure all'incomprensione e al caos. Le trame di tutte le tragedie greche erano già perfettamente note agli spettatori. Facevano parte del loro retaggio religioso e culturale, poiché in molti casi risalivano all^età omerica* Quindi Tinteresse per il pubblico non stava nella novità della storia, ma nel vedere come il poeta t r ^ c o avesse scelto di trattarla, e, indubbiamente, nel valutare la qualità della recitazione e le prestazioni del coro, sia nel canto die nella danza, circa le quali disgraziatamente sappiamo molto poco^.
Nei suoi limiti, il riassunto della Hartnoll è corretto. Però non menziona il fatto importante che le opere teatrali, tanto le commedie di Aristofane quanto le tragedie di Eschilo e di Sofocle, sono, per usare i termini di Geertz, « metacommenti sociali )> sulla società greca contemporanea, doè, qualunque sia la natura delle loro trame, derivino esse dal mito o da presimtì resoconti storici, sono intensamente 'riflessive'. Se erano « specchi messi di fronte alla natura » (o meglio alla società e alla cultura), erano specchi aUivi (di nuovo questa parola propulsiva!), specchi che vagliavano e anaHzzavano gli assiomi e i presupposti della struttura sociale, isolavano i mattoni della cultura e talvolta li usavano per costruire nuovi edifici. Nubicuculie o corti persiane che non sono mai esistite sulla faccia della terra, ma che tuttavia erano possibili varianti basate sulle regole fondamentali delle strutture della vita socioculturale familiare o della realtà sociale empiricamente data. II teatro è forse il genere più vigoroso, o se preferite più attivo, di performance culturale, ma ve ne sono molti altri, alcuni dei quali ho ^ menzionato. Nessuna società è priva di qualche forma di meta-commento, espressione illuminante di Geertz per indicare « ima storia che un gruppo racconta a se stesso su se stesso » o, nel caso del teatro, un dranama che una società rappresenta su se stes185
La reáfazione ndla vita quotidiana
sa: non solo una lettura della propria esperienza, ma una nuova rappresentazione inteq)retativa delia medesima. Nelle società più semplici, preindustriali, vi sono spesso complessi sistemi di rituali (iniziatori, stagionali, terapeutici e divinatori) che agiscono, per cosi dire, non solo quali mezzi per « ravvivare sentimenti di solidarietà sociale », come li avrebbe considerati una generazione precedente di antropologi, ma anche come strumenti di esplorazione mediante i quali le diflScoItà e i conflitti del presente vengono articolati e fomiti di significato attraverso l'inserimento nel contesto di uno schema cosmologicofisso.L'ira degli dei o degli antenati può essere proposta come spiegazione dell'attuale sventura, un'ira suscitata da qualche vistosa o permanente trasgressione di usanze tramandate da tempi remoti e garantite da venerandi miti dell'origine. NeUe grandi società complesse, dove la sfera dello svago è nettamente separata da quella del lavoro, innumerevoli generi di performance culturale sorgono in base al principio della divisione del lavoro. Essi possono essere etichettati come arte, spettacolo, sport, gioco, partite, ricreazione, teatro, letture serie o amene, e molti ¿tri. Possono essere collettivi o privati, appannaggio di dilettanti o di professionisti, leggeri o seri. Non tutti hanno il carattere riflessivo di molte opere teatrali greche. Non tutti hanno portata universale: molti si rivolgono a interlocutori specifici (uomini, donne, bambini, ricchi, poveri, intellettuali, persone di gusto medio, e cosi via). Ma in questa sovrabbondanza di generi, il cui campo è ora ampliato dai media elettronici, alcuni appaiono più efficaci di altri nel dar vita ad opere autoregolative o autocritiche, che catturano l'attenzione o accendono la fantasia di un'intera società o addirittura di un'intera epoca, trascendendo le frontiere nazionali. In una cultura complessa sarebbe possibile considerare l'insieme dei generi della performance e della narrazione come modalità attive ed agenti iactive and acting] della cultura espressiva, come una sala degli specchi, o meglio degli specchi magici (piani, convessi, concavi, a cilindro convesso, a sella o a matrice, per prendere a prestito le nostre metafore dalla scienza delle superfid riflettenti) in cui i 186
La T&xtasàone nella vita quotidiana
problemi, le questioni e le crisi sociali {dalle causes célèbres ai mutamenti delle relazioni categorici macrosociali fra i sessi e le fasce d'età) vengono riflessi sotto forma di immagini molteplici, trasformati, valutati o diagnosticati in opere tipiche di ciascun genere, poi trasferiti in un altro genere in grado di indagarne m^lio certi aspetti, findié molte sfaccettature del problema non siano state illuminate e rese accessibili a una consapevole azione risolutrice. In questa sala degli specchi iriflessisono molteplici, alcuni ingrandiscono, altri rimpiccioliscono, altri ancora deformano i volti die si specchiano, ma sempre in modo da provocare nella mente di chi li guarda, non soltanto pensieri, ma anche potenti emozioni e la volontà di modificare l'andamento delle faccende quotidiane. Infatti a nessuno piace vedersi brutto, sgraziato o nano. Le deformazioni nello specchio provocano la riflessività. In un afEasdnante articolo David Emil Thomas ^ illustra come l'immagine allo specchio non sia sempre un riflesso fedele; può essere capovolta, avere la destra al posto della sinistra, o essere deformata in altri modi. Thomas analizza le trasformazioni servendosi di alcuni elementari specchi curvi, a partire dai quali vengono costruiti complicati specchi a matrice: « introducendo diverse curvature nelle superfid riflettenti, è possibile creare specchi che mutano la forma, la grandezza, Torientamento e la disposizione destra-sinistra degli oggetti riflessi in modi teatrali e che generano turbamento » n teatro è forse più vicino alla vita della maggior parte dei generi della performance, in quanto, nonostante le sue convenzioni e i limiti spaziali delle sue possibilità fisiche, esso è, come scrisse Marjorie Boulton ^ letteratura che cammina e che parla davanti ai nostri occhi, concepita per essere rappresentata, potremmo dire 'recitata' lacled}, e non vista come serie di segni sulla carta e di immagini, suoni ed azione nelle nostre teste » Richard Schechner, in Performer e spettatore trasportati e trasformati^, d ricorda che
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La recitazione mila vita qmUdiana il compommeato sulla scena non è libero e immediato; scaturisce invece dallo studio e dalla pratica « è recuperato )> ^^ attraverso le prove o per averlo conosciuto in precedenza o perché Io si è appreso spontaneamente fin dalla prima infanzia^ o perché viene fuori durante la performance con l'aiuto di maestri, guide, guru o anziani, o perché obbedisce a regole che determinano Tesito come nella improvvisazione o n e ^ sport.
La performance, dunque, è sempre dupKce, di quella duplicità déi^acíifíg di cui Ubiamo già parlato: non può sfuggire allariflessionee alla riflessività, II fatto che il teatro sia cosi vicino alla vita, purrimanendodistante da essa quel tanto che basta per farle da specchio, fa di esso la forma pió adatta per il commento o « metacommento » di un coietto, poidié la vita è conflitto, e la contestazione non è che una specie particolare di conflitto. « Senza i contrari non c'è progresso », come dice Bkke non foss'altro che nel senso che vita e morte, eros e dianatos, Yin e Yang, sono, per citare Freud, « etemi antagonisti »: fra parentesi, un altro termine della famiglia agere, agein, agòn. Anche quando, in certi tipi di teatro presenti in cJture differenti, sembra che Ü conflitto venga mutato o deviato o ridotto ad una lotta gaia o giocosa, non è difficile scoprire i fili die collegano gli elementi della rappresentazione alle fonti di conflitto nei milieux socioculturali. Il fatto stesso che in certe tradizioni teatrali e naturali le scene di discordia vengano attenuate o evitate segnala in modo eloquente la loro reale presenza nella società, e può forse essere inteso come un meccanismo culturale di difesa contro il conflitto anziché come un metacommento di esso. Si potrebbe sostenere che io abbia un interesse intellettuale preminente per il conflitto e per il dranama in quanto conflitto, dato che ho trattato il conflitto sociale come « dramma sociale » in diverse pubblicazioni. In effetti, mi sono trovato a dovermi difendere da critici acuti rome i miei ex-insegnanti Sir Raymond Fith e il defunto Max Gluckman, che mi haimo accusato di introdurre arbitrariamente un modello tratto dalla letteratura (non dicevano « letteratura occidentde ma chiaramente pensavano al modello arktotelico della tragedia) per gettare luce su pro188
La T&xtasàone nella vita quotidiana '
cessi sociali spontaaei c±ie non sono inventati o inseriti in conven2áoni, ma sorgono da scontri di interessi o dall'incompatibilità fra principi sodostrutturali negli scambi della vita quotidiana in un gruppo sociale. Recentemente sono stato rincuorato dalla lettura di un articolo di Geertz dove non solo sostiene « che le analogie tratte dagli studi umanistici stanno avviandosi ad assumere nella conoscenza sociologica quel ruolo che le analogie tratte dalle arti manuali e dalla tecnologia haimo a lungo svolto nella conoscenzafisica» ma dà anche la sua qualificata approvazione aUa « analogia tra dramma e vita sociale » Geertz mi aimovera fra i « fautori della teoria rituale del dramma », contrapposta alla « tesi àéì^azione simbolica » che sottolinea « le affinità fra il teatro e la retorica: il dramma come persuasione, il palcoscenico come tribuna legata al nome di Kenneth Burke. La sua efficace formulazione della mia posizione mi esime dal ripetere la mia. Egli scrive: Per Turner i drammi sodali hanno luogo « a tutti i livelli ddForganizzazione sodale, dallo stato alla famiglk ». Essi s o r ^ o da situazioni di conflitto (un villaggio si divide in fazioni, un marito picdiia la moglie^ ima regione si solleva contro lo stato) e procedono verso il proprio dénouement attraverso un oomportamento convenzionalizzato rappresentato pubblicamente. Quando il conflitto si dilata fino alla crisi, e provoca la fluidità di emozioni intensificate, nella quale le persone si sentono al tempo stesso più completamente assorbite in uno stato d'animo comune e liberate dalle loro remore sociali, per contenere e mettere ordine in questa situazione si ricorre a forme ritualizzate di autorità: processo giuridico, faida^ sacrifido, prefiera. Se esse hanno successo, la rottura è sanata e viene restaurato lo status quo, o qualcosa die ^H assomiglia; se invece falliscono, la rottura viene accettata come irrimediabile e le cose si sfaldano in finali tragid di vario genere: migrazioni, divorzi, o assasstnii neUa cattedrale. Con diversi gradi di rigore e di aderenza ai particolari^ Turner e i suoi seguad hanno applicato questo schema ai riti di passaggio tribali, alle cerimonie di guarigione e ai processi giudiziari; alle insurrezioni messicane, alle saghe islandesi e ai contrasti di Thomas Becket a)n Enrico II; al romanzo picaresco, ai movimenti millenaristid, ai carnevali caraibid e alla cacda degli indiani ecdtati dal peyote; e al sommovimento polìtico d ^ armi Sessanta. Una forma per tutte le stagioni.
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La recitandone ndla vita quotidiana il comportamento sulla scena non è libero e immediato; scaturisce invece dallo studio e dalla piaúca. « è recuperato » attraverso le prove o per averlo conosciuto in precedenza o perché lo si è appreso spontaneamente fin dalla prima infanzia, o perché viene fuori durante la performance con l'aiuto di maestri, guide, guru o anziani, o perdié obbedisce a regole che cfeterminano l'esito come nella improvvisazione o n e ^ sport.
La performance, dunque, è sempre duplice, di quelk duplicità à^acting di cui abbiamo già parlato: non può sfuggire alla riflessione e alla riflessività. Il fatto che il teatro sia cosi vicino alla vita, pur rimanendo distante da essa quel tanto che basta per farle da specchio, fa di esso la forma più adatta per Ü commento o « metacommento » di un conflitto, poiché la vita è conflitto, e la contestatone non è che ima specie particolare di conflitto. « Senza i contrari non c'è progresso », come dice Blake non fosscaltro che nel senso che vita e morte, eros e thanatos, Yin e Yang, sono, per citare Freud, <( eterni antagonisti »: fra parentesi, un altro termine della famiglia agere, agein, agòn. Anche quando, in certi tipi di teatro presenti in culture differenti, sembra che 2 conflitto venga mutato o deviato o ridotto ad una lotta gaia o giocosa, non è difficile scoprire i fili die collegano gli elementi della rappresentazione alle fonti di conflitto nei milieux socioculturali. Il fatto stesso che in certe tradizioni teatrali e naturali le scene di discordia vengano attenuate o evitate segnala in modo eloquente la loro reale presenza nella sodetà, e può forse essere inteso come un meccanismo culturale di difesa contro il conflitto atiziché come un metacommento di esso. Si potrebbe sostenere che io abbia un interesse intellettuale preminente per il conflitto e per il dramma in quanto conflitto, dato che ho trattato il conflitto sociale come « dramma sociale in diverse pubblicazioni. In effetti, mi sono trovato a dovermi difendere da critici acuti come i miei ex-insegnanti Sir Raymond Fith e il defunto Max Gluckman, che mi hanno accusato di introdurre arbitrariamente un modello tratto dalla letteratura (non dicevano
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cessi sodali spontanei che non sono inventati o inseriti in convenzioni, ma sorgono da scontri di interessi o dall^incompatibiKtà fra principi sociostrutturali negli scambi della vita quotidiana in un gruppo sodale. Recentemente sono stato rincuorato dalla lettura di un articolo di Geertz^, dove non solo sostiene « che le analogie tratte dagli studi umanistid stanno avviandosi ad assumere nella conoscenza sodologica quel ruolo che le analogie tratte dalle arti manuali e dalla tecnologia hanno a lungo svolto nella conoscenzafisica» ma dà anche la sua qualificata approvazione alla « analogia tra dramma e vita sociale Geertz mi aimovera fra i <( fautori della teoria rituale del dramma )>, contrapposta alla « tesi d¿ÍVazione simbolica » che sottolinea « le affinità fra il teatro e la retorica: il dramma come persuasione, il palcoscenico come tribuna » legata al nome di Kenneth Burke. La sua efficace formulazione delia mia posizione mi esime dal ripetere la mia. Egli scrive: Per Timier 1 drammi sociali hanno luogp « a tutti i livelli delrotganizzaáone sociale, dallo stata alla famiglia » . Essi sorgono da situazioni di confiitto (un villaggio si divide in fazioni, un marito picchia la moglie, una regione si solleva contro lo stato) e procedono verso il proprio denouement attraverso un comportamento conr venzionalizzato rappresentato pubblicamente. Quando il conflitto ú dilata fino aUa crisi, e provoca la fluidità di emozioni intensificate, nella qiiale le persone si sentono al tempo stesso piti completamente assorbite in uno stato d'animo comune e liberate dalle loro remore sociali, per contenere e mettere ordine in questa situazione si ricorre a forme ritualizzate di autorità: processo giuridico» faida, sacrificio, preghiera. Se esse hanno successo, la rottura è sanata e viene restaurato Io status quo, o qualcosa c h e ^ assomiglia; se invece falliscono, la rottura viene accettata come irrimediabile e le cose si sfaldano in finali tragici di vario genere: migrazioni, divorzi, o assassinii nella cattedrale. Con diversi gradi di ripre e di aderenza ai p ^ c o l a r i . Turner e i suoi s ^ u a d hanno applicato questo schema ai riti di passaggio tribali, alle cerimanie di guarigione e ai processi giudiziari; alle insurrezioni messicane, alle saghe islandesi e ai contrasti di Thomas Becket con Enrico I I ; al romanzo picaresco, ai movimenti millenaristid, ai carnevali caraibici e alla caccia degli indiani ecdtati dal peyote; e al sommovimento politico degli anni Sessanta. Una forma per tutte le stagioni.
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Questa freccia del Parto deriva dall'insistenza di Geertz, in diversi dei suoi scritti, sul fatto che Tapproccio del dramma sociale restringe troppo la sua attenzione al « movimento generale delle cose (corsivo mio) e trascura i multiformi contenuti culturali, í sistemi simbolici che esprimono Tethos e Teidos, i sentimenti e i valori delle culture specifiche. Egli suggerisce di ovviare a questo inconveniente con la « analogia testuale ^ cioè sostiene che l'analisi testuale si occupa di come si determina Vinscrizione dell'azione, quali sono i suoi veicoli e come funzionano^ e che cosa implica per l'interpretazione sociologica la fissazione del significato astratto dal fiiisso degli eventi (la storia da d ò che è accaduto, ñ pensiero dal pensare, la cultura dal comportamento). Vedere le istituzioni, i costumi e i mutamenti sodali come in qualche modo 'leggibili' significa cambiare totalmente il nostro senso di d ò die è una tale interpretazione indirizzandola verso modi di pensiero assai più familiari al traduttore, a l l ' e s i t a o all^iconografo che non all'esaminatore, all'analizzatore dei fattori sodali o a chi compie un sondaggio
La mia risposta a Geertz consiste semplicanente nel ribadire certi caratteri dell'approccio del dramma sociale. Egli menziona « formeritualizzatedi autorità: processo giuridico, faida, sacrificio, preghiera », che vengono usate « per contenere e per mettere ordine in questa situazione » di crisi. Queste forme possono cristalHzzare Vnnicità di una data cultura, non sono forme per tutte le stagioni. E in realtà per parte mia io ho trattato spesso i sistemi simbolici rituali e giuridici degli Ndembu dello Zambia considerandoli come analoghi testudi. Però ho cercato di inserire questi testi nel contesto della performance^ anziché tradurli in sistemi astratti e prevalentemente gnoseologici. Comunque, lo stesso Geertz ammette di fatto che oggi molti antropologi, lui compreso, usano sìa Tapproccio testuale sia quello drammatico, a seconda del problema e del contesto. Alcuni di questi fraintendimenti e apparenti contraddizioni possono essere eliminati se esaminiamo la relazione fra le due modalità òéS!acting (nella « vita vera » e « sulla sc&m ») intese come componenti di un sistema dinamico di interdipendenza fra dranmii sociali e perfor190
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mance culturali. Sia le analogie drammaturgiche che quelle testuali cadono allora a proposito. Richard Schechner raffigurò questa relazione con l'immagine riprodotta nel secondo capitolo di un otto coricato tagliato in due da una linea. I due semicerchi sopra la linea divisoria orizzontale rappresentano la sfera pubblica visibile, manifesta, quelli sotto la sfera latente, nascosta, forse addirittura inconscia. L'anello o occhiello sinistro rappresenta il dramma sociale, suddiviso nelle sue quattro fasi principali: rottura, crisi, compensazione, denouement positivo o negativo. L'anello destro rappresenta un genere di performance culturale: per i nostri scopi attuali, un dramma scenico o letterario. Si noti die il dramma sodale manifesto agisce suUa sfera latente del dramma scenico; la sua forma caratteristica in una data cultura, in un dato contesto spaziotemporale, influenza inconsciamente, o forse preconsciamente, non solo la forma ma anche il contenuto del dramma scenico di cui è lo specchio attivo o 'magico'. Il dramma scenico, quando si propone qualcosa di più che di divertire (benché il divertimento resti sempre uno dei suoi scopi vitali) è un metacommento, esplicito o implicito, consapevole o inconsapevole, dei principali drammi sociali del suo contesto sociale {guerre, rivoluzioni, scandali, mutamenti istituzionali). Non solo, ma Ü suo messaggio e la sua retorica retroagiscono suUa struttura processuale latente del dramma sociale e in parte ne spiegano l'immediata ritualÌ22azione, Adesso la vita stessa
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rienza più profonda è quella die avviene attraverso il dramma; non attraverso il dramma sociale o il dramma scaiico (o i suoi equivalenti) presi separatamente^ ma nel proces circolatorio o oscillatorio della loro modfficazione reciproca e incessante. Se si dovessero fare ipotesi circa le origini, k mia congettura sarebbe die tutti i generi di performance culturale, dai riti tribali agli spedai televisivi, sono potenzialmente racchiusi nella terza fase del dramma sodale generico (che è come la condizione generale di mammifero che ancora conserviamo attraverso tutto il processo di irradiamento sul globo terrestre di forme sprafiche di mammiferi, adatte alla sopravvivenza in particolari nicchie ambientali): la fase del processo di compensazione. In \m dramma soda la prima fase ha luogo quando una o più norme sociali considerate come vincolanti e come supporto delle relazioni chiave tra individui o sotto-gruppi in una comunità più o meno imita, vengono infrante o troppo scopertamente ignorate. Spesso c'è un'azione simbolica che attira l'attenzione collettiva sulla rottura. C'è un atto di disobbedienza dvile; un Tea Party di Boston; un cacciatore africano che offende e sfida il capo del suo villaggio rifiutandogli la porzione di carne che gli spetterebbe per diritto ereditario; e altre cose del genere. Una volta accaduto questo, nessun membro del gruppo può chiudere gli occhi di fronte alle sue implicazioni. Nefla fase successiva, la crisi, la gente prende posizione, appoggiando o colui che ha violato la regola o il bersaglio della sua azione. Si formano fazioni, coalizioni, cricche, d si scambiano parole di fuoco, e a volte si giunge alla violenza vera e propria. Precedenti alleati possono contrapporsi, precedenti nemid unirsi. Di solito il conflitto è contagioso:riemergonoantiche ruggini, antiche ferite si riaprono, ricordi sepolti di vittoria o sconfitta in contese precedenti vengono disseppelliti. Infatti nessun dramma sociale si conclude mai definitivamente: le condizioni della sua cessazione sono spesso le stesse sotto cui ne sorge uno nuovo. L'unità e la continuità della comunità possono essere minacdate. Tutto questo può avvenire 'a bassa voce' oppure 'a voce alta': le armi possono 192
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essere sguardi, g^ti, parole, cazzotti, lance o armi da fuoco. Quando Tintegrità della comunità è in tal modo minaoiata, coloro che sono ritenuti responsabili della sua continuità e della forma strutturale di tale continuità, in parole povere dell'ordinamento politico, muovono al contrattacco per frenare il contagio della rottura dilagante, e tentano prima di contenere e poi di eliminare la crisi. Questi agenti della compemaúone possono essere capi, anziani, avvocati, giudici, militari, preti, sciamani, indovini, padri, madri, giurati, panchayat di uii villaggio: spesso essi sono i depositari e i rappresentanti della l^ttimità e defla conformità a regole, modelli o principi stabiliti. Ma a volte accade che gli agenti della compensazione e gli strumenti dì cui dispongono (tribunali, parlamenti, assemblee, conciÜi, eserciti, polizia, tavoli delle trattative, apparati divinatori, oracoli, facoltà di maledire e di benedire) abbiano perduto o stiano perdendo la loro autorità, l^tttmità o dSGícacia agli occhi dei membri del gruppo. La risposta alla crisi può allora venire da im gruppo che mira a una modificazione o a una ristrutturazione in qualche maniera decisiva dellbrdine sodale, dalle riforme alla rivoluzione. Un tale scontro fra partiti conservatori e riformatori può creare una nuova crisi quando i rappresentanti Aél^ancien e quelli del nouveau regime si frontegg no. La compensazione in questo caso può assumere la forma di una guerra civile, di im'insurrezione o di una rivoluzione. Molto dipende dalla grandezza e dalle dimetisioni del gruppo e dk grado di sviluppo raggiunto daUa divisione sociale ed economica del lavoro. Questi fattori determinano le modalità di compensazione che vengono applicate o ideate. Nelle società statali con strutture sociali gerarchiche, ü fallimento dei tentativi di risolvere k crisi a liveflo locale o regionale può sfociare in un'azione di compensazione condotta dalle autorità politiche o giuridiche centrali, che operano attraverso i loro tribunali e la polizia. Nelle società più semplici, prealfabete e senza stato, il meccanismo di compensazione è spesso di due specie, giudiziario o rituale. L'azione giudiziaria può consistere nell'arbitrato ufficiale o ufficioso da parte degli an193
La redtmone ndla vita quotidiana
ziani^ nella convocasáone di un tribunale del capo con tanto di consideri e assessori, o nel ricorso alla vendetta ^ di sangue o aUa faida. Ma quella che qui d interessa par-1 ticolarmente è l'azione ritude. In molte società di piccole | dimensioni quelli che nella tradizione culturale ocddenta-l le distinguiamo come ordine sociale, ordine morale e ordini ne natu¿le, sono considerati come un unico ordine com-f posto dà elementi visibili ed invisibili. Il termine sovrani naturale y come anche lo stesso termine naturay è tm con cetto teologico-filosofico occidentale. C!osi una malattia of una disgrazia nella comunità, personali oppure epidemiche/ possono essere concepite come il risultato dell'azione di spiriti ancestrali invisibili, offesi da attività malvage occulte o palesi (stregoneria o alterchi) fra i membri della comunità che da essi discendono. Oppure possono essere attribuite alla segreta malvÉ^tà di streghe o stregoni viventi. Se l'esplodere della malattia o di una serie di eventi sfortunati (pestilenze, invasioni di locuste, uragani, carestia, siccità, scorrerie inattese di stranieri, scomparsa degli animali di una certa specie) coincide con le rotture di regole e relazioni all'interno della comunità, e non sembra esserci alcuna soluzione razionale del conflitto nel quadro della legge tradizionale, si può ricorrere alla divinazione o agli oracoli, procedure per indagare le cause invisibili del conjflitto e per prescrivere il tipo appropriato di rituale die propizi o esorcizzi lo spirito nefasto o lo spirito familiare della strega. Rituali del genere, che nel contesto centroafricano ho chiamato « rituali di afl3[izÌone » si trovano in molte società, e spesso sviluppano un daborato simbolismo. A volte sono assodati a miti cosmogonia o cosmologid che spiegano come la morte e i malanni di varia spede sono giunti nel mondo degli uomini. In queste società il rituale è raramente qud tipo di importamento rigido, ossessivo, a cui siamo abituati a pensare dopo Freud. È piuttosto un'orchestrazione di azioni e oggetti simbolid in tutti i codia sensoriali (visivo, auditivo, cinestetico, olfattivo, gustativo), pieno dì musica e di danza e con interludi di gioco e di divertimento. Può comprendere la pittura, inclusa quella del cx>rpo, la scultura, Tinta194
La T&xtasàone nella vita quotidian
gliare il legno, la musica strumentale e corale, un trattamento me<Èco sistematico (ai pazienti sono somministrati pozioni e bagni di erbe, inalazione di vapore, eccetera, come parte del processo rituale), un intreccio drammatio) (gli officianti del rito spesso recitano la parte d e ^ dei, degli eroi culturali, degii antenati o dd demoni quali sono descritti nei miti), cudna festiva (certi generi di cibo e di bevande sono riservati ai riti in onore di divinità o di spiriti particolari), prediche e omelie (poiché i rituali di questo tipo consentono una grande libertà di comportamento verbale innovativo, spesso considerato come serie di messaggi trasmessi dagli spiriti attraverso medium o sciamani da essi posseduti), analisi psicologica (gli indovini cercano dì scoprire le tensioni e i rancori nascosti in seno alla comunità, che sono ritenuti responsabili della calamità), dramma danzato e coreografia basati su r^ole prestabiKte', e molte altre modalità estetiche e conoscitive che più tardi si specializzeranno sotto forma di professioni pararituali, semi-secolari e infine pienamente secolari nelle società più complesse. Non solo i rituali di afflizione, ma anche quelli che segnano i momenti critid della vita individi¿le (nasata, pubertà, matrimonio, funerale e cose del genere) e i riti stagionali (rito dei primi frutti, del raccolto, del solstizio, eccetera) hanno un rapporto con il conflitto. Mentre i rituali di afflizione sono spesso una r^ione diretta alla disgrazia considerata come un sintomo manifesto di un conflitto nascosto, gli altri tipi fondamentali possono essere intesi come misure profilattiche contro il conflitto, die lo prevengono e lo evitano dimostrando vividamente i vantai della cooperazione. Nel mio libro La foresta dei simboli ho mostrato ad esempio che sia ilritualedi drcondsione dei ragazzi {Mukanda)^ sia il rito di pubertà delle ragazze {Nkang'a) presso la popolazione Ndembu dello Zambia rappresentano in forma drammatica le divisioni e opposizioni fra uomini e donne che caratterizzano questa sodetà matrilineare, divisioni generate dalle usanze stesse, in base alle quali la collocazione in un gruppo, Peredità e la successione sono trasme^e dal Iato materno, mentre il 195
La recitazione neUa vita quoHdiima
potete e rautorità, le cariche di capotribù e di capo di im villano, sono detenute dsgli uomini e dalle donne che dopo il matrimonio lasciano le proprie madri e i propri familiari per andare a vivere nel villaggio dei loro mariti. Questo conflitto strutturale fra la continuità strutturale femminile e Tautorità attuale maschile è il « tarlo immortale » della cultura Ndembu, anche se proliferano rituali, miti e simboli volti a mascherarlo, nasconderlo, stornarlo o giustificarlo In breve, sto dicendo che i generi di performance delleA^ società complesse, industriali, cosi come molte delle loro | istiturioni forensi e giudiziarie, il palcoscenico e il tribu- i naie, affondano le loro radici nel permanente dramma so-1 dale dell'umanità, in particolare nella sua fase di compen- ^ sazione, dramma che ha la sua origine diretta nel conflittc sociale strutturale, ma dietro al quale c^è forse un'endemi ca irrequietezza evolutiva; poiché a quanto pare siamo unà specie a cui vengono rapidWente a noia ^che i più vantaggiosi fra i suoi meccanismi culturali di adattamento, LTJomo del Sottosuolo di Dostoevskij disprezzava l'utopia in nome della sua libertà di scegliere dò che non era perfetto, o che era addirittura definibile come crimine o peccato. E non diceva forse Goethe, a proposito di Faust apparentemente dannato: <(Noi possiamo redimere chi, sempre tendendo, si affatica » Da questo punto di vista il dramma sodale d mantiene vivi, d dà dd problemi da risolvere, allontana Vemui, garantisce quantomeno la circolazione della nostra adrenaÌba, e d stimola a nuove, ingegnose formulazioni culturali della nostra condizione di uomini, e ogni tanto a tentativi per renderla migliore o addirittura bella. Tuttavia nelle sodetà più semplid, preindustriali, può spesso fare il suo corso Finterà sequenza delle scene, rottura, crisi, compensazione, restaurazione della pace attraverso la riconciliazione o la comune accettazione dello scisma, poiché la compensazione, sia essa giudiziaria o rituale, si fonda su di un ampio o addirittura generale consenso popolare sui valori e sul significato, Ndle sodetà complesse, pluralistiche, divise in dassi, razze, fasce d'età e sessi, che 196
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danno rilievo alla competizione, al mutamento, all'individualismo, alla creatività e all'innovazione, è meno probabile che si riesca a ottenere l'accordo generale su scala nazionale o ndla società nd suo amplesso. Nondimeno, per le stesse ragioni, è altamente probabile die venga prodotta xmst moltitudine di modelli cÜ ordine sodale, utopistid o di altro genere, e una molteplidtà di sistemi religiosi, politid e filosofia per attribuire significato agli eventi tipid dell'epoca, modelli e sistemi che operano attraverso una ampia varietà di forme retoriche e di altri mezzi di persuasione, E poiché non la persona sodale {il fasdo di status e di ruoli che costituisce la personalità sociale), ma l'individuale-nell'-universale è il produttore e in ultima analisi anche il pubblico di questi modelli raccontati, drammatizzati, o codificati esteticamente in altro modo (la corte d'appellofinale,per cosi dire), non è affatto sicuro che in qualunque crisi importante si riesca a raggiungere un pieno accordo circa le condizioni sotto le quali la pace e l'ordine potranno allafineessere restaurati. Di qui il paradosso delTetà contemporanea, per cui in un mondo che tiene in onore TapprencHmento, ralfabetizzazáone, le argomentazioni, i negoziati, la persuasione e la legalità, molti dd prindpali drammi sociali vengono risolti con la forza delle armi, 'tagliando il nodo gordiano", la semplice e rapida soluzione per problemi di qualsiasi complessità o più difficili della media. Ecco perctó tante nazioni vivono oggi sotto regimi militari. Dove domina il dissenso quanto al significato, il consenso può essere sostituito dalla forza. Naturalmente coloro che con la forza si sono impadroniti dd potere e hanno risolto le questioni tentano poi di educare sodamente i giovani nei termini di un sistema di credenze unico e semplificato, che definisce la legittimità in modo tale che i drammi sodali possano di nuovo avere un meccanismo di compensazione accettato da tutti, pesantemente saturo di rituale secolare. In queste sodetà i generi di performance culturale che hanno in gran parte sostituito i rituali e i processi giudiziari delle sodetà tribali e feudali, nel corso della trasformazione di queste in sodetà più complesse basate su ordinamenti industrializzati e urbanizzati e 197
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SU sistemi di commercio intemazionale, sono spesso soggetti a pesanti attacchi poiitid. Le moc^tà industrializzate . diritribalizzazionesu scala nazionale di cui abbiane avuto esperienza in questo secolo, dbe la loro ideologia politica fosse di sinistra, di destra oppure di centro, doè i sistemi totalitari o organídstici, sono accomunati dall'opposizione alla diversità nel pensiero e nel modo di vivere, poiché la diversità conduce alla soluaone lenta dà drammi sociali, qualunque sia il livello o il luogo in cui essi si manifestano nel proceso sociale o nel contesto nazionale, e questo differimento della soluzione della crisi può portare ad una critica delle premesse fondamentali dell'ordinamento politico stesso. Si può sostenere die laritribalizzazione,a livello degli enormi sistemi politid industrializzati, sia in realtà in acuta contraddizione dialettica con il modo di produzione moderno, la cui diversificazione e capadtà di essere cx)n^uamente all'altezza di nuove tecnologie (ad esempio ^computer, la miniaturizzazione, la robotizzazione dell'industria, e simili),richiedeuna uguale diversificazione nella sfera della cultura, e spedalmente in quegli aspetti di essa che hanno a che fare, direttamente o indirettamente, con la compensazione dd drammi sodali che erompono costantemente dalle nuove relazioni produttive e danno luogo a nuovi generi di conflitto sociale. Paradossalmente la ritribalizzazione, « una sola Legge per il Leone e per il Bue », come forse l'avrebbe definita Blake ^ (il che « è oppressione »), viene condotta sotto l'egida della evoluzione verso ^uno stadio più alto' della sodetà. La ritribalizzazione, che si definisca ^fascista', 'sodaKsta', 'comunista', o come qualsiasi altra forma di controllo autoritario o totalitario, deve cercare di controllare le crisi di ogni tipo non solo con la forza, ma anche con la reritualizzazione della terza fase di ogni dramma sociale, quella della compensazione: per questo dà una complicata forma rituale ai processi agli eretid e ai rinnegati, come quello recentissimo alla Banda dd Quattro in Cina. Quindi, quando Tinventività umana individuale e le tradizioni collettive del know-how tecnico penetrano nell'infrastruttura economica, sorge una contraddizione fra la molteplidtà e la di198
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versità delle forze e dei mezzi di prcwluzione e le strutture statali monolitiche il cui controllo dei mezzi di produzione reprime la creatività a livello di forze e relazioni produttive. Í II rituale, diversamente dal teatro, non fa distinzione ¿fra attori e spettatori. C'è invece una congregazione i cui Ueader possono essere preti, funzionari di partito, o altri } specialisti delritualereligioso o secolare, ma tutti condiviIcfono, sia nella forma che nella sostanza, uno stesso insiefme ài credenze e accettano Io stesso sistema di pratiche, gli stessi insiemi di azioni rituali o litui^che. Una congregazione ha la funzione di ajffermare Pordine teologico o cosmologico, esplicito o implicito, sostenuto dall'intera comunità, e di attualizzarlo periodicamente per se stessa e inculcarne i dogmi fondamentali nei suoi membri più giovani, spesso in una serie graduata di rituali che segnano i momenti critici della vita, doè i passaggi dalla nascita alla morte attraverso la pubertà, il matrimonio, Tiniziazione a prestigiose società segrete, il progresso ordinato attraverso \m sistema di educazione che comporta l'indottrinamento cumulativo, e cosi via. H teatro, dal greco theasthaì che significa « vedere, guardare », è assai diverso. Schechner ha sostenuto che n teatro nasce quando avviene una separaziofteficaspettatoti e attori. La situatone paaradigmatica del teatro è quella di un gnippo di attori che sollecitano un pubblico il quale può reagire venendo ad assistere allo spettacolo oppure no. Il pubblico è libero di venire ad assistere o di restare a casa, e se resta a casa è il teatro che ne sofEre^ non il suo pubblico potenziale. Nel rituale, restarsene a casa significa rifiutare la congregazione, o essere rifiutati da essa, come ndla scomunica, ndl'ostracismo o nell'esilio^.
Si potrebbe aggiungere che non è un peccato mortale non andare ad assistere a un dramma di Ibsen, di Cechov, di Brecht o di lonesco, ma che ima volta era peccato mortale non andare ad assistere alla messa della domenica: in questo caso ci si chiede se la chiesa cattolica non si stia avviando a considerare se stessa come una forma di teatro, andhe se per ironia esige una maggiore partecipazione congregazionale da parte dì coloro die effettivamente assistono ai 199
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suoi riti. Negli stati totalitari si giunse a considerare peccato il non partecipare ad un comÍ2áo locale difigurepolitiche di rilievo nazionale: chi non partecipava era virtualw^tc un dissidente. E ora tomo alla mia tesi originaria per cui la vita quotidiana è intrinsecamente connessa alla recitazione e viceversa. Mi sembra che sia il tribalismo sia la pretesa ritribalizzazione pongano l'accento sulla struttura sodde^ e con essa sui ruoli, gli status e le posizioni che ne costituiscono le componenti gerarchiche (e che insieme compongono la persona strutturale) a scapito di quello che molti pensatori sociali, da Durkheim a Kenelm Burridge, hanno chiamato
La T&xtasàone nella vita quotidiana
quanto è più spesso il prodotto ài un'ispirazione individuale che non di quella collettiva, ed è critico anádbé perseguire i fini dell'ordine sociale esistente. Nelle società prealfabete il concetto incipiente di individuo compare, ma spesso in forme velate o limitate. Burridge espone alcune teorie interessanti su questo proio- o Ur- individuo. Egli considera quello die chiama « il sé » non come un'mtità statica, ma come un movimento, una energia dhie oscilla tra la persona strutturale e l'individuo potenzialmente antistrutturale. Questo gli consente di scrivere: n periodo liminale diventa uft'inttoduáone e un esame per resistenza morale. Riproducendo in termini universali la trasformazioDe dalla natura alla cultura, i riti di pubertà riuniscono le omiponenti dell'esistenza e costringono le facoltà culturali ad afrontare le opposizioni e le corrispondenze tra le sfere di esistenza animale, morale e spirituale* Per usare un'altra terminologia, alriniziando si cMòle di valutare la commucitas e Tantisttuttura (dove gli essed umani, spogliati dei lom ruoli, status, relazioni di appartenenza e codici m o i ^ , sono in comunione come soggetti umani) confrontandole con le opposte esigenze dell'organizzazione e della stmttura. In questa situazione [continua Burridge] la maggior parte degli iniziandi, non riuscendo a sottrarsi al condizionamento subito in passato da parte del parentado e dei conformisti, si attengono all'aspetto più ovvio od esplicito del rituale. Alcuni, comprendendo intuitivamente die i simboli e le attività simboliche contengono \m mysterium (una latenza, una nota ^ promessa, un invito a penetrare ciò che si nasconde dietro aiTowio e all'esplicito), possono percepire e dare ordine a una verità che, non essendo in grado di opporsi alle pressioni del conformismo, serberanno in segato per tutta la vita. Altri si perdono nel caos, incapaci di trasformarlo in ordine. Pochi perseverano e vengono introdotti in zone che ü latx» manifesto dei simboli culturali tiene celate ai più. Ma mentre Taffermazione di una verità scoperta richiede una sosta, una negazione ne genera un'altra e la scoperta diventa un v i a ^ o continuo. Il centro deUa verità sembra farsi sempre più lontano ad ogni assalto sferrato dalle sue estreme zone periferiche. Ciascun traguardo, per trasformarsi in un nuovo punto di partenza, ridiiede una scelta morale, e ciascuna partenza implica una ulteriore trasformazione del sé in relazione all'altro da s é ^ .
L'uomo cresce attraverso Tantistruttura e conserva attraverso la struttura. Altrove, e pensando evidentemente all'
La recHazkme nella vita quotidiana
all'età successiva al Rinascimento, Burridge scrive dhe l'individuo è il crítico della morale che aspira ad un altro genere di ordine sodale o morale, la scintilla creativa che resta sospesa e pronta a cambiare la tradizione. Tuttavia, se alcuni sono completamente individui ed altri persone, la comune osservazione mostra che la m a ^ o r parte della gente è per certi aspetti e il più di frequente persona, maitre sotto altri aspetti e in altre circostanze si può rivelare come individuo. E questa visibile oscillazione fra persona e individuo (non importa se in un caso particolare il movimento sia unidirezionale o di andata e ritomo) può essere identificata con Vindividudità, Detto altrimenti, il termine « individualità » si riferisce alla possibilità e capacità di muoversi dalla persona all^individuo e / o viceversa 25
Probabilmente Burridge intende dire che in una società già caratterizzata dalla possibilità di fare mote scelte, un individuo biologico può decidere di essere persona al máximo grado, un 'colonnello sudista', 'una vera signora', 'un grande attore', 'un senatore del nord', 'un caro vecchio maestro di scuola', un 'temperamento materno', o anche un 'eccentrico', oppure può decidere di essere un individuo che sfugge a qualsiasi identificazione con le personae sociali disponibili. Nella società occidentale liberal-capitalistica, il teatro è un processo liminoide che si svolge nel tempo liminoide dello svago fra i tempi del 'lavoro' nei quali si gioca im ruolo. È, in un certo senso, 'gioco' Iplayl o 'intrattenimento' [entertainment^, (che etimologicamente significa « tenuto nel mezzo », cioè è un fenomeno liminale o liminoide). Ho ipotizzato che esso in origine sia uno dei generi derivati per astrazione dal primitivo 'rituale' che coinvolgeva l'intera società e faceva parte sia del 'lavoro' che del 'gioco', prima che la divisione del lavoro e la sp^ializzazione frantumassero questo grande ensemble o Gestdt in professioni e attività specificale. In origine il teatro aveva, fra le altre cose, il compito di risolvere le cmi che affliggevano tutti e di attribuire un significato alla sequenza di eventi apparentemente arbitrari e spesso di aspetto crudSe che seguiva i conflitti personali o sociali. 202
La reciUmofte nella mia quotidia
La semplice tesi che sto cercando di dimostrare (e per darle il necessario sostegno di prove c'è bisogno di un lungo lavoro di ricerca) è che nelle più semplici società preindustriali, recitare un ruolo sodale e esemplificare uno status facevano a tal punto parte della vita quotidiana, dhe la recitazione rituale di un molo, fosse pure diverso da quello giocato nella vita profana, era della stessa spede di quella che ciascuno svolgeva come figlio, figlia, capotribù, sciamano, madre, capo. La diEEerenza fra la vita ordinaria e quella rituale (o straordinaria), era più che altro una questione strutturale e quantitativa, non qualitativa. Nel rituale, i ruoli erano separati dal flusso in atto della vita sociale in cui normalmente erano inseriti, e scelti come oggetto di una particolare attenzione, oppure erano visti come punti di entrata o di uscita in im processo continuo (da ragazzo a uomo, da ragazza a donna, da comime cittadino a capo, da abitante del villaggio a membro di una comunità religiosa di cacciatori, da fantasma ad antenato, e cosi via) con qualche interessante simbolismo transisionale, e a volte l'oscuro apparire dei tratti dell"individuo' antistrutturale. Ma in queste società recitare significava principalmente giocare un ruolo; il criterio predominante dell'individiialità, dell'identità, era la persona. Perciò il vero protagonista, sia della vita che delrituale,era il grande collettivo che articolava le personae in strutture gerarchiche o segmentate. Contrapposta a questa simmetria tra la vita quotidiana e il suo doppio liminale, il rituale, troviamo l'asimmetria della 'vita' vis-a-vis e la 'recitazione' nelle società occidentali postrinasdmentali e pretotalitarie. Ma qui scopriamo im contrasto interessante, addirittura un paradosso. Infatti il teatro occidentale, come l'arte occidentale in genere, ha spesso postulato un contrasto fra la vita quotidiana, cioè il lavoro e quella parte del non lavoro dedicata a incombenze istituzionalizzate, come la famiglia, i circoli sportivi, le organizzazioni di beneficenza, i sindacati, le società segrete (Aid, Massoni, Cavalieri di Colombo, ecc.) e la vita veramente antistrutturale (religione privata, partedpazione a un'attività artistica in veste di creatore o di 203
La recitazione, nella vita quotidiana
spettatore, e simili). La persona 'lavora', Vindividuo 'gio ca'; la prima è dominata dalla necessità economica, Ü secondo è 'intrattenuto'; la prima vive nel modo indicativo della cultura, il secondo in quello congiuntivo o ottativo, nei modi dd sentimento e del desiderio, contrapposti a quegli att^giamenti conoscitivi die mettono in rilievo la scelta razionale, la piena (benché riluttante) accettazione del rapporto causa-effetto, il ripudio della partecipazione mistica o delle affinità magiche, Ü calcolo ddrisultatiprobabili dell'azione, e la consapevolezza realistica dei limiti di quest'ultima. Ma il teatro, pur avendo abbandonato la sua precíente formarituale,pretende ancora di essere un mezzo per comunicare con potenze invisibili e con la realtà ultima, e può ancora sostenere, specie dopo la nascita della psicologia del profondo, di rappresentare k realtà che si cela dietro la maschera dei ruoli, e che persino le sue maschere sono, per cosi dire, 'negazioni della negazione'. Esse presentano la faccia fasulla per poter rappresentare la pos9ÌbUità di una faccia autentica. H grande teatro porta in scena addirittura l'incesto e il parricidio che si nascondono dietro le masdbere dei rapporti di parentela. In effetti il teatro è diventato il dominio dell'individuale-nell'-universale, di ciò che gli uomini postrinasdmentali chiamerebbero
La T&xtasàone nella vita quotidian
moderno e postmoderno contiene al suo interno i germi di lina critica fondamentale di tutte le strutture sociali conosciutefinora.Il centro deìTazione^ si potrebbe sostenere, si è spostato dalle arene economiche e politiche della 'vita reale' nel *modo indicativo' a quello die finora era stato considerato il mondo del gioco, della fantasia, dell'illusione, dell'intrattenimento, e conosciuto sotto il nome di 'teatro'. Qò è avvenuto in special modo quando il rituale religioso è stato spogliato delle sue componenti ludiche, flessibili, dei suoi clown sacri, folletti mascherati, racconti a indovinello, per far spazio ad una rigorosa solennità, al discorso serio e ufficiale sui significati o signifiés {per usare il termine di Saussure) ^ privilegiati o trascendenti. Vacting congiuntivo, la recitazione, è ora ciò che è ^reale' ed 'autentico'; Vacting indicativo, l'agire nel cosiddetto 'mondo reale', è visto come 'ipocrita', 'inautentico', 'borghese', 'degradante' (benché gli eventi sociali più recenti sembrino segnare un'inversione di tendenza). I Alcune forme di 'teatro sperimentale' si sono dedicate I recentemente al problema di rappresentare l'intero mondo I dei ruoli della società moderna profana con la 'recitazione' ^ come sua alternativa creativa, e la scena come il luogo dove emerge l'individuo, che è alienato da se stesso in un mondo che insiste perché gli uomini e le donne si mascherino in una serie tremolante di personae evanescenti. Esse non ^ sono le grandiose personae^elle culture tribali o feudali, ; dove la creazione della propria 'personalità pubblica' era ! un'opera d'arte, poiché comportava, come dimostra Richard ; Sennet^, un grande stile nel vestire, nei modi e nelle azioni, ma le personae insignificanti dei tirapiedi dell'uffido, della fabbrica o dell'aula scolastica, con solo più qualche vestigio delle personae familiari rimasto per trafficare a casa con gli avanzi di una giornata faticosa. Qui Vacting profano, nel modo indicativo, appare come il dominio dd fittizio, dd falso, del rifiuto della 'identità definita e determinata'. A questa spede di 'agire' \_acting'\ che maest dd teatro sperimentale (che considerano il teatro come il contraccolpo che annienta la falsità anche quando la 'mette in scena') come Grotowski, Brook, Schedbner, SuzuM ed 205
La reátaúone neüa vHa quotìdiam
altri che hanno dei precursori in StanislavsMj, Dekarte, Mejmiiord e persino in Artaud, hanno 're-agito' ireacted'] o 'contro-agito' icounter-acted]. Prendiamo, per esempio, alcune idee recenti di Grotowski: il passo dtato proviene da un'intervista die egli ha rilasciato a « Trybuna Ludu » L'azione nella sfera della cultura attiva, quella doè che dà la sensazione di portate a compimento la propria vita, ampliare il proprio campo d^azione, è di fatto il bisogno di molti, ma continua ad essete il dominio di pochissimi. La cultura attiva è coltivata, ad esempio, da uno scrittxjre quando scrive un libro. Noi la coltivavamo quando stavamo preparando delle performance. La cultura passiva (che è ricca e importante sotto aspetti di cui non è facile discutere proprio in questa occasione) è una rdazione con d ò che è un prodotto della cultura attiva, vale a dire leggere, assistere a una performance o ad un film, ascoltare la musica. In certe dimensioni che possiamo chiamare di laboratorio, noi stiamo lavorando sui mezzi per estendere la sfera della cultura attiva. Quello die è 3 privilegio d d podii, può anche diventare il patrimonio di altri. Non sto parlando di una produzione di massa di opere d'arte, ma di una sotta di esperienza creativa personale, che ha un'influenza non indifferente sidla vita privata di un individuo o sulla sua vita con altri. [Poi Grotowski afiEerma esplicitamente il punto di vista secondo cui redtare è essere, e non rappresentare]. Lavorando n d campo d d teatro e preparando spettacoli per molti anni, d siamo avvicinati passo passo a una tale concezione dell'uomo/attore attivo, dove l'importante non era redtare la parte di qualcun altro, ma essere se stessi, essere con qualcuno, o essere in relazione, come diceva una volta Stanislavskij.
Negli ultimi anni Grotowski sembra avere abbandonato del tutto il teatro per dedicarsi a quelle die definisce
La T&xtasàone nella vita quotidiana
successive dei riti della pubertà maschili e femtnmili nelTAfrica centrale. Qterò i titoli di alcuni di questi 'esperimenti', che possono suggerire a qualche lettore dei paralleli antropologici: Ve^ia notturna, La Via, La zona della paura. Il circolo del ritmo, Il circolo dell'oscurità e d voce, Il taglio (che non è, apprendiatno con sollievo, un equivalente esatto deU'opera2done di circoncisione, ma una danza « violenta benché precisa ». Il 'taglio' rappresenta un taglio di vegetali, « un seme di incontro », doè un incontro diretto fra persone) Uso con intenzione la parola 'persone', perché mi sembra che Grotowski, che è decisamente persona grata occhi del partito comunista polacco abbia abbandonato la tradizione del teatro per creare nuove forme di iniziazione rituale che incorporano le personae desiderabili nella prima materia umana, doè formano gli uomini e le donne secondo un'immagine umanistica che si propone di sostituire forme più vecchie, in particolare quelle sviluppate dalle grandi tradizioni religiose^. La tradizione del teatro ocddentale teneva conto del pubblico e ne rispettava l'esistenza indipendente in quanto giuria die doveva deridere delle ragioni e dei torti nel caso presentato dal drammaturgo, dal regista e dagli attori. Qui vorrei ripetere quanto scrissi in un recente articolo: Mi vanno a genio la separazione d d pubblico dag^i attori e la liberazione dei copioni dalla cosmologia, dall'ideok^a j e dalla teologia. Il concetto di individualità è stata una conquista difficile, e rinunciare ad esso in nome di un nuovo processo totalizzante dì riliminalizzazione è nn'idea deprimente [avevo distinto il 'liminaie' dal 'linünoide' assodacocfo il primo alla partecipatone al rituale tribale e obbligatoria e considerando il secondo come caratteristico di forme artistiche o religiose liberamente prodotte, di solito con il riconoscimento dell^incUvidualità dell'autore e spesso con un'intenzione sovversiva nd confronti delle strutture dominanti]. In quanto membro di usi pubblico posso amsiderare il tema e il messaggio ddla rappresentazione come una fra un certo numero di possibilità 'congiuntive^ un modello alternativo di pensiero o dì azione che può essere accettato o respinto dopo una attenta considerazione. iPub andie darsi che pagando ü biglietto abbiamo ^comprato' la produzione dell'autore e del teatro come se fosse una 'merce', ma non per questo siamo stati costretti a 'com-
207
La rmtmone ndla vita quottdiana prate* anche le sue idee o la sua visione del moodoj Andie come pubblico la g ^ t e può farsi 'commuovere' da una rappresentazione, ma non ha b i s e c o di farsi 'trascinare' da essa nell'utopia, o neUa « sacralità laica », per usare l'espressione di Grotowski, di un'altra persona, H teatro liminoide dovrebbe limitarsi a presentate delle alternative: non dovrebbe essere ima tecnica di l^aggio del cer-
vetto^s.
Per completare la frase di William Bkke che prima ho citato solo a metà, « Una sola L^ge per il Leone e per il Bue è Oppressione ». È vero dfie uno degli scopi della Veglia notturna nel teatro-laboratorio di GrotowsM era di consentire alle persone di incontrarsi « al di fuori dei loro ruoli Ma quando si leggono i resoconti di come le *giride' della Veglia notturna 'conducevano' le persone ad intraprendere certe azioni fisiche (danzare, toccare) o a raggiungere certi stati psicologici, in modo tale, per citare le parole di ima discepola psicologa, Janina Dowlasz « che le emozioni umane sane potessero nuovamente liberarsi » la cosa fa pensare sgradevolmente non solo ai riti di drcondsione centroafricani, ma anche al Trionfo della volontà. H soletto spogliato dei suoi ruoli viene riplasmato da quelle che Grotowski chiama le 'guide' i n c h e cosa? Qui vorrei tornare di nuovo per un momento all'ai^omentazione di Burridge, prima di trattare nuovamente del teatro postmoderno. Dopo aver attuato la distinzione fra persone e individuo, egli passava a considerare Tindividualità, che è la visibile osdilazione o movimento fra persona e individuo {poiché la maggior parte della gente è entrambe le cose), non importa se in un caso particolare il movimento sìa unidirezionale o di andata e ritomo. Detto altrimenti, il termine 'individualità' si può riferire alla possibilità e c^acità di muoversi dalla persona ^'individuo e/o viceversa^.
Ho cercato di considerare la diniensione sodale dell'individuo come communìtaSy cioè essenzialmente come modo di relazione liminoide, volontaristico, una scelta reciproca attuata da esseri umani totali e integrali da cui de208
La reátmone neUa vita quotidian
riva una limpidezza di cosdenza e di sentimenti, e a volte la generazione spontanea di nuovi modi di vedere o di essere. La dimensione sociale della persona è invece la struttura sodale organizzata, la sfera pubblica delle relazioni governate dafia norma o dal costume. Ma naturalmente le cose non stanno in modo cosi semplice. Persino Agostino dovette ammettere che nella storia reale la Qttà di Dio e la Città terrena erano irrimediabilmente mescolate, e che, perché la vita familiare e la politica dttadina potessero in qualdie modo funzionare, bisognava die i futuri abitanti áéíUrbs CoelesHs scendessero a continui compromessi. Pare che l'individualità sia una cosa che va conquistata: e un aspetto di questa conquista, direbbe Burridge, consiste in « una valutazione dd proprio essere in relazione a catarie tradizionali o alternative » Burridge considera i riti di iniziazione come mezzi sintetid per porre il dilemma persona-individuo, spede nelle loro fasi liminali, nd quadro dell^esperienza e della riflessione su se stessa di una determinata cultura. La mia opinione è che lo sperimentalismo di Schechner vada nd senso della realizzazione, attraverso il teatro, ddl'individualità (più o meno ndl'aorezione di Burridge) più die in quello ddla produzione di un nuovo tipo umano senza classe, o 'non alienato' alla maniera fanatica di Grotowski. Sdiechner considera se stesso, in linguaggio kierkegaardiano, come una 'levatrice* più che come un Pigmalione. Ci fu un periodo, riferisce, in cui tentò anch'egli di plasmare gli attori del suo Performance Group in direzioni che considerava
La recttitxhne nella vita quotidiana
ingegnosi, psicodrammi, danze, aspetti della tecnica yoga, e, almeno nel parateatìx» di Grotowski, i salti nelle pozzanghere nei boschi. Tutte queste tribolazioni e prove iniziatiche sono volte a generare all'interno del gruppo la communifas o qualcosa di analogo. Andre Gregory, che diresse un laboratorio a Wrodaw, sottolineò che questo processo significa anche raggiungere i più intimi recessi dell'attore e risalire nei suo passato [...] un tentativo di rá^imgqrlo, in qixanto essere umano, nel suo sottosuolo e nelle sue radici L'importante non è che si crei dell'arte e che la si dia alla gente, ma che gli uomini, esseri non indifferenti l'uno all'altro nella vita e nel lavoro, siano coinvolti nel processo creativo J . Io avevo bisogno del teatro di Grotowski non come persona che si occupava di teatro, e neppure come spettatore: ne avevo bisogno come essere umano
Vorrei di nuovo sottolineare che il linguaggio prediletto da Grotowski si è allontanato da quello della rappresentazione teatrale per accostarsi a quello della scoperta di se stessi e del contatto e della comprensione reciproci immediati. La retorica è religiosa, andie se i discepoli di Grotowski rifiutano la religione tradizionale. Viene in mente la ricerca durkheimiana di « sostituti secolari » della religione e del rituale, e la convinzione di De Coubertin, che tali sostituti aveva trovato nell'atletica intemazionale, una convinzione che lo condusse alla riuscita istituzione dei giochi olimpici, una festa ellenistica, umanistica, postreligiosa e altamente ritualizzata, che celebra dò che tutti gli esseri umani hanno in comime: un corpo capace di sottoporsi a una disciplina (una sorta di ascesi profana) e un impulso agonistico (benché questa competitività darwiniana si sia dimostrata essere più che altro ima caratteristica della cultura occidentale). Si può comprendere l'attrattiva, il richiamo esercitato dal programma di Grotowski. Creiamo uno spaáo-teinpo liminale, un 'bozzolo' o im centro di pellegrinaggio, sembra che dica, dove gli esseri umani possano essere educati ed educarsi a strapparsi di dosso le false personae che soffocano l'interiorità individuale. Chiaramente si deve provare un gran senso di sollievo e di liberazione quando 210
La recitazione ndla vita quotidiana
questa interiorità emerge e viene riconosciuta. A questo emergere è evidentemente coHegata Tidea di un ritomo alla natura. Ma risulta dall'esperienza degli antropologi ciie nei processi di iniziazione d sono gravi pericoli. Di solito Tiniziando vieae iniziato a qualche cosa; può venire affrancato da un insieme di status e di ruoli, ma soltanto al fine di imprimei^ene meglio im altro. Gli anziani, i guru, i maestri della circoncisione, le 'guide*, sono li appunto per imprimere segni indelebili (non solamente sotto forma di mutilazioni finche quali la circoncisione, la subincisione, Tasportazione di un dente, la scarificazione e simili, ma anche nella psiche stessa) sulla generica prima materia umana a cui gli iniziandi, più o meno consenzienti, sono stati ridotti. È vero che gli studiosi di antropologia non hanno prestato sufficiente attenzione alla dimensione soggettiva dell'iniziazione, e di tutti i tipi di riti di passaggio. In questo senso abbiamo molto da imparare dal teatro sperimentale. Ma vediamo anche come un ordinamento o un regime organidstico o totalitario possa trovare molto di suo gusto l'elaborazione sofisticata di nuovi riti di passaggio secolarizzati, guidati da ideologi uffidalmente riconosduti che capiscano il processo rituale. A suo merito bisogna dire che Schechner non ha mai dimenticato che il teatro è teatro, e che Pintrattenimento è una componente fondamentale di esso. L'intmttenimentQ non è limtnale ma liminoide, è soffuso di libertà. Implica a ju^ gioco^. e il ^pco è fonte di democratidzz^one lo capi quando buttò via la sua bacchetta, alla fine della Tempesta. Schechner, che pure è stato spesso redarguito per essersi preso delle libertà con il testo di un autore, non Io ha mai eliminato completamente. Anzi, egli ritiene che il copione sia una componente vitale del processo di prova, anche se non Io tratta come se lo considerasse sacro e inviolabile. È come minimo una struttura preliminare fondamentale, attraverso la quale devefluireil processo dì prova, benché l'estensione e il carattere di questa struttura possano essere modificati, a volte in modo assai drastico, dalla logica intema di tale processo. Altre componenti hanno un peso 211
La T&xtasàone nella vita quotidiana '
pressoché uguale: il regista^ Tattore, Pambiente, vale a dite la scena, die viene creata per ogni spettacolo. Tutte queste cose, e il copione, crescono insieme e interagiscono col maturare del processo di prova. Schedmer ama dtare la fommla dello psicologo deIPinfan2ia Winnecott: « dalVio ai non4o al non-non-io », per esprimere questo processo di maturazione teatrale. LVo, l'individuo biologico-storico, l'attore, si trova di fronte al ruolo dato nd copione, al non-io; nel crogiolo dd processo di prova ha luogo una strana fusione o sintesi fra Vio e il non-io. Affiorano aspetti dell'esperienza dell'attore die vanno a permeare fl ruolo dd copione che egli lia assunto, mentre aspetti ddla visione dd mondo o del messaggio dell'autore contenuti nd copione, in particolare in quanto vengono intesi dal punto di vista dd 'personaggio' che si interpreta, penetrano nell'essenza dell'attore come essere umano. Il ruolo dd regista è prindpalmente quello di un catalizzatore, egji dà il suo aiuto nella celebrazione delle nozze mistiche o alchemidie che avvengono quando l'attore attraversa il limen fra il non-io e il non-non-io. In questa terza fase Vio è un io più ricco, se non più profondo (non mi piace usare qui la metafora della "profondità", poidié essa poggia su presupposti religioso-filosofid inconsd della cultura ocddentale) di quello iniziale. Ma non intendo fare un'esposizione delle tecnidie di prova di Sdiediner: lui naturalmente lo può fare molto meglio di me. Ciò che sto dicendo è però che tenendo in mano la linea vitale del copione, lafinzionesdvatrice, per cosi dire, Schechner preserva il suo teatro da quella die Jaques Derrida ha definito « l'arroganza monologica dd sistemi *uffidali' di significazione ». E mantenendo aperta la possibilità di modificare il copione, che, in un certo senso, diventa anch'esso un non-io e poi xm non-non-io come gli attori, il copione stesso può essere preservato dalla « arroganza monologica » ddle interpretazioni ufficiali, che hanno sempre avuto la tendenza a fossilizzare l'ispirazione poetica in 'modalità canoniche di rappresentazione'. Le opere di un genio drammatico richiedono molte generazioni per potersi manifestare non dico pienamente, ma almeno in 212
la reciumone nella vita quotidio
modo adeguato; e il ccMnpito di cia^xina generazione dì teatranti è di farle vivere di nuovo volgendole nei termini della sua propria esperienza. Eccoci cÜ nuovo alle prese con gli andli dell'otto coricato dellafigura,con le rel¿ioni di opposizione e di sintesi fra Ü dramma sociale e il dramma estetico. ? Intrattenimento, entertaintnenñ Questa è una parola chiave. Letteralmente significa « tenere in mezzo )>, dalPantko francese entre^ « fra e tenir, « tenere ». Qoè, può essere interpretato come la produzione della liminalità, dello stato che non è né carne né pesce. Webster gli attribuisce valenze sia giocose che serie, poiché può sig^care: d) « catturare l'interesse di e procurare piacere a; distrarre; divertire », oppure è) « concedersi di pensare a; avere in mente; considerare », Cosi nella confessione, quando il penitente raccontava di aver avuto pensieri lascivi, Ü prete j gli chiedeva: « Ma fi^olo, àìd you entertain them? Ti se concesso di pensare a loro? ». É la sua risposta, abbastanza onesta, giungeva prontamente: « No, padre, ma loro hanno divertito me, fhey entertained me ». Questa ambiguità è Panima del teatro, die non è un meccanismo di repressione e neppure di sublimazione, ma rende fantastica la realtà persino quando realizza la fantasia. Esso inoltre concede allo spettatore la sua dignità umana, il suo diritto di trattare tutto dò che vede in un modo congiuntivo, del 'come se\ Schechner ha tentato recentemente di procedere verso una teoria della performance intesa come un « sistema binario », un termine del quale è la « azione efficacerituale » (o con un intento trasformativo, di « cambiare » coloro che vi partecipano) e Taltro è V
La perfomance [scrive Schedmer] contiene Timpulso a essere seri e rìmpulso a intratteioeie; a taca>gliere sanificati e a passate 213
La recitmofte nella vita quotidiana il tempo; a dispiegare coiripottamenti simbolici che attualizzano un « l a ^ u e allora » e ad esistere solo « qui ed ora a essere se stessi e a giocare ad essete altri; ad essete in trance e ad essere cosdenti; a ottenere dei risultati e a perder tempo in sdoccbeffie; a concentrare Fazione su e per un gruppo sekzionato di persone dbe condividono un l i n g u a i o ermetico e a raggmngere il più vasto pubblico possibile di estranei che paghino il biglietto
Eccoci dunque tornati, alla fine, al nostro titolo, i cui risvolti ironici non sono affatto stati cancellati dalle nostre per^inazioni. Quando 'agiamo' [actl nella vita quotidiana non d limitiamo a re-agire Ire-actì a stimoli indicativi, ma agianìo in strutture che abbiamo estratto a fatica dai generi della performance culturale. E quando 'agiamo' su una scena, qualunque essa sia, dobbiamo, più che mai in quest'epoca riflessiva della psicoanalisi e della semiotica, portare nel mondo simbolico o fittizio i problemi scottanti ddla nostra realtà. Dobbiamo andare nel mondo congiuntivo dei mostri, dei demoni e dei down, della cruddtà e della poesia, per dare un senso alle nostre vite quotidiane, guadagnando il nostro pane quotidiano. E quando entriamo in qualunque teatro a cui la nostra vita d conceda l'accesso, abbiamo già imparato quanto strana e stratificata sia la vita quotidiana, quanto straordinario dò che è ordinario. Allora non abbiamo più bisogno della « sicurezza infinita » delle ideologie, come la chiama Auden, ma apprezaamo il « rischio senza necessità » dell'azione e dell'interazione teatrale.
Note ^ J e ^ Grotowski, Per un teatro povero^ Roma, Balzami Editore, 1970, Rimandiamo anche al numeio mtMiogtafìoo di Sipano » (n, 404, 1980) curato da Renata MoÜnari, dedicato a Grotowski e all'attività del Teatr LaÌx)ratorium di Wtodaw. 2 William Blake, Viiioni, Mlano, Mondadori, 1965, p. 107. 3 Ibidem^ p. 111. ^ Phyllis HartnoU, The Concise History of Theatre, New York, Harry N. Abrams, s,d., p. 8.
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La recitazione ndla vita quotidian 5 Ibidem, p. 89, ^ Turner nmanda all'itrtìcolo di David Emil Thomas^ Mirror Images, apparso in « Sdeatific American», Il e I H (1980), n. 6, pp. 206-228. Agghmgiamo a questa indicazione lo stadio di Baltrosaitis, Le miroiry Paris, Elmayan-Le Seuil, 1978; trad. it. Lo specchio^ Milano, Addpbi. ^ Thomas, Mirror ImageSy dt., p. 206. * Marjorie Boulton, Tbe Anatomy of Drama, London, Routledge and Kegan Paul, 1971, p. 3,
^ Ridiard Sdiechner, Performers and Spectators Trasponed and Trasformed, in «Kenyan Review», 1981, voL ELI, n. 4, pp. 83-113; trad. it. Periormer e spettatori trasportati e trasformati in La teoria d performance 1970-1983, Roma, Bulzoni Editore, p. 177. ^ n comportamento «recuperato» o rivissuto» è trattato di£Eiisar* mente in Restauration of Beibtfwwr (pubblicato per la prima volta in «Studies of Visual Gmununication» nel 1981 e preseate nella dtata raccolta italiana con il titolo « Sul recupero di comportamenti passati ») dove Scbedmer individua il paradigma dei rito processo di allestimento dello spettacolo, e nel « recupero di im passato comportamento » il denofflinat{»re comune cbe musce attività cosi diverse come il rito, il teatro, la psicoterapia, lo sdamanesimo. " Blake, Visiotfi, d t , p. 101. ^ Clifford Geertz, Blurred Genres. Tbe Refi&íration of Social Thought, in American Scholar», primavera 1980, pp. 165-179. Ibidem, p. 169, Ibidem, p. 172. 15 Ibidem, K Ibidem, p. 175.
17 Ibidem, pp. 175-176. 18 CjEr. La foresta dei simboli. Aspetti del rituale Ndembu, Bresda, Morcelliana, 1976, pp, 32-40, p, 331 ss. Turner, La foresta dei simboli, dt,: per il rituale di droondsione c£r. p, 187 ss.; per il rito di pubertà delle ragazze cfr. pp. 3&-31; per ü rapporto tra matrilinearità e virilocalità cfr. pp. 27-29. 2® Wolfang Goethe, Faust^rfaust; trad. it. Faust^rfaust^ a cura di Vittorio Amoretti, Milano, FdtrineHi, 1965, II, p. 647. 21 Blake, Visioni, dt., p. 135.
^ Schechner, From Ritual to Theatre and Back in Essays on Perfor mance Theory (1970-1976), New York, Drama Book Specialist, 1977, p. 79. ^ Kenelm Burridge, Someone, No One. An Essay on Individuality, Princeton, Mnceton University Ptess, 1979, p. 4. Ibidem, pp. 146-147. 25 Ibidem, p. 56.
^ Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Bari, Laterza p. 83 ss.
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La redtmone nella vita qao^dtana
^ C£r. Richard S e n i ^ Il decUno deWuomo pubblico. La società intimista^ MIano, Bompiani, 1982. 28 Raccolto nd volume curato da Kolanktffwicz, On the Roadtí>Acti Culture. The Activities of Grotowski's Theater Laboratory Institute in the Years 1970-1977, Wroclaw, Teatr Laboratortum, 1978, pp. 95-97.
^ Ibidem, p. 103. ^ Qoi Turner fa rifenmento ai numerosi progetti sped^ realizzati da Gtotofwsìd e dal suo gruppo vanamente istituti a seconda delle circostanze in cui erano presentati. Ricordiamo i titoli di alami |aogetti s p e ( ^ presentati in I t ^ a la cui dizione era stata approvata a& Gro«>wski: Progetto la monta&ta. L'albero ddle gentil akri titoli Acting Theraphy, Meditazione a voce alta. Analisi de¿i eventi. Song or my sel Viaggi attraverso un hwontro^ Stages parateatrale. Acting Search, E rienze parateatrali. Incontri di lavoro. La veglia, ^ Jerzy Grotowski ha lasciato definitivamente la Polonia alla fine del 1982. Attoaimente lavora allUniveratà di Irvine (CaliÉomiii) e ha costituito un Centro di lavoro europeo
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Indite
Indice
Introdiazione all'edizione italiana, di Stefano De Matteis
p. 7
Introdusione
27
I.
49
Dramma e ritididi simbologia passaggio, lo svago e il lavoto. Saggio comparata
II. Drammi sociali e narrazioni su di essi
117
III. Rituale drammatico/dramma rituale. Antropologia della performance e della riflessione 163 IV. La recitazione nella vita quotidiana e la vita quotidiana nella recitazione
183