CONSERVATORIO DI MUSICA “GIUSEPPE VERDI” DI MILANO Corso di Diploma Accademico di I livello Esame di Metodologia dell’insegnamento strumentale
Studio intellettuale e musicale VISIONI STORICHE E MODERNE
Studente:Tena Studente:Tena Avdić Matricola: 6883
ANNO ACCADEMICO 2016/2017
Indice INTRODUZIONE ALLA METODOLOGIA DELL’INSEGNAMENTO ....................................................... 2 LA STORIA DELL’INSEGNAMENTO PIANISTICO ......... 3 STUDIO INTELLETTUALE E MUSICALE ......................... 6 CONCLUSIONI E OSSERVAZIONI ..................................... 11 Bibliografia ............................................................................. 11
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INTRODUZIONE ALLA METODOLOGIA DELL’INSEGNAMENTO Il termine metodologia denota una disciplina che si occupa dell’evoluzione teorico-pratica, principalmente su base scientifica, di un certo lavoro, nella quale il ricercatore sviluppa ed elabora il suo metodo che gli permette di ottenere risultati preziosi per il suo campo. Tale disciplina, tuttavia, non rappresenta un metodo in particolare, ma specifica i vari procedimenti da adoperare attraverso l'applicazione di processi e tecniche caratteristici. Questa definizione applicata all’insegnamento strumentale significa che un maestro, a partire da una ricerca scientifica condotta nel corso di alcuni secoli, crea dei propri metodi d’insegnamento, non per ottenere risultati scientifici, bensì per diffondere l’amore di fare musica. - Innanzitutto, egli dovrà sapere come studiare per essere in grado di creare i propri metodi d’insegnamento. Naturalmente, questi procedimenti saranno adattati a seconda della composizione e/o dell’allievo che il pianista/maestro si troverà davanti onde facilitare l’apprendimento dei meccanismi tecnici e aumentare le capacità intellettuali. Il discorso sul ruolo dell’intelletto era sconosciuto fino alla soglia del ‘900 e apparve solo dopo le inconsistenti ricerche scientifiche sulla fisionomia umana. Sebbene molti grandi pianisti-virtuosi vissero nel XIX secolo, la loro evidente facilità tecnica fu frutto di una mente geniale, mentre i dilettanti e altri ammiratori della musica spesso soffrirono per via di inattitudine intellettuale. Il dolore fisico che quest’ultima causò fu ritenuto piuttosto ordinario e la scuola della tecnica naturale individuò per prima il grave errore che distrusse le speranze
di
tantissimi
pianisti
dell’epoca.
Il
cambiamento
radicale
nell’approccio al pianoforte avvenne soltanto con l’evoluzione delle scienze cognitive quando si intuì finalmente da dove parte la musica e di conseguenza anche il movimento. Un’osservazione, anzi, una domanda da farsi è la seguente: se il pianoforte fu inventato intorno all’anno 1700 da Bartolomeo Cristofori e dominò il mondo musicale per tutto il XIX secolo, com’è possibile che le istruzioni per suonarlo in modo corretto, cioè con minimo sforzo e massimi risultati, furono fornite soltanto nei primi anni del secolo scorso?
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LA STORIA DELL’INSEGNAMENTO PIANISTICO L’invenzione del “gravecembalo col piano e forte” determinò una svolta storica nell’ambito musicale: il nuovo strumento fu dotato delle possibilità dinamiche che gli permisero di imitare la voce umana. Pur non avendo riscosso successo nella prima metà del ‘700, il pianoforte si mostrò lo strumento ideale per lo stile “empfindsamer”, ovvero sensibile, che puntava sulla espressione del sentimento naturale. Furono appunto questi cambiamenti stilistici ad instaurare la predilezione per il pianoforte: vale a dire che l’accresciuta popolarità del clavicordo fu dovuta al suo suono tenue e legato. Il pianoforte, oltre ad essere un’evoluzione sonora del clavicordo, possedeva un suono decisamente più potente, adatto alle grandi sale da concerto. Così Carl Phillip Emmanuel Bach, nel suo fondamentale trattato didattico “Saggio sulla vera maniera di suonare su tastiera” del 1753 afferma: “Il pianoforte, più recente, possiede molte belle qualità, quando è solido e ben construito, sebbene il suo tocco debba essere attentamente studiato, compito che non è senza difficolta.” Nonostante il fatto che C.P.E. Bach rimanesse fedele al clavicordo per i suoi caratteristici vibrato e portato, lui riconobbe il pianoforte come un arricchimento del clavicembalo. La verità storica è che il pianoforte segnò un superamento e perfezionamento del passato malgrado le teorie settecentesche. Inoltre, un’informazione indispensabile può essere ricavata dalla citazione riportata sopra: “sebbene il suo tocco debba essere attentamente studiato”. Sia i vecchi che i nuovi strumenti avevano una tastiera simile, però la qualità del suono – e di conseguenza anche il tocco – divergeva tantissimo perché il tasto divenne più profondo e perciò la forza necessaria per premerlo incrementò notevolmente. Siccome sul clavicembalo la precisione del dito (l’articolazione) era di primaria importanza, i maestri dell’epoca trasferirono la vecchia tecnica ed il vecchio stile esecutivo (assieme alla vasta letteratura clavicembalistica) sul nuovo strumento.1
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Rattalino, Piero. La storia del pianoforte (pp. 13-26). Milano: Il Saggiatore, 2003 3
Tutto ciò spiega la prima pedagogia pianistica: la scuola del dito. Questa scuola impediva l’uso delle parti superiori del braccio considerandolo dannoso e ritendendo che la forza delle dita indipendenti fosse sufficiente.Muzio Clementi, il quale fu il primo a comporre un brano destinato al pianoforte, nel suo metodo “Introduzione all’arte di suonare il pianoforte” chiarì l’idea dell’indipendenza di ogni dito.2 Secondo lui, i tasti dovevano essere premuti dall’alto con le dita ugualmente potenti. La sua visione fu condivisa da altri personaggi coevi, tra i quali spiccavano Johann Nepomuk Hummel, Charles Louis Hanon, Heinrich Ehrlich e Carl Czerny. L’attenzione degli insegnanti di questo periodo fu incentrata sullo sviluppo della tecnica, che, nel mio parere, andava a pari passo con lo stile pianistico brillante di quegli anni. La superficiale ossessione con la tecnica trovò sbocco in un mercato bizzarro e piuttosto terrificante – quello dei congegni meccanici fabbricati apposta per rafforzare le dita, tra i quali figurano Chiroplast di Johann Bernhard Logier e Dactylion di Heinrich Herz. Lo studio del pianoforte divenne una sorta di ginnastica delle dita e la partecipazione attiva del cervello fu complementamente trascurata. Fortunatamente, il pensiero di parecchi musicisti dell’800 si opponeva alla corrente dominante nella pedagogia musicale. Fryderyk Chopin, per esempio, credeva che nella posizione naturale le dita lunghe dovessero stare sui tasti neri e quelle corte sui tasti bianchi, assegnando ai suoi allievi la scala di si maggiore come prima scala da studiare. Fu lo stesso Chopin a parlare dell’uso della mano, dell’avambraccio e del braccio e suggerì lo spostamento laterale della mano nelle scale e negli arpeggi, curando moltissimo il legato e il cantabile (prendendo spunto dal bel canto italiano). Un altro suo collega compositore, Robert Schumann, riteneva che l’abilità di ascoltarsi da dentro fosse la più importante per un esecutore. Questa idea pare gli fosse stata trasmessa dal suo maestro, Friedrich Wieck, il quale insisteva sullo studio musicale e cercava di insegnare ai suoi allievi di apprezzare la bellezza della musica. Nel suo libro “Piano & Song”, Wieck sostiene che sia inutile fare gli esercizi meccanici per migliorare la tecnica, aggiungendo: “Insegno nel mio modo peculiare, così da tener sempre attiva la mente dei miei allievi.” 3 Verso la seconda metà del XIX 2
Kocheit!"#, $eorge. The Art of Piano Playing (pp. 1-%). S&'&"i Metho International, 16 *iec", +rierich. Piano and Song (p. 10). o!ton: oc"oo, roo"! / opan#, 1%
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La scuola anatomica-fisiologica con la sua filosofia incline alla scienza, dedicata all’insegnamento della tecnica pianistica naturale, apparve verso la seconda metà del XIX secolo. Tutti gli esponenti di questa scuola miravano all’identificazione del perfetto movimento pianistico, identico per tutti gli esecutori; in altre parole, una tecnica razionale, basata sul rilassamento e controllo del peso. Il libro rappresentativo di questa scuola fu “La tecnica pianistica naturale” di Rudolf Maria Breitkopf che proponeva l’uso del braccio assolutamente leggero e rilassato e per giunta provvedeva molte fotografie della mano in posizioni corrette e sbagliate. Comunque, questa scuola ebbe i suoi difetti poiché ignorò completamente l’importanza delle dita e il bisogno dello sforzo dei muscoli coinvolti. Tralasciò per di più gli aspetti vitali della tecnica – funzione del cervello e del sistema nervoso centrale che gestiscono e controllano tutta l’attività muscolare.Si cominciò a parlare del ruolo della mente soltanto nel XX secolo, a partire da pedagoghi come Ferruccio Busoni, Grigori Kogan ed Egon Petri, nonché famosi pianisti tra i quali possiamo ricordare Leopold Godowsky, Artur Schnabel e Walter Gieseking. Lo studio incoraggiato da questa scuola fu qualitativo, basato sulla forza della volontà e attenzione nei confronti dei problemi musicali. Secondo la loro opinione, il cervello conscio e attivo sa quali movimenti fare giacché i movimenti provengono dal subconscio in modo interamente naturale. Essendo questo un pensiero già dichiarato da Liszt, è lecito confermare che l’idea della mente che dirige lo studio esisteva negli ambiti concertistici da prima perché chiaramente il concertismo non seguiva l’insegnamento allora in voga. Busoni enfatizzava l’importanza dei fattori mentali nello studio avvertendo che la tecnica ha sede nel cervello; una frase che io trovo molto piacevole perché la mente libera e sbloccata può superare qualsiasi difficoltà tecnica senza accorgersene. La nostra mente possiede un’ingegnosità tale da poter risolvere tutti gli errori musicali prima che ci si sieda al pianoforte a suonare. Per concludere il discorso sulle varie scuole pianistiche, bisogna asserire che le figure principali di quest’ultima scuola introdussero una nuova perspettiva dello studio del pianoforte. La domanda che ogni pianista si doveva porre prima di affrontare lo studio (allo scopo di ottimizzare il tempo e ottenere ottimi risultati con facilità) divenne: “Come pensare e organizzare lo studio così da diventare gradevole?” %
STUDIO INTELLETTUALE E MUSICALE Prima di immergersi nello studio pratico, però, ogni pianista dovrebbe prendere in considerazione i seguenti parametri musicali: la tecnica e il suono. Secondo me, questi due criteri fondamentali, che vengono sempre presi in giudizio e contraddistinguono bravi musicisti, sono per di più determinati dalle capacità intellettuali. Inoltre, non si può studiare o insegnare a suonare il pianoforte senza parlare di essi perché sono essenziali per realizzare il traguardo di ogni musicista, cioè fare musica. L’obiettivo dello studio dovrebbe essere chiaro, così da chiarire anche gli espedienti necessari per arrivarci. Prima di parlare di tecnica, dobbiamo capire il contenuto di una composizione, il suo significato, la sostanza poetica e la sua essenza musicale. L’esito finale dello studio è determinato dalla volontà e concentrazione mentale e non solo dalla capacità tecnica, infatti spesso anche i più bravi pianisti tecnici non si dedicano allo studio di tipo analitico, perdendo pertanto la visione artistica completa. Il nostro obiettivo è l’esecuzione, che può avvenire soltanto tramite un lavoro ispirato e minuziosamente dettagliato, senza che si perda l’unità organica del brano. Appena ci si trova davanti ad una composizione nuova, bisogna guardare tutti i suoi elementi costitutivi, ossia la struttura armonica, la struttura polifonica, la melodia, il ritmo, nonché quelli secondari come l’accompagnamento e cambiamenti decisivi (per esempio, la transizione che porta al secondo soggetto o alla riesposizione e coda in forma sonata, dettagli che tra l’altro servono molto anche per la memoria). In altre parole, si dovrebbe familiarizzare con la composizione e immaginarla nella mentre prima di mettersi al pianoforte a suonare. Metto in particolare rilievo il fatto che l’analisi rappresenta una modalità molto intelligente di studio proprio perché la struttura musicale consta di regole rispondenti alla natura, storia ed evoluzione umana create dai compositori. Vale a dire che la composizione che è bella nel suo insieme è bella in ogni suo dettaglio poiché ogni suo singolo particolare ha un senso, una logica, un’espressività e tutto ciò contribuisce al brano nel suo complesso. La tecnica, dall’altro canto, nella visione antica corrispondeva all’ arte , ed è appunto lei a portarci verso i significati celati della musica e infine, verso l’immagine artistica. 6
“L’idea tonale definisce la tecnica; dall’orecchio al movimento e non vice versa”, diceva Konstantin Igumnov, uno dei grandi maestri della scuola russa. Sono d’accordo perché la tecnica, essendo una questione mentale, non può mai dissociarsi dal suo fine. L’acquisizione della tecnica implica che un pianista debba applicare una particolare associazione muscolo-mentale così da sortire un certo effetto musicale4. Si è già detto che esiste un legame forte tra la tecnica e la musica, che però dev’essere percepito sin dall’inizio, pensando subito sia all’aspetto spirituale che a quello fisico. La musica viene dall’anima; la nostra mente la concepisce e il nostro corpo la realizza utilizzando l’energia viscerale governata dal cervello. Anche se la musica non produce nessun’immagine visiva né esprime il suo contenuto con le parole, essa “parla” in modo chiaro e intelligibile così come le parole, idee o immagini. Il modo in cui parla è dato dal tipo di tocco ed è per quello che si deve sempre lavorare sul suono che è il suo prodotto. La qualità del suono è connessa all’orecchio interno e dipende generalmente dall’idea mentale e dalla fantasia del pianista nella quale il suono viene effettivamente immaginato. Dal mio punto di vista, il pianoforte è uno strumento eccezionale dove l’immaginazione dell’esecutore può essere arricchita dalle immagini musicali, dalle innumerevoli sfumature e varianti timbriche contenute nella voce umana e in ogni strumento oggi conosciuto in modo da rivelare appieno tutte le sue potenzialità. Il pianista è un artista gravato da molte responsabilità in quanto svolge diverse azioni e assume diversi ruoli al contempo: egli è il direttore d’orchestra (perché conosce perfettamente la composizione che esegue), l’esecutore (perché usa 10 dita ed entrambi i piedi per i due pedali) e, come se non bastasse, tutti gli strumenti orchestrali (tanto è vero che il favoloso virtuoso Anton Rubinstein considerava il pianoforte ben 100 strumenti in uno!5). Per questo motivo credo debba essere data più attenzione all’allenamento dell’orecchio interno. La sua importanza fu riconosciuta dal pianista Walter Gieseking, che affermò: “Sono convinto che la maniera corretta per imparare a produrre un bel suono sia l’allenamento sistematico dell’orecchio.”
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Mattha#, o5ia!. The Visible and Invisible in Piano Technique (p. 3). &phre# Mil7or, 14 8e&ha&!, einrich. The Art of Piano Playing (p. %%). Kahn / 9erill, 1
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Esso si può attivare cantando una melodia, prima ad alta voce e poi nella testa, dove anche il timbro viene immaginato.6 L’orecchio funge da guida delle dita e garantisce la loro saldezza, sensibilità e vivacità. Il suono piacevole è stabilito dal rilassamento del braccio, dalla flessibilità del polso e precisione delle dita, ma soprattutto dalla mente consapevole e acuta. Le nostre leve vive (le dita, la mano, l’avambraccio, il braccio) fanno esattamente quello che il cervello esige; ciò significa che la contrazione dei muscoli viene immediatamente sostituita dal rilassamento nell’attività motoria coordinata. L’ultima cosa che vorrei sottolineare, almeno per quanto riguarda la tecnica, è che l’intelletto è capace di trovare la soluzione per qualsiasi problema tecnico. L’elemento musicale che rende il suono del pianoforte incantevole è sicuramente l’uso dei pedali. Non esistono regole precise su come e quando usarli perché il loro utilizzo dipende dallo stile del brano, dal pianoforte su cui si suona e dagli effetti che si vogliono produrre, perciò richiede continuo ascolto e attento controllo. Il pedale usato per esaltare il suono magico del pianoforte è quello di risonanza che alza tutti gli smorzatori permettendo alle corde di vibrare per simpatia. L’impiego di questo pedale aiuta a legare le note; comunque, non dovrebbe essere utilizzato per nascondere errori di lettura o di legatura – esso rappresenta un ausilio e le note devono sgorgare l’una dall’altra nel continuo fluire, così da portare avanti il discorso musicale. La regola generale per l’uso corretto di questo pedale prevede che debba essere cambiato assieme all’armonia (il cosiddetto pedale sincopato) per evitare i pasticci sonori che provocano fastidio. Il secondo pedale è il pedale tonale che serve per tenere una o più note nel registro grave per più battute ed è utilizzato per sortire un effetto di tre mani. Per usarlo correttamente bisogna suonare la nota subito dopo il pedale. L’ultimo pedale, la cosiddetta “una corda”, crea un particolare effetto di suono morbido, sommesso e dolce – ciò non vuol dire che si debba abbassare ogni volta quando il compositore prescrive la dinamica pianissimo .
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ei&an, a. The Art of Piano Technique (pp. 6-12). Singapore: a ei&an, 2014
L’ultimo elemento musicale che di solito non viene preso in seria considerazione è il ritmo. Siccome la musica è un’arte temporale, il ritmo determina la sua naturalezza ed è spesso paragonato al polso di un organismo vivente o al respiro. Quella sensazione dev’essere costantemente presente nel corso di un’esecuzione, ciò non significa che si debba aderire rigorosamente al metronomo. Il rubato si riferisce a una libertà ritmica ed espressiva: ogni accelerando porta con sé un rallentando e in questo modo l’equilibrio naturale viene ripristinato. Dopo aver recepito tutte queste nozioni musicali basilari, si può finalmente passare alle fasi dello studio pratico. L’approccio allo studio intelligente di cui non ho ancora scritto esplicitamente, ha in realtà pervaso tutte le righe di questo testo, soprattutto nelle parti riguardanti il suono. Visto che la musicalità deriva dal cervello, la mente attiva tiene sotto controllo tutti gli aspetti musicali quando si suona il pianoforte. Dunque, lo studio può essere organizzato in tre fasi, secondo il seguente schema 7: FASE I. • • •
scegliere il pezzo comprendere la sua struttura (lettura a prima vista e analisi) scrivere le indicazioni sul tocco, mettere la diteggiatura appropriata
FASE II. lavoro sulla coordinazione studio lento col metronomo e l’applicazione dei movimenti giusti memorizzazione • • •
FASE III. • • •
studio col metronomo a tempo lavoro sulle sezioni (tocco, pedale, suono) interpretazione (fraseggio, punti apicali, carattere)
8ean, *illia S. The Pianist’s Pro5le! (pp. 166-16) 8e ;or":
Lo studio mentale è tanto importante nelle fasi preliminari (lettura, analisi, impostazione tecnica) quanto in quelle successive, soprattutto per affrontare le difficoltà che possono presentarsi durante l’assimilazione della composizione. Bisogna riconoscere le difficoltà di un brano ben prima di suonarlo. Se il primo passo verso il superamento dell’ostacolo è l’accorgimento, allora il secondo passo sarà l’identificazione del problema. Si deve pensare a come migliorare la situazione e come trovare la soluzione ideale per avvicinarsi alla perfezione. Durante il processo dello studio, la composizione dovrà essere letta mentalmente di tanto in tanto. La lettura mentale aiuta a rievocare l’immagine acustica del brano nella nostra mente, stimolando i nostri sforzi a padroneggiarlo. Inoltre, la successione dei suoni può essere seguita dalla mente, la quale permette di eseguirla alla velocità voluta dal compositore. Il pianista dovrebbe avere massima concentrazione ed essere assorbito dall’attività dello strumento. Essere sempre concentrati non è un compito facile, perciò la destrezza mentale rappresenta la capacità fondamentale per ottenere l’esecuzione desiderata e artisticamente giustificabile. Le dita di un pianista non possono volare sulla tastiera più velocemente dei pensieri che le dirigono.8 Quindi, la velocità dipende dall’agilità mentale che permette di organizzare le note in successioni comprensibili: arpeggi, scale, sequenze, progressioni armoniche, ecc. per risparmiare il tempo e rendere migliore la tecnica. Alla fine vorrei solo accennare che la memoria, come il riflesso di tutto lo studio, viene sviluppata attraverso lo studio analitico, conscio e intellettuale. In ogni caso, la musica, e di conseguenza anche il sistema per interpretarla, vive dentro di ognuno di noi; bisogna solo immaginarla per darle vita.
Kocheit!"#, $eorge. The Art of Piano Playing (pp. 4%-4). S&'&"i M&!ic International, 16 10
CONCLUSIONI E OSSERVAZIONI In questo breve scritto la mia intenzione era rivolta non soltanto allo studio mentale, bensì a un quadro generale che coinvolge sia la storia dello strumento che la storia dell’insegnamento. Avrei voluto soffermarmi di più sui concetti riguardanti la memoria e l’interpretazione, che, nel mio parere, dipendono molto dalle capacità intellettuali, ma non l’ho fatto perché mi sarei dilungata su questioni che si sarebbero discostate troppo dal tema della tesi. Un pianista può prendere in considerazione le ricerche scientifiche condotte sulla memoria, ma alla fine dovrà trovare i propri modi per gestirla e svilupparla. La musica, come tutte le arti, è molto relativa e soggettiva, perciò non vorrei imporre le mie opinioni come se fossero la verità oggettiva. Finché la musica nasce nell’anima e cresce nella mente, sarà l’invenzione umana più bella che ci avvicina al divino, all’infinito e all’assoluto.
Bibliografia reitha&pt, R&ol7 M. Natural Piano Technic. eip'ig: . +. Kahnt 8ach7olger, 10. a!ella, 9l7reo. Il Pianoforte. Milano: Ricori, 1%4. Kocheit!"#, $eorge. The Art of Piano Playing . S&'&"i M&!ic International, 16. eier, Karl e *alter $ie!e"ing. Piano Technique.
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