METODOLOGIA BIBLICA E METODI ESEGETICI - La questione metodologica contemporanea – Bibliografia: - AA.VV., Sens de l’Écriture, in DBS 12 (1996) 424-536. - Aletti J.-N., L’arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura narrativa del vangelo di Luca, Queriniana, Brescia 1991. - Alonso Schökel L.-Bravo Aragón J., Appunti di ermeneutica, EDB, Bologna 1994. - Alter R., The art of biblical narrative, Basic Books, New York 1981 (trad. italiana: L’arte della narrative biblica, Queriniana, Brescia 1990). - Clements R.E. (ed.), The world of Ancient Israel. Sociological, anthropological and political perspectives, Cambridge University Press, Cambridge-New York 1989. - Courtés J., Introduction à la sémiotique narrative et discursive, Hachette, Paris 1976. - De Pury et alii (éds), Le Pentateuque en question. Les origins et la composition des cinq premiers livres de la Bible à la lumière des recherches récentes, Labor et Fides, Genève 1989. - De Pury et alii (éds), Israël construit son histoire: l’historiographie deutéronomiste à la lumière des recherches récentes, Labor et Fides, Genève 1996. - Fabris R., «Metodologia esegetica», in R. Fabris et alii, Introduzione generale alla Bibbia, (Logos 1), Elledici, Leumann-TO 1994, 495-520. - Ferraris M., Storia dell’ermeneutica, Bompiani, Milano 1988. - Greimas A.J., Semantica strutturale, Rizzoli, Milano 1966. - Marchese A., L’officina del racconto. Semiotica della narratività, Mondadori, Milano 1983. - Nobile M., Teologia dell’AT, (Logos 8/1), Elledici, Leumann-TO 1998. - Nobile M., «Esegesi e metodologia: punti caldi di un dibattito attorno al Pentateuco e alla storia deuteronomistica (Dtr)» in R. Fabris (a cura), Initium Sapientiae. Scritti in onore di Franco Festorazzi nel suo 70° compleanno, EDB, Bologna 2000, 37-49. - Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione biblica nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana 1993. - Ricoeur P., Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica, Paideia, Brescia 1977. - Simian Yofre H. (a cura), Metodologia dell’AT, EDB, Bologna 1995.
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- Ska J.L., «La “nouvelle critique” et l’exégèse anglo-saxonne», in RSR 80 (1992) 2953. - Ska J.L., «Le Pentateuque: état de la recherche à partir de quelques recentes “Introductions”», in Bib 77 (1996) 245-265. - Ska J.L., Introduzione alla lettura del Pentateuco, EDB, Bologna 2000. - Ska J.L., “I nostri padri ci hanno raccontato”. Introduzione all’analisi dei racconti dell’AT, EDB, Bologna 2012 (esiste l’originale inglese: “Our fathers have told us”: Introduction to the analysis of hebrew narratives, PIB, Rome 1990). (Oltre a questo elenco da allargare con gli altri titoli suggeriti lungo le lezioni, è da consultare il sito www.biblico.it alle sezioni : bibliografia basilare dell’AT / bibliografia basilare del NT, costituite a loro volte da sottosezioni suddivise per i vari campi d’indagine).
1. Intenti e scopo del seminario -
Il seminario si propone d’informare gli studenti circa la questione oggi molto complessa della metodologia biblica e di predisporli ad una conseguente capacità metodologica di trattare i testi. Che cos’è il metodo biblico? In che rapporto sta con l’interpretazione passata dei testi? Come si presenta oggi? Vi è un solo metodo o molti ? Se sono molti, come si ricompongono in una interpretazione unitaria della Bibbia? Sono tutte domande che illuminano il cammino da percorrere (cf. Nobile, «Esegesi e metodologia»; Idem, Teologia, 36-45.49-61).
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La metodologia biblica è formalmente la serie di regole che permettono di intraprendere l’interpretazione e la comprensione della Bibbia. Naturalmente, la metodologia non è una pura tecnica: essa è infatti basata di volta in volta, o di epoca in epoca, sulla comprensione dei testi accreditata dal consesso internazionale degli studiosi, e quindi su dei principi formali ed ermeneutici che nella storia possono cambiare, come si vedrà più avanti. Non cambierà mai invece la finalità che l’interprete si propone nello studiare le Scritture. Anche qui
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però è da distinguere nettamente la strada dell’esegesi da quella di una teologia biblica: mentre la prima teoricamente può essere seguita da tutti, anche dai non credenti, la seconda invece richiede una precomprensione teologica costituita dai principii della fede. -
Percorsi: a) In una prima fase del nostro lavoro, faremo una panoramica sintetica sulla storia del metodo biblico nelle epoche passate (cf. AA.VV., Sens de l’Écriture). b) Arrivati alle soglie dell’epoca moderna, in un secondo momento tratteremo il metodo storico-critico: origine, articolazione delle varie fasi delle quali esso si compone, impiego passato e impiego attuale (critiche contemporanee ad un uso improprio o meccanico, non rispondente più alle attuali
acquisizioni
storiche,
testuali,
letterarie)
(Fabris, «Metodologia
esegetica»; Nobile, «Esegesi e metodologia»). c) In un terzo momento del nostro percorso tratteremo delle varie proposte metodologiche alternative che oggi si danno oltre al metodo storico-critico (Simian, Metodologia dell’AT). d) In una quarta fase ci intratterremo sulla questione ermeneutica (cf. Ferraris, Storia dell’ermeneutica,; Ricoeur, Ermeneutica; Alonso, Appunti di ermeneutica), che è componente essenziale o “anima” della questione metodologica moderna. L’ermeneutica è una questione di fondo che si pone dietro ogni intento metodologico. Un particolare criterio, oggi ancora non sempre chiaro, da illuminare lungo le varie analisi, sarà la distinzione tra diacronia e sincronia, la funzione di ciascuna di esse e il rapporto vicendevole. Il criterio si situa al fondo di tutte le moderne metodologie bibliche. Alla fine del seminario, al quale gli studenti avranno partecipato anche con la lettura di qualche testo indicato ed eventualmente con qualche nota da leggere in classe, si cercherà di tirare le somme e di dare degli orientamenti metodologici.
2. L’approccio alle Scritture dall’antichità all’età moderna -
I Padri della Chiesa sono eredi delle metodiche giudaiche e neotestamentarie (Paolo). Vi è da distinguere tra le concezioni metodologiche dei Padri greci e quelle di Padri latini. I primi hanno dovuto approntare i loro metodi in forza del
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confronto con vari contendenti (ebrei, eterodossi oppure ortodossi ma d’intendimenti disparati: alessandrini vs antiocheni), i secondi invece si sono preoccupati maggiormente delle regole da applicare nell’interpretazione delle Scritture. Presso questi ultimi le regole da applicare andavano dal numero tre (Gerolamo) al numero quattro (Agostino). -
Il Medioevo ha ereditato a sua volta le metodologie patristiche, formulando la metodologia interpretativa di prassi con la classica frase: “Littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas, quo tendas anagogia”. In realtà, alla stregua della metodologia ebraica medievale, che distingueva solo due piani di approccio alle Scritture, il peshat (la lettera) e il derash (il commento teologicospirituale) (senza necessariamente dipendere da essa), il lavoro dei dottori convergeva in pratica sull’uso di due piani, quello storico-letterale (secondo quello che s’intendeva con storico in quel tempo) e quello spirituale.
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L’età moderna si distingue per il nuovo approccio alle Scritture. L’invenzione della stampa, lo studio e l’edizione dei testi biblici originali, le nuove istanze della Riforma religiosa, portano ad un contatto diverso con la Bibbia. La maggior cura della realtà testuale porta ad affinare gli sudi filologici, idonei per un’esegesi più scientifica, anche se proprio questo tipo di approccio avrà come reazione da parte di movimenti pietistici un contatto più carismatico e spirituale con le Scritture. Una questione che si è portata avanti nel tempo, fino ad oggi.
3. Il metodo storico-critico ieri e oggi Bibliografia: Nobile, «Esegesi e metodologia»; Simian Yofre, Metodologia dell’AT, 79119 (in entrambi gli studi vi è un’utile bibliografia in varie lingue). -
R. Simon (il pentateuco non è stato scritto da Mosè), J. Astruc (Mosè ha usato delle fonti), B. Spinoza (interpretazione critica del pentateuco e della storia deuteronomistica) sono alle origini di una lettura critica del testo biblico; si supera così una lettura letteralista, apologetica o puramente spirituale.
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L’ipotesi documentaria nelle sue varie fasi (Wellhausen)(la prima, la nuova, la novissima); la critica dei complementi (le fonti hanno una funzione di sviluppo e completamento di quanto precede); la ipotesi dei frammenti (lettura critica
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delle parti testuali, come le leggi, non spalmabili nel tempo come le trame narrative). -
La critica delle forme e dei generi letterari (Dibelius, Bultmann, Gunkel). La scoperta dell’utilità della conoscenza del luogo d’origine di una unità letteraria (Sitz im Leben).
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La ricerca delle tradizioni (orali) (Traditionskritik) (scuola nordica/scandinava) e della trasmissione dei testi scritti (Überlieferungskritik) (Von Rad, Noth).
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La critica delle redazioni: analisi dei vari strati letterari dislocati nel tempo, i quali vengono a comporre alla fine il testo attuale.
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Procedimento classico del metodo storico-critico: a) critica testuale; b) critica letteraria o ricerca delle fonti; c) critica delle forme e/o dei generi letterari; d) critica delle tradizioni e/o trasmissioni dei testi; e) critica delle redazioni.
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Questioni critiche a partire dagli anni ’60-70 del secolo scorso: a) a livello storico (insoddisfacenti le spiegazioni correnti circa la storia d’Israele); b) a livello archeologico (spesso i ritrovamenti contraddicono o perlomeno tacciono sui dati biblici); c) a livello critico-letterario (intensa è la ricerca degli studiosi specialmente riguardo al pentateuco e alla storia dtr e varie sono le posizioni dopo quella del Noth che aveva fatto scuola); d) a livello metodologico (!) (da distinguere i contributi interni al metodo storico-critico da quelli esterni, tutti però conseguenti ad un disagio generale circa un certo uso tradizionale del metodo stesso).
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3.1 Contributi interni al metodo storico-critico (cf. A. de Pury, Le Pentateuque, e Israël construit son histoire)
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A) livello storico – Bibl.: J.A. Soggin, Storia d’Israele, Paideia, Brescia 2002 (si confronti con la precedente edizione del 1984 e si veda la radicale differenza!); M. Liverani, Oltre la Bibbia. Storia antica d’Israele, Laterza, Roma-Bari 2003. H.Niehr, Il contesto religioso dell’Israele antico, Paideia, Brescia 2002. Alcuni dati di questo livello valgono anche per quello archeologico e viceversa.
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1) Invalidamento del criterio di semplice razionalizzazione delle sequenze della storia d’Israele offerte da Genesi-2Re (la teoria del Dio dei Padri di A.Alt;
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l’anfizionia delle tribù d’Israele di M. Noth; monoteismo già dal tempo del deserto con conseguente lotta posteriore contro il paganesimo: concetto quest’ultimo non più scientificamente corretto (cf. Gottwald); 2) Non coincidenza tra la religione dell’antico Israele e la religione dell’AT; 3) Abbassamento delle date di redazione degli scritti biblici conseguente ad una più idonea presa di coscienza della “storia biblica”; 4) Il giudaismo del secondo tempio come epoca della forgiatura delle grandi redazioni della letteratura veterotestamentaria. -
B) livello archeologico – Bibl.: 1) B I. Finkelstein, Omride Architecture,in ZDPV 116 (2000) 114-138; 2) I. Finkelstein-N.A.Silberman, The Bible Unearthed. Archaeology’s New Vision of Ancient Israel and the Origin of Its Sacred Texts, Free Press, New York 2001; 3) B. Halpern, I demoni segreti di David. Messia, assassino, traditore, re, Paideia, Brescia 2004 (orig. inglese 2001), 425-475.
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1) Difficoltà a trovare indizi archeologici del regno davidico-salomonico, mentre quelli rintracciabili rimandano alla dinastia degli Omridi (IX sec. a.C.) come a una monarchia stabile iniziale. 2) Difficoltà a scoprire indizi anteriori alla monarchia, ma anche difficoltà a far concordare i dati storici della monarchia con gli scavi (si vedano tuttavia le critiche di Halpern alle pp. 447-450).
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C) livello critico-letterario – Bibl.: A. de Pury et alii, Le Pentateuque en question, pp. 9-80 (vedi la bibl. iniziale); A. de Pury et alii, Israël construit son histoire, pp. 9-120 (vedi la bibl. iniziale).
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1) Dagli anni ’60-’70 del secolo scorso si sviluppa in maniera esplosiva il disagio verso le vedute tradizionali, a partire da quelle di Wellhausen per arrivare a quelle di M. Noth e G. von Rad ed epigoni (già Noth, però, aveva notato la presenza di tracce dtr nel tetrateuco, mentre la tesi di von Rad circa il “credo” israelita arcaico si è rivelata fallace, perché di fattura dtr); i primi autori che hanno fatto scalpore sono stati l. Perlitt, Bundestheologie im AT e M. Weinfeld, Deuteronomy and the Deuteronomic School); 2) il dato generale che si fa strada è la collocazione in epoca esilico-postesilica del pentateuco e della storia dtr (H. Vorländer, J. Hoftijzer; B.J. Diebner e H. Schult; T.L. Thompson, J. Van Seters); 3) ma questo criterio è in realtà l’etichetta che ricopre una
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molteplicità di posizioni: J. Van Seters, H.-Chr. Schmitt (entrambi gli autori propongono una specie di teoria dei complementi), R. Rendtorff (all’origine del pentateuco le varie unità maggiori come Gn 1-11 o 12-50, con propria storia redazionale; più tardi esse sarebbero state messe in relazione in chiave dtn-dtr, poi in chiave P e infine si sarebbe avuta la redazione finale), H.H. Schmid (lo Jahwista come redattore dtr; non chiarito suo rapporto con la storia dtr), M. Rose (allievo di Schmid, risolve la questione: lo J. presuppone la storia dtr e, coinvolgendo il tetrateuco nella considerazione dei libri dtr, afferma che J. vorrebbe correggere la teologia dtr nel senso della “pura grazia”), E. Blum e F. Crüsemann (discepoli di Rendtorff; Blum porta avanti la tesi del maestro e suddivide le fasi del processo pentateucale in a) periodo della crescita di unità maggiori; b) periodo D, cioè dtr, e infine c) periodo P; Crüsemann, invece, sempre sulle tracce del maestro, conferma lo sviluppo autonomo delle tradizioni patriarcali, ritenendo postesiliche le relazioni, ad es., fatte tra l’epoca patriarcale e Gn 1-11). Come si può arguire, questi tentativi critico-letterari influenzano anche la concezione della storia d’Israele. È questo clima incandescente che favorisce altri approcci metodologici.
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D) livello metodologico
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La messa in questione delle strade metodologiche “canoniche”, apre la via sia ad approcci interni al metodo di natura storico-critica sia ad approcci che costituiscono argomento dei paragrafi successivi. Dal punto di vista interno, a prescindere dalle varie posizioni suesposte (o meglio, anche grazie ad esse), vi è una maggiore considerazione per le macrocomposizioni o anche verso il “testo finale” (espressione imprecisa, ma chiara come intendimento metodologico); la sincronia
acquista
un
primato
sulla
diacronia
finora
preferita.
La
semplificazione analitica e la scoperta delle grandi redazioni (Genesi-2Re, libri profetici, ciascuno inteso come un grande progetto sincronico) o di redazioni intermedie, comunque vistose, sposta l’asse preferenziale sulla superficie sincronica, anche se è evidente che dietro le grandi redazioni vi possa essere una compilazione dilazionata nel tempo (vedi le teorie sui deuteronomismi e sull’immancabile copertura finale di P). In realtà, il modo tradizionale di applicare il metodo storico-critico e quindi le conseguenti concezioni del testo e della sua storia non potevano più essere accettati. Due i motivi: a) l’analisi storico-critica tradizionale rischiava la frammentazione senza fine del testo biblico (uno stesso versetto talvolta spezzato anche in due-tre parti!), senza una seria considerazione per l’apporto di un compositore che di tali testi minori aveva fatto uso; b) ma soprattutto ha fatto da motore l’attuale conoscenza delle scienze letterarie: la linguistica, la critica della letteratura, la poetica o scienza del testo letterario, la semiologia. Si è compreso che un conto è il dato di fatto che uno scrittore usi del materiale a lui preesistente ai fini di una sua composizione originale, e un altro è invece ritenere questa realtà come prioritaria, mettendo in secondo piano la macrocomposizione. M.A. Sweeney, nel suo commentario Isaiah 1-39, Grand Rapids-MI 1996, parla finalmente del genere letterario libro (oltre ai soliti generi letterari minori) in riferimento a Isaia. Si veda anche R. Lack, La symbolique du Livre d’Isaïe, (Analecta Biblica 59), Roma 1973, il quale vede nella simbolica isaiana una modalità per una lettura unitaria del libro biblico. Tale sensibilità linguistico-letteraria si appoggia su metodiche che coprono oggigiorno un’area intermedia tra il metodo storicocritico e quello più decisamente linguistico-letterario: entrambe le posizioni mostrano attenzione rispettivamente sia ad un aggiornamento dell’impiego
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storico-critico vero e proprio sia ad una scelta metodologica che guarda a nuovi sentieri, senza abbandonare completamente la criteriologia storico-critica. Con questo stato di cose, però, si ha da molto tempo una transizione verso scelte metodologiche che si pongono all’esterno di quella storico-critica, sia in qualità di metodica complementare sia addirittura di metodica alternativa, anche se oggi difficilmente si può pretendere di usare un metodo totale, come voleva essere il metodo storico-critico in senso tradizionale.
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3.2 Contributi esterni:
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Bibl.: oltre a Simian, Metodologia, 121-137 (metodo acronico).139-170 (sincronia narrativa o narratologia).171-195 (anacronia e sincronia), anche R. Alter, The art of biblical narrative, New York 1981 (c’è la trad. italiana della Queriniana, 1990); É. Benveniste, Problemi di linguistica generale, Il Saggiatore, Milano 1971 (orig. in francese); F. De Saussure, Cours de linguistique générale, Paris 1922; C. Bremond, Logica del racconto, Bompiani, Milano 1977 (orig. francese); J. Courtès, Introduction à la sémiotique narrative et discursive, Hachette, Paris 1976; U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano 1975; Idem, Le forme del contenuto, Bompiani, Milano 1971; A.J. Greimas, Semantica strutturale, Milano 1968 (orig. in francese); J.M. Lotman, La struttura del testo poetico, Mursia, Milano 1976; S. Moravia, Lo strutturalismo francese, Sansoni, Firenze 1975 (una panoramica sulle diverse espressioni di tale fenomeno culturale, a partire dai vari rappresentanti del rispettivo ambito scientifico); M. Nobile, Il ciclo di Abramo (Gen 12-25). Un esercizio di lettura semiotica, in Antonianum 60 (1985) 3-41; V. Propp, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 1966 (orig. russo; trad. inglese, Morphology of the Folktale, Austin 1968); Sémiotique et Bible, rivista triemestrale apparsa nel 1976, organo del CADIR (Centre pour l’Analyse du Discours Religieux, - 25, rue du Plat, Lyon).
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Anche in passato l’esegesi biblica ha chiesto il contributo di varie scienze, dall’archeologia alla storia e geografia, dall’orientalistica mediorientale
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all’antropologia culturale (si pensi a Noth e alla sua anfizionia delle tribù israelitiche). Da alcuni decenni, però, benché tali contributi siano ancora importanti, se ne sono aggiunti altri da parte di varie scienze umane: linguistica, semiologia, sociologia, psicoanalisi, antropologia religiosa, ermeneutica (intesa come un campo specifico della filosofia, come vedremo). L’oggetto di tali contributi rimane sostanzialmente quello di una esegesi biblica, cioè capire il testo usando parametri euristici differenti da quelli prettamente storico-critici. Un ruolo fondamentale in tale ricerche “alternative” lo ricopre la scienza linguistica con le sue discipline: la critica letteraria (non nel senso storicocritico! bensì nel senso adoperato dal critico “laico” di un’opera letteraria), la semiotica, lo strutturalismo, la narratologia. Vi è un criterio che può unificare queste metodiche: una composizione letteraria è, al pari di una lingua in rapporto alle sue parole ( così il De Saussure, il fondatore ginevrino della semiologia negli anni venti del secolo scorso), un organismo che vive dei meccanismi che si vengono a creare allorché nasce un’opera letteraria: riferimenti intra e intertestuali, interrelazioni tra elementi del tessuto compositivo, concetti di compétence e di performance, rapporti tra strato di superficie testuale e strato profondo. Alcune di queste metodiche vengono poste sotto il termine di metodi acronici, in quanto sono meno o per nulla interessati alle questioni storiche poste dai testi. -
3.2.1 Lo strutturalismo (analisi acronica) – Questo termine copre in realtà tutta una serie di ricerche che spaziano negli ambiti scientifici più vari (per una visione d’insieme si veda l’ottima sintesi di S. Moravia, Lo strutturalismo francese), dalla filosofia (Louis Althusser, Michel Foucault, Maurice Godelier, Gilles-Gaston Granger) all’antropologia culturale (Claude Lévi-Strauss), dalla sociologia (Lucien Goldmann, Raymond Boudon, Georges Gurvitch) alla psicologia e alla psicoanalisi (Jean Piaget, Jacques Lacan), ma soprattutto e in particolare alla linguistica e alla critica letteraria con implicazioni filosofiche: Roland Barthes, Émile Benveniste, Algirdas J. Greimas, Gérard Genette. In realtà, ciascuno dei rappresentanti qui citati ha un suo pensiero autonomo e originale e difficilmente essi accetterebbero un’etichetta che li riunisse tutti in un unico movimento; alcuni di loro contestano addirittura altri colleghi che noi
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collocheremmo sotto la stessa bandiera. E tuttavia, vi è una serie di criteri che lega tra loro questi studiosi: essi partono da una contestazione di alcuni indirizzi intellettuali e culturali tradizionali, quali l’egemonia della cultura umanistica, della soggettività/soggettivismo, dello storicismo, della metafisica. Rifiutano la filosofia, ma nel rifiutarla…la fanno. Essi partono dalla convinzione che, prescindendo da qualsiasi ontologia, la realtà sia accostabile per il tramite di modelli formali ricostruibili e applicabili per una lettura di essi (naturalmente non interessa il “quid”, la verità, la storia che vi possa essere dietro). Potremmo parlare di una logica formalistica, la quale, mentre rifiuta l’apporto della soggettività (l’umanesimo cartesiano) e si disinteressa del dato ontologico che c’è dietro o sotto, oggettivizza però nel contempo le strutture formali, rischiando talvolta di ipostatizzarle. Questo è quanto genericamente si può affermare in modo introduttivo circa questo fenomeno culturale che ha avuto la sua origine e il suo sviluppo quasi esclusivamente in Francia. -
Tuttavia, a parte il fatto che con tale panoramica introduttiva non si renda giustizia alle varie posizioni originali degli autori sunnominati, vi è soprattutto da soffermarsi su un criterio euristico deducibile da tale posizione, che è lo strutturalismo, che consiste nel credere nel principio della razionalità scientifica, la quale ci permette di costruire modelli estraibili dai testi (antropologici, sociologici, linguistico-letterari) e oggettivabili come strumento logicomatematico di lettura di essi. Lo sviluppo che tale criterio ha ricevuto nell’ambito dell’applicazione alla lettura di testi letterari è tale che se ne può usufruire come metodologia senza dover necessariamente sposarne l’ideologia. Uno studioso che in particolare ha avuto successo su questa strada pragmatica (ma poggiante su presupposti teorici) è A.J. Greimas, il quale ha creato un vero e proprio metodo di esegesi strutturalista dei testi, prolungatosi in una scuola che ha in Jacques Courtès e nella rivista di Lyon Sémiotique et Bible, rispettivamente, una guida teorico-pratica (cf. la sua Introduction,) e l’organo di rappresentanza e di sviluppo del metodo greimasiano in rapporto alla Bibbia. È per questo che la scelta del metodo cade su Greimas, anche se vi sono altre metodiche affini come quella seguita da Claude Bremond e sviluppata sulla falsariga della Morfologia della fiaba del linguista russo Vladimir Propp.
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Il metodo greimasiano si fonda su alcuni criteri di fondo: a) l’analista è interessato a strutture formali del testo e al loro senso, non al significato; a lui non interessa lo sfondo storico; b) il piano su cui si svolge la sua analisi è quello della compétence e non quello della performance, cioè egli indaga nel punto in cui vengono a formarsi delle strutture di senso logico-formali e non contenutistiche (gl’interessa il disegno sintattico del testo e non come va a finire il racconto); c) il testo è concepito come una grandezza a due piani, quello di superficie e quello profondo; d) entrambi i piani vanno studiati nella loro sintassi (= organizzazione, così com’è organizzata nella grammatica una frase) di superficie e del piano profondo; e) tra i vari elementi di superficie (attanti e figure) (vedi sotto lo schema attanziale) e quelli del piano profondo (sememi e semi) vengono a stabilirsi delle interrelazioni che funzionano come un meccanismo ruotante attorno a un principio logico che è l’isotopia; tale isotopia può essere resa visibile formalmente mediante il quadrato semiotico. Schema attanziale
Destinatore------------------ ---→ Oggetto ----------------→ Destinatario ↑ Aiutante ------------------------→ Soggetto ←------------ Oppositore Quadrato semiotico Prescritto
Interdetto
Non interdetto 3.2.2
Non prescritto
La narratologia (analisi sincronica)
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Il discorso fatto nel precedente paragrafo circa lo strutturalismo è già la selezione di una teoria con conseguenti proposte pragmatico-metodologiche. Il discorso greimasiano, però, si situa nel più vasto dibattito narratologico, al quale del resto si è già accennato (C. Bremond e la sua analisi del racconto; A.J. Greimas e la sua sintassi discorsiva, intesa nel senso che come esiste la sintassi della frase, così deve esservi quella del discorso: cf. A.J. Greimas, Pour une théorie du discours poétique, in Idem (éd.), Essais de sémiotique poétique, Larousse, Nancy 1972, 6-24).
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Criteri (cf. J-L. Ska in Simian, Metodologia, 139-170; cf. la bibliografia annessa alle pp. 169-170; in particolare R. Alter, Thr art of biblical narrative, New York 1981; M. Sternberg, The poetics of biblical narrative. Ideological literature and the drama of reading, Bloomington 1985). Vi sono vari tipi di indagini narratologiche, ma vi è un fondo comune a tutte quante. Un testo è il motore che aziona un “processo drammatico” di lettura, nel quale ha una funzione fondamentale il ricettore o lettore del testo stesso. I racconti biblici spesso sono essenziali e creano un’atmosfera interrogativa: quando Isacco in Gn 22 chiede al padre Abramo dove sia la vittima da sacrificare, Abramo risponde «Dio provvederà» (v. 8). Noi moderni che amiamo la psicologizzazione dei personaggi, pensiamo che quella del patriarca sia una pia bugia, ma non è così, come sappiamo dalla conclusione dell’episodio; un sacrificio però avviene ugualmente (il montone con le corna impigliate nel cespuglio (v. 13)). Il racconto crea nel lettore un processo di coinvolgimento nel quale egli si pone delle domande alle quali ha da rispondere. Una risposta essenziale la danno i vv. 16-18 (il premio della fede di Abramo), tuttavia molte altre possono essere le domande che si pone il lettore: vi è dietro l’episodio un superamento storico dei sacrifici umani? Vi sono altri tipi di sacrificio? È la fede il sacrificio più autentico? Come dice bene Ska, alla pari di uno spartito musicale che rimane muto se non viene eseguita la musica scritta, così un testo letterario rimane lettera morta se non raggiunge il lettore richiedendone la partecipazione interpretativa. A differenza del metodo strutturalistico precedente, consistente in una serie di regole fisse1, il metodo narratologico è prettamente pragmatico e
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Tuttavia, del metodo greimasiano fa parte integrante l’analisi narrativa e quindi un’operazione narratologica, come si è visto nello schema attanziale. Cf. M. Nobile, Il ciclo di Abramo (Gen 12-25). Un
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opera per induzione: da qui la necessità che si studi il tessuto narrativo dal punto di vista stilistico e formale: come si è visto nell’episodio di Abramo, dobbiamo fare attenzione al background culturale che forgia il racconto, per non cadere in una lettura anacronistica deviante. Posta questa pregiudiziale circa l’utilità di un contributo “storico-critico” che faccia conoscere il tessuto culturale della narrazione, tuttavia anche la metodologia narratologica si rivolge ad ampie composizioni (il testo finale) e cerca quei punti dinamici di trasformazione narrativa che si riscontrano sia in un racconto biblico che in un racconto/fiction moderno. Le verità della Bibbia non ci vengono esposte in maniera dichiarativa o dogmatica, ma in modo narrativo, sotto forma di racconto di una storia. Ciò implica vari criteri. a) Un racconto o storia è un processo che si svolge nel tempo e nello spazio, quindi il criterio cronologico e quello spaziale sono molto importanti: essi implicano uno svolgimento graduale, un prima e un poi, un qua e un là. b) Il racconto biblico è caratterizzato da un realismo che lo rende espressivo non solo di eroi come nella tragedia classica greca, bensì delle più differenti categorie di persone, dai re agli uomini semplici. c) La narrazione biblica offre al lettore una specie di “mappa”, come dice Ska, grazie alla quale egli entra nel gioco di colui che scrive (non l’autore materiale, bensì l’autore intrinseco all’opera) e rivive un’esperienza umana già fatta o soprattutto da fare arricchendo così il suo bagaglio esperienziale. In Gv 20,24-29, nell’episodio dell’incredulità dell’apostolo Tommaso, Gesù, dopo che il discepolo ha creduto perché “ha veduto”, proclama beati coloro che pur non vedendo hanno creduto. Di chi parla Gesù? Il lettore deve dare una risposta: è lui il destinatario? Lungo tutto lo stesso vangelo di Giovanni, emerge come un filo rosso il ruolo del “discepolo che Gesù amava” (13,23; 19,26-27; 20,2-10; 21,7.20). Chi è tale anonimo personaggio? L’autore del vangelo? Egli è soprattutto il testimone che col suo vangelo “rivela” o fa vedere Gesù (21,24). Il lettore è allora portato con un viaggio attraverso il vangelo a riscoprire anche lui l’immagine del Cristo giovanneo. -
Fasi di analisi: a) L’unità narrativa da scegliere e delimitare (dove comincia e dove finisce?): il risultato si ottiene nello studio del nesso delle varie parti che
esercizio di lettura semiotica, in Antonianum 60 (1985) 3-41.
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la compongono, analizzabili con criteri stilistici, grammaticali e figurativi; b) lo studio delle azioni (espresse con i verbi) che ricamano il tessuto narrativo e che presiedono al movimento del plot. Importanti sono anche i verbi di staticità che indicano una situazione o un dato iterativo, espresso con l’imperfetto, mentre l’azione viene indicata di solito col passato remoto (importante per questo tipo di analisi è lo studio di A. Niccacci, Sintassi del verbo ebraico nella prosa biblica classica, (SBF Analecta 23), Jerusalem 1986); c) lo studio dei personaggi: chi sono e cosa fanno; d) distinzione tra il racconto o discorso, inteso come il materiale testuale davanti al lettore, e la fabula o diegesi, intesa come la ricostruzione che il lettore produce nella sua operazione di lettura; e) il tempo: distinzione tra tempo raccontante e tempo raccontato. -
Come si può notare, i criteri generali sono relativamente fissi e si direbbe “strutturali”, ma la loro applicazione investe modalità le più differenti, tra le quali sono da annoverare quelle già nominate più sopra (Bremond, Greimas). L’utilità della narratologia è quella di indagare la rete di nessi che viene a comporre in modo logico un racconto.
4. L’ermeneutica Bibliografia: L. Alonso Schökel-J.M. Bravo y Aragón, Appunti di ermeneutica, (Studi biblici 24), EDB, Bologna 1994; M. Ferraris, Storia dell’ermeneutica, Bompiani, Milano 1988; H.G. Gadamer, Hermeneutik I. Wahrheit und Methode. Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik, Mohr, Tübingen 1986 (trad. italiana: Milano 2000); P. Ricoeur, Le conflit des interprétations. Essais d’herméneutique, Paris 1969 (trad. italiana: Milano 1977); P. Ricoeur, Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica, Paideia, Brescia 1977. -
L’argomento che affrontiamo ora è in realtà alla base delle varie metodologie, perché, come si è più volte rilevato nelle pagine precedenti, sia nei metodi storico-critici che in quelli integrativi e/o alternativi, vi è sempre una pregiudiziale gnoseologica ed epistemologica che da percezione si fa convinzione e infine punto di partenza per una lettura del testo. Naturalmente,
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alla teoria segue la prassi, così che, come vedremo più sotto, vi è anche una metodologia o lettura ermeneutica della Bibbia (cf. Simian, 171-195). -
Definizione: Una definizione descrittiva generale di ermeneutica è quella del rapporto
interpretativo
tra
un
testo
letterario
(biblico)
e
il
soggetto/lettore/destinatario di esso. La lettura di un testo implica due fattori: a) la considerazione del testo come documento legato alla sua contemporaneità (qui interviene il contributo storico-critico); b) la comprensione da parte del lettore, quindi la trasposizione dell’oggetto di lettura al proprio livello storico, culturale ed esistenziale. -
L’ermeneutica è innanzi tutto un problema filosofico moderno. Non che da sempre non esista un problema d’interpretazione, ma l’ermeneutica di cui si parla è intesa nel senso più preciso e tecnico che ad essa hanno voluto dare pensatori e studiosi a partire da F. Schleiermacher e via via continuando con W. Dilthey, M. Heidegger, fino a H.G. Gadamer e a P. Ricoeur. Il processo ermeneutico è quello che s’instaura allorché io mi metto in relazione con un testo all’inizio da me diviso e originato in un “altro mondo”: come si fa a creare un ponte tra il soggetto (“io”) e l’oggetto (il testo)? Identificarsi con l’oggetto è impossibile, anche se è necessario un mio avvicinamento ad esso per poterlo conoscere; d’altra parte non si deve neanche affogare l’oggetto nel soggetto sovrapponendosi o sostituendosi ad esso. Gadamer parla di “fusione di orizzonti”. Il soggetto e l’oggetto devono piegarsi l’uno all’altro, senza timore di identificazione, dato che il testo si pone in mezzo tra me e l’universo che riflette, consentendomi contemporaneamente vicinanza e distanza (così Ricoeur). Mentre allora mi accosto al testo per vederne svelato l’universo che c’è dietro, si compie in me una partecipazione a quell’universo del quale anch’io faccio parte e, scoprendolo, scopro anche una verità su me stesso.
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Il soggetto – Chi è il soggetto della lettura di un testo? Esso può essere un individuo o una comunità. La “verità” di un testo scaturisce dall’interazione tra l’individuo/comunità e il testo stesso. Che cosa salvaguarda dal soggettivismo la interrelazione? Se si tratta ad esempio di un biblista, allora il recinto protettivo è la sua preparazione tecnica e la comunità degli studiosi; se si tratta di una
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comunità, il recinto è il consenso (la Tradizione della Chiesa). Vi è un terzo criterio di protezione: l’individuo che si accosta alla Bibbia non deve dimenticare che agisce in seno ad una comunità concreta. Nascono così le varie ermeneutiche che si esprimono lungo il corso della storia. È quello che Gadamer chiama la Wirkungsgeschichte, cioè il processo storico dell’interpretazione che è come un fiume che scorre da un lato nella coerenza del tessuto storicoculturale e di fede, dall’altro purifica, illumina, adegua e arricchisce il portato della tradizione. Tale interrelazione individuo-comunità, se esige che il biblista si senta parte attiva e responsabile di una comunità, esige anche da parte della comunità un’attenta considerazione dell’oggetto nella sua realtà storica e letteraria (preparazione sufficiente da un punto di vista storico-critico). -
Il testo – Quando noi ci accostiamo alla lettura del testo biblico siamo di fronte ad una realtà a due strati: a) il testo come creazione letteraria legata ad un’epoca e ad una cultura ben precisa e b) un testo che in quanto credenti, diciamo che contiene la Parola di Dio. Una difficoltà di fondo consiste nel saper sceverare questi due piani da un lato e nel saperli far interagire dall’altro. Lo studio dello strato o piano storico-culturale è necessaria per avere una prima comprensione “oggettiva” (il testo-oggetto) di esso: tale scopo si raggiunge attraverso un percorso scientifico (conoscenza delle lingue, storia, geografia, archeologia, epigrafia). La conoscenza di questo strato ci porta a quella che Simian Yiofre chiama la verità di corrispondenza o la verità di evidenza (Simian, Metodologia, 180), che in pratica è la stessa cosa, solo che la prima riguarda l’aspetto esteriore di un oggetto (un vaso filisteo, un monile fenicio), l’altra è invece rivolta più ad un dato interiore (essere innamorato, triste, geloso esprime una verità evidente). Su questo primo piano la verità che incontriamo è di valore relativo: interessa lo studioso o l’intellettuale curioso. Il problema ermeneutico compare con il secondo strato o piano, quello della Parola di Dio, perché a questo livello noi ricerchiamo la verità di coerenza (Simian, 180-181). La verità di coerenza richiede un giudizio su un processo complesso che parte da alcuni presupposti concettuali e se ne fa guidare per “leggere/interpretare” un ampio testo biblico lungo una linea di non contraddittorietà che fonda il suo senso su quel testo. Se io ho una precisa concezione della Parola di Dio e desidero orientare un previo
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risultato “oggettivo” verso un’ulteriore interpretazione che valga per la vita attuale mia o della comunità a cui appartengo, devo usare una strategia che colleghi la verità per me/noi in un sistema coerente propositivo accettabile. Da qui, le varie teologie bibliche che possono scaturirne: la teologia esistenziale, le teologie della liberazione, la teologia femminista, ecc. Tutte queste teologie potrebbero essere etichettate con il termine di pragmalinguistica. Esse sono dei tentativi strategici di leggere i testi biblici come dei canali di comunicazione, i quali, attraverso un sistema di segni (si ricordi la definizione di semiotica), lasciano scorgere un messaggio trasferibile all’interlocutore odierno2. -
La pragmalinguistica presuppone un ordine di idee diverso da quello tradizionale. Quest’ultimo, nell’interpretare un testo, affermava di voler scoprire l’intentio auctoris, cioè quello che l’agiografo voleva dire. Oggi tale criterio è sconfessato dalle moderne acquisizioni linguistiche. Nell’interpretare un testo è necessario andare alla ricerca dell’intentio operis, cioè di quell’orientamento comunicativo che si inscrive nel testo stesso e che definisce il rapporto di comunicazione tra un’ emittente e un ricettore.
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A - Una prima distinzione da farsi in un’esegesi pragmalinguistica è la distinzione tra testo locutivo o proposizionale e testo illocutivo o prolazionale3: il primo riguarda lo stato della proposizione (ciò di cui si parla o atto referenziale e ciò che si predica o atto predicativo); la prolazione è invece l’attuazione di quanto il soggetto pone in comunicazione come atto locutivo: ad una richiesta del soggetto dovrà (o anche no) seguire una reazione a seconda di vari elementi (comprensione, accettazione, rifiuto).
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Cinque tipi di atto prolazionale o illocutivo
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1) Atto assertivo: partecipazione di una convinzione del produttore di testo ad un destinatario coinvolgendolo nella conoscenza.
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2) Atto direttivo: ordini, ammonizioni.
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3) Atto commissivo: promesse, minacce.
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4) Atto espressivo: manifestazione di sentimenti da parte del produttore di testo.
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Simian dà questa definizione: “La prgmalinguistica è quella parte della linguistica che si occupa dei segni linguistici come elementi di comunicazione” (ivi, 182). 3 Simian, 185s.
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5) Atto dichiarativo: produce un effetto in un sistema extralinguisico: assoluzione, condanna. Si chiama anche “atto performativo”, perché compie azioni con le parole.
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B – Cinque tipi di contesto per stabilire la intentio operis:
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1) Contesto circostanziale: identità degli interlocutori, tempo, luogo.
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2) Contesto presupposizionale: il bagaglio culturale condiviso dai due termini della comunicazione, emittente vs. destinatario.
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3) Contesto referenziale: ciò di cui si parla, ma non in modo positivista, bensì intendendo la visione del mondo del produttore di testo.
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4) Contesto situazionale: si tratta del rapporto socio-culturale (una specie di Sitz im Leben) sullo sfondo del quale avviene la comunicazione.
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5) Contesto interazionale: concatenazione di atti linguistici: ad una domanda deve seguire necessariamente un tipo di risposta.
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Un apporto dal discorso dei generi letterari può venire se si tiene presente il codice letterario del testo (lamentazione, parabola).
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C – Tensione – Simian, onde evitare che si identifichi ancora intenzione del testo con quella dell’autore, usa il concetto di tensione, intesa come quel movimento suscitato da un testo comunicativo. Os 6,1-6 usa delle espressioni liturgiche ad una prima lettura impeccabili, ma Dio le sconfessa: perché? Perché la situazione presupposta non è coerente: la liturgia deve presupporre misericordia/amore piuttosto che sacrifici (v. 6). Il concetto di tensione permetterebbe l’accesso di una lettura ermeneutica, intesa come attualizzazione di quella situazione tensiva presupposta nel testo; il concetto farebbe inoltre da ponte tra l’esegesi storico-critica e una lettura pastorale. Io credo che la lettura ermeneutica sia un processo più complesso di una semplice attenta attualizzazione nel quadro di una esegesi e del correttivo del fiume della tradizione. Una lettura ermeneutica implica a) una risonanza individuale; b) una risonanza comunitaria o di gruppo; c) una formulazione individuale e una comunitaria del processo comunicativo, a seguito d) di una performatività verificatasi nell’impatto con la Parola di Dio nella parola umana. Varie sono le componenti che giocano il loro ruolo in tale processo: a) la personalità e/o la cultura del soggetto (individuo e/o comunità); b) la situazione personale e/o
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comunitaria; c) l’appartenenza ad un flusso storico-culturale e religioso (la Tradizione). Da qui, la natura pluralistica di una lettura ermeneutica della Bibbia.
5. L’AT e la sociologia -
Bibliografia: Clements R.E. (ed.), The world of Ancient Israel. Sociological, anthropological and political perspectives, Cambridge University Press, Cambridge-New York 1989.
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Esler Ph.F. (a cura), Israele antico e scienze sociali, (Introduzione allo studio della Bibbia. Suppl. 41), Paideia, Brescia 2009.
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Specialmente nel mondo angloamericano è molto vivace l’approccio delle scienze sociali all’AT. Uno dei gruppi più attivi in tal campo è il “Context Group. Project of the Study of the Bible in its Cultural Environment”, il quale ha prodotto tra l’altro il volume curato da Esler. L’approccio sociologico mira alla lettura interpretativa dei testi biblici con l’ausilio di modelli euristici desunti dalle scienze sociali; quindi, come afferma Esler contro i detrattori, non si pretende con tali apporti di ricostruire la storia d’Israele, ma solo di usare tali modelli come strumenti di lettura dell’AT. Tra i padri morali di questa ricerca vi è naturalmente Max Weber, famoso tra l’altro per il suo saggio sul Giudaismo antico (M. Weber, Il Giudaismo antico, in M. Weber, Sociologia delle religioni, Mondadori, Milano 2009, 798-1290); avendo poi tale approccio un legame anche con l’antropologia, tra i padri morali sono da considerare anche E.E. Evans Pritchard, W. Robertson Smith, J. Frazer, É. Durkheim, Levy-Bruhl. Per le ricerche recenti si arriva ad autori come B. Malina, W. Meeks, G. Theissen, S. Garrett per il NT, G. e J. Lenski, R. Wilson, N. K. Gottwald, T. Overholt per l’AT.
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Alla base di questi studi vi sono varie teorie che vanno dal funzionalismo al semplice descrittivismo. I modelli offerti da tali teorie vengono poi applicati in particolare alla storia della società israelitica a cavallo tra il II e il I millennio
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a.C. (Gottwald), là dove si cerca di studiare gli sviluppi della società contadina (tribale) in rapporto dialettico con la società urbana.
Contributi metodologici altri -
6) La psicanalisi
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7) Lettura “materialista” (spesso intesa come ispirato a idee marxiste)
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8) L’approccio femminista
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