UNIVERSITÀ DEGLI STUDI SUOR ORSOLA BENINCASA
IL CAMMINO DI CARLO MAGNO
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QUADERNI DELLA RICERCA SCIENTIFICA Collana diretta da
Gennaro Carillo, Piero Craveri, Massimiliano Marazzi Supplemento speciale
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI SUOR ORSOLA BENINCASA UNIVERSITÉ DE PICARDIE KAISERPFALZ MUSEUM PADERBORN
With the support of the Culture 2000 programme of the European Union
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI SUOR ORSOLA BENINCASA
Il cammino di Carlo Magno a cura di
Federico Marazzi e Sveva Gai
Federico Marazzi e Sveva Gai (a cura di) Il cammino di Carlo Magno Quaderni della ricerca scientifica dell’Università degli Studî Suor Orsola Benincasa pp. 264 DICOCOM S.r.l., 2005 ISBN 88-89792-00-0 © DICOCOM S.r.l., 2005 80135 Napoli, Via Pessina 81 Tel. 0815498432 - fax 0815499052 Internet: www.dicocom.it E-mail:
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Sommario
Prefazione di Sveva Gai e Federico Marazzi Il cammino di Carlo Magno. Ipotesi di un percorso europeo di ricerca tra archeologia e storia territoriale Sveva Gai, La residenza palatina di Paderborn in Westfalia tra la fine dell’VIII secolo e l’anno mille. Da centro militare a sede vescovile Sven Spiong, Im Schatten der Domburg. Zur Siedlungsentwicklung Paderborns vom späten 8. bis zum 10. Jahrhundert Georg Eggenstein, Balhorn in der Merowinger- und Karolingerzeit. Beobachtungen zu Infrastruktur, Wirtschaft und soziologischen Indikatoren Tim Bunte, Ausgewählte Fundgruppen der Merowinger- und Karolingerzeit aus Balhorn. Indikatoren für gesellschaftliche Veränderungen Andreas Haasis-Berner, Die Siedlungsgeschichte Ostwestfalens vom 8.10. Jahrhundert Federico Marazzi, Linee distintive dell’evoluzione dell’insediamento monastico di San Vincenzo al Volturno tra VIII e XI secolo Federico Marazzi, All’ombra di San Vincenzo: linee evolutive dell’insediamento nella valle del Volturno fra tardoantico e alto medioevo Valentina Di Meo, Valle del Volturno, ricognizioni 2005. Ipotesi sui criteri distributivi dell’insediamento d’altura nella fase dell’incastellamento Silvia Santorelli, Analisi delle tecniche murarie dell’alta valle del Volturno: prime attività di campionatura Maria Rosaria Campellone, Verso una tipologia dei manufatti metallici rinvenuti in scavo a San Vincenzo al Volturno Carlo Sassetti e Lara Catalano, Un altare affrescato di tardo VIII secolo da San Vincenzo al Volturno: proposte di rilettura della ricomposizione dei frammenti pittorici e di messa a punto del partito decorativo Pasquale Raimo, La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno
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Ringraziamenti
I curatori del volume desiderano ringraziare chi ha collaborato al Progetto “Il cammino di Carlo Magno” e chi lo ha sostenuto nelle sue varie fasi progettuali e attuative. Per l’Università Suor Orsola Benincasa, il Magnifico Rettore, prof. Francesco De Sanctis, che ha accettato di volerlo far svolgere con il sostegno dell’Ateneo; il Direttore Amministrativo, dott. Antonio Cunzio, e i dott. Marco Cardone e Ciro Strino, dell’Amministrazione universitaria, per il preziosissimo sostegno operativo durante tutte le fasi attuative; i proff. Umberto Pappalardo e Giovanni Coppola, che hanno dato il loro contributo alla definizione degli obbiettivi scientifici del progetto. Per l’Université de Picardie “Jules Verne” di Amiens, la prof.ssa Dominique Poulain e la dott.ssa Sara Nardi Combescure, per l’attiva partecipazione alla fase di sviluppo della ricerca. Per il Landschaftsverband Westfalen-Lippe (il consiglio regionale della Westfalia, Soprintendenza Archeologica) si ringraziano in primo luogo il prof. dott. Karl Teppe, Landesrat, la dott.ssa Gabriele Isenberg, soprintendente, e il prof. dott. Matthias Wemhoff, conservatore del Museum in der Kaiserpfalz, che hanno dato il loro appoggio incondizionato al progetto ed hanno garantito, sia alla coordinatrice che agli altri partecipanti, piena libertà di movimento. Un particolare ringraziamento va rivolto inoltre a chi, all’interno dell’istituzione tedesca, ha contribuito con competenza, senso pratico e conoscenze amministrative, a che il progetto venisse messo in atto, in particolare ad Angelika Mateja, per aver svolto tutti gli incarichi di segreteria e di gestione degli aspetti finanziari della sezione tedesca del progetto e ad Olga Heilmann, R. Braun, G. Romanski e Ludwig Schwick, disegnatori, per aver realizzato con rapidità ed esperienza tutte le realizzazioni grafiche degli articoli qui presentati ed aver provveduto alla digitalizzazione delle immagini. Per la Direzione Regionale dei Beni Culturali del Molise, il Direttore Regionale, arch. Ruggiero Martines; per la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise, il Soprintendente, dott. Mario Pagano e la dott.ssa Stefania Capini, l’arch. Fiore Vignone e il C.T. Franco Marianera, per il sostegno da tutti dato alle ricerche relative a San Vincenzo al Volturno e al territorio dell’alta valle del Volturno. Infine, in particolare si desidera ringraziare il dott. Paolo Cutolo e, con lui, la dott.ssa Simona De Luca, e tutto il personale della società “Dicocom” di Napoli che con attenzione, pazienza e grande competenza, hanno contribuito in modo fondamentale a che il progetto prendesse forma e camminasse su binari sicuri durante tutta la sua realizzazione; ancora ed in particolare ringraziamo l’arch. Sergio Prozzillo, per la progettazione della copertina. Federico Marazzi e Sveva Gai
PASQUALE RAIMO
La ricomposizione di una croce gemmata monumentale a fresco di IX secolo da San Vincenzo al Volturno
A partire dal 1980, l’area archeologica di San Vincenzo al Volturno1 ha assunto, nell’ambito nazionale ed europeo, un ruolo di primaria importanza, diventando anno dopo anno un imprescindibile punto di riferimento, sia archeologico che artistico, costituendo per certi aspetti un vero e proprio unicum e meritando l’appellativo “la Pompei del medioevo”. Senza dubbio, tra le numerose scoperte effettuate negli ultimi anni, l’enorme quantità di blocchi affrescati e di frammenti d’intonaco dipinto2 hanno occupato un posto di gran rilievo, tanto da diventare un fondamentale modello comparativo per lo studio della pittura altomedievale in Italia, a cavallo tra la dominazione longobarda e quella carolingia. Le testimonianze pittoriche si estendono un po’ in tutta l’area di scavo, lasciando facilmente ipotizzare che la maggior parte degli ambienti del cenobio benedettino fossero decorati con rilevanti cicli pittorici; del resto, che importanti maestranze pittoriche avessero operato a San Vincenzo al Volturno era ampiamente evidenziato sia attraverso il famoso ciclo d’affreschi della cripta detta “di Epifanio”3 (abate dall’824 all’842) e sia dalle immagini miniate del Chronicon Vulturnense4, rappresentando entrambe, fino al 1980, le uniche considerevoli testimonianze della produzione pittorica locale5. I ritrovamenti d’intonaco dipinto di questi ultimi anni hanno permesso di approfondire sempre più le nostre conoscenze sulla decorazione pittorica che ricopriva le pareti degli ambienti più rappresentativi del complesso monastico: ad esempio ultimamente, attraverso la ricomposizione dei frammenti rinvenuti negli strati delle UUSS 574 e 584 nell’area di SVM6, è stato possibile individuare parte di alcune scene che, in base all’ubicazione del loro ritrovamento, si può ipotizzare che potessero far parte della decorazione pittorica interna dell’abbaziale Maggiore. Di tali ritrovamenti si è già riferito in via preliminare in altra sede7.
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Cfr. Pantoni 1980; Hodges 1993; Hodges 1995; Hodges/Mitchell 1996; Marazzi 1996; Hodges/Marazzi/Mitchell 1995; Marazzi/Francis 1995; Hodges/Marazzi 1998. 2 Per quanto riguarda il recente lavori di riassemblaggio delle superfici pittoriche, si veda: Sassetti 2004. 3 Sul ciclo di Epifanio, cfr. De Maffei 1985; Bertelli 1994; Pace 1994. 4 Cfr. Federici 1925. 5 Sui primi studi sulla pittura a San Vincenzo al Volturno, si veda: Bertaux 1900. 6 Cfr. Sassetti 2004, pp. 55-61. 7 Sassetti 2004, pp. 96-118.
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Pasquale Raimo
In questa occasione, invece, si illustrerà il riassemblaggio dei frammenti pittorici portati alla luce all’interno dell’US 3149 durante le operazioni di scavo effettuate tra l’estate e l’autunno del 2001, nell’area denominata CL/W settore nordambiente WA8 (fig. 1). La ricomposizione in sabbiera dei frammenti combacianti ha consentito di poter restituire, anche se in maniera parziale, l’immagine di una monumentale croce latina gemmata, la quale risulta rapportabile al motivo pittorico che decorava il paliotto ed il retro dell’altare, datato all’VIII secolo, della cosiddetta Chiesa Sud del monastero9. Al fine di meglio contestualizzare questo ritrovamento, sono stati affrontati vari aspetti riguardanti il tema iconografico della croce gemmata (la sua genesi, il significato, l’evoluzione tipologica) sviluppando, in relazione alla ricomposizione ottenuta, un’analisi storico-artistica attraverso i confronti con manufatti di ogni genere d’arte che spaziano tra l’epoca tardo-antica e quella carolingia, evidenziando l’imprescindibile legame con l’analoga decorazione dell’altare della chiesa Sud che è il suo riferimento più prossimo.
Documentazione archeologica e dati di scavo Partendo dai dati estrapolati dall’archivio informatizzato della Missione Archeologica e dalla rilettura dei diari di scavo riguardanti il suddetto ritrovamento dei materiali qui esaminati, si è potuto risalire alle caratteristiche generali del contesto di rinvenimento (US 3149); soprattutto si è individuato all’interno della stessa area in quali altre UU.SS. fossero stati rinvenuti frammenti d’affresco, e quali fossero i rapporti stratigrafici tra i contesti caratterizzati dalla presenza di tali reperti. In modo particolare, ai fini di una corretta lettura archeologica dell’ambiente WA10 in cui l’US 3149 si estende, si è constatato che la suddetta stratificazione, essendo posizionata a ridosso di un soprastante loggiato, è costituita dal crollo verso valle (e dentro l’ambiente WA) della parte più settentrionale del corridoio dello stesso, del quale, con ogni probabilità, i frammenti ricomposti costituiscono ciò che rimane della originaria decorazione pittorica.
Il riassemblaggio della croce gemmata e la sua descrizione iconografica Completata l’elaborazione dei dati di scavo ed individuati tutti i frammenti collegabili al tema iconografico in oggetto, si è quindi passati alla loro ricomposizione in sabbiera, che ha dato come esito il riassemblaggio della parte centrale 8 Sul complesso archeologico di San Vincenzo al Volturno, si veda: Marazzi/Filippone/Petrone/Galloway/Fattore 2002. 9 Cfr. Hodges/Mitchell 1996; Sassetti 2004, pp. 69-78. 10 Sull’ambiente WA, si veda: Marazzi/Filippone/Petrone/Galloway/Fattore 2002, pp. 263-266.
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di una monumentale croce latina gemmata. La struttura compositiva della croce risulta molto simile al tema iconografico che campeggia nella decorazione dell’altare della Chiesa Sud; i bracci seguono un andamento rettilineo e ortogonale tra loro, e sono suddivisi in riquadri (o specchiature), e al centro di ogni riquadro è posizionata longitudinalmente una grossa gemma dalla forma ovale divisa in due metà, colorate rispettivamente in azzurro e rosso scuro (fig. 2). Il profilo perimetrale della croce è realizzato con una spessa linea dal colore amaranto scuro che delimita anche le singole specchiature con una doppia bordatura parallela, mentre il fondo della sua forma è campito con il colore rosa. Sempre riguardo alla linea di contorno, questa è ornata da perlature bianche eseguite a goccia di pennello la cui disposizione segue una cadenza regolare. Collocata all’incrocio dei due bracci della figura principale, è raffigurata un’altra croce, questa volta di tipo greco e patente, dal colore dorato; ai vertici del braccio verticale si evidenzia la presenza di due piccoli pomelli bianchi, mentre al centro dei bracci è parzialmente visibile una circolare gemma, o rubino, di colore rosso (fig. 3). Dal punto di vista interpretativo questo signum Christi ha un contenuto semantico molto importante, in quanto possiamo definirlo con ogni probabilità l’immagine simbolica di Cristo, collocata proprio nel punto in cui in molte croci altomedievali si era soliti collocare, generalmente in un clipeo, il volto di Cristo o l’immagine dell’Agnello mistico. Nella riproduzione di questa croce greca patente, sembra manifestarsi l’intenzione dell’artista di rappresentare, in termini pittorici, un tradizionale oggetto d’oreficeria, ispirandosi ai tanti esemplari realizzati nell’ambito della coeva o precedente produzione suntuaria11; del resto, è l’iconografia, in genere della croce gemmata in pittura, che pare trarre spunto proprio da un’analoga ispirazione.
La genesi, il significato e i primi sviluppi del tema iconografico della croce gemmata Per meglio comprendere le cause della fortuna iconografica che ebbe il motivo decorativo della croce gemmata12 nel corso dell’altomedioevo, bisogna partire da un’importante considerazione: per tutto il periodo medievale un’opera d’arte nasceva in funzione di una finalità essenzialmente religiosa e non aveva solo valore estetico, e quindi aveva una imprescindibile forza evocativa che, in molti casi, è oggi difficilmente avvertibile. Così, sin dalle proprie origini, l’arte cristiana si espresse tramite simboli per mezzo dei quali fu in grado di veicolare
11 Sullo studio delle croci votive, si veda: Gagov 1950; Oppenheim 1953a; Zocca 1950; Zocca 1950a; Zastow/De Meis 1975; Cavalcanti 1994; Di Berardo 1994; Poletti Ecclesia 2002. 12 Sul tema iconografico della croce, si veda: Caspani 1950; Cattaneo 1950; Della Valle 1994; Casartelli Novelli 1996; Eadem 1999; Felle 2000; Ulianich 2000.
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e far comprendere, al sempre più crescente numero di fedeli, il complesso “universo” dei riferimenti dottrinali. Partendo da questi presupposti, in epoca tardo antica, la croce, ed in particolar modo la sua versione gemmata, assunse un significato allegorico d’assoluto rilievo, passando repentinamente dall’oblio dei primi secoli, ad una imprescindibile posizione di centralità. Infatti, dalla morte di Cristo in poi, i cristiani avevano in sostanza cancellato dalla propria memoria ogni riferimento allo strumento della passione Sua, e di migliaia di altri martiri. È con Costantino I (312337) che la diffusione di croci auree e gemmate avviene in maniera rapida, trasformando così lo strumento di supplizio cristiano in emblema della gloria di Cristo. Divisa tra leggenda e realtà, alcune fonti antiche13 ci narrano l’episodio del sogno, o visione mistica, che Costantino ebbe prima della decisiva battaglia di Ponte Milvio, in cui un angelo, che stringeva nelle mani un labaro recante una croce gemmata, gli preannunciava la vittoria su Massenzio pronunciando il famoso messaggio propiziatorio “…in hoc signo vinces”. L’apparizione di tale celeste signum Dei determinò non solo il definitivo avvicinamento al cristianesimo del sovrano ma, soprattutto, la sistematica diffusione nell’impero dell’effige della croce, parte integrante di un preciso programma di propaganda iconografica, basato sull’esaltazione, di tale simbolo, dalla duplice valenza: un significato politico-militare associato alla vittoria di Ponte Milvio, e un altro religioso in cui la croce era individuata come signum salutis o signum Christi, per cui uno strumento di tortura e di umiliazione, attraverso la passione di Cristo, diviene veicolo, mediante la Risurrezione, di conquista della vita eterna, e quindi di trionfo sulla morte e su chi tale supplizio aveva predisposto; la versione gemmata, e quindi impreziosita, incorruttibile ed eternata, della croce della passione, assume in quest’ottica il valore di metafora della finale vittoria della fede nel vero Dio e di chi tale fede difende. Il modello, da cui deriverebbero tutte le successive rappresentazioni artistiche di croce gemmata, è identificabile nel monumentale esemplare che, a quanto si narra, Costantino stesso fece erigere sul monte Golgota14 proprio nel punto ove avvenne l’estremo supplizio di Cristo; ma di tale croce nessuna fonte antica riporta la descrizione decorativa per la quale abbiamo dati solo a partire dall’epoca dell’imperatore Teodosio II (408-450)15. Un forte impulso devozionale dovette scaturire anche dal miracoloso rinvenimento, nel luogo ove avvenne la Crocifissione, della reliquia della Vera Croce per mano di S. Elena, madre di Costantino. Dalla metà del IV secolo il fenomeno della venerazione e circolazione della Sacra Reliquia Lignea, in particolare come testimonianza del pellegrinaggio in Terra Santa, divenne in poco tempo tra le manifestazioni di culto più importanti del cristianesimo. Essa simbolicamente 13 Lattanzio (314-321), De mortibus persecutorum; Eusebio di Cesarea (330-340), Vita Costantini. 14 Casartelli Novelli 1996, pp. 64-65. 15 Theophanes, Chronographia 5920; Georgius Cedrenus (= PG CXXI, cc. 644).
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appartiene al corpo di Cristo ed è “albero di vita”16 sia per le ragioni prima esposte, sia perché strumento della “effusio sanguinis” del Salvatore sulla terra. Di conseguenza, tali reliquie trovarono ben presto degna custodia in preziose stauroteche, spesso sistemate nelle tombe a protezione del defunto17.
L’analisi dei confronti La ricomposta croce vulturnense, è stata messa a confronto con manufatti prodotti attraverso diversi generi artistici, tra la metà del IV e la prima metà del IX secolo, in cui il suddetto motivo decorativo risulta raffigurato. Inoltre, va precisato che i raffronti sono stati eseguiti anche con opere con cui non vi sono palesi affinità iconografiche, ma che ritengo abbiano comunque costituito dei modelli d’ispirazione. Il riferimento iconografico, stilistico e cronologico fisicamente più prossimo è senza dubbio la decorazione dell’altare della Chiesa Sud, considerata in assoluto la testimonianza pittorica più antica fino ad oggi rinvenuta a San Vincenzo al Volturno. Infatti, al centro del fronte posteriore (lato ovest) campeggia una grossa croce gemmata suddivisa, sul braccio verticale, in otto riquadri e due per ogni semiasse del braccio orizzontale; il fondo della croce è di colore grigio contornato da una spessa linea nera decorata con una successione continua di perlature eseguite a goccia di pennello (fig. 4). All’interno dei riquadri trovano posto, in sequenza alternata, una grossa gemma a mandorla, dal colore arancio, e un motivo quadrangolare dal colore rosso vivo. La decorazione del paliotto (lato est) è, invece, sicuramente più ricca e complessa, presentando ai lati della nicchia centrale due croci gemmate dalla notevole dimensione, il cui tema iconografico è l’esatta riproduzione di quello del lato posteriore ad eccezione del colore che in questo caso sfrutta il rosa della superficie di fondo (fig. 5). Ma le affinità con la croce gemmata oggetto di questo studio sono anche sotto l’aspetto cronologico, poiché entrambe sono ascrivibili al tardo VIII secolo18. Dal punto di vista stilistico, invece, la croce dell’US 3149 appare eseguita con più raffinatezza ed evidenzia una delicata stesura della gamma cromatica; questi elementi possono far scivolare la suddetta croce ad una fase cronologica di poco successiva (inizio IX?), e certamente attribuibile ad un artista stilisticamente più dotato, rispetto a chi eseguì la decorazione dell’altare, e già calato nella temperie culturale della rinascenza carolingia. Ma il motivo della croce gemmata ha visto la propria genesi nel campo della produzione d’oreficeria, e partendo da tali oggetti è diventato il modello d’ispi16 Sul fenomeno della diffusione della reliquia del Sacro Legno, si veda anche: Itinerarium Egeriae, 37, 1 (= CCL 175, p. 80); Vita Macrinae (379); Lipinsky 1960; Drijvers 1992. 17 A tale riguardo si veda: Lipinsky 1960, pp. 219, 246 e 249; Del Bello 1969, pp. 121128; Castagnetti/Varanini 1989, pp. 279-280. 18 Cfr. Hodges/Mitchell 1996.
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razione per tutte le altre manifestazioni artistiche. Resta altresì importante far notare che tali oggetti d’arte oltre a rispondere a precise esigenze iconografiche di tipo escatologico, esprimevano le varie tendenze artistiche delle differenti culture europee dell’epoca altomedievale, talvolta mescolate in modo originale tra loro19. I primi grandi esemplari superstiti furono realizzati dall’oreficeria bizantina, la quale, per tutto il periodo altomedievale ed oltre, continuò a far sentire sull’occidente la sua influenza in maniera più o meno rilevante. Esemplare che simboleggia questa produzione, è certamente la Croce di Giustino II (565-570) (fig. 6), custodita nel Tesoro di San Pietro in Vaticano, la quale, insieme alla scomparsa Croce del Sancta Sanctorum, è tra le poche testimonianze sopravvissute delle preziose donazioni fatte dagli imperatori nei confronti delle basiliche romane20. La decorazione del recto è pertinente al gusto bizantino dell’epoca, con il caratteristico utilizzo, lungo il perimetro della croce, di gemme dai colori vivaci ma dalla ristretta gamma cromatica; infatti, tale ridotta sequenza di colori (verde dello smeraldo, bianco delle perle e azzurro dello zaffiro) non era casuale, ma rispettava precise direttive imperiali stabilite personalmente da Giustiniano (527-565) il quale stabilì la facoltà di associare le tre pietre preziose all’esclusiva figura dell’imperatore21. Nella successiva produzione orafa longobarda è ben visibile quel processo di contaminatio tra la cultura aniconica “barbarica” con il rigore compositivo di quella di matrice tardo antica. Senza dubbio ad accelerare questo processo fu l’adesione, dal 590, al cattolicesimo di questo popolo per merito della regina longobarda Teodolinda (589-628), con l’appoggio di papa Gregorio Magno (590604). Proprio alla figura della suddetta regina, sono attinenti una serie di preziosi oggetti sacri conservati presso il museo del duomo di Monza, di cui la Croce di Agilulfo (591-615) (fig. 7) e la coperta dell’Evangelario di Teodolinda22 sono tra le opere più rappresentative della collezione. Un altro grande esemplare di raffinata ricchezza esecutiva, a cavallo tra la dominazione longobarda e quella carolingia, è indubbiamente la Croce di Desiderio (fig. 8), conservata nel Museo Civico dell’età Cristiana di Brescia, attorno alla quale si sono sviluppate diverse ipotesi attributive23. Quest’opera rappresenta, nel suo genere, il massimo esempio di riuso in età altomedievale di pietre intagliate antiche e tardo antiche, in quanto i duecentoundici esemplari sapientemente disposti e rilavorati, sul recto e
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Pellegris 2002, p. 126. Il Liber Pontificalis è il solo testo che meticolosamente da notizia sulle immense ricchezze confluite nei tesori dei grandi centri di culto romani. Si veda: Lipinsky 1960, p. 150. 21 Tale disposizione imperiale è riportata nel cosiddetto “Iustiniani Codex” promulgato nel 534. 22 In merito alle rilegature di codici miniati, si veda: Snijder 1932, pp. 5-36; Needham 1979; Mazal 1996, pp. 606-609; Palazzo 1996, pp. 137-160. 23 Sulla croce di Desiderio si rimanda: Lipinsky 1960, pp. 173-175; Sena Chiesa 2002, pp. 154-164; Superchi/Donini 2002, pp. 165-173; Miazzo 2002, pp. 175-180. 20
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verso, ne fanno una delle più belle croci gemmate processionali24, tra la fine dell’VIII e il X secolo, di cui abbiamo testimonianza. Capolavoro dell’arte orafa carolingia è l’Altare di Vuolvinio25 in Sant’Ambrogio a Milano (fig. 9), che prende il nome dall’artefice che lo realizzò su commissione del vescovo milanese Angilberto II (824-859). Quest’opera mostra in pieno le sapienti capacità realizzative dei maestri orafi carolingi, in quanto si può considerare un gioiello aureo di dimensioni gigantesche, riccamente rivestito con 4379 tra gemme, coralli, cammei, perle e madreperle e decorazione a smalto cloisonné. Al centro di entrambe i pannelli laterali campeggia una grossa croce gemmata dalla forma greca e patente al cui incrocio dei bracci è collocata una grossa gemma ovale, risultando così nel suo complesso strutturata in modo molto simile al motivo iconografico posto al centro dei bracci della croce di CL/W. Se l’oreficeria è stato l’ambito dal quale il tema della croce gemmata è nato, di sicuro ebbe grande seguito e varietà di soluzione iconografica nelle decorazioni parietali. La sua prima adozione è documentata nel mosaico absidale della chiesa romana di Santa Pudenziana (fig. 10), eseguito probabilmente all’epoca dei papi Siricio (384-399) e Innocenzo I (401-407), tra i più antichi esempi superstiti di decorazione absidale musiva in un edificio cristiano26. Alle spalle del Cristo in trono, posto al centro dell’assemblea apostolica, spicca una grossa croce gemmata collocata sulla sommità di un’altura, identificabile con il monte Golgota nella rappresentazione della Parusia finale nella Gerusalemme celeste. La forma, che diventerà uno standard nelle rappresentazioni musive e pittoriche, è del tipo latino e si presenta di dimensioni monumentali con il bordo decorato da una serie continua di perle bianche, mentre agli apici dei terminali sono collocati dei pomelli azzurri. Infine, lungo i due bracci è raffigurata una alternata sequenza di gemme rettangolari e circolari dal colore rosso ed azzurro, che si sviluppano su di un fondo dorato, riproponendo così, in chiave musiva, la grande croce collocata sul Golgota, tra la metà del IV e l’inizio del V secolo. Nella Trasfigurazione del catino absidale di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna (metà VI secolo) risalta una croce gemmata conforme al nostro modello (fig. 11). Posta al centro di un clipeo, dalla bordatura gemmata, questa croce ricalca nella forma quella di Santa Pudenziana, presentando anch’essa un bordo con perle bianche, e lungo i due bracci leggermente patenti, campiti con colore oro, vi è un’alternanza di gemme quadrate e circolari dal colore verde ed azzurro; sporgono dai terminali dei semiassi delle apicature, o pomelli, mentre all’incrocio dei bracci è raffigurato il volto di Cristo in un clipeo. Collegato al tema dell’Etimasia (raffigurazione composta da una croce gem24
Sul tema della croce processionale, si veda: Caspani 1931; Zocca 1950a; Cattaneo 1950, col. 963; Oppenheim 1953, p. 779; Di Berardo 1994, pp. 547 ss. 25 Si segnalano solo alcuni dei numerosi studi sull’altare milanese: Gerra 1956; Romanini 1988, pp. 227-228 e 253-255; Bandera 1996; Capponi 1996; Capponi 1996a; Ferrari 1996; Superchi 1996. 26 Cfr. Romanini 1988, p. 102.
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mata collocata su di un manto purpureo adagiato su decoratissimi troni), le più rappresentative riproduzioni si possono osservare ad esempio a Ravenna, nel mosaico della cupola del battistero degli Ariani (494-526), oppure nel mosaico dell’arco trionfale in Santa Maria Maggiore a Roma (432-440). Spostandoci in area campana, e più precisamente nell’alto casertano, si segnala un’interessante decorazione musiva, da poco riscoperta, nella cattedrale di Carinola. In essa appare una croce gemmata patente, risalente al VI secolo, posta sull’apice dell’arco trionfale27. All’interno dei complessi cimiteriali paleocristiani, troviamo interessanti confronti pittorici con l’esemplare vulturnense. A Napoli, nell’ipogeo di San Gaudioso28, nel sottarco dell’arcosolio di San Sossio, si erge una monumentale croce latina gemmata che affianca e sovrasta in altezza il santo titolare della nicchia (seconda metà del V secolo). Lungo i bracci, patenti, si alternano uno smeraldo quadrangolare e una gemma ovale rossa, separate tra loro da una coppia di grosse perle bianche, disposte ai lati, mentre sistemate lungo la linea mediana vi sono quattro piccole perle anch’esse bianche. Altro bellissimo esemplare di croce gemmata si può ammirare a Roma sulla parete di fondo del fonte battesimale per immersione del Battistero delle catacombe di Ponziano (metà del VI secolo) (fig. 12). Questa croce, in parte sommersa, ha una slanciata forma latina con gemme rettangolari ed ellittiche (verdi e rosse) collocate alternatamente lungo i bracci, separate tra loro da una coppia di perle bianche29. Appartiene invece allo stesso periodo cronologico della croce gemmata vulturnense qui in esame, un esemplare proveniente dalla chiesa umbra di San Salvatore a Spoleto (fig. 13), di cui decora il catino absidale. La struttura decorativa di questa croce mostra la successione di quattro gemme (tre quadrangolari ed una circolare) separate da una coppia di piccole perle bianche, mentre le apicature delle terminazioni hanno una forma marcatamente rigonfia e prominente. Anche nella produzione scultorea il motivo della croce gemmata ebbe un grosso seguito, tanto da trovare una varietà ampia d’applicazione, che va dall’arredo funebre all’ornamentazione architettonica, determinando originali soluzioni decorative. Tra le più antiche testimonianze, si segnala il sarcofago di Probo30 (fine del IV secolo) oggi nelle Grotte Vaticane, sul cui lato anteriore vi domina la figura di Cristo, tra i santi Pietro e Paolo, mentre impugna una lunga croce latina interamente gemmata. Nella Costantinopoli d’età giustinianea, resta notevole il numero delle croci
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Su tale decorazione musiva, si segnala: Ricciardone 2005. Su queste catacombe, si veda: Spinosa/Ciavolino 1979; Fasola 1974; Fasola 1986; Fiaccadori 1992; De Pasquale 1996; Bisconti 2001. 29 Sulla decorazione di questa catacomba, si veda: Wilpert 1903. 30 Si veda: Deichmann/Bovini/Brandenburg 1967, 1, pp. 277 s., n° 678. 28
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ancora visibili nella basilica di Santa Sofia31 (fig. 14); fra le più singolari vi è quella di un pannello in opus sectile, che, salvo l’aggiunta di apicature e pendenti, incurva e divarica i semiassi con l’eleganza della croce centrale di CL/W; la decorazione gemmata in questo caso, consiste in intarsi marmorei, di colore scuro, che simulano la forma di pietre rettangolari ed ovali affiancate da una doppia perlatura. Nell’ambito della scultura longobarda l’abbinamento del tema della croce all’ornamentazione dei capitelli, introdotta nell’ornamentazione architettonica bizantina, ha prodotto esemplari caratterizzati da un’estrema originalità compositiva generata da influenze culturali lontane tra loro32. Tra i più rappresentativi esemplari di questo genere, risulta certamente il piccolo capitello proveniente dalla chiesa pavese di San Giovanni in Borgo (fig. 15), databile tra la fine del VII e l’inizio VIII secolo, conservato presso il Museo Civico del Castello Visconteo della stessa città lombarda. Il capitello, è strutturato in maniera molto originale in quanto, partendo dal basso verso l’alto, passa da una forma cilindrica ad una quadrangolare, fondendo in un unico blocco abaco e capitello; il trapasso da una forma all’altra, avviene attraverso due spesse linee curve dalle quali, aprendosi in senso opposto come due foglie d’acqua, fuoriesce una croce greca patente, che va ad occupare la sovrastante superficie quadrangolare. Sulle lunette laterali di alcuni coperchi semicilindrici di sarcofagi ravennati, si hanno degli esempi ragguardevoli di croci di tipo latino, come nei sarcofagi di Eliseo Profeta, o Pignatta, del Quadrarco di Braccioforte33 e dei Dodici Apostoli in Sant’Apollinare in Classe di inizio e metà V secolo. Due esemplari di croci gemmate rapportabili al “nostro” modello, sono raffigurate sul coperchio, anch’esso semicilindrico, di un sarcofago sito nella cattedrale ravennate. Ma la presenza del “salvifico segno”, nella decorazione architettonica, non si limitava ai soli capitelli; infatti, numerose sono le lastre di plutei che presentano, scolpito o inciso, il motivo gemmato abbinato a vari soggetti iconografici (pavoni, agnelli, calici, fiori, palme). Tra i massimi esemplari del genere, si annovera una lastra in pietra calcarea da San Salvatore di Brescia (VIII-IX secolo) (fig. 16), che costituiva parte dell’ornamentazione della recinzione presbiteriale del controverso monumento lombardo34, in cui una grossa croce latina patente è decorata da una serie continua di gemme circolari, dalla dimensione che si riduce verso il punto d’incontro dei semiassi; inoltre, una successione di quattro clipei concentrici è posta al centro della croce, mentre il bordo è costituito da un nastro triplicemente ripartito con profondi solchi incisi, nella più classica tradizione barbarica. 31
Della Valle 1994, p. 551. Romanini 1988, p. 219. 33 Valenti/Zucchini/Bucci 1968, pp. 30 s., n° 11, e tav. 11, c - cfr., altresì, tav. 11. 34 Sulle controverse vicende legate a questo monumento, si veda: Panazza/Tagliaferri 1966, pp. 72-73; Menis 1990, p. 310; Steigemann/Wemhoff 1999, pp. 86-87; De Marchi 2000, pp. 524-525; Bertelli 2000, pp. 189-195; Broglio 1992; Brogiolo 2000, pp. 143-155. 32
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Sempre dello stesso periodo e genere, si ricordano: una lastra di pluteo in pietra calcarea, frammentata in due pezzi, appartenuta alla chiesa lucchese di San Concordio35 (VIII-IX secolo) conservata nel Museo Nazionale di Lucca; un altro esemplare proviene dalla basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma (metà VIII secolo), sulla cui lastra è visibile una coppia di croci strutturate e decorate alla stessa maniera del soggetto scolpito sul pluteo lucchese, quasi a testimoniare la comune adozione, a partire dall’VIII secolo, di una specifica tipologia iconografica; la Lastra di Sigualdo (metà VIII secolo) (fig. 17) che decora una delle facce della base ottagonale della vasca battesimale ad immersione nel battistero di Callisto a Cividale del Friuli. Nell’area archeologica di San Vincenzo al Volturno, tra i reperti portati alla luce, vi sono due lastre lapidee la cui decorazione ci conferma che il tema della croce trionfante ha costituito un soggetto iconografico molto utilizzato nell’ambito delle scelte ornamentali del centro monastico. La prima di queste lastre è quella cosiddetta “dell’Agnus Dei”, databile intorno al IX secolo (fig. 18), costituita da un frammento angolare di una lapide funeraria. La composizione decorativa è formata da una croce patente, sui cui bracci è scolpito un motivo nastriforme (a forma di otto) simbolo dell’eternità, e negli spazi di risulta sono raffigurati, in alto, un animale quadrupede (agnello?) e un fiore a sei petali, mentre in basso due righe di scrittura. Particolare molto interessante in questa decorazione, è la presenza, all’interno di un clipeo, di una mano (destra) collocata al centro dei bracci della croce, la quale può rappresentare l’immagine simbolica di Cristo (o di Dio), alla stregua di quanto avviene per la croce dipinta dell’US 3149. L’altro dei citati esemplari vulturnensi è una lastra in pietra calcarea (IX secolo) sulla cui superficie è raffigurata, ad altorilievo, una croce patente lungo i cui bracci è realizzata un’iscrizione dalle lettere ben incise (fig. 19). All’incrocio dei bracci è rappresentato un grosso fiore a quattro petali nel cui nucleo centrale vi è un profondo incavo circolare, probabile alloggiamento per l’incastonatura di una gemma o più probabilmente di una pasta vitrea, dal momento che all’interno di questo sono visibili tracce di pigmento rosso.
Conclusioni L’indagine comparativa condotta ha permesso di poter definire alcuni importanti aspetti riguardanti non solo la croce vulturnense qui esaminata, ma anche di definire quale significato il tema della croce gemmata ha assunto nell’ambito della cultura carolingia. In virtù dei confronti effettuati, si è potuta elaborare un’ipotesi di ricostruzione grafica della ricomposta croce gemmata, immaginando due possibili solu-
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Notizie sul monumento sono in: Belli/Barsali 1959, pp. 37-38.
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zioni. Lo schema compositivo doveva prevedere, per i semiassi orizzontali e per quello verticale superiore, una doppia specchiatura ognuna contenente una gemma ovale bicolore, mentre per la parte inferiore del braccio verticale, questo duplice modulo si ripeteva due o tre volte36, ottenendo in questo modo una successione di quattro o sei specchiature. In relazione a queste ipotesi, si sono ottenute, orientativamente, le dimensioni della croce, la quale doveva essere larga 80 cm e lunga tra 90 e 120 cm, a seconda se consideriamo la doppia o triplice successione del modulo base di riferimento (fig. 20). Lo studio effettuato sui frammenti pittorici contenuti nell’US 3149, ha inoltre dimostrato che solo alcuni sono associabili alla croce gemmata e combacianti tra loro, mentre non esiste alcuna relazione con il resto dei frammenti della stessa US e delle altre UU.SS. più prossime, poiché rivelano motivi decorativi e tavolozza cromatica completamente diversa. Ciò consentirebbe di supporre che la decorazione parietale del loggiato doveva essere composta da una serie di riquadri o pannelli, separati tra loro mediante incorniciature, in cui erano inseriti i singoli soggetti iconografici. Come accennato in precedenza, il tema decorativo in esame nasce in età costantiniana assumendo subito uno specifico significato simbolico sostenuto da un programma di propaganda iconografica ad hoc. Allo stesso modo, in età carolingia, il motivo della croce gemmata acquisì notevole rilevanza, com’è del resto provato dai coevi esemplari vulturnensi qui esaminati. Non vi sono chronica di importanti centri di culto carolingio che non facciano menzione dei propri tesori in suppellettili necessarie per lo svolgimento delle funzioni liturgiche, consistenti generalmente in calici, antependia, paliotti, altari, legature d’evangelario, su molti dei quali il “nostro” motivo decorativo risulta puntualmente riprodotto. Non è da escludere che, nonostante indubbi elementi di continuità con le epoche più recenti, la popolarità del motivo della croce gemmata in epoca carolingia, di cui i reperti vulturnensi sono un indubbio significato testimonio, possa aver ricevuto un impulso dal clima di revival della tradizione iconografica e delle maniere artistiche tardoantiche, in virtù del fatto che Carlo Magno era considerato non sovrano del popolo tedesco ma un Augusto romano, ed era denominato il “nuovo Costantino”37. Il richiamo all’arte paleocristiana, può aver determinato la ripresa e un favorevole sviluppo del tema decorativo della croce gemmata. I grandi centri monastici benedettini, per volontà dello stesso imperatore, giocarono un ruolo rilevante nell’operazione di rinascita e riforma religiosa da lui promossa, ed a conferma di tale legame con suddetto ordine monastico, egli promulgò nel 789 la Admonitio generalis con cui impose l’adozione della regola be36
Per la ripetizione doppia si citano gli esempi di Sant’Apollinare in Classe, San Giovanni in Laterano e Galla Placidia, mentre tre volte si riscontrano in Santa Pudenziana, Codice Valeriano, Battistero degli Ariani, catacombe di San Gaudioso. 37 Bianchi 1988, p. 78. Sulla figura di Carlo Magno si veda inoltre: Halphen 1921; Hellmann 1932; Pirenne 1937; Pyritz 1937; Townend 1967; Buzzi 1970; Löwe 1978; Saitta 1983; Riche 1994; Delle Donne 2001; Barbero 2004; Hagermann 2004.
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nedettina in tutti i monasteri dell’impero. Tra le abbazie benedettine italiane, quella di San Vincenzo al Volturno suscitò grande interesse da parte del sovrano, giustificato dal fatto che, oltre a ricoprire politicamente un ruolo d’assoluto prestigio nell’ambito monastico, essa occupava una posizione geografica strategica, fondamentale per il controllo territoriale a metà strada tra nord e sud della nostra penisola. Nel 787 al cenobio vulturnense furono concessi da parte di Carlo Magno dei particolari privilegi (fiscali, giuridici e di scelta per il proprio abate), equiparandolo così alle più importanti abbazie del tempo. In definitiva, la “nostra” croce gemmata sembra ben inserirsi nel clima di “rinascita” che l’arte carolingia38 evidenziò fin dai suoi esordi; in modo particolare, l’esemplare vulturnense ci dimostra che, nel riprodurre tale soggetto iconografico, gli artisti carolingi riproposero il marcato rigore compositivo e la minuziosa cura dei particolari decorativi (sia pure con qualche variante prodotta dall’incontro nel corso dei secoli di tradizioni culturali tanto diverse tra loro) che erano stati tra i caratteri precipui degli esempi di epoca tardoantica, che abbiamo qui esaminato.
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Fig. 1. – Pianta area CL/W ambiente WA. Fig. 3. – Particolare croce incrocio dei bracci.
Fig. 2. – Ricomposizione frammenti croce gemmata.
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Fig. 5. – Ricomposizione lato est decorazione altare Chiesa Sud.
Fig. 4. – Ricomposizione lato ovest della decorazione altare Chiesa Sud.
Fig. 6. – Croce di Giustino II (recto).
Fig. 7. – Croce di Agilulfo.
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Fig. 9. – Pannello centrale altare di Vuolvinio. Fig. 8. – Croce di Desiderio (recto).
Fig. 10. – Croce gemmata mosaico S. Pudenziana a Roma.
Fig. 11. – Croce gemmata mosaico S. Apollinare in Classe a Ravenna.
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Fig. 12. – Croce gemmata catacombe di Ponziano a Roma.
Fig. 13. – Croce gemmata da S. Salvatore a Spoleto.
Fig. 14. – Croce gemmata in opus sectile da S. Sofia a Costantinopoli.
Fig. 15. – Capitello in S. Giovanni in Borgo a Pavia.
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Fig. 16. – Lastra con croce gemmata da S. Salvatore a Brescia.
Fig. 17. – Lastra di Sigualdo, battistero di Callisto a Cividale del Friuli.
Fig. 18. – Lastra detta dell’Agnus Dei da S. Vincenzo al Volturno.
Fig. 19. – Lastra con croce ed iscrizione da S. Vincenzo al Volturno.
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Fig. 20. – Ipotesi ricostruttive della croce gemmata US 3149 di S. Vincenzo al Volturno.
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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI MAGGIO MMV NELLO STABILIMENTO ARTE TIPOGRAFICA S.A.S. S. BIAGIO DEI LIBRAI - NAPOLI