La figura dell’inetto nei romanzi di D’Annunzio e Svevo L’Inetto Nel romanzo di fine ottocento alcuni autori iniziarono a parlare di un nuovo sentimento, l’inettitudine. Il termine deriva dal latino in + aptus (non adatto), che sottolinea l’incapacità dei soggetti che lo provano di inserirsi nel flusso vitale. L’inetto si sente frustrato e inferiore, giungendo a subire gli eventi, non è in grado di fare ciò che vorrebbe per mancanza di volontà, di forza e di determinazione. L’inettitudine ha radici molto profonde, infatti è l’espressione della situazione di artisti e uomini (principalmente del ceto medio e delle classi operaie) del novecento che, a seguito di profondi mutamenti nella società e nel modo di vivere, si trovano estranei al mondo e privi di scopo; basti pensare all’esponenziale sviluppo delle macchine in campo industriale e alla concentrazione monopolistica, che causarono nell’uomo del novecento la completa perdita di centralità dell’uomo nei processi produttivi e nella vita economica, che poteva quasi completamente sussistere con poca manodopera. Questo senso di smarrimento si tradusse in campo letterario (anche i letterati infatti provavano lo stesso senso di inutilità, di mancanza di un ruolo fondamentale) con la nascita di nuovi movimenti come il Decadentismo e di figure come l’inetto.
La scelta Questo particolare atteggiamento che l’inetto assume di fronte alla sua vita possa sembrare in antitesi con il concetto di scelta, tuttavia ne è profondamente legato e permette di fare una più ampia riflessione. La poca forza di volontà che l’inetto dimostra di avere non lo porta a non compiere scelte, bensì a non scegliere ciò che lui veramente vuole. È infatti inevitabile astenersi dal fare una scelta, dal momento che, anche non volendo farlo, si compie una chiara scelta: il “non-scegliere”.
Gabriele D’annunzio Andrea Sperelli È il protagonista de “Il Piacere”, romanzo scritto da D’Annunzio nel 1888 durante la fase dell’Estetismo. Sperelli, alter ego dell’autore, dimostra la sua inettitudine nel rapporto che ha con Maria Ferres, la donna che conosce dopo il rifiuto di Elena, sua antica amante. Il protagonista non è in grado di conquistare la donna (come non lo fu in precedenza con Elena) perche troppo debole, e non si capacita della prima delusione amorosa, arrivando anche ad immaginare l’amante passata nella nuova, e rivelando tutto il suo disagio.
Giorgio Aurispa Personaggio principale de “Il Trionfo della morte”, opera che segna il passaggio dall’Estetismo, con la morte dell’esteta, al Superomismo dannunziano. G. Aurispa manifesta la sua “malattia interiore” nel rapporto con la donna, Ippolita Sanzio, alla quale attribuisce tutti i mali che prova e che vede come sua nemica. Ciò che si evince tuttavia dalla vicenda (che non è descritta in modo chiaro e obiettivo, dal momento che tutto il romanzo è visto con gli occhi di Giorgio, offuscati dalla sua irresolutezza) è che la donna costituisce solo la maschera dietro cui si cela la sua inettitudine, che non è al di fuori di lui, come vuole credere, ma sta nella sua interiorità.
Claudio Cantelmo È nell’incompiuta scelta finale che Cantelmo, protagonista de “Le Vergini delle Rocce”, manifesta a pieno la sua inettitudine. Arrivato al punto di dover scegliere tra le tre figlie di un decaduto principe borbonico la donna destinata a dare alla luce il nuovo “Re di Roma”, che avrebbe posto fine alla decadenza degli ideali della Bellezza, il superuomo Claudio Cantelmo non riesce a decidere tra le sorelle e lascia incompiuto il suo progetto di riportare la classe aristocratica all’antico splendore, passo necessario alla rinascita della Bellezza.
Italo Svevo Alfonso Nitti Personaggio principale del primo romanzo di Svevo “Una Vita”, nel quale il tema dell’inettitudine è tanto centrale che lo stesso autore intendeva chiamare l’opera “Un Inetto”. Nitti, impiegato in banca, decide di fuggire nel momento in cui si trova a dover informare il padre di Annetta Maller, donna che ama, della loro relazione: Alfonso teme il sig. Maller, che è anche il capo della banca nel quale lavora e fugge, rivelando la sua scarsa capacità di affrontare la vita. Il disagio di Nitti si manifesta ancora più chiaramente quando, convintosi di tornare a Trieste dove aveva lasciato l’amata, la ritrova già sposata e quando tenta di riavvicinarla, il fratello della donna lo sfida a duello: Alfonso preferisce togliersi la vita che rischiare una nuova sconfitta.
Emilio Brentani Il secondo romanzo di Svevo, “Senilità”, ruota attorno alla figura di E. Brentani. Oltre al concetto di inettitudine, è propria di Brentani la caratteristica che il titolo del romanzo indica. Infatti il protagonista si comporta e agisce con quel torpore e l’inerzia di una persona avanzata nell’età, vivendo una vita monotona e ripetitiva. Questa condizione è il risultato della sua inettitudine, che lo porta a non impegnarsi e a non prendere posizioni difficili o faticose, ma a favorire la “routine” e il triste equilibrio che si è creato. L’episodio emblematico che rende evidente questa sua attitudine è il rapporto con Angiolina. Brentani idealizza la figura di questa donna con cui intrattiene una relazione amorosa; egli la ritiene innamorata di lui e, soprattutto, ignora i continui segnali che la donna aveva una relazione con un altro uomo. Anche dopo aver lasciato la donna, Brentani continuerà per il resto della sua vita a mantenere vivo il falso ricordo di una donna idealizzata, discostandosi sempre più dalla realtà.
Zeno Cosini L’opera più nota di Svevo, “La coscienza di Zeno”, è un diario che il protagonista decide di tenere su consiglio di un analista, al quale si era rivolto per riuscire a smettere di fumare. Il libro è un percorso che fa dell’inettitudine il tema centrale, a prova di ciò vi sono i vari capitoli del libro, i quali hanno come elemento comune il fatto di esporre diversi eventi della vita del protagonista in cui Zeno aveva dimostrato la sua mancanza di forza di volontà. Dal problema del fumo, che non riuscirà a risolvere, e per tutti i capitoli seguenti, Zeno ripercorre i momenti più significativi della sua vita in cui ritiene siano più evidenti i “sintomi” della sua malattia: la morte del padre, figura antitetica che aveva sempre rappresentato per Zeno la prova della sua debolezza, il suo matrimonio, l’amante che lo renderà pieno di sensi di colpa, l’associazione commerciale che lo indurrà a fare un confronto con il cognato, sempre migliore di lui, fino all’ultimo capitolo. Nel capitolo conclusivo l’autore comunica che Zeno Cosini non è riuscito a guarire del tutto dalla “malattia” e lo fa concludendo il libro con una riflessione che allude alla mancanza di guarigione, e non soltanto del protagonista ma dell’intera umanità: «La vita attuale è inquinata alle radici. […] Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. […]Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie » Italo Svevo, La coscienza di Zeno (cap.8)