John Ronald Reuel Tolkien
LE AVVENTURE
DI TOM BOMBADIL
Con la Prefazione dell'autore
BOMPIANI
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John Ronald Reuel Tolkien
LE AVVENTURE
DI TOM BOMBADIL
Con la Prefazione dell'autore
BOMPIANI
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J.R.R. Tolkien, Tolkien, The Th e Adventures of Tom Bombadil Bombadil
George Allen & Unwin Ltd., 40, Museum Street, London WC1 Copyright© 1962, George Allen & Unwin Ltd. This edition published publish ed by arrangement with HarperColl HarperCollins ins Publishers Ltd. 77-85 Fulham Palace Road, Hammers Hammersmith, mith, London W6 8JB ISBN 88-452-9043-3 Traduzione dall'inglese di Isabella Murro La versione italiana delle ballate numero 5, 7, 10 è tratta da J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli , con alcune varianti - traduzione di Vicky All Alliata iata di Villafranca Vil lafranca Bompiani 2000 © 2000 RCS Libri S.p.A. Via Mecenate 91 - 20138 2013 8 Milano Mila no I edizione Bompiani giugno 2000 Finito di stampare nel mese di giugno 2000 presso Cartolibraria Tiberina s.r.l. 06012 06012 Città di Castello (Per ( Perugia) ugia)
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PREFAZIONE
dell'autore Nel Libro Rosso si trovano molte poesie. Alcune di queste sono comprese nella narrazione della Caduta del Signore degli Anelli , o nelle storie e cronache ad essa collegate; molte altre si trovano su pagine sciolte, e altre ancora sono scribacchiate sui margini o negli spazi bianchi. Di queste ultime, la maggior parte sono poesie prive di significato (e oggi praticamente inintelligibili anche quando risultino leggibili) oppure frammenti ricordati a metà. Da questi marginalia provengono le poesie numero 4, 11 e 13; anche se un esempio migliore del loro carattere generale si può rinvenire nell'abbozzo della poesia di Bilbo "Quando l'inverno comincia a mordere": Il vento facea il gallo segnavento turbinare Al punto che la coda non riusciva a tener su; E il tordo che la brina faceva sì gelare Lumache e chioccioline non riusciva a beccar più. "È duro assai il mio caso!" il tordo lamentò, E "Tutto quanto è vano" il gallo replicò; Da allora il loro gemito non si fermò mai più. La presente raccolta è tratta dai pezzi più antichi, che riguardano per lo più leggende e gesta della Contea alla fine della Terza Era, e che pare siano stati composti dagli Hobbit, in particolare da Bilbo e i suoi amici, o dai loro diretti discendenti. La loro paternità, comunque, è raramente indicata. Le poesie estranee alla narrazione sono di mani diverse e sono probabilmente la trascrizione su carta di una tradizione orale. 4
Nel Libro Rosso si dice che la poesia numero 5 fu scritta da Bilbo e la 7 da Sam Gamgee. La 8 è contrassegnata SG, e tale attribuzione può essere accettata. Anche la numero 12 è contrassegnata SG, ma qui Sam può avere al massimo rimaneggiato un pezzo più antico della tradizione dei bestiari comici, dei quali gli Hobbit pare fossero appassionati. Nel Signore degli Anelli Sam afferma che la numero 10 era tradizionale nella Contea. La numero 3 è un esempio di un altro genere che sembrava divertire gli Hobbit: una poesia o storia la cui fine riprende l'inizio, e può così essere recitata finché gli ascoltatori non si ribellano. Se ne trovano molti esempi nel Libro Rosso, ma gli altri sono più semplici e rozzi; la numero 3 è la più lunga ed elaborata e fu evidentemente composta da Bilbo, come indica chiaramente la relazione con quella, più lunga, da lui recitata (quale composizione) nella casa di Elrond. In origine filastrocca in versi, nella versione di Rivendell risulta trasformata e riferita, un po' incongruentemente, alle leggende altoelfiche e númenoreane di Eärendil, forse perché Bilbo ne aveva inventato lo schema metrico, e ne andava fiero. Tale schema non compare in nessun'altra poesia del Libro Rosso. La forma più antica che è quella qui riportata - deve appartenere al periodo immediatamente successivo al ritorno di Bilbo dal suo viaggio. Sebbene l'influenza delle tradizioni elfiche sia evidente, esse non sono trattate in modo serio, e i nomi usati ( Derrilyn, Thellamie, Belmarie, erie) sono pure invenzioni in stile elfico, che in realtà elfiche non lo sono affatto. L'influenza degli avvenimenti alla fine della Terza Era e l'ampliamento degli orizzonti della Contea in seguito ai contatti con Rivendell e Gondor, appare in altre poesie. L'ultima (la numero 16) e la numero 6 - sebbene sia qui posta accanto all'"Uomo della Luna" di Bilbo - in definitiva devono essere fatte derivare da Gondor: esse sono chiaramente basate sulle tradizioni degli Uomini che vivevano lungo le coste e per i quali i fiumi che sfociavano nel mare erano un paesaggio familiare. La numero 6, infatti, menziona proprio Belfalas (la baia ventosa di Bel), e la Torre sul Mare, Tirith Aear, di Dol 1 mroth. La poesia 16 parla dei Sette Fiumi che scorrevano nel mare nel Regno del Sud e usa anche il nome gondoriano di forma alto-elfica 2 Fíriel, cioè donna mortale. A Rivalunga e a Dol Amroth c'erano molte 5
tradizioni di antiche dimore elfiche, e del porto alla foce del Morthond dal quale erano salpate le navi dirette a occidente ai tempi della caduta di Eregion, nella Seconda Era. Queste due poesie, quindi, sono solo dei rimaneggiamenti di materiale di origine meridionale, anche se probabilmente erano giunte a Bilbo attraverso Rivendell. Anche la numero 14 deriva dalla tradizione di Rivendell, elfica e númenoreana, riguardante i tempi eroici alla fine della Prima Era; essa infatti sembra contenere echi del racconto númenoreano di Túrin e del Nano Mim. Le numero 1 e 2 derivano chiaramente dalla Terra di Buck. Rivelano infatti una conoscenza della regione e del Dingle (la valle 3 boscosa del Sinuosalice) che nessun Hobbit a ovest delle Paludi poteva avere; e mostrano anche che gli abitanti della Terra di Buck conoscevano Bombadil4 anche se, senza dubbio, non ne comprendevano i poteri, esattamente come gli Hobbit non comprendevano quelli di Gandalf: entrambi erano considerati persone benevole, misteriose forse, e imprevedibili, ma ciononostante comiche. La prima poesia è il pezzo più arcaico ed è composto da varie versioni 4 hobbit di leggende riguardanti Bombadil . La numero 2 attinge a tradizioni simili anche se la bonaria canzonatura di Tom si trasforma qui in burla ai suoi amici, che ne sono divertiti (seppure il divertimento è permeato di una certa paura), ma probabilmente fu scritta molto più tardi, e dopo la visita di Frodo e i suoi compagni alla casa di Bombadil. Le poesie di origine hobbit qui presentate hanno, in linea generale, due caratteristiche in comune. Fanno uso di parole strane e di artifici metrici: nella loro semplicità, evidentemente, gli Hobbit consideravano queste cose delle virtù, anche se erano senza dubbio semplici imitazioni di pratiche elfiche. Inoltre sono allegre e frivole, almeno in apparenza: a volte può infatti sorgere l'inquietante sospetto che ci sia qualcosa di più tra le righe. Un'eccezione è rappresentata dalla numero 15, sicuramente di origine hobbit. È il pezzo più recente ed appartiene alla Quarta Era, ma è stato incluso lo stesso perché qualcuno vi ha scribacchiato il titolo Il Sogno di Frodo. Il particolare è degno di nota e, sebbene sia molto improbabile che quella poesia l'abbia scritta Frodo in persona, il titolo dimostra che essa veniva associata agli oscuri sogni disperati che tormentarono Frodo in marzo 6
e in ottobre nel corso degli ultimi tre anni. Ma c'erano sicuramente altre tradizioni riguardanti quegli Hobbit che venivano presi dalla "follia del vagabondare" e che - se mai facevano ritorno - erano poi strani e taciturni. Il pensiero del mare era sempre presente nello sfondo dell'immaginario degli Hobbit, ma la paura che ne avevano e la diffidenza verso tutta la tradizione elfica rappresentarono l'atteggiamento prevalente nella Contea alla fine della Terza Era, e gli eventi e i cambiamenti che misero fine a quell'era di certo non riuscirono a dissiparlo del tutto.
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LE AVVENTURE DI TOM BOMBADIL
Il vecchio Bombadil era un tipo assai allegro; stivali gialli aveva e la giacca color cielo, cinture e brache in cuoio, colore verde prato; sul cappello una piuma che a un cigno avea strappato. Viveva sotto il Colle, ove da fonte erbosa scendeva il Sinuosalice alla valle boscosa. Il vecchio Tom d'estate sui verdi prati andava 8
cogliendo dei ranuncoli, le ombre rincorreva, solleticava i bombi che ronzavan di fiore in fiore, sulla sponda del fiume sedea per ore ed ore. E mentre la sua barba penzolava sotto l'onda affiorò la figlia del fiume: Baccador la bionda; lo tirò per la barba e lo fece cascare sotto le ninfee del fiume, rischiava d'affogare. "Ehi Tom Bombadil! Dove mai stai andando?" gli disse Baccadoro. "Le bolle stai facendo, spaventi tutti i pesci e il topo di campagna, fai trasalir gli svassi, la tua piuma si bagna!" "Bella fanciulla devi il mio cappello riportare" Tom Bombadil le disse. "Non ci tengo a sguazzare. Su scendi e dormi ancora dove l'acque son nell'ombra sotto le radici del salice, oh signora dell'onda." A casa di sua madre, nelle profonde fosse, Baccador ritornò. Ma Tom, lui non si mosse; su radici nodose sedette sotto il sole ad asciugar la piuma, dei suoi stivai le suole. Si destò l'Uomo-Salice e prese sì a cantare che tra i rami ondeggianti Tom fece addormentare. Lo afferrò e: snick! Lo strinse in una fessura; intrappolò Tom Bombadil: piuma, giacca e cintura. "Ah, caro Bombadil! Che mai stavi pensando? Perché dentro il mio tronco mi stavi tu spiando Solleticando il viso, e con la tua piumaccia come un giorno piovoso, mi gocciolavi in faccia?" "Uomo-Salice, avanti! Fammi subito uscire! Non sei come un cuscino: mi sento indolenzire sulle radici dure. L'acqua ritorna a bere! E come Baccador, tornatene a dormire! 9
Uomo-Salice lo lasciò, sentendolo parlare; richiuse scricchiolando la sua casa e prese a borbottare, a sussurrar nel tronco. Dalla valletta uscì e risalendo il Sinuosalice Tom proseguì. Sotto il bosco frondoso sedette ad ascoltar gli uccelli sopra i rami fischiare e cinguettar; attorno alla sua testa una farfalla svolazzante; saliron nubi grigie e calò il sole all'orizzonte. Allora s'affrettò. Prese la pioggia a picchiettar e sul fiume che scorreva cerchi a disegnar. Le foglie gelide al vento facea gocciolar e in un buco al sicuro Tom si andò a riparar. Uscì allora il Tasso: la fronte bianca aveva e gli occhietti scuri. Nel colle lui scavava con moglie e figli. Presero Tom per il cappotto, lungo le gallerie lo trascinaron di sotto. Nella tana segreta sedetter borbottando: "Ehi, Bombadil! Da dove sei venuto ruzzolando, sfondandoci la porta? Noi Tassi t'abbiam preso. Non lo scoprirai mai, qual strada abbiam disceso." "Ehi tu, Tasso, mi senti? Io ti devo parlar. Fammi uscire all'istante! Me ne devo andar. Guidami all'altra uscita sotto il cespuglio di rose; poi, puliti nasi e zampe, che son sudicie e terrose; tornate sulla paglia a dormir nel vostro anfratto come Baccador la bella e l'Uomo-Salice han già fatto." "Scusaci!" disse il Tasso assieme ai suoi figli. Gli mostraron l'uscita dal giardino di cespugli. Tornarono tremanti a nascondersi, e le entrate bloccarono mettendoci della terra a palate. La pioggia ormai era passata, il cielo già schiariva, nel crepuscolo estivo ridendo rincasava. 10
Aprì la porta, una delle imposte spalancò; in cucina attorno al lume una falena svolazzò. Guardò dalla finestra di stelle un ciel splendente, e la sottile luna nuova che calava a ponente. Accese una candela ché la notte era già scesa, scricchiolando salì le scale - sulla maniglia fece presa: "Ehi, Tom! Guarda la notte che cosa ti ha portato: son qui dietro la porta. Alfine t'ho acciuffato! Son lo Spettro dei Tumuli, vivo sul monticello In cima al colle dove di pietre c'è un anello; son libero e sottoterra ti voglio trascinare povero Tom: pallido e freddo ti farò diventare!" "Va' via! Chiudi la porta, e non tornar più indietro con gli occhi luccicanti e quel tuo sorriso bieco. Torna al monticell'erboso e sul tuo guancial sassoso posa la testa ossuta, ritorna al tuo riposo; come l'Uomo-Salice, i Tassi e Baccadoro, torna al tuo dolor segreto, al tuo sepolto oro." Fuggì allora lo Spettro; dalla finestra andò; oltre il cortile e il muro come un'ombra volò. Tornò all'anel di pietre sul suo Colle gemendo, di nuovo sottoterra, l'ossa tintinnar facendo. Il vecchio Tom si riposò sul suo guanciale, lieto, più tenero di Baccador, del Salice più quieto, dei Tassi o degli Spettri meno pericoloso; qual mantice od armonica russò Tom rumoroso. Al mattino si destò e prese a fischiettare: "Cara dol, bella dol, amor!" si mise a cantare; cappello, giacca, piuma e stivali poi indossò e al bel giorno assolato la finestra spalancò. Tom Bombadil il saggio era un tipo prudente, stivali gialli aveva e una giacca blu squillante; 11
sui colli o nella valle nessun mai lo sorprese né lungo il Sinuosalice né per le strade che prese, negli stagni di ninfee, o in barca in mezzo all'onda. Ma un giorno Tom sorprese Baccador la bionda: tutta verde tra i giunchi, coi fluenti capelli, Tra i cespugli cantava canti acquatici agli uccelli. La prese e tenne stretta! Un airone gridava, le canne sibilavano, il cuor le palpitava. Tom disse: "Ora ti porto a casa mia fanciulla; la tavola è imbandita e non ci manca nulla: crema dorata e miele, c'è il burro e pure il pane, le rose alla finestra e attorno alle persiane. Verrai a Sottocolle! A tua madre non pensare: tra le alghe del suo stagno l'amor non puoi trovare!" Tom ebbe un matrimonio davvero assai gioioso: al posto della piuma, ranuncoli avea lo sposo; la sposa non-ti-scordar-di-me e gigli tra i capelli vestita in verde-argento; lui cantava come i fringuelli, ronzava come un'ape, ballava al suon del violino tenendo la sua sposa al sottile vitino. Bianco era il letto e le lanterne in casa accese, la luna splendeva e il popol dei Tassi scese danzando a Sottocolle; e mentre la coppia dormiva sul cuscino, alla finestra l'Uomo-Salice bussava; tra le canne la donna del fiume sospirava e sentiva lo Spettro che nel tumulo gemeva. Tom Bombadil alle voci non badò né al bussare, ai colpi ed alle danze, a tutto quel rumore, ma dormì fino all'alba e poi prese a cantare come storno: "Cara dol, bella dol, amore!" Seduto sull'uscio rami di salice tagliava mentre Baccador le bionde trecce pettinava.
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BOMBADIL VA IN BARCA
L'anno vecchio imbruniva e il vento dell'Ovest soffiava; Tom prese una foglia di faggio nella foresta che già si spogliava ; "Le brezze oggi mi donano un bel giorno felice; perché aspettare l'anno prossimo? Lo godrò quando più mi piace. . Oggi riparerò la barca e seguendo la corrente partirò alla ventura secondo il mio capriccio, verso occidente." "Ehi Tom!" l'Uccellin disse, "ti sto ad osservare; dove il tuo capriccio ti porta, credo di indovinare. Devo andare a dirgli che ti venga ad incontrare?" "Non dirglielo, chiacchierone, o ti ritroverai spennato; ciò che non ti riguarda in ogni orecchio vuoi mormorare! 13
Se dici a Uomo-Salice dove io sono andato Ti arrostirò allo spiedo e finirai di spiare!" Lo scricciolo sbatté la coda e cinguettando poi volò: Prima mi devi prendere! Non serve che glielo dica. Lui capirà il messaggio che all'orecchio gli sussurrerò. 'Giù al Mithe' dirò, 'del sole al tramontare.' Presto! Affrettati! Quella è l'ora per bere!" Tom rise tra sé: "Forse allora lì andrò. Potrei scegliere un altro modo, ma oggi in barca viaggerò." I remi piallò, la barca poi aggiustò: da un crepaccio segreto, sotto un ontano curvo, la trainò tra i salici e il canneto. Poi scese lungo il fiume e canticchiando disse: "Su scorri Sinuosalice su bassifondi e abissi!" "Ehi, Tom Bombadil! Dove stai andando, mentre ballonzoli su e giù nel tuo guscio remando?" "Forse lungo il Sinuosalice arriverò al Brandivino; forse i miei amici per me un fuoco stanno accendendo giù a Finecampi. Conosco lì un popol piccino gentile quand'è sera. Ci vado di quando in quando." "Dì una parola alla mia gente; loro notizie mi puoi portare! Dimmi dei pesci i nascondigli, delle pozze ove mi posso tuffare! " "No, guarda," disse Tom, "io sto solo remando per annusare l'acqua, messaggi non vo portando." "Ehi, che vanitoso! La tua bagnarola potrebbe affondare! Attento ai rami del salice! Riderei nel vederti ompantanare!" "Parla di meno, Pescator! Il tuo augurio ti puoi tenere! Vola via e con le lische di pesce le tue piume va' a lisciare. Sul ramo sei un signore, ma a casa sei un briccone, pur se hai il petto scarlatto, sporca è la tua abitazione. Ho visto uccelli pescatori il becco in aria dondolare ridotti a mostrar dove tira il vento: così smetti di pescare!" 14
Chiuse il becco il Martin Pescatore, sbatté gli occhi quando sotto il ramo passò Tom cantando. Flash ! Scappò volando; una piuma, che Tom acchiappò, blu come un gioiello, fece cader scintillante nel sole: un bel dono, Tom pensò. La vecchia piuma gettò, appuntando questa al suo cappello. "Oggi Tom è in blu: un color resistente e vivace" osservò. Turbinavano anelli attorno alla barca e vide bolle frementi. Splash ! Tom con il remo colpì un'ombra nella corrente. "Ehi Tom! Dall'ultima volta quanto tempo è già passato! Che ne dici se ti capovolgo? Un barcaiolo sei diventato?" "Che? Piccolo baffuto, vuoi che sul fiume in groppa mi faccia portar, e, spronandoti con le dita, la tua pelle faccia tremar?" "Puah! Tom Bombadil! E io andrò a dirlo a mia madre; 'Chiamate tutti i parenti: sorella, fratello, padre! Tom è scemo come un'oca dalle zampe di legno: ora sta remando lungo il Sinuosalice, a cavai d'una tinozza sta andando!'" "Darò il tuo pelo di lontra allo Spettro che ti concerà e in anelli d'or ti soffocherà. Solo dai baffi potrà Tua madre, vedendoti, riconoscere il figlio Non stuzzicare Tom finché tu non sia più sveglio!" "Woosh !" fece la piccola lontra e l'acqua ovunque spruzzò
su Tom e il suo cappello; sotto la barca si tuffò facendola ondeggiare, e dalla riva rimase a guardare finché l'allegra canzone di Tom non sentì svanire. Passò superbamente, dell'Isola degli Elfi il Vecchio Cigno che rumoroso a Tom sbuffò, con sguardo arcigno. Tom rise: "Cigno, senti della tua piuma la mancanza? Beh dammene una nuova, l'altra era lisa abbastanza. Se tu parlassi gentilmente, t'amerei più caramente; lungo collo e gola muta, ma sei arrogante ugualmente! 15
Se un giorno il Re ritorna potresti essere acciuffato e sarai meno altero quando il tuo becco avrà marchiato!" Risentito, il Vecchio Cigno soffiò, e nuotando veloce andò via; ballonzolando Tom remò seguendo la sua scia. Tom arrivò alla diga dove il fiume precipitava tra gli spruzzi nelle acque calme di Windle spumeggiava; Tom finì oltre le rocce come foglia turbinando, giunse al porto Grindwall come tappo di sughero dondolando. "Ecco Tom dei Boschi, con quella barbetta viene avanti!" rise tutta la piccola gente di Breredon e Finecampi. "Attento Tom! Con gli archi e con le frecce ti colpiremo! Né alla gente dei Boschi né agli Spettri traversar lasceremo il Brandivino né su un guscio di noce né con i traghetti." "Vergogna! Non siate così allegri, voi panciuti nanetti! Ho visto Hobbit nascondersi nei buchi spaventati solo perché un caprone o un tasso li avea guardati; o, impauriti dai raggi della luna, la loro ombra scansare. Andrò a chiamar gli orchetti: questo vi farà scappare!" "Di te non abbiam paura: parla pure dalla tua barba. Ecco tre frecce nel tuo cappello! Chiama pure chi ti garba! E adesso dove vorresti andare? Se la birra vai cercando, le botti di Breredon, per poterti saziare, non sono abbastanza fonde." "Lontano oltre il Brandivino allo Shirebourn son diretto ma per il mio guscio il fiume scorre troppo in fretta. Benedirei quegli hobbit che mi portassero con le chiatte, gli augurerei belle serate e felici mattinate." Rosso scorreva il Brandivino come da fiamma acceso; pian pian divenne grigio poi che oltre la Contea il sole fu disceso. Mithe era deserto, nessuno a salutarlo c'era. Silente la Strada Maestra. Tom disse: "Buona sera!" Mentre per la strada andava la luce declinava. 16
Più avanti, a Sirte, brillavan le luci. Sentì una voce che chiamava. "Ehi là!" s'arrestarono i pony e le ruote, scivolando; senza guardarsi accanto Tom passò avanti, arrancando. "Ehi! Mendicante che vieni nelle Paludi a vagabondare! Hai il cappello infilzato di frecce! cosa vieni a cercare? T'hanno intimato di andartene, t'han sorpreso che stavi rubando? Adesso vieni qui, e dimmi cosa stai cercando! Birra della Contea - scommetto - seppur non puoi pagare. Dirò a tutti di chiudere gli usci, così non ne potrai bere!" "Bene, Piedimelma! Proprio un bel modo di salutare, per uno che è in ritardo: incontrarmi a Mithe avresti dovuto! Dovresti essere più gentile, tu che per l'affanno non puoi camminare, e come un sacco ti fai trasportare, vecchio fattore panciuto! Avaro, sacco di lardo! Un mendicante non può fare lo schizzinoso o - peggio per te - via ti farò andare. Forza Maggot! Fammi salire! Ora un boccale mi devi; anche alla luce serale un vecchio amico riconoscer dovevi!" Ridendo se ne andarono e a Sirte non si vollero fermare, sebben la locanda fosse aperta e il profumo del malto potevan sentire. Presero il Viale di Maggot, sferragliando e sobbalzando, e sul carro Bombadil stava danzando e saltellando. Le stelle brillavan su Banfurlong, da Maggot tutto era illuminato. il fuoco in cucina ardeva per dare all'ospite il benvenuto. Il figli di Maggot s'inchinaron, dalle figlie Tom fu riverito; la moglie arrivò coi boccali di birra per chi fosse assetato. Ebbero canti e allegri racconti, la cena, e poi tutti a ballare; il buon Maggot nonostante la stazza si mise a saltellare, e Tom ballava la piva, quando la birra non tracannava; le figlie facevano il girotondo, e la padrona rideva. Quando su paglia, felci o piume gli altri andarono a letto, con le teste poggiate vicine, accanto al caminetto, 17
Tom e Piedimelma le ultime notizie si vollero scambiare di Tumulilande e i Colli Torrione: di camminate presero a parlare e di cavalcate; d'orzo e frumento, di semine e raccolti; discorsi dalla fucina e dal mulino; da Brea strani racconti ; e voci tra gli alberi sussurranti, il vento del sud tra i pini; degli alti Guardiani al Guado, dell'Ombre lungo i confini. Maggot infine s'addormentò vicino alla cenere spenta; prima dell'alba Tom era andato: come un sogno che a metà si rammenta, a volte allegro, a volte triste, a volte premonitore. Nessuno sentì della porta che s'apriva il minimo rumore; a Mithe non lasciò traccia, lavò la pioggia le sue impronte; e non s'udirono a Finecampi il suo canto o il suo passo pesante. Al porto di Grindwall la barca di Tom tre giorni ferma restò ma poi un mattino lungo il Sinuosalice essa ritornò: gli hobbit dissero che le lontre una notte la slegaron, la trascinarono oltre la diga, controcorrente la trasportaron. Dall'Isola degli Elfi il Vecchio Cigno venne scivolando, nel becco teneva la cima, la barca stava trascinando, orgoglioso la tirava; le lontre a fianco gli nuotavan tra le radici dell'Uomo-Salice esse lo guidavan; il Martin Pescatore stava sulla prora, lo scricciolo stava cantando; allegramente quel guscio di noce a casa stavan portando. Giunsero all'insenatura di Tom; la piccola lontra esclamò: "Cos'è un'oca senza zampe, o un pesce senza pinne, dimmi un po'?" Oh! Per tutte le correnti! I remi avean scordati! Prima che Tom li riprendesse, a lungo a Grindwall furon lasciati.
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IL CAVALIERE ERRANTE
C era un allegro passegger, un marinaio, un messagger: si fabbricò una gondola per navigare e vi stivò d'arance gialle un carico; e aggiunse anche una zuppa che con maggiorana profumò e cardamomo vi versò. Aiuto ai venti domandò chiese di farsi trasportar; così agilmente attraversò i fiumi senza più tardar. 19
In solitudine approdò dove son pietre e ciottoli sul dolce fiume Derrilyn che allegro sempre scorre e va. Poi dai pianori arrivò a Terra-d'Ombra, arida; colline su e giù passò, percorse ancor la stanca via. Cantò poi una melodia tardando il suo vagabondar; e una farfalla per la via voleva ora lui sposar. Lei lo derise e beffeggiò e lo schernì senza pietà; allor magie, incantesimi, stregonerie lui studiò. D'aria una rete ricamò: la farfalla volea impigliar; per inseguirla, ali con piume e membrane volle far. Così la prese di sorpresa con una ragnatela tesa; fece un palazzo soffice di gigli, e un bel letto nuzial di fior, corolle e calici per rifugiarsi e riposar; con veli e seta la vestì, di luce bianca e argentea. Gemme in collane poi infilò ma incauta lei le sparpagliò: litigio amaro cominciò; afflitto allor vagabondò; ad appassire la lasciò, e via, tremante, poi fuggì; con un bel vento s'affrettò 20
seguendo ali di rondini. Attraversò arcipelaghi ove crescon le gialle calendule e infinite fontane argentee ci sono e monti tutti d'or. Prese a predar e a guerreggiar, a saccheggiare oltre il mar, vagabondò per Belmarie e Thellamie e Fantasie. Lo scudo e un elmo fabbricò d'avorio e di corallo, smeraldi in spada poi forgiò e a guerra andò terribile contro gli Elfi di Aeria; e i paladin di Faeria, coi lampi agli occhi e i capei d'or, in groppa lo voller sfidar. Corazza di cristallo avea, di calcedonia il fodero; la lancia tutta d'ebano al plenilunio rilucea. I giavellotti in malachite e stalattite lui brandì, e combatté libellule del Paradiso e le ferì. Coi calabroni battagliò cervi volanti e api e il favo d'oro conquistò; e corse a casa oltre i mar la nave sua di foglie era, le vele erano boccioli; sedette e incominciò a cantar e l'armatura a lucidar. 21
Per un pochino poi indugiò su solitarie isole ove soltanto erba trovò; così alfin prese la via, girò e tornò a casa sua, ma il favo d'or gli ricordò il suo messaggio e la mission! Tra audacie ed incantesimi, preso dai viaggi e dai tornei s'era dimenticato. Sì ora deve ripartir, rifare la sua gondola, per sempre ancora deve andar, un messagger che suol tardar; come una piuma è il suo vagar che dal tempo si fa guidar.
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LA PRINCIPESSA ME
Principessina Me Più bella non c'è, I canti elfici narrano: Perle tra i capelli Intrecciati e belli; Di fili d'or di ragnatela Un fazzoletto aveva, E stelle argentee Qual collana attorno al collo. Leggero qual falena, Bianco come luna, Un cappotto lei indossava; Sulla gonna sua 23
C'era una cintura Con diamanti di rugiada. rugiada. Se di giorno va Manto grigio ha Blu screziato è il suo cappuccio; Ma di notte poi Risplende lei Sotto il cielo blu stellato: Fragili scarpe Di squame di carpe Brilla Br illan n mentre lei avanza Sullo stagno ove danza, E si mette a giocar Sullo specchio d'acqua senza vento. Come velo di luce, In un volo vivace, Qual cristallo cristallo le l e brillava Ovunque il piedin Leggero e argentin Sulla pista volteggiava. volteggiava. Guardò Guardò all'insù all 'insù Verso Verso il cielo blu Poi guardò la riva ombrosa; ombrosa; Poi si girò Gli occhi occhi abbassò Sotto a lei vide danzare Principessa Te Bella come Me: Punta a punta esse ballavan! Te era leggera Come Me, e splendeva Ma Te era, strano a dirsi, Con la testa in giù: Stelle per corona In un pozzo pozzo senza fondo! fondo! 24
E le sue ciglia Con gran meraviglia Fisse sugli occhi occhi brillanti di Me: Strana cosa par A testa in giù danzar dan zar Sopra un mare pien di stelle! Solo con i piè Si toccavan Me e Te; Chi mai poteva dire Dove trovar Da poter star Entrambe a testa in giù nel cielo: Nessuno lo sapeva Né lo s'imparava Dalle elfiche magie. Così, come allor, Me danza ancor Come prima, ma è sola: Con perle in testa, Con la sottoveste, Le fragili scarpe Di squame di carpe andava Me: Di squame di carpe Le fragili scarpe, Con la sottoveste, Con perle in testa andava Te!
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L'UOMO DELLA LUNA RIMASE ALZATO TROPPO
C'è una loc l ocanda, anda, un'allegra un'all egra locanda, locanda, Sotto un vecchi vecchioo coll collee grigio, grigi o, Ove la birra è così scura, Che anche an che l'Uomo l'Uomo della della Luna È sceso un giorno a berne un sorso. Lo stalliere ha un gatto ga tto brillo, brillo, Che suona un violino a tre corde; Su e giù gi ù scorre scorre l'archetto, Stridulo a volte, a volte cheto, Ed a volte un solo trillo. L'oste invece ha un cagnolino 26
A cui piacciono gli scherzi; Se gli altri ridono, davanti al camino, Rizza l'orecchio ad ogni battuta, Sghignazzando come un mattaccino. Tengono anche una signora mucca, Più orgogliosa di una regina, Ma la musica le fa girar la testa, Ed agitar la coda in segno di protesta, E ballare allegra sull'erba verdina. Se solo vedeste i piatti d'argento, Ed i cassetti pieni di posateria ! Per la Domenica un servizio speciale Si lucida sempre in lavanderia, Il Sabato quando il sole cala lento. L'Uomo della Luna beveva in abbondanza, Ed il gatto brillo si mise a miagolare, Un piatto ed un cucchiaio iniziaron la danza, E la mucca in giardino saltava con baldanza, E il cagnolin la coda cercava d'afferrare. L'Uomo della Luna bevve un altro sorso E poi rotolò giù dalla sedia sul dorso; Lì si addormentò, sognando la birra scura, Finché le stelle in cielo sbiadiron nell'aria pura, E l'alba s'alzò rosa senz'ombra di paura. Disse lo stalliere al suo gatto brillo: "I cavalli bianchi della Luna Nitriscono e mordono il morso, Ma il loro padrone è disteso sul dorso, E fra poco il Sole inizia il suo percorso". Allora il gatto suonò sul suo violino Una musica da far rizzare i morti lì vicino, Squillava, grattava e strimpellava, 27
Mentre l'oste, scuotendo l'Uomo della Luna, "Sveglia, son passate le tre!", gli gridava. Trasportarono l'Uomo su per il colle, E l'infilarono svelti nella Luna, I cavalli partirono a galoppo folle, La mucca arrivò saltando come sulle molle, Piatto e cucchiaio andarono in cerca di fortuna. Sempre più svelto suonava il violino, Incominciò a ruggire il cagnolino, Mucca e cavalli camminavan sulla testa, Gli ospiti saltaron dal letto per far festa, E tutti danzarono al suono dell'orchestra. Ma la corda del violino si ruppe ad un tratto, E la mucca saltò al di là della Luna, Il cagnolino rise; divertente era il fatto, Ed il piatto del Sabato andò a cercar fortuna Col cucchiaio d'argento di Domenica ventura. La Luna tonda rotolò dietro il colle, Ed il Sole rizzò la bionda e la fiera testa, Ma subito si disse: "Sogno o son desta?". 5 Malgrado la sua luce illuminasse a festa, Tutti tornarono a letto dopo la notte folle!
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L'UOMO DELLA LUNA SCESE TROPPO PRESTO
L'Uomo della Luna avea scarpe d'argento la barba di fili luccicanti D'opali incoronato, le perle avea cucito alla cintura sul davanti. Nel suo manto grigio camminava un giorno sul pavimento che splendeva Con la chiave di cristallo in gran segreto una porta d'avorio apriva. Una scala in filigrana di capelli luccicanti agilmente in discesa imboccò; Felice e contento d'esser libero alfine in una folle avventura si gettò. 29
I bianchi diamanti più non amava: era stanco del suo minareto, Delle pietre lunari solitarie e alte, del paesaggio montuoso consueto. Ogni rischio avrebbe corso per poter ornare di rubini il suo pallido vestir; Per nuovi diademi di gemme brillanti, di smeraldi e di zaffir. Era solo e non aveva mai nulla da fare che fissare il dorato mondo E ascoltarne il ronzio da lontano venire mentre allegro girava in tondo. Al plenilunio sulla luna d'argento nel suo cuore il Fuoco bramava: Non le limpide luci di pallide seleniti, il rosso lui desiderava, Il cremisi e il rosa, l'ardor della brace di fiamme l'infuocata cresta; I cieli scarlatti di un'alba improvvisa un giovane giorno in tempesta. Voleva mari blu e i colori vivaci di paludi e verdi foreste, E bramava la gaiezza della terra popolosa, dell'uomo il temperamento ottimista. Invidiava i canti e le lunghe risa, il vino e una calda vivanda, Mentre sol dolci periati di neve mangiava, raggio di luna la sua bevanda. Muoveva i piedi rapidi pensando al marsala e alla carne in gran copia sul pianeta; Non s'accorse d'inciampar sulla ripida scala e cadde come una cometa: Qual meteora, quella notte, prima di Natale, venne giù luccicando come argento, Dalla scala sottile in un mare schiumoso 30
nella Baia di Bel piena di vento. Cominciò a pensare, per non annegare, che cosa avrebbe fatto, Quando un peschereccio lo avvistò in mezzo al mare e l'equipaggio, stupefatto, Lo prese dalla rete luccicante e bagnato nel suo abito fosforescente Di luce d'opale e bianco azzurrato e verde trasparente. Contro il suo volere a terra fu spedito col pesce del mattino: "Dovreste cercarvi un buon letto" gli fu detto, "la città è qui vicino." Solo l'alta Torre della riviera diede con la lenta campana L'annuncio di questa strampalata crociera in quell'ora inopportuna e strana. Non v'era un fuoco acceso né colazione pronta, e l'alba era fredda e brumosa; Era cenere il fuoco e l'erba fango, il sole una lampada fumosa In un vicolo scuro. Nessuno incontrò né voce intonava un canto Ma solo sentiva il russar della gente che avrebbe dormito ancora tanto. Bussò, passando, a porte ben serrate e invano urlò e chiamò; Finché giunse a una locanda con finestre illuminate e al vetro lui bussò. Un cuoco addormentato lo guardò accigliato e "Che vuoi?" gli domandò. "Voglio un fuoco, e oro, e un canto antico, e vino rosso che scorra à gogo!" "Non li troverai qui" diss'ei con torva occhiata, "ma voglio farti entrare. 31
Argento non ho, né seta ricamata forse potrai restare." Un dono d'argento per aprire il chiavistello, una perla per poter l'uscio varcar, Per sedersi con il cuoco vicino al fuoco altre venti ne dovette dar. Da mangiare e bere nulla potè avere finché non consegnò corona e manto. In una ciotola di terracotta, annerita e rotta da mangiare ebbe soltanto Zuppa ormai raffreddata, da due giorni avanzata, con un misero mestolo in legno. Troppo presto, quello sciocco, sulla Terra era arrivato per un pasto del Natale degno: Fu una pazza spedizione, per quell'ospite avventato giunto dal suo lunare regno.
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IL TROLL DI PIETRA
Seduto solo sul suo sedile in pietra il Troll Sgranocchiava e rosicchiava un vecchio osso liso e rotondo, Da molti anni lo rosicava Poiché carne non se ne trovava. Bruca, rosica, morde! In una grotta solitario abitava, E di carne non se ne trovava. Arriva Tom coi suoi stivali gialli, Dice al Troll: "Toh! Che fai lì! Di mio padre Tim quello lo stinco pare tanto, 33
Che dovrebbe invece stare al camposanto. Caverna, grotta e cimitero! Da anni se n'è andato il nostro Tim compianto, Ed io credevo proprio che fosse al camposanto" "Amico", disse il Troll, "quest'osso qui io l'ho rubato. Ma ossa in un buco non han significato. Tuo padre era ormai scheletro stecchito Quando del suo stinco mi sono impadronito ! Morto, defunto e seppellito! Lui può dare lo stinco a un vagabondo Perché non ha bisogno del suo osso rotondo". Tom disse: "Non vedo perché Può far quello che gli pare un tipo come te, Con lo stinco o la gamba del mio papà, Perciò quell'osso dammi qua. Pirata, ladro e farabutto! Anche s'è morto gli appartiene ancor tutto, Perciò dai qua quell'osso, o mi faccio brutto!". "Ho una buona idea", disse il viandante sghignazzando, "Ora mangio anche te, ed il tuo stinco masticando Infine un po' di carne fresca potrò assaporare! Anzi è meglio seduta stante incominciare! Vedrai, morirai, pagherai! Son stufo ossa vecchie di dover sgranocchiare, Ho voglia la mia fame con te di saziare". Ma credeva ormai di aver il pranzo pronto, Che con un pugno di mosche rimase come un tonto, In quattr'e quattr'otto Tom gli fu dietro, E gli diede un possente calcio nel retro. Così impari, soffri e sconti! Tom pensò che un calcio nel posteriore Sarebbe stata la cosa migliore. 34
Ma dura come pietra è la carne di un Troll, Seduto su di un colle da anni ed anni, solo al mondo, Dargli un calcio è come darlo a un monte imponente, Perché egli non lo sente minimamente. Scalcia, scalpita, sbuffa! Rise il Viandante sentendo di Tom il lamento, Sapendo che per i suoi piedi il calcio era stato un tormento. La gamba di Tom è mezzo paralizzata, Ed il suo piede ancor tutto azzoppato, Ma il Troll non ci fa caso, e solitario Continua a rodere l'osso rubato al proprietario. Pirata, ladro e farabutto! Intanto ancor seduto sul suo sedile il Troll, Rosica e sgranocchia l'osso suo rotondo.
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PIERINO IL GOLOSO
Il Troll Solitario su un sasso seduto cantava dei tristi lamenti: "Perché, oh perché, tutto sol m'han lasciato sui colli di Terredistanti? I miei sono andati, non c'è nulla da fare, di me non gl'importa da tempo; son l'ultimo! E solo mi tocca restare dal Mare fin su a Collevento. "Birra non bevo, non uso rubare non mangio carne alcuna; ma quando la gente mi sente arrivare 36
l'uscio sbatte con grande paura. Io so che i miei piedi puliti non sono; vorrei non aver mani dure! Ma il sorriso ho dolce, e il cuore è buono, e la mia cucina pure!" "Suvvia" il Troll pensò, "mi devo trovare un amico in questo mondo! Leggiadro voglio vagare per la Contea da cima a fondo." Partì e per la notte camminò nei suoi stivali impellicciati; di primo mattino a Delving arrivò: s'eran tutti appena alzati. Guardò tutt'intorno e chi ti vede per strada con ombrello e cesto? La signora Bunce che lenta incede. Sorride, dicendole questo: "Buon giorno signora! Il giorno è bello! Spero che lei stia bene" Ma lei fa cadere sia cesto che ombrello: un urlo, e per poco non sviene. Il sindaco Pott passeggiava vicino quando udì quell'orribile strillo e diventò, dal terrore, rosa e rosso rubino: sottoterra scavò come un grillo. Il Troll Solitario triste e mortificato "Restate!" disse con rispetto. Ma la signora Bunce corse a casa a perdifiato per nascondersi sotto il letto. Il Troll proseguì fino al mercato e lì nelle stalle sbirciò. Ma il bestiame, al vederlo, fu quasi impazzito e oltre il muro ogni oca volò. Rovesciò la birra Hogg il fattore e il beccaio un coltello lanciò; 37
girò sulla coda Grip il cane pastore, per salvarsi la vita scappò. Il Troll tristemente gemendo sedette fuori della prigione; Pierin lentamente procedette e gli carezzò il testone. "Perché piangi, babbeo, e tieni il grugno? Non è meglio stare fuori?" Quindi gli sferrò un amichevole pugno, e rise al vederlo sorrider. "Mio caro Pierino" si mise a gridar "Sei proprio il tipo per me! Se adesso ti va di cavalcar ti porto da me per un tè." Gli saltò sulle spalle e si tenne stretto e "Parti!" gridò risoluto. Quella sera Pierin fece un bel banchetto in grembo al Troll seduto. C'era pane imburrato ed oltre a ciò panna, dolcetti e biscotti; Pierin di mangiar tutto si sforzò e i bottoni furon quasi rotti. La teiera era grande e marrone, il bollitore cantava sul fuoco. Di bere tutto si sforzò il Golosone: nel tè non affogò per poco. Quando piene e tese furon giacca e pelle riposarono senza parlare, finché disse il Troll: "Come far ciambelle ora ti voglio insegnare. Da me imparerai l'arte di arrostire focacce d'avena e panini; e poi potrai sul letto dormire con morbidi cuscini." 38
"Pierini" domandarono, "Dove sei stato?" "Son sazio e grasso perché di dolci e panini mi son rimpinzato: sono stato a un magnifico tè." "È qui nella Contea questo posto, di preciso? O a Brea?" gli chiese la gente. Pierino però rispose deciso: "Io non vi dirò più niente." "Io sì che lo so" disse Jack lo Spione; "l'ho visto trottare avanti; al vecchio Troll è salito in groppone fino ai colli di Terredistanti." La gente desiderosa andò con l'asino o col calessino, finché ad una casa su un colle arrivò e vide fumare un camino. Bussarono allora tutti alla porta. "Un bel dolce fragrante cucina per noi, o due, o una sporta; inforna un panino croccante !" "A casa tornate!" il Troll ribadì "Non ho invitato nessuno. Il pane lo faccio solo il giovedì, e solo per qualcuno." "Andate via! Un errore c'è: non ho posto e, soprattutto, non ho più dolci né alcunché: Pierino ha mangiato tutto. Jack, Hogg, e Pott, e lei signora mia non voglio veder più. Voi tutti quanti andate via! Pierino è il solo amico quaggiù. Così Pierino talmente ingrassava mangiando panini e biscotti 39
che nessun cappello più gli stava e stretti eran tutti i panciotti. I giovedì al tè andava Pierino: per terra in cucina sedeva; e il vecchio Troll sembrava piccino man mano che l'altro aumentava. Un gran pasticcere Pierino divenne, come narrano ancora i canti; dal Mare a Brea gran fama ottenne coi suoi panini fragranti, ma il pane del Troll mai uguagliava. E burro più buono non c'è di quello che il giovedì il Troll spalmava per Pierino, al magnifico tè.
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I MEWLIPS
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Le ombre ove dimora dei Mewlips la gente Son come inchiostro nere e tenebrose; E soffice suona la campana lentamente Mentre affondi in un fango melmoso. Il fango che inghiotte colui che osa Alla loro porta bussare; Mentre scroscia l'acqua rumorosa I doccioni, col ghigno, ti stanno a guardare. Accanto alla riva del fiume marciscente Piangono i salici incurvati, E i corvi nel sonno mestamente Gracchiano addormentati. Al di là dei monti Merlock c'è un lungo sentiero Che porta a una valle ove ogni albero è nero Alle rive di uno stagno senza vento né marea alcuna Dove i Mewlips si nascondon, non c'è sole e neanche luna. Le caverne buie dove vivono costoro Son umide, fredde e ime, E lì contano tutto il loro oro Alla luce fioca d'un sol lume. Le pareti son umide e i soffitti gocciolanti E i lor piè sul pavimento Fanno cicche-ciac striscianti Mentre sguscian furtivamente. Spian con astuzia ed un dito Da una fessura fan passare E in un sacco, quando hanno finito, Metton le tue ossa - per poterle conservare. Al di là dei monti Merlock, un solitario cammino Attraversa ombre di ragno e di Tode 43
l'acquitrino. Attraverso boschi d'alberi curvi ed erbe malsane Tu li vai a visitare - e i Mewlips non han più fame.
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IL FASTITOCALONE
Guarda Fastitocalone Un buon approdo, quest'isolone Anche se è un po' spoglio. Forza corriamo! Lasciamo il mare, Stendiamoci al sole o iniziamo a ballare! Guardate i gabbiani son su quello scoglio! Ma state attenti! I gabbiani non vanno a fondo! Lì possono sedersi oppur pavoneggiare Ma l'allarme devon dare Se qualcun volesse osare Su quell'isola stabilirsi, O solo fermarsi un po' affinché 45
Ci si possa riposare, o asciugarsi, O magari farsi un tè. Oh! Sciocco chi attracca alla sua schiena E piccoli fuochi ad accender inizia Sperando in una cena! Grosso e spesso il suo guscio appare Sembra dormire: ma egli è veloce, E ora galleggia in mezzo al mare, Ma è astuto, E quando sente dei passi scalpicciare, O avverte appena dei fuochi il calore, Con un sorriso S'è già tuffato, E rovesciandosi prontamente Fa cadere e affogar tutta la gente Che perde così la sua vita insensata Rimanendo meravigliata. State attenti! Nel mare si trova più di un mostro Ma nessuno è pericoloso come questo: Vecchio coriaceo Fastitocalone La cui stirpe possente è ormai sparita, Lui è l'ultimo tartarugone. Perciò se volete salvarvi la vita Sentite il mio consiglio: Dei marinai l'insegnamento seguite E non sbarcate su isole ignote! O ancora meglio, A Terra-di-mezzo la vostra vita fugace In pace. Trascorrete.
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OLIFANTE
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Come un topo son grigio 48
E grande come un edificio, Il mio naso è un serpente E il mio passo irruente Fa tremare la terra Molto più di una guerra. Con due corna in bocca Camminare mi tocca, Sventolando l'orecchio. Ma non sono mai vecchio Pur marciando parecchio, Pur se supino mai, Neanche per morire mi vedrai. Io sono Olifante, Il più importante, Il più grosso e il più grande. Se un giorno t'incontro Non scorderai lo scontro; Ma se non mi vedi, So che non ci credi. Eppur sono Olifante, Il vecchietto ben portante.
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IL GATTO
Il gatto grasso sullo zerbino sembra proprio sognare dei topi che lo possan saziare, oppure un bel pasticcino; ma libero, forse, nel suo pensiero par che cammini dove un tempo andava indomito e altero come gli antenati felini che agili e scarni ruggivan combattendo, nelle loro tane a Oriente banchettavan prelibate bestie mangiando o le tenere carni della gente. 50
Zampe d'acciaio ha il leone gigante e artigli di diamante; enormi son le sue zanne spietate e le fauci insanguinate; l'agile leopardo maculato sulle zampe svelto incede e spesso, silenzioso, balza dall'alto sulla testa delle prede, laddove incombe il bosco dalle tenebre oscurato feroci e lontani ora sono e liberi possono andare mentre lui è domo; ma il gatto grasso sullo zerbino tenuto come un beniamino non può dimenticare.
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LA SPOSA DELL'OMBRA
Una volta c'era un uomo che solo viveva; mentre giorno e notte passavan, come statua di pietra fermo sedeva, eppur ombra non gettava. Gufi bianchi sul suo capo appollaiati stavano, d'inverno nel plenilunio, con i becchi puliti; che fosse morto pensavano, sotto le stelle di giugno. Venne una donna di grigio abbigliata: si voleva un momento solamente lì fermare; la sua chioma di fiori era intrecciata, nel crepuscolo splendente. 52
L'uomo si svegliò, come dalla pietra sorto, l'afferrò e carne ed ossa le strinse: l'incantesimo che lo legava era rotto e con l'ombra di lei si cinse. Quelle vie la donna non percorre più da allora sotto il sole, le stelle o la luna; nel profondo dove ella ora dimora tra notte e giorno non v'è differenza alcuna. Ma quando si aprono tutte le grotte e si sveglia ogni cosa, una volta all'anno, i due danzan fino all'alba tutta la notte ed un'ombra sola fanno.
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IL TESORO
Quando il sole e la luna ancor giovani erano di oro e d'argento gli dei cantavano; nell'erba verde argento spargevano e l'acque chiare di oro riempivano. Prima che inferno o abisso venisse scavato, prima che nano o drago fosse generato, c'eran Elfi antichi che negli avvallamenti e sotto verdi colline di magie cantavano mentre begli oggetti e corone scintillanti per i re degli Elfi essi forgiavano. Ma per un fato avverso il loro canto andò perduto: dall'acciaio incatenato, dal ferro abbattuto. Non cantò avidità, né con bocca sorrise; 54
sulla Terra degli Elfi l'ombra discese: in antri oscuri fu il tesoro ammassato, argento scolpito e oro cesellato. In una buia grotta un vecchio nano viveva, dall'oro e l'argento le dita mai staccava; sì forte batteva incudine e martello che sulle sue mani si formò più di un callo; e monete coniò ed anelli forgiò: di comprare il potere dei re pensò. Ma gli occhi s'offuscarono, l'udito s'indebolì e la pelle sulle ossa del suo cranio ingiallì; le pietre dure dalle dita ossute con un pallido splendore scivolaron, non vedute. Non sentì i passi, ma la terra tremò quando il giovane drago la sua sete appagò: un fiume infuocato fumò alle sue porte e nel fuoco il nano trovò, solo, la morte: sibilaron le fiamme sul pavimento inumidito, in quel fango bollente ogni osso fu incenerito. Sotto la grigia pietra un vecchio drago viveva, gli occhi rossi sbatteva mentre solo giaceva. Morta era giovinezza e le gioie passate, le membra raggrinzite, nodose e incurvate dopo tanti anni trascorsi al suo oro incatenato, anche il fuoco nel suo cuore s'era ormai affievolito. Di gemme era incrostato il suo limoso ventre, leccava ed annusava il suo argento e l'oro di sovente: lui conosceva il posto del più piccolo anello sotto l'ombra nera del suo alato mantello. Sul suo duro giaciglio ai ladri lui pensava e in sogno delle loro carni si cibava, frantumava le ossa ed il sangue beveva: le orecchie abbassò, mentre il fiato perdeva. Non udì il tintinnare di un'armatura. Una voce echeggiò nella sua grotta scura: con spada scintillante un giovane guerriero 55
lo chiamò a difendere il suo tesoro. Coriacea era la pelle, e i denti poteron poco ché lo straziò la spada, s'estinse anche il suo fuoco. Su un altissimo trono un vecchio re viveva: sulle ginocchia ossute bianca barba pendeva; né carne né bevande egli più assaporava, né canti più sentiva; ma soltanto pensava al suo enorme forziere col coperchio intagliato dove pallide gemme e oro avea celato in un antro segreto, in quel terreno scuro, con le robuste porte incatenate col ferro duro. Dei suoi fidi la ruggine aveva ormai corroso le spade; caduto il governo ingiusto e il suo regno glorioso, vuote eran le sale, fredde le sue dimore, ma dell'oro degli Elfi egli era il signore. Dei corni sul passo non udì il fragore, del sangue sull'erba non sentì l'odore, e il suo regno fu perduto, le sue sale bruciate, e le sue ossa in una fossa furono gettate. In una roccia scura un antico tesoro sta obliato dietro a porte di cui nessun le chiavi ha; nessuno può varcare quel sinistro cancello. Cresce l'erba verde sopra quel monticello dove brucan le pecore e le allodole soglion volare e il vento soffia dalla spiaggia del mare. Quell'antico tesoro sol la Notte ormai rinserra mentre dormono gli Elfi, ed attende la terra.
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LA CAMPANA DEL MARE
Dall'umida sabbia come un raggio di stella mi giunse, mentre andavo in riva al mare, d'una conchiglia bianca, come una campanella; nella mia mano umida la vedevo tremare. E sentii risvegliarsi, scuotendo la mano, come un suono da dentro; una boa dondolante presso un bar del porto, un richiamo sonante su mari infiniti, ora vago e lontano. Poi vidi silenziosa una barca galleggiare vuota e grigia, sulla notturna marea "È tardi assai! Che stiamo ad aspettare?" saltai dentro e gridai: "Portami via!" 57
Bagnato dagli spruzzi mi portò via avvolto nel sonno, cinto dalla foschia, in una terra strana a un'obliata sponda. Nel crepuscolo oltre il profondo del mare sentii una campana dondolare sull'onda din-don, din-don; e i cavalloni rombare sui denti nascosti d'una scogliera insidiosa, e infine arrivai a una lunga riva sabbiosa. Bianca luccicava, e del mare la schiuma ribolliva come stelle in una rete d'argento specchiate; scogliere di pietra bianca, della luna riflettevan la luce, luccicanti e bagnate. Sabbia brillante tra le mie mani scorreva, come polvere di perla e di gioielli, flauti di verde e di ametista pareva, trombe d'opale, e rose di coralli. Ma sotto gli scogli c'eran grotte come tenebre buie e grigie, che l'erbaccia celava; un'aria fredda mi scompigliò le chiome e, mentre correvo via, la luce calava. Scendeva da un colle un verde ruscello e l'acqua ne bevvi per potermi confortare. Risalendo il suo corso giunsi al bel paesello d'eterna sera, lontano dal mare, arrampicato su prati di ombre ondeggianti: come stelle cadute c'eran dei fiorellini, e le ninfee parevan lune galleggianti in uno stagno blu, fresco e cristallino. Gli ontani dormivano, i salici pendevano presso un fiume quieto di erbe fluttuanti; i gladioli i guadi sorvegliavano, con lance di canna e spade verdeggianti. Per tutta la sera ci fu un'eco di canti giù nella valle; e creature correvan: 58
lepri bianche come neve, tutti andavano avanti e indietro: topi uscivan dai buchi, e volavan falene con occhi a lanterna; e i tassi in quieta sorpresa dalle tane guardavano. Su quel verde pavimento si sentivano passi che veloci, con la musica nell'aria, danzavano. Ma dovunque giungessi ritornava la pace: fuggivano i piedi, tutto fermo era intorno, mai un saluto, solo il suono fugace sul colle, di flauti e di voci e del corno. Di foglie di fiume mi feci un mantello un fascio di giunchi verdi come un gioiello; col bastone uno scettro, e un vessillo dorato; i miei occhi brillavan come un cielo stellato. Coronato di fiori salii su un monticello ed allora urlai: "Perché vi nascondete? Perché ovunque io vada, di colpo tacete?" Era fiero il mio grido come il canto di un gallo; "Ora io sono qui, re di questa contrada, la mia mazza è di canna e ho un gladiolo per spada. Rispondete al mio appello! Tutti quanti venite! Ditemi una parola, ed un volto mostrate!" Nera giunse una nube come un velo di notte e cadendo per terra, sulle mani strisciando, con gli occhi ciechi e le ossa rotte, come una talpa me ne andai brancolando. Penetrai lentamente in una foresta silente di foglie morte e rami già spogliati; mi dovetti sedere, ormai farneticante, mentre i gufi russavano nei loro buchi vuoti. Per un anno ed un giorno lì dovetti restare: scarabei dentro agli alberi marci battevan, tessevano i ragni e nella muffa vidi gonfiare le vesce che attorno ai miei piedi crescevan. Nella mia lunga notte alfin la luce tornò 59
e i miei lunghi capelli vidi ingrigiti. "Mi sono perduto, e la strada non so! Ma lasciatemi andare! Pur se vecchio e incurvato il mar devo trovare!" Poi tentai di avanzare; come un pipistrello su di me l'ombra scese ed un vento sentii nelle orecchie ululare; tentai di coprirmi con cespugli spinosi. Le mani eran ferite, le ginocchia scavate, e gli anni pesavan sulla schiena incurvata quando prese la pioggia del sale il sapore e dell'alghe marine sentii l'odore. Giunsero uccelli stridenti e nelle fonde e fredde grotte sentii la voce delle foche e dei gorghi tra le rocce il gorgoglio e lo sbuffar delle onde. Venne presto l'inverno. Nella nebbia passai e ai confini della terra infine arrivai; cadeva la neve, la mia chioma gelava, sull'ultima spiaggia il buio incombeva. Galleggiava la barca aspettandomi ancora, nell'alta marea dondolava la prora. Mi distesi stremato mentre via mi portava e attraverso le onde i mari attraversava; vecchi scafi coperti di gabbiani passò, e grandi navi illuminate sull'onda; a un porto nero come un corvo arrivò silenziosa come neve nella notte profonda. Era chiusa ogni porta e attorno il vento sussurrava, eran vuote le strade. A una porta mi volli sedere e laddove la pioggia da una gronda gocciava tutto ciò che portavo volli gettare: dei granelli di sabbia la mia mano stringeva e una conchiglia silente e morta giaceva. Mai più quella campana i miei orecchi udranno, mai più quella spiaggia i miei piedi percorreranno. 60
Lunga strada ed un triste sentiero adesso percorro; per un vicolo cieco ora lacero vado. Parlo solo a me stesso perché quelli che incontro, non mi parlano ancora.
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L'ULTIMA NAVE
FÍRIEL GUARDÒ FUORI alle tre in punto: la grigia notte già avanzava; da lontano giungeva il canto d'un gallo d'oro che acuto strillava. Gli alberi eran scuri ma già cinguettava nell'alba pallida ogni uccello era ormai desto, e tra le foglie soffiava fresco e leggero un venticello. Guardò il chiarore aumentare alla finestra finché la luce a lungo brillò sulla terra e le foglie; e sulla ginestra 62
la grigia rugiada luccicò. Sul pavimento lei corse scivolando, guizzando giù per i gradini: sull'erba avanzavano danzando nella la rugiada i suoi bianchi piedini. Gioielli aveva ai bordi la veste, e al fiume Fíriel si precipitò: d'un salice s'appoggiò contro il fusto, e l'acqua fremette quando lei guardò. In un baleno blu un martin pescatore come un sasso vide tuffarsi; le canne emisero un dolce rumore le foglie di ninfea vide allargarsi. Le giunse all'orecchio improvviso un suono mentre se ne stava lì luccicante con la chioma sciolta - al chiaror del mattino sulle spalle ondeggiante. C'erano flauti ed arpe s'udivan e un suono come di canti, giovani voci nel vento acute giungevan e rintocchi di campane distanti. Una nave col rostro d'or c'era ora: bianca come i remi sull'acqua scivolava e davanti alla sua alta prora un gruppo di cigni la guidava. Elfi dalle vesti grigio-argento remavano; tre la fanciulla ne vide molto belli: con le teste incoronate in piedi stavano coi loro luccicanti e fluenti capelli. Con l'arpa in mano un canto stavano intonando al ritmo ondeggiante dei remi "Verde è la terra e stanno cantando gli uccelli tra le foglie ameni. Per molti giorni l'oro dell'aurora verrà questa terra a illuminare 63
e molti fiori sbocceranno ancora prima che il grano possa maturare." "Bei marinai, dove andate scivolando sopra l'onde? Verso il crepuscolo e i rifugi segreti che la grande foresta nasconde? O alle isole del nord su spiagge di macigni, tra le fredde onde volete andare portati sulle ali dei forti cigni tra grida di gabbiani, da soli ad abitare?" "No!" risposero. "Lontano l'ultima strada solcando, I porti grigi dell'ovest lasciamo i mari d'ombra sfidando. Alla Terra degli Elfi stiamo tornando dove l'Albero Bianco cresce sulla spuma (ove la stella risplende) che l'ultima spiaggia lambisce. "Saluta, oh fanciulla questi campi mortali, la Terra-di-mezzo abbandona! Una chiara campana nelle terre natali di noi Elfi, nella Torre già risuona. Qui cadon le foglie e l'erba è sbiadita, sole e luna avvizziscono sempre di più; il lontano richiamo abbiamo sentito, che c'invita ad andare laggiù." Fermarono i remi e si giraron: "Fanciulla terrestre non senti l'appello? Fíriel! Fíriel!" le gridaron, "Non è tutto carico il nostro vascello: un solo posto abbiamo. Le giornate tue corrono leste! Vieni! È il nostro ultimo richiamo, bella fanciulla terrestre." 64
Dalla sponda del fiume FÍriel guardava, un passo in avanti osò; ma nell'argilla il suo piede affondava e fissandoli, si fermò. La nave in un sussurro passò lentamente "Non posso venire!" dalla chiglia la sentirono gemere mestamente "Della Terra sono figlia!" La sua veste di gemme più non brillava sotto il tetto e la porta oscura mentre dai campi ritornava all'ombra della sua dimora. Indossò la sua veste marrone brunito e i lunghi capelli intrecciò, poi ridiscese al lavoro consueto; la luce presto se ne andò. Gli anni s'inseguono l'un dopo l'altro lungo i Sette Fiumi; passan le nubi e il sole dall'alto brilla; tremano tra le spume salici e canne, sera e mattina. Ma mai più verso occidente altre navi han solcato quelle acque mortali come prima, e il loro canto è ormai svanito.
1 Lefnui, Morthond-Kiril-Ringló, Gilrain-Sernui e Anduin.
2 Il nome era portato da una principessa di Gondor, dalla cui linea meridionale Aragorn diceva di discendere. Era anche il nome di una figlia di Elanor, figlia di Sam, ma il nome di costei, se collegato alla poesia, deve da questa esser fatto derivare, non potendo infatti aver avuto origine nella Marca Occidentale. 65