Il libro
CH I È I L D I AV O L O ? QU A L I S E G R E T I C U S T O D I S C E ? E C H E C O S ’ È veramente l’Inferno? Per scoprirlo, Igor Sibaldi intraprende un autentico viaggio di esplorazione nell’Aldilà con l’aiuto degli Spiriti-guida. Spiriti -guida. Scopre così che il diavolo è in realtà l’antichissimo “Signore delle Porte”, incarnazione della paura: paura della nostra stessa evoluzione, delle immense doti simbolizzate dall’albero della conoscenza e racchiuse nel profondo della nostra anima. Non c’è timore più grande, ma lo si può superare. Le chiavi per vincerlo stanno in narrazioni notissime quanto enigmatiche, enigmatiche, in cui altri viaggiatori dell’Aldilà le hanno nascoste in passato. Dal mito di Prometeo al Labirinto, dalla fiaba “eretica” di Biancaneve fino ai Vangeli e alla Bibbia e al mito di Merlino, questo libro, completamente aggiornato, ripercorre le tracce di un’unica, emozionante discesa verso i confini che separano l’anima umana dall’energia universale. dall’energia universale.
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L’autore
Igor Sibaldi è scrittore, studioso di teologia, filologo. Presso Mondadori ha pubblicato romanzi e saggi; ha curato l’edizione di numerosi classici russi, Tolstòj Tolstòj in particolar modo; modo; ha tradotto dal greco il Vangelo di Giovanni ( Il ( Il codice segreto del Vangelo, 2005) e dall’ebraico antico buona parte della Genesi ( Libro ( Libro della creazione, creazione, 2011; Libro dell’abbondanza, dell’abbondanza, 2013). Con I Maestri invisibili (1997) ha intrapreso una sua personale esplorazione delle strutture psichiche del cosiddetto “Aldilà”, sulla quale q uale costruisce una nuova filosofia della mente, di cui ha esposto i fondamenti ne Il mondo invisibile (2006), nel Libro degli Angeli (2007) e in Discorso sull’infinito (2014).
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Igor Sibaldi
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IL FRUTTO PROIBITO DELLA CONOSCENZA
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Il frutto proibito della conoscenza
E il Dio YHWH disse allora: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi per la conoscenza del giusto e dello sbagliato. Adesso bisogna che non stenda più la mano e non prenda anche i frutti della crescita delle vite, perché, se ne mangerà, vivrà per sempre». E il Dio YHWH mise i Kheruviym e la fiamma della spada che gira su se stessa a custodire la via verso l’albero delle due vite. Genesi 3,22-24 1
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Tutte le citazioni nel testo sono traduzione dell’Autore.
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Premessa alla presente edizione
Mentre lo correggo (poche cose, qua e là), a quattordici anni dalla prima edizione, posso immaginare che questo libro venga inteso soltanto come un’opera letteraria. La narrazione di un «io» che osserva le dinamiche della propria creatività, il crescere delle proprie idee, e non si rassegna a dire: «Tutto questo non è altro che me», perché teme che, ad ammetterlo, limiterebbe o perderebbe qualcosa. In pratica, il contrario di una storia d’orgoglio; e, da venticinque secoli almeno, l’Occidente ha quasi soltanto storie d’orgoglio. Certo, mi sentirei più sicuro se lo si intendesse così. Ma sarebbe una finzione. La soglia interiore oltre la quale si incontrano i cosiddetti «Spiriti-guida» è per me un luogo reale; questo libro è davvero un diario di cooperazioni che, dal 2000, sono diventate via via più audaci, più semplici, e più fruttuose. Che siano elementi di ciò che comunemente chiamiamo «io» non toglie nulla alla loro autonomia – dato che, con il passare del tempo, ci si accorge, perfino in Europa, che il significato della parola «io» è ancora ignoto. Quindi ciò che si trova in queste pagine non è, se non accidentalmente, attività letteraria. Ma libro di bordo, quaderno di appunti, materiale preparatorio di una geografia della psiche. Milano, settembre 2013
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Introduzione
Cominciammo a ragionare sul diavolo tre anni fa. A quel tempo i maestri mi stavano aiutando a tradurre la Genesi, ed era come se tenessero per mano un bambino che impara a camminare. Quasi a ogni passo chiedevo: «È così che va inteso? Ma cosa vuol dire?», e loro mi rispondevano. Non perché siano esperti di ebraico antico (non conoscono nessuna lingua, comunicano per impulsi di significato che la nostra mente trasforma in parole), ma perché, per loro, il tempo non ha gli stessi confini che ha per noi e, quando non so o non capisco qualcosa in un determinato momento, possono descrivermi chiaramente come mi apparirà quel qualcosa quando l’avrò capito. Così procedevamo. Strano che qui il diavolo non ci sia, osservai un giorno, mentre discutevamo del cosiddetto giardino dell’Eden. «Perché strano?» Nel racconto della Creazione non c’è traccia né del diavolo né dell’Inferno, dissi. Non li ha creati Dio? Davvero non ce n’è traccia. Il serpente, che tutti ritengono un travestimento del diavolo, nella Genesi è una figura tutt’altro che diabolica: il serpente dell’Eden insegna agli uomini a nutrirsi dei frutti della conoscenza, contro l’insopportabile divieto imposto da YHWH, il Dio della Terra. Ciò che noi 8
chiamiamo diavolo non fa queste cose: la sua merce è il male, e la conoscenza ne è il contrario. Oppure il diavolo c’è e io non l’ho visto? «Non c’è, né lì né poi. Mettiamocelo noi» disse quel mio spirito che io chiamo il Dominante – perché è quello che parla più spesso, e per il quale gli altri miei maestri nutrono un evidente rispetto. Cioè, lo mettiamo noi nella Bibbia? «Non nella Bibbia. In quello che la Bibbia vi ha insegnato a vedere: nel vostro universo e in voi stessi.» Vale a dire? «Ciò che voi chiamate diavolo è un vostro blocco» spiegò il Dominante, con quell’aria che ha sempre quando spiega: come un pittore che insegna a dipingere. «O, meglio ancora, è tutti i vostri blocchi. Perciò la gente non lo vede quando c’è e si immagina di vederlo quando non c’è. Non sarebbe male fare un po’ d’ordine. Quanto più riconoscete i vostri blocchi, tanto meno ne subite le conseguenze. Mettiamocelo noi, insieme: così ce ne liberiamo. «Un libro sul diavolo» aggiunse. «Pensaci.» Quindi, secondo la Bibbia, l’impulso al male viene soltanto dall’animo umano? «Vero che l’argomento è bello? E tu ti stai accorgendo di non saperne niente; quindi sei nella situazione migliore per cominciare.» Ma il diavolo esiste, sì? «Certo. Per quel che significa.» Rilessi attentamente ciò che i Vangeli narrano del diavolo. E anche lì è strano: il diavolo è mostrato come un consulente e addirittura un aiutante di Gesù. Per esempio, prima di cominciare a predicare, Gesù andò a discutere con il diavolo il suo piano d’azione e i suggerimenti che il diavolo gli diede erano tutto sommato sensati, anche se Gesù non li approvò. Più 9
tardi, Gesù venne accusato di compiere i suoi miracoli grazie a poteri diabolici e, sorprendentemente, non lo negò mai. Quindi Gesù e il diavolo andavano d’accordo? «Come vedi, sì.» «Su, non chiedi niente? Fa’ domande precise, e noi ti rispondiamo» disse un altro dei miei maestri, che chiamavo l’Austero, per i suoi modi. Cos’è e come ha preso forma ciò che oggi chiamiamo diavolo? «Così non basta, devi essere più preciso» disse il Dominante. «Domanda punto per punto.» Annotai qualche domanda più precisa, con l’Austero che mi sussurrava: «Non basta. Non basta ancora». Che cosa chiamiamo diavolo? Com’è fatto il diavolo, in realtà? Da dove viene e dov’è? Nei sentimenti o nella ragione dell’uomo, o nel suo inconscio, o in qualche luogo dell’universo, visibile o invisibile? E com’era prima che i santi cominciassero a odiarlo? E che cosa significa? Che cosa fa, quali poteri esprime? Deve ingannare, tentare? Perché? «Bene, continua.» E se Dio è buono e onnipotente, perché tollera l’esistenza del diavolo, che di fatto limita il suo potere? Oppure Dio non è affatto buono e onnipotente? Quali sono in realtà i rapporti tra il diavolo e Dio? «Perché la gente ci crede e i teologi no?» mi suggerì il Dominante. I teologi non ci credono? «Non ci credono più. Le religioni impongono di crederci, ma i teologi, quando parlano dell’esistenza del diavolo, dicono 10
soltanto cose confuse e noiose. Hanno la mente bloccata. Potresti domandare perché.» Feci per annotare questa domanda. «Che gli importa dei teologi?» intervenne l’Austero. «Quelli non hanno nessun bisogno né di credere né di sapere: ripetono le cose che hanno imparato e, avendo fatto fatica a impararle, vogliono che anche gli altri facciano fatica. Lasciateli perdere.» «Come vuoi» disse il Dominante. Perché la gente crede nel diavolo (anzi a volte è più facile credere nell’esistenza del diavolo che in quella di Dio) e i teologi non riescono a dirne nulla di convincente? Come battere il diavolo? «Bene.» Ho precisato abbastanza o devo continuare ancora? «Hai chiamato per nome un po’ di cose» disse il Dominante. «Adesso arriveranno. Non avere fretta.» Tra una settimana, tra un mese o tra un anno? «Qualcuna l’avevi già ascoltata anni fa. Non è la prima volta che ne parliamo.» E quando è stato? «Cerca nei tuoi quaderni vecchi.»
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Parte prima
PROMETEO
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I La memoria e l’oceano - Il nostro corpo maggiore Prometeo e il serpente dell’Eden - Le paure di Dio e il suo patto con gli uomini - Le due forze dell’evoluzione umana
1 «Leggi gli appunti di quando parlavamo di Prometeo» disse il Dominante. I quaderni dei miei incontri con i maestri occupavano già allora un intero scaffale: non mi era mai venuto in mente di ordinarli per argomenti, e di una conversazione su Prometeo avevo solo un ricordo vago. «Sono del tempo del viaggio in Georgia» suggerì l’Austero. Come si fa a ricordare tutto? domandai, mentre cercavo nei quaderni. Non c’è abbastanza posto nella mente di un uomo. «Nella tua mente no, di sicuro» disse il Dominante. «La mente è come una barca su un oceano: non può contenere l’oceano. Non potrai mai ricordarlo tutto.» E l’oceano cosa sarebbe? «Sei tu. Con la differenza che gli oceani non si prendono cura delle barche che li attraversano: tu, invece, puoi prenderti cura di quella barchetta che chiami mente, o anche l'io.» «Già,» aggiunse l’Austero «e appena ti accorgi che l’io è quella barca e tu sei l’oceano, diventi l’uomo più fortunato del mondo. E non hai nessun bisogno di ricordare: sai, e basta.» 13
Se io sono la barca, come faccio a essere anche l’oceano? «Non te ne sei ancora accorto. Non sei ancora l’uomo più fortunato del mondo. E pensare che è così semplice.» Mi insegnate a diventarlo? «Qui non facciamo altro. Su, trova quegli appunti.» 2 Era un quaderno del 1994. A quel tempo facevo il reporter di guerra, in Georgia; e là, una notte, i maestri mi avevano parlato del mito di Prometeo, il titano che aveva impedito a Zeus di distruggere l’umanità – e che perciò era stato inchiodato a una colonna, da qualche parte nel Caucaso. Poti, 19 ottobre 1994 È esistito davvero Prometeo? «Che domande. Certo» disse l’Austero. «Miliardi di volte. Esiste continuamente. È come se domandassi: è esistita davvero la cistifellea?» «L’anatomia e la mitologia sono in gran parte la stessa cosa» spiegò il Dominante. «Con la differenza che nell’anatomia ci sono migliaia di nomi, mentre nella mitologia ce ne sono centinaia di migliaia. Ma orientarcisi non è difficile, perché gli uni e gli altri descrivono comunque la stessa cosa.» Il nostro corpo? «I vostri corpi.» Il corpo eterico, il corpo astrale e così via? «No, quelle sono vostre idee complicate. È molto più semplice: voi avete un altro corpo, molto più grande e, grazie alla mitologia, ne sapete una quantità di cose, che però la vostra mente ignora. Chiamalo il “corpo maggiore”.» «E la tua mente chiamala l’“io piccolo”» suggerì l’Austero. «È una buona descrizione: io piccolo in un corpo molto più grande di lui.» 14
«E, rispetto al corpo maggiore,» proseguì il Dominante «il corpo fisico è due cose: in primo luogo è un organo esso stesso, e precisamente l’organo che permette al vostro corpo maggiore di esistere sulla Terra, di entrare in rapporto con il mondo della materia. Ecco, all’incirca come lo stai immaginando ora. Disegna come lo stai immaginando.»
Così? «Bene. In secondo luogo, voi con il vostro corpo fisico siete ancora come nella pancia della mamma – che è la pancia del corpo maggiore. E i miti vi raccontano di come sarete da grandi. Quali organi userete, cosa ne potrete fare, e così via.» Ma organi come? In che senso? «Organi. Di attività, di pensiero, di volontà. Di digestione, di riproduzione, di senso, e di tutto il resto, nel mondo più grande che abiterete. È un’ottima cosa che cominciamo a parlarne, perché tra un po’ il vostro mondo non vi basterà proprio più.» E Prometeo che organo sarebbe? 15
«Non ricordi la sua storia? Siamo capitati qui, è il posto giusto per parlarne.» Storia di Prometeo Prometeo era per sua natura un ribelle – mi spiegarono i maestri – e amava sfidare Zeus, il Dio supremo. Non poteva non sfidarlo, per due ragioni: innanzitutto perché era dotato di un intenso impulso creativo, che il Dio Zeus non aveva affatto: Zeus aveva soltanto il potere. E, in secondo luogo, perché Prometeo amava molto gli uomini, mentre Zeus li considerava soltanto dei sudditi. «Era un Dio supremo un po’ all’antica» osservò l’Austero. Prometeo fu dapprima alleato dei titani, gli antichissimi Dei del Cielo che avevano mosso guerra a Zeus; e dava loro buoni consigli; ma i titani diffidavano di lui, sempre per via di quella sua indole ribelle: così, ben presto Prometeo li abbandonò, e lasciò che venissero sconfitti. Restò per conto suo e si dedicò agli uomini soltanto. Spiegò agli uomini il modo più vantaggioso di fare sacrifici agli Dei, insegnò loro come lavorare i metalli, donò loro anche l’arte della preveggenza – da cui il suo nome: Prometeo significa appunto «Preveggente». Ma quando vide che questo dono produceva negli uomini cupe malinconie, fece in modo che non riuscissero più a usarlo, salvo rare eccezioni. Al Dio Zeus tutta questa generosità non piaceva; era irritato dal rapido progresso degli uomini, e gli era già venuta l’idea di sterminarli, per lasciar nascere un’altra specie dopo di loro. Confiscò loro il fuoco, in modo che fossero decimati dalla fame e dal freddo; Prometeo si oppose, e restituì il fuoco agli uomini. Zeus lo punì, impalandolo appunto tra le rupi del Caucaso. E comandò che ogni notte venisse un’aquila a divorargli il fegato,
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e che il fegato gli ricrescesse ogni giorno, così che la notte successiva le sue sofferenze ricominciassero daccapo. 3 Prometeo è il fegato? «In parte, sì» sorrise il Dominante. «Ma non sai ancora cos’è il fegato del tuo corpo maggiore. Andiamo con ordine. Intanto, nota bene che questa è la stessa storia del serpente dell’Eden. Lo vedi? «Il serpente dell’Eden dà agli uomini il frutto della conoscenza, che il Dio YHWH aveva proibito, e il Dio YHWH lo punisce condannandolo a strisciare per l’eternità. Prometeo dà agli uomini il fuoco, e il Dio Zeus lo inchioda a un palo. In entrambe le storie il Dio supremo blocca la crescita degli uomini: la loro via verso l’alto.» I greci hanno preso dai miti ebraici o gli ebrei hanno preso dai greci? «Tutti e due prendevano dagli egizi,» mi rispose l’Austero «ma né il tempo né i confini tra i popoli sono come li immaginate voi. Dunque che ti importa di sapere chi ha preso da chi?» «L’argomento principale, in queste due storie sacre,» continuò il Dominante «è la paura che il Dio supremo ha dell’evoluzione degli uomini. Zeus, impalando Prometeo, è come se dicesse: “Vedete? Tutte le volte che qualcuno vi aiuterà a salire, farà questa stessa fine”. Tu vedi?» Sì. «No, non vedi ancora. Avete molti altri racconti intorno a quella paura divina e a quel palo: anche la Torre di Babele è un’immagine del salire umano, e il Dio YHWH la impedì. Voleva che gli uomini rimanessero come il serpente: al livello del suolo, della polvere. E come continua la storia di Prometeo?» 17
Seguito della storia di Prometeo Prometeo sarebbe dovuto rimanere per sempre sul palo, a farsi squarciare il torace. Ma lo salvò sua madre, Temis, la Dea della giustizia; gli confidò un delicatissimo segreto di politica divina: che il dominio di Zeus non sarebbe durato per sempre e un altro Dio avrebbe regnato sull’universo, dopo di lui. Allora Zeus permise che Prometeo venisse liberato, a due condizioni: che non rivelasse quel segreto a nessuno, e che qualcun altro prendesse il suo posto sul palo – evidentemente perché a quel supplizio il Dio supremo teneva moltissimo. Si fece avanti il centauro Chirone, buono e sapiente, che aveva insegnato anche lui tante cose agli uomini, soprattutto nel campo della medicina. Proprio poco prima, Chirone era rimasto ferito accidentalmente da una freccia avvelenata, le sue sofferenze erano insopportabili, e la sua scienza non bastava a guarirle: perciò chiese a Zeus che lo lasciasse morire e, perché la sua morte servisse a qualcosa, prese il posto di Prometeo. Così, sul palo rimase il cadavere di Chirone, mentre Prometeo tornò libero. 4 «Vedi?» mi domandò di nuovo il Dominante. Annuii. «Non vede ancora granché» disse l’Austero. Cosa c’è che non vedo ancora? «Oh, tante cose» disse il Dominante. «A te sembra che ti stiamo conducendo lungo una caverna e cerchi di capire dove, ma non ti accorgi che le pareti della caverna sono ricoperte di pietre preziose e che dappertutto ci sono lampade da strofinare, proprio come quella di Aladino. Così è sempre, nei miti. Ma non c’è fretta. Ascolta bene. «Il sapiente centauro Chirone» continuò il Dominante 18
«doveva morire sul palo: proprio perché era anche lui un maestro degli uomini, e avrebbe avuto molto altro da insegnare. Perciò era un ottimo sostituto di Prometeo, agli occhi di Zeus. E i Prometei, i serpenti e i Chironi ci sono sempre stati, nel vostro mondo: hanno cambiato aspetto e nomi, ma hanno sempre avuto storie simili a quella. E a un certo punto sono diventati ciò che chiamate il diavolo.» Prometeo condannato e Chirone che si offre spontaneamente sono due aspetti del diavolo? «Anche per questo nel Medioevo vi immaginavate il diavolo con gli zoccoli: come ne hanno i centauri» disse l’Austero. «Ma già nel Medioevo nessuno si ricordava più perché lo si immaginasse così, e perché al contempo si credesse che il diavolo fosse il serpente dell’Eden.» «Qui viene la parte più interessante della spiegazione» riprese il Dominante. «Secondo te, perché i vostri Dei supremi hanno tanta paura che gli uomini si evolvano?» Temono di perdere il posto? «Non solo. È perché anche gli uomini hanno paura che lo perdano. Gli uomini hanno un gran bisogno di credere che Dio rimanga sempre: sempre uguale, e sempre più in alto di loro. Tutti gli umani hanno più paura che avvenga qualche mutamento in cielo di quanta ne possa avere Dio stesso. Ma al contempo sentono chiaramente che la loro vita è tutta quanta mutamento ed evoluzione; e che non possono fermare tale evoluzione; e che questa evoluzione finirà per cambiare ogni cosa. Perciò vogliono che la fermi Dio. Proiettano sul Dio supremo quella loro paura, e si tranquillizzano guardando il supplizio di chi voleva aiutarli a crescere. E il Dio supremo obbedisce agli uomini.» «Altrimenti il vostro Dio supremo avrebbe salvato Gesù» disse l’Austero. E perché il Dio supremo obbedisce agli uomini? «Be’, è il Dio del vostro mondo» rispose il Dominante. «In 19
qualche modo dev’essere in armonia con chi vi abita. Altrimenti gli uomini lo abbandonerebbero a se stesso e si prenderebbero un altro Dio supremo – come appunto lascia intendere quel segreto di Temis.» Quindi è come se facessero un patto: rimani nostro Dio se ci garantisci che tutto il resto rimarrà com’è ora? «Prendi nota» mi consigliò il Dominante. «Queste cose sono ancora troppo grandi per te, ma tu prendi nota, da bravo.» 5 «Vedi, per gli uomini ci sono due modi di crescere, di evolversi…» Intendi dire: di crescere o di evolversi? Sono due cose diverse. «Per voi sono la stessa cosa. Te l’ho detto: avete un corpo maggiore, e via via che vi evolvete scoprite le sue capacità, non potete neanche immaginare quali e quante siano. Una volta eravate sicuri che i pianeti del sistema solare fossero sette, oggi sapete che sono nove, e tra un po’ ne conterete dodici; allo stesso modo scoprite anche questi vostri poteri maggiori. E, via via che li scoprite, la distanza tra voi e l’onnipotenza divina diminuisce. In questo modo crescete.» «Crescete e vi moltiplicate» notò l’Austero. «Così, dicevamo, voi avete due modi di compiere scoperte. Uno è inconsapevole e l’altro è consapevole» continuò il Dominante. «Quello inconsapevole è l’impulso naturale all’evoluzione: è una profonda forza che cresce comunque in ogni uomo, e gli uomini ne hanno paura perché capiscono che questa forza è più grande di loro. «Il modo consapevole è invece il desiderio personale di indagare, di sperimentare: come fanno i mistici, gli esploratori, gli scienziati.» E, in pratica, questi due modi vanno di pari passo? 20
«No davvero. Il secondo modo non è mai pericoloso per gli Dei supremi e non fa particolare paura nemmeno agli uomini, perché dura poco. Si desta ogni tanto, agisce per un po’, e poi si avvelena e si frena da sé, rimanendo fermo per secoli interi.» 6 E perché si ferma? «Per sgomento, soprattutto. Si ferma quando cominciate a scoprire cose che richiederebbero troppe parole diverse da quelle che sapete già. Voi venerate le parole che esistono già. E poi, sai com’è: gli scienziati e i mistici sono sempre molto contenti delle loro scoperte, ne sono fieri, ma sanno bene che verranno superate. Come dice Gesù? “In quel giorno non mi domanderete più nulla.” 1 «Gli scienziati e i mistici temono quel giorno, proprio come lo temono i vostri Dei supremi. La differenza è che Dio può fermare gli altri, mentre gli scienziati e i mistici possono facilmente fermare se stessi: e si fermano. Chirone si offre spontaneamente alla morte, come hai notato.» Era stato ferito, soffriva. «Certo, è una cosa abbastanza triste quando i Chironi si fermano. Cosa c’è di più triste di una ferita accidentale che diventa una ferita mortale? È la forma più malinconica di suicidio, quando chi ha voglia di morire chiede aiuto al caso, e il caso gli offre una morte dolorosa. Chi ti ricorda Chirone?» Pensai a qualche scienziato o a qualche mistico, ma lì per lì non mi venne in mente nessuno in particolare. «Ti verrà in mente» disse il Dominante. 7 «Questo per ciò che riguarda il vostro impulso evolutivo 21
consapevole. Invece l’altro vostro impulso è irresistibile. È alimentato da grandi esseri immortali: il serpente, Prometeo, Gesù… Sono veramente immortali: per quanto si tenti di fermarli, ci sono e ci saranno sempre. «E perciò succede così: quando gli uomini hanno molta paura delle forze che li fanno crescere, e obbligano il loro Dio supremo a inchiodarle, chi rimane lì inchiodato è soltanto qualche mistico o qualche scienziato, mentre quella forza profonda riesce sempre a liberarsi e continua ad agire. È così che, di tanto in tanto, la scienza diventa vecchia rispetto alla crescita della mente umana. Chirone muore e Prometeo va via e va oltre. Bisogna accorgersene. «Lo stesso avviene anche per i cristiani: non appena si scelgono come emblema un mistico inchiodato alla croce, ecco che comincia a diffondersi quel diavolo che loro sentono come un nemico pericoloso.» Il diavolo è il nostro impulso all’evoluzione? «Per la maggior parte di voi sì, purtroppo.» E Gesù? Poi è risorto, non è rimasto lì. «Tutto risorge, tutto continua. Gesù risorge e scompare in cielo. E sulla Terra rimane il diavolo, a segnarvi i confini da superare, le direzioni in cui deve spingersi la vostra conoscenza. Ma voi pensate che Gesù e il diavolo siano in contrasto. È solo per paura che lo pensate.» 8 Quali confini intendi? Se il diavolo è il signore del Male… «Sei proprio sicuro che lo sia, e che il male sia il Male? Dovremo chiarire un po’ la questione, quando sarà tempo. L’idea del Male era già abbastanza chiara a tutti, molto prima che i cristiani cominciassero a inventare il diavolo. Il loro diavolo è soprattutto il signore del pericolo: di ciò che è pericoloso per il Dio supremo. 22
«È l’oscura coscienza che Prometeo può venire impalato, e che Gesù può venire crocifisso o trasferito su un trono sopra le nuvole, ma che non è finita lì, non è finita mai. Vi rimane sempre intorno, e dentro, quella forza irresistibile dell’evoluzione, che minaccia ogni vostro ordine e fa paura agli uomini e di conseguenza agli Dei. E quello è il vostro diavolo: il serpente della conoscenza, la vista di Prometeo che continua a spingersi avanti. E chi di voi non ne ha paura?» Non somiglia neanche un po’ a quel che si dice del diavolo. «No. Alla gente piace sentirsi dalla parte del giusto, in modo da non dover fare la fatica di cambiare il proprio modo di vivere: e siccome non c’è niente al mondo che ne dia conferma, si inventano il diavolo gestore e proprietario del Male, si convincono che sia loro nemico, e così si autorizzano a sentirsi brave persone. È una delle illusioni più rozze e più diffuse nel mondo. E ovviamente non si sognano neanche di eliminare il diavolo, di batterlo, come dici tu; lo tengono lì, accuratamente, se no la loro illusione crollerebbe.» Avrò un bel po’ di problemi quando proverò a dirlo in giro. «Allora non dirlo, se ti preoccupa tanto» replicò l’Austero. «Cerca di capirlo tu, intanto. Ricorda: dietro a tutte le parole sono nascosti grandi tesori. E la chiave di quei tesori è accorgersi che la vostra realtà è molto piccola. Non appena lo sai, entri e puoi prendere ciò che c’è.» *** La finestra della mia stanza d’albergo dava sulla spiaggia e l’alone di luce arrivava fin quasi alla battigia. Il Mar Nero era davvero d’un nero di velluto, e senza luna. Richiusi il quaderno e, dato che qua e là questa conversazione mi era sembrata veramente eccessiva, la dimenticai. Tanto che fu una sorpresa, quando la rilessi tre anni fa. 23
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Giovanni 16,23.
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II Il corpo maggiore, il fegato e le guarigioni - L’antichissimo Signore delle Porte - Il diavolo e il diverso - Le epoche di obbedienza La nostra stanza tonda
1 «Eri troppo piccolo, a quel tempo» disse il Dominante, mentre finivo di rileggere questi appunti. E il corpo maggiore esiste davvero? «Certo. Si estende intorno a ciascuno di voi, è immenso, e voi ne siete una minuscola propaggine: l’unica sua parte che tocca terra.» Quindi la condanna a restare attaccati a terra come il serpente è la proibizione di scoprire il corpo maggiore? «Sì, anche.» Ma allora il corpo maggiore non è terreno? «Attraverso di voi tocca terra ed entra a far parte del vostro mondo. E mediante i miti potete accorgervi di quanto lo usate e di come lo userete meglio quando avrete capito che c’è.» E Prometeo, che-vede-più-in-là, rappresenta l’organo della vista del corpo maggiore? «Sulla Terra, Prometeo e il serpente corrispondono agli organi della vista: sono immagini, personificazioni se vuoi, di ogni vostra facoltà visiva – occhi, intuizione di forme, preveggenze varie, sensi sottili e tutto il resto. Ma ogni volta 25
che Prometeo comincia a salire, diventa il fegato del vostro corpo maggiore. Perciò l’aquila lo colpisce proprio lì. «Nel vostro corpo fisico, il fegato cosa fa? Immagazzina energia e depura il sangue. Esamina, interpreta, capisce ciò di cui vi nutrite. Così fa anche il fegato del vostro corpo maggiore: immagazzina ciò che scoprite, lo decifra, lo capisce e lo trasforma in sostanze energetiche, eliminando ciò che vi avvelenerebbe. Prometeo fa questo nella vostra crescita; e, nel mito, Zeus danneggia apposta quel vostro fegato superiore. Ci si accanisce proprio. «Avete fatto anche voi lo stesso, torturando e bruciando le streghe e gli eretici, che esaminavano e capivano tante cose. Così avete danneggiato i vostri rapporti con il fegato del vostro corpo maggiore. Ma al vostro corpo maggiore tutti quegli orrori non han fatto né caldo né freddo. Il vostro corpo maggiore è invulnerabile e inesauribile. Può soffrire, sì, ma solo di tristezza.» 2 Il corpo maggiore esiste davvero nello spazio, sopra di noi, intorno a noi? «Sì e no. Diciamo che si trova a metà strada tra la tua realtà fisica e l’universo infinito: è nell’una e nell’altro.» Cioè? Si può disegnare? «Non ci riusciresti. Non puoi disegnare l’infinito. Oppure immaginalo così: il vostro corpo maggiore è più piccolo del cielo, ma è abbastanza grande da intersecare la volta celeste, e da uscirne. Intendo qualunque volta celeste: quella azzurra sopra le nubi, o quella nera sopra le stelle.» Ah, non capisco, mormorai. «Provaci. Non lo capirai, ma ti fa bene provarci. Non lo puoi comprendere perché non sei tu che comprendi il tuo corpo maggiore, bensì è lui che comprende te. È lui che in te dice “io”, 26
anche se tu non capisci come lo dice. Perciò, abìtuati a pensarci tranquillamente, sapendo che non lo capirai mai: e ti accorgerai di imparare una quantità di cose importanti, preziose.» «È piacevole» intervenne l’Austero. «Finché non lo capisci, continuerai a imparare cose nuove; invece, appena ti sembrerà di averlo capito, sarai diventato stupido senza neanche potertene accorgere.» 3 Quello che avete detto riguardo al fegato ha a che fare anche con le malattie del fegato? «Con l’origine delle malattie no, non necessariamente. Con le guarigioni, sì» rispose il Dominante. «Quelli che voi chiamate “miracoli” sono sempre interventi del vostro corpo maggiore, e tutte le vostre guarigioni sono miracoli. «Succede così, seguimi bene. Quando una persona si ammala è perché il suo io piccolo si era accorto di ammalarsi, e lo ha permesso. La malattia non vi si aggancia, se il vostro io piccolo non le dà il permesso in un modo o nell’altro…» Ma si accorge di accorgersene? «Sì, ma è bravo a dimenticarselo. E, quando uno si è ammalato, ha due possibilità: una è continuare a contemplare la sua malattia e cercare di combatterla, sapendo di essere sempre più malato; e allora non guarisce e, se la malattia è mortale, muore. Altrimenti, se è fortunato, fa ciò che fai tu quando ti rendi conto di non poter capire il corpo maggiore: cede, e lascia che il suo corpo maggiore intervenga e faccia ciò che l’io piccolo non può fare.» In che modo? «Attraverso qualche mito, non importa quale. L’importante è che il malato si affidi a forze più grandi di lui, e i vostri miti sono ciò che vi permette di trovare e di mobilitare quelle forze. I santi, gli Angeli, gli Dei, i luoghi miracolosi, anche le cliniche e 27
gli ospedali, per chi ci crede: sono tutti miti ugualmente utili, che vi aiutano ad affidarvi al vostro corpo maggiore e a lasciarlo agire in voi. «E il corpo maggiore non aspetta altro: non appena le vostre capacità consuete si fanno da parte e lo lasciate agire, interviene, e voi guarite. Se fossero le medicine a farvi guarire, una malattia si curerebbe in tutto il mondo con le stesse sostanze chimiche: invece in Europa si cura in un modo, in Cina in un altro, in Africa in un altro ancora. E, se uno è fortunato, guarisce, in tutti i continenti.» E il corpo maggiore come fa a guarire i malati? «Cambia il loro destino. Destino è tutto ciò a cui il vostro io piccolo dà il permesso di accadere nella vostra vita; e, naturalmente, il corpo maggiore è più grande di qualsiasi destino, e può cambiarlo. Ha risorse di energia inesauribili. Invece, le energie del mondo che capite voi sono esauribilissime, anche quelle dannose: voi, per lo più, le lasciate agire con parsimonia, perché durino a lungo; ma potete esaurirle ed eliminarle. Basta che cresciate un po’ nel vostro corpo maggiore, e quelle energie si consumano e ne trovate altre migliori.» 4 In che senso dici «se uno è fortunato»? «Certi non riescono mai ad abbandonarsi davvero. O non sanno, o non ammettono, che uno possa affidarsi a qualcosa di più grande del vostro mondo. Hanno paura di tutto ciò che è diverso da loro; così, se sono malati, restano malati e, se sono sani, si condannano a portare il peso del loro corpo maggiore, senza usarlo mai. «In questo sta l’importanza della mitologia: è l’opposto dei roghi, migliora i vostri rapporti con ciò che è più in alto. Fa bene al vostro fegato superiore. D’altronde, è una lunga storia 28
quella dei vostri attriti con le vostre facoltà superiori, molto più antica dei roghi: immemorabile.» Me la raccontate? «C’è un mito antico che la racchiude tutta. Molto antico. Il nome vero del protagonista non ti direbbe niente, da millenni si è perso.» E chi era? «Il Signore delle Porte. Una specie di antenato del serpente e di tutto ciò che c’è dietro il vostro diavolo.» Il Signore delle Porte «La sua storia è questa: il Signore delle Porte era un immortale che voleva diventare Dio supremo.» Cos’è un immortale? «Uno che c’è sempre» mi rispose l’Austero. Allora c’è ancora? «Sì, ma non qui. Immortale non vuol dire onnipresente. Ascolta la storia.» «Voleva diventare Dio supremo» proseguì il Dominante «e, naturalmente, aveva bisogno dell’umanità per riuscirci, dato che senza l’aiuto degli uomini non si diventa Dei, né tantomeno Dei supremi. Il Signore delle Porte aveva un piano: alzare il livello complessivo dell’umanità, e portarla più vicino alla sfera divina.» Cioè, accelerare l’evoluzione, come dicevate prima? «Un po’ di più. A quel tempo gli uomini credevano che la sfera divina fosse una dimensione vera e propria, un altro modo di star e nell’universo.» Ed è così? «Sì. E quell’antenato del serpente voleva che tutti gli uomini la raggiungessero. Oggi vi sembrerebbe un’illusione, ma allora
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poteva apparire una via di sviluppo, almeno a uno ottimista come lui.» E come pensava di riuscirci, il Signore delle Porte? «Per esempio, voleva che i profeti si facessero capire meglio dalla gente, così i re e i sacerdoti avrebbero faticato molto di più, a perseguitare i profeti. Voleva insegnare ai medici a non farsi pagare. Voleva convincere tutti che quella sfera divina non era soltanto divina (d’altronde, tutto è divino) ma che era ciò che chiamiamo il corpo maggiore, né più né meno. Voleva fare una quantità di cose e, insomma, aveva un suo piano ben dettagliato. Elevare gli uomini gli sembrava un’impresa degna di un Dio, pensava che gli uomini l’avrebbero apprezzato e che, anche se all’inizio gli sarebbe costata cara, alla fine l’avrebbero divinizzato. Così, amava molto questo suo progetto…» Ma se la sfera divina avesse cessato di essere soltanto divina, come sarebbe potuto lui diventare un Dio? «Quella sfera avrebbe cessato di essere soltanto divina, ma ce ne sarebbe stata un’altra più su, perché ogni sfera divina che riuscite a immaginare è il riflesso di sfere più alte. Così lì, su un’altra sfera più alta, lui sarebbe stato Dio, superiore a tutti gli altri Dei che gli uomini conoscevano allora. Oh, niente da dire: l’idea era buona. Ma c’era in lui, in qualche angolo della sua natura immortale, un antichissimo sentimento di libertà e di saggezza. È sicuramente utile essere un Dio, ma un Dio non è né libero né saggio. Capisci cosa voglio dire?» Un Dio non è saggio? «Se uno non è libero, non è saggio. E chi ha il potere non è libero. Conosci qualcuno che abbia più potere di un Dio? «Il Signore delle Porte, tuttavia, pensò di poter trascurare, e anzi di poter nascondere a se stesso, la voce di quel suo sentimento, e tentò l’impresa. «Forse – chissà – sarebbe riuscito a nascondere quella sua voce a se stesso; ma agli uomini non si può nascondere nulla 30
che riguardi il sentimento. Gli uomini si accorsero che, in fondo al cuore, lui non era del tutto convinto, e lo tradirono. Smisero di ascoltarlo. Così il suo piano andò in fumo, si cominciò a dire che il Signore delle Porte era solo un perturbatore dell’ordine e lo si condannò per sempre a essere il contrario di un Dio: un Anti-Dio, un’immagine del pericolo.» Un diavolo. «Suppergiù. Sarebbe potuta toccare la stessa sorte anche a Gesù, se fosse capitato in un altro periodo storico. “Tu che sei un uomo ti fai Dio”, lo dicevano anche a lui. 2 Un’immagine del pericolo! Poi, per spregio, gli uomini equivocarono questa definizione, e lo ritennero senz’altro un essere pericoloso, propagatore di mali: come sempre succede con gli sconfitti, diedero a lui la colpa di tutti i mali del mondo.» «Ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di tutti» commentò l’Austero, citando Isaia. 3 5 Tutto qui? domandai, dato che il Dominante taceva. «Tutto qui.» Da dove viene questa storia? «La conoscevano in Egitto, ma gli egizi l’avevano presa da popoli molto più antichi di loro, che per te non hanno nome. Ha sicuramente influito sulla storia del serpente dell’Eden. Interessante quell’idea che il sentimento l’ab bia fermato nella sua carriera, vero? Pensaci bene.» Somiglia anche a ciò che dicevate di Chirone, che non riusciva a superare se stesso. «Ha influito anche sulla storia di Chirone. Ma guarda bene: la libertà, la saggezza, il sentimento, sono queste le cose che gli uomini hanno paura di perdere, evolvendosi. Il mito del Signore delle Porte esprime il loro timore che nel corpo maggiore non ci sia più spazio per tutto questo.» 31
Ed è vero? «No. Ma a quel tempo erano sicuri che libertà, saggezza e sentimento fossero cose umane e non divine, e che il loro posto fosse sulla Terra e non in cielo. Avevate paura di perderle.» Quindi il Signore delle Porte era… cioè, in un certo senso, quella gente si identificava nel Signore delle Porte? «Sì, ma pochissimi se ne accorsero. Oggi invece ne avete altre, di paure, e talmente dense e aggrovigliate che una storia come quella non riuscireste a inventarla. Vi siete rinchiusi nelle paure come in una stanza buia, e avete cominciato ad aver paura anche di quel buio. In periodi come il vostro l’immagine del pericolo non è certo il fantoccio con le corna, che chiamate diavolo. È quel tipo di avvenimenti e situazioni che voi chiamate “diverso”. Ciò che può succedere di inaspettato: le tentazioni, le rivoluzioni.» 6 Volete quindi dire che, per la gente, il diavolo è ciò che può succedere di diverso dalle loro aspettative? «Quasi tutti pensano che quello sia il diavolo e il Male. Ma ciò che è certamente un male, è pensarla a questo modo: è un male della mente. Ed è importante accorgersene, ed evitarlo. Ascolta: «La maggioranza delle persone comincia a convincersi di essere in buoni rapporti con Dio: di sapere cosa voglia dire obbedirgli, e quindi di aver ragione su tutta la linea. I loro sacerdoti hanno ragione, la loro civiltà ha ragione, la loro razza ha ragione, Dio è dalla loro parte. E questo è l’inizio della rovina.» È così, in Occidente? «È successo ai vostri padri, ai vostri nonni e ai nonni dei vostri nonni, e voi ne state subendo le conseguenze» disse l’Austero. 32
«Il guaio è» continuò il Dominante «che quando credono di obbedire tanto bene al loro Dio, gli uomini finiscono per abbassarlo, a forza di sentirselo tanto vicino. E un Dio abbassato non è più un Dio, diventa un idoletto inutile in cui non riescono più a credere davvero. Così il cielo sopra di loro rimane vuoto. «Non se ne accorgono, e continuano a sentirsi obbedienti (l’obbedienza dà assuefazione, sai: è come una droga) ma un Dio a cui obbedire non l’hanno più. In alto non c’è più nulla, tutto è al loro livello: tutto è tran tran. E a questo obbediscono. Così, ciò che è al loro livello diventa il loro Dio, a cui si inchinano e a cui fanno sacrifici. È un po’ il contrario di quel progetto del Signore delle Porte.» Fanno sacrifici? «Eccome. Gli sacrificano ciò che hanno di meglio: la libertà, i desideri, la vita intera. «E, naturalmente, se il posto di Dio lassù rimane vuoto, anche la posizione del diavolo cambia. Per la gente il diavolo è solo il nemico di Dio: dunque, se Dio, per loro, è l’esistenza solita, il diavolo diventa tutto il resto, tutto ciò che è diverso. «E, allora, tutto ciò che sanno si trasforma in una specie di diga che tiene indietro il Nemico. Ed è davvero un guaio, quand’è così.» «Diventate feroci e stupidi, in queste circostanze, e vi sembra normale» mormorò l’Austero. E c’è un rimedio? «No. Quelle dighe, quando si sono formate, cominciano a esistere davvero: la vita della gente diventa veramente una diga. È orribile: la maggioranza cerca di abbassarsi sempre più, di capire sempre meno, per avere l’illusione di obbedire a qualcosa di superiore, mentre in realtà obbediscono soltanto alla loro routine. E tutto ciò che non capiscono diventa loro nemico.» «Così è sempre quando vengono i Diluvi» disse l’Austero. «Quando si ruppero le dighe ai tempi di Noè nessuno se ne 33
accorse. Avevano troppa paura per accorgersene e, per millenni, continuarono a illudersi di essere ancora vivi.» 7 Sentivo che era vero. Mi guardai intorno, nel luogo in cui venivo a trovare i maestri. L’avevo costruito io nella mia immaginazione, diversi anni prima, e non era mai cambiato: una grande stanza tonda in fondo a un lago, scavata in un grande scoglio che somigliava a un vascello affondato. Nella stanza c’erano divani e poltrone, tappeti, e una spessa vetrata su cui premeva l’acqua profonda, verdazzurra. C’erano alcune porte, da cui sentivo entrare i maestri – li sentivo soltanto, non li vedevo – e c’era la porta da cui entravo io, con un breve corridoio che, visto dalla stanza, ricordava un ponte levatoio. A quel tempo era così. E quella stanza era diventata reale, per me, e mi piaceva immensamente: così lontana dal mondo esterno, dove tutto era davvero come me l’aveva appena descritto il Dominante. In quella stanza, tutto era diverso. A cominciare dalle parole dei maestri. Nel mondo esterno nessuno mi aveva mai parlato come loro. «Non va bene, sai» disse il Dominante. «Anche questa stanza è una diga.» No, dissi, è solo un posto diverso. Il mondo esterno è la diga che dite voi. «È una diga, questa stanza,» insistette dolcemente il Dominante «e non è il modo giusto di imparare. Così impari solo echi, annunci di cose, e non le cose.» Ci pensai e scossi il capo. E come faccio a imparare le cose davvero? Ogni argomento che toccate è come la porta di una città: ci vorrebbero mesi, anni per conoscere la città intera e, a ogni passo, voi aprite la porta di un’altra città. «Questo va benissimo così e sarà sempre così: ovunque 34
arrivi, ci saranno sempre cose che rimangono fuori dalla tua portata. Le cose che impari servono solo a segnare la tua strada, e le cose che non hai ancora imparato sono il paesaggio che la strada attraversa. I paesaggi sono il corpo maggiore, mentre la strada è il tuo io piccolo, che cresce per quanto può. «L’importante è che il tuo io piccolo continui a cercare la strada, e non si fermi pensando di essere arrivato. Non costruirne più, di dighe: va bene?»
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Giovanni 10,33. 3 Isaia 53,6.
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Parte seconda
I SETTE MONDI DEGLI UOMINI
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III I sei Cieli dell’evoluzione umana - Il guardiano delle soglie I maestri fanno lezione sul bene e sul male
1 «È che dovresti viaggiare un po’» aveva cominciato a dirmi l’Austero in quel periodo. Con “viaggiare” intendeva un certo modo di spostare la mia immaginazione nell’Aldilà, in epoche lontane o fuori dal nostro universo. Ci avevamo provato, a volte, ma senza grandi risultati. Non serve, gli rispondevo, non vedo mai niente quando viaggiamo. Al che l’Austero borbottava qualcosa e non c’era più. Detestava sentirmi dire che non riuscivo a fare qualcosa: se ne andava via per un po’. «Due cose non ti riescono e sarebbero invece importanti» mi disse il Dominante, un giorno che l’Austero era scomparso appunto per quel motivo. «Una è viaggiare e l’altra è congiungere. Non congiungi ancora ciò che percepisci qui con ciò che percepisci nel vostro mondo. Quando riuscirai a fare una cosa, ti riuscirà anche l’altra.» «Congiungere» come? «Farne una cosa sola. Altrimenti impari soltanto in teoria e non in pratica. Anche questa è soltanto un’inutilissima diga.» 37
E perché non riesco a congiungere? «Perché fai troppo poco per gli altri. Quando qualcosa non ti riesce, è sempre questa la ragione principale.» 2 Rimasi in silenzio, e mi sentivo a disagio. In quel periodo facevo tante cose. Al mattino insegnavo in un liceo, nel resto della giornata facevo consulenze per case editrici, traducevo la Genesi e scrivevo il mio primo libro sugli Spiriti-guida. In più cercavo di essere un buon padre di famiglia e di salvare il mio matrimonio che, come banalmente succede, somigliava sempre più a un cappio al collo. Pensando alle mie giornate dense, quella frase – «fai troppo poco per gli altri» – mi suonava addirittura irritante: ne emanava un senso di colpa che non sentivo mio. «Io faccio quello che devo e quello che posso» pensai «e non smetterò per fare qualcos’altro.» Il Dominante aspettava. Be’ , sbuffai, che cosa potrei fare? «Non è la domanda giusta. La domanda giusta è: perché hai paura di fare quello che potresti per gli altri?» Mettiamola così. Perché? «Non è una paura solo tua: è di una moltitudine di altri legati a te. Ma bisogna superarla, non hai scelta. Col passare del tempo il peso di questa moltitudine finirà per trascinarti via come un’inondazione, se non fai qualcosa di più per loro. Mentre, se impari a farlo, cambierà tutto.» Aspettò che finissi di scrivere questa frase, e riprese: «Anche quel peso è il corpo maggiore, se riesci a capirlo. Il corpo maggiore è troppo vasto per incarnarsi soltanto in te e per te. Capisci?». D’accordo, aiutatemi allora. Potete? «Noi sì. I nostri poteri sono molto più grandi di quelli che conosci. Solo che, così come sei adesso, non ne hai ancora 38
bisogno, e perciò non puoi chiedere. Ma in questo modo non cresci.» 3 «Guarda qui,» sospirò, vedendo che non capivo «è così che crescete voi» e cominciò a tracciare disegni sul pavimento della stanza tonda, che servizievolmente divenne di sabbia, mentre io l’avevo sempre immaginato di pietra. C’entra col diavolo? domandai mentre disegnava. «Altroché. Ecco, poniamo che questo sia il limite delle tue possibilità:
«Le tue possibilità sono il cerchio esterno e il tuo limite è il cerchio interno. È il limite di ciò che sai e che puoi sapere; di ciò che sei e di ciò che puoi essere. Quanto più lo allarghi, succede questo:
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«Il cerchio interno si allarga fino a che non coincide con il quello esterno. E lì ti trovi tu, adesso: perciò ci sono cose che non ti riescono, così come sei ora. La tua strada si è fermata. «Poi il cerchio che prima era all’interno si allarga ancora, e si dissolve: il limite scompare. Questo è il fare di più per gli altri; allora si può ricominciare a imparare.» Se supero le mie possibilità non ho più limite? «Non hai più quel limite. Ah, a proposito: il cerchio interno devi immaginarlo vuoto. Ogni volta che impari e fai qualcosa di più è come se si allargasse un vuoto dentro di te: e da quel vuoto entrano molte più cose di quelle che ti sembra di imparare. Capisci come funziona? È semplice.» E il cerchio esterno non cambia mai? Le nostre possibilità rimangono sempre uguali? «Aspetta, siamo appena all’inizio. In realtà il cerchio esterno è un cerchio solo a guardarlo da dentro. Visto di lato, invece, è così.» Il Dominante tracciò quest’altro disegno:
«Noi lo vediamo di lato: per noi è conico» spiegò. «Voi lo vedete nell’altro modo perché ci siete dentro.» E dove finisce il cono? «Dove arriva la vostra vista. È un campo visivo: intorno a voi è un vostro orizzonte; e verso l’alto è un vostr o Cielo. Nel vostro universo ce ne sono altri cinque così e, via via che il cerchio interno si allarga, riuscite a vederli, uno per volta. Il cerchio interno rimane sempre il punto da dove guardate. È così, vedi: 40
«Nel vostro universo umano avete sei Cieli; e il cerchio interno può trovarsi nel Primo Cielo, o nel Secondo, nel Terzo e così via.» Perché sono proprio sei? «Sono sei» disse il Dominante. «Anche se perlustrassi il vostro universo da cima a fondo, non riusciresti a trovarne di più. Puoi anche immaginarli così:
«O così. Anche così va bene:
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«Qualche tempo fa gli astronomi pensavano che questi Cieli fossero le sfere celesti e che esistessero nell’universo fisico: invece esistono soltanto in voi, nel vostro universo umano. Cioè, in quello che voi percepite della realtà.» 4 «Ora, dicevamo: lo spostamento del cerchio interno da un Cielo all’altro» proseguì il Dominante «è ciò che voi chiamate evoluzione, e di cui avete paura. Per averne paura, vi immaginate che l’evoluzione siano le modificazioni culturali, sociali eccetera, che avvengono nel corso del tempo. Ma immaginata così non significa granché.» Per noi sì. «Neanche per voi. Serve soltanto a quelli che vogliono convincersi di essere arrivati più in là di chi è vissuto prima di loro, il che è una sciocchezza. «La vostra evoluzione non è affatto negli strumenti tecnici, nella grandezza delle città o nel numero delle parole importanti che riuscite a ideare. È una crescita del vostro campo visivo. 42
Non è diversa da un’epoca all’altra: è diversa da persona a persona, in ogni epoca. Ovvero: in qualsiasi giorno della vostra vita potete diventare completamente diversi da ciò che eravate fino al giorno prima. Il che, secondo la vostra idea di evoluzione, sarebbe impossibile.» Cioè, in ogni epoca ci sono persone più evolute, che vedono più «Cieli» delle altre? «No, te l’ho detto: siete capaci di vedere solo un Cielo alla volta, almeno nel vostro Aldiquà. Io posso spiegarteli tutti, se vuoi; ma se te li spiego comincerai a vedere ogni cosa diversamente, e quello che hai imparato finora non ti interesserà più. Perciò farai fatica a intenderti con l’altra gente, per un po’. Non ti spiace?» Ci pensai per qualche secondo e poi feci segno di no, col capo. 5 «Come vuoi» disse il Dominante, con un mezzo sorriso nella voce. «Allora: il Primo Cielo è quando un uomo percepisce se stesso come individuo. È l’orizzonte che vedete intorno e dentro di voi, e il cielo che percepite sopra di voi (con gli Dei, il Paradiso e tutto il resto) quando dite e pensate: “Io sono, io voglio, io so, io dico” e così via. Nel Primo Cielo vi sembra che questa parola “io” non richieda alcuna spiegazione. «Il Secondo Cielo è ciò che vedete quando vi sentite parte di un insieme di persone, e pensate e percepite ciò che pensano e percepiscono queste persone. Per esempio un popolo, una religione, un partito: un noi numeroso. Noi, noi, noi. Lì il “noi” è più importante di tutto. «Il Terzo Cielo è quando uno comincia ad accorgersi che dentro di lui c’è qualcosa di più ampio di quell’io che dice “Io voglio, io so, io dico” eccetera. Avete tanti nomi per indicare questo qualcosa di più ampio: l’inconscio, le vite precedenti, le 43
vostre potenzialità ancora sconosciute. Ognuno di questi nomi coglie un pezzetto della realtà del Terzo Cielo. Più in generale e più precisamente: il Terzo Cielo è quando ciò che agisce in voi è ciò che non sapete di voi stessi. Ci siamo fin qui?» Sì. «Il Quarto Cielo è quando ciò che uno non sa di se stesso si unisce a ciò che un altro non sa di se stesso. Questo succede nei grandi amori, nelle grandi passioni. O anche quando alcune persone, pochissime, hanno un medesimo ideale che sia in contrasto con l’ordine costituito.» E quando l’ideale di quelle persone concorda con l’ordine costituito? «Con quel tipo di ideali si è ancora nel Secondo Cielo. «Poi, il Quinto Cielo è quello della vostra più limpida dimensione interiore. È quando cominciate a sentire che in voi c’è un mondo immenso, segreto, incomprensibile, molto più grande non soltanto di ciò che chiamate “io” ma anche di tutto ciò che conoscete. È quando cominciate a intuire che quel che vi succede vi capita soltanto perché siete stati voi a volerlo. E non riuscite a crederci e non capite come sia possibile e, quanto più ci pensate, tanto meno riuscite a descriverlo: eppure sentite che è proprio così. Quando, per esempio, formuli un desiderio e il desiderio si realizza. Sai bene com’è, no?» Annuii. «Ecco, quello è il Quinto Cielo. «Il Sesto Cielo è quando trovate un altro che ha cominciato a fare questa stessa scoperta della sua più limpida dimensione interiore, e riuscite a comunicare con lui. E questa, naturalmente, è una grande felicità.» Più grande di un grande amore? «Sì. Ti spiace?» Un po’ , dissi, pensando a un mio grande amore.
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6 «Scrivi, scrivi, la spiegazione non è finita» continuò il Dominante. «Questi sono i sei gradi della vostra evoluzione. Tre di questi gradi – il primo, il terzo e il quinto – riguardano il vostro rapporto con voi stessi, gli altri tre riguardano il vostro rapporto con gli altri. Ed è una differenza molto importante: nei Cieli dispari, salendo dal Primo al Terzo, al Quinto, avete sempre più occasioni di scoprire quello che chiamiamo il corpo maggiore; nei Cieli pari, invece, imparate a usare sempre meglio il linguaggio e le facoltà del vostro io piccolo, che sente di non essere di per sé un intero, di essere parte di qualcosa, e crede che la parte restante siano gli altri. Capisci?» Sì, benissimo. Questo l’avevo capito davvero bene. E questo c’entra con il mio dover fare qualcosa per gli altri? «Ci arriveremo. Tutti i Cieli sono necessari. Dovete passare da tutti e sei – e superarli, naturalmente. Se restate fuori da qualche Cielo, è solo perché non avete abbastanza forza per volerlo conoscere: e allora tutto ciò che pensate o fate rimane incompleto, fragile e in qualsiasi momento può sembrarvi senza senso. In ogni epoca c’è chi resta aggrappato per tutta la vita al Primo Cielo, o al Secondo, e chi comincia ad affacciarsi al Terzo, o che tutt’a un tratto si ritrova nel Quarto, e via dicendo. «I bambini, per esempio, sono tra il Sesto e il Quinto. La maggior parte degli adulti sono arroccati nel Primo Cielo, e passano al Secondo solo quando qualcosa li costringe a farlo.» 7 Io a che Cielo sono? «Quando parli con noi, scopri continuamente il Quinto.» Sentii, intanto, che l’Austero era tornato a sedersi accanto a me. «Fate lezione?» domandò. 45
Fare lezione era un nostro termine tecnico. A volte, quando ponevo ai maestri una questione complicata, accettavano di rispondermi sotto forma di un vero e proprio corso: dovevo cioè andare a trovarli quotidianamente o a giorni alterni, per un certo periodo di tempo, e ascoltare le loro lezioni sull’argomento. «E tra ciascun Cielo e l’altro» proseguiva intanto il Dominante «c’è quello che chiamate il diavolo, il vostro cosiddetto Signore del Male. Per voi, ogni tratto intermedio tra questi sei gradi di evoluzione è territorio suo. Il diavolo è il vostro guardiano delle soglie.» Il Signore delle Porte. «Questa è oggi la sua mansione. È molto grande e minaccioso quando lo vedete da fuori ma, ogni volta che riuscite a passare da un Cielo all’altro, ciò che voi chiamate diavolo scompare.» Nel senso che chi si trova nel Primo Cielo pensa che sia male passare al Secondo, o al Terzo e così via? «Ogni tanto pensano che sia una tentazione, ogni tanto ne hanno soltanto paura senza capire perché. Per gli adulti, quanto più salgono dai Cieli inferiori a quelli superiori, tanto più la paura diventa panico: l’orrore, il Male.» «Gli stiamo spiegando la conoscenza del bene e del male?» domandò l’Austero. «Stiamo cominciando, sì» gli rispose il Dominante. Possibile che sia così semplice? domandai io. 8 «Vedi tu stesso» rispose il Dominante. «Uccidere è male, no? È male rubare, opprimere, ingannare. Dal punto di vista del vostro Primo Cielo tutto questo è certamente male e tentazione diabolica. Ma, dal punto di vista del Secondo Cielo, è già molto diverso: nel Secondo Cielo rubare, ingannare, opprimere e anche uccidere sono indispensabili strumenti di lavoro: negli 46
eserciti, nei governi, nei partiti. E nel Secondo Cielo chi fa queste cose non pensa di commettere il male, a meno che naturalmente non ricominci a guardare dal punto di vista del Primo Cielo.» E quando uno uccide o ruba per proprio conto? «Per proprio conto? Hai visto troppi thriller. Nessuno uccide o ruba per proprio conto: queste cose sono sempre un prodotto del Secondo Cielo, perché per farle l’uomo deve inevitabilmente usare forze che si formano nel Secondo Cielo. Nel Primo Cielo non avete forze simili, il vostro campo visivo non le percepisce.» Cioè, vorreste dire che un individuo normale, normalmente egoista, non può uccidere, rubare o opprimere? «Davvero non capisci? Nel momento in cui il signor X uccide o ruba, non è più il caro signor X che tutte le mattine pensa “Io, io” guardandosi allo specchio, e che si intenerisce ricordandosi di quand’era bambino. Nel momento in cui uccide o ruba, diventa membro del grande insieme atemporale degli assassini e dei ladri, che hanno il loro posto nel Secondo Cielo, dove vivono per punire o per essere puniti, perché là il noi ha bisogno di punizioni. E in quel momento lo sa di essere diventato un altro: possiede una forza diversa.» «Non è più un io, è espressione di un noi» disse l’Austero. «Poi,» continuò il Dominante «se, dopo aver ucciso o rubato, torna a essere il caro signor X e a vedere il mondo dal punto di vista del Primo Cielo, pensa con sgomento: “Io, io ho fatto questo! Ho ucciso, ho rubato!” e gli sembra di non capire come sia stato possibile, e potrà dire che il diavolo l’ha spinto e gli ha guidato la mano. Non è stato il diavolo, ma solo la forza del Secondo Cielo. «Perciò anche i processi si fanno nei tribunali, cioè in qualche apparato in cui qualcuno possa dire “noi”: i delitti si possono giudicare solo dal punto di vista del Secondo Cielo – come delitti di un membro di un “noi”, che non ha rispettato le 47
regole di quel “noi” o di un altro “noi” più potente. Invece, dal punto di vista del Primo Cielo, potete soltanto inorridire dei delitti, ignorarli, perdonarli o nel peggiore dei casi esserne vittime.» «Il che non toglie che la gente del Primo Cielo farebbe volentieri a pezzi quelli del Secondo Cielo, se potesse» osservò l’Austero. «Ma non può.» «Già. Altrimenti gli Stati non esisterebbero» disse il Dominante «e non avreste nessuno che vi comanda.» 9 E per chi passa al Terzo Cielo, il diavolo cos’è? «Oh, dal punto di vista del Primo e del Secondo Cielo il Terzo Cielo è pericolosissimo e molto diabolico» rispose il Dominante. «Le Chiese hanno continuato per secoli a bruciare quelli del Terzo Cielo, senza che nessuno pensasse di impedirglielo: perché sembrava una cosa normale. «E, dal Quarto Cielo in su, la paura di chi guarda i Cieli da quelli inferiori diventa sempre più profonda. Fa paura entrare nel Quarto Cielo: gettarsi in un grande amore. Quanti ci riescono? «Fa ancora più paura entrare nel Quinto. E il Sesto Cielo è quello che fa più paura a tutti: perciò lo scoprono in pochi. «E, ogni volta, a ogni passaggio da un Cielo all’altro, ciò che fa paura è propriamente l’idea di perdere quello che si ha e che si conosce già. Di veder sparire il cerchio interno, come dicevamo prima. Rispetto a quello che si ha e si conosce già, ognuno di questi passaggi è la Negazione, la Privazione. La manifestazione del Male, insomma.» 10
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Allora, secondo voi, il male non esiste di per sé, e dipende soltanto da punti di vista. «Non perdere tempo con quel genere di astrazioni. Che vuol dire: “il male di per sé”? Se qualcosa è male, per forza dev’essere male per qualcuno. E ciò che chiami male esiste eccome, e dipende soltanto dai vostri campi visivi. «Secondo l’Inquisizione era male e cosa diabolica dire che la Terra gira intorno al Sole. E secondo qualunque individuo uccidere è male, perché per essere un individuo bisogna vedere le cose dal punto di vista del Primo Cielo.» Quindi il diavolo non è di per sé malvagio? «Dipende tutto dai campi visivi. Quando uno è passato da un Cielo all’altro, ciò che prima gli sembrava diabolico gli appare in un altro modo. Prima di passare, invece, il diavolo è il signore del pericolo. Ed è sui passaggi che il vostro Dio viene obbligato ad appendere qualche Prometeo o qualche Chirone, per farvi paura: perché, in ciascun Cielo, il vostro Dio è il Signore di tutto ciò che avete e conoscete sotto quel determinato Cielo. Quindi pensate che a Dio non piaccia che la gente abbandoni un Cielo, e lo lasci indietro.» Ogni Cielo ha il suo Dio? «No, ma voi percepite Dio in un modo diverso a seconda del Cielo in cui siete.» E quando si viaggia nell’Aldilà, si viaggia anche attraverso questi Cieli? «In parte, sì. In ogni caso è utile conoscere un po’ di geografia prima di viaggiare, non ti pare?»
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IV I miei tragitti - Il Settimo Cielo e Lucifero - Il Nilo e il Diluvio Il patto col diavolo - Le somiglianze
1 Non è che un po’ viaggio già, quando vengo a trovarvi? «È poca cosa.» Il mio tragitto interiore per raggiungere i maestri era certamente un viaggio. Nei primi anni era più breve: chiudevo gli occhi, immaginavo un sentiero, il lago, un tuffo nel lago e la porta nello scoglio sott’acqua – e in poco più d’un minuto ero già nella stanza tonda. In seguito avevo sentito il bisogno di inserire un montacarichi, prima del sentiero. E il montacarichi si era trasformato in un lungo volo verticale: immaginavo cioè di precipitare, seduto sulla mia sedia, le mani sui braccioli – e questo volo durava già di per sé più di un minuto. Quanti chilometri d’altitudine sarebbero occorsi nella realtà, per precipitare così a lungo? Non sapevo se quell’allungamento del percorso fosse dovuto a una mia maggiore resistenza a raggiungere la dimensione dei maestri o se, al contrario, con la pratica quella dimensione fosse diventata più profonda dentro di me: semplicemente quel volo mi piaceva. Immaginandolo, mi capitava anche di stringere i braccioli, per la vertigine. E, durante il volo, trovavo il tempo di mettere a punto le domande, 50
gli argomenti su cui conversare. Alla fine la sedia si posava a terra, lentamente, all’imbocco del sentiero. Questo mio tragitto come si colloca, nello schema dei Cieli? «È già un viaggio e non lo è» rispose il Dominante. «Non lo è ancora, perché lì rimani aggrappato a ciò che sai di te, un po’ come ai braccioli della sedia. Ed è già un viaggio, perché tutto quello che riguarda noi è un viaggiare. Qui da noi, sei in viaggio sempre: qualunque domanda poni, cominci un viaggio in cui ciò che conosci rimane indietro. Solo che, finché ti limiti ad ascoltare, viaggi soltanto con l’udito.» «È come se viaggiassi in braccio alla mamma» aggiunse l’Austero «e la mamma ti racconta cosa si vede dal finestrino.» «Poi imparerai che tutte le cose che conosci qui sono forze, da adoperare e non da ascoltare soltanto» continuò il Dominante. Sono forze in che senso? «Nel senso più semplice: forze. Forze per viaggiare sul serio e per fare di più per gli altri. Vedrai, imparerai. Intanto continua a scrivere: i Cieli sono sette, ne manca ancora uno.» 2 «Il Settimo Cielo è quando il vostro campo visivo esce dagli altri sei, e li vede nel loro insieme. Così:
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«Formano una specie di emisfero, vedi? E il Settimo Cielo è l’altro emisfero.» Sembrano un sole all’alba, visti così. «Diciamo la metà di una stella» disse l’Austero. «Tutto quello che vedete nel vostro mondo significa e indica qualcos’altro. Anche le stelle all’alba.» E anche nel Settimo Cielo il diavolo è il guardiano della soglia? «No, qui non occorre» rispose il Dominante. «Per voi il Settimo Cielo è tutto quanto soglia.» Tacque per qualche secondo. «Tu non hai ancora domandato niente su quel che fa il guardiano della soglia, e non hai capito cos’è e come si attraversa.» Obbedii al suggerimento. E come si attraversa? «La soglia tra un Cielo e l’altro» spiegò il Dominante «è un elemento molto diverso da ciò che conoscete nei primi sei Cieli. È come un fiume: ci sprofondate per un istante, e poi risalite dall’altra parte. Un po’ come Mosè quando viene affidato al Nilo, nella cesta. Ricordi com’è, no? Un faraone aveva ordinato di uccidere tutti i figli maschi degli ebrei: la mamma di Mosè disobbedisce, tiene con sé il bambino e, quando non può più tenerlo nascosto, lo mette in una cesta e lo affida al Nilo. Il Nilo lo porta fino a dove una principessa sta facendo il bagno, e la principessa raccoglie il bambino e lo alleva come un principe. Rifletti bene su questo punto.» Dunque queste linee che nel disegno sembrano raggi sono fiumi? «Non fiumi d’acqua, certo. Fiumi di un elemento che trasforma: e, nell’istante in cui vi sprofondate, venite trasformati quanto occorre per poter risalire in un altro di quei sei Cieli, invece di tornare a quello di prima. Così Mosè quando viene immerso nel fiume è un piccolo disperato, e quando arriva dall’altra parte è un principino. 52
«Se invece sprofondaste un po’ di più in quell’elemento, arrivereste nel Settimo Cielo. Ciascuno di quei fiumi è già il Settimo Cielo; come vedi, confluiscono tutti.» Ma lì è tutto soglia, come mai non c’è il diavolo? «Non ho detto che lì non c’è. Potresti anzi pensare che lì sia tutto diavolo, tutto pericolo, cioè. È quello che una volta chiamavano Lucifero, il portatore di luce. L’alba di una stella. È perché da quell’emisfero si vede tutto in una luce diversa; ma per voi è il diavolo, perché ovviamente vi fa paura.» 3 E dove si trovano precisamente questi fiumi? Voglio dire: c’è un posto in cui li si vede, o è una metafora? «Si trovano in ogni cellula del vostro corpo. In ogni confine dei vostri pensieri, in ogni contorno di ciò che vedete, oltre che nella storia di Mosè, che d’altronde è la storia di ognuno di voi.» Cioè? «La storia di quella persecuzione è la storia di ognuno di voi. Il passaggio da un Cielo all’altro è sempre un’evoluzione, ed è un affidarsi al fiume. A guardarlo da una riva soltanto, ci si sente come chi vede allontanarsi qualcuno; e la maggior parte della gente non riesce a vedere nient’altro.» «Per loro quel Nilo è il Diluvio» disse l’Austero. Mi piacque molto questa idea: che la Genesi narrasse non avvenimenti di un’epoca lontana ma circostanze della nostra vita. Dunque anche la storia di Adamo, e di Caino e Abele sono descrizioni del nostro modo di vivere. «Come ho fatto a non pensarci prima?» dissi tra me. E mi venne in mente l’arcobaleno che compare dopo il Diluvio. 4 Anche i sette colori dell’arcobaleno hanno a che fare con i sette Cieli? «È un altro modo di disegnare i Cieli, certo» rispose il 53
Dominante. «Ce ne sono tanti, di modi.» 4 E la cesta di Mosè è come l’arca di Noè? «È la stessa storia: nel Diluvio, un mondo si affida alle acque per trasformarsi. Ci sono tanti altri racconti che la riprendono per precisarne qualche dettaglio. Per esempio, le vostre leggende sui patti col diavolo.» Le leggende in cui qualcuno fa un patto per accrescere il proprio potere e perde l’anima? «Proprio così. In tutte le storie che conoscete c’è un indovinello da risolvere. In queste leggende dei patti col diavolo l’indovinello è: “Come mai chi fa un patto col diavolo perde l’anima?”» sorrise il Dominante. «E la risposta è: il patto col diavolo raffigura il passaggio da uno dei sei Cieli a un altro. In quelle leggende, la brama di ricchezza o di dominio rappresenta moralisticamente l’impulso a compiere quel passaggio. E nel passaggio si perde davvero l’anima, ma non certo perché il diavolo se la porta via. «È perché voi non vedete mai la vostra anima, e solo durante il passaggio, quando vi immergete in quell’elemento che vi trasforma, vedete la vostra anima per un istante: le immense possibilità che ci sono per voi. E poi di nuovo la perdete di vista, appena entrate in un altro dei sei Cieli. In questo senso la perdete. La vostra anima è nel Settimo Cielo.» In pratica, il diavolo è la soglia della nostra anima? «Il diavolo è la paura della soglia, e per voi il Settimo Cielo è la soglia da cui cominciate a vedere com’è fatta la vostra anima. Dunque, sì: possiamo dire che il diavolo sia l’immagine della distanza che volete tenere tra voi e la vostra anima.» 5 54
Altre volte avevo parlato dell’anima, con i miei maestri, e mi avevano spiegato che l’anima umana non è affatto quel batuffolo diafano che ci si immagina di solito. È, dicevano, un’immensa regione dell’universo, nella quale il nostro io (l’io piccolo, come lo chiamavano loro) è come una moneta in un lago. Questa immensa regione è ciò che definiamo Aldilà, o più precisamente: l’anima di un individuo è ciò che quell’individuo può scoprire dell’Aldilà. E tra l’anima e il corpo maggiore che rapporto c’è, precisamente? «Il corpo maggiore è tutt’intorno al tuo io piccolo e al tuo corpo fisico» rispose il Dominante «ed è a metà strada tra la tua realtà fisica e l’infinito; invece l’anima è a metà tra il tuo cosmo e l’infinito – intendendo per “cosmo” l’immagine che voi avete dell’universo.» Ripetei mentalmente questa definizione, come compitandola. L’infinito in che senso? «In tutti i sensi: tutto ciò che è infinito e che voi non potrete capire mai. E lì l’anima è come una porta tra due stanze. Per alcuni è una porticina minuscola, così la vedono loro; per altri è addirittura come un forellino nel muro; per altri invece è come l’imbocco di una valle. In realtà è grande quanto il più grande dei Cieli, il Settimo, appunto: è lì che comincia la vostra anima.» 6 A metà tra la nostra immagine del mondo e l’infinito… Quindi l’anima è un’astrazione? «Non è per niente astratta. È un grado ben preciso di intensità del reale. Come dice il finale di Faust , quando il dottor Faust ritrova l’anima?» Andai a prendere il Faust di Goethe. 55
Tutto l’effimero è solo una somiglianza; l’inattuabile qui diventa ciò che avviene; l’indescrivibile qui si compie; l’Eterno Femminino ci trae avanti.
«Eh eh» ridacchiò l’Austero, compiaciuto. «Qui, l’effimero è il vostro cosmo» spiegò il Dominante. «L’inattuabile e l’indescrivibile sono ciò che non riuscite a includere nel vostro cosmo; Goethe chiama “Eterno Femminino” ciò che noi e voi chiamiamo anima, e che non solo non è astratto, ma fa diventare reali un’infinità di cose che per noi non esistono nemmeno nella vostra immaginazione.» E perché «Femminino»? Perché è femminile? «Perché il vostro io è maschile. Tanto negli uomini quanto nelle donne l’io è un principio maschile: anche le donne dicono il mio io. Voi lo sentite così. Mentre l’anima, la sentite come un principio femminile, proprio perché è tanto lontana ed eternamente diversa dal vostro io, quanto la donna lo è dall’uomo. «Così, finché siete degli “io”, siete lontani e diversi dalla vostra anima. Potete entrare e viaggiare nell’anima, ma non siete lei. Potete averla, ma non essere lei. E ne siete infinitamente attratti e tratti avanti, proprio come dice Goethe.» Anche il corpo maggiore è un principio maschile? «Sì. Ed è anche molto paterno.» E il diavolo? «Il diavolo per voi è soltanto il confine e la paura. Se lo immagini come un confine che ti ferma, è maschile; se lo immagini come paura che ti ingoia, è femminile. Ma sono solo somiglianze effimere.» 56
«Come la somiglianza tra quei fiumi e i raggi del sole all’alba» aggiunse l’Austero. 7 Insomma, il diavolo è solo un aspetto di ciascuno di noi. «Non ho detto questo» mi fece notare il Dominante. «E d’altra parte sapete molto poco di voi stessi. Conoscete solo i piccoli aspetti e i piccoli poteri che avete nei sei Cieli; e vi fa paura che possano diventare insignificanti davanti ai vostri poteri più grandi. Perciò avete tanto bisogno di un feroce guardiano che ve ne tenga separati, e vi convincete che ciò che lui custodisce sia soltanto robaccia: iniquità, malvagità, aberrazioni.» Invece è quel che abbiamo di meglio, di più grande? «Dipende da quante arie volete darvi» rispose l’Austero. Cioè? «È vero» confermò il Dominante. «Quanto più uno crede di essere buono e brillante e stimato nel Cielo in cui si muove, tanto più gli farà orrore ciò che può scoprire nell’altro emisfero.» «E tanto più noioso sarà parlare con lui» rincarò l’Austero. «Invece, quanto uno più scende a scoprire cosa c’è là, tanto più trova la sua anima. E tante cose diventano possibili, tante ombre e confini spariscono dal suo campo visivo: e tutto ciò che può succedere in uno qualsiasi dei sei Cieli diventa soltanto una somiglianza con qualcosa di più grande. O un indovinello, se preferisci. È questa la ragione per cui Gesù nasce in una grotta, di notte, nel solstizio invernale, e non in un palazzo in un meriggio d’inizio estate.» I Magi! mi venne in mente a un tratto. E perciò i re Magi giunti da chissà dove gli portano doni? «Certo. I tre re Magi, uno dei quali è nero. Mentre dalle tre proposte operative che gli fa il diavolo nel deserto, Gesù trae 57
altrettante idee guida. Si fanno sempre scoperte, scendendo nel Settimo Cielo. Ci si guadagna sempre, a viaggiare.»
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Genesi 9,13.
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V L’incarnazione. E una storia d’amore
1 Quindi anche la nascita di Gesù è una somiglianza. «Come tutto ciò che sai.» Gesù, invece, com’è nato davvero? Voglio dire il Gesù che è esistito storicamente. «Il Gesù che è esistito storicamente?» mi fece eco il Dominante. «La vostra storia è troppo piccola perché un Gesù possa essere esistito davvero.» Intendi dire che non è esistito? «Non “è esistito”. È in alcuni bei libri, ma non è un tale che c’è stato e non c’è più. Non lo sai? I cristiani dovrebbero saperlo: come dice il vostro dogma dell’incarnazione? Gesù è nato, ma dopo che è nato sua madre era ancora vergine; e Gesù è morto, ma dopo che è morto la sua tomba era vuota. È un indovinello: chi può essere un uomo del genere? Cosa rispondi?» Un uomo-Dio, o un Dio-uomo. «Bla bla. Non si risponde a un indovinello con un altro indovinello di cui non sai la soluzione. Di’ bene: è l’uomo, dal punto di vista di Dio. Nascita e morte sono i vostri confini nei 59
sei Cieli: i confini dell’io piccolo; e Gesù mostra ciò che in voi è più grande di questi confini. Come dice Gesù quando parla di se stesso? Come chiama se stesso?» In diversi modi: figlio di Dio, figlio dell’uomo… «“Io.” Quando parla di se stesso dice: “io”. E lì è la risposta. Voi, quando dite “io”, parlate del vostro io piccolo che comincia con la nascita e finisce con la morte. Gesù, invece, vi insegna a dirlo da un altro punto di vista, e intende un io che la vostra realtà non può ancora contenere. Così, quando nasce sua madre rimane vergine e quando muore la sua tomba rimane vuota: è più grande del tempo. E quello è il vostro io vero.» L’io del Quinto Cielo: quando dicevate che in ognuno di noi c’è un mondo immenso? «Diciamo l’io della stella. Per ora.» 2 Ma, quando ci si arriva, non si è più nei sei Cieli? Oppure poi si torna indietro? O si è là e qua contemporaneamente? «Quando siete nei sei Cieli, siete soltanto nei sei Cieli. Quando vi trovate nel Settimo, la stella si forma in voi e agite e siete in tutti e sette i Cieli contemporaneamente. È molto bello, ma succede a pochi. E, soprattutto, pochi se ne ricordano, quando gli succede.» Perché? «Vi fa paura, in genere perché non avete abbastanza forza. Non riuscite a congiungere, con la mente e con la memoria – che sono le vostre funzioni più deboli. Solo nei miti ci riuscite un po’: lì vi capita anche di ricordare, per qualche istante. Vuoi che te ne racconti uno, per allenamento? Fa’ così: non scriverlo, prova a ricordarti soltanto. Ti sarà utile, ed è un racconto molto bello e antico. È l’antenato di tutti i racconti.» Anche questo racconto riguarda il diavolo? «Il diavolo e anche Gesù.» 60
E lo capirò? «Probabilmente non subito.» La più antica storia d’amore PARTE PRIMA
«È in due parti.» E il Dominante cominciò a narrare. «Parte prima. Una volta lo Spirito abitava in alto – e intendo dire lo Spirito supremo, quello che dà la vita a tutti gli esseri, mortali e immortali. Abitava molto in alto nell’universo, ma si innamorò della materia. Sarebbe potuto rimanere lassù, al posto suo, ma non volle: era innamorato. E, contro il parere di tutti – di tutti gli Dei e di tutti gli Angeli – , lo Spirito scese giù verso la materia, si unì a lei e si trasformarono entrambi: da allora furono una cosa sola. «Così cominciarono a prendere forma tutti i vostri mondi e tutti i vostri cieli, molto prima che gli Dei creatori li plasmassero nell’aspetto che hanno adesso. E da allora, da quando lo Spirito e la materia si unirono, in tutto ciò che esiste nei vostri mondi c’è una forza che vuole tornare in alto, e una forza che vuole restare dov’è. Difficile dire quale delle due forze provenga dallo Spirito e quale dalla materia, tanto più che anche queste forze sono una cosa sola, e non si possono distinguere l’una dall’altra, mai. Ti piace?» È questa la storia? «È la prima parte. È molto conosciuta: tutti i vostri libri sacri ne parlano, in un modo o nell’altro. Solo che, tutte le volte che l’hanno raccontata, hanno esagerato un po’ nell’immaginare la materia come qualcosa di pesante, di inerte: in realtà non era proprio così, soprattutto allora. E allo Spirito hanno fatto fare troppo bella figura. Ma non importa; piuttosto, ti raccomando di notare quel bisogno che lo Spirito ha della materia. È commovente, vero? È anche la storia di Gesù, di ciò che voi 61
chiamate Gesù. E la fidanzata di Gesù è la terra, la materia, appunto. «Adesso la seconda parte. PARTE SECONDA
«Tra gli esseri immortali a cui lo Spirito dava vita c’era anche il diavolo, o meglio, quello che oggi chiamate il diavolo. A differenza degli Dei e degli Angeli, il diavolo aveva una sua autonomia molto spiccata, pensava sempre per conto suo. «Così fu anche quella volta. Agli Dei e agli Angeli non era piaciuta quella scelta d’amore dello Spirito, ma ci si erano adeguati: il diavolo invece decise di intervenire, e scese anche lui nella materia, non, però, per amore. Vi scese per separarla dallo Spirito, e trovò il modo. La sposò: e da allora la materia è sua moglie.» Ma come è possibile che… «Che sia fidanzata di uno e moglie dell’altro? Non è così in tutte le storie d’amore e in tutti i matrimoni? Pensaci.» «Gesù nei Vangeli incontra diverse donne adultere,» 5 notò l’Austero «e non è certo per caso che le incontra. E poi, te lo vedresti lo Spirito sposato?» «E ora veniamo alla spiegazione» riprese il Dominante. La storia è finita? «Be’, sì.» 3 «La materia è la vostra casa. Per voi è la famiglia, la nazione, le condizioni di vita, il corpo, insomma questo genere di cose: ciò che c’è di più stabile nel vostro Aldiquà. È il contrario esatto della vostra anima, per intenderci. E tutto ciò che vive nei vostri Cieli sa di avere la materia come casa; ma ciò che vive non vuole sentirsi in pace, in questa sua casa, non vuole dimenticare di essere diverso: di essere anche figlio di suo padre, oltre che 62
della materia. Questo non voler dimenticare è il modo più semplice di sentire la vostra anima. In un certo senso è la vostra anima. D’altronde, se vi sentiste in pace nella vostra casa, con la vostra mamma, non vi innamorereste mai di nessuno.» Ma il padre chi è: lo Spirito o il diavolo? «Sola mater certa: neanche la materia sa chi sia il padre. Tutto farebbe pensare che sia lo Spirito: anche il vostro sguardo, il vostro modo di sorridere. Ma chi può dirlo?» Se però lo Spirito dà la vita a tutti, come fa il diavolo ad avere figli senza che lo Spirito… «Certamente. È lo stesso problema che ti potresti porre la prossima volta che pensassi al concepimento di Gesù.» «Dio e Maria di Nazareth non erano sposati» osservò l’Austero. 4 Come mai lo Spirito e il diavolo non sono riusciti a trovare un accordo, riguardo alla materia? «Chissà, forse l’hanno trovato» rispose il Dominante. «Vedi, il segreto di questa storia è che a raccontarla è la materia stessa. È la materia a vederla così. È convinta che lo Spirito si innamori di lei, e che suo marito, il diavolo, esista per impedire che lei si elevi. Ciò che in voi è materia si sente esattamente così.» Cioè, se lo immagina lei e magari lo Spirito e il diavolo la vedono in tutt’altro modo? «Non è che lei lo immagini. Semplicemente li fa esistere così, nel suo mondo. Nel suo mondo comanda lei, e tutto diventa espressione di lei, anche lo Spirito e il diavolo. «Per la materia, il diavolo è il sapere che non c’è speranza: che lei rimarrà sempre in basso. E da un lato la cosa non le spiace più di tanto, dato che lì in basso comanda lei. «Ma d’altro lato, l’angoscia che ne prova le dà la forza di vedere lo Spirito che si è innamorato di lei e che l’ha raggiunta 63
dov’è. E così li vedete voi.» Noi o la materia? Non siamo solo materia, l’hai detto anche tu, prima. «Sì, ma nell’Aldiquà siete sempre segretamente convinti che la materia sia più forte di tutt’e due: dello Spirito innamorato e del diavolo suo marito. Quello che importa più di tutto agli uomini è che la loro casa non crolli: che i sei Cieli siano sempre ben saldi.» E hanno ragione gli uomini? La materia è più forte dello Spirito e del diavolo? «Giudica tu. Per lo Spirito innamorato la storia non finisce bene, direi, così come non finì bene per Gesù. E al diavolo tocca la parte del marito tradito. Così la vede la materia, e di sicuro voi non fate poi molto per dimostrarle che ha torto, non ti pare? Anche tu, per esempio, vieni a trovarci in fondo a un tranquillo laghetto: per essere sicuro di riemergerne sempre nel punto in cui ti eri immerso. Non hai pensato a un fiume.»
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Giovanni 4,16 sgg.; 8,3 sgg.
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VI Tutto cresce - La morte di Paola - Gli indovinelli della Sfinge Il Paradiso, e un’altra lezione sul Male
1 «Comunque sono uno che non fa abbastanza per gli altri,» pensavo ogni tanto nei giorni seguenti. «Ed ecco cos’è il lago tranquillo, ecco perché non ho mai pensato a un fiume.» Certo non era grave, dato che la maggioranza della gente non ha mai fatto abbastanza per gli altri; ma, più ci pensavo, e più mi sentivo come se mi avessero diagnosticato una malattia e come se, ripetendomi che non era grave, stessi soltanto perdendo tempo, invece di curarmi. Il Dominante aveva detto che la conseguenza di questa specie di malattia era la mia incapacità di «viaggiare» e di «congiungere» – cioè, in pratica, di ampliare i miei orizzonti e di trarre conseguenze pratiche da quel che sapevo e che scoprivo. Paralizzato dall’avarizia! Mi dava più fastidio questo pensiero, o la prospettiva di fare il volontario sulle ambulanze, o magari di fondare un ospizio? «Questo sarebbe fare qualcosa per gli altri» pensavo. «Ma non ha senso. Su un’ambulanza non saprei cosa fare, e per fondare opere pie ci vogliono capacità pratiche che io non ho. E dunque?» Ai miei maestri non ne parlavo, per timore che 65
cominciassero a darmi lezioni di pronto soccorso o di politica assistenziale, o magari a propormi di dare tutto ai poveri. Ponevo invece molte domande sulla Bibbia e sul libro che stavo scrivendo, e loro mi rispondevano tranquillamente, come sempre. Rig uardo al fare troppo poco per gli altri… mi decisi a domandare una notte. «Sì?» Intendevate « fare» o «dare»? Faccio troppo poco o do troppo poco? «Che differenza c’è?» domandò l’Austero. È che non riesco a pensarci chiaramente, ammisi. C’è qualcosa che mi impedisce di capire cosa dovrei fare, per gli altri. «Tutto quello che fai» rispose il Dominante. «L’importante non è il cosa fare, ma il come farlo. Tu fai le cose nel tuo mondo soltanto, che è piccolo: è lo stesso mondo in cui eri da bambino, quando imparavi a imitare gli altri. Intorno a te tutto cresce e tu no. Perciò vivi in una finzione; e se provi a immaginare qualcos’altro, riesci solo a immaginare un’altra finzione, che tu chiami dover fare. Non devi fare: fai!» Non capisco bene. C’entra in qualche modo con il corpo maggiore? «Certo. Ma per ora è vero che non capisci. Non puoi, è troppo piccolo il mondo che hai. Se qualcosa ne esce, tu la vedi uscire e rimani chiuso lì. C’è il tuo diavolo sul confine, che ti fa paura, e tu non te ne sei nemmeno mai accorto. Perciò non hai abbastanza né per dare né per fare, e nemmeno per capire gli indovinelli.» Tutto cresceva e io no. Era primavera, aprile, e il giorno dopo, guardando gli alberi verdi e il bianco luminoso delle nuvole, avevo l’impressione che gli alberi e le nuvole facessero abbastanza per gli altri, e io no. Crescevano e splendevano. 66
«Dev’essere per questo che tanta gente ha l’allergia in primavera» mi venne in mente. «Quando tutto cresce e comincia a splendere, chi non cresce e non fiorisce si sforza di non accorgersene, e il suo corpo fa quel che dovrebbe fare la sua coscienza: si sente soffocare e piange.» Io avevo sofferto di asma allergica dall’adolescenza, fino a quando l’Austero – giusto l’anno prima – mi aveva insegnato un modo di guarirne. «Ah, perché non l’hai chiesto prima?» mi aveva detto. «Scrivi questa parola: heneikiokòs. «Quando hai un attacco d’asma, pronunciala di seguito, quante volte vuoi, ma ogni volta togli una lettera all’inizio e una lettera alla fine: eneikiokò, neikiok , eikio, e così via. E alla fine di’: kaaa, e respira. E l’asma passa.» Mi era passata, grazie a quel chiocciare vagamente greco. E da quell’anno non mi era tornata. Dunque il corpo non mi aiutava più a non accorgermi. Ma il mio mondo rimaneva troppo piccolo e non riuscivo a ingrandirlo. Come si può ingrandire un mondo? 2 In maggio, in quel mio mondo troppo piccolo, morì la mia amica Paola. Si era appena separata dal marito e soffriva di forti emicranie; lei pensava fosse per la tensione, per la solitudine, i medici invece dissero che si trattava di una malformazione congenita in qualche punto della nuca, difficile da diagnosticare e ancor più difficile da curare. Quando seppi che l’avevano ricoverata e che era gravissima, corsi all’ospedale. Erano le undici di sera. L’atrio e i corridoi del padiglione neurologico erano deserti. Rabbrividii, non so perché, guardando i globi bianchi delle lampade appese al soffitto. All’ultimo piano il 67
medico di guardia della Terapia Intensiva mi disse che non potevo entrare a vedere «la signora» – domandandogli di Paola l’avevo chiamata «la signora». «Lei è parente?» «No. C’è qualcuno, dei parenti?» «No, sono andati via.» «E…» Mi spiegò che la testa della signora era piena di sangue raggrumato e che tra qualche ora le avrebbero prelevato le cornee e il cuore. Paola aveva trentacinque anni. Quando aveva perso conoscenza, quel pomeriggio – sul letto, in attesa che l’antidolorifico facesse effetto – il suo bambino era seduto nell’altra stanza, davanti al televisore. «Ma soffre, adesso?» «No» disse il medico di guardia. Ci pensò, e mi guardò un’altra volta negli occhi prima di chiudere la porta. Rimasi per una mezz’ora davanti all’ingresso di quel padiglione. Era un edificio vecchio, rosso scuro. Non c’era ragione che stessi lì, ma non me la sentivo di tornare verso casa subito dopo aver saputo che tra poco avrebbero tolto a Paola le cornee e il cuore prima che morisse del tutto. Ci eravamo conosciuti a un giardino pubblico, dove andavamo a far giocare i bambini. Non eravamo grandi amici, probabilmente non ci eravamo mai nemmeno chiesti consiglio su qualcosa. Ci eravamo soltanto abituati a vederci spesso. Neanche noi avevamo fatto abbastanza l’uno per l’altra? E perciò mi sembrava così pesante questa cosa, in fondo normale, che stesse morendo? Non soffriva. Doveva solo andare via, perché non c’era più niente da fare. Il mattino dopo telefonai a una mia conoscente che teneva corsi sul channelling , cioè sul modo di comunicare con i morti, e le domandai come si può aiutare qualcuno che muore. Mi disse che bisogna spiegargli alcune cose, sussurrandogliele all’orecchio. 68
«Non si può più. A quest’ora dovrebbe essere già morta, le toglievano il cuore stamattina presto.» «Allora arrivaci con i tuoi Spiriti: dev’essere ancora molto vicina. Le parole da dirle sono: “Tutto continua”. Quando muoiono hanno sempre paura che tutto sia finito, invece tutto continua; certi ne hanno talmente paura che per loro tutto finisce davvero per molto tempo. Ma poi tutto continua, anche per loro. Spiegaglielo in modo che capisca, trova tu le parole. Fidati! Fa’ così. È una buona cosa.» Mi sembrò che sapesse quel che diceva. Ne parlai ai maestri e mi accompagnarono a una porta della nostra stanza tonda, mi dissero che dovevo proseguire da solo e scendere al quinto piano, e richiusero la porta alle mie spalle. Era la porta di un ascensore, scesi al quinto piano e l’ascensore si aprì sul buio. Paola doveva essere lì da qualche parte, anche se non percepivo e non riuscivo a immaginare né lei né nient’altro: solo un buio vuoto. «Paoletta?» dissi. Aspettai per qualche istante e poi cominciai a dirle – a immaginare di dirle – che tutto continuava, il mondo, il suo bambino, tutte le persone a cui lei voleva bene, e anche lei: tutto continuava per lei e con lei, non c’era nessuna interruzione, solo un passaggio, una trasformazione. «È un passaggio di stato, così mi hanno spiegato… Una che se ne intende» dicevo. «È… come il ghiaccio che si scioglie e diventa acqua: ma era acqua anche prima, in fondo. Ecco, precisamente così.» Pensai che se lo capivo io, lo stesse capendo anche lei. «Bisogna solo accorgersene, e allora tutto continua. Di sicuro.» «Il male no» sentii che diceva. Sentii che la mia spalla sinistra diventava più pesante (poi i maestri mi spiegarono che a volte si prova questa sensazione, quando si parla con i morti). «No, no, certamente no» le dissi. «Il male, il dolore fa parte del ghiaccio, non dell’acqua… Il ghiaccio è duro e l’acqua è 69
morbida. Tutto continua in un altro modo, Paoletta, ma continua. Vedrai che continua,» proseguivo «già adesso si dovrebbe vedere, guarda bene. Riesci a guardare? Prova e ci riesci, da brava. Ecco, tutto qua, andrà tutto bene.» «La tua forma diventa diversa» disse Paola, con voce calma, mentre io avevo immaginato la mia voce affannata. «La macina si ferma e non serve più.» «Quale macina?» Non ricordo d’aver sentito altro. Aspettai per un po’ e tornai su, con l’ascensore. 3 Sono arrivato in tempo o mi sono immaginato tutto? domandai ai maestri. «Sei arrivato in orario» rispose l’Austero. Significa che mi ha sentito? «Sei arrivato in orario per te. È un passo nella tua evoluzione. Ti porta avanti in una forma più…» Lì capii cosa disse, ma lo scrissi in maniera indecifrabile e, quando riaprii gli occhi, non lo ricordavo più. Avevo scritto anche altre frasi che non ricordavo più di aver udito, ma erano incomplete: «Tu ancora non lo sai… disciogliti, dalle macine all’aria. Rispettale, e fai il tuo dovere…». 4 Che cosa mi avevate detto la volta scorsa? domandai l’indomani. Cos’erano quelle macine? «Niente, era un indovinello» rispose il Dominante. «Ma importava allora e adesso non importa più. Tutte le volte che arrivate a un confine trovate indovinelli: è il modo in cui la vostra mente sente il confine.» 70
E il confine era la morte? Ho parlato davvero con Paola? «Lei ha parlato con te. Tu hai parlato soltanto con il confine. Ecco, riguardo al diavolo: quel buio che vedevi lì era il diavolo, per te.» E per lei? «Per lei no. Il confine è il diavolo per chi ne è al di qua. È il buio, la paura, la soglia. Perciò dovevi dire che là tutto continua: a te stesso dovevi dirlo, per farti coraggio, e non a lei. Nell’Aldilà tutto continua davvero, in tutte le direzioni. C’è anche tutto ciò che non sapevate di ricordare, e questo vi spaventa moltissimo. «E non è soltanto nella morte: morte è solo uno dei nomi che gli date, ma il confine lo trovate in tutte le cose, in voi stessi, in qualsiasi istante. Non è dappertutto, l’invisibile? Non è in tutto? Invece di “invisibile” potreste anche dire: “inattuabile”, come diceva Goethe, o anche: “irricordabile”. Si può dire nelle vostre lingue?» «Immemorabile.» E perché ci spaventa tanto? «Dipende. Certi quando lo sfiorano hanno l’impressione che quell’enorme memoria stia per spazzarli via, come un fiume in piena. Altri invece restano a guardare: la guardano mentre si avvicina. E nella loro mente è come se si domandassero: “E questo che vedo cos’è? In qualche modo lo sapevo eppure non lo so”. E lì sentono gli indovinelli. Così è anche per te.» 5 «Quella è appunto la memoria del corpo maggiore, che si affaccia alla vostra anima» continuò il Dominante. «Anche l’indovinello della Sfinge si riferiva a questo. Pensaci. Com’era?» Nel mito di Edipo la Sfinge si aggirava intorno alla città di Tebe e poneva ai passanti il famoso indovinello, ingoiandoli se non riuscivano a rispondere: 71
C’è sulla Terra un animale che può avere quattro, due o anche tre gambe, ma è sempre chiamato con le stesso nome. Tra gli esseri viventi che si muovono sulla Terra, nel cielo o nel mare, questo è l’unico che muta talmente la sua natura. E, più sono le gambe su cui cammina, meno veloce va.
«Vedi?» domandò il Dominante. La Sfinge era il diavolo? «Lì sì. E la risposta all’indovinello era: l’uomo. Così è in tutti questi indovinelli: qui ricordate sempre ciò che sapete già.» Ciò che sa il corpo maggiore? «Ciò che vi accorgete di sapere quando cominciate a scoprire il corpo maggiore» precisò il Dominante. «La Sfinge è come se dicesse: “Hai il coraggio di accorgerti che, visto da dove sei ora, l’essere umano è una bestiola che cammina in quel modo buffo? E che da qui vedi tutta la tua vita, dall’inizio alla fine, perché qui sei molto più grande di quella bestiola? Tu l’hai sempre saputo: ma hai il coraggio di accorgertene?”. «Se ve ne accorgete, potete continuare a ricordare tante altre cose; se no, qui rimane solo un vuoto che si spalanca, e quel vuoto è la vostra paura, le fauci della Sfinge.» 6 Per me è stato un vuoto mentre parlavo con Paola? «Sì. Ma potete trovarne dappertutto, di questi vuoti che vi ingoiano. Per esempio, in quello che immaginate dell’Aldilà. Prendiamo il Paradiso: gli uomini pensano che sia l’Aldilà, e invece è anche quello un indovinello della Sfinge. È solo un modo di descrivere una dimensione dell’Aldiquà.» «Come l’inconscio è un modo di descrivere una dimensione del conscio» aggiunse l’Austero. E che cos’è il Paradiso, nell’Aldiquà? «Il vostro desiderio che esista: che i meriti siano premiati, 72
che Dio vi coccoli e così via. Solo che, se non avete il coraggio di accorgervene e continuate a pensare che il Paradiso sia nell’Aldilà, questo indovinello ingoia i vostri destini: pensando che sia nell’Aldilà, infatti, non fate niente perché esista dove sarebbe il suo posto, cioè sulla Terra. E vi immaginate che il diavolo vi impedisca di raggiungerlo, e naturalmente avete ragione: dato che il diavolo è, come sai, la vostra paura del confine.» Non lo facciamo di proposito. È così che ce l’hanno insegnato. «Oh no, lo fate di proposito. E di proposito lo insegnate e lo imparate così, caro mio.» 7 «Lo stesso vale anche per tutti i vostri mali» continuò il Dominante. «È come quando giudicate malvagio quello che la gente fa in un altro Cielo, ricordi?» Sì, uccidere, rubare eccetera. «Ecco. Così è per tutti i mali. Poniamo, la malattia. Il male non è la malattia: è solo la vostra incapacità di vedere cos’è la malattia. O la morte? È lo stesso: è la vostra paura di vedere cos’è la morte vista dall’altra parte del confine, dal punto di vista del corpo maggiore.» Be’, è chiaro: vista da lontano la malattia fa meno impressione. Ma per l’uomo sulla Terra è comunque un male. «No, il male è tutto quello che non osate vedere “da lontano”, come dici tu; e, finché non lo vedete, quello è il Male. Poi, agli uomini piace sentirsi vittime e costruire muraglie per difendersi: sono bravi a costruire, ma è tutto quello che ottengono, sforzandosi di non vedere. Quando invece conosci le cose dal punto di vista del corpo maggiore, ogni conoscenza serve a trasformare il senso di ciò che conosci.» 73
8 Dimmi allora, per esempio, come si trasforma il senso della malattia? «Vedi cos’è e la guarisci, perché non hai più paura di vedere cos’è.» E la morte? «Vedi che è uno dei tanti modi di superare il confine tra l’Aldiquà e il vostro corpo maggiore, l’invisibile, l’irricordabile. Uno dei tanti modi. Mentre, se non lo vedete, è solo un vuoto, uno dei tanti vuoti che vi ingoiano. «Prendi un qualunque altro male. Una guerra: la guerra è sicuramente un male divoratore, per tutti quelli che non capiscono cos’è, e li divora.» Come si fa a non capire cos’è, protestai. Tutti capiscono cos’è una guerra. «No. La guerra è un indovinello che i più non capiscono mai. Non te ne sei accorto nel Caucaso? Chi capisce l’indovinello vede che le cosiddette guerre sono soltanto degli uomini che uccidono e distruggono senza sapere perché, e che chiamano “guerra” questa cosa che non capiscono. Una moltitudine di soldati che dicono: “Io sono qui ed è così perché c’è la guerra”. È come dire: “Io non capisco perché sono qui e perché è così”. E se ne lasciano divorare. Non sarebbe così se vedessero che la guerra sono soltanto loro stessi che si uccidono a vicenda.» Nessuna guerra è mai finita solo perché la gente si era accorta di combatterla. «Perché non riuscite a fidarvi di ciò di cui vi accorgete. Non ve lo insegnano e avete paura a impararlo, così la vostra vita è piena di Sfingi.» 9 «Poi dite: perché Dio tollera il diavolo, e tollera il male, le 74
guerre, le malattie, le sofferenze dei giusti? E la risposta è sempre la stessa: sono gli uomini a immaginarsi e a volere che Dio tolleri tutto questo, perché sono loro a tollerarlo. Preferiscono lasciarsi divorare, piuttosto che capire qualcosa di più di ciò che sanno. «Così il Male rimane, e la vostra casa è solida, e quello che gli uomini sanno rimane valido. E il diavolo continua a essere il buio tutt’intorno, che vi fa paura.» E sarà sempre così? «Nelle vostre religioni, sì» disse l’Austero. «Comunque, la prossima volta che verrai da noi proveremo a viaggiare» mi annunciò il Dominante. «Domani o dopo. Hai appena fatto qualcosa per gli altri, è il momento buono.» Ti riferisci a quello che ho fatto per Paola? «Sì. Adesso ti manca soltanto qualcosa da cercare in viaggio, ma questo è facile: ti verrà in mente.» Verrete anche voi, sì? «Certo. Non ti preoccupare.» E in che senso: «qualcosa da cercare in viaggio»? «Ah no, è il tuo indovinello. Devi risolverlo tu, per la prossima volta.»
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Parte terza
IL DIAVOLO E L’UNICO DIO
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VII La promessa - Primo viaggio nell’Aldilà Storia e natura natura del diavolo cristiano Il Dio unico unico e il cuore: cuore: come far crescere entrambi
1 Qualcosa da cercare in viaggio. «Intenderanno uno scopo, la realizzazione di un desiderio», così ragionavo tra me e me la notte seguente, mentre mi preparavo ad andare dai maestri. «Be’, non è difficile immaginare una risposta equilibrata: i desideri sono sicuramente la cosa più utile che esista al mondo, ma l’Aldilà non è il mondo e io non posso desiderare qualcosa in un posto che non conosco.» Disposi come al solito il quaderno e le penne sulla scrivania, spensi la lampada, chiusi gli occhi e mi avviai per il solito itinerario. «Già, e loro mi risponderanno che, appunto per questo, è un indovinello, e che mi tocca risolverlo» pensavo intanto, con disappunto. «“Devi cercare qualcosa in un posto che non sai!” Come in una fiaba. E, se non lo risolvo, niente viaggio. Devo trovare una risposta. Trovare qualcosa da cercare.» La mia sedia precipitava giù nell’immaginazione, mentre io – con le sopracciglia aggrottate – tentavo tentavo invano, come si tentano le chiavi in una serratura. «Potrei dire: “Cercherò un genio della lampada di Aladino?”.» Aladino?”.» Ma non mi occorreva, avevo già loro. 77
«Allora qualche potere speciale? Una rivelazione?» Anche queste cose avrei potuto chiederle semplicemente a loro, senza bisogno di viaggiare: e me le avrebbero avrebbero insegnate in qualche lezione. «È strano, comunque: come mai non mi viene in mente niente, quando potrei pensare a qualsiasi cosa? cosa? Anche questo è il confine, confine, il diavolo?» La sedia cominciò a rallentare, e vidi dall’alto il sentiero e il lago, sempre più vicini. «Dirò così: andiamo a cercare qualcosa che mi permetta di sentirmi contento di me guardando la primavera, primavera, le nuvole luminose e gli alberi verdi. Capiranno cosa intendo; è un’ottima risposta.» La sedia toccò terra e mi avviai verso il lago. Ho pensato a cosa cercare, cercare, dissi subito, quando entrarono nella stanza tonda. «Bene, sentiamo.» La promessa. Lo pensai soltanto dopo averlo detto. La promessa. Non avevo idea di quale fosse, ma in quel momento seppi chiaramente di avere una promessa da mantenere. Ricordarmi di cosa ho promesso e quando quando,, continuai, come per spiegarlo a me stesso. «Mmh, ci siamo quasi» disse il Dominante, proprio come avrebbe potuto dirlo un maestro a scuola. 2 «Non è soltanto la promessa da ritrovare» continuò. «C’è anche la capacità di usare le promesse: come strumento per la conquista della realtà.» Mi è venuto in mente solo adesso, dissi, senza capire quel che mi stava spiegando. Così, tutto a un tratto. Non avevo pensato a una promessa, prima. «Succede sempre così, con gli indovinelli. In parte è già 78
questa la promessa che cerchi. «In un certo senso, è il passo successivo ai desideri. Quando esprimete i vostri desideri, imparate non soltanto a guardare dentro voi stessi, ma anche ad affidarvi a forze invisibili e senza nome, più grandi di voi. E, perciò, a ogni desiderio autentico cogliete un lembo della trama sconosciuta della vostra vita: i desideri sono una forma superiore di conoscenza, e questo è il dolce premio di tutti i desideri, anche di quelli che poi non avete la forza di lasciar realizzare. Quando invece…» E quelle forze invisibili sono sono il fiume, nel disegno dei Cieli? «Certamente. Quando invece userai le promesse…» E i desideri sono un accesso al corpo maggiore? «Sì. Quando invece imparerai a usare le promesse, tutto comincerà ad avvenire per dimostrarti che tu contieni il mondo. E non capirai mai come, ma diventerai tu quelle forze più grandi.» Con le promesse, semplicemente? Dicendo: «Farò questo e quest’altro?». quest’altro?». «Più o meno. Col dirlo anche senza le parole. Anche qui, è come quando la mamma affida Mosè al Nilo, tale e quale. Vedrai, ma devi imparare a viaggiare, prima.» 3 Tacquero. Adesso stiamo per viaggiare? «Direi!» Bisogna andare da da qualche parte, per partire? partire? domandai, indicando le porte della stanza. «No, basta che raccogli qualcosa da terra.» Immaginai di chinarmi; sentii che la spalla destra si chinava più rapidamente rapidamente della sinistra, sinistra, e ruotava verso verso sinistra. E cominciai a vedere. 79
*** Un calcagno fine. E la caviglia olivastra. Per un attimo soltanto. Di una bambina, sicuramente. sicuramente. Poi, l’impronta che aveva lasciato il sandalo. La vedevo da vicino, sul terreno rossastro, polveroso; e la luce arancione del sole e l’ombra sul margine dell’impronta: il margine non era profondo più di due o tre millimetri, millimetri, ma ne vedevo nettamente nettamente l’ombra. E il colore della luce del sole, l’ombra e la polvere mi sembravano belli come pietre preziose. «È così bello il mondo?» ebbi il tempo di pensare. «Devi regolare un po’ la vista» disse il Dominante. «Tieni la schiena diritta, andiamo a sederci là» e indicò dei gradini di pietra nel sole al al tramonto. Dov’è andata? domandai, intendendo la bambina o la donna di cui avevo visto il calcagno. La bambina camminava davanti a noi: aveva lunghi capelli ricci, scuri, e una veste arancione, scura anch’essa, che le arrivava sotto le ginocchia. Diverso tempo prima, nelle conversazioni con i maestri, mi era accaduto o mi era sembrato a volte di sentire anche la voce di una bambina, oltre alle voci del Dominante e dell’Austero. dell’Auster o. Mi volsi a domandare al Dominante, e mi fermai a bocca aperta. «Che c’è?» sorrise il Dominante. Era la prima volta che lo vedevo. *** Il Dominante aveva una lunga sopravveste, a disegni persiani, rosso cupo e verde. Era largo di spalle e soprattutto di torace, e appena più alto di me. Aveva la barba rada, chiara, e grandi occhi castani che in quel momento erano illuminati dal sole. Vedevo il denso colore del sole sulle ciglia, sulle piccole rughe negli angoli degli occhi: sorrideva con le labbra chiuse. Poteva avere sessant’anni. 80
«Mi vedi, sì?» dall’emozione. E lui è… Sì! e ridevo dall’emozione. E L’Austero, che gli camminava accanto, era vestito di chiaro, con ampie vesti arabe, bianco e ocra. Era più alto del Dominante e aveva la barba nera, gli occhi neri e la pelle bianco latte. Dietro di noi, sulla sinistra, venivano altre due figure che non distinguevo bene: avevano il sole alle spalle e il sole era basso e abbagliante. abbagliante. La bambina era corsa accanto a una di queste figure e l’aveva presa per mano. Siete cinque? «Noi? Tu sei cinque, noi ci adattiamo a te» rispose il Dominante, e mi guardò, continuando a camminare. «Ma non siamo né uno, né tanti, né pochi.» Per un attimo mi sembrò di aver capito perfettamente questa frase, come se fosse stata aritmetica. «Nei viaggi bisogna innanzitutto imparare a vedere» disse ancora. Mi sorridevano, tutti, anche anche l’Austero – che era sulla cinquantina, ma aveva un sorriso da adolescente, come accade agli uomini non sposati. Li guardavo, ora l’uno ora l’altro, e non riuscivo a dire niente dalla contentezza. Le due figure sulla sinistra erano un uomo e una donna, vecchi, portavano anche loro vesti lunghe e ampie, blu scuro, e avevano forme strane dietro le spalle – spalle – come come ali di libellula modellate con il filo di ferro. Io sono cinque? E tutti gli uomini lo sono? domandai, per sentire la mia voce. «Chi più, chi meno» rispose l’Austero. Avrei voluto toccarli, ma temevo che al contatto si dissolvessero. La bambina mi guardava con curiosità, sempre tenendo per mano il vecchio con le finte ali di libellula. «Qui, siediti» disse il Dominante, battendo la mano sui gradini tiepidi di sole. «Non devi avere fretta. Impara ad ascoltare e a prendere nota anche in viaggio.» E si sedette alla 81
mia sinistra. Proprio davanti a me, sulla terra battuta, erano tracciati i disegni dei cerchi e dei coni dei cieli. «La questione, per voi, sta tutta nel concordare questi disegni tra loro» riprese il Dominante, vedendo che guardavo i disegni. «Dai diversi modi di concordarli prendono forma tutte le vostre religioni. Gli egizi e i greci ci riuscivano bene. Voi no, soprattutto perché sentite che in questi disegni è racchiuso un grosso potere, e ne avete paura.» «Infatti gli egizi e i greci non avevano il diavolo» disse l’Austero, che si era seduto a sinistra del del Dominante. «Parla con noi come se fossi nella stanza tonda» mi sussurrò il Dominante. «Devi abituarti.» 4 Cioè (provai a obbedirgli) , , se il diavolo è la paura, vuol dire che i cristiani sono sono più paurosi degli altri? «Il diavolo è dei cristiani» disse il Dominante. «Loro l’hanno coltivato e plasmato nelle sue qualità, il che naturalmente è una cosa notevole. Il diavolo come lo si immagina di solito è una delle poche figure mitologiche veramente nuove che si siano formate negli ultimi due millenni; per il resto, in mitologia avete continuato continuato a riscoprire terre antiche. «I cristiani l’hanno plasmato e si sono, per così dire, specializzati nel diavolo, perché di tutte le religioni il cristianesimo è quella che teme maggiormente di venir superata. In un certo senso è la più consapevole di tutte. Sa di essere inferiore al suo principio, cioè a Gesù e alle Scritture: sa di sapere meno di quel che c’è nelle Scritture (gli ebrei invece non lo sanno) e ne ha paura. Poi, naturalmente, ha paura di tante altre cose di cui sa troppo poco. Del corpo, per esempio. I cristiani hanno come simbolo un corpo crocifisso: è strano, non ti pare?» Sì, Sì, dissi, e intanto mi distraeva la sensazione del mio corpo, 82
lì, delle mie gambe appoggiate su quel gradino di pietra chissà dove. Sto perdendo qualche passaggio? domandai. Non ho seguito bene… «Sta andando tutto benissimo» mi rassicurò il Dominante. Dominante. E proseguì: «Il vostro corpo è davvero una delle ragioni principali della paura del Dio cristiano. Il vostro Dio, sai, è in una situazione difficile, molto più difficile di quella di Zeus. L’avete proclamato proclamato “Dio unico” troppo presto, quando né Lui né voi eravate pronti per una simile conquista. 6 Lui non si era ancora formato del tutto, e voi non avevate ancora superato nemmeno uno dei molti Dei che avevate allora. Stavate intuendo una possibilità tanto audace: un Dio unico! E, tutt’a un tratto, avete voluto realizzarla. realizzarla. Nota bene che neanche gli ebrei l’avevano: il loro Dio era soltanto il più grande, non pensavano che fosse l’unico. l’unico. Parlo della della massa, certo. certo. I sapienti sapienti avevano altre idee». E il nostro corpo preoccupa tanto Dio perché Dio non si è ancora formato? «Il vostro Dio unico non basta a dominare tutta la realtà, e il vostro corpo è ciò che gli sfugge più d’ogni altra. Guarda tu stesso: il vostro Dio non mangia, non dorme, non fa l’amore. Non per nulla il vostro cosiddetto peccato originale riguardava proprio il mangiare qualcosa. «Così, in questa parte voi – nel nel cibo, nel sesso, nel sonno – sentite che Dio non c’è; e cibo, sesso e sonno sono per voi grandi fonti di angoscia. Lì cresce nella vostra religione quella stessa paura che provava Zeus al pensiero di perdere il suo posto di sovrano.» E il crocifisso è il riflesso di quella paura del corpo? Mi stupivo di non averci mai pensato. 5 «E lì, infatti, arriva il diavolo» continuò il Dominante «a esprimere queste vostre vo stre paure. Gesù muore, muor e, risorge risorg e e sale in 83
cielo: ci sale col corpo, certamente, ma poi non ne sapete più niente di preciso. Intanto sulla Terra i vostri corpi e i bisogni del corpo diventano gli strumenti di lavoro del diavolo tentatore: cioè, del fondato timore che quel Dio unico non basti. E voi non sapete più cosa fare, dato che il corpo l’avete e non potete farne a meno. Immaginate un Inferno di fiamme per i corpi dei peccatori, e il Paradiso per le anime dei giusti: solo per le anime. I santi provano a non fare l’amore, a non mangiare e a non dormire, ma evidentemente non è lì il punto. È una situazione difficile, come vedi.» E come se ne esce? «I cristiani, dici? Di questo passo ci metteranno ancora qualche secolo, se saranno fortunati. Ciò che intanto continuano a crocifiggere è l’immagine della loro crescita, che si è fermata, invece di salire fino al cielo; e anche la crescita del loro Dio si è fermata.» «Non sanno cos’è il corpo maggiore» notò l’Austero. «D’altronde, se hanno paura del corpo fisico, figurarsi di quello maggiore.» «Dovrebbero innanzitutto prendersi più cura del loro Dio – come faceva Mosè, quando il suo Dio era giovane. Con un Dio giovane ci vogliono grandi cautele; non bisogna dargli ruoli che ancora non ha, né fingere di non accorgersi che tante cose non può ancora farle. Il vostro Dio unico è il cuore, per voi. Non è ancora il resto.» In che senso è il cuore? «Ti ricordi la corrispondenza tra miti e organi? In tutto ciò che vi raccontate di Dio, il vostro Dio unico corrisponde al cuore. «Il cuore, nel vostro corpo, è l’organo che capta l’energia cosmica: le tante forze cosmiche che non potete capire e che non capirete mai, neanche dopo mille reincarnazioni – perché ciò che in voi capisce non è fatto in modo da contenere questo genere di informazioni. Da quelle forze traete la vita: passano 84
attraverso il vostro cuore, e il vostro cuore è un canale, un riduttore, diciamo così, che trasmette quelle forze vitali al vostro corpo, alla mente e a tutto ciò che siete, sotto forma di energie psichiche e fisiche e via dicendo. Il cuore pulsa, no?» Sì. «È l’unico organo del vostro corpo che ha il battito, il ritmo. Quel ritmo è il suo captare energia. L’energia cosmica è suono, ritmo. E quando parlate del vostro Dio unico, state parlando del vostro modo di captare quell’energia. Cioè del cuore.» Provavo un senso di vertigine. 6 «Per fare qualsiasi cosa, anche soltanto per respirare,» continuò il Dominante «avete bisogno di quell’energia: di quel ritmo che, attraverso il sangue, arriva in ogni parte del corpo. E lo stesso è il vostro Dio unico. È il vostro riduttore di energia.» E un Dio unico più adulto, diciamo, più formato, dovrebbe corrispondere a tutto il corpo, a tutti gli organi? «Certo. Ne siete ancora ben lontani, non pare anche a te? Inoltre, il vostro cuore, se potesse funzionare tranquillamente, capterebbe quantità di energia incommensurabilmente più grandi di quelle che capta ora, e vi farebbe vivere centinaia di anni. Ma voi, per paura, lo limitate e permettete che ve lo limitino in tutti i modi possibili: vi lasciate ferire, ostacolare, asservire, vi ostacolate da voi stessi, crudelmente. Ed è inevitabile che il vostro Dio unico ne risenta, e la sua crescita sia tanto più frenata. Così stanno le cose. «Ricordi quando parlavamo del destino? Ti avevo detto che il destino è tutto ciò a cui voi date il permesso di accadere: questo permesso lo date appunto attraverso il cuore.» Dunque non con la volontà? «Non con la volontà della vostra mente. Dipende tutto dal cuore: dove il vostro cuore non giunge, non potete giungere in 85
nessun modo, con il vostro io piccolo. Questo è ciò che chiamate: coraggio. Sai cos’è il coraggio?» 7 Penso di sì. «Probabilmente no. Disegna un cuore.» Disegnai un cuore sul terreno, e il Dominante vi aggiunse delle piccole figure geometriche tutt’intorno.
«Questo è il vostro cuore com’è di solito. Ogni volta che scoprite, fate o sentite qualcosa di nuovo e di più grande, il battito del vostro cuore si amplia. Il cuore cresce, crescete anche voi e tutta la vostra esistenza cresce. Ma avete queste schegge tutt’intorno, queste spine.» Spine? «Sì. Sono schegge di vecchie ferite, tanto vecchie che, per lo più, non potete ricordare chi ve le ha fatte e quando. Come punte di freccia che si sono spezzate e sono rimaste lì. Tutti ne avete molte. E ogni volta che il cuore cerca di ampliarsi, sente quelle schegge che pungono. Il cuore dei più smette di crescere proprio per questo: non sa cos’è quel dolore di spine, non può ricordarlo, e non cresce più. Lì si ferma il coraggio.» 86
E così è anche per il Dio unico? «Per i più, sì.» «Perciò Gesù aveva una corona di spine in testa, quando lo stavano uccidendo» disse l’Austero. «Perché voleva far capire che Dio può crescere, ma la gente che lo stava uccidendo o lo lasciava uccidere aveva quelle spine intorno al cuore, e intorno alla loro idea di Dio. E le ha ancora, esattamente come allora.» 8 E come se ne esce? domandai di nuovo. «Qualche spina la superate con il sentimento. Con l’amore, con l’odio, con qualsiasi sentimento che diventi più forte di quel dolore pungente, per il tempo necessario a frantumare qualche spina. Ma non basta. Per rintracciare tutte quelle spine non basterebbe una vita intera, figuriamoci per estrarle. E fare a meno del vostro Dio unico sarebbe impossibile: c’è, come c’è il vostro cuore; ed è come è, e dovete tenerne conto. «Così, dovete per forza aiutarlo a crescere. Con quel Dio unico siete davvero tutti come Mosè: Mosè aveva trovato il suo YHWH abbandonato nel deserto, dimenticato da tutti…» «Accanto a un rovo che bruciava, nota bene» aggiunse l’Austero; «un rovo ha le spine. Bruciava e non smetteva di bruciare.» «Era un Dio troppo piccolo, un cuore troppo piccolo,» proseguì il Dominante «e Mosè lo adottò, lo allevò, lo educò a un maggiore coraggio. Mosè era egiziano, conosceva molti Dei: sapeva interpretare molte storie di Dei, molta anatomia mitica. Con questa sua sapienza ha aiutato il Dio unico e il cuore a crescere un po’. È quello che dovreste fare anche voi.» Ma come, precisamente? «Con le storie. Nell’uomo c’è una parte fertile che può spingersi avanti, sempre, e sono le storie. 87
«Mosè, per far crescere il suo Dio e il cuore, ha scritto storie di uomini e di Dei: la Genesi, l’ Esodo. Quello è il modo. E anche voi nelle storie potete crescere splendidamente: come gli alberi, estendendo sempre più giù le radici. È anche nelle radici che gli alberi crescono, no?» 9 Quest’ultima cosa la capii subito molto bene: immaginai un albero che cresce nelle radici. Di solito si pensa che l’albero cresca verso l’alto, ma in realtà cresce innanzitutto verso il basso, nel buio della terra da cui trae il suo nutrimento: e la crescita dei rami e del fogliame è un po’ come la coda dell’albero. «Così» pensai «anche noi cresciamo affondando le radici, probabilmente nell’altro emisfero, nel Settimo Cielo…» Ma perché proprio con le storie? «Innanzitutto, perché le vostre storie sono tutte connesse con il corpo maggiore» rispose il Dominante. «Se una storia rimane nei secoli, è perché è bella, e se qualcosa è bello ha sicuramente a che fare con il vostro corpo maggiore.» La bellezza è un modo che abbiamo di percepire il corpo maggiore? «È un modo di lasciarlo agire. «In secondo luogo, nel vostro mondo le storie sono ciò che somiglia di più alla vostra crescita e alla promessa che cerchi tu. Voi come fate a crescere? Lasciate che il vostro corpo e le vostre capacità si sviluppino, non le intralciate. Così avviene anche con le vostre storie: non siete voi a inventarle, lasciate che prendano forma, e tutto ciò che dovete fare quando le componete o le raccontate è non intralciarle, non rovinarle. Non è così?» Vuoi dire che per crescere dobbiamo formare storie nuove? «Non esistono storie nuove. Il nuovo c’è solo nella maniera in cui vi immaginate il tempo, che è limitata, astratta, e che 88
serve solo a intralciarvi, come una superstizione. Le storie crescono e trovano la loro forma scendendo sempre più nell’altro emisfero; e, rapportato al tempo come lo immaginate voi, l’altro emisfero è più che altro il passato. Dunque non possono esserci storie nuove, se le storie crescono nel passato.» Ma ci sono anche storie ambientate nel futuro. «Ci sono storie che qualcuno, in passato, ha ambientato nel futuro.» Mi accorsi che faticavo sempre più a capire, la mia mente era stanca, ma raccolsi le energie che mi rimanevano, per chiedere: E le spine, come fanno le storie a togliere le spine? «Nel presente avete quelle spine. In uno qualsiasi dei sei Cieli. Ma voi avete altre dimensioni temporali, che le storie colgono, e lì crescete. Come quando le radici di un albero incontrano una roccia: cosa fanno, allora? Ci girano intorno, e la chioma dell’albero continua a crescere rigogliosa. Così le storie girano intorno al vostro presente, e voi crescete.» Ma nel passato? Mentre annotavo questa domanda non vidi più nulla: mi ritrovai di nuovo nella stanza tonda, e i loro volti, i gradini, il sole al tramonto erano immagini che si perdevano rapidamente, come il ricordo di un sogno. Perché? Quando è sparito tutto? «Ci vuole un po’ di pratica, nel viaggiare» ris pose il Dominante. «Ti sei perso. La prossima volta andrà meglio. Continua a prendere nota, intanto. Non è stanchezza.»
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Il riferimento è all’anno 380, quando Teodosio impose il cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero romano.
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VIII Seguito del precedente - Come si cresce nelle storie, a ritroso Il mondo intermedio - Pollicino - E Babbo Natale
1 «Cosa stavi per domandare?» Il Dominante riprese tranquillamente la conversazione. Le storie che crescono nel passato… Ma è perché vengono dal passato? Volete dir questo? «No, no. Crescono proprio verso il passato, si formano a ritroso. Come anche i vostri Dei. E anche voi, anche se non ve ne accorgete mai.» E come? «Per esempio: la vostra storia più famosa dice che all’inizio il Dio creatore creò il mondo e gli uomini, e che poi avvennero tutte le varie vicende, il serpente, il Diluvio, Babele, poi Abramo, Isacco, Giacobbe e così via, fino a quando Mosè incontrò il Dio creatore nel deserto e ne raccontò la storia. Così la raccontate voi. «Invece andò in un altro modo: Mosè incontrò un Dio nel deserto, cominciò a capire questo Dio e a pensarci e, quanto più ci pensava, tanto più questo Dio prendeva forma, e cresceva, e crebbe talmente da diventare il creatore di tutto il mondo – il che all’inizio non era ancora, quando Mosè l’aveva incontrato 90
nel deserto. Così succede nelle storie; e naturalmente, anche la storia di Mosè è una storia. Hai capito?» Cioè, bisogna capovolgerle, in un certo senso… «Voi potete percorrere il tempo in tutte le direzioni che volete, nelle storie come nella realtà. Se non lo fate, è solo per paura. Perciò non vi accorgete di come prendono forma le storie: le ascoltate, e non capite. Ma è molto semplice; ascolta: se Mosè avesse incontrato un altro Dio nel deserto, e ci avesse pensato altrettanto, quest’altro Dio sarebbe diventato il Dio creatore. Così, la vostra storia più famosa narra che è l’uomo a dar forma e senso al suo Dio, e a tutto il suo mondo, attraverso quel Dio. Ma voi credete diversamente, perché questo vi fa paura. È chiaro, adesso?» 2 «E il seguito di quella vostra storia famosa vi dice che Gesù era un uomo, ma era figlio di Dio; e che scontò i peccati del mondo e Dio lasciò che venisse ucciso per la salvezza dell’umanità, come avevano annunciato i profeti già tanto tempo prima. Così la raccontate voi, e vi sforzate di crederci anche se non ha molto senso.» «Perché far ammazzare qualcuno per scontare i peccati di qualcun altro?» precisò l’Austero. «Invece la storia cresce in un altro modo» proseguì il Dominante. «Ogni uomo sconta gli errori che altri uomini hanno commesso in passato, perché ne subisce le conseguenze; ma ogni uomo può fare a meno di ripetere gli errori degli altri, se si accorge che sono errori. Gesù pensò molto a questo fatto, capì che per accorgersene occorreva un punto più alto, e insegnò agli uomini a far crescere se stessi verso questo punto più alto, così come Mosè aveva fatto crescere il suo Dio. «Prendetevi Dio come padre,» 7 diceva Gesù, ovvero: cambiate la vostra storia a ritroso, cambiandone l’origine più remota: la nascita, i genitori. 91
Chi può impedirvelo? E poi imparate da Dio, prendete da Dio, come ogni figlio prende dal padre. «Questo spaventò talmente i suoi contemporanei, che finirono per uccidere Gesù; e, siccome anche oggi vi spaventa, preferite credere che soltanto Gesù sia stato il figlio di Dio, e abbia scontato i peccati del mondo, solo lui, e che sia stato Dio a farlo uccidere per salvarvi.» E cos’è che spaventa, in questa storia? «Che l’uomo possa diventare figlio di Dio: perché se così è, poi può diventare qualcosa di più ancora.» «Ma questo è precisamente ciò che deve succedere» disse l’Austero «e poco importa che vi spaventi o no.» 3 E come si fa a prendere e a imparare da Dio Padre? Noi non capiamo cos’è. Se uno crede in Dio, crede in qualcosa che non capisce, oppure crede in qualcosa che gli hanno insegnato altri uomini: e prende da questi altri, e non da Dio. «Strambo ragionamento» rispose il Dominante. «Perché pensi così? Voi imparate sempre cose che non capite ancora, e solo dopo averle imparate riuscite a capirle. Così è anche con il vostro Dio Padre. Il credere non c’entra nulla: si tratta soltanto di imparare. Tu capivi cos’era tuo padre, quando imparavi e prendevi da lui?» 4 «Così è anche riguardo alle storie» continuò. «Voi fate tanta fatica a capire come crescono le storie, perché avete questa brutta vecchia tendenza a voler credere invece di voler capire. Ciò che chiamate “credere” è l’aspetto peggiore delle vostre religioni. Esprime quel che veramente avete di più brutto: la 92
vostra incapacità di cambiare idea e la voglia di aver ragione a ogni costo. Questo lo si può fare soltanto con le cose che non si vogliono capire. E vi ha sempre causato guai.» Certo. «Ha troncato le radici della vostra crescita. E solo le vostre storie hanno continuato a crescere: a esplorare il vostro mondo intermedio. Un po’ come i corsari che andavano in giro per gli oceani, mentre le navi con le bandiere dei re seguivano le rotte consuete.» Che cos’è il mondo intermedio? «La distanza tra voi e tutto il resto. Quando il vostro io piccolo si muove e cresce, si accorge di avere intorno uno spazio immenso, distanze immense da percorrere; quando raggiunge qualcosa di nuovo, la distanza che ha percorso diventa conoscenza, mentre tutte le distanze che ha intuito ma non ha ancora percorso sono il mondo intermedio. E quello è il mondo delle storie. È un gran bel posto. Non ha confini: non soltanto si estende all’infinito, ma ogni sua regione può scomparire o ampliarsi a seconda di come vi muovete e di come lo guardate. Quando ne percorrete un tratto, lì il mondo intermedio scompare: non c’è più, diventa semplicemente il vostro mondo. In compenso, mentre lo percorrete il mondo intermedio diventa più grande, a ogni passo: cioè, scoprite continuamente che avete un’infinità di altre cose da scoprire. Questo è il mondo intermedio, e qui abitiamo noi.» Nelle distanze? «Eh sì.» Cioè, voi siete i nostri corsari? «Le storie sono i vostri corsari nel mondo intermedio. Noi abitiamo qui. In ogni vostra distanza.» 5 Quindi voi le conoscete già, tutte le distanze? 93
«Sì, e piano piano te le insegniamo, soprattutto attraverso le storie.» Ma se avete detto che le storie crescono nel passato, allora anche il mondo intermedio è nel passato: come può essere una crescita, cioè la distanza tra noi come siamo adesso e noi come saremo in futuro? «È tutto quanto passato, caro mio» rise il Dominante. «E tutto cresce nel passato. Non hai idea di quanta parte di te sia fatta di storie che crescono nel passato: e le storie sono l’unico modo in cui puoi esplorarla! Stavo parlando molto seriamente quando ti ho detto che i miti antichi descrivono la vostra anatomia.» Scrissi questa frase e la rilessi, confuso. «Perciò è tanto importante che tu capisca come crescono le storie, vedi?» soggiunse il Dominante, mentre rileggevo. 6 Questo vale per tutte le storie o soltanto per i miti? In tutte le storie c’è la crescita a ritroso, e c’è un credere che impedisce di capire? «In tutte quelle che vale la pena di ascoltare.» Anche, poniamo, nella storia di Pollicino? «Altroché. Pollicino è una delle storie di ciò che è più importante per voi. Puoi dargli tanti nomi: la vostra sapienza, il vostro coraggio, il vostro corpo maggiore, i vostri traumi, il mondo intermedio… D’altronde, è tipico delle fiabe: ciò che appare piccolo nelle fiabe, è piccolo come le stelle viste da lontano, mentre da vicino sono molto grandi. Ma dalle cose grandi voi preferite tenervi lontani, specialmente quando vi riguardano direttamente.» Grazie. «Di cosa?» Di tutte queste cose. 94
«È la prima volta che dici grazie, e qui da noi non sta bene. Cosa intendi dire: ci auguri di ricevere qualche grazia? Ma non sai cos’è una grazia. Dico bene? Ricorda: qui da noi si ringrazia soltanto con lo sguardo. Hai sempre ringraziato come si deve, finora, con lo sguardo; non cominciare con le goffaggini. «Dicevamo di Pollicino. La fiaba racconta che i genitori di Pollicino – cioè voi – cercate di spaventarlo e di distruggerlo perché temete di non avere i mezzi per mantenerlo. Gli trasformate il mondo in un posto orribile, lo spedite in una foresta terrificante, in cui vorreste che sparisse per sempre. E la foresta è il passato; ma Pollicino piano piano ritrova sempre la strada, e ritorna a casa dai suoi genitori. La fine della storia è uguale all’inizio e si ripete continuamente.» E Pollicino chi è? «Il corpo maggiore.» Noi siamo i genitori del nostro corpo maggiore? «Siete quelli a cui è affidato sulla Terra. In questo senso sì, siete i suoi genitori, quando lo mandate via. E dovete accorgervi di essere Pollicino, quando è nella foresta e quando torna.» E i fratelli di Pollicino, che si perdono con lui e che lo seguono? «Il corpo maggiore è troppo grande perché possa apparire come una persona sola. È sempre tanti. Quanto più imparate a scoprire il corpo maggiore, tanti più fratelli vi accorgete di avere.» E i sassolini bianchi? «Sono tutte le fasi della vostra scoperta del corpo maggiore: il modo in cui lo lasciate riemergere all’orizzonte della mente, dopo aver cercato di non pensarci più. I miti, le storie, e così via.» E l’orco e l’orchessa? «Vuoi dire la vittoria di Pollicino contro l’orco e l’orchessa. Rappresenta tutte le imprese che il vostro corpo maggiore può farvi compiere.» 95
Come faccio a imparare questo modo di spiegare le storie? «Non puoi impararlo, perché lo sai già. Le storie sono come specchi che servono a mostrarvi che aspetto avreste se vi guardaste dall’Aldilà. Qual era la risposta all’indovinello della Sfinge?» L’uomo. «Anche nelle storie la risposta è sempre: l’uomo, voi stessi. Se impari a guardarti, impari a spiegare le storie; e viceversa.» 7 C’era una fiaba in cui il diavolo faceva il fabbricante di specchi. «Sì, La Regina delle nevi, di Andersen. Anche il vostro uso di raccontare le fiabe ai bambini dipende da quella distanza che fa apparire piccolo ciò che è molto grande.» Cioè, anche i bambini sono molto grandi e ci appaiono piccoli perché ne siamo lontani? «Precisamente. E voi intuite (senz’accorgervene, certo) che le vostre fiabe sono troppo grandi per voi, e che solo i bambini potrebbero spiegarvele: perciò le raccontate a loro. Purtroppo non funziona, per voi: i bambini, come sai, sono tra il Quinto e il Sesto Cielo, e gli adulti sono quasi tutti nel Primo e nel Secondo. Non riuscite ad ascoltarli. A meno che non procediate anche voi a ritroso, diventando bambini.» Ricominciando a credere a Babbo Natale e così via? «I bambini non ci credono, a Babbo Natale: capiscono cos’è. Voi non lo capite più, e per paura non riuscite neanche a crederci: e lo camuffate come un vecchio pagliaccio, per non vedere cos’è e chi è. Per non accorgervi che è il diavolo.» L’ho letto da qualche parte: in Lévi-Strauss? «Sì, 8 ma non ti è rimasto abbastanza in mente.» E Babbo Natale è il diavolo? «È un vostro modo di camuffarlo, di mettere una distanza tra 96
voi e lui: così lo spingete nel mondo intermedio e diventa una storia da interpretare.» «Non tutte le storie sono doni del passato» intervenne l’Austero. «Certe sono sotterfugi.» «Qualcuno si è camuffato: ecco tutta la sua storia» proseguiva il Dominante. «Una finta barba bianca, troppo grande e troppo bianca: serve soltanto a nascondergli il volto. Il cappuccio e gli stivaloni, che nascondono ciò che le renne mettono bene in evidenza: corna e zoccoli. Babbo Natale è il diavolo, che gira di notte con i suoi doni, come i re Magi. «E, come sempre, lavora per farvi crescere. Fa crescere i vostri bambini, insegnandogli la cosa più utile di tutte: i desideri, il coraggio di esprimere i propri desideri e di aspettare, sapendo che si realizzeranno. Non c’è esercizio che faccia crescere meglio, a parte le storie; ma un desiderio e una storia sono quasi la stessa cosa. Non trovi?» È da un po’ che non ho desideri – pensai – a parte il desiderio di conoscenza… «Quello è il desiderio di avere desideri» commentò il Dominante. «Che farci? Sei ancora un adulto. Ti pesa ancora addosso il vizio adulto di chiamare i desideri “tentazioni”, camuffandoli e rovinandoli con il senso di colpa, per spingerli nel mondo intermedio. Da cui ritornano sempre, come Pollicino.»
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Giovanni 1,12-13; Matteo 5,45. 8 C. Lévi-Strauss, Babbo Natale giustiziato, Sellerio, Palermo 2002.
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IX «Non indurci in tentazione» - L’eredità ostile La stanza di Barbablù - Il principio di rotazione - Biancaneve
1 La notte seguente tornammo sull’argomento. Ma noi camuffiamo volontariamente i nostri desideri, per farne tentazioni? O è la pressione esercitata dalla civiltà in cui si vive? «Volontario è il vostro rifiuto di vedere i desideri per ciò che sono» rispose il Dominante. «Se fossero solo desideri, vi darebbero la misura della vostra voglia di diverso: vi indicherebbero le direzioni della vostra crescita – perché chi desidera cresce, e chi cresce desidera: è una costante, questa. «Ma avete imparato dalla civiltà a temere il diverso; così chiamate “desideri” i vostri bisogni, e chiamate “tentazioni” i desideri. Non per questo la vostra voglia di diverso cessa di esistere: solo, le indicazioni che vi dà diventano un po’ più simili a storie.» Be’, almeno un vantaggio c’è. «Mah. Il vantaggio è un altro: sulla vostra conoscenza le tentazioni hanno lo stesso effetto che hanno su di te i nostri viaggi qui. Nella tentazione il diavolo vi dice: “Ecco, vedi a cosa stai pensando? A qualcosa di diverso da ciò che ti sembra 98
giusto e onesto. Ora vedremo se ciò che ti sembra giusto e onesto è abbastanza forte, o se è più forte ciò che è diverso”. Così con la tentazione hai due punti di vista, mentre senza la tentazione ne hai uno solo. La stessa cosa facciamo noi con i viaggi.» Quindi compito del diavolo è saggiare la robustezza di un sistema religioso, la forza morale degli uomini… «La forza morale degli uomini!» sorrise il Dominante. «Che modo presuntuoso di definire la vostra ansia di obbedire a ciò che vuole la maggioranza. “Forza morale.” “Inerzia morale” andrebbe meglio, o “connivenza morale”… Compito del diavolo è solo farvi vedere le cose da due punti di vista: e compito vostro sarebbe imparare a non identificarvi né nell’uno né nell’altro. Così si impara a crescere, dalle tentazioni. Ma voi pensate che il diavolo ce l’abbia con voi; ed è chiaro che, se qualcuno ti dice una cosa, c’è una bella differenza se lo credi un essere malvagio e astuto, o se credi che ti stia insegnando qualcosa di importante. Non ti pare?» 2 E se non ci si identifica in nessuno dei due punti di vista che cosa si impara, precisamente? «L’unica cosa che potete imparare: voi stessi. La vostra gioia, come la chiama il Vangelo. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia venga colmata. 9 «Ecco. La “vostra gioia” è scoprire cosa siete, come siete, come capite; e sta’ pur certo che sarà sempre qualcosa di diverso da ciò che credevate. Non per nulla Gesù spiega che il miglior modo di scoprirlo sono i desideri: “Chiedete! Chiedete ciò che volete!”. Lo ripete tante volte. 10 Cercate la gioia! E voi avete paura. Quando vi viene in mente qualche desiderio, nove volte su dieci pensate: “Ecco, sto desiderando, il tentatore vuole che io mi smarrisca nel mio egoismo”. Oppure: “Ecco, viene 99
allo scoperto un mio punto debole, una mia carenza! Non deve saperlo nessuno, neanch’io!”. E il resto lo sai.» Il tono del Dominante era molto comico, e ridevo. «Quello che imparate chiedendo» continuò, serio «è molto più importante di quello che imparate ottenendo; e la realizzazione di un desiderio è solo la conseguenza delle scoperte che avete fatto chiedendo sul serio: di quanto siete cresciuti, chiedendo sul serio.» 3 E allora «Non ci indurre in tentazione» che cosa vuol dire? Perché lo si dice a Dio e non al diavolo, come sarebbe più logico? «Vuol dire: “Non farci scambiare per tentazioni malvagie gli insegnamenti del chiedere, liberaci dalla nostra voglia di condannarci sempre”. Non dice così? Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. E non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male.
«Il Padre nostro dice così. La gente, per lo più, quando recita questa preghiera calca sulle parole “i nostri debitori” e liberaci dal male”. Cioè, rimanete convinti di avere il diritto di giudicare gli altri e il dovere di condannare voi stessi: gli altri vi devono qualcosa, e voi siete preda del male! Così stimolate il senso di colpa. Invece vedi com’è: liberare i debitori dai debiti dipende solo da voi. Il senso di colpa siete voi che ce lo mettete, e a voi tocca toglierlo.» No, un momento. Lì parla dei nostri debitori: di chi è in colpa verso di noi. Invece il senso di colpa riguarda le nostre
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colpe: non possiamo togliercelo da soli. Questo c’è nel testo della preghiera. «Non c’è nessuna differenza. Condonare i debiti altrui e aver condonati i propri sono proprio la stessa cosa. Rifletti. Voi ne avete talmente tante, di cose da perdonare: i padri, i nonni, le generazioni passate hanno commesso una quantità di colpe che tocca a voi pagare. Quelli sono i debiti: guerre, ingiustizie di tutti i generi, che hanno guastato il mondo in cui nascete e guastano tutta la vostra vita. Loro sono il vostro vero peccato originale; e perciò le vostre colpe sono pressoché sempre imitazioni delle loro colpe: lezioni che vi hanno impartito quando eravate troppo piccoli per rifiutarvi di impararle. Voi le ripetete e le insegnate ad altri dopo di voi – e avete molti modi di insegnarle: anche semplicemente con l’espressione del viso, con il tono di voce riuscite a imprimere in chi è più piccolo di voi le colpe che il mondo vi ha inculcato. È un modo in cui il vostro mondo difende se stesso, per restare com’è, il più a lungo possibile. Così, se rimettete quei debiti, e li superate e ve li lasciate alle spalle, liberate anche voi stessi. È tutt’uno.» «È l’eredità ostile» disse l’Austero. E recitò, lento: La mia eredità è divenuta per me come un leone nella foresta. Ha ruggito contro di me. Perciò ho cominciato a odiarla. 11
«Che la vostra eredità vi ruggisca contro è una grande fortuna» spiegò l’Austero. «Così ci mettete meno tempo a liberarvene. Tenervi quell’eredità, invece, significa incatenarvi il cuore e gli occhi.» 4 Quindi le tentazioni sono il prodotto di quell’eredità? 101
«Questo è un altro modo di lasciarsi divorare dalla vostra eredità» rispose il Dominante. «Non c’è bisogno di incolpare nessuno. I padroni della tentazione siete soltanto voi stessi: è la vostra presunzione di sentirvi a vostro agio nei sei Cieli. E di vedere, nell’altro emisfero, soltanto buie stanze di Barbablù – che vi spaventano solo perché non ci entrate e non accendete la luce.» È perché temiamo che in quelle stanze ci sia qualcosa che ci ripugna. «Può darsi. Ma sai com’è la fiaba di Barbablù. La bella fanciulla lo sposa, e lui le dice: “Sei padrona di tutto il mio castello, ma non entrare mai in quella certa stanza”… «Ti ricorda niente?» L’albero della conoscenza. «Certo. L’albero della conoscenza del giusto e dello sbagliato.» Tu potrai mangiare i frutti di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del giusto e dello sbagliato non devi mangiare i frutti, perché se ne mangi morirai certamente. 12
Anche questa è una storia del Dio supremo? Sono tutte intrecciate tra loro, le storie. «Sono tutte specchi: ciò che riflettono è sempre uguale. E come continua questa storia? «Gli uomini mangiano i frutti di quell’albero, e il Dio YHWH va a lamentarsi dagli altri Dei supremi: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato!”. 13 «Cioè, quell’albero era un corridoio. E anche il segreto principale della stanza di Barbablù è che si tratta di una stanza di passaggio: da lì si arriva in altre ali del castello.» «È il principio di rotazione» disse l’Austero. «È così, guarda» e il Dominante tracciò quest’altro disegno: 102
«Questo è di nuovo il vostro campo visivo, più in dettaglio. È la crescita della vostra conoscenza: che si allarga dal centro, un po’ come gli anelli delle piante, ma a spirale. Vedi?» e il Dominante continuò a tracciare lentamente la spirale che si allargava. «Le parti chiare del cerchio rappresentano le vostre scoperte più grandi, le conoscenze più luminose; e le parti scure sono quelle che dovete per forza attraversare, per salire verso la luce.» Il diavolo? «Sì. E il principio di rotazione consiste in questo: che non potete salire direttamente verso la luce, ma soltanto così, a spirale. A un certo punto incontri quelle parti buie, basse: se non le vuoi vedere, il guaio è che ti fermi lì, in basso, e non sali più. Puoi solo tornare indietro. Quelle sono le stanze di Barbablù. Se invece le attraversi, la tua spirale continua ad allargarsi anche verso l’alto, verso le conoscenze superiori. È molto semplice.» E più si va in alto più si diventa esperti di quelle parti scure. «E meno paura ne hai, e più rapidamente sali. Il segreto è che 103
le parti buie e le parti luminose sono tutt’uno; il principio di rotazione è soltanto una metafora.» 5 Quell’ultima frase passò alta sopra di me, troppo in alto – mi parve – perché potessi sperare di afferrarla. E perché le spose di Barbablù muoiono, se Barbablù rappresenta il Dio supremo? domandai. Il Dio supremo uccide? «Nel vostro Diluvio ha ucciso un bel po’ di gente, no? Ma Barbablù è l’immagine che avete del Dio supremo quando non vi fidate di voi stessi. Con un’immagine simile, non vi resta granché da fare nel mondo, se non obbedire o morire. Lo dice anche il vostro Dio YHWH : “Se conosci, muori”. Ma poi la storia continua, no?» Dopo la morte? «Anche prima. L’immagine che avete del Dio supremo cambia, e tutto continua anche nella vita. Pure le storie continuano: sono tutte intrecciate tra loro, nel mondo intermedio: la storia di Prometeo nella storia di Barbablù, e la storia di Barbablù in quella di Biancaneve, che risale a sua volta alla storia dell’albero della conoscenza. L’hai mai ascoltata bene, la storia di Biancaneve?» Biancaneve «Com’è che la raccontate voi? La Regina matrigna guardò nello specchio…» Il Dominante si fermò, fingendo di ricordare vagamente: «“Specchio, specchio” disse la Regina matrigna “chi è la più bella del reame?”». «Specchio, specchio delle mie brame» puntualizzò l’Austero, pensoso. «Una domanda a uno specchio è un indovinello sul confine, 104
naturalmente» proseguì il Dominante. «E qual è la risposta a tutti gli indovinelli sul confine?» L’uomo? «L’uomo, infatti. Nella storia di Biancaneve la Regina matrigna è ancor sempre un’immagine del vostro Dio supremo: e guarda il suo specchio – cioè, il mondo in cui lui è Dio supremo – e vede che il punto più importante del reame è l’uomo. Saperlo vi spaventa, e perciò immaginate che anche il Dio si spaventi, quando si sente dire così dallo specchio.» E il reame è l’universo? «Sì. L’uomo è più importante degli Dei, e il Dio delle vostre religioni capisce subito che cosa questo significhi. Significa che gli Dei, tutti gli Dei, si innamoreranno dell’uomo, lo brameranno…» «Specchio, specchio delle mie brame» confermò l’Austero. «Cercheranno di dominarlo, come si vuol dominare chi si brama» proseguiva il Dominante. «E l’uomo, dal canto suo, potrà scegliere tra gli Dei quello che più gli piacerà. Com’è sempre avvenuto, infatti. «Anche perciò la fiaba dice che la Regina era matrigna e non madre della principessa Biancaneve: perché il Dio delle vostre religioni, quale che sia, diventa un sovrano precario se l’uomo è il punto più importante dell’universo. Diventa solo un reggente, temporaneo! Sempre a rischio che voi ne troviate un altro, o che crescendo cominciate magari a regnare voi stessi. «Quel Dio si allarma, nella fiaba. E cosa può fare? Eliminare ciò che dice lo specchio. E come? Non si può eliminare la soluzione di un indovinello, una volta che la si sia udita. La si può soltanto allontanare, spostare. «E così è: il Dio vi sposta e vi manda a vivere in una foresta, dove non vedete bene né il cielo, né il mondo intorno. Nella realtà sono le vostre religioni a far questo. E la foresta cos’è?» Cos’è? «Sono i vostri Cieli, in cui sapete tanto poco di voi, ma in 105
cui, inevitabilmente, crescete. E lì ci sono i sette nani, che si prendono cura di Biancaneve.» I nani sono i sette Cieli! esclamai. «I nani sono tante cose. Sono i sette Cieli – e uno è muto, infatti: è il Settimo Cielo, che, visto dalla foresta, non vi dice niente che possiate capire. Poi, sono i sette giorni della Creazione. I sette colori dell’arcobaleno, e così via.» Mentre prendevo appunti cominciai a ridere dallo stupore. Biancaneve! «Poi, come già sai, nelle fiabe tutto ciò che è piccolo sembra piccolo solo perché è lontano: così anche qui, i sette nani sono innanzitutto il vostro modo – piccolo – di percepire ciò che c’è più in alto, enormemente più lontano. A ciascuno di quei sette nani corrispondono gerarchie angeliche, ma è ancora presto per parlarti di questo. Tu sei ancora nel profondo della foresta. Poi, in parte, i sette nani siamo anche noi: per vie traverse, diciamo.» «Ah, è veramente la fiaba più bella di tutte» non si trattenne l’Austero. «Pensa, chi l’ha composta stava per essere bruciato sul rogo: era già braccato. Lo bruciarono perché aveva insegnato quelle stesse cose dottamente ai dotti; ma quella sua fiaba viene raccontata da secoli a tutti i bambini. Non è fantastico?» «E la Regina matrigna» continuò il Dominante «domanda ancora allo specchio: “Chi è adesso la più bella del reame?”, cioè adesso che l’uomo è rinchiuso nel suo Aldiquà. Ma la risposta rimane sempre la stessa: il punto più importante del reame sarà sempre e comunque l’uomo. Allora la Regina tenta di nuovo di rovinare la vostra Biancaneve, mettendo il veleno nella mela.» La mela rappresenta il frutto dell’albero della conoscenza? «Sì. “Se ne mangi, muori.” Nella fiaba, il senso è che il vostro Dio supremo e le sue religioni fanno in modo che la conoscenza vi giunga soltanto avvelenata: unicamente sotto 106
forma di tentazione. Ma in pratica è un altro modo di descrivere il principio di rotazione.» Cioè, bisogna affrontare il veleno per andare oltre e per salire sempre più su? «Sì. E Biancaneve muore, avvelenata. Ma ricordi com’è? Muore e non muore: è una morte che non cambia nulla del suo aspetto, ma lei questo non lo sa. Per Biancaneve è proprio la morte, e non c’è più nulla: solo le pareti di una bara di cristallo, che rispecchiano soltanto il suo volto…» Cioè, una volta avvelenati noi vediamo solo noi stessi? «Vedete soltanto voi stessi: in fondo a una foresta, chiusi nella bara delle vostre conoscenze avvelenate, vi guardate intorno e vedete soltanto voi stessi. E non potete toccare niente al di là del cristallo che vi rispecchia da ogni parte. È una bella descrizione del vostro io piccolo.» Tacque per un istante. «E poi, ecco: un bacio» riprese. «Biancaneve apre gli occhi e, invece del cristallo, vede il principe azzurro.» Chi è il principe azzurro? «Il vostro corpo maggiore.» E il Dio supremo che fa? «Non c’è più.» Come, non c’è più? 6 «Quel Dio supremo non c’è più. Gli Dei sono un vostro organo: se voi crescete e cambiate, cambiano e crescono con voi. Finché siete la piccola Biancaneve, il vostro Dio supremo è la matrigna, o Barbablù, o YHWH che vi proibisce le cose. Quando crescete un po’ di più, diventa il vostro Padre. Come dice il primo indovinello del Padre nostro? “Padre nostro, che sei nei Cieli…”» 107
È un indovinello? «Certo. E significa: Tu sei nostro Padre, immagine di ciò che saremo da grandi in tutti quanti i Cieli.» Non capisco. È difficile da capire? «Che c’è da capire? Un padre è un padre. Non potete restare bimbi per sempre: prima o poi diventate come papà. Voi cercate in tutti i modi di tenere le distanze, immaginando di avere tanti difetti e limitazioni che vi distinguono dagli Dei. Ma siete loro figli: e crescete, ed ereditate.» Scossi il capo. «Dico sul serio» sorrise il Dominante. Ma se siamo noi a far diventare Dio nostro Padre… «E non è sempre così? Non ricordi cosa avevamo detto del crescere a ritroso?» E voi? Voi avete già ereditato? «Gli Dei sono un vostro modo di capire. Come le parole, o come i cinque sensi, o come la mente. Noi abbiamo altri modi.» Quali? domandai, proprio mentre l’Austero diceva: «Adesso domanderà: “Quali?”». «È ancora presto per te» rispose il Dominante. «Impara a viaggiare, prima. Devi imparare a scrivere durante i viaggi senza smettere di vedere; e a progettare i viaggi… e un paio di altre cosette. Impara a sentire il viaggio come una storia. Ti farà bene, vedrai.»
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Giovanni 16,24. 10 Giovanni 14,13; 15,7-16. 11 Geremia 12,8. 12 Genesi 2,16. 13 Genesi 3,22.
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X Nella foresta - L’apparato circolatorio del corpo maggiore L’Inferno e la paura delle responsabilità - I tabù sul male e i tabù sul bene - Gesù, quando discese all’Inferno
1 Cominciammo a fare almeno un viaggio alla settimana, perché imparassi. La partenza avveniva sempre allo stesso modo: dovevo immaginare di chinarmi a raccogliere qualcosa; mentre mi chinavo tutto sembrava girare su se stesso, e mi sentivo in qualche posto sconosciuto che non riuscivo a vedere bene. Lì i miei maestri sceglievano un punto comodo, e ci sedevamo a chiacchierare, «in attesa che la mia vista si assestasse» così dicevano. Una volta fu sulla riva di un fiume, un’altra volta su un’alta duna, al margine di qualche deserto; poi capitammo in una città, una specie di caffè sotto i portici, con le colline intorno, all’alba. Prendevo nota senza fatica (durante questi viaggi riuscii anche a farmi risolvere dai maestri una questione biblica particolarmente aggrovigliata) 14 ma ogni volta, non appena il mio campo visivo cominciava a precisarsi – il che accadeva dopo una decina di minuti – , tutto svaniva e mi ritrovavo nella stanza tonda. Perché non ci fermiamo un po’ di più, qualche volta? «Stai imparando, non avere fretta» diceva l’Austero. «Quando uno ha fretta vuol dire che sta fermo» diceva il 109
Dominante. «Quando invece fa le cose lentamente vuol dire che si sta muovendo. È sempre così per voi, nell’Aldiquà come nell’Aldilà. Ed è così anche per te, nei viaggi: quando cominci a distinguere le cose intorno, senti subito l’impulso della fretta e perciò ti ritrovi fermo nella stanza. Quando la tua vista si sarà abituata non avrai più fretta di vedere.» «Imparerà» disse l’Austero. 2 Loro, durante i viaggi, erano sempre uguali: il Dominante con la sua sopravveste persiana, l’Austero vestito da arabo, la bambina col suo abitino arancione, e i due vecchi d’un colore blu scuro, più vaghi nei contorni, con le loro finte ali di libellula. Questi due vecchi non parlavano mai con me, a volte scambiavano qualche frase tra loro o con la bambina; il Dominante mi aveva detto che erano «Spiriti-guerrieri» e che avevano il compito di proteggerci. Hanno un’aria un po’ fragile, gli bisbigliai una volta. «Ma sanno ancora il fatto loro» mi rassicurò il Dominante. Perché nei viaggi vi vedo e nella stanza tonda no? «Non vedi noi, te l’ho già detto. Noi, non puoi vederci; vedi te stesso. A questo servono i viaggi, le prime volte.» Dopo sei o sette di quei viaggi di pochi minuti – noi li chiamavamo «cartoline» – la mia vista nell’Aldilà migliorò tutt’a un tratto, e per la prima volta un viaggio si trasformò in una storia, o almeno in un frammento di storia. Avvenne così: Quando mi chinai e tutto girò su se stesso, vidi una strada in leggera salita, con piccole chiazze di luce lunare. La luna filtrava da una galleria di alberi alti e folti, e io stavo camminando. Si vede bene, qui! 110
«Sst! Parla sottovoce. E non avere fretta» ordinò l’Austero, passandomi davanti. Dove siamo? Il Dominante si strinse nelle spalle, sorridendo. «Nella stanza tonda li ascolti come se ti parlasse un mondo intero» mi sussurrò il vecchio con le finte ali di libellula, indicando con un cenno del capo il Dominante «qui invece sono alla pari con te». E mi sembrò che sorridesse. Non ero sicuro di aver capito e non riuscii a rispondergli nulla. «Intende dire che nei viaggi non c’è mai trama, all’inizio, e neanche noi sappiamo cosa succederà» sussurrò il Dominante. «Il corpo maggiore è molto grande, anche per noi. Poi, piano piano prende forma la trama, ogni volta.» Noi viaggiamo nel corpo maggiore? «Per ora sì.» Ma… Il Dominante si portò l’indice davanti alla bocca, e mi invitò con un gesto a guardare avanti. L’Austero si era fermato: stava cercando qualcosa sul lato destro della strada e faceva cenno che ci avvicinassimo. La strada era polverosa, d’un color cenere che sembrava risplendere nel chiarore lunare. «È qua, vieni» mi sussurrò l’Austero. «Entra qui.» Questo c’entra col diavolo? domandai. «Aspetta e vedrai.» C’era un passaggio tra i cespugli. Mentre scostavo le foglie vidi che avevo due anelli alla mano destra; li tastai, col pollice. Il sentiero tra i cespugli conduceva a una radura. Lì l’Austero mi fermò e mi fece cenno di sedermi. La luna quasi piena illuminava più di metà della radura e splendeva limpida sopra il fogliame nero alla mia sinistra. L’aria era immobile. Aspettammo in silenzio per un minuto o 111
poco più, e ogni volta che provavo a domandare qualcosa l’Austero aggrottava le sopracciglia. Non sentivo nessun odore, non avevo olfatto. Mi toccai il naso. «Fermo» sussurrò l’Austero. Guardai le forme che la luna salvava dal buio. Qualche fiore chiuso, le foglie di un rampicante sulle radici di un albero accanto a me. La corteccia liscia e, poco più su, i primi rami, con le foglie appena spuntate. Quando tornai a guardare verso gli alberi davanti a me, mi accorsi che qualcosa si era mosso dall’altra parte della radura. Dapprima non scorsi niente, nel nero dei cespugli. Poi le spalle mi si irrigidirono: c’era una figura in un angolo, accovacciata. Vedevo il contorno dei capelli – come un mantello di lana sopra la testa e le spalle, ma erano capelli. Trattenevo il respiro. Si mosse lentamente, si spostò di due passi verso sinistra e lì si accovacciò di nuovo. Pensai che si fosse spostata solo per assicurarsi che l’avessi vista. I capelli erano simili a quelli della bambina, solo più lunghi. Era quella stessa bambina diventata adulta? Il viso e il corpo non si vedevano. Si teneva a distanza dal tratto di radura illuminato dalla luna. Con la coda dell’occhio vidi alla mia destra la bambina, che teneva la mano del Dominante e guardava anche lei preoccupata verso l’altra figura. «Mi hanno portato qui per incontrare qualcuno» pensai. «Dev’essere uno dei loro indovinelli, e quella figura dev’essere d’accordo con loro. È un mio nuovo maestro?» Feci per voltarmi verso i miei e in quell’istante la figura si mosse, e si fermò quando tornai a guardarla. Provai una stretta allo stomaco, all’improvviso pensiero che mi stessi trovando in una situazione pericolosa. Ma non potevano avermi portato lì per espormi a un pericolo. E cos’è un pericolo nell’Aldilà, che cosa significa? 112
«Attento, adesso» sussurrò l’Austero. Socchiusi la bocca per domandare «A cosa?» e sentii un sibilo nell’aria, proprio vicino agli occhi. La figura si stava muovendo, sulla sinistra, si avvicinava tenendosi sempre a distanza dalla luce della luna. Arretrai di qualche passo. La figura disse qualcosa come «T-tt», con una voce sicuramente femminile, e di nuovo sentii, e vidi il sibilo: uscì dalla figura per un istante, come un lunghissimo braccio, ed era qualcosa di tagliente. «T-t-t-t.» Eppure c’era qualcosa di allegro in quel «T-t-t». Come se fosse il suo modo di ridere. Conoscevo questa figura: dentro di me cominciavano ad emergere barlumi di ricordo, da chissà dove. La conoscevo e venivo qui a imparare. E ne ero attratto come da una calamita, e il sibilo era una lama e sulla lama c’era del veleno. Quel baluginare di ricordi faceva accelerare il mio battito cardiaco; respiravo a bocca aperta. La figura si mosse più rapida, sempre nell’ombra, e anch’io mi misi a correre, perché lei non mi si avvicinasse: chino, goffo, rischiando di inciampare – e in quella corsa sentii altri due o tre sibili, immaginai la carne tagliata. Poi, di nuovo silenzio. Eravamo fermi entrambi, la figura e io, a cinque passi di distanza. La figura era accovacciata. «Nessuno dei maestri fa niente?» pensai. «T-t!» sussurrò la figura, quasi con gioia. E io – nel cuore, in tutto il petto – sentii che era contenta che fossi lì. E che mi avrebbe tagliato la gola con quel suo sibilo, se mi fosse venuta più vicina. «Basta» sentii l’Austero, come dentro la mia testa. «Diventa troppo pericoloso adesso, vieni via!» Mi spostai, e la figura non mi seguì. Solo allora cominciai a sentire davvero la paura nella mente. Mi alzai in piedi e corsi nella direzione in cui doveva esserci la strada. Mi buttai attraverso i cespugli, che mi graffiarono, finché mi mancò il 113
terreno sotto i piedi e caddi in avanti, malamente, sulla strada. Vidi i maestri che si avvicinavano di corsa, la polvere sollevata dai loro passi, mi voltai per vedere se la figura mi avesse seguito e, voltandomi, fui di nuovo nella stanza tonda. 3 «L’ha graffiato?» sentii che domandava il Dominante, seccato. «No, solo i cespugli un po’» gli rispose l’Austero. E poi, rivolto a me: «Hai avuto una bella paura». Sì. Chi era, cos’era? «Sempre lo stesso, eri tu» disse l’Austero. In una mia reincarnazione ero stato lì e andavo a imparare da quella donna? «Non proprio» rispose il Dominante. «Era piuttosto un luogo dentro di te, e non nel mondo intermedio…» Le reincarnazioni sono nel mondo intermedio? Non sono vite che abbiamo realmente vissuto? «Come le immaginate voi, le vostre reincarnazioni sono storie da esplorare. Nella realtà, sono quelle parti del corpo maggiore che potete conoscere solo raffigurandole come storie, in un passato lontano.» E quali parti sono? «L’apparato circolatorio. Diciamo: la circolazione energetica del corpo maggiore – che corrisponde alla circolazione sanguigna nel vostro corpo fisico. Immagina una sconfinata foresta di coralli. Senza rocce, solo coralli: pulsanti, e cavi all’interno. E folti, e lunghi, fino a perdersi nell’infinito. La circolazione energetica del corpo maggiore ti apparirebbe più o meno così, se riuscissi a guardarla. Le tue reincarnazioni ti indicano lo stato di questo sistema circolatorio: quelle buone, sono i tratti in cui l’energia fluisce bene, senza incontrare ostacoli; quelle cattive sono trombosi che qua e là ostacolano il fluire. Ciò che credi di ricordare da qualche tua reincarnazione è 114
come il tracciato di quelle macchine d’ospedale che misur ano la portata delle arterie.» Il corpo maggiore può avere trombosi? «Ovviamente no. È il tuo modo di essere, che qua e là non riesce ad aprirsi a certe energie del corpo maggiore e a viverle. Ma voi potete capirlo soltanto in questa forma: immaginando questo vostro estendervi nel passato, sotto forma di storie che chiamate reincarnazioni. E queste storie, sì, sono nel mondo intermedio.» 4 «E quando cominciate a ricordarne qualcuna, come dite voi, allora compito vostro è quello di congiungerla a voi: di capire che cosa vi indica riguardo al vostro modo di scoprire il corpo maggiore. Voi invece pensate per lo più che i ricordi delle vostre vite precedenti vi rivelino qualche aspetto misterioso del vostro io piccolo, che siano uno strumento in qualche modo psicologico. «In ogni caso, questa volta non era una reincarnazione da congiungere: era già congiunta. Era un luogo in cui sei fermo, dentro di te; qualcosa che ti è capitato in passato e che ti capiterà ancora, in forme più o meno simili a queste.» Nell’Aldiquà o nell’Aldilà? «Sia nell’Aldiquà che nell’Aldilà. Tu sei tu comunque.» Mi sa che non li ho ancora capiti, i rapporti tra l’io, il corpo maggiore e l’Aldilà. Cioè, a volte mi sembra di capirli. «Mettiamola così: il corpo maggiore è un involucro che vi contiene, e contiene anche tutto il vostro Aldilà. Ma l’Aldilà è molto più grande di qualsiasi corpo maggiore.» È un altro indovinello? «Sì, ma è molto facile. La soluzione è che, per voi, una cosa può contenere soltanto ciò che è al suo interno, mentre qui da 115
noi una cosa può contenere sia ciò che è al suo interno, sia ciò che è al suo esterno.» Deglutii. «È facile da capire, sai? È come la luce di una stella: immagina una stella che sia tutta luce, un globo gassoso che arde… o anche soltanto la fiamma di una candela. Questa stella o questa candela contengono la propria luce, non è così? Ma il buio che hanno intorno contiene quella luce, o quella luce lo contiene? Prova a pensarci. Poniti dal punto di vista della stella, e pensaci.» Mentre ci pensavo, proseguì. «Voi siete appunto all’interno di quella luce, e quello è il vostro corpo maggiore. E dove arriva il vostro sguardo, nel buio, ci sono ampi territori che imparerai a esplorare… specialmente se non corriamo più rischi in quelle foreste» aggiunse, con una punta di rimprovero, rivolgendosi all’Austero. «Ma ci metterà secoli se non impara a spaventarsi un po’!» borbottò l’Austero. «E poi ci stavamo attenti, tutti quanti.» Rimasero in silenzio per qualche istante, e a me venne da ridere. 5 «Comunque la ragazza nella foresta eri tu» riprese il Dominante. E allora perché mi voleva uccidere? «Era un punto in cui sei fermo. E poi voleva trasformarti, non ucciderti. La paura che hai provato è un po’ quello che succede anche a noi, tutte le volte che cominciamo a parlare con voi. Ecco, stai cominciando a sentire come sentiamo noi.» Cioè, gli uomini con voi si comportano come quella ragazza? «Ci respingete. Non lo fate apposta e non ve ne accorgete, ma è proprio come se vi difendeste a quel modo, ogni volta che 116
cominciate a sentire che ci siamo. E ne risulta una quantità di problemi, nei rapporti tra noi e voi.» «Anche l’attrazione che sentivi per lei è simile a quella che c’è tra voi e noi» aggiunse l’Austero. «E ti spaventava, e questo complicava tutto.» E se non ci fosse quello spavento, che cosa succederebbe tra voi e noi? «Non ci sarebbe nemmeno l’attrazione» rispose il Dominante. «Ma le tue percezioni sarebbero più chiare e ci intenderemmo molto meglio; non sentiresti più la differenza tra noi e voi. Ci si arriverà, prima o poi.» 6 E la foresta e la luna, cos’erano? «Quello era il tuo modo di sentire il punto in cui Aldilà e Aldiquà si trovano vicini. Il buio era naturalmente l’Aldiquà, e la luna era il chiarore riflesso dell’Aldilà; e il cielo era la tua anima.» In questi viaggi i dettagli dell’ambiente hanno tutti un significato preciso? «Dappertutto i dettagli dell’ambiente hanno un significato preciso: solo che nel vostro Aldiquà vi proteggete da questi significati, mentre qui stai imparando a leggerli. E ti attrae e ti spaventa, hai visto come.» Ma perché gli umani fanno così con voi? «Hanno questo confine da superare. È il loro labirinto; quello che voi chiamate l’Inferno.» L’Inferno? «Voi lo chiamate così, e ci proiettate sopra molti prodotti della vostra immaginazione: le fiamme, i tormenti… e anche queste immagini sono soprattutto un modo di difendervi, di non vedere cos’è. Le fiamme servono ad abbagliarvi e i i tormenti a 117
riflettere le vostre paure, come in uno specchio. Pensa: uno specchio che voi incendiate, per non avvicinarvi.» 7 «Riesci a vedere cos’è davvero l’Inferno per voi?» mi domandò il Dominante, mentre provavo a immaginare uno specchio incendiato. Il senso di colpa? «Non esattamente. Il vostro Inferno è soprattutto la paura delle responsabilità. In tutte le vostre immagini dell’Inferno voi credete che i peccatori finiscano lì, a farsi punire in eterno per i loro peccati. L’indovinello è: perché i peccatori devono essere morti, per venir puniti in eterno?» Perché? «Appunto perché avete paura delle responsabilità. I peccatori all’Inferno sono persone costrette a rispondere di quello che hanno fatto o che non hanno fatto: che incubo per voi! Questo pensiero vi ripugna talmente, che collocate al di là della morte (cioè lontanissimo per voi, fuori dal mondo!) il momento in cui la gente dovrà assumersi le responsabilità di ciò che ha fatto o che non ha fatto. «Ed è proprio un’illusione. In realtà, non assumersi le responsabilità è il vero tormento. Mentre l’Inferno che immaginate voi è soltanto un tranquillante.» «Già» notò l’Austero. «Il più potente tranquillante mai escogitato: ha placato popoli interi.» «Ricordati bene,» mi disse il Dominante «non assumersi responsabilità è sapere che c’è l’Inferno. Assumersi le proprie responsabilità è andare oltre e lasciarsi il vostro Inferno alle spalle.» Ma responsabilità in che senso? Essere se stessi? «Nell’unico senso possibile» rispose il Dominante. «La responsabilità è accorgersi di qualcosa. Anche di essere se 118
stessi, in tutta la vostra grandezza e viltà. Noi vi facciamo accorgere, e perciò quando ci percepite ci trattate a quel modo. È come se diceste: “Via! tornatevene da dove siete venuti, spiriti infernali”.» Come la ragazza nella foresta. «La ragazza eri tu, prima che trovassi il coraggio di ascoltarci. E adesso sono le tue resistenze ad accorgerti di quello che ti insegniamo. Ma te l’ho detto, piano piano impari.» 8 Mi tornava in mente l’immagine dello specchio incendiato. Quindi, azzardai, se è uno specchio, in un certo senso siamo tutti all’Inferno? «Diciamo che ciò che siete è nell’Inferno. Anche per questo raccontate che Gesù, dopo la resurrezione, discese all’Inferno» era l’Austero a parlare. «Perché qualcuno aveva capito dove sarebbe andato a finire il Vangelo, nella vostra religione.» «D’altronde, non era possibile altrimenti» disse il Dominante. «Non potete arrivare diversamente a ciò che siete. Quelle fiamme servono a tenervi a distanza dalle cose importanti fino a che non siete cresciuti abbastanza. Quando non avete più paura della luce che mandano, ci entrate, e vi accorgete di ciò che siete, e ve ne assumete la responsabilità.» E immaginiamo che all’Inferno vadano i peccatori anche perché ne abbiamo paura, e vogliamo convincerci che sia un posto per gente malvagia? «I peccatori sono quelli che vi insegnano a superare le fiamme. Non lo dice anche il Vangelo? Gli ultimi saranno i primi, i peccatori andranno davanti ai giusti: “Le prostitute e gli sfruttatori andranno davanti a voi nel Regno dei Cieli”. Dice così, no? Voi invece li mandate all’Inferno, ma il senso è lo stesso, come vedi. I peccatori vanno davanti ai giusti perché insegnano che cosa bisogna fare.» 119
Cioè? «Sostituisci alla parola fiamme la parola tabù. I peccatori li superano a modo loro: violano tabù facili, tabù su cose cattive, dannose, odiose eccetera. Ma, così facendo, insegnano ai giusti a violare tabù più difficili: i tabù sulle cose buone, i tabù sulla conoscenza. Solo che i giusti non lo capiscono, e perciò i peccatori li precedono sempre. «Guarda Hitler, per esempio. Quanti tabù spaventosi ha violato, e ha spinto tanta gente a violarli. Voi lo condannate e basta, e così tutto il male che Hitler ha fatto non è servito a niente.» E cosa bisognerebbe fare? Non condannarlo? «Se un uomo così meschino è riuscito a violare tanti tabù su cose malvagie, e a convincere tanta gente a violarli, gli uomini buoni dovrebbero violare i tabù sul bene: i tabù sui vostri enormi poteri di fare ciò che voi chiamate bene. «È sempre stato così, nel lontano passato. A ogni orrore commesso dagli uni, corrispondeva prima o poi una conquista spirituale di altri. C’è questo bilancio nell’umanità, e voi siete rimasti indietro nei pagamenti. Dovreste proprio fare qualcosa per rimediare, invece di limitarvi a condannare prendendovela comoda – per la vostra solita paura delle responsabilità. Per l’Inferno.» Altrimenti cosa succede? «Altrimenti finisce per annullarsi ogni coscienza. E per secoli, o interi millenni, non sapete più nulla: solo ciò che sapevate già, nel vostro io piccolo più o meno soddisfatto di sé.»
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Erano le cosiddette «Età dei patriarchi», nel capitolo 5 della Genesi. Cfr. Igor Sibaldi, La creazione dell’universo, Sperling & Kupfer, Milano 1999, pp. 97 sgg. e pp.
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231 sgg., e Igor Sibaldi, Libro della creazione, Frassinelli, Milano 2011, pp. 321 sgg.
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XI Arianna e il labirinto - Il filo e il serpente Come salvare le anime dannate
1 «Non è che sia difficile, sai, violare i tabù» continuò il Dominante. «E quando ci riuscite c’è tanto da guadagnarci: molta forza e molta salute in più, a meno che non moriate nel tentativo.» Ah, davvero? «Sì. Ne supereremo di tabù, se ci ascolti, e vedrai che effetto fa quando rimangono indietro. Solo, dovrai stare attento: l’unico problema è che, quando si comincia a superare un tabù, tutto diventa doppio. Il tuo io, la paura, il mondo intero… Si ha paura e al tempo stesso si sente l’impulso ad andare avanti: sai, come quando hai fortuna. Ti attrae come una calamita. «E la vita diventa talmente intensa, e al tempo stesso non ti importa più, e vivere e morire è lo stesso. Perciò alcuni muoiono nel tentativo, o poco dopo.» Ma voi mi aiutate, no? «Sicuro. Ma devi fare attenzione.» 2
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E perché succede così, quando si viola un tabù? «I tabù servono per difendere ciò che avete fatto e che potete fare in un dato periodo. Per difenderlo da ciò che non osate ancora fare, naturalmente. E perciò, superando un tabù, vi sembra di perdere tutto: tutto ciò che avete fatto e che potete fare in quel periodo. Il che spesso porta alla morte – e non alla morte di Biancaneve, ma proprio all’infarto, all’ictus. Hai mai notato quanti rivoluzionari si fanno ammazzare, dopo aver fatto la rivoluzione? Lo stesso Gesù…» Quindi l’impulso a superarli è anche un impulso di morte? «No. È tre cose. La prima è un impulso di potere: superare un limite aumenta sempre il vostro potere, se riuscite a reggerlo. La seconda è la crescita: crescendo dovete per forza superare dei limiti, e la vostra crescita è più forte di voi, non potete fermarla a lungo.» «Pensa,» intervenne l’Austero «finché sei al di qua di un tabù è come se recitassi una parte senza sapere qual è il dramma e come andrà a finire. Se lo superi, invece, vedi tutto il copione…» «E la terza cosa» proseguì il Dominante «è che ogni limite è tutti i limiti.» Ma non capii cosa intendeva. 3 «E tutto diventa doppio quando li superate» continuò. «Appunto perciò nelle vostre storie si trova spesso qualche figura doppia o ibrida, sui confini: la Sfinge, col corpo di leone e la testa di donna, il Minotauro, metà uomo e metà toro. Conosci, no, la storia di Teseo?» Teseo e Arianna 123
Me la ricordavo, ma per scrupolo controllai sul mio manuale di mitologia, 15 mentre la ricostruivamo. Teseo era un principe forte e bello. Aveva due padri: uno divino, il Dio del mare, e uno umano, che si chiamava Egeo e regnava su Atene. In un’altra città, Cnosso, sull’isola di Creta, c’era un altro re, Minosse: e Minosse aveva un figliastro mostruoso, il Minotauro, cannibale, che la moglie di Minosse aveva generato accoppiandosi con un toro. «Vedi? È tutto doppio. Due padri e due figli, e i figli hanno due padri ciascuno» disse l’Austero. «Si vede subito che parla del confine.» I confini e i tabù sono la stessa cosa? «Certo. Va’ avanti.» Anche Gesù aveva due padri. «Tutti avete due padri, quando siete sul confine.» Re Minosse fece guerra a re Egeo e lo sconfisse; e gli impose di mandare periodicamente sette giovinetti e sette giovinette a Creta, perché venissero sacrificati al Minotauro. Li facevano entrare in un labirinto, dove il Minotauro viveva nascosto da tutti, e lì li divorava. Come i peccatori all’Inferno, dissi. Teseo non sopportò quell’orribile imposizione. E siccome oltre che principe era anche un eroe, chiese di venir mandato a Cnosso insieme agli altri giovani. «Come Gesù che si fa crocifiggere tra altri due» mi fece osservare l’Austero. Partirono su una nave dalle vele nere: «Se ucciderò il Minotauro,» aveva detto Teseo a suo padre Egeo «la nave con cui tornerò avrà le vele bianche. Se la nave al ritorno avrà le vele nere, vorrà dire che il Minotauro avrà ucciso me». Arrivarono a Creta e Teseo fu il primo a entrare nel labirinto. Ma prima di entrarci aveva incontrato Arianna, lì a Creta. Arianna era la figlia del re Minosse, si innamorò dell’eroe Teseo e gli insegnò il modo di non smarrirsi nel labirinto. Gli 124
diede un gomitolo: Teseo doveva legare un capo del filo all’ingresso, così avrebbe potuto ritrovare la via per uscire. Qui è come la storia di Pollicino! dissi ai miei maestri. «Tale e quale.» Nel labirinto Teseo trovò il Minotauro, lottò con lui e lo uccise. Poi ritrovò l’uscita grazie al gomitolo e partì da Creta, con tutti i giovinetti e con Arianna. Ma poco dopo abbandonò Arianna su una certa isola, e proseguì. Se si dimenticò di mettere le vele bianche alla nave, fu probabilmente perché era turbato al pensiero di Arianna abbandonata. Così, non appena Egeo vide entrare in porto la nave dalle vele nere, si gettò in mare da una rupe, per il gran dolore, e prima che la nave toccasse terra era già morto. 4 «Ottima storia» disse l’Austero, come se l’avesse assaporata. Non ho mai capito perché Teseo abbandoni Arianna, che l’aveva aiutato. «Non poteva fare altrimenti» disse il Dominante. «E anche qui per due ragioni. Una è che Arianna era il suo Spirito-guida, e doveva restare nell’Aldilà: ogni volta che andate nell’Aldilà incontrate le vostre Arianne innamorate e imparate qualcosa da loro. Ma il loro posto è là, e nell’Aldiquà non si vedono più.» Io chi ho incontrato? «Noi, per esempio.» «E il tuo prendere nota è il gomitolo» disse l’Austero. «La seconda ragione è che Arianna, lì, fa da guida in un’impresa di coraggio» continuò il Dominante. «Quando l’impresa è terminata, Arianna deve scomparire: e Teseo non la vedrà più, non solo nell’Aldiquà ma nemmeno nell’Aldilà.» Perché? «Perché ogni impresa di coraggio vi fa crescere di un tanto, nel vostro corpo maggiore. Il nostro compito è farvi crescere di 125
quel tanto che possiamo, secondo le nostre capacità. Quando ci riusciamo, vi lasciamo andare incontro ad altri maestri, che sanno e possono più di noi. «Così, Arianna vede arrivare Teseo: e si accorge che il giovanotto ha una vocazione alla scoperta del corpo maggiore – dato che è lì per i suoi compagni e non per se stesso, mentre i suoi compagni sono soltanto vittime delle circostanze. Da quel momento è già tutto deciso: Arianna non può non innamorarsene, non può non aiutarlo, anche se sa bene che poi lo dovrà abbandonare, perché ogni corpo maggiore è più grande di ogni Spirito-guida. Lo sa da subito…» E il fatto che Arianna tradisca il Minotauro, che significato ha? Era pur sempre suo fratello. O è come nella storia di san Giorgio e il drago, in cui san Giorgio libera una principessa prigioniera, e Arianna, in realtà, è prigioniera del fratello… «Mmh. Piano!» sorrise il Dominante. «Questa è tutta un’altra questione. Prendi fiato.» 5 «Tutte le volte che in un mito o in una fiaba si parla di due fratelli, si intende un’unione molto più profonda» cominciò a spiegare il Dominante, con una pausa dopo ogni frase, come per darmi il tempo di capire passo passo. «Arianna e Minotauro sono due, agli occhi di Teseo, ma in realtà sono una persona sola. Te l’ho detto: tutto diventa duplice, sul confine.» Sono due aspetti di un unico essere? «Per voi, sì. E uno lo uccidete, mentre l’altro viene con voi e poi lo perdete di vista. È come nella storia di Prometeo: Chirone rimane sul palo, e Prometeo va libero, sempre innamorato di voi, mentre l’umanità prosegue il suo cammino. È anche questo un indovinello, naturalmente.» E la risposta è ancora: l’uomo? «Sì. Ciò che vedete nell’Aldilà è immancabilmente un vostro 126
specchio. Arianna, da brava amante, aiuta Teseo a vedere meglio in se stesso – ad affrontare le sue paure, a vincerle e a lasciarsele alle spalle. Capisci, sì?» E il Minotauro è il diavolo? È quella nostra paura…? «Sì.» E anche l’amore di Arianna rispecchia qualcosa di noi? «Sì e no. Un po’ è nostro; non siamo perfetti, ci innamoriamo anche noi. Ci dispiace quando dobbiamo andarcene.» 6 «Un altro indovinello è il filo» si affrettò a proseguire il Dominante, mentre io avrei voluto domandargli qualcos’altro al riguardo. «Risolvilo: cos’è il filo che vi permette di uscire dal labirinto?» L’uomo, di nuovo? «È una vostra facoltà: il linguaggio. La vostra capacità di dare un nome alle cose, via via che le vedete e le capite. Come nella Bibbia, quando nell’Eden YHWH conduce dinanzi all’uomo tutti gli animali, “per vedere come li avrebbe chiamati”. 16 Dare i nomi è un vostro talento, che il Dio YHWH non ha. E Arianna insegna a Teseo a mantenere questa capacità aderente alle cose, e così lo guida. Quello è il filo. È ciò che fa anche il Serpente dell’Eden…» Anche il serpente è il linguaggio? «Striscia sulle cose. 17 Il linguaggio aderente alle cose può portarvi molto più in là di dove siete, vi apre la strada: vi fa accorgere del labirinto in cui vi trovate e di come se ne esce. Finché siete nell’Aldiquà è il vostro strumento più prezioso, per orientarvi. E ha questa particolarità preziosissima: quanto più è aderente alle cose, tanto più vi apre la via verso il vostro corpo maggiore, facendovi uscire dal labirinto, per quel che potete.» Quindi il labirinto cosa sarebbe? 127
«È il linguaggio quando non lo usate bene: quando lo usate per non accorgervi e per non capire ciò che vedete. Allora diventa lo specchio con le fiamme, il vostro Inferno, i vostri tabù, che vi fanno arretrare continuamente. È con il vostro arretrare che si forma il labirinto. È il camminare senza sapere dove si è.» «In altre storie lo vedete come una foresta» aggiunse l’Austero. «Pollicino, appunto.» 7 E i giovinetti ateniesi che Teseo libera? «Quello è un tratto molto preciso del corpo maggiore. Tutte le volte che qualcuno fa qualcosa per gli altri, è perché comincia a sentire il suo corpo maggiore. È inevitabile: finché vi date da fare per voi stessi, siete soltanto il vostro io piccolo. Quando sentite il corpo maggiore, fate qualcosa per gli altri. Anche per ciò Prometeo si dava tanto da fare per voi: per mostrarvi com’è la vostra via d’evoluzione da ciò che siete di solito a ciò che siete davvero.» «Nel corpo maggiore sei sempre tanti» aggiunse l’Austero. «E non puoi più pensare a te stesso come a uno solo. Ricordi cosa dicevamo dei fratelli di Pollicino?» «E il Minotauro può costituire un pericolo molto serio, lì» continuò il Dominante. «Certi non lo sconfiggono: arrivano sul confine, nel labirinto, e non ne escono più, o perché non riescono a superare la dimensione del loro io piccolo, e pensano solo a se stessi, oppure perché smarriscono il filo. Nel primo caso, diventano servi di qualcuno: dal capufficio a qualche setta satanica, di occasioni per asservirsi ce n’è tante. Nel secondo caso diventano pazzi.» Vuoi dire che la pazzia è una perdita del linguaggio? «Sì. E anche la pazzia ha tante forme. Dalla possessione diabolica alla normale idiozia di tanta gente che vedi per strada 128
e che non dubita mai della propria salute mentale.» 8 Ed Egeo muore perché è un re? Teseo, cioè, non è più servo neanche di suo padre? «Be’, per Teseo, dopo un’impresa simile, le cose non potevano essere le stesse di prima» rispose il Dominante. «Egeo è il mondo com’era prima che Teseo partisse: è il re che obbediva a quell’orribile ordine di Minosse e mandava all’Inferno i ragazzi, sconf itto dalla paura. Quando Teseo libera i ragazzi, anche Egeo deve scomparire. È fatale che Teseo dimentichi l’accordo preso con Egeo, perché gli accordi con un vecchio re non contano più, dopo un’impresa simile. «Succede così ogni volta che cominciate a liberare persone dall’Inferno. Così è sempre nelle storie dei confini e dei tabù che superate. Sono quei cambiamenti di cui tutti i sovrani e anche tutti gli Dei supremi hanno paura.» Cioè, se uno libera i dannati dall’Inferno cambiano anche i sovrani celesti? «Sì. Vuoi sapere come si fa a liberare i dannati dall’Inferno cristiano?» È una cosa possibile? «Certo. E non vorrai lasciarli là, adesso che sai che potresti tirarli fuori.» Ma dobbiamo viaggiare fin là? «Tanto viaggiamo sempre fin là.»
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K. Kerényi, Die Mythologie der Griechen; trad. it. Gli dèi e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1963. 16 Genesi 2,19.
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Genesi 3,14.
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XII I sette vizi capitali, e l’ottavo - Un’altra notte, quaranta secoli fa L’Inferno delle moltitudini - Le imprese di coraggio
1 Perché bisogna far finta di raccogliere qualcosa per cominciare un viaggio? domandai qualche notte dopo, mentre ci preparavamo a partire. «Non è far finta, è un atto di coraggio» disse il Dominante. «Vuol dire fare attenzione a una piccola cosa, come se ti fermassi a raccoglierla, tranquillamente. È così che prendono forma le decisioni maggiori: in spazi immensi, davanti a cosmi interi che ruotano e cambiano, tu vedi una cosa piccola che ti incuriosisce. In qualunque mondo le cose piccole si vedono quando si è in armonia con quelle grandi, e viceversa. E allora puoi viaggiare dovunque.» Cioè, è un modo per «assestare la vista», come dicevate voi? «Assestare la vista è un modo di intrappolare la tua razionalità. Per viaggiare bisogna che tutte le facoltà della mente guardino per qualche istante nella stessa direzione: e la razionalità si oppone sempre, perché è piccola e prepotente. Vuole capire tutto e riesce a capire soltanto le cose piccole; così, quando si accorge che praticamente tutto è più grande di lei, si impunta e non vuol vedere niente. Allora noi le diamo da 131
guardare qualcosa di piccolo, e lei obbedisce, per il tempo necessario a partire.» E ci casca sempre? «Sempre. È molto ottusa, e non solo in te: in tutti è così. Poi, una volta salpati, lei continua a guardare i dettagli e corre avanti e tutt’intorno, mentre noi conversiamo, e si diverte moltissimo.» «Tu comunque cerca di essere più elegante nell’andatura, durante i viaggi» mi raccomandò l’Austero. In che senso? «Stai più diritto, cerca di sentire la tua statura. Altrimenti hai un’aria stupida, scusami se te lo dico. Lì, a volte, hai la tendenza a stare ingobbito, come se avessi paura che qualcuno ti picchi.» Che c’entra questo con la razionalità? «Niente. Ci tengo che tu faccia bella figura, tutto qui.» Perché? C’è qualcuno che ci guarda, lì? «No, nessuno guarda te, non ti vedono ancora» rispose l’Austero. «Sei tu che devi cominciare a vedere bene loro, e se stai diritto li vedi meglio. È un tuo compito, sta’ diritto: lì, è come se percepissi soprattutto col petto. Altrimenti potrà succederti di non vedere niente del tutto.» E per un istante, mentre parlava, vidi davvero e soltanto il buio, e me ne spaventai. Mi sentii come se, guidando di notte, fosse d’un tratto scomparsa qualsiasi luce: le luci della strada, i fari, le luci del cruscotto. Solo il buio completo, mentre la macchina va. Mi riscuoto da quella sensazione come da un brutto sogno. «Visto?» mi dice l’Austero. 2 Partiamo. Inspiro, come prima di tuffarmi. Mi chino a raccogliere qualcosa che non so, per un attimo tutto gira da destra a sinistra: e vedo erba rada e polvere, anche stavolta in una luce di luna. 132
Cerco di stare diritto, di «sentire la mia statura». Intorno c’è un prato, e ci sono muri che salgono dall’erba, pallidi e nitidi in questa luce lunare. Tra i muri si vedono i margini lontani di un bosco nero, e attraverso le finestre vuote di questi muri si vede il cielo. Sono rovine o muri in costruzione? «Tutt’e due le cose, direi» mormora il Dominante, accanto a me. Pensando a come possano essere tutt’e due le cose, comincio a camminare tra questi muri. Li guardo, con il mento in su. Ci sono anche archi vuoti. I muri sono spessi un braccio, alcuni formano angoli e brevi corridoi, altri sorgono isolati; e non c’è traccia di tetto. Sembrerebbe un gioco di costruzioni di bambini giganteschi. È un labirinto? «No. Potrebbe essere un tempio.» Anche i miei maestri stanno camminando e guardano. La bambina mi dice qualcosa, io non capisco e lei ride. Provo a prenderla per mano, ma scappa, e la vecchia con le finte ali di libellula mi sorride e la segue. «Vieni qua» le dice. «Non correre.» Nelle finestre vuote e sull’erba la luce della luna è talmente bella da sembrare viva: un essere vivente, assorto, fatto soltanto di luce. E magari se le si parla risponde. Sarebbero gelosi i miei maestri, se attaccassi discorso con questa luce di luna? «Ti piace questo posto» mi dice l’Austero. Moltissimo. Non so come, ma mi mette allegria. Sono già stato qui? L’Austero si stringe nelle spalle e continua a osservare questa strana architettura. Tiene le mani dietro la schiena, come un turista appagato da un luogo. «Dicevamo, l’altra volta: i dannati all’Inferno.» Il Dominante si siede sul davanzale di una specie di finestra – il davanzale gli 133
arriva alle anche – e mi fa segno di sedermi accanto a lui. «Tu che ne pensi: sono nati prima i peccatori o i peccati?» È un indovinello? I peccati? 3 «Secondo i cristiani, i peccati per cui si viene mandati all’Inferno sono i sette vizi capitali, generatori di tutti gli altri peccati. Cioè superbia, avarizia, invidia, accidia, ira, lussuria e gola. Questi sono i sette giovinetti e le sette giovinette da dare al Minotauro. Sette aspetti capitali di ognuno di voi.» Sono sette perché hanno a che fare con i sette Cieli? «Certamente. Ogni vizio capitale corrisponde a un Cielo: la superbia è per il Settimo Cielo e l’avarizia per il Primo. La lussuria è per il Sesto Cielo e l’invidia per il Secondo. La gola è per il Quinto e l’accidia per il Terzo. E l’ira è per il Quarto. Ciascuno di questi vizi vi trattiene dall’entrare in uno dei sette Cieli, e vi fa credere che chi è entrato sia condannato all’Inferno.» Quindi, se uno entra nel Settimo Cielo gli altri pensano che sia per superbia, se uno entra nel Sesto Cielo gli altri pensano che sia per lussuria, e così via? «Così pensate voi. In realtà è il contrario. Se non entrate nel Settimo Cielo è perché siete bloccati dalla superbia. Se non entrate nel Sesto Cielo è perché siete bloccati dalla lussuria, e così via. «Naturalmente ci sono molti altri tipi di peccato, ma questi sette sono utilissimi per esaminare gli ostacoli che trovate nell’Aldiquà. Sono una delle cose più preziose accolte dal cristianesimo; ma avete cominciato a fraintenderli quasi subito. «I cristiani pensano che la gola sia un problema dei golosi, l’invidia un problema degli invidiosi e via dicendo, e che questi sette peccati siano evidenti errori che la gente commette nel mondo. Invece indicano comportamenti e convinzioni che quasi 134
tutti ritengono ovvi e ragionevoli, e che nessuno chiamerebbe peccati, nel vostro mondo. «Sono i modi in cui lasciate che ciò che siete dipenda da ciò che è fuori di voi, invece di dipendere da voi stessi. E sono i modi che avete di restare all’Inferno, e non di andarci.» No, non capisco. La bambina mi passa davanti di corsa, ridendo. «I sette peccati diventano altrettanti “apriti Sesamo” quando si impara a usarli» continua il Dominante. «Ora te li spiego, uno per uno. Vuoi?» 4 «Scrivi: «Avarizia non è soltanto l’essere avari. È quando pensate che ciò che siete dipenda da ciò che avete. Quando pensate: io non conto niente, ma se ho qualcosa valgo qualcosa. Appena cominciate a pensare di contare qualcosa anche per altre ragioni, vi si apre il Primo Cielo, in cui sentite il vostro io. «Invidia non è soltanto l’invidiare, ma è tutte le volte che pensate: se non guardo gli altri non so cosa dire e cosa fare. Quando invece vi sentite tutt’uno con gli altri, con un insieme di gente, vi si apre il Secondo Cielo. «Accidia è tutte le volte che pensate: se non dimostro ciò che valgo, posso immaginarmi di valere di più. Quando invece vi accorgete che in voi c’è qualcosa di più grande di ogni vostro valore, entrate nel Terzo Cielo. «Ira è quando pensate: se non posso dire che qualcuno ha torto non so cosa dire degli altri. Quando non vi importa più niente degli altri perché siete perdutamente innamorati di qualcuno, siete nel Quarto Cielo, che è quello dei grandi amori. «Gola è quando pensate: il mio spirito non combinerà mai niente se non si preoccupa di nutrire il mio corpo attraverso qualcuna delle mie bocche. Quando scoprite che dentro di voi ci 135
sono immense forze che nutrono e muovono il mondo intero, siete nel Quinto Cielo.» «Le vostre religioni sono principalmente invidia e ira: Secondo e Quarto Cielo» dice l’Austero, che sta camminando tranquillamente in cima a un muro, almeno a sette o otto metri da terra, sempre con le mani dietro la schiena. «Così dovresti stare: diritto; vedi?» E accenna un sorriso. «Lussuria è quando pensate…» continua il Dominante – ma non riesco a sentire il seguito della frase. «È il tuo peccato, perciò non ci riesci ancora» mi spiega l’Austero. «E superbia è quando pensate: se non sono diverso dagli altri non sono niente. Mentre nel Settimo Cielo tutto è diverso da ciò che sapete. «Questi sono i peccati per i quali restate nel vostro Inferno, nella paura dell’accorgersi. Sono indubbiamente i vostri più grandi tabù e perciò sono così importanti: perché vi mostrano ciò che vi limita.» 5 «Anche questi sono indovinelli, naturalmente. Puoi liberarti di qualcosa soltanto quando sai cos’è, e quando sai cos’è vuol dire che ne sei già fuori. È la solita storia: ogni volta che trovi la risposta a un indovinello, la Sfinge ti lascia passare e scompare. Così, quando uno capisce cos’è l’avarizia in lui, non può più essere avaro; non può più, così come non può più far entrare il piede in una scarpa che portava da bambino.» 18 Quindi basta capire questi sette peccati per uscire dall’Inferno? «È senz’altro una buona premessa» risponde il Dominante. «Poi c’è l’ottavo vizio capitale, che vi rimane da affrontare quando avete capito che cosa sono gli altri sette. Ed è la colpa, che assomma gli altri sette e di cui tu sai già diverse cose…» 136
Sotto un arco, a venti passi da noi, sta passando un uomo vestito di chiaro. 6 Quello chi è? «Sei tu com’eri allora» risponde il Dominante, guardandolo. All’epoca di questi muri? Quanti secoli fa? «Quaranta, almeno.» Quaranta secoli è un lasso di tempo troppo grande perché io riesca a pensarne qualcosa lì per lì. Annoto soltanto «40» sul quaderno. Noi per lui siamo invisibili? E non può neanche sentirci? «Se tu capisci bene quel che diciamo, lo sente anche lui» risponde il Dominante. «Ma eravamo rimasti alla colpa. Ti avevamo già detto che le colpe che scontate sono quelle degli altri. Anche i giovinetti che venivano sacrificati al Minotauro scontavano la colpa di re Egeo, che si era rassegnato alla sconfitta e all’imposizione. Così avviene sempre e comunque, e vi rovina la vita. In questo senso, i peccati sono nati sicuramente prima dei peccatori.» L’uomo di quattromila anni fa si è fermato a misurare la larghezza di una finestra, a braccia. «Crescere,» continua il Dominante «è liberarvi da quegli otto vizi, che sono gli aspetti del vostro dipendere dagli altri, dalle moltitudini. È come se quei vizi vi impigliassero nelle moltitudini di chi non è ancora cresciuto e, con l’ottavo vizio, anche in quelle, immense, di chi è vissuto prima di voi; così dipendete da tutta questa gente. E via via che crescete ve ne staccate. «È un fatto notevole, non trovi? Quanto più fate cose per gli altri, tanto più vi emancipate dagli altri…» Prendo nota, ma intanto sto guardando l’uomo – che adesso è a tre passi di distanza, e che esamina un muro, come calcolando 137
qualcosa. Chi è? Perché è qui a quest’ora di notte? domando, e in quel momento incontro il suo sguardo. «Bene, così» mi sussurra l’Austero, proprio accanto al mio orecchio. Mi ha visto… L’uomo ha due anelli alla mano destra. Ed è la mia mano, li sto tastando col pollice. Quell’uomo sono io. Il Dominante, l’Austero e gli altri non si vedono più, e il mio corpo è gracile, la mia testa è più leggera del solito. Sto camminando, sento l’aria fresca della notte, l’odore dell’erba umida e nel cuore un senso di soddisfazione, di orgoglio, che sembra venirmi da tutto ciò che ho intorno. Com’è leggera la testa, davvero! «Quaranta secoli fa non vi si era ancora chiusa la fontanella del cranio, perciò senti la testa leggera» mi spiega il Dominante, in qualche punto della mia testa. Mi spaventa quello che sto provando, perché sembra così semplice eppure so che è assurdo. Aspetto l’istante in cui mi accorgerò di star immaginando tutto. Ma, anche se si tratta soltanto di immaginazione, contiene un elemento che non posso non percepire come reale: le due menti che ho in questo istante. Una è la mia, che vede e ascolta i maestri, e l’altra è quella dell’uomo lì davanti a me, che non li vede e non li sente. Io le sento, le ho, le sono entrambe, e una non interferisce con l’altra. Intuisco – per qualche secondo – che tutto ciò che sto vedendo in quella notte di quattromila anni fa è come un corridoio della mia immaginazione, che mi doveva condurre alla sensazione, tanto netta, dell’avere due menti insieme. 7 «Oh, sta cominciando a capire qualcosina» sorride l’Austero. «Ascolta, intanto» mi dice il Dominante. «Continua a 138
scrivere, è un buon momento. Per salvare i dannati dall’Inferno e liberarli dalle colpe che vi hanno lasciato addosso (dato che di questo si tratta), devi avere una forte immagine di te. Quanto più l’immagine che hai di te è completa e forte, ben visi bile fuori dalle varie fiamme-tabù, tanto più le colpe degli altri diventano leggere e si ritirano e scompaiono. E vedi anche gli altri molto meglio. «Ti ricordi la storia dell’uomo nato cieco, nel Vangelo? I discepoli vedono un uomo cieco dalla nascita, e si domandano perché alla gente debbano capitare cose simili. “È nato così perché i suoi genitori hanno peccato?” domandano a un certo punto. E Gesù risponde che quell’uomo è nato cieco perché bisogna che si impari a guarirlo. «Così Gesù lo guarisce, e l’uomo comincia piano piano a vedere. 19 E cosa vede?» Gli altri, le cose… «Tutto quello che aveva avuto intorno e di cui era sempre vissuto. Anche in questo caso si procede a ritroso, vedi? Così anche la vostra immagine si precisa e si fortifica a ritroso, andando sempre più indietro, nel tempo dei tempi.» Ma adesso sto immaginando o è tutto vero: l’uomo, i muri…? «L’hai capito bene, poco fa. Perché chiedi?» dice l’Austero. Volevo essere sicuro. «È un’impresa di coraggio. Nelle imprese di coraggio si è sicuri prima o dopo, non durante.» In che senso dite: impresa di coraggio? «È un termine tecnico, imparerai a usarlo» risponde il Dominante. «Ci vuole coraggio per vivere e vedere, in qualsiasi mondo. Gli otto vizi, invece, sono roccaforti di paura. Qui, stai vedendo ciò che il tuo coraggio ti permette: solo frammenti di una città, e solo un uomo, invece di una folla. In questo senso possiamo dire che sia un prodotto della tua immaginazione.» 139
8 Capivo e non capivo. Era ancora troppo poco perché la mia mente riuscisse a orientarsi in quelle spiegazioni, eppure avevo la sensazione che soltanto una parte di me – una piccola parte di me – non capisse ciò che il resto di me sapeva già. E quali sono le imprese di coraggio? domandò al Dominante una parte di me, mentre l’uomo stava evidentemente calcolando qualcosa tra l’angolo di un muro e la luna. «Quelle che preferisci» rispose il Dominante. «Vuoi guarire le malattie? Da domani faremo lezione su come guarirle, se vuoi. Solo, ricorda: se cominciando un’impresa di coraggio ne parli a qualcuno, gli farai fare la fine di Egeo. Quelli a cui ne parli, o vengono con te o rimangono indietro e non li ritrovi più, non apparterranno più al tuo mondo, quando avrai compiuto la tua impresa. Ed è molto difficile trovare persone disposte a seguirti, in un’impresa di coraggio. «Perciò impara a non parlarne, all’inizio: hai noi con cui parlarne. E a ogni impresa l’immagine che hai di te diventerà più netta.» «Comincia qui la promessa che cercavi» disse l’Austero. «Già. Il diavolo arriva alla fine e lì comincia la promessa» confermò il Dominante. «Dovrà anche stare attento, diteglielo. C’è molto peggio dei diavoli, negli universi» aggiunse il vecchio dalle finte ali di libellula. Che cosa? domandò una parte di me. Il Dominante fece un cenno vago, con una mano, e non rispose. Intanto l’uomo di quaranta secoli fa si stava massaggiando il petto, dalla parte del cuore. Che cosa c’è di peggio? insistetti. Essere due cominciò a diventare una grande fatica, come se le forze stessero fluendo via e fossero le ultime, brevi, che era impossibile trattenere. Cercai di stare diritto, come mi aveva 140
raccomandato l’Austero, e invece di vedere meglio mi accorsi che dormivo davanti alla mia scrivania, il capo appoggiato alla spalliera della poltrona, che è alta e morbida. Quasi due ore dopo riaprii gli occhi, spensi la luce e andai subito a letto, sfinito.
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«Questo naturalmente si riferisce ai vostri organi superiori» mi segnalò l’A ustero mentre ultimavo il libro. «È un altro modo che avete di imparare a scoprirli. E quando cominciate a impararlo, la vita che conducevate prima vi fa lo stesso effetto di quando andavate in giro con le vostre scarpine da bambini.» 19 Qui il Dominante si riferisce a due diversi passi dei Vangeli: nel Vangelo di Giovanni 9,1 sgg. è narrata la guarigione dell’uomo nato cieco; nel Vangelo di Marco 8,22 sgg. è narrata la guarigione di un cieco che comincia a vedere, appunto, «piano piano»: «Gesù gli impose le mani e gli domandò: “Vedi qualcosa?”. Quello, alzando gli occhi, disse: “Vedo gli uomini, perché vedo come degli alberi che camminano”. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi, ed egli cominciò a vedersi chiaramente e fu guarito, e vedeva ogni cosa anche a distanza».
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Parte quarta
L’ESPLORAZIONE DELL’ALDILÀ
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XIII Il modo migliore di insegnare - Utilità dei momenti di dubbio Come cambiare il passato
1 Per diversi giorni non andai a parlare con i maestri, e quando ci tornai ero di cattivo umore. «Che c’è?» Niente, è che adesso non so più abbastanza e ho paura che tutto vada a rotoli. «Le conferenze e così via?» Qualche settimana prima avevo accettato l’invito di un Istituto di Psicologia a tenere un ciclo di conferenze sugli Spiritiguida, e poi un corso – il mio primo «seminario pratico» – per comunicare con l’Aldilà. Ma dopo l’incontro con l’uomo di quaranta secoli fa mi era sembrato di saperne davvero pochissimo, e mi stavo perdendo d’animo. «E perché?» domandò il Dominante. Non so. Tante cose… Non so cos’è stato quello sdoppiamento. Come ha fatto lui a vedermi, se era vissuto quattromila anni fa? Come ha fatto a vedermi se le reincarnazioni sono quello che mi avevate spiegato l’altra volta? Ed era tutto quanto mondo intermedio? Non lo so, e quello che so non lo capisco più. 143
«È buffo quando non vi tornano i conti» sorrise il Dominante. Per voi è buffo. Perché non mi avevate avvertito prima, che ci sono troppe cose che non so? Non avrei preso l’impegno delle conferenze. «Questo è il contrario di un problema» disse il Dominante. «Accorgersi di non sapere abbastanza è un vantaggio, quando si insegna. Io intendevo dire quando non vi tornano i conti col tempo, con i quaranta secoli.» Perché è un vantaggio non sapere abbastanza, quando si insegna? «Perché è il modo migliore di insegnare, l’unico sensato. Se uno pensa di sapere abbastanza per insegnare agli altri, vuol dire che non sa fare niente di interessante con quello che sa. Chi insegna così è uno che ha terrore di fare brutta figura e vuole nasconderlo a se stesso, e darsi importanza. Insegnare è utile soltanto quando imparano tutti: chi insegna come chi ascolta. Da solo non arrivi a capire una cosa, e perciò spieghi agli altri a che cosa precisamente non arrivi: e ci arrivate insieme.» Cioè, arrivo alla conferenza e dico al pubblico: «Non ho capito questa cosa, aiutatemi voi»? «No, cominci a spiegare quello che sai, e il resto prende forma in te e in loro. È il corpo maggiore che interviene. Come dice Gesù? “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.” Tutte le volte che Gesù dice io, sta parlando del corpo maggiore delle persone.» Si può imparare a dire «io» parlando del corpo maggiore? «È semplicemente ciò che intendete davvero, ogni volta che dite io sul serio. Ma voi non parlate quasi mai sul serio, e io è il più ironico dei vostri pronomi personali.» «E lo sapete tutti benissimo» ironizzò l’Austero. «Quanto all’insegnare imparando, anche per noi è lo stesso quando insegniamo a te. Noi non abbiamo e non capiamo bene la forma, le parole, e tu non sai quello che sappiamo noi. Tu ci 144
dai le parole, e così noi impariamo una quantità di aspetti a cui non potremmo arrivare da soli. «Fa’ così anche tu: mettici un po’ di rischio e di fiducia. Per te sarà più facile che per noi, perché tutti hanno i loro maestri e i maestri della gente che ti ascolta ti aiuteranno.» 2 «Quanto al tempo, ai secoli, se i conti non ti tornano è per lo stesso motivo» continuò il Dominante. «Anche il vostro rapporto col tempo dipende soprattutto dalla vostra fiducia. Con quell’uomo di quattromila anni fa, per esempio, i tuoi quattromila anni (erano tuoi, non suoi) c’entravano poco, quando lo hai visto. Se avessi avuto un po’ più di fiducia avresti potuto anche rivolgergli la parola, e raccontargli perché eri lì, e un sacco di altre cose.» Cioè, avrei potuto, non so, disegnargli una bicicletta, e lui avrebbe visto come funziona una bicicletta? «Certo. E magari ti avrebbe aiutato a capire meglio il significato della bicicletta, con il suo punto di vista.» E lui e i suoi contemporanei avrebbero costruito biciclette? «Probabilmente sì; erano gente industriosa. Ma voi non l’avreste saputo, perché i vostri libri di storia non parlano di biciclette di quattromila anni fa.» Sarebbe accaduto e noi non avremmo più potuto saperlo? «Voi vi fidate dei vostri libri di storia. Ognuno ha il mondo di cui si fida, e non ne esce, neanche se quel mondo fosse già sparito cent’anni fa.» No, aspetta. Ma l’invenzione della bicicletta quattromila anni fa avrebbe cambiato tutta la storia del mondo; sarebbe cambiata tutta la nostra tecnologia, no? E lo vedremmo… «È quello che devi pensare se ti limiti all’idea che si vada soltanto in avanti. Prova a pensare che tutto prenda forma a ritroso: voi siete qui, adesso, e capite e vedete solo alcune cose e 145
non altre; e perciò vedete nel passato soltanto le cose che giustificano quello che capite e vedete adesso. «E poi non è detto che la vostra tecnologia sarebbe cambiata. Leonardo da Vinci, per esempio, ha descritto cose che per secoli nessuno ha capito.» E se qualcuno le capisse? Voglio dire, se ci accorgessimo che nel passato hanno cominciato, da ieri, a costruire biciclette… Insomma, che nel frattempo il passato è cambiato, mentre noi non lo sapevamo. Allora cosa succederebbe? «Allora si produrrebbero notevoli cambiamenti, certo. Se quaranta secoli fa quell’uomo avesse imparato da te cos’è una bicicletta e avesse cominciato a costruirne, in capo a qualche mese nella tua epoca ci sarebbe un improvviso fiorire di invenzioni, e una rivoluzione tecnologica. Ma nessuno saprebbe spiegarsi il perché; anzi, nessuno riuscirebbe nemmeno a domandarsi perché. Lo sapresti solo tu, e non crederesti a quello che sai.» State parlando sul serio? «Dipende da te. Se impari, stiamo parlando sul serio; se non impari, stiamo solo scherzando.» 3 Come faccio a sapere che è vero questo che dite? domandai, con un improvviso senso di tristezza, al pensiero che da qualche minuto avessi smesso di ascoltare e stessi inventando io stesso le risposte. Questa possibilità di cambiare avvenimenti passati sembrava provenire troppo direttamente da varia letteratura di fantascienza. E naturalmente il senso di tristezza era dovuto al dubbio che, se avevo inventato io quelle ultime risposte del Dominante, anche molta parte delle risposte precedenti (quanta parte?) fosse soltanto frutto di invenzione, e perdita di tempo. «Sapere se è vero?» sorrise il Dominante. «Caro, non puoi. Quando la mamma affidò il piccolo Mosè al fiume, non sapeva 146
che sarebbe diventato principe d’Egitto. È sempre così, c’è sempre un fiume del genere, quando parli con noi.» «C’è sempre un fiume così, quando avete a che fare con la trama della vostra vita» aggiunse l’Austero. «E magari sto inventandomi anche queste risposte» non potei fare a meno di pensare. «Ogni volta che ti vengono di questi dubbi,» disse il Dominante «approfittane per fare progetti per il futuro. Sono quelli i momenti migliori per farne: ciò che tu senti come dubbio è simile a un tornante in montagna. Ci hai mai fatto caso?» No. «Facci caso. È veramente un tornante della tua strada interiore: da lì il paesaggio si allarga, vedi di più nel tuo animo, nella tua immaginazione, nei tuoi sentimenti. Perciò è un buon momento per fare progetti, invece di fermarsi a capire perché ci sia un tornante. C’è solo perché c’è una montagna.» «Sarà» pensai. E dovetti farmi forza per continuare a domandare e a prendere nota, con quei dubbi che mi pesavano ancora sul cuore. Allora spiegatemi bene. Si possono cambiare gli avvenimenti nel passato: è un indovinello? E intanto mi accorsi di pensare: «Perché il dubbio di star inventando mi è venuto in mente solo ora? Perché proprio parlando del cambiare il passato?». «Certo» rispose il Dominante. «E la risposta è sempre la stessa. Ascolta e prendi nota per bene.» 4 «Voi per adesso state soltanto subendo l’effetto del passato» il Dominante scandì nettamente le ultime quattro parole, tanto che alzai le sopracciglia. «E lo subite sia sotto forma di colpe commesse da chi è vissuto prima di voi, sia sotto forma di storia scritta o trascritta da voi, e immobilizzata, ai vostri occhi, dal 147
fatto di essere avvenuta molto tempo fa, secondo il vostro modo di intendere il tempo. «Ed è un po’ come quando morivate di qualche malattia che non sapevate ancora curare: pensavate che fosse destino, volere di Dio, o magari opera del diavolo. Così, voi pensate: “È il passato!” e siete convinti di non poterci fare nulla, perché il passato è più grande di voi. Invece è più grande soltanto di ciò che vi accontentate di sapere di voi – cioè del vostro io piccolo. Anche qui c’è un diavolo che vi impedisce di scoprire qualcosa più in là.» Cioè, un tabù. «Certo. Avete un tabù sul tempo: un limite che vi sembra insuperabile. E non ti avevamo detto che ogni limite è tutti i limiti?» Sì. «Così voi vi sentite minuscoli al cospetto del tempo: dei milioni di anni del vostro pianeta…» Certo. «Ed è una sensazione utilissima, perché è esattamente ciò che prova il vostro io piccolo al cospetto del corpo maggiore.» Cioè, quando pensiamo al passato noi in realtà stiamo pensando al corpo maggiore? «Diciamo che state pensando al tempo del vostro corpo maggiore. E in quel tempo gli avvenimenti fluiscono continuamente, e prendono forma, mutano forma, proprio come i vostri avvenimenti e i vostri progetti nel tempo dell’io piccolo. La differenza è che l’io piccolo può fare progetti: può, perché si è immaginato che esiste una cosa chiamata futuro, e lì sviluppa i suoi progetti. Purtroppo lo scotto è che, una volta inventato il futuro, si forma necessariamente anche il passato; e il passato limita il vostro progettare: quindi il guadagno finale non è granché.» Il corpo maggiore non fa progetti? «No, ha solo il presente, in tutte le direzioni. E perciò se la 148
passa molto meglio.» 5 Non è possibile. «Non è possibile perché il tuo tabù sul tempo pretende che tutto nella tua immagine dell’universo sia ancora com’era stamattina. Invece tra un quarto d’ora sarà completamente diverso. Ti spiace questo?» Non risposi. Sentivo che il cuore cominciava a pulsare in un modo diverso. «Ora,» continuò a dettare il Dominante «secondo la vostra immagine dell’universo il tempo è fatto di passato, presente e futuro. È un’idea molto irrazionale: non si capisce perché nel tempo le direzioni non debbano essere infinite come lo sono nello spazio… Ma voi vi siete imposti di pensarla così e non riuscite più a immaginarlo diversamente. Diciamo invece che il passato, il presente e il futuro sono i tre modi che voi avete di guardare le infinite direzioni del tempo. «Bene: ma come sono, cosa sono, in realtà? Il passato è ciò che per voi esiste già. Il futuro è la vostra voglia di conoscere. E il presente è dove riuscite ad arrivare con il vostro sguardo. E tutti e tre insieme sono come una mano che plasma la creta. La mano è il presente, la creta è il passato, e il futuro sono le forme che voi plasmate. Hai scritto?» 6 Provavo a immaginare una mano che plasma la creta. La creta è il passato. Cioè, il nostro futuro sarebbe tutto nel nostro passato? «Sì. È ciò che capite e plasmate del vostro passato. Se non capiste più niente del passato, il vostro futuro non prenderebbe 149
forma: e il tempo sarebbe soltanto il trascorrere sempre uguale dei giorni e delle vostre energie che deperiscono nell’inerzia. Quando invece comincia a prendere forma il futuro, è perché avete scoperto qualcosa del vostro passato e lo state plasmando. «Voi sapete bene che è così. Lo vedete nei nevrotici: nel passato del nevrotico ci sono cose che bloccano il suo futuro, e lui deve tornare nel passato e capirle e plasmarle. Non dite così, voi? «Così è anche nelle vostre teorie sulla reincarnazione: anche lì lo vedete. Nella vita incontrate continuamente “nodi karmici” da sciogliere: le conseguenze delle reincarnazioni precedenti, da risolvere e superare. Sono nel lontano passato, le incontrate nel vostro presente, e da quei nodi dipende il vostro futuro. E ciò vi sta mostrando chiaramente il punto principale; ma non lo vedete.» È il fare uscire i dannati dall’Inferno? «È un’altra applicazione del principio. Ma non il punto principale.» 7 «Niente: non lo vede» commentò l’Austero. «Prova a congiungere ciò che ti ho appena spiegato» mi esortò il Dominante. «Se la tua mano è il presente, la creta il passato e le forme sono il futuro, tu in che tempo sei?» Fuori da presente, passato e futuro? «Fuori, dentro e intorno al passato, al presente e al futuro, contemporaneamente.» «Quando guardi le nuvole in un quadro di Tiziano,» intervenne l’Austero «pensi: “Ecco alcune nuvole di quattrocentocinquant’anni fa”, oppure pensi: “Eccole”?» «Tu sei un tempo grande come i milioni di anni che voi immaginate quando pensate alla storia del mondo» riprese il Dominante. «Non per niente la chiamate proprio storia: la stessa 150
parola con cui indicate i racconti, le fiabe, e i miti che descrivono la vostra anatomia. Tu sei tutto il tempo e tutte le cose che succedono nel tempo. La storia è solo un vostro modo di raccontare; voi, per presunzione, vi siete convinti che non sia una cosa che raccontate, più o meno vera, ma che sia una cosa reale. E il castigo di questa presunzione è che, mentre le storie che si raccontano potete cambiarle, la storia per voi è immutabile.» E non lo è? «Il tempo sei tu. Puoi cambiare tutto nel tempo, e non sarà diverso dal cambiare una tua abitudine. Certo, dopo che avrai cambiato qualcosa nel passato, i vostri libri di storia continueranno a dire quel che dicevano prima, ma che farci? Quando qualche scienziato scoprì che la Terra gira intorno al sole, per un bel pezzo i dotti continuarono a insegnare che il sole gira intorno alla Terra, anche se i loro calcoli non tornavano.» 8 Ma così non rimane più niente del tempo come lo conosciamo noi, provai a protestare. Se è come dite, viviamo tutti nell’irrealtà. Chiunque mi deriderebbe se provassi a dire una cosa del genere. «Ti preoccupa davvero che ti deridano?» Non è questo il punto, ma non… «È vero, non è questo il punto. In realtà non vedi l’ora che ti deridano, così che tu possa dire: “Peggio per loro, io quel che dovevo dire l’ho detto”. Invece il punto è che voi – tu incluso – siete abituati a subire il passato, a immaginarvi il passato come la spinta di innumerevoli forze che non potete cambiare. Ma è solo perché pensare così vi esime dalle vostre responsabilità e dai vostri poteri. Vi piace immaginarvi come Biancaneve, teneri e indifesi, chiusi nella bara di specchi. Invece avete la forma, la 151
volontà, la creta: potete plasmare. Ed è una cosa che potete fare soltanto voi.» Per esempio: mille anni fa un paese viene invaso da un popolo crudele. Io posso cambiare questo avvenimento? «Sì, se capisci cosa sono in te quel paese, quel popolo crudele e quell’invasione. «Se riesci a capirlo succedono due cose: primo, vedi un senso nuovo di quel fatto; secondo, vedere quel senso ti mette nella posizione giusta per poterlo cambiare. E lì, se ti sembra ancora giusto cambiarlo, lo cambi come cambieresti una tua abitudine. Poi, naturalmente, toccherà a quel popolo vedersela con ciò che avrai cambiato nel suo passato.» Scusate tanto, ma non ci posso credere. «Non è questione di crederci. Succede a tutti, e la prossima volta che ti succederà vedrai più chiaramente come cambieranno le cose. D’altronde, per capirlo bene ti mancano ancora un paio di elementi; ma ci arriveremo presto.»
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XIV La materia, gli specchi e la realtà - Potere e dovere Gli animali maestri - Gli Angeli e il diavolo dietro gli specchi Bellerofonte
1 Restai in silenzio, mentre i miei pensieri correvano. Forse non era vero che non potevo crederci ma, come per un mio puntiglio a me ignoto, qualcosa in me non voleva dare ai maestri la soddisfazione di avermi convinto. «Dipende tutto dalla vostra percezione» riprese il Dominante. «A te sembra impossibile quel che ti ho detto, perché vedi le cose dal punto di vista della materia, di tutto ciò che c’è di solido intorno a te. Come tutti, anche tu vuoi che la tua casa sia solida e non crolli. Non hai capito bene quella prima storia d’amore, ricordi? Non ci hai pensato nemmeno più. «Ma pensaci e dimmi (è un indovinello molto facile): è l’uomo a costruirsi la casa, o è la casa a costruire l’uomo?» È l’uomo a costruirla. «Sicuro? E se la materia, cioè la vostra casa, fosse anch’essa un vostro organo? Allora la risposta sarebbe più articolata.» E quale organo sarebbe? «La creatività. La materia, per voi, è l’organo che narra, dipinge, suona e così via. Voi ci mettete la forma e la volontà,
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senza le quali quell’organo non farebbe nulla: ma tutto il resto ce lo mette la materia. «Così, in voi e tutt’intorno avete l’immenso museo d’arte antica e moderna che è il mondo in cui volete vivere. A te e a tutti importa che sia ben tutelato; e non lo sarebbe, se pensaste che quelle opere si possono rifare in un altro modo. Così dite: Quod scripsi, scripsi. 20 Quel che c’è, c’è: se così è stato catalogato nel museo, così deve essere. Così percepite solo quel che c’è lì dentro, e non potete fare nulla. Ma è soltanto un vostro modo di percepirlo.» E cambiare il passato sarebbe come ritoccare i quadri? «Sì, se pensi di poterli fare più belli. Occorre solo modificare le leggi del museo. Le leggi attuali stabiliscono che i quadri devono restare così per sempre: ma che cosa resta per sempre? “Per sempre” è l’eternità, e l’eternità è soltanto adesso. L’unico elemento che può impedirti di fare qualcosa nell’eternità è il tuo cuore, il tuo coraggio. O il Dio supremo, che è la stessa cosa, anatomicamente parlando. «Aiutalo. Fa’ crescere il Dio supremo, e vedrai. È soltanto lì l’ostacolo. La materia di per sé è fatta apposta perché qualche energia la modelli, e non perché lei modelli il tuo modo di vedere i mondi.» Sarà… 2 «Sarà, sarà. Certo che sarà. Hai solo paura che sia vero, e tieni la tua paura davanti a te come uno schermo, per non vedere più in là. Rischia di diventare una cosa noiosa, se va avanti così. Se vuoi un consiglio, vedi in quello schermo uno specchio, e guardatici bene; oppure diventa talmente più grande, da vederlo piccolo come un fazzolettino per terra, che puoi chinarti a raccogliere cortesemente, quando vuoi.» Come quando partiamo per un viaggio? 154
«Puoi raccoglierlo anche nel tuo mondo, nel museo. Che è poi la vostra bara di cristallo. Quella bara di cristallo, hai capito bene cos’è, nella fiaba di Biancaneve?» Era il nostro modo di conoscere. «Il modo di conoscere in cui vi aveva rinchiuso il Dio della Terra, cioè il vostro cuore com’è nel museo. E vuol dire che tutto ciò che potete pensare e conoscere nel mondo-museo è solo un’immagine di voi, riflessi dal cristallo: da pareti di specchi. Per esempio, voi credete che il vostro tempo lineare sia tutt’intorno a voi, nell’intero universo; invece è solo in voi, e le pareti della bara lo riflettono. Così è per tutta la vostra realtà, che è il vostro limite ovunque. «Scrivi, scrivi. È come nell’astrologia: anche quando guardate la vostra volta celeste, vedete sempre e soltanto voi stessi. Solo che i vostri astrologi pensano che le stelle, quelle vere, influiscano davvero su di voi.» 3 «Così anche il passato è immagine di ciò che siete, e il futuro è il modo in cui lo vedete via via. E ciò che sembra lontano, nel tempo e nello spazio, non è affatto lontano da voi: è sempre e soltanto la vostra immagine riflessa, distante da voi come tutto il resto, ma falsata da giochi di specchio tra gli angoli della bara. Quando metti due specchi uno davanti all’altro e un oggetto nel mezzo, l’immagine di quell’oggetto sembra allontanarsi enormemente nelle due direzioni: invece basta che tendi la mano, e l’oggetto è lì davanti a te, e puoi farne quello che vuoi. I due specchi uno davanti all’altro sono il vostro passato e il futuro.» Quindi conoscere, per noi, è sempre una specie di prigione? «Dipende. Per il vostro io piccolo, custode del museo, conoscere è sempre conoscere se stesso in una scatoletta di 155
specchi. Ma vedi, voi siete lì dentro, ed è lì che agite. E quando agite, agite su tutto.» Questo è il punto: come faccio a credere che abbiamo tanto potere? «Non è una cosa da credere: è da capire. All’inizio dà le vertigini, soprattutto perché non sei ancora abituato a volere ciò che puoi. Ma poi, a forza di chiederti “Cosa voglio io?”, qualcosa trovi: lo decidi, agisci e lo fai succedere, eliminando i sotterfugi.» Quali sotterfugi? «Gli inganni, le vie traverse, le cose che non vuoi vedere in te stesso, le parole che intralciano il tuo potere. Lo lasci agire e basta: limpido com’è.» Le parole? Non avevate detto che il linguaggio è uno strumento prezioso? «Se lo usi bene, sì: se rimane aderente alle cose reali, è il filo di Arianna. Ma le cose reali sono fuori dalla vostra bara di cristallo: invece le parole come le usate voi sono dentro, e servono a illudervi che tutto sia come vi sembra.» 4 «Il buffo è che vi figurate di essere i più evoluti di tutti gli animali, proprio perché avete quelle parole! Gli animali fanno il possibile per spiegarvi che non è così, ma voi non riuscite nemmeno ad accorgervene. Altro che i più evoluti.» È un indovinello? «Non necessariamente. È solo che gli animali sono più evoluti di voi. Anche la Bibbia vi dice che l’uomo è stato creato per ultimo, no? È l’ultimo arrivato. Gli animali sono lì da più tempo e sono più esperti. «Quanto a questo, gli animali si dividono in due categorie principali: selvatici e domestici, come dite voi. I selvatici sono sicuri che non vi evolverete mai più di tanto, e che perciò sia 156
inutile perdere tempo con voi. I domestici confidano che, nonostante tutto, qualche speranza ci sia, e vi stanno accanto per insegnarvi. «È una scelta eroica, dato che farvi da maestri d’evoluzione è sempre un’occupazione ad altissimo rischio di morte. E i vostri animali domestici non soltanto vengono sterminati in gran numero, ma muoiono sconsolati, vedendo che la loro opera continua a non produrre frutto, neanche dopo millenni di dedizione. Eppure persistono. I vostri animali domestici sono un po’ i santi perenni della natura.» Cioè, i nostri animali sarebbero nostri maestri perché ci insegnano a non usare le parole? «Anche. Gli animali hanno un linguaggio di gran lunga superiore al vostro: non fanno differenza tra comunicare ed essere. Con il vostro modo di usare le parole, invece, voi siete condannati a tenere distanti queste due cose: dite quasi sempre ciò che non siete e ciò che non è – e per poterlo fare non capite quasi mai ciò che state dicendo. Hai mai notato quante cose esistono per voi solo perché ci sono le parole che le indicano? E quanti guai provocano queste cose? Lo stato, per esempio. O i giuramenti.» Ma anche gli animali hanno il loro territorio, e i loro capi… «Piano! Non ho detto che gli animali sono perfetti. Ho solo detto che sperano di insegnarvi tante cose che non capite. Non per nulla fu un serpente, all’inizio, a spiegarvi come si raggiunge la conoscenza. Ma la stragrande maggioranza di voi pensa che fosse un truffatore.» «Così si è scoraggiato e ha preferito diventare selvatico» osservò l’Austero. Sul serio? «Certo. Avevate talmente paura che vi insegnasse qualcos’altro, che ha lasciato perdere.»
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5 E fuori dalla bara di specchi si parla come gli animali? «Come gli animali o come gli Angeli. Gli Angeli non possono mentire, come sai: 21 non possono usare sotterfugi. E, anche nella forma in cui li immaginate voi, sono sinceri: vi mostrano continuamente che il mondo è più grande di quello che voi descrivete con le parole.» Cioè? «Come li immaginate voi, anche gli Angeli sono naturalmente vostri specchi: solo che rispecchiano molto più di ciò che sapete di voi. Li immaginate come ragazzoni alati, ed ecco: le membra umane degli Angeli corrispondono a ciò che sapete di voi stessi, cioè al mondo del vostro io piccolo; le ali corrispondono a ciò che in voi è troppo grande perché l’ioBiancaneve possa ammetterlo. «Di là dalle pareti di specchio vi accorgete che tra le vostre membra umane e la vostra parte alata non c’è distanza: le une continuano nell’altra. E che anche quel che fate nel vostro mondo ha le ali di quella vostra parte più grande e sconosciuta, e continua, là.» «Tutto continua» mi rammentò l’Austero. Quindi anche gli Angeli sono un’immagine del nostro corpo maggiore? «Certo. Sono i vostri principi azzurri. Sono i vostri miti anatomici. E i vari tipi di Angeli a voi noti precisano ulteriormente l’immagine. Quando vi figurate che ci siano Angeli delle nazioni, Angeli distruttori, Angeli custodi, Angeli dei fiori e delle acque, state solo descrivendo ciò che vedete del corpo maggiore, senza accorgervi che è vostro.» Cioè, noi siamo anche la crescita dei fiori e le acque? «Vedi? Con la tua mente non riesci ancora a capirlo. Comunque, sì: i poteri del vostro corpo maggiore sono intrecciati con tutto ciò che esiste nell’universo. Così come sono 158
intrecciati i poteri della vostra mente e quelli del vostro corpo, fino ai piccoli poteri dei vostri capillari… Ma tu non arrivi a capire neanche questo, vero? Siete bravi a difendervi da questo genere di cose, lì sotto il cristallo. Per voi, Angeli e diavoli finiscono per essere tutt’uno.» 6 Tutt’uno? «Per esempio, noi ti diciamo: “Sai, i vostri poteri sono immensi come quelli degli Angeli”. E tu, fulmineamente, pensi: “Ah! Ma questo significa che con i miei poteri potrei fare anche immensi mali! E chissà che i mali esistenti non siano prodotti dai miei poteri!”. E non osi più credere a quello che ti diciamo, per paura della responsabilità. Ecco, questo è appunto il diavolo, per te. «E, nota bene, in un certo senso è vero che tra le ali degli Angeli e i poteri del diavolo non c’è differenza: è sempre la stessa parte di voi, che non vedete. Potete fare il bene e il male, con quella parte; ma siete sempre voi.» Dunque tutto dipende da noi, negli universi? «Sì, da ognuno di voi. Quando imparate a usare le ali ve ne accorgete al di là di ogni dubbio. Mentre, se non imparate a usarle, continuate soltanto a giocare con le parole.» 7 Vedi che non ha senso quello che dici. Ci sono tante cose che non dipendono affatto da ognuno di noi, ma da cause esterne o da alcune persone soltanto. Le guerre, per esempio. Se io so che in qualche parte del mondo c’è una guerra, quella guerra non dipende certamente da me. «No. Nel vostro universo le guerre sono scontri che 159
avvengono prima di tutto in voi, tra ciò che sapete di essere e parti di voi che non siete capaci di essere: qualsiasi nemico, non importa di chi, è solo l’immagine di una parte di te che non vuoi conoscere o ammettere; e un nemico, non importa di chi, esiste soltanto perché non volete conoscere o ammettere una parte di voi stessi.» «Dipende tutto dal fatto che tu usi la parola guerra» mi suggerì l’Austero. «Oppure nemico. Finché vedi che un certo fatto è una guerra tra nemici, è un fatto che dipende da te.» Ma quelle sono le parole che abbiamo. «Appunto.» «Così,» proseguì il Dominante «da un lato, finché la vostra scoperta di voi stessi non sarà terminata ci saranno sempre guerre, e sarà uno dei tanti prezzi che pagherete per restare nella vostra bara di specchi. E d’altro lato, ogni guerra nel vostro universo è una guerra di conquista interiore: e torna a ripetersi fino a che non conquistate in voi stessi quella vostra parte sconosciuta, che l’ha provocata.» Ma in «voi» chi? Vuoi dire in tutta l’umanità, o nella maggioranza dell’umanità, o cosa? «No, voi è tu, lui, lei, chiunque. Se uno di voi conquista, cioè conosce e ammette davvero in se stesso quella parte che prima gli era ignota, quella parte non produce più guerre in nessun luogo dell’universo.» È una grande responsabilità! «Credi che gli animali, gli Angeli e tutti gli Dei si occupino di voi solo perché non sanno come passare il tempo?» 8 «C’è una vostra storia che gira elegantemente intorno a questa questione; panoramicamente intorno» disse più allegro il Dominante, per rallegrare me, vedendo che ero turbato. «Bellerofonte. Ti ricordi com’era?» 160
Bellerofonte e Pegaso La ricordavo bene, era stata una delle mie storie predilette fin da bambino. «È la storia di ciò che la gente vivrà» disse il Dominante, mentre cominciavo a ricostruirla. Bellerofonte era un eroe e aveva un cavallo alato, di nome Pegaso, che in realtà gli era fratello: erano nati tutt’e due dal Dio del Mare. E insieme compirono imprese coraggiose. Scamparono alle insidie della regina Antea, sconfissero la Chimera, le Amazzoni, il popolo dei Solimi, il popolo dei Lici… Come si fa a sconfiggere un popolo da soli? «Salta questa parte, dove parla delle Amazzoni e degli altri suoi eroismi. Sono episodi molto al di là dei vostri specchi. Racconta il finale, quello è importante adesso.» In che senso sono molto al di là dei nostri specchi? «Là ci sono altre forze, che schermano e dirigono ampie correnti di energie. Queste energie potrebbero giungere fino a voi, se non venissero deviate, e alcune potrebbero annientarvi. Ma ciò che scherma e devia da voi quelle correnti è soprattutto il fatto che non ne sappiate niente; perciò va’ pure avanti.» Ma non avete detto che, se uno ignora una parte, quella parte produce conflitti? «Sì, ma è ancora presto, non sei abbastanza esteso, e perciò non si può ancora dire che sia una parte tua. Dunque, Bellerofonte e Pegaso erano fratelli e avevano compiuto molte imprese. Poi?» Erano fratelli nel senso che si volevano molto bene? «L’opposto. Si volevano così bene perché in realtà erano fratelli. Capisci?» Cioè, erano profondamente uniti, pur essendo uno un uomo e l’altro un cavallo alato? «Infatti. Bellerofonte stava imparando a capire che cosa sono 161
gli Angeli, ed era una cosa notevole, dato che gli Angeli non c’erano ancora nei miti greci. «Cominciava a capire che quel suo Angelo, Pegaso, era una sua immagine riflessa; ma non osava capirlo del tutto, e perciò se lo spiegava pensando che Pegaso fosse suo fratello, e raccontando a se stesso che era un cavallo alato. Credeva in questo suo strano racconto. Era il suo modo di imparare e di non imparare: di non accorgersi di avere aperto gli occhi.» «Un po’ come fai tu, che non domandi chi sono i nostri due vecchi con le ali di libellula, che ci accompagnano nei viaggi» osservò l’Austero. Mi ripromisi di domandarlo. Dunque, Bellerofonte e Pegaso si volevano molto bene e compirono imprese strabilianti; dopodiché Bellerofonte divenne un re potente e celebre, e cominciò ad annoiarsi, perché tutto gli sembrava troppo possibile. Allora immaginò un’impresa inaudita e del tutto impossibile: salire fin nell’Olimpo, per vedere se gli Dei esistessero veramente. Così salì, insieme a Pegaso. Salì sempre più in alto, in groppa a Pegaso, e a un tratto scivolò: non riuscì a tenersi aggrappato al cavallo e cadde sulla Terra. Non morì, ma rimase zoppo per sempre, e diventò un eremita. Pegaso invece salì al cielo e visse per sempre nell’Olimpo. 9 «Capisci?» mi domandò il Dominante. Bellerofonte voleva arrivare fin lassù per vedere se anche gli Dei sono uno specchio? «Questa è la storia ordinaria; ma capisci come cresce sul serio, cioè a ritroso? «Guardala. L’inizio vero della storia è quando Bellerofonte è diventato re; ed è quando cominciate a vedere l’immagine di voi 162
stessi, negli specchi. Allora capite come siete arrivati a vederla, capite com’è il vostro Pegaso, il potere delle vostre ali e le possibilità d’azione che avete nel mondo che conoscete. Vi accorgete di tutte le imprese che avete compiuto per arrivare a questo…» E possiamo accorgercene solo dopo che le abbiamo compiute? «Prima di compierle e mentre le compite siete ancora una piccola parte di voi. Quando vi accorgete davvero delle vostre imprese, è perché siete diventati re.» Diventare re in questa storia è un’immagine del corpo maggiore? «Diventare re, nelle storie e nella realtà, è accorgersi che il corpo maggiore esiste e funziona. E quest’inizio vero della storia è identico al finale, a quando Bellerofonte è storpio ed eremita e Pegaso è nell’Olimpo. E anche questo è un aspetto dell’essere re: quando uno è arrivato a vedere se stesso, conosce cose che non può raccontare agli altri uomini – e non perché gli sia vietato, ma perché gli altri non capirebbero. E perciò fra gli altri uomini si sente eremita, mentre in realtà le sue ali arrivano in cielo. 22 E per spiegare questa regalità di Bellerofonte, la storia cresce a ritroso, narrando la salita al cielo e la caduta…» 10 «Inoltre,» continuò il Dominante «nella sua crescita a ritroso questa storia ha due confini: due limiti oltre i quali la perdete di vista e non riuscite più a raccontarla. «Il primo confine è che Bellerofonte ci arrivò, nell’Olimpo, ma non riuscì a capirlo, così come non era riuscito a capire ciò che realmente lo legava a Pegaso. Di Pegaso aveva pensato che fosse un cavallo, e che perciò fosse diverso da lui e non tutt’uno con lui. E quando arrivò davanti agli Dei, sentì allo stesso modo di essere diverso dagli Dei, e cadde. Tutto questo lo pensò con il 163
suo io piccolo, con la sua mente. Così la sua parte più grande, Pegaso, il potere delle sue ali, salì e rimase tra gli Dei, mentre l’io piccolo tornò sulla Terra a zoppicare. Questo è il primo confine: come un primo margine di una strada. «Il secondo confine e margine della strada è che Bellerofonte salì fino agli Dei e capì tutto quello che doveva capire, e perciò tornò sulla Terra. Capì innanzitutto che compito dell’uomo non è stare in cielo, ma abitare sulla Terra, per congiungere il cielo con la Terra. Proprio perché le vostre ali arrivano fin là, non c’è ragione che là vada a stare anche la vostra mente, ti pare? In cielo rimane Pegaso, ma Pegaso e Bellerofonte sono sempre una cosa sola. «Ora, intendi bene che questi due confini della storia sono due margini di una strada. Se c’è l’uno c’è anche l’altro, non si escludono. Capisci?» Sì, risposi vagamente. E: Non c’è modo di tornare da un viaggio così senza restare storpi? domandai, ricordandomi che il Dominante aveva detto: «Ci andremo». «Oh sì, se vuoi. Ma di solito non se ne ha voglia, poi. Rimane una forte nostalgia di questo viaggio lassù, ed è tanto bella che non si ha voglia di liberarsene, e tanto forte che non si può non esprimerla: e siccome con le parole è impossibile, la esprime il corpo… Comunque vedremo di fare qualcosa anche per questo, se zoppicare ti disturba.» Bene.
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Giovanni 19,22: «I sommi pontefici dissero allora a Pilato: “Non scrivere [sulla croce di Gesù] 'il re dei Giudei', ma che lui ha detto di essere il re dei Giudei”. Pilato rispose: “Quel che ho scritto, ho scritto”». 21 Secondo l’angelologia, tre cose non possono far e gli Angeli: disobbedire, riprodursi e mentire.
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Le menomazioni fisiche sono molto diffuse tra i profeti e in genere tra gli scopritori di qualche Aldilà, mi fece notare il Dominante in un’altra occasione. Il patriarca Giacobbe zoppicava, per un’anca lussata, dopo il suo incontro con l’Angelo; Edipo va cieco per il mondo, dopo che ha scoperto di essere marito della regina sua madre; Tiresia, il grande indovino, è cieco; Omero è cieco; Gesù dopo la resurrezione ha il torace squarciato e mani e piedi forati; i santi, nell’iconografia cattolica, mostrano spesso i segni delle loro ferite o piaghe. «La menomazione porta sempre in sé questo significato» mi disse il Dominante. «Fa’ caso a quello che provi davvero, la prossima volta che vedi un menomato.»
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XV All’assedio di Acri - Il limite dell’io - Sion
1 Non provavo ancora a formarmi una visione d’insieme, anche perché sapevo che sarebbe stato inutile: una caratteristica delle conversazioni con gli Spiriti-guida è che per un po’, anche dopo averle accuratamente trascritte, soltanto alcune singole frasi rimangono impresse nella memoria; a rileggere anche solo un paio di pagine della trascrizione, si ha l’impressione che la mente sia troppo stretta per contenerle. A ogni rilettura interi brani sembrano disperatamente nuovi, come se ogni volta non ne vedessi che una piccola parte. E più l’attenzione e la memoria si tendono nello sforzo, più sembra irrimediabile il perdersi della parte restante, come in una nebbia. La cosa migliore è fare il contrario: godersi quella sensazione di non afferrare molto – che in fondo è bella – e aspettare. Col tempo i discorsi degli Spiriti cominciano a sistemarsi da sé, non tanto nella mente ma come intorno a essa: allora, la sensazione diventa quella di abitare nei loro insegnamenti, come in un grande appartamento nuovo, pieno di cose che da nessuna delle stanze si possono vedere tutte; e solo allora è possibile ragionarci su. È questione di crescita: gli Spiriti-guida badano 166
bene a non mettersi allo stesso livello del loro interlocutore umano, ma ogni volta un poco più su, così che solo crescendo si possa imparare qualcosa da loro. E io fiduciosamente aspettavo, tenendo in ordine i miei appunti e curandomi poco delle riflessioni che mi capitava di fare in quel periodo, sui confini dell’Aldilà, il diavolo e il resto, perché sapevo che erano premature. Pochi giorni dopo la conversazione su Bellerofonte, per esempio, mentre andavo dai maestri, pensavo all’univer so molteplice che risultava da quel sistema delle pareti di specchi: dato che ogni individuo è diverso, quegli specchi dovevano riflettere miliardi di diverse strutture della realtà. E se ognuno vede soltanto se stesso in ciò che conosce, come stabilire chi abbia l’immagine più veridica? Oppure, come nelle opere d’arte, ciò che conta non è la rispondenza al vero ma soltanto la maggiore o minore bellezza, intensità, suggestione? Mi sembrava che, pensando così, buona parte di ciò che i maestri mi avevano detto sulla conoscenza umana risultasse più ragionevole e meno preoccupante. «Viaggiamo oggi?» mi chiese il Dominante, quando arrivai da loro. «È da un po’ che non viaggiamo più.» E, mentre mi preparavo a partire, «Ah, ricordati sempre» mi disse «che la vostra realtà è molto piccola: è anche più piccola di voi. Anche la tua idea che siete tutti diversi è più piccola di te. È solo un’obbedienza, non una riflessione, né tantomeno una conoscenza. «Questo per quanto riguarda la tua idea della molteplicità dei vostri universi» aggiunse, vedendo che non capivo. Cioè, è un’idea sbagliata? «Certo.» Annuii e partimmo. *** 167
Mi chinai (questa volta ero davvero contento di viaggiare, mi sentivo bene, attento e limpido) e mentre tutto girava a destra e a sinistra cominciai a vedere una via di città, in rovina, con molto disordine e fumo. Camminavamo svelti, correvamo quasi, l’Austero davanti e noi dietro. A un certo punto cominciò a esserci, tutt’intorno, un gran movimento di persone, ma non ci fermavamo a guardare. La bambina… dissi, preoccupato. Vidi accanto a me il viso del vecchio con le finte ali di libellula, che mi diceva: «Finché ci siamo noi è protetta e siete protetti». «Devo ricordarmi di chiedere chi sono i due vecchi» pensai. «Ma da cosa ci proteggono? Ancora pericolo?» Salimmo una scala senza balaustra, che sporgeva da un muro di grosse pietre, attraversammo qualcosa che sembrava una terrazza, poi un’altra, e lì non c’era più nessuno, la gente era rimasta indietro, più giù. Vidi l’Austero che si infilava attraverso una stretta apertura in un muro bianco di calce. Il muro era alto, guardai su per cercarne i contorni e vidi un azzurro abbagliante: il muro era inclinato, e bastava sollevare appena lo sguardo per vedere il cielo. «È una cupola» spiegò l’Austero, dall’interno. «Entrate, svelti.» C’era un corridoio, che curvava. Da lì, attraverso un’altra apertura, passammo in un corridoio più stretto e più breve: e altri uomini vi entrarono dopo di noi, e non erano spiriti ma corpi. L’Austero mi indicò uno di loro, massiccio, con una barba grigia, e io lo seguii per qualche passo. E gli altri? domandai, voltandomi. Eravamo soltanto io, l’Austero e il Dominante, e quegli uomini-corpi. «Sst» fece l’Austero. «Ascolta lui.» E davvero cominciai ad ascoltare l’uomo dalla barba grigia; 168
era come se lo ascoltassi da dentro. «Va tutto bene, è giusto così» pensava quest’uomo. «Se altri hanno Dei, significa che non bisogna temerli. L’uomo è l’unica ragione dell’esistenza degli Dei.» Chi è? domandai al Dominante. «Sa che adesso lo uccideranno» mi rispose sottovoce. «E vuole essere pronto. Ha un suo piano. E sta pensando, perché il suo pensiero e la sua attenzione rimangano desti nel momento della morte.» Gli altri uomini che sono qui lo uccideranno? «No, la gente che hai visto prima.» Allora perché non gli diciamo di andare via? «Ha deciso così.» «Gli Dei sono come paesi che noi attraversiamo» pensava l’uomo dalla barba grigia. «Ma non sono eterni, mentre noi sì. Perciò esistono con tanta forza e non muoiono, mentre noi moriamo nel tempo.» Sentii che lo pensava con dolore. Era perché stava per morire? No, – udii in qualche parte di me – è perché sa che nessuno lo capirebbe se lo dicesse: per lui però è importante; e questo lo fa sentire superfluo. Non me l’avevano detto i maestri, ero stato io a rispondere a me stesso; e intanto storsi la bocca, tanto era pesante il dolore che quell’uomo aveva nell’animo, e che anch’io sentivo. «Eccoli lì» disse il Dominante. In fondo al corridoio vidi altri uomini, che scendevano di corsa una scala. L’uomo dalla barba grigia diede un ordine e si voltò, e notai i suoi occhi spaventati e tristi. Sentii che il cuore gli batteva forte. Mosse qualche passo, chiudendo le palpebre, e pensò: «Noi passiamo oltre, in nome nostro e in nome del Dio più alto, che nessuno…». Poi, di colpo, il pavimento crollò, e precipitò per molti metri. Io avevo chiuso gli occhi, per non vedere. 169
2 «Lo sapeva che sarebbe crollato» sentii che diceva l’Austero. Sono morti tutti? «Finiranno di morire tra poco. Che fine da leggenda.» Non vedevo più niente. Cos’è successo alla sua mente, adesso? Voglio dire, alla sua mente cosciente, all’io… «Ora che è morto non è più la sua mente: è la tua. Diventa un tuo piccolo specchio, adesso» disse il Dominante. «Succede sempre così, quando si muore.» Si diventa sempre piccoli specchi? «L’io è ciò che nutre la vostra evoluzione interiore: è il problema che dovete risolvere – e, finché lo sentite così, la vostra evoluzione procede; ma a un certo punto l’io diventa ciò che la frena. Perciò bisogna uscirne, e l’io da cui si esce continua a vivere negli altri. Adesso il suo continua a vivere in te.» È la reincarnazione? «Non come la immaginate voi. Ci sono molte parti di voi che si reincarnano ciascuna a suo modo, e non in una persona sola. Ciascuna parte di ciascuno di voi può trasmigrare in molti altri, da una vita a molte altre vite. «Adesso hai visto questo perché avevi pensato che i nostri insegnamenti sono come un posto in cui abitare. Quali parole avevi usato? “Come in un grande appartamento nuovo.” Lui ti ha dato un’immagine molto efficace di cosa può implicare l’abitarci. Te ne ricorderai, un giorno, in tutti i dettagli. Per te è stato come un dono.» 3 Se è morto, non andiamo a dirgli che tutto continua? «No, è successo secoli fa; è già continuato tutto» rispose il 170
Dominante. «Te l’abbiamo detto: è il tuo specchio. Lui non c’è più, sei tu» disse l’Austero. E io di chi sarò lo specchio quando morirò? «Di molti, anche tu» rispose il Dominante. «Di sicuro, quando morirà quello che sei nel vostro Aldiquà, diventerà uno specchio di ciò che sei adesso mentre parli con noi. Questo comincia a succedere già, ogni volta che parli con noi, e ancora di più quando viaggiamo, quando ci si avvicina al confine degli specchi.» E ci arriveremo, viaggiando? «Penso di sì. E sia arrivare lì sia arrivare alla morte sono occasioni panoramiche per vedere che ciascuno di voi ha un io finché siete legati al vostro Aldiquà. Poi, quando vi allontanate dal vostro Aldiquà, vi accorgete di essere tutti un io solo. Allora il vostro io di prima diventa quel piccolo specchio: una realtà troppo piccola, che rispecchia realtà più grandi.» 4 Tutti sono uno? «È detto bene nel libro di Isaia: Che cosa si risponderà ai messaggeri delle nazioni? L’Altissimo ha fondato Sion, e in Sion si rifugiano gli oppressi del suo popolo.
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Lui lo chiama Sion. È l’unico io; voi, crescendo, imparate a diventare soltanto quell’io, e lì è la vostra trama vera.» E il corpo maggiore è anche quello? «È un altro modo che avete di scoprirlo. E in quell’unico io, dove vi portano tutte le vostre vittorie, sentite la possibilità di trasformare i vostri miliardi di uomini in un popolo, e quel popolo in un io: e allora succedono meraviglie. E il diavolo e 171
tutte le paure da cui siete oppressi rimangono indietro, insieme a tante altre cose che non importano più, lì a Sion, come lo chiama Isaia.» Non capisco tanto… «Non c’è granché da capire. Lui l’ha mostrato veramente bene» disse l’Austero, e capii che ora intendeva l’uomo dalla barba grigia. Quando è successo quello che ho visto in quei corridoi? «Alla presa di Acri, in luglio.» Durante le Crociate? E immaginai quegli uomini con la cotta di maglia e il mantello bianco. Sto immaginando tutto quanto, sì? «No, non tutto. La tua immaginazione trasforma in immagini ciò che hai visto qui. Ma lo hai visto davvero. Hai un po’ paura e pudore della porta che ti si è aperta, ma l’hai già attraversata, non puoi farci niente e ti ci devi abituare.» Per favore, spiegatemi. È troppo confuso così. «L’idea l’aveva avuta dalla storia di Sansone, non da Isaia» stava dicendo l’Austero al Dominante. «Sansone schiavo, in catene e cieco, fa crollare tutto su chi lo teneva schiavo. Sul suo io.» «Eh, sì» fece eco il Dominante. «È proprio tale e quale.» 24
23 Isaia 14,32. 24
Giudici 16,22-31. L’episodio a cui avevo assistito – il crollo del pavimento durante l’irruzione degli attaccanti – era avvenuto nel 1291 durante l’ultima difesa del Tempio di san Giovanni d’Acri; lo verificai non senza emozione. Ma io ero là? domandai ai miei maestri. «Oh, c’eravate tutti, là» rispose l’Austero. «Proprio non riesci a capirla questa cosa, eh?»
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XVI Schema generale dell’Aldilà - Il Graal? - Il ponte Il ritratto del diavolo - Altri universi e popolazioni extraterrestri
1 Sentivo, dalla voce, che l’Austero era in qualche modo commosso dell’episodio che avevamo appena visto; mi ricordai le sue vesti larghe, da arabo, e avrei voluto domandargli qualcosa. Ma era come se si fosse voltato (non lo vedevo, lo sentivo soltanto) e guardasse altrove. «È così, vedi?» mi disse intanto il Dominante. «Questi sono i vostri sei Cieli soliti:
«E il cerchio più largo che c’è sotto rappresenta il Settimo Cielo. Visto da più lontano, diciamo, sarebbe così:
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«L’emisfero inferiore è molto più ampio dell’area dei sei Cieli, vedi? E questi due cerchi nell’emisfero inferiore sono il passato e il futuro: il passato è il cerchio 1, il futuro il 2. Possono ampliarsi e restringersi in vario modo. E l’asse centrale siete voi.» Cioè, ognuno di noi? «È quello che ognuno di voi chiama io. Finché siete nei primi sei Cieli, vi sembra che l’io sia una cosa molto personale, che sia fatto di ricordi e speranze di cui nessun altro saprà mai… è così, no? E alcuni immaginano che con la morte scompaia, altri immaginano o desiderano che dopo la morte continui. «Invece vedi com’è: dalla soglia del Settimo Cielo in avanti c’è un unico io, che è l’asse centrale. E lì ciascuno di voi è l’umanità. l’umanità. Questo è lo schema.» Il Dominante tacque per qualche istante, come aspettando – invano – invano – di di vedere sul mio viso il lampo dell’intuizione. 2 «E in realtà l’asse centrale è solo un punto di vista» proseguì, pazientemente. pazientemente. «Lì ognuno di voi è l’io e l’umanità intera, 174
perché da lì vedete le cose come le si può vedere dal punto di vista dell’umanità. Infatti, vedi, quell’asse centrale è la linea in cui confluiscono confluiscono tutti i punti di di vista dei sei Cieli.» Nel senso che esistono altri punti punti di vista oltre all’io? «Certo, innumerevoli punti di vista. Ti sposti un po’ dall’asse centrale, e hai un altro punto di vista. Ti sposti un altro po’, e ne hai un altro. Sono quasi infiniti. Solo che nell’Aldiquà non avete le parole per indicare neanche uno di questi punti di vista diversi. Le parole che avete per indicare i vostri modi di vedere sono: io, noi, un altro, alcuni di noi, alcuni altri, molta gente, tutti… E sono sempre operazioni aritmetiche con l’io. Noi è io A + io B + io C eccetera. Un altro è io A + io B – B – io io A. E così via. Nell’Aldilà, invece, l’io esiste solo lungo quell’asse centrale; negli altri punti cambia tutto e quella vostra aritmetica non serve più.» 3 Sentivo di poterlo capire, ma al tempo stesso sentivo che, se avessi capito quel che mi stava dicendo, avrei cominciato a dissolvermi, a non esserci più. E non volevo. «L’hai già superata, questa porta» mi disse di nuovo l’Austero. «Ti ci devi soltanto soltanto abituare.» «Non perderti a cercare le parole per definirlo: puoi soltanto sperimentarlo» continuò il Dominante. «Lo sperimenti ogni volta che parli con noi, ma puoi dire solo “io” e pensare di essere soltanto te stesso, perché sei ancora impacciato. «Ricordi quando dicevamo che il miglior modo di insegnare è quando non si sa abbastanza e si impara da chi ascolta? Ecco, anche quello è un modo di sperimentarlo. O quando dicevamo che la vostra immagine dell’Angelo è un autoritratto con le ali? «Pensa a come sono le vostre ali, la parte di voi che non conoscete: molto grandi, più grandi del vostro mondo. E perciò infinite, per voi. Così, c’è un limite oltre il quale le tue tue ali 175
confluiscono nelle ali di un altro, e di molti altri, e più avanti anche nelle ali di tutti quanti, e sono tutt’uno con le ali di tutti quanti. Questo è un altro modo in cui potresti capirlo. Ci siamo fin qui? Non stare a guardare davanti al tuo naso e fa’ una domanda sensata, per favore.» 4 Sì. Mmh. E come come si ampliano i cerchi del passato e del futuro? «Si possono ampliare o restringere in due direzioni: in orizzontale e in verticale» disse il Dominante. «La differenza tra i due cerchi è che il cerchio del passato può ampliarsi fino ai limiti dell’emisfero inferiore, e non oltre. Quello del futuro si amplia anche oltre. «Li si può disegnare così, o così, o così» disse tracciando questi altri disegni:
«Così prende forma il vostro futuro, nell’Aldilà, e nell’Aldiquà lo lo realizzate.» «Questo schema è ciò che nelle leggende si chiama il Graal» disse l’Austero. Finsi di non averlo sentito: l’argomento mi pareva già troppo ampio perché ci si potesse introdurre anche il Graal. Tu avevi detto che possiamo cambiare avvenimenti passati, anche una catastrofe avvenuta in passato… «Aspetta» mi fermò il Dominante. «Ascolta. In verticale avviene questo, nell’emisfero nell’emisfero inferiore: quanto più siete vicini 176
alla soglia del Settimo Cielo, e quindi anche ai vostri sei Cieli soliti, tanto più vasto è il cerchio del passato. E quanto più ve ne allontanate e scendete, tanto più è stretto: e tanto più facilmente può avvenire che il cerchio del futuro lo superi in ampiezza. ampiezza. Alla fine, in fondo all’emisfero, ciò che rimane del cerchio del passato passato è soltanto l’ultimo punto dell’asse centrale, centrale, cioè l’ultimo lembo del vostro io. E lì ciò che chiamate futuro è dappertutto.» Cioè, dipende da quanto ci allontaniamo dal nostro io piccolo, che è nei sei Cieli? «Sì. Quando siete in prossimità della soglia del Settimo Cielo, il passato vi appare ancora enorme: è il passato delle moltitudini, delle civiltà e via dicendo. E lì, volerlo modificare è come voler modificare qualcosa in un mare, stando su una barca. Ovviamente Ovviamente ti sembra inconcepibile. inconcepibile. «Più giù, lungo quell’asse dell’unico io, diventa come modificare qualcosa in un lago, e ancora più giù, è come modificare qualcosa in una pozzanghera. Lì, plasmando il futuro, potresti modificare rivoluzioni, guerre e catastrofi passate, tutto quello che vuoi – se riesci a portare fin laggiù la tua volontà e qualche buon progetto.» E come faccio a sapere se un mio progetto progetto è buono o no? «Lungo quell’asse i progetti non sono solo tuoi: lì sei nella dimensione dell’unico io, dell’unico io, e ogni tuo pensiero diventa più grande di te. Molti altri vi partecipano, e loro sono te e tu sei loro. Compito tuo è portare fin là la tua volontà, il tuo presente. Là, di progetti ne trovi, trovi, e se sono là sono buoni.» «Il tuo presente e la tua volontà diventano come un ponte» disse l’Austero. 5 «E quel ponte è il tuo coraggio» riprese il Dominante. «Ed è anche ciò che chiami “caso”. O “necessità”, che poi è la stessa 177
cosa.» Il caso e la necessità non sono la stessa stessa cosa. «Voi stabilite qual è la necessità: il vostro coraggio è il potere con cui lo stabilite, e il caso è la forma che la necessità assume in concreto.» E il ponte lo farei io? Il Dominante sospirò. «Sì» disse. «Se tu ci sei, c’è tutto; se non hai il coraggio di esserci, non c’è niente. Ma non ti sforzare adesso: questo ponte lo puoi capire soltanto se ci stai passando sopra, o se almeno riesci a scorgere dov’è, nella tua esistenza. E può essere ovunque tu gli comandi di essere.» Queste frasi mi passavano davanti come astronavi. Per un attimo immaginai persino come sarebbe stato bello trovarsi su un’astronave che si lascia alle spalle la Terra e si inoltra nello spazio vuoto. Ma il ponte dove sarebbe, sarebbe, nel disegno? «Il ponte è il significato di questo disegno» disse il Dominante. «E il disegno è anche un po’ la topografia del diavolo, nelle nelle sue linee linee universali.» «Non pensavi mica che il diavolo fosse antropomorfo?» ridacchiò l’Austero. 6 E ancora più giù, sotto sotto l’ultimo punto della della sfera, che cosa c’è? «Non c’è più niente per voi: il nulla» rispose il Dominante. «Per l’unico io, invece, da lì in avanti si trovano altri universi. Alcuni hanno una struttura simile a questa, a calice, e sono quelli con cui potete entrare in contatto più facilmente, usando questo emisfero inferiore come tu usi la stanza tonda quando vieni a trovarci. Altri universi non hanno forma, hanno altre modalità che il vostro pensiero non riuscirà mai a concepire.» E in ogni universo ci sono popolazioni? popolazioni? 178
«Certo. E in alcuni ci sono anche il passato, il presente e il futuro.» E quelle popolazioni sanno di noi? «Così come voi sapete delle galassie. Vi vedono, diciamo, da molto lontano.» E potremmo andare a conoscerle? O potreste descrivermele? «Non è che non possiate andare a conoscerle. In realtà le vedete, o almeno le percepite; solo che non ve ne accorgete.» 7 Sono quelli che si chiamano extraterrestri? «Più o meno. Li percepite ovunque. È come se camminaste di notte, nella nebbia, e ognuno vede qualcosa dinanzi a sé, e nessuno vede ciò che vede un altro.» Ma esistono? «Certo. Anche dentro di te. A volte li percepite come direzioni di sviluppo, di evoluzione. O sotto forma di idee, di immagini, soprattutto: immagini di cose da dire, di modi d’agire che vi piacciono molto anche se non sapete bene perché. E vi piacciono semplicemente perché ne siete incuriositi. Li esprimete anche: nella pittura, nei sogni…» Ma in che modo? «Sai quando leggendo un libro o guardando un film ti identifichi in un personaggio? Non è perché quel personaggio ti somigli, ma perché l’emozione di quel libro o di quel film ti sta guidando nel Settimo Cielo, e lì il tuo io consueto rimane indietro, senza che tu te ne accorga. Cominci a percepire innanzitutto l’unico io, che ti unisce a ogni altro individuo; e ogni tanto te ne allontani anche, e allora percepisci l’unico io di qualche altro universo, e magari anche qualche io piccolo, di quell’altro universo, e il mondo così come lo vede lui.» Ma, per esempio, in quale libro, in quale film? «Non in qualcuno in particolare. Dipende solo dall’emozione 179
che provi leggendo o guardando. Poi, se ti capiterà davvero di incontrare qualche abitante di altri universi, ti accorgerai che lo avevi già percepito prima e non ricorderai dove.» «Anche nei paesaggi delle storie» aggiunse l’Austero. «Ah, sì: anche» confermò il Dominante. «Nei paesaggi, negli sfondi delle storie che leggi, o vedi, o immagini. Tu non ci fai caso, la tua mente mette a fuoco soltanto la storia: ma negli sfondi intravedi i cosiddetti extraterrestri, senza accorgertene.» 8 Cosa significa questo che mi state raccontando? È un indovinello? «Significa soltanto che avete da fare tanta strada al di là del diavolo, e anche questa strada comincia nelle cose più semplici. E le emozioni che provate guardando un film o leggendo un libro sono una delle cose più semplici che abbiate oggi, voi occidentali. È come nei viaggi, quando per partire ti chini a raccogliere qualcosa.» E anche qui basterebbe raccogliere? «Sì. Tendi la mano, e prendi.»
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XVII L’amore è prendere - Il Graal - I nuovi genitori e le reincarnazioni illustri
1 «Tendi la mano e prendi… È come nell’amore» continuava il Dominante. «Chi non ama una cosa, la subisce. Se comincia ad amarla, la conosce e la trasforma. Perché tanta gente non riesce a provare amore, secondo te?» Perché ha paura? «Ha paura che il suo cuore cominci a battere troppo forte, e si allarghi nel battito e si laceri. Questi preferiscono pensare che nell’amore l’importante sia dare. Ma non è vero: quella è retorica, o al massimo è generosità; potete benissimo dare anche a chi non amate. «Invece prendete solo da chi amate: la mano, la bocca, le parole di chi amate… Non è così? «Non per nulla, anche nell’amore il vostro io piccolo rimane indietro. Sentite il bisogno di congiungervi alla persona che amate, e vi sembra una privazione tornare a essere soltanto il vostro io piccolo, quando chi amate vi lascia soli. Perché, secondo te?» Perché uno sente che il suo io piccolo è troppo piccolo? «Sì. È perché nell’amore avete una percezione di quell’unico 181
io, e il vostro io consueto vi sembra stretto, dopo. Vi sembra di soffocare, lì dentro. Ed è vero: quando morite, voi morite sempre soffocati nel vostro io piccolo.» 2 «È proprio come nella storia di re Artù» insistette l’Austero. «Te l’avevo detto che quel disegno era il Graal.» Perché dice così? domandai al Dominante. Che cosa c’entra il Graal? «Ha ragione. Nella leggenda il Graal era il calice in cui era stato raccolto il sangue di Gesù. Ed era un indovinello: cos’è il calice in cui si è potuto raccogliere il sangue di Gesù?» Anche qui la risposta è: l’uomo? «L’io. O meglio, l’Aldilà dell’io. Il sangue di Gesù si raccoglie proprio su quell’asse centrale. Nel vostro Aldiquà si disperde: gli uomini dei sei Cieli uccidono Gesù – lo uccidono ogni giorno – , o non riescono a impedire che sia ucciso. Invece in quell’asse il suo sangue si raccoglie. E, se lo immagini, è tale e quale al disegno: un filo di vita che cola nel calice, dai sei Cieli del vostro mondo. Così:
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«E ricordi com’è la storia di re Artù? Il re sta deperendo, e manda i cavalieri a cercare il Graal, che ha infiniti poteri. I cavalieri partono alla ricerca e tutti muoiono, uno dopo l’altro, finché uno lo trova. Secondo te, perché Artù non va di persona a cercarlo?» Re Artù è l’io piccolo? «È il sentirsi mortalmente stretti nell’io piccolo. I cavalieri sono il vostro tentativo di arrivare più in là: e uno soltanto ci arriva, proprio perché, quando ci arrivate, vi accorgete di essere un unico io, cioè di essere “tu” tutti quanti. Per riuscirci, molti aspetti di te devono morire davvero, devi lasciarteli alle spalle.» «È quello che sta succedendo anche adesso: cambi definitivamente, quando ascolti queste cose» disse l’Austero. «Tra un po’ non ricorderai più niente di come sei ora, e di come gli altri e le cose ti sembrano ora. L’Aldilà è l’Aldilà, e non è uno scherzo.» 3 183
«Anche questa è identificazione» riprese il Dominante. «Quando cominciate a scoprire l’Aldilà, vi identificate sempre, in due sensi: negli altri, via via che vi avvicinate all’unico io; e negli eroi leggendari che hanno percorso queste stesse strade.» In che modo? «In vari modi. Per esempio, immagina un bivio. In qualche parte del mondo c’è questo bivio nella tua vita; e una via conduce verso la tua distruzione, e l’altra verso le grandi imprese di un altro uomo, non tue. Tu che fai? Prendi la seconda via. E così avviene.» Cioè, entro nel destino di un altro? E un altro deve scomparire per lasciare il suo destino a me? «No. Per tutti è così, sempre, in ogni istante della vita. Ogni svolta della vostra vita vi permette di accedere al destino di un altro, per non venire distrutti. Tu avevi un tumore all’intestino quando hai incontrato noi, e non l’hai più, non hai nemmeno mai saputo di averlo e sei sano come un pesce. Nessuna via è la vostra via, mai. Anche questo è un modo di identificarsi con gli altri.» Ma avviene nell’Aldilà o nell’Aldiquà? Non ho capito. «Quando avviene, nel tuo Aldiquà ti accorgi soltanto che la tua vita è un po’ cambiata, mentre se impari a guardare nell’Aldilà vedi come e perché è cambiata, in realtà.» «Vedi?» intervenne l’Austero. «Ti preoccupa l’idea di poter cambiare il passato: ma vedi come cambia il presente?» Aspettate. Avevate detto che l’identificazione c’entrava con gli extraterrestri… «Ah, certo» sorrise il Dominante. «Con gli strumenti che ha il vostro pensiero terrestre non riusciresti nemmeno a sentire cosa ti stiamo dicendo. Ascolta: ci sono nel mondo città circondate da mura. E non si sono mai estese, queste città, oltre le proprie mura. Per difendersi da ciò che c’è fuori si sono soffocate. Non vorrai fare così anche tu. Tu abiti altrove. Lasciati crescere.» 184
4 Dunque, com’è l’identificazione con gli eroi leggendari? «Lo vogliate o no, quando cominciate a inoltrarvi nell’Aldilà, siete eroi come gli eroi dei miti e delle fiabe. Perciò quando avete la mente chiara – da bambini, per lo più – ascoltate i miti e le fiabe così volentieri, e irresistibilmente cominciate a identificarvi, ascoltando: in Pollicino, in Biancaneve, in Bellerofonte, in Teseo. Perché lo intuite, lo sapete che parlano di voi: di come sarà per voi. «E, naturalmente, lì scoprite anche di avere padri e madri differenti da quelli che avete. Trovate in voi biografie nuove, diverse. Vi accorgete che le state vivendo da tanto, tanto tempo. Anche Gesù a un certo punto della sua vita si accorge di avere un altro padre, che non è il falegname Giuseppe, e di esistere da sempre. E così può essere per tutti.» 5 «Sai come succede» continuò il Dominante «quando tanti cominciano a credere nelle vostre idee sulla reincarnazione e si immaginano di essere stati persone illustri? È normale che sia così: perché, a modo loro, anche pensando alla reincarnazione si stanno avventurando nell’Aldilà, e allora acquisiscono quelle biografie, che naturalmente non avrebbero avuto affatto nell’Aldiquà. E lì il loro karma comincia a cambiare. «Poi hanno troppa fretta. Dicono: “Io ero Caterina di Russia”, “Io ero Tutankhamon”. E questo non è vero. È solo un modo impreciso di esprimere ciò che stanno cominciando a sentire, e che è: “Io posso diventare diverso, più audace, più grande, al di là dei miei sei Cieli”, e questo è vero. Un altro errore è che credono di essere stati quelle persone illustri in passato, in altre vite passate; e, pensando così, si confondono, e rimangono aggrappati al loro io consueto. Se guardassero 185
meglio, si accorgerebbero che possono diventare adesso quelle persone illustri: questa o quella persona illustre, a seconda delle caratteristiche della loro personalità e delle potenzialità che stanno cominciando a scoprire. «Aspetta» mi disse, perché avevo aperto la bocca per domandare qualcosa. «Se poi passate oltre e vi voltate a guardare, il vostro io piccolo vi appare misero, o meglio: per lo più misero. Nella sua storia vedete infatti tanti elementi della persona illustre in cui vi state reincarnando adesso, tante somiglianze, coincidenze: e sono le tracce che hanno lasciato in voi i vostri precedenti tentativi di inoltrarvi nell’Aldilà. Cosa volevi domandarmi?» No, niente. È che pensavo che il nostro principe azzurro siamo noi stessi e prima non l’avevo capito, o almeno non l’avevo capito così. «Bah» fece l’Austero. «Noi rispondiamo alle tue domande» disse il Dominante. «Potresti domandare un’infinità di altre cose, e noi risponderemmo a tutte. Poi, le risposte che hai ascoltato dipenderanno da come cresce il tuo io: prima ne avevi capito meno, poi ne capisci di più, e ti sembrano risposte nuove, mentre la cosa nuova è solo la tua capacità di capirle. Tra un po’, comincerai anche a intuire che il tuo modo di ascoltare può diventare più grande delle risposte che ti diamo, e allora la tua anima spalancherà porte più in là di noi.»
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XVIII I figli degli ’Elohiym - Il peso del corpo maggiore La nuova morale, al di là del diavolo
1 «Le cose, comunque, cambiano molto da qui in avanti» spiegò il Dominante. «Anche il diavolo cambia completamente. Resta anche lui indietro, nel mondo di prima: un piccolo limite di voi, invece che una soglia dell’universo.» Cioè? «All’inizio com’era, ricor di? Quando non ne sapevi niente, il diavolo era la paura, la soglia che spaventa. Poi, guardandolo meglio, guardandolo a ritroso, ti sei accorto che indicava una via di evoluzione: come un cartello di divieto d’accesso, inchiodato a un palo da una persona sospetta. E, pensando a Prometeo e a Chirone, hai anche avuto l’impressione che sembrasse losco apposta. È un’impressione che si trova pure nelle Scritture: il diavolo come parente di Gesù. Due fratelli, due figli degli Dei.» 25 Perciò discutevano nel deserto, prima che Gesù cominciasse a predicare? «Bel quadro, vero?» commentò l’Austero. «Loro due che discutono tranquillamente nel deserto, su come conquistare il mondo, e non hanno niente: solo il deserto intorno.» 187
«Appunto» continuò il Dominante. «E adesso anche il diavolo rimane indietro. C’è il deserto e basta, per ora deserto: di là dai confini delle tue certezze, di là dai confini delle vostre religioni, quando salite da una religione a ciò che c’è oltre, di nuovo. E allora ciò che gli altri vedono di voi somiglia al diavolo, inevitabilmente.» 2 Gli altri che non salgono oltre? «Non riescono a spiegarsi la libertà che percepiscono in voi: e non la si può nascondere in nessun modo, la libertà. Alcuni, raramente, vi vedono come gli Angeli; ma per lo più siete visti come esseri diabolici: e vi temono, o sono attratti da voi, oppure tutt’e due le cose insieme. Insomma, si comportano proprio come si comporterebbero con ciò che per loro è il diavolo.» In che senso non si può nascondere la libertà? Uno non può essere libero soltanto interiormente? «Be’, un po’ puoi capirlo da te: se uno fosse libero soltanto in parte, non si tratterebbe di libertà. Inoltre, e questo non lo sai ancora, la libertà è proprio una percezione fisica. Quando uno stabilisce contatti più precisi con il suo corpo maggiore, gli altri non possono non accorgersene: anche quelli che lo vedono passare, magari dal finestrino di un autobus. È come se sentissero tutt’a un tratto il peso del loro corpo maggiore, perché vedono che su di lui non pesa più: non c’è più qualcosa che lo opprime. «Ne avevamo già parlato, anni fa» soggiunse, vedendo che stavo per chiedergli precisazioni. «Avrai sentito cos’è il peso dell’esistere: quella sensazione di un limite perenne, di una routine inevitabile, di un’inerzia a cui non sai mai se stai resistendo o no. «Ecco, quello è il peso del corpo maggiore. È così che grava sul vostro io piccolo, fino a che siete soltanto l’io piccolo. Come 188
un rimorso; come un’occasione che non hai colto, ma non ricordi più qual era. Certo, ci si può abituare a sentirlo, e d’altronde non c’è scelta: finché non cominciate a diventare il vostro corpo maggiore, quel peso è inseparabile dalla vostra sensazione di essere vivi. «E quando gli altri vedono che in voi quel peso sta diminuendo, si accorgono di sentirlo su di sé: nelle loro giornate, nei loro desideri, nelle braccia, nel fegato, nel cuore. Perciò la gente era tanto contenta, nel Medioevo, quando veniva bruciato qualche eretico. Erano contenti che sparisse.» 3 Ah, dissi, perplesso. E allora come si fa, con gli altri che non salgono? «Non ti va la sorte dell’eretico? Mah, oggi non è più come nel Medioevo. E poi si può sempre recitare; potresti fingere di zoppicare, come Bellerofonte; o fare il principe azzurro; o Babbo Natale…» Sul serio, o metaforicamente? «Che seccatura le vostre parole! Tutto quello che riuscite a dire e a pensare con le parole è una metafora, anche l’universo. Lasciale agire, non preoccupartene, non esagerarle: senti quel che ti indicano. È così facile, qui. «Fingere di zoppicare: nel senso che il vostro io piccolo rimane là, ed è come avere una gamba più corta. «E fare Babbo Natale: nel senso che qualcosa dovete pur fare; non potete mica restare sul ponte del tempo a guardare le nuvole. Fare: perché non potete più intendervi con gli altri parlando. Potete soltanto fare: e appena cominciate a fare, vi si svelano poteri che non avreste mai sognato, e campi d’azione corrispondenti. Con quei poteri potete non soltanto cavarvela, quando si mette male; ma anche fare cose per gli altri: così, malgrado tutto, vi sentite utili alla collettività.» 189
Anche salendo bisogna continuare a fare qualcosa per gli altri, per progredire? «Come già sai perfettamente: quando cominciate a diventare il corpo maggiore, il vostro io piccolo non basta più, in nessun senso. Non potete più fare qualcosa per voi stessi: tutto ciò che arriva a voi e in voi è più grande di voi, ha bisogno degli altri, della gente. Questa è anche la forma più semplice dell’identificazione con gli altri.» «Perciò gli eretici finivano sempre per mettersi nei guai» disse l’Austero. «È che proprio non potevano starsene per conto loro.» «A quel punto dovete per forza adottare una morale diversa» continuò il Dominante «e questo è piuttosto complicato, almeno all’inizio. È difficile costruirsi una morale senza avere il vostro vecchio diavolo a indicarvi che cos’è il male.» 4 «Hai fatto caso che Gesù non parla mai del diavolo quando spiega la sua nuova morale per questa salita? Fate per gli altri quello che volete che sia fatto a voi, fate splendere il vostro sole sui giusti e sugli ingiusti… 26 Dà tante indicazioni, ma sul diavolo neanche una parola.» Già, perché? «Perché il diavolo è la soglia e voi siete già oltre.» E là seguire quei comandamenti è più facile che nel nostro mondo? «Non è difficile, né nel vostro mondo né là; tutto sta nell’imparare il modo. La differenza è che nel vostro mondo è difficile metterli in pratica; invece là la cosa più difficile è accorgersi che li state mettendo in pratica.» «Ci vuole coraggio per accorgersi di quando si stanno facendo le cose come si deve» sentenziò l’Austero. «Tutti i problemi che potete avere con la morale sono 190
problemi di coraggio» spiegò il Dominante. «Nel vostro mondo, questi problemi sono sostanzialmente due: il giudizio e la libertà. Il giudizio, perché vi viene spontaneo giudicare le azioni e le situazioni: belle, brutte, giuste, sbagliate e così via. Ma le giudicate sempre dal punto di vista della vostra massima aspirazione, che è quella di sentirvi tranquilli come un bimbo in braccio alla mamma. Io sono tranquillo e sereno come un bimbo appena svezzato in braccio a sua madre; come un bimbo svezzato è la mia anima.
Che poesia è? «È un Salmo. 27 Ciò che desiderate più di tutto è sentirvi protetti dalle circostanze. Questo è il fondamento della vostra morale, nei sei Cieli. E contrasta totalmente con l’altro punto: la libertà – dato che la libertà è non essere in braccio a nessuno. «Così la vostra morale vi fa sentire comunque oppressi: dalle vostre protezioni, quando desiderate la libertà; e dalla mancanza di quelle protezioni, quando riuscite a essere liberi. In un modo o nell’altro, state sempre subendo qualcosa, e cercate di difendervene. Non è così, per voi?» 5 In un certo senso sì, ma… Aspettarono che continuassi, però non avevo niente da aggiungere a quel «ma». «Bene. Perciò, dicevamo, fate fatica a mettere in pratica quei comandamenti, che sono fatti per chi va in giro sulle proprie gambe e troverebbe ridicolo tornare in braccio alla mamma. Ora, indovinello: chi è la mamma?» Il nostro corpo maggiore? «Stai facendo progressi. Salendo, voi siete il vostro corpo 191
maggiore: dicendo “io”, intendete quello. E, a ogni passo, vi accorgete che là ciascuno di voi è il solo essere al mondo che può imprimere una direzione a tutta quanta la sua esistenza e a tutto quanto, ovvero a ciò che gli altri più giù chiamano il mondo, e che credono esista di per sé. «Lì vi accorgete che la vostra volontà non è mai diretta né modificata da altri fuori di voi. E che tutto diventa semplice: come quando capite che una porta si apre girando la maniglia e tirandola verso di voi, mentre per tanto tempo avevate cercato di aprirla spingendola. Aprirla, in qualsiasi situazione, non richiede più nessun coraggio. E allora vi riuscirà molto difficile giudicare le azioni e le situazioni, e i comandamenti vi serviranno non a sapere cosa potete fare, ma ad accorgervi di cosa state facendo.» E perché sarà importante accorgersene? «Accorgersene, e giudicare anche. Perché altrimenti non riuscireste più a usare le parole, e non sapreste più che cosa significa “io”, e perdereste ogni legame con il vostr o mondo. Invece dovete continuare ad abitarci, nel mondo: è nel mondo che dovete stare.» 6 Cioè, diventeremmo talmente ampi da non dare più peso al nostro io piccolo? «Non diventereste, ma siete. Non è un qualche luogo lontanissimo. Ognuno è talmente ampio da sentirsi un popolo, come diceva Dio ad Abramo: “Io farò di te un grande popolo”. Intendeva esattamente questo. E quando ve ne accorgete, il vostro compito è non dimenticarvi di essere voi e basta. Questo è l’importante, ed è allora che dà i suoi frutti maggiori. «E poi là cominciate ad avere altri maestri, che non usano più le parole. Altri volti di noi, che non ascolti come ascolti noi, 192
ma con tue ali più ampie. Dovete essere pronti ad ascoltarli nel modo giusto.» E qual è il modo giusto? «Vedrai a suo tempo. È un po’ come guardare le stelle con la nuca.» Cioè? «Se guardi le stelle con gli occhi ti sembrerà sempre di averle guardate troppo in fretta, anche se le guardi per ore. Il modo migliore di guardare il cielo stellato è con la cima della testa e con la nuca.» È come il chinarsi, per viaggiare? Lo domandai mentre prendevo nota. E già prima che finissi di formulare la domanda cominciai a provare una sensazione completamente nuova per me. Era come una vertigine al contrario: nella vertigine si è raccapricciati da una profondità sotto di noi; lì, invece, la profondità, l’abisso, era sopra. Rimasi immobile, e cercavo di capire, ma era come se mi stessi aggrappando al mio tentativo di capire, per non essere trascinato via. «Nella vertigine tutto il peso sta nel corpo» pensai. «Si ha paura che il corpo precipiti giù, trascinato dal suo peso…» Adesso, invece, era come se il peso del mio corpo mi trattenesse dal precipitare verso l’alto – non trovo un’espressione migliore per descriverlo – e in alto c’era un’altra forza che poteva trascinarmi, un’altra gravitazione. «Ecco,» mi disse il Dominante «questo è all’incirca il senso del cristianesimo. Ed è così che finirà.» Avrei voluto domandare: Cioè?, ma non ci riuscii. E intanto vidi, per qualche istante, immaginai di vedere in quel momento la mia mano che si tendeva verso la luna riflessa nell’acqua. Tra i riflessi di luna, nell’acqua, c’era un velo leggero che rimaneva indietro e affondava, piano, nell’acqua nera, mentre la mia mano se ne allontanava sempre più.
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25 Beney
ha ’Elohiym, «figli degli ’Elohiym», è un termine usato sia per gli Arcangeli (Genesi 6,2), sia per Satana (Giobbe 1,6-12; 2,1-7). Nella Bibbia, ’Elohiym (che letteralmente è un plurale irregolare di ’eloha, «divinità») è un po’ il corpo maggiore di Dio: indica tutti gli aspetti del divino, quelli già noti alle religioni e quelli ancora ignoti, e la sorgente della potenza creatrice. Il Dio YHWH è, invece, soltanto un aspetto della Divinità, ed è il Dio delle leggi, dei limiti e in genere del mondo terreno: di tutto ciò che esiste già. Quando Gesù nei Vangeli parla di Dio come di un padre, sembra riferirsi sempre agli ’Elohiym, al «creatore del cielo e della terra». 26 Matteo 7,12; 5,45. 27 Salmo 130,2.
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Parte quinta
VERSO IL FIUME
Tendi la mano, e prendi
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XIX La luna e il velo nell’acqua – Il diavolo che precipita dal cielo e la fine del cristianesimo
1 «Ti stai smuovendo, come una barca dalla riva» mi disse il Dominante quando tornai nella nostra stanza tonda, due o tre notti dopo. «Forse è meglio che cominci a mettere in ordine tutte queste cose per il libro, altrimenti scomparirà come quel velo, dentro di te.» Il velo nell’acqua era una specie di segnale? O un presagio? «Non proprio un presagio: sull’acqua c’eri tu, ed era come un riflesso di quello che avevamo appena detto. La luna nell’acqua è ciò che capite, la mano che si tende sono le vostre parole, e il velo è ciò che sapevate e immaginavate prima. Il senso è che tendete la mano verso un riflesso di luna, e naturalmente non afferrate la luna, ma vi piace il gesto. Allo stesso modo vi piacciono le parole.» E la luna nel cielo? «Quella è sempre lì, e la luna nell’acqua è solo il suo riflesso. Il velo è un’altra cosa che vi piace molto: vi intenerisce vederlo scomparire. Di solito, è di quell’intenerimento che sono fatti i vostri libri.» «Mentre voi andate sempre più in là» aggiunse l’Austero. 196
2 «Anche con il chiedere e l’ottenere accade sempre così» disse il Dominante. «All’inizio avete paura di chiedere, perché vi dispiace per il velo che scomparirà. «Poi chiedete, tendendo la mano sull’acqua, e quello che chiedete vi viene dato: ma voi siete sempre più in là.» Vuoi dire che quel che chiediamo e che ci viene dato è solo illusione, luna nell’acqua? «No, perché illusione? Quello che vedono le vostre parole è solo un riflesso di luna. La luna l’avete già. Se riusciste a spostare un po’ il vostro campo visivo, vedreste molte altre cose: che state camminando sull’acqua, per esempio. Ma lì le vostre parole non arrivano ancora.» Noi ci arriviamo e le nostre parole no? «Le vostre parole ci arrivano soltanto nelle storie. Con le storie vedete come arrivarci e com’è quando ci arrivate. Ma l’unico modo di arrivarci davvero è il fare. «È ciò che spiega Gesù ai suoi discepoli quando cominciano a fare prodigi: li manda a insegnare e a fare prodigi in varie città, e quando loro tornano entusiasti, cosa gli dice? Va’ a vedere.» Avevo visto Satana cadere dal cielo, come una folgore. Ecco, vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico, e nulla vi potrà danneggiare. Ma voi non gioite perché i demoni vi si sottomettono; gioite piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. 28
«E tieni presente che gioire nel linguaggio dei Vangeli significa sempre aver capito. «Era un linguaggio tipico di certe correnti cristiane, da cui venivano gli autori dei vostri Vangeli. Non erano certo cristiani di Roma. E nota bene che non era un linguaggio cifrato: non si 197
accorgevano che aver capito e gioire potessero significare due cose molto diverse, com’è per voi oggi. Quindi quella frase significa: “Non preoccupatevi se non capite perché i demoni vi si sottomettano”, dato che il vostro modo di ca pire non riesce a contenere quel genere di cose. «E infatti continua: “Voi, se capite, è solo perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Cioè, c’è una parte di voi che capisce queste cose, ma è grande come il cielo.» È quello che dicevate delle ali? «Sì, certo.» E perché Gesù vedeva Satana cadere come una folgore? «Perché i suoi discepoli stavano crescendo in fretta. Quando più crescete, tanto più il diavolo resta indietro, come quel velo; e se la vostra crescita è veloce, sembra che lui precipiti. In realtà, resta fermo dov’è: ai confini dei vostri Cieli. Siete voi che salite. E l’unico modo che avete di accorgervene nel vostro mondo, è attraverso ciò che fate, non attraverso ciò che riuscite a capire lì, con le vostre parole solite.» 3 Perché i teologi cristiani non riescono a leggerlo così, questo passo? «Perché sono cristiani, e qui Gesù sta parlando di ciò che seguirà al cristianesimo. È come quel segreto di politica olimpica che Zeus temeva tanto, e che lo spinse a liberare Prometeo: “Zeus non rimarrà sempre Dio supremo”. Ricordi?» Cioè? Non capisco. «Il cristianesimo è la religione che ha il diavolo, e nella quale il Dio e il diavolo si contendono l’io piccolo dell’uomo. Passerà, quando gli individui cominceranno a capire il loro corpo maggiore. Il diavolo rimarrà indietro, sempre più; scivolerà nel passato la religione di cui lui ha bisogno per esistere, e voi conoscerete cose nuove, mondi nuovi, una divinità nuova. Per 198
adesso, con il vostro io piccolo non potete conoscere tutto questo; ma potete percepirlo in ciò che riuscite a fare con il corpo maggiore. Questo è il senso.» E allora si scoprono anche quelle popolazioni diverse che dicevate? «Sì. È chiaro che i cristiani, e soprattutto i loro teologi, non possono capirlo: se lo capissero non sarebbero più né cristiani né teologi. A loro piace troppo stare in cima al monte; così, noi possiamo prendere tranquillamente da sotto il loro naso ciò che non vedono.»
28 Luca 10,17-20.
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XX Gli automi e il padrone di questo mondo
1 E dopo che è precipitato, il diavolo che fa? «Continua a fare il diavolo per gli altri più giù.» E non c’è il rischio che prendiamo noi il suo posto? Voglio dire, se sui confini il diavolo è anche un po’ come Prometeo che si libera sempre, non può succedere che gli Dei supremi se la prendano con noi, e che finiamo lì come Chironi appesi al palo? «Dipende da voi. Il diavolo potete vederlo precipitare, oppure fare come Chirone, che per i propri tormenti e per compassione ha voluto prendere il suo posto.» «Anche perché si sentiva troppo vecchio per il nuovo» aggiunse l’Austero. «Non era troppo vecchio: si sentiva troppo vecchio.» E la nostra sorte dipende sempre da come la immaginiamo? «Anche viceversa: il modo in cui la immaginate dipende dalla sorte che vi siete scelti» rispose il Dominante. E per immaginare che il diavolo se ne vada via tranquillo per la sua strada, come potrei fare? «Sull’acqua la corrente vi porta sempre tranquillamente, se la 200
lasciate fare. Ma voi avete quasi sempre qualcosa che vi trattiene, come un’àncora. Tu, per esempio, traduci la Bibbia.» È una delle cose più appassionanti che abbia mai fatto. E poi qualcuno deve pur farlo. «Ecco, appunto: qualcuno deve pur farlo. Anche Chirone la pensava così: qualcuno deve pur prendere il posto di Prometeo sul confine. Quello che vi hanno insegnato sulla Bibbia era uno strumento di supplizio per qualsiasi Prometeo: e tu hai pensato di doverlo dimostrare. Liberissimo di farlo; ma, per farlo, devi stare lì. E poi sono sempre parole; più in là c’è molto di più delle parole. Impara a staccarti dalle tue ancore.» 2 Mentre il Dominante mi stava dicendo quelle parole, mi successe di nuovo di vedere qualcosa, nitidamente, in qualche parte di me, come quando avevo visto la mano sull’acqua. Una grande stanza, con tavoli da artigiano e molti oggetti, strumenti e ingranaggi, simili agli ingranaggi degli orologi, e un uomo che lì costruiva automi. Erano automi umani, in grandezza naturale, con costumi e parrucche: automi violinisti, che suonavano brevi melodie, automi che giocavano a scacchi… «Nel Settecento erano molto di moda» mi rammentò il Dominante. Che cos’è? «Lascia che sia; questa è davvero una tua vita passata. Ti fa bene, da lì trai forza. Anche se non stai ancora sciogliendo i nodi che stringevi, e che ti stringevano, allora.» Significa che adesso sto costruendo automi? «Questo lo fate sempre» rise il Dominante. «A quel tempo stavi cominciando a capire che gli automi siete voi, sei tu. Nelle vostre vite costruite voi stessi: così vi adattate al vostro Aldiquà, per tenerlo in piedi. E costruite automi di tutto quanto: del mondo, degli Dei, del diavolo, degli Spiriti-guida… Allora eri 201
quasi arrivato a capirlo bene, ma hai avuto troppo poco tempo, quella volta: sei morto presto.» 3 «Quanto alle ancore da cui staccarsi,» continuò il Dominante «ricordi quel passo dove Gesù dice che il diavolo è vostro padre? Cercalo, sii gentile, e leggilo bene.» Perciò non potete comprendere le mie parole: perché avete per padre il diavolo. E volete fare ciò che vuole il padre vostro. Lui è stato omicida fin dal principio e non ha retto alla verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso parla del suo, perché è bugiardo e padre della menzogna.
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«Hai notato quante contraddizioni?» Cioè, dove? «Mmh, dovremmo scrivere un libro sui Vangeli» borbottò l’Austero. «È un vero groviglio questo passo» spiegò il Dominante. «Venne scritto in un modo, dall’evangelista; poi venne modificato da certe autorità della diocesi nel cui territorio abitava l’evangelista, e in seguito un discepolo di questi aggiunse la frase all’inizio – “Non potete capire le mie parole” – appunto per avvertire che il passo che seguiva non era più comprensibile, dopo quelle modifiche, e si sarebbe dovuto intendere in tutt’altro modo. E i discepoli dell’evangelista sapevano in quale modo. «Invece di diavolo, Giovanni aveva scritto: il padrone di questo mondo. E il padrone e padre di questo mondo non è certo il diavolo, che abita ai confini: il padrone e padre è quell’automa di Dio che vi costruite quando avete paura della vostra evoluzione. Quello uccise “fin dal principio”, quando fece venire il Diluvio per fermarvi. E ha sempre bisogno che gli si obbedisca, perché ha paura di venire abbandonato: e voi 202
volete che sia così, perché avete paura di abbandonarlo. Come dice qui: voi volete fare ciò che vuole lui. In più, è falso perché è un prodotto artificioso, che di per sé non contiene nessuna verità. Naturalmente le autorità di una diocesi non potevano tollerare che si parlasse così del loro Dio.» 4 Quindi le ancore che ci frenano sono le nostre obbedienze a quel padrone del mondo? «Le vostre obbedienze e in genere tutti i conti che avete da saldare con quel padrone. Prova a immaginare come sarebbe se non avessi nessuna àncora.» E come faccio? «Immaginalo, semplicemente. C’è una parte di te che immagina sempre: va in esplorazione ed è continuamente in viaggio. Poco fa l’hai sfiorata un paio di volte; prova ancora. Lascia che le immagini si delineino da sé. Posa la penna.» Provai. Chiusi gli occhi (li tenevo socchiusi, prima, per prendere nota più comodamente) e rimasi in attesa. Vedevo soltanto il buio delle mie palpebre. «Guarda con la nuca, non con gli occhi» mi suggerì l’Austero. «Le stelle si guardano con la nuca» mi tornò in mente. Immaginai il colore del cielo e la mia testa che si voltava di qua e di là per guardarlo. «Sì, ma non può essere tutto cielo» pensai. E immaginai ciuffi d’erba da un lato, sul ciglio di una strada. E la strada, diritta. Nient’altro intorno. Non riesco a immaginare i luoghi intorno, dissi. «No, non li vedi perché non ci sono» disse il Dominante. «Siamo su un ponte.» «Una specie di acquedotto» precisò l’Austero.
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Giovanni 8,43-44.
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XXI Un nuovo modo di viaggiare - La stella-arca
1 Anche questa volta, l’Austero ci precedeva di qualche passo. Ma siamo in viaggio? Non mi ero chinato… La bambina mi teneva per mano, con la sinistra, e stavamo camminando su quella specie di ponte. «Vedi giusto» disse il Dominante accanto a me. «È la vostra vita che diventa così, come un ponte senza niente intorno. Cammini e cammini, e ormai ogni passo è sopra il nulla. Quanto al viaggiare, te l’ho detto: una parte di voi è sempre in viaggio.» Siamo dove il cerchio del futuro si allarga più del passato: è quel ponte che dicevate? «Siamo anche su quel confine, sì.» E cosa succederà adesso, da qui in poi? «Non adesso. Hai ancora diverse ancore, tu. Quando ti avevamo parlato della lussuria non eri riuscito a sentire, ricordi? Quella è un’àncora, per te.» «Comunque è già una bella cosa che riesca a viaggiare così, senza nessuna partenza» disse dietro di noi il vecchio con le finte ali di libellula. «Ah, certo» sorrise il Dominante. E, senza guardarmi, con gli 205
occhi rivolti alla strada: «Solo che il tuo mondo finisce; e non soltanto in te o qui da noi. Bisogna che vi sbrighiate ad arrivare fin là, nell’altro, altrimenti resterete sommersi nella fine di questo». 2 Dici sul serio o intendi la fine di un mondo interiore? «Dico sul serio. Il vostro mondo interiore continuerà ancora, e a tanti sembrerà che tutto sia come prima; ma il vostro mondo finisce. Non te ne sei accorto, guardandoti intorno nell’Aldiquà? Se non arrivi più in là, anche per te questo secolo sarà tale e quale a quello appena passato, lo ripeterà punto per punto. E così il successivo, e il successivo, e così via. È tempo di levare le ancore.» E in pratica come si fa, a levare un’àncora? «Immagina una stella.» Il Dominante si fermò e tracciò nell’aria il disegno di una stella, con un dito:
«Una stella, per voi, è un allineamento di energie. Rappresenta questo, nella vostra mente. Ed è un po’ come la 206
combinazione di una cassaforte: quando l’allineamento è completato, la porta si apre. È semplice da capire: quando le vostre energie non sono allineate, è così» e tracciò un altro disegno, che conoscevo:
«Così le vostre energie si disperdono intorno e alimentano il vostro mondo, o meglio tutto ciò che sapete e vedete del mondo, che esiste a spese vostre. «Via via che si forma la stella, invece, il mondo smette di assorbire le vostre energie, di esistere a spese vostre. Lo vedete meglio; vedete che è fatto di specchi; allora, da quegli specchi le vostre energie ritornano a voi, vi accorgete che sono vostre – così come sono vostre le parole con cui descrivete le cose del mondo. Questa è la stella» e aggiunse alcuni dettagli al disegno:
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«Le energie tornano a voi e, quando ne avete a sufficienza, passate oltre.» «Rispetto al vostro mondo, la stella è come l’Arca di Noè» aggiunse l’Austero. «Già» confermò il Dominante. «Il problema è che, se tentate di passare quando le vostre energie non sono ancora sufficienti e allineate, finite per naufragare. E tu per ora sei una stella che ha solo sei punte, che sono sghembe. Ti mancano ancora le energie portate via dalla lussuria. È una situazione molto comune.» «Perciò ci vedi come se fossimo cinque» disse l’Austero. «Noi cinque più tu, che sei il sesto.» E adesso recupererò quelle energie e diventeremo sette? In quel momento la bambina mi tirò leggermente per la manica, e la presi in braccio. Si accomodò sul mio braccio destro e mi posò una mano sul cuore. Che c’è? le sorrisi. «Ricordati che tu sei mio» disse. «Io sono legata a te da un’altra persona. Tu sei nel suo cuore. Non l’hai ancora incontrata, è solo una promessa del cuore. Mi hanno detto di dirti così.» Chi te l’ha detto? 208
«Poi, poi» intervenne il Dominante. «Prendi nota, adesso. Prendi nota, per bene.»
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XXII I nemici e l’unico io - I grandi amori - La lussuria, san Giorgio e la principessa prigioniera
1 L’Austero mi sussurrò: «Se adesso capisci, passiamo oltre, e vedi un sacco di altre cose». Il Dominante sorrideva, e cominciò la spiegazione. Eravamo su quella strada-ponte, fermi, in piedi: il Dominante davanti a me, io con la bambina in braccio, l’Austero alla mia sinistra e gli altri due a qualche passo di distanza, con le braccia conserte. «Ricordi la regola dei due cerchi concentrici?» domandò il Dominante. Sì, il cerchio interno che si allarga oltre il cerchio esterno. Era una regola? «È una regola e vale ovunque. In ogni vostro Cielo vi accorgete di avere nuovi poteri ma, quando li avete scoperti, quei poteri diventano un confine da superare: sono ciò che vi impedisce di entrare nel Cielo successivo. I confini del Cielo in cui sei ti rinchiudono, e assorbono e macinano la forza delle tue ali, come macine d’aria.» Lo disse muovendo la mano in tondo, a mimare il movimento di una macina. «Quella tua amica te ne aveva parlato» disse l’Austero. Paola. 210
«Sì. I tuoi campi visivi diventano pesanti come macine» 30 continuò il Dominante. «Ma, nota bene: usare le ali vuol dire semplicemente fare. Le ali sono forme d’azione. «Ed è il maggior rimpianto di quelli che arrivano a questa scoperta attraverso la morte: prima che la loro coscienza si dissolva hanno il tempo di accorgersi che avrebbero potuto fare tante cose, e che a impedirglielo non erano il mondo, la necessità, gli altri, ma soltanto il loro campo visivo: cioè il modo in cui intendevano il loro mondo, la necessità, gli altri.» Be’, è chiaro. «Certo che è chiaro. Ogni vostro confine è uno specchio.» 2 «Così, tanti pensano di non riuscire a fare qualcosa perché gente nemica glielo impedisce. È molto comune anche questo; il Vangelo cosa dice al riguardo? “Fate splendere il vostro sole sui giusti e sugli ingiusti, sugli amici e sui nemici, allo stesso modo.” 31 Voi di solito pensate che sia un’esortazione a una generica bontà, ed eventualmente al martirio, se i nemici sono arrabbiati. «Invece è un’indicazione molto più precisa. Il “sole” rappresenta il vostro corpo maggiore; i “giusti” rappresentano le capacità, i poteri che sapete già usare, e gli “ingiusti” rappresentano i poteri che non sapete ancora di avere.» Pensavo che significasse: non fidatevi del vostro modo di dividere l’umanità in giusti e ingiusti, perché è solo una giustificazione della vostra avarizia nello splendere. «È perché lo vedi da dentro al guscio, e stando sulla difensiva. Guardalo anche da fuori; e il senso diventa: quanto più riuscite a scoprire e a usare il corpo maggiore, tanto più farete luce anche sui vostri poteri ignoti. Naturalmente, la conseguenza è che avrete meno nemici, dato che i nemici sono 211
le persone che vengono a mostrarvi parti di voi che non vedete ancora, e parti degli universi che non vedete ancora.» Cioè, i nostri nemici servono a noi? Ci sono utili? 3 «È semplice. Se uno ha un nemico, è perché non si è ancora accorto di avere una qualche capacità che quel nemico non ha. «I vostri amici sono di due tipi: o sono persone che hanno capacità simili alle vostre, o sono persone che non hanno le capacità che sapete di avere voi. Perciò con i vostri amici vi intendete bene: pensate come loro, o insegnate loro a pensare come voi, e a fare le cose che sapete fare voi. «Con i nemici, invece, non vi intendete in nessun modo. Quelli che chiamate nemici percepiscono in voi capacità che non sapete di avere, e non possono capire di che cosa si tratti, perché loro non hanno quelle capacità e voi non gliele sapete spiegare. Vi sentono come esseri diversi, e voi non capite perché. Non vi intendete, e litigate. E continua così fino a che non vi accorgete di avere quelle capacità che loro hanno visto in voi. Accorgersene è far splendere quel sole.» E allora i nemici diventano amici? «No. Accorgersi di quelle capacità vuol dire crescere nel corpo maggiore e lasciarsi sempre più indietro il vostro io piccolo. Quei nemici e quegli amici riguardano il vostro io piccolo: gli amici vi aiutano a sentirvi bene nell’io piccolo, i nemici vi aiutano a superarlo. Quando siete arrivati più in là, i rapporti che avevate con loro cambiano completamente: il tuo io comincia a essere più grande, include anche loro, cominci a fare cose per loro come le faresti per te stesso, in modo del tutto spontaneo. Così, finisci per non accorgerti nemmeno più di loro. Questo è il significato del comandamento “Non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te”. E allora incontri altri amici e nemici altrove, più su.» 212
Quando dicevate che nell’Aldilà ci sono popolazioni amiche e nemiche, intendevate anche questi amici e nemici che si incontrano più su? «Anche, sì. E una cosa analoga succede anche con ciò che chiamate lussuria.» 4 E salendo sempre di più, si arriva a inglobare tutta l’umanità? «Sì. E le tue capacità crescono nella stessa misura. È una cosa che ti abbiamo già spiegato in tanti modi, ma sembra che tu faccia una certa fatica a capirla.» E la lussuria cosa c’entra? «Voi pensate che sia il desiderare più di tutto un altro corpo di cui gioire. Invece è il pensare: “Se non ho un altro corpo di cui gioire, mi sento troppo chiuso in me stesso” e il credere che l’altro corpo di cui gioire sia il corpo di un’altra persona.» È questo ciò che non avevo sentito quando mi stavate spiegando i vizi capitali? «Sì, dato che sei un lussurioso. Sei fermo lì, a questo desiderio sessuale che hai imparato dal mondo; e anche questo è come tendere la mano verso il riflesso della luna nell’acqua.» In questo caso la luna cosa sarebbe? «Il riflesso nell’acqua è una luna in piccolo. La luna vera, in grande, in questo caso è un altro corpo più in là del mondo, non sai dove, e quel non-sai-dove sono interi mondi da scoprire.» Nell’Aldilà, cioè senza il mio corpo fisico? «Aldilà e Aldiquà sono soltanto vostri modi di percepire la realtà. Anche il tuo corpo fisico è un riflesso della luna nell’acqua; e non puoi certo impedire che la luna si rifletta nell’acqua. Così, nell’acqua – nel tuo Aldiquà – il tuo corpo fisico e il suo io piccolo continueranno a riflettere la luna, cioè quello che c’è nel tuo Aldilà.» E come lo rifletteranno? 213
«Nel fare. Ciò che scopri nell’Aldilà diventa il tuo fare nell’Aldiquà.» E anche viceversa? «No. Desiderare corpi altrui per non sentirti chiuso in te stesso è solo un equivoco e un miraggio.» Ma il Sesto Cielo non è quello in cui chi ha scoperto una sua immensa dimensione interiore incontra un altro che sta facendo la stessa scoperta? «Certo, il principe azzurro. Il vostro corpo maggiore. Non avevo detto che lì avresti incontrato un’altra persona. Quanto più scopri il tuo corpo maggiore, tanto più ti accorgi che sei il tuo corpo maggiore.» 5 Quindi, quanto più uno sale nel corpo maggiore, tanto più diventa casto? Scoppiarono a ridere, per il tono preoccupato con cui avevo pronunciato la domanda. Venne da ridere anche a me. No, dico sul serio, insistetti. Allora come si fa? Anche la bambina rideva. «A non perdere il desiderio sessuale mentre sali?» precisò il Dominante. «Usa il principio di rotazione. Sono sempre due i sistemi indispensabili: il cerchio che si allarga e il principio di rotazione. «In ciò che chiamate “lussuria” tu rimani aggrappato, diciamo, alle tue parti basse, e questo ti impedisce di salire più su, perché pensi che salendo ti staccheresti da quelle. Invece è tutt’uno: com’è in alto, così è in basso. «Come avviene quando fate l’amore? Una parte del vostro essere si apre, diventa un varco verso un altro essere. Così è tra due corpi fisici, e così è anche tra il tuo io piccolo e il tuo corpo maggiore. La differenza è che, con il corpo maggiore, il varco si apre verso l’infinito – o almeno così lo sente il tuo io piccolo, 214
all’inizio; poi lo sente come un fiume, di cui non conosce né la fonte né la foce; e poi lo sente come un suo nuovo io, più grande. «E dopo aver fatto l’amore cosa succede? Nel vostro mondo, i due corpi ritornano chiusi in se stessi: la forza che li ha aperti l’uno all’altro è passata, è successo qualcosa che le loro menti non hanno capito, e quella strana forza è sparita chissà dove, mentre loro sono rimasti dov’erano prima. «Così è anche quando vi aprite al vostro Aldilà. Comunque sia, alla fine il tuo io piccolo si ritrova sulla Terra, nel suo Aldiquà, dov’è sempre stato. Tutto qui. Solo che, ogni volta, impari a sentire un tratto nuovo del tuo corpo maggiore: un minuscolo tratto in più, sempre. E viceversa, ogni volta che riesci a raggiungere un nuovo lembo del tuo corpo maggiore, qualche grande amore si fa avanti anche nell’Aldiquà, e ti trova e tu lo trovi.» «Ma è come quando riesci a vedere un’altra stella in cielo» aggiunse l’Austero. «Il tuo io piccolo rimarrà sempre sulla Terra.» 6 L’io piccolo non può arrivare più in là? «Voi non potete, così come non puoi diventare il corpo di una persona che stai amando. Questo è il confine naturale della lussuria, che dovete superare per entrare nel Sesto Cielo.» E come? «I cristiani dicono che l’atto sessuale è peccato se non mira a generare un nuovo essere: non dicono così? E hanno ragione a dirlo, ma non capiscono perché, dato che sono fermi anche loro dove sei fermo tu. Ciò che dicono, senza capirlo, è che oltre quel confine può arrivare soltanto un essere nuovo. «Dovete diventare un essere nuovo, per arrivarci; e il vostro io piccolo non può diventarlo. Come diceva Dio agli ebrei, 215
quando erano arrivati al confine della Terra Promessa e si rifiutavano di varcarlo: I vostri corpi cadranno in questo deserto. I vostri figli saranno nomadi nel deserto per quarant’anni, e porteranno il peso delle vostre infedeltà, fino a che i vostri cadaveri saranno tutti quanti nel deserto. Ma i vostri figli sì, i vostri figli li farò entrare.
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«Ecco, al posto di infedeltà, metti: le cose che sapete nell’Aldiquà; e corrisponde perfettamente a ciò che vi succede sul confine.» 7 E perché lì si parla del deserto? «Perché le cose che sapete nell’Aldiquà vi sembrano sempre un deserto, via via che salite. Voi le abbandonate quando non ci trovate più voi stessi: quando sono vuote di voi. Oppure restate lì, tra quelle cose vuote: deserte di voi. E anche i “cadaveri” di cui si parla in quel brano rappresentano ciò che eravate prima.» Suona un po’ cupo. «No. San Giorgio per liberare la principessa deve uccidere il drago: e il drago è sempre un’immagine del vostro passato – di ciò che siete stati in passato. Finché è vivo, il drago vi tiene prigionieri: quando diventate san Giorgio e lo uccidete, potete prendere i tesori che sorvegliava. Inoltre, qualche leggenda dice che il sangue dei draghi fa diventare invulnerabili: ed è vero. Diventare invulnerabili vuol dire arrivare a un alto grado di evoluzione: e allora siete davvero invulnerabili, e le vostre energie sono inesauribili.» E arrivarci vuol dire fare? Fare le cose in un determinato modo? «Come dicevamo. Ogni volta che fai davvero qualcosa, rifletti nell’Aldiquà quell’io più grande. Da quel che imparate 216
nel vostro mondo non potete accorgervene, e solo nell’Aldilà lo vedete e lo capite. Vuoi che te lo spieghi più praticamente?»
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«Guarda cosa dice il Vangelo, riguardo alle macine» mi suggerì l’Austero mentre rileggevo questa pagina. Il passo è nel Vangelo di Matteo (18,6): «Quanto a chi cerca di porre insidie (nella scoperta della verità) anche a uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina di quelle che gli asini fanno girare, e che fosse gettato negli abissi del mare». «Chi vi pone insidie nella scoperta della verità» spiegò il Dominante «l’ha già quella maci na al collo, ed è il suo campo visivo. Si tratta solo di dargli una spinta perché cada in alto mare, e scompaia per sempre.» 31 Matteo 6,45: «Siate figli del vostro Padre celeste, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti». 32 Numeri 14,31.
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XXIII Tecnica delle imprese di coraggio
1 «Quando siete nell’Aldiquà, il corpo maggiore è il vostro grande mistero ed è tutti i vostri misteri. Non riuscite in alcun modo a pensare che siete tutt’uno con esso. Non potete: è troppo grande. Quando invece salite nel corpo maggiore, come sai, il vostro problema diventa esattamente l’opposto: l’importante, lì, è che manteniate il contatto con l’io piccolo. Perciò il fare è tanto importante. Fare, voler fare, giudicare, progettare e decidere cosa fare. E sono tutte cose possibili soltanto nell’Aldiquà, nell’io piccolo.» Nel deserto, cioè. «Eh sì. Il corpo maggiore ha poteri inimmaginabili, ma li potete far agire soltanto se avete deciso lo scopo per il quale usarli: altrimenti quei poteri spazierebbero negli universi, liberi e indifferenti come il vento. Chi decide è l’io piccolo. Una volta presa la decisione, usarli diventa una tecnica d’azione, e permette di ottenere risultati che nel vostro mondo sembrano prodigi. Questa tecnica ha sette norme da seguire, punto per punto.» Prodigi in che senso? 218
«È una parola che non ti piace? Forse ti suona meglio: imprese di coraggio. Le avevamo chiamate così qualche settimana fa. È giusto, ci vuole coraggio per tornare nel deserto a fare qualcosa, quando te lo sei già lasciato alle spalle. Ma agli altri, più giù, ogni risultato che si ottiene con questa tecnica sembra comunque un prodigio. È perché non sanno niente del corpo maggiore, e per loro queste cose sono inspiegabili e temibili come a volte lo è il loro Dio. Per noi invece si tratta di una tecnica, di regole, perché le nostre misure sono diverse. «Allora, prendi nota?» 2 «Innanzitutto, prima di ciascuna impresa di coraggio devi sapere che cos’hai deciso di fare: bisogna avere uno scopo ben chiaro, perché solo allora il mondo comincia ad allinearsi con le tue esigenze. E qualsiasi scopo va bene, ma le prime volte farai meglio a scegliere cose che ti sembrino impossibili, o almeno estremamente improbabili. Così sarà più emozionante. Dunque: PUNTO PRIMO
«Devi lasciare che avvenga. È come dare il permesso. Lascia che forze che non conosci dispongano liberamente di te e delle circostanze in cui vivi. Non dare ordini alle tue forze, neanche nel pensiero: devi soltanto sapere cos’hai deciso; ma, ripeto: una volta che l’hai stabilito non devi più esprimerlo con le parole, neanche mentalmente. «Questo, perché le vostre parole servono soltanto nei desideri, quando uno non ha ancora imparato a desiderare sul serio ed esita a ogni passo: in quel caso, la cosa principale è convincerti che stai desiderando qualcosa e che il tuo pensiero accetta quel desiderio e non ne ha più paura. «In questa tecnica, invece, lascia fare alle tue ali, che lavorano sempre per stupirti e che non hanno parole, proprio 219
come le membra del tuo corpo. Allora passi dal desiderio alla promessa.» È questa la promessa che dovevo cercare? «È questa, sì. Nella promessa, è tutta la tua vita che guida le forze del corpo maggiore: non limitarne l’azione con le parole. C’è sempre qualcosa di molto più grande dietro ogni decisione che sai d’aver preso e che puoi descrivere a parole.» Ma come si fa a esprimere una decisione, o una promessa che sia, senza le parole? Devo pur formularla in qualche modo. «Impara a farlo senza le parole. Le parole sono soltanto similitudini: servono a paragonare cose grandi a cose più piccole. Non correre il rischio di perderti dietro a queste cose più piccole.» Ma come si fa a… «Imparalo.» PUNTO SECONDO
«Devi donare al mondo qualcosa. Staccarti, scioglierti da una qualsiasi cosa. Non importa cosa, purché sia un dono, un’offerta al mondo.» In che senso un’offerta? Una specie di sacrificio o un dare qualcosa a qualcuno? «Come vuoi. L’importante, quando compi un’impresa di coraggio, è che nel tuo mondo tu ti sciolga da una cosa che hai e lasci che se ne vada libera, non più tua. I vostri medici devono aver intuito in qualche modo che questo donare è utile, quando uno ha a che fare con forze più grandi di lui, come la malattia e la guarigione: e impongono ai pazienti di liberarsi di una somma di denaro.» Cioè, si fanno pagare. «In omaggio alle umane miserie la prendono in consegna loro, quella somma. Ma andrebbe altrettanto bene se, invece dei soldi, usaste i pensieri: voi di solito vi tenete avidissimamente stretti i vostri pensieri, le vostre idee, più ancora che i soldi. 220
Potresti provare a staccarti da un tuo pensiero, a sentire che non è più tuo. Lo fate così di rado, e invece è molto piacevole.» E come si fa? «Semplicemente senti che non è più tuo. Se così ti sembra troppo astratto, puoi dirti: “Ecco, questo mio pensiero appartiene a qualcun altro, d’ora in avanti”. È già sufficiente.» PUNTO TERZO
«Devi dare peso ai confini del tuo scopo. «È un modo di aggiustare il tiro. Non volere che la tua impresa di coraggio risolva tanti problemi, ma soltanto che realizzi ciò che hai deciso. Per esempio, se si tratta di una malattia da guarire, non desiderare poi che la tua salute sia perfetta, ma solo che quella particolare malattia scompaia. Capisci?» Non avevi detto che dietro a ogni decisione c’è sempre qualcosa di molto più grande? «Sì, ma per ora non tocca a te sapere che cosa sia. Compito tuo, durante l’impresa, è badare all’io piccolo: tenerti radicato al tuo mondo. È un po’ come evitare di venir portato via da un uragano: fa’ in modo che la tua coscienza si aggrappi saldamente allo scopo che ha scelto, e resta a vedere cosa succede.» PUNTO QUARTO
«Devi usare la mente per limitare quelle forze.» Non è la stessa cosa del punto terzo? «No, è un’aggiunta al punto primo e secondo. Tutta l’impresa verrà compiuta dalle tue ali, di cui tu non sei cosciente. Ma la tua parte cosciente deve avere un ruolo, non puoi escluderla e basta. Falla agire frenando, fa’ che limiti, e non che inciti, come che sia. Per esempio, usa la mente per esaminare le paure del risultato che hai scelto. Se è una cosa che ti sembrava impossibile o difficile, vuol dire che ti faceva paura 221
in qualche modo. Pensa a come sono fatte quelle paure. O semplicemente imponiti di pensare ad altro, devia la tua attenzione su cose che non c’entrano, così che non disturbi le tue ali.» E la mente non le disturba, se frena? «No, al contrario. Se frena, fa l’unica cosa che sa fare davvero: sta al posto suo e le tue ali possono tranquillamente ignorarla.» PUNTO QUINTO
«Pensa a forme di vita diverse. Ad altri mondi. «Quando compi un’impresa di coraggio, prova a fantasticare appena puoi: e immagina che le tue fantasie siano notizie, rivelazioni di altri mondi.» E lo sono davvero? «In quei momenti, sì.» PUNTO SESTO
«Ricordati: questo modo di usare la mente durante l’impresa, questo frenare e fantasticare è la migliore difesa contro tutte le energie che potrebbero scatenarsi intorno a voi, contro le vostre ali.» E il sesto punto è ricordarmi di questo? «Sì. È molto im portante. Ti ho detto che oltre i confini c’è di peggio del diavolo. C’è anche di peggio delle macine del vostro mondo, e la vostra mente potrebbe attrarre quel genere di cose, per la sua solita e profonda paura che l’impresa riesca. Comincerebbe a riempirsi di ossessioni, e sarebbe come se dovessi correre con la bambina in braccio.» La bambina che tenevo in braccio mi guardò alzando le sopracciglia, in una buffa espressione di stupore. Le sorrisi e, accomodandola meglio sul braccio, continuai ad ascoltare. PUNTO SETTIMO
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«Infine, devi promanare. Dare al mondo esempi visibili del cambiamento che sta avvenendo in te. Essere diverso da prima, per quanto puoi. Almeno un po’.» E il Dominante ricominciò a camminare. Gli altri lo seguirono, e anch’io. 3 E «promanare», come dici tu, a che cosa serve precisamente? «A ciò a cui servono tutti gli altri punti. Sono tutti dettagli di un unico comportamento, non te ne sei accorto? Li ho divisi in sette punti solo perché mi ascoltassi con attenzione per tutto il tempo necessario. La cosa importante era che questa spiegazione durasse appunto quanto è durata. Era una specie di sacramento.» 4 Questa tecnica è una forma di magia, no? «Se ti piace chiamarla così. Ma, in pratica, è quello che succede in voi ogni volta che riuscite a fare qualcosa. È anche il fondamento di qualsiasi pratica magica che funzioni, ma solo perché anche le pratiche magiche sono un fare, e non perché questi sette punti siano magia.» «Comunque non c’entrano con quella che voi chiamate magia» intervenne l’Austero. «I maghi non le capiscono queste cose, perché pensano di ottenere risultati grazie alla loro forza personale, alla loro preparazione e così via. Invece quando fai qualcosa sul serio la forza non è mai la tua: è la forza inconsapevole della vostra evoluzione, di tutti gli uomini: amici, nemici, viventi, passati. Le tue ali sono le ali di tutti gli uomini.»
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5 Quindi chiunque può usare questa tecnica? «Te l’ho appena spiegato» rispose il Dominante. «Voi fate sempre così, quando fate davvero qualcosa. Ma di solito lo fate inconsapevolmente e non riuscite a dirigere i risultati: a deciderli, o a congiungerli con ciò che avete deciso, o con ciò che vorreste decidere… Questa tecnica serve soltanto ad accorgerti di cosa fai e di cosa succede quando fai qualcosa.» Ma avevi anche detto che serve a fare prodigi. «Ogni volta che fate davvero qualcosa, state rispettando tutti e sette i punti che ti ho detto, anche se non ve ne accorgete: e allora avvengono prodigi. Quando non riuscite a dirigere i risultati, capita che i prodigi avvengano in qualche luogo senza che voi lo sappiate. Se per esempio fai una scoperta (ti sto proponendo un esempio roseo), se scopri la cura di una malattia, in qualche punto del passato stai cambiando qualcosa e quel cambiamento permetterà a qualcuno di giungere alla scoperta: in qualche punto del mondo, qualcuno scoprirà la cura di quella malattia. E tu non saprai mai che è merito tuo.» Questo avviene se uno non dirige i suoi scopi? «Sì. Se invece sai cosa stai facendo, arrivi tu al risultato. È molto meglio, no? Certo, pone più responsabilità, a paragone con quello che pensate di solito sulla causa e l’effetto. Ma i vantaggi sono notevoli.» E un esempio non «roseo», quale potrebbe essere? «Tutti i guai del vostro mondo sono risultati di vostre imprese: di ciò che fate senza sapere cosa fare, senza aver deciso nulla, senza volere nulla di preciso.» 6 Quindi, insistevo, accigliato , è sufficiente che io decida quale prodigio voglio ottenere, e poi seguo questi sette punti facendo 224
qualcosa, e il prodigio avviene? «Sì. E questa è la promessa che cercavi. Solo che devi deciderlo senza le parole.» Ma ti ripeto che non è possibile pensare senza parole: come si fa a pensare senza i pensieri! «Usa i sentimenti. È tutta lì la questione: sul cuore e sul coraggio puoi agire soltanto attraverso il sentimento.» I sentimenti invece delle parole. «Già. Questo devi imparare.» 7 E ci si può proporre qualsiasi scopo? «Qualsiasi scopo.» Anche ridare la vita a qualcuno che è morto? «Non la vorrebbe. Dovete rispettare la volontà di chi è arrivato più in là di voi, e la morte è un modo di arrivare più in là di voi. Lo fareste solo tornare indietro.» 8 E come si fa a sapere se uno scopo che ci poniamo non rispetta la volontà di qualcuno? «No, distingui bene. Io ho parlato della volontà di chi è arrivato più in là di voi: quella non potete non rispettarla. Dovete e basta, non dipende dalle vostre opinioni: chi è più avanti vi guida sempre, senza che voi capiate come. Potete diventare abbastanza sciocchi o pigri da non lasciarvene guidare, e allora guiderà qualcun altro; ma non potete guidare voi chi è più in là di voi. «Allo stesso modo, chi è più indietro di voi vi obbedisce, a meno che non sia molto sciocco o pigro: vi segue, senza accorgersene, anche quando crede di opporsi a voi. Ed è facile 225
riconoscere chi è più indietro di voi: quando provano a capire qualcosa, arrivano sempre alla conclusione che ciò che fanno non dipende dalla loro volontà. Ma perché perdere tempo ad ascoltare il loro parere?» In che senso «ci seguono»? «Li avete sempre intorno. A voi sembrano ostacoli sulla vostra strada: in realtà, vi stanno solo seguendo. E vi ostacolano solo se non state andando da nessuna parte, e vi dirigete verso di loro.» Quindi bisogna andare dritti e veloci. «Infatti.» E quelli che sono arrivati dove siamo arrivati noi? «Quelli aspettano soltanto che qualcuno abbia qualche scopo e cambi loro la vita.» «È come quando non avevate ancora varcato l’oceano e immaginavate che oltre Gibilterra ci fossero mostri e demoni marini» disse l’Austero. «Non vedevate l’ora che qualcuno ci andasse. Solo che nessuno voleva essere il primo.» «Così, anche voi,» continuò il Dominante «ogni volta che usate questa tecnica, allargate l’energia e il movimento della vita di tutti quelli che sono arrivati dove siete arrivati voi, e date direzioni a quelli che vi seguono. Dissolvete mostri e allargate i cieli, proprio come quando scoprivate nuovi continenti. Il vostro corpo maggiore è tale e quale a un nuovo continente, per voi. Ma lo è anche il Sesto Cielo, per la maggior parte della gente.»
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XXIV Le maschere - Quando bisogna alzarsi La storia di mago Merlino e dei suoi genitori
1 «Sai,» disse l’Austero «intanto che il tempo passa e che ti abitui, potresti scrivere un libro di racconti sulla Terra Promessa. Su che effetto fa. Tanto, questo sul diavolo l’hai finito, ormai.» Non lo sentii quasi. Poco prima, mentre il Dominante parlava, avevo cominciato a immaginare il mondo visto dal corpo maggiore, e rapidamente nella mia fantasia aveva preso forma un cielo con le braccia (non saprei descriverlo altrimenti) che mi teneva così come io tenevo in braccio la bambina. Lo immaginavo, camminando. «Dovresti anche guardare un po’ dove vai» mi avvertì l’Austero. «Guarda.» *** Siamo ancora in viaggio? Il ponte su cui camminavamo stava attraversando una città, adesso, ma non vi passava sopra: vi entrava e si incuneava tra le case, era diventato una via e incrociava strade sempre più strette. Mi parve anche che ci stessimo spostando più 227
rapidamente di prima, benché la nostra andatura fosse ancor sempre un camminare. Perché è così? Dove stiamo andando? «Sì, è strano» disse il Dominante. L’aria era scura come in una sera di pioggia. Per le vie c’erano molti passanti, tutti con lunghi cappotti, o mantelli, non vedevo bene. Per un istante aprii gli occhi in casa mia, a Milano, davanti alla mia scrivania – e lì naturalmente tutto era come prima: le penne, il computer, i libri, alla parete l’icona rivestita d’argento. Richiusi gli occhi. I passanti portavano maschere, come a Carnevale, e correvano quasi, temevo che mi urtassero. Adesso la bambina era in braccio al vecchio con le finte ali di libellula. Lontano, qua e là si sentivano grida. E alcuni di quei passanti avevano coltelli (poggiai la mano sul braccio del Dominante, quando me ne accorsi): ne vedemmo un paio che si inseguivano da una parte all’altra della strada, duellavano o qualcosa del genere. I nostri due vecchi si misero tra noi e loro, dando le spalle a loro, e ridendo. «Svoltate lì, in quella via» disse il vecchio, sempre ridendo, e imboccammo un vicolo a sinistra. Ma che significa? continuavo a domandare al Dominante, e anche lui rideva tranquillamente. 2 Nel vicolo era ancora più buio e, con mio sollievo, non c’era nessuno oltre a noi. Di nuovo ci spostavamo rapidamente. Nel buio le case scomparvero e divennero alberi, grandi: una foresta di abeti. «È la tua mente di prima che sta rimanendo indietro» mi spiegò finalmente il Dominante. «Le tue resistenze sono là, mascherate, che si accoltellano.» Mi sono addormentato e sto solo sognando? 228
«Ti sei indubbiamente addormentato, ma non c’entra: sei comunque in una parte nuova di te, e sei in una parte nuova dell’universo.» Non nel Sesto Cielo? «No. Stai esplorando più in là.» Il vecchio con le ali indicò qualcosa davanti a noi. «Quello è ciò che chiamate Merlino» mi disse il Dominante. Mago Merlino? Più avanti c’era soltanto il buio della foresta. «Non riuscirai a vederlo, non è un tuo maestro» disse il Dominante. «Noi possiamo vederlo, tu no.» 3 Poco dopo riaprii gli occhi, davanti alla mia scrivania. Del seguito di quel viaggio ricordavo soltanto una scena, stranamente precisa: un uomo disteso su un letto disfatto, in una stanza troppo calda. L’uomo aveva indosso una camicia dalle maniche ampie e pantaloni con l’allacciatura al ginocchio, come nel XVIII secolo. Si alzava piano, scuotendo il capo, scontento. Era il fabbricante di automi? domandai il giorno seguente. «Sì, ma non lo vedi: lo stavi solo sognando» rispose il Dominante. «E il semplice significato del sogno è questo: l’uomo era un modo che avete a volte di sentire la vita nel vostro Aldiquà, come una stanza troppo calda, senza finestre. E in quei momenti dipende solo da voi: dovete alzarvi. E tornare ai vostri automi. Perciò era il tuo fabbricante di automi.» Aspettò che capissi, e proseguì: «Alzarsi e ricominciare è il vostro maggiore eroismo, nell’Aldiquà. Sono momenti di grande bellezza, come li vediamo noi: quando nell’Aldilà imparate a superare i confini dei Cieli, e nel vostro mondo sentite che vale ancora la pena di alzarsi al mattino e di fare qualcosa. Poi anche voi ne sarete orgogliosi». Poi quando? 229
«Fuori dal tempo, da dove vi guardiamo noi.» 4 E Merlino? Perché non ne ricordo niente? O non avevo visto niente? «Per un attimo l’hai anche visto: come un albero senza foglie, nella foresta. Ma, anche se te ne ricordassi, non riusciresti a trarne niente per ora: in quei territori le immagini sono diverse, il campo visivo è ancora troppo ampio e profondo, per te. Riuscite a coglierne qualcosa solo attraverso le storie. Ti ricordi com’è la storia di Merlino?» Storia di Merlino La spada nella roccia, Artù, Viviana e Morgana e così via? «Nella storia di Merlino ci sono due punti che non capite mai» spiegò il Dominante. «E sono i due punti più importanti. Anzi, la storia di Merlino è tutta quanta in quei due punti. Il resto – la spada nella roccia, l’educazione di Artù, la tavola rotonda – sono altri racconti, echi di altre storie che si sono intrecciate alla sua. Quei due punti sono: la nascita di Merlino e il momento in cui Merlino scompare nella prigione di Viviana. «Merlino nasce dal diavolo: è così nella vostra storia, no? I diavoli volevano fare quel che Dio aveva fatto con Maria: e fecondarono una pia donna mentre dormiva…» Il Dominante attese per qualche istante, mentre io, nella mia stanza a Milano, prendevo da uno scaffale un libro su Merlino, per verificare; poi proseguì: «Ma la donna, quando si svegliò, se ne accorse. E, siccome era davvero molto devota, tanto pregò e tanto pianse che i diavoli decisero di lasciar perdere, e di non occuparsi più né di lei né del bambino. Così nacque Merlino: e aveva i poteri dei suoi padri diavoli, ma non li ebbe mai come sue autorità, 230
dato che l’avevano abbandonato. Questo è il primo punto importante. Stai prendendo nota, sì?». Sì. Misi da parte il libro che avevo aperto e continuai a prendere nota. «Il secondo punto è il grande amore di Merlino per la sua discepola Viviana, la Dama del Lago, signora di Brocéliande. Quando era già diventato un mago potente, Merlino andava spesso da Viviana, a istruirla nella magia, ed era felice con lei e lei lo era con lui. Ricordi cosa ti dicevo dei grandi amori? Anche per Merlino era così: anche lui, con questo suo amore, scopriva un tratto in più del suo corpo maggiore. E anche lei, naturalmente. «Un giorno, mentre Merlino le dormiva accanto nella foresta, Viviana gli tracciò intorno un cerchio incantato, e dal cerchio fece sorgere una prigione invisibile, nella quale Merlino scomparve per sempre. Lei sola, da allora in poi, poté andare a trovarlo: e vi andò ogni giorno, e lì furono sempre felici insieme.» Perciò non ho potuto vederlo? «Non puoi vederlo perché Merlino sei tu. Ognuno di voi è Merlino: perciò potete solo incontrarlo, e non vederlo.» 5 È questo l’indovinello nella storia di Merlino? «Ogni singola frase è un indovinello, in quei due punti della storia. E le soluzioni sono queste, ascolta: Merlino è ciò che voi diventate quando cominciate a scoprire i vostri poteri. Ed è figlio del diavolo e abbandonato dal diavolo, perché quando scoprite i vostri poteri il diavolo rimane indietro – dato che, come sai, è il confine che attraversate per poterli scoprire.» Ed è padre in che senso? «Nello stesso senso in cui tu vedevi in tuo padre una persona a cui chiedere il permesso di fare qualcosa. È la stessa idea che 231
compariva in quella frase del Vangelo…» Ma non era falsata, quella frase? «Sì, e la storia di Merlino ha attinto da quella falsificazione, e ha fatto diventare vero quel passo manipolato di Giovanni.» «Ha cambiato il passato» mi fece notare l’Austero. «Ragiona» proseguì il Dominante. «I vostri genitori sono sempre la soglia che varcate per entrare nel vostro mondo; e ci sono soglie in tutti i mondi in cui entrate. Per entrare nel vostro mondo vi serve un corpo: e voi varcate la soglia del corpo di vostro padre e di quello di vostra madre, e avete un corpo. Ma non appena l’avete, vi accorgete di essere più di quel corpo, non è vero? «Allo stesso modo, per scoprire i vostri poteri dovete varcare il confine di quei poteri; e quel confine è ciò che voi chiamate il diavolo; lo varcate, e vi accorgete di essere più di quel che il confine ha potuto farvi diventare. Così ve lo lasciate alle spalle, anche quando diventate Merlino.» «Come dice un altro passo» aggiunse l’Austero: Se il Figlio vi libera, allora siete liberi davvero. 33 È come nella storia di Teseo, quando suo padre muore? «Tale e quale. Così è per Teseo, e per Edipo, e anche per Gesù: suo padre Giuseppe rimane indietro e scompare. Così è per tutti i vostri genitori.» E sarà così anche con Dio Padre? «Certo. Perciò si chiama Padre. Quando sarete arrivati a varcarlo, vi lascerete alle spalle anche quello.» 6 E la storia con Viviana? «Anche Viviana siete voi. «Viviana è ciò che siete nel vostro Aldiquà. La sua prigione invisibile è il grembo in cui portate Merlino: voi siete la madre del Merlino che diventerete. Così, vedi, la fine della storia di 232
Merlino è anche il suo inizio: e tutta la storia serve a mostrarvi che voi siete sua madre e i suoi discepoli al tempo stesso.» Quindi anche la prigione invisibile di Merlino è in ogni individuo? «Sì, ma il vostro Aldiquà non è posto per lui. O almeno non ancora, non nel mondo com’è ora. Perciò, in tante sue avventure di mago, Merlino non agisce in prima persona: fa fare le cose ad altri, ad Artù, ai cavalieri, a Viviana… Proprio come il corpo maggiore. Educa, guida, consiglia, sconsiglia: agisce attraverso il vostro io piccolo. «Come il corpo maggiore, così anche Merlino esiste altrove: là dove diventate immensi e vuoti e aperti alle energie degli universi. Nel vostro mondo, invece, voi vi svegliate, vi alzate, eroicamente, come Biancaneve dalla sua bara di cristallo, e fate, agite… Imparate piano piano ad adoperare quelle energie, come Viviana nella foresta di Brocéliande.» La foresta di Brocéliande rappresenta la Terra? «Non la Terra. La Terra è il regno di Artù. Brocéliande è il vostro piccolo Aldilà personale, dove imparate da Merlino, e dove vi accorgete – piano piano! – di avere Merlino dentro di voi, nascosto come nella pancia della mamma.» «Buon Natale!» rise l’Austero. «Già,» anche il Dominante sorrise «è una vostra nuova religione che deve nascere dopo il cristianesimo; se pure si può parlare propriamente di religioni nuove.» Una volta mi avevate detto che noi siamo nel corpo maggiore come nella pancia della mamma: qui non è il contrario? «Non ti ho anche detto che i confini dell’Aldilà sono fatti di specchi? E che nell’Aldilà ciò che è contenuto contiene? Così, vedi, il segreto più semplice della storia di Merlino è che nella prigione invisibile ci siete voi, e Merlino vi vede da fuori. «A voi sembra che lui sia invisibile e rinchiuso. In realtà lo siete voi. E quanto più imparate a fare le cose per gli altri invece 233
che per voi stessi soltanto, tanto più imparate anche a far nascere Merlino in voi stessi e a lasciarvi alle spalle l’io piccolo.» «A far nascere Merlino, Teseo, Gesù, Prometeo» aggiunse l’Austero «invece di starvene lì a coccolarvi e a fare da scatola al vostro cuore. Su, viaggiamo più in là? Qui, col diavolo e con i confini abbiamo proprio finito, direi.» 7 Più in là ci sono posti pericolosi come quello delle maschere? «Pericolose le maschere?» si meravigliò il Dominante. «Le maschere che duellavano erano una scena drammatica, per il tuo divertimento.» Era un vostro scherzo? «No, no: era vera; ma era divertente. Quando voi non capite qualcosa, avete due modi di resistere all’intelligenza: uno è la drammaticità, l’altro è l’ansia. Sono due facce della stessa corazza, buie da dentro e divertenti da fuori. «Per esempio, nelle storie di Merlino la drammaticità sono i cavalieri: le svariate vicende dei cavalieri, che avete aggiunto alla storia di Merlino per non capirne i due punti principali. Anche per questo i cavalieri hanno la corazza.» Drammaticità in che senso? «Agitazione, tanta buona volontà, tensione. Lo sguardo eroico di chi cerca una morte da guardare in faccia. La bocca seria di chi cammina pensando intensamente. E il tutto molto teatrale. Ecco, questa drammaticità è la maschera che indossate quando non riuscite a capire qualcosa. «Davvero è divertente a vedersi, perché in realtà anche in quei momenti avete capito benissimo: solo che capire è una sensazione sottile, e voi nella drammaticità vi gonfiate, vi appesantite, vi corazzate; insomma, fate di tutto per non sentirla 234
più, quella sensazione così sottile e leggera. È spassoso, per gli altri.» «Per noi» precisò l’Austero. «E ricordati: capire è sempre divertente, per un verso o per l’altro.» «L’ansia, invece,» continuò il Dominante «è quando ripeti sempre le stesse domande per convincerti che non hai ancora capito. Questo è di nuovo diabolico, è un contrabbandare il diavolo oltre il suo confine. La drammaticità è molto meglio.» Non era tanto divertente quando si accoltellavano, là. «Oh, sì che lo era» insistette l’Austero. «Ridevano tutti, e anche tu. Non te ne sei accorto?»
33
Giovanni 8,36.
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XXV La disobbedienza
1 Stavamo camminando, di nuovo. Adesso si partirà sempre così per i viaggi, senza che me ne accorga? «Non sempre, non necessariamente. Ma puoi esercitarti a fare così, se ti piace. È anche questo un modo per non ricorrere alle parole quando agisci.» Scendevamo lungo un pendio; la bambina diceva qualcosa al vecchio con le ali, che si era chinato ad ascoltarla. Era un pendio di campi, con boschi intorno. Perché c’è spesso un bosco intorno, durante i viaggi? «Perché devi imparare» rispose l’Austero. «Il bosco intorno è la cornice in cui cerchi ancora di chiudere le cose. Imparando ti accorgerai che non serve, e allora non lo vedrai più.» 2 «Non solo non serve» aggiunse il Dominante. «È quello che rimane delle vostre obbedienze, e tutto sommato le vostre obbedienze sono soltanto dannose. 236
«Hai notato che nelle epoche di grande obbedienza, quando vi sentite progrediti, evoluti e fieri del vostro Aldiquà, succede sempre che il numero delle malattie nuove aumenta e che le capacità dei vostri medici diminuiscono? Pesti, epidemie… «È perché con quel vostro obbedire frenate la conoscenza nelle vostre menti; ed è una pessima cosa, perché la conoscenza non si può fermare in nessun modo. Fermate nelle menti la vostra capacità di conoscere, e allora la conoscenza cresce nei vostri corpi. Voi difendete da voi stessi ciò che sapete, difendendo voi stessi da ciò che non sapete: e allora la vostra conoscenza si amplia malgrado voi, e a vostro danno. Urge, vi incita, con le malattie, fino a che non riesce a trascinarvi di nuovo avanti.» Vuoi dire che, se gli uomini obbedissero meno, si ammalerebbero meno? «Proprio così. In ogni caso, è solo disobbedendo che riuscite a guarire da quelle malattie nuove. A un certo punto qualcuno smette di obbedire al presente e va a cercare nel futuro, cioè in quello che ancora non volete vedere in voi stessi. E nel futuro trova la cura giusta: allora tutto quello che sapevate prima, e a cui obbedivate, diventa passato. «Perché uno ci riesce e gli altri no? Solo perché non obbedisce. Non sta lì a fare i conti del male che ha fatto e che ha subìto, dei vostri accordi sulle cose permesse o proibite, sui vostri tabù e sui vostri karma. Fa e basta.» «Gli altri hanno paura che il loro mondo crolli e che gli crolli addosso» disse l’Austero. «E venerano i propri confini, come se fossero Dei.» Invece il confine è il diavolo. «Invece il confine è il diavolo» approvò il Dominante. 3 In fondo al pendio c’era un fiume, bruno e giallastro, quasi dello 237
stesso colore dell’erba del pendio e dei campi sull’altra riva. «Tu cerca di obbedire soltanto alle promesse che trovi in te, e alle tue imprese di coraggio» continuò il Dominante, mentre ci avvicinavamo al fiume. «Trovati occasioni nel mondo: fa’ qualcosa e cerca qualcosa che ti leghi al tuo mondo, perché soltanto lì puoi obbedire alle tue promesse; e fa’ crescere a ritroso la tua storia finché ne esci. È la tua unica libertà, nell’io piccolo.» In che senso? «Il vostro io piccolo cerca sempre di ritagliarsi angoletti di libertà per sé, e finisce sempre per dipendere da altri. A noi quel genere di libertà non interessa, e ormai non dice più niente neanche a te.» Sì, ma intendevo: in che senso «la mia storia a ritroso»? Anche le nostre vite sono storie da interpretare a ritroso? «Sì, finché non imparate a dimenticarle. Dimenticarle è ancora più utile che interpretarle, e molto più difficile.» «Poi dimenticherai anche noi» disse l’Austero. No. Perché dici così? e mi fermai. «Anche noi siamo un tuo confine» rispose il Dominante. «Viviamo perché tu ci presti questa cosa preziosa, la vita, il linguaggio, e noi in cambio ti spieghiamo queste cose, che non potresti conoscere in nessun altro modo. Quando le avrai conosciute passerai oltre, e noi non ci saremo più.» Ma io non voglio. «Ah, non ha importanza» disse il Dominante, lanciando un’occhiata all’Austero, e poi avviandosi lungo la riva del fiume.
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ANNOTAZIONI
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1
Come incontrare incontrare i propri propri Spiriti-guida
Gli Spiriti-guida – o Spiriti della Ricchezza, come li chiamò Esiodo – sono un aspetto della realtà della psiche noto e amorevolmente studiato in tutte le culture religiose e anche nella psicologia moderna, almeno a partire dagli esperimenti di Carl Gustav Jung 34 con il suo celebre «maestro Basilide». E ogni cultura religiosa, e ogni studioso, ha le proprie tecniche per stabilire con gli Spiriti-guida Spiriti-g uida un contatto durevole. Ho analizzato altrove 35 i tratti fondamentali di queste tecniche e i presupposti del loro funzionamento. funzionamento. Qui di seguito illustro quella che a me sembra oggi la tecnica più semplice, più efficace e soprattutto più controllabile, tale cioè da escludere ogni eventualità di improvvise «comunicazioni spontanee» da parte degli Spiriti-guida nel corso della vita quotidiana. quotidiana. È una semplice ginnastica mentale, in quattro movimenti che, un po’ come i passi di danza, solo all’inizio necessitano dell’ausilio dell’ausili o della memoria e in in breve tempo divengono del tutto automatici. Quanto alla durata, questa danza d’accesso richiede, la prima volta, poco più di mezz’ora; dopo qualche «discesa», durerà tre minuti soltanto – a meno che il viaggiatore non si soffermi per una qualche ragione a osservare i vari mutamenti della sua coscienza durante il percorso. Per maggiore comodità, consiglio al lettore di leggere i quattro movimenti al registratore, 240
lentamente, con una breve pausa (una decina di secondi) a ogni asterisco e con una pausa più lunga (almeno due minuti) tra un movimento e l’altro; e di eseguirli ascoltando la registrazione. Alcuni sostengono che per un miglior risultato occorra, la prima volta, eseguire i quattro movimenti insieme con altre persone, almeno una decina – per sfruttare il «campo energetico» che sempre si forma quando alcune persone fanno qualcosa insieme. Se non conoscete nessuno che accetti di avventurarsi con voi nell’Aldilà personale, consiglio di cominciar e questo esercizio, la prima volta, alle ore 22 di un giorno qualsiasi; è come un appuntamento ideale: così, potrete contare sul fatto che in quello stesso momento altri lettori di questo libro stiano imboccando come voi questa via della percezione, e che un «campo energetico» utile stia formandosi tra voi e loro. La posizione migliore per questo genere di esercizi è seduti, con i gomiti su un tavolo o sui braccioli della sedia. Tenete a portata di mano mano un quaderno quaderno aperto, e una penna. Primo movimento Chiudete gli occhi. E pensate alla vostra palpebra destra. Alla pelle delicata delicata della palpebra, palpebra, alle ciglia. E immaginate una carezza leggera, di due dita, che passa piano piano lungo tutta la palpebra destra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio. dell’occhio. Proprio vicino alle ciglia. Piano, dolcemente. Non c’è fretta. Immaginatela una volta. E ancora: un’altra volta. È molto piacevole. Una carezza leggera leggera. E – E – sentite? – sentite? – la la palpebra destra adesso sembra un poco più morbida, più più calda, dolcemente dolcemente pesante. Ora, allo stesso modo, pensate alla vostra palpebra sinistra. Percepite, senza toccarle, la delicata pelle della palpebra sinistra, e le ciglia. E proprio come prima, immaginate una 241
carezza leggera, di due dita soltanto, che passa piano piano lungo tutta la palpebra sinistra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio. Passa proprio vicino alle alle ciglia. Dolcemente. Immaginatela una volta. Immaginatela ancora; è piacevole. Una carezza leggera. E anche la palpebra sinistra – sentite? – diventa un poco più morbida, più calda, dolcemente pesante. Concedetevi qualche istante per sentire meglio questa sensazione di morbido tepore delle palpebre. Sentite che, piano piano, si estende? Quel tepore scende lungo le guance. Oppure sale, lentamente, lentamente, oltre le sopracciglia, sopracciglia, sulla sulla fronte. Lasciate che vada dove vuole. Dove sa. È una sensazione non soltanto piacevole, ma preziosa: dovunque arriva, quella sensazione di morbida pesantezza porta riposo, lascia uscire tensione, stress. Ed è una sensazione intelligente, sa dove andare. *** Lasciate, per qualche istante, che vada e svolga il suo compito riposante. Non c’è fretta c’è fretta.. Concedetevi Concedetevi questo lusso. *** Ora portate di nuovo l’attenzione sulle vostre palpebre, riaprite lentamente gli occhi.
e
Secondo movimento Guardatevi intorno – a occhi aperti, per ora. C’è qualcosa di rosso in casa? Osservate il colore rosso. E c’è qualcosa di arancione? Osservate il colore arancione. Poi qualcosa di giallo; di verde; e di azzurro. Se c’è qualcosa color indaco, osservate il colore indaco: in daco: se no, no , sappiate che è un azzurro azzu rro molto scuro, 242
quasi nero. Infine, osservate qualcosa di violetto. Nel secondo movimento utilizzeremo questi sette colori, a occhi chiusi. Ora chiudete gli occhi; i polsi sono appoggiati al tavolo, la schiena è diritta. Di nuovo, proprio come prima, pensate alla vostra palpebra destra. Immaginate una carezza leggera, di due dita, che passa lungo tutta la palpebra destra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio; vicino alle alle ciglia. Piano, piano; è piacevole davvero: una carezza così leggera. E – sentite? – la palpebra destra sta diventando più morbida, più calda, dolcemente pesante. Poi, pensate alla vostra palpebra sinistra. Immaginate una carezza leggera, solo due dita, che passa piano lungo tutta la palpebra sinistra, dalla ghiandola ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio. Vicino alle ciglia, piacevole, dolce. E anche la palpebra sinistra – sentite? – diventa più morbida, più calda, dolcemente pesante. Concedetevi qualche istante per sentire meglio questa sensazione di morbido tepore sulle palpebre. Lasciate che questa sensazione vada dove vuole: è preziosa. Porta riposo, lascia uscire tensione, stress. E sa dove andare: lungo il collo; oppure intorno all’orecchio; o più più in là, lungo la nuca, dove di solito si accumula tanta tensione. Lasciate che vada e svolga il suo compito. Che fretta c’è? Prendetevi questo piccolo piccolo lusso, ogni ogni volta, a ogni discesa. *** Ora, a occhi chiusi, immaginate di vedere davanti a voi qualcosa di rosso. Non importa cosa. Un maglione rosso. Un’automobile rossa. O anche solo un puntino rosso, per un secondo. Qualunque cosa va bene purché sia di colore rosso, in qualunque parte dello schermo buio che avete ora dinanzi a voi. 243
Il colore rosso. rosso. *** Ora il colore arancione. In qualunque punto dinanzi a voi, immaginate qualcosa di arancione. Un’arancia. O un tramonto. Qualsiasi cosa. Anche solo per un un istante. Se non riuscite a visualizzare il colore (tanti non ci riescono, le prime volte), immaginate una mano che lentamente scrive nell’aria la parola: arancione. arancione. *** E ora il giallo. Immaginate qualcosa di giallo. Giallo come il limone. Oppure, come il sole che disegnano i bambini. Il colore giallo. O, se non riuscite a visualizzare il giallo, immaginate una mano che scrive: giallo scrive: giallo.. *** Ora il verde. È il più facile di tutti. Immaginate una foglia: ed eccolo, ben visibile, il colore verde. Il colore verde. verde. *** Ora l’azzurro. Immaginate qualcosa d’azzurro. Azzurro carico. Come il cielo nelle cartoline del mare. Azzurro. Oppure la mano che lentamente, senza fretta, scrive: azzurro. azzurro. *** Ora l’indaco. Immaginate il colore indaco. Indaco, come il cielo di notte. Il colore indaco. indaco. *** 244
E, infine, il colore più leggero e più misterioso di tutti: il colore violetto. *** Al di sotto del colore violetto, vedete, c’è una strada: lì comincia una strada. Date soltanto un’occhiata dall’alto, non percorretela ancora. E ora risaliamo, lungo i colori, piano piano. Il colore violetto. Il colore indaco. Il colore azzurro. Il colore verde. Il colore giallo. Il colore arancione. Il colore rosso. Al colore rosso, sentite di nuovo le vostre palpebre, e riaprite lentamente gli occhi. Appena avrete riaperto gli occhi, annotate in breve sul quaderno ciò che avete visto dell’imbocco di quella strada. Terzo movimento Mettetevi comodi, sulla sedia – ma sempre con la schiena diritta. E pensate alla vostra palpebra destra. Immaginate la carezza leggera – la punta di due dita – che passa piano piano lungo tutta la palpebra destra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio, proprio vicino alle ciglia. Piano, piano, dolcemente. E la palpebra destra sta diventando più morbida, calda, dolcemente pesante. Poi pensate alla vostra palpebra sinistra. E immaginate la carezza leggera, di due dita soltanto, che passa piano piano
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lungo tutta la palpebra sinistra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio; vicino alle ciglia: piacevole, dolce. E anche la palpebra sinistra sta diventando più morbida, calda, dolcemente pesante. Concedetevi, anche questa volta, qualche istante per sentire meglio il tepore delle palpebre. Non c’è fretta. Lasciate che questa sensazione di tepore vada dove vuole: è preziosa, porta riposo, dovunque arrivi. Se scende lungo il collo e poi lungo il petto, lasciatela fare. Sa dove andare. Lasciate che svolga tranquillamente il suo compito. *** Ora scendiamo lungo i colori. Immaginate il colore rosso. Il colore rosso. Poi il colore arancione. Come un’arancia. Oppure la mano che scrive la parola: arancione. Il colore arancione. Poi il colore giallo. Come il sole che disegnano i bambini. Il colore giallo. Il colore giallo. Poi il verde. Come una foglia. Il colore verde. Poi l’azzurro. Come il cielo nelle cartoline del mare. Il colore azzurro. Poi il colore indaco. Come il cielo di notte. Il colore indaco. E poi il colore più leggero e più misterioso di tutti: il colore violetto. Al di sotto del colore violetto, vedete, c’è ancora l’imbocco della strada: percorretela, questa volta. È in leggera discesa, vedete? Proseguite. Fate caso ai dettagli: osservate bene ciò che avete intorno, sulla destra, sulla sinistra. *** Ci sono case, marciapiedi? O è una strada di campagna? O c’è il mare? Fate caso ai dettagli. E il fondo della strada com’è? C’è 246
ghiaia, o terra battuta, o è asfaltata? Guardate bene. *** Continuate. Si va di buon passo, lungo queste strade. Ora – vedete? – c’è uno spiazzo in fondo alla strada, ampio, comodo. Lì fermatevi. Infilate una mano nella tasca destra e sentite cosa c’è: qualcosa di morbido – di velluto, o di pelle di daino, non si capisce bene. Prendetelo, guardate cos’è. È un sacchetto, morbido, di velluto. Di che colore è? Di che colore è la cordicella che lo chiude? Guardate bene. Tirate i capi della cordicella, apritelo. E infilate dentro la mano. C’è una sostanza leggera: più leggera della cipria, più leggera della cenere. Appena più densa dell’aria. Guardate com’è, sulla punta delle dita. Questa sostanza ha poteri molto speciali. Sperimentate uno di questi poteri: tracciate nell’aria, proprio davanti a voi, una cornice – di una forma che vi piaccia. Vedete? La cornice rimane. Prendete ancora un po’ di quella sostanza, e plasmate la vostra cornice in qualsiasi materiale vi piaccia. Quel materiale prenderà subito forma sotto le vostre dita, e rimarrà. Non ponete limiti all’immaginazione: volete che sia una cornice d’oro? O di acqua? Di diamanti? O di nuvole? Un pizzico della sostanza che avete nel sacchetto farà comparire qualsiasi materiale vorrete. Continuate a lavorare alla vostra cornice, a plasmarla – per almeno un minuto. (venti secondi di silenzio) Mentre la state tracciando non vi piace più? Potete cancellarla: è sufficiente un gesto, come per diradare del fumo. Tracciate e ritracciate la cornice, fino a quando vi piacerà. E ricordate: a ogni discesa potrete cambiare questa cornice, 247
con un po’ della vostra polvere. Questo è il regno della trasformazione, e tutto può cambiare qui: e voi, soltanto voi, siete i padroni, qui. (trenta secondi di silenzio) Date un’occhiata alla cornice. Può andare? Per ora sì. Rimettete in tasca il sacchetto. Ora, allarghiamo la cornice. Appoggiate i palmi delle mani al lato superiore della cornice, e spingete delicatamente verso l’alto, fino a dove arrivano le vostre braccia: la cornice si allargherà verso l’alto. Ora appoggiate i palmi ai due lati laterali della cornice, sempre dall’interno, e allargate le braccia – come quando ci si stira al mattino. La cornice si allargherà anche lateralmente. Infine, appoggiate i palmi sul lato inferiore della cornice, e spingete delicatamente fino a che la cornice si venga a trovare a circa mezzo metro da terra, o poco meno. Ecco fatto. Ancora un dettaglio: sfiorate con una mano il centro della cornice, spostatela un poco verso sinistra, e lì a sinistra premete leggermente. Qualcosa si sposta all’interno della cornice: sentite? Qualcosa, una superficie invisibile, si è spostata, aprendosi come una porta. Riportate indietro la mano e – sentite? – quella superficie invisibile si richiude, con un leggero scatto. Provate ancora una volta. Ecco. Basta così, per il momento. Ora riponiamo la cornice. Si fa così: premete delicatamente sui lati della cornice, verso l’interno. La cornice si rimpicciolisce. Diventa larga come un giornale; premete ancora: sarà grande come una rivista. Poi come un libro; poi come una carta d’identità; poi come un francobollo. Poi come un granello di ghiaia. Riponete quel granello di ghiaia nel sacchetto che c’è nella vostra tasca destra. Lì lo ritroverete ogni volta. 248
Ora voltatevi, e percorrete la strada fino ai colori. E risaliamo lungo i colori. Il colore violetto. Il colore indaco. Il colore azzurro. Il colore verde. Il colore giallo. Il colore arancione. Il colore rosso. Al colore rosso, sentite di nuovo le vostre palpebre, e riaprite lentamente gli occhi. Appena avrete riaperto gli occhi, annotate in breve sul quaderno qual è la forma, il colore e il materiale della vostra cornice. Quarto movimento Prima di questo quarto movimento provate a scrivere sul quaderno, a occhi chiusi, una fila di i (col puntino). Una fila di u. Una fila di r . Proprio come in prima elementare, ma a occhi chiusi. Vedete che è facile? Provate una fila di s, che di solito è la lettera più complicata da scrivere con gli occhi chiusi. Ricordate: è indispensabile che durante le conversazioni con i vostri maestri voi prendiate nota, con la grafia più chiara possibile. Tutto ciò che non annoterete di quelle conversazioni (sia le vostre domande, sia le loro risposte) scomparirà dalla vostra memoria nel giro di pochi secondi, quando avrete riaperto gli occhi, proprio così come a volte scompaiono i sogni, al mattino. Per evitare che, scrivendo a occhi chiusi, le righe si sovrappongano e divengano illeggibili, potrete appoggiare sul margine del quaderno la mano che non scrive, e toccarla con 249
l’indice dell’altra mano ogni volta che andrete a capo: così saprete quanta distanza c’è tra la riga precedente e la nuova riga. Oppure, potrete tracciare una linea diagonale, discendente, dall’ultima lettera di una riga alla prima lettera della riga successiva. *** Ora posate la penna e chiudete gli occhi. L’inizio sarà sempre uguale. *** Mettetevi comodi, sulla sedia – con la schiena diritta. E pensate alla vostra palpebra destra. Immaginate la carezza leggera – la punta di due dita – che passa lungo tutta la palpebra destra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio, proprio vicino alle ciglia. E la palpebra destra diventa più morbida, calda, dolcemente pesante. Poi pensate alla vostra palpebra sinistra. E immaginate la carezza leggera, di due dita soltanto, che passa lungo tutta la palpebra sinistra, dalla ghiandola lacrimale fino alla coda dell’occhio; vicino alle ciglia: piacevole, dolce. E anche la palpebra sinistra diventa più morbida, calda, dolcemente pesante. Concedetevi ogni volta qualche istante per sentire meglio il tepore delle palpebre. Non c’è fretta. Lasciate che questa sensazione di tepore vada dove vuole: è preziosa, porta riposo, dovunque arrivi. Lasciate che svolga tranquillamente il suo compito. E intanto, pensate alle domande da rivolgere ai vostri maestri, che incontreremo tra poco. *** 250
Non ponete domande la cui risposta sia semplicemente «sì» o «no». Pensate a domande che permettano di conversare un po’; a richieste di spiegazioni, racconti, indicazioni, notizie di cui avreste bisogno. *** Ora scendiamo lungo i colori. Immaginate il colore rosso. Poi il colore arancione. Oppure la mano che scrive la parola: arancione. Il colore arancione. Poi il colore giallo. Come il sole che disegnano i bambini. Poi il verde. Come una foglia. Poi l’azzurro. Come il cielo nelle cartoline del mare. Poi il colore indaco. Come il cielo di notte. E il colore più leggero e più misterioso di tutti: il colore violetto. Al di sotto del colore violetto c’è ancora l’imbocco della strada: percorretela. Se si è modificata rispetto alla volta precedente, va benissimo così. Questo è il regno della trasformazione. Si modifica per adattarsi a voi. Voi, semplicemente, fate caso ai dettagli: osservate bene ciò che avete intorno, sulla destra, sulla sinistra. *** Arrivate allo spiazzo che è in fondo alla strada. Dal sacchetto che è nella vostra tasca destra prendete quel granello, come di ghiaia, premetelo tra le mani, plasmatelo, e in pochi istanti ne prenderà forma la vostra cornice, nella forma che le avevate dato la volta scorsa. Vi piace? 251
Se non vi piace, modificatela usando un po’ della vostra polvere. (quindici secondi di silenzio) Ecco, così può andare, per ora. Adesso, allargate la cornice premendo sui lati: verso l’alto, verso destra, verso sinistra, verso il basso. Premete delicatamente con una mano all’interno della cornice, sulla sinistra. Lasciate che si apra lo schermo invisibile che è all’interno della cornice, e scavalcate il lato inferiore – prima con una gamba, poi con l’altra. Ora siete dall’altra parte della cornice; chiudete quello schermo con una leggera pressione. Quello schermo obbedisce soltanto al tocco della vostra mano. Soltanto voi potete aprirlo e chiuderlo. Voltatevi, e guardate cosa c’è, dall’altra parte della cornice. Un pendio. L’orizzonte, liscio. È il mare. Non ci sono nuvole. Immaginate l’odore del mare, il rumore, leggero. Sulla destra – vedete – c’è un molo. Scendete verso quel molo. Accanto al molo c’è un motoscafo in attesa. Ha una forma curiosa; ma funziona benissimo. Accomodatevi sul motoscafo, sul sedile posteriore. Non c’è nessuno alla guida, il motoscafo va da sé, e sa dove deve andare. Lasciate che vi porti. Si muove. Parte. Questa è la parte più riposante del viaggio: non occorre che facciate nulla, semplicemente godetevi il viaggio in motoscafo. Guardatevi intorno, mentre il motoscafo va. Com’è il sedile, di che colore è? Guardate com’è la costa che si allontana. È già lontana; il motoscafo è veloce. Curva lentamente verso destra. E vedete già la destinazione, 252
l’isola. Il motoscafo si avvicina all’isola, trova il punto migliore per approdare, approda. Si ferma. Scendete sulla spiaggia dell’isola. E andate verso l’interno. Troverete quasi subito l’apertura di una caverna – è molto grande. Entrate. Percorrete le scale: c’è una rampa di scale, che sembra costruita da poco. Un pianerottolo. E un’altra rampa di scale. Percorretela. Siamo arrivati. Questa che vedete, in fondo alle due rampe di scale, è la vostra stanza tonda. Qui solo voi potete entrare. È tonda: il pavimento è circolare. Il soffitto è tondo, a volte. Sulle pareti ci sono molte porte. Guardatele: sono davvero molte; la prospettiva della stanza è ingannevole: guardando tutte quelle porte, ci si accorge che la stanza è molto più ampia di come era sembrata all’inizio. Una delle porte è aperta, la prima sulla sinistra. Entrateci. È un magazzino: contiene molte, molte cose, come vedete. Scegliete, tra queste cose, una che serva ad arredare la vostra stanza tonda, a renderla più accogliente, più bella. *** Prendete quel che avete scelto e portatelo nella stanza tonda. Ogni volta che scenderete nella stanza, date un’occhiata in magazzino, per scegliere qualche altro arredo o oggetto che la renda più accogliente. I vostri maestri, intanto, sanno bene che siete arrivati. Tra poco entreranno. Mettetevi al centro della stanza, riposatevi un poco, e aspettate. Una raccomandazione, prima che entrino: siate sempre affettuosi con i vostri maestri, così come loro lo saranno con voi. Non limitate l’espressione del vostro affetto. Non c’è
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nessuno che vi veda e vi critichi, qui. Siate semplicemente affettuosi. Ecco. Una delle porte si sta aprendo. Andate incontro al vostro primo maestro. Salutatelo affettuosamente. Siate sempre affettuosi, con loro. *** Forse è un volto che conoscete già. Forse non lo conoscete ancora. Forse è invisibile, come lo erano i miei maestri. Seguitelo. Vi sta accompagnando verso un’altra porta, la apre. Quello che entra da quest’altra porta è il vostro secondo maestro. Salutatelo affettuosamente. Siate sempre affettuosi con i vostri maestri. Salutateli anche da parte mia. *** E ora prendete la penna e fate domande. Non diranno nulla finché non domanderete. Prendete nota delle risposte. Ricordatevi: tutto ciò che non scriverete andrà perso, prendete nota. Se dopo una domanda vi sembra di non udire nulla, è soltanto un’impressione: lasciate che la penna scriva, non frenatela; o magari, scrivete voi stessi le prime parole, a caso, e vedrete che la risposta prenderà forma rapidamente, da sé, come una dettatura. *** Potete domandare qualsiasi cosa. Se vi sembra di stare inventando, anche questa è solo un’impressione. Quando 254
rileggerete, vi accorgerete che non siete stati voi a fabbricare le risposte. *** I maestri vi spiegheranno tutto il necessario. Oh, non ora, certo. Col tempo. Questa volta si tratta soltanto di fare conoscenza. A proposito, la domanda che preferiscono è: «In che senso?». Domandate spesso: «In che senso?», dopo una loro risposta. Conversate con i vostri maestri, per cinque, lunghi minuti. A partire da questo istante. (cinque minuti di silenzio) Basta così, per ora. Potrete tornare qui quando vorrete, e proseguire questa conversazione e cominciarne di nuove. Ora congediamo i maestri. Per congedare i maestri, accompagnate il vostro secondo maestro alla porta che vi indicherà, salutatelo affettuosamente (siate sempre affettuosi con loro) e, quando è uscito, tastate la porta per assicurarvi che sia chiusa. *** Allo stesso modo, accompagnate il vostro primo maestro alla porta che vi indicherà, salutatelo affettuosamente e, quando è uscito, tastate la porta per assicurarvi che sia chiusa. *** Date un’occhiata intorno: nella vostra stanza tonda tutto è in ordine. Risaliamo. Avviatevi lungo la scala, e ai primi gradini fate un profondo respiro, molto profondo, e – vedete? – siete già alla cornice. 255
Premete delicatamente all’interno della cornice, sulla destra, e lo schermo invisibile si aprirà. Scavalcate la cornice, prima con una gamba, poi con l’altra. Richiudete quello schermo con una leggera pressione, e rimpiccolite la cornice, come sapete fare: è sufficiente che premiate delicatamente sui lati. Diverrà più piccola, tornerà a essere quel granello come di ghiaia. Riponete il granello nel sacchetto, nella vostra tasca destra. E percorrete la strada che vi riporta verso i colori (è molto più breve al ritorno, vedete?). Risalite lungo i colori. Il colore violetto. Il colore indaco. Il colore azzurro. Il colore verde. Il colore giallo. Il colore arancione. Il colore rosso. Al colore rosso, sentite di nuovo le vostre palpebre, e riaprite lentamente gli occhi. Appena avrete riaperto gli occhi, rileggete quel che avete scritto sul quaderno e, dove non si legge bene, riscrivete meglio le parole o le lettere incomprensibili. *** Questi sono i quattro movimenti; non occorre altro, per l’avvio. La lentezza dell’esercizio e l’attenzione per i dettagli sono molto importanti, servono a dare il giusto tempo a tutte le fasi di questa discesa psichica. La seconda volta che si torna dai maestri è sufficiente ricordare (o riascoltare con il registratore) il quarto movimento. La successione dei colori, l’apertura della cornice, il viaggio in motoscafo, la discesa nella stanza diverranno via via molto rapidi. Quanto al motoscafo, qualcuno può trovare fuori luogo che si vada nell’Aldilà con un mezzo tanto moderno: ma è bene così; 256
quel motoscafo (la presenza di un motore, in particolar modo) risponde a una precisa necessità, che i maestri vi spiegheranno dettagliatamente, se glielo domanderete. Le conversazioni con i maestri possono durare quanto volete: nei primi tempi è meglio limitarsi a una mezz’ora al massimo, per non stancare l’attenzione; in seguito potrete rimanere a conversare anche un paio d’ore. Per tutto il resto, saranno i maestri a darvi istruzioni, chiarimenti e consigli.
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C.G. Jung, Erinnerungen, Träume, Gedanken, 1961; trad. it. Sogni, ricordi, riflessioni, Rizzoli, Milano 1978. 35
I. Sibaldi, I maestri invisibili, Mondadori, Milano 1997; e Il mondo invisibile, Frassinelli, Milano 2006.
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Il diavolo nella Bibbia
Nell’Antico Testamento il diavolo o Satana compare tre volte soltanto, come figura ben definita: 1) nel Libro di Giobbe (1,6-12 e 2,1 sgg.), dove Satana è presentato addirittura come uno dei «figli di Dio» (precisamente dell’Elohiym, cioè della Divinità suprema, creatrice) e, insieme al Dio della Terra, YHWH , mette alla prova la devozione dello sventurato Giobbe: consiglia a YHWH di tormentare Giobbe con diverse sventure; YHWH accetta e, in seguito, in una conversazione con lo stesso Giobbe, difende a lungo il proprio diritto di tormentare l’uomo. 2) nel Primo libro delle Cronache (21,1), Satana spinge re Davide a fare il censimento (ma nel Secondo libro di Samuele – 24,1 sgg. – , dove è narrata quella stessa vicenda, non è più «Satana», bensì «la collera di YHWH» a spingere re Davide al censimento). 3) nel Libro di Zaccaria (3,2 sgg.), Satana è una sorta di pubblico ministero celeste incaricato di sostenere l’accusa a carico di un sommo sacerdote. Alcuni commentatori della Bibbia tentano di vedere il diavolo in altri passi, in altre figure bibliche: per esempio nel gigante Golia ( Primo libro di Samuele 17,1 sgg.), nel coccodrillo o nel Leviathan di cui parla il Libro di Giobbe (41; 258
27,1; 26,13), nello «spirito di menzogna» che confonde i profeti (Secondo libro delle Cronache 18,20) o nel re dei babilonesi ( Isaia 14). Ma sono forzature: queste figure non hanno alcun rapporto determinato né con il Satan ebraico, né con la nostra idea di diavolo.
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Il diavolo nei Vangeli
La discussione tra Gesù e il diavolo è narrata dagli evangelisti Matteo (nel capitolo 4) e Luca (nel capitolo 4). Nelle traduzioni consuete, si legge sia in Matteo sia in Luca che, nel deserto, Gesù fu «tentato dal diavolo»: ma il termine greco usato dagli evangelisti ( peirazo) significava a quell’epoca «mettere alla prova», «sperimentare», «sollecitare», e non «tentare» nel senso cristiano, ovvero «indurre al male». Dal racconto degli evangelisti risulta infatti che i progetti suggeriti dal diavolo durante quella discussione non erano affatto «tentazioni», ma autentici consigli: perché la predicazione avesse successo, il diavolo propose a Gesù di «trasformare le pietre in pane», di «volare, gettandosi giù dal Tempio, davanti a tutti» e di «impadronirsi dei regni della Terra». La prima proposta significava: «Per convincere la gente, dimostra che il tuo insegnamento può risolvere i problemi economici di chiunque, e la gente ti onorerà e ti seguirà». Ma a Gesù non piaceva l’idea di fondare l’importanza della sua dottrina sull’elemento economico. La seconda proposta significava: «Dimostra alla gente che sei un individuo eccezionale, un Superman, e la gente ti obbedirà». Ma a Gesù premeva che ogni uomo imparasse a obbedire a se stesso, alla parte più autentica e autonoma di sé, e 260
non a un’autorità esterna: perciò se, in seguito, fece miracoli, fu solo per insegnare a farli – per dimostrare che i poteri prodigiosi sono accessibili agli uomini e che ogni uomo, se ha «fede», può scoprirsi tanto eccezionale da non poter obbedire più a nessuna autorità esterna. La terza proposta significava: «Non fidarti della gente, ragiona in termini politici: la gente obbedisce ai re, ai capi, ai generali. Ti daranno retta soltanto se diventerai anche tu qualcosa del genere; e se ti lasci guidare da me ci puoi riuscire». Ma Gesù detestava la politica, non ne capiva niente e pensava che non capirne niente fosse la condizione essenziale per essere veramente liberi. Così non diede ascolto al diavolo – a differenza della Chiesa, che in seguito prese in seria considerazione almeno due di quei progetti e li attuò sistematicamente, nel suo potere temporale e nel culto dei santi. Quando venne accusato dai suoi avversari di usare i poteri del diavolo per compiere i miracoli, e addirittura di essere un «principe» infernale, Gesù rispose che è lecito e saggio impadronirsi di energie da tutti temute, se si riesce a non averne paura. «Quando un uomo forte e bene armato fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo sconfigge, gli strappa via l’armatura nella quale quello confidava, e poi distribuisce il bottino» ( Luca 11,21-22). Quanto a quella stessa accusa, cfr. Matteo 10,24-25: «Un discepolo non è da più del maestro… Se hanno chiamato Belzebù il padrone di casa, tanto più [chiameranno così] i suoi familiari!». Gesù sapeva che Giuda lo avrebbe tradito; e Giuda esitava, a quanto riferiscono tutti e quattro i Vangeli. L’evangelista Giovanni narra (13,26-30) che Gesù, quando gli domandarono chi l’avrebbe tradito, rispose: «È colui per il quale intingerò un pezzo di pane e glielo darò.» E 261
intinto il pezzo di pane, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota. Allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui. Dopodiché Gesù gli disse: «Quello che devi fare, sbrigati a farlo»… E preso il pezzo di pane, Giuda subito uscì. Ed era notte. Qui Satana è mostrato come il potere misterioso che conduce Giuda al tradimento; ed è chiaramente un potere agli ordini di Gesù. L’immagine che i Vangeli danno del diavolo – così diversa da quella che il cristianesimo ne diede in seguito – ha suscitato da sempre la meraviglia dei commentatori più attenti. Ma gran parte degli insegnamenti di Gesù nei Vangeli è talmente diversa e lontana dai tradizionali precetti del cristianesimo, che approfondire quel genere di originalità dei quattro evangelisti significò, per molti secoli, incorrere nella condanna d’eresia. Ancora oggi la memoria inconsapevole, genetica quasi, delle pene che sono state comminate agli eretici finisce per frenare la perspicacia della stragrande maggioranza dei commentatori.
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I desideri
Dei desideri e delle ragioni per cui si realizzano o non si realizzano ho parlato a lungo con i miei maestri, negli anni passati. 36 In sostanza, secondo gli Spiriti-guida, ogni desiderio che noi riusciamo a esprimere è una forma di premonizione: non si tratta cioè di un frutto della nostra fantasia, ma di un improvviso estendersi della nostra percezione, fino a cogliere nel futuro una qualche occasione che sta venendo proprio verso di noi e che può servire al nostro sviluppo interiore. E ciò che chiamiamo «desiderare» è in realtà il modo in cui questa nostra percezione più estesa cerca di annunciare alla nostra razionalità quelle occasioni che ha intravisto nell’avvenire, e di convincerla a non opporre resistenza e a non distrarsi, quando quelle occasioni arriveranno, bensì a farsi avanti e ad afferrarle. Secondo gli Spiriti-guida, questa spiegazione trova conferme tanto più nette quanto più un desiderio è coraggioso, e anche a me risulta che sia così; il problema consiste dunque nel precisare il grado di coraggio necessario a far sì che la nostra percezione scorga occasioni, «desideri» sufficientemente importanti per noi – indipendentemente da ciò che quei «desideri» potranno sembrare, di primo acchito, alla nostra razionalità. La più celebre tra le precisazioni di questo grado di coraggio è di certo quella fornita da Gesù nei Vangeli: 263
In verità io vi dico: se avrete fede (anche solo un pochino) quanto un granellino di senape, potrete dire a questa montagna: spostati da qui a là, ed essa si sposterà, e niente vi sarà impossibile. Matteo 17,20
È una frase che Gesù ripete spesso, in tutti e quattro i Vangeli ( Matteo 21,21; Marco 11,22-23; Luca 17,5-6; Giovanni vi insiste in tutto il lungo discorso dell’ultima cena, dal capitolo 14 al capitolo 16). Per comprendere bene che cosa intendessero dire qui gli evangelisti, va ricordato che la parola tradotta come «fede» ( pìstis, in greco) non indicava ancora, alla loro epoca, quello sforzo di credere che tanto spesso i cristiani chiamano fede, bensì un fiducioso, coraggioso aprirsi alla conoscenza. Il senso dunque è: «Se nel desiderare riuscirete a non porvi preclusioni, a non tenervi aggrappati a ciò che sapete già, a sentire in voi anche soltanto un tantino di pìstis, potrete spostare la montagna della vostra inerzia interiore con straordinaria facilità, e nulla di ciò che desidererete vi sarà impossibile». Non c’è dubbio che Gesù se ne intendesse: e se a suo dire il grado di coraggio necessario è pari a «un granello di senape», non dovrebbe essere difficile produrlo. Le difficoltà – mi spiegarono i miei Spiriti – derivano principalmente da quella vera e propria atrofia del desiderio che si verifica nella stragrande maggioranza degli individui adulti. Per svariate ragioni, e soprattutto per l’educazione che ricevono da chi è già adulto e già atrofizzato in quel senso, i bambini smettono ben presto di desiderare davvero e riescono soltanto a imitare i desideri altrui. Il coraggio del desiderio cede allora il posto all’ansia del desiderio, che con gli anni diviene sempre più tormentosa e fa pensare all’assenza di desideri come a una liberazione. Da qui all’atrofia il passo è breve. Questo addestramento all’ansia è uno dei processi attraverso i quali si passa dal Quinto Cielo (che è proprio dei bambini, come i 264
maestri spiegano qua e là in questo libro) ai Cieli Primo e Secondo, che sono invece caratteristici degli adulti. In questo libro, nel capitolo XXIII, è spiegata una tecnica per riconoscere e utilizzare un genere particolare di coraggio e di pìstis. Ma qui colgo l’occasione per illustrarne un’altra, preparatoria, diciamo: più semplice, ottima per scuotere l’animo adulto da quell’atrofia che dicevo. Non è mia, l’ho tratta, con qualche rielaborazione, da un bel libro di Jack Canfield e Mark Victor Hansen, The Aladdin Factor (Berkley Books, New York 1995). Richiede due quaderni, e qualche settimana di tempo per i primi risultati concreti. Su un quaderno scrivete 101 desideri, tutti diversi l’uno dall’altro, concisi e precisi, così, per esempio: 1. Io voglio un’automobile di lusso verde scuro. 2. Io voglio una villa in Riviera a pochi passi dal mare. Eccetera. Per compilare l’elenco nel modo migliore tornano utili le seguenti raccomandazioni: • nello scrivere i desideri evitate accuratamente la parola «non»; • evitate desideri la cui realizzazione non sia verificabile (per esempio, «Io voglio essere molto buono» non va bene, perché non è chiaro né che cosa significhi quel «molto» né cosa si intenda per «buono»; invece di lasciare così nel vago, si può precisare scrivendo: «Io voglio salvare un popolo da una carestia» o altro del genere); • chiedete soltanto a nome vostro, e non per altri (per esempio, se un vostro conoscente ha un determinato problema, non scrivete: «Io voglio che il mio amico X risolva quel suo problema», ma: «Io voglio risolvere quel problema del mio amico X» – e naturalmente precisate quale problema). 265
È buona norma evitare desideri che ci appaiano nocivi per altre persone, perché la nostra coscienza potrebbe aversene a male, nel profondo, e punirci poi dolorosamente. Ed è meglio evitare desideri di carattere sentimentale riguardanti persone che non conoscete bene (attori e attrici, indossatrici, ecc.), appunto perché non li conoscete bene e potrà darsi che non vi piacciano affatto, quando quei vostri desideri si realizzeranno. Per il resto, non ci sono limiti: potete scrivere qualsiasi cosa, purché siate sicuri di desiderarla. I desideri devono essere, ripeto, 101: un bel numero orientale, che raffigura simbolicamente un intero grande (100) ma aperto, grazie a quell’1 in più, verso ulteriori sviluppi, e che vi obbligherà inevitabilmente a ridestare, stimolare e irrobustire le vostre facoltà di desiderio atrofizzate. Una volta completato l’elenco dei 101 desideri, ricontrollatelo attentamente, correggetelo dove occorre, ricopiatelo in bella sull’altro quaderno (non più di quattro desideri per pagina), e poi rileggetelo una volta al giorno: sottovoce e in un luogo appartato, suggerirei, perché se qualcuno vi udisse casualmente potrebbe pensare di voi cose poco lusinghiere. E aspettate. Piano piano i desideri cominceranno a realizzarsi, ora in modo strabiliante, mediante coincidenze o altri fatti curiosi, ora nel più semplice dei modi, quasi inavvertitamente. Via via che i desideri si realizzano, cancellateli e sostituiteli con altri nuovi. Di solito, nei primi mesi successivi alla ricopiatura in bella, si realizza il 30 per cento dei desideri così elencati: gli altri rimangono preclusi, a causa di resistenze inconsapevoli, di sensazioni di inadeguatezza (non me lo merito, non valgo abbastanza, ecc.) e di altre aggrovigliate e deprimenti paure e blocchi affettivi di vario genere, che inconsapevolmente ci spingono a fuggire da quelle occasioni che la nostra percezione più estesa aveva colto nell’avvenire, quando compilavamo l’elenco. 266
In seguito, potrà capitare che alcune di queste paure e di questi blocchi si sciolgano: allora i desideri a essi corrispondenti cominceranno a realizzarsi (le occasioni di realizzazione sono e rimarranno sempre inesauribili). Viceversa, nei desideri che non accenneranno in alcun modo a realizzarsi il compilatore dell’elenco avrà un’espressione metaforica (ma spesso sufficientemente eloquente) delle paure e dei blocchi più segreti che si nascondono nella sua psiche, e che limitano il suo campo di esistenza. In quelle paure e in quei blocchi abita – per usare il linguaggio dei maestri – il più cupo «diavolo» di quel compilatore. Dopo un anno, in ogni caso, distruggete e bruciate entrambi i quaderni, e non pensateci più. In molti casi, la piccola cerimonia di questa distruzione (che si rivela sempre più difficile del previsto) ha di per sé l’effetto di smuovere le «montagne» di almeno alcuni dei blocchi e delle paure più segreti e tenaci. Sia Canfield e Hansen, sia i miei maestri escludono che questa tecnica abbia qualche controindicazione. Quanto agli eventuali e ovvi problemi morali che può suscitare, è bene sapere fin dall’inizio che, spesso, dietro il timore di essere egoisti si cela in realtà una difficoltà o incapacità di ricevere; e che chi non sa ricevere non sa nemmeno dare. Quanto ai problemi di carattere religioso, è altrettanto utile ricordare che le nostre idee occidentali sulla virtù dell’ascesi sono molto approssimative, e soltanto punitive: l’ascesi, la vera liberazione dal desiderio, è una grande conquista, che si raggiunge non vietandosi di desiderare (il che conduce inevitabilmente a forme ossessive), ma imparando a superare la dimensione del desiderio, a provare per essa una sincera noia e indifferenza – il che è possibile, per la maggior parte delle persone, solo dopo averla sperimentata abbastanza a lungo con successo. 267
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Cfr. I maestri invisibili, cit., pp. 155 sgg.
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I desideri e l’io più grande
Certamente, questo modo di intendere il desiderio è lontano da ciò che insegna la religione cristiana. Ma davvero lo si ritrova nei Vangeli: nel meraviglioso discorso di Gesù ai discepoli durante l’ultima cena, così come lo riferisce l’evangelista Giovanni. Nelle conversazioni con i miei maestri questo discorso viene citato spesso: per comodità dei lettori ne riporto qui qualche brano. È una mia versione, diversa da quelle consuete, e basata sull’ipotesi (suggeritami anche questa nella Stanza Tonda) che Gesù, nei Vangeli, attribuisse due significati diversi al pronome «io», causando spesso perplessità nei suoi ascoltatori: in alcuni casi, con «io» intendeva semplicemente se stesso; in altri, intendeva la pienezza delle facoltà umane: una realtà psichica immensa, un’«Anima dell’umanità», che in ogni individuo vorrebbe attuarsi ed esprimersi. Quest’altro «Io grande» era un’idea ben nota, nel I secolo d.C. Nel Corpus Hermeticum era chiamata l’«autentìa» dell’individuo; nei Vangeli gnostici, per esempio nel Vangelo di Tommaso, trapela nell’immagine dell’individuo che, procedendo sulla via della conoscenza, scopre di essere «re su tutto», ecc. E in tutti e quattro i Vangeli canonici, Gesù mi sembra intento proprio a spiegare questo «Io grande», insegnando a riconoscerlo, a non
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temerlo, a trovare in esso – e in esso soltanto – «la via, la verità e la vita». 37 I lettori giudicheranno se tale innovazione nel tradurre possa essere fruttuosa: se, cioè, faccia risultare il testo di questo discorso più comprensibile e al tempo stesso ancor più profondo e coinvolgente; raccomando, naturalmente, di leggere senza fretta (antica e ottima regola di esegesi; c’è sempre tanto tempo a disposizione, per queste cose!) e di far caso ai molti spunti di riflessione che questo brano offre non soltanto riguardo al desiderare e al chiedere, ma anche a vari altri argomenti toccati nelle nostre conversazioni. Dal Vangelo di Giovanni, capitoli 14, 15 e 16: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, e anche nell’Io abbiate fede. Nella casa del Padre dell’Io ci sono molte dimore: oppure, potrei anche dirvi che l’io va a prepararvi il posto. E quando è andato e vi ha preparato un posto, tornerà e vi porterà là, con sé, perché siate anche voi dove è l’Io. E del luogo dove conduce l’Io, voi conoscete la via.» Gli disse Tommaso: «Signore, ma non sappiamo dove vai: come facciamo a sapere qual è la via?». Gli disse Gesù: «La via, la verità e la vita è l’Io. Nessuno può giungere al Padre se non attraverso l’Io. Se conoscete l’Io, conoscete anche il Padre; e voi lo conoscete già, e avete visto cos’è». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre, non chiediamo altro». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo l’Io è con voi e tu non sai cos’è l’Io, Filippo? Chi ha visto l’Io, ha visto il Padre. Come puoi dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che l’Io è nel Padre e il Padre è nell’I o? Le parole che l’Io vi dice, non le dice da sé soltanto; ma il Padre che è nell’Io, è Lui a fare tutto ciò che l’Io fa. Credetemi: l’Io è nel Padre e il Padre è nell’Io; se non ci riuscite altrimenti, credetelo per le opere stesse [che ciò vi permette di compiere]. «In verità, in verità vi dico: chi crede nell’Io, compirà anch’egli le opere che io compio, e ne farà di più grandi, perché l’Io conduce al Padre.
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Qualunque cosa chiederete nel nome dell’Io, l’Io la farà, perché il Padre sia manifestato in ogni suo Figlio. «Se chiederete qualsiasi cosa all’Io, in nome dell’Io soltanto, l’Io la compirà. «Se amate l’Io, osserverete i comandamenti dell’io. L’Io pregherà il Padre, e il Padre vi darà un Altro, che sappia incoraggiarvi, e che rimanga con voi per sempre. È lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete già, perché abita in voi e sarà sempre in voi. L’Io non vi lascerà mai orfani, ritornerà sempre da voi. Ancora un poco e il mondo non vedrà più l’Io: voi invece vedrete sempre l’Io, perché l’Io vive e voi vivrete. In quel giorno saprete che l’Io è nel Padre, e voi siete nell’Io, e l’Io è in voi. C hi accoglie i comandamenti dell’Io e li osserva, ama l’Io. Chi ama l’Io sarà amato dal Padre dell’Io, e anche l’Io lo amerà, e si manifesterà a lui.» Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, ma perché l’Io si manifesterebbe solo a noi, e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno ama l’Io, ascolta la parola dell’Io, e il Padre lo amerà e il Padre e l’Io verranno a lui e abiteranno in lui. Chi non ama l’io, non ascolta le sue parole: e le parole che voi ascoltate non sono dell’Io, ma del Padre che lo ha mandato. «L’Io vi dice queste cose mentre è con voi. Ma l’Altro che vi incoraggerà, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome dell’Io, lui vi insegnerà ogni cosa e vi farà ricordare tutto ciò che l’Io vi dice. L’Io vi lascia la pace, vi dà la pace. L’Io ve la dà non come la dà il mondo. Non si confonda il vostro cuore, e non abbia paura. Avete udito ciò che vi ho detto: l’Io va e poi tornerà a voi. Se amate l’Io, dovete rallegrarvi che l’Io conduca al Padre, perché il Padre è più grande dell’Io. Ve l’ho det to ora, prima che avvenga, perché quando avverrà voi crediate. Non parlerò più molto con voi, perché viene il padrone di questo mondo; costui non ha nessun potere sull’Io, ma bisogna che il mondo sappia che l’Io ama il Padre e che l’Io fa quello che il Padre gli comanda. Crescete, andiamo più in là. «L’Io è la vera vite, e il Padre dell’Io è il vignaiolo. Ogni tralcio che nell’Io non porta frutto, il Padre lo toglie; e ogni tralcio che porta frutto, lo
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pota perché porti più frutto. Voi siete già potati, grazie alle parole che l’Io vi ha annunciato. Rimanete nell’Io, e l’Io rimanga in voi. Come un tralcio non può portare frutto da sé solo, se non rimane attaccato alla vite, così è anche per voi, se non rimanete nell’Io. L’Io è la vite, e voi i tralci. Chi rimane nell’Io e l’Io in lui, porta molto frutto, perché senza l’Io non potete fare nulla. Chi non rimane nell’Io viene gettato via, come un tralcio tagliato, e si secca, e poi quei tralci vengono raccolti da qualcuno e gettati nel fuoco, e lì bruciano. Se rimanete nell’Io e le parole dell’Io rimangono in voi, chiedete tutto quello che volete e vi sarà dato. In questo si manifesta il Padre dell’Io: nel fatto che portiate molto frutto, e che impariate dall’Io. «Come il Padre ha amato l’Io, così anche l’Io ama voi. Rimanete nell’amore dell’Io. Se obbedite ai comandamenti dell’Io, rimarrete nell’amore dell’Io, così come anch’io ho obbedito ai comandamenti del Padre dell’Io e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la gioia dell’io sia in voi e la vostra gioia sia completa. «Questo è il comandamento dell’Io: che vi amiate a vicenda, come l’Io vi ama. Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici. Voi siete amici dell’Io, se fate ciò che l’Io vi comanda . Non vi chiamo più servi dell’Io perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi chiamo amici, perché tutto ciò che l’Io ascolta dal Padre lo fa conoscere a voi. Voi non avete scelto l’Io, l’Io ha scelto voi, e vi ha formati in modo che andiate e portiate frutto, e che il vostro frutto rimanga, e in modo che tutto ciò che chiedete al Padre in nome dell’Io, il Padre ve lo conceda. Questo vi comanda l’Io: di amarvi a vicenda. «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di odiare voi ha odiato l’Io. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; ma voi non siete del mondo: l’Io vi ha resi diversi dal mondo, e perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno calpestato l’Io (in se stessi), calpesteranno anche voi; se hanno ascoltato la voce dell’Io, ascolteranno anche la vostra voce. «Ma tutto questo lo faranno a causa dell’Io, perché non conoscono Colui che ha mandato l’Io nel mondo. Se l’Io non fosse venuto nel mondo e non avesse parlato a ciascuno di loro, non avrebbero torto a fare così; ma ora non hanno più scuse per i loro torti. Chi odia l’Io, odia anche il Padre
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dell’Io. Se l’Io non avesse compiuto in mezzo a loro opere che nessun uomo aveva mai compiuto, non avrebbero torto; ora invece hanno visto l’Io, e hanno odiato l’Io e il Padre dell’Io. E così è stato, come era scritto nella loro Legge: hanno odiato l’Io, senza ragione. «Quando verrà l’Altro, a incoraggiarvi, che l’Io manderà dal Padre, cioè quello Spirito di verità che proviene dal Padre stesso, lui renderà testimonianza all’Io: e sarete voi stessi a rendere testimonianza all’Io, perché siete stati nell’Io fin dal principio. «Vi ho detto queste cose perché nessuno vi prenda più in trappola. Vi scacceranno dai loro templi; anzi, verrà l’ora in cui, chiunque vi ucciderà, crederà di rendere un culto a Dio. E faranno così perché non hanno conosciuto né l’Io né il Padre dell’Io. Ma l’Io vi dice queste cose, perché quando avverranno vi ricordiate che l’Io ve le aveva annunciate. «Non vi ho detto queste cose fin dall’inizio, perché prima ero dove eravate voi. Ma ora il mio io conduce a Colui che ha mandato l’Io nel mondo e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. E siccome vi dico queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ora, in verità vi dico: è bene per voi che io me ne vada via, perché se non me ne vado, non verrà da voi l’Altro, a incoraggiarvi; ma quando me ne sarò andato, l’Io ve lo manderà. E quando sarà venuto, spiegherà tutto chiaramente, al mondo intero: riguardo al peccato, e alla giustizia, e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono nell’Io; riguardo alla giustizia, perché l’Io conduce al Padre e me non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il padrone di questo mondo è stato giudicato. «Molte cose avrei ancora da dirvi, ma per il momento non siete in grado di portarne il peso. Quando verrà lo Spirito di verità, lui vi condurrà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé solo, ma dirà tutto ciò che ascolta, e vi annuncerà anche le cose future. Lui manifesterà pienamente l’Io, perché prenderà dall’Io e vi annuncerà ciò che ne prende. Tutto ciò che il Padre ha, lo ha anche l’Io: perciò vi dico che prenderà dall’Io, e ve lo annuncerà. «E per un poco non vedrete più l’Io; e dopo un po’, lo vedrete di nuovo.»
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Al che, alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Ma che cosa sta dicendo? Ancora un po’ e non vedrete l’io, e dopo un altro po’ lo vedrete? E cosa vuol dire: l’io conduce al Padre?». E perciò dicevano: «Che cosa vuol dire “dopo un po’”? Non capiamo che cosa sta dicendo». Gesù si accorse che volevano fargli delle domande e disse loro: «State cercando di capire perché ho detto: per un po’ non vedrete più l’Io, e dopo un po’ lo vedrete? In verità, in verità vi dico: voi piangerete e sarete tristi, e il mondo invece sarà contento. Voi sarete tristi, ma la vostra tristezza si muterà in gioia. «La donna quando partorisce soffre, perché è giunto il suo tempo; ma quando il bambino è nato, lei non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che nel mondo è nato un uomo. Così anche voi, ora, siete tristi; ma l’Io vi vedrà di nuovo, e il vostro cuore gioirà e quella gioia nessuno ve la potrà più togliere. «In quel giorno non mi domanderete più nulla. «In verità, in verità vi dico: se chiederete una qualsiasi cosa al Padre nel nome dell’Io, ve la darà. Finora non avete chiesto ancora nulla nel nome dell’Io. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia resa piena. «Queste cose ve lo ho dette per metafore. Ma verrà l’ora in cui l’Io non vi parlerà più per metafore, ma vi parlerà immediatamente del Padre. In quel giorno chiederete nel nome dell’Io, e non vi dico che l’Io pregherà il Padre per voi: il Padre vi ama, perché voi avete amato l’Io, e avete creduto che l’Io viene da Dio. L’Io è uscito dal Padre ed è venuto nel m ondo; ora si volge di nuovo dal mondo verso il Padre, e conduce a Lui.» Gli dissero i suoi discepoli: «Ecco, adesso sì che parli chiaro, e non usi più metafore. Ora capiamo che l’Io sa tutto e che non c’è bisogno di fargli domande. Perciò crediamo che l’Io è venuto da Dio». Gesù rispose loro: «Adesso credete questo? Ecco, verrà l’ora, anzi è venuta già, in cui vi dispererete e sarete ciascuno per proprio conto, e abbandonerete l’Io; ma l’Io non rimane mai solo, perché il Padre è con l’Io. «Vi ho detto queste cose perché abbiate la pace nell’Io. Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate fiducia: l’Io ha vinto il mondo!»
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37 Di questo modo di intendere l’«io» nelle Scritture ho trattato ampiamente in un
libro del 2004, Il codice segreto del Vangelo.
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mio
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Ancora sul Secondo Cielo
Tornammo a discutere del Secondo Cielo in seguito, quando già riordinavo gli appunti per questo libro. «È appunto il principio su cui si basava la non-violenza di Gesù, di Gandhi e di tanti altri» mi disse il Dominante, riguardo all’idea della componente impersonale dei delitti: «“Porgi l’altra guancia” e così via… In pratica significa: quando hai capito come funziona il Secondo Cielo, cerca di starne alla larga il più possibile. Non permettere che le forze del Secondo Cielo si manifestino attraverso di te. Piuttosto, restatene nel Primo». «Non giurare mai» disse l’Austero. Cioè? «Un altro comandamento di Gesù: “Non giurare mai” ( Matteo 5,34)» spiegò il Dominante. «Cioè: non prestare giuramenti di fedeltà, non lasciare che un qualunque Noi ti comandi e si serva di te per far valere le ragioni di quel Noi contro qualche altro Noi. Non fare il soldato, il poliziotto, il ministro o altro del genere: nulla che richieda il giuramento. Difendi il diritto di pensare con la tua testa, anche soltanto dal punto di vista del Primo Cielo.» E i doveri che uno ha verso il suo paese, il suo popolo? Rimanere chiusi nel Primo Cielo non è soluzione onorevole, direi. 276
«Tutto dipende da come li consideri, quei doveri e quel popolo. «Di sicuro, non c’è niente che ti obblighi a considerarli dal punto di vista dei Cieli pari. Chi sente solo il suo io piccolo e la sua incompletezza e cerca di completarsi attraverso gli altri, prima o poi si ritroverà aggrovigliato in qualche faccenda del Secondo Cielo: e allora, naturalmente, il comandamento “Non giurare” diventerà tormentosissimo. Chi invece impara a scoprire il suo corpo maggiore, si accorge presto che il Primo Cielo non basta più: che il corpo maggiore ha poteri ed esigenze molto più vaste del singolo io. Un io non gli basta, per incarnarsi. Ma la comunità, il popolo in cui si incarna un corpo più grande non ha mai nulla a che fare con i popoli e le nazioni che conoscete voi nel vostro Aldiquà.» E allora che succede? «Allora cominciano doveri e lealtà diversi da quelli di cui parlano i vostri libri di storia. E, naturalmente, anche conflitti diversi. Negli ultimi diciotto secoli questi tipi di conflitti non si sono mai risolti bene, e hanno lasciato tracce profonde nella vostra memoria storica – quella di voi europei, perlomeno. Ma in avvenire cambieranno una quantità di cose. Il vostro Secondo Cielo è molto meno forte, oggi, di quanto lo fosse ai tempi di Gesù, o anche ai tempi di Gandhi. Vedrai.»
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Il frutto proibito della co noscenza di Igor Sibaldi © 2014 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano Ebook ISBN 9788852050596 COPERTINA || ART DIRECTOR: GIACOMO CALLO | PROGETTO GRAFICO: FRANCESCO BOTTI | GRAPHIC DESIGNER: ANDREA FALSETTI | FOTO © JEAN FRANÇOIS UMBERT | ARCANGEL IMAGES
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Indice Il libro L’autore Il frutto proibito della conoscenza Premessa alla presente edizione Introduzione Parte prima - Prometeo I. La memoria e l’oceano - Il nostro corpo maggiore - Prometeo e il serpente dell’Eden - Le paure di Dio e il suo patto con gli uomini - Le due forze dell’evoluzione umana 1 2 3 4 5 6 7 8 II. Il corpo maggiore, il fegato e le guarigioni - L’antichissimo Signore delle Porte - Il diavolo e il diverso - Le epoche di obbedienza - La nostra stanza tonda 1 2 3 4 5 6 7 Parte seconda - I sette mondi degli uomini III.I sei Cieli dell’evoluzione umana - Il guardiano delle soglie -I maestri fanno lezione sul bene e sul male 1 2 3 4 5 6
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7 8 9 10 IV. I miei tragitti - Il Settimo Cielo e Lucifero - Il Nilo e il Diluvio - Il patto col diavolo - Le somiglianze 1 2 3 4 5 6 7 V. L’incarnazione. E una storia d’amore 1 2 3 4 VI. Tutto cresce - La morte di Paola - Gli indovinelli della Sfinge - Il Paradiso, e un’altra lezione sul Male 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Parte terza - Il diavolo e l’unico Dio VII. La promessa - Primo viaggio nell’Aldilà -Storia e natura del diavolo cristiano - Il Dio unico e il cuore: come far crescere entrambi 1 2 3 4 5 6 7 8 9 VIII. Seguito del precedente - Come si cresce nelle storie, a ritroso - Il mondo intermedio - Pollicino - E Babbo Natale 1 2 3
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4 5 6 7 IX. «Non indurci in tentazione» - L’eredità ostile - La stanza di Barbablù - Il principio di rotazione - Biancaneve 1 2 3 4 5 6 X. Nella foresta - L’apparato circolatorio del corpo maggiore - L’Inferno e la paura delle responsabilità - I tabù sul male e i tabù sul bene - Gesù, quando discese all’Inferno 1 2 3 4 5 6 7 8 XI. Arianna e il labirinto - Il filo e il serpente - Come salvare le anime dannate 1 2 3 4 5 6 7 8 XII. I sette vizi capitali, e l’ottavo - Un’altra notte, quaranta secoli fa L’Inferno delle moltitudini - Le imprese di coraggio 1 2 3 4 5 6 7 8 Parte quarta - L’esplorazione dell’Aldilà XIII. Il modo migliore di insegnare - Utilità dei momenti di dubbio - Come cambiare il passato 1
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2 3 4 5 6 7 8 XIV. La materia, gli specchi e la realtà - Potere e dovere - Gli animali maestri - Gli Angeli e il diavolo dietro gli specchi -Bellerofonte 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 XV. All’assedio di Acri - Il limite dell’io - Sion 1 2 3 4 XVI. Schema generale dell’Aldilà - Il Graal? - Il ponte - Il ritratto del diavolo - Altri universi e popolazioni extraterrestri 1 2 3 4 5 6 7 8 XVII. L’amore è prendere - Il Graal - I nuovi genitori e le reincarnazioni illustri 1 2 3 4 5 XVIII. I figli degli ’Elohiym - Il peso del corpo maggiore - La nuova morale, al di là del diavolo 1 2 3
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4 5 6 Parte quinta - Verso il fiume XIX. La luna e il velo nell’acqua – Il diavolo che precipita dal cielo e la fine del cristianesimo 1 2 3 XX. Gli automi e il padrone di questo mondo 1 2 3 4 XXI. Un nuovo modo di viaggiare - La stella-arca 1 2 XXII. I nemici e l’unico io - I grandi amori - La lussuria, san Giorgio e la principessa prigioniera 1 2 3 4 5 6 7 XXIII. Tecnica delle imprese di coraggio 1 2 3 4 5 6 7 8 XXIV. Le maschere - Quando bisogna alzarsi - La storia di mago Merlino e dei suoi genitori 1 2 3 4 5 6 7 XXV. La disobbedienza 1
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